ATTI
DELL’ ACCADEMIA PONTIFICIA
DE’ NUOVI LINCEI
I
A
.... : ...
1 T f X
DELL’ ACCADEMIA PONTIFICIA
DE’ MOVI LINCEI
PUBBLICATI
CONFORME ALLA DECISIONE ACCADEMICA
del 22 dicembre 1830
E COMPILATI DAL SEGRETARIO
TOMO XXIII. - ANNO XXIIL
(1869-1870)
ROMA
1869
TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI
Piazza Poli n. 91.
■
ELENCO DEI SOCI ATTUALI
DELL’ ACCADEMIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI
DAL 3 LUGLIO 1847, EPOCA DEL SUO RISORGIMENTO, FINO A TUTTO DICEMBRE DEL 18G9.
EPOCA DELLA ELEZIONE
S
9 gennaio 1853
2 febbraio 1 862
2 giugno 1867
3 luglio 1847
4 gennaio 1863
2 giugno 1867
3 luglio 1847
5 gennaio 1862
3 luglio 1847
SOCI QB3DIWA&I
ASTOLFI abate OTTAVIANO, professore d’in-
troduzione al calcolo sublime nella univer-
sità di Roma , e di fisico-matematica nel
collegio Urbano.
AZZARELLI dot. cav. MATTIA , professore
di meccanica e idraulica nella università di
Roma.
BETOCCHI cav. ALESSANDRO, ingegnere in
capo onorario nel corpo di acque e strade,
professore di meccanica pratica nella univer-
sità di Roma.
BONCOMPAGNI Don BALDASSARRE dei
principi di PIOMBINO.
CADET dott. SOCRATE, professore di fisio-
logia umana nella università di Roma.
CASTRACANE degli ANTELMINELLI, abate
conte FRANCESCO.
CHELINI rev. p. DOMENICO delle Scuole Pie,
professore di meccanica nella università di
Roma.
CIALDI Comm. ALESSANDRO.
COPPI cav. ANTONIO.
VI
EPOCA DELLA ELEZIONE
1 febbraio 1863
2 marzo 1856
2 giugno 1867
3 giugno 1866
3 aprile 1864
3 luglio 1847
6 febbraio 1859
3 luglio 1847
11 maggio 1848
22 aprile 1849
4 febbraio 1866
3 aprile 1864
30 giugno 1850
DIORIO dott. cav. VINCENZO, professore di
zoologia nella università di Roma.
FIORINI-MAZZANTI contessa ELIS ARETTA,
botanica.
GIORGI cav. FEDERICO, presidente del con-
siglio d’ arte, professore di architettura sta-
tica e idraulica nella università di Roma.
GUGLIELMOTTI rev. p. ALBERTO, de' pre-
dicatori, teologo della biblioteca Casanatense.
JACOBINI LUIGI, professore di agraria nella
università di Roma.
MASSIMO duca Don MARIO.
NARDI monsignor FRANCESCO, geografo
fisico.
PIERI dott. GIULIANO , professore emerito
d' introduzione al calcolo sublime nella uni-
versità di Roma.
PONZI dott. cav. GIUSEPPE, professore di geo-
logia, e mineralogia nella università di Roma.
PROJA D. SALVATORE, nominato professore
di elementi di matematica nella università di
Roma.
RESPIGHI dott. cav. LORENZO, professore di
ottica e di astronomia nella università di
Roma.
ROLLI dottor ETTORE, direttore del giardino
botanico della università di Roma.
SECCHI rev. p. ANGELO, d. C. d. G., diret-
tore dell’osservatorio astronomico nel colle-
gio romano.
0
VII
EPOCA DELLA ELEZIONE
3 luglio 1847
3 dicembre 1854
3 luglio 1847
2 aprile 1867
TORTOLINI dott. canonico , monsignor Don
BARNABA , professore di calcolo sublime
nella università di Roma.
VIALE dott. cav. BENEDETTO , professore
emerito di clinica medica nella università di
Roma.
VOLPICELLI dott. PAOLO, professore di fìsica
generale e particolare nella università di
Roma.
pairaiDssm
Cav. prof. dott. BENEDETTO VIALE. ( Con-
fermato pel secondo biennio , nella tornata del
6 giugno 1869 ).
mmmm
1 febbraio 1863 Duca Don MARIO MASSIMO.
Vili —
EPOCA DELLA ELEZIONE
HI1M3M Q)1IL (EDITO M© MD&1D3IIII1®©
7 gennaio 1866 Prof. Dott. SOCRATE CADET*
)) »
R. P. DOMENICO CHELINI
» »
Prof. dott. VINCENZO cav. DIORIO.
» »
Prof. dott. GIUSEPPE cav. PONZI.
2 giugno 1867
mamiBiM dim (EDimiMiiDim m motsì*
Monsignor Don FRANCESCO NARDI.
Professore cav. VINCENZO DIORIO.
R. P. ANGELO SECCHI.
Professore cav. LORENZO RESPIGHI.
•
Prof. PAOLO dott. VOLPICELLI. ( Confermato
nella carica di segretario pel terzo decennio ).
» « Prof. GIUSEPPE dott. cav. PONZI. ( Confer-
mato nella carica di vice-segretario pel se-
condo decennio ).
IX —
EPOCA. DELLA ELEZIONE
llimiM» SID
3 luglio 1847 Don BALDASSARRE BONCOMPAGNI, dei
principi di Piombino.
omswiais mma sipibqkdm à©fa®i«ià
4 febbraio 1866 Prof. cav. dott. LORENZO RESPIGHL
X
EPOCA DELLA ELEZIONE
3 dicembre 1854
11 maggio 1851
13 gennaio 1867
4 febbraio 1849
2 maggio 1858
6 maggio 1860
11 maggio 1851
» »
1 aprile 1860
11 maggio 1851
4 febbraio 1849
13 gennaio 1867
SOCI CORRISPONDENTI ITALIANI
BELLAVITIS GIUSTO, professore di matema-
tiche superiori nella università di Padova.
BETTI ENRICO, professore di matematica nel
Liceo di Firenze.
BIANCONI cav. GIO. GIUSEPPE.
BRIGHENTI MAURIZIO, già professore di geo-
metria descrittiva nella scuola degE ingegneri
di Roma, ed ispettore emerito di acque, e
strade in Bologna.
DE-GASPARIS professore ANNIBALE, diret-
tore dell’osservatorio astronomico di Napoli.
LOMBARD1NI ELIA , ingegnere idraulico in
Milano.
MAINARDI GASPARE , professore di calcolo
sublime nella R. università di Pavia.
MENABREA LUIGI FEDERICO, membro della
R. accademia delle scienze di Torino.
MENEGHINI GIUSEPPE, geologo in Pisa.
MINICH SERAFINO, professore di matemati-
che superiori nella università di Padova.
PARLATORE FILIPPO, professore di bota-
nica, e di fisiologia vegetale, nel museo di
fisica, e storia naturale in Firenze.
PIANI cav. DOMENICO , segretario perpetuo
dell’ accademia delle scienze in Bologna.
XI
EPOCA DELLA ELEZIONE
4 febbraio 1849
» »
6 maggio 1860
4 febbraio 1849
» »
6 maggio 1860
4 febbraio 1849
13 gennaio 1867
1 aprile 1860
4 febbraio 1849
PURGOTT1 do U. SEBASTIANO , professore
di chimica nella università di Perugia.
SANTINI comm. GIOVANNI, direttore del K.
osservatorio astronomico di Padova.
SAVI PAOLO geologo in Pisa.
SCACCHI ARCANGELO, professore di mine-
ralogia nella R. università di Napoli.
SISMONDA cav. ANGELO, professore di geo-
logia , e di mineralogia nella R. università
di Torino.
SISMONDA EUGENIO, geologo in Torino.
TARDY PLACIDO, professore di matematiche
in Genova.
TURAZZA cav. DOMENICO.
VILLA ANTONIO, geologo in Milano.
ZANTEDESCIII abate cav. D. FRANCESCO,
già professore di fisica nella R. università
di Padova.
— XII —
epoca della elezione
SOCI CORRISPONDENTI STRANIERI
10 luglio 1853 AGASSIZ L. , professore di storia naturale
in Boston.
17 novembre 1850 AIRY G. B., direttore del R. osservatorio astro
nomico di Greenwich.
2 febbraio 1862 BECQUEREL ANTONIO CESARE, membro
dell’ accademia delle scienze dell’ I. Istituto
di Francia.
8 aprile 1866 BERTRAND GIUSEPPE LUIGI, membro del-
l’accad mia delle scienze dell’ I. Instituto di
Francia.
17 novembre 1850 CHASLES MICHELE, membro dell’accademia
delle scienze dell’ I. Istituto di Francia.
4 marzo 1866 DAUSSE BATTISTA, ingegnere idraulico, in
Parigi.
11 giugno 1865 DE CALIGNY marchese ANATOLIO.
10 giugno 1860 DE CANDOLLE ALFONSO, botanico in Gi-
nevra.
11 giugno 1865 DE HAUER prof. FRANCESCO in Vienna.
17 novembre 1850 DE LA RIVE AUGUSTO, professore di fisica in
Ginevra.
4 marzo 1866 DE SAINT - VENANT, membro dell’ acc. delle
scienze dell’ I. Islit. di Francia.
11 giugno 1865 DE WALTHERSHAUSEN barone SARTORIUS
in Gottinga.
10 luglio 1853 DU BOIS REYMOND E., fisiologo in Berlino.
EPOCA DELLA ELEZIONE
8 aprile 1866
DUHAMEL GIAMMARIA, membro deli’ acca-
demia delle scienze dell’ I. Istituto di Francia.
10 luglio 1853
ÉLIE DE BEAUMONT GIAMBATTISTA, se-
gretario perpetuo dell’accademia delle scienze
dell’ I. istituto di Francia.
8 aprile 1866
FIZEAU ARMANDO IPPOLITO, membro del-
P accademia delle scienze dell’ I. Istituto di
Francia.
17 novembre 1850 FORBES G. , professore di fisica in Edirn-
» »
burgo.
GROYE G. R., professore di fisica in Londra.
)) »
HANSEN P. A. , direttore dell’ osservatorio
astronomico di Gotha.
» «
HENRY, segretario dell’ istituto Smitsoniano in
Washington.
10 luglio 1853
IACOBI, professore di chimica in Pietroburgo.
17 novembre 1850 LAMÉ G., membro dell’accademia delle scienze
4 marzo 1866
dell’ I. istituto di Francia.
LE JOLI AUGUSTO., naturalista a Cherbourg.
1 dicembre 1861
LE TERRIER U. G., direttore dell’ I. osser-
vatorio di Parigi.
10 luglio 1853
LIAIS E. , già nell’ I. osservatorio di Parigi
astronomo aggiunto.
» »
LIEBIG barone GIUSTO , professore di chi-
mica in Monaco.
10 luglio 1853
LITROW, direttore dell’ I. e R. osservatorio
astronomico in Vienna.
4 febbraio 1849
MALAGUTl M. J. , professore di chimica in
Rennes.
XIV
EPOCA DELLA
ELEZIONE
10 luglio
1853
30 luglio
1865
10 luglio
1853
»
»
»
»
17 novembre 1850
10 luglio
1853
10 luglio
1853
2 maggio
1858
3 aprile
1864
10 giugno
1860
2 maggio
1858
30 luglio
1865
MALMSTEN dott. C. G„ professore di mate-
matica nell’ università di Upsala.
MORIN, generale, ARTURO GIULIO, membro
dell’accademia delle scienze dell’ I. Istituto
di Francia.
MURCHISON cav. R., presidente della società
geologica in Londra.
NEUMANN, dott. professore di matematiche, e
fisica nella università di Kònisberg.
OHM dott. M., professore di matematiche nel-
l’università di Berlino.
QUETELET cav. A., segretario perpetuo della
R. accademia delle scienze, lettere, e belle
arti del Belgio in Brusselle.
REGNAULT V., membro dell’accademia delle
scienze dell’ I, istituto di Francia.
ROBERTS G. , professore di matematica nel
collegio della Trinità in Dublino.
SABINE, fisico e membro della R. Società di
Londra.
SALDANHA (Duca di).
SORET LUIGI, fìsico in Ginevra.
THOMSON G., professore di filosofia naturale
nelF università di Glasgow.
VAILLANT , maresciallo conte GIOVANNI
BATTISTA FILIBERTO dell’accademia del-
le scienze dell’ I. Istituto di Francia.
XV
EPOCA DELLA ELEZIONE
2 maggio 1858
17 novembre 1850
12 gennaio 1849
1 marzo 1868
1 luglio 1847
19 gennaio 1856
WEHLBERG , segretario della R. accademia
delle scienze di Stockolm.
WHEATSTONE , membro della R. società di
Londra.
SOCI ONORARI
C A ETANI Don MICHELANGELO, duca di Ser-
moneta.
CAVALLETTI march. FRANCESCO^ Senatore
di Roma. ( Primo fra i soci onorari).
GRIFI commend. LUIGI, segretario della com-
missione generale consultiva di antichità, e
belle arti.
RATTI dott. FRANCESCO, professore di chi-
mica., e di farmacia nella università di Roma.
EPOCA DELLA ELEZIONE
SOCI AGGIUNTI
25 maggio 1848
1 aprile 1855
3 luglio 1847
1 aprile 1855
25 maggio 1848
» »
CUGNONI IGNAZIO, ingegnere.
DELLA PORTA conte AUGUSTO.
DES-JARDINS dott. FELICE MARIA.
FABRI dott. RUGGIERO.
PALOMBA dott. CLEMENTE.
VESPASIANI abate D. SALVATORE, già sup-
plente alla cattedra di fisico-chimica nel se-
minario romano.
CUSTODE DELLA BIBLIOTECA
1 Marzo 1868 FABRI ERASMO.
MACCHINISTA
N. . ...
SOCI DEFUNTI
POLETTI comm. LUIGI, ispettore di acque e strade , membro
del consiglio d’arte; cessò di vivere nel 2 di agosto del 1869.
BERTOLONI cav. ANTONIO, professore di botanica nella uni-
versità di Bologna; cessò di vivere nel 17 aprile del 1869.
KUMMER, prof, di matematica nella università di Breslavia
cessò di vivere nel 1866.
ATTI
DELL’ACCADEMIA PONTIFICIA
DE’ NUOVI LINCEI
SESSIONE I-a DEL 5 DICEMBRE 1869
PRESIDENZA DEE SIC. CAV. BENEDETTO VIALE PREL A’
MEMORIE E COMUNICAZIONI
DEX SOCI O a D IN ARI {i DEI COREISFOUOESII
Sulla elettrostatica induzione od elettrica influenza . Memoria i storico-critica,,
del prof. Paolo Volpicelli. (Continuazione).
S-
La memoria delsig. Knochenhauer, che ora passiamo ad esaminare (1),
contiene una confutazione della precedente risposta del sig. Fechner. Il pri-
mo di questi fisici riferisce alcuni altri sperimenti, che sembrano a favore
della elettricità dissimulata, e li descrive come segue: « Prendendo un con-
» duttore isolato A, di forma con-
» veniente (fìg. 8), al quale fucomu-
» nicata una certa dose di elettricità,
» per es. positiva , e ponendo ad
)> opportuna distanza , due altri con-
« duttori non isolati B, e C , uno die-
ci tro 1’ altro? allora questi si caricano
(1) Poggendorff, Anoalen 1843, voi. 58, p. 31.
1
» per induzione, con elettricità nega-
te tiva dissimulala.
» Quando i medesimi due corpi si
« possono muovere liberamente (co-
» me sarebbero due pendolini) (fìg. 9.),
« avverrà che B si allontana da C, av-
« vicinandosi all’inducente A , mentre
« C si allontana dal B , e dall’ A (1).
y> Si asserisce che il corpo C possegga in questo caso l’eccesso (cioè la
» risultante ) delle due elettricità indotte , la prima negativa, generata dal
» corpo inducente A, l’altra positiva prodotta dal corpo B. Ora riguardo a
v questo argomento , si deve domandare se 1’ induzione; e l’attrazione elet-
» trica succedono secondo le medesime leggi, o secondo leggi differenti (cioè
se la induzione coll’attrazione corrispondente, crescono, e diminuiscono in-
sieme, o no). « Avendo lungo il primo caso, quello ammesso comunemente, come
» può mai spiegarsi, che C possegga più elettricità negativa indotta dal corpo
» A, che positiva indotta dal corpo B, (perchè C, B si trovano essere ambedue
» negativi) mentre poi l’attrazione che A esercita (su C) , viene superata dalla
» repulsione di B (sullo stesso C)? Ciò vale a dire se la induzione di A preva-
» le sopra C, giacché tanto B quanto C sono negativi, perchè non deve pre-
» valere anche l’attrazione di A sopra lo stesso C, il quale invece si allon-
» tana dall'inducente A » (2). Di più dice l’autore (Knochenhauer) » presi una
» sfera viirea , di circa 2 pollici di diametro , munita cori due fori, uno in
(1) La sperienza qui dall’autore indicata, presenta diverse fasi, e si eseguisce a que-
sto modo: si prendono due steli, e si fissano in modo, per mezzo di due pernetti, che gli
steli medesimi, anche quando divergono, debbono sempre giacere ambedue nel piano ver-
ticale, che passa per l’asse orizzontale dell’ inducente. Un elettrometro , così formato, mos-
trerà, posto ad una certa distanza dall’inducente, che i due steli divergono ambedue dalla
verticale, cioè che uno avvicinasi all’inducente, mentre l’altro se ne allontana. Approssimando
l’elettrometro stesso all’inducente, si trova una distanza, nella quale uno stelo si avvici-
nerà maggiormente all’induttore, mentre 1’ altro stelo rimarrà verticale. In fine avvicinan-
do maggiormente l’elettrometro medesimo all’inducente, l’uno e l’altro stelo divergono dalla
verticale, avvicinandosi ambedue alla sorgente della induzione. L’autore considerala prima
soltanto di queste tre fasi.
(2) Quando avremo dimostralo ad evidenza, nella seconda parte di questa memoria,
che la indotta non tende; allora sarà eziandio dimostrato, che la divergenza dei pendolini,
ossia che l’allontanamento di C da B, succede per attrazione, cioè per effetto della indù-
— 8
» B , l’altro in C (fig. 10), contornati da
» ghiera. Nel primo B applicai , me-
» diante la cera lacca , un tubo di
» vetro lungo un piede; nel secondo
» C applicai un altro tubo di vetro più
» corto. Mediante un turaccio, passava
» per ambedue questi tubi , un filo
» di rame sottile , che alquanto spor-
» geva dal tubo C, inoltre la sfo-
» ra stessa era coperta di vernice. Te-
» nendo questa sfera in mano pel tu-
)> bo B, mentre che si toccava con-
» temporaneamente il filo , ed avvici-
» nandola ad un conduttore, elettrizzato
« fortemente con elettricità negativa, in modo, che il medesimo non poteva
« essere veduto dalla punta presso C , allora questa emanava decisamente
« un pennello di luce positiva , lungo un quarto di pollice. Vogliasi che
<t sì fatta emanazione provenga dalla elettricità positiva dissimulata, la quale
« si trova presso il mezzo A del filo. Ammesso ciò, deve la elettricità positi-
« va, necessariamente andare dal conduttore (indotto) nell’aria, e quando si
« potesse difendere il conduttore (inducente) per modo, che la sua elettri -
« cità negativa non trovasse occasione a diffondersi, la quale impossibilità
« non è in alcuna relazione colla punta presso C, allora il fenomeno rimar-
« rebbe sempre lo stesso, e sarebbe dunque trovato un perpetuimi mobile (1).
Fig. 10.
zìone curvilinea, la quale nella prima fase della sperienza, riferita colla nota (2) precedente,
supera la rettilinea, Poi queste induzioni nella seconda fase della sperienza medesima si
bilanciano rispetto al pendolino C, il quale perciò diviene verticale. Da ultimo nella terza
fase della sperienza, la induzione rettilinea sopra C, supera quella curvilinea sul medesimo,
e perciò deve anch’esso inclinarsi verso l’inducente A.
(1) Pare che l’autore voglia dimostrare, non potere il positivo indotto escire dalla
puma presso C, altrimenti vi sarebbe il moto perpetuo; donde si concluderebbe la verità,
cioè che la indotta non tende.
Senza esaminare se l’argomentazione dell’ autore, sia bastantemente rigorosa , fac-
ciamo riflettere, che la elettricità dell’indicato pennello , mediante un opportuno analiz-
zatore, si trova essere omologa della inducente; cioè in questo caso negativa , e non po-
sitiva come asserisce l’autore. Del resto a noi sembra, che l’autore per giungere legittima-
« Ponendo una sfera metallica isolata , munita di due punte in dire-
te zìoni contrarie, vicino a un conduttore elettrizzato, per ipotesi, positivamen-
<t te, allora dalla punta collocata più vicino alla inducente, si dissipa la elettri-
)> cità negativa, e dall’altra la positiva. Deve perciò aver luogo una decompo-
)> sizione della elettricità naturale , che non cessa mai (2). Ma la seguente
» sperienza è ancora importante sotto un altro punto di vista. Ponendo una
mente alla conclusione del perpetuo moto, avrebbe dovuto dichiarare, che la induzione,
rimanendo naturalmente inesausta, quel pennello elettrico , quando fosse positivo, non ces-
serebbe mai.
Se poi si volesse ritenere, come forse implicitamente ritiene 1’ autore , che un con-
duttore indotto , perdendo tanto la elettricità negativa, quanto la positiva , esso rimanga
sempre nello stato di elettricità neutrale; allora il precedente ragionamento, potrebbe con-
durre alla conclusione del perpetuo moto. Si ritiene in fatti comunemente oggi, che ogni
corpo, allo stato neutrale, contenga una quantità inesauribile di materia sottile, imponde-
rabile, che si denomina fluido elettrico neutro (Jamin, Cours de physique, t. 1, Paris 1858,
p. 352.)
In quanto alla elettrica luce, che vedesi nella punta stessa, questa pare doversi attribuire,
o all’ingresso dell’elettrico negativo inducente, il quale sebbene non veduto dalla punta (7,
tuttavia pel suo campo di azione, può entrare nella medesima; o all’egresso della omo-
loga della inducente, la quale potrebbe ancora escire dalla punta pressoi, avuto riguardo
che la induzione agisce verso la metà del filo indotto.
(2) Volendo che ambedue le contrarie elettricità escano per le rispettive punte, bisogna
volere, che la indotta essa pure tenda, e che questa escita dei due fluidi elettrici sia perpetua;
perchè perpetua é pure la decomposizione, allorché si disperde l’uno e 1’ altro dei due fluidi
stessi, che compongono l’elettrico neutrale: perciò s’incontrerebbe l’assurdo del perpetuo mo-
bile. Dunque la indotta negativa non può escire, ma solo escirà la omologa della inducente
positiva; e poiché la sperienza conferma questa conclusione , perciò ragione vuole , che si
conceda: essere la indotta priva di tensione.
fig. 11.
— 5 —
)> verga metallica ( fig . 11), cui sono applicati dei
» pendolini elettrometrici yerticalmente, sopra un con-
» duttore caricato , allora essi ambedue divergono ;
» ma l’inferiore mostra 1’ elettricità eteronoma , il su-
» periore la omonoma della inducente. Questa spe-
» rienza fu per la prima volta eseguita da Riess. An~
)) che qui si mostra la divergenza , ma nel mede-
» simo tempo si mostra una relazione colla scarica
» dell’ inducente, (cioè succede il trasporto dell’elet-
trico inducente sull’ indotto ). Dunque quale circo-
li stanza deve considerarsi come causa principa-
» le ? » (1).
Secondo l’autore l’altro caso da lui non è ammesso,
almeno esplicitamente; perciò non è da esso conside-
rato. II resto della memoria di Knoclienhauer, con-
tiene i risultamenti numerici delle sperienze, per de-
terminare il coefficiente d’ induzione, od elettrosta-
tico, relativo alle diverse disposizioni della sperienza.
§• 16.
Passiamo a riferire le principali ricerche, pubblicate dal fìsico Petrina (2),
nella sua memoria (3), che ha per oggetto, dimostrare la falsità della ipotesi
che l’ elettrico agisca , traversando un conducente. Questo autore dopo
(1) Primieramente 1’ autore avrebbe dovuto riilettere , che la scarica dell’ inducente
sull’indotto, si può impedire, mediante una lastra coibente, che toglie ogni dubbio sulla causa
principale della indicata divergenza.
In secondo luogo l’autore medesimo non ha veduto, che la divergenza del pendolino a in-
feriore, accade principalmente per l’attrazione, ma non già per la repulsione; mentre per la re-
pulsione accade la divergenza del pendolino b superiore. Cioè la divergenza inferiore viene pro-
dotta dalla induzione curvilinea dell’inducente, mentre la superiore viene prodotta dalla repul-
sione della omologa della inducente stessa. L’autore per tanto si oppone al Riess, invocando
il trasporto dell’elettrico inducente sull’estremo inferiore della verga indotta, e lascia per-
ciò in dubbio, se la divergenza del pendolino inferiore, provenga dalla scarica dell’inducente,
ovvero dalla tensione della elettricità indotta, nell’estremo inferiore dell’asta verticale.
(2) Petrina nacque nel 1799, fu esso professore prima in Linz, e poi lo fu in Pra-
ga: morì nel 1855 in Praga.
(3) PoggendorlT Annalen, voi. 61, anno 1844, p. 116.
aver di volo accennato le sperienze di Knochenhauer , sopra la elet-
tricità dissimulata , e precedentemente da noi riferite , si esprime nei
termini seguenti.
» Fechner trova queste sperienze (di Knochenhauer), colle conclusioni tratte da
» esse, in contraddizione riguardo alle ricerche di Faraday, ed a quelle di Poisson.
» Egli tentò dimostrare, che tali sperienze sono inesatte, e credeva di con-
» futare a questo modo le conseguenze dalle medesime sperienze dedotte. Ma
» Fechner non ha, secondo le mie ricerche, confutate in verun modo tali
» conseguenze ».
Petrina descrive poscia la sperienza di Fechner, consistente in due dischi
metallici orizzontali (fig. 12), l’inferiore dei quali
pq, era caricato positivamente; il superiore mn
poi, comunicava col suolo. Esplorando l’azione di
questo sistema in un punto qualunque, posto al di
sopra del disco superiore, si trova essere zero, per
un punto ai, collocato sull’asse ab verticale del
sistema stesso, e molto vicino al disco medesimo.
Per un altro punto a2 un poco più distante, la
elettricità si mostra positiva , e cresce colla distanza del punto , fino ad
un certo limite, dal quale poi va diminuendo. L’azione elettrica era più forte
verso la superficie curva dello spazio cilindrico x y t z, di quello che nel mez-
zo di questo spazio. Ripetendo, dice il Petrina, tutti questi sperimenti (pei
quali usava egli un sensibiliss imo elettroscopio di Bohnenberger) ho trovato
una completa verificazione dei risultamenti di Fechner.
Esponendo poi l’autore stesso, la nota spiegazione di Fechner su tali feno-
meni, la quale suppone tanto il passaggio della induzione a traverso del disco
superiore, quanto la tensione della elettricità dissimulata nel disco superio-
re medesimo, conclude che q uesta spiegazione di Fechner, sebbene molto inge-
gnosa, non gli sembra essere la vera.
Ed in fatti non è vera, perchè la influenza elettrica, non traversa i con-
duttori, e l’azione che si manifesta nei punti dell’ asse a b del sistema , e
verso la superficie curva dello spazio cilindrico x y t z, dipende unicamente
dalla influenza curvilinea, prò cedente dalla carica del disco inferiore p q.
11 Petrina continua poscia per tal modo; » Ponendo una sfera caricata
» isolatamente in uno spazio libero, allora essa, in tutte le direzioni, a distan-
» ze uguali, agisce colla medesima forza sopra un conduttore. Avvicinando que-
Fig. 12.
» sta sfera ad un altro conduttore isolato, o non isolato, s’ indebolisce sol-
» tanto l’azione iuducente sull’ altro corpo; però non è possibile che questa
» possa essere distrutta per qualunque distanza. Un disco, in luogo della sfera,
» non cangia la sperienza essenzialmente. Se vicino a questo disco elettrizzato,
» se ne ponga un altro parallelamente, della medesima grandezza, e non isolato,
)> in guisa che i due loro centri si trovino sulla stessa verticale, si forma
» sopra questo secondo disco, un spazio cilindrico, la cui superficie curva,
» si trova elettrica, per la influenza del disco inferiore. Ma l’ azione della
» elettricità manifestandosi eziandio nell’ interno di questo spazio cilindrico,
» deve domandarsi, da quale origine questa provenga. Io ritengo che qui
» siano possibili tre casi distinti. Nel primo si potrebbe ammettere , che
» 1’ effetto della elettricità , devesi alla risultante delle due contrarie azioni
» elettriche, provenienti dai due piatti, delle quali azioni predomina quella
)> del disco inferiore, attraverso del superiore, come ammette Fechner. Nel
» secondo si potrebbe ritenere , che 1’ effetto elettrico, è dovuto all’azio-
» ne della superficie cilindrica elettrizzata per influenza ; supponendo che
» questa superficie sia la sede di una azione inducente, che propagasi nell’in-
» terno del cilindro stesso. Finalmente nel terzo si potrebbe riconoscere, che
» l’effetto medesimo, consista nel risultamento di ambedue queste cagioni.
» Essendo dimostrato inesatto uno dei due primi casi , non può aver più
» luogo neppure il terzo. Fechner ritenne soltanto possibile il primo caso,
» ed escluse il secondo, senza veruna dimostrazione, identificando la spe-
» rienza con un caso considerato da Poisson. Ma sembrami che i risulta-
)> menti numerici di Poisson, decidano piuttosto pel secondo caso , e non
» pel primo. Non voglio esporre questo caso, calcolato da Poisson, poiché
» il medesimo non si può verificare sperimentalmente ; ma invece ac-
» cennerò alcune sperienze , le quali hanno dimostrato la inesattezza del
» primo caso.
» Aumentando il diametro del disco non isolato m n (fìg. 12), i due fenomeni
» della sperienza di Fechner, non dovrebbero incontrare alcun cangiamento
» essenziale; poiché non varia nè la quantità , nè la qualità delle due elet-
» trinità (1). Ma si trova in questo caso, che la elettricità, diminuisce rapida-
fi) Non si può concedere che, aumentando m n, non debba variare su questo la indu-
zione dip q; poiché variando m n , deve certamente variare la quantità, e la distribuzione
della indotta, sopra lo stesso m n; e soltanto la qualità, o natura dell’elettrico, non potrà mai
variare sul disco superiore, mentre sull’ inferiore nulla può cangiare, lo che basta.
» mente al di sopra del piatto superiore mn; quindi sparisce per una cer-
» ta determinata grandezza di questo disco. Sperimentai con dischi di 3
» sino a 36 pollici di diametro, verificando sempre la esattezza di tale as-
» serzione.
)> Ho sostituito al disco metallico superiore, un’altro di legno, in guisa
» da non permettere la induzione ; però trovai, per quanto appartiene alla
» qualità, i fenomeni stessi. Anche qui sparisce ogni traccia di elettricità sol-
» tanto per una certa grandezza del disco.
» Da tali sperienze ho in generale riconosciuto, che l’azione in un pun-
» to alf posto sopra il disco superiore mn , svanisce, quando la distanza
» n q di questo punto, dall’orlo q del disco inferiore p q , passando sull’orlo
» n del superiore, uguaglia quella ga, misurata in linea retta, cui cessa d’agi-
)> re sensibilmente il disco inferiore pq , non sovrapponendo (ad esso) alcun
» conduttore (1).
» Un fenomeno sembra contrariare la mia teorica , cioè che lo spazio
» cilindrico xmny, al di sopra del disco superiore mn, si trova nelle parti vicine
» a questo, quasi privo di elettricità, mentre mostra elettrico maggiore nelle più
» lontane; dunque nelle più distanti dal disco inducente p q. Ma ciò si spiega
» con facilità, riflettendo, che ogni conduttore non isolato, posto in un mezzo
« elettrizzato per comunicazione o induzione, tende a produrre intorno a sè,
» una sfera priva di elettricità (2). »
» Ciò può facilmente verificarsi, operando con una macchina elettrica,
)) vicino ad un muro: si vedrà in questo caso, che nelle parti fra la macchina,
» ed il muro, non ha luogo azione decisa sul elettroscopio, mentre questa
» si manifesta fortemente nello spazio libero ».
Da quanto si è detto in questo paragrafo, sembra che il Petrina sia stato
(1) È certo che questa legge, non si verifica in generale; poiché la influenza elettrica
diretta di p q, riesce sensibile a distanze molto grandi, mentre la induzione curvilinea dello
stesso p q , cessa di essere sensibile a piccole distanze. Inoltre le sperienze da me istituite,
hanno confermato questo mio giudizio.
(2) La tendenza indicata, si estende anche alla elettrostatica induzione, che viene af-
fievolita dalla presenza dei conduttori circostanti all’ inducente. Perciò vediamo, chela elet-
trostatica induzione non traversa le strette maglie di un tessuto conduttore, come sarebbe
una rete metallica, od un tessuto di capelli, ecc. Questa proprietà poi dei fili conduttori,
fu scoperta, come abbiamo precedentemente avvertito, dagli accademici del Cimento, molto
prima che fosse conosciuta da Faraday: interessante scoperta di quei benemeriti cultori
delle scienze naturali, che fu ignorata quasi da tutti gli elettricisti, non esclusi gl’italiani.
9 —
fra i primi a riconoscere, nel 1844, la influenza curvilinea, già manifestata da
Faraday nel 1839. Questo fenomeno, unitamente all’ altro, consistente nel
non potere la influenza elettrica traversare i conduttori, sono ambedue stret-
tamente connessi, e compresi nel fenomeno generale della elettrostatica in-
duzione. Per conoscere ove furono pubblicati quei lavori di Faraday, relativi
alla elettricità statica, i quali tutti hanno per titolo - Experimental researches
Electricity - si consulti l’opera inglese « Catalogne of Scientific papers, voi. 2,°
London 1868 ,p. 557 ». I lavori medesimi sono classificati per serie, che giun-
gono sino alla trentesima.
Faraday nella undecima di queste serie, parla delle sue ricerche speri-
mentali, sull’elettricità curvelinea (1): dicendo » Credo che da tutte le con-
» seguenze, le quali derivano dalla ipotesi della induzione da particella a par-
» ticella, l’azione curvilinea sia più di tutte importante. Siccome la esistenza
» di tale azione , viene stabilita in un modo certo; così non vedo come
» 1’ antica teorica dell’azione rettilinea in distanza, si possa tuttavia soste-
» nere, ovvero come taluno si possa opporre al concetto della induzione da
» particella a particella ».
Questo illustre autore, descrive poi la sua sperienza, nella quale pose
centralmente un globo metallico c, non isolato , sopra un cilindro di cera
lacca verticale ab , ed elettrizzato per attrito (fig. 13).
Fatto ciò , vide come un piano di prova, posto
nell’asse del congegno, e al di sopra del globo c,
non si elettrizzava, quando era in contatto o vicino
al globo medesimo. Egli concluse poi (2) nel mo-
do seguente. » La ipotesi che abbia 1’ induzione
» agito a traverso il globo, si confuta con una
» considerazione assai semplice , e ancora meglio
» per mezzo dei fatti. Applicando, invece del globo,
» un piccolo disco; allora un piano di prova si ca-
» rica, se venga posto nel centro del disco, od al
» di sopra di esso. Ma se il diametro del disco
» sia di un pollice e mezzo , o di due pollici ;
» allora non più si carica il piano di prova , quando sta vicino al celi-
li) Poggendorff. Annalen, voi. 46, anno 1839 , pag. 537. — De la Rive, Traité
d’élect., Paris 1854, t. 1°, p. 138, e 139.
(2) Poggendorff, ibidem, pag. 540, lin. 16.
2
» tro del disco: acquista però una carica, ponendolo verso l’orlo, ed an-
7) che nell’asse verticale , ma più lontano dal disco .... Da ciò risulta, che
y> l’azione induttiva non traversa il metallo, bensì traversa l’aria, cogli altri
» corpi dielettrici, anche per linee curve » (1).
Torneremo, nella seconda parte di questa memoria, con estensione mag-
giore, sul medesimo argomento, che, come già dicemmo, si connette strettamen-
te colla elettrostatica induzione; per modo, che questo fenomeno, non è mai
disgiunto della influenza curvilinea , ciò rendendo assai difficile l’applicazione
del calcolo al fenomeno stesso.
§* 17.
Riferiamo in questo paragrafo, quello che ha osservato sulla influenza, e
sulla vincolazione della elettricità, il fìsico Munk af Rosenschòld, in una sua
memoria (2). L’autore comincia col dare una esposizione assai sviluppata, del mo-
do col quale agisce la induzione, facendo rilevare specialmente la diversità fra
conduttori e coibenti, riguardo alla induzione stessa. Dopo ciò si esprime di-
cendo (3) » Chiaro apparisce (pag. 50, lin. 22) da quanto precede, che lo strato
» elettrico sulla superfìcie di un conduttore indotto, e isolato, possa, tanto nel caso
» in cui l’indotto ha ricevuto una carica iniziale, quanto nel caso contrario, con-
)> siderarsi composto di due altri strati; il primo dei quali coincide con quello,
» che rimane sul conduttore indotto, allorché questo viene messo in comunica-
» zione col suolo, supposto che la carica dell’inducente non abbia variato (4).
(1) Reca meraviglia come in molti reputatissimi corsi di fisica , ed anche in alcuni
trattati di elettricità, non si trovi menzionata la induzione curvilinea, che tanto è facile a met-
tere in evidenza, ripetendo le sperienze di Faraday; ed anche quelle altre da me pubblicate
( Comptes rendus, t. 43, année 1856, p. 719) Dobbiamo però eccettuare dai trattati di elettri-
cità, e con lode, quello dell’ illustre De la Rive, e l’altro del sig. Gavarret : in questo si
trova un dotto paragrafo, intitolato » L'induction à travers les diélectriques peni sexer-
cer en lignes courbes ( Traité d' électricité, Paris 1857, t. l.°, p. 84).
(2) Pietro Samuele Munck af Rosenschòld nacque nel 1804 a Lund, fu aggiunto alla
università di questa città. La memoria di cui si tratta, ottenne il premio Lindbom, dall’ac-
cademia delle scienze di Svezia.
(3) Poggendorff, Annalen, voi. 69, anno 1846, pag. 44, e pag. 223.
(4) Qui si deve osservare, per maggior esattezza, primieramente che l’autore suppone (ivi, p.
50) essere l’inducente un dielettrico; e se fosse conduttore, suppone allora egli, che non possa la
)> Lo strato medesimo è tale, che l’azione complessiva di esso, e del corpo
» inducente, sopra qualunque punto nell’ interno dell’ indotto, si annulla. Il
» secondo strato si forma talmente, che per sè non produce azione alcu-
» na sull’ interno dell’ indotto. Questa seconda elettricità viene da me
« chiamata libera , poiché la medesima si distribuisce sulla superfìcie,
)) in conseguenza della sua propria repulsione; e poiché svanisce, quan-
)> do viene tolto V isolamento. Però la prima che sempre si manifesta è di
w natura contraria della inducente , si chiama elettricità vincolata, poi-
» chè è legata alla medesima (inducente) , e non può scaricarsi dal corpo
» (indotto), che soltanto imperfettamente (1).
» Non avendo il corpo indotto (pag. 5 1 ) veruna carica iniziale, allora
» le due elettricità sono (sul medesimo) eguali in quantità, ma di natura contra-
» ria. La elettricità libera però, non si trova soltanto sulle parti dell’indotto,
« lontane dall’inducente; bensì essa è distribuita sopra tutta la superfìcie
» dell’indotto, e la comunicazione col suolo la fa sparire affatto (2).
» Per altro chiaro apparisce, che ciò accade diversamente, quando ha luo-
» go la dispersione per l’aria; poiché nel caso in cui non avvi efflusso dell’elet-
» tricità nell’ aria (cioè nel caso precedente), un piano di prova isolato , si
» carica tanto dell’ una , quanto dell’ altra elettricità , e lo stato elettrico
» dell’indotto, può soltanto poco variare , quando le due elettricità vi
» sono in quantità eguali (3).
elettricità scorrere sul medesimo, lo che torna nel primo caso. In secondo luogo, sebbene non
cangi la carica elettrica dell’inducente, quando l’indotto si faccia comunicare col suolo, ciò
nulla ostante cangia la distribuzione di essa, e la influenza elettrica sull’indotto medesimo
cresce; quindi cresce anche lo strato di elettricità indotta, e tutto ciò contro l’asserto del-
l’autore.
(1) È contro il fatto, asserire coll’autore, che la elettricità vincolata, si può scaricare
dall’indotto, soltanto imperfettamente; poiché vedremo a suo luogo, che questa elettricità
non si può scaricare per nulla.
(2) Ciò si accorda perfettamente colla moderna teorica, da Melloni riprodotta, e da
me sostenuta.
(3) Se il piano di prova non sia bastantemente piccolo, allora soltanto esso mani-
festerà l’una e l’altra elettricità, cioè manifesterà la contraria della inducente, quando si ap-
plichi sull’ estremo dell’ indotto , il più vicino all’ induttore ; e la omologa della indu-
cente stessa , quando si applichi sull’ estremo più lontano. Ma questo risultamento
non dà verun diritto a concludere, che in quel primo estremo, non siavi anche la omologa
della inducente; la quale può coesistere colla indotta, senza neutralizzarsi con essa, finché
durila elettrica influenza. Però nel primo caso la elettricità del piano di prova, sara indotta
sul medesimo dallo stesso inducente, non già comunicata dal l’indotto; mentre nel secondo
. )> Sembra che anche la contraria della inducente, sia distribuita sopra tutta
» la superficie del corpo indotto ; poiché nel caso contrario si dovrebbe, dopo la
» comunicazione col suolo, trovare una linea neutra, e di là della medesima,
» una elettricità di natura della inducente, lo che viene contraddetto dalla
w sperienza (1). Ma la elettricità indotta è per solito debole molto , ed ap-
» pena percettibile, nelle parti dell’indotto più lontane dall’inducente. I feno-
» meni dell’induzione, che sembrano tanto complicati, dipendono dalla circo-
» stanza , che le due elettricità , cioè la libera e la vincolata , si trovano
» molto diversamente distribuite sulla superficie dell’indotto.
« Non è da dubitare, che la elettricità indotta , possegga facoltà di
)> attrarre, e respingere come la libera; ed il potere di propagazione, alla me-
» desima non manca del tutto. Già il fatta che si accumula sulla super-
» fìcie, ne insegna, che abbia tendenza per diffondersi; cosicché lascerebbe
» realmente il corpo indotto, quando non vi fosse la resistenza dell’aria (2).
)> Essa in parte si trasporta eziandìo nei conduttori che sono isolati, e nelle parti
» conducenti dell’aria; ma questa perdita è poco considerevole, e viene tosto
» surrogata della elettricità naturale del corpo indotto, ovvero da quella ter-
» restie, quando il conduttore non è isolato (3).
sarà unicamente comunicata da questo al piano stesso. Però se il piano di prova sia ba-
stantemente piccolo; allora esso, applicato su qualunque punto dell’ indotto , manifesterà
sempre una elettricità omologa della inducente. Sarà tutto ciò dimostrato ad evidenza, nella
seconda parte di questa memoria.
(1) Quei punti dell’indotto, che non vedono V inducente , non ricevono la induzio-
ne diretta , ma soltanto la curvilinea , la quale però non giunge molto lontano. Da ciò discen-
de, che la contraria della inducente, se l’indotto abbia dimensioni troppo grandi, non può tro-
varsi per tutto sul medesimo, come per tutto si trova in ogni caso la omologa della inducenle.
Nè anche si può concedere, che nel caso contrario dell’autore ; cioè se la indotta non si
trovasse per tutto, allora sul conduttore indotto , si dovrebbe , dopo la comunicazione di
questo col suolo , trovare una linea neutra , e dopo essa una elettricità omologa della
inducente. Imperocché l’indotto , dopo cessato in lui 1’ isolamento, sarà o tutto carico di
elettricità indotta, cioè contraria della iuducente, se abbia dimensioni abbastanza piccole;
ovvero sarà, nella sua parte alfiuducente più vicina, carico di elettricità indotta, e nella più
lontana, carico di elettricità neutrale , se avrà dimensioni troppo grandi. Tutto ciò viene
posto in evidenza facilmente con un qualuuque piano di prova.
(2) La indotta, finché rimane sotto alla influenza, non può riguardarsi, a stretto ri-
gore, accumulata sull’indotto, ma solamente vincolala, in maggiore o minore quantità sul
medesimo, tanto secondo l’energia maggiore o minore della influenza, quanto secondo
la maggiore o minore distanza. Inoltre non è affatto la resistenza dell’ aria, quella che im-
pedisce alla indotta di abbandonare il corpo indotto, ma è il suo vincolamento, ed è anche
la soppressione delle sue facoltà, la causa per la quale non può lasciare il corpo indotto,
su cui fu resa del tutto passiva.
(3) Con queste parole l’autore intende, che potendosi la indotta disperdere, tanto pei
— 13 —
^ L’autore poi tratta ( ivi , pag. 54 ) , il caso di
tre corpi A , B , C (fìg. 14), dei quali uno C è condut-
tore isolato , e senza carica iniziale , mentre A e B
sono coibenti, ed elettrizzati.
In seguito l’autore si esprime dicendo (ivi, pag. 56 ,
i li. 16). « Un caso particolare simile al precedente, me-
A B C » rita esame più profondo. Tale caso ha luogo quando
» un conduttore B (fig. 14), si trova in comunicazione col suolo, mentre l’al-
» tro C sta dietro B in modo, che le azioni rettilinee delle particelle elet-
» triche di A sopra C, debbono traversare la massa del corpo B, lo che si
» esprime da Fechner dicendo: trovarsi C nell’ ombra elettrica di B. In que-
» sto caso agiscono le due elettricità di A e B, ambedue nella medesima
» direzione verso C, la prima più forte, ma in distanza maggiore, la seconda
» più debole, ma in distanza minore. Non si può dunque sapere immediata-
» mente, quale di queste due azioni sia prevalente (1).
» Infatti l’azione inducente sopra C, riesce molto debole, in modo che la me-
» desima viene da molti autori negata, mentre altri l’attribuiscono a cause di-
» verse. È un fatto conosciuto da molto tempo, che una bottiglia di Leida
» caricata, mostra in un punto dell’armatura esteriore, non molto vicino al-
ti T orlo , soltanto una piccolissima azione all’ elettroscopio. Si concluse da
» questo fatto , che la elettricità indotta dell’ armatura esterna, abbia per-
conduttori, quanto per f aria circostante umida , questa dispersione viene riparata dalla
nuova induzione sull’ indotto; e quando questo comunichi col suolo, allora viene riparata
dalla Terra , eziandio per induzione. Ma noi vedremo , nella seconda parte di que-
sta memoria, che tale riparazione, per parte della Terra, è impossibile. Vedremo an-
cora non potersi ammettere, che quando l’indotto si fa comunicare col suolo, per l’estremo
suo più vicino alla inducente, la omologa di questa si neutralizzi dalla Terra, per ef-
fetto della induzione stessa, cioè venga sull’indotto la elettricità contraria. Questo è un er-
rore in cui cadono quelli, che ritengono per vera in tutto, la comune teorica della elet-
trica influenza, e con essa pretendono spiegare il fatto indicato. Del resto, avendo l’autore
ammesso, che la omologa della inducente, si trova per tutto sull’indotto, è di più; che la
indotta possiede ogni facoltà elettrica, dovrebbero esse neutralizzarsi già fra loro sul con-
duttore indotto; perciò dietro quanto fu ammesso dall’autore , non si dovrebbe avere il
fenomeno della induzione, contrariamente al fatto.
(1) Poiehè la indotta non tende , e poiché la induzione non traversa i conduttori;
perciò non può giungere dall’indotto B verun’ azione sopra C, purché B sia sufficiente-
mente grande. Però se B possegga dimensioni abbastanza piccole, allora sopra C giun-
gerà la induzione curvilinea dall’inducente A.
»
u
» dato le sue proprietà, che aveva iniziali, cioè le facoltà di attrarre e di
» respingere.
» Mentre che la indicata opinione sembrava confutata dalle sperienze di Ohm
» e di Riess, tentava Knochenhauer difendere la opinione antica medesima (t).
)) Egli sopra una stiacciata resinosa ed elettrizzata, poneva, in diverse distanze,
)> un foglio di stagnola, e toglieva la sua elettricità libera negativa. Avvicinando
)> poi questo apparecchio, dal di sotto, ai pendolini, allora non avevasi ad
» ogni distanza veruna divergenza. Egli concluse da questo fatto pri-
» mieramente, che due elettricità , le quali si vincolano secondo la loro
» distanza, non esercitano affatto azione al di fuori , e si trovano soltanto
» in una relazione fra se stesse, la quale si palesa in principal modo, come un’
» attrazione mutua. Secondariamente concluse lo stesso Knochenhauer, che
» l’eccesso di elettricità libera, la quale agisce al di fuori, non esercita la sua
» azione al di là della superfìcie , sulla quale si trova soltanto elet-
» tricità vincolata. Fechner , che faceva ricerche molto esatte, ed espli—
» cite sopra il caso in proposito , asserisce, contro le sperienze di Kno-
» chenbauer, che si abbia nel caso considerato, un’azione prevalente della
» inducente sopra la indotta. Anche Pelrina trattò questa materia : non
» egli nega la giustezza degli sperimenti di Fechner , attribuisce però il
» successo all’ aria elettrizzata per induzione.
» lo stesso (dice Munck) ripetei le sperienze di Fechner , ed ottenni
» risultamenti per modo concordanti , che non posso dubitare affatto della
» esattezza loro ».
In seguito l’autore medesimo (Munck) osserva, (pag. 57), essere necessario,
sperimentare con grande precauzione, affine d’impedire il trasporto della elettri-
cità nell’ aria. Inoltre dice ( pag. 63 ) » Non si può negare, che un corpo
» posto nell’ ombra elettrica di un conduttore, non isolato , si elettrizzi per
» influenza, ma tale azione riesce molto debole, oltre ad essere inpercettibile in
» molti casi. Chiamando dunque, come fu detto, A il corpo inducente, B il
» conduttore messo in comunicazione col suolo, e C il corpo che si trova nell’
» ombra elettrica di B (fig. 14), allora non si allontanerà taluno molto dal vero,
« quando ammetta, che in C non abbia luogo nè attrazione nè repulsione.
» Adunque la elettricità indotta in B , ha perduto apparentemente l’azione al di
» fuori, sebbene la medesima venga compensata soltanto dalla elettricità in A,
(1) Anche di qui si vede, che la dottrina riprodotta da Melloni , da me più volte
difesa, era già professata.
») che agisce più forte (1). Comunicando al corpo B, dopo ristabilito in esso l’iso-
» lamento, alcun poco di elettricità, si compone allora di due lo strato elet-
» trico della superficie del corpo, uno cioè libero, l’altro indotto. Ma siccome la
« risultante delle azioni, provenienti dalla elettricità indotta, sopra un punto nel-
» l’ombra elettrica, è quasi in equilibrio colla risultante delle azioni della elet-
)> tricità in A, sopra il medesimo punto; così può trascurarsi questo sistema di
)) forze, ed ammettere , che agisce soltanto l’elettrico libero di B. Nel caso
» dunque in cui non si richieda tutta l’esattezza, potrà immaginarsi, che l’a-
» zione di A, giunga soltanto fino in B , e che B agisca soltanto, per causa del—
» 1’ elettrico suo libero, sui corpi che si trovano nell’ ombra elettrica del cor-
» po B (2).
» Egualmente può concepirsi, che l’azione dell’ elettrico (libero) di B ,
« si estenda nella direzione opposta, soltanto fino al corpo A; e che questo
» agisca soltanto con quella elettricità, sopra i corpi nell’ ombra elettrica di
» A, la quale non è vincolata da B. Da ciò si rileva, che lo spezzamento, in
» uno strato libero, ed in uno vincolato, degl’inviluppi elettrici dei corpi, che
» agiscono per induzione uno sull’ altro, sebbene ipotetico, si può vantaggio-
» samente assumere, come fu dimostrato di sopra, per ispiegare i fenomeni
» elettrici, e facilitare queste spiegazioni. Non si deve però perdere di vista,
» che questo spezzamento, in realtà non esiste (3).
(1) Che la elettricità indotta nel B, abbia perduto apparentemente , ovvero meglio
attualmente , 1’ azione al di fuori, finché rimane sotto la influenza di A, ciò deve ammet-
tersi: ma non è vero, che l’azione di essa in C, venga compensata dalla elettricità inducente di
A; giacché quella perdita, è prodotta unicamente dall’ essere la indotta di B , vincolata
dalla inducenle di A in tutto. E poiché la induttrice di A , non può traversare B, mentre la
la indotta in B , ha perduto la facoltà di agire; perciò neppure si potrà immaginare il pre-
teso compenso.
(2) In vece dovremo dire, che, quando richieggasi tutta la esattezza , si deve
ritenere per vero, che l’azione inducente diretta di A, giunge soltanto in B , mentre l’azio-
ne curvilinea dello stesso, A, può giungere anche sui corpi, che trovansi nell’ombra elettrica
dello stesso B. Inoltre se B rimanga isolato sotto la induzione, allora esso agirà soltanto,
per causa dell’elettrico suo libero, sui corpi che trovansi nell’ombra indicata.
(3) Vedremo invece, nella secouda parte di questa memoria, che, a bene spiegare i
fenomeni della elettrica influenza, deve riconoscersi, che sull’ indotto esistono realmente
due strati elettrici di natura fra loro contraria, dei quali uno libero, quello cioè di natura omo-
loga della inducente, l’altro completamente vincolato, quello cioè di natura contraria della in-
ducente stessa. Questi due strati coesistono sull’ indotto, senza potersi fra loro neutraliz-
zare; perché uno dei medesimi, quello della indotta, non possiede attualmente veruna ten-
sione, cioè le sue facoltà elettriche sono del tutto dissimulate.
» Il ragionamento precedente ( pag. 64), fu tutto istituito in generale,
» senza dare una forma particolare ai corpi considerati. Da ora in poi si
» ammetterà, che i corpi abbiano la forma di dischi molto fini, paralleli fra
» loro, ed in modo posti, che i rispettivi tre centri, si trovino in una stessa ret-
» ta, perpendicolare ai medesimi dischi ».
L’autore passa quindi a trattare (pag. 65) primieramente il caso di due
dischi), cioè il caso del condensatore, e dopo un’ analisi lunga, conclude col
dire (1) « Chiaro apparisce dal fin qui detto, che la teorica dell’induzione,
» come viene comunemente trattata nei corsi di fisica, può considerarsi es-
» sere a sufficienza esatta, sebbene la medesima non sia perfetta. La causa
» di questa imperfezione in ciò consiste, che la forza inducente di uno dei
» due dischi, non rimane intieramente costante, quando lo stato elettrico del—
» l’altro, riceve una variazione, contro quello che dalla teorica è supposto » (2).
L’autore occupandosi della relazione, fra il potere accumulante di un
condensatore, ed il diametro de’ suoi dischi , ragiona nel modo seguente.
» Abbiansi due dischi eguali A, e B, che si trovino distanti di a fra loro;
(1) Poggendorff Annal. Voi. 69, p. 223.
(2) Vedremo in appresso, che nella teorica del condensatore, data comunemente nei
corsi di fisica, si ritiene, secondo la verità, che l’elettrico del disco indotto od accumu-
lante , non tende punto. Però la imperfezione della teorica medesima, consiste nell’ am-
mettere, consegnandolo al calcolo, che quando il disco inducente o collettore, venga posto
in comunicazione col suolo, allora esso perde soltanto quella elettricità, che acquisterebbe,
se comunicasse da solo, con la sorgente inesausta di elettricità, che si vuole accumulare,
mediante il condensatore stesso; ma ciò viene contraddetto dalla sperienza. In fatti per la indi-
cata comunicazione col suolo, quel disco, che prima era indotto, diviene ora inducente,
mentre l’altro, che prima era inducente, diviene ora indotto: perciò la elettricità del nuovo
inducente, avendo riacquistalo in parte la sua libertà, deve agire meno, di quello che rea-
giva prima. E siccome la inducente deve superare sempre la indotta , da ciò nasce che
quel disco, posto a comunicare col suolo, perde più di quanto la comune teorica gli assegna.
Se tale fosse, come a me sembra essere, il concetto dell’autore, contenuto nella rife-
rita sua frase, cioè: « La causa di questa imperfezione in ciò consiste, che la forza inducente
« di uno dei due dischi, non rimane interamente costante, quando varia lo strato elettrico
« dell’altro » certo egli avrebbe, prescindendo dalla induzione curvilinea, precisata la prin-
cipale vera causa di quella imperfezione. Però manca ora che sia dimostrato, come debbono
correggersi le formule comuni del condensatore, per evitare in esse la imperfezione stessa;
dimostrazione che 1’ autore non ha data, ma che noi già pubblicammo ( Comptes rendus,
t. 60, année 1865 , p. 1835; ed anche Archives des scien. phy. et nat. de Genève ,
1865, t. 24, p. 132) , e che ripeteremo con maggiore sviluppo , nella seconda parte di
questa memoria.
— 17 —
)) essendo il primo disco A, caricato colla elettricità E, si avrà nell’ altro B ,
» che fu messo in comunicazione col suolo, una carica — mE , ove s’ in-
» tende per in il coefficiente d’ induzione. Immaginandoci le superficie di
)) A, e B , divise in un così grande numero n di particelle, che queste pos-
» sano considerarsi come punti; allora potremo ammettere, che tutte le forze
» elettriche, provenienti da questi punti, sopra uno qualunque p di A , o di
» B , si trovino in equilibrio » (1).
» Siano inoltre A ', e B' altri due dischi di raggio, e grossezza doppia dei
)) primi; e si trovino fra loro alla doppia distanza 2 a. Supponiamo che ad A'
» sia comunicata la carica E, avrà B1 la carica — mE ; inoltre s’immagini che
» queste cariche, sieno distribuite nel medesimo modo» come lo sono sopra i
« dischi A, e B. Dividendo poi le superfìcie di A', e B', nel medesimo numero n
» di particelle, ed anche nel medesimo modo; allora ognuna di queste, conterrà
» la medesima carica, come la particella corrispondente nel primo condensa-
» tore. Denotando adunque con p' un punto in A od in B', ed avente omo-
)> Ioga posizione, rispetto al punto p del primo condensatore; certo su questo
» punto agiranno quantità eguali di elettrico , ma in distanze relativamente
» doppie sul punto p'. Dunque ciascuna forza, che agisce sopra p', proveniente
» dalle elettricità delle superfìcie di A', e B ', sarà quattro volte minore della
» forza corrispondente, che agisce sopra il punto p, e formerà eziandio, con
» una retta fissa, passante pel punto p', il medesimo angolo, che forma la forza
» corrispondente di p, con una retta fìssa similmente posta. Ora siccome le
» forze, che agiscono sopra p, sono in equilibrio; così lo saranno anche quelle
)) sopra p'. Da ciò dobbiamo concludere , che la carica E del piattello A\
» induce la quantità — in E nel piattello B\ e perciò il coefficiente di indu-
ci zione eguaglierà m, anche in questo secondo condensatore.
« Dunque il coefficiente di induzione, rimane lo stesso per due condensatori,
» quando nel più grande si aumenti la distanza fra i due piattelli, proporzio-
» nalmente al diametro loro: la grossezza poi dei piattelli medesimi, pochis-
simo influisce, o niente » (2).
(1) Ciò costituisce il fondamento della teorica di Poisson, riguardo alla distribuzione
della elettricità sui conduttori.
(2) Supposto coll’autore, che la indotta possegga tensione, come ancora che la in-
fluenza elettrica possa traversare i conduttori, la conclusione colla quale termina l’autore
medesimo questo suo ragionamento, è necessaria. Poiché, siccome i due condensatori, costi-
tuiscono due sistemi di forze elettriche, ognuno del tutto simile all’altro, da ciò deriva
evidentemente, che se dicasi m il coefficiente d’ induzione , od il rapporto elettrostatico
3
L’autore fa eziandio molte ricerche, sopra la dipendenza fra il diametro,
e il coefficiente d’ induzione, pel caso in cui non varia la distanza fra i due
per uno dei due condensatori, dev’ essere ancora m questo coefficiente, o rapporto elet-
trostatico, per l’altro condensatore. Tale conseguenza è vera, ed è molto,' importante, pei
corollari che da essa derivano, come ora vedremo; reca quindi meraviglia, come non
si trovi ancora introdotta nei corsi di fisica , e nei trattati di elettrostatica , i più
completi. Però fu essa dedotta dal sig. Munck , come risulta dal suo precedente bra-
no , appoggiandosi egli a due principi > che noi non possiamo ammettere, cioè che la in
dotta possegga tensione , e che la influenza elettrica possa traversare i conduttori. Per
tanto qui passiamo a dare due dimostrazioni della stessa conseguenza, ma in modo indipen-
dente del tutto dagl’ indicati due prinpicj. Dimostreremo adunque, che due condensatori, geo-
metricamente simili tra loro, posseggono lo stesso coefficiente m d’induzione; cioè che le ca-
riche dei due piattelli, posseggono lo stesso rapporto, nell’uno e nell’altro condensatore.
L’elettrico di un condensatore trovandosi equilibrato, il 'potenziale complessivo
della elettricità, distribuita sopra i suoi due piattelli, preso per un qualunque siasi punto
interno a ciascuno dei medesimi, viene da tutti supposto costante, per lo stesso piattello.
Questo potenziale complessivo si compone di un infinito numero di parti, che dividiamo in
due gruppi, dei quali uno proviene dagli elementi del piattello collettore o inducente, l’al-
tro da quelli del piattello condensante o indotto. Abbiansi perciò due condensatori , dei
quali uno, che chiameremo B , abbia tutte le sue dimensioni, k volte maggiori di quelle
dell’altro, che chiameremo A, nel quale l’elettrico si trova equilibrato; ed i piattelli col-
lettori di questi due condensatori, abbiano la medesima carica B. Suppongasi che il con-
densatore A, possegga un coefficiente d’ induzione, rappresentato da m ; sappiamo che la
carica indotta nel suo piattello condensante , dovrà essere — m E. L’assunto proposto sarà
dimostralo, quando sia stabilito, che anche la carica indotta nel piattello condensante di B ,
verrà espressa da — mE.
Riguardo al condensatore 3, supponiamo: l.° che la carica E del suo piattello col-
lettore o inducente, sia distribuita similmente a quella del piattello collettore di A: 2.° che
il condensatore B possegga lo stesso coefficiente d’induzione di A, vale a dire che il suo
piattello condensante o indotto , possegga esso pure la carica — m E: 3.° che questa ca-
rica sia distribuita similmente a quella del rispettivo piattello del condensatore A. Posto
ciò, passiamo a dimostrare che la elettricità del condensatore B, si deve trovare pur essa
in equilibrio.
Per tal fine consideriamo, nella massa del condensatore B. un qualunque punto p’ ,
collocato similmente ad un altro punto p , nella massa del condensatore A. Inoltre divi-
diamo la superficie dei due piattelli del condensatore B , in un modo simile del tutto a
quello, in cui furono divise le superficie dei due piattelli del condensatore A.
Immaginandosi ora i due potenziali, presi uno relativamente al punto p, nell’interno
della massa del condensatore A, l’altro relativamente al punto p' , nell’interno della massa
del condensatore B\ sarà chiaro che le rette congiungenti gli elementi superficiali elet-
trici, coi rispettivi due punti p, p\ di questi due potenziali, dovranno conservare, in am-
bedue questi casi, le medesime relative posizioni. Ciò va)e a dire, che due qualunque rette
piattelli. Anche il caso di tre dischi, viene da esso trattato molto estesamente,
ed in particolare dal punto di vista onde riconoscere, in che modo aumenta o
diminuisce, il potere condensante di due dischi, essendovene un’altro interposto
fra essi.
del sistema, relativo al condensatore A, comprendono un angolo eguale a quello, compreso
dalle corrispondenti rette omologhe del sistema, relativo al condensatore B. Inoltre siccome
fu supposto che il condensatore B , abbia tutte le sue dimensioni, k volte maggiori di quelle
appartenenti al condensatore A; così è chiaro che le distanze di ciascun elemento elet-
trico del condensatore B dal punto p\ saranno k volte maggiori, di quelle dell’elemento,
corrispondente nel condensatore A, dal punto p. E siccome 1’ elemento del potenziale de-
v’essere sempre inversamente proporzionale alla distanza dell’elemento elettrico dal punto,
cui si riferisce il potenziale stesso; così è chiaro che si otterrà ciascun elemento del po-
1
tenziale, relativo al condensatore B, moltiplicando con — ■ il rispettivo elemento potenziale,
K
relativo al condensatore A.
Da ciò siegue immediatamente, che il potenziale del condensatore B , dev’ essere
pur esso costante , perchè fu supposto costante quello del condensatore A; e si avrà il
potenziale complessivo di B, moltiplicando quello di A con — . Ma la condizione unica, ne-
cessaria, e sufficiente, per 1’ elettrico equilibrio, sopra uno o più conduttori, consiste nel-
l’essere costante il potenziale complessivo di tutto l’elettrico, per qualunque punto, preso in
qualsivoglia dei medesimi conduttori, purché sia considerato il punto qualunque nel medesimo
corpo. E siccome sappiamo, che la elettrica distribuzione in equilibrio , sopra uno o più
corpi, dev’essere unica ; perciò possiamo concludere, da quanto precede, che le tre suppo-
sizioni fatte in principio, sono verificate: cioè che realmente il coefficiente d’induzione, o
rapporto elettrostatico »», sia lo stesso tanto in A quanto in B; e che le distribuzioni so-
pra i suoi due piattelli di A. sieno simili, rispettivamente a quelle dei due piattelli di B.
Dunque ileoefficiente d’induzione, o rapporto elettrostatico, in due condensatori del tutto
fra loro geometricamente simili, è lo stesso; cioè pure la carica indotta nel piattello con-
densante di B , verrà espressa da — mE.
Ognuno comprende che il precedente ragionamento consiste : 1° nel supporre che il
rapporto elettrostatico m, sia comune ai due condensatori geometricamente simili , uno
maggiore dell’altro, e che la distribuzione dell’elettrico sia pure simile nei due medesimi con-
densatori; 2* nel dimostrare che dietro queste supposizioni, l’elettrico è in equilibrio nell’uno
e nell’altro condensatore; 3° che per essere unica la distribuzione dell’elettrico, equilibrato
sopra un corpo conduttore, le supposizioni fatte sono verificate. Noi già dimostrammo, dover
essere unica la distribuzione delfelettrico, equilibrato sopra un qualunque corpo ( Comptes
rendus t. 68, an. 1869, p. 975). Però questa dimostrazione, data col calcolo superiore, per
essere ivi molto concisa, verrà nella seconda parte di questa memoria, con maggiore sviluppo
riprodotta, e coll’aggiunta di una dimostrazione tutta elementare, sullo stesso argomento;
a fine di riempiere un vuoto, che pur troppo s’incontra, e nelle istituzioni di fisica, e nei trat-
tati di elettrostatica più estesi.
— 20 «
S- *8.
Nel presente paragrafo esporremo, quanto si riferisce alf attuale nostro
Per dimostrare in altra guisa, che il coefficiente d’induzione non cangia, quando i due
condensatori A, B. (fig. 15) sieno geometricamente simili, possiamo anche ragionare nel
Fig. 15.
>
c
seguente modo. Le dimensioni tutte del condensatore A, cioè tanto de’ suoi due piattelli,
quanto della distanza fra i medesimi, abbiano il rapporto fc, con quelle omologhe, relative
al condensatore B. La interna superficie s del piattello collettore o inducente c di A, sia
divisa in n piccolissime parti, uguali fra loro; e similmente, la interna superficie S del piattello
inducente C di B, sia pure divisa in parti, ognuna eguale alla nesima del piattello c di A;
il numero delle parli di questa seconda divisione, sarà espresso da nfc2, e ciò per la sup-
posta similitudine dei due condensatori.
Sappiamo dal ragionamento , confermato dalla sperìenza , che il rapporto fra
la elettricità indotta , e quella induttrice , ossia che il coefticente d’ induzione, non
cangia punto, col cangiamento della induttrice stessa, tanto se questa sia positiva, quanto se
negativa (Corso elem. di fisica sperimentale di G. Belli , voi. 3, Milano 1838, p. 206) pur-
ché non cangino, e la distanza fra i due piattelli, e le dimensioni loro. Sappiamo altresì, che
questo coefficiente, si può assegnare sperimentalmente, in più guise, come risulta da ta-
lune istituzioni di fisica, le più complete in fatto di elettrostatica, e dai trattati di questa
scienza. Di qui discende che, sebbene la distribuzione dell’elettrico sulla interna superficie
del piattello inducente , o collettore , in realtà cangi da un punto all’ altro della su-
perficie stessa; tuttavia, poiché I’ indicato coefficiente m, per nulla è dipendente dalla
quantità E della carica induttrice, ma solo dalle dimensioni dei due piattelli del conden-
satore, e dalla distanza fra essi: così chiaro apparisce , che questo rapporto m sarà lo
stesso, eziandio quando la carica medesima , s’ immagini uniformamele distribuita sulla
interna superficie del piattello inducente o collettore. Ciò facilita molto la determinazione
del rapporto stesso, e delle sue conseguenze.
Dopo queste premesse, consideriamo due qualunque divisioni, od elementi a, b, omo-
assunto, nella dotta memoria del chiarissimo fìsico di Berlino, il sig. Riess,
loghi sulle interne superfìcie dei due piattelli c, C, guidiamo le rette ap, b q, anch’esse omo-
loghe fra loro, ed esprimiamo con e, e' le quantità di elettrico, contenute rispettivamente nel-
le divisioni a , b. Sappiamo che ogni elemento inducente, agisce nella ragione diretta della
sua massa elettrica, e nella inversa del qnadrato della distanza fra l’elemento indotto, e l’in—
ducente. Per tanto indicando con w la induzione di a sul punto p, ed essendo p una co-
stante, avremo
ap
Ponendo, per semplicità maggiore, la variabile ap — z, e ricordando essere sup-
posta uniforme, la indicata elettrica distribuzione, sulla interna superficie del piattello c in-
ducente, sarà
W £ u = f* (A) -
la formula, che tutta determina la induzione, prodotta sul punto p , dall’elettrico accumu-
lato nella interna superficie del piattello c.
Inoltre dicasi v quella parte della induzione di b sul punto q , la quale soltanto si ri-
ferisce alla variata distanza fra i due piattelli del condensatore B, rispetto quella fra i due
piattelli del precedente condensatore A, ed avremo
V * •
bq2
Ma per la indicata similitudine abbiamo
perciò dovrà essere
bq — k.pa ;
v =
ju. e'
1 H_2
k2. p a
p. e '
k2z2
Ora si rifletta, che a contiene una divisione, mentre b ne deve contenere k -, come già fu
indicato; perciò chiamando con u' tutta la induzione di b sul punto q, avremo
ij w. e'
u — k2.v = r ;
2
perciò sarà
«
Questa formula esprime la induzione tutta cioè quella tanto per la variata distanza fra
i due piattelli di B, quanto per le variate dimensioni dei medesimi, prodotta sul punto q ,
dall’elettrico accumulato sulla interna superficie del piattello C.
Colle formule (lj e (2), furono assegnate le induzioni, procedenti dall’elettrico accumulato
— 22 —
intitolata « Sopra la elettricità d’ influenza , e la teorica del condensato-
sele interne superficie dei piattelli c, C, respettivamente sopra un punto p, ovvero q, della
interna corrispondente superficie, sia del piattello i, sia dell’altro /. Volendo inoltre asse-
gnare la induzione medesima su tutta la superficie di questi due piattelli, dovremo imma-
ginare tante altre uguaglianze, simili rispettivamente alle (1), (2), quanti sono i punti o
divisioni dei relativi piattelli, uno i, l’altro I. Ma n rappresenta il numero delle divi-
sioni del piattello i, mentre nk2 rappresenta quello delle divisioni del piattello /; perciò
chiaro apparisce, mediante le (1), (2), che le complete induzioni dei piattelli c, C, sopra i
corrispondenti i , /, saranno espresse rispettivamente dalle
X (f) ^“X (-f) •
Indicando con E la carica elettrica, posseduta dalla interna superficie di ognuno dei due
piattelli c, C, sarà
E = ne = k2ne' ;
e sostituendo questa carica nelle due precedenti espressioni, ognuna di esse diverrà
= m E, essendo m — j •
Inoltre benché la carica E , di uno dei due condensatori considerati, cangi, divenendo
E'; tuttavia poiché nel condensatore medesimo, pel solo cangiamento detla carica, non può
cangiare il rapporto m: così anche in tal caso questo rapporto, rimarrà comune pei due con-
densatori, geometricamente simili fra loro; sebbene le cariche di elettricità, possedute dai
medesimi sieno diverse. Perciò nel riferito caso, le induzioni sulle interne superficie dei
due piattelli condensanti, dovranno esprimersi rispettivamente colle
mE', ed mE .
Da ciò si conclude a buon dritto, quanto volevamo dimostrare, cioè che il coeflicente d’in-
duzione m, non cangia da un condensatore all’altro, allorché questi formano due sistemi geo-
metricamente simili fra loro, e ciò si verifica eziandio quando le cariche di elettricità, in
questi due condensatori, sono diverse l’una dall’altra. Si deve ancora, da quanto fu esposto,
concludere ciò che siegue:
1. ° Il coefficiente m d’induzione elettrostatica, nonè punto dipendente dalla carica indut-
trice; perciò non potrà esso cangiare in un condensatore, cangiando soltanto la carica di
questo.
2. ° Il coefficiente medesimo nè pure cangia, se le dimensioni dei piattelli, e delle di-
stanze tra essi, cangino in guisa in uno dei due condensatori, da formarne un altro geome-
tricamente simile al primo; e ciò sebbene le cariche di elettricità sieno diverse.
3. ° 11 coefficiente stesso, cresce o diminuisce in un medesimo condensatore, col dimi-
nuire o crescere la distanza fra i suoi due piattelli.
4. ° Tutte le precedenti conclusioni saranno verificate, anche quando si riferiscano al
coeflicente di accumulazione , che noi dimostrammo ( Comptes rendus citati , ed Archives citati )
dover’essere
1 1
1 e non ->
1 — m 1 — m
contro quello che trovasi comunemente stabilito, nelle istituzioni di fisica, e di elettrostatica.
re (1); ed accompagneremo l’esposto con quelle osservazioni da noi credute op-
portune. Per tanto il nominato fisico dice « La sperienza più antica, e l’unica
)> che per due mille anni si conosceva, mostra che l’ambra riceve per lo strofina-
» mento, una proprietà particolare, in virtù dalla quale, attira i corpi leggeri a
)) distanza (2). Sembra dunque, che un corpo elettrizzato possegga la forza
« di attrarre un corpo non elettrico; ed i! fatto fu realmente a questo modo
» interpretato, ed ammirato per molto tempo. Ma l’ammirazione si fece mag-
« giore, ed una vista chiara nei fenomeni elettrici, fu soltanto possibile,
» quando si negò questo fatto contro tutta l’apparenza; cioè quando si rico-
» nobbe, che un corpo elettrico, non attira un altro corpo privo di elettricità (3).
» Poteva Aepinus (4) azzardare facilmente 1’ asserzione riferita ; poiché ad
» essa la teorica di Franklin conduceva; ed anche Canton aveva scoperto molto
» tempo prima questo fatto, il quale conciliava l’asserzione medesima colla
« sperienza. Ogni corpo che si trova nella vicinanza di un altro (elettrico), divie-
)) ne per se stesso elettrico, gli steli attirati dall’ambra, sono elettrici, e per-
» ciò l’attrazione ha sempre luogo fra corpi elettrizzati. Se un corpo abbia
» tale posizione da perdere immediatamente /elettricità , che ha ricevuta,
» in conseguenza della sua vicinanza con un altro corpo elettrizzato, allo-
« ra non viene più attirato dal corpo medesimo (5).
» La elettrizzazione prodotta da un corpo elettrizzato in distanza, cioè
» la elettrizzazione per influenza, destò l’attenzione dei fìsici , fin dell’ epoca
» della sua scoperta (6), e ciò con buon diritto ; poiché accompagna essa di
» continuo gli sperimenti elettrici di ogni sorta. Ma la medesima fu anche
« origine di molti errori , che non solo al presente continuano , ma sono
(1) Poggendorff Annalen, voi. 73, an. 1848, p. 367. . . 403.
(2) La più antica notizia di questo fatto, ci venne da Talete di Mileto nell’Asia mi-
nore, filosofo celebre, nato 639 anni avanti l’era cristiana, e morto nell’anno 348 prima del-
1’ era stessa.
(3) Ciò vuol dire, che quante volte un corpo elettrizzato ne attragga un altro, questo
si trova sempre anch’esso elettrizzato, sia per comunicazione, sia per influenza; e 1’ atti-
rarsi ha luogo fra gli elettrici eteronomi.
(4) Tentamen theoriae electricitatis. Pelrop. 1759, pag. 43.
(5) Finche un corpo si trova in presenza di un altro elettrizzato, sarà sempre attratto
da questo, e viceversa; nè avvi posizione alcuna, perchè il corpo elettrizzato per influenza,
perder possa la elettricità indotta sul medesimo dalla influenza stessa, quantunque il corpo
indotto comunichi metallicamente col suolo.
(6) Per tale scoperta, vedi questa prima parte, §. 1.
» anche in parte cresciuti. La causa fondamentale di questi errori, devesi
» riconoscere in una sperienza male interpretata, ed in una espressione male
)> scelta ». (Noi non conveniamo affatto in questo giudizio).
w La elettrizzazione per influenza, è generalmente messa del pari, con
» quella prodotta dallo strofinamento; nondimeno sembra che questi due modi
» per Sviluppare la elettricità, siano differenti. S’immagini un pezzo di
» ambra, ed in qualche distanza da esso una paglietta, essendo ambedue tanto
» distanti da tutti gli altri corpi, che questi non possano influire in verun
» modo sopra i primi. Sul pezzo di ambra trovasi una elettricità soltanto, cioè
» la negativa, mentre si trovano ambedue sulla paglietta, cioè la positiva ,
» nella parte più all’ambra vicina, e la negativa nella parte opposta della pa-
» ghetta stessa. Ma questa differenza nella elettrizzazione si riconosce ap-
» parente soltanto (1).
» È un fatto cognito, che il drappo, col quale l’ambra fu strofinata, pos-
» siede la elettricità positiva. Collo strofinare si elettrizzava un tutto, com-
» posto di due parti, poscia il medesimo veniva separato nelle stesse due
» parti, delle quali una era esaminata. Spezzando in un modo simile la pa-
» ghetta in due parti, allora si ottiene ciascuna delle parti medesime, con una
)) sola elettricità, cioè positiva nella parte che all’ambra è più vicina. Questa
)> parte può dunque paragonarsi coll’ambra, e dobbiamo riconoscerla elettrica
» come questa, ma di natura contraria. Mettendo la stessa parte di paghetta
» in comunicazione coll’ambra, si vede sparire la elettricità sua positiva, e
» divenire negativa. Da ciò possiamo concludere che la quantità di elettri-
« cità indotta, è minore della inducente (2). Si vede anche facilmente, che la
(1) Ignoro quale dei fisici moderni, metta l’elettrizzamenlo per istrofìnio , del pari con
quello per influenza. Ma è certo che questi due modi, per isvolgere la elettricità dai corpi,
sono uno ben diverso dall’altro. Nel primo di questi modi, non avvi che una sola elettri-
cità in ognuno dei corpi, che fra loro vengono stropicciati. Nel secondo modo invece, il
corpo indotto ed isolato, possiede ad un tempo disgiunte le due contrarie elettricità. Non è
poi vero, quello che qui esserisce l’autore; cioè trovarsi la omologa della inducente soltanto
nella parte apposta della paglietta, cioè nella parte più lontana dall’ambra inducente. Poiché,
come bene dimostreremo in seguito, la omologa della inducente, si trova invece su qua-
lunque punto del corpo indotto, in questo caso della paglietta; ma in maggior copia nella
parte più dall’ inducente lontana, ed in minore su quella più all’inducente stessa vicina.
Inoltre la causa della elettrizzazione per mezzo dello stroppicciamento, è meccanica; men-
tre quella per mezzo della influenza è del tutto elettrica.
(2) Dobbiamo però avvertire, che l’ambra, come i corpi tutti dielettrici, non cedono
— 25
)> elettricità indotta, è intensiva tanto più, quanto sono più vicini fra loro i due
» corpi, fra i quali si esercita la induzione. Però anche conservando la ine-
» desima distanza fra l’ambra e la paglietta, lo sviluppo di elettricità dipende
» ancora da un altra circostanza, cioè dalla lunghezza della paglietta. Tro-
» vandosi quest’ultima nella vicinanza dell’ambra, diviene allora positivo, co-
)) me già dicemmo, l’estremo suo più vicino, e l’altro negativo (1). In se-
» guito la prima di queste due elettricità , cioè quella in vicinanza del-
» ambra, sarà detta elettricità d’influenza di prima specie, mentre quella cbe
« trovasi sull’estremo più lontano sarà detta elettricità d’ influenza di seconda
» specie. Nel caso in cui la paglietta sia molto corta, la elettricità positiva
» dell’estremo suo più vicino all’ambra, si trova molto presso alla negativa
» dell’estremo più lontano, e perciò può esercitare soltanto un’azione molto
)> debole. Prolungando la paglietta, le due elettricità si trovano in una mag-
» giore distanza, ed in tal caso l’azione della positiva crescerà, ed arriverà a un
)> massimo, quando la paglietta è lunghissima (2). Così fatta sperienza si con-
» fondeva coll’altra che segue, la quale differisce da questa totalmente. Un corpo
» elettrizzato, non per mezzo della induzione, perde la sua elettricità, quando
» viene messo in communicazione col suolo; il corpo si scarica, come suole
» dirsi, per mezzo del conduttore , il quale stabilisce questa comunicazio-
facilmenle ai conduttori la elettricità loro; perciò non si verificherà tanto facilmente in pra-
tica, l’indicato rovesciamento di elettricità nella paglietta.
Con evidenza maggiore si dimostra, che la inducente supera in quantità la indotta, sca-
ricando un qualunque coibente armato, per mezzo di uno scaricatore isolato; poiché in que-
sto rimarrà un residuo di elettricità, omologa della inducente: ciò si'verificherà con avvici-
nare lo scaricatore stesso al bottone di un elettroscopio a pile secche.
(1) Non accade precisamente com’ è detto; ma invece f estremo più vicino' contiene
le due elettricità, una dissimulata, cioè la contraria della inducenle, l’altra libera, cioè omo-
loga della prima, e questa si trova per tutto sull’indotto. Nasce principalmente da ciò la diffe-
renza, fra i due modi per elettrizzare, uno col mezzo dello strofinio, l’altro col mezzo della in-
fluenza.
(2) Non avendo la indotta di prima specie tensione alcuna, come vedremo evidente-
mente nella seconda parte di questa memoria, deve negarsi che la indotta medesima, cioè in
questo caso la positiva, esistente sull’estremo della paglietta, il più prossimo all’ambra, possa
variare l’azione sua; poiché non la possiede in alto, ma in virtù soltanto. Dobbiamo unica-
mente ammettere, che la quantità di azione fra la indotta e la inducente, sarà minore nel
primo caso, e maggiore nel secondo; cosicché diverrà massima per una lunghezza 'grandis-
sima della paglietta.
4
» ne (i). Toccando una paglietta, messa in vicinanza di un pezzo d’ambra
» elettrizzata, la paglietta medesima non perde (tutta) la sua elettricità, ma
» bensì , secondo l’esperienza precedente, la sua elettricità positiva di-
» verrà massima, riguardo alla distanza dei due corpi. Da ciò si credette po-
» tere concludere, l’esistenza di una nuova specie di elettricità, la quale a dif—
)> ferenza dell’elettricità comune, non si può togliere da un corpo (2). Inol-
» tre si spingeva il concetto ancora più innanzi, negando che questa elet-
» tricità possa esercitare attrazione, e repulsione, in modo da considerarla
w semplicemente come una forza virtuale (3). Questa opinione fu appoggiata
» dalle denominazioni già date alla elettricità d’ influenza (4), la quale si rife-
» risce ad un’ altra azione della medesima. Un disco metallico isolato, for-
» nito in una sua faccia di fili con pendolini elettrometrici, fu elettrizzato in
» modo, che i medesimi divergevano fino ad un certo grado. Avvicinando
)) parallelamente a questo disco, un altro simile, ma non isolato, la divergenza
» dei pendolini diminuisce (5); ritorna però al suo grado iniziale, quando si
» toglie il secondo disco. Rimanendo i due dischi al sito loro, allora è ne*-
» cessano dare nuovamente una opportuna quantità di elettrico al disco iso-
» lato, per produrre la medesima primitiva divergenza dei pendolini (6). Volta
» il quale si serviva di questo fatto, per la costruzione del suo condensa-
» tore, credeva che la causa del medesimo, fosse la elettricità d’influenza del
(1) Si avverta, che in questo caso, la scarica del corpo é completa; cosicché il me-
desimo riacquista lo stato neutrale ; non avviene così quando il corpo fosse indotto.
(2) Non si deve concludere dal fatto indicato , che siavi una nuova specie di elettri-
cità, ma solo uno stato eccezionale di questa; quale stato dura soltanto, finche la medesi-
ma rimane alla elettrostatica induzione assoggettata.
(3) Non vi ha dubbio, che le facoltà possedute in alto dall’elettrico libero, divengono
tutte virtuali, quando esso è sottoposto alla elettrica influenza, come sarà dimostrato nella
seconda parte di questa memoria; salvo l’attrazione reciproca fra la indotta, e la inducente.
(4) Le denominazioni cui qui si allude, consistono negl’epiteti vmcolata, e dissimu-
lata, che furono introdotti da molto tempo nella teorica dell’induzione, ed apposti giusta-
mente alla elettricità indotta.
(5) Ciò avviene perchè la elettricità libera del primo disco, inducendo sul secondo, ed
anche accorrendo verso questo, affievolisce di tensione; aftievolimento che si vedrebbe,
ma di minor effetto, anche quando il secondo disco fosse pur esso isolato.
(6) Poiché la inducente non perde mai del tutto la sua tensione , così è chiaro che
crescendo la carica elettrica del disco isolato, deve crescere la divergenza delle pagliette an-
nesse al medesimo; e si potrà sempre, eoa una opportuna carica, ridurre la divergenza loro,
a quello che era inizialmente.
— 27 —
» disco non isolato, la quale chiamò elettricità accidentale, a differenza della
» elettricità reale del disco isolato (1). Essendo poi la elettricità accidentale di
» opposto segno a quella reale, si forma un equilibrio accidentale, delle due
« elettricità, e la capacità del disco non isolato (2), viene aumentata in modo,
» che il medesimo ha bisogno di una quantità di elettricità maggiore , per
» produrre all’elettroscopio la medesima divergenza, come quella iniziale.
» Sebbene questa spiegazione sembri presente al molto imperfetta, non
» si può negare, che la medesima possegga il vantaggio di essere basata
» sopra i fatti, e di non invocare alcuna proprietà ipotetica della elettricità d’in-
» fluenza. La elettricità negativa d’influenza (cioè accidentale) di un disco non iso-
» lato, il quale si trova in vicinanza di un disco isolato, e caricato positiva-
» mente, viene dunque (da Volta) riconosciuta del tutto eguale, alla elettricità
)> negativa reale, la quale si dette ad un disco isolato nella vicinanza di un al-
» tro disco anch’esso isolato, e caricato positivamente (3). Ciò riesce conforme
» alle sane opinioni di Franklin, di Aepinus, e di Wilke. In un modo del tutto
» differente ragionava Lichtenberg (4), il quale dette, alcuni anni dopo, la
» spiegazione del condensatore, e dell’elettrosforo ».
(1) Collezione dell’ opere di Volta, Firenze 1816, tom. 1, parte la, pag. 255.
(2) Pare che qui debbasi togliere il non .
(3) Essendo a il disco caricato positivamente, rappresenti b il disco non isolato (fig. 16),
carico di elettricità negativa, che Volta chiamò accidentale : que-
Fig. 16. sti due dischi sieno prossimi l’uno aH’allro. Inoltre sia d un disco
isolato, cui si dette una carica negativa, essendo e un altro disco,
isolato pur esso, cui si dette una carica positiva: ed anche que-
b — sti due Mischi sieno prossimi fra loro. Secondo Riess la elettri-
cità accidentale negativa del disco, b non isolato, verrebbe da
d Volta riconosciuta, in uno stato del tutto eguale, alla negativa
e reale del disco d isolato. Ma ciò si oppone al fatto; poiché se
un piccolo piano di prova, si applichi sul centro del disco 5,
non riceverà esso carica elettrica di sorta; mentre applicato sul centro del disco d, rimar-
rà elettrizzato negativamente. Ciò prova che gli stati elettrici dei due dischi, b, d , diffe-
riscono assai fra loro.
(4) Nell’opera intitolata : Erxleben Anfangsgriinde der Naturlehre Gòttingen 1784.
pag. 498. Nella edizione sesta di questa opera, che fu pubblicata nel 1794, troviamo il ci-
tato ragionamento a pag. 520, il quale già fu da noi riferito , nel §. 2 di questa prima
parte.
28
Sul calcolo delle quantità dei movimenti di terra nelle stime dei lavori Ar-
chitettonici. — Nota del Cav. prof. Federico Giorgi.
Non mi occorre richiamare alla memoria degli Onorevoli sodi di questa Ac-
cademia, che i grandi lavori di terra per la costruzione degli argini dei fiumi,
per quella delle strade , come per la escavazione dei canali , ed in generale
degli alvei per qualsivoglia corso di acque , si rappresentano in disegno col
mezzo di una pianta , o tipo icnografico dimostrante lo sviluppo dell’ anda-
mento del canale , della strada , dell’argine ; e di tipi ortografici consistenti
non solo in un profilo di livellazione indicante la giacitura del suolo lungo lo
stesso andamento, ma ancora in una serie di profili trasversali, o sezioni cor-
rispondenti a piani verticali normali alla projezione orizzontale dell’ asse del
lavoro, le quali, mentre danno conto delle modificazioni , o riduzioni , a cui
è da assoggettarsi il terreno, servono eziandio , insieme al profilo di livella-
zione longitudinale, al calcolo degli sterri, e dei riporti da aver luogo per la
effettuazione della opera.
Ad abbreviare le calcolazioni che sono necessarie per ricavare da siffatti
tipi le quantità di questi movimenti di terra, sogliono generalmente gl’ In-
gegneri servirsi di alcuni metodi , e di alcune formole empiriche , le quali ,
specialmente in alcuni casi, inducono a risultati non poco distanti dal vero ;
ed è mio proposito in questo breve scritto, che ho l’onore di consegnare al-
l’accademia , di fare conoscere in qual modo potrebbe ovviarsi , col minore
studio, e colla minore fatica possibile, a questo grave difetto , in cui si in-
corre nelle stime dei lavori.
Mi figuro due sezioni qualunque fra quelle che suppongo accompagnare
un progetto di lavoro di terra, una consecutiva all’altra senza cioè altra se-
zione interposta ; e prendo a considerare i diversi casi , che possono offrirsi
nella pratica dipendentemente dallo svariato modo, in cui possono presentarsi
le sezioni medesime.
Quando queste due sezioni , fra le quali intendesi computare il quanti-
tativo dei movimenti di terra, si offrono in tutta la loro estensione in isterro,
ovvero in riporto, il metodo per la calcolazione non presenta difficoltà. Ba-
sta imaginare, come è noto, condotto da ogni punto di inflessione che si ha,
nell’una e nell’altra sezione, tanto sulla linea che rappresenta il terreno nella
sua naturale giacitura nel senso trasversale, quanto sù quella che dimostra
la giacitura che dovrà assumere il suolo ad opera eseguita, un piano verticale
perpendicolare, o anche obliquo, quando ciò sia permesso, per facilitare i cal-
coli , ai piani verticali delle due sezioni , quali devono aversi come paralleli
fra di loro, perchè il solido, che comprendono le due sezioni sia diviso in un
certo numero di solidi parziali tutti mensurabili geometricamente. Imperoc-
ché ognuno di questi tronchi parziali, verrà ad essere constituito da un so-
lido terminato all’ intorno da quattro faccie verticali , due delle quali oppo-
ste e parallele facienti parte dei piani delle sezioni , e due parimenti oppo-
ste e parallele fra loro o comunque oblique partentesz dall’una, e spingentesi
all’altra sezione ; e da due superficie, una superiore, e l’altra inferiore appar-
tenenti respetti vamen te al terreno naturale , e alla linea del progetto , cia-
scuna delle quali può essere con molta approssimazione ritenuta quale una
superfìcie gobba di tale indole da essere intersecata da qualunque piano ver-
ticale parallelo ai piani delle due sezioni in una linea retta.'
E ciò posto, e qualora, come si suppone, la posizione delle sezioni, che
accompagnano il progetto sia stata , nell’atto dei rilievi di campagna, avve-
dutamente fissata in modo da non trascurare veruna inflessione del terreno
nel senso longitudinale, la forinola che dà modo di valutare il volume di que-
sto solido, e colla somma di tutti i solidi parziali, è superfluo il dirlo, il vo-
lume intiero sia di sterro, sia di riporto che verificasi fra le ideate due se-
zioni, è quella che ora vado qui appresso a ricordare.
Espresse con le lettere a, b, c, d le misure o lunghezze dei lati verti-
cali di uno qualunque dei nostri solidi, i primi due giacenti nel piano di una
delle sezioni, il terzo e il quarto nel piano dell’altra ; espressa con p la di-
stanza dei due lati a, b, e con q quella dei due lati c , d ; le quali misure
a, b, c, d, p, q sono scritte, e si leggono nelle stesse sezioni ; e rappresen-
tata con l la lunghezza del solido , ossia la distanza delle due sezioni ; la
quale si legge sulla orizzontale del profilo di livellazione longitudinale ; es-
sendo V il volume cercato, si ha
V _=rc — £(2 p -+- q) (a b) -+- {p - 4- 2 q) ( c H- d)
la quale formola com’ è naturale , si riduce anche più semplice quando le
quantità p , e q , ovvero le altre a , b, c, d, hanno fra loro dei rapporti di
eguaglianza, o taluna di esse è nulla.
Ma questo metodo, di calcolo , quale applicato a solidi dell’ indole so-
— So-
praccennata , ha tutto il rigore geometrico, se è valevole pei casi in cui le
sezioni si presentino completamente ambedue o in riporto, o in isterro, il che
ordinariamente verificasi quando si tratta di progetti che riguardino la costruzio-
ne di arginature nei fiumi, o l’apertura di nuovi canali, non può essere applicato
senza qualche modificazione a quelli, nei quali queste condizioni non hanno
luogo come non di rado succede nei progetti relativi a lavorazioni che abbiano
per oggetto la costruzione di una nuova strada, o la correzione di una qual-
che strada esistente.
Dipendentemente dalla posizione scambievole delle due linee , che nel
profilo longitudinale rappresentano respettivamente la giacitura del ter-
reno naturale , e quella della linea del progetto , sovente avviene che due
consecutive sezioni si offrano l’una in riporto, e l’altra in isterro ; ed accade
altresì, ed è molto frequente nei progetti di strade, che o una, o entrambe
le sezioni si presentino parte in isterro, e parte in riporto. In tali circostanze
è forza assoggettarsi nel calcolo a qualche maggiore dettaglio, e sviluppo di
operazioni , e tutto lo studio deve riporsi nell’ ideare ed applicare un modo
di soluzione, che assimilandosi all’altro teste ricordato, ed emanando per così
dire da quello, sia in egual tempo il più semplice possibile, e capace di con-
durre a risultati non meno approssimativi.
Il metodo che mi è sembrato più adatto è quello che espongo qui ap-
presso brevemente, al quale, non devo tacerlo, sono stato condotto dappresso
alcune prime idee comunicatemi sull’ oggetto dal chiaro Sig. Gav. Vincenzo
Glori ingegnere direttore dei lavori delle strade provinciali percorrenti il ter-
ritorio di questa delegazione di Roma.
Distinguo i tré casi seguenti.
1. ° Le due sezioni siano una per intiero in taglio , ossia in isterro , e
l’altra per intiero in riporto, o in rilevato.
2. ° Una delle due sezioni si offra parte in isterro e parte in riporto ,
l’altra sia interamente in riporto, o in isterro.
3. ° Tanto Luna, quanto T altra sezione offrasi parte in taglio , e parte
in rilevato.
I.° CASO
Le due sezioni siano una in taglio , e V altra in riporto.
Esprimo con A e B le due sezioni e suppongo che la A sia in isterro,
e la B in riporto.
- 31 —
È da immaginarsi anche in questo caso, come ritiene l’applicazione della
foratola (m) lo spazio intercetto alle due sezioni scompartito in differenti so-
lidi mediante piani verticali paralleli fra loro e normali a quelli delle sezioni
medesime ; i quali debbono essere tanti quanti ne sono richiesti dai cambia-
menti di giacitura che si offrono nelle sezioni rispetto, e il terreno naturale
e la linea del progetto ; tenendo cioè calcolo di tutti i punti d’ inflessione che
si succedono l’uno all’altro nelle linee stesse.
Meglio che a parole spiega il concetto la Tavola \.a nella quale le due
sezioni A e B si suppongono appartenere alla serie di quelle che accompa-
gnano un progetto per la nuova apertura di una strada. Condotti i piani ver-
ticali rappresentati nelle loro projezioni icnografiche dalle rette p , p ', p" ... ;
col mezzo dei triangoli simili, e di una formola semplicissima si determinano
le projezioni o, o', o" . . . dei punti , in cui nei piani medesimi avviene che
si intersechino le due rette che nel senso longitudinale costituiscono i profili
del terreno naturale, e dell’asse della strada; e quindi congiungendo i punti
o, o', o" . . con linee rette si ottiene in pianta il complesso delle linee
congiunte ad angolo, in cui nella ampiezza delle sezioni , o meglio fra i li-
miti assegnati all’ampiezza della nuova strada, si passa dallo sterro al riporto,
e viceversa.
La formola accennata è, come è noto, la seguente.
CL — t— C
nella quale X è la distanza cercata, che passa fra uno qualunque dei punti
o, o', o" ... , per esempio del punto o' da una delle due sezioni, per fissare
le idee dalla sezione A ; a la differenza che passa fra le altezze sulla comune
orizzontale, e del terreno naturale, e della nuova linea ; differenza che leg-
gesi a lato della retta d’ intersezione del piano p col piano della sezione A ; c
la differenza simile, che corrisponde alla sezione B, e l la distanza delle due
sezioni A e B : quali misure si hanno nei numeri che veggonsi scritti nelle
sezioni medesime tranne l’ultima , che si ottiene, come ho già detto , dal
profilo di livellazione longitudinale, e che ho notato nella stessa tavola I.“ di
lato alle sezioni.
Determinalo così il contorno o, o', o" . . . non si avrà se non che a con-
giungere i suoi punti estremi, che nel caso della nostra figura sono i punti
o, oIV , con quelli che rappresentano nel piano icnografico i punti, ove nei
— 32 —
piani delle sezioni ha termine a destra , e a sinistra il lavoro , e la di cui
posizione per essere determinata non richiede operazioni di calcolo ; cioè non
resterà che a congiungere il punto o coi punti r, r", e il punto otv coi punti
r'"f r' con linee rette per avere in pianta l’ intiero contorno dello sterro , e
l’intiero contorno del riporto da effettuarsi.
Di qui è chiaro, che i solidi estremi si riducono a quattro piramidi di
base triangolare, di cui si hanno tutti i dati per calcolarne il volume. Indi-
cando infatti con p la distanza delle due ordinate fra le quali è la base della
piramide, e che può aversi per l’altezza del triangolo, con a il lato verticale
di questa base, e con V’ il volume cercato sarà
e sostituendo ad X il suo valore , e riducendo si avrà
a -+~ c
yi = VaH
6(a -4— c)
ove c esprime il lato omologo ad a, che leggesi nell’altra sezione.
In quanto poi ai solidi intermedj, ciascuno di questi, come è pur chiaro,
è della stessa indole di quello, a cui si applica la forinola (m) ; con avver-
tenza però che nel caso presente le basi del solido, anziché insistere ai piani
delle sezioni, si figurano inerenti ai piani verticali condotti da una sezione al-
l’altra ; e la lunghezza del solido non è data dalla distanza delle due sezioni ;
ma sibbene da quella dei due piani verticali, che limitano lateralmente que-
sto solido.
Ecco la formola che si applica alla determinazione del Volume di questi
solidi
ove a, e b hanno lo stesso significato che nella formola (m) ; p', e q1 espri-
mono le distanze respettive dei due frà i punti o, o' o" ... , che apparten-
gono al solido che si considera, dalla sezione da cui questo ha origine ; ed
K)
— 83 —
V la distanza delle due ordinate, nelle quali si leggono le altezze a, e b ; o
in altri termini quella dei detti due piani verticali racchiudenti il solido.
Ma poiché
, al b l
^ a -+- c ’ ^ b d
sarà, sostituendo, e riducendo
l' X l { a (2ct — (— 6) b [a -+- 26) 'i
12 a -+- c b — 1~ d j
formola che presenta il vantaggio di dispensare nella pratica dal determinare
la posizione dei punti o, o', o" . . . , non includendo se non che elementi,
quali si hanno immediatamente dalle sezioni, e dal profilo longitudinale del-
l’opera proposta.
Calcolati in questo modo tutti i volumi parziali, si avrà, nel loro com-
plesso il volume totale dello sterro, terminato in uno de’ suoi estremi dal-
l’area che si presenta in taglio nella sezione A, e nell’altro dalla linea che si
projetta sul piano orizzontale uella spezzata o, o\ o", o'", olv; come altresì si
avrà il totale solido di riporto terminato da questa medesima linea, e dall’area
che offresi in rilevato nella sezione B.
* 2.° CASO
Una delle sezioni sia parte in isterro , e parte in riporlo : Valtra interamente
in riporto , o in isterro.
Questo caso può trattarsi come il precedente. La divisione dello spazio
interposto alle due sezioni col mezzo di piani verticali condotti colle norme
poco anzi stabilite, porta ad avere dei solidi parziali interamente in riporto,
o in isterro che si estendono a tutta la distanza che separa le due sezioni ,
come altresì dei solidi che , intorno una linea di demarcazione intermedia
alle sezioni stesse , si offrono , da un lato di questa linea sino ad una delle
sezioni, intieramente in riporto, e dall’altro lato sino all’altra sezione intiera-
mente in isterro ; per la misura de’ quali solidi tutti vale l’applicazione delle
5
— 34- —
stesse formole precedenti. Un’esempio ne è dato dalle sezioni C e D della Ta-
vola IJX, ove la prima è parte in isterro, e parte in riporto , la seconda
tutta in riporto. Per tutti i solidi di sterro che si projettano nell’area r oo'
o" r' r ; e così pure pei solidi di riporto che si projettono in r' o" o' r" r"' r'
vale l’ultima formola (m"), eccetto i solidi piramidali laterali, ai quali è ap-
plicabile la formola (m'). Pei solidi poi in riporto projettati in r' r'" rIV rv r'
si avrà ricorso alla formola (m).
3.° CASO
Tanto luna quanto l’altra seziono offrasi parte in taglio , e parte in riporto.
Questo terzo caso si suddivide in due ; giacché o la parte in isterro deila
prima sezione avrà nella seconda di fronte egualmente uno sterro, e altret-
tanto dicasi del riporto ; o accaderà, per invertersi della pendenza trasversale
del suolo, l’opposto.
La medesima scompartizione con piani verticali in solidi parziali porterà
a servirsi delle formole (m) e (m") noi primo di questi due casi secondar]
quale si rappresenta nella tavola IIP Sezioni E, e F ; e delle formole ( m ) ,
(m')t e (m") nel secondo che viene dato dalla tavola lVa sezioni G, ed H.
Nella tavola IIP il solido projettato in pianta nella figura r r' r" r'" r è tutto
in riporto, l’altro rappresentato in r" r'" rIV rv r" è tutto in isterro. Nella ta-
vola IV* il solido rappresentato in r' o' o rv rlv o" r" r' è in isterro ; i due so-
lidi rappresentati in riV o" r"1 riv, e r o o1 r' r sono in riporto. Calcolati i vo-
lumi dei solidi parziali coll’applicazione delle prefate formole , e quindi fatta
la somma dei volumi della stessa specie, si giungerà anche in questi casi a
trovare il volume complessivo dello sterro, e quello del riporto da aver luogo
fra le immaginate due sezioni.
Tale è dunque il metodo che nei differenti casi sopra considerati do-
vrebbe essere seguito nel calcolo dei movimenti di terra, onde ottenere tutta
quella approssimazione che può esser desiderata , sostituendolo alle pratiche
ricordate in principio, le quali , se da un canto abbreviano le operazioni di
calcolo, non lasciano dall’altro di condurre immancabilmente a risultati erronei,
e in taluni casi molto lontani dalla realtà.
Non voglio già pretendere che il processo esposto , e le formole anali-
tiche che ne ho dedotto ; siano applicabili convenientemente qualunque siano
— 35 —
le circostanze del terreno ; poiché se si trattasse di un terreno molto acci-
dentato, per cui le sezioni avessero a frastagliarsi in un numero considere-
vole di figure parziali in vario modo disposte , e combinate , il metodo po-
trebbe riescire imbarazzante, quantunque sempre adottabile ; ma nei casi or-
dinarj della pratica il rilievo del terreno porterà ad avere delle sezioni, die
nei loro dettagli, e nella loro forma non si discosteranno guari da quelle che
accompagnano questo scritto ; per cui nelle più comuni occorrenze della pra-
, tica gioverà avere presente il metodo esposto per valersene a preferenza di
altri che sono ben Inngi dal poter vantare il medesimo rigore.
Per applicare le formole a qualche esempio mi valgo delle tavole citate,
e delle misure ipotetiche che leggonsi nelle sezioni ivi disegnate, e presento
nei quattro prospetti che seguono i risultati del calcolo.
Ad evitare un’ inutile moltiplicazione di numeri mi sono dispensato dal
notare di lato alle ordinate delle sezioni le altezze sulla orizzontale dei punti
del terreno, e della linea alla quale si suppone debba questo ridursi , essen-
domi limitato a marcare immediatamente luogo a luogo l’altezza del riporto,
o la profondità dello sterro, sole misure nel senso verticale che occorrono per
le applicazioni numeriche.
Ho aggiunto nei prospetli i risultati, ai quali avrebbe condotto 1’ appli-
cazione ai casi supposti del metodo empirico detto delle sezioni ragguagliate,
che è quello che generalmente si adopera nella pratica; dal confronto dei quali
risultati con quelli ottenuti col metodo rigoroso si fà palese a quali enormi
differenze, dal trascurare questo metodo, possono, in talune circostanze , es-
sere condotti gli ingegneri nelle loro valutazioni relative ai grandi movimenti
di terra.
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'
— 37 —
PROSPETTO DIMOSTRANTE
le quantità dei movimenti di terra compresi fra le sezioni A e B.
Tavola 1 .
— 38 —
Richiamo
Numeri
Richiamo
DIMENSIONI
VOLUMI
delle
indicanti
delle
Sezioni
i solidi
parziali
formole
Metri lineari
di sterro
Met. Cubi
di riporto
Met. Cubi
Riporto M. C.
68, 825
»
a = 2, 80
, b — 2, 80
A
4
m"
c = 1, 95 !
d = 2, 40
l = 22, 35
V = I, 95
\ 34, 408
»
a = 2, 80
b — 3, 15
»
5
m" {
c = 2, 40 1
j d = 2, 50
l =22, 35
V — 2, 05
) 37, 356
))
p = 3, 29
»
6
m' i
j a— 3, 15 |
lr c= 2, 50 |
21, 523
»
*
/= 22, 35 ]
p= 2, 42 |
B
7
m' <
a= 2, 00 /
c= 2, 15 r
Z = 22, 35 ]
»
8, 689
Da riportarsi M. Cubi
162, 112
8, 689
I
Richiamo
delle
Sezioni
B
»
Numeri
Richiamo
indicanti
delle
i solidi
parziali
formole
8
m" |
DIMENSIONI
VOLUMI
Metri lineari
di sterro
Met. Cub.
di riporto
Met. Cub.
Riporto M. Cubi
162, 112
8, 689
a =
2,
00
b =
I,
98
c —
2,
15
d =
2,
30
l =
22,
35
l' =
1,
20
a =
i,
98
6 =
i,
95
c =
2,
30
d =
2,
80
l =
22,
35
r==
2,
80
a =
1,
95
b =
2,
40
c =
2,
80
d =
2,
80
l =
22,
35
V =
1,
95
12, 602
26, 847
20, 705
Da riportarsi M. C. 162, 112
68, 843
Richiamo
delle
Sezioni
B
Numeri
indicanti
i solidi
parziali
11
12
Richiamo
delle
forinole
m
m
DIMENSIONI
Metri lineari
Riporto M. C.
a — 2, 40
b = 2, 50
c — 2, 80
d = 3, 15
l = 22, 35
1' = 2, 05
V
a
c
l :
4, 05
2, 50
3, 15
22, 35
Totali Metri Cubi
Quando alle Sezioni A e B si fosse applicato
il metodo delle sezioni ragguagliate si avreb-
bero avuti i risultati seguenti.
M. Cubi
VOLUMI
d Ts terrò
Met. Cubi
162, 112
162, 112
Sterro
188, 555
di riporto
Met. Cub.
68, 843
25, 364
16, 688
HO, 895
Riporto
113, 088
— . 41
PROSPETTO DIMOSTRANTE
le quantità dei movimenti di terra compresi fra le sezioni C e D
Tavola 2.
Richiamo
delle
Sezioni
Numeri
indicanti
i solidi
parziali
Richiamo
delle
forinole
DIMENSIONI
Metri Lineari
I
P =
2,
30
a —
1,
90
C
1.
m' {
c =
1»
65
l =
24,
80
a =
u
90
b =
1,
30
| c =
1,
65
»
2.
in"
\ d===
I,
30
1 l =
24,
80
V =
I,
90
( a —
1,
30
, b
o,
55
C =
1,
30
»
3.
m"
\ d =
1,
60
l =
24,
80
V =
2,
10
Da riportarsi
M.'C
V O L
U M 1
di sterro
Met. Cub.
di riporto
Met. Cub.
I 9, CC7
»
I 19, 351
»
j 9, 590
»
38, 718
6
Richiamo
delle
Sezioni
C
C-D
Numeri
Richiamo
DIMENSIONI
VOLUMI
indicanti
delle
formule
i solidi
parziali
Metri lineari
di sterro
Met. Cubi
di riporlo
Met. Cubi
Riporto M. C.
38, 718
»
»
o
r\
il
II
SU,
4
m'
(
a — 0, 55 1
c = 1, 60 ì
l = U, 80 >
0, 698
)>
p = 1,65
q— 1, 6q
| a = 0, 00 j
J
5 - 12
m
' b=- 0, 80
] c = 1,55 1
\ »
38, 874
f d — 1,45
l = 24, 80
=g= 1, 15
I a = 0, 80
co
1
m
J b= 1, 10
] c == 1, 45
/ 1, 35
[ l = 24, 80
/ w
33, 511
Da riportarsi M. Cubi 39, 416
72, 38 5
— 43
Richiamo
Numeri 1 Richiamo
DIMENSIONI
V O L
U M I
delle
indicami de„e
— - — — -
i solidi
di sterro
di riporto
Sezioni
. formole
parziali
Metri lineari
Met. Cub.
Met. Cab.
C-D
D
7-14
m
m
m
Riporto M. Cubi
p = 2, 54
q = 1, 18
a — 1,10
b = ■ 0, 00
c = 1, 35
d = 0, 00
l =24, 80
p = 2,13
a — 1, 65
c = 1, 90
Z= 24, 80
a = 1, 65
b= 1, 30
c = 1, 90
d— 1, 30
l = 24, 80
Z'= 1, 90
39, 416
Da riportarsi M. C. 89, 416
72, 385
27, 902
6, 752
16, 739
123, 778
Richiamo
Numeri
Richiamo
DIMENSIONI
VOLI] M I
delle
Sezioni
indicanti
delle
formole
i solidi
parziali
Metri lineari
di sterro
Met. Cubi
di riporto
Met. Cub.
Riporto M. C.
39,416
123, 778
a = 1, 80
i 6 = 1, 60 j
D
10
m"
1 c = 1, 30 \
\ d= 0, 55
1 l = 24, 80 |
V— 2, 10
► »
23, 649
a = 1, 60
1 b= 1, 55
»
11
m"
c = 0, 55
| d= 0, 00
! 1 — 24, 80
L l'= 1, 20
■ »
20, 423
Totali Metri Cubi
39, 416
167, 850
•
Applicando il metodo delle sezioni ragguagliate
i risultati sono i seguenti.
M. Cubi
■ ' 1
Sterro
23, 765
Riporto
229, 698
— 45
PROSPETTO DIMOSTRANTE
le quantità dei movimenti di terra compresi fra le sezioni E e F
Tavola 3.
Richiamo
Numeri
Richiamo
DIMENSIONI
V O L
U M I
delle
Sezioni
indicanti
delle
formole
i solidi
parziali
Metri Lineari
di sterro
Met. Cub.
di riporto
Met. Cub.
p = 1, 62 v
q= 1, 42
1 a= 0, 00
E - F
1 - IO
m
) b= 0, 82 (
I c — 0, 00 f
d= 0, 85
l = 22, 80
»
14, 4 63
p = q— 1,70
a= 0, 82
»
2-11
in {
6=1, 09
, c = 0, 85
d= 1, 87
J = 22, 80
} »
44, 865
p = q = 1 , 05
1 a = 1 , 09
!
»
3- 12
m
6 = 0, 55
c = 1, 87
d= i, 80
i »
31, 780
l = 22, 80
j
Da riportarsi M.‘ C.£
)>
91, 108 1
*
Richiamo
Numeri
Richiamo
DIMENSIONI
VOLUMI
delle
Sezioni
indicanti
delle
formole
i solidi
parziali
Metri lineari
di sterro
Met. Cubi
di riporto
Met. Cubi
Riporto M. C.
»
91, 108
(
p = q = 2, 95
a = 0, 55
E-F
4
m'
| b = 0, 00
! c = 1, 80
| d = 0, 60
^ l = 22, 80
1 »
49, 604
a= 0, 00
4 6= 0, 19 ;
E
5
m" <
/ c = 0, 60 ‘
\ d= 0, 00
f l = 22, 80
v 0, 650
»
l'= 0, 90
a — 0,60
F
14
m"
'
b = 0, 00
c = 0, 00
| d = 0, 19 /
l = 22, 80 \
r= 0, 90
) »
2, 052
Da riportarsi M. Cubi 0, 650
142, 764
47 —
Richiamo
delle
Sezioni
E-F
»
Numeri
indicanti
i solidi
parziali
Richiamo
delle
forinole
DIMENSIONI
Metri lineari
V 0 L
di sterro
Met. Cub.
EMI
di riporto
Met. Cub.
Riporto M. Cubi
0, 650
142, 764
(
rs
il
o*<
11
45
\ a — 0
19
b = 0,
■50 1
6 - 1 o
m
{ 14, 960
»
\ c = 0,
00
1 d ~ ì,
12
l = 22,
80
li
i-C5
II
o
75
\ a — 0,
50 I
/ 6= 1,
14 \
7-16
m
19, 066
»
\ c — 1,
Ì2 (
1 d = 1,
70 |
l = 22,
80
! p = q = 0,
90
l a — 1 ,
14
,
] 6=1,
90
8-17
m
( c •— 1 ,
70
33, 550
»
d= 1,
80
« = 22,
80
Da riportarsi M. G. 08, 22 6
142, 7 64
— 48 —
Richiamo
Numeri
Richiamo
DIMENSIONI
delle
indicanti
delle
i solidi
Sezioni
parziali
formole
Metri lineari
E - F
9-28
VO L
U M I
di sterro
di riporto
Met. Cubi
Met. Cub.
68, 226
142, 764
1
m
V
< ì
a
b
c
d
l
: 2, 71
. 2, 01
: 1, 90
0, 00
1, 80
0, 00
22, 80
Totali Metri Cubi
Applicando il metodo delle sezioni ragguagliate
si hanno i seguenti risultati,
M. Cubi
49, 839
118, 065
Sterro
142, 764
Riporto
118, 503 143, 754
— 49
PROSPETTO DIMOSTRANTE
le quantità dei movimenti di terra compresi fra le sezioni G*, e H
Tavola 4.
Richiamo
Numeri
Richiamo
DIMENSIONI
V O L
U M I
delie
indicanti
delle
i solidi
di sterro
di riporto
Sezioni
parziali
formole
Metri Lineari
Met. Cub.
Met. Cub.
p = I»
47
a = I ,
40
G
1
m' ^
3, 907
»
^ c = 1 ,
55 (
Z = 24,
00
a = I,
40
& = 0,
97
c = 1,
55 1
)>
2
m" \
d — 0,
75
13, 957
))
l — 24,
00
1,
90
a — 0,
97
6=0,
72
)>
3
m" 1
c = 0,
75 |
8, 797
»
d = 0,
00 j
l = 24,
00
l = I,
125
■'i
Da riportarsi M.‘ C.‘
26, 6G1
»
7
51
Richiamo
delle
Sezioni
H
Numeri
indicanti
i solidi
parziali
11
15
16
Richiamo
delle
formole
m
m
m
DIMENSIONI
Metri lineari
Riporto M. C.
a =
o,
75
b =
o,
00
c =
0,
97
d =
0,
72
l =
24,
00
V =
1,
125
a =
o,
76
b =
0,
92
c =
0,
00
d =
I,
20
l =
24,
00
r =
2,
32
F =
o.
99
a —
o,
92
c =
I,
20
l =
24,
00
Totali Metri Cubi
Applicando il metodo delle sezioni ragguagliate
si hanno i seguenti risultati.
M. Cubi
VOLUMI
di sterro
Met. Cubi
di riporto
Met. Cub.
57, 778
33, 538
! ^
1, 471
! 16, 85S
»
| 1, 581
»
75, 914
35, 009
Sterro
110, 712
Riporto
88, 05Ì
Osservazioni spettroscopiche del bordo e delle protuberanze solari .
Nota I. del Prof. Lorenzo Respighi.
Dopo che nell’eclisse totale di sole dell’Agosto 1868 si era trovato, che
la luce dell’estremo bordo solare era, se non monocromatica, composta però di
poche qualità di raggi di ben distinte e differenti refrangibilità, in modo che
nello spettro essa mantenevasi compatta e condensata in poche e lucidissime
righe; e che inoltre alcuni di questi raggi mancavano totalmente nella luce
solare , corrispondendo nello spettro di questa alle righe lucide delle pro -
tuberanze e del bordo del sole delle righe nere, si poteva già ritenere riso-
luto il problema relativo alla visibilità delle protuberanze stesse, anche fuori
delle rare circostanze degli eclissi totali di sole.
E fin d’allora si presentava nello spettroscopio un mezzo efficacissimo
per eclissare artificialmente il sole , togliendo colla dispersione quel forte
contrasto di splendore, col quale la luce diretta e riflessa del disco solare
sottrae alla nostra vista le deboli immagini delle protuberanze.
Di ciò si avvide per primo il distintissimo fisico francese Sig. Janssen;
e nel giorno successivo a quello dell’eclisse riuscì a vedere sullo spettro della
luce circumsolare le traccie ben marcate delle protuberanze osservate du-
rante l’eclisse stesso ; assicurandosi così della possibilità di far penetrare il
nostro sguardo attraverso gli abbaglianti raggi del sole per discernere questi
singolari oggetti*, malgrado la relativa debolezza della loro luce.
Disponendo la fessura dello spettroscopio tangenzialmente all’ estremo
bordo dell’ immagine solare,, ottenuta per mezzo di un buon obbiettivo, e
restringendo la fenditura stessa in modo da rendere lo spettro solare tolle-
rabile all’occhio, sì veggono tosto spiccare su questo alcune righe lucide tras-
versali, fra le quali una rossa marcatissima al posto preciso della riga nera
C dell’ idrogeno.
Allontanando allora dolcemente la fessura dal bordo solare, ben presto
la riga rossa ordinariamente sparisce, trasformandosi nella detta riga nera C.
Osservando però attentemente la riga stessa nell’atto di questa trasforma-
zione, si trova che generalmente essa assume l’aspetto di una linea discontinua a
tratti rossi e neri, più o meno lunghi, e più o meno irregolarmente distribuiti; e
talora si trova, che alcuni di questi tratti lucidi si mantengono ben marcati
anche nei successivi allontanamenti della fessura dal bordo, presentando però
successivamente lunghezze differenti, e variale interruzioni o spezzamenti.
La riga rossa continua altro non è che la sezione fatta dalla fessura
sull’immagine dello strato rosato, che inviluppa tutto il corpo solare; i tratti
lucidi, che appariscono allo sparire di questa, altro non sono che le parti più
elevate o sommità di quello strato, ordinariamente ondulato o frastagliato
nella sua estremità; e finalmente i tratti lucidi, che in alcune parti del bordo
solare persistono anche ad altezze più o meno notevoli al disopra della su-
perficie generale di livello dello strato rosato, altro non sono che le succes-
sive sezioni fatte dalla fessura sull’immagine delle protuberanze.
Ciò posto, facilmente si vede, come allontanando misuratamente la fes-
sura dello spettroscopio dai bordo solare, si potrà rilevare una serie successiva
di sezioni sull’immagine dello strato rosato e delle protuberanze, le quali de-
stramente combinate potranno dare 1’ estensione e la forma di quello e di
queste.
Con tale processo però , se può constatarsi nelle varie parti del bordo
solare la presenza delle protuberanze, e rilevarne in qualche modo anche la
forma e le dimensioni, pure ciò si ottiene con grande pena e perditempo, e
solamente in modo troppo grossolanamente approssimativo, e non mai in
modo da ricavare un disegno dettagliato e preciso delle protuberanze stesse,
in causa principalmente delle variatissime e capricciose forme, che ordinaria-
mente presentano questi singolari oggetti.
Restava perciò tuttora il desiderio e la necessità di trovare un modo
più spedito e più sicuro per ottenere questi rilievi, quello cioè di poter os-
servare d’un solo colpo d’ ocehio, o l’intera immagine della protuberanza, od
almeno una larga sezione della medesima: e ciò era manifestamente e diret-
temente indicato dalla teoria, senza il bisogno di ulteriori scoperte.
Allargando la fessura dello spettroscopio evidentemente si poteva ottenere
l'intento di abbracciare, o tutta l’immagine della protuberanza, od una grande
sezione della medesima ; e la teoria ci mostrava che anche in tale caso ,
in forza della omogeneità della luce di questa, la sua forma e il suo splendore
doveva rimanere inalterato. Soltanto essa ci avvertiva del grave ostacolo, che
in questo processo alla visione di quelle immagini veniva opposto dal vivo
contrasto dello splendore del campo su cui venivano projettate , e cioè per
l’aumentata luce dello spettro solare, e per la diffusione dei colori limitrofi
alla linea C sulla zona occupata dalle immagini stesse.
35
A vincere, od a scemare questo inconveniente veniva però suggerito un
opportuno rimedio; quello cioè di armare rocchio di un vetro offuscante, spe-
cialmente e principalmente diafano per la luce corrispondente alla riga C
dello spettro. Ma la teoria non poteva precisare i limiti entro i quali po-
teva allargarsi la fessura dello spettroscopio, senza danno della distinta visione
della protuberanza: e non poteva perciò stabilii e a priori il vantaggio repe-
ribile da questo processo ; dipendendo ciò da elementi non soggetti a cal-
colo, e specialmente dalla qualità dello strumento e dalle condizioni ottiche
dell’ osservatore.
Era perciò riservata all’ esperienza la soluzione di questo problema, di
mostrare cioè, se allargando la fessura dello spettroscopio fino a comprendere in
essa le totali immagini delle protuberanze, il loro splendore rimaneva abba-
stanza campeggiarne sul fondo illuminato dalia luce diffusa, per essere con-
venientemente percepite ed osservate col soccorso di un vetro rosso, diafano
principalmente per la luce della riga C dell’ idrogeno.
Non appena giunse a noi la notizia della scoperta di Janssen, relativa
agli spettri delle protuberanze , mi occupai tosto della soluzione di questo
problema; ma in causa della debolezza ed imperfezione del piccolo spettro-
scopio tascabile, di cui solo poteva disporre, le mie ricerche riescirono pres-
soché infruttuose ; e tali pure riuscirono varii altri artifìci che io usai per
rendere visibili le protuberanze, e dei quali ometto per ora di parlare per
amore di brevità.
Non intendo però con questa dichiarazione di rivendicarmi una inven-
zione a danno di coloro che dichiararono in seguito di avere tentato , con
successi più o meno felici, queste prove; poiché non sembrami che vi abbia
merito di invenzione in quelle cose, che direttamente e necessariamente sono
dalla scienza suggerite. Intendo soltanto di mostrare, che già da molto tempo
mi occupava di queste ricerche, e che perciò le mie fatiche meritavano una
qualche soddisfazione, un qualche compenso.
Mentre il celebre speltroscopista inglese Huggins, e quasi contemporanea-
mente a lui alcuni altri fisici ed astronomi, fra i quali anche il nostro illustre Col-
lega Prof. Secchi, si occupavano di queste ricerche, senza poter raggiungere in
modo adequato il prefisso scopo, di vedere cioè distintamente le immagini dello
protuberanze, in causa probabilmente dei non adatti strumenti da essi usati,
più fortunato di loro il Prof. Zòllner di Lipsia giunse collo stesso artifìcio ,
e con un cannocchiale di mediocre apertura, a rilevare ben distinta la forma
— se-
di alcuni di questi oggetti , ed a ricavarne analoghi disegni ; constatando
poi le gigantesche variazioni cui vanno soggetti, e verificando in essi la so-
miglianza di getti o eruzioni vulcaniche della superfìcie solare. Finora però
10 studio di questi fenomeni era troppo parziale ed incompleto, ed era a de-
siderarsi che esso venisse ridotto ad un generale e metodico sistema di
osservazione.
Per una fortunata combinazione avendo potuto nel giorno 25 Ottobre
prossimo scorso applicare al nostro equatoriale un eccellente spettroscopio a
visione diretta di Boffman , potei tosto riconoscere questo apparato come
adattatissimo all’ osservazione delle protuberanze, e fin da quel giorno potei
rilevare di alcune di esse un dettagliato disegno.
Disposta la fessura dello spettroscopio tangenzialmente al bordo solare
ed allargandola fino al di la dei 40”, l’immagine delle protuberanze e il con-
torno ondulato dello strato rosato spiccavano convenientemente malgrado la
viva luce del campo ; ma )’ occhio diffìcilmente poteva tollerare un sì forte
splendore , e si rendeva perciò indispensabile l’ uso d’ un opportuno of-
fuscante.
Per buona ventura fra i nostri vetri colorati ne trovai uno rosso , il
quale, senza indebolire sensibilmente la luce delle protuberanze, indeboliva lo
splendore del campo in modo, da renderlo tollerabile all’occhio anche allar-
gando la fessura sino a più di 1', larghezza sufficiente per comprendere la mag-
gior parte delle immagini delle prutuberanze stesse.
Mi bastarono allora poche ore di osservazione per potere scorrere tutto
11 bordo solare, e prendere il rilievo e il disegno delle non poche protube-
ranze su di esso disseminate ; e da quel giorno le osservazioni del contorno
del sole divennero per me sistematiche e quotidiane, bastandomi ordinariamente
un’ ora, od un’ora e mezzo al più di lavoro, per prendere tutti i necessari
rilievi. E quest’oggi potrei presentare all’Accademia il disegno giornaliero del
bordo del sole , se la contrarietà della stagione non mi avesse per varii
giorni rese impossibili queste osservazioni .
Debbo perciò contentarmi di sottoporre all’ Accademia i risultati otte-
nuti nei giorni sereni, presentatisi in questo intervallo di tempo; i quali ri-
sultati, quantunque poco numerosi , sono però già più istruttivi su questo
fenomeno di quello, che lo potrebbero essere le osservazioni di una nume-
rosissima serie di eclissi totali.
Senza contestazione il materiale d’osservazione, raccolto nell’intervallo di
— 57 —
40 giorni su questi singolari e finora misteriosi fenomeni, equivale già a quello
che si sarebbe ricavato dall’osservazione fortunata di 18 ecclissi totali nel-
l’intervallo forse di qualche secolo; con questo vantaggio inoltre, che men-
tre gli eclissi totali ci avrebbero presentati tanti fenomeni isolati, e fra loro
indipendenti, le osservazioni spettroscopiche invece ci presentano questi fatti
fra loro connessi e nelle successive loro fasi ed evoluzioni.
Da ciò facilmente si comprenderà, come da una lunga e regolare serie
di osservazioni si potrà ottenere intorno a questi fenomeni un cumolo ric-
chissimo di fatti, fra loro connessi in modo da poterne stabilire il vero
carattere , le leggi, le loro relazioni cogli altri fenomeni solari, e procurarci
forse il mezzo di squarciare quel denso velo, che tuttora ricopre nel mi-
stero la fisica costituzione del grande luminare.
Il metodo seguito nelle osservazioni è il seguente : disposta la fessura
dello spettroscopio tangenzialmente al bordo solare nel punto più boreale del
medesimo, ossia al punto nord, per mezzo di un indice connesso allo spettro-
scopio e girevole con esso, si nota la divisione corrispondente su di un circolo
graduato fissato al cannocchiale; e così si possono col medesimo ottenere gli
angoli di posizione, o le differenti parti del bordo solare, parallelamente alle
quali viene poscia portata la fessura.
Quando la fessura è tangente al bordo solare, si può subito rilevare per
una estensione di 24° circa del medesimo bordo se esistono protuberanze ;
poiché allontanando dolcemente la fessura dal bordo, allo sparire dello strato
rosato le protuberanze vengono indicate dalla persistenza dei tratti lucidi della
riga C, corrispondenti alle sezioni fatte nelle loro imagini dalla fessura dello
spettroscopio.
Allargata convenientemente la fessura, si osserva il contorno superiore
dello strato rosato, disegnando sopra un arco di circolo le irregolarità, e cioè
le piccole prominenze o ondulazioni, che ordinariamente si trovano più o meno
marcate in tutte le parti del bordo. Quando si incontrano protuberanze, si
allarga la fessura per comprendervi l’intera immagine, o una grande sezione della
medesima: e al posto già marcato nella figura se ne fa un disegno abbastanza
dettagliato per fissarne la forma, almeno coi tratti più caratteristici. Le dimen-
sioni fondamentali, e cioè altezza e larghezza, vengono desunte dalla nota lar-
ghezza della fessura.
Nel disegno di questi oggetti è necessaria una certa destrezza e solle—
8
eìtudine, per le sensibili variazioni, che in essi si producono anche in breve
tempo.
Nelle giornate limpide, e per le protuberanze non molto deboli la fes-
sura può allargarsi fin ad oltre 1', senza che per un occhio bene esercitato
l’ immagine perda la sua distinzione, almeno nelle parti principali ; con che
si può ricavare la figura d’ insieme di essa protuberanza. Pei minuti detta-
gli e per le parti più deboli si facilita il rilievo restringendo opportunamente
la fessura.
Quando l’altezza della protuberanza è maggiore dell’apertura della fes-
sura, il disegno si ricava , o prendendo due o più sezioni diligentemente e
destramente combinate , o impicciolendo alla metà circa la grandezza dei-
fi immagine, coll’ applicare davanti alla fessura un obbiettivo acromatico a
corto foco.
Ma ben rare sono le volte nelle quali devesi ricorrere a quest’ ultimo
artifìcio, essendo ordinariamente le protuberanze di tale altezza, da poter es-
sere commodamente e più dettagliatamente osservate nelle immagini date di-
rettamente dall’obbiettivo del cannocchiale.
Quantunque sullo spettro si presentino ordinariamente altre immagini oltre
a quella della riga C, e principalmente una nel giallo presso la riga D una
nel bleu presso la F, pure è preferibile l’osservazione della prima, perchè
più completa e più marcata anche nelle parti più elevate.
11 Prof. Zòllner ritiene che usando spettroscopi con prismi a larga superficie,
e formando la fessura circolare come il bordo dell’immagine del sole, si possa ar-
rivare a vedere d’ un solo colpo d’occhio tutte le protuberanze sparse sul
bordo solare, come negli eclissi totali: ma ciò non è ammissibile, perchè alla
distinta visione delle protuberanze richiedendosi che il piano di dispersione
sia perpendicolare, o quasi perpendicolare al bordo, evidentemente non si arri-
verebbe con questo mezzo altro che a vedere distinte le due parti opposte
del bordo stesso.
Ma per raggiungere questo meschino vantaggio non meriterebbe certo
la pena di rendere tanto più costoso e complesso lo strumento, e tanto più
diffìcile il suo maneggio, col danno poi di dovere di troppo limitare la forza
amplifìcatrice del piccolo cannocchiale dello spettroscopio.
In atto pratico poi questo processo riescirebbe inutile, perchè nell’osserva-
zione dovendosi esaminare separatamente ogni parte del bordo, si può otte-
nere lo stesso intento osservando successivamente i due bordi opposti, i quali
— 59 —
si possono portare sotto la fenditura con pochi colpi di manubrio, senza bi-
sogno di spostarla.
Forse se ne potrebbe trovare un vantaggio, qualora si riescisse a pren-
dere le immagini delle protuberanze colla fotografìa; poiché allora nella stessa
negativa si avrebbero i due tratti opposti del bordo; ma anche questa speranza
del Prof. Zòllner, di poter riuscire a fotografare le protuberanze non sembrami
realizzabile , almeno con quei vantaggi che valgano a compensare le grandi
difficoltà della costruzione dello strumento, il suo grande costo, e le compli-
cazione della sua pratica applicazione.
Tanto più che io ritengo, che la fotografia in questo caso non riesce-
rebbe a dare la forma delle protuberanze così dettagliata e completa , e il
loro posto così preciso, come può ottenersi col metodo da me usato.
I tentativi fatti da Huggins e dal Prof. Secchi per osservare con questo
metodo le protuberanze del sole con cannocchiali di forza ed apertura mag
giore, che nel nostro equatoriale di Merz di pollici 4 */3 , non hanno
ottenuto risultati soddisfacenti, non essendosi potuto ottenere nei medesimi
le immagini distinte di questi oggetti: ma non so, se tale insuccesso debba attri-
buirsi ad un vizio, o difetto radicale dei grandi strumenti in riguardo a que-
ste osservazioni, e cioè alla eccessiva grandezza delle imagini ed alla troppa
intensità della luce, onde la fessura dello spettroscopio non può essere allargata
quanto basta per comprendere quelle immagini, senza che l’occhio non resti
abbagliato dalla forte luce dello spettro, o non piuttosto da qualche speciale
sfavorevole condizione degli strumenti usati.
Se non si avessero altri ineovenienti, che quelli di una eccessiva gran-
dezza delle immagini e della troppa intensità della luce, mi sembra che vi
sarebbero gli opportuni rimedi; e cioè quello di impicciolire le immagini col-
l’applicazione di un secondo obbiettivo davanti alla fessura dello spettrosco-
pio, e quello di diminuire Pintensità della luce coll’uso di opportuni diafram-
mi applicati all’obbiettivo.
Se realmente venisse provato, che in generale i grandi strumenti non
riescono, malgrado l’applicazione di questi rimedi, io inclinerei a ritenere che
ciò potesse dipendere dalla maggior luce diffusa dagli obbiettivi e dai pris-
mi , per la loro spessezza, e dalla maggiore illuminazione della colonna atmo-
sferica attraversata dal cono luminoso nell’interno del cannocchiale, in causa
della sua maggiore lunghezza.
Sarebbe però molto opportuno che si facessero, in proposito molti espe»
rimenti per decidere, se realmente i soli strumenti di mediocre apertura ab-
biano il privilegio di prestarsi utilmente a queste importanti ricerche.
Ritornando alle nostre osservazioni dirò, che esse furono regolarmente
intraprese nel giorno 26 di ottobre, e continuate sistematicamente nei giorni
successivi sino a questa mattina , ogni qualvolta le condizioni atmosferiche
ce lo permisero. La nebbia e i più leggieri veli nebulosi sono sufficienti a far
^dileguare le imagini delle protuberanze; non già perchè resti da essi assorbita
la luce di queste, ma perchè troppo vivo è lo splendore da essi diffuso nella
zona su cui quelle si proiettano.
Le protuberanze si veggono ben marcate anche quando il sole è elevato
di pochi gradi dall’orizzonte; ed anzi allora appariscono più distinte e appa-
rentemente più luminose; ma ciò avviene per semplice effetto di contrasto, e
cioè per la maggiore oscurità del campo su cui si projettano, prodotta dalla
diminuzione generale dello splendore dello spettro atmosferico, e principal-
mente dall’assorbimento dei raggi limitrofi alla riga C ; onde sul posto delle
protuberanze si presentono le righe atmosferiche, rimanendo intatta la luce
delle protuberanze stesse, per la quale l’atmosfera anche vicino all’orizzonte
è assai trasparente.
I risultati, ottenuti da queste prime osservazioni, sono rappresentati nella
qui unita tavola , nella quale il bordo solare, o lo strato rosato è sviluppato
in linea retta, per meglio riconoscere e confrontare le posizioni delle protu-
beranze.
Le protuberanze rispetto alla lunghezza del bordo sono ingrandite del
doppio, per renderne i disegni più dettagliati; e la loro posizione deve rite-
nersi determinata sul bordo dal posto della loro linea media, o centrale.
Nei primi giorni di osservazione la posizione delle protuberanze è stata
determinata con mezzi del tutto provvisorii , e perciò deve ritenersi meno
approssimativa che nei giorni successivi, nei quali si è usato in questo ri-
guardo maggiore diligenza, e mezzi di misura meno imperfetti, quantunque
anch’essi provvisorii, essendosi solamente nel giorno 20 novembre ridotto a
condizioni stabili e sicure l’apparato di osservazione.
Ciò non ostante la posizione e le dimensioni assegnate alle protuberanze
in questa tavola possono ritenersi come abbastanza approssimative, essendosi
cercato di supplire colla diligenza e colla pazienza alla inperfezione dei mez-
zi di osservazione. Quantunque poco esercitato nel disegno, pure nel ri-
trarre le protuberanze sembrami di avere raggiunto convenientemente lo
— 61 —
scopo di rendere marcate, e abbastanza fedelmente rilevate le forme caratte-
ristiche di questi oggetti.
In mezzo alla straordinaria varietà di forme, sotto le quali ci si presen-
tano queste masse sporgenti dal disco solare, si riscontra però in tutte l’ap-
parenza manifesta, la somiglianza di getti, o eruzioni di materia o gas incande-
scenti dalla superficie del sole; Ordinariamente ben definiti e sottili alla base,
e diffondentisi nelle parti superiori nei più svariati modi, mantenendo però
d’ordinario delle forme ben definite e decise.
Basta fissare l’occhio su questa tavola per riconoscere, che queste masse
sporgenti dal disco solare non hanno alcuna somiglianza colle nubi della no-
stra atmosfera, formate per condensamento di vapori ; ma che esse sono il
prodotto reale di gigantesche e violenti eruzioni dal corpo solare.
Che se talora si osservano masse isolate a guisa di nubi, ciò proviene
dall’essere cessato il getto prima che quelle masse abbiano potuto ricadere
sul sole, o dileguarsi neiralmosfera solare.
Così pure se talora si osservano masse sporgenti sul bordo del sole a
guisa di cumoli, senza la forma decisa di getti, ciò proviene dall’essere a noi
invisibile la base di questi getti, o perchè occultata dal disco solare, o per-
chè sul medesimo proiettata.
Ordinariamente questi getti alla loro sommità, diffondendosi, si mostrano
incurvati verso la superfìcie del sole , come per ricadere sul medesimo in
forza della gravità; ma negli svariatissimi incurvamenti dei medesimi non può
non ravvisarsi il contrasto di altre forze colla gravità stessa.
Talora questi getti matengono anche nelle parti più elevate una forma
ben definita di getti rettilinei e sottili, a guisa di tronchi di cono o di cilindro;
e questo sembra accadere, quando il getto è veramente verticale. Non è però
da tacersi che in alcuni casi il getto potrebbe apparire come rettilineo senza
esserlo, ma per semplice effetto di prospettiva, e precisamente allorquando
F incurvamento trovasi nel piano visuale.
Nell’incurvamento dei getti non sembra esistere alcuna legge, presentan-
dosi spesso nella stessa località getti incurvati nello stesso senso, ed anche
in sensi opposti.
Non di rado si osserva, che quando si trovano due getti assai vicini
e di diversa altezza, le loro sommità sembrano come ripiegarsi l’una sull’al-
tra, come se esistesse fra loro una specie di attrazione.
Più volte ho rilevato, che getti sensibilmente verticali si ripiegono bru-
62 —
scandente, per disporsi paralleli al bordo solare, e talora anche ripiegarsi nuo-
vamente verso l’alto, presentando quasi la forma di un xn orizzontale.
Quando un getto si diffonde alla sua sommità a guisa di ventaglio o di
bouquet , spesso si osserva, che in alcune parti sorgono dei rami più alti a
guisa di appendici o code.
Comunemente questi getti si mostrano continui dal bordo del sole sino
alla sommità, ma talvolta si presentano anche come da esso staccati a guisa
di nubi isolate, o come divisi in più tratti distinti.
Generalmente i getti alla base sono molto luminosi , talora anche più
dello strato rosato, meno intensi alla sommità , specialmente quando sono
molto diffusi.
Talora si osservano protuberanze molto più deboli in isplendore, ma
ciò sembra d’ ordinario avvenire , quando sporge dal disco solare soltanto
la sommità della protuberanza. Non può negarsi però che in alcuni casi
i getti non siano realmente più deboli.
Le protuberanze, o getti talora si presentano isolati, e talora uniti in
gruppi, estesi ad una gran parte della superficie solare, come succede delle fa-
cule, presentando T aspetto di grandi masse luminose interrotte più o meno
irregolarmente da tratti oscuri.
L’altezza delle protuberanze ordinariamente non eccede il i', ossia tre
diametri circa della terra ; ma talora supera anche i 2', ossia sei diametri
terrestri, come si verificò nel giorno 23 novembre, in cui fra un magnifico grup-
po di protuberanze dal NNO al NO una si slanciava fino a 2'. 30", e cioè al-
l’altezza di oltre otto diametri terrestri.
Anche le masse o nubi isolate , che ordinariamente si mostrano a non
grandi distanze dal bordo solare, talora si presentano e si mantengono per qual-
che tempo a grandi altezze, come si verificò nell’indicato gruppo del 23 No-
vembre, nel quale apparivano cinque masse, o nubi allungate verticalmente,
ad una distanza dal bordo maggiore di 1' , e cioè più di tre diametri ter-
restri.
Lo strato rosato è in generale terminato irregolarmente, talora sfumato,
talora frastagliato e disseminato da punte lucide, che spesso si trasformano
più tardi in getti o protuberanze.
L’altezza di questo strato è variabile nelle diverse parti del bordo so-
lare, e ordinariamente sembra più alto in vicinanza ai poli, che all’equatore;
e non di rado si trova, che esso è molto basso sotto ai grandi gruppi di pro-
tuberanze.
Riguardo alla distribuzione delle protuberanze sulla superfìcie solare si
trova, che esse si presentano più frequentemente nella zona delle macchie o
piuttosto delle facule, e ordinariamente in vicinanza a queste , senza però
confondersi colle medesime. Sembra poi che le protuberanze si avvicinino ai
poli più delle facule , ma ciò può essere una semplice illusione dipendente
dalla difficoltà di vedere le facule nelle maggiori vicinanze ai poli suddetti.
Dai rilievi presentati nella unita tavola , ed anche da molti altri presi
in vicinanza ai poli in altri giorni nei brevi intervalli di serenità, risulta ma-
nifestamente la seguente legge: che nelle regioni, o calotte solari per una di-
stanza di 20° circa di poli, o non ha luogo il fenomeno delle protuberanze,
o in modo soltanto eccezionale e in minime proporzioni.
Difatti entro questi limiti nell’intervallo di oltre 40 giorni non si vide
nessuna protuberanza notevole; e soltanto in tre giorni si videro piccolissimi
e poco duraturi getti.
Questa legge, che difficilmente avrebbe potuto ricavarsi anche dall’ os-
servazione di una lunga serie di eclissi totali , mostra evidentemente che le
protuberanze sono in relazione col moto rotatorio del sole, come le macchie
e come le facule.
Il confronto esatto della posizione delle facule con quella delle protube-
ranze richiede troppo tempo e troppo lavoro, e per ora non ho creduto con-
veniente di occuparmi di questa difficile ricerca , preferendo di utilizzare il
non molto tempo, lasciatomi libero delle altre mie occupazioni, nello studiare
il fenomeno in se stesso, indipendentemente dagli altri fenomeni solari.
Non ho mancato però nei giorni, nei quali la serenità del cielo e le mie oc-
cupazioni me lo permettevano, di rilevare sul bordo del sole almeno approsi-
mativamente il posto delle facule; ed è appunto in questo modo che ho po-
tuto rilevare, che le protuberanze si presentano ordinariamente in vicinanza
ai grandi gruppi di facule.
E molto probabile che il fenomeno delle protuberanze sia strettamente
collegato con quello delle facule, e forse con quello delle macchie, ma è po-
sitivo eziandio che esse costituiscono un fenomeno dalle une e dalle altre ben
distinto; e perciò se questi getti o vulcani solari hanno influenza nella produ-
zione delle facule e delle macchie, il loro effetto non è immediato, ma dipen-
64 —
dente dalle speciali condizioni nelle quali essi pongono le varie partì della
superfìcie solare.
È poi certo che le protuberanze, o la materia eruttata alla superficie so-
lare non costituisce le macchie, poiché esaminando il bordo solare sul posto
di alcune vicinissime macchie non vi ho trovato grandi protuberanze , ma
soltanto sensibili intumescenze dello strato rosato.
Sembrami però fuori di dubbio che quei veli o tratti più scuri, che spesso
si osservano in vicinanze alle facule e qua e là sparsi sulla superfìcie solare,
siano dovuti, o all’assorbimento prodotto dalla materia diffusa dai getti, o da
modificazioni da questi prodotte nella fotosfera.
Come pure ritengo certo, che i veli rosati* osservati spesso sui nuclei
delle protuberanze , altro siano che la materia su di essi diffusa dai vicini
vulcani, o la sommità di più lontane protuberanze su di essi nuclei per ef-
fetto di prospettiva otticamente proiettate. Ed è probabilmente da attribuirsi
a questa circostanza una parte delle modificazioni che subisce lo spettro so-
lare nel posto delle macchie, e principalmente la scomparsa della riga nera
C, o la sua trasformazione in riga lucida, come talora si osserva negli spet-
tri delle macchie.
Lo studio di queste particolarità del fenomeno è assai difficile e com-
plesso, e richiede una speciale ed accurata serie di osservazioni, che alla op-
portunità non mancherò di intraprendere.
Una ricerca di grande importanza relativamente a queste singolari eru-
zioni è certamente quella riguardante il loro sviluppo, e le loro successive
fasi e trasformazioni.
Questo studio però richiede più lavoro e più tempo di quello per me
disponibile, e perciò non potendomene occupare di proposito, ho dovuto li-
mitarmi per ora a notare in proposito alcune particolarità, che naturalmente
mi si presentavano nel prendere gli altri rilievi, le quali però non credo suffi-
cienti a stabilire i veri caratteri del fenomeno.
Per quanto ho potuto rilevare sembrami, che ordinariamente lo sviluppo
di una protuberanza incominci da uno o più getti piuttosto sottili , ben di-
finiti, rettilinei, talora verticali e talora più o meno inclinati. Questi getti,
lucidissimi quanto lo strato rosato e talora anche più lucidi, sono talvolta pa-
ralleli fra loro, ma più spesso divergenti. La loro produzione talora ha luogo qua-
si istantaneamente, e in breve tempo si slanciano a grandi altezze, mantenendo
la forma di rami lucidi e ben definiti, come se non incontrassero resistenza
— 65
sensibile dal mezzo in cui si propagano , ossia dall’ atmosfera solare ; e ciò
precipuamente avviene quando i getti sono verticali.
Più spesso però questi getti nelle parti superiori si diffondono, o in di-
stinte diramazioni più o meno irregolarmente fra loro incurvate ed intreccia-
te, o in grandi masse luminose, più o meno sparse, come nelle masse di fumo
vomitate dai cammini delle macchine a vapore.
Spesso questi getti , a piccole altezze sullo strato rosato , si incurvano
più o meno rapidamente, prendendo la forma di archi appoggiati sul globo
solare; nei quali ordinariamente la parte saliente è contraddistinta dal mag-
giore condensamento, o dal maggiore splendore. Non di rado però essi si di-
spongono quasi paralleli al bordo solare, come il fumo che esce dai cammini
delle locomotive, quando si movono con grande velocità; e qualche volta que-
sti getti tornano a ripiegarsi in alto , come se risentissero dal globo solare
una repulsione.
La varietà e stranezza di forme, che prendono questi getti diffondentisi
nelle parti più elevate, è veramente sorprendente; mentre in ogni giorno e
quasi in ogni protuberanza si riscontrano figure del tutto differenti, del tutto
nuove, talora fugaci o di breve durata, talora anche per lungo tempo appa-
rentemente permanenti e prossimamente costanti.
In generale però si verifica, ciò che il Prof. Zòllner aveva di già avver-
tito nelle sue osservazioni fatte sopra alcune protuberanze , che la forma di
questi strani oggetti è soggetta a rapide trasformazioni; e non di rado mi è
accaduto di trovare nell’ intervallo di pochi minuti totalmente cambiata la
forma delle grandi protuberanze , specialmente alla loro sommità ; in modo
che nel breve tempo impiegato nel loro disegno se ne alteravano a vista an-
che le parti più marcate e distinte.
E positivo però che malgrado queste variazioni di forme le protube-
ranze, o piuttosto i getti, od eruzioni dalle quali sono prodotte, possono du-
rare e persistere in attività anche per molti giorni; come incontestabilmente
si verificò di varie protuberanze, e specialmente di alcune non molto lontane
dai peli, le quali si mantennero visibili per molti giorni consecutivi.
La protuberanza vicina al Sud, osservata per la prima volta il 4 Novem-
bre, si continuò incontestabilmente ad osservare fino al 13 Novembre; e dal
giorno 8 al 9 mantenne una forma, se non invariabile, almeno cogli stessi
tratti caratteristici, presentando la sua figura nel giorno 9 molta somiglianza
con quella del giorno antecedente.
9
— 66 —
Lo stesso si sarebbe probabilmente verificato anche nelle belle protuberanze
vicine all’equatore, se pel moto rotatorio del sole non sì fossero rese invisi-
bili, o dietro il disco , o proiettate sul medesimo : ed è sperabile che, pro-
traendo regolarmente le osservazioni, si possa giungere a rivedere gli stessi
centri di eruzione dopo una intera rotazione del sole.
Le osservazioni finora fatte su questi importanti fenomeni solari non sono
certamente sufficienti a stabilire i veri caratteri di queste eruzioni, o getti solari,
le leggi relative alla loro distribuzione sulla superficie solare, il loro vero modo di
sviluppo e di trasformazione; ma possiamo sperare di raggiungere questo scopo
con una regolare e continuata serie di osservazione.
Quello però che mi sembra fin d’ora potersi stabilire in riguardo a questi
fenomeni, si è:
1. ° Le protuberanze sono prodotte da eruzioni gassose, o vulcani irre-
golarmente distribuiti sulla superficie del sole.
2. ° Queste eruzioni talora sono di breve durata, ma spesso si manten-
gono in attività per molto tempo.
3. ° Le nubi isolate, che si osservano talora attorno al sole, sono prodotte
dalla materia proiettata e diffusa dai vulcani.
4. ° Le regioni, dove ordinariamente si mostrano le protuberanze, sono
quelle dove appariscono più frequenti le facule; onde si può arguire una stret-
ta relazione fra le protuberanze e le facule, e probabilmente tra le protube-
ranze e le macchie.
5. ° Le protuberanze, quantunque probabilmente collegate colle facule e
colle macchie, sembrano costituire però un fenomeno a se, cioè dalle une e
dalle altre distinto.
6. ° I veli rosati, che talora appariscono sui nuclei delle macchie , sono
molto probabilmente costituiti dalla materia diffusa dai vulcani solari , o sia
dalle protuberanze.
7. ° 1 veli scuri o deboli penombre , che spesso appariscono nelle varie
parti del disco solare, e principalmente in vicinanze alle facule, sono proba-
bilmente dovuti, o all’assorbimento delle masse costituenti le protuberanze, o
ad una modificazione prodotta dalle eruzioni nella fotosfera.
8. ° Le protuberanze non si presentano ordinariamente alle latitudini
maggiori di 70° i perciò le due calotte polari, corrispondenti a questi limiti,
non sono soggette al fenomeno, altro che eccezionalmente, e in piccole pro-
porzioni.
— 67
9.° Secondo le osservazioni fatte fino ad ora l’altezza delle protuberanze
non altrepassa i 3', e cioè il decimo circa del diametro solare.
Essendo le protuberanze, almeno apparentemente, costituite dalla mate-
ria che forma lo strato rosato che inviluppa il corpo solare, si potrebbe so-
spettare che la loro produzione avesse luogo nello strato stesso per semplice
sollevamento, come avviene nelle trombe atmosferiche, e che perciò fossero
fenomeni puramente superficiali : ma la forma ben definita di questi getti alla
base, e Ja loro densità o splendore, talora più intenso di quello dello strato
stesso , e la straordinaria velocitàd i quei getti sembrano piuttosto dimo-
strare, che l’eruzione proviene dall’interno del corpo solare, e che da questo
deriva la straordinaria forza di projezione nella materia sollevata.
Che anzi la forma ben difìnita di questi getti, e la loro prolungata persi-
stenza sembrano provare, che essi non si producono attraverso ad una sostanza
gassosa, ma piuttosto attraverso ad uno strato molto compatto e consistente,
costituente una specie di crosta, forse solida. Calcolando la velocità di impulso
colla quale dovrebbe essere proiettata la materia costituente le protuberanze,
per giungere all’altezza di 1 0 raggi terrestri , altezza verificata in molte di
esse, supponendo nulla la resistenza del mezzo, si trova che tale velocità do-
vrebbe essere di circa 200 chilometri per secondo , e cioè più che sestupla
della velocità della terra nella sua orbita.
Quantunque per lo stato di straordinaria attività ed energia, nel quale
dobbiamo ritenere costituita la massa solare, possiamo ammettere nel suo
interno delle gigantesche reazioni, pure tali velocità sembrano inconcepibili,
e si trova più verosimile l’ammettere , che agli enormi innalzamenti di quelle
masse concorrano in qualche parte le azioni di forze continue, cioè di forze
ripulsive esercitate su di esse dal corpo solare, o dalla sua parte superficiale;
non potendosi ciò spiegare come effetto idrostatico della pressione dell’atmo-
sfera solare, in causa della sua tenuissima densità.
Ciò sembra poi confermato dal fatto, che le forme delle protuberanze non
sono conciliabili coll’azione della gravità combinata colle velocità di impulso,
mettendo pure a calcolo le continue variazioni di questa.
In non poche protuberanze si osserva che il getto, incurvandosi brusca-
mente, si dispone quasi parallelamente al bordo, per ripiegarsi talora nuova-
mente verso l’alto, come se una forza repulsiva si opponesse alla loro discesa
o all’azione della gravità; il che pure potrebbe dirsi di quelle grandi masse
— 68 —
isolate, che a guisa di nubi restano talora sospese per lungo tempo a grandi
altezze dal bordo solare.
La rapida ed enorme diffusione, che ordinariamente presentano questi
getti nelle parti più elevate, e le forme stranissime nelle quali spesso si di-
spone la loro massa, non mi sembrano spiegabili colla sola velocità d’impulso
e coll’azione della gravità, tenendo pure conto dell’espansione dovuta all’ele-
vata temperatura della materia eruttata, ed alla resistenza del mezzo; e perciò
sembra necessario di ammettere il concorso di forze repulsive anche fra le
varie parti di quei getti; e probabilmente l’elettricità, forza certamente esi-
stente e in modo assai energico nel corpo solare, non è estranea a questi gi-
ganteschi fenomeni.
È ben vero che la supposizione di grandi correnti nell’atmosfera solare
potrebbe rendere più facile la spiegazione di questi fatti ; ma è vero altresì
che oltre all’essere le medesime correnti poco probabili, difficilmente si po-
trebbero poi conciliare con esse gli svariati e spesso opposti incurvamenti, che
quei getti presentano nello stesso luogo e nello stesso tempo.
Ma tutte queste ed altre congetture, che potrei avanzare in questo pro-
posito, sono premature; e sarebbe perciò inopportuno l’entrare a questo ri-
guardo in più minute discussioni, richiedendosi a questo scopo un più ricco
e dettagliato cumolo di dati, raccolti fedelmente da una più lunga e detta-
gliata serie di osservazioni, fatte senza idee preconcette , senza alcuna pre-
venzione; ed è appunto con tale intendimento che io mi propongo di conti-
nuare l’intrapreso lavoro, con quella maggiore assiduità e regolarità , che le
mie circostanze e le condizioni atmosferiche mi permetteranno.
La questione della fìsica costituzione del sole è sempre per noi un mi-
stero, malgrado le grandi scoperte fatte in questi ultimi tempi; e non può
prevedersi, se lo studio delle protuberanze potrà arrecare su di essa un qual-
che raggio di benefica luce. È certo però che nelle protuberanze 1’ attività
del corpo solare, o le forze che ne agitano e ne sconvolgono la massa al-
meno nella parte più esterna , ci si rendono manifeste in modo assai più
completo che nelle macchie e nelle facule; e si ha quindi motivo di sperare
che lo studio di questo fenomeno ci conduca a stabilire nuovi dati, che ag-
giunti a quelli già ottenuti dallo studio delle facule e delle macchie ci ren-
deranno probabilmente più accessibile la caratterizzazione di queste forze.
Fin d’ora però possiamo ritenere, che la scienza con questo nuovo studio
ha fatto un grande acquisto, col rendere sistematica e regolare l’osservazione
— 69 —
di un fenomeno importantissimo, del quale pochi anni or sono appena co-
noscevamo 1’esistenza.
L’illustre astronomo francese slg. Faye, nel render conto all’Accademia
delle Scienze di Parigi delle osservazioni fatte sulle protuberanze dal Prof.
Zollner, fa osservare che il fenomeno enigmatico delle protuberanze nere, os-
sia di quei tratti neri, che in alcuni eclissi totali di sole si presentarono pri-
ma dal contatto interno del bordo lunare col bordo solare, qualche istante
prima del totale eclissamento, potrebbe ora spiegarsi coll’ammettere, che il con-
tatto dei due bordi abbia luogo là, dove esistono più getti vicini, e che per-
ciò le protuberanze nere altro non siano che gl’ intervalli scuri fra le vicine
basi dei getti.
Se le osservazioni del prof. Zollner rendevano questa spiegazione pro-
babile e verosimile, le mie osservazioni la rendono certa; poic hè fra le molte
protuberanze da me osservate vi hanno non pochi gruppi di getti vicini e
lucidissimi, formanti una specie di pettine a denti scuri, nei quali gruppi se
avvenisse il contatto , il fenomeno delle protuberanze nere sarebbe inevi-
tabile.
11 Prof. Zollner riferisce di avere osservato in una bella protuberanza
conica, alta 2' circa, una specie di tremolio come in una fiamma. Io pure ho
talora osservato fenomeni consimili, ma ritengo che tali oscillazioni siano estra-
nei alla protuberanza, e che esse siano da considerarsi come semplici effetti
di scintillazione atmosferica, prodotti da quella stessa causa che rende oscil-
lante e ondulato il bordo solare; e in ciò mi conferma il fatto, che tali ap-
parenze si rendono più manifeste, quando maggiore è l’ondulazione del bordo
solare, e cioè durante i forti venti e in vicinanza all’orizzonte.
Lo stesso Prof. Zollner riferisce di avere talora osservato, che dirigendo
la fenditura dello spettroscopio in vicinanza al bordo solare, dove più lunghe
e più luminose erano le linee spettrali delle protuberanze, lo spettro atmo-
sferico sembrava continuamente solcato da lampi di luce vivissima, che si
estendevano a tutto lo spettro, e che questi aumentavano in certi punti del-
l’orlo, in modo da produrre l’ impressione di rapidissime scariche elettriche
scorrenti sullo spettro.
Secondo Zollner questo fenomeno si potrebbe spiegare ammettendo, che
nelle vicinanze del sole si movano dei corpicciuoli roventi e lucidissimi, che
emettono dei raggi di ogni refrangibilità; le cui immagini, passando davanti
alla fenditura dello spettroscopio, producono i! lampeggiare di uno spettro
lineare.
Anch’io ho osservato fenomeni consimili in vicinanza al bordo solare ,
e cioè degli spettri lineari lucidi e passeggeri lungo tutto lo spettro atmosfe-
rico, e taluni quasi istantanei e taluni, visibili per un tratto più o meno lungo
della totale larghezza dello spettro: ma ritengo che la loro origine non sia
nelle vicinanze del sole, ma nella nostra atmosfera.
Alcuni di questi spettri lineari in brevissimo tempo scorrono spesso un
tratto considerevole dello spettro atmosferico, e quindi un tratto notevole della
fessura: perciò se fossero corpi circumsolari dovrebbero essere animati da ve-
locità inconcepibili, talvolta da far loro percorrere lo spazio corrispondente a
qualche minuto di arco in pochi secondi. Un corpo circumsolare per descrivere
un l' in un secondo di tempo, dovrebbe avere una velocità di oltre 40000 chi-
lometri in un secondo.
Sembrami quindi più probabile, che questi spettri lineari siano prodotti
da corpuscoli terrestri fortemente richiarati dalla luce solare, e agenti forse
come specchi o lenti: o da piccoli corpuscoli compresi nel cono stesso della
luce condensata dall’obbiettivo, e passanti davanti alla fessura a piccola di-
stanza dalla medesima.
I frequenti e lucidi lampi spettrali, che a guisa di scariche elettriche
dardeggiano sullo spettro, io non ho avuto occasione di osservarli altro che nelle
grandi vicinanze al bordo solare, e nei giorni di grande agitazione atmosfe-
rica, o in vicinanza all’orizzonte; ma in questi casi il fenomeno è prodotto evi-
dentemente dalla scintillazione dell’estremo contorno solare; il quale, trovan-
dosi in forte ondulazione, porta momentaneamente dei tratti luminosi, corri-
spondenti alla sommità di queste ondulazioni, sulla fenditura; mentre trovasi
sotto la medesima nascosto il complesso di esso bordo, potendo queste oscil-
lazioni giungere all’altezza di molti secondi.
Senza pretendere per ora che queste siano le vere spiegazioni da darsi
ai singolari fenomeni osservati da Zòllner, ho creduto opportuno di riferirle;
riservandomi però di ricavare la conferma, o la insussistenza delle medesime
dalle più estese e minute ricerche, che mi propongo di instituire anche so-
pra queste interessanti particolarità.
71 —
Sul Barometro fotografico conslruito nella università romana — - Nola del prof.
P. Volpicela.
V
E certamente di grande importanza per la meteorologia, trovare una mac-
china , che registri automaticamente con precisione , i fenomeni relativi a
questa scienza. Quei stromenti grafici, che debbono meccanicamente muovere
un indice, hanno molte imperfezioni, procedenti dai complicati effetti della
temperatura, e dalle inevitabili resistenze. Ne giovò costruirli con dimensioni
grandi, giacché rimasero ancora imperfetti, e non poterono essere adoperati
ancora, neppure da quei dotti competenti , che con grande spesa ne fecero
1’ acquisto.
La fotografìa però, fin dal 1847 , fu riconosciuta nell’ osservatorio di
Greenwich dall’illustre Airy, come il mezzo preferibile ad ogni altro per uso
della meteorologia ; perchè con esso l’ agente registratore non è congiunto
meccanicamente coll’organo indicatore, perciò gli strumenti fotografici non hanno
le imperfezioni dei meccanico-grafici, e se ne hanno altri, questi sono assai
meno apprezzabili di quelli.
Obbieterà forse taluno la spesa, che occorre per la sorgente luminosa; ma è
da riflettere, che questa non è molta, servendosi del gas della illuminazione, o
del petrolio, senza poi riflettere che anche si potrebbe questa diminuire, adoperan-
do pel giorno la luce solare, convenientemente disposta. Obbietterà tal’ altro che
occorre un manipolatore pratico; ma questa pratica in poco tempo da ognuno si
acquista, e deve avvertirsi esservi dei meteorografi meccanici moderni, tanto
complicati, che non agiscono bene senza l’assistenza dell’ inventore loro. Forse
ancora si obbietterà, che i bagni dati alla carta sensibile, potrebbero dilatarla, o
restringerla disugualmente, in diverse direzioni, lo che sarebbe causa di er-
rore per la misura delle indicazioni. Lasciando però dall’un dei lati, se que-
sta obbiezione sia fondata, ho trovato un mezzo assai semplice, per evitarla,
Questo consiste nel fare la scala, solcata sopra una conveniente lastrina di
vetro, e nel fotografare la scala medesima unitamente alle indicazioni baro-
metriche; cosicché le divisioni vengano anche esse riportate sulla stessa carta
sensibile.
Dopo il 1847, quando la fotografia fu applicata pei fenomeni meteoro-
logici, e magnetici a Greenwich, chiunque abbia voluto far progredire vera-
— 72 —
mente la scienza, si rivolse agl’istromenti fotografici, e non a quelli grafici
meccanicamente. I dotti competenti videro fin da quell’epoca, che avendo la
fotografia detronizzato l’arte del disegnare, avrebbe fatto altrettanto pei regi-
stratori meccanico-grafici; e se ciò non ancora si è verificato del tutto, si ve-
rificherà col tempo: la verità nulla perde benché trionfi tardi. Merita perciò
molta lode l’osservatorio di Firenze, ove già fu introdotta la fotografia pei
magnetometri ( Bullettino meteorologico dell' osservatorio di Moncalieri del 28
febbraio 1869, p. 9) o ci auguriamo che questo progresso venga imitato
nell’illustre osservatorio del collegio romano.
In prova di questa nostra opinione, riferiamo quanto siegue: Il sig. Ro-
nals costrusse un barometro fotografico, descritto e disegnato nel Traité de
physique del sig. Daguin , voi. 1, p. 370, Paris 1858; ed a pag. 79 di que-
sto volume, si trova la descrizione di un magnetometro fotografico a bilancia.
Un altro istromento di tale specie, impiegato nell’osservatorio di Greenwich,
trovasi descritto nel Cosmos 3. sèrie , t. v, p. 415. II sig. Beck a Londra
costrusse, pel comitato meteorologico di Kew, un barometro, ed un termo-
metro, fotografici ambedue ( Cosmos , 3.e sèrie, t. v. p. 199 — Les Mondes 7.°
année, t. 21, p. 115). Il comitato meteorologico d’Inghilterra, sebbene co-
noscesse uno dei più rinomati meteorografì meccanici , tuttavia decise nel
1867, d’introdurre il sistema fotografico, pei numerosi osservatori, che da esso
dipendono. Gli strumenti registratori, tanto per la meteorologia, quanto pel
magnetismo, adoperati nell’osservatorio di Lisbona, tutti sono fotagrafìci, e si
trovano descritti negli Annaes do observalorio do Infante D. Luiz. Quanto
grande sia stata, la estensione che ricevette la meteorologia fotografica in In-
ghilterra , può rilevarsi dal rapporto del comitato dell’ esservatorio di Kew
( V. les mondes, t. 18, p. 472) ove si dice (p. 474, li 1.) che nel mede-
simo furono verificati non meno di 32 termometri fotografici , senza parla-
re dei barometri e magnetometri, fotografici essi pure. Avvi eziandio nel-
l’osservatorio nominato, un istromento fotografico, il quale registra le correnti
elettriche terrestri (V. Les Mondes, t. 17, p. 290, li 2, salendo ).
Dal fin qui detto risulta quanto la fotografia meteorologica siasi general-
mente adottata, in ispecie nella Inghilterra, ove il progresso scientifico è maggio-
re. Se Magellan ( Observ . sur la phy. par Vabbé Rozier , mai 1872, t. 19, p.
348, §. 244 ) avesse conosciuto la fotografìa , si sarebbe al certo servito di
essa, in vece di costruire quel suo ingegnosissimo meteorografo meccanico, che
ha servito di guida, per la costruzione di altri meteorografi moderni di questo
genere, i quali fin dal 1847, più non sono al livello della scienza.
Il sistema barometrico di questo meteorografo è quello a bilancia ovvero
statico, inventato da Morland che presentò questo istromento, e non già co-
me taluno crede, una semplice sua descrizione, al re Carlo II. d’Inghilterra
(Ibidem p. 346). Sarà pure utile qui ricordare che Morland morì nel 1695
(. Poggendorff Vocabolario biografico , voi. 2.° p. 209). e che Carlo II, morì
nel 1685 ( Nuova enciclopedia italiana , voi. 4, p . 509), si vede quindi essere
già trascorsi quasi due secoli, dacché si fece la invenzione del barometro a
bilancia.
Per giustificare ancora più la preferenza che deve darsi alla fotografia ,
rispetto quei sistemi unicamente meccanici registratori dei fenomeni meteo-
rologici, si debbono consultare, oltre quelle già citate, anche le altre seguenti
publicazioni: l.° A llcjemeine deulsche Zeilung , del 3 gennaio 1868 (supple-
mento) — 2.° Idem del 2 maggio 1868 — • 3.° Piepertorium fur Physikali-
sche Technik von Dr. Ph. Cari., Monaco 1867, p. 281, e seguenti. • — • 4.
Les Mondes 2/ sèrie , t. 14, an. 1867, p. 430, 597, 786, et. 15 p. 120. —
5 A Moniteur scientikque , t. 9, p. 641, 704, 773, et 830. — 6.° L'Italie del
15 Luglio 1867 — 7.° Annales de chim. et de phy . 4/ sèrie , an. 1868 ,
p. 29. — 8.° Description d'un méthéreographe enregistreur, construit pour
l'observaloire d'Upsal par M. le D. A. G. Theorell. — 9.° Poggendorff Anna-
voi. 133, an. 1867, p. 430.
Vedendo che in Roma, ed anche nel resto d’Italia, non ancora si è dato
saggio di applicazione alcuna della fotografìa, nel registrare qualche fenomeno
meteorologico, volli fare una prova di queste applicazioni, costruendo un ba-
rometro fotografico, nel museo di fisica della università romana, ove l’as-
sistenza del mio collaboratore sig. Gio: Campbell, mi è utilissima, per ogni spe-
cie di ricerche. Lo strumento da me diretto consiste, in un barometro a pozzuolo
grande, per potere trascurare le piccolissime differenze di livello nel pozzuolo
stesso, prodotte dalle barometriche variazioni. Dietro la estremità superiore di
questo barometro, è collocato un cilindro, girevole intorno al suo verticale asse
per effetto del moto di un orologio. Questo cilindro compie una intera rivolu-
zione in ore 24, portando applicata sulla sua .superfìcie convessa, una carta
sensibile, che rimane chiusa in una cassetta di legno, la quale ha una stretta
fessura verticale , precisamente dietro la estremità superiore del tubo baro-
metrico, ed è lunga quanto lo comporta, pel nostro clima, la massima escur-
10
gione barometrica tanto ascendente, quanto discendente. La sorgente di luce,
collocata in opportuna distanza, consiste in una fiamma di petrolio, od anche
di gas idrocarburo, ed è posta innanzi alla estremità superiore del barome-
tro stesso. Una lente cilindrica molto alta, che contiene una soluzione satura
di allume, continuamente rinnovata, con opportuna disposizione, per diminuire
la temperatura dei raggi luminosi, manda il foco rettilineo di questi, pre-
cisamente sulla carta sensibile , rasentando la estremità superiore della ba-
rometrica colonna. Questa luce perciò chimicamente agisce sulla carta stes-
sa, mentre la colonna di mercurio vi produce l’ombra. Per evitare i difetti
provenienti dalla radiazione, e dalla estensione variabile, ossia dalle oscillazioni
della fiamma, ho circondato questa con un triplice scranno cilindrico, con op-
portuni fori. Per tal modo si ottiene continuata la fotografia negativa dell’estre-
mo superiore della indicata colonna, e della scala in millimetri, che alla me-
desima estremità trovasi annessa. La luce prima di giungere alla lente, ha
traversato parecchi scranni di vetro, distanti l’uno dall’altro di mezzo deci-
metro e l’ interno della cassetta e traversato dall’aria dell’ambiente. A questo
modo il calorico dei raggi luminosi non ha effetto sensibile sul barometro, e
così fatto modo potrà utilmente applicarsi anche al termometro fotografico.
Ho preferito fotografare la variazione barometrica, nella sua naturale gran-
dezza; ma si potrebbe con eguale facilità, ottenerne la fotografia molto in-
grandita, facendo che la luce, dopo essere passata per la fessura, traversi una
delle solite lenti, che dai fotografi si adoperano nelle camere oscure. Però mi
è sembrato che basti la fotografia di grandezza naturale; poiché, sicuri della sua
precisione, possiamo ingrandire sulla carta la scala come vogliamo, guardando
con una lente la fotografia stessa , ed inoltre applicando alla scala medesi-
ma, così fotografata, un micrometro, od un nonio, per valutare anche le frazioni
di millimetro. Al termine di ogni ora, l’orologio produce un ecclissamento di
luce, per un tempo brevissimo, sul margine della carta sensibile, e così ven-
gono fotograficamente manifestate le ore sulla carta medesima senza che le divi-
sioni della scala fotografata, sieno interrotte dall’eclissamento stesso. Le di-
visioni millimetri sono fotografate sulla carta , senza veruna incertezza o
sfumatura, lo che aggiunge molta precisione, per numerare le variazioni delle
altezze barometriche, come ognuno potrà da se verificare, osservando le foto-
grafìe di molti giorni da me ottenute colì’indicato metodo, e che ho l’onore
presentare all’accademia.
Il meccanismo esposto dà modo eziandio come rimaner convinti, della esat-
— 75 —
tezza, che accompagna le indicazioni sue; giacché in esso avvi mezzo per leggere
ad ogni dato istante, queste indicazioni direltamente sulla scala di vetro al ba-
rometro annessa, e quindi paragonarle con quelle fotografate, relative al me-
desimo istante; così vedrà ognuno , ehe le indicazioni lette direttamente ,
coincidono a puntino con quelle fotografate, lo che offre una sicurezza grande.
Con questo mezzo si avrà la certezza che adoperando istromenti fotografici
si è dispensati assolutamente dalle osservazioni dirette , ciò che non è per-
messo cogli strumenti registratori meccanici come giustamente ha osservato
il Sig. Sainte Claire Deville (*).
La carta è preparata con quattro bagni; il primo si compone di azo-
tato di argento ed acqua; il secondo di joduro di potassio ed acqua; il terzo
di cera, jodio, ed acqua di ragia; ed il quarto di azotato di argento , acido
acetico, ed acqua. Lo sviluppo della negativa è fatto con un quinto bagno ,
composto di acido gallico, acido acetico, ed azotato di argento. La fotografia
viene fissata con un sesto bagno d’iposolfito di soda.
Non conosco se questo chimico processo, che produce ottimo effetto, coin-
cida in tutto con altri già praticati.
Pubblicherò quanto prima una memoria, nella quale farò conoscere, le for-
mule da me calcolate, relative ai diversi modi, coi quali si può compensare
automaticamente, l’effetto della temperatura dell’ambiente sulla barometrica
colonna di mercurio , come ancora qualche altra circostanza del meccanismo
sopra indicato.
(*) Cosmos 3. Sèrie, t. 4°, p. 485 année 1869.
Osservazioni del P. Secchi sulla comunicazione precedente
frinita la lettura del Sig. Prof. Volpiceli! il padre Secchi chiese la pa-
rola, e domandò in che questo sistema di barometro fotografico differiva da
quello usato altrove , p. es. ad Oxford , giacché a lui pareva identicamente
la stessa cosa, salvo che la compensazione pel calorico qui non era spiegato
come fosse fatta, mentre colà ad Oxford è eseguita in modo assai ingegnoso.
Inoltre osservò che l’invocare il meteorografo di Magellano è l’ invocare
un’idea e un progetto che non ha mai, avuto effetto pratico e per alcune sue par-
ti non poteva aver luogo, (*) per stabilire una superiorità imaginaria sui meteo-
rografi moderni, che cosi non avrebbero più merito di invenzione, mentre sono
tanto diversi : se non fosse altro per l'uso dell’elettricità che a quel tempo
nè anche era conosciuta. L’ applicazione di questo agente alla meteorografia
costituisce un progresso reale e talmente diverso che non è permesso di con-
fondere in un fascio tutti i meteorografi meccanici e dichiararli come fa il
dotto disserente come tali che non sono al livello della scienza.
Per dimostrare che non sono al livello della scienza bisogna provare
che sono difettosi e che non danno indicazioni precise e sufficienti onde
sono indispensabili i fotografici. Il che il Prof. Volpicelli non potrà mai
provare. Nè questo può concluderlo dall’ autorità di nessuna nazione o per-
sona che li usi e preferisca , ma dal loro intrinseco merito. Ora non sa-
rebbe diffìcile provare che anche nei barometri e strumenti grafici per fo-
tografia vi sono molti e gravi difetti. I termometri hanno almeno un vo-
lume 4 volte maggiore di quelli usati nel meteorografo del Collegio Romano.
La scala non è ingrandita, e se lo è non conserva i valori proporzionali per
tutto almeno in alcune costruzioni : sempre sono alterate dai moti delle
carte nel disseccarsi: vi è il difetto di parallasse, rapporto al lume: nei grandi
movimenti spesso escono di scala, spesso manca del tutto e riesce ilìegibile
l’impressione, e non può accorgersi del difetto che dopo, quando non è più
tempo di rimediarvi: bisogna fare tante figure separate, quanti sono gli stru-
menti ecc. ecc.
(*) Y. i Comptes Rendus tom. LXV. pag. 443 e seg. ove ciò è dimostrato.
— 77 —
Sopratutto poi la spesa del primo impianto, e della manutenzione è di
assai superiore a quella degli altri strumenti, e questo è un punto grave per
gli uomini di buona volontà. Quindi gli pare che sia una critica esagerata
quella di rigettare in fascio questi strumenti , come al di sotto del livello
della scienza. Non toccheremo gli argomenti di autorità, perchè questi nulla
concludono nel fatto nostro , e potremmo bene opporre autorità ad autorità
anche tra gli inglesi, alcuni de’ quali sedevano pur giudici del meteorografo
all’esposizione di Parigi del 1867.
In quanto all’ asserzione che nessuna publicazione utile si è fatta con gli
strumenti grafico-meccanici, noi diremo esser ciò assolutamente inesatto , e
falso. Le osservazioni orarie di Vienna, Praga, Bruxelles ecc. e alcune stesse di
Greenwich come pel vento ecc. Non sono punto fotografiche, ma meccaniche.
Le fotografiche per gli strumenti meteorologici non si fanno che dov e
esiste pei magnetometri un laboratorio apposta perchè allora poco di più
cresce il lavoro. È ben altro fare un saggio di una settimana, e di uno stru-
mento, e altro farlo per uso continuo di anni e di molti strumenti.
Sono sempre però fuor di questione i magnetometri, nei quali anche il
P. Secchi è d’accordo che la sola maniera esatta è la fotografìa, e da molto tempo
egli l’avrebbe istituita se ne avesse avuto i mezzi, ma è stato spaventato
dalle spese, e ciò che ha veduto e saputo a Kiew, a Firenze e a Stonyhurst, ove
ha bene esaminato tutto per minuto, lo ha persuaso che colle sue forze sole,
come ha fatto finora quello che ha fatto , è nell’assoluta impossibilità di
riuscirvi. E anche qui potrebbe con gravi autorità entrare a discutere la utilità
della fotografìa più a fondo, ma non è luogo.
Se poi la critica del manco di pubblicazioni pretendesse riferirsi al Col-
legio Romano, il P. Secchi si fa un onore di informare chi noi sapesse, che
per varii anni ha pubblicato le curve de meteorografo ridotte col pantografo
profittando del vantaggio che tutto è riunito in una sola tavola dalla macchina,
e che ciò ha fatto a spese sue, ma che questo non ha potuto più fare ulte-
riormente per mancanza di mezzi; però esso è pronto a farlo quando piaccia
all’ Accademia sopperire alle spese, essendo i materiali sempre pronti.
Il prof. Volpicelli, dopo queste osservazioni del p. Secchi , dichiarò che
per le medesime nulla egli trovava da dover cangiare su quanto aveva co-
— 78 —
municato, relativamente al barometro fotografico da esso construito; ed anche
riguardo alla preferenza, che il medesimo professore credeva doversi dare alla
fotografia, nelle meteorologiche ricerche. Inoltre il Volpicelli promise, che nella
prossima tornata, egli avrebbe risposto completamente, alle valutabili osser-
vazioni del p. Secchi.
COMUNICAZIONI
La Santità di N. S* si degnò inviare in dono all’accademia, nove volumi
legati con lusso, e contenenti le più ragguardevoli pubblicazioni del nostro cor-
rispondente straniero signor conte di Saint Venant. L’accademia manifestò i
sentimenti della maggiore gratitudine per l’indicato dono sovrano. I titoli delle
pubblicazioni medesime, si trovano registrati completamente nel bullettino bi-
bliografico posto in fine.
Le belle arti avendo perduto un loro luminare, colla morte del coni. Luigi
Poletti, che appartenne all’accademia nostra, come socio ordinario di essa, ebbero
luogo a suffragarne l'anima due funerali, uno in S. Maria in Aquiro, 1’ altro
nella Chiesa di S. Luca; e tutta 1’ accademia dolente , prese parte a questi
suffragi.
CORRISPONDENZE
Coll’ ossequiato dispaccio del 25 giugno 1869, N.° 3980, l’Emo e Rmo
Camerlingo di S. R. C., protettore dell’accademia, e per esso l’Emo e Rmo
sig. Cardinale Antonelli, fece noto, al sig. presidente, che la Santità di N. S.
si era degnata benignamente apporre la sua sovrana sanzione , alla nomina
fatta non ha guari dall’accademia, dei quattro membri ordinari, per formare
la nuova commissione di censura, la quale perciò si compone attualmente dei
seguenti..
Monsignor F. Nardi — Prof. cav. L. Respighi — Prof. cav. V. Diorio —
e R. P. A. Secchi.
11 medesimo porporato , coll’ onorevole dispaccio del 25 giugno 1869 ,
N.° 3981, rende consapevole il nostro sig. presidente, avere il S. Padre ap-
provato, che abbia l’accademia di nuovo eletto alla presidenza, il sig. cavaliere
prof. R. Viale Prelà. Contemporaneamente l’Emo Card. Antonelli scrivente,
fa osservare, non essere stato conforme alle norme degli statuti, ripetere la
votazione come si fece nella indicata elezione per sostenere il principio del-
l’assoluta maggioranza di voti, principio che non è dalle norme stesse prescritto.
Il sig. ingegnere Luigi, Sereni con una gentile sua lettera, offerse in dono
all’accademia, il ritratto del suo padre Com. Carlo, nostro collega ordinario,
che cessò di vivere con rammarico universale, tanto per la grave perdita che
arrecò questa morte alla pubblica istruzione, quanto perchè formava egli colla
sua dottrina, uno dei principali ornamenti di questo accademico consesso. I
Lincei gradirono al sommo 1’ indicato dono , decretando che il ritratto di
questo illustre loro socio fosse, collocato nell’aula delle sessioni, e che un rin-
graziamento fosse inviato al donatore di lui figlio.
La R. Università di Norvegia comunicò la morte del prof. Dr. Michele
Sars, illustre zoologo, avvenuta nel 20 di ottobre dell’ 1869.
Il sig. Wiedmann, bibliotecario della R.accademia delle scienze di Monaco,
accompagna in dono con una sua lettera, parecchie pubblicazioni dell’accademia
stessa, registrate nel bullettino bibliografico posto in fine.
Il sig. Trendelenburg, segretario della R.. accademia di Rerlino, annuncia
il dono di alcune sue pubblicazioni, registrate nel bullettino bibliografio.
Il sig. G. B. Airy, direttore del R. osservatorio astronomico di Greenwich,
ringrazia per gli atti de nuovi lincei da esso ricevuti.
Il bibliotecario di Oxford, ringrazia per lo stesso motivo.
La Reale Società di Londra, per mezzo del suo segretario signor W. H.
Miller, egualmente ringrazia.
Il sig. Axel Erdmann, direttore delle ricerche geologiche della Svezia, fa
giungere in dono le pubblicazioni dal fascicolo 26 al 30, della carta geologica
di quel regno, coi relativi schiarimenti.
La Società delle arti e dell’archeologia di Ulma, per mezzo del suo se-
gretario sig. Dr. Adam, invia le sue pubblicazioni, e prega onde avere quelle
dei Lincei.
La R. Società delle scienze di Upsala, mediante il suo bibliotecario sig.
— 81 —
Robmalen, ringrazia per gli atti dei nuovi Lincei da esso ricevuti, ed in pari
tempo invia le sue pubblicazioni.
Il direttore dell’osservatorio fìsico centrale di Pietroburgo, e per esso il
sig. Riscatcheff, invia gli annali dell’osservatorio stesso pel 1865.
L’istituto Smitsoniano di Washington, invia le sue pubblicazioni, relative
al 1866, ed al 1867.
L’ imperiale accademia delle scienze di Vienna, per mezzo del suo se-
gretario generale sig. A. Schròtter , fa giungere parecchie sue pubblicazioni,
registrate nel seguente bullettino bibliografico.
L’accademia, delle scienze di Nancy, mediante il suo segretario perpetuo,
ringrazia per gli atti ricevuti dell’accademia nostra.
COMITATO SEGRETO
L’accademia, dietro l’invito del sig. presidente, procedette per ischede alla
nomina del nuovo comitato accademico. Per tanto con maggioranza di voti ri-
sultarono eletti a comporre il comitato stesso, i seguenti soci ordinari: sig.
prof. Cav. G. Ponzi — R. P. D. Chelini— Cav. V. Diorio — Com. A. Cialdi.
Questa elezione sarà sottoposta all’approvazione sovrana
Si nominò eziandio per ischede la commissione , incaricata di fare un
rapporto sul consuntivo del 1869, e sul preventivo del 1870, ed a maggio-
ranza di voti risultarono eletti a comporre la commissione indicata, ì signori
professori: mons. Tortolini — cav. Betocchi — R. P. Secchi — ed E. Rolli.
L’ accademia riunitasi legalmente alle due pomeridiane, si sciolse dopo
due ore di seduta.
11
Soci presenti a questa sessione
D. Chelini — M. Massimo — A. Coppi — E. Rolli — A. Cialdi —
F. Giorgi — Azzarelli — F. Castracane — L. Respighi — Prof. Diorio — >
P. A. Guglielmotti — - P. A. Secchi •*-* P. Volpicelli — B. Viale — G. Ponzi
— L. Jacobini — B. Boncompagni — S. Cadet — B. Tortolini — G. Pieri
— • A. Betocchi.
Pubblicato nel 28 di febbraio 1870.
P. V.
OPERE VENETE IN DONO
Memorie del sig. Conte de Saint-Venant, donate dalla Santità di N. S.
Papa Pio IX.
Le seguenti memorie si trovano nel volume, che ha per titolo : « Mémoires
et Programme de Genie rural et nolices sur tous ses travaux scientifi-
ques jusqu'en 1868 ».
1. Sur la forme à donner aux versoirs de charme.
2. Programme d'un cours de Génie rural.
3. Deuxieme programme d'un cours de Génie rural.
4. Nolice (1858) sur les travaux et titres scienlifiques de M. de Saint-Venant
5. Nolice (1864) Idem.
6. Nolice complémentaire (1868). Idem.
Le seguenti memorie si trovano nel volume che ha per titolo : Rapporls eie.
à l'Académie des Sciences de V Istituì, fails par M. de Saint-Venanl ».
1. Rapport sur deux Communications de M. Tresca, relatives àVecoulement
de solides ductiles.
2. Calcul approché du mouvement des divers poinls d'un bloc duclile pen-
dant quii s'écoule.
3. Solution exacle du problème des mouvements que peuvent prendre les di-
vers points d'un solide ductile ou d'un liquide.
4. Suite à celte solution — Vase parallélipipède — Vase cylindrique.
5. Problème des mouvements que peuvent prendre les divers poinls d'une
— 83 —
masse liquide ou solide ductile, pendant son écoulement et considerations
générales d'hydrodynamique analytique.
6. Rapport sur urie communication relative à l'appareil à V aide du quel ,
AL de Caligny diminue dans une proportion considérable la consumation
d'eau dans les écluses des canaux de navigation.
7. Rapport sur un mémoire de AL Roussinesq relatif à Vinfluence du frot-
tement dans les mouvements réguliers des fluides.
8. Rapport sur un mémoire de AL Maurice Levg relatif à V hydrodyna-
mique.
9. Note sur les valeurs que prennent les pressions dans un solide élastique
isolrope, lorsque fon tient compie des dérivées d'ordre superieur des déplace-
ments très petits que leurs poinls ont éprouvés.
Le seguenti memorie si trovano nel volume intitolato : « Oeuvres diverses
d'hydraulique ».
1. De V aménagement des eaux pluviales pour améliorer le sol et pour pre-
venir les inondalions.
2’ Tables et formules nouvelles pour les eaux courantes, avec application aux
rémour etc.
3. Tables hydrauliques et méthodes graphiques pour les eaux courantes et
leurs rémours.
4. Problème de rémour et des gonflements produits , jusquà de grandes di-
slances dans le cours d'eau .
Le seguenti memorie si trovano nel volume che ha per titolo : « Mémoire
sur la torsion et la flexion des prismes élastiques et sur leur résistances
à divers efforts s'exercant simultanément ».
1. Mémoire sur la torsion. 1865.
2. Premier extrait sur ce sujet. 1847.
3. Deuxieme extrait.
4. Etablissement élémentaire des formules de la torsion. 1858.
5. Travati ou Polentiel de la torsion. 1864.
6. Extrait du mémoire sur la flexion. 1854.
7. Mémoire sur la flexion des prismes , sur les glissements transversaux et lon -
— 8-4 —
giiudinaux qui Vaccompagnent et sur la forme courbe affectée par leurs
seclions. 1856.
Le seguenti memorie si trovano nel volume che ha per titolo: « Oeuvres di-
ter s de M. de Sainl-Venant, tome 1 .
1 . Extraits des mémoires sur la résistence des solides.
2. Sur la pressioni dans V inter ieur des corps, ou à lenir surface de séparation.
3. Sur les flexions considérables des verges élasliques.
4. Equilibre et résislance des corps élastiques , quand les déplacemenls de leurs
points ne soni pas très pelils.
5. Calcul de la résislance d'un pont en charpente.
6. Sur la dynamique des fluides; Elablissement simple et presque sans hy-
pothèses, des formules (géiìérales de leurs pressioni et froltements inlerieurs.
7. Mode d' interpolalion applicable à des questions du mouvement des eaux.
9. Sur Vécoulemént de Vciir determinò par des différences de pressions consi-
derables.
il. <ì.eme note sur Vécoulement de Vair.
13. Lettre à É. le Comte de Gasparin sur le réboisement etc.
14. Sur la dérivation des eaux pluviales.
15. Détermiiìation expérimentale des forces retardatrices des fluides.
16. Sur la perle de force vive d'un fluide.
1 7. Sur la théorie de la résistance des fluides ; solution du paradoxe propose
par d' Alembert aux Géomètres.
18. Formules nouvetles pour les eaux courantes.
19. (Suite) ( Voir aux oeuvres diverses d'hydrauliques in 8.°)
21. lufluence retardatrice de la courbure dans les courants d'eau.
22. Calcul de Vinfluence retardatrice des herbes , des broussailles eie.
24. Mémoire sur les lignes courbes non planes.
25. Mémoire sur les lignes courbes non planes ( Exlrail ).
26. De Vinterprélation géomètrique des clefs algebriques et des dèlerminantes .
27. Méthode pour la résolulion par approximations successives des problèmes
ci deux inconnues posés ou non pósés en équation.
28. Sur la relation entro les neuf cosinus des angles de ' deux systèmes de
trois droites recìangulaires.
29 Tableau de formules de la théorie des courbes dans Vespace.
30. Sur les sommes et les différences géòmètriques ainsi que sur leur usage
pour simplifler la mécanique ét sur la pOssìbililé d' exposer celle scien ce
— 85 —
sans f aire intervenir ces causes secondcs aveugles doni rien ne prouve
Vexislence.
31. Principes de mécanique fondés sur la cinemalique..
Le seguenti memorie si trovano nel volume , che ha per titolo : « Oeuvres
diverses de M. de Saint-Venant. tome 2. #.
1 . Distribution des élasticités autour de cheque point d ’ un solide ou d' un
milieu de contexlur quelconquei particulièrment lorqiiil est amorphe , sans
ètre isotrope.
2. Extrait de ce mémoire sur la distribution des élasticités.
3. Sur le nombre des coèfficients inégaux des formules donnant les compo-
santes des pressions dans Vinterieur des solides élastiques.
4. Formules de Vélasticité des corps amorphes que des compressions ont ren-
dus hétérotropes.
5. Sur les divers genres d'homogénéité des corps solides etc.
6. Sur Vimpulsion transversale et la resistance vive des barres élastiques ap-
puyées aux extrémités , mémoire du 10 aout 1857.
7. Idem article du 21 janvier 1854; au journal VInstitut , 15 février.
9. Troisième complément à ce mémoire.
1 1 . Sur Vélasticité des corps , sur leurs vibrations atomiques et explicalion de
leur dilatation par la chaleur.
12. Sur la vitesse du son dans Vair.
13. Sur les contractions d'une lige en application au frotlements de roule-
ment sur un lerrain élaslique.
14. Vibrations lournantes des verges élastiques.
15. Sur le choc longitudinal des deux barres élastiques des grosseur ou de
malière semblables ou differents et sur la proportion de leur force vive
qui est perdite pour la translalion ultérieure , eie.
Le seguenti memorie si trovano nel volume intitolato: « Mémoires et Opu-
scules de M. de Saint-Venant ».
1. Sur la question de savoir s'il existe des masses conlinues et sur la na-
ture probable des dernières particules du corps.
2. Méthode générate de réduclion des démonslrations à leur forme la plus
simple et la plus dircele.
3. Sur les mouvements relatifs à des systèmes quelconques.
4. Sur la définition de la 'pressioni.
5. Chimie. — Procédé expéditif de dosage du chlore.
6. Pressions développées quand les déplacemenl ne sont pas Irès petits.
7. Frottement de roulement.
8. Ecoulement de Vair.
9. Analyse géométrique des grandeurs dirigées.
10. Moments cubique de Vaires.
1 { . Optique. Grandeur linéaire attribuée instinctivement aux distances dans
les espaces celestes.
12. Résistance des fluides. Solution d'un paradoxe proposé par d' Alembert.
13. Résistance des fluides [Suite). Travail totale des frottements dans un
cours d'eau.
14. Résistance des fluides (2. ame Suite).
15. Théorèmes sur le frottement des fluides.
16. Forces vives décomposées.
18. Chemins de fer à air comprimé.
19. Surfaces à pentes conslanles. Courbes antipar alleles. Faites et Tlialmegs.
20. Torsion des prismes.
21. Tiges élastiques à doublé courbure.
Résumé des Legons données a l'école des ponts et chaussées sur l'application
de la mécanique.
Notice sur la vie et les ouvrages de Pierre-Louis-Georges comte du Ruat.
Altre pubblicazioni dell’autore medesimo, da esso donate all’ Accademia
1 . De Vemploi de la lolle imperméable dans les fond ilions par immersion
[Annales des Ponts et Chaussées, 1834, 1. Dem .)♦
2. Biograghie - Wantzel ( Annales de mathématiques de Terquem, (1849).
3. Séparalion de la Sauldre et du Beuvron, le canal dérivé de la Sauldre
[Echo agricole, 1852, mai).
4. Influence retardalrice des herbes, des broussailles, des arbres eie. , sur
l'écoulement des eaux, principalment de celles qui sont débórdées dans
les plaines pendant les crues des rivières (L'Institut, 22. année, 1854).
5. Divers résultats relatifs: \° A la flexion des prismes dans des plans obli-
— 87 —
ques aux axes principaux d’inertie de leurs sections transversales; 2°. A
la torsion des prismes en général ( UInslitut , 1854 22. an.).
6. Divers résultats relatifs à la torsion d'un prisme à base de triangle éqai-
latéral, à celle de deax prismes oa cyhndres parallèles rendus solidaires
eie. ( Vlnstitut , 28. an. 1855).
7. Sur l'élaslicité des corps , sur les actions entre leurs molécules , sur leurs
mouvements vibratoires atomiques , et sur leur dilatation par la chaleur
( UInslitut , id. 1855).
8. Sur les conséquences de la théorie de l'élasticité en ce qui regarde la
théorie de la lumière [Vlnstitut, 24. an. 1856).
9. Sur la rilesse du son ( Inslitut , id.).
10. Divers résultats élementaires pouvant servir au prompt calcili des mo-
menls d'inertie et des positions des axes principaux des surfaces planes ,
telles que les sections transversales des pièces solides fléchies, et polir ap-
précier à sa piste valeur l'influence des nervures sur les résislances à la fle-
xion et à la ruplure par flexion à égale quantità de matière des pièces pri-
smaliques qui y soni soumises ( Vlnstitut , id.).
11. V élablissement élemenlaire des formules de la torsion des prismes à base
quelconque , obtenues analytiquement ( Vlnstitut , 26. an. 1858).
12. Des conditions pour que six fonclions des coordinnées x,y,z des poinls
d‘un corps élaslique représentenl des composantes de pression, s'exergant sur
trois plans reclangulaire à Vinterieur de ce corps , par suite de petils chan-
gements de dislance de ses parlies.
13. Sur la théorie de la doublé refraclion ( Compie renda des seances de
VAcadérnie — tome L VII, 1863).
14. Choc longitudinal de deux barres élasliques , dont Vane est exlrémement
courle ou extrémemenl roide rapport à l'autre ( Mars 1868).
Rendiconto della R. Accademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli — -
Anno Vili. Fase. 5-10 del 1869.
Memorie dell' Accademia delle scienze dell'Institulo di Bologna. — Serie HI.
Tomo 4 del 1 869.
Rendiconto delle sessioni dell' Accademia sudd. — Anno aceadem. 1868-1869.
Memorie del R. Istituto Lombardo di scienze, e Lettere. (Classe di lettere, e
scienze inorali, e politiche). — Voi. IX. - 2. della serie III: fase. II.
88 —
Memorie del R. Istituto sudd. (Classe di scienze matematiche e naturali). —
Voi. XI. - II. della Serie III.
Rendiconti del R. Istituto suddetto. — Serie II. Voi. II. fase. X - XVI del
1869. •
Memorie del R. Istituto Veneto di scienze , L. ed A. — Voi. XIV. Parte II.
1869.
Alti del R. Istituto suddetto. — Disp. 2; e Disp. 5.-9. del 1868-69.
Alti delV Accademia Gioenia di scienze naturali di Catania. — Serie III.
Tomo II. e III. 1868-69.
Relazione dei lavori scientifici trattati negli anni XXXXI-XL1II delV Acca-
demia suddetta , presentata dal segretario generale C. Sc/uto-Patti.
Atti della fondazione scientifica Gagnola. — Voi. I. parte 1 . ( che abbraccia
il triennio 1867-1869..).
Considerazioni sulla matematica pura ; del prof. Giusto Bellavitis. — ■ Un
fase, in 4. 1867.
Rivista di giornali presentala al R. Istituto veneto dal prof, suddetto negli
Anni 1865-1869. — Fascicolo settimo.
L' Abissinia o Abastia del Mappamondo di Fra Mauro per G. Berchet. —
( Lettera al Comm. C. Negri ). Un fase, in 8. Firenze 1869.
Note Nota sul numero e (base dei logritmi neperiani) per S. Re ali s. —
ingegnere a Torino. Parigi, 1869; Un fase, in 8.
Sull' esistenza delle linee longitudinali dello spettro solare. Nuove osservazioni
fatte da Janssen alle Indie , nella occasione di determinare la materia delle
proturberanze solari. Nota del prof. cav. F. Zantedescui.
Sulla riduzione della lignite e della torba , che abbondano in alcune con-
trade d'Italia, in buon carbone fossile. Memoria del suddetto. — Venezia
1869.
Descrizione dell' Igrotermografo , del R. osservatorio di Modena ; del prof. D.
Ragona.
La caligine atmosferica ; del suddetto. — Modena, 1869. 2. fase. 8. e 12.
Dell' Aneurisma in generale , pel D.r V. Morra.
L'acqua di lauro ceraso nella cura del mughetto , pel sudelto. Generiche con-
siderazioni sulla medicina sperimentale; pel suddetto. — Napoli, 1869. 3.
fase, in 8.
La forza considerata nelle sue principali trasformazioni; per A. Serpieri d.
S. P. — (2. ediz. con agg. e note ). Urbino 1869. Un fase, in 8.
— 89 ».
Meteorologia anconitana dal 1 dicembre 1863, al 30 novembre 1868. — An-
cona, 1868. Un fase, in 8.
Sopra gli aeroliti caduti il giorno 29 febbraio 1868 nel territorio di Villanova
e Molta dei Conti ( Piemonte-Circondario di Casale ). Memorie dei pro-
fessori A. Go/ran, A. Bertolio , A. Zannetti , L. Musso. — Torino, 1868.
Un fase, in 8.
Le aurore polari del 1869, ed i fenomeni cosmici che le accompagnarono.
Memoria del P. F. Lenza. — - Torino 1869. Un fase, in 8.
Ballettino meteorologico delV osservatorio del B. collegio C. Alberto in Mona-
cali eri. — Aprile, Maggio, Giugno, Luglio, Agosto 1869.
Rassegna mensile statistica degli ospedali e della città di Roma. — Anno li.
Marzo, Aprile, Maggio 1869.
Giornale di scienze naturali ed economiche di Palermo. — Anno 1869, Voi. V.
fase. I. e II. Parte 1 . scienze naturali.
La palestra letteraria, artistica , scientifica di Milano. — Anno II. fase. V.
del 1869.
Ballettino meteorologico delV osservatorio del collegio romano. — Voi. Vili.
Giugno, Luglio, Agosto, Settembre del 1869.
Tableau .... Quadro delle dilatazioni per il ealore di diversi corpi semplici
metallici o non metallici , e di qualche composto idrogenato del carbonio
per K. Fizeau. — Parigi, 18 69. Un fase, in 8.
Sur la .... Sulla polarizzazione della luce blu dall' acqua, per I. L. Sorret —
Ginevra 1869.
L’Espagne .... La Spagna scientifica pel Mailly. — Brusselles 1868. Un
fase, in 8.
Contributions XIII. Contribuzione al Magnetismo terrestre , del generale
E. Sabine. — Londra 1868. Un fase, in 4.
Bullettin .... Ballettino della Società imperiale dei naturalisti di Mosca. —
Anno 1868. N. 2.
Nova acta regiae socielatis scientiarum Upsaliensis. — Ser. III. Voi. VI.
fase. IL d. 1868.
Monatsbericht Rendiconti mensili della R. Accademia delle scienze di
Berlino. — » Marzo, Agosto 1869.
The journal .... Giornale della R. Società geografica di Londra. «—-Del 1867.
Voi. 37.
Proceedings .... Memorie della R. Società suddetta. — Voi. XII. N. 2.-5;
e Voi. XIII. N. 3. e 4.
Report .... Rapporto dell ' Associazione britlanica per l' avanzamento delle
scienze. — 1867. e 1868. in 8.
Philosophical ....Transazioni filosofiche della R. Società di Londra. — Voi. 158.
Parte 1. e 2.
Proceedings .... Memorie della R. Società di Londra. — Voi. XVI. N. 101-104;
e Voi. XVII. N. 105-108.
Mómoires .... Memorie della R. Accademia delle scienze L. ed A. del Belgio —
T. XXXVII.
Bulletins .... Bullettini dell'Accademia suddetta del 1869. — Voi. II. Bru-
selles, 1868.
Annuaire .... Annuario dell'Accademia suddetta pel 1869.
Mómoires .... Memorie della Imp. Accademia delle scienze di S. Pietroburgo. —
Tomo XII, N. 4, e 5; e Tomo XIII, N. 1-7.
Bulletin .... Ballettino della I. Accademia suddetta. — Tomo XIII. N. 4. e 5.
Archiv .... Archivio della storia austriaca. — Voi. 40, fase. 1.
Fontes rerum austriacarum. — Tomo XXVIII.
Sitzungsberichte .... Conti-resi della I. Accademia delle scienze di Vienna. —
(Classe fìsica matematica - 2. Sez.) Aprile, Maggio , Giugno 1868 , e
( 1. Sez. ) Aprile e Maggio 1868; e Aprile, Maggio, Giugno, e Luglio 1868
delle ( Classe fìlosofìco-storica ).
Uber Systeme — Sopra i sistemi di funzioni variabili di L. KronecIìer. Ber-
lino 1869 Un fase, in 8.
Om integrationem .... Sulla integrazione delle equazioni differenziali di A.
Steeix. Copenaghen, 1868. — Un fase, in 4.
Verhandlungen .... Memorie dell' Associazione artistica in Cima — Nuova serie,
fase. 1, 1869.
Annual report Rapporto annuale del mutuo per la zoologia comparata;
Cambridge del 1868.
Abhandungen .... Memorie della R. Accademia delle scienze di Monaco —
(Classe matematico-fìsica ). Voi. 10. Sez0 2.
Denkschrift .... Necrologia di Martius del professor C. F. Meisqner. Mona-
co, 1869; — Un fase, in 4.
Uber die Entwicklung Sullo sviluppo della chimica agricola , di Vogel.
Monaco, 1869. — Un fase, in 4.
Annales .... Annali dell'osservatorio fisico centrale di Russia per, l'Anno 1865.
pubblicati da K. Wild, direttore dell' osservatorio. S. Pietroburgo, 1869.—
Un Voi. in 4.
Die Therastcn ....Le specie degli animali di Aristotile per C. J . Sundevall
Slockhólm, 1863; — Un fase, in 8.
Bnìlelìn.... Ballettino della Società Imperiale dei naturalisti di Mosca. N. 3, —
Anno 1868,
Sitzungsberichte Atti della R. Accademia delle scienze di Monaco. — •
fascicoli 3. e 4, Voi. 2. del 1867. - fase. 2, e 3. del 1868. -Voi. 1. -
e 1-4. del Voi. 2. del 1868. - e fase. 1-3, Voi. 1. del 1869.
Ricerche ed esperimenti sulla natura , e genesi del Miasma palustre, esposte
in pente al congresso medico internazionale di Firenze, dal D.r Pietro
Balestra. Roma 1869; — Un fase, in 8.
Per la premiazione solenne dell'Istituto tecnico degli agrimensori e misuratori
di fabbriche, nella sala della Pontificia Accademia Tiberina, il eli 25 feb-
braio 1869. Discorso inaugurale del cavaliere Alessandro Betocchi. Ro-
ma, 1869. — Un fase, in 4.
Le dighe di Porlosaido ed i.1 loro insabbiamento, sino al giorno della solenne
apertura del Bosforo di Suez. Articolo del Commend. Alessandro Cialdi.
Roma, 1869; — Un fase, in 8.
Relation .... Relazione autentica del viaggio del Capitano De Gonneville, nelle
nuove terre delle Indie, publicata interamente per la prima volta. Con una
introduzione e schiarimenti del sig. D.r Ave zac. Parigi, 1869, Un fase,
in 8.
Memoria dei primi principii della meccanica e della geometria in relazione
al postulato d'Euclide di Angelo Genocchi . Firenze, 1869; — Un fase,
in 4.
Sur .... Sul calcolo delle equipollenze. Metodo di analisi geometrica del sig.
Bellavitis, pel prof. J. Flouel. Parigi 1869, — Un fase, in 8.
Sur Su i fatti che servono di base alla geometria del sig. IIelmholtz.
Traduzione allemanna del sig. J. Hoììel. Bordeaux, 1869. — Un fase.
Reale Accademia delle scienze di Torino. Classe di scienze fisiche e mate-
matiche. Adunanze del 20 Giugno 1869. Torino 1869; — 1/4 di foglio.
Intorno all' opera D' Albiruni sull' India. Nota di B. Boncompagni. Ro-
ma, 1869; — Un fase, in 4.
— 93 —
Intorno alla vita ed agli scritti di Francesco Woepcke. Nota di Enrico Nar-
ducci. Roma , 1869. — Un fase, in 4.
Kongl. Svenska .... Nota dei membri dell' Accademia svedese per ordine di
date negli Anni 1866-1869.
Oversigt Atti della Regia Accademia danese delle scienze : del 1867 .
N. 6 e 7 - dei 1868 N. 1-2» 3-4 - del 1869 N. 4.
Det Kongeligé .... Rapporto per V anno 1866 della R. Accademia di Nor-
vegia. Cristiania , 1869.
Hemiptera Africana descripsit Carolus Stul. — Tomus primus-quartus. Hal-
rniae, MDCCCLXIV-LXVI.
Conspectum avium picinarum, edidit Carolus J. Sundevale, custos Musei, Zool.
Stockholmiensis; 1866.
Lefnadsteckningar .... Cenni biografici dei membri della R. Accademia svedese
delle scienze , morti dopo Vanno 1854. Stockholm , 1869, — • Un fase, in 8.
Morkinskinna Libro-pergamena della prima metà del III. secolo. Cri-
stiania, 1867; — Un fase, in 8.
Kongliga Atti della Regia Accademia delle scienze di Svezia 1861, e
1864-1866, e 1867.
Kongliga Viaggi intorno al Globo , della regia fregata Svedese Eugeniat
Stockholm , 1868.
Méteorologiska .... Osservazioni meteorologiche della Svezia , pubblicate dalla
Regia Accademia delle scienze 1866. Stockholm 1868.
Mémoires Memorie della Società delle scienze fisiche e matematiche di
Bordeaux. — Tomo V, e VII.
Extrait .... Estratto dai processi verbali delle sedute della Società suddetta —
(della pag. XVII alla XXXII). Bordeaux. 1869; — Un fase, in 8.
Gomptes .... Conti-resi dall'Accademia delle scienze dell'Imperiale Istituto
di Francia in corrente.
ERRATA
CORRIGE
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Fr. Raph. Arch. Salini Ord. Praed. S. P. A. M. Socius
IMPRIMATUR
Joseph Angelini Arch. Corinth. Vicesg.
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Sezione A.
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Sezione E .
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Sezione G
rapporto di
ATTI
DELL’ACCADEMIA PONTIFICIA
DE’ NUOVI LINCEI
SESSIONE IL* DEL 2 GENNARO 1870
PRESIDENZA. DEE S1G. CAV. BENEDETTO VIAEE PRELA’
MEMORIE E COMUNICAZIONI
SEI SOCI ORDINARI E DEI CORD.I3POKTDEWTJ
Sulla temperatura Solare. — Nola del R. P. Secchi.
ÌIo l’onore di presentare all’Accademia una breve memoria a stampa intorno
alla temperatura probabile del Sole (1). Dall’analisi de’fatti finora conosciuti
risulta che l’astro deve essere ad uno stato di altissima temperatura alla sua
superficie, e molto più nel suo interno. E inoltre che per spiegare questo sì
alto grado non è mestieri di supporre altro primo principio che l’azione stessa
della gravità. L’azione di questa forza, pel lavoro meccanico eseguito nell’atto
della condensazione che si produsse nella massa primitiva gassosa, fino a ri-
durre l’astro al suo stato presente, era capace di produrre tanto calore che
è più che sufficiente a dar ragione della sua attuale temperatura e di quella
molto più alta che dovea avere in origine.
Risulta ancora che senza supporlo invariabile, e senza ammettere delle
cause ignote sulla riparazione del calorico perduto per continuo raggiamento,
il sole può raggiare per più secoli consecutivi, senza che la sua temperatura
diminuisca in modo apprezzabile ai nostri mezzi attuali di misura.
Benché la temperatura potenziale del Sole, come si rileva da questo lavoro
sia di circa 10 milioni di gradi, non ne risulta però che tale debba essere
(!) L’opuscolo è stato pubblicato nella Rivista Urbinate Yob II. N.° 1. luglio 1869.
13
*
— 94 —
la temperatura reale al limite della sua atmosfera; a quel modo che il limite
della nostra atmosfera ha un grado molto più basso della superfìcie terrestre,
altrettanto può esser colà. Poiché i gas avendo pochissima facoltà assorbente
possono lasciar passare una gran quantità di calorico senza investirsene, e non
concepire quella temperatura che concepirebbe un solido ivi collocato. Ciò è
reso oggidì più manifesto dall’ esistenza ben provata dello strato idrogenico
che lo inviluppa , sostanza che non assorbendo che 3 o 4 qualità di raggi
principali deve aver una grande trasmissibilità per tutti gli altri.
Quindi mi sono domandato se non fosse possibile determinare questa
temperatura almeno in modo approssimato senza limitarsi alle sole induzioni.
Le considerazioni seguenti faranno vedere che ciò non è impossibile.
Le osservazioni spettrali hanno messo fuori di dubbio che lo strato esterno
del Sole è formato principalmente d’idrogeno: che questo idrogeno forma uno
strato continuo fino all’altezza di 10 in 12 secondi, cioè 1 2/3 del diametro ter-
restre, ma che si estende molto più in alto specialmente nelle regioni delle
macchie ove sono si copiosi i getti di questo gas sì bene descritti dal sig.
prof. Respighi.
Però l’altezza di questi getti e delle linee spettrali non è la misura precisa
di questo strato che deve diffondersi assai più alto del limite a cui l’incan-
descenza dell’idrogeno dà luogo alle righe spettrali discontinue. La forma stessa
di questi getti che al loro limite superiore sono diffusi e mal terminati (1),
e le righe spettrali dell’ idrogeno terminate in punta , fanno vedere che la
temperatura colà diminuisce colla altezza fino a perdere la facoltà di dare
spettro rigato.
Al di sopra di questo strato deve dunque esistere ancora l’idrogeno ad
assai alta temperatura, benché incapace di dare lo spettro discontinuo. Una
prova diretta che sopra al livello delle cime delle protuberanze esiste idrogeno
è il fatto seguente. Quando si guarda collo spettrometro, una facola che stia
in mezzo al disco, le righe dell’idrogeno non svaniscono, ma solo si restrin-
gono assai: il non isvanire suppone che vi è uno strato di idrogeno assor-
bente che toglie in quel punto le righe lucide della sottoposta protuberanza,
ma solo in parte perchè relativamente più sottile.
(1) Le figure date dal signor Respighi sono ben terminate, ma lo spettroscopio fornito di
più forte ingrandimento come quello da me usato per le macchie e per le stesse protube-
ranze, mostra sempre una diffusione.
— 95
Questo strato benché non luminoso fino al punto da dare righe lucide
dirette, deve però aver luce sufficiente per fare impressioni fotografiche. E di
fatto. Nell’ecclisse dell 860 noi ottenemmo delle fotografie assai nette in cui
era ben decisa f aureola solare che si estende oltre le presuberanze fino ad
ad un’altezza di 6 in 7 minuti, e notammo fin d’allora che nelle regioni delle
macchie essa era più alta e viva che ai poli del Sole , e ciò combina pure
con quanto è venuto assicurando finora il prelodato prof. Respighi rapporto
alla maggior elevazione de’getti di idrogeno da lui osservati.
Questo nostro risultato è stato confermato nell’ultima ecclisse osservata
in America nel 7 Agosto in cui è stata ottenuta la fotografia della corona ,
come noi l'avemmo in lspagna nel 1860. II signor Gould non esita ad am-
mettere che quell’aureola fotografata sia semplicemente la cromosfera. Se questa
sia poi sufficiente a spiegare completamente la corona o nò, è altra questione,
il discuter la quale ci porterebbe troppo oltre. Qui osserveremo soltanto che
con ciò resta provato esser l’atmosfera solare molto più alta che non le strie
vive e isolate delle protuberanze. Quindi anche si vede che lo strato idrogenico
del Sole non ha una temperatura sufficiente a dare le righe luminose in tutta
la sua estensione.
Accennai poc’ anzi che esso deve avere diversa temperatura alle varie
altezze. La prova di questa proposizione l’ho da aleuni fatti spettrali diretti.
In prima. Se in un tubo di Geisseler contenente idrogeno puro, si scarichi un
indultorio di Rhumkorf con debole corrente si avranno le righe fine assai e
capillari: ma a mano a mano che cresce la forza della corrente si vede che le
righe si allargano, restando tuttavia ben definite e nette, fino ad acquistare
una larghezza notabile e ad esser 4 e 5 volte maggiori delle fine di prima.
Ora ciò non può dipendere che dalla temperatura che cresce colla intensità
della scarica. Quindi per converso può fissarsi come sicuro, che l’aHargamento
delle righe spettrali nella base delle protuberanze, rapporto al vertice, indica
una temperatura decrescente coll’altezza.
A confermare questa asserzione è venuta a proposito un’ altra scoperta
importante fatta da me nei medesimi tubi contenenti gas rarefatti.
Tutti sanno che i tubi di Geissler nelle loro diverse sezioni non presentano
lo stesso colore, ma che talora essi nella parte capillare non solo sono più vivi
in splendore, ma anche decisamente di tinta diversa: così un tubo contenente
dell’ azoto rarefatto , presenta una tinta bleu nel tubo capillare e una rossa
nel più largo, con una verde alle punte reoforiche. Ho dunque voluto ana~
lizzare collo spettroscopio queste luci, e sono arrivato a questa conseguenza:
che le luci così ottenute appartengono a spettri differenti , e che se un gas
è di quelli che hanno doppio spettro, si ha lo spettro di 1° ordine nelle se-
zioni larghe, e quello di 2° nelle strette.
Questo l’ho ben verificato nell’azoto avendo ottenuto nella sezione ca-
pilare di 2/a0 di millimetro uno spettro di 2° ordine, ben conosciuto, e a righe
brillanti, mentre nel tubo largo circa 6 millimetri non compariva che quello
di 1 .° Anzi in una sezione intermedia a queste ho avuto uno spettro a righe
più larghe di quelle del 1° ordine, cioè talmente disposte che 8 delle piccole
seanellature che si hanno nel rosso e nel giallo di questo gas, erano sosti-
tuite da 3 sole, che occupavano la stessa estensione.
Ho verificato lo stesso nel Cloro ove nel tubo largo ho trovato lo spettro
di 1° ordine con 3 grosse zone verdi e bleu sfumate, mentre nel capillare ve
ne erano 6. Nel Bromo in cui a poche e larghe che si aveano nel tubo largo
ho veduto sostituirsene molte fine in luoghi differenti da quelle occupate nel
capillare (1).
L’idrogeno stesso non isfugge a questa legge, perchè mentre nel tubo
capillare dà quasi unicamente le 4 righe brillanti solite, nel tubo maggiore
dà bensì le stesse righe ma più fine, e projettate su di un fondo assai più
illuminato e variato , che costituisce lo spettro di 1° ordine di questo gas ,
che non ottiensi isolato che raramente. Accade cioè in esso ciò che ho veduto
nell’azoto, cioè che i due spettri coesistono simultaneamente con certe con-
dizioni di tensioni e forza dell’apparato.
Quello che mi è risultato pertanto da queste indagini, è stato questo: -
che gli spettri nei gas cambiano colla sezione del tubo, e che lo stesso gas
dà diversi spettri sotto la stessa pressione nello stesso tubo per la sola in-
fluenza della sezione. Ora 1’ influenza di questa sezione non può esser altra
che analoga a quella che si osserva pei fili metallici ed altri conduttori, in
cui la temperatura è in ragione inversa del quadrato delle sezioni.
Possiamo dunque ammettere questa legge come la più ragionevole, e che
è appoggiata al fatto ben noto che tutti i mezzi che aumentano la copia nella
scarica elettrica, e danno più elevata temperatura hanno anche diversi spettri.
E qui vogliamo osservare che l’induttorio di Rhumkorf non è punto necessario,
(1) Essendosi rotto il tubo del Bromo non ho potuto fare ulteriori sperienze.
— 97 —
ma che possono osservarsi benissimo questi fatti alla macchina elettrica co-
mune, regolando opportunamente la lunghezza della scintilla, e anzi riescono
molto meglio (!).
Ciò ammesso è facile il calcolare la temperatura relativa che si produce
da una sezione all’altra del tubo in cui è il gas. 11 tubo del bromo essendosi
rotto ed essendo eguale agli altri ancora sani, mi ha dato pei diametri delle
due sezioni ove erano i suoi due spettri i valori 0.w"25 e 6”""00; facendo le
quarte potenze di questi rapporti si trova 333000 circa. Sicché i due spettri
si producono ad una temperatura distanti trecento mila gradi circa.
Ma qui devono farsi alcune osservazioni : la prima è che questa diffe-
renza di temperatura esprime un certo stato di cose in cui questo spettro si
è ottenuto, ma non dice che tal condizione sia ne’unica, ne’essenziale. 1 fatti
provano che vi è una gran latitudine pei limiti delle temperature tra i cui
estremi lo spettro resta lo stesso, e che vi è un punto limite in cui un gas
salta da uno all’altro spettro a temperature non molto lontane. Onde se questi
termini mostrano la diversità delle circostanze in cui hanno luogo le tempe-
rature, non fissano i limiti definiti delle medesime che danno i varii spettri.
La seconda è che non tutti i gas danno con egual facilità questi spettri.
Il Bromo è uno di più diffìcili, ed esige una forte tensione e la bottiglia con-
densalrice per produrli. L’idrogeno invece mi è sembrato il più facile di tutti,
tanto che mentre in un tubo contenente azoto impuro, questo dava lo spettro
solo di 1° ordine, mentre comparivano già le righe del 2° dell’idrogeno per
la scomposizione del vapor d’acqua che esso conteneva.
Dal che concludo che se sapessimo la temperatura a cui un gas dà le
sue righe sarebbe facile dedurne quella degli altri, e quella de’diversi spettri
di uno stesso gas.
Ma quale è questa temperatura ?
Qui sta il difficile, nè io pretendo sciogliere questo problema, ma solo
esporre qualche considerazione e qualche fatto tendente ad arrivarvi.
Primieramente la temperatura dei. gas che danno queste strie è assai
lorte,e maggiore che quella della scintilla che volatizza i metalli, perchè mentre
operando nell’aria la scintilla dà Io spettro metallico delle punte, non dà però
(1) 1 fenomeni d’influenza magnetica sui tubi esposti daTréve nei Cornples Rendus del-
l’Accademia delle scienze di Francia sono di questa categoria, la ripulsione magnetica sul -
l’ idrogeno fortemente diaraagnetico spinge il gas nella parte più lontana del tubo e così
nella sezione vicina virtualmente ristretta ne nasce una maggior elevazione di temperatura
( Nota aggiunta li 16 feb. 1870 ).
quello del gas stesso, il quale essendo solamente incandescente dà spettro con-
tinuo. La prova si ha nell’aureola che accompagna la scintilla delfinduttorio,
la quale può soffiarsi via con un soffietto, mentre le righe metalliche brillano
nel getto rettilineo immobile tra le punte. Lo stesso avviene operando nel-
l’aria rarefatta, tenendo le punte vicine.
Ho fatto scoccare la scintilla in un tubo torrieelliano in cui erano saldate
due punte di platino, e ho veduto nascere molto prima lo spettro del vapore
di mercurio, che quello dell’azoto nella poca aria mista. Introducendo un poco
di vapor d’acqua si avea lo spettro dell'idrogeno solo quando le punte di platino
erano incandescenti al puro bianco abbagliante. Vedo anche che nei tubi di
Geissler la punta del platino estrema è sempre bianca abbagliante. Onde credo
che per 1’ idrogeno non si esiga per avere le sue righe deboli e fine meno
della temperatura di quella che costituisce il platino bianco incandescente, e
quella della decomposizione dell’acqua, che è circa 2500 gradi, e alla quale
i gas sono dissociati.
Ove ciò ammettasi, e prendasi questo grado infimo per la temperatura
del bromo che dà il suo spettro di t 0 ordine, avremo per la temperatura del
2° suo spettro quasi 800 milioni di gradi. Ora questa temperatura non è cer-
tamente inferiore a quella che si ha in un bello spettro di 2° ordine del-
l’azoto, poiché non si esige minor forza per questo che per quello del bromo.
Infatti con un tubo capillare un pochino più grosso di quello del bromo, non
sono mai riuscito con tutta la forza del mio induttorio a ottenere il 2° spettro
dell’azoto, cui otteneva benissimo in un tubo pari a quello del bromo.
A nessuno farà specie credo la spaventosa cifra che ho detto, sapendo
noi tutti quanto forte sia la temperatura di una scintilla elettrica ben piena
di un induttorio lungo 30. c di 13.c di diametro, munito di una bottiglia di
un piede quadrato d’armatura, e 12 pile Bunsen poste a due, a due di gran
modello per elettromotore, che dava scintille dirette di 8 centimetri e più.
Per averne un idea, dirò che dopo un minuto di azione i tubi dell’idrogeno
già non potevansi più toccare colle dita, salva scottatura. Di più avendo immerso
uno di questi tubi in un piccolo vaso contenute 243 grammi di mercurio ,
ne ha rapidamente elevato la temperatura sopra 100° con la progressione
di un aumento di 4° per minuto. L’acqua si è fatta bollire con facilità al-
zandosene la temperatura di 35 grammi a ragione di 2° § per minuto. Se
consideriamo la pochissima forza conduttrice del vetro de’tubi di grosse pa-
reti (2.wm l)e la massa quasi imponderabile del gas rarefatto incluso, esso deve
avere una temperatura realmente superiore ad ogni imaginazione, quando riesce
a dare spettri di 2° ordine.
Se è così, si capisce perchè finora non si sono trovali gli spettri di 2U
ordine dei gas nel Sole, all’ infuori di quello dell’ idrogeno. Dico quelli di 2°
ordine, perchè quelli di 1° sarebbero irriconoscibili attesa la loro debolezza,
e forse sono essi che producono le zone scure in alcune stelle. La ragione
di tal mancanza sarebbe, perchè essi esigono temperatura molto più alta che
non esista realmente in quell’astro (ben s’intende alla sua superficie, la sola
da noi analizzabile), mentre l’idrogeno invece dando le righe di 1° ordine a
temperatura comparativamente bassa, si osserva abitualmente.
Ove queste congetture siano ricevute, avremmo la temperatura appros-
simata di quello strato in cui cessano di apparire le righe idrogeniche, la quale
sarebbe poco diversa da quella della dissociazione dell’ acqua , e dal platino
incandescente cioè 2500°. Non sarebbe quindi più impossibile, come è stato
creduto, che a certa altezza vi fosse anche il vapor d’acqua in stato elasti-
cissimo, come a noi è sembrato averne direttamente osservato le righe spet-
trali di assorbimento.
Ognun vede qual ampio orizzonte ci si apra dietro queste ricerche, ma le
difficoltà pratiche degli esperimenti sono enormi e noi siamo costretti a sperare
che persone meglio di noi fornite possano darci gli elementi necessari! alla
soluzione di sì ardui problemi.
— 100 —
Nuovo sistema di ricerche su le Dialomee, e resultati ottenuti
da quelle nel 1860 dall' Ab. Francesco C astracan e.
La più bella facoltà dell’uomo la mente è per sua natura irresistibilmente
attratta alla ricerca del buono e del vero, che è Iddio Creatore potentissimo e
sapientissimo Ordinatore dell’Universo; e quell’istinto, che mira ad uno scopo
tanto sublime, è appunto ciò, che precipuamente distingue l’uomo da tutte le
altre creature, e ne forma il più bel titolo di nobiltà. Ma un artefice sapientis-
simo deve rivelarsi in ciascuna sua opera con ordinarla convenientemente all’og-
getto al quale deve servire ; per cui la stessa perfezione dovrà riconoscersi
nel più umile lavoro che nella disposizione dell’opera più difficile e più com-
plessa. Da questo consegue la maraviglia ed il diletto che prova chiunque
prende a soggetto di studio 1’ opera della Creazione, sia che prenda a con-
siderare le leggi dell’Universo, sia che si contenti di più modesta ricerca pren-
dendo a meditare il libro della Natura in un solo ordine di esseri appartenenti
ad uno dei tre regni, nei quali quella si distingue.
Chiunque pertanto si compiaccia nello studio di qualsiasi ramo della Storia
naturale dassi a tutt’uomo a riunire la serie dei tipi che ha scelto a soggetto
di ricerca per poterli a bell’ agio considerare e per confrontarne i caratteri
a fine di scolpirseli bene in mente, affinchè valendosi dell’ opera di chi l’ha
preceduto in quello studio , possa di ciascun tipo determinare il genere e la
specie, riconoscendo se per avventura non abbia sott’occhio un esemplare non
ancora notato, il quale costituisca per la scienza un nuovo acquisto e per il
fortunato ritrovatore un titolo di lode.
Ma qui appunto è dove la via, che deve percorrere il naturalista, pre-
sentasi più ardua e più ingombra di intoppi che ne arrestano il passo e ne
pongono a cimento la costanza. Imperocché il constatare i caratteri di un or-
ganismo, se in se non è tanto difficile , lo è bensì il paragonare i caratteri
dell' oggetto, che si ha sott’ occhio, ponendoli a parallelo con le descrizioni
spesse volte non troppo accurate, che leggonsi nelle opere di chi ci ha pre-
ceduto in questi studi. L’opera sarebbe agevolata di molto con notevole ri-
sparmio di tempo quando si avesse da poter consultare buone opere icono-
grafiche, le quali disgraziatamente o sono tutt’ora un desiderato o per il loro
prezzo non sono che alla portata di pochi. Di qui è nato che non vi ha ramo
di Storia Naturale, che non trovisi ingombro di una farragine di nomi diversi
— tot
designanti un’istesso organismo, il quale viene indicato da ciascuno diversa-
mente, ignorandosi che da altri fù già descritto e nominato; senza ricordare
che talvolta lo stesso autore ha altrimeuti nominato lo stesso essere o per
dimenticanza o perchè presentossi accidentalmente sotto altre apparenze.
Tali inconvenienti se hannosi da deplorare da qualunqne studioso del libro
della Natura , non è da maravigliare che si presentino troppo spesso a chi
volle dedicarsi alla ricerca delle tante maraviglie che a dovizia rivelansi con
l’ajuto del microscopio. Fra le alghe unicellulari quelle che fuor d’ogni dubbio
si presentano più atte ad eccitare 1’ ammirazione del Naturalista Micrografo
sono le Diatomee e per la varietà di elegantissime forme e per la minutezza
loro e per l’infinito dettaglio delle parti e per l’indestruttibilità delle loro pareti
silicee. Tutta questa classe di esseri venne rivelata in questi ultimi tempi ,
allorché una nobile gara sorta fra i costruttori di istromenti ottici fece che
il moderno Microscopio acromatico nel subire incessanti perfezzionamenti ar-
rivasse a dare con ingrandimenti inusitati immagini di squisita finitezza. E
fù allora, che i fortunati possessori di così perfetti istrumenti di ricerca ebbero
la sodisfazione di vedere in ogni goccia di acqua in ogni atomo di polvere
in ogni brandello di alga rivelarsi una serie di minutissime forme fino allora
completamente sconosciute, quali essi si affrettarono a far conoscere o aiz-
zandone le forme o descrivendole in brevi cenni. I sucessivi annunzi di tante
scoperte attirarono l’attenzione di numerosi osservatori, i quali ebbero da ret-
tificare le scoperte degli altri; e nella difficoltà di rendersi conto della forma
e rilievo di esseri di così prodigiosa minutezza, viddero o credettero vedere
nuove forme, le quali o perchè ignari di quanto prima di loro venne da altri
pubblicato, o sul fondamento di lievi differenze, i nuovi osservatori alla loro
volta affrettaronsi a nominare. Da questo ebbe origine la moltiplicità di nomi
indicanti la stessa cosa con danno della Scienza, e con gravissimo disagio di
chi intraprende una revisione dei generi delle Diatomee, o soltanto deve oc-
cuparsi della determinazione delle specie.
Tale gravissimo inconveniente fece che molti distintissimi Naturalisti, fra
i quali primeggiò il compianto Professore Walcker Arnott di Glascow, con una
severa critica, ed anche con modi più o meno duri si presero il compito di
frenare la foga dei nuovi osservatori, richiamandosi altamente contro l’avven-
tatezza di chi troppo facilmente e non fondato sopra sicuri argomenti facesse
conoscere con nomi nuovi degli organismi, la novità dei quali non fosse per-
14
fettamonte accertata, o che non avessero qualità ben determinate e costanti
per stabilire un nuovo genere o anche semplicemente una nuova varietà.
Oltre di che con istituire rigorosi e minutissimi confronti fra forme affini
si pretese far manbassa su le molte varietà nominate, ritenendosi autorizzati
a considerare due forme come appartenenti alPistesso tipo e da designarsi con
un solo nome (ancorché trovate in due località distinte) fondati sul solo ar-
gomento di aver riconosciuto una terza forma da poter costituire un passaggio
dall’una all’altra .
Però, se del soverchio ingombro della Sinonimia, detta sotto qualche
riguardo giustamente - I’ òbrobrio della Scienza - fù conseguenza logica la
reazione di quelli che pretendono riformare la nomenclatura delle Diatomee,
riunendo insieme tutte le varietà , che non differiscono troppo le une dalle
altre, io ritengo che in tal guisa si corre rischio di cadere da un’eccesso al-
1’ altro con danno anziché con vantaggio della Scienza, mentre panni minor
danno il differire la revisione della classificazione, rispettando 1’ opera di chi
ci precedette nello studio , piutosto che fondati sopra insufficienti argomenti
venire a distruggere delle specie, le quali, per quanto siano vicine le une alle
altre, qualunque sia fra di loro 1’ apparente affinità, potranno costituire due
specie o varietà distinte , essendo dotate della facoltà di riprodurre indefini-
tamente la propria forma senza mai confondersi con la specie o varietà affine.
Quindi è che sarà più dannoso che utile alla Scienza il por mano ad una
sistematica definitiva distribuzione delle Diatomee in generi specie e varietà
con una completa revisione della nomenclatura, avanti che si siano acquistate
cognizioni certe ed adeguate dei limiti delle specie e del valore diagnostico
dei loro diversi caratteri , il quale stato di cognizioni dobbiamo confessare
essere troppo lontani dall’avere raggiunto fino ad ora.
E valga il vero, chi è che non riconosca e non lamenti la ristrettezza
delle nostre cognizioni intorno le Diatomee? delle quali possiamo dire essere
note le sole forme esterne , ignorandosene quasi completamente la fisiologia
e le leggi biologiche; nè vi è chi si sia occupato di Diatomologia , il quale
non abbia riconosciuto la necessità dì istituire su quelle un sistema di ricerche
diligenti e profonde. Mi sia lecito a questo proposito citare le parole del Quar-
terly Journal of Science nel primo numero dell’anno 1869. Quello nell’accennare
alle osservazioni da me fatte a stabilire che le Diatomee come qualunque altro
organismo vegetale si riproducono per mezzo di germi, nel lamentare la scar-
sezza di nostre cognizioni intorno a quelle così si esprime « It is strange that
— 103 —
« wkilst there are hundreds of Diatomomaniacs (sic) , thè questions of thè
a physilogy and anatomy of these organisms remain so long duhtful ». In
fatti se si eccettuino gli studi fatti dal Professore Max Schultze intorno alla
questione della locomozione delle Diatomee, poco altro possiamo dire di co-
noscerne a meno delle forme esterne.
Ma fra le tante autorità che a tale proposito potrebbonsi riportare la
più competente fuor d’ogni dubbio è quella del fu sig. W. Smith, al quale
si deve il migliore lavoro iconografico che si abbia intorno le Diatomee, quale
è la sua Synopsis of British Dialomaceae. Questi nella introduzione. Voi. I.
pag. XXV1II dice « The oircumstances, which accompany thè Reproduction
« of these organisms and that in so fews species, that it is impossible to employ
« them with advantage in a generic arrangement ». E nella pagina seguente
dopo avere accennato alcune sue idee in riguardo ad una distribuzione siste-
matica delle Diatomee, la quale Esso confessa andar soggetto a molte eccezzioni,
conchiude dicendo, che « a wider study of Diatomaeeous forms will doubtles to
« more accurate and more naturai generalisations ».
Nè da quel tempo questo lamentevole stato di cose ha cambiato ; per
cui il por mano ad una revisione di specie e a correggerne la classificazione
parafi per lo meno prematuro. Quanto fin qui conosciamo intorno alle Dia-
tomee ed alle loro forme diverse non deve riguardarsi altrimente che come
ricca suppellettile scientifica e come documenti preziosi da servire a chi dovrà
scrivere la storia di così interessante Famiglia, contentandoci per ora di tol-
lerarne la soverchiente nomenclatura, la quale non è da ritenersi che come
un provisorio artifizio mnemonico a rappresentare le molteplici forme, delle
quali moltissime dovranno essere in avvenire riunite ; e così ridotte in più
ristretto quadro di classificazione questa verrà stabilita sul fondamento di co-
gnizioni sufficienti, che si saranno acquistate su l’argomento, del quale trat-
tiamo.
Non mi si creda però così stoltamente presuntuoso da pretendere di col-
mare un tanto vuoto: la mia ambizione non è altra che di potere anche io
coadjuvare a un tale intento altri più di me competenti. A tale scopo intendo
presentare quelle osservazioni che ho potuto o potrò fare in proposito, sup-
plendo alla mia pochezza il grande amore che porto aU’argomento e lo zelo
con il quale vi attendo. Pertanto mi sia lecito suggerire a chi intende a queste
ricerche quel sistema di esperienze che io vado eseguendo da oltre un anno,
le quali mi hanno presentato diversi utili e nuovi risultati.
104
1? osservazione fatta che in qualunque bicchiere di acqua dolce conservata
per lungo tempo sotto l’influenza della luce si ottiene Io sviluppo spontaneo
di alghe unicellulari e di minutissime Diatomee mi suggerì 1’ idea di trarne
profitto per sorvegliare incessantemente lo sviluppo di queste. Tale sviluppo
certamente ha luogo in seno alle acque per parte di germi ivi preesistenti o
trasportativi dal movimento dell’aria e del vento. Conseguenza di quella os-
servazione fu il tentare se ancora l’acqua marina dasse origine a simili vege-
tazioni ; e questo venne comprovato dalla esperienza istituitane. Così viddi
potere avere ogniora alla mia portata numerosi e svariati soggetti da studiare
in modo da potermi lusingare di sorprendere le Diatomee nelle diverse evo-
luzioni del loro sviluppo organico , onde arrivare alla conoscenza delle leggi
fisiologiche della loro vita vegetale.
Simili osservazioni potranno in tale modo dirigersi non solo alle molte
specie che si presenteranno spontanee nelle diverse acque, ma potranno per
eguale modo rivolgersi a specie meno frequenti ad incontrare, o che per qua-
lunque titolo ci possano maggiormente interessare; e ciò potrà ottenersi avendo
cura di introdurle in acquarj convenienti. Per tale guisa con replicati confronti
si potrà sperare di determinare l’influenza della diversa composizione chimica
delle acque, osservando le specie proprie delle diverse acque dolci, salate, e
soltanto salmastre, non che delle diverse sorgenti di acque o semplicemente
potabili o minerali» Così potrà trovarsi modo con replicate esperienze parallele
di indagare l’azzione che possono avere i diversi agenti fisici, quali la luce il
calore l’elettricità, al prospero vegetare di cotesti organismi.
Di fatti è ovvio a chiunque si occupa in questo genere di studio che ,
quantunque grande sia la diffusione delle specie delle Diatomee, quantunque
queste possano riconoscersi in ogni località ed in seno a qualunque acqna ,
pure ne è molto diversa l’abondanza che si incontra da luogo a luogo e da
una ad altra acqua ; e così la diffusione e distribuzione delle specie trovasi
soggetta a leggi che sono finora ignote. Possiamo bene ammettere generica-
mente l’influenza del clima e dell’altezza su il livello del mare, quella della
condizione delle acque calde o fredde , scarse o abondanti , tumultuose o
tranquille; ma tutte queste circostanze non bastano a renderci conto , come
una specie vegeti in una sorgente, mentre nella prossima fonte ed in iden-
che circostanze la stessa specie non mai vi si riscontra. Mi sia permesso ad-
durne un esempio. Fin dall’Ottobre del 1863 ritrovandomi a diporto presso
Gubbio in una località detta Monte-Lugliano riscontrai sopra un musco som-
merso in piccola fonte racchiusa fra quattro muricciuoli numerosi frustuli vi-
venti di Achncinlhes che riconobbi per l’A. venlricosa di Ehrenberg, specie che
trovasi notata da Pritchard come proveniente dall’Asia dall’Africa e dall’America,
ma che mai rinvennesi in Europa ed ignoravasi se fosse specie di acqua dolce
o marina (1). Questa specie molto rara io raccolsi abondantemente in quel-
1’ anno e nei seguenti fino allo scorso Novembre , ed ho avuto il piacere di
fornirne quei Naturalisti di mia conoscenza , ai quali poteva interessare , e
sono pronto a fornirne chiunque sarà per domandarmela. L’interesse di quella
scoperta mi ha fatto ricercare in ogni anno le molte sorgenti simili di acqua
dolce esistenti in quella località ed una ancora nell’istesso strato. Tutte queste
si sono presentate ricche in Diatomee , ma nessuna mi ha offerto un solo
esemplare della Diatomea in discorso , la quale egualmente non ho mai ri-
scontrato, in alcuna delle molte sorgenti, che fìuo ad ora ho avuto occasione
di esplorare. Or chi è che non veda in questo caso, che deve esistere alcuna
arcana circostanza, la quale determinò la produzione di quella specie in quel-
l’acqua senza permetterne la diffusione nelle vicine fonti? Così io sono per-
suaso che verrà tempo nel quale per il progresso dalle nostre cognizioni su
le Diatomee, come l’Agronomo riconosce la natura di un terreno dalle piante
che vi crescono spontanee, così il Diatomologo dalle diverse specie delle Dia-
tòmee vegetanti in un’acqua arriverà a dedurne la natura di quella e le pro-
prietà anche allora che irici reagenti chimici non potranno agevolmente svelarla.
Dal sistema poi di continuate ricerche ed ossservazioni sopra organismi
vegetanti in spazi ristretti potrà sperarsi di venire in cognizione dei cambia-
menti nel profilo, nelle dimensioni e negli altri esterni caratteri che le Dia-
tomee specialmente possono subire nel graduale loro sviluppo, e nell’ intero
(1) L' Achnantes ventricosa da me trovata è la specie nominata da Ehrenberg, e non
quella designata da Kiitzing con tal nome, e che a buon diritto il Chiarissimo Professore
Rabenhorst nella Flora algarum Eurcpearum riguarda come sinonimo del YAchnanthes rliom-
boides di Ehrenberg. Questa stessa specie però al dire di Pritchard nella sua History of
Infusoria including thè Desmidiaceae and Diatomaceae , Ehrenberg altra volta la nominò
Monogramma ventricosa. La specie da me raccolta fu determinata da Walker Arnott il quale
per confronto gentilmente volle inviarmi saggio di un deposito della Terra di Aukland, il
quale è quasi esclusivamente formato di questa specie, la quale deve riconoscersi di acqua
dolce, mentre l’Achnanthes rhomboides è specie marina e fù ritrovata sopra alghe del mare
Germanico e del Mediterraneo.
106 —
ciclo di loro vita. Quando saremo arrivati a conoscere se e quali siano in quelle
i cangiamenti regolari e successivi delle forme, allora soltanto si potrà stabilire
quale sia il valore del profilo delle dimensioni e degli altri caratteri esterni
in ordine al determinare i limiti delle specie.
Che le Diatomee al pari di qualunque altro essere organizzato siano soggette
a variazioni nelle forme esterne e nelle dimensioni non panni poterne du-
bitare; quantunque in pari tempo non mi nasconda, che qualche distintissimo
Naturalista abbia creduto sostenere la tesi contraria. Fra i moltissimi argo-
menti che a mio avviso ineluttabilmente dimostrano che le Diatomee nel ciclo
regolare di loro esistenza vanno soggette a cafigiamenti nelle forme esterne
ed a distenzioni e dilatazioni delle loro pareti, mi contentarò per ora di sce-
glierne uno. Nell’ osservare la prima centuria delle preparazioni tipiche di
Diatomee, che con ottimo accorgimento e con profitto grandissimo degli studiosi
vengono per sottoscrizione publicate dal distintissimo Naturalista sig. Teodoro
Eulenstein di Stutgarda, in una preparazione di Ortliosira Dickiei ebbi l’opor-
tunità di riconoscere il valore scientifico delle figure che disegnate dal signor
Tuffen West rendono la Sinopsi delle Diatomee Britanniche la megliore delle
diverse opere iconografiche, che su tale argomento abbiamo da consultare. Nella
Tav. Ili del 2° voi. alla figura 335 viene con ogni diligenza ritratto un sin-
golare processo , che ha luogo in questa specie. Esso rapresenta una forma
elipsoide, che il Signor Thwaites riguarda secondo me non a torto come un
frustolo spopangiale, e la fedeltà del disegno delle diverse forme ivi ritratte
mi risultò dal confronto esatto istituito con la preparazione tipica dell’ Eu-
lenstein. Quelle forme elipsoidi pertanto vedonsi risultare dal rigonfiamento di
una cellula centrale in un filamento composto da una sucessione di cellule
cilindriche simili. II dilatarsi della cellula centrale avviene principalmente nella
direzione dell’ asse in modo da forzare le due sucessive pareti laterali o su-
perfìcie di unione, le quali spinte nell’ istesso verso alla loro volta vanno a
deformare similmente le cellule vicine. Così ne risulta la formazione di un
ampia cellula fusiforme mediana, occupante con i suoi due vertici la cavità
di più cellule vicine; e tutto questo ha luogo con notevole distenzione delle
pareti delle cellule deformate. Ora chi è che non veda in questo caso una
azione successiva, una successiva modificazione della forma esterna? se dunque
le forme esterne possono ingrandire distendersi e modificarsi, non potrà aversi
nell’esterna configurazione delle Diatomee un carattere distintivo e diagnostico,
sul quale fondare la determinazione di una specie, a meno che non ci siamo
107 —
prima reso preciso conto della variabilità di quelle nel percorso dell’intero ciclo
vegetativo delle specie diverse.
Però la natura stessa di simili ricerche rivolgendosi su esseri di così pro-
digiosa picciolezza quali sono le Diatomee non permette la lusinga che possano
compiersi in breve tempo e da un solo benché indefesso ed acuto osservatore.
Quindi è che io sentendomi men di altri in forza per un tanto lavoro, vorrei
per lo meno incontrare dei cooperatori ad elucidare la storia delle Diatomee
e la loro fisiologia , la quale potrebbe forse pei* analogia render conto della
natura e sviluppo della cellula, che è 1’ origine di ogni organismo. A dimo-
strare pertanto come il sistema di ricerche da me proposto nella coltura delle
Diatomee in ristretti aequaij possa riescire fecondo di utili insegnamenti e
risultati mi sarà permesso il riportare qui brevemente le osservazioni raccolte
nello scorso anno intorno alle Diatomee, le quale, o spontaneamente svilup-
parono negli acquarj, o vi furono poste e per lungo tempo coltivate.
Nella Sessione 5a dello scorso anno ebbi già 1’ onore di esporre quanto
mi fù dato osservare ai 15 Febrajo in una Podosphenia rinvenuta in un bic-
chiere di acqua marina attinta a Civitavecchia ed esposta da un mese all’in-
fluenza della luce. Quella Diatomea nello spazio di forse due ore che la sor-
vegliai nel campo del Microscopio, dopo avere presentato un moto di formi-
colio di minime particelle oleose , le quali andarono a riunirsi in due o tre
notevoli goccioline, la vidi subire una interna pressione e prodursi una tur-
gescenza, la quale arrivò fino a determinare una piccola apertura nei due lati
longitudinali del frustulo veduto di fronte, e per una di queste aperture os-
servai sortire successivamente tredici forme ovali costituenti delle cellule per-
fette : e queste mi credetti autorizzato a riguardare come forme embrionali
dell’istessa Podosphenia , destinate a riprodurre per proprio consecutivo svi-
luppo il tipo della cellula madre. In pari tempo credetti analizzare le diverse
circostanze da me in quella occasione osservate, facendo insieme notare alcune
particolarità, le quali per quanto io ne abbia fatto ricerca non ho trovato che
altri prima di me le avesse notate; e specialmente parlai della circostanza del
movimento delle particelle oleose, il quale precedette la sortita degli embrioni;
dalla quale circostanza credetti azardare una interpretazione su la funzione,
alla quale panni destinata la sostanza oleosa nelle Diatomee.
Un bicchiere di acqua di Trevi , dove posi a vegetare un piccolo am-
masso di alghe filamentose e di Diatomee pescato nella grande vasca del-
l’Acqua Paola a San Pietro in Montorio mi porse ripetute volte occasione di
veder© gruppi più o meno numerosi di Diatomee racchiuse in cisti o leger-
mente colorate o jaline. Fra le specie osservate in quello stato trovo registrato
nel mio giornale in data del 4 di Marzo due frustoli o individui del genere
Gomphonema perfettamente riconoscibili dentro una cisti ovoidale in mezzo
ad una sostanza granulare giallastra. In più volte mi fù dato osservare egual-
mente racchiuse in cisti delle Synedre delle Nitschie e delle Cymbelle oltre
alle Navicale. Queste però sinora non si sono presentate altro che in cisti
orbiculari, mentre le altre e specialmente le Synedre erano disposte in fascio
in una cisti ovale. In tali occasioni potei ancora vedere la conferma di quanto
osservai e descrissi nello scorso anno, in riguardo alla organizzazione e for-
mazione di Diatomee prodotte dal plasmarsi della sostanza granulare contenuta
in una spora ; e dalla osservazione della picciolezza dei frustoli racchiusi al
paragone dei gruppi di frustuli dell’ istesso genere evidentemente liberati da
poco dal sacco della sporocisti,. che li produsse, risultò novella prova a di-
mostrare che quelle Diatomee furono prodotte da germi primitivamente an-
nidati in spore.
Il riscontrare però questi o simili fatti nella coltura delle Diatomee in
ristretti vivai sarà purtroppo molto difficile e da rimettersi al caso; e questo
accade per la condizione dei minutissimi esseri , che si tratta di esaminare.
Tale difficoltà diminuirebbe in grande proporzione se ci fosse nota 1’ epoca
approssimativa dell’anno,, nella quale principalmente avesse luogo lo sviluppo
della vegetazione delle Diatomee e le loro stagioni, se pure (come è probabile)
accade in quelle come in tutti gli altri vegetali. Quello che per buona ventura
è più facile è la ricerca su l’influenza degli agenti fisici, come per esempio,
la luce il calore l’elettricità in riguardo alla produzione delle Diatomee; e più
facili ancora da loro stessi si presentano gli esperimenti su la composizione
e natura chimica delle acque con istituire confronti su di acquarj, nei quali
si siano disciolti dei sali,, l’influenza dei quali intendiamo determinare:
In ordine agli agenti fìsici l’inusitata crudezza del freddo che sperimen-
tammo nelle tre giornate del 23, 24 e 25 Gennajo dello scorso anno mi porse
favorevole occasione a constatare la nessuna azione del gelo su le Diatomee.
Non più che tre giorni prima avevo cominciato a notare lo sviluppo spon-
taneo della vegetazione in quattro bicchieri di acqua dolce ed in tre di acqua
marina. Quelli di acqua dolce situati, ad una fenestra esposta a Settentrione
si conservarono nei tre giorni costantemente allo stato di massi di ghiaccio;
però ad onta di questo non potei notare danna alcuno nella vegetazione, che-
continuò rigogliosa. Nè tale risultato può recare maraviglia a chi rifletta a
quanto accade nei mari polari. Le Diatomee, le quali ( come in altra volta
ricordai ) sono dalla Previdenza ordinate a mantenere la salubrità delle acque
somministrando 1’ ossigeno elemento necessario alla vita degli abitatori delle
acque come a quella di tutti i viventi e incontransi specialmente nella va-
stità dei mari, in modo che può dirsi non esistere in seno agli Oceani un’
alga, non esservi banco o scoglio petroso o massa madreporica , contro cui
si sferra l’inpeto dei flutti, che non sia ricoperta di miriadi di Diatomee. Ma
ciò non accade soltanto nei mari caldi o temperati che a compensare forse
l’assenza di altre vegetazioni altrettanto ed anche più pare avverarsi nei mari
polari , e nelle immense masse di ghiaccio colà natanti. 11 Dottor Hooker
riporta che nel mare Antartico fra il 60° e l’80° grado Sud le acque e spe-
cialmente i ghiacci nuovamente formati per si fatta giusa abondano di Dia-
tomee che il mare ne assume una tinta bruno ocracea e questo veniva os-
servato per quanto la vista poteva estendersi dal bordo del bastimento (1).
E questo forse può renderci conto del fatto che le stesse forme di Diatomee
che oggi incontriamo vegetanti nelle acque dei nostri climi temperati, si ri-
scontrano ancora fossili nei terreni, i quali in remotissima epoca soggiacquero
ad un periodo di ghiacci , che distrussero le specie di animali e cangiarono
la flora, mentre quei vegetali o animali non erano organizzati in modo da poter
sopportare tanto rigore di clima.
In ordine all’azione degli agenti chimici su la prodazione delle Diatomee
le esperienze da fare mi si affollarono tanto da tenermi sospeso su la scelta.
Però volli dare principio dall’azoto che è il principio animatore della vege-
tazione. Avevo di già notato come quelle acque che vedevo scorrere su terreni
più ubertosi fossero ancora quelle che generalmente mostravano più rigogliosa
vegetazione di Diatomee e di alghe filamentose. A riconoscere per tanto se
(1) A conferma delia forse nessuna influenza della bassa temperatura su la produzione
delle Diatomee nuovo argomento viene somministrato dal ritrovamento fatto del Tricaratium
articum Brigtwel, nello scorso anno. Questa bella specie fu in grande copia raccolta insieme
alla Biddulphia pulchella , Gray, e a \Y Amphitetras ante diluviana. Ehrbg. dal zelantissimo
cultore degli studj Botanici Professore Nicola Pedicino. Il ritrovamento di quella, che lino
ad ora non si era riscontrata vivente altro ebe nell’ isola Becchey del mare Antartico , e
nell’ isola Vancouver , fù fatto nel Golfo di Napoli : e questo valga ancora a dimostrare
quanto poco sia da attendersi alla circoscrizione della località e alla diffusione delle specie.
15
— no —
questo fatto dovrebbe attribuirsi all’azoto pensai avviare in pari tempo e nelle
identiche condizioni due acquarj ripieni dell’istessa acqua, e dopo averli marcati
con numero progressivo all’ uno aggiunsi due o tre goccie di una soluzione
limpidissima di Guano del Perù, inscrivendone in pari tempo la memoria nel
mio giornale. Nel lasso di pochi giorni la vegetazione ebbe principio nei due
bicchieri, ma in pari tempo fù evidente la più abondante produzione in quello
nel quale vi fù 1’ aggiunta della soluzione azotata di Guano. L’ istessa espe-
rienza con eguale successo fù ripetuta più volte in modo da non potersi at-
tribuire a caso fortuito. Ma si affacciò alla mente l’objezzione che poteva op-
pormisi da alcuno che nella sudetta soluzione vi sono altri principj oltre al-
1’ azoto, e poteva ancora concepirsi il dubbio che qualche forma riscontrata
insieme a quelle nate nell’acquario non fosse una delle tante che non v’è chi
ignori rinvenirsi abondantemente nello stesso Guano. Ad eliminare dunque tali
sorgenti di dubbio istituii altre esperienze e sempre in due acquarj paralleli,
aggiungendo nell’uno una soluzione di azotato di soda, ed in altro caso una
soluzione di azotato di ammonio; nè avvenne una volta sola che non ne se-
guisse l’istesso risultato in guisa da rendermi evidente il principio che l'azoto
influisce favorevolmente su lo sviluppo delle Dialomee.
Una tale osservazione (se pur non vado errato) è un nuovo argomento
a dimostrare la natura vegetale delle Diatomee, la quale d’altronde al giorno
d'oggi non credo che incontri più degli oppositori. Ma un’ altra conseguenza
è da dedursi dagli esperimenti sopracennati e ne discende come corollario, il
quale riferendosi ad una pratica utilità derivante dalle mie ricerche Diatomo-
logiche, potrà servirmi di una prima risposta a tanti, che sentendomi parlare
di quest’ordine di esseri, i quali soltanto da pochi anni si conoscono, affrettansi,
ad indirizzarmi la domanda : quale utilità può attendersi da questo studio ?
II corollario che credo poter dedurre dal principio dimostrato che l’azoto in-
fluisce favorevolmente allo sviluppo delle Diatomee si è che quando una sor-
gente di acqua dolce si mostrerà ricca nella produzione di quelle dovrà ri-
guardarsi come più conveniente a stimolare la vegetazione in un terreno per
mezzo della irrigazione. Tutti gli autori di scritti georgici nel parlare dei grandi
vantaggi che ottiene 1’ agricoltore con irrigare le sue terre e specialmente i
prati avvertono , che a tale uso non tutte le acque sono egualmente utili ,
mentre anzi da taluna può incontrarsene più danno che vantaggio. Questo
avverasi in alcuni casi di acque incrostanti o troppo selenitose , ed in altre
volte avviene per qualità sconosciute di quelle acque e che in mancanza di
più adequate nozioni sogliono da taluno qualificarsi con espressione vuota di
senso per acque crude. Però nel dare l’indicazione della abondanza delle Dia-
tomee in una data acqua per riconoscere questa particolarmente utile nelle
irrigazioni agricole non intendo darmi il vanto di inventore. Altri prima di
me aveva notato il fatto che le acque abondanti in Diatomee erano le più
convenienti nelle irrigazioni; ma ne attribuivano 1’ utilità alla presenza della
silice in stato di estrema divisione, la quale può essere utile nella produzione
del frumento e delle altre graminacee. Io poi senza inpugnare Futilità della
silice, credo meglio che posta l’influenza dell’azoto nella produzione delle Dia-
tomee sia più giusto il riguardare 1’ azoto come il principio al quale devesi
attribuire l’idoneità di un acqua a stimolare la produzione vegetale nei terreni
irrigati con quella.
Tentai ancora riconoscere 1’ influenza che potrebbe avere il ferro su la
vegetazione delle Diatomee, quale lo stato acido o alcalino dell’acqua; ma fino
ad ora non posso dire di averne avuto risultati sicuri e ben accertati. Un’al-
tra osservazione, che credo più interessante, fù quella che sono per narrare,
la quale quantunque non vogliasi riguardare come direttamente spettante agli
acquarj, pure furono questi che mi fornirono 1’ oportunità di farne replicate
esperienze , e possono a qualunque studioso nell’ istesso modo dare agio di
rinnovarle. Nell’ esaminare per lungo tratto di ora il movimento di alcune
Diatomee marine, che con una goccia di acqua salsa avevo sottoposto al Mi-
croscopio quella cominciò a evaporare. A prolungare la osservazione credetti
bene porre presso il vetro sottile che ricuopriva le Diatomee una piccola goc-
ciolina di acqua distillata in modo che questa messa in contatto con quello
ne venisse ad essere attratta per capillarità. Di fatti il vedere una corrente,
la quale travolgendo minutissimi corpicciuoli attraversava il campo del Mi-
croscopio mi diede prova del mescolarsi delle due acque. Le Diatomee, che
in su le prime continuando il loro moto non sembravano darsene per intese,
non tardarono guari a risentire l’influenza dell’ acqua dolce funesta alla loro
economìa, ed in brevi momenti il moto si vidde ritardato e quindi sospeso.
L’azione deletere dell’ acqua dolce in tal caso era evidente ; ma quale era il
disordine, che ne seguiva , e che produceva la morte di quelle pianticelle ?
nelle molte volte che ho voluto ripetere 1’ esperienza ho sempre veduto se^-
guirne un rigonfiamento nelle masse dell’endocroma da rendere più marcati
gli intervalli fra le diverse masse , nè posso dubitare che ciò non avvenga
per un effetto di endosmosi, per il quale l’acqua viene in brevi istanti as-
assorbita ad inzuppare l’endocroma stesso, che aumentando notevolmente di
volume riempie l’intera cavità della cellula; e talvolta la pressione interna che
ne risulta è tale da distaccare le due valve. In ogni caso poi che portisi l’at-
tenzione ad individui ricchi di endocroma 1’ ultimo fenomeno che si osserva
è lo straversamento della sostanza oleosa. Una tale osservazione cade in ac-
concio a confermare il mio modo di vedere e 1’ interpretazione in riguardo
alla funzione principale alla quale è destinata la sostanza oleosa, che fà parte
del contenuto di ogni Diatomee. Nel riferire minutamente quanto ebbi luogo
vedere nella emissione delle forme embrionali della Podosphenia narrai essersi
in su le prime presentato un formicolio di particelle tenuissime, che a mano
mano riunendosi fra di loro finirono per mostrarsi in condizione di materia
oleosa componente due o tre notevoli goccioline. Dissi allora essere io di parere
che Ja sudetta sostanza dovette prima trovarsi divisa fra le masse dell’ en-
docroma a fine di facilitare la formazione della pellicola destinata a racchiudere
come un sacco una di quelle, e così costituire una nuova cellula organizzata
la quale vivendo di vita propria e sviluppando riproduca la forma della cellula
madre, la Podosphenia. Così noi vediamo che l’assorbimento dell’acqua nella
esperienza sudescritta dà luogo alla separazione della sostanza oleosa, la quale
rimane cosi dimostrato essersi prima ritrovata in mescolanza con l’endocroma.
La cognizione di un tal fatto che cioè la mescolanza dell’acqua dolce a
quella di mare o salsa adduce la morte delle Diatomee marine può forse ren-
derci conto delle conseguenze funeste alla salute publica, le quali il più spesso
provansi nelle maremme al dilagare delle acque piovane negli stagni salsi o
salmastri , che formansi nelle parti più depresse del litorale. Ed è precisa-
mente nelle spiaggie sottili ed arenose dove 1’ acqua marina o salmastra in-
paluda per l’accumularsi della sabbia sotto l’azione dei flutti, in modo da formare
un orlo rilevato che gli preclude la via, è lì dove più ricca si mostra la flora
delle Diatomee e più esuberante il rigoglio della vegetazione; per cui tanto ma—
giore necessariamente sarà l’iniezzione prodotta dalla morte di miriadi di quei
minutissimi esseri, i quali quando trovansi in condizione normale non fanno altro
che rendere sane quelle acque, in seno alle quali furono prodotte. Chè il mesco-
larsi delle acque dolci con le salse fosse causa di infezzione e origine di malaria
è lungo tempo da che fù riconosciuto, e fù attribuito alla morte che ne se-
guiva degli infusorj; e perciò si immaginarono e si costruirono dei congegni
ad impedire che le acque del mare rigonfiando si mescolassero alle acque dolci
dei rivi. Però l’esperienza da me istituita e^he chiunque può riprodurre parmi
dimostrare per lo meno con molta verosimiglianza nella morte delle Diatomee
marine per la mescolanza delle acque dolci alle salse una delle cause letali
della malaria. Nè d’altronde è possibile il persuadersi che il principio febrigeno
di quella debba attribuirsi soltanto all’azione di un unico principio di origine
vegetale o animale, e certamente a chiunque vorrà stabilire questa azione
tossica e deletere come dovuta ad un solo principio incomberà il dovere di
dimostrarlo.
Ad argomento di prova, che le Diatomee possano ancora servire a di-
sinfettare le acque, la salubrità delle quali fu compromessa dalla presenza di
sostanze animali corrotte, mi varrà l’addurre un’altra osservazione che trovo
registrata fra le altre nel mio giornale. Uno dei piccoli acquarj marini, dove
erano Diatomee vegetanti accolse una conchiglietta vivente del genere Tellina ,
che io vi posi per curiosità. Questa dopo essersi mantenuta vivente per più
giorni, in mancanza di buone condizioni nel lasso di qualche settimana morì.
Essendomene però avveduto troppo tardi ritrovai il mollusco in stato di pu-
trefazione, e l’acqua ne era orribilmente infetta e corrotta. Avendo però veduto,
che le Diatomee erano ancora vive, volli tentare di riconoscere se quelle con
il loro vegetare avessero potuto curare l’infezione delle acque e renderle per
conseguenza salubri. Ad elucidare tal punto lasciai quel bicchiere o acquario
per diversi giorni sotto l’influenza della luce, e sempre coperto con un vetro:
e fu grande la mia sodisfazione nel riscontrare che l’acqua aveva perduto ogni
cattivo odore da non distinguersi da acqua novellamente attinta; e così le Dia-
tomee, che avevano sviluppato un’azione tanto benefica, seguitarono a pro-
sperare.
Nè con questo posso dire di avere accennato a tutte le osservazioni fatte
a tutti i risultati ottenuti dalla pratica di coltivare le Diatomee in spazj ri-
stretti. In altra occasione renderò conto delle specie diverse di Diatomee ri-
scontrate in tali circostanze, e parlerò delle particolarità che avrò potuto notare
intorno alla loro morfologìa. Parmi però che con quel tanto che ho discorso
io abbia sufficientemente dimostrato la molta utilità che può attendersi da tale
metodo di ricerca per potere nutrire speranza che altri vogliano accingersi
a calcare l’istessa via, per arrivare per quella a scoprire quanto interessa la
storia di queste maraviglie della Creazione.
Sulla Saperda del Frumento - Nota del prof. Luigi Cl.,e Jacobini.
Fra gli insetti che danneggiano il frumento durante il periodo regolativo ,
molti dei quali furono con somma diligenza osservati e descritti dal Patrizio
Ravennate Francesco Ginanni, nella sua pregievole opera » Sulle malattìe del
grano in erba » deve noverarsi una Saperda, la quale avendo invaso nell’anno
testé decorso vaste possessioni nella provincia di Pesaro, arrecò grave danno
alla ditta Costa, in una loro proprietà nel territorio Cerasa, in cui si calcola
sieno stati perduti Ettolitri 400 di grano sopra una superficie di 200 Ettari.
La Saperda è un Coleottero della Famiglia dei Longicorni Silofagi, do-
tato delle abitudini e metamorfosi proprie a questo genere , le di cui larve
sviluppano nell’interno dei fusti, e dei rami tuttora viventi.
Fra le molte specie della Saperda due devono riguardarsi siccome le più
nocive all’agricoltura, e sono la Saperda del Pioppo, ( Saperda Populnea ) di
proporzioni molto maggiori della Saperda gracile ( Saperda tenuis) che dan-
neggia il frumento. Questa allo stato di verme misura 12 millimetri, dimen-
sione che conserva di poi 1’ animale perfetto munito di antenne articolate ,
alquanto più lunghe del proprio corpo. I vermi sono di color giallo ranciato,
hanno testa guarnita di forti mandibole rossiccie nascono dalle uova che sono
deposte dall’animale perfetto il quale essendo munito di ali presceglie alcuni
steli soltanto di frumento in uno stesso cespo, e va a deporle all’estremità di
essi presso le spiche nel periodo in cui sono in fiore: i vermi sviluppano poco
appresso, ed introdottisi nella cavità degli steli, ne rodono la midolla interna,
lasciando intatta la sola epidermide, onde le spiche ingialliscono e curvatesi
cadano al più piccolo urto, sebbene non ancora mature; ed a queste gli agli-
coltori danno il nome di spiche secche (1). Il verme continuando a nutrirsi,
nell’interno degli steli ne fora i nodi e giunto presso la radice chiudesi ottu-
rando la cavità che occupa , con ricciolini della midolla stessa, e così resta
nell’interno della stoppia a 4 o 5 cent, di profondità nella terra, e vi subisce
le trasformazioni ad esso proprie, per sortire alla primavera allo stato d'insetto
compiuto, stato nel quale, seguito l’accoppiamento, vengono deposte da ciascuna
femmina oltre 200 uova, e da queste escono altrettanti vermi per danneggiare
egual numero di spiche.
(1) Istituzioni di Agricoltura di Carlo Berti Pichat Toni. IV. Pag. 790, e 798.
— 115 —
Saperda del Frumento al doppio del naturale
Questo verme infesto invase nell’anno decorso di preferenza i campi nei
quali era stata precedente seminata la Sulla ( Hedysarum Coronarium) però
sembra non possa riguardarsi la precedente coltura della Sulla siccome la causa
della sua invasione , ma soltanto la precedente comparsa della Saperda che
passò inosservata in un qualche terreno limitrofo seminato a frumento, le cui
stoppie, restate nel posto, abbiano favorita la successiva diffusione di essa.
Le seminazioni tardive di frumento riguardansi dal Pizzetta siccome im-
muni dagli attacchi della Saperda (1). Ma sarà sempre ottimo consiglio carpire
le stoppie dei campi affetti, non appena compiuta la messe ed ivi brucciarie,
ovvero aspostarle, quanto più presto si possa se voglionsi destinare a lettiera;
di sequito arare profondamente il terreno per esporre le ninfe che fossero sot-
terra all’azione dell’aria che rende più facile la loro distruzione.
(1) Encyclopédie pratique de l’Agriculteur par L. Moli et Eug. GayotT. 12 Pag. 537.
Dopo la lettura del chino sig. prof. Jacobini, il prof. Diorio, domandata
la parola, indicò avere egli fino dal luglio p. p. consigliato al sig. Costa, di
far bruciare senza indugio, le stoppie nei campi invasi dall’insetto abbattitore
del grano. Non avendone però egli veduto altro che la larva o bruco, non
azzardò determinarne la specie.
Monsignor F. Nardi comunicò quanto sieque
Il sig. Young, ch’ora è in Roma e fu amico, e maestro di Chimica del
Dott. Livingstone, mi communicò 1’ altro jeri un brano d’una lettera dell’il-
lustre viaggiatore, che qui dò tradotta.
Mio caro Young,
Lago Bangweolo 8 Luglio 1868.
« xignese (figlia di Livingstone, ora ospite del sig. Young) vi darà qualche
idea di quello eh’ io fo qui , e Lord Clarendon pubblicherà qualche cosa di
più. Non ho più carta, ma presi a prestito un foglio da un Arabo per tra-
scrivervi dal mio libro di note alcune pagine. Sinora rimasi tra le sorgenti
del Nilo assai più a lungo, che non era uè mio proposito, nè mio desiderio.
Scopersi tre laghi Liemba, Mocro, e Bangweolo; Liemba largo da 18 a 20
miglia (inglesi) e lungo 40; Mocro largo da 80 a 60, lungo 50; il terzo, dalle
rive del quale scrivo, largo 80, lungo forse 100. Le sorgenti del Nilo sono
400 miglia al sud della parte più meridionale del lago Victoria Nyanza di
Speke ( quindi secondo le carte che abbiamo di Speke, e Baker, a circa 9°
lat. sud). Non è poi una sola la sorgente, ma molte. Quattro fiumi entrano
nel lago Liemba , e di là forse nel Tanganyika. Il più interessante è detto
Chambege; esso concorre alla formazione di questi tre laghi cangiando nome
tre volte a 500 o 600 miglia della sua sorgente. Anche il Chambege però
accoglie una moltitudine di affluenti tutti perenni, e tutti considerevoli, cosi
che uno ha 22 passi ( yards ) di largo , e contiene ippopotami ; un’ altro
ancora più largo si versa nel lago Bangweolo, che riceve altri due grossi fiumi.
Lasciando questo lago piglia il nome di Luapula, e accoglie altri tre fiumi, un
de’ quali largo 5 passi, e assai profondo. Si voglie quindi al lago Mocro, dove
si unisce ad altri due fiumi , uno largo 80 passi , così da volervi canotti a
passarlo, e 4 altri minori che hanno da 15 a 20 passi di largo. Uscendo dab
lago Mocro il Chambege muta nome, e diviene Luelaba, che dopo avere ac-
colto altri due fiumi, entra esso medesimo nel Lufira, e ne piglia il nome. Il
Lufira trae la sua origine assai più lontano da Occidente. Tredici altri fiumi
tutti più larghi dell'Isis a Oxford, o dell’Avon a Hamilton concorrono in una
sola sorgente (del Nilo), o sono essi medesimi sorgenti. Alcuni si volgono al
Lago Liemba, 5 al Tanganyika, che deve avere un uscita. Forse il fiume che
n’esce entra nel lago Chowambe, ch’io credo essere il lago del Dott. Baker
1 i 7 —
(cioè quello che il Baker chiamò lago Alberto, Prince Albert Nyanza). Gli altri
(fiumi) passato che hanno, Tanganika si volgono a occidente al Chovvambe.
Questi sono i punti che mi rimangono a esplorare; appena l'avrò fatto partirò
e tornerò a casa ».
Da questi cenni alquanto confusi , senza carta geografica , che li ac-
compagni, senza gradi di longitudine e latitudine, è assai difficile formarsi un’ i-
dea chiara dei lavori delfillustre viaggiatore, al quale appartiene la gloria d’es-
sere il primo che abbia traversato il gran continente africano da Est ad Ovest,
e che ora lo va percorrendo da Sud a Nord. Però paragonando il suo racconto
con quelli di Speke, Burton, e Grant, quindi con quello di Baker, cui dob-
biamo tante preziose scoperte, e massime quella del Lago Alberto, che accoglie
il Nilo al suo uscire dal lago Victoria, ecco le conchiusioni che si presentano:
1) Si conferma un’enorme ricchezza d’acque nell’altopiano centrale africano.
2) Non si mettono in dubbio le scoperte di Speke, Grant, e Baker, che
trovarono essere il Nilo del Cairo, e d’ Assuan quello stesso fiume ch’esce a
mezzo grado nord dal gran lago Victoria. Però sembra che questo stesso gran
lago non sia che il serbatojo delle acque niliache, che vengono da più lontano.
3) Livingstone pone a circa 400 miglia inglesi le sorgenti più meridionali,
il che trasporterebbe le prime e vere origini del Nilo a circa 9° o 10° lat.
Sud. Ciò s’accorda mirabilmente colla situazione indicata nelle carte tolomaiche,
che fanno anch’ esse scaturire il Nilo da due gran laghi a circa 10° o 12°
lat. Sud.
4) Invece se si avverasse la supposizione del Livingstone , che il lago
Tanganyika mandasse le sue acque al Lago Alberto di Baker, converrebbe mo-
dificare la carta dell’ intervallo fra i due laghi , che ora segnano un monte
(Mfumbiro) tra essi, e aspettare i computi ipsometrici, che devono dare l’al-
tezza esatta del suolo interposto. Solo al ritorno di Liwingstone in Inghilterra,
che potrebbe accadere tra pochi giorni, sapremo intera la verità.
Nell’intervallo tra la lettura di questa lettera, e la sua stampa, giunse in Europa un
cenno inviato da un legno da guerra inglese di stazione presso le Coste del Congo. Secondo
esso l’ infelice viaggiatore sarebbe perito vittima della superstizione africana a 300 miglia
dalla Costa del Congo, alla quale si era diretto. Noi esitiamo a prestar fede a questo an-
nunzio, che sarebbe in contradizione colla intenzione, che Livingstone manifestava in questa
lettera di ritornare in Inghilterra pel Zanzibar.
16
Posposta del prof. P. Volpiceli i alle osservazioni del p. A. Secchi, pvbli -
cale nella tornata del 5 dicembre 1869 (1), relative al barometro foto-
grafico della università romana.
Il barometro fotografico fu da me costruito, non perchè sia questo un mio
nuovo trovato, ma 1° perchè i barometrografi meccanici hanno difetti, che
non s’ incontrano in quelli fotografici; e questa mia opinione viene avvalorata
da quanto si pratica in proposito nella Inghilterra. 2.° perchè in Roma, e nel
resto d’ Italia, fino ad ora la fotografia, non fu applicata nel registrare i fe-
nomeni meteorologici , e quindi credo aver fatto cosa utile. Del resto se
il mio sistema fotografico differisca, o no, da quello usato altrove, per es. in
Oxford, a me nulla importa; non essendo il mio scopo la novità, bensì la uti-
lità, cioè l’ indurre in Roma ed in Italia quel processo, che più si trova
livellato colla scienza. Quando avrò interamente reso di pubblica ragione
tutto ciò che riguarda il mio barometro fotografico, allora i dotti compe-
tenti giudicheranno, se questo sia totalmente, od in parte, conforme ad al-
tri sìmili strumenti.
In quanto alla compensazione pel calorico, che il p. Secchi dice giusta-
mente, non essere spiegato come (da me) fosse fatta, mentre colà ad Oxford
è eseguita in modo assai ingegnoso, rispondo che prima di eseguire questa
compensazione , relativa soltanto al calorico dell’ambiente, debbo esaminare
bene, quale dei vari modi , coi quali si può questa eseguire, sia preferibile.
Quindi pubblicherò quanto prima le condizioni algebriche, da doversi soddi-
sfare per ognuno dei sopra detti modi ; giacché senza farsi guidare da for-
mule generali , ma unicamente da tentativi, s’ incontra molta spesa, e si per-
de molto tempo, prima di giungere alla verità. Ciò si è verificato appunto in
qualche caso, di cui non voglio per ora occuparmi; nel quale molti danari,
e molti anni furono perduti, a raggiungere lo scopo, col mezzo di tentativi,
senza neppure occuparsi menomamente della compensazione pel calorico. Dopo
che avrò ridotto le indicate formule alla pratica, introducendo in esse i va-
lori numerici dei coefficienti della dilatazione, allora farò conoscere, quale dei
sistemi di compensazione, sia per me preferibile. E certamente inesatto
(1) Vedi questo voi. p. 76.
dire che il meteorografo di Magellan, non ha mai avuto effetto pratico, e che
per alcune sue parti non poteva aver luogo, come pretende il mio oppositore
di avere dimostrato nei Comples rendus, (t. 65, p. 443, e seg.) Affinchè si vegga
da ognuno, qual valore aver possa questa dimostrazione, basterà leggere il se-
guente brano di Magellan ( Observations sur la physique par V Abbé Rozier,
t. 19 an. 1782, pag. 346, li. 8).
« Il est cependant assez extraordinaire qu’ aucun des auteurs qui ont
» traité de ce sujet , n’aient fait mention de cet instrument ; du moins, je
« ne me souviens pas d’ en avoir vu la description imprimée nulle part, et
)> je n’ai rencontré que deux de ces baromèlres, les seuls, peut ètre, qui exis-
» tent aujourd'hui en Europe. L’un fut fait en 1760 par feu M. Adams ,
» habil artiste de Londres, pour le Roi de la Grende-Bretagne actuellement
)) régnant et alors Prince de Galles; l’autre avoit été commencé peut étre aupara-
» vant par feu M. Jonathan Sisson artiste célèbre de cette capitale. Je trouvai ce
» dernier par hasard, très-bien conserve chez un particulier, j’en fis aussi-tót
» l’acquition et je Pai actuellement chez moi, entièrement achevò sous mes
» yeux, avec quelques changement, qui en rendent la construclion plus avanta-
» geuse. » Si vede quindi essere dimostrato coi falli, che Magellan possedè*
va un barometro a bilancia in attività, salvo che non si volesse ammettere,
che per malafede, abbia travisato egli la verità, con danno dei posteri, cioè
di quei fìsici moderni, che volessero attribuirsi la invenzione di questo istro-
mento. Inoltre possiamo facilmente dimostrare , che il sistema barometrico,
di cui parla Magellan, e quindi anche il suo meteorografo, poteva benissimo
aver luogo, come ha già dimostrato il sig. Radau, e come con maggiore
sviluppo dimostreremo in altra occasione.
Riguardo all’uso della elettricità, conveniamo che V applicazione di questo
agente, fatta con successo la prima volta dal eh. sig. Wheatstone sul me«
teorografo, abbia considerevole utilità. Ma sosteniamo in pari tempo, che la
utilità della fotografia, riesce anche maggiore; cosicché da noi si crede, che
gl’ istromenti fotografici, sieno livellati colla scienza, molto più di quelli mec-
canicamente grafici. Quante volte poi faccia d’uopo, i difetti di questi ver-
ranno da me dichiarati, col nubblicare la memoria, già pronta , sui meteo-
grafi meccanici.
Si asserisce dal p. Secchi che l’utile maggiore della fotografia, non possa con-
cludersi dall'autorità di nessuna nazione o persona ec. Ciò conferma egli col dire
« Non toccheremo gli argomenti di autorità, perchè questi nulla concluda -
no ecc. Noi non osiamo menomamente occuparci di questa opinione, lasciando
che sulla medesima giudichino altri.
Se negl’ istrumenti fotografici si applicarono termometri di troppo grande
volume , si fece male: nè quelli del meteorografo del collegio romano sono di
di volume abbastanza piccolo, nè hanno forma opportuna per obbedire pronta-
mente alle variazioni di temperatura. Oltre a ciò in questi termometri, la
corrente elettrica influisce non poco, a rendere inesatte le indicazioni loro.
Crediamo che si può dare ai termometri fotografici tale forma, e tale volume,
da renderli pronti a raggiungere lo scopo loro.
Si continua dall’opponente coll’osservare, che nel barometro fotografico la
scala non conserva i valori proporzionali per tutto... e sempre sono alterati dai
moti della carta pel disseccarsi. Questa osservazione non può riguardare il mio
sistema fotografico; giacché, come già pubblicai, la scala in millimetri, trac-
ciata sul vetro, è fotografata unitamente alle variazione barometriche sulla
medesima carta sensibile. Inoltre non può concedersi, che la proporzionalità
stessa manchi nelle indicazioni fotografiche ingrandite , perchè altramente
questo difetto dovrebbe, accompagnare qualunque applicazione fotografica; lo
che si riconosce non vero, dai risultamenti di sifatte applicazioni , le quali
si estendono utilmente anche alla topografia.
A proposito di questa proporzionalità, mi permetterò di osservare, che
nel barometrografo del collegio romano, quello di prima costruzione, la propor-
zionalità medesima non si verificava; giacché si trova pubblicato, che in questo
istromento « la scala sarà più stretta per le alte , e più larga per le mi-
nori pressioni, onde a formarla dovranno prendersi diversi estremi inter-
medi » (1). Se questo difetto, nella più recente costruzione delfindicato istro-
mento, ha luogo in minor grado, è perchè in esso fu adottata, più o meno,
la costruzione del barometro del chìaris. p. Cecchi Scolopio.
Si osserva inoltre dal nostro eh. collega , che vi è il difetto di paral-
lasse, rapporto al lume: nei grandi movimenti spesso escono di scala , spesso
manca del lutto, e riesce illegibile l'impressione, e non può accorgersi del
difetto che dopo, quando non è più tempo di rimediarvi : bisogna fare tan-
te figure separate quanti sono gli strumenti, ecc. ecc. Rispondiamo che il difetto
di parallasse non esiste, poiché anche quando la fiamma non fosse distante
sufficientemente, le variazioni fotografate, e contate dalla metà della scala, sa-
(1) Memorie delfOsservatorio del Collegio romano, Roma 1859, pag. 4.
ranno sempre proporzionali alle variazioni vere, come insegna la geometria.
Riguardo poi all’escire fuori della scala, cioè riguardo al non avere la scala
estensione sufficiente, certo ciascuno troverà subito il rimedio, dandole dal
bel principio quella estensione che occorre. Del resto questa osservazione ,
la meno valevole di tutte, ha luogo per ogni possibile istromento, quando non
abbia una conveniente scala. Inoltre il dire che manca spessa volte la im-
pressione, vale quanto immaginare delle difficoltà per voglia di combatterle;
poiché attenendosi strettamente alle regole prescritte, che in seguito saranno
da me pubblicate, il buon successo fotografico non può mancare.
Il dire inoltre « che la spesa del primo impianto e della manutenzione ,
è di assai superiore a quella degli altri strumenti, è una esagerazione. Poi-
ché per quanto appartiene al primo impianto, la spesa relativa è tenue molto;
e qui ricordiamo, che si costruirono meteorografi meccanici di lusso, del prezzo
di 18000 lire (1). La manutenzione poi richiede una spesa* che per la sor-
gente di luce, non supera due centesimi di lira per ogni ora (2). La spesa
poi dei reagenti per le manipolazioni chimiche, riesce anche minore di quella
per la luce. Ognuno vede che questa tenue spesa, non può presentare una
obbiezione seria, considerando la importanza e la esattezza dei risultamenti.
Pel contrario si deve poi valutare il frutto di 18,000 lire, colla manuten-
zione delle molte pile elettriche, necessarie nell’ istromento del Collegio Ro-
mano.
Si attribuisce a noi di avere asserito che nessuna pubblicazione utile si
è fatta cogli strumenti grafici-meccanici ». Ciò fu detto soltanto rela-
tivamente ai meteorografi di Madrid, e di Palermo, che sono di costruzione
uguale a quello del collegio romano, e crediamo di avere detto il vero.
È poi sempre molto azzardato il dire che le fotografìe per gli strumenti
meteorologici non si fanno, che dove esiste pei magnetometri un laboratorio
apposta. Dubitiamo assai, che i 32 termometri fotografici , del comitato di
Kew, verificati da qualche anno, sieno tutti ove si trovano anche osservatori
magnetici.
L’ultima osservazione contro la fotografia pei fenomeni meteorologici, è dell’op»
ponente stesso concepita come siegue « Sono sempre però fuor di questione i ma-
gnetometri, nei quali anche il p. Secchi è d'accordo , che la sola maniera esalta , è
(1) Repertorium far Physikalische Technik, Monaco 1867, voi. 3. p. 36L
(2) Capitolato per la illuminazione a gas in Roma, articolo 45.
— 122 —
la fotografia, e da molto tempo egli Varrebbe istituita, se ne avesse avuto i
mezzi , ma è stato spaventato dalle spese , e ciò che ha veduto e saputo a
Kew, a Firenze, e a Stonyhursl, ove ha bene esaminato tutto per minuto, lo
persuase, che colle sue forze sole, come ha fatto fìrìora quello che ha fatto ,
è nell' assoluta impossibilità di riescirvi. E anche qui potrebbe con gravi au-
torità entrare a discutere la utilità della fotografia, più a fondo, ma non è
luogo.
La mancanza di mezzi, dalla quale tanto fu spaventato il eh. direttore
dell’osservatorio del colleggio romano, è un assersione che non posso discu-
tere. Rifletterò soltanto che colle ultime parole il chiaro nostro oppositore, am-
mette il valore delle autorità, che precedentemente negò, quando fu da me
invocato per convalidare la mia opinione, cioè che gl’istromenti fotografici per
la meteorologia sono preferibili a quelli meccanicamente grafici , e sono più
degli altri a livello della scienza.
Termineremo con queste parole di S. Agostino (Epis. 2B8). « Sunt et alia
)) multa: sed interim de hoc uno cogita Non enim bonum hominis esthomi-
» nem vincere; sed bonum est homini ut eum veritas vincat volentem; quia ma-
» lum est homini ut eum veritas vincat invitum. Nam ipsa vincat necesse est,
» sive negantem, si ve confitentem. Da veniam si quid liberius dixi, non ad
» contumeliam tuam, sed ad defensionem meam ».
— 123 —
COMUNICAZIONI
Il prof. Volpiceli! annunziò che niuna memoria si ebbe dall’ accademia,
relativamente all’ultimo programma del premio Carpi, nel tempo in cui si po-
tevano ricevere queste memorie , secondo quanto venne prescritto col pro-
gramma stesso.
CORRISPONDENZE
Il R. P. Chelini, dopo essere stato nella precedente sessione, del 5 dicem-
bre 1869, confermato membro del comitato pel nuovo triennio; communicò
la sua rinuncia per questa carica, mediante una lettera, in accademia conse-
gnata da esso al sig. presidente.
Fu comunicata la partecipazione della morte del professore Axel Gioac-
chino Ermann, direttore in capo delle carte geologiche della Svezia. La par-
tecipazione medesima giunse per mezzo della consorte, e della famiglia dell’ il-
lustre defunto.
Il sig. Sònubobm, direttore in capo delle ricerche geologiche della Sve-
zia, ringrazia per gli atti dell’accademia nostra da esso ricevuti.
Il sig. Commend. Alessandro Cialdi, fece dono all’accademia di una sua
pubblicazione, intitolata Les jelées de Port-Sa'id et leur ensablement.
Il sig. Prof. Cav. Betocchi, presentò il suo discorso inaugurale, per la pre-
miazione solenne dell’ istituto tecnico degli agrimensori e misuratori di fab-
briche, nel 25 di febbraio 1809.
Il sig. Comm. Alessandro Cialdi, presentò in dono un articolo da esso
pubblicato col titolo : Le dighe di Portosaido, ed il loro insabbiamento, sino
al giorno della solenne apertura del Bosforo di Suez.
Il Sig. D.r Pietro Balestra, inviò in dono le sue ricerche ed esperimenti,
sulla natura e genesi del miasma palustre, esposte in parte al congresso me-
dico internazionale di Firenze.
- m -
L’ accademia riunitasi legalmente alle due pomeridiane, si sciolse dopo
due ore di seduta.
Soci presenti a questa sessione
B. Viale — G. Ponzi — P. A. Secchi — Azzarelli — F. Giorgi — •
A. Guglielmotti — P. Volpicelli — P. D. Chelini — F. Castracane — L.
Respighi — S. Cadet — V. Diorio — L. Jacobini — E. Rolli — B. Bon-
compagni — A. Betocchi — G. Pieri — A. Nardi.
Pubblicato nel 1 S di marzo 1870.
P. V.
DELL’ACCADEMIA PONTIFICIA
DE’ NUOVI LINCEI
SESSIONE III-' DEL 0 IEBBRAR0 1870
PRESIDENZA. DEL S1G. CAV. BENEDETTO VIALE PRELA*
MEMORIE E COMUNICAZIONI
BEI SOCI OB9IHARI E BEI OOBBI8VON9ESTI
Sopra i vantaggi che può trarre lo stato pontifìcio dall ’ apertura del canale
di Suez. — Nota del prof. L. Jacobini.
LI
apertura del Canale di Suez, opera gigantesca che renderà immortale il
nome di Ferdinando Lesseps, il quale con splendida intelligenza seppe imma-
ginarla, e con imperturbabile costanza condurla a fine, fà prevedere cangiato
l’aspetto delle relazioni fra la ricca Asia e la civile Europa, e fu perciò sa-
lutata siccome una preziosa conquista della civiltà odierna, siccome causa di
inaspettata floridezza pel commercio: avvegnaché avvicinandosi l’Occidente al-
l’ Oriente col mezzo di quel canale, che congiunge fra loro il Mediterraneo, il
golfo Arabico, ed il mar delle Indie, rendonsi più facili i traffici, che costitui-
scono uno dei principali elementi della prosperità degli stati.
L’ Asia culla della razza umana, e nella quale ebbero origine le prime idee
di religione e di civiltà, richiamò sempre l’attenzione delle Nazioni Europee,
onde i più arditi navigatori ed i più celebri capitani ne fecero scopo delle
loro più nobili aspirazioni, ed i mercanti tutti dell’antico Mondo, non che i
condottieri degli eserciti agognarono sempre al commercio ed alla conquista
dell’ Arabia, ricca pei suoi preziosi aromi, e pei suoi balsami, ed in pari modo
dell’India feconda per tesori nascosti nel suo suolo, opulenta per celebrate
città, e rinomata per vetusta coltura ed industria, e pei suoi traffici.
L’ istmo di Egitto fu il luogo di convegno dei popoli dediti alla merca-
tura, il Mediterraneo la via delle colonie, del commercio, e delle conquiste,
ed i Romani sebbene disprezzassero le arti della pace, dovettero alla lor volta
17
_ 126 -
occuparsi del gran traffico asiatico, nel quale furono di poi dissipate le so-
stanze pubbliche e private, per saziare ismisurate ed ingorde cupidigie di fas-
to. Ed allora fu che i popoli, sebbene soggiogati, sfruttarono le ricchezze dei
Romani , incominciarono a disprezzare la loro potenza e , rovesciandosi sic-
come torrente impetuoso in Europa, distrussero l’antica civiltà latina, e con
essa ogni politico ordinamento. Decadde perciò il commercio nel Mediterra-
neo, e si fece molto florido nel Mar Nero presso i Greci di Bisanzio, i quali
possedevano vaste provincie nell’ Asia minore, fino a che i Saraceni non fe-
cero rifiorire le arti, le industrie ed il commercio in Europa, riconducendo nelle
acque del Mediterraneo la somma dei traffici orientali , e con essi sviluppò
la floridezza delle città poste sulle sue rive, che poterono e seppero profittarne.
Ma quando la mezza luna apparve sulle torri di Gerusalemme, e di poi su
quelle delle città marittime della Siria, e della Cilicia, venne di nuovo impe-
dito ai popoli d’ Occidente il cammino per 1’ Asia e, chiuso il Mediterraneo,
restò il Mar nero unico asilo al commercio d’ Europa.
Risultati vani gli sforzi per valersi del Mediterraneo, onde pervenire alle
vagheggiate sponde dell’ Asia, si volsero i popoli di Europa a cercar nuove
vie per 1’ Oceano , ed allora fu che il Portoghese Vasco di Gama, avventu-
randosi sopra mare inospitale il 18 Maggio 1498, approdò nelle indiche spiag-
ge di Malabar, inaugurando 1’ odierno commercio coll’ Oriente per la via del
Capo di Buona Speranza.
Il taglio dell’ Istmo di Suez ricondurrà nelle acque del Mediterraneo quel
numeroso naviglio, che da oltre tre secoli avealo abbandonato, e con esso la
maggior parte della mercatura Europea, diretta in oriente a negoziare nelle
contrade del Mar Rosso, dell’ India, della Cina, del Giappone e dell’ Oceania;
e ciò mentre apre ai popoli, che sono sulle rive del Mediterraneo, facile lo
sbocco ai loro prodotti ed al commercio coll’ Asia, rende il sommo dei van-
taggi all’ umana famiglia, facilitando ai Successori di Pietro diffondere le eterne
leggi di verità e di giustizia, agli estremi, e più remoti angoli della terra.
Molto fu scritto e da uomini sommi sopra i vantaggi che potrà trarre
il commercio Europeo dall’ apertura del Canale di Suez, ed a noi piacerà in-
trattenerci soltanto su i benefici, che possono risentirne i popoli soggetti al
pontifìcio governo.
Il cammino alle Indie dai porti del Mediterraneo pel canale di Suez,
potrà compiersi in 2! giorni , o poco più: mentre ne occorrono oltre 50
passando pel Capo di Buona Speranza: quindi molta economia di tempo
127
che è danaro, e si percorre una via molto più sicura per le navi a vela, le
quali passando pel Capo, non potendo costeggiare l’Affrica, sono obbligate a
spingersi presso 1’ America meridionale, al fine di evitare le correnti, e le pro-
celle che dominano in quei mari; e le navi a vapore potranno portare mag-
gior carico di merci, non essendo obbligate a condurre quella provista di car-
bone, necessaria alla più lunga navigazione per la via del Capo di Buona Spe-
ranza. Il viaggio di queste potrà diminuire di oltre giorni quaranta fra an-
data e ritorno : lo che rende meno dispendiosa l’assicurazione delle merci, e
molto più sollecita la vendita delle medesime.
Le condizioni di clima e di suolo dello stato pontifìcio, posto nella re-
gione degli olivi , fanno riconoscere siccome principali prodotti agricoli da po-
ter commerciare i vini, gli olì, i formaggi, e fra quelli delle arti le pitture le
sculture, i musaici, i lavori di orifìceria, le perle artificiali e le fotografìe di
ogni sorta ed in modo speciale quelle dei monumenti, e dei personaggi illu-
stri. Esso trae dall’ estero , e specialmente dall’ Oriente caffè, thè , tabacco
cotone, indaco, legni da tinta, balsami, aromi, gomme resine, cannella, avo-
rio, corteccie medicinali , pelli, penne , tamarindi, cassia, zucchero, ed altre
sostanze che possono pressoché tutte ottenersi dall’Asia e dall’ Oceania, mi-
gliori di quelle che si hanno dall’ America, e per le facilitate communieazioni
si avranno a minor prezzo, ed in cambio dei nostri prodotti.
Dai dati statistici raccolti dagli agenti consolari , risulta che nell’ India
e nella Cina trovasi facile lo smercio dell’olio di oliva e del vino, del quale
ultimo si fa gran consumo dagli europei, che danno preferenza ai vini alquanto
alcoolici; che a Madras sono molto ricercati i vini di Vermuth ed i bianchi
generosi, riconosciuti utili contro le febbri. Nelle coste del Mar Rosso, ad onta
del veto di bere vino presso i seguaci di Maometto, se ne fa molto uso alla
nascosta, ed è ricercato dai Cristiani che vi stanziano. Si ritiene che nel
Giappone trovino facile vendita gli oggetti di orifìcieria, i musaici, ed in ge-
nere i lavori di belle arti, pei quali è a prevedersi richiesta anche nelle ca-
pitali , e principali città delle Indie, della Cina, e dell’ Australia. I formaggi
prodotti dalle grandi masserie di pecore, che pascolano nell’ Agro romano, è
a sperarsi trovino favore nei mercati dell’ Asia, nei quali furono apprez-
zati quelli del Lodigiano , potendosi con molte semplici cure, ottenere nel
cacio di pecora gusto isquisito , che unito al prezzo molto più mite degli
altri di commercio, fa ritenerne sicura la vendita. La perfezione dei vini, e
degli oli , cui attendono da vari anni, con nobile emulazione i sudditi del
— 128 —
S. Padre, e che potrà agevolmente raggiungersi, se i proprietari saran docili
ai suggerimenti della scienza, fà fondatamente sperare, che non rimarranno agli
altri secondi. I vini dei colli laziali , spediti già da vari anni in Inghilterra
ed in America, non solo non si alterarono punto nel loro lungo viaggio, ma
acquistarono quel pregio proprio ai vini navigati, ed alcuni ottennero pre-
mio all’ esposizione di Londra, altri in quella di Dublino, ed altri in quella di
Parigi. E quante volte i nostri vini e gli oli fossero apprezzati, siccome è a
sperare, nei mercati dell’Asia, noi potremo somministrare il carico ai basti-
menti che si diriggono per 1’ Oriente, onde condurci merci presso di noi ri-
cercate. Nel che ci conforta il sapere, che alcune botti di vino di Piemonte,
non rafforzato con alcool , spedite per la via del Capo di Buona Speranza a
Massouak, sebbene rimanessero per lungo tempo in magazzini caldissimi, non
soffrirono alterazione di sorta, e posto in bottiglie, venne dagli Inglesi pre-
ferito ai vini di Bordeaux, e pagato oltre le lire 5 per litro, e quello spe-
dito in bottiglie Barolo, Moscato, e Brachetto, fu venduto per oltre lir. 12
la bottiglia, ed egualmente il Yermuth.
I premi accordati, replicatamente dai Pontefici pel piantamento degli olivi fe-
cero aumentare di molto la coltura di questo prezioso albero , ed è a spe-
rarsi che, fatta eccezione degli anni di estrema penuria, l’olio potrà riguardarsi
siccome un prodotto da asportare ora che il petrolio ed i gas illuminanti
si sostituiscono con vantaggio agli oli da ardere.
Dei quali prodotti potrà ottenersi il massimo xìei profitti, se ne venga
attivato commercio diretto coll’ Oriente, evitando l’ intervento dei negozianti
stranieri, che intendono sempre appropriarsi la maggior parte del guadagno.
Ma le più giuste vedute» ed i più energici propositi» sono insufficienti a com-
piere imprese di tal fatta; e giova sperare che non mancherà il concorso dei
Capitalisti in questa Roma, in cui ogni ragionevole impresa trova accoglienza
e favore.
/
129 —
Storia delle Scienze - Sulle opinioni e sulle sperienze circa il calore del
raggiamento lunare , ed anche stellare. Memoria del prof. P. Vol-
piceli!.
$• 1-
Il fine principale di questa memoria, consiste nel dimostrare che Melloni, ce-
lebre fìsico italiano, fu il primo a rendere veramente palese colla sperienza,
essere il raggiamento lunare non dal calorico disgiunto.
Molti poeti credettero il raggiamento della Luna essere frigorifero ; poi-
ché Virgilio (3. Georg.) dice :
.... quum frigidus aera vesper
Temperat, et saltus refìcit jam roscida Luna ;
ed il Tasso (Rinal. 7, 13) così si esprime :
D’ un tetto pastoral schermo la notte
Farsi i guerier contro 1’ algente Luna.
Il Dante ( Purg . c. xix , v. 1 .). seguendo il suo maestro, disse :
Nell’ ora che non può il calor diurno
Intiepidar più il freddo della Luna.
11 Marini poi cantava :
E già l’argento suo candido e puro,
Fuor dell’ ombra traeva la Dea gelata ;
ed il Guarini (Rime . . . Venezia 1598, p. 83.) poetava dicendo:
Splende la fredda Luna,
E si raggira agl’ infiammati rai
Sempre del Sole, e non s’accende mai.
Xucrezio poi (Iib. V, ver. 640) lasciò scritto :
Et qui reiiciat gelidis a frigoris umbris
Aestiferas usque in parteis, et fervida signa.
Et ratione pari Lunam, stellasque putandum’ st.
§• 2.
Lasciando i poeti, e passando ai filosofi,, troviamo che moltissimi fra i
medesimi, hanno ritenuto giustamente, ma senza dimostrarlo, che il calorico
accompagna la luce lunare. S. Tommaso ha detto « Lux quantum est de se,
semper est effectiva caloris, etiam lux Lunae (2. Dist. 15 , qu. 1. 2).
Pico della Mirandola, il quale nacque nel 24 di febbraio del 1463 , e
morì nel 17 di novembre del 1494 in Firenze, ammettendo nel suo terzo
libro in Astrologiam, la esistenza del calorico nei raggi lunari, si esprime come
siegue : Solis calor ardentior, Lunae vero tepidior . . . Luna remissius quod
intentius Sol efficit. . . . Luna suo ilio exiguo tenuique calore, si quod hu-
midum corpus fluidumque tetigerit solvit . . . Luna vero per apertos tenui
suo calore rarefactosque patentius meatus corporis nocturnum frigus suis quo-
que radiis tentaverunt, in nos uberius intromittens. Hinc enim file, unde multi
falluntur, Lunam frigidam existimantes. . . . ( Ioannis Pici Mirandulae opera
omnia , Basileae 1560, p. 464 . . . 466).
Girolamo Cardano ( Operum t. 3, Lugduni 1663. De rerum varietale, lib.
II. ) aneli’ esso ammette la esistenza del calorico nei raggi luminosi lunari ;
poiché nel citato libro, così egli si esprime ... Ut in universum nil aliud
sit influxus, quam certa caloris caelestis mensura (pag. 32.). . . videtur Sol
omnibus rebus maxime dominavi, ob magnitudinem et lucis copiam : inde
Luna ob easdem causas maxima enim nobis est post Solem (p. 33). . . Mi-
chi autem videtur calorem esse substantiam rad i i side ri s : ac tamen calorem
hunc, cum a lumine sit inseparabilis, qualitatem esse quae corrumpatur . . .
motus caloris causa est (de subtilitate, lib. IV, p. 418) . . . Sed de Lunae
circulo, quod seeum aethera rapiat, non adeo clara quaestio est, fatigari enim
deberet . . . Aut forsan dicemus, quemadmodum acqua m ad Lunae motum,
sic aethera ad primi caeli sponte circumferri initium vero non sine
labore fiere t (p. 419).
Da queste idee si vede, che Cardano riponeva nel calore, il quale accompa-
gna sempre la luce, l’ influsso della Luna ; ed altresì credeva che questo calore,
in essa procedeva dal suo moto, cioè dal suo lavora. Perciò questo bizzarro e
dotto medico fisico, implicitamente riguardava il raggiamento della Luna, essere
lai calorico accompagnato.
Nell’opera intitolata: De triplici ente cursus philosophicus , Leodici Eburon.
1 688, tom. II, pag. 285, cap. 195, auctoreP. Augustino Laurentio societalis
Jesu, abbiamo quanto siegue: Difficultas I. Per quam virtutem coeli influant ?
Quaestio potest procedere de luce, de motu, et de qualitatibus occultis: Unde
dico I: Coeli et corpora coelestia influunt in sublunaria mediante luce. Pro-
batur, quia mediante luce producunt calorem, quo videmus sublunaria cale-
fieri, foveri et vivificari, unde illud celebre: Sol et homo generant hominem ;
ergo etc.
Dices I. Sol, Luna, et stellae non calefaciunt mediante luce, sed per vim
calefactivam distinctam ; ergo etc.
Respondeo negando antecedens, nam si phialam aqua planam, vel chri-
stallinam lentem Soli opponas, eius radii, qui uniti ipsam lentem pervadunt,
post illam ignem accendunt, non per vim calefactivam , sed solum per vim
illuminativam.
Troviamo scritto nell’ opera Naturalis Philosophia. Palavii MDCXCIV,
tom. II, pag. 143, Caroli Renaldini ex montagnoli comilibus, questo brano:
Quod porro de Luna piena dictum fuit , videlicet maiorem calorem indu-
cere , nullius momenti est ; non enim id facit ratione luminis , sed potius
substantiae calidae; nam ut a Sole lumen, hoc est effluvium lucidae substan-
tiae , sic etiam diluvium substantiae calidae ; utque illud sic etiam et istud
reflectit, solumque concomitanter dici debebit per maiorem plenitudinem lu-
cis calefacere.
Nell’opera Alexandri Aphrodisaei, probi., 1. num. 66, eh. 686, abbiamo :
Luna curo quadriforme notetur habitu , primo cum aequa portione divisa
est humida, et aliquantulum calida regit; secundo pleniter orbe calida, quo-
dammodo siccior est ; tertio cum senescit sicca et frigida redditur ; quarto
cum luce omni exhausta silet, frigida, humidaque evadit.
In Alberto Magno (De juvenlule et senectute, trac. 1, cap. secund. eh. 48,
col. 3.) abbiamo: Lunae circulationis differenza est aetatum differentia, quia
primo cum accenditur est calida et humida , ut prima aetas ; deinde fìt ca-
lida et sicca, ut est secunda aetas ; tertio cum humido egrediente deficit ca-
lidum, et sic tertia aetas ; quarto fìt sicca, et sic Luna cadens a plenitudine,
et sic quarta aetas. ,
Nell’opera intitolata: C. Plinii Secundi historia mundi denuo emendata,
aptid Basileam 1535, lib . II, cap. 101. p. $9, questo naturalista e filosofo,
attribuisce alla Luna un calore umido, e dice » id manifestum esse, quod fe-
rarum occisa corpora in tabem vìsu suo resolvat, somnoque sopitis torporem
contractum in caput revocet: glaciem refundat, cunctaque humifico spiritu lu-
xet » Le parole: glaciem refundat » manifestano che Plinio riconosceva il ca-
lore nei raggi lunari. Nella edizione parigina di Plinio, si nota sopra queste
parole <( De calore Lunae multa incassum disputavit Bernardin de Saint Pierre »
(Études de la nature , t. 3).
Macrobio (Saturnalium, lib. VII., cap. 16). così parla «Ergo de corpo-
ribus cunctis Sol ut majoris caloris haurit humorem: lunare lumen, in quo est
non manifèstus calor, sed occultus tepor, magis diftundit humecta , et inde
provenit iniecto tepore, et aucto humore putredo.
Aristotile ( Opera, t. IV, Romae 1668. De generatone animantium, lib.
II, cap . 4., pag. 512.) scrisse: Mensium autem coitus frigidi sunt propter
Lunae defectum , itaque fit ut fines mensium , quatti media , sint frigidio—
res. Il medesimo filosofo ( Ibidem , lib. 4., cap. 10. parag. 4.°, pag. 631 )
dice « Luna autem principium est , propter Solis societatem receptumque
lucis : fit enim quasi alter sol minor. Quamobrem conducet ad omnes ge-
nerationes, perfectionesque »* Inoltre questo filosofo riferisce (ibidem, pag. 598)
« Sol enim per totum annam hyemem atque aestatem facit : at Luna per
mensem id agit ... ». Il medesimo così lasciò scritto, riguardo ai ricci ma-
rini » Argumento est, quod echinis evenit. Habent enim id jam inde ab ortu
naturae, et pleniluniis uberius, et non quia per id tempus copiosius pascun-
tur, ut quidam putant , sed quod noctes tepidiores fìunt propter lucem ple-
niorem. » ( Ibidem. De partibus animalim, li. 4, cap . V, §. 20, p. 130).
Il medesimo Stagirita riferisce « Accidit autem hoc , propterea quod mar-
cescit calidum, quod a Luna est, cum prope jam fuerit facta latio , in quo
facta erit eclipsis. ». (Ibidem, t. 3, Meteorol. lib. 2, cap . VII , pag . 616,
§.17).
Nei Geoponica, opera che consiste in una raccolta di estratti, dedotti dai
scrittori antichi, circa l’agricoltura (lib. VIIy cap. 1). abbiamo « Luna etiam sola
uvas maturas facit, cum calida sit et humida.Nox vera sola dulces reddit »..
Sono parole dei fratelli Quintili, uomini chiari per dottrina, sotto T impera-
tore Commodo, da cui furono messi a morte. A tali testimonianze dirette ,,
possono aggiungersi le indirette, cioè le opinioni di Anassimandro, di Parme-
nide, di Democrito, di Anassagora, degli Stoici, e di altri, che ritennero es—
133 —
sere la Luna un corpo di per se igneo, come può vedersi nelle Eglogae Phy-
sicae dello Stobeo {lib. I.,cap. 27) (1).
Nell’ opera che si attribuisce a Plutarco, intitolata De Placitis philoso-
phorum [lib. II, cap. 25), si trova scritto quanto siegue « Anaximander or-
bem esse ejus (Lunae) novies decies terra maiorem , ut illuni solis, plenum
ignis. Obscurari rotae flexibus. Esse enim similem currus rotae, qua cavam
habeat apsidem et confertum igni unum spiraculum. Nubem Xenophanes esse
constrictam. Stoici confusam ex igne et aere. Plato maiore ex parte igneam.
Anaxagoras, Democri tus ignitum conglobameli tum : quod in se campestri,
montes, et convalles contineat. Heraciitus terram nebula obvolutam. Pithago-
ras etiam ignitum Lunae corpus. (V. Opera que exlant omnia Fiutar chi. Fran-
cofurti ad Moenum 1580,|j. 341).
Plutarco, riguardo alla temperatura del raggiamento lunare sulla Terra ,
si esprime a questo modo « Bine fit ut nec calida nec frigida proveniat (Luna)
ad nos : quod oporteret, si accensio et mixtio luminum fieret: sed sicut vo-
ces regestae magis fuscum reddunt sonum loquentis , ictusque dissultantium
telorum accidunt mollius : ita solis radius latum Lunae orbem feriens, debilis
ad nos, et exilis refluit vi ejus repercussu resoluta ( Opera quae exlant om *■
nia Plutarchi , Francofurti ad Moenum 1580, p. 443, cap. 40). Inoltre il
medesimo filosofo dice » Quippe Lunam moderato tepore lavare corpora, So-
lem ardore suo succum corporum potius ad se rapere ( Ibidem , p. 519 ,
cap. 10).
(1) Giovanni Stobeo, nell’opera che ha per titolo — Mglogarum libri duo , quorum
prior phgsicas, etc. . . . Antuerpiae 1575, ha raccolto le opinioni dei filosofi greci sul ca-
lore lunare. Trascriviamo qui compendiosamente, quanto di più notevole pel nostro scopo,
si trova in questa raccolta, sotto il titolo — De Lunae natura , magnitudine , et figura , pag.
59. « Anaximander circulum esse dixit . . . continentem ignis plenum orbiculum more So-
lis — Anaximenes igneam dixit Lunam — Parmenides quoque igneam, ac Soli aequalem —
Deraclitns scaphae figuram tribuit — Xenophanes nubem compressam dixit — Thales na-
turae terrae — Democritus et Anaxagoras solidum igneum — Diogenes ignem pumiceum —
Jo corpus partim perspicuum, partim obscurum — Berosus orbem semiustum — Ileraclides
et Ocellus terram caligine septam — Pythagoras speculi naturam referens corpus — Em-
pedocles aerem contortum et ab igne compactum — Plato maximam partem igne constare
credit — Zeno Lunam dixit stellam intellectus participem, sapientem, igneam, cum arte eon-
iùnctam — Cleanthes igneae naturae — Posidonius ac Stoici plerique, mixtam, ex igne et
aere, terra maiorem more solis — Chrysippus ignem de aquarum dulcium exhalatione post
solem collectum.
18
— 134 —
Nell’opera intitolata, Diogenis Laertii de vita et moribits philosophorum :
(Lugduni 1561), e precisamente nella vita di Zenone cittico, pag. 446, abbiamo
« Lunam vero plus habere de terra, quippe quae illi proprior est. Nu trivi autem
et haec ignea, et astra caetera ». Nella vita di Pitagora, p. 491, troviamo « Solem
item et Lunam et reliqua sydera deos esse, quippe in illis superare calorem,
qui sit vitae auctor. Lunam quoque a sole illustravi, hominibusque esse cum
diis cognationem , quod et homo caloris particeps sit ». Nella vita di Era-
clito efesio, p. 534, si legge « Defìcere item Solem ac Lunam cum scaphae
ad superiora vertuntur, menstruasque figuras Lunae fieri, dum in illam sensim
verlirur scapila. » Finalmente nella vita di Leucippo, p. 548, troviamo que-
ste parole « lunam paululum ex igne sibi usurpare ».
In Platone ( Opera omnia, Venetiis 1571, p. 393, seconda colonna) si legge
« Nam Lunae radii repercussi nihil calefaciunt, cum in ea virtus aquea do-
minatur.
Nell'opera che ha per titolo « Compilalio Leupoldi ducalus Ausiriae fili j
de aslonim scientia decem tractatns, Auguste Vindelicorum 1489 » si trova
scritto, a pag. 40, in quanto alla Luna « Color ejus subalbus, natura modicum
frigida et humida »
Cade in acconcio qui riflettere, che in genere i poeti, riguardo al calore
lunare, si trovano nel falso, mentre i citali filosofi antichi, sebbene non ab-
biano potuto neppur essi sperimentare, per mancanza di mezzi opportuni, tut-
tavia si trovano nel vero quasi tutti, nell’ammettere il calore lunare. Questa
discordanza di opinioni, sovente si verifica fra gli uni gli altri. Le congetture
sul calore lunare degli antichi filosofi, erano unicamente razionali, e non spe-
rimentali : essi non potevano avvalorarle colla sperienza, perchè la pila ter-
moelettrica, ed il galvanometro, sono scoperte del secolo nostro.
Costantino Papini ( Lezioni sopra il Burchiello, Firenze 1733, p. 24, li. 7
salendo ) riguarda la Luna « cosi fredda che niuno animale campar vi potrebbe ».
Nell’ operetta che ha per titolo: Escursione nel cielo, o descrizione pitto-
resca dei fenomeni celesti, di Paolo Lioy, Milano 1864 (VI, VII della Biblioteca
utile) abbiamo, a pag. 94, la seguente opinione, certo non ammissibile dalle mo-
derne dottrine « Essendosi (la Luna), per la (sua) piccola massa, prontamente
raffreddata, le chimiche vicende la commossero assai meno che la Terra, origi-
nandovi sostanze meno dense; la temperatura frigida, gelata opponendosi alle
evaporazioni, la mantiene spoglia di atmosfera. » Ma invece pare, dalle ricerche
di Herchel, che la temperatura delia Luna, sia superiore a quella di 100 gradi.
Pel contrario nella medesima operetta, pag. 96, troviamo che « per quindici
dei nostri dì vi si prolunga il giorno, e per quindici giorni continui il Sole
dardeggia i suoi raggi, sui brulli dirupi , che accesi, cocenti, devono acqui-
stare temperatura di onda bollente ».
Consultando il tomo 2° delle Letlres sur Gastronomie en prose et en vers,
par Albert-Monlémont, Paris 1823, si legge, a pag. 231, quanto siegue » . .
elle (la Lune) n’ a point pour nous la moindre chaleur, tant elle a été affai-
bie par le trajet de la rétlexion, depuis la globe lunaire jusqu’ à celui de la
Terre. La lumière de la pieine Lune est bien trois cent mille fois plus fai-
ble que celle du Soleil, qui est cependant quatre cent fois plus loin de la Terre,
et cette lumière lunaire rassamblée au foyer des plus grands miroirs, ne pro-
duit point d’effet sensible sur le thermomètre ». Ciò conferma non doversi
prestar fede alla sperienza di Geminiano Montanari, di cui parleremo appresso.
Alcuni fisici ragionarono scientificamente sul calore lunare, senza però pro-
porsi di sperimentarlo: fra questi dobbiamo ricordare il D.r Hooke, il quale nacque
nel 1633, e morì a Londra nel 1703. Questo fisico, a spiegare perchè la luce
della Luna non dà sensibile calore, osserva <c che la quantità di luce, la quale
cade sulFemisfero della Luna piena, per giungere sul nostro pianeta, è rare-
fatta in una sfera del diametro 288 volle maggiore di quella, che ha la Luna.
Conseguentemente osserva, che la luce della Luna è 104368 più debole di
quella del sole; ci vorrebbero adunque 104368 Lune piene, per dare una luce
ed un calore, uguale a quello del sole a mezzodì » ( Dizionario universale delle
arti e delle scienze di Efraimo Chambers ; t. V , Venezia 1749, p. 163).
Il Genovesi asserisce « La luce della Luna essere tanto debole e fiacca,
che non contiene alcun grado di calore, come la luce fosforica ( Elementi di
fisica sper., Venezia 1793, p. 27, §. VII.)
S- 3.
Abbiamo veduto, che niuno fra quei filosofi da noi ricordati, dimostrò colla
sperienza, esistere il calorico nei raggi lunari. Avvi però qualche fìsico, che ri-
ferisce sperienze istituite a raggiungere questa dimostrazione, alle quali non può
prestarsi fede , o perchè non credibili , o perchè non valevoli a dimostrare
qnanto si vuole. In fatti Geminiano Montanari, astronomo italiano, che nac-
que nel 1632 a Modena, e morì nel 1687 a Padova, nell’ opera che ha
per titolo: L' astrologia convinta di falsità , Venezia 1685, riferisce, a pag.
— 136 —
5, quanto siegue » Con uno specchio ustorio grande, col quale, raccolti i
raggi della Luna , e fatti ferire in un termometro assai delicato di moto ,
si vede mostrare più gradi di calore , che prima non faceva. Dissi di uno
specchio ustorio assai grande , e termometro delicato di moto, perchè cogli
ordinari , anzi di mediocre grandezza e con termometri , pieni d' altro che
d’aria, non se ne vede effetto sensibile. » Qui osserviamo: l.° che il Mon-
tanari non dice chi sia stato l’autore di questa sperienza : 2.° che viene da
esso riferita come un fatto facilissimo a verificarsi , ed ovvio ; poiché di-
ce: si vede mostrare più gradi. Però sa ognuno essere questa una sperienza
di esecuzione delicatissima , e non riescita, e non potuta verificare da fisici
reputatissimi, con termometri molto efficaci ed esatti, assai più di quelli riferiti
dal citato autore. 3.° Che coloro i quali si occuparono del roggiamente ca-
lorifico lunare dopo il 1085, tranne il p. Pianciani prima, e dopo il prof.
Zantedeschi, niuno riporta la riferita sperienza: 4 .° che la medesima otfre un
risultamento, da non potersi ricevere per vero. In fatti si dice in essa, che i
raggi della Luna, investendo il termometro, mostrano più gradi di calore. Ciò
si oppone a tutte le sperienze di questo genere , posteriormente istituite da
sommi fìsici, coi moderni termometri efficacissimi; le quali sperienze dimostrano,
essere appena sensibile, come vedremo in seguito, il calorico dei raggi lunari,
concentrati con specchi o con lenti grandi, sulla testa di una pila termoelettrica.
5.° il termometro che dice il Montanari essersi adoperato in questa sperien-
za, pubblicata nel 1685, non deve ispirare fiducia ; eziandio perchè doveva
quel termometro essere quello di Drebbel, i! quale inventò questo istromento
nel 1638; ed ognuno conosce i difetti di esso (1). Per tanto concludiamo, che
la sperienza di cui si parla , manca di verità , ed è un’ asserzione di niun
valore. Perciò giustamente i dotti autori del Caffè, anteposero a quella riferita
dal Montanari, le sperienze negative sul calore lunare.
Il Toaldo mediante le osservazioni del Poleni, ha sommato per ben qua-
rantanni, le temperature corrispondenti ai sette giorni, che precedono, ed ai
(1) Galileo, secondo Castelli e Viviani, costrusse un termometro ad aria nel 1597. —
Drebbel ne costrusse un’altro nel 1638. — Gli accademici de! Cimento produssero un ter-
mometro a spirito di vino nel 1667 — Newton fece il termometro ad olio nel 1701. —
Amontons inventò un termometro ad aria nel 1702. — Fahrenheit diede alla tisica il suo
termometro a mercurio nel 1724. — Réaumur ne diede un altro, pure a mercurio, nel
1730. — De Lisle immaginò nel 1732 una scala termometrica, che poi non venne adot-
ta.— Celsius diede a! termometro la scala centigrada nel 1742.
— 137 —
sette che sieguono i pleniluni. Similmente ha operato pei noviluni, ed ha con-
cluso, che il calore del plenilunio, generalmente parlando, supera quello del no-
vìlunio circa di— — , ossia di
Ma ognuno comprende, che que-
sta sperienza nulla conclude, per le diverse cause che influiscono in essa ; ed
in fatti giustamente a tal proposito avverte il citato p. Pianciani , che per
poter concludere qualche cosa con fondamento , sarebbero necessarie molte
di queste somme (2), cioè fatte per molti diversi luoghi. Però in questo suo
brano, egli attribuisce alla riferita sperienza del Geminiano Montanari , una
importanza, che affatto non merita; e perciò diminuisce ingiustamente la glo-
ria, che in tale ricerca è dovuta soltanto al Melloni, come or ora vedremo.
Paolo Frisi, che morì nel Unire del 1784, parlando del roggiamente lu-
nare, dice <i Sono riusciti lungamente vani i tentativi dei fisici inglesi, tede-
schi, francesi, ed italiani, per vedere se, condensandola luce lunare, anche cogli
specchi più grandi, e facendola cadere sul termometro, vi si potesse portare
qualche variazione. E convenuto dare come una nuova forma al termometro,
perchè la variazione divenisse sensibile. Ma poiché condensando la luce ri-
percossa a noi dalla Luna, sino a trecento volte, come facevano gli specchi
ustori di Hooke, Tschirnhausen, de la-Hire, Tagliai, e Villette (3), non si avea
alcun moto nei termometri di Amontons, e di Fahrenheit, il giudizioso esperi-
mentatore non aspetterà più che biluce lunare abbia un’azione sensibile sulla
terra ec. . . Dunque da questo giudizio del Frisi sul raggiamento lunare (vedi
Opuscoli filosofici di Paolo Frisi, Milano 1781, p, 9 . - Vedi anche Biblioteca
scelta, voi. 1 63, p. 12, Milano 1825), siamo autorizzati a concludere, che fino al
1781, tutti gli sforzi dei fìsici, anche italiani, non poterono dimostrare la esi-
stenza del calore nel raggiamento lunare. Perciò si conferma, quanto già con-
cludemmo , cioè che la sperienza di Geminiano Montanari , non ha valore
alcuno.
Howard, prof, aggiunto di anatomia nella università di Maryland , cre-
dette aver trovato, con un termoscopio di sua invenzione, che i raggi lunari,
concentrati nel foco di uno specchio concavo, manifestavano sensibile calore.
Ma ciò fu smentito da Pictet, il quale ripetè la sperienza di Howard cogli
(1) Della vera influenza degli astri, ecc. di Giuseppe Toaldo, p. al, Padova 1770.
(2) Raccolta scientifica di fisica e matematiche di Roma, an. 11, n. 10 del la maggio
1846, p. 1G6. Calore lunare.
(3) Raccolta di lettere ed altri scritti, ecc. Roma 184G, anno 2.°, pag. 107.
— 138 —
stessi mezzi. ( Bibliothèque universelle de Genève , t. 19. année 1822, p. 35).
Ciò conferma nel medesimo tempo, non essere valevole la riferita sperienza
del Montanari.
Altrettanto viene confermato anche dal seguente brano del Poli, che morì
nel 1825. Questo reputato fìsico dice « I famosi specchi di Tschirnhausen, e
Villette, atti a rendere la luce presso a 18000 volte più densa, di quel che è
realmente, col raccogliere i raggi della Luna piena, e collo scagliarli al di sopra
di un termometro, non poterono produrvi giammai la menoma alterazione ».
( Elem . di fis. sper. di G. S. Poli , Venezia 1824, t. V., p. 48).
S-
La quistione sul potere calorifico lunare, fu trattata sperimentalmente da
Tschirnhausen (1), il quale concentrando il raggiamento del nostro satellite con
una lente, che aveva 83 pollici di diametro, non ottenne alcun effetto sensibile
sul termometro, sebbene avesse potuto egli con questo mezzo fondere molti
metalli. Allo stesso risultamento giunse de La-Hire figlio, con uno specchio
concavo di 35 pollici di diametro, che concentrava la luce 306 volte, e col
termometro di Amontons (2). Pictet e Prevost (3), come già fu indicato ,
sperimentarono essi pure sul proposto soggetto, e trovarono invece che la
Luna produceva un abbassamento di temperatura. Il primo di questi fisici at-
tribuì l’ indicato risultamento negativo, alla minore temperatura degli strati
atmosferici più vicini alla Terra, ed il secondo alla irradiazione calorifica dello
spazio.
Il fìsico di Edimburgo Forbes (4) unendo al termo-moltiplicatore una
lente polizonale, che concentrava teoreticamente 6000 volte, neppur egli potè
ottenere il minimo effetto calorifico dal raggiamento lunare. Il Forbes cre-
dette poter concludere da queste sue sperienze, che il raggiamento del nostro
(1) . Acta Erud. Lips. an. 1691, p. 52, e aa. 1697, p. 414. — Hartsocker Cours de
phys. liv. 4, Gap. I, art. 5. — Histoire de l’Àcad. an. 1699, p. 94.
(2) Ména, de f Académ. p. 346, an. 1705. — Trattato di fisica di Libes, Firenze 1814,
p. 180, nota (98) — de la Lande Astron., t. 2, p. 193-
(3) Bibliot. Univers. de Genève, t. 19, p. 35, an. 1822.
(4) On thè Refraction and Palarisation of Heat, p. 7, estratto dall’Edinb. Philos.
Tran. t. XIII.
— 1 39 —
satellite, non eleva la temperatura degli oggetti terrestri per
1
300000
di grado
centigrado. Il dotto fìsico inglese sig. Tyndall, espose al sig. Herschel in una
lettera, che per le sue sperienze, non aveva ottenuto egli effetto calorifico
sensibile dal raggiamento lunare (1).
Non sono adunque mancati fìsici, e fra questi Pictet e Prévost, i quali
conclusero dalle sperienze loro, essere o frigorifero, od almeno insensibile al
termometro il raggiamento lunare, concentrato nel foco degli specchi concavi
(Bibliolhèque universelle , l. 19, p. 35, e 37), cioè che questi raggi producevano,
allorché giunti sulla Terra, od un termometrico abbassamento, od un effetto
nullo sul termometro posto nell’ indicato foco.
Fra quei fisici, che niuna manifestazione di calorico ricevettero dal rag-
giamento lunare, trovasi anche Musschenbroek, ( Introductio ad philosophiam
naturale m, auclore Petro vari Musschenbroekio, t. II, p. 173; Palavii 17G8. —
Hisloire de V Académie PiOijale, an. 1705, p. 455) il quale così esprimesi. » La
luce della Luna, riflessa da uno specchio ustorio, o condensata per una lente
grandissima, in uno stretto foco, in cui sia posto un sensibilissimo termometro,
non muove punto il liquore in esso contenuto; e perciò nè freddo nè calore
sensibile si scopre nel foco dei raggi lunari, per arte fin’ ora cognita , come
Hoock, La-Hire, Tschirnhausen, con esperienze espressamente istituite, dimo-
strarono : le quali sperienze distruggono le opinioni tanto degli antichi, che
attribuirono alla Luna una forza riscaldante , quanto di Paracelso , dell’ EI-
monsìo, e di altri, che riguardavano i raggi della Luna umidi, e freddi (2).
(1) Philos. Mag., voi. XXII, p. 377. — Poggcndorff. An., Voi. 94, an. 1891, p. 932.
(2) Musschenbroek nella sua opera intitolata: Introductio ad philosophiam naturalem ,
Fatami , t. 2, an. 1798, p. 173 , §. 1937, dice « Lux Lunae aut planetarum replicata a
speculo ustorio, vel per dioptrum amplissimum corrivata, et in focum parimi latum densata,
in quo mobilissimum sistitur thermomctrum, nec liquorem , nec mercurium allo modo ra-
refami aut condensai ( X’ histoire de l'Acad. Roy., An. 1700, p. 110 ): adeoque nec frigus,
nec calor, arte hucusque cognita, sensibilis in foco lunarium radiorum comperitur, uti Hoo-
kius, La Hirius, Villettus, Tschirnhusius, institulis de industria experinientis evicerunt: quae
optime sententiarn antiquornm, Lunae vim exurentem adscribentium ( Ìbidem , anno 1703,
p. 433) aut Paracelsi, Helmontii, et aliorum, radios Lunae frigidos et humidos adserentium,
convellunt. »
« Hoc foci otiura a raritale lucis lunaris pendei, non quia lux clarior oculos non parum
stringens, vi calefacendi caret. »
Da tutto ciò si vede, che Musschenbroek ammetteva il calore nei raggi lunari, ma non
140 —
La prima ricerca istituita nel 1883 da Nobili e Melloni, per dimostrare
sperimentalmente la esistenza del calorico nel ragiometro lunare, neppur essa
condusse ad alcun sensibile risultamento. « Abbiamo (1) tentato, dicono que-
sti fìsici , di valutare l’ influenza calorifica dei raggi lunari , facendoli cadere
sopra una delle facce scoperte della pila (termo-elettrica), dopo averli con-
centrati, per mezzo di uno specchio concavo metallico ; ma noi trovammo un
ostacolo grandissimo nel freddo delle regioni celesti. L’effetto prodotto sul ter-
mo-moltiplicatore, pel solo aspetto del cielo sereno, è così grande, che 1* in-
dice magnetico si trova quasi sempre spinto al massimo di sua divergenza. Ora
egli è facile convincersi, che la forza necessaria per far variare la deviazione
di un angolo determinato, dev’ essere di tanto più grande, di quanto è più lo
spostamento ; l’ago calamitato trovandosi qui precisamente nel caso di un pen-
dolo, posto a diversi gradi di obliquità, il quale per cangiare ciascuna volta la
sua divergenza di una quantità costante, richiede uno sforzo crescente colla di-
stanza dell’asta dalla verticale. »
« Per fare sul calore lunare sperienze valevoli, si sarebbe dovuto adunque
neutralizzare, prima di ogni altra cosa 1* influenza, frigorifera del cielo, e ri-
condurre l’ago del termo-moltiplicatore alla sua naturale posizione di equili-
brio. I diversi mezzi che noi ponemmo in opera, per giungere a questo fine,
non sono completamente riesciti; ma noi crediamo poter assicurare, che se i
raggi della Luna posseggono realmente una temperatura loro propria, questa
non può giungere fuorché ad una frazione di grado, eccessivamente piccola.
Ci proponiamo inoltre di ripetere le nostre sperienze, con mezzi più efficaci,
ed in più favorevoli circostanze ».
S- 5.
In una seconda ricerca, cioè nel 1846, Melloni fu il primo, a porre fuori di
ogni dubbio, colla evidenza maggiore,, la manifestazione del potere calorifico dei
raggi lunari, servendosi di una lente a scaglioni, cioè polizonale, che aveva un
ammetteva possibile renderli manifesti col termometro, posto nel foco, sia degli specchi ,
sia delle lenti : io che si accorda colle moderne sperienze, le quali non ammettono, che si
presti fede a quelle di Geminiano Montanari già riferite.
(1) Poggendorff Annalen, t. 27, an. 1833, p. 449. — Annales de chim. et de phys,
octobre 1831, t. 48, p. 211.
metro per diametro, e adoperando come termo-actinometro, il suo terrno-mol-
tiplicatore (1). Anch’ esso vide prima un effetto frigorifero, in questa sua se-
conda sperienza, che però dipendeva dalla radiazione della lente nello spazio. Fu
da lui rimediato a così fatta causa di errore, portando la lente al coperto, ed
applicando nel tubo della pila stessa, due lastrine di cristallo, in un modo si-
mile alla camera di Saussure (2). I risulta menti della sperienza, così preparata,
furono decisivi, essendosi ottenuto dall’ago del termo-moltiplicatore una de-
viazione calorifica di 3°, 7.
Il sig. Delaurier ( Les Mondes , 2.e sèrie , t. 21, an. 1869, p. 305, e 306. -
Vedi anche Cosmos, 3/ sèrie, t. V, an. 1869, p. 289; e p. 545, li li salendo.) ha
proposto un mezzo, da esso riguardato nuovo, per concentrare, ed utilizzare i
raggi solari, che potrebbe anche servire alla concentrazione dei raggi lunari,
onde conoscerne la temperatura. Questo processo consiste « in un cono tron-
cato senza fondo, e formato di una placca di argento, brunita nell’ interno, che
riceve i raggi dall’apertura sua più larga. Per la legge catottrica, i raggi tutti
diretti o riflessi,, debbono riunirsi al fondo di questo cono. Più sarà il cono
allungato, più l’apertura del suo vertice potrà essere piccola, e più la concen-
trazione sarà grande. Sino ad oggi (dice l’autore) noi non abbiamo altro, che
gli specchi concavi, e le lenti per concentrare i raggi, ed ognuno sa quanto
sia difficile,, fare grandissimi specchi metallici, aventi un foco unico ; e quanta
sia la perdita grandissima del calorico raggiante, prodotta dalla riflessione. Ri-
guardo alle lenti, 1’ autore osserva, che queste, allorché sono un poco grandi,
non solo divengono mezzi, quasi per nulla opportuni, a concentrare il raggiante
calorico, essendo le medesime poco diatermiche, quando sono erte; ma di più
riesce impossibile a farle in grande, pure se vogliansi costruire a scaglioni. Fi-
nalmente l’autore medesimo dice, che la importanza maggiore di questo pro-
cesso, consiste sopra tutto,, nella semplicità, e nella economia ».
Senza nulla togliere alla efficacia di questo metodo , sia qualunque il
punto di vista dal quale si voglia considerare, dobbiamo riflettere, che come
per mezzo delle trombe acustiche, si concentrano i raggi sonori; così collo stesso
(1) Comptes rendus, voi. 22 , an. 1846, p. 541. — La termocrose par M. Melloni,
première partie, Naples 1650, p. 251 Maj occhi Elem. di fisica, Torino 1850, t. 2.°, p. 576.
(2) Un istromento di questa specie, fu pubblicato nel journal de Paris, n.° 81, del
1784, e consisteva in diverse campane di vetro, una dentro l’altra ( Vocabolario di Fischer ,
voi. 5, p. 465; e qui si trova pure la descrizione, dell’ istromento primitivo di Saussure —
Vedi anche Daguin, Traile de phys. [Paris 1861, t. 2.°, p. 161).
19
mezzo si debbono potere concentrare i raggi calorifici. Pèr altra parte, deve
anche osservarsi, che ad aperture uguali, vi sono assai minori riflessioni nei
specchi parabolici, che nei coni. Questi specchi poi, quando sieno bene costruiti,
debbono avere un solo foco; certo però è che, sotto il punto di vista della
semplicità, e della economia, debbono i coni essere preferiti agli specchi con-
cavi, ed alle lenti. L’uso dei coni senza più, per concentrare i raggi calorifici,
non è nuovo, ed il sig. Piazzi-Smyth, nel 1836, già se ue valse al Picco di
Teneriffe, per confermare le sperienze del Melloni, sul raggiamento lunare (1);
anzi questo fìsico italiano, aveva già fatto uso del cono nel suo termo-mol-
tiplicatore.
§• 6-
Il sig. William Hugg'ns (2) istituì delle interessanti ricerche, sul calore de-
gli astri, nell’ inverno del 1866-67. Il galvanometro di cui faceva egli uso, era
tanto sensibile, che gli aghi astatici deviavano di 90 gradi, per la corrente ter-
mo-elettrica, sviluppata col tenere fra il pollice e 1’ indice, gli estremi differen-
ti dei due fili di rame. La pila termo-elettrica era collocata in un tubo di car-
tone, chiuso con due lastre di vetro, e circondata di cotone, la quale si ap-
plicava sulla estremità di un cannocchiale, che aveva 8 pollici di apertura. 11
cannocchiale dirige vasi ad una stella, e potevasi mantenere in questa direzione,
per mezzo di un moto di orologeria, il medio di un certo numero di osser-
vazioni sopra Sirio, ha fornito una deviazione dell’ago di 2 gradi. Per Polluce si
trovò 1°, 3 ; per Regolo 8°; per Castore non si ebbe verun risultamento; per
Arturo l’ago deviò di 3°, e quindici minuti in una sperienza. Le osservazioni
sulla Luna riescirono discordi fra loro ; cosicché nulla si potè concludere da
esse. Molte volte il sig. Huggins osservò delle anomalie , senza causa che
apparisse. Dalle sue ricerche sulla Luna piena concluse, che in alcune notti si
aveva un effetto rimarchevole dal galvanometro , ed in altre al contrario la
deviazione appariva estremamente piccola, e non a bastanza costante per es-
sere notata ( Association scientifique de France, t. 7, anrìée 1870, N.° 159,
p. 99). Quindi egli si propose di riprendere queste ricerche, con apparecchi
Defezionati.
A proposito del calore stellare osserviamo, che il de Humbolt ( Cosmos ,
(1) Comptes rendus, t. G9, an. 1869, p. 922.
(2) Oa thè heat of thè stars, Londres 1869. — Moniteur scientifiqne, t. XI, année
1869, p. 1044.
143 —
Paris ISSI, Voi. 3, pag. 41) lasciò scritto: La temperature de ces espaces
(cioè del cielo) est, d’après Fourier et Poisson, le resultai des radiations du
Soleil et de tous les astres, radiations diminuées par l’absorption qu’ éprouve la
chaleur en traversant l’espace « rempli d’ éther » (i). La chaleur d’origine stel-
laire a déjà été indiquée sous plusieurs formes par les anciens Grecs et Ro-
mains; non qu’ ils y aient été conduits exclusivement par l’opinion dominante, en
vertu de laquelle les astres occupaient la région ignée de l’éther; mais parce
qu’ ils attribuaient aux astres éux-mémes une nature ignée. ( Opera girne extant
omnia Plut archi, etc. Francofurti ad Moenum 1580. De placilis philosopho-
rum,lib. 2, pag. 339, §. 13 (2). Déjà Aristarque de Samos avait enseigné,
que les étoiles et le soleil étaient d’une seule et mèrne nature. Inoltre lo stesso
autore dice (Cosmos, Voi. 3, pag. 278.) Poisson a tenté d’évaluer numérique-
ment la perle que la chaleur stellaire éprouve dans 1’ espace , en traversant
l’ éther (Théorie mathématique de la Chaleur , Paris 1835, §. 19G, p. 436,
§. 200, p. 447, et §. 228, p. 521).
Aristotile riteneva che le stelle non fossero nè ignee, nè formalmente calde,
quindi spiegava perchè riscaldano meno del sole ( Arislotelis Opera , ec. t. HI,
Piomae 1668, pag. 537, Meteor. Uh. I, cap. IV, n. 9, 10, li. et F.) Il me-
desimo filosofo riteneva eziandio, che le stelle, sebbene non sieno ignee, pure
illuminano , e riscaldano ; perchè calor ab ipsis , et lumen generatile attrito
aere ab illorum latione » ( Ibidem . De coelo, lib. Il, cap. VII. De natura et
virtute calefactiva stellar um, p. 363, n. 3.) Si vede adunque che Aristotile,
(1) Fourier, Théorie analytique de la chaleur 1822, p. IX. — (Ànnales de China, et de
Phy., t. Ili, 1816, p. 330; t. IV, 1817, p. 128; t, VI, 1817, p. 239; t. XIII, 1820, p. 418).
(2) In questa opera, e nel citato luogo, il §. XIII è intitolato: Quae stellarum essentia,
et quemadmodum concretae ; quindi vi si legge » Thales terrea esse, sed ignita sidera, —
Empedocles ignea, ex igne constantia, quera conlinens in se aether in prima discriminatione
elisit. — Anaxagoras amb.ient.em aethera subslantiam quidem habere igneam, suae vero ar-
dore vertiginis in sublime raptasse ex terra saxa, quae ardore suo stellasse. — Diogenes
pumicosa sidera ac spiracula arbitratur mundi esse. Alias idem esse lapides coecos, et saepe
in terrarn deciduos extingui, ceu illam ad Aegos fluvium saxeain stellam ignis more delap-
sam. — Empedocles stellas inerrantes crystallo aflixas esse , vagas laxatas — Plato pene
igneas, elementorum tamen aliorum instar glutinis consortes — Xenophanes ex nubibus ac-
censis, quae restinguantur quotidie, noctu carbonum more recandescere. Nana exortus et oc-
casus accensioues et restinctioues esse — Oeraclides et Pythagorei singulas stellas mundos
esse, qui terram complectatur aeremque et aethera in infinito aethera. Daec dogmata in Or-
phicis esse iactantur. Siquidem singulas stellas mundos faciunt. Horum Epicurus refellit ni-
hil, ei, quod fieri potest, adhaerens ».
— 144 —
riguardava l’attrito coll’aria per causa dello svolgimento di calorico. Dall’at-
trito col mezzo, e non già dalla compressione di questo, faceva esso dipendere
l’accensione dei corpi, che traversano il mezzo medesimo ; ed in ciò pare che
dissentano i fìsici moderni, lo che sembrami doversi avvertire.
Nel Vocabolario di fìsica del Gehler (voi. 6 , p. 2148, an. 1837) troviamo,
che secondo Chladni ( Ueber Feuermeteore, p. 34, Vienna 1819) « Il riscalda-
mento dei bolidi, viene prodotto dalla compressione dell’aria, nella quale si
muovono, lo che può aver luogo anche in un atmosfera di piccolissima den-
sità, per causa della enorme velocità del proietto. Forse anche la elettricità,
è di qualche influenza in questo fatto (1) ». Dice inoltre Muncke nel Gehler,
luogo cit. « si dimostrò ad evidenza da Parrot , non poter essere 1’ attrito
cagione dello sviluppo calorifico; perchè delle palle, lanciate con grande velocità,
non si riscaldavano [Handbuch der theorelischen Physik , l . 3, p. 188). »
Sebbene le sperienze dei due nominati fisici, non sieno a bastanza con-
cludenti (2), certo è che i medesimi, hanno la priorità , di avere creduto il
vero, intorno a questo argomento. La verità medesima in ciò consiste, cioè
« che la causa principalissima dello sviluppo del calorico, nei corpi lanciati a tra-
verso l’aria, deve riconoscersi nella condensazione del fluido aeriforme. « L’ il-
lustre fìsico sig. V. Regnault, per mezzo di sperienze, da esso istituite nel
1854, ha dimostrato, che l’aria, pure con un movimento assaissimo rapido,
non produce calorico sensibile per mezzo dell’attrito. Questo celebre fisico de-
scrisse le indicate sue sperienze a più riprese, nel suo corso al Collegio di
Francia, come ancora le conseguenze che ne dedusse, pel calorico acquistato
dai proietti, e dai bolidi nella traiettoria loro, a traverso l’atmosfera ( Comptes
rendus, t. 69, p. 898, séance du 18 octobre 1869).
Sull’altezza degli strati atmosferici che possiedono il massimo di calore,
si vegga Seneca il quale {Opera, t. 2. Veneliis 1695, quest. II, cap. X, p. 575).
dice : Nam superiora ejus (aeris) calorem vicinorum siderum sentiunt . . .
(1) Noi siamo di parere, che la elettricità debba pure svilupparsi nel proietto, quan-
do traversa velocemente 1’ aria , corpo tanto più coibente , quanto più sono i suoi strati
lungi dalla terra. Questo sviluppo deve aver luogo e per fattrito che fra il proietto e l’aria
si genera, e perchè il medesimo avvicinandosi alla terra, sulla quale finalmente deve cadere,
rimane sempre più sottoposto alla elettrostatica influenza di questa. Se poi l’ indicato effetto
elettrostatico, debba o no riguardarsi come un’altra cagione di sviluppo calorifico nel pro-
ietto, è cosa da essere ancora bene considerata.
(2) In fatti Aristotile (luogo ultimo citato) dice « Hae enim (le frecce) et ipsae sic
igniuntur, ut plumbei inucrones colliquescant ».
I
— 145 —
$• 7.
11 dotto fisico sig. Marié-Davy, si servì, per le sue ricerche sul calorico del
raggiamento lunare ( 1 ), di un termometro differenziale di Leslie, di cui le due
palle avevano 5 centimetri di diametro. Erano queste distanti l’una dall’altra di
due centimetri, e rilevate per un tubo capillare, lungo 85 centimetri, che si
ripiegava in due rami paralleli, ed inclinati all’orizzonte di 4, o 5 gradi sol-
tanto, ed a metà empiti di alcool colorato: le palle medesime furono annerite
con negro fumo. Uno di questi rami era diviso in millimetri, ed il valore di
una divisione rappresentava 0°, 00429; cosicché l’ istromento, mediante una
lente , permetteva di apprezzare una elevazione di temperatura , corrispon-
dente a 0°, 000429 = 0°,0005 circa, cioè mezzo millesimo di grado. Le due
palle dell’ istromento, erano ricoperte da una campana di vetro, chiusa in
una scatola di legno, annerita nell’ interno , ed aperta , onde potesse rice-
vere i raggi. Questi erano concentrati, mediante una lente di 90 centime-
tri di diametro, e di 2,m 50 di foco. Nel 17 settembre 1869, dalle 8 alle
1 0 della sera, essendo il cielo purissimo, e la Luna nelli otto decimi, posse-
dendo il più grande splendore, l’ immagine sua fu alternativamente, diretta pel
tempo di 10 minuti, sopra ciascuna delle due palle. Ma la colonna d’alcool per-
ciò, non ebbe variato in modo apprezzabile, finché durò questa osservazione. Il
sig. Marie-Davy ne ha concluso, che il calorico dovuto ai raggi lunari, è al di
sotto di un millionesimo di grado ; e ciò conferma non essere valutabile la
riferita sperienza del Montanari.
Dopo che il medesimo fisico ebbe comunicato all’accademia delle scienze
questo risultamento negativo, riguardo al calore del raggiamento lunare, l’ il-
lustre segretario dell’accademia stessa, il sig. G.B. Dumas, fece giustamente
osservare (2) « che lord Rosse, figlio del celebre astronomo, i lavori e gl’ in-
» coraggiamenti del quale, furono di grande utilità pei progressi dell’astronomia,
» pubblicò recentemente (3), numerose osservazioni, dalle quali risulterebbe
» il contrario, cioè che la Luna ci manda una quantità di calorico molto ap-
» prezzabile, oltre che proporzionale alla superficie rischiarata del nostro sa-
(1) Comptes rendus, t. 69, année 1869, p. 705. — Moniteur, scientilique t. XI, an,
1869, p. 1043. — Les Mondes, 2.* sèrie, t. 21, an, 1869, p. 154.
(2) Comptes rendus citati, p. 706.
(3) Procedings Rovai Society.
146 —
» tellite. I processi del sig. Rosse, hanno per base l’uso di uno specchio con-
» cavo, e delle pile termo- elettriche ; essi perciò differiscono da quelli del
» sig. Marié-Davy. »
Questo fisico inoltre fece osservare (1) , che per ammettere una con-
traddizione fra i suoi risultamenti, e quelli di lord Rosse, bisognerebbe che
il medesimo potesse concludere delle sue osservazioni, essere i raggi diretti
della Luna capaci di elevare
più di
— — — — di grado la temperatura di
1000000 r
un piccolo corpo annerito.
Noi però in conferma della osservazione precedente dell’ illustre Dumas
riflettiamo , che lord Rosse , ha ottenuto un effetto calorifico sensibile , dai
raggi lunari concentrati , e che questo effetto era inoltre da esso ricono-
sciuto proporzionale alla quantità della superfìcie lunare rischiarata ; mentre
il sig. Marié-Davy niun effetto sensibile potè ottenere co' suoi mezzi. Quindi
lord Rosse ha un merito reale in questo genere di ricerche, le quali sono una
indubitata conferma dei risultamenti ottenuti anteriormente da Melloni, come
già vedemmo. Di più lord Rosse concluse dalle sue sperienze, che la Luna
raggia calorico, a guisa di una superfìcie riscaldata sino a 360° Fahrenheit ,
corrispondente a 182° C.
L’apparecchio del nobile Lord, consisteva in una pila termo-elettrica, di
soli 4 elementi, di cui le teste erano di § pollice quadrato, e sopra una delle
quali era concentrato, col mezzo di uno specchio concavo, di 3 pollici e | di
apertura , e 2, 8 di lunghezza focale , tutto il calore inviato dalla Luna al
grande riflettore del suo telescopio. La pila comunicava con un galvanometro
a riflessione di Thompson , ed il valore delle indicazioni del galvanometro ,
era determinato con un paragone , istituito su quello ottenuto dal calorico
emanato da un vaso pieno di acqua calda, e ricoperto di una vernice di lacca
e nero fumo. In tal modo si è trovato che la deviazione di 90°, ottenutasi
nel plenilunio, indicava una temperatura di 360° C. Tale risultamento con-
corda con le idee di Herschel, che sostenne doversi, nei climi della Luna, pas-
sare da un calore ben più torrido di quello delle nostre regioni equatoriali ,
ad un freddo assai più rigido di quello dei nostri inverni polari. ( Les Mondes ,
t. 21, année 1869, p. 328).
(1) Nel giornale Les Mondes, 2.e sèrie, t. 2Ì, an. 1869, p. 214.
— 147 —
In una seconda sperienza, fatta sul fenomeno in discorso, il sig. Marié-Davy
si valse di un termometro differenziale ad aria, graduato per mezzo di confronto
con un termometro a mercurio, sensibile assai. Concentrò egli con un’antica
lente, di 3 piedi circa di apertura, ed appartenente all’osservatorio imperiale, i
raggi della Luna, sopra una delle palle del termometro stesso; ma tale con-
centrazione non produsse verun effetto apprezzabile sull’ istromento , sebbene
ciascuna divisione del medesimo era corrispondente a 0°,0043. (C omptes ren-
dus , t. 69, an. 1869, p. 923).
Howard, come fu indicato, credette trovare qualche potere calorifico nel
raggiamento lunare, adoperando uno specchio di 13 pollici dì apertura (1):
lo stesso dicasi di Watt, il quale sperimentò, non solo colla Luna piena, ma
eziandio colle sue fasi (2). Però le ricerche dei due fisici, ultimi nominali, la-
sciano molto a desiderare, come facilmente si riconosce, leggendole nei rela-
tivi giornali qui citati. Dopo questa narrativa di effetti sensibili mancati del
calorico lunare, non ostante la perizia di dotti sperimentatori, e la efficacia dei
loro mezzi ; ognuno rimarrà convinto maggiormente, che la sperienza riferita
da Geminiano Montanari, senza che abbia detto egli a chi appartenga, eseguita
con un termometro inesatto , ed accompagnata da un effetto calorifico mol-
tissimo esagerato, non deve meritare alcuna fiducia; lo che sarà confermato
anche in appresso.
§• 8-
Non è fuori di luogo qui aggiunger che il sig. Buijs-Baliot (3), volle rico-
noscere, quale influenza la Luna eserciti sulle vicende atmosferiche (4). Queste
sue ricerche lo condussero a concludere, che la Luna piena, corrisponde ad un
aumento, tenue sì, ma sensibile di temperatura, lo che fu asserito anche da Ari-
stotile, come già dicemmo. Riferisce i! medesimo autore (5), che Herschel non
(1) Silliman s Araerical journal of sci, t. 2, p. 329.
(2) Edimburgh New. Phil. jour., n.° 9, p. 323, an.
(3) Poggendorff Ànnalen, voi. 114, an. 1861.
(4) Per quello riguarda la pretesa influenza della Luna, cioè delle sue fasi nei feno-
meni meteorologici, si consulti la memoria di Arago nell' Anmaire du bureau des longitudes
pel 1833, ed il secondo volume della Fisica dei corpi ponderabili di Avogadro, p. 458, e
seg., ove si trovano i risultamenti delle discussioni, fatte da vari autori, sulle principali, e
migliori osservazioni meteorologiche, risguardanti 1’ influenza delle fasi lunari.
(5) Poggendorff annaffi voi. 70, an. 1847, p. 154.
— 148 —
solo riconobbe sensibile l’azione calorifica della Luna, ma credette, che al suo
mezzogiorno, abbia la temperatura di 100.°, maravigliandosi al tempo stesso,
perchè Forbes non abbia ciò riconosciuto ; ed ancora credette, che il calore
lunare venga impiegato a dissolvere le nubi (1). Da questo cenno istorico
dobbiamo concludere, potersi rendere sensibile il potere calorifico lunare, come
pel primo ha dimostrato evidentemente il Melloni, nel 28 di marzo del 1846.
Dobbiamo altresì concludere, che i risultamenti negativi, ottenuti dagli altri
fìsici, sulfargomento in proposito, debbono attribuirsi alla mancanza di quelle
precauzioni, e di quei mezzi, che accompagnarono la citata sperienza di quel
fìsico italiano.
Non possiamo tacere quanto viene riferito, circa il calore lunare, da una
celebrità scientifica, qual’ è il de Humboldt, che così si esprime (2) « La Lune
émet de la chaleur; c’est là une découverte, qui, comme tant d’autres, dues à
mon illustre ami Melloni, doit ótre rangée parmi les plus importantes et les plus
extraordinaires de ce siècle. Après bien des essais infructueux, depuis ceux de
La-Hire, jusqu’ a ceux de l’ ingénieux Forbes (3), Melloni a trouvé moyen . . .
d’observer de la fagon la plus nette les élevations de temperature subordon-
nées aux différentes phaces de la Lune (4) »,
A pag. 708, poi lo stesso illustre prussiano , dice « Il m’ a toujours
semblé digne de remarque, que dans les temps les plus reculés, où la cha-
leur ne se reconnaissait qu’ à 1’ impression, qu’ elle produisait sur les sens,
la Lune ait la première fait naìtre !’ idée, que 1’ on pouvoit rencontrer sé-
parément la lumière et la chaleur, En sanscrit ,. la Lune, honorée chez les
ilindous comme la reine des étoiles, se nomme V astre froidx ou bien en-
core V astre d ’ oìi le (roid raijonnex tandis ques le Solei.I, représenté avec
des rayons de lumière, qui tombent de ses mains, est appelé le créateur de
la chaleur . . . , On s’ est plaint, chez les Grecs, de ce que » la lumière
solaire réflechie par la Lune, perdait toute sa chaleur, et qu’ il ne nous ar-
(1) L’ Institut, n.> 620:, 622, e 623.
(2) Cosmos, tome troisieme, seconde partie, pag. 523, Paris 1852.
(3) Transactions of thè R. S. Edinburgh, t. 13, 1836. p> 131.
(4) Qui abbiamo una molto autorevole conferma della priorità, che a Melloni appar-
tiene, riguardo alla dimostrazione sperimentale, della esistenza del calorico nel raggiamento
lunare; priorità che veniva oggi dimenticata, ed anche da taluno negata, il quale la vorrebbe
attribuire a Geminiano Montanari, contro quanto la sana critica prescrive. Ed è principal-
mente per conservare al primo questa italiana gloria, che mi sono determinato a pubblicare
il presente scritto.
— 149 --
rivait , qu’ un faible reste de son éclat ( Plutarque, de facie , quae in orbe
Lunae apparet, éd. Wyttenbach, t. IV, Oxon., 1797, p. 793 ) On lit dans
Macrobe ( Comment . in Somnium Scipionis , iib. 1, cap. 19, Biponli 1788, t. I.
p. 1. 93 et 94 ) « Luna speculi instar lucenti qua illustratur . . . rursus emit-
tit, nullum tamen ad nos perferentem sensum caloris: quia lucis radius, cum
ad nos de origine sua, id est de Sole, pervenil, naturanti secum ignis de quo
nascitur devehit; cuna vero in Lunae corpus infunditur et inde resplendet ,
solanti refundit claritatern non calorem » ( Comp . Macrobe , Salumai. Iib. VII ,
cap. 16, Biponti , t. II , p. 277).
Pei dati storici del calore lunare, veggasi pure il Jabresbericht dei* phy-
sikalischen Gesellschaft zu Berlin , t. 2,° pag. 272.
Humboldt parlando, a pag. 718, ( ibidem ) delle ricerche di Herscbel sul calore
lunare, si esprime dicendo: Sir John Herscbel croit très-probable « qu’il rógne sur
la Lune une très-haute temperature, fort au-dessus de l’ébullition de l’eau, parce
que la surface de cet astre est exposée à l’action du Soleil, durant quatorze jours
sans interruption et sans rien qui l’adoucisse. La Lune doil donc, en opposition,
ou peu de jours après, devenir, à quelque degré que ce soit, une source de cha-
leur pour la Terre ; mais cette chaleur émanant d’ un corps dont la tempe-
rature est encore bien loìn de l’ incandescence, ne peut atteindre la surface
de la Terre, attendu qu’elle est absorbée dans notre atmosphère, où elle tran-
sforme les vapeurs ve'siculaires et visibles en vapeurs transparentes ». Sir John
Herschel considère le phénomène de la dissolution rapide des nuages sous l’ in-
fluence de la pieine Lune, quand le Ciel n’ est point trop couvert , comme
un fait météorologique, « confìrmé, ajoute-t-il, par les expériences de Hum-
boldt, aussi bien que par la croyance très-générale des navigateurs espagnols
dans les mers tropicales. » Voyez Report of thè fifteenth Meeting of thè Bri-
tish Association for thè advancement of Science , 1846 , Notices , p. 5, et
Outlines of Astronomi /, p. 261.
Dal de Humboldt, abbiamo ancora che ( Cosmos . Voi. IV, pag. 98) il ri-
sultamento principale delle ricerche di Kreil, sulla influenza magnetica della
Luna, la quale, secondo Melloni, mostra solamente una piccola traccia di azione
calorifica, consiste in questo, che cioè la declinazione magnetica terrestre, ma-
nifesta nell’ intervallo di un giorno lunare, una variazione regolare, la quale
ha due massimi, e due minimi.
Kreil dice giustamente [Ibidem): Siccome la Luna non produce verun’azio-
ne calorifica percettibile, cogl’istromenti ordinari, sulla superficie terrestre; così
20
— 150 —
non può neppure con questo mezzo, produrre verun cambiamento nella forza
magnetica terrestre. Quindi se con tutto ciò si osserva un influenza magnetica,
si deve concludere, che questa non può essere prodotta per azione calorifica ».
Se la medesima influenza fosse confermata da ulteriori sperimenti , sarebbe
probabile che la Luna contenesse minerali magnetici, od anche correnti elet-
triche, similmente alla Terra.
Il sig. Marié-Davy, con una dotta comunicazione, torna su questo argo-
mento (I), ammettendo che Melloni è stato il primo, a far uso della pila ter-
mo-elettrica, in queste delicatissime ricerche ; come ancora che il medesimo
fu primo , a rendere sensibile il riscaldamento prodotto dai raggi lunari : e
perciò non essere valutabile la riferita sperienza del Montanari.
11 nominato fìsico francese adoperò, per queste ulteriori sue ricerche, una
pila termo-elettrica , fatta con lega di bismuto, di antimonio, e cadmio,
di cui dal chiarissimo sig. Edmondo Becquerel , si fece conoscere la pre-
parazione ; le quali pile sono dotate di un elevatissimo termo-elettrico po-
tere. Inoltre adoperò egli anche un termometro differenziale ad aria , una
lente di tre piedi circa di apertura, ed una bussola astatica, nella quale ogni
divisione corrispondeva a 0,° 00013 , potendosi apprezzare il decimo della
divisione stessa.
In una di queste sperienze, fatte nel giardino dell’ osservatorio impe-
riale , il sig. Wolf volle prendervi parte, incaricandosi di leggere le indica-
zioni della bussola. Riportiamo tre delle osservazioni fatte dal sig. Marié-Da-
vy (2), mediante la pila termo-elettrica, ed un rifrattore equatoriale, di 9 poli.
Data Età della Luna Ora Deviazione media Valore in gradi
9 ottobre
4° giorno
7or, 32'" sera
1, 3
0, 00017
12 —
7° —
8 , 45
00
2tT
0, 00075
20 —
15° —
10 , il
22, 1
0, 00287
Fu con questi mezzi, ottenuta una manifestazione sensibile, del calore dei raggi
lunari ; cosicché si potè concludere, che i raggi medesimi, quando fossero di-
ti) Comptes, rendus t. 69, an. 1869, p. 922.
(2) Moniteur scienlifique, t. XI, an 1869, p. 1062 .
151
retti, riscalderebbero per
12
1000000
di grado , e che il calore luminoso della
Luna, cresce rapidamente colla sua fase; ma l’altezza dell’astro, e lo stato del
cielo, anche senza nuvole, influiscono molto sulla intensità del calore lunare.
Il sig. Piazzi Smyth , quando ebbe luogo la scientifica spedizione al
picco di Teneriffe, confermò i risultamenti ottenuti da Melloni : riceveva egli
direttamente i raggi lunari , sulla sua pila termo-elettrica , di cui la faccia,
si trovava semplicemente munita , di un ordinario cono metallico brunito.
Sebbene la Luna era molto bassa, l’effetto de’ suoi raggi sul picco, era il
terzo di quello dei raggi di una bugia, collocata distante di 4m,75 dalla pila.
Una bugia posta dal sig. Marié-Davy, alla medesima distanza dalla sua pila,
diede una deviazione di 1 7rf, 3, senza l’intervenzione del cono; perciò dai raggi
diretti della Luna, si sarebbe prodotta una deviazione di 5d, 8, corrispondente
a 0°, 00075, quante volte sia possibile paragonare le fiamme di candele ad in-
tervalli di tempo, e di luogo tanto grandi (1).
§• 7-
II sig. j.-B. Baille nei mesi di giugno, luglio, e agosto del 1869, ha eseguito
con molta precisione, nel laboratorio della scuola politecnica di Parigi, delle spe-
ranze sul calorico riflesso dalla Luna (2). Questo dotto fisico si è servito di
una pila termo -elettrica quadrata, munita del suo cono, posta nel foco di uno
specchio concavo, avente 39 centimetri di apertura, e congiunta con un galva-
nometro sensibilissimo, costrutto sul modello di quelli del sig. W. Thompson.
L’ impulsione iniziale si leggeva sopra una scala, divisa in millimetri, alla di-
stanza di circa 1 metro dall’ago. Giustamente osserva il nominato fisico, che
la sensibilità dell’apparecchio, dipende in grandissima parte dal galvanometro,
e principalmente dall’astaticità dell’ago calamitato. In queste sperienze, quando
l'ago era libero, esso eseguiva tre o quattro oscillazioni per secondo ; mentre
quando era divenuto astatico, per l’avvicinamento di una calamita indipendente,
impiegava cinque o sei secondi, per compiere una sola oscillazione: in ciò con-
siste il punto delicato nell’eseguire questo genere di ricerche. Con tale modo
collocando una mano a più di 1 metro dalla pila, il nominato fìsico produceva
una deviazione di l centimetro circa.
(1) Comptes rendus, t. 69, an. 1869, p. 922.
(2) Comptes rendus, t. 69, an. 1869, p. 960.
— 152 —
Il eh. sig. Radati fa osservare, che nei dati numerici assegnati dal sig.
Baille, riguardo al rapporto fra il potere calorifico della Luna, e quello di un
cubo di 65"tm di lato, alla temperatura di 100 gradi, posto alla distanza di
35 metri dalla pila termo-elettrica, vi è questa differenza , cioè che invece
di avere, col galvanometro di Thomson, una deviazione sopra uno scranno
rettilineo di ìmm, 5, si dovrebbe avere una deviazione di Omm, 75 (V. Moniteur
scientifìque, t. XI, p. 1063) (1).
(1) Per delucidare questa giusta rettificazione del sig. Radau, riportata da esso alla
pag. 1063 del periodico citato, riflettiamo quanto siegue :
Alla distanza di un metro, il cubo produsse la deviazione di 50 millimetri; quindi alla
50
distanza di 35 metri, dovrà il medesimo cubo produrre la deviazione -^-millimetri.
La Luna comparisce sotto un angolo circa di 31'; ed un disco posto a 35 metri distante,
per essere apparentemente uguale alla Luna, deve avere un diametro d, dato dall’equazione
(f)
31'
35 = = tg> 15'> 30" 5
donde d ~ 70. tg. 15', 30"; e l’area D di questo disco sarà
r/2 702
D=-f- n=~r~ . n. tg2.15', 30".
4 4
L’area C della faccia del cubo è 0,065, quindi avremo
0, 0652
C =
D .
70
~ ■ « • tg2. 15', 30"
Da ciò discende, che allora la superficie di una faccia del cubo, eguaglierà quella del
disco, ed anche il suo raggiamento, cioè allora produrrà l’effetto della superficie D, la quale
apparentemente rappresenta quella della Luna, quando la faccia del cubo medesimo sia
divenuta
— .7r.tgM5',30"
C1 = — C .
0,0652
— 153
Con questi mezzi, e con queste precauzioni, si ottenne dal sig. Baille, nel
senso del rise ildamento, una deviazione sempre compresa fra 1 e 2 millime-
tri, quando i raggi della Luna erano concentrati sulla pila. Egli concluse da
queste sue spé lenze, che la Luna piena, a Parigi, nei mesi d’estate, invia tanto
calorico, quanto una superficie nera eguale, mantenuta a 100 C., e collocata
presso a poco distante 35 metri dalla pila. L’autore medesimo riconosce diffi-
cile, apprezzare con qualche sicurezza, mediante l’apparecchio suo, questo calo-
re in gradi termometrici. Tutto ciò conferma i risultamene di Macedonio Mel-
loni, di M. Piazzi Smyth, di lord Rosse, e gli altri del sig. Marié-Oavy (1).
Ora siamo nel caso di poter confermare, per una ultima volta, che la spe-
ranza di Geminiano Montanari, non può meritare veruna fiducia ; per avere
noi veduto, che i fisici, dai quali si è sperimentato con tutta la possibile ac-
curatezza, e coi migliori mezzi, che oggi offre il progresso fìsico, non hanno
mai potuto avere manifestazioni sensibili, mediante un qualunque termome-
tro, posto nel foco, sia di uno specchio, sia di una lente, nel quale i raggi lu-
nari erano concentrati. Come mai dunque si può credere, al risultamento as-
serito dal Montanari, per cui quei raggi, concentrati mediante uno specchio ,
E poiché le deviazioni debbono essere in ragione diretta delle superficie, ed inversa
dei quadrati delle distanze; perciò, chiamando « la deviazione prodotta dalla superficie C',
avremo
donde
-7- n . tang2 15' 30"
. 4
a : 50 C :
352. 0,Ò652
702 . n tang2 15' 30" 50. n. tg2 15' 30" .
c: = 50 = 0'”"%7558 .
4 . 352. 0, 0~65?' 0, 065
Questa è la deviazione, che produce una faccia del cubo annerito, contenente acqua
a 100° C, posto a 35” distante dalla pila, ed apparentemente uguale alla faccia della Luna.
Ma la stessa faccia produce, secondo il sig. Baille, una deviazione di millimetri lm«, 5;
dunque produce il doppio della deviazione cagionata dalla faccia C' del cubo medesimo, come
fu bene avvertito dal sig. Radau.
(1) Comptes rendus, voi. 69, an. 1869, pag. 924.
— 154
mostrato avrebbero più gradi di calore? Non è possibile ammettere questo risul-
tamento, che si trova essere grandemente in opposizione colle moderne speran-
ze. Possiamo quindi ragionevolmente dubitare, che chiunque altro, concentrando
i raggi lunari, nel foco di uno specchio, ancorché questo sia stato di 0m, 60
di diametro , e di Qw, 1 9 di distanza focale ; abbia potuto produrre un moto
sensibile in un termometro a spirito di vino, posto nel foco stesso (1). Anche
il sig. Howard aveva, prima di Melloni, creduto dimostrata co’ suoi sperimenti,
la esistenza del calorico nel raggiamento lunare. Ma il sig. Pictet, ripetendo
queste sperienza coi medesimi mezzi, e identici a quelli di Howard, dimostrò
il contrario (2).
In una terza nota il sig. Marié-Davy, apre un campo molto esteso, pel-
le ricerche sul calore del raggiamento lunare (3), proponendosi la risoluzione
dei quattro seguenti quesiti: 1° qual’ è la parte del potere diffusivo della Luna,
riguardo al suo calore: 2.° qual’ è la parte del suo potere assorbente, e rag-
giante; e fra quali limiti varia la sua temperatura nel corso di una lunazione:
3.° come il potere diffusivo, e raggiante, variano da una regione all’altra, nella
superficie lunare : 4.° quali sono le induzioni, che possono aver luogo, sullo
stato della superfìcie lunare, paragonata con quella terrestre. In questa comu-
nicazione, il nominato fisico, tratta principalmente il primo dei quattro citati
quesiti, occupandosi della determinazione, come già fece lord Rosse, del po-
tere diffusivo della superfìcie lunare, vale a dire del rapporto, fra il calore dif-
fuso della Luna, e quello totale che riceve dal sole. La differenza di queste
due quantità di calorico, viene impiegata a riscaldare la superficie lunare. Il
sig. Marié-Davy trova, pel potere diffusivo, il valore di 0, 61 ; ma siccome i
dati, sui quali egli si appoggia, non sono molto sicuri; così fa d’uopo, che ul-
teriori sperienze, vengano a confermare il valore stesso.
Il nominato fìsico, si valse, per queste interessanti ricerche, di un tele-
scopio a specchio inargentato, e le due teste della pila termo-elettrica, poste
nel foco dello specchio medesimo , ricevevano contemporaneamente, una la
immagine della Luna, l’altra quella di una porzione del cielo, eguale in su-
perfìcie al satellite stesso. Per ottenere questo fine, collocò egli presso cia-
scuna testa della pila, uno specchio metallico, inclinato di 45° all’asse della
medesima; cosicché l’immagine della Luna, riflessa dallo specchio, copriva giu-
(1) Comptes rendus, t. 69, an. 1869, p. 1070, e 1071.
(2) Bibliothèque universelle de Genève, t. 19, année 1822, p. 35.
(3) Comptes rendus, t. 69, année 1869, p. 1154.
— 155 —
stamente una testa della pila, senza debordarla; mentre l’altro specchio, riflet-
teva sull’altra testa della pila medesima, una porzione di cielo eguale a quella
lunare rischiarata. Le temperature o deviazioni indicate dalla bussola, manifesta-
vano le differenze fra le due quantità di calore, che venivano sulla pila, una dal
nostro satellite, l’altra da una porzione uguale del cielo. A questo modo si elimina
1’ azione frigorifera del cielo, la quale spesso ha impedito, che fosse manifesto
il calorico del raggiamento lunare. Così fatta eliminazione riesce utilissima, ed
indispensabile per ottenere sensibili effetti dal calore lunare; però essa fu in-
dicata già dal prof. P. Prevost, il quale dice « Il seroit donc à désirer que
les physiciens, qui voudront éprouver de la sorte l’effet des rayons lunaires,
tìssent, au mème moment, des expériences comparatives sur quelques autres
points du ciel » (. Bibliolhèque univ. de Genève , t. 19, année 1822, p. 37).
Dalle migliori sperienze moderne, già riferite, torniamo a concludere, che
un termometro il più sensibile, tanto se, ad aria, quanto se a liquido, collocato
nel foco, sia di uno specchio, sia di una lente, non può rendere manifesta la
esistenza del calorico nel raggiamento lunare. Questa conclusione fu già ri-
guardata probabilissima dal Prevost. (1)
Finalmente a dimostrare, che la Luna possiede un calorico proprio, per
effetto del suo riscaldamento, dovuto ai raggi solari, basterebbe dimostrare colla
sperienza, chela temperatura del raggiamento di questo nostro satellite, cresce
più rapidamente della sua fase crescente, e non proporzionalmente ad essa; e che
il contrario si verifica, quando la fase lunare diminuisce; cosicché la Luna nuova,
dovrebbe ancor essa riscaldare. Ciò potrebbe far parte del quadro delle ricerche
interessanti, che si è proposto il sig. Marie -Davy (2). Noi crediamo che, se oltre
alle cautele messe in pratica dal Melloni, si adoperi anche la sensibilissima pila
termo-elettrica del sig. Ed. Becquerel, e se inoltre si applichi uno specchietto
all’ago astatico del galvanometro nel termo-moltiplicatore, per avere le di-
viazioni dell’ago stesso, ingrandite assai, mediante un raggio di luce, riflesso
dall’ indicato specchietto, sopra una grande scala distante; si aumenterebbe di
molto la sensibilità dell’apparecchio; cosicché le indicazioni sue, diverrebbero
molto più significanti.
(tj Bibliolhèque universelle de Genève, t. 19, année 1822, p. 35.
(2) Comples rendus, t. 69, année 1869, p 1151.
— 156 —
Osservazioni delle protuberanze solari. — Comunicazione del prof. L. Re-
spighi, da esso compilata.
Il prof. Respighi nel presentare all’Accademia il disegno di una seconda se-
rie di profili solari, rilevati per mezzo dello spettroscopio col metodo descritto
nella Nota letta nella Sessione del 5 Decembre 1869, dichiara che malgrado
la contrarietà della stagione ha potuto ricavare dal 26 Ottobre fino al pre-
sente 47 disegni completi, o quasi completi del bordo solare , oltre a molti
altri rilievi parziali , riguardanti specialmente le variazioni e trasformazioni
delle protuberanze.
In una seconda Nota , che 1’ Accademico si propone di presentare in
una prossima seduta , saranno discussi i risultati di questa seconda serie
di osservazioni ; dai quali vengono confermati i caratteri e le leggi , già da
lui riconosciute in questo interessante fenomeno , ed aggiunte nuove ed im-
portanti particolarità risguardanti principalmente la distribuzione delle protu-
beranze sulla superfìcie solare, e le loro relazioni colle facule e colle macchie.
Per ora egli fa rimarcare, che mentre resta definitivamente confermata
la totale o quasi totale mancanza di protuberanze nelle regioni circumpolari
del sole, viene poi provata una minore intensità e una minore frequenza del
fenomeno in vicinanza all’equatore ; dove le protuberanze ordinariamente sono
meno frequenti e meno sviluppate che alle maggiori latitudini.
Fa rimarcare inoltre che nella località delle macchie, quantunque d’or-
dinario non si riscontrino grandi protuberanze , pure domina assai energica
l’attività vulcanica, manifestata da masse idrogeniche molto condensate e per-
sistenti, sporgenti sensibilmente dallo strato rosato, e da getti luminosissimi
ed attivissimi, ma non molto elevati.
Accenna da ultimo un fatto assai rimarchevole, e cioè che l’altezza, alla
quale può essere sospinta la materia delle protuberanze , è molto maggiore
di quella ricavata dalle prime osservazioni : poiché oltre all’essersi osservate
varie protuberanze alte più di 3', nel giorno 28 di Gennajo a 2A, al disopra
di una bella protuberanza alta 3.' 20", si trovarono tre masse isolate o nubi,
distanti dal bordo solare non meno di 6', ossia 20 diametri terrestri circa ;
e delle quali si otteneva abbastanza distinta 1’ immagine anche presso la
riga del sodio nel giallo, e sulla riga F nel bleu ; restando con ciò confer-
mato che queste righe spettrali delle protuberanze si riscontrano anche ad
enormi altezze, e non già soltanto in vicinanza al bordo solare, come gene-
ralmente si è finora ritenuto.
CORRISPONDENZE
L’Eminentissimo, e Rmo sig. Cardinale De Angelis, Camerlingo di S. R.
Chiesa, e protettore dell’ accademia, coll’onorevole suo dispaccio del 1 3 gen-
naio 1870, fa conoscere, che per la rinuncia del R. P. Domenico Chelini, data
da esso per iscritto, nella sessione del 2 gennaio testé decorso, a far parte del
nuovo comitato, cui fu eletto daH’accademia, doveva il comitato medesimo es-
sere composto dei signori professori :
Cav. G. Ponzi ( confermato )
Com. A. Cialdi,
E. Rolli,
Cav. F. Giorgi.
L’ imperiale accademia delle scienze di Vienna, mediante il suo segretario
generale sig. Schròtter, offre i suoi ringraziamenti, per avere ricevuto gli Atti
dell’accademia nostra.
Il sig. Com. A. Cialdi, presentò in dono all’àccademia, da parte dell’ au-
tore sig. E. Bertin , una pubblicazione, che ha per titolo « Étude sur la
houle et le roulis, Cherbourg 1869.
La sessione riunitasi alle due pomeridiane , in numero legale, si sciolse
dopo due ore di seduta.
Soci ordinari presenti
P. A. Guglielmotti — A. Cialdi — M. Azzarelìi — L. Jacobini — F.
Giorgi — S. Cadet — G. Pieri — L. Diorio — A. Betocchi — B. Viale —
F. Castracane — L. Respighi — D. Chelini — G. Ponzi — B. Tortolini —
E. Rolli — P. Volpicelli.
Pubblicato nel 30 di aprile 3 870.
P. V.
OPERE VENETE IN DONO
Memorie dell Accademia delle Scienze dell' Istituto di Bologna — Serie IL
Tomo IX. fase. 1.
21
Rendiconti del R. Istituto Veneto di Scienze, e Lettere — Serie II ; Voi. II.
Fase. XVII e XVIII.
Alti del R. Istituto Veneto di Scienze , Lettere , ed Arti. — Disp. X. del
1868-69 ; e Disp. I. del 1869-70.
Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. — Voi. IV, disp. 1. e 2.
del 1868, e disp. 3-7 del 1869.
Bollettino Meteorologico ed Astromico del Regio Osservatorio della Università
di Torino — Anno III. 1868.
Rendiconti delle adunanze della Società dei Naturalisti di Modena. — N. 1.
Dicembre 1869.
Giornale di Scienze Naturali ed Economiche di Palermo — Anno 1869.
Voi. V. fase. III. e IV. — Parte I. — Scienze naturali.
Rivista Scientifica-Industriale del 1869. — Anno Primo — di Guido Vi-
mercati.
Un tributo alla memoria del Marchese G. B. Bruti Liberati — Discorso
del Marchese Filippo Raffaelli. — Macerata, 1869 ; un fase, in 8.°
Sull’Ozono. . . . Note e riflessioni del prof. G. Bellucci — Prato, 1869 ;
un voi. in 8.°
Sunti dei lavori scientifici, letti e discussi nella Classe di Scienze Morali ,
Storiche, e filologiche della R. Accademia delle Scienze di Torino, dal 1859
al 1865, scritti da Gaspare Gorrelio — Torino, 1868. Un Voi. in 8.°
Memoires. . . . Memorie della Società Imperiale delle Scienze Naturali di
Cherbourg. — -Tomo XIII. 2. serie — Tomo III.
Monatsbericht . . . Contoreso mensuale della R. Accademia delle Scienze di
Berlino — Settembre e Ottobre 1869.
Abhandlungen. . . . Memorie della R. Accademia delle Scienze di Berlino
del 1868.
Entwickelung . . . Esposizione di un nuovo metodo per la correzione di una
rete di triangoli di Hansen — Lipsia, 1869 ; un fase, in 8.°
Supplement . . . Supplemento alle ricerche geodetiche sulla deduzione degli
angoli di un triangolo sferoidico , del suddetto. — Un fase, in 8.°
Observations . . . Osservazioni di Poulkova , pubblicale da Otto Struve di-
rettore dell'Osservatorio — Voi. I. e lì. S. Pietroburgo, 1869.
Jahresbericht. . . . Rapporto annuale dell' Osservatorio suddetto pel 1869.
Beobachtungen . . . Osservazioni della gran Cometa del 1861 del medesimo —
S. Pietroburgo, 1868 ; un fase, in 4.°
— 159
Bullettino Meteorologico dell ’ Osservatorio di Moncalieri. — Settembre, e Ot-
tobre 1869.
Bullettino Meteorologico dell ' Osservatorio del Collegio Romano — Dicem-
bre 1869.
Comptes . . . Conti resi dell ' Accademia delle Scienze dell' Imperiale Isti-
tuto di Francia (in corrente.)
Tabulae quantitatum besselianarum prò annis 1740 ad 1850 computatae —
Edi curavit et praefatus est Otto Struve speculae Pulcovensis director. — -
Petropoli, 1869.
Les jetées ... Le ondate del Porto-Saido, ed il loro insabbiamento. - Me-
moria del Comm. Alessandro Ci aldi. — Roma, 1869 ; un fase, in 8.°
ATTI
DELL’ACCADEMIA PONTIFICIA
DE’ NUOVI LINCEI
SESSIONE IVa DEL 6 INALZO 1870
PRESIDENZA DEL SIG. CAV. BENEDE TTO VIALE PRELA'
MEMORIE E COMUNICAZIONI
DEI SOCI OEDINABI E SEI C O R B I S P O N D E N T I
Nota del cav. Prof. V. Dio rio in risposta ad una interpellanza direttagli dal
chiarissimo sig. Prof. Socrate Cadet , relativa alla teorica di una nuova
funzione della milza.
Ho 1’ onore di richiamare l’attenzione della Accademia sù di una interessan-
tissima interpellanza fattami taluni giorni or sono dal chiarissimo nostro col-
lega accademico ed amico prof. Socrate Cadet, il quale per soddisfare al de-
siderio di un distinto suo scolaro (1) mi voleva interrogato intorno ai fatti di
Anatomia comparativa i quali potessero prestare appoggio alla teoria della
nuova funzione della Milza, communicata per lettera dal Chiarissimo nostro
Professore di Clinica Cav. Guido Baccelli a quel di Siena il Chiarissimo Prof.
Cav. Pietro Burresi il 30 Maggio dell’anno p. p. e nel Giugno dell’anno stesso
fatta poi di publico dritto nel giornale lo Sperimentale pubblicato in Firenze
( Anno XXI. - Tomo XXIII - Fase. 6. pag. 513 ).
Rivelava in quella lettera al Burresi il clinico di Roma d’avere scoperto
dopo attenti e svariatissimi studj come « la milza co ’ suoi vasi brevi venosi
fosse alle cellule delle ghiandole pepsiniche quello che la vena delle porte è
alle cellule cologeniche della ghiandola epatica » ed a tale conchiusione ve-
niva condotto sperimentalmente pure dalle fine injezioni per le quali era fatto
manifesto il transito « dai capillari splenici alia vena breve ai capillari dello
stomaco nel distretto delle ghiandole pepsiniche e da questi capillari nuovamente
nel tronco susseguente della vena breve (Lo sperimentale pag. 516. voi. cit. )-.
(1) Dell’ Eccellentissimo sig. Dottore Giuseppe Caroselli.
Ora la domanda a me rimessa dal Chiarissimo sig. Prof. Cadet, era espressa
così « . . . rrì occorre sapere se l'anatomia comparativa presti o no appog-
gio a quella teoria (una nuova funzione della Milza). Vorrei dunque cono-
scere se nello stomaco succenturiato o ghiandolare degli uccelli granivori e nel
quaglio dei ruminanti affluiscano dcdla milza vene a preferenza degli altri
stomachi appartenenti a quelle due specie di vertebrati ».
Messo nella necessità di rispondere, stimando che la soluzione scientifica
delle avanzate questioni, costituirebbe un soggetto meritevole della attenzione
vostra; ne volli prima d’ ogn’ altri informata l’Accademia alla quale mi vanto
d’ appartenere.
Rileggendo i quesiti proposti, nettamente apparisce che i medesimi pos-
sono scandirsi in due tesi distinte. La prima è generale e ricerca se l’Ana-
tomia comparata presti o no appoggio alla teoria novella. La seconda è spe-
ciale, e vuole disaminate le singolari strutture ed i rapporti vascolari del bulbo
degli uccelli granivori e del quaglio dei mammiferi ruminanti. Entrambe però
queste tesi ne suppongono già risolute talune altre, le quali credo io sia in-
dispensabile di sfiorar lievemente, se si vuole pervenire ad una adeguata con-
clusione.
Le questioni che vogliono essere almeno toccate, sembrami sieno le se-
guenti.
1. ° Tutti gli animali i quali possiedono stomaco o stomachi per digerire,
hanno tutti, hanno sempre una Milza ?
2. ° La milza negli animali nei quali si ritrova, è costantemente in rap-
porto con il distretto stomacale in che le ghiandole pepsiniche sono allogate?
3°. La vena breve non ha negli animali arteriuzze satelliti con le quali sia
in rapporto, e che si diportino com’essa, raggiugnendo un limite commune ?
4. ° E il sangue splenico venoso che dà il materiale alla secrezione pe~
psinica : o sono le cellule pepsiniche che traggono il materiale da quello o da
altro sangue ; essendo esse finalmente le produttrici vere del nominato agente
digestivo ?
5. ° Dove incominciano le vene nella muccosa gastrica, e le omonime ar-
teriuzze ? Frà le une e le altre, quali vi hanno vascllini comunicanti ?
Ciascheduno di questi punti, potrebbe occupare per assai più di una or-
dinaria seduta accademica. Ma poiché non ho altro scopo che quello di sde-
bitarmi dando un’ abbozzo di risposta a chi la richiese; non farò che scorrerle
tutte rapidamente.
i 62 —
E per incominciare dalla prima, ricorderò che tutti gli animali senza ver-
tebre, cioè a dire meglio che i tre quinti fra gli esseri i quali mangiano e
digeriscono in una apposita cavità viscerale il tranguggiato nutrimento, man-
cano tutti della milza. Quindi è che i Molluschi, gli Articolati ed i Raggiati
forniti di stomaco, fanno tutti sughi per digerire senza il concorso di quel-
l’organo; abbenchè fra di loro ve ne sieno dei sommamente carnivori e dei
voracissimi. Forse non è superfluo lo accennare che questi animali stessi non
mancano intanto nè del fegato nè del pancreas satelliti necessarii, a quanto
sembra, del digestivo apparecchio. Ed infatti quando pure la ghiandola epa-
tica o l’altra del pancreate non si rappresentino con le usate strutture ; pur
non ostante rinvengonsi sempre negli animali, o sotto forma di minutissimi
tubetti ciechi attorno del ventricolo chilifico, gli organi cologenici ; o sotto
quella di cellule fasciatiti la prima porzione dello intestino , gli organi pro-
duttori della panereatina: siccome quel sommo di Claudio Bernard dalle chi-
miche reazioni speciali che la rivelano , ebbe solennemente dimostrato nelle
sue lezioni di Fisiologia sperimentale. (Le$ons de Physiolog. Exper. Tome I.er)
Fra gli animali vertebrati poi si rendono notevoli per il naturale difetto
della milza tanto il Branchiostoma ( Branchiosloma lubricum o lanceolcUum dei
naturalisti) e le Mixine (La Mixine Glutinosa il Gastrobranchus dombeij) (V.
Leydig. Histologie Paris 1866. pag. 480) , quanto gli Ammoceti (Ammocoetes
branchialis ) e le Lamprede ( Petromyzon marinus — P. Fluviatilis — P.
pianeri Costa), non avendo potuto il Delle Chiaje confirmarvi l'asserzione con-
traria di Mayer (Istituzioni di Anatomia comparata 2.“ ed. Napoli 1856. To-
mo 2. pag. 139). Sanno oggi i naturalisti che V Ammocoetes branchialis si
metamorfizza nel Petromyzon marinum ; e ciò siggilla quanto 1’ Anatomico
italiano sostenne nei suoi scritti.
Arroge al fin qui detto che la Milza si è rinvenuta mancante in alcuni
individui umani ben conformati (Geoffroy St. Hilaire - Histoire des Anoma-
lìes de P Organisation. Paris 1832. Tom. prem. pag. 730). È stato lo stesso
viscere asportato più volte all’ uomo senza notevole discapito delle funzioni
digestive. Riporta il Fioraventi ( Del Tesoro della vita umana libro II. cap.
Vili) la cura coronata di felicissimo risultato di una donna a cui cavò la milza,
e guarì in 24 giorni.
Schulz nel 1855 operò a Radom una giovane di 22 anni asportandole
la milza che faceva ernia a traverso di una ferita, e dopo 30 giorni soltanto
— 163 —
la maiala uscì dal publico spedale florissanle de sauté (Beclard-Physiologie
humaine cinq. edit. Paris 1866. pag. 567.)
Il bravo Dottor Pean il 19 Novembre deiranno 1867 presentò all’accade-
mia di Medicina di Parigi la giovane Adele Cercily di 20 anni, alla quale egli
avea asportato tutt’ intiera la milza il giorno 6 Settembre dell’ anno stesso
(Splénotomie - Observation d’ Ablation complète de la Rate pratiquée avec
succes. Paris. Germer Bailliére 1868). Adele Cercily vive ancora.
Vennero in questa occasione raccolti dal Dottor Magdelain altri nove casi
di asportazione completa od incompleta dell’ organo stesso nella umana specie,
seguili lutti da guarigione ! . . (Splenotomie Op. cit.) Qual meraviglia se altri
operando grugli animali abbiano ottenuto analoghe risultanze ?
Vi sono adunque moltissimi animali che senza la milza e perciò senza
rapporti vascolari con la medesima, fanno sughi per digerire. Ve ne sono al-
tri i quali continuano a farne, dopo di aver perduto l’organo splenico. Dun-
que per l’anatomia e per la fisiologia comparata, pare che la milza ed i suoi
vasi sanguigni non siano indispensabili alla secrezione dei succhi digerenti.
Viene ciò confermato dalia risoluzione del secondo quesito. Infatti Io Splene
negli animali che lo posseggono, non è sempre in rapporto vascolare diretto
con quello stomaco , o con quella regione stomacale dove le ghiandole pe-
psiniche si trovano esclusivamente allogate.
Così accade p. e. fra i mammiferi monogastrici nel Cavallo in cui rinve-
nendosi la milza nella regione infra-diaframmatica nell’ ipocondrio sinistro e
come sospesa alla sotto-lombare , e corrispondente al gran cui di sacco
dello stomaco mediante i vasi spleno-gastrici: e la borsa gastrica presentando
in questi animali due distinte regioni tracciate nettamente nella muccosa interna;
delle quali la destra percorsa dalle diramazioni della arteria e vena gastrica
propriamente detta, è quella in che esistono esclusivamente le ghiandole pepsini-
che: chiaro apparisce, che non può ritenersi pei solipedi la vena breve fornitrice
del sangue alla secrezione di quelle, se la medesima vena si sparge e s’ immette
con le ultime sue diramazioni solamente nella regione gastrica sinistra, dove
esse fanno difetto. Questa specialità di struttura e la corrispondente singo-
larità di funzione comproveremo con le parole dei professori Chauveau e G.
Colin. Lo Chauveau infatti così scrive « Le sac droit constitue le véritable
estomac des solipédes ; c’ est a lui seul qu’ est dévolue la fonction secretaire
qui élabore le sue gastrique ». (Anatomie comparée des Animaux domesti-
164
ques Paris 1857 pag. 358). Ed il Colin conferma ciò stesso dettando « L’ex-
halation du sue dissolvant s’ effectue exclusivement dans la partie droite de
l’estomac » (Traìtè de Physiologie comparée des anim. dom. Paris 1854. Tom.
prem. pag. 589).
Passando ai mammiferi tetragastrici ossia ai Ruminanti, rammenteremo
che in questi è la sommità sinistra del primo stomaco ossia quella del ru-
mine che trovasi in rapporto con la milza , mentre il quaglio o quarto sto-
maco, che occupa la regione addominale destra e che solo possiede le ghian-
dole pepsiniche (Leydig. Histologie. Paris 1866 pag. 359) non è in rapporto
alcuno vascolare con l’organo splenico anzidetto. 11 quaglio è percorso da una
arteria e da una vena propria mentre le diramazioni dei vasi splenici non
investono che gli altri stomachi , privi di ghiandole pepsiniche. Le Roy ra-
giona così dei rapporti vascolari anzidetti. « Un tronco solo voluminoso si di-
parte nei ruminanti tetragastrici dall’Aorta posteriore, e corrisponde al tronco
celiaco dei monogastrici. Da questo tronco il quale ne’ difalangi maggiori può
avere oltre un decimetro di lunghezza, se ne distacca immediatamente un al-
tro. Questo suddividendosi in due rami, il più considerabile diretto alla de-
stra si reca al fegato e costituisce 1’ arteria epatica : 1’ altro dirigendosi po-
steriormente va a ramificarsi nella sostanza dell'estremità posteriore dell'abo-
maso ( quaglio ) e nel principio del tubo intestinale.
Alla distanza di circa tré centimetri da questi prima divisione,, il tronco,
celiaco si divide e forma tre altri tronchi.
Il primo ed il più considerabile di questi dirigendosi alla sinistra si reca
nella milza, e costituisce il tronco splenico, ma prima questo medesimo tronco
splenico si suddivide in diversi rami, i quali penetrano in varie situazioui della
sostanza del rumine ed in quella dell'epiploon. . . .
I tronchi venosi vengono formati dalle ramificazioni che accompagnano
le arterie ; sono proveduti di valvole semplici ed anche doppie ; si mostrano
comparativamente ed in genere meno voluminosi che nei monofalangi, e vanno
a metter capo, alcuni pochi nella vena cava posteriore , ed il maggior numero
nella vena porta » - (Leroy - Istituzioni di Anatomia Comparativa Milano 1810.
Voi. 3. pag. 438).
Si deduce pertanto dal fin qui esposto che Tanatomia comparala non pre-
sta sufficiente appoggio alla novella teoria.
Negli uccelli scorgiamo è vero che il ventricolo succenturiato si trova co-
165
illunemente in rapporto vascolare con lo splene, ma non egli solo ; mentre
il grascile ossia il terzo stomaco partecipa pure dello stesso benefizio.
Non mancano intanto delle eccezioni , essendoché già il Biasio nella sua
Anatomia degli Animali disegnò l’apparecchio digestivo deU’Arcfea, ed indicò il
posto della milza in quell’ uccello vicina afa arteria mesenterica superiore ,
e senza rapporto alcuno con le cavità gastriche (Gerardi Blasii - Anatome
Animalium. Amsteledami 1681. Tab. XL. Fig. 1. pag. 442).
Fra Batrachi le rane ed i rospi possiedono più milze, e queste sono in
rapporto con f organo pancreatico.
Nei Rettili i serpenti mostrano un’analoga struttura e disposizione, per
gli organi splenici moltiplicati ed aggruppati attorno al pancreas. Nell’ Ofisauro
ventrale lo Splene è fissato al principio del tubo enterico : neila Lacerla agi-
le si rinviene sul mesenterio ec.
Nei pesci la milza è in rapporto in taluni con lo stomaco , in altri con
gl’ intestini, con la cisti-fellea in molti, con la vescica natatoria in tanti al-
tri. G. Cuvier ed il nostro Delle Chiaje hanno dato per molti pesci la storia
dei bizzarri rapporti che legano la milza con gli altri visceri situati dentro la
cavità del ventre. ( Vedi pure Bernard , Physiologie experim. Tom. 2. pag.
486. fig. 78. R.).
Ci proponemmo in terzo luogo di ricercare, se vi sieno o nò arterie brevi
siccome sonovi vene brevi negli animali. Troviam però che a tale domanda
ebbe già risposto il Baron Cuvier dettando nelle sue lezioni di Anatomia com-
parativa che « les arteres qui se detachent des branches de la splènique, et
vont au grand cul-de-sac sous le nom de vaisseaux courts » (Lecons d’ Anat.
comp. Tome IV. Lee. XXII. pag. 62 in fine, dell’ Ediz. Parig. del 1805 )
sono precisamente quelle che ricerchiamo. Stimerei quindi che non dovendosi
le vene brevi ritenere esonerate dal compito di ricondurre il sangue che ebbe
percorso le arteriuzze omonime ; potrebbe forse riuscir paradosso il com-
prendere t come esse simultaneamente funzionassero da efferenti per le ar-
terie, e da afferenti per le ghiandole pepsiniche. Per cui omettendo superflue
parole intorno a tale argomento , passeremo al quarto dei quesiti proposti
discorrendo se il sangue della vena splenica sia quello che dà la pepsina; o
se sono le cellule pepsiniche che direttamente la elaborino, traendone d’ al-
tronde il materiale formativo.
22
Stimo superfluo il qui ricordare che frà le secrezioni e le escrezioni vi è
sostanziai differenza: giacché è noto ad ognuno che quest'ultime non esprimono
che fatti speciali di endo-exosmosi vitale, mentre nelle prime entrano le ope-
razioni formative della vita; sicché le une e non le altre rinvengono organi
vicarii che valgano a supplirle, ove la conservazione individuale lo esigga. Ogni
esercente l’arte salutare ha veduto talora i prodotti urici prendere uscita con le
lagrime, con la saliva, con i vomiti, con il sudore nei casi di ostinata ed invin-
cibile iscuria dei reni: laddove asportate le ghiandole spermatiche ad un mam-
mifero vivente, spariscono per sempre i zoospermi dal dì lui organismo. Ora
se mancando la milza la secrezione pepsinica si mantiene ; è gioco-forza con-
chiuderne eh’ essa dal sangue splenico non tragga la sua origine, siccome a
sostegno della teoria anzidetta converrebbe provare che avvenisse. Sarebbe
poi un far retrocedere di troppi anni la scienza il voler negare alle cellole
pepsiniche virtù propria di secrezione, per derivare l’attività loro dal san-
gue di un viscere discosto che la fornisse ed il quale , siccome abbiamo
veduto, manca o può mancare senza discapito della funzione secretiva gastrica.
Il sangue infatti può dirsi che faccia per gli organi secernenti , quello che
fanno gli umori della terra per le piante che nel seno suo prendono sviluppo.
L’agricoltore innesta sullo spino un ramicello di Pero, e quello sterile fusto
si riveste di dolcissime frutta. Innestano i naturalisti i Polipi gli uni sugli
altri, e sieguono essi vivendo ciascheduno della propria vita sul tronco com-
tnune. Trasponi con la immaginazione gli organi secernenti del corpo degli
animali : e se l’ irrigazione sanguigna o la corrente nervosa non farà difetto,
ritieni pure che continuerebbero i medesimi a funzionare. Dettò recentemente
il Leydig che « les laboratoires du produit sécrètè sont les cellules qui revé-
tent la cavite glandulaire » (Op. cit. L. 260. pag. 359).
Passando quindi all’ ultimo dei quesiti proposti , ossia a ricercare dove
comincino le vene e dove finiscano le arterie nella interna cavità dello sto-
maco, esporrò l’ insegnamenti del Leydig istesso. Il dotto professor di Tubinga
scrive così (§. 231 e 232. pag. 332. Op. cit.) « Dans la substance conjon-
ctive de la muqueuse et autour des culs-de-sacs glandulaires, entre les glandes
mème, on rencontre des muscìes lisses, et des vaisseaux sanguins. De fines
artères montent en s’ insinuant entre les glandes dont les parois sont ta-
pissées par les résseaux capillaires. An coté interne de la muqueuse elles se
réunissent en formant de grosses mailles qui circoscrivent les orifìces glandu-
167
laires. Ce ri est que dans ces mailles que les troncs veineux prennent nais-
sance ».
Ora se i vasi venosi non incominciano altro che attorno ai sbocchi delle
ghiandole gastriche ; egli è evidente debba conchiudersene , non essere el-
leno quelle che forniscono il sangue per la secrezione degli organi, dei quali
non fanno che circondare l’apertura. Per mezzo delle fine injezioni può giun-
gersi ai capillari tanto per la via delle vene che per quella delle arterie. Con-
chiudere però da questo fatto , che il sangue venoso e non 1’ arterioso con-
corra all’opera secretiva, forse non è sicuro.
Questo è quanto dalla anatomia e fisiologia comparativa può desumersi
intorno alla teoria novella. Rispondo così per i dettati della Scienza alla gen-
tilezza l’amico che mi volle interpellato.
Il Cuvier inclinò a credere che il viscere splenico per i rapporti vascolari arteriosi
che avea con lo stomaco , potesse in qualche modo concorrere alla secrezione del sugho
gastrico. Sono queste le sue parole « du moins est-il vrai de dire que plus 1’ accès da
sang sera facile dans la rate et en mème temps difficile dans les artères qui sont en com-
munication immédiate avec les siennes, doni le sang fournit le sucs digestifs de l’estomac
ou du commencement de 1’ intestine, plus la rate détournera de ce sang à son profit , et
moins ces derniers sucs seront abondaus ; et réciproquement, moins il arriverà de sang dans
la rate, et plus l’abord de ce liquide sera facile dans les arteres collaterales, plus la quan-
tité de ce sucs augmentara « dans les arteres collaterales , » (Lecons d’Anat. Comp. Tome
IV- Lee. XXII, Ed. cit . pag. 60). Conseguirebbe però da ciò nettamente che legati i vasi
brevi ed asportata o deficiente la milza, dovrebbe accrescersi per il flusso delle arterie col-
laterali, il prodotto delle ghiandole del sugo gastrico, e quindi aumentarsi l’attività digerente
negli aspleni; ciò che parecchi autori vanno assicurando che succeda: lo che sarebbe nulla-
mente favorevole alla proposta novella teorìa. Conviene però confessare che la medesima in
astratto soddisferebbe alle esigenze scientifiche forse meglio di parecchie altre, che corsero
già il loro tempo. Ma se nel fatto, il confronto delle strutture animali non conferma la teoria
proposta dal Prof. Baccelli ; ciò non toglie merito agli elaborati suoi studi ed alle ispi-
razioni del suo talento. Troppe altre teorie ebbero la sorte stessa !
Conchiudeva il Cuvier, il paragrafo suaccennato scrivendo « C’est dans la maniere
d’ ètre de ces vaisseaux dans la rate, et dans leurs relations hors de ce viscere, qu il faut
chercher la partie essentielle de ces fonctions » (G. Cuvier. Op. et loc. cit.) Non deve dun-
que ascriversi a colpa del bravo nostro comprofessore lo aver tentato su quelle traccie
un’ altra via.
•ics —
Condizioni algebriche a fine di ottenere la compensazione termometrica nei
barometri per qualunque dei sistemi atti a produrla. Memoria del
prof. P. Volpicelli.
§■ «.
ÌOopo che Graham ed Harrison , ebbero immaginata ed eseguita la com-
pensazione' dei pendoli, era facile introdurre una compensazione simile nei ba-
rometri, a fine di correggere automaticamente nell’altezza della colonna di
mercurio, gli effetti delle variazioni di temperatura. Tuttavia ciò non venne così
presto eseguito , la indicata compensazione soltanto allora fu introdotta nei
barometri, quando sì fatti strumenti divennero meccanicamente grafici, o fo-
tografici.
È utile assai, per la esattezza delle indicazioni di tutti gii stronfienti re-
gistratori , che le indicazioni loro , non abbiano bisogno di veruna corre-
zione, relativamente agli effetti della temperatura: cioè che queste correzioni
o compensazioni, sieno eseguite automaticamente dallo strumento stesso.
L’idea della compensione termometrica pel barometro, vale a dire l’idea
di un meccanismo, il quale automaticamente agisca in guisa, da rendere zero
la correzione per la temperatura, non è nuova. Infatti Muller (1), parlando
della correzione in proposito, si esprime nel seguente modo « Applicando al
» barometro verticalmente due verghe metalliche, aventi diversi coefficienti
» di dilatazione, le quali sieno congiunte colla scala mobile , mediante due
» leve, nel rapporto dei coefficienti stessi, e di quelle del mercurio, dovrebbe
» la influenza della temperatura di per se compensarsi ».
Per tanto ci proponiamo dare in questa memoria, le condizioni algebri-
che, dalle quali viene assicurata nei barometri la compensazione termome-
trica della colonna di mercurio, per ognuno dei sistemi diversi, coi quali si
può raggiungere la compensazione stessa.
Negli Annali dell’ osservatorio dell’ Infante D. Luigi in Lisbona (2) , si
trova il disegno e la descrizione del barometro fotografico, eseguito dal sig.
Saìleron, per l’osservatorio stesso. Questo barometro fotografico viene fornito
(1) Gilbert Annalen, voi. o, an. 1800, n. 29.
(2) Voi. 2, fascicolo del dicembre 1868.
di una compensazione termometrica, la quale in sostanza è basata sulle indica-
zioni di Muller, qui ricordate. Mancando nella descrizione dei citati annali ,
l’analisi che conduce alla formula della compensazione termometrica, crediamo
utile qui esporla, perchè questo è il solo mezzo atto ad assegnare, senza lun-
ghi e dispendiosi tentativi, le dimensioni che debbono avere le singole parti
della compensazione. Abbiamo per tanto disegnata la (fig. 1), in cui gli or-
gani essenziali per 1’ indicato effetto, sono geometricamente rappresentati ,
senz’altro, con semplici rette, per la più facile applicazione dell’analisi; e ri-
mandiamo alla figura dei citati annali, per la costruzione deU’istromento. Pre-
messo ciò, sieno : gh'. e pf" due verghe di zinco; fx una verga di altro
conveniente metallo, che porta il barometro du. Inoltre sieno h'p, ed ff" due
leve, coi rispettivi fulcri b' , </'; essendo c il punto, nel quale il montante
dell’istromento è fissato al muro, mentre i nominati fulcri, e f estremo g
sono fissati al montante stesso.
Le lunghezze fino ad ora denominate, si riferiscono tutte ad una mede-
sima temperatura t, normale ed arbitraria. Se la temperatura per ognuna delle
indicate lunghezze cresca divenendo r', cosicché abbiasi t' — . r —9; sarà la
nuova temperatura cresciuta di 0 gradi, su quella normale. Perciò la prima
verga di zinco gh’ diverrà ik , mentre la seconda verga f p diverrà n q ;
quindi le due leve si sposteranno, prendendo le direzioni rispettive k n , ed
s q; laonde il fondo del pozzuolo passerà da x y in x' y' .
Dicasi l la lunghezza gh', comune alle due sbarre di zinco, per la tempera-
tura normale t, ed u\\ coefficiente di dilatazione di questo metallo. Rappresenti V
la lunghezza c z, presa sul montante, del quale il coefficiente della dilatazione
si esprime con [3 . Pongasi x f = l", denotando con y il suo coefficiente di
dilatazione. Da ultimo esprimiamo con a, il rapporto del braccio maggiore b'p
della leva h' p, al suo minore b' li', e con b il rapporto simile della leva ff",
nella quale g'f rappresenta il maggiore suo braccio, mentre g'f" rappresenta
il minore; avremo
Dopo queste premesse, le formule della dilatazione dei solidi, ci forni-
ranno le seguenti espressioni :
— 170 —
a'b" = ih — rm = l( 1 4-/3 0),
a'c — l'(\ 4- /3 0),
af = rf" = a'c — cz = Z'(l 4- j3 0) — 1' == Z'/ 3
pm = e&" = dilatazione di ce, ossia di l — Z'j dunque = (Z • — Z') /3 0,
hi = Z (14— oc 0), ,
hk = ki — ih — l (Ì-+- <x 9) — ili = Z (1-t- a 0)— a'Z>'' —
= l (1 4- a — l (1 4- /3 0) = Z (a — (3) 0
np = mn — pm = a.Z (a — /3) 0 — (Z - Z') fi 0,
nq — ik = l(\-+- « 0),
mq = nq 4- mn = Z (1-4- a 0) 4- a.Z (a - /3)0,
qr = mq — mr = l (Ih- a 0) -4- a.l (oc - /3) 0 — ih —
— Z (1 4- a 0) 4- a.Z (0: — /3) 0 Z (1 4— ®),
= Z (1-4-a) (a — /3)0,
l'f
qr —b qr= b. I ( 1 4- a) (a — /3)k0,
f's — a"s — a"f' = òZ (1 4- a) (a — /3) 0 — af —
— bl (l-t- a) (a — /3) 0 — Z'/3 0,
ccx' = f's 4- la dilatazione di fx, dunque =
= bl(l-t-a)(«—p)9 — l'p 0 4- Z"y 0 .
Stabilito, mediante quest’ultima formula, quanto si abbassa il fondo xy del
*— 171
pozzuolo u y, per effetto della temperatura, passiamo a considerare la dilatazione
del mercurio nella canna barometrica. Immaginiamo per tal fine un barome-
tro, nel quale tanto il pozzuolo, quanto il tubo, viene supposto sensibilmente
cilindrico ; ed ammettiamo di più, che 1’ estremo inferiore della sua canna,
giunga sino a toccare il fondo del pozzuolo stesso: ma in guisa da permet-
tere l’ingresso, e I’ escita del mercurio per l’ indicato estremo. Trascuriamo
inoltre le dilatazioni laterali, tanto della canna quanto del pozzuolo; nè ci oc-
cuperemo delle dilatazioni longitudinali loro, perchè le medesime non hanno
veruna influenza nelle variazioni di volume del mercurio, contenuto sia nella
canna, sia nel pozzuolo.
Dicasi co la sezione del pozzuolo, compresa fra la interna superfìcie del
medesimo, e la esterna del tubo, e da co' sia rappresentata la sezione interna
di questo, esclusane la ertezza. Sieno h ed H le altitudini rispettive del
mercurio nel pozzuolo, e nella canna, però contando nella prima dal fondo,
e nella seconda dal livello del pozzuolo stesso: finalmente dicasi q il volume
totale del mercurio. Le indicate quantità sieno tutte riferite alla temperatura
normale t; per tanto avremo l’equazione
( 1 ) co h H- co' ( H -4- li ) — q .
Aumentandosi la temperatura t per 9 gradi, dovranno i livelli, uno del
pozzuolo, l’altro della canna, rispettivamente salire, uno per z , l’altro per y ;
inoltre il volume totale del mercurio, si dovrà esprimere con
q ( I -+- d 9 ) ,
essendo d il coefficiente della dilatazione cubica del mercurio. Ciò premesso
è chiaro, che avremo la equazione seguente
(2) co (h-h-z) — f— co [H 4— h — y) = q (1 -4- 5 S),
e sottraendo la (1) dalla (2) sarà
co z -4- co' y = q<$ 9 ;
quindi per la stessa (1) avremo
(B) toz~+-co'yz=[coh-\-co'(H-+-h)]à9.
— 172 —
A trovare un’ altra equazione fra z ed y, riflettiamo che il peso della
colonna di mercùrio sovrastante al livello del pozzuolo, deve rimanere inva-
riabile; perchè viene supposto che la pressione atmosferica non cangi. Laon-
de sarà chiaro, che la lunghezza della colonna barometrica, per l’ au-
mento di temperatura, si potrà esprimere con
H ( 1 -+- è 9 ) , ed anche con H -+- y — z ;
ed uguagliando fra loro queste due quantità, otterremo
(4) z — U — H d 9 .
Introducendo nella (3) questo valore di z, otterremo la
co (y — HdQ) -t-n y = [coh & ( H h)~\ fi $
donde
quindi avremo
(5) y — ( H -+• li) § 9 ;
esponendo nella (4) questo valore, si otterrà
(6) z = h d 9 .
Ma poiché il secondo membro della (5), rappresenta giustamente la dila-
tazione, che accade in una colonna di mercurio , la quale abbia per altezza
H -+- h-, mentre il secondo membro della (6), consiste appunto nella dilata-
zione di una colonna di mercurio, con h per altezza: così vediamo che le
dilatazioni di questo metallo , tanto nel pozzuolo, quanto nel tubo, accadono
indipendentemente l’una dall’altra, cioè come accaderebbero, se fosse il mer-
curio nel pozzuolo, disgiunto da quello nel tubo.
Volendo che la compensazione si compia perfettamente, fa duopo che il
trovato innalzamento y, del livello superiore del mercurio nel tubo, eguagli
l’abbassamento xx' del fondo del pozzuolo; perciò dobbiamo, per la richiesta
compensazione, avere
y = xx' ;
— 173 —
cioè
ovvero
(7)
(h-+- H) à 9 =--lb (\ +a)(« — /3) 0 — l' 9 l" y 9
(h-+~ H) 5 = l b (1 -+- a) (x — fi) — l' fi -+■ y •
Dalla (7) adunque viene stabilita la condizione da soddisfare, perchè 1’ effetto
delle variazioni di temperatura nell’altezza barometrica, sia corretto automa-
ticamente neH’indicato sistema.
§• 2.
Per vedere, se questa specie di compensazione, sia praticamente possibi-
le; supponiamo che il montante g h' p f" sia di ferro, essendo questo un
metallo poco dilatabile: le aste verticali g h' , p f ”, sieno di zinco, e quella
f x , che porta il pozzuolo, sia di ottone. Per tanto avremo (*) :
Coeff. della dilatazione lineare per Io zinco
Idem pel ferro
Idem per l’ottone
Idem cubica pel mercurio
a = 0,000029,
/3 — 0,000012,
y = 0,000019,
5 = 0,000180.
Poniamo inoltre che il punto fìsso c del montante indicato, sia posto sulla
g f'\ su cui trovasi la leva superiore; per tanto sarà zc = /' = o. Ammet-
tiamo eziandio che abbiasi h = 0W, 04, ed inoltre che nelle due leve, il rap-
porto fra le braccia sia lo stesso; vale a dire che abbiasi
quindi avremo
h'jp
b' h' ““
a = b = 2 :
dopo ciò non abbiamo altre quantità da fissare, fuorché le l, l ", H. Per valore
medio possiamo stabilire
H — 0"', 76, e sarà li +- h = 0m, 80,
e possiamo porre ancora l = l".
Proponiamoci ora la determinazione della lunghezza l, unica incognita restata
(*) V. Cours de phy. par M. Jamin, Paris 1859, t. 2. p. 13 et p. 28.
23
— 174 —
nella (7) onde avere la perfetta compensazione. Per tanto la medesima (7) si
ridurrà nella
{li -+- li) 5 = l £ a ( 1 -+- a) (<x — /3) y ] ,
donde
z (ff-+-/i)3
Cl ( 1 — t— a) (<Z — (3) -H y
Introducendo in questa formula, ì valori numerici precedentemente stabiliti,
sarà
0,8 X 0,0001 80 = 0,0001 44 = ig .
6 X 0,000017 -+- 0,00019 0,000121 ’ ’
perciò la calcolata compensazione, può bene praticamente aver luogo. ,
S- 3.
Se il pozzuolo non fosse a bastanza grande, per potere considerare co-
stante l’altezza del livello di mercurio, nel medesimo contenuto; allora non
volendo adottare la scala mobile, ma bensì una fissa, e volendo contare battezza
barometrica, partendo sempre da uno stesso livello, cioè da quello corri-
spondente alla coincidenza dei due livelli, e che chiameremo livello unico ,
bisognerà tracciare le divisioni della scala nel modo che andiamo ad esporre.
Rappresenti ab (fig. 2) il livello unico, dal quale sempre si vuole par-
tire, per esprimere numericamente l’altezza barometrica, comunque variata.
Supponiamo che per una pressione p , il livello unico ab del pozzuolo, da cui
si deve sempe partire, siasi abbassato in a'ó'; e che il livello superiore nel
tubo, sia perciò giunto in q. Facciasi
k q = x , e kh — y ;
è chiaro che dovremo avere
p = x -h- y .
E se rappresentiamo rispettivamente con co ed &>' le sezioni , una del tubo
barometrico, l’altra del pozzuolo, avremo eziandio
co x — dy ,
co
y
donde
— i 75 —
Sostituendo questo valore in quello precedente di p , avremo
(8)
X =
co
; V •
CO— l— Co
Questa formula c’insegna, come dovrà essere tracciata la scala fìssa del baro-
metro, acciocché l’altezza in esso del mercurio, si possa contare sempre a par-
tire dal livello unico a b. Infatti essendo la pressione p data in millimetri ,
è chiaro che pel fine proposto, cioè per avere, colla semplice lettura, delle
divisioni, l’altezza p in millimetri; dovrà ogni divisione della scala, essere una
frazione di millimetro, espressa da
1
G)
W — t— CO
Così per es. se pongasi « = 5 co , ogni divisione della scala dovrà essere —
di millimetro, e tante saranno queste divisioni, comprese nell’altezza baro-
metrica, ed altrettanti saranno i millimetri, che misurano l’altezza stessa p.
Questa conseguenza si estende anche al barometro a sifone, in cui se la se-
zione di ognuno de’suoi due rami sia la medesima, sarà « — to', e dalla (8)
avremo
(9) x=~ P ■
Perciò se in questo caso, ciascuna delle divisioni della scala sia di mezzo
millimetro; si potrà contare il valore dell’altezza barometrica sempre dal li-
vello unico, prendendo ciascuna divisione per un millimetro.
Dalla (8) abbiamo
(10) p = X->r^X',
mediante questa formula , potremo avere la pressione atmosferica p , cioè
l’altezza della colonna barometrica, che le corrisponde, contando ancora dal
livello unico, e tracciando però ciascuna divisione della scala eguale ad un
millimetro; bene inteso che la scala medesima abbia lo zero suli’indicato unico
livello. In fatti dopo letto sulla scala barometrica il valore della x in milli-
metri, dovremo aggiungere a questo valore quello, che si ottiene calcolando
— 176 —
il termine — , x, e da questa somma si conoscerà in millimetri la pressione
co'
rappresentata da p. Nel caso del barometro a sifone in cui si verifichi « =
sarà
p = 2 x .
Tutto quanto fu ora esposto, riguardo alla riduzione della scala, per effetto
del pozzuolo non sufficientemente grande, si deve ugualmente applicare agli
altri barometri, che vengono descritti nel seguito.
S* *•
Per una seconda compensazione poniamo, che al montante orizzontale
a b , il quale sostiene il pozzuolo p q , sia fissata (fig. 3) un’asta m il di zinco,
cioè di un metallo dilatabile molto. L’ asta medesima ne abbia, sull’estremo
superiore, un’altra orizzontale m d, che congiunta con una terza verticale d f, di
un metallo poco dilatabile, questa porti nell’estremo f inferiore, un cilindro di
vetro c c', che più o meno, secondo la temperatura, s'immergerà nel mercurio
contenuto nel pozzuolo.
Crescendo la temperatura, cresce l’altezza del mercurio, tanto nel poz-
zuolo, quanto nel tubo barometrico hh'; ma nel medesimo tempo il cilindro di
vetro, si muoverà di poco dal basso in alto, perchè l’asta di zinco m n, si dilata
più dell’altra d f di ferro. L’ innalzamento del cilindro c c', produce un abbas-
samento di livello nel mercurio, tanto del pozzuolo, quanto del tubo barome-
trico. Perciò la compensazione si dovrà fare in guisa, che l’ascensione del supe-
riore livello del mercurio, cagionata dall’aumento di temperatura, eguagli esat-
tamente la discesa dello stesso livello, cagionata dalla emersione del cilindro
di vetro, per la dilatazione dell’asla di zinco.
A fine di assegnare chiaramente, la condizione analitica del compenso
indicato, supponiamo non dilatabile pel calorico il pozzuolo, che perciò sarà
di vetro; suppongasi altrettanto pel tubo barometrico, e pel cilindro, ambe-
due pur essi di vetro. Supponiamo inoltre che alla temperatura normale di
r gradi, si abbiano le quantità seguenti:
l , lunghezza dell’asta m n di zinco,
f, lunghezza dell’asta d f di ferro,
— 177 —
q, il volume totale del mercurio,
H, l’altezza barometrica, che fa equilibrio colla pressione dell’aria,
X, la distanza fra l’estremo k inferiore di questo cilindro, ed il fondo a b
del pozzuolo,
h , l’altezza del mercurio contenuto in questo.
Ed inoltre indichiamo con
u,, la sezione interna del tubo barometrico,
co', la sezione del pozzuolo, esclusa la esterna del tubo,
co", la sezione del cilindro f c' ck,
Se la temperatura, in ognuna delle indicate quantità, cresca divenendo t',
cosicché abbiasi x — r = 9, sarà la nuova temperatura cresciuta di 6 gradi,
rispetto quella normale z; quindi è chiaro che, se dicasi q' il volume del mer-
curio corrispondente all’indicato aumento di temperatura, sarà
(11) «'=?(
$ essendo, come nella prima compensazione , il coefficiente della dilatazione
cubica del mercurio: sarà poi chiaro altresì, che dovrà essere
(12) q — « H -+- a' h — co" (h — X) .
La distanza X , crescendo la temperatura, dovrà crescere divenendo X' ,
ed avremo
(13) X' ==: X -+■ l % 9 — V fi 9 = X -+~ (l a. — V fi) 9 f
essendo a il coefficiente della dilatazione, che si riferisce all’asta m n di zinco,
mentre fi esprime quello che appartiene all’asta d f di ferro, come nella pri-
ma compensazione.
Chiamiamo x l’altezza del mercurio nel pozzuolo, ed ij quella di questo
liquido nel tubo , ambedue variabili colla temperatura, e misurate dal fondo
del pozzuolo medesimo; per tanto essendosi accresciuta di 9 gradi la tempe-
ratura normale z , sarà
(M) y — $ = H(l -t-ae),
donde
(lo)
X=zy — H[\ -4-5 0) .
— 178 —
Inoltre per questa medesima temperatura, il volume totale q' del mercurio,
sarà espresso come siegue:
q' = co' # - 4» (y — x) co — (x — X') co",.
e mediante la (11) sarà eziandio
v' x *+• (y — x) « — (cc — X') co" =■ q (1 -+- o 0)\
ovvero
(co' — co") a? -4-(y — a:) « = q (1 -4- 5 9) — X' ca".
Introducendo in questa equazione i valori già trovati, mediante le (15), (1 4),
avremo
(«' — «") [y — tf(l +53)] + ff(l 5 0) « == g (1 a 5) — X' co",
e mediante la (13) sarà
(»' — w")[y— H(1 -t-8 0)]-+-ff(l -4-5 0)6,=
= q (1 -4- 5 0) — [ X. (U _ r 0) $ ]
Da questa equazione si ottiene
[ q -4- H (to'— re) ] (i-f- 5 0). — [ X -4- (Z a — V /S) ® ] s>"
V = - in >
a co — co
ed introducendo per y il suo valore ottenuto dalla (12), si avrà
[mH-4-co7i-co"(/ì-X)-4-F(co'— a"— a>) ] (1-4-50) - [X-f- (Z« ~Z'/3)0>"
V ~ a. — ®"
[ to' (h -4- i/) — »"(fc - — X -+~H) ] (1 •+• 5 0) — [ X “4- (la — l'(. 3) 0 ][ c&"
' ’ co' — re"
co'1 X
(,l 11 + u'—a" ) (* f 5 e) —
co' — co
— 179 —
e finalmente sarà
(16) y=h + H-h{h + n)*B-h (U ■
Annullando in questa equazione il valore di 3, ovvero annullando i va-
lori dei coefficienti a, fi, 5, si ottiene
V — h -+■
come dev’essere. Infatti abbiamo sopra stabilito, che II sia l’altezza barome-
trica del mercurio, non corretta dagli effetti del calorico, ed h l’altezza del
mercurio nel pozzuolo.
Volendo che abbia luogo la compensazione, per questo secondo sistema
barometrico , dobbiamo volere che, indipendentemente dalla temperatura 9, il
valore della y (1 6) equagli II -+- h ; ed a questa equaglianza si deve soddisfare, per
una opportuna emersione del cilindro c c' di vetro, dal mercurio contenuto nel
pozzuolo. Ciò vale a dire che, a questa eguaglianza si deve soddisfare, me-
diante opportuni valori, dati alle lunghezze l ed V delle aste metalliche ver-
ticali, ed alle sezioni co', co", del barometrico sistema.
Per tanto dalla (1G) avremo
Questa formula esprime la condizione, cui si deve soddisfare in generale,
affinchè gli effetti della temperatura, sieno automaticamente compensati nel
sistema secondo barometrico, di cui parliamo.
Passando ai particolari per la pratica, suppongasi che l’asta d;f {fig. 3),
k-h II -+- (h -+- II) 3 9 -f-
donde
(17)
(Ii-hH) 3 co'
[h + H)à~là -hlct — l'fi '
180
/
sia di vetro, invece che di ferro; cosicché sensibilmente abbiasi /3 = 0: inoltre,
poiché il prodotto X 5 è frazione trascurabile, potremo, senza molto scostarsi
dal vero, stabilire
Pongasi
avremo
donde
(ll + H) S di'
(h -h H) 6 -h l a '
CJ
n
_L_ {h-+-H)$
n
n ==!-+
(/i h- H) 8 h— 1 a ,
1 a
h+tì 8
Possiamo sostituire in questa formula H = 0m, 76, valore che può rappre-
sentare il medio, fra tutti quelli, che appartengono alla pressione barometrica,
e pei quali sarebbe trascurabile la differenza dei numerici risultamenti, per
essere H in generale variabile. Inoltre supponiamo nella medesima formula
essendo
ed avremo
h = 0% 1 , l = 2m ,
a 0,000029
8 0,000180 ’
Dunque se facciasi
(18) a"
n = 1, 37.
, dovrà essere l = 2 metri ,
affinchè abbia luogo la compensazione nelfindicato barometrico sistema. Per
tanto questa seconda maniera di compensazione termometrica, sebbene abbia'
bisogno di maggiore mercurio della prima; tutta via, per la sua molta sem»
plicità, deve preferirsi. A mandare ad effetto questo caso numerico, possia-
— 18!
mo adottare, pel corpo d’immersione, non più la forma cilindrica, ma bensì
quella di una lunula, formata, come si vede nella fìg. 4, da due circoli, fra
loro in contatto nel punto m\ uno avente la periferia, che viene indicata
con P', l’altro quella espressa da p : mentre la periferia, cui corrisponde P, ap-
partiene a quella del puozzolo. Chiamando R il raggio del pozzuolo, ed s
la distanza b a , fra le pareti di questo, e quelle della lunula d’immersione,
se indicheremo con xr il raggio i p del circolo p , dovremo per le precedenti
denominazioni avere
«' = ; r R2, ed a"= n (R — s)2— n x2r
quindi per la (18) sarà
1 ,37 re [ (R — ■ s)2 — ■ x2] — sr R2,
donde
*=\/[(r-5)2-w]-
Facendo R = 8 centimetri, ed 5 = 2 millimetri,, avremo
tf==y (7,8)2-- — — V 60,84 — 46,72 = Kl4,12 =3,76 centim.
Se l’asta l di zinco (fig. 3), sì trovasse troppo alta, per averla fatta lunga
due metri, si potrebbero alla medesima sostituire due aste dello stesso metallo,
ciascuna lunga un metro, interpolate con altre due di vetro (fig. 5) , e la
compensazione riescirebbe la stessa.
§• 6.
Passiamo ad esporre un terzo modo, col quale si può raggiungere nel
barometro, la termometrica compensazione.
Nel barometro a sifone, le variazioni barometriche, si possono misurare,
tanto sul ramo superiore, quanto sull’ inferiore del tubo di vetro- Adottando
24
— m —
questo secondo modo, si giunge ad una compensazione assai semplice, col dare
al ramo inferiore, una opportuna lunghezza, come ora vedremo; supponendo
per maggiore generalità, essere differenti le sezioni dei due rami del tubo ,
e supponendo cilindrici ambedue questi rami, al di sopra della orizzontale
MN (fìg. 6).
Alla temperatura normale r dicasi :
co , la sezione del ramo superiore,
«' , quella del ramo inferiore,
v , il volume del tubo, al di sotto della orizzontale indicata,
l , l’altezza del livello inferiore dalla M N,
H, l’altezza della colonna barometrica,
q , il volume totale del mercurio.
È chiaro innanzi tutto, che si avrà
(i9) q — co ( l -t- //) 4- al -+- v ;
crescendo poi la temperatura da r , sino a r' gradi , si dilaterà e il tubo ,
ed il mercurio, contenuto in esso; cosicché avremo
r' T = 9 .
Chiamando pi il coefficiente della dilatazione lineare del vetro, e §' quello ,
della dilatazione, anch’ essa lineare, del mercurio; sarà q (1 -+- 3 à'9) il volu-
me totale di questo, per essere la temperatura cresciuta di t' — t = 6 gradi.
Riguardo alla dilatazione del vetro, supponiamo che la retta MN ri-
manga fìssa; le due sezioni co, co', diverranno rispettivamente
co (1-4*2 il 9) , «'(1-4-2 p. e).
Le dilatazioni longitudinali dei due rami del tubo , relative alla parte del
medesimo, superiore alla retta M N, non hanno alcun effetto apprezzabile in
questo caso; ma non così per la parte del tubo stesso, inferiore alla indicata
retta; poiché questa parte rimane sempre piena di mercurio; perciò il volu-
me di questo liquido sarà espresso da
V (1 *4- 3 [L 0) .
— 183 —
Supponiamo che alla temperatura t', le distanze dei due livelli del mer-
curio, superiore uno, inferiore l’altro, dalla M N, sieno rispettivamente indicate
con y ed x; perciò sarà y — x l’altezza della colonna di mercurio, che fa
equilibrio coll’atmosferica pressione; quindi avremo
y — x = H{ 1 + 3 §'$) ,
donde
(20) y = x-+- //( 1 -+- 3 8'0) .
Di più si avrà l’equazione seguente
(21) « (1 -4-2 pQ) y *4-G>'(l -+- 2 p 6) x -4- v (1 -h 3 p 0) = q (1 -4- 3 à'$) ,
della quale ciascun membro, esprime tutto il volume del mercurio. Se in-
trodurremo, in questa equazione (21), i valori delle q,y, che sono dati dalle
(19), (20), otterremo un’altra equazione, in cui si troverà per incognita la
sola x. A questo fine, riducendo , e trascurando le potenze dei coefficienti
della dilatazione, che sono superiori alla potenza prima, si avrà quanto siegue :
&> ( 1 -4-2 p 0) [ x —t— H ( t -4-3 ò^)] -4- co' ( 1 -4—2 p 0) x — t— v ( 1 -+-3 [x 9)
= [ w (J -4— //) H— o)1 l -4- v] (1 -f— 3 0) ,
ovvero
(&> -4— Gì/) ( 1 -4—2 p 0) x ■== [ w (/—)—//) -4— (1 ) Z — t — i>J (1 -4-3 fi1 9)
— — v (1 — i— 3 p. 9) — w H (1 -4—2 p 9^j (1 H— 3 0) ,
donde
[a{l-t-H)+-u'l-+-v] (lH-35'0)-i;(lH-3iu0)-Gi)/j(l-f-2/x0)(l-i-3^'0)
x (goh-go') (Ih h<2p9)
v—1 w//-4— (to(Z-4— /f)— hgo^-4- v]35’0 — v.3 p9 — càlibi p9 9)
(co — | — co;) (1— f— 2p.0)
— 184 —
l [oo(i-f-/i)-f-oo^-f-v]3§'5 — v.op.9 —
1 -+-2/A0 (m-+-6>')(1-+-2|xS)
[w(^-4-/f)-4-(i)7--hv]3o,S — r.3 ps.9 — '6>H(2jU.0-f-35'0) — 2p75(<m-co ^
’+" (w-hcj') (1-+-2/Z0)
^ //)-+- ^ 7 -i—v — s)//]3§r0 — [3'VH— 2ci)//-f-2(<y-i— w1)/] p.0
“ ’+" (w-hq') (1h-2/jl$)
e finalmente
^ [ (&>H I— v J 3o'5 — - [3i>-+— 2w//-+*2(co-ì-(i),)/j/^0
(c»> — l — ^ ) (l-t-2^/,0)
Ora volendo che la compensazione termometrica del considerato barometro,
sia completa, dobbiamo volere
x — lf
cioè dobbiamo volere, che per l’aumento di temperatura, ricevuto da quella nor-
male v , divenuta perciò x , la distanza del livello nel ramo inferiore del tubo,
dalla orizzontale M N , rimanga qual era per la indicata temperatura nor-
male , indipendentemente dal valore di 5; perciò sarà
[ (a -h «') l -+- v ] 3 8' — [3tH-2ajff-t-2(o+ •«') l ] p = 0 .
Abbiamo da questa la
_ ^ (2«/i-t-3i>)p. — 3r5' 2 aHp — 3r(ò' — p)
' (co+orpo'—ìp) ^(u-t-a') (3d'— 2p.) ’
condizione che non dipende affatto da 0, e che prescrive l’altezza del livello
nel ramo inferiore del tubo, dalla orizzontale fissa M IV.
§• 7-
Questa condizione si può facilmente mandare ad effetto, e per averne
una prova, consideriamo il caso di v = o, vale a dire quello in cui la comu-
nicazione fra i due rami del tubo, sia bastantemente corta, ed angusta. Inoltre
per maggior semplicità, supponiamo eziandio, che i due rami del tubo supe-
riore alla MN , abbiamo la medésima sezione, cosicché si verifichi la «=&>';
quindi dalla (22) avremo
(23)
H .
185 —
Pei coefficienti della dilatazione^ abbiamo i seguenti valori
p = 0,000008-, 3d' = 0,000180 ;
quindi sarà
, 0,000008 1 „ . „
l — il — — ri , circa.
0,000164 20
Se per H prendiamo il suo valore medio, facendo cioè
0™, 76 ,
si avrà per l’altezza del livello inferiore del tubo dalla M N
l = 0m,038 ;
cioè poco meno di quattro centimetri, lo che si può con facilità praticare.
§• 8-
Nel barometro cilindrico a sifone, nel quale i due rami, al di sopra delle
orizzontale M N , hanno la medesima sezione ; di tanto varia , pel variare
della pressione atmosferica, il livello nel ramo inferiore, salendo, o scendendo,
e di altrettanto variar deve il livello nel ramo superiore. Si divida in mezzo
in 0, l’altezza barometrica b a della colonna di mercurio (fig. 6) ; cosicché
da questo mezzo, le divisioni crescano dall’alto al basso, e vadano continuando
nel ramo inferiore, ciascuna essendo un mezzo millimetro. Posto ciò, siccome
per effetto della compensazione termometrica, ora stabilita, il livello di mer-
curio, nel ramo corto del tubo, rimane invariabile per qualunque temperatura,
e varia soltanto col variare della pressione barometrica; così è chiaro che, leg-
gendo sulla indicata scala i mezzi millimetri per millimetri, avremo l’altezza
barometrica, del tutto compensata dagli effetti delle variazioni di temperatura,
che quella normale r ricevette.
La compensazione del barometro a sifone, di cui ci occupammo in que-
sto paragrafo, è preferibile a tutte le altre, per la sua semplicità, per la mo-
dica spesa di esecuzione, ed anche perchè la massa del mercurio non essendo
grande, questo liquido perciò riceve in ogni sua parte , con prontezza la
temperatura dell’ ambiente. Ciò non accade in tutti quei sistemi grafi»
<ci> nei quali deve il tubo barometrico, essere immerso in un pozzuolo di
i
larga sezione, ove la massa del mercurio dev’ essere assai grande; ciò ca-
giona un difetto non trascurabile in così fatti sistemi. Sarà utile avvertire,
che il coefficiente dalla dilatazione, relativo al vetro, per essere variabile colla
natura del vetro stesso, dovrà con ogni esattezza, il coefficiente medesimo
sperimentarsi, per ciascun tubo barometrico. La compensazione però nel si-
stema in proposito, ha il difetto, che le variazioni della colonna barometrica,
dipendenti dalla pressione, sono ridotte alla metà, come in ogni barometro a
sifone, in cui si osserva un solo livello.
Veggasi per questa compensazione, ciò che riferisce il Sig. Radau, nel
Bepertorium di Cari. Munchen , 1867, voi. 3.°, pag. 320, e 329. Pare che
la prima idea di così fatta compensazione, appartiene’ ad Hough, nel 1866.
(Idem, pag. 326). Anche Les Mondes, tome 17, pag. 8, parla su tale og-
getto, ma in modo non ben chiaro.
§• 9-
A Kew presso Londra, la compensazione termometrica del barometro, si
eseguisce a questo modo : La superficie luminosa , che dev’essere costan-
te (*), si trova coperta più o meno nella sua parte superiore, per mezzo di uno
scranno, sospeso al braccio di un’asta, che galleggia sul mercurio di un ter-
mometro aperto. Questo scranno sale e scende, colla temperatura, di una
quantità esattamente uguale alla dilatazione della colonna barometrica. Da
ciò risulta, che la linea zero, in luogo di essere una retta orizzontale, è una
curva, che rappresenta la riduzione del barometro a zero. Ne discende altresì,
che le distanze di questa curva da quella d el barometro, rappresentano le
variazioni barometriche ridotte a zero. La curva del zero, fa per altra parte
conoscere, la temperatura della colonna di mercurio per tutto, come, un ter-
mometrografo.
Però è da osservare, che l’asta, la quale ascende, o discende, ha bisogno di
mantenersi verticale in questo suo moto; ed a tal fine dev’essere, guidata; lo
che introduce un attrito nel sistema, e perciò cagiona una resistenza no-
civa.
(*) V. Les Mondes, t. 15, an. 1867, 2e sèrie, p. 198. Ma per maggior chiarezza, si
vegga il Rapporto del comitato di Kew pel 1866-67 (sezione A delle scienze fisiche e mat-
tematiche).
187 —
Per togliere questo difetto, si potrebbe immaginare di produrre il mo-
vimento della scala , mediante due sbarre di zinco, e due leve, come nella
prima compensazione qui considerata, si produsse il movimento del pozzuolo.
§. io
Passiamo ad esporre il seguente quinto modo, per compensare gli effetti
prodotti dalle variazioni di temperatura, nell’ altezza barometrica : il sistema
è in questo caso rappresentato dalla figura 7, in cui la retta B D è fìssa.
Chiamando l la lunghezza AB della placca ABCD (fìg. 7), la quale alla
temperatura normale di r gradi, coincide con quella della prima sbarra di
zinco e m. Se la temperatura divenga r' ,sarà m n la differenza fra le dilata-
zioni della verga em di zinco, e della placca di ferro; perciò, fatto al solito
. . em' .
r — r = 0 , e ponendo = a , si avranno le
e m
m n ~l (oc — fi) 9 , m'rì ~alU — fi) 9 ;
ove , come nel primo sistema barometrico, a. , fi rappresentano rispettiva-
mente i coefficienti della dilatazione del zinco, e del ferro.
Inoltre si esprima con l' la lunghezza della seconda verga di zinco m' r , la
quale alla temperatura normale di t gradi , coincide colla distanza p m" del
fulcro p dalla retta B D ; perciò sarà
pq — r'r" — l' fi 9 , ed anche m'r"= V (1 -+-fi 9) .
La seconda verga di zinco m' r , nel dilatarsi, diviene
n'r' = V (!-+-« 0);
quindi si avrà
mV = m'n' h- n' r' = a l (a — fi) 9 -+- /'( 1 -f- a g) ,
ed anche
r'r"= r'm'^m'r"= al (x--'fi)0^l'(i+(xQ)—l'(ì-t-fi9)~ al (a— fi) 9 fi) 9 ;
perciò
r'r".— (al-+-V) {a— fi) 0 .
188
Chiamando b il rapporto dello due braccia, della superiore leva, cioè ponendo
abbiamo allora evidentemente
s's" = 6 (a Z -t- V) («-£)©,
quindi lo spazio percorso dalla scala, per effetto delle dilatazioni, sarà
5 s' — pq h- s's" = l'fì 0 -4- b (a l *-h l') ( « p) 9 .
Questa è la quantità, per la quale s’innalza l’estremo della leva, che porta la
scala; e la quantità medesima deve uguagliare quella, per la quale ascende
il mercurio nel barometro.
Indicando per tanto con l" la distanza g k , per la temperatura normale z
dovremo avere l’innalzamento del barometro, per l’altra temperatura t', espres-
so dalla
gk=l"{{+(36) .
Ma, come già fu esposto (§. 4, formula 5), la colonna barometrica, per l’au—
mento di temperatura, cresce dal fondo del pozzuolo, per la quantità
{H-bh) 5 9 ;
quindi salirà il livello superiore del mercurio complessivamente,, per la
quantità
- {H+h)d 9,-i~ l"(19 y,
perciò la condizione della compensazione, sarà, espressa dalla
(24) b {a l -h V) (a - /3) h- V p = {H+h). * -+- l"P ..
S- il-
Per vedere se questa condizione,, possa facilmente soddisfarsi nella pratica
supponiamo
— 189 —
gh— l"— 0 , m'r —V — lì h
e la (24) si ridurrà nella
donde
(28)
b ( a l -+-1') (a *— » /3) -+- l'fi =Z'§ ,
Z
«rf(»-p> .n _.i
a 1_ b(a.—fi) J a [_&(«— /3)
Facendo come nel primo sistema (§. 5)
a — b = 2 ,
e pei coefficienti «, /3, 3 delle rispettive dilatazioni, le prime due lineari, e la
terza cubica, ponendo i valori che sieguono, adottati già nei precedenti sistemi,
vale a dire.
zinco « = 0,000029,
ferro /3 = 0,000012,
mercurio 5 = 0,000180,
dalla (25) avremo
l Z’/0, 000180 — 0,000012
= 2 . 0,000017
Se poi facciasi
sarà
000180 — 0,000012
3 . 0,000017
\ =!'/
(M
1
O
GO
\ j-ms \
j 2 \
^ 3.17
j 2\ 51 j
1,15 .2'.
Ammettendo
l' z=H~^h=z 0W,80,
25
<<
— 190 —
avremo pel primo caso
e pel secondo
1 = 1, 96.0, 80 = 1-, 568,
l = 1,15. 0,8 = 0™, 92 ,
lo che prova essere, in atnbedne questi casi , praticabile la calcolata com-
pensazione.
$• 12.
La disposizione di un seslo barometro compensatore, sarà immediatamente
chiara, per mezzo della semplice ispezione della fìg. 8, nella quale un soste-
gno K, regge invariabilmente il barometro, composto dal tubo jR, e dal pozzuo-
10 G. Le due verghe metalliche A, B, che si dilatano una più dell’altra, sono
ambedue fissate sul medesimo sostegno li. La verga indicata con A , di me-
tallo meno dilatabile, sostiene il fulcro m di una leva M m, la quale posa
sul punto m' della seconda verga B, di maggiore dilatazione dell’altra. L’estre-
mo M della leva indicata, muove la scala, che può scorrere in una guida ver-
ticale, ovvero potrebb’essere solcata sulla stessa estremità del tubo. Passando
11 sistema in una temperatura diversa, per es. maggiore di quella, corrispon-
dente alla sua posizione iniziale m M, dovrà esso prendere l’altra posizione
n N ; cosicché, per la compensazione , la scala indicata dovrà salire tanto ,
quanto sale il mercurio dentro al tubo, pel solo effetto dell’aumento di tem-
peratura.
Se questo barometro si renda grafico, per mezzo della fotografia; chiaro
apparisce, che la scala sarà fotografata in guisa, da mostrare un andamento
sinuoso, a motivo della variazione di temperatura.
Sia per tanto L, la lunghezza comune delle due verghe A, B, corrispon-
denti ad una iniziale temperatura x , per la quale prendiamo la media del sito
della barometrica costruzione. Rappresenti a il coefficiente della dilatazione
lineare di B, essendo /3 quello che appartiene ad A. Queste due verghe ,
portate alla temperatura maggiore r', si allungheranno rispettivamente di m' n\
e di m n; quindi avremo
mn = L [ 3 (r' — t) , m'n' = L«(f — r) ,
q n' = m' n' — m'q — m' n1 — rn n — L (oc — /3) {*' — T) >
«
donde
191
ovvero, ponendo
sarà
m n — L (3 0
Z1 — T = 0 ,
m'n' — LctO, qn' = L(a—$)9.
La figura in proposito, corrisponde al caso di z' ;> t ; però le formule
stesse valgono anche pel caso di v' < t, nel quale, tanto m n, quanto mV,
assumono valori negativi.
Pongasi
m M=a , m m' — b ,
si avrà
NQ = j.n'q = ~L(«-(3)e-,
di più dovremo avere
quindi
QM = mn — Lfi9,
(26) MN— QM-\~QN — LJ3Q-{---L(a. — /3) 0
o
=z'[/3'+'t
Questa è l’espressione algebrica dell’altezza, cui giunge l’estremo M della leva
m M, per effetto della temperatura v'; e rappresenta lo spazio percorso dalla
scala mobile, per lo stesso effetto. Perciò di altrettanto dovrà salire l’estre-
mo della colonna barometrica , perchè la medesima sia termometricamente
compensata.
Ora passiamo a determinare l’aumento, che 1’ altezza della colonna ba-
rometrica riceve, per la stessa temperatura Supponendo grande assai
la superficie del pozzuolo, e non dilatabile sensibilmente il vetro, da cui vie-
ne formato il tubo barometrico, ed. il pozzuolo; l’innalzamento del livello in
questo, sarà semplicemente rappresentato da l à 9 . In questo prodotto il fat-
tore l, denota la profondità del pozzuolo stesso, e § il coefficente della dila-
tazione cubica del mercurio.
Premesso ciò, facilmente si vede, che il livello superiore, salirà per effetto
della temperatura v', sotto la stessa pressione atmosferica, per l’altezza
192
l é 6 -4- H § 9 — ( l — H H ) $ 0 ,
essendo H l’altezza della colonna barometrica dal livello dal pozzuolo, per la
temperatura iniziale z . Pel nostro fine, dovrà questa grandezza, uguagliare
quella già trovata colla (26), per la quale ascende T estremo M della leva ,
ossia la scala; cosicché avremo
L6[j
ovvero
(27) ]=(«+«) »,
ed in questa formula consiste la condizione da soddisfare, acciocché il ba-
rometro sia compensato automaticamente, dagli effetti delle variazioni di tem-
peratura.
§• 13.
Supponendo data la lunghezza L delle due verghe, come pure la profon-
fondità l del pozzuolo, vediamo quale debba essere il rapporto delle due
braccia di leva. Per tanto dalla (27) avremo
(l -+- H)à
L
>
ovvero
a . ,1 H\ ~ _
b(« «-( L )» ft
donde
(28)
a f(i-t-ff)8 -, ì
b~ L L ^ J a — /3 *
Supponiamo
l -+. H= L ,
193
come pel solito ha luogo in pratica, e dalla (28) otterremo
a * — /3
(29)
b a. — /3
Se pongasi essere di ferro la verga, che indicammo con A, essendo l’altra B
di ottone, avremo
j8 = 0,000012 , a. = 0,000033 , 5 = 0,000180 ,
e sostituendo questi valori numerici nella (29), otterremo
a 0,000180 — 0,000012 168 ,
0,000033 — 0,000012 21
8 .
Dunque le due braccia di leva M m', m' m, debbono essere nel rapporto
di 8: 1, per produrre nell’ indicato sistema barometrico, l’automatica termo-
metrica compensazione.
§• 14.
Come già dicemmo, la compensazione ora descritta (fìg. 8), possiede
la particolarità, che le divisioni della scala fotografata, non sono rigorosa-
mente rettilinee, bensì ondeggiate. In fatti nell’ indicato sistema, la scala es-
sendo mobile, ed il barometro fisso , le divisioni della scala fotografata in
questo caso, debbono essere linee curve. Nella seguente costruzione, rappre-
sentata dalla fìg. 9 , la quale non abbisogna di schiarimento, e fornisce un
settimo sistema di compensazione barometrica, queste divisioni sono rettilinee,
perchè si muove il barometro, e non la scala. Per l’abbassamento AA' del-
l’estremo A di leva GA , prodotto dalla dilatazione delle due verghe M ed iV,
una più, l’altra meno dilatabile, abbiamo le
AA' = A' C-CA>
CA' = -jDE= “ [EH-FG) = j{L« — Lp)9,
194 —
ed anche le
A C=FG = L(3Q;
quindi sarà
AA' = ^ (L«-L/S)9-t/39 = i jj(«_/S)-/s]9
(f-1- ’)'3] e’
essendo il braccio maggiore a = GA = FA\ mentre b = G H *= F E rap-
presenta il minore della leva H A = EA', ed essendo L la lunghezza delle
due sbarre M, N.
L’armatura del barometro, vale a dire la distanza fra il punto di so-
spensione A , ed il fondo p q del pozzuolo, si allunga per effetto della tem-
peratura. Indichiamo questa lunghezza Ad, alla temperatura normale r,
con L', essendo 7 il coefficiente della sua lineare dilatazione ; l’allungamento
A d , sarà espresso da L' 7 0 .
il fondo p q del pozzuolo si deve abbassare, a motivo della dilatazione
delle due verghe M, N; quindi tutta l’armatura del barometro, che si com-
pone di A n , e del montante npq, il quale sostiene il barometro stesso,
riceverà un abbassamento, espresso da
Ora passiamo a determinare 1’ innalzamento del livello superiore del mer-
curio, contenuto nel tubo barometrico. Due sono le cause di questo innalza-
mento: in primo luogo si alza la superfìcie del pozzuolo, per l’aumento di
temperatura dal mercurio, contenuto in esso: in secondo luogo, per Io stesso
aumento, diviene più grande la distanza fra i due livelli, del mercurio. Que-
st’ ultima distanza evidentemente cresce, nel rapporto del coefficiente 5, della
dilatazione cubica del mercurio.
Chiamando II, l’altezza della colonna barometrica, alla temperatura normale
t » l’altezza medesima sarà espressa con
(80)
L
— 195 —
H) 1 -+-80)
quando la temperatura sia cresciuta di 9, essendo al solito t — r ' = 0, co-
sicché l’aumento della indicata colonna, sarà dato dal prodotto H 8 9 .
L’ innalzamento della superficie del livello inferiore, sarà dovuto alla di-
latazione del mercurio nel pozzuolo, soltanto in senso verticale. Si chiami h
la profondità del pozzuolo; la indicata dilatazione verticale, sarà espressa con
h9d ■
Per ottenere la proposta compensazione, fa d’uopo che questo aumento
eguagli l’abbassamento del fondo del pozzuolo, già trovato colla (30); perciò
dovrà essere
9 -+-L'y 9 =Hd 9 h6 S = (H -hh)$ 9
ovvero
a ,a
b
,u ,
Ll y — (//-+— /i) 8 ;
condizione che non dipende affatto dall’aumento 9 di temperatura. Risolvendo
questa equazione rispetto ad — avremo ,
l't) j ^ ff (// lij ó L1 y -+- L fi
V b^ L (« - fi) ’
Per tanto, quando si conoscano i valori numerici, che compongano il secon-
do membro di questa equazione, si otterrà mediante la (31) il rapporto, che
debbono avere le due braccia di leva, per produrre la voluta termometrica
compensazione in questo barometro.
Considerando che nel secondo membro della (31), la quantità H è varia-
bile, si vede che, rigorosamente parlando, la compensazione non sarebbe pos-
sibile in generale; ma bensì per un solo dei tanti valori di II, cioè per una
sola pressione dell’atmosfera. Però le variazioni di II, essendo sempre piccole,
— 196 —
chiaro apparisce, che introducendo nella (31) per H il suo valore medio, come
per lo stesso motivo abbiamo praticato nei precedenti sistemi ; si avrà una
compensazione di esattezza sufficiente, anche per gli altri valori della pres-
sione H.
$. ih*
Supponendo per un caso della pratica, essere le tre quantità H h *
L, L' eguali fra loro; dalla (31) avremo
a d 7 ■+• jS
si—i 3 ■
Inoltre supponendo che la verga M sia di zinco, la N di ferro, e l’armatura
del barometro essa pure di ferro, sarà /3 = y ; e dalla (32) avremo
(33).
Per tanto dovremo prendere a — 0, 000033, /3 = 0,000012, S =0,000180,
e sostituendo questi valori nella (33) avremo
a 0,000180
b ^ 0,000033 — 0,000012
vale a dire i bracci di leva, debbono stare fra loro nel rapporto di 1: 8,6;
lo che può con facilità effettuarsi.
-- 197 —
COMUNICAZIONI
In questa tornata, dal prof. Volpiceli si fece dolorosa menzione, per la
perdita irreparabile di un distinto nostro socio ordinario, quale fu il cav. An-
tonio Coppi, che cessò di vivere nel 26 di febbraio del 1870. La Storia, con
questa morte, perdette un fedele scrittore: ne fanno testimonianza gli An-
nali d’Italia, da esso pubblicati a cominciare dal 1750 , e che terminarono
col 1861. Il Coppi lodevolmente coltivò eziandio l’agraria, massime rispetto
alla campagna romana, e fu già direttore del giornale di Roma, ed anche uno
dei fondatori dell’accademia pontificia Tiberina: egli nacque in Andezeno, nel
22 di aprile 1783, piccola terra della provincia di Torino.
CORRISPONDENZE
Il sig. Schròtter, segretario generale della I. accademia delle scienze di
Vienna, fa giungere la nota delle pubblicazioni dell’accademia stessa, inviate, in
dono alla nostra.
Il segretario generale della reale accademia delle scienze di Lisbona, in
nome della medesima, ringrazia per gli atti dei Lincei da essa ricevuti.
COMITATO SEGRETO
La Commissione precedentemente nominata, lesse mediante il suo rela-
tore sig. prof. Rolli, il suo rapporto su! consuntivo del 1869, e sul preven-
tivo del 1870. Innanzi tutto si fece noto dal relatore stesso, che il R. P. Sec-
chi, uno dei quattro commissari, non aveva voluto esaminare nè il consun-
tivo, nè il preventivo in proposito, quindi mancava la sua firma nel relativo
rapporto. Dopo ciò fu interrogata l’accademia se voleva dar seguito al rap-
porto stesso, ovvero voleva che si nominasse un’altro commissario. Si decise
a maggioranza di voti, che bastavano le tre firme degli altri commissari, e che
si leggesse il rapporto.
26
198 —
Dopo questa lettura, l’accademia con maggioranza di voti, approvò il con-
suntivo del 1869 ; e con unanimità di voti, approvò il consuntivo pel 1870.
L’ accademia riunitasi legalmente alle due pomeridiane, si sciolse dopo
due ore di seduta.
Soci ordinari presenti
B. Viale — B. Tortolini — P. Volpicelli — S. Gadet — M. Azzarelli
A. Guglielmotti — F. Castracane — V. Diorio — Se Proja — F. Giorgi —
A. Gialdi — B. Boncompagni — A. Betocchi — M. Massimo — D. Ghelini —
L. Respighi — G. Pieri — G. Ponzi — E. Rolli — F. Nardi.
Pubblicato nel 25 di maggio 1870.
P. V.
i
IMPRIMATUR
Fr. Marianus Spada Ord. Pr. S. P. A.
Magister.
IMPRIMATUR
Joseph Angelini Yicesg.
ATTI
DELL’ACCADEMIA PONTIFICIA
DE’ NUOVI LINCEI
SESSIONE V.a DEL 3 APRILE 1870-
PRESIDENZA DEE S3G. CAI. BENEDETTO VIALE PRELA’
MEMORIE E COMUNICAZIONI
DEI SOCI ORDINARI E DEI CORRISPONDENTI
Sulle osservazioni spettroscopiche del bordo e delle pioluberanze solari falle
all ’ Osservatorio della Romana Università sul Campidoglio. — Nota li.
del Prof. Lorenzo Respighi.
La perseverante contrarietà della stagione non mi ha permesso di continuare
le osservazioni del bordo e delle protuberanze solari colla regolarità richiesta
per uno studio approfondito di questi singolari fenomeni : e perciò ho dovuto
contentarmi di raccogliere nuovi fatti in conferma delle leggi già stabilite ,
procurandomi però nuovi dati riguardanti le relazioni delle protuberanze cogli
altri fenomeni solari, colle facule cioè e colle macchie.
Dal 26 ottobre sino al presente ho potuto ottenere soltanto 64 profili
completi o quasi completi del sole, non comprendendovi però molti rilievi par-
ziali, relativi principalmente allo sviluppo ed alle trasformazioni delle protube-
ranze, ed alle accidentalità del bordo solare nelle località delle macchie.
Ciò non ostante, riflettendo che prima delle osservazioni spettroscopiche
ad ottenere uno di questi profili , con molto minore esattezza e con molto
meno dettagli, si richiedeva la favorevole e preziosa circostanza di un eclisse
totale di sole, facilmente si comprenderà la grande importanza delle osser-
vazioni spettrali; colle quali, malgrado la sfavorevole circostanza di una sta-
gione ostinatamente perversa, si è potuto raccogliere in pochi mesi un cu~
molo di fatti più ricco, più completo di quello che si sarebbe potuto ricavare
dalle osservazioni fortunate di 64 eclissi totali, nel lungo giro di parecchi secoli.
27
202 —
Che anzi l’ importanza di queste osservazioni si rende più manifesta col
considerare, che i fatti raccolti non sono isolati e indipendenti, come lo sa-
rebbero stati quelli ottenuti dagli eclissi, ma fra loro collegati e dipendenti in
modo da presentare il fenomeno nelle sue successive fasi ed evoluzioni.
Le osservazioni degli eclissi ci avrebbero somministrato qualche dato sulle
forme, sui caratteri e sulle dimensioni delle protuberanze, e sulla loro mag-
giore o minore frequenza nelle varie parti del bordo solare ; ma non ci avreb-
bero certamente procurato la conoscenza del loro vero modo di distribuzione
sul corpo solare, del loro modo di sviluppo e di trasformazione, e delle loro
relazioni colle facule e colle macchie ciò, che poteva conseguirsi soltanto collo
studio continuato e regolare del fenomeno.
La discussione adeguata dei fatti finora raccolti è già divenuta una ope-
razione lunga e laboriosissima; e le mie occupazioni non mi hanno permesso
che di sfiorare questo ricchissimo materiale, per dedurre i caratteri e le leggi
più manifeste del fenomeno, le sue principali relazioni cogli altri fenomeni
solari , e alcuni dati relativi alla fisica costituzione del sole : colla speranza
però di poter dedurre da un profondo esame del medesimo altre importanti
conseguenze e dati, che per la complicazione e varietà dei fatti riescono meno
palesi, meno spiccanti.
Se la nuda descrizione di poche protuberanze, osservate durante un eclisse
totale, ha richiesto molte pagine, la descrizione dettagliata delle migliaja di pro-
tuberanze da me osservate, l’immensa varietà di sviluppi e di trasformazioni in
esse rilevate, il loro confronto cogli altri fenomeni solari, la loro discussione in
riguardo alle forze da cui possono ritenersi prodotte e modificate, e la dedu-
zione delle conseguenze relative alla fìsica costituzione del sole, sono già suf-
ficienti a costituire l’oggetto, non già di una nota, ma di un grosso volume.
Perciò nella presente nota mi limiterò ad accennare alcuni dei fatti più
importanti , e a dedurre alcune delle più manifeste conseguenze in riguardo
alle forme, alle dimensioni, alla durata , alla distribuzione delle protuberanze
sulla superficie solare, alle loro relazioni colle facule e colle macchie , ed al
loro modo di sviluppo e di trasformazione.
Nella straordinaria varietà e stranezza di forme che presentano le mol-
tissime protuberanze disegnate nelle tavole, che ho l’onore- di presentare al-
PAccademia,, nelle quali sono dati 56 profili del sole, si ravvisa tosto il carat-
tere generale di getti od eruzioni gassose dal corpo solare, quale io 1’ aveva
dedotto dalle prime osservazioni : cosicché non può rimanere alcun dubbio
sulla origine vulcanica di queste masse circumsolari: mentre nella prodigiosa
varietà di forme, che esse presentano nelle parti più elevate, non può non rav-
visarsi nella materia eruttata Fazione di altre forze, oltre alla forza di proje-
zione ed alla gravità solare.
Questi getti gassosi ordinariamente sono hen definiti e sottili alla base ;
talora paralleli, talora intrecciati insieme nelle più vaghe figure, e non di rado
si veggono più getti confondersi insieme , in modo da costituire getti d’ im-
mensa portata.
La varietà e la stranezza di forme, che assumono questi getti nelle parti
elevate, è veramente prodigiosa : e in ogni giorno si riscontrano nuove va-
rietà, nuove forme.
Nei getti bassi, o non molto elevati ma violenti, prevale ordinariamente la
figura parabolica, determinata da una velocità di impulso e dalla gravità, senza
sensibile contrasto della resistenza del mezzo, ossia dell’atmosfera solare; e le
deformazioni, che talora prendono questi getti, sembrebbero dipendere soltanto
dalla variata velocità e direzione dell’ impulso : mentre nei getti elevati le
strane e complicate deformazioni sembrano dovute al concorso di altre forze.
Se le prime osservazioni mostrarono che i gas vomitati dal sole pote-
vano salire sino alla straordinaria altezza di 10 diametri terrestri, ossia di 3';
le posteriori osservazioni mi provarono, che assai più elevato è il limite delle
altezze delle protuberanze, avendone riscontrate alcune non meno alte di 6',
ossia di più di 20 diametri terrestri, cioè di 260,000 chilometri circa.
Nel giorno 26 Gennajo fra il bordo NO ed ONO, sopra una bella pro-
tuberanza alta più di 3', ritrovai tre nubi isolate molto lucide, ad un altezza
di circa 61 dal disco solare; e nel giorno 27 marzo nel bordo SE osservai una
protuberanza continua e di forma assai complicata, alta non meno di 6'; della
quale non potei rilevare il disegno in causa di sopraggiunte nubi.
Non è quindi esagerato l’ammettere, che l’altezza delle protuberanze non
è minore di quella assegnata «alla corona od aureola luminosa, che si presenta
attorno al disco del sole e della luna durante gli eclissi totali ; e che perciò
esse possano costituire sino a quest’altezza una specie di atmosfera solare.
Non tralascierò di riferire una circostanza molto rimarchevole , ed è la
seguente, che anche a tali altezze si riscontrano abbastanza distinte, oltre alla
riga spettrale rossa C, anche la riga gialla presso la D del sodio, e la bleu F;
contrariamente a quanto si era generalmente ammesso, che queste ultime ri*
ghe si presentassero soltanto alle minori altezze.
— 204 —
Il che sembrami provare che il difetto di queste righe , che ordinaria-
mente si verifica nelle parti più elevate delle protuberanze, non dipenda dalla
minore temperatura o dal raffreddamento delle masse eruttate, ma piuttosto
dalla minore densità od estensione delle masse stesse.
, Le posteriori osservazioni mi hanno confermato ciò che dissi nella prima
nota relativamente alla durata di queste eruzioni ; e cioè che esse talora pos-
sono persistere per molti giorni e forse per intere rotazioni del sole, come le
macchie, malgrado le continue variazioni delle parti superiori dei getti; avendo
verificato che le eruzioni in prossimità ai poli si mantengono certamente at-
tive per molti giorni, e che nelle regioni equatoriali alcuni grandi centri di
eruzione si sono probabilmente ripresentati dopo intere rotazioni del sole ,
tuttoché molto modificati.
La località delle protuberanze , come già erasi stabilito dalle prime os-
servazioni, trovasi combinare prossimamente con quella delle facule ; ma sem-
brami accertato che esse siano da queste distinte ; e cioè che i getti non co-
stituiscano realmente le parti più lucide del disco solare , ma che essi pro-
ducano un maggiore condensamento, o una maggiore attività di combustione
nelle parti limitrofe della fotosfera da essi squarciata, rimanendo anzi meno
lucidi o più oscuri i fori o aperture in questa praticate.
E in ciò mi conferma il fatto che getti straordinariamente lucidi, osser-
vati anche presso all’orizzonte senza lo spettroscopio, diventano invisibili an-
che coli’ uso dei più opportuni e deboli vetri offuscanti, senza presentare sul
loro posto alcuna sensibile sporgenza sul bordo solare. Da questo fatto sem-
brami poi dimostrato che quei getti luminosi, che alcuni asseriscono di avere
osservato come sporgenti dal bordo del sole al suo tramonto, non fossero già
protuberanze o masse circumsolari, ma semplici giuochi di luce nella nostra
atmosfera.
Le più alte protuberanze ordinariamente si riscontrano nelle regioni in-
termedie ai poli ed all’ equatore solare , mancando totalmente nelle regioni
circumpolari, sino a circa 70° di latitudine, e diventando meno frequenti e
meno pronunciate in vicinanza all’ equatore.
Questa legge già dedotta dalle prime osservazioni, e confermata da quelle
protratte ad oltre 5 mesi, non può essere richiamata in dubbio ; e ci prova
già una stretta relazione fra questi fenomeni e quelli delle facule e delle mac-
chie, e la dipendenza comune di tutti questi fenomeni dal moto rotatorio del
sole. Questo carattere di vulcanicità non devesi però ritenere proprio soltanto
205
di alcune zone solari ; ma come generale ed esteso a tutta la superfìcie del
sole; poiché i getti gassosi si mostrano a qualunque latitudine, e nelle varie
zone, variano soltanto l’attività e le proporzioni delle eruzioni. E non credo az-
zardata la supposizione che da questi getti sia portato dall’ interno del sole
quel gas che ne forma 1’ estremo inviluppo, ossia che da esse sia alimentato
e conservato lo strato rosato.
In questi ultimi mesi la non comune frequenza di belle macchie avrebbe
offerto una favorevole circostanza per istudiare la conformazione del bordo so-
lare nelle località di esse macchie, al momento della loro apparizione o di-
sparizione dal disco : ma la contrarietà della stagione poche volte mi ha per-
messo simili osservazioni.
Quantunque sia assai ristretto il numero delle osservazioni del bordo so-
lare fatte in queste circostanze, pure mi sembra già sufficiente a stabilire al-
cuni speciali caratteri relativi alla costituzione della superfìcie del sole nella
località delle macchie stesse.
In vicinanza alle macchie e sul contorno delle medesime ordinariamente
l’attività vulcanica è molto marcata, non già per grandi protuberanze o per
getti giganteschi , ma per la presenza di getti intensissimi e variabilissimi ,
che soltanto ad intervalli, e per breve durata si slanciano talora a notevoli
altezze sullo strato rosato.
Comunemente sul posto preciso dalla macchia lo strato rosato è assai
basso, e non di rado presenta delle addentellature tanto marcate, da far ri-
tenere che sul nucleo , o non trovisi affatto lo strato stesso , o che almeno
sia ridotto a piccola spessezza ; cosicché puossi dedurne che sul nucleo non
corrispondono ordinariamente getti od eruzioni.
Se vogliamo ammettere nel nucleo uno splendore, questo però devesi ri-
tenere come assai debole, non solo comparativamente alla luce della fotosfera,
ma anche a quella già molto debole dello strato rosato ; potendosi vedere ben
marcati e ben distinti i getti e le protuberanze projettate sul medesimo , e
rimanendo lo spettro di essi nuclei molto oscuro anche nelle estreme vici-
nanze al bordo del sole, e probabilmente anche sul bordo stesso.
Lo studio dello spettro de’ nuclei delle macchie è assai difficile, trovan-
dosi accumulato sul medesimo lo spettro della luce solare diffusa dalla nostra
atmosfera, quello della luce dell’atmosfera solare, la luce delle circostanti pro-
tuberanze o getti su di essi proiettati, la luce propria del nucleo, se esiste ,
— 206 —
colle modificazioni subite dai mezzi assorbenti che potessero trovarsi sul me-
desimo.
E sembrami troppo azzardoso Tammettere che le particolarità presentate
dallo spettro stesso siano dovute alla speciale qualità della luce, proveniente
dall’ interno del sole per le supposte voragini che costituirebbero le macchie,
ed agli assorbimenti elettivi delle supposte masse gassose che scaturirebbero
dalle voragini stesse.
Debbo confessare di non avere fatto uno studio speciale sugli spettri delle
macchie , e ciò per mancanza dei mezzi opportuni e del tempo necessario ;
ma posso accertare di essere in possesso di fatti, i quali attribuirebbero al-
meno ad alcune delle particolarità osservate negli spettri stessi una causa es-
trinseca alla luce delle macchie.
Per esempio l’ indebolimento, la scomparsa della riga nera C, e la sua
trasformazione in riga lucida, già verificate dal Secchi, anziché alla luce del
nucleo , ritengo siano interamente dovute alla luce dei getti o protuberanze
che circondano il nucleo stesso : avendo trovato che tali trasformazioni si
verificano più spesso sul contorno delle macchie, e che quando il fenomeno
ha luogo sul nucleo , è sempre ristretto ad una parte del medesimo , dove
probabilmente si projettano i getti vicini ; e ciò sarebbe confermato anche dal
fatto , che simili apparenze si riscontrano più frequenti e più marcate nelle
macchie vicine al bordo.
I getti, che sorgono presso le macchie , si contraddistinguono da quelli
che si elevano nelle altre località, e dai quali sono prodotte le protuberanze
propriamente dette, per alcuni ben marcati caratteri ; e cioè pel loro inten-
sissimo splendore, pel loro rapido sviluppo, per la loro forma e per la qua-
lità delle sostanze eruttate.
Questi getti sono così luminosi, che facilmente si possono vedere pro-
jettati sul nucleo delle macchie ed anche sulla penombra, non solamente al
bordo del sole, ma talora anche sulle parti centrali del disco; e ciò per mezzo
del rovesciamento più o meno marcato delle principali righe spettrali delle
protuberanze.
Lo splendore di questi getti però non è tanto intenso da renderli visi-
bili nel cannocchiale senza il concorso dello spettroscopio ; perchè esaminando
il bordo del sole nel posto di getti luminosissimi sporgenti dal medesimo ,
non ho potuto rimarcare sensibili deformazioni della fotosfera, ossia nessuna
prominenza, servendomi anche dei più opportuni offuscanti.
207 —
Non è quindi a ritenersi, secondo che io penso, che da questi getti siano
costituite quelle lingue , quegli archi lucidi , che attraversano i nuclei delle
macchie , e che si appellano comunemente ponti ; i quali posseggono uno
splendore molto più intenso, una luce totalmente diversa, e che costituiscono
sicuramente una derivazione, una ramificazione della fotosfera.
Lo sviluppo di questi getti è spesso rapidissimo , e non di rado mi è
accaduto di vedere getti luminosissimi slanciarsi in breve tempo , in pochi
minuti, ad enormi distanze, cioè di varii diametri terrestri, ricadendo in forme
paraboliche sul lembo solare.
Talora ho potuto osservare svilupparsi in questo modo dei gruppi di nu-
merosi e sottilissimi getti, i quali o incurvandosi tutti nel medesimo senso,
o in varie direzioni, presentavano il più sorprendente spettacolo.
La durata di questi getti ordinariamente è assai breve, ma spesso la loro
base rimane per molto tempo persistente sotto l’aspetto di tratti o punti In»
cidissimi, che spiccano notevolmente dallo strato rosato in cui si projettano.
Nel luogo delle eruzioni e alla base dei getti spessissimo si presentano
dei tratti o masse di uno splendore intensissimo ; il cui spettro di tratto in
tratto si rende assai vivo in tutta la sua lunghezza, come nella combustione
di una massa solida.
Un carattere poi molto distintivo dei getti e del bordo solare in vicinan-
za alle macchie è quello della moltiplicità delle righe spettrali lucide, delle quali
spesso ne ho numerato sino ad 1 1 ben distinte , oltre a molte altre meno
decise.
Il desiderio di studiare lo sviluppo e le trasformazioni di questi getti straor-
dinarii, l’eccessiva fatica in queste osservazioni, e la mancanza di opportuno
micrometro, non mi hanno permesso di determinare il posto di queste righe
altro che in modo grossolanamente approssimativo; ma spero non mi man-
cherà occasione di fare sulle medesime un più accurato studio.
Ritengo però di grande importanza il risultato, che emerge necessaria-
riamente da queste osservazioni, e cioè che le eruzioni vulcaniche sul contorno
delle macchie sono diversissime da quelle delle altre parti della superficie solare
per la qualità dei gas eruttati ; il che sembrerebbe provare una speciale costi-
tuzione fìsica e chimica del corpo solare nelle località soggette alle macchie.
Fra le righe speciali, che si fanno rimarcare in queste località, ne farò
notare due, per quanto mi è noto non prima osservate, che ho vedute ben
distinte in tutte le circostanze di macchie al lembo; e cioè una sul rosso fra
— 208 —
la G e la B, un pò più vicina alla C, e cioè a circa 0,45 della distanza C - B :
l’altra egualmente sul rosso fra la B e la a , distante dalla a di 0 , 40 circa
della distanza B - a. La prima riga cade vicina ad una riga del litio ; la se-
conda ad una riga dello stronzio, ma non mi sembrano combinare esattamente
colle medesime.
Queste righe spettrali si presentano su tutta l’estensione della macchia
compresa la penombra ; ma non si trovano ordinariamente estese a tutta la
lunghezza dei getti e a tutti i getti, ma semplicemente ad alcuni getti, e ta-
lora ad una parte soltanto dei getti stessi ; e più volte le ho rimarcate ben
distinte e lucide alla sommità di qualche getto, e totalmente mancanti nelle
parti meno elevate.
Siccome in questi casi le righe rimanevano persistenti per molto tempo,
malgrado la visibile ricaduta del getto sul sole, e siccome i getti apparivano
quasi compresi nel piano visuale, così io ritengo che la visibilità delle righe
in quella località dipendesse dalla maggiore profondità dello strato gassoso nella
direzione dell’ occhio, e non già da una reale discontinuità della massa stessa
sul getto.
Questi caratteri, che contraddistinguono le eruzioni o getti prossimi alle
macchie, si estendono più o meno manifestamente a tutta la penombra; sulla
quale lo strato rosato, ordinariamente basso e regolare, è di uno splendore in-
tensissimo, e presenta allo spettroscopio molte righe spettrali, fra le quali fi-
gurano sempre le due rosse ; una fra la C e la B, e l’altra fra la B e la a.
Per tutta questa estensione i getti e le protuberanze sono ordinariamente
basse e lucidissime, di forma somigliante alla parabola, e quasi indipendenti
da quelle cause, che nelle altre località contribuiscono potentemente a disper-
dere le masse gassose eruttate nelle più strane diramazioni e configurazioni.
Questa speciale costituzione del bordo solare è il mezzo più sicuro per
prevedere nel lembo orientale l’apparizione delle macchie , e procurano per-
ciò all’osservatore il vantaggio di essere avvertito in tempo utile per dirigere
la sua attenzione allo studio dei fenomeni che si producono sulla superficie
del sole al posto delle macchie stesse.
Lo stato di agitazione o di ondulazione, nel quale trovasi ordinariamente
il lembo solare per effetto della scintillazione atmosferica, è probabilmente la
causa che ci impedisce di vedere ben distinte le macchie quando toccano il
bordo solare, e l’oscurità delle medesime può essere facilmente invasa dal cir-
costante e vivissimo strato rosato. Non rare volte però ho osservato sul po-
— 209 —
sto di macchie vicinissime all’orlo delle addentellature scure nello strato ro-
sato, e dei tratti ed archi neri paralleli al bordo solare, projettati su lucide
e piccole intumescenze dello strato stesso, come se il nero della macchia si
elevasse, di poco però, sul livello generale della superficie solare.
Queste ed altre simili apparenze da me osservate farebbero nascere il
sospetto, che la parte oscura della macchia fosse costituita da una massa oscura
o debolmente illuminata, e sporgente sul livello della fotosfera ; e che in ge-
nerale la superfìcie solare, quella che dicesi fotosfera, fosse leggermente on-
dulata, e che le parti più oscure fossero un pò più alte delle più lucide, os-
sia delle facule.
Con questa supposizione, che sembrami convenientemente giustificata dalle
osservazioni , si renderebbe ragione della notevole diminuzione di splendore
verso il bordo, assai meglio che colla ipotesi di un assorbimento prodotto dal-
l’atmosfera solare ; dovendosi ritenere questo assorbimento debolissimo , at-
tesa la piccolissima densità dell’atmosfera solare, quale viene comprovata dai
fenomeni delle protuberanze.
La supposizione, che le macchie siano squarci o fori prodotti nella foto-
sfera da masse gassose eruttate dall’ interno del corpo solare, non sembrami
molto probabile; non essendovi ragione perchè tali gas non dovessero rendersi
visibili all’orlo del sole per mezzo delle loro righe spettrali, come succede pei gas
che realmente scaturiscono dalla fotosfera per formare le protuberanze e i
getti che circondano le macchie.
E per me riesce inconcepibile, come possano trovarsi a contatto, o vici -
nissimi, getti gassosi di caratteri totalmente diversi, lucidissimi cioè gli uni,
oscuri gli altri ; a meno che non si voglia ricorrere ad ipotesi speciali rela-
tive all’ interna costituzione del corpo solare, non conciliabili poi collo stato
gassoso che si vorrebbe proprio dell’ intera sua massa. Che le masse di idro-
geno, che ordinariamente attorniano le macchie non siano prodotte dallo stra-
to rosato , che prima occupava il posto della macchia , riversato ivi dai gas
assorbenti emanati dai crateri o squarci aperti nella fotosfera , come da al-
cuni si è sospettato , è cosa certa ; essendo manifestamente provata 1’ ori-
gine vulcanica delle masse stesse, costituite da ceali getti sorgenti dalla fo-
tosfera.
Le macchie sono sicuramente un effetto delle eruzioni o vulcani solari,
e cioè una modificazione, una alterazione da questi prodotta nella fotosfera;
ma certamente non sono formate e costituite da queste eruzioni o getti ; e
28
— 210 —
non credo azzardato l’ammeUere che questi ordinariamente manchino sul po-
sto preciso del nucleo.
D’ordinario lo strato rosato in prossimità al nucleo apparisce molto basso
e regolare ; e più volte nel posto delle macchie lo strato stesso si è presen-
tato quasi totalmente rettilineo o circolare, con pochi getti sottili , isolati e
di breve durata, come se in quelle località la superficie solare fosse costituita
in uno stato di instabilità minore di quella che domina ordinariamente nelle
altre parti.
Se le moderne teorie della costituzione fìsica del sole non avessero pro-
scritto dalla superficie solare lo stato liquido e lo stato solido, riescirebbe ben
più facile il concepire le macchie, come formate da masse solide, sollevate forse
da vulcani o eruzioni gigantesche sul livello della fotosfera, costituita da un
liquido incandenscente ; in modo da formare come tante isole natanti in un
mare di fuoco.
Con questa ipotesi si spiegherebbe facilmente la forma radiata dei nu-
clei delle macchie, e le correnti luminose convergenti verso il centro, senza
incontrare serie difficoltà per rendere ragione delle apparenze presentate dalle
macchie stesse nel loro avvicinarsi al bordo; mentre poi resterebbe facilmente
spiegato, per mezzo delle azioni di quei getti od eruzioni sul corpo delle
macchie , il movimento di queste verso i poli , e il rallentamento del loro
moto nella generale rotazione della massa solare ; e le loro rapide trasforma-
zioni si potrebbero spiegare per mezzo di semplici e~ piccoli sollevamenti o
depressioni di queste masse natanti.
Ma queste e simili congetture intorno alla natura delle macchie non si
potrebbero mettere in campo, se realmente la superficie solare fosse investita
di quella enorme e quasi favolosa temperatura , che si vorrebbe dedurre da
alcune esperienze colle quali si è cercato di misurare l’ intensità dell’ irraggia-
mento calorifico del sole.
Questi risultati però non sembranmi tanto evidenti, da non potersi concepire
sui medesimi il sospetto di una grande esagerazione ; e spero di poter mo-
strare fra breve in apposita nota, che l’ irraggiamento solare, quale viene da
noi misurato, non porla alla necessità di attribuire alla massa ed alla super-
ficie del sole la temperatura di più milioni di gradi; ma una temperatura ele-
vata si, ma non tale da rendere impossibile sulla medesima superfìcie la pre-
senza di masse liquide e solide.
— 2 i 1 —
La questione però è assai delicata e grave, e i fatti finora raccolti non
sono forse sufficienti a convenientemente risolverla.
Ma di fronte ai fenomeni presentati dalle protuberanze ritengo assai dif-
ficile che possano sostenersi le recenti teorie sulla fisica costituzione del sole.
Un più maturo esame di questi fenomeni, giova sperare, non condurrà soltanto
ad abbattere , ma anche ad edificare ; a stabilire cioè una base più positiva
e più solida per la teoria della fisica solare.
— 212 —
Cenni su l'esame microscopico di un fango estratto dal fondo dell' Oceano
Atlantico. Memoria del Conte Ab , Francesco Castracane degli An-
ielminelli.
Lo studio della vita animale e vegetale nel mare, e le ricerche dei diversi
fenomeni che hanno luogo fino nei più reconditi e profondi abissi dell’Oceano
venne giustamente riputata cosa di tanto interesse alla scienza che il Go-
verno Inglese ad un voto espresso dalPAssociazione Britannica si fece pre-
mura di fornire una delle sue navi a vapore, perchè con quel mezzo distin-
tissimi Naturalisti, quali il Dr. Carpenter , il Sig. Gwin Ieffreys ed il Prof.
Wyville Thomson assistiti da Ghimici abilissimi, potessero operare scanda-
gli a ricerche d’ogni sorta in diversi punti ed in diverse profondità, ritraen-
do dai fondi a mezzo della draga le prove irrefragabili della vita animale o
vegetale, esplorando la temperatura e la composizione chimica delle acque ,
la natura del fondo marino, e quanto altro può interessare la Scienza parti-
colarmente in rapporto alla Geologia.
Nello scorso arino l’ illustre socio di questa Accademia Monsignor Nardi
con brevi e precisi cenni ci pose sottocchio i principali risultati ottenuti
nella estate del 1868 dai Signori Garpenter e Wyville Thomson a bordo del
Lightening, ed è da sperare che vorrà egualmente tenerci informati delle ul-
teriori interessantissime osservazioni raccolte nella decorsa estate da altro
vapore del Governo Inglese il Porcupine, il quale potè con ottimo successo
gettare la draga fino alla enorme profondità di 2435 passi ( fathoms ) ,
che equivalgono a 14610 piedi; e con quella ritrasse notevole quantità di
fango tenuissimo oltre alla prova non dubia che la vita animale esiste anche in
quell’abisso, la di cui profondità eccede di oltre a 3000 piedi il fondo ma-
giore, sul quale giace la Corda del telegrafo Transatlantico , ed è di poco
inferiore alla altezza del Monte Bianco.
La squisita gentilezza del Sig. Gwin Ieffreys conchigliologo di altissima
rinomanza, ed uno dei tre che diressero le ricerche scientifiche e le analo-
ghe operazioni del Porcupine, in questi ultimi giorni mi inviò una scatoletta
contenente un campione di fango estratto da quella enorme profondità, for-
nendomi così la più favorevole occasione di estendere le mie osservazioni
— 213 —
Diatomologiehe. Non è da dirsi se io abbia ritardato pure un momento a
mettermi all’opera di rendermi conto della presenza in quel materiale dei
diversi organismi microscopici, ed alle prime occhiate che vi gettai appena
ebbi posto sotto al Microscopio un nonnulla di quel fango mi resi certo
della importanza e richezza di quello e per le molte forme svariate di Po-
licistine, di Foraminifere, e di Diatomee, acquistando così una idea della na-
tura e composiziona di quel letto del mare. Crederei troppo male corrispon-
dere alla bontà del generoso Donatore, se, oltre al rendergli pubblica testi-
monianza di gratitudine, non assumessi l’impeguo di dare il più minuto ra-
guaglio di quanto mi sarà dato osservare in ordine alle Diatomee, le quali
formano il soggetto speciale dei miei studj nella Storia Naturale : e spero
quanto prima sodisfare a tale proposito, limitandomi per ora ad accenare
alcune osservazioni preliminari.
Il primo importantissimo quesito che mi si presentava alla mente, era
se le Diatomee esistenti in quel fango al momento nel quale furono rac-
colte fossero ancora viventi o in stato fossile o semifossile. La presenza di
alcuna piccola massa colorala ocracea o giallo-verdastra di endocroma dentro
la cavità della Diatomea quantunque non avrebbe fornito sicuro argomento
che la Diatomea al momento nel quale fu tratta dalle acque fosse in stato
di vegetazione, pure ci avrebbe autorizzato a ritenere con la maggiore pro-
babilità, che quelle fossero viventi e vegetanti nel fondo del mare. Però fino
ad ora non mi fu dato riscontrare traccia la più piccola di sostanza colorata
esistente nell’ interno della cellula; onde è che io mi credo autorizzato a dire
che le molte Diatomee che formano una parte di quel fango non sono che
gli innumerevoli minutissimi resti di miriadi di Diatomee , che abandonati
dalla forza vitale rimasero soggetti alla azione della gravità, per la quale dagli
strati superiori, nei quali vegetarono, lentissimamente discendendo perven-
nero al fondo del più cupo abisso deirAtlantico.
Nè d’altronde avrei saputo attendermi d’ incontrare Diatomee viventi in
tanta proadità e conseguentemente lontane da qualunque influenza della luce.
La funzione precipua, alla quale furono ordinate le Diatomee, è (come dissi
in altra circostanza) la decomposizione dell’acido carbonico e il conseguente
sviluppo dell’ossigeno, la quale decomposizione ha luogo sotto la inflenza della
luce solare. Così nello stato attuale delle nostre cognizioni non saprei im-
maginare come non potendo l’azione della luce e dei raggi solari pe-
2U —
netrare a tanta profondità ciò non ostante vi si dovesse ammettere la
presenza di quegli esseri la di cui funzione organica non potrebbe aver
luogo.
É pertanto un desiderato per la Scienza il determinare almeno appros-
simativamente il limite della profondità nelle acque, oltre il quale non può
aver luogo la vegetazione delle Diatomee. Un tale dato potrebbe servire a
calcolare il tempo probabile, dentro il quale una inpercettibile Diatomea ha
potuto scendere fino al fondo del mare, ad onta che la densità dell’ acqua
vada ogniora aumentando in ragione della profondità degli strati , e della
ogniora crescente pressione, la quale per il fondo dal quale venne ritirato il
materiale che presi ad esame, venne calcolata circa a tre tonellate per la
superficie di un pollice Inglese (inch). Una così grande pressione e la den-
sità propria dell’acqua marina accresciuta da quella mi persuade che negli
strati più profondi delle acque dell’Oceauo le lievissime valve delle Diatomee
devono rimanere quasi indefinitamente sospese.
In ordine alle forme che rendono interesssante il campione di materiale
che ho preso ad esaminare, fra le più rimarchevoli specie di Diatomee che
vi ho notate presentasi un beWAsteromphalos, il quale non troppo di rado
vi si incontra, quantunque la sua forma perfettamente piana ed a dettagli
tenuissimi fa che spesse volte si trascorra senza notarlo. Questa bella specie
era assolutamente nuova nei mari di Europa per quanto fu a mia cognizione,
quando nel 1863 in Fano avendo preso ad esplorare il tubo intestinale di
un’ostrica ebbi la buona sorte che fra molte altre forme interressanti vi ri-
conoscessi diverse varietà di Asleromphalos e Asterolampra, le quali poi in
seguito ho potuto non di rado incontrare nell’Adriatico sulle spiagge di Fano
ed anche nella estate decorsa in Pirano nell’ Istria.
In magior numero presentansi esemplari di Hemidiscus e forse anche di
alcuna specie affine come VEuodia , dei quali ignoro che fino ad ora siansi
riscontrati esemplari raccolti in Europa, o almeno non ne trovo fatta men-
zione nei diversi libri che possiedo su tale argomento. Oltre di queste i ge-
neri di Diatomee che più abondano in questo raccolte sono le Coscinodiscee
e fra queste è frequentissimo rincontrare il Coscinodiscus lineatus , Ehrbg.
Yi sono numerose Meiosiree, dei Bacteriastrum , dei Triceratium , delle Ba-
cillarie , qualche Pleurosigma , Synedra, Navicala ec.
Da questi pochi cenni non v’è chi non veda quale ubertoso campo si
— 215 —
schiuda alle osservazioni dei Micrografi nell'esame del fondo del mare, e dei fan-
ghi che se ne ritraggono; e allorquando (come spero per la gentilezza di chi mi
fornì questo primo saggio) mi sarà dato di esplorarne diversi, di divesre lo-
calità e profondità di mare, e di conosciute diverse temperature è da spe-
rare che si faccia qualche luce a rischiarare le leggi della distribuzione delle
specie, secondo che risconti-ansi fossili nei diversi depositi geologici.
— 216 —
CORRISPONDENZE
Fu letta una lettera del sig. Barone Camillo Trasmondo Frangipani, dei
duchi di Mirabello, diretta al nostro sig. presidente, colla quale il nominato sig.
Barone, offriva in dono all’accademia, tre copie di una sua pubblicazione, che
ha per titolo — Cenni biografici di Fabbio Colonna degli antichi Lincei.
Il medesimo sig. Barone colla stessa lettera, offriva in dono all’accademia
il busto in gesso, dell’ illustre chirurgo Antonio suo padre, che appartenne al-
l’accademia dei Lincei, quando essa era di privata istituzione.
L’accademia nostra gradì sommamente l’uno e l’altro dono, decretò che
se ne ringraziasse il donatore; ordinando altresì che il busto medesimo fosse
collocato nell’aula massima delle accademiche tornate.
Monsignor Nardi fece dono all’accademia dell’opera inglese, intitolata:
Rapporto sull’esplorazione geologica dello Stato di Jowa ( Stati uniti), che ab-
braccia i risultamene dell’ investigazioni, fatte durante gli anni 1855, 56, 57,
dal sig. James Hall (Geologo), e dal sig. S. 1). Whitney, (Chimico, e minera-
logo due Volumi. — ■ l.° Voi. Geologia — 2.° Voi. Paleontologia).
Il sig. Com. Ales. Cialdi donò all’accademia la sua pubblicazione intito-
lata — Portolevante, e cause del suo insabbiamento.
La società filosofica di Manchester ringrazia, per gli atti de’ Nuovi Lincei
pervenuti ad essa.
Si è ricevuto dalla R. accademia letteraria di Amsterdam il programma,
pel concorso poetico del 1870, in lingua latina. 1 componimenti, di tema li-
bero, per questo concorso, debbono, essere spediti prima della fine di gennaio
del 1871, al sig, I. C. G. Boot, segretario dell’accademia stessa.
Si è ricevuto dal R. Istituto d’incoraggiamento alle scienze naturali, eco-
nomiche, e tecnologiche di Napoli, il programma di pubblico concorso, per l’anno
1870. Il quesito è così formulato: Messo il principio della pluralità delle ban-
che, e degl’ istituti di credito, determinarne la vera essenza, e Io scopo, e sino
a qual punto la loro opera giovi alla proprietà, all’ industria, al commercio.
alla circolazione. Medesimamente fare rilevare quali danni ue derivano, quando
fuorviano dalla loro istituzione, o se ne abusi.
La sessione, riunitasi alle due pomeridiane , in numero legale si sciolse
dopo due ore di seduta.
Soci ordinari presenti
P. Yolpicelli — P. A. Guglielmotti — • B. Viale — S. Cadet — F. Ca-
stracane — F. Giorgi — B. Boncompagni — B. Tortolini - - M. Azzarel!i —
M. Nardi — E. Rolli — L. Respighi — L. Diorio — D. Chelini — A. Betocchi —
A. Cialdi — G. Pieri — G. Ponzi.
Pubblicato nel 30 di luglio 1870.
P. V.
OPERE VENUTE IN DONO
Atti del R. Istituto Veneto di Scienze , Lettere , ed Arti. — Disp. 2.* del
1869-70.
Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze , e Lettere *— fase. II. e IV.
del 1870.
Atti della R . Accademia delle Scienze di Torino. « — Voi. V, disp. l.“ e 2.“
del 1869, e disp. 3.a del 1870.
Appendice al Volume IV degli atti della R. Accademia suddetta.
Memorie delV Accademia delle Scienze dell ’ Istituto di Bologna — ■ Serie II,
Tomo IX, fase. 2, del 1870.
Rendiconto della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Na-
poli. — Novembre e Dicembre del 1869.
Discorso del Comm. Cristoforo Negri , presidente della Società Geografica
Italiana, tenuto nell’adunanza del 12 Marzo 1870. — ■ ■ Un fase, in 8.°
Considerazioni di Sebastiano Purgotti sopra l’opuscolo del prof. Alessandro
Massi mino, nel quale si approva l’introduzione di Euclide nei Ginnasi , e nei
Lincei d’Italia. — Torino, 1870 ; un fase, in 12.mo
29
— 218 —
Dell' oscillazioni calorifiche orarie , diurne, mensili , ed annue del 1867, del
prof. Cav. F. Zantedeschi — Venezia 1870, un fase, in 8.°
Sur 1’ illumination . . . Sulla illuminazione dei Corpi trasparenti, per I. L.
Soret. — Ginevra, 1870, un fase, in 8.°
Bullettin . . . Ballettino della Società Imperiale de' Naturalisti di Mosca —
n. 4. del 1868.
Ex trai ts . . . Estratti dei processi verbali della Società delle Scienze fisiche
e naturali di Bordeaux — Anno 1869-70.
Philosophieal .... Transazioni filosofiche della R. Società di Londra —
Voi. 159 — Parte 1.
Proceedings. . . Atti della R. Società di Londra. — Voi. XVII. n. 109-114.
Proceedings . . . Atti della R. Società Geografica di Londra — Voi. XIII. n. 5.
The Journal . . . Giornale della R. Società suddetta. — Voi. XXXVIII - 1868.
Proceedings. . . . Atti della Società letteraria e filosofica di Manchester. —
Voi. V, VI e VII. Sessione 1865-66 ; 1866-67 ; 1 867-68.
Abhandlungen. . . . Memorie della Società Slesica per la coltura della Pa-
tria — Sezione filosofioo-storica del 1868-69.
Idem id Sezione Medico-Naturale del
1868-69.
Sechsundvicrzigter . . . Rapporto annuale quarantaseiesimo della Società sud-
detta pel 1868.
Monatsbericht . . . Rapporto mensuale della R. Accademia delle Scienze di
Berlino — Novembre, e Dicembre del 1869.
Sitzungsbericht ‘. . . Alti della I. R. Accademia delle Scienze di Vienna —
Classe matemalica-N aturale — Sezione 1.“ — n. 6-10 del 1868 ; n. 1-2
del 1869.
Idem Classe mat.-nal. Sezione 2.® Glasse n. 7-10 del I 868; e n. 1-3 del 1869.
Idem id Classe Filosofìco-lslorica
n. 8-10 del 1868 ; e n. 1. del 1869.
Archiv. . . . Archivio per la Storia Austriaca — Voi. 40.°
Fontes rerum Austriacarum. — ' Voi. 29°.
Ballettino Meteorologico ed Astronomico del Regio Osservatorio della Università
di Torino — Anno IV, 1869.
Ballettino Meteorologico cieli' Osservatorio di Moncalieri. — Novembre, 1869.
Comptes . . . Conti resi dell'Accademia delle Scienze dell' Imperiale Isti-
tuto di Francia (in corrente.)
Sulle eagioni probabili delle accensioni vulcaniche subaeree. Discorso del prof,
cav. Agatino Longo. — Catania, 1868 — un fase, in 8.°
Due Memorie di Geologia e Vulcanologia : del suddetto. — Catania 1868 ;
un fase, in 8.°
Memorie Geologiche del suddetto — Catania, 1866 ; un fase, in 8.°
Cenni biografici di Fabio Colonna per servire alla storia scientifica del se-
colo XVII ; del Barone Camillo Trasmondo-Franfipani — Roma, 1870;
un fase, in 8.°
Portolevante e cause del suo insabbiamento. All' illustre Ispettor Carlo Comm.
Possenti. — Lettera del Comm. Alessandro Ci aldi. — Roma 1870, un
fase, in 8.°
Report . . . Rapporto sulla esplorazione geologica dello Stato in Jowa (Stati
Uniti) ; pei professori James Hall , e I. D. Wuitney. Due Volumi in 8/ —
Vashington 1858.
ATTI
DELL’ACCADEMIA PONTIFICIA
DE’ NUOVI LINCEI
r t rs — n
SESSIONE VI." DELL’ 4 MAGGIO 1870-
PRESIDENZA. DEL S1G. CAV. BENEDETTO VIALE PRELA'
MEMORIE E COMUNICAZIONI
DII SOCI ORDINASI E DEI CORRISPONDENTI
Pensieri intorno varii argomenti. — Memoria di Gaspare Mai nardi S. C.
( Continuazione , vedi sessione VII del 22 aprile 1867)
vJfeometri, anche fra i distinti, mi onorarono grandemente, riproducendo, a
lontani intervalli, molti miei piccoli trovati letterarii, o compiacendosi siccome
invenzioni loro proprie, o attribuendoli ad altri. Confortato dalla conseguente
convinzione di aver io pure mediocremente corrisposto alle mie obbligazioni
sociali , la speranza di eccitare utile attenzione su altri argomenti, m’ induce
a svolgere vecchi manoscritti, e miei opuscoli stampati. Attribuendo qualche
valore ai pensieri, che costituiscono l’essenza degli oggetti, sopprimo il pas-
sivo sviluppo di calcoli algebrici. (*)
VI. Su la teorica generale delle superficie
1 matematici non si avvidero che la celebre memoria di Gauss (**), tanto
studiata, importava un’ essenziale compimento il quale, trentanni dopo, io mi
sono proposto e conseguito (2); ma con risultamene nella loro generalità as-
sai complicati. Nella occasione del gran premio proposto per il 1860 dall I.
Accademia di Parigi, Edmondo Bour meditò 1’ argomento * e sul proprio la-
(*) Si vegga nella Continuazione il §. Paradossi.
(**) Alti dell’ Accademia di Gollinga 1827.
(2) Giornale de! R. Istituto Lombardo, Tomo X, 1857.
— 221 —
Toro (*) premiato dichiarava il seguente giudizio « d’une asse? grand nom-
» bre de relations . . . on voit se dégager peu a peu celles qui costituent . . „
»... la base de toute la théorie de§ surfaces .... Tout se résumé se
» condense dans trois équations . . . Je ne sauvais trop appeler ì’attention
» sur mes équations fondamentales . . . elles compìètent élégamment le théo-
» rème de Gauss. . . Il est remarquable, que trois quantités auxiliaires, in-
» troduit uniquement pour semplifier l'ecrilure , soient susceptibìes d’une dé-
» fìnition géométrique très-simple » (**). 11 Sig. Ossian Bonnet, che riportava
il secondo premio (***) osserva, che le equazioni di Bour sono particolari, che
estendendole alle coordinate ortogonali « nous nous playons encore dans un
cas particulier » e che il Sig. Codazzi, onorato di menzione dall’ I. Accademia
Francese « s’ est affranchi de cette derniere hypothèse , mes les formules ,
qu' il obtient sont tres-compliquées ». Nella mia Memoria (2) io mi proposi
scientemente la ricerca delle equazioni fondamentali con tutta generalità : le
particolari di Bour si deducono con un tratto di penna: Né io pel primo, né i
matematici , che studiarono 1’ argomento dippoi, abbiamo riconosciuto che da
poche formole già tutte predisposte nella mia Memoria (2), emergono con bre-
vissimo calcolo le equazioni più semplici e più generali. Tutte le equazioni
particolari date dai citati autori, sono fra derivate parziali simultanee, il cui
svolgimento trascende f attuale potenza dell’ algebra ; mentre due particolari
accennate nella mia Memoria, riguardanti le linee di principale curvatura, si
svolgono con semplici quadrature, ed apprendono che da quelle linee si devono
classificare le superficie, e che le due funzioni caratteristiche sono subordinate
a vicendevole dipendenza.
Mi riporto alla mia Memoria (2), che suppongo sott’occhi, e ne richiamo
i risultati secondo la numerazione ivi adottata (****).
(*) Journal de fècole 1. Polvtecnique, Tomo 22. Cahier 39-1802, pag. 6. 23.
(**) Intorno alle specialità discusse con molto acume nel seguito del suo scritto il Bour
pronuncia assai giudiziosa sentenza circa simili dettagli scolastici « ces trois équations une
fois obtenues, je ne crois pas qu’ il y ait un grand intèrèt à pousser plus loin dans celle
voie la résolution générale du problème : » Sulle superficie sovraponibili senza disconti-
nuità.
(***) Journal de f école 5. Polytecnique Tome 25 Cahier 42 1867. pag. 42 31-32.
(****) Per reciproca corrispondenza il R.e Istituto Lombardo invia i proprii Alti alle
principali Academie. Siccome chi legge deve almeno rifare i calcoli , avverto unicamente
che nella equazione (18) della mia Memoria, è ommesso il fattore 4, come si rileva dalle
equazioni (17), per cui è erronea la G per le superficie rigate, scritta nell’esempio finale.
\
— 222 —
Equazioni particolari di Bour.
$
Impiegando coordinate polari , suppongo F — 0 , E = 1 , G
per cui
m = m' = n = o)n=: — m"= g ~ , n"= g ~ .
du y dv
Dalle equazioni
9 5 >
(.*> Kp-i-.Kp.r'Hì.
'E, m,iri “| D dg
9
r D2 IT2 __ /d^X*
^ L • J o dv’ g2 ’ o2 ~ ^ W
0 9
DD'_ DD" D'D" _ dg dg d*g
— = S> — ^ 1 — 17,-17.’ DD —D ==-9 d-i(a)
r 9 * ^
per cui la mia equazione (19) è
dv du
in conseguenza della quale e della (a) la mia equazione (20) porge
W mSi-msks--
D\ D dg
Equazioni generali.
D = ZA«, D' = ZA*' , D" = 24a" ,
da da' da' da"
dv du 1 dv du ’ CCC
Dalle
223
, . , . . dA . dA .
e dai 'valori di A' — — u -4- v , ecc.
du dv
deduciamo
dD _ dot cL4\ dD' vw , dA.
dv dv~*~Udv) ’ du JL. ' du a dui ’
dD dD
dv
- = 2 [“ ,s"v ~ sf) ~ 2a’ (s'7 ~ sY) 1
e posti
(!) == rnF — nE , (2) = mG — nF , (1') = m'F — ri E, ([") = m" F—ri'E, ecc.
essendo
Ay = C D — ( I ) c' h- (2) c, AS1 = B D' — {{') ò'-h (2') b ,
A f = BD" -(1 ") 6' -t- (2") 6, ecc.
ne seguono
A*(S''7— Sf) = (Cb — Bc) [D(2") - X)',(2)]-(C(>,-Bc')[»(i") - D" (I )]
n-(W-6'c)[(l")(2Hl)(2")]
A J(S'7 - e-/') = (Cf> - Z)c)Fd(2') — D’(2)]- (C6'-Bc')[b(I')_D'(I)]
+ 4[(!')(2)-(l)(S!')] ecc.
A*
M
W~
-4-
^') = 2 [C(2')-B'(2)] 2V(ÈV - Fa)
[o(i")-fl"(t)]2“(Fa'-Ga) ;
224 —
quindi
A (Ìì7 ~ S = 2[° <2'> ~ D'W ] - [D (! ")-»"( 1 ) ]
Equazione semplice e generale, da cui con permutazioni circolari si desume
dj)f dD"
l’altra fra — — , — — . Nel caso speciale, di eminente importanza, indicato nella
dv du
mia Memoria (2), in cui le linee coordinate sono di principale curvatura
£G = Df2(2') — (1") T -I- £»"(!), 2(1 ') — ((")= WG
E
quindi
, 2D ir,,. , , nn„ ’l>r d «fc^G
< v = ww ' e perche m =-iG) L“vr^J
i valori di D, Du si ottengono con semplici quadrature, e ne deriva la equa-
zione, che stabilisce la vicendevole dipendenza delle funzioni E, G.
Caratteri algebrici delle linee di principale curvatura.
Se a v' — 0 corrisponde una linea piana di principale curvatura per essa
0,r'==o, quindi a = N.pu = costante , come è noto. La equazione (5)
porge
ed essendo
Pu
2 dv
rc2!(i\w) 4=^,
pu W
„ 1 dE 2JE\/G *
D = È ’ Pu =~dE~ sen‘* ‘
ne seguono
— 225 —
dorè « dipende unicamente da v : di qui due equazioni fra G, E ed a (I).
Considero le linee di principale curvatura di una superficie rigata. Siano
x — cc, y = § f z — y , funzioni dell’ arco s , le equazioni di una di dette
linee ; t la tangente, r il raggio di prima flessione, l la normale alle t , r,
z — et = a (z — 7) , y — § = b (z y) le equazioni della retta generatrice
u, X ; perpendicolare ad u, l.
L^=ra*B=fcà’x-“=i(z-^y-6=lì<z-^
rappresentano la normale alla superficie. Se essa è incontrata dalla norma!®
prossima, che parte da s, saranno
Z-y
Ay' — oc1 _ By — &
A'
B'
. Se 1 -+- a2 -4- b2 = A2 , siccome
G'y" — S"y' = - cos .l.x eoe. a «'-+* b §' cy' = A cos .u.t ,
r
a (§'y" — 6"y') — - cos..mJ , by' — 6'= Acos.Xx.sen.w.f ,
boc' — a^' ~ A cos.X.z. sen.u.f , ay' — oc' — Acos.X.t/.sen.w.f ,
cos.X.# _ cos.X.w . , ,
sono A — , B = A , Ay' - «' ==
cos.X.z cos.X.z
cos. £.m. cosi.?/ — cos.u.y
cos.X.z . sen.w.e
By' ~6' = —
cos .t.u. cas.t.x. — eos.w.sc
cos
X.x . sen.u.t
[A — - — . - — . - — . —1 2 . t
— cos.M.i.cos.u.y-4-(a'cos.X.a: — &'cos.X.y)cos.t.y.sen.f.itJ; Acos.X.z.sen. u.t,
(1) Si può vedere una mia Nota. Analisi di Matematica — Roma Novembre 1852.
Su le superficie delle quali le linee di principale curvatura giacciono in piani concorrenti
in una retta.
30
— 226 —
^ ^ ^ ^ 2 ^IN
B'=?, — £ — cos.u.l.cos.u.x-\-(a'cos X.x — &'cos.X.y)cos.t.#.sen.f.uJ:Acos.X.z.
sen.u.r,
e Sa equazione ( Ay ' — z')B' = {Bi — §')A' ,
diviene (a) a'cos.X.x — ò'cos.X.y h cos.w./ cotang.u.J = 0.
Il raggio di principale curvatura nella direzione $ è
R
Ai
[bz1 — a$')A
z' — ' cos.Rìc
— - A sen.wi , —
cos.Rz
cos.X.a?
r — , ecc.
cos. A. z
Se gli assi x, y , 3, coincidono rispettivamente con l , r , l , la equazione (a)
sarà
cos.w.n, « cos .u.t sen.u.l r
~L ^,n = )’ — — , come e noto
cos -ul rcos.ui cos .u.l cos. Rr
Se Rt è il raggio conjugato ad R, l'iperbole indicatrice porge RL = R tang.u.f.
Se la direttrice x = z, y = S, z~ 7 è una linea qualsivoglia, poste
-=A, - = B,§ — Bz = C, y -Aoc = D
a ci
per cui y — Bx -4- C , z = Ax ■+■ D rappresentino la retta generatrice; la nor
male alla superfìcie sarà data dalle equazioni
[ {AB1- A’B)x -+- AC— BD'] [Z — z) -+- (£'* -+- C1) (X-x) = 0,
(A'x ■+■ D') [Z - z) -+- (B'a: -+- C') (F — y) = 0 .
Se l’asse a? è una generatrice, onde siano simultaneamente s~0, z — 5
A'x -t- B'
— y — A. — B = C — D — 0. dalla formula tang. ® rrr ,
C x D
gì ha Tinclinazione 9 all’asse y della traccia sul piano coordinalo y z, del piano
tangente nel punto a: dell’asse di questo nome. Se la normale in quel punto» e
la susseguente si incontrano, le coordinate comuni sono
X
= x , Z =
B'x C' ,
A'C' — B'D' X ’
Y =
A'x h- D' ,
A'C' — B'D'X ;
inoltre
A'C1 — B'D'= Q'x' ; il raggio di principale curvatura R —
ed indicata con r la retta generatrice sono
B'x + Ci
9' cos.0 ?
/ cos.rz ^ R1
1 /COS .ry\
V — ) ’
v cos.r#
V — /
cos rx
Linee geodetiche.
Se tali sono le linee su , posto su = 1 onde E=i , e cos.(pu$„) = 0 »
dalle equazioni ^8) della mia Memoria si ha du F = 0, ed essendo
F — V"G cos.Su.s^ , ne segue speditamente cos.sIrsv = 0 : notato da Gauss.
Essendo poi
V~g VGC0S,(f— =
P.
duV G , posto
cos .(puSv) 1
ne segue
r -+- du dus'v
deduzione che si connette alla teorica degli sviluppi. — Dalla equazione (5)
della mia Memoria, postovi
fi)2 de,.iva
.»* sen -N-P
dfi J
l dv' ’
P
\ dv) v L \
quindi
d2cp
du dv ’
— 228 —
Se s è brevissima, essendo
dm ' — " cos , pv. su 1 dso
v' tangs.s* , c = — T -r—j
dv Ov dm du d
dtp du dv ’
dv
ne segue
(tang s.Su)1
d2<p
cos2. s.sudu’ ^
— 0 , cioè cos s . s„ = C e
-s:
conseguenza importante, che applicata alle superficie di rotazione , per le
qUali — = — , conduce al noto teorema pv cos . s . = C costante.
rv pv
Volendosi la linea s di data lunghezza che termina un poligono di minima
estenzione S, essendo S — fodu, sarà minima la funzione f[B ? -+- s] du , quindi
„ dcp ds' ( ds\ ’ , sen (N?)
JB — h ( — 1 = 0, eppero ■= Scostante : conseguenza nota.
dv dv 'dv1' P
<dvl/ ’ p
Trasformazione di coordinate.
Si debba rendere Edp 2 -+- Gdq 2 = X2[dp'2 -h dq'2] , essendo date le fun-
zioni E , G. Supposte dp' = ocdp -4- Gdq , dq' = ydp -+- $dq , E = e2n , G — e2*,
indicato con cp l’angolo delle linee p — costante, q' = costante, dalle proje-
zioni, avremo :
«X = em sen . <p , 6X = en cos . <p , y\ ~ — emcos . <P , $X = en sen <p ;
dalle relazioni
ne seguono
e posto
(«)
dq2
>2«
da
d S
dy
da
dq
dp ’
dq
dp
X dn
Pm~
»
d.
log . >
dq
dq’
dq
in — n
. = si
ottiene
d2ù
1 i •
dò
dtf „
dtp
du
+ di •
dq
dp
dp
dq
„„„ d<p
-m— n
dq ’
« d*u a
e“ — 0 .
.2 ti
229 —
ehe equivale alle seguenti
d<p
du
d2u
dtp
d6
la integrazione della quale importa quella delle due coesistenti
du d2u
dp~* ^ 6 dp .dq
= 0 .
Negli Annali di Matematica pubblicati in Roma (Maggio 1854) ho svolto a
lungo questo facile metodo d’integrazione di equazioni del secondo ordine (a),
derivative dal primo ( b ): metodo poco studiato, e che ivi ho applicato a molti
esempii presi anche fra le equazioni integrate da Munge col principio delle
carateristiche. Una mia Memoria su le equazioni a derivate parziali del se-
condo ordine, pubblicata col Tomo IX (1856) del Giornale dell’ I. R. Isti-
tuto Lombardo, offre pure qualche pensiero, forse non immeritevole di studio,
come spero di poter chiarire.
CORRISPONDENZE
Il segretario comunicò l’onorevole dispaccio di S. Eminenza Rma il sig.
Cardinale Antonelli, del 21 aprile 187 0, col quale si accompagnava in dono
all’accademia, da parte della università di Liegi, un’ opera pubblicata da essa,
col titolo Liber memorialis. Col medesimo dispaccio si faceva noto, che il fine
di questo pregievole dono consisteva, nel volere la università medesima, esten-
dere e consolidare le sue relazioni scientifiche e letterarie, coi più ragguarde-
voli istituti.
L’accademia gradì assaissimo l’ indicato dono, e ordinò che ne fosse fatto
il relativo ringraziamento ; volendo altresì che la università di Liegi, fosse
nel novero di quei stabilimenti scientifici, cui vengono spedite le nostre pub-
blicazioni.
L’ accademia riunitasi legalmente alle due pomeridiane, si sciolse dopo
due ore di seduta.
Soci ordinari presenti a questa sessione
G. Ponzi — B. Viale — L. Diorio — A. Cialdi — P. A. Guglielmotti —
F. Giorgi — D. Chelini — F. Castracane — S. Proja — S. Cadet — B. Tor-
tolini — B. Boncompagni — M. Azzarelli — L. Respiglii — E. Rolli — A.
Betocchi — P. Volpicelii.
Pubblicato nel 6 di agosto 1870.
P. V.
OPERE VENUTE IN DONO
Alti del R. Istituto Veneto di Scienze , Lettere , ed Arti. — Disp. 3.* del
1869-70.
Rendiconto della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Na-
poli. — fase. l.°, e 2.° del 1870.
— 231
Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. • — Voi. V, disp. e feb-
braio 1870.
Notizia storica dei lavori fatti dalla Classe di Scienze fisiche e matematiche
dell' Accademia suddetta, negli anni 1864 e 1865, scritta dal prof. A. So-
nile no — Torino 1869, un fase, in 8.°
Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze, e Lettere — fase. 5.°, 6.°,
e 7.° del 1870.
De' lavori accademici del R. Istituto d' incoraggiamento alle scienze natu-
rali, economiche, e tecnologiche di Napoli nel! anno 1869, e Cenni bio-
grafici di Ferdinando de Luca ; del Comm. F. Del Giudice. — Un fase,
in 4.° 1870.
La Meteorologia del Globo, studiata a diverse altitudini da terra. Memoria del
cav. prof. F. Pantedeschi. — Un fase, in 8.° 1869.
Procès .... Processi verbali della Società delle Scienze fisiche, e naturali
di Bordeaux (continuazione).
L‘ Université . ... L' Università di Liege dalla sua fondazione, per Alfonso
Le Roy, prof, ordinario alla facoltà delle lettere. — Un voi. in 8.° 1869.
( Liber memorialis ).
Bulleltino meteorologico dell' Osservatorio di Moncalieri. — Dicembre 1869 e
Gennaio 1870.
Nature . ... La Natura Giornale di scienze illustralo. — Novembre, e Di-
cembre del 1869 — e Gennaio, Aprile (21) del 1870 — dal N. 1 al 25.
Comptes . . . Conti resi dell'Accademia delle Scienze cieli' Imperiale Isti-
tuto di Francia (in corrente.)
Notizie degli studi di A. Coppi, raccolte da Federico Sclopis, — Torino, 1870
| foglio in 8.°
Remarques .... Osservazioni sulla eguaglianza x'n — 1=0.
Una comunicazione falla alla Classe di scienze fisiche e matematiche della
R. Accademia di Torino , dal prof. Genocchi, nell'adunanza del 27 Mar-
zo 1870.
Ballettino di bibliografìa e di storia delle scienze matematiche e fisiche, pu-
blicato da B. Boncompagni. — Tomo 11. Novembre 1869.
ATTI
DELL’ACCADEMIA PONTIFICIA
DE’ NUOVI LINCEI
— — -- , —
SESSIONE VII a DEL 12 GIUGNO 1070-
PBESIDE.VZl BEL SS®. CAI. BENEDETTO AULE PREL.V
MEMORIE E COMUNICAZIONI
3>EZ SOCI ORDINARI E DEI CORRISPONDENTI
Formula generale per la variazione del tono, prodotto dal moto del corpo so-
noro, e deir ascoltatore : corollari di questa formula , e considerazioni sul
modo, col quale credesi potersi spiegare lo spostamento delle righe di
Fraunhofer nello spettro del sole, a motivo del suo molo rotatorio. —
Memoria del prof. P. Volp/celli.
S- 1-
li sig, Doppler osservò pel primo, che il moto relativo di un corpo sonoro,
deve modificare la gravezza del suo tono (*). Infatti movendosi un corpo so-
noro, verso colui che lo ascolta, è chiaro che ogni oscillazione seguente, dovrà
impiegare per giungere all’orecchio, minor tempo di quello che impiegherebbe,
se il corpo sonoro stesse fermo. Perciò l’ascoltatore riceverà in un medesimo
tempo un numero di oscillazioni, ovvero di onde sonore, maggiore di quello
che corrisponde alla quiete del corpo vibrante.
Rappresenti S (fìg. 1) una sorgente sonora, che compie in un secondo
n oscillazioni, e si muova con-
tro 1’ ascoltatore 0 , con una
g gj g — — £ q velocità a ; mentre questo si
muove incontro alla sorgente
stessa, con una velocità h. Si domanda il numero delle oscillazioni, che riceverà
l’ascoltatore in un secondo, che è in questo caso, il più generale.
Facciasi la distanza SO — d, alla quale si trovano la sorgente, e l’ascol-
(*) Uber der farbige Licht der Doppelslerne, Prag. 1842 — Marbach, voi. 6, p. 939.
— 233
tatore al principio del tempo , essendo v la velocità del suono. L’ascoltatore
incontrerà in un punto A l’onda, corrispondente alla prima oscillazione di tutte
quelle, che il corpo sonoro produce nel tempo di un secondo, da noi preso a
considerare; l’ultima poi di queste oscillazioni, esso la incontrerà nel punto B.
Poniamo inoltre
AG — x , BO — x1 ,
e finalmente sieno t , t' i tempi, nei quali l’ascolatore medesimo incontra le due
stesse oscillazioni. Chiaro apparisce che pel tempo t , relativo al primo in-
contro, dovremo avere
x=bt , d — • x — vt ;
quindi, eliminando la x da queste due equazioni, avremo
, . d
d — bt — vt , l = .
b h- v
Per trovare il tempo corrispondente al secondo incontro, dobbiamo riflettere, che
alla fine del minuto secondo, preso in considerazione, il corpo sonoro si troverà
in S', essendo SS1— a. Quindi la distanza, che deve percorrere questa oscil-
lazione, onde incontrare l’ascoltatore, sarà S'B = d — a — x' . Ma poiché la
velocità del suono, fu espressa con v, così è chiaro che il tempo impiegato
dall’ultima oscillazione, a percorrere 1’ intervallo SB , dovrà esprimersi con
d — a — x'
v
Siccome poi l’ultima oscillazione, parte dal corpo sonoro alla fine del secondo,
vale a dire alla fine del tempo = 1 ; così è chiaro, che il secondo incontro,
deve aver luogo nel tempo
v
Da un altro lato è chiaro altresì, che l'ascoltatore, a percorrere il tratto OB ,
alla fine del quale ha luogo l’ incontro secondo, impiega il tempo
quindi eliminando x' dalle ultime due uguaglianze, sarà
, d — a — bt' , d — a -4- v
t = h- 1 , cioè t = —
b -+• v
v
31
— 234 —
lì tempo percorso fra il primo ed il secondo incontro, sarà dunque dato da
b -+- v
E siccome l’ascoltatore riceve in questo tempo n oscillazioni, così egli sen-
tirà in un secondo, un tono determinato dal numero n' di oscillazioni, espres-
so da
n b v.
b -t- v
Questa è la formula per la natura del tono ascoltato, quando il centro so-
noro e l’osservatore, si muovono ambedue, coll’andare uno verso l’altro. Da
questa formula discende
ri > n ;
cioè l’acutezza del tono ascoltato, sarà maggiore di quella, che avrebbe avuto
il centro sonoro, quando esso e l’ascoltatore stati fossero in quiete.
E poi facile vedere che la formula (I), vale anche pel caso in cui la sor-
gente o l’ascoltatore, od anche ambedue, si muovano in direzione, opposta. Per
tal fine non occorre altro, che attribuire un valore negativo alle velocità ri-
spettive a, b. Per tanto la formula stessa vale in qualunque caso, dando a
ciascuna delle velocità a , b un valore positivo, quando i moti hanno luogo
uno verso l’altro, ed un valore negativo, quando i moti stessi avvengano in
senso contrario l’uno all’altro; quindi potremo dedurre dalla (1), i seguenti
corollari.
Coroll. ì.° Se i due mobili andassero, non uno verso l’altro, ma bensì
ciascuno in senso all’altro contrario, cioè con allontanarsi ciascuno dall’altro,
allora dalla (1) si avrebbe
v — b
n ,
a -+- v
essendo sempre b ed a le velocità assolute, colle quali si muovono rispetti-
vamente l’ascoltatore, ed il corpo sonoro. In questo caso abbiamo
n' < n ,
quindi l’acutezza del tono sarà minore.
— 233 —
Coroll. 2.® Muovendosi poi il corpo sonoro verso l'ascoltatore, colla ve-
locità a, mentre quest’ultimo si muove nel medesimo senso colla velocità è,
allora per la (1) sarà
Coroll. 3.° Se inoltre si muovono ambedue nel medesimo senso , colle
velocità rispettive a , b ; ma in guisa, che l’ascoltatore vada verso la sorgente
sonora, sarà
Nelle formule (3), (4), 1’ acutezza del tono, dipende dai valori numerici
delle u, b , riferiti alla v.
Coroll. 4.° Essendo l’ascoltatore fermo, avremo dalla formula generale (1)
b — 0 , e sarà
(o) « n .
v — a
Coroll. 5.° Se invece poi stesse ferma la sorgente, allora si avrebbe
(6)
, , b -t- V\
" = (— l " -
Nelle formule (5), (6) avremo
«' > n .
cioè crescerà in questi casi l’acutezza del tono.
S- 2-
La precedente dottrina di Doppler, da noi qui dichiarata, ricevè obbie-
zioni da più fìsici, fra i quali Petzval (#), Angstrom ((*) **), e Moigno (***); ma
presentemente la teorica medesima è da tutti ammessa.
La indicata modificazione del tono, bene si percepisce, quando il corpo so-
noro possiede una velocità non troppo tenue : così movendosi una locomotiva
con 1 0m di velocità, il numero n' delle oscillazioni, che produce il suono del
(*) Sitzungsberichte der Wiener Accademie der Wissenschaften, Vili, p. 867.
(**) Poggendorff Ann. voi, 94, p. 141.
{***) Repertoire d’ Optique 3' partie, p. 1199.
— 236
fischio, si accresce nel rapporto di n : n'= I : I h — per un’immobile ascolta-
tore, lo che risulta dalla (5). Però siccome la velocità del suono, è circa 330'",
così 1’ indicato rapporto sarà n : n' — 33 : 34 , e la differenza di questi
due toni ancora si percepisce. Questo fatto può verificarsi facilmente, quando
la locomotiva si muove contro un muro che produca 1’ eco. Se in tal caso
l’ascoltatore sia collocato in opportuno modo, sentirà egli contemporaneamente
il tono diretto ed il riflesso, e questo sarà quello modificato; cioè nel caso me-
desimo, sarà esso di acutezza maggiore del primo; perchè in tal caso la loco-
motiva progredisce verso il suono riflesso. Con tal mezzo il sig. Sott Pmssell ha
ciò verificato { Répertoire d'optique moderne par Moigno, vol.3.°p. 1195, Pa-
ris 1850), mentre il sig. Bujis Ballot, ha riconosciuto il fatto in proposito, sulla
strada ferrata di Utrecht (*), senza però servirsi dell’eco. 11 sig. Kònig a Pa-
rigi è giunto a render sensibile la indicata differenza del tono, in un modo (**)
totalmente diverso, ed assai più semplice. Così fatto modo, è basato sui batti-
menti, prodotti quando due suoni discordano assai poco fra loro. A tal fine
adopera egli un sistema di due diapason, i quali producono in un secondo un
certo numero di battimenti. Poscia movendo uno dei due diapason verso l’a-
scoltatore, il numero dei battimenti deve cangiare. Per es. se il diapason mo-
bile, sia quello che ha più acuto il suono; allora durante il moto verso l’ascol-
tatore, la differenza dei numeri delle vibrazioni dei due diapason, deve accre-
scersi, ed anche il numero dei battimenti nello stesso tempo.
Quando un corpo sonoro si muove, ruotando assai rapidamente nel senso
della freccia (fìg. 2.) intorno ad un asse C, allora l’ascoltatore che si trova in
A , deve sentire sempre più acuto il tono , mentre il
corpo sonoro percorre la mezza circonferenza B' P B,
nel senso della freccia. Pel contrario deve sentirlo
sempre meno acuto , mentre il corpo medesimo per-
corre nel senso della freccia la semicirconferenza B P'B'
e ciò per l’esposto principio di Doppler. Imperciocché
nel primo caso ha luogo un a'vvicinamento , e nel se-
condo un allontanamento, fra il corpo sonoro e l’ascol-
tatore A..
Fig. 2.
A
(*) Poggendorff Ann. voi. 66, an. 1843, p. 321.
(**) L’acustique, ou les phénomènes du son, par Radau, Paris 1867, p. 283-285
— 237 —
s. 3-
Modernamente 1’ indicato principio , trovò un’ applicazione importante
nella spettroscopia, tanto solare, quanto stellare ; poiché il fatto medesimo si hi
servire qual mezzo, per conoscere se fra la Terra ed uno qualunque degli astri,
abbia luogo qualche avvicinamento , od allontanamento. Doppler stesso già
toccò questo soggetto, ma senza giungere ad una conseguenza certa. Poiché
deve osservarsi, che solamente le righe fraunhoferiane, vale a dire le interru-
zioni di luce nello spettro luminoso, le quali dal citato autore non furono
a bastanza considerate, sono quelle che possono condurre ad una plausibile
conclusione.
L’illustre fisico sig. Fizeau fece nel 1848 ricerche analoghe (*), mettendo
pel primo in chiaro, come le righe di Fraunhofer debbono spostarsi, per effetto
del moto del corpo luminoso. L’ Ab. Moigno nell’ analizzare la memoria del
sig. Fizeau (**), intitolata « Particularités que présente le son, lorque le corps
» sonore ou 1’ observateur, sont animés d’ un mouvement de translation ra-
» pide, ecc. » così dice « Mais il n’est pas douteux par le jeune savant et phy-
» sicien (Fizeau), que les déplacement, du corps lumineux et de l’observateur,
» en diminuant ou augmentant les longneurs d’ondes (***) doivent infallible-
» ment améner un déplacement des raies du spectre, déplacement qu il ne
» désespère pas de mettre en évidence » (****). Lo stesso viene asserito dal
sig. Mach, il quale riporta esplicitamente la riferita idea (*****). Si vede quindi,
che la determinazione del moto degli astri, per mezzo della spettroscopia, non
è punto nuova; ma l’applicazione sua non era facile allora, per la imperfezione
dei spettroscopi. Oggi che questi strumenti sono assai migliorati, alcuni fisici
nuovamente si occuparono di cosi fatto argomento.
§• 4.
11 p. Secchi, comunicando le ricerche, da esso fatte sopra Sirio (******),
dice non aver potuto scoprire alcuno spostamento, nelle righe spettrali di tale
(*) Theorie des faringea Lichts der Doppelsterne.
(*#) Sembra che questa memoria sia pubblicata con quelle della Societé philomatique.
(*#*LDeve dire le nombre des ondes, e non les longueurs.
<****) Répertoire d’ optique moderne, Paris 1850 , troisième partie. Paris 1850 , p.
1199, li. IL
Poggendorff ann. voi. 112, an, 1861, p. 72.
Comptes rendus, voi. 66, an, 1868, p. 398.
— 238 —
stella. Pel contrario Huggins (*), avendo poco dopo anch’esso fatte simili os-
servazioni, concluse dalle medesime, che l’allontanamento relativo dell’ indicato
astro dalla Terra, era di 41 kilometri. Ed il p. Secchi rispose (**), ammettendo
la possibilità di questo allontamento, ma dichiarando che il suo istrumento non
aveva potere bastante, a rendere percettibile il fatto indicato. Finalmente Hug-
gins tornando sudo stesso proposito (***), pubblicò che in veruna stella, fuor-
ché nel Sirio, potè scoprire uno spostamento.
Nel 1869 il sig. Zòllner costrusse un apparecchio spettroscopico, a fine
di rendere percettibile lo spostamento delle righe spettrali, prodotto dalla rota-
zione del sole ; e l’ illustre Faye, fece un rapporto molto favorevole a questo
istromento, nell’accademia delle scienze dell’ I. Istituto di Francia (#***). Con
tale mezzo si mettono a confronto , gli spettri degli estremi di un diame-
tro dell’equatore solare; cosicché lo spostamento prodotto dalla rotazione del
sole nelle righe spettrali, viene raddoppiato secondo la teorica di Doppler.
Il p. Secchi trovò questo istromento troppo complicato, e credette miglior
partilo confrontare lo spettro delle protuberanze solari, con quello di un’altra
luce (*****). Riprendendo egli poi queste ricerche, si fece a considerare lo spet-
tro di una solare protuberanza, esprimendosi carne siegue Qw****) » Ma la nu-
be, e la protuberanza suddetta ci presentarono ancora un fatto più importante,
benché esso pure non nuovo del tutto. La riga lucida nella parte di fuori del
disco solare, apparve tutta proiettata, non in continuazione della riga nera fraun-
hoferiana, visibile nel campo esterno al disco ; ma tutta più in là verso il
giallo, lasciando la riga nera tutta verso il rosso. Questo fatto era marcatis-
simo. Noi eravamo qui in faccia di uno di quei tanti cambiamenti di refran-
gibilità, che sono stati spiegati all’ammettere una velocità di proiezione nei
getti luminosi di una potenza sterminata, ecc. ecc. «
Si vede chiaro dal citato brano, che il p. Secchi confronta la luce delle
protuberanze, con quella contigua del disco solare. Dunque l’una e l’altra di
queste sorgenti luminose debbono ricevere l’effetto del moto ; quindi molto
megliore si deve riguardare il metodo, seguito dal sig. Zollner, che confronta
(*) Association scientifique, t. V, p. 397.
(*f) Comptes rendus, voi. 66, ao. 1868, p. 1302.
(***) Nuovo cimento t. 2, seconda serie p. 67.
(****) Comptes rendus, voi. 69. an. 1869, p. 690.
(*****) Bollettino meteor. dell’osservat. del coll, rum., voi. 8, p. 83.
(******) Ibidem, n. 4, voi. IX, p. 26. — Comptes rendus, voi. 70, p. 903.
— 239 —
fra loro in un medesimo tempo, le luci emanate da due punti diametralmente
opposti nel sole ; imperocché a questo modo si vede raddoppiato lo sposta-
mento.
La possibilità del metodo, seguito dal p. Secchi, dipende dal fatto, se cioè
le righe del disco solare, colle quali egli confronta quelle dovute alle protube-
ranze, od alla cromosfera, possono appartenere o no ad una luce, che non ha
ricevuto l’effetto del moto come quella dell’atmosfera. 11 nominato astronomo
su tal punto si esprime così dicendo (*) « Per bene comprendere questo fe-
nomeno, bisogna avvertire, che guardando a fessura larga discretamente , la
riga G non svanisce, ma si vede una zona non dilatata, che è dovuta princi-
palmente alle righe fraunhoferiane, che generansi nella illuminazione dell’at-
mosfera terrestre. » Ora supposto anche vero, quanto si asserisce qui, riguardo
all’origine della riga C; si vede che ciò dipende, parte dall’azione dell’atmo-
sfera terrestre, parte, da quella del sole stesso. Quindi si vede altresì , che
quella riga non si può spostare propriamente, ma soltanto allargarsi da un lato
e non dall’altro. » Ciò non è conciliabile colla riferita espressione del p. Secchi,
cioè (**) « La riga lucida nella parte di fuori del disco solare, apparve tutta
proiettata, non in continuazione della riga fraunhoferiana, visibile nel campo
esterno del disco, ma tutta più in là verso il giallo , lasciando la riga nera
tutta verso il rosso ».
L’ opera intitolata - Die Speclralanalyse in ihrer Anwendung auf die
Stoffe der Erde und die Nalur der Himmelskórper von Schellen. Braunsch ~
weig 1870 - fornisce, a pag. 300, una esposizione di fatti, che si riferiscono al-
l’oggetto in discorso, e si occupa precisamente di quello, che ha trovato il sig.
Lockyer, il quale molto studiò lo spostamento delle righe fraunhoferiane. Il
citato autore potè determinare la velocità, colla quale hanno luogo le vulca-
niche eruzioni sul sole, tanto nel senso radiale, quanto nel senso tangenziale.
Modernamente il medesimo sig. Lockyer pubblicò {***) un’altra interessantis-
tissima memoria su questo argomento.
§• 3-
l Comptes rendus (t. 69, séance du 4 octobre 1869 , p. 743) conten-
gono una nota di M. Fizeau intitolata « Remarques à l’ occasion d’ un
(*) Ballettino citato, p. 26.
(**) Bullettino citato, p. 26.
(***) Comptes rendus, t. 70, p. 1268, an. 1870.
— 240 —
passage . . . relatif au déplacement des raies du speetre par le mouvernent
du corps lumineux ou de l’observateur. » Da questa nota risulta, che il sig. Fi-
zeau trattò T indicato argomento fin dal 1 848, nella Società Filomatica, come
già fu indicato (§. 3), e che ne fece comunicazione all’Accademia delle scienze
nel 1850. Il sig. Faye ( ibidem ) riconosce vere le asserzioni dal sig. Fizeau sul
proposito ; quindi non può menomamente dubitarsi, che il primo scopritore
del metodo sopra indicato, cioè per conoscere il moto degli astri, mediante
lo spostamento delle righe spettrali, sia lo stesso Fizeau , ed altri non già;
sebbene non manchi qualcuno, che, almeno implicitamente, abbia presunto as-
serire, appartenergli tale scoperta. Yi hanno per tanto due fatti distinti ac-
quistati alla scienza; e sono: uno il cangiar di colore dell’astro, allorché que-
sto avvicinasi od allontanasi all’osservatore, e viceversa; del qual fatto la ri-
cerca si deve al sig. Doppler : l’altro è che le righe di Fraunhofer servono
di mezzo acconcio, per decidere se l’osservatore, o l’astro cangi di luogo; e tale
scoperta devesi al sig. Fizeau.
S- 6.
Per quello riguarda la possibilità di misurare, mediante la spettroscopia,
quanto sieno veloci le correnti, o getti luminosi, prodotti dal sole, considere-
remo qui appresso la interessante memoria del sig. Lockyer, inserita nei Com-
tes rendus,t. 70, an. 1870, p. 1268, che ha per titolo. - Observalions spe-
ctroscopiques du soleil. - In questa memoria si tratta il fenomeno delle pro-
tuberanze solari, e la relazione loro colle macchie, e le iàcole del sole. Il dotto
autore prese a tal fine in esame una macchia, che osservò egli per vari giorni
finche giunse al bordo del sole.
Egli descrive nel modo seguente, 1’avvicinarsi della macchia al lembo del
disco solare « La macchia si avvicina al lembo ; la protuberanza persiste al
di sopra della macchia. A 1 1 ore non vedevo alcuna protuberanza rimarche-
vole sul lembo ; ma circa un’ ora dopo fui vivamente sorpreso dalla vista di
una protuberanza, che senza dipendere, io credo , dalla macchia di cui si è
parlato, se n’era avvicinata, con avere più di 2 minuti di altezza, e un moto
rapido nella direzione dell’occhio. Vi erano delle nubi leggiere, che riflettevano
lo spettro solare ; io vidi dunque la linea nera C nel medesimo tempo. La
linea C della prominenza ( nella quale i cangiamenti di lunghezza di vibra-
zioni, non sono così visibili come nella linea F) non coincidevano colla linea
— 241
di assorbimento, altro che sopra un arco di alcuni secondi. Dopo dieci mi-
nuti la spessezza della riga destra, era per me il solo indice di movimento.
Passati dieci minuti le righe, una chiara V altra oscura, coincidevano, e poco
dopo questo moto era prodotto verso il rosso. »
Dalla esposizione precedente non si può bene assegnare, quale sia stato
il tempo preciso, in cui si formò la protuberanza ; però questo tempo fu cer-
tamente minore di un’ora ; poiché Lockyer dice di aver veduto una protube-
ranza, ove un’ora prima non vi era. Sappiamo che un secondo in arco nel
nel sole, visto dalla Terra, corrisponde a circa 740 Udometri ; perciò due mi-
nuti primi, e questi erano l’altezza della protuberanza, corrispondono a 740,
X 120 kilometri. Suppongasi ora, come fu detto, che la protuberanza siasi for-
mata in un’ora, vale a dire in 3600 secondi; la velocità, supposta uniforme,
colla quale s’ innalzava, sarebbe stata
740 . 120
- 3C0Q - = 24,66 kilometri ,
questa velocità è circa dodici volte maggiore di quella, con cui si muove un
punto dell’ equatore solare.
Sembra però dalla precedente descrizione del sig. Lockyer, che il tempo
necessario per la formazione delle protuberanze, sia molto minore di un’ora.
In fatti egli dice ( luogo citato, p. 1273 , li, 14.) « Mentre che il sig. IIo-
lyday restò presso di me, pel tempo di ore due, vi ebbero due eruzioni, se-
parate da un intervallo di riposo quasi completo, ciascuna consistente, come
1’ ho mostrato , in una serie di getti. Più tardi fui testimonio di una terza
eruzione. I fenomeni osservati nelle tre, furono identici essenzialmente. » Da ciò
siegue che il tempo per la formazione delle protuberanze, dev’ essere anche
minore di mezz’ora. Quindi ammettendo che anche le indicate protuberanze
avevano due minuti primi di altezza , la velocità calcolata precedentemente
dovrebbe divenire doppia, cioè dovrebbe ridursi a 49, 32 kilometri.
S- 7«
Nell’opera che già citammo, e che s’ intitola « Die Spectralanalyse in ihrer
Anwendung, ecc. von Schellen, Braunschweig. 1810, p. 298, abbiamo una svi-
luppala esposizione del modo, per determinare la velocità di una sorgente Iumi-
32
242
nosa, mediante lo spostamento delle righe spettrali. Secondo il citato autore,
tale mezzo, forma il progresso, sino ad ora il più considerevole, della spet-
troscopìa. Bene ricorda l’ autore della riferita opera , nel principio , che il
sig. Doppler fu il primo a richiamare l’attenzione dei fisici, sulla modificazione
prodotta nella luce, per effetto deiravvicinamento, od allontanamento della sor-
gente luminosa rispetto all’osservatore. Quindi lo stesso autore va esponendo
come il sig. Lockyer, già distinse due casi nelle osservazioni sue, riguardo a tale
argomento ; cioè mettendo in chiaro, che si può determinare la velocità dei
getti luminosi nel senso del raggio solare , verso l’osservatore , pel qual fine
debbonsi osservare questi getti quando stanno nel centro del disco solare, o
almeno poco distante da esso. Quando poi vogliasi osservare un moto tangen-
ziale dei getti medesimi o protuberanze , si dovrebbe allora considerare la
protuberanza o getto luminoso sul bordo solare.
Il sig. Lockyer è riescilo a rendere visibile ambedue questi moti; e circa
tale soggetto si dice ancora ( opera cit. p. 304 ). » Quando si osservasse
che le righe dell’ idrogene ricevono uno spostamento, od un allargamento in
ambo le parti, allora l’ ipotesi del moto non si dovrebbe accettare, altro che
con grande circospezione. In vece più ragionevole sarebbe per questo caso ,
cercare la cagione dell’ indicato allargamento, nell’accresciuta pressione del gas
luminoso. Ma quando l’allargamento delle righe, sia prodotto una volta in un
senso, e poi nell’altro, ciò non potrebbe allora , secondo le ricerche dei si-
gnori Lockyer, e Frankland, dipendere dalla pressione aumentata ; perchè un
tale aumento allarga la riga F dell’ idrogeno, uniformemente, o almeno quasi
uniformemente, per ambo i lati. »
Certo è che il fatto dell’allargamento, si deve riguardare di somma im-
portanza , e la sola ipotesi del moto non sarebbe sufficiente , quando si al-
largasse la riga in proposito anche per altre cagioni. Ricordiamo qui che il
sig. Weiss (*) dice di avere osservato, mediante la pressione, un allargamen-
to da un solo lato nelle righe del gas nitroso. Di più sarà utile ricordare
la memoria di Wullner (**), ove si espone, che vi sono tre diverse specie di
idrogeno, e che anche l’ossigeno ed il nitrogeno si comportano similmente.
Da ultimo rimane la quistione, se tutte le righe delle protuberanze rice-
vono il medesimo spostamento. In ogni modo si dovrebbe credere che il moto
(*) Poggendorff, voi. 112, pag. 154.
(**) Poggendorff, voi. 135, p. 497.
— 243
produca uno spostamento identico, di tutte le righe appartenenti al sole; ma non
di quelle che si producono dall’ atmosferica terrestre. Ora il sig. Lockyer dice
( Comptes rendus citati, p. 1268 ). « In una iniezione d’idrogeno ad alta pres-
sione, il moto indicato mediante il cangiamento delle lunghezze di vibrazioni,
è stato minore per la riga gialla, che per C ed F. » Questo passo non è ben
chiaro, per le parole » iniezione d’ idrogeno. Pare che qui l’autore abbia voluto
parlare, di una ipotetica iniezione d’ idrogeno, che suppone aver luogo nella
protuberanza solare. Ora se cosi è , sarebbe detto, che lo spostamento delle
diverse righe, avviene differentemente ; quindi bisognerebbe ammettere, che
quelle righe, le quali accusano un moto minore, sieno in parte prodotte dal-
l’atmosfera terrestre.
Un’altra memoria, che tratta pure dello spostamento delle righe spettrali
è quella del sig. Angstrom, che s’ intitola: Determinazione della lunghezza delle
onde luminose , con un metodo per determinare il moto progressivo del si-
stema solare, per mezzo dell’ ottica (*).
Prima di finire , crediamo utile ripetere ancora una volta , non po-
tersi affermare, che muovendosi la sorgente luminosa, o l’osservatore, diven-
gano le onde luminose più lunghe , o più corte per questo moto. Le righe
di Fraunhofer, per es. quelle corrispondenti al sodio, se vengono spostate, ciò
vuol dire, che la luce di questo metallo, ha variato il numero delle oscilla-
zioni sue per un secondo, prima che giungesse al prisma. Ovvero ciò vuol dire,
che il suo colore non è più quello che corrispondeva precisamente al colore
della luce del sodio, quando tanto 1’ osservatore, quanto la sorgente luminosa
erano fermi ambedue. In somma il colore che ha una qualunque sorgente
luminosa omogenea, non è unico; ma dipende, parlando in astratto dallo
stato di moto in cui si trovano la sorgente luminosa, e l’osservatore. Quindi
è che, una luce p. e. gialla, può ad un osservatore comparire rossa, e ad un
altro verde ; cosicché se questa luce della medesima sorgente viene rifratta,
gli angoli di rifrazione saranno diversi ; cioè saranno appunto quelli corrispon-
denti al rosso, ed al verde, quantunque fossero ambedue questi colori primi-
tivamente gialli.
Egli è ammesso da tutti che la sensazione, del colore di una luce, di-
pende soltanto dei numero degli scotimenti, o vibrazioni, ricevute dalla retina
in un secondo, appunto come la gravezza del tono, dipende soltanto dal nu-
(*) Poggendorff Annalen, voi. 123. p. 489.
mero delle vibrazioni, che in un secondo giungono all’orecchio. Inoltre deve
riguardarsi per evidente, che pel moto, sia della origine luminosa, sia dell’os-
servatore, sia di ambedue, quésto numero debba variare, e ciò non dipende
certo da verun fatto fisico. La sperienza verifica questo principio riguardo al
suono ; dunque come mai si potrebbe dubitare della sua verificazione anche ri-
guardo alla luce ? Da tutto ciò siegue, che non si può proporre la quistione,
se cioè la rifrangibilità luminosa dipenda o no dalla lunghezza dell’onda, o
dalla sua durata, se prima non venga precisato essere o no fissi, tanto la sor-
gente luminosa, quanto l’osservatore.
— 245 —
Sulla elettrostatica induzione, od elettrica influenza. — Memoria istorico-
critica del prof. Paolo Volpicelli. (Contiunazione (1))
$. 19.
Tralasciamo, per evitare ripetizioni , tutto quello che nella citata me-
moria del fìsico di Berlino, si riferisce a Lichtenberg, e che noi riportam-
mo al suo luogo (vedi §. 2. della presente memoria ), Riess poi criticando
Lichtenberg (2), continua nel modo seguente:
« Si vede qui, che a differenza dello stato elettrico solito, viene an-
» cora distinto un’altro stato di elettricità, nel quale si ammette, la mede-
» sima esistere priva di azione, cioè si riguarda morta, o latente. Tale stato
» è del tutto analogo al calorico di un corpo, il quale ha trasformato l’ag-
» gregazione sua molecolare. Si asserisce, che la elettricità d'influenza di prima
» specie (la indotta), si trova in cosi fatto particolare stato, finche rimane vicino
w alla elettricità che la sviluppò (la inducente); ma di quest’ultima, una porzione
)> soltanto è vincolata, mentre l’altra parte si considera essere libera (3).
» Abbiasi (fig. 16) un corpo A elettrizzato,
ed un secondo D anch’ esso elettrizzato, in gui-
sa che producano essi la medesima divergenza
nell’elettroscopio. Se a questo secondo si avvicini
un terzo corpo C,la divergenza diminuirà, ed in tal
caso i due corpi A, B si avrebbero a paragonare
rispettivamente, con una quantità di acqua , e
con una quantità di vapore, le quali mostrano
al termometro, tanto l’una, quanto l’altra, il me-
desimo grado di temperatura; sebbene conten-
gano quantità di calorico molto differenti fra
loro (4). Tale distinzione di due stati elettrici
differenti, ha trovata un’ approvazione generale
nei trattati di fisica, tanto tedeschi, quanto este-
ri ; e nei medesimi troviamo scritto fino ad og-
gigiorno, interi capitoli circa la elettricità vinco-
li) Per le precedenti pubblicazioni, veggansi questi Atti, v. XXII, p. 25, ev. XXII, p. 1.
(2) Poggendorff Annalen, voi. 73, an. 1848, pag. 371, fi. 7, salendo.
(3) Altra prova che non è nuovo il concetto della indotta priva di tensione.
(4) La difficoltà che potrebbe taluno incontrare ad ammettere, od a comprendere uno
— 246 — •
» lata, latente, dissimulata. Ciò per la scienza ebbe perniciosissime con-
» seguenze (1) ».
» I fisici sperimentatori non si fermarono a tali sperienze, le quali ave-
» vano cagionate le attribuite denominazioni; ma cercarono in vece porre mag-
» giormente in chiaro tale vincolata elettricità, e dimostrare la realtà di quelle
» denominazioni. Già ho detto che alla elettricità indotta, si attribuiva una to-
stato di elettricità in guisa, che la medesima possa restare attualmente priva di tensione,
ma non virtualmente ; cioè possa dissimulare tutte le sue proprietà, non è difficoltà reale,
ma solo apparente. Imperocché molli sono i casi, tanto in fisica, quanto in chimica, nei quali
una sostanza perde in talune circostanze l’ attualità, ovvero dissimula le sue proprietà, che però
ancora possiede, ma virtualmente-, poiché le riacquista subito al cessare di quelle. Per questo av-
viene, secondo gli unitari, che la elettricità, combinata 'colla materia, non esercita le sue proprie-
tà, e solo allora te pone in atto, quando per attrito o per influenza, viene separata dalla ma-
teria stessa. Per questo avviene, secondo i dualisti, che le contrarie di elettricità, non agi-
scono quando sono insieme combinate, per la formazione del fluido elettrico neutrale; ma
bensì quando sono l’ima dall’altra, per attrito, o per influenza, disgiunte. Per questo avviene,
che l’elettrico non agisce magneticamente, quando sta in equilibrio, ma bensì quando si
trova nello stalo dinamico. Per questo avviene che il calorico non riscalda, quando s’im-
piega nel costituire l’aggregazione molecolare dei corpi. Per questo avviene, che i sette
colori della luce scompariscono, quando sieno fra loro mescolati, e ricompariscono allorché
questa mescolanza riceve la dispersione mediante il prisma. Per questo avviene, che tanto
una base, quanto un acido dissimulano le proprietà loro, quando costituiscano un sale neu-
tro, ma le manifestano subito che cessano dal costituire la combinazione salina. Per que-
sto avviene, che tanto l’idrogeno, quanto l’ossigeno, dissimulano le proprietà dei fluidi ela-
stici nella formazione dell’ acqua, e le manifestano allorché questa si decompone. Se nei
casi riferiti, non s’-incontra difficoltà, neli’ammettere o comprendere la relativa dissimulazione,
perchè si deve incontrare, quando trattasi della elettricità indotta di prima specie ? Inoltre
la elettricità dissimulata si ammise, e fu compresa nella bottiglia di Leida, nel quadro ma-
gico, nell’elettrosforo, e ne! condensatore; perciò deve potersi comprendere, e deve potersi
ammettere, anche nella sperienza fondamentale della elettrostatica induzione, la quale non
è altro, fuorché un caso identico, vale a dire una sperienza fatta con un coibente armato,
cioè coll’ aria, ed interposto fra l’indotto e 1’ inducente, che costituiscono le armature del
coibente stesso.
(1) Dobbiamo a questo proposito fare una distinzione, già pubblicata dall’illustre De
la Rive, e dal eh. Verdet, la quale consiste nel riconoscere, chela comune dei fisici, anche mo-
dernissimi, ammette la elettricità dissimulata, vincolata, latente, nella bottiglia di Leida, e
nel condensatore; ma la nega quando si tratta dello sperimento fondamentale della elettrica
influenza. Perciò non è bastantemente esalto, dire col sig. Riess, che « la distinzione di due
» stati elettrici differenti, ha trovato un’approvazione generale » perchè tale approvazione sì
trovò, come sopra è detto, per alcuni casi, e non per altri. Già disse il De la Rive « Tut-
» tavia, per una contradizione incredibile, la maggior parte dei trattati di tìsica , i quali
» nei primi casi ammettano la elettricità dissimulata, nell’ultimo non l'ammettono; e pure
« fra i casi medesimi , non vi sono altre differenze , fuorché quelle relative alla forma ,
- 247 —
» tale mancanza di azione. Appena fu dimostrata la inesattezza del ragiona-
» mento, vennero asserite proprietà di essa più strane ancora. Si credette
« che la indotta: 1° sia movente; 2° però senza potere di muoversi; 3° repel-
» lente solo per se stessa; 4° attraente solo relativamente alla elettricità ,
« da cui fu prodotta; 5° si credette che potesse agire nello spazio, però sol-
» tanto in una direzione, e fino ad una certa distanza; 63 la diminuzione della
» sua azione in distanze, si credeva soggetta a legge, differente da quella della
» elettricità libera. Tali strani, e singolari concetti, furono immaginati, men-
» tre si conoscevano già da lungo tempo i lavori di Franklin, Wilke, Aepinus,
» ed alla disianza dei due corpi, uno dei quali è influente, 1’ altro influenzato ». [Tratte
d' électricité théorique et pratique , Paris 1838, pag. 082, li. 19). Il distintissimo fisico Ver-
det, ancor esso, faceva questa osservazione, dicendo: « In un grande numero di trattati
« di fisica, la ipotesi della elettricità dissimulata, non è introdotta, fuorché all’ occasione
» del condensatore; ed i fenomeni generali della elettrizzazione per influenza, sono spiegati
» senza vi si abbia ricorso; ma è chiaro che una tale restrizione d' ipotesi, non è punto
» fondata , e che se abbiavi elettricità dissimulata sopra due dischi conduttori, vicini l’uno
» all’altro, ve ne deve ancora essere sopra due conduttori cilindrici o sferici, come quelli
» ordinariamente impiegali nelle sperienze ». ( Annales de Chim. et de phy. 3.e sèrie, t. 42,
novembre 1854 , p. 377, et pag. 374, nota (1) — v. anche Poggendorff Annalen, t. 37,
p. 642, an. 1836). Questa contraddizione antica, fra la teorica della elettrica d’influenza in
distanza, e quella dei coibenti armali, di cui certo uno è il condensatore , ha origine fin
d dl’epoca, in cui si vollero spiegare gli effetti di questi elettrostatici strumenti. Non ho tro-
vato, nè un corso di fisica, nè un trattatista di elettricità, che si mostri esente da questa
contraddizione. Lo stesso Riess nel suo trattato di elettricità per attrito, a me sembra pur esso
cadere nella conlradizìone medesima, col dire: « Mettendo un elettroscopio in contatto con una
» semplice superficie conducente, allora t’istromenlo mostra, se, o no quella surpeticie pos-
» segga elettricità. Ma quando in vicinanza di questa superficie se ne trovi un’altra, pure
» conducente, però ncn in comunicazione colla prima, l’effetto sopra indicato non ha più
» luogo, che condizionatamente. Questa superficie potrebbe appartenere ad una faccia del
» piattello condensante, ed un suo punto avente la densità zero , messo in contatto col-
» l’elettroscopio, non lo farebbe divergere, sebbene la indicata superficie possegga elettri-
» cità. Dunque immediatamente l’elettroscopio mostra, se una superficie sia elettrizzata sem-
» plicemenle, ma non mostra quando sia caricata, intendendo a rigore con questo termine,
» una elettrizzazione, allorché nelle vicinanze del conduttore, se ne trovi un’altro ». ( Die
Lehre von der Reibungelektricitat. Berlin 1853, t. 1. p. 360, salendo).
Che la elettricità indotta sia latente , dissimulata, vincolata, in somma priva di
tensione, deve riguardarsi per una verità, dimostrata da moltissime sperienze inecceziona-
bili, come chiaramente vedremo nella seconda parte di questa nostra memoria. Perciò deve
giudicarsi mollo azzardalo, per non dire altro, l’asserire col Riess » che la scienza ebbe
» perniciosissime conseguenze, da parte di quei fisici, che ammisero la elettricità vincolata.
— 248 —
» Coulomb, e Poisson. Il concetto della elettricità vincolata, non ha soltanto prò-
» dotto un gran numero di memorie, le quali non portavano veruna utilità,
» neppure nelle parli loro sperimentali; ma il concetto medesimo, introdotto
» eziandio negli elementi della dottrina della elettricità, diede per l’uso del
» condensatore una formula, che si applica spesso, quantunque non mai giusti—
» ficaia. Debbo prendere perciò questo argomento, in una più esplicita, e mi-
» nuta considerazione » (1).
» La teorica del condensatore, e della boccia di Leida, viene da Biot (2),
» e dopo di lui da molti altri autori, trattata come segue. Quando al piattello
» collettore si comunica la quantità di elettrico = 1, e quando la quan-
» tità della elettricità d’ influenza nel piattello condensante non isolato, egua-
li glia — m ; allora nel piattello collettore viene la quantità m1 2 vincolata. Il
li piattello collettore si comporta perciò precisamente, come nel caso, in cui pos-
» segga esso la quantità di elettrico — 1 — m2 ; e perciò si caricarà con più
» elettricità rispetto quella dell’altro caso, in cui manca il piattello condensante.
« Essendo E la carica, la quale prende il piattello, quando non avvi l’altro
» condensante, allora il piattello collettore continuirà a caricarsi fino a quel
» punto, ove la sua carica libera eguaglia E. Sia la sua carica totale = A,
» in tal caso avremo
A 1
A (I — m2\ = E , ovvero — — — ?
' E 1 — m .
» Questa quantità la quale fornisce il rapporto, fra le due cariche, che ri-
» ceve il piattello collettore, una volta senza intervenzione del piat. cond.,
» l’altra col mezzo di questo piattello, si nomina il potere condensante del-
» l’apparecchio.
(1) Le proprietà che veramente appartengono alla elettricità indotta, sono quelle
da noi riferite nel §. I. di questa memoria; le quali saranno evidentemente dimostrale
nella seconda parte della memoria stessa. In quanto alle memorie, le quali hanno avuto per
oggetto dimostrare, che la elettricità indotta, è del tutto vincolata; esse miravano ad una
verità, e se non l’hanno raggiunta, ciò non per altro può essere avvenuto, fuorché per difet-
to di ragionamenti, e di sperienze concludenti; che però non mancano, come in appresso
vedremo. Riguardo alla formula poi di Biot, essa verrà da noi giustificata fra poco; ma cou
una rettificazione.
(2) Traité de physique, t. 2, p. 565, an. 1816.
— 249 — •
» Non voglio discutere lo sviluppo di questa formula, che fa un con-
)) trasto tanto curioso , coi principii riferiti nelle opere di Cuolomb , e di
» Poisson ; ma invece, andrò a discutere la formula stessa. Questa (nei
» trattati ) si trova non soltanto destinata, per delucidare l’azione del con-
» densatore in genere ; ma viene anche adoperata , per la determinazione
» numerica ( delle cariche elettriche ). Ciò si rileva da quanto trovasi ( nei
» trattati ), ove per un dato condensatore si ricercano i mezzi, onde trovare il
» rapporto m fra le due elettricità, una inducente, l’altra indotta.
» Da questo valore poi, si vuole trovare la forza condensante. Inutilmente .
» cercai sperienze od argomentazioni teoretiche, sopra le quali poter basare Io
» sviluppo della formula di Biot (1) ; però sembra che la medesima sia un’ar-
» bitraria trasformazione, di una espressione data da Aepinus (2). Questo autore,
» per ispiegare il fatto, pel quale una bottiglia di Leida, produce una accumula-
» zione, tanto più forte, quanto è meno erto il vetro; considera (3) una parti-
» cella elettrica nell’ interno della bottiglia, chiama egli r l’azione dell’armatura
» interna sulla particella stessa, ed r' quella dell’armatura esterna. In seguito de-
» duce una espressione analitica, per la forza colla quale viene respinta questa
» quantità, sia nel 1° caso, in cui l’armatura interna agisce sola; sia nel 2°, nel
» quale agisce anche la esterna: e ciò nella ipotesi, che l’accumulazione riesca
» uniforme nell’armatura interna. Volendo che queste forze repulsive, sieno
)> eguali fra loro in ambedue questi casi, debbonsi applicare diverse quantità
» di elettrico ; e si trova che , quando nel primo caso la quantità di elet-
» trico è y, nel secondo, cioè colla boccia di Leida, si deve avere la quantità
7
» Chiaro apparisce dover essere il valore incognito — minore dell’unità, per la
« ragione, che la particella considerata, si trova più lontana dall’armatura ester-
» na, di quello sia dalla interna, inoltre chiaro apparisce altresì, che questo va-
li) Traité de physique expérimentale et mathématique. — Paris 1816, t. 2 e, p. 365.
(2) Non è che sembri, come dice il Riess, ma è certo essere la formula di Biot, una
trasformazione della espressione data in proposito da Aepinus; però crediamo, che la mede-
sima non sia del tutto arbitraria, come sarà dimostrato nei paragrafi seguenti.
(3) Tentamen theoriae eleclricitatis et magnetismi. Petropoli 1759, p. 58.
33
— 250 —
» lore si avvicina tanto più all’ unità, quanto è più fino il vetro. Da ciò conclude
» Aepimis, che una bottiglia di Leida, si carica con più elettricità, quando pos-
» segga due armature, di quello sia quando ne possegga soltanto una; e si avrà
» il massimo di carica, nel caso in cui il vetro è il più possibile sottile. Aepinus
» uon si occupa in alcuno modo nel determinare numericamente l’espressione
» e nello stato attuale della scienza, non si può sperare determinarla, nè teo-
» ideamente, nè sperimentalmente, neppure quando volesse taluno contentarsi
» di un’approssimazione. La cosa è totalmente diversa, quando il rapporto m,
» introdotto da Biot, viene sostituito in luogo di ; poiché quello è quan-
)> tità definita, e si può trovare numericamente, con esattezza sufficiente, come
» dimostreremo in seguito. La introduzione tanto di m, espressione che in-
» dica la quantità di elettricità indotta, contenuta nel piattello condensante ,
i> quanto la dipendenza fra il potere condensante, e questa quantità, non viene
» da nessun autore, teoricamente giustificata. Inoltre riflettendo bene, che cosa
» deve intendersi sotto la espressione potere condensante ; si trova che la mede-
» sima, non significa un concetto determinato. Abbiasi un disco conducente (cioè
» un piattello collettore) congiunto in qualunque modo con un corpo, sul quale si
» trova sviluppata della elettricità; questa elettricità si distribuisce sopra tutto
)> il materiale sistema, che si compone del piattello, del filo di congiunzione,
» e della sorgente di elettricità, quindi nel piattello entrerà una certa por-
» zione di essa. Questa sperienza sia ripetuta, mentre il piattello condensante,
» messo in comunicazione col suolo, trovasi avvicinato al collettore. La espe-
» rienza mostra, che la distribuzione dell’elettrico, è differente in questo secondo
» caso, e che il piattello collettore, si carica con una elettricità più forte. Il rap-
ii porto di queste due cariche, appartenenti al piattello collettore, costituisce il
» potere condensante del condensatore. Il medesimo rapporto evidentemente
» dipende dalla forma, e delle dimensioni delle singole parti del sistema, sul
» quale si distribuisce la elettricità. Dunque applicando sempre lo stesso con-
« densatore, il potere condensante medesimo dipenderà: 1 .° dalla forma, e dalle
n dimensioni, tanto del filo di congiunzione, quanto del corpo dal quale sviluppasi
» la elettricità; 2.° dal sito nel quale il filo di congiunzione tocca il piat. collet., ed
1
» il corpo elettrizzato; 3.° dalla direzione del filo di congiunzione; 4.° finalmente
» dalle distanze dei due piattelli. Volendo dunque trovare il potere condensante,
» certo è, che questo vaierebbe soltanto per un dato esperimento, e quando
» si trovasse mai pel medesimo una espressione analitica, questa si potrebbe ap-
» plicare solo per un particolare caso, e non in generale. L’espressione data
» da Biot , che si pretende valere per ogni caso, devesi dunque considera-
» re, come una grossolana approssimazione, trovata empiricamente; ma nep-
» pure ciò fu mai dimostralo, e non avrebbe utilità veruna per la pratica. Poi-
» che la determinazione della quantità m, dietro la quale si può trovare il potere
» condensante, riesce più difficile , che la determinazione diretta del poteie
» condensante medesimo (1); ed il mezzo che dà Biot per questa determinazione,
« mostra chiaro, non averla egli mai tentata. Sembra dunque necessario di ri-
ti) Riess intende qui, che la determinazione diretta del potere condensante K , rie-
sce più facile, di quella del rapporto m; ed il medesimo fece due serie di sperienze per
determinare K (. Annales de chim. et de phg., 3.® sèrie, t. 42, p. 377). La determinazione
diretta di K, é per lo stesso fisico, preferibile a quella, che si ottiene comunemente, perla
quale prima si determina m, quindi K, che per la maggior parte dei fisici, è una cognita
funzione di m. Sotto due punti di vista, il nominato tisico, stabilisce la indicata preferenza,
cioè: l.° perchè, la determinazione diretta del K, riesce più facile di quella del rapporto m;
2.° perchè, supposto anche trovato questo rapporto, esso non giova , secondo Riess, alla
determinazione del K; il quale, per esso, non è bene rappresentato da quella cognita fun-
zione, che viene comunemente adottata.
Ad onta dell’asserita difficoltà, per assegnare il valore numerico del rapporto m, ri-
fletteremo che il sig. Riess, giunse a questa determinazione in più modi, e tutti soddisfa-
centi ( Vedi Poggendorff Annalen der Physik und Chemie , t. 73, p. 388. — Riess Die Lehre
von der Reibangselektricitdt , Berlin 1833, t. 1°, p. 332. — Annales de chini, et de phy-
sique, 3.e sèrie, t. 42, p. 376 . . . 381).
Si possono consultare, per la determinazione di m, anche i seguenti autori — De la
Rive, Traité d’électricité théorique et pratique, l.° voi. Paris 1834, p. 382 . . . 584, ed
anche voi. 3.°, Paris 1838, p. 681 . . . 686. — Daguin, Traité de physique, Paris 1862.
t. 3.°, p. 156 . . . 158 — Gavarret, Traité d’ électricité, t. 1., Paris 1857, p. 130 — Bec-
querel, Traité d’ électricilé et de magnétisme, Paris 1835, t. l.°, p. 35 (nota *) — Jamin,
cours de physique, Paris 1838, t. l.°, p. 430 — Archives des scien. phy. et nat. de Ge-
nève, t. 32, an. 1856, p. 121. . . 129. — Gehler, voi. 2.° p. 242, e seguenti; qui si trova
un modo proposto dal Bohnenberger (p. 227), col quale si determina il rapporto m, oltre
la formula del potere condensante — Biot, Traité de physique expérimentale et mathématique,
Paris 1816, voi. 2.°, p. 365, e 366 ; vedi anche Vocabolario di fisica (tedesco) di Marbach,
t. 1, p. 1003. — Volpiceli Atti dell’ accademia pontificia de’ Nuovi Lincei , sessione 3.a
del 4. febbraio 1864, t.° 17, p. 164. — Esporremo in appresso, uno dei metodi adoperati
da Riess, per la stessa numerica determinazione.
— 252
- , data pel potere condensante, e di
1
)) gettare totalmente T espressione
« concepire il modo di azione del condensatore, dietro 1’ ipotesi della densità (1),
» diminuita nei diversi punti del condensatore , prescindendo dalla quantità
» della elettrico indotto. 11 condensatore si applica per la condensa -ione
» della elettricità, in due casi distinti; nel primo la sorgente di elettricità è
« costante (inesausta) ; lo strumento è allora il condensatore propriamente
» detto : nel secondo la densità della sorgente può variare ad arbitrio, ed al-
» lora viene detto quadro frankliniano, o boccia di Leida. Nel primo, come
» nel secondo caso, dipende l’azione sua , dalla variata distribuzione di elettri-
» cità, sopra il piattello isolato dell’apparecchio; dietro la quale, certe parti del
» medesimo acquistano, per causa della vicinanza del piattello condensante, una
» elettrica densità minore, mentre la densità delle altre parti diviene maggiore.
» Necessariamente il fatto, che la sorgente d’ intensità (costante), messa in co-
» rnunicazione con un punto, su cui la densità è diminuita, comunica al piattello
» collettore una carica maggiore, di quello che senza il piattello condensante,
» devesi dunque considerare unicamente (2), come un fatto mostrato dalla spe-
» rienza. II rapporto fra la diminuzione di densità nel punto di contatto, e
» l’aumento della carica acquistata, è variabile colla forma, grandezza, e po-
» sizione relativa, fra la sorgente, e il piattello collettore; il medesimo rappor-
» to non si può trovare teoricamente, neppure nel caso più semplice (3). Que-
(1) Sembra che Riess usi la parola densità , invece della parola tensione , sul significato
della quale, i fisici tutti sono in accordo, come dimostreremo in appresso. Il nominato chia-
rissimo autore, nel suo trattato di elettricità in tedesco (t. 1, Berlino 1853, p. 49 e 59),
esponendo la misura dello stato elettrico, adopera sempre le parole « quantità di elettrico,
densità elettrica, ertezza dello strato elettrico, ed effetti elettroscopici » intendendo egli per
questa ultima espressione, l’apertura dei pendolini. Si vede adunque che 1’ illustre tìsico di
Berlino, adopera le indicate parole, invece della voce tensione. Però è da notare, che l’autore
medesimo, intende misurarsi l’elettrico, mediante la sua forza repulsiva, la quale in sostanza
non è altro, fuorché la elettrica tensione. A noi sembra che questa voce, nella ipotesi comu-
nemente adottata, che cioè l’elettrico sia un fluido, significhi meglio la essenza sua, di quello
sia la voce densità , la quale si manifesta soltanto per mezzo della tensione.
(2) In somma la distribuzione, già variabile nei diversi punti del piatt. collett., deve
in esso variare di nuovo, per l’ indicato avvicinamento. Però la parola unicamente, usata da
qui Riess, non ha luogo, neppure secondo le sue viste; perché ha sviluppato egli ora la
ragione, per la quale il piattello deve ricevere una carica maggiore.
(3) Il caso più semplice consiste in quello, nel quale sia la sorgente di elettricità ine-
sausta, e costante.
— 253
» sta difficoltà, dipendente dall’analisi troppo complicata, non esiste nella se-
)) conda applicazione del condensatore, cioè col quadro frankliniano, il quale è
« 1’ unico che può essere applicato, trattandosi di determinazione numeriche.
» Sperimentando con questo stromento, si comunica al piattello isolato una
» quantità di elettricità, la quale può aumentarsi, finché incomincia la disper-
» sione della elettricità nell’aria. Tale dispersione comincia prima nel filo di
» congiunzione, quindi la medesima permetterebbe soltanto una debole elettrica
» densità, nel caso in cui non vi fosse l’altro piattello. La presenza del piat-
» tei lo non isolato, fa variare l’accumulazione. La densità nel filo di congiuri-
» zione s’ indebolisce, cosicché può entrare una nuova quantità nel piattello
» isolato. Siccome 1’ apparecchio rimane in questo caso invariato, mentre si
» esperimento; così le determinazioni di queste densità , hanno un rapporto
« diretto colla applicazione dell’apparecchio (1).
(1) Possiamo dichiarare nel seguente modo, questo concetto del Riess. Rappresenti A.
un corpo conduttore, sia B una elettrica sorgente inesausta, e costante. Questa posta in co-
municazione con un determinato punto del corpo A, dovrà dare al punto medesimo una certa
densità elettrica, ed a tutto il corpo una carica, dipendente dalla densità della sorgente stessa,
dalla grandezza del corpo, e dalla sua forma.
Se la densità della sorgente sia tenue, potremo riguardare la elettrica dispersione, che
procede dalla superficie del corpo nell’aria, come se fosse nulla. Quiudi aumentando in questo
caso la densità della sorgente, avrà luogo un aumento proporzionale della carica del corpo,
tanto in complesso, quanto nei singoli suoi punti.
Se però vogliasi tener conto della dispersione, le circostanze dalle quali dipende la ca-
rica varieranno; e le densità elettriche dei diversi punti del corpo, saranno minori di quelle,
che si avrebbero, se potesse riguardarsi la dispersione come nulla. Per tanto, a motivo della
dispersione, avrà luogo nel sistema elettrico, un continuo movimento di questo fluido, dalla
sorgente verso il corpo A, e principalmente verso quei punti del medesimo, nei quali la cur-
vatura è maggiore. Inoltre se facciasi crescere sempre più la densità della sorgente, si giun-
gerà finalmente ad un limite, riguardo alla carica elettrica del corpo A ; lo che deve succe-
dere quando, tanto elettrico arriverà sul corpo da parte della sorgente, quanto è quello che
partirà da esso, per effetto della dispersione. Tutto questo ragionamento ha luogo, anche
quando un altro corpo C conduttore, sia vicino al corpo A ; ed anche quando il medesimo
corpo C, comunichi col suolo.
Per quello riguarda il quadro franckliniano, deve secondo Riess intendersi, che la sor-
gente sia costante, ma forte a modo, che il quadro medesimo possa conseguire quella tal ca-
rica limite; cosicché crescendo ulteriormente la densità della sorgente, non possa più, per la
dispersione, crescere la carica nel quadro nominato. In tal caso il potere condensante di
esso, verrà senz’altro direttamente per evidenza ottenuto, dal rapporto delle densità, una di
quel punto del corpo A, nel quale dev’essere maggiore la dispersione, senza il piattello con-
densante ; l’altra pure dello stesso punto, però dopo toltala prima comunicazione, e dopo
l’avvicinamento del piattello condensante non isolato, come descrive il Riess.
» Le densità (ovvero le cariche) in un dato punto di qualunque corpo,
» stanno nel rapporto delle (diverse) cariche totali del corpo stesso : ciò ha
» luogo tanto nel caso , in cui questo corpo si trovi solo; quanto iu quello,
» nel quale si trovi esso in vicinanza di altri corpi (1). Trovando a dunque, che
» la densità diminuisce, fino alla metà, nel filo di congiunzione, per effetto del
» piattello non isolato, dobbiamo concludere, che l’apparecchio, si carica con
» una quantità doppia di quella, con cui si caricherebbe il solo piattello isolato.
§• 20.
a1) 11 presente paragrafo, viene da noi compilato, per tre scopi diversi, non
ancora presi di mira nei corsi di fìsica, e nei trattati di elettricità. Uno di tali
scopi consiste nel mettere in evidenza la serie dei ragionamenti, e dei calcoli, coi
quali Aepinus, il primo ad introdurre l’algebra nella elettrostatica, dedusse la
formula, che rappresenta l’accumulazione dell’elettrico, nella bottiglia di Leida.
Ciò sarà utile, anche per dare una idea, del come quell’ illustre' elettricista, ba-
salo sulla ipotesi frankliniana, cioè di un solo fluido, applicava l’analisi alge-
brica alla elettrostatica, e dei difetti che s’ incontrino nell’applicazione stessa. Il
secondo scopo consiste, nel mettere in chiaro, come dalla indicata formula di
Aepinus, discenda quella di Biot, che si riferisce all’accumulazione dell’elettrico
nel condensatore (§. 19); sebbene questo fìsico, abbia preso per base del suo
calcolo, la ipotesi dei due fluidi, già proposta da Dufay, sviluppata da Symmer,
e comunemente oggi seguita, nella spiegazione dei fenomeni elettrici. Questa
Per una sorgente debole, come sarebbe quella elettrica dell'atmosfera, per la quale con-
viene l’uso del condensatore, non è applicabile la indicala determinazione del potere con-
densante, dipendente dall'aumentare la densità della sorgente medesima, per giungere alla
carica limite, perchè questo aumento non può conseguirsi, ovvero perchè la dispersione, in
questo caso non può verificarsi.
(1) Abbiamo dimostrato in una nota (§. 9) questa proposizione. « Cangiando la carica f
dell’ inducente in fi , le diverse accumulazioni elettriche, sopra un elemento superficiale qua-
lunque, tanto dell’ inducente, quanto dell’ indotto, cangerauno in quel medesimo rapporto, nel
quale hanno cangiatole cariche dell’ inducente, od anche quelle dell’ indotto. Riflettendo che
la carica elettrica di un dato punto, in qualunque corpo, é proporzionale alla densità, o ten-
sione del punto stesso, discende chiaramente che nella riferita proposizione, già da noi dimo-
strata, è incluso anche l’asserto cui si riferisce questa nota, il quale asserto anch’esso perciò
viene dimostrato, mediante il principio, che cioè: dev’essere unica la elettrica distribuzione
di equilibrio sopra un conduttore.
— 255 —
ipotesi è generalmente seguita, non ostante la tendenza, molto ragionevole, di
taluni fisici moderni, di volere cioè sostituire, a tutte le altre sulla natura del-
l’elettrico, quella consistente nelle vibrazioni dell’etere; la quale però incontra
molte difficoltà nelle applicazioni. Lo scopo terzo di questo paragrafo, consiste
nel mettere in evidenza, essere stato Aepinus il primo anche nel dimostrare
col calcolo, che la indotta non tende, cioè che: non può menomamente agire,
o per l’attrazione, o per la repulsione, o infine per la induzione. Questo ultimo
scopo giustifica sempre più la utilità del presente paragrafo, riguardo alle ri-
cerche, le quali formano l’oggetto principale della presente memoria. La com-
pilazione del paragrafo medesimo sarà fatta, onde sia compresa facilmente, usan-
do simboli significativi, col moderno linguaggio della scienza, e non con quello
antico, seguito da Aepinus (1). Dobbiamo inoltre avvertire, che siccome il no-
minato autore, nei suoi ragionamenti, abbraccia tanto l’elettricismo, quanto il
magnetismo; noi nel compilare questo paragrafo, avremo soltanto riguardo al
primo di sì fatti agenti, e lo separeremo perciò dal secondo, del quale non ci
occuperemo.
a2) Le proprietà o forze che Franklin, nella sua ipotesi sulla natura della
elettricità, riconobbe esenziali a questo fluido, per ispiegare i fenomeni da esso
prodotti, sono le tre seguenti (2).
l.° Repulsione fra le molecole del fluido elettrico (3).
(1) Tentamen theoriae electricitatis et magnetismi. Petropoli 1759, p. 18. . . 61.
(2) Oeuvres de Franklin, t. 1. Paris 1773, p. 52, e 53.
(3) La elettrica repulsione fu per la prima volta negata da Kinnersley ; e qualche fisico
moderno ancora la nega — Francklin pel primo l’ammise, altri la negarono per ambedue le
elettricità, ed altri per la sola negativa. — Il primo che sottopose al calcolo la elettrica re-
pulsione fu, come ora vedremo, Aepinus. — Il p. Pianciani, Kennedy, Beccaria, Majocchi,
e Van-Marum esclusero la esistenza della elettrica repulsione — Pfaff, ed Harris l’ammisero. —
Volta negandola interpellò male un passo di Aepinus. — La elettrica repulsione si accorda
coi fenomeni naturali. — Non può concludersi la mancanza di repulsione, dal considerare
la pressione della elettricità contro l’aria circostante — Non discende la mancanza di que-
sta repulsione, da quello che giustamente dice Poisson, riguardo al vertice di un cono elet-
trizzato — Furono da me assegnate le condizioni, per le quali la elettrica tensione, al ver-
tice di un cono, diverrebbe infinitamente grande. — Tre sono le cause favorevoli, e tre le
opposte alla dispersione dell’elettrico. — Fu da me analizzala una sperienza, contro la elet-
trica repulsione. — Si analizzarono ancora da me altre simili sperienze. — Ed anche fu-
rono da me analizzati altri argomenti sperimentali, prodotti per negare la esistenza della elet-
trica repulsione. — Nelle analizzate sperienze, s’include il falso concetto, che la conducibilità
4
— 256 —
2. ° Attrazione dell’elettrico E del corpo G, per la materia pesante M' del
corpo C .
3. ° Attrazione dell’elettrico E' del corpo C', per la materia M del corpo C.
Però, a questo proposito, Mossotti dice » (1) Aepinus che ha ridotto a teo-
rica matematica, la ipotesi di Franklin, ha pure osservato, che se la condizione
dell’ equilibrio dei fluidi elettrici di due corpi nello stato naturale , consiste
nell’esservi uguaglianza fra l’attrazione della materia, e la repulsione del fluido
del primo corpo, sul fluido del secondo, e reciprocamente ; vi sono in giuoco
solo tre forze, di cui due di attrazione, ed una di repulsione. In fatti ciascuno
dei due corpi esercita, per effetto della sua materia , un’ attrazione sul fluido
dell’altro; mentre la repulsione scambievole dei due fluidi, costituisce una
sola forza, eguale a ciascuna delle due prime. Se dunque coll’equilibrio dei flui-
di, vogliasi avere anche l’equilibrio delle masse, dovremo ammettere una eguale
repulsione fra le molecole della materia, senza la quale i corpi si attirereb-
bero con forza, contro quanto la sperienza c’ insegna » (2). Quindi è che la ipo—
dell’aria, si debba riguardare inversamente proporzionale alla sua pressione. — Non si può
negare, che le molecole gassose vengono dalla elettricità prima attratte, e poi dalla elettri-
cità stessa respinte. — Sperimento col quale, mediante un cono che traversa un disco, si
dette provare la non esistenza della elettrica repulsione. — Ho dimostrato col calcolo, esi— ■
stcre una forza elettro-repulsiva. Ho dimostrato sperimentalmente la esistenza di una forza
elettro-repulsiva. — La sperienza invocata dal p. Pianciani, per negare la forza elettro-re-
pulsiva, non conduce a questo risultamento. — Ultima sperienza di Volta, per dimostrare la
pretesa non esistenza della medesima forza. — Contraddizione inclusa nel ragionamento del
p. Pianciani, per conciliare la opinione di coloro, che negano la elettrica repulsione, con quella
degli altri che l’ammettono. Ho assegnate le cause della repulsione, e dell’attrazione elettrica
fra due sfere, tanto se queste sieno conduttrici, quanto se coibenti.
Tutto quello che abbiamo qui riferito, fu dimostrato ed assaissimo sviluppato, nella mia
prima memoria, che ha per titolo — Analisi e rettificazioni di alcuni concetti , e di alcune
sperienze, che appartengono alla elettrostatica, §. 1. . . §. 19. — pubblicata negli Atti dell’ac-
cademia pontificia dei Nuovi Lincei, t. XIX, p. 312 . . . 348, e t. XX, p. 191 .. . 312.
(1) Sur les forces qui régissent la constitution intérieure des corps, ecc. par 0. F. Mos-
sotti, Turin 1836, p. 7. li 10 salendo.
(2) Secondo Franklin, l’equilibrio fra due corpi, nello stato elettrico naturale, si può
ammettere colle sole tre forze, da esso immaginate, senza ricorrere alla quarta forza repulsiva,
messa in campo da Aepinus; e l’equazione per così fatto equilibrio, consiste nella seguente
(c.) BE' = ME1 rh M E ,
cioè: nella repulsione EE', che dev’essere uguale alla somma delle attrazioni ME' , M'E.
La equazione medesima discende, dal supporre la repulsione scambievole EE ' dei due fluidi*
— 257 —
tesi di Aepinus, circa ['essenziali proprietà o forze che accompagnano l’elet-
trico, consiste nell’ ammettere, oltre le tre sopra indicate forze, anche 1’ altra
seguente, cioè :
4.° Repulsione vicendevole fra le parti della materia pesante, priva di
elettrico in parte, od in tutto.
La esistenza di questa quarta proprietà o forza, viene dallo stesso Ae-
pinus dedotta dal suo calcolo, applicato alla elettrostatica, come in seguito
vedremo. Perciò non deve questa quarta proprietà, essere inclusa nella ipotesi
di Franklin, il quale non la riconobbe ; laonde non a buon diritto, dal chia-
rissimo fisico Belli, si fece questa inclusione (1).
eguale al doppio di ciascuna delle due repulsioni, cioè dal supporre le
E E' == 2 31 E1 , EE M'E ,
che sommate danno la (ci) di Franklin. Abbiamo veduto che, secondo Mossotti, dovrebbe
« la repulsione scambievole dei due fluidi, essere uguale a ciascuna delle attrazioni » do-
vrebbero aversi cioè le
EE' = ME' , EE' = 31 E ,
che non possono certamente condurre alla (Ci), rappresentante la ipotesi frankliniana; quindi
esse non si possono ammettere,
Ma potrà taluno dire, che per avere l’equilibrio fra le masse, ancorché nello stato elet-
trico naturale, come ora noi le supponiamo, deve pure considerarsi l’attrazione fra le mede-
sime, secondo la legge newtoniana. Ciò non si può negare; ma trattandosi di corpi, quali sono
quelli su cui possiamo sperimentare, questi avendo una massa tenuissima rispetto quella ter-
restre, ne discende che l’attrazione newtoniana non potrà mai, nel caso pratico, turbare sen-
sibilmente l’equilibrio stabilito colla (c,).
Ora passando a considerare il caso di corpi, o che abbandonano, o che difettano di elet-
trico, rispetto quello naturalmente ad essi proprio; sarà facile vedere, che per l’equilibrio loro
in questo caso, deve, nella ipotesi frankliniana di un solo fluido, riconoscersi anche la esistenza
della repulsione fra la materia. Poiché quanto più si toglie l’elettrico a due corpi, tanto più
questi si respingono; dunque la materia diminuita nell’elettrico, naturalmente ad essa proprio,
si respinge. Da questo fatto sperimentale discende unicamente la necessità di ammettere, nella
ipotesi frankliniana, la repulsione della materia diminuita di elettrico. Laonde per l’equili-
brio fra due corpi elettrizzati, si avranno quattro forze, cioè due di repulsione, e due di at-
trazione; cosicché l’equilibrio medesimo sarà espresso dalla
EE -+- 31M' = ME -t- M'E .
(1) Corso elementare di fisica sperimentale, voi. 3, Milano 1838, p. 17. . . . 19.
( Continuerà )
34
— 258 —
CORRISPONDENZE
L’ Emo Cardinale Deangelis, protettore dell’accademia, col suo dispaccio
del 3 maggio 1870, fa noto che la S. Congregazione degli stadi, approvò com-
pletamente il consuntivo accademico pel 1869.
11 sig. prof. S. Cadet, socio ordinario, presentò in dono, da parte del sig.
Giuseppe Valori la lettera, che questo farmacista collegiale pubblicò, diretta al
sig. dottore Francesco Scalzi, professore di materia medica nella università ro-
mana. L’oggetto della indicata lettera, estratta dal fascicolo V del giornale me-
dico di Roma, consiste nell’ esporre un metodo nuovo, di preparare il solfuro
nero d’ idrargiro, detto comunemente etiope minerale.
Il sig. direttore dell’osservatorio fisico centrale di Pietroburgo, fa giungere
in dono all’accademia, il Repertorio di meteorologia.
«
t
L’accademia riunitasi alle due pomeridiane , in numero legale si sciolse
dopo due ore di seduta.
Soci ordinari presenti a questa sessione
B. Viale — A. cav. Betocchi — F. cav. Giorgi — G. com. Ponzi — V.
cav. Diorio — P. Voi picelli — F. Nardi — M. cav. Azzarelli — S. Proja —
B. Boncompagni — F. Castracane — S. Cadet — A. Guglielmotti — G. Pie-
ri — D. Chelini — L. cav. Respighi — M. Massimo — A. com. Cialdi.
Pubblicato nel 17 di settembre 1870.
P. V.
©PERE Vli\'I;TE IN »©N©
Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. — Voi. V., disp. 5. —
Marzo 1870.
— 259 —
Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze , e Lettere — Voi. III.
fase. Vili e IX.
Memorie dell' Accademia delle scienze dell' Inslitulo di Bologna. — Serie li.
Tomo IX. fase. 3.°
Ballettino della Società Geografica italiana — fase. 4.° — 1° Maggio 1870.
Della Camera Lucida di Wollaston applicata al cannocchiale, per ottenere
dei panorami di monti in grande scala, e della maggiore esattezza; dei si-
gnori Francesco Carlini astronomo in Milano 1818, Cario Ponti ottico
a Venezia 1856, e Revoil dotto di Parigi 1869. — Nota del prof. cav.
F. Z ANTE DESCHI. A/4 di foglio, 1870.
Delle nebbie, nebbioni, pioggie con sabbie, e caligini osservate nell'atmosfera
d' Italia, precipuamente nel 1859, ed effetti che ne conseguirono. — - Re-
lazione storico-critica del medesimo. — Un fase, in 8.° 1870.
Pioggia e Neve frammista a vane sostanze, cadute nella notte dal 13 al 14
di febbraio 1870 nella Liguria, nel Piemonte ed in altre contrade d'Ita-
lia, coll' analisi qualitative e quantitative. — Relazione storica del mede-
simo. — Un fase, in 8.° 1870.
Sulla necessità di escludere lo studio della geometria dai pubblici ginnasi, e
l' Euclide dai Licei. — - Nola di Sebastiano Purgotti. — Un fase, in 12.”' *
Torino, 1870.
Meleorogrcifia dell' Autunno 1869 in Modena, dell' Ing. A. Ricco. — Modena
1870. — Un fase, in 8.°
Nona ( ultima parte) e Decima Piivista di Giornali, presentata al R. Istituto
Veneto, nell' Agosto 1 869, e Gennaio 1870, dal prof. G. Bellavitis.
Sulla legge delle derivale generali delle funzioni di funzioni di più variabili
indipendenti, e sulla teorica delle forme di partizione dei numeri interi.
Memoria di G. B. Marsano. — Un voi. in 4.° — Genova, 1870.
Dei vantaggi che la scienza dell' ingegnere può trarre dalle grandi esposi-
zioni internazionali. Discorsi accademici del cav. Alessandro Betocchi —
Un fase, in 4.° grande — Roma, 1 870.
D’une seconde . ... Di un secondo nuovo metodo per determinare la pa-
ralasse del Sole, del Capii. C. Setti m anni. — Un fase, in 8° — Firen-
ze 1870.
Annuaire .... Annuario dell ' associazione per V incoraggiamento dei studi
greci in Francia — 4° Anno 1870 — Parigi.
— 260 —
Jahrbuch . . . Annuario dell' I. R. Istituto Geologico di Vienna — Ottobre,
Dicembre 1868, e Gennaio — Dicembre 1869.
Atti dell' I R. Istituto suddetto — 1868-1869. (ottobre, e novembre).
Proceedings . . . Alti della R. Società Geografica di Londra. — Yol. XIV. —
N. 1. 1870.
Monatsbcricht .... Contoreso mensuale della R. Accademia delle Scienze
di Berlino — Gennaio Aprile 1870.
Mittheiiungen. . . . Comunicazioni della Società Antropologica di Vienna —
1870 — N. 1, 2, 3.
Vierzehnter .... Rapporto témo dell' Istituto ginnastico-ortopedico di Ber-
lino ; del D.r IL W. Berend.
Bericht . . . Rapporto sopra la Società Medica di Berlino — Anno 14 e 15.
| foglio in 4.°
2. c
Nature ... La Natura. Giornale scientifco settimanale con illustrazioni. —
N. 26, 27, 28, 30, 31. — Londra 1870.
Ballettino Meteorologico dell' Osservatorio di Moncalieri — Febbraio, e Mar-
zo 1870.
Comptes . . . Conto reso dell ' Accademia delle Scienze dell' Imperiale Isti-
tuto di Francia , in corrente.
Memoires . . . Memorie della I. Accademia delle Scienze di S. Pietroburgo —
Tomo XIII, N. 8. — e Tomo XIV. — N. 1-7.
Ballettili . . . Ballettino della I. Accademia suddetta — Tomo XIV. N. 1-3.
Se Porlolevante escluda il fluttocorrente come causa del suo insabbiamento.
Al chiarissimo Carlo Comm. Possenti — Lettera del Comm. Alessan-
dro Ci aldi . — Roma, 1870, un fase, in 8.°
L' Ingegno di Ferdinando De-Luca. Articolo del suddetto. — Roma 1870,
un fase, in 8.°
Sopra alcuni teoremi aritmetici. Memoria del prof. P. Tardy a Genova. —
Un fase, in 4.° ; Milano, 1870.
Mémoire .... Memoria sur una trasformazione geometrica, e sulla super-
ficie delle onde, di Eugenio Catalan. — Brusselles, 1870.
Beux modèles .... Due modelli in rilievo, V uno di una superficie a più
gran pendenza costante, l'altro della superficie descritta da una corda vi-
brante, trasportata da un movimento rapido perpendicolare al suo piano di
vibrazione ; di Saint-Venant. Parigi 1859. ( Uno scaccolo di carta del Gior-
nale V Insti tut).
Sur un potentiel .... Sopra un potenziale di seconda specie, che risolve
V equazioni a differenze parziali del quart' ordine , esprimente V equili-
brio interno dei solidi elastici amorfi, non isotropia del Medesimo. — Pa-
rigi 1869.
Sur une détermination .... Sopra una determinazione razionale, per ap-
prossimazione, della spinta, che esercitano delle terre sprovviste di coesione ,
contro un muro, avente una inclinazione qualunque ; del Medesimo. — Pa-
rigi 1870.
Preuve théorique. . . . Prova teoretica della uguaglianza di due coefficienti
di resistenza, e della estensione o compressione nel movimento continuo
di deformazione dei solidi duttili, al di lei dei limiti della loro elasticità ;
del Medesimo. — Parigi 1870.
Sur 1’ établissement . . . Sullo stabilimento delle equazioni dei movimenti in-
terni, operati nei corpi solidi duttili, al di là dei limili, ove la elasticità po-
trebbe ricondurli al primiero stato. — Parigi 1870.
Poussée des terres .... Spinta delle terre. Comparazione delle sue stime
a mezzo della considerazione razionale delV equilibrio-limite, e a mezzo del-
V uso del principio, detto di minore resistenza, di Moscley ; del Medesimo. —
Parigi 1870.
Recherche .... Ricerca di una seconda approssimazione nel calcolo razio-
nale della spinta, esercitata contro un muro, di cui la facciata posteriore
ha una inclinazione qualunque, con terre non coerenti, di cui la superficie
superiore si eleva in qualunque pendìo piano, a partire daWallo di questa
facciata del muro ; del Medesimo ■ — Parigi 1870.
Rapport .... Rapporto sopra una memoria del sig. Maurizio Levy, intito-
lata : « Essai sur une théorie rationelle de 1’ équilibre des terres fraìche-
ment remuées, et ses applications au calcai de la stabilite des murs de sou-
ténement. » ( Dono di Saint-Venant, relatore). — Parigi 1870.
Rapport . . . Rapporto sopra una Memoria del sig. Tresca « Sur le poin-
ponnage et sur la théorie mécanique de la déformation des corps solides
( Dono di Saint-Venant relatore). — Parigi, 1870.
Rapport. . . . Rapporto su cinque Memorie del sig. Felice Lucas, intitolate
Recherches concernent la Mécanique des atomes ( Dono di Saint-Venant ,
relatore ).
Rapport .... Rapporto sur una Memoria del sig. Boussinesq ( ari1 addi-
— 262 —
zione ) relativo « A la théorie des ondes liquides périodiques. » ( Dono di
* Saint-Venànt , relatore).
Integration . . . Integrazione della equazione differenziale , che può dare una
seconda approssimazione nel calcolo razionale della spinta , esercitata con-
tro un muro , per terre sprovviste di coesione ; di I. Boussi.vesq. ( Dono di
Saint-Venant.)
Bullettino di Bibliografia , e di Storia delle scienze matematiche e fìsiche , pub-
blicato da B. Boncompagn t — Tomo III. — Gennaio 1870.
mmm sseus M&'wmm®
DEL XXIII VOLUME
(1869-70)
Elenco dei soci attuali dell’ accademia , sino a tutto il dicem-
bre 1869 , pag. v-xvi
Soci defunti » xvi
MEMORIE E COMUNICAZIONI
Volpi celli prof. P ., socio ordinario, e segretario - Sulla elettro-
statica induzione , od elettrica influenza. - Memoria istorico-cri-
tica. (Continuazione) » 1-27
Giorgi cav. prof. Federico , socio ordinario , e membro del comi-
tato - Sul calcolo delle quantità dei movimenti di terra nelle
stime dei lavori architettonici » 28-52
Respighi prof. cav. Lorenzo , socio ordinario, astronomo, e mem-
bro della censura - Osservazioni spettroscopiche del bordo , e
delle protuberanze solari » 53-70
Volpicelli prof. P. - Sul barometro fotografico costruito nella
università romana » 71-75
Secchi R. P. Angelo , socio ordinario, e membro della censura -
Osservazioni sulla comunicazione precedente » 76-77
Volpicelli prof. P. - Dichiarazioni relative a queste osservazioni. » 77-78
Secchi R. P. Angelo , socio ordinario - Nota sulla temperatura del
sole » 93-99
Castracane degli Antelminelli conte Don Francesco , socio ordi-
nario - Memoria sopra un sistema nuovo di ricerche su le Dia -
tomee, e risultamenti ottenuti da quelle del 1869 . . . . » 100--113
Jacobini prof. Luigi , socio ordinario - Nota sulla Saperda del fru-
mento » 1 14- 11 5
Diorio prof. cav. Vincenzo , socio ordinario - Osservazioni sulla
precedente nota » 115
Nardi Mons. Francesco , socio ordinario - Notizie relative alV il-
lustre viaggiatore Livingslon pag. 116-117
Volpicelli prof. Paolo, socio ordinario, e segretario - Risposta alle
osservazioni del p. A. Secchi , pubblicate nella tornala del 5
dicembre 1869, relative al barometro fotografico nella università
romana » 118-122
Jacobini prof. Luigi, socio ordinario - Nola sopra i vantaggi, che
può trarre lo stato pontifìcio, dall'apertura del canale di Suez. » 125-128
Volpicelli prof. Paolo , socio ordinario , e segretario - Memoria
sulle opinioni, e sulle sperienze, circa il calore del raggiamento
lunare, ed anche stellare » 129-155
Re spighi prof. cav. Lorenzo, socio ordinario, ed astronomo - Nota
sulle osservazioni delle protuberanze solari » 156
Diorio prof. cav. Vincenzo , socio ordinario - Nota in riposta ad
una interpellanza , direttagli dal chiarissimo sig. prof. Socrate
Cadet, relativa alla teorica di una nuova funzione della milza. » 160-167
Volpicelli prof. Paolo , socio ordinario , e segretario - Memoria
sulle condizioni algebriche , a fine di ottenere automaticamente
la compensazione termometrica nei barometri, per qualunque dei
sistemi alti a produrla » 168-196
Respighi prof. cav. Lorenzo, socio ordinario, ed astronomo - Sulle
osservazioni spettroscopiche del bordo, e delle protuberanze solari ,
fatte all' osservatorio della università romana sul Campidoglio
( Nota °ta) . . . . „ » 201-211
Castracane degli Antelminelli ab. conte Francesco , socio ordi-
nario - Cenni sull'esame microscopico di un fungo, estratto dal
fondo dell' oceano atlantico » 2 1 2-2 i 5
Mainardi Gaspare socio corrispondente italiano. - Pensieri intorno
vari argomenti, (continuazione) » 220-229
Volpicelli prof. Paolo , socio ordinario , e segretario - Formula
generale per la variazione del tono, prodotto dal moto del corpo
sonoro , e dell ' ascoltatore ; corollari di questa formula, e consi-
derazioni sul modo, col quale credesi potersi spiegare, lo sposta-
mento delle righe di Fraunhofer nello spettro solare , a motivo
del suo moto rotatorio » 232-244
— 263 —
Il Medesimo - Sulla elettrostatica induzione, od elettrica influenza
Memoria istorico-critica (continuazione) pag.
COMUNICAZIONI
Dono di S. Santità ’ Papa Pio IX »
Funerali pel defunto coni. Luigi Poletti, socio ordinario linceo. )>
Il prof. Voi. pi celli fece noto, che niuna memoria si ebbe , relati-
vamente all'ultimo programma pel premio Carpi .... »
Annunzio della perdila dolorosa del nostro socio ordinario cav. An-
tonio Coppi »
CORRISPONDENZE
Approvazione sovrana della nomina dei membri componenti la nuo-
va commissione di censura »
Approvazione sovrana della conferma del prof. cav. B. Viale-Prela'
nella carica di presidente, con relativa osservazione »
Dono del sig. ingegnere Luigi Sereni »
Annunzio della morte del prof. D.re Michele Sars ....))
Doni di opere, e ringraziamenti diversi »
La Società delle arti e dell' archeologia di Dima, prega per avere
le pubblicazioni dei Lincei »
Lettera del lì. P. Chelini »
Annunzio della morte del prof. Axel Gioacchino Ermann . . »
Ringraziamento del sig. Sonudolum »
Doni del sig. com. Alessandro Cialdi »
Dono del sig. prof. cav. Alessandro Betocchi »
Dono del sig. D.re Pietro Balestra »
Dispaccio dell' Emo, e Fimo sig. Cardinale De-Angelis, protettore
dell'accademia, relativo ai membri nuovi del comitato . . »
Ringraziamento della imperiale accademia di Vienna »
Dono del sig. E. Bertin , presentalo dal sig. com. Alessan dro
Cialdi. »
Ringraziamento della I. accademia delle scienze di Vienna.
243-257
79
id.
123
197
79
id.
80
id.
80-81
80
123
id.
id.
id.
id.
id.
id.
id.
»
197
Ringraziamento della R. accademia delle scienze di Lisbona, pag. 197
Lettera del sig. Barone Camillo Tras mondo Frangipani dei duchi
di Mirabello » 216
Dono di Monsignor Nardi » id.
Dono del sig. Comm. Alessandro Cialdi » id.
Ringraziamento della società filosofica di Manchester .... » id.
Programma della società letteraria di Amsterdam » id.
Programma del R. Istituto d ' incoraggiamento di Napoli. . . » id.
Dono della università di Liegi » 280
Approvazione superiore del consuntivo pel 1869 » 258
Lettera del sig. Giuseppe Valori, presentala dal sig. prof. S. Cadet. » id.
Dono dell'osservatorio fisico centrale di Pietroburgo .... » id.
COMITATO SEGRETO
Nomina di quattro soci ordinari per comporre il nuovo comitato
accademico » 81
Nomina della commissione pel rapporto sul consuntivo 18G9, e pre-
ventivo 1870 » id.
Approvazione del consuntivo del 1 869, e del preventivo pel 1870,
nonostante la mancanza della firma del p. Secchi. . . . » 1 97
Soci ordinari presenti a questa sessione. » 82, 124, 157, 198, 217, 230, 258
Opere venute in dono . » 82-92, 157-159, 217-219,230-231, 258-262
Indice delle materie contenute in questo volume XXIII. . . r> 263-266
Errori e correzioni . . % » 267
— 267 —
ERRATA.
CORRIGE
Pag.
lin.
27
7
presente al
al presente
74
16
e
è
245
16
(fig. 16)
(fig. 17)
id.
(Fig. 16)
(Fig. 17)
IMPRIMATUR
Fr. Rapb. Arch. Salini Ord. Praed. S. P. A. M. Socius
IMPRIMATUR
Joseph Angelini Arch. Corintb . Vicesg»
Mem . de! ProF Volpiceli / sui Bsrometroljra fi