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Full text of "Atti dell'Accademia Pontificia de'Nuovi Lincei"

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ATTI 

DELL’  ACCADEMIA  PONTIFICIA 
DE’  NUOVI  LINCEI 


I 


A 

....  : ... 


1 T f X 

DELL’ ACCADEMIA  PONTIFICIA 
DE’  MOVI  LINCEI 

PUBBLICATI 

CONFORME  ALLA  DECISIONE  ACCADEMICA 

del  22  dicembre  1830 

E COMPILATI  DAL  SEGRETARIO 

TOMO  XXIII.  - ANNO  XXIIL 

(1869-1870) 


ROMA 

1869 

TIPOGRAFIA  DELLE  BELLE  ARTI 

Piazza  Poli  n.  91. 


■ 


ELENCO  DEI  SOCI  ATTUALI 

DELL’ ACCADEMIA  PONTIFICIA  DE’  NUOVI  LINCEI 

DAL  3 LUGLIO  1847,  EPOCA  DEL  SUO  RISORGIMENTO,  FINO  A TUTTO  DICEMBRE  DEL  18G9. 


EPOCA  DELLA  ELEZIONE 

S 

9 gennaio  1853 


2 febbraio  1 862 

2 giugno  1867 

3 luglio  1847 

4 gennaio  1863 

2 giugno  1867 

3 luglio  1847 

5 gennaio  1862 
3 luglio  1847 


SOCI  QB3DIWA&I 


ASTOLFI  abate  OTTAVIANO,  professore  d’in- 
troduzione al  calcolo  sublime  nella  univer- 
sità di  Roma  , e di  fisico-matematica  nel 
collegio  Urbano. 

AZZARELLI  dot.  cav.  MATTIA  , professore 
di  meccanica  e idraulica  nella  università  di 
Roma. 

BETOCCHI  cav.  ALESSANDRO,  ingegnere  in 
capo  onorario  nel  corpo  di  acque  e strade, 
professore  di  meccanica  pratica  nella  univer- 
sità di  Roma. 

BONCOMPAGNI  Don  BALDASSARRE  dei 
principi  di  PIOMBINO. 

CADET  dott.  SOCRATE,  professore  di  fisio- 
logia umana  nella  università  di  Roma. 

CASTRACANE  degli  ANTELMINELLI,  abate 
conte  FRANCESCO. 

CHELINI  rev.  p.  DOMENICO  delle  Scuole  Pie, 
professore  di  meccanica  nella  università  di 
Roma. 

CIALDI  Comm.  ALESSANDRO. 

COPPI  cav.  ANTONIO. 


VI 


EPOCA  DELLA  ELEZIONE 


1 febbraio  1863 

2 marzo  1856 

2 giugno  1867 

3 giugno  1866 

3 aprile  1864 

3 luglio  1847 
6 febbraio  1859 

3 luglio  1847 

11  maggio  1848 
22  aprile  1849 

4 febbraio  1866 

3 aprile  1864 
30  giugno  1850 


DIORIO  dott.  cav.  VINCENZO,  professore  di 
zoologia  nella  università  di  Roma. 

FIORINI-MAZZANTI  contessa  ELIS ARETTA, 
botanica. 

GIORGI  cav.  FEDERICO,  presidente  del  con- 
siglio d’  arte,  professore  di  architettura  sta- 
tica e idraulica  nella  università  di  Roma. 

GUGLIELMOTTI  rev.  p.  ALBERTO,  de'  pre- 
dicatori, teologo  della  biblioteca  Casanatense. 

JACOBINI  LUIGI,  professore  di  agraria  nella 
università  di  Roma. 

MASSIMO  duca  Don  MARIO. 

NARDI  monsignor  FRANCESCO,  geografo 
fisico. 

PIERI  dott.  GIULIANO  , professore  emerito 
d' introduzione  al  calcolo  sublime  nella  uni- 
versità di  Roma. 

PONZI  dott.  cav.  GIUSEPPE,  professore  di  geo- 
logia, e mineralogia  nella  università  di  Roma. 

PROJA  D.  SALVATORE,  nominato  professore 
di  elementi  di  matematica  nella  università  di 
Roma. 

RESPIGHI  dott.  cav.  LORENZO,  professore  di 
ottica  e di  astronomia  nella  università  di 
Roma. 

ROLLI  dottor  ETTORE,  direttore  del  giardino 
botanico  della  università  di  Roma. 

SECCHI  rev.  p.  ANGELO,  d.  C.  d.  G.,  diret- 
tore dell’osservatorio  astronomico  nel  colle- 


gio romano. 

0 


VII 


EPOCA  DELLA  ELEZIONE 


3 luglio  1847 
3 dicembre  1854 


3 luglio  1847 


2 aprile  1867 


TORTOLINI  dott.  canonico , monsignor  Don 
BARNABA , professore  di  calcolo  sublime 
nella  università  di  Roma. 

VIALE  dott.  cav.  BENEDETTO  , professore 
emerito  di  clinica  medica  nella  università  di 

Roma. 

VOLPICELLI  dott.  PAOLO,  professore  di  fìsica 
generale  e particolare  nella  università  di 
Roma. 


pairaiDssm 

Cav.  prof.  dott.  BENEDETTO  VIALE.  ( Con- 
fermato pel  secondo  biennio , nella  tornata  del 
6 giugno  1869  ). 


mmmm 

1 febbraio  1863  Duca  Don  MARIO  MASSIMO. 


Vili  — 


EPOCA  DELLA  ELEZIONE 

HI1M3M  Q)1IL  (EDITO  M©  MD&1D3IIII1®© 
7 gennaio  1866  Prof.  Dott.  SOCRATE  CADET* 


))  » 

R.  P.  DOMENICO  CHELINI 

» » 

Prof.  dott.  VINCENZO  cav.  DIORIO. 

» » 

Prof.  dott.  GIUSEPPE  cav.  PONZI. 

2 giugno  1867 

mamiBiM  dim  (EDimiMiiDim  m motsì* 

Monsignor  Don  FRANCESCO  NARDI. 
Professore  cav.  VINCENZO  DIORIO. 

R.  P.  ANGELO  SECCHI. 

Professore  cav.  LORENZO  RESPIGHI. 

• 

Prof.  PAOLO  dott.  VOLPICELLI.  ( Confermato 
nella  carica  di  segretario  pel  terzo  decennio ). 

» « Prof.  GIUSEPPE  dott.  cav.  PONZI.  ( Confer- 

mato nella  carica  di  vice-segretario  pel  se- 
condo decennio ). 


IX  — 


EPOCA.  DELLA  ELEZIONE 

llimiM»  SID 

3 luglio  1847  Don  BALDASSARRE  BONCOMPAGNI,  dei 

principi  di  Piombino. 

omswiais  mma  sipibqkdm  à©fa®i«ià 

4 febbraio  1866  Prof.  cav.  dott.  LORENZO  RESPIGHL 


X 


EPOCA  DELLA  ELEZIONE 


3 dicembre  1854 
11  maggio  1851 

13  gennaio  1867 

4 febbraio  1849 

2 maggio  1858 

6 maggio  1860 

11  maggio  1851 

» » 

1 aprile  1860 
11  maggio  1851 

4 febbraio  1849 
13  gennaio  1867 


SOCI  CORRISPONDENTI  ITALIANI 


BELLAVITIS  GIUSTO,  professore  di  matema- 
tiche superiori  nella  università  di  Padova. 

BETTI  ENRICO,  professore  di  matematica  nel 
Liceo  di  Firenze. 

BIANCONI  cav.  GIO.  GIUSEPPE. 

BRIGHENTI  MAURIZIO,  già  professore  di  geo- 
metria descrittiva  nella  scuola  degE  ingegneri 
di  Roma,  ed  ispettore  emerito  di  acque,  e 
strade  in  Bologna. 

DE-GASPARIS  professore  ANNIBALE,  diret- 
tore dell’osservatorio  astronomico  di  Napoli. 

LOMBARD1NI  ELIA , ingegnere  idraulico  in 
Milano. 

MAINARDI  GASPARE  , professore  di  calcolo 
sublime  nella  R.  università  di  Pavia. 

MENABREA  LUIGI  FEDERICO,  membro  della 
R.  accademia  delle  scienze  di  Torino. 

MENEGHINI  GIUSEPPE,  geologo  in  Pisa. 

MINICH  SERAFINO,  professore  di  matemati- 
che superiori  nella  università  di  Padova. 

PARLATORE  FILIPPO,  professore  di  bota- 
nica, e di  fisiologia  vegetale,  nel  museo  di 
fisica,  e storia  naturale  in  Firenze. 

PIANI  cav.  DOMENICO , segretario  perpetuo 
dell’  accademia  delle  scienze  in  Bologna. 


XI 


EPOCA  DELLA  ELEZIONE 


4 febbraio  1849 

» » 

6 maggio  1860 
4 febbraio  1849 

» » 


6 maggio  1860 
4 febbraio  1849 

13  gennaio  1867 
1 aprile  1860 
4 febbraio  1849 


PURGOTT1  do U.  SEBASTIANO , professore 
di  chimica  nella  università  di  Perugia. 

SANTINI  comm.  GIOVANNI,  direttore  del  K. 
osservatorio  astronomico  di  Padova. 

SAVI  PAOLO  geologo  in  Pisa. 

SCACCHI  ARCANGELO,  professore  di  mine- 
ralogia nella  R.  università  di  Napoli. 

SISMONDA  cav.  ANGELO,  professore  di  geo- 
logia , e di  mineralogia  nella  R.  università 
di  Torino. 

SISMONDA  EUGENIO,  geologo  in  Torino. 

TARDY  PLACIDO,  professore  di  matematiche 
in  Genova. 

TURAZZA  cav.  DOMENICO. 

VILLA  ANTONIO,  geologo  in  Milano. 

ZANTEDESCIII  abate  cav.  D.  FRANCESCO, 
già  professore  di  fisica  nella  R.  università 
di  Padova. 


— XII  — 


epoca  della  elezione 


SOCI  CORRISPONDENTI  STRANIERI 


10  luglio  1853  AGASSIZ  L.  , professore  di  storia  naturale 

in  Boston. 


17  novembre  1850  AIRY  G.  B.,  direttore  del  R.  osservatorio  astro 

nomico  di  Greenwich. 


2 febbraio  1862  BECQUEREL  ANTONIO  CESARE,  membro 

dell’ accademia  delle  scienze  dell’ I.  Istituto 
di  Francia. 


8 aprile  1866  BERTRAND  GIUSEPPE  LUIGI,  membro  del- 

l’accad  mia  delle  scienze  dell’  I.  Instituto  di 
Francia. 

17  novembre  1850  CHASLES  MICHELE,  membro  dell’accademia 

delle  scienze  dell’  I.  Istituto  di  Francia. 

4 marzo  1866  DAUSSE  BATTISTA,  ingegnere  idraulico,  in 

Parigi. 


11  giugno  1865  DE  CALIGNY  marchese  ANATOLIO. 

10  giugno  1860  DE  CANDOLLE  ALFONSO,  botanico  in  Gi- 

nevra. 

11  giugno  1865  DE  HAUER  prof.  FRANCESCO  in  Vienna. 

17  novembre  1850  DE  LA  RIVE  AUGUSTO,  professore  di  fisica  in 

Ginevra. 


4 marzo  1866  DE  SAINT  - VENANT,  membro  dell’  acc.  delle 

scienze  dell’  I.  Islit.  di  Francia. 

11  giugno  1865  DE  WALTHERSHAUSEN  barone  SARTORIUS 

in  Gottinga. 

10  luglio  1853  DU  BOIS  REYMOND  E.,  fisiologo  in  Berlino. 


EPOCA  DELLA  ELEZIONE 


8 aprile  1866 

DUHAMEL  GIAMMARIA,  membro  deli’  acca- 
demia delle  scienze  dell’  I.  Istituto  di  Francia. 

10  luglio  1853 

ÉLIE  DE  BEAUMONT  GIAMBATTISTA,  se- 
gretario perpetuo  dell’accademia  delle  scienze 
dell’  I.  istituto  di  Francia. 

8 aprile  1866 

FIZEAU  ARMANDO  IPPOLITO,  membro  del- 
P accademia  delle  scienze  dell’  I.  Istituto  di 

Francia. 

17  novembre  1850  FORBES  G.  , professore  di  fisica  in  Edirn- 


» » 

burgo. 

GROYE  G.  R.,  professore  di  fisica  in  Londra. 

))  » 

HANSEN  P.  A.  , direttore  dell’  osservatorio 
astronomico  di  Gotha. 

» « 

HENRY,  segretario  dell’  istituto  Smitsoniano  in 
Washington. 

10  luglio  1853 

IACOBI,  professore  di  chimica  in  Pietroburgo. 

17  novembre  1850  LAMÉ  G.,  membro  dell’accademia  delle  scienze 


4 marzo  1866 

dell’ I.  istituto  di  Francia. 

LE  JOLI  AUGUSTO.,  naturalista  a Cherbourg. 

1 dicembre  1861 

LE  TERRIER  U.  G.,  direttore  dell’  I.  osser- 
vatorio di  Parigi. 

10  luglio  1853 

LIAIS  E.  , già  nell’  I.  osservatorio  di  Parigi 
astronomo  aggiunto. 

» » 

LIEBIG  barone  GIUSTO , professore  di  chi- 
mica in  Monaco. 

10  luglio  1853 

LITROW,  direttore  dell’  I.  e R.  osservatorio 
astronomico  in  Vienna. 

4 febbraio  1849 

MALAGUTl  M.  J. , professore  di  chimica  in 
Rennes. 

XIV 


EPOCA  DELLA 

ELEZIONE 

10  luglio 

1853 

30  luglio 

1865 

10  luglio 

1853 

» 

» 

» 

» 

17  novembre  1850 

10  luglio 

1853 

10  luglio 

1853 

2 maggio 

1858 

3 aprile 

1864 

10  giugno 

1860 

2 maggio 

1858 

30  luglio 

1865 

MALMSTEN  dott.  C.  G„  professore  di  mate- 
matica nell’  università  di  Upsala. 

MORIN,  generale,  ARTURO  GIULIO,  membro 
dell’accademia  delle  scienze  dell’  I.  Istituto 
di  Francia. 

MURCHISON  cav.  R.,  presidente  della  società 
geologica  in  Londra. 

NEUMANN,  dott.  professore  di  matematiche,  e 
fisica  nella  università  di  Kònisberg. 

OHM  dott.  M.,  professore  di  matematiche  nel- 
l’università di  Berlino. 

QUETELET  cav.  A.,  segretario  perpetuo  della 
R.  accademia  delle  scienze,  lettere,  e belle 
arti  del  Belgio  in  Brusselle. 

REGNAULT  V.,  membro  dell’accademia  delle 
scienze  dell’  I,  istituto  di  Francia. 

ROBERTS  G. , professore  di  matematica  nel 
collegio  della  Trinità  in  Dublino. 

SABINE,  fisico  e membro  della  R.  Società  di 
Londra. 

SALDANHA  (Duca  di). 

SORET  LUIGI,  fìsico  in  Ginevra. 

THOMSON  G.,  professore  di  filosofia  naturale 
nelF  università  di  Glasgow. 

VAILLANT  , maresciallo  conte  GIOVANNI 
BATTISTA  FILIBERTO  dell’accademia  del- 
le scienze  dell’  I.  Istituto  di  Francia. 


XV 


EPOCA  DELLA  ELEZIONE 

2 maggio  1858 
17  novembre  1850 

12  gennaio  1849 
1 marzo  1868 
1 luglio  1847 

19  gennaio  1856 


WEHLBERG , segretario  della  R.  accademia 
delle  scienze  di  Stockolm. 

WHEATSTONE , membro  della  R.  società  di 
Londra. 


SOCI  ONORARI 

C A ETANI  Don  MICHELANGELO,  duca  di  Ser- 
moneta. 

CAVALLETTI  march.  FRANCESCO^  Senatore 
di  Roma.  ( Primo  fra  i soci  onorari). 

GRIFI  commend.  LUIGI,  segretario  della  com- 
missione generale  consultiva  di  antichità,  e 
belle  arti. 

RATTI  dott.  FRANCESCO,  professore  di  chi- 
mica., e di  farmacia  nella  università  di  Roma. 


EPOCA  DELLA  ELEZIONE 


SOCI  AGGIUNTI 


25  maggio  1848 
1 aprile  1855 
3 luglio  1847 
1 aprile  1855 
25  maggio  1848 
» » 


CUGNONI  IGNAZIO,  ingegnere. 

DELLA  PORTA  conte  AUGUSTO. 
DES-JARDINS  dott.  FELICE  MARIA. 

FABRI  dott.  RUGGIERO. 

PALOMBA  dott.  CLEMENTE. 

VESPASIANI  abate  D.  SALVATORE,  già  sup- 
plente alla  cattedra  di  fisico-chimica  nel  se- 
minario romano. 


CUSTODE  DELLA  BIBLIOTECA 
1 Marzo  1868  FABRI  ERASMO. 


MACCHINISTA 
N.  . ...  


SOCI  DEFUNTI 

POLETTI  comm.  LUIGI,  ispettore  di  acque  e strade  , membro 
del  consiglio  d’arte;  cessò  di  vivere  nel  2 di  agosto  del  1869. 

BERTOLONI  cav.  ANTONIO,  professore  di  botanica  nella  uni- 
versità di  Bologna;  cessò  di  vivere  nel  17  aprile  del  1869. 

KUMMER,  prof,  di  matematica  nella  università  di  Breslavia 
cessò  di  vivere  nel  1866. 


ATTI 

DELL’ACCADEMIA  PONTIFICIA 
DE’  NUOVI  LINCEI 


SESSIONE  I-a  DEL  5 DICEMBRE  1869 

PRESIDENZA  DEE  SIC.  CAV.  BENEDETTO  VIALE  PREL  A’ 


MEMORIE  E COMUNICAZIONI 

DEX  SOCI  O a D IN  ARI  {i  DEI  COREISFOUOESII 

Sulla  elettrostatica  induzione  od  elettrica  influenza . Memoria  i storico-critica,, 
del  prof.  Paolo  Volpicelli.  (Continuazione). 

S- 

La  memoria  delsig.  Knochenhauer,  che  ora  passiamo  ad  esaminare  (1), 
contiene  una  confutazione  della  precedente  risposta  del  sig.  Fechner.  Il  pri- 
mo di  questi  fisici  riferisce  alcuni  altri  sperimenti,  che  sembrano  a favore 
della  elettricità  dissimulata,  e li  descrive  come  segue:  « Prendendo  un  con- 

» duttore  isolato  A,  di  forma  con- 
» veniente  (fìg.  8),  al  quale  fucomu- 
» nicata  una  certa  dose  di  elettricità, 
» per  es.  positiva , e ponendo  ad 
)>  opportuna  distanza  , due  altri  con- 
« duttori  non  isolati  B,  e C , uno  die- 
ci tro  1’  altro?  allora  questi  si  caricano 


(1)  Poggendorff,  Anoalen  1843,  voi.  58,  p.  31. 


1 


» per  induzione,  con  elettricità  nega- 
te tiva  dissimulala. 

» Quando  i medesimi  due  corpi  si 
« possono  muovere  liberamente  (co- 
» me  sarebbero  due  pendolini)  (fìg.  9.), 
« avverrà  che  B si  allontana  da  C,  av- 
« vicinandosi  all’inducente  A , mentre 
« C si  allontana  dal  B , e dall’ A (1). 
y>  Si  asserisce  che  il  corpo  C possegga  in  questo  caso  l’eccesso  (cioè  la 
» risultante  ) delle  due  elettricità  indotte , la  prima  negativa,  generata  dal 
» corpo  inducente  A,  l’altra  positiva  prodotta  dal  corpo  B.  Ora  riguardo  a 
v questo  argomento  , si  deve  domandare  se  1’  induzione;  e l’attrazione  elet- 
» trica  succedono  secondo  le  medesime  leggi,  o secondo  leggi  differenti  (cioè 
se  la  induzione  coll’attrazione  corrispondente,  crescono,  e diminuiscono  in- 
sieme, o no).  « Avendo  lungo  il  primo  caso,  quello  ammesso  comunemente,  come 
» può  mai  spiegarsi,  che  C possegga  più  elettricità  negativa  indotta  dal  corpo 
» A,  che  positiva  indotta  dal  corpo  B,  (perchè  C,  B si  trovano  essere  ambedue 
» negativi)  mentre  poi  l’attrazione  che  A esercita  (su  C)  , viene  superata  dalla 
» repulsione  di  B (sullo  stesso  C)?  Ciò  vale  a dire  se  la  induzione  di  A preva- 
» le  sopra  C,  giacché  tanto  B quanto  C sono  negativi,  perchè  non  deve  pre- 
» valere  anche  l’attrazione  di  A sopra  lo  stesso  C,  il  quale  invece  si  allon- 
» tana  dall'inducente  A » (2).  Di  più  dice  l’autore  (Knochenhauer)  » presi  una 
» sfera  viirea , di  circa  2 pollici  di  diametro  , munita  cori  due  fori,  uno  in 


(1)  La  sperienza  qui  dall’autore  indicata,  presenta  diverse  fasi,  e si  eseguisce  a que- 
sto modo:  si  prendono  due  steli,  e si  fissano  in  modo,  per  mezzo  di  due  pernetti,  che  gli 
steli  medesimi,  anche  quando  divergono,  debbono  sempre  giacere  ambedue  nel  piano  ver- 
ticale, che  passa  per  l’asse  orizzontale  dell’  inducente.  Un  elettrometro  , così  formato,  mos- 
trerà, posto  ad  una  certa  distanza  dall’inducente,  che  i due  steli  divergono  ambedue  dalla 
verticale, cioè  che  uno  avvicinasi  all’inducente,  mentre  l’altro  se  ne  allontana.  Approssimando 
l’elettrometro  stesso  all’inducente,  si  trova  una  distanza,  nella  quale  uno  stelo  si  avvici- 
nerà maggiormente  all’induttore,  mentre  1’  altro  stelo  rimarrà  verticale.  In  fine  avvicinan- 
do maggiormente  l’elettrometro  medesimo  all’inducente,  l’uno  e l’altro  stelo  divergono  dalla 
verticale,  avvicinandosi  ambedue  alla  sorgente  della  induzione.  L’autore  considerala  prima 
soltanto  di  queste  tre  fasi. 

(2)  Quando  avremo  dimostralo  ad  evidenza,  nella  seconda  parte  di  questa  memoria, 
che  la  indotta  non  tende;  allora  sarà  eziandio  dimostrato,  che  la  divergenza  dei  pendolini, 
ossia  che  l’allontanamento  di  C da  B,  succede  per  attrazione,  cioè  per  effetto  della  indù- 


— 8 


» B , l’altro  in  C (fig.  10),  contornati  da 
» ghiera.  Nel  primo  B applicai  , me- 
» diante  la  cera  lacca  , un  tubo  di 
» vetro  lungo  un  piede;  nel  secondo 
» C applicai  un  altro  tubo  di  vetro  più 
» corto.  Mediante  un  turaccio,  passava 
» per  ambedue  questi  tubi  , un  filo 
» di  rame  sottile  , che  alquanto  spor- 
» geva  dal  tubo  C,  inoltre  la  sfo- 
» ra  stessa  era  coperta  di  vernice.  Te- 
» nendo  questa  sfera  in  mano  pel  tu- 
)>  bo  B,  mentre  che  si  toccava  con- 
» temporaneamente  il  filo  , ed  avvici- 
» nandola  ad  un  conduttore,  elettrizzato 
« fortemente  con  elettricità  negativa,  in  modo,  che  il  medesimo  non  poteva 
« essere  veduto  dalla  punta  presso  C , allora  questa  emanava  decisamente 
« un  pennello  di  luce  positiva  , lungo  un  quarto  di  pollice.  Vogliasi  che 
<t  sì  fatta  emanazione  provenga  dalla  elettricità  positiva  dissimulata,  la  quale 
« si  trova  presso  il  mezzo  A del  filo.  Ammesso  ciò,  deve  la  elettricità  positi- 
« va,  necessariamente  andare  dal  conduttore  (indotto)  nell’aria,  e quando  si 
« potesse  difendere  il  conduttore  (inducente)  per  modo,  che  la  sua  elettri  - 
« cità  negativa  non  trovasse  occasione  a diffondersi,  la  quale  impossibilità 
« non  è in  alcuna  relazione  colla  punta  presso  C,  allora  il  fenomeno  rimar- 
« rebbe  sempre  lo  stesso,  e sarebbe  dunque  trovato  un  perpetuimi  mobile  (1). 


Fig.  10. 


zìone  curvilinea,  la  quale  nella  prima  fase  della  sperienza,  riferita  colla  nota  (2)  precedente, 
supera  la  rettilinea,  Poi  queste  induzioni  nella  seconda  fase  della  sperienza  medesima  si 
bilanciano  rispetto  al  pendolino  C,  il  quale  perciò  diviene  verticale.  Da  ultimo  nella  terza 
fase  della  sperienza,  la  induzione  rettilinea  sopra  C,  supera  quella  curvilinea  sul  medesimo, 
e perciò  deve  anch’esso  inclinarsi  verso  l’inducente  A. 

(1)  Pare  che  l’autore  voglia  dimostrare,  non  potere  il  positivo  indotto  escire  dalla 
puma  presso  C,  altrimenti  vi  sarebbe  il  moto  perpetuo;  donde  si  concluderebbe  la  verità, 
cioè  che  la  indotta  non  tende. 

Senza  esaminare  se  l’argomentazione  dell’  autore,  sia  bastantemente  rigorosa  , fac- 
ciamo riflettere,  che  la  elettricità  dell’indicato  pennello  , mediante  un  opportuno  analiz- 
zatore, si  trova  essere  omologa  della  inducente;  cioè  in  questo  caso  negativa , e non  po- 
sitiva come  asserisce  l’autore.  Del  resto  a noi  sembra,  che  l’autore  per  giungere  legittima- 


« Ponendo  una  sfera  metallica  isolata  , munita  di  due  punte  in  dire- 
te zìoni  contrarie,  vicino  a un  conduttore  elettrizzato,  per  ipotesi,  positivamen- 
<t  te,  allora  dalla  punta  collocata  più  vicino  alla  inducente,  si  dissipa  la  elettri- 
)>  cità  negativa,  e dall’altra  la  positiva.  Deve  perciò  aver  luogo  una  decompo- 
)>  sizione  della  elettricità  naturale , che  non  cessa  mai  (2).  Ma  la  seguente 
» sperienza  è ancora  importante  sotto  un  altro  punto  di  vista.  Ponendo  una 


mente  alla  conclusione  del  perpetuo  moto,  avrebbe  dovuto  dichiarare,  che  la  induzione, 
rimanendo  naturalmente  inesausta,  quel  pennello  elettrico  , quando  fosse  positivo,  non  ces- 
serebbe mai. 

Se  poi  si  volesse  ritenere,  come  forse  implicitamente  ritiene  1’  autore , che  un  con- 
duttore indotto  , perdendo  tanto  la  elettricità  negativa,  quanto  la  positiva , esso  rimanga 
sempre  nello  stato  di  elettricità  neutrale;  allora  il  precedente  ragionamento,  potrebbe  con- 
durre alla  conclusione  del  perpetuo  moto.  Si  ritiene  in  fatti  comunemente  oggi,  che  ogni 
corpo,  allo  stato  neutrale,  contenga  una  quantità  inesauribile  di  materia  sottile,  imponde- 
rabile, che  si  denomina  fluido  elettrico  neutro  (Jamin,  Cours  de  physique,  t.  1,  Paris  1858, 
p.  352.) 

In  quanto  alla  elettrica  luce,  che  vedesi  nella  punta  stessa,  questa  pare  doversi  attribuire, 
o all’ingresso  dell’elettrico  negativo  inducente,  il  quale  sebbene  non  veduto  dalla  punta  (7, 
tuttavia  pel  suo  campo  di  azione,  può  entrare  nella  medesima;  o all’egresso  della  omo- 
loga della  inducente,  la  quale  potrebbe  ancora  escire  dalla  punta  pressoi,  avuto  riguardo 
che  la  induzione  agisce  verso  la  metà  del  filo  indotto. 

(2)  Volendo  che  ambedue  le  contrarie  elettricità  escano  per  le  rispettive  punte,  bisogna 
volere,  che  la  indotta  essa  pure  tenda,  e che  questa  escita  dei  due  fluidi  elettrici  sia  perpetua; 
perchè  perpetua  é pure  la  decomposizione,  allorché  si  disperde  l’uno  e 1’  altro  dei  due  fluidi 
stessi,  che  compongono  l’elettrico  neutrale:  perciò  s’incontrerebbe  l’assurdo  del  perpetuo  mo- 
bile. Dunque  la  indotta  negativa  non  può  escire,  ma  solo  escirà  la  omologa  della  inducente 
positiva;  e poiché  la  sperienza  conferma  questa  conclusione  , perciò  ragione  vuole , che  si 
conceda:  essere  la  indotta  priva  di  tensione. 


fig.  11. 


— 5 — 


)>  verga  metallica  ( fig . 11),  cui  sono  applicati  dei 
» pendolini  elettrometrici  yerticalmente,  sopra  un  con- 
» duttore  caricato  , allora  essi  ambedue  divergono  ; 
» ma  l’inferiore  mostra  1’  elettricità  eteronoma  , il  su- 
» periore  la  omonoma  della  inducente.  Questa  spe- 
» rienza  fu  per  la  prima  volta  eseguita  da  Riess.  An~ 
))  che  qui  si  mostra  la  divergenza , ma  nel  mede- 
» simo  tempo  si  mostra  una  relazione  colla  scarica 
» dell’  inducente,  (cioè  succede  il  trasporto  dell’elet- 
trico inducente  sull’  indotto  ).  Dunque  quale  circo- 
li stanza  deve  considerarsi  come  causa  principa- 
» le  ? » (1). 

Secondo  l’autore  l’altro  caso  da  lui  non  è ammesso, 
almeno  esplicitamente;  perciò  non  è da  esso  conside- 
rato. II  resto  della  memoria  di  Knoclienhauer,  con- 
tiene i risultamenti  numerici  delle  sperienze,  per  de- 
terminare il  coefficiente  d’  induzione,  od  elettrosta- 
tico, relativo  alle  diverse  disposizioni  della  sperienza. 


§•  16. 


Passiamo  a riferire  le  principali  ricerche,  pubblicate  dal  fìsico  Petrina  (2), 
nella  sua  memoria  (3),  che  ha  per  oggetto,  dimostrare  la  falsità  della  ipotesi 
che  l’ elettrico  agisca , traversando  un  conducente.  Questo  autore  dopo 


(1)  Primieramente  1’  autore  avrebbe  dovuto  riilettere  , che  la  scarica  dell’  inducente 
sull’indotto,  si  può  impedire,  mediante  una  lastra  coibente,  che  toglie  ogni  dubbio  sulla  causa 
principale  della  indicata  divergenza. 

In  secondo  luogo  l’autore  medesimo  non  ha  veduto,  che  la  divergenza  del  pendolino  a in- 
feriore, accade  principalmente  per  l’attrazione,  ma  non  già  per  la  repulsione;  mentre  per  la  re- 
pulsione accade  la  divergenza  del  pendolino  b superiore.  Cioè  la  divergenza  inferiore  viene  pro- 
dotta dalla  induzione  curvilinea  dell’inducente,  mentre  la  superiore  viene  prodotta  dalla  repul- 
sione della  omologa  della  inducente  stessa.  L’autore  per  tanto  si  oppone  al  Riess,  invocando 
il  trasporto  dell’elettrico  inducente  sull’estremo  inferiore  della  verga  indotta,  e lascia  per- 
ciò in  dubbio,  se  la  divergenza  del  pendolino  inferiore,  provenga  dalla  scarica  dell’inducente, 
ovvero  dalla  tensione  della  elettricità  indotta,  nell’estremo  inferiore  dell’asta  verticale. 

(2)  Petrina  nacque  nel  1799,  fu  esso  professore  prima  in  Linz,  e poi  lo  fu  in  Pra- 
ga: morì  nel  1855  in  Praga. 

(3)  PoggendorlT  Annalen,  voi.  61,  anno  1844,  p.  116. 


aver  di  volo  accennato  le  sperienze  di  Knochenhauer  , sopra  la  elet- 
tricità dissimulata  , e precedentemente  da  noi  riferite  , si  esprime  nei 
termini  seguenti. 

» Fechner  trova  queste  sperienze  (di  Knochenhauer),  colle  conclusioni  tratte  da 
» esse,  in  contraddizione  riguardo  alle  ricerche  di  Faraday,  ed  a quelle  di  Poisson. 

» Egli  tentò  dimostrare,  che  tali  sperienze  sono  inesatte,  e credeva  di  con- 
» futare  a questo  modo  le  conseguenze  dalle  medesime  sperienze  dedotte.  Ma 
» Fechner  non  ha,  secondo  le  mie  ricerche,  confutate  in  verun  modo  tali 
» conseguenze  ». 

Petrina  descrive  poscia  la  sperienza  di  Fechner,  consistente  in  due  dischi 

metallici  orizzontali  (fig.  12),  l’inferiore  dei  quali 
pq,  era  caricato  positivamente;  il  superiore  mn 
poi,  comunicava  col  suolo.  Esplorando  l’azione  di 
questo  sistema  in  un  punto  qualunque,  posto  al  di 
sopra  del  disco  superiore,  si  trova  essere  zero,  per 
un  punto  ai,  collocato  sull’asse  ab  verticale  del 
sistema  stesso,  e molto  vicino  al  disco  medesimo. 

Per  un  altro  punto  a2  un  poco  più  distante,  la 
elettricità  si  mostra  positiva  , e cresce  colla  distanza  del  punto  , fino  ad 
un  certo  limite,  dal  quale  poi  va  diminuendo.  L’azione  elettrica  era  più  forte 
verso  la  superficie  curva  dello  spazio  cilindrico  x y t z,  di  quello  che  nel  mez- 
zo di  questo  spazio.  Ripetendo,  dice  il  Petrina,  tutti  questi  sperimenti  (pei 
quali  usava  egli  un  sensibiliss  imo  elettroscopio  di  Bohnenberger)  ho  trovato 
una  completa  verificazione  dei  risultamenti  di  Fechner. 

Esponendo  poi  l’autore  stesso,  la  nota  spiegazione  di  Fechner  su  tali  feno- 
meni, la  quale  suppone  tanto  il  passaggio  della  induzione  a traverso  del  disco 
superiore,  quanto  la  tensione  della  elettricità  dissimulata  nel  disco  superio- 
re medesimo,  conclude  che  q uesta  spiegazione  di  Fechner,  sebbene  molto  inge- 
gnosa, non  gli  sembra  essere  la  vera. 

Ed  in  fatti  non  è vera,  perchè  la  influenza  elettrica,  non  traversa  i con- 
duttori, e l’azione  che  si  manifesta  nei  punti  dell’  asse  a b del  sistema  , e 
verso  la  superficie  curva  dello  spazio  cilindrico  x y t z,  dipende  unicamente 
dalla  influenza  curvilinea,  prò  cedente  dalla  carica  del  disco  inferiore  p q. 

11  Petrina  continua  poscia  per  tal  modo;  » Ponendo  una  sfera  caricata 
» isolatamente  in  uno  spazio  libero,  allora  essa,  in  tutte  le  direzioni,  a distan- 
» ze  uguali,  agisce  colla  medesima  forza  sopra  un  conduttore.  Avvicinando  que- 


Fig.  12. 


» sta  sfera  ad  un  altro  conduttore  isolato,  o non  isolato,  s’  indebolisce  sol- 
» tanto  l’azione  iuducente  sull’  altro  corpo;  però  non  è possibile  che  questa 
» possa  essere  distrutta  per  qualunque  distanza.  Un  disco,  in  luogo  della  sfera, 
» non  cangia  la  sperienza  essenzialmente.  Se  vicino  a questo  disco  elettrizzato, 
» se  ne  ponga  un  altro  parallelamente,  della  medesima  grandezza,  e non  isolato, 
)>  in  guisa  che  i due  loro  centri  si  trovino  sulla  stessa  verticale,  si  forma 
» sopra  questo  secondo  disco,  un  spazio  cilindrico,  la  cui  superficie  curva, 
» si  trova  elettrica,  per  la  influenza  del  disco  inferiore.  Ma  l’ azione  della 
» elettricità  manifestandosi  eziandio  nell’  interno  di  questo  spazio  cilindrico, 
» deve  domandarsi,  da  quale  origine  questa  provenga.  Io  ritengo  che  qui 
» siano  possibili  tre  casi  distinti.  Nel  primo  si  potrebbe  ammettere  , che 
» 1’  effetto  della  elettricità  , devesi  alla  risultante  delle  due  contrarie  azioni 
» elettriche,  provenienti  dai  due  piatti,  delle  quali  azioni  predomina  quella 
)>  del  disco  inferiore,  attraverso  del  superiore,  come  ammette  Fechner.  Nel 
» secondo  si  potrebbe  ritenere  , che  1’  effetto  elettrico,  è dovuto  all’azio- 

» ne  della  superficie  cilindrica  elettrizzata  per  influenza  ; supponendo  che 

» questa  superficie  sia  la  sede  di  una  azione  inducente,  che  propagasi  nell’in- 
» terno  del  cilindro  stesso.  Finalmente  nel  terzo  si  potrebbe  riconoscere,  che 
» l’effetto  medesimo,  consista  nel  risultamento  di  ambedue  queste  cagioni. 
» Essendo  dimostrato  inesatto  uno  dei  due  primi  casi  , non  può  aver  più 
» luogo  neppure  il  terzo.  Fechner  ritenne  soltanto  possibile  il  primo  caso, 
» ed  escluse  il  secondo,  senza  veruna  dimostrazione,  identificando  la  spe- 
» rienza  con  un  caso  considerato  da  Poisson.  Ma  sembrami  che  i risulta- 
)>  menti  numerici  di  Poisson,  decidano  piuttosto  pel  secondo  caso  , e non 
» pel  primo.  Non  voglio  esporre  questo  caso,  calcolato  da  Poisson,  poiché 
» il  medesimo  non  si  può  verificare  sperimentalmente  ; ma  invece  ac- 

» cennerò  alcune  sperienze  , le  quali  hanno  dimostrato  la  inesattezza  del 

» primo  caso. 

» Aumentando  il  diametro  del  disco  non  isolato  m n (fìg.  12),  i due  fenomeni 
» della  sperienza  di  Fechner,  non  dovrebbero  incontrare  alcun  cangiamento 
» essenziale;  poiché  non  varia  nè  la  quantità  , nè  la  qualità  delle  due  elet- 
» trinità  (1).  Ma  si  trova  in  questo  caso,  che  la  elettricità,  diminuisce  rapida- 

fi)  Non  si  può  concedere  che,  aumentando  m n,  non  debba  variare  su  questo  la  indu- 
zione dip  q;  poiché  variando  m n , deve  certamente  variare  la  quantità,  e la  distribuzione 
della  indotta,  sopra  lo  stesso  m n;  e soltanto  la  qualità,  o natura  dell’elettrico,  non  potrà  mai 
variare  sul  disco  superiore,  mentre  sull’  inferiore  nulla  può  cangiare,  lo  che  basta. 


» mente  al  di  sopra  del  piatto  superiore  mn;  quindi  sparisce  per  una  cer- 
» ta  determinata  grandezza  di  questo  disco.  Sperimentai  con  dischi  di  3 
» sino  a 36  pollici  di  diametro,  verificando  sempre  la  esattezza  di  tale  as- 
» serzione. 

)>  Ho  sostituito  al  disco  metallico  superiore,  un’altro  di  legno,  in  guisa 
» da  non  permettere  la  induzione  ; però  trovai,  per  quanto  appartiene  alla 
» qualità,  i fenomeni  stessi.  Anche  qui  sparisce  ogni  traccia  di  elettricità  sol- 
» tanto  per  una  certa  grandezza  del  disco. 

» Da  tali  sperienze  ho  in  generale  riconosciuto,  che  l’azione  in  un  pun- 
» to  alf  posto  sopra  il  disco  superiore  mn  , svanisce,  quando  la  distanza 
» n q di  questo  punto,  dall’orlo  q del  disco  inferiore  p q , passando  sull’orlo 
» n del  superiore,  uguaglia  quella  ga,  misurata  in  linea  retta,  cui  cessa  d’agi- 
)>  re  sensibilmente  il  disco  inferiore  pq , non  sovrapponendo  (ad  esso)  alcun 
» conduttore  (1). 

» Un  fenomeno  sembra  contrariare  la  mia  teorica  , cioè  che  lo  spazio 
» cilindrico  xmny,  al  di  sopra  del  disco  superiore  mn,  si  trova  nelle  parti  vicine 
» a questo,  quasi  privo  di  elettricità,  mentre  mostra  elettrico  maggiore  nelle  più 
» lontane;  dunque  nelle  più  distanti  dal  disco  inducente  p q.  Ma  ciò  si  spiega 
» con  facilità,  riflettendo,  che  ogni  conduttore  non  isolato,  posto  in  un  mezzo 
« elettrizzato  per  comunicazione  o induzione,  tende  a produrre  intorno  a sè, 
» una  sfera  priva  di  elettricità  (2).  » 

» Ciò  può  facilmente  verificarsi,  operando  con  una  macchina  elettrica, 
))  vicino  ad  un  muro:  si  vedrà  in  questo  caso,  che  nelle  parti  fra  la  macchina, 
» ed  il  muro,  non  ha  luogo  azione  decisa  sul  elettroscopio,  mentre  questa 
» si  manifesta  fortemente  nello  spazio  libero  ». 

Da  quanto  si  è detto  in  questo  paragrafo,  sembra  che  il  Petrina  sia  stato 

(1)  È certo  che  questa  legge,  non  si  verifica  in  generale;  poiché  la  influenza  elettrica 
diretta  di  p q,  riesce  sensibile  a distanze  molto  grandi,  mentre  la  induzione  curvilinea  dello 
stesso  p q , cessa  di  essere  sensibile  a piccole  distanze.  Inoltre  le  sperienze  da  me  istituite, 
hanno  confermato  questo  mio  giudizio. 

(2)  La  tendenza  indicata,  si  estende  anche  alla  elettrostatica  induzione,  che  viene  af- 
fievolita dalla  presenza  dei  conduttori  circostanti  all’ inducente.  Perciò  vediamo,  chela  elet- 
trostatica induzione  non  traversa  le  strette  maglie  di  un  tessuto  conduttore,  come  sarebbe 
una  rete  metallica,  od  un  tessuto  di  capelli,  ecc.  Questa  proprietà  poi  dei  fili  conduttori, 
fu  scoperta,  come  abbiamo  precedentemente  avvertito,  dagli  accademici  del  Cimento,  molto 
prima  che  fosse  conosciuta  da  Faraday:  interessante  scoperta  di  quei  benemeriti  cultori 
delle  scienze  naturali,  che  fu  ignorata  quasi  da  tutti  gli  elettricisti,  non  esclusi  gl’italiani. 


9 — 


fra  i primi  a riconoscere,  nel  1844,  la  influenza  curvilinea,  già  manifestata  da 
Faraday  nel  1839.  Questo  fenomeno,  unitamente  all’  altro,  consistente  nel 
non  potere  la  influenza  elettrica  traversare  i conduttori,  sono  ambedue  stret- 
tamente connessi,  e compresi  nel  fenomeno  generale  della  elettrostatica  in- 
duzione. Per  conoscere  ove  furono  pubblicati  quei  lavori  di  Faraday,  relativi 
alla  elettricità  statica,  i quali  tutti  hanno  per  titolo  - Experimental  researches 
Electricity  - si  consulti  l’opera  inglese  « Catalogne  of  Scientific  papers,  voi.  2,° 
London  1868 ,p.  557  ».  I lavori  medesimi  sono  classificati  per  serie,  che  giun- 
gono sino  alla  trentesima. 

Faraday  nella  undecima  di  queste  serie,  parla  delle  sue  ricerche  speri- 
mentali, sull’elettricità  curvelinea  (1):  dicendo  » Credo  che  da  tutte  le  con- 
» seguenze,  le  quali  derivano  dalla  ipotesi  della  induzione  da  particella  a par- 
» ticella,  l’azione  curvilinea  sia  più  di  tutte  importante.  Siccome  la  esistenza 
» di  tale  azione  , viene  stabilita  in  un  modo  certo;  così  non  vedo  come 
» 1’  antica  teorica  dell’azione  rettilinea  in  distanza,  si  possa  tuttavia  soste- 
» nere,  ovvero  come  taluno  si  possa  opporre  al  concetto  della  induzione  da 
» particella  a particella  ». 

Questo  illustre  autore,  descrive  poi  la  sua  sperienza,  nella  quale  pose 
centralmente  un  globo  metallico  c,  non  isolato  , sopra  un  cilindro  di  cera 

lacca  verticale  ab , ed  elettrizzato  per  attrito  (fig.  13). 
Fatto  ciò  , vide  come  un  piano  di  prova,  posto 
nell’asse  del  congegno,  e al  di  sopra  del  globo  c, 
non  si  elettrizzava,  quando  era  in  contatto  o vicino 
al  globo  medesimo.  Egli  concluse  poi  (2)  nel  mo- 
do seguente.  » La  ipotesi  che  abbia  1’  induzione 
» agito  a traverso  il  globo,  si  confuta  con  una 
» considerazione  assai  semplice  , e ancora  meglio 
» per  mezzo  dei  fatti.  Applicando,  invece  del  globo, 

» un  piccolo  disco;  allora  un  piano  di  prova  si  ca- 
» rica,  se  venga  posto  nel  centro  del  disco,  od  al 
» di  sopra  di  esso.  Ma  se  il  diametro  del  disco 
» sia  di  un  pollice  e mezzo  , o di  due  pollici  ; 

» allora  non  più  si  carica  il  piano  di  prova  , quando  sta  vicino  al  celi- 
li) Poggendorff.  Annalen,  voi.  46,  anno  1839  , pag.  537.  — De  la  Rive,  Traité 
d’élect.,  Paris  1854,  t.  1°,  p.  138,  e 139. 

(2)  Poggendorff,  ibidem,  pag.  540,  lin.  16. 


2 


» tro  del  disco:  acquista  però  una  carica,  ponendolo  verso  l’orlo,  ed  an- 
7)  che  nell’asse  verticale  , ma  più  lontano  dal  disco  ....  Da  ciò  risulta,  che 
y>  l’azione  induttiva  non  traversa  il  metallo,  bensì  traversa  l’aria,  cogli  altri 
» corpi  dielettrici,  anche  per  linee  curve  » (1). 

Torneremo,  nella  seconda  parte  di  questa  memoria,  con  estensione  mag- 
giore, sul  medesimo  argomento,  che,  come  già  dicemmo,  si  connette  strettamen- 
te colla  elettrostatica  induzione;  per  modo,  che  questo  fenomeno,  non  è mai 
disgiunto  della  influenza  curvilinea  , ciò  rendendo  assai  difficile  l’applicazione 
del  calcolo  al  fenomeno  stesso. 


§*  17. 

Riferiamo  in  questo  paragrafo,  quello  che  ha  osservato  sulla  influenza,  e 
sulla  vincolazione  della  elettricità,  il  fìsico  Munk  af  Rosenschòld,  in  una  sua 
memoria  (2).  L’autore  comincia  col  dare  una  esposizione  assai  sviluppata,  del  mo- 
do col  quale  agisce  la  induzione,  facendo  rilevare  specialmente  la  diversità  fra 
conduttori  e coibenti,  riguardo  alla  induzione  stessa.  Dopo  ciò  si  esprime  di- 
cendo (3)  » Chiaro  apparisce  (pag.  50,  lin.  22)  da  quanto  precede,  che  lo  strato 
» elettrico  sulla  superfìcie  di  un  conduttore  indotto,  e isolato,  possa,  tanto  nel  caso 
» in  cui  l’indotto  ha  ricevuto  una  carica  iniziale,  quanto  nel  caso  contrario,  con- 
)>  siderarsi  composto  di  due  altri  strati;  il  primo  dei  quali  coincide  con  quello, 
» che  rimane  sul  conduttore  indotto,  allorché  questo  viene  messo  in  comunica- 
» zione  col  suolo,  supposto  che  la  carica  dell’inducente  non  abbia  variato  (4). 


(1)  Reca  meraviglia  come  in  molti  reputatissimi  corsi  di  fisica  , ed  anche  in  alcuni 
trattati  di  elettricità,  non  si  trovi  menzionata  la  induzione  curvilinea,  che  tanto  è facile  a met- 
tere in  evidenza,  ripetendo  le  sperienze  di  Faraday;  ed  anche  quelle  altre  da  me  pubblicate 
( Comptes  rendus,  t.  43,  année  1856,  p.  719)  Dobbiamo  però  eccettuare  dai  trattati  di  elettri- 
cità, e con  lode,  quello  dell’  illustre  De  la  Rive,  e l’altro  del  sig.  Gavarret  : in  questo  si 
trova  un  dotto  paragrafo,  intitolato  » L'induction  à travers  les  diélectriques  peni  sexer- 
cer  en  lignes  courbes  ( Traité  d'  électricité,  Paris  1857,  t.  l.°,  p.  84). 

(2)  Pietro  Samuele  Munck  af  Rosenschòld  nacque  nel  1804  a Lund,  fu  aggiunto  alla 
università  di  questa  città.  La  memoria  di  cui  si  tratta,  ottenne  il  premio  Lindbom,  dall’ac- 
cademia delle  scienze  di  Svezia. 

(3)  Poggendorff,  Annalen,  voi.  69,  anno  1846,  pag.  44,  e pag.  223. 

(4)  Qui  si  deve  osservare,  per  maggior  esattezza,  primieramente  che  l’autore  suppone  (ivi,  p. 
50)  essere  l’inducente  un  dielettrico;  e se  fosse  conduttore,  suppone  allora  egli,  che  non  possa  la 


)>  Lo  strato  medesimo  è tale,  che  l’azione  complessiva  di  esso,  e del  corpo 
» inducente,  sopra  qualunque  punto  nell’  interno  dell’  indotto,  si  annulla.  Il 
» secondo  strato  si  forma  talmente,  che  per  sè  non  produce  azione  alcu- 
» na  sull’  interno  dell’  indotto.  Questa  seconda  elettricità  viene  da  me 
« chiamata  libera  , poiché  la  medesima  si  distribuisce  sulla  superfìcie, 
))  in  conseguenza  della  sua  propria  repulsione;  e poiché  svanisce,  quan- 
)>  do  viene  tolto  V isolamento.  Però  la  prima  che  sempre  si  manifesta  è di 
w natura  contraria  della  inducente , si  chiama  elettricità  vincolata,  poi- 
» chè  è legata  alla  medesima  (inducente)  , e non  può  scaricarsi  dal  corpo 
» (indotto),  che  soltanto  imperfettamente  (1). 

» Non  avendo  il  corpo  indotto  (pag.  5 1 ) veruna  carica  iniziale,  allora 
» le  due  elettricità  sono  (sul  medesimo)  eguali  in  quantità,  ma  di  natura  contra- 
» ria.  La  elettricità  libera  però,  non  si  trova  soltanto  sulle  parti  dell’indotto, 
« lontane  dall’inducente;  bensì  essa  è distribuita  sopra  tutta  la  superfìcie 
» dell’indotto,  e la  comunicazione  col  suolo  la  fa  sparire  affatto  (2). 

» Per  altro  chiaro  apparisce,  che  ciò  accade  diversamente,  quando  ha  luo- 
» go  la  dispersione  per  l’aria;  poiché  nel  caso  in  cui  non  avvi  efflusso  dell’elet- 
» tricità  nell’  aria  (cioè  nel  caso  precedente),  un  piano  di  prova  isolato  , si 
» carica  tanto  dell’  una  , quanto  dell’  altra  elettricità  , e lo  stato  elettrico 
» dell’indotto,  può  soltanto  poco  variare  , quando  le  due  elettricità  vi 
» sono  in  quantità  eguali  (3). 

elettricità  scorrere  sul  medesimo,  lo  che  torna  nel  primo  caso.  In  secondo  luogo,  sebbene  non 
cangi  la  carica  elettrica  dell’inducente,  quando  l’indotto  si  faccia  comunicare  col  suolo,  ciò 
nulla  ostante  cangia  la  distribuzione  di  essa,  e la  influenza  elettrica  sull’indotto  medesimo 
cresce;  quindi  cresce  anche  lo  strato  di  elettricità  indotta,  e tutto  ciò  contro  l’asserto  del- 
l’autore. 

(1)  È contro  il  fatto,  asserire  coll’autore,  che  la  elettricità  vincolata,  si  può  scaricare 
dall’indotto,  soltanto  imperfettamente;  poiché  vedremo  a suo  luogo,  che  questa  elettricità 
non  si  può  scaricare  per  nulla. 

(2)  Ciò  si  accorda  perfettamente  colla  moderna  teorica,  da  Melloni  riprodotta,  e da 
me  sostenuta. 

(3)  Se  il  piano  di  prova  non  sia  bastantemente  piccolo,  allora  soltanto  esso  mani- 
festerà l’una  e l’altra  elettricità,  cioè  manifesterà  la  contraria  della  inducente,  quando  si  ap- 
plichi sull’  estremo  dell’  indotto  , il  più  vicino  all’  induttore  ; e la  omologa  della  indu- 
cente  stessa , quando  si  applichi  sull’  estremo  più  lontano.  Ma  questo  risultamento 
non  dà  verun  diritto  a concludere,  che  in  quel  primo  estremo,  non  siavi  anche  la  omologa 
della  inducente;  la  quale  può  coesistere  colla  indotta,  senza  neutralizzarsi  con  essa,  finché 
durila  elettrica  influenza.  Però  nel  primo  caso  la  elettricità  del  piano  di  prova,  sara  indotta 
sul  medesimo  dallo  stesso  inducente,  non  già  comunicata  dal  l’indotto;  mentre  nel  secondo 


. )>  Sembra  che  anche  la  contraria  della  inducente,  sia  distribuita  sopra  tutta 

» la  superficie  del  corpo  indotto  ; poiché  nel  caso  contrario  si  dovrebbe,  dopo  la 
» comunicazione  col  suolo,  trovare  una  linea  neutra,  e di  là  della  medesima, 
» una  elettricità  di  natura  della  inducente,  lo  che  viene  contraddetto  dalla 

w sperienza  (1).  Ma  la  elettricità  indotta  è per  solito  debole  molto  , ed  ap- 

» pena  percettibile,  nelle  parti  dell’indotto  più  lontane  dall’inducente.  I feno- 
» meni  dell’induzione,  che  sembrano  tanto  complicati,  dipendono  dalla  circo- 
» stanza  , che  le  due  elettricità  , cioè  la  libera  e la  vincolata  , si  trovano 
» molto  diversamente  distribuite  sulla  superficie  dell’indotto. 

« Non  è da  dubitare,  che  la  elettricità  indotta  , possegga  facoltà  di 
)>  attrarre,  e respingere  come  la  libera;  ed  il  potere  di  propagazione,  alla  me- 

» desima  non  manca  del  tutto.  Già  il  fatta  che  si  accumula  sulla  super- 

» fìcie,  ne  insegna,  che  abbia  tendenza  per  diffondersi;  cosicché  lascerebbe 
» realmente  il  corpo  indotto,  quando  non  vi  fosse  la  resistenza  dell’aria  (2). 
)>  Essa  in  parte  si  trasporta  eziandìo  nei  conduttori  che  sono  isolati,  e nelle  parti 
» conducenti  dell’aria;  ma  questa  perdita  è poco  considerevole,  e viene  tosto 
» surrogata  della  elettricità  naturale  del  corpo  indotto,  ovvero  da  quella  ter- 
» restie,  quando  il  conduttore  non  è isolato  (3). 

sarà  unicamente  comunicata  da  questo  al  piano  stesso.  Però  se  il  piano  di  prova  sia  ba- 
stantemente piccolo;  allora  esso,  applicato  su  qualunque  punto  dell’  indotto  , manifesterà 
sempre  una  elettricità  omologa  della  inducente.  Sarà  tutto  ciò  dimostrato  ad  evidenza,  nella 
seconda  parte  di  questa  memoria. 

(1)  Quei  punti  dell’indotto,  che  non  vedono  V inducente  , non  ricevono  la  induzio- 
ne diretta , ma  soltanto  la  curvilinea , la  quale  però  non  giunge  molto  lontano.  Da  ciò  discen- 
de, che  la  contraria  della  inducente,  se  l’indotto  abbia  dimensioni  troppo  grandi,  non  può  tro- 
varsi per  tutto  sul  medesimo,  come  per  tutto  si  trova  in  ogni  caso  la  omologa  della  inducenle. 
Nè  anche  si  può  concedere,  che  nel  caso  contrario  dell’autore  ; cioè  se  la  indotta  non  si 
trovasse  per  tutto,  allora  sul  conduttore  indotto  , si  dovrebbe  , dopo  la  comunicazione  di 
questo  col  suolo  , trovare  una  linea  neutra  , e dopo  essa  una  elettricità  omologa  della 
inducente.  Imperocché  l’indotto  , dopo  cessato  in  lui  1’  isolamento,  sarà  o tutto  carico  di 
elettricità  indotta,  cioè  contraria  della  iuducente,  se  abbia  dimensioni  abbastanza  piccole; 
ovvero  sarà,  nella  sua  parte  alfiuducente  più  vicina,  carico  di  elettricità  indotta,  e nella  più 
lontana,  carico  di  elettricità  neutrale  , se  avrà  dimensioni  troppo  grandi.  Tutto  ciò  viene 
posto  in  evidenza  facilmente  con  un  qualuuque  piano  di  prova. 

(2)  La  indotta,  finché  rimane  sotto  alla  influenza,  non  può  riguardarsi,  a stretto  ri- 
gore, accumulata  sull’indotto,  ma  solamente  vincolala,  in  maggiore  o minore  quantità  sul 
medesimo,  tanto  secondo  l’energia  maggiore  o minore  della  influenza,  quanto  secondo 
la  maggiore  o minore  distanza.  Inoltre  non  è affatto  la  resistenza  dell’  aria,  quella  che  im- 
pedisce alla  indotta  di  abbandonare  il  corpo  indotto,  ma  è il  suo  vincolamento,  ed  è anche 
la  soppressione  delle  sue  facoltà,  la  causa  per  la  quale  non  può  lasciare  il  corpo  indotto, 
su  cui  fu  resa  del  tutto  passiva. 

(3)  Con  queste  parole  l’autore  intende,  che  potendosi  la  indotta  disperdere,  tanto  pei 


— 13  — 

^ L’autore  poi  tratta  ( ivi  , pag.  54  ) , il  caso  di 

tre  corpi  A , B , C (fìg.  14),  dei  quali  uno  C è condut- 
tore isolato  , e senza  carica  iniziale  , mentre  A e B 
sono  coibenti,  ed  elettrizzati. 

In  seguito  l’autore  si  esprime  dicendo  (ivi,  pag.  56  , 
i li.  16).  « Un  caso  particolare  simile  al  precedente,  me- 

A B C » rita  esame  più  profondo.  Tale  caso  ha  luogo  quando 

» un  conduttore  B (fig.  14),  si  trova  in  comunicazione  col  suolo,  mentre  l’al- 
» tro  C sta  dietro  B in  modo,  che  le  azioni  rettilinee  delle  particelle  elet- 
» triche  di  A sopra  C,  debbono  traversare  la  massa  del  corpo  B,  lo  che  si 
» esprime  da  Fechner  dicendo:  trovarsi  C nell’  ombra  elettrica  di  B.  In  que- 
» sto  caso  agiscono  le  due  elettricità  di  A e B,  ambedue  nella  medesima 
» direzione  verso  C,  la  prima  più  forte,  ma  in  distanza  maggiore,  la  seconda 
» più  debole,  ma  in  distanza  minore.  Non  si  può  dunque  sapere  immediata- 
» mente,  quale  di  queste  due  azioni  sia  prevalente  (1). 

» Infatti  l’azione  inducente  sopra  C,  riesce  molto  debole,  in  modo  che  la  me- 
» desima  viene  da  molti  autori  negata,  mentre  altri  l’attribuiscono  a cause  di- 
» verse.  È un  fatto  conosciuto  da  molto  tempo,  che  una  bottiglia  di  Leida 
» caricata,  mostra  in  un  punto  dell’armatura  esteriore,  non  molto  vicino  al- 
ti T orlo  , soltanto  una  piccolissima  azione  all’  elettroscopio.  Si  concluse  da 
» questo  fatto  , che  la  elettricità  indotta  dell’  armatura  esterna,  abbia  per- 

conduttori,  quanto  per  f aria  circostante  umida  , questa  dispersione  viene  riparata  dalla 
nuova  induzione  sull’  indotto;  e quando  questo  comunichi  col  suolo,  allora  viene  riparata 
dalla  Terra , eziandio  per  induzione.  Ma  noi  vedremo  , nella  seconda  parte  di  que- 
sta memoria,  che  tale  riparazione,  per  parte  della  Terra,  è impossibile.  Vedremo  an- 
cora non  potersi  ammettere,  che  quando  l’indotto  si  fa  comunicare  col  suolo,  per  l’estremo 
suo  più  vicino  alla  inducente,  la  omologa  di  questa  si  neutralizzi  dalla  Terra,  per  ef- 
fetto della  induzione  stessa,  cioè  venga  sull’indotto  la  elettricità  contraria.  Questo  è un  er- 
rore in  cui  cadono  quelli,  che  ritengono  per  vera  in  tutto,  la  comune  teorica  della  elet- 
trica influenza,  e con  essa  pretendono  spiegare  il  fatto  indicato.  Del  resto,  avendo  l’autore 
ammesso,  che  la  omologa  della  inducente,  si  trova  per  tutto  sull’indotto,  è di  più;  che  la 
indotta  possiede  ogni  facoltà  elettrica,  dovrebbero  esse  neutralizzarsi  già  fra  loro  sul  con- 
duttore indotto;  perciò  dietro  quanto  fu  ammesso  dall’autore  , non  si  dovrebbe  avere  il 
fenomeno  della  induzione,  contrariamente  al  fatto. 

(1)  Poiehè  la  indotta  non  tende  , e poiché  la  induzione  non  traversa  i conduttori; 
perciò  non  può  giungere  dall’indotto  B verun’  azione  sopra  C,  purché  B sia  sufficiente- 
mente  grande.  Però  se  B possegga  dimensioni  abbastanza  piccole,  allora  sopra  C giun- 
gerà la  induzione  curvilinea  dall’inducente  A. 


» 


u 


» dato  le  sue  proprietà,  che  aveva  iniziali,  cioè  le  facoltà  di  attrarre  e di 
» respingere. 

» Mentre  che  la  indicata  opinione  sembrava  confutata  dalle  sperienze  di  Ohm 
» e di  Riess,  tentava  Knochenhauer  difendere  la  opinione  antica  medesima  (t). 

))  Egli  sopra  una  stiacciata  resinosa  ed  elettrizzata,  poneva,  in  diverse  distanze, 

)>  un  foglio  di  stagnola,  e toglieva  la  sua  elettricità  libera  negativa.  Avvicinando 
)>  poi  questo  apparecchio,  dal  di  sotto,  ai  pendolini,  allora  non  avevasi  ad 
» ogni  distanza  veruna  divergenza.  Egli  concluse  da  questo  fatto  pri- 
» mieramente,  che  due  elettricità , le  quali  si  vincolano  secondo  la  loro 
» distanza,  non  esercitano  affatto  azione  al  di  fuori , e si  trovano  soltanto 
» in  una  relazione  fra  se  stesse,  la  quale  si  palesa  in  principal  modo,  come  un’ 
» attrazione  mutua.  Secondariamente  concluse  lo  stesso  Knochenhauer,  che 
» l’eccesso  di  elettricità  libera,  la  quale  agisce  al  di  fuori,  non  esercita  la  sua 
» azione  al  di  là  della  superfìcie  , sulla  quale  si  trova  soltanto  elet- 
» tricità  vincolata.  Fechner  , che  faceva  ricerche  molto  esatte,  ed  espli— 
» cite  sopra  il  caso  in  proposito  , asserisce,  contro  le  sperienze  di  Kno- 
» chenbauer,  che  si  abbia  nel  caso  considerato,  un’azione  prevalente  della 
» inducente  sopra  la  indotta.  Anche  Pelrina  trattò  questa  materia  : non 
» egli  nega  la  giustezza  degli  sperimenti  di  Fechner , attribuisce  però  il 
» successo  all’  aria  elettrizzata  per  induzione. 

» lo  stesso  (dice  Munck)  ripetei  le  sperienze  di  Fechner  , ed  ottenni 
» risultamenti  per  modo  concordanti , che  non  posso  dubitare  affatto  della 
» esattezza  loro  ». 

In  seguito  l’autore  medesimo  (Munck)  osserva,  (pag.  57),  essere  necessario, 
sperimentare  con  grande  precauzione,  affine  d’impedire  il  trasporto  della  elettri- 
cità nell’  aria.  Inoltre  dice  ( pag.  63  ) » Non  si  può  negare,  che  un  corpo 
» posto  nell’  ombra  elettrica  di  un  conduttore,  non  isolato  , si  elettrizzi  per 
» influenza,  ma  tale  azione  riesce  molto  debole,  oltre  ad  essere  inpercettibile  in 
» molti  casi.  Chiamando  dunque,  come  fu  detto,  A il  corpo  inducente,  B il 
» conduttore  messo  in  comunicazione  col  suolo,  e C il  corpo  che  si  trova  nell’ 
» ombra  elettrica  di  B (fig.  14),  allora  non  si  allontanerà  taluno  molto  dal  vero, 
« quando  ammetta,  che  in  C non  abbia  luogo  nè  attrazione  nè  repulsione. 
» Adunque  la  elettricità  indotta  in  B , ha  perduto  apparentemente  l’azione  al  di 
» fuori,  sebbene  la  medesima  venga  compensata  soltanto  dalla  elettricità  in  A, 

(1)  Anche  di  qui  si  vede,  che  la  dottrina  riprodotta  da  Melloni  , da  me  più  volte 
difesa,  era  già  professata. 


»)  che  agisce  più  forte  (1).  Comunicando  al  corpo  B,  dopo  ristabilito  in  esso  l’iso- 
» lamento,  alcun  poco  di  elettricità,  si  compone  allora  di  due  lo  strato  elet- 
» trico  della  superficie  del  corpo,  uno  cioè  libero,  l’altro  indotto.  Ma  siccome  la 
« risultante  delle  azioni,  provenienti  dalla  elettricità  indotta,  sopra  un  punto  nel- 
» l’ombra  elettrica,  è quasi  in  equilibrio  colla  risultante  delle  azioni  della  elet- 
)>  tricità  in  A,  sopra  il  medesimo  punto;  così  può  trascurarsi  questo  sistema  di 
))  forze,  ed  ammettere  , che  agisce  soltanto  l’elettrico  libero  di  B.  Nel  caso 
» dunque  in  cui  non  si  richieda  tutta  l’esattezza,  potrà  immaginarsi,  che  l’a- 
» zione  di  A,  giunga  soltanto  fino  in  B , e che  B agisca  soltanto,  per  causa  del— 
» 1’  elettrico  suo  libero,  sui  corpi  che  si  trovano  nell’  ombra  elettrica  del  cor- 
» po  B (2). 

» Egualmente  può  concepirsi,  che  l’azione  dell’ elettrico  (libero)  di  B , 
« si  estenda  nella  direzione  opposta,  soltanto  fino  al  corpo  A;  e che  questo 
» agisca  soltanto  con  quella  elettricità,  sopra  i corpi  nell’  ombra  elettrica  di 
» A,  la  quale  non  è vincolata  da  B.  Da  ciò  si  rileva,  che  lo  spezzamento,  in 
» uno  strato  libero,  ed  in  uno  vincolato,  degl’inviluppi  elettrici  dei  corpi,  che 
» agiscono  per  induzione  uno  sull’  altro,  sebbene  ipotetico,  si  può  vantaggio- 
» samente  assumere,  come  fu  dimostrato  di  sopra,  per  ispiegare  i fenomeni 
» elettrici,  e facilitare  queste  spiegazioni.  Non  si  deve  però  perdere  di  vista, 
» che  questo  spezzamento,  in  realtà  non  esiste  (3). 

(1)  Che  la  elettricità  indotta  nel  B,  abbia  perduto  apparentemente , ovvero  meglio 
attualmente , 1’  azione  al  di  fuori,  finché  rimane  sotto  la  influenza  di  A,  ciò  deve  ammet- 
tersi: ma  non  è vero,  che  l’azione  di  essa  in  C,  venga  compensata  dalla  elettricità  inducente  di 
A;  giacché  quella  perdita,  è prodotta  unicamente  dall’ essere  la  indotta  di  B , vincolata 
dalla  inducenle  di  A in  tutto.  E poiché  la  induttrice  di  A , non  può  traversare  B,  mentre  la 
la  indotta  in  B , ha  perduto  la  facoltà  di  agire;  perciò  neppure  si  potrà  immaginare  il  pre- 
teso compenso. 

(2)  In  vece  dovremo  dire,  che,  quando  richieggasi  tutta  la  esattezza  , si  deve 
ritenere  per  vero,  che  l’azione  inducente  diretta  di  A,  giunge  soltanto  in  B , mentre  l’azio- 
ne curvilinea  dello  stesso,  A,  può  giungere  anche  sui  corpi,  che  trovansi  nell’ombra  elettrica 
dello  stesso  B.  Inoltre  se  B rimanga  isolato  sotto  la  induzione,  allora  esso  agirà  soltanto, 
per  causa  dell’elettrico  suo  libero,  sui  corpi  che  trovansi  nell’ombra  indicata. 

(3)  Vedremo  invece,  nella  secouda  parte  di  questa  memoria,  che,  a bene  spiegare  i 
fenomeni  della  elettrica  influenza,  deve  riconoscersi,  che  sull’  indotto  esistono  realmente 
due  strati  elettrici  di  natura  fra  loro  contraria,  dei  quali  uno  libero,  quello  cioè  di  natura  omo- 
loga della  inducente,  l’altro  completamente  vincolato,  quello  cioè  di  natura  contraria  della  in- 
ducente stessa.  Questi  due  strati  coesistono  sull’  indotto,  senza  potersi  fra  loro  neutraliz- 
zare; perché  uno  dei  medesimi,  quello  della  indotta,  non  possiede  attualmente  veruna  ten- 
sione, cioè  le  sue  facoltà  elettriche  sono  del  tutto  dissimulate. 


» Il  ragionamento  precedente  ( pag.  64),  fu  tutto  istituito  in  generale, 
» senza  dare  una  forma  particolare  ai  corpi  considerati.  Da  ora  in  poi  si 
» ammetterà,  che  i corpi  abbiano  la  forma  di  dischi  molto  fini,  paralleli  fra 
» loro,  ed  in  modo  posti,  che  i rispettivi  tre  centri,  si  trovino  in  una  stessa  ret- 
» ta,  perpendicolare  ai  medesimi  dischi  ». 

L’autore  passa  quindi  a trattare  (pag.  65)  primieramente  il  caso  di  due 
dischi),  cioè  il  caso  del  condensatore,  e dopo  un’  analisi  lunga,  conclude  col 
dire  (1)  « Chiaro  apparisce  dal  fin  qui  detto,  che  la  teorica  dell’induzione, 
» come  viene  comunemente  trattata  nei  corsi  di  fisica,  può  considerarsi  es- 
» sere  a sufficienza  esatta,  sebbene  la  medesima  non  sia  perfetta.  La  causa 
» di  questa  imperfezione  in  ciò  consiste,  che  la  forza  inducente  di  uno  dei 
» due  dischi,  non  rimane  intieramente  costante,  quando  lo  stato  elettrico  del— 
» l’altro,  riceve  una  variazione,  contro  quello  che  dalla  teorica  è supposto  » (2). 

L’autore  occupandosi  della  relazione,  fra  il  potere  accumulante  di  un 
condensatore,  ed  il  diametro  de’  suoi  dischi  , ragiona  nel  modo  seguente. 
» Abbiansi  due  dischi  eguali  A,  e B,  che  si  trovino  distanti  di  a fra  loro; 


(1)  Poggendorff  Annal.  Voi.  69,  p.  223. 

(2)  Vedremo  in  appresso,  che  nella  teorica  del  condensatore,  data  comunemente  nei 
corsi  di  fisica,  si  ritiene,  secondo  la  verità,  che  l’elettrico  del  disco  indotto  od  accumu- 
lante , non  tende  punto.  Però  la  imperfezione  della  teorica  medesima,  consiste  nell’  am- 
mettere, consegnandolo  al  calcolo,  che  quando  il  disco  inducente  o collettore,  venga  posto 
in  comunicazione  col  suolo,  allora  esso  perde  soltanto  quella  elettricità,  che  acquisterebbe, 
se  comunicasse  da  solo,  con  la  sorgente  inesausta  di  elettricità,  che  si  vuole  accumulare, 
mediante  il  condensatore  stesso;  ma  ciò  viene  contraddetto  dalla  sperienza.  In  fatti  per  la  indi- 
cata comunicazione  col  suolo,  quel  disco,  che  prima  era  indotto,  diviene  ora  inducente, 
mentre  l’altro,  che  prima  era  inducente,  diviene  ora  indotto:  perciò  la  elettricità  del  nuovo 
inducente,  avendo  riacquistalo  in  parte  la  sua  libertà,  deve  agire  meno,  di  quello  che  rea- 
giva prima.  E siccome  la  inducente  deve  superare  sempre  la  indotta  , da  ciò  nasce  che 
quel  disco,  posto  a comunicare  col  suolo,  perde  più  di  quanto  la  comune  teorica  gli  assegna. 

Se  tale  fosse,  come  a me  sembra  essere,  il  concetto  dell’autore,  contenuto  nella  rife- 
rita sua  frase,  cioè:  « La  causa  di  questa  imperfezione  in  ciò  consiste,  che  la  forza  inducente 
« di  uno  dei  due  dischi,  non  rimane  interamente  costante,  quando  varia  lo  strato  elettrico 
« dell’altro  » certo  egli  avrebbe,  prescindendo  dalla  induzione  curvilinea,  precisata  la  prin- 
cipale vera  causa  di  quella  imperfezione.  Però  manca  ora  che  sia  dimostrato,  come  debbono 
correggersi  le  formule  comuni  del  condensatore,  per  evitare  in  esse  la  imperfezione  stessa; 
dimostrazione  che  1’  autore  non  ha  data,  ma  che  noi  già  pubblicammo  ( Comptes  rendus, 
t.  60,  année  1865  , p.  1835;  ed  anche  Archives  des  scien.  phy.  et  nat.  de  Genève , 
1865,  t.  24,  p.  132)  , e che  ripeteremo  con  maggiore  sviluppo  , nella  seconda  parte  di 
questa  memoria. 


— 17  — 


))  essendo  il  primo  disco  A,  caricato  colla  elettricità  E,  si  avrà  nell’  altro  B , 

» che  fu  messo  in  comunicazione  col  suolo,  una  carica  — mE , ove  s’ in- 
» tende  per  in  il  coefficiente  d’  induzione.  Immaginandoci  le  superficie  di 
))  A,  e B , divise  in  un  così  grande  numero  n di  particelle,  che  queste  pos- 
» sano  considerarsi  come  punti;  allora  potremo  ammettere,  che  tutte  le  forze 
» elettriche,  provenienti  da  questi  punti,  sopra  uno  qualunque  p di  A , o di 
» B , si  trovino  in  equilibrio  » (1). 

» Siano  inoltre  A ',  e B'  altri  due  dischi  di  raggio,  e grossezza  doppia  dei 
))  primi;  e si  trovino  fra  loro  alla  doppia  distanza  2 a.  Supponiamo  che  ad  A' 

» sia  comunicata  la  carica  E,  avrà  B1  la  carica  — mE ; inoltre  s’immagini  che 
» queste  cariche,  sieno  distribuite  nel  medesimo  modo»  come  lo  sono  sopra  i 
« dischi  A,  e B.  Dividendo  poi  le  superfìcie  di  A',  e B',  nel  medesimo  numero  n 
» di  particelle,  ed  anche  nel  medesimo  modo;  allora  ognuna  di  queste,  conterrà 
» la  medesima  carica,  come  la  particella  corrispondente  nel  primo  condensa- 
» tore.  Denotando  adunque  con  p'  un  punto  in  A od  in  B',  ed  avente  omo- 
)>  Ioga  posizione,  rispetto  al  punto  p del  primo  condensatore;  certo  su  questo 
» punto  agiranno  quantità  eguali  di  elettrico  , ma  in  distanze  relativamente 
» doppie  sul  punto  p'.  Dunque  ciascuna  forza,  che  agisce  sopra  p',  proveniente 
» dalle  elettricità  delle  superfìcie  di  A',  e B ',  sarà  quattro  volte  minore  della 
» forza  corrispondente,  che  agisce  sopra  il  punto  p,  e formerà  eziandio,  con 
» una  retta  fissa,  passante  pel  punto  p',  il  medesimo  angolo,  che  forma  la  forza 
» corrispondente  di  p,  con  una  retta  fìssa  similmente  posta.  Ora  siccome  le 
» forze,  che  agiscono  sopra  p,  sono  in  equilibrio;  così  lo  saranno  anche  quelle 
))  sopra  p'.  Da  ciò  dobbiamo  concludere  , che  la  carica  E del  piattello  A\ 
» induce  la  quantità  — in  E nel  piattello  B\  e perciò  il  coefficiente  di  indu- 
ci zione  eguaglierà  m,  anche  in  questo  secondo  condensatore. 

« Dunque  il  coefficiente  di  induzione,  rimane  lo  stesso  per  due  condensatori, 
» quando  nel  più  grande  si  aumenti  la  distanza  fra  i due  piattelli,  proporzio- 
» nalmente  al  diametro  loro:  la  grossezza  poi  dei  piattelli  medesimi,  pochis- 
simo influisce,  o niente  » (2). 

(1)  Ciò  costituisce  il  fondamento  della  teorica  di  Poisson,  riguardo  alla  distribuzione 
della  elettricità  sui  conduttori. 

(2)  Supposto  coll’autore,  che  la  indotta  possegga  tensione,  come  ancora  che  la  in- 
fluenza elettrica  possa  traversare  i conduttori,  la  conclusione  colla  quale  termina  l’autore 
medesimo  questo  suo  ragionamento,  è necessaria.  Poiché,  siccome  i due  condensatori,  costi- 
tuiscono due  sistemi  di  forze  elettriche,  ognuno  del  tutto  simile  all’altro,  da  ciò  deriva 
evidentemente,  che  se  dicasi  m il  coefficiente  d’  induzione , od  il  rapporto  elettrostatico 

3 


L’autore  fa  eziandio  molte  ricerche,  sopra  la  dipendenza  fra  il  diametro, 
e il  coefficiente  d’ induzione,  pel  caso  in  cui  non  varia  la  distanza  fra  i due 


per  uno  dei  due  condensatori,  dev’  essere  ancora  m questo  coefficiente,  o rapporto  elet- 
trostatico, per  l’altro  condensatore.  Tale  conseguenza  è vera,  ed  è molto,'  importante,  pei 
corollari  che  da  essa  derivano,  come  ora  vedremo;  reca  quindi  meraviglia,  come  non 
si  trovi  ancora  introdotta  nei  corsi  di  fisica  , e nei  trattati  di  elettrostatica  , i più 
completi.  Però  fu  essa  dedotta  dal  sig.  Munck  , come  risulta  dal  suo  precedente  bra- 
no , appoggiandosi  egli  a due  principi  > che  noi  non  possiamo  ammettere,  cioè  che  la  in 
dotta  possegga  tensione  , e che  la  influenza  elettrica  possa  traversare  i conduttori.  Per 
tanto  qui  passiamo  a dare  due  dimostrazioni  della  stessa  conseguenza,  ma  in  modo  indipen- 
dente del  tutto  dagl’ indicati  due  prinpicj.  Dimostreremo  adunque,  che  due  condensatori,  geo- 
metricamente simili  tra  loro,  posseggono  lo  stesso  coefficiente  m d’induzione;  cioè  che  le  ca- 
riche dei  due  piattelli,  posseggono  lo  stesso  rapporto,  nell’uno  e nell’altro  condensatore. 

L’elettrico  di  un  condensatore  trovandosi  equilibrato,  il  'potenziale  complessivo 
della  elettricità,  distribuita  sopra  i suoi  due  piattelli,  preso  per  un  qualunque  siasi  punto 
interno  a ciascuno  dei  medesimi,  viene  da  tutti  supposto  costante,  per  lo  stesso  piattello. 
Questo  potenziale  complessivo  si  compone  di  un  infinito  numero  di  parti,  che  dividiamo  in 
due  gruppi,  dei  quali  uno  proviene  dagli  elementi  del  piattello  collettore  o inducente,  l’al- 
tro da  quelli  del  piattello  condensante  o indotto.  Abbiansi  perciò  due  condensatori  , dei 
quali  uno,  che  chiameremo  B , abbia  tutte  le  sue  dimensioni,  k volte  maggiori  di  quelle 
dell’altro,  che  chiameremo  A,  nel  quale  l’elettrico  si  trova  equilibrato;  ed  i piattelli  col- 
lettori di  questi  due  condensatori,  abbiano  la  medesima  carica  B.  Suppongasi  che  il  con- 
densatore A,  possegga  un  coefficiente  d’  induzione,  rappresentato  da  m ; sappiamo  che  la 
carica  indotta  nel  suo  piattello  condensante , dovrà  essere  — m E.  L’assunto  proposto  sarà 
dimostralo,  quando  sia  stabilito,  che  anche  la  carica  indotta  nel  piattello  condensante  di  B , 
verrà  espressa  da  — mE. 

Riguardo  al  condensatore  3,  supponiamo:  l.°  che  la  carica  E del  suo  piattello  col- 
lettore o inducente,  sia  distribuita  similmente  a quella  del  piattello  collettore  di  A:  2.°  che 
il  condensatore  B possegga  lo  stesso  coefficiente  d’induzione  di  A,  vale  a dire  che  il  suo 

piattello  condensante  o indotto  , possegga  esso  pure  la  carica  — m E:  3.°  che  questa  ca- 

rica sia  distribuita  similmente  a quella  del  rispettivo  piattello  del  condensatore  A.  Posto 
ciò,  passiamo  a dimostrare  che  la  elettricità  del  condensatore  B,  si  deve  trovare  pur  essa 
in  equilibrio. 

Per  tal  fine  consideriamo,  nella  massa  del  condensatore  B.  un  qualunque  punto  p’ , 
collocato  similmente  ad  un  altro  punto  p , nella  massa  del  condensatore  A.  Inoltre  divi- 
diamo la  superficie  dei  due  piattelli  del  condensatore  B , in  un  modo  simile  del  tutto  a 

quello,  in  cui  furono  divise  le  superficie  dei  due  piattelli  del  condensatore  A. 

Immaginandosi  ora  i due  potenziali,  presi  uno  relativamente  al  punto  p,  nell’interno 
della  massa  del  condensatore  A,  l’altro  relativamente  al  punto  p' , nell’interno  della  massa 
del  condensatore  B\  sarà  chiaro  che  le  rette  congiungenti  gli  elementi  superficiali  elet- 
trici, coi  rispettivi  due  punti  p,  p\  di  questi  due  potenziali,  dovranno  conservare,  in  am- 
bedue questi  casi,  le  medesime  relative  posizioni.  Ciò  va)e  a dire,  che  due  qualunque  rette 


piattelli.  Anche  il  caso  di  tre  dischi,  viene  da  esso  trattato  molto  estesamente, 
ed  in  particolare  dal  punto  di  vista  onde  riconoscere,  in  che  modo  aumenta  o 
diminuisce,  il  potere  condensante  di  due  dischi,  essendovene  un’altro  interposto 
fra  essi. 


del  sistema,  relativo  al  condensatore  A,  comprendono  un  angolo  eguale  a quello,  compreso 
dalle  corrispondenti  rette  omologhe  del  sistema,  relativo  al  condensatore  B.  Inoltre  siccome 
fu  supposto  che  il  condensatore  B , abbia  tutte  le  sue  dimensioni,  k volte  maggiori  di  quelle 
appartenenti  al  condensatore  A;  così  è chiaro  che  le  distanze  di  ciascun  elemento  elet- 
trico del  condensatore  B dal  punto  p\  saranno  k volte  maggiori,  di  quelle  dell’elemento, 
corrispondente  nel  condensatore  A,  dal  punto  p.  E siccome  1’  elemento  del  potenziale  de- 
v’essere sempre  inversamente  proporzionale  alla  distanza  dell’elemento  elettrico  dal  punto, 
cui  si  riferisce  il  potenziale  stesso;  così  è chiaro  che  si  otterrà  ciascun  elemento  del  po- 

1 

tenziale,  relativo  al  condensatore  B,  moltiplicando  con  — ■ il  rispettivo  elemento  potenziale, 

K 

relativo  al  condensatore  A. 

Da  ciò  siegue  immediatamente,  che  il  potenziale  del  condensatore  B , dev’  essere 
pur  esso  costante  , perchè  fu  supposto  costante  quello  del  condensatore  A;  e si  avrà  il 

potenziale  complessivo  di  B,  moltiplicando  quello  di  A con  — . Ma  la  condizione  unica,  ne- 
cessaria, e sufficiente,  per  1’  elettrico  equilibrio,  sopra  uno  o più  conduttori,  consiste  nel- 
l’essere costante  il  potenziale  complessivo  di  tutto  l’elettrico,  per  qualunque  punto,  preso  in 
qualsivoglia  dei  medesimi  conduttori,  purché  sia  considerato  il  punto  qualunque  nel  medesimo 
corpo.  E siccome  sappiamo,  che  la  elettrica  distribuzione  in  equilibrio , sopra  uno  o più 
corpi,  dev’essere  unica ; perciò  possiamo  concludere,  da  quanto  precede,  che  le  tre  suppo- 
sizioni fatte  in  principio,  sono  verificate:  cioè  che  realmente  il  coefficiente  d’induzione,  o 
rapporto  elettrostatico  »»,  sia  lo  stesso  tanto  in  A quanto  in  B;  e che  le  distribuzioni  so- 
pra i suoi  due  piattelli  di  A.  sieno  simili,  rispettivamente  a quelle  dei  due  piattelli  di  B. 
Dunque  ileoefficiente  d’induzione,  o rapporto  elettrostatico,  in  due  condensatori  del  tutto 
fra  loro  geometricamente  simili,  è lo  stesso;  cioè  pure  la  carica  indotta  nel  piattello  con- 
densante di  B , verrà  espressa  da  — mE. 

Ognuno  comprende  che  il  precedente  ragionamento  consiste  : 1°  nel  supporre  che  il 
rapporto  elettrostatico  m,  sia  comune  ai  due  condensatori  geometricamente  simili  , uno 
maggiore  dell’altro,  e che  la  distribuzione  dell’elettrico  sia  pure  simile  nei  due  medesimi  con- 
densatori; 2*  nel  dimostrare  che  dietro  queste  supposizioni,  l’elettrico  è in  equilibrio  nell’uno 
e nell’altro  condensatore;  3°  che  per  essere  unica  la  distribuzione  dell’elettrico,  equilibrato 
sopra  un  corpo  conduttore,  le  supposizioni  fatte  sono  verificate.  Noi  già  dimostrammo,  dover 
essere  unica  la  distribuzione  delfelettrico,  equilibrato  sopra  un  qualunque  corpo  ( Comptes 
rendus  t.  68,  an.  1869,  p.  975).  Però  questa  dimostrazione,  data  col  calcolo  superiore,  per 
essere  ivi  molto  concisa,  verrà  nella  seconda  parte  di  questa  memoria,  con  maggiore  sviluppo 
riprodotta,  e coll’aggiunta  di  una  dimostrazione  tutta  elementare,  sullo  stesso  argomento; 
a fine  di  riempiere  un  vuoto,  che  pur  troppo  s’incontra,  e nelle  istituzioni  di  fisica,  e nei  trat- 
tati di  elettrostatica  più  estesi. 


— 20  « 

S-  *8. 


Nel  presente  paragrafo  esporremo,  quanto  si  riferisce  alf  attuale  nostro 


Per  dimostrare  in  altra  guisa,  che  il  coefficiente  d’induzione  non  cangia,  quando  i due 
condensatori  A,  B.  (fig.  15)  sieno  geometricamente  simili,  possiamo  anche  ragionare  nel 


Fig.  15. 

> 


c 


seguente  modo.  Le  dimensioni  tutte  del  condensatore  A,  cioè  tanto  de’  suoi  due  piattelli, 
quanto  della  distanza  fra  i medesimi,  abbiano  il  rapporto  fc,  con  quelle  omologhe,  relative 
al  condensatore  B.  La  interna  superficie  s del  piattello  collettore  o inducente  c di  A,  sia 
divisa  in  n piccolissime  parti,  uguali  fra  loro;  e similmente,  la  interna  superficie  S del  piattello 
inducente  C di  B,  sia  pure  divisa  in  parti,  ognuna  eguale  alla  nesima  del  piattello  c di  A; 
il  numero  delle  parli  di  questa  seconda  divisione,  sarà  espresso  da  nfc2,  e ciò  per  la  sup- 
posta similitudine  dei  due  condensatori. 

Sappiamo  dal  ragionamento  , confermato  dalla  sperìenza , che  il  rapporto  fra 
la  elettricità  indotta  , e quella  induttrice  , ossia  che  il  coefticente  d’ induzione,  non 
cangia  punto,  col  cangiamento  della  induttrice  stessa,  tanto  se  questa  sia  positiva,  quanto  se 
negativa  (Corso  elem.  di  fisica  sperimentale  di  G.  Belli , voi.  3,  Milano  1838,  p.  206)  pur- 
ché non  cangino,  e la  distanza  fra  i due  piattelli,  e le  dimensioni  loro.  Sappiamo  altresì,  che 
questo  coefficiente,  si  può  assegnare  sperimentalmente,  in  più  guise,  come  risulta  da  ta- 
lune istituzioni  di  fisica,  le  più  complete  in  fatto  di  elettrostatica,  e dai  trattati  di  questa 
scienza.  Di  qui  discende  che,  sebbene  la  distribuzione  dell’elettrico  sulla  interna  superficie 
del  piattello  inducente  , o collettore  , in  realtà  cangi  da  un  punto  all’  altro  della  su- 
perficie stessa;  tuttavia,  poiché  I’  indicato  coefficiente  m,  per  nulla  è dipendente  dalla 
quantità  E della  carica  induttrice,  ma  solo  dalle  dimensioni  dei  due  piattelli  del  conden- 
satore, e dalla  distanza  fra  essi:  così  chiaro  apparisce  , che  questo  rapporto  m sarà  lo 
stesso,  eziandio  quando  la  carica  medesima  , s’ immagini  uniformamele  distribuita  sulla 
interna  superficie  del  piattello  inducente  o collettore.  Ciò  facilita  molto  la  determinazione 
del  rapporto  stesso,  e delle  sue  conseguenze. 

Dopo  queste  premesse,  consideriamo  due  qualunque  divisioni,  od  elementi  a,  b,  omo- 


assunto,  nella  dotta  memoria  del  chiarissimo  fìsico  di  Berlino,  il  sig.  Riess, 


loghi  sulle  interne  superfìcie  dei  due  piattelli  c,  C,  guidiamo  le  rette  ap,  b q,  anch’esse  omo- 
loghe fra  loro,  ed  esprimiamo  con  e,  e'  le  quantità  di  elettrico,  contenute  rispettivamente  nel- 
le divisioni  a , b.  Sappiamo  che  ogni  elemento  inducente,  agisce  nella  ragione  diretta  della 
sua  massa  elettrica,  e nella  inversa  del  qnadrato  della  distanza  fra  l’elemento  indotto,  e l’in— 
ducente.  Per  tanto  indicando  con  w la  induzione  di  a sul  punto  p,  ed  essendo  p una  co- 
stante, avremo 


ap 


Ponendo,  per  semplicità  maggiore,  la  variabile  ap  — z,  e ricordando  essere  sup- 
posta uniforme,  la  indicata  elettrica  distribuzione,  sulla  interna  superficie  del  piattello  c in- 
ducente, sarà 

W £ u = f*  (A)  - 

la  formula,  che  tutta  determina  la  induzione,  prodotta  sul  punto  p , dall’elettrico  accumu- 
lato nella  interna  superficie  del  piattello  c. 

Inoltre  dicasi  v quella  parte  della  induzione  di  b sul  punto  q , la  quale  soltanto  si  ri- 
ferisce alla  variata  distanza  fra  i due  piattelli  del  condensatore  B,  rispetto  quella  fra  i due 
piattelli  del  precedente  condensatore  A,  ed  avremo 


V * • 

bq2 

Ma  per  la  indicata  similitudine  abbiamo 


perciò  dovrà  essere 


bq  — k.pa  ; 


v = 


ju.  e' 

1 H_2 

k2.  p a 


p.  e ' 

k2z2 


Ora  si  rifletta,  che  a contiene  una  divisione,  mentre  b ne  deve  contenere  k -,  come  già  fu 
indicato;  perciò  chiamando  con  u'  tutta  la  induzione  di  b sul  punto  q,  avremo 

ij  w.  e' 

u — k2.v  = r ; 

2 

perciò  sarà 

« 

Questa  formula  esprime  la  induzione  tutta  cioè  quella  tanto  per  la  variata  distanza  fra 
i due  piattelli  di  B,  quanto  per  le  variate  dimensioni  dei  medesimi,  prodotta  sul  punto  q , 
dall’elettrico  accumulato  sulla  interna  superficie  del  piattello  C. 

Colle  formule  (lj  e (2),  furono  assegnate  le  induzioni,  procedenti  dall’elettrico  accumulato 


— 22  — 

intitolata  « Sopra  la  elettricità  d’  influenza  , e la  teorica  del  condensato- 


sele interne  superficie  dei  piattelli  c,  C,  respettivamente  sopra  un  punto  p,  ovvero  q,  della 
interna  corrispondente  superficie,  sia  del  piattello  i,  sia  dell’altro  /.  Volendo  inoltre  asse- 
gnare la  induzione  medesima  su  tutta  la  superficie  di  questi  due  piattelli,  dovremo  imma- 
ginare tante  altre  uguaglianze,  simili  rispettivamente  alle  (1),  (2),  quanti  sono  i punti  o 
divisioni  dei  relativi  piattelli,  uno  i,  l’altro  I.  Ma  n rappresenta  il  numero  delle  divi- 
sioni del  piattello  i,  mentre  nk2  rappresenta  quello  delle  divisioni  del  piattello  /;  perciò 
chiaro  apparisce,  mediante  le  (1),  (2),  che  le  complete  induzioni  dei  piattelli  c,  C,  sopra  i 
corrispondenti  i , /,  saranno  espresse  rispettivamente  dalle 


X (f)  ^“X  (-f)  • 


Indicando  con  E la  carica  elettrica,  posseduta  dalla  interna  superficie  di  ognuno  dei  due 
piattelli  c,  C,  sarà 


E = ne  = k2ne'  ; 

e sostituendo  questa  carica  nelle  due  precedenti  espressioni,  ognuna  di  esse  diverrà 

= m E,  essendo  m — j • 

Inoltre  benché  la  carica  E , di  uno  dei  due  condensatori  considerati,  cangi,  divenendo 
E';  tuttavia  poiché  nel  condensatore  medesimo,  pel  solo  cangiamento  detla  carica,  non  può 
cangiare  il  rapporto  m:  così  anche  in  tal  caso  questo  rapporto,  rimarrà  comune  pei  due  con- 
densatori, geometricamente  simili  fra  loro;  sebbene  le  cariche  di  elettricità,  possedute  dai 
medesimi  sieno  diverse.  Perciò  nel  riferito  caso,  le  induzioni  sulle  interne  superficie  dei 
due  piattelli  condensanti,  dovranno  esprimersi  rispettivamente  colle 

mE',  ed  mE . 

Da  ciò  si  conclude  a buon  dritto,  quanto  volevamo  dimostrare,  cioè  che  il  coeflicente  d’in- 
duzione m,  non  cangia  da  un  condensatore  all’altro,  allorché  questi  formano  due  sistemi  geo- 
metricamente simili  fra  loro,  e ciò  si  verifica  eziandio  quando  le  cariche  di  elettricità,  in 
questi  due  condensatori,  sono  diverse  l’una  dall’altra.  Si  deve  ancora,  da  quanto  fu  esposto, 
concludere  ciò  che  siegue: 

1. °  Il  coefficiente  m d’induzione  elettrostatica,  nonè  punto  dipendente  dalla  carica  indut- 
trice; perciò  non  potrà  esso  cangiare  in  un  condensatore,  cangiando  soltanto  la  carica  di 
questo. 

2. °  Il  coefficiente  medesimo  nè  pure  cangia,  se  le  dimensioni  dei  piattelli,  e delle  di- 
stanze tra  essi,  cangino  in  guisa  in  uno  dei  due  condensatori,  da  formarne  un  altro  geome- 
tricamente simile  al  primo;  e ciò  sebbene  le  cariche  di  elettricità  sieno  diverse. 

3. °  11  coefficiente  stesso,  cresce  o diminuisce  in  un  medesimo  condensatore,  col  dimi- 
nuire o crescere  la  distanza  fra  i suoi  due  piattelli. 

4. °  Tutte  le  precedenti  conclusioni  saranno  verificate,  anche  quando  si  riferiscano  al 
coeflicente  di  accumulazione , che  noi  dimostrammo  ( Comptes  rendus  citati , ed  Archives  citati ) 
dover’essere 


1 1 

1 e non  -> 

1 — m 1 — m 

contro  quello  che  trovasi  comunemente  stabilito,  nelle  istituzioni  di  fisica,  e di  elettrostatica. 


re  (1);  ed  accompagneremo  l’esposto  con  quelle  osservazioni  da  noi  credute  op- 
portune. Per  tanto  il  nominato  fisico  dice  « La  sperienza  più  antica,  e l’unica 
)>  che  per  due  mille  anni  si  conosceva,  mostra  che  l’ambra  riceve  per  lo  strofina- 
» mento,  una  proprietà  particolare,  in  virtù  dalla  quale,  attira  i corpi  leggeri  a 
))  distanza  (2).  Sembra  dunque,  che  un  corpo  elettrizzato  possegga  la  forza 
« di  attrarre  un  corpo  non  elettrico;  ed  i!  fatto  fu  realmente  a questo  modo 
» interpretato,  ed  ammirato  per  molto  tempo.  Ma  l’ammirazione  si  fece  mag- 
« giore,  ed  una  vista  chiara  nei  fenomeni  elettrici,  fu  soltanto  possibile, 
» quando  si  negò  questo  fatto  contro  tutta  l’apparenza;  cioè  quando  si  rico- 
» nobbe,  che  un  corpo  elettrico,  non  attira  un  altro  corpo  privo  di  elettricità  (3). 
» Poteva  Aepinus  (4)  azzardare  facilmente  1’  asserzione  riferita  ; poiché  ad 
» essa  la  teorica  di  Franklin  conduceva;  ed  anche  Canton  aveva  scoperto  molto 
» tempo  prima  questo  fatto,  il  quale  conciliava  l’asserzione  medesima  colla 
« sperienza.  Ogni  corpo  che  si  trova  nella  vicinanza  di  un  altro  (elettrico),  divie- 
))  ne  per  se  stesso  elettrico,  gli  steli  attirati  dall’ambra,  sono  elettrici,  e per- 
» ciò  l’attrazione  ha  sempre  luogo  fra  corpi  elettrizzati.  Se  un  corpo  abbia 
» tale  posizione  da  perdere  immediatamente  /elettricità  , che  ha  ricevuta, 
» in  conseguenza  della  sua  vicinanza  con  un  altro  corpo  elettrizzato,  allo- 
« ra  non  viene  più  attirato  dal  corpo  medesimo  (5). 

» La  elettrizzazione  prodotta  da  un  corpo  elettrizzato  in  distanza,  cioè 
» la  elettrizzazione  per  influenza,  destò  l’attenzione  dei  fìsici , fin  dell’  epoca 
» della  sua  scoperta  (6),  e ciò  con  buon  diritto  ; poiché  accompagna  essa  di 
» continuo  gli  sperimenti  elettrici  di  ogni  sorta.  Ma  la  medesima  fu  anche 
« origine  di  molti  errori  , che  non  solo  al  presente  continuano  , ma  sono 


(1)  Poggendorff  Annalen,  voi.  73,  an.  1848,  p.  367.  . . 403. 

(2)  La  più  antica  notizia  di  questo  fatto,  ci  venne  da  Talete  di  Mileto  nell’Asia  mi- 
nore, filosofo  celebre,  nato  639  anni  avanti  l’era  cristiana,  e morto  nell’anno  348  prima  del- 
1’  era  stessa. 

(3)  Ciò  vuol  dire,  che  quante  volte  un  corpo  elettrizzato  ne  attragga  un  altro,  questo 
si  trova  sempre  anch’esso  elettrizzato,  sia  per  comunicazione,  sia  per  influenza;  e 1’  atti- 
rarsi ha  luogo  fra  gli  elettrici  eteronomi. 

(4)  Tentamen  theoriae  electricitatis.  Pelrop.  1759,  pag.  43. 

(5)  Finche  un  corpo  si  trova  in  presenza  di  un  altro  elettrizzato,  sarà  sempre  attratto 
da  questo,  e viceversa;  nè  avvi  posizione  alcuna,  perchè  il  corpo  elettrizzato  per  influenza, 
perder  possa  la  elettricità  indotta  sul  medesimo  dalla  influenza  stessa,  quantunque  il  corpo 
indotto  comunichi  metallicamente  col  suolo. 

(6)  Per  tale  scoperta,  vedi  questa  prima  parte,  §.  1. 


» anche  in  parte  cresciuti.  La  causa  fondamentale  di  questi  errori,  devesi 
» riconoscere  in  una  sperienza  male  interpretata,  ed  in  una  espressione  male 
)>  scelta  ».  (Noi  non  conveniamo  affatto  in  questo  giudizio). 

w La  elettrizzazione  per  influenza,  è generalmente  messa  del  pari,  con 
» quella  prodotta  dallo  strofinamento;  nondimeno  sembra  che  questi  due  modi 
» per  Sviluppare  la  elettricità,  siano  differenti.  S’immagini  un  pezzo  di 
» ambra,  ed  in  qualche  distanza  da  esso  una  paglietta,  essendo  ambedue  tanto 
» distanti  da  tutti  gli  altri  corpi,  che  questi  non  possano  influire  in  verun 
» modo  sopra  i primi.  Sul  pezzo  di  ambra  trovasi  una  elettricità  soltanto,  cioè 
» la  negativa,  mentre  si  trovano  ambedue  sulla  paglietta,  cioè  la  positiva  , 
» nella  parte  più  all’ambra  vicina,  e la  negativa  nella  parte  opposta  della  pa- 
» ghetta  stessa.  Ma  questa  differenza  nella  elettrizzazione  si  riconosce  ap- 
» parente  soltanto  (1). 

» È un  fatto  cognito,  che  il  drappo,  col  quale  l’ambra  fu  strofinata,  pos- 
» siede  la  elettricità  positiva.  Collo  strofinare  si  elettrizzava  un  tutto,  com- 
» posto  di  due  parti,  poscia  il  medesimo  veniva  separato  nelle  stesse  due 
» parti,  delle  quali  una  era  esaminata.  Spezzando  in  un  modo  simile  la  pa- 
» ghetta  in  due  parti,  allora  si  ottiene  ciascuna  delle  parti  medesime,  con  una 
))  sola  elettricità,  cioè  positiva  nella  parte  che  all’ambra  è più  vicina.  Questa 
)>  parte  può  dunque  paragonarsi  coll’ambra,  e dobbiamo  riconoscerla  elettrica 
» come  questa,  ma  di  natura  contraria.  Mettendo  la  stessa  parte  di  paghetta 
» in  comunicazione  coll’ambra,  si  vede  sparire  la  elettricità  sua  positiva,  e 
» divenire  negativa.  Da  ciò  possiamo  concludere  che  la  quantità  di  elettri- 
« cità  indotta,  è minore  della  inducente  (2).  Si  vede  anche  facilmente,  che  la 


(1)  Ignoro  quale  dei  fisici  moderni,  metta  l’elettrizzamenlo  per  istrofìnio  , del  pari  con 
quello  per  influenza.  Ma  è certo  che  questi  due  modi,  per  isvolgere  la  elettricità  dai  corpi, 
sono  uno  ben  diverso  dall’altro.  Nel  primo  di  questi  modi,  non  avvi  che  una  sola  elettri- 
cità in  ognuno  dei  corpi,  che  fra  loro  vengono  stropicciati.  Nel  secondo  modo  invece,  il 
corpo  indotto  ed  isolato,  possiede  ad  un  tempo  disgiunte  le  due  contrarie  elettricità.  Non  è 
poi  vero,  quello  che  qui  esserisce  l’autore;  cioè  trovarsi  la  omologa  della  inducente  soltanto 
nella  parte  apposta  della  paglietta,  cioè  nella  parte  più  lontana  dall’ambra  inducente.  Poiché, 
come  bene  dimostreremo  in  seguito,  la  omologa  della  inducente,  si  trova  invece  su  qua- 
lunque punto  del  corpo  indotto,  in  questo  caso  della  paglietta;  ma  in  maggior  copia  nella 
parte  più  dall’  inducente  lontana,  ed  in  minore  su  quella  più  all’inducente  stessa  vicina. 
Inoltre  la  causa  della  elettrizzazione  per  mezzo  dello  stroppicciamento,  è meccanica;  men- 
tre quella  per  mezzo  della  influenza  è del  tutto  elettrica. 

(2)  Dobbiamo  però  avvertire,  che  l’ambra,  come  i corpi  tutti  dielettrici,  non  cedono 


— 25 


)>  elettricità  indotta,  è intensiva  tanto  più,  quanto  sono  più  vicini  fra  loro  i due 
» corpi,  fra  i quali  si  esercita  la  induzione.  Però  anche  conservando  la  ine- 
» desima  distanza  fra  l’ambra  e la  paglietta,  lo  sviluppo  di  elettricità  dipende 
» ancora  da  un  altra  circostanza,  cioè  dalla  lunghezza  della  paglietta.  Tro- 
» vandosi  quest’ultima  nella  vicinanza  dell’ambra,  diviene  allora  positivo,  co- 
))  me  già  dicemmo,  l’estremo  suo  più  vicino,  e l’altro  negativo  (1).  In  se- 
» guito  la  prima  di  queste  due  elettricità  , cioè  quella  in  vicinanza  del- 
» ambra,  sarà  detta  elettricità  d’influenza  di  prima  specie,  mentre  quella  cbe 
« trovasi  sull’estremo  più  lontano  sarà  detta  elettricità  d’ influenza  di  seconda 
» specie.  Nel  caso  in  cui  la  paglietta  sia  molto  corta,  la  elettricità  positiva 
» dell’estremo  suo  più  vicino  all’ambra,  si  trova  molto  presso  alla  negativa 
» dell’estremo  più  lontano,  e perciò  può  esercitare  soltanto  un’azione  molto 
)>  debole.  Prolungando  la  paglietta,  le  due  elettricità  si  trovano  in  una  mag- 
» giore  distanza,  ed  in  tal  caso  l’azione  della  positiva  crescerà,  ed  arriverà  a un 
)>  massimo,  quando  la  paglietta  è lunghissima  (2).  Così  fatta  sperienza  si  con- 
» fondeva  coll’altra  che  segue,  la  quale  differisce  da  questa  totalmente.  Un  corpo 
» elettrizzato,  non  per  mezzo  della  induzione,  perde  la  sua  elettricità,  quando 
» viene  messo  in  communicazione  col  suolo;  il  corpo  si  scarica,  come  suole 
» dirsi,  per  mezzo  del  conduttore  , il  quale  stabilisce  questa  comunicazio- 


facilmenle  ai  conduttori  la  elettricità  loro;  perciò  non  si  verificherà  tanto  facilmente  in  pra- 
tica, l’indicato  rovesciamento  di  elettricità  nella  paglietta. 

Con  evidenza  maggiore  si  dimostra,  che  la  inducente  supera  in  quantità  la  indotta,  sca- 
ricando un  qualunque  coibente  armato,  per  mezzo  di  uno  scaricatore  isolato;  poiché  in  que- 
sto rimarrà  un  residuo  di  elettricità,  omologa  della  inducente:  ciò  si'verificherà  con  avvici- 
nare lo  scaricatore  stesso  al  bottone  di  un  elettroscopio  a pile  secche. 

(1)  Non  accade  precisamente  com’  è detto;  ma  invece  f estremo  più  vicino'  contiene 
le  due  elettricità,  una  dissimulata,  cioè  la  contraria  della  inducenle,  l’altra  libera,  cioè  omo- 
loga della  prima,  e questa  si  trova  per  tutto  sull’indotto.  Nasce  principalmente  da  ciò  la  diffe- 
renza, fra  i due  modi  per  elettrizzare,  uno  col  mezzo  dello  strofinio,  l’altro  col  mezzo  della  in- 
fluenza. 

(2)  Non  avendo  la  indotta  di  prima  specie  tensione  alcuna,  come  vedremo  evidente- 
mente nella  seconda  parte  di  questa  memoria,  deve  negarsi  che  la  indotta  medesima,  cioè  in 
questo  caso  la  positiva,  esistente  sull’estremo  della  paglietta,  il  più  prossimo  all’ambra,  possa 
variare  l’azione  sua;  poiché  non  la  possiede  in  alto,  ma  in  virtù  soltanto.  Dobbiamo  unica- 
mente ammettere,  che  la  quantità  di  azione  fra  la  indotta  e la  inducente,  sarà  minore  nel 
primo  caso,  e maggiore  nel  secondo;  cosicché  diverrà  massima  per  una  lunghezza  'grandis- 
sima della  paglietta. 


4 


» ne  (i).  Toccando  una  paglietta,  messa  in  vicinanza  di  un  pezzo  d’ambra 
» elettrizzata,  la  paglietta  medesima  non  perde  (tutta)  la  sua  elettricità,  ma 
» bensì  , secondo  l’esperienza  precedente,  la  sua  elettricità  positiva  di- 
» verrà  massima,  riguardo  alla  distanza  dei  due  corpi.  Da  ciò  si  credette  po- 
» tere  concludere,  l’esistenza  di  una  nuova  specie  di  elettricità,  la  quale  a dif— 
)>  ferenza  dell’elettricità  comune,  non  si  può  togliere  da  un  corpo  (2).  Inol- 
» tre  si  spingeva  il  concetto  ancora  più  innanzi,  negando  che  questa  elet- 
» tricità  possa  esercitare  attrazione,  e repulsione,  in  modo  da  considerarla 
w semplicemente  come  una  forza  virtuale  (3).  Questa  opinione  fu  appoggiata 
» dalle  denominazioni  già  date  alla  elettricità  d’  influenza  (4),  la  quale  si  rife- 
» risce  ad  un’  altra  azione  della  medesima.  Un  disco  metallico  isolato,  for- 
» nito  in  una  sua  faccia  di  fili  con  pendolini  elettrometrici,  fu  elettrizzato  in 
» modo,  che  i medesimi  divergevano  fino  ad  un  certo  grado.  Avvicinando 
))  parallelamente  a questo  disco,  un  altro  simile,  ma  non  isolato,  la  divergenza 
» dei  pendolini  diminuisce  (5);  ritorna  però  al  suo  grado  iniziale,  quando  si 
» toglie  il  secondo  disco.  Rimanendo  i due  dischi  al  sito  loro,  allora  è ne*- 
» cessano  dare  nuovamente  una  opportuna  quantità  di  elettrico  al  disco  iso- 
» lato,  per  produrre  la  medesima  primitiva  divergenza  dei  pendolini  (6).  Volta 
» il  quale  si  serviva  di  questo  fatto,  per  la  costruzione  del  suo  condensa- 
» tore,  credeva  che  la  causa  del  medesimo,  fosse  la  elettricità  d’influenza  del 


(1)  Si  avverta,  che  in  questo  caso,  la  scarica  del  corpo  é completa;  cosicché  il  me- 
desimo riacquista  lo  stato  neutrale  ; non  avviene  così  quando  il  corpo  fosse  indotto. 

(2)  Non  si  deve  concludere  dal  fatto  indicato  , che  siavi  una  nuova  specie  di  elettri- 
cità, ma  solo  uno  stato  eccezionale  di  questa;  quale  stato  dura  soltanto,  finche  la  medesi- 
ma rimane  alla  elettrostatica  induzione  assoggettata. 

(3)  Non  vi  ha  dubbio,  che  le  facoltà  possedute  in  alto  dall’elettrico  libero,  divengono 
tutte  virtuali,  quando  esso  è sottoposto  alla  elettrica  influenza,  come  sarà  dimostrato  nella 
seconda  parte  di  questa  memoria;  salvo  l’attrazione  reciproca  fra  la  indotta,  e la  inducente. 

(4)  Le  denominazioni  cui  qui  si  allude,  consistono  negl’epiteti  vmcolata,  e dissimu- 
lata, che  furono  introdotti  da  molto  tempo  nella  teorica  dell’induzione,  ed  apposti  giusta- 
mente alla  elettricità  indotta. 

(5)  Ciò  avviene  perchè  la  elettricità  libera  del  primo  disco,  inducendo  sul  secondo,  ed 
anche  accorrendo  verso  questo,  affievolisce  di  tensione;  aftievolimento  che  si  vedrebbe, 
ma  di  minor  effetto,  anche  quando  il  secondo  disco  fosse  pur  esso  isolato. 

(6)  Poiché  la  inducente  non  perde  mai  del  tutto  la  sua  tensione  , così  è chiaro  che 
crescendo  la  carica  elettrica  del  disco  isolato,  deve  crescere  la  divergenza  delle  pagliette  an- 
nesse al  medesimo;  e si  potrà  sempre,  eoa  una  opportuna  carica,  ridurre  la  divergenza  loro, 
a quello  che  era  inizialmente. 


— 27  — 


» disco  non  isolato,  la  quale  chiamò  elettricità  accidentale,  a differenza  della 
» elettricità  reale  del  disco  isolato  (1).  Essendo  poi  la  elettricità  accidentale  di 
» opposto  segno  a quella  reale,  si  forma  un  equilibrio  accidentale,  delle  due 
« elettricità,  e la  capacità  del  disco  non  isolato  (2),  viene  aumentata  in  modo, 
» che  il  medesimo  ha  bisogno  di  una  quantità  di  elettricità  maggiore  , per 
» produrre  all’elettroscopio  la  medesima  divergenza,  come  quella  iniziale. 

» Sebbene  questa  spiegazione  sembri  presente  al  molto  imperfetta,  non 
» si  può  negare,  che  la  medesima  possegga  il  vantaggio  di  essere  basata 
» sopra  i fatti,  e di  non  invocare  alcuna  proprietà  ipotetica  della  elettricità  d’in- 
» fluenza.  La  elettricità  negativa  d’influenza  (cioè  accidentale)  di  un  disco  non  iso- 
» lato,  il  quale  si  trova  in  vicinanza  di  un  disco  isolato,  e caricato  positiva- 
» mente,  viene  dunque  (da  Volta)  riconosciuta  del  tutto  eguale,  alla  elettricità 
)>  negativa  reale,  la  quale  si  dette  ad  un  disco  isolato  nella  vicinanza  di  un  al- 
» tro  disco  anch’esso  isolato,  e caricato  positivamente  (3).  Ciò  riesce  conforme 
» alle  sane  opinioni  di  Franklin,  di  Aepinus,  e di  Wilke.  In  un  modo  del  tutto 
» differente  ragionava  Lichtenberg  (4),  il  quale  dette,  alcuni  anni  dopo,  la 
» spiegazione  del  condensatore,  e dell’elettrosforo  ». 


(1)  Collezione  dell’  opere  di  Volta,  Firenze  1816,  tom.  1,  parte  la,  pag.  255. 

(2)  Pare  che  qui  debbasi  togliere  il  non  . 

(3)  Essendo  a il  disco  caricato  positivamente,  rappresenti  b il  disco  non  isolato  (fig.  16), 

carico  di  elettricità  negativa,  che  Volta  chiamò  accidentale : que- 

Fig.  16.  sti  due  dischi  sieno  prossimi  l’uno  aH’allro.  Inoltre  sia  d un  disco 

isolato,  cui  si  dette  una  carica  negativa,  essendo  e un  altro  disco, 

isolato  pur  esso,  cui  si  dette  una  carica  positiva:  ed  anche  que- 
b — sti  due  Mischi  sieno  prossimi  fra  loro.  Secondo  Riess  la  elettri- 

cità accidentale  negativa  del  disco,  b non  isolato,  verrebbe  da 

d Volta  riconosciuta,  in  uno  stato  del  tutto  eguale,  alla  negativa 

e reale  del  disco  d isolato.  Ma  ciò  si  oppone  al  fatto;  poiché  se 

un  piccolo  piano  di  prova,  si  applichi  sul  centro  del  disco  5, 
non  riceverà  esso  carica  elettrica  di  sorta;  mentre  applicato  sul  centro  del  disco  d,  rimar- 
rà elettrizzato  negativamente.  Ciò  prova  che  gli  stati  elettrici  dei  due  dischi,  b,  d , diffe- 
riscono assai  fra  loro. 

(4)  Nell’opera  intitolata  : Erxleben  Anfangsgriinde  der  Naturlehre  Gòttingen  1784. 
pag.  498.  Nella  edizione  sesta  di  questa  opera,  che  fu  pubblicata  nel  1794,  troviamo  il  ci- 
tato ragionamento  a pag.  520,  il  quale  già  fu  da  noi  riferito , nel  §.  2 di  questa  prima 
parte. 


28 


Sul  calcolo  delle  quantità  dei  movimenti  di  terra  nelle  stime  dei  lavori  Ar- 
chitettonici. — Nota  del  Cav.  prof.  Federico  Giorgi. 

Non  mi  occorre  richiamare  alla  memoria  degli  Onorevoli  sodi  di  questa  Ac- 
cademia, che  i grandi  lavori  di  terra  per  la  costruzione  degli  argini  dei  fiumi, 
per  quella  delle  strade  , come  per  la  escavazione  dei  canali  , ed  in  generale 
degli  alvei  per  qualsivoglia  corso  di  acque  , si  rappresentano  in  disegno  col 
mezzo  di  una  pianta  , o tipo  icnografico  dimostrante  lo  sviluppo  dell’  anda- 
mento del  canale  , della  strada  , dell’argine  ; e di  tipi  ortografici  consistenti 
non  solo  in  un  profilo  di  livellazione  indicante  la  giacitura  del  suolo  lungo  lo 
stesso  andamento,  ma  ancora  in  una  serie  di  profili  trasversali,  o sezioni  cor- 
rispondenti a piani  verticali  normali  alla  projezione  orizzontale  dell’  asse  del 
lavoro,  le  quali,  mentre  danno  conto  delle  modificazioni  , o riduzioni , a cui 
è da  assoggettarsi  il  terreno,  servono  eziandio  , insieme  al  profilo  di  livella- 
zione longitudinale,  al  calcolo  degli  sterri,  e dei  riporti  da  aver  luogo  per  la 
effettuazione  della  opera. 

Ad  abbreviare  le  calcolazioni  che  sono  necessarie  per  ricavare  da  siffatti 
tipi  le  quantità  di  questi  movimenti  di  terra,  sogliono  generalmente  gl’  In- 
gegneri servirsi  di  alcuni  metodi  , e di  alcune  formole  empiriche  , le  quali  , 

specialmente  in  alcuni  casi,  inducono  a risultati  non  poco  distanti  dal  vero  ; 
ed  è mio  proposito  in  questo  breve  scritto,  che  ho  l’onore  di  consegnare  al- 
l’accademia , di  fare  conoscere  in  qual  modo  potrebbe  ovviarsi  , col  minore 

studio,  e colla  minore  fatica  possibile,  a questo  grave  difetto  , in  cui  si  in- 

corre nelle  stime  dei  lavori. 

Mi  figuro  due  sezioni  qualunque  fra  quelle  che  suppongo  accompagnare 
un  progetto  di  lavoro  di  terra,  una  consecutiva  all’altra  senza  cioè  altra  se- 
zione interposta  ; e prendo  a considerare  i diversi  casi  , che  possono  offrirsi 
nella  pratica  dipendentemente  dallo  svariato  modo,  in  cui  possono  presentarsi 
le  sezioni  medesime. 

Quando  queste  due  sezioni , fra  le  quali  intendesi  computare  il  quanti- 
tativo dei  movimenti  di  terra,  si  offrono  in  tutta  la  loro  estensione  in  isterro, 
ovvero  in  riporto,  il  metodo  per  la  calcolazione  non  presenta  difficoltà.  Ba- 
sta imaginare,  come  è noto,  condotto  da  ogni  punto  di  inflessione  che  si  ha, 
nell’una  e nell’altra  sezione,  tanto  sulla  linea  che  rappresenta  il  terreno  nella 
sua  naturale  giacitura  nel  senso  trasversale,  quanto  sù  quella  che  dimostra 
la  giacitura  che  dovrà  assumere  il  suolo  ad  opera  eseguita,  un  piano  verticale 


perpendicolare,  o anche  obliquo,  quando  ciò  sia  permesso,  per  facilitare  i cal- 
coli , ai  piani  verticali  delle  due  sezioni , quali  devono  aversi  come  paralleli 
fra  di  loro,  perchè  il  solido,  che  comprendono  le  due  sezioni  sia  diviso  in  un 
certo  numero  di  solidi  parziali  tutti  mensurabili  geometricamente.  Imperoc- 
ché ognuno  di  questi  tronchi  parziali,  verrà  ad  essere  constituito  da  un  so- 
lido terminato  all’  intorno  da  quattro  faccie  verticali , due  delle  quali  oppo- 
ste e parallele  facienti  parte  dei  piani  delle  sezioni , e due  parimenti  oppo- 
ste e parallele  fra  loro  o comunque  oblique  partentesz  dall’una,  e spingentesi 
all’altra  sezione  ; e da  due  superficie,  una  superiore,  e l’altra  inferiore  appar- 
tenenti respetti vamen te  al  terreno  naturale  , e alla  linea  del  progetto  , cia- 
scuna delle  quali  può  essere  con  molta  approssimazione  ritenuta  quale  una 
superfìcie  gobba  di  tale  indole  da  essere  intersecata  da  qualunque  piano  ver- 
ticale parallelo  ai  piani  delle  due  sezioni  in  una  linea  retta.' 

E ciò  posto,  e qualora,  come  si  suppone,  la  posizione  delle  sezioni,  che 
accompagnano  il  progetto  sia  stata  , nell’atto  dei  rilievi  di  campagna,  avve- 
dutamente fissata  in  modo  da  non  trascurare  veruna  inflessione  del  terreno 
nel  senso  longitudinale,  la  forinola  che  dà  modo  di  valutare  il  volume  di  que- 
sto solido,  e colla  somma  di  tutti  i solidi  parziali,  è superfluo  il  dirlo,  il  vo- 
lume intiero  sia  di  sterro,  sia  di  riporto  che  verificasi  fra  le  ideate  due  se- 
zioni, è quella  che  ora  vado  qui  appresso  a ricordare. 

Espresse  con  le  lettere  a,  b,  c,  d le  misure  o lunghezze  dei  lati  verti- 
cali di  uno  qualunque  dei  nostri  solidi,  i primi  due  giacenti  nel  piano  di  una 
delle  sezioni,  il  terzo  e il  quarto  nel  piano  dell’altra  ; espressa  con  p la  di- 
stanza dei  due  lati  a,  b,  e con  q quella  dei  due  lati  c , d ; le  quali  misure 
a,  b,  c,  d,  p,  q sono  scritte,  e si  leggono  nelle  stesse  sezioni  ; e rappresen- 
tata con  l la  lunghezza  del  solido  , ossia  la  distanza  delle  due  sezioni  ; la 
quale  si  legge  sulla  orizzontale  del  profilo  di  livellazione  longitudinale  ; es- 
sendo V il  volume  cercato,  si  ha 

V _=rc  — £(2  p -+-  q)  (a  b) -+- {p  - 4-  2 q)  ( c H-  d) 

la  quale  formola  com’  è naturale  , si  riduce  anche  più  semplice  quando  le 
quantità  p , e q , ovvero  le  altre  a , b,  c,  d,  hanno  fra  loro  dei  rapporti  di 
eguaglianza,  o taluna  di  esse  è nulla. 

Ma  questo  metodo,  di  calcolo  , quale  applicato  a solidi  dell’  indole  so- 


— So- 


praccennata , ha  tutto  il  rigore  geometrico,  se  è valevole  pei  casi  in  cui  le 
sezioni  si  presentino  completamente  ambedue  o in  riporto,  o in  isterro,  il  che 
ordinariamente  verificasi  quando  si  tratta  di  progetti  che  riguardino  la  costruzio- 
ne di  arginature  nei  fiumi,  o l’apertura  di  nuovi  canali,  non  può  essere  applicato 
senza  qualche  modificazione  a quelli,  nei  quali  queste  condizioni  non  hanno 
luogo  come  non  di  rado  succede  nei  progetti  relativi  a lavorazioni  che  abbiano 
per  oggetto  la  costruzione  di  una  nuova  strada,  o la  correzione  di  una  qual- 
che strada  esistente. 

Dipendentemente  dalla  posizione  scambievole  delle  due  linee  , che  nel 
profilo  longitudinale  rappresentano  respettivamente  la  giacitura  del  ter- 
reno naturale  , e quella  della  linea  del  progetto  , sovente  avviene  che  due 
consecutive  sezioni  si  offrano  l’una  in  riporto,  e l’altra  in  isterro  ; ed  accade 
altresì,  ed  è molto  frequente  nei  progetti  di  strade,  che  o una,  o entrambe 
le  sezioni  si  presentino  parte  in  isterro,  e parte  in  riporto.  In  tali  circostanze 
è forza  assoggettarsi  nel  calcolo  a qualche  maggiore  dettaglio,  e sviluppo  di 
operazioni , e tutto  lo  studio  deve  riporsi  nell’  ideare  ed  applicare  un  modo 
di  soluzione,  che  assimilandosi  all’altro  teste  ricordato,  ed  emanando  per  così 
dire  da  quello,  sia  in  egual  tempo  il  più  semplice  possibile,  e capace  di  con- 
durre a risultati  non  meno  approssimativi. 

Il  metodo  che  mi  è sembrato  più  adatto  è quello  che  espongo  qui  ap- 
presso brevemente,  al  quale,  non  devo  tacerlo,  sono  stato  condotto  dappresso 
alcune  prime  idee  comunicatemi  sull’  oggetto  dal  chiaro  Sig.  Gav.  Vincenzo 
Glori  ingegnere  direttore  dei  lavori  delle  strade  provinciali  percorrenti  il  ter- 
ritorio di  questa  delegazione  di  Roma. 

Distinguo  i tré  casi  seguenti. 

1. °  Le  due  sezioni  siano  una  per  intiero  in  taglio  , ossia  in  isterro  , e 
l’altra  per  intiero  in  riporto,  o in  rilevato. 

2. °  Una  delle  due  sezioni  si  offra  parte  in  isterro  e parte  in  riporto  , 
l’altra  sia  interamente  in  riporto,  o in  isterro. 

3. °  Tanto  Luna,  quanto  T altra  sezione  offrasi  parte  in  taglio  , e parte 
in  rilevato. 

I.°  CASO 

Le  due  sezioni  siano  una  in  taglio , e V altra  in  riporto. 

Esprimo  con  A e B le  due  sezioni  e suppongo  che  la  A sia  in  isterro, 
e la  B in  riporto. 


- 31  — 


È da  immaginarsi  anche  in  questo  caso,  come  ritiene  l’applicazione  della 
foratola  (m)  lo  spazio  intercetto  alle  due  sezioni  scompartito  in  differenti  so- 
lidi mediante  piani  verticali  paralleli  fra  loro  e normali  a quelli  delle  sezioni 
medesime  ; i quali  debbono  essere  tanti  quanti  ne  sono  richiesti  dai  cambia- 
menti di  giacitura  che  si  offrono  nelle  sezioni  rispetto,  e il  terreno  naturale 
e la  linea  del  progetto  ; tenendo  cioè  calcolo  di  tutti  i punti  d’ inflessione  che 
si  succedono  l’uno  all’altro  nelle  linee  stesse. 

Meglio  che  a parole  spiega  il  concetto  la  Tavola  \.a  nella  quale  le  due 
sezioni  A e B si  suppongono  appartenere  alla  serie  di  quelle  che  accompa- 
gnano un  progetto  per  la  nuova  apertura  di  una  strada.  Condotti  i piani  ver- 
ticali rappresentati  nelle  loro  projezioni  icnografiche  dalle  rette  p , p ',  p"  ...  ; 
col  mezzo  dei  triangoli  simili,  e di  una  formola  semplicissima  si  determinano 
le  projezioni  o,  o',  o"  . . . dei  punti  , in  cui  nei  piani  medesimi  avviene  che 
si  intersechino  le  due  rette  che  nel  senso  longitudinale  costituiscono  i profili 
del  terreno  naturale,  e dell’asse  della  strada;  e quindi  congiungendo  i punti 
o,  o',  o"  . . con  linee  rette  si  ottiene  in  pianta  il  complesso  delle  linee 

congiunte  ad  angolo,  in  cui  nella  ampiezza  delle  sezioni , o meglio  fra  i li- 
miti assegnati  all’ampiezza  della  nuova  strada,  si  passa  dallo  sterro  al  riporto, 
e viceversa. 

La  formola  accennata  è,  come  è noto,  la  seguente. 


CL  — t—  C 


nella  quale  X è la  distanza  cercata,  che  passa  fra  uno  qualunque  dei  punti 
o,  o',  o"  ...  , per  esempio  del  punto  o'  da  una  delle  due  sezioni,  per  fissare 
le  idee  dalla  sezione  A ; a la  differenza  che  passa  fra  le  altezze  sulla  comune 
orizzontale,  e del  terreno  naturale,  e della  nuova  linea  ; differenza  che  leg- 
gesi  a lato  della  retta  d’ intersezione  del  piano  p col  piano  della  sezione  A ; c 
la  differenza  simile,  che  corrisponde  alla  sezione  B,  e l la  distanza  delle  due 
sezioni  A e B : quali  misure  si  hanno  nei  numeri  che  veggonsi  scritti  nelle 
sezioni  medesime  tranne  l’ultima  , che  si  ottiene,  come  ho  già  detto  , dal 
profilo  di  livellazione  longitudinale,  e che  ho  notato  nella  stessa  tavola  I.“  di 
lato  alle  sezioni. 

Determinalo  così  il  contorno  o,  o',  o"  . . . non  si  avrà  se  non  che  a con- 
giungere i suoi  punti  estremi,  che  nel  caso  della  nostra  figura  sono  i punti 
o,  oIV , con  quelli  che  rappresentano  nel  piano  icnografico  i punti,  ove  nei 


— 32  — 


piani  delle  sezioni  ha  termine  a destra  , e a sinistra  il  lavoro , e la  di  cui 
posizione  per  essere  determinata  non  richiede  operazioni  di  calcolo  ; cioè  non 
resterà  che  a congiungere  il  punto  o coi  punti  r,  r",  e il  punto  otv  coi  punti 
r'"f  r'  con  linee  rette  per  avere  in  pianta  l’ intiero  contorno  dello  sterro  , e 
l’intiero  contorno  del  riporto  da  effettuarsi. 

Di  qui  è chiaro,  che  i solidi  estremi  si  riducono  a quattro  piramidi  di 
base  triangolare,  di  cui  si  hanno  tutti  i dati  per  calcolarne  il  volume.  Indi- 
cando infatti  con  p la  distanza  delle  due  ordinate  fra  le  quali  è la  base  della 
piramide,  e che  può  aversi  per  l’altezza  del  triangolo,  con  a il  lato  verticale 
di  questa  base,  e con  V’  il  volume  cercato  sarà 


e sostituendo  ad  X il  suo  valore , e riducendo  si  avrà 

a -+~  c 

yi  = VaH 

6(a  -4—  c) 

ove  c esprime  il  lato  omologo  ad  a,  che  leggesi  nell’altra  sezione. 

In  quanto  poi  ai  solidi  intermedj,  ciascuno  di  questi,  come  è pur  chiaro, 
è della  stessa  indole  di  quello,  a cui  si  applica  la  forinola  (m)  ; con  avver- 
tenza però  che  nel  caso  presente  le  basi  del  solido,  anziché  insistere  ai  piani 
delle  sezioni,  si  figurano  inerenti  ai  piani  verticali  condotti  da  una  sezione  al- 
l’altra ; e la  lunghezza  del  solido  non  è data  dalla  distanza  delle  due  sezioni  ; 
ma  sibbene  da  quella  dei  due  piani  verticali,  che  limitano  lateralmente  que- 
sto solido. 

Ecco  la  formola  che  si  applica  alla  determinazione  del  Volume  di  questi 
solidi 

ove  a,  e b hanno  lo  stesso  significato  che  nella  formola  (m)  ; p',  e q1  espri- 
mono le  distanze  respettive  dei  due  frà  i punti  o,  o'  o"  ...  , che  apparten- 
gono al  solido  che  si  considera,  dalla  sezione  da  cui  questo  ha  origine  ; ed 


K) 


— 83  — 


V la  distanza  delle  due  ordinate,  nelle  quali  si  leggono  le  altezze  a,  e b ; o 
in  altri  termini  quella  dei  detti  due  piani  verticali  racchiudenti  il  solido. 

Ma  poiché 

, al  b l 

^ a -+-  c ’ ^ b d 

sarà,  sostituendo,  e riducendo 


l'  X l { a (2ct  — (—  6)  b [a  -+-  26)  'i 

12  a -+-  c b — 1~  d j 


formola  che  presenta  il  vantaggio  di  dispensare  nella  pratica  dal  determinare 
la  posizione  dei  punti  o,  o',  o"  . . . , non  includendo  se  non  che  elementi, 
quali  si  hanno  immediatamente  dalle  sezioni,  e dal  profilo  longitudinale  del- 
l’opera proposta. 

Calcolati  in  questo  modo  tutti  i volumi  parziali,  si  avrà,  nel  loro  com- 
plesso il  volume  totale  dello  sterro,  terminato  in  uno  de’  suoi  estremi  dal- 
l’area che  si  presenta  in  taglio  nella  sezione  A,  e nell’altro  dalla  linea  che  si 
projetta  sul  piano  orizzontale  uella  spezzata  o,  o\  o",  o'",  olv;  come  altresì  si 
avrà  il  totale  solido  di  riporto  terminato  da  questa  medesima  linea,  e dall’area 
che  offresi  in  rilevato  nella  sezione  B. 

* 2.°  CASO 

Una  delle  sezioni  sia  parte  in  isterro , e parte  in  riporlo : Valtra  interamente 
in  riporto , o in  isterro. 

Questo  caso  può  trattarsi  come  il  precedente.  La  divisione  dello  spazio 
interposto  alle  due  sezioni  col  mezzo  di  piani  verticali  condotti  colle  norme 
poco  anzi  stabilite,  porta  ad  avere  dei  solidi  parziali  interamente  in  riporto, 
o in  isterro  che  si  estendono  a tutta  la  distanza  che  separa  le  due  sezioni , 
come  altresì  dei  solidi  che  , intorno  una  linea  di  demarcazione  intermedia 
alle  sezioni  stesse  , si  offrono  , da  un  lato  di  questa  linea  sino  ad  una  delle 
sezioni,  intieramente  in  riporto,  e dall’altro  lato  sino  all’altra  sezione  intiera- 
mente in  isterro  ; per  la  misura  de’  quali  solidi  tutti  vale  l’applicazione  delle 

5 


— 34-  — 


stesse  formole  precedenti.  Un’esempio  ne  è dato  dalle  sezioni  C e D della  Ta- 
vola IJX,  ove  la  prima  è parte  in  isterro,  e parte  in  riporto , la  seconda 
tutta  in  riporto.  Per  tutti  i solidi  di  sterro  che  si  projettano  nell’area  r oo' 
o"  r'  r ; e così  pure  pei  solidi  di  riporto  che  si  projettono  in  r'  o"  o'  r"  r"'  r' 
vale  l’ultima  formola  (m"),  eccetto  i solidi  piramidali  laterali,  ai  quali  è ap- 
plicabile la  formola  (m').  Pei  solidi  poi  in  riporto  projettati  in  r'  r'"  rIV  rv  r' 
si  avrà  ricorso  alla  formola  (m). 

3.°  CASO 

Tanto  luna  quanto  l’altra  seziono  offrasi  parte  in  taglio , e parte  in  riporto. 

Questo  terzo  caso  si  suddivide  in  due  ; giacché  o la  parte  in  isterro  deila 
prima  sezione  avrà  nella  seconda  di  fronte  egualmente  uno  sterro,  e altret- 
tanto dicasi  del  riporto  ; o accaderà,  per  invertersi  della  pendenza  trasversale 
del  suolo,  l’opposto. 

La  medesima  scompartizione  con  piani  verticali  in  solidi  parziali  porterà 
a servirsi  delle  formole  (m)  e (m")  noi  primo  di  questi  due  casi  secondar] 
quale  si  rappresenta  nella  tavola  IIP  Sezioni  E,  e F ; e delle  formole  ( m ) , 
(m')t  e (m")  nel  secondo  che  viene  dato  dalla  tavola  lVa  sezioni  G,  ed  H. 
Nella  tavola  IIP  il  solido  projettato  in  pianta  nella  figura  r r'  r"  r'"  r è tutto 
in  riporto,  l’altro  rappresentato  in  r"  r'"  rIV  rv  r"  è tutto  in  isterro.  Nella  ta- 
vola IV*  il  solido  rappresentato  in  r'  o'  o rv  rlv  o"  r"  r'  è in  isterro  ; i due  so- 
lidi rappresentati  in  riV  o"  r"1  riv,  e r o o1  r'  r sono  in  riporto.  Calcolati  i vo- 
lumi dei  solidi  parziali  coll’applicazione  delle  prefate  formole  , e quindi  fatta 
la  somma  dei  volumi  della  stessa  specie,  si  giungerà  anche  in  questi  casi  a 
trovare  il  volume  complessivo  dello  sterro,  e quello  del  riporto  da  aver  luogo 
fra  le  immaginate  due  sezioni. 

Tale  è dunque  il  metodo  che  nei  differenti  casi  sopra  considerati  do- 
vrebbe essere  seguito  nel  calcolo  dei  movimenti  di  terra,  onde  ottenere  tutta 
quella  approssimazione  che  può  esser  desiderata  , sostituendolo  alle  pratiche 
ricordate  in  principio,  le  quali  , se  da  un  canto  abbreviano  le  operazioni  di 
calcolo,  non  lasciano  dall’altro  di  condurre  immancabilmente  a risultati  erronei, 
e in  taluni  casi  molto  lontani  dalla  realtà. 

Non  voglio  già  pretendere  che  il  processo  esposto  , e le  formole  anali- 
tiche che  ne  ho  dedotto  ; siano  applicabili  convenientemente  qualunque  siano 


— 35  — 


le  circostanze  del  terreno  ; poiché  se  si  trattasse  di  un  terreno  molto  acci- 
dentato, per  cui  le  sezioni  avessero  a frastagliarsi  in  un  numero  considere- 
vole di  figure  parziali  in  vario  modo  disposte  , e combinate  , il  metodo  po- 
trebbe riescire  imbarazzante,  quantunque  sempre  adottabile  ; ma  nei  casi  or- 
dinarj  della  pratica  il  rilievo  del  terreno  porterà  ad  avere  delle  sezioni,  die 
nei  loro  dettagli,  e nella  loro  forma  non  si  discosteranno  guari  da  quelle  che 
accompagnano  questo  scritto  ; per  cui  nelle  più  comuni  occorrenze  della  pra- 
, tica  gioverà  avere  presente  il  metodo  esposto  per  valersene  a preferenza  di 
altri  che  sono  ben  Inngi  dal  poter  vantare  il  medesimo  rigore. 

Per  applicare  le  formole  a qualche  esempio  mi  valgo  delle  tavole  citate, 
e delle  misure  ipotetiche  che  leggonsi  nelle  sezioni  ivi  disegnate,  e presento 
nei  quattro  prospetti  che  seguono  i risultati  del  calcolo. 

Ad  evitare  un’  inutile  moltiplicazione  di  numeri  mi  sono  dispensato  dal 
notare  di  lato  alle  ordinate  delle  sezioni  le  altezze  sulla  orizzontale  dei  punti 
del  terreno,  e della  linea  alla  quale  si  suppone  debba  questo  ridursi , essen- 
domi limitato  a marcare  immediatamente  luogo  a luogo  l’altezza  del  riporto, 
o la  profondità  dello  sterro,  sole  misure  nel  senso  verticale  che  occorrono  per 
le  applicazioni  numeriche. 

Ho  aggiunto  nei  prospetli  i risultati,  ai  quali  avrebbe  condotto  1’  appli- 
cazione ai  casi  supposti  del  metodo  empirico  detto  delle  sezioni  ragguagliate, 
che  è quello  che  generalmente  si  adopera  nella  pratica;  dal  confronto  dei  quali 
risultati  con  quelli  ottenuti  col  metodo  rigoroso  si  fà  palese  a quali  enormi 
differenze,  dal  trascurare  questo  metodo,  possono,  in  talune  circostanze  , es- 
sere condotti  gli  ingegneri  nelle  loro  valutazioni  relative  ai  grandi  movimenti 
di  terra. 


■ 

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' 


— 37  — 

PROSPETTO  DIMOSTRANTE 


le  quantità  dei  movimenti  di  terra  compresi  fra  le  sezioni  A e B. 

Tavola  1 . 


— 38  — 


Richiamo 

Numeri 

Richiamo 

DIMENSIONI 

VOLUMI 

delle 

indicanti 

delle 

Sezioni 

i solidi 
parziali 

formole 

Metri  lineari 

di  sterro 
Met.  Cubi 

di  riporto 
Met.  Cubi 

Riporto  M.  C. 

68,  825 

» 

a = 2,  80 

, b — 2,  80 

A 

4 

m" 

c = 1,  95  ! 

d = 2,  40 
l = 22,  35 
V = I,  95 

\ 34,  408 

» 

a = 2,  80 
b — 3,  15 

» 

5 

m"  { 

c = 2,  40  1 

j d = 2,  50 
l =22,  35 
V — 2,  05 

) 37,  356 

)) 

p = 3,  29 

» 

6 

m'  i 

j a—  3,  15  | 

lr  c=  2,  50  | 

21,  523 

» 

* 

/=  22,  35  ] 

p=  2,  42  | 

B 

7 

m'  < 

a=  2,  00  / 

c=  2,  15  r 

Z = 22,  35  ] 

» 

8,  689 

Da  riportarsi  M.  Cubi 

162,  112 

8,  689 

I 


Richiamo 

delle 

Sezioni 


B 


» 


Numeri 

Richiamo 

indicanti 

delle 

i solidi 

parziali 

formole 

8 

m"  | 

DIMENSIONI 


VOLUMI 


Metri  lineari 


di  sterro 
Met.  Cub. 


di  riporto 
Met.  Cub. 


Riporto  M.  Cubi 


162, 112 


8,  689 


a = 

2, 

00 

b = 

I, 

98 

c — 

2, 

15 

d = 

2, 

30 

l = 

22, 

35 

l'  = 

1, 

20 

a = 

i, 

98 

6 = 

i, 

95 

c = 

2, 

30 

d = 

2, 

80 

l = 

22, 

35 

r== 

2, 

80 

a = 

1, 

95 

b = 

2, 

40 

c = 

2, 

80 

d = 

2, 

80 

l = 

22, 

35 

V = 

1, 

95 

12,  602 


26,  847 


20,  705 


Da  riportarsi  M.  C.  162,  112 


68,  843 


Richiamo 

delle 

Sezioni 


B 


Numeri 
indicanti 
i solidi 
parziali 


11 


12 


Richiamo 

delle 

forinole 


m 


m 


DIMENSIONI 


Metri  lineari 


Riporto  M.  C. 

a — 2,  40 
b = 2,  50 
c — 2,  80 
d = 3,  15 
l = 22,  35 
1'  = 2,  05 


V 

a 

c 

l : 


4,  05 

2,  50 

3,  15 
22,  35 


Totali  Metri  Cubi 


Quando  alle  Sezioni  A e B si  fosse  applicato 
il  metodo  delle  sezioni  ragguagliate  si  avreb- 
bero avuti  i risultati  seguenti. 

M.  Cubi 


VOLUMI 


d Ts  terrò 
Met.  Cubi 


162,  112 


162, 112 


Sterro 
188,  555 


di  riporto 
Met.  Cub. 


68,  843 


25,  364 


16,  688 


HO,  895 


Riporto 
113,  088 


— . 41 


PROSPETTO  DIMOSTRANTE 

le  quantità  dei  movimenti  di  terra  compresi  fra  le  sezioni  C e D 

Tavola  2. 


Richiamo 

delle 

Sezioni 

Numeri 
indicanti 
i solidi 
parziali 

Richiamo 

delle 

forinole 

DIMENSIONI 
Metri  Lineari 

I 

P = 

2, 

30 

a — 

1, 

90 

C 

1. 

m'  { 

c = 

1» 

65 

l = 

24, 

80 

a = 

u 

90 

b = 

1, 

30 

| c = 

1, 

65 

» 

2. 

in" 

\ d=== 

I, 

30 

1 l = 

24, 

80 

V = 

I, 

90 

( a — 

1, 

30 

, b 

o, 

55 

C = 

1, 

30 

» 

3. 

m" 

\ d = 

1, 

60 

l = 

24, 

80 

V = 

2, 

10 

Da  riportarsi 

M.'C 

V O L 

U M 1 

di  sterro 
Met.  Cub. 

di  riporto 
Met.  Cub. 

I 9,  CC7 

» 

I 19,  351 

» 

j 9,  590 

» 

38,  718 

6 


Richiamo 

delle 

Sezioni 


C 


C-D 


Numeri 

Richiamo 

DIMENSIONI 

VOLUMI 

indicanti 

delle 

formule 

i solidi 
parziali 

Metri  lineari 

di  sterro 
Met.  Cubi 

di  riporlo 
Met.  Cubi 

Riporto  M.  C. 

38,  718 

» 

» 

o 

r\ 

il 

II 

SU, 

4 

m' 

( 

a — 0,  55  1 

c = 1,  60  ì 

l = U,  80  > 

0,  698 

)> 

p = 1,65 
q—  1,  6q 

| a = 0,  00  j 

J 

5 - 12 

m 

' b=-  0,  80 

] c = 1,55  1 

\ » 

38,  874 

f d — 1,45 
l = 24,  80 

=g=  1,  15 
I a = 0,  80 

co 

1 

m 

J b=  1,  10 

] c ==  1,  45 
/ 1,  35 

[ l = 24,  80 

/ w 

33,  511 

Da  riportarsi  M.  Cubi  39,  416 

72,  38  5 

— 43 


Richiamo 

Numeri  1 Richiamo 

DIMENSIONI 

V O L 

U M I 

delle 

indicami  de„e 

— - — — - 

i solidi 

di  sterro 

di  riporto 

Sezioni 

. formole 

parziali 

Metri  lineari 

Met.  Cub. 

Met.  Cab. 

C-D 


D 


7-14 


m 


m 


m 


Riporto  M.  Cubi 

p = 2,  54 
q = 1,  18 

a — 1,10 
b = ■ 0,  00 
c = 1,  35 
d = 0,  00 
l =24,  80 


p = 2,13 
a — 1,  65 
c = 1,  90 
Z=  24,  80 


a = 1,  65 
b=  1,  30 
c = 1,  90 
d—  1,  30 
l = 24,  80 
Z'=  1,  90 


39,  416 


Da  riportarsi  M.  C.  89,  416 


72,  385 


27,  902 


6,  752 


16,  739 


123,  778 


Richiamo 

Numeri 

Richiamo 

DIMENSIONI 

VOLI]  M I 

delle 

Sezioni 

indicanti 

delle 

formole 

i solidi 
parziali 

Metri  lineari 

di  sterro 
Met.  Cubi 

di  riporto 
Met.  Cub. 

Riporto  M.  C. 

39,416 

123,  778 

a = 1,  80 
i 6 = 1,  60  j 

D 

10 

m" 

1 c = 1,  30  \ 

\ d=  0,  55 

1 l = 24,  80  | 

V—  2,  10 

► » 

23,  649 

a = 1,  60 

1 b=  1,  55 

» 

11 

m" 

c = 0,  55 

| d=  0,  00 

! 1 — 24,  80 

L l'=  1,  20 

■ » 

20,  423 

Totali  Metri  Cubi 

39,  416 

167,  850 

• 

Applicando  il  metodo  delle  sezioni  ragguagliate 
i risultati  sono  i seguenti. 

M.  Cubi 

■ ' 1 

Sterro 
23,  765 

Riporto 
229,  698 

— 45 


PROSPETTO  DIMOSTRANTE 


le  quantità  dei  movimenti  di  terra  compresi  fra  le  sezioni  E e F 

Tavola  3. 


Richiamo 

Numeri 

Richiamo 

DIMENSIONI 

V O L 

U M I 

delle 

Sezioni 

indicanti 

delle 

formole 

i solidi 
parziali 

Metri  Lineari 

di  sterro 
Met.  Cub. 

di  riporto 
Met.  Cub. 

p = 1,  62  v 

q=  1,  42 
1 a=  0,  00 

E - F 

1 - IO 

m 

) b=  0,  82  ( 

I c — 0,  00  f 

d=  0,  85 
l = 22,  80 

» 

14,  4 63 

p = q—  1,70 

a=  0,  82 

» 

2-11 

in  { 

6=1,  09 
, c = 0,  85 
d=  1,  87 
J = 22,  80 

} » 

44,  865 

p = q = 1 , 05 

1 a = 1 , 09 

! 

» 

3-  12 

m 

6 = 0,  55 
c = 1,  87 
d=  i,  80 

i » 

31,  780 

l = 22,  80 

j 

Da  riportarsi  M.‘  C.£ 

)> 

91,  108  1 

* 


Richiamo 

Numeri 

Richiamo 

DIMENSIONI 

VOLUMI 

delle 

Sezioni 

indicanti 

delle 

formole 

i solidi 
parziali 

Metri  lineari 

di  sterro 
Met.  Cubi 

di  riporto 
Met.  Cubi 

Riporto  M.  C. 

» 

91,  108 

( 

p = q = 2,  95 
a = 0,  55 

E-F 

4 

m' 

| b = 0,  00 

! c = 1,  80 

| d = 0,  60 

^ l = 22,  80 

1 » 

49,  604 

a=  0,  00 
4 6=  0,  19  ; 

E 

5 

m"  < 

/ c = 0,  60  ‘ 

\ d=  0,  00 

f l = 22,  80 

v 0,  650 

» 

l'=  0,  90 

a — 0,60 

F 

14 

m" 

' 

b = 0,  00 

c = 0,  00 

| d = 0,  19  / 

l = 22,  80  \ 

r=  0,  90 

) » 

2,  052 

Da  riportarsi  M.  Cubi  0,  650 

142,  764 

47  — 


Richiamo 

delle 

Sezioni 


E-F 


» 


Numeri 
indicanti 
i solidi 
parziali 

Richiamo 

delle 

forinole 

DIMENSIONI 
Metri  lineari 

V 0 L 

di  sterro 
Met.  Cub. 

EMI 

di  riporto 
Met.  Cub. 

Riporto  M.  Cubi 

0,  650 

142,  764 

( 

rs 

il 

o*< 

11 

45 

\ a — 0 

19 

b = 0, 

■50  1 

6 - 1 o 

m 

{ 14,  960 

» 

\ c = 0, 

00 

1 d ~ ì, 

12 

l = 22, 

80 

li 

i-C5 

II 

o 

75 

\ a — 0, 

50  I 

/ 6=  1, 

14  \ 

7-16 

m 

19,  066 

» 

\ c — 1, 

Ì2  ( 

1 d = 1, 

70  | 

l = 22, 

80 

! p = q = 0, 

90 

l a — 1 , 

14 

, 

] 6=1, 

90 

8-17 

m 

( c •—  1 , 

70 

33,  550 

» 

d=  1, 

80 

« = 22, 

80 

Da  riportarsi  M.  G.  08,  22  6 

142,  7 64 

— 48  — 


Richiamo 

Numeri 

Richiamo 

DIMENSIONI 

delle 

indicanti 

delle 

i solidi 

Sezioni 

parziali 

formole 

Metri  lineari 

E - F 


9-28 


VO  L 

U M I 

di  sterro 

di  riporto 

Met.  Cubi 

Met.  Cub. 

68,  226 

142,  764 

1 


m 


V 

< ì 
a 

b 

c 

d 

l 


: 2,  71 
. 2,  01 
: 1,  90 
0,  00 
1,  80 
0,  00 
22,  80 


Totali  Metri  Cubi 


Applicando  il  metodo  delle  sezioni  ragguagliate 
si  hanno  i seguenti  risultati, 

M.  Cubi 


49,  839 


118,  065 


Sterro 


142,  764 


Riporto 


118,  503  143,  754 


— 49 


PROSPETTO  DIMOSTRANTE 


le  quantità  dei  movimenti  di  terra  compresi  fra  le  sezioni  G*,  e H 

Tavola  4. 


Richiamo 

Numeri 

Richiamo 

DIMENSIONI 

V O L 

U M I 

delie 

indicanti 

delle 

i solidi 

di  sterro 

di  riporto 

Sezioni 

parziali 

formole 

Metri  Lineari 

Met.  Cub. 

Met.  Cub. 

p = I» 

47 

a = I , 

40 

G 

1 

m'  ^ 

3,  907 

» 

^ c = 1 , 

55  ( 

Z = 24, 

00 

a = I, 

40 

& = 0, 

97 

c = 1, 

55  1 

)> 

2 

m"  \ 

d — 0, 

75 

13,  957 

)) 

l — 24, 

00 

1, 

90 

a — 0, 

97 

6=0, 

72 

)> 

3 

m"  1 

c = 0, 

75  | 

8,  797 

» 

d = 0, 

00  j 

l = 24, 

00 

l = I, 

125 

■'i 

Da  riportarsi  M.‘  C.‘ 

26,  6G1 

» 

7 


51 


Richiamo 

delle 

Sezioni 


H 


Numeri 
indicanti 
i solidi 
parziali 


11 


15 


16 


Richiamo 

delle 

formole 


m 


m 


m 


DIMENSIONI 


Metri  lineari 


Riporto  M.  C. 


a = 

o, 

75 

b = 

o, 

00 

c = 

0, 

97 

d = 

0, 

72 

l = 

24, 

00 

V = 

1, 

125 

a = 

o, 

76 

b = 

0, 

92 

c = 

0, 

00 

d = 

I, 

20 

l = 

24, 

00 

r = 

2, 

32 

F = 

o. 

99 

a — 

o, 

92 

c = 

I, 

20 

l = 

24, 

00 

Totali  Metri  Cubi 

Applicando  il  metodo  delle  sezioni  ragguagliate 
si  hanno  i seguenti  risultati. 

M.  Cubi 


VOLUMI 


di  sterro 
Met.  Cubi 

di  riporto 
Met.  Cub. 

57,  778 

33,  538 

! ^ 

1,  471 

! 16,  85S 

» 

| 1,  581 

» 

75,  914 

35,  009 

Sterro 
110,  712 

Riporto 
88,  05Ì 

Osservazioni  spettroscopiche  del  bordo  e delle  protuberanze  solari . 

Nota  I.  del  Prof.  Lorenzo  Respighi. 

Dopo  che  nell’eclisse  totale  di  sole  dell’Agosto  1868  si  era  trovato,  che 
la  luce  dell’estremo  bordo  solare  era,  se  non  monocromatica,  composta  però  di 
poche  qualità  di  raggi  di  ben  distinte  e differenti  refrangibilità,  in  modo  che 
nello  spettro  essa  mantenevasi  compatta  e condensata  in  poche  e lucidissime 
righe;  e che  inoltre  alcuni  di  questi  raggi  mancavano  totalmente  nella  luce 
solare  , corrispondendo  nello  spettro  di  questa  alle  righe  lucide  delle  pro  - 
tuberanze e del  bordo  del  sole  delle  righe  nere,  si  poteva  già  ritenere  riso- 
luto il  problema  relativo  alla  visibilità  delle  protuberanze  stesse,  anche  fuori 
delle  rare  circostanze  degli  eclissi  totali  di  sole. 

E fin  d’allora  si  presentava  nello  spettroscopio  un  mezzo  efficacissimo 
per  eclissare  artificialmente  il  sole  , togliendo  colla  dispersione  quel  forte 
contrasto  di  splendore,  col  quale  la  luce  diretta  e riflessa  del  disco  solare 
sottrae  alla  nostra  vista  le  deboli  immagini  delle  protuberanze. 

Di  ciò  si  avvide  per  primo  il  distintissimo  fisico  francese  Sig.  Janssen; 
e nel  giorno  successivo  a quello  dell’eclisse  riuscì  a vedere  sullo  spettro  della 
luce  circumsolare  le  traccie  ben  marcate  delle  protuberanze  osservate  du- 
rante l’eclisse  stesso  ; assicurandosi  così  della  possibilità  di  far  penetrare  il 
nostro  sguardo  attraverso  gli  abbaglianti  raggi  del  sole  per  discernere  questi 
singolari  oggetti*,  malgrado  la  relativa  debolezza  della  loro  luce. 

Disponendo  la  fessura  dello  spettroscopio  tangenzialmente  all’  estremo 
bordo  dell’  immagine  solare,,  ottenuta  per  mezzo  di  un  buon  obbiettivo,  e 
restringendo  la  fenditura  stessa  in  modo  da  rendere  lo  spettro  solare  tolle- 
rabile all’occhio,  sì  veggono  tosto  spiccare  su  questo  alcune  righe  lucide  tras- 
versali, fra  le  quali  una  rossa  marcatissima  al  posto  preciso  della  riga  nera 
C dell’  idrogeno. 

Allontanando  allora  dolcemente  la  fessura  dal  bordo  solare,  ben  presto 
la  riga  rossa  ordinariamente  sparisce,  trasformandosi  nella  detta  riga  nera  C. 
Osservando  però  attentemente  la  riga  stessa  nell’atto  di  questa  trasforma- 
zione, si  trova  che  generalmente  essa  assume  l’aspetto  di  una  linea  discontinua  a 
tratti  rossi  e neri,  più  o meno  lunghi,  e più  o meno  irregolarmente  distribuiti;  e 
talora  si  trova,  che  alcuni  di  questi  tratti  lucidi  si  mantengono  ben  marcati 


anche  nei  successivi  allontanamenti  della  fessura  dal  bordo,  presentando  però 
successivamente  lunghezze  differenti,  e variale  interruzioni  o spezzamenti. 

La  riga  rossa  continua  altro  non  è che  la  sezione  fatta  dalla  fessura 
sull’immagine  dello  strato  rosato,  che  inviluppa  tutto  il  corpo  solare;  i tratti 
lucidi,  che  appariscono  allo  sparire  di  questa,  altro  non  sono  che  le  parti  più 
elevate  o sommità  di  quello  strato,  ordinariamente  ondulato  o frastagliato 
nella  sua  estremità;  e finalmente  i tratti  lucidi,  che  in  alcune  parti  del  bordo 
solare  persistono  anche  ad  altezze  più  o meno  notevoli  al  disopra  della  su- 
perficie generale  di  livello  dello  strato  rosato,  altro  non  sono  che  le  succes- 
sive sezioni  fatte  dalla  fessura  sull’immagine  delle  protuberanze. 

Ciò  posto,  facilmente  si  vede,  come  allontanando  misuratamente  la  fes- 
sura dello  spettroscopio  dai  bordo  solare,  si  potrà  rilevare  una  serie  successiva 
di  sezioni  sull’immagine  dello  strato  rosato  e delle  protuberanze,  le  quali  de- 
stramente combinate  potranno  dare  1’  estensione  e la  forma  di  quello  e di 
queste. 

Con  tale  processo  però  , se  può  constatarsi  nelle  varie  parti  del  bordo 
solare  la  presenza  delle  protuberanze,  e rilevarne  in  qualche  modo  anche  la 
forma  e le  dimensioni,  pure  ciò  si  ottiene  con  grande  pena  e perditempo,  e 
solamente  in  modo  troppo  grossolanamente  approssimativo,  e non  mai  in 
modo  da  ricavare  un  disegno  dettagliato  e preciso  delle  protuberanze  stesse, 
in  causa  principalmente  delle  variatissime  e capricciose  forme,  che  ordinaria- 
mente presentano  questi  singolari  oggetti. 

Restava  perciò  tuttora  il  desiderio  e la  necessità  di  trovare  un  modo 
più  spedito  e più  sicuro  per  ottenere  questi  rilievi,  quello  cioè  di  poter  os- 
servare d’un  solo  colpo  d’  ocehio,  o l’intera  immagine  della  protuberanza,  od 
almeno  una  larga  sezione  della  medesima:  e ciò  era  manifestamente  e diret- 
temente  indicato  dalla  teoria,  senza  il  bisogno  di  ulteriori  scoperte. 

Allargando  la  fessura  dello  spettroscopio  evidentemente  si  poteva  ottenere 
l'intento  di  abbracciare,  o tutta  l’immagine  della  protuberanza,  od  una  grande 
sezione  della  medesima  ; e la  teoria  ci  mostrava  che  anche  in  tale  caso  , 
in  forza  della  omogeneità  della  luce  di  questa,  la  sua  forma  e il  suo  splendore 
doveva  rimanere  inalterato.  Soltanto  essa  ci  avvertiva  del  grave  ostacolo,  che 
in  questo  processo  alla  visione  di  quelle  immagini  veniva  opposto  dal  vivo 
contrasto  dello  splendore  del  campo  su  cui  venivano  projettate  , e cioè  per 
l’aumentata  luce  dello  spettro  solare,  e per  la  diffusione  dei  colori  limitrofi 
alla  linea  C sulla  zona  occupata  dalle  immagini  stesse. 


35 


A vincere,  od  a scemare  questo  inconveniente  veniva  però  suggerito  un 
opportuno  rimedio;  quello  cioè  di  armare  rocchio  di  un  vetro  offuscante,  spe- 
cialmente e principalmente  diafano  per  la  luce  corrispondente  alla  riga  C 
dello  spettro.  Ma  la  teoria  non  poteva  precisare  i limiti  entro  i quali  po- 
teva allargarsi  la  fessura  dello  spettroscopio,  senza  danno  della  distinta  visione 
della  protuberanza:  e non  poteva  perciò  stabilii  e a priori  il  vantaggio  repe- 
ribile da  questo  processo  ; dipendendo  ciò  da  elementi  non  soggetti  a cal- 
colo, e specialmente  dalla  qualità  dello  strumento  e dalle  condizioni  ottiche 
dell’  osservatore. 

Era  perciò  riservata  all’  esperienza  la  soluzione  di  questo  problema,  di 
mostrare  cioè,  se  allargando  la  fessura  dello  spettroscopio  fino  a comprendere  in 
essa  le  totali  immagini  delle  protuberanze,  il  loro  splendore  rimaneva  abba- 
stanza campeggiarne  sul  fondo  illuminato  dalia  luce  diffusa,  per  essere  con- 
venientemente percepite  ed  osservate  col  soccorso  di  un  vetro  rosso,  diafano 
principalmente  per  la  luce  della  riga  C dell’  idrogeno. 

Non  appena  giunse  a noi  la  notizia  della  scoperta  di  Janssen,  relativa 
agli  spettri  delle  protuberanze  , mi  occupai  tosto  della  soluzione  di  questo 
problema;  ma  in  causa  della  debolezza  ed  imperfezione  del  piccolo  spettro- 
scopio tascabile,  di  cui  solo  poteva  disporre,  le  mie  ricerche  riescirono  pres- 
soché infruttuose  ; e tali  pure  riuscirono  varii  altri  artifìci  che  io  usai  per 
rendere  visibili  le  protuberanze,  e dei  quali  ometto  per  ora  di  parlare  per 
amore  di  brevità. 

Non  intendo  però  con  questa  dichiarazione  di  rivendicarmi  una  inven- 
zione a danno  di  coloro  che  dichiararono  in  seguito  di  avere  tentato  , con 
successi  più  o meno  felici,  queste  prove;  poiché  non  sembrami  che  vi  abbia 
merito  di  invenzione  in  quelle  cose,  che  direttamente  e necessariamente  sono 
dalla  scienza  suggerite.  Intendo  soltanto  di  mostrare,  che  già  da  molto  tempo 
mi  occupava  di  queste  ricerche,  e che  perciò  le  mie  fatiche  meritavano  una 
qualche  soddisfazione,  un  qualche  compenso. 

Mentre  il  celebre  speltroscopista  inglese  Huggins,  e quasi  contemporanea- 
mente a lui  alcuni  altri  fisici  ed  astronomi,  fra  i quali  anche  il  nostro  illustre  Col- 
lega Prof.  Secchi,  si  occupavano  di  queste  ricerche,  senza  poter  raggiungere  in 
modo  adequato  il  prefisso  scopo,  di  vedere  cioè  distintamente  le  immagini  dello 
protuberanze,  in  causa  probabilmente  dei  non  adatti  strumenti  da  essi  usati, 
più  fortunato  di  loro  il  Prof.  Zòllner  di  Lipsia  giunse  collo  stesso  artifìcio  , 
e con  un  cannocchiale  di  mediocre  apertura,  a rilevare  ben  distinta  la  forma 


— se- 


di alcuni  di  questi  oggetti  , ed  a ricavarne  analoghi  disegni  ; constatando 
poi  le  gigantesche  variazioni  cui  vanno  soggetti,  e verificando  in  essi  la  so- 
miglianza di  getti  o eruzioni  vulcaniche  della  superfìcie  solare.  Finora  però 

10  studio  di  questi  fenomeni  era  troppo  parziale  ed  incompleto,  ed  era  a de- 
siderarsi che  esso  venisse  ridotto  ad  un  generale  e metodico  sistema  di 
osservazione. 

Per  una  fortunata  combinazione  avendo  potuto  nel  giorno  25  Ottobre 
prossimo  scorso  applicare  al  nostro  equatoriale  un  eccellente  spettroscopio  a 
visione  diretta  di  Boffman  , potei  tosto  riconoscere  questo  apparato  come 
adattatissimo  all’  osservazione  delle  protuberanze,  e fin  da  quel  giorno  potei 
rilevare  di  alcune  di  esse  un  dettagliato  disegno. 

Disposta  la  fessura  dello  spettroscopio  tangenzialmente  al  bordo  solare 
ed  allargandola  fino  al  di  la  dei  40”,  l’immagine  delle  protuberanze  e il  con- 
torno ondulato  dello  strato  rosato  spiccavano  convenientemente  malgrado  la 
viva  luce  del  campo  ; ma  )’  occhio  diffìcilmente  poteva  tollerare  un  sì  forte 
splendore  , e si  rendeva  perciò  indispensabile  l’ uso  d’ un  opportuno  of- 
fuscante. 

Per  buona  ventura  fra  i nostri  vetri  colorati  ne  trovai  uno  rosso  , il 
quale,  senza  indebolire  sensibilmente  la  luce  delle  protuberanze,  indeboliva  lo 
splendore  del  campo  in  modo,  da  renderlo  tollerabile  all’occhio  anche  allar- 
gando la  fessura  sino  a più  di  1',  larghezza  sufficiente  per  comprendere  la  mag- 
gior parte  delle  immagini  delle  prutuberanze  stesse. 

Mi  bastarono  allora  poche  ore  di  osservazione  per  potere  scorrere  tutto 

11  bordo  solare,  e prendere  il  rilievo  e il  disegno  delle  non  poche  protube- 
ranze su  di  esso  disseminate  ; e da  quel  giorno  le  osservazioni  del  contorno 
del  sole  divennero  per  me  sistematiche  e quotidiane,  bastandomi  ordinariamente 
un’  ora,  od  un’ora  e mezzo  al  più  di  lavoro,  per  prendere  tutti  i necessari 
rilievi.  E quest’oggi  potrei  presentare  all’Accademia  il  disegno  giornaliero  del 
bordo  del  sole  , se  la  contrarietà  della  stagione  non  mi  avesse  per  varii 
giorni  rese  impossibili  queste  osservazioni . 

Debbo  perciò  contentarmi  di  sottoporre  all’  Accademia  i risultati  otte- 
nuti nei  giorni  sereni,  presentatisi  in  questo  intervallo  di  tempo;  i quali  ri- 
sultati, quantunque  poco  numerosi  , sono  però  già  più  istruttivi  su  questo 
fenomeno  di  quello,  che  lo  potrebbero  essere  le  osservazioni  di  una  nume- 
rosissima serie  di  eclissi  totali. 

Senza  contestazione  il  materiale  d’osservazione,  raccolto  nell’intervallo  di 


— 57  — 


40  giorni  su  questi  singolari  e finora  misteriosi  fenomeni,  equivale  già  a quello 
che  si  sarebbe  ricavato  dall’osservazione  fortunata  di  18  ecclissi  totali  nel- 
l’intervallo forse  di  qualche  secolo;  con  questo  vantaggio  inoltre,  che  men- 
tre gli  eclissi  totali  ci  avrebbero  presentati  tanti  fenomeni  isolati,  e fra  loro 
indipendenti,  le  osservazioni  spettroscopiche  invece  ci  presentano  questi  fatti 
fra  loro  connessi  e nelle  successive  loro  fasi  ed  evoluzioni. 

Da  ciò  facilmente  si  comprenderà,  come  da  una  lunga  e regolare  serie 
di  osservazioni  si  potrà  ottenere  intorno  a questi  fenomeni  un  cumolo  ric- 
chissimo di  fatti,  fra  loro  connessi  in  modo  da  poterne  stabilire  il  vero 
carattere  , le  leggi,  le  loro  relazioni  cogli  altri  fenomeni  solari,  e procurarci 
forse  il  mezzo  di  squarciare  quel  denso  velo,  che  tuttora  ricopre  nel  mi- 
stero la  fisica  costituzione  del  grande  luminare. 

Il  metodo  seguito  nelle  osservazioni  è il  seguente  : disposta  la  fessura 
dello  spettroscopio  tangenzialmente  al  bordo  solare  nel  punto  più  boreale  del 
medesimo,  ossia  al  punto  nord,  per  mezzo  di  un  indice  connesso  allo  spettro- 
scopio e girevole  con  esso,  si  nota  la  divisione  corrispondente  su  di  un  circolo 
graduato  fissato  al  cannocchiale;  e così  si  possono  col  medesimo  ottenere  gli 
angoli  di  posizione,  o le  differenti  parti  del  bordo  solare,  parallelamente  alle 
quali  viene  poscia  portata  la  fessura. 

Quando  la  fessura  è tangente  al  bordo  solare,  si  può  subito  rilevare  per 
una  estensione  di  24°  circa  del  medesimo  bordo  se  esistono  protuberanze  ; 
poiché  allontanando  dolcemente  la  fessura  dal  bordo,  allo  sparire  dello  strato 
rosato  le  protuberanze  vengono  indicate  dalla  persistenza  dei  tratti  lucidi  della 
riga  C,  corrispondenti  alle  sezioni  fatte  nelle  loro  imagini  dalla  fessura  dello 
spettroscopio. 

Allargata  convenientemente  la  fessura,  si  osserva  il  contorno  superiore 
dello  strato  rosato,  disegnando  sopra  un  arco  di  circolo  le  irregolarità,  e cioè 
le  piccole  prominenze  o ondulazioni,  che  ordinariamente  si  trovano  più  o meno 
marcate  in  tutte  le  parti  del  bordo.  Quando  si  incontrano  protuberanze,  si 
allarga  la  fessura  per  comprendervi  l’intera  immagine,  o una  grande  sezione  della 
medesima:  e al  posto  già  marcato  nella  figura  se  ne  fa  un  disegno  abbastanza 
dettagliato  per  fissarne  la  forma,  almeno  coi  tratti  più  caratteristici.  Le  dimen- 
sioni fondamentali,  e cioè  altezza  e larghezza,  vengono  desunte  dalla  nota  lar- 
ghezza della  fessura. 

Nel  disegno  di  questi  oggetti  è necessaria  una  certa  destrezza  e solle— 

8 


eìtudine,  per  le  sensibili  variazioni,  che  in  essi  si  producono  anche  in  breve 
tempo. 

Nelle  giornate  limpide,  e per  le  protuberanze  non  molto  deboli  la  fes- 
sura può  allargarsi  fin  ad  oltre  1',  senza  che  per  un  occhio  bene  esercitato 
l’ immagine  perda  la  sua  distinzione,  almeno  nelle  parti  principali  ; con  che 
si  può  ricavare  la  figura  d’ insieme  di  essa  protuberanza.  Pei  minuti  detta- 
gli e per  le  parti  più  deboli  si  facilita  il  rilievo  restringendo  opportunamente 
la  fessura. 

Quando  l’altezza  della  protuberanza  è maggiore  dell’apertura  della  fes- 
sura, il  disegno  si  ricava  , o prendendo  due  o più  sezioni  diligentemente  e 
destramente  combinate  , o impicciolendo  alla  metà  circa  la  grandezza  dei- 
fi  immagine,  coll’  applicare  davanti  alla  fessura  un  obbiettivo  acromatico  a 
corto  foco. 

Ma  ben  rare  sono  le  volte  nelle  quali  devesi  ricorrere  a quest’  ultimo 
artifìcio,  essendo  ordinariamente  le  protuberanze  di  tale  altezza,  da  poter  es- 
sere commodamente  e più  dettagliatamente  osservate  nelle  immagini  date  di- 
rettamente dall’obbiettivo  del  cannocchiale. 

Quantunque  sullo  spettro  si  presentino  ordinariamente  altre  immagini  oltre 
a quella  della  riga  C,  e principalmente  una  nel  giallo  presso  la  riga  D una 
nel  bleu  presso  la  F,  pure  è preferibile  l’osservazione  della  prima,  perchè 
più  completa  e più  marcata  anche  nelle  parti  più  elevate. 

11  Prof.  Zòllner  ritiene  che  usando  spettroscopi  con  prismi  a larga  superficie, 
e formando  la  fessura  circolare  come  il  bordo  dell’immagine  del  sole,  si  possa  ar- 
rivare a vedere  d’  un  solo  colpo  d’occhio  tutte  le  protuberanze  sparse  sul 
bordo  solare,  come  negli  eclissi  totali:  ma  ciò  non  è ammissibile,  perchè  alla 
distinta  visione  delle  protuberanze  richiedendosi  che  il  piano  di  dispersione 
sia  perpendicolare,  o quasi  perpendicolare  al  bordo,  evidentemente  non  si  arri- 
verebbe con  questo  mezzo  altro  che  a vedere  distinte  le  due  parti  opposte 
del  bordo  stesso. 

Ma  per  raggiungere  questo  meschino  vantaggio  non  meriterebbe  certo 
la  pena  di  rendere  tanto  più  costoso  e complesso  lo  strumento,  e tanto  più 
diffìcile  il  suo  maneggio,  col  danno  poi  di  dovere  di  troppo  limitare  la  forza 
amplifìcatrice  del  piccolo  cannocchiale  dello  spettroscopio. 

In  atto  pratico  poi  questo  processo  riescirebbe  inutile,  perchè  nell’osserva- 
zione dovendosi  esaminare  separatamente  ogni  parte  del  bordo,  si  può  otte- 
nere lo  stesso  intento  osservando  successivamente  i due  bordi  opposti,  i quali 


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si  possono  portare  sotto  la  fenditura  con  pochi  colpi  di  manubrio,  senza  bi- 
sogno di  spostarla. 

Forse  se  ne  potrebbe  trovare  un  vantaggio,  qualora  si  riescisse  a pren- 
dere le  immagini  delle  protuberanze  colla  fotografìa;  poiché  allora  nella  stessa 
negativa  si  avrebbero  i due  tratti  opposti  del  bordo;  ma  anche  questa  speranza 
del  Prof.  Zòllner,  di  poter  riuscire  a fotografare  le  protuberanze  non  sembrami 
realizzabile  , almeno  con  quei  vantaggi  che  valgano  a compensare  le  grandi 
difficoltà  della  costruzione  dello  strumento,  il  suo  grande  costo,  e le  compli- 
cazione della  sua  pratica  applicazione. 

Tanto  più  che  io  ritengo,  che  la  fotografia  in  questo  caso  non  riesce- 
rebbe  a dare  la  forma  delle  protuberanze  così  dettagliata  e completa  , e il 
loro  posto  così  preciso,  come  può  ottenersi  col  metodo  da  me  usato. 

I tentativi  fatti  da  Huggins  e dal  Prof.  Secchi  per  osservare  con  questo 
metodo  le  protuberanze  del  sole  con  cannocchiali  di  forza  ed  apertura  mag 
giore,  che  nel  nostro  equatoriale  di  Merz  di  pollici  4 */3  , non  hanno 
ottenuto  risultati  soddisfacenti,  non  essendosi  potuto  ottenere  nei  medesimi 
le  immagini  distinte  di  questi  oggetti:  ma  non  so,  se  tale  insuccesso  debba  attri- 
buirsi ad  un  vizio,  o difetto  radicale  dei  grandi  strumenti  in  riguardo  a que- 
ste osservazioni,  e cioè  alla  eccessiva  grandezza  delle  imagini  ed  alla  troppa 
intensità  della  luce,  onde  la  fessura  dello  spettroscopio  non  può  essere  allargata 
quanto  basta  per  comprendere  quelle  immagini,  senza  che  l’occhio  non  resti 
abbagliato  dalla  forte  luce  dello  spettro,  o non  piuttosto  da  qualche  speciale 
sfavorevole  condizione  degli  strumenti  usati. 

Se  non  si  avessero  altri  ineovenienti,  che  quelli  di  una  eccessiva  gran- 
dezza delle  immagini  e della  troppa  intensità  della  luce,  mi  sembra  che  vi 
sarebbero  gli  opportuni  rimedi;  e cioè  quello  di  impicciolire  le  immagini  col- 
l’applicazione di  un  secondo  obbiettivo  davanti  alla  fessura  dello  spettrosco- 
pio, e quello  di  diminuire  Pintensità  della  luce  coll’uso  di  opportuni  diafram- 
mi applicati  all’obbiettivo. 

Se  realmente  venisse  provato,  che  in  generale  i grandi  strumenti  non 
riescono,  malgrado  l’applicazione  di  questi  rimedi,  io  inclinerei  a ritenere  che 
ciò  potesse  dipendere  dalla  maggior  luce  diffusa  dagli  obbiettivi  e dai  pris- 
mi , per  la  loro  spessezza,  e dalla  maggiore  illuminazione  della  colonna  atmo- 
sferica attraversata  dal  cono  luminoso  nell’interno  del  cannocchiale,  in  causa 
della  sua  maggiore  lunghezza. 

Sarebbe  però  molto  opportuno  che  si  facessero,  in  proposito  molti  espe» 


rimenti  per  decidere,  se  realmente  i soli  strumenti  di  mediocre  apertura  ab- 
biano il  privilegio  di  prestarsi  utilmente  a queste  importanti  ricerche. 

Ritornando  alle  nostre  osservazioni  dirò,  che  esse  furono  regolarmente 
intraprese  nel  giorno  26  di  ottobre,  e continuate  sistematicamente  nei  giorni 
successivi  sino  a questa  mattina , ogni  qualvolta  le  condizioni  atmosferiche 
ce  lo  permisero.  La  nebbia  e i più  leggieri  veli  nebulosi  sono  sufficienti  a far 
^dileguare  le  imagini  delle  protuberanze;  non  già  perchè  resti  da  essi  assorbita 
la  luce  di  queste,  ma  perchè  troppo  vivo  è lo  splendore  da  essi  diffuso  nella 
zona  su  cui  quelle  si  proiettano. 

Le  protuberanze  si  veggono  ben  marcate  anche  quando  il  sole  è elevato 
di  pochi  gradi  dall’orizzonte;  ed  anzi  allora  appariscono  più  distinte  e appa- 
rentemente più  luminose;  ma  ciò  avviene  per  semplice  effetto  di  contrasto,  e 
cioè  per  la  maggiore  oscurità  del  campo  su  cui  si  projettano,  prodotta  dalla 
diminuzione  generale  dello  splendore  dello  spettro  atmosferico,  e principal- 
mente dall’assorbimento  dei  raggi  limitrofi  alla  riga  C ; onde  sul  posto  delle 
protuberanze  si  presentono  le  righe  atmosferiche,  rimanendo  intatta  la  luce 
delle  protuberanze  stesse,  per  la  quale  l’atmosfera  anche  vicino  all’orizzonte 
è assai  trasparente. 

I risultati,  ottenuti  da  queste  prime  osservazioni,  sono  rappresentati  nella 
qui  unita  tavola  , nella  quale  il  bordo  solare,  o lo  strato  rosato  è sviluppato 
in  linea  retta,  per  meglio  riconoscere  e confrontare  le  posizioni  delle  protu- 
beranze. 

Le  protuberanze  rispetto  alla  lunghezza  del  bordo  sono  ingrandite  del 
doppio,  per  renderne  i disegni  più  dettagliati;  e la  loro  posizione  deve  rite- 
nersi determinata  sul  bordo  dal  posto  della  loro  linea  media,  o centrale. 

Nei  primi  giorni  di  osservazione  la  posizione  delle  protuberanze  è stata 
determinata  con  mezzi  del  tutto  provvisorii  , e perciò  deve  ritenersi  meno 
approssimativa  che  nei  giorni  successivi,  nei  quali  si  è usato  in  questo  ri- 
guardo maggiore  diligenza,  e mezzi  di  misura  meno  imperfetti,  quantunque 
anch’essi  provvisorii,  essendosi  solamente  nel  giorno  20  novembre  ridotto  a 
condizioni  stabili  e sicure  l’apparato  di  osservazione. 

Ciò  non  ostante  la  posizione  e le  dimensioni  assegnate  alle  protuberanze 
in  questa  tavola  possono  ritenersi  come  abbastanza  approssimative,  essendosi 
cercato  di  supplire  colla  diligenza  e colla  pazienza  alla  inperfezione  dei  mez- 
zi di  osservazione.  Quantunque  poco  esercitato  nel  disegno,  pure  nel  ri- 
trarre le  protuberanze  sembrami  di  avere  raggiunto  convenientemente  lo 


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scopo  di  rendere  marcate,  e abbastanza  fedelmente  rilevate  le  forme  caratte- 
ristiche di  questi  oggetti. 

In  mezzo  alla  straordinaria  varietà  di  forme,  sotto  le  quali  ci  si  presen- 
tano queste  masse  sporgenti  dal  disco  solare,  si  riscontra  però  in  tutte  l’ap- 
parenza manifesta,  la  somiglianza  di  getti,  o eruzioni  di  materia  o gas  incande- 
scenti dalla  superficie  del  sole;  Ordinariamente  ben  definiti  e sottili  alla  base, 
e diffondentisi  nelle  parti  superiori  nei  più  svariati  modi,  mantenendo  però 
d’ordinario  delle  forme  ben  definite  e decise. 

Basta  fissare  l’occhio  su  questa  tavola  per  riconoscere,  che  queste  masse 
sporgenti  dal  disco  solare  non  hanno  alcuna  somiglianza  colle  nubi  della  no- 
stra atmosfera,  formate  per  condensamento  di  vapori  ; ma  che  esse  sono  il 
prodotto  reale  di  gigantesche  e violenti  eruzioni  dal  corpo  solare. 

Che  se  talora  si  osservano  masse  isolate  a guisa  di  nubi,  ciò  proviene 
dall’essere  cessato  il  getto  prima  che  quelle  masse  abbiano  potuto  ricadere 
sul  sole,  o dileguarsi  neiralmosfera  solare. 

Così  pure  se  talora  si  osservano  masse  sporgenti  sul  bordo  del  sole  a 
guisa  di  cumoli,  senza  la  forma  decisa  di  getti,  ciò  proviene  dall’essere  a noi 
invisibile  la  base  di  questi  getti,  o perchè  occultata  dal  disco  solare,  o per- 
chè sul  medesimo  proiettata. 

Ordinariamente  questi  getti  alla  loro  sommità,  diffondendosi,  si  mostrano 
incurvati  verso  la  superfìcie  del  sole  , come  per  ricadere  sul  medesimo  in 
forza  della  gravità;  ma  negli  svariatissimi  incurvamenti  dei  medesimi  non  può 
non  ravvisarsi  il  contrasto  di  altre  forze  colla  gravità  stessa. 

Talora  questi  getti  matengono  anche  nelle  parti  più  elevate  una  forma 
ben  definita  di  getti  rettilinei  e sottili,  a guisa  di  tronchi  di  cono  o di  cilindro; 
e questo  sembra  accadere,  quando  il  getto  è veramente  verticale.  Non  è però 
da  tacersi  che  in  alcuni  casi  il  getto  potrebbe  apparire  come  rettilineo  senza 
esserlo,  ma  per  semplice  effetto  di  prospettiva,  e precisamente  allorquando 
F incurvamento  trovasi  nel  piano  visuale. 

Nell’incurvamento  dei  getti  non  sembra  esistere  alcuna  legge,  presentan- 
dosi spesso  nella  stessa  località  getti  incurvati  nello  stesso  senso,  ed  anche 
in  sensi  opposti. 

Non  di  rado  si  osserva,  che  quando  si  trovano  due  getti  assai  vicini 
e di  diversa  altezza,  le  loro  sommità  sembrano  come  ripiegarsi  l’una  sull’al- 
tra, come  se  esistesse  fra  loro  una  specie  di  attrazione. 

Più  volte  ho  rilevato,  che  getti  sensibilmente  verticali  si  ripiegono  bru- 


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scandente,  per  disporsi  paralleli  al  bordo  solare,  e talora  anche  ripiegarsi  nuo- 
vamente verso  l’alto,  presentando  quasi  la  forma  di  un  xn  orizzontale. 

Quando  un  getto  si  diffonde  alla  sua  sommità  a guisa  di  ventaglio  o di 
bouquet , spesso  si  osserva,  che  in  alcune  parti  sorgono  dei  rami  più  alti  a 
guisa  di  appendici  o code. 

Comunemente  questi  getti  si  mostrano  continui  dal  bordo  del  sole  sino 
alla  sommità,  ma  talvolta  si  presentano  anche  come  da  esso  staccati  a guisa 
di  nubi  isolate,  o come  divisi  in  più  tratti  distinti. 

Generalmente  i getti  alla  base  sono  molto  luminosi  , talora  anche  più 
dello  strato  rosato,  meno  intensi  alla  sommità  , specialmente  quando  sono 
molto  diffusi. 

Talora  si  osservano  protuberanze  molto  più  deboli  in  isplendore,  ma 
ciò  sembra  d’  ordinario  avvenire  , quando  sporge  dal  disco  solare  soltanto 
la  sommità  della  protuberanza.  Non  può  negarsi  però  che  in  alcuni  casi 
i getti  non  siano  realmente  più  deboli. 

Le  protuberanze,  o getti  talora  si  presentano  isolati,  e talora  uniti  in 
gruppi,  estesi  ad  una  gran  parte  della  superficie  solare,  come  succede  delle  fa- 
cule,  presentando  T aspetto  di  grandi  masse  luminose  interrotte  più  o meno 
irregolarmente  da  tratti  oscuri. 

L’altezza  delle  protuberanze  ordinariamente  non  eccede  il  i',  ossia  tre 
diametri  circa  della  terra  ; ma  talora  supera  anche  i 2',  ossia  sei  diametri 
terrestri,  come  si  verificò  nel  giorno  23  novembre,  in  cui  fra  un  magnifico  grup- 
po di  protuberanze  dal  NNO  al  NO  una  si  slanciava  fino  a 2'. 30",  e cioè  al- 
l’altezza di  oltre  otto  diametri  terrestri. 

Anche  le  masse  o nubi  isolate  , che  ordinariamente  si  mostrano  a non 
grandi  distanze  dal  bordo  solare,  talora  si  presentano  e si  mantengono  per  qual- 
che tempo  a grandi  altezze,  come  si  verificò  nell’indicato  gruppo  del  23  No- 
vembre, nel  quale  apparivano  cinque  masse,  o nubi  allungate  verticalmente, 
ad  una  distanza  dal  bordo  maggiore  di  1'  , e cioè  più  di  tre  diametri  ter- 
restri. 

Lo  strato  rosato  è in  generale  terminato  irregolarmente,  talora  sfumato, 
talora  frastagliato  e disseminato  da  punte  lucide,  che  spesso  si  trasformano 
più  tardi  in  getti  o protuberanze. 

L’altezza  di  questo  strato  è variabile  nelle  diverse  parti  del  bordo  so- 
lare, e ordinariamente  sembra  più  alto  in  vicinanza  ai  poli,  che  all’equatore; 


e non  di  rado  si  trova,  che  esso  è molto  basso  sotto  ai  grandi  gruppi  di  pro- 
tuberanze. 

Riguardo  alla  distribuzione  delle  protuberanze  sulla  superfìcie  solare  si 
trova,  che  esse  si  presentano  più  frequentemente  nella  zona  delle  macchie  o 
piuttosto  delle  facule,  e ordinariamente  in  vicinanza  a queste  , senza  però 
confondersi  colle  medesime.  Sembra  poi  che  le  protuberanze  si  avvicinino  ai 
poli  più  delle  facule  , ma  ciò  può  essere  una  semplice  illusione  dipendente 
dalla  difficoltà  di  vedere  le  facule  nelle  maggiori  vicinanze  ai  poli  suddetti. 

Dai  rilievi  presentati  nella  unita  tavola  , ed  anche  da  molti  altri  presi 
in  vicinanza  ai  poli  in  altri  giorni  nei  brevi  intervalli  di  serenità,  risulta  ma- 
nifestamente la  seguente  legge:  che  nelle  regioni,  o calotte  solari  per  una  di- 
stanza di  20°  circa  di  poli,  o non  ha  luogo  il  fenomeno  delle  protuberanze, 
o in  modo  soltanto  eccezionale  e in  minime  proporzioni. 

Difatti  entro  questi  limiti  nell’intervallo  di  oltre  40  giorni  non  si  vide 
nessuna  protuberanza  notevole;  e soltanto  in  tre  giorni  si  videro  piccolissimi 
e poco  duraturi  getti. 

Questa  legge,  che  difficilmente  avrebbe  potuto  ricavarsi  anche  dall’  os- 
servazione di  una  lunga  serie  di  eclissi  totali , mostra  evidentemente  che  le 
protuberanze  sono  in  relazione  col  moto  rotatorio  del  sole,  come  le  macchie 
e come  le  facule. 

Il  confronto  esatto  della  posizione  delle  facule  con  quella  delle  protube- 
ranze richiede  troppo  tempo  e troppo  lavoro,  e per  ora  non  ho  creduto  con- 
veniente di  occuparmi  di  questa  difficile  ricerca  , preferendo  di  utilizzare  il 
non  molto  tempo,  lasciatomi  libero  delle  altre  mie  occupazioni,  nello  studiare 
il  fenomeno  in  se  stesso,  indipendentemente  dagli  altri  fenomeni  solari. 

Non  ho  mancato  però  nei  giorni,  nei  quali  la  serenità  del  cielo  e le  mie  oc- 
cupazioni me  lo  permettevano,  di  rilevare  sul  bordo  del  sole  almeno  approsi- 
mativamente  il  posto  delle  facule;  ed  è appunto  in  questo  modo  che  ho  po- 
tuto rilevare,  che  le  protuberanze  si  presentano  ordinariamente  in  vicinanza 
ai  grandi  gruppi  di  facule. 

E molto  probabile  che  il  fenomeno  delle  protuberanze  sia  strettamente 
collegato  con  quello  delle  facule,  e forse  con  quello  delle  macchie,  ma  è po- 
sitivo eziandio  che  esse  costituiscono  un  fenomeno  dalle  une  e dalle  altre  ben 
distinto;  e perciò  se  questi  getti  o vulcani  solari  hanno  influenza  nella  produ- 
zione delle  facule  e delle  macchie,  il  loro  effetto  non  è immediato,  ma  dipen- 


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dente  dalle  speciali  condizioni  nelle  quali  essi  pongono  le  varie  partì  della 
superfìcie  solare. 

È poi  certo  che  le  protuberanze,  o la  materia  eruttata  alla  superficie  so- 
lare non  costituisce  le  macchie,  poiché  esaminando  il  bordo  solare  sul  posto 
di  alcune  vicinissime  macchie  non  vi  ho  trovato  grandi  protuberanze  , ma 
soltanto  sensibili  intumescenze  dello  strato  rosato. 

Sembrami  però  fuori  di  dubbio  che  quei  veli  o tratti  più  scuri,  che  spesso 
si  osservano  in  vicinanze  alle  facule  e qua  e là  sparsi  sulla  superfìcie  solare, 
siano  dovuti,  o all’assorbimento  prodotto  dalla  materia  diffusa  dai  getti,  o da 
modificazioni  da  questi  prodotte  nella  fotosfera. 

Come  pure  ritengo  certo,  che  i veli  rosati*  osservati  spesso  sui  nuclei 
delle  protuberanze  , altro  siano  che  la  materia  su  di  essi  diffusa  dai  vicini 
vulcani,  o la  sommità  di  più  lontane  protuberanze  su  di  essi  nuclei  per  ef- 
fetto di  prospettiva  otticamente  proiettate.  Ed  è probabilmente  da  attribuirsi 
a questa  circostanza  una  parte  delle  modificazioni  che  subisce  lo  spettro  so- 
lare nel  posto  delle  macchie,  e principalmente  la  scomparsa  della  riga  nera 
C,  o la  sua  trasformazione  in  riga  lucida,  come  talora  si  osserva  negli  spet- 
tri delle  macchie. 

Lo  studio  di  queste  particolarità  del  fenomeno  è assai  difficile  e com- 
plesso, e richiede  una  speciale  ed  accurata  serie  di  osservazioni,  che  alla  op- 
portunità non  mancherò  di  intraprendere. 

Una  ricerca  di  grande  importanza  relativamente  a queste  singolari  eru- 
zioni è certamente  quella  riguardante  il  loro  sviluppo,  e le  loro  successive 
fasi  e trasformazioni. 

Questo  studio  però  richiede  più  lavoro  e più  tempo  di  quello  per  me 
disponibile,  e perciò  non  potendomene  occupare  di  proposito,  ho  dovuto  li- 
mitarmi per  ora  a notare  in  proposito  alcune  particolarità,  che  naturalmente 
mi  si  presentavano  nel  prendere  gli  altri  rilievi,  le  quali  però  non  credo  suffi- 
cienti a stabilire  i veri  caratteri  del  fenomeno. 

Per  quanto  ho  potuto  rilevare  sembrami,  che  ordinariamente  lo  sviluppo 
di  una  protuberanza  incominci  da  uno  o più  getti  piuttosto  sottili , ben  di- 
finiti, rettilinei,  talora  verticali  e talora  più  o meno  inclinati.  Questi  getti, 
lucidissimi  quanto  lo  strato  rosato  e talora  anche  più  lucidi,  sono  talvolta  pa- 
ralleli fra  loro,  ma  più  spesso  divergenti.  La  loro  produzione  talora  ha  luogo  qua- 
si istantaneamente,  e in  breve  tempo  si  slanciano  a grandi  altezze,  mantenendo 
la  forma  di  rami  lucidi  e ben  definiti,  come  se  non  incontrassero  resistenza 


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sensibile  dal  mezzo  in  cui  si  propagano  , ossia  dall’  atmosfera  solare  ; e ciò 
precipuamente  avviene  quando  i getti  sono  verticali. 

Più  spesso  però  questi  getti  nelle  parti  superiori  si  diffondono,  o in  di- 
stinte diramazioni  più  o meno  irregolarmente  fra  loro  incurvate  ed  intreccia- 
te, o in  grandi  masse  luminose,  più  o meno  sparse,  come  nelle  masse  di  fumo 
vomitate  dai  cammini  delle  macchine  a vapore. 

Spesso  questi  getti  , a piccole  altezze  sullo  strato  rosato  , si  incurvano 
più  o meno  rapidamente,  prendendo  la  forma  di  archi  appoggiati  sul  globo 
solare;  nei  quali  ordinariamente  la  parte  saliente  è contraddistinta  dal  mag- 
giore condensamento,  o dal  maggiore  splendore.  Non  di  rado  però  essi  si  di- 
spongono quasi  paralleli  al  bordo  solare,  come  il  fumo  che  esce  dai  cammini 
delle  locomotive,  quando  si  movono  con  grande  velocità;  e qualche  volta  que- 
sti getti  tornano  a ripiegarsi  in  alto  , come  se  risentissero  dal  globo  solare 
una  repulsione. 

La  varietà  e stranezza  di  forme,  che  prendono  questi  getti  diffondentisi 
nelle  parti  più  elevate,  è veramente  sorprendente;  mentre  in  ogni  giorno  e 
quasi  in  ogni  protuberanza  si  riscontrano  figure  del  tutto  differenti,  del  tutto 
nuove,  talora  fugaci  o di  breve  durata,  talora  anche  per  lungo  tempo  appa- 
rentemente permanenti  e prossimamente  costanti. 

In  generale  però  si  verifica,  ciò  che  il  Prof.  Zòllner  aveva  di  già  avver- 
tito nelle  sue  osservazioni  fatte  sopra  alcune  protuberanze  , che  la  forma  di 
questi  strani  oggetti  è soggetta  a rapide  trasformazioni;  e non  di  rado  mi  è 
accaduto  di  trovare  nell’  intervallo  di  pochi  minuti  totalmente  cambiata  la 
forma  delle  grandi  protuberanze  , specialmente  alla  loro  sommità  ; in  modo 
che  nel  breve  tempo  impiegato  nel  loro  disegno  se  ne  alteravano  a vista  an- 
che le  parti  più  marcate  e distinte. 

E positivo  però  che  malgrado  queste  variazioni  di  forme  le  protube- 
ranze, o piuttosto  i getti,  od  eruzioni  dalle  quali  sono  prodotte,  possono  du- 
rare e persistere  in  attività  anche  per  molti  giorni;  come  incontestabilmente 
si  verificò  di  varie  protuberanze,  e specialmente  di  alcune  non  molto  lontane 
dai  peli,  le  quali  si  mantennero  visibili  per  molti  giorni  consecutivi. 

La  protuberanza  vicina  al  Sud,  osservata  per  la  prima  volta  il  4 Novem- 
bre, si  continuò  incontestabilmente  ad  osservare  fino  al  13  Novembre;  e dal 
giorno  8 al  9 mantenne  una  forma,  se  non  invariabile,  almeno  cogli  stessi 
tratti  caratteristici,  presentando  la  sua  figura  nel  giorno  9 molta  somiglianza 
con  quella  del  giorno  antecedente. 


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Lo  stesso  si  sarebbe  probabilmente  verificato  anche  nelle  belle  protuberanze 
vicine  all’equatore,  se  pel  moto  rotatorio  del  sole  non  sì  fossero  rese  invisi- 
bili, o dietro  il  disco  , o proiettate  sul  medesimo  : ed  è sperabile  che,  pro- 
traendo  regolarmente  le  osservazioni,  si  possa  giungere  a rivedere  gli  stessi 
centri  di  eruzione  dopo  una  intera  rotazione  del  sole. 

Le  osservazioni  finora  fatte  su  questi  importanti  fenomeni  solari  non  sono 
certamente  sufficienti  a stabilire  i veri  caratteri  di  queste  eruzioni,  o getti  solari, 
le  leggi  relative  alla  loro  distribuzione  sulla  superficie  solare,  il  loro  vero  modo  di 
sviluppo  e di  trasformazione;  ma  possiamo  sperare  di  raggiungere  questo  scopo 
con  una  regolare  e continuata  serie  di  osservazione. 

Quello  però  che  mi  sembra  fin  d’ora  potersi  stabilire  in  riguardo  a questi 
fenomeni,  si  è: 

1. °  Le  protuberanze  sono  prodotte  da  eruzioni  gassose,  o vulcani  irre- 
golarmente distribuiti  sulla  superficie  del  sole. 

2. °  Queste  eruzioni  talora  sono  di  breve  durata,  ma  spesso  si  manten- 
gono in  attività  per  molto  tempo. 

3. °  Le  nubi  isolate,  che  si  osservano  talora  attorno  al  sole,  sono  prodotte 
dalla  materia  proiettata  e diffusa  dai  vulcani. 

4. °  Le  regioni,  dove  ordinariamente  si  mostrano  le  protuberanze,  sono 
quelle  dove  appariscono  più  frequenti  le  facule;  onde  si  può  arguire  una  stret- 
ta relazione  fra  le  protuberanze  e le  facule,  e probabilmente  tra  le  protube- 
ranze e le  macchie. 

5. °  Le  protuberanze,  quantunque  probabilmente  collegate  colle  facule  e 
colle  macchie,  sembrano  costituire  però  un  fenomeno  a se,  cioè  dalle  une  e 
dalle  altre  distinto. 

6. °  I veli  rosati,  che  talora  appariscono  sui  nuclei  delle  macchie  , sono 
molto  probabilmente  costituiti  dalla  materia  diffusa  dai  vulcani  solari , o sia 
dalle  protuberanze. 

7. °  1 veli  scuri  o deboli  penombre  , che  spesso  appariscono  nelle  varie 
parti  del  disco  solare,  e principalmente  in  vicinanze  alle  facule,  sono  proba- 
bilmente dovuti,  o all’assorbimento  delle  masse  costituenti  le  protuberanze,  o 
ad  una  modificazione  prodotta  dalle  eruzioni  nella  fotosfera. 

8. °  Le  protuberanze  non  si  presentano  ordinariamente  alle  latitudini 
maggiori  di  70°  i perciò  le  due  calotte  polari,  corrispondenti  a questi  limiti, 
non  sono  soggette  al  fenomeno,  altro  che  eccezionalmente,  e in  piccole  pro- 
porzioni. 


— 67 


9.°  Secondo  le  osservazioni  fatte  fino  ad  ora  l’altezza  delle  protuberanze 
non  altrepassa  i 3',  e cioè  il  decimo  circa  del  diametro  solare. 

Essendo  le  protuberanze,  almeno  apparentemente,  costituite  dalla  mate- 
ria che  forma  lo  strato  rosato  che  inviluppa  il  corpo  solare,  si  potrebbe  so- 
spettare che  la  loro  produzione  avesse  luogo  nello  strato  stesso  per  semplice 
sollevamento,  come  avviene  nelle  trombe  atmosferiche,  e che  perciò  fossero 
fenomeni  puramente  superficiali  : ma  la  forma  ben  definita  di  questi  getti  alla 
base,  e Ja  loro  densità  o splendore,  talora  più  intenso  di  quello  dello  strato 
stesso  , e la  straordinaria  velocitàd  i quei  getti  sembrano  piuttosto  dimo- 
strare, che  l’eruzione  proviene  dall’interno  del  corpo  solare,  e che  da  questo 
deriva  la  straordinaria  forza  di  projezione  nella  materia  sollevata. 

Che  anzi  la  forma  ben  difìnita  di  questi  getti,  e la  loro  prolungata  persi- 
stenza sembrano  provare,  che  essi  non  si  producono  attraverso  ad  una  sostanza 
gassosa,  ma  piuttosto  attraverso  ad  uno  strato  molto  compatto  e consistente, 
costituente  una  specie  di  crosta,  forse  solida.  Calcolando  la  velocità  di  impulso 
colla  quale  dovrebbe  essere  proiettata  la  materia  costituente  le  protuberanze, 
per  giungere  all’altezza  di  1 0 raggi  terrestri , altezza  verificata  in  molte  di 
esse,  supponendo  nulla  la  resistenza  del  mezzo,  si  trova  che  tale  velocità  do- 
vrebbe essere  di  circa  200  chilometri  per  secondo  , e cioè  più  che  sestupla 
della  velocità  della  terra  nella  sua  orbita. 

Quantunque  per  lo  stato  di  straordinaria  attività  ed  energia,  nel  quale 
dobbiamo  ritenere  costituita  la  massa  solare,  possiamo  ammettere  nel  suo 
interno  delle  gigantesche  reazioni,  pure  tali  velocità  sembrano  inconcepibili, 
e si  trova  più  verosimile  l’ammettere  , che  agli  enormi  innalzamenti  di  quelle 
masse  concorrano  in  qualche  parte  le  azioni  di  forze  continue,  cioè  di  forze 
ripulsive  esercitate  su  di  esse  dal  corpo  solare,  o dalla  sua  parte  superficiale; 
non  potendosi  ciò  spiegare  come  effetto  idrostatico  della  pressione  dell’atmo- 
sfera solare,  in  causa  della  sua  tenuissima  densità. 

Ciò  sembra  poi  confermato  dal  fatto,  che  le  forme  delle  protuberanze  non 
sono  conciliabili  coll’azione  della  gravità  combinata  colle  velocità  di  impulso, 
mettendo  pure  a calcolo  le  continue  variazioni  di  questa. 

In  non  poche  protuberanze  si  osserva  che  il  getto,  incurvandosi  brusca- 
mente, si  dispone  quasi  parallelamente  al  bordo,  per  ripiegarsi  talora  nuova- 
mente verso  l’alto,  come  se  una  forza  repulsiva  si  opponesse  alla  loro  discesa 
o all’azione  della  gravità;  il  che  pure  potrebbe  dirsi  di  quelle  grandi  masse 


— 68  — 


isolate,  che  a guisa  di  nubi  restano  talora  sospese  per  lungo  tempo  a grandi 
altezze  dal  bordo  solare. 

La  rapida  ed  enorme  diffusione,  che  ordinariamente  presentano  questi 
getti  nelle  parti  più  elevate,  e le  forme  stranissime  nelle  quali  spesso  si  di- 
spone la  loro  massa,  non  mi  sembrano  spiegabili  colla  sola  velocità  d’impulso 
e coll’azione  della  gravità,  tenendo  pure  conto  dell’espansione  dovuta  all’ele- 
vata temperatura  della  materia  eruttata,  ed  alla  resistenza  del  mezzo;  e perciò 
sembra  necessario  di  ammettere  il  concorso  di  forze  repulsive  anche  fra  le 
varie  parti  di  quei  getti;  e probabilmente  l’elettricità,  forza  certamente  esi- 
stente e in  modo  assai  energico  nel  corpo  solare,  non  è estranea  a questi  gi- 
ganteschi fenomeni. 

È ben  vero  che  la  supposizione  di  grandi  correnti  nell’atmosfera  solare 
potrebbe  rendere  più  facile  la  spiegazione  di  questi  fatti  ; ma  è vero  altresì 
che  oltre  all’essere  le  medesime  correnti  poco  probabili,  difficilmente  si  po- 
trebbero poi  conciliare  con  esse  gli  svariati  e spesso  opposti  incurvamenti,  che 
quei  getti  presentano  nello  stesso  luogo  e nello  stesso  tempo. 

Ma  tutte  queste  ed  altre  congetture,  che  potrei  avanzare  in  questo  pro- 
posito, sono  premature;  e sarebbe  perciò  inopportuno  l’entrare  a questo  ri- 
guardo in  più  minute  discussioni,  richiedendosi  a questo  scopo  un  più  ricco 
e dettagliato  cumolo  di  dati,  raccolti  fedelmente  da  una  più  lunga  e detta- 
gliata serie  di  osservazioni,  fatte  senza  idee  preconcette  , senza  alcuna  pre- 
venzione; ed  è appunto  con  tale  intendimento  che  io  mi  propongo  di  conti- 
nuare l’intrapreso  lavoro,  con  quella  maggiore  assiduità  e regolarità  , che  le 
mie  circostanze  e le  condizioni  atmosferiche  mi  permetteranno. 

La  questione  della  fìsica  costituzione  del  sole  è sempre  per  noi  un  mi- 
stero, malgrado  le  grandi  scoperte  fatte  in  questi  ultimi  tempi;  e non  può 
prevedersi,  se  lo  studio  delle  protuberanze  potrà  arrecare  su  di  essa  un  qual- 
che raggio  di  benefica  luce.  È certo  però  che  nelle  protuberanze  1’  attività 
del  corpo  solare,  o le  forze  che  ne  agitano  e ne  sconvolgono  la  massa  al- 
meno nella  parte  più  esterna  , ci  si  rendono  manifeste  in  modo  assai  più 
completo  che  nelle  macchie  e nelle  facule;  e si  ha  quindi  motivo  di  sperare 
che  lo  studio  di  questo  fenomeno  ci  conduca  a stabilire  nuovi  dati,  che  ag- 
giunti a quelli  già  ottenuti  dallo  studio  delle  facule  e delle  macchie  ci  ren- 
deranno probabilmente  più  accessibile  la  caratterizzazione  di  queste  forze. 

Fin  d’ora  però  possiamo  ritenere,  che  la  scienza  con  questo  nuovo  studio 
ha  fatto  un  grande  acquisto,  col  rendere  sistematica  e regolare  l’osservazione 


— 69  — 

di  un  fenomeno  importantissimo,  del  quale  pochi  anni  or  sono  appena  co- 
noscevamo 1’esistenza. 

L’illustre  astronomo  francese  slg.  Faye,  nel  render  conto  all’Accademia 
delle  Scienze  di  Parigi  delle  osservazioni  fatte  sulle  protuberanze  dal  Prof. 
Zollner,  fa  osservare  che  il  fenomeno  enigmatico  delle  protuberanze  nere,  os- 
sia di  quei  tratti  neri,  che  in  alcuni  eclissi  totali  di  sole  si  presentarono  pri- 
ma dal  contatto  interno  del  bordo  lunare  col  bordo  solare,  qualche  istante 
prima  del  totale  eclissamento,  potrebbe  ora  spiegarsi  coll’ammettere,  che  il  con- 
tatto dei  due  bordi  abbia  luogo  là,  dove  esistono  più  getti  vicini,  e che  per- 
ciò le  protuberanze  nere  altro  non  siano  che  gl’  intervalli  scuri  fra  le  vicine 
basi  dei  getti. 

Se  le  osservazioni  del  prof.  Zollner  rendevano  questa  spiegazione  pro- 
babile e verosimile,  le  mie  osservazioni  la  rendono  certa;  poic  hè  fra  le  molte 
protuberanze  da  me  osservate  vi  hanno  non  pochi  gruppi  di  getti  vicini  e 
lucidissimi,  formanti  una  specie  di  pettine  a denti  scuri,  nei  quali  gruppi  se 
avvenisse  il  contatto  , il  fenomeno  delle  protuberanze  nere  sarebbe  inevi- 
tabile. 

11  Prof.  Zollner  riferisce  di  avere  osservato  in  una  bella  protuberanza 
conica,  alta  2'  circa,  una  specie  di  tremolio  come  in  una  fiamma.  Io  pure  ho 
talora  osservato  fenomeni  consimili,  ma  ritengo  che  tali  oscillazioni  siano  estra- 
nei alla  protuberanza,  e che  esse  siano  da  considerarsi  come  semplici  effetti 
di  scintillazione  atmosferica,  prodotti  da  quella  stessa  causa  che  rende  oscil- 
lante e ondulato  il  bordo  solare;  e in  ciò  mi  conferma  il  fatto,  che  tali  ap- 
parenze si  rendono  più  manifeste,  quando  maggiore  è l’ondulazione  del  bordo 
solare,  e cioè  durante  i forti  venti  e in  vicinanza  all’orizzonte. 

Lo  stesso  Prof.  Zollner  riferisce  di  avere  talora  osservato,  che  dirigendo 
la  fenditura  dello  spettroscopio  in  vicinanza  al  bordo  solare,  dove  più  lunghe 
e più  luminose  erano  le  linee  spettrali  delle  protuberanze,  lo  spettro  atmo- 
sferico sembrava  continuamente  solcato  da  lampi  di  luce  vivissima,  che  si 
estendevano  a tutto  lo  spettro,  e che  questi  aumentavano  in  certi  punti  del- 
l’orlo, in  modo  da  produrre  l’ impressione  di  rapidissime  scariche  elettriche 
scorrenti  sullo  spettro. 

Secondo  Zollner  questo  fenomeno  si  potrebbe  spiegare  ammettendo,  che 
nelle  vicinanze  del  sole  si  movano  dei  corpicciuoli  roventi  e lucidissimi,  che 
emettono  dei  raggi  di  ogni  refrangibilità;  le  cui  immagini,  passando  davanti 


alla  fenditura  dello  spettroscopio,  producono  i!  lampeggiare  di  uno  spettro 
lineare. 

Anch’io  ho  osservato  fenomeni  consimili  in  vicinanza  al  bordo  solare  , 
e cioè  degli  spettri  lineari  lucidi  e passeggeri  lungo  tutto  lo  spettro  atmosfe- 
rico, e taluni  quasi  istantanei  e taluni,  visibili  per  un  tratto  più  o meno  lungo 
della  totale  larghezza  dello  spettro:  ma  ritengo  che  la  loro  origine  non  sia 
nelle  vicinanze  del  sole,  ma  nella  nostra  atmosfera. 

Alcuni  di  questi  spettri  lineari  in  brevissimo  tempo  scorrono  spesso  un 
tratto  considerevole  dello  spettro  atmosferico,  e quindi  un  tratto  notevole  della 
fessura:  perciò  se  fossero  corpi  circumsolari  dovrebbero  essere  animati  da  ve- 
locità inconcepibili,  talvolta  da  far  loro  percorrere  lo  spazio  corrispondente  a 
qualche  minuto  di  arco  in  pochi  secondi.  Un  corpo  circumsolare  per  descrivere 
un  l' in  un  secondo  di  tempo,  dovrebbe  avere  una  velocità  di  oltre  40000  chi- 
lometri in  un  secondo. 

Sembrami  quindi  più  probabile,  che  questi  spettri  lineari  siano  prodotti 
da  corpuscoli  terrestri  fortemente  richiarati  dalla  luce  solare,  e agenti  forse 
come  specchi  o lenti:  o da  piccoli  corpuscoli  compresi  nel  cono  stesso  della 
luce  condensata  dall’obbiettivo,  e passanti  davanti  alla  fessura  a piccola  di- 
stanza dalla  medesima. 

I frequenti  e lucidi  lampi  spettrali,  che  a guisa  di  scariche  elettriche 
dardeggiano  sullo  spettro,  io  non  ho  avuto  occasione  di  osservarli  altro  che  nelle 
grandi  vicinanze  al  bordo  solare,  e nei  giorni  di  grande  agitazione  atmosfe- 
rica, o in  vicinanza  all’orizzonte;  ma  in  questi  casi  il  fenomeno  è prodotto  evi- 
dentemente dalla  scintillazione  dell’estremo  contorno  solare;  il  quale,  trovan- 
dosi in  forte  ondulazione,  porta  momentaneamente  dei  tratti  luminosi,  corri- 
spondenti alla  sommità  di  queste  ondulazioni,  sulla  fenditura;  mentre  trovasi 
sotto  la  medesima  nascosto  il  complesso  di  esso  bordo,  potendo  queste  oscil- 
lazioni giungere  all’altezza  di  molti  secondi. 

Senza  pretendere  per  ora  che  queste  siano  le  vere  spiegazioni  da  darsi 
ai  singolari  fenomeni  osservati  da  Zòllner,  ho  creduto  opportuno  di  riferirle; 
riservandomi  però  di  ricavare  la  conferma,  o la  insussistenza  delle  medesime 
dalle  più  estese  e minute  ricerche,  che  mi  propongo  di  instituire  anche  so- 
pra queste  interessanti  particolarità. 


71  — 


Sul  Barometro  fotografico  conslruito  nella  università  romana  — - Nola  del  prof. 

P.  Volpicela. 


V 

E certamente  di  grande  importanza  per  la  meteorologia,  trovare  una  mac- 
china , che  registri  automaticamente  con  precisione  , i fenomeni  relativi  a 
questa  scienza.  Quei  stromenti  grafici,  che  debbono  meccanicamente  muovere 
un  indice,  hanno  molte  imperfezioni,  procedenti  dai  complicati  effetti  della 
temperatura,  e dalle  inevitabili  resistenze.  Ne  giovò  costruirli  con  dimensioni 
grandi,  giacché  rimasero  ancora  imperfetti,  e non  poterono  essere  adoperati 
ancora,  neppure  da  quei  dotti  competenti , che  con  grande  spesa  ne  fecero 
1’  acquisto. 

La  fotografìa  però,  fin  dal  1847  , fu  riconosciuta  nell’  osservatorio  di 
Greenwich  dall’illustre  Airy,  come  il  mezzo  preferibile  ad  ogni  altro  per  uso 
della  meteorologia  ; perchè  con  esso  l’ agente  registratore  non  è congiunto 
meccanicamente  coll’organo  indicatore,  perciò  gli  strumenti  fotografici  non  hanno 
le  imperfezioni  dei  meccanico-grafici,  e se  ne  hanno  altri,  questi  sono  assai 
meno  apprezzabili  di  quelli. 

Obbieterà  forse  taluno  la  spesa,  che  occorre  per  la  sorgente  luminosa;  ma  è 
da  riflettere,  che  questa  non  è molta,  servendosi  del  gas  della  illuminazione,  o 
del  petrolio,  senza  poi  riflettere  che  anche  si  potrebbe  questa  diminuire,  adoperan- 
do pel  giorno  la  luce  solare,  convenientemente  disposta.  Obbietterà  tal’  altro  che 
occorre  un  manipolatore  pratico;  ma  questa  pratica  in  poco  tempo  da  ognuno  si 
acquista,  e deve  avvertirsi  esservi  dei  meteorografi  meccanici  moderni,  tanto 
complicati,  che  non  agiscono  bene  senza  l’assistenza  dell’  inventore  loro.  Forse 
ancora  si  obbietterà,  che  i bagni  dati  alla  carta  sensibile,  potrebbero  dilatarla,  o 
restringerla  disugualmente,  in  diverse  direzioni,  lo  che  sarebbe  causa  di  er- 
rore per  la  misura  delle  indicazioni.  Lasciando  però  dall’un  dei  lati,  se  que- 
sta obbiezione  sia  fondata,  ho  trovato  un  mezzo  assai  semplice,  per  evitarla, 
Questo  consiste  nel  fare  la  scala,  solcata  sopra  una  conveniente  lastrina  di 
vetro,  e nel  fotografare  la  scala  medesima  unitamente  alle  indicazioni  baro- 
metriche; cosicché  le  divisioni  vengano  anche  esse  riportate  sulla  stessa  carta 
sensibile. 

Dopo  il  1847,  quando  la  fotografia  fu  applicata  pei  fenomeni  meteoro- 
logici, e magnetici  a Greenwich,  chiunque  abbia  voluto  far  progredire  vera- 


— 72  — 


mente  la  scienza,  si  rivolse  agl’istromenti  fotografici,  e non  a quelli  grafici 
meccanicamente.  I dotti  competenti  videro  fin  da  quell’epoca,  che  avendo  la 
fotografia  detronizzato  l’arte  del  disegnare,  avrebbe  fatto  altrettanto  pei  regi- 
stratori meccanico-grafici;  e se  ciò  non  ancora  si  è verificato  del  tutto,  si  ve- 
rificherà col  tempo:  la  verità  nulla  perde  benché  trionfi  tardi.  Merita  perciò 
molta  lode  l’osservatorio  di  Firenze,  ove  già  fu  introdotta  la  fotografia  pei 
magnetometri  ( Bullettino  meteorologico  dell' osservatorio  di  Moncalieri  del  28 
febbraio  1869,  p.  9)  o ci  auguriamo  che  questo  progresso  venga  imitato 
nell’illustre  osservatorio  del  collegio  romano. 

In  prova  di  questa  nostra  opinione,  riferiamo  quanto  siegue:  Il  sig.  Ro- 
nals  costrusse  un  barometro  fotografico,  descritto  e disegnato  nel  Traité  de 
physique  del  sig.  Daguin , voi.  1,  p.  370,  Paris  1858;  ed  a pag.  79  di  que- 
sto volume,  si  trova  la  descrizione  di  un  magnetometro  fotografico  a bilancia. 
Un  altro  istromento  di  tale  specie,  impiegato  nell’osservatorio  di  Greenwich, 
trovasi  descritto  nel  Cosmos  3.  sèrie , t.  v,  p.  415.  II  sig.  Beck  a Londra 
costrusse,  pel  comitato  meteorologico  di  Kew,  un  barometro,  ed  un  termo- 
metro, fotografici  ambedue  ( Cosmos , 3.e  sèrie,  t.  v.  p.  199  — Les  Mondes  7.° 
année,  t.  21,  p.  115).  Il  comitato  meteorologico  d’Inghilterra,  sebbene  co- 
noscesse uno  dei  più  rinomati  meteorografì  meccanici  , tuttavia  decise  nel 
1867,  d’introdurre  il  sistema  fotografico,  pei  numerosi  osservatori,  che  da  esso 
dipendono.  Gli  strumenti  registratori,  tanto  per  la  meteorologia,  quanto  pel 
magnetismo,  adoperati  nell’osservatorio  di  Lisbona,  tutti  sono  fotagrafìci,  e si 
trovano  descritti  negli  Annaes  do  observalorio  do  Infante  D.  Luiz.  Quanto 
grande  sia  stata,  la  estensione  che  ricevette  la  meteorologia  fotografica  in  In- 
ghilterra , può  rilevarsi  dal  rapporto  del  comitato  dell’  esservatorio  di  Kew 
( V.  les  mondes,  t.  18,  p.  472)  ove  si  dice  (p.  474,  li  1.)  che  nel  mede- 
simo furono  verificati  non  meno  di  32  termometri  fotografici  , senza  parla- 
re dei  barometri  e magnetometri,  fotografici  essi  pure.  Avvi  eziandio  nel- 
l’osservatorio nominato,  un  istromento  fotografico,  il  quale  registra  le  correnti 
elettriche  terrestri  (V.  Les  Mondes,  t.  17,  p.  290,  li  2,  salendo ). 

Dal  fin  qui  detto  risulta  quanto  la  fotografia  meteorologica  siasi  general- 
mente adottata,  in  ispecie  nella  Inghilterra,  ove  il  progresso  scientifico  è maggio- 
re. Se  Magellan  ( Observ . sur  la  phy.  par  Vabbé  Rozier , mai  1872,  t.  19,  p. 
348,  §.  244  ) avesse  conosciuto  la  fotografìa  , si  sarebbe  al  certo  servito  di 
essa,  in  vece  di  costruire  quel  suo  ingegnosissimo  meteorografo  meccanico,  che 


ha  servito  di  guida,  per  la  costruzione  di  altri  meteorografi  moderni  di  questo 
genere,  i quali  fin  dal  1847,  più  non  sono  al  livello  della  scienza. 

Il  sistema  barometrico  di  questo  meteorografo  è quello  a bilancia  ovvero 
statico,  inventato  da  Morland  che  presentò  questo  istromento,  e non  già  co- 
me taluno  crede,  una  semplice  sua  descrizione,  al  re  Carlo  II.  d’Inghilterra 
(Ibidem  p.  346).  Sarà  pure  utile  qui  ricordare  che  Morland  morì  nel  1695 
(. Poggendorff  Vocabolario  biografico , voi.  2.°  p.  209).  e che  Carlo  II,  morì 
nel  1685  ( Nuova  enciclopedia  italiana , voi.  4,  p . 509),  si  vede  quindi  essere 
già  trascorsi  quasi  due  secoli,  dacché  si  fece  la  invenzione  del  barometro  a 
bilancia. 

Per  giustificare  ancora  più  la  preferenza  che  deve  darsi  alla  fotografia  , 
rispetto  quei  sistemi  unicamente  meccanici  registratori  dei  fenomeni  meteo- 
rologici, si  debbono  consultare,  oltre  quelle  già  citate,  anche  le  altre  seguenti 
publicazioni:  l.°  A llcjemeine  deulsche  Zeilung , del  3 gennaio  1868  (supple- 
mento) — 2.°  Idem  del  2 maggio  1868  — • 3.°  Piepertorium  fur  Physikali- 
sche  Technik  von  Dr.  Ph.  Cari.,  Monaco  1867,  p.  281,  e seguenti.  • — • 4. 
Les  Mondes  2/  sèrie , t.  14,  an.  1867,  p.  430,  597,  786,  et.  15  p.  120.  — 
5 A Moniteur  scientikque , t.  9,  p.  641,  704,  773,  et  830.  — 6.°  L'Italie  del 
15  Luglio  1867  — 7.°  Annales  de  chim.  et  de  phy . 4/  sèrie  , an.  1868  , 
p.  29.  — 8.°  Description  d'un  méthéreographe  enregistreur,  construit  pour 
l'observaloire  d'Upsal  par  M.  le  D.  A.  G.  Theorell.  — 9.°  Poggendorff  Anna- 
voi.  133,  an.  1867,  p.  430. 

Vedendo  che  in  Roma,  ed  anche  nel  resto  d’Italia,  non  ancora  si  è dato 
saggio  di  applicazione  alcuna  della  fotografìa,  nel  registrare  qualche  fenomeno 
meteorologico,  volli  fare  una  prova  di  queste  applicazioni,  costruendo  un  ba- 
rometro fotografico,  nel  museo  di  fisica  della  università  romana,  ove  l’as- 
sistenza del  mio  collaboratore  sig.  Gio:  Campbell,  mi  è utilissima,  per  ogni  spe- 
cie di  ricerche.  Lo  strumento  da  me  diretto  consiste,  in  un  barometro  a pozzuolo 
grande,  per  potere  trascurare  le  piccolissime  differenze  di  livello  nel  pozzuolo 
stesso,  prodotte  dalle  barometriche  variazioni.  Dietro  la  estremità  superiore  di 
questo  barometro,  è collocato  un  cilindro,  girevole  intorno  al  suo  verticale  asse 
per  effetto  del  moto  di  un  orologio.  Questo  cilindro  compie  una  intera  rivolu- 
zione in  ore  24,  portando  applicata  sulla  sua  .superfìcie  convessa,  una  carta 
sensibile,  che  rimane  chiusa  in  una  cassetta  di  legno,  la  quale  ha  una  stretta 
fessura  verticale  , precisamente  dietro  la  estremità  superiore  del  tubo  baro- 
metrico, ed  è lunga  quanto  lo  comporta,  pel  nostro  clima,  la  massima  escur- 

10 


gione  barometrica  tanto  ascendente,  quanto  discendente.  La  sorgente  di  luce, 
collocata  in  opportuna  distanza,  consiste  in  una  fiamma  di  petrolio,  od  anche 
di  gas  idrocarburo,  ed  è posta  innanzi  alla  estremità  superiore  del  barome- 
tro stesso.  Una  lente  cilindrica  molto  alta,  che  contiene  una  soluzione  satura 
di  allume,  continuamente  rinnovata,  con  opportuna  disposizione,  per  diminuire 
la  temperatura  dei  raggi  luminosi,  manda  il  foco  rettilineo  di  questi,  pre- 
cisamente sulla  carta  sensibile  , rasentando  la  estremità  superiore  della  ba- 
rometrica colonna.  Questa  luce  perciò  chimicamente  agisce  sulla  carta  stes- 
sa, mentre  la  colonna  di  mercurio  vi  produce  l’ombra.  Per  evitare  i difetti 
provenienti  dalla  radiazione,  e dalla  estensione  variabile,  ossia  dalle  oscillazioni 
della  fiamma,  ho  circondato  questa  con  un  triplice  scranno  cilindrico,  con  op- 
portuni fori.  Per  tal  modo  si  ottiene  continuata  la  fotografia  negativa  dell’estre- 
mo superiore  della  indicata  colonna,  e della  scala  in  millimetri,  che  alla  me- 
desima estremità  trovasi  annessa.  La  luce  prima  di  giungere  alla  lente,  ha 
traversato  parecchi  scranni  di  vetro,  distanti  l’uno  dall’altro  di  mezzo  deci- 
metro e l’ interno  della  cassetta  e traversato  dall’aria  dell’ambiente.  A questo 
modo  il  calorico  dei  raggi  luminosi  non  ha  effetto  sensibile  sul  barometro,  e 
così  fatto  modo  potrà  utilmente  applicarsi  anche  al  termometro  fotografico. 

Ho  preferito  fotografare  la  variazione  barometrica,  nella  sua  naturale  gran- 
dezza; ma  si  potrebbe  con  eguale  facilità,  ottenerne  la  fotografia  molto  in- 
grandita, facendo  che  la  luce,  dopo  essere  passata  per  la  fessura,  traversi  una 
delle  solite  lenti,  che  dai  fotografi  si  adoperano  nelle  camere  oscure.  Però  mi 
è sembrato  che  basti  la  fotografia  di  grandezza  naturale;  poiché,  sicuri  della  sua 
precisione,  possiamo  ingrandire  sulla  carta  la  scala  come  vogliamo,  guardando 
con  una  lente  la  fotografia  stessa  , ed  inoltre  applicando  alla  scala  medesi- 
ma, così  fotografata,  un  micrometro,  od  un  nonio,  per  valutare  anche  le  frazioni 
di  millimetro.  Al  termine  di  ogni  ora,  l’orologio  produce  un  ecclissamento  di 
luce,  per  un  tempo  brevissimo,  sul  margine  della  carta  sensibile,  e così  ven- 
gono fotograficamente  manifestate  le  ore  sulla  carta  medesima  senza  che  le  divi- 
sioni della  scala  fotografata,  sieno  interrotte  dall’eclissamento  stesso.  Le  di- 
visioni millimetri  sono  fotografate  sulla  carta , senza  veruna  incertezza  o 
sfumatura,  lo  che  aggiunge  molta  precisione,  per  numerare  le  variazioni  delle 
altezze  barometriche,  come  ognuno  potrà  da  se  verificare,  osservando  le  foto- 
grafìe di  molti  giorni  da  me  ottenute  colì’indicato  metodo,  e che  ho  l’onore 
presentare  all’accademia. 

Il  meccanismo  esposto  dà  modo  eziandio  come  rimaner  convinti,  della  esat- 


— 75  — 


tezza,  che  accompagna  le  indicazioni  sue;  giacché  in  esso  avvi  mezzo  per  leggere 
ad  ogni  dato  istante,  queste  indicazioni  direltamente  sulla  scala  di  vetro  al  ba- 
rometro annessa,  e quindi  paragonarle  con  quelle  fotografate,  relative  al  me- 
desimo istante;  così  vedrà  ognuno , ehe  le  indicazioni  lette  direttamente , 
coincidono  a puntino  con  quelle  fotografate,  lo  che  offre  una  sicurezza  grande. 
Con  questo  mezzo  si  avrà  la  certezza  che  adoperando  istromenti  fotografici 
si  è dispensati  assolutamente  dalle  osservazioni  dirette  , ciò  che  non  è per- 
messo cogli  strumenti  registratori  meccanici  come  giustamente  ha  osservato 
il  Sig.  Sainte  Claire  Deville  (*). 

La  carta  è preparata  con  quattro  bagni;  il  primo  si  compone  di  azo- 
tato di  argento  ed  acqua;  il  secondo  di  joduro  di  potassio  ed  acqua;  il  terzo 
di  cera,  jodio,  ed  acqua  di  ragia;  ed  il  quarto  di  azotato  di  argento  , acido 
acetico,  ed  acqua.  Lo  sviluppo  della  negativa  è fatto  con  un  quinto  bagno  , 
composto  di  acido  gallico,  acido  acetico,  ed  azotato  di  argento.  La  fotografia 
viene  fissata  con  un  sesto  bagno  d’iposolfito  di  soda. 

Non  conosco  se  questo  chimico  processo,  che  produce  ottimo  effetto,  coin- 
cida in  tutto  con  altri  già  praticati. 

Pubblicherò  quanto  prima  una  memoria,  nella  quale  farò  conoscere,  le  for- 
mule da  me  calcolate,  relative  ai  diversi  modi,  coi  quali  si  può  compensare 
automaticamente,  l’effetto  della  temperatura  dell’ambiente  sulla  barometrica 
colonna  di  mercurio , come  ancora  qualche  altra  circostanza  del  meccanismo 
sopra  indicato. 


(*)  Cosmos  3.  Sèrie,  t.  4°,  p.  485  année  1869. 


Osservazioni  del  P.  Secchi  sulla  comunicazione  precedente 


frinita  la  lettura  del  Sig.  Prof.  Volpiceli!  il  padre  Secchi  chiese  la  pa- 
rola, e domandò  in  che  questo  sistema  di  barometro  fotografico  differiva  da 
quello  usato  altrove  , p.  es.  ad  Oxford  , giacché  a lui  pareva  identicamente 
la  stessa  cosa,  salvo  che  la  compensazione  pel  calorico  qui  non  era  spiegato 
come  fosse  fatta,  mentre  colà  ad  Oxford  è eseguita  in  modo  assai  ingegnoso. 

Inoltre  osservò  che  l’invocare  il  meteorografo  di  Magellano  è l’ invocare 
un’idea  e un  progetto  che  non  ha  mai,  avuto  effetto  pratico  e per  alcune  sue  par- 
ti non  poteva  aver  luogo,  (*)  per  stabilire  una  superiorità  imaginaria  sui  meteo- 
rografi  moderni,  che  cosi  non  avrebbero  più  merito  di  invenzione,  mentre  sono 
tanto  diversi  : se  non  fosse  altro  per  l'uso  dell’elettricità  che  a quel  tempo 
nè  anche  era  conosciuta.  L’  applicazione  di  questo  agente  alla  meteorografia 
costituisce  un  progresso  reale  e talmente  diverso  che  non  è permesso  di  con- 
fondere in  un  fascio  tutti  i meteorografi  meccanici  e dichiararli  come  fa  il 
dotto  disserente  come  tali  che  non  sono  al  livello  della  scienza. 

Per  dimostrare  che  non  sono  al  livello  della  scienza  bisogna  provare 
che  sono  difettosi  e che  non  danno  indicazioni  precise  e sufficienti  onde 
sono  indispensabili  i fotografici.  Il  che  il  Prof.  Volpicelli  non  potrà  mai 
provare.  Nè  questo  può  concluderlo  dall’  autorità  di  nessuna  nazione  o per- 
sona che  li  usi  e preferisca  , ma  dal  loro  intrinseco  merito.  Ora  non  sa- 
rebbe diffìcile  provare  che  anche  nei  barometri  e strumenti  grafici  per  fo- 
tografia vi  sono  molti  e gravi  difetti.  I termometri  hanno  almeno  un  vo- 
lume 4 volte  maggiore  di  quelli  usati  nel  meteorografo  del  Collegio  Romano. 
La  scala  non  è ingrandita,  e se  lo  è non  conserva  i valori  proporzionali  per 
tutto  almeno  in  alcune  costruzioni  : sempre  sono  alterate  dai  moti  delle 
carte  nel  disseccarsi:  vi  è il  difetto  di  parallasse,  rapporto  al  lume:  nei  grandi 
movimenti  spesso  escono  di  scala,  spesso  manca  del  tutto  e riesce  ilìegibile 
l’impressione,  e non  può  accorgersi  del  difetto  che  dopo,  quando  non  è più 
tempo  di  rimediarvi:  bisogna  fare  tante  figure  separate,  quanti  sono  gli  stru- 
menti ecc.  ecc. 


(*)  Y.  i Comptes  Rendus  tom.  LXV.  pag.  443  e seg.  ove  ciò  è dimostrato. 


— 77  — 


Sopratutto  poi  la  spesa  del  primo  impianto,  e della  manutenzione  è di 
assai  superiore  a quella  degli  altri  strumenti,  e questo  è un  punto  grave  per 
gli  uomini  di  buona  volontà.  Quindi  gli  pare  che  sia  una  critica  esagerata 
quella  di  rigettare  in  fascio  questi  strumenti , come  al  di  sotto  del  livello 
della  scienza.  Non  toccheremo  gli  argomenti  di  autorità,  perchè  questi  nulla 
concludono  nel  fatto  nostro  , e potremmo  bene  opporre  autorità  ad  autorità 
anche  tra  gli  inglesi,  alcuni  de’  quali  sedevano  pur  giudici  del  meteorografo 
all’esposizione  di  Parigi  del  1867. 

In  quanto  all’  asserzione  che  nessuna  publicazione  utile  si  è fatta  con  gli 
strumenti  grafico-meccanici,  noi  diremo  esser  ciò  assolutamente  inesatto  , e 
falso.  Le  osservazioni  orarie  di  Vienna,  Praga,  Bruxelles  ecc.  e alcune  stesse  di 
Greenwich  come  pel  vento  ecc.  Non  sono  punto  fotografiche,  ma  meccaniche. 

Le  fotografiche  per  gli  strumenti  meteorologici  non  si  fanno  che  dov  e 
esiste  pei  magnetometri  un  laboratorio  apposta  perchè  allora  poco  di  più 
cresce  il  lavoro.  È ben  altro  fare  un  saggio  di  una  settimana,  e di  uno  stru- 
mento, e altro  farlo  per  uso  continuo  di  anni  e di  molti  strumenti. 

Sono  sempre  però  fuor  di  questione  i magnetometri,  nei  quali  anche  il 
P.  Secchi  è d’accordo  che  la  sola  maniera  esatta  è la  fotografìa,  e da  molto  tempo 
egli  l’avrebbe  istituita  se  ne  avesse  avuto  i mezzi,  ma  è stato  spaventato 
dalle  spese,  e ciò  che  ha  veduto  e saputo  a Kiew,  a Firenze  e a Stonyhurst,  ove 
ha  bene  esaminato  tutto  per  minuto,  lo  ha  persuaso  che  colle  sue  forze  sole, 
come  ha  fatto  finora  quello  che  ha  fatto , è nell’assoluta  impossibilità  di 
riuscirvi.  E anche  qui  potrebbe  con  gravi  autorità  entrare  a discutere  la  utilità 
della  fotografìa  più  a fondo,  ma  non  è luogo. 

Se  poi  la  critica  del  manco  di  pubblicazioni  pretendesse  riferirsi  al  Col- 
legio Romano,  il  P.  Secchi  si  fa  un  onore  di  informare  chi  noi  sapesse,  che 
per  varii  anni  ha  pubblicato  le  curve  de  meteorografo  ridotte  col  pantografo 
profittando  del  vantaggio  che  tutto  è riunito  in  una  sola  tavola  dalla  macchina, 
e che  ciò  ha  fatto  a spese  sue,  ma  che  questo  non  ha  potuto  più  fare  ulte- 
riormente per  mancanza  di  mezzi;  però  esso  è pronto  a farlo  quando  piaccia 
all’  Accademia  sopperire  alle  spese,  essendo  i materiali  sempre  pronti. 


Il  prof.  Volpicelli,  dopo  queste  osservazioni  del  p.  Secchi , dichiarò  che 
per  le  medesime  nulla  egli  trovava  da  dover  cangiare  su  quanto  aveva  co- 


— 78  — 

municato,  relativamente  al  barometro  fotografico  da  esso  construito;  ed  anche 
riguardo  alla  preferenza,  che  il  medesimo  professore  credeva  doversi  dare  alla 
fotografia,  nelle  meteorologiche  ricerche.  Inoltre  il  Volpicelli  promise,  che  nella 
prossima  tornata,  egli  avrebbe  risposto  completamente,  alle  valutabili  osser- 
vazioni del  p.  Secchi. 


COMUNICAZIONI 


La  Santità  di  N.  S*  si  degnò  inviare  in  dono  all’accademia,  nove  volumi 
legati  con  lusso,  e contenenti  le  più  ragguardevoli  pubblicazioni  del  nostro  cor- 
rispondente straniero  signor  conte  di  Saint  Venant.  L’accademia  manifestò  i 
sentimenti  della  maggiore  gratitudine  per  l’indicato  dono  sovrano.  I titoli  delle 
pubblicazioni  medesime,  si  trovano  registrati  completamente  nel  bullettino  bi- 
bliografico posto  in  fine. 

Le  belle  arti  avendo  perduto  un  loro  luminare,  colla  morte  del  coni.  Luigi 
Poletti,  che  appartenne  all’accademia  nostra,  come  socio  ordinario  di  essa, ebbero 
luogo  a suffragarne  l'anima  due  funerali,  uno  in  S.  Maria  in  Aquiro,  1’  altro 
nella  Chiesa  di  S.  Luca;  e tutta  1’  accademia  dolente  , prese  parte  a questi 
suffragi. 


CORRISPONDENZE 

Coll’ ossequiato  dispaccio  del  25  giugno  1869,  N.°  3980,  l’Emo  e Rmo 
Camerlingo  di  S.  R.  C.,  protettore  dell’accademia,  e per  esso  l’Emo  e Rmo 
sig.  Cardinale  Antonelli,  fece  noto,  al  sig.  presidente,  che  la  Santità  di  N.  S. 
si  era  degnata  benignamente  apporre  la  sua  sovrana  sanzione  , alla  nomina 
fatta  non  ha  guari  dall’accademia,  dei  quattro  membri  ordinari,  per  formare 
la  nuova  commissione  di  censura,  la  quale  perciò  si  compone  attualmente  dei 
seguenti.. 

Monsignor  F.  Nardi  — Prof.  cav.  L.  Respighi  — Prof.  cav.  V.  Diorio  — 
e R.  P.  A.  Secchi. 

11  medesimo  porporato  , coll’  onorevole  dispaccio  del  25  giugno  1869  , 
N.°  3981,  rende  consapevole  il  nostro  sig.  presidente,  avere  il  S.  Padre  ap- 
provato, che  abbia  l’accademia  di  nuovo  eletto  alla  presidenza,  il  sig.  cavaliere 
prof.  R.  Viale  Prelà.  Contemporaneamente  l’Emo  Card.  Antonelli  scrivente, 
fa  osservare,  non  essere  stato  conforme  alle  norme  degli  statuti,  ripetere  la 
votazione  come  si  fece  nella  indicata  elezione  per  sostenere  il  principio  del- 
l’assoluta maggioranza  di  voti,  principio  che  non  è dalle  norme  stesse  prescritto. 


Il  sig.  ingegnere  Luigi,  Sereni  con  una  gentile  sua  lettera,  offerse  in  dono 
all’accademia,  il  ritratto  del  suo  padre  Com.  Carlo,  nostro  collega  ordinario, 
che  cessò  di  vivere  con  rammarico  universale,  tanto  per  la  grave  perdita  che 
arrecò  questa  morte  alla  pubblica  istruzione,  quanto  perchè  formava  egli  colla 
sua  dottrina,  uno  dei  principali  ornamenti  di  questo  accademico  consesso.  I 
Lincei  gradirono  al  sommo  1’  indicato  dono  , decretando  che  il  ritratto  di 
questo  illustre  loro  socio  fosse,  collocato  nell’aula  delle  sessioni,  e che  un  rin- 
graziamento fosse  inviato  al  donatore  di  lui  figlio. 

La  R.  Università  di  Norvegia  comunicò  la  morte  del  prof.  Dr.  Michele 
Sars,  illustre  zoologo,  avvenuta  nel  20  di  ottobre  dell’ 1869. 

Il  sig.  Wiedmann,  bibliotecario  della  R.accademia  delle  scienze  di  Monaco, 
accompagna  in  dono  con  una  sua  lettera,  parecchie  pubblicazioni  dell’accademia 
stessa,  registrate  nel  bullettino  bibliografico  posto  in  fine. 

Il  sig.  Trendelenburg,  segretario  della  R..  accademia  di  Rerlino,  annuncia 
il  dono  di  alcune  sue  pubblicazioni,  registrate  nel  bullettino  bibliografio. 

Il  sig.  G.  B.  Airy,  direttore  del  R.  osservatorio  astronomico  di  Greenwich, 
ringrazia  per  gli  atti  de  nuovi  lincei  da  esso  ricevuti. 

Il  bibliotecario  di  Oxford,  ringrazia  per  lo  stesso  motivo. 

La  Reale  Società  di  Londra,  per  mezzo  del  suo  segretario  signor  W.  H. 
Miller,  egualmente  ringrazia. 

Il  sig.  Axel  Erdmann,  direttore  delle  ricerche  geologiche  della  Svezia,  fa 
giungere  in  dono  le  pubblicazioni  dal  fascicolo  26  al  30,  della  carta  geologica 
di  quel  regno,  coi  relativi  schiarimenti. 

La  Società  delle  arti  e dell’archeologia  di  Ulma,  per  mezzo  del  suo  se- 
gretario sig.  Dr.  Adam,  invia  le  sue  pubblicazioni,  e prega  onde  avere  quelle 
dei  Lincei. 


La  R.  Società  delle  scienze  di  Upsala,  mediante  il  suo  bibliotecario  sig. 


— 81  — 


Robmalen,  ringrazia  per  gli  atti  dei  nuovi  Lincei  da  esso  ricevuti,  ed  in  pari 
tempo  invia  le  sue  pubblicazioni. 


Il  direttore  dell’osservatorio  fìsico  centrale  di  Pietroburgo,  e per  esso  il 
sig.  Riscatcheff,  invia  gli  annali  dell’osservatorio  stesso  pel  1865. 

L’istituto  Smitsoniano  di  Washington,  invia  le  sue  pubblicazioni,  relative 
al  1866,  ed  al  1867. 


L’  imperiale  accademia  delle  scienze  di  Vienna,  per  mezzo  del  suo  se- 
gretario generale  sig.  A.  Schròtter  , fa  giungere  parecchie  sue  pubblicazioni, 
registrate  nel  seguente  bullettino  bibliografico. 

L’accademia,  delle  scienze  di  Nancy,  mediante  il  suo  segretario  perpetuo, 
ringrazia  per  gli  atti  ricevuti  dell’accademia  nostra. 


COMITATO  SEGRETO 

L’accademia,  dietro  l’invito  del  sig.  presidente,  procedette  per  ischede  alla 
nomina  del  nuovo  comitato  accademico.  Per  tanto  con  maggioranza  di  voti  ri- 
sultarono eletti  a comporre  il  comitato  stesso,  i seguenti  soci  ordinari:  sig. 
prof.  Cav.  G.  Ponzi  — R.  P.  D.  Chelini— Cav.  V.  Diorio — Com.  A.  Cialdi. 
Questa  elezione  sarà  sottoposta  all’approvazione  sovrana 

Si  nominò  eziandio  per  ischede  la  commissione  , incaricata  di  fare  un 
rapporto  sul  consuntivo  del  1869,  e sul  preventivo  del  1870,  ed  a maggio- 
ranza di  voti  risultarono  eletti  a comporre  la  commissione  indicata,  ì signori 
professori:  mons.  Tortolini  — cav.  Betocchi  — R.  P.  Secchi  — ed  E.  Rolli. 

L’  accademia  riunitasi  legalmente  alle  due  pomeridiane,  si  sciolse  dopo 
due  ore  di  seduta. 


11 


Soci  presenti  a questa  sessione 


D.  Chelini  — M.  Massimo  — A.  Coppi  — E.  Rolli  — A.  Cialdi  — 
F.  Giorgi  — Azzarelli  — F.  Castracane  — L.  Respighi  — Prof.  Diorio  — > 
P.  A.  Guglielmotti  — - P.  A.  Secchi  •*-*  P.  Volpicelli — B. Viale — G.  Ponzi 
— L.  Jacobini  — B.  Boncompagni  — S.  Cadet  — B.  Tortolini  — G.  Pieri 
— • A.  Betocchi. 

Pubblicato  nel  28  di  febbraio  1870. 

P.  V. 


OPERE  VENETE  IN  DONO 

Memorie  del  sig.  Conte  de  Saint-Venant,  donate  dalla  Santità  di  N.  S. 
Papa  Pio  IX. 

Le  seguenti  memorie  si  trovano  nel  volume,  che  ha  per  titolo  : « Mémoires 
et  Programme  de  Genie  rural  et  nolices  sur  tous  ses  travaux  scientifi- 
ques  jusqu'en  1868  ». 

1.  Sur  la  forme  à donner  aux  versoirs  de  charme. 

2.  Programme  d'un  cours  de  Génie  rural. 

3.  Deuxieme  programme  d'un  cours  de  Génie  rural. 

4.  Nolice  (1858)  sur  les  travaux  et  titres  scienlifiques  de  M.  de  Saint-Venant 

5.  Nolice  (1864)  Idem. 

6.  Nolice  complémentaire  (1868).  Idem. 

Le  seguenti  memorie  si  trovano  nel  volume  che  ha  per  titolo  : Rapporls  eie. 
à l'Académie  des  Sciences  de  V Istituì,  fails  par  M.  de  Saint-Venanl  ». 

1.  Rapport  sur  deux  Communications  de  M.  Tresca,  relatives  àVecoulement 
de  solides  ductiles. 

2.  Calcul  approché  du  mouvement  des  divers  poinls  d'un  bloc  duclile  pen- 
dant quii  s'écoule. 

3.  Solution  exacle  du  problème  des  mouvements  que  peuvent  prendre  les  di- 
vers points  d'un  solide  ductile  ou  d'un  liquide. 

4.  Suite  à celte  solution  — Vase  parallélipipède  — Vase  cylindrique. 

5.  Problème  des  mouvements  que  peuvent  prendre  les  divers  poinls  d'une 


— 83  — 


masse  liquide  ou  solide  ductile,  pendant  son  écoulement  et  considerations 
générales  d'hydrodynamique  analytique. 

6.  Rapport  sur  urie  communication  relative  à l'appareil  à V aide  du  quel  , 
AL  de  Caligny  diminue  dans  une  proportion  considérable  la  consumation 
d'eau  dans  les  écluses  des  canaux  de  navigation. 

7.  Rapport  sur  un  mémoire  de  AL  Roussinesq  relatif  à Vinfluence  du  frot- 
tement  dans  les  mouvements  réguliers  des  fluides. 

8.  Rapport  sur  un  mémoire  de  AL  Maurice  Levg  relatif  à V hydrodyna- 
mique. 

9.  Note  sur  les  valeurs  que  prennent  les  pressions  dans  un  solide  élastique 
isolrope,  lorsque  fon  tient  compie  des  dérivées  d'ordre  superieur  des  déplace- 
ments  très  petits  que  leurs  poinls  ont  éprouvés. 

Le  seguenti  memorie  si  trovano  nel  volume  intitolato  : « Oeuvres  diverses 
d'hydraulique  ». 

1.  De  V aménagement  des  eaux  pluviales  pour  améliorer  le  sol  et  pour  pre- 
venir les  inondalions. 

2’  Tables  et  formules  nouvelles  pour  les  eaux  courantes,  avec  application  aux 
rémour  etc. 

3.  Tables  hydrauliques  et  méthodes  graphiques  pour  les  eaux  courantes  et 
leurs  rémours. 

4.  Problème  de  rémour  et  des  gonflements  produits , jusquà  de  grandes  di- 
slances  dans  le  cours  d'eau . 

Le  seguenti  memorie  si  trovano  nel  volume  che  ha  per  titolo  : « Mémoire 
sur  la  torsion  et  la  flexion  des  prismes  élastiques  et  sur  leur  résistances 
à divers  efforts  s'exercant  simultanément  ». 

1.  Mémoire  sur  la  torsion.  1865. 

2.  Premier  extrait  sur  ce  sujet.  1847. 

3.  Deuxieme  extrait. 

4.  Etablissement  élémentaire  des  formules  de  la  torsion.  1858. 

5.  Travati  ou  Polentiel  de  la  torsion.  1864. 

6.  Extrait  du  mémoire  sur  la  flexion.  1854. 

7.  Mémoire  sur  la  flexion  des  prismes , sur  les  glissements  transversaux  et  lon - 


— 8-4  — 

giiudinaux  qui  Vaccompagnent  et  sur  la  forme  courbe  affectée  par  leurs 
seclions.  1856. 

Le  seguenti  memorie  si  trovano  nel  volume  che  ha  per  titolo:  « Oeuvres  di- 
ter s de  M.  de  Sainl-Venant,  tome  1 . 

1 . Extraits  des  mémoires  sur  la  résistence  des  solides. 

2.  Sur  la  pressioni  dans  V inter ieur  des  corps,  ou  à lenir  surface  de  séparation. 

3.  Sur  les  flexions  considérables  des  verges  élasliques. 

4.  Equilibre  et  résislance  des  corps  élastiques , quand  les  déplacemenls  de  leurs 
points  ne  soni  pas  très  pelils. 

5.  Calcul  de  la  résislance  d'un  pont  en  charpente. 

6.  Sur  la  dynamique  des  fluides;  Elablissement  simple  et  presque  sans  hy- 
pothèses,  des  formules  (géiìérales  de  leurs  pressioni  et  froltements  inlerieurs. 

7.  Mode  d' interpolalion  applicable  à des  questions  du  mouvement  des  eaux. 
9.  Sur  Vécoulemént  de  Vciir  determinò  par  des  différences  de  pressions  consi- 

derables. 

il.  <ì.eme  note  sur  Vécoulement  de  Vair. 

13.  Lettre  à É.  le  Comte  de  Gasparin  sur  le  réboisement  etc. 

14.  Sur  la  dérivation  des  eaux  pluviales. 

15.  Détermiiìation  expérimentale  des  forces  retardatrices  des  fluides. 

16.  Sur  la  perle  de  force  vive  d'un  fluide. 

1 7.  Sur  la  théorie  de  la  résistance  des  fluides ; solution  du  paradoxe  propose 
par  d' Alembert  aux  Géomètres. 

18.  Formules  nouvetles  pour  les  eaux  courantes. 

19.  (Suite)  ( Voir  aux  oeuvres  diverses  d'hydrauliques  in  8.°) 

21.  lufluence  retardatrice  de  la  courbure  dans  les  courants  d'eau. 

22.  Calcul  de  Vinfluence  retardatrice  des  herbes , des  broussailles  eie. 

24.  Mémoire  sur  les  lignes  courbes  non  planes. 

25.  Mémoire  sur  les  lignes  courbes  non  planes  ( Exlrail ). 

26.  De  Vinterprélation  géomètrique  des  clefs  algebriques  et  des  dèlerminantes . 

27.  Méthode  pour  la  résolulion  par  approximations  successives  des  problèmes 
ci  deux  inconnues  posés  ou  non  pósés  en  équation. 

28.  Sur  la  relation  entro  les  neuf  cosinus  des  angles  de ' deux  systèmes  de 
trois  droites  recìangulaires. 

29  Tableau  de  formules  de  la  théorie  des  courbes  dans  Vespace. 

30.  Sur  les  sommes  et  les  différences  géòmètriques  ainsi  que  sur  leur  usage 
pour  simplifler  la  mécanique  ét  sur  la  pOssìbililé  d'  exposer  celle  scien  ce 


— 85  — 


sans  f aire  intervenir  ces  causes  secondcs  aveugles  doni  rien  ne  prouve 
Vexislence. 

31.  Principes  de  mécanique  fondés  sur  la  cinemalique.. 

Le  seguenti  memorie  si  trovano  nel  volume  , che  ha  per  titolo  : « Oeuvres 
diverses  de  M.  de  Saint-Venant.  tome  2.  #. 

1 . Distribution  des  élasticités  autour  de  cheque  point  d ’ un  solide  ou  d'  un 
milieu  de  contexlur  quelconquei  particulièrment  lorqiiil  est  amorphe , sans 
ètre  isotrope. 

2.  Extrait  de  ce  mémoire  sur  la  distribution  des  élasticités. 

3.  Sur  le  nombre  des  coèfficients  inégaux  des  formules  donnant  les  compo- 
santes  des  pressions  dans  Vinterieur  des  solides  élastiques. 

4.  Formules  de  Vélasticité  des  corps  amorphes  que  des  compressions  ont  ren- 
dus  hétérotropes. 

5.  Sur  les  divers  genres  d'homogénéité  des  corps  solides  etc. 

6.  Sur  Vimpulsion  transversale  et  la  resistance  vive  des  barres  élastiques  ap- 
puyées  aux  extrémités , mémoire  du  10  aout  1857. 

7.  Idem  article  du  21  janvier  1854;  au  journal  VInstitut , 15  février. 

9.  Troisième  complément  à ce  mémoire. 

1 1 . Sur  Vélasticité  des  corps , sur  leurs  vibrations  atomiques  et  explicalion  de 
leur  dilatation  par  la  chaleur. 

12.  Sur  la  vitesse  du  son  dans  Vair. 

13.  Sur  les  contractions  d'une  lige  en  application  au  frotlements  de  roule- 
ment  sur  un  lerrain  élaslique. 

14.  Vibrations  lournantes  des  verges  élastiques. 

15.  Sur  le  choc  longitudinal  des  deux  barres  élastiques  des  grosseur  ou  de 
malière  semblables  ou  differents  et  sur  la  proportion  de  leur  force  vive 
qui  est  perdite  pour  la  translalion  ultérieure , eie. 

Le  seguenti  memorie  si  trovano  nel  volume  intitolato:  « Mémoires  et  Opu- 
scules  de  M.  de  Saint-Venant  ». 

1.  Sur  la  question  de  savoir  s'il  existe  des  masses  conlinues  et  sur  la  na- 
ture probable  des  dernières  particules  du  corps. 

2.  Méthode  générate  de  réduclion  des  démonslrations  à leur  forme  la  plus 
simple  et  la  plus  dircele. 


3.  Sur  les  mouvements  relatifs  à des  systèmes  quelconques. 

4.  Sur  la  définition  de  la  'pressioni. 

5.  Chimie.  — Procédé  expéditif  de  dosage  du  chlore. 

6.  Pressions  développées  quand  les  déplacemenl  ne  sont  pas  Irès  petits. 

7.  Frottement  de  roulement. 

8.  Ecoulement  de  Vair. 

9.  Analyse  géométrique  des  grandeurs  dirigées. 

10.  Moments  cubique  de  Vaires. 

1 { . Optique.  Grandeur  linéaire  attribuée  instinctivement  aux  distances  dans 
les  espaces  celestes. 

12.  Résistance  des  fluides.  Solution  d'un  paradoxe  proposé  par  d' Alembert. 

13.  Résistance  des  fluides  [Suite).  Travail  totale  des  frottements  dans  un 
cours  d'eau. 

14.  Résistance  des  fluides  (2. ame  Suite). 

15.  Théorèmes  sur  le  frottement  des  fluides. 

16.  Forces  vives  décomposées. 

18.  Chemins  de  fer  à air  comprimé. 

19.  Surfaces  à pentes  conslanles.  Courbes  antipar alleles.  Faites  et  Tlialmegs. 

20.  Torsion  des  prismes. 

21.  Tiges  élastiques  à doublé  courbure. 

Résumé  des  Legons  données  a l'école  des  ponts  et  chaussées  sur  l'application 
de  la  mécanique. 

Notice  sur  la  vie  et  les  ouvrages  de  Pierre-Louis-Georges  comte  du  Ruat. 


Altre  pubblicazioni  dell’autore  medesimo,  da  esso  donate  all’  Accademia 

1 . De  Vemploi  de  la  lolle  imperméable  dans  les  fond  ilions  par  immersion 
[Annales  des  Ponts  et  Chaussées,  1834,  1.  Dem .)♦ 

2.  Biograghie  - Wantzel  ( Annales  de  mathématiques  de  Terquem,  (1849). 

3.  Séparalion  de  la  Sauldre  et  du  Beuvron,  le  canal  dérivé  de  la  Sauldre 
[Echo  agricole,  1852,  mai). 

4.  Influence  retardalrice  des  herbes,  des  broussailles,  des  arbres  eie.  , sur 
l'écoulement  des  eaux,  principalment  de  celles  qui  sont  débórdées  dans 
les  plaines  pendant  les  crues  des  rivières  (L'Institut,  22.  année,  1854). 

5.  Divers  résultats  relatifs:  \°  A la  flexion  des  prismes  dans  des  plans  obli- 


— 87  — 


ques  aux  axes  principaux  d’inertie  de  leurs  sections  transversales;  2°.  A 
la  torsion  des  prismes  en  général  ( UInslitut , 1854  22.  an.). 

6.  Divers  résultats  relatifs  à la  torsion  d'un  prisme  à base  de  triangle  éqai- 
latéral,  à celle  de  deax  prismes  oa  cyhndres  parallèles  rendus  solidaires 
eie.  ( Vlnstitut , 28.  an.  1855). 

7.  Sur  l'élaslicité  des  corps , sur  les  actions  entre  leurs  molécules , sur  leurs 
mouvements  vibratoires  atomiques , et  sur  leur  dilatation  par  la  chaleur 
( UInslitut , id.  1855). 

8.  Sur  les  conséquences  de  la  théorie  de  l'élasticité  en  ce  qui  regarde  la 
théorie  de  la  lumière  [Vlnstitut,  24.  an.  1856). 

9.  Sur  la  rilesse  du  son  ( Inslitut , id.). 

10.  Divers  résultats  élementaires  pouvant  servir  au  prompt  calcili  des  mo- 
menls  d'inertie  et  des  positions  des  axes  principaux  des  surfaces  planes  , 
telles  que  les  sections  transversales  des  pièces  solides  fléchies,  et  polir  ap- 
précier  à sa  piste  valeur  l'influence  des  nervures  sur  les  résislances  à la  fle- 
xion  et  à la  ruplure  par  flexion  à égale  quantità  de  matière  des  pièces  pri- 
smaliques  qui  y soni  soumises  ( Vlnstitut , id.). 

11.  V élablissement  élemenlaire  des  formules  de  la  torsion  des  prismes  à base 
quelconque , obtenues  analytiquement  ( Vlnstitut , 26.  an.  1858). 

12.  Des  conditions  pour  que  six  fonclions  des  coordinnées  x,y,z  des  poinls 
d‘un  corps  élaslique  représentenl  des  composantes  de  pression,  s'exergant  sur 
trois  plans  reclangulaire  à Vinterieur  de  ce  corps , par  suite  de  petils  chan- 
gements  de  dislance  de  ses  parlies. 

13.  Sur  la  théorie  de  la  doublé  refraclion  ( Compie  renda  des  seances  de 
VAcadérnie  — tome  L VII,  1863). 

14.  Choc  longitudinal  de  deux  barres  élasliques , dont  Vane  est  exlrémement 
courle  ou  extrémemenl  roide  rapport  à l'autre  ( Mars  1868). 

Rendiconto  della  R.  Accademia  delle  scienze  fisiche  e matematiche  di  Napoli  — - 
Anno  Vili.  Fase.  5-10  del  1869. 

Memorie  dell'  Accademia  delle  scienze  dell'Institulo  di  Bologna.  — Serie  HI. 
Tomo  4 del  1 869. 

Rendiconto  delle  sessioni  dell' Accademia  sudd.  — Anno  aceadem.  1868-1869. 

Memorie  del  R.  Istituto  Lombardo  di  scienze,  e Lettere.  (Classe  di  lettere,  e 
scienze  inorali,  e politiche).  — Voi.  IX.  - 2.  della  serie  III:  fase.  II. 


88  — 


Memorie  del  R.  Istituto  sudd.  (Classe  di  scienze  matematiche  e naturali).  — 
Voi.  XI.  - II.  della  Serie  III. 

Rendiconti  del  R.  Istituto  suddetto.  — Serie  II.  Voi.  II.  fase.  X - XVI  del 
1869.  • 

Memorie  del  R.  Istituto  Veneto  di  scienze , L.  ed  A.  — Voi.  XIV.  Parte  II. 
1869. 

Alti  del  R.  Istituto  suddetto.  — Disp.  2;  e Disp.  5.-9.  del  1868-69. 

Alti  delV Accademia  Gioenia  di  scienze  naturali  di  Catania.  — Serie  III. 
Tomo  II.  e III.  1868-69. 

Relazione  dei  lavori  scientifici  trattati  negli  anni  XXXXI-XL1II  delV  Acca- 
demia suddetta , presentata  dal  segretario  generale  C.  Sc/uto-Patti. 

Atti  della  fondazione  scientifica  Gagnola.  — Voi.  I.  parte  1 . ( che  abbraccia 
il  triennio  1867-1869..). 

Considerazioni  sulla  matematica  pura ; del  prof.  Giusto  Bellavitis.  — ■ Un 
fase,  in  4.  1867. 

Rivista  di  giornali  presentala  al  R.  Istituto  veneto  dal  prof,  suddetto  negli 
Anni  1865-1869.  — Fascicolo  settimo. 

L'  Abissinia  o Abastia  del  Mappamondo  di  Fra  Mauro  per  G.  Berchet.  — 
( Lettera  al  Comm.  C.  Negri  ).  Un  fase,  in  8.  Firenze  1869. 

Note Nota  sul  numero  e (base  dei  logritmi  neperiani)  per  S.  Re  ali  s. — 

ingegnere  a Torino.  Parigi,  1869;  Un  fase,  in  8. 

Sull' esistenza  delle  linee  longitudinali  dello  spettro  solare.  Nuove  osservazioni 
fatte  da  Janssen  alle  Indie , nella  occasione  di  determinare  la  materia  delle 
proturberanze  solari.  Nota  del  prof.  cav.  F.  Zantedescui. 

Sulla  riduzione  della  lignite  e della  torba  , che  abbondano  in  alcune  con- 
trade d'Italia,  in  buon  carbone  fossile.  Memoria  del  suddetto.  — Venezia 
1869. 

Descrizione  dell' Igrotermografo , del  R.  osservatorio  di  Modena ; del  prof.  D. 
Ragona. 

La  caligine  atmosferica ; del  suddetto.  — Modena,  1869.  2.  fase.  8.  e 12. 

Dell' Aneurisma  in  generale , pel  D.r  V.  Morra. 

L'acqua  di  lauro  ceraso  nella  cura  del  mughetto , pel  sudelto.  Generiche  con- 
siderazioni sulla  medicina  sperimentale;  pel  suddetto.  — Napoli,  1869.  3. 
fase,  in  8. 

La  forza  considerata  nelle  sue  principali  trasformazioni;  per  A.  Serpieri  d. 
S.  P.  — (2.  ediz.  con  agg.  e note  ).  Urbino  1869.  Un  fase,  in  8. 


— 89  ». 

Meteorologia  anconitana  dal  1 dicembre  1863,  al  30  novembre  1868.  — An- 
cona, 1868.  Un  fase,  in  8. 

Sopra  gli  aeroliti  caduti  il  giorno  29  febbraio  1868  nel  territorio  di  Villanova 
e Molta  dei  Conti  ( Piemonte-Circondario  di  Casale  ).  Memorie  dei  pro- 
fessori A.  Go/ran,  A.  Bertolio , A.  Zannetti , L.  Musso.  — Torino,  1868. 
Un  fase,  in  8. 

Le  aurore  polari  del  1869,  ed  i fenomeni  cosmici  che  le  accompagnarono. 
Memoria  del  P.  F.  Lenza.  — - Torino  1869.  Un  fase,  in  8. 

Ballettino  meteorologico  delV osservatorio  del  B.  collegio  C.  Alberto  in  Mona- 
cali eri.  — Aprile,  Maggio,  Giugno,  Luglio,  Agosto  1869. 

Rassegna  mensile  statistica  degli  ospedali  e della  città  di  Roma.  — Anno  li. 
Marzo,  Aprile,  Maggio  1869. 

Giornale  di  scienze  naturali  ed  economiche  di  Palermo.  — Anno  1869,  Voi.  V. 
fase.  I.  e II.  Parte  1 . scienze  naturali. 

La  palestra  letteraria,  artistica , scientifica  di  Milano.  — Anno  II.  fase.  V. 
del  1869. 

Ballettino  meteorologico  delV  osservatorio  del  collegio  romano.  — Voi.  Vili. 
Giugno,  Luglio,  Agosto,  Settembre  del  1869. 

Tableau  ....  Quadro  delle  dilatazioni  per  il  ealore  di  diversi  corpi  semplici 
metallici  o non  metallici  , e di  qualche  composto  idrogenato  del  carbonio 
per  K.  Fizeau.  — Parigi,  18  69.  Un  fase,  in  8. 

Sur  la  ....  Sulla  polarizzazione  della  luce  blu  dall' acqua,  per  I.  L.  Sorret — 
Ginevra  1869. 

L’Espagne  ....  La  Spagna  scientifica  pel  Mailly.  — Brusselles  1868.  Un 
fase,  in  8. 

Contributions  XIII.  Contribuzione  al  Magnetismo  terrestre , del  generale 

E.  Sabine.  — Londra  1868.  Un  fase,  in  4. 

Bullettin  ....  Ballettino  della  Società  imperiale  dei  naturalisti  di  Mosca.  — 
Anno  1868.  N.  2. 

Nova  acta  regiae  socielatis  scientiarum  Upsaliensis.  — Ser.  III.  Voi.  VI. 
fase.  IL  d.  1868. 

Monatsbericht  Rendiconti  mensili  della  R.  Accademia  delle  scienze  di 

Berlino.  — » Marzo,  Agosto  1869. 

The  journal ....  Giornale  della  R.  Società  geografica  di  Londra.  «—-Del  1867. 
Voi.  37. 


Proceedings  ....  Memorie  della  R.  Società  suddetta.  — Voi.  XII.  N.  2.-5; 
e Voi.  XIII.  N.  3.  e 4. 

Report  ....  Rapporto  dell ' Associazione  britlanica  per  l'  avanzamento  delle 
scienze.  — 1867.  e 1868.  in  8. 

Philosophical ....Transazioni  filosofiche  della  R.  Società  di  Londra. — Voi.  158. 
Parte  1.  e 2. 

Proceedings  ....  Memorie  della  R.  Società  di  Londra.  — Voi.  XVI.  N.  101-104; 
e Voi.  XVII.  N.  105-108. 

Mómoires  ....  Memorie  della  R.  Accademia  delle  scienze  L.  ed  A.  del  Belgio  — 
T.  XXXVII. 

Bulletins  ....  Bullettini  dell'Accademia  suddetta  del  1869.  — Voi.  II.  Bru- 
selles,  1868. 

Annuaire  ....  Annuario  dell'Accademia  suddetta  pel  1869. 

Mómoires  ....  Memorie  della  Imp.  Accademia  delle  scienze  di  S.  Pietroburgo. — 
Tomo  XII,  N.  4,  e 5;  e Tomo  XIII,  N.  1-7. 

Bulletin  ....  Ballettino  della  I.  Accademia  suddetta. — Tomo  XIII.  N.  4.  e 5. 

Archiv  ....  Archivio  della  storia  austriaca.  — Voi.  40,  fase.  1. 

Fontes  rerum  austriacarum.  — Tomo  XXVIII. 

Sitzungsberichte  ....  Conti-resi  della  I.  Accademia  delle  scienze  di  Vienna.  — 
(Classe  fìsica  matematica  - 2.  Sez.)  Aprile,  Maggio  , Giugno  1868  , e 
( 1.  Sez.  ) Aprile  e Maggio  1868;  e Aprile,  Maggio,  Giugno,  e Luglio  1868 
delle  ( Classe  fìlosofìco-storica  ). 

Uber  Systeme  — Sopra  i sistemi  di  funzioni  variabili  di  L.  KronecIìer.  Ber- 
lino 1869 Un  fase,  in  8. 

Om  integrationem  ....  Sulla  integrazione  delle  equazioni  differenziali  di  A. 
Steeix.  Copenaghen,  1868.  — Un  fase,  in  4. 

Verhandlungen  ....  Memorie  dell' Associazione  artistica  in  Cima  — Nuova  serie, 
fase.  1,  1869. 

Annual  report  Rapporto  annuale  del  mutuo  per  la  zoologia  comparata; 

Cambridge  del  1868. 

Abhandungen  ....  Memorie  della  R.  Accademia  delle  scienze  di  Monaco  — 
(Classe  matematico-fìsica  ).  Voi.  10.  Sez0  2. 

Denkschrift  ....  Necrologia  di  Martius  del  professor  C.  F.  Meisqner.  Mona- 
co, 1869;  — Un  fase,  in  4. 

Uber  die  Entwicklung  Sullo  sviluppo  della  chimica  agricola , di  Vogel. 

Monaco,  1869.  — Un  fase,  in  4. 


Annales  ....  Annali  dell'osservatorio  fisico  centrale  di  Russia  per,  l'Anno  1865. 
pubblicati  da  K.  Wild,  direttore  dell' osservatorio.  S.  Pietroburgo,  1869.— 
Un  Voi.  in  4. 

Die  Therastcn  ....Le  specie  degli  animali  di  Aristotile  per  C.  J . Sundevall 
Slockhólm,  1863;  — Un  fase,  in  8. 

Bnìlelìn.... Ballettino  della  Società  Imperiale  dei  naturalisti  di  Mosca.  N.  3,  — 
Anno  1868, 

Sitzungsberichte  Atti  della  R.  Accademia  delle  scienze  di  Monaco.  — • 

fascicoli  3.  e 4,  Voi.  2.  del  1867.  - fase.  2,  e 3.  del  1868. -Voi.  1.  - 
e 1-4.  del  Voi.  2.  del  1868.  - e fase.  1-3,  Voi.  1.  del  1869. 

Ricerche  ed  esperimenti  sulla  natura , e genesi  del  Miasma  palustre,  esposte 
in  pente  al  congresso  medico  internazionale  di  Firenze,  dal  D.r  Pietro 
Balestra.  Roma  1869;  — Un  fase,  in  8. 

Per  la  premiazione  solenne  dell'Istituto  tecnico  degli  agrimensori  e misuratori 
di  fabbriche,  nella  sala  della  Pontificia  Accademia  Tiberina,  il  eli  25  feb- 
braio 1869.  Discorso  inaugurale  del  cavaliere  Alessandro  Betocchi.  Ro- 
ma, 1869.  — Un  fase,  in  4. 

Le  dighe  di  Porlosaido  ed  i.1  loro  insabbiamento,  sino  al  giorno  della  solenne 
apertura  del  Bosforo  di  Suez.  Articolo  del  Commend.  Alessandro  Cialdi. 
Roma,  1869;  — Un  fase,  in  8. 

Relation  ....  Relazione  autentica  del  viaggio  del  Capitano  De  Gonneville,  nelle 
nuove  terre  delle  Indie,  publicata  interamente  per  la  prima  volta.  Con  una 
introduzione  e schiarimenti  del  sig.  D.r  Ave  zac.  Parigi,  1869,  Un  fase, 
in  8. 

Memoria  dei  primi  principii  della  meccanica  e della  geometria  in  relazione 

al  postulato  d'Euclide  di  Angelo  Genocchi  . Firenze,  1869;  — Un  fase, 
in  4. 

Sur  ....  Sul  calcolo  delle  equipollenze.  Metodo  di  analisi  geometrica  del  sig. 
Bellavitis,  pel  prof.  J.  Flouel.  Parigi  1869,  — Un  fase,  in  8. 

Sur  Su  i fatti  che  servono  di  base  alla  geometria  del  sig.  IIelmholtz. 

Traduzione  allemanna  del  sig.  J.  Hoììel.  Bordeaux,  1869.  — Un  fase. 

Reale  Accademia  delle  scienze  di  Torino.  Classe  di  scienze  fisiche  e mate- 
matiche. Adunanze  del  20  Giugno  1869.  Torino  1869;  — 1/4  di  foglio. 

Intorno  all'  opera  D'  Albiruni  sull'  India.  Nota  di  B.  Boncompagni.  Ro- 
ma, 1869;  — Un  fase,  in  4. 


— 93  — 


Intorno  alla  vita  ed  agli  scritti  di  Francesco  Woepcke.  Nota  di  Enrico  Nar- 
ducci.  Roma , 1869.  — Un  fase,  in  4. 

Kongl.  Svenska  ....  Nota  dei  membri  dell'  Accademia  svedese  per  ordine  di 
date  negli  Anni  1866-1869. 

Oversigt  Atti  della  Regia  Accademia  danese  delle  scienze : del  1867  . 

N.  6 e 7 - dei  1868  N.  1-2»  3-4  - del  1869  N.  4. 

Det  Kongeligé  ....  Rapporto  per  V anno  1866  della  R.  Accademia  di  Nor- 
vegia. Cristiania , 1869. 

Hemiptera  Africana  descripsit  Carolus  Stul.  — Tomus  primus-quartus.  Hal- 
rniae,  MDCCCLXIV-LXVI. 

Conspectum  avium  picinarum,  edidit  Carolus  J.  Sundevale,  custos  Musei,  Zool. 
Stockholmiensis;  1866. 

Lefnadsteckningar  ....  Cenni  biografici  dei  membri  della  R.  Accademia  svedese 
delle  scienze , morti  dopo  Vanno  1854.  Stockholm , 1869,  — • Un  fase,  in  8. 

Morkinskinna  Libro-pergamena  della  prima  metà  del  III.  secolo.  Cri- 

stiania, 1867;  — Un  fase,  in  8. 

Kongliga  Atti  della  Regia  Accademia  delle  scienze  di  Svezia  1861,  e 

1864-1866,  e 1867. 

Kongliga  Viaggi  intorno  al  Globo , della  regia  fregata  Svedese  Eugeniat 

Stockholm , 1868. 

Méteorologiska  ....  Osservazioni  meteorologiche  della  Svezia , pubblicate  dalla 
Regia  Accademia  delle  scienze  1866.  Stockholm  1868. 


Mémoires  Memorie  della  Società  delle  scienze  fisiche  e matematiche  di 

Bordeaux.  — Tomo  V,  e VII. 


Extrait  ....  Estratto  dai  processi  verbali  delle  sedute  della  Società  suddetta — 
(della  pag.  XVII  alla  XXXII).  Bordeaux.  1869;  — Un  fase,  in  8. 
Gomptes  ....  Conti-resi  dall'Accademia  delle  scienze  dell'Imperiale  Istituto 
di  Francia  in  corrente. 


ERRATA 

CORRIGE 

Pag. 

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IMPRIMATUR 

Fr.  Raph.  Arch.  Salini  Ord.  Praed.  S.  P.  A.  M.  Socius 
IMPRIMATUR 

Joseph  Angelini  Arch.  Corinth.  Vicesg. 


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Sezione  A. 


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Sezione  E . 


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Sezione  G 


rapporto  di 


ATTI 

DELL’ACCADEMIA  PONTIFICIA 
DE’  NUOVI  LINCEI 


SESSIONE  IL*  DEL  2 GENNARO  1870 

PRESIDENZA.  DEE  S1G.  CAV.  BENEDETTO  VIAEE  PRELA’ 


MEMORIE  E COMUNICAZIONI 

SEI  SOCI  ORDINARI  E DEI  CORD.I3POKTDEWTJ 

Sulla  temperatura  Solare.  — Nola  del  R.  P.  Secchi. 

ÌIo  l’onore  di  presentare  all’Accademia  una  breve  memoria  a stampa  intorno 
alla  temperatura  probabile  del  Sole  (1).  Dall’analisi  de’fatti  finora  conosciuti 
risulta  che  l’astro  deve  essere  ad  uno  stato  di  altissima  temperatura  alla  sua 
superficie,  e molto  più  nel  suo  interno.  E inoltre  che  per  spiegare  questo  sì 
alto  grado  non  è mestieri  di  supporre  altro  primo  principio  che  l’azione  stessa 
della  gravità.  L’azione  di  questa  forza,  pel  lavoro  meccanico  eseguito  nell’atto 
della  condensazione  che  si  produsse  nella  massa  primitiva  gassosa,  fino  a ri- 
durre l’astro  al  suo  stato  presente,  era  capace  di  produrre  tanto  calore  che 
è più  che  sufficiente  a dar  ragione  della  sua  attuale  temperatura  e di  quella 
molto  più  alta  che  dovea  avere  in  origine. 

Risulta  ancora  che  senza  supporlo  invariabile,  e senza  ammettere  delle 
cause  ignote  sulla  riparazione  del  calorico  perduto  per  continuo  raggiamento, 
il  sole  può  raggiare  per  più  secoli  consecutivi,  senza  che  la  sua  temperatura 
diminuisca  in  modo  apprezzabile  ai  nostri  mezzi  attuali  di  misura. 

Benché  la  temperatura  potenziale  del  Sole,  come  si  rileva  da  questo  lavoro 
sia  di  circa  10  milioni  di  gradi,  non  ne  risulta  però  che  tale  debba  essere 

(!)  L’opuscolo  è stato  pubblicato  nella  Rivista  Urbinate  Yob  II.  N.°  1.  luglio  1869. 

13 


* 


— 94  — 


la  temperatura  reale  al  limite  della  sua  atmosfera;  a quel  modo  che  il  limite 
della  nostra  atmosfera  ha  un  grado  molto  più  basso  della  superfìcie  terrestre, 
altrettanto  può  esser  colà.  Poiché  i gas  avendo  pochissima  facoltà  assorbente 
possono  lasciar  passare  una  gran  quantità  di  calorico  senza  investirsene,  e non 
concepire  quella  temperatura  che  concepirebbe  un  solido  ivi  collocato.  Ciò  è 
reso  oggidì  più  manifesto  dall’  esistenza  ben  provata  dello  strato  idrogenico 
che  lo  inviluppa  , sostanza  che  non  assorbendo  che  3 o 4 qualità  di  raggi 
principali  deve  aver  una  grande  trasmissibilità  per  tutti  gli  altri. 

Quindi  mi  sono  domandato  se  non  fosse  possibile  determinare  questa 
temperatura  almeno  in  modo  approssimato  senza  limitarsi  alle  sole  induzioni. 

Le  considerazioni  seguenti  faranno  vedere  che  ciò  non  è impossibile. 

Le  osservazioni  spettrali  hanno  messo  fuori  di  dubbio  che  lo  strato  esterno 
del  Sole  è formato  principalmente  d’idrogeno:  che  questo  idrogeno  forma  uno 
strato  continuo  fino  all’altezza  di  10  in  12  secondi,  cioè 1  2/3  del  diametro  ter- 
restre, ma  che  si  estende  molto  più  in  alto  specialmente  nelle  regioni  delle 
macchie  ove  sono  si  copiosi  i getti  di  questo  gas  sì  bene  descritti  dal  sig. 
prof.  Respighi. 

Però  l’altezza  di  questi  getti  e delle  linee  spettrali  non  è la  misura  precisa 
di  questo  strato  che  deve  diffondersi  assai  più  alto  del  limite  a cui  l’incan- 
descenza dell’idrogeno  dà  luogo  alle  righe  spettrali  discontinue.  La  forma  stessa 
di  questi  getti  che  al  loro  limite  superiore  sono  diffusi  e mal  terminati  (1), 
e le  righe  spettrali  dell’  idrogeno  terminate  in  punta  , fanno  vedere  che  la 
temperatura  colà  diminuisce  colla  altezza  fino  a perdere  la  facoltà  di  dare 
spettro  rigato. 

Al  di  sopra  di  questo  strato  deve  dunque  esistere  ancora  l’idrogeno  ad 
assai  alta  temperatura,  benché  incapace  di  dare  lo  spettro  discontinuo.  Una 
prova  diretta  che  sopra  al  livello  delle  cime  delle  protuberanze  esiste  idrogeno 
è il  fatto  seguente.  Quando  si  guarda  collo  spettrometro,  una  facola  che  stia 
in  mezzo  al  disco,  le  righe  dell’idrogeno  non  svaniscono,  ma  solo  si  restrin- 
gono assai:  il  non  isvanire  suppone  che  vi  è uno  strato  di  idrogeno  assor- 
bente che  toglie  in  quel  punto  le  righe  lucide  della  sottoposta  protuberanza, 
ma  solo  in  parte  perchè  relativamente  più  sottile. 


(1)  Le  figure  date  dal  signor  Respighi  sono  ben  terminate,  ma  lo  spettroscopio  fornito  di 

più  forte  ingrandimento  come  quello  da  me  usato  per  le  macchie  e per  le  stesse  protube- 
ranze, mostra  sempre  una  diffusione. 


— 95 


Questo  strato  benché  non  luminoso  fino  al  punto  da  dare  righe  lucide 
dirette,  deve  però  aver  luce  sufficiente  per  fare  impressioni  fotografiche.  E di 
fatto.  Nell’ecclisse  dell  860  noi  ottenemmo  delle  fotografie  assai  nette  in  cui 
era  ben  decisa  f aureola  solare  che  si  estende  oltre  le  presuberanze  fino  ad 
ad  un’altezza  di  6 in  7 minuti,  e notammo  fin  d’allora  che  nelle  regioni  delle 
macchie  essa  era  più  alta  e viva  che  ai  poli  del  Sole  , e ciò  combina  pure 
con  quanto  è venuto  assicurando  finora  il  prelodato  prof.  Respighi  rapporto 
alla  maggior  elevazione  de’getti  di  idrogeno  da  lui  osservati. 

Questo  nostro  risultato  è stato  confermato  nell’ultima  ecclisse  osservata 
in  America  nel  7 Agosto  in  cui  è stata  ottenuta  la  fotografia  della  corona  , 
come  noi  l'avemmo  in  lspagna  nel  1860.  II  signor  Gould  non  esita  ad  am- 
mettere che  quell’aureola  fotografata  sia  semplicemente  la  cromosfera.  Se  questa 
sia  poi  sufficiente  a spiegare  completamente  la  corona  o nò,  è altra  questione, 
il  discuter  la  quale  ci  porterebbe  troppo  oltre.  Qui  osserveremo  soltanto  che 
con  ciò  resta  provato  esser  l’atmosfera  solare  molto  più  alta  che  non  le  strie 
vive  e isolate  delle  protuberanze.  Quindi  anche  si  vede  che  lo  strato  idrogenico 
del  Sole  non  ha  una  temperatura  sufficiente  a dare  le  righe  luminose  in  tutta 
la  sua  estensione. 

Accennai  poc’  anzi  che  esso  deve  avere  diversa  temperatura  alle  varie 
altezze.  La  prova  di  questa  proposizione  l’ho  da  aleuni  fatti  spettrali  diretti. 
In  prima.  Se  in  un  tubo  di  Geisseler  contenente  idrogeno  puro,  si  scarichi  un 
indultorio  di  Rhumkorf  con  debole  corrente  si  avranno  le  righe  fine  assai  e 
capillari:  ma  a mano  a mano  che  cresce  la  forza  della  corrente  si  vede  che  le 
righe  si  allargano,  restando  tuttavia  ben  definite  e nette,  fino  ad  acquistare 
una  larghezza  notabile  e ad  esser  4 e 5 volte  maggiori  delle  fine  di  prima. 
Ora  ciò  non  può  dipendere  che  dalla  temperatura  che  cresce  colla  intensità 
della  scarica.  Quindi  per  converso  può  fissarsi  come  sicuro,  che  l’aHargamento 
delle  righe  spettrali  nella  base  delle  protuberanze,  rapporto  al  vertice,  indica 
una  temperatura  decrescente  coll’altezza. 

A confermare  questa  asserzione  è venuta  a proposito  un’  altra  scoperta 
importante  fatta  da  me  nei  medesimi  tubi  contenenti  gas  rarefatti. 

Tutti  sanno  che  i tubi  di  Geissler  nelle  loro  diverse  sezioni  non  presentano 
lo  stesso  colore,  ma  che  talora  essi  nella  parte  capillare  non  solo  sono  più  vivi 
in  splendore,  ma  anche  decisamente  di  tinta  diversa:  così  un  tubo  contenente 
dell’  azoto  rarefatto  , presenta  una  tinta  bleu  nel  tubo  capillare  e una  rossa 
nel  più  largo,  con  una  verde  alle  punte  reoforiche.  Ho  dunque  voluto  ana~ 


lizzare  collo  spettroscopio  queste  luci,  e sono  arrivato  a questa  conseguenza: 
che  le  luci  così  ottenute  appartengono  a spettri  differenti , e che  se  un  gas 
è di  quelli  che  hanno  doppio  spettro,  si  ha  lo  spettro  di  1°  ordine  nelle  se- 
zioni larghe,  e quello  di  2°  nelle  strette. 

Questo  l’ho  ben  verificato  nell’azoto  avendo  ottenuto  nella  sezione  ca- 
pilare di  2/a0  di  millimetro  uno  spettro  di  2°  ordine,  ben  conosciuto,  e a righe 
brillanti,  mentre  nel  tubo  largo  circa  6 millimetri  non  compariva  che  quello 
di  1 .°  Anzi  in  una  sezione  intermedia  a queste  ho  avuto  uno  spettro  a righe 
più  larghe  di  quelle  del  1°  ordine,  cioè  talmente  disposte  che  8 delle  piccole 
seanellature  che  si  hanno  nel  rosso  e nel  giallo  di  questo  gas,  erano  sosti- 
tuite da  3 sole,  che  occupavano  la  stessa  estensione. 

Ho  verificato  lo  stesso  nel  Cloro  ove  nel  tubo  largo  ho  trovato  lo  spettro 
di  1°  ordine  con  3 grosse  zone  verdi  e bleu  sfumate,  mentre  nel  capillare  ve 
ne  erano  6.  Nel  Bromo  in  cui  a poche  e larghe  che  si  aveano  nel  tubo  largo 
ho  veduto  sostituirsene  molte  fine  in  luoghi  differenti  da  quelle  occupate  nel 
capillare  (1). 

L’idrogeno  stesso  non  isfugge  a questa  legge,  perchè  mentre  nel  tubo 
capillare  dà  quasi  unicamente  le  4 righe  brillanti  solite,  nel  tubo  maggiore 
dà  bensì  le  stesse  righe  ma  più  fine,  e projettate  su  di  un  fondo  assai  più 
illuminato  e variato  , che  costituisce  lo  spettro  di  1°  ordine  di  questo  gas  , 
che  non  ottiensi  isolato  che  raramente.  Accade  cioè  in  esso  ciò  che  ho  veduto 
nell’azoto,  cioè  che  i due  spettri  coesistono  simultaneamente  con  certe  con- 
dizioni di  tensioni  e forza  dell’apparato. 

Quello  che  mi  è risultato  pertanto  da  queste  indagini,  è stato  questo:  - 
che  gli  spettri  nei  gas  cambiano  colla  sezione  del  tubo,  e che  lo  stesso  gas 
dà  diversi  spettri  sotto  la  stessa  pressione  nello  stesso  tubo  per  la  sola  in- 
fluenza della  sezione.  Ora  1’  influenza  di  questa  sezione  non  può  esser  altra 
che  analoga  a quella  che  si  osserva  pei  fili  metallici  ed  altri  conduttori,  in 
cui  la  temperatura  è in  ragione  inversa  del  quadrato  delle  sezioni. 

Possiamo  dunque  ammettere  questa  legge  come  la  più  ragionevole,  e che 
è appoggiata  al  fatto  ben  noto  che  tutti  i mezzi  che  aumentano  la  copia  nella 
scarica  elettrica,  e danno  più  elevata  temperatura  hanno  anche  diversi  spettri. 

E qui  vogliamo  osservare  che  l’induttorio  di  Rhumkorf  non  è punto  necessario, 


(1)  Essendosi  rotto  il  tubo  del  Bromo  non  ho  potuto  fare  ulteriori  sperienze. 


— 97  — 


ma  che  possono  osservarsi  benissimo  questi  fatti  alla  macchina  elettrica  co- 
mune, regolando  opportunamente  la  lunghezza  della  scintilla,  e anzi  riescono 
molto  meglio  (!). 

Ciò  ammesso  è facile  il  calcolare  la  temperatura  relativa  che  si  produce 
da  una  sezione  all’altra  del  tubo  in  cui  è il  gas.  11  tubo  del  bromo  essendosi 
rotto  ed  essendo  eguale  agli  altri  ancora  sani,  mi  ha  dato  pei  diametri  delle 
due  sezioni  ove  erano  i suoi  due  spettri  i valori  0.w"25  e 6”""00;  facendo  le 
quarte  potenze  di  questi  rapporti  si  trova  333000  circa.  Sicché  i due  spettri 
si  producono  ad  una  temperatura  distanti  trecento  mila  gradi  circa. 

Ma  qui  devono  farsi  alcune  osservazioni  : la  prima  è che  questa  diffe- 
renza di  temperatura  esprime  un  certo  stato  di  cose  in  cui  questo  spettro  si 
è ottenuto,  ma  non  dice  che  tal  condizione  sia  ne’unica,  ne’essenziale.  1 fatti 
provano  che  vi  è una  gran  latitudine  pei  limiti  delle  temperature  tra  i cui 
estremi  lo  spettro  resta  lo  stesso,  e che  vi  è un  punto  limite  in  cui  un  gas 
salta  da  uno  all’altro  spettro  a temperature  non  molto  lontane.  Onde  se  questi 
termini  mostrano  la  diversità  delle  circostanze  in  cui  hanno  luogo  le  tempe- 
rature, non  fissano  i limiti  definiti  delle  medesime  che  danno  i varii  spettri. 

La  seconda  è che  non  tutti  i gas  danno  con  egual  facilità  questi  spettri. 
Il  Bromo  è uno  di  più  diffìcili,  ed  esige  una  forte  tensione  e la  bottiglia  con- 
densalrice  per  produrli.  L’idrogeno  invece  mi  è sembrato  il  più  facile  di  tutti, 
tanto  che  mentre  in  un  tubo  contenente  azoto  impuro,  questo  dava  lo  spettro 
solo  di  1°  ordine,  mentre  comparivano  già  le  righe  del  2°  dell’idrogeno  per 
la  scomposizione  del  vapor  d’acqua  che  esso  conteneva. 

Dal  che  concludo  che  se  sapessimo  la  temperatura  a cui  un  gas  dà  le 
sue  righe  sarebbe  facile  dedurne  quella  degli  altri,  e quella  de’diversi  spettri 
di  uno  stesso  gas. 

Ma  quale  è questa  temperatura  ? 

Qui  sta  il  difficile,  nè  io  pretendo  sciogliere  questo  problema,  ma  solo 
esporre  qualche  considerazione  e qualche  fatto  tendente  ad  arrivarvi. 

Primieramente  la  temperatura  dei.  gas  che  danno  queste  strie  è assai 
lorte,e  maggiore  che  quella  della  scintilla  che  volatizza  i metalli,  perchè  mentre 
operando  nell’aria  la  scintilla  dà  Io  spettro  metallico  delle  punte,  non  dà  però 


(1)  1 fenomeni  d’influenza  magnetica  sui  tubi  esposti  daTréve  nei  Cornples  Rendus  del- 
l’Accademia delle  scienze  di  Francia  sono  di  questa  categoria,  la  ripulsione  magnetica  sul  - 
l’ idrogeno  fortemente  diaraagnetico  spinge  il  gas  nella  parte  più  lontana  del  tubo  e così 
nella  sezione  vicina  virtualmente  ristretta  ne  nasce  una  maggior  elevazione  di  temperatura 
( Nota  aggiunta  li  16  feb.  1870  ). 


quello  del  gas  stesso,  il  quale  essendo  solamente  incandescente  dà  spettro  con- 
tinuo. La  prova  si  ha  nell’aureola  che  accompagna  la  scintilla  delfinduttorio, 
la  quale  può  soffiarsi  via  con  un  soffietto,  mentre  le  righe  metalliche  brillano 
nel  getto  rettilineo  immobile  tra  le  punte.  Lo  stesso  avviene  operando  nel- 
l’aria rarefatta,  tenendo  le  punte  vicine. 

Ho  fatto  scoccare  la  scintilla  in  un  tubo  torrieelliano  in  cui  erano  saldate 
due  punte  di  platino,  e ho  veduto  nascere  molto  prima  lo  spettro  del  vapore 
di  mercurio,  che  quello  dell’azoto  nella  poca  aria  mista.  Introducendo  un  poco 
di  vapor  d’acqua  si  avea  lo  spettro  dell'idrogeno  solo  quando  le  punte  di  platino 
erano  incandescenti  al  puro  bianco  abbagliante.  Vedo  anche  che  nei  tubi  di 
Geissler  la  punta  del  platino  estrema  è sempre  bianca  abbagliante.  Onde  credo 
che  per  1’  idrogeno  non  si  esiga  per  avere  le  sue  righe  deboli  e fine  meno 
della  temperatura  di  quella  che  costituisce  il  platino  bianco  incandescente,  e 
quella  della  decomposizione  dell’acqua,  che  è circa  2500  gradi,  e alla  quale 
i gas  sono  dissociati. 

Ove  ciò  ammettasi,  e prendasi  questo  grado  infimo  per  la  temperatura 
del  bromo  che  dà  il  suo  spettro  di  t 0 ordine,  avremo  per  la  temperatura  del 
2°  suo  spettro  quasi  800  milioni  di  gradi.  Ora  questa  temperatura  non  è cer- 
tamente inferiore  a quella  che  si  ha  in  un  bello  spettro  di  2°  ordine  del- 
l’azoto, poiché  non  si  esige  minor  forza  per  questo  che  per  quello  del  bromo. 
Infatti  con  un  tubo  capillare  un  pochino  più  grosso  di  quello  del  bromo,  non 
sono  mai  riuscito  con  tutta  la  forza  del  mio  induttorio  a ottenere  il  2°  spettro 
dell’azoto,  cui  otteneva  benissimo  in  un  tubo  pari  a quello  del  bromo. 

A nessuno  farà  specie  credo  la  spaventosa  cifra  che  ho  detto,  sapendo 
noi  tutti  quanto  forte  sia  la  temperatura  di  una  scintilla  elettrica  ben  piena 
di  un  induttorio  lungo  30. c di  13.c  di  diametro,  munito  di  una  bottiglia  di 
un  piede  quadrato  d’armatura,  e 12  pile  Bunsen  poste  a due,  a due  di  gran 
modello  per  elettromotore,  che  dava  scintille  dirette  di  8 centimetri  e più. 

Per  averne  un  idea,  dirò  che  dopo  un  minuto  di  azione  i tubi  dell’idrogeno 
già  non  potevansi  più  toccare  colle  dita, salva  scottatura. Di  più  avendo  immerso 
uno  di  questi  tubi  in  un  piccolo  vaso  contenute  243  grammi  di  mercurio  , 
ne  ha  rapidamente  elevato  la  temperatura  sopra  100°  con  la  progressione 
di  un  aumento  di  4°  per  minuto.  L’acqua  si  è fatta  bollire  con  facilità  al- 
zandosene la  temperatura  di  35  grammi  a ragione  di  2°  § per  minuto.  Se 
consideriamo  la  pochissima  forza  conduttrice  del  vetro  de’tubi  di  grosse  pa- 
reti (2.wm  l)e  la  massa  quasi  imponderabile  del  gas  rarefatto  incluso,  esso  deve 


avere  una  temperatura  realmente  superiore  ad  ogni  imaginazione,  quando  riesce 
a dare  spettri  di  2°  ordine. 

Se  è così,  si  capisce  perchè  finora  non  si  sono  trovali  gli  spettri  di  2U 
ordine  dei  gas  nel  Sole,  all’ infuori  di  quello  dell’  idrogeno.  Dico  quelli  di  2° 
ordine,  perchè  quelli  di  1°  sarebbero  irriconoscibili  attesa  la  loro  debolezza, 
e forse  sono  essi  che  producono  le  zone  scure  in  alcune  stelle.  La  ragione 
di  tal  mancanza  sarebbe,  perchè  essi  esigono  temperatura  molto  più  alta  che 
non  esista  realmente  in  quell’astro  (ben  s’intende  alla  sua  superficie,  la  sola 
da  noi  analizzabile),  mentre  l’idrogeno  invece  dando  le  righe  di  1°  ordine  a 
temperatura  comparativamente  bassa,  si  osserva  abitualmente. 

Ove  queste  congetture  siano  ricevute,  avremmo  la  temperatura  appros- 
simata di  quello  strato  in  cui  cessano  di  apparire  le  righe  idrogeniche,  la  quale 
sarebbe  poco  diversa  da  quella  della  dissociazione  dell’  acqua  , e dal  platino 
incandescente  cioè  2500°.  Non  sarebbe  quindi  più  impossibile,  come  è stato 
creduto,  che  a certa  altezza  vi  fosse  anche  il  vapor  d’acqua  in  stato  elasti- 
cissimo, come  a noi  è sembrato  averne  direttamente  osservato  le  righe  spet- 
trali di  assorbimento. 

Ognun  vede  qual  ampio  orizzonte  ci  si  apra  dietro  queste  ricerche,  ma  le 
difficoltà  pratiche  degli  esperimenti  sono  enormi  e noi  siamo  costretti  a sperare 
che  persone  meglio  di  noi  fornite  possano  darci  gli  elementi  necessari!  alla 
soluzione  di  sì  ardui  problemi. 


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Nuovo  sistema  di  ricerche  su  le  Dialomee,  e resultati  ottenuti 
da  quelle  nel  1860  dall' Ab.  Francesco  C astracan  e. 

La  più  bella  facoltà  dell’uomo  la  mente  è per  sua  natura  irresistibilmente 
attratta  alla  ricerca  del  buono  e del  vero,  che  è Iddio  Creatore  potentissimo  e 
sapientissimo  Ordinatore  dell’Universo;  e quell’istinto,  che  mira  ad  uno  scopo 
tanto  sublime,  è appunto  ciò,  che  precipuamente  distingue  l’uomo  da  tutte  le 
altre  creature,  e ne  forma  il  più  bel  titolo  di  nobiltà.  Ma  un  artefice  sapientis- 
simo deve  rivelarsi  in  ciascuna  sua  opera  con  ordinarla  convenientemente  all’og- 
getto al  quale  deve  servire  ; per  cui  la  stessa  perfezione  dovrà  riconoscersi 
nel  più  umile  lavoro  che  nella  disposizione  dell’opera  più  difficile  e più  com- 
plessa. Da  questo  consegue  la  maraviglia  ed  il  diletto  che  prova  chiunque 
prende  a soggetto  di  studio  1’  opera  della  Creazione,  sia  che  prenda  a con- 
siderare le  leggi  dell’Universo,  sia  che  si  contenti  di  più  modesta  ricerca  pren- 
dendo a meditare  il  libro  della  Natura  in  un  solo  ordine  di  esseri  appartenenti 
ad  uno  dei  tre  regni,  nei  quali  quella  si  distingue. 

Chiunque  pertanto  si  compiaccia  nello  studio  di  qualsiasi  ramo  della  Storia 
naturale  dassi  a tutt’uomo  a riunire  la  serie  dei  tipi  che  ha  scelto  a soggetto 
di  ricerca  per  poterli  a bell’  agio  considerare  e per  confrontarne  i caratteri 
a fine  di  scolpirseli  bene  in  mente,  affinchè  valendosi  dell’  opera  di  chi  l’ha 
preceduto  in  quello  studio  , possa  di  ciascun  tipo  determinare  il  genere  e la 
specie,  riconoscendo  se  per  avventura  non  abbia  sott’occhio  un  esemplare  non 
ancora  notato,  il  quale  costituisca  per  la  scienza  un  nuovo  acquisto  e per  il 
fortunato  ritrovatore  un  titolo  di  lode. 

Ma  qui  appunto  è dove  la  via,  che  deve  percorrere  il  naturalista,  pre- 
sentasi più  ardua  e più  ingombra  di  intoppi  che  ne  arrestano  il  passo  e ne 
pongono  a cimento  la  costanza.  Imperocché  il  constatare  i caratteri  di  un  or- 
ganismo, se  in  se  non  è tanto  difficile  , lo  è bensì  il  paragonare  i caratteri 
dell'  oggetto,  che  si  ha  sott’  occhio,  ponendoli  a parallelo  con  le  descrizioni 
spesse  volte  non  troppo  accurate,  che  leggonsi  nelle  opere  di  chi  ci  ha  pre- 
ceduto in  questi  studi.  L’opera  sarebbe  agevolata  di  molto  con  notevole  ri- 
sparmio di  tempo  quando  si  avesse  da  poter  consultare  buone  opere  icono- 
grafiche, le  quali  disgraziatamente  o sono  tutt’ora  un  desiderato  o per  il  loro 
prezzo  non  sono  che  alla  portata  di  pochi.  Di  qui  è nato  che  non  vi  ha  ramo 
di  Storia  Naturale,  che  non  trovisi  ingombro  di  una  farragine  di  nomi  diversi 


— tot 


designanti  un’istesso  organismo,  il  quale  viene  indicato  da  ciascuno  diversa- 
mente, ignorandosi  che  da  altri  fù  già  descritto  e nominato;  senza  ricordare 
che  talvolta  lo  stesso  autore  ha  altrimeuti  nominato  lo  stesso  essere  o per 
dimenticanza  o perchè  presentossi  accidentalmente  sotto  altre  apparenze. 

Tali  inconvenienti  se  hannosi  da  deplorare  da  qualunqne  studioso  del  libro 
della  Natura  , non  è da  maravigliare  che  si  presentino  troppo  spesso  a chi 
volle  dedicarsi  alla  ricerca  delle  tante  maraviglie  che  a dovizia  rivelansi  con 
l’ajuto  del  microscopio.  Fra  le  alghe  unicellulari  quelle  che  fuor  d’ogni  dubbio 
si  presentano  più  atte  ad  eccitare  1’  ammirazione  del  Naturalista  Micrografo 
sono  le  Diatomee  e per  la  varietà  di  elegantissime  forme  e per  la  minutezza 
loro  e per  l’infinito  dettaglio  delle  parti  e per  l’indestruttibilità  delle  loro  pareti 
silicee.  Tutta  questa  classe  di  esseri  venne  rivelata  in  questi  ultimi  tempi  , 
allorché  una  nobile  gara  sorta  fra  i costruttori  di  istromenti  ottici  fece  che 
il  moderno  Microscopio  acromatico  nel  subire  incessanti  perfezzionamenti  ar- 
rivasse a dare  con  ingrandimenti  inusitati  immagini  di  squisita  finitezza.  E 
fù  allora,  che  i fortunati  possessori  di  così  perfetti  istrumenti  di  ricerca  ebbero 
la  sodisfazione  di  vedere  in  ogni  goccia  di  acqua  in  ogni  atomo  di  polvere 
in  ogni  brandello  di  alga  rivelarsi  una  serie  di  minutissime  forme  fino  allora 
completamente  sconosciute,  quali  essi  si  affrettarono  a far  conoscere  o aiz- 
zandone le  forme  o descrivendole  in  brevi  cenni.  I sucessivi  annunzi  di  tante 
scoperte  attirarono  l’attenzione  di  numerosi  osservatori,  i quali  ebbero  da  ret- 
tificare le  scoperte  degli  altri;  e nella  difficoltà  di  rendersi  conto  della  forma 
e rilievo  di  esseri  di  così  prodigiosa  minutezza,  viddero  o credettero  vedere 
nuove  forme,  le  quali  o perchè  ignari  di  quanto  prima  di  loro  venne  da  altri 
pubblicato,  o sul  fondamento  di  lievi  differenze,  i nuovi  osservatori  alla  loro 
volta  affrettaronsi  a nominare.  Da  questo  ebbe  origine  la  moltiplicità  di  nomi 
indicanti  la  stessa  cosa  con  danno  della  Scienza,  e con  gravissimo  disagio  di 
chi  intraprende  una  revisione  dei  generi  delle  Diatomee,  o soltanto  deve  oc- 
cuparsi della  determinazione  delle  specie. 

Tale  gravissimo  inconveniente  fece  che  molti  distintissimi  Naturalisti,  fra 
i quali  primeggiò  il  compianto  Professore  Walcker  Arnott  di  Glascow,  con  una 
severa  critica,  ed  anche  con  modi  più  o meno  duri  si  presero  il  compito  di 
frenare  la  foga  dei  nuovi  osservatori,  richiamandosi  altamente  contro  l’avven- 
tatezza di  chi  troppo  facilmente  e non  fondato  sopra  sicuri  argomenti  facesse 
conoscere  con  nomi  nuovi  degli  organismi,  la  novità  dei  quali  non  fosse  per- 

14 


fettamonte  accertata,  o che  non  avessero  qualità  ben  determinate  e costanti 
per  stabilire  un  nuovo  genere  o anche  semplicemente  una  nuova  varietà. 

Oltre  di  che  con  istituire  rigorosi  e minutissimi  confronti  fra  forme  affini 
si  pretese  far  manbassa  su  le  molte  varietà  nominate,  ritenendosi  autorizzati 
a considerare  due  forme  come  appartenenti  alPistesso  tipo  e da  designarsi  con 
un  solo  nome  (ancorché  trovate  in  due  località  distinte)  fondati  sul  solo  ar- 
gomento di  aver  riconosciuto  una  terza  forma  da  poter  costituire  un  passaggio 
dall’una  all’altra . 

Però,  se  del  soverchio  ingombro  della  Sinonimia,  detta  sotto  qualche 
riguardo  giustamente  - I’  òbrobrio  della  Scienza  - fù  conseguenza  logica  la 
reazione  di  quelli  che  pretendono  riformare  la  nomenclatura  delle  Diatomee, 
riunendo  insieme  tutte  le  varietà  , che  non  differiscono  troppo  le  une  dalle 
altre,  io  ritengo  che  in  tal  guisa  si  corre  rischio  di  cadere  da  un’eccesso  al- 
1’  altro  con  danno  anziché  con  vantaggio  della  Scienza,  mentre  panni  minor 
danno  il  differire  la  revisione  della  classificazione,  rispettando  1’  opera  di  chi 
ci  precedette  nello  studio  , piutosto  che  fondati  sopra  insufficienti  argomenti 
venire  a distruggere  delle  specie,  le  quali,  per  quanto  siano  vicine  le  une  alle 
altre,  qualunque  sia  fra  di  loro  1’  apparente  affinità,  potranno  costituire  due 
specie  o varietà  distinte  , essendo  dotate  della  facoltà  di  riprodurre  indefini- 
tamente la  propria  forma  senza  mai  confondersi  con  la  specie  o varietà  affine. 
Quindi  è che  sarà  più  dannoso  che  utile  alla  Scienza  il  por  mano  ad  una 
sistematica  definitiva  distribuzione  delle  Diatomee  in  generi  specie  e varietà 
con  una  completa  revisione  della  nomenclatura,  avanti  che  si  siano  acquistate 
cognizioni  certe  ed  adeguate  dei  limiti  delle  specie  e del  valore  diagnostico 
dei  loro  diversi  caratteri  , il  quale  stato  di  cognizioni  dobbiamo  confessare 
essere  troppo  lontani  dall’avere  raggiunto  fino  ad  ora. 

E valga  il  vero,  chi  è che  non  riconosca  e non  lamenti  la  ristrettezza 
delle  nostre  cognizioni  intorno  le  Diatomee?  delle  quali  possiamo  dire  essere 
note  le  sole  forme  esterne  , ignorandosene  quasi  completamente  la  fisiologia 
e le  leggi  biologiche;  nè  vi  è chi  si  sia  occupato  di  Diatomologia  , il  quale 
non  abbia  riconosciuto  la  necessità  dì  istituire  su  quelle  un  sistema  di  ricerche 
diligenti  e profonde.  Mi  sia  lecito  a questo  proposito  citare  le  parole  del  Quar- 
terly  Journal  of  Science  nel  primo  numero  dell’anno  1869.  Quello  nell’accennare 
alle  osservazioni  da  me  fatte  a stabilire  che  le  Diatomee  come  qualunque  altro 
organismo  vegetale  si  riproducono  per  mezzo  di  germi,  nel  lamentare  la  scar- 
sezza di  nostre  cognizioni  intorno  a quelle  così  si  esprime  « It  is  strange  that 


— 103  — 


« wkilst  there  are  hundreds  of  Diatomomaniacs  (sic)  , thè  questions  of  thè 
a physilogy  and  anatomy  of  these  organisms  remain  so  long  duhtful  ».  In 
fatti  se  si  eccettuino  gli  studi  fatti  dal  Professore  Max  Schultze  intorno  alla 
questione  della  locomozione  delle  Diatomee,  poco  altro  possiamo  dire  di  co- 
noscerne a meno  delle  forme  esterne. 

Ma  fra  le  tante  autorità  che  a tale  proposito  potrebbonsi  riportare  la 
più  competente  fuor  d’ogni  dubbio  è quella  del  fu  sig.  W.  Smith,  al  quale 
si  deve  il  migliore  lavoro  iconografico  che  si  abbia  intorno  le  Diatomee,  quale 
è la  sua  Synopsis  of  British  Dialomaceae.  Questi  nella  introduzione.  Voi.  I. 
pag.  XXV1II  dice  « The  oircumstances,  which  accompany  thè  Reproduction 
« of  these  organisms  and  that  in  so  fews  species,  that  it  is  impossible  to  employ 
« them  with  advantage  in  a generic  arrangement  ».  E nella  pagina  seguente 
dopo  avere  accennato  alcune  sue  idee  in  riguardo  ad  una  distribuzione  siste- 
matica delle  Diatomee,  la  quale  Esso  confessa  andar  soggetto  a molte  eccezzioni, 
conchiude  dicendo,  che  « a wider  study  of  Diatomaeeous  forms  will  doubtles  to 
« more  accurate  and  more  naturai  generalisations  ». 

Nè  da  quel  tempo  questo  lamentevole  stato  di  cose  ha  cambiato  ; per 
cui  il  por  mano  ad  una  revisione  di  specie  e a correggerne  la  classificazione 
parafi  per  lo  meno  prematuro.  Quanto  fin  qui  conosciamo  intorno  alle  Dia- 
tomee ed  alle  loro  forme  diverse  non  deve  riguardarsi  altrimente  che  come 
ricca  suppellettile  scientifica  e come  documenti  preziosi  da  servire  a chi  dovrà 
scrivere  la  storia  di  così  interessante  Famiglia,  contentandoci  per  ora  di  tol- 
lerarne la  soverchiente  nomenclatura,  la  quale  non  è da  ritenersi  che  come 
un  provisorio  artifizio  mnemonico  a rappresentare  le  molteplici  forme,  delle 
quali  moltissime  dovranno  essere  in  avvenire  riunite  ; e così  ridotte  in  più 
ristretto  quadro  di  classificazione  questa  verrà  stabilita  sul  fondamento  di  co- 
gnizioni sufficienti,  che  si  saranno  acquistate  su  l’argomento,  del  quale  trat- 
tiamo. 

Non  mi  si  creda  però  così  stoltamente  presuntuoso  da  pretendere  di  col- 
mare un  tanto  vuoto:  la  mia  ambizione  non  è altra  che  di  potere  anche  io 
coadjuvare  a un  tale  intento  altri  più  di  me  competenti.  A tale  scopo  intendo 
presentare  quelle  osservazioni  che  ho  potuto  o potrò  fare  in  proposito,  sup- 
plendo alla  mia  pochezza  il  grande  amore  che  porto  aU’argomento  e lo  zelo 
con  il  quale  vi  attendo.  Pertanto  mi  sia  lecito  suggerire  a chi  intende  a queste 
ricerche  quel  sistema  di  esperienze  che  io  vado  eseguendo  da  oltre  un  anno, 
le  quali  mi  hanno  presentato  diversi  utili  e nuovi  risultati. 


104 


1?  osservazione  fatta  che  in  qualunque  bicchiere  di  acqua  dolce  conservata 
per  lungo  tempo  sotto  l’influenza  della  luce  si  ottiene  Io  sviluppo  spontaneo 
di  alghe  unicellulari  e di  minutissime  Diatomee  mi  suggerì  1’  idea  di  trarne 
profitto  per  sorvegliare  incessantemente  lo  sviluppo  di  queste.  Tale  sviluppo 
certamente  ha  luogo  in  seno  alle  acque  per  parte  di  germi  ivi  preesistenti  o 
trasportativi  dal  movimento  dell’aria  e del  vento.  Conseguenza  di  quella  os- 
servazione fu  il  tentare  se  ancora  l’acqua  marina  dasse  origine  a simili  vege- 
tazioni ; e questo  venne  comprovato  dalla  esperienza  istituitane.  Così  viddi 
potere  avere  ogniora  alla  mia  portata  numerosi  e svariati  soggetti  da  studiare 
in  modo  da  potermi  lusingare  di  sorprendere  le  Diatomee  nelle  diverse  evo- 
luzioni del  loro  sviluppo  organico  , onde  arrivare  alla  conoscenza  delle  leggi 
fisiologiche  della  loro  vita  vegetale. 

Simili  osservazioni  potranno  in  tale  modo  dirigersi  non  solo  alle  molte 
specie  che  si  presenteranno  spontanee  nelle  diverse  acque,  ma  potranno  per 
eguale  modo  rivolgersi  a specie  meno  frequenti  ad  incontrare,  o che  per  qua- 
lunque titolo  ci  possano  maggiormente  interessare;  e ciò  potrà  ottenersi  avendo 
cura  di  introdurle  in  acquarj  convenienti.  Per  tale  guisa  con  replicati  confronti 
si  potrà  sperare  di  determinare  l’influenza  della  diversa  composizione  chimica 
delle  acque,  osservando  le  specie  proprie  delle  diverse  acque  dolci,  salate,  e 
soltanto  salmastre,  non  che  delle  diverse  sorgenti  di  acque  o semplicemente 
potabili  o minerali»  Così  potrà  trovarsi  modo  con  replicate  esperienze  parallele 
di  indagare  l’azzione  che  possono  avere  i diversi  agenti  fisici,  quali  la  luce  il 
calore  l’elettricità,  al  prospero  vegetare  di  cotesti  organismi. 

Di  fatti  è ovvio  a chiunque  si  occupa  in  questo  genere  di  studio  che  , 
quantunque  grande  sia  la  diffusione  delle  specie  delle  Diatomee,  quantunque 
queste  possano  riconoscersi  in  ogni  località  ed  in  seno  a qualunque  acqna  , 
pure  ne  è molto  diversa  l’abondanza  che  si  incontra  da  luogo  a luogo  e da 
una  ad  altra  acqua  ; e così  la  diffusione  e distribuzione  delle  specie  trovasi 
soggetta  a leggi  che  sono  finora  ignote.  Possiamo  bene  ammettere  generica- 
mente l’influenza  del  clima  e dell’altezza  su  il  livello  del  mare,  quella  della 
condizione  delle  acque  calde  o fredde , scarse  o abondanti  , tumultuose  o 
tranquille;  ma  tutte  queste  circostanze  non  bastano  a renderci  conto  , come 
una  specie  vegeti  in  una  sorgente,  mentre  nella  prossima  fonte  ed  in  iden- 
che  circostanze  la  stessa  specie  non  mai  vi  si  riscontra.  Mi  sia  permesso  ad- 
durne un  esempio.  Fin  dall’Ottobre  del  1863  ritrovandomi  a diporto  presso 
Gubbio  in  una  località  detta  Monte-Lugliano  riscontrai  sopra  un  musco  som- 


merso  in  piccola  fonte  racchiusa  fra  quattro  muricciuoli  numerosi  frustuli  vi- 
venti di  Achncinlhes  che  riconobbi  per  l’A.  venlricosa  di  Ehrenberg,  specie  che 
trovasi  notata  da  Pritchard  come  proveniente  dall’Asia  dall’Africa  e dall’America, 
ma  che  mai  rinvennesi  in  Europa  ed  ignoravasi  se  fosse  specie  di  acqua  dolce 
o marina  (1).  Questa  specie  molto  rara  io  raccolsi  abondantemente  in  quel- 
1’  anno  e nei  seguenti  fino  allo  scorso  Novembre  , ed  ho  avuto  il  piacere  di 
fornirne  quei  Naturalisti  di  mia  conoscenza  , ai  quali  poteva  interessare  , e 
sono  pronto  a fornirne  chiunque  sarà  per  domandarmela.  L’interesse  di  quella 
scoperta  mi  ha  fatto  ricercare  in  ogni  anno  le  molte  sorgenti  simili  di  acqua 
dolce  esistenti  in  quella  località  ed  una  ancora  nell’istesso  strato.  Tutte  queste 
si  sono  presentate  ricche  in  Diatomee  , ma  nessuna  mi  ha  offerto  un  solo 
esemplare  della  Diatomea  in  discorso  , la  quale  egualmente  non  ho  mai  ri- 
scontrato, in  alcuna  delle  molte  sorgenti,  che  fìuo  ad  ora  ho  avuto  occasione 
di  esplorare.  Or  chi  è che  non  veda  in  questo  caso,  che  deve  esistere  alcuna 
arcana  circostanza,  la  quale  determinò  la  produzione  di  quella  specie  in  quel- 
l’acqua senza  permetterne  la  diffusione  nelle  vicine  fonti?  Così  io  sono  per- 
suaso che  verrà  tempo  nel  quale  per  il  progresso  dalle  nostre  cognizioni  su 
le  Diatomee,  come  l’Agronomo  riconosce  la  natura  di  un  terreno  dalle  piante 
che  vi  crescono  spontanee,  così  il  Diatomologo  dalle  diverse  specie  delle  Dia- 
tòmee  vegetanti  in  un’acqua  arriverà  a dedurne  la  natura  di  quella  e le  pro- 
prietà anche  allora  che  irici  reagenti  chimici  non  potranno  agevolmente  svelarla. 

Dal  sistema  poi  di  continuate  ricerche  ed  ossservazioni  sopra  organismi 
vegetanti  in  spazi  ristretti  potrà  sperarsi  di  venire  in  cognizione  dei  cambia- 
menti nel  profilo,  nelle  dimensioni  e negli  altri  esterni  caratteri  che  le  Dia- 
tomee specialmente  possono  subire  nel  graduale  loro  sviluppo,  e nell’  intero 


(1)  L'  Achnantes  ventricosa  da  me  trovata  è la  specie  nominata  da  Ehrenberg,  e non 
quella  designata  da  Kiitzing  con  tal  nome,  e che  a buon  diritto  il  Chiarissimo  Professore 
Rabenhorst  nella  Flora  algarum  Eurcpearum  riguarda  come  sinonimo  del YAchnanthes  rliom- 
boides  di  Ehrenberg.  Questa  stessa  specie  però  al  dire  di  Pritchard  nella  sua  History  of 
Infusoria  including  thè  Desmidiaceae  and  Diatomaceae  , Ehrenberg  altra  volta  la  nominò 
Monogramma  ventricosa.  La  specie  da  me  raccolta  fu  determinata  da  Walker  Arnott  il  quale 
per  confronto  gentilmente  volle  inviarmi  saggio  di  un  deposito  della  Terra  di  Aukland,  il 
quale  è quasi  esclusivamente  formato  di  questa  specie,  la  quale  deve  riconoscersi  di  acqua 
dolce,  mentre  l’Achnanthes  rhomboides  è specie  marina  e fù  ritrovata  sopra  alghe  del  mare 
Germanico  e del  Mediterraneo. 


106  — 


ciclo  di  loro  vita.  Quando  saremo  arrivati  a conoscere  se  e quali  siano  in  quelle 
i cangiamenti  regolari  e successivi  delle  forme,  allora  soltanto  si  potrà  stabilire 
quale  sia  il  valore  del  profilo  delle  dimensioni  e degli  altri  caratteri  esterni 
in  ordine  al  determinare  i limiti  delle  specie. 

Che  le  Diatomee  al  pari  di  qualunque  altro  essere  organizzato  siano  soggette 
a variazioni  nelle  forme  esterne  e nelle  dimensioni  non  panni  poterne  du- 
bitare; quantunque  in  pari  tempo  non  mi  nasconda,  che  qualche  distintissimo 
Naturalista  abbia  creduto  sostenere  la  tesi  contraria.  Fra  i moltissimi  argo- 
menti che  a mio  avviso  ineluttabilmente  dimostrano  che  le  Diatomee  nel  ciclo 
regolare  di  loro  esistenza  vanno  soggette  a cafigiamenti  nelle  forme  esterne 
ed  a distenzioni  e dilatazioni  delle  loro  pareti,  mi  contentarò  per  ora  di  sce- 
glierne uno.  Nell’  osservare  la  prima  centuria  delle  preparazioni  tipiche  di 
Diatomee,  che  con  ottimo  accorgimento  e con  profitto  grandissimo  degli  studiosi 
vengono  per  sottoscrizione  publicate  dal  distintissimo  Naturalista  sig.  Teodoro 
Eulenstein  di  Stutgarda,  in  una  preparazione  di  Ortliosira  Dickiei  ebbi  l’opor- 
tunità  di  riconoscere  il  valore  scientifico  delle  figure  che  disegnate  dal  signor 
Tuffen  West  rendono  la  Sinopsi  delle  Diatomee  Britanniche  la  megliore  delle 
diverse  opere  iconografiche,  che  su  tale  argomento  abbiamo  da  consultare.  Nella 
Tav.  Ili  del  2°  voi.  alla  figura  335  viene  con  ogni  diligenza  ritratto  un  sin- 
golare processo  , che  ha  luogo  in  questa  specie.  Esso  rapresenta  una  forma 
elipsoide,  che  il  Signor  Thwaites  riguarda  secondo  me  non  a torto  come  un 
frustolo  spopangiale,  e la  fedeltà  del  disegno  delle  diverse  forme  ivi  ritratte 
mi  risultò  dal  confronto  esatto  istituito  con  la  preparazione  tipica  dell’  Eu- 
lenstein. Quelle  forme  elipsoidi  pertanto  vedonsi  risultare  dal  rigonfiamento  di 
una  cellula  centrale  in  un  filamento  composto  da  una  sucessione  di  cellule 
cilindriche  simili.  II  dilatarsi  della  cellula  centrale  avviene  principalmente  nella 
direzione  dell’  asse  in  modo  da  forzare  le  due  sucessive  pareti  laterali  o su- 
perfìcie di  unione,  le  quali  spinte  nell’  istesso  verso  alla  loro  volta  vanno  a 
deformare  similmente  le  cellule  vicine.  Così  ne  risulta  la  formazione  di  un 
ampia  cellula  fusiforme  mediana,  occupante  con  i suoi  due  vertici  la  cavità 
di  più  cellule  vicine;  e tutto  questo  ha  luogo  con  notevole  distenzione  delle 
pareti  delle  cellule  deformate.  Ora  chi  è che  non  veda  in  questo  caso  una 
azione  successiva,  una  successiva  modificazione  della  forma  esterna?  se  dunque 
le  forme  esterne  possono  ingrandire  distendersi  e modificarsi,  non  potrà  aversi 
nell’esterna  configurazione  delle  Diatomee  un  carattere  distintivo  e diagnostico, 
sul  quale  fondare  la  determinazione  di  una  specie,  a meno  che  non  ci  siamo 


107  — 


prima  reso  preciso  conto  della  variabilità  di  quelle  nel  percorso  dell’intero  ciclo 
vegetativo  delle  specie  diverse. 

Però  la  natura  stessa  di  simili  ricerche  rivolgendosi  su  esseri  di  così  pro- 
digiosa picciolezza  quali  sono  le  Diatomee  non  permette  la  lusinga  che  possano 
compiersi  in  breve  tempo  e da  un  solo  benché  indefesso  ed  acuto  osservatore. 
Quindi  è che  io  sentendomi  men  di  altri  in  forza  per  un  tanto  lavoro,  vorrei 
per  lo  meno  incontrare  dei  cooperatori  ad  elucidare  la  storia  delle  Diatomee 
e la  loro  fisiologia  , la  quale  potrebbe  forse  pei*  analogia  render  conto  della 
natura  e sviluppo  della  cellula,  che  è 1’  origine  di  ogni  organismo.  A dimo- 
strare pertanto  come  il  sistema  di  ricerche  da  me  proposto  nella  coltura  delle 
Diatomee  in  ristretti  aequaij  possa  riescire  fecondo  di  utili  insegnamenti  e 
risultati  mi  sarà  permesso  il  riportare  qui  brevemente  le  osservazioni  raccolte 
nello  scorso  anno  intorno  alle  Diatomee,  le  quale,  o spontaneamente  svilup- 
parono negli  acquarj,  o vi  furono  poste  e per  lungo  tempo  coltivate. 

Nella  Sessione  5a  dello  scorso  anno  ebbi  già  1’  onore  di  esporre  quanto 
mi  fù  dato  osservare  ai  15  Febrajo  in  una  Podosphenia  rinvenuta  in  un  bic- 
chiere di  acqua  marina  attinta  a Civitavecchia  ed  esposta  da  un  mese  all’in- 
fluenza della  luce.  Quella  Diatomea  nello  spazio  di  forse  due  ore  che  la  sor- 
vegliai nel  campo  del  Microscopio,  dopo  avere  presentato  un  moto  di  formi- 
colio di  minime  particelle  oleose  , le  quali  andarono  a riunirsi  in  due  o tre 
notevoli  goccioline,  la  vidi  subire  una  interna  pressione  e prodursi  una  tur- 
gescenza, la  quale  arrivò  fino  a determinare  una  piccola  apertura  nei  due  lati 
longitudinali  del  frustulo  veduto  di  fronte,  e per  una  di  queste  aperture  os- 
servai sortire  successivamente  tredici  forme  ovali  costituenti  delle  cellule  per- 
fette : e queste  mi  credetti  autorizzato  a riguardare  come  forme  embrionali 
dell’istessa  Podosphenia , destinate  a riprodurre  per  proprio  consecutivo  svi- 
luppo il  tipo  della  cellula  madre.  In  pari  tempo  credetti  analizzare  le  diverse 
circostanze  da  me  in  quella  occasione  osservate,  facendo  insieme  notare  alcune 
particolarità,  le  quali  per  quanto  io  ne  abbia  fatto  ricerca  non  ho  trovato  che 
altri  prima  di  me  le  avesse  notate;  e specialmente  parlai  della  circostanza  del 
movimento  delle  particelle  oleose,  il  quale  precedette  la  sortita  degli  embrioni; 
dalla  quale  circostanza  credetti  azardare  una  interpretazione  su  la  funzione, 
alla  quale  panni  destinata  la  sostanza  oleosa  nelle  Diatomee. 

Un  bicchiere  di  acqua  di  Trevi  , dove  posi  a vegetare  un  piccolo  am- 
masso di  alghe  filamentose  e di  Diatomee  pescato  nella  grande  vasca  del- 
l’Acqua Paola  a San  Pietro  in  Montorio  mi  porse  ripetute  volte  occasione  di 


veder©  gruppi  più  o meno  numerosi  di  Diatomee  racchiuse  in  cisti  o leger- 
mente  colorate  o jaline.  Fra  le  specie  osservate  in  quello  stato  trovo  registrato 
nel  mio  giornale  in  data  del  4 di  Marzo  due  frustoli  o individui  del  genere 
Gomphonema  perfettamente  riconoscibili  dentro  una  cisti  ovoidale  in  mezzo 
ad  una  sostanza  granulare  giallastra.  In  più  volte  mi  fù  dato  osservare  egual- 
mente racchiuse  in  cisti  delle  Synedre  delle  Nitschie  e delle  Cymbelle  oltre 
alle  Navicale.  Queste  però  sinora  non  si  sono  presentate  altro  che  in  cisti 
orbiculari,  mentre  le  altre  e specialmente  le  Synedre  erano  disposte  in  fascio 
in  una  cisti  ovale.  In  tali  occasioni  potei  ancora  vedere  la  conferma  di  quanto 
osservai  e descrissi  nello  scorso  anno,  in  riguardo  alla  organizzazione  e for- 
mazione di  Diatomee  prodotte  dal  plasmarsi  della  sostanza  granulare  contenuta 
in  una  spora  ; e dalla  osservazione  della  picciolezza  dei  frustoli  racchiusi  al 
paragone  dei  gruppi  di  frustuli  dell’  istesso  genere  evidentemente  liberati  da 
poco  dal  sacco  della  sporocisti,.  che  li  produsse,  risultò  novella  prova  a di- 
mostrare che  quelle  Diatomee  furono  prodotte  da  germi  primitivamente  an- 
nidati in  spore. 

Il  riscontrare  però  questi  o simili  fatti  nella  coltura  delle  Diatomee  in 
ristretti  vivai  sarà  purtroppo  molto  difficile  e da  rimettersi  al  caso;  e questo 
accade  per  la  condizione  dei  minutissimi  esseri  , che  si  tratta  di  esaminare. 
Tale  difficoltà  diminuirebbe  in  grande  proporzione  se  ci  fosse  nota  1’  epoca 
approssimativa  dell’anno,,  nella  quale  principalmente  avesse  luogo  lo  sviluppo 
della  vegetazione  delle  Diatomee  e le  loro  stagioni,  se  pure  (come  è probabile) 
accade  in  quelle  come  in  tutti  gli  altri  vegetali.  Quello  che  per  buona  ventura 
è più  facile  è la  ricerca  su  l’influenza  degli  agenti  fisici,  come  per  esempio, 
la  luce  il  calore  l’elettricità  in  riguardo  alla  produzione  delle  Diatomee;  e più 
facili  ancora  da  loro  stessi  si  presentano  gli  esperimenti  su  la  composizione 
e natura  chimica  delle  acque  con  istituire  confronti  su  di  acquarj,  nei  quali 
si  siano  disciolti  dei  sali,,  l’influenza  dei  quali  intendiamo  determinare: 

In  ordine  agli  agenti  fìsici  l’inusitata  crudezza  del  freddo  che  sperimen- 
tammo nelle  tre  giornate  del  23,  24  e 25  Gennajo  dello  scorso  anno  mi  porse 
favorevole  occasione  a constatare  la  nessuna  azione  del  gelo  su  le  Diatomee. 
Non  più  che  tre  giorni  prima  avevo  cominciato  a notare  lo  sviluppo  spon- 
taneo della  vegetazione  in  quattro  bicchieri  di  acqua  dolce  ed  in  tre  di  acqua 
marina.  Quelli  di  acqua  dolce  situati,  ad  una  fenestra  esposta  a Settentrione 
si  conservarono  nei  tre  giorni  costantemente  allo  stato  di  massi  di  ghiaccio; 
però  ad  onta  di  questo  non  potei  notare  danna  alcuno  nella  vegetazione,  che- 


continuò  rigogliosa.  Nè  tale  risultato  può  recare  maraviglia  a chi  rifletta  a 
quanto  accade  nei  mari  polari.  Le  Diatomee,  le  quali  ( come  in  altra  volta 
ricordai  ) sono  dalla  Previdenza  ordinate  a mantenere  la  salubrità  delle  acque 
somministrando  1’  ossigeno  elemento  necessario  alla  vita  degli  abitatori  delle 
acque  come  a quella  di  tutti  i viventi  e incontransi  specialmente  nella  va- 
stità dei  mari,  in  modo  che  può  dirsi  non  esistere  in  seno  agli  Oceani  un’ 
alga,  non  esservi  banco  o scoglio  petroso  o massa  madreporica  , contro  cui 
si  sferra  l’inpeto  dei  flutti,  che  non  sia  ricoperta  di  miriadi  di  Diatomee.  Ma 
ciò  non  accade  soltanto  nei  mari  caldi  o temperati  che  a compensare  forse 
l’assenza  di  altre  vegetazioni  altrettanto  ed  anche  più  pare  avverarsi  nei  mari 
polari , e nelle  immense  masse  di  ghiaccio  colà  natanti.  11  Dottor  Hooker 
riporta  che  nel  mare  Antartico  fra  il  60°  e l’80°  grado  Sud  le  acque  e spe- 
cialmente i ghiacci  nuovamente  formati  per  si  fatta  giusa  abondano  di  Dia- 
tomee che  il  mare  ne  assume  una  tinta  bruno  ocracea  e questo  veniva  os- 
servato per  quanto  la  vista  poteva  estendersi  dal  bordo  del  bastimento  (1). 
E questo  forse  può  renderci  conto  del  fatto  che  le  stesse  forme  di  Diatomee 
che  oggi  incontriamo  vegetanti  nelle  acque  dei  nostri  climi  temperati,  si  ri- 
scontrano ancora  fossili  nei  terreni,  i quali  in  remotissima  epoca  soggiacquero 
ad  un  periodo  di  ghiacci  , che  distrussero  le  specie  di  animali  e cangiarono 
la  flora,  mentre  quei  vegetali  o animali  non  erano  organizzati  in  modo  da  poter 
sopportare  tanto  rigore  di  clima. 

In  ordine  all’azione  degli  agenti  chimici  su  la  prodazione  delle  Diatomee 
le  esperienze  da  fare  mi  si  affollarono  tanto  da  tenermi  sospeso  su  la  scelta. 
Però  volli  dare  principio  dall’azoto  che  è il  principio  animatore  della  vege- 
tazione. Avevo  di  già  notato  come  quelle  acque  che  vedevo  scorrere  su  terreni 
più  ubertosi  fossero  ancora  quelle  che  generalmente  mostravano  più  rigogliosa 
vegetazione  di  Diatomee  e di  alghe  filamentose.  A riconoscere  per  tanto  se 


(1)  A conferma  delia  forse  nessuna  influenza  della  bassa  temperatura  su  la  produzione 
delle  Diatomee  nuovo  argomento  viene  somministrato  dal  ritrovamento  fatto  del  Tricaratium 
articum  Brigtwel,  nello  scorso  anno.  Questa  bella  specie  fu  in  grande  copia  raccolta  insieme 
alla  Biddulphia  pulchella  , Gray,  e a \Y  Amphitetras  ante  diluviana.  Ehrbg.  dal  zelantissimo 
cultore  degli  studj  Botanici  Professore  Nicola  Pedicino.  Il  ritrovamento  di  quella,  che  lino 
ad  ora  non  si  era  riscontrata  vivente  altro  ebe  nell’  isola  Becchey  del  mare  Antartico  , e 
nell’  isola  Vancouver , fù  fatto  nel  Golfo  di  Napoli  : e questo  valga  ancora  a dimostrare 
quanto  poco  sia  da  attendersi  alla  circoscrizione  della  località  e alla  diffusione  delle  specie. 

15 


— no  — 


questo  fatto  dovrebbe  attribuirsi  all’azoto  pensai  avviare  in  pari  tempo  e nelle 
identiche  condizioni  due  acquarj  ripieni  dell’istessa  acqua,  e dopo  averli  marcati 
con  numero  progressivo  all’  uno  aggiunsi  due  o tre  goccie  di  una  soluzione 
limpidissima  di  Guano  del  Perù,  inscrivendone  in  pari  tempo  la  memoria  nel 
mio  giornale.  Nel  lasso  di  pochi  giorni  la  vegetazione  ebbe  principio  nei  due 
bicchieri,  ma  in  pari  tempo  fù  evidente  la  più  abondante  produzione  in  quello 
nel  quale  vi  fù  1’  aggiunta  della  soluzione  azotata  di  Guano.  L’ istessa  espe- 
rienza con  eguale  successo  fù  ripetuta  più  volte  in  modo  da  non  potersi  at- 
tribuire a caso  fortuito.  Ma  si  affacciò  alla  mente  l’objezzione  che  poteva  op- 
pormisi  da  alcuno  che  nella  sudetta  soluzione  vi  sono  altri  principj  oltre  al- 
1’  azoto,  e poteva  ancora  concepirsi  il  dubbio  che  qualche  forma  riscontrata 
insieme  a quelle  nate  nell’acquario  non  fosse  una  delle  tante  che  non  v’è  chi 
ignori  rinvenirsi  abondantemente  nello  stesso  Guano.  Ad  eliminare  dunque  tali 
sorgenti  di  dubbio  istituii  altre  esperienze  e sempre  in  due  acquarj  paralleli, 
aggiungendo  nell’uno  una  soluzione  di  azotato  di  soda,  ed  in  altro  caso  una 
soluzione  di  azotato  di  ammonio;  nè  avvenne  una  volta  sola  che  non  ne  se- 
guisse l’istesso  risultato  in  guisa  da  rendermi  evidente  il  principio  che  l'azoto 
influisce  favorevolmente  su  lo  sviluppo  delle  Dialomee. 

Una  tale  osservazione  (se  pur  non  vado  errato)  è un  nuovo  argomento 
a dimostrare  la  natura  vegetale  delle  Diatomee,  la  quale  d’altronde  al  giorno 
d'oggi  non  credo  che  incontri  più  degli  oppositori.  Ma  un’  altra  conseguenza 
è da  dedursi  dagli  esperimenti  sopracennati  e ne  discende  come  corollario,  il 
quale  riferendosi  ad  una  pratica  utilità  derivante  dalle  mie  ricerche  Diatomo- 
logiche,  potrà  servirmi  di  una  prima  risposta  a tanti,  che  sentendomi  parlare 
di  quest’ordine  di  esseri,  i quali  soltanto  da  pochi  anni  si  conoscono,  affrettansi, 
ad  indirizzarmi  la  domanda  : quale  utilità  può  attendersi  da  questo  studio  ? 
II  corollario  che  credo  poter  dedurre  dal  principio  dimostrato  che  l’azoto  in- 
fluisce favorevolmente  allo  sviluppo  delle  Diatomee  si  è che  quando  una  sor- 
gente di  acqua  dolce  si  mostrerà  ricca  nella  produzione  di  quelle  dovrà  ri- 
guardarsi come  più  conveniente  a stimolare  la  vegetazione  in  un  terreno  per 
mezzo  della  irrigazione.  Tutti  gli  autori  di  scritti  georgici  nel  parlare  dei  grandi 
vantaggi  che  ottiene  1’  agricoltore  con  irrigare  le  sue  terre  e specialmente  i 
prati  avvertono  , che  a tale  uso  non  tutte  le  acque  sono  egualmente  utili  , 
mentre  anzi  da  taluna  può  incontrarsene  più  danno  che  vantaggio.  Questo 
avverasi  in  alcuni  casi  di  acque  incrostanti  o troppo  selenitose  , ed  in  altre 
volte  avviene  per  qualità  sconosciute  di  quelle  acque  e che  in  mancanza  di 


più  adequate  nozioni  sogliono  da  taluno  qualificarsi  con  espressione  vuota  di 
senso  per  acque  crude.  Però  nel  dare  l’indicazione  della  abondanza  delle  Dia- 
tomee  in  una  data  acqua  per  riconoscere  questa  particolarmente  utile  nelle 
irrigazioni  agricole  non  intendo  darmi  il  vanto  di  inventore.  Altri  prima  di 
me  aveva  notato  il  fatto  che  le  acque  abondanti  in  Diatomee  erano  le  più 
convenienti  nelle  irrigazioni;  ma  ne  attribuivano  1’  utilità  alla  presenza  della 
silice  in  stato  di  estrema  divisione,  la  quale  può  essere  utile  nella  produzione 
del  frumento  e delle  altre  graminacee.  Io  poi  senza  inpugnare  Futilità  della 
silice,  credo  meglio  che  posta  l’influenza  dell’azoto  nella  produzione  delle  Dia- 
tomee sia  più  giusto  il  riguardare  1’  azoto  come  il  principio  al  quale  devesi 
attribuire  l’idoneità  di  un  acqua  a stimolare  la  produzione  vegetale  nei  terreni 
irrigati  con  quella. 

Tentai  ancora  riconoscere  1’  influenza  che  potrebbe  avere  il  ferro  su  la 
vegetazione  delle  Diatomee,  quale  lo  stato  acido  o alcalino  dell’acqua;  ma  fino 
ad  ora  non  posso  dire  di  averne  avuto  risultati  sicuri  e ben  accertati.  Un’al- 
tra osservazione,  che  credo  più  interessante,  fù  quella  che  sono  per  narrare, 
la  quale  quantunque  non  vogliasi  riguardare  come  direttamente  spettante  agli 
acquarj,  pure  furono  questi  che  mi  fornirono  1’  oportunità  di  farne  replicate 
esperienze  , e possono  a qualunque  studioso  nell’  istesso  modo  dare  agio  di 
rinnovarle.  Nell’  esaminare  per  lungo  tratto  di  ora  il  movimento  di  alcune 
Diatomee  marine,  che  con  una  goccia  di  acqua  salsa  avevo  sottoposto  al  Mi- 
croscopio quella  cominciò  a evaporare.  A prolungare  la  osservazione  credetti 
bene  porre  presso  il  vetro  sottile  che  ricuopriva  le  Diatomee  una  piccola  goc- 
ciolina di  acqua  distillata  in  modo  che  questa  messa  in  contatto  con  quello 
ne  venisse  ad  essere  attratta  per  capillarità.  Di  fatti  il  vedere  una  corrente, 
la  quale  travolgendo  minutissimi  corpicciuoli  attraversava  il  campo  del  Mi- 
croscopio mi  diede  prova  del  mescolarsi  delle  due  acque.  Le  Diatomee,  che 
in  su  le  prime  continuando  il  loro  moto  non  sembravano  darsene  per  intese, 
non  tardarono  guari  a risentire  l’influenza  dell’  acqua  dolce  funesta  alla  loro 
economìa,  ed  in  brevi  momenti  il  moto  si  vidde  ritardato  e quindi  sospeso. 
L’azione  deletere  dell’  acqua  dolce  in  tal  caso  era  evidente  ; ma  quale  era  il 
disordine,  che  ne  seguiva  , e che  produceva  la  morte  di  quelle  pianticelle  ? 
nelle  molte  volte  che  ho  voluto  ripetere  1’  esperienza  ho  sempre  veduto  se^- 
guirne  un  rigonfiamento  nelle  masse  dell’endocroma  da  rendere  più  marcati 
gli  intervalli  fra  le  diverse  masse  , nè  posso  dubitare  che  ciò  non  avvenga 
per  un  effetto  di  endosmosi,  per  il  quale  l’acqua  viene  in  brevi  istanti  as- 


assorbita  ad  inzuppare  l’endocroma  stesso,  che  aumentando  notevolmente  di 
volume  riempie  l’intera  cavità  della  cellula;  e talvolta  la  pressione  interna  che 
ne  risulta  è tale  da  distaccare  le  due  valve.  In  ogni  caso  poi  che  portisi  l’at- 
tenzione ad  individui  ricchi  di  endocroma  1’  ultimo  fenomeno  che  si  osserva 
è lo  straversamento  della  sostanza  oleosa.  Una  tale  osservazione  cade  in  ac- 
concio a confermare  il  mio  modo  di  vedere  e 1’  interpretazione  in  riguardo 
alla  funzione  principale  alla  quale  è destinata  la  sostanza  oleosa,  che  fà  parte 
del  contenuto  di  ogni  Diatomee.  Nel  riferire  minutamente  quanto  ebbi  luogo 
vedere  nella  emissione  delle  forme  embrionali  della  Podosphenia  narrai  essersi 
in  su  le  prime  presentato  un  formicolio  di  particelle  tenuissime,  che  a mano 
mano  riunendosi  fra  di  loro  finirono  per  mostrarsi  in  condizione  di  materia 
oleosa  componente  due  o tre  notevoli  goccioline.  Dissi  allora  essere  io  di  parere 
che  Ja  sudetta  sostanza  dovette  prima  trovarsi  divisa  fra  le  masse  dell’  en- 
docroma a fine  di  facilitare  la  formazione  della  pellicola  destinata  a racchiudere 
come  un  sacco  una  di  quelle,  e così  costituire  una  nuova  cellula  organizzata 
la  quale  vivendo  di  vita  propria  e sviluppando  riproduca  la  forma  della  cellula 
madre,  la  Podosphenia.  Così  noi  vediamo  che  l’assorbimento  dell’acqua  nella 
esperienza  sudescritta  dà  luogo  alla  separazione  della  sostanza  oleosa,  la  quale 
rimane  cosi  dimostrato  essersi  prima  ritrovata  in  mescolanza  con  l’endocroma. 

La  cognizione  di  un  tal  fatto  che  cioè  la  mescolanza  dell’acqua  dolce  a 
quella  di  mare  o salsa  adduce  la  morte  delle  Diatomee  marine  può  forse  ren- 
derci conto  delle  conseguenze  funeste  alla  salute  publica,  le  quali  il  più  spesso 
provansi  nelle  maremme  al  dilagare  delle  acque  piovane  negli  stagni  salsi  o 
salmastri  , che  formansi  nelle  parti  più  depresse  del  litorale.  Ed  è precisa- 
mente  nelle  spiaggie  sottili  ed  arenose  dove  1’  acqua  marina  o salmastra  in- 
paluda  per  l’accumularsi  della  sabbia  sotto  l’azione  dei  flutti,  in  modo  da  formare 
un  orlo  rilevato  che  gli  preclude  la  via,  è lì  dove  più  ricca  si  mostra  la  flora 
delle  Diatomee  e più  esuberante  il  rigoglio  della  vegetazione;  per  cui  tanto  ma— 
giore  necessariamente  sarà  l’iniezzione  prodotta  dalla  morte  di  miriadi  di  quei 
minutissimi  esseri,  i quali  quando  trovansi  in  condizione  normale  non  fanno  altro 
che  rendere  sane  quelle  acque,  in  seno  alle  quali  furono  prodotte.  Chè  il  mesco- 
larsi delle  acque  dolci  con  le  salse  fosse  causa  di  infezzione  e origine  di  malaria 
è lungo  tempo  da  che  fù  riconosciuto,  e fù  attribuito  alla  morte  che  ne  se- 
guiva degli  infusorj;  e perciò  si  immaginarono  e si  costruirono  dei  congegni 
ad  impedire  che  le  acque  del  mare  rigonfiando  si  mescolassero  alle  acque  dolci 
dei  rivi.  Però  l’esperienza  da  me  istituita  e^he  chiunque  può  riprodurre  parmi 


dimostrare  per  lo  meno  con  molta  verosimiglianza  nella  morte  delle  Diatomee 
marine  per  la  mescolanza  delle  acque  dolci  alle  salse  una  delle  cause  letali 
della  malaria.  Nè  d’altronde  è possibile  il  persuadersi  che  il  principio  febrigeno 
di  quella  debba  attribuirsi  soltanto  all’azione  di  un  unico  principio  di  origine 
vegetale  o animale,  e certamente  a chiunque  vorrà  stabilire  questa  azione 
tossica  e deletere  come  dovuta  ad  un  solo  principio  incomberà  il  dovere  di 
dimostrarlo. 

Ad  argomento  di  prova,  che  le  Diatomee  possano  ancora  servire  a di- 
sinfettare le  acque,  la  salubrità  delle  quali  fu  compromessa  dalla  presenza  di 
sostanze  animali  corrotte,  mi  varrà  l’addurre  un’altra  osservazione  che  trovo 
registrata  fra  le  altre  nel  mio  giornale.  Uno  dei  piccoli  acquarj  marini,  dove 
erano  Diatomee  vegetanti  accolse  una  conchiglietta  vivente  del  genere  Tellina , 
che  io  vi  posi  per  curiosità.  Questa  dopo  essersi  mantenuta  vivente  per  più 
giorni,  in  mancanza  di  buone  condizioni  nel  lasso  di  qualche  settimana  morì. 
Essendomene  però  avveduto  troppo  tardi  ritrovai  il  mollusco  in  stato  di  pu- 
trefazione, e l’acqua  ne  era  orribilmente  infetta  e corrotta.  Avendo  però  veduto, 
che  le  Diatomee  erano  ancora  vive,  volli  tentare  di  riconoscere  se  quelle  con 
il  loro  vegetare  avessero  potuto  curare  l’infezione  delle  acque  e renderle  per 
conseguenza  salubri.  Ad  elucidare  tal  punto  lasciai  quel  bicchiere  o acquario 
per  diversi  giorni  sotto  l’influenza  della  luce,  e sempre  coperto  con  un  vetro: 
e fu  grande  la  mia  sodisfazione  nel  riscontrare  che  l’acqua  aveva  perduto  ogni 
cattivo  odore  da  non  distinguersi  da  acqua  novellamente  attinta;  e così  le  Dia- 
tomee, che  avevano  sviluppato  un’azione  tanto  benefica,  seguitarono  a pro- 
sperare. 

Nè  con  questo  posso  dire  di  avere  accennato  a tutte  le  osservazioni  fatte 
a tutti  i risultati  ottenuti  dalla  pratica  di  coltivare  le  Diatomee  in  spazj  ri- 
stretti. In  altra  occasione  renderò  conto  delle  specie  diverse  di  Diatomee  ri- 
scontrate in  tali  circostanze,  e parlerò  delle  particolarità  che  avrò  potuto  notare 
intorno  alla  loro  morfologìa.  Parmi  però  che  con  quel  tanto  che  ho  discorso 
io  abbia  sufficientemente  dimostrato  la  molta  utilità  che  può  attendersi  da  tale 
metodo  di  ricerca  per  potere  nutrire  speranza  che  altri  vogliano  accingersi 
a calcare  l’istessa  via,  per  arrivare  per  quella  a scoprire  quanto  interessa  la 
storia  di  queste  maraviglie  della  Creazione. 


Sulla  Saperda  del  Frumento  - Nota  del  prof.  Luigi  Cl.,e  Jacobini. 

Fra  gli  insetti  che  danneggiano  il  frumento  durante  il  periodo  regolativo  , 
molti  dei  quali  furono  con  somma  diligenza  osservati  e descritti  dal  Patrizio 
Ravennate  Francesco  Ginanni,  nella  sua  pregievole  opera  » Sulle  malattìe  del 
grano  in  erba  » deve  noverarsi  una  Saperda,  la  quale  avendo  invaso  nell’anno 
testé  decorso  vaste  possessioni  nella  provincia  di  Pesaro,  arrecò  grave  danno 
alla  ditta  Costa,  in  una  loro  proprietà  nel  territorio  Cerasa,  in  cui  si  calcola 
sieno  stati  perduti  Ettolitri  400  di  grano  sopra  una  superficie  di  200  Ettari. 

La  Saperda  è un  Coleottero  della  Famiglia  dei  Longicorni  Silofagi,  do- 
tato delle  abitudini  e metamorfosi  proprie  a questo  genere  , le  di  cui  larve 
sviluppano  nell’interno  dei  fusti,  e dei  rami  tuttora  viventi. 

Fra  le  molte  specie  della  Saperda  due  devono  riguardarsi  siccome  le  più 
nocive  all’agricoltura,  e sono  la  Saperda  del  Pioppo,  ( Saperda  Populnea  ) di 
proporzioni  molto  maggiori  della  Saperda  gracile  ( Saperda  tenuis)  che  dan- 
neggia il  frumento.  Questa  allo  stato  di  verme  misura  12  millimetri,  dimen- 
sione che  conserva  di  poi  1’  animale  perfetto  munito  di  antenne  articolate  , 
alquanto  più  lunghe  del  proprio  corpo.  I vermi  sono  di  color  giallo  ranciato, 
hanno  testa  guarnita  di  forti  mandibole  rossiccie  nascono  dalle  uova  che  sono 
deposte  dall’animale  perfetto  il  quale  essendo  munito  di  ali  presceglie  alcuni 
steli  soltanto  di  frumento  in  uno  stesso  cespo,  e va  a deporle  all’estremità  di 
essi  presso  le  spiche  nel  periodo  in  cui  sono  in  fiore:  i vermi  sviluppano  poco 
appresso,  ed  introdottisi  nella  cavità  degli  steli,  ne  rodono  la  midolla  interna, 
lasciando  intatta  la  sola  epidermide,  onde  le  spiche  ingialliscono  e curvatesi 
cadano  al  più  piccolo  urto,  sebbene  non  ancora  mature;  ed  a queste  gli  agli- 
coltori  danno  il  nome  di  spiche  secche  (1).  Il  verme  continuando  a nutrirsi, 
nell’interno  degli  steli  ne  fora  i nodi  e giunto  presso  la  radice  chiudesi  ottu- 
rando la  cavità  che  occupa  , con  ricciolini  della  midolla  stessa,  e così  resta 
nell’interno  della  stoppia  a 4 o 5 cent,  di  profondità  nella  terra,  e vi  subisce 
le  trasformazioni  ad  esso  proprie,  per  sortire  alla  primavera  allo  stato  d'insetto 
compiuto,  stato  nel  quale,  seguito  l’accoppiamento,  vengono  deposte  da  ciascuna 
femmina  oltre  200  uova,  e da  queste  escono  altrettanti  vermi  per  danneggiare 
egual  numero  di  spiche. 


(1)  Istituzioni  di  Agricoltura  di  Carlo  Berti  Pichat  Toni.  IV.  Pag.  790,  e 798. 


— 115  — 


Saperda  del  Frumento  al  doppio  del  naturale 


Questo  verme  infesto  invase  nell’anno  decorso  di  preferenza  i campi  nei 
quali  era  stata  precedente  seminata  la  Sulla  ( Hedysarum  Coronarium)  però 
sembra  non  possa  riguardarsi  la  precedente  coltura  della  Sulla  siccome  la  causa 
della  sua  invasione  , ma  soltanto  la  precedente  comparsa  della  Saperda  che 
passò  inosservata  in  un  qualche  terreno  limitrofo  seminato  a frumento,  le  cui 
stoppie,  restate  nel  posto,  abbiano  favorita  la  successiva  diffusione  di  essa. 

Le  seminazioni  tardive  di  frumento  riguardansi  dal  Pizzetta  siccome  im- 
muni dagli  attacchi  della  Saperda  (1).  Ma  sarà  sempre  ottimo  consiglio  carpire 
le  stoppie  dei  campi  affetti,  non  appena  compiuta  la  messe  ed  ivi  brucciarie, 
ovvero  aspostarle,  quanto  più  presto  si  possa  se  voglionsi  destinare  a lettiera; 
di  sequito  arare  profondamente  il  terreno  per  esporre  le  ninfe  che  fossero  sot- 
terra all’azione  dell’aria  che  rende  più  facile  la  loro  distruzione. 


(1)  Encyclopédie  pratique  de  l’Agriculteur  par  L.  Moli  et  Eug.  GayotT.  12  Pag.  537. 


Dopo  la  lettura  del  chino  sig.  prof.  Jacobini,  il  prof.  Diorio,  domandata 
la  parola,  indicò  avere  egli  fino  dal  luglio  p.  p.  consigliato  al  sig.  Costa,  di 
far  bruciare  senza  indugio,  le  stoppie  nei  campi  invasi  dall’insetto  abbattitore 
del  grano.  Non  avendone  però  egli  veduto  altro  che  la  larva  o bruco,  non 
azzardò  determinarne  la  specie. 


Monsignor  F.  Nardi  comunicò  quanto  sieque 


Il  sig.  Young,  ch’ora  è in  Roma  e fu  amico,  e maestro  di  Chimica  del 
Dott.  Livingstone,  mi  communicò  1’  altro  jeri  un  brano  d’una  lettera  dell’il- 
lustre viaggiatore,  che  qui  dò  tradotta. 


Mio  caro  Young, 


Lago  Bangweolo  8 Luglio  1868. 


« xignese  (figlia  di  Livingstone,  ora  ospite  del  sig.  Young)  vi  darà  qualche 
idea  di  quello  eh’  io  fo  qui  , e Lord  Clarendon  pubblicherà  qualche  cosa  di 
più.  Non  ho  più  carta,  ma  presi  a prestito  un  foglio  da  un  Arabo  per  tra- 
scrivervi dal  mio  libro  di  note  alcune  pagine.  Sinora  rimasi  tra  le  sorgenti 
del  Nilo  assai  più  a lungo,  che  non  era  uè  mio  proposito,  nè  mio  desiderio. 
Scopersi  tre  laghi  Liemba,  Mocro,  e Bangweolo;  Liemba  largo  da  18  a 20 
miglia  (inglesi)  e lungo  40;  Mocro  largo  da  80  a 60,  lungo  50;  il  terzo,  dalle 
rive  del  quale  scrivo,  largo  80,  lungo  forse  100.  Le  sorgenti  del  Nilo  sono 
400  miglia  al  sud  della  parte  più  meridionale  del  lago  Victoria  Nyanza  di 
Speke  ( quindi  secondo  le  carte  che  abbiamo  di  Speke,  e Baker,  a circa  9° 
lat.  sud).  Non  è poi  una  sola  la  sorgente,  ma  molte.  Quattro  fiumi  entrano 
nel  lago  Liemba  , e di  là  forse  nel  Tanganyika.  Il  più  interessante  è detto 
Chambege;  esso  concorre  alla  formazione  di  questi  tre  laghi  cangiando  nome 
tre  volte  a 500  o 600  miglia  della  sua  sorgente.  Anche  il  Chambege  però 
accoglie  una  moltitudine  di  affluenti  tutti  perenni,  e tutti  considerevoli,  cosi 
che  uno  ha  22  passi  ( yards  ) di  largo  , e contiene  ippopotami  ; un’  altro 
ancora  più  largo  si  versa  nel  lago  Bangweolo,  che  riceve  altri  due  grossi  fiumi. 
Lasciando  questo  lago  piglia  il  nome  di  Luapula,  e accoglie  altri  tre  fiumi,  un 
de’  quali  largo  5 passi,  e assai  profondo.  Si  voglie  quindi  al  lago  Mocro,  dove 
si  unisce  ad  altri  due  fiumi , uno  largo  80  passi  , così  da  volervi  canotti  a 
passarlo,  e 4 altri  minori  che  hanno  da  15  a 20  passi  di  largo.  Uscendo  dab 
lago  Mocro  il  Chambege  muta  nome,  e diviene  Luelaba,  che  dopo  avere  ac- 
colto altri  due  fiumi,  entra  esso  medesimo  nel  Lufira,  e ne  piglia  il  nome.  Il 
Lufira  trae  la  sua  origine  assai  più  lontano  da  Occidente.  Tredici  altri  fiumi 
tutti  più  larghi  dell'Isis  a Oxford,  o dell’Avon  a Hamilton  concorrono  in  una 
sola  sorgente  (del  Nilo),  o sono  essi  medesimi  sorgenti.  Alcuni  si  volgono  al 
Lago  Liemba,  5 al  Tanganyika,  che  deve  avere  un  uscita.  Forse  il  fiume  che 
n’esce  entra  nel  lago  Chowambe,  ch’io  credo  essere  il  lago  del  Dott.  Baker 


1 i 7 — 


(cioè  quello  che  il  Baker  chiamò  lago  Alberto,  Prince  Albert  Nyanza).  Gli  altri 
(fiumi)  passato  che  hanno,  Tanganika  si  volgono  a occidente  al  Chovvambe. 
Questi  sono  i punti  che  mi  rimangono  a esplorare;  appena  l'avrò  fatto  partirò 
e tornerò  a casa  ». 

Da  questi  cenni  alquanto  confusi  , senza  carta  geografica  , che  li  ac- 
compagni, senza  gradi  di  longitudine  e latitudine,  è assai  difficile  formarsi  un’  i- 
dea  chiara  dei  lavori  delfillustre  viaggiatore,  al  quale  appartiene  la  gloria  d’es- 
sere il  primo  che  abbia  traversato  il  gran  continente  africano  da  Est  ad  Ovest, 
e che  ora  lo  va  percorrendo  da  Sud  a Nord.  Però  paragonando  il  suo  racconto 
con  quelli  di  Speke,  Burton,  e Grant,  quindi  con  quello  di  Baker,  cui  dob- 
biamo tante  preziose  scoperte,  e massime  quella  del  Lago  Alberto,  che  accoglie 
il  Nilo  al  suo  uscire  dal  lago  Victoria,  ecco  le  conchiusioni  che  si  presentano: 

1)  Si  conferma  un’enorme  ricchezza  d’acque  nell’altopiano  centrale  africano. 

2)  Non  si  mettono  in  dubbio  le  scoperte  di  Speke,  Grant,  e Baker,  che 
trovarono  essere  il  Nilo  del  Cairo,  e d’ Assuan  quello  stesso  fiume  ch’esce  a 
mezzo  grado  nord  dal  gran  lago  Victoria. Però  sembra  che  questo  stesso  gran 
lago  non  sia  che  il  serbatojo  delle  acque  niliache,  che  vengono  da  più  lontano. 

3)  Livingstone  pone  a circa  400  miglia  inglesi  le  sorgenti  più  meridionali, 
il  che  trasporterebbe  le  prime  e vere  origini  del  Nilo  a circa  9°  o 10°  lat. 
Sud.  Ciò  s’accorda  mirabilmente  colla  situazione  indicata  nelle  carte  tolomaiche, 
che  fanno  anch’  esse  scaturire  il  Nilo  da  due  gran  laghi  a circa  10°  o 12° 
lat.  Sud. 

4)  Invece  se  si  avverasse  la  supposizione  del  Livingstone  , che  il  lago 
Tanganyika  mandasse  le  sue  acque  al  Lago  Alberto  di  Baker,  converrebbe  mo- 
dificare la  carta  dell’  intervallo  fra  i due  laghi , che  ora  segnano  un  monte 
(Mfumbiro)  tra  essi,  e aspettare  i computi  ipsometrici,  che  devono  dare  l’al- 
tezza esatta  del  suolo  interposto.  Solo  al  ritorno  di  Liwingstone  in  Inghilterra, 
che  potrebbe  accadere  tra  pochi  giorni,  sapremo  intera  la  verità. 


Nell’intervallo  tra  la  lettura  di  questa  lettera,  e la  sua  stampa,  giunse  in  Europa  un 
cenno  inviato  da  un  legno  da  guerra  inglese  di  stazione  presso  le  Coste  del  Congo.  Secondo 
esso  l’ infelice  viaggiatore  sarebbe  perito  vittima  della  superstizione  africana  a 300  miglia 
dalla  Costa  del  Congo,  alla  quale  si  era  diretto.  Noi  esitiamo  a prestar  fede  a questo  an- 
nunzio, che  sarebbe  in  contradizione  colla  intenzione,  che  Livingstone  manifestava  in  questa 
lettera  di  ritornare  in  Inghilterra  pel  Zanzibar. 


16 


Posposta  del  prof.  P.  Volpiceli i alle  osservazioni  del  p.  A.  Secchi,  pvbli - 
cale  nella  tornata  del  5 dicembre  1869  (1),  relative  al  barometro  foto- 
grafico della  università  romana. 


Il  barometro  fotografico  fu  da  me  costruito,  non  perchè  sia  questo  un  mio 
nuovo  trovato,  ma  1°  perchè  i barometrografi  meccanici  hanno  difetti,  che 
non  s’ incontrano  in  quelli  fotografici;  e questa  mia  opinione  viene  avvalorata 
da  quanto  si  pratica  in  proposito  nella  Inghilterra.  2.°  perchè  in  Roma,  e nel 
resto  d’ Italia,  fino  ad  ora  la  fotografia,  non  fu  applicata  nel  registrare  i fe- 
nomeni meteorologici  , e quindi  credo  aver  fatto  cosa  utile.  Del  resto  se 
il  mio  sistema  fotografico  differisca,  o no,  da  quello  usato  altrove,  per  es.  in 
Oxford,  a me  nulla  importa;  non  essendo  il  mio  scopo  la  novità,  bensì  la  uti- 
lità, cioè  l’ indurre  in  Roma  ed  in  Italia  quel  processo,  che  più  si  trova 
livellato  colla  scienza.  Quando  avrò  interamente  reso  di  pubblica  ragione 
tutto  ciò  che  riguarda  il  mio  barometro  fotografico,  allora  i dotti  compe- 
tenti giudicheranno,  se  questo  sia  totalmente,  od  in  parte,  conforme  ad  al- 
tri sìmili  strumenti. 

In  quanto  alla  compensazione  pel  calorico,  che  il  p.  Secchi  dice  giusta- 
mente, non  essere  spiegato  come  (da  me)  fosse  fatta,  mentre  colà  ad  Oxford 
è eseguita  in  modo  assai  ingegnoso,  rispondo  che  prima  di  eseguire  questa 
compensazione  , relativa  soltanto  al  calorico  dell’ambiente,  debbo  esaminare 
bene,  quale  dei  vari  modi  , coi  quali  si  può  questa  eseguire,  sia  preferibile. 
Quindi  pubblicherò  quanto  prima  le  condizioni  algebriche,  da  doversi  soddi- 
sfare per  ognuno  dei  sopra  detti  modi  ; giacché  senza  farsi  guidare  da  for- 
mule generali  , ma  unicamente  da  tentativi,  s’  incontra  molta  spesa,  e si  per- 
de molto  tempo,  prima  di  giungere  alla  verità.  Ciò  si  è verificato  appunto  in 
qualche  caso,  di  cui  non  voglio  per  ora  occuparmi;  nel  quale  molti  danari, 
e molti  anni  furono  perduti,  a raggiungere  lo  scopo,  col  mezzo  di  tentativi, 
senza  neppure  occuparsi  menomamente  della  compensazione  pel  calorico.  Dopo 
che  avrò  ridotto  le  indicate  formule  alla  pratica,  introducendo  in  esse  i va- 
lori numerici  dei  coefficienti  della  dilatazione,  allora  farò  conoscere,  quale  dei 
sistemi  di  compensazione,  sia  per  me  preferibile.  E certamente  inesatto 


(1)  Vedi  questo  voi.  p.  76. 


dire  che  il  meteorografo  di  Magellan,  non  ha  mai  avuto  effetto  pratico,  e che 
per  alcune  sue  parti  non  poteva  aver  luogo,  come  pretende  il  mio  oppositore 
di  avere  dimostrato  nei  Comples  rendus,  (t.  65,  p.  443,  e seg.)  Affinchè  si  vegga 
da  ognuno,  qual  valore  aver  possa  questa  dimostrazione,  basterà  leggere  il  se- 
guente brano  di  Magellan  ( Observations  sur  la  physique  par  V Abbé  Rozier, 
t.  19  an.  1782,  pag.  346,  li.  8). 

« Il  est  cependant  assez  extraordinaire  qu’  aucun  des  auteurs  qui  ont 
» traité  de  ce  sujet , n’aient  fait  mention  de  cet  instrument  ; du  moins,  je 
« ne  me  souviens  pas  d’  en  avoir  vu  la  description  imprimée  nulle  part,  et 
)>  je  n’ai  rencontré  que  deux  de  ces  baromèlres,  les  seuls,  peut  ètre,  qui  exis- 
» tent  aujourd'hui  en  Europe.  L’un  fut  fait  en  1760  par  feu  M.  Adams  , 
» habil  artiste  de  Londres,  pour  le  Roi  de  la  Grende-Bretagne  actuellement 
))  régnant  et  alors  Prince  de  Galles;  l’autre  avoit  été  commencé  peut  étre  aupara- 
» vant  par  feu  M.  Jonathan  Sisson  artiste  célèbre  de  cette  capitale.  Je  trouvai  ce 
» dernier  par  hasard,  très-bien  conserve  chez  un  particulier,  j’en  fis  aussi-tót 
» l’acquition  et  je  Pai  actuellement  chez  moi,  entièrement  achevò  sous  mes 
» yeux,  avec  quelques  changement,  qui  en  rendent  la  construclion  plus  avanta- 
» geuse.  » Si  vede  quindi  essere  dimostrato  coi  falli,  che  Magellan  possedè* 
va  un  barometro  a bilancia  in  attività,  salvo  che  non  si  volesse  ammettere, 
che  per  malafede,  abbia  travisato  egli  la  verità,  con  danno  dei  posteri,  cioè 
di  quei  fìsici  moderni,  che  volessero  attribuirsi  la  invenzione  di  questo  istro- 
mento.  Inoltre  possiamo  facilmente  dimostrare  , che  il  sistema  barometrico, 
di  cui  parla  Magellan,  e quindi  anche  il  suo  meteorografo,  poteva  benissimo 
aver  luogo,  come  ha  già  dimostrato  il  sig.  Radau,  e come  con  maggiore 
sviluppo  dimostreremo  in  altra  occasione. 

Riguardo  all’uso  della  elettricità,  conveniamo  che  V applicazione  di  questo 
agente,  fatta  con  successo  la  prima  volta  dal  eh.  sig.  Wheatstone  sul  me« 
teorografo,  abbia  considerevole  utilità.  Ma  sosteniamo  in  pari  tempo,  che  la 
utilità  della  fotografia,  riesce  anche  maggiore;  cosicché  da  noi  si  crede,  che 
gl’  istromenti  fotografici,  sieno  livellati  colla  scienza,  molto  più  di  quelli  mec- 
canicamente grafici.  Quante  volte  poi  faccia  d’uopo,  i difetti  di  questi  ver- 
ranno da  me  dichiarati,  col  nubblicare  la  memoria,  già  pronta  , sui  meteo- 
grafi  meccanici. 

Si  asserisce  dal  p.  Secchi  che  l’utile  maggiore  della  fotografia,  non  possa  con- 
cludersi dall'autorità  di  nessuna  nazione  o persona  ec.  Ciò  conferma  egli  col  dire 
« Non  toccheremo  gli  argomenti  di  autorità,  perchè  questi  nulla  concluda - 


no  ecc.  Noi  non  osiamo  menomamente  occuparci  di  questa  opinione,  lasciando 
che  sulla  medesima  giudichino  altri. 

Se  negl’  istrumenti  fotografici  si  applicarono  termometri  di  troppo  grande 
volume , si  fece  male:  nè  quelli  del  meteorografo  del  collegio  romano  sono  di 
di  volume  abbastanza  piccolo,  nè  hanno  forma  opportuna  per  obbedire  pronta- 
mente alle  variazioni  di  temperatura.  Oltre  a ciò  in  questi  termometri,  la 
corrente  elettrica  influisce  non  poco,  a rendere  inesatte  le  indicazioni  loro. 
Crediamo  che  si  può  dare  ai  termometri  fotografici  tale  forma,  e tale  volume, 
da  renderli  pronti  a raggiungere  lo  scopo  loro. 

Si  continua  dall’opponente  coll’osservare,  che  nel  barometro  fotografico  la 
scala  non  conserva  i valori  proporzionali  per  tutto...  e sempre  sono  alterati  dai 
moti  della  carta  pel  disseccarsi.  Questa  osservazione  non  può  riguardare  il  mio 
sistema  fotografico;  giacché,  come  già  pubblicai,  la  scala  in  millimetri,  trac- 
ciata sul  vetro,  è fotografata  unitamente  alle  variazione  barometriche  sulla 
medesima  carta  sensibile.  Inoltre  non  può  concedersi,  che  la  proporzionalità 
stessa  manchi  nelle  indicazioni  fotografiche  ingrandite  , perchè  altramente 
questo  difetto  dovrebbe,  accompagnare  qualunque  applicazione  fotografica;  lo 
che  si  riconosce  non  vero,  dai  risultamenti  di  sifatte  applicazioni , le  quali 
si  estendono  utilmente  anche  alla  topografia. 

A proposito  di  questa  proporzionalità,  mi  permetterò  di  osservare,  che 
nel  barometrografo  del  collegio  romano,  quello  di  prima  costruzione,  la  propor- 
zionalità medesima  non  si  verificava;  giacché  si  trova  pubblicato,  che  in  questo 
istromento  « la  scala  sarà  più  stretta  per  le  alte , e più  larga  per  le  mi- 
nori pressioni,  onde  a formarla  dovranno  prendersi  diversi  estremi  inter- 
medi » (1).  Se  questo  difetto,  nella  più  recente  costruzione  delfindicato  istro- 
mento, ha  luogo  in  minor  grado,  è perchè  in  esso  fu  adottata,  più  o meno, 
la  costruzione  del  barometro  del  chìaris.  p.  Cecchi  Scolopio. 

Si  osserva  inoltre  dal  nostro  eh.  collega  , che  vi  è il  difetto  di  paral- 
lasse, rapporto  al  lume:  nei  grandi  movimenti  spesso  escono  di  scala , spesso 
manca  del  lutto,  e riesce  illegibile  l'impressione,  e non  può  accorgersi  del 
difetto  che  dopo,  quando  non  è più  tempo  di  rimediarvi : bisogna  fare  tan- 
te figure  separate  quanti  sono  gli  strumenti,  ecc.  ecc.  Rispondiamo  che  il  difetto 
di  parallasse  non  esiste,  poiché  anche  quando  la  fiamma  non  fosse  distante 
sufficientemente,  le  variazioni  fotografate,  e contate  dalla  metà  della  scala,  sa- 


(1)  Memorie  delfOsservatorio  del  Collegio  romano,  Roma  1859,  pag.  4. 


ranno  sempre  proporzionali  alle  variazioni  vere,  come  insegna  la  geometria. 
Riguardo  poi  all’escire  fuori  della  scala,  cioè  riguardo  al  non  avere  la  scala 
estensione  sufficiente,  certo  ciascuno  troverà  subito  il  rimedio,  dandole  dal 
bel  principio  quella  estensione  che  occorre.  Del  resto  questa  osservazione , 
la  meno  valevole  di  tutte,  ha  luogo  per  ogni  possibile  istromento,  quando  non 
abbia  una  conveniente  scala.  Inoltre  il  dire  che  manca  spessa  volte  la  im- 
pressione, vale  quanto  immaginare  delle  difficoltà  per  voglia  di  combatterle; 
poiché  attenendosi  strettamente  alle  regole  prescritte,  che  in  seguito  saranno 
da  me  pubblicate,  il  buon  successo  fotografico  non  può  mancare. 

Il  dire  inoltre  « che  la  spesa  del  primo  impianto  e della  manutenzione , 
è di  assai  superiore  a quella  degli  altri  strumenti,  è una  esagerazione.  Poi- 
ché per  quanto  appartiene  al  primo  impianto,  la  spesa  relativa  è tenue  molto; 
e qui  ricordiamo,  che  si  costruirono  meteorografi  meccanici  di  lusso,  del  prezzo 
di  18000  lire  (1).  La  manutenzione  poi  richiede  una  spesa*  che  per  la  sor- 
gente di  luce,  non  supera  due  centesimi  di  lira  per  ogni  ora  (2).  La  spesa 
poi  dei  reagenti  per  le  manipolazioni  chimiche,  riesce  anche  minore  di  quella 
per  la  luce.  Ognuno  vede  che  questa  tenue  spesa,  non  può  presentare  una 
obbiezione  seria,  considerando  la  importanza  e la  esattezza  dei  risultamenti. 
Pel  contrario  si  deve  poi  valutare  il  frutto  di  18,000  lire,  colla  manuten- 
zione delle  molte  pile  elettriche,  necessarie  nell’  istromento  del  Collegio  Ro- 
mano. 

Si  attribuisce  a noi  di  avere  asserito  che  nessuna  pubblicazione  utile  si 
è fatta  cogli  strumenti  grafici-meccanici  ».  Ciò  fu  detto  soltanto  rela- 
tivamente ai  meteorografi  di  Madrid,  e di  Palermo,  che  sono  di  costruzione 
uguale  a quello  del  collegio  romano,  e crediamo  di  avere  detto  il  vero. 

È poi  sempre  molto  azzardato  il  dire  che  le  fotografìe  per  gli  strumenti 
meteorologici  non  si  fanno,  che  dove  esiste  pei  magnetometri  un  laboratorio 
apposta.  Dubitiamo  assai,  che  i 32  termometri  fotografici  , del  comitato  di 
Kew,  verificati  da  qualche  anno,  sieno  tutti  ove  si  trovano  anche  osservatori 
magnetici. 

L’ultima  osservazione  contro  la  fotografia  pei  fenomeni  meteorologici,  è dell’op» 
ponente  stesso  concepita  come  siegue  « Sono  sempre  però  fuor  di  questione  i ma- 
gnetometri, nei  quali  anche  il  p.  Secchi  è d'accordo , che  la  sola  maniera  esalta , è 

(1)  Repertorium  far  Physikalische  Technik,  Monaco  1867,  voi.  3.  p.  36L 

(2)  Capitolato  per  la  illuminazione  a gas  in  Roma,  articolo  45. 


— 122  — 


la  fotografia,  e da  molto  tempo  egli  Varrebbe  istituita,  se  ne  avesse  avuto  i 
mezzi , ma  è stato  spaventato  dalle  spese , e ciò  che  ha  veduto  e saputo  a 
Kew,  a Firenze,  e a Stonyhursl,  ove  ha  bene  esaminato  tutto  per  minuto,  lo 
persuase,  che  colle  sue  forze  sole,  come  ha  fatto  fìrìora  quello  che  ha  fatto , 
è nell' assoluta  impossibilità  di  riescirvi.  E anche  qui  potrebbe  con  gravi  au- 
torità entrare  a discutere  la  utilità  della  fotografia,  più  a fondo,  ma  non  è 
luogo. 

La  mancanza  di  mezzi,  dalla  quale  tanto  fu  spaventato  il  eh.  direttore 
dell’osservatorio  del  colleggio  romano,  è un  assersione  che  non  posso  discu- 
tere. Rifletterò  soltanto  che  colle  ultime  parole  il  chiaro  nostro  oppositore,  am- 
mette il  valore  delle  autorità,  che  precedentemente  negò,  quando  fu  da  me 
invocato  per  convalidare  la  mia  opinione,  cioè  che  gl’istromenti  fotografici  per 
la  meteorologia  sono  preferibili  a quelli  meccanicamente  grafici  , e sono  più 
degli  altri  a livello  della  scienza. 

Termineremo  con  queste  parole  di  S.  Agostino  (Epis.  2B8).  « Sunt  et  alia 

))  multa:  sed  interim  de  hoc  uno  cogita Non  enim  bonum  hominis  esthomi- 

» nem  vincere;  sed  bonum  est  homini  ut  eum  veritas  vincat  volentem;  quia  ma- 
» lum  est  homini  ut  eum  veritas  vincat  invitum.  Nam  ipsa  vincat  necesse  est, 
» sive  negantem,  si  ve  confitentem.  Da  veniam  si  quid  liberius  dixi,  non  ad 
» contumeliam  tuam,  sed  ad  defensionem  meam  ». 


— 123  — 

COMUNICAZIONI 

Il  prof.  Volpiceli!  annunziò  che  niuna  memoria  si  ebbe  dall’  accademia, 
relativamente  all’ultimo  programma  del  premio  Carpi,  nel  tempo  in  cui  si  po- 
tevano  ricevere  queste  memorie  , secondo  quanto  venne  prescritto  col  pro- 
gramma stesso. 


CORRISPONDENZE 

Il  R.  P.  Chelini,  dopo  essere  stato  nella  precedente  sessione,  del  5 dicem- 
bre 1869,  confermato  membro  del  comitato  pel  nuovo  triennio;  communicò 
la  sua  rinuncia  per  questa  carica,  mediante  una  lettera,  in  accademia  conse- 
gnata da  esso  al  sig.  presidente. 

Fu  comunicata  la  partecipazione  della  morte  del  professore  Axel  Gioac- 
chino Ermann,  direttore  in  capo  delle  carte  geologiche  della  Svezia.  La  par- 
tecipazione medesima  giunse  per  mezzo  della  consorte,  e della  famiglia  dell’  il- 
lustre defunto. 

Il  sig.  Sònubobm,  direttore  in  capo  delle  ricerche  geologiche  della  Sve- 
zia, ringrazia  per  gli  atti  dell’accademia  nostra  da  esso  ricevuti. 

Il  sig.  Commend.  Alessandro  Cialdi,  fece  dono  all’accademia  di  una  sua 
pubblicazione,  intitolata  Les  jelées  de  Port-Sa'id  et  leur  ensablement. 

Il  sig.  Prof.  Cav.  Betocchi,  presentò  il  suo  discorso  inaugurale,  per  la  pre- 
miazione solenne  dell’  istituto  tecnico  degli  agrimensori  e misuratori  di  fab- 
briche, nel  25  di  febbraio  1809. 

Il  sig.  Comm.  Alessandro  Cialdi,  presentò  in  dono  un  articolo  da  esso 
pubblicato  col  titolo  : Le  dighe  di  Portosaido,  ed  il  loro  insabbiamento,  sino 
al  giorno  della  solenne  apertura  del  Bosforo  di  Suez. 

Il  Sig.  D.r  Pietro  Balestra,  inviò  in  dono  le  sue  ricerche  ed  esperimenti, 
sulla  natura  e genesi  del  miasma  palustre,  esposte  in  parte  al  congresso  me- 
dico internazionale  di  Firenze. 


- m - 


L’  accademia  riunitasi  legalmente  alle  due  pomeridiane,  si  sciolse  dopo 
due  ore  di  seduta. 


Soci  presenti  a questa  sessione 

B.  Viale  — G.  Ponzi  — P.  A.  Secchi  — Azzarelli  — F.  Giorgi  — • 
A.  Guglielmotti  — P.  Volpicelli  — P.  D.  Chelini  — F.  Castracane  — L. 
Respighi  — S.  Cadet  — V.  Diorio  — L.  Jacobini  — E.  Rolli  — B.  Bon- 
compagni  — A.  Betocchi  — G.  Pieri  — A.  Nardi. 

Pubblicato  nel  1 S di  marzo  1870. 

P.  V. 


DELL’ACCADEMIA  PONTIFICIA 
DE’ NUOVI  LINCEI 


SESSIONE  III-'  DEL  0 IEBBRAR0  1870 

PRESIDENZA.  DEL  S1G.  CAV.  BENEDETTO  VIALE  PRELA* 

MEMORIE  E COMUNICAZIONI 

BEI  SOCI  OB9IHARI  E BEI  OOBBI8VON9ESTI 

Sopra  i vantaggi  che  può  trarre  lo  stato  pontifìcio  dall ’ apertura  del  canale 
di  Suez.  — Nota  del  prof.  L.  Jacobini. 

LI 

apertura  del  Canale  di  Suez,  opera  gigantesca  che  renderà  immortale  il 
nome  di  Ferdinando  Lesseps,  il  quale  con  splendida  intelligenza  seppe  imma- 
ginarla, e con  imperturbabile  costanza  condurla  a fine,  fà  prevedere  cangiato 
l’aspetto  delle  relazioni  fra  la  ricca  Asia  e la  civile  Europa,  e fu  perciò  sa- 
lutata siccome  una  preziosa  conquista  della  civiltà  odierna,  siccome  causa  di 
inaspettata  floridezza  pel  commercio:  avvegnaché  avvicinandosi  l’Occidente  al- 
l’ Oriente  col  mezzo  di  quel  canale,  che  congiunge  fra  loro  il  Mediterraneo,  il 
golfo  Arabico,  ed  il  mar  delle  Indie,  rendonsi  più  facili  i traffici,  che  costitui- 
scono uno  dei  principali  elementi  della  prosperità  degli  stati. 

L’  Asia  culla  della  razza  umana,  e nella  quale  ebbero  origine  le  prime  idee 
di  religione  e di  civiltà,  richiamò  sempre  l’attenzione  delle  Nazioni  Europee, 
onde  i più  arditi  navigatori  ed  i più  celebri  capitani  ne  fecero  scopo  delle 
loro  più  nobili  aspirazioni,  ed  i mercanti  tutti  dell’antico  Mondo,  non  che  i 
condottieri  degli  eserciti  agognarono  sempre  al  commercio  ed  alla  conquista 
dell’ Arabia,  ricca  pei  suoi  preziosi  aromi,  e pei  suoi  balsami,  ed  in  pari  modo 
dell’India  feconda  per  tesori  nascosti  nel  suo  suolo,  opulenta  per  celebrate 
città,  e rinomata  per  vetusta  coltura  ed  industria,  e pei  suoi  traffici. 

L’ istmo  di  Egitto  fu  il  luogo  di  convegno  dei  popoli  dediti  alla  merca- 
tura, il  Mediterraneo  la  via  delle  colonie,  del  commercio,  e delle  conquiste, 
ed  i Romani  sebbene  disprezzassero  le  arti  della  pace,  dovettero  alla  lor  volta 

17 


_ 126  - 


occuparsi  del  gran  traffico  asiatico,  nel  quale  furono  di  poi  dissipate  le  so- 
stanze pubbliche  e private,  per  saziare  ismisurate  ed  ingorde  cupidigie  di  fas- 
to. Ed  allora  fu  che  i popoli,  sebbene  soggiogati,  sfruttarono  le  ricchezze  dei 
Romani , incominciarono  a disprezzare  la  loro  potenza  e , rovesciandosi  sic- 
come torrente  impetuoso  in  Europa,  distrussero  l’antica  civiltà  latina,  e con 
essa  ogni  politico  ordinamento.  Decadde  perciò  il  commercio  nel  Mediterra- 
neo, e si  fece  molto  florido  nel  Mar  Nero  presso  i Greci  di  Bisanzio,  i quali 
possedevano  vaste  provincie  nell’  Asia  minore,  fino  a che  i Saraceni  non  fe- 
cero rifiorire  le  arti,  le  industrie  ed  il  commercio  in  Europa,  riconducendo  nelle 
acque  del  Mediterraneo  la  somma  dei  traffici  orientali  , e con  essi  sviluppò 
la  floridezza  delle  città  poste  sulle  sue  rive,  che  poterono  e seppero  profittarne. 
Ma  quando  la  mezza  luna  apparve  sulle  torri  di  Gerusalemme,  e di  poi  su 
quelle  delle  città  marittime  della  Siria,  e della  Cilicia,  venne  di  nuovo  impe- 
dito ai  popoli  d’  Occidente  il  cammino  per  1’  Asia  e,  chiuso  il  Mediterraneo, 
restò  il  Mar  nero  unico  asilo  al  commercio  d’  Europa. 

Risultati  vani  gli  sforzi  per  valersi  del  Mediterraneo,  onde  pervenire  alle 
vagheggiate  sponde  dell’  Asia,  si  volsero  i popoli  di  Europa  a cercar  nuove 
vie  per  1’  Oceano  , ed  allora  fu  che  il  Portoghese  Vasco  di  Gama,  avventu- 
randosi sopra  mare  inospitale  il  18  Maggio  1498,  approdò  nelle  indiche  spiag- 
ge di  Malabar,  inaugurando  1’  odierno  commercio  coll’  Oriente  per  la  via  del 
Capo  di  Buona  Speranza. 

Il  taglio  dell’  Istmo  di  Suez  ricondurrà  nelle  acque  del  Mediterraneo  quel 
numeroso  naviglio,  che  da  oltre  tre  secoli  avealo  abbandonato,  e con  esso  la 
maggior  parte  della  mercatura  Europea,  diretta  in  oriente  a negoziare  nelle 
contrade  del  Mar  Rosso,  dell’  India,  della  Cina,  del  Giappone  e dell’  Oceania; 
e ciò  mentre  apre  ai  popoli,  che  sono  sulle  rive  del  Mediterraneo,  facile  lo 
sbocco  ai  loro  prodotti  ed  al  commercio  coll’  Asia,  rende  il  sommo  dei  van- 
taggi all’  umana  famiglia,  facilitando  ai  Successori  di  Pietro  diffondere  le  eterne 
leggi  di  verità  e di  giustizia,  agli  estremi,  e più  remoti  angoli  della  terra. 

Molto  fu  scritto  e da  uomini  sommi  sopra  i vantaggi  che  potrà  trarre 
il  commercio  Europeo  dall’  apertura  del  Canale  di  Suez,  ed  a noi  piacerà  in- 
trattenerci soltanto  su  i benefici,  che  possono  risentirne  i popoli  soggetti  al 
pontifìcio  governo. 

Il  cammino  alle  Indie  dai  porti  del  Mediterraneo  pel  canale  di  Suez, 
potrà  compiersi  in  2!  giorni  , o poco  più:  mentre  ne  occorrono  oltre  50 
passando  pel  Capo  di  Buona  Speranza:  quindi  molta  economia  di  tempo 


127 


che  è danaro,  e si  percorre  una  via  molto  più  sicura  per  le  navi  a vela,  le 
quali  passando  pel  Capo,  non  potendo  costeggiare  l’Affrica,  sono  obbligate  a 
spingersi  presso  1’  America  meridionale,  al  fine  di  evitare  le  correnti,  e le  pro- 
celle che  dominano  in  quei  mari;  e le  navi  a vapore  potranno  portare  mag- 
gior carico  di  merci,  non  essendo  obbligate  a condurre  quella  provista  di  car- 
bone, necessaria  alla  più  lunga  navigazione  per  la  via  del  Capo  di  Buona  Spe- 
ranza. Il  viaggio  di  queste  potrà  diminuire  di  oltre  giorni  quaranta  fra  an- 
data e ritorno  : lo  che  rende  meno  dispendiosa  l’assicurazione  delle  merci,  e 
molto  più  sollecita  la  vendita  delle  medesime. 

Le  condizioni  di  clima  e di  suolo  dello  stato  pontifìcio,  posto  nella  re- 
gione degli  olivi , fanno  riconoscere  siccome  principali  prodotti  agricoli  da  po- 
ter commerciare  i vini,  gli  olì,  i formaggi,  e fra  quelli  delle  arti  le  pitture  le 
sculture,  i musaici,  i lavori  di  orifìceria,  le  perle  artificiali  e le  fotografìe  di 
ogni  sorta  ed  in  modo  speciale  quelle  dei  monumenti,  e dei  personaggi  illu- 
stri. Esso  trae  dall’  estero  , e specialmente  dall’  Oriente  caffè,  thè  , tabacco 
cotone,  indaco,  legni  da  tinta,  balsami,  aromi,  gomme  resine,  cannella,  avo- 
rio, corteccie  medicinali , pelli,  penne  , tamarindi,  cassia,  zucchero,  ed  altre 
sostanze  che  possono  pressoché  tutte  ottenersi  dall’Asia  e dall’  Oceania,  mi- 
gliori di  quelle  che  si  hanno  dall’  America,  e per  le  facilitate  communieazioni 
si  avranno  a minor  prezzo,  ed  in  cambio  dei  nostri  prodotti. 

Dai  dati  statistici  raccolti  dagli  agenti  consolari , risulta  che  nell’  India 
e nella  Cina  trovasi  facile  lo  smercio  dell’olio  di  oliva  e del  vino,  del  quale 
ultimo  si  fa  gran  consumo  dagli  europei,  che  danno  preferenza  ai  vini  alquanto 
alcoolici;  che  a Madras  sono  molto  ricercati  i vini  di  Vermuth  ed  i bianchi 
generosi,  riconosciuti  utili  contro  le  febbri.  Nelle  coste  del  Mar  Rosso,  ad  onta 
del  veto  di  bere  vino  presso  i seguaci  di  Maometto,  se  ne  fa  molto  uso  alla 
nascosta,  ed  è ricercato  dai  Cristiani  che  vi  stanziano.  Si  ritiene  che  nel 
Giappone  trovino  facile  vendita  gli  oggetti  di  orifìcieria,  i musaici,  ed  in  ge- 
nere i lavori  di  belle  arti,  pei  quali  è a prevedersi  richiesta  anche  nelle  ca- 
pitali , e principali  città  delle  Indie,  della  Cina,  e dell’  Australia.  I formaggi 
prodotti  dalle  grandi  masserie  di  pecore,  che  pascolano  nell’  Agro  romano,  è 
a sperarsi  trovino  favore  nei  mercati  dell’  Asia,  nei  quali  furono  apprez- 
zati quelli  del  Lodigiano , potendosi  con  molte  semplici  cure,  ottenere  nel 
cacio  di  pecora  gusto  isquisito  , che  unito  al  prezzo  molto  più  mite  degli 
altri  di  commercio,  fa  ritenerne  sicura  la  vendita.  La  perfezione  dei  vini,  e 
degli  oli  , cui  attendono  da  vari  anni,  con  nobile  emulazione  i sudditi  del 


— 128  — 


S.  Padre,  e che  potrà  agevolmente  raggiungersi,  se  i proprietari  saran  docili 
ai  suggerimenti  della  scienza,  fà  fondatamente  sperare,  che  non  rimarranno  agli 
altri  secondi.  I vini  dei  colli  laziali , spediti  già  da  vari  anni  in  Inghilterra 
ed  in  America,  non  solo  non  si  alterarono  punto  nel  loro  lungo  viaggio,  ma 
acquistarono  quel  pregio  proprio  ai  vini  navigati,  ed  alcuni  ottennero  pre- 
mio all’  esposizione  di  Londra,  altri  in  quella  di  Dublino,  ed  altri  in  quella  di 
Parigi.  E quante  volte  i nostri  vini  e gli  oli  fossero  apprezzati,  siccome  è a 
sperare,  nei  mercati  dell’Asia,  noi  potremo  somministrare  il  carico  ai  basti- 
menti che  si  diriggono  per  1’  Oriente,  onde  condurci  merci  presso  di  noi  ri- 
cercate. Nel  che  ci  conforta  il  sapere,  che  alcune  botti  di  vino  di  Piemonte, 
non  rafforzato  con  alcool , spedite  per  la  via  del  Capo  di  Buona  Speranza  a 
Massouak,  sebbene  rimanessero  per  lungo  tempo  in  magazzini  caldissimi,  non 
soffrirono  alterazione  di  sorta,  e posto  in  bottiglie,  venne  dagli  Inglesi  pre- 
ferito ai  vini  di  Bordeaux,  e pagato  oltre  le  lire  5 per  litro,  e quello  spe- 
dito in  bottiglie  Barolo,  Moscato,  e Brachetto,  fu  venduto  per  oltre  lir.  12 
la  bottiglia,  ed  egualmente  il  Yermuth. 

I premi  accordati,  replicatamente  dai  Pontefici  pel  piantamento  degli  olivi  fe- 
cero aumentare  di  molto  la  coltura  di  questo  prezioso  albero , ed  è a spe- 
rarsi che,  fatta  eccezione  degli  anni  di  estrema  penuria,  l’olio  potrà  riguardarsi 
siccome  un  prodotto  da  asportare  ora  che  il  petrolio  ed  i gas  illuminanti 
si  sostituiscono  con  vantaggio  agli  oli  da  ardere. 

Dei  quali  prodotti  potrà  ottenersi  il  massimo  xìei  profitti,  se  ne  venga 
attivato  commercio  diretto  coll’  Oriente,  evitando  l’ intervento  dei  negozianti 
stranieri,  che  intendono  sempre  appropriarsi  la  maggior  parte  del  guadagno. 
Ma  le  più  giuste  vedute»  ed  i più  energici  propositi»  sono  insufficienti  a com- 
piere imprese  di  tal  fatta;  e giova  sperare  che  non  mancherà  il  concorso  dei 
Capitalisti  in  questa  Roma,  in  cui  ogni  ragionevole  impresa  trova  accoglienza 
e favore. 


/ 


129  — 


Storia  delle  Scienze  - Sulle  opinioni  e sulle  sperienze  circa  il  calore  del 
raggiamento  lunare , ed  anche  stellare.  Memoria  del  prof.  P.  Vol- 
piceli!. 

$•  1- 

Il  fine  principale  di  questa  memoria,  consiste  nel  dimostrare  che  Melloni,  ce- 
lebre  fìsico  italiano,  fu  il  primo  a rendere  veramente  palese  colla  sperienza, 
essere  il  raggiamento  lunare  non  dal  calorico  disgiunto. 

Molti  poeti  credettero  il  raggiamento  della  Luna  essere  frigorifero  ; poi- 
ché Virgilio  (3.  Georg.)  dice  : 

....  quum  frigidus  aera  vesper 
Temperat,  et  saltus  refìcit  jam  roscida  Luna  ; 

ed  il  Tasso  (Rinal.  7,  13)  così  si  esprime  : 

D’  un  tetto  pastoral  schermo  la  notte 
Farsi  i guerier  contro  1’  algente  Luna. 

Il  Dante  ( Purg . c.  xix , v.  1 .).  seguendo  il  suo  maestro,  disse  : 

Nell’  ora  che  non  può  il  calor  diurno 
Intiepidar  più  il  freddo  della  Luna. 

11  Marini  poi  cantava  : 

E già  l’argento  suo  candido  e puro, 

Fuor  dell’  ombra  traeva  la  Dea  gelata  ; 

ed  il  Guarini  (Rime  . . . Venezia  1598,  p.  83.)  poetava  dicendo: 

Splende  la  fredda  Luna, 

E si  raggira  agl’  infiammati  rai 
Sempre  del  Sole,  e non  s’accende  mai. 

Xucrezio  poi  (Iib.  V,  ver.  640)  lasciò  scritto  : 


Et  qui  reiiciat  gelidis  a frigoris  umbris 
Aestiferas  usque  in  parteis,  et  fervida  signa. 

Et  ratione  pari  Lunam,  stellasque  putandum’  st. 

§•  2. 

Lasciando  i poeti,  e passando  ai  filosofi,,  troviamo  che  moltissimi  fra  i 
medesimi,  hanno  ritenuto  giustamente,  ma  senza  dimostrarlo,  che  il  calorico 
accompagna  la  luce  lunare.  S.  Tommaso  ha  detto  « Lux  quantum  est  de  se, 
semper  est  effectiva  caloris,  etiam  lux  Lunae  (2.  Dist.  15  , qu.  1.  2). 

Pico  della  Mirandola,  il  quale  nacque  nel  24  di  febbraio  del  1463  , e 
morì  nel  17  di  novembre  del  1494  in  Firenze,  ammettendo  nel  suo  terzo 
libro  in  Astrologiam,  la  esistenza  del  calorico  nei  raggi  lunari,  si  esprime  come 
siegue  : Solis  calor  ardentior,  Lunae  vero  tepidior  . . . Luna  remissius  quod 
intentius  Sol  efficit.  . . . Luna  suo  ilio  exiguo  tenuique  calore,  si  quod  hu- 
midum  corpus  fluidumque  tetigerit  solvit  . . . Luna  vero  per  apertos  tenui 
suo  calore  rarefactosque  patentius  meatus  corporis  nocturnum  frigus  suis  quo- 
que radiis  tentaverunt,  in  nos  uberius  intromittens.  Hinc  enim  file,  unde  multi 
falluntur,  Lunam  frigidam  existimantes.  . . . ( Ioannis  Pici  Mirandulae  opera 
omnia , Basileae  1560,  p.  464  . . . 466). 

Girolamo  Cardano  ( Operum  t.  3,  Lugduni  1663.  De  rerum  varietale,  lib. 
II.  ) aneli’  esso  ammette  la  esistenza  del  calorico  nei  raggi  luminosi  lunari  ; 
poiché  nel  citato  libro,  così  egli  si  esprime  ...  Ut  in  universum  nil  aliud 
sit  influxus,  quam  certa  caloris  caelestis  mensura  (pag.  32.).  . . videtur  Sol 
omnibus  rebus  maxime  dominavi,  ob  magnitudinem  et  lucis  copiam  : inde 
Luna  ob  easdem  causas  maxima  enim  nobis  est  post  Solem  (p.  33).  . . Mi- 
chi  autem  videtur  calorem  esse  substantiam  rad  i i side  ri  s : ac  tamen  calorem 
hunc,  cum  a lumine  sit  inseparabilis,  qualitatem  esse  quae  corrumpatur  . . . 
motus  caloris  causa  est  (de  subtilitate,  lib.  IV,  p.  418)  . . . Sed  de  Lunae 
circulo,  quod  seeum  aethera  rapiat,  non  adeo  clara  quaestio  est,  fatigari  enim 
deberet  . . . Aut  forsan  dicemus,  quemadmodum  acqua m ad  Lunae  motum, 

sic  aethera  ad  primi  caeli  sponte  circumferri initium  vero  non  sine 

labore  fiere t (p.  419). 

Da  queste  idee  si  vede,  che  Cardano  riponeva  nel  calore,  il  quale  accompa- 
gna sempre  la  luce,  l’ influsso  della  Luna  ; ed  altresì  credeva  che  questo  calore, 
in  essa  procedeva  dal  suo  moto,  cioè  dal  suo  lavora.  Perciò  questo  bizzarro  e 


dotto  medico  fisico,  implicitamente  riguardava  il  raggiamento  della  Luna,  essere 
lai  calorico  accompagnato. 

Nell’opera  intitolata:  De  triplici  ente  cursus  philosophicus , Leodici  Eburon. 
1 688,  tom.  II,  pag.  285,  cap.  195,  auctoreP.  Augustino  Laurentio  societalis 
Jesu,  abbiamo  quanto  siegue:  Difficultas  I.  Per  quam  virtutem  coeli  influant  ? 
Quaestio  potest  procedere  de  luce,  de  motu,  et  de  qualitatibus  occultis:  Unde 
dico  I:  Coeli  et  corpora  coelestia  influunt  in  sublunaria  mediante  luce.  Pro- 
batur,  quia  mediante  luce  producunt  calorem,  quo  videmus  sublunaria  cale- 
fieri,  foveri  et  vivificari,  unde  illud  celebre:  Sol  et  homo  generant  hominem  ; 
ergo  etc. 

Dices  I.  Sol,  Luna,  et  stellae  non  calefaciunt  mediante  luce,  sed  per  vim 
calefactivam  distinctam  ; ergo  etc. 

Respondeo  negando  antecedens,  nam  si  phialam  aqua  planam,  vel  chri- 
stallinam  lentem  Soli  opponas,  eius  radii,  qui  uniti  ipsam  lentem  pervadunt, 
post  illam  ignem  accendunt,  non  per  vim  calefactivam  , sed  solum  per  vim 
illuminativam. 

Troviamo  scritto  nell’  opera  Naturalis  Philosophia.  Palavii  MDCXCIV, 
tom.  II,  pag.  143,  Caroli  Renaldini  ex  montagnoli  comilibus,  questo  brano: 
Quod  porro  de  Luna  piena  dictum  fuit , videlicet  maiorem  calorem  indu- 
cere , nullius  momenti  est  ; non  enim  id  facit  ratione  luminis  , sed  potius 
substantiae  calidae;  nam  ut  a Sole  lumen,  hoc  est  effluvium  lucidae  substan- 
tiae  , sic  etiam  diluvium  substantiae  calidae  ; utque  illud  sic  etiam  et  istud 
reflectit,  solumque  concomitanter  dici  debebit  per  maiorem  plenitudinem  lu- 
cis  calefacere. 

Nell’opera  Alexandri  Aphrodisaei,  probi.,  1.  num.  66,  eh.  686,  abbiamo  : 
Luna  curo  quadriforme  notetur  habitu , primo  cum  aequa  portione  divisa 
est  humida,  et  aliquantulum  calida  regit;  secundo  pleniter  orbe  calida,  quo- 
dammodo  siccior  est  ; tertio  cum  senescit  sicca  et  frigida  redditur  ; quarto 
cum  luce  omni  exhausta  silet,  frigida,  humidaque  evadit. 

In  Alberto  Magno  (De  juvenlule  et  senectute,  trac.  1,  cap.  secund.  eh.  48, 
col.  3.)  abbiamo:  Lunae  circulationis  differenza  est  aetatum  differentia,  quia 
primo  cum  accenditur  est  calida  et  humida  , ut  prima  aetas  ; deinde  fìt  ca- 
lida et  sicca,  ut  est  secunda  aetas  ; tertio  cum  humido  egrediente  deficit  ca- 
lidum,  et  sic  tertia  aetas  ; quarto  fìt  sicca,  et  sic  Luna  cadens  a plenitudine, 
et  sic  quarta  aetas.  , 

Nell’opera  intitolata:  C.  Plinii  Secundi  historia  mundi  denuo  emendata, 


aptid  Basileam  1535,  lib . II,  cap.  101.  p.  $9,  questo  naturalista  e filosofo, 
attribuisce  alla  Luna  un  calore  umido,  e dice  » id  manifestum  esse,  quod  fe- 
rarum  occisa  corpora  in  tabem  vìsu  suo  resolvat,  somnoque  sopitis  torporem 
contractum  in  caput  revocet:  glaciem  refundat,  cunctaque  humifico  spiritu  lu- 
xet  » Le  parole:  glaciem  refundat  » manifestano  che  Plinio  riconosceva  il  ca- 
lore nei  raggi  lunari.  Nella  edizione  parigina  di  Plinio,  si  nota  sopra  queste 
parole  <(  De  calore  Lunae  multa  incassum  disputavit  Bernardin  de  Saint  Pierre  » 
(Études  de  la  nature , t.  3). 

Macrobio  (Saturnalium,  lib.  VII.,  cap.  16).  così  parla  «Ergo  de  corpo- 
ribus  cunctis  Sol  ut  majoris  caloris  haurit  humorem:  lunare  lumen,  in  quo  est 
non  manifèstus  calor,  sed  occultus  tepor,  magis  diftundit  humecta , et  inde 
provenit  iniecto  tepore,  et  aucto  humore  putredo. 

Aristotile  ( Opera,  t.  IV,  Romae  1668.  De  generatone  animantium,  lib. 
II,  cap . 4.,  pag.  512.)  scrisse:  Mensium  autem  coitus  frigidi  sunt  propter 
Lunae  defectum , itaque  fit  ut  fines  mensium , quatti  media , sint  frigidio— 
res.  Il  medesimo  filosofo  ( Ibidem , lib.  4.,  cap.  10.  parag.  4.°,  pag.  631  ) 
dice  « Luna  autem  principium  est  , propter  Solis  societatem  receptumque 
lucis  : fit  enim  quasi  alter  sol  minor.  Quamobrem  conducet  ad  omnes  ge- 
nerationes,  perfectionesque  »*  Inoltre  questo  filosofo  riferisce  (ibidem,  pag.  598) 
« Sol  enim  per  totum  annam  hyemem  atque  aestatem  facit  : at  Luna  per 
mensem  id  agit  ...  ».  Il  medesimo  così  lasciò  scritto,  riguardo  ai  ricci  ma- 
rini » Argumento  est,  quod  echinis  evenit.  Habent  enim  id  jam  inde  ab  ortu 
naturae,  et  pleniluniis  uberius,  et  non  quia  per  id  tempus  copiosius  pascun- 
tur,  ut  quidam  putant , sed  quod  noctes  tepidiores  fìunt  propter  lucem  ple- 
niorem.  » ( Ibidem.  De  partibus  animalim,  li.  4,  cap . V,  §.  20,  p.  130). 
Il  medesimo  Stagirita  riferisce  « Accidit  autem  hoc  , propterea  quod  mar- 
cescit  calidum,  quod  a Luna  est,  cum  prope  jam  fuerit  facta  latio  , in  quo 
facta  erit  eclipsis.  ».  (Ibidem,  t.  3,  Meteorol.  lib.  2,  cap . VII , pag . 616, 
§.17). 

Nei  Geoponica,  opera  che  consiste  in  una  raccolta  di  estratti,  dedotti  dai 
scrittori  antichi,  circa  l’agricoltura  (lib.  VIIy  cap.  1).  abbiamo  « Luna  etiam  sola 
uvas  maturas  facit,  cum  calida  sit  et  humida.Nox  vera  sola  dulces  reddit  ».. 
Sono  parole  dei  fratelli  Quintili,  uomini  chiari  per  dottrina,  sotto  T impera- 
tore Commodo,  da  cui  furono  messi  a morte.  A tali  testimonianze  dirette ,, 
possono  aggiungersi  le  indirette,  cioè  le  opinioni  di  Anassimandro,  di  Parme- 
nide, di  Democrito,  di  Anassagora,  degli  Stoici,  e di  altri,  che  ritennero  es— 


133  — 


sere  la  Luna  un  corpo  di  per  se  igneo,  come  può  vedersi  nelle  Eglogae  Phy- 
sicae  dello  Stobeo  {lib.  I.,cap.  27)  (1). 

Nell’  opera  che  si  attribuisce  a Plutarco,  intitolata  De  Placitis  philoso- 
phorum  [lib.  II,  cap.  25),  si  trova  scritto  quanto  siegue  « Anaximander  or- 
bem  esse  ejus  (Lunae)  novies  decies  terra  maiorem  , ut  illuni  solis,  plenum 
ignis.  Obscurari  rotae  flexibus.  Esse  enim  similem  currus  rotae,  qua  cavam 
habeat  apsidem  et  confertum  igni  unum  spiraculum.  Nubem  Xenophanes  esse 
constrictam.  Stoici  confusam  ex  igne  et  aere.  Plato  maiore  ex  parte  igneam. 
Anaxagoras,  Democri tus  ignitum  conglobameli tum  : quod  in  se  campestri, 
montes,  et  convalles  contineat.  Heraciitus  terram  nebula  obvolutam.  Pithago- 
ras  etiam  ignitum  Lunae  corpus.  (V.  Opera  que  exlant  omnia  Fiutar  chi.  Fran- 
cofurti ad  Moenum  1580,|j.  341). 

Plutarco,  riguardo  alla  temperatura  del  raggiamento  lunare  sulla  Terra  , 
si  esprime  a questo  modo  « Bine  fit  ut  nec  calida  nec  frigida  proveniat  (Luna) 
ad  nos  : quod  oporteret,  si  accensio  et  mixtio  luminum  fieret:  sed  sicut  vo- 
ces  regestae  magis  fuscum  reddunt  sonum  loquentis  , ictusque  dissultantium 
telorum  accidunt  mollius  : ita  solis  radius  latum  Lunae  orbem  feriens,  debilis 
ad  nos,  et  exilis  refluit  vi  ejus  repercussu  resoluta  ( Opera  quae  exlant  om *■ 
nia  Plutarchi , Francofurti  ad  Moenum  1580,  p.  443,  cap.  40).  Inoltre  il 
medesimo  filosofo  dice  » Quippe  Lunam  moderato  tepore  lavare  corpora,  So- 
lem  ardore  suo  succum  corporum  potius  ad  se  rapere  ( Ibidem  , p.  519  , 
cap.  10). 


(1)  Giovanni  Stobeo,  nell’opera  che  ha  per  titolo — Mglogarum  libri  duo  , quorum 
prior  phgsicas,  etc.  . . . Antuerpiae  1575,  ha  raccolto  le  opinioni  dei  filosofi  greci  sul  ca- 
lore lunare.  Trascriviamo  qui  compendiosamente,  quanto  di  più  notevole  pel  nostro  scopo, 
si  trova  in  questa  raccolta,  sotto  il  titolo  — De  Lunae  natura , magnitudine , et  figura , pag. 
59.  « Anaximander  circulum  esse  dixit . . . continentem  ignis  plenum  orbiculum  more  So- 
lis — Anaximenes  igneam  dixit  Lunam  — Parmenides  quoque  igneam,  ac  Soli  aequalem  — 
Deraclitns  scaphae  figuram  tribuit  — Xenophanes  nubem  compressam  dixit  — Thales  na- 
turae  terrae  — Democritus  et  Anaxagoras  solidum  igneum  — Diogenes  ignem  pumiceum  — 
Jo  corpus  partim  perspicuum,  partim  obscurum  — Berosus  orbem  semiustum  — Ileraclides 
et  Ocellus  terram  caligine  septam  — Pythagoras  speculi  naturam  referens  corpus  — Em- 
pedocles  aerem  contortum  et  ab  igne  compactum  — Plato  maximam  partem  igne  constare 
credit  — Zeno  Lunam  dixit  stellam  intellectus  participem,  sapientem,  igneam,  cum  arte  eon- 
iùnctam  — Cleanthes  igneae  naturae  — Posidonius  ac  Stoici  plerique,  mixtam,  ex  igne  et 
aere,  terra  maiorem  more  solis  — Chrysippus  ignem  de  aquarum  dulcium  exhalatione  post 
solem  collectum. 


18 


— 134  — 


Nell’opera  intitolata,  Diogenis  Laertii  de  vita  et  moribits  philosophorum : 
(Lugduni  1561),  e precisamente  nella  vita  di  Zenone  cittico,  pag.  446,  abbiamo 
« Lunam  vero  plus  habere  de  terra,  quippe  quae  illi  proprior  est.  Nu trivi  autem 
et  haec  ignea,  et  astra  caetera  ».  Nella  vita  di  Pitagora,  p.  491,  troviamo  « Solem 
item  et  Lunam  et  reliqua  sydera  deos  esse,  quippe  in  illis  superare  calorem, 
qui  sit  vitae  auctor.  Lunam  quoque  a sole  illustravi,  hominibusque  esse  cum 
diis  cognationem  , quod  et  homo  caloris  particeps  sit  ».  Nella  vita  di  Era- 
clito efesio,  p.  534,  si  legge  « Defìcere  item  Solem  ac  Lunam  cum  scaphae 
ad  superiora  vertuntur,  menstruasque  figuras  Lunae  fieri,  dum  in  illam  sensim 
verlirur  scapila.  » Finalmente  nella  vita  di  Leucippo,  p.  548,  troviamo  que- 
ste parole  « lunam  paululum  ex  igne  sibi  usurpare  ». 

In  Platone  ( Opera  omnia,  Venetiis  1571,  p.  393,  seconda  colonna)  si  legge 
« Nam  Lunae  radii  repercussi  nihil  calefaciunt,  cum  in  ea  virtus  aquea  do- 
minatur. 

Nell'opera  che  ha  per  titolo  « Compilalio  Leupoldi  ducalus  Ausiriae  fili j 
de  aslonim  scientia  decem  tractatns,  Auguste  Vindelicorum  1489  » si  trova 
scritto,  a pag.  40,  in  quanto  alla  Luna  « Color  ejus  subalbus,  natura  modicum 
frigida  et  humida  » 

Cade  in  acconcio  qui  riflettere,  che  in  genere  i poeti,  riguardo  al  calore 
lunare,  si  trovano  nel  falso,  mentre  i citali  filosofi  antichi,  sebbene  non  ab- 
biano potuto  neppur  essi  sperimentare,  per  mancanza  di  mezzi  opportuni,  tut- 
tavia si  trovano  nel  vero  quasi  tutti,  nell’ammettere  il  calore  lunare.  Questa 
discordanza  di  opinioni,  sovente  si  verifica  fra  gli  uni  gli  altri.  Le  congetture 
sul  calore  lunare  degli  antichi  filosofi,  erano  unicamente  razionali,  e non  spe- 
rimentali : essi  non  potevano  avvalorarle  colla  sperienza,  perchè  la  pila  ter- 
moelettrica, ed  il  galvanometro,  sono  scoperte  del  secolo  nostro. 

Costantino  Papini  ( Lezioni  sopra  il  Burchiello,  Firenze  1733,  p.  24,  li.  7 
salendo ) riguarda  la  Luna  « cosi  fredda  che  niuno  animale  campar  vi  potrebbe  ». 

Nell’ operetta  che  ha  per  titolo:  Escursione  nel  cielo,  o descrizione  pitto- 
resca dei  fenomeni  celesti,  di  Paolo  Lioy,  Milano  1864  (VI,  VII  della  Biblioteca 
utile)  abbiamo,  a pag.  94,  la  seguente  opinione,  certo  non  ammissibile  dalle  mo- 
derne dottrine  « Essendosi  (la  Luna),  per  la  (sua)  piccola  massa,  prontamente 
raffreddata,  le  chimiche  vicende  la  commossero  assai  meno  che  la  Terra,  origi- 
nandovi sostanze  meno  dense;  la  temperatura  frigida,  gelata  opponendosi  alle 
evaporazioni,  la  mantiene  spoglia  di  atmosfera.  » Ma  invece  pare,  dalle  ricerche 
di  Herchel,  che  la  temperatura  delia  Luna,  sia  superiore  a quella  di  100  gradi. 


Pel  contrario  nella  medesima  operetta,  pag.  96,  troviamo  che  « per  quindici 
dei  nostri  dì  vi  si  prolunga  il  giorno,  e per  quindici  giorni  continui  il  Sole 
dardeggia  i suoi  raggi,  sui  brulli  dirupi  , che  accesi,  cocenti,  devono  acqui- 
stare temperatura  di  onda  bollente  ». 

Consultando  il  tomo  2°  delle  Letlres  sur  Gastronomie  en  prose  et  en  vers, 
par  Albert-Monlémont,  Paris  1823,  si  legge,  a pag.  231,  quanto  siegue  » . . 
elle  (la  Lune)  n’ a point  pour  nous  la  moindre  chaleur,  tant  elle  a été  affai- 
bie  par  le  trajet  de  la  rétlexion,  depuis  la  globe  lunaire  jusqu’  à celui  de  la 
Terre.  La  lumière  de  la  pieine  Lune  est  bien  trois  cent  mille  fois  plus  fai- 
ble  que  celle  du  Soleil,  qui  est  cependant  quatre  cent  fois  plus  loin  de  la  Terre, 
et  cette  lumière  lunaire  rassamblée  au  foyer  des  plus  grands  miroirs,  ne  pro- 
duit  point  d’effet  sensible  sur  le  thermomètre  ».  Ciò  conferma  non  doversi 
prestar  fede  alla  sperienza  di  Geminiano  Montanari,  di  cui  parleremo  appresso. 

Alcuni  fisici  ragionarono  scientificamente  sul  calore  lunare,  senza  però  pro- 
porsi di  sperimentarlo:  fra  questi  dobbiamo  ricordare  il  D.r  Hooke,  il  quale  nacque 
nel  1633,  e morì  a Londra  nel  1703.  Questo  fisico,  a spiegare  perchè  la  luce 
della  Luna  non  dà  sensibile  calore,  osserva  <c  che  la  quantità  di  luce,  la  quale 
cade  sulFemisfero  della  Luna  piena,  per  giungere  sul  nostro  pianeta,  è rare- 
fatta in  una  sfera  del  diametro  288  volle  maggiore  di  quella,  che  ha  la  Luna. 
Conseguentemente  osserva,  che  la  luce  della  Luna  è 104368  più  debole  di 
quella  del  sole;  ci  vorrebbero  adunque  104368  Lune  piene,  per  dare  una  luce 
ed  un  calore,  uguale  a quello  del  sole  a mezzodì  » ( Dizionario  universale  delle 
arti  e delle  scienze  di  Efraimo  Chambers  ; t.  V , Venezia  1749,  p.  163). 

Il  Genovesi  asserisce  « La  luce  della  Luna  essere  tanto  debole  e fiacca, 
che  non  contiene  alcun  grado  di  calore,  come  la  luce  fosforica  ( Elementi  di 
fisica  sper.,  Venezia  1793,  p.  27,  §.  VII.) 

S-  3. 

Abbiamo  veduto,  che  niuno  fra  quei  filosofi  da  noi  ricordati,  dimostrò  colla 
sperienza,  esistere  il  calorico  nei  raggi  lunari.  Avvi  però  qualche  fìsico,  che  ri- 
ferisce sperienze  istituite  a raggiungere  questa  dimostrazione,  alle  quali  non  può 
prestarsi  fede  , o perchè  non  credibili  , o perchè  non  valevoli  a dimostrare 
qnanto  si  vuole.  In  fatti  Geminiano  Montanari,  astronomo  italiano,  che  nac- 
que nel  1632  a Modena,  e morì  nel  1687  a Padova,  nell’ opera  che  ha 
per  titolo:  L' astrologia  convinta  di  falsità , Venezia  1685,  riferisce,  a pag. 


— 136  — 


5,  quanto  siegue  » Con  uno  specchio  ustorio  grande,  col  quale,  raccolti  i 
raggi  della  Luna  , e fatti  ferire  in  un  termometro  assai  delicato  di  moto  , 
si  vede  mostrare  più  gradi  di  calore  , che  prima  non  faceva.  Dissi  di  uno 
specchio  ustorio  assai  grande  , e termometro  delicato  di  moto,  perchè  cogli 
ordinari  , anzi  di  mediocre  grandezza  e con  termometri  , pieni  d'  altro  che 
d’aria,  non  se  ne  vede  effetto  sensibile.  » Qui  osserviamo:  l.°  che  il  Mon- 
tanari non  dice  chi  sia  stato  l’autore  di  questa  sperienza  : 2.°  che  viene  da 
esso  riferita  come  un  fatto  facilissimo  a verificarsi  , ed  ovvio  ; poiché  di- 
ce: si  vede  mostrare  più  gradi.  Però  sa  ognuno  essere  questa  una  sperienza 
di  esecuzione  delicatissima  , e non  riescita,  e non  potuta  verificare  da  fisici 
reputatissimi,  con  termometri  molto  efficaci  ed  esatti,  assai  più  di  quelli  riferiti 
dal  citato  autore.  3.°  Che  coloro  i quali  si  occuparono  del  roggiamente  ca- 
lorifico lunare  dopo  il  1085,  tranne  il  p.  Pianciani  prima,  e dopo  il  prof. 
Zantedeschi,  niuno  riporta  la  riferita  sperienza:  4 .°  che  la  medesima  otfre  un 
risultamento,  da  non  potersi  ricevere  per  vero.  In  fatti  si  dice  in  essa,  che  i 
raggi  della  Luna,  investendo  il  termometro,  mostrano  più  gradi  di  calore.  Ciò 
si  oppone  a tutte  le  sperienze  di  questo  genere  , posteriormente  istituite  da 
sommi  fìsici,  coi  moderni  termometri  efficacissimi;  le  quali  sperienze  dimostrano, 
essere  appena  sensibile,  come  vedremo  in  seguito,  il  calorico  dei  raggi  lunari, 
concentrati  con  specchi  o con  lenti  grandi,  sulla  testa  di  una  pila  termoelettrica. 
5.°  il  termometro  che  dice  il  Montanari  essersi  adoperato  in  questa  sperien- 
za, pubblicata  nel  1685,  non  deve  ispirare  fiducia  ; eziandio  perchè  doveva 
quel  termometro  essere  quello  di  Drebbel,  i!  quale  inventò  questo  istromento 
nel  1638;  ed  ognuno  conosce  i difetti  di  esso  (1).  Per  tanto  concludiamo,  che 
la  sperienza  di  cui  si  parla  , manca  di  verità  , ed  è un’  asserzione  di  niun 
valore.  Perciò  giustamente  i dotti  autori  del  Caffè,  anteposero  a quella  riferita 
dal  Montanari,  le  sperienze  negative  sul  calore  lunare. 

Il  Toaldo  mediante  le  osservazioni  del  Poleni,  ha  sommato  per  ben  qua- 
rantanni, le  temperature  corrispondenti  ai  sette  giorni,  che  precedono,  ed  ai 


(1)  Galileo,  secondo  Castelli  e Viviani,  costrusse  un  termometro  ad  aria  nel  1597.  — 
Drebbel  ne  costrusse  un’altro  nel  1638.  — Gli  accademici  de!  Cimento  produssero  un  ter- 
mometro a spirito  di  vino  nel  1667  — Newton  fece  il  termometro  ad  olio  nel  1701.  — 
Amontons  inventò  un  termometro  ad  aria  nel  1702.  — Fahrenheit  diede  alla  tisica  il  suo 
termometro  a mercurio  nel  1724.  — Réaumur  ne  diede  un  altro,  pure  a mercurio,  nel 
1730.  — De  Lisle  immaginò  nel  1732  una  scala  termometrica,  che  poi  non  venne  adot- 
ta.— Celsius  diede  a!  termometro  la  scala  centigrada  nel  1742. 


— 137  — 


sette  che  sieguono  i pleniluni.  Similmente  ha  operato  pei  noviluni,  ed  ha  con- 
cluso, che  il  calore  del  plenilunio,  generalmente  parlando,  supera  quello  del  no- 


vìlunio  circa  di— — , ossia  di 


Ma  ognuno  comprende,  che  que- 


sta sperienza  nulla  conclude,  per  le  diverse  cause  che  influiscono  in  essa  ; ed 
in  fatti  giustamente  a tal  proposito  avverte  il  citato  p.  Pianciani , che  per 
poter  concludere  qualche  cosa  con  fondamento  , sarebbero  necessarie  molte 
di  queste  somme  (2),  cioè  fatte  per  molti  diversi  luoghi.  Però  in  questo  suo 
brano,  egli  attribuisce  alla  riferita  sperienza  del  Geminiano  Montanari  , una 
importanza,  che  affatto  non  merita;  e perciò  diminuisce  ingiustamente  la  glo- 
ria, che  in  tale  ricerca  è dovuta  soltanto  al  Melloni,  come  or  ora  vedremo. 

Paolo  Frisi,  che  morì  nel  Unire  del  1784,  parlando  del  roggiamente  lu- 
nare, dice  <i  Sono  riusciti  lungamente  vani  i tentativi  dei  fisici  inglesi,  tede- 
schi, francesi,  ed  italiani,  per  vedere  se,  condensandola  luce  lunare,  anche  cogli 
specchi  più  grandi,  e facendola  cadere  sul  termometro,  vi  si  potesse  portare 
qualche  variazione.  E convenuto  dare  come  una  nuova  forma  al  termometro, 
perchè  la  variazione  divenisse  sensibile.  Ma  poiché  condensando  la  luce  ri- 
percossa  a noi  dalla  Luna,  sino  a trecento  volte,  come  facevano  gli  specchi 
ustori  di  Hooke,  Tschirnhausen,  de  la-Hire,  Tagliai,  e Villette  (3),  non  si  avea 
alcun  moto  nei  termometri  di  Amontons,  e di  Fahrenheit,  il  giudizioso  esperi- 
mentatore  non  aspetterà  più  che  biluce  lunare  abbia  un’azione  sensibile  sulla 
terra  ec.  . . Dunque  da  questo  giudizio  del  Frisi  sul  raggiamento  lunare  (vedi 
Opuscoli  filosofici  di  Paolo  Frisi,  Milano  1781,  p,  9 . - Vedi  anche  Biblioteca 
scelta,  voi.  1 63,  p.  12,  Milano  1825),  siamo  autorizzati  a concludere,  che  fino  al 
1781,  tutti  gli  sforzi  dei  fìsici,  anche  italiani,  non  poterono  dimostrare  la  esi- 
stenza del  calore  nel  raggiamento  lunare.  Perciò  si  conferma,  quanto  già  con- 
cludemmo , cioè  che  la  sperienza  di  Geminiano  Montanari  , non  ha  valore 
alcuno. 

Howard,  prof,  aggiunto  di  anatomia  nella  università  di  Maryland  , cre- 
dette aver  trovato,  con  un  termoscopio  di  sua  invenzione,  che  i raggi  lunari, 
concentrati  nel  foco  di  uno  specchio  concavo,  manifestavano  sensibile  calore. 
Ma  ciò  fu  smentito  da  Pictet,  il  quale  ripetè  la  sperienza  di  Howard  cogli 


(1)  Della  vera  influenza  degli  astri,  ecc.  di  Giuseppe  Toaldo,  p.  al,  Padova  1770. 

(2)  Raccolta  scientifica  di  fisica  e matematiche  di  Roma,  an.  11,  n.  10  del  la  maggio 
1846,  p.  1G6.  Calore  lunare. 

(3)  Raccolta  di  lettere  ed  altri  scritti,  ecc.  Roma  184G,  anno  2.°,  pag.  107. 


— 138  — 


stessi  mezzi.  ( Bibliothèque  universelle  de  Genève , t.  19.  année  1822,  p.  35). 
Ciò  conferma  nel  medesimo  tempo,  non  essere  valevole  la  riferita  sperienza 
del  Montanari. 

Altrettanto  viene  confermato  anche  dal  seguente  brano  del  Poli,  che  morì 
nel  1825.  Questo  reputato  fìsico  dice  « I famosi  specchi  di  Tschirnhausen,  e 
Villette,  atti  a rendere  la  luce  presso  a 18000  volte  più  densa,  di  quel  che  è 
realmente,  col  raccogliere  i raggi  della  Luna  piena,  e collo  scagliarli  al  di  sopra 
di  un  termometro,  non  poterono  produrvi  giammai  la  menoma  alterazione  ». 

( Elem . di  fis.  sper.  di  G.  S.  Poli , Venezia  1824,  t.  V.,  p.  48). 

S- 

La  quistione  sul  potere  calorifico  lunare,  fu  trattata  sperimentalmente  da 
Tschirnhausen  (1),  il  quale  concentrando  il  raggiamento  del  nostro  satellite  con 
una  lente,  che  aveva  83  pollici  di  diametro,  non  ottenne  alcun  effetto  sensibile 
sul  termometro,  sebbene  avesse  potuto  egli  con  questo  mezzo  fondere  molti 
metalli.  Allo  stesso  risultamento  giunse  de  La-Hire  figlio,  con  uno  specchio 
concavo  di  35  pollici  di  diametro,  che  concentrava  la  luce  306  volte,  e col 
termometro  di  Amontons  (2).  Pictet  e Prevost  (3),  come  già  fu  indicato  , 
sperimentarono  essi  pure  sul  proposto  soggetto,  e trovarono  invece  che  la 
Luna  produceva  un  abbassamento  di  temperatura.  Il  primo  di  questi  fisici  at- 
tribuì l’ indicato  risultamento  negativo,  alla  minore  temperatura  degli  strati 
atmosferici  più  vicini  alla  Terra,  ed  il  secondo  alla  irradiazione  calorifica  dello 
spazio. 

Il  fìsico  di  Edimburgo  Forbes  (4)  unendo  al  termo-moltiplicatore  una 
lente  polizonale,  che  concentrava  teoreticamente  6000  volte,  neppur  egli  potè 
ottenere  il  minimo  effetto  calorifico  dal  raggiamento  lunare.  Il  Forbes  cre- 
dette poter  concludere  da  queste  sue  sperienze,  che  il  raggiamento  del  nostro 


(1) .  Acta  Erud.  Lips.  an.  1691,  p.  52,  e aa.  1697,  p.  414.  — Hartsocker  Cours  de 
phys.  liv.  4,  Gap.  I,  art.  5.  — Histoire  de  l’Àcad.  an.  1699,  p.  94. 

(2)  Ména,  de  f Académ.  p.  346,  an.  1705.  — Trattato  di  fisica  di  Libes,  Firenze  1814, 
p.  180,  nota  (98)  — de  la  Lande  Astron.,  t.  2,  p.  193- 

(3)  Bibliot.  Univers.  de  Genève,  t.  19,  p.  35,  an.  1822. 

(4)  On  thè  Refraction  and  Palarisation  of  Heat,  p.  7,  estratto  dall’Edinb.  Philos. 
Tran.  t.  XIII. 


— 1 39  — 


satellite,  non  eleva  la  temperatura  degli  oggetti  terrestri  per 


1 

300000 


di  grado 


centigrado.  Il  dotto  fìsico  inglese  sig.  Tyndall,  espose  al  sig.  Herschel  in  una 
lettera,  che  per  le  sue  sperienze,  non  aveva  ottenuto  egli  effetto  calorifico 
sensibile  dal  raggiamento  lunare  (1). 

Non  sono  adunque  mancati  fìsici,  e fra  questi  Pictet  e Prévost,  i quali 
conclusero  dalle  sperienze  loro,  essere  o frigorifero,  od  almeno  insensibile  al 
termometro  il  raggiamento  lunare,  concentrato  nel  foco  degli  specchi  concavi 
(Bibliolhèque  universelle , l.  19,  p.  35,  e 37),  cioè  che  questi  raggi  producevano, 
allorché  giunti  sulla  Terra,  od  un  termometrico  abbassamento,  od  un  effetto 
nullo  sul  termometro  posto  nell’  indicato  foco. 

Fra  quei  fisici,  che  niuna  manifestazione  di  calorico  ricevettero  dal  rag- 
giamento lunare,  trovasi  anche  Musschenbroek,  ( Introductio  ad  philosophiam 
naturale m,  auclore  Petro  vari  Musschenbroekio,  t.  II,  p.  173;  Palavii  17G8.  — 
Hisloire  de  V Académie  PiOijale,  an.  1705,  p.  455)  il  quale  così  esprimesi.  » La 
luce  della  Luna,  riflessa  da  uno  specchio  ustorio,  o condensata  per  una  lente 
grandissima,  in  uno  stretto  foco,  in  cui  sia  posto  un  sensibilissimo  termometro, 
non  muove  punto  il  liquore  in  esso  contenuto;  e perciò  nè  freddo  nè  calore 
sensibile  si  scopre  nel  foco  dei  raggi  lunari,  per  arte  fin’  ora  cognita  , come 
Hoock,  La-Hire,  Tschirnhausen,  con  esperienze  espressamente  istituite,  dimo- 
strarono : le  quali  sperienze  distruggono  le  opinioni  tanto  degli  antichi,  che 
attribuirono  alla  Luna  una  forza  riscaldante  , quanto  di  Paracelso  , dell’  EI- 
monsìo,  e di  altri,  che  riguardavano  i raggi  della  Luna  umidi,  e freddi  (2). 


(1)  Philos.  Mag.,  voi.  XXII,  p.  377.  — Poggcndorff.  An.,  Voi.  94,  an.  1891,  p.  932. 

(2)  Musschenbroek  nella  sua  opera  intitolata:  Introductio  ad  philosophiam  naturalem , 
Fatami , t.  2,  an.  1798,  p.  173  , §.  1937,  dice  « Lux  Lunae  aut  planetarum  replicata  a 
speculo  ustorio,  vel  per  dioptrum  amplissimum  corrivata,  et  in  focum  parimi  latum  densata, 
in  quo  mobilissimum  sistitur  thermomctrum,  nec  liquorem  , nec  mercurium  allo  modo  ra- 
refami aut  condensai  ( X’  histoire  de  l'Acad.  Roy.,  An.  1700,  p.  110  ):  adeoque  nec  frigus, 
nec  calor,  arte  hucusque  cognita,  sensibilis  in  foco  lunarium  radiorum  comperitur,  uti  Hoo- 
kius,  La  Hirius,  Villettus,  Tschirnhusius,  institulis  de  industria  experinientis  evicerunt:  quae 
optime  sententiarn  antiquornm,  Lunae  vim  exurentem  adscribentium  ( Ìbidem , anno  1703, 
p.  433)  aut  Paracelsi,  Helmontii,  et  aliorum,  radios  Lunae  frigidos  et  humidos  adserentium, 
convellunt.  » 

« Hoc  foci  otiura  a raritale  lucis  lunaris  pendei,  non  quia  lux  clarior  oculos  non  parum 
stringens,  vi  calefacendi  caret.  » 

Da  tutto  ciò  si  vede,  che  Musschenbroek  ammetteva  il  calore  nei  raggi  lunari,  ma  non 


140  — 


La  prima  ricerca  istituita  nel  1883  da  Nobili  e Melloni,  per  dimostrare 
sperimentalmente  la  esistenza  del  calorico  nel  ragiometro  lunare,  neppur  essa 
condusse  ad  alcun  sensibile  risultamento.  « Abbiamo  (1)  tentato,  dicono  que- 
sti fìsici  , di  valutare  l’ influenza  calorifica  dei  raggi  lunari , facendoli  cadere 
sopra  una  delle  facce  scoperte  della  pila  (termo-elettrica),  dopo  averli  con- 
centrati, per  mezzo  di  uno  specchio  concavo  metallico  ; ma  noi  trovammo  un 
ostacolo  grandissimo  nel  freddo  delle  regioni  celesti.  L’effetto  prodotto  sul  ter- 
mo-moltiplicatore, pel  solo  aspetto  del  cielo  sereno,  è così  grande,  che  1*  in- 
dice magnetico  si  trova  quasi  sempre  spinto  al  massimo  di  sua  divergenza.  Ora 
egli  è facile  convincersi,  che  la  forza  necessaria  per  far  variare  la  deviazione 
di  un  angolo  determinato,  dev’ essere  di  tanto  più  grande,  di  quanto  è più  lo 
spostamento  ; l’ago  calamitato  trovandosi  qui  precisamente  nel  caso  di  un  pen- 
dolo, posto  a diversi  gradi  di  obliquità,  il  quale  per  cangiare  ciascuna  volta  la 
sua  divergenza  di  una  quantità  costante,  richiede  uno  sforzo  crescente  colla  di- 
stanza dell’asta  dalla  verticale.  » 

« Per  fare  sul  calore  lunare  sperienze  valevoli,  si  sarebbe  dovuto  adunque 
neutralizzare,  prima  di  ogni  altra  cosa  1*  influenza,  frigorifera  del  cielo,  e ri- 
condurre l’ago  del  termo-moltiplicatore  alla  sua  naturale  posizione  di  equili- 
brio. I diversi  mezzi  che  noi  ponemmo  in  opera,  per  giungere  a questo  fine, 
non  sono  completamente  riesciti;  ma  noi  crediamo  poter  assicurare,  che  se  i 
raggi  della  Luna  posseggono  realmente  una  temperatura  loro  propria,  questa 
non  può  giungere  fuorché  ad  una  frazione  di  grado,  eccessivamente  piccola. 
Ci  proponiamo  inoltre  di  ripetere  le  nostre  sperienze,  con  mezzi  più  efficaci, 
ed  in  più  favorevoli  circostanze  ». 

S-  5. 

In  una  seconda  ricerca,  cioè  nel  1846,  Melloni  fu  il  primo,  a porre  fuori  di 
ogni  dubbio,  colla  evidenza  maggiore,,  la  manifestazione  del  potere  calorifico  dei 
raggi  lunari,  servendosi  di  una  lente  a scaglioni,  cioè  polizonale,  che  aveva  un 


ammetteva  possibile  renderli  manifesti  col  termometro,  posto  nel  foco,  sia  degli  specchi  , 
sia  delle  lenti  : io  che  si  accorda  colle  moderne  sperienze,  le  quali  non  ammettono,  che  si 
presti  fede  a quelle  di  Geminiano  Montanari  già  riferite. 

(1)  Poggendorff  Annalen,  t.  27,  an.  1833,  p.  449.  — Annales  de  chim.  et  de  phys, 
octobre  1831,  t.  48,  p.  211. 


metro  per  diametro,  e adoperando  come  termo-actinometro,  il  suo  terrno-mol- 
tiplicatore  (1).  Anch’  esso  vide  prima  un  effetto  frigorifero,  in  questa  sua  se- 
conda sperienza,  che  però  dipendeva  dalla  radiazione  della  lente  nello  spazio.  Fu 
da  lui  rimediato  a così  fatta  causa  di  errore,  portando  la  lente  al  coperto,  ed 
applicando  nel  tubo  della  pila  stessa,  due  lastrine  di  cristallo,  in  un  modo  si- 
mile alla  camera  di  Saussure  (2).  I risulta  menti  della  sperienza,  così  preparata, 
furono  decisivi,  essendosi  ottenuto  dall’ago  del  termo-moltiplicatore  una  de- 
viazione calorifica  di  3°,  7. 

Il  sig.  Delaurier  ( Les  Mondes , 2.e  sèrie , t.  21,  an.  1869,  p.  305,  e 306.  - 
Vedi  anche  Cosmos,  3/ sèrie,  t.  V,  an.  1869,  p.  289;  e p.  545,  li  li  salendo.)  ha 
proposto  un  mezzo,  da  esso  riguardato  nuovo,  per  concentrare,  ed  utilizzare  i 
raggi  solari,  che  potrebbe  anche  servire  alla  concentrazione  dei  raggi  lunari, 
onde  conoscerne  la  temperatura.  Questo  processo  consiste  « in  un  cono  tron- 
cato senza  fondo,  e formato  di  una  placca  di  argento,  brunita  nell’  interno,  che 
riceve  i raggi  dall’apertura  sua  più  larga.  Per  la  legge  catottrica,  i raggi  tutti 
diretti  o riflessi,,  debbono  riunirsi  al  fondo  di  questo  cono.  Più  sarà  il  cono 
allungato,  più  l’apertura  del  suo  vertice  potrà  essere  piccola,  e più  la  concen- 
trazione sarà  grande.  Sino  ad  oggi  (dice  l’autore)  noi  non  abbiamo  altro,  che 
gli  specchi  concavi,  e le  lenti  per  concentrare  i raggi,  ed  ognuno  sa  quanto 
sia  difficile,,  fare  grandissimi  specchi  metallici,  aventi  un  foco  unico  ; e quanta 
sia  la  perdita  grandissima  del  calorico  raggiante,  prodotta  dalla  riflessione.  Ri- 
guardo alle  lenti,  1’  autore  osserva,  che  queste,  allorché  sono  un  poco  grandi, 
non  solo  divengono  mezzi,  quasi  per  nulla  opportuni,  a concentrare  il  raggiante 
calorico,  essendo  le  medesime  poco  diatermiche,  quando  sono  erte;  ma  di  più 
riesce  impossibile  a farle  in  grande,  pure  se  vogliansi  costruire  a scaglioni.  Fi- 
nalmente l’autore  medesimo  dice,  che  la  importanza  maggiore  di  questo  pro- 
cesso, consiste  sopra  tutto,,  nella  semplicità,  e nella  economia  ». 

Senza  nulla  togliere  alla  efficacia  di  questo  metodo , sia  qualunque  il 
punto  di  vista  dal  quale  si  voglia  considerare,  dobbiamo  riflettere,  che  come 
per  mezzo  delle  trombe  acustiche,  si  concentrano  i raggi  sonori;  così  collo  stesso 

(1)  Comptes  rendus,  voi.  22  , an.  1846,  p.  541.  — La  termocrose  par  M.  Melloni, 
première  partie,  Naples  1650,  p.  251  Maj  occhi  Elem.  di  fisica,  Torino  1850,  t.  2.°,  p.  576. 

(2)  Un  istromento  di  questa  specie,  fu  pubblicato  nel  journal  de  Paris,  n.°  81,  del 
1784,  e consisteva  in  diverse  campane  di  vetro,  una  dentro  l’altra  ( Vocabolario  di  Fischer , 
voi.  5,  p.  465;  e qui  si  trova  pure  la  descrizione,  dell’  istromento  primitivo  di  Saussure  — 
Vedi  anche  Daguin,  Traile  de  phys.  [Paris  1861,  t.  2.°,  p.  161). 


19 


mezzo  si  debbono  potere  concentrare  i raggi  calorifici.  Pèr  altra  parte,  deve 
anche  osservarsi,  che  ad  aperture  uguali,  vi  sono  assai  minori  riflessioni  nei 
specchi  parabolici,  che  nei  coni.  Questi  specchi  poi,  quando  sieno  bene  costruiti, 
debbono  avere  un  solo  foco;  certo  però  è che,  sotto  il  punto  di  vista  della 
semplicità,  e della  economia,  debbono  i coni  essere  preferiti  agli  specchi  con- 
cavi, ed  alle  lenti.  L’uso  dei  coni  senza  più,  per  concentrare  i raggi  calorifici, 
non  è nuovo,  ed  il  sig.  Piazzi-Smyth,  nel  1836,  già  se  ue  valse  al  Picco  di 
Teneriffe,  per  confermare  le  sperienze  del  Melloni,  sul  raggiamento  lunare  (1); 
anzi  questo  fìsico  italiano,  aveva  già  fatto  uso  del  cono  nel  suo  termo-mol- 
tiplicatore. 

§•  6- 

Il  sig.  William  Hugg'ns  (2)  istituì  delle  interessanti  ricerche,  sul  calore  de- 
gli astri,  nell’ inverno  del  1866-67.  Il  galvanometro  di  cui  faceva  egli  uso,  era 
tanto  sensibile,  che  gli  aghi  astatici  deviavano  di  90  gradi,  per  la  corrente  ter- 
mo-elettrica, sviluppata  col  tenere  fra  il  pollice  e 1’  indice,  gli  estremi  differen- 
ti dei  due  fili  di  rame.  La  pila  termo-elettrica  era  collocata  in  un  tubo  di  car- 
tone, chiuso  con  due  lastre  di  vetro,  e circondata  di  cotone,  la  quale  si  ap- 
plicava sulla  estremità  di  un  cannocchiale,  che  aveva  8 pollici  di  apertura.  11 
cannocchiale  dirige  vasi  ad  una  stella,  e potevasi  mantenere  in  questa  direzione, 
per  mezzo  di  un  moto  di  orologeria,  il  medio  di  un  certo  numero  di  osser- 
vazioni sopra  Sirio,  ha  fornito  una  deviazione  dell’ago  di  2 gradi.  Per  Polluce  si 
trovò  1°,  3 ; per  Regolo  8°;  per  Castore  non  si  ebbe  verun  risultamento;  per 
Arturo  l’ago  deviò  di  3°,  e quindici  minuti  in  una  sperienza.  Le  osservazioni 
sulla  Luna  riescirono  discordi  fra  loro  ; cosicché  nulla  si  potè  concludere  da 
esse.  Molte  volte  il  sig.  Huggins  osservò  delle  anomalie  , senza  causa  che 
apparisse.  Dalle  sue  ricerche  sulla  Luna  piena  concluse,  che  in  alcune  notti  si 
aveva  un  effetto  rimarchevole  dal  galvanometro  , ed  in  altre  al  contrario  la 
deviazione  appariva  estremamente  piccola,  e non  a bastanza  costante  per  es- 
sere notata  ( Association  scientifique  de  France,  t.  7,  anrìée  1870,  N.°  159, 
p.  99).  Quindi  egli  si  propose  di  riprendere  queste  ricerche,  con  apparecchi 
Defezionati. 

A proposito  del  calore  stellare  osserviamo,  che  il  de  Humbolt  ( Cosmos , 


(1)  Comptes  rendus,  t.  G9,  an.  1869,  p.  922. 

(2)  Oa  thè  heat  of  thè  stars,  Londres  1869.  — Moniteur  scientifiqne,  t.  XI,  année 
1869,  p.  1044. 


143  — 


Paris  ISSI,  Voi.  3,  pag.  41)  lasciò  scritto:  La  temperature  de  ces  espaces 
(cioè  del  cielo)  est,  d’après  Fourier  et  Poisson,  le  resultai  des  radiations  du 
Soleil  et  de  tous  les  astres,  radiations  diminuées  par  l’absorption  qu’  éprouve  la 
chaleur  en  traversant  l’espace  « rempli  d’  éther  » (i).  La  chaleur  d’origine  stel- 
laire  a déjà  été  indiquée  sous  plusieurs  formes  par  les  anciens  Grecs  et  Ro- 
mains;  non  qu’  ils  y aient  été  conduits  exclusivement  par  l’opinion  dominante,  en 
vertu  de  laquelle  les  astres  occupaient  la  région  ignée  de  l’éther;  mais  parce 
qu’  ils  attribuaient  aux  astres  éux-mémes  une  nature  ignée.  ( Opera  girne  extant 
omnia  Plut archi,  etc.  Francofurti  ad  Moenum  1580.  De  placilis  philosopho- 
rum,lib.  2,  pag.  339,  §.  13  (2).  Déjà  Aristarque  de  Samos  avait  enseigné, 
que  les  étoiles  et  le  soleil  étaient  d’une  seule  et  mèrne  nature.  Inoltre  lo  stesso 
autore  dice  (Cosmos,  Voi.  3,  pag.  278.)  Poisson  a tenté  d’évaluer  numérique- 
ment  la  perle  que  la  chaleur  stellaire  éprouve  dans  1’  espace  , en  traversant 
l’ éther  (Théorie  mathématique  de  la  Chaleur , Paris  1835,  §.  19G,  p.  436, 
§.  200,  p.  447,  et  §.  228,  p.  521). 

Aristotile  riteneva  che  le  stelle  non  fossero  nè  ignee,  nè  formalmente  calde, 
quindi  spiegava  perchè  riscaldano  meno  del  sole  ( Arislotelis  Opera , ec.  t.  HI, 
Piomae  1668,  pag.  537,  Meteor.  Uh.  I,  cap.  IV,  n.  9,  10,  li.  et  F.)  Il  me- 
desimo filosofo  riteneva  eziandio,  che  le  stelle,  sebbene  non  sieno  ignee,  pure 
illuminano  , e riscaldano  ; perchè  calor  ab  ipsis  , et  lumen  generatile  attrito 
aere  ab  illorum  latione  » ( Ibidem . De  coelo,  lib.  Il,  cap.  VII.  De  natura  et 
virtute  calefactiva  stellar um,  p.  363,  n.  3.)  Si  vede  adunque  che  Aristotile, 

(1)  Fourier,  Théorie  analytique  de  la  chaleur  1822,  p.  IX.  — (Ànnales  de  China,  et  de 
Phy.,  t.  Ili,  1816,  p.  330;  t.  IV,  1817,  p.  128;  t,  VI,  1817,  p.  239;  t.  XIII,  1820,  p.  418). 

(2)  In  questa  opera,  e nel  citato  luogo,  il  §.  XIII  è intitolato:  Quae  stellarum  essentia, 
et  quemadmodum  concretae  ; quindi  vi  si  legge  » Thales  terrea  esse,  sed  ignita  sidera,  — 
Empedocles  ignea,  ex  igne  constantia,  quera  conlinens  in  se  aether  in  prima  discriminatione 
elisit.  — Anaxagoras  amb.ient.em  aethera  subslantiam  quidem  habere  igneam,  suae  vero  ar- 
dore vertiginis  in  sublime  raptasse  ex  terra  saxa,  quae  ardore  suo  stellasse.  — Diogenes 
pumicosa  sidera  ac  spiracula  arbitratur  mundi  esse.  Alias  idem  esse  lapides  coecos,  et  saepe 
in  terrarn  deciduos  extingui,  ceu  illam  ad  Aegos  fluvium  saxeain  stellam  ignis  more  delap- 
sam.  — Empedocles  stellas  inerrantes  crystallo  aflixas  esse  , vagas  laxatas  — Plato  pene 
igneas,  elementorum  tamen  aliorum  instar  glutinis  consortes  — Xenophanes  ex  nubibus  ac- 
censis,  quae  restinguantur  quotidie,  noctu  carbonum  more  recandescere.  Nana  exortus  et  oc- 
casus  accensioues  et  restinctioues  esse  — Oeraclides  et  Pythagorei  singulas  stellas  mundos 
esse,  qui  terram  complectatur  aeremque  et  aethera  in  infinito  aethera.  Daec  dogmata  in  Or- 
phicis  esse  iactantur.  Siquidem  singulas  stellas  mundos  faciunt.  Horum  Epicurus  refellit  ni- 
hil,  ei,  quod  fieri  potest,  adhaerens  ». 


— 144  — 


riguardava  l’attrito  coll’aria  per  causa  dello  svolgimento  di  calorico.  Dall’at- 
trito col  mezzo,  e non  già  dalla  compressione  di  questo,  faceva  esso  dipendere 
l’accensione  dei  corpi,  che  traversano  il  mezzo  medesimo  ; ed  in  ciò  pare  che 
dissentano  i fìsici  moderni,  lo  che  sembrami  doversi  avvertire. 

Nel  Vocabolario  di  fìsica  del  Gehler  (voi.  6 , p.  2148,  an.  1837)  troviamo, 
che  secondo  Chladni  ( Ueber  Feuermeteore,  p.  34,  Vienna  1819)  « Il  riscalda- 
mento dei  bolidi,  viene  prodotto  dalla  compressione  dell’aria,  nella  quale  si 
muovono,  lo  che  può  aver  luogo  anche  in  un  atmosfera  di  piccolissima  den- 
sità, per  causa  della  enorme  velocità  del  proietto.  Forse  anche  la  elettricità, 
è di  qualche  influenza  in  questo  fatto  (1)  ».  Dice  inoltre  Muncke  nel  Gehler, 
luogo  cit.  « si  dimostrò  ad  evidenza  da  Parrot  , non  poter  essere  1’  attrito 
cagione  dello  sviluppo  calorifico;  perchè  delle  palle,  lanciate  con  grande  velocità, 
non  si  riscaldavano  [Handbuch  der  theorelischen  Physik , l . 3,  p.  188).  » 

Sebbene  le  sperienze  dei  due  nominati  fisici,  non  sieno  a bastanza  con- 
cludenti (2),  certo  è che  i medesimi,  hanno  la  priorità  , di  avere  creduto  il 
vero,  intorno  a questo  argomento.  La  verità  medesima  in  ciò  consiste,  cioè 
« che  la  causa  principalissima  dello  sviluppo  del  calorico,  nei  corpi  lanciati  a tra- 
verso l’aria,  deve  riconoscersi  nella  condensazione  del  fluido  aeriforme.  « L’  il- 
lustre fìsico  sig.  V.  Regnault,  per  mezzo  di  sperienze,  da  esso  istituite  nel 
1854,  ha  dimostrato,  che  l’aria,  pure  con  un  movimento  assaissimo  rapido, 
non  produce  calorico  sensibile  per  mezzo  dell’attrito.  Questo  celebre  fisico  de- 
scrisse le  indicate  sue  sperienze  a più  riprese,  nel  suo  corso  al  Collegio  di 
Francia,  come  ancora  le  conseguenze  che  ne  dedusse,  pel  calorico  acquistato 
dai  proietti,  e dai  bolidi  nella  traiettoria  loro,  a traverso  l’atmosfera  ( Comptes 
rendus,  t.  69,  p.  898,  séance  du  18  octobre  1869). 

Sull’altezza  degli  strati  atmosferici  che  possiedono  il  massimo  di  calore, 
si  vegga  Seneca  il  quale  {Opera,  t.  2.  Veneliis  1695,  quest.  II,  cap.  X,  p.  575). 
dice  : Nam  superiora  ejus  (aeris)  calorem  vicinorum  siderum  sentiunt  . . . 

(1)  Noi  siamo  di  parere,  che  la  elettricità  debba  pure  svilupparsi  nel  proietto,  quan- 
do traversa  velocemente  1’  aria  , corpo  tanto  più  coibente  , quanto  più  sono  i suoi  strati 
lungi  dalla  terra.  Questo  sviluppo  deve  aver  luogo  e per  fattrito  che  fra  il  proietto  e l’aria 
si  genera,  e perchè  il  medesimo  avvicinandosi  alla  terra,  sulla  quale  finalmente  deve  cadere, 
rimane  sempre  più  sottoposto  alla  elettrostatica  influenza  di  questa.  Se  poi  l’ indicato  effetto 
elettrostatico,  debba  o no  riguardarsi  come  un’altra  cagione  di  sviluppo  calorifico  nel  pro- 
ietto, è cosa  da  essere  ancora  bene  considerata. 

(2)  In  fatti  Aristotile  (luogo  ultimo  citato)  dice  « Hae  enim  (le  frecce)  et  ipsae  sic 
igniuntur,  ut  plumbei  inucrones  colliquescant  ». 

I 


— 145  — 


$•  7. 

11  dotto  fisico  sig.  Marié-Davy,  si  servì,  per  le  sue  ricerche  sul  calorico  del 
raggiamento  lunare  ( 1 ),  di  un  termometro  differenziale  di  Leslie,  di  cui  le  due 
palle  avevano  5 centimetri  di  diametro.  Erano  queste  distanti  l’una  dall’altra  di 
due  centimetri,  e rilevate  per  un  tubo  capillare,  lungo  85  centimetri,  che  si 
ripiegava  in  due  rami  paralleli,  ed  inclinati  all’orizzonte  di  4,  o 5 gradi  sol- 
tanto, ed  a metà  empiti  di  alcool  colorato:  le  palle  medesime  furono  annerite 
con  negro  fumo.  Uno  di  questi  rami  era  diviso  in  millimetri,  ed  il  valore  di 
una  divisione  rappresentava  0°, 00429;  cosicché  l’ istromento,  mediante  una 
lente  , permetteva  di  apprezzare  una  elevazione  di  temperatura  , corrispon- 
dente a 0°, 000429  = 0°,0005  circa,  cioè  mezzo  millesimo  di  grado.  Le  due 
palle  dell’  istromento,  erano  ricoperte  da  una  campana  di  vetro,  chiusa  in 
una  scatola  di  legno,  annerita  nell’  interno  , ed  aperta  , onde  potesse  rice- 
vere i raggi.  Questi  erano  concentrati,  mediante  una  lente  di  90  centime- 
tri di  diametro,  e di  2,m  50  di  foco.  Nel  17  settembre  1869,  dalle  8 alle 
1 0 della  sera,  essendo  il  cielo  purissimo,  e la  Luna  nelli  otto  decimi,  posse- 
dendo il  più  grande  splendore,  l’ immagine  sua  fu  alternativamente,  diretta  pel 
tempo  di  10  minuti,  sopra  ciascuna  delle  due  palle.  Ma  la  colonna  d’alcool  per- 
ciò, non  ebbe  variato  in  modo  apprezzabile,  finché  durò  questa  osservazione.  Il 
sig.  Marie-Davy  ne  ha  concluso,  che  il  calorico  dovuto  ai  raggi  lunari,  è al  di 
sotto  di  un  millionesimo  di  grado  ; e ciò  conferma  non  essere  valutabile  la 
riferita  sperienza  del  Montanari. 

Dopo  che  il  medesimo  fisico  ebbe  comunicato  all’accademia  delle  scienze 
questo  risultamento  negativo,  riguardo  al  calore  del  raggiamento  lunare,  l’ il- 
lustre segretario  dell’accademia  stessa,  il  sig.  G.B.  Dumas,  fece  giustamente 
osservare  (2)  « che  lord  Rosse,  figlio  del  celebre  astronomo,  i lavori  e gl’  in- 
» coraggiamenti  del  quale,  furono  di  grande  utilità  pei  progressi  dell’astronomia, 
» pubblicò  recentemente  (3),  numerose  osservazioni,  dalle  quali  risulterebbe 
» il  contrario,  cioè  che  la  Luna  ci  manda  una  quantità  di  calorico  molto  ap- 
» prezzabile,  oltre  che  proporzionale  alla  superficie  rischiarata  del  nostro  sa- 

(1)  Comptes  rendus,  t.  69,  année  1869,  p.  705.  — Moniteur,  scientilique  t.  XI,  an, 
1869,  p.  1043.  — Les  Mondes,  2.*  sèrie,  t.  21,  an,  1869,  p.  154. 

(2)  Comptes  rendus  citati,  p.  706. 

(3)  Procedings  Rovai  Society. 


146  — 


» tellite.  I processi  del  sig.  Rosse,  hanno  per  base  l’uso  di  uno  specchio  con- 
» cavo,  e delle  pile  termo- elettriche  ; essi  perciò  differiscono  da  quelli  del 
» sig.  Marié-Davy.  » 

Questo  fisico  inoltre  fece  osservare  (1)  , che  per  ammettere  una  con- 
traddizione fra  i suoi  risultamenti,  e quelli  di  lord  Rosse,  bisognerebbe  che 
il  medesimo  potesse  concludere  delle  sue  osservazioni,  essere  i raggi  diretti 


della  Luna  capaci  di  elevare 


più  di 


— — — — di  grado  la  temperatura  di 
1000000  r 


un  piccolo  corpo  annerito. 

Noi  però  in  conferma  della  osservazione  precedente  dell’  illustre  Dumas 
riflettiamo  , che  lord  Rosse  , ha  ottenuto  un  effetto  calorifico  sensibile  , dai 
raggi  lunari  concentrati  , e che  questo  effetto  era  inoltre  da  esso  ricono- 
sciuto proporzionale  alla  quantità  della  superfìcie  lunare  rischiarata  ; mentre 
il  sig.  Marié-Davy  niun  effetto  sensibile  potè  ottenere  co'  suoi  mezzi.  Quindi 
lord  Rosse  ha  un  merito  reale  in  questo  genere  di  ricerche,  le  quali  sono  una 
indubitata  conferma  dei  risultamenti  ottenuti  anteriormente  da  Melloni,  come 
già  vedemmo.  Di  più  lord  Rosse  concluse  dalle  sue  sperienze,  che  la  Luna 
raggia  calorico,  a guisa  di  una  superfìcie  riscaldata  sino  a 360°  Fahrenheit  , 
corrispondente  a 182°  C. 

L’apparecchio  del  nobile  Lord,  consisteva  in  una  pila  termo-elettrica,  di 
soli  4 elementi,  di  cui  le  teste  erano  di  § pollice  quadrato,  e sopra  una  delle 
quali  era  concentrato,  col  mezzo  di  uno  specchio  concavo,  di  3 pollici  e | di 
apertura  , e 2,  8 di  lunghezza  focale  , tutto  il  calore  inviato  dalla  Luna  al 
grande  riflettore  del  suo  telescopio.  La  pila  comunicava  con  un  galvanometro 
a riflessione  di  Thompson  , ed  il  valore  delle  indicazioni  del  galvanometro  , 
era  determinato  con  un  paragone  , istituito  su  quello  ottenuto  dal  calorico 
emanato  da  un  vaso  pieno  di  acqua  calda,  e ricoperto  di  una  vernice  di  lacca 
e nero  fumo.  In  tal  modo  si  è trovato  che  la  deviazione  di  90°,  ottenutasi 
nel  plenilunio,  indicava  una  temperatura  di  360°  C.  Tale  risultamento  con- 
corda con  le  idee  di  Herschel,  che  sostenne  doversi,  nei  climi  della  Luna,  pas- 
sare da  un  calore  ben  più  torrido  di  quello  delle  nostre  regioni  equatoriali  , 
ad  un  freddo  assai  più  rigido  di  quello  dei  nostri  inverni  polari.  ( Les  Mondes , 
t.  21,  année  1869,  p.  328). 


(1)  Nel  giornale  Les  Mondes,  2.e  sèrie,  t.  2Ì,  an.  1869,  p.  214. 


— 147  — 


In  una  seconda  sperienza,  fatta  sul  fenomeno  in  discorso,  il  sig.  Marié-Davy 
si  valse  di  un  termometro  differenziale  ad  aria,  graduato  per  mezzo  di  confronto 
con  un  termometro  a mercurio,  sensibile  assai.  Concentrò  egli  con  un’antica 
lente,  di  3 piedi  circa  di  apertura,  ed  appartenente  all’osservatorio  imperiale,  i 
raggi  della  Luna,  sopra  una  delle  palle  del  termometro  stesso;  ma  tale  con- 
centrazione non  produsse  verun  effetto  apprezzabile  sull’  istromento  , sebbene 
ciascuna  divisione  del  medesimo  era  corrispondente  a 0°,0043.  (C omptes  ren- 
dus , t.  69,  an.  1869,  p.  923). 

Howard,  come  fu  indicato,  credette  trovare  qualche  potere  calorifico  nel 
raggiamento  lunare,  adoperando  uno  specchio  di  13  pollici  dì  apertura  (1): 
lo  stesso  dicasi  di  Watt,  il  quale  sperimentò,  non  solo  colla  Luna  piena,  ma 
eziandio  colle  sue  fasi  (2).  Però  le  ricerche  dei  due  fisici,  ultimi  nominali,  la- 
sciano molto  a desiderare,  come  facilmente  si  riconosce,  leggendole  nei  rela- 
tivi giornali  qui  citati.  Dopo  questa  narrativa  di  effetti  sensibili  mancati  del 
calorico  lunare,  non  ostante  la  perizia  di  dotti  sperimentatori,  e la  efficacia  dei 
loro  mezzi  ; ognuno  rimarrà  convinto  maggiormente,  che  la  sperienza  riferita 
da  Geminiano  Montanari,  senza  che  abbia  detto  egli  a chi  appartenga,  eseguita 
con  un  termometro  inesatto  , ed  accompagnata  da  un  effetto  calorifico  mol- 
tissimo esagerato,  non  deve  meritare  alcuna  fiducia;  lo  che  sarà  confermato 
anche  in  appresso. 

§•  8- 

Non  è fuori  di  luogo  qui  aggiunger  che  il  sig.  Buijs-Baliot  (3),  volle  rico- 
noscere, quale  influenza  la  Luna  eserciti  sulle  vicende  atmosferiche  (4).  Queste 
sue  ricerche  lo  condussero  a concludere,  che  la  Luna  piena,  corrisponde  ad  un 
aumento,  tenue  sì,  ma  sensibile  di  temperatura,  lo  che  fu  asserito  anche  da  Ari- 
stotile, come  già  dicemmo.  Riferisce  i!  medesimo  autore  (5),  che  Herschel  non 


(1)  Silliman  s Araerical  journal  of  sci,  t.  2,  p.  329. 

(2)  Edimburgh  New.  Phil.  jour.,  n.°  9,  p.  323,  an. 

(3)  Poggendorff  Ànnalen,  voi.  114,  an.  1861. 

(4)  Per  quello  riguarda  la  pretesa  influenza  della  Luna,  cioè  delle  sue  fasi  nei  feno- 
meni meteorologici,  si  consulti  la  memoria  di  Arago  nell' Anmaire  du  bureau  des  longitudes 
pel  1833,  ed  il  secondo  volume  della  Fisica  dei  corpi  ponderabili  di  Avogadro,  p.  458,  e 
seg.,  ove  si  trovano  i risultamenti  delle  discussioni,  fatte  da  vari  autori,  sulle  principali,  e 
migliori  osservazioni  meteorologiche,  risguardanti  1’  influenza  delle  fasi  lunari. 

(5)  Poggendorff  annaffi  voi.  70,  an.  1847,  p.  154. 


— 148  — 


solo  riconobbe  sensibile  l’azione  calorifica  della  Luna,  ma  credette,  che  al  suo 
mezzogiorno,  abbia  la  temperatura  di  100.°,  maravigliandosi  al  tempo  stesso, 
perchè  Forbes  non  abbia  ciò  riconosciuto  ; ed  ancora  credette,  che  il  calore 
lunare  venga  impiegato  a dissolvere  le  nubi  (1).  Da  questo  cenno  istorico 
dobbiamo  concludere,  potersi  rendere  sensibile  il  potere  calorifico  lunare,  come 
pel  primo  ha  dimostrato  evidentemente  il  Melloni,  nel  28  di  marzo  del  1846. 
Dobbiamo  altresì  concludere,  che  i risultamenti  negativi,  ottenuti  dagli  altri 
fìsici,  sulfargomento  in  proposito,  debbono  attribuirsi  alla  mancanza  di  quelle 
precauzioni,  e di  quei  mezzi,  che  accompagnarono  la  citata  sperienza  di  quel 
fìsico  italiano. 

Non  possiamo  tacere  quanto  viene  riferito,  circa  il  calore  lunare,  da  una 
celebrità  scientifica,  qual’ è il  de  Humboldt,  che  così  si  esprime  (2)  « La  Lune 
émet  de  la  chaleur;  c’est  là  une  découverte,  qui,  comme  tant  d’autres,  dues  à 
mon  illustre  ami  Melloni,  doit  ótre  rangée  parmi  les  plus  importantes  et  les  plus 
extraordinaires  de  ce  siècle.  Après  bien  des  essais  infructueux,  depuis  ceux  de 
La-Hire,  jusqu’  a ceux  de  l’ ingénieux  Forbes  (3),  Melloni  a trouvé  moyen  . . . 
d’observer  de  la  fagon  la  plus  nette  les  élevations  de  temperature  subordon- 
nées  aux  différentes  phaces  de  la  Lune  (4)  », 

A pag.  708,  poi  lo  stesso  illustre  prussiano  , dice  « Il  m’  a toujours 
semblé  digne  de  remarque,  que  dans  les  temps  les  plus  reculés,  où  la  cha- 
leur ne  se  reconnaissait  qu’  à 1’  impression,  qu’  elle  produisait  sur  les  sens, 
la  Lune  ait  la  première  fait  naìtre  !’  idée,  que  1’  on  pouvoit  rencontrer  sé- 
parément  la  lumière  et  la  chaleur,  En  sanscrit ,.  la  Lune,  honorée  chez  les 
ilindous  comme  la  reine  des  étoiles,  se  nomme  V astre  froidx  ou  bien  en- 
core  V astre  d ’ oìi  le  (roid  raijonnex  tandis  ques  le  Solei.I,  représenté  avec 
des  rayons  de  lumière,  qui  tombent  de  ses  mains,  est  appelé  le  créateur  de 
la  chaleur  . . . , On  s’  est  plaint,  chez  les  Grecs,  de  ce  que  » la  lumière 
solaire  réflechie  par  la  Lune,  perdait  toute  sa  chaleur,  et  qu’  il  ne  nous  ar- 

(1)  L’ Institut,  n.>  620:,  622,  e 623. 

(2)  Cosmos,  tome  troisieme,  seconde  partie,  pag.  523,  Paris  1852. 

(3)  Transactions  of  thè  R.  S.  Edinburgh,  t.  13,  1836.  p>  131. 

(4)  Qui  abbiamo  una  molto  autorevole  conferma  della  priorità,  che  a Melloni  appar- 
tiene, riguardo  alla  dimostrazione  sperimentale,  della  esistenza  del  calorico  nel  raggiamento 
lunare;  priorità  che  veniva  oggi  dimenticata,  ed  anche  da  taluno  negata,  il  quale  la  vorrebbe 
attribuire  a Geminiano  Montanari,  contro  quanto  la  sana  critica  prescrive.  Ed  è principal- 
mente per  conservare  al  primo  questa  italiana  gloria,  che  mi  sono  determinato  a pubblicare 
il  presente  scritto. 


— 149  -- 


rivait , qu’  un  faible  reste  de  son  éclat  ( Plutarque,  de  facie , quae  in  orbe 
Lunae  apparet,  éd.  Wyttenbach,  t.  IV,  Oxon.,  1797,  p.  793  ) On  lit  dans 
Macrobe  ( Comment . in  Somnium  Scipionis , iib.  1,  cap.  19,  Biponli  1788,  t.  I. 
p.  1.  93  et  94  ) « Luna  speculi  instar  lucenti  qua  illustratur  . . . rursus  emit- 
tit,  nullum  tamen  ad  nos  perferentem  sensum  caloris:  quia  lucis  radius,  cum 
ad  nos  de  origine  sua,  id  est  de  Sole,  pervenil,  naturanti  secum  ignis  de  quo 
nascitur  devehit;  cuna  vero  in  Lunae  corpus  infunditur  et  inde  resplendet  , 
solanti  refundit  claritatern  non  calorem  » ( Comp . Macrobe , Salumai.  Iib.  VII , 
cap.  16,  Biponti , t.  II , p.  277). 

Pei  dati  storici  del  calore  lunare,  veggasi  pure  il  Jabresbericht  dei*  phy- 
sikalischen  Gesellschaft  zu  Berlin  , t.  2,°  pag.  272. 

Humboldt  parlando,  a pag.  718,  ( ibidem ) delle  ricerche  di  Herscbel  sul  calore 
lunare,  si  esprime  dicendo:  Sir  John  Herscbel  croit  très-probable  « qu’il  rógne  sur 
la  Lune  une  très-haute  temperature,  fort  au-dessus  de  l’ébullition  de  l’eau,  parce 
que  la  surface  de  cet  astre  est  exposée  à l’action  du  Soleil,  durant  quatorze  jours 
sans  interruption  et  sans  rien  qui  l’adoucisse.  La  Lune  doil  donc,  en  opposition, 
ou  peu  de  jours  après,  devenir,  à quelque  degré  que  ce  soit,  une  source  de  cha- 
leur  pour  la  Terre  ; mais  cette  chaleur  émanant  d’  un  corps  dont  la  tempe- 
rature est  encore  bien  loìn  de  l’ incandescence,  ne  peut  atteindre  la  surface 
de  la  Terre,  attendu  qu’elle  est  absorbée  dans  notre  atmosphère,  où  elle  tran- 
sforme les  vapeurs  ve'siculaires  et  visibles  en  vapeurs  transparentes  ».  Sir  John 
Herschel  considère  le  phénomène  de  la  dissolution  rapide  des  nuages  sous  l’ in- 
fluence  de  la  pieine  Lune,  quand  le  Ciel  n’  est  point  trop  couvert  , comme 
un  fait  météorologique,  « confìrmé,  ajoute-t-il,  par  les  expériences  de  Hum- 
boldt, aussi  bien  que  par  la  croyance  très-générale  des  navigateurs  espagnols 
dans  les  mers  tropicales.  » Voyez  Report  of  thè  fifteenth  Meeting  of  thè  Bri- 
tish  Association  for  thè  advancement  of  Science  , 1846  , Notices  , p.  5,  et 
Outlines  of  Astronomi /,  p.  261. 

Dal  de  Humboldt,  abbiamo  ancora  che  ( Cosmos . Voi.  IV,  pag.  98)  il  ri- 
sultamento  principale  delle  ricerche  di  Kreil,  sulla  influenza  magnetica  della 
Luna,  la  quale,  secondo  Melloni,  mostra  solamente  una  piccola  traccia  di  azione 
calorifica,  consiste  in  questo,  che  cioè  la  declinazione  magnetica  terrestre,  ma- 
nifesta nell’  intervallo  di  un  giorno  lunare,  una  variazione  regolare,  la  quale 
ha  due  massimi,  e due  minimi. 

Kreil  dice  giustamente  [Ibidem):  Siccome  la  Luna  non  produce  verun’azio- 
ne  calorifica  percettibile,  cogl’istromenti  ordinari,  sulla  superficie  terrestre;  così 

20 


— 150  — 


non  può  neppure  con  questo  mezzo,  produrre  verun  cambiamento  nella  forza 
magnetica  terrestre.  Quindi  se  con  tutto  ciò  si  osserva  un  influenza  magnetica, 
si  deve  concludere,  che  questa  non  può  essere  prodotta  per  azione  calorifica  ». 
Se  la  medesima  influenza  fosse  confermata  da  ulteriori  sperimenti , sarebbe 
probabile  che  la  Luna  contenesse  minerali  magnetici,  od  anche  correnti  elet- 
triche, similmente  alla  Terra. 

Il  sig.  Marié-Davy,  con  una  dotta  comunicazione,  torna  su  questo  argo- 
mento (I),  ammettendo  che  Melloni  è stato  il  primo,  a far  uso  della  pila  ter- 
mo-elettrica, in  queste  delicatissime  ricerche  ; come  ancora  che  il  medesimo 
fu  primo , a rendere  sensibile  il  riscaldamento  prodotto  dai  raggi  lunari  : e 
perciò  non  essere  valutabile  la  riferita  sperienza  del  Montanari. 

11  nominato  fìsico  francese  adoperò,  per  queste  ulteriori  sue  ricerche,  una 
pila  termo-elettrica  , fatta  con  lega  di  bismuto,  di  antimonio,  e cadmio, 
di  cui  dal  chiarissimo  sig.  Edmondo  Becquerel  , si  fece  conoscere  la  pre- 
parazione ; le  quali  pile  sono  dotate  di  un  elevatissimo  termo-elettrico  po- 
tere. Inoltre  adoperò  egli  anche  un  termometro  differenziale  ad  aria , una 
lente  di  tre  piedi  circa  di  apertura,  ed  una  bussola  astatica,  nella  quale  ogni 
divisione  corrispondeva  a 0,°  00013  , potendosi  apprezzare  il  decimo  della 
divisione  stessa. 

In  una  di  queste  sperienze,  fatte  nel  giardino  dell’  osservatorio  impe- 
riale , il  sig.  Wolf  volle  prendervi  parte,  incaricandosi  di  leggere  le  indica- 
zioni della  bussola.  Riportiamo  tre  delle  osservazioni  fatte  dal  sig.  Marié-Da- 
vy (2),  mediante  la  pila  termo-elettrica,  ed  un  rifrattore  equatoriale,  di  9 poli. 

Data  Età  della  Luna  Ora  Deviazione  media  Valore  in  gradi 


9 ottobre 

4°  giorno 

7or,  32'"  sera 

1,  3 

0,  00017 

12  — 

7°  — 

8 , 45 

00 

2tT 

0,  00075 

20  — 

15°  — 

10  , il 

22,  1 

0,  00287 

Fu  con  questi  mezzi,  ottenuta  una  manifestazione  sensibile,  del  calore  dei  raggi 
lunari  ; cosicché  si  potè  concludere,  che  i raggi  medesimi,  quando  fossero  di- 


ti) Comptes,  rendus  t.  69,  an.  1869,  p.  922. 

(2)  Moniteur  scienlifique,  t.  XI,  an  1869,  p.  1062 . 


151 


retti,  riscalderebbero  per 


12 

1000000 


di  grado  , e che  il  calore  luminoso  della 


Luna,  cresce  rapidamente  colla  sua  fase;  ma  l’altezza  dell’astro,  e lo  stato  del 
cielo,  anche  senza  nuvole,  influiscono  molto  sulla  intensità  del  calore  lunare. 

Il  sig.  Piazzi  Smyth , quando  ebbe  luogo  la  scientifica  spedizione  al 
picco  di  Teneriffe,  confermò  i risultamenti  ottenuti  da  Melloni  : riceveva  egli 
direttamente  i raggi  lunari , sulla  sua  pila  termo-elettrica  , di  cui  la  faccia, 
si  trovava  semplicemente  munita  , di  un  ordinario  cono  metallico  brunito. 
Sebbene  la  Luna  era  molto  bassa,  l’effetto  de’  suoi  raggi  sul  picco,  era  il 
terzo  di  quello  dei  raggi  di  una  bugia,  collocata  distante  di  4m,75  dalla  pila. 
Una  bugia  posta  dal  sig.  Marié-Davy,  alla  medesima  distanza  dalla  sua  pila, 
diede  una  deviazione  di  1 7rf,  3,  senza  l’intervenzione  del  cono;  perciò  dai  raggi 
diretti  della  Luna,  si  sarebbe  prodotta  una  deviazione  di  5d,  8,  corrispondente 
a 0°, 00075,  quante  volte  sia  possibile  paragonare  le  fiamme  di  candele  ad  in- 
tervalli di  tempo,  e di  luogo  tanto  grandi  (1). 


§•  7- 

II  sig.  j.-B.  Baille  nei  mesi  di  giugno,  luglio,  e agosto  del  1869,  ha  eseguito 
con  molta  precisione,  nel  laboratorio  della  scuola  politecnica  di  Parigi,  delle  spe- 
ranze sul  calorico  riflesso  dalla  Luna  (2).  Questo  dotto  fisico  si  è servito  di 
una  pila  termo -elettrica  quadrata,  munita  del  suo  cono,  posta  nel  foco  di  uno 
specchio  concavo,  avente  39  centimetri  di  apertura,  e congiunta  con  un  galva- 
nometro  sensibilissimo,  costrutto  sul  modello  di  quelli  del  sig.  W.  Thompson. 
L’ impulsione  iniziale  si  leggeva  sopra  una  scala,  divisa  in  millimetri,  alla  di- 
stanza di  circa  1 metro  dall’ago.  Giustamente  osserva  il  nominato  fisico,  che 
la  sensibilità  dell’apparecchio,  dipende  in  grandissima  parte  dal  galvanometro, 
e principalmente  dall’astaticità  dell’ago  calamitato.  In  queste  sperienze,  quando 
l'ago  era  libero,  esso  eseguiva  tre  o quattro  oscillazioni  per  secondo  ; mentre 
quando  era  divenuto  astatico,  per  l’avvicinamento  di  una  calamita  indipendente, 
impiegava  cinque  o sei  secondi,  per  compiere  una  sola  oscillazione:  in  ciò  con- 
siste il  punto  delicato  nell’eseguire  questo  genere  di  ricerche.  Con  tale  modo 
collocando  una  mano  a più  di  1 metro  dalla  pila,  il  nominato  fìsico  produceva 
una  deviazione  di  l centimetro  circa. 


(1)  Comptes  rendus,  t.  69,  an.  1869,  p.  922. 

(2)  Comptes  rendus,  t.  69,  an.  1869,  p.  960. 


— 152  — 


Il  eh.  sig.  Radati  fa  osservare,  che  nei  dati  numerici  assegnati  dal  sig. 
Baille,  riguardo  al  rapporto  fra  il  potere  calorifico  della  Luna,  e quello  di  un 
cubo  di  65"tm  di  lato,  alla  temperatura  di  100  gradi,  posto  alla  distanza  di 
35  metri  dalla  pila  termo-elettrica,  vi  è questa  differenza  , cioè  che  invece 
di  avere,  col  galvanometro  di  Thomson,  una  deviazione  sopra  uno  scranno 
rettilineo  di  ìmm,  5,  si  dovrebbe  avere  una  deviazione  di  Omm,  75  (V.  Moniteur 
scientifìque,  t.  XI,  p.  1063)  (1). 

(1)  Per  delucidare  questa  giusta  rettificazione  del  sig.  Radau,  riportata  da  esso  alla 
pag.  1063  del  periodico  citato,  riflettiamo  quanto  siegue  : 

Alla  distanza  di  un  metro,  il  cubo  produsse  la  deviazione  di  50  millimetri;  quindi  alla 

50 

distanza  di  35  metri,  dovrà  il  medesimo  cubo  produrre  la  deviazione  -^-millimetri. 

La  Luna  comparisce  sotto  un  angolo  circa  di  31';  ed  un  disco  posto  a 35  metri  distante, 
per  essere  apparentemente  uguale  alla  Luna,  deve  avere  un  diametro  d,  dato  dall’equazione 


(f) 


31' 


35  = = tg>  15'>  30"  5 


donde  d ~ 70.  tg.  15',  30";  e l’area  D di  questo  disco  sarà 

r/2  702 

D=-f-  n=~r~  . n.  tg2.15',  30". 
4 4 


L’area  C della  faccia  del  cubo  è 0,065,  quindi  avremo 

0,  0652 


C = 


D . 


70 

~ ■ « • tg2. 15', 30" 

Da  ciò  discende,  che  allora  la  superficie  di  una  faccia  del  cubo,  eguaglierà  quella  del 
disco,  ed  anche  il  suo  raggiamento,  cioè  allora  produrrà  l’effetto  della  superficie  D,  la  quale 
apparentemente  rappresenta  quella  della  Luna,  quando  la  faccia  del  cubo  medesimo  sia 
divenuta 


— .7r.tgM5',30" 

C1  = — C . 

0,0652 


— 153 


Con  questi  mezzi,  e con  queste  precauzioni,  si  ottenne  dal  sig.  Baille,  nel 
senso  del  rise  ildamento,  una  deviazione  sempre  compresa  fra  1 e 2 millime- 
tri, quando  i raggi  della  Luna  erano  concentrati  sulla  pila.  Egli  concluse  da 
queste  sue  spé  lenze,  che  la  Luna  piena,  a Parigi,  nei  mesi  d’estate,  invia  tanto 
calorico,  quanto  una  superficie  nera  eguale,  mantenuta  a 100  C.,  e collocata 
presso  a poco  distante  35  metri  dalla  pila.  L’autore  medesimo  riconosce  diffi- 
cile, apprezzare  con  qualche  sicurezza,  mediante  l’apparecchio  suo,  questo  calo- 
re in  gradi  termometrici.  Tutto  ciò  conferma  i risultamene  di  Macedonio  Mel- 
loni, di  M.  Piazzi  Smyth,  di  lord  Rosse,  e gli  altri  del  sig.  Marié-Oavy  (1). 

Ora  siamo  nel  caso  di  poter  confermare,  per  una  ultima  volta,  che  la  spe- 
ranza di  Geminiano  Montanari,  non  può  meritare  veruna  fiducia  ; per  avere 
noi  veduto,  che  i fisici,  dai  quali  si  è sperimentato  con  tutta  la  possibile  ac- 
curatezza, e coi  migliori  mezzi,  che  oggi  offre  il  progresso  fìsico,  non  hanno 
mai  potuto  avere  manifestazioni  sensibili,  mediante  un  qualunque  termome- 
tro, posto  nel  foco,  sia  di  uno  specchio,  sia  di  una  lente,  nel  quale  i raggi  lu- 
nari erano  concentrati.  Come  mai  dunque  si  può  credere,  al  risultamento  as- 
serito dal  Montanari,  per  cui  quei  raggi,  concentrati  mediante  uno  specchio  , 


E poiché  le  deviazioni  debbono  essere  in  ragione  diretta  delle  superficie,  ed  inversa 
dei  quadrati  delle  distanze;  perciò,  chiamando  « la  deviazione  prodotta  dalla  superficie  C', 
avremo 


donde 


-7-  n . tang2 15'  30" 

. 4 

a : 50  C : 

352.  0,Ò652 


702 . n tang2 15' 30"  50.  n.  tg2 15'  30"  . 

c:  = 50 = 0'”"%7558  . 

4 . 352.  0,  0~65?'  0,  065 

Questa  è la  deviazione,  che  produce  una  faccia  del  cubo  annerito,  contenente  acqua 
a 100°  C,  posto  a 35”  distante  dalla  pila,  ed  apparentemente  uguale  alla  faccia  della  Luna. 
Ma  la  stessa  faccia  produce,  secondo  il  sig.  Baille,  una  deviazione  di  millimetri  lm«,  5; 
dunque  produce  il  doppio  della  deviazione  cagionata  dalla  faccia  C'  del  cubo  medesimo,  come 
fu  bene  avvertito  dal  sig.  Radau. 

(1)  Comptes  rendus,  voi.  69,  an.  1869,  pag.  924. 


— 154 


mostrato  avrebbero  più  gradi  di  calore?  Non  è possibile  ammettere  questo  risul- 
tamento,  che  si  trova  essere  grandemente  in  opposizione  colle  moderne  speran- 
ze. Possiamo  quindi  ragionevolmente  dubitare,  che  chiunque  altro,  concentrando 
i raggi  lunari,  nel  foco  di  uno  specchio,  ancorché  questo  sia  stato  di  0m,  60 
di  diametro  , e di  Qw,  1 9 di  distanza  focale  ; abbia  potuto  produrre  un  moto 
sensibile  in  un  termometro  a spirito  di  vino,  posto  nel  foco  stesso  (1).  Anche 
il  sig.  Howard  aveva,  prima  di  Melloni,  creduto  dimostrata  co’  suoi  sperimenti, 
la  esistenza  del  calorico  nel  raggiamento  lunare.  Ma  il  sig.  Pictet,  ripetendo 
queste  sperienza  coi  medesimi  mezzi,  e identici  a quelli  di  Howard,  dimostrò 
il  contrario  (2). 

In  una  terza  nota  il  sig.  Marié-Davy,  apre  un  campo  molto  esteso,  pel- 
le ricerche  sul  calore  del  raggiamento  lunare  (3),  proponendosi  la  risoluzione 
dei  quattro  seguenti  quesiti:  1°  qual’ è la  parte  del  potere  diffusivo  della  Luna, 
riguardo  al  suo  calore:  2.°  qual’ è la  parte  del  suo  potere  assorbente,  e rag- 
giante; e fra  quali  limiti  varia  la  sua  temperatura  nel  corso  di  una  lunazione: 
3.°  come  il  potere  diffusivo,  e raggiante,  variano  da  una  regione  all’altra,  nella 
superficie  lunare  : 4.°  quali  sono  le  induzioni,  che  possono  aver  luogo,  sullo 
stato  della  superfìcie  lunare,  paragonata  con  quella  terrestre.  In  questa  comu- 
nicazione, il  nominato  fisico,  tratta  principalmente  il  primo  dei  quattro  citati 
quesiti,  occupandosi  della  determinazione,  come  già  fece  lord  Rosse,  del  po- 
tere diffusivo  della  superfìcie  lunare,  vale  a dire  del  rapporto,  fra  il  calore  dif- 
fuso della  Luna,  e quello  totale  che  riceve  dal  sole.  La  differenza  di  queste 
due  quantità  di  calorico,  viene  impiegata  a riscaldare  la  superficie  lunare.  Il 
sig.  Marié-Davy  trova,  pel  potere  diffusivo,  il  valore  di  0,  61  ; ma  siccome  i 
dati,  sui  quali  egli  si  appoggia,  non  sono  molto  sicuri;  così  fa  d’uopo,  che  ul- 
teriori sperienze,  vengano  a confermare  il  valore  stesso. 

Il  nominato  fìsico,  si  valse,  per  queste  interessanti  ricerche,  di  un  tele- 
scopio a specchio  inargentato,  e le  due  teste  della  pila  termo-elettrica,  poste 
nel  foco  dello  specchio  medesimo , ricevevano  contemporaneamente,  una  la 
immagine  della  Luna,  l’altra  quella  di  una  porzione  del  cielo,  eguale  in  su- 
perfìcie al  satellite  stesso.  Per  ottenere  questo  fine,  collocò  egli  presso  cia- 
scuna testa  della  pila,  uno  specchio  metallico,  inclinato  di  45°  all’asse  della 
medesima;  cosicché  l’immagine  della  Luna,  riflessa  dallo  specchio,  copriva  giu- 

(1)  Comptes  rendus,  t.  69,  an.  1869,  p.  1070,  e 1071. 

(2)  Bibliothèque  universelle  de  Genève,  t.  19,  année  1822,  p.  35. 

(3)  Comptes  rendus,  t.  69,  année  1869,  p.  1154. 


— 155  — 


stamente  una  testa  della  pila,  senza  debordarla;  mentre  l’altro  specchio,  riflet- 
teva sull’altra  testa  della  pila  medesima,  una  porzione  di  cielo  eguale  a quella 
lunare  rischiarata.  Le  temperature  o deviazioni  indicate  dalla  bussola,  manifesta- 
vano le  differenze  fra  le  due  quantità  di  calore,  che  venivano  sulla  pila,  una  dal 
nostro  satellite,  l’altra  da  una  porzione  uguale  del  cielo.  A questo  modo  si  elimina 
1’  azione  frigorifera  del  cielo,  la  quale  spesso  ha  impedito,  che  fosse  manifesto 
il  calorico  del  raggiamento  lunare.  Così  fatta  eliminazione  riesce  utilissima,  ed 
indispensabile  per  ottenere  sensibili  effetti  dal  calore  lunare;  però  essa  fu  in- 
dicata già  dal  prof.  P.  Prevost,  il  quale  dice  « Il  seroit  donc  à désirer  que 
les  physiciens,  qui  voudront  éprouver  de  la  sorte  l’effet  des  rayons  lunaires, 
tìssent,  au  mème  moment,  des  expériences  comparatives  sur  quelques  autres 
points  du  ciel  » (. Bibliolhèque  univ.  de  Genève , t.  19,  année  1822,  p.  37). 

Dalle  migliori  sperienze  moderne,  già  riferite,  torniamo  a concludere,  che 
un  termometro  il  più  sensibile,  tanto  se,  ad  aria,  quanto  se  a liquido,  collocato 
nel  foco,  sia  di  uno  specchio,  sia  di  una  lente,  non  può  rendere  manifesta  la 
esistenza  del  calorico  nel  raggiamento  lunare.  Questa  conclusione  fu  già  ri- 
guardata probabilissima  dal  Prevost.  (1) 

Finalmente  a dimostrare,  che  la  Luna  possiede  un  calorico  proprio,  per 
effetto  del  suo  riscaldamento,  dovuto  ai  raggi  solari,  basterebbe  dimostrare  colla 
sperienza,  chela  temperatura  del  raggiamento  di  questo  nostro  satellite,  cresce 
più  rapidamente  della  sua  fase  crescente,  e non  proporzionalmente  ad  essa;  e che 
il  contrario  si  verifica,  quando  la  fase  lunare  diminuisce;  cosicché  la  Luna  nuova, 
dovrebbe  ancor  essa  riscaldare.  Ciò  potrebbe  far  parte  del  quadro  delle  ricerche 
interessanti,  che  si  è proposto  il  sig.  Marie  -Davy  (2).  Noi  crediamo  che,  se  oltre 
alle  cautele  messe  in  pratica  dal  Melloni,  si  adoperi  anche  la  sensibilissima  pila 
termo-elettrica  del  sig.  Ed.  Becquerel,  e se  inoltre  si  applichi  uno  specchietto 
all’ago  astatico  del  galvanometro  nel  termo-moltiplicatore,  per  avere  le  di- 
viazioni  dell’ago  stesso,  ingrandite  assai,  mediante  un  raggio  di  luce,  riflesso 
dall’  indicato  specchietto,  sopra  una  grande  scala  distante;  si  aumenterebbe  di 
molto  la  sensibilità  dell’apparecchio;  cosicché  le  indicazioni  sue,  diverrebbero 
molto  più  significanti. 


(tj  Bibliolhèque  universelle  de  Genève,  t.  19,  année  1822,  p.  35. 
(2)  Comples  rendus,  t.  69,  année  1869,  p 1151. 


— 156  — 


Osservazioni  delle  protuberanze  solari.  — Comunicazione  del  prof.  L.  Re- 

spighi,  da  esso  compilata. 

Il  prof.  Respighi  nel  presentare  all’Accademia  il  disegno  di  una  seconda  se- 
rie di  profili  solari,  rilevati  per  mezzo  dello  spettroscopio  col  metodo  descritto 
nella  Nota  letta  nella  Sessione  del  5 Decembre  1869,  dichiara  che  malgrado 
la  contrarietà  della  stagione  ha  potuto  ricavare  dal  26  Ottobre  fino  al  pre- 
sente 47  disegni  completi,  o quasi  completi  del  bordo  solare  , oltre  a molti 
altri  rilievi  parziali  , riguardanti  specialmente  le  variazioni  e trasformazioni 
delle  protuberanze. 

In  una  seconda  Nota  , che  1’  Accademico  si  propone  di  presentare  in 
una  prossima  seduta  , saranno  discussi  i risultati  di  questa  seconda  serie 
di  osservazioni  ; dai  quali  vengono  confermati  i caratteri  e le  leggi , già  da 
lui  riconosciute  in  questo  interessante  fenomeno  , ed  aggiunte  nuove  ed  im- 
portanti particolarità  risguardanti  principalmente  la  distribuzione  delle  protu- 
beranze sulla  superfìcie  solare,  e le  loro  relazioni  colle  facule  e colle  macchie. 

Per  ora  egli  fa  rimarcare,  che  mentre  resta  definitivamente  confermata 
la  totale  o quasi  totale  mancanza  di  protuberanze  nelle  regioni  circumpolari 
del  sole,  viene  poi  provata  una  minore  intensità  e una  minore  frequenza  del 
fenomeno  in  vicinanza  all’equatore  ; dove  le  protuberanze  ordinariamente  sono 
meno  frequenti  e meno  sviluppate  che  alle  maggiori  latitudini. 

Fa  rimarcare  inoltre  che  nella  località  delle  macchie,  quantunque  d’or- 
dinario non  si  riscontrino  grandi  protuberanze  , pure  domina  assai  energica 
l’attività  vulcanica,  manifestata  da  masse  idrogeniche  molto  condensate  e per- 
sistenti, sporgenti  sensibilmente  dallo  strato  rosato,  e da  getti  luminosissimi 
ed  attivissimi,  ma  non  molto  elevati. 

Accenna  da  ultimo  un  fatto  assai  rimarchevole,  e cioè  che  l’altezza,  alla 
quale  può  essere  sospinta  la  materia  delle  protuberanze  , è molto  maggiore 
di  quella  ricavata  dalle  prime  osservazioni  : poiché  oltre  all’essersi  osservate 
varie  protuberanze  alte  più  di  3',  nel  giorno  28  di  Gennajo  a 2A,  al  disopra 
di  una  bella  protuberanza  alta  3.'  20",  si  trovarono  tre  masse  isolate  o nubi, 
distanti  dal  bordo  solare  non  meno  di  6',  ossia  20  diametri  terrestri  circa  ; 
e delle  quali  si  otteneva  abbastanza  distinta  1’  immagine  anche  presso  la 
riga  del  sodio  nel  giallo,  e sulla  riga  F nel  bleu  ; restando  con  ciò  confer- 
mato che  queste  righe  spettrali  delle  protuberanze  si  riscontrano  anche  ad 
enormi  altezze,  e non  già  soltanto  in  vicinanza  al  bordo  solare,  come  gene- 
ralmente si  è finora  ritenuto. 


CORRISPONDENZE 


L’Eminentissimo,  e Rmo  sig.  Cardinale  De  Angelis,  Camerlingo  di  S.  R. 
Chiesa,  e protettore  dell’  accademia,  coll’onorevole  suo  dispaccio  del  1 3 gen- 
naio 1870,  fa  conoscere,  che  per  la  rinuncia  del  R.  P.  Domenico  Chelini,  data 
da  esso  per  iscritto,  nella  sessione  del  2 gennaio  testé  decorso,  a far  parte  del 
nuovo  comitato,  cui  fu  eletto  daH’accademia,  doveva  il  comitato  medesimo  es- 
sere composto  dei  signori  professori  : 

Cav.  G.  Ponzi  ( confermato ) 

Com.  A.  Cialdi, 

E.  Rolli, 

Cav.  F.  Giorgi. 

L’ imperiale  accademia  delle  scienze  di  Vienna,  mediante  il  suo  segretario 
generale  sig.  Schròtter,  offre  i suoi  ringraziamenti,  per  avere  ricevuto  gli  Atti 
dell’accademia  nostra. 

Il  sig.  Com.  A.  Cialdi,  presentò  in  dono  all’àccademia,  da  parte  dell’  au- 
tore sig.  E.  Bertin  , una  pubblicazione,  che  ha  per  titolo  « Étude  sur  la 
houle  et  le  roulis,  Cherbourg  1869. 

La  sessione  riunitasi  alle  due  pomeridiane , in  numero  legale,  si  sciolse 
dopo  due  ore  di  seduta. 


Soci  ordinari  presenti 

P.  A.  Guglielmotti  — A.  Cialdi  — M.  Azzarelìi  — L.  Jacobini  — F. 
Giorgi  — S.  Cadet  — G.  Pieri  — L.  Diorio  — A.  Betocchi  — B.  Viale  — 
F.  Castracane  — L.  Respighi  — D.  Chelini  — G.  Ponzi  — B.  Tortolini  — 
E.  Rolli  — P.  Volpicelli. 

Pubblicato  nel  30  di  aprile  3 870. 
P.  V. 

OPERE  VENETE  IN  DONO 

Memorie  dell  Accademia  delle  Scienze  dell'  Istituto  di  Bologna  — Serie  IL 
Tomo  IX.  fase.  1. 


21 


Rendiconti  del  R.  Istituto  Veneto  di  Scienze,  e Lettere  — Serie  II  ; Voi.  II. 
Fase.  XVII  e XVIII. 

Alti  del  R.  Istituto  Veneto  di  Scienze  , Lettere  , ed  Arti.  — Disp.  X.  del 
1868-69  ; e Disp.  I.  del  1869-70. 

Atti  della  R.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino.  — Voi.  IV,  disp.  1.  e 2. 
del  1868,  e disp.  3-7  del  1869. 

Bollettino  Meteorologico  ed  Astromico  del  Regio  Osservatorio  della  Università 
di  Torino  — Anno  III.  1868. 

Rendiconti  delle  adunanze  della  Società  dei  Naturalisti  di  Modena.  — N.  1. 
Dicembre  1869. 

Giornale  di  Scienze  Naturali  ed  Economiche  di  Palermo  — Anno  1869. 
Voi.  V.  fase.  III.  e IV.  — Parte  I.  — Scienze  naturali. 

Rivista  Scientifica-Industriale  del  1869.  — Anno  Primo  — di  Guido  Vi- 
mercati. 

Un  tributo  alla  memoria  del  Marchese  G.  B.  Bruti  Liberati  — Discorso 
del  Marchese  Filippo  Raffaelli.  — Macerata,  1869  ; un  fase,  in  8.° 

Sull’Ozono.  . . . Note  e riflessioni  del  prof.  G.  Bellucci  — Prato,  1869  ; 
un  voi.  in  8.° 

Sunti  dei  lavori  scientifici,  letti  e discussi  nella  Classe  di  Scienze  Morali , 
Storiche,  e filologiche  della  R.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino,  dal  1859 
al  1865,  scritti  da  Gaspare  Gorrelio  — Torino,  1868.  Un  Voi.  in  8.° 

Memoires.  . . . Memorie  della  Società  Imperiale  delle  Scienze  Naturali  di 
Cherbourg.  — -Tomo  XIII.  2.  serie  — Tomo  III. 

Monatsbericht  . . . Contoreso  mensuale  della  R.  Accademia  delle  Scienze  di 
Berlino  — Settembre  e Ottobre  1869. 

Abhandlungen.  . . . Memorie  della  R.  Accademia  delle  Scienze  di  Berlino 
del  1868. 

Entwickelung  . . . Esposizione  di  un  nuovo  metodo  per  la  correzione  di  una 
rete  di  triangoli  di  Hansen  — Lipsia,  1869  ; un  fase,  in  8.° 

Supplement  . . . Supplemento  alle  ricerche  geodetiche  sulla  deduzione  degli 
angoli  di  un  triangolo  sferoidico , del  suddetto.  — Un  fase,  in  8.° 

Observations  . . . Osservazioni  di  Poulkova , pubblicale  da  Otto  Struve  di- 
rettore dell'Osservatorio  — Voi.  I.  e lì.  S.  Pietroburgo,  1869. 

Jahresbericht.  . . . Rapporto  annuale  dell'  Osservatorio  suddetto  pel  1869. 

Beobachtungen  . . . Osservazioni  della  gran  Cometa  del  1861  del  medesimo  — 
S.  Pietroburgo,  1868  ; un  fase,  in  4.° 


— 159 


Bullettino  Meteorologico  dell ’ Osservatorio  di  Moncalieri.  — Settembre,  e Ot- 
tobre 1869. 

Bullettino  Meteorologico  dell ' Osservatorio  del  Collegio  Romano  — Dicem- 
bre 1869. 

Comptes  . . . Conti  resi  dell ' Accademia  delle  Scienze  dell'  Imperiale  Isti- 
tuto di  Francia  (in  corrente.) 

Tabulae  quantitatum  besselianarum  prò  annis  1740  ad  1850  computatae  — 
Edi  curavit  et  praefatus  est  Otto  Struve  speculae  Pulcovensis  director.  — - 
Petropoli,  1869. 

Les  jetées  ...  Le  ondate  del  Porto-Saido,  ed  il  loro  insabbiamento.  - Me- 
moria del  Comm.  Alessandro  Ci  aldi.  — Roma,  1869  ; un  fase,  in  8.° 


ATTI 

DELL’ACCADEMIA  PONTIFICIA 
DE’  NUOVI  LINCEI 


SESSIONE  IVa  DEL  6 INALZO  1870 

PRESIDENZA  DEL  SIG.  CAV.  BENEDE  TTO  VIALE  PRELA' 

MEMORIE  E COMUNICAZIONI 

DEI  SOCI  OEDINABI  E SEI  C O R B I S P O N D E N T I 

Nota  del  cav.  Prof.  V.  Dio  rio  in  risposta  ad  una  interpellanza  direttagli  dal 
chiarissimo  sig.  Prof.  Socrate  Cadet , relativa  alla  teorica  di  una  nuova 
funzione  della  milza. 

Ho  1’  onore  di  richiamare  l’attenzione  della  Accademia  sù  di  una  interessan- 
tissima interpellanza  fattami  taluni  giorni  or  sono  dal  chiarissimo  nostro  col- 
lega accademico  ed  amico  prof.  Socrate  Cadet,  il  quale  per  soddisfare  al  de- 
siderio di  un  distinto  suo  scolaro  (1)  mi  voleva  interrogato  intorno  ai  fatti  di 
Anatomia  comparativa  i quali  potessero  prestare  appoggio  alla  teoria  della 
nuova  funzione  della  Milza,  communicata  per  lettera  dal  Chiarissimo  nostro 
Professore  di  Clinica  Cav.  Guido  Baccelli  a quel  di  Siena  il  Chiarissimo  Prof. 
Cav.  Pietro  Burresi  il  30  Maggio  dell’anno  p.  p.  e nel  Giugno  dell’anno  stesso 
fatta  poi  di  publico  dritto  nel  giornale  lo  Sperimentale  pubblicato  in  Firenze 
( Anno  XXI.  - Tomo  XXIII  - Fase.  6.  pag.  513  ). 

Rivelava  in  quella  lettera  al  Burresi  il  clinico  di  Roma  d’avere  scoperto 
dopo  attenti  e svariatissimi  studj  come  « la  milza  co ’ suoi  vasi  brevi  venosi 
fosse  alle  cellule  delle  ghiandole  pepsiniche  quello  che  la  vena  delle  porte  è 
alle  cellule  cologeniche  della  ghiandola  epatica  » ed  a tale  conchiusione  ve- 
niva condotto  sperimentalmente  pure  dalle  fine  injezioni  per  le  quali  era  fatto 
manifesto  il  transito  « dai  capillari  splenici  alia  vena  breve  ai  capillari  dello 
stomaco  nel  distretto  delle  ghiandole  pepsiniche  e da  questi  capillari  nuovamente 
nel  tronco  susseguente  della  vena  breve  (Lo  sperimentale  pag.  516.  voi.  cit. )-. 


(1)  Dell’ Eccellentissimo  sig.  Dottore  Giuseppe  Caroselli. 


Ora  la  domanda  a me  rimessa  dal  Chiarissimo  sig.  Prof.  Cadet,  era  espressa 
così  « . . . rrì  occorre  sapere  se  l'anatomia  comparativa  presti  o no  appog- 
gio a quella  teoria  (una  nuova  funzione  della  Milza).  Vorrei  dunque  cono- 
scere se  nello  stomaco  succenturiato  o ghiandolare  degli  uccelli  granivori  e nel 
quaglio  dei  ruminanti  affluiscano  dcdla  milza  vene  a preferenza  degli  altri 
stomachi  appartenenti  a quelle  due  specie  di  vertebrati  ». 

Messo  nella  necessità  di  rispondere,  stimando  che  la  soluzione  scientifica 
delle  avanzate  questioni,  costituirebbe  un  soggetto  meritevole  della  attenzione 
vostra;  ne  volli  prima  d’  ogn’  altri  informata  l’Accademia  alla  quale  mi  vanto 
d’  appartenere. 

Rileggendo  i quesiti  proposti,  nettamente  apparisce  che  i medesimi  pos- 
sono scandirsi  in  due  tesi  distinte.  La  prima  è generale  e ricerca  se  l’Ana- 
tomia comparata  presti  o no  appoggio  alla  teoria  novella.  La  seconda  è spe- 
ciale, e vuole  disaminate  le  singolari  strutture  ed  i rapporti  vascolari  del  bulbo 
degli  uccelli  granivori  e del  quaglio  dei  mammiferi  ruminanti.  Entrambe  però 
queste  tesi  ne  suppongono  già  risolute  talune  altre,  le  quali  credo  io  sia  in- 
dispensabile di  sfiorar  lievemente,  se  si  vuole  pervenire  ad  una  adeguata  con- 
clusione. 

Le  questioni  che  vogliono  essere  almeno  toccate,  sembrami  sieno  le  se- 
guenti. 

1. °  Tutti  gli  animali  i quali  possiedono  stomaco  o stomachi  per  digerire, 
hanno  tutti,  hanno  sempre  una  Milza  ? 

2. °  La  milza  negli  animali  nei  quali  si  ritrova,  è costantemente  in  rap- 
porto con  il  distretto  stomacale  in  che  le  ghiandole  pepsiniche  sono  allogate? 

3°.  La  vena  breve  non  ha  negli  animali  arteriuzze  satelliti  con  le  quali  sia 
in  rapporto,  e che  si  diportino  com’essa,  raggiugnendo  un  limite  commune  ? 

4. °  E il  sangue  splenico  venoso  che  dà  il  materiale  alla  secrezione  pe~ 
psinica  : o sono  le  cellule  pepsiniche  che  traggono  il  materiale  da  quello  o da 
altro  sangue  ; essendo  esse  finalmente  le  produttrici  vere  del  nominato  agente 
digestivo  ? 

5. °  Dove  incominciano  le  vene  nella  muccosa  gastrica,  e le  omonime  ar- 
teriuzze ? Frà  le  une  e le  altre,  quali  vi  hanno  vascllini  comunicanti  ? 

Ciascheduno  di  questi  punti,  potrebbe  occupare  per  assai  più  di  una  or- 
dinaria seduta  accademica.  Ma  poiché  non  ho  altro  scopo  che  quello  di  sde- 
bitarmi dando  un’  abbozzo  di  risposta  a chi  la  richiese;  non  farò  che  scorrerle 
tutte  rapidamente. 


i 62  — 


E per  incominciare  dalla  prima,  ricorderò  che  tutti  gli  animali  senza  ver- 
tebre, cioè  a dire  meglio  che  i tre  quinti  fra  gli  esseri  i quali  mangiano  e 
digeriscono  in  una  apposita  cavità  viscerale  il  tranguggiato  nutrimento,  man- 
cano tutti  della  milza.  Quindi  è che  i Molluschi,  gli  Articolati  ed  i Raggiati 
forniti  di  stomaco,  fanno  tutti  sughi  per  digerire  senza  il  concorso  di  quel- 
l’organo; abbenchè  fra  di  loro  ve  ne  sieno  dei  sommamente  carnivori  e dei 
voracissimi.  Forse  non  è superfluo  lo  accennare  che  questi  animali  stessi  non 
mancano  intanto  nè  del  fegato  nè  del  pancreas  satelliti  necessarii,  a quanto 
sembra,  del  digestivo  apparecchio.  Ed  infatti  quando  pure  la  ghiandola  epa- 
tica o l’altra  del  pancreate  non  si  rappresentino  con  le  usate  strutture  ; pur 
non  ostante  rinvengonsi  sempre  negli  animali,  o sotto  forma  di  minutissimi 
tubetti  ciechi  attorno  del  ventricolo  chilifico,  gli  organi  cologenici  ; o sotto 
quella  di  cellule  fasciatiti  la  prima  porzione  dello  intestino , gli  organi  pro- 
duttori della  panereatina:  siccome  quel  sommo  di  Claudio  Bernard  dalle  chi- 
miche reazioni  speciali  che  la  rivelano  , ebbe  solennemente  dimostrato  nelle 
sue  lezioni  di  Fisiologia  sperimentale.  (Le$ons  de  Physiolog.  Exper.  Tome  I.er) 

Fra  gli  animali  vertebrati  poi  si  rendono  notevoli  per  il  naturale  difetto 
della  milza  tanto  il  Branchiostoma  ( Branchiosloma  lubricum  o lanceolcUum  dei 
naturalisti)  e le  Mixine  (La  Mixine  Glutinosa  il  Gastrobranchus  dombeij)  (V. 
Leydig.  Histologie  Paris  1866.  pag.  480) , quanto  gli  Ammoceti  (Ammocoetes 
branchialis  ) e le  Lamprede  ( Petromyzon  marinus  — P.  Fluviatilis  — P. 
pianeri  Costa),  non  avendo  potuto  il  Delle  Chiaje  confirmarvi  l'asserzione  con- 
traria di  Mayer  (Istituzioni  di  Anatomia  comparata  2.“  ed.  Napoli  1856.  To- 
mo 2.  pag.  139).  Sanno  oggi  i naturalisti  che  V Ammocoetes  branchialis  si 
metamorfizza  nel  Petromyzon  marinum  ; e ciò  siggilla  quanto  1’  Anatomico 
italiano  sostenne  nei  suoi  scritti. 

Arroge  al  fin  qui  detto  che  la  Milza  si  è rinvenuta  mancante  in  alcuni 
individui  umani  ben  conformati  (Geoffroy  St.  Hilaire  - Histoire  des  Anoma- 
lìes  de  P Organisation.  Paris  1832.  Tom.  prem.  pag.  730).  È stato  lo  stesso 
viscere  asportato  più  volte  all’  uomo  senza  notevole  discapito  delle  funzioni 
digestive.  Riporta  il  Fioraventi  ( Del  Tesoro  della  vita  umana  libro  II.  cap. 
Vili)  la  cura  coronata  di  felicissimo  risultato  di  una  donna  a cui  cavò  la  milza, 
e guarì  in  24  giorni. 

Schulz  nel  1855  operò  a Radom  una  giovane  di  22  anni  asportandole 
la  milza  che  faceva  ernia  a traverso  di  una  ferita,  e dopo  30  giorni  soltanto 


— 163  — 


la  maiala  uscì  dal  publico  spedale  florissanle  de  sauté  (Beclard-Physiologie 
humaine  cinq.  edit.  Paris  1866.  pag.  567.) 

Il  bravo  Dottor  Pean  il  19  Novembre  deiranno  1867  presentò  all’accade- 
mia  di  Medicina  di  Parigi  la  giovane  Adele  Cercily  di  20  anni,  alla  quale  egli 
avea  asportato  tutt’  intiera  la  milza  il  giorno  6 Settembre  dell’  anno  stesso 
(Splénotomie  - Observation  d’  Ablation  complète  de  la  Rate  pratiquée  avec 
succes.  Paris.  Germer  Bailliére  1868).  Adele  Cercily  vive  ancora. 

Vennero  in  questa  occasione  raccolti  dal  Dottor  Magdelain  altri  nove  casi 
di  asportazione  completa  od  incompleta  dell’  organo  stesso  nella  umana  specie, 
seguili  lutti  da  guarigione  ! . . (Splenotomie  Op.  cit.)  Qual  meraviglia  se  altri 
operando  grugli  animali  abbiano  ottenuto  analoghe  risultanze  ? 

Vi  sono  adunque  moltissimi  animali  che  senza  la  milza  e perciò  senza 
rapporti  vascolari  con  la  medesima,  fanno  sughi  per  digerire.  Ve  ne  sono  al- 
tri i quali  continuano  a farne,  dopo  di  aver  perduto  l’organo  splenico.  Dun- 
que per  l’anatomia  e per  la  fisiologia  comparata,  pare  che  la  milza  ed  i suoi 
vasi  sanguigni  non  siano  indispensabili  alla  secrezione  dei  succhi  digerenti. 

Viene  ciò  confermato  dalia  risoluzione  del  secondo  quesito.  Infatti  Io  Splene 
negli  animali  che  lo  posseggono,  non  è sempre  in  rapporto  vascolare  diretto 
con  quello  stomaco  , o con  quella  regione  stomacale  dove  le  ghiandole  pe- 
psiniche  si  trovano  esclusivamente  allogate. 

Così  accade  p.  e.  fra  i mammiferi  monogastrici  nel  Cavallo  in  cui  rinve- 
nendosi la  milza  nella  regione  infra-diaframmatica  nell’  ipocondrio  sinistro  e 
come  sospesa  alla  sotto-lombare  , e corrispondente  al  gran  cui  di  sacco 
dello  stomaco  mediante  i vasi  spleno-gastrici:  e la  borsa  gastrica  presentando 
in  questi  animali  due  distinte  regioni  tracciate  nettamente  nella  muccosa  interna; 
delle  quali  la  destra  percorsa  dalle  diramazioni  della  arteria  e vena  gastrica 
propriamente  detta,  è quella  in  che  esistono  esclusivamente  le  ghiandole  pepsini- 
che:  chiaro  apparisce,  che  non  può  ritenersi  pei  solipedi  la  vena  breve  fornitrice 
del  sangue  alla  secrezione  di  quelle,  se  la  medesima  vena  si  sparge  e s’ immette 
con  le  ultime  sue  diramazioni  solamente  nella  regione  gastrica  sinistra,  dove 
esse  fanno  difetto.  Questa  specialità  di  struttura  e la  corrispondente  singo- 
larità di  funzione  comproveremo  con  le  parole  dei  professori  Chauveau  e G. 
Colin.  Lo  Chauveau  infatti  così  scrive  « Le  sac  droit  constitue  le  véritable 
estomac  des  solipédes  ; c’  est  a lui  seul  qu’  est  dévolue  la  fonction  secretaire 
qui  élabore  le  sue  gastrique  ».  (Anatomie  comparée  des  Animaux  domesti- 


164 


ques  Paris  1857  pag.  358).  Ed  il  Colin  conferma  ciò  stesso  dettando  « L’ex- 
halation  du  sue  dissolvant  s’  effectue  exclusivement  dans  la  partie  droite  de 
l’estomac  » (Traìtè  de  Physiologie  comparée  des  anim.  dom.  Paris  1854.  Tom. 
prem.  pag.  589). 

Passando  ai  mammiferi  tetragastrici  ossia  ai  Ruminanti,  rammenteremo 
che  in  questi  è la  sommità  sinistra  del  primo  stomaco  ossia  quella  del  ru- 
mine che  trovasi  in  rapporto  con  la  milza  , mentre  il  quaglio  o quarto  sto- 
maco, che  occupa  la  regione  addominale  destra  e che  solo  possiede  le  ghian- 
dole pepsiniche  (Leydig.  Histologie.  Paris  1866  pag.  359)  non  è in  rapporto 
alcuno  vascolare  con  l’organo  splenico  anzidetto.  11  quaglio  è percorso  da  una 
arteria  e da  una  vena  propria  mentre  le  diramazioni  dei  vasi  splenici  non 
investono  che  gli  altri  stomachi , privi  di  ghiandole  pepsiniche.  Le  Roy  ra- 
giona così  dei  rapporti  vascolari  anzidetti.  « Un  tronco  solo  voluminoso  si  di- 
parte nei  ruminanti  tetragastrici  dall’Aorta  posteriore,  e corrisponde  al  tronco 
celiaco  dei  monogastrici.  Da  questo  tronco  il  quale  ne’  difalangi  maggiori  può 
avere  oltre  un  decimetro  di  lunghezza,  se  ne  distacca  immediatamente  un  al- 
tro. Questo  suddividendosi  in  due  rami,  il  più  considerabile  diretto  alla  de- 
stra si  reca  al  fegato  e costituisce  1’  arteria  epatica  : 1’  altro  dirigendosi  po- 
steriormente va  a ramificarsi  nella  sostanza  dell'estremità  posteriore  dell'abo- 
maso ( quaglio ) e nel  principio  del  tubo  intestinale. 

Alla  distanza  di  circa  tré  centimetri  da  questi  prima  divisione,,  il  tronco, 
celiaco  si  divide  e forma  tre  altri  tronchi. 

Il  primo  ed  il  più  considerabile  di  questi  dirigendosi  alla  sinistra  si  reca 
nella  milza,  e costituisce  il  tronco  splenico,  ma  prima  questo  medesimo  tronco 
splenico  si  suddivide  in  diversi  rami,  i quali  penetrano  in  varie  situazioui  della 
sostanza  del  rumine  ed  in  quella  dell'epiploon.  . . . 

I tronchi  venosi  vengono  formati  dalle  ramificazioni  che  accompagnano 
le  arterie  ; sono  proveduti  di  valvole  semplici  ed  anche  doppie  ; si  mostrano 
comparativamente  ed  in  genere  meno  voluminosi  che  nei  monofalangi,  e vanno 
a metter  capo,  alcuni  pochi  nella  vena  cava  posteriore , ed  il  maggior  numero 
nella  vena  porta  » - (Leroy  - Istituzioni  di  Anatomia  Comparativa  Milano  1810. 
Voi.  3.  pag.  438). 

Si  deduce  pertanto  dal  fin  qui  esposto  che  Tanatomia  comparala  non  pre- 
sta sufficiente  appoggio  alla  novella  teoria. 

Negli  uccelli  scorgiamo  è vero  che  il  ventricolo  succenturiato  si  trova  co- 


165 


illunemente  in  rapporto  vascolare  con  lo  splene,  ma  non  egli  solo  ; mentre 
il  grascile  ossia  il  terzo  stomaco  partecipa  pure  dello  stesso  benefizio. 

Non  mancano  intanto  delle  eccezioni  , essendoché  già  il  Biasio  nella  sua 
Anatomia  degli  Animali  disegnò  l’apparecchio  digestivo  deU’Arcfea,  ed  indicò  il 
posto  della  milza  in  quell’  uccello  vicina  afa  arteria  mesenterica  superiore  , 
e senza  rapporto  alcuno  con  le  cavità  gastriche  (Gerardi  Blasii  - Anatome 
Animalium.  Amsteledami  1681.  Tab.  XL.  Fig.  1.  pag.  442). 

Fra  Batrachi  le  rane  ed  i rospi  possiedono  più  milze,  e queste  sono  in 
rapporto  con  f organo  pancreatico. 

Nei  Rettili  i serpenti  mostrano  un’analoga  struttura  e disposizione,  per 
gli  organi  splenici  moltiplicati  ed  aggruppati  attorno  al  pancreas.  Nell’ Ofisauro 
ventrale  lo  Splene  è fissato  al  principio  del  tubo  enterico  : neila  Lacerla  agi- 
le si  rinviene  sul  mesenterio  ec. 

Nei  pesci  la  milza  è in  rapporto  in  taluni  con  lo  stomaco  , in  altri  con 
gl’  intestini,  con  la  cisti-fellea  in  molti,  con  la  vescica  natatoria  in  tanti  al- 
tri. G.  Cuvier  ed  il  nostro  Delle  Chiaje  hanno  dato  per  molti  pesci  la  storia 
dei  bizzarri  rapporti  che  legano  la  milza  con  gli  altri  visceri  situati  dentro  la 
cavità  del  ventre.  ( Vedi  pure  Bernard  , Physiologie  experim.  Tom.  2.  pag. 
486.  fig.  78.  R.). 

Ci  proponemmo  in  terzo  luogo  di  ricercare,  se  vi  sieno  o nò  arterie  brevi 
siccome  sonovi  vene  brevi  negli  animali.  Troviam  però  che  a tale  domanda 
ebbe  già  risposto  il  Baron  Cuvier  dettando  nelle  sue  lezioni  di  Anatomia  com- 
parativa che  « les  arteres  qui  se  detachent  des  branches  de  la  splènique,  et 
vont  au  grand  cul-de-sac  sous  le  nom  de  vaisseaux  courts  » (Lecons  d’  Anat. 
comp.  Tome  IV.  Lee.  XXII.  pag.  62  in  fine,  dell’ Ediz.  Parig.  del  1805  ) 
sono  precisamente  quelle  che  ricerchiamo.  Stimerei  quindi  che  non  dovendosi 
le  vene  brevi  ritenere  esonerate  dal  compito  di  ricondurre  il  sangue  che  ebbe 
percorso  le  arteriuzze  omonime  ; potrebbe  forse  riuscir  paradosso  il  com- 
prendere t come  esse  simultaneamente  funzionassero  da  efferenti  per  le  ar- 
terie, e da  afferenti  per  le  ghiandole  pepsiniche.  Per  cui  omettendo  superflue 
parole  intorno  a tale  argomento  , passeremo  al  quarto  dei  quesiti  proposti 
discorrendo  se  il  sangue  della  vena  splenica  sia  quello  che  dà  la  pepsina;  o 
se  sono  le  cellule  pepsiniche  che  direttamente  la  elaborino,  traendone  d’  al- 
tronde il  materiale  formativo. 


22 


Stimo  superfluo  il  qui  ricordare  che  frà  le  secrezioni  e le  escrezioni  vi  è 
sostanziai  differenza:  giacché  è noto  ad  ognuno  che  quest'ultime  non  esprimono 
che  fatti  speciali  di  endo-exosmosi  vitale,  mentre  nelle  prime  entrano  le  ope- 
razioni formative  della  vita;  sicché  le  une  e non  le  altre  rinvengono  organi 
vicarii  che  valgano  a supplirle,  ove  la  conservazione  individuale  lo  esigga.  Ogni 
esercente  l’arte  salutare  ha  veduto  talora  i prodotti  urici  prendere  uscita  con  le 
lagrime,  con  la  saliva,  con  i vomiti,  con  il  sudore  nei  casi  di  ostinata  ed  invin- 
cibile iscuria  dei  reni:  laddove  asportate  le  ghiandole  spermatiche  ad  un  mam- 
mifero vivente,  spariscono  per  sempre  i zoospermi  dal  dì  lui  organismo.  Ora 
se  mancando  la  milza  la  secrezione  pepsinica  si  mantiene  ; è gioco-forza  con- 
chiuderne eh’  essa  dal  sangue  splenico  non  tragga  la  sua  origine,  siccome  a 
sostegno  della  teoria  anzidetta  converrebbe  provare  che  avvenisse.  Sarebbe 
poi  un  far  retrocedere  di  troppi  anni  la  scienza  il  voler  negare  alle  cellole 
pepsiniche  virtù  propria  di  secrezione,  per  derivare  l’attività  loro  dal  san- 
gue di  un  viscere  discosto  che  la  fornisse  ed  il  quale  , siccome  abbiamo 
veduto,  manca  o può  mancare  senza  discapito  della  funzione  secretiva  gastrica. 
Il  sangue  infatti  può  dirsi  che  faccia  per  gli  organi  secernenti , quello  che 
fanno  gli  umori  della  terra  per  le  piante  che  nel  seno  suo  prendono  sviluppo. 
L’agricoltore  innesta  sullo  spino  un  ramicello  di  Pero,  e quello  sterile  fusto 
si  riveste  di  dolcissime  frutta.  Innestano  i naturalisti  i Polipi  gli  uni  sugli 
altri,  e sieguono  essi  vivendo  ciascheduno  della  propria  vita  sul  tronco  com- 
tnune.  Trasponi  con  la  immaginazione  gli  organi  secernenti  del  corpo  degli 
animali  : e se  l’ irrigazione  sanguigna  o la  corrente  nervosa  non  farà  difetto, 
ritieni  pure  che  continuerebbero  i medesimi  a funzionare.  Dettò  recentemente 
il  Leydig  che  « les  laboratoires  du  produit  sécrètè  sont  les  cellules  qui  revé- 
tent  la  cavite  glandulaire  » (Op.  cit.  L.  260.  pag.  359). 

Passando  quindi  all’  ultimo  dei  quesiti  proposti , ossia  a ricercare  dove 
comincino  le  vene  e dove  finiscano  le  arterie  nella  interna  cavità  dello  sto- 
maco, esporrò  l’ insegnamenti  del  Leydig  istesso.  Il  dotto  professor  di  Tubinga 
scrive  così  (§.  231  e 232.  pag.  332.  Op.  cit.)  « Dans  la  substance  conjon- 
ctive  de  la  muqueuse  et  autour  des  culs-de-sacs  glandulaires,  entre  les  glandes 
mème,  on  rencontre  des  muscìes  lisses,  et  des  vaisseaux  sanguins.  De  fines 
artères  montent  en  s’ insinuant  entre  les  glandes  dont  les  parois  sont  ta- 
pissées  par  les  résseaux  capillaires.  An  coté  interne  de  la  muqueuse  elles  se 
réunissent  en  formant  de  grosses  mailles  qui  circoscrivent  les  orifìces  glandu- 


167 


laires.  Ce  ri  est  que  dans  ces  mailles  que  les  troncs  veineux  prennent  nais- 
sance  ». 

Ora  se  i vasi  venosi  non  incominciano  altro  che  attorno  ai  sbocchi  delle 
ghiandole  gastriche  ; egli  è evidente  debba  conchiudersene  , non  essere  el- 
leno quelle  che  forniscono  il  sangue  per  la  secrezione  degli  organi,  dei  quali 
non  fanno  che  circondare  l’apertura.  Per  mezzo  delle  fine  injezioni  può  giun- 
gersi ai  capillari  tanto  per  la  via  delle  vene  che  per  quella  delle  arterie.  Con- 
chiudere però  da  questo  fatto  , che  il  sangue  venoso  e non  1’  arterioso  con- 
corra all’opera  secretiva,  forse  non  è sicuro. 

Questo  è quanto  dalla  anatomia  e fisiologia  comparativa  può  desumersi 
intorno  alla  teoria  novella.  Rispondo  così  per  i dettati  della  Scienza  alla  gen- 
tilezza l’amico  che  mi  volle  interpellato. 


Il  Cuvier  inclinò  a credere  che  il  viscere  splenico  per  i rapporti  vascolari  arteriosi 
che  avea  con  lo  stomaco  , potesse  in  qualche  modo  concorrere  alla  secrezione  del  sugho 
gastrico.  Sono  queste  le  sue  parole  « du  moins  est-il  vrai  de  dire  que  plus  1’  accès  da 
sang  sera  facile  dans  la  rate  et  en  mème  temps  difficile  dans  les  artères  qui  sont  en  com- 
munication  immédiate  avec  les  siennes,  doni  le  sang  fournit  le  sucs  digestifs  de  l’estomac 
ou  du  commencement  de  1’  intestine,  plus  la  rate  détournera  de  ce  sang  à son  profit , et 
moins  ces  derniers  sucs  seront  abondaus  ; et  réciproquement,  moins  il  arriverà  de  sang  dans 
la  rate,  et  plus  l’abord  de  ce  liquide  sera  facile  dans  les  arteres  collaterales,  plus  la  quan- 
tité  de  ce  sucs  augmentara  « dans  les  arteres  collaterales , » (Lecons  d’Anat.  Comp.  Tome 
IV-  Lee.  XXII,  Ed.  cit . pag.  60).  Conseguirebbe  però  da  ciò  nettamente  che  legati  i vasi 
brevi  ed  asportata  o deficiente  la  milza,  dovrebbe  accrescersi  per  il  flusso  delle  arterie  col- 
laterali, il  prodotto  delle  ghiandole  del  sugo  gastrico,  e quindi  aumentarsi  l’attività  digerente 
negli  aspleni;  ciò  che  parecchi  autori  vanno  assicurando  che  succeda:  lo  che  sarebbe  nulla- 
mente  favorevole  alla  proposta  novella  teorìa.  Conviene  però  confessare  che  la  medesima  in 
astratto  soddisferebbe  alle  esigenze  scientifiche  forse  meglio  di  parecchie  altre,  che  corsero 
già  il  loro  tempo.  Ma  se  nel  fatto,  il  confronto  delle  strutture  animali  non  conferma  la  teoria 
proposta  dal  Prof.  Baccelli  ; ciò  non  toglie  merito  agli  elaborati  suoi  studi  ed  alle  ispi- 
razioni del  suo  talento.  Troppe  altre  teorie  ebbero  la  sorte  stessa  ! 

Conchiudeva  il  Cuvier,  il  paragrafo  suaccennato  scrivendo  « C’est  dans  la  maniere 
d’  ètre  de  ces  vaisseaux  dans  la  rate,  et  dans  leurs  relations  hors  de  ce  viscere,  qu  il  faut 
chercher  la  partie  essentielle  de  ces  fonctions  » (G.  Cuvier.  Op.  et  loc.  cit.)  Non  deve  dun- 
que ascriversi  a colpa  del  bravo  nostro  comprofessore  lo  aver  tentato  su  quelle  traccie 
un’  altra  via. 


•ics  — 


Condizioni  algebriche  a fine  di  ottenere  la  compensazione  termometrica  nei 
barometri  per  qualunque  dei  sistemi  atti  a produrla.  Memoria  del 
prof.  P.  Volpicelli. 

§■  «. 

ÌOopo  che  Graham  ed  Harrison  , ebbero  immaginata  ed  eseguita  la  com- 
pensazione' dei  pendoli,  era  facile  introdurre  una  compensazione  simile  nei  ba- 
rometri, a fine  di  correggere  automaticamente  nell’altezza  della  colonna  di 
mercurio,  gli  effetti  delle  variazioni  di  temperatura.  Tuttavia  ciò  non  venne  così 
presto  eseguito  , la  indicata  compensazione  soltanto  allora  fu  introdotta  nei 
barometri,  quando  sì  fatti  strumenti  divennero  meccanicamente  grafici,  o fo- 
tografici. 

È utile  assai,  per  la  esattezza  delle  indicazioni  di  tutti  gii  stronfienti  re- 
gistratori , che  le  indicazioni  loro  , non  abbiano  bisogno  di  veruna  corre- 
zione, relativamente  agli  effetti  della  temperatura:  cioè  che  queste  correzioni 
o compensazioni,  sieno  eseguite  automaticamente  dallo  strumento  stesso. 

L’idea  della  compensione  termometrica  pel  barometro,  vale  a dire  l’idea 
di  un  meccanismo,  il  quale  automaticamente  agisca  in  guisa,  da  rendere  zero 
la  correzione  per  la  temperatura,  non  è nuova.  Infatti  Muller  (1),  parlando 
della  correzione  in  proposito,  si  esprime  nel  seguente  modo  « Applicando  al 
» barometro  verticalmente  due  verghe  metalliche,  aventi  diversi  coefficienti 
» di  dilatazione,  le  quali  sieno  congiunte  colla  scala  mobile  , mediante  due 
» leve,  nel  rapporto  dei  coefficienti  stessi,  e di  quelle  del  mercurio,  dovrebbe 
» la  influenza  della  temperatura  di  per  se  compensarsi  ». 

Per  tanto  ci  proponiamo  dare  in  questa  memoria,  le  condizioni  algebri- 
che, dalle  quali  viene  assicurata  nei  barometri  la  compensazione  termome- 
trica della  colonna  di  mercurio,  per  ognuno  dei  sistemi  diversi,  coi  quali  si 
può  raggiungere  la  compensazione  stessa. 

Negli  Annali  dell’  osservatorio  dell’  Infante  D.  Luigi  in  Lisbona  (2) , si 
trova  il  disegno  e la  descrizione  del  barometro  fotografico,  eseguito  dal  sig. 
Saìleron,  per  l’osservatorio  stesso.  Questo  barometro  fotografico  viene  fornito 


(1)  Gilbert  Annalen,  voi.  o,  an.  1800,  n.  29. 

(2)  Voi.  2,  fascicolo  del  dicembre  1868. 


di  una  compensazione  termometrica,  la  quale  in  sostanza  è basata  sulle  indica- 
zioni di  Muller,  qui  ricordate.  Mancando  nella  descrizione  dei  citati  annali  , 
l’analisi  che  conduce  alla  formula  della  compensazione  termometrica,  crediamo 
utile  qui  esporla,  perchè  questo  è il  solo  mezzo  atto  ad  assegnare,  senza  lun- 
ghi e dispendiosi  tentativi,  le  dimensioni  che  debbono  avere  le  singole  parti 
della  compensazione.  Abbiamo  per  tanto  disegnata  la  (fig.  1),  in  cui  gli  or- 
gani essenziali  per  1’  indicato  effetto,  sono  geometricamente  rappresentati  , 
senz’altro,  con  semplici  rette,  per  la  più  facile  applicazione  dell’analisi;  e ri- 
mandiamo alla  figura  dei  citati  annali,  per  la  costruzione  deU’istromento.  Pre- 
messo ciò,  sieno  : gh'.  e pf"  due  verghe  di  zinco;  fx  una  verga  di  altro 
conveniente  metallo,  che  porta  il  barometro  du.  Inoltre  sieno  h'p,  ed  ff"  due 
leve,  coi  rispettivi  fulcri  b'  , </';  essendo  c il  punto,  nel  quale  il  montante 
dell’istromento  è fissato  al  muro,  mentre  i nominati  fulcri,  e f estremo  g 
sono  fissati  al  montante  stesso. 

Le  lunghezze  fino  ad  ora  denominate,  si  riferiscono  tutte  ad  una  mede- 
sima temperatura  t,  normale  ed  arbitraria.  Se  la  temperatura  per  ognuna  delle 
indicate  lunghezze  cresca  divenendo  r',  cosicché  abbiasi  t'  — . r —9;  sarà  la 
nuova  temperatura  cresciuta  di  0 gradi,  su  quella  normale.  Perciò  la  prima 
verga  di  zinco  gh’  diverrà  ik , mentre  la  seconda  verga  f p diverrà  n q ; 
quindi  le  due  leve  si  sposteranno,  prendendo  le  direzioni  rispettive  k n , ed 
s q;  laonde  il  fondo  del  pozzuolo  passerà  da  x y in  x'  y' . 

Dicasi  l la  lunghezza  gh',  comune  alle  due  sbarre  di  zinco,  per  la  tempera- 
tura normale  t,  ed  u\\  coefficiente  di  dilatazione  di  questo  metallo.  Rappresenti  V 
la  lunghezza  c z,  presa  sul  montante,  del  quale  il  coefficiente  della  dilatazione 
si  esprime  con  [3 . Pongasi  x f = l",  denotando  con  y il  suo  coefficiente  di 
dilatazione.  Da  ultimo  esprimiamo  con  a,  il  rapporto  del  braccio  maggiore  b'p 
della  leva  h'  p,  al  suo  minore  b'  li',  e con  b il  rapporto  simile  della  leva  ff", 
nella  quale  g'f  rappresenta  il  maggiore  suo  braccio,  mentre  g'f"  rappresenta 
il  minore;  avremo 


Dopo  queste  premesse,  le  formule  della  dilatazione  dei  solidi,  ci  forni- 
ranno le  seguenti  espressioni  : 


— 170  — 


a'b"  = ih  — rm  = l(  1 4-/3  0), 
a'c  — l'(\  4-  /3  0), 

af  = rf"  = a'c  — cz  = Z'(l  4-  j3  0)  — 1'  ==  Z'/ 3 

pm  = e&"  = dilatazione  di  ce,  ossia  di  l — Z'j  dunque  = (Z  • — Z')  /3  0, 

hi  = Z (14—  oc  0),  , 

hk  = ki  — ih  — l (Ì-+-  <x  9)  — ili  = Z (1-t-  a 0)—  a'Z>''  — 


= l (1 4-  a — l (1  4-  /3  0)  = Z (a  — (3)  0 


np  = mn  — pm  = a.Z  (a  — /3)  0 — (Z  - Z')  fi  0, 
nq  — ik  = l(\-+-  « 0), 

mq  = nq  4-  mn  = Z (1-4-  a 0)  4-  a.Z  (a  - /3)0, 

qr  = mq  — mr  = l (Ih-  a 0)  -4-  a.l  (oc  - /3)  0 — ih  — 


— Z (1 4-  a 0)  4-  a.Z  (0:  — /3)  0 Z (1  4—  ®), 


= Z (1-4-a)  (a  — /3)0, 
l'f 

qr  —b  qr=  b.  I ( 1 4-  a)  (a  — /3)k0, 
f's  — a"s  — a"f'  = òZ  (1 4-  a)  (a  — /3)  0 — af  — 


— bl  (l-t-  a)  (a  — /3)  0 — Z'/3  0, 
ccx'  = f's  4-  la  dilatazione  di  fx,  dunque  = 


= bl(l-t-a)(«—p)9  — l'p  0 4-  Z"y  0 . 


Stabilito,  mediante  quest’ultima  formula,  quanto  si  abbassa  il  fondo  xy  del 


*—  171 


pozzuolo  u y,  per  effetto  della  temperatura,  passiamo  a considerare  la  dilatazione 
del  mercurio  nella  canna  barometrica.  Immaginiamo  per  tal  fine  un  barome- 
tro, nel  quale  tanto  il  pozzuolo,  quanto  il  tubo,  viene  supposto  sensibilmente 
cilindrico  ; ed  ammettiamo  di  più,  che  1’  estremo  inferiore  della  sua  canna, 
giunga  sino  a toccare  il  fondo  del  pozzuolo  stesso:  ma  in  guisa  da  permet- 
tere l’ingresso,  e I’  escita  del  mercurio  per  l’ indicato  estremo.  Trascuriamo 
inoltre  le  dilatazioni  laterali,  tanto  della  canna  quanto  del  pozzuolo;  nè  ci  oc- 
cuperemo delle  dilatazioni  longitudinali  loro,  perchè  le  medesime  non  hanno 
veruna  influenza  nelle  variazioni  di  volume  del  mercurio,  contenuto  sia  nella 
canna,  sia  nel  pozzuolo. 

Dicasi  co  la  sezione  del  pozzuolo,  compresa  fra  la  interna  superfìcie  del 
medesimo,  e la  esterna  del  tubo,  e da  co'  sia  rappresentata  la  sezione  interna 
di  questo,  esclusane  la  ertezza.  Sieno  h ed  H le  altitudini  rispettive  del 
mercurio  nel  pozzuolo,  e nella  canna,  però  contando  nella  prima  dal  fondo, 
e nella  seconda  dal  livello  del  pozzuolo  stesso:  finalmente  dicasi  q il  volume 
totale  del  mercurio.  Le  indicate  quantità  sieno  tutte  riferite  alla  temperatura 
normale  t;  per  tanto  avremo  l’equazione 

( 1 ) co  h H-  co'  ( H -4-  li  ) — q . 

Aumentandosi  la  temperatura  t per  9 gradi,  dovranno  i livelli,  uno  del 
pozzuolo,  l’altro  della  canna,  rispettivamente  salire,  uno  per  z , l’altro  per  y ; 
inoltre  il  volume  totale  del  mercurio,  si  dovrà  esprimere  con 

q ( I -+-  d 9 ) , 

essendo  d il  coefficiente  della  dilatazione  cubica  del  mercurio.  Ciò  premesso 
è chiaro,  che  avremo  la  equazione  seguente 

(2)  co  (h-h-z)  — f—  co  [H  4—  h — y)  = q (1  -4-  5 S), 

e sottraendo  la  (1)  dalla  (2)  sarà 

co  z -4-  co'  y = q<$  9 ; 
quindi  per  la  stessa  (1)  avremo 

(B)  toz~+-co'yz=[coh-\-co'(H-+-h)]à9. 


— 172  — 


A trovare  un’  altra  equazione  fra  z ed  y,  riflettiamo  che  il  peso  della 
colonna  di  mercùrio  sovrastante  al  livello  del  pozzuolo,  deve  rimanere  inva- 
riabile; perchè  viene  supposto  che  la  pressione  atmosferica  non  cangi.  Laon- 
de sarà  chiaro,  che  la  lunghezza  della  colonna  barometrica,  per  l’ au- 
mento di  temperatura,  si  potrà  esprimere  con 

H ( 1 -+-  è 9 ) , ed  anche  con  H -+-  y — z ; 
ed  uguagliando  fra  loro  queste  due  quantità,  otterremo 

(4)  z — U — H d 9 . 

Introducendo  nella  (3)  questo  valore  di  z,  otterremo  la 

co  (y  — HdQ)  -t-n  y = [coh  & ( H h)~\  fi  $ 

donde 

quindi  avremo 

(5)  y — ( H -+•  li)  § 9 ; 
esponendo  nella  (4)  questo  valore,  si  otterrà 

(6)  z = h d 9 . 

Ma  poiché  il  secondo  membro  della  (5),  rappresenta  giustamente  la  dila- 
tazione, che  accade  in  una  colonna  di  mercurio  , la  quale  abbia  per  altezza 
H -+-  h-,  mentre  il  secondo  membro  della  (6),  consiste  appunto  nella  dilata- 
zione di  una  colonna  di  mercurio,  con  h per  altezza:  così  vediamo  che  le 
dilatazioni  di  questo  metallo  , tanto  nel  pozzuolo,  quanto  nel  tubo,  accadono 
indipendentemente  l’una  dall’altra,  cioè  come  accaderebbero,  se  fosse  il  mer- 
curio nel  pozzuolo,  disgiunto  da  quello  nel  tubo. 

Volendo  che  la  compensazione  si  compia  perfettamente,  fa  duopo  che  il 
trovato  innalzamento  y,  del  livello  superiore  del  mercurio  nel  tubo,  eguagli 
l’abbassamento  xx'  del  fondo  del  pozzuolo;  perciò  dobbiamo,  per  la  richiesta 
compensazione,  avere 

y = xx'  ; 


— 173  — 


cioè 


ovvero 

(7) 


(h-+-  H)  à 9 =--lb  (\  +a)(«  — /3)  0 — l'  9 l"  y 9 

(h-+~  H)  5 = l b (1  -+-  a)  (x  — fi)  — l' fi  -+■  y • 


Dalla  (7)  adunque  viene  stabilita  la  condizione  da  soddisfare,  perchè  1’  effetto 
delle  variazioni  di  temperatura  nell’altezza  barometrica,  sia  corretto  automa- 
ticamente  neH’indicato  sistema. 

§•  2. 

Per  vedere,  se  questa  specie  di  compensazione,  sia  praticamente  possibi- 
le; supponiamo  che  il  montante  g h' p f"  sia  di  ferro,  essendo  questo  un 
metallo  poco  dilatabile:  le  aste  verticali  g h' , p f ”,  sieno  di  zinco,  e quella 
f x , che  porta  il  pozzuolo,  sia  di  ottone.  Per  tanto  avremo  (*)  : 


Coeff.  della  dilatazione  lineare  per  Io  zinco 
Idem  pel  ferro 

Idem  per  l’ottone 

Idem  cubica  pel  mercurio 


a = 0,000029, 
/3  — 0,000012, 
y = 0,000019, 
5 = 0,000180. 


Poniamo  inoltre  che  il  punto  fìsso  c del  montante  indicato,  sia  posto  sulla 
g f'\  su  cui  trovasi  la  leva  superiore;  per  tanto  sarà  zc  = /'  = o.  Ammet- 
tiamo eziandio  che  abbiasi  h = 0W,  04,  ed  inoltre  che  nelle  due  leve,  il  rap- 
porto fra  le  braccia  sia  lo  stesso;  vale  a dire  che  abbiasi 


quindi  avremo 


h'jp 

b'  h'  ““ 


a = b = 2 : 


dopo  ciò  non  abbiamo  altre  quantità  da  fissare,  fuorché  le  l,  l ",  H.  Per  valore 
medio  possiamo  stabilire 


H — 0"',  76,  e sarà  li  +-  h = 0m,  80, 
e possiamo  porre  ancora  l = l". 

Proponiamoci  ora  la  determinazione  della  lunghezza  l,  unica  incognita  restata 


(*)  V.  Cours  de  phy.  par  M.  Jamin,  Paris  1859,  t.  2.  p.  13  et  p.  28. 

23 


— 174  — 


nella  (7)  onde  avere  la  perfetta  compensazione.  Per  tanto  la  medesima  (7)  si 
ridurrà  nella 

{li  -+-  li)  5 = l £ a ( 1 -+-  a)  (<x  — /3)  y ] , 

donde 

z (ff-+-/i)3 

Cl  ( 1 — t—  a)  (<Z  — (3)  -H  y 

Introducendo  in  questa  formula,  ì valori  numerici  precedentemente  stabiliti, 
sarà 

0,8  X 0,0001 80 = 0,0001 44  = ig  . 

6 X 0,000017  -+-  0,00019  0,000121  ’ ’ 

perciò  la  calcolata  compensazione,  può  bene  praticamente  aver  luogo.  , 

S-  3. 

Se  il  pozzuolo  non  fosse  a bastanza  grande,  per  potere  considerare  co- 
stante l’altezza  del  livello  di  mercurio,  nel  medesimo  contenuto;  allora  non 
volendo  adottare  la  scala  mobile,  ma  bensì  una  fissa,  e volendo  contare  battezza 
barometrica,  partendo  sempre  da  uno  stesso  livello,  cioè  da  quello  corri- 
spondente alla  coincidenza  dei  due  livelli,  e che  chiameremo  livello  unico , 
bisognerà  tracciare  le  divisioni  della  scala  nel  modo  che  andiamo  ad  esporre. 

Rappresenti  ab  (fig.  2)  il  livello  unico,  dal  quale  sempre  si  vuole  par- 
tire, per  esprimere  numericamente  l’altezza  barometrica,  comunque  variata. 
Supponiamo  che  per  una  pressione  p , il  livello  unico  ab  del  pozzuolo,  da  cui 
si  deve  sempe  partire,  siasi  abbassato  in  a'ó';  e che  il  livello  superiore  nel 
tubo,  sia  perciò  giunto  in  q.  Facciasi 

k q = x , e kh  — y ; 
è chiaro  che  dovremo  avere 

p = x -h-  y . 

E se  rappresentiamo  rispettivamente  con  co  ed  &>'  le  sezioni , una  del  tubo 
barometrico,  l’altra  del  pozzuolo,  avremo  eziandio 

co  x — dy  , 

co 

y 


donde 


— i 75  — 


Sostituendo  questo  valore  in  quello  precedente  di  p , avremo 


(8) 


X = 


co 

; V • 

CO— l—  Co 


Questa  formula  c’insegna,  come  dovrà  essere  tracciata  la  scala  fìssa  del  baro- 
metro,  acciocché  l’altezza  in  esso  del  mercurio,  si  possa  contare  sempre  a par- 
tire dal  livello  unico  a b.  Infatti  essendo  la  pressione  p data  in  millimetri , 
è chiaro  che  pel  fine  proposto,  cioè  per  avere,  colla  semplice  lettura,  delle 
divisioni,  l’altezza  p in  millimetri;  dovrà  ogni  divisione  della  scala,  essere  una 
frazione  di  millimetro,  espressa  da 

1 

G) 

W — t—  CO 


Così  per  es.  se  pongasi  « = 5 co  , ogni  divisione  della  scala  dovrà  essere  — 

di  millimetro,  e tante  saranno  queste  divisioni,  comprese  nell’altezza  baro- 
metrica, ed  altrettanti  saranno  i millimetri,  che  misurano  l’altezza  stessa  p. 

Questa  conseguenza  si  estende  anche  al  barometro  a sifone,  in  cui  se  la  se- 
zione di  ognuno  de’suoi  due  rami  sia  la  medesima,  sarà  « — to',  e dalla  (8) 
avremo 

(9)  x=~  P ■ 

Perciò  se  in  questo  caso,  ciascuna  delle  divisioni  della  scala  sia  di  mezzo 
millimetro;  si  potrà  contare  il  valore  dell’altezza  barometrica  sempre  dal  li- 
vello unico,  prendendo  ciascuna  divisione  per  un  millimetro. 

Dalla  (8)  abbiamo 

(10)  p = X->r^X', 

mediante  questa  formula  , potremo  avere  la  pressione  atmosferica  p , cioè 
l’altezza  della  colonna  barometrica,  che  le  corrisponde,  contando  ancora  dal 
livello  unico,  e tracciando  però  ciascuna  divisione  della  scala  eguale  ad  un 
millimetro;  bene  inteso  che  la  scala  medesima  abbia  lo  zero  suli’indicato  unico 
livello.  In  fatti  dopo  letto  sulla  scala  barometrica  il  valore  della  x in  milli- 
metri, dovremo  aggiungere  a questo  valore  quello,  che  si  ottiene  calcolando 


— 176  — 


il  termine  — , x,  e da  questa  somma  si  conoscerà  in  millimetri  la  pressione 
co' 

rappresentata  da  p.  Nel  caso  del  barometro  a sifone  in  cui  si  verifichi  « = 
sarà 

p = 2 x . 

Tutto  quanto  fu  ora  esposto,  riguardo  alla  riduzione  della  scala,  per  effetto 
del  pozzuolo  non  sufficientemente  grande,  si  deve  ugualmente  applicare  agli 
altri  barometri,  che  vengono  descritti  nel  seguito. 

S*  *• 

Per  una  seconda  compensazione  poniamo,  che  al  montante  orizzontale 
a b , il  quale  sostiene  il  pozzuolo  p q , sia  fissata  (fig.  3)  un’asta  m il  di  zinco, 
cioè  di  un  metallo  dilatabile  molto.  L’  asta  medesima  ne  abbia,  sull’estremo 
superiore,  un’altra  orizzontale  m d,  che  congiunta  con  una  terza  verticale  d f,  di 
un  metallo  poco  dilatabile,  questa  porti  nell’estremo  f inferiore,  un  cilindro  di 
vetro  c c',  che  più  o meno,  secondo  la  temperatura,  s'immergerà  nel  mercurio 
contenuto  nel  pozzuolo. 

Crescendo  la  temperatura,  cresce  l’altezza  del  mercurio,  tanto  nel  poz- 
zuolo, quanto  nel  tubo  barometrico  hh';  ma  nel  medesimo  tempo  il  cilindro  di 
vetro,  si  muoverà  di  poco  dal  basso  in  alto,  perchè  l’asta  di  zinco  m n,  si  dilata 
più  dell’altra  d f di  ferro.  L’ innalzamento  del  cilindro  c c',  produce  un  abbas- 
samento di  livello  nel  mercurio,  tanto  del  pozzuolo,  quanto  del  tubo  barome- 
trico. Perciò  la  compensazione  si  dovrà  fare  in  guisa,  che  l’ascensione  del  supe- 
riore livello  del  mercurio,  cagionata  dall’aumento  di  temperatura,  eguagli  esat- 
tamente la  discesa  dello  stesso  livello,  cagionata  dalla  emersione  del  cilindro 
di  vetro,  per  la  dilatazione  dell’asla  di  zinco. 

A fine  di  assegnare  chiaramente,  la  condizione  analitica  del  compenso 
indicato,  supponiamo  non  dilatabile  pel  calorico  il  pozzuolo,  che  perciò  sarà 
di  vetro;  suppongasi  altrettanto  pel  tubo  barometrico,  e pel  cilindro,  ambe- 
due pur  essi  di  vetro.  Supponiamo  inoltre  che  alla  temperatura  normale  di 
r gradi,  si  abbiano  le  quantità  seguenti: 

l , lunghezza  dell’asta  m n di  zinco, 

f,  lunghezza  dell’asta  d f di  ferro, 


— 177  — 


q,  il  volume  totale  del  mercurio, 

H,  l’altezza  barometrica,  che  fa  equilibrio  colla  pressione  dell’aria, 

X,  la  distanza  fra  l’estremo  k inferiore  di  questo  cilindro,  ed  il  fondo  a b 
del  pozzuolo, 

h , l’altezza  del  mercurio  contenuto  in  questo. 

Ed  inoltre  indichiamo  con 

u,,  la  sezione  interna  del  tubo  barometrico, 

co',  la  sezione  del  pozzuolo,  esclusa  la  esterna  del  tubo, 

co",  la  sezione  del  cilindro  f c'  ck, 

Se  la  temperatura,  in  ognuna  delle  indicate  quantità,  cresca  divenendo  t', 
cosicché  abbiasi  x — r = 9,  sarà  la  nuova  temperatura  cresciuta  di  6 gradi, 
rispetto  quella  normale  z;  quindi  è chiaro  che,  se  dicasi  q'  il  volume  del  mer- 
curio corrispondente  all’indicato  aumento  di  temperatura,  sarà 

(11)  «'=?( 

$ essendo,  come  nella  prima  compensazione  , il  coefficiente  della  dilatazione 
cubica  del  mercurio:  sarà  poi  chiaro  altresì,  che  dovrà  essere 

(12)  q — « H -+-  a'  h — co"  (h  — X)  . 

La  distanza  X , crescendo  la  temperatura,  dovrà  crescere  divenendo  X'  , 
ed  avremo 

(13)  X'  ==:  X -+■  l % 9 — V fi  9 = X -+~  (l  a.  — V fi)  9 f 

essendo  a il  coefficiente  della  dilatazione,  che  si  riferisce  all’asta  m n di  zinco, 
mentre  fi  esprime  quello  che  appartiene  all’asta  d f di  ferro,  come  nella  pri- 
ma compensazione. 

Chiamiamo  x l’altezza  del  mercurio  nel  pozzuolo,  ed  ij  quella  di  questo 
liquido  nel  tubo  , ambedue  variabili  colla  temperatura,  e misurate  dal  fondo 
del  pozzuolo  medesimo;  per  tanto  essendosi  accresciuta  di  9 gradi  la  tempe- 
ratura normale  z , sarà 

(M)  y — $ = H(l  -t-ae), 

donde 
(lo) 


X=zy  — H[\  -4-5  0)  . 


— 178  — 

Inoltre  per  questa  medesima  temperatura,  il  volume  totale  q'  del  mercurio, 
sarà  espresso  come  siegue: 

q'  = co'  # - 4»  (y  — x)  co  — (x  — X')  co",. 

e mediante  la  (11)  sarà  eziandio 

v'  x *+•  (y  — x)  « — (cc  — X')  co"  =■  q (1  -+-  o 0)\ 

ovvero 

(co'  — co")  a?  -4-(y  — a:)  « = q (1  -4-  5 9)  — X'  ca". 

Introducendo  in  questa  equazione  i valori  già  trovati,  mediante  le  (15),  (1 4), 
avremo 

(«'  — «")  [y  — tf(l  +53)]  + ff(l  5 0)  « ==  g (1  a 5)  — X'  co", 
e mediante  la  (13)  sarà 

(»'  — w")[y— H(1  -t-8  0)]-+-ff(l  -4-5  0)6,= 

= q (1  -4-  5 0)  — [ X.  (U  _ r 0)  $ ] 

Da  questa  equazione  si  ottiene 

[ q -4-  H (to'—  re)  ] (i-f-  5 0).  — [ X -4-  (Z  a — V /S)  ® ] s>" 

V = - in  > 

a co  — co 

ed  introducendo  per  y il  suo  valore  ottenuto  dalla  (12),  si  avrà 

[mH-4-co7i-co"(/ì-X)-4-F(co'— a"— a>)  ] (1-4-50)  - [X-f-  (Z«  ~Z'/3)0>" 

V ~ a.  — ®" 

[ to' (h  -4-  i/)  — »"(fc  - — X -+~H)  ] (1  •+•  5 0)  — [ X “4-  (la  — l'(. 3)  0 ][  c&" 

' ’ co'  — re" 


co'1  X 


(,l  11  + u'—a"  ) (*  f 5 e)  — 


co'  — co 


— 179  — 


e finalmente  sarà 


(16)  y=h  + H-h{h  + n)*B-h  (U  ■ 


Annullando  in  questa  equazione  il  valore  di  3,  ovvero  annullando  i va- 
lori  dei  coefficienti  a,  fi,  5,  si  ottiene 

V — h -+■ 

come  dev’essere.  Infatti  abbiamo  sopra  stabilito,  che  II  sia  l’altezza  barome- 
trica del  mercurio,  non  corretta  dagli  effetti  del  calorico,  ed  h l’altezza  del 
mercurio  nel  pozzuolo. 

Volendo  che  abbia  luogo  la  compensazione,  per  questo  secondo  sistema 
barometrico  , dobbiamo  volere  che,  indipendentemente  dalla  temperatura  9,  il 
valore  della  y (1  6)  equagli  II  -+-  h ; ed  a questa  equaglianza  si  deve  soddisfare,  per 
una  opportuna  emersione  del  cilindro  c c'  di  vetro,  dal  mercurio  contenuto  nel 
pozzuolo.  Ciò  vale  a dire  che,  a questa  eguaglianza  si  deve  soddisfare,  me- 
diante opportuni  valori,  dati  alle  lunghezze  l ed  V delle  aste  metalliche  ver- 
ticali, ed  alle  sezioni  co',  co",  del  barometrico  sistema. 

Per  tanto  dalla  (1G)  avremo 


Questa  formula  esprime  la  condizione,  cui  si  deve  soddisfare  in  generale, 
affinchè  gli  effetti  della  temperatura,  sieno  automaticamente  compensati  nel 
sistema  secondo  barometrico,  di  cui  parliamo. 


Passando  ai  particolari  per  la  pratica,  suppongasi  che  l’asta  d;f  {fig.  3), 


k-h  II  -+-  (h  -+-  II)  3 9 -f- 


donde 


(17) 


(Ii-hH)  3 co' 

[h  + H)à~là  -hlct  — l'fi  ' 


180 


/ 


sia  di  vetro,  invece  che  di  ferro;  cosicché  sensibilmente  abbiasi  /3  = 0:  inoltre, 
poiché  il  prodotto  X 5 è frazione  trascurabile,  potremo,  senza  molto  scostarsi 
dal  vero,  stabilire 


Pongasi 


avremo 


donde 


(ll  + H)  S di' 

(h  -h  H)  6 -h  l a ' 


CJ 


n 


_L_  {h-+-H)$ 

n 


n ==!-+ 


(/i  h-  H)  8 h—  1 a , 
1 a 


h+tì  8 


Possiamo  sostituire  in  questa  formula  H = 0m,  76,  valore  che  può  rappre- 
sentare il  medio,  fra  tutti  quelli,  che  appartengono  alla  pressione  barometrica, 
e pei  quali  sarebbe  trascurabile  la  differenza  dei  numerici  risultamenti,  per 
essere  H in  generale  variabile.  Inoltre  supponiamo  nella  medesima  formula 


essendo 


ed  avremo 


h = 0%  1 , l = 2m  , 

a 0,000029 
8 0,000180  ’ 


Dunque  se  facciasi 
(18)  a" 


n = 1,  37. 

, dovrà  essere  l = 2 metri  , 


affinchè  abbia  luogo  la  compensazione  nelfindicato  barometrico  sistema.  Per 
tanto  questa  seconda  maniera  di  compensazione  termometrica,  sebbene  abbia' 
bisogno  di  maggiore  mercurio  della  prima;  tutta  via,  per  la  sua  molta  sem» 
plicità,  deve  preferirsi.  A mandare  ad  effetto  questo  caso  numerico,  possia- 


— 18! 


mo  adottare,  pel  corpo  d’immersione,  non  più  la  forma  cilindrica,  ma  bensì 
quella  di  una  lunula,  formata,  come  si  vede  nella  fìg.  4,  da  due  circoli,  fra 
loro  in  contatto  nel  punto  m\  uno  avente  la  periferia,  che  viene  indicata 
con  P',  l’altro  quella  espressa  da  p : mentre  la  periferia,  cui  corrisponde  P,  ap- 
partiene a quella  del  puozzolo.  Chiamando  R il  raggio  del  pozzuolo,  ed  s 
la  distanza  b a , fra  le  pareti  di  questo,  e quelle  della  lunula  d’immersione, 
se  indicheremo  con  xr  il  raggio  i p del  circolo  p , dovremo  per  le  precedenti 
denominazioni  avere 

«'  = ; r R2,  ed  a"=  n (R  — s)2—  n x2r 
quindi  per  la  (18)  sarà 


1 ,37  re  [ (R  — ■ s)2 — ■ x2]  — sr  R2, 

donde 

*=\/[(r-5)2-w]- 

Facendo  R = 8 centimetri,  ed  5 = 2 millimetri,,  avremo 


tf==y  (7,8)2--  — — V 60,84  — 46,72  = Kl4,12  =3,76  centim. 

Se  l’asta  l di  zinco  (fig.  3),  sì  trovasse  troppo  alta,  per  averla  fatta  lunga 
due  metri,  si  potrebbero  alla  medesima  sostituire  due  aste  dello  stesso  metallo, 
ciascuna  lunga  un  metro,  interpolate  con  altre  due  di  vetro  (fig.  5) , e la 
compensazione  riescirebbe  la  stessa. 


§•  6. 

Passiamo  ad  esporre  un  terzo  modo,  col  quale  si  può  raggiungere  nel 
barometro,  la  termometrica  compensazione. 

Nel  barometro  a sifone,  le  variazioni  barometriche,  si  possono  misurare, 
tanto  sul  ramo  superiore,  quanto  sull’  inferiore  del  tubo  di  vetro-  Adottando 

24 


— m — 


questo  secondo  modo,  si  giunge  ad  una  compensazione  assai  semplice,  col  dare 
al  ramo  inferiore,  una  opportuna  lunghezza,  come  ora  vedremo;  supponendo 
per  maggiore  generalità,  essere  differenti  le  sezioni  dei  due  rami  del  tubo  , 
e supponendo  cilindrici  ambedue  questi  rami,  al  di  sopra  della  orizzontale 
MN  (fìg.  6). 

Alla  temperatura  normale  r dicasi  : 

co  , la  sezione  del  ramo  superiore, 

«' , quella  del  ramo  inferiore, 

v , il  volume  del  tubo,  al  di  sotto  della  orizzontale  indicata, 
l , l’altezza  del  livello  inferiore  dalla  M N, 

H,  l’altezza  della  colonna  barometrica, 
q , il  volume  totale  del  mercurio. 

È chiaro  innanzi  tutto,  che  si  avrà 

(i9)  q — co  ( l -t-  //)  4-  al  -+-  v ; 

crescendo  poi  la  temperatura  da  r , sino  a r'  gradi  , si  dilaterà  e il  tubo  , 
ed  il  mercurio,  contenuto  in  esso;  cosicché  avremo 

r' T = 9 . 

Chiamando  pi  il  coefficiente  della  dilatazione  lineare  del  vetro,  e §'  quello  , 
della  dilatazione,  anch’ essa  lineare,  del  mercurio;  sarà  q (1  -+-  3 à'9)  il  volu- 
me totale  di  questo,  per  essere  la  temperatura  cresciuta  di  t' — t = 6 gradi. 

Riguardo  alla  dilatazione  del  vetro,  supponiamo  che  la  retta  MN  ri- 
manga fìssa;  le  due  sezioni  co,  co',  diverranno  rispettivamente 

co  (1-4*2  il  9)  , «'(1-4-2  p.  e). 

Le  dilatazioni  longitudinali  dei  due  rami  del  tubo  , relative  alla  parte  del 
medesimo,  superiore  alla  retta  M N,  non  hanno  alcun  effetto  apprezzabile  in 
questo  caso;  ma  non  così  per  la  parte  del  tubo  stesso,  inferiore  alla  indicata 
retta;  poiché  questa  parte  rimane  sempre  piena  di  mercurio;  perciò  il  volu- 
me di  questo  liquido  sarà  espresso  da 

V (1  *4-  3 [L  0)  . 


— 183  — 


Supponiamo  che  alla  temperatura  t',  le  distanze  dei  due  livelli  del  mer- 
curio, superiore  uno,  inferiore  l’altro,  dalla  M N,  sieno  rispettivamente  indicate 
con  y ed  x;  perciò  sarà  y — x l’altezza  della  colonna  di  mercurio,  che  fa 
equilibrio  coll’atmosferica  pressione;  quindi  avremo 

y — x = H{  1 + 3 §'$) , 

donde 

(20)  y = x-+-  //(  1 -+-  3 8'0) . 

Di  più  si  avrà  l’equazione  seguente 

(21)  « (1  -4-2  pQ)  y *4-G>'(l  -+-  2 p 6)  x -4-  v (1  -h  3 p 0)  = q (1  -4-  3 à'$)  , 

della  quale  ciascun  membro,  esprime  tutto  il  volume  del  mercurio.  Se  in- 
trodurremo, in  questa  equazione  (21),  i valori  delle  q,y,  che  sono  dati  dalle 
(19),  (20),  otterremo  un’altra  equazione,  in  cui  si  troverà  per  incognita  la 
sola  x.  A questo  fine,  riducendo  , e trascurando  le  potenze  dei  coefficienti 
della  dilatazione,  che  sono  superiori  alla  potenza  prima,  si  avrà  quanto  siegue  : 

&>  ( 1 -4-2  p 0)  [ x —t—  H ( t -4-3  ò^)]  -4-  co'  ( 1 -4—2  p 0)  x — t—  v ( 1 -+-3  [x  9) 

= [ w (J  -4—  //)  H—  o)1  l -4-  v]  (1  -f— 3 0)  , 

ovvero 

(&>  -4—  Gì/)  ( 1 -4—2  p 0)  x ■==  [ w (/—)—//)  -4—  (1 ) Z — t — i>J  (1  -4-3  fi1 9) 

— — v (1  — i—  3 p.  9)  — w H (1  -4—2  p 9^j  (1 H— 3 0)  , 

donde 

[a{l-t-H)+-u'l-+-v]  (lH-35'0)-i;(lH-3iu0)-Gi)/j(l-f-2/x0)(l-i-3^'0) 

x (goh-go')  (Ih h<2p9) 

v—1 w//-4— (to(Z-4— /f)— hgo^-4- v]35’0 — v.3 p9 — càlibi p9 9) 

(co — | — co;)  (1— f— 2p.0) 


— 184  — 


l [oo(i-f-/i)-f-oo^-f-v]3§'5 — v.op.9 — 

1 -+-2/A0  (m-+-6>')(1-+-2|xS) 

[w(^-4-/f)-4-(i)7--hv]3o,S — r.3  ps.9 — '6>H(2jU.0-f-35'0) — 2p75(<m-co  ^ 
’+"  (w-hcj')  (1-+-2/Z0) 


^ //)-+- ^ 7 -i—v — s)//]3§r0 — [3'VH— 2ci)//-f-2(<y-i— w1)/]  p.0 

“ ’+"  (w-hq')  (1h-2/jl$) 

e finalmente 

^ [ (&>H I—  v J 3o'5 — - [3i>-+— 2w//-+*2(co-ì-(i),)/j/^0 

(c»> — l — ^ ) (l-t-2^/,0) 

Ora  volendo  che  la  compensazione  termometrica  del  considerato  barometro, 
sia  completa,  dobbiamo  volere 

x — lf 

cioè  dobbiamo  volere,  che  per  l’aumento  di  temperatura,  ricevuto  da  quella  nor- 
male v , divenuta  perciò  x , la  distanza  del  livello  nel  ramo  inferiore  del  tubo, 
dalla  orizzontale  M N , rimanga  qual  era  per  la  indicata  temperatura  nor- 
male , indipendentemente  dal  valore  di  5;  perciò  sarà 


[ (a  -h  «')  l -+-  v ] 3 8' — [3tH-2ajff-t-2(o+  •«')  l ] p = 0 . 
Abbiamo  da  questa  la 

_ ^ (2«/i-t-3i>)p. — 3r5'  2 aHp — 3r(ò' — p) 

' (co+orpo'—ìp)  ^(u-t-a')  (3d'— 2p.)  ’ 


condizione  che  non  dipende  affatto  da  0,  e che  prescrive  l’altezza  del  livello 
nel  ramo  inferiore  del  tubo,  dalla  orizzontale  fissa  M IV. 


§•  7- 


Questa  condizione  si  può  facilmente  mandare  ad  effetto,  e per  averne 
una  prova,  consideriamo  il  caso  di  v = o,  vale  a dire  quello  in  cui  la  comu- 
nicazione fra  i due  rami  del  tubo,  sia  bastantemente  corta,  ed  angusta.  Inoltre 
per  maggior  semplicità,  supponiamo  eziandio,  che  i due  rami  del  tubo  supe- 
riore alla  MN , abbiamo  la  medésima  sezione,  cosicché  si  verifichi  la  «=&>'; 
quindi  dalla  (22)  avremo 


(23) 


H . 


185  — 


Pei  coefficienti  della  dilatazione^  abbiamo  i seguenti  valori 
p = 0,000008-,  3d'  = 0,000180  ; 


quindi  sarà 


, 0,000008  1 „ . „ 

l — il  — — ri , circa. 

0,000164  20 


Se  per  H prendiamo  il  suo  valore  medio,  facendo  cioè 


0™,  76  , 

si  avrà  per  l’altezza  del  livello  inferiore  del  tubo  dalla  M N 

l = 0m,038  ; 


cioè  poco  meno  di  quattro  centimetri,  lo  che  si  può  con  facilità  praticare. 

§•  8- 

Nel  barometro  cilindrico  a sifone,  nel  quale  i due  rami,  al  di  sopra  delle 
orizzontale  M N , hanno  la  medesima  sezione  ; di  tanto  varia  , pel  variare 
della  pressione  atmosferica,  il  livello  nel  ramo  inferiore,  salendo,  o scendendo, 
e di  altrettanto  variar  deve  il  livello  nel  ramo  superiore.  Si  divida  in  mezzo 
in  0,  l’altezza  barometrica  b a della  colonna  di  mercurio  (fig.  6)  ; cosicché 
da  questo  mezzo,  le  divisioni  crescano  dall’alto  al  basso,  e vadano  continuando 
nel  ramo  inferiore,  ciascuna  essendo  un  mezzo  millimetro.  Posto  ciò,  siccome 
per  effetto  della  compensazione  termometrica,  ora  stabilita,  il  livello  di  mer- 
curio, nel  ramo  corto  del  tubo,  rimane  invariabile  per  qualunque  temperatura, 
e varia  soltanto  col  variare  della  pressione  barometrica;  così  è chiaro  che,  leg- 
gendo sulla  indicata  scala  i mezzi  millimetri  per  millimetri,  avremo  l’altezza 
barometrica,  del  tutto  compensata  dagli  effetti  delle  variazioni  di  temperatura, 
che  quella  normale  r ricevette. 

La  compensazione  del  barometro  a sifone,  di  cui  ci  occupammo  in  que- 
sto paragrafo,  è preferibile  a tutte  le  altre,  per  la  sua  semplicità,  per  la  mo- 
dica spesa  di  esecuzione,  ed  anche  perchè  la  massa  del  mercurio  non  essendo 
grande,  questo  liquido  perciò  riceve  in  ogni  sua  parte  , con  prontezza  la 
temperatura  dell’  ambiente.  Ciò  non  accade  in  tutti  quei  sistemi  grafi» 
<ci>  nei  quali  deve  il  tubo  barometrico,  essere  immerso  in  un  pozzuolo  di 


i 


larga  sezione,  ove  la  massa  del  mercurio  dev’  essere  assai  grande;  ciò  ca- 
giona un  difetto  non  trascurabile  in  così  fatti  sistemi.  Sarà  utile  avvertire, 
che  il  coefficiente  dalla  dilatazione,  relativo  al  vetro,  per  essere  variabile  colla 
natura  del  vetro  stesso,  dovrà  con  ogni  esattezza,  il  coefficiente  medesimo 
sperimentarsi,  per  ciascun  tubo  barometrico.  La  compensazione  però  nel  si- 
stema in  proposito,  ha  il  difetto,  che  le  variazioni  della  colonna  barometrica, 
dipendenti  dalla  pressione,  sono  ridotte  alla  metà,  come  in  ogni  barometro  a 
sifone,  in  cui  si  osserva  un  solo  livello. 

Veggasi  per  questa  compensazione,  ciò  che  riferisce  il  Sig.  Radau,  nel 
Bepertorium  di  Cari.  Munchen , 1867,  voi.  3.°,  pag.  320,  e 329.  Pare  che 
la  prima  idea  di  così  fatta  compensazione,  appartiene’ ad  Hough,  nel  1866. 
(Idem,  pag.  326).  Anche  Les  Mondes,  tome  17,  pag.  8,  parla  su  tale  og- 
getto, ma  in  modo  non  ben  chiaro. 

§•  9- 

A Kew  presso  Londra,  la  compensazione  termometrica  del  barometro,  si 
eseguisce  a questo  modo  : La  superficie  luminosa  , che  dev’essere  costan- 
te (*),  si  trova  coperta  più  o meno  nella  sua  parte  superiore,  per  mezzo  di  uno 
scranno,  sospeso  al  braccio  di  un’asta,  che  galleggia  sul  mercurio  di  un  ter- 
mometro aperto.  Questo  scranno  sale  e scende,  colla  temperatura,  di  una 
quantità  esattamente  uguale  alla  dilatazione  della  colonna  barometrica.  Da 
ciò  risulta,  che  la  linea  zero,  in  luogo  di  essere  una  retta  orizzontale,  è una 
curva,  che  rappresenta  la  riduzione  del  barometro  a zero.  Ne  discende  altresì, 
che  le  distanze  di  questa  curva  da  quella  d el  barometro,  rappresentano  le 
variazioni  barometriche  ridotte  a zero.  La  curva  del  zero,  fa  per  altra  parte 
conoscere,  la  temperatura  della  colonna  di  mercurio  per  tutto,  come,  un  ter- 
mometrografo. 

Però  è da  osservare,  che  l’asta,  la  quale  ascende,  o discende,  ha  bisogno  di 
mantenersi  verticale  in  questo  suo  moto;  ed  a tal  fine  dev’essere,  guidata;  lo 
che  introduce  un  attrito  nel  sistema,  e perciò  cagiona  una  resistenza  no- 
civa. 


(*)  V.  Les  Mondes,  t.  15,  an.  1867,  2e  sèrie,  p.  198.  Ma  per  maggior  chiarezza,  si 
vegga  il  Rapporto  del  comitato  di  Kew  pel  1866-67  (sezione  A delle  scienze  fisiche  e mat- 
tematiche). 


187  — 


Per  togliere  questo  difetto,  si  potrebbe  immaginare  di  produrre  il  mo- 
vimento della  scala  , mediante  due  sbarre  di  zinco,  e due  leve,  come  nella 
prima  compensazione  qui  considerata,  si  produsse  il  movimento  del  pozzuolo. 

§.  io 

Passiamo  ad  esporre  il  seguente  quinto  modo,  per  compensare  gli  effetti 
prodotti  dalle  variazioni  di  temperatura,  nell’  altezza  barometrica  : il  sistema 
è in  questo  caso  rappresentato  dalla  figura  7,  in  cui  la  retta  B D è fìssa. 

Chiamando  l la  lunghezza  AB  della  placca  ABCD  (fìg.  7),  la  quale  alla 
temperatura  normale  di  r gradi,  coincide  con  quella  della  prima  sbarra  di 
zinco  e m.  Se  la  temperatura  divenga  r'  ,sarà  m n la  differenza  fra  le  dilata- 
zioni della  verga  em  di  zinco,  e della  placca  di  ferro;  perciò,  fatto  al  solito 

. . em'  . 

r — r = 0 , e ponendo  = a , si  avranno  le 

e m 


m n ~l  (oc  — fi)  9 , m'rì  ~alU  — fi)  9 ; 

ove  , come  nel  primo  sistema  barometrico,  a.  , fi  rappresentano  rispettiva- 
mente i coefficienti  della  dilatazione  del  zinco,  e del  ferro. 

Inoltre  si  esprima  con  l'  la  lunghezza  della  seconda  verga  di  zinco  m'  r , la 
quale  alla  temperatura  normale  di  t gradi  , coincide  colla  distanza  p m"  del 
fulcro  p dalla  retta  B D ; perciò  sarà 


pq  — r'r"  — l'  fi  9 , ed  anche  m'r"=  V (1  -+-fi  9)  . 

La  seconda  verga  di  zinco  m'  r , nel  dilatarsi,  diviene 

n'r'  = V (!-+-«  0); 


quindi  si  avrà 

mV  = m'n'  h-  n'  r'  = a l (a  — fi)  9 -+-  /'(  1 -f-  a g) , 

ed  anche 

r'r"=  r'm'^m'r"=  al  (x--'fi)0^l'(i+(xQ)—l'(ì-t-fi9)~  al  (a— fi)  9 fi)  9 ; 

perciò 

r'r".—  (al-+-V)  {a— fi)  0 . 


188 


Chiamando  b il  rapporto  dello  due  braccia,  della  superiore  leva,  cioè  ponendo 


abbiamo  allora  evidentemente 

s's"  = 6 (a  Z -t-  V)  («-£)©, 

quindi  lo  spazio  percorso  dalla  scala,  per  effetto  delle  dilatazioni,  sarà 
5 s'  — pq  h-  s's"  = l'fì  0 -4-  b (a  l *-h  l')  ( « p)  9 . 

Questa  è la  quantità,  per  la  quale  s’innalza  l’estremo  della  leva,  che  porta  la 
scala;  e la  quantità  medesima  deve  uguagliare  quella,  per  la  quale  ascende 
il  mercurio  nel  barometro. 

Indicando  per  tanto  con  l"  la  distanza  g k , per  la  temperatura  normale  z 
dovremo  avere  l’innalzamento  del  barometro,  per  l’altra  temperatura  t',  espres- 
so dalla 

gk=l"{{+(36)  . 

Ma,  come  già  fu  esposto  (§.  4,  formula  5),  la  colonna  barometrica,  per  l’au— 
mento  di  temperatura,  cresce  dal  fondo  del  pozzuolo,  per  la  quantità 

{H-bh)  5 9 ; 

quindi  salirà  il  livello  superiore  del  mercurio  complessivamente,,  per  la 
quantità 

- {H+h)d  9,-i~  l"(19  y, 

perciò  la  condizione  della  compensazione,  sarà,  espressa  dalla 
(24)  b {a  l -h  V)  (a  - /3)  h-  V p = {H+h).  * -+-  l"P  .. 

S-  il- 

Per  vedere  se  questa  condizione,,  possa  facilmente  soddisfarsi  nella  pratica 
supponiamo 


— 189  — 


gh—  l"—  0 , m'r  —V  — lì  h 
e la  (24)  si  ridurrà  nella 


donde 

(28) 


b ( a l -+-1')  (a  *— » /3)  -+- l'fi  =Z'§  , 


Z 


«rf(»-p>  .n  _.i 

a 1_  b(a.—fi)  J a [_&(«— /3) 


Facendo  come  nel  primo  sistema  (§.  5) 

a — b = 2 , 


e pei  coefficienti  «,  /3,  3 delle  rispettive  dilatazioni,  le  prime  due  lineari,  e la 
terza  cubica,  ponendo  i valori  che  sieguono,  adottati  già  nei  precedenti  sistemi, 
vale  a dire. 

zinco  « = 0,000029, 
ferro  /3  = 0,000012, 
mercurio  5 = 0,000180, 

dalla  (25)  avremo 

l Z’/0, 000180  — 0,000012 

= 2 . 0,000017 


Se  poi  facciasi 
sarà 


000180  — 0,000012 
3 . 0,000017 


\ =!'/ 

(M 

1 

O 

GO 

\ j-ms  \ 

j 2 \ 

^ 3.17 

j 2\  51  j 

1,15 .2'. 


Ammettendo 


l'  z=H~^h=z  0W,80, 

25 


<< 


— 190  — 


avremo  pel  primo  caso 
e pel  secondo 


1 = 1,  96.0,  80  = 1-,  568, 

l = 1,15.  0,8  = 0™,  92  , 


lo  che  prova  essere,  in  atnbedne  questi  casi  , praticabile  la  calcolata  com- 
pensazione. 

$•  12. 

La  disposizione  di  un  seslo  barometro  compensatore,  sarà  immediatamente 
chiara,  per  mezzo  della  semplice  ispezione  della  fìg.  8,  nella  quale  un  soste- 
gno K,  regge  invariabilmente  il  barometro,  composto  dal  tubo  jR,  e dal  pozzuo- 

10  G.  Le  due  verghe  metalliche  A,  B,  che  si  dilatano  una  più  dell’altra,  sono 
ambedue  fissate  sul  medesimo  sostegno  li.  La  verga  indicata  con  A , di  me- 
tallo meno  dilatabile,  sostiene  il  fulcro  m di  una  leva  M m,  la  quale  posa 
sul  punto  m'  della  seconda  verga  B,  di  maggiore  dilatazione  dell’altra.  L’estre- 
mo M della  leva  indicata,  muove  la  scala,  che  può  scorrere  in  una  guida  ver- 
ticale, ovvero  potrebb’essere  solcata  sulla  stessa  estremità  del  tubo.  Passando 

11  sistema  in  una  temperatura  diversa,  per  es.  maggiore  di  quella,  corrispon- 
dente alla  sua  posizione  iniziale  m M,  dovrà  esso  prendere  l’altra  posizione 
n N ; cosicché,  per  la  compensazione  , la  scala  indicata  dovrà  salire  tanto  , 
quanto  sale  il  mercurio  dentro  al  tubo,  pel  solo  effetto  dell’aumento  di  tem- 
peratura. 

Se  questo  barometro  si  renda  grafico,  per  mezzo  della  fotografia;  chiaro 
apparisce,  che  la  scala  sarà  fotografata  in  guisa,  da  mostrare  un  andamento 
sinuoso,  a motivo  della  variazione  di  temperatura. 

Sia  per  tanto  L,  la  lunghezza  comune  delle  due  verghe  A,  B,  corrispon- 
denti ad  una  iniziale  temperatura  x , per  la  quale  prendiamo  la  media  del  sito 
della  barometrica  costruzione.  Rappresenti  a il  coefficiente  della  dilatazione 
lineare  di  B,  essendo  /3  quello  che  appartiene  ad  A.  Queste  due  verghe  , 
portate  alla  temperatura  maggiore  r',  si  allungheranno  rispettivamente  di  m'  n\ 
e di  m n;  quindi  avremo 


mn  = L [ 3 (r'  — t)  , m'n'  = L«(f  — r) , 
q n'  = m'  n'  — m'q  — m'  n1  — rn  n — L (oc  — /3)  {*'  — T)  > 


« 


donde 


191 


ovvero,  ponendo 
sarà 

m n — L (3  0 


Z1  — T = 0 , 

m'n'  — LctO,  qn'  = L(a—$)9. 


La  figura  in  proposito,  corrisponde  al  caso  di  z'  ;>  t ; però  le  formule 
stesse  valgono  anche  pel  caso  di  v'  < t,  nel  quale,  tanto  m n,  quanto  mV, 
assumono  valori  negativi. 

Pongasi 

m M=a  , m m'  — b , 

si  avrà 


NQ  = j.n'q  = ~L(«-(3)e-, 


di  più  dovremo  avere 
quindi 


QM  = mn  — Lfi9, 


(26)  MN— QM-\~QN  — LJ3Q-{---L(a.  — /3)  0 

o 


=z'[/3'+'t 

Questa  è l’espressione  algebrica  dell’altezza,  cui  giunge  l’estremo  M della  leva 
m M,  per  effetto  della  temperatura  v';  e rappresenta  lo  spazio  percorso  dalla 
scala  mobile,  per  lo  stesso  effetto.  Perciò  di  altrettanto  dovrà  salire  l’estre- 
mo  della  colonna  barometrica  , perchè  la  medesima  sia  termometricamente 
compensata. 

Ora  passiamo  a determinare  l’aumento,  che  1’  altezza  della  colonna  ba- 
rometrica riceve,  per  la  stessa  temperatura  Supponendo  grande  assai 

la  superficie  del  pozzuolo,  e non  dilatabile  sensibilmente  il  vetro,  da  cui  vie- 
ne formato  il  tubo  barometrico,  ed.  il  pozzuolo;  l’innalzamento  del  livello  in 
questo,  sarà  semplicemente  rappresentato  da  l à 9 . In  questo  prodotto  il  fat- 
tore l,  denota  la  profondità  del  pozzuolo  stesso,  e § il  coefficente  della  dila- 
tazione cubica  del  mercurio. 

Premesso  ciò,  facilmente  si  vede,  che  il  livello  superiore,  salirà  per  effetto 
della  temperatura  v',  sotto  la  stessa  pressione  atmosferica,  per  l’altezza 


192 


l é 6 -4-  H § 9 — ( l — H H ) $ 0 , 

essendo  H l’altezza  della  colonna  barometrica  dal  livello  dal  pozzuolo,  per  la 
temperatura  iniziale  z . Pel  nostro  fine,  dovrà  questa  grandezza,  uguagliare 
quella  già  trovata  colla  (26),  per  la  quale  ascende  T estremo  M della  leva  , 
ossia  la  scala;  cosicché  avremo 

L6[j 

ovvero 

(27)  ]=(«+«)  », 


ed  in  questa  formula  consiste  la  condizione  da  soddisfare,  acciocché  il  ba- 
rometro sia  compensato  automaticamente,  dagli  effetti  delle  variazioni  di  tem- 
peratura. 


§•  13. 


Supponendo  data  la  lunghezza  L delle  due  verghe,  come  pure  la  profon- 
fondità  l del  pozzuolo,  vediamo  quale  debba  essere  il  rapporto  delle  due 
braccia  di  leva.  Per  tanto  dalla  (27)  avremo 


(l  -+-  H)à 

L 


> 


ovvero 

a . ,1  H\  ~ _ 

b(«  «-(  L )»  ft 

donde 

(28) 

a f(i-t-ff)8  -,  ì 

b~  L L ^ J a — /3  * 

Supponiamo 

l -+.  H=  L , 


193 


come  pel  solito  ha  luogo  in  pratica,  e dalla  (28)  otterremo 

a * — /3 


(29) 


b a.  — /3 


Se  pongasi  essere  di  ferro  la  verga,  che  indicammo  con  A,  essendo  l’altra  B 
di  ottone,  avremo 

j8  = 0,000012  , a.  = 0,000033  , 5 = 0,000180  , 

e sostituendo  questi  valori  numerici  nella  (29),  otterremo 
a 0,000180  — 0,000012  168  , 


0,000033  — 0,000012  21 


8 . 


Dunque  le  due  braccia  di  leva  M m',  m'  m,  debbono  essere  nel  rapporto 
di  8:  1,  per  produrre  nell’  indicato  sistema  barometrico,  l’automatica  termo- 
metrica  compensazione. 


§•  14. 


Come  già  dicemmo,  la  compensazione  ora  descritta  (fìg.  8),  possiede 
la  particolarità,  che  le  divisioni  della  scala  fotografata,  non  sono  rigorosa- 
mente rettilinee,  bensì  ondeggiate.  In  fatti  nell’  indicato  sistema,  la  scala  es- 
sendo mobile,  ed  il  barometro  fisso  , le  divisioni  della  scala  fotografata  in 
questo  caso,  debbono  essere  linee  curve.  Nella  seguente  costruzione,  rappre- 
sentata dalla  fìg.  9 , la  quale  non  abbisogna  di  schiarimento,  e fornisce  un 
settimo  sistema  di  compensazione  barometrica,  queste  divisioni  sono  rettilinee, 
perchè  si  muove  il  barometro,  e non  la  scala.  Per  l’abbassamento  AA'  del- 
l’estremo A di  leva  GA , prodotto  dalla  dilatazione  delle  due  verghe  M ed  iV, 
una  più,  l’altra  meno  dilatabile,  abbiamo  le 

AA'  = A'  C-CA> 


CA'  = -jDE=  “ [EH-FG)  = j{L«  — Lp)9, 


194  — 


ed  anche  le 


A C=FG  = L(3Q; 


quindi  sarà 


AA'  = ^ (L«-L/S)9-t/39  = i jj(«_/S)-/s]9 

(f-1-  ’)'3]  e’ 


essendo  il  braccio  maggiore  a = GA  = FA\  mentre  b = G H *=  F E rap- 
presenta il  minore  della  leva  H A = EA',  ed  essendo  L la  lunghezza  delle 
due  sbarre  M,  N. 

L’armatura  del  barometro,  vale  a dire  la  distanza  fra  il  punto  di  so- 
spensione A , ed  il  fondo  p q del  pozzuolo,  si  allunga  per  effetto  della  tem- 
peratura. Indichiamo  questa  lunghezza  Ad,  alla  temperatura  normale  r, 
con  L',  essendo  7 il  coefficiente  della  sua  lineare  dilatazione  ; l’allungamento 
A d , sarà  espresso  da  L'  7 0 . 

il  fondo  p q del  pozzuolo  si  deve  abbassare,  a motivo  della  dilatazione 
delle  due  verghe  M,  N;  quindi  tutta  l’armatura  del  barometro,  che  si  com- 
pone di  A n , e del  montante  npq,  il  quale  sostiene  il  barometro  stesso, 
riceverà  un  abbassamento,  espresso  da 


Ora  passiamo  a determinare  1’  innalzamento  del  livello  superiore  del  mer- 
curio, contenuto  nel  tubo  barometrico.  Due  sono  le  cause  di  questo  innalza- 
mento: in  primo  luogo  si  alza  la  superfìcie  del  pozzuolo,  per  l’aumento  di 
temperatura  dal  mercurio,  contenuto  in  esso:  in  secondo  luogo,  per  Io  stesso 
aumento,  diviene  più  grande  la  distanza  fra  i due  livelli,  del  mercurio.  Que- 
st’ ultima  distanza  evidentemente  cresce,  nel  rapporto  del  coefficiente  5,  della 
dilatazione  cubica  del  mercurio. 

Chiamando  II,  l’altezza  della  colonna  barometrica,  alla  temperatura  normale 
t » l’altezza  medesima  sarà  espressa  con 


(80) 


L 


— 195  — 


H)  1 -+-80) 

quando  la  temperatura  sia  cresciuta  di  9,  essendo  al  solito  t — r ' = 0,  co- 
sicché l’aumento  della  indicata  colonna,  sarà  dato  dal  prodotto  H 8 9 . 

L’  innalzamento  della  superficie  del  livello  inferiore,  sarà  dovuto  alla  di- 
latazione del  mercurio  nel  pozzuolo,  soltanto  in  senso  verticale.  Si  chiami  h 
la  profondità  del  pozzuolo;  la  indicata  dilatazione  verticale,  sarà  espressa  con 
h9d  ■ 

Per  ottenere  la  proposta  compensazione,  fa  d’uopo  che  questo  aumento 
eguagli  l’abbassamento  del  fondo  del  pozzuolo,  già  trovato  colla  (30);  perciò 
dovrà  essere 


9 -+-L'y  9 =Hd  9 h6  S = (H  -hh)$  9 


ovvero 


a ,a 
b 


,u  , 


Ll  y — (//-+— /i)  8 ; 


condizione  che  non  dipende  affatto  dall’aumento  9 di  temperatura.  Risolvendo 


questa  equazione  rispetto  ad  — avremo  , 


l't)  j ^ ff  (//  lij  ó L1  y -+-  L fi 

V b^  L («  - fi)  ’ 

Per  tanto,  quando  si  conoscano  i valori  numerici,  che  compongano  il  secon- 
do membro  di  questa  equazione,  si  otterrà  mediante  la  (31)  il  rapporto,  che 
debbono  avere  le  due  braccia  di  leva,  per  produrre  la  voluta  termometrica 
compensazione  in  questo  barometro. 

Considerando  che  nel  secondo  membro  della  (31),  la  quantità  H è varia- 
bile, si  vede  che,  rigorosamente  parlando,  la  compensazione  non  sarebbe  pos- 
sibile in  generale;  ma  bensì  per  un  solo  dei  tanti  valori  di  II,  cioè  per  una 
sola  pressione  dell’atmosfera.  Però  le  variazioni  di  II,  essendo  sempre  piccole, 


— 196  — 

chiaro  apparisce,  che  introducendo  nella  (31)  per  H il  suo  valore  medio,  come 
per  lo  stesso  motivo  abbiamo  praticato  nei  precedenti  sistemi  ; si  avrà  una 
compensazione  di  esattezza  sufficiente,  anche  per  gli  altri  valori  della  pres- 
sione H. 

$.  ih* 

Supponendo  per  un  caso  della  pratica,  essere  le  tre  quantità  H h * 
L,  L'  eguali  fra  loro;  dalla  (31)  avremo 

a d 7 ■+•  jS 
si—i 3 ■ 


Inoltre  supponendo  che  la  verga  M sia  di  zinco,  la  N di  ferro,  e l’armatura 
del  barometro  essa  pure  di  ferro,  sarà  /3  = y ; e dalla  (32)  avremo 


(33). 


Per  tanto  dovremo  prendere  a — 0, 000033, /3  = 0,000012,  S =0,000180, 
e sostituendo  questi  valori  nella  (33)  avremo 


a 0,000180 

b ^ 0,000033  — 0,000012 


vale  a dire  i bracci  di  leva,  debbono  stare  fra  loro  nel  rapporto  di  1:  8,6; 
lo  che  può  con  facilità  effettuarsi. 


--  197  — 

COMUNICAZIONI 

In  questa  tornata,  dal  prof.  Volpiceli  si  fece  dolorosa  menzione,  per  la 
perdita  irreparabile  di  un  distinto  nostro  socio  ordinario,  quale  fu  il  cav.  An- 
tonio Coppi,  che  cessò  di  vivere  nel  26  di  febbraio  del  1870.  La  Storia,  con 
questa  morte,  perdette  un  fedele  scrittore:  ne  fanno  testimonianza  gli  An- 
nali d’Italia,  da  esso  pubblicati  a cominciare  dal  1750  , e che  terminarono 
col  1861.  Il  Coppi  lodevolmente  coltivò  eziandio  l’agraria,  massime  rispetto 
alla  campagna  romana,  e fu  già  direttore  del  giornale  di  Roma,  ed  anche  uno 
dei  fondatori  dell’accademia  pontificia  Tiberina:  egli  nacque  in  Andezeno,  nel 
22  di  aprile  1783,  piccola  terra  della  provincia  di  Torino. 


CORRISPONDENZE 

Il  sig.  Schròtter,  segretario  generale  della  I.  accademia  delle  scienze  di 
Vienna,  fa  giungere  la  nota  delle  pubblicazioni  dell’accademia  stessa,  inviate,  in 
dono  alla  nostra. 


Il  segretario  generale  della  reale  accademia  delle  scienze  di  Lisbona,  in 
nome  della  medesima,  ringrazia  per  gli  atti  dei  Lincei  da  essa  ricevuti. 


COMITATO  SEGRETO 

La  Commissione  precedentemente  nominata,  lesse  mediante  il  suo  rela- 
tore sig.  prof.  Rolli,  il  suo  rapporto  su!  consuntivo  del  1869,  e sul  preven- 
tivo del  1870.  Innanzi  tutto  si  fece  noto  dal  relatore  stesso,  che  il  R.  P.  Sec- 
chi, uno  dei  quattro  commissari,  non  aveva  voluto  esaminare  nè  il  consun- 
tivo, nè  il  preventivo  in  proposito,  quindi  mancava  la  sua  firma  nel  relativo 
rapporto.  Dopo  ciò  fu  interrogata  l’accademia  se  voleva  dar  seguito  al  rap- 
porto stesso,  ovvero  voleva  che  si  nominasse  un’altro  commissario.  Si  decise 
a maggioranza  di  voti,  che  bastavano  le  tre  firme  degli  altri  commissari,  e che 
si  leggesse  il  rapporto. 


26 


198  — 


Dopo  questa  lettura,  l’accademia  con  maggioranza  di  voti,  approvò  il  con- 
suntivo del  1869  ; e con  unanimità  di  voti,  approvò  il  consuntivo  pel  1870. 


L’  accademia  riunitasi  legalmente  alle  due  pomeridiane,  si  sciolse  dopo 
due  ore  di  seduta. 


Soci  ordinari  presenti 

B.  Viale  — B.  Tortolini  — P.  Volpicelli  — S.  Gadet — M.  Azzarelli 

A.  Guglielmotti  — F.  Castracane  — V.  Diorio  — Se  Proja  — F.  Giorgi  — 
A.  Gialdi  — B.  Boncompagni  — A.  Betocchi  — M.  Massimo  — D.  Ghelini  — 
L.  Respighi  — G.  Pieri  — G.  Ponzi  — E.  Rolli  — F.  Nardi. 

Pubblicato  nel  25  di  maggio  1870. 
P.  V. 


i 


IMPRIMATUR 

Fr.  Marianus  Spada  Ord.  Pr.  S.  P.  A. 
Magister. 

IMPRIMATUR 
Joseph  Angelini  Yicesg. 


ATTI 

DELL’ACCADEMIA  PONTIFICIA 
DE’  NUOVI  LINCEI 

SESSIONE  V.a  DEL  3 APRILE  1870- 

PRESIDENZA  DEE  S3G.  CAI.  BENEDETTO  VIALE  PRELA’ 

MEMORIE  E COMUNICAZIONI 

DEI  SOCI  ORDINARI  E DEI  CORRISPONDENTI 

Sulle  osservazioni  spettroscopiche  del  bordo  e delle  pioluberanze  solari  falle 
all ’ Osservatorio  della  Romana  Università  sul  Campidoglio.  — Nota  li. 
del  Prof.  Lorenzo  Respighi. 

La  perseverante  contrarietà  della  stagione  non  mi  ha  permesso  di  continuare 
le  osservazioni  del  bordo  e delle  protuberanze  solari  colla  regolarità  richiesta 
per  uno  studio  approfondito  di  questi  singolari  fenomeni  : e perciò  ho  dovuto 
contentarmi  di  raccogliere  nuovi  fatti  in  conferma  delle  leggi  già  stabilite  , 
procurandomi  però  nuovi  dati  riguardanti  le  relazioni  delle  protuberanze  cogli 
altri  fenomeni  solari,  colle  facule  cioè  e colle  macchie. 

Dal  26  ottobre  sino  al  presente  ho  potuto  ottenere  soltanto  64  profili 
completi  o quasi  completi  del  sole,  non  comprendendovi  però  molti  rilievi  par- 
ziali, relativi  principalmente  allo  sviluppo  ed  alle  trasformazioni  delle  protube- 
ranze, ed  alle  accidentalità  del  bordo  solare  nelle  località  delle  macchie. 

Ciò  non  ostante,  riflettendo  che  prima  delle  osservazioni  spettroscopiche 
ad  ottenere  uno  di  questi  profili  , con  molto  minore  esattezza  e con  molto 
meno  dettagli,  si  richiedeva  la  favorevole  e preziosa  circostanza  di  un  eclisse 
totale  di  sole,  facilmente  si  comprenderà  la  grande  importanza  delle  osser- 
vazioni spettrali;  colle  quali,  malgrado  la  sfavorevole  circostanza  di  una  sta- 
gione ostinatamente  perversa,  si  è potuto  raccogliere  in  pochi  mesi  un  cu~ 
molo  di  fatti  più  ricco,  più  completo  di  quello  che  si  sarebbe  potuto  ricavare 
dalle  osservazioni  fortunate  di  64  eclissi  totali,  nel  lungo  giro  di  parecchi  secoli. 

27 


202  — 


Che  anzi  l’ importanza  di  queste  osservazioni  si  rende  più  manifesta  col 
considerare,  che  i fatti  raccolti  non  sono  isolati  e indipendenti,  come  lo  sa- 
rebbero stati  quelli  ottenuti  dagli  eclissi,  ma  fra  loro  collegati  e dipendenti  in 
modo  da  presentare  il  fenomeno  nelle  sue  successive  fasi  ed  evoluzioni. 

Le  osservazioni  degli  eclissi  ci  avrebbero  somministrato  qualche  dato  sulle 
forme,  sui  caratteri  e sulle  dimensioni  delle  protuberanze,  e sulla  loro  mag- 
giore o minore  frequenza  nelle  varie  parti  del  bordo  solare  ; ma  non  ci  avreb- 
bero certamente  procurato  la  conoscenza  del  loro  vero  modo  di  distribuzione 
sul  corpo  solare,  del  loro  modo  di  sviluppo  e di  trasformazione,  e delle  loro 
relazioni  colle  facule  e colle  macchie  ciò,  che  poteva  conseguirsi  soltanto  collo 
studio  continuato  e regolare  del  fenomeno. 

La  discussione  adeguata  dei  fatti  finora  raccolti  è già  divenuta  una  ope- 
razione lunga  e laboriosissima;  e le  mie  occupazioni  non  mi  hanno  permesso 
che  di  sfiorare  questo  ricchissimo  materiale,  per  dedurre  i caratteri  e le  leggi 
più  manifeste  del  fenomeno,  le  sue  principali  relazioni  cogli  altri  fenomeni 
solari , e alcuni  dati  relativi  alla  fisica  costituzione  del  sole  : colla  speranza 
però  di  poter  dedurre  da  un  profondo  esame  del  medesimo  altre  importanti 
conseguenze  e dati,  che  per  la  complicazione  e varietà  dei  fatti  riescono  meno 
palesi,  meno  spiccanti. 

Se  la  nuda  descrizione  di  poche  protuberanze,  osservate  durante  un  eclisse 
totale,  ha  richiesto  molte  pagine,  la  descrizione  dettagliata  delle  migliaja  di  pro- 
tuberanze da  me  osservate,  l’immensa  varietà  di  sviluppi  e di  trasformazioni  in 
esse  rilevate,  il  loro  confronto  cogli  altri  fenomeni  solari,  la  loro  discussione  in 
riguardo  alle  forze  da  cui  possono  ritenersi  prodotte  e modificate,  e la  dedu- 
zione delle  conseguenze  relative  alla  fìsica  costituzione  del  sole,  sono  già  suf- 
ficienti a costituire  l’oggetto,  non  già  di  una  nota,  ma  di  un  grosso  volume. 

Perciò  nella  presente  nota  mi  limiterò  ad  accennare  alcuni  dei  fatti  più 
importanti , e a dedurre  alcune  delle  più  manifeste  conseguenze  in  riguardo 
alle  forme,  alle  dimensioni,  alla  durata , alla  distribuzione  delle  protuberanze 
sulla  superficie  solare,  alle  loro  relazioni  colle  facule  e colle  macchie , ed  al 
loro  modo  di  sviluppo  e di  trasformazione. 

Nella  straordinaria  varietà  e stranezza  di  forme  che  presentano  le  mol- 
tissime protuberanze  disegnate  nelle  tavole,  che  ho  l’onore-  di  presentare  al- 
PAccademia,,  nelle  quali  sono  dati  56  profili  del  sole,  si  ravvisa  tosto  il  carat- 
tere generale  di  getti  od  eruzioni  gassose  dal  corpo  solare,  quale  io  1’  aveva 
dedotto  dalle  prime  osservazioni  : cosicché  non  può  rimanere  alcun  dubbio 


sulla  origine  vulcanica  di  queste  masse  circumsolari:  mentre  nella  prodigiosa 
varietà  di  forme,  che  esse  presentano  nelle  parti  più  elevate,  non  può  non  rav- 
visarsi nella  materia  eruttata  Fazione  di  altre  forze,  oltre  alla  forza  di  proje- 
zione  ed  alla  gravità  solare. 

Questi  getti  gassosi  ordinariamente  sono  hen  definiti  e sottili  alla  base  ; 
talora  paralleli,  talora  intrecciati  insieme  nelle  più  vaghe  figure,  e non  di  rado 
si  veggono  più  getti  confondersi  insieme , in  modo  da  costituire  getti  d’ im- 
mensa portata. 

La  varietà  e la  stranezza  di  forme,  che  assumono  questi  getti  nelle  parti 
elevate,  è veramente  prodigiosa  : e in  ogni  giorno  si  riscontrano  nuove  va- 
rietà, nuove  forme. 

Nei  getti  bassi,  o non  molto  elevati  ma  violenti,  prevale  ordinariamente  la 
figura  parabolica,  determinata  da  una  velocità  di  impulso  e dalla  gravità,  senza 
sensibile  contrasto  della  resistenza  del  mezzo,  ossia  dell’atmosfera  solare;  e le 
deformazioni,  che  talora  prendono  questi  getti,  sembrebbero  dipendere  soltanto 
dalla  variata  velocità  e direzione  dell’  impulso  : mentre  nei  getti  elevati  le 
strane  e complicate  deformazioni  sembrano  dovute  al  concorso  di  altre  forze. 

Se  le  prime  osservazioni  mostrarono  che  i gas  vomitati  dal  sole  pote- 
vano salire  sino  alla  straordinaria  altezza  di  10  diametri  terrestri,  ossia  di  3'; 
le  posteriori  osservazioni  mi  provarono,  che  assai  più  elevato  è il  limite  delle 
altezze  delle  protuberanze,  avendone  riscontrate  alcune  non  meno  alte  di  6', 
ossia  di  più  di  20  diametri  terrestri,  cioè  di  260,000  chilometri  circa. 

Nel  giorno  26  Gennajo  fra  il  bordo  NO  ed  ONO,  sopra  una  bella  pro- 
tuberanza alta  più  di  3',  ritrovai  tre  nubi  isolate  molto  lucide,  ad  un  altezza 
di  circa  61  dal  disco  solare;  e nel  giorno  27  marzo  nel  bordo  SE  osservai  una 
protuberanza  continua  e di  forma  assai  complicata,  alta  non  meno  di  6';  della 
quale  non  potei  rilevare  il  disegno  in  causa  di  sopraggiunte  nubi. 

Non  è quindi  esagerato  l’ammettere,  che  l’altezza  delle  protuberanze  non 
è minore  di  quella  assegnata  «alla  corona  od  aureola  luminosa,  che  si  presenta 
attorno  al  disco  del  sole  e della  luna  durante  gli  eclissi  totali  ; e che  perciò 
esse  possano  costituire  sino  a quest’altezza  una  specie  di  atmosfera  solare. 

Non  tralascierò  di  riferire  una  circostanza  molto  rimarchevole  , ed  è la 
seguente,  che  anche  a tali  altezze  si  riscontrano  abbastanza  distinte,  oltre  alla 
riga  spettrale  rossa  C,  anche  la  riga  gialla  presso  la  D del  sodio,  e la  bleu  F; 
contrariamente  a quanto  si  era  generalmente  ammesso,  che  queste  ultime  ri* 
ghe  si  presentassero  soltanto  alle  minori  altezze. 


— 204  — 


Il  che  sembrami  provare  che  il  difetto  di  queste  righe  , che  ordinaria- 
mente si  verifica  nelle  parti  più  elevate  delle  protuberanze,  non  dipenda  dalla 
minore  temperatura  o dal  raffreddamento  delle  masse  eruttate,  ma  piuttosto 
dalla  minore  densità  od  estensione  delle  masse  stesse. 

, Le  posteriori  osservazioni  mi  hanno  confermato  ciò  che  dissi  nella  prima 
nota  relativamente  alla  durata  di  queste  eruzioni  ; e cioè  che  esse  talora  pos- 
sono persistere  per  molti  giorni  e forse  per  intere  rotazioni  del  sole,  come  le 
macchie,  malgrado  le  continue  variazioni  delle  parti  superiori  dei  getti;  avendo 
verificato  che  le  eruzioni  in  prossimità  ai  poli  si  mantengono  certamente  at- 
tive per  molti  giorni,  e che  nelle  regioni  equatoriali  alcuni  grandi  centri  di 
eruzione  si  sono  probabilmente  ripresentati  dopo  intere  rotazioni  del  sole  , 
tuttoché  molto  modificati. 

La  località  delle  protuberanze  , come  già  erasi  stabilito  dalle  prime  os- 
servazioni, trovasi  combinare  prossimamente  con  quella  delle  facule  ; ma  sem- 
brami accertato  che  esse  siano  da  queste  distinte  ; e cioè  che  i getti  non  co- 
stituiscano realmente  le  parti  più  lucide  del  disco  solare  , ma  che  essi  pro- 
ducano un  maggiore  condensamento,  o una  maggiore  attività  di  combustione 
nelle  parti  limitrofe  della  fotosfera  da  essi  squarciata,  rimanendo  anzi  meno 
lucidi  o più  oscuri  i fori  o aperture  in  questa  praticate. 

E in  ciò  mi  conferma  il  fatto  che  getti  straordinariamente  lucidi,  osser- 
vati anche  presso  all’orizzonte  senza  lo  spettroscopio,  diventano  invisibili  an- 
che coli’  uso  dei  più  opportuni  e deboli  vetri  offuscanti,  senza  presentare  sul 
loro  posto  alcuna  sensibile  sporgenza  sul  bordo  solare.  Da  questo  fatto  sem- 
brami poi  dimostrato  che  quei  getti  luminosi,  che  alcuni  asseriscono  di  avere 
osservato  come  sporgenti  dal  bordo  del  sole  al  suo  tramonto,  non  fossero  già 
protuberanze  o masse  circumsolari,  ma  semplici  giuochi  di  luce  nella  nostra 
atmosfera. 

Le  più  alte  protuberanze  ordinariamente  si  riscontrano  nelle  regioni  in- 
termedie ai  poli  ed  all’  equatore  solare  , mancando  totalmente  nelle  regioni 
circumpolari,  sino  a circa  70°  di  latitudine,  e diventando  meno  frequenti  e 
meno  pronunciate  in  vicinanza  all’  equatore. 

Questa  legge  già  dedotta  dalle  prime  osservazioni,  e confermata  da  quelle 
protratte  ad  oltre  5 mesi,  non  può  essere  richiamata  in  dubbio  ; e ci  prova 
già  una  stretta  relazione  fra  questi  fenomeni  e quelli  delle  facule  e delle  mac- 
chie, e la  dipendenza  comune  di  tutti  questi  fenomeni  dal  moto  rotatorio  del 
sole.  Questo  carattere  di  vulcanicità  non  devesi  però  ritenere  proprio  soltanto 


205 


di  alcune  zone  solari  ; ma  come  generale  ed  esteso  a tutta  la  superfìcie  del 
sole;  poiché  i getti  gassosi  si  mostrano  a qualunque  latitudine,  e nelle  varie 
zone,  variano  soltanto  l’attività  e le  proporzioni  delle  eruzioni.  E non  credo  az- 
zardata la  supposizione  che  da  questi  getti  sia  portato  dall’  interno  del  sole 
quel  gas  che  ne  forma  1’  estremo  inviluppo,  ossia  che  da  esse  sia  alimentato 
e conservato  lo  strato  rosato. 

In  questi  ultimi  mesi  la  non  comune  frequenza  di  belle  macchie  avrebbe 
offerto  una  favorevole  circostanza  per  istudiare  la  conformazione  del  bordo  so- 
lare nelle  località  di  esse  macchie,  al  momento  della  loro  apparizione  o di- 
sparizione dal  disco  : ma  la  contrarietà  della  stagione  poche  volte  mi  ha  per- 
messo simili  osservazioni. 

Quantunque  sia  assai  ristretto  il  numero  delle  osservazioni  del  bordo  so- 
lare fatte  in  queste  circostanze,  pure  mi  sembra  già  sufficiente  a stabilire  al- 
cuni speciali  caratteri  relativi  alla  costituzione  della  superfìcie  del  sole  nella 
località  delle  macchie  stesse. 

In  vicinanza  alle  macchie  e sul  contorno  delle  medesime  ordinariamente 
l’attività  vulcanica  è molto  marcata,  non  già  per  grandi  protuberanze  o per 
getti  giganteschi  , ma  per  la  presenza  di  getti  intensissimi  e variabilissimi  , 
che  soltanto  ad  intervalli,  e per  breve  durata  si  slanciano  talora  a notevoli 
altezze  sullo  strato  rosato. 

Comunemente  sul  posto  preciso  dalla  macchia  lo  strato  rosato  è assai 
basso,  e non  di  rado  presenta  delle  addentellature  tanto  marcate,  da  far  ri- 
tenere che  sul  nucleo  , o non  trovisi  affatto  lo  strato  stesso  , o che  almeno 
sia  ridotto  a piccola  spessezza  ; cosicché  puossi  dedurne  che  sul  nucleo  non 
corrispondono  ordinariamente  getti  od  eruzioni. 

Se  vogliamo  ammettere  nel  nucleo  uno  splendore,  questo  però  devesi  ri- 
tenere come  assai  debole,  non  solo  comparativamente  alla  luce  della  fotosfera, 
ma  anche  a quella  già  molto  debole  dello  strato  rosato  ; potendosi  vedere  ben 
marcati  e ben  distinti  i getti  e le  protuberanze  projettate  sul  medesimo  , e 
rimanendo  lo  spettro  di  essi  nuclei  molto  oscuro  anche  nelle  estreme  vici- 
nanze al  bordo  del  sole,  e probabilmente  anche  sul  bordo  stesso. 

Lo  studio  dello  spettro  de’  nuclei  delle  macchie  è assai  difficile,  trovan- 
dosi accumulato  sul  medesimo  lo  spettro  della  luce  solare  diffusa  dalla  nostra 
atmosfera,  quello  della  luce  dell’atmosfera  solare,  la  luce  delle  circostanti  pro- 
tuberanze o getti  su  di  essi  proiettati,  la  luce  propria  del  nucleo,  se  esiste  , 


— 206  — 

colle  modificazioni  subite  dai  mezzi  assorbenti  che  potessero  trovarsi  sul  me- 
desimo. 

E sembrami  troppo  azzardoso  Tammettere  che  le  particolarità  presentate 
dallo  spettro  stesso  siano  dovute  alla  speciale  qualità  della  luce,  proveniente 
dall’  interno  del  sole  per  le  supposte  voragini  che  costituirebbero  le  macchie, 
ed  agli  assorbimenti  elettivi  delle  supposte  masse  gassose  che  scaturirebbero 
dalle  voragini  stesse. 

Debbo  confessare  di  non  avere  fatto  uno  studio  speciale  sugli  spettri  delle 
macchie  , e ciò  per  mancanza  dei  mezzi  opportuni  e del  tempo  necessario  ; 
ma  posso  accertare  di  essere  in  possesso  di  fatti,  i quali  attribuirebbero  al- 
meno ad  alcune  delle  particolarità  osservate  negli  spettri  stessi  una  causa  es- 
trinseca alla  luce  delle  macchie. 

Per  esempio  l’ indebolimento,  la  scomparsa  della  riga  nera  C,  e la  sua 
trasformazione  in  riga  lucida,  già  verificate  dal  Secchi,  anziché  alla  luce  del 
nucleo , ritengo  siano  interamente  dovute  alla  luce  dei  getti  o protuberanze 
che  circondano  il  nucleo  stesso  : avendo  trovato  che  tali  trasformazioni  si 
verificano  più  spesso  sul  contorno  delle  macchie,  e che  quando  il  fenomeno 
ha  luogo  sul  nucleo , è sempre  ristretto  ad  una  parte  del  medesimo  , dove 
probabilmente  si  projettano  i getti  vicini  ; e ciò  sarebbe  confermato  anche  dal 
fatto  , che  simili  apparenze  si  riscontrano  più  frequenti  e più  marcate  nelle 
macchie  vicine  al  bordo. 

I getti,  che  sorgono  presso  le  macchie  , si  contraddistinguono  da  quelli 
che  si  elevano  nelle  altre  località,  e dai  quali  sono  prodotte  le  protuberanze 
propriamente  dette,  per  alcuni  ben  marcati  caratteri  ; e cioè  pel  loro  inten- 
sissimo splendore,  pel  loro  rapido  sviluppo,  per  la  loro  forma  e per  la  qua- 
lità delle  sostanze  eruttate. 

Questi  getti  sono  così  luminosi,  che  facilmente  si  possono  vedere  pro- 
jettati  sul  nucleo  delle  macchie  ed  anche  sulla  penombra,  non  solamente  al 
bordo  del  sole,  ma  talora  anche  sulle  parti  centrali  del  disco;  e ciò  per  mezzo 
del  rovesciamento  più  o meno  marcato  delle  principali  righe  spettrali  delle 
protuberanze. 

Lo  splendore  di  questi  getti  però  non  è tanto  intenso  da  renderli  visi- 
bili nel  cannocchiale  senza  il  concorso  dello  spettroscopio  ; perchè  esaminando 
il  bordo  del  sole  nel  posto  di  getti  luminosissimi  sporgenti  dal  medesimo , 
non  ho  potuto  rimarcare  sensibili  deformazioni  della  fotosfera,  ossia  nessuna 
prominenza,  servendomi  anche  dei  più  opportuni  offuscanti. 


207  — 


Non  è quindi  a ritenersi,  secondo  che  io  penso,  che  da  questi  getti  siano 
costituite  quelle  lingue , quegli  archi  lucidi , che  attraversano  i nuclei  delle 
macchie  , e che  si  appellano  comunemente  ponti  ; i quali  posseggono  uno 
splendore  molto  più  intenso,  una  luce  totalmente  diversa,  e che  costituiscono 
sicuramente  una  derivazione,  una  ramificazione  della  fotosfera. 

Lo  sviluppo  di  questi  getti  è spesso  rapidissimo  , e non  di  rado  mi  è 
accaduto  di  vedere  getti  luminosissimi  slanciarsi  in  breve  tempo  , in  pochi 
minuti,  ad  enormi  distanze,  cioè  di  varii  diametri  terrestri,  ricadendo  in  forme 
paraboliche  sul  lembo  solare. 

Talora  ho  potuto  osservare  svilupparsi  in  questo  modo  dei  gruppi  di  nu- 
merosi e sottilissimi  getti,  i quali  o incurvandosi  tutti  nel  medesimo  senso, 
o in  varie  direzioni,  presentavano  il  più  sorprendente  spettacolo. 

La  durata  di  questi  getti  ordinariamente  è assai  breve,  ma  spesso  la  loro 
base  rimane  per  molto  tempo  persistente  sotto  l’aspetto  di  tratti  o punti  In» 
cidissimi,  che  spiccano  notevolmente  dallo  strato  rosato  in  cui  si  projettano. 

Nel  luogo  delle  eruzioni  e alla  base  dei  getti  spessissimo  si  presentano 
dei  tratti  o masse  di  uno  splendore  intensissimo  ; il  cui  spettro  di  tratto  in 
tratto  si  rende  assai  vivo  in  tutta  la  sua  lunghezza,  come  nella  combustione 
di  una  massa  solida. 

Un  carattere  poi  molto  distintivo  dei  getti  e del  bordo  solare  in  vicinan- 
za alle  macchie  è quello  della  moltiplicità  delle  righe  spettrali  lucide,  delle  quali 
spesso  ne  ho  numerato  sino  ad  1 1 ben  distinte , oltre  a molte  altre  meno 
decise. 

Il  desiderio  di  studiare  lo  sviluppo  e le  trasformazioni  di  questi  getti  straor- 
dinarii,  l’eccessiva  fatica  in  queste  osservazioni,  e la  mancanza  di  opportuno 
micrometro,  non  mi  hanno  permesso  di  determinare  il  posto  di  queste  righe 
altro  che  in  modo  grossolanamente  approssimativo;  ma  spero  non  mi  man- 
cherà occasione  di  fare  sulle  medesime  un  più  accurato  studio. 

Ritengo  però  di  grande  importanza  il  risultato,  che  emerge  necessaria- 
riamente  da  queste  osservazioni,  e cioè  che  le  eruzioni  vulcaniche  sul  contorno 
delle  macchie  sono  diversissime  da  quelle  delle  altre  parti  della  superficie  solare 
per  la  qualità  dei  gas  eruttati  ; il  che  sembrerebbe  provare  una  speciale  costi- 
tuzione fìsica  e chimica  del  corpo  solare  nelle  località  soggette  alle  macchie. 

Fra  le  righe  speciali,  che  si  fanno  rimarcare  in  queste  località,  ne  farò 
notare  due,  per  quanto  mi  è noto  non  prima  osservate,  che  ho  vedute  ben 
distinte  in  tutte  le  circostanze  di  macchie  al  lembo;  e cioè  una  sul  rosso  fra 


— 208  — 


la  G e la  B,  un  pò  più  vicina  alla  C,  e cioè  a circa  0,45  della  distanza  C - B : 
l’altra  egualmente  sul  rosso  fra  la  B e la  a , distante  dalla  a di  0 , 40  circa 
della  distanza  B - a.  La  prima  riga  cade  vicina  ad  una  riga  del  litio  ; la  se- 
conda ad  una  riga  dello  stronzio,  ma  non  mi  sembrano  combinare  esattamente 
colle  medesime. 

Queste  righe  spettrali  si  presentano  su  tutta  l’estensione  della  macchia 
compresa  la  penombra  ; ma  non  si  trovano  ordinariamente  estese  a tutta  la 
lunghezza  dei  getti  e a tutti  i getti,  ma  semplicemente  ad  alcuni  getti,  e ta- 
lora ad  una  parte  soltanto  dei  getti  stessi  ; e più  volte  le  ho  rimarcate  ben 
distinte  e lucide  alla  sommità  di  qualche  getto,  e totalmente  mancanti  nelle 
parti  meno  elevate. 

Siccome  in  questi  casi  le  righe  rimanevano  persistenti  per  molto  tempo, 
malgrado  la  visibile  ricaduta  del  getto  sul  sole,  e siccome  i getti  apparivano 
quasi  compresi  nel  piano  visuale,  così  io  ritengo  che  la  visibilità  delle  righe 
in  quella  località  dipendesse  dalla  maggiore  profondità  dello  strato  gassoso  nella 
direzione  dell’  occhio,  e non  già  da  una  reale  discontinuità  della  massa  stessa 
sul  getto. 

Questi  caratteri,  che  contraddistinguono  le  eruzioni  o getti  prossimi  alle 
macchie,  si  estendono  più  o meno  manifestamente  a tutta  la  penombra;  sulla 
quale  lo  strato  rosato,  ordinariamente  basso  e regolare,  è di  uno  splendore  in- 
tensissimo, e presenta  allo  spettroscopio  molte  righe  spettrali,  fra  le  quali  fi- 
gurano sempre  le  due  rosse  ; una  fra  la  C e la  B,  e l’altra  fra  la  B e la  a. 
Per  tutta  questa  estensione  i getti  e le  protuberanze  sono  ordinariamente 
basse  e lucidissime,  di  forma  somigliante  alla  parabola,  e quasi  indipendenti 
da  quelle  cause,  che  nelle  altre  località  contribuiscono  potentemente  a disper- 
dere le  masse  gassose  eruttate  nelle  più  strane  diramazioni  e configurazioni. 

Questa  speciale  costituzione  del  bordo  solare  è il  mezzo  più  sicuro  per 
prevedere  nel  lembo  orientale  l’apparizione  delle  macchie  , e procurano  per- 
ciò all’osservatore  il  vantaggio  di  essere  avvertito  in  tempo  utile  per  dirigere 
la  sua  attenzione  allo  studio  dei  fenomeni  che  si  producono  sulla  superficie 
del  sole  al  posto  delle  macchie  stesse. 

Lo  stato  di  agitazione  o di  ondulazione,  nel  quale  trovasi  ordinariamente 
il  lembo  solare  per  effetto  della  scintillazione  atmosferica,  è probabilmente  la 
causa  che  ci  impedisce  di  vedere  ben  distinte  le  macchie  quando  toccano  il 
bordo  solare,  e l’oscurità  delle  medesime  può  essere  facilmente  invasa  dal  cir- 
costante e vivissimo  strato  rosato.  Non  rare  volte  però  ho  osservato  sul  po- 


— 209  — 


sto  di  macchie  vicinissime  all’orlo  delle  addentellature  scure  nello  strato  ro- 
sato, e dei  tratti  ed  archi  neri  paralleli  al  bordo  solare,  projettati  su  lucide 
e piccole  intumescenze  dello  strato  stesso,  come  se  il  nero  della  macchia  si 
elevasse,  di  poco  però,  sul  livello  generale  della  superficie  solare. 

Queste  ed  altre  simili  apparenze  da  me  osservate  farebbero  nascere  il 
sospetto,  che  la  parte  oscura  della  macchia  fosse  costituita  da  una  massa  oscura 
o debolmente  illuminata,  e sporgente  sul  livello  della  fotosfera  ; e che  in  ge- 
nerale la  superfìcie  solare,  quella  che  dicesi  fotosfera,  fosse  leggermente  on- 
dulata, e che  le  parti  più  oscure  fossero  un  pò  più  alte  delle  più  lucide,  os- 
sia delle  facule. 

Con  questa  supposizione,  che  sembrami  convenientemente  giustificata  dalle 
osservazioni  , si  renderebbe  ragione  della  notevole  diminuzione  di  splendore 
verso  il  bordo,  assai  meglio  che  colla  ipotesi  di  un  assorbimento  prodotto  dal- 
l’atmosfera solare  ; dovendosi  ritenere  questo  assorbimento  debolissimo  , at- 
tesa la  piccolissima  densità  dell’atmosfera  solare,  quale  viene  comprovata  dai 
fenomeni  delle  protuberanze. 

La  supposizione,  che  le  macchie  siano  squarci  o fori  prodotti  nella  foto- 
sfera da  masse  gassose  eruttate  dall’  interno  del  corpo  solare,  non  sembrami 
molto  probabile;  non  essendovi  ragione  perchè  tali  gas  non  dovessero  rendersi 
visibili  all’orlo  del  sole  per  mezzo  delle  loro  righe  spettrali,  come  succede  pei  gas 
che  realmente  scaturiscono  dalla  fotosfera  per  formare  le  protuberanze  e i 
getti  che  circondano  le  macchie. 

E per  me  riesce  inconcepibile,  come  possano  trovarsi  a contatto,  o vici  - 
nissimi,  getti  gassosi  di  caratteri  totalmente  diversi,  lucidissimi  cioè  gli  uni, 
oscuri  gli  altri  ; a meno  che  non  si  voglia  ricorrere  ad  ipotesi  speciali  rela- 
tive all’  interna  costituzione  del  corpo  solare,  non  conciliabili  poi  collo  stato 
gassoso  che  si  vorrebbe  proprio  dell’  intera  sua  massa.  Che  le  masse  di  idro- 
geno, che  ordinariamente  attorniano  le  macchie  non  siano  prodotte  dallo  stra- 
to rosato  , che  prima  occupava  il  posto  della  macchia  , riversato  ivi  dai  gas 
assorbenti  emanati  dai  crateri  o squarci  aperti  nella  fotosfera  , come  da  al- 
cuni si  è sospettato , è cosa  certa  ; essendo  manifestamente  provata  1’  ori- 
gine vulcanica  delle  masse  stesse,  costituite  da  ceali  getti  sorgenti  dalla  fo- 
tosfera. 

Le  macchie  sono  sicuramente  un  effetto  delle  eruzioni  o vulcani  solari, 
e cioè  una  modificazione,  una  alterazione  da  questi  prodotta  nella  fotosfera; 
ma  certamente  non  sono  formate  e costituite  da  queste  eruzioni  o getti  ; e 

28 


— 210  — 

non  credo  azzardato  l’ammeUere  che  questi  ordinariamente  manchino  sul  po- 
sto preciso  del  nucleo. 

D’ordinario  lo  strato  rosato  in  prossimità  al  nucleo  apparisce  molto  basso 
e regolare  ; e più  volte  nel  posto  delle  macchie  lo  strato  stesso  si  è presen- 
tato quasi  totalmente  rettilineo  o circolare,  con  pochi  getti  sottili , isolati  e 
di  breve  durata,  come  se  in  quelle  località  la  superficie  solare  fosse  costituita 
in  uno  stato  di  instabilità  minore  di  quella  che  domina  ordinariamente  nelle 
altre  parti. 

Se  le  moderne  teorie  della  costituzione  fìsica  del  sole  non  avessero  pro- 
scritto dalla  superficie  solare  lo  stato  liquido  e lo  stato  solido,  riescirebbe  ben 
più  facile  il  concepire  le  macchie,  come  formate  da  masse  solide,  sollevate  forse 
da  vulcani  o eruzioni  gigantesche  sul  livello  della  fotosfera,  costituita  da  un 
liquido  incandenscente  ; in  modo  da  formare  come  tante  isole  natanti  in  un 
mare  di  fuoco. 

Con  questa  ipotesi  si  spiegherebbe  facilmente  la  forma  radiata  dei  nu- 
clei delle  macchie,  e le  correnti  luminose  convergenti  verso  il  centro,  senza 
incontrare  serie  difficoltà  per  rendere  ragione  delle  apparenze  presentate  dalle 
macchie  stesse  nel  loro  avvicinarsi  al  bordo;  mentre  poi  resterebbe  facilmente 
spiegato,  per  mezzo  delle  azioni  di  quei  getti  od  eruzioni  sul  corpo  delle 
macchie  , il  movimento  di  queste  verso  i poli , e il  rallentamento  del  loro 
moto  nella  generale  rotazione  della  massa  solare  ; e le  loro  rapide  trasforma- 
zioni si  potrebbero  spiegare  per  mezzo  di  semplici  e~  piccoli  sollevamenti  o 
depressioni  di  queste  masse  natanti. 

Ma  queste  e simili  congetture  intorno  alla  natura  delle  macchie  non  si 
potrebbero  mettere  in  campo,  se  realmente  la  superficie  solare  fosse  investita 
di  quella  enorme  e quasi  favolosa  temperatura  , che  si  vorrebbe  dedurre  da 
alcune  esperienze  colle  quali  si  è cercato  di  misurare  l’ intensità  dell’  irraggia- 
mento calorifico  del  sole. 

Questi  risultati  però  non  sembranmi  tanto  evidenti,  da  non  potersi  concepire 
sui  medesimi  il  sospetto  di  una  grande  esagerazione  ; e spero  di  poter  mo- 
strare fra  breve  in  apposita  nota,  che  l’ irraggiamento  solare,  quale  viene  da 
noi  misurato,  non  porla  alla  necessità  di  attribuire  alla  massa  ed  alla  super- 
ficie del  sole  la  temperatura  di  più  milioni  di  gradi;  ma  una  temperatura  ele- 
vata si,  ma  non  tale  da  rendere  impossibile  sulla  medesima  superfìcie  la  pre- 
senza di  masse  liquide  e solide. 


— 2 i 1 — 

La  questione  però  è assai  delicata  e grave,  e i fatti  finora  raccolti  non 
sono  forse  sufficienti  a convenientemente  risolverla. 

Ma  di  fronte  ai  fenomeni  presentati  dalle  protuberanze  ritengo  assai  dif- 
ficile che  possano  sostenersi  le  recenti  teorie  sulla  fisica  costituzione  del  sole. 
Un  più  maturo  esame  di  questi  fenomeni,  giova  sperare,  non  condurrà  soltanto 
ad  abbattere  , ma  anche  ad  edificare  ; a stabilire  cioè  una  base  più  positiva 
e più  solida  per  la  teoria  della  fisica  solare. 


— 212  — 


Cenni  su  l'esame  microscopico  di  un  fango  estratto  dal  fondo  dell'  Oceano 
Atlantico.  Memoria  del  Conte  Ab , Francesco  Castracane  degli  An- 
ielminelli. 

Lo  studio  della  vita  animale  e vegetale  nel  mare,  e le  ricerche  dei  diversi 
fenomeni  che  hanno  luogo  fino  nei  più  reconditi  e profondi  abissi  dell’Oceano 
venne  giustamente  riputata  cosa  di  tanto  interesse  alla  scienza  che  il  Go- 
verno Inglese  ad  un  voto  espresso  dalPAssociazione  Britannica  si  fece  pre- 
mura di  fornire  una  delle  sue  navi  a vapore,  perchè  con  quel  mezzo  distin- 
tissimi Naturalisti,  quali  il  Dr.  Carpenter , il  Sig.  Gwin  Ieffreys  ed  il  Prof. 
Wyville  Thomson  assistiti  da  Ghimici  abilissimi,  potessero  operare  scanda- 
gli a ricerche  d’ogni  sorta  in  diversi  punti  ed  in  diverse  profondità,  ritraen- 
do dai  fondi  a mezzo  della  draga  le  prove  irrefragabili  della  vita  animale  o 
vegetale,  esplorando  la  temperatura  e la  composizione  chimica  delle  acque  , 
la  natura  del  fondo  marino,  e quanto  altro  può  interessare  la  Scienza  parti- 
colarmente in  rapporto  alla  Geologia. 

Nello  scorso  arino  l’ illustre  socio  di  questa  Accademia  Monsignor  Nardi 
con  brevi  e precisi  cenni  ci  pose  sottocchio  i principali  risultati  ottenuti 
nella  estate  del  1868  dai  Signori  Garpenter  e Wyville  Thomson  a bordo  del 
Lightening,  ed  è da  sperare  che  vorrà  egualmente  tenerci  informati  delle  ul- 
teriori interessantissime  osservazioni  raccolte  nella  decorsa  estate  da  altro 
vapore  del  Governo  Inglese  il  Porcupine,  il  quale  potè  con  ottimo  successo 
gettare  la  draga  fino  alla  enorme  profondità  di  2435  passi  ( fathoms  ) , 
che  equivalgono  a 14610  piedi;  e con  quella  ritrasse  notevole  quantità  di 
fango  tenuissimo  oltre  alla  prova  non  dubia  che  la  vita  animale  esiste  anche  in 
quell’abisso,  la  di  cui  profondità  eccede  di  oltre  a 3000  piedi  il  fondo  ma- 
giore,  sul  quale  giace  la  Corda  del  telegrafo  Transatlantico  , ed  è di  poco 
inferiore  alla  altezza  del  Monte  Bianco. 

La  squisita  gentilezza  del  Sig.  Gwin  Ieffreys  conchigliologo  di  altissima 
rinomanza,  ed  uno  dei  tre  che  diressero  le  ricerche  scientifiche  e le  analo- 
ghe operazioni  del  Porcupine,  in  questi  ultimi  giorni  mi  inviò  una  scatoletta 
contenente  un  campione  di  fango  estratto  da  quella  enorme  profondità,  for- 
nendomi così  la  più  favorevole  occasione  di  estendere  le  mie  osservazioni 


— 213  — 


Diatomologiehe.  Non  è da  dirsi  se  io  abbia  ritardato  pure  un  momento  a 
mettermi  all’opera  di  rendermi  conto  della  presenza  in  quel  materiale  dei 
diversi  organismi  microscopici,  ed  alle  prime  occhiate  che  vi  gettai  appena 
ebbi  posto  sotto  al  Microscopio  un  nonnulla  di  quel  fango  mi  resi  certo 
della  importanza  e richezza  di  quello  e per  le  molte  forme  svariate  di  Po- 
licistine,  di  Foraminifere,  e di  Diatomee,  acquistando  così  una  idea  della  na- 
tura e composiziona  di  quel  letto  del  mare.  Crederei  troppo  male  corrispon- 
dere alla  bontà  del  generoso  Donatore,  se,  oltre  al  rendergli  pubblica  testi- 
monianza di  gratitudine,  non  assumessi  l’impeguo  di  dare  il  più  minuto  ra- 
guaglio  di  quanto  mi  sarà  dato  osservare  in  ordine  alle  Diatomee,  le  quali 
formano  il  soggetto  speciale  dei  miei  studj  nella  Storia  Naturale  : e spero 
quanto  prima  sodisfare  a tale  proposito,  limitandomi  per  ora  ad  accenare 
alcune  osservazioni  preliminari. 

Il  primo  importantissimo  quesito  che  mi  si  presentava  alla  mente,  era 
se  le  Diatomee  esistenti  in  quel  fango  al  momento  nel  quale  furono  rac- 
colte fossero  ancora  viventi  o in  stato  fossile  o semifossile.  La  presenza  di 
alcuna  piccola  massa  colorala  ocracea  o giallo-verdastra  di  endocroma  dentro 
la  cavità  della  Diatomea  quantunque  non  avrebbe  fornito  sicuro  argomento 
che  la  Diatomea  al  momento  nel  quale  fu  tratta  dalle  acque  fosse  in  stato 
di  vegetazione,  pure  ci  avrebbe  autorizzato  a ritenere  con  la  maggiore  pro- 
babilità, che  quelle  fossero  viventi  e vegetanti  nel  fondo  del  mare.  Però  fino 
ad  ora  non  mi  fu  dato  riscontrare  traccia  la  più  piccola  di  sostanza  colorata 
esistente  nell’  interno  della  cellula;  onde  è che  io  mi  credo  autorizzato  a dire 
che  le  molte  Diatomee  che  formano  una  parte  di  quel  fango  non  sono  che 
gli  innumerevoli  minutissimi  resti  di  miriadi  di  Diatomee  , che  abandonati 
dalla  forza  vitale  rimasero  soggetti  alla  azione  della  gravità,  per  la  quale  dagli 
strati  superiori,  nei  quali  vegetarono,  lentissimamente  discendendo  perven- 
nero al  fondo  del  più  cupo  abisso  deirAtlantico. 

Nè  d’altronde  avrei  saputo  attendermi  d’  incontrare  Diatomee  viventi  in 
tanta  proadità  e conseguentemente  lontane  da  qualunque  influenza  della  luce. 
La  funzione  precipua,  alla  quale  furono  ordinate  le  Diatomee,  è (come  dissi 
in  altra  circostanza)  la  decomposizione  dell’acido  carbonico  e il  conseguente 
sviluppo  dell’ossigeno,  la  quale  decomposizione  ha  luogo  sotto  la  inflenza  della 
luce  solare.  Così  nello  stato  attuale  delle  nostre  cognizioni  non  saprei  im- 
maginare come  non  potendo  l’azione  della  luce  e dei  raggi  solari  pe- 


2U  — 


netrare  a tanta  profondità  ciò  non  ostante  vi  si  dovesse  ammettere  la 
presenza  di  quegli  esseri  la  di  cui  funzione  organica  non  potrebbe  aver 
luogo. 

É pertanto  un  desiderato  per  la  Scienza  il  determinare  almeno  appros- 
simativamente il  limite  della  profondità  nelle  acque,  oltre  il  quale  non  può 
aver  luogo  la  vegetazione  delle  Diatomee.  Un  tale  dato  potrebbe  servire  a 
calcolare  il  tempo  probabile,  dentro  il  quale  una  inpercettibile  Diatomea  ha 
potuto  scendere  fino  al  fondo  del  mare,  ad  onta  che  la  densità  dell’  acqua 
vada  ogniora  aumentando  in  ragione  della  profondità  degli  strati  , e della 
ogniora  crescente  pressione,  la  quale  per  il  fondo  dal  quale  venne  ritirato  il 
materiale  che  presi  ad  esame,  venne  calcolata  circa  a tre  tonellate  per  la 
superficie  di  un  pollice  Inglese  (inch).  Una  così  grande  pressione  e la  den- 
sità propria  dell’acqua  marina  accresciuta  da  quella  mi  persuade  che  negli 
strati  più  profondi  delle  acque  dell’Oceauo  le  lievissime  valve  delle  Diatomee 
devono  rimanere  quasi  indefinitamente  sospese. 

In  ordine  alle  forme  che  rendono  interesssante  il  campione  di  materiale 
che  ho  preso  ad  esaminare,  fra  le  più  rimarchevoli  specie  di  Diatomee  che 
vi  ho  notate  presentasi  un  beWAsteromphalos,  il  quale  non  troppo  di  rado 
vi  si  incontra,  quantunque  la  sua  forma  perfettamente  piana  ed  a dettagli 
tenuissimi  fa  che  spesse  volte  si  trascorra  senza  notarlo.  Questa  bella  specie 
era  assolutamente  nuova  nei  mari  di  Europa  per  quanto  fu  a mia  cognizione, 
quando  nel  1863  in  Fano  avendo  preso  ad  esplorare  il  tubo  intestinale  di 
un’ostrica  ebbi  la  buona  sorte  che  fra  molte  altre  forme  interressanti  vi  ri- 
conoscessi diverse  varietà  di  Asleromphalos  e Asterolampra,  le  quali  poi  in 
seguito  ho  potuto  non  di  rado  incontrare  nell’Adriatico  sulle  spiagge  di  Fano 
ed  anche  nella  estate  decorsa  in  Pirano  nell’  Istria. 

In  magior  numero  presentansi  esemplari  di  Hemidiscus  e forse  anche  di 
alcuna  specie  affine  come  VEuodia , dei  quali  ignoro  che  fino  ad  ora  siansi 
riscontrati  esemplari  raccolti  in  Europa,  o almeno  non  ne  trovo  fatta  men- 
zione nei  diversi  libri  che  possiedo  su  tale  argomento.  Oltre  di  queste  i ge- 
neri di  Diatomee  che  più  abondano  in  questo  raccolte  sono  le  Coscinodiscee 
e fra  queste  è frequentissimo  rincontrare  il  Coscinodiscus  lineatus , Ehrbg. 
Yi  sono  numerose  Meiosiree,  dei  Bacteriastrum , dei  Triceratium , delle  Ba- 
cillarie , qualche  Pleurosigma , Synedra,  Navicala  ec. 

Da  questi  pochi  cenni  non  v’è  chi  non  veda  quale  ubertoso  campo  si 


— 215  — 


schiuda  alle  osservazioni  dei  Micrografi  nell'esame  del  fondo  del  mare,  e dei  fan- 
ghi che  se  ne  ritraggono;  e allorquando  (come  spero  per  la  gentilezza  di  chi  mi 
fornì  questo  primo  saggio)  mi  sarà  dato  di  esplorarne  diversi,  di  divesre  lo- 
calità e profondità  di  mare,  e di  conosciute  diverse  temperature  è da  spe- 
rare che  si  faccia  qualche  luce  a rischiarare  le  leggi  della  distribuzione  delle 
specie,  secondo  che  risconti-ansi  fossili  nei  diversi  depositi  geologici. 


— 216  — 


CORRISPONDENZE 

Fu  letta  una  lettera  del  sig.  Barone  Camillo  Trasmondo  Frangipani,  dei 
duchi  di  Mirabello,  diretta  al  nostro  sig.  presidente,  colla  quale  il  nominato  sig. 
Barone,  offriva  in  dono  all’accademia,  tre  copie  di  una  sua  pubblicazione,  che 
ha  per  titolo  — Cenni  biografici  di  Fabbio  Colonna  degli  antichi  Lincei. 

Il  medesimo  sig.  Barone  colla  stessa  lettera,  offriva  in  dono  all’accademia 
il  busto  in  gesso,  dell’  illustre  chirurgo  Antonio  suo  padre,  che  appartenne  al- 
l’accademia dei  Lincei,  quando  essa  era  di  privata  istituzione. 

L’accademia  nostra  gradì  sommamente  l’uno  e l’altro  dono,  decretò  che 
se  ne  ringraziasse  il  donatore;  ordinando  altresì  che  il  busto  medesimo  fosse 
collocato  nell’aula  massima  delle  accademiche  tornate. 


Monsignor  Nardi  fece  dono  all’accademia  dell’opera  inglese,  intitolata: 
Rapporto  sull’esplorazione  geologica  dello  Stato  di  Jowa  ( Stati  uniti),  che  ab- 
braccia i risultamene  dell’  investigazioni,  fatte  durante  gli  anni  1855,  56,  57, 
dal  sig.  James  Hall  (Geologo),  e dal  sig.  S.  1).  Whitney,  (Chimico,  e minera- 
logo  due  Volumi.  — ■ l.°  Voi.  Geologia  — 2.°  Voi.  Paleontologia). 

Il  sig.  Com.  Ales.  Cialdi  donò  all’accademia  la  sua  pubblicazione  intito- 
lata — Portolevante,  e cause  del  suo  insabbiamento. 

La  società  filosofica  di  Manchester  ringrazia,  per  gli  atti  de’ Nuovi  Lincei 
pervenuti  ad  essa. 

Si  è ricevuto  dalla  R.  accademia  letteraria  di  Amsterdam  il  programma, 
pel  concorso  poetico  del  1870,  in  lingua  latina.  1 componimenti,  di  tema  li- 
bero, per  questo  concorso,  debbono,  essere  spediti  prima  della  fine  di  gennaio 
del  1871,  al  sig,  I.  C.  G.  Boot,  segretario  dell’accademia  stessa. 

Si  è ricevuto  dal  R.  Istituto  d’incoraggiamento  alle  scienze  naturali,  eco- 
nomiche, e tecnologiche  di  Napoli,  il  programma  di  pubblico  concorso,  per  l’anno 
1870.  Il  quesito  è così  formulato:  Messo  il  principio  della  pluralità  delle  ban- 
che, e degl’  istituti  di  credito,  determinarne  la  vera  essenza,  e Io  scopo,  e sino 
a qual  punto  la  loro  opera  giovi  alla  proprietà,  all’  industria,  al  commercio. 


alla  circolazione.  Medesimamente  fare  rilevare  quali  danni  ue  derivano,  quando 
fuorviano  dalla  loro  istituzione,  o se  ne  abusi. 


La  sessione,  riunitasi  alle  due  pomeridiane  , in  numero  legale  si  sciolse 
dopo  due  ore  di  seduta. 


Soci  ordinari  presenti 

P.  Yolpicelli  — P.  A.  Guglielmotti  — • B.  Viale  — S.  Cadet  — F.  Ca- 
stracane  — F.  Giorgi  — B.  Boncompagni  — B.  Tortolini  - - M.  Azzarel!i  — 
M.  Nardi  — E.  Rolli  — L.  Respighi  — L.  Diorio  — D.  Chelini  — A.  Betocchi  — 
A.  Cialdi  — G.  Pieri  — G.  Ponzi. 

Pubblicato  nel  30  di  luglio  1870. 
P.  V. 

OPERE  VENUTE  IN  DONO 

Atti  del  R.  Istituto  Veneto  di  Scienze  , Lettere  , ed  Arti.  — Disp.  2.*  del 
1869-70. 

Rendiconti  del  R.  Istituto  Lombardo  di  Scienze , e Lettere  *—  fase.  II.  e IV. 

del  1870. 

Atti  della  R . Accademia  delle  Scienze  di  Torino.  « — Voi.  V,  disp.  l.“  e 2.“ 
del  1869,  e disp.  3.a  del  1870. 

Appendice  al  Volume  IV  degli  atti  della  R.  Accademia  suddetta. 

Memorie  delV  Accademia  delle  Scienze  dell ’ Istituto  di  Bologna  — ■ Serie  II, 
Tomo  IX,  fase.  2,  del  1870. 

Rendiconto  della  R.  Accademia  delle  Scienze  fisiche  e matematiche  di  Na- 
poli. — Novembre  e Dicembre  del  1869. 

Discorso  del  Comm.  Cristoforo  Negri  , presidente  della  Società  Geografica 
Italiana,  tenuto  nell’adunanza  del  12  Marzo  1870.  — ■ ■ Un  fase,  in  8.° 
Considerazioni  di  Sebastiano  Purgotti  sopra  l’opuscolo  del  prof.  Alessandro 
Massi  mino,  nel  quale  si  approva  l’introduzione  di  Euclide  nei  Ginnasi , e nei 
Lincei  d’Italia.  — Torino,  1870  ; un  fase,  in  12.mo 

29 


— 218  — 


Dell' oscillazioni  calorifiche  orarie , diurne,  mensili , ed  annue  del  1867,  del 
prof.  Cav.  F.  Zantedeschi  — Venezia  1870,  un  fase,  in  8.° 

Sur  1’  illumination  . . . Sulla  illuminazione  dei  Corpi  trasparenti,  per  I.  L. 
Soret.  — Ginevra,  1870,  un  fase,  in  8.° 

Bullettin  . . . Ballettino  della  Società  Imperiale  de'  Naturalisti  di  Mosca  — 
n.  4.  del  1868. 

Ex  trai  ts  . . . Estratti  dei  processi  verbali  della  Società  delle  Scienze  fisiche 
e naturali  di  Bordeaux  — Anno  1869-70. 

Philosophieal  ....  Transazioni  filosofiche  della  R.  Società  di  Londra  — 
Voi.  159  — Parte  1. 

Proceedings.  . . Atti  della  R.  Società  di  Londra.  — Voi.  XVII.  n.  109-114. 

Proceedings  . . . Atti  della  R.  Società  Geografica  di  Londra  — Voi.  XIII.  n.  5. 

The  Journal  . . . Giornale  della  R.  Società  suddetta.  — Voi.  XXXVIII  - 1868. 

Proceedings.  . . . Atti  della  Società  letteraria  e filosofica  di  Manchester.  — 
Voi.  V,  VI  e VII.  Sessione  1865-66  ; 1866-67  ; 1 867-68. 

Abhandlungen.  . . . Memorie  della  Società  Slesica  per  la  coltura  della  Pa- 
tria — Sezione  filosofioo-storica  del  1868-69. 

Idem id Sezione  Medico-Naturale  del 

1868-69. 

Sechsundvicrzigter  . . . Rapporto  annuale  quarantaseiesimo  della  Società  sud- 
detta pel  1868. 

Monatsbericht  . . . Rapporto  mensuale  della  R.  Accademia  delle  Scienze  di 
Berlino  — Novembre,  e Dicembre  del  1869. 

Sitzungsbericht ‘.  . . Alti  della  I.  R.  Accademia  delle  Scienze  di  Vienna  — 
Classe  matemalica-N aturale  — Sezione  1.“  — n.  6-10  del  1868  ; n.  1-2 
del  1869. 

Idem  Classe  mat.-nal.  Sezione  2.®  Glasse  n.  7-10  del  I 868;  e n.  1-3  del  1869. 

Idem id Classe  Filosofìco-lslorica 

n.  8-10  del  1868  ; e n.  1.  del  1869. 

Archiv.  . . . Archivio  per  la  Storia  Austriaca  — Voi.  40.° 

Fontes  rerum  Austriacarum.  — ' Voi.  29°. 

Ballettino  Meteorologico  ed  Astronomico  del  Regio  Osservatorio  della  Università 
di  Torino  — Anno  IV,  1869. 

Ballettino  Meteorologico  cieli'  Osservatorio  di  Moncalieri.  — Novembre,  1869. 

Comptes  . . . Conti  resi  dell'Accademia  delle  Scienze  dell'  Imperiale  Isti- 
tuto di  Francia  (in  corrente.) 


Sulle  eagioni  probabili  delle  accensioni  vulcaniche  subaeree.  Discorso  del  prof, 
cav.  Agatino  Longo.  — Catania,  1868  — un  fase,  in  8.° 

Due  Memorie  di  Geologia  e Vulcanologia  : del  suddetto.  — Catania  1868  ; 
un  fase,  in  8.° 

Memorie  Geologiche  del  suddetto — Catania,  1866  ; un  fase,  in  8.° 

Cenni  biografici  di  Fabio  Colonna  per  servire  alla  storia  scientifica  del  se- 
colo XVII ; del  Barone  Camillo  Trasmondo-Franfipani — Roma,  1870; 
un  fase,  in  8.° 

Portolevante  e cause  del  suo  insabbiamento.  All'  illustre  Ispettor  Carlo  Comm. 
Possenti.  — Lettera  del  Comm.  Alessandro  Ci  aldi.  — Roma  1870,  un 
fase,  in  8.° 

Report  . . . Rapporto  sulla  esplorazione  geologica  dello  Stato  in  Jowa  (Stati 
Uniti)  ; pei  professori  James  Hall , e I.  D.  Wuitney.  Due  Volumi  in  8/  — 
Vashington  1858. 


ATTI 

DELL’ACCADEMIA  PONTIFICIA 
DE’  NUOVI  LINCEI 

r t rs — n 

SESSIONE  VI."  DELL’  4 MAGGIO  1870- 

PRESIDENZA.  DEL  S1G.  CAV.  BENEDETTO  VIALE  PRELA' 

MEMORIE  E COMUNICAZIONI 

DII  SOCI  ORDINASI  E DEI  CORRISPONDENTI 

Pensieri  intorno  varii  argomenti.  — Memoria  di  Gaspare  Mai  nardi  S.  C. 
( Continuazione , vedi  sessione  VII  del  22  aprile  1867) 

vJfeometri,  anche  fra  i distinti,  mi  onorarono  grandemente,  riproducendo,  a 
lontani  intervalli,  molti  miei  piccoli  trovati  letterarii,  o compiacendosi  siccome 
invenzioni  loro  proprie,  o attribuendoli  ad  altri.  Confortato  dalla  conseguente 
convinzione  di  aver  io  pure  mediocremente  corrisposto  alle  mie  obbligazioni 
sociali  , la  speranza  di  eccitare  utile  attenzione  su  altri  argomenti,  m’ induce 
a svolgere  vecchi  manoscritti,  e miei  opuscoli  stampati.  Attribuendo  qualche 
valore  ai  pensieri,  che  costituiscono  l’essenza  degli  oggetti,  sopprimo  il  pas- 
sivo sviluppo  di  calcoli  algebrici.  (*) 

VI.  Su  la  teorica  generale  delle  superficie 

1 matematici  non  si  avvidero  che  la  celebre  memoria  di  Gauss  (**),  tanto 
studiata,  importava  un’  essenziale  compimento  il  quale,  trentanni  dopo,  io  mi 
sono  proposto  e conseguito  (2);  ma  con  risultamene  nella  loro  generalità  as- 
sai complicati.  Nella  occasione  del  gran  premio  proposto  per  il  1860  dall  I. 
Accademia  di  Parigi,  Edmondo  Bour  meditò  1’  argomento  * e sul  proprio  la- 


(*)  Si  vegga  nella  Continuazione  il  §.  Paradossi. 

(**)  Alti  dell’  Accademia  di  Gollinga  1827. 

(2)  Giornale  de!  R.  Istituto  Lombardo,  Tomo  X,  1857. 


— 221  — 


Toro  (*)  premiato  dichiarava  il  seguente  giudizio  « d’une  asse?  grand  nom- 
» bre  de  relations  . . . on  voit  se  dégager  peu  a peu  celles  qui  costituent  . . „ 
»...  la  base  de  toute  la  théorie  de§  surfaces  ....  Tout  se  résumé  se 
» condense  dans  trois  équations  . . . Je  ne  sauvais  trop  appeler  ì’attention 
» sur  mes  équations  fondamentales  . . . elles  compìètent  élégamment  le  théo- 
» rème  de  Gauss.  . . Il  est  remarquable,  que  trois  quantités  auxiliaires,  in- 
» troduit  uniquement  pour  semplifier  l'ecrilure , soient  susceptibìes  d’une  dé- 
» fìnition  géométrique  très-simple  » (**).  11  Sig.  Ossian  Bonnet,  che  riportava 
il  secondo  premio  (***)  osserva,  che  le  equazioni  di  Bour  sono  particolari,  che 
estendendole  alle  coordinate  ortogonali  « nous  nous  playons  encore  dans  un 
cas  particulier  » e che  il  Sig.  Codazzi,  onorato  di  menzione  dall’  I.  Accademia 
Francese  « s’ est  affranchi  de  cette  derniere  hypothèse  , mes  les  formules  , 
qu' il  obtient  sont  tres-compliquées  ».  Nella  mia  Memoria  (2)  io  mi  proposi 
scientemente  la  ricerca  delle  equazioni  fondamentali  con  tutta  generalità  : le 
particolari  di  Bour  si  deducono  con  un  tratto  di  penna:  Né  io  pel  primo,  né  i 
matematici  , che  studiarono  1’  argomento  dippoi,  abbiamo  riconosciuto  che  da 
poche  formole  già  tutte  predisposte  nella  mia  Memoria  (2),  emergono  con  bre- 
vissimo calcolo  le  equazioni  più  semplici  e più  generali.  Tutte  le  equazioni 
particolari  date  dai  citati  autori,  sono  fra  derivate  parziali  simultanee,  il  cui 
svolgimento  trascende  f attuale  potenza  dell’  algebra  ; mentre  due  particolari 
accennate  nella  mia  Memoria,  riguardanti  le  linee  di  principale  curvatura,  si 
svolgono  con  semplici  quadrature,  ed  apprendono  che  da  quelle  linee  si  devono 
classificare  le  superficie,  e che  le  due  funzioni  caratteristiche  sono  subordinate 
a vicendevole  dipendenza. 

Mi  riporto  alla  mia  Memoria  (2),  che  suppongo  sott’occhi,  e ne  richiamo 
i risultati  secondo  la  numerazione  ivi  adottata  (****). 


(*)  Journal  de  fècole  1.  Polvtecnique,  Tomo  22.  Cahier  39-1802,  pag.  6.  23. 

(**)  Intorno  alle  specialità  discusse  con  molto  acume  nel  seguito  del  suo  scritto  il  Bour 
pronuncia  assai  giudiziosa  sentenza  circa  simili  dettagli  scolastici  « ces  trois  équations  une 
fois  obtenues,  je  ne  crois  pas  qu’  il  y ait  un  grand  intèrèt  à pousser  plus  loin  dans  celle 
voie  la  résolution  générale  du  problème  : » Sulle  superficie  sovraponibili  senza  disconti- 
nuità. 

(***)  Journal  de  f école  5.  Polytecnique  Tome  25  Cahier  42  1867.  pag.  42  31-32. 

(****)  Per  reciproca  corrispondenza  il  R.e  Istituto  Lombardo  invia  i proprii  Alti  alle 
principali  Academie.  Siccome  chi  legge  deve  almeno  rifare  i calcoli , avverto  unicamente 
che  nella  equazione  (18)  della  mia  Memoria,  è ommesso  il  fattore  4,  come  si  rileva  dalle 
equazioni  (17),  per  cui  è erronea  la  G per  le  superficie  rigate,  scritta  nell’esempio  finale. 


\ 


— 222  — 

Equazioni  particolari  di  Bour. 

$ 

Impiegando  coordinate  polari , suppongo  F — 0 , E = 1 , G 
per  cui 

m = m'  = n = o)n=:  — m"=  g ~ , n"=  g ~ . 

du  y dv 

Dalle  equazioni 


9 5 > 


(.*>  Kp-i-.Kp.r'Hì. 


'E,  m,iri  “| D dg 

9 


r D2  IT2  __  /d^X* 

^ L • J o dv’  g2  ’ o2  ~ ^ W 


0 9 


DD'_  DD"  D'D"  _ dg  dg  d*g 

— = S>  — ^ 1 — 17,-17.’  DD  —D  ==-9  d-i(a) 


r 9 * ^ 

per  cui  la  mia  equazione  (19)  è 


dv  du 


in  conseguenza  della  quale  e della  (a)  la  mia  equazione  (20)  porge 


W mSi-msks-- 


D\  D dg 


Equazioni  generali. 

D = ZA«,  D'  = ZA*'  , D"  = 24a"  , 


da  da'  da'  da" 

dv  du  1 dv  du  ’ CCC 


Dalle 


223 


, . , . . dA  . dA  . 

e dai  'valori  di  A'  — — u -4-  v , ecc. 

du  dv 


deduciamo 


dD  _ dot  cL4\  dD' vw  , dA. 

dv  dv~*~Udv)  ’ du  JL.  ' du  a dui  ’ 


dD  dD 
dv 


- = 2 [“  ,s"v  ~ sf)  ~ 2a’  (s'7  ~ sY)  1 


e posti 

(!)  ==  rnF  — nE  , (2)  = mG  — nF , (1')  = m'F — ri  E,  ([")  = m"  F—ri'E,  ecc. 
essendo 

Ay  = C D — ( I ) c'  h-  (2)  c,  AS1  = B D' — {{')  ò'-h  (2')  b , 


A f = BD"  -(1  ")  6' -t- (2")  6,  ecc. 

ne  seguono 

A*(S''7—  Sf)  = (Cb  — Bc)  [D(2")  - X)',(2)]-(C(>,-Bc')[»(i")  - D"  (I  )] 

n-(W-6'c)[(l")(2Hl)(2")] 

A J(S'7  - e-/')  = (Cf>  - Z)c)Fd(2')  — D’(2)]-  (C6'-Bc')[b(I')_D'(I)] 

+ 4[(!')(2)-(l)(S!')]  ecc. 


A* 


M 

W~ 

-4- 


^')  = 2 [C(2')-B'(2)]  2V(ÈV  - Fa) 

[o(i")-fl"(t)]2“(Fa'-Ga)  ; 


224  — 


quindi 


A (Ìì7  ~ S = 2[°  <2'>  ~ D'W  ] - [D  (!  ")-»"(  1 ) ] 


Equazione  semplice  e generale,  da  cui  con  permutazioni  circolari  si  desume 
dj)f  dD" 

l’altra  fra  — — , — — . Nel  caso  speciale,  di  eminente  importanza,  indicato  nella 
dv  du 

mia  Memoria  (2),  in  cui  le  linee  coordinate  sono  di  principale  curvatura 


£G  = Df2(2')  — (1")  T -I-  £»"(!),  2(1  ')  — ((")=  WG 


E 


quindi 


, 2D  ir,,.  , , nn„  ’l>r d «fc^G 

< v = ww  ' e perche  m =-iG)  L“vr^J 

i valori  di  D,  Du  si  ottengono  con  semplici  quadrature,  e ne  deriva  la  equa- 
zione, che  stabilisce  la  vicendevole  dipendenza  delle  funzioni  E,  G. 


Caratteri  algebrici  delle  linee  di  principale  curvatura. 


Se  a v'  — 0 corrisponde  una  linea  piana  di  principale  curvatura  per  essa 
0,r'==o,  quindi  a = N.pu  = costante  , come  è noto.  La  equazione  (5) 


porge 


ed  essendo 


Pu 


2 dv 


rc2!(i\w)  4=^, 

pu  W 

„ 1 dE  2JE\/G  * 

D = È ’ Pu  =~dE~  sen‘*  ‘ 


ne  seguono 


— 225  — 

dorè  « dipende  unicamente  da  v : di  qui  due  equazioni  fra  G,  E ed  a (I). 
Considero  le  linee  di  principale  curvatura  di  una  superficie  rigata.  Siano 
x — cc,  y = § f z — y , funzioni  dell’  arco  s , le  equazioni  di  una  di  dette 
linee  ; t la  tangente,  r il  raggio  di  prima  flessione,  l la  normale  alle  t , r, 
z — et  = a (z  — 7)  , y — § = b (z  y)  le  equazioni  della  retta  generatrice 
u,  X ; perpendicolare  ad  u,  l. 

L^=ra*B=fcà’x-“=i(z-^y-6=lì<z-^ 


rappresentano  la  normale  alla  superficie.  Se  essa  è incontrata  dalla  norma!® 
prossima,  che  parte  da  s,  saranno 


Z-y 


Ay'  — oc1  _ By  — & 


A' 


B' 


. Se  1 -+-  a2  -4-  b2  = A2  , siccome 


G'y" — S"y'  = - cos .l.x  eoe.  a «'-+*  b §'  cy'  = A cos .u.t  , 
r 


a (§'y"  — 6"y')  — - cos..mJ  , by' — 6'= Acos.Xx.sen.w.f  , 


boc'  — a^'  ~ A cos.X.z.  sen.u.f , ay'  — oc'  — Acos.X.t/.sen.w.f  , 


cos.X.#  _ cos.X.w  . , , 

sono  A — , B = A , Ay'  - «'  == 

cos.X.z  cos.X.z 


cos. £.m. cosi.?/  — cos.u.y 
cos.X.z  . sen.w.e 


By'  ~6'  = — 


cos .t.u.  cas.t.x.  — eos.w.sc 


cos 


X.x  . sen.u.t 


[A  — - — . - — . - — . —1  2 . t 

— cos.M.i.cos.u.y-4-(a'cos.X.a:  — &'cos.X.y)cos.t.y.sen.f.itJ;  Acos.X.z.sen.  u.t, 


(1)  Si  può  vedere  una  mia  Nota.  Analisi  di  Matematica  — Roma  Novembre  1852. 

Su  le  superficie  delle  quali  le  linee  di  principale  curvatura  giacciono  in  piani  concorrenti 
in  una  retta. 


30 


— 226  — 


^ ^ ^ ^ 2 ^IN 

B'=?, — £ — cos.u.l.cos.u.x-\-(a'cos  X.x — &'cos.X.y)cos.t.#.sen.f.uJ:Acos.X.z. 


sen.u.r, 


e Sa  equazione  ( Ay ' — z')B'  = {Bi — §')A'  , 

diviene  (a)  a'cos.X.x  — ò'cos.X.y  h cos.w./  cotang.u.J  = 0. 

Il  raggio  di  principale  curvatura  nella  direzione  $ è 


R 


Ai 


[bz1 — a$')A 


z'  — ' cos.Rìc 

— - A sen.wi , — 

cos.Rz 


cos.X.a? 

r — , ecc. 

cos. A. z 


Se  gli  assi  x,  y , 3,  coincidono  rispettivamente  con  l , r , l , la  equazione  (a) 
sarà 


cos.w.n,  « cos .u.t  sen.u.l  r 

~L ^,n  = )’ — — , come  e noto 

cos -ul  rcos.ui  cos  .u.l  cos. Rr 


Se  Rt  è il  raggio  conjugato  ad  R,  l'iperbole  indicatrice  porge  RL  = R tang.u.f. 
Se  la  direttrice  x = z,  y = S,  z~  7 è una  linea  qualsivoglia,  poste 

-=A,  - = B,§  — Bz  = C,  y -Aoc  = D 
a ci 


per  cui  y — Bx  -4-  C , z = Ax  ■+■  D rappresentino  la  retta  generatrice;  la  nor 
male  alla  superfìcie  sarà  data  dalle  equazioni 


[ {AB1-  A’B)x  -+-  AC—  BD']  [Z  — z)  -+-  (£'*  -+-  C1)  (X-x)  = 0, 


(A'x  ■+■  D')  [Z  - z)  -+-  (B'a:  -+-  C')  (F  — y)  = 0 . 

Se  l’asse  a?  è una  generatrice,  onde  siano  simultaneamente  s~0,  z — 5 

A'x  -t-  B' 

— y — A.  — B = C — D — 0.  dalla  formula  tang.  ® rrr  , 

C x D 


gì  ha  Tinclinazione  9 all’asse  y della  traccia  sul  piano  coordinalo  y z,  del  piano 
tangente  nel  punto  a:  dell’asse  di  questo  nome.  Se  la  normale  in  quel  punto»  e 
la  susseguente  si  incontrano,  le  coordinate  comuni  sono 


X 


= x , Z = 


B'x  C'  , 
A'C'  — B'D'  X ’ 


Y = 


A'x  h-  D'  , 
A'C' — B'D'X  ; 


inoltre 


A'C1 — B'D'=  Q'x'  ; il  raggio  di  principale  curvatura  R — 
ed  indicata  con  r la  retta  generatrice  sono 


B'x  + Ci 
9'  cos.0  ? 


/ cos.rz  ^ R1 

1 /COS  .ry\ 

V — ) ’ 
v cos.r# 

V — / 
cos  rx 

Linee  geodetiche. 


Se  tali  sono  le  linee  su , posto  su  = 1 onde  E=i  , e cos.(pu$„)  = 0 » 
dalle  equazioni  ^8)  della  mia  Memoria  si  ha  du  F = 0,  ed  essendo 

F — V"G  cos.Su.s^  , ne  segue  speditamente  cos.sIrsv  = 0 : notato  da  Gauss. 
Essendo  poi 


V~g  VGC0S,(f— = 

P. 


duV G , posto 


cos  .(puSv)  1 


ne  segue 


r -+-  du  dus'v 


deduzione  che  si  connette  alla  teorica  degli  sviluppi.  — Dalla  equazione  (5) 
della  mia  Memoria,  postovi 


fi)2  de,.iva 

.»*  sen -N-P 

dfi  J 

l dv'  ’ 

P 

\ dv)  v L \ 

quindi 


d2cp 

du  dv  ’ 


— 228  — 


Se  s è brevissima,  essendo 


dm  ' — " cos , pv.  su  1 dso 

v'  tangs.s*  , c = — T -r—j 

dv  Ov  dm  du  d 


dtp  du  dv  ’ 
dv 


ne  segue 

(tang  s.Su)1 


d2<p 


cos2.  s.sudu’  ^ 


— 0 , cioè  cos  s . s„  = C e 


-s: 


conseguenza  importante,  che  applicata  alle  superficie  di  rotazione  , per  le 

qUali  — = — , conduce  al  noto  teorema  pv  cos  . s . = C costante. 

rv  pv 

Volendosi  la  linea  s di  data  lunghezza  che  termina  un  poligono  di  minima 
estenzione  S,  essendo  S — fodu,  sarà  minima  la  funzione  f[B ? -+-  s]  du  , quindi 

„ dcp  ds'  ( ds\ ’ , sen  (N?) 

JB  — h ( — 1 = 0,  eppero ■=  Scostante  : conseguenza  nota. 

dv  dv  'dv1'  P 


<dvl/  ’ p 

Trasformazione  di  coordinate. 


Si  debba  rendere  Edp 2 -+-  Gdq 2 = X2[dp'2  -h  dq'2]  , essendo  date  le  fun- 
zioni E , G.  Supposte  dp'  = ocdp  -4-  Gdq  , dq'  = ydp  -+-  $dq  , E = e2n  , G — e2*, 
indicato  con  cp  l’angolo  delle  linee  p — costante,  q'  = costante,  dalle  proje- 
zioni,  avremo  : 

«X  = em  sen  . <p  , 6X  = en  cos  . <p , y\  ~ — emcos  . <P  , $X  = en  sen  <p  ; 
dalle  relazioni 


ne  seguono 


e posto 

(«) 


dq2 


>2« 


da 

d S 

dy 

da 

dq 

dp  ’ 

dq 

dp 

X dn 

Pm~ 

» 

d. 

log  . > 

dq 

dq’ 

dq 

in  — n 

. = si 

ottiene 

d2ù 

1 i • 

dò 

dtf  „ 

dtp 

du 

+ di • 

dq 

dp 

dp 

dq 


„„„  d<p 

-m— n 

dq  ’ 


« d*u  a 

e“  — 0 . 


.2  ti 


229  — 


ehe  equivale  alle  seguenti 


d<p 


du 


d2u 


dtp 


d6 


la  integrazione  della  quale  importa  quella  delle  due  coesistenti 


du  d2u 

dp~*  ^ 6 dp  .dq 


= 0 . 


Negli  Annali  di  Matematica  pubblicati  in  Roma  (Maggio  1854)  ho  svolto  a 
lungo  questo  facile  metodo  d’integrazione  di  equazioni  del  secondo  ordine  (a), 
derivative  dal  primo  ( b ):  metodo  poco  studiato,  e che  ivi  ho  applicato  a molti 
esempii  presi  anche  fra  le  equazioni  integrate  da  Munge  col  principio  delle 
carateristiche.  Una  mia  Memoria  su  le  equazioni  a derivate  parziali  del  se- 
condo ordine,  pubblicata  col  Tomo  IX  (1856)  del  Giornale  dell’ I.  R.  Isti- 
tuto Lombardo,  offre  pure  qualche  pensiero,  forse  non  immeritevole  di  studio, 
come  spero  di  poter  chiarire. 


CORRISPONDENZE 


Il  segretario  comunicò  l’onorevole  dispaccio  di  S.  Eminenza  Rma  il  sig. 
Cardinale  Antonelli,  del  21  aprile  187  0,  col  quale  si  accompagnava  in  dono 
all’accademia,  da  parte  della  università  di  Liegi,  un’  opera  pubblicata  da  essa, 
col  titolo  Liber  memorialis.  Col  medesimo  dispaccio  si  faceva  noto,  che  il  fine 
di  questo  pregievole  dono  consisteva,  nel  volere  la  università  medesima,  esten- 
dere e consolidare  le  sue  relazioni  scientifiche  e letterarie,  coi  più  ragguarde- 
voli istituti. 

L’accademia  gradì  assaissimo  l’ indicato  dono,  e ordinò  che  ne  fosse  fatto 
il  relativo  ringraziamento  ; volendo  altresì  che  la  università  di  Liegi,  fosse 
nel  novero  di  quei  stabilimenti  scientifici,  cui  vengono  spedite  le  nostre  pub- 
blicazioni. 


L’  accademia  riunitasi  legalmente  alle  due  pomeridiane,  si  sciolse  dopo 
due  ore  di  seduta. 


Soci  ordinari  presenti  a questa  sessione 

G.  Ponzi  — B.  Viale  — L.  Diorio  — A.  Cialdi  — P.  A.  Guglielmotti  — 
F.  Giorgi  — D.  Chelini  — F.  Castracane  — S.  Proja  — S.  Cadet  — B.  Tor- 
tolini — B.  Boncompagni  — M.  Azzarelli  — L.  Respiglii  — E.  Rolli  — A. 
Betocchi  — P.  Volpicelii. 

Pubblicato  nel  6 di  agosto  1870. 
P.  V. 


OPERE  VENUTE  IN  DONO 

Alti  del  R.  Istituto  Veneto  di  Scienze  , Lettere  , ed  Arti.  — Disp.  3.*  del 
1869-70. 

Rendiconto  della  R.  Accademia  delle  Scienze  fisiche  e matematiche  di  Na- 
poli. — fase.  l.°,  e 2.°  del  1870. 


— 231 


Atti  della  R.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino.  • — Voi.  V,  disp.  e feb- 
braio 1870. 

Notizia  storica  dei  lavori  fatti  dalla  Classe  di  Scienze  fisiche  e matematiche 
dell'  Accademia  suddetta,  negli  anni  1864  e 1865,  scritta  dal  prof.  A.  So- 
nile no  — Torino  1869,  un  fase,  in  8.° 

Rendiconti  del  R.  Istituto  Lombardo  di  Scienze,  e Lettere  — fase.  5.°,  6.°, 
e 7.°  del  1870. 

De'  lavori  accademici  del  R.  Istituto  d'  incoraggiamento  alle  scienze  natu- 
rali, economiche,  e tecnologiche  di  Napoli  nel!  anno  1869,  e Cenni  bio- 
grafici di  Ferdinando  de  Luca  ; del  Comm.  F.  Del  Giudice.  — Un  fase, 
in  4.°  1870. 

La  Meteorologia  del  Globo,  studiata  a diverse  altitudini  da  terra.  Memoria  del 
cav.  prof.  F.  Pantedeschi.  — Un  fase,  in  8.°  1869. 

Procès  ....  Processi  verbali  della  Società  delle  Scienze  fisiche,  e naturali 
di  Bordeaux  (continuazione). 

L‘  Université  . ...  L'  Università  di  Liege  dalla  sua  fondazione,  per  Alfonso 
Le  Roy,  prof,  ordinario  alla  facoltà  delle  lettere.  — Un  voi.  in  8.°  1869. 
( Liber  memorialis  ). 

Bulleltino  meteorologico  dell'  Osservatorio  di  Moncalieri.  — Dicembre  1869  e 
Gennaio  1870. 

Nature  . ...  La  Natura  Giornale  di  scienze  illustralo.  — Novembre,  e Di- 
cembre del  1869  — e Gennaio,  Aprile  (21)  del  1870  — dal  N.  1 al  25. 

Comptes  . . . Conti  resi  dell'Accademia  delle  Scienze  cieli'  Imperiale  Isti- 
tuto di  Francia  (in  corrente.) 

Notizie  degli  studi  di  A.  Coppi,  raccolte  da  Federico  Sclopis,  — Torino,  1870 
| foglio  in  8.° 

Remarques  ....  Osservazioni  sulla  eguaglianza  x'n  — 1=0. 

Una  comunicazione  falla  alla  Classe  di  scienze  fisiche  e matematiche  della 
R.  Accademia  di  Torino  , dal  prof.  Genocchi,  nell'adunanza  del  27  Mar- 
zo 1870. 

Ballettino  di  bibliografìa  e di  storia  delle  scienze  matematiche  e fisiche,  pu- 
blicato  da  B.  Boncompagni.  — Tomo  11.  Novembre  1869. 


ATTI 

DELL’ACCADEMIA  PONTIFICIA 

DE’  NUOVI  LINCEI 

— — --  , — 

SESSIONE  VII a DEL  12  GIUGNO  1070- 

PBESIDE.VZl  BEL  SS®.  CAI.  BENEDETTO  AULE  PREL.V 

MEMORIE  E COMUNICAZIONI 

3>EZ  SOCI  ORDINARI  E DEI  CORRISPONDENTI 

Formula  generale  per  la  variazione  del  tono,  prodotto  dal  moto  del  corpo  so- 
noro, e deir  ascoltatore  : corollari  di  questa  formula  , e considerazioni  sul 
modo,  col  quale  credesi  potersi  spiegare  lo  spostamento  delle  righe  di 
Fraunhofer  nello  spettro  del  sole,  a motivo  del  suo  molo  rotatorio.  — 
Memoria  del  prof.  P.  Volp/celli. 

S-  1- 

li  sig,  Doppler  osservò  pel  primo,  che  il  moto  relativo  di  un  corpo  sonoro, 
deve  modificare  la  gravezza  del  suo  tono  (*).  Infatti  movendosi  un  corpo  so- 
noro, verso  colui  che  lo  ascolta,  è chiaro  che  ogni  oscillazione  seguente,  dovrà 
impiegare  per  giungere  all’orecchio,  minor  tempo  di  quello  che  impiegherebbe, 
se  il  corpo  sonoro  stesse  fermo.  Perciò  l’ascoltatore  riceverà  in  un  medesimo 
tempo  un  numero  di  oscillazioni,  ovvero  di  onde  sonore,  maggiore  di  quello 
che  corrisponde  alla  quiete  del  corpo  vibrante. 

Rappresenti  S (fìg.  1)  una  sorgente  sonora,  che  compie  in  un  secondo 

n oscillazioni,  e si  muova  con- 
tro  1’  ascoltatore  0 , con  una 

g gj g — — £ q velocità  a ; mentre  questo  si 

muove  incontro  alla  sorgente 
stessa,  con  una  velocità  h.  Si  domanda  il  numero  delle  oscillazioni,  che  riceverà 
l’ascoltatore  in  un  secondo,  che  è in  questo  caso,  il  più  generale. 

Facciasi  la  distanza  SO  — d,  alla  quale  si  trovano  la  sorgente,  e l’ascol- 


(*)  Uber  der  farbige  Licht  der  Doppelslerne,  Prag.  1842  — Marbach,  voi.  6,  p.  939. 


— 233 


tatore  al  principio  del  tempo  , essendo  v la  velocità  del  suono.  L’ascoltatore 
incontrerà  in  un  punto  A l’onda,  corrispondente  alla  prima  oscillazione  di  tutte 
quelle,  che  il  corpo  sonoro  produce  nel  tempo  di  un  secondo,  da  noi  preso  a 
considerare;  l’ultima  poi  di  queste  oscillazioni,  esso  la  incontrerà  nel  punto  B. 
Poniamo  inoltre 

AG  — x , BO  — x1  , 

e finalmente  sieno  t , t'  i tempi,  nei  quali  l’ascolatore  medesimo  incontra  le  due 
stesse  oscillazioni.  Chiaro  apparisce  che  pel  tempo  t , relativo  al  primo  in- 
contro, dovremo  avere 

x=bt  , d — • x — vt  ; 

quindi,  eliminando  la  x da  queste  due  equazioni,  avremo 

, . d 

d — bt  — vt , l = . 

b h-  v 

Per  trovare  il  tempo  corrispondente  al  secondo  incontro,  dobbiamo  riflettere,  che 
alla  fine  del  minuto  secondo,  preso  in  considerazione,  il  corpo  sonoro  si  troverà 
in  S',  essendo  SS1— a.  Quindi  la  distanza,  che  deve  percorrere  questa  oscil- 
lazione, onde  incontrare  l’ascoltatore,  sarà  S'B  = d — a — x' . Ma  poiché  la 
velocità  del  suono,  fu  espressa  con  v,  così  è chiaro  che  il  tempo  impiegato 
dall’ultima  oscillazione,  a percorrere  1’  intervallo  SB , dovrà  esprimersi  con 

d — a — x' 
v 

Siccome  poi  l’ultima  oscillazione,  parte  dal  corpo  sonoro  alla  fine  del  secondo, 
vale  a dire  alla  fine  del  tempo  = 1 ; così  è chiaro,  che  il  secondo  incontro, 
deve  aver  luogo  nel  tempo 


v 

Da  un  altro  lato  è chiaro  altresì,  che  l'ascoltatore,  a percorrere  il  tratto  OB , 
alla  fine  del  quale  ha  luogo  l’ incontro  secondo,  impiega  il  tempo 


quindi  eliminando  x'  dalle  ultime  due  uguaglianze,  sarà 

, d — a — bt'  , d — a -4-  v 

t = h-  1 , cioè  t = — 

b -+•  v 


v 


31 


— 234  — 


lì  tempo  percorso  fra  il  primo  ed  il  secondo  incontro,  sarà  dunque  dato  da 


b -+-  v 

E siccome  l’ascoltatore  riceve  in  questo  tempo  n oscillazioni,  così  egli  sen- 
tirà in  un  secondo,  un  tono  determinato  dal  numero  n'  di  oscillazioni,  espres- 
so da 

n b v. 


b -t-  v 

Questa  è la  formula  per  la  natura  del  tono  ascoltato,  quando  il  centro  so- 
noro e l’osservatore,  si  muovono  ambedue,  coll’andare  uno  verso  l’altro.  Da 
questa  formula  discende 

ri  > n ; 

cioè  l’acutezza  del  tono  ascoltato,  sarà  maggiore  di  quella,  che  avrebbe  avuto 
il  centro  sonoro,  quando  esso  e l’ascoltatore  stati  fossero  in  quiete. 

E poi  facile  vedere  che  la  formula  (I),  vale  anche  pel  caso  in  cui  la  sor- 
gente o l’ascoltatore,  od  anche  ambedue,  si  muovano  in  direzione,  opposta.  Per 
tal  fine  non  occorre  altro,  che  attribuire  un  valore  negativo  alle  velocità  ri- 
spettive a,  b.  Per  tanto  la  formula  stessa  vale  in  qualunque  caso,  dando  a 
ciascuna  delle  velocità  a , b un  valore  positivo,  quando  i moti  hanno  luogo 
uno  verso  l’altro,  ed  un  valore  negativo,  quando  i moti  stessi  avvengano  in 
senso  contrario  l’uno  all’altro;  quindi  potremo  dedurre  dalla  (1),  i seguenti 
corollari. 

Coroll.  ì.°  Se  i due  mobili  andassero,  non  uno  verso  l’altro,  ma  bensì 
ciascuno  in  senso  all’altro  contrario,  cioè  con  allontanarsi  ciascuno  dall’altro, 
allora  dalla  (1)  si  avrebbe 

v — b 

n , 

a -+-  v 

essendo  sempre  b ed  a le  velocità  assolute,  colle  quali  si  muovono  rispetti- 
vamente l’ascoltatore,  ed  il  corpo  sonoro.  In  questo  caso  abbiamo 

n'  < n , 

quindi  l’acutezza  del  tono  sarà  minore. 


— 233  — 


Coroll.  2.®  Muovendosi  poi  il  corpo  sonoro  verso  l'ascoltatore,  colla  ve- 
locità a,  mentre  quest’ultimo  si  muove  nel  medesimo  senso  colla  velocità  è, 
allora  per  la  (1)  sarà 


Coroll.  3.°  Se  inoltre  si  muovono  ambedue  nel  medesimo  senso  , colle 
velocità  rispettive  a , b ; ma  in  guisa,  che  l’ascoltatore  vada  verso  la  sorgente 
sonora,  sarà 


Nelle  formule  (3),  (4),  1’  acutezza  del  tono,  dipende  dai  valori  numerici 
delle  u,  b , riferiti  alla  v. 

Coroll.  4.°  Essendo  l’ascoltatore  fermo,  avremo  dalla  formula  generale  (1) 
b — 0 , e sarà 

(o)  « n . 

v — a 

Coroll.  5.°  Se  invece  poi  stesse  ferma  la  sorgente,  allora  si  avrebbe 


(6) 


, , b -t-  V\ 

" = (— l " - 

Nelle  formule  (5),  (6)  avremo 

«'  > n . 

cioè  crescerà  in  questi  casi  l’acutezza  del  tono. 


S-  2- 

La  precedente  dottrina  di  Doppler,  da  noi  qui  dichiarata,  ricevè  obbie- 
zioni da  più  fìsici,  fra  i quali  Petzval  (#),  Angstrom  ((*) **),  e Moigno  (***);  ma 
presentemente  la  teorica  medesima  è da  tutti  ammessa. 

La  indicata  modificazione  del  tono,  bene  si  percepisce,  quando  il  corpo  so- 
noro possiede  una  velocità  non  troppo  tenue  : così  movendosi  una  locomotiva 
con  1 0m  di  velocità,  il  numero  n'  delle  oscillazioni,  che  produce  il  suono  del 


(*)  Sitzungsberichte  der  Wiener  Accademie  der  Wissenschaften,  Vili,  p.  867. 

(**)  Poggendorff  Ann.  voi,  94,  p.  141. 

{***)  Repertoire  d’  Optique  3'  partie,  p.  1199. 


— 236 


fischio,  si  accresce  nel  rapporto  di  n : n'=  I : I h — per  un’immobile  ascolta- 
tore, lo  che  risulta  dalla  (5).  Però  siccome  la  velocità  del  suono,  è circa  330'", 
così  1’  indicato  rapporto  sarà  n : n'  — 33  : 34  , e la  differenza  di  questi 
due  toni  ancora  si  percepisce.  Questo  fatto  può  verificarsi  facilmente,  quando 
la  locomotiva  si  muove  contro  un  muro  che  produca  1’  eco.  Se  in  tal  caso 
l’ascoltatore  sia  collocato  in  opportuno  modo,  sentirà  egli  contemporaneamente 
il  tono  diretto  ed  il  riflesso,  e questo  sarà  quello  modificato;  cioè  nel  caso  me- 
desimo, sarà  esso  di  acutezza  maggiore  del  primo;  perchè  in  tal  caso  la  loco- 
motiva progredisce  verso  il  suono  riflesso.  Con  tal  mezzo  il  sig.  Sott  Pmssell  ha 
ciò  verificato  { Répertoire  d'optique  moderne  par  Moigno,  vol.3.°p.  1195,  Pa- 
ris 1850),  mentre  il  sig.  Bujis  Ballot,  ha  riconosciuto  il  fatto  in  proposito,  sulla 
strada  ferrata  di  Utrecht  (*),  senza  però  servirsi  dell’eco.  11  sig.  Kònig  a Pa- 
rigi è giunto  a render  sensibile  la  indicata  differenza  del  tono,  in  un  modo  (**) 
totalmente  diverso,  ed  assai  più  semplice.  Così  fatto  modo,  è basato  sui  batti- 
menti, prodotti  quando  due  suoni  discordano  assai  poco  fra  loro.  A tal  fine 
adopera  egli  un  sistema  di  due  diapason,  i quali  producono  in  un  secondo  un 
certo  numero  di  battimenti.  Poscia  movendo  uno  dei  due  diapason  verso  l’a- 
scoltatore, il  numero  dei  battimenti  deve  cangiare.  Per  es.  se  il  diapason  mo- 
bile, sia  quello  che  ha  più  acuto  il  suono;  allora  durante  il  moto  verso  l’ascol- 
tatore, la  differenza  dei  numeri  delle  vibrazioni  dei  due  diapason,  deve  accre- 
scersi, ed  anche  il  numero  dei  battimenti  nello  stesso  tempo. 

Quando  un  corpo  sonoro  si  muove,  ruotando  assai  rapidamente  nel  senso 
della  freccia  (fìg.  2.)  intorno  ad  un  asse  C,  allora  l’ascoltatore  che  si  trova  in 

A , deve  sentire  sempre  più  acuto  il  tono  , mentre  il 
corpo  sonoro  percorre  la  mezza  circonferenza  B'  P B, 
nel  senso  della  freccia.  Pel  contrario  deve  sentirlo 
sempre  meno  acuto , mentre  il  corpo  medesimo  per- 
corre nel  senso  della  freccia  la  semicirconferenza  B P'B' 
e ciò  per  l’esposto  principio  di  Doppler.  Imperciocché 
nel  primo  caso  ha  luogo  un  a'vvicinamento  , e nel  se- 
condo un  allontanamento,  fra  il  corpo  sonoro  e l’ascol- 
tatore A.. 


Fig.  2. 


A 


(*)  Poggendorff  Ann.  voi.  66,  an.  1843,  p.  321. 

(**)  L’acustique,  ou  les  phénomènes  du  son,  par  Radau,  Paris  1867,  p.  283-285 


— 237  — 


s.  3- 

Modernamente  1’  indicato  principio  , trovò  un’  applicazione  importante 
nella  spettroscopia,  tanto  solare,  quanto  stellare  ; poiché  il  fatto  medesimo  si  hi 
servire  qual  mezzo,  per  conoscere  se  fra  la  Terra  ed  uno  qualunque  degli  astri, 
abbia  luogo  qualche  avvicinamento  , od  allontanamento.  Doppler  stesso  già 
toccò  questo  soggetto,  ma  senza  giungere  ad  una  conseguenza  certa.  Poiché 
deve  osservarsi,  che  solamente  le  righe  fraunhoferiane,  vale  a dire  le  interru- 
zioni di  luce  nello  spettro  luminoso,  le  quali  dal  citato  autore  non  furono 
a bastanza  considerate,  sono  quelle  che  possono  condurre  ad  una  plausibile 
conclusione. 

L’illustre  fisico  sig.  Fizeau  fece  nel  1848  ricerche  analoghe  (*),  mettendo 
pel  primo  in  chiaro,  come  le  righe  di  Fraunhofer  debbono  spostarsi,  per  effetto 
del  moto  del  corpo  luminoso.  L’  Ab.  Moigno  nell’  analizzare  la  memoria  del 
sig.  Fizeau  (**),  intitolata  « Particularités  que  présente  le  son,  lorque  le  corps 
» sonore  ou  1’  observateur,  sont  animés  d’  un  mouvement  de  translation  ra- 
» pide,  ecc.  » così  dice  « Mais  il  n’est  pas  douteux  par  le  jeune  savant  et  phy- 
» sicien  (Fizeau),  que  les  déplacement,  du  corps  lumineux  et  de  l’observateur, 
» en  diminuant  ou  augmentant  les  longneurs  d’ondes  (***)  doivent  infallible- 
» ment  améner  un  déplacement  des  raies  du  spectre,  déplacement  qu  il  ne 
» désespère  pas  de  mettre  en  évidence  » (****).  Lo  stesso  viene  asserito  dal 
sig.  Mach,  il  quale  riporta  esplicitamente  la  riferita  idea  (*****).  Si  vede  quindi, 
che  la  determinazione  del  moto  degli  astri,  per  mezzo  della  spettroscopia,  non 
è punto  nuova;  ma  l’applicazione  sua  non  era  facile  allora,  per  la  imperfezione 
dei  spettroscopi.  Oggi  che  questi  strumenti  sono  assai  migliorati,  alcuni  fisici 
nuovamente  si  occuparono  di  cosi  fatto  argomento. 

§•  4. 

11  p.  Secchi,  comunicando  le  ricerche,  da  esso  fatte  sopra  Sirio  (******), 
dice  non  aver  potuto  scoprire  alcuno  spostamento,  nelle  righe  spettrali  di  tale 

(*)  Theorie  des  faringea  Lichts  der  Doppelsterne. 

(*#)  Sembra  che  questa  memoria  sia  pubblicata  con  quelle  della  Societé  philomatique. 

(*#*LDeve  dire  le  nombre  des  ondes,  e non  les  longueurs. 

<****)  Répertoire  d’  optique  moderne,  Paris  1850  , troisième  partie.  Paris  1850  , p. 
1199,  li.  IL 

Poggendorff  ann.  voi.  112,  an,  1861,  p.  72. 

Comptes  rendus,  voi.  66,  an,  1868,  p.  398. 


— 238  — 


stella.  Pel  contrario  Huggins  (*),  avendo  poco  dopo  anch’esso  fatte  simili  os- 
servazioni, concluse  dalle  medesime,  che  l’allontanamento  relativo  dell’ indicato 
astro  dalla  Terra,  era  di  41  kilometri.  Ed  il  p.  Secchi  rispose  (**),  ammettendo 
la  possibilità  di  questo  allontamento,  ma  dichiarando  che  il  suo  istrumento  non 
aveva  potere  bastante,  a rendere  percettibile  il  fatto  indicato.  Finalmente  Hug- 
gins tornando  sudo  stesso  proposito  (***),  pubblicò  che  in  veruna  stella,  fuor- 
ché nel  Sirio,  potè  scoprire  uno  spostamento. 

Nel  1869  il  sig.  Zòllner  costrusse  un  apparecchio  spettroscopico,  a fine 
di  rendere  percettibile  lo  spostamento  delle  righe  spettrali,  prodotto  dalla  rota- 
zione del  sole  ; e l’ illustre  Faye,  fece  un  rapporto  molto  favorevole  a questo 
istromento,  nell’accademia  delle  scienze  dell’  I.  Istituto  di  Francia  (#***).  Con 
tale  mezzo  si  mettono  a confronto  , gli  spettri  degli  estremi  di  un  diame- 
tro dell’equatore  solare;  cosicché  lo  spostamento  prodotto  dalla  rotazione  del 
sole  nelle  righe  spettrali,  viene  raddoppiato  secondo  la  teorica  di  Doppler. 

Il  p.  Secchi  trovò  questo  istromento  troppo  complicato,  e credette  miglior 
partilo  confrontare  lo  spettro  delle  protuberanze  solari,  con  quello  di  un’altra 
luce  (*****).  Riprendendo  egli  poi  queste  ricerche,  si  fece  a considerare  lo  spet- 
tro di  una  solare  protuberanza,  esprimendosi  carne  siegue  Qw****)  » Ma  la  nu- 
be, e la  protuberanza  suddetta  ci  presentarono  ancora  un  fatto  più  importante, 
benché  esso  pure  non  nuovo  del  tutto.  La  riga  lucida  nella  parte  di  fuori  del 
disco  solare,  apparve  tutta  proiettata,  non  in  continuazione  della  riga  nera  fraun- 
hoferiana,  visibile  nel  campo  esterno  al  disco  ; ma  tutta  più  in  là  verso  il 
giallo,  lasciando  la  riga  nera  tutta  verso  il  rosso.  Questo  fatto  era  marcatis- 
simo. Noi  eravamo  qui  in  faccia  di  uno  di  quei  tanti  cambiamenti  di  refran- 
gibilità, che  sono  stati  spiegati  all’ammettere  una  velocità  di  proiezione  nei 
getti  luminosi  di  una  potenza  sterminata,  ecc.  ecc.  « 

Si  vede  chiaro  dal  citato  brano,  che  il  p.  Secchi  confronta  la  luce  delle 
protuberanze,  con  quella  contigua  del  disco  solare.  Dunque  l’una  e l’altra  di 
queste  sorgenti  luminose  debbono  ricevere  l’effetto  del  moto  ; quindi  molto 
megliore  si  deve  riguardare  il  metodo,  seguito  dal  sig.  Zollner,  che  confronta 


(*)  Association  scientifique,  t.  V,  p.  397. 

(*f)  Comptes  rendus,  voi.  66,  ao.  1868,  p.  1302. 

(***)  Nuovo  cimento  t.  2,  seconda  serie  p.  67. 

(****)  Comptes  rendus,  voi.  69.  an.  1869,  p.  690. 

(*****)  Bollettino  meteor.  dell’osservat.  del  coll,  rum.,  voi.  8,  p.  83. 
(******)  Ibidem,  n.  4,  voi.  IX,  p.  26.  — Comptes  rendus,  voi.  70,  p.  903. 


— 239  — 


fra  loro  in  un  medesimo  tempo,  le  luci  emanate  da  due  punti  diametralmente 
opposti  nel  sole  ; imperocché  a questo  modo  si  vede  raddoppiato  lo  sposta- 
mento. 

La  possibilità  del  metodo,  seguito  dal  p.  Secchi,  dipende  dal  fatto,  se  cioè 
le  righe  del  disco  solare,  colle  quali  egli  confronta  quelle  dovute  alle  protube- 
ranze, od  alla  cromosfera,  possono  appartenere  o no  ad  una  luce,  che  non  ha 
ricevuto  l’effetto  del  moto  come  quella  dell’atmosfera.  11  nominato  astronomo 
su  tal  punto  si  esprime  così  dicendo  (*)  « Per  bene  comprendere  questo  fe- 
nomeno, bisogna  avvertire,  che  guardando  a fessura  larga  discretamente  , la 
riga  G non  svanisce,  ma  si  vede  una  zona  non  dilatata,  che  è dovuta  princi- 
palmente alle  righe  fraunhoferiane,  che  generansi  nella  illuminazione  dell’at- 
mosfera terrestre.  » Ora  supposto  anche  vero,  quanto  si  asserisce  qui,  riguardo 
all’origine  della  riga  C;  si  vede  che  ciò  dipende,  parte  dall’azione  dell’atmo- 
sfera terrestre,  parte,  da  quella  del  sole  stesso.  Quindi  si  vede  altresì  , che 
quella  riga  non  si  può  spostare  propriamente,  ma  soltanto  allargarsi  da  un  lato 
e non  dall’altro.  » Ciò  non  è conciliabile  colla  riferita  espressione  del  p.  Secchi, 
cioè  (**)  « La  riga  lucida  nella  parte  di  fuori  del  disco  solare,  apparve  tutta 
proiettata,  non  in  continuazione  della  riga  fraunhoferiana,  visibile  nel  campo 
esterno  del  disco,  ma  tutta  più  in  là  verso  il  giallo  , lasciando  la  riga  nera 
tutta  verso  il  rosso  ». 

L’  opera  intitolata  - Die  Speclralanalyse  in  ihrer  Anwendung  auf  die 
Stoffe  der  Erde  und  die  Nalur  der  Himmelskórper  von  Schellen.  Braunsch ~ 
weig  1870  - fornisce,  a pag.  300,  una  esposizione  di  fatti,  che  si  riferiscono  al- 
l’oggetto in  discorso,  e si  occupa  precisamente  di  quello,  che  ha  trovato  il  sig. 
Lockyer,  il  quale  molto  studiò  lo  spostamento  delle  righe  fraunhoferiane.  Il 
citato  autore  potè  determinare  la  velocità,  colla  quale  hanno  luogo  le  vulca- 
niche eruzioni  sul  sole,  tanto  nel  senso  radiale,  quanto  nel  senso  tangenziale. 
Modernamente  il  medesimo  sig.  Lockyer  pubblicò  {***)  un’altra  interessantis- 
tissima  memoria  su  questo  argomento. 

§•  3- 

l Comptes  rendus  (t.  69,  séance  du  4 octobre  1869  , p.  743)  conten- 
gono una  nota  di  M.  Fizeau  intitolata  « Remarques  à l’ occasion  d’  un 


(*)  Ballettino  citato,  p.  26. 

(**)  Bullettino  citato,  p.  26. 

(***)  Comptes  rendus,  t.  70,  p.  1268,  an.  1870. 


— 240  — 


passage  . . . relatif  au  déplacement  des  raies  du  speetre  par  le  mouvernent 
du  corps  lumineux  ou  de  l’observateur.  » Da  questa  nota  risulta,  che  il  sig.  Fi- 
zeau  trattò  T indicato  argomento  fin  dal  1 848,  nella  Società  Filomatica,  come 
già  fu  indicato  (§.  3),  e che  ne  fece  comunicazione  all’Accademia  delle  scienze 
nel  1850.  Il  sig.  Faye  ( ibidem ) riconosce  vere  le  asserzioni  dal  sig.  Fizeau  sul 
proposito  ; quindi  non  può  menomamente  dubitarsi,  che  il  primo  scopritore 
del  metodo  sopra  indicato,  cioè  per  conoscere  il  moto  degli  astri,  mediante 
lo  spostamento  delle  righe  spettrali,  sia  lo  stesso  Fizeau  , ed  altri  non  già; 
sebbene  non  manchi  qualcuno,  che,  almeno  implicitamente,  abbia  presunto  as- 
serire, appartenergli  tale  scoperta.  Yi  hanno  per  tanto  due  fatti  distinti  ac- 
quistati alla  scienza;  e sono:  uno  il  cangiar  di  colore  dell’astro,  allorché  que- 
sto avvicinasi  od  allontanasi  all’osservatore,  e viceversa;  del  qual  fatto  la  ri- 
cerca si  deve  al  sig.  Doppler  : l’altro  è che  le  righe  di  Fraunhofer  servono 
di  mezzo  acconcio,  per  decidere  se  l’osservatore,  o l’astro  cangi  di  luogo;  e tale 
scoperta  devesi  al  sig.  Fizeau. 

S-  6. 

Per  quello  riguarda  la  possibilità  di  misurare,  mediante  la  spettroscopia, 
quanto  sieno  veloci  le  correnti,  o getti  luminosi,  prodotti  dal  sole,  considere- 
remo qui  appresso  la  interessante  memoria  del  sig.  Lockyer,  inserita  nei  Com- 
tes  rendus,t.  70,  an.  1870,  p.  1268,  che  ha  per  titolo.  - Observalions  spe- 
ctroscopiques  du  soleil.  - In  questa  memoria  si  tratta  il  fenomeno  delle  pro- 
tuberanze solari,  e la  relazione  loro  colle  macchie,  e le  iàcole  del  sole.  Il  dotto 
autore  prese  a tal  fine  in  esame  una  macchia,  che  osservò  egli  per  vari  giorni 
finche  giunse  al  bordo  del  sole. 

Egli  descrive  nel  modo  seguente,  1’avvicinarsi  della  macchia  al  lembo  del 
disco  solare  « La  macchia  si  avvicina  al  lembo  ; la  protuberanza  persiste  al 
di  sopra  della  macchia.  A 1 1 ore  non  vedevo  alcuna  protuberanza  rimarche- 
vole sul  lembo  ; ma  circa  un’  ora  dopo  fui  vivamente  sorpreso  dalla  vista  di 
una  protuberanza,  che  senza  dipendere,  io  credo  , dalla  macchia  di  cui  si  è 
parlato,  se  n’era  avvicinata,  con  avere  più  di  2 minuti  di  altezza,  e un  moto 
rapido  nella  direzione  dell’occhio.  Vi  erano  delle  nubi  leggiere,  che  riflettevano 
lo  spettro  solare  ; io  vidi  dunque  la  linea  nera  C nel  medesimo  tempo.  La 
linea  C della  prominenza  ( nella  quale  i cangiamenti  di  lunghezza  di  vibra- 
zioni, non  sono  così  visibili  come  nella  linea  F)  non  coincidevano  colla  linea 


— 241 


di  assorbimento,  altro  che  sopra  un  arco  di  alcuni  secondi.  Dopo  dieci  mi- 
nuti la  spessezza  della  riga  destra,  era  per  me  il  solo  indice  di  movimento. 
Passati  dieci  minuti  le  righe,  una  chiara  V altra  oscura,  coincidevano,  e poco 
dopo  questo  moto  era  prodotto  verso  il  rosso.  » 

Dalla  esposizione  precedente  non  si  può  bene  assegnare,  quale  sia  stato 
il  tempo  preciso,  in  cui  si  formò  la  protuberanza  ; però  questo  tempo  fu  cer- 
tamente minore  di  un’ora  ; poiché  Lockyer  dice  di  aver  veduto  una  protube- 
ranza, ove  un’ora  prima  non  vi  era.  Sappiamo  che  un  secondo  in  arco  nel 
nel  sole,  visto  dalla  Terra,  corrisponde  a circa  740  Udometri  ; perciò  due  mi- 
nuti primi,  e questi  erano  l’altezza  della  protuberanza,  corrispondono  a 740, 
X 120  kilometri.  Suppongasi  ora,  come  fu  detto,  che  la  protuberanza  siasi  for- 
mata in  un’ora,  vale  a dire  in  3600  secondi;  la  velocità,  supposta  uniforme, 
colla  quale  s’ innalzava,  sarebbe  stata 

740 . 120 

- 3C0Q  - = 24,66  kilometri , 

questa  velocità  è circa  dodici  volte  maggiore  di  quella,  con  cui  si  muove  un 
punto  dell’  equatore  solare. 

Sembra  però  dalla  precedente  descrizione  del  sig.  Lockyer,  che  il  tempo 
necessario  per  la  formazione  delle  protuberanze,  sia  molto  minore  di  un’ora. 
In  fatti  egli  dice  ( luogo  citato,  p.  1273  , li,  14.)  « Mentre  che  il  sig.  IIo- 
lyday  restò  presso  di  me,  pel  tempo  di  ore  due,  vi  ebbero  due  eruzioni,  se- 
parate da  un  intervallo  di  riposo  quasi  completo,  ciascuna  consistente,  come 
1’  ho  mostrato  , in  una  serie  di  getti.  Più  tardi  fui  testimonio  di  una  terza 
eruzione.  I fenomeni  osservati  nelle  tre,  furono  identici  essenzialmente.  » Da  ciò 
siegue  che  il  tempo  per  la  formazione  delle  protuberanze,  dev’  essere  anche 
minore  di  mezz’ora.  Quindi  ammettendo  che  anche  le  indicate  protuberanze 
avevano  due  minuti  primi  di  altezza  , la  velocità  calcolata  precedentemente 
dovrebbe  divenire  doppia,  cioè  dovrebbe  ridursi  a 49,  32  kilometri. 

S-  7« 

Nell’opera  che  già  citammo,  e che  s’ intitola  « Die  Spectralanalyse  in  ihrer 
Anwendung,  ecc.  von  Schellen,  Braunschweig.  1810,  p.  298,  abbiamo  una  svi- 
luppala esposizione  del  modo,  per  determinare  la  velocità  di  una  sorgente  Iumi- 

32 


242 


nosa,  mediante  lo  spostamento  delle  righe  spettrali.  Secondo  il  citato  autore, 
tale  mezzo,  forma  il  progresso,  sino  ad  ora  il  più  considerevole,  della  spet- 
troscopìa. Bene  ricorda  l’ autore  della  riferita  opera  , nel  principio  , che  il 
sig.  Doppler  fu  il  primo  a richiamare  l’attenzione  dei  fisici,  sulla  modificazione 
prodotta  nella  luce,  per  effetto  deiravvicinamento,  od  allontanamento  della  sor- 
gente luminosa  rispetto  all’osservatore.  Quindi  lo  stesso  autore  va  esponendo 
come  il  sig.  Lockyer,  già  distinse  due  casi  nelle  osservazioni  sue,  riguardo  a tale 
argomento  ; cioè  mettendo  in  chiaro,  che  si  può  determinare  la  velocità  dei 
getti  luminosi  nel  senso  del  raggio  solare  , verso  l’osservatore  , pel  qual  fine 
debbonsi  osservare  questi  getti  quando  stanno  nel  centro  del  disco  solare,  o 
almeno  poco  distante  da  esso.  Quando  poi  vogliasi  osservare  un  moto  tangen- 
ziale dei  getti  medesimi  o protuberanze  , si  dovrebbe  allora  considerare  la 
protuberanza  o getto  luminoso  sul  bordo  solare. 

Il  sig.  Lockyer  è riescilo  a rendere  visibile  ambedue  questi  moti;  e circa 
tale  soggetto  si  dice  ancora  ( opera  cit.  p.  304  ).  » Quando  si  osservasse 
che  le  righe  dell’  idrogene  ricevono  uno  spostamento,  od  un  allargamento  in 
ambo  le  parti,  allora  l’ ipotesi  del  moto  non  si  dovrebbe  accettare,  altro  che 
con  grande  circospezione.  In  vece  più  ragionevole  sarebbe  per  questo  caso  , 
cercare  la  cagione  dell’  indicato  allargamento,  nell’accresciuta  pressione  del  gas 
luminoso.  Ma  quando  l’allargamento  delle  righe,  sia  prodotto  una  volta  in  un 
senso,  e poi  nell’altro,  ciò  non  potrebbe  allora , secondo  le  ricerche  dei  si- 
gnori Lockyer,  e Frankland,  dipendere  dalla  pressione  aumentata  ; perchè  un 
tale  aumento  allarga  la  riga  F dell’  idrogeno,  uniformemente,  o almeno  quasi 
uniformemente,  per  ambo  i lati.  » 

Certo  è che  il  fatto  dell’allargamento,  si  deve  riguardare  di  somma  im- 
portanza , e la  sola  ipotesi  del  moto  non  sarebbe  sufficiente  , quando  si  al- 
largasse la  riga  in  proposito  anche  per  altre  cagioni.  Ricordiamo  qui  che  il 
sig.  Weiss  (*)  dice  di  avere  osservato,  mediante  la  pressione,  un  allargamen- 
to da  un  solo  lato  nelle  righe  del  gas  nitroso.  Di  più  sarà  utile  ricordare 
la  memoria  di  Wullner  (**),  ove  si  espone,  che  vi  sono  tre  diverse  specie  di 
idrogeno,  e che  anche  l’ossigeno  ed  il  nitrogeno  si  comportano  similmente. 

Da  ultimo  rimane  la  quistione,  se  tutte  le  righe  delle  protuberanze  rice- 
vono il  medesimo  spostamento.  In  ogni  modo  si  dovrebbe  credere  che  il  moto 


(*)  Poggendorff,  voi.  112,  pag.  154. 

(**)  Poggendorff,  voi.  135,  p.  497. 


— 243 


produca  uno  spostamento  identico,  di  tutte  le  righe  appartenenti  al  sole;  ma  non 
di  quelle  che  si  producono  dall’ atmosferica  terrestre.  Ora  il  sig.  Lockyer  dice 
( Comptes  rendus  citati,  p.  1268  ).  « In  una  iniezione  d’idrogeno  ad  alta  pres- 
sione, il  moto  indicato  mediante  il  cangiamento  delle  lunghezze  di  vibrazioni, 
è stato  minore  per  la  riga  gialla,  che  per  C ed  F.  » Questo  passo  non  è ben 
chiaro,  per  le  parole  » iniezione  d’  idrogeno.  Pare  che  qui  l’autore  abbia  voluto 
parlare,  di  una  ipotetica  iniezione  d’  idrogeno,  che  suppone  aver  luogo  nella 
protuberanza  solare.  Ora  se  cosi  è , sarebbe  detto,  che  lo  spostamento  delle 
diverse  righe,  avviene  differentemente  ; quindi  bisognerebbe  ammettere,  che 
quelle  righe,  le  quali  accusano  un  moto  minore,  sieno  in  parte  prodotte  dal- 
l’atmosfera terrestre. 

Un’altra  memoria,  che  tratta  pure  dello  spostamento  delle  righe  spettrali 
è quella  del  sig.  Angstrom,  che  s’ intitola:  Determinazione  della  lunghezza  delle 
onde  luminose  , con  un  metodo  per  determinare  il  moto  progressivo  del  si- 
stema solare,  per  mezzo  dell’  ottica  (*). 

Prima  di  finire  , crediamo  utile  ripetere  ancora  una  volta , non  po- 
tersi affermare,  che  muovendosi  la  sorgente  luminosa,  o l’osservatore,  diven- 
gano le  onde  luminose  più  lunghe  , o più  corte  per  questo  moto.  Le  righe 
di  Fraunhofer,  per  es.  quelle  corrispondenti  al  sodio,  se  vengono  spostate,  ciò 
vuol  dire,  che  la  luce  di  questo  metallo,  ha  variato  il  numero  delle  oscilla- 
zioni sue  per  un  secondo,  prima  che  giungesse  al  prisma.  Ovvero  ciò  vuol  dire, 
che  il  suo  colore  non  è più  quello  che  corrispondeva  precisamente  al  colore 
della  luce  del  sodio,  quando  tanto  1’  osservatore,  quanto  la  sorgente  luminosa 
erano  fermi  ambedue.  In  somma  il  colore  che  ha  una  qualunque  sorgente 
luminosa  omogenea,  non  è unico;  ma  dipende,  parlando  in  astratto  dallo 
stato  di  moto  in  cui  si  trovano  la  sorgente  luminosa,  e l’osservatore.  Quindi 
è che,  una  luce  p.  e.  gialla,  può  ad  un  osservatore  comparire  rossa,  e ad  un 
altro  verde  ; cosicché  se  questa  luce  della  medesima  sorgente  viene  rifratta, 
gli  angoli  di  rifrazione  saranno  diversi  ; cioè  saranno  appunto  quelli  corrispon- 
denti al  rosso,  ed  al  verde,  quantunque  fossero  ambedue  questi  colori  primi- 
tivamente gialli. 

Egli  è ammesso  da  tutti  che  la  sensazione,  del  colore  di  una  luce,  di- 
pende soltanto  dei  numero  degli  scotimenti,  o vibrazioni,  ricevute  dalla  retina 
in  un  secondo,  appunto  come  la  gravezza  del  tono,  dipende  soltanto  dal  nu- 


(*)  Poggendorff  Annalen,  voi.  123.  p.  489. 


mero  delle  vibrazioni,  che  in  un  secondo  giungono  all’orecchio.  Inoltre  deve 
riguardarsi  per  evidente,  che  pel  moto,  sia  della  origine  luminosa,  sia  dell’os- 
servatore, sia  di  ambedue,  quésto  numero  debba  variare,  e ciò  non  dipende 
certo  da  verun  fatto  fisico.  La  sperienza  verifica  questo  principio  riguardo  al 
suono  ; dunque  come  mai  si  potrebbe  dubitare  della  sua  verificazione  anche  ri- 
guardo alla  luce  ? Da  tutto  ciò  siegue,  che  non  si  può  proporre  la  quistione, 
se  cioè  la  rifrangibilità  luminosa  dipenda  o no  dalla  lunghezza  dell’onda,  o 
dalla  sua  durata,  se  prima  non  venga  precisato  essere  o no  fissi,  tanto  la  sor- 
gente luminosa,  quanto  l’osservatore. 


— 245  — 


Sulla  elettrostatica  induzione,  od  elettrica  influenza.  — Memoria  istorico- 
critica  del  prof.  Paolo  Volpicelli.  (Contiunazione  (1)) 

$.  19. 

Tralasciamo,  per  evitare  ripetizioni  , tutto  quello  che  nella  citata  me- 
moria del  fìsico  di  Berlino,  si  riferisce  a Lichtenberg,  e che  noi  riportam- 
mo al  suo  luogo  (vedi  §.  2.  della  presente  memoria ),  Riess  poi  criticando 
Lichtenberg  (2),  continua  nel  modo  seguente: 

« Si  vede  qui,  che  a differenza  dello  stato  elettrico  solito,  viene  an- 
» cora  distinto  un’altro  stato  di  elettricità,  nel  quale  si  ammette,  la  mede- 
» sima  esistere  priva  di  azione,  cioè  si  riguarda  morta,  o latente.  Tale  stato 
» è del  tutto  analogo  al  calorico  di  un  corpo,  il  quale  ha  trasformato  l’ag- 
» gregazione  sua  molecolare.  Si  asserisce,  che  la  elettricità  d'influenza  di  prima 
» specie  (la  indotta),  si  trova  in  cosi  fatto  particolare  stato,  finche  rimane  vicino 
w alla  elettricità  che  la  sviluppò  (la  inducente);  ma  di  quest’ultima,  una  porzione 
)>  soltanto  è vincolata,  mentre  l’altra  parte  si  considera  essere  libera  (3). 

» Abbiasi  (fig.  16)  un  corpo  A elettrizzato, 
ed  un  secondo  D anch’ esso  elettrizzato,  in  gui- 
sa che  producano  essi  la  medesima  divergenza 
nell’elettroscopio.  Se  a questo  secondo  si  avvicini 
un  terzo  corpo  C,la  divergenza  diminuirà, ed  in  tal 
caso  i due  corpi  A,  B si  avrebbero  a paragonare 
rispettivamente,  con  una  quantità  di  acqua  , e 
con  una  quantità  di  vapore,  le  quali  mostrano 
al  termometro,  tanto  l’una,  quanto  l’altra,  il  me- 
desimo grado  di  temperatura;  sebbene  conten- 
gano quantità  di  calorico  molto  differenti  fra 
loro  (4).  Tale  distinzione  di  due  stati  elettrici 
differenti,  ha  trovata  un’  approvazione  generale 
nei  trattati  di  fisica,  tanto  tedeschi,  quanto  este- 
ri ; e nei  medesimi  troviamo  scritto  fino  ad  og- 
gigiorno, interi  capitoli  circa  la  elettricità  vinco- 
li) Per  le  precedenti  pubblicazioni,  veggansi  questi  Atti,  v.  XXII,  p.  25,  ev.  XXII,  p.  1. 

(2)  Poggendorff  Annalen,  voi.  73,  an.  1848,  pag.  371,  fi.  7,  salendo. 

(3)  Altra  prova  che  non  è nuovo  il  concetto  della  indotta  priva  di  tensione. 

(4)  La  difficoltà  che  potrebbe  taluno  incontrare  ad  ammettere,  od  a comprendere  uno 


— 246  — • 


» lata,  latente,  dissimulata.  Ciò  per  la  scienza  ebbe  perniciosissime  con- 
» seguenze  (1)  ». 

» I fisici  sperimentatori  non  si  fermarono  a tali  sperienze,  le  quali  ave- 
» vano  cagionate  le  attribuite  denominazioni;  ma  cercarono  in  vece  porre  mag- 
» giormente  in  chiaro  tale  vincolata  elettricità,  e dimostrare  la  realtà  di  quelle 
» denominazioni.  Già  ho  detto  che  alla  elettricità  indotta,  si  attribuiva  una  to- 
stato di  elettricità  in  guisa,  che  la  medesima  possa  restare  attualmente  priva  di  tensione, 
ma  non  virtualmente ; cioè  possa  dissimulare  tutte  le  sue  proprietà,  non  è difficoltà  reale, 
ma  solo  apparente.  Imperocché  molli  sono  i casi,  tanto  in  fisica,  quanto  in  chimica,  nei  quali 
una  sostanza  perde  in  talune  circostanze  l’ attualità,  ovvero  dissimula  le  sue  proprietà,  che  però 
ancora  possiede,  ma  virtualmente-,  poiché  le  riacquista  subito  al  cessare  di  quelle.  Per  questo  av- 
viene, secondo  gli  unitari, che  la  elettricità,  combinata 'colla  materia,  non  esercita  le  sue  proprie- 
tà, e solo  allora  te  pone  in  atto,  quando  per  attrito  o per  influenza,  viene  separata  dalla  ma- 
teria stessa.  Per  questo  avviene,  secondo  i dualisti,  che  le  contrarie  di  elettricità,  non  agi- 
scono quando  sono  insieme  combinate,  per  la  formazione  del  fluido  elettrico  neutrale;  ma 
bensì  quando  sono  l’ima  dall’altra,  per  attrito,  o per  influenza,  disgiunte.  Per  questo  avviene, 
che  l’elettrico  non  agisce  magneticamente,  quando  sta  in  equilibrio,  ma  bensì  quando  si 
trova  nello  stalo  dinamico.  Per  questo  avviene  che  il  calorico  non  riscalda,  quando  s’im- 
piega nel  costituire  l’aggregazione  molecolare  dei  corpi.  Per  questo  avviene,  che  i sette 
colori  della  luce  scompariscono,  quando  sieno  fra  loro  mescolati,  e ricompariscono  allorché 
questa  mescolanza  riceve  la  dispersione  mediante  il  prisma.  Per  questo  avviene,  che  tanto 
una  base,  quanto  un  acido  dissimulano  le  proprietà  loro,  quando  costituiscano  un  sale  neu- 
tro, ma  le  manifestano  subito  che  cessano  dal  costituire  la  combinazione  salina.  Per  que- 
sto avviene,  che  tanto  l’idrogeno,  quanto  l’ossigeno,  dissimulano  le  proprietà  dei  fluidi  ela- 
stici nella  formazione  dell’  acqua,  e le  manifestano  allorché  questa  si  decompone.  Se  nei 
casi  riferiti,  non  s’-incontra  difficoltà,  neli’ammettere  o comprendere  la  relativa  dissimulazione, 
perchè  si  deve  incontrare,  quando  trattasi  della  elettricità  indotta  di  prima  specie  ? Inoltre 
la  elettricità  dissimulata  si  ammise,  e fu  compresa  nella  bottiglia  di  Leida,  nel  quadro  ma- 
gico, nell’elettrosforo,  e ne!  condensatore;  perciò  deve  potersi  comprendere,  e deve  potersi 
ammettere,  anche  nella  sperienza  fondamentale  della  elettrostatica  induzione,  la  quale  non 
è altro,  fuorché  un  caso  identico,  vale  a dire  una  sperienza  fatta  con  un  coibente  armato, 
cioè  coll’  aria,  ed  interposto  fra  l’indotto  e 1’  inducente,  che  costituiscono  le  armature  del 
coibente  stesso. 

(1)  Dobbiamo  a questo  proposito  fare  una  distinzione,  già  pubblicata  dall’illustre  De 
la  Rive,  e dal  eh.  Verdet,  la  quale  consiste  nel  riconoscere,  chela  comune  dei  fisici,  anche  mo- 
dernissimi, ammette  la  elettricità  dissimulata,  vincolata,  latente,  nella  bottiglia  di  Leida,  e 
nel  condensatore;  ma  la  nega  quando  si  tratta  dello  sperimento  fondamentale  della  elettrica 
influenza.  Perciò  non  è bastantemente  esalto,  dire  col  sig.  Riess,  che  « la  distinzione  di  due 
» stati  elettrici  differenti,  ha  trovato  un’approvazione  generale  » perchè  tale  approvazione  sì 
trovò,  come  sopra  è detto,  per  alcuni  casi,  e non  per  altri.  Già  disse  il  De  la  Rive  « Tut- 
» tavia,  per  una  contradizione  incredibile,  la  maggior  parte  dei  trattati  di  tìsica  , i quali 
» nei  primi  casi  ammettano  la  elettricità  dissimulata,  nell’ultimo  non  l'ammettono;  e pure 
« fra  i casi  medesimi  , non  vi  sono  altre  differenze  , fuorché  quelle  relative  alla  forma  , 


- 247  — 


» tale  mancanza  di  azione.  Appena  fu  dimostrata  la  inesattezza  del  ragiona- 
» mento,  vennero  asserite  proprietà  di  essa  più  strane  ancora.  Si  credette 
« che  la  indotta:  1°  sia  movente;  2°  però  senza  potere  di  muoversi;  3°  repel- 
» lente  solo  per  se  stessa;  4°  attraente  solo  relativamente  alla  elettricità  , 
« da  cui  fu  prodotta;  5°  si  credette  che  potesse  agire  nello  spazio,  però  sol- 
» tanto  in  una  direzione,  e fino  ad  una  certa  distanza;  63  la  diminuzione  della 
» sua  azione  in  distanze,  si  credeva  soggetta  a legge,  differente  da  quella  della 
» elettricità  libera.  Tali  strani,  e singolari  concetti,  furono  immaginati,  men- 
» tre  si  conoscevano  già  da  lungo  tempo  i lavori  di  Franklin,  Wilke,  Aepinus, 


» ed  alla  disianza  dei  due  corpi,  uno  dei  quali  è influente,  1’  altro  influenzato  ».  [Tratte 
d' électricité  théorique  et  pratique , Paris  1838,  pag.  082,  li.  19).  Il  distintissimo  fisico  Ver- 
det,  ancor  esso,  faceva  questa  osservazione,  dicendo:  « In  un  grande  numero  di  trattati 
« di  fisica,  la  ipotesi  della  elettricità  dissimulata,  non  è introdotta,  fuorché  all’  occasione 
» del  condensatore;  ed  i fenomeni  generali  della  elettrizzazione  per  influenza,  sono  spiegati 
» senza  vi  si  abbia  ricorso;  ma  è chiaro  che  una  tale  restrizione  d'  ipotesi,  non  è punto 
» fondata , e che  se  abbiavi  elettricità  dissimulata  sopra  due  dischi  conduttori,  vicini  l’uno 
» all’altro,  ve  ne  deve  ancora  essere  sopra  due  conduttori  cilindrici  o sferici,  come  quelli 
» ordinariamente  impiegali  nelle  sperienze  ».  ( Annales  de  Chim.  et  de  phy.  3.e  sèrie,  t.  42, 
novembre  1854  , p.  377,  et  pag.  374,  nota  (1)  — v.  anche  Poggendorff  Annalen,  t.  37, 
p.  642,  an.  1836).  Questa  contraddizione  antica,  fra  la  teorica  della  elettrica  d’influenza  in 
distanza,  e quella  dei  coibenti  armali,  di  cui  certo  uno  è il  condensatore  , ha  origine  fin 
d dl’epoca,  in  cui  si  vollero  spiegare  gli  effetti  di  questi  elettrostatici  strumenti.  Non  ho  tro- 
vato, nè  un  corso  di  fisica,  nè  un  trattatista  di  elettricità,  che  si  mostri  esente  da  questa 
contraddizione.  Lo  stesso  Riess  nel  suo  trattato  di  elettricità  per  attrito,  a me  sembra  pur  esso 
cadere  nella  conlradizìone  medesima,  col  dire:  « Mettendo  un  elettroscopio  in  contatto  con  una 
» semplice  superficie  conducente,  allora  t’istromenlo  mostra,  se,  o no  quella  surpeticie  pos- 
» segga  elettricità.  Ma  quando  in  vicinanza  di  questa  superficie  se  ne  trovi  un’altra,  pure 
» conducente,  però  ncn  in  comunicazione  colla  prima,  l’effetto  sopra  indicato  non  ha  più 
» luogo,  che  condizionatamente.  Questa  superficie  potrebbe  appartenere  ad  una  faccia  del 
» piattello  condensante,  ed  un  suo  punto  avente  la  densità  zero  , messo  in  contatto  col- 
» l’elettroscopio,  non  lo  farebbe  divergere,  sebbene  la  indicata  superficie  possegga  elettri- 
» cità.  Dunque  immediatamente  l’elettroscopio  mostra,  se  una  superficie  sia  elettrizzata  sem- 
» plicemenle,  ma  non  mostra  quando  sia  caricata,  intendendo  a rigore  con  questo  termine, 
» una  elettrizzazione,  allorché  nelle  vicinanze  del  conduttore,  se  ne  trovi  un’altro  ».  ( Die 
Lehre  von  der  Reibungelektricitat.  Berlin  1853,  t.  1.  p.  360,  salendo). 

Che  la  elettricità  indotta  sia  latente  , dissimulata,  vincolata,  in  somma  priva  di 
tensione,  deve  riguardarsi  per  una  verità,  dimostrata  da  moltissime  sperienze  inecceziona- 
bili,  come  chiaramente  vedremo  nella  seconda  parte  di  questa  nostra  memoria.  Perciò  deve 
giudicarsi  mollo  azzardalo,  per  non  dire  altro,  l’asserire  col  Riess  » che  la  scienza  ebbe 
» perniciosissime  conseguenze,  da  parte  di  quei  fisici,  che  ammisero  la  elettricità  vincolata. 


— 248  — 


» Coulomb,  e Poisson.  Il  concetto  della  elettricità  vincolata,  non  ha  soltanto  prò- 
» dotto  un  gran  numero  di  memorie,  le  quali  non  portavano  veruna  utilità, 
» neppure  nelle  parli  loro  sperimentali;  ma  il  concetto  medesimo,  introdotto 

» eziandio  negli  elementi  della  dottrina  della  elettricità,  diede  per  l’uso  del 

» condensatore  una  formula,  che  si  applica  spesso,  quantunque  non  mai  giusti— 
» ficaia.  Debbo  prendere  perciò  questo  argomento,  in  una  più  esplicita,  e mi- 
» nuta  considerazione  » (1). 

» La  teorica  del  condensatore,  e della  boccia  di  Leida,  viene  da  Biot  (2), 
» e dopo  di  lui  da  molti  altri  autori,  trattata  come  segue.  Quando  al  piattello 

» collettore  si  comunica  la  quantità  di  elettrico  = 1,  e quando  la  quan- 

» tità  della  elettricità  d’  influenza  nel  piattello  condensante  non  isolato,  egua- 
li glia  — m ; allora  nel  piattello  collettore  viene  la  quantità  m1 2  vincolata.  Il 
li  piattello  collettore  si  comporta  perciò  precisamente,  come  nel  caso,  in  cui  pos- 
» segga  esso  la  quantità  di  elettrico  — 1 — m2  ; e perciò  si  caricarà  con  più 
» elettricità  rispetto  quella  dell’altro  caso,  in  cui  manca  il  piattello  condensante. 
« Essendo  E la  carica,  la  quale  prende  il  piattello,  quando  non  avvi  l’altro 
» condensante,  allora  il  piattello  collettore  continuirà  a caricarsi  fino  a quel 
» punto,  ove  la  sua  carica  libera  eguaglia  E.  Sia  la  sua  carica  totale  = A, 
» in  tal  caso  avremo 

A 1 

A (I — m2\  = E , ovvero  — — — ? 

' E 1 — m . 

» Questa  quantità  la  quale  fornisce  il  rapporto,  fra  le  due  cariche,  che  ri- 
» ceve  il  piattello  collettore,  una  volta  senza  intervenzione  del  piat.  cond., 
» l’altra  col  mezzo  di  questo  piattello,  si  nomina  il  potere  condensante  del- 
» l’apparecchio. 


(1)  Le  proprietà  che  veramente  appartengono  alla  elettricità  indotta,  sono  quelle 
da  noi  riferite  nel  §.  I.  di  questa  memoria;  le  quali  saranno  evidentemente  dimostrale 
nella  seconda  parte  della  memoria  stessa.  In  quanto  alle  memorie,  le  quali  hanno  avuto  per 
oggetto  dimostrare,  che  la  elettricità  indotta,  è del  tutto  vincolata;  esse  miravano  ad  una 
verità,  e se  non  l’hanno  raggiunta,  ciò  non  per  altro  può  essere  avvenuto,  fuorché  per  difet- 
to di  ragionamenti,  e di  sperienze  concludenti;  che  però  non  mancano,  come  in  appresso 
vedremo.  Riguardo  alla  formula  poi  di  Biot,  essa  verrà  da  noi  giustificata  fra  poco;  ma  cou 
una  rettificazione. 

(2)  Traité  de  physique,  t.  2,  p.  565,  an.  1816. 


— 249  — • 


» Non  voglio  discutere  lo  sviluppo  di  questa  formula,  che  fa  un  con- 
))  trasto  tanto  curioso  , coi  principii  riferiti  nelle  opere  di  Cuolomb  , e di 
» Poisson  ; ma  invece,  andrò  a discutere  la  formula  stessa.  Questa  (nei 
» trattati  ) si  trova  non  soltanto  destinata,  per  delucidare  l’azione  del  con- 
» densatore  in  genere  ; ma  viene  anche  adoperata  , per  la  determinazione 
» numerica  ( delle  cariche  elettriche  ).  Ciò  si  rileva  da  quanto  trovasi  ( nei 
» trattati  ),  ove  per  un  dato  condensatore  si  ricercano  i mezzi,  onde  trovare  il 
» rapporto  m fra  le  due  elettricità,  una  inducente,  l’altra  indotta. 

» Da  questo  valore  poi,  si  vuole  trovare  la  forza  condensante.  Inutilmente  . 
» cercai  sperienze  od  argomentazioni  teoretiche,  sopra  le  quali  poter  basare  Io 
» sviluppo  della  formula  di  Biot  (1)  ; però  sembra  che  la  medesima  sia  un’ar- 
» bitraria  trasformazione,  di  una  espressione  data  da  Aepinus  (2).  Questo  autore, 

» per  ispiegare  il  fatto,  pel  quale  una  bottiglia  di  Leida,  produce  una  accumula- 
» zione,  tanto  più  forte,  quanto  è meno  erto  il  vetro;  considera  (3)  una  parti- 
» cella  elettrica  nell’  interno  della  bottiglia,  chiama  egli  r l’azione  dell’armatura 
» interna  sulla  particella  stessa,  ed  r'  quella  dell’armatura  esterna.  In  seguito  de- 
» duce  una  espressione  analitica,  per  la  forza  colla  quale  viene  respinta  questa 
» quantità,  sia  nel  1°  caso,  in  cui  l’armatura  interna  agisce  sola;  sia  nel  2°,  nel 
» quale  agisce  anche  la  esterna:  e ciò  nella  ipotesi,  che  l’accumulazione  riesca 
» uniforme  nell’armatura  interna.  Volendo  che  queste  forze  repulsive,  sieno 
)>  eguali  fra  loro  in  ambedue  questi  casi,  debbonsi  applicare  diverse  quantità 
» di  elettrico  ; e si  trova  che  , quando  nel  primo  caso  la  quantità  di  elet- 
» trico  è y,  nel  secondo,  cioè  colla  boccia  di  Leida,  si  deve  avere  la  quantità 


7 


» Chiaro  apparisce  dover  essere  il  valore  incognito  — minore  dell’unità,  per  la 

« ragione,  che  la  particella  considerata,  si  trova  più  lontana  dall’armatura  ester- 
» na,  di  quello  sia  dalla  interna,  inoltre  chiaro  apparisce  altresì,  che  questo  va- 
li) Traité  de  physique  expérimentale  et  mathématique.  — Paris  1816,  t.  2 e,  p.  365. 

(2)  Non  è che  sembri,  come  dice  il  Riess,  ma  è certo  essere  la  formula  di  Biot,  una 
trasformazione  della  espressione  data  in  proposito  da  Aepinus;  però  crediamo,  che  la  mede- 
sima non  sia  del  tutto  arbitraria,  come  sarà  dimostrato  nei  paragrafi  seguenti. 

(3)  Tentamen  theoriae  eleclricitatis  et  magnetismi.  Petropoli  1759,  p.  58. 

33 


— 250  — 


» lore  si  avvicina  tanto  più  all’ unità,  quanto  è più  fino  il  vetro.  Da  ciò  conclude 
» Aepimis,  che  una  bottiglia  di  Leida,  si  carica  con  più  elettricità,  quando  pos- 
» segga  due  armature,  di  quello  sia  quando  ne  possegga  soltanto  una;  e si  avrà 
» il  massimo  di  carica,  nel  caso  in  cui  il  vetro  è il  più  possibile  sottile.  Aepinus 
» uon  si  occupa  in  alcuno  modo  nel  determinare  numericamente  l’espressione 


» e nello  stato  attuale  della  scienza,  non  si  può  sperare  determinarla,  nè  teo- 
» ideamente,  nè  sperimentalmente,  neppure  quando  volesse  taluno  contentarsi 
» di  un’approssimazione.  La  cosa  è totalmente  diversa,  quando  il  rapporto  m, 


» introdotto  da  Biot,  viene  sostituito  in  luogo  di  ; poiché  quello  è quan- 


)>  tità  definita,  e si  può  trovare  numericamente,  con  esattezza  sufficiente,  come 
» dimostreremo  in  seguito.  La  introduzione  tanto  di  m,  espressione  che  in- 
» dica  la  quantità  di  elettricità  indotta,  contenuta  nel  piattello  condensante  , 
i>  quanto  la  dipendenza  fra  il  potere  condensante,  e questa  quantità,  non  viene 
» da  nessun  autore,  teoricamente  giustificata.  Inoltre  riflettendo  bene,  che  cosa 
» deve  intendersi  sotto  la  espressione  potere  condensante ; si  trova  che  la  mede- 
» sima,  non  significa  un  concetto  determinato.  Abbiasi  un  disco  conducente  (cioè 
» un  piattello  collettore)  congiunto  in  qualunque  modo  con  un  corpo,  sul  quale  si 
» trova  sviluppata  della  elettricità;  questa  elettricità  si  distribuisce  sopra  tutto 
)>  il  materiale  sistema,  che  si  compone  del  piattello,  del  filo  di  congiunzione, 
» e della  sorgente  di  elettricità,  quindi  nel  piattello  entrerà  una  certa  por- 
» zione  di  essa.  Questa  sperienza  sia  ripetuta,  mentre  il  piattello  condensante, 
» messo  in  comunicazione  col  suolo,  trovasi  avvicinato  al  collettore.  La  espe- 
» rienza  mostra,  che  la  distribuzione  dell’elettrico,  è differente  in  questo  secondo 
» caso,  e che  il  piattello  collettore,  si  carica  con  una  elettricità  più  forte.  Il  rap- 
ii porto  di  queste  due  cariche,  appartenenti  al  piattello  collettore,  costituisce  il 
» potere  condensante  del  condensatore.  Il  medesimo  rapporto  evidentemente 
» dipende  dalla  forma,  e delle  dimensioni  delle  singole  parti  del  sistema,  sul 
» quale  si  distribuisce  la  elettricità.  Dunque  applicando  sempre  lo  stesso  con- 
« densatore,  il  potere  condensante  medesimo  dipenderà:  1 .°  dalla  forma,  e dalle 
n dimensioni,  tanto  del  filo  di  congiunzione,  quanto  del  corpo  dal  quale  sviluppasi 
» la  elettricità;  2.°  dal  sito  nel  quale  il  filo  di  congiunzione  tocca  il  piat.  collet.,  ed 


1 


» il  corpo  elettrizzato;  3.°  dalla  direzione  del  filo  di  congiunzione;  4.°  finalmente 
» dalle  distanze  dei  due  piattelli.  Volendo  dunque  trovare  il  potere  condensante, 
» certo  è,  che  questo  vaierebbe  soltanto  per  un  dato  esperimento,  e quando 
» si  trovasse  mai  pel  medesimo  una  espressione  analitica,  questa  si  potrebbe  ap- 
» plicare  solo  per  un  particolare  caso,  e non  in  generale.  L’espressione  data 
» da  Biot  , che  si  pretende  valere  per  ogni  caso,  devesi  dunque  considera- 
» re,  come  una  grossolana  approssimazione,  trovata  empiricamente;  ma  nep- 
» pure  ciò  fu  mai  dimostralo,  e non  avrebbe  utilità  veruna  per  la  pratica.  Poi- 
» che  la  determinazione  della  quantità  m,  dietro  la  quale  si  può  trovare  il  potere 
» condensante,  riesce  più  difficile  , che  la  determinazione  diretta  del  poteie 
» condensante  medesimo  (1);  ed  il  mezzo  che  dà  Biot  per  questa  determinazione, 
« mostra  chiaro,  non  averla  egli  mai  tentata.  Sembra  dunque  necessario  di  ri- 


ti) Riess  intende  qui,  che  la  determinazione  diretta  del  potere  condensante  K , rie- 
sce più  facile,  di  quella  del  rapporto  m;  ed  il  medesimo  fece  due  serie  di  sperienze  per 
determinare  K (. Annales  de  chim.  et  de  phg.,  3.®  sèrie,  t.  42,  p.  377).  La  determinazione 
diretta  di  K,  é per  lo  stesso  fisico,  preferibile  a quella,  che  si  ottiene  comunemente,  perla 
quale  prima  si  determina  m,  quindi  K,  che  per  la  maggior  parte  dei  fisici,  è una  cognita 
funzione  di  m.  Sotto  due  punti  di  vista,  il  nominato  tisico,  stabilisce  la  indicata  preferenza, 
cioè:  l.°  perchè,  la  determinazione  diretta  del  K,  riesce  più  facile  di  quella  del  rapporto  m; 
2.°  perchè,  supposto  anche  trovato  questo  rapporto,  esso  non  giova  , secondo  Riess,  alla 
determinazione  del  K;  il  quale,  per  esso,  non  è bene  rappresentato  da  quella  cognita  fun- 
zione, che  viene  comunemente  adottata. 

Ad  onta  dell’asserita  difficoltà,  per  assegnare  il  valore  numerico  del  rapporto  m,  ri- 
fletteremo che  il  sig.  Riess,  giunse  a questa  determinazione  in  più  modi,  e tutti  soddisfa- 
centi ( Vedi  Poggendorff  Annalen  der  Physik  und  Chemie , t.  73,  p.  388.  — Riess  Die  Lehre 
von  der  Reibangselektricitdt , Berlin  1833,  t.  1°,  p.  332.  — Annales  de  chini,  et  de  phy- 
sique, 3.e  sèrie,  t.  42,  p.  376  . . . 381). 

Si  possono  consultare,  per  la  determinazione  di  m,  anche  i seguenti  autori  — De  la 
Rive,  Traité  d’électricité  théorique  et  pratique,  l.°  voi.  Paris  1834,  p.  382  . . . 584,  ed 
anche  voi.  3.°,  Paris  1838,  p.  681  . . . 686.  — Daguin,  Traité  de  physique,  Paris  1862. 
t.  3.°,  p.  156  . . . 158  — Gavarret,  Traité  d’  électricité,  t.  1.,  Paris  1857,  p.  130  — Bec- 
querel, Traité  d’  électricilé  et  de  magnétisme,  Paris  1835,  t.  l.°,  p.  35  (nota  *)  — Jamin, 
cours  de  physique,  Paris  1838,  t.  l.°,  p.  430  — Archives  des  scien.  phy.  et  nat.  de  Ge- 
nève, t.  32,  an.  1856,  p.  121.  . . 129.  — Gehler,  voi.  2.°  p.  242,  e seguenti;  qui  si  trova 
un  modo  proposto  dal  Bohnenberger  (p.  227),  col  quale  si  determina  il  rapporto  m,  oltre 
la  formula  del  potere  condensante  — Biot,  Traité  de  physique  expérimentale  et  mathématique, 
Paris  1816,  voi.  2.°,  p.  365,  e 366  ; vedi  anche  Vocabolario  di  fisica  (tedesco)  di  Marbach, 
t.  1,  p.  1003.  — Volpiceli  Atti  dell’  accademia  pontificia  de’  Nuovi  Lincei , sessione  3.a 
del  4.  febbraio  1864,  t.°  17,  p.  164.  — Esporremo  in  appresso,  uno  dei  metodi  adoperati 
da  Riess,  per  la  stessa  numerica  determinazione. 


— 252 


- , data  pel  potere  condensante,  e di 


1 

))  gettare  totalmente  T espressione  

« concepire  il  modo  di  azione  del  condensatore,  dietro  1’  ipotesi  della  densità  (1), 
» diminuita  nei  diversi  punti  del  condensatore  , prescindendo  dalla  quantità 
» della  elettrico  indotto.  11  condensatore  si  applica  per  la  condensa -ione 
» della  elettricità,  in  due  casi  distinti;  nel  primo  la  sorgente  di  elettricità  è 
« costante  (inesausta)  ; lo  strumento  è allora  il  condensatore  propriamente 
» detto  : nel  secondo  la  densità  della  sorgente  può  variare  ad  arbitrio,  ed  al- 
» lora  viene  detto  quadro  frankliniano,  o boccia  di  Leida.  Nel  primo,  come 
» nel  secondo  caso,  dipende  l’azione  sua  , dalla  variata  distribuzione  di  elettri- 
» cità,  sopra  il  piattello  isolato  dell’apparecchio;  dietro  la  quale,  certe  parti  del 
» medesimo  acquistano,  per  causa  della  vicinanza  del  piattello  condensante,  una 
» elettrica  densità  minore,  mentre  la  densità  delle  altre  parti  diviene  maggiore. 
» Necessariamente  il  fatto,  che  la  sorgente  d’  intensità  (costante),  messa  in  co- 
» rnunicazione  con  un  punto,  su  cui  la  densità  è diminuita,  comunica  al  piattello 
» collettore  una  carica  maggiore,  di  quello  che  senza  il  piattello  condensante, 
» devesi  dunque  considerare  unicamente  (2),  come  un  fatto  mostrato  dalla  spe- 
» rienza.  II  rapporto  fra  la  diminuzione  di  densità  nel  punto  di  contatto,  e 
» l’aumento  della  carica  acquistata,  è variabile  colla  forma,  grandezza,  e po- 
» sizione  relativa,  fra  la  sorgente,  e il  piattello  collettore;  il  medesimo  rappor- 
» to  non  si  può  trovare  teoricamente,  neppure  nel  caso  più  semplice  (3).  Que- 


(1)  Sembra  che  Riess  usi  la  parola  densità , invece  della  parola  tensione , sul  significato 
della  quale,  i fisici  tutti  sono  in  accordo,  come  dimostreremo  in  appresso.  Il  nominato  chia- 
rissimo autore,  nel  suo  trattato  di  elettricità  in  tedesco  (t.  1,  Berlino  1853,  p.  49  e 59), 
esponendo  la  misura  dello  stato  elettrico,  adopera  sempre  le  parole  « quantità  di  elettrico, 
densità  elettrica,  ertezza  dello  strato  elettrico,  ed  effetti  elettroscopici  » intendendo  egli  per 
questa  ultima  espressione,  l’apertura  dei  pendolini.  Si  vede  adunque  che  1’  illustre  tìsico  di 
Berlino,  adopera  le  indicate  parole,  invece  della  voce  tensione.  Però  è da  notare,  che  l’autore 
medesimo,  intende  misurarsi  l’elettrico,  mediante  la  sua  forza  repulsiva,  la  quale  in  sostanza 
non  è altro,  fuorché  la  elettrica  tensione.  A noi  sembra  che  questa  voce,  nella  ipotesi  comu- 
nemente adottata,  che  cioè  l’elettrico  sia  un  fluido,  significhi  meglio  la  essenza  sua,  di  quello 
sia  la  voce  densità , la  quale  si  manifesta  soltanto  per  mezzo  della  tensione. 

(2)  In  somma  la  distribuzione,  già  variabile  nei  diversi  punti  del  piatt.  collett.,  deve 
in  esso  variare  di  nuovo,  per  l’ indicato  avvicinamento.  Però  la  parola  unicamente,  usata  da 
qui  Riess,  non  ha  luogo,  neppure  secondo  le  sue  viste;  perché  ha  sviluppato  egli  ora  la 
ragione,  per  la  quale  il  piattello  deve  ricevere  una  carica  maggiore. 

(3)  Il  caso  più  semplice  consiste  in  quello,  nel  quale  sia  la  sorgente  di  elettricità  ine- 
sausta, e costante. 


— 253 


» sta  difficoltà,  dipendente  dall’analisi  troppo  complicata,  non  esiste  nella  se- 
))  conda  applicazione  del  condensatore,  cioè  col  quadro  frankliniano,  il  quale  è 
« 1’  unico  che  può  essere  applicato,  trattandosi  di  determinazione  numeriche. 
» Sperimentando  con  questo  stromento,  si  comunica  al  piattello  isolato  una 
» quantità  di  elettricità,  la  quale  può  aumentarsi,  finché  incomincia  la  disper- 
» sione  della  elettricità  nell’aria.  Tale  dispersione  comincia  prima  nel  filo  di 
» congiunzione,  quindi  la  medesima  permetterebbe  soltanto  una  debole  elettrica 
» densità,  nel  caso  in  cui  non  vi  fosse  l’altro  piattello.  La  presenza  del  piat- 
» tei  lo  non  isolato,  fa  variare  l’accumulazione.  La  densità  nel  filo  di  congiuri- 
» zione  s’ indebolisce,  cosicché  può  entrare  una  nuova  quantità  nel  piattello 
» isolato.  Siccome  1’  apparecchio  rimane  in  questo  caso  invariato,  mentre  si 
» esperimento;  così  le  determinazioni  di  queste  densità  , hanno  un  rapporto 
« diretto  colla  applicazione  dell’apparecchio  (1). 

(1)  Possiamo  dichiarare  nel  seguente  modo,  questo  concetto  del  Riess.  Rappresenti  A. 
un  corpo  conduttore,  sia  B una  elettrica  sorgente  inesausta,  e costante.  Questa  posta  in  co- 
municazione con  un  determinato  punto  del  corpo  A,  dovrà  dare  al  punto  medesimo  una  certa 
densità  elettrica,  ed  a tutto  il  corpo  una  carica,  dipendente  dalla  densità  della  sorgente  stessa, 
dalla  grandezza  del  corpo,  e dalla  sua  forma. 

Se  la  densità  della  sorgente  sia  tenue,  potremo  riguardare  la  elettrica  dispersione,  che 
procede  dalla  superficie  del  corpo  nell’aria,  come  se  fosse  nulla.  Quiudi  aumentando  in  questo 
caso  la  densità  della  sorgente,  avrà  luogo  un  aumento  proporzionale  della  carica  del  corpo, 
tanto  in  complesso,  quanto  nei  singoli  suoi  punti. 

Se  però  vogliasi  tener  conto  della  dispersione,  le  circostanze  dalle  quali  dipende  la  ca- 
rica varieranno;  e le  densità  elettriche  dei  diversi  punti  del  corpo,  saranno  minori  di  quelle, 
che  si  avrebbero,  se  potesse  riguardarsi  la  dispersione  come  nulla.  Per  tanto,  a motivo  della 
dispersione,  avrà  luogo  nel  sistema  elettrico,  un  continuo  movimento  di  questo  fluido,  dalla 
sorgente  verso  il  corpo  A,  e principalmente  verso  quei  punti  del  medesimo,  nei  quali  la  cur- 
vatura è maggiore.  Inoltre  se  facciasi  crescere  sempre  più  la  densità  della  sorgente,  si  giun- 
gerà finalmente  ad  un  limite,  riguardo  alla  carica  elettrica  del  corpo  A ; lo  che  deve  succe- 
dere quando,  tanto  elettrico  arriverà  sul  corpo  da  parte  della  sorgente,  quanto  è quello  che 
partirà  da  esso,  per  effetto  della  dispersione.  Tutto  questo  ragionamento  ha  luogo,  anche 
quando  un  altro  corpo  C conduttore,  sia  vicino  al  corpo  A ; ed  anche  quando  il  medesimo 
corpo  C,  comunichi  col  suolo. 

Per  quello  riguarda  il  quadro  franckliniano,  deve  secondo  Riess  intendersi,  che  la  sor- 
gente sia  costante,  ma  forte  a modo,  che  il  quadro  medesimo  possa  conseguire  quella  tal  ca- 
rica limite;  cosicché  crescendo  ulteriormente  la  densità  della  sorgente,  non  possa  più,  per  la 
dispersione,  crescere  la  carica  nel  quadro  nominato.  In  tal  caso  il  potere  condensante  di 
esso,  verrà  senz’altro  direttamente  per  evidenza  ottenuto,  dal  rapporto  delle  densità,  una  di 
quel  punto  del  corpo  A,  nel  quale  dev’essere  maggiore  la  dispersione,  senza  il  piattello  con- 
densante ; l’altra  pure  dello  stesso  punto,  però  dopo  toltala  prima  comunicazione,  e dopo 
l’avvicinamento  del  piattello  condensante  non  isolato,  come  descrive  il  Riess. 


» Le  densità  (ovvero  le  cariche)  in  un  dato  punto  di  qualunque  corpo, 

» stanno  nel  rapporto  delle  (diverse)  cariche  totali  del  corpo  stesso  : ciò  ha 
» luogo  tanto  nel  caso  , in  cui  questo  corpo  si  trovi  solo;  quanto  iu  quello, 
» nel  quale  si  trovi  esso  in  vicinanza  di  altri  corpi  (1).  Trovando  a dunque,  che 
» la  densità  diminuisce,  fino  alla  metà,  nel  filo  di  congiunzione,  per  effetto  del 
» piattello  non  isolato,  dobbiamo  concludere,  che  l’apparecchio,  si  carica  con 
» una  quantità  doppia  di  quella,  con  cui  si  caricherebbe  il  solo  piattello  isolato. 

§•  20. 

a1)  11  presente  paragrafo,  viene  da  noi  compilato,  per  tre  scopi  diversi,  non 
ancora  presi  di  mira  nei  corsi  di  fìsica,  e nei  trattati  di  elettricità.  Uno  di  tali 
scopi  consiste  nel  mettere  in  evidenza  la  serie  dei  ragionamenti,  e dei  calcoli,  coi 
quali  Aepinus,  il  primo  ad  introdurre  l’algebra  nella  elettrostatica,  dedusse  la 
formula,  che  rappresenta  l’accumulazione  dell’elettrico,  nella  bottiglia  di  Leida. 
Ciò  sarà  utile,  anche  per  dare  una  idea,  del  come  quell’ illustre' elettricista,  ba- 
salo sulla  ipotesi  frankliniana,  cioè  di  un  solo  fluido,  applicava  l’analisi  alge- 
brica alla  elettrostatica,  e dei  difetti  che  s’  incontrino  nell’applicazione  stessa.  Il 
secondo  scopo  consiste,  nel  mettere  in  chiaro,  come  dalla  indicata  formula  di 
Aepinus,  discenda  quella  di  Biot,  che  si  riferisce  all’accumulazione  dell’elettrico 
nel  condensatore  (§.  19);  sebbene  questo  fìsico,  abbia  preso  per  base  del  suo 
calcolo,  la  ipotesi  dei  due  fluidi,  già  proposta  da  Dufay,  sviluppata  da  Symmer, 
e comunemente  oggi  seguita,  nella  spiegazione  dei  fenomeni  elettrici.  Questa 


Per  una  sorgente  debole,  come  sarebbe  quella  elettrica  dell'atmosfera,  per  la  quale  con- 
viene l’uso  del  condensatore,  non  è applicabile  la  indicala  determinazione  del  potere  con- 
densante, dipendente  dall'aumentare  la  densità  della  sorgente  medesima,  per  giungere  alla 
carica  limite,  perchè  questo  aumento  non  può  conseguirsi,  ovvero  perchè  la  dispersione,  in 
questo  caso  non  può  verificarsi. 

(1)  Abbiamo  dimostrato  in  una  nota  (§.  9)  questa  proposizione.  « Cangiando  la  carica  f 
dell’  inducente  in  fi , le  diverse  accumulazioni  elettriche,  sopra  un  elemento  superficiale  qua- 
lunque, tanto  dell’  inducente,  quanto  dell’  indotto,  cangerauno  in  quel  medesimo  rapporto,  nel 
quale  hanno  cangiatole  cariche  dell’ inducente,  od  anche  quelle  dell’  indotto.  Riflettendo  che 
la  carica  elettrica  di  un  dato  punto,  in  qualunque  corpo,  é proporzionale  alla  densità,  o ten- 
sione del  punto  stesso,  discende  chiaramente  che  nella  riferita  proposizione,  già  da  noi  dimo- 
strata, è incluso  anche  l’asserto  cui  si  riferisce  questa  nota,  il  quale  asserto  anch’esso  perciò 
viene  dimostrato,  mediante  il  principio,  che  cioè:  dev’essere  unica  la  elettrica  distribuzione 
di  equilibrio  sopra  un  conduttore. 


— 255  — 


ipotesi  è generalmente  seguita,  non  ostante  la  tendenza,  molto  ragionevole,  di 
taluni  fisici  moderni,  di  volere  cioè  sostituire,  a tutte  le  altre  sulla  natura  del- 
l’elettrico,  quella  consistente  nelle  vibrazioni  dell’etere;  la  quale  però  incontra 
molte  difficoltà  nelle  applicazioni.  Lo  scopo  terzo  di  questo  paragrafo,  consiste 
nel  mettere  in  evidenza,  essere  stato  Aepinus  il  primo  anche  nel  dimostrare 
col  calcolo,  che  la  indotta  non  tende,  cioè  che:  non  può  menomamente  agire, 
o per  l’attrazione,  o per  la  repulsione,  o infine  per  la  induzione.  Questo  ultimo 
scopo  giustifica  sempre  più  la  utilità  del  presente  paragrafo,  riguardo  alle  ri- 
cerche, le  quali  formano  l’oggetto  principale  della  presente  memoria.  La  com- 
pilazione del  paragrafo  medesimo  sarà  fatta,  onde  sia  compresa  facilmente,  usan- 
do simboli  significativi,  col  moderno  linguaggio  della  scienza,  e non  con  quello 
antico,  seguito  da  Aepinus  (1).  Dobbiamo  inoltre  avvertire,  che  siccome  il  no- 
minato autore,  nei  suoi  ragionamenti,  abbraccia  tanto  l’elettricismo,  quanto  il 
magnetismo;  noi  nel  compilare  questo  paragrafo,  avremo  soltanto  riguardo  al 
primo  di  sì  fatti  agenti,  e lo  separeremo  perciò  dal  secondo,  del  quale  non  ci 
occuperemo. 

a2)  Le  proprietà  o forze  che  Franklin,  nella  sua  ipotesi  sulla  natura  della 
elettricità,  riconobbe  esenziali  a questo  fluido,  per  ispiegare  i fenomeni  da  esso 
prodotti,  sono  le  tre  seguenti  (2). 

l.°  Repulsione  fra  le  molecole  del  fluido  elettrico  (3). 


(1)  Tentamen  theoriae  electricitatis  et  magnetismi.  Petropoli  1759,  p.  18.  . . 61. 

(2)  Oeuvres  de  Franklin,  t.  1.  Paris  1773,  p.  52,  e 53. 

(3)  La  elettrica  repulsione  fu  per  la  prima  volta  negata  da  Kinnersley  ; e qualche  fisico 
moderno  ancora  la  nega  — Francklin  pel  primo  l’ammise,  altri  la  negarono  per  ambedue  le 
elettricità,  ed  altri  per  la  sola  negativa.  — Il  primo  che  sottopose  al  calcolo  la  elettrica  re- 
pulsione fu,  come  ora  vedremo,  Aepinus.  — Il  p.  Pianciani,  Kennedy,  Beccaria,  Majocchi, 
e Van-Marum  esclusero  la  esistenza  della  elettrica  repulsione  — Pfaff,  ed  Harris  l’ammisero.  — 
Volta  negandola  interpellò  male  un  passo  di  Aepinus.  — La  elettrica  repulsione  si  accorda 
coi  fenomeni  naturali.  — Non  può  concludersi  la  mancanza  di  repulsione,  dal  considerare 
la  pressione  della  elettricità  contro  l’aria  circostante  — Non  discende  la  mancanza  di  que- 
sta repulsione,  da  quello  che  giustamente  dice  Poisson,  riguardo  al  vertice  di  un  cono  elet- 
trizzato — Furono  da  me  assegnate  le  condizioni,  per  le  quali  la  elettrica  tensione,  al  ver- 
tice di  un  cono,  diverrebbe  infinitamente  grande.  — Tre  sono  le  cause  favorevoli,  e tre  le 
opposte  alla  dispersione  dell’elettrico.  — Fu  da  me  analizzala  una  sperienza,  contro  la  elet- 
trica repulsione.  — Si  analizzarono  ancora  da  me  altre  simili  sperienze.  — Ed  anche  fu- 
rono da  me  analizzati  altri  argomenti  sperimentali,  prodotti  per  negare  la  esistenza  della  elet- 
trica repulsione.  — Nelle  analizzate  sperienze,  s’include  il  falso  concetto,  che  la  conducibilità 


4 


— 256  — 


2. °  Attrazione  dell’elettrico  E del  corpo  G,  per  la  materia  pesante  M'  del 
corpo  C . 

3. °  Attrazione  dell’elettrico  E'  del  corpo  C',  per  la  materia  M del  corpo  C. 

Però,  a questo  proposito,  Mossotti  dice  » (1)  Aepinus  che  ha  ridotto  a teo- 
rica matematica,  la  ipotesi  di  Franklin,  ha  pure  osservato,  che  se  la  condizione 
dell’  equilibrio  dei  fluidi  elettrici  di  due  corpi  nello  stato  naturale  , consiste 
nell’esservi  uguaglianza  fra  l’attrazione  della  materia,  e la  repulsione  del  fluido 
del  primo  corpo,  sul  fluido  del  secondo,  e reciprocamente  ; vi  sono  in  giuoco 
solo  tre  forze,  di  cui  due  di  attrazione,  ed  una  di  repulsione.  In  fatti  ciascuno 
dei  due  corpi  esercita,  per  effetto  della  sua  materia  , un’  attrazione  sul  fluido 
dell’altro;  mentre  la  repulsione  scambievole  dei  due  fluidi,  costituisce  una 
sola  forza,  eguale  a ciascuna  delle  due  prime.  Se  dunque  coll’equilibrio  dei  flui- 
di, vogliasi  avere  anche  l’equilibrio  delle  masse,  dovremo  ammettere  una  eguale 
repulsione  fra  le  molecole  della  materia,  senza  la  quale  i corpi  si  attirereb- 
bero con  forza,  contro  quanto  la  sperienza  c’  insegna  » (2).  Quindi  è che  la  ipo— 

dell’aria,  si  debba  riguardare  inversamente  proporzionale  alla  sua  pressione. — Non  si  può 
negare,  che  le  molecole  gassose  vengono  dalla  elettricità  prima  attratte,  e poi  dalla  elettri- 
cità stessa  respinte. — Sperimento  col  quale,  mediante  un  cono  che  traversa  un  disco,  si 
dette  provare  la  non  esistenza  della  elettrica  repulsione.  — Ho  dimostrato  col  calcolo,  esi— ■ 
stcre  una  forza  elettro-repulsiva.  Ho  dimostrato  sperimentalmente  la  esistenza  di  una  forza 
elettro-repulsiva.  — La  sperienza  invocata  dal  p.  Pianciani,  per  negare  la  forza  elettro-re- 
pulsiva, non  conduce  a questo  risultamento.  — Ultima  sperienza  di  Volta,  per  dimostrare  la 
pretesa  non  esistenza  della  medesima  forza.  — Contraddizione  inclusa  nel  ragionamento  del 
p.  Pianciani,  per  conciliare  la  opinione  di  coloro,  che  negano  la  elettrica  repulsione,  con  quella 
degli  altri  che  l’ammettono.  Ho  assegnate  le  cause  della  repulsione,  e dell’attrazione  elettrica 
fra  due  sfere,  tanto  se  queste  sieno  conduttrici,  quanto  se  coibenti. 

Tutto  quello  che  abbiamo  qui  riferito,  fu  dimostrato  ed  assaissimo  sviluppato,  nella  mia 
prima  memoria,  che  ha  per  titolo  — Analisi  e rettificazioni  di  alcuni  concetti , e di  alcune 
sperienze,  che  appartengono  alla  elettrostatica,  §.  1.  . . §.  19.  — pubblicata  negli  Atti  dell’ac- 
cademia pontificia  dei  Nuovi  Lincei,  t.  XIX,  p.  312  . . . 348,  e t.  XX,  p.  191  ..  . 312. 

(1)  Sur  les  forces  qui  régissent  la  constitution  intérieure  des  corps,  ecc.  par  0.  F.  Mos- 
sotti, Turin  1836,  p.  7.  li  10  salendo. 

(2)  Secondo  Franklin,  l’equilibrio  fra  due  corpi,  nello  stato  elettrico  naturale,  si  può 
ammettere  colle  sole  tre  forze,  da  esso  immaginate,  senza  ricorrere  alla  quarta  forza  repulsiva, 
messa  in  campo  da  Aepinus;  e l’equazione  per  così  fatto  equilibrio,  consiste  nella  seguente 

(c.)  BE'  = ME1  rh  M E , 

cioè:  nella  repulsione  EE',  che  dev’essere  uguale  alla  somma  delle  attrazioni  ME' , M'E. 
La  equazione  medesima  discende,  dal  supporre  la  repulsione  scambievole  EE ' dei  due  fluidi* 


— 257  — 


tesi  di  Aepinus,  circa  ['essenziali  proprietà  o forze  che  accompagnano  l’elet- 
trico, consiste  nell’  ammettere,  oltre  le  tre  sopra  indicate  forze,  anche  1’  altra 
seguente,  cioè  : 

4.°  Repulsione  vicendevole  fra  le  parti  della  materia  pesante,  priva  di 
elettrico  in  parte,  od  in  tutto. 

La  esistenza  di  questa  quarta  proprietà  o forza,  viene  dallo  stesso  Ae- 
pinus dedotta  dal  suo  calcolo,  applicato  alla  elettrostatica,  come  in  seguito 
vedremo.  Perciò  non  deve  questa  quarta  proprietà,  essere  inclusa  nella  ipotesi 
di  Franklin,  il  quale  non  la  riconobbe  ; laonde  non  a buon  diritto,  dal  chia- 
rissimo fisico  Belli,  si  fece  questa  inclusione  (1). 

eguale  al  doppio  di  ciascuna  delle  due  repulsioni,  cioè  dal  supporre  le 

E E'  ==  2 31  E1  , EE  M'E  , 

che  sommate  danno  la  (ci)  di  Franklin.  Abbiamo  veduto  che,  secondo  Mossotti,  dovrebbe 
« la  repulsione  scambievole  dei  due  fluidi,  essere  uguale  a ciascuna  delle  attrazioni  » do- 
vrebbero aversi  cioè  le 

EE'  = ME'  , EE'  = 31 E , 

che  non  possono  certamente  condurre  alla  (Ci),  rappresentante  la  ipotesi  frankliniana;  quindi 
esse  non  si  possono  ammettere, 

Ma  potrà  taluno  dire,  che  per  avere  l’equilibrio  fra  le  masse,  ancorché  nello  stato  elet- 
trico naturale, come  ora  noi  le  supponiamo,  deve  pure  considerarsi  l’attrazione  fra  le  mede- 
sime, secondo  la  legge  newtoniana.  Ciò  non  si  può  negare;  ma  trattandosi  di  corpi,  quali  sono 
quelli  su  cui  possiamo  sperimentare,  questi  avendo  una  massa  tenuissima  rispetto  quella  ter- 
restre, ne  discende  che  l’attrazione  newtoniana  non  potrà  mai,  nel  caso  pratico,  turbare  sen- 
sibilmente l’equilibrio  stabilito  colla  (c,). 

Ora  passando  a considerare  il  caso  di  corpi,  o che  abbandonano,  o che  difettano  di  elet- 
trico, rispetto  quello  naturalmente  ad  essi  proprio;  sarà  facile  vedere,  che  per  l’equilibrio  loro 
in  questo  caso,  deve,  nella  ipotesi  frankliniana  di  un  solo  fluido,  riconoscersi  anche  la  esistenza 
della  repulsione  fra  la  materia.  Poiché  quanto  più  si  toglie  l’elettrico  a due  corpi,  tanto  più 
questi  si  respingono;  dunque  la  materia  diminuita  nell’elettrico,  naturalmente  ad  essa  proprio, 
si  respinge.  Da  questo  fatto  sperimentale  discende  unicamente  la  necessità  di  ammettere,  nella 
ipotesi  frankliniana,  la  repulsione  della  materia  diminuita  di  elettrico.  Laonde  per  l’equili- 
brio fra  due  corpi  elettrizzati,  si  avranno  quattro  forze,  cioè  due  di  repulsione,  e due  di  at- 
trazione; cosicché  l’equilibrio  medesimo  sarà  espresso  dalla 

EE  -+-  31M'  = ME  -t-  M'E  . 

(1)  Corso  elementare  di  fisica  sperimentale,  voi.  3,  Milano  1838,  p.  17.  . . . 19. 

( Continuerà  ) 


34 


— 258  — 


CORRISPONDENZE 

L’  Emo  Cardinale  Deangelis,  protettore  dell’accademia,  col  suo  dispaccio 
del  3 maggio  1870,  fa  noto  che  la  S.  Congregazione  degli  stadi,  approvò  com- 
pletamente il  consuntivo  accademico  pel  1869. 

11  sig.  prof.  S.  Cadet,  socio  ordinario,  presentò  in  dono,  da  parte  del  sig. 
Giuseppe  Valori  la  lettera,  che  questo  farmacista  collegiale  pubblicò,  diretta  al 
sig.  dottore  Francesco  Scalzi,  professore  di  materia  medica  nella  università  ro- 
mana. L’oggetto  della  indicata  lettera,  estratta  dal  fascicolo  V del  giornale  me- 
dico di  Roma,  consiste  nell’  esporre  un  metodo  nuovo,  di  preparare  il  solfuro 
nero  d’ idrargiro,  detto  comunemente  etiope  minerale. 

Il  sig.  direttore  dell’osservatorio  fisico  centrale  di  Pietroburgo,  fa  giungere 
in  dono  all’accademia,  il  Repertorio  di  meteorologia. 

« 

t 

L’accademia  riunitasi  alle  due  pomeridiane  , in  numero  legale  si  sciolse 
dopo  due  ore  di  seduta. 


Soci  ordinari  presenti  a questa  sessione 

B.  Viale  — A.  cav.  Betocchi  — F.  cav.  Giorgi  — G.  com.  Ponzi  — V. 
cav.  Diorio  — P.  Voi picelli — F.  Nardi  — M.  cav.  Azzarelli — S.  Proja  — 
B.  Boncompagni  — F.  Castracane  — S.  Cadet — A.  Guglielmotti  — G.  Pie- 
ri — D.  Chelini  — L.  cav.  Respighi  — M.  Massimo  — A.  com.  Cialdi. 

Pubblicato  nel  17  di  settembre  1870. 
P.  V. 


©PERE  Vli\'I;TE  IN  »©N© 

Atti  della  R.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino.  — Voi.  V.,  disp.  5.  — 
Marzo  1870. 


— 259  — 

Rendiconti  del  Reale  Istituto  Lombardo  di  Scienze  , e Lettere  — Voi.  III. 
fase.  Vili  e IX. 

Memorie  dell' Accademia  delle  scienze  dell'  Inslitulo  di  Bologna.  — Serie  li. 
Tomo  IX.  fase.  3.° 

Ballettino  della  Società  Geografica  italiana  — fase.  4.° — 1°  Maggio  1870. 

Della  Camera  Lucida  di  Wollaston  applicata  al  cannocchiale,  per  ottenere 
dei  panorami  di  monti  in  grande  scala,  e della  maggiore  esattezza;  dei  si- 
gnori Francesco  Carlini  astronomo  in  Milano  1818,  Cario  Ponti  ottico 
a Venezia  1856,  e Revoil  dotto  di  Parigi  1869.  — Nota  del  prof.  cav. 
F.  Z ANTE  DESCHI.  A/4  di  foglio,  1870. 

Delle  nebbie,  nebbioni,  pioggie  con  sabbie,  e caligini  osservate  nell'atmosfera 
d' Italia,  precipuamente  nel  1859,  ed  effetti  che  ne  conseguirono.  — - Re- 
lazione storico-critica  del  medesimo.  — Un  fase,  in  8.°  1870. 

Pioggia  e Neve  frammista  a vane  sostanze,  cadute  nella  notte  dal  13  al  14 
di  febbraio  1870  nella  Liguria,  nel  Piemonte  ed  in  altre  contrade  d'Ita- 
lia, coll'  analisi  qualitative  e quantitative.  — Relazione  storica  del  mede- 
simo. — Un  fase,  in  8.°  1870. 

Sulla  necessità  di  escludere  lo  studio  della  geometria  dai  pubblici  ginnasi,  e 
l'  Euclide  dai  Licei. — - Nola  di  Sebastiano  Purgotti. — Un  fase,  in  12.”' * 
Torino,  1870. 

Meleorogrcifia  dell'  Autunno  1869  in  Modena,  dell'  Ing.  A.  Ricco.  — Modena 
1870.  — Un  fase,  in  8.° 

Nona  ( ultima  parte)  e Decima  Piivista  di  Giornali,  presentata  al  R.  Istituto 
Veneto,  nell'  Agosto  1 869,  e Gennaio  1870,  dal  prof.  G.  Bellavitis. 

Sulla  legge  delle  derivale  generali  delle  funzioni  di  funzioni  di  più  variabili 
indipendenti,  e sulla  teorica  delle  forme  di  partizione  dei  numeri  interi. 
Memoria  di  G.  B.  Marsano.  — Un  voi.  in  4.°  — Genova,  1870. 

Dei  vantaggi  che  la  scienza  dell'  ingegnere  può  trarre  dalle  grandi  esposi- 
zioni internazionali.  Discorsi  accademici  del  cav.  Alessandro  Betocchi  — 
Un  fase,  in  4.°  grande  — Roma,  1 870. 

D’une  seconde  . ...  Di  un  secondo  nuovo  metodo  per  determinare  la  pa- 
ralasse del  Sole,  del  Capii.  C.  Setti m anni.  — Un  fase,  in  8° — Firen- 
ze 1870. 

Annuaire  ....  Annuario  dell ' associazione  per  V incoraggiamento  dei  studi 
greci  in  Francia  — 4°  Anno  1870  — Parigi. 


— 260  — 


Jahrbuch  . . . Annuario  dell'  I.  R.  Istituto  Geologico  di  Vienna  — Ottobre, 
Dicembre  1868,  e Gennaio  — Dicembre  1869. 

Atti  dell'  I R.  Istituto  suddetto  — 1868-1869.  (ottobre,  e novembre). 

Proceedings  . . . Alti  della  R.  Società  Geografica  di  Londra.  — Yol.  XIV.  — 
N.  1.  1870. 

Monatsbcricht  ....  Contoreso  mensuale  della  R.  Accademia  delle  Scienze 
di  Berlino  — Gennaio  Aprile  1870. 

Mittheiiungen.  . . . Comunicazioni  della  Società  Antropologica  di  Vienna  — 
1870  — N.  1,  2,  3. 

Vierzehnter  ....  Rapporto  témo  dell'  Istituto  ginnastico-ortopedico  di  Ber- 
lino ; del  D.r  IL  W.  Berend. 

Bericht  . . . Rapporto  sopra  la  Società  Medica  di  Berlino  — Anno  14  e 15. 
| foglio  in  4.° 

2.  c 

Nature  ...  La  Natura.  Giornale  scientifco  settimanale  con  illustrazioni.  — 
N.  26,  27,  28,  30,  31.  — Londra  1870. 

Ballettino  Meteorologico  dell'  Osservatorio  di  Moncalieri  — Febbraio,  e Mar- 
zo 1870. 

Comptes  . . . Conto  reso  dell ' Accademia  delle  Scienze  dell'  Imperiale  Isti- 
tuto di  Francia , in  corrente. 

Memoires  . . . Memorie  della  I.  Accademia  delle  Scienze  di  S.  Pietroburgo  — 
Tomo  XIII,  N.  8.  — e Tomo  XIV.  — N.  1-7. 

Ballettili  . . . Ballettino  della  I.  Accademia  suddetta  — Tomo  XIV.  N.  1-3. 

Se  Porlolevante  escluda  il  fluttocorrente  come  causa  del  suo  insabbiamento. 
Al  chiarissimo  Carlo  Comm.  Possenti  — Lettera  del  Comm.  Alessan- 
dro Ci  aldi  . — Roma,  1870,  un  fase,  in  8.° 

L'  Ingegno  di  Ferdinando  De-Luca.  Articolo  del  suddetto.  — Roma  1870, 
un  fase,  in  8.° 

Sopra  alcuni  teoremi  aritmetici.  Memoria  del  prof.  P.  Tardy  a Genova.  — 
Un  fase,  in  4.°  ; Milano,  1870. 

Mémoire  ....  Memoria  sur  una  trasformazione  geometrica,  e sulla  super- 
ficie delle  onde,  di  Eugenio  Catalan.  — Brusselles,  1870. 

Beux  modèles  ....  Due  modelli  in  rilievo,  V uno  di  una  superficie  a più 
gran  pendenza  costante,  l'altro  della  superficie  descritta  da  una  corda  vi- 
brante, trasportata  da  un  movimento  rapido  perpendicolare  al  suo  piano  di 
vibrazione  ; di  Saint-Venant.  Parigi  1859.  ( Uno  scaccolo  di  carta  del  Gior- 
nale V Insti tut). 


Sur  un  potentiel  ....  Sopra  un  potenziale  di  seconda  specie,  che  risolve 

V equazioni  a differenze  parziali  del  quart'  ordine , esprimente  V equili- 
brio interno  dei  solidi  elastici  amorfi,  non  isotropia  del  Medesimo.  — Pa- 
rigi 1869. 

Sur  une  détermination  ....  Sopra  una  determinazione  razionale,  per  ap- 
prossimazione, della  spinta,  che  esercitano  delle  terre  sprovviste  di  coesione , 
contro  un  muro,  avente  una  inclinazione  qualunque  ; del  Medesimo.  — Pa- 
rigi 1870. 

Preuve  théorique.  . . . Prova  teoretica  della  uguaglianza  di  due  coefficienti 
di  resistenza,  e della  estensione  o compressione  nel  movimento  continuo 
di  deformazione  dei  solidi  duttili,  al  di  lei  dei  limiti  della  loro  elasticità  ; 
del  Medesimo.  — Parigi  1870. 

Sur  1’  établissement  . . . Sullo  stabilimento  delle  equazioni  dei  movimenti  in- 
terni, operati  nei  corpi  solidi  duttili,  al  di  là  dei  limili,  ove  la  elasticità  po- 
trebbe ricondurli  al  primiero  stato.  — Parigi  1870. 

Poussée  des  terres  ....  Spinta  delle  terre.  Comparazione  delle  sue  stime 
a mezzo  della  considerazione  razionale  delV equilibrio-limite,  e a mezzo  del- 

V uso  del  principio,  detto  di  minore  resistenza,  di  Moscley  ; del  Medesimo.  — 
Parigi  1870. 

Recherche  ....  Ricerca  di  una  seconda  approssimazione  nel  calcolo  razio- 
nale della  spinta,  esercitata  contro  un  muro,  di  cui  la  facciata  posteriore 
ha  una  inclinazione  qualunque,  con  terre  non  coerenti,  di  cui  la  superficie 
superiore  si  eleva  in  qualunque  pendìo  piano,  a partire  daWallo  di  questa 
facciata  del  muro  ; del  Medesimo ■ — Parigi  1870. 

Rapport  ....  Rapporto  sopra  una  memoria  del  sig.  Maurizio  Levy,  intito- 
lata : « Essai  sur  une  théorie  rationelle  de  1’  équilibre  des  terres  fraìche- 
ment  remuées,  et  ses  applications  au  calcai  de  la  stabilite  des  murs  de  sou- 
ténement.  » ( Dono  di  Saint-Venant,  relatore).  — Parigi  1870. 

Rapport  . . . Rapporto  sopra  una  Memoria  del  sig.  Tresca  « Sur  le  poin- 
ponnage  et  sur  la  théorie  mécanique  de  la  déformation  des  corps  solides 
( Dono  di  Saint-Venant  relatore).  — Parigi,  1870. 

Rapport.  . . . Rapporto  su  cinque  Memorie  del  sig.  Felice  Lucas,  intitolate 
Recherches  concernent  la  Mécanique  des  atomes  ( Dono  di  Saint-Venant , 
relatore  ). 

Rapport  ....  Rapporto  sur  una  Memoria  del  sig.  Boussinesq  ( ari1  addi- 


— 262  — 


zione  ) relativo  « A la  théorie  des  ondes  liquides  périodiques.  » ( Dono  di 
* Saint-Venànt , relatore). 

Integration  . . . Integrazione  della  equazione  differenziale , che  può  dare  una 
seconda  approssimazione  nel  calcolo  razionale  della  spinta , esercitata  con- 
tro un  muro , per  terre  sprovviste  di  coesione  ; di  I.  Boussi.vesq.  ( Dono  di 
Saint-Venant.) 

Bullettino  di  Bibliografia , e di  Storia  delle  scienze  matematiche  e fìsiche , pub- 
blicato da  B.  Boncompagn t — Tomo  III.  — Gennaio  1870. 


mmm  sseus  M&'wmm® 

DEL  XXIII  VOLUME 

(1869-70) 


Elenco  dei  soci  attuali  dell’  accademia  , sino  a tutto  il  dicem- 
bre 1869 , pag.  v-xvi 

Soci  defunti » xvi 

MEMORIE  E COMUNICAZIONI 


Volpi  celli  prof.  P .,  socio  ordinario,  e segretario  - Sulla  elettro- 
statica  induzione , od  elettrica  influenza.  - Memoria  istorico-cri- 

tica.  (Continuazione) » 1-27 

Giorgi  cav.  prof.  Federico  , socio  ordinario  , e membro  del  comi- 
tato - Sul  calcolo  delle  quantità  dei  movimenti  di  terra  nelle 

stime  dei  lavori  architettonici » 28-52 

Respighi  prof.  cav.  Lorenzo , socio  ordinario,  astronomo,  e mem- 
bro della  censura  - Osservazioni  spettroscopiche  del  bordo  , e 

delle  protuberanze  solari  » 53-70 

Volpicelli  prof.  P.  - Sul  barometro  fotografico  costruito  nella 

università  romana » 71-75 

Secchi  R.  P.  Angelo  , socio  ordinario,  e membro  della  censura  - 

Osservazioni  sulla  comunicazione  precedente » 76-77 

Volpicelli  prof.  P.  - Dichiarazioni  relative  a queste  osservazioni.  » 77-78 

Secchi  R.  P.  Angelo , socio  ordinario  - Nota  sulla  temperatura  del 

sole » 93-99 

Castracane  degli  Antelminelli  conte  Don  Francesco  , socio  ordi- 
nario - Memoria  sopra  un  sistema  nuovo  di  ricerche  su  le  Dia - 
tomee,  e risultamenti  ottenuti  da  quelle  del  1869  . . . . » 100--113 

Jacobini  prof.  Luigi , socio  ordinario  - Nota  sulla  Saperda  del  fru- 
mento   » 1 14- 11 5 

Diorio  prof.  cav.  Vincenzo  , socio  ordinario  - Osservazioni  sulla 
precedente  nota » 115 


Nardi  Mons.  Francesco  , socio  ordinario  - Notizie  relative  alV  il- 
lustre viaggiatore  Livingslon pag.  116-117 

Volpicelli  prof.  Paolo,  socio  ordinario,  e segretario  - Risposta  alle 
osservazioni  del  p.  A.  Secchi  , pubblicate  nella  tornala  del  5 
dicembre  1869,  relative  al  barometro  fotografico  nella  università 

romana » 118-122 

Jacobini  prof.  Luigi,  socio  ordinario  - Nola  sopra  i vantaggi,  che 
può  trarre  lo  stato  pontifìcio,  dall'apertura  del  canale  di  Suez.  » 125-128 
Volpicelli  prof.  Paolo  , socio  ordinario  , e segretario  - Memoria 
sulle  opinioni,  e sulle  sperienze,  circa  il  calore  del  raggiamento 

lunare,  ed  anche  stellare » 129-155 

Re  spighi  prof.  cav.  Lorenzo,  socio  ordinario,  ed  astronomo  - Nota 

sulle  osservazioni  delle  protuberanze  solari » 156 

Diorio  prof.  cav.  Vincenzo , socio  ordinario  - Nota  in  riposta  ad 
una  interpellanza  , direttagli  dal  chiarissimo  sig.  prof.  Socrate 
Cadet,  relativa  alla  teorica  di  una  nuova  funzione  della  milza.  » 160-167 
Volpicelli  prof.  Paolo  , socio  ordinario  , e segretario  - Memoria 
sulle  condizioni  algebriche  , a fine  di  ottenere  automaticamente 
la  compensazione  termometrica  nei  barometri,  per  qualunque  dei 

sistemi  alti  a produrla » 168-196 

Respighi  prof.  cav.  Lorenzo,  socio  ordinario,  ed  astronomo  - Sulle 
osservazioni  spettroscopiche  del  bordo,  e delle  protuberanze  solari , 
fatte  all'  osservatorio  della  università  romana  sul  Campidoglio 

( Nota  °ta)  . . . . „ » 201-211 

Castracane  degli  Antelminelli  ab.  conte  Francesco  , socio  ordi- 
nario - Cenni  sull'esame  microscopico  di  un  fungo,  estratto  dal 

fondo  dell' oceano  atlantico » 2 1 2-2  i 5 

Mainardi  Gaspare  socio  corrispondente  italiano.  - Pensieri  intorno 

vari  argomenti,  (continuazione) » 220-229 

Volpicelli  prof.  Paolo  , socio  ordinario  , e segretario  - Formula 
generale  per  la  variazione  del  tono,  prodotto  dal  moto  del  corpo 
sonoro , e dell ' ascoltatore  ; corollari  di  questa  formula,  e consi- 
derazioni sul  modo,  col  quale  credesi  potersi  spiegare,  lo  sposta- 
mento delle  righe  di  Fraunhofer  nello  spettro  solare  , a motivo 
del  suo  moto  rotatorio » 232-244 


— 263  — 


Il  Medesimo  - Sulla  elettrostatica  induzione,  od  elettrica  influenza 
Memoria  istorico-critica  (continuazione) pag. 

COMUNICAZIONI 

Dono  di  S.  Santità ’ Papa  Pio  IX » 

Funerali  pel  defunto  coni.  Luigi  Poletti,  socio  ordinario  linceo.  )> 
Il  prof.  Voi.  pi  celli  fece  noto,  che  niuna  memoria  si  ebbe  , relati- 
vamente all'ultimo  programma  pel  premio  Carpi  ....  » 

Annunzio  della  perdila  dolorosa  del  nostro  socio  ordinario  cav.  An- 
tonio Coppi » 


CORRISPONDENZE 

Approvazione  sovrana  della  nomina  dei  membri  componenti  la  nuo- 


va commissione  di  censura » 

Approvazione  sovrana  della  conferma  del  prof.  cav.  B.  Viale-Prela' 
nella  carica  di  presidente,  con  relativa  osservazione  » 

Dono  del  sig.  ingegnere  Luigi  Sereni » 

Annunzio  della  morte  del  prof.  D.re  Michele  Sars  ....)) 

Doni  di  opere,  e ringraziamenti  diversi » 

La  Società  delle  arti  e dell' archeologia  di  Dima,  prega  per  avere 

le  pubblicazioni  dei  Lincei » 

Lettera  del  lì.  P.  Chelini » 

Annunzio  della  morte  del  prof.  Axel  Gioacchino  Ermann  . . » 

Ringraziamento  del  sig.  Sonudolum » 

Doni  del  sig.  com.  Alessandro  Cialdi » 

Dono  del  sig.  prof.  cav.  Alessandro  Betocchi » 

Dono  del  sig.  D.re  Pietro  Balestra » 

Dispaccio  dell'  Emo,  e Fimo  sig.  Cardinale  De-Angelis,  protettore 
dell'accademia,  relativo  ai  membri  nuovi  del  comitato  . . » 

Ringraziamento  della  imperiale  accademia  di  Vienna  » 

Dono  del  sig.  E.  Bertin  , presentalo  dal  sig.  com.  Alessan dro 

Cialdi.  » 

Ringraziamento  della  I.  accademia  delle  scienze  di  Vienna. 


243-257 


79 

id. 


123 

197 


79 


id. 

80 

id. 

80-81 

80 

123 

id. 

id. 

id. 

id. 

id. 


id. 

id. 


» 


197 


Ringraziamento  della  R.  accademia  delle  scienze  di  Lisbona,  pag.  197 
Lettera  del  sig.  Barone  Camillo  Tras mondo  Frangipani  dei  duchi 


di  Mirabello » 216 

Dono  di  Monsignor  Nardi » id. 

Dono  del  sig.  Comm.  Alessandro  Cialdi » id. 

Ringraziamento  della  società  filosofica  di  Manchester  ....  » id. 

Programma  della  società  letteraria  di  Amsterdam » id. 

Programma  del  R.  Istituto  d ' incoraggiamento  di  Napoli.  . . » id. 

Dono  della  università  di  Liegi » 280 

Approvazione  superiore  del  consuntivo  pel  1869  » 258 


Lettera  del  sig.  Giuseppe  Valori,  presentala  dal  sig.  prof.  S.  Cadet.  » id. 

Dono  dell'osservatorio  fisico  centrale  di  Pietroburgo  ....  » id. 

COMITATO  SEGRETO 

Nomina  di  quattro  soci  ordinari  per  comporre  il  nuovo  comitato 
accademico » 81 

Nomina  della  commissione  pel  rapporto  sul  consuntivo  18G9,  e pre- 
ventivo 1870 » id. 

Approvazione  del  consuntivo  del  1 869,  e del  preventivo  pel  1870, 
nonostante  la  mancanza  della  firma  del  p.  Secchi.  . . . » 1 97 


Soci  ordinari  presenti  a questa  sessione.  » 82,  124,  157,  198,  217,  230,  258 
Opere  venute  in  dono  . » 82-92,  157-159,  217-219,230-231,  258-262 

Indice  delle  materie  contenute  in  questo  volume  XXIII.  . . r>  263-266 

Errori  e correzioni  . . % » 267 


— 267  — 


ERRATA. 

CORRIGE 

Pag. 

lin. 

27 

7 

presente  al 

al  presente 

74 

16 

e 

è 

245 

16 

(fig.  16) 

(fig.  17) 

id. 

(Fig.  16) 

(Fig.  17) 

IMPRIMATUR 

Fr.  Rapb.  Arch.  Salini  Ord.  Praed.  S.  P.  A.  M.  Socius 
IMPRIMATUR 

Joseph  Angelini  Arch.  Corintb . Vicesg» 


Mem . de!  ProF  Volpiceli / sui  Bsrometroljra  fi