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ACTESE I
DELLA
REALE ACCADEMIA
DI
SCIENZE, LETTERE .E BELLE ARTI
DI PALERMO
TERZA SERIE
(Anni 1904-5-6-7)
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Volume VIII.
PALERMO
Stabil. Tip.-Lit. dell'Impresa Generale d’Affiss. e Pubblicità
GIÀ F. BARRAVECCHIA E F.°
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DELLA
REALE ACCADEMIA
DI
SCIENZE, LETTERE E BELLE ARTI
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TERZA SERIE
(Anni 1904-5-6-7)
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PALERMO
Stabil. Tip.-Litogr. dell'Impresa Generale d’Affissione e Pubblicità
GIÀ F. BARRAVECCHIA E F.°
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L’AccapemIA, ai termini del suo Statuto, non sì rende responsa
opinioni, dei sistemi e delle dottrine comprese nei discorsi dei
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menti qui pubblicati.
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Tavola delle materie
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Magistrato Accademico.
SampoLo Pror. Luci — Relazione Accademica per gli anni 1903-4.
Riccosono Pror. SaLvarore — Relazione Accademica per gli anni 1905-6.
CLASSE DI SCIENZE NATURALI ED ESATTE
VexturI Pror. AnoLro — Relazione sulle misure di gravità relativa eseguite in Sicilia
nel triennio 1904-6.
SoLer Pror. EmmanurLE — Determinazione della latitudine dell’Osservatorio Meteoro-
logico Geodinamico dell’Andria in Messina.
CLASSE DI SCIENZE MORALI E POLITICHE
Pagano Pror. Giacomo — Popoli scomparsi : Il popolo Sicano-Sicolo.
Besta Pror. ExrIco — Il contenuto giuridico della Summa Perusina.
Riccosono Pror. SaLvarore — Il valore delle collezioni giuridiche bizantine per lo
studio critico del “ Corpus iuris civilis ,,.
CLASSE DI LETTERE ED ARTI
Pirri Pror. Giuseppe — Il viaggio di Goethe a Palermo nella primavera del 1787.
Amico Pror. Uco Antonio — Per il centenario di Francesco Petrarca.
Azzorina Pror. Ligorio — La contraddizione amorosa di F. Petrarca.
COMMEMORAZIONE
Riccosono Pror. SaLvarore e Scanpurra Samporo Avv. Gaetano — Luigi Sampolo.
COMUNICAZIONI
Riassunto delle osservazioni Metereologiche eseguite nel R. Osservatorio di Palermo
(Valverde) negli anni 1904-5-6-7.
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PATRONO
IL MUNIGIPRIO DI PALERMO
PROMOTORE
Il Sindaco di Palermo: Comm. FRANCESCO PAOLO TESAURO
SOCIO ONORARIO
S. A. R. LUIGI AMEDEO DI SAVOIA
Duca desli Abruzzi
MAGISTRATO ACCADEMICO
Presidente
Pirrè Comm. Giuseppe.
Vice- Presidenti
Venturi Comm. Adolfo, Professore di Geodesia Teoretica nella R. Uni-
versità.
Segretario Generale
Riccopono Salvatore, Professore di Istituzioni di Diritto Romano nella
R. Università.
Classe di Scienze Naturali
Direttore
Macaruso Comm. Damiano, Professore di Fisica nella R. Università.
Anziani
CerveLLo Comm. Vincenzo, Professore di Materia Medica e Farmaceu-
tica sperimentale nella R. Università.
Borzi Cav. Antonino, Professore di Botanica e Direttore dell’Orto Botanico.
VIII
Segretario della Classe
GerBALDI Francesco, Professore di Geometria analitica e projettiva nella
Scuola di applicazione per gli Ingegneri.
Classe di Scienze Morali e Politiche
Direttore
Ricca SaLeRNo Comm. Giuseppe, Professore di Economia Politica nella
R. Università.
Anziani
Romano CaraniA Dott. Giuseppe.
Segretario della Classe
Papa D'Amico Lucio, Professore di Diritto Commerciale nella R. Uni-
versità.
Classe di Lettere e Belle Arti
Direttore
Sarinas Comm. Antonino, Professore di Archeologia e Direttore del
Museo Nazionale.
Anziani
PaoLucci Prof. Cav. Giuseppe.
Amico Prof. Cav. Ugo Antonio.
Segretario della Classe
SaLomone-MarIno Cav. Salvatore, Libero docente di Patologia speciale
medica e Propedeutica clinica medica nella R. Università.
Segretario aggiunto
Russo-GiLiseErTI Prof. Antonino.
Tesoriere
Zoxa Prof. Temistocle, Primo assistente all’ Osservatorio Astronomico.
BEPAZIONE AGGADEMIGA
Perle I ANNI 1003-4
Letta dal Segretario Generale
LEO TRUIGIASANEROTEO
nella tornata del 20 Novembre 1904.
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Relazione per gli anni 1908-4
SOMMARIO : Fondazione di Studî Sensales—Congresso Zoologico in Rimini — Congresso
petrarchesco in Arezzo — Congresso dell’ Associazione artistica e letteraria in Marsi-
glia — Letture: Capitò, Le foreste in Montagna; Sampolo, Una Lettera inedita di Gio-
vanni Meli; Pitrè, Sulle Condizioni del Senato di Palermo cento e più anni fa; A. De
Gregorio, Degli Aborigeni d'America; G. De Gregorio, Notizie dei risultamenti del
Congresso degli Orientalisti nell’’Aja — Solenne tornata per il VI Centenario della
nascita di Petrarca in Arezzo — Lizio Bruno, Della Vita e delle opere di Marco An-
tonio Canini — VII volume degli Atti dell’ Accademia — Ricordo dei Soci trapassati :
Mr. V. Di Giovanni; Prof. Francesco Randacio; Can. Giuseppe Montalbano ; Mr.
Maurizio Polizzi; Prof. G. Gemmellaro; Mr. Michelangelo Celesia; Vito La Mantia.
Il fatto più notevole nello anno che corre è il decreto del 26 giugno
1904 con cui è eretta ad ente morale la Fondazione di Studî Sensales, af-
fidandone l’amministrazione alla nostra Accademia.
Nell’ ultima mia relazione, commemorando il socio Giuseppe Sensales,
parlai di quella Fondazione di studî e augurai che presto fosse riconosciuta
come ente morale.
Il fondatore incaricò di stenderne lo Statuto tre funzionarî: il primo
Presidente della Corte di Cassazione di Roma, il Sindaco di Roma e il
Rettore di quella Università.
Il Primo Presidente G. B. Pagano Guarnaschelli, siciliano e palermitano,
pensò che l’amministrazione della Fondazione dovesse affidarsi alla nostra
R. Accademia, come la sola dal Sensales nominata, e prima chiamata
indire il concorso.
Il premio triennale sarà conferito da quattro Accademie :
4 RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4
La nostra R. Accademia;
La Società Reale di Scienze di Napoli;
La R. Accademia dei Lincei;
Il R. Istituto Lombardo.
Quanto pregio verrà da ciò alla nostra non occorre dire. La nostra, che
ha goduto buona riputazione fra le consorelle, assurgerà ora a maggiore
importanza, e per essa il primo concorso sarà un fatto grandissimo.
Dal curatore della eredità, Senatore Calcedonio Inghilleri, è stato reso
il conto della sua gestione e fatta consegna degli effetti del fondatore.
Il concorso deve bandirsi un mese prima del triennio, ossia in dicembre.
Dell’ onore che ci è stato conferito daremo lode all’ illustre Presidente
della Cassazione di Roma e all'’On. V. E. Orlando, Ministro per la pub-
blica Istruzione: siciliani e palermitani entrambi, non hanno inteso rendere
un favore, ma un atto di giustizia.
Il Presidente della R. Società di Scienze di Napoli scriveva a noi: “ Con
le rendite disponibili il primo sarà già un bel premio, e dopo estinti i le-
gati, diverrà addirittura un premio cospicuo ,.
Dal Presidente del Real Istituto Lombardo si ebbe una bella lettera di
cui piacemi rilevare il principio :
“ Accuso a V. S. ricevuta della di Lei lettera in data 26 scorso agosto,
e a nome dell’ Istituto Lombardo esprimo anzitutto il plauso degli scien-
ziati italiani al rimpianto Senatore Giuseppe Sensales che con nobile pen-
siero istituì una fondazione di studî per lo incremento del sapere in Italia ,,.
La Giunta Amministrativa della fondazione è così composta: il Presi-
dente G. Pitrè, il Segretario Generale L. Sampolo; e ì tre membri elettivi
nominati, per deferente incarico vostro, dal Presidente, il Vice-presidente
A. Venturi, il Direttore della Classe di Scienze Naturali professore D. Ma-
caluso, e il Prof. Salvatore Riccobono, anziano della Classe di Scienze morali.
La nostra Accademia, che è delle più antiche e sì tiene in corrispondenza
con molte di Europa e di America, riceve sempre inviti per prendere parte
a Congressi ed a feste letterarie.
In Rimini, città famosa per ogni ragione di studi e per la sua impor-
tante storia, celebravasi nel 1903 il IV Congresso Nazionale Zoologico.
Noi vi abbiamo fatto adesione.
La tessera dei soci rappresenta da una parte la pianta di Rimini con
ai quattro angoli l’arco trionfale eretto in onore di Augusto, il ponte co-
struito sul Marecchia tutto di marmo a 70 metri di lunghezza e cinque
RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4 5
archi, incominciato ai tempi di Augusto e terminato sotto Tiberio, il
teatro, un'antica porta della città.
Dall’altra parte sono i ritratti di Giano Ranco, di Francesco Bonsi, di
Giovanni Antonio Battarra, valente botanico che scrisse con molta sapienza
sulla crittogama del territorio riminese (1).
Il quinto Congresso avrebbe dovuto aver luogo quest'anno in settembre,
ma coincidendo col Congresso internazionale di Berna fu rimandato alla
primavera del 1905. Infatti nel passato agosto si tenne ad Interlacken nel
Cantone di Berna il VI Congresso zoologico internazionale; che per l’Italia
ha avuto uno speciale interesse, essendosi riconosciuta la nostra lingua fra
le ufficiali del Congresso.
Nel 1904 festeggiavasi in Arezzo il VI Centenario della nascita di Fran-
cesco Petrarca, che per avventura avvenne in quella città.
Ci rappresentò nella festa il prof. Plinio Pratesi, letterato toscano, R. Prov-
veditore agli studì.
“ L'adesione all’insigne Congresso—scrivevaci il Pratesi —della nobilis-
sima Sicilia, culla della nostra poesia, fu assai accetta alla città nativa del
Petrarca ed a quanti erano li convenuti.
Nella sezione italiana il Presidente Attilio Hortis, insigne erudito veneto,
noto per alcuni lavori sul Petrarca, dopo avere rivolto un caldo saluto al-
l'Accademia Petrarca di Arezzo, cedette la presidenza al Petrarchista fran-
cese De Nolhac, che salì al seggio tra vivissimi applausi.
Dopo la comunicazione di numerose adesioni, si lessero relazioni critiche
sulla vita e sulle opere del Petrarca.
Monsignor Enrico Salvatori annunziò la pubblicazione dei codici petrar-
cheschi vaticani particolarmente illustrati e riprodotti in eliotipia. Attilio
Hortis presentò le iconografie della Biblioteca Rossettiana di Trieste.
Il Congresso si chiuse approvando un voto di plauso, su proposta del
Prof. Pizzini, ad un personaggio non voluto farsi conoscere che offrì un
premio di L. 2500 pel miglior lavoro sul Petrarca in Toscana.
Nel pomeriggio s'inaugurò alla R. Accademia Francesco Petrarca la lapide
commemorativa colla seguente iscrizione dettata dal Presidente Commen-
datore G. F. Gamurrini archeologo toscano :
(1) I convegni della Unione Zoologica italiana s’iniziarono in Bologna nei giorni 24-27
settembre 1900; secondo fu quello di Napoli 10-13 aprile 1901, il terzo seguì in Roma
31 ottobre-3 novembre 1902.
6 RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4
“ A Francesco Petrarca — Il più gentile poeta d’amore — All’ instaura-
“ tore delle antiche lettere — Che francando la luce del pensiero — Di-
“ schiuse all’Italia e al mondo — L’odierna civiltà — Che evocato l’italico
“ valore — Mosse primo a libertà il bel paese con suo capo Roma— Nel
“20 luglio 1904 — Secentesimo dal suo natalizio — La R. Accademia Pe-
trarca — Commemorando poneva ,,.
Nel 26° Congresso dell’Associazione letteraria ed artistica internazionale
di Marsiglia, fondata nel 1378 da Victor Hugo, congresso che si è tenuto in
settembre, noi siamo stati rappresentati da Giulio Lermina, Segretario
perpetuo di quella Associazione.
Mirò quel Congresso a far trionfare presso tutte le nazioni civili le sante
idee della Convenzione di Berna intorno alla tutela della proprietà lette-
raria ed artistica; idee di progresso e di giustizia che quell’Associazione
spera recare in effetto.
Parecchie letture sono state fatte nei due anni 1903-1904.
Di esse dirò poco. Voi tutti le ricorderete; le mie parole potranno non
rendervi esattamente i concetti degli autori, onde mi son proposto darvene
un cenno quanto più breve.
Il prof. M. Capitò con quella competenza che il lungo magistero e la
larga esperienza gli hanno fatto acquistare, trattò: Le foreste in montagna (1).
Svolse il tema con profonda conoscenza della storia antica e moderna
sull’argomento. Rilevò le cause, onde derivò il disboschimento. Fecero allora
commendevole eccezione gli ordinamenti forestali della Repubblica di Ve-
nezia.
Sorta a nazione l’Italia si dié l’ultimo crollo alla tutela dei boschi con
le istruzioni forestali del 1867.
Toccò LA. la legislazione della Svizzera, della Spagna, della Russia e della
Francia, la quale ottenne grande risultamento con la legge del 4 aprile 1882.
In Italia si proposero parecchi ritocchi alla legge del giugno 1877.
Chiuse il suo bel lavoro augurando una nuova legge che riconosca quale
uno dei più elevati doveri dello stato l’imboschire i bacini ibriferi dei corsi
d’acqua e il tutelare le foreste esistenti e le nuove che sorgeranno.
(1) Adunanza del 15 novembre 1903.
NI
RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4
La presente relazione sull'andamento dell’Accademia vi ha ricordato spe-
cialmente la Fondazione di Studî Sensales di cui sopra abbiamo fatto cenno.
Io leggevo poi e illustravo una lettera inedita di Giovanni Meli, posse-
duta dal nostro illustre socio Prof. Gabriele Torelli, lettera che descrive
l’unico viaggio fatto dal Meli nel 1815, l’ultimo anno di sua vita (1).
Il Prof. Pitrè c'intrattenne Sulle condizioni del Senato di Palermo cento
e più anni fa, facendo utili raffronti col presente stato di cose. Egli, au-
tore di Palermo cento e più anni fa, molto versato nella storia del nostro
paese, ha saputo raccogliere con la maggior cura le notizie più importanti
della vita municipale di quel tempo (2).
Antonio M.se De Gregorio trattò : Degli aborigeni di America.
Questa questione è ancora insoluta. Nell’antico mondo i monumenti ricor-
dano la gloria di popoli antichi.
Alcuni riferiscono l'origine delle Tribù Indiane ai Fenici ovvero ad altro
popolo antico marittimo ; altri scorgono pure delle loro parentele con gli
Egizi e gli Indiani; altri trovano i loro precedenti nelle Tribù di Israele che
divisarono andare in lontane contrade ove nessuno era mai stato traversando
nell’America per la Islanda e dallo stretto di Bering, dall'Asia nord orientale.
Il Marchese De Gregorio divide il suo tema in tre parti.
Nella prima parte esamina i disegni di due petroglifi del Chili e di
un'antichissima iscrizione. I petroglifi rimontano ad epoca arcaica ed hanno
rassomiglianze con altri petroglifi di America e della Oceania.
L'iscrizione è di epoca assai più recente, però molto anteriore alla sco-
perta di Colombo.
Nella seconda parte l’ autore dà un cenno de’ costumi e dello stato di
ordinamento sociale degli abitanti di America al tempo del Colombo.
Nella terza dà un ragguaglio della navigazione degli antichi abitanti
del vecchio continente riportando molti brani di autori greci e romani, dai
quali egli ritrae che gli antichi arrivarono in America, specialmente i Fenici.
(1) Adunanza del 17 aprile 1904.
(2) Adunanza del 14 febbraio 1904.
lo) RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4
Il Prof. Giacomo De Gregorio, che rappresentò nel Congresso degli Orien-
talisti nell’Aja la nostra Accademia, ci diè esatta notizia dei risultamenti
di quel Congresso (1).
Solenne fu la tornata in cui celebravasi il 6° Centenario del nascimento
di Francesco Petrarca.
L'’illustre socio Prof. Ugo Antonio Amico innanzi eletto e numeroso udi-
torio fece una splendida conferenza, bella pel contenuto , elegante per la
forma. Ed era egli degno dell’alto argomento perchè aveva fatto lunghi e
severi studî sul Petrarca e brani non pochi avea tradotto dal poema De
Africa. Rileggendo alla nostra Accademia il suo bel discorso dettato per
il Liceo V. E. rispose al vivo desiderio di quanti non lo ebbero udito e
qui riscosse unanime plauso.
Il Prof. Letterio Lizio Bruno trattò : Della vita e delle opere di Marco
Antonio Camini.
Nel lavoro nutrito di concetti e di sentimenti, egli riguardò la vita e le
opere del Canini, in relazione ai principii estetici, di cui toccò le quistioni
più importanti.
Tratteggiò le fortunose vicende di lui, uomo di pensiero e di azione che
trascorse tanta parte della sua vita fuori d’Italia, in Grecia, in Costanti-
nopoli. Discorse delle sventure che specialmente negli ultimi tempi egli
sofferse; e dei nobili aiuti che gli prodigò l’insigne indianista piemontese
Gaspare Gorresio. Fece particolarmente un esame estetico delle opere poe-
tiche, ponendole in relazione ora coi classici Greci e Latini, ora collo Schil-
ler, col Geibel, col Moore, coll’Hugo.
Evocò verso il fine la splendida figura di F. P. Perez, di cui citò alcune elo-
quenti parole tendenti a scuotere dal torpore la gioventù, conchiudendo che
le nobili e grandi idee nella vita pratica sono azioni generose e nel campo
del pensiero opere d’arte (2).
(1) Adunanza del 18 aprile 1903.
(2) Adunanza del 17 luglio 1904.
RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4 9
È uscito in questo anno il volume VII dei nostri Atti, nel quale sono
importanti lavori della Classe di Scienze naturali, e delle altre due di
Scienze morali e politiche e di Lettere.
Vi si leggono due lavori notevolissimi, i'uno : La prima lotta di Federico
II di Svevia col papato. Le finanze, e la Corte di Federico II di Svevia,
dell’illustre prof. Giuseppe Paolucci, che con queste e con le precedenti me-
morie lette nella nostra Accademia ha egregiamente illustrato i tempi di
quel grande imperatore; ed uno del prof. Carlo Garufi: I diplomi purpu-
rei della Cancelleria normanna e Elvira prima moglie di Re Ruggero.
La morte in questi due anni 1903-4 ha assottigliato le nostre file.
Il mio discorso non è una commemorazione di soci trapassati; è invece
una notizia di ciò che è avvenuto durante il biennio e non possono tacersi
i nomi di coloro che in vita onorarono con le loro opere il nostro Istituto.
Io non posso ritrarre appieno dei parecchi che ci sono mancati, lieto se
potrò di tutti bene tratteggiare le nobili figure.
È morto il 29 luglio 1903 nella natia Salaparuta M.r Vincenzo Di Gio-
vanni, ma anni prima le sue facoltà mentali erano mano mano declinate
ed oscurate.
Professore di Filosofia nel Seminario Arcivescovile e nel Liceo Vittorio
Emanuele , passò infine all’ Università. Studiosissimo della storia siciliana,
promosse la conservazione di antichi monumenti.
Letterato, filosofo, teologo, i suoi scritti si dividono in letterari, filoso-
fici e di apologia e archeologia cristiana.
Notevoli sono i lavori sulla storia della filosofia in Sicilia e gli altri sul
Miceli, Hartman e Miceli: Il padre Giuseppe Romano e | ontologismo in
Sicilia; Pico della Mirandola; Giordano Bruno. Seguiva le teorie del Gio-
berti.
Illustrò con svariati scritti non pochi monumenti della città di Palermo,
narrò la storia delle Accademie degli Accesi e dei Riaccesi e del Buon
Gusto.
L’opera che gli dà più fama è la Topografia antica di Palermo dal se-
colo X al XV, per la quale meritò due medaglie d’oro.
Socio corrispondente dell’Istituto di Francia e di quello del Belgio, ve-
9
ra
10 RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4
scovo di Teodosiopoli, il suo nome sarà ricordato con molta lode nei fasti
della letteratura siciliana del secolo XIX quale insigne erudito, valente fi-
losofo e apologista e qual Presidente di questa nostra Accademia.
Il prof. Francesco Randacio, nato in Cagliari, ebbe per seconda patria
Palermo, ove dimorò per oltre quaranta anni.
Mentre i suoi discepoli gli preparavano solenni feste per il cinquanten-
nio del suo insegnamento, egli spegnevasi serenamente nel febbraio del 1903.
Valoroso professore di anatomia formò nel nostro Ateneo un gabinetto
anatomico, degno di esso.
Durante la funesta invasione colerica del 1866, nominato dal Municipio
Direttore dei servizî sanitarî, adempì l'ufficio con la maggior cura e col
maggior coraggio dovendo vincere i pregiudizi del popolo intorno alla ori-
gine del fatale morbo.
Il Municipio lo decorava di una medaglia con questa leggenda: “ Per
l’esimia assistenza durante il colera del 1866 ,.
I suoi lavori scientifici e letterari lo chiariscono valente nella scienza
anatomica e valente letterato.
«A 28 aprile 1903 morì il Can. Giuseppe Montalbano da Piana dei Greci.
Alunno del celebre Seminario di Monreale, professore di umane lettere
in quello Arcivescovile di Palermo, professore di rettorica e prefetto di
studi in Cefalù, direttore del nostro Ginnasio Umberto I, poi della scuola
magistrale maschile, indi della femminile, insegnò infine morale nella
Scuola Superiore femminile Giuseppina Turrisi Colonna.
Dettò versi latini e greci e italiani e bellissime iscrizioni, ed erano sue
quelle che in questa Accademia sì lessero nelle solenni tornate : Centenarzo
del trasferimento dell’Accademia nel Palazzo Pretorio ; Cristoforo Colombo;
Filippo Parlatore.
Maurizio Polizzi, alunno del Seminario Monrealese, vinse nel 1844 il con-
corso di M.r Paolo Di Giovanni.
Insegnò in quel religioso Seminario lettere italiane, latine e greche,
nelle Scuole dei pp. Benedettini e del Seminario Arcivescovile, ed il ma-
gistero fu la carriera gloriosa della sua vita. Per lunghi anni tenne la
prefettura al Convitto Arcivescovile dei Chierici Rossi.
RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4 alal
Più tardi verso il 1878 fondò il Convitto Guglielmo Secondo; ritiratosi
di là, tenne la direzione delle Scuole Arcivescovili. Scriveva con finitezza
di gusto nella lingua italiana, latina e greca. È doloroso che di lui ci re-
stino pochi lavori (1).
Moriva nel volgente anno l'illustre G. G. Gemmellaro, socio fin dal 1869,
anziano della Classe di scienze naturali, Vice-presidente e infine Presidente
onorario.
Professore di geologia e mineralogia nella nostra Università, seguì il no-
vello indirizzo delle ricerche speciali. Versatosi nello studio analitico degli
strati mesozoici della Sicilia, ne portò la conoscenza a grande altezza.
Son vanto di lui la scoverta della fauna parmiana di Palazzo Adriano
e l’altra della grotta ad ossami e armi di pietra nei dintorni della Grazia
di Carini.
Il Museo geologico del nostro Ateneo è degno di essere posto a raffronto
delle collezioni paleontologiche del British Musaeum.
Lasciò parecchie opere, delle quali la più importante : Fauna dei calcari
con Fusulina della Valle del fiume Sosio nella Provincia di Palermo, e ri-
masta incompiuta.
Il Cardinale Michelangelo Celesia, nostro socio onorario, fu Abate di
Monte Cassino, Vescovo di Patti, Arcivescovo di Palermo.Stimato dal Pon-
tefice Leone XIII , dotto nelle scienze sacre, ha lasciato parecchi volumi
in cui sono raccolte tutte le sue pastorali di Monte Cassino, di Patti e di
Palermo (2).
Destò ammirazione la sua condotta nel colera del 1885, quando Egli
sì vide in mezzo ai colerosi porgere parole di conforto e di speranza e
prestare aiuti pecuniari. In tanta gara di abnegazione l’ insigne Prelato
profferivasi degno dell’alto suo ufficio.
Nel secolo XVII, gli Arcivescovi di Palermo erano i protettori eccle-
(1) Nel 1897 uscivano per la scuola tipografica del “ Boccone del Povero ,,: Esercizi di
poesia latina e italiana fatti dagli alunni della Scuola Arcivescovile di Monreale sotto la
direzione di M.r Maurizio Polizzi.
(2) Vedi Opere pastorali edite ed inedite del Cardinale Michelangelo Celesia, Arcive-
scovo di Palermo, pubblicate per cura del Can. Giuseppe Ferrigno, e morto lui, dal
Canonico Cascavilla. — Vedi CascaviLLa : Vita di Michelangelo Celesia.
19 RELAZIONE PER GLI ANNI 1903-4
siastici dell’Accademia. E primo fu nominato Mons. Domenico Russo. Suc-
cedette a lui Mons. D. Giuseppe Melendez e poi Mons. Marcello Papiniano
Cusani. A costui segui D. Serafino Filingeri Cassinese, patrizio Napoletano,
e poi Mons. Don Ferdinando Severino.
Secondo i nuovi ordinamenti dell’Accademia gli Arcivescovi possono es-
sere iscritti nell’Albo dei Soci onorari.
Non posso chiudere questi brevi cenni senza un ricordo di Vito La Man-
tia, Presidente onorario di Corte di Appello.
Egli spese tutta la sua non breve vita nello studio della storia del diritto
di Sicilia e anche d’ Italia, e venne in altezza di fama fra i cultori più
dotti della storia del diritto, specie della medioevale per le molteplici sue
opere. Indagatore diligentissimo, ricercò , raccolse il nostro antico diritto.
Lasciò ai suoi degni figli non di tesori eredità, ma l'esempio di una vita
altamente operosa di studi (1).
Ho finito.
Parrebbe che dopo l’onore che alla nostra Accademia è venuto dalla
Fondazione di Studî Sensales, di cui siamo gli amministratori, mettendosi
la nostra accanto a quelle di Napoli, di Roma e di Milano, parrebbe, dico,
che la nostra dovrebbe ottenere il pareggiamento con quella di Torino.
(1) Vedi nel Circolo Giuridico, Rivista, a pag. 164-5, anno 1904: Vito La Mantia.
RELAZIONE ACCADEMICA
PER GLI ANNI [S05-6
Letta dal Segretario Generale
PROF. SALVATORE RICCOBONO
nella tornata del 5 Mgosto 1906.
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Relazione per gli anni 1905-6
TTD
SOMMARIO : Ringraziamenti — Elezioni del magistrato accademico e di soci — Fonda-
zione di Studî Sensales — Primo centenario dell'Ateneo palermitano — Dotazione del
Municipio all'Accademia — Bollettino per gli anni 1903-5; VIII volume della III
serie degli Atti — Letture: G. Pitrè, Sul Viaggio di Goethe a Palermo nella primavera
del 1787; L. Azzolina, La contraddizione amorosa del Petrarca; A. Borzì, Della biologia
della germinazione dei semi di araucaria; G. B. Siragusa, Di una probabile rappresen-
tazione dell'Aula regia o sala verde; S. Riccobono, Il valore delle interpolazioni nel Corpus
turis civilis per la conoscenza del diritto classico; G. Pagano, Popoli scomparsi; il popolo
‘ sîcano-siculo; G. Savagnone, Sui Concili e Sinodi di Sicilia; E. Besta, Sulla Summa
perusina — Ricordo dei soci defunti: Luigi Sampolo; Raffaele Starrabba; Augusto
Conti; Fedele Lampertico ; Matteo Ardizzone; Michele Russo Onesto ; Salvatore Di
Bartolo; Francesco Di Chiara — Per il pareggiamento dell’Accademia.
Nell’adempiere ad un dovere così onorevole, di riferire sull’ andamento
della nostra Accademia negli anni 1905 e 1906, permettete che la mia
prima parola sia di ringraziamento a Voi, illustri Colleghi, che mi
voleste elevare all’ufficio di Segretario Generale. Io non mi riconosco al-
cun titolo per meritare in questo eletto consesso un grado così eminente;
e come il più umile studioso non posso che dirmi grato di un attestato
così lusinghiero di stima, che mi viene da Voi, Maestri provetti, che ri-
schiarate il cammino in ogni ramo del sapere.
Ma di tanto onore ricevuto, null’altro sento di poter dare in contracam-
bio se non la promessa di adoperare tutte le mie forze per rendermi degno
della Vostra benevola fiducia.
4 RELAZIONE PER GLI ANNI 1905-6
Nella tornata del 17 dicembre 1905 Voi rinnovaste le cariche accademi-
che: confermaste Presidente il Comm. G. Pitrè, che con le sue opere ge-
niali, vibranti di vivo amore cittadino, ha dischiuso nuovi orizzonti ed è
salito al più alto grado di popolarità.
Nominaste Vice Presidenti il Barone Raffaele Starrabba e l'illustre Comm.
Prof. Adolfo Venturi; Direttori di classe : il Prof. Comm. Damiano Maca-
luso; il Prof. Comm. G. Ricca Salerno; il Prof. Comm. Antonio Salinas :
nomi tutti preclari nel mondo scientifico che tengono alte le insegne glo-
riose della scienza.
Altri mutamenti vi piacque fare tra gli Anziani delle varie Classi e i
Segretari.
Socii onorari furono eletti: nella tornata del 18 giugno 1905, Arturo
Graf, Rodolfo Renier, Pagano Guarnaschelli, ed inoltre i soci corrispon-
denti senatori Graziadio Ascoli e Paolo Lioy.
Nella tornata del 21 gennaio 1906, infine, il sen. Alessandro D'Ancona i
quali tutti, pervenuti per altezza d’ingegno ai fastigi dell’arte e della scien-
za, onorano la patria.
Il 18 giugno 1905 furono promossi alla categoria di soci attivi : il prof.
Giuseppe Cosentino, il Comm. Rosario Salvo di Pietraganzili, il Prof. Let-
terio Lizio Bruno ; eletti soci collaboratori: il Prof. Oreste Zuretti e il
Prof. Enrico Besta.
Nella tornata del 21 gennaio 1906 passaste il Prof. G. Federico-Pipitone
alla categoria dei soci attivi; eleggeste soci collaboratori: il Prof. Nicola
Zingarelli, il Prof. Guglielmo Savagnone ed il Prof. Giacomo Pagano.
La fondazione di studi Sensales, eretta ad Ente morale con Decreto 26
giugno 1904, non è ancora entrata nel periodo di sua attività.
Una lite molesta, suscitata da chi pretende aver diritto ad una quota
del patrimonio Sensales, ha impedito ogni azione per il conferimento del
premio triennale.
La nostra Accademia, cui è affidata l’amministrazione, vigila, per mezzo
della Giunta amministrativa da Voi nominata, perchè quel patrimonio ri-
manga integro per il nobile fine, secondo la volontà del testatore.
La lite, che già nell’inizio ha subito alterne vicende, segue il suo corso
ed è ancora nella sua prima fase. Auguriamoci che l’intoppo possa ben
RELAZIONE PER GLI ANNI 1905-6 5
presto esser rimosso, e che quel patrimonio destinato alla scienza dia i
migliori frutti per l'alta cultura nazionale, per la gloria d’Italia.
Nel maggio ora scorso l'Ateneo Palermitano celebrò il suo primo cen-
tenario. L'Accademia vi prese parte, rappresentata dal Presidente.
Le feste si svolsero solenni, degne del nostro massimo Istituto di scienza.
mercé l’opera illuminata del magnifico Rettore, Prof. Luigi Manfredi e la
cooperazione degli studenti, che con l'entusiasmo della giovinezza e con
nobile spirito goliardico conferirono alla solennità una nota altissima.
L'’avvenimento era degno fosse ricordato, perchè esso segna pure il prin-
cipio d'una nuova éra per il nostro Studio, iniziandosi il secolo secondo
di sua vita con lieti auspici, con nuove forze per le nobili battaglie della
scienza, per la maggior gloria del pensiero e del sapere.
La vita della nostra Accademia è stata fiorente più che mai in questi
due anni.
Ma per fatale contrasto lo stato finanziario, che mai fu prospero, ebbe
di recente un colpo inaspettato.
Il Municipio che fin dal 1791 aiutò l’Istituto con una tenue dotazione,
che nel 1883 si era elevata a L. 2000, la negò nell’anno 1905.
Il danno che siffatto provvedimento avrebbe arrecato alla Accademia
è evidente; ma il disastro potè essere scongiurato dall'opera energica e so-
lerte del nostro beneamato Presidente, che cooperato da illustri cittadini,
tra 1 quali a titolo d’onore ricordo il Comm. Avv. Leonardo Ruggiero ed
il Prof. Comm. Vincenzo Cervello, ottenne che la dotazione fosse ripri-
stinata. Ed il Consiglio comunale di Palermo fece opera civile, mostrandosi
consapevole della missione e dei doveri che nell’orientamento dei popoli
moderni ha lo Stato ed il Comune. Essi non possono esaurire il loro còm-
pito provvedendo soltanto ai bisogni materiali o spiegando semplicemente
la loro azione giuridica; perchè la gloria civile delle nazioni e delle città
singole è data dal sapere, da tutte le manifestazioni del pensiero.
Negl'istituti scientifici tutta la vita di una città è concentrata e riflessa
come in uno specchio; da essi può misurarsi fin nei più piccoli particolari
il grado di civiltà raggiunto, il posto che nel consorzio civile compete ad
una città o nazione.
6 RELAZIONE PER GLI ANNI 1905-6
Or ora si è pubblicato il Bollettino per gli anni 1903-5 che dà contezza
della composizione del magistrato accademico, quale lo voleste nel triennio
1903, 1904, 1905, e contiene insieme il catalogo degli Atti delle Accade-
mie e Istituti scientifici che riceviamo in cambio dei nostri.
Sono circa 200 Accademie e Istituti scientifici, nazionali e stranieri, che
hanno relazione con la Nostra.
Ed ora vi si aggiunge l’Accademia di Porto ed altri sodalizi di cultura,
i quali ci hanno richiesto il cambio degli Atti.
In corso di stampa è il vol. VIII della serie IMI degli Atti, che conterrà
la Relazione per l’anno 1904, letta il 20 novembre dello stesso anno e che
fu, purtroppo, l’ultima presentata a Voi da Luigi Sampolo; conterrà poi
comunicazioni e pregevoli scritti su vari argomenti.
Le letture si sono seguite senza interruzione. Le troverete raccolte nel
volume degli Atti che vedrà la luce sullo scorcio dell’anno; qui mi piace
ricordarvene gli argomenti, tutti di grande interesse storico e scientifico
ed al cui svolgimento mostraste vivo gradimento.
Il nostro Presidente v’intrattenne nella tornata del 30 luglio 1905: Sul
Viaggio di Goethe a Palermo nella primavera del 1787, ed altri chiari-
menti sul geniale argomento aggiunse nella seduta del 19 novembre dello
stesso anno.
Una memoria del prof. Liborio Azzolina dal titolo : La contraddizione
amorosa del Petrarca tu presentata nella stessa seduta del novembre dal
socio Prof. Alfonso Sansone. La memoria giudicata favorevolmente vedrà
la luce negli Atti.
Il Prof. Antonino Borzì disse nella seduta del 16 aprile 1905 della bio-
logia della germinazione dei semi di araucaria.
Il socio Prof. G. B. Siragusa trattò: Di una probabile rappresentazione
dell'Aula regia 0 sala verde in una miniatura del Codice 120 della Biblio-
teca civica di Berna.
Data una notizia sommaria del codice predetto, contenente il Carmen o
Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli, Egli richiamò gli accenni
RELAZIONE PER GLI ANNI 1905-6 Ti
che della così detta Aula Regia 0 sala verde si leggono in Ugo Falcando,
in Ibn Gubayr, nel poeta Abd-er-Rahman, nel cronista catalano Muntaner
ete., e da questi accenni ricavò che l'Aula predetta dovette essere vastis-
sima, annessa e sottostante al Palazzo Reale di Palermo e limitata, almeno
da due lati, da portici e colonnati. Presentò quindi la riproduzione di una
delle 53 miniature del codice di Berna, la quale rappresenta una specie
di cortile fiancheggiato da portici e da colonne collegate da archi vaga-
mente intrecciati, nel cui centro zampilla la Fons Arethuse e che dalla
leggenda esplicativa è chiamata: Teatrum imperialis palacu. Dopo avere
ricordato che l’Aula Regia del Palazzo reale di Palermo è da Abd-er-Rah-
man denominata con un vocabolo arabico che ’ Amari traduce Teatro,
che il Palazzo reale di Palermo potè essere chiamato imperiale sotto En-
rico VI di Casa Sveva in cui onore Pietro da Eboli dettò il suo carme, e
che questo poeta conobbe certamente la città di Palermo, i suoi edificii,
i suoi quartieri, dei quali dà cenni assai precisi, e, infine, che le peculia-
rità della miniatura corrispondono a quelle dateci da altre fonti coeve, Egli
chiude la sua interessante comunicazione dicendo che in quella miniatura
del sec. XII si volle probabilmente rappresentare l'Aula Regia e che quindi
essa ha una singolare importanza.
Nella stessa seduta, io v’intrattenni sul tema: 1? valore delle interpola-
zioni nel Corpus iuris civilis per la conoscenza del diritto classico.
Il socio Prof. Giacomo Pagano nella tornata del 25 marzo 1906 lesse
un lavoro dal titolo : Popoli scomparsi; i popolo sicano-siculo.
Due comunicazioni furono fatte nella seduta del 22 aprile 1906, dal
Prof. Guglielmo Savagnone l’una, dal Prof. Enrico Besta l’altra.
Il Savagnone diede contezza di un suo lavoro: Sui Concili e Sinodi di
Sicilia, nel quale, in una prima parte tratta largamente della storia dei
Concilî provinciali, dei Sinodi e delle conferenze episcopali; e dà poi no-
tizia di due Sinodi inediti, di Messina il primo dell’anno 1398, l’altro di
Malta del 1668 ; nella seconda parte si occupa della struttura del Sinodo
e del problema della maggiore o minore partecipazione del basso clero
nella discussione ed approvazione delle costituzioni sinodali, venendo infine
all'esame d’un problema gravissimo, cioè l’importanza delle norme conte-
nute nelle costituzioni sinodali per lo sviluppo del diritto canonico e del
diritto ecclesiastico siculo.
Il Prof. Besta comunicò i risultati d’uno studio critico sulla Summa pe-
yrusina. Movendo dal concetto che la Summa più che come un monumento
8 RELAZIONE PER GLI ANNI 1905-6
di coltura romanistica, debba considerarsi come opera rivolta alla pratica
ed alla pratica inspirata, Egli esamina sistematicamente il sno contenuto
per riguardo al diritto pubblico, processuale e privato, riprendendo infine
le quistioni relative all’età ed alla patria della stessa compilazione.
Del resto l’attività intellettiva dei nostri colleghi non va soltanto guar-
data nei nostri Att. Alle pubblicazioni periodiche di Sicilia e del conti-
nente italiano. i nostri consocî affidano i frutti del loro ingegno e delle
loro sapienti indagini: e, fuori di quelle, han dato e danno alla luce opere a
parte che onorano il senno e gli studî non pur della Sicilia ma della na-
zione tutta. Io mi astengo dal fare nomi per non offendere la loro modestia.
Lutti gravissimi hanno funestato la nostra famiglia accademica nel bien-
nio trascorso.
Il 24 febbraio 1905 perdemmo Luigi Sampolo che tenne lungamente
l’ufficio di Segretario Generale dell’Accademia.
Nella tornata del 19 marzo il nostro Presidente disse di Lui nobili e
sentite parole e tolse in segno di lutto la seduta; indi il 18 febbraio 1906,
nel primo anniversario di sua morte, ne fu fatta solenne commemora-
zione.
Pochi mesi addietro, il 12 maggio scorso, spegnevasi il Barone Raffaele
Starrabba, che avevate eletto vice Presidente nell’ ultima formazione del
magistrato accademico. Altri dirà di lui come paleografo di grande valore,
come storiografo di non comune diligenza; io non posso qui non ricordare
le singolare benemerenze di Lui come erudito nelle discipline storiche del-
l'isola, e come patriotta nel miglior significato della parola.
Dei socî onorarî perdemmo Augusto Conti e Fedele Lampertico , l’uno
e l’altro scrittori limpidi ed eloquenti, spesero nobilmente Ia vita per la
scienza e per l'umanità, lasciando i loro nomi legati alla storia.
Perdita dolorosa è stata quella di Matteo Ardizzone, antico nostro con-
socio, che alla profondità degli studî filosofici accoppiava fine gusto per
le lettere, larga conoscenza delle Yingue classiche e straniere, che esercitò
traducendo nella nostra in eletti metri poesie di sommi scrittori.
< L'Avv. Michele Russo Onesto, da Segretario aggiunto dell’Accademia era
stato molto attivo e solerte ; promosso ad alti gradi nella magistratura,
RELAZIONE PER GLI ANNI 1905-6 9
abbandonò Palermo rimanendo pur sempre affezionato al nostro Istituto. An-
che lui abbiamo perduto in Civitavecchia; e con lui in Palermo un dotto
ecclesiastico, mons. Salvatore Di Bartolo, uno dei socîì ordinarî componenti
il nostro Magistrato accademico, e negli ultimi del mese di luglio ancora
il D.r Francesco Dichiara, abile chirurgo nei suoi tempi ed autore pre-
giato di una guida all’anotomia chirurgica delle regioni.
Signori,
Il mio predecessore, che ebbe sempre per la nostra Accademia vivo in-
teressamento, soleva chiudere le sue relazioni esprimendo, con tenacia Ca-
toniana, il voto che la nostra Accademia possa ottenere il pareggiamento
con le altre maggiori, onde aver con esse comuni i privilegi.
Ripetere questo voto forse potrà giovare, perchè noi non chiediamo un
atto benevolo dal Governo, ma la riparazione d’una ingiustizia compiutasi
a danno della Sicilia, che per questo riguardo, come in tanti altri, fu con-
siderata come una accessione delle provincie vicine continentali.
Si volle così disconoscere e la storia e la gloria intellettuale di questa
isola, che in ogni tempo fu uno dei più puri focolari del pensiero, di ci-
viltà superiore.
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RELAZIONE
SULLE MISURE DI GRAVITÀ RELATIVA
eseguite in Sicilia nel triennio 1904=06
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Lettura fatta dal Vice-Presidente
PROF. ADOLFO VENTURI
nell'adunanza del 18 Novembre 1906.
AVITAISA
RELAZIONE
SULLE MISURE DI GRAVITÀ RELATIVA
eseguite in Sicilia nel triennio 1904-06.
Signori,
Or compiono esattamente sette anni dal giorno in cui ebbi 1’ onore di
intrattenere questa insigne Accademia sui primi risultati delle operazioni
di gravità che nell'Isola nostra venivano istituiti per una scientifica intesa
fra l'Osservatorio di Catania e l’Istituto di Geodesia affidato alle mie cure.
Jo mi limitai in quel giorno a riferire ai Colleghi ciò che più interessava
conoscere in riguardo alle determinazioni che io, col personale dell’Istituto
geodetico, aveva compiute nelle piccole isole che, quasi satelliti immobili,
circondano l’isola madre, da tramontana a mezzogiorno. Quelle prime ri-
cerche erano state condotte a termine mediante gli ajuti che agli scarsi
mezzi del Gabinetto erano stati apprestati e dal Ministero della Marina,
e dalla munifica azione che il Comm. Florio volle esercitare sulla Navi-
gazione Generale Italiana in ordine ai trasporti marittimi. Ma quella prima
campagna valse ad attirar su questi lavori l’ attenzione benevola della
Commissione reale che presiede alla Geodesia italiana; e da allora in poi,
questo Istituto geodetico fu messo in grado di compiere altri lavori del
genere, senza ricorrere alla privata cooperazione, non sempre pronta, non
sempre adeguata, e mi si lasci dire, mai decorosa a chiedersi da un Isti-
tuto scientifico di Stato.
Non v’intratterrò di nuovo, o Signori, su quanto nella seduta del 14 no-
4 RELAZIONE SULLE MISURE DI GRAVITÀ RELATIVA
vembre 1899 ebbi ad esporvi sul problema internazionale che mira a rico-
noscere la vera forma della Terra in base, fra altro. alle misure del valore
che assume la costante di gravità su tutta la superficie del globo. E quando
dico superficie del globo, intendo, come vuole la teoria, tanto la superficie
solida che la liquida, che insieme limitano all’esterno la massa del nostro
pianeta. Intanto, considerate, o Signori, la sicurezza audace della scienza.
Quando i geodeti volsero l’animo al gran problema di cui vi parlo, si era
in grado bensi di far determinazioni di gravità sul suolo rigido delle terre,
ma nessun mezzo si aveva di affrontare simili ricerche sulla superficie
mobile dei mari, sui quali, evidentemente, il metodo pendolare possibile
solo sopra sostegno rigidamente saldo, era affatto inapplicabile. Eppure i
geodeti non esitarono ad intraprendere i lavori, allora solamente possi-
bili, di Terra ferma, che pure è la minor parte della superficie del globo,
confidando, con balda fiducia, che si sarebbe trovato un adatto metodo
per esplorare anche le vaste ed instabili superfici dei mari, senza il cui
contributo sarebbero state le altre misure terrestri pressochè inservibli. E
come la fortuna giova agli audaci, così l’ invocato mezzo di studiare la
gravità su plaghe interamente marine, venne acquisito alla scienza per
merito degli illustri uomini Helmert ed Hiickel. Il principio a cui que-
st’ultimo informò il suo metodo, era stato già accennato da Mascart; ma
ad Hàckel va il merito di averlo reso praticamente efficace. Quel principio
consiste nel confrontare una tensione con un peso; la prima non dipende
dalla gravità, il secondo, invece, è ad essa soggetto; se ora il peso e la
tensione si equilibrano, questa, quando sia nota, dà la misura di quello, e
fa quindi conoscere l'intensità della gravità; la quale, com'è noto a parità
di massa, è proporzionale al peso. La tensione, nel metodo di Hickel è
quella dell’ atmosfera, determinabile direttamente coll’ osservazione della
temperatura a cui bolle I acqua: il peso di cui sopra è parola, è quello
della colonna barometrica; l’istromento, l’ipsometro. Il risultato dei primi
studî relativi, è stato questo notevole, che da nuova forza alle celebri ipo-
tesi di Faye e di Pratt, cioè che la gravità oceanica segue molto da vi-
cino la legge teorica, dalla quale, invece, più o meno si discostano i va-
lori che di essa grandezza vanno determinandosi sui continenti e sulle isole.
Ma non è già dei risultati di Hiàckel ch'io venni ad intrattenervi, o
Signori, sibbene di quelli più modesti che io ebbi a conseguire in Sicilia;
e se dei primi fui portato a far cenno, gli è perchè i fatti cospicui e uni-
versali assorbono di più la nostra attenzione, e lasciano in una tal quale
penombra quelli elementi o quelle circostanze che son d’indole più locale
e particolare.
Dopo la campagna del 1899, distratto da altri uffici, non ebbi agio di
ESEGUITE IN SICILIA NEL TRIENNIO 1904-06 9)
riprendere il lavoro se non nella estate del 1904. Occorre ricordare. che
alla fine del 1899 le misure gravimetriche esistenti in Sicilia erano quelle
poco prima eseguite dal Direttore dell'Osservatorio di Catania, Prof. Riccò,
sulla costa orientale dell'Isola e attorno all’Etna, e quelle da me compiute
oltre che a Palermo e a Trapani, nelle piccole isole Ustica, Favignana,
Pantelleria: e di queste detti conto a questa illustre Accademia. Nel ripren-
dere, dopo quattro anni il lavoro, si disegnava indispensabile un triplice
programma, affin di giungere a distendere su tutta 1’ isola, una ben con-
testa ed uniforme rete gravimetrica. I tre rami di questo programma dove-
vano essere : 1° Esplorare l interno dell’ Isola, poichè sino allora non si
avevano che determinazioni costiere, ed estendere queste ultime, sia ope-
rando lungo tutta la costa Sud, affatto inesplorata, sia completando lo studio
della costa Nord da Termini a Milazzo: 2° Eseguire una nuova deduzione
della gravità a. Palermo, che per noi è stazione fondamentale, affine di
esser maggiormente assicurati sul valore di quella costante che serve di
sostegno a tutte le altre misure gravimetriche ; 3° Effettuare una opera-
zione comune in un luogo determinato, fra il Prof. Riccò e me, onde con-
statare se i due gruppi di misure, eseguite con istromenti diversi, con
provenienze varie, e con metodi non interamente conformi, fossero compa-
rabili, ossia, se potessero i due gruppi di misure venir riuniti in un sistema
unico, uniforme, omogeneo, tale insomma da potersi considerare come il
sistema gravimetrico siciliano, interessante assai il mondo geodetico, poichè
la nostra sarebbe la prima grande isola completamente esplorata dal punto
di vista gravimetrico. Voi intendete, o Signori, come un tal programma
fosse di non poco momento, e non privo di cause emozionanti; chè anche
la scienza ha le sue emozioni, e non solo l’arte; ogni volta che la mente
si approssima al vero, si sente compresa da un senso di riverenza che è
identico a quella che prova il credente a piè dell’altare. Ma nel mio caso
l'emozione nasceva anche da ragioni subbiettive. Si trattava di saggiare
i risultati da me ottenuti confrontandoli con altri omai sicuri, fuori di
qui determinati con notevoli mezzi di precisione e di competenza. L’alea
corsa era quella, o di avere assicurata, una volta per tutte, l'attendibilità
delle mie determinazioni, o di veder vacillare l’ edifizio con tanta fatica
morale e materiale elevato. Chi conosce l'estrema delicatezza delle misure
gravimetriche, sa che spesso basta un imprevedibile nonnulla, un decimo
di secondo di dubbio nell’accertamento del moto diurno del pendolo, un’in-
fimitesima flessione insospettabile del piano d’agata dell'apparato di Sterneck,
e simili cause evanescenti, per compromettere irrimediabilmente anche la
più coscienziosa ed accurata di tali operazioni. Era dunque naturale una
certa preoccupazione: ma non trattenuto da questa, bensì solo curando la
6 RELAZIONE SULLE MISURE DI GRAVITÀ RELATIVA
severità del cimento , scelsi a controllo 1° Osservatorio di Padova poiché
l’illustre Direttore Lorenzoni è il più competente in materia che vanti
l’Italia. E la doppia investigazione fu compiuta nell’estate del passato anno,
riuscendo a risultati concordantissimi, quali posson dirsi quelli che diffe-
riscono fra loro di quantità inferiori alla tolleranza ammessa, che è di
c.m 0,005.
Questo risultato confortante conferisce alle quantità gravimetriche del-
l’Isola una sicura attendibilità , la quale non potetti così recisamente af-
fermare la prima volta che di questi studi vi diedi notizia, o Signori;
imperocchè allora i pendoli di Sterneck non avevano subito che la iniziale
campionatura di Vienna. La verifica di Padova, toglie omai ogni dubbio
in proposito.
Ma, come sopra ho accennato, occorreva ancora concatenare le osserva-
zioni orientali eseguite dal Prof. Riccò, con le occidentali, di mia compe-
tenza, affine di assicurarci che le une e le altre potessero riguardarsi come
pertinenti ad una stessa famiglia. Fu scelto Milazzo come luogo di allac-
ciamento ed insieme di verifica: in quella città il Riccò aveva stazionato
nel 1898; io vi operai nell'agosto decorso... ed anche stavolta il coordma-
mento risultò più che soddisfacente, poichè la ditferenza fra i nostri due
risultati non superò c.m 0,006; sempre vicinissima, quindi, alla tolleranza
sopra dichiarata.
Da quanto ho esposto si rileva, quindi, che la rete gravimetrica della
Sicilia è da considerarsi quale uniforme, omogenea, e poggiata sopra base
sicura. Questi risultati importanti era opportuno di mettere in evidenza,
anche senza rispettare l'ordine cronologico secondo cui si sono svolte le
operazioni di gravità nel triennio 1904-5-6; ma dopo questa piccola infra-
zione, che spero sarà perdonata, vengo a dar breve conto, in ordine suc-
cessivo, degli altri lavori eseguiti, e che al piano generale si riconnettono.
Nel 1904 le investigazioni furono di preferenza istituite nel massiccio
centrale dell’Isola ove era interessante accertare se il fatto generalmente
osservato della diminuzione di gravità nell’ interno delle terre, trovasse,
anche presso di noi, nuova conferma. A. questo scopo, furono scelti tre
punti configuranti un triangolo pressochè equilatero assimilabile al cuore
dell’Isola, e a distanze non grandi, sì da poter reciprocamente sostenersi
nella concatenazione dei risultati: Villalba (Vicaretto), Caltanissetta, Castro-
giovanni. Come si prevedeva, risultò luminosamente provata la deficienza
di gravità, in quel triangolo: e precisamente, a Villalba fu di c.m 0,018,
a Castrogiovanni di c.m 0,027, a Caltanissetta di ben c.m 0,067. In que-
st'ultimo luogo si è dunque riscontrata la maggior deficienza di gravità
sinora offerta dalle varie contrade della Sicilia, non esclusa la regione
ESEGUITE IN SICILIA NEL TRIENNIO 1904-06 Ti
Etnea, la cui anomalia negativa è di circa c.m 0,013. Ora, siccome ai di-
fetto di gravità, corrisponde un difetto di massa nel sottosuolo rispettivo,
e tal difetto può esser dovuto a cavità, a materie disgregate, o poco dense, etc.
sì può, con gran probabilità di esser nel vero, affermare che il sotto-
suolo dell'Etna, per quanto solcato dalle gallerie di dejezione vulcanica,
deve esser più pieno, più omogeneo, più denso dei terreni sottostanti al
centro dell'Isola. Ed è, infatti, questa un’affermazione che non deve pro-
durre meraviglia, se si osserva che Caltanissetta è nel bel mezzo di una
regione solfifera, la quale, secondo i canoni della geologia, dato il suo modo
di formazione, non poteva costituirsi che in seno di terreni frazionati e
leggieri. E ciò è confermato anche dalla determinazione fatta a Girgenti
l’anno dopo (1905), ove si riscontrò pure un difetto sensibile di gravità,
ammontante a c.m 0,027: ed è noto come anche il territorio di Girgenti
sia come quello di Caltanissetta, ricco di depositi solfiferi.
Ma nello stesso anno 1904, per essere in grado di fare dei confronti
Iistruttivi, si operò anche in altro punto, che pure essendo interno non ap-
partiene più al grosso del distretto minerario; intendo nonminar Corleone.
Qui la gravità si trovò in eccesso, quasi a confortar le vedute precedenti:
ed esattamente fu Vl anomalia positiva di c.m 0,059, tuttavia minore di
quelle che si erano riscontrate sino allora sulle nostre coste, orientali e
nord-occidentali, e di cui ebbi l’ onore di intrattenervi nella precedente
mia comunicazione. Ed anche questo fatto depone in favore delle teorie
omai da tutti accettate; le quali assumono che l'eccesso più forte di gra-
vità st debba verificare , salvo eccezioni specifiche, come quella che ve-
demmo a Girgenti, lungo le coste marine. E senza neppure ricorrere alle
misure precedenti, dette saggio di ciò l’ultima stazione fatta nella frut-
tuosa campagna di quel medesimo anno (1904), nella città di Termini; ove
l’eccesso di gravità sali a c.m 0,068, superiore, quindi, a tutte le altre ano-
malie scoperte in quella campagna.
Nell’ anno successivo, nuovi fatti interessanti venivano messi in luce.
Il programma consisteva nella esplorazione di tutta la costa Sud, da Maz-
zara a Vittoria, lungo la quale nulla si sapeva delle anomalie gravime-
triche, ma che poteva presentare dei fatti singolari, in relazione alla
strettezza del canale marino siculo-africano. E che la speranza non fosse
insana, si assunsero di provarlo i notevoli risultati che dalle esperienze si
trassero. Si è sopra ricordato, come le anomalie costiere sogliono essere
forti perchè le linee littoranee si considerano quali plaghe di condensa-
zione dovuta al formarsi della concavità marina: lungo la costa sud, in-
vece, furono riscontrati eccessi di gravità assai deboli, rispetto a quelli
congeneri della costa settentrionale ed orientale; poichè partendo da Tra-
la) RELAZIONE SULLE MISURE DI GRAVITÀ RELATIVA
pani con c.m 0,092 si giunge a Milazzo con e.m 0,120, e uscendo da Mes-
sina con c.m 0,108 si arriva a Pachino con c.m 0,147. Tali eccessi risul-
tarono invece di c.m 0,039 a Mazzara; c.m 0,055 a Sciacca, c.m 0,012 a
Licata, c.m 0,049 a Terranova. Di Girgenti ho già parlato : ed anzi, per
esso, anzichè un debole eccesso, abbiamo un difetto di gravità, che può
in parte connettersi alla natura del suolo. A. Vittoria, invece, 1° eccesso
ritorna conforme agli altri, caratteristici dalle stazioni costiere, cioè
c.m 0,110; ma sì consideri che tal località, tiene tanto alla regione meri-
dionale, quanto alla orientale dell’Isola : e in quest’ultima le anomalie son
forti; avendosi p. e. c.m 0,187 a Pachino, c.m 0,155 a Siracusa, c.m 0,147
a Noto, etc. luoghi questi, tutti vicini a Vittoria, la quale, quindi, rientra
nel sistema di questi ultimi.
Ma discutendo i risultati ottenuti sui rimanenti punti della costa meri-
dionale, si può trarne, colla prudente riserva che mai deve scompagnarsi
da argomentazioni siffatte, qualche lume che possa portar contributo a
chiarire una celebre controversia geologica. Fu mai, in età indicibilmente
remote, l'Africa congiunta colla Sicilia, e si venne da questa lentamente
distaccando per abbassamento graduale del suolo? Argomento a tal con-
gettura fu dato dalla ‘piccolissima profondità del mare nel braccio più
stretto del Mediterraneo, cioè da Mazzara a Tunisi. Quel canale può chia-
marsi, un bassofondo , poi che la massima profondità che s'incontra al
largo non arriva ai cento metri, mentre lungo le altre coste dell’Isola, il
mare rapidamente si sprofonda in abissi, che raggiungono i 2000, 2500
metri, a poche miglia dalla costa.
Una scuola di geologi esteri, con a capo il Suess, quella stessa scuola
catastrofica, che ha intravisto l’imabissarsi della favolosa Tirrenide, vuole
ora predire la stessa sorte alla perla del Mediterraneo. Essa, basandosi
sopra presunte analogie di ordine prevalentemente biologico, pone a base
dei suoi criterî l’ipotetica unione dell’ Africa colla Sicilia; e considerando
il fondo marino da Mazzara a Tunisi, come un istmo sommerso, profe-
tizza il graduale abbassamento di tutto il sistema insulare Siciliano, sino
alla sua lenta scomparsa sotto gli azzurri flutti di quel mare che ora ne
lambe i contorni, e che si aprirebbe per inghiottire quella terra che per
lungo volgere di secoli esso, sempre infido, accarezzò col suo lieve riflusso,
poi che le sue furie si fransero contro le rupi salde ed incrollabili che
dell'Isola sono i baluardi potenti. Questa la previsione triste: e di questi
giorni pure ne sentiste un eco, o Signori, nell’ insistente preoccupazione
di alcuni, sul presunto affondare di Malta. Invano i geologi italiani, non
per sentimento, ma per validi argomenti, han combattuto e combattono
tali teoriche... non perciò cessa la scuola avversaria di profetare un tempo,
ESEGUITE IN SICILIA NEL- TRIENNIO 1904-06 9
in cui il navigaute passando colla sua nave sul luogo ove ora Castrogio-
vanni estolle al cielo le torri del suo castello normanno, abbia melanco-
nicamente ad esclamare: © Hic olim Trinacria fuit ,,; comechè ad esso la
lontanissima tradizione avra dovuto portare all’ orecchio le meraviglie di
questa classica terra.
Ma le misure gravimetriche della costa sud, debbono poter dire una
parola al riguardo: parola nè assoluta nè definitiva, non dovendo noi ol-
trepassare, nell’imterpretarli, il significato dei fenomeni, che la scienza ci
svela; ma sempre parola che potrà orientare la nostra mente in un senso
determinato. Ora, il significato della debole anomalia riscontrata sulla costa
sud rispetto alla settentrionale e ancor più alla orientale, è che sotto il
fondo del mar atrico vi debbono essere delle deficienze di densità molto
maggiori che non sotto i fondali delle coste rimanenti; e ciò tanto più,
che questi essendo molto più profondi del braccio siculo-africano, dovreb-
bero meno agire sui pendoli-misuratori della gravità, mentre avviene il
contrario.
Stabilito questo criterio che corrisponde a leggi fisiche determinate, ne
discende a fil di logica essere difficilmente ammissibile che il letto del
mare africano fosse una volta allo scoperto; poichè coll’abbassarsi di esso,
la materia ond’è composto, avrebbe dovuto provare un addensamento, an-
zichè un’ attenuazione od una costituzione cavernosa o frammentaria, alle
quali circostanze par che accennino le misure gravimetriche sopra ripor-
tate. Anzi, volendo andare sino al fondo di queste deduzioni, si potrebbe
anche azzardar l'ipotesi opposta a quella del Suess, ed opinare che il fondo
del predetto mare vada lentamente sollevandosi: opinione che al dire del
Di Stefano, è caldeggiata da varî geologi, che per altri criterî di inve-
stigazione, trovano dei segni certi di sollevamento nella stessa costa sud
dell'Isola nostra.
Questi risultati già sono stati utili in altri rami di studio: citerò la
Comm. geod. italiana, e le dotte ricerche sugli antichi porti della Sicilia isti-
tuite dal Ch.mo Prof. Columba.
Voi, vedete quindi, o Signori, qual prezioso contributo portino le mi-
sure di gravità nello studio della distribuzione delle masse costituenti la
crosta solida del nostro pianeta; quale ajuto valido esse porgono, quindi
alla geologia, e, sotto certi aspetti anche alla geodinamica; senza contare
poi lo scopo intrinseco e generale che tali studî hanno in se stessi: intendo,
la ricerca della vera forma della superficie meccanica della Terra, cioè di
quella superficie riassumente nella sua configurazione l° effetto combinato
delle forze nevotoniane e centrifughe che agirono al principio delle cose,
10 RELAZIONE SULLE MISURE DI GRAVITÀ RELATIVA
sulla massa fluida che allora costituiva il nostro pianeta. Quale problema
terrestre più gigantesco e grandioso di questo ? Esso è ben degno di af-
faticare tutte le nazioni civili; e nell’altezza del compito ben è facile ai
singoli, attinger le forze bisognevoli per concorrere efficacemente, ad onta
di fatiche ed ostacoli, alla soluzione di un problema che sarà onore pe-
renne della Scienza e del secolo che l’ha concepito.
VEGA NA
DETBRMINAZIONE vena LATITUDINE
dell' Osservatorio Metereologico Geodinamico dell’ Andma
IN MESSINA
Comunicazione fatta all’ Accademia
Prof EMMANUELE SOLER
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Essendosi costruito in Messina un nuovo Osservatorio Metereologico
Geodinamico, detto dell’Andria *, stimammo assai opportuno sotto vari
punti di vista, la determinazione della sua latitudine astronomica.
Esso difatti, sorgendo sopra un rialzo di terra ed in luogo isolato, è
visibile da molti punti della Città e da tutte le alture circostanti alla
stessa, e quindi è adatto a successivi lavori d’indole geodetica ed astro-
nomica; oltrechè per lo scopo scientifico, cui è destinato, può sempre
riuscire utile la conoscenza della sua posizione esatta. Si aggiunga che
in Messina non esiste, per quanto sia a nostra conoscenza, alcun punto
determinato astronomicamente.
Per la operazione accennata ci avvalemmo di uno strumento Univer-
sale Ertel, che ci era stato sin dal 1903 gentilmente concesso dalla Com-
missione Geodetica Italiana. Esso era stato da noi sottoposto a minuto
esame, e già nella estate del 1903 avevamo fatto collo stesso alcune
osservazioni di latitudine in una loggetta astronomica appartenente allo
Istituto Tecnico e Nautico, e sito nello ex-Convento di S. Filippo Neri.
Di tali osservazioni non ci potemmo valere per la determinazione della
latitudine dell’ Osservatorio, giacchè questo dista dalla loggetta circa
1 Km., e non ci fu possibile, per ragioni d’indole economica e topografica,
eseguire tra i due punti un riattacco, cui sì potesse prestare sufficiente
fiducia pel trasporto della latitudine. Si riconobbe quindi necessario di
stazionare sopra luogo, e solo nella estate di quest’ anno ci fu possi-
bile avere ne’ locali dello Osservatorio una stazione adatta alle nostre
osservazioni.
* L'Osservatorio dell’Andria fu fabbricato dalla Provincia e dal Comune, e la sua dire-
zione è stata da qualche tempo affidata al Prof. di Fisica Terrestre della R. Università,
4 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
Nello spiazzato, che circonda il fabbricato, si scelse un punto adatto
perchè la roccia, su cui si voleva fondare il pilastro di sostegno dello
strumento, non fosse soverchiamente profonda rispetto al livello del suolo:
e quivi sopra una solida base di calcestruzzo , si elevò un pilastro di
mattoni alto m. 1,20 sul suolo e del diametro di cm. 60.
Intorno ad esso si costrui un solido capannone di legno di figura qua-
drata (m. 2,20 di lato), con apposita fessura nel meridiano , difesa da
sportelli mobili intorno a cerniere. Una pedana di legno, alta m. 0, 14 sul
suolo, sostenuta dalle pareti del capannone e da sottostanti sostegni in
muratura, lasciava il pilastro completamente isolato.
L'altezza della faccia superiore del pilastro sul mare risultò di m. 54, 10,
la quale altezza si determinò mediante la misura del dislivello tra la
detta faccia ed il pozzetto del barometro dell’Osservatorio, essendo già
nota l’altezza di detto pozzetto sul mare da una livellazione eseguita
nella Città dallo Ufficio Tecnico Comunale.
Intanto noi nel giugno di quest’ anno ci occupammo di rivedere lo
strumento nella detta loggetta dello Istituto Tecnico; e nel luglio, agosto
e settembre facemmo nella nuova stazione dell’Osservatorio una deter-
minazione di latitudine, di cui diamo in seguito esteso resoconto.
Crediamo doveroso rendere vive grazie alla Commissione Geodetica
Italiana, che gentilmente ci concesse lo Universale Ertel, ed al Prof. Gi-
glio, Preside dello Istituto Tecnico di Messina, che ci permise di stazio-
nare a più riprese nella loggetta di detto Istituto.
Messina, Ottobre 1905.
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AAVIIVBIIVINMOLIVRITVRISINRITISII(HSIBUTHAB SA SAUVEAIBII AMODIO RESGOLREVLENMNANVMLICIKMEONEVRUVOSVMUGKOARUVOGODOCCOVBOOCOMOCOKBUOOCOBOCOOBOSTORIEUCKMRDKOKIROOTSMRODOOROOGOOMROTOOREOSOOQTOOCO ROGUE RION CORISTA ARCOTOMIOVOORENDOTRR DENSE NDOVRANOCOOCOOORIONOMOCNAMIIOSOMRONTOIOVOSOMOCIOMIOOORIAITMIANAVIRSATTIMA NATIA
RARSIEEZIO
Studio dell’Istrumento
Lo strumento Universale Ertel adoperato è a cannocchiale spezzato.
Il cerchio azimutale, non reiteratore, è diviso sino ai 3’, leggibile con
nonio sino ai 6”, e mediante due microscopi micrometrici sino al 1”. Il
cerchio zenitale, non reiteratore, è diviso sino ai 15’, leggibile con
nonio sino al 1’, e mediante due microscopi micrometrici sino al 1’.
I detti due microscopi sono portati da un sostegno fisso all’ asse , e
che porta la livella zenitale.
Ecco le dimensioni principali dello istrumento :
Diametro del cerchio azimutale . SA n FRar400,
» » Zenaleg ge, » 250
ISIEZZA SINO FI CUSCIMIAO e n » 500
Diametrogdel obbiettivo ng, i ee » 50
Wistanzagiocalegdelfcannocchialesg i eee » 510
IMI Nezza iu DORO DI CivVORi n e o 230
Lunghezza albero orizzontale fra i cuscinetti . . . . >» 200
iblametrogalberogorizzontale n, Ne. n » DAI
Lo strumento è provvisto di due oculari, con ingrandimento di 30 e
di 40. Si adoperò sempre il primo.
Il campo s'illumina da un estremo dell’albero orizzontale. Non dispo-
nendo di lampadine elettriche, per non riscaldare lo strumento durante
6 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
le osservazioni, ci servivamo per la illuminazione del campo di lam-
pade a petrolio fisse alle pareti del casotto.
Esponiamo qui sotto lo studio dell’istrumento per le parti che interes-
sano le osservazioni di latitudine.
Studio dei microscopi micrometrici - Error periodico delle viti
I microscopi micrometrici del cerchio zenitale, segnati con A e 5,
portano una seghetta con 15 denti. Lo intervallo della graduazione ze-
nitale visibile ai microscopi è di 5’, e comprende 5 denti. La vite mi-
crometrica, per un intero giro di tamburo (la cui testa è divisa in 69
parti) sposta i fili da un dente all’altro. Ogni parte di tamburo vale quindi
approssimativamente 1’.
Per istudiare lo errore periodico delle viti adoperammo la solita for-
mula binomia
acosL+ bdbsin (1)
dove 2 è la lettura del tamburo; a e d incognite da determinarsi.
È noto che la determinazione di dette costanti può aversi per mezzo
di successive misure di un intervallo ben definito, p. e., di quello com-
preso tra i due fili micrometrici mobili,
Pertanto, scelto un tratto ben distinto della graduazione, collimavamo
le stesso con uno dei fili mobili; quindi, dopo fatta la lettura del tam-
buro, lo collimavamo coll’altro; e poi, usando la vite micrometrica ze-
nitale, portavamo il tratto sul filo precedente, e così via via finchè re-
stava coperto lo spazio di 5 denti, incluso tra due tratti consecutivi della
graduazione. A partire da un dato punto del tamburo l’ operazione si
rifaceva quattro volte; e per ogni microscopio, e per uno spazio an-
zidetto, si ripetè 16 volte, iniziando con letture diverse del tamburo.
Inoltre, poichè era nostra intenzione adoperare nelle osservazioni il
metodo del run, e quindi leggere due tratti includenti uno degli zeri
della seghetta, così ripetemmo l’operazione per due spazi di cinque denti,
quelli cioè entro cui sarebbero potuti cadere i tratti della graduazione
nelle letture zenitali. Si procedeva nel senso crescente delle letture del
tamburo.
DELL'OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA {1
DS
E noto che detto è il valor vero dello intervallo compreso tra i due
fili mobili, è;.il valor medio delle misure fatte nelle varie regioni della
vite, e posto
oi= o + R
dove % è incognito, la (1), opportunamente trasformata, dà lo errore re-
siduo di lettura, mediante la
1 1 |
9 (2 — LZ) cos gle) +
Ào GE (2 a 1,) (2)
A=k+?2asin - (2, — 2) sin 2 (+7) — 2bsin
dove 7, ed 7, sono le due letture effettive del tamburo, collimando il
tratto prescelto coi due fili; e è, — (4--,)) = lo scostamento dalla
media di una data misura dello intervallo lineare.
Mediante la (2) si stabiliscono le varie equazioni per le varie regioni
della vite esplorata, partendo da punti diversi del tamburo, e col me-
todo dei minimi quadrati se ne ricavano a, b, %.
Nei quadri seguenti riportiamo, pei due microscopi, le medie degli
intervalli misurati nei due spazi anzidetti, corrispondenti a letture ini-
ziali, che si tenevano ogni volta possibilmente identiche pei due spazi.
Tali medie potemmo adottare per la poca diversità dei valori dello
intervallo rispondenti a letture iniziali vicine.
In detti quadri L, è la media delle letture iniziali; / il valore dello
intervallo; v lo scostamento della media segnata a piè del quadro.
DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
Microscopio A Microscopio 5
Li I v | | Li L v
|
p p p | Dia iù p
0, 03 GAL ASA REMOTE 45, 45, dl — dodo
do SL Si, 46,32 | — 1,99
TOM 34, 80 SOT 11, 15 44, 45 Mg 2
12, 51 34,99 | 4 0, 88 12, 62 43,78 |1- a
15, 20 34,85 | + 1,02 15, 45 44,99 | 00608
20, 00 an o 3) 19, 19 44:23 |EE 0A
24, 19 35, 19 | + 0, 68 93, 02 4948411 San
28, 00 36, 53 | — 0, 66 927, 30 42,50 | + 1,83
31, 28 INA =pl 87 28, 60 45 1502 | 1300
36, 02 37, 46 —. il 56) 33, 30 44, 92 10059
40, 20 Fi TO 37, 62 43, 08 |'4 1,95
43, 46 35, 64 | + 0, 23 41, 22 44,10 | 0508
47, 81 37, 52 — 1,55 42, 65 44, 62 029
51, 18 96,670 | ESIO, 70 44, 67 45, 08° | 0; 70
54, 51 35, 44 | + 0, 43 50, 45 da, 59 | 1019
57, 24 36, 41 — 0, 54 56, 95 43, 67 + 0, 66
Media : 35, 87 Media : 44, 33 |
Dalla (2) precedente si cavano per ciascun microscopio le equazioni :
Microscopio A Microscopio 5
A=k+ 1,89a+0,458+ 1,43 A=k-+0,95a+4- 1,000 — 1,12
eo, eri 1-4 0;109) 41, 350
ee) Sea bio 1 —0,bl 441-3902002
Jl-[-0./00) 129382088 ld — 0.686 1330 a
ER SEO 1-1,04 0,95 2050
ESRI 023 È — 1,36 Lo) 55 300
Sn IL, 3 i_ 1,58 “0 Re
j'= 186 oso5 "0066 1147 So
eri — (00 ess 14120 ana
= o gzto7 = 1,69 1:—(0,,61e —1,.230=20858
094 ea 008 1-0 14254 do
Ea = io de0,29 1 -L'OSORESII 39 Es
eco 1/3 Ia ILE 195 IE
ee 10 = 0 1.-Li0096 (— 1.08 0g
ei 05 +0 pel io (0940
co) 0 051 1--1,39 +0,58 +0,66
DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 9
Da questi quadri si ebbero le seguenti equazioni normali :
Microscopio A Microscopio B
164 -+2,10a+0,596—0,12=0 16%4—2,50a— 1,00b—0,04=0
—_ 29,51a+0,620+6,99=0 —— 16,45a—1,98b- 5,67 =0
29, 176+15,40=0 —__y_ y17,680b—3,88=0
da cui, rispettivamente, i valori delle incognite :
Micros. A: & = 40,057 a= — 0, 230 b= —0, 524
Micros. B: & = + 0, 080 dre RR OE) DI=OZ267
I valori veri degli intervalli sono quindi dati rispettivamente da :
P p
ò — 99,93 ò = 44, 41
La correzione periodica, data dalla (1), si può presentare noti i valori
di a e db, mediante le
P p
Correz. A=- 0, 57 sin (f+ 23°, 41°’) Correz. B=4+- 0, 47 sin (+ 55°, 30)
Esse servirono alla correzione delle letture zenitali relative alla la-
titudine, sebbene restino inferiori agli errori temibili nelle osservazioni
stesse.
TUE
Valore del passo delle viti micrometriche
Per determinare il valore del passo delle viti micrometriche misu-
rammo degl’ intervalli di graduazicne del cerchio zenitale, distribuiti
di 5° in 5° sullo stesso. Si ripeteva ogni misura tre volte, e si partiva
sempre dallo zero del microscopio.
Per le ragioni dette al $ precedente, tale ricerca si fece, in ogni punto
prescelto del lembo, per due intervalli consecutivi visibili al microscopio,
partendo per ogni intervallo dallo zero relativo.
Delle due tavole seguenti la prima si riferisce al primo intervallo
che diremo I-II, la seconda al secondo intervallo che diremo II-III.
In ciascuna son registrati sotto il simbolo Z lo eccesso algebrico delle
medie delle determinazioni fatte in ogni punto su 300, e sotto il sim-
bolo v gli scostamenti di esse dalla media determinata per lo intervallo
medesimo. ,
DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
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*IXI-II OIIBA103UI
12 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
Media L pel microscopio A = — 0, 38
» SRI » B= + Jie 28
Intervallo I-II.
1 parte di tamburo di A vale 1’, 001
» » » » » B » 065 996
p
Media L pel microscopio A = — 0,44
» » » » = 33 0, 46
Intervallo I-II.
1 parte di tamburo di A vale 1’, 001
» » » » ». (B » 0° 5 998
Quindi il valore angolare di una parte di tamburo , ricavata dalla
solita formula
a 300
— 300+L
può ritenersi
pel microscopio A = 1”, 001
» » i, =107 499%
Si ha inoltre
Error medio unitario = VEL = 9, 08
Micros. A i
» della L media = VATI 2,08 = 0,25
Intervallo I-II.
P
“i È Error medio unitario = alc
POR » della L media = = 0,21
5 4 Error medio unitario = = 2,13
di » della L media = —= 0,25
Intervallo IL-IIIL
P
"n 3 Error medio unitario = SARA
e » della L media = #02
Si ha quindi in media :
LU
Error medio unitario per A: 2,10
» » » 80 I 98
DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 13
III.
Errori accidentali di graduazione
I risultati del $ precedente sceverati dallo errore personale di colli-
mazione, possono valere a determinare la diversità di grandezza degli
intervalli di graduazione.
Per determinare il detto errore personale si ripetè per 12 volte il
puntamento di un tratto della graduazione con ciascuno dei due micro-
scopi, e si ebbe come media delle due determinazioni
Poichè i dati della tavola precedente provengono da collimazioni ai
due tratti estremi di un intervallo, e ciascuno è la media di tre pun-
tate, così si può avere lo error medio degli intervalli medesimi dalla
Ciò posto, lo errore di graduazione del cerchio risulterà dalla
mg=V m? — m3,
dove m; è lo error medio unitario, determinato nel $ precedente.
Si ha quindi
pel Microscopio A: m, = 2”, 08
» » Bia ta
|
ES
w
Ca
Si può perciò mediamente temere un errore di collimazione di
20,03
Questo errore, abbastanza sensibile, si cercò di eliminare in parte te-
nendo, come si accennò nei $$ precedenti, nelle osservazioni il metodo
del run, ed inoltre disponendo opportunamente, come diremo nel Ca-
pitolo seguente, le osservazioni stesse.
14 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
VE
Sensibilità della livella
Questa determinazione fu fatta mediante un provalivelle a leva e vite
micrometrica della casa Salmoiraghi, posseduto dal Gabinetto di Geo-
desia della R. Università di Palermo.
Il passo di vite, secondo determinazioni fatte nel Gabinetto di Fisica
della stessa Università, vale 100”, ed il tamburo è diviso in 100 parti
numerate di 5 in 5‘; e gl'intervalli sono così larghi da potere con piena
sicurezza stimare il decimo di una parte.
Una prima determinazione del valore della parte della livella fu fatta
nello ottobre del 1903. Come si vede dalla tavola relativa, si fecero di-
verse serie di prove.
Nelle prime quattro si faceva scorrere la bolla da un capo all’ altro
circa del tubo, che porta una graduazione continua da 0 a 60, provando
in regioni diverse della vite del provalivelle.
Nelle altre quattro la corsa della bolla si tenne più ristretta, e si
provò sempre in regioni diverse della vite.
Nello aprile del 1905 lo esame fu ripetuto, tenendo gli stessi criteri *.
Come vedesi alle tavole relative, il valor della parte, arrestato ai
decimi, si era nello intervallo di tempo mantenuto costante.
Noi adottammo per detto valore
Iso 9
* Trovandoci noi occupati a Messina, questo secondo esame fu eseguito dal D.r Mineo,
assistente nel Gabinetto di Geodesia della R. Università di Palermo. Ci è grato rin-
graziare vivamente il detto D.r Mineo ed il Prof. Venturi, che ci permise l’uso del
provalivelle.
DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 15
(Ottobre 1903) Sensibilità della livella zenitale
Lettura | Centro | Diffe- ___. | Lettura | Centro | Diffe- ___.| Lettura | Centro | Diffe- Mei
Sensibilità Sensibilità Sensibilità
Tamburo bolla renza tamburo bolla renza {amburo bolla [enza
p
a BEEN Macao sg
a 50sb fuor Meo o 3,9 | 169
mil | IL96 o SI 1304
Î DI
60 | 36,4 60 | 35,0 eo a
Maio t1.06 ‘O 068 dii
70 | 28,5 70 | 29,0 SS o
3i6d 12477 6,3 \01,59 3 dolci
80 | 24,9 80 | 22,7 STA E Sa
GIO) 1063 ARR.
90 | 18,8 90 | 18,9 7,0 | 1,42
i 6 4,9| 2,04 | 55 | 37,5
ON6 (ie 7 0 | 14,0
4,1 | 2,48 DO 30
90 | 18,8 90 | 19,0 Gui Mico
4,7 | 2,12 5,8 | 1,72 95 | 80,4
9
80 | 23,5 80 | 24,8 A In e
9, 3 IL 89 DA 2 Il 92 2 4, 4 DI 97
70 | 28,8 70 | 30,0 15 | 20,2
8,4 | 1,19 5,9 | 1,69 2,2 | 3,54
(919
60 | 37,2 60 | 35,9 Ae
9 p i) Dia
4,0 | 2,50 gi |
50 | 41,2 50 | 41,0 de eo
85 | 36,3
15, | 35,8
O | 41,0 0 | 40,9 5,9 | 1,69
GO ei ilo
»] h)
10 | 349 10. | 35,5 cali
CHO RELo 6, 5A 153 ZH MON
20 | 28,0 20 | 29,0 45 | 18,8
9
Gi e 9 IO RS
30 | 21,9 30 | 29,1 nio
4,9 | 2,04 Azio: 3001
40 | 17,0 40 | 18,0 B.6 | 1.78
So ng eco
50 | 13,9 50 | 13,9
3,8 | 2,68 3,5.| 2,85 |] 4 | 36,5
40 | 17,7 40 | 17,4 Gianna
4,8 | 2,08 2 Re
b) b) dI
30 | 29,5 30 | 22.6 # | 210
2 | Lal 5,3 | 2,82 39 | 168
20 | 28,7 20 | 27,9 75 | 19,0
6,8 | 1,47 CO TE e
10 | 35,5 10 | 35,9 Rol LE
5,4 | 1,85 3 | 188 | 206
0 | 40,9 O | AO TO | 1g
45 || 37.6
16
(Aprile 1905)
DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
Sensibilità della livella zenitale
Lettura | Centro | Diffe- | Lettura | Centro | Diffe-
Sensibilità Sensibilità
tamburo | bollo | renza tamburo | bolla | renza
PD p
80. | 25,5 p } 0 | 37,4 P D)
24600 rt 192 6,7 | 1,149
TOR 231 10 | 30,7
3,0 | 1,66 5,4 | 1,85
COR o 20. | 25,3
2,4 | 2,08 DO 120100
65 | 83,5 80. | ‘20,3
3,5 | 1,48 Bd 1185
60 | 37,0 40 | 14,9
3,5 | 1,48 4,4 | 2,27
55 | 40,5 099 11993
17908 027163 5,0 | 2,00
50 | 42,4 20 | 24,3
1,7 | 2,94 DI60 0178
55 | 40,7 LO. ‘29,9
2,21 2,27 6,7 VI 49
60 | 38,5 Or | 136,6
DIG MOx9S
65 | 33,4
20028) 242 0 18,2
10/9 M3102 32 ET
2 Da IZ S2I o] 90 28
fb 12950 7,2. | 1,99
SIA MINA TIRI ISO NI 2950
80 | 25,6 DON (22,00
70 | 34,0
6,21] 1,61
008 to 60 | 40,2
TOSI MLr9s 6,3 | 1,58
80 | 25,4 10. | 13359
120, 6 ASINI MELI89
60 | 37,4 80 | 28,6
MIR NEO 632 X61
80M | N25 90 | 22,4
TOMbR 1490 8,9 | 2,56
O ..| 15,2 ONRNisSt5
Lettura
tamburo
3,9
4,9
5,9
6,0
5,2
5,7
4,6
5,1
Sensibilità della livella (det. 1903): 1’, 941 © 0”, 041
»
»
»
(det. 1905): 1”, 863 +0”, 059
Sensibilità media dedotta dalle due serie di determinazioni :
1’, 902 +0, 005
Sensibilità)
2, 56
2,04
1,69
1,66
1,92
1,75
2,17
1,96
FPASRSEEIH:
Determinazione della Latitudine dell’Osservatorio dell’Andria
Determinazione del tempo
Il tempo fu determinato mediante un cronometro Weichert N. 2153,
regolato a tempo medio. Per lo stesso già da parecchio si seguiva allo
Osservatorio l andamento mediante appulsi con un pendolo siderale,
solidamente installato in una torretta in muratura, e la cui marcia è
determinata dal personale dell’Osservatorio con uno strumento di pas-
saggi Ertel, collocato in meridiano nella torretta stessa. Tali determi.
nazioni, oltre che per gli usi dello Osservatorio, servono a dare il mez-
zogiorno alla Città.
Per quanto l'andamento del cronometro fosse sempre risultato abba-
stanza regolare, pure noi determinammo seralmente il tempo, mediante os-
servazione dei passaggi di due stelle orarie per il verticale della Polare
nelle due posizioni del cerchio Est ed Ovest. Essendo l’oculare provvisto
di 6 fili, il passaggio della polare si determinava ad uno dei due fili
centrali.
Le stelle orarie che si accoppiavano alla polare, si facevano passare
pei sei fili, e poi le osservazioni relative si riducevano allo ideale filo
di mezzo, mediante la formula — ove è è la declinazione serale
della stella, ed f lo intervallo, ridotto in tempo, tra ciascuno dei fili ed
il filo di mezzo.
Per le distanze dei fili, le quali erano state già determinate nel 1903
mediante osservazioni azimutali terrestri ed osservazioni stellari, e fu-
3
18 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
rono nuovamente determinate nel giugno 1905 nella loggetta dello Isti-
tuto Tecnico, si ebbero, come media, i valori seguenti :
Fili I-Il II-III III-IV IV-V V-VI
4°, 447,6 4°,34,8 0°, 41,0 4°, 287,0 4,39,4
Per la grande livella sovrapposta allo asse orizzontale il valor della
parte fu determinato col provalivelle Salmoiraghi, con metodo simile a
quello già precedentemente segnato per la livella zenitale, e si ebbe
da 96 determinazioni da noi fatte nel 1903 :
3°, 06: #0}026
e da altra serie di determinazioni fatte nel 1905 :
30150742 0P0680.
Si tenne per valore della parte:
34106
La collimazione si rivedeva seralmente, adoperando una delle lanterne
del Porto di Messina visibile da una finestra del casotto, e si correggeva,
occorrendo.
Pei calcoli della correzione del cronometro si adoperarono le formule
relative dello Albrecht, Hiilfstafeln fiir geographische Ortsbestimmungen,
Leipzig, 1894, pag. 26.
Per controllo di tali determinazioni, si pigliavano seralmente degli
appulsi col pendolo siderale anzidetto. i
Nella tavola seguente riportiamo le correzioni medie serali dedotte
dalle due stelle orarie accoppiate alla Polare, e lo andamento giorna-
liero ed orario del cronometro.
DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 19
Data
13 Luglio 1905
19 5 »
2 5 È
24 DI ;
26,
28 7. 55
d1 ) )
2 Agosto,
4 DI 3,
7 7” 79
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12: n 9
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2 Settemb.
7)
DI TO CEN DTO
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TO
‘
()
DA DA
o
DAI
Nome
delle stelle
Correzione media
serale
Ophiuchi
Serpentis
Ophiuchi
Serpentis
Ophiuchi
Serpentis
Ophiuchi
Serpentis
Aquilae
Aquilae
Capricorni
Capricorni
Acquarii
Capricorni
Acquarii
Capricorni
Acquarii
Sagittarii
Aquilae
Sagittarii
Aquilae
Sagittarii
Aquilae
OTIS
+ 0, 42, 96, 80
49, 54, 40
43, 03, 69
43, 16, 59
| 44,45,16
45,27, 51
45,37,05
45, 46,05
45, 50, 67
46,05, 91
46, 16, 14
46, 26, 34
Marcia |
Marcia oraria |
diurna |
|
S S
+ 4,60 Ts |
4,63 0, 193
4,30 0,179
4,30 0,179. |
|
4,32 0,180 |
|
5,09 0, 212
5, 07 0;211 >|
5, 10 0,212 ..|
|
4,68 0,195. |
4,36 OSIO
|
4,30 OO
4,30 0, 179
AV 0, 196
4,77 0,199. |
4,50 0,188, |
|
4,63 0,192 |
5,08 ORSINI]
5,11 0,213 |
|
5,10 N22]
20 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
10G
Osservazioni di latitudine
Dati gli strumenti di cui disponevamo , credemmo opportuno tenere
per la determinazione della latitudine il metodo delle distanze zenitali
cirecummeridiane.
Come stelle circumpolari tenemmo l’« e la è Ursae Minoris.
Per attenuare l’influenza della rifrazione atmosferica , scegliemmo le
stelle australi colla intelligenza che la media delle loro zenitali corri-
spondesse all’incirca a quella delle Polare o della è Ursae Minoris, se-
condo che si accoppiavano all’una od all'altra.
E qui è bene avvertire che disponendo di un circolo zenitale non
reiteratore, e nel quale si era verificato, come si vide al $ III del Cap. I,
un errore di graduazione sensibile, credemmo di tenere delle stelle au-
strali di declinazioni molto diverse, perchè le osservazioni relative ca-
dessero in regioni discretamente lontane del circolo.
Cercammo sempre, per quanto ci fu possibile, affine di eliminare lo
errore del cronometro , di distribuire le osservazioni simmetricamente
rispetto al meridiano, e di non superare per le australi negli angoli
ORAGIMIRI OLE
Per la è Ursae ci spingemmo sin verso i 20", data la lentezza del
suo movimento in prossimità del meridiano.
Cercammo pure di tenere nei vari puntamenti degl’intervalli regolari
di tempo, per quanto ciò fosse permesso dalle condizioni metereologi-
che locali, giacchè per la prossimità dello Stretto si hanno delle pro-
duzioni rapide di vapori, che spesso durante le osservazioni ci impedì-
vano di seguire la stella con la regolarità desiderata. E per diverse
sere le osservazioni ci riuscirono incomplete, e dovemmo quindi eli-
minarle.
In quanto ai calcoli, ci valemmo delle formule contenute nello Albrecht,
cioè per la Polare delle :
= 90° —z—xcost4+ Msin? t4+ N
M=3rsinl’tgo
2
1 PESA x
Ne= G © sin° 1 (1 + 3 tg? 9) sin? # cos #
dove, com’è noto 2 è la distanza zenitale vera, = il complemento della
DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 21
declinazione della Polare nell’ora della osservazione, t lo angolo orario
nello istante della stessa, ed M ed N son date dalle tavole 26 dello
stesso Albrecht.
In quanto alla è Ursae ed alle australi adoperammo la :
7
tz -Amt+ A°cotg(o— d).n
(o)
i
I
— per la è Ursae ,
nella quale tenemmo:
(a le australi )
poichè si osservava con cronometro a tempo medio; ed
Il 1
Dame = a att
9 2 sin 9
Uibi=5ra A MER"
sin 1 sin 1’
avvalendoci delle tavole 28 e 29 del detto Albrecht.
La rifrazione si calcolò mediante la formula di Bessel data dallo A1l-
brecht sotto la forma:
log f? = log*tgz + log B+1log 7+logy
avvalendoci delle tavole 34 a — A.
In detta formula 2 è la zenitale apparente della stella, B la lettura
del barometro, # la temperatura indicata dal termometro annesso allo
stesso, e ) log y è il termine correttivo per la temperatura esterna, che
nelle tavole s’indicò con t.
I dati barometrici e termometrici si determinavano varie volte du-
rante la serata *. Quelli inscritti nelle tavole seguenti rispondono allo
istante medio delle osservazioni per ciascuna stella; e le osservazioni
barometriche sono ridotte a 0° ed al centro dello strumento.
Le tavole seguenti hanno una disposizione abbastanza chiara, perché
siano necessarie lunghe spiegazioni.
Accenneremo solo che le zenitali apparenti provengono dalla media
delle letture fatte ai due microscopi tenendo sempre, come si disse avanti,
il metodo del run, e corrette opportunamente degli errori di cui al Cap. I
* Tali dati si ricavarono da un barometro a mercurio Fortin e da un termometro al
decimo grado, posseduti dall’Osservatorio, e già campionati.
22 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
e della livella, che si teneva sempre possibilmente centrata, e di cui si
adottò per valor della parte :
7 1390
A piede di ciascuna serie di osservazioni si trova la media delle la-
titudini singole inscritte nella ultima colonna delle tavole.
Le posizioni apparenti delle stelle per le sere di osservazioni, e per
l’ora media delle stesse relativamente all’* Ursae, furono cavate dalla
C des T.
In quanto ai periodi delle osservazioni diremo che dopo un primo pe-
riodo dedicato alla Polare, dovemmo espletare quelle relative alla ? Ur-
sae, giacchè questa già nella prima metà di agosto passava al meri-
diano nelle primissime ore della sera. Nella seconda metà di agosto tor-
nammo alle osservazioni della Polare e di stelle australi di declinazioni
diverse di quelle tenute nel primo periodo.
DELL'OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL'ANDRIA IN MESSINA 23
D
5 È Distanza zenitale Riduzione |
S'® | Tempo medio Rifrazione Latitudine
8 apparente al meridiano
A
15 Luglio 1905
x Ursae Minoris
h m Ss m/m È
one s_ 88947, 40°.06. B- 757,5 t= 250,8
li DIG OS O 7 FIGO ‘ ‘i o STO
E 8,12, 42,0 52, 39, 45, 51 1,11,85 | 52,43,15 | 88,11/45,79
E 14,02,0 39 29, 78 52, 25,90 44) 34
E 17/120. 38, 48 33 81 | 51/4450 44° 36
E 19, 30,0 38, 18, 45 79 | 511409 4385
E 22 01,0 37) 45,52 000 5004016 49, 88
E 24. 10,0 37 18/25 noe sonts7 46, 37
O 28, 10,0 36, 17, 69 68 49, 16, 18 46,81
O 31) 00,0 35, 89, 68 65 | 48/38/69 47,36
O 33, 05,0 35) 08, 47 63 | 4808/13 48) 08
O 36, 08, 0 34) 23,24 59 | 472495 50) 12
O 38,40. 0: 33, 48, 65 5° 46, 48, 71 48, 49
O) 42, 10,0 32) 54, 98 53 | 45/58/05 51, 54
g= 38%, 11, 46%, 66
v Ophiuchi
h m Ss m/m
ein 00 az — Sio 4 347 0 BEATS od
E 9,42,22,2 47,57, 04, 61 1,00, 84 0, 44,09 | 88,11,47,00
E 45, 28,5 6, 26, 57 82 0, 04, 99 48, 04
E 47,36,3 56, 20, 02 81 0, 00, 62 45, 85
O) 51, 31,3 57,02, 61 84 0, 40,21 48,88
O 54 01,2 58, 04 59 87 1° 37, 68 53) 42
O 56,345 59/27, 04 93 3 02, 41 51,20
gE=138-11 496506
n Serpentis
h um Ss ) m/m Ù à
a-@#li8: 626,10 è — —- 29, 55°, 13”, 60 BE i 299,2
E 10, 04, 43, 1 41,07, 08, 89 0, 47,85 0,55,82 | 88,11,47,32
E 06, 142 06, 36, 82 82 0) 26, 40 44, 64
E 08, 04,5 06,15, 49 81 0) 05, 38 44 36
O 13,29,2 06, 50, 67 83 0, 35, 86 49,04
O 15/419 07) 41) 56 84 128/02 4778
O 17, 3207 08, 47.19 89 229/19 52,29
g= 38°, 11’, 47”, 57
DD
HS
DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
9 |
| SES Distanza zenitale Riduzione |
| SS Tempo medio Rifrazione | Latitudine
| È 9 apparente al meridiano
|
I Li = 33
21 Luglio 1905
v Ophiuchi
h m mul
= 17,53, 50,01 è =20igi 99 pa
|
h m 5 (t) 1A ATA 4‘ 44 4 di PA +i
E 0106330 47,56, 44, 16 1,01, 42 0, 22, 89 38, 11. 48. 77
E 13, 35,4 56, 25, 03 40 0, 03, 81 48.
E 1590540 56, 23, 75 40 0,00. 76 | 50, 47
O 19,06, 3 56, 54, 99 42 0. 34,20 48,29
O 21,35, 6 bI145,20 45 1.127,92 44.81
o) 23 27,5 58, 44, 47 49 2,24,95 47,79
tI 389, 11°, 487, 14
n Serpentis
h mo Ss SULL)
CTS, 10, ZO è = 2,0541208 94 B = 1596 ATA
E 9,32, 26,5 41,07, 23, 37 0, 48, 34 1,08, 91 38, 11, 49, 96
E 34,29, 4 06, 33, 22 31 07 21, 58 È
E 36, 20, 2 06, 14, 67 30 0, 03, 28 46, 85
IO S9N2286 06, 18, 96 30 | 0, 08, 15 46, 27
INNO: 41, 22,4 06, 44, 27 81 0, 35, 05 44, 69
O, 43,18, 5 07,31, 54 34 1,19, 02 48. 02
gq= 399, IP, o
« Ursae minoris
h m s mm }
= 1,25,23,22 3=$89,47,44”,87 B="7596 © t=2350
E 10, 01, 22,5 52, 01, 49, 45 1,11,10 14, 40, 88 38, 11, 40, 33
E 03, 55,0 01, 04, 49 07 13, 53, 68 38, 12
E 06, 20, 5 00, 15, 28 03 13,12, 54 46, 23
E 08, 20, 5 51,59, 41, 92 01 12, 31,19 38, 26
E 10, 07, 5 59, 05, 22 10, 98 11, 57, 91 A
E 12, 33,5 58, 20, 65 95 11. 12 44 40. 84
O 16, 38, 5 57,07, 49 89 9,55, 81 37,43
O 18, 30, 5 56,31, 01 86 9, 20, x 39, 03
O 20, 13, 6 55, 56, 80 84 8 48, 55 40, 91
O 22, 03, 0 55, 23, 50 81 8. 14,21 39, 90
O 24. 13,5 54, 49,77 78 7,30, % 30,42
O 26, 26,5 54, 01, 55 75 6, 51,4 39, 13
4 = 380, 117,397, 94
DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 25
(I
SS Distanza zenitale Riduzione
| No Tempo medio Rifrazione Latitudine
È € apparente al meridiano
24 Luglio 1905
x Ursae minoris
h mIis mim
ei01,=25, 26, 21 O = OSTANA BEI 11029200
|
DITORNNS ONE, 4) | VIZI) ORGE, I,
E 8,26,57,5 52, 25, 41, 11 PRIZE A 88:40, 67 38, 11, 48, 35
E 29, 16,5 25,07, 11 18. | 38,01,04 4975 |
E 32, 58,5 24, 08, 17 CAN STA 030 41,99
E 34, 48, 6 23, 36, 96 12 36,31, 51 43, 43
E 36, 46,0 23,01, 68 09 35, 59, 56 46, 79
O 42,28, 5 21, 40, 58 03 34, 41,92 50, 31
O 45, 10,2 20, 44, 43 00 33, 40, 50 45, 07
O 50, 42, 5 MONZA 10, 92 32, 07, 36 43,71
O b2NOD:9 18,32, 93 89 31,29, 87 46, 05
O 55, 16,0 17, 54,12 86 30, 49, 81 44,83
4 = 389, 11/; 45”, 33
ì Aquilae
h m S mim
pa=0:9, 01, 15,06 EIA DIM 2490
E 10, 02, 16, 5 43, 14, 35, 87 0,51, 61 2027 610 38, 11, 48, 81
E 04, 48,5 13, 17,12 5° 1,05, 59 46, 10
E 06, 48, 1 12,35, 12 55 0, 26, 05 48, 62
E 08, 49, 4 19,14, 13 D4 0, 04, 27 44, 40
O 12, 07,2 19, 17, 19 BA 0, 08, 32 43, 41
O 14,24, 4 12, 48, 4l 56 0, 39, 95 43,,02
O 17,00, 0 13,51, 98 59 1, 44, 33 42, 24
O J9O10, 5 15, 09, 55 63 3,01, 71 42,47
<= 38°, 11), 44”, 26
28 Luglio 1905
x Ursae minoris
h mo Ss m/m
a = 125,30, 52.078 =\88°, 47,49%, 76. B= 757,7 t= 259,0
|
IE IN 1,56, 05, 6 2729, BA TRA 3 o 4233121 38, 11, 41, 81
Bs 58, 33, 4 "98; 59, 84 59 41,53, 52 42. 09
E 8, 01, 56,2 28, 09, 87 56 41,01, 25 39, 82
E 04, 33, 4 2,28, 35 53 40, 19, 36 39,48. |
E 06, 39,0 26,55, (5 51 39, 47, 50 40,24 |
O 14,11,0 24,52, 1 43 37,47, 54 43, 40
O 16, 35,2 24, 14,21 40. | 37,07,83 49,22 |
O 18. 50, 0 23, 36,81 SIRO 36) 32 19 44,01 |
O 20, 54, 3 29, 59, 31 34. | 35, 58, 39 4,4 |
O 23,18, 0 22, 20, 26 31 35, 18,83 47,26
1990, I AE280 4
(NS)
Di
DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
|
(cb)
E Distanza zenitale Riduzione
is 9 Tempo medio Rifrazione Latitudine
È ® apparente | | al meridiano
28 Luglio 1905 (seque)
ì Aquilae
h m Ss mim
a =19,01,15,07. 3=— 5°,01/,167,68 B=757,4 #= 240,4
i oTAIS O ui 2 RI A Ma O: 1% de
E 947,28, 5 43, 13, 48, 07 0, 51, 67 1,41,30 38, 11, 41, 76
E 49, 33,2 12. 55, 99 65 0, 48, 12 42,84
E 51L.21,0 12, 25, 56 64 0, 18, 14 492, 38
O | 10,03,43,7 15,34, 40 73 SEZDAAI 44. 04
(QU 05, 54, 5 17,21, 86 78 5, 09, 89 47,07
O 07, 292 18, 51, 72 83 6, 38, 81 48, 06
pie 389; 11°, 44,35
51 Luglio 1905
« Ursae minoris
h ms m/m
x= 1,25,33,49 = 3=8$0,47,467,33 B=758,0 t= 25°, 8
E ‘(,55, 44,0 52, 26, 38, 12 110,83 39, 34, 28 38, 11, 44, 83
E 57,44,2 26, 03, 93 31 38, 56, 79 41,55
E 59, 33, 5 LISI 29 38, 29, 86 41,44
E 8, 02, 00, 0 LITI 26 SION 41, 03
E 04, 26,2 24, 20, 33 28 37,11,42 39, 86
E 07,45, 0 23, 24, 51 18 36,17, 68 41,94
O 17,31,3 20, 37, 48 05 33, 35, (4 40,21
O 19, 35, 4 20, 01, 90 03 33, 01, 28 © 48, 35
O 22, 07,4 19, 26, 72 00 32, 18, 61 40, 89
O 24, 18,0 18, 43, 71 10, 97 31, 41, 69 47,01
O 26, 28,2 18,10, 14 95 31,05, 02 43,93
O 30, 16,5 17,01,21 90 DIO 47,66
g =38°, 11, 43%, 86
ì Aquilae
h mos m/m
x=19,01,15,07. 3=— 59,01,167,46. B=757,9 t=259,1
E 9,32, 12,0 43, 15, 52, 25 0,51, 51 3,42, 61 38. 11, 44, 69
E 34,25, 1 14, 26,41 40 DMANSS ;
E 36, 36,2 13,23, 98 44 1,09, 04 49, 92
E 38, 31,5 12, 39, 50 49 0,29; 41 45, 05
E 40, 34,9 12, 16,00 41 0,05, 44 45, 51
O 43.42,0 12,14, 42 41 0, 05, 52 43, 85
O 45, 44,0 12,35, 01 49 0,29, 23 40, 74
O 40,49,1 13,21, 89 4A 1, 12,88 43, 99
O 50, 45,5 14, 56, 63 47 2,47,75 43, 89
O 51,51,0 15, 38, 17 5I SRIZAST 40, 35
w= 38°, 11’, 44, 51
|
I
DELL'OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 27
© A | I] & ]
si Distanza zenitale Riduzione
ND | Tempo medio Rifrazione Latitudine
alla apparente | al meridiano
a |
Il
h mo S
«= 18, 03, 04, 12
00000. HERE
TO)
{°°
Ol
h mu
.= 20, 06, 26, 89
10,
00° Gao
S
h m
x = 20, 42, 46, 23
11,00, 43,5
02, 42, 3
04, 33, 8
10, 40,3
12, 31,2
14399
000 bid
4 Agosto 1905
è Ursae minoris
mi/m
a
a = 869, 37% 10/4 401. \B= 756,3
o / 41 Ù ‘1 ‘
48, 25, 05, 80 1, 01, 58 37, (6
24. 53, 05 5Y 24, 90
24, 43, 06 56 15, 12
24. 33, 11 56 6097
24,29, 65 55 1,42
24. 32, 68 55 0,09
24, 36,95 55 3, 60
24, 40, 94 56 9. 67
24/50, 95 57 2112
25, 0403 58 36, 99
25, 28, 72 59 , 54, 92
25, 4871 60 116,23
= 380,11’, 397,2
1
6 Aquilae
m/m
OZZERO i 904
39, 20, 08, 84 0, 44, 79 3,09, 05
18,29, 21 75 1,33, 08
17, 35,60 73 0, 32, 58
17,17,56 72 0, 18, 22
18, 03, 75 74 1,04, 67
18,57, 47 76 2,01, 84
AISIAIOOO
3 Acquarii
; m/jm
DI 50822719760 DIM
43, 34, 51,37 0,52, 72 13717
34,00, 52 70 0, 47,58
33,29, 18 69 0, 16, 92
35,36, 10 69 0, 25, 32
34, 11,55 70 1,00, 82
35,13, 22 73 2,01, 22
o = 389, 11° 49”, 20
0 6
(9=R2.07072
OE 777
38,11, 40,78
40, 68
40.90
42,10
40, 62
36,96
35,50
37,57
39,00
41,78
35,01
41,32
= 209, 8
38,11, 48, 18
44,98
51,85
48,16
47,92
44, 49
t= 259,9
38, 11,51, 26
50, 03
49,29
47,81
4T,T0
49,07
(SS)
0
DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
|
® |
E, E | Distanza zenitale Riduzione |
SN'© | Tempo medio Rifrazione Latitudine |
s L | | apparente | al meridiano | |
È |
7 Agosto 1905
è Ursae minoris
mn Ss mim
«a = 09 0A è =4869, SA 10 bi= Dt = 9
Dio MIS ON N07 CART 0a L'ABIRO sZ4
E 7,45,07,2 48, 26, 28, 00 1,02, 25 1,56, 47 38, 11,37, 32
E 48, 23,2 26, 07, 01 24 1,33, 16 35, 01
E 521202 25, 38, 29 23 1,08, 44 39, 02
E 56, 15,1 25, 16, 69 22 0, 47,07 39, 26
E 8,00, 10,0 25, 02, 04 21 0, 30, 65 37,50
E 04, 14,9 24, 44, 74 20 0, 16, 93 41,09
O 21, 48,0 24, 29,27 18 0, 04, 11 43, 76
O 25, 36,5 24.39, 74. 19 01129 40, 46
O 29, 08, 4 24, 48, 03 20 0,21, 11 41,98
O 33, 02, 2 25, 02, 34 21 0, 35, 48 42,03
O 36, 16,2 25,19, ,99 22 0, 50, 22 39, 11
O 39, 59,0 25, 38, 66 23 1,10, 29 40, 50
q= 38,1 ,840475
0 Aquilae
h mos m/m }
pi 040602090, è — — 1°, 05‘, 55”, 60 Be==X(0 t=53% 1
E 10, 13, 05,5 39, 18, 25, 42 0, 45, 15 TREToalo 38, 11, 47, 82
E 14, 48,5 17,41, 51 13 0, 44, 17 46, 87
E 16, 31,8 17,14, 45 12 0, 15, 65 48, 32
O 20, 59, 6 17, 06,13 12 0, 09, 18 46, 47
O 23, 31,9 17, 54, 40 14 0, 49, 03 54, 91
O 25, 27,2 18, 37, 26 16 1, 40, 18 46, 64
g= 389, 11’, 48”, 50
5 Acquarii
h mo Ss m/m
a=20,42,46,25 3 = — 50,22, 157,39 EEA iN — CON:
E 10, 49, 19,2 43, 34, 33, 91 0, 52, 48 1,19, 61 38, 11, 51, 39
E 51, 11,9 33, 46, 10 46 0, 37,35 45, 82
E 63, 16, 6 33, 20, 23 45 0, 09, 00 48, 29
O 56, 30, 6 33, 18, 35 45 0, 03, 38 52. 03
O 58, 41,5 33, 39, 76 46 0, 26, 07 50, 76
O 11, 00, 36,3 34,14, 11 48 1,03, 52 47,68
4 = 389, 11, 497, 33
DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 29
— ,
| 59 Distanza zenitale Riduzione
| Ng | Tempo medio Rifrazione Latitudine
| £ Si | | apparente al meridiano |
| |
Ì
9 Agosto 1905
è Ursae minoris
h Mis m/m
a = 8,03, 02, 60 ) = OLO (BI—X10050 t= 249,4
DMS O e/M09 7, / ‘4 ‘i Deal DU
E 7,46,02,3 48, 25, 26, 61 1, 02,28 58, 85 38, 11, 41, 66
E 49, 19,3 25,20, 61 27 47,55 36,2
E 52, 48, 4 24, 54, 41 26 28,15 43, 08
E 57, 48,2 24, 44, 91 25 12, 67 37,11
E 8, 02, 32,7 24. 32, 51 24 3,09 39, 94
E 06, 01, 5 24, 30, 61 24 0, 46 39,21
O 09, 43, 8 24, 29, 65 24 0,37 40, 08
O 14, 04,2 24, 34, 81 24 4, 53 39, 08
O 19, 45,9 24, 46, 92 25 16, 95 39, 38
O 24, 12,5 25, 04, 28 26 32, 20 37,26
O 28, 12,2 25, 20,07 2 49,99 39, 25
O SPM283 25, 37.06 29 a 43,82
SES 50/1 1 39468
0? Capricorni
h Met m/m
a= 20, 15,43,31. 3=—15°,04,377,49.. B=760,0 t—23°,8
E 10, 11,32, 5 53, 17, 48, 57 1, 14, 26 2,32, 22 38, 11, 53, 12
E 13, 33, 2 16, 36, 20 21 1, 24,98 47,
E 15, 14,3 15, 58, 60 19 0, 47,82 47, 48
E ITEZIA 15, 24,10 17 0, 15, 13 45, 65
O 24, 01,3 15, 36, 68 18 0, 25, 93 47,44
O 26, 13,8 16, 22, 09 20 1,05, 79 53, 01
O 28, 12,3 17,10, 53 23 1, 56, 88 50, 39
(0) 29, 50, 2 17, 59, 67 29 2, 50, 08 46, 39
g= 38°, 11, 48,93
to
(©
DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
® lf |
g È | Distanza zenitale Riduzione | |
S'S | Tempo medio Rifrazione Latitudine |
È e | apparente al meridiano]
e | |
10 Agosto 1905
5 Ursae minoris
h mis __ Mim
i MS 0370202, = 0 b = 19902 ie
mo a CS O, 20 ‘i “i 0v%.A0_d
E 1,93, 13,2 48, 24. 50, 84 1,02. 07 14,13 38, 11, 33, 02
E 57,30,3 DARI, 06 oi 37,70
E 8, 01, 14, 8 24.31, 69 06 0,91 38, 96
E 04, 45,5 24,31, 47 06 0, 08 38, 35
(0) 09,31, 4 24, 34, 65 06 DIS 38, 86
O 14,13,9 24. 40, 40 07 12, 87 42.20
O 18, 05,2 DADI? 300 08 24. 36 AL, IC
O 21, 06,2 25903851 09 35, 88 42,28
gq= 380, JI, S0/4M8
? Caprico?@ni
h m S mujm
x = 20,15, 43,91 è = — 159, 04991048 nEIZZRSS) ti t=:249,0
E 10, 10, 40, 2 53) 16. 1/63 1, 14, 06 0, 59, 18 38, 11, 49. 03
E 12, 51,5 15, 30, 82 04 0, 22, 05 45, 33
E 14, 42,8 15, 14, 78 08 0, 04, 66 46, 67
O 18, 42,9 15, 25, 68 03 0, 10, 96 DISSI
O 20, 46,7 I 0 05 0, 37, 60 49,12
O 22 433 16, 33, 34 08 1, 16,43 DID
ur ISO 497,25
u Acquarii
h mos n um i
a =20; 47/34, 59 a—_90,201,06% 10° B_ 90 Mei
| E 10, 42, 23, 2 47,32, 01, 02 1,00, 41 1, 06,81 38, 11, 47,92
E 44,43, 4 31, 15, 60 39 012312 46, 17
E 46, 31, 6 30, 56, 21 38 0, 04, 88 45, 01
O 52, 15,8 31, 32, 42 40 0, 36, 68 49, 44
O 54, 25,3 32,24, 12 42 1,23, 95 58, 89
O 56, 43,4 33, 34, 36 46 2,35, 67 52, 45
q = 38°
ROOT
DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 31
© I | Tal
pei 3 o DE: ad |
SL | Distanza zenitale Riduzione
Die=iiLasn.] . . ® . .
SIE Tempo medio Rifrazione Latitudine
È ® | | apparente | al meridiano
Ì
12 Agosto 1905
è Ursae minoris
m Ss m/m
h
x=18,03,01,50 3=86°,37,12,20 Bee 048
h m Ss 01 00/7,; 0 09 Hi 1) toy,
E 7,34, 20,3 48,25, 28, 32 1,02, 00 57,09 38, 11, 38,97
E 30,11,3 Db; 16, 12 01,99 43, 04 30,13
E 40, 04, 2 25, 00, 28 98 - 30,84 40, 78
E 44. 10,5 24. 47,08 97 16, 96 40,11
E 48, 32,3 24, 37,14 96 6,792 39, 82
E 53,20, 2 24,31, 98 96 0, 84 39,10
O 59, 39,9 94, 32, 44 96 1,68 39, 48
O 8,03, 12,2 24, 36,44 96 6,66 40, 46
O 07, 03, 8 24, 47,83 97 15,10 37,50
O 10, 40, 1 24,56, 13 98 26, 48 40,57
O 13, 43,3 25, 10, 23 99 38, 60 38, 58
O 16, 46,0 25, 22, 13 02, 00 52, 95 41,02
g = 389, 11, 39”, 46
}? Capricorni
h IMOS m/m
eni a eo 04 306 75 124,5
E 10, 01, 47,6 53, 16, 31, 69 1, 13,78 1,18,79 | 38,11,49,22
E 03, 37,6 15, 53, 38 76 0, 40, 58 49,
E 05, 52, 5 15, 27,99 75 0, 10, 87 53, 41
O 10, 37,8 15, 23, 70 75 0, 10, 26 49, 73
0 13, 18,2 15, 58, 16 76 0, 47,04 47,49
O 15, 21,7 16, 41, 67 79 1,33,55 44,45
o = 38°, 11’, 48”, 89
u Acquarii
h ui m/m
oniinis4Go) = 9020006760 B=757,6 = 24,6.
E 10, 32, 25,7 47,32, 57,64 1,00, 16 2, 00, 66 38, 11,50, 54
E 34, 36,5 31,57, 61 12 1,01, 54 49,59
E 38, 04, 6 31, 03, 46 09 0,08, 11 48, 84
O 45, 24,0 31, 51,93 12 0, 59, 30 46,15
O 47,16, 6 32, 43, 56 15 1, 48,25 48,86
O 49, 45,2 34, 08, 47 20 3, 15,07 47,00
«= 38°, 11/, 48”, 49
I
DD
DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
VD
SS Distanza zenitale Riduzione
iSi $ Tempo medio Rifrazione Latitudine
6% | apparente al meridiano |
fu |
253 Agosto 1905
c Sagittari
ho DIS TRE ee m/m
«19196092002 è — — 279,58, 14,09 bi=15906 i. =*249,3
h mus OM “i 7A ay tr eda DARI 7
E 8,55,05,0 66, 10, 32, 69 205,05 2,38,38 | 38,11,45,31
E 57,33,2 09, 26,29 04, 94 1,31, 47 45,71
E 9,00, 00, 1 08, 44, 40 87 0, 43, 16 52, 06
E 02, 12,5 08, 11, 97 81 0,14 96 47,700
O 08, 07,5 08, 08, 98 81 0, 11, 38 48, 36
O 10, 15,0 08, 36, 42 86 0, 35, 69 51, 54
O 13, 00, 0 09, 25, 57 95 1,27, 22 49, 25
O 15, 08, 2 10, 16, 67 05, 04 2.22, 89 44,00
g = 38°, 117, 48”, 09
x Ursae minoris
h Luo CS um
20904019 è. = 8804 DIRO B'=: (98,6 t= 249,4
E 10,00, 20, 1 51, 21, 09, 46 1, 08, 97 95,56, 94 38, 11, 44, 63
E 02, 59, 0 20259 94 26, 43, 71 39, 69
E 04, 48,3 19, 58, 20 91 27,15, 86 37,03
E 06, 44,2 19, 23, 86 89 27,49, 86 37,39
E 08, 52, 3 18, 45, 54 87 28, 27, 23 38, 36
E 10, 46,8 18,08, 10 84 | 29,00,44 49, 62
O 14, 05,0 0, 80 29; DU, I 41,52
O 16, 36,0 16,31, 97 78 30, 41, 14 38, 11
O 18, 48,0 15, 50, 28 75 | 31/1887 49, 10
O 21,02, 2 15, 17,71 118 31, 56, 98 36, 58
O 23, 35, 0 14, 29, 58 70 32, 39, 38 42, 34
O 26, 35,0 - 13, 40, 50 67 33, 31, 05 39, 78
4 = 38°, 11’, 40”, 01
DELL’OSSERV, METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA 33
V
52 Distanza zenitale Riduzione |
INTO Tempo medio Rifrazione Latitudine
$ © apparente al meridiano
A
29 Agosto 1905
x Ursae Minoris
h DAS ; m/m
SW, 88047 DIA BET. t=25,1
h IFTS O 0277 DI Ù 44 (Ù POBIÒ
E 9, 56, 05, 8 | 51,19,55,88 1,08, 61 27,07, 86 38, 11, 47, 65
E 58, 10,2 | 19; 28, 23 59 27,39, 41 43, 17
E 10,01, 12,0 | 18, 35, 14 56 28, 32, 25 44, 05
E 03, 07,8 | 18,07, 29 54 29, 00, 97 43, 20
E 05, 28, 8 | 17,19, 74 52 29, 46, 75 44,99
E 07,33, 1 16,49, 45 50 30, 22, 53 39, 52
O JN3299 15, 36, 08 45 31,30, 94 44,53
O 13, 34,0 15, 05, 88 43 32, 05, 97 3902
O 15, 41,2 14, 30, 54 41 32, 41,55 39, 50
O 18, 05,0 13, 47, 48 38 33, 22, 05 42,09
O 20, 03,0 13, 17, 28 36 33, 54, 27 40, 09
O 23,,02..0 12,,21,,22 32 34, 44, 99 45, 47
g= 38°, 11’, 42, 88
è Capricorni
h m S m/m
A 0 o ee 31000 BETTI = 299,0
E 10, 36,04, 2 54, 44, 53, 26 1, 17,72 1,05, 05 38, 11, 53, 65
E 30,89,0 44, 20, 53 70 0, 35,21 50, 75
E 39, 05,8 43, 56, 93 68 0. 15, 85 46, 49
iO) 40, 46, 4 43, 47,05 6 0, 02, 95 49, 50
O 44, 42,6 44.00, 64 68 0, 12, 91 53, 14
O 46, 53,2 44,23, 57 (0 0, 42, 65 46, 35
O 49, 00,0 45, 05, 45 73 1, 22,,02 48, 89
O 51. 48,4 46, 35, 25 80 2,53, 43 47,35
g= 38°, 11,49%, 51
(Dl,
DI
da
DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
g= 389, 11’, 46”, 66
(e)
8.9 Distanza zenitale Riduzione |
S'É | Tempo medio Rifrazione | Latitudine
$ © apparente sl icailino]
da
26 Agosto 1905
c Sagittarii
h m Ss m/m De
x == 19,56,52,00 è3=- 27°,58,147,26 B=7581 t=25°,5
h n S DA) di DADI È OR vi 7
E 8, 46, 52, 6 66, 09, 03, 31 2,04, 31 1,01, 68 38.11, 51. 68
E 49,01, 4 08, 29, 04 26 0, 27, 98 51,06
E 51, 11,7 08, 05, 93 23 0, 06, 93 48,97
O DORIONZ 08, 04, 09 23 0, 05, 84 48,22
O 57,50, 0 08, 31, 61 26 0, 30, 16 51; 45
O 9, 00, 22, 3 09, 10, 00 32 1,13,93 | 46, 13
4 = 38°, 11’, 49”, 58
« Ursae minoris
Sun mos a 4 Ù m/m x
x= 1,25,56,73 3= 880, 47,527,03 | B= 758,0 #=250,4
E 9,50, 12,5 51, 20, 39,09 1,08, 61 26, 29, 36 38,11, 42,94
E 52, 12,2 20, 06, 44 59 27, 04,55 40, 42
E 54, 11,0 NO NSI99 57 27,39, 38 40, 04
E 56, 15,2 18, 55, 76 55 28, 10, 52 45,17
E 58, 25,3 18, 16, 46 52 28, 53, 45 41, 57
E 10, 00, 35,0 17.492,28 50 | 29,31,21 38,01
O 05, 14,2 16, 22, 94 45 30, 51, 27 37,34
O 07,38, 0 15, 42, 62 49 132995 36, 61
O 09, 32,2 15, 05, 93 40 82, 07, 06 38, 61
O 12, 24,0 14, 18, 85 37 32, 53, 43 39, 35
O 14, 23,0 13, 45,41 35 32, 26, 36 39, 88
O 16, 59,2 192, 58, 94 32 | 34,10,60 42. 14
g = 38°, 11’,40”, 17
ò Capricorni
h ms _m/m È
x = 21,41,50,76 a=— 16°,33,127,28 B= 758,0. #= 25,3
E 10, 33, 07,5 54, dA, 27, 65 1, 17,70 0, 43, 96 38, 11, 49, 11
E 35, 46, 0 43, 55, (0 68 0, 09, 39 Dez
E 37, 44,8 43, 42, 20 67 0, 00, 15 40,44
O 40, 36, 3 43, 52, 96 68 0, 11,99 46, 37
O 43,08,9 44,23, 11 70 0, 47,55 40, 98
O 45,11,0 45,11, 82 74 1,32, 94 44,34
Il
Il
DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA
35
005. EHE
000. Biol
08, 58,3
10, 58, 1
12, 47,2
n
h mrcs
SR O22102
61,00, 25, 37
60, 59, 49, 76
59, 29, 37
59, 35, 32
61,00, 04, 27
00, 40, 62
g = 38°
x Pis
> 300,086
68, 17,31, 92
17,06, 35
16, 50, 67
17,02, 38
17,31, 19
18,09, 03
(ns
RUE
cis austr.
37, 60
9, 16,21
18
17
18
20
27
06
1,12,85
0, 36, 46
0, 12, 10
0,19, 78
0, 49,02
1,26, 97
m/m
B= 152,2
0, 19, 76
0, 47,10
1,18,77
O |
SS | Distanza zenitale Riduzione |
‘S'© | Tempo medio | Rifrazione Latitudine
2 © | | apparente al meridiano
&° | |
29 Agosto 1905
x Ursae minoris
h INS A fm
el, Paasino è = 889, ATE 52°, 94 = 1i=221090)
h mn S OINNZAIZA ETA: ‘ ‘i () OZ,
E 9,04, 10, 2 51, 30, 55, 00 1,08, 16 16, 12,85 88, 11, 43, 99
E 08, 48, 5 O), SLI 11 17,38, 46: | 40, 22
E° NL ara 28, 43,29 08 18,29, 25 39, 38
E 13,33, 0 28, 02, 20 05 19, 05, 47 44,27
E 15, 56,3 27,23, 98 03 19,49, 11 38, 88
O 22, 40,0 LAFZIEN6 | 07,55 21,49, 71 40, 98
O 24, 46,0 24, 36,09 52 22 20020 47,10
O LODO 24, 01,90 50 23, 08, 05 49,55
O 20, 50, 8 23,30, 64 48 23, 42, 66 39, 22
O ATEO 22. 30, 80 44 24, 36, 43 45,33
to 0 HE, 427,19
{ Capricorni
h mos ; m/m ia
en men a 92 494)09!, 36° B= 752/30) 42701
38, 11, 44,97
45,72
49, 67
47,95
47,68
46, 11
EZIO
38, 11, 47,05
47,20
46, 30
45,20
46,70
52, 93
DI
(er)
DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
|
Posizione
5 Distanza zenitale
£ | Tempo medio Rifrazione |;
S | apparente
Riduzione
‘| al meridiano |
31 Agosto 1905
x Ursae minoris
h m Ss
a=-1,25,59,99 = 3= 880, 47,53”, 54
B.= 159,54
h m N 0: ‘i Y. “i ‘ di
E 8,55. 01,2 51, 31,14, 79 1, 09, 33 15, 46. 74
E 57,23, 0 30, 30, 01 31 16, 35, 43
E 59, 33,4 29. 50, 95 28 17,18, 13
E 9, 01, 30,0 29, 16, 42 26 17,50, 25
E 03, 56,0 28, 33, 81 24 18, 35, 88
E 06, 10, 5 28, 01, 86 29 19, 06, 95
O 10, 11,0 26, 37, 18 in 20, 30, 04
(0) 12, 15,1 25, 58, 9e 15 21.07, 52
O 14, 06,2 95, 25, 58 12 | 21,40,86
O 16, 31,0 24, 42,00 10 22, 24, 18
O 18, 28,2 24, 07, 73 08 23,102, 91
O 21,34,0 23, 11,15 05 23, 55, 55
«= 38°, 11’, 43”, 62
Capricorni
h mos mm
a—21,21,17,60..; a = — 22% 49105 48° B= 7595
E 9,51, 06,7 61, 00, 18, 85 1,39, 32 1,05, 85
E 53, 16,5 60, 59, 44, 83 29 0, 28, 61
E 54, 53,0 59, 23, 68 27 0, 10, 84
O 58, 16,5 59, 25, 44 27 0, 10, 90
O 10, 02, 18,0 59, 50, 65 30 0, 38, 82
O 04, 45,2 61, 00, 40, 26 35 1, 26, 99
g= 380, 11, 46,52
« Piscis austr.
h mos
d = 19252) 20900, Se 300011 13/080
E 11,19,51,0 68, 18, 28, 39 2, 18,55
E 2, 02, 8 17, 46, 89 47
E 24, 16,5 17, 10, 08 41
O 31, 45,0 17, 02, 77 41
O 35, 48,4 18, 06, 47 53
O 37, 38,5 19, 44, 55 61
< = 38°, 11’, 50”, 01
Latitudine
ii=2D?,5
Dida vg
38,11, 49, 14
45, 25
41,64
44, 07
41,07
41,97
t=420% 4
38, 11, 46, 84
5
)
46, 63
48, 38
46, 15
47,14
ER
38, 11, 48,41
53
3.
50, 51
50, 85
51, 28
45, 16
DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’'ANDRIA IN MESSINA 37
® |
E s Distanza zenitale | Riduzione
N'® | Tempo medio Rifrazione Latitudine
8 i apparente | al meridiano |
(cli Ì |
2 Settembre 1905
«x Ursae minoris
h MRS Mio m/m
x= 1, 26,01, 41 ò — 88°, 47, 54, 15 BIT bi ==2410)
| h m S (o) r] ‘4 4‘ ‘i 4 ‘i o 4 /
1 L9D: 8,45, 21,0 51, 31, 46, 06 1, 09, 36 "15, 20, 89 38, 11, 48, 69
i E 49, 27,0 30, 28, 55 31 16, 37, 70 44, 44
il E 51,24,0 29, 54, 15 29 17,13, 12 43, 44
i E 53, 03,0 29, 24, 56 27 | 1748,09 43, 08
i E 56, 32, 0 28, 19,92 23 18, 46, 74 44, 09
| E 59, 26.0 27,33, 54 20 | 193995 3731
|
i © 9, 05, 56,0 25, 28, 50 12 21,38, 17 44,21
i O. 08, 04, 0 24, 54, 31 10 22, 16, 70 39, 89
i O 09, 45, 2 24,29, 71 09 22, 35, 06 46, 14
i O 14 43,0 99, 49,16 03 24,16, 04 45,77
O 21, 35,0 20, 49, 91 08, 55 26, 18, 14 43, 40
O 26, 06,0 19, 30, 09 50 27,37,68 43, 73
28405
% Capricorni
h vera LE) m/m
Sona Ti 0 Ns — 39049) 0a 600) 757,2. i—239,9
E 9,41, 59,0 61,00, 43, 97 1,39, 60 1,30, 10 38, 11, 47,87
E 44, 15,0 60, 59, 54 83 55 0, 43, 49 45,29
E 46,00, 1 59, 35,34 53 0, 18, 96 50, 31
O 52,49, 1 59, 34, 99 53 0, 19, 02 49,90
O 54, 32, 4 59, 58, 30 55 0) 43, 06 49,19
o) 56, 420 61,00, 41, 48 59 126,92 48/55
cita SR
a. Piscis austr.
h AE m/m
ai=12292, 21,04 è = — 309, 07, 14”, 00 B=MOAN0, (ZA)
E 11,12, 10,0 68,18,22; 36. || 2,18,75 1,36,81 | 838,11,50,80
E 16,015 17, 10,29 61 0, 26, 81 48,09
E 18,021 16, 47,05 57 007, 63 43,99
| O 23, 01,2 16, 50, 52 57 0, 10, 42 44,67
| 0 24. 56,0 17, 11,26 61 0,30, 56 45,31
i O 28, 24,5 18,19, 38 75 1,34, 16 49,97
g= 380, 11/477, 14
38
DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
Quadro riassuntivo
7
Numero
Data Stelle delle doppie Latitudine
osservazioni
o , ,r
I " x Ursae minoris 6 38, 11, 46, 66
13Luglio = *1905 | 4 <& : Retna
SO Stelle Sud 6 48, 32
91 x Ursae minoris 6 39, 94
E n. ” Stelle Sud 6 47, 64
| 94 x Ursae minoris 5 45, 33
Gi ” » Stelle Sud 4 44, 26
| 0g x Ursae minoris 5 42, 80
Ti DI) Ra Stelle Sud 3 44,35
31 x Ursae minoris 6 43, 86
Res n) De | Stelle Sud 5 44, 51
4 Agosto 5 Ursae minoris 6 39, 27
TRS) Ù, Stelle Sud 6 48, 39
7 è Ursae minoris 6 39, 75
» ” Stelle Sud 6 48, 91
9 è Ursae minoris 6 39, 68
) Li ” Stelle Sud 4 48, 98
10 ò Ursae minoris 4 DOO
» » Stelle Sud 6 49,19
19 è Ursae minoris 6 39, 46
€ » » Stelle Sud 6 48, 69
93 x Ursae minoris 6 40, 01
ra ” ” Stelle Sud 4 48, 09
DE x Ursae minoris 6 492, 88
se » ” Stelle Sud 4 49, 51
96 x Ursae minoris 6 40, 17
= » Di Stelle Sud 6 48, 12
99 x Ursae minoris 5 4200
vi Di » Stelle Sud 6 47,28
31 | « Ursae minoris 6 43, 62
; % » Stelle Sud 6 48, 76
Ola Ì x Ursae minoris 6 43. 26
SRISEEPIADIO a Stelle Sud 6 47,83
Î
Latitudine media!
per
ciascun giorno
38,11/47/49
43,79, |
44, 79
DELL’OSSERV. METEREOLOGICO GEODINAMICO DELL’ANDRIA IN MESSINA :39
Dal quadro precedente si cava:
: x Ursae min. (media di 28 osservazioni doppie) < = 38°, 11’, 43”, 72
1° periodo
b)
Stelle Sud ( >» >» 24 » DAI
è Ursae min. (_» » 28 » ISO
2° periodo
Sfelle/Sudi “(<> > 28 » Dio = 380, TI 4340182
«AUirsacimin. (i > > 35 » I iO SATEARI 02
3° periodo
Stellessudeza( ar > 92 » SO) SSA SAR
Si ha quindi:
1° periodo (media di 52 osservazioni doppie)
g—= 389, 11’, 447,77 +07,634
2° periodo (media di 56 osservazioni doppie)
q= 889, 11°, 44”, 13 +0”, 050
3° periodo (media di 67 osservazioni doppie)
lO e AS:
Dalla « Ursae si cava quindi come media delle 119 osservazioni doppie
‘dei due periodi relativi :
g= 389, 11°, 44 954 0”%,378
e dalla « e dalla è Ursae si ricava, come media di 175 osservazioni doppie,
per valore della Latitudine dell’Osservatorio (pilastrino di osservazione) :
q= 38°, 11, 44”,54
‘con un errore sulla media di
sala) 492.307
Volendo poi determinare la latitudine di un punto dell’ Osservatorio
più facilmente visibile, scegliemmo l’asta del parafulmine, situato sulla
torre, che porta il pendolo sismografico.
40 : DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE
La distanza del pilastrino all’ asta e lo azimut della direzione pila-
strino-asta, ricavato con osservazioni della Polare, risultarono:
e= 16", 75 = 46°, 12, 25”,2
Dalla formula
TA e cosa
tesa?
si cava
Ag= — 07,376
quindi la latitudine di tal punto sarebbe :
go =1389, Il, 446, do
È da avvertire però che per mancanza di strumenti adatti non po-
temmo eseguire una piccola triangolazione per la misura della distanza
anzidetta, e che essa risulta quindi solo da misure dirette.
Non ci fu possibile determinare la deviazione locale in latitudine,
perchè mancano punti di 1° ordine della Rete Geodetica dello Stato visi-
bili da Messina, e quindi non è possibile avere la latitudine ellissoidica
dell’Osservatorio con sufficiente sicurezza.
l DIGI spe dt: a ue E "iL
anal (ME Pr o RAI ge etima)
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POPOLI SCOMPARSI
IL POPOLO SICANO-SICOLO
CONFERENZA DEL SOCIO
RROCOERGIAGONORPRAGANO
nell'adunanza del 25 Marzo 1906.
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rFFRRFIRIFIIIIIIIIIIIIIIIRIIIIPARIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIISIIIIIDIISSIISIIISFIIIIIIFIIISIIIIII
POPOLI SCOMPARSI
Il popolo sicano-sicolo
Uno dei più notevoli avvenimenti storici, che attira l’ attenzione degli
studiosi per rendersi ragione delle cause del fenomeno che appare miste-
rioso, è senza dubbio quello per il quale, in epoche relativamente recenti,
popoli che ebbero una storia spariscono a un tratto, quasi che, sulla scena
della vita, fossero stati inghiottiti da un trabocchetto.
L'indagine sul passato trova accresciute a dismisura le difficoltà dell’in-
dagine sul presente. Precipua tra le tante cause quella della facilità gran-
dissima di dimenticare la maggior parte delle circostanze normali vissute.
Se nella storia della vita la esperienza delle circostanze anormali attraver-
sate sì fissa nello istinto, con la costituzione di movimenti riflessi quasi
istantanei individuali, nella storia della psiche, che si sviluppa prodigiosa-
mente nelle specie sociali, il distacco dall’animalità avviene lentissimamente,
e, nell’Umanità, con la costituzione sociale di suoni e di segni, sui quali
si appoggia la facoltà della memoria organizzata attraverso un numero
stragrande di generazioni, del quale, prima del secolo XIX, l’Umanità non
aveva neanco il sospetto.
Il fascino contenuto nella concezione unitaria della creazione dal nulla,
leggenda assiro-ebraica, impediva di riconoscere che la Cronologia non è
la Storia, dapoichè la Cronologia è prodotto di civiltà e gli uomini la usa-
rono migliaia di secoli dopo che, a piccoli passi inavvertiti e dimenticati,
i loro pensatori misero in relazione il tempo con le vicende lunari e solari.
Il racconto dei casi umani —pericoli ed eroismi, gesta gloriose e vigliac-
cherie e tradimenti, passioni profonde e intense, lirismi e imprecazioni,
4 POPOLI SCOMPARSI
nenie e splendori—scritto o tradizionale, mascherava un fondo di consimili
vicende circonfuse nei nebulosi contorni di miti e di leggende
senza tempo tinte.
Quando l’Umanità, nel faticoso suo cammino, vagheggia come Progresso
la sopraelevazione della Morale e non il maggior consenso sociale umano
ai suoi precetti regolatori di convivenza, essa corre dietro a una chimera
che sconforma la realtà. Il fondo di affettività umana, sin dall’ apparire
della specie (l’ investigazione scientifica lo accerta) fu quello che è oggi,
egoistico ed altruistico insieme , ritmico, morale, amorale ed immorale, e
neanco la potenza filosofica di Platone, come le altre di Budda e di Con-
fucio, lo mutarono di un ette (1).
Figurarsi se scrittori pigmei, contemporanei a noi, che hanno proclamato
pomposamente 22 fallimento della Scienza, faranno passar per buona la loro
pretesa che il sapere dovesse rifare a nuovo la natura umana !
Il Progresso è una verità incontrastabile se lo si comprende come campo
sconfinato di adattamento umano all’Infinito, mercè la complicazione della
psiche. Sotto lo impulso ereditario ed irriducibile dei sentimenti e delle
passioni, malgrado lo scatto delle loro aberrazioni, che si ripetono gene-
razione per generazione, l’uomo si districò dalle condizioni primitive del-
l’animalità con la organizzazione del linguaggio parlato, e, dopo lunghis-
simo percorso di secoli, scritto.
Le forme di movimento, lo sappiamo appena adesso ed in modo incom-
pleto e imperfetto, non arrivano alla coscienza umana, con la medesima
velocità di onda attraverso i sensi corporei. Ci son differenze di percorso
fisiologico tra le percezioni tattili, olfattive, di gusto e le percezioni sonore
e visive, e ci son pure tra esse profonde differenze di intensità e di esten-
sione (2).
Ciò spiega perchè, nella storia degli avvenimenti umani, l’accento e il
colorito mascherano non solo tutte le percezioni che si confondono nel con-
cetto dell'utile, radicato nella coscienza per mezzo dello istinto, ma impe-
discono o rendono difficilissimo lo avvertire la lentissima e graduata costi-
tuzione dei sensi psichici (Bene, Bello, Giusto e Vero) nelle vicissitudini
di quella parte dello ambiente sociale, che è il linguaggio.
Nella vita degl’individui, come in quella degli aggregati sociali, piccoli
(1) Il corrispondente errore deriva dalla sublimazione della solidarietà umana, la quale,
invece di restringersi per mancanza di comunicazioni e di contatti ai primitivi e pic-
coli aggregati sociali, oggi si estende all’intera specie : l’Umanità.
(2) Ciò che costituisce quell’elemento variabile di percezione e di osservazione che si
chiama l’equazione personale.
IL POPOLO SICANO-SICOLO D)
o grandi che essi siano, le vibrazioni di sentimento originate dall’attraenza
o dalla repulsione (1) sono assai più rapide delle vibrazioni di coscienza
determinanti il consenso sociale. Lo scoppio di quelle, accompagnato com'è
da scintillio o bagliore, investe e sorprende la convivenza priva dell’orga-
nizzazione di nessi inibitori. Le più nobili espressioni, come la gloria, l’onore,
la fede, oppure le più brutali come la violenza e il terrore, s° imprimono
nella memoria individuale e tradizionale, con la energia di fascino o di
prestigio che accompagna le azioni non comuni o anormali.
Non avviene lo stesso nel lento acquisto delle imagini di relazione, ge-
neralizzazione e distinzione, e nelle applicazioni delle facilitazioni di mo-
vimento (2). La corrispondente invenzione, preparata da una inavvertita
elaborazione di assai intelletti non comuni di generazioni precedenti, è un
passo in avanti, una evoluzione (nei tre aspetti noti di complicazione, re-
trogradazione o stazionarietà apparente), progresso e civiltà. Queste con-
quiste, incruente nel loro diffondersi, dolorose soltanto per il logorìo psi-
chico dei loro autori e per lo strascico neurastenico nella loro discendenza,
richiedono per avverarsi tempo grandissimo , incomprensibile finchè durò
lo errore della leggenda della creazione dal nulla, che fu formola sempli-
cista delle prime ipotesi umane.
Ma in tutta la Storia dell’ Umanità, sin dal suo apparire, ciò che ha
grandissimo interesse è il determinare con approssimativa certezza il di-
stacco della specie umana dalle condizioni di vita, per dir così, semplice-
mente animali, e il modo come, qua e là, per latitudini e longitudini di-
verse, questo distacco si accentuò più o meno rapidamente col costituirsi
del capitale mentale ed economico, attraverso le fasi tipiche costanti dei
contrasti sentimentali e passionali.
Sta in ciò il segreto della Storia, custodito gelosamente dal fatto posi-
tivo e indiscutibile della dimenticanza, delle ombre e delle penombre, che
coprono le nostre azioni e le corrispondenti battaglie psicologiche che le
prepararono e le accompagnarono.
Chiunque degli umani voglia aver vaghezza di chiedere alla propria me-
moria le ricordanze di tutta la catena logica degli avvenimenti ai quali
ha preso parte, anche se dotato di memoria prodigiosa, si accorgerà di
leggieri che egli non può rivedere con la imaginazione tutte le circostanze
nei loro particolari ma solo le più salienti che lo impressionarono. E que-
ste medesime circostanze, chiare, nette, ben distinte nel loro insieme ca-
ratteristico, sono suffuse in tale indeterminatezza di contorni da lasciar
(1) Emotività.
(2) Tranne le risultanze associatrici del fenomeno di coincidenza.
6 POPOLI SCOMPARSI
luogo a varietà d’interpetrazioni. Questa condizione si accresce a dismisura
allorchè, invece d’interrogare le proprie ricordanze, si voglia rivedere con
l’imaginazione il corso degli avvenimenti contemporanei oppure quello dei
nostri genitori e progenitori. Lo stato abissale in cui si profondono i fatti
e, più che i fatti, 1 motivi ei particolari di essi, ottenebra e cancella le im-
pressioni memoriate, quasi come, nelle profondità dell'Oceano, la mancanza di
diffusione della luce impedisce di vedere il fondo del mare e le specie vi-
venti vegetali ed animali che esso contiene.
Questa similitudine, delle indagini oceonografiche e delle indagini stori-
che, giova assai per comprendere la importanza e i limiti dello ammae-
stramento della Storia, la quale non può arbitrariamente contenersi, come
altra volta supponevasi, entro i confini dei miti, delle leggende, e forsanco
delle tradizioni e dei documenti scritti. Per investigare i misteri del mare
adoperiamo la sonda e la draga che ne rivelano l’orografia e l’attività bio-
logica, ma per investigare la profondità del passato della nostra specie la
guida più sicura la ricaviamo dalle testimonianze dell’attività umana nei
periodi sino a pochi anni addietro ignorati, e dalle idee più precise che
abbiamo del tempo e dello spazio.
Indubbiamente la Storia è un campo ed un museo di esperienze fatte.
Positiva dal punto di vista che i fatti avvenuti sono immutevoli, non è
però suscettiva di sperimentazione per il giuoco del libero arbitrio, assicu-
rato dalla ignoranza delle cause e degli etfetti, e dalla varietà stragrande
dei temperamenti, dei caratteri, delle attitudini e delle tendenze.
Per i contrasti perenni tra I eredità e l’ ambiente, una legge naturale
domina i processi storici: il ritmo incessante, continuo, più o meno avver-
tito, tra l’attività funzionale degl'individui e la forza d’inerzia delle masse.
Siccome però nel movimento antropologico delle geneologie nessuno ha
saputo, né probabilmente saprà mai, prevedere dove e quando si manife-
steranno, nè con quale espressione, energie individuali, così, nei varî mo-
menti storici, non è facile nè forsanco possibile riconoscere le leggi per
le quali le conquiste psicologiche, e perciò il Progresso e la Civiltà, proce-
dono più lente o più rapide o in ordine retrogradante in questo o quel-
l’altro momento.
Ciò che però si può riconoscere è: che questa andatura ondulata, in
complicazione di cause ed effetti, è, per eccellenza, il processo delle mani-
festazioni universali del movimento , e che, nella natura di tutte le cose,
non avvengono salti nè linee diritte e rigide.
La storia della variazione delle specie, anteriore alla storia delle varia-
zioni etniche della specie umana , narra in tutte le sue fasi l'evoluzione,
sopra un fondo comune e tipico , del concorso e dell’ intreccio di cause
nuove operanti.
IL POPOLO SICANO-SICOLO 7
.Lo sviluppo prodigioso , sebbene apparentemente lento attraverso mi-
gliaja di secoli, della psiche umana, per virtù di convivenza in aggregati
radi e piccoli, che, si fecero gradatamente densi e grossi, per vicende cli-
matiche ed economiche e per fatti d’industria , di commerci e di guerra,
addimostra che sul fondo primitivo £ comune. persistente dei canti gio-
condi e lieti dell’ amore o delle nenie tristi del dolore, s’innesta, più o
meno coltivato e ricco di frutta, il ramo delle generalizzazioni e delle idee
astratte, materiate in suoni sillabici e poi in segni grafici, che permettono
la sopraelevazione continua e indefinita delle costruzioni ideologiche.
Generazione per generazione l’uomo di tutte le latitudini e longitudini,
e poi di tutte le altitudini alle quali sì adatta, sente le strette o il rigoglio
delle esigenze fisiologiche e l’attraenza più o meno squisita degli splendori
e dell’ armonia delle forme, ma la causa sostanziale delle sue variazioni
civili sta nello accumolo di una ricchezza mentale , che facilita e tra-
sforma continuamente la sua attività conquistatrice sulle forze della natura.
Nel movimento accelerato moderno, dovuto principalmente alla compe-
netrazione maggiore vicendevole tra le varietà umane, non scompajono, e
probabilmente non scompariranno mai, le cause accascianti o deprimenti
della salute e della vita, ma i loro effetti si renderanno meno sensibili
per l'aumento delle correnti di pensiero e d’idealità.
L'attività scientifica quindi—che si svolge sempre più nello indirizzo di
ricavare dalla vasta analisi degli avvenimenti storici naturali ed umani,
le poderose visioni sintetiche delle leggi che governano le varie organiz-
zazioni sociali — è condotta ad applicare le affermazioni dell’ Energetica
alla interpretazione dei fatti di qualsiasi tempo e di qualsiasi luogo.
Nei contrasti pacifici o violenti tra i varî aggregati sociali, l'egemonia
o il predominio di un aggregato sull’altro raramente diviene annullamento
antropologico o linguistico, ma, per lo più, fondendo nelle generazioni ele-
menti disparati, dà luogo a trasformazioni di fisonomie e di tipi, deter-
minate dalla vittoria di superiorità psichiche dovute a sopraelevazioni rag-
giunte in seno dei varî aggregati in contrasto.
Come, nelle esplorazioni sotterranee delle ricerche minerarie, cessa a un
tratto il giacimento metallico o metalloide che si coltivava, e permette la
classificazione in filoni, ammassi o lenti, isolati nelle originarie infiltrazioni
o nei depositi in depressione e spezzati in seguito per faglie e scontorci-
menti, così pure è accaduto nel corso delle vicende umane.
Le differenze grandissime appariscenti tra le razze e varietà umane, e
8 POPOLI SCOMPARSI
determinate dal clima e dalla topografia, e dalla flora e dalla fauna, coi
quali è in contatto qualsiasi aggregato sociale, sono oggi assai più com-
prensibili di una volta, poichè, dietro il sipario gigantesco della elabora-
zione mentale della civiltà romana, ellenica ed ebraica, si vengono lumeg-
giando le civiltà anteriori: assira ed egizia, e quelle dell’Iran e del Turan,
dell'India e della. Cina, e le altre ancor più remote, che, il primo senti-
mento di sorpresa e di meraviglia, alcune diecine di anni fa, chiamò im-
propriamente prezstoriche, quasi che l’antichità dell’apparizione della specie
umana e le fortunose vicende della sua disseminazione su tutta la super-
ficie della Terra, per simgolare attitudine allo adattamento , potessero se-
pararsi e distinguersi dal periodo, imprecisato e indefinito cronologica-
mente, dei documenti grafici.
Come anche oggi avviene nelle contrade poco esplorate e perciò estranee
al movimento di onda delle popolazioni, ci furono periodi lunghissimi nei
quali fu elementare e scarsissimo il patrimonio mentale, e la vita delle
società umane non lasciò traccia di se che nei residui o rifiuti delle ali-
mentazioni, nei ricoveri degli abitati e nei prodotti delle industrie pri-
mitive.
Il correlativo accertamento scientifico lo abbiamo dagli studî specializ-
zati di Linguistica e di Antropologia, che ci hanno permesso di ricono-
scere gli effetti della legge sociologica per la quale: gli aggregati sociali
che prima occuparono una contrada e ci si adattarono—e che si chiama-
rono aborigeni od autoctoni—acquistarono caratteristiche condizioni di re-
sistenza organica alle innovazioni foniche e fisiologiche, ed alle influenze
patogeniche del proprio ambiente (immunità organica).
Nelle ignorate vicissitudini di migliaja di secoli, i gruppi sociali, isolati
dalle distanze, non ebbero e non si diedero un nome, perchè mancò l’ec-
citazione necessaria a costituire 1’ imagine della convivenza. Perchè una
banda, un’orda, e, in prosieguo di tempo, un clan e una tribù , avessero
un nome fu necessario avvenisse contatto pacifico o violento tra gruppi
diversificati.
La lotta vitale per l’esistenza, allorchè, per progresso civile, prende lo
aspetto di concorrenza e contrasto tra gruppi sociali, assicura la preva-
lenza psicologica al gruppo più forte mentalmente per ricchezza d’imagini,
dovuta a esperienze meglio avvertite, ed il suo nome si estende ai gruppi
più omogenei per consanguineità vicina o di poco remota.
IL POPOLO SICANO-SICOLO 9
Non ci è dato però, per difetto di documentazione, di seguir passo passo
lo avverarsi della sparizione di alcuni dei gruppi speciali primitivi.
Ci è più agevole invece togliere ad esame le ragioni per le quali, nei
ricordi graficamente documentati , si fa il silenzio e il mistero attorno a
popolazioni le quali riempirono con le loro gesta l’ attenzione del mondo
conosciuto.
I tipi classici di questo fenomeno sono :
a) GlIttiti (o Kittei) e i Fenici.
Degl’'Ittiti si parla nel vecchio Testamento. Se ne è tornato a parlare
recentemente nei tentativi fatti per lumeggiare la storia dell'alfabeto. Dove
sono adesso gl'Ittiti ?
5) L'Africa australe.
Qui non abbiamo ricordo di nome. Non abbiamo che rovine di monu-
menti colossali, a 3300 piedi sul livello del mare, nella regione del Ma-
scionaland, centro di una coltivazione mineraria che esauri il suo ciclo so-
ciale , senza influenzare la vita di popolazioni indigene sopravvissute, e
che. se furono in contatto col popolo che la tradizione ancor vivente tra
i Mascioni dice bianco di pelle, non appresero i metodi industriali, la
lingua, nè la virtù organizzatrice di quella civiltà scomparsa che lasciò,
sola orma di se, fortezze, che sono nello stesso tempo, tempî e palazzi, e
custodia dei tesori auriferi strappati alle viscere della terra.
Il primo che ne parlò (1), il portoghese de Barros nella prima metà
del secolo XVI, e per relazioni probabilmente avute con viaggiatori arabi,
scrisse che gli indigeni chiamavano questi edifici Zimbaoé , che per essi
equivaleva a residenza regale. E avvertiva che Tolomeo avea dato all’ A-
frica australe il nome di Agiz4mba, forse, più che semplice coincidenza fo-
nica, ricordo che l’antichità classica avea sentito l’eco lontana che sì riat-
taccava a siffatti monumenti misteriosi (2) di un popolo sin da allora
scomparso e del quale non si hanno più traccie.
(1) Da un articolo di TH. HoLLeR: Zoro pe BarRr9s, Asia Portughese, 1% decade,
I VIIRGINE
(2) Il nome con il quale sono oggi indicati dagli indigeni è: Zimbabié ; vagamente
se ne avea notizia, nei racconti per informazioni raccolte da Tzomas BayxEs, IogN Swix-
BURN, Burton e LivinesTONE, con precisione nella relazione entusiastica del mineralogo
Carro Mauck nel 1871, e assai di più nella publicazione: The ruined cities of Masho-
noland, Londra 1893, di TAkonore Bent. La descrizione di queste rovine architettoniche
diè fondamento alla ipotesi che i loro costruttori possedevano una organizzazione reli-
9,
10 POPOLI SCOMPARSI
c) Qualche cosa di simile rivelano le ruine monumentali in alcune
contrade dell’India e della penisola Maja nell’America centrale (queste forse
più recenti delle ruine indiane posteriori in data alle africane). Anche in
esse, come nell'Africa Australe, la flora tropicale, invadente le rovine e i
ruderi, ha contribuito potentemente a conservarli come documenti storici
di vita sociale.
Ignoriamo completamente le sorti de’ popoli che abbandonarono le città
distrutte, e nascoste adesso dalle foreste e dalle liane.
ad) I Tasmaniani.
L'ultimo degli abitanti trovati nella Terra di Van Diemen è morto verso
la metà del secolo XIX. Se potesse, al concetto di varietà etnica umana,
estendersi la imagine di specie, potremmo dire che ci troviamo in pre-
senza di una specie estinta. Nulla, antropologicamente, sopravvive di
quella razza.
e) I mounts della immensa vallata del Mississipi.
Alla parola mounts gli Americani moderni hanno sovrapposto il signi-
ficato della imagine di quelle colline alle quali popoli scomparsi diedero
forme animali gigantesche e che contengono tombe e vestigia di civiltà
e di condizioni agricole vissute, là dove sopravvenne non solo il silenzio
ma la scomparsa misteriosa dell’ agricoltura, poi che le popolazioni occu-
panti il territorio, all’epoca della colonizzazione europea, erano nomadi e
dedite alla caccia (1).
Le vestigia imponenti di una convivenza civile sono rimaste. Ci man-
cano i mezzi per constatare l'elemento etnico che le fabbricò; è evidente
la rivelazione che-gli aggregati umani che vissero attorno ad esse, aveano
giosa animata dal simbolo solare, e perciò trovavansi aver raggiunto uno stato di ci-
viltà assai avanzato.
È però da avvertire che recentemente l'archeologo Randall-Maciver nel suo libro Me-
dieval Rhodesia, eseguendo una missione affidatagli dalla Società inglese per il progresso
della scienza, ha ricondotto queste costruzioni a tempi posteriori all’XI secolo e ad un
popolo indigeno e barbaro.
(1) Appartengono pure a questo tipo (mounts) sebbene dinotano una civiltà più avan-
zata per l’uso murario della pietra:
Le mura ciclopiche (in Grecia; nelle isole di Pantelleria e di Lumpedusa col nome
di sesì);
I Nuraghi o Nur-aghe in Sardegna;
Le Sperchie o i trulli in Terra d’Otranto;
I Beehive-houses in Irlanda;
I Bothan nelle isole Ebridi;
I Castellieri in Istria;
Talayoti nelle Baleari.
- IL POPOLO SICANO-SICOLO 11
gia una economia da proteggere insieme alla propria esistenza, e che
perciò si era già costituito l’organismo politico della difesa contro possi-
bili offese di altri aggregati sociali.
La scienza che studia il fenomeno sociale deve seguire passo passo, sin
dalle sue origini, i fatti relativi alle convivenze umane. Sotto questo aspetto
ci è lecito affermare che essa sia scienza positiva e sperimentale. Senonchè,
la sperimentazione non potendo mai essere volontaria, perchè non può ri-
fare gli avvenimenti nè le condizioni loro, essa può lavorare efficacemente
soltanto sopra le esperienze, cioè sul passato, il quale, con imagine vivace,
possiamo rassomigliare ai pozzi e ai sotterranei delle miniere nei quali
quanto più cresce la profondità tanto più diminuisce la possibilità della
penetrazione della luce, anche se artificialmente prodotta dall’ uomo. Ag-
giungi, nel servirci della imagine di relazione, che le manifestazioni del-
l’attività umana — dal momento in cui essa cominciò a distaccarsi dalle con-
dizioni puramente animali della ricerca di cibo, e dalla conseguente ri-
cerca sessuale e di ricovero —si complicarono sempre per una evoluzione
psicologica la quale si annida nei documenti materiati delle varie convi-
venze umane e per un corso finora insospettato di generazioni. Ora è
questo appunto , della entrata in azione dell’elemento psicologico che si
combina col fisiologico, ciò che dà alla scienza sociale il carattere induttivo
e sintetico, che la conduce a vivificare le risultanze storiche dei fatti po-
sitivi, che, con laboriosità crescente, e con critica rigorosa, e prudente
riserva di facili generalizzazioni, vengono continuamente in luce.
Qualsiasi documento umano, e specialmente l’archeologico e l’altro che
si trova depositato nelle stratificazioni geologiche del periodo quaternario
e forse del pleistocene, non è più, come gli altri fenomeni anteriori della
storia naturale, un argomento di prova di semplici condizioni di esistenza
zoologica, ma costringe a indagare con la massima approssimazione pos-
sibile, lo stato d’animo e degli scambî mentali di ognuno degli stati so-
ciali che legittimamente possono attribuirsi a un determinato periodo preso
nel suo insieme.
Risalendo dal noto all’ignoto, riesce di grandissimo vantaggio la com-
parazione tra le condizioni delle società più evolute in civiltà , cioè in
azione di adattamento all’Umanità delle cose e della energia in esse con-
tenute, con le condizioni delle società meno progredite, col racconto vivo
del passato che ci rivelano i nostri bambini, con lo stato mentale delle
2, POPOLI SCOMPARSI
stratificazioni inferiori esistenti nelle nostre società contemporanee ci-
vili (1).
Da queste considerazioni generali ritornando all’argomento che trattiamo,
e allo stato attuale delle cognizioni umane, siamo in grado di affermare
che il fenomeno storico della scomparsa di popoli si può attribuire nelle
sue cause a tre grandi categorie :
a) Scomparsa del nome;
5) Scomparsa dell’autonomia politica per fusione antropologica e sociale:
c) Scomparsa per cause naturali: climatiche, economiche e patologiche.
A) Nella evoluzione civile di tutte le genti umane ci è sempre un mo-
mento storico in cui, l’aggregato sociale numericamente limitato, viene in
contatto con un altro aggregato scarso, anche per mezzo di qualcuno
degli appartenenti all’aggregato. Il caso nuovo, origina una imagine, e un
fenomeno di coscienza, che si precisa nella formazione di uno speciale
suono articolato, che diviene un nome. Generalmente parlando, il fenomeno
linguistico della creazione della parola è fenomeno di vita. Nasce, si svi-
luppa tenace più o meno, si deforma o si complica, deperisce, muore.
Tra i due aggregati in contatto apparisce, per quanto embrionale , la
coscienza sociale della propria compagine in relazione a un’ altra compa-
gine prima ignorata. Questa relazione, governata dal ritmo occasionale di
simpatia di congenere e di occasionali antipatie, dà origine ad attraenza
sessuale, a scambio d’imagini ed a scambio di prodotti, motivi d’'intreccio
di condizioni, differenziate più o meno : fisiologiche, psicologiche ed econo-
miche insieme. La banda si trasforma in orda, e questa si riorganizza,
attorno ai suoi individui meglio dotati, in clans e in tribù. Ognuna di
queste aggregazioni anch’essa prende o riceve un nome.
Sotto un certo punto di vista si può ben dire che la storia della civiltà
umana s’inizia ed evolve sulla costruzione dei nomi e del riflesso del movi-
mento: ciò che grammaticalmente chiamiamo sostantivo e verbo, statica e
(1) È questo uno dei capitoli più importanti degli studî di sociologia.
Giova però avvertire che la grande massa umana, sul fondo comune della vita emo-
tiva e passionale, svolge principalmente la propria attenzione sulle relazioni personali
di sentimento-pensiero e d’interessi-pensiero. Da ciò la facilità grandissima dello sper-
pero di forze nella chiacchiera, nel pettegolezzo—occuparsi dei fatti e delle azioni della
gente. Da ciò la lentezza relativa della penetrazione sociale delle idee astratte e della
rapidità relativa dello apprendimento delle loro applicazioni, che chiamiamo praticità
di vivere.
IL POPOLO SICANO-SICOLO 3
dinamica del linguaggio. Su questa base sicura è avvenuta la grande compli-
cazione delle imagini di relazione qualitative e quantitative, concernenti
le persone e le cose.
Questo è il fenomeno generale, ossia sociale: visto nel suo insieme. E
siccome, nella realtà delle cose, esso è il prodotto mentale di un individuo
adatto che lo trasmette immediatamente alla propria convivenza, questa,
adattandosi a farne uso e, apprendendolo, se ne avvale inconscientemente
per plasmare l’anima delle generazioni sopravvegnenti. In tal modo, invece
della precedente organizzazione bio-psicologica nello istinto, si realizza
nella specie umana la organizzazione della obbiettivazione delle imagini
nella parola parlata e poi scritta. Questa formazione o creazione continua
ed incessante è, quasi contemporaneamente, individuale e sociale, e perciò
diviene, diversamente dallo istinto, ambiente sociale, dotato della singo-
lare energia di radiare sul presente e sull’avvenire.
Il paragone col fatto positivo attuale della scoperta dei raggi X, del
polonio e del radio, cade opportuno.
Con generale sorpresa, perchè sconvolge completamente le nostre cogni-
zioni sulle proprietà della materia, che sarebbe meglio dire sulla realtà
delle cose, la scoperta del radio ci mette in presenza di un elemento com-
misto intimamente con la sostanza di altri elementi e difficile a separare
e ad isolare da essi, che emana luce e calore senza nulla perdere, a quanto
sembra, del proprio volume e del proprio peso.
Non altrimenti avviene con l’obbiettivazione d’imagini nella parola par-
lata o scritta, mezzo sociale acquistato ed accresciuto di continuo attra-
verso stenti infiniti da un numero sterminato di umane generazioni. Li-
solamento e la precisione della sua virtù radiante, fanno sì che questa
virtù, eminentemente diffusiva, nulla perde della propria efficacia per il
sopravvenire di onde di popolazioni contemporanee o future. Insegnata la
sua tecnica, ossia aculta la facoltà visiva del suo significato, la sua forma
materiata, o, con altro modo di esprimerci, la sua statica si trasforma in
dinamica, cioè, in eccitazione di movimento emotivo e intellettuale, in
fenomeno di coscienza individuale e sociale.
Ora, per tornare al nostro argomento, il nome che riceve o che assume
un aggregato sociale primitivo che viene a contatto con altro aggregato,
ha in se il carattere precario e transitorio della propria convivenza e sot-
tostà alle vicissitudini e perciò alle condizioni storiche della stessa. Nella
lotta per la vita, per lo più pacifica, tra i varî aggregati sociali ancor
poveri di obbiettivazioni d’imagini, si avvera anche la lotta psicologica
tra i loro nomi. La ineguaglianza naturale delle loro dotazioni di energia,
dà egemonia o prevalenza all’aggregato meglio dotato. Il nome di uno
14 POPOLI SCOMPARSI
degli aggregati scompare, attratto come è od assorbito da un nome che
significa energia maggiore o facilitazione di movimento.
B) Da questo primo caso a carattere spiccato psicologico, possiamo,
nella storia della civiltà, passare all’altro della entrata in azione dell’ ele-
mento politico nella forma primitiva di forza militare organizzata per fini
già prevedibili o preveduti della offesa o della difesa. La compagine so-
ciale, in tal caso, ha cessato di esser sentita soltanto nel fatto del convi-
vere. Sotto la pressione del pericolo , o sotto 1 altra delle cupidigie vio-
lenti, si è manifestato il fenomeno corrispondente della maggiore adesione
degli elementi sociali, e perciò della disciplina di essi attorno a un Capo
e a gerarchie che ne organizzano o ne dirigono le azioni. Sul fatto quasi
inorganico ed amorfo del convivere, cominciano a rivelarsi le tendenze
sociali all’organizzazione politica. Al sentimento vago e confuso del fatto
del convivere succede il sentimento sempre più chiaro, della lenta forma-
zione di un organismo vero e proprio che, per il nome che assume o riceve
di clan, tribù, e poi civitas e Stato, si distacca, come imagine, dal fatto
sociale di massa e si precisa nei suoi contorni, in quell’associazione d’ima-
gini che i popoli civili chiamano autonomia.
Il vincolo sociale di una convivenza organizzata a imprese di caccia e
di guerra, dal fatto necessario (incosciente che diviene cosciente) di disci-
plina, trasformò lo stato sociale di banda e di orda e lo fece divenire clan
prima, tribù poi.
La loro autonomia però essendo un carattere secondario acquisito — il
politico — sottostà a quelle vicende di lotta politica, che, per molti pensa-
tori, e per tanto tempo e con sopravvivenza avvertibili, furono credute il
fondo o il canevaccio della storia. Perlochè, in relazione alle circostanze,
può durare e può anche scomparire.
Il giorno in cui un'autonomia politica scompare si è avverata già una
azione politica e militare che ha soffocato nella dimenticanza il nome. Ed
è sembrato che col nome sia stato annullato il popolo che lo possedeva e
siasi distrutta la sua stirpe.
Se questa è la parvenza tutt’ altra è la realtà. Nel corso suo vitale
l’uomo, meno come individuo e più come convivenza sociale, dimentica
assai più cose di quello che impari. Nella catena genealogica, invece, la
successione è ininterrotta , malgrado le parziali lacune delle morti senza
discendenza. Qualsiasi entrata di un elemento qualitativo diverso nello
incrocio delle geneologie animali non si sperde più, e, in proporzione della
sua quantità iniziale, riapparisce in quel fenomeno che si chiama ritorno
atavico, che eccita le cure eliminatrici degli allevatori e dei giardinieri,
ma sul quale si arresta l’ attività umana, che non può esercitare facoltà
eliminatrici incapaci di acquistare carattere giuridico.
IL POPOLO SICANO-SICOLO 15
Allorchè gli studî antropologici saranno progrediti così da vivificare e
condurre a nuove e precise classificazioni le tabelle statistiche demogra-
- fiche, la scienza avrà il mezzo di constatare la sopravvivenza e le quan-
tità d’inerocio dei varî elementi etnici penetrati in epoche più o meno
remote in una massa sociale.
Ed allora si saprà dove sono i Kittei, i Fenici, i Goti, i Vandali, che
lampeggiarono sul fondo annuvolato della nostra atmosfera storica.
C) Ha però carattere di vera sparizione di popoli quella che è stata
cagionata dalla soccombenza nella lotta vitale contro le circostanze am-
bientali della flora e della fauna. L'organismo vegetale è intimamente
collegato, oltre che al suolo che gli fornisce gli elementi nutritivi, alla
gamma climatica (temperatura e umidità). Se le variazioni di questa gamma
sono in eccesso nei minimi o massimi precedenti, le condizioni di accu-
molo ereditario, e perciò di resistenza, trovandosi impari al bisogno dinanzi
alla variazione improvvisa o brusca, soccombono, mancando loro, forse,
il tempo necessario allo adattamento —la specie scompare. Così anche av-
viene per le specie animali alle prese, per necessità alimentare, con l’am-
biente vegetale od animale. La sparizione del pasto abituale; o la soprav-
vegnenza di nuova alimentazione contenente particelle fisico-chimiche dan-
nose alla propria organizzazione; oppure il contatto con specie o varietà
nuove apportanti colture microbiche patogeniche contro le quali queste
hanno acquistato per adattamento una relativa immunità , fa avverare le
condizioni storiche che chiamiamo : deficienza alimentare, avvelenamento
alcoolico, epidemie o endemie diffuse. La mortalità grandissima e rapida,
prima negli infanti e nei vecchi, e in prosieguo negli adulti; la natalità
diminuita, alterano profondamente lo stato demografico sino a distruggere
completamente la varietà etnica impreparata alla resistenza. L’esempio dei
Tasmaniani a questo riguardo è luminoso.
Nell’ evo remoto la disseminazione della specie umana, dovuta alla
energia espansiva dei gruppi sociali, contribuì potentemente a distanzarli
e, nello isolamento dell’ abitato nuovo, ad imprimer loro differenziazioni
fisiologiche ed anatomiche, per le quali furono rese immuni o predisposte
a tutto quel gruppo di malattie, che soltanto adesso sappiamo derivare
dall’attività per noi morbosa di assai microrganismi.
Sotto questo aspetto la certezza scientifica è stata raggiunta, e non si
annoverano più tra i castighi di Dio le virulenze delle invasioni microbiche
che, per le grandi e frequentate vie di comunicazioni mondiali, hanno
tratto tratto infestato, atterrito e distrutto assai convivenze umane.
L'uomo civile moderno si difende con intelligenti barriere sanitarie, con
la ricerca del microrganismo patogenico e delle sue condizioni vitali, con
16 POPOLI SCOMPARSI
la profilassi e l’igiene— quando il fatalismo orientale ancora fa accasciare
altre razze innanzi alla inesorabilità del destino.
Ma così, per mancanza di cognizione, non poteva farsi dall'uomo quanto
più si risale col pensiero il suo lungo, stentato e faticoso processo storico.
Contro la tisi e la tubercolosi, contro gli avvelenamenti alcoolici favoriti
dal piacere dell’ebbrezza, contro la disciplina delle abitudini sedentarie, i Ta-
smaniani rapidamente e totalmente , le Pelli rosse più lentamente e par-
zialmente, spariscono (1), lasciando grandi lacune nella storia dell'Umanità,
che non saranno mai più riempite, quasi fossero salti o spezzature, appa-
renti e non reali, nella catena delle esistenze umane. Tolto a questo esempio
il fattore alcool, che è moderno, le altre cennate cause di sparizione com-
pleta, è assai probabile, dovettero avverarsi nel remoto passato, e. allo stato
attuale delle conoscenze umane, si presentano alla nostra intelligenza come
la soluzione dell’intricato problema.
IL
Non appartiene però a queste categorie di popoli scomparsi o dimen-
ticati il popolo sicano-sicolo, del quale Omero e gli scrittori greci s’intrat-
tennero, nei vaghi ricordi di leggende e di miti, che dimostrano, nel primo
loro apparir letterario , la mancanza di contatti marittimi diretti, quasi
eco affievolita di qualche rara impresa cipriota o cretese, o della vaga pe-
netrazione del segreto che i Fenici mantenevano intorno alle loro colonie
dell’Occidente del Mediterraneo.
Per l'isola maggiore di questo mare, felicemente situata tra le correnti
di scambio con la costa africana, e come punto di espansione e di approdo
per l'Occidente e l'Oriente del vasto bacino marittimo, si è avverato quel
fenomeno di allucinazione visiva, che, per cause varie, altera i contorni e
le sembianze delle cose. Grandissima analogia ci è tra il fenomeno storico
del miraggio orientale delle relazioni etniche eurasiane contro il quale si
è ribellata la critica storica moderna, e l’altro fenomeno storico dello studio
delle popolazioni sicano-sicole attraverso il materiale letterario raccolto
dagli scrittori greci. Senonchè , come dietro il sipario delle vicende dei
Celti e degli Arii vennero in luce, per le scoperte da sessant'anni in qua,
stati di civiltà anteriori, che impropriamente furon dette preistoriche quasi
che la Storia dell Umanità avesse una Cronologia sicura, come narrava
il Libro moderno della Genesi, e non si riattaccasse indissolubilmente alla
zoologia, alla paleontologia, alla geologia — semplice episodio della storia
(1) E così anche altre popolazioni delle isole del Pacifico.
TL POPOLO SICANO-SICOLO IDA
della Terra e dell'Universo — così pure per la Storia delle popolazioni si-
cane, dietro il sipario greco è stata, da un trentennio appena, messa in
luce una civiltà ignorata.
I pochi geroglifici della stele egiziana scoperta dall'attività archeologica
di Maspero, continuatore dell’operosità di Mariette, e che io in copia in-
grandita (1) sottopongo alla vostra attenzione, narrano, con la pomposità
solita alle Monarchie orientali, la vittoria riportata, sui Libî alleati con altre
popolazioni ai Sardi e ai Sicoli, dal Faraone Thoutmes II (Miframutosi).
E questi due ultimi popoli sono indicati provenienti su navi.
In una nota di Vittorio Spinazzola, letta all'Accademia Reale di Napoli
nella tornata del 10 giugno 1902 (2), col titolo: Di aleune antichità sarde,
trovansi armonizzate le risultanze degli scavi fattisi dalla metà del se-
colo XIX in Sardegna con l'affermazione storica che è venuta fuori dalla
scoperta più recente, di questa stele egiziana che risale all'anno 1625 a. C.
Forse, a mio modo di vedere , lo Spinazzola fu timido (e forse per la
influenza delle idee dominanti la nostra prima abitudine di pensare) nel
fissare la data dei monumenti archeologici sardi tra il XIII al VII secolo
a. C., quando invece la data della stele induce a ricondurre la fiorente
età del bronzo in Sardegna prima del XVII secolo.
Lo stesso può indursi per la corrispondente civiltà sicano-sicola.
Oggi, che la influenza di relazioni tra l'Egitto, l'Asia Minore, la Grecia,
e le isole di Sicilia e Sardegna non è più un mistero , il quesito storico
che si presenta all’ attenzione dello studioso è questo : È evidente che la
base di esse relazioni fu marittima —espansione commerciale e politica — ma
l'Egitto non fu mai, e principalmente nella durata delle sue prime dinastie
di Faraoni, una potenza marinara. Glielo vietava la sua posizione geogra-
fica, dominata da un mare interno e dall’estuario del Nilo, che ritardò la
trasformazione sociologica della pagaia in remo (3). Sembra invece che
(1) E ne ringrazio pubblicamente il signor Francesco Lionti.
(2) Società Reale di Napoli. Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di
Archeologia, lettere e belle arti. Nuova Serie. Anno XVI, maggio a dicembre 1902,
pagg. 217 a 834.
(3) Cfr. gli studî sulla marina degli antichi fatti dell’ ammiraglio IuRIEN DE LA GRA-
VIÈRE.
La eccitazione sociale che viene dall'ambiente fluviale o da mari interni poco vasti,
è meno vivace dell’altra del mare che apparisce come imagine di cosa che non abbia
confini. Nella corrispondente tempra di temperamenti e di caratteri—lentamente fornita
3
18 POPOLI SCOMPARSI
le popolazioni costiere dell'Asia Minore e del mare Egéo, come quelle di
Sicilia e di Sardegna, siansi lentamente adusate ad allenare la loro energia
sul mare (per un processo storico forse indipendente ma simile) sia nel
bacino orientale che nell’ occidentale del Mediterraneo. È assai probabile
che scorrerie e commerci partissero verso l'Egitto, anzichè dall'Egitto verso
l’Asia Minore e VEgéo, oppure verso Sicilia e Sardegna , assai distanti,
mentre queste, per affinità etnica e per prossimità marittima e facilità di
correnti (e poi di venti dominanti riconosciuti per esperienza), ebbero con-
tinuità di relazione coi Libî. Confermerebbero questa induzione i mo-
numenti egizî, che mettono in evidenza i prigionieri fatti sulle popolazioni
costiere del mare Mediterraneo designate con nomi scomparsi, e che, in
un periodo storico di avventure, è probabile dovettero essere attaccanti
più che attaccate, e perciò in inferiorità numerica come combattenti.
Nel processo storico dell’evoluzione psicologico-sociale umana, le imagini
concrete precedono di molto le imagini astratte. L'Impero Egizio, attratto
dall’immediato , svolse la sua operosità sociale-politica al mezzogiorno e
all’oriente , dove la sua situazione continentale la facilitava per terreni
pianeggianti. Non si spinse mai oltre la catena libica che gli nascondeva
i tramonti del Dio solare (1). Invece, per le popolazioni costiere del Me-
diterraneo, il mare fu il campo naturale dell’energia espansiva sociale, con
le audacie che questa suggerisce. Quando, all’ epoca neolitica , succedette
l’eneolitica per la comparsa del bronzo, questo non fu in Sicilia e Sar-
degna prodotto territoriale (2), ma prodotto d° importazione e perciò di
commerci o di bottino di guerra. Per la potenza suggestiva del contatto
col fatto nuovo — bronzo — assai più utile dell’arme e dello strumento di
pietra levigata, esso divenne l’imagme di metallo prezioso, oggetto di de-
siderî, di cupidigie, che poi, nei secoli posteriori, portò a violare le tombe,
vincendo financo le già inveterate credenze sul culto dei morti. Le sco-
perte archeologiche seguitesi in Sardegna da più di mezzo secolo, e quelle
che, con geniale evoluzione di singolari attitudini e scrupolosa applicazione
di metodi scientifici, ha iniziato , con mezzi assai limitati, il Prof. Paolo
dalle imagini dei pericoli che si sperimentano e che, rimanendo nel cervello con la
memoria, dànno luogo a fenomeni di coscienza accumolati o concentrati nelle genera-
zioni e nei racconti di vita vissuta — le popolazioni che si organizzano politicamente,
cioè con formazioni di gerarchie e con propositi espansivi, nel mare, hanno nella loro
compagine sociale elementi più avventurosi e audaci di quello che siano gli altri,
delle compagini sociali viventi in un vasto territorio continentale che abbia poca zona
marittima. |
(1) Cfr. il Libro dei motti.
(2) Per la mancanza dello stagno necessario alla lega col rame.
IL POPOLO SICANO-SICOLO 19
Orsi a Siracusa (1) nel campo inesplorato delle terre siciliane, lumeggiano
una civiltà fino a pochi anni fa ignorata , e che è anteriore alla premi-
cenica, scoperta dallo Schliemann e che scombussolò tutta l'archeologia
classica.
La stele egiziana del 1625 (2) a. C. irradia questa civiltà di luce nuova.
Come ebbi già ad osservare qualche anno fa, a proposito di questa breve
enunciazione di una vittoria riportata da un Faraone sui Libî alleati ai
Sicoli e ai Sardi, lo studioso trovasi in presenza di un atto politico-mili-
taro federativo , accompagnato dal trasporto marittimo di guerrieri, par-
titi dalle due maggiori isole del Mediterraneo verso le sponde libiche.
Ora è assai probabile che in Sicilia come in Sardegna, debbano esistere,
in tombe inesplorate ancora, assai più documenti storici di quelli finora
raccolti, per l’operosità intelligente di pensatore, nel Museo di Siracusa (3).
Tutti sanno, o dovrebbero sapere, che ci fu un lunghissimo stato sociale
di civiltà umana, in tutto il mondo, in cui l’ armamento guerresco e in-
dustriale dell'Umanità si esplicò sul proprio ambiente petrografico. È prova
evidente di questo fatto la scoperta continua che si fa di armi o stru-
menti apparecchiati sui materiali geologici delle proprie contrade. Questi
materiali sono: per lo più la selce, la giada , il basalto e Vossidiana (4).
In Sicilia, finora, l’ossidiana si è trovata soltanto a Pantelleria (Cossyra)
e nel gruppo delle isole Eolie. Nel Museo di Siracusa, per tombe esplo-
rate dal Prof. Orsi e che risalgono al periodo Sicano —e forse quando an-
cora non erano sopravvenuti il fatto e la dizione di Sicoli—sonosi ritro-
vati armi e strumenti di ossidiana di epoca paleolitica. È perciò da pre-
sumere che sin da quell'epoca remota c’era una navigazione che permet-
teva gli scambî tra il territorio di Siracusa e quello , assai distante per
allora, di Pantelleria e Lipari.
Ora il quesito storico che s'impone agli studiosi è questo: C’era tra i
Sicani, come tra i Sardi è stato acclarato, uno speciale allenamento mili-
tare nelle due divisioni combattenti di lancia, spada e pugnale, e arcieri ?
(1) In quel Museo nazionale che, per lo indirizzo moderno ricevuto, può a buon di-
ritto considerarsi come una sua creazione.
(2) Cfr. il mio studio su Le forme di Governo e la loro evoluzione popolare. Palermo,
1900, vol. 2°, pag. 230, e la monografia La Sicilia, elemento di civiltà italiana, nell’Ar-
chivio storico siciliano 1901.
(3) Degli altri Musei di Sicilia grandi o piccoli, non è ancora il caso di parlare, man-
cando ancora in essi lo spirito di ricerca, di classificazione e di diffusione scientifica.
(4) Di giada e di basalto trovasi nel Museo geologico e nel Museo nazionale di P a-
lermo qualche campione dell’epoca neolitica. I campioni di ossidiana sono assai più
antichi.
20 POPOLI SCOMPARSI
Che nello stato sociale dell’età del bronzo, quando si maturò 1’ alta con-
cezione di una guerra federata, di popolazioni familiarizzate col mare,
contro il più potente organismo politico di quel tempo, è cosa assai pro-
babile. Ma precedentemente, nelle età, neolitica e paleolitica, una simile
preparazione a quali avvenimenti diè luogo ?
È prudenza aspettare il responso delle rivelazioni archeologiche.
Per il sociologo però rimane aperto il campo delle investigazioni. Non
ci sono , nella Storia dell’ Umanità, imprese di guerra, anche allo stato
primitivo di razzia, che si spingano sull’ignoto. Perchè avvenga tra due
gruppi sociali, piccoli o grossi, un urto violento, è di mestieri sian prece-
duti un contatto e una cognizione, e perciò una organizzazione scientifica.
Sia per terra che per mare, qualsiasi spedizione in contrada distante dal
proprio abitato, è preceduta dal fatto, casuale nei periodi primitivi e pre-
meditato (psicologico) nella susseguente evoluzione civile, di uno (o pochi
individui) di un aggregato sociale che, per vaghezza di avventure od anche
per semplice azzardo, siasi spinto al di là del territorio solitamente sbattuto
e vi abbia trovato un aggregato sociale sconosciuto, e sia tornato tra i
suoi a darne contezza, infiammando la loro imaginazione col racconto delle
differenze con lo stato sociale proprio che lo colpirono, e destando l’amor
del nuovo o il desiderio di cose che la fantasia riveste spesso di forme
assai più seducenti del vero.
Per il sociologo — che sfugge le astruserie metafisiche che distraggono
dallo esame attento della realtà delle cose, che conduce alla lenta e così
stentata cognizione delle cause dei fenomeni della Natura — l'esempio di
Cristoforo Colombo e l’ altro più recente dei celebrati esploratori dell’ A-
frica, è radioso per rifare la storia dell’ Umanità primitiva, malgrado la
enorme differenza che qualifica il moderno movimento pensato e volontario
e lo distingue dai primitivi movimenti accidentali e involontari, che, assai
lentamente, divennero organizzazioni psicologiche e sociali. Per quanto scarso
e debole, sin dall’ età paleolitica — e le prove archeologiche oramai sono
evidenti —il distacco insensibile dalle condizioni di vita delle altre specie
animali, gli aggregati sociali umani aveano iniziato la evoluzione civile
della loro espansione (commerciale per lo più e belligera tratto tratto),
che permise i contatti e gl’incroci tra genti, diverse per lunga azione di
ambiente climatico e topografico.
Come per gli studî geologici l’ Umanità ha acquistato la certezza: che
i periodi storici si sono susseguiti in durata decrescente, massima essendo
la primitiva nella quale la vita organica non era ancora apparsa e minima
la fase attuale che si percorre da noi, così avviene negli studî biologici,
psicologici e sociali.
î
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IL POPOLO SICANO-SICOLO 2
Le stesse leggi naturali che organizzano, per l’azione combinata dell’ere-
dità (1) e dell'ambiente, l'istinto, agiscono alla base dell’ organizzazione della
psiche nelle specie animali, sino a che e dopo che apparisce la specie
umana.
La leggenda di popolazioni già civili, che governò dispoticamente il pen-
siero umano sino a poco tempo fa, e per la quale l’uomo nacque di gitto,
armato di parola e investito di supremazia monarchica sulle cose e sulle
specie di questo mondo, quella lesgenda è oramai distrutta. Lo esame dei
fatti ha provato, che essa non era altro che una ipotesi semplicista venuta
da osservazioni assai più incomplete di quelle che oggi trovansi raccolte.
Se dell’uomo primitivo non abbiamo traccie che possano darci la cer-
tezza delle sue condizioni anatomiche, ciò è dovuto al fatto indiscutibile:
che esso appari (come tutte le altre specie animali) nell’ordine zoologico
nè armato nè usante un linguaggio articolato capace di fissare in un uomo
associazioni d’imagini nelle parole che costituiscono la organizzazione di am-
biente mentale e sociale. Animale, come gli altri, egli dovea provvedere
soltanto alla sua alimentazione, riparandosi alla meglio dalle intemperie,
difendendo se, la sua donna, i figliuoli (2) dalle offese della fauna selvaggia;
impulsivo e passionale; incapace di ovviare alle condizioni deleterie delle
malattie, e alla mortalità grande degl’infanti, dei vecchi e dei deboli, abban-
donati al loro destino. Nè sepolture nè tombe. Queste sono già indizio di ci-
viltà. Le ossa, quindi, disseminate sul suolo, esposte all’aria e al sole che
le dissolve in cenere. Casualmente la inondazione o lo interrimento le rico-
prono, e l’incosciente Natura le conserva nelle stratificazioni geologiche
allo azzardo delle scoperte, sulle quali gli studiosi potranno chiarire lenta-
mente i particolari di una storia che l'Uomo ancora non conosce.
Dei documenti umani, il più remoto è quello che prese nome di avanz?
di cucina (3). Io qui espongo ai vostri occhi uno dei tre pezzi di conglo-
merato che si conservano nel Museo di Geologia nell'Università di Palermo,
e che, insieme a questi cartoni ai quali sono attaccati armi di pietra scheg-
giata, coltelli, punte di freccia, perforatori, appartengono al primo periodo
della lunghissima epoca paleolitica.
(1) Successione delle generazioni.
(2) L’altruismo sin dalle origini.
(3) Kjokken mbddings, illustrati per il primo dal danese Svendrup, e che sonosi ritro-
vati dapertutto.
Bisogna però avvertire che siffatta parola composita, come la frase avanzi di cucina,
indica un fatto generico della storia dell’ Umanità. I casi e i tempi nei quali essi si
avverarono furono svariatissimi. Sono i conglomerati e le serie di stratificazioni per
inondazioni sopravvenute che, in modo approssimativo, dànno indizî delle loro remote
formazioni.
29 POPOLI SCOMPARSI
I tre frammenti provvengono dalla grotta dell’Addaura, quì presso le
falde del Montepellegrino. Contengono , com’ è facile vedere, conchiglie,
pezzetti di ossa di animali, armi di selce e, ciò che è più notevole, pezzetti
di legno brucicchiato o allo stato di carbone. Le armi e gli strumenti, qua
e là trovati, sono simili a quelli che oramai son raccolti nei moltissimi
Musei publici e privati del nostro mondo civile.
La ipotesi finora incontrastabile, che si presenta alla nostra attenzione,
è questa: quei nostri rernoti progenitori, derivanti da una specie che avea
saputo usare soltanto il bastone e il ciottolo, aveano già acquistato, quando
occuparono le spiaggie e le caverne siciliane, il maneggio delle armi e
degli strumenti di selce e l’uso del fuoco? La presenza delle conchiglie e
delle ossa rivela la condizione altruistica della convivenza primitiva: provve-
dere all’alimentazione delle femine e dei nati nel ricovero della caverna.
Sono queste popolazioni il primo sostrato, gli autoctoni, che gradata-
mente sì sparsero per tutta l’isola,vi prolificarono con crescente adattamento
all'ambiente, addomesticarono animali, trovarono e mantennero poi l’addo-
mesticamento delle piante, per arrivare a quell’età del bronzo col nome di
Sicani e Sicoli, con un processo storico di centinaja di secoli ajutato dalla
navigazione a remi, così efficace per osare di spingersi sul mare ?
Noi sogliamo chiamare autoctone oppure indigena, la popolazione stori-
camente abbarbicatasi a un territorio, nel quale ignoriamo se e quando vi
pervenne. Per risolvere il grosso ed oscuro problema delle origini, lo spi-
rito umano scientifico procede sulla traccia delle seguenti ipotesi :
a) La successiva e continua espansione per via dei continenti della
specie umana, seguente per latitudini e longitudini le linee di minore resi-
stenza ed arrestandosi perciò al mare largo, perchè non avea acquistato
ancora il mezzo di traversarlo con galleggianti.
E questa ipotesi dà origine alla teoria monogenetica, cioè dell’unico pri-
mitivo centro d’irradiazione demografica, e dell’unica prima coppia gene-
ratrice, sia sotto lo aspetto ipotetico di essere stata creata di scatto, oppure
sotto l’altro aspetto ipotetico più recente di due individui differenziati per
caratteri acquisiti simili, e che nel loro accoppiamento li trasmisero ai loro
discendenti formando una varietà di una specie precedente.
Questa ipotesi monogenetica è la più seducente, perchè corrisponde allo
imperioso bisogno dello spirito umano di partire da una unità intravve-
duta per arrivare ad una unità più perfetta ed elevata, per composizione
d’imagini armonizzanti. E questa ipotesi ha a favor suo il lunghissimo
IL POPOLO SICANO-SICOLO 23
allenamento mentale della civiltà eurasiana (1), che si adagiò nella con-
cezione assiro-ebraica del Libro della Genesi, e costituisce l'intimo e pro-
fondo sentimento-pensiero della fratellanza e solidarietà del genere umano.
5) Sta di contro alla detta ipotesi l’altra della poligenesi, cioè dei vari
centri geografici di apparizione della specie umana, che permisero la co-
stituzione, sotto somiglianti influenze ambientali, di una varietà Romo sa-
piens, derivata da specie antropomorfa anteriore , della quale ancora non
sonosi trovati campioni anatomici indiscutibili.
Per la prima ipotesi il problema delle razze si risolve col mettere in
evidenza la legge della trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti pri-
marî, che costituiscono il fondo tipico Umanità, in contrasto con la legge
delle influenze ambientali, che costituiscono i caratteri secondarî differen-
ziatori che formano le diversità etniche. Per la seconda ipotesi si sop-
prime l’azione della eredità, oppure si trasporta ad epoca geologica ante-
riore, cioè a specie antropomorfe in evoluzione, e si dà la prevalenza alle
influenze ambientali formatrici dei tipi umani diversi per colorito, forme
di cranio, statura, tendenze psicologiche.
Una enorme difficoltà si oppone ancora a districare il problema, in en-
trambe le ipotesi, ed è quella naturale della gamma (2), limitata nei
suoi estremi, delle forme di tutte le specie viventi vegetali od animali.
Le stesse forme craniche umane , divenute tipiche anche per opera d’in-
erocio , sono di numero limitatissimo; la loro varietà tonale fluttua tra
poche unità ossia pochi gradi quasi come le note musicali. Eppure la
combinazione e l'intreccio di poche note, lo sappiamo tutti, dà luogo ad
espressioni musicali infinitamente variate! (3).
Tutte queste considerazioni ci conducono a ritenere: che, allo stato at-
tuale delle conoscenze umane, il problema della monogesi o della polige-
nesì non può ancora avviarsi a soluzioni di approssimativa certezza.
Limitando la discussione al popolo sicano-sicolo , il quale appare nella
storia col documento avanzi di cucina, che per la cortesia dei professori Giu-
(1) Cioè europea ed asiatica.
(2) Gamma di temperatura, di colori, di suoni etc. espressa nelle sue imagini com-
posite dalla parola tonalità.
(3) Questa verità assoluta, ha avuto recente conferma dagli studii antropometrici. Le
impronte delle linee della palma della mano sono la rivelazione caratteristica della
individualità, meglio della fotografia che, raccogliendo la imagine individuale nel suo
insieme, può dar luogo alle incertezze della somiglianza. Nelle impronte della mano si
avverte la inesistenza d’identità e perciò la variazione tra individuo e individuo, indice
sicuro di personalità.
24 POPOLI SCOMPARSI
seppe Di Stefano ed Emerico Carapezza del nostro Gabinetto di geologia mi
è dato sottoporre alla vostra attenzione, e che, oltrelanota grotta dell’Addaura,
e assai probabile possa raccogliersi in altre grotte o spiagge di Sicilia, è
facile discutere il tenore di vita che il documento racconta e che rivela
popolazioni fissate al suolo.
Erano esse immigrate in epoche anteriori per facilità scomparse di co-
municazioni terrestri (1), oppure erano esse il prodotto evolutivo di specie
antropomorfa precedente ancor essa scomparsa ?
Atteniamoci per prudenza d’investigatori alla ipotesi della emigrazione
per passaggi di popolazioni differenziate per sesso e per età.
In questo caso la soluzione approssimativa del quesito storico è costretta
ad eliminare lo elemento marittimo. In quel momento, periodo od epoca,
l’uomo non avea imparato ancorala navigazione. E, così ristretto il campo
delle ricerche, ci troviamo in presenza di due ipotesi: o la immigrazione
diffusiva stessa che occupò le spiagge settentrionali africane e per la linea
geografica segnata oggi dalle emergenze isolane di Lampedusa e Pantel-
leria (comunanza di tipo libico), oppure la immigrazione del tipo ibero-li-
gure, avvenuta in assai decorso di secoli per diffusione lungo le coste ita-
liche e transitanti lo stretto di Messina. In poche parole : o un movimento
demografico dal Sud al Nord o quello inverso da Nord a Sud.
Pur convenendo che gli studî in proposito siano appena iniziati e assai
incompleti, nel campo antropologico ed archeologico (2), io debbo far note
le mie impressioni visive provate a Girgenti in occasione di una proces-
sione religiosa, durante la quale sfilavano innanzi a me congregazioni
laiche di artigiani indossanti il sacco bianco col cappuccio, che non suole
ivi coprir la faccia ma la contorna e permette di osservare il tipo delle
fisonomie, che a me apparì berbero. Ciò avvalorò in me la ipotesi —rac-
colta sul vivo e senza preconcetti sopra un gruppo sociale poco incro-
ciato — dell’affinità del tipo sicano-sicolo col tipo berbero o libico.
Questa affinità darebbe valore alla lunga durata di scambî mentali e
commerciali tra le isole maggiori del Mediterraneo ed i Libî — che si
manifestarono poi luminosamente nell’alleanza politico-militare del XVII
secolo a. C. contro l'Egitto. Però altri dati positivi occorrono , e special-
(1) Come indurrebbero a pensare i bassi fondi colleganti le spiaggie siciliane alle
africane, e sui quali sembra si avveri un movimento di nuova emersione.
(2) Le stesse difficoltà sonosi presentate per la tanto dibattuta , e insolubile forse,
quistione del miraggio orientale (SALomone ReinAcH informi), della diffusione umana
dall’altipiano centrale dell'Asia. Resistono ogni giorno più alla ipotesi asiatica le con-
tinue scoperte di documenti archeologici nella vallata del Nilo.
re e
IL POPOLO SICANO-SICOLO 25
mente indagini linguistiche e glottologiche, per avvalorare o respingere
la ipotesi. A tal riguardo mi sembra non dubbio il fenomeno del carat-
tere italico delle popolazioni sicule, calabre, dei meridionali e dei Laziali
fino alla sponda sinistra del Tevere, dove è ancor vivo il ricordo di Sicoli.
Dalla sponda destra del Tevere verso il Nord l'elemento sicano-sicolo non
apparisce più prevalente, per la quantità soverchia di elementi etnici so-
pravvenuti e sovrapposti (per la legge naturale delle facilità migratorie
sui continenti) e, in maggior parte, celti ed arii. i
A me però non sembra dubbio, che, la forte vitalità organica di questa
razza, sicano-sicola, sia quel fondo tipico comune che domina la costitu-
zione del suo linguaggio e la salda coscienza sociale che sì manifestò nelle
tendenze irresistibili alla costituzione politica recente dalla nazionalità
italica.
La navigazione primitiva nacque — moltissimi secoli dopo dell’appari-
zione dell’uomo, e perciò quando questo era già entrato da un pezzo in
evoluzione civile—dall’osservazione di un tronco d'albero galleggiante, ca-
pace di sostenere un individuo che coi suoi arti inferiori gl’imprime mo-
vimento e direzione. Le prime forme rudimentali, poichè storicamente non
sì possedevano altro che strumenti di pietra scheggiata, capaci come scal-
pelli di scavare un vuoto nei tronchi d’albero, furono (e son sopravvissute)
le piroghe. Per osservazioni lentamente fatte e lentamente raccolte e or-
ganizzate da individui più adatti, appariscenti tra le popolazioni costiere
o ripuarie, fu applicata alla piroga la forma della prora fendente e della
poppa serbatojo di provvigioni.
Noi, che viviamo in epoca di movimento accelerato, per il capitale
mentale ed economico raccolto e accumolato in un decorso di secoli in-
sospettato, abbiamo il dovere di rendere nota, e di diffondere, la cogni-
zione della somma immensa di sforzi muscolari e di abilità manuale che
occorsero, a molte generazioni umane susseguentesi, per arrivare alla in-
venzione della sega e all'applicazione al legno ‘della costruzione della ta-
vola, che permette di fabbricare, per giunture imperniate e impeciate, la
barca, e, coi lisciatoi e laminatoi, il remo.
Come bene avvertì il IurIEN DE LA GravigRE, barca e remo, indici di
civiltà, sono l’inizio di un periodo nuovo di attività umana, mezzo pos-
sente di espansione dell’onda di popolazione — nelle forme, commerciale,
coloniale, politica e militare, tutte commiste insieme.
Ma il fenomeno , universale per le popolazioni costiere , sebbene non
sinerono, cioè contemporaneo, nelle varietà etniche, per legge costante sto-
rico-sociologica, non si può comprendere se non quando, con analisi accu-
rata e scrupolosa, si fa chiara all’intelletto umano la visione del periodo
d
26 POPOLI SCOMPARSI
lungo e dimenticato, degli sforzi enormi muscolari e manuali che occorsero ad
una qualsiasi popolazione costiera, per arrivare ad organizzare nella sua
psiche la cognizione dell’uso della nave e, per assai esperienze, governate
dal principio naturale del tentativo e del brancicare sull’ignoto, dar luogo
alla formazione lenta della previsione di relazioni umane fuor dalla propria
cerchia di convivenze.
Ecco perchè, nella storia dell'Umanità, il concetto di fine o di scopo,
dovuto ad associazioni d’imagini trasmesse ed accumulate per eredità ed
esempio, è un carattere secondario acquisito per progresso civile.
La piroga prima, la barca poi, sono un abitato ristretto di convivenza
umana. L' azione del navigare deve obbedire a tre esigenze basilari: il
motore, l’approvvigionamento, la capacità di trasporto per la mercanzia e
le armi.
Il primo motore storico è l'individuo umano adulto agitante la pagaja
e poi il remo, con movimento ritmico e cadenzato per riuscire più efficace.
Il ritmo e la cadenza sono fenomeni psicologici che animano l’applicazio-
ne sociologica dei movimenti combinati: canto, danza, azione marinara, e
perciò regole o norme di condotta.
Con la pagaja (1) la piroga può esser maneggiata da un solo individuo,
ma con raggio d'azione assai limitato. Invece con il remo, i rematori, se
si propongono di superare in barca distanze maggiori della piroga, e in
vista delle coste (2), accoppiano il movimento dei due remi laterali con
un'azione disciplinata, cioè organizzata dal principio che chiamiamo mec-
canico : ottenere il massimo rendimento col minimo sforzo possibile. Al-
lorchè, in periodi storici remoti, la barca, ingrandite le sue proporzioni,
divenne nave mossa da più coppie di remi,i rematori aumentarono di nu-
mero, disciplinati sotto la guida di un capitano e di un pilota, occupanti
uno spazio notevole dello scafo. Non essendoci distinzione (3) tra marina
mercantile e marina militare, l'equipaggio si trasformava facilmente, per
le armi che portava con se, in manipolo di combattenti, e, per le neces-
sità alimentari della propria convivenza, teneva a bordo, oltre le mercan-
zie pei traffici le provviste indispensabili alla propria sussistenza.
Per l’argomento che tratto innanzi alla vostra benevola attenzione , io
sento il dovere di farvi constatare le condizioni delle prime navi in rela-
(1) Sopravvive anche oggi nelle nostre società civili nell’uso limitatissimo del sando-
lino come mezzo di sport.
(2) Non manca qualche raro esempio, come quello del capitan Fondacaro, di naviga-
tori in barca che affrontano l’Oceano. Ma trattasi di un caso di eccezionale tempra di
carattere, accompagnato dalla vasta intellezione moderna delle leggi del navigare.
(3) Avvenuta solo in tempi a noi vicini.
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IL POPOLO SICANO-SICOLO DIA
zione al fenomeno demografico, ben diverso tra popolazioni isolate dal mare
— delle quali si espande fuor del proprio abitato la sola parte maschile
adulta e animata da spirito avventuroso —e popolazioni viventi sui con-
tinenti che possono muoversi in massa. i
La ristrettezza dello spazio nelle prime navi, principalmente occupato
da un equipaggio di maschi adulti, dotati di forza muscolare e di spirito
avventuroso commerciale e qualche volta di bramosia d’imprese di guerra,
non permetteva, che raramente, la presenza di qualche donna (1).
Tutta la storia remota delle relazioni marinare e coloniali del bacino del
Mediterraneo è perciò, come dalle mie continue ricerche sono stato sempre
più convinto, governato dal fenomeno demografico della infiltrazione an-
zichè della sovrapposizione di elementi etnici nuovi. E conforta la mia co-
vinzione lo esempio di colonizzazioni recenti le quali, composte nel mag-
gior numero di elementi maschili, si fondono rapidamente per imperiose
ragioni fisiologiche con la popolazione abbarbicata in sito e perciò più
adatta all'ambiente climatico e topografico (2).
Anche in epoche recenti, o relativamente recenti, le incursioni e le in-
(1) Cf. la mia monografia: La Sicilia elemento di civiltà italiana a pagg. 27 e seguenti.
Virgilio nel canto V dell’Eneide, che narrava avvenimenti anteriori a lui più di un
millennio, non era, nè forse per le condizioni del suo tempo poteva esserlo, un critico
storico. Da ciò quindi deriva il suo anacronismo del contrasto tra i Trojani di Enea e
le colonie greche, ancora non venute all’epoca omerica in Sicilia.
Da ciò deriva anche la supposizione fantastica della quantità di donne trojane tro-
vantesi a bordo della flottiglia del suo eroe peregrinante sette anni per il Mediterraneo
alla ricerca della culla dei suoi padri. Il geniale poeta latino, innamorato della Sicilia
da lui percorsa e che dà tanta realità d’imagini ai suoi canti, rende coi suoi versi l’in-
canto dei lacci d’amore coi quali per un anno Didone avvince Enea; ma, tutto com-
preso della figura del suo eroe, Virgilio non poteva ideare che anche tra i Trojani di
quelle navi, approdati alle spiaggie siciliane, lacci d'amore dovevano avvincerli a donne
sicano-sicole, alle quali, forse, più che alle poche donne trojane (se la tradizione per-
venutagli narrava avvenimenti veri) deve attribuirsi l'incendio a piè del monte Erice
appiccato alla sua flottiglia, e il rilascio forzato di una parte del suo equipaggio, av-
vinto al suolo siciliano dalla stanchezza del lungo peregrinare e dall’attrattiva possente
dei vincoli contratti con attraenti e gelose donne sicano-sicole.
(2) Una prova per analogia mi è fornita per la Sicilia dei tentativi d’introduzione di
tori svizzeri per modificare sotto il punto di vista dello accrescimento lattifero e carneo
la razza bovina. Come mi conferma l’egregio Prof. Griglio di veterinaria, questi ten-
tativi fatti con la introduzione o infiltrazione successiva di soli tori hanno dato buoni
risultati alla prima ed alla seconda generazione — metà, e un quarto d’incrocio.
Gli effetti utili s'indeboliscono alla terza — un ottavo d’incrocio; si annullano e non
si avvertono più alla quarta. L'elemento indigeno — vacche — riprende il sopravvento.
I tentativi fatti da proprietari allevatori intelligenti sono stati abbandonati sotto la
minaccia di un disastro industriale.
28 POPOLI SCOMPARSI
vasioni marittime non raggiungono mai le parvenze sociologiche terrestri
di una massa intera (mista con donne e fanciulli) che si rovescia sopra
un’altra massa. L'esempio della guerra combattuta contro l’Italia nel Tigrè
dal negus Menelik è evidente: al cozzo violento di due elementi etnici di-
versi, la civiltà meno progredita provvede con una organizzazione militare
nella quale la donna accompagna il suo uomo e ajuta a portare i viveri
e nello stesso tempo ne consuma. Tutta la storia delle civiltà remote è
stata luminosamente illustrata da questo esempio. Il ver sacrum degli Arii
e fors ‘anco dei Celti, fu, quasi un’espulsione polare dell’uovo, la uscita
dalla massa sociale di un’intera predisposta generazione arrivata allo stato
adulto, maschi e femine, per recarsi in altro territorio, abitato oppur no,
e perciò pacificamente o violentemente, a fissarvisi in convivenza (1).
Una popolazione completa, che si sovrappone a un’altra preesistente è»
situ, obbedisce ancor essa alle leggi fisio-psichiche dell’attraenza sessuale.
Ma alla fusione popolare dei due elementi diversificati, nello accoppiamento
naturale o legale esogamico, occorre assai più tempo, e perciò decorso di
parecchie generazioni, per produrre la trasformazione in unità tipica nuova.
Invece la nfiltrazione nelle coste, specialmente delle isole, di adulti se-
lezionati per dotazione qualitativa ricevuta dalla loro geneologia, li trova,
per imperiose ragioni fisiologiche, meno capaci di resistere all’ attraenza
sessuale ed alla simpatia nascente dalle nuove relazioni intersociali, alle
quali sono facilmente condotti quanto più ci è affinità o poco distacco di
condizioni etniche; ed il loro apporto antropologico, nell’equilibrio instabile
dell’aggregato sociale in cui penetrano, rappresenta nel corso delle genera-
zioni 1/» alla prima, !/4 alla seconda, */ alla terza e così via. Le loro spe-
ciali qualità, acquisite nell’aggregato sociale dal quale partirono, modificano,
con lo esempio e con le trasmissioni ereditarie, e per sopravvegnenze pe-
riodiche di colonizzatori maschi, l'equilibrio instabile della convivenza nuova,
e imprimono un movimento, quasi intermolecolare, che agli studiosi è pos-
sibile vedere nel suo insieme e approssimativamente, ma che è impossibile
seguire con analisi accurata.
(1) Questa visione scientifica delle condizioni sociologiche, applicata alla guerra in
Abissinia, spiega le ragioni del successo ottenuto dal generale San Marzano contro il
negus Giovanni e l’insuccesso del Barattieri ad Adua. È cattivo condottiero di guerra
quegli che corre dietro il fantasma delle brillanti fazioni e non vede il vero. Anche
l’azion violenta è sottoposta alla legge delle minime resistenze, ed è vittorioso anche
l’uomo di guerra che vince senza combattere e sparger sangue, e fa fuggire il nemico
sapendone esaurire le risorse. Sono ancora sopravvivenze di stati sociali poco evoluti
l'ammirazione pei violenti, e i canti epici.
Una società civile vince assai più nobilmente col mettere in opera tutte le risorse
della sua aristocrazia democratica, e perciò della sua ricchezza mentale.
IL POPOLO SICANO-SICOLO 29
Mi sono un po’ dilungato in queste considerazioni per mettere in rilievo :
che il fondo attuale delle popolazioni siciliane è costituito da quel tipo
etnico remoto rivelato dagli avanzi di cucina della grotta dell’Addaura, e
che in tutta la sua storia fu intaccato o modificato, lentamente e per infit-
trazione, dalla venuta alle coste dell’isola di genti diverse, sempre numeri-
camente inferiori alla gente, che fu denominata sicana, e poi sicola, e che,
principalmente nelle coste, seguì una evoluzione psicologica e civile propria,
con caratteri tipici.
Nulla a parer mio contrasta la induzione che questa stirpe sicana, ramo
distaccatosi assai probabilmente dal tronco che avea occupato la costa nord
africana (1), lentamente sparsasi per l’ isola, così accidentata da colline,
montagne e monti, tra i quali l'Etna maestoso, sia divenuta densa nei suoi
vari abitati, non avversata ancora dalla malaria, che l’affligge adesso per
la distruzione delle sue allora vaste e copiose foreste.
Le cosiddette mura ciclopiche (e non cementate), nelle due forme note :
o di pietre messe a posto procurando di combaciarle insieme allo stato in
cui trovansi nella campagna vicina, oppure di massi squadrati per arte
umana in blocchi cubici anche trasportati da lontano, si trovano in una
serie lineare da Lampedusa e Pantelleria sino al settentrione dell’isola di
Sicilia (2).
Queste costruzioni murarie eccitate dall’abbondanza della pietra silicea
o calcare-silicea alla superficie del suolo (3), sono indice sicuro di stati di
(1) La ricca raccolta nel Museo geologico di Palermo di denti, mandibole ed ossa di
elefanti, che sono forse varietà locale (per adattamento all'ambiente) dell’ elephas afri-
canus e primigenius vissutovi assai tempo per variata e abbondante provvigione di pa-
stura vegetale.
È tra le cose probabili che la Sicilia non subì come l'Europa continentale, la influenza
trasformatrice di clima, flora di uno o più dei periodi glaciali, oppure la risentì in pro-
porzioni minime, quasi alla coda delle grandi perturbazioni atmosferiche.
Questa ipotesi sarebbe in armonia col fatto della lunga durata della vita della specie
siciliana elephas alla quale erano necessarie foreste abbondanti ed erbe alte e folte (cli-
ma caldo umido più che adesso), e sarebbe pure in armonia con la ipotesi della evolu-
zione pastorale ed agricola siciliana in avanzo sulla corrispondente evoluzione nel rima-
nente del bacino del Mediterraneo.
(2) Le ricerche e investigazioni intorno ad esse, sono ancora parziali e assai incomplete.
(8) È questa abbondanza, ovunque la pietra soverchia, che ostacola la evoluzione civile
del mattone, mentre invece nei territorî dove essa difetta è più presto eccitata la co-
struzione delle mura a mattoni dove gli aggregati sociali hanno a portata di mano
l'argilla.
30 POPOLI SCOMPARSI
guerre già lungamente sperimentati attraverso la navigazione, dapoichè il
nemico non poteva venire che dal mare, e la rocca, che lo arrestava nella
sua azione scorazzante, gli opponeva ostacoli quasi insuperabili e ne esau-
riva più o meno rapidamente le risorse alimentari. Sono esse l'esponente
di una evoluzione civile già ricca d'imagini astratte, che permettono di
antivedere gli effetti del fenomeno della guerra e perciò di preparare e
raccogliere gli elementi della organizzazione della difesa (1).
Non abbiamo ancora però trovato indizî sufficienti per attribuire con
approssimativa certezza queste costruzioni all’età del bronzo, o alla neoli-
tica, od alla paleolitica nelle sue ultime fasi. Senza dubbio concorsero alla
raccolta, al trasporto , alla scelta e al dirozzamento di quei massi assai
braccia umane, dirette da menti superiori al livello comune, e disciplinate
intorno ad esse. Per la legge (anche sociologica) del procedere nel tempo
da un movimento impercettibile in principio a un movimento sempre più
lentamente accelerato attraverso un numero decrescente di generazioni, le
prove archeologiche che sapremo accumolare, se spingeranno più indietro
dell'età del bronzo lo stato sociale rivelato dalle mura ciclopiche delle vette
sicane, permetteranno di sospettare la durata dello stato sociale da cui
vennero fuori.
Una induzione importante ci è lecito fare: quelle popolazioni che le edi-
ficarono erano affezionate, e perciò radicate, al suolo dell’ isola maggiore
e delle isolette vicine da moltissimi secoli e per una convivenza riattac-
cantesi a origini comuni, dapoichè il #0 delle loro manifestazioni fisio-
psicologiche ci apparisce evidente.
La formazione di un tipo etnico—varietà o specie che voglia dirsi—richiede
assai tempo, e sopravvive e riprende sempre la sua vitalità organica su-
periore, come nei vegetali il ceppo sull’innesto. Poi che è riconosciuto ora-
mai come verità, che la missione, conservatrice— biologica o sociale — è affi-
data naturalmente al sesso feminile, è la donna delle isole che assimila
nella massa sociale le differenze etniche dei relativamente pochi maschi,
differenziati da un processo etnico diverso, che approdano con barche a
remi. La perduranza della radicale sic (dura nella denominazione fonica di
una stirpe con le parole : sicano e sicolo, che nella evoluzione civile divenne
poi dolce nelle parole: sicelioto e sicsliano), e la tenacia conservatrice di
usi e costumi, e il carattere, costruttivo, artistico, letterario, a qualità pro-
prie, fanno pensare alla lunghissima preparazione del loro costituirsi.
(1) E questo il primo fenomeno politico che sussegue all’ altro dell’ autorevolezza e
dell’autorità che assume un individuo meglio dotato di un aggregato sociale oppure gli
si riconosce inconscientemente e poi coscientemente.
IL POPOLO SICANO-SICOLO Sil
I miti pastorali ed agrari dell'età preomerica, ricordati nel poema del
più famoso degli aédi, dimostrano che la Sicilia, ricca di armenti e di
biade, avea una popolazione densa ed attiva.
Per acquistare la chiara cognizione del raggiungimento di siffatte con-
dizioni, partendo dagli avanzi di cucina della grotta dell’Addaura, la in-
vestigazione scientifica, ripeto, deve raccogliere sempre nuovi documenti e
tentar di colmare le lacune storiche per le quali ci sembra che il progresso
sociale siciliano sia avvenuto a sbalzi.
Giova certamente eccitare la critica intorno ai periodi di dominio : greco
e cartaginese, romano, musulmano e spagnuolo, che, nella storia dell’isola,
furono appoggiati da forze militari più numerose degli altri periodi. Ma
giova ancor di più poter seguire storicamente il lento addensarsi e incivi-
lirsi della stirpe sicana, che costituisce, nella sua sopravvivenza antropolo-
gica, la massa della popolazione dell’isola e che, con gli apporti di ricam-
bio tra le convivenze dell’interno e le convivenze costiere, ha sempre po-
tentemente contribuito ad assimilare e fondere nel proprio tipo le varie e
successive infiltrazioni straniere.
Se non è possibile largamente indagare le condizioni di vita del sicano
primitivo, dapoichè l’uomo primitivo non avea acquistato ancora articola-
zione di linguaggio e obbiettivazione d’imagini astratte nella parola, e perciò
mancava di culto e di concezioni religiose e lasciava insepolte per via le
sue ossa, è pur possibile ricostruire approssimativamente il suo tenore di
vita meno misera e stentata, nella evoluzione della tomba, procurando di
seguire la serie delle trasformazioni del culto dei morti. Il passato essendo
nella realta delle cose, tanta parte del presente e dell’avvenire, è bene lu-
meggiare il fenomeno storico dello addomesticamento degli animali e poi
di quello delle piante, avvenuto nella marcia delle popolazioni sicane, forse,
in epoca anteriore che altrove, mentre altrove per favore d’ ambiente, ci
fu anteriorità nell’appropriazione e nell’uso dei metalli. Potremo così ap-
profondire il problema delle relazioni di mutua dipendenza di questi fatti
storici diversi, e la impronta caratteristica delle differenze tra sicani e stra-
nieri, quando vennero in contatto e s'’influenzarono a vicenda.
Sono perciò le tombe a cupola e poi le altre scavate nella roccia, e il
loro contenuto, accuratamente raccolto e con la onestà scientifica di evitare
preconcetti e di esaminare scrupolosamente il riferimento alla stratificazione
geologica (1), che possono gittar luce sulle condizioni morali e materiali
(1) Unica cronologia che è possibile di determinare.
32 POPOLI SCOMPARSI
di popolazioni, che, 1625 anni a C., appariscono aver concepito il vasto
disegno di muover guerra allo Impero egizio e di averlo attuato, mercè
alleanza con altre popolazioni isolane e con le continentali libiche.
Questo oramai possiamo affermare per il 17° secolo avanti l’era cristiana :
a) che la barca siciliana come la sarda si era resa ardita e capace, quando
la greca era ancora prudentissima e forse più piccola (1); è) che quella era
abituata a contenere provvigioni alimentari abbondanti così da permettere
al suo equipaggio di affrontare il mare libero e di vivere sulle proprie
riserve se i casi la portavano a coste inospitali; c) che lunga consuetudine
preesisteva di commerci e di relazioni mentali tra le grandi e piccole isole
del Centro e dell’Occidente del Mediterraneo e le coste libiche, mentre erano
scarse le relazioni con l'Oriente e infine, d) che le provviste derivavano da.
una pastorizia pervenuta allo stadio industriale del caseificio o di un’agri-
coltura più o meno progredita nella raccolta di semi di piante leguminacee
e granaglie.
Tutte queste circostanze sono indizi sicuri di uno stato sociale di civiltà,
laboriosamente acquistata per via di tentativi, d’insuccessi e di organizza-
zioni avvenuti in un corso di generazioni impossibile a sottoporre a calcolo.
Allo stato attuale delle umane cognizioni, sono però indiscutibili. due
fatti: 1.° erano da parecchi secoli prima delle colonie greche (2) venuti
in Sicilia i Fenicî a trafficare, ma non vi lasciarono impronta sensibile
della civiltà propria, differenziata dalla sicana; 2.° i greci, invece, in pochi
secoli di contatti e di dimora coloniale che permise largamente la loro in-
filtrazione antropologica, riuscirono: a dare alla lingua loro carattere di
lingua ufficiale in Sicilia; e dare la impronta loro politica alle forme di
Governo; ed a lasciare nella storia isolana la potente illusione del nome
ellenico ed un periodo di civiltà d’arte e di pensiero, nascondendo fino ad
ora i caratteri che differenziarono dalla greca la civiltà siciliana.
Ma lo studio di queste differenze è già iniziato e lascia trasparire come
verità la ipotesi: che le popolazioni sicano-sicole possedevano una civiltà
propria, affine, forse per meno prossima comunanza di origine, alla civiltà
greca, ma con andatura e indirizzo in parte diverso.
(1) Nel canto V dell’Eneide, Virgilio fa cenno della timidezza del primo pilota della
flottiglia di Enea, solita a navigar costeggiando, nel consentire all’ordine di partenza per
affrontare la traversata del basso Adriatico. Questa flottiglia, per fantasia di poeta os-
servatore della realtà delle cose, è descritta potersi tirare facilmente a secco sulle rive.
(2) La prima colonia corinzia nell’isoletta di Thapsos (isola Magnisi) risponde all’an-
no 765 A. C.
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IL POPOLO SICANO-SICOLO 33
Sul riguardo dei due quesiti proposti, le mie indagini conducono ad ipo-
tesi, che sottopongo all’attenzione vostra e degli studiosi :
1.° Il carattere psicologico predominante nei Fenicî fu l’attitudine mer-
cantile e commerciale, che arrivò ad eccitare la concezione, facilitatrice di
relazioni umane, dell’alfabeto e della scrittura fonica, e la loro creazione
e diffusione. Non era ancora avvenuta la pressione politico-militare che li
condusse a fondare Cartagine ed a renderla possente per imprese militari (1).
Or lo spirito mercantile rifugge dalle imprese di guerra, che richiedono
spese di energia superiori alla spesa che richiede lo scambio delle merci e
delle derrate. Le colonie dei Fenicî sulle sponde del Mediterraneo, ebbero
e conservarono il carattere di fattorie di commercianti. La loro influenza
sociologica perciò si svolse nel campo dei traffici, e con quei metodi esclu-
sivi, che Karl Marx racchiuse nella sua formola semplicista della interpe-
trazione della storia.
La notevole deficienza psicologica della concezione materialistica delle
azioni umane, impedì ai Fenicî lo svolgimento della loro egemonia sull’a-
nima delle popolazioni con le quali furono a contatto. Come ebbi nella
prima parte di questa conferenza a dirvi, essi sparirono nella storia, non
come elemento antropologico perchè questo sopravvive, ma come organismo
sociale (corpo politico, arte, credenze, diritto, scienza), che essi non ebbero
attitudine a comporre saldamente nei loro contatti coloniali con gli aggregati
sociali autoctoni. La stessa ricchezza materiale finanziaria, che seppero rac-
cogliere, nocque loro, perchè là dove riuscirono a dominare, per mezzo di
reclutamento di truppe mercenarie, uno Stato, la loro superiorità econo-
mica li espose alla distruzione per fatti di guerra.
Locchè mi conduce ad affermare che non è, esclusivamente, la ricchezza
economica che permette agli Stati ed alla civiltà di durare a lungo senza
SCOSSE.
L'anima Fenicia non vibrando all’unisono o con leggieri antagonismi
con l’anima sicano-sicola (2), dei Fenicî in Sicilia non rimase traccia di
nome.
(1) È evidente in questa evoluzione di civiltà fenicia a Cartagine la influenza di esem-
pio delle sventure patite per fatto di guerra. L’ organizzazione originaria economica,
mercantile e commerciale, sociologicamente, tende a trasformarsi in politico-militare,
col mezzo noto: assoldamento di mercenari. Questa impronta caratteristica della potenza
cartaginese, fu la ragione della sua forza prima dell’urto con la potenza romana, e la
causa dei suoi insuccessi quando si scontrarono sui campi di battaglia eserciti di mer-
cenari e legioni di cittadini.
Le diversità dell'elemento morale, fattore di vittoria, nelle coscienze sociali delle due
compagini in contrasto, determinò il successo dell'elemento più evoluto di convivenza
civile.
(2) Con altre parole potremmo dire: la diversità del gerio dei due popoli. 5
34 POPOLI SCOMPARSI
2.° Tutt'altra fu la evoluzione della stirpe ellenica nelle varie fasi della
sua storia, e malgrado il periodo d’ arresto delle invasioni doriche, come
gli altri periodi dell’esodo delle sue classi dirigenti e intellettuali attratte
a Roma e in Italia e della enorme pressione del dominio turco. Il carat-
tere greco fu composito, fu contemporaneamente trafficante, marinajo ed
oplite, artista e filosofo sino all’esagerazione o aberrazione del sofisma. Il
suo territorio, così frastagliato dai meandri del suo arcipelago, eccitò quel
carattere di astuzia e furberia che domina le sue relazioni mercantili, e
che somiglia a quello degli ebrei e dei cinesi, eccitato da condizioni am-
bientali diverse.
La sua lingua melodiosa, innamorata delle armonie delle proporzioni;
la precedenza storica sua nei conflitti tra le oligarchie e le demagogie.
che spingevano fuori delle sue città gli elementi sociali più raffinati, quando
vennero in contatto con popolazioni, come le sicano-sicole, non troppo di-
stanzate da civiltà e condizioni etniche diverse, rivelavano uno stato sociale
così ricco di virtù di esempio da irradiare potentemente, quasi come vernice
sopra un piano di legno, di tela o di metallo. Con la complicità incosciente
dell’imitazione e della moda, con la cooperazione del carattere etnico sicano-
sicolo così ospitale, non è da meravigliare se la vernice greca coprì le ma-
nifestazioni della operosa vita politica, estetica e letteraria dei sicano-sicoli.
Ebbi già ad osservarlo (1) a proposito di Empedocle (a parer mio, più
che greco, sicano-sicolo-greco), non sono sufficienti otto o dieci generazioni
per trasformare del tutto un ambiente sociale con la entrata di un elemento
catastrofico maschile in una convivenza fortemente conservatrice per l’at-
traenza anabolica feminile. Supporre la prevalenza dell'uno maschile im-
portato contro il parecchio feminile assorbente in territorio, vale lo stesso
che cozzare contro la realtà delle cose. La concezione empedoclea della
Divinità si differenzia di assai dal pensiero dei filosofi greci del suo tempo
perchè rivela una mente non asservita alle organizzazioni dominanti delle
credenze politeistiche. Empedocle, come la società sicano-sicolo-greca del
V secolo a C., non avea contatti diretti con la società ebraica, e perciò
con le organizzazioni mentali monoteistiche della razza semitica. È quindi
lecito supporre: che egli impersonava influenze d’incrocio di razze affini,
influenze che trovavansi diffuse e sparse nella coscienza sociale di parec-
chie generazioni precedenti, sopra un sostrato indigeno di preesistente evo-
luzione mentale.
Come l’individuo, per gli studi svariati e complessi sulla vita organica,
è l’esponente t.pico di assai variazioni lentamente avveratesi in un numero
(1) Cf. nella mia monografia: La Sicilia elemento di civiltà italiana, pag. 33.
IL POPOLO SICANO-SICOLO 35
indeterminabile di generazioni, così anche appare nelle umane convivenze (1).
Ciò che sembra genio, ingegno o qualità fuor del livello mediocre o
comune di una determinata convivenza in un determinato momento storico,
non è che un lento accumolo organico o psichico condensato per elabora-
zione ereditaria ignorata. In fondo, e il paragone giova, il fenomeno è lo
stesso del lampo e del tuono, che, nella realtà delle cose sono avvertiti
generalmente come fatti improvvisi per lo incontro di due correnti elet-
triche a tipo diverso, l'una positiva e l’altra negativa; mentre le cognizioni
oramai acquisite mettono in grado di riconoscere : che essi sono cagionati
nell’involucro atmosferico del nostro pianeta, da una grandissima quantità
di emanazioni elettro-magnetiche del nostro globo, diffuse per lo spazio.
Nelle umane società, gli elementi impercettibili e imprecisabili di migliaia
di osservazioni confuse ed incerte, preesistono alla mente meglio preparata
e perciò più adatta a cavarne fuori una sintesi, o associazione d’imagini,
che si costituisce nelle forme d’ipotesi, le quali, appunto perchè per la
massa sociale sono confuse e non chiare, come nella mente che le organizzò,
acquistano, quanto più è basso il livello psicologico dello stato sociale, il ca-
rattere di credenza.
Sento adesso il dovere di sottoporre a voi le risultanze delle mie inda-
gini intorno al fenomeno storico del pregiudizio, che ebbe così lunga du-
rata, sulla parvenza greca, che si sovrappose alla sostanziale attività civile
della stirpe sicano-sicola.
Ed anzitutto una considerazione storica e perciò positiva: Allorchè una
impresa coloniale — invece di rimanere nel campo esclusivo delle relazioni
commerciali per l'accoglimento pacifico delle relazioni stesse da parte delle
popolazioni preesistenti — sotto la pressione del sentimento di cupidigia e
delle velleità disoneste e ingiuste di dominio (2), sì trasforma in organismo
politico-militare, il mezzo più comune che adopera è sempre quello clas-
sico cartaginese : assoldare nella popolazione indigena truppe mercenarie.
Dimodochéè alla influenza psico-sociale, e all'altra antropologica degli ac-
coppiamenti sessuali, si aggiunge la nuova dello allenamento e dell’attra-
zione al maneggio di armi più perfezionate, sieno essi di pietra levigata
(1) C£. il mio lavoro: Individui e società nella storia.
(2) Il fenomeno perdura ossia sopravvive nella storia contemporanea delle nazioni
civili, che non sanno districarsi dalla ipocrisia di formole convenzionali che mascherano
propositi iniqui od ingiusti. All’attività etica dei pensatori, non sono pochi gli uomini
di Stato che rispondono giustificando azioni di conquista col pretesto: diffondere la civiltà!
36 POPOLI SCOMPARSI
oppure fucili a ripetizione. Inconsciamente, e per la trafila di abusi, miserie
e dolori, la guerra è stata, e probabilmente sarà sempre, una grande le-
zione di cose, e perciò una espressione di energia sopraelevante il livello
psico-sociale.
Alle preesistenti deficienze mentali di associazioni d’imagini nell’elemento
indigeno provvede naturalmente, con lenta penetrazione , lo scambio. In-
vece l'allenamento militare ha energia diffusiva più rapida. Per legge na-
turale, e perciò incosciente e più operosa, l’aggregato sociale politico-mili-
tare, prepara con l’attrazione e l'educazione di mercenarî la costituzione
di forze sociali, che, fatalmente, nello avvenire si volgeranno bene orga-
nizzate contro i dominatori. L'esempio sicano-sicolo di Ducezio, organiz-
zatore politico-militare di una riscossa contro l’imperio di Siracusa, prova
la verità di quella legge, come la provarono recentemente le ribellioni co-
loniali. Nè, sul riguardo, gl’insuccessi di condottieri sono prova contraria,
dapoichè spesso cotali insuccessi sono dovuti alla mancanza storica di forti
gerarchie secondanti il Capo (1), e perciò di deficienza casuale di sueces-
sori suoi, diretti o indiretti, capaci di continuarne le imprese.
Lo allenamento militare dei mercenarî, preparato da elementi etnici più
progrediti per maggior copia di suoni e di segni facilitanti l’umana atti-
vità, e perciò godenti una maggior ricchezza di simboli, diffonde nella
loro massa la lingua di comando, ed assicura ancor di più il fenomeno
sociologico della coesistenza di due lingue, una, per dir così, ufficiale, per
le relazioni politico-militari, giuridiche e commerciali, e 1° altra dialettale
per le tenaci sopravvivenze delle relazioni familiari, consanguinee, dei pic-
coli abitati e dei gruppi d’arte e mestieri.
In questa lotta per la esistenza tra espressioni foniche diverse, l'interesse
economico delle relazioni con l'elemento etnico colonizzatore e meglio or-
ganizzato prevale, ed agisce come pressione o plasmatura sociale, con la
forza coercitiva dell'uso, e senza azion diretta di potere politico (2). La
(1) La grande energia sociologica della cooperazione di forti gerarchie all’azion poli-
tica ha la sua massima espressione storica (classica) nell’ esempio egizio delle dinastie
di Faraoni.
(2) Non deve far meraviglia la differenza sensibile tra questo processo sociologico co-
loniale e 1’ altro che avviene nelle sovrapposizioni etuiche dei continenti, in qualsiasi
periodo storico. Nei continenti il movimento è inverso. La stratificazione etnica soprav-
venuta rifugge, per le sue condizioni mentali avvalorate dalla coscienza che dà la forza
muscolare e il simbolismo della vittoria, dal consentire cooperazione alcuna, alla stra-
tificazione sottoposta indigena, nelle azioni di guerra. Non le richiede (anche nella sua
evoluzione feudale) altro principalmente che cooperazione economica di vettovagliamento
e di arredamento militare. Perlochè avvengono i fenomeni seguenti: 4) l'elemento do-
minatore, specie dove e quando è numericamente inferiore al dominato, progredisce in
IL POPOLO SICANO-SICOLO T
(DO)
forma linguistica più facile nell’ espressione sonora e grafica, e più ricca
d’imagini e di associazioni d'imagini fissate nelle parole o nei segni, e per-
ciò meglio dotate di energia simbolica, non soffoca, è vero, la vitalità dia-
lettale precedente, ma la confina in un rango inferiore al suo, e diviene
mezzo o strumento di vita di relazione politica, artistica e giuridica.
È assai probabile che nel 765 a. C., data della fondazione della prima
colonia greca a Thapsos, i Corinzi fossero già pervenuti a quello stato so-
ciale che si chiama età del ferro. Ed è pure probabile che la loro evolu-
zione civile fosse già arrivata al grado o livello di usare una scrittura, o
abilità grafica di trasmissione del pensiero, che i sicani-sicoli non posse-
devano.
Fra poco ritornerò su questo grosso quesito storico, sottoponendo alla
vostra facoltà visiva una dimostrazione appoggiata a fatti positivi.
La frase fondare una città, e perciò una convivenza, per le civiltà pe-
lasghe o mediterranee, come per le Arie, ha un significato assai diverso
dell’altra : costruire un gruppo di abitazioni per una convivenza. L' anima
del fatto positivo fondazione è costituita dalla concezione idealistica di af-
fermare il vincolo di convivenza con il culto alla divinità protettrice del-
l’aggregato, distinto dal culto alle divinità familiari. Da ciò il rito del solco
sacro segnante i limuti della civitas, organizzazione mista religiosa e politica.
Invocare una Deità è espressione di uno stato civile assai avanzato.
L'uomo primitivo e l’uomo dei periodi susseguenti sino all’età del bronzo,
che furono lunghi in durata decrescente mentre il periodo primitivo fu
lunghissimo, non erano stati ancora capaci di organizzare una così potente
associazione d’imagini.
La fondazione di una città o di una colonia per le forme solenni del
rito, sia per gli attori che per gli spettatori, era un fatto nuovo dotato
di una energia simbolica eccezionale. È lecito quindi supporre che il gruppo
fondatore, prevalentemente se non totalmente formato di adulti maschi,
venuto a contatto in un’ isola con popolazioni indigene nella condizione
demografica ordinaria di parità numerica di maschi e femine, avesse ecci-
tato attraenza o simpatia sopra una parte di queste popolazioni, allo stesso
modo come è probabile avesse eccitato repulsione o antipatia sull'altra.
Con queste vedute sociologico-storiche gli avvenimenti di Sicilia dall’ot-
inferiorità numerica per le continue perdite demografiche che subisce sui campi di bat-
taglia anche se vittorioso; 6) l'elemento dominato invece, per la energia economica che
spiega a soddisfare le esigenze dei dominatori e per la organizzazione o riorganizza-
zione delle sue associazioni d’arti e mestieri e mercantili, esercita (con il suo fondo lin-
guistico che rivela la sua attività psicologica più progredita, e per mezzo anche delle
sue donne) una influenza assimilatrice, nella propria massa, dell'elemento dominatore.
38 POPOLI SCOMPARSI
tavo al terzo secolo a. C. si rischiarano di luce nova, anche sulla guida
dell’imperfetta documentazione archeologica e scritta che è in possesso no-
stro. Tra la pochezza dello apporto feminile dalla madre patria (per insu-
perabili difficoltà opposte dai mezzi di navigazione del tempo) e l’abbon-
danza feminile dei gruppi sociali fissati da centinaia di secoli nelle isole.
è verità assoluta l'assimilazione antropologica e psicologica dell’ elemento
etnico sopravvenuto nella massa sociale completa. Senonchè, per la stessa
legge naturale di fusione popolare, la virtù di esempio di forme più elette
e più facili in associazioni d’imagini, parlate o scritte, agente sulle donne
attratte dall'amore e sui figli nati dall’accoppiamento, imprime socialmente
un movimento che modifica la vita di relazione : usi, costumi, abitudini,
che si differenziano con caratteri misti derivati dai due elementi in incrocio,
prevalendo il sentimento-pensiero dell’elemento autoctone nella espressione
morale, allo stesso tempo che prevalgono le concezioni astratte dell'elemento
etrico sopravvenuto , se entrambo gli elementi trovansi adatti alla evolu-
zione civile in complicazione. E lo stesso avviene nelle manifestazioni ar-
tistiche. L’ arte sicano-sicola, subì modificazioni dalla sopravvegnenza di
esempio di artisti greci, ma conservò il tipo proprio di espressione, che
differenzia i monumenti e la produzione artistica siciliana da quella greca.
Ed ora permettetemi che io sfogli innanzi a voi e presenti ai vostri occhi
l’album che illustra uno dei più curiosi Musei privati, raccolto in Francia
da Edouard Pierre nella grotta del Mas d’Azil (Ariège) (1) sulla riva simi-
stra dell’Arise (affluente della Garonna).
Procedendo con esattezza coscienziosa, il Pierre, apri nella grotta una
trincea che, nella sua sezione, mise in luce le varie stratificazioni dovute
ai depositi pluviali ed alle inondazioni della riviera, che, nelle sue vicissi-
tudini climatiche, raggiunsero fino a 14 metri d’altezza sul livello attuale.
Tra le altre cose riguardanti le convivenze umane, che successivamente
per moltissimi secoli occuparono la grotta del Mas d’Azil, questa racconta
la sparizione, per ragioni climatiche, delle popolazioni dell’età della renna
ricche di attitudini artistiche, che non poterono perciò trasmettersi alle
sopravvegnenti dopo la cessazione del più recente periodo glaciale.
La grotta del Mas d’Azil rivela nove stratificazioni o assise di periodi
(1) L’ album è stato publicato nel supplemento al N. 4 (luglio-agosto 1896) della ri-
vista L’Anthropologie.
La memoria esplicativa fu publicata nei N.i 3 del 1895 ed 1 e 4 del 1896. Seguì nel
N. 6 lo studio di H. Fischer sulle conchiglie della grotta.
IL POPOLO SICANO-SICOLO 39
diversi. Nella quinta stratificazione a partire dalla roccia di base, il Pierre
ha scoperto i ciottoli colorati, dei quali, i fogli dell’album che io vi mostro
vi offrono una imagine visiva assai tangibile. Con prudenza assai notevole
il Pierre lascia agli studiosi il compito di confermare, modificare oppure
completare le prime interpetrazioni. Ci troviamo in presenza forse di un
materiale scolastico o simbolico importantissimo , del quale la parte che
accenna al culto solare manifesta la costituzione di un elemento jeratico.
Non sono più, per civiltà raggiunta, segni semplici pittografici o ideogra-
fici. Rappresentano quella fase storica, apparsa da scavi fatti ad Hissarlik,
a Creta e in altri siti, che precede la formazione dell’alfabeto fonico. Non
è più, come anche oggi tra popolazioni non progredite in civiltà, l’èra dei
messaggi formati con treccie a vari colori, o con conchiglie colorate va-
riamente disposte. Rivive invece quella fase civile che sa esprimere coi
segni le imagini e le associazioni d’imagini, e che ne usa e ne insegna la
tecnica, col mezzo scolastico primitivo che, forse, fu l'iniziazione.
Noi, scopritori, adesso che la tecnica è dimenticata, e l'iniziazione non
è più possibile, stentiamo a comprendere la virtù ascosa in quei segni,
che furono una volta di facile intelligenza, e ci proviamo uno stento mag-
giore di quello che risentiamo nel trovarci alle prese con una lingua vi-
vente per suoni e per segni, che l'orecchio e l'occhio nostro ancor non per-
cepisce negli elementi loro analitici.
La convivenza umana dell’assisa aziliana, come l’ha chiamato il Pierre,
sapeva contare e far calcoli, e trasmettere ai contemporanei il suo pen-
siero, e frazionare le sue espressioni foniche in elementi costitutivi.
Questa luminosa projezione sul passato e con documenti storici adesso
scoperti io mi proposi di farvela allo scopo di dimostrarvi l’ intima con-
nessione tra i fenomeni di convivenza e gli altri di continua organizzazione
complessa della psiche umana. Noi non possiamo abbracciare col pensiero
la poderosa sintesi del progresso umano, se non arriva chiara al nostro
cervello la percezione: che il suolo, che permette al viandante di posar si-
curo il piede mentre si spinge avanti o in sù con l’altro, è la obbiettiva-
zione delle imagini o delle associazioni d’imagini sentite nella sua coscienza,
e comunicate alle coscienze dei conviventi, e depositate in queste (senza
saperlo) per trasmettersi alle venture generazioni col mezzo di suoni e segni
di comune intesa.
Una delle più gloriose conquiste della Scienza è stata la proclamazione
della verità: che nello studio dei fenomeni bisogna eliminare la concezione
unilaterale del tempo, che non ha importanza alcuna se si mette in rela-
zione con la durata vitale di una qualsiasi generazione. Nella realtà delle
cose i numeri, come gli anni e i secoli, sono un termine di paragone, un
40 POPOLI SCOMPARSI
mezzo, uno strumento, per fissare in modo simbolico la successione degli
avvenimenti. Ma la quantità stragrande delle onde di movimento, inaffer-
rabile dalla nostra mente, opera sempre in modo impercettibile al di fuori
e al di sopra della personalità umana, anche se, come imaginò Dante, il
cammin di nostra vita
sì svolga nella media di settant'anni, ciò che non è.
Era assai comoda, conveniamone pure, la ipotesi della leggenda assira,
cioè di un popolo civile che , invertendo 1’ ordine paleontologico dell’ ap-
parizione dei sessi, mise il primo uomo a conversare tu per tu con la Di-
vinità e con idee astratte, o associazioni d’imagini per le quali invece fu-
rono necessari lunghissimi lassi di tempo.
Ma con le moderne esperienze che abbiamo raccolte di vocabolari limi-
tati a due o trecento parole, e di lenta costruzione sillabica nei nostri bam-
bini, noi abbiamo acquistato la convinzione che il linguaggio, parlato o
scritto, come tutti i fenomeni della vita e dell'Universo, sì è organizzato
lentissimamente , e con esso si è contemporaneamente organizzata la co-
scienza individuale e sociale.
Una popolazione, o convivenza primitiva, che comincia a percepire l’al
di là, e il disopra del suo abitato e delle sue relazioni sociali di sentimento
con associazioni d’imagini fissate in una parola nuova, sopraeleva il proprio
livello mentale, ed acquista una energia di disquilibrio verso altri aggre-
gati sociali che non hanno percorso lo stesso cammino.
Il fenomeno si ripete sempre sotto i nostri occhi per le continue appli-
cazioni scientifiche. Una invenzione, una scoperta, una trovata, una teoria
più evidente, dovunque appaja, si diffonde per il nostro mondo e diviene
egemonia mentale, economica, politica. Lo scambio quotidiano tra le na-
zioni moderne, agevolato dalle rapide comunicazioni, accelera il movimento
della civiltà, per la medesima ragione del movimento iniziale remoto: la
scoperta delle linee di minore resistenza.
Allorchè, nell’ottavo secolo a. C., i Greci vennero in contatto con le po-
polazioni sicano-sicole, è assai probabile che essi, per le armi e gli stru-
menti di ferro, per l’organizzazione linguistica parlata e scritta, si trovas-
sero in condizioni di dislivello mentale sugli aggregati sociali dell’isola.
Le poche scoperte archeologiche finora fatte in quest’ultima, nulla hanno
rivelato che somigli ai tesori aziliani.
IL POPOLO SICANO-SICOLO 41
La trasmissione del pensiero era ai Greci più facile, e la energia loro colo-
mizzatrice si diffuse in Sicilia come virtù di esempio e funzione educatrice.
E assai probabile che la svegliatezza d’ingegno siciliano, il carattere ospi-
tale e simpatizzante per è forestiero, le sparse tendenze alla sopraeleva-
zione mentale, ricevessero in pieno la spinta del genio ellenico, recata per
il tramite dell’elemento più avventuroso che sfidava le vicende della navi-
gazione.
Dimodochè non è da meravigliarsi se, mentre l'elemento ellenico veniva
antropologicamente attratto e assimilato dalla massa sicano-sicola, le par-
venze dello incrocio di due tendenze civili in parte diverse furono greche,
e greco divenne il nome delle nuove organizzazioni politiche.
A prova però che ci troviamo dinanzi a un fenomeno di parvenza, 0,
come dissi per servirmi d’imagini tangibili, di semplice vernice, stanno i
fatti indiscutibili della graduata cancellazione della impronta greca nei
tempi posteriori, e malgrado la ripresa storica delle influenze bizantine.
Così poderoso era il ceppo sicano-sicolo, dopo la riscossa contro il dominio
musulmano, da mostrare il suo rigoglio etnico e nazionale con lo elevare
a dignità di lingua il parlar dialettale, comune nel suo fondo organico
alla espressione del pensiero di tutta la stirpe italica.
La dimostrazione storico-sociologica che ho avuto la fortuna di sotto-
porre alla vostra attenzione, mi conduce naturalmente a tener conto dello
stato attuale della documentazione archeologica e delle esigenze sociali ri-
guardanti le ricerche interessantissime sulla civiltà sicano-sicola.
Per vie diverse durante il corso della mia vita sono sempre pervenuto
allo stesso crocicchio : la Sicilia è un campo ancora quasi intatto di ricer-
che e di esplorazioni. Le sue remote abitazioni costiere e montanare, ce-
lano nel loro suolo, nelle prossime grotte e caverne, nelle tombe ancora
intatte sfuggite alle ingordigie predatrici, materiali storici preziosi. La
breccia aperta in questo campo dal prof. Orsi — alla mente del quale, al-
lenata ad altri indirizzi, balenò il sospetto che la civiltà sicano-sicola igno-
rata avesse caratteri di grandezza rivaleggianti con altre civiltà del periodo
quaternario — se in lui animò una fede e mise in evidenza le sue non co-
muni qualità di classificatore e di organizzatore, nel publico colto , posto
a contatto dei fatti positivi raccolti nel Museo di Siracusa, eccitano facoltà
integratrici di idealità a raggiungere.
Gli altri Musei dell’isola, publici e privati, seppure hanno un qualche
6
49 POPOLI SCOMPARSI
valore come semplice raccolta di poche armi di selce o di ceramica pri-
mitiva, non impressionano il visitatore per la mancanza di spirito critico
e di studio coscienzioso di ricerche, messe in armonia con le stratificazioni
e diffuse nel pubblico con monografie opportune.
La dotazione per gli scavi, che era scarsa in principio, divenne assolu-
tamente irrisoria quando la politica finanziaria della lesina — oggi divenuta
un anacronismo — pesò come una coppa di piombo sulle Biblioteche e sui
Musei, che sono il punctum di Archimede per muover la Terra.
Meglio assai delle precedenti generazioni noi siamo armati per le inve-
stigazioni scientifiche. Le comunicazioni migliorate facilitano nell’isola no-
stra le escursioni podistiche sui terreni accidentati. Sotto la sapiente orga-
nizzazione di una forte volontà, che abbia a sua disposizione mezzi oppor-
tuni, i miracoli fatti a Siracusa, per metter su e rendere evidente la le-
zione di cose che nasce dalla rivelazione di una civiltà vissuta, sarebbe
relativamente facile attrarre giovani animosi e ricchi di fede, che vadano
per le nostre montagne raccogliendo le fotografie (unico formato ed unico
criterio dirigente) dei varî siti dove trovansi costruzioni ciclopiche. Questo
manipolo di giovani potrebbe, con pazienti cure, raccogliere e classificare
in fotografia tutte quelle figurine in terracotta che manifestano le foggie
e gli usi delle età diverse, ponendole in luce di comparazione. Otterremmo
così l’inizio di quegli studî di antropologia e di sopravvivenze etniche, i
quali in Sicilia, centro d’infiltrazioni e d’incroci popolari, è assai probabile
debbano dare risultati meravigliosi. |
Così soltanto si vivifica la Storia, che se, da un punto di vista, è scien-
za assolutamente passiva per il carattere: sperimentale di racconto di av-
venimenti sui quali nulla od assai poco può la volontà dell’uomo, è però
dotata dello elemento radiante e perciò dell'energia di movimento, impressa
nel simbolismo dei suoni, dei segni e di tuttii prodotti dell’umana attività.
Noi abbiamo il dovere di eccitare le latenti forze sociali dei giovani ari-
stocratici, che son contenute nella nostra compagine democratica, ad uscirne
fuori con energia di lavoro mentale. Ci sia di sprone lo esempio della no-
stra emigrazione, che, in ambienti nuovi e con facilità di movimento, ri-
duce la percentuale della delinquenza al disotto della media delle popola-
zioni con le quali viene in contatto; adatta all'agricoltura, all'industria ed
al commercio la svegliatezza dell'ingegno, e impingua la ricchezza della
patria italiana col rapido accumolo dei suoi risparmî, frutto delle condizioni
etniche — sobrietà e parsimonia — qualità fondamentali di una forte razza,
che riattiverà il movimento di espansione mentale ed economica, per il
IL POPOLO SICANO-SICOLO 43
quale la Sicilia divenne celebre coi suoi migliori, nelle epoche più gloriose
della sua storia.
E lasciatemi terminare con l’augurio che io faccio a me stesso, già avanti
negli anni, che mi sia dato di veder cominciato lo studio sociologico della
vita dei nostri Padri, così lontani da noi nel tempo, ma dei quali siamo
eredi e successori.
IL CONTENUTO GIURIDICO
DELL?
SUMMA PERUSINA
Comunicazione fatta dal socio
PIRO bdENRICORBESINA
nella tornata del 22 aprile 1906
CON
f\
AUREUIRVMRUVTERIDAVIMUViTUMIVSIAMCICRLOSCOMITLSVMUUSIRRICATEMUCOSCRRENENROCUKVRUCUNOMVONKBROLCOICUTAROTOXMONtAIROCOXMOOOIMRACKOANCEMOEKKQROERALCKMROOKKOASOCRI DELA OOKKgaOCOObteR Cami KOKOPOsAX0RRACOORIOTENIRIT,QROO,NOCCKOTAKO{IGONOCRIOLIVRNONONNOIAMITINQANIVSITOAICOMITOORAONT ANO RINNO INN DIVANI
Il contenuto giuridico della Summa perusina.
—-o--
Indole della Summa perusina e suo scopo.
Nel rifarmi a studiare la c. d. Summa perusina in base all'ottima edi-
zione del Patetta, muovo da un punto di vista un po’ diverso dal solito: (1)
non la considero infatti come indice di studio delle fonti giustinianee e
come monumento dottrinale di coltura romanistica, bensì come opera, che,
tendendo a scopi pratici più che scientifici, mirava effettivamente a ser-
vir di norma per i rapporti giuridici vigenti nel tempo, nel luogo e nella
società in mezzo a cui l’autore viveva.
Che 1 autore delle adnotationes codicum (2) sia stato cattivo esegeta
del diritto giustinianeo, cui spessissimo fraintendeva in tal modo da ren-
(1) Adnotationes codicum domini Iustiniani (Summa perusina), Roma 1900, estr. dal
Bull. delV’Ist. di dir. rom. XII. La nuova edizione, condotta con soda dottrina e con
impeccabile diligenza, ha reso antiquata quella dello Heimbach, Anecdota, Lipsiae 1840,
II, p. 1-144. Per brevità indico le adnotationes con la sigla S. P.
(2) Il ParertA p. XIII ha inconfutabilmente dimostrato che il collettore dei som-
marii così chiamati fu persona diversa dal loro autore e che dal primo va pur distinto
l’amanuense cui si deve il ms. delle Summa ora conserzato : distanza di secoli potè
divider l’uno dall’altro. Pur decisive mi sembrano le sue critiche all'ipotesi che la
Summa fosse volgarizzamento di sommarii redatti precedentemente, e forse a più ri-
prese, con migliore latinità e con maggiore esattezza sostanziale (NieBunR, Zeitsch. f.
gesch. Rechtsw. III, 391) o una spropositata versione catapodistica di sUvtouor greci (TA-
MASssIA in Arch. giur. XC, p. 266-267 e Atti R. Ist. Ven., Ser. VII, vol. IX): che l’autore dei
summaria lavorasse direttamente sulle fonti si trae, più ancora che dal ritorno sporadico
di locuzioni proprie di esse (PatETTA p. XXVI), da certe papere che possono spiegarsi
4 IL CONTENUTO GIURIDICO
der difficile il cogliere un nesso sicuro tra il riassunto e il testo compen-
diato, è cosa indiscutibile: ma, se lo storico del diritto romano può limi-
tarsi a constatare la scarsa familiarità col linguaggio delle fonti e la con-
seguente inettitudine a dominarne il contenuto, lo storico del diritto ita-
liano deve andar più oltre ricercando la causa di quegli errori. E così la
struttura e il valore di quel lavoro, che a un giurista moderno può parere
a tutta prima un monumento di madornale insipienza (1), appariscono sotto
meno obliqua luce: l’ignoranza non fu l’unica ragione di tali e tanti tra-
viamenti ed ebbe ragione il Conrat (2) astenendosi dal pronunciare una troppo
recisa condanna contro quell’interessante documento della nostra vita giu-
ridica medioevale.
Le lacune e le scorrezioni del manoscritto perugino non furono tutte nel-
l'archetipo e spesso non all’autore sono da imputarsi, ma all’amanuense inetto
a vincer le difficoltà della scrittura originaria (3) o alle vicende subite
del codice cui questi attinse che, forse per una smarginatura troppo pro-
fonda, già presentava i sommarii più o meno gravemente mutilati (4). Per
spiegar poi le papere di cui realmente si può accagionar l’autore convien ri-
soltanto con erronee lezioni del ms. o con falsa lettura di parole o frasi delle fonti
stesse. L’unità dell’autore appare poi incontestabile per l’unità dello stile e pel ricorrere
di locuzioni caratteristiche in tutte le varie sue parti: moltissime altre prove di questa
uniformità di linguaggio si addurranno nel corso del lavoro; qui, come una delle più si-
gnificative, ricordo l’uso del niWil esse in S. P. 1. 22. 5; 1. 23.4; 2.4.13, 23; 2.22. 2; 2.55.6;
3.8. 1; 3.6.1; 3.11.2; 4.1. 5; 4.2. 17; 4. 19. 5, 6; 4.20. 3, 4; 4. 29.3, 15, 16; 4.36.1; 4. 38.2, 3;
52:08: bAl45: 51605: t559) 22 ba e87 107 62214: 16) 254: 626055699156:
6.40.3; 6.4.1; 7. 10.4, 6, 7; 7. 11.5; V.14.13; 133.6, 8; 7.45.1; ‘0. 713:6; 815%; (816.4;
8.38. 1; 8.41.3. Quanto allo stile osservo essere a mio avviso caratteristico dell'autore
l’esporre la protasi delle singole disposizioni, come l’apodosi, in forma positiva con l’indi-
cativo e non ipoteticamente col condizionale : adottato questo criterio la punteggiatura
dovrebbe essere leggermente modificata in più luoghi per distinguere l’una dall’altra
con un punto e virgola.
(1) ParEerTA p. XXVI.
(2) Conrat, Gesch. d. Quell. u. Lit. d. rém.Rechtsim dlteren Mittelalter, Leipzig 1889.
(3) PareTTA p. XIV. L'editore dimostrò all’evidenza che l’archetipo del ms. peru-
gino dovette essere un codice a scrittura longobarda continua; di qui l'imbarazzo del-
l’amanuense nella divisione delle parole e nella interpretazione di alcune lettere o nessi
di lettere.
(4) Si può dire che ben pochi sono i sommarii giunti in forma completa. Lacunose
sono pur le leggi riportate testualmente : ond’io sarei tratto a supporre che queste fosse-
ro talvolta segnate marginalmente per supplire alle lacune di un ms. epitomato in modo
analogo a quello che si riscontra nel ms. pesarese descritto dal PatETTA, Di un nuovo ma-
nosceritto del codice epitomato, Roma 1895, estr. dal Bull. dell’ist. di dir. rom., a. VII. Le
c. 1.7.5; 1.30.3; 1.32. 1; 1.35.2; 1.36.1; 1.37.2; 1.39.13; 1.50.7-9; 1. 54.1; 1.56.1;
2.3.25; 2. 4.42; 2.7.16,17; 2.11.10, 17; 2. 17.4; 3. 12. 5; 3. 34. 2-5; 3. 34. 9-12; 3. 36. 1-3, 7,
DELLA SUMMA PERUSINA Ò
corlare che la visione del presente, anche là dove la deviazione dal testo
non fu voluta, potè ottenebrargli la intuizione del passato. Movendo in-
fatti fra leggi in molta parte dissuete ei non seppe emanciparsi dal modo
con cui i varil istituti giuridici erano configurati e regolati intorno a lui
e dalle accezioni nuove che nella favella volgare avevano assunto le voci
giuridiche e le frasi già classiche : evitare codeste influenze era troppo dif-
ficile per chi, pur conoscendo accanto al Codice le Istituzioni (1) e le No-
velle (2), difettava di quel serio corredo di nozioni giuridiche e storiche
che sarebbe stato necessario per poterle scientificamente dominare. L'an-
gustia delle sue idee corrispondeva alla involuzione che intorno a lui era
avvenuta nella vita giuridica: sotto il linguaggio volgare intese forme
e concetti giuridici volgari.
Or qui appunto comincia il compito dello storico del diritto italiano :
fattosi padrone della caratteristica latinità della Summa, egli, cercando a
dovere per quali cause e per quali vie sieno sorte le difettose interpreta-
zioni che meritarono le giuste critiche dei romanisti, deve cogliere e
segnare le linee di quello ch’era allora il diritto attuale. Data la mancanza
d'ogni traccia d’influenza germanica (3), le deviazioni ch’essa presenta dal
tipo giustinianeo vanno sicuramente considerate come indici di usi volgari
per quest’aspetto la Summa non è men degna di studio della Lex romana
curiensis (4).
Checchè si sia pensato o scritto la Summa perusina non è il prodotto
d'una scuola; nel cap. 5. 17. 8 si legge bensi: £x quibus causis detur
repudius prese[n]s lectio declarat, ma la voce lectio qui, come nei Sum-
maria capitum all’Epitome di Giuliano (5), non equivale punto al nostro
19-13, 16-18, 22-24; 3. 37.5; 4.2.3; 4.8.2; 4. 30. 12; 4. 32. 11; 4.35.21; 5.1.3; 5.184; 5.25.2;
D.A4.3, 4; 5. 53. 1; b. 62.25; 5. 65.2; 6.2. 19; 6.21. 11; 6.22. 5; 6. 23. 26; 6.24. 5, 12; 6. 25. 5, 6;
6.37. 4; 6.37. 26; 6.38. 3; 6. 41.1; 6.42. 20,30; 6.53.2; 6.53.5, 6, 8; 6.54,7; 7.1.3; 7.5.1;
(01/6138; 1420-2; 0..56.2,3; 0.2.8; 0.4. 1,8. 16. 3; 8. 35.6, 7, 8, 9, 10, 11,12 13, 16; 8. 39.3;
8.41. 7; 8. 46.2; 8. 47.2 mancano in generale nei manoscritti epitomati.
(1) Cfr. S. P. 4.27.1 e Inst. 2.9. 5.
(2) Cfr. S. PB! 5.12 e 20; 5.14. 10 e Epit. Lul. XC.
(3) La dimostrazione del ParertA p. XXXIII deve considerarsi come esauriente :
ed è quindi inutile ch'io torni ad insistere su di essa.
(4) Da quest’aspetto l’importanza della L. r. c. fu ben rilevata dal BriixnER, Deutsche
Rechtsgeschichte, Leipzig 1887, I. 361 segg. e dallo ScHuPFER nelle quattro memorie in-
serite nelle Mem. Acc. Lincei Cl. scienze morali ser. III vol. VII e X, ser. IV vol. III
e vol. VI: alla conoscenza di quel diritto volgare ho cercato anch'io di contribuire nella
nota critica su la stessa legge pubblicata nella Riv. ital. per le scienze giuridiche a. 1901
ed ora altro contributo e assai più largo ci viene dal Meier, Die Entstehung der Lex
utinensis in Mittheil. d. Instituts fur bsterreichische Geschichtsforschung XXVI.
(5) Summ. ad cap. 314.
6 IL CONTENUTO GIURIDICO
“lezione ,. Piuttosto la rivelano opera di un pratico la tendenza a ridurre
in precise formole notarili (1) o processuali (2) certe norme delle fonti e
il suo rivolgersi come consigliera ai giudicanti. Caratteristico è per questo
riguardo il cap. 3. 1. 13: hoc et de pedaneo indice liceat indicare.
Un maestro, per quanto di poca levatura, avrebbe probabilmente stu-
diata un po’ più la forma: al pratico invece, curante più del contenuto
che d’altro, bastava farsi capire. E in fatti non mise troppo impegno
nel non lasciar scorgere sotto il velo d’una latinità superficiale le linee
del volgare in via di formazione : esso fa capolino non solo nella capric-
ciosa anarchia dei casì e in certe forme verbali, ma pur nell’uso di alcune
locuzioni e nella costruzione sintattica irregolare ricca di espressivi anacoluti.
Fornito poi di una cultura a pena mediocre il nostro summator non avendo
il sussidio di opere che gli agevolassero il suo lavoro d’interpretazione,
perchè appena si giovò di qualche rara glossa esplicativa di singoli vo-
caboli (3) o tutt'al più di qualche notabile (4) o di qualche regola (5), capì
naturalmente delle fonti solo quel tanto che gli riuscì di capire. E dove, non
potendo intendere, non ricorse ad uno sbrigativo require legem (6) e volle
cavare un costrutto della sua lettura, necessariamente sbaglio.
Ma codesti framtendimenti sono interessantissimi.
In alcuni casi si potrebbe dubitare che la norma risultante da essi non fosse
valida come per esempio là dove, per aver interpretato con troppo frettolosa
lettura lupanar il lubrico lapsa d’una costituzione dioclezianea negò la suc-
cessione del figlio alla madre corrotta (7) o dove, interpretando per advo-
(1) S. P. 3.28. 12; 6. 20. 20; 6. 23. 10, 11; 6. 23. 27; 6. 25. 7; 6.42. 10; 6.44. 1; 7.4.9; 7.414;
8.16.9; 8.40.19.
(2), S.P. 6.9.6; 1.33.12; 765.3; N. 00.5.
(3) S. P. 1.5.81 dampnationem quatuor sinodorum; 2.40.3 v. legatas; 2.58.2 v. patro-
nus; 3.22.24 v. postliminium; 4. 44.8 v. palatini; 3.9.7 v. obesse; 6.30.18 v. delata; 6.35. 9
v. clam; 6.46.6. v. peremptum; 6.50.4 v. abolitio; 7. 63.1 v. apostolos hoc est literas ad in-
dicem. Un riflesso di qualche definizione tradizionale può scorgersi in 8. 4. 11 per la voce
e in 3.15.2 per il plagiarius. Da una glossa deriva fors'anche la locuzione guvernantes
rebus venerabilibus in S. P. 1.3.5 con cui son rese le voci archigerontes et dioecetae er-
gasiotanorum.
(4) S. Pi 126.1; 1811602 6.00; 2. 440.25 4:32.25; 5. 2 115. 107081692909: (15822;
7..85..5; "l. 62. 28; 7. 32. 36; 7. 62. 38; 8. 35. 14.
(© SD Bla 7,13 211828 2 19,73 dI IL
(6) S. P. 3.36. 4, 15-25; 3.37.92; 7.56. 2, 3; 8.39.2. Cfr. lege ipsam legem [S. P. 3. 36. 4;
6.50. 1; 5, 6; 6.53. 6, 8; 7.25. 1; 7. 51.16; 8. 35. 13, 14, 16] ab isto loco utere legem [6, 20. 18};
ipsa lege relegit (7. 25.1]; presens lectio declarat [5. 17.8].
(7) S. P. 2.34.2. Nel glossario del Cod. Vat. 1459 Cfr. Corp. gloss. V. 1904 dissertos-
scolasticos.
DELLA SUMMA PERUSINA (l
catus il desertor della fonte, attribuì la libertà al servo nominato avvocato.
Per altre invece la realtà della norma è indubitabile (1) e fu proprio la di-
versa figurazione del caso che trasse il compilatore a pensare ad una regola
diversa da quella presupposta dal testo.
Appunto per ciò mi è parso opportuno l’esporre sistematicamente il con-
tenuto della Summa perusina in quanto si attiene al diritto pubblico, alla
procedura e al diritto privato: meglio che non dal sistematico riassunto
delle epitomi delle fonti (2), che pur contenevano sempre larga parte di
norme inapplicabili, potremo per tal via raggiungere una giusta idea della
pratica giuridica in un paese che avrebbe dovuto essere di diritto giustinianeo.
JUÈ,
L'organizzazione amministrativa e giudiziaria.
Incomincio dalla determinazione del significato che l’autore della S. P.
pote aver dato alle voci civitas e provincia. È uno dei pochi punti in cui
mi scosto dalle conclusioni cui giunse con sottile procedimento critico il Pa-
tetta: mentr’egli infatti non sospettò che i due vocaboli abbiano mutato
contenuto di fronte all’ accezione tecnica delle fonti a me pare e forse
parrà anche ad altri che in realtà così fosse avvenuto.
Notevole è anzitutto che l’ autore di solito non parla di civitates in
plurale, ma singolarmente di una c.vitas (3) a cui contrappone a mo’
(1) Nelle S. P. 4.61.12 il carcere devesi senza dubbio ad una scorrezione del ms. che
leggeva così invece di carere; in S. P. 5.6.7 l’ ignis interdictione ad una falsa lettura
di ignis iniectione; in 6.5.6 il coronis a una falsa lettura di colonis. Altre papere de-
rivanti dalla incapacità di afferrare il contenuto delle norme si colgono in S. P. 1.3.5
dove il compilatore non capì che cosa fossero i rationales; in S. P. 1.3.7 dove non com-
prese che cosa fosse la quaestio ; in S. P. 1.4.6 in cui scambiò i sinoditae coi dannati
dal sinodo; in S. P. 2.3.39 ove prese la promessa di non uti fori prescriptione per una
promessa ut secretum non publicaretur; in S. P. 3. 26.7 dove intese gravitas per angaria;
in S. P. 4.61.11 dove attribuì alle voce manceps il significato di mancipium; in S. P. 5.30. 2
ove confuse la capitis deminutio con l’infamia e in 4. 10.2 e in 7.53.5 ove non arrivò @
comprendere che cosa fossero i nomina etc. Cfr. Parerta p. XXIII e segg.
(2) Cfr. Coxrat, Die Lex romina canonice compta (Romisches Recht in friihmittelalterli-
‘chen Italien) in systematischer Darstellung, Amsterdam 1904, lavoro che secondo l’inten-
zione dell’autore, dovrebbe far da noi riscontro all’altro Breviarium alaricianum (Rò-
misches Recht im friinkischen Recht) in systematischer Darstellung, Leipzig 1903.
ISAIA AI AMO AZIO AAA 04163655 6,123. 325; 6.25.10; (8: 10:13, 6,.&;
8.11. 6. Il plurale si trova però in S. P. 8. 11,11.
s IL CONTENUTO GIURIDICO
di pertinenze o appendici dei castra (1), delle villae (2), dei loca: (3) si di-
rebbe, sol per questo, ch’egli normalmente non abbia spinto l’ occhio più
in là del distretto amministrativo in cui viveva, un distretto che non do-
veva poi esser tanto ampio se non conteneva che una civitas o un grosso
centro amministrativo urbano in antitesi a quello che oggi chiameremmo
il contado (4). Dove poi quella voce indicò presso lui l’aggregato dagli edifici
che ne costituiva la base materiale della c.wvitas (5) allora, se non m’'inganno,
civitas e urbs (6) ebbero per lui il medesimo contenuto (7) e civitas fu
una determinata città, ove già le rovine cominciavano a diffondere
intorno a sè l’inmcubo melanconico della decadenza, ima abbondavano ancora
e si volevano difendere contro il vandalismo privato (8) i monumenti gran-
diosi, che con le forme decorose del publicus aspectus ne costituivano l’or-
natus (9), e vera un’ampia cerchia di mura, che si voleva oggetto di circo-
spetta vigilanza (10) per assicurarne la difesa. Al di là della ewitas gli
stessi consudditi apparivano a lui come exteri (11), come extrane? (12): la
civitas era pei singoli la vera patria (13).
In relazione al mutato significato della civ:tas va poi figurata la provineza.
Sembra infatti che con tal voce abbia generalmente inteso il territorio rustico
in contrapposizione al centro urbano (14): certo provinezsalis appar spesso sino-
nimo di rusticus. Così in S. P. 1.54. 4 il gravamen rusticorum del testo si
cambiò in un gravamen provinciae, in S. P. 4. 62.4 gli onera provineralium
furono intesi come onera ruri facta e nella S. P. 1.54. 5 finalmente il pro-
vinciales del compendio rese la plebs delle fonti. È troppo azzardata dopo
ciò l'ipotesi che le provinciae, cui voleva alludere il compilatore, fossero di
solito i castra o i loca dipendenti dalla cvitas ? (15)
La civitas con le provinciae formava un tutto amministrativo a sè:
(1) S. P. 6. 23. 32. — (2) S. P. 8.10. 6. — (3) S. P. 5. 40. 2. — (4) S. P. 1.48. 1; 4. 44. 17;
4.63.6 (consuetudo negotii della civitas). — (5) S. P. 3.43. 12; 4. 63.6; 8. 10.3. 6; 8.11.11.
— (6) S. P. 5.33. 1; 8.44.8.— (7) D’ altronde la civitas era giuridicamente considerata
come un organismo fornito di capacità propria, ond’è che la S. P. 4.44.17 parla di
pecunia civitatis spesa per la provvisione di vettovaglie dal di fuori. Cfr. 2. 4.12; 4. 63. 6.
— (8) S. P! 8.0.6, 85 8115, 14. — (9) SÒ) 8.102,76, i — (ONTO;
11, 13. Curioso è che, dove le fonti parlano di publicae aedes, il compilatore fa sempre
parola di publica mura: parrebbe dunque che questi fossero per lui le publicae aedes
per eccellenza. — (11) S. P. 4.44.17. — (12) S. P. 6.24. 11.I cives [4. 62. 12] sono contrap-
posti agli advenae anche in S. P. 7.72. 1. Sinomina di advena parrebbe esser stata la voce
peregrinus in S. P. 6.24.7. — (13) S. P. 2.11.9. — (14) S. P. 2.7.6, 9; 3. 8.1; 3.11.11;
3. 24. 1; 5. 33. 1; 5.38.2; 5. 62.9; 7. 33. 12; 8. 10. 10. — (15) Im S. P. 5.40. 2 i oca corrispon-
dono alla provinciae delle fonti. In. 5.82. 1 si parla significantemente d’un ordo curie
provincie.
DELLA SUMMA PERUSINA 9
non era pero illimitatamente autonoma e ne persisteva la subordina-
zione alla unità politica dell'impero. Contro coloro che pensassero esser gli
accenni all’autorità imperiale pure reminiscenze storiche suggerite e sor-
rette dalla autorità delle fonti protesterebbero i luoghi in cui il compilatore
ne fa parola indipendentemente da esse: di qui infatti bisogna dedurre che,
quand’anche il vincolo ond’eran soggette all'imperatore fosse molto rilassato,
nondimeno l’autorità imperiale non fosse ridotta ad un’ ombra senza sog
getto (1). L'oraculum imperiale non era muto (2) e i reseripta (3) uscivano
tuttavia frequenti per dispensare dignità ed onori, per autorizzare 1’ e-
sercizio dell'avvocatura (4), per rimeritare i servigi resi all'impero (5), per
ordinare dislocamenti di eserciti (6). Ancora intorno all'imperatore vi era
una ressa di petitiones (7), di preces (8), di suggestiones (9) dirette ad otte-
nere privilegi e dispense magari in modo surrettizio (10); a lui si rivol-
gevano i funzionarii che volevano aver licenza d’ assentarsi dalle loro
sedi (11) o di fare acquisti in provincia (12), e i privati che desideravano
aver concessa la esportazione dei public: ornatus della città (13) 0 la occu-
pazione di terreni ed opere pubbliche (14) o quelli che aspiravano ad otte-
nere straordinarie dilazioni giudiziali (15) o volevano essere autorizzati ad ado-
zioni eccezionali (16) od a testare con numero di testimonii inferiore al lega-
le (17) o quelli che comunque intendessero ottener doni e benefici (18). Era
il giudice supremo che con la propria tacitava ogni altra giurisdizione ema-
nando sentenze che avevano virtù di legge ne’ casi analoghi (19) e veran cause
riservate a lui come forse quelle delle vedove e de’ pupilli (20): a lui anda-
vano gli appelli da’ giudicati dei giudici locali del prefetto, degli arbitri (21).
Dov'egli non poteva giungere delegava le sue funzioni ai vicarz (22). Anche
era il supremo legislatore che con le sue %usstones emanava disposizioni
nuove e interpretava e modificava le vecchie (23). Le statue, che riproduce-
(1) Cfr. ParETTA, op. cit. Princeps fu costantemente sinonimo di imperatore: Cfr.
principalis iussio in S. P. 1.52.1. e 1. 39.3, 15; 8.48.6; 3.11.2; 2.36.3; 1.52.15. —
(O) S.P. 1.19.8. — (3) S. P. :1.15.1; 1.19.2; 6.23.9;. 7. 39.3; 8.47. 6.. Sacra semplice-
mente son detti in S. P. 1.23. 1, 2, 3; 7.39.3; 8. 47.6. Altrove anzichè sacra, son detti
auctoritates [1.23.4] o constitutiones [1.15.1; 7.51.6] o iussiones [1. 14.3; 1.22. 5; 1.39. 9;
1.52. 1; 1. 24.5]. — (4) S. P. 2.6.8.— (5) S. BP. 6..60.7. — (6) S. P. 1.28. 4. — (7) S. P. 1. 14.3.
— (8) S. P. 1.19.2.— (9) S. P. 7. 61.2. Cfr. l’uso della voce interpellare in S. P. 1. 19. 6;
EROS ZIE) SARAI I) AS IR3949 5 (208) deo.
ESE MIN 2 (1 STRASS: 9240 i (5) SI 19,2. =
(16) S. P. 8.47. 6. Altrove si avverte invece [8. 48.6] che il rescritto del principe non
era necessario per l’ emancipazione. — (17) S. P. 6.23. 9. — (18) S. P. 7.37.3; 7.39. 3;
(6. —(L9) SP 1.41 —020)S.P.3.14:1.—(21)S. D. 1.36..2; 1. 39.3; 3.11.2.—(22). S.P.
20:2:1226.31 —(23)0S. Pi 114.3, 10, 11.
9
di
10 IL CONTENUTO GIURIDICO
vano la sua imagine, erano sempre oggetto di venerazione (1) e fonte di
protezione a chi cercava rifugio appo loro (2): i sudditi riputavano ancora
onorevole per se il lasciare a lui e all’augusta i propri beni (3).
Ma qual era l’imperatore cui il compilatore avea riguardo ? Senza dubbio
il bizantino. Egli era infatti conscio dei vincoli che già aveano legata la
sua civitas con altre provincie orientali come l'Egitto (4) o l’Illirico (5) e
volentieri ricordava Costantinopoli.
È dubbio invece che ancora intendesse per bene il complicato conge-
gno di alte cariche amministrative che si rispecchia nella legislazione
giustinianea (6).
La S. P. accenna ripetutamente ad un quaestor (7) e al suo officium($); ma,
se potrebbe parere a prima vista che si dovesse identificare col quaestor
sacri palati (9) poichè da esso si facevano dipendere i v272 devoti in sacro
serinio militantes (10) e numerosi chariularit (11), d'altro canto la S. P. 1. 30.4
subordina i questores ai rectores provinciarum e al prefetto: a questo do-
vevano trasmettersi gli appelli interposti presso di loro (12) o presso iloro
chartularti (13) che fanno capolino anche nella S. P. 7. 63.5 corrispon-
dendo agli epistulares delle fonti. Neppur la distinzione fra il laterculum
minus e il maius era più compresa dal compilatore, il quale ci dà la no-
tizia rilevante che i quaestores erano preposti ai laterculi munores e che i
med dipendevano dal magister militum (14).
Mentre poi dalla S. P. 3.13.6 potrebbe parer probabile la persistenza
del magister officiorum poichè ad un magister officiorum pensò appunto
il compilatore interpretando la magisteria potestas della corrispondente costi-
tuzione teodosiana, il modo con cui trattò il titolo 1. 31 induce a credere
che, se v'era tuttavia un magistrato di tal nome (15), avesse altra impor-
tanza e più ristrette funzioni.
Lo stesso è a dirsi ne’ riguardi del comes rerum privatarum. La S. P.
3.26.6 accenna bensì a un comes privatorum che giudicava tra gli homines
fiscales: ma codesto comes che attendeva ai commoda fiscalia (16) doveva
essere qualche cosa di diverso da quello poichè dalla S. P. 7. 62. 26 si trae
ch’ei stava 62 provincits, che cioè non apparteneva all’ amministrazione
centrale. Forse il comes privatorum della S. P., che in materia fiscale. pare
(1) SP. 1:14.21 9; 7. 62-16 (2) S.P i. 244 — (8)Sì Pie 22I60 0 So
(4) S.P: 1.20. 1. Cfr. S.P. 423.4 4.61.9.— (5) SP. 1.284 — (6) Cirisa questo punto
il CaLissa, Storia del diritto italiano, Firenze 1903, II, p. 16 e segg.; il DirHL, Etudes sur
l’administration byzantine dans ’exarchat de Ravenne, Paris 1888; lo HARTMANN, Untersu-
chungen zur Geschichte d. byzantinischen Verwaltung in Italien, Leipzig 1889, p. 35 e seg.
— (7) S. P. 1.30.4; 7.62. 32,37. — (8) S. P. 1. 30.4. — (9) Mommsen, Disegno del dir.
pubblico romano (vers: Bonfante), 1904, Milano. — (10) S. P. 1.30. 3. — (11) S. P. 7-62. 37.
— (12) S. P. 7. 62. 37. — (13) S. P. 7. 62. 37. — (14) S. P. 1.30.1, 2. — (15) Potrebbe anche
trattarsi di una glossa che il compilatore fece passar nei sommarii. — (16) S. P. 1. 32 [83] 1.
DELLA SUMMA PERUSINA dliali
avesse una competenza indipendente da quella del praefectus, era preposto
a singole circoscrizioni fiscali. Da lui non saprei distinguere il comes sa-
crarum cui allude la S. P. 3.27.11.
Non più esatta è la figurazione dei w.carz, che, lungi dell’ essere in-
tesi come i preposti alle diocesi dell’impero (1), appariscono ufficiali giu-
dicanti nelle cause civili vice prineipis (2) e quelle dei legati (3), dei procon-
soli (4) e dei consoli, dignità ridotte probabilmente a semplici titoli onori-
fici. Anche i pretores, se pur v’ erano ancora, erano ben diversi dai ro-
mani costituendo dei magistrati giudiziarii locali (5) subordinati al prefetto (6).
Neppure, mi pare, visono indizi decisivi della continuità della prefettura
del pretorio. Sostenendo l’opinione contraria il Patetta (7) si fondò sopratutto
sulla S. P. 1.26.3 che parla dell’ ordinatio dei rectores provinciarum da
parte di un praefectus; e certo, se le provinciae intese dal compilatore fos-
sero state le provincie romane, non poteva trattarsi che del prefetto del
pretorio. Ma la prova non risulta perentoria ove si ammetta che la voce
provincia abbia avuto anche il significato già posto in evidenza: allora ac-
quista invece maggior peso il fatto , che non distinguendosi più i caratteri
differenziali delle singole praefecturae, Vautore di solito parla di un prae-
fectus in modo generico (8).
Il praefectus, cui il compilatore allude pare sia stato essenzialmente il
praefectus urbi o il magistrato supremo della civitas ch’ei teneva di mira (9)
intermediario diretto fra essa e l’imperatore. Non solo provvedeva alle ne-
cessità amministrative (10), all’annona (11), alle opere pubbliche (12), alla po-
lizia interna e alla difesa dai nemici esteriori (13), ma esercitava funzioni
giudiziarie di prima e di seconda istanza giudicando gli appelli dalle sen-
tenze dei giudici locali (14). Su questi aveva poi poteri di controllo assai lati:
ed era anzi egli stesso che li nominava (15) o almeno ne confermava la
nomina con le sue probaturiae (16). Da lui, che aveva intorno a sè un proprio
consistorium (17) o un proprio officium (18) 0 comitatus (19), ove entravano
(IS SNEARIA3652—(2)0S- i N21268° (8) SUP) d880 1, — (SP. 7-62. 195 27.18;
2. 11.5. — (5) S. PB. 1.37 1,2. — (6) S. P. 7. 62. 17. Notisi che la voce praetarium fu usata
a indicare ogni tribunale. Cfr. S.P. 3.22. 6; 1.39. — (7) ParteTTA p. LXII. — (8) In S. P.
si parla di più prefecti : ma la locuzione indices vel prefecti è sempre equivoca. — (9) Cfr.
C. I. 2.7.5, 7 e il corrispondente sommario. — (10) S. P. 1. 27.3. — (11) S. P. 1. 26.5. —
(12) S. P. 1.27.1. I curatores operum pubblicorum erano spariti. — (13) S. P. 1.27. 4. —
(14) S.P. 1.19; 1. 2.6.1; 7.65.5. Nell’urbs egli mnominava i tutori [1.49.2; 5.33.1]. —
(15) S.P. 1.25. 3: ordinabat; 3.3.17: dirigebat in provinciam.—(16) S. P. 1.31.2, 3, 1. 26.2.
— (17) S. P. 1.50.2. Forse appunto questi obsequentes del prefetto furono chiamati pa-
latini nella S. P. 2.31.16 benchè altrove a traverso l’uso d’una glossa i palatini siano
esattamente definiti come ufficiali in exactione pubblica. Cfr. S. P. 1.39.16 e 4.44.18. —
(IS )ASSEAMS2/A22=2 (9) SP2827825:0/1353.
9, IL CONTENUTO GIURIDICO
specialmente in buon numero gli advocati (1), dipendevano altresì il magister
census che era preposto ad un vero ufficio di cancelleria e di registrazione (2)
costituito da parecchi notari scrini aventi un proprio tribunus (3) e il pre-
fectus vigilum addetto alla polizia urbana (4) e il prefectus annonae incari-
cato dell’approvvigionamento della civitas (5): da lui dipendeva anche in
qualche modo lo stesso exereztus (6). :
Il limite della dipendenza di questo è però segnato nella S. P. 1. 82.1
“prefectus in milites non abeat potestatem,,: il prefetto poteva richiedere
cioè l’aiuto delle multia e delle sue scholee (7) quando fosse parso mestieri,
ma non dovea ledere quel privilegio d’ autonoma organizzazione e di
separata giurisdizione che godevano i milites sotto gli ordini dei #r2buns,
dei comites o duces (8) e dei magistri militum (9) che, posti alla loro testa,
aveano anch'essi il proprio officium e, i propri apparitores (10), i proprii
quaestores (11).
Che nella c/vitas vigesse ancora un senatus potrebbe poi argomentarsi dalla
S. P. 1.14.9 che con tal voce rese il patres conseripti della costituzione
originale fissando la norma che la lex que in senatum non est recepta nec
valere liceat e dovrebbe altresì ammettersi che pretendesse tuttavia di fun-
zionare come organo legislativo, se non direttamente con la promulgazione
di norme nuove, con la receptz0 delle norme promulgate da altri (12) poichè
l'autorità dei senatus consulta doveva essere inconcussa ed era delitto il
cercar di eliderli con privilegi imperiali (13). Anche nella S. P. 3.24.2 si
fa parola di senatores.
Ma uscendo fuori della civitas non s'incontrano indici sicuri della persi-
stenza dell’antica costituzione municipale: l’autonomia locale, se pur non
era del tutto soffocata (14), avea già fatto generalmente luogo ad un re-
gime accentratore che legava le amministrazioni periferiche alla centrale
subordinandole al reggimento di persone preposte dall'imperatore e gover-
nanti in suo nome.
L'autore delle Adnotationes codicum era sì poco familiare con 1’ ufficio
dei duoviri che, mentre la c. 8. OC. I 6.9 richiedeva il loro intervento a
certi atti, egli accenna solo alla necessaria presenza di duo testes.
(IST PRA2 5 (NISSAN: 16123818813) SPA 24/82 2A)) SME
(5) S.P. 151. — (6)S CUPA 26040017 7 (NS 5 SREM6SZAIN2A 51
parla di commilitones.—(8) Comites [S. P. 1.44. 2.4]; duces [1. 44. 4;1. 50. 6]. In 1.44. 4il dux
ha preso luogo del comes delle fonti: e quindi parrebbe che i due titoli si corrispon-
dessero non già che vi fosse un dux preposto ai comites. — (9) S. P. 1.30.2; 1.28.2. —
(10) S.P. 1.28.2. — (11) S. P. 1.30. 2; 6.21. 16. — (12) Ad affermare la potestas praecipiendi
del senatus poco giova invece la S. P. 1. 37.2. — (13) S. P. 1. 16.1. — (14) I cives compaiono
nella S. P. 4.62.2 autorizzati alla determinazione ed assunzione di un census.
DELLA SUMMA PERUSINA 133
Nè, come ben notò il Patetta (1), conosceva meglio la carica del defensor
civitatis: non parla mai al singolare di un defensor, ma sempre, al plurale, di
più defensores (2), e poi spesso, dove le leggi parlano di defensores civitatis
aut loci, ei parla di curzales (3) o di curia (4). Per lui i defensores erano dun-
que dei curzales e forse erano dei curzales pur i municipes con cui nella
S. P. 3.1.15 rese il defensores locorum vel duumwviri principales delle fonti.
Anche nelle S. P. 7.9. 3 il QWbertus municipum è diventato un lbertus curialis.
Ma esisteva almeno la curia?
Il Patetta, apparentemente suffragato dai numerosi luoghi in cui di
curia (5) 0 curiales (6) si fa parola mentre le fonti discorrevano di magistra-
tus municipales, affermò che sì: io mi sentirei portato ad un maggior
scetticismo. Più che ai capitoli in cui le sue parole possono avere una
accezione compatibile con la romana, mi sembra infatti debbasi badare a
quelli in cui vi è un’ assoluta incompatibilità con essa (7).
Or nel maggior numero dei casi i curzales, che non contavano certo fra i
più abbienti ed erano anzi spesso censu minimi (8), figurano come lt
beri (9) soggetti verso il fisco ad una condizione di dipendenza che ne inve-
stiva anche la prole (10). Administrabant publico (11), 0, poichè nella
S. P. administrare tanto vale quanto servire (12), servivano al fisco pei
beni da loro posseduti e goduti dovendo ad esso dei census e delle anga-
riae (13): pur quando il curiale diventava #n/uster e personalmente non
administrabat, dovea dare quod competebat euriae (14). Era dunque un
homo fiscalis (15), un colonus publicus (16). E appunto il vincolo verso il
fisco o il publicum impediva che i curiales potessero scostarsi dalle terre
in cui risiedevano per sociare se in alia terra (17): da veri pertinentes erano
revocati e mantenuti a forza su quelle (18). Ma, se così è, la curia non
poteva essere alla sua volta se non l'organismo economico da cui dipende-
vano i curiali, i quali, per la stessa loro subordinazione , si trovavano in
una condizione sociale inferiore che li rendeva inetti a certi uffici come
al giudicare (19) e a certe professioni come quella dell'avvocato (20). Curia
fu cioè sinonimo di curs e che i curzales fossero: dei curtenses si deduce
Zip II) SEPA 256 (3)0S. Di d3 16 (IS. 40.2. —
o SE 3250 NO A (6) (ST dr 0.16.28. —
((PATETTA p. XILTX. —(8), S.P. 1.2. 16. — (9) S. Pi 7. 16. 28. — (10) S. P. 7.9. 3; 7. 64. 8.—
(teli SARAI 1392398. — (I) TP T60: 62:18 046050 — (13) ST P12. 2, 10019!
Ouriales debitori in S. P. 253.3; 4. 13.3; 7.9.3; 7. 64,3, 4,8; 7. 66.4. —(14) S. P. 1.2.21.
lo SER 26 16 MST PINE EN (MST 81232/ (18) SP 10164. 3;
4, 8. Caratteristico è per questo aspetto lo ad curiam pertinore della S. P. 1.2.12 che
assimila la pertinentia curiae alla pertinentia ad patronum si habuit. — (19) S.P. ©. —
(20) S. P. 2.7.2.3. Anche non potevano essere defensores [1. 54.2] dipendendo anzi dai
defensores [1.54.5] che venivano da loro eletti [1. 54. 7].
14 IL CONTENUTO GIURIDICO
infatti anche da ciò che v’erano pure dei curiali appartenente a privati : i
curiali dei cattolici doveano essere cattolici (1), quelli.degli ebrei ebrei (2).
Nel loro comune vincolo di soggezione i curiali pubblici trovavano una
ragione di vicendevoli diritti e doveri: in difetto di propinqui doveano as-
sumer la tutela dei figli del loro compagno (3) e a lui succedevano man-
cando gli eredi legittimi (4).
Ma la voce curialis ebbe pure un altro significato: data la sinonimia tra
curia e curs indicò non solo il soggetto, ma anche il preposto all’ammi-
nistrazione della curia. E precisamente come nella Lex romana curiensis,
che accanto a dei curiales qu. fiscum dabant (5) ne presentava altri qu?
fiscum vel publicum actum exigebant (6), nella Summa perusina a lato ai
curiales censuales (7) si trovano dei curiales eractores. Per questi ebbe
ragione il Patetta attribuendo loro il compito dell’esazione dei tributi (8);
esattori furono senza dubbio i curiales cui periculum eractionis imminebat
della S. P. 4. 46.2 e 4.46.3 e cui doveasi dare solacium pro erigendam
canonem vel aliam utilitatem (8) e gli altri cui la S. P. 1.54.1 facea ob-
bligo di adnuntiare eractionem ante tres menses e la S. P. 5.71.13 con-
cedeva di poter mettere in vendita i beni altrui vincolati al fisco propter
censum (9). Tali, avendo 2 suo obsequo varii dipendenti, devono pur
esser stati 1 curzales che nei singoli loca figuravano come defensores delle
deiectae personae (10).
Ma qui non sì esauriscono tutti i significati della voce curia; vi hanno capi-
toli della S. P. in cui questa appare non già come un organismo econo-
mico, ma come un organismo giudiziario-amministrativo che ai suoi com-
ponenti era di onore, non di onere (11). Alla curia ricorreva l’assente per
far valere i suoi privilegi in ordine alla prescrizione (12): ricorreva il figlio
del freneticus per esser autorizzato alle nozze (13): ricorreva il pupillo per
aver un tutore (14): ricorreva il privato per esser autorizzato a manumis-
sioni solenni (15) e ad altri publici actus (16).
(1) S. P.1.4.16. — (2) S. P. 1.9.8 ut iudei curiales sint inter eos. Sarebbe banale il sup-
porre che curialis qui valesse quanto humanus : fu migliore assai la congettura del Pa-
tetta che curialis significasse exactor e che codesto frammento volesse dire riservato agli
ebrei la facoltà di esiger tributi fra i loro correligionarii. — (3) S. P. 1.3.20; 5.33.1. Il
Patetta p. LII pensa che i curiales qui indicati lungi dall’essere dai pertinentes eiusdem
curiae, fossero i partecipi dell’ordo municipalis. — (4) S. P. 6.61.5 — (5) L.r.c. 4.1.2. —
(6) L. r. c. 12.2.1. — (7) La voce decurio appare in due luoghi soltanto: S. P. 1.2.12;
3.283.1 e il Patetta p. XLIX ha già acutamente pensato che dov’essa è usata, il com-
pilatore può aver attinto a glosse più antiche.—(8) PareTTA p. XLIX. — (9) S. P. 4. 61.10
non erano soggetti a fustigazione [2. 11, 5].—(10) Cf. S. P. 5.71. 14. — (11) S. P. 1.54.3.—
(12) S.P. 7.1. 5; (40.2 (13), S.P. 1.3.20. — 14 S° Pl 402. — (db)S AA
(16) S. P. 1.2. 17.
DELLA SUMMA: PERUSINA 15
Tutto ciò non implica però che nel fatto codesta curia fosse proprio l’ordo
municipalis. Come ben avvertì anche il Patetta la curia poteva essere in codesti
luoghi il tribunale locale : il summator che rese in S. P. 7.16.24 l’apud acta
delle fonti con un apud curiam, anche nelle S. P. 4. 1.12 pensò alla curia là
dove le fonti richiedevano una actorum testificatio: l’actum fu sempre posto
da lui in relazione con l’esercizio della funzione giudiziaria (1) e per que-
sto tramite appunto ricollegato alla curia (2).
D'altronde, se come organismo municipale la curia era scomparsa, ne
avevano forse preso il luogo altri consigli o accolte di cives cui il giudice
rispondeva della sua gestione e il vescovo dava conto della amministrazione
delle pie cause (3), consigli che deliberavano forse nei singoli loca la preleva-
zione di censi straordinarii per supplire a straordinari bisogni (4).
Alla testa dell’amministrazione locale stavano del resto nelle terre minori
dei ministri del potere centrale che la S. P. designò appunto come rectores (5)
o moderatores (6) o praesides(T)oiudices provinciarum(3). Giudici ordinariinelle
cause civili e penali dei loro provinezales (9) erano a un tempo degli ufficiali am-
ministrativi procedendo o sorvegliando alla esazione dei pubblici tributi,
sollecitando Ia prestazione delle angarie o dei servizi personali e ruoli do-
vuti per costruzione di mura, di torme, di ponti, di acquedotti ecc. (10).
Eletti o ordinati dal prefetto erano a lui subordinati come al masor u-
dex (11): da loro alui ‘si appellava ed alui (12) o al principe (13), essi, che
avevano a proteggere i minores contro le oppressioni dei potentes (14)
erano tenuti a trasmettere i reclami dei provinciali senza adontarsene (15).
Non doveano esercitar la mercatura nel luogo di loro reggimento (16) né
potevano assentarsi senza licenza imperiale (17). i
Del principe erano ritenuti in qualche modo procuratores 0 vicarti :
certo nella S. P. 3.34.7 fu reso con %udex provinciae il procurator noster
delle fonti (18). i
Anch’essi avevano il loro offictum composto da consilarii (19), da adses-
(1) S. P. ‘7.62. 6.24 — (2) Nel Goetz, Corp. gl., V, p. 348 la curia è definita domus
consilii. — (8) S. P. 1.2.30. — (4) S. P. 4.62.29. — (5) S. P. 1,96.3; 1.39. 1,2,3,4.—
(n MPA139 915: 130025: e (0) SIP! 301.157 3.801; 13.36.77; I 612; 7 625.5. 7012;
il decretum presidis si mutò in dussus iudicis. — (8) S. P. 3.3. 5; 3. 84.7; 7.53.9; 7.37 e
spesso si parla di 2udices senz'altro intendendo sempre i medesimi funzionari. — (9) S. P.
MS (10)\ST UP: 13312718: 6; 78: 6,1, le. — (1) S.P. 126.3 — (12) SD: 1.394.
— (13) S. P. 1.39.3.— (14) S. P. 1.39. 2. Invece di sî potest minorem obprimere va natu-
ralmente letto “ si potens minorem obprimat ,,. — (15) S. P. 1. 39.5. — (16) S. P. 1. 39.8. 10;
CA (7) SPE 39 (6) Cir StPai3A 81 1; 13726,8 = (19)NS Di 50, 19;
io 26221 W605.3.
16 IL CONTENUTO GIURIDICO
sores (1), da domestici (2), da cancellarii (3), da apparitores (4), da
executores (5).
Codesti giudici sono appunto quelli che la S. P. chiama publici (6) per
distinguerli dagli <udices privati (€) che traevano la loro facultas iudi-
candi (3) dalla delegazione d’altri giudici o dall’accordo delle parti e quindi
dagli sudices compromissari (9) o arbitres (10) e dagli iudices ertraordina-
ri (11) o pedanei (12). Presso gli iudices publici era la plena legis actio:
gli udices privati avevano invece una più limitata competenza (13).
Alle modificazioni dell'ordinamento burocratico dell'impero ne corrispon-
devano del resto altre non meno profonde nel sistema delle funzioni cui era
destinato : e già un'idea viva di quelle mutazioni si può ricavare dell’ e-
same dell’ordinamento tributario.
Il compilatore della S. P. distingueva bene il patrimonio delle civztas
che pur aveva le sue res publicae e le sue pecuniae (14) e i suoi cen-
sus (15), da quello dello impero che costituiva il fiscus (16) o il publi-
cum (17) per eccellenza risultante anch'esso:
a) da beni mobili e immobili, la cui proprietà spettava all’ impera-
tore (18);
(1) S.P. 2.6:8.—.(2), S.P. 152. 1.— (3) S.P. 15201. — (45. 241559 (5VIS=D.
1.44.2; 1.3.2, 31; 1. 47.1; 6.21.16. — (6) S. P. 2. 46.3; 7. 45. 14; 7. 62. 31; 8. 47.1; 8.470.4.
Così di iudicium publicum si parla in S. P. 1.2.81; 5.71.18; 7. 20.2. — (7) S. P. 2. 46.3;
2.58. 2; 7.45. 14. Di iudicium privatum discorre la S. P. 5. 71. 18. Il privatus è contrappo-
sto al meles in S. P. 1.44. 1, 2 e la persona privata alla publica in S. P. 3.11.6. — (8) S.
P. 2.46. 3. — (9) S. P. 2 55.2 e 2.46. 3. I compromissarii dati a iudicibus erano qui di-
stinti da quelli ex comuni sententia partium electi. Cfr. pure in relazione alle fonti la
S.P. 4.20.18. (10) S. P..3.3.8,4; 3.11.2; 745,14 —(11) SyP. 3yt1.2-=(02).S PR
3.1.13 e in relazione alle fonti 3. 3. 4,5. — (13) In S.P. 3. 3.2, 3, 5 figurano come arbitri
deputati propter occupationem iudicis: e parrebbero quindi eletti del giudice stesso, che
li poteva all’ uopo sostituire [3. 3. 4]. La loro autorità derivava quindi dalla commissio
di questo e doveva contenersi entro i limiti della commessio stessa [3.2.1]: ma d’altro
canto v'erano cause non suscettibili di delegazione come le liberali [3. 11. 2]. Nelle cause
penali parrebbe che avessero solo podestà di inquirire e udir la causa [3.8.3]. Spesso
la loro attività si risolveva in una destimatio [5. 11. 3]. Dalle loro sentenze v'era ap-
pello [3. 3. 66]. — (14) S. P. 4. 44. 17. — (15) S. P. 4.62.2. — (16) S. P. 2. 17. 1, 3, 4; 2. 36. 1,
2,8 2 9005; 4 461 132789182 08420 8,8. 4202, ehe SE
7.65.8; 8. 11.1, 5; 8.13.6; 8.17. 3, 4; 8.18. 4; 8.25.83 etc. Cfyr. il fisco sociari della S. E.
3.46.1 col publico sociari della S. P. 6.1.3. — (18) Res fiscales [S. P. 7.37. 1,2], res pu-
blicae [8.11. 5]: solidi publici [8.11.7]. Numerosi dovevano essere ancora i servi fiscales
[7.11.6] i quali non devono essere confusi con gli homines fiscales [3. 26.2, 11] che po-
tevano essere anche semplicemente dei liberi conditionales.
DELLA SUMMA PERUSINA 7
b) da beni demaniali, della cui proprietà era già soggetto la respublica,
ma che ora erano, non meno dei precedenti che costituivan quasi la lista
civile dell’imperatore, nell’amministrazione e nella disposizione di questo;
c) da beni di proprietà dello stato, ma devoluti a pubblici usi (1);
d) da redditi e prestazioni dovute dai cittadini in generale o in ispecie
da alcune categorie di essi obbligate verso il fisco da speciali condizioni;
e) dal gettito di certi monopolii (2);
f) dal provento delle confische (3) e delle multe (4).
Non solo più non si distingueva tra aerarium e fiscum poichè nella
S. P. 7.37.2 Verario delle fonti è reso appunto con fiscus, ma non si
scernevano nemmeno i bona patrimonialia dai bona rei privatae poichè
nella S. P. 4. 61.13 i vectigalia patrimonialia delle fonti si mutarono in
vectigalia publica senz'altro. Il fisco era diventato dunque a un tempo e
la cassa generale dell'impero e quella speciale dello imperatore (5).
Che si avessero ancora imposte dirette parrebbe potersi dedurre della
esistenza di delegatores (6), i quali precisamente distribuivano tra le varie
città e borghi il censo imposto all’ unità provinciale o fra i cittadini
il censo assegnato alle città o al castello (7): ma potrebbe parere che la capi-
tatio terrena tendesse già a trasformarsi in un onere reale gravante sui be-
nifondi, in un fributum (8) o fiscum (9) o canon (10) o census (11) che se-
guiva la terra in tutti i suoi passaggi pesando sul proprietario (12) o sul-
l’enfiteuta (13) in misura ormai consuetudinaria e immutabile (14) che,
(1) Praetoria [8.11.2], portae civitatis [8.11.6], palatia e portica [8.11. 16, 17,19], mura
o moenia fiscalia o publica in S. P. 1.11.5 e 8.10, 9-11, 13. — (2) S. P. 4. 6, 1, 11. Sali-
ne e 6. 61.5; fabri fiscales. — (3) Cfr. S. P. 1.5.10: fiscus substantiam eius occupet e S. P.
1.7.1; 1.14.1; 2.6.8; 8.10. 6 (infiscari). — (4) La multa è sempre concepita come un
fisco dare [S. P. 1. 39.6, 14; 1.41.2; 1.44.29; 1.48.1; 1.53.10; 2. 6.7; 4.69.2]. Altre
frasi, in cui il fiscus appare come persona, sono le seguenti fisco dare [2.18.16], reddere
(2. 17.3; 7.73.5, 7; 8.18.2], vindicare [8.11:2], deputare [2. 17.2], vendere [2. 36. 2, 3], pro-
ficere [6.1.8], obligare [7.8.2; 7.73.4; 8.21.8], obnoxiare [7. 73. 6), obponere [8. 18.4], sol-
vere [1. 11.8], sociari [3.26.2], publico administrare [1.5.7; 6.61.1] e obligari [8.17.4;
8.25. 3), contra fiscum agere [2. 36.1], cum fisco litigare [B.11.6], a fisco tolli [T.11.5] o
dari [7.13.2] o excludi [6.61.1], fiscî esse [1.50.3], publico addici [4. 62.29]. Di erarium
publicum si parla in 4.61.13.— (5) Cfr. ParertA p. LIX. Le pubbliche terre erano solita-
mente sfruttate per mezzo di locazioni dietro il pagamento di census [S. P. 8.14. 1] 0 di
publicae pensiones [4.31.13], onde il nome di censuales [6. 23. 18; 8.14.1] e di tributarti
[5.41.1] ai cessionarii. Conductores fiscales in 4. 8. 3; 5. 62. 9. — (6) S. P. 3. 11. 3. Cfr. ParETTA
p. LI che connette questo luogo colla deputatio per pittacia ricordata da Cassiodoro
Var. I. 18 e III. 35 e dall’Ed. Theod. 126. — (7) HartmanN. Biz. Verf. p. 93. — (8) S. P.
4. 46. 1-3. — (9) S. P. 7. 62. 18. — (10) S. P. 4. 61.5, 10; 7. 65.4 — (11) S. P. 1.9. 15; 4. 47.
1-3.—(12) S. P. 7.39. 1,2; 4.47.1-3.-—(13) S. P. 4. 47. 1-3.—(14) S. P. 4. 62. 1-3.
18 IL CONTENUTO GIURIDICO
insoddisfatto il publicum debitum (1), conduceva all’espropriazione dei beni
per pubblica vendita (2); invalida era l’ alienazione della terra senza il
‘corrispondente onere del census, il quale non era dovuto in denaro ma
in generi (3). I milites non ne erano esonerati (4); vi sfuggivano invece
i negotiatores (5) che però erano soggetti ad altri tributi sentendo, forse
più che tutti, il peso delle imposte indirette.
Che queste dovessero essere gravose, si può facilmente desumere dalla
SS. P.: ma indarno vi cercheremmo una precisa indicazione delle varie
loro forme e del loro ammontare. Accanto ai veri tributi c'erano poi altri
commoda fiscalia (6) o altre immumitates (7) come Vl hospitium o l'obbligo
di dar quartiere alle milizie (8) e angariae che non erano men gravemente
sentite perchè consistevano , anzichè in prestazioni di denaro o di generi,
in prestazioni di lavoro (9).
Tante actiones fiscales (10) rendevano naturalmente ancora necessaria
una schiera numerosa di delegatores (11), di exactores (12), di acceptores pu-
blici (13), di curtales (14), di actores e procuratores fisci (15) che assicurassero
l’entrata delle rendite monetarie e in natura (16) entro le casse o nei magaz-
zini pubblici. Alla verificazione dei rattocinza pare attendessero gli serinza (17)
ricordati dalle S. P. 2.1.2 e 1. 26.1, dai quali emanavano ai contribuenti
le ricevute per cui doveva risultar soddisfatto il loro debito verso lo stato.
Alla eventuale difesa giudiziaria delle ragioni fiscali (18) badavano poi gli
(1) S.P. 5. 71.12, 13; 7.65. 4. Codesti crediti fiscali avevano pur sempre dei privilegi
che rendevano più critiche [S. P. 4. 9. 1; 7. 63. 1-8] le condizioni dei debitores fisci [T. 11. 5]
o dei debitores fiscales [T. 71.2). — (2) S. P. 2.50.5; 4.46. 1, 2. Che esistessero ancora
dei poliptica o catasti per la ripartizione dei cersus potrebbe dedursi dalla S. P. 4.62. 4;
‘©. 16.33; 8. 53. 7 vi si considerano le conseguenze che pel servo aveva la scriptio censi..
Cfr. 4. 61.1. — (3) S. P. 4. 61. 7. — (4) S. P. 4. 61.5. Pel census degli ebrei cfr. 1.9. 15.—
(5) S. P. 1.2.25; 2.7.23.— (6) S. P. 1.50.11; 2.7. 19. La vera immunità fu invece indi-
cata con la voce excusatio |2.7.19,20]. — (7) S. P. 1.2.1; 2.7, 20. L’ hospitium corri-
sponde qui al metatus delle fonti. Per gli ebrei cfr. 1.9. 3. —(8) S. P. 1.2.2; 1.33. 2; 3. 26. 7;
4.33.4. Dalla S. P. 4. 33.4 si ricava che angaria era anche la requisizione delle navi
da parte del fiscus e dalla S. P. 3.26.7 che dalle arngariae erano esenti i colori publici.
L’ordinare le angherie spettava allo iudex provinciae [3.12.3] il quale però non do-
.veva far lavorare la domenica [83.11.2, 3, 6). — (9) S. P. 7.45.5. — (10) S. P. 3.11.3.—
(11) S. P. 4. 45.3. — (12) S. P. 3.26.10. — (13) Cfr addietro a p. 13. — (14) S. P. 3.26.1
‘con giurisdizione sui servi publici [3. 26.1], non su altri [3.22.2; 3.26.3]: a meno che
non fossero scelti a compromissarii. Actor publicus era naturalmente colui cui toccava di
actiones fiscales tenere [.45.5]. — (15) Prestazioni in natura furono forse i capita cui ac-
cenna la S. P. 1.26. 2; 1.51.1.--(16) Orrea publica in S. P. 8.10.11; publica frumenta in
4.40.2; fritica publica in 1.39. 14; annonae in 1.26.1; 1.27.1.—(17)S. P. 2.1.2; 2.70.21.
(18) S. P. 2.8.4. i
DELLA SUMMA PERUSINA 19
alvocati fisci scelti di solito fra i consiliari del prefetto (1). Di nomina bien-
nale (2), oltre agli emolumenta di cui godevano durante la carica (3), allo
scader di essa, che superiori fruebatur gradu (4), godevano ancora ampie
immunità e per sè e per le famiglie loro (5); però, come pel loro ufficio do-
veano prima vegliare perchè il publicum non fosse gravato, poi non pote-
vano agire contro di esso (6).
HI.
Ordinamento giudiziario e procedura
Ad una regolare costituzione del giudizio occorreva non solo che le parti
fossero capaci ad agire (7), ma che la causa venisse promossa dinanzi al
giudice per legge chiamato a deciderla (8).
Sull’ attribuzione della competenza influiva anzi tutto la condizione
delle persone impetite.
Non solo cioè i mz/tes avevano proprii giudici negli 2udices bellatores (9), ma
pur il clero fruiva d’una giurisdizione speciale: pei clerici infatti, sì nelle cause
civili (10) sì nelle penali (11), giudice naturale era il vescovo, cui solevano
ricorrere anche i privati ottenendo sentenze che costituivano senz’ altro
delle res 2udicatae escludenti l'appello (12) e, pur quando erano tratti innanzi
ai tribunali comuni, gli ecclesiastici avevano una posizione privilegiata in
quanto non poteano esservi coartati dall’executor (13), erano esonerati dal
giuramento (14), testimoniavano cum honore (15). Forse avevano un proprio
foro costituito da arbitri mercatores anche i mercanti (16). Nel conflitto
tra varie competenze ratione personarum vigeva la regola, d'altronde ge-
_ nerale, che l’attore dovesse seguire il foro del convenuto (17).
Non essendovi invece nella persona una causa di deviazione dalla normale
attribuzione di competenza, questa soleva esser fatta in base al rapporto di
cittadinanza o d’incolato con un dato territorio (18) o eccezionalmente in
ESERSZAZ 020) SPOSANO) 15 Nella (SÒ. 2-22 loro
emolumenta erano fissati ancora in sessanta libbre d’oro. — (4) S. P. 2.7.21; 2.7.24;
2.7.25. — (5) S. P. 2.7.19; 2.8.3. Erano esenti da fributa e dagli ospitia e, soggiunge il
compilatore, dalle sportulae: forse anche le sportulae, lungi dall’ essere il compenso
per l’esercizio delle funzioni giudiziarie, erano dei tributi. Cfr. S. P. 2. 7.20. — (6) S. DS
2.8. 1, 2. — (7) S. P. 3.6. 1-3.— (8) Altrimenti la sentenza doveva effectum non habere
EEA SASA STO) SEP 356 Cd) SP! 1318 = (11) SD. 1312
2 ASEIEt 708 (113) Spino r21r39 ASP 125— (5) SD 1.1 8 Ne
era esonerato il vescovo [1.1.7]. — (16) S. P. 3.3.5. — (17) S. P. 3.13. 5. Cfr. 3. 22.2. —
(18) S. P. 3.15.1. Il servo s'impetiva ond’erafuggito [3. 22. 1, 4, 5]: altrove però si dice
che si poteva agire ix omni preturio contro chi pretendesse a libertà [3. 22. 6].
20 IL CONTENUTO GIURIDICO
base al luogo del delitto (1) o del contratto o quasi contratto (2) o della sede
della cosa controversa (3) o in base al mutuo accordo delle parti (4).
La competenza poteva anche derivare dalla continenza delle cause perchè
le cause convenzionali e riconvenzionali dovevano essere simul finitae (5) e
‘le cause pregiudiziali dovevano essere definite là dove si trattava la prin-
cipale (6). Cause pregiudiziali erano quelle di stato o le cause sul genus e
sulla condizione di libertà o di servitù di una delle parti (7).
Adito un giudice non era lecito, nemmeno per scambievole consenso, il
ricorrere ad un altro e su questa misura il compilatore calcò con singolare
insistenza (8) rivelando una delle più frequenti e gravi magagne del
tempo. Naturalmente il divieto aveva luogo soltanto quando la causa fosse
già stata incominciata (9).
L’ordo iudiciarius (10) era poi in via normale il seguente.
La lite o la causatio (11) si apriva con la petitio (12) o la reclamatio (13),
con l'enunciazione cioè delle pretese o de’ reclami dell’attore innanzi al giudi-
ce (14): l’uso del Qbellus conventionalis, se pur non era del tutto scomparso,
non era più assolutamente necessario (15). Nè più occorreva la specificazione
dell’azione che s’intendeva muovere contro il pulsatus oil convenuto (16) :
tutto porta a credere che, non distinguendosi delle più fisse categorie di actiones
(1) Provincia o locus. Cfr. p. 8. Provincia è usata nell’accezione amministrativa romana
in 7.62.23 e 2.24.1.— (2) S. P. 3.21.14. (3) S.P. 3.171; 3.193: — Cfr SP.
3.18.1 per chi prometteva certo loco restituere pecuniam. Se la restituzione non era fatta
sopra luogo poteva agirsi altrove. — (5) S. P. 4.81. 6, 14. — (6) S. P. 3.8.2. — (7) S. P.
3.32. 10, 13; 6.17.1; 7.19. 2, 3, 5-7. Liberum se clamare [1.16.2]0o pro lbertate clamare
[7.17.2; 7.18.3; 7.19.7] dicevasi l’agire da parte di chi voleva constatare il proprio status
libertatis [7.16.40]: servum dicere [7.19.5] ad servitutem petere [7.18.3; 7.19.1) o put
sare [7.19. 4] da parte di chi pretendeva rapporti di dominium-su altri. Il servo »do-
veva dare fideiussione o prestare cautio iuratoria di stare al giudizio [7.17.1]: e anche
il rivendicante doveva cavere [7.18. 3]. A questi spettava poi la prova del dominium se era
attore [7.19.1]: a quello la prova della libertà che si raggiungeva in via principale
con lo scritto e solo sussidiariamente coi testes. — (8) S. P. 3.1.10; 3. 13.4. — (9) Cepta
lite [S. P. 3.1.10]: inchoata lite [S. P. 3.13. 4). Era consentito invece il dicere ad maiorem
iudicem se il giudice già adito non avesse comprehensum iudicare [S. P. 3.8.1] o si fosse
rifiutato a giudicare.-— (10) S. P. 7. 45.4 — (11) S. P. 4. 49. 15; 6.37.20. Cfr. causare in
S. P. 4.14. 6; 7.32.10. — (12) Cfr. l’uso di petere per agere in 2.18.15; 4.16.6; 7.35.32;
77.58.1; 8. 40. 18. Corrispondentemente l’attore si disse petitor in S. P. 2. 1. 8; 2. 52. 6; 7. 45.14;
8.35. 10. — (13) Cfr. l’uso del verbo clamare in S. P. 7.20.1. Invece troviamo il verbo
postulare in 1.19.3; 2.30.4 e appellare in più luoghi. — (14) Ambulare ad iudicium è
a questo proposito la frase tecnica [S. P. 3. 1. 15, 5 e 7. 62. 5]. Cfr. L.r. c. 1.9.2.—(15) S. P.
1.40.2.—(16) Gli esempi dell’uso della voce pulsare per impetire son tanti che non val
la pena di moltiplicare le citazioni. Avverto che altre locuzioni usate nel senso di
DELLA SUMMA PERUSINA 921
21
si desse solo una generica actz0 (1), che, nel momento stesso in cui era pro-
mossa, dovea essere fondata con una sommaria allegazione di prove (2).
La plus petitio importava sempre la perdita dell’azione (3): la minus petitio
poteva sanarsi con un’actio in supplementum (4).
Alla petitio dell’attore seguiva la citazione del convenuto (5) fatta di
pubblica autorità in conseguenza a quella: d’ una convenzione stragiudi-
ziale la S. P. nulla dice nè offre argomenti indiretti per lasciarne arguire
l’esistenza di fatto (6). Al marito non era lecito l’impetire in giudizio la
moglie senza l’autorizzazione del giudice (7) e il figlio non emancipato non
doveva convenire il padre (8) nè il liberto il patrono (9).
Nel giorno fissato per la udienza, prima ancora d’ iniziare il giudizio,
l'attore prestava giuramento di calunnia (10) con la formula se per calum-
niam non petere (11) e il convenuto dava la cautio iudicatum solvi. Quindi si
iniziava tra le due parti o trai due causatores (12) ovvero causidici (13) 0
«causatici il dibattito giudiziale, la causae dictio (14). L'attore tornava ad espor-
re le sue ragioni e i fondamenti giuridici su cui poggiavano (15); il convenuto
rispondeva allegando i propri diritti od opponendo le eccezioni (16) onde
potevano essere elise le pretese avversarie. Alle repliche succedevano le
convenire sono nella S. P. ad causam provocare [4. 49.1], în ius vocare [2.2.1], in iudicio
vocare [2.2.2], ad iudicium o in iudicio petere |1.2.22; 2.2.3; 7.16.9]; ad iudicium plicare
(1.28. 2]; contestare |4. 30.14; 7.32.10] e forse ad iudicium delegare [8.13.5]. La pulsatio
[6. 47.4; 7.33.2] o contestatio [7.40.2] si risolveva in un inquietatio e quindi inquietari
nella S. P. tanto valse quanto esser soggetto ad azione [3.42. 9; 4.12.92; 6.17.92; 6.33. 3:
(peo RATE SIN D18: 1829 15 8440 18) do)
+(1) Cfr. 2. 1. 4; 3.37. 1; 3. 38. 7; 5. 61. 4; 7.33. 1; 8.27. 12, 20; 8.44. 4, 27. Il compilatore
distingueva nondimeno fra azioni reali e personali [8. 13.14; 6.43.11; 2.18.23], civili e
criminali [3. 35.3] e parla di actiones ex pacto [2.3.13] e legis aquilie [3. 35.1]. L’actio
praescriptis verbis si è mutata presso lui in un actio in scripturam. Agere perperam
(1.39, 11, 12] valse presso lui quanto proponere actionem calumniosam |[1.3T.6). Non
impedit disse egli d’un atto che non toglieva 1’ azione [6. 23, 1,4, 12,23; 2.57.1]; preiu-
dicium facit o preiudicat di quello che la toglieva [2. 18.8; 2. 21.5; 3.37.92; 3. 82. 22 ete.].—
»(2), S. P. 8.47.3. — (8) S. P. 3.10.1.— (4) S. P. 3.1.2.— (5) Denuntiatio è detta in
.S. P. 7.43. 2.— (6) I poteri discrezionali del giudice sono presentati come una facul-
tas praevidendi [S. P. 3.38.5; 5.24.1; 5.34.6; 5.49.1; 5.51.2; 5.53.5; 6.42.7:; 8.11.3;
Sco (0S, P. 3.10.1. — (8) S.P. 2.23, — (9) S.P. 2.2:2,— (10) S. P:.3.1.12;
49. (LI) S.P. 3.2.1. — (12) S. P. 2.10.11; 4.392. Cfr. Li n. c. 419.5; Reg. farf.
glorie oi 25a. Sile 1098 — (113) SPN2712:25:72.55/4; 5. 58/1; 6.33.13; 745,16;
BS TRRI9 118: AS 618985. Ba 16-18; 82703. (Cfr nic 49193
e Reg. farf.. n. 46 a. 750. — (15) S. P. 2.1.4; 3.1.2. — (16) La S. P. .8.35.6 ricorda
l’exceptio de dolo; la S. P. 8.35.7 e 4.30.14 quella de non numerata pecunia. la S. P.
-8.35.8 quella de prescriptione.
29 IL CONTENUTO GIURIDICO
controrepliche fino a che la causa fosse pienamente chiarita (1). L’ azione
era immutabile nel corso del processo (2).
Delle eccezioni quelle tendenti alla ricusazione del giudice (3) o a decli-
nare il foro (4) dovevano essere proposte in principio della lite: le dila-
torie invece erano sempre opponibili fino alla sentenza (5).
Così se ambo le parti fossero stati presenti al giudizio : se una delle
due non fosse comparsa si procedeva alla inclamatio dell’ assente (6) per
tre volte e, se dopo le tre chiamate non compariva, incorreva nelle con-
seguenze della contumacia. Se contumace era l'attore veniva spogliato dei
suoi diritti d’agire (7): se il convenuto si procedeva contro lui per here-
modicium. Nè poteva sottrarsi agli effetti della condanna che ripresentan-
dosi in giudizio (8) dopo aver rifuso alla parte avversa le spese incon-
trate e aver dato ampia garanzia di stare al giudicato.
Ambe le parti potevano valersi normalmente dell’opera di advocati (9)
o scholastici (10) che, eletti dal prefetto (11) con vincoli di giuramento (12),
solevano fare del tractare causas (13) la propria professione (14) eserci-
tando l’ufficio di patroni causarum (15) dietro compenso (16): per munirsi
(1) Lo schema processuale è chiaramente offerto dalla S. P 4.2.9, dove troviamo
l’attore che mutuas pecunias postulabat restitui e il convenuto obbligato aut soluta osten-
dere aut reddere. Se questi eccepiva il dolo l’attore doveva dimostrarne l'assenza [4. 30. 3];
se la non numerata pecunia il pagamento effettuato [4. 30.5]. Se il debitore non ne-
gava il debito si reputava quale convinto [4. 15.3] e si costringeva a saldarlo [4. 15.4;
4.21.1] o si surrogava il creditore nell’ azione contro i debitori di lui [4.15. 2, 5]. —
(2) S. P. 2.9.3.— (8) S. P. 3.1. 14, 15, 16. — (4) S. P. 8. 35. 12, 22. Non oserei però af-
fermare che il compilatore abbia rettamente comprese le costituzioni riassunte. A lui
la prescriptio fori parve altrove come una inscriptio in foro. Cfr. 1.2.39. Più caratteri-.
stico è il cap. 2.3.30 dove il patto di non usare della praescriptio forî si mutò in un
patto ut secretum non publicetur. La esplicazione dell’errore può trarsi dall’ uso della
voce praescriptio in 3.43. 6.— (5) S. P. 3.1.11. — (6) S. P. 7. 17.1; 7.43. 2, 5. Se absen-
tare era la locuzione tecnica per indicare la latitanza del contumace. Cfr. Reg. farf. n.105.—
(7) S. P. 3.1.13.—(8) S. P. 3.1.13 [redire ad iudicium).—(9) S. P. 2.6.10.—(10) S. P.
1.3.14; 2.7.1. — (11) S. P. 2.7.5.7.— (12) Giuravano di non suscipere malum negotium;
di non agire iniuriose, di non suscitare e alimentare i litigi [S. P. 2.6.6]: .non potevano .
negare senza ragione il loro patrocinio [2.6.7]: dovevano essere cristiani [2. 6.8], non
potevano cumulare l’ufficio dell'avvocato con quello del giudice [2.7.6] o quello di
minister ‘în provinciis [2.7.9] o di curialis [2.7. 2, 3]. —(13) S. P. 2.7. 1, 6. O del de-
fendere. Cfr. 7.43.3.— (14) Professione altamente pregiata che li voleva Monorati a
prefecto [2.7.5, 7]: spesso erano assessori |[2. 6.8; 2. 7.11] e da loro si toglievano tal-
volta il prefetto o altri dignitari [2. 7. 18]. —- (15) S. P. 2.6.4; 2.7.1. — (16) S. P. 2.6.7:
non potevano esigere per compenso una quota litis [2. 6.5]. Il loro onorario era consi-
derato come un castrense peculium [2.7. 4, 8].
DELLA SUMMA PERUSINA 23
‘del loro consiglio (1) le parti potevano chiedere ed ottenere speciali 7ndu-
ciae (2).
Accolto senza limitazione il principio della rappresentanza (3) le parti
potevano anche agire e rispondere per mezzo di altri che o si trovavano
con loro in certe personali relazioni di parentela da supporre una quasi
identità di interessi (4) o erano instituiti procuratori (5) con regolare man-
dato (6).
Agire per procuratore era imposto agli honorati e ai dignitarii (7) : libero
agli altri (8). Istituito il procuratore, prima o durante il corso della causa (9),
la parte non poteva a lui sostituirsi (10) salvochè la revocazione del man-
dato fosse giustificata da sopravvenuta inimicizia (11) o dalla infermità del
mandatario (12). Questi, che non dovea essere un rewus crimmis (13) e non
poteva esser tolto fra i milites (14), ante omnia era tenuto a prestar cauzione
per la ratifica da parte del mandante (15), e del suo doloso operato rispon-
deva verso il mandante (16): nulla era la causa che alcuno avesse soste-
nuto in vece altrui eccedendo i limiti del proprio mandato (17).
A prescindere dalla confessio in indicio (18), la quale non pare fosse conside-
rata come prova, l’argumentum (19) principe era lo scritto (20). Pieno valore
probatorio avevano gli atti di pubblici ufficiali muniti di fides publica(21) e i do-
cumenta(22) o instrumenta redatti e completi(23) da scribae(24) 0 tabelliones (25)
(1) Quel che l’advocatus allegava era come fosse stato detto dalle parti [2.9.1]; dei
‘consigli mal dati esso era responsabile verso le parti [2. 7.1] che dovevano essere in-
dennii [2.9.3]. — (2) S. P. 3.11. 1, 4, 6. Il giudice poteva del resto supplire alle allega-
zioni delle parti [2. 10.1]. — (3) S. P. 2.12. 2, 26. — (4) Così il figlio agiva pel padre
[S. P. 2.12.11] coll’ assenso di lui o per la madre [2.12.12] e il marito poteva agere
causam uxoris [2.12.13, 21]. Agere causas per indicare la attività del procuratore ad
lites è termine tecnico : cfr. 2.12. 5,13; 2.18.14. Nessuno era tenuto per forza a far da
procuratore ad altri [2.12.16]. — (5) La locuzione instituere procuratorem trovasi nella
SAR ZA 2 9 MO ORI (0) STEN 2 2 (0 SAI 20128025. (9) IS.
PEA 260) MISTE 2190) NS 2512023) 459 (1), Sip. 2012022; —
(12) S. P. 2.12.22. — (13) S. P. 2. 11. 6. — (14) S. P. 2. 11.7, 12. Doveva anche esser li-
bero, pare, argomentando a cortrartis dalla S. P. 2.6.2 che ammette il liberto ad es-
sere procurator cause. Dalla procuratio erano escluse le donne e i pupilli [2.12.17]. —
(15) S. P. 2.12. 5, 21. Era ciò imposto anche al marito che avesse agito sine mandato
uxois. — (16) S- P. 2. 11.9 — (17) S. P. 2.11.9. — (18) Dalla S. P. 7. 59.1: “quod in
iudicio confitetur negari non potest ,, e dalla S. P. 4. 21.6 sembrerebbe che la confessio fosse
poi inattaccabile: ma dalla S. P. 7.16.24 parrebbe che potesse inficiarsi dallo stesso con-
fidente con una prova contraria e lo stesso risulta dalla S. P. 7.16.41 che dà fede alla
‘confessio in quanto è avvalorata dai testes. — (19) Cfr. S. P. 4.19.4.— (20) Per provare
l’età si ammetteva ancora l’ inspectio corporis [S. P. 4.19.9]. — (21) Cfr. S. P. 4.21. 4.
RA CIS ERI2099 83219): 132385 3427 456) 19:42) 10);
4.21, 3, 8, 13, 15, 20; 4.34.5; 4.50. 1, 5; 5.12. 15; 6.42. 24; ‘7.16. 25, 26: 7.33.70; 7. 75. 6;
8:06. 3; 8.44.9. — (23) S. P. 4.21.17. — (24) S. P. 4.21.17; 6.23, 4, 23; 6.22.8 [scriba
publicus]. — (25) S. P. 6.23. 7; 8.40, 4.
94 IL CONTENUTO GIURIDICO
pubblicamente autorizzati (1): le scritture private sembra dovessero invece
essere corroborate da altri elementi. Dello instrumentum o del preceptum
doveva di regola presentarsi in giudizio l’originale (2), ma all'originale
era pareggiata la rinnovazione, che in caso di smarrimento (3), fosse
stata fatta di esso giudizialmente dopo l’ audizione dei testimoni che
erano intervenuti ed avevano sottoscritto all’atto (4).
L'esibizione dei documenti (5) non poteva essere imposta al convenuto
nell’interesse dell’attore e viceversa (6).
Intorno alle forme dei documenti la S. P. dà scarse informazioni: solo
sono bene individuate la cautto con cui alcuno spondebat se debere soli-
dos (7), e la securitas con cui si rilasciava quitanza al debitore (8). Se la
stipulatio corrispondesse in tutto alle cautto non ben si vede (9).
Una annotazione fatta a proprio favore non era provante (10) e nemmeno si
dava efficacia probatoria ad un testamento per ciò che concerneva l’ob-
bligazione o la situazione giuridica di un terzo (11).
Qualora il documento fosse stato accusatus (12) o sospettato di falsità (13)
se ne appurava la fides (14), vale a dire la sincerità, con la manus conlatio (15)
o con la comparazione delle scritture.
Era tuttora in vigore la querela non numeratae pecuniae per inficiare
le dichiarazioni d’una cautio (16): ma è dubbio il termine (17) entro cui do-
vea farsi valere oscillando esso apparentemente fra il mese e il biennio (18).
Veniva in secondo luogo la prova testimoniale (19) per la cui validità
1 testi doveano essere di buona fama (20), non interessati direttamente
nella causa (21), non legati da parentela o da vincolo di soggezione per-
(1) S. P. 6. 22.8. Le semplici scedae non avevano tale efficacia [S. P. 4.21.17]. Nella
S. P. 7.52. 6 il gestis inserire non indica altro probabilmente se non la redazione in un
atto notarile.—(2) S. P. 1. 23. 3; 1. 19.8. La copia è detta exemplar.— (3) S. P. 4.19, 12, 20, 21.
— (4) S. P. 4.19.21.— (5) Proferre documenta [2.1.2]: ostendere documenta [2.1.7]: edere
[2. 1.6]. — (6) S. P. 4.19.23; 4.20. 7; 2.1.4, 7-8. Contro apparentemente 2. 1. 6, ma invece
di iustum deve leggersi iniustum. — (7) S.P. 2.4.2. —(8) S.P. 2.4.4; 4.20. 15.—(9) S.P.
2.92.41; 2.4.40. — (10) S. P. 4.19. 6. 7. Per l’esistenza di titoli al portatore non autorizza
ad una negazione recisa la S. P. 4.19.20 ove è detto che alla proprietà non dà titolo il
possesso del documento, ma bensì l’aver causa da chi già era padrone della cosa. —
(11) S. P. 3.38.9.— (129) S. P. 4.11.3. — (13) Già n’erano argomento le cancellature
[S. P. 8.42. 22].—(14) S. P. 3. 42. 6.—(15) S. P. 4. 21. 19, 20.—(16) S.P. 4.30. 1. 2,3, 4,7.
— (17) Intra certum tempus [S. P. 4.30. 7-9]. — (18) S. P. 4.30.14. Dubbia è l’interpreta-
zione della S. P. 4.30.16. Dalla S. P. 4.30.1 parrebbe che la datio pignoris non la.
escludesse.—(19) Consignificare S. P. 3.28. 30. Cfr. il consignare del Reg. farf. n. 97 e 103.—
(20) S. P. 4.20.5: done opinionis. — (21) S.P. 4.20. 10.11. Non doveasi testificare în rem:
propriam ma in extraneîs causis.
DELLA SUMMA PERUSINA :
DO
sonale al producente (1), non a lui malaffetti per inimicizia (2). Dove-
vano essere almeno due (3), ma due bastavano (4) se pure le leggi non
ne richiedevano caso per caso un numero maggiore (5). Per produrli
erano concesse induciae che erano naturalmente varie secondo la distanza,
secondo cioè che si potevano cercare intra od extra provinciam e trans
mare (6). Essi doveano essere addotti al giudizio sine dispendio o delle
spese erano indennizzati (7): non potevano rifiutarsi alla testimonianza e
se vi si opponevano eran tratti all'udienza per forza (3). Del valore delle loro
deposizioni che, si badi, doveano essere rese covliter o sine armis (9)
(parrebbe dunque che da certuni s’ usasse un diverso costume) era ar-
bitro il giudice (10).
Il giuramento in fine, ammesso solo in mancanza di scritto e di testi-
monianze (11), dovea essere prestato 2 curia (12) su formula data dal
giudice (13); di solito era deferito (14) alla prineipalis persona (15) che
la poteva riferire all’ altra parte. Accettato o ceduto il giuramento non
era lecito un’ ulteriore replicatio (16) o una impugnazione di esso, salvo
che il giuramento fosse stato estorto per violenza dal giudice o ex necessitate
iudicis (17) o che fosse stato prestato da chi non lo potea prestare (18).
Allorchè le parti avevano finito di esporre le loro ragioni e alla ?nterlo-
cutio del giudice se avessero altro ad aggiungere (19) avevano data risposta
negativa, si avverava la contestatio ltis. Ritenendosi ormai piena la co-
gnizione della causa (20), si poteva far luogo alla sentenza o alla denun-
tiatio (21) che di regola non era pronunciata singolarmente dal. giudice
che dirigeva il processo, ma era suggerita da tutto il complesso dei
(1) S. P. 4.19.5: domestice probationis nichil est e 4.20.3: domestici testes nichil est.
Cfr. poi S. P. 4.20. 6, 8. Il liberto non poteva testificare contro il patrono [4. 20. 12]. —
(2) S. P. 4.20. 16. — (3) S. P. 4.20. 4: “ umius testimonium nichilest,, e 4.20.9: “ unius testis
fides non amittitur ,,.—(4) Per la prova del pagamento di un debito, restando integra la
cautio, si esigevano cinque testimoni [S. P. 4. 20. 15]. — (5) S. P. 4. 20. 15. — (6) I termini
sono presi dalle costituzioni giustinianee senza modificazione variando così dai tre ai
nove mesi (S. P. 3.11.1, 3, 7). Dovevano essere dati causa cogrita [3.11.4] e in contrad-
dittorio delle parti qualora si riconoscesse giusta la domanda di rinvio [3.11.5] anche
ne’ riguardi del fisco [3. 11.5]. — (7) S. P. 4. 20.17. La spesa era probabilmente soste-
nuta dalla parte soccombente. — (8) S. P. 4.20.17. Ricordisi però che ciò era vietato
per i preti (1. 2.8] e che il vescovo era esonerato dal testificare [1. 2. 7].—(9) S. P. 4. 20. 14.—
(10) S. P. 4,20. 18. — (11) S. P. 4. 1.10. Il giuramento è detto sovente fides. S. P. 3. 41.3;
2.1.5; 4.1.5. Altrove fides è sinonimo di probatio: cfr. 3.8.2; 7.16.15; 2.1.2; 2.4.10. —
(12) S. P. 4. 1.12. — (13) S. P. 4.1.12.- (14) Obòicere o subiicere sacramentum |[3. 32.20;
342.4] — (15) S. P.: 4.1.10. — (16) S.P. 4.1..2,8.— (17) S..P. 4.1.3. — (18) S. P.
4.1. 4, 5. — (19) S. P. 3.1.9; 3.9.1. Il giudice doveva tener conto delle allegationes sì
del petitor che del pulsatus [S. P. 8. 35. 10].— (20) S.P. 7. 45. 14; 7.57. 5.—(21) S. P. 3. 30.3.
4
26 IL CONTENUTO GIURIDICO
suoi auditores (1) e pubblicata in nome di tutta l’audientia (2). Non sem-
pre era necessario lo scritto sia che si trattasse di sentenze interlocutorie
emanate ante finem litis (8) sia che si trattasse di sentenze definitive (4):
quando poi lo scritto era redatto dovea essere munito della sottoscrizione del
giudice (5). Essenziale era che la sentenza, pronunciata in giorno feriale (6)
e non in periodo di vacanze (7) col vangelo sott’occhi (8), fosse letta in udienza
alla presenza delle parti (9). Di regola doveva esser proferita nel preto-
rium (10) o in publico (11): ma si faceva eccezione per cause che potevano
esigere un sopraluogo come le possessorie (12).
La sentenza (13), che non poteva essere 7 susperso o condizionale (14),
soleva contenere fra l’altro la condanna del succombente o addietus (15),
alle spese processuali (16) per viaggi, trasferte (17) e forse per le sportulae (18)
da darsi al giudice. Pronunciata la sentenza era irretrattabile (19) dal giu-
dice che I avea proferita (20): non però era tolto alle parti ogni mezzo
di sottrarsi alla sua esecuzione qualora non fosse stata emanata secondo
le leggi e la giustizia.
Erano invalide absque appellatione (21) e quindi, parrebbe, eliminabili
con semplice eccezione di nullità (22) le sentenze infette da corruzione (23),
da violenza (24), da dolo (25) o prodotte dietro una insufficiente istruttoria
(1) Scelti di volta in volta dal giudice stesso [S. P. 1. 41.1]. — (2) S. P. 7. 72.2. In
S. P. 1.50. 1 è detta concistorium; in 7. 45. 6; 7. 62. 21; 7. 65.3 officium.—(3) S. P. 7. 45. 16.—
(4) S.P. 7.44.1. — (5) S. P. 7.57.8.-— (6) Per rapporto alle ferie la S. P. si attiene
fondamentalmente al Codice. — (7) I tribunali tacevano l’ottava prima e l'ottava dopo
la Pasqua [3.12. 7] e la Quaresima [3. 12. 8]: dubbio è invece se fossero osservate an-
cora le vacanze per la raccolta delle messi e delle uve [3. 12.4]. — (8) S. P. 2.58. 2. —
(9), Sk Pu. 4401, 3-10) SÌ (Pi 352256: — (ds Pi Ari = (2) SP 34193
(13) Di regola aveva effetti solo per le parti contro cui era stata pronunciata [S. P.
7.56.1.4=7.60. 1, 2. — (14) S-P. 7. 45.3:— (15) Addictio in S. P. 1.18. 1; 1.21. 1; 1. 19. 5;
2.7.1; 2.56.1: 3.6.1; 3.42, 6; 4.15:2; 7. 16.3, 31, 41; 7.43. 3, 6; 7.46.3; 7.52. 4, 5;
7.53.4; 7. 54.3; 7.55.1; 7.57.4; 7.58. 2, 4; 7.62.29; 7. 64. 3, 10; 7.67.1.— (16) Il giu-
dice stesso poteva estimare o arbitrare il danno subito agile parti [SANEAMoriztA]
Dove però era tenuto a emanare un iudicium non poteva arbitrare [7.61.1]: qui il si-
gnificato della parola è oscuro; forse qui significa piuttosto: condurre ad una amiche-
vole composizione. — (17) S. P. 7.51. 1-3. — (18) Dubbio è se le sportulae fossero an-
cora rettamente intese. Cfr. S. P. 2.7.20. Nella S. P. 1.2.25 lo sportulum è però
contrapposto al commodum o all’ onorario del procurator evidentemente perchè an-
dava invece al giudice. —(19) S. P. 7. 44.2. Pel significato della voce retractari cfr 1. 18. 13;
2.4.35; 7.43.47. 44.2; 7.45. 9, 13; 7.50.1; 7.61.1; qui parrebbe sinonima di resolvî
[1.18.1;.1.52.1; 2.4.39; 7.27.2] o rescindi. In 7.62.15 corrisponderebbe invece al
nostro ritrattare, riprendere indietro, revocare. --(20) E tanto meno dal giudice inferiore. —
(21) S. P. 7.48.2; 7.64. 1, 6, 7, 8.— (22) Con prova della causa nullitatis [7. 58: 3, 4).
(23) S. P. 7.49.1; 7.64.7. Sanzioni penali si aggiungevano e contro la parte corruttrice
[7.49.1]e contro il giudice corruttibile [7. 47.2]. — (24) S. P. 7. 45. 4. — (25) S.P. 7. 52.1.
N°,
DELLA SUMMA PERUSINA Z
lì
e cognizione della causa (1) o su documenti e allegazioni false (2) o
senza sufficiente motivazione (3) o nella assenza delle parti (4) o contro
chi, come il minore (5), non aveva la persona agendi o in giorni feriali (6)
e in luogo diverso da quelli legalmente fissato all’ esercizio della giu-
risdizione (7) o da giudice incompetente (8) o in antitesi alla lettera le-
gale (9).
Nell'ambito procedurale rientra anche la restitutio in integrum la quale, per
decreto del giudice (10), toglieva efficacia ad atti che per se stessi sareb-
bero perfetti. Essa era concessa ai minori per annullare gli effetti delle
vendite immobiliari (11), delle donazioni (12), delle manomissioni (13), delle
transazioni (14), dellericuse d’eredità (15), delle pignorazioni (16), dei pagamenti
indebiti (17), dei giudicati pronunciati contro loro in assenza del tutore (18),
delle prescrizioni (19) e per supplire a mancata adizione d’eredità (20) o a
mancata querela da inofficioso testamento (21); ai militi contro la prescri-
zione (22) o contro gli atti eseguiti per omissione di pagamenti imputabile
alla loro assenza per causa pubblica (23); ai maggiori impiegati in pub-
blici affari per le ragioni stesse (24); al captivi (25). L° actio de nunori
atate (26) o, in generale, l’actio de restitutione (27) era perenta se non fosse
stata promo ssa dall’interessato o dal suo procuratore entro un anno dal
congedo (28) o entro un quadriennio del raggiungimento della maggiore
età (29). Ma il beneficiwm (30) non cadeva per la morte del minore o del miles
o di colui cui direttamente spettava e l’azione poteva esser promossa dai
suoi eredi (31): a questi si accordava allora una proroga di termini.
Indipendentemente dall’azione di nullità o di reintegra chi si sentiva gra-
vato (32) da una sentenza poteva poi cercar di resolvere il giudicato (33) per
mezzo di un appello all’autorità giudiziaria immediatamente superiore a quella
(0) SR TOR Lea CORI IRE RIT SI
1.43.17, 11; 7. 64.1; 3.12.4 — (5) S. P. 7.43.6; 7.64.8. — (6) S. P. 7. 43:4 — (7) S. P.
.43.5; 7.64. 6. — (8) S. P. 3.3. 1; 7.48. 1-4— (9) L’agire per nullità era indicato col
verbo. replicare [S. P. 1.18.29; 2.4.5, 25, 34, 36; 2.11.18; 2.20.5.; 2.29.1; 2.42. 1;
RIS 8A 74299224302: 827118126:16020. 3618/2011 In 2.341,22
parlasi di revocare in irritum. —(10) Sì giudice pubblico che privato [S. P. 2. 46. 3]. —
(11) S. P. 2.27.1-2. Anche se la vendita era fatta per debiti fiscali [2. 36. 1-3]. Contro
mutui [2. 37.2]. — (12) S. P. 2: 29.2. — (13) S. P..2.30. 1-4. — (14) S. P. 2.81. 1-2; 2.46.2.
Controlla dote [2.3.1]. —(15) S.P: 2. 38.2; 2.29.1.2.-—(16) S.P. 2.28..1:2. — (17) S. BP.
232. 2.—(18) S.P. 2. 24.2: 2. 26.4, 5.—(19) S. P. 2:43. 1, 2.—(20) S. P. 2/21. 2; 2. 40.3.—
(21) S. P. 2.40.2. — (22) S. P. 2.50. 1, 4, 8; 2. 52.2. — (23) S. P. 2.50. 5, 6. — (24) S. P.
2.58. 1, 3. — (25) S. P..2.53.5.— (26) S. P. 2.42. 3. — (27) S. P. 2.21.7; 2.24.1,3.—
(28) S. P. 2.50. 1.2. — (29) S. P. 2.50.4. — (30) Beneficium legis [(S. P. 2.88.1; 2. 40. 1],
auzxilium [2.42.2]. — (31) S. P. 2.50.3. — (82) Sull’uso di gravare cfr. S. P. 1. 18.3. —
(33) S. P. 7. 62. 4.
28 IL CONTENUTO GIURIDICO
che l'aveva emesso (1). Da giudizi minori, pare, si appellava di regola
al rector provinciae (2), da questo al praefectus (3), dal praefectus al-
l’imperatore (4): non ben chiara è la facoltà di appellationem suscipere
spettante al questor (5) o al comes rerum privatarum (6). In ogni caso
non erano ammesse più di due istanze (7), più di due iudicia (8).
La Summa perusina insiste ripetutamente, indizio di tempi, sulla liceità
dell’appello (9) dato 2udicato (10) senza che in esso dovesse scorgersi al-
cunchè di ingiurioso per chi aveva data la sentenza (11). Ed era ammesso
sì per le cause interlocutorie sì per le definitive (12).
Doveva interporsi per iscritto od a voce (13) dalla parte che si sentiva
gravata o dal suo procuratore (14) entro il termine legale (15): dopo di che
altri termini erano dati perla consegna degli atti (16) e per il ritiro degli
apostoli (17) o delle literae al giudice che doveva ricever l'appello (18). Entro
il biennio l’appellante dovea, sotto pena di decadenza, presentarsi al se-
condo giudizio da lui promosso (19) e reddere rationes (20). Se moriva nel
frattempo, non perciò si arrestava il corso dell’appellazione (21) sostituen-
dosi a lui di regola l’ erede (22): a vantaggio di questo il biennio era
allora prorogato di quattro mesi (23).
(1) Invece di appellatio è usata qualche volta, nel medesimo senso, la voce 2nterpellatio.
Cfr. S. P. 1.22. 1-2. Per appellare la S. P. 3.1.15 parla di ad maiorem iudicem am-
bulare. Cfr. 7. 62.5. — (2) S. P. .62. 5, 19. — (8) S. P. 1.19.1; 7. 62. 33, 17. Questi
ultimi due sommarii riescono molto oscuri. Il primo parrebbe dire che nei reclami con-
tro il rector provinciae per gravami tributarii il prefetto [p. p.] dovesse sedere col ma-
gister militum. — (4) S. P. 1.19.3; 7.62. 15, 34. — (5) S. P. 7.62. 32, 37.— (6) S. P.
11.62.26. — (7) S. P. 7. 70.1. — (8) S. P. 7. 16.3: 7.32.38. — (9) S. P. 3.11. 5. Appelli non
ammessi contro gravami fiscali non provati [7.65.4, 8]. — (10) S. P. 1.18.1; 7.45.16;
7.62. 2, 7, 22. Il che si intende per la proibizione dell’appello ante iudicium [7.65. 1, 7].
(11) S. P. 3.11.5; 7.62. 12, 19, 20, 25; 7.67.1,2. Pene contro il giudice rifiutante l’ac-
coglimento dell’appello [7.62.20]. — (12) Appello da sentenza per errore commesso in
iudicio [1.18.7 e a contrarîis 1.18.9]; per falso computo è iudicio [2. 5. 1; 7. 62. 10); per
false allegazioni [1.22. 3; 7.58. 1-4]; per mancata condanna dell’avversario nelle spese
[7.64.10]; per retractatio di precedente sentenza [7.61.11]. L’appello interposto da uno
dei condannati non giovava ai soci nella condanna che fossero stati minori [T.68, 1-2].
— (13) S. P. 7. 62. 14. — (14) S. P. 7. 62. 6; 7. 65. 10. Se la prima causa era data sostenuta
per procuratore l’assenza di questo non impediva che nella seconda agisse direttamente
la parte principale. — (15) Intra certos dies [S. P. 3.17.1]: entro due o tre secondo
che la causa era trattata dalla parte solo o per mezzo di procuratore [7. 62. 6]. — (16) S. P.
7.62. 6, 25: trenta giorni. — (17) S. P. 7.63.1: due mesi. — (18) 7.63. 1; 7. 62. 5, 31. Il
giudice publico avea sei mesi per dar gli apostoli, il privato quattro. — (19) Come pe-
tere indicava la prima azione, repetere indicava l’agire in appello nella seconda causa.
S. P. 1.18.7; 2.5.5; 2.4.32; 2.21. 2. 26.5; 2. 36.3; 7.45.8; 7.5, 4.12. Cfr. în secundo
iudicio agere [2. 51]; in alio îudicio causam dicere [7.62.28] e causam redicere [7.62.11].
(20) S. P. 7. 62. 36; 7..63. 3, D. — (21) S. P. 7.62.5. — (22) S. P. 7. 63.2; 7.66, 1.2; 4, 5. —
(23) S. P. 7.66. 6.
DELLA SUMMA PERUSINA 29
Nel secondo giudizio non era lecito mutar lazione o il de alia causa
tractare (1): ma ben si poteva riparare alle omissioni del primo processo
con prove suppletive (2).
Se poi la sentenza non era appellata o intrinsecamente nulla passava in giu-
dicato (3) nè più era concesso all’ad&d:ctus di sottrarsi alla sua esecuzione
o alle conseguenze che da essa derivavano (4). Egli dovea conservare iu-
dicium (5) e forse alla osservanza di essa poteva obbligarsi imtentione de-
cisa con una apposita sponsz0 (6).
L’ eseguire la sentenza (7) spettava su precetto del giudice (8) all’ exe-
cutor (9): questi, eletto dal giudice e soggetto al suo controllo (10), pro-
cedeva ai varil atti esecutivi per costringere alla solutio del debito giudi-
ziale il condannato (11) o i suoi debitori (12), per procedere in caso ch’ei
Vi si rifiutasse ad apprensione (13) e subastazione di pegni (14), per im-
mettere nel possesso tediale de’ beni del contumace la parte diligente (15),
per procedere a sequestri conservativi (16). Salvo rarissime eccezioni non
era ammesso che l’ individuo si rendesse giustizia da sè: anche 1’ occu-
patio pignorum in seguito a sentenza o a confessione giudiziale doveva
avvenire per decreto del giudice (17) e col ministero dell’esecutore (18) o per
officium (19).
Procedendosi all'esecuzione era anzitutto privilegiato il fisco per le spese
giudiziali (20): poi i debitori pignoratizi o ipotecarii aveano privilegio di
fronte ai chirografarii (21). L’ipoteca per ragione dotale andava innanzi
(1) S. P. 7.63. 4. —(2) S.P. 7. 62. 6; 7. 63.4.—(3) S. P. 7. 45. 5, 8; 7. 46.4; 7.50.1,2; 7.62. 7.
Cfr. 2.6.1. — (4) S. P. 7.52. 3. Anche se la condanna era stata ingiusta [7. 62.8]. —
(5) S. P. 7.64.6. — (6) S. P. 2.4.27. — (7) Compellere in S. P. 5. 37. 9, 15; 5.11. 4. Hxse-
qui significa invece conseguire in 8.44. 35; 3. 16.1. Dalla S. P. 7.54. 2, 3 parrebbe che
l'esecuzione dovesse esser fatta entro quattro mesi: la mora nel pagamento del debito
giudiziario importava l’onere degli interessi [7.54.11]. — (8) S.P. 7.53. 6, 9; 7.57.2. —
(9) S. P. 7. 53.8; 1.3. 2, 30. All’executor corrispose forse il discussor della S. P. 7. 65.8. —
(10) S. P. 3.2.2: — (11) S. BP. 4. 15. 3, 4; 7.53. 8. — (12) S. P. 4. 15. 5. — (13) S. P. 8. 16.7.
(14) S-P.7. 54. 1-3; 7.53.9.—(15) S. P. 8.13.3. — (16) S. P. 7. 19.7. — (17) S. P. 8.13.3, 11;
8.21. 1, 2. Le cose mobili erano prosignatae [S. P. 2.16.2]: alle immobili si applicava il
titulus [2.14; 2.15). — (18) S. P. 8.22. 1, 2, 3. — (19) S. P. 2.1.1. Il procedere all’ese-
cuzione è indicato spesso col verbo erigere usato transitivamente 2.18.12, 20, 22;
2.19. 1; 3.42.8; 4.2.15; 4.5.2; 4.10.8; 4.35. 6, 10; 5.11. 4, 6; 5.16. 1, 11; 5.18.9;
5.37.10; 5.39.3; 5.56.3; 7.54.3; 7.55. 1; 7.62.8; 7.67.1; 8.38. 5; 8.39. 1, 4; 8.40. 5; 17, 24;
8.44.21; 8.53.2]). E il diritto del vincitore era considerato come un ius recipiendi. Cfr.
l’uso di reciperein 2. 18. 3, 10, 13, 14, 18; 2. 19.3; 2.32. 2; 3.31. 4; 3.32. 5, 9, 17; 3. 33. 16;
SR403,(04829.9; 18; 14.35, ,4, 11; 5:1210; 5. 18.2; 233.3; 7. 5.1;8:.2. 1; 813.9; 8:25.9;
8. 27.5; 8.40. 11, 15; 8.44. 9.1.2. La persona non era pignorabile [8. 16.6]. Il credi-
tore pignoratizio aveva privilegio sugli altri [7. 72.6]. — (29) S. P. 8.17.2.— (21) S. P.
ISLA A9 81973)
30 IL CONTENUTO GIURIDICO
alle altre (1): l’ipoteca generale prevaleva poi sulle speciali e tra ipote-
che di uguale estensione la graduatoria era determinata dal tempo dell’ ac-
censione (2).
Della procedura civile doveva differire di poco la penale. Solo qui in-
vece che una reclamatio da parte dell’offeso si aveva una accusatio o una
suggestio (3) o una contestatio (4) che poteva anche esser mossa da parte
di autorità investite comei difensores civitatis di funzioni di polizia (5), e
nel sistema delle prove si poteva ricorrere alla tortura per estorcere una
confessione.
VI.
I soggetti dei diritti e la capacità giuridica.
Cause generali e normali di limitazione nella capacità giuridica erano il
sesso , l'età, l’infermità mentale: cause speciali la professione , la classe
sociale, la schiavitù, la religione.
Conforme al diritto giustinianeo la donna non poteva garentire per al-
tri (6) neppure pel marito (7): era però autorizzata alla gestione del pro-
prio patrimonio e al compimento di tutti gli atti che a quella si riferi-
vano (8). Neppure le era conteso di amministrare quale tutrice il pa-
trimonio dei figli quando fosse premorto il marito (9).
Invece ciò era rigidamente negato al minore (10) o parvulus (11) o adul-
tus (12) e al furiosus (13). Costoro, senza l'assistenza di altre persone (14),
non potevano alienare per vendita (15) o permuta (16) o donazione (17) o ma-
numissione (18), i propri beni; nè darli in pegno (19); nè costituirvi usu-
frutti a favore d’altri (20), nè procedere a divisioni (21), a compromessi e
transazioni (22), a fideiussioni (23), a liti sia come attori sia come conve-
nuti (24), a procure (25).
(1) S. P. 8.17. 10, 12. — (2) S. P. 8.17. 6. — (3) S. P. 1.54. 4; 7. 61.2. — (4) S. P. 7. 26.1;
7.62.92. — (5) S. P. 1. 53. 5; 1.54. 5, 6, 8. defensores civilatis; 1. 40.1: praefectus vigilum.—
(6) S. P. 4.29. 1. 3, 9, 16, 29, 22. — (7) S. P. 4.29.14. — (8) S. P. 4. 29.25; 4.32. 23. —
(9) S. P. 4.29 [gerere pro filio]. Cfr. 5.35.2; 5. 45.1; 5.46. 1-3; 8.14. 6. — (10) La legiti-
ma etas si raggiungeva ai 25 anni [S. P. 2.21. 3]. —(11) S. P. 6.21.6 Cfr. LrurP. 129.
Tale dovette esser considerato chi era sotto i duodecim annos [5. 28.3]. — (12) S. P.
2.18.17; 5.3L.1; 5.341; 5.36.2; 5.71. 4. Costui corrisponde al puder delle fonti. —
(13) S. P. 5.70.2, 6, 7.— (14) O tutori o curatori. — (15) S. P. 2.23.1. — (16) S. P.
5. 71.4. — (17) S. P. 7.32.83. — (18) S. P. 7.4.5; 7.10. 6; 7.11. 4, 6, salvo che avesse
avuto i servi sotto tale condizione [6.21.4]. — (19) S. P. 5. 71. 1; 8.13. 13. — (20) S. P.
3.32. 16. — (21) S. P. 3. 37.4; 3.38. 8. — (22) S. P. 3.13.3; 2.31.1. —(23) S. P. 8.37.%;
8.38. 1. — (24) S. P. 7. 62.8. — (25) S.P. 2. 12. 13.
DELLA SUMMA PERUSINA BI
Degli atti formati a suo danno il minore poteva, vedemmo, riparare le
conseguenze con l'ottenimento di una restitutio in integrum che la S. P. con-
siderò essenzialmente come un bdeneficium minoris (1): per esso in suo statu
reportababur causa (2). Ma, a prescindere dai casi in cui era negato per pu-
nizione di frode, come quando il minore si fosse finto maggiore e ciò
avesse giurato (3), o per ratifica del minore stesso (4), a tal beneficio non
poteva pretendere chi avesse chiesto od ottenuto dal giudice (5), la vena
actatis onde il minore era autorizzato ad agere utilitates suas cioè all’ammi-
nistrazione del suo patrimonio escluse le alienazioni (6) e le manumis-
sioni (7).
Uno ius singulare avevano pel loro ufficio i mulites e gli ecclesiastici.
Il cingulum militare (8) distingueva appunto i militi dai privati, da quelli che
noi diremmo i borghesi, ma post cingulum (9) o post exrpleta mulitia (10)
rientravano nell’ orbita del diritto comune. Il maggior privilegio stava
nell’avere un foro speciale (11) che naturalmente supponeva anche l’ esi-
stenza di uno speciale diritto le cui particolarità singole ci sfuggono (12):
il beneficio di testar senza osservanza delle forme legali (13) e il bene-
ficlo di aver sospeso a proprio vantaggio il corso delle presunzioni (14)
erano limitati al tempo in cui erano n expedito 0, come oggi si di-
rebbe, in servizio attivo di guerra (15). D’ altronde la qualità del milite
generava anche delle incapacità come quella d’esser procuratori per altri (16)
o conduttori (17) su fondi altrui.
Maggiori novità sì riscontrano rispetto al diritto giustinianeo nei riguardi
delle persone e delle cose ecclesiastiche. Dei privilegi delle chiese e del
clero (18) l’autore della S. P. infatti fu piuttosto tenero insistendo ripe-
tutamente sulla necessità di loro osservanza (19): e, coscientemente o in-
coscientemente, ebbe tendenza a spingerli oltre i confini legali avocando
(£) S. P. 2.27.1. Che la voce dereficium possa qui avere, come il Conrat dubita, il
significato di una concessione reale, mi sembra escluso. Cfr. anche 2. 40.1; 2.52. 1.
Era una subventio minori aetati [2. 44. 1,2; 2.12.13]. Contro il fisco doveva chiedersi intra
quadriennium [2. 50. 5; 2.52. 7). — (2) S. P. 2. 49.1. La reintegratio si esplicava sovente in
una &ntroductio possessionis [2. 40.1; 2. 43. 3]. — (3) S. P. 2. 42. 1-3. — (4) S. P. 2.45. 1,2.—
(() S. P. 2. 44. 4; 2.52. 5. — (6) S. P. 2. 44.2. — (7) S. P. 7.4.5. — (8) S. P. 3. 21.2; Militia
2lequistata per danaro [S. P.3:28!30; 4.73]. — (9) S. P 150.3. — (0) S. P. 1. 2.27;
3.21.2.—(11) Iudices bellatores [S. P. 3.8. 4; 78. 4.2].—(12) S. P. 3. 28. 30, 4. 28. 7. 4. 61.3.—
i e SR 02198, 15171315859) (14) SD)12) 52) dd 9) 51, 2; 2.59. 1,3 —
(15) S. P. 6.21.13; 7.35.1. D'altronde non è detto che il miles fosse sempre dedito alle
armi: si ebbe anche uno militio civile, con cui forse è da esplicare la S. P. 1. 26.4. —
(16) S. P. 1.65.31, 35. — (17) S. P. 4.65.31. Non parrebbe che fosse più vietato il ma-
trimonio [6. 21. 10; 6. 26. 8]. — (18) Gli ecclesiastici sono detti talvolta religiosi [1. 1.25, 32]
e religiositas il loro stato [1. 3.22]. — (19) S. P. 1.2. 33.
32 IL CONTENUTO GIURIDICO
p. es. alla chiesa invece che allo stato la successione del clerico tornato
alla vita laica e la successione ai pagani o agli eretici. (1) Insieme alla esenzione
dai publica e dalla prestazione delle angarzae (2) volle salvaguardato il privi-
legio del foro ecclesiastico con ampia competenza: al vescovo assegnò
come propria funzione la tutela dei debzles (3), la sorveglianza all’ esecu-
zione delle ultime volontà (4), alla amministrazione degli orfanotrofi (5),
alla dazione de’ tutori a chi non ne aveva già di legittimi e dativi (6). Ben
si vede tra le righe che l’importanza del clero e sopratutto dell’alto clero
era andata crescendo e che con l aumentar della potenza forse già inco-
minciava una maggior corruttela onde il compilatore stesso sentiva la ne-
cessità di ribattere sulla convenienza di affidare il ministero spirituale a
persone sine querela o bonae opimionis (€) e di combattere la simonia (8).
Lo voleva alieno dalle faccende mondane; un po’ men presto a bazzicare
nella curia coi laici (9), un po’ meno politico; e riprovava che le case dei
vescovi fossero sede di conventiculae non destinate sempre a pio scopo (10).
Alle limitazioni che già le leggi romane ponevano all’ attività giuridica
del religiosus che, regolare, dovea avere il suo erede nel monastero (11) e,
secolare, non poteva testare che sui beni venutigli dai parenti (12), ag-
giungeva quella ch’ ei non potesse legalmente ammogliarsi (13). Ebbe in-
vece il privilegio di non esser coatto al giuramento (14).
Che vi fosse già anche un diritto speciale per la nobiltà invece non
risulta benchè i nobeles, distinti dalle dignitas nataltum (15) e dalla o-
nestas (16) si trovino contrapposti ai minores (17), ai debiles (18), ai
derecti (19).
La schiavitù vigeva sempre e, poichè le file degli schiavi vieppiù si as-
(1) S. P. 1.5.9. — (2) S. P. 1.2.2. — (3) S. P. 1. 2.40. Pel significato della voce de-
biles cfr. 1. 2.18. — (4) S. P. 1.2. 28, 3% — (5), S. Pi 1.2.30. — (6) S.P. 13.20. —
(€) S.P. 1.26. — (8) S.P. 12.29. —(0),S. P. 1.2.7. — (0), SHP.R2415 = AISSI
1.2.29.— (12) S.P. 1.2.38. Gli acquisti per ragion del beneficio [1. 2.32, 38] andavano
alla chiesa dove aveva servito [1.2.20]. Si faceva eccezione pel vescovo [1.2. 32]. —
(13) S. P. 1. 2. 18. Contro 1. 2.19 dove parrebbe che la proibizione fosse limitata nei riguardi
delle vedove. — (14) S. P. 1.2.25. Per quanto concerne la costituzione della chiesa
è notevole che accanto ai presbiteri, diaconi, suddiaconi, exorcistae, lectores, ostiarici
[1.2. 7] la S. P. ricordi ancora le diaconesse [1.2.9] e ancor più che i chierici solessero
essere ordinati ex ipso vico [1. 2. 11]. Qui si tratta naturalmente di plebano o vicarii o par-
roci. —(15) S. P. 8.50. 7; 4. 63.3. — (16) S. P. 2.12.8. Tenevano luogo tra codesti mag-
giorenti gli illustres [6. 56.5]. Cfr. 1. 2.21. Delle titulature bizantine nella S.P. 2. 7.11
riesce l’eminentissimus attribuito al prefetto, in 2.7. 20 l’Wluster attribuito all’ advocatus
fixi. In 2. 7.21 si parla di spectatilis, in 2. 24.1 di clarissimi. — (17) S. P. 6.56.5. —
(18) S. P. 1.2.18; 1.2.40. — (19) S.P. 1. 54.3. Tra i mobiles erano i milites [8. 13; 27].
DELLA SUMMA PERUSINA 33
sottigliavano, s'eran fatti più preziosi e più aspra la lotta per mantenerli.
Tant'è vero che, mentre dall’un canto il compilatore insisteva sui mezzi
con cui il dominus poteva reclamare ai suoi vincoli il servo fugace (1) o
quello cha avesse cercato di sottrarsi alla sua padronanza coll’entrare nella
carriera delle dignitates e degli honores (2), dall’altro sentì poi il bisogno
di difendere la libertà riaffermando che il libero per nascita non si po-
tesse asservire per lungo servigio prestato come dipendente su terre altrui (3)
nè per prescrizione (4) nè per allevamento (5), che il ritardo della manu-
missione non dovesse nuocere ai figli della statu lbera (6): che libero re-
stasse il figlio della donna la quale per un quinquennio fosse vissuto in
libertà (7) o colui che manomesso in buona fede, da un terzo, avesse go-
duto pacificamente la libertà per un quinquennio (8) o colui che, li-
bero di nascita, avesse sposata una schiava (9) e che la manumissione non
potesse esser ritrattata (10) salvo il concorso di cause intrinseche di nul-
lità come la frode (11) o di cause legali sopravvenute post factum come
l’ingratitudine verso il patrono (12).
Il commercio servile (13) ingrossava ancora le file degli schiavi indigeni,
cui la macula libertatis (14) derivava dal rapporto di figliazione da donne
schiave (15); e parrebbe fosse anche ammessa una servitù convenzionale (16)
che però differiva sempre dalla schiavitù originaria per ciò che agli schiavi
volontarii si facilitava il ritorno alla libertà (17).
(1) S. P. 4. 55. 5; 4. 58. 3; 3.22. 1. Spesso erano constituti in actionem o proposti all’a-
zienda o a qualche ramo dell’azienda padronale [4. 25. 1-6; 8.37.1; 8.42. 4]. — (2) S. P.
".16.11; 7.38.16.—(3) S. P. 7. 14. 6. 13; 7. 16. 16. 36. — (4) S. P. 7. 2.13; 7.14. 6; 7.16.10;
7.22.3.— (5) S. P. 1.3.18; 7.14.2; 8.51. 1-3. Nè per consuetudine di concubinato
(7. 16.34]; cfr. pure 7.14. 4,7; "7.16.39.— (6) S. P. 7. 4.3, 4, 9; cfr. 4.19.17; 6. 56.6. —
(RSMERRTAZIE 225,618) Sì 70210429) Si Pi ol64 = (0), ST Pa V1409;
7.16.7, 9, 19, 20, 22, 25, 27, 30, 33; 7, 19.1; 7.30.2.— (11) Sia a danno del proprietario
per parte dei terzi [S. P. 4.6.6; 4.36. 1; 4. 49.7; 7.2.9; 7.4.6, 8; 7.10, 1, 5, %; 7.11.2,5;
7.12. 2; 7.18. 3; 8.29. 2, 3] sia per parte del proprietario a danno di terzi [1.2.5; 7. 8.2, 3, 4;
7.11.1,5). — (12) S. P. 4.6.4; 6.7.1-4; 7.16.30. L’azione di rivendicazione è indicata
nella S. P. con le locuzioni ad servitium pulsare [T. 16.14; 7.19.4; 3. 22. 3]; ad servitium
petere |6. 17.1; 7.18.3; 7.19.1), ad servitium replicari (7. 14.9; 7.16.21,30|, in servitio
vocare o revocare [1.2.4; 7.8.5; 7.14.5, 10; 7.16.20, 28, 31; 7.21.92; 7.38.1]. Le frasi
ad servitutem trahi [T.17.1] o in servitio detineri indicano piuttosto uno stato di fatto
che di diritto.—(13) Pel prezzo degli schiavi cfr. S. P. 6. 43.3. — (14) S. P. 7.16.36. —
(15) S. P. 4.19. 17; 7.16.29. 42; 7. 30. 2; 7. 38.1. — (16) Essa parrebbe esclusa dalla S. P.
4.10.12 ove dicesi: liber pro debito servire non licet e dalla S. P. 7.16.12; 7.14,1,2:
ma poi in S. P. 7.14, 10 si parla di una mulier libera che se vendi permisit, nè qui si
tratta di una vendita di sè pro pretio partecipando come in S.P. 7. 18.1. — (17) S. P.
1.16.1. Cfr. pei figli venduti dai genitori 4. 48. 1-2; 7.16.37. Pei servi originarii il vin-
colo era invece così saldo che neppure la captivitas lo spezzava [8.50.10]. Liber vendi-
tus invitus in 7.16.5, 6 e 7.14. 7. 5
34 IL CONTENUTO GIURIDICO
I servi continuavano ad essere oggetto di dorninio e di condominio (1),
di locazione (2), di commodato (3), di pegno (4), di alienazione per dona-
zione (5) o vendita (6): ma la loro personalità giuridica era ormai incon-
trastata e nel campo del diritto civile e nel campo del diritto penale.
Anche in stato di servitù l’uomo aveva, con la facoltà di acquisire ed ob-
bligarsi (7), quella di agire in proprio nome (8); e possedendo in proprio
avea facilitata la via del riscatto con denari propri o mutuati da altri (9).
E se pur quà e là si vede responsabile il padrone per le obbligazioni (10)
e i delitti del servo (11) non può farsene una regola assoluta: era neces-
sario a tal effetto che il dominus avesse partecipato direttamente o indi-
rettamente all'atto con una ?4ssz0 (12) o almeno con una implicita auto-
rizzazione come nel caso del servo negottator (13) o con una tolleranza
cosciente che presupponesse l’anznus nocendi (14) sicchè, se attestava con
giuramento la sua sgrorantia (15), salvo naturalmente a rispondere dell’in-
debito arricchimento, ogni responsabilità si raccoglieva sul servo (16). Dal-
tronde si limitò al peculium la responsabilità del servo per i debiti del
padrone (17).
Il dominus poteva Vbertare (18) il suo schiavo con una dichiarazione
verbale (19) circa sacrosanctum altare (20) od ante curiam (21) o con una
dichiarazione scritta per atto fra vivi o a causa di morte col mezzo di
una epistula (22) o di un festamentum (23); nel primo caso la prova della
liberazione era affidata alla memoria dei tesfes (24), nel secondo alla car-
tula che era sempre il principale argomento con cui il Qbertus (25) poteva
difendere la sua libertà troppo facilmente attaccata (26).
(1) S.P. 427.3; 7.7. 1-2.-- (2) S. P. 7. 10.4 — (3) S. P. 4.23:2.— (4) SD. 3.1.%;
1.8.5; 8.13. 25, 26; 8.25. 1.—(5) S.P. 4.6.6; 5. 16.2.—(6) S. P. 2.12.18; 3.42. 1; 4. 55. 1-3;
4.56. 1-3; 4.58. 1-4; 5. 16.9; 7. 26. 1-5; 7.30.2; 8.37.8; 8. 44. 12, 18; 8.44.26. — (7) S. P.
42000 dl) ST 67 3268 ASTA 8502 o AO) SIN
4. 25.6; 4.26. 6.7; 8.37.14. — (11) S. P. 3. 41.2, 3; 3.42. 2/— (12) S. P. 4. 25. 6; 4. 26. 6, 7;
8.37.14. — (13) S. P. 4. 26.3. — (14) S. P. 3.41. 2. — (15) S. P. 3. 41.3. — (16) S. P. 4. 20.8
[pro suo facto requiritur]; 3.41.4. [pro criminale amissione servus tenetur]J.— (170) S. P.
4.25.2; 4. 26.7, 10, 12. — (18) S. P. 1.5.5; 7.2.6, 14; 7.8.4; 710.3. Cfr. facere liberum
0 libertum in 7.2.15; 7.4.5, 7,16, 7.7.2. — (19) S. P. 7.2.10, 15; 7.6.1.— (20) S.P.
lb la (21)6S- Bd 4. 122) SSPST7.16415, 116+23);7 8.534.123) MS RATE
6,7, 11, 12, 15; 7. 10.3; 1. 13.1; 7.4.8. La manumissione per testamento poteva avvenire:
direttamente [7.4. 1, 7, 8] o indirettamente con una raccomandazione fatta precario no-'
mine all’erede o al legatario. La validità della manumissione fu svincolata da quella
del testamento [7. 2.11, 12] e dalla adizione dell’erede [7.2.3, 6.12]. — (24) S. P. 7. 6.1.—
(25) S. P. 4. 29. 24. — (26) La S. P_7.9.1 parrebbe dire che, se un servo fiscale era.
stato manomesso con la sostituzione di un vicario, fuggendo questo tornava in servitù,
ma forse manca la negativa. Così dubbio è il c. 7. 18.2 in cui il servo del ladrone fatto
servo fiscale è dichiarato non suscettibile di manumissione: il divieto dovea esser relativo.’
DELLA SUMMA PERUSINA 35
Indipendentemente dal donznus la liberazione poteva anche avvenire
ipso iure in conseguenza di certi atti del padrone come l'abbandono del
servo (1), il concubimato con l’ancella (2), la prostituzione di questa con-
tro le condizioni d’ acquisto (3), la unione della serva con un libero (4),
l'istituzione del servo a proprio erede (5) o la di lui nomina a tutore dei
proprii figli (6) o per certi atti del servo stesso che parevano degni di
premio come la vendetta della morte del padrone (7) o la denuncia di
reati commessi da costui (8) o da altri a danno dei diritti maiestatici (9).
Che potesse aver suo fondamento nella preseriptio parrebbe invece escluso
dalla S. P. 7.22.1 (10); 1ma è dubbio poichè quell’ esclusione riguarda il
servus fugac contro cui vera la manus iniectio (11), non quello che bona
fide si riteneva e agiva come libero (12).
La manumissione però o l’absolutio @ servitute (13), se pur segnava, per
chi gia era stato schiavo, l’inizio d’una nuova vita sì che più non rispon-
deva delle obligationes ex delicto prima contratte (14) e neppur delle 0b/;-
gationes ex contractu quando non avesse avuto già un pecultum (15), non
soleva generalmente spezzare ogni vincolo tra lui e il padrone e i loro
eredi. Normalmente era subordinata alla continuata prestazione di servigi
verso l’antico dominus ei suoi aventi causa e all’ honor patronatus (16), che
avea più che altro un contenuto di obsequium (17), si univa il dovere di
render loro le operae così fissate. Per ciò dai liberti traeva sopratutto
fonte ed alimento la ampia categoria dei conditionales (13); messi ad una
stregua coi liberi in 7.3.1 appaiono esclusi dagli honores degnitatis in 6.8. 2.
Mentre i servi si affacciavano alla soglia della libertà altri, che già eran
liberi, degradavano verso la servitù. Il compilatore della S. P. ripetè le norme
legali contro i pagani di cui volea rovinati i templi, soppressa ogni esteriore
manifestazione di culto (19), annichiliti i diritti di cittadini (20) e ripetè e
aggravo pure quelle contro gli eretici che si scostavano dalla retta fede o dalla
fides apostolica (21) e contro gli apostati che, conosciuto il Cristo, l’aveano
abbandonato. Non solo dovea chiudersi ad essi la carriera degli onori e
(ESTER (STRATI 34805152 (SIAE N61 (ASTPET 6
matrimonio tra i servi e i liberi parrebbe fosse ancora vietato [7.24.1].— (5) S. P. 6.49. 13. —
(6) S.P. 5.28..5; 7.4. 10. — (7) S.P: 7. 13.1. — (8) S. P. 7. 13.3. — (9) S. P. 7. 13.2 [falsi
monetarii]. — (10); Cfr. S. PB: 7. 21.8; 3.22.6.— (11) S. P. 4.55.32; 6.1.1,2.— (12) S. PD.
9222) — (113), S. (PB: 81.113: 26.— (14) S.P! 3.411; 4. 14.1,4 — (db) S. PI 4.014. 2, 5-6;
0.2.4; 7.23.1. — (16) S. P. 7. 16.8.— (17) S. P. 6.6.1-8; 7.16.30. Dall’obsequium era li-
berata l’ancella divenuta sposa al padrone (6. 3. 1]. E dal c. 6.4.3 parrebbe che vi fosse pur
sottratto il servo che si riscattava per prezzo. — (18) Per la conditio cfr. S. P. 7. 14.1,
11.7, 20, 2; 7.20.92; 6.3. 10; 6.4.1. Cfr. Ep. Iul. 449. Non si confondano i liberti cogli
statu liberì che, nell’attesa del momento in cui dovevano essere liberi, continuavano ad
essere di fatto servi [7. 2. 2].—(19) S. B. 1. L1. 1-8.— (20) S. P. 1. 11.— (21) S. P. 1. 6.2; 1.910.
36 IL CONTENUTO GIURIDICO
dei pubblici ufficii (1) e togliersi ogni privilegio (2): ma erano privati
della testamenti factio attiva (3) e passiva (4) avendo per erede il fisco in
mancanza di figli cristiani (5), e potevano testimoniar solo fra loro, non
contro i fedeli (6), e venivano considerati in certo qual modo come dei
servi publici o dei pertinentes ad publicum (1).
Meno avversati furono gli ebrei: i privilegi largiti loro dall’impero furono
in gran parte ripetuti (8), nè si negò loro la pubblica tutela finchè non
inquietassero e ledessero i cristiani. Da questi però doveano vivere ap-
partati (9), senza promiscuità di vita (10) e senza possibilità di rapporti
dominicali a loro riguardo (11).
Non era da ultimo causa di perdita o di diminuzione di diritti l'assenza
che pur nella S. P. si confonde nel maggior numero dei casi colla cap-
tvitas (12): l’assente che ritornava (13), dovea dunque essere immesso,
entro l’anno pare, nel possesso dei suoi beni e oltre al non essere exhere-
datus (14) poteva anche riaver la moglie se pure, dopo tre anni delle
ultime sue notizie, ella non avesse preferito consolarsi della di lui lonta-
nanza con una nuova unione (15). Alla successione dell’ assente si facea
luogo soltanto quando si fosse avuta certa notizia della sua morte (16):
fino a quel momento i suoi beni erano affidati per l’ amministrazione ad
un curator con opportune cautele (17). Non ne era consentita l'alienazione (18)
nè l’acquisto per prescrizione (19).
vi
Diritti di famiglia
La compagine domestica appare nella S. P. saldamente costituita in-
torno al proprio capo: il pater era tanto considerato come il dominus
della casa che i figli stessi figuravano a suo confronto come servi fami-
liae (20).
(1) Cadevano de militiam dignitatis [S. P. 2.5.8]; non potevano essere curiales [1. 3. 16;
1.2. 12]; non avvocati [1. 3. 14). — (2) S. P. 1.5.1. Confisca dei loro templi [1. 5. 3, 5, 9]).—
(3) S. P. 1.5.2, 4, 6, 12; 1.6.3; 1.7.4. — (4) S. P. 1.7.4. Non potevano aver servi cri-
stiani [1.2.42, 1. 10.1]. — ©) S. P. 1.5.10, 11; 1.7.4. — (6) S. P. 1.5.11; L7.4.—-(M) S.P.
1.3.1. — (8) S. P. 1.9. Se ne rispettavano le sinagoghe [1. 9. 13, 15] e le ferie [1. 9. 11].—
(9) S. P. 1.9. 6: christiani cum iudeo vivendi nichil commune habeant.— (10) S. P. 1.9.4, 5.—-
(11) S. P. 1.10.1.—(12) S. P. 1.3. 11; 5.12.27; 5.18.5; 8.50.19, 20.—(13) S. P. 8.59.9,11,18.
— (14) S. P. 8.50. 1, 5, 10, 14, 17. — (15) S. P. 5.17.2; cfr. 5.18.5. La cattura della ma-
dre non nuoceva alla libertà dei figli |8. 50.8, 13]. — (16) S. P. 8.54.4. — (17) S. P.
8.50. 3. — (18) S. P. 8. 50. 4. — (19) S. P. 8.5.1,2. —(20) S. P. 8.15. 6.
DELLA SUMMA PERUSINA 37
Alla famiglia dava legittima base il matrimonio regolarmente risul-
tante dai due momenti degli sponsali e delle nozze.
Ma gli sponsali non avevano ancora raggiunta la importanza che li
fece poi riguardare come il fondamento delle nozze stesse e continuavano
ad essere semplicemente una menti0 et repromissio futurarum nuptiarum :
nè inducevano una coazione alla esecuzione di esse. Tutt’al più la rottura
loro importava una rifusione di danni e la perdita dell’arra (1) o il paga-
mento di un multiplo dell’arra stessa secondo i casi (2).
Il matrimonio in realtà si perfezionava colle nuptiae che nella S. P.
sono dette solitamente vota (3) 0 conzunctio (4) e appunto nel dies convuncetio-
nis soleva avvenire la consegna della sposa e con essa la tradito o la
seriptio dotis (5) e da parte dello sposo corrispondentemente la tradito 0
la seriptio degli sponsalicia (6); la parte ricevente faceva all’altra opportuna
sicurtà per i casi di eventuale restituzione del suo apporto.
La dote (7) consistente in beni mobili o immobili (8), corporali o incor-
porali (9), divisi o indivisi (10), poteva essere costituita dalla donna stessa (11)
o da chi avea l’onere di dotarla (12) oppure da terze persone (13) in suo
favore. Diretta a porre le basi economiche della famiglia era ripetibile se
il matrimonio non si fosse effettuato (14): ma, avvenute le nozze, era ir-
revocabile (15) ed inalienabile (16); e parrebbe che fosse vincolata ai figli sì che
solo in assenza di questi la donna potesse restare dalla metà di essa (17).
(1) S. P. 1.2.42. La donna non avea volontà sua in questi rapporti: e della figlia
disponeva il padre [3. 28. 22]. — (2) Si rendeva in simplum se il matrimonio fosse stato
disciolto perchè la donna sponsata o il fidanzato volesse darsi a vita religiosa [S. P.
1.2.42; 1.3.15] o se il rifiuto delle nozze fosse stato giustificato da qualche causa
[5.12.11]: nel doppio se fossero stati ritardate o rotte senza motivo [5. 12. 11].—(3) S. P.
bilia: Didi; b. 1808: — (4. S. P. 5. 11.1; 5. 14.9: 646.4; 6.55.4; 6.60.5; 7.2.8. Cf.
Ep. Iul. 349, 350. — (5) S. P. 5.11.1. — (6) S. P. 5. 73.5. — (7) Ma non ve n'era neces-
sità assoluta. Cf. S. P. 5. 11.1. La dote non implicava rinuncia alle ragioni ereditarie
[6. 20. 2]. — (8) Su nuda proprietà [S. P. 5. 12.18]. — (9) In un certus redditus [S. P.
5.12. 32], in una cautio debitoris [5. 13. 5], in usufrutti [3. 33. 6]. — (10) S. P. 5. 12. 5, 23, 26.
Se in dote erano dati beni altrui contro il dotante potea agirsi, per dolo, parrebbe, ma
non per evizione [5. 12. 1] se la dote era stata costituita sine seriptis, altrimenti il do-
tante era obnoxrius [5.16.23]. — (11) S. P. 5.11.4.8. — (12) Quest’ onere incombeva solo
al padre [5. 11.5, 7; 5.12. 13, 22] e, morto lui, ai fratelli [S. P. 5. 11.5, 7]; non alla ma-
dre [S. P. 5.12.14) che pure di fatto soleva adempiere quello che, se non era per lei
un dovere giuridico, era nondimeno un dovere morale [5. 12. 2, 8, 13, 14, 15, 18; 5. 18. 10).
Così per la nonna [5. 12.6]. — (13) S. P. 3.3. 10; 5. 11.4; 5.14. 1. — (14) S. P. 5.16.7. —
(15) S. P. 5. 12. 13, 25; 5. 16.2, 5. 18.2. Il dotante rispondeva per l’evizione [5. 16. 23]; il
ritardo al pagamento della dote dava luogo ad usure [5.11.2]. — (16) S. P. 4. 44. 13;
5.12.23, 25: sì da parte del marito, sì da parte dei costituenti. Impignorabilità dei beni
dotali da parte della donna senza l’assenso del marito [8.27.11]; manumissione di servi
dotalivietata da parte della moglie e delmarito [7.81,7]. Eccezionein5.16.22.—(17) S.P.8.37.4.
38 IL CONTENUTO GIURIDICO
Alla costituzione della dote poteva bastare la promessa verbale (1), ma
più spesso si ricorreva allo scritto onde la locuzione in dotem sceribere 0
conseribere (2).
I beni dotali, soggetti per lo scopo loro a restituzione, potevano d’altronde
essere dati con o senza stima (3): nel primo caso passavano in proprietà
del marito ch’era solo tenuto a renderne il valore (4); nel secondo parrebbe
ch’ei non ne avesse se non l’usufrutto (5). Suoi erano però i frutti della
dote (6) e 1 beni con questi acquisiti (7): e di essi, a differenza di ciò
che avveniva pei beni parafernali super dotem ad maritum delata (8) di
cui poteva essere ma non era di diritto l’ amministratore (9), non dovea
render conto (10). Il marito o gli eredi poi, se eran tenuti a rispondere della
consunzione o della perdita da beni dotali (11), aveano anche diritto a
compenso per le migliorie (12).
Al marito non era concesso di dar fideiussori pro conservanda dote (13),
ma per il suo credito la donna godea tacita ipoteca sui beni di lui (14)
ed era privilegiata di fronte a tutti gli altri creditori compreso il fisco (15):
non però era esso imprescrittibile (16). E appunto per evitare dei pregiu-
dizi alla donna si ammetteva sempre che essa o i suoi potessero procedere
a ripetizione della dote anche quando il marito per la mala amministra-
zione volgesse ad inopia (17): ciò non era invece consentito per semplice
assenza (18) chè regolarmente la ripetibilità si aveva solo allo sciogliersi
del matrimonio.
In tal caso (19), se non v’erano figli, chè questi erano allora successori
ne’ beni della genitrice (20), al marito o ai suoi eredi (21) incombeva cioè
il dovere di restituire la dote a chi l’avea costituita nel caso di dote av-
ventizia e, nel caso di dote profettizia, al padre (22) o ai fratelli o ai
propinqui della moglie (23): costoro aveano facoltà di ripeterla in essa con
gli sponsalia (24) entro l’anno dalla amissio coniugii (25) o dalla dissolutio
(1)S. Ps 511-6:,5.12.1, 6,17, 15; 5.13. LS 2P.13:190.1;; b.A14 DAS )ISTI
5.12:5; 5.23.1.—(4) S.P. 5.12.55, 10.21. —(5) S.P.15. 12..26.—(6) S.P. 5.420402; (5: 1618;
51891.) SP 512409 (8) S.P 514 8,9, 1.9) SP MA SSR SARI
5.18. parrebbe che i beni ereditati post dotem non potessero reputargi in dote cfr. 5. 16.9.—
(10) S. P. 5. 14 16,— (1)IS. PB: 5.12-11,12; 6.46.17; 5.841 — 02) 1
(13) S. P. 5.20.1.— (14) S. P. 5.12. 11,12. L’ipoteca generale veniva a concretarsi
su speciale porzione di beni al momento della restituzione [5. 23. 1]. — (15) S. P. 5.12.9.—
(16) S. P. 5. 12.80. La prescrizione correva dal dì: della morte o dalla constatazione
della iropia sua. — (17) S. P. 5.12.28. La dote non rispondeva che pei debiti contratti dalla
donna antecedentemente al matrimonio [5. 12. 23], non per quelli del marito [4. 29. 21]. —
(18) S. P. 5. 18.5. — (19) E anche nel caso che il matrimonio fosse annullato p.es. per
aver sposato per errore un servo [S. P. 5.18.3]: in quest’ipotesi la dote era detratta dal pecu-
lio.—(20) S.P. 5.12.8.—(21) S.P.5.18.11;5.19.1;5.12.8.—(22)S.P.5.18.4—(23)S.P.5.13.1.—
(24) S. P. 5. 15.3. - - (25) S. P. 5. 12. 15.
DELLA SUMMA PERUSINA 39
matrimoni (1) previa naturalmente la dimostrazione della effettiva con-
segna. Così di regola; però le norme legali potevano derogarsi per effetto
di convenzioni speciali come quelle che garentivano alla donna la facoltà
di testare liberamente anche a favore del marito (2) o addirittura assicu-
ravano al marito la successione di essa nel caso che non vi fossero figli
o che a lui premorissero (3).
Di fronte alla dote stava d'altronde, come già accennai, da parte del
futuro marito, l’obbligo dello sponsalitium (4) o degli sponsalia (5) che,
salvo patto in contrario, erano proprietà della donna se non v'erano figli (6).
Era uso che l'ammontare di questi pareggiasse l'ammontare di quella (7)
e l’un apporto seguiva le sorti dell’altro (3). Ma poi durante le nozze ogni
altra donazione fra i coniugi, salvo che si trattasse dell’imperatore é della
imperatrice (9), era vietata sotto pena di nullità (10) e potea solo acquistar
efficacia dopo la morte del donante se questi non avesse mutato volontà;
si in ea voluntate permanserit (11) o perseveravertt (12) 0 non retractaverit (13).
Il matrimonio si poteva» sciogliere, oltre che per morte, per divorzio (14),
ché l’istituto romano non era ancora caduto dinanzi alle ostilità ecclesiastiche
e vigeva anche nella forma bona gratia (15). Motivi legittimi di repu-
dium (16) potevano essere, pare, la assenza ultra triennale (17), la impo-
tenza del marito (18) o gravi colpe da parte della moglie non imputabili
al caso (19): ma anche il padre poteva toglier la moglie al marito e im-
porre così un dwvortium in forza della sua patria potestas (20). Il coniuge
divorziante dovea rendere all’altro gli apporti da lui ricevuti (21) e per-
deva inoltre il diritto a ripetere quelli da sè dati se il divorzio avveniva
per sua colpa (22). Se la donna non avea portato dote aveva diritto alla
quarta uxoria (28). Il giudice provvedeva alla sorte dei figli (24).
Passando così ai rapporti tra genitori e figli è da avvertire anzitutto il mi-
tigamento della patria potestas: i padre non poteva più disconoscere o
ES AREA o I AZIO e MI ASA 89 10) SP 24 ()ST.
5.1.3, 5,6. Altri patti trovansi ricordati in S. P. 5. 14.4 e 6.49.12. —(4) S. P. 5. 73.6. —
(DISTA 220829216) (ST 85M12881 — WMINSTPN512020/ Ati! — 8) SO DI
8.14.10. Cfr. anche 5. 16.6. Sugli sponsalia gravavano solo i debiti contratti prima della
loro costituzione [5. 16.13; 7. 75.2). — (9) S. P. 5.16.26.— (10) S. P. 5.16.4. Vietata
anche la promessa delle usure pel marito [S. P. 2.3.11; 4. 29.13] e il fideiubere per lui
FEN2%1]. Cfr: inoltre 4. 50. 5; 5.16.5.— (11) S. P. 5. 15.2; 5.16. 24. — (12) S. P. 5.16.1, 3,10.
SAP: 16 15,27 — (SS. 517. 6° (5) Ex ‘consensu Sì P. 5.179]. —
(16) S. P. 5.17.8.— (17) S. P. 5.17.2, 7. — (18) S. P. 5.17.10: ultra biennale e propter
senectutem. —- (19) S. P. 5. 17.1, — (20) S. P. 3.28.22; 5.17.5: non la madre [5. 17. 4].—
(21) S. P. 5. 17.9; 3.38.2. — (22) S. P. 5.16.18; 5.18.8,9; 5.21.1. Anche doveano'
rendersi le cose occultate [5. 21. 2, 3]. — (23) S. P. 5.17.11. — (24) S. P. 5.24. 1. Ob-
bligo della resa dei conti nel divorzio: S. P. 5. 16.8, 9, 11, 18; 5.18 8,9; 5.21.1,2,3.
40 IL CONTENUTO GIURIDICO
abnegare la prole che gli veniva da regolare matrimonio nè ad essa
negare gli alimenti (1): solo gli era lecito in caso di carestia di vendere
i figli o di darli in pegno (2).
Non è ben chiaro se a fondare la patria potestas potesse ancor giovare
la legitimatio che la S. P. conosce solo, a quanto pare, sotto la forma
della legitimatio per subsequens matrimonium (3) nella fattispecie della con-
cuba post legittima effecta vxor (4): il compilatore ebbe sopratutto presenti
1 suol effetti in ordine al diritto successorio (5).
E uguale incertezza si ha per la adozione, che fatta di solito per carta
dinanzi a pubblici ufficiali (6), mirava pur sopratutto ad attribuire i di-
ritti successori del figlio a chi non era in relazione di discendenza diretta
col de cuius, fosse pure un’extranea persona (T).
Mentre poi da un lato si restringeva l’ambito e l’importanza degli isti-
tuti generatori della patria potestà, si facilitava al figlio il diventare lber
a patre (8).
Eliminate le impaccianti formalità (9) sembra che nell’ emancipazione
non fosse più essenziale l'intervento del publicus index nè fosse mestieri
di procedervi ante curiam o d’ aver la principis auctoritas, vi si poteva
giungere in via del tutto privata per mezzo di una chartula, onde risul-
tasse la volontà paterna di emancipare il figlio (10). E si deve anche os-
servare che, se pure dalla S. P. 2.4.1 parrebbe potersi indurre che il ma-
trimonio non rendesse di per se stesso su? 2uris chi lo contraeva, il filaus
uxoratus figura però normalmente emancipato nel momento stesso in cui
costituiva una separata economia (11) e parrebbe che vi fosse tendenza
(1) S. P. 8. 46. 6. Dal c. 7 h. t. parrebbe potersi indurre che i figli non nati ex voto
o ex iustis nuptiis, cioè i figli naturali non fossero dn potestate del padre. Cfr. 5 25.1, 3,4. —
(2) S. P. 4. 43. 1,2. — (3) S. P. 5. 27.10, 11 — (4) S. P. 5.27. 10, 11. Cfr. Prrzorno: La
legittimazione nella storia delle istituzioni familiari del medio evo. Sassari, 1904. p. 98. —
(5) S. P. 5.27.12. — (6) S. P_8 47.1, 4,5, 11. Ad attribuire lo stato di figlio legittimo
non bastava l’esser dichiarato tale dal preteso genitore per epistulas [S. P. 6.23. 5]:
nè bastava all’adozione l’aver fatto rediger la cartula da un tabellio [S. P. 8 47 4. 11].
Dalla S. P. 8.47. 6 parrebbe richiesto un rescritto imperiale nel caso che l’ adot-
tante fosse una criminosa persona. — (7) S. P. 8. 47.1. Adozione del figliastro [8. 47. 5],
della figlia della libertà [8 47.8], del servo [8. 47.9]. Dalla S. P. 8.47.7 che in forma
generica dice: “ Per legem homo filium sibi legibus adoptare licet, e dalla S. P. 8.47.1
che dice “ Extranea persona licet adoptare filium sibi parrebbe che l’insistenza nel giu-
stificarne la liceità legale sia indizio della poca vitalità che l’istituto aveva nella pra-
tica. — i8) S. P. 8.18. 2. Emancipazione del nipote [8. 48. 5]. — (9) Come nella L. r. c.
così nella S. P. invece di emancipare si usò sovente la forma mancipare [2.29.2;
3. 12.7; 6.20.17]. — (10) S. P. 8. 48.3. Dovea però trattarsi d’una solemnis scriptura.
Emancipazioni ulteriori fatte dall’emancipato in 8.48. 1,4 — (11) S. P. 2.41. 1.
DELLA SUMMA PERUSINA 41
a giungere a quel principio giuridico che la Lex romana curiensis più
tardi affermò pro constanti (1). Che in S. P. 8.8.1-3 si alluda ad una
emancipazione per commendatio non mi sembra invece così probabile come
altra volta mi parve(2). Comunque in occasione dell’emancipazione, che poteva
revocarsi per ingratitudine , il figlio soleva avere un premium (8) il cui
ammontare si ragguagliava per lo più alla porzione che gli sarebbe
spettata sull’ asse paterno se si fosse allora proceduto ad una divisione
della sostanza domestica: avveniva così una specie di anticipata succes-
sione che pur in territorio romano poteva dar luogo ad un istituto ana-
logo alla lombarda exfiltatio.
Teoreticamente, all'infuori del peculium castrense e quasi castrense (4),
gli acquisti del figlio in patria potestate continuavano a spettare al pa-
dre (5): ma la S. P. 8.46.3 c’insegna che il padre non poteva alienarli
se non quando il figlio gli si fosse mostrato contumar o irriverente e la
S. P. 6.60.4 degli acquisti del figlio come dei bona adventitia (6), gli
attribuisce d’altronde il semplice usufrutto. La responsabilità paterna pei
debiti del figlio fu ridotta ai casi in cui fossero stati contratti per suo
ordine (7) e ne avesse tratto profitto (8) nè vi sì ricorreva se il peculio
del figlio fosse bastato ai creditori (9): d’ altronde il figlio non rispose,
vivente il padre, dei costui debiti (10).
Morto il padre la sua potestas continuava nella vedova che i tigli do-
vevano del pari riverire e servire (11). Qualora essa avesse giurato di non
passare a seconde nozze, con generale ipoteca dei suoi beni (12), ne era
tutrice di diritto 0, per meglio dire, rendeva superflua la nomina d’ altri
tutori, che ridiventava necessaria, sotto sanzioni penali assai gravi, quando
(1) I. r. c. 28.7.1,2.—(2) S.P. 8.49.1.—(3) S. P. 6.20.17; 3.29. 5; 5. 1. 7.—(4) S.P.
3.31.28; 6. 60.8; di essi il figlio poteva disporre per testamento. Per il concetto del pe-
culium castrense cfr. 6. 60.7 e 2.7.8.— (5) S. P. 6.60. 6; 3.31.10. — (6) S. P. 6. 60. 1, 2, 6, 8;
4. 59. 1, 2, 3, 4. Se il padre era sotto la potestas dell’avo, morendo il figlio, spettava l’usufrutto
all’avo [6. 60. 3]. Pei bona materna cfr. 1.18. 5; 6.59.1-4.—(7) S. P. 4.13.1; 4. 26.1,4; 4.28.4, 5.
— (8) S. P. 4. 25.2. —(9) S. P. 4. 26. 7; 2. 28. 6; 6. 60. 8. — (10) S. P. 2. 3. 23; 4.13, 1-4. Il figlio
emancipato poteva fideiubere pel padre [4. 29. 8], non il figlio in potestate [2. 23. 2]. A figli
emancipati si riferisce anche il c. 4.20.1 che parla di sponsiones del padre pel figlio: il
figlio di famiglia non potea di per sè contrar mutui [2.22 1; 4.28.3] nè agir in giu-
dizio sine mandato patris [2. 12.11]. Nè potea naturalmente pignorare o alienare i
beni paterni [8.15.4, 6; 6.22.83]. — (11) S. P. 8.46.4,5. Il figlio poteva agire contro
il padre, ma cum reverentia |2. 23.1]. — (12) S. P. 5.35. 2, 3. Il giuramento era prestato
sugli evangeli: il contenuto di quella sacramentaria cautio parrebbe esser stato formal-
mente “ad alias nuptias non veniam ,,. La madre non era obbligata all’assunzione della
tutela [4. 65. 19] e potea chieder la nomina d’altri tutori [5. 21. 7] senza rispondere della
loro gestione [5. 31. 9; 5. 50. 9].
49 IL CONTENUTO GIURIDICO
sì fosse rimaritata (1). Ma anche allora, se pur l’amministrazione dei beni
dei figli le era tolta, le si affidava normalmente la loro educazione (2).
A proposito poi della tutela e della cura, parrebbe che si desse tutore al
parvulus che non avea ancor toccato i dodici o i quattordici anni (3) e
il curatore invece all’adultus (4): sì che, appunto quando il minore toccava
i diciotto anni, il tutore avrebbe dovuto rimettere o refundere (5) al cu-
ratore eletto dal giudice (6) la di lui azienda ricevendo una correlativa
scriptura di accettazione roborata da numero idoneo di testi (7). Ma d'altro
canto tutor e curator sono spesso usati indifferentemente come equiva-
lenti (8).
La S. P. distingueva pure ancora la tutela testamentaria, la legittima e la
dativa o pubblica (9) secondo che il tutor era datus testamento (10), o, in
mancanza di disposizioni testamentarie che lo determinassero, dalla legge (11),
o, mancando alcuno di quelle due categorie, era costituito od ordimatus
d’ufficio nel qual caso conferivano la tutela il praefectus nell'’urbs (12), il
iudex o la curia nelle provinciae o nei loca (13). Finchè v° era un tutore
legittimo non si faceva luogo al dativo (14).
La tutela legittima incombeva ai propirqui (15) sì della limea paterna
che della materna (16) con riguardo alla maggiore prossimità di grado e
con preferenza dell’agnazione sulla cognazione (17) escluse le donne oltre
la madre e l’ava (18). Se, morto il padre senza ascendenti (19) v° era un
fratello maggiorenne (20) egli era preferito (21): se no toccava agli zii
(1) S. P. 8.14. 6; 6. 55.3. — (2) S. P. 5.49.1. Se no l’educazione si affidava ai parenti
più vicini [S. P. 5. 49. 2). — (3) S. P. 5. 60.3 secondo cui pei maschi valeva il termine do-
dicennale, per le femmine l’altro; vedi però 5. 28. 3 dove il primo termine parrebbe esser
stato osservato anche per queste. — (4) S. P. 5. 39. 1, 5; 5. 62. 1; 5. 71. 16. — (5) S. P. 5.48.1.—
(6) S. P. 5.31. 1,2; 5.37.2 e a contrartis 5. 52. 1, 2. 3. Competente era l’ordo curiae del luogo
dove erail patrimonium patris [5. 32. 1; 5. 34. 5]. La nomina del curatore poteva esser chiesta
dai parenti dell’adultus [5. 31.1], dalla madre [5. 31.3, 6, 8]. dalla zia paterna [5. 31.5] ecc.,
dal liberto [5.31.2], dal creditore [1. 38. 8; 5.31.4], direttamente o per procuratore [5.31.8].—
(7) Così restavano distinte le due responsabilità [2.32.1; 5.07.1|.—(8) S. P. 5.43.4. Il curator
è distinto dall’actor in 5. 61. 1. Tutore del furioso in 5. 70. 1, 3. 5. Il tutore continuava spesso
ad esser curatore dell’adolescente benchè non vi fosse obbligato [5. 36. 5; 5. 51.11; 5. 60. 1;
5. 62. 20. Curatori nei conflitti tra pupillo e tutore [5. 44. 2] o nell’assenza del tutore [4.44.11].
— (9) S. P. 5. 64.1, 2.—(10) S. P. 5. 28. 1; 3. 7.8; 5.29.2; 5. 43.3. Cfr. £. testamento institutus
in 5. 28. 5, 6; 5. 29. 3; 5. 62. 11, 12; 5. 47. 4; 6. 37.8; 6.38. 4. Nell’esistenza di più testamenti
si stava naturalmente al più recente [5. 28.2] essendo valida anche la designazione fatta
con parole greche [5. 28. 8]. Pur il padre naturale poteva dare un tutore al figlio [5.29.4].
— (11) S. P. 5. 44. 5; 5. 63. 3. — (12) S. P. 5.28.2; 5.33.1.Il tutore poteva anche esser chiesto
dai creditori del pupillo [5. 34.8]. — (13) S. P. 5.29.1, 3; 5.31.2, 3, 4. — (14) S. P. 5.34.9, 10.
(15) S. P. 5. 30. 3. — (16) S. P. 5.30.4. — (17) S. P. 5. 80. 4. — (18) S. P. 6.35. 1. Quanto ai li-
berti cfr. 5.62.5.—-(19) S. P. 5. 30.5: oltre cioè i venticinque anni. — (20) S. P. 5. 70.6. —
(21) S. P. 5.30. 4: anche uterini [6.62.21].
DELLA SUMMA PERUSINA 43
paterni (1) e materni (2) o al cugino (3) e così via: nè si potevan sottrarre
a quel loro dovere se non quando esistessero legittimi motivi di escusa-
zione (4) che doveano farsi valere entro certo termine (5) innanzi al giudice (6)
ed esser da questi appurati (7). Avevano diritto ad essere esonerati gli
esattori di pubblici tributi (8), i meletes (9), i veterani (10), i silenziari (11),
chi aveano in Roma tre e fuori cinque figli (12), chi già avea amministrato
quattro tutele (13), i ciechi, i muti, i sordi (14), i vecchi d’oltre settan-
tanni (15), chi aveano lite col defunto (16), gli infami (17). I curiales non do-
vevano essere tutori agli /lustres e i navicularti a persone estranee al loro
corpus (18). Il servo non poteva esser tutore che per testamento ricevendo
per esso il beneficio della libertà (19).
Nell’assumere il suo ufficio ogni tutore avea obbligo d’erigere inventario
della sostanza che si accingeva ad amministrare (20): l'obbligo di prestar
cauzione (21) era invece imposto solo al dativo, mentre il legittimo e il
testamentario non erano tenuti che ad un giuramento di fideliter agere (22).
Assunta però l’amministrazione il tutore non poteva esserne rimosso se
non per suspicione in seguito a dolosa condotta (23) o per infermità so-
praggiunta (24) o per pubblico incarico (25); se vasto era il patrimonio (26)
poteva chiedere che altri gli fossero aggiunti (27) rispondenti solidalmente
con lui (28).
Il tutore non si sostituiva di regola al pupillo, ma ne integrava la limi-
tata capacità con la propria auctoritatis interpositio che secondo la S. P. 3.6.3.
parrebbe essersi concretata in un semplice permissus (29): col suo concorso il
minore poteva così compiere ogni atto d’amministrazione all’infuori dell’alie-
(SERA ZON 22) SP5762, 01422) — (3) S.(P5.31310.— (4) S.P! 5.286,77;
5. 34, 12, 13; 5.37.9, 26; 6.62. 21; 5. 63.1, 2,3. L’ab administratione se subtrahere o l ad-
ministrationem deserere era però concesso a quelli che erano loco tutorum |5. 63.1] e che
si potevano repellere [5. 63. 3]. — (5) Cinquanta giorni |S. P. 5. 62, 6, 11, 12, 18]. L’excu-
satio non era più ammessa se chi vi poteva aspirare erasi ingerito nella tutela. — (6) S. P.
5.29. 1. — (7) Con una dussio speciale [S. P. 5. 62. 22]. — (8) S. P. 5. 62. 10. Non i publici
conductores |5. 62.8]. — (9) S. P. 5. 34.4. — (10) S. P. 5. 65.1,2. —(11) S. P. 5. 62.25. —
(12) S. P. 5.66.1. — 13) S. P. 5. 69.1. — (14) S. P. 5.68.1. Non il guercio [5. 62. 9]. —
(15) S. P. 5. 67.1. — (16) S. P. 5.62. 16. — (17) S. P. 6.62.17. Non era motivo di scusa
l’aver ragioni di credito verso il pupillo [5. 62.7]. — (18) S. P_ 3.33.2; 5.62.24. Il ma-
rito non poteva esser curatore della moglie minorenne [5. 24. 2; 5. 71. 8]. — (19) S. P.
Db. 28: 5; 5.34. 7; 5.62,13.— (20) S. P. 1.3.19; 5.37.24; 5.51. 13; 5.52.93; 5.53.2-5; 6.30.22. —
(21) S. P. 5.37. 25, 26; 6.30. 32. — (22) S. P. 8.1.19; 6.37.8.— (23) Se era non idoneus
aut male agens [S. P. 5.36. 4; 5. 43.1, 3, 5, 6, 7, 8,9; 5.44.4): altrimenti pel tutore arbi-
trario [5. 62. 3]. — (24) S. P. 5.60. 1. — (25) S. P. 5. 36.1. — (26) Propter maiorem substan-
tiam [5.62.11]; pro magna substantia [5. 60.1]. — (27) S. P. 5. 36.3, 5; 5.52. 1, 2; 5.60.1;
5.40. 1. — (28) S. P. 5. 60.2; 5.59. 5; /simul ad rationem vocati]. Al tutore morto se ne
sostituiva un altro [5. 31.3; 5.32.5. — (29) S. P. 5.59. 1-4.
44 IL CONTENUTO GIURIDICO
nazione degli immobili che, anche in presenza d’una giusta causa (1), dovea
essere autorizzata con un apposito 2udicium (2), o con una 2udicis iussio (3)
di cui si faceva specifica menzione nell’ atto (4). Poteva e doveva item
agere pel pupillo (5) rispondendo però della ls calummosa che avesse
suscitata frodolentemente (6): ne esigeva i crediti (7), ne pagava i debiti (8);
avea facoltà di venderne i beni mobili (9) per dare il ricavato a mutuo
e percepirne usure a vantaggio del pupillo. La conferma dell’ obbligo di
passar a questo i convenienti alimenti (10) non basta per indurre che al
di là di questo limite il tutore fosse autorizzato a far proprii i frutti del
patrimonio amministrato: questo dovea essere non solo conservato, ma
possibilmente accresciuto. Così il tutore dovea astenersi da ogni atto che
ne implicasse una diminuzione certa o un pericolo: non solo non poteva
manomettere i servi del pupillo (11), non poteva sposarne l’ ancella (12),
ma non avea facoltà di condurre in suo nome delle res fiscales (13). Si
manteneva anche sempre il divieto delle nozze fra il tutore e la pupilla (14)
e il divieto di reciproche alienazioni o compere (15).
Al finir della tutela il tutore per esonerarsi d’ogni ulteriore responsabi-
lità (16) dovea presentare poi il suo rendiconto, rationes facere (17) od
edere (18) in base all’inventario (19): e s’ei non vi procedeva spontanea-
mente il pupillo poteva costringervelo con una aceto o questio de tutela (20)
o con una conventio ad restituendam tutelam (21). Rispondeva allora delle
perdite derivanti da dolo o negligenza (22), non da caso fortuito (23), do-
vendo rifondere il prezzo dei beni pupillari abusivamente alienati (24) o
pignorati (25), restituire le somme che, levate dal patrimonio del pupillo,
fossero state da lui impiegate a proprio vantaggio (26), indennizzare il
pupillo del danno che avesse incorso per la recadenza di fondi enfiteutici
in seguito a mancato pagamento del canone (27); d’altro canto avea di-
(1) S. P. 5.37.16, p. es. debiti paterni [4. 16.4; 4.53. 1]. — (2) S. P. 5. 71.2, 10, 11. —
(3) S. P. 5. 71, 2, 3, 5, 10, 11, 12; 5.2.1: di decretum si parla invece in S. P. 5.71.14;
5. 72.3, 4; 5. 74.1, 2, 3; di auctoritas iudicis in S. P. 5.71.15, 16, 18; di dussio dudicis in
5.71.12, 16. Il decretum principis rendeva superfluo il decretum iudicis [5. 72.2]. — (4) S. P.
5. 71.6. — (5) S. P. 5.42. 1-4; 5.45.2. — (6) S. P. 5.37. 6. — (7) S. P. 5.39.2.— (8) S. P.
4.16. 4. — (9) S. P. 5. 37. 22, 26. — (10) S. P. 5.50.1,2.— (11) S. P_ 7. 16.35; 7. 11.7. —
(12) S. P. 6.27.3.—(13) S. P. 5.41.1.—(14) S. P. 5.62.4 — (15) S. P. 4.38.5. — (16) O se
absolvere [S. P. 5.3%.5].— (7) S. P. 5. 43.3; 5. 45. 1;/5.51.8; 5. 54 2; (5585100
(18) S. P. 5. 37. 4; 5. 54.2; 2.18. 5, 6. — (19) S. P. 5.51.13. L’inventario è detto spesso
inventaneus [1.3.19; 5.37.24; 5.51.13; 5.52.3; 5.53. 2, 5; 6.30. 22]. — (20) S.P. 5.51,2.
L’azione non era tolta se il tutore avea istituito erede il pupillo [2. 12.7]. — (21) S. P.
5. 43.2; 5.51. 5. Cf. 3.1.2; 7.2.9: ad rationes compellere in 2.18.21. Si poteva agire an-
che contro i fideiussori [5. 57. 1-2).— (22) S. P. 2.3.22; 4.81.11; 5.51.7; 5.37.8, 10, 11,12, 19;
20, 21; 5.55. 1,2.—(23) S. P. 5. 38..3,5.—(24) S. P. 5. 37.3, 7, 16; 2.27. 2; 5. 42. 5; 5. 51.3, 6.
C5ISTRADIIRI; 8093 (20)S MR; 000 INNI A RM) SER R5R 1
DELLA SUMMA PERUSINA 45
ritto alla rifusione delle spese necessarie per lui sostenute (1). Qualora il
tutore si fosse rifiutato di esibir l'inventario per l'accertamento dello stato
patrimoniale del pupillo al momento in cui avea assunto la tutela si stava
al giuramento del tutelato: morto il tutore la sua responsabilità patrimo-
niale passava all’ erede (2), ma contro questo, in mancanza d’ inventario,
non si stava all’asserzione giurata dell'interessato, bensì si procedeva giu-
dizialmente ad una inchiesta tra vicini (8).
Contemplammo fin qui essenzialmente la filiazione legittima, ma ac-
canto al matrimonio vigeva ancora il concubinato vietato solo in concor-
renza con un matrimonio legittimo (4): e vi portavano largo contributo non
pur le ancelle (5), ma le libere (6). Il costume però forse riprovava code-
ste unioni concubinarie più che le leggi: al compilatore della S. P. esse
apparivano come adulteria e adulterina gli sembrava la prole nata da
esse (7), onde con una disposizione che è nuova di zecca voleva ad essa
chiusa la via degli onori (8).
La matrimoniatio (9) della madre legittimava tuttavia sovente pur i figli
delle unioni tra liberi e schiave che, seguendo la condizione materna avreb-
bero dovuto essere servi (10) e dava loro diritti pari a quelli dei legitti-
mi (11) costituendoli simzles a questi.
VI.
Diritto ereditario
Ancor più interessante, per le modificazioni che vi sì intravvedono di fronte
all'assetto giustinianeo, è il diritto successorio. La successione legittima ap-
pare predominante di fronte alla testamentaria, chè, se già nella legislazione
imperiale della decadenza si era affermato il concetto che l’hereditas fosse quasi
debita posteritati, il vincolo alla posterità si era fatto poi più certo e più saldo
e, nella normalità dei casi, indipendentemente dal volere del de cuius, l'erede
era gia designato dalla natura. In presenza della posteritas tornava cioè su-
perflua e pareva ostica e quasi immorale una designazione d’erede all’infuori
della sua cerchia: e anche per la S. P. Raeredes furono quindi per eccellenza i
figli o i discendenti. Ond’è che nell’esposizione sistematica del diritto succes-
sorio in essa descritto giova dare il primo posto alla successione ab intestato:
essa avveniva secondo le regole seguenti.
(1) S.P. 2.18.92; 4. 15.1; 7.72.9; 4.16.6; 5.58.2. — (2) S.P. 5.51.10, 19; 5.54.1,3,4—
(8) S. P. 5.53.2.3.— (4) S. P. 5.26.1.—(5) SP. 6.54.6.— (6) S. P. 5.27. 10; 7. 16. 34.—
(1) S. P. 6.54. 5. — (8) S. P. 6. 54.5. — (9) S. P. 5.27.11. Schol. Iul. 316.— (10) S. P.
1.9.2; 7.16.49; 4.57.2. — (11) S. P. 5.97, 10, 1L.
46 IL CONTENUTO GIURIDICO
Succedevano in primo luogo i figli legittimi (1) e succedevano, in as-
senza di disposizioni speciali che favorissero l’uno o l’altro (2), in quote
uguali (3) senza distinzione di sesso (4). Dalla S. P. 6.14.1 e 6.20. 1, ove
si afferma valida la istituzione fatta a favore del figlio emancipato, po-
trebbe trarsi che di regola invece succedessero solo i figli rimasti in casa
col padre e sotto la sua podestà e per codesta interpretazione starebbe
altresì la S. P. 6.14.3 che, in concorrenza con altri discendenti, esclude
dalla successione il nipote nato dal figlio emancipato e qualche dubbio
potrebbe sorgere dal c. 6.30.1: d’ altro canto però ai figli emancipati
era fatto obbligo di conferire il premium emancipationis (5) e alle figlie
maritate di conferire la loro dote (6) e, se la S. P. 6.57.10 dovesse leg-
gersi, come non è improbabile: Qui filtos suos emancipavit non illi abstol-
latur aditio vel a posteris eorum, avremmo anche una regola generale atta
a corroborare la tesi opposta, alla quale non ripugna la S. P. 6.54. 4 sta-
bilendo: 2 emancipati et parentes invicem sibi succedant.
In linea discendente il principio della rappresentazione era ammesso in-
contestabilmente: i nipoti prendevano il luogo del figlio premorto (7) suc-
cedendo in stirpem (8) e così eventualmente avveniva pei pronipoti (9).
Dall’onere della collazione (10) che avea lo scopo di garentire la mag-
giore equità nella ripartizione con l’adducere in divistonem (11) tutti i beni
che già erano stati dati dal padre, gli eredi potevano essere esonerati dal
testatore stesso (12) e si riteneva anzi che ne fossero stati esonerati sem-
pre che nel suo testamento di quella non avesse fatto cenno (13). Contro
il debito di collazione, che non si estendeva agli acquisti fatti dal figlio (14)
beneficato con un premium emancipationis o con una dos o con altre li-
beralità (15), potevano però naturalmente opporsi per la compensazione le
ragioni di credito che il figlio stesso, emancipato s'intende, potesse addurre
(1) S. P. 6. 14.2; 6.56.1,3, 5; 6.57.1; 6.61.1; 8.2.1.— (2) Anche se adottivi [S. P.
6.53. 4]. — (8) S. P. 6. 20. 11, 13, 15, 16, 18, 19, 20; 3. 8.30 /equum devidant] e specialmente
6.57.13. La parità di trattamento tra i varii coeredi era quindi indicata nella persona
singola con l’uso dell’aggettivo equalis [2. 3.15; 3.8.30] e codesta accezione, dirò così,
realistica dell’equitas in rapporto alla successione spiega il curioso fraintendimento della
S. C. 1.3. 32 ovela pars aequitatis della fonte fu addirittura intesa come una medietas. —
(4) S. P. 6.20, 2 /frater et soror dotata..... eque dividant]; 6.20.16 /soror cum fratres
equum divident]. — (5) S. P. 6.20, 6, 11, 17. Solo se tutti i figli eran stati emancipati.
Cfr. 6.20.18. In 6. 20.9 il premium emancipationis è detto dos. — (6) S. P. 6.20.12. —
(7): P. 6.14.2; 6.161; 6.54. 11. — (8) S.P. 6-54.2,,8:2(9))S. Pie 0) do
luogo di conferre la S. P. usa spesso la voce confundere [6. 20.7, 8, 14, 17], o refundere
[6. 20. 3, 4, 5]. Non ha però nulla a che fare con la collazione il refundere della S. P.
6.42.12. — (11) S. P. 6. 20.12.— (12) S. P. 6.20.1,3.—(13) S. P. 6.20. 7,20.—(14) S. P.
6.20.21. — (15) S. P. 6.20.21. ‘
DELLA SUMMA PERUSINA 47
verso il padre, per aver pagato p. es. dei suoi debiti (1). E nemmeno
v'era l'obbligo di conferire quando tutti i concorrenti all’ eredità fossero
stati antecedentemente beneficati in proporzioni uguali (2).
I figli consanguinei concorrevano con i germani sol nella eredità pa-
‘terna: gli uterini nella eredità materna (3).
I figli naturali, che pur da soli avean diritto all'asse paterno costituendo
anche dei legittimarii (4), erano tuttavia postergati ai legittimi. Anzi gli
adulterini nemmeno succedevano alla loro madre se era %ustris, mentre
concorrevano con quelli ex nwuptis se era minor (5).
In mancanza di discendenti succedevano poi forsein secondo luogo gli ascen-
denti (6) in concorrenza coi fratelli (7) o coi nipoti, che per rappresentanza te-
nevano il luogo di questi (8), e dico forse perchè in S. P. 6. 57.8 gli avi sono
esclusi dai fratelli e in 6 57. 12 ai fratelli è attribuita la proprietà dei beni del
fratello dandosene al padre sol l’usufrutto. Mancando ascendenti ereditavano
1 fratelli soli (9) o i nipoti per stirpe (10): quindi venivano, secondo la pros-
simità di grado (11), gli altri collaterali o prop:rqu: (12). Una certa preferenza
all’agnazione risulterebbe dalla S. P. 6. 57. 6 che preferisce lo zio paterno al ma-
terno e dalla S. P. 6. 67. 13 che preferisce i nepotes ex frate a quelli ex sorore.
Infine in mancanza di propinqui il coniuge succedeva il coniuge (13) o il
patrono succedeva ai liberto (14) o il corpus al collega (15) o l'eredità ri-
cadeva al fisco (16).
Il maggior riguardo al diritto naturale di successione importò natural-
mente maggiori limitazioni nella disposizione del patrimonio (17).
Ai discendenti diretti dovea esser sempre salva la falesdia (18), aggua-
gliata costantemente, come nella Lex romana curiensis (19), alla quarta
pars ex omni substantia (20): non più un diritto di ritenzione dell’erede
(ES RA630N2 22) SIP 6209 = 8) IPO IS ADSIOR SAI0E
(0) STR? /6156.5.— (6) S.P. 6.54. 4; 6: 55.1, 3; 6.8; 8.2.3; 3.31. 6. — (7) S. Pi 6.54. 10;
6. 55.7; 6. 57. 13.—(8) Non dure proprio [S. P. 6.15. 7; 6.57, 3].—(9) S. P. 6. 56.2; 6.57. 13;
8.2.2. — (10) S. P. 6. 54.8; 6.55. 7.— (11) Omettendo uno l’eredità succedevano gli altri
[S. P. 6. 16.1). Dalla S_P. 6.20.19 parrebbe però che concorrendo figli e abbratici
quelli avessero il vantaggio di un terzo della sostanza. — (12) S. P. 1. 2.20; 1.20.9,
6.9.2, 7,8; 6.10.2; 6 21.13; 6.57. 5, 7, 14. Corsobrini eredi del consobrino in 6.15.1. —
(13) S. P. 6.18.1. — (14) S. P. 6.42. 3. Se non aveva figli e genitori [6. 42. 3]. Il dominus
succedeva anche all’arcilla sposata a un libero [6.57.17]. — (15) S. P. 6. 61.1, 2,3, 4. 5.
Non però il socio al socio se ben mi riesce d’interpretare la S. P. 6.24.8. Nè il nutritor
all'alunnus [6.57.17]. — (16) S. P. 6. 61.1. Per la succedibilità del fisco cfr. 6.24.12. —
[MMS TEN6930.16:76/427 1, 4% 6.23/71/3! 4° (18) S° P- 6-26. 6; 1.2:37; 3128 31:32: 6.37.15;
6.42.12, 6.47.9; 6.49. 1-7, 14,19; 6.52. 6. — (19) Cf. ScHupreR in Mem. Acc. Lincei. CI.
scienze sociali ser. IV. vol. III, p. 82 seg. e VI p. 313 seg.; Tamassra: La falcidia nei più
antichi documenti del medio cero, Venezia, 1905, estr. dalle Memorie del R. Istituto veneto. —
(20) S. P. 3.288; 6.20.2): tres unciae (3. 28.6; 6.21.3] 6.49. 1,4, 6.
S.
6.2
di
48 IL CONTENUTO GIURIDICO
di fronte ai legatarii o fidecommissarii, ma era una riserva a favore
degli eredi naturali, che, ove fosse stata violata, e nel testamento e nelle
donazioni (1) e nelle doti (2) infirmava la validità dell’atto. Con una que-
rela de inofficioso testamento (3) si poteva annullare, pare, il testamento
stesso o con una querela de falcidia (4) si otteneva l’integrazione di quanto
sarebbe a sè spettato legittimamente (5); al primo mezzo si ricorreva,
sembra, quando si fosse avuta una preterizione; al secondo quando la haere-
datio fosse stata al disotto del minimo legale. Negate ai collaterali salvo
che ai fratelli nel caso che l’istituito fosse una persona indegna (6), co-
deste actiones erano ammesse generalmente a favore dei discendenti, figli (7)
e nipoti ex filo (8), e degli ascendenti immediati (9); ma avevano luogo
soltanto quando già per altra via a titolo di premium emancipationis (10)
p.es. o di dote o di sponsalia (11) i legittimarii non avessero avuto tanto
del patrimonio da uguagliare l'ammontare la falcidia (12) o non avessero
avuto qualche altro beneficio (13). L’ erede di colui che avrebbe potuto
esercitarle (14), le poteva pure esperire purchè già non si fosse adita l’ere-
dità o non si fossero pagati i legati senza ritenuta (15).
La preterizione del discendente o, come la Summa si esprime la sua
exhaeredatio (16), non produceva però la nullità del testamento se vi fos-
sero, state in lui delle culpae tali da legittimarla tra cui fu noverata la
ingratitudine, non l’allontanamento dalla casa o l'in peregre profectio (17):
e anche la preterizione degli ascendenti (18) dovette avere una causa giu-
sta nelle colpe di quelli p. es., riguardo alla madre, nella sua turpis actio (19),
che va intesa in relazione col turpe agere della S. P. 1.3. 30.
(1) S. P. 3. 29. 1, 4, 5, 6,8,9. Quindi le donazioni si affermavano con la riserva della
falcidia ai legittimarii [8 29. 2, 7]. — (2) S. P. 3. 30. 1. La figlia avea l’opzione tra la dote
e la falcidia [5. 18.19].— (3) S. P. 3.28. 12; 6. 28. 1-2. Non vi era annullabilità se il pre-
terito era premorto [8. 28. 34]. — (4) S. P. 6.21.12. — (5) S. P. 6. 49. 5, 6. Dal c. 3. 28. 33 par-
rebbe che l’erede stesso potesse escludere l’ annullamento del testamento col recipere
in portionem chi avesse avuto meno della falcidia: dopo ciò costui dovea tacere sotto
pena di perdere il terzo di quel che gli competeva. — (6) S. P. 3. 28.27. Cf. 1.2.32. —
(7),.S. P.. 3. 28,,15,21, 28, 6.12. 1.— (8) S. P. 3.28. 7. — (9) S. P.. 3..28..18--_.(0), S.P
3.28.25. Quindi si toglieva l’actio de inoff. al filius votis coniunctus o ammogliato. —
(11) S. P. 3. 28. 30. — (12) Ma era inattaccabile se fosse stata data la quarta [S. P. 3. 28. 8].
Se fosse valido il testamento in cui il figlio era istituito erede in porzione minore della
falcidia con la clausola ut Hoc sibi in portione sufficiat è dubbio perchè di fronte alla
S. P. 3.29.3 sta la 3 28.35 ove potrebbe però mancar la negativa. — (13) Per es. S. P.
3. 28. 23. — (14) S. P. 3.28.5. — (15) S. P. 6.49.19. Dovea esser esercitata o entro l’anno
[3.28. 36] o entro il quinquennio [3. 28. 16]. — (16) S. P. 3. 28. 6, 15, 17, 20, 28, 29, 30, 72;
3.21. 4; 6.28. 3. — (17) S. P. 6. 25.4. Poteva agire contro il testamento anche l’arenarius
[3 28. 11]. — (18) S. P. 3.28. 18, 28; 3. 29. 4. — (19) S.P. 6.28.2. Cfr. il turpe facere di
Roth. 190, 191.
DELLA SUMMA PERUSINA 49
Anche il festamentum della Summa perusina non era più lo schietto te-
stamento romano (1); si ripete, è vero, che sol con esso poteva farsi una
instituzione d’erede (2) o una Raeredatio (3), ma d'altronde questa non era
essenziale per la sua validità e non avea poi integralmente il contenuto
e la portata della instituzione romana. Nel maggior numero dei casi non
mirava che ad una migliore ordinatio del patrimonio tra gli eredi le-
gittimi, e, dal momento che non creava l’ erede, si risolveva in un com-
plesso di deliberationes (4), di disposizioni particolari a vantaggio di per-
sone care 0 di pie instituzioni. Anche la Summa perusina dà a vedere che
il principale movente a testare era quello di pauperidbus relinquere (5) 0
propinquis dimittere (6).
Prima condizione per la validità del testamento, che, come poteva prov-
vedere a un institutio haeredis, così poteva provvedere ad una substitutio (1),
era ch’esso rispondesse realmente alla volontà del de cuius: dovea quindi
esser fatto, come scrive il summatore, arieggiando la formula, propria vo-
luntate dictante, non alio suadente seu dictante (8), e se il de cuius vi
ci
avea proceduto vitus, il che nel linguaggio delle S. P. suona quanto “ con-
tro suo genio ,, o per esterna costrizione (9), era nullo (10). Naturalmente
lo era anche quando, senza subire la vis altrui, il testatore fosse stato in-
capace a volere per il suo furor (11) o per altra infermità psichica o per
età minore o per soggezione altrui.
Il testare fu quindi negato agli impuberi (12), ai pazzi (13), ma non
(RS AEAS2I24 8288987 5; 653, 21180155 181816983 2814, 911 138-1820123;
DOMIR A=3/15 133133; 13.36.26; 3.389,12: 4.1. 113; 4.19./6, 11; 451.7 5. 10.1; 5. 12.19;
5. 16. 25; 5. 28. 2-4, 6-8; 5. 29. 1-3; 5. 47. 1; 5.51. 1; 5. 62. 11, 12 ecc. Raramente ricorre invece
eeonesta ni 2532:03918; DANA: 5 14 15:76.2145 6,18, Io 15-18; 6.23.2-6, 16;
6.30.6] che in qualche luogo è adoperato nel senso di portar testimonianza [1.2. 40;
3.28. 14]. Sinonimo di testamentum sono le sue voci placitum [3. 28.1; 6.46.3] e iudicium
[1.5.2]; di testari il verbo deliberare [1, 2, 3.38.72, 39; 6.25, 7; 6.37.22; 6.51.36. Reg.
sublac. Doc 16] o predeliberare [1.5.4] o estraneare [1. 7. 4; 5.16.25; 8.36. 1, 28]. — (0) S. P.
6.23.11; 6. 35.4; haeredem instituere [3.4. 6.24. 4,7; 6.26.11, 12. 8. 6. 38. 4]: Reredem facere
[8. 23.3, 17, 18, 20; 5. 12.29; 6. 24.3, 6; 6.27.1]; scribere [6. 27. 2.10]; dimittere [1. 5.19;
3. 28. 13; 7.2.6]. — (3) S. P. 6.23. 10. — (4) Più spesso deliberatio indica la complessiva
manifestazione d’ultima volontà. Cf. S. P. 6.22. 8; 6.23.11, 32; 6.42. 7; 6.49.6. — (5) S.P.
1.2. 24, 28, 37. — (6) S. P. 5.10.1. — (7) Due forme sopratutto appariscono conosciute
dalla S. P.; la pupillare [6.26, 1, 4, 8, 10, 11; 3. 28. 26] in cui, se l’erede raggiungeva la mag-
giore età, il sostituto era senz’ altro escluso [6.26.8] e la volgare [3.28.12; 2. 30.21;
6.24. 3; 6. 26. 1; 6. 33. 1; 6.37. 23; 6.28. 4]. Non era lecita la sostituzione al filius legitime
etatis [6. 26.5]. Poteva anche il testamento contenere una exkaeredatio, la quale doveva
però consignificare in che l’exhaeredatus fosse culpavilis [3.28. 30]. — (8) S. P. 6.23.19. —
(9) S. P. 6. 34. 1. 6. 36. 6. — (10) S. P. 6. 42. 18.—(11) S. P. 6.:22.2.—(12) AI disotto dei quat-
tordici anni [6.21.4, 5, 18; 6.22. 4; 6. 42. 14]. — (13) S. P. 6.22. 2. 7
50 IL CONTENUTO GIURIDICO
ai vecchi (1), o agli infermi (2) d'una malattia che non ledesse la
psiche (3).
Potevano testare, almeno riguardo al peculio castrense o quasi castrense,
i figli in potestate patris (4), non però le figlie: e anche ebbero la testamen-
tifazione attiva i peregrini (5) mentre non ebbero invece facoltà di te-
stamento, come vedemmo, gli eretici (6) e gli esiliati (7).
A questi fu in modo assoluto contesa anche la testamentifazione pas-
siva (8): e in modo relativo fu negata ai figli incestuosi verso i loro ge-
nitori (9); a chi voleva estorcere a forza un testamento verso il de cuius (10);
a chi non avesse vendicata la morte del parente ucciso dai servi (11) o
gli avesse negata la sepoltura (12).
Perchè l’instituzione fosse valida occorreva, s'intende, che l’instituito po-
tesse essere erede e la designazione dell’ erede o comunque dei beneficati do-
veva esser fatta in modo chiaro e completo; nulla era la deliberato se vi
fosse stato errore sulla persona dell’istituito (13). Anche la quota di cui si
disponeva dovea essere ben precisata: il testamento era invalido se fatto
de rebus incertis (14) o su cose altrui (15).
Una presupposizione della volontà del defunto l annullava poi altresì
per la nascita di un postumo (16) quando pur fosse morto appena nato (17)
se già era giunto a maturanza (18).
Ma non bastava che il testamento rispondesse al voler del de cuius: oe-
correva che fosse legibus factum (19), vale a dire ossequente alle leggi,
non solo nel suo contenuto materiale che non dovea offendere nè il di-
ritto (20) nè la morale (21), ma anche nella forma osservando a puntino
le solemmitates legitime (22).
À questo proposito, se mal non mi appongo, l’autore dei sommarii pe-
rugini non è molto fedele ai tipi ammessi dalla legislazione giustinianea.
(1) S. P. 6.22. 30. — (2) S. P. 6.22.3. — (3) Non fu intestabile il cieco nè l’ eunuco
[S. P. 6.22. 8, 5]. — (4) S. P. 6.22.3. — (5) S. P. 6.24.7, 11 — (6) S. P.1.5.19; 1. 6.3.—
(7) S.P. 6.24.5. — (8) S. P. 1.7.4; 1.8.1.—(9) S. P. 6.56.--(10) S. P. 6.34. 2; 6.35.6.—
(11) S. P. 6.35. 3, 9, 10. — (12) S. P. 6. 35. 5. — (13) S. P. 6. 24. 4. 6. 25. 14; o se mancava la
designazione dell’erede [6.23.11, 30]. — (14) S. P. 6.24, 13. Non si confonda l’incertum
con l’indivisum [6.22.1.6.42, 15]. — (15) S. P. 6. 25. 4. Poteva esser instituito o sosti-
tuito erede anche il servo [6. 27.2, 5, 6] e da ciò seguiva la liberazione di questo: ma
era proibita codesta instituzione o sostituzione se il servo fosse stato dato in pegno
ad altri [6. 27. 6]. Era lecita una istituzione sub conditione [S. P. 6.25. 1-3, 7-8; 6.27. 64.
Illecito era il disporre a favor della moglie sotto condizione di non riprender marito
o di non migrare ad secundas nuptias |6.40.2.3]: la condizione era considerata come
non posta. — (16) S. P. 6. 12.2; 6.20.17. 10.3; 6.29. 14. — (17) S. P. 6.29.2. — (18) S. P.
6.29.2. — (19) S. P. 1. 18.8; 6. 23. 12, 13. — (20) S. P. 6.23.12, 13; 6.42. 29.—(21) S. P.
6.21.11.— (22) S. P. 6. 42. 23.
DELLA SUMMA PERUSINA BI
Egli conosce e descrive come solita una forma di testamento, che, svol-
tasi dal noncupativo, presentava in confronto ad esse dei caratteri diffe-
renziali assai notevoli di cui il più spiccato è forse questo che le dichia-
razioni d’ultima volontà doveano essere redatte in iscritto da un publicus
scriba (1) o tabellio (2): la carta così redatta era poi munita delle sotto-
scrizioni (3) e dei sigilli dei testimonii (4) che regolarmente doveano es-
sere sette (5) ad otto (6) in città e cinque in campagna. Solo in caso di
epidemia e di mortalitas (7) era concesso di usare di un numero inferiore
al legale (8). I testi poteano essere tratti da ogni condizione sociale, purchè
fossero liberi (9): e doveano esser consci del contenuto del testamento potendo
esser chiamati ad attestarlo un giuramento (10) in giudizio quando occor-
resse supplire o rettificare la dichiarazione dello scriba. Non è ben chiaro
se fosse necessario che tutti gli atti or ricordati avvenissero uno contextu (11);
e forse non lo era: ciò che più importa notare è del resto che mentre
il testamento nuncupativo romano era sempre un testamento privato la
nuova forma, per l'intervento del notaio, già aveva assunto un carattere
pubblico. Privatamente si poteva provvedere alle dichiarazioni delle pro-
prie ultime volontà con testamento olografo.
Delle altre forme speciali di testamento parrebbe che continuasse ad essere
in uso il testamento militare (12) libero da ogni formalità; ma, caduti di
gia alcuni dei privilegi ad esso concessi, si era avvicinato al tipo nor-
male. Così, per quanto alcuni capitoli della S. P. escludano a suo ri-
guardo la querela de inofficioso testamento (13), anche ad esso fu esteso
l’obbligo di riservare agli eredi la falcidia (14). Seguire le consuetudo mi-
litaris testandi era poi concesso solo ai milites che erano in expeditione o in
attività di servizio.
La S. P. parla ancora di un cod:cdlum che, a differenza dal testamento,
non poteva contenere istituzione (15) o sostituzione d’ erede (16) e che,
(1) S. P. 6.23.4. In S. P. 6.23.23 si parla di scriba dove il testo riassunto accennava
semplicemente al testamentum conscribere; che lo. scriba dovesse esser publicus risulta
dalla (Sì (P. 6.22.8. — (2) S. P. 6.23..8. — (3) S. P. 6.23.32. — (4) S. P. 6. 23. 20,32. —
(5) S. P. 6.11. 2; 6.23. 15, 21, 25, 26, 32. — (6) S. P. 6.22. 8; 6.23, 11, 21. In questi due
ultimi capitoli l’otto è sostituito al sette delle costituzioni originali : l'aggiunta dell’ot-
tavo testimonio si aveva quando il testatore fosse illetterato. — (7) S. P. 6. 23. 8. —
(8) S. P. 6.23.8,9;. 6.32.2: a meno che non vi fosse un rescritto imperiale che lo con-
cedesse in via di privilegio. — (9) S. P. 6. 23. 1, 20. — (10) S. P. 6.23. 32. — (11) La S. P.
6.23.32 dice però che i testimoni erano chiamati a sottoscrivere post expletum testa-
mentum. — (12) S. P. 6.21. — (13) S. P. 3.28.9, 24. Il cap. 3. 29-37 aggiunge però che
non dicitur de ‘inofficioso testamento si non abent filios. — (14) Contro S. P. 6.49. 7. —
(15) S. P. 6.35. 4. — (16) S. P. 6.37.6. La S. P. 6.36.7 parrebbe dir l'opposto, ma forse
cadde la negativa. i
52 TL CONTENUTO GIURIDICO
supponendo un testamento (1), avea a scopo il modificarlo e comple-
tarlo (2), ma non poteva supplirlo (3) benchè la clausola codicillare gio-
vasse tuttavia a reggere in piedi un testamento invalido (4). D’ altronde
è dubbio che realmente l’autore dei sommarii ne raffigurasse per bene la
struttura perchè intendeva il codicillo come un parvum seripium (5) re-
datto e roborato con l'intervento di cinque testimoni (6).
Il testamento continuò a mantenere la caratteristica romana della revo-
cabilità: appunto per omaggio a quel principio furono nulle le clausole
penali ad esso aggiunte (7). E doveva poter esser revocato anche se scritto
a favore dell’ imperatore (8). La revocazione dovea però esser fatta con
certe forme almeno davanti a tre testimoni (9). Dati più testamenti fra
loro contrarii il più recente annullava il più vecchio (10): salvo che non
fosse possibile l’accordarli fra loro traendo il più recente al più vecchio (11).
Del resto convien notare che, accanto al testamento la Summa perusina,
pur ripetendo qua e là i divieti romani (12), parrebbe aver anche cono-
sciuta una successione convenzionale ammettendo patti de substantia eius
qui prius moreretur (13) tra madre e figlio (14), tra fratelli (15) e forse
tra estranei (16).
Come distinse fra legatario ed erede cosìla S.P. fece, pare, distinzione
tra legatarii e fidecommissarii, tra legata (17) e fidecommissa (18): ma è
difficile il determinare le differenze tra questi. Sembrano entrambi concepiti
come delle 2ussiones a pio scopo (19): e solo potrebbe qua e là sospet-
tarsi che il legatarius tosse veramente il beneficato (20) e il fidescommissa-
rius invece un exrecutor supremae voluntatis (21). Però la costruzione non
è sicura.
Naturalmente legati e fidecommessi , istituiti per testamento, per codi-
cillo, per noncupazione (22), erano esigibili solo alla morte del de cuzus (23)
(1) S. P. 6.36.4, 5. — (2) S.P. 6.36.1, 2, 7, 8. — (8) S. P. 6.36.3. — (4 SP 6:36.8;
7.2.11. — (5) S. P. 6. 42. 22. — (6) S. P. 6.23. 21; 6. 36.8. Il più recente codicillo annul-
lava di regola il precedente [6. 36. 3]. — (7) S. P. 6.41. 1. — (8) S. P. 6. 22. 6, 7. —(9) S.P.
6.23.27, 30. — (10) S. P. 6. 23.21. — (11) S. P. 6.37.22. — (12) S. P. 2.3.15.— (13) S.P.
2.3.1. — (14) S. P. 2. 4. 6. — (15) S. P. 2. 3. 19. — (16) S. P. 2. 3. 31. Vietata era la rinuncia
all’eredità futura [6. 31. 3]. Contro 6.57.8 dove si ammette un repudium successionis
paterne patre vivente. — (17) S. P. 4.1.13; 4.2.1; 4.11, 1; 6.37.13, 14, 17-19; 431.5;
6.42, 25, 29; 4.5.7; 3.17.1; 6.52.1; 6.37.21 [legati d’ annualità). — (18) S. P. 3.17.1
[si chiedono ubi facultas est]; 4.5.7; 6.42.25; 6.42.29 [seguono le sorti del testamento;
6.31.5 /debitum ex fidecommisso]; 6.42.30. — (19) S. P. 6.42.14. — (20) S. P. 6.36.1;
6.37. 5, 6; 6.37.20, 25; 6.38. 1; 6.42. 61. 24, 32; 6. 43. 2, 2; 6. 49. 4; 6. 49. 1. 50. 15; 6. 52. 1, 3;
7.17.2; è contrapposto allo Raeres. In Goetz. Corp. gloss. V, 507 il legatarius è reso con
dispensator, distributor. — (21) S. P. 6.37.25. Cfr. distribuere [S. P. 1.5.3]. — (22) S. P.
6.42.22. — (23) S. P. 6.37, 14, 19; 6. 42.8. Con riduzione della falcidia. Legati non si
ammettevano ove non si avesse erede [6. 47. 3].
DELLA SUMMA PERUSINA 58
se pure, essendo condizionali, la loro esigibilità non dipendeva anche dal-
l’avverarsi delle condizioni (1). Erano validi i legati di cose altrui o di
cose date in pegno intendendosi che l' erede dovesse al caso comperar
quelle (2) e riscattar queste (3): non era ammessa invece per riguardo ai
legatarii la sostituzione (4).
Il pagamento di legato era un dovere dell’ erede o del sostituto o dei
loro aventi causa (5) che avessero preso legalmente possesso dell'eredità (6),
anche se questa era soggetta ad una condizione (7). Perdutosi il testa-
mento l'ammontare del legato si determinava con giuramento deferito dal
legatario all’erede (8).
Dopo la interpellazione l’erede era tenuto agli interessi moratorii (9).
La accettazione della eredità come quella dei legati (10) era facoltativa,
non coatta (11): onde la persistenza delle necessità di un’ ad:t:0 haeredì-
tatis (12) che determinasse la persona dell’ erede e lo abilitasse ad agire
contro gli 2nn0usti detentatores (13) e a trasmettere i proprii diritti ai po-
steri (14). Con un prestito fatto alla procedura romana per la bonorum
possessto, che ormai era del tutto confusa con l’eredità (15), parrebbe che
si fosse intensificata in una 2ntromissio ope iudicis (16) la quale era spesso
subordinata ad una cautio adimplendi legem (17). La adizione, che nel
caso di istituzione condizionale (18) era subordinata all'adempimento della
condizione (19) poteva avvenire, contro il termine legale (20) da parte
dell’istituito stesso se aveva superato i dodici anni (21) o altrimenti dal
padre pel figlio (22) e dal tutore pel pupillo (23): la mancata adizione di
uno dei coeredi non nuoceva agli altri (24).
Correlativa alla necessità dell’adit0 per il trasferimento della eredità in
capo all’erede instituito fu la facoltà di rinunciare all’ eredità con un re-
pudiwum che per lo più era motivato dal desiderio di sottrarsi per tal modo
(1) S: (E. 6.37..6, 6. 46.1-6.— (2), S. P._ 6.37. 1; 6.53.3. — (3) S. P. 6.37.13; 6.42. 6.—
(4) S. P. 6.37.6. — (5) S. P. 6. 42.2, 5; 6. 48.2. — (6) S. P. 6. 39-1. 3; 6. 42. 23; 6. 37. 10, 21;
6.43.2; 6.47.2; 6.42.21; 4.2.1; 4.11.1; 4.16.%; 7.72.1. Se l’erede rinunciava non vi
era naturalmente tenuto [6.42.27]: la negligenza dell’ erede nell’ accettazione invece
non doveva nuocere al legatario. — (7) S. P. 6.25.8. — (8) S. P. 6.42.31; 4.1.13. —
(9) S. P. 6.47. 1,2.—-(10) S. P. 6. 47. 36. — (11) S. P. 6.30. 13, 16, 21.— (12) S. P. 6. 30. 8. —
(113) S. P. 6.30. 4. — (14) S. P. 6.30: 7. — (15) S. P. 1. 18.2. — (16) S. P. 8.3.1. — (17) S. PD.
Bs sli2(8)SP6-25-3- (19) SP: .16125-41, 27. — (20) S.P. 6.30.13. ‘Per da, fa-
cultas deliberandi op. 6.37.11; 6.42.16. Dalla S. P. 6.54.1 parrebbe che il termine fosse
di cento giorni pei propinqui. Pei figli non v'era alcun termine [6.9.5; 6. 30. 9;
6.9.1, 4, 7. 8] se non emancipati [6.9.5]. Per questi il termine era d’un anno. —
(2ASTP-(6-17,2.- (22), S..P..6..80; 4,18. — (23) (S.7P...6..30.12. 18;.6.9.7. — (24) S. P.
6101.
54 IL CONTENUTO GIURIDICO
alle passività esorbitanti della facultas a lui deferita (1). Parrebbe per ve-
rità da qualche capitolo della S. P. che l’erede rispondesse di solito solo
intra vires hereditatis (2): ma non per ciò l'istituto cadde. La rinuncia o
l’abstentio a successione (3) impediva ogni ulteriore adito (4) e ogni atto
dispositivo sull’eredità (5). Che poi dovesse essere scritta non risulta (6):
bastava una dichiarazione di non voler adire (7).
L'azione con cui si facevano valere i proprii diritti successorii era l’/eredi-
tatis petitio che sostanzialmente non differiva gran che dalla re vindicatio.
Oggetto di essa era l’ ottenimento dell’hereditas cum fructibus (8): impre-
scrittibile, pare, di sua natura (9) poteva muoversi contro chiunque detenesse
l'eredità salvo a questo un diritto di retenzione per le spese fatte (10).
Il foro competente era in codeste liti quello nelle cui giurisdizioni si tro-
vavano i beni in questione (11).
VI.
I diritti reali
Dei varii diritti reali cercheremmo indarno una definizione nella S. P.:
ma possiamo ben credere che le traduzioni si mantenessero fedeli al dritto
romano.
Dei modi d’acquisto originari delle proprietà la S. P. contempla spe-
cialmente l’usucapione della quale distingue due forme (12); l’una che basata
sull’esistenza vera e ipotetica d’un titolo (13) si compieva, secondo che le
parti erano o no presenti in una stessa provincia, in un decennio o in
(1) Come l’erede succedeva nell’attivo [S. P. 81.1.2; 8. 30.1. ete.] così succedeva nei
debiti del de cuius, [6. 30. 10; 6. 31. 1-2; 6. 24. 6; 4.2, 1.9; 4.10.14; 4.11.1; 4.18.1; 4.19.3;
4. 26.2, 4, 8; 4.35.8; 6.42.27; 7.30.83; 7.72.1; 8.30, 1, 3; 8.37.8, 13, 15; 8. 40.6;
8.44.24, 30]. — (2) S. P. 4.26. 2. Il figlio pagava i debiti paterni solo in quanto avesse
presso di se dei beni del padre [6.31.1,2],i debiti gravavano sull’erede pro portione he-
reditatis [6.49. 2; 4.17. 1]; le usure non si potevano chiedere per mora se non era pul-
satus 1’ erede. — (3) S_P. 7.2.3. I verbi solitamente usati per indicare il rifiuto del-
l'eredità furono facultatem repudiare [1.18.2; 2. 11.7; 2. 38.2; 2. 39.1] o substantiam
renuntiare [6.30.11; 6.42. 27]. — (4) S. P. 3. 31.9. — (5) S. P. 6.30.11. — (6) Di scriptis
repudiare si parla però in S. P. 3. 31.9. — (7) Il repudium era irrevocabile [S. P. 6. 19. 2];
nè poteva annullarsi se non perchè fatto in frode [6. 19.2; 6.31. 4; 6. 42. 19] o compiuto
dal minore sine tutore [6. 31.5]. — (8) S. P. 3.31.2. Receptio possessionis dopo la prova
del titolo a succedere [8.2. 1]. — (9) S. P. 2.31. 7; 6.9.4; 6.30.9. — (10) S. P. 3. 31. 6.
Muovendosi contro l’erede prima questo doveva essere immesso nel possesso dell’ ere-
dità [6. 33.2, 3]. — (11) S. P. 3.17.1. — (12) Ammnositas [cfr. S. P. 4. 52. 1] e prescriptio. —
(13) S. P. 83.32.23; 7. 26.1, 2, 9; 7.33. 4, 5; 7.29. 4; 7.32.6; 4.1.2. pro emptore, pro do-
nato, pro herede, pro dote, post transactionem. Cfr. 7.32 11.
DELLA SUMMA PERUSINA 55
un ventennio per gli immobili (1) o in un triennio per i mobili (2) e
l’altra che, prescindendo dall’esistenza del titolo si maturava in trenta o
quarant'anni (3) di dusta (4) o recte possessio (5) vale a dire di un pos-
sesso non infetto da pervaso o violentia (6) o clandestinità e diuturna-
mente pacifico (7). Usucapire non si poteva a danno di minori (8), d’ as-
senti (9), di militi (10), di cattivi (11), di socii (12). La anmnositas (13) co-
stituiva un munimento pel possessore (14) e produceva una exclusio del pro-
prietario negligente dando fondamento ad una opposto legittima contro
le sue tardive rivendicazioni (15).
Accanto all’usucapione la S. P. contempla l’accessione nella forma della
alluvione (16) e in quelle della 2naedificatio o della plantatio in suolo altrui
pel caso in cui un eztraneus all'insaputa del dominus terre si fosse collo-
cato nei suol terreni e v’ avesse eretto edifici e fatte piantagioni (17).
Del primo istituto si occupa per determinare che sui nuovi incrementi del
suolo dovessero gravare i censi imposti al fondo principale come nel caso
di bonifica (18); dal secondo per salvaguardare i diritti del proprietario
in confronto a quelli dell’inquilino che vi si era onappesto 2 suo domino (19).
Dei modi di acquisto derivativo non conta il parlare a lungo poichè
poco di nuovo v'è a notare (20).
Anche in ordine alle limitazioni della proprietà (21) la S. P. si attenne
in generale alle norme romane: e di esse tocca d'altronde fugacemente per
afferinare nell’urbs l'obbligo di demolire e ricostruire (22) le case senza
ledere il publicus aspectus (23); per vincolare alle case urbane le colonne,
SS ES 35703991: 8:6139383) (0)S.P702801: 781.1. — (B),S. P.
.39.1-2. — (4) S. P. 3. 6.1.— (5) Per il significato di recte e iuste possidere cfr. 8.4.1;
8.6.1; 8.19.2; 8.27.18; 8.44.22. Forse era necessaria la bona fides [7.33. 6, 7, 9;
7.35.7]. — (6) La voce occupare è usata spesso nel senso di staggire da parte del
fisco [S. P. 3.31.12; 8.3.5, 7; 8.5.1]. — @) Diuturna possessio [S. P. 7.33.4] senza
usurpazione [7. 33. 2, 9, 10; 7.32.10] o pulsatio |7.32. 5]. — (8) S. P. 7. 35.3; 2.21. 5.—
(@BSSEN3501 2 — (0) S.P. 17-135..8— (I) SÒ. 3.32.23. — (12). (S. P. 7. 29.13;
(3493 — (13) S. P. 5.73; 1; 5.4. 2i;.6-2.8; 6.9.7; 630.8; 7.26.7; 7.27.1. La stessa
locuzione si trova nel napoletano come ben notò il Patetta. — (14) S.P. 4.52. 1;
60308: — (15) S. P. 6.9.3. — (16) S. P. 7. 41.1-2. — (17) S. P. 3. 32.2, 11.— (18) S. P.
7.41.1-2. — (19) Si applicava qui la massima draedificatio solo coedit. — (20) Il cessiona-
rio doveva essere introductus in possessionem dal cedente: e l’introductio in possessionem era
legale solo coll’auctoritas domini [7. 32. 2, 4; 7. 53.3; 7.32.6; 7.73. 7; 7. 65. 6] chè, altrimenti
si mutava in un’invasio. — (21) Dominium [S. P. 3.32.1]), proprietas [4. 65. 25; 8. 12. 4],
possibilitas [2. 3.20; 3.32.27; 7.35.2; 8.11.11] erano considerati come sinonimi per indi-
care quod competebat alicui |5. 12.2; 8.25.29; 8.29.2; 8. 38.2, 3. Per indicare il condomi-
nium si usò spesso la voce commune [3. 37.5] e coheres fu sinonimo di condominus |4. 52. 2;
4.38. 14]. — (22) S. P. 8. 10.8. — (23) S. P. 8.10. 2. 3.
56 IL CONTENUTO GIURIDICO
i marmi e gli ornatus (1); per far osservare la voluta distanza dagli
horrea (2) e dalle mura della città (3); per mantenere una zona intermedia
di confine tra i varii fondi (4); per concedere al proprietario il diritto di
estirpare l'albero del vicino che ledesse le fondamenta del suo edificio (5):
per accordar al primo occupante il diritto di edificare sulle muralia de-
serta (6). Dalla S. P. 8.11.17 parrebbe potersi anche trarre che lo stato
avesse un diritto d’espropriazione forzata dietro compenso al privato.
Il principio che il condominio non dovesse essere mantenuto a forza si
ripete poi nella S. P. 3.33.17. Le costruzioni fatte sul suolo comune s'in-
tendevano comuni salvo naturalmente al socio costruttore il diritto di
farsi rifondere le spese dall’ altro (7): trattandosi di riparazione di casa
se il rifacimento delle spese non avesse avuto luogo entro il quadrimestre
il condomino riparatore ne acquistava la proprietà (8).
Negli cura in re aliena parrebbe che si distinguessero ancora le servitù
personali e le prediali.
L’usufrutto, che poteva essere costituito per convenzione e per testa-
mento (9), era assolutamente personale e si spegneva con la vita del-
l’usufruttuario (10) che naturalmente non poteva appropriarsi per usuca-
pione la cosa posseduta (11): a lui incombeva l'obbligo di riparare le case
godute (12), ma aveva d’altro canto il diritto di farsi rifondere le spese
che rappresentavano un incremento del loro valore (13). E come non po-
teva alienare i beni soggetti ad usufrutto, così non poteva neppur locarli
quando, come rispetto ai servi, la locazione o l'in obse quium alterius dare
rappresentava un rischio troppo grave per l'integrità degli oggetti stessi, (14):
era tenuto a dar di ciò cauzione (15). i
Distinta dall’ usufrutto era l’hRabitatio che come comprendeva un diritto
di manere nella casa lasciata in uso, così comprendeva quello di locarla (16):
anche lo ‘us habitandi cessava colla morte dell’utente (17).
Delle servitù prediali la S. P. ricorda le servitù luminis immittendi (18),
ne luminibus officiatur (19), oneris ferendi e altius non tollendi (20) tra
(ISRAELI 2) SPES ILOMIN (ES EMO INC) MISE SI
(5) S. P. 8. 1. 1. — (6) S. P. 8.10. 10. Evidente qui muralia corrisponde ai casalini dei do-
cumenti. — (7) S. P. 3.32.16. — (8) S. P. 8. 10.4. Contro 8.10.5: ma l’ antinomia si
esplica probabilmente perchè in questo caso si trattava di spese voluttuarie e non necessarie.
— (9) S. P. 3. 33. 1, 5, 13. Per lo più con un lascito di usufrutto il marito provvedeva alle
sorti della propria vedova [3. 33. 6, 10, 12]. In S. P. 1.2.4 l’usufrutto è detto solacium.
Si vedano le locuzioni usufructuarius constitui [S. P. 3.33. 3, 4] e wusufructium relin-
quere [3.33.1,5, 10) o facere [3.33.12]. — (10) S. P. 3. 33.3, 14. — (11) S. P. 3.33.8. —
(12) S. P. 3.33. 7. — (13) S. P. 3. 33.7. — (14) S. P. 3. 33.9. — (15) S. P. 3. 33. 4 /fidetus-
sio de non minuendo]. — (16) S. P. 3.32.14. — (17) S. P. 3. 33.11. — (18) S. P. 3. 34.8. —
(19) S. P. 3.34. 1. — (20) S. P. 3. 34.5, 8,9.
DELLA SUMMA PERUSINA 57
le urbane e quelle di passaggio (1), d’acquedotto (2) e di presa d’acqua (3)
e di non togher il vento all’aia (4) tra le rustiche. Era generalmente am-
messo che le servitù potessero acquisirsi anche per prescrizione decennale o
ventennale (5).
Le disposizioni più interessanti per noi sono del resto quelle che si ri-
feriscono alla tutela delle proprietà e del possesso: importanti modifica-
zioni s'erano avverate a questo riguardo tanto che gli <nterdicta non erano
assolutamente più compresi dall’autore della S. P. (6).
Per riguardo alla proprietà egli non conosceva che la rivendica (7) il
cui effetto era un recipere (8): prescrittibile solo in un trentennio:(9) essa
poteva muoversi contro ognuno che detenesse ingiustamente (10) la cosa altrui
per ottenere colla restituzione della inzusta possibilitas quella dei frutti (11).
Il possessore di mala fede non aveva diritto a compenso per migliorie o
spese (12). Naturalmente la restituzione era subordinata alla prova del
proprio diritto acquistato originariamente con la prescrizione o con l’occupa-
zione o con l’accessione oppure derivativamente (13) per qualche titolo trasla-
tivo di dominio: a dimostrare l’esistenza di questo in mancanza di scritto (14)
si ammettevano anche le testimonianze (15).
Prima di decidere in petitorio,si discuteva il possessorio (16): e anche il
proprietario che avesse spogliato il possessore doveva anzi tutto inte-
grar questo nel possesso. La S. P. 4. 65.25.26 dice chiaramente “ prius
redde et sic proponis de proprietate ,, rivelando meglio d’ogni altra fonte
quanto antiche sieno le origini della actio spot.
Azione possessoria per eccellenza fu l’ acto de momento (17) con cui si
costringeva l’ingiusto possessore ad resttuendam possessionem (18): dovea
muoversi entro l’anno dalla expulsio (19) o dalla occupatio violenta (20) o
MOMISSNP3 84 dl — (2) SÌ Pi 13034.2,,3, 7, 12. — @) S. P. 3.34. 6,10. — (4) S.P.
3. 34. 13. — (5) S. P. 3. 34. 1, 13, 14. — (6) S. P. 8.1. 1-4. — (7) Actio in rem [S. P. 3. 34. 2].—
(8) S. P. 3.32.5, 9. — (9) S. P. 8.4. 11; 3.39. 6. — (10) S. P. 3. 32.5 /iniuste rem tenere];
3.32.9 /tenere]; 3.32.4 [mala fide tenere].—(11) Coi fruges retro tempore [S. P. 3. 32. 5, 28;
8.4.4; 4.32. 12; 4.51. 7; 3.32. 1,17, 21). Quindi il servo e le sue operae 0 meglio la
mercede delle sue opere [3. 32. 1.] e il fondo con le pensiones [3. 32. 5]. — (12) S. P. 3.32. 5.—
(13) S. P. 4.19.15, 16; 4.21.8. — (14) S. P. 3.32.19. Il possesso della carta di per
sè non diceva nulla [4. 19.21): l’esibitore dovea mostrare che egli era appunto colui
che avea acquistato il diritto in forza di essa o un suo avente causa. — (15) S. P. 3.32. 10.
Indici di proprietà erano anche i tituli [2. 15. 1-2]. — (16) S. P. 8.6.1. — (17) Ben di-
stinta dall’actio de proprietate [S. P. 8. 6. 1; 8. 35. 5]. Pel significato della voce momentum ctr.
il momentum reddi della S. P. 8.5.1. Implicava la restituzione della cosa e il rifaci-
mento del danno attestato con giuramento [8.4.9]. — (18) S. P. 3.31.11: cfr. 8.4.8;
BRN2T 19 SIP! 8.402) — (20) S.P. 8.4.3: 8
58 IL CONTENUTO GIURIDICO
dalla pervasio (1) giacchè non pare che per l'actio de momento fosse ne-
cessario uno spoglio violento (2).
La violazione dell’altrui proprietà o dell’altrui possesso era anche tute-
lata con disposizioni penali collegate all'ultimo stadio del diritto romano
che obbligava il violento occupatore dell’altrui proprietà a render la cosa
e un tantundem (3) e al proprietario che volesse farsi ragione da se stesso
con una violenta espulsione dell’ invasore comminava la perenzione del
proprio diritto di agire (4).
Che accanto alla actio in rem fossero poi conosciute distintamente due
azioni communi dividundo e familiae herciscundae non pare: bensì 1° actio
finium regundorum parrebbe accennata nella S. P. 3.38.39 che farebbe
credere la segnatura dei confini fosse fatta con l’ intervento di un agri-
MEensor.
VALI:
Le obbligazioni.
Più largo riguardo ebbe nella S. P. la materia delle obbligazioni: e
anche qui sono evidenti le traccie delle concezioni e delle pratiche vol-
gari. Il compilatore non penetrava più o credeva superflue le distinzioni
della scienza giuridica romana; nè ciò avvenne soltanto per quelle che
erano suffragate sopratutto da ragioni storiche, ma anche per quelle che,
non legate a cause contingenti, paiono sgorgare dalla indole stessa di
codesti rapporti. Così non solo nell'opera sua non v'è un'eco neppur lon-
tana dell’antico divario fra pacta e contractus e fra pacta nuda e pacta
vestita poichè già forse dinanzi alla sua mente vi era un tipo generico di
contratto: ma neppur vi si distingue tra contratto di stretto diritto e di
buona fede e tra obbligazioni civili e naturali. La buona fede dominava
ormai tutta la materia contrattuale ed era principio generale che ogni
promessa dovesse essere adempiuta (5): d’altro canto poi la repetitio an-
debiti non era più consentita se non quando un debito inesistente era
stato pagato per ignoranza o per errore o per dolo (6) credendo p. es.
tuttora acceso un debito estinto o di aver una veste giuridica, p. es. quella
di erede importante con sè debiti che non aveano ragione d’ essere nel-
l’imdividuo indipendentemente dalla successione (7) o adempita una condi-
zione che invece non lo era.
(1) S. P. 8.4.9. Per l’uso di pervadere cfr. S. P. 8.3.6, 9. — (2) S. P. 8.4.8. — (3) S. P.
8.4.4. — (4) S. P. 8.4.7, 10. — (5) S. P. 2.3.13; 4.7.7; 4.18.3 /de quacumque re homo
spondit tenetur]. — (6) S. P. 4.3.1; 46, 8; 4.11, 4, 6; 8.40.15. — (7) S. P. 4.3.5.
DELLA SUMMA PERUSINA 59
Naturalmente una valida obbligazione (1) non sorgeva se, esistendo nei sog-
getti la capacità a contrarre, non vi fossero state anche nella prestazione
che dovea formarne l’oggetto i requisiti della possibilità, della liceità (2), della
determinabilità (3). Illecita era la compra delle liti (4) e la cessio in po-
tentiorem (5) o al fisco allo scopo di fatigare il proprio avversario (6): in
qualche modo era altresì riguardata come frodolenta la simulazione volen-
dosi rigorosamente applicata la regola che 4 valet quod gestum est (7). La
rescissione per lesione enorme era però ancora limitata alla vendita.
In ogni contratto era sempre insita la clausola di tacita risoluzione se
l’altra parte avesse mancato alla sua promessa (8). Anzi se, adempiuta la pre-
stazione da una delle parti, l’ altra agisse in modo da far pericolare la
controprestazione si accordava alla prima il diritto di esigerla ante tempus
o prima del termine (9).
V’era anche tendenza a limitare la responsabilità individuale al fatto (10)
proprio (11): e ciò si avverava pur nei rapporti fra padrone e servo ché il
padrone già non rispondeva se non in quanto il servo avesse agito per or-
dine suo (12). Omai di fronte al principio per exrtraneam personam adquiri
non posse che escludeva il contratto a favore di terzi vi era quello per
exrtraneam personam obligari non posse: luna e l’altra possibilità non na-
sceva se non quando vi fosse di mezzo una procuratio pel libero (13) o
una in actionem constitutio pel servo (14).
Il fondamento della obbligatorietà del contratto era posto nella voluntas
dei contraenti (15): e sul requisito del consenso la S. P. ripetutamente
insiste. Il consenso dovea essere libero e il negozio giuridico compiuto dal-
l’ invitus (16) non avea consistenza. Or, come una vera volontà non s'ha
laddove si agisce sotto la pressione del terrore o del raggiro (17)
(1) Per le obbligazioni condizionali cfr. S. P. 4.6.1, 2, 3, 4, 5, 9 ove indipendente-
mente dalle fonti si afferma il principio delle repetibilità del datum sub conditione ove
l'adempimento di questa non fosse stato reso impossibile da un caso fortuito [4. 6. 10].—
(2) S. P. 8.37.5. — (3) Per le obbligazioni alternative cfr. S. P. 4.5.10. — (4) S. P.
8.36. — (5) S. P. 2. 13. 2. La cessione dei crediti genericamente era ammessa [4. 10. 6] e la
traditio cartulae era una delegazione di credito [4. 39. 7]. — (6) S. P. 2. 17. 1-2. — (7) S. P.
4. 22. 1, 3-5; 4. 38.3. — (8) S. P. 2.6.3.— (9) S. P. 4.9.1.— (10) Atto lecito: [S. P. 3. 35. 1-3;
5.41.1-3]; voluto e non voluto, ma provocato o non saputo sfuggire con la propria ne-
gligenza. Giova qui avvertire che nella S. P. la megligentia, ben distinta dall’ igrorantia
|5. 38. 5] e distinta anche del dolus [5. 43.4] o dalla fraus [5. 43.9), veniva spesso a con-
tenere in sè un qualche elemento di frode accanto a quello della culpa [4. 6.10; 5.14.11;
5. 37.12; 5.37. 26; 5. 38. 1; 5.44. 5; 5.51.7 negligere et fraudare). — (11) S. P. 4. 10.5 /de-
bitum contrai ex voluntate, non aliter]. Però ctr. 3.41. 1-4; 5. 42.2. — (12) S. P. 4. 25.2, 5, 6.
(13) S. P. 4.27. 1, 2. — (14) S. P. 4. 25. 1, 3, 4. — (15) Debitus ex voluntate contraitur [S. P.
4. 10.5]. — (16) S. P. 4.59.3 etc. — (17) Circumventio [S. P. 2,3. 3].
‘60 IL CONTENUTO’ GIURIDICO
o dell'ignoranza (1), così dal vizio del consenso per violenza (2), per
dolo (3), errore (4) od ignoranza (5) deriva la nullità dell’ atto: non solo
le convenzioni viziate non davano valide azione al creditore, ma il debi-
tore avea anche azione per ripetere l’indebito (6). Ma non sempre per la
validità dell’ atto era del resto necessaria una espressa dichiarazione del
proprio assenso: questo poteva risultare anche dal fatto stesso, onde pur il
silenzio poteva obbligare quando si fosse taciuto là dove, conoscendo
l’atto compiuto, nell’ ipotesi di un dissenso la parte avrebbe dovuto rea-
gire (7).
Per quanto poi concerne il vincolo contrattuale in sè è notevole che la
S. P. non faceva dipendere il suo nascimento da un eccessivo formalismo : e
cautela più che elemento essenziale del negozio giuridico fu anche la scrit>
tura (8). E nondimeno la carta era di prammatica e la stessa stipulato ro-
mana, come ben vide il Patetta (9), diventò una seriptura : il documento
cui si appoggiava aveva finito con l’assorbirla in sè e da contratto ver-
bale si mutava in letterale. Confrontando il sommario della c. 16. 4.47
parrebbe che la stipulatio e la cautio fossero una medesima cosa, ma forse
la stipulatio non fu che il genere di cui la cauto o il chirographum (10) fu la
specie. Se una stessa cosa era stata ceduta a due e cioè oralmente all’uno e per
scrittura all’altro, ove non fosse intervenuto l’elemento della #rad7#70, questo
prevaleva a quello (11). Con la cessione dei propri diritti sulla cosa il
cedente soleva consegnare anche i documenti, in cui essi potevano trovare
la loro prova: solo nel caso che questi ancor gli giovassero li tratteneva
con sè rilasciando una cautio in cui si obbligava ut quando mnecesse fuerit
manifestaret illas (12). i
L’obbligazione si estingueva normalmente col pagamento (13) che do-
veva esser fatto al creditore o a chi per suo espresso mandato (14) o per
le proprie relazioni di dipendenza verso di lui (15) fosse autorizzato a
ricevere per lui. Era valido anche se compiuto da un terzo per conto
del debitore: e in tal caso di fronte a questo quegli si surrogava nei di-
ritti e nei privilegi del creditore. Il pagamento riceveva legge dal con-
tratto : se doveva farsi in moneta il mutamento del valore era a carico
del debitore (16).
All’atto del pagamento, se il debito fosse risultato da una carta, il de-
(1) S. P: 1. 18. 10; 5. 38.5.— (2) S. P. 2.19. 2.12; 8. 37.9; 8.38.4,5.— (3) S. P. 4.5.3. —
(4), S.P. 14.5. 3; 7,11; 840H15:— ©) Ss Pa 4/b5)4,06:—.(6)) S.P! 29600 (0 SR
2.83.29. —(8) ParetTA p. 847. —:(9) .S! P.. 32921. — (10); S. P.12-3121 Abi Save
6.42. 24.—(12) S. P. 4.26.13 /debitum reddere].— (13) S. P. 8. 42. 5. — (14) S. P..8. 42. 5. —
(15) S. P. 4.10. 1; 8.18.4; 8.19. 3. — (16) S. P. 4.2.8.
DELLA SUMMA PERUSINA 61
bitore avea diritto di chiederne e il creditore avea dovere di farne la
restituzione (1), 0, quando questa non fosse possibile, o anche accessoria-
mente a quello, di rilasciare una dichiarazione di quitanza, un desuscep-
tus (2) o una securitas (3). Con ciò venivano a sciogliersi le garanzie
accessorie dell’obbligazione (4).
Alla dazione in pagamento si hanno accenni nella S. P. 4. 44, 9; 8. 42. 20, 24
che provano come fosse sempre ammessa: di notevole v'è poi questo che
la S. P. la considerava come una compensatio.
La compensazione (5) poi è concepita come una reciproca elisione di mutue
petitiones (6) o di mutue ragioni di debito e credito (7): nella coesistenza
di un debito verso il debitore il credito del creditore agente si riduceva
alla differenza fra il loro ammontare e solo su questa si dovevano al caso
le usure moratorie (8) che si potevano evitare con l’offerta reale di essa.
La compensazione, ammessa solo per debiti liquidi (9), avea Ixogo anche
in riguardi del fisco (10): era esclusa di fronte a debiti derivanti da ven-
dita (11). Dalla S. P. non parrebbe che la compensazione fosse +pso iure
operativa di effetti: conveniva che fosse offerta dal debitore al credi-
tore (12).
Ancor più sformati appariscono i caratteri della novatio; colla designa-
zione di 2rrovatio, che prese il luogo di quella, la S. P. intese generalmente
la rinnovazione delle cautiones che periodicamente si faceva per sfuggire
alla prescrizione (13) o la documentazione di un debito prima verbalmente
contratto (14). Naturale quindi che per essa fosse nulla la novatio di un
debito insussistente e necessaria una piena rispondenza tra il. documento
rinnovato e l’antecedente (15).
Dal principio che l'obbligazione dovesse essere eseguita precisamente nel
(1) S. P. 3. 42.9; 4.9.2. Di fronte al cautionem emittere del creditore al momento
dell'accensione del debito sta dunque il cautionem recolligere del debitore all’atto della
sua estinzione. Restituire il documento tanto valeva quanto riconoscere svincolato il
debitore da ogni impegno: e il legato che imponeva all’erede di consegnare le cautiones
‘ad alcuno dei suoi debitori fu appunto concepito come un legato liberatorio [8.25. T[.
Se uguali effetti avesse la conscissio cartae non è chiaro [5. 70. 4]. — (2) S. P. 4.2. 17;
4.5.11; 4.30.14; 6.9.7. Doveva esser redatto con almeno tre testimonii e in esso do-
veva esservi le dichiarazione del creditore nil sibî amplius deberi |2.4. 24]. — (8) S. P.
4.21.15; 4.80: 14. — (4) S. P. 8.13.21, 22. — (5) Sulla compensazione nella S. P. cfr.
CuruRI, La storîa e la teoria della compensazione nel diritto civile italiano negli Annali
delle Univ. di Perugia, VII. fasc. 4. — (6) S. P. 4.31. 6. — (7) Sî invicem sibi debeant |S. P.
4.31. 4]. Cfr. 4.16.5. — (8) S. P. 4.31.4.— (9) S.P. 4.31.1, 3, 13. — (10) S. P. 4.31.9.—
(LI) S. P. 4.31.9, 10. — (12) S. P. 8.41. 13. — (13). S. P. 8.41. 1. — (14) S. P. 8.41.22, 8.
In 8.41.4 la émnovatio parrebbe valere quanto dilatio. — (15) S. P. 8.42.13; 4.2. 6;
8.40. 1.
62 IL CONTENUTO GIURIDICO
tempo e nel modo prestabilito implicava che la tardatio (1) all’esecuzione
importasse sempre il pagamento delle usure moratorie da parte del debi-
tore (2) purchè naturalmente l’ indugio non fosse invece imputabile al
creditore. In questo caso il debitore sfuggiva agli effetti della mora con
la offerta reale (3), su cui la S. P., fin qui trascurata, dà informazioni co-
piose e precise. Quando il creditore fosse stato assente o non avesse vo-
luto ricevere il pagamento il debitore si liberava depositando il danaro in
un sacchetto sigillato (4) presso un terzo (5) o presso una chiesa (6): è
appunto questo il deposito che la S. P. indica costantemente con la voce
sequestrum (7). Con ciò cessava il corso delle usure (8) e cadeva da parte
del creditore ogni diritto di pegno (9).
L’obbligazione continuava anche a perimersi col tempo (10): l’annositas
spogliava il creditore dal suo diritto d’agire purchè naturalmente la tac:
turnitas (11) non avesse avuto una scusante nell’expediti0 publica (12), nel-
l assenza per occupatio o legatio publica (13), nell'età (14). Il termine di
prescrizione era da 30 a 40 anni (15).
Tra le garanzie delle obbligazioni non richiedono lungo discorso da noi
il giuramento e la clausola penale (16): più meritano riguardo il pegno e
la fideiussione che avevano assunto caratteri diversi dai giustinianei.
L insistenza con cui la S. P. batte sul dovere del creditore pignora-
tizio di vendere il pegno al pagamento del debito (17), sul diritto del debi-
tore di riscattare il pegno pagando (18) e sul divieto al creditore di occupare sine
iudice le res sibi oppositae (19) fa credere che la pratica avesse opposte
tendenze e che o per fatti implicanti la cessio pignoris in caso di mancato
pagamento (20) o per consuetudine si ritenesse insita la clausola commis-
soria nell'istituto del pignus che volgarmente conservava parecchio della
fiducia. Il debito aveva tanta tendenza a immedesimarsi col pegno che la
perdita di questo per colpa del creditore perimeva l'obbligazione (21).
(1) S. P. 7.4. 4, 15. — (2) S.P. 4. 32. 16; 4.49. 4, 10,12; 4. 65.2, 17. — (8) S-P. 4.31.12;
4.4.1. — (4) S. P. 4.32. 6; 8.13. 20. — (5) S. P. 4.31.12. — (6) S. P. 7.72.10. — (7). S. P.
4.4.1; 4.31.12; 4.32.6.19;. 8.13.20; 8.30.3; 8.27.8; 8.42.9. — (8) S.P. 4.82.6.—
(9) S. P. 8. 27.8; 8.28. 2; 8.30.3.—(10) S. P. 7.36.1, 2; 7. 39.3, 7,9.— (11). S. P. 7. 36.1. —
(12) S. P. 2.50.1, 4, 8; 2.51. 1, 2; 2.52. 1-3. Il privilegio si estendeva anche alle mogli
del miles [2.51.1-2). — (13) S. P. 4. 53.1, 3.-— (14) Cfr. quanto fu osservato a proposito
del trattamento giuridico fatto ai minores. — (15) S. P. 7.39.3. — (16) S. P. 2. 3.14;
4.32. 15. — (17) S. P. 4.24.11, 12; 8.13.21. — (18) Cfr. recolligere pignus in 4.24.4. Il
riscatto del pegno poteva esser fatto dall’erede [8. 13. 12). — (19) S. P. 8. 13. 12. — (20) S.P.
8. 13.1, 2; 8.34. 4.— (21) Così spesso, contro S. P. 8.13. 25. In ogni caso poi è strana
l’usucapibilità del pegno da parte del creditore [4. 24.10; 8.13.5] negata però in
8, 13.8.
DELLA SUMMA PERUSINA 63
Legalmente però il creditore non avrebbe dovuto avere altro diritto che
quello di vendere il pegno o nell'intero (1) o in una parte corrispondente
al suo importo (2) per soddisfarsi sul prezzo ricavato da esso (3) e la ven-
dita avrebbe dovuto esser fatta con intervento del giudice. Nella pratica
doveano essere invece assai usitate le clausole che permettevano una ven-
dita stragiudiziale : ut s? certo die pignum debitor non recolligeretur ven-
deretur (4). Nella vendita giudiziale, che era lecita solo se dai frutti del
pegno il creditore non avesse già cavato tanto da soddisfarsi (5), l’auto-
rità pubblica stessa manteneva securus il compratore di fronte al debi-
tore (6).
Di regola il pegno era posseduto dal creditore (7) che con patto anti-
cretico se ne appropriava i frutti imputandoli 2» debitum in quanto ecce-
devano le usure pattuite (8): ma talvolta restava nelle mani del debitore
avendosi in questo caso una obligatio bonorum affine all’ipoteca (9). Questa
obligatio (10) poteva essere generale e speciale (11): per essa il creditore acqui-
stava un actio in rem sulla res obligata che gli permetteva di seguirla
nelle mani di ogni possessore (12) senza perciò elidere nel debitore ogni
diritto di dominio sulla cosa stessa tanto che eragli lecito pur’ alienarla (13).
Se il pegno (14) restava presso il creditore (15) questi rispondeva dei de-
terioramenti che in esso avvenissero (16): aveva d’altronde diritto a com-
penso per le migliorie o per le spese fatte in dipendenza da esso (17). Il
pegno poteva esser dato in suppegno dal creditore (18).
Più rigorosa si era fatta anche la fideiussione che si contraeva indiffe-
rentemente con lo scritto o con la parola (19): invece di fidesubere la S. P.
usa la voce spondere (20) e fidem dicere e qualche volta anche chiama
mandator il fiderussor (21) quasi che questo fosse stato un mandatario al
(1) S. P. 8.27.2. — (2) S. P. 8.27. 6. — (3) Il ricavato oltre l'importo del debito dovea
esser reso al debitore [8. 29. 1]: chè se il ricavo era inferiore a quello il creditore manteneva,
per la differenza, delle ragioni di credito contro il debitore e gli eredi [8. 27.3]. —
(4) S. P. 4.24.4. — (5) S. P. 8.27.1.— (6) S. P. 8.27.13; 8.29.5.— (7). S.P. 8.13.5;
8: 19.2; 8.23.1; 8.27.2; 3.— (8) S. P. 8.24.2.— (9) S. P. 4.24.9. — (10) Obligare., pi-
gnorare in S. P. 8.13. 16, 14; 8.14.1, 4; 8. 15.3. 5, 8; 8.16. 3. Invece si usa opponere in
S. P. 7.32.9; 8. 13.9, 12, 13; 8.14. 6; 8.15.1. L’ipoteca appare in S. P. 7.72.10.—(11) Obli-
gare omnem substantiam [S. P. 8.13.2. cfr. 4.18.2; 8.25.38]. Ipoteche tacite in S. P.
4.14. 6 [dei figli sui beni delle madre tutrice], [del locatore pei beni del locatario in
caso di mancato pagamento dei fitti). — (12) S. P. 8. 13. 24, 15; 8.28. 1. Il debitore non
poteva costringere il creditore alla persecutio rei [8. 13. 14]. — (13) S. P. 8. 13. 14. Il punto
è dubbio. — (14) Erano inpignorabili le res religiosae [S. P. 8. 16.1]; le cose altrui [S. P.
8.16. 2.5], le persone libere [8. 16.6]. Il pegno dei documenta agri si risolveva in pegno
dei fondi stessi [8. 16.3]. — (15) Fino a pagamento del debito [S. P. 4.10.10; 4.39. 8;
boe — (16) S. Pi 4,245, 6.— (17) S.P. 8.13:6.— (18) iS. P. 8..23.2. — (19) S.P.
8.40. 12, 27.—(20) S. P. 8. 40. 12; 8. 41. 1; sponsiofideiussio in 4. 65. 7.—(21) S. P. 8. 40.22. 8.
64 IL CONTENUTO GIURIDICO
pagamento. La posizione sua s'era infatti aggravata molto di fronte a
quella che aveva per diritto giustinianeo : se non era sostituito al debitore
‘ principale esso ne diventava quasi un correo (1); eil creditore poteva ri-
volgersi indifferentemente a quello e a questo (2). E per tal guisa era sì
rafforzata la garanzia personale che con essa si riscattava il pegno (3).
Vera d’altronde nel debitore l’ obbligo di conservare fideiussorem (4) e il
fideiussore pagato il debito avea contro di lui un diritto di regresso (5).
Prestar fideiussione era negato non solo alle donne, ma ai mvlites (6) e,
cosa notevole, al curzales (7).
La solidarietà non si presumeva (8), ma doveva essere tassativamente
convenuta dalle parti (9): nel caso di solidarietà passiva il debitore soli-
dale aveva regresso verso i suoi colligantes o condebitori (10).
Il debitore insolvente poteva essere coatto giudizialmente al pagamento,
e, se non pagava, era carcerato: volendo sfuggire alle in%uria carceris 0
alla custodia (11) poteva però ottenere ai creditori la ‘nduciae quinquenna-
les (12) o procedere alle cessio bonorum.
E.si può ora passare all'esame dei contratti speciali.
La vendita, che, come ogni altro contratto, per esser valida dovea essere
immune da violenza (13) e dolo (14) e liberamente contratta (15) tra sog-
getti capaci di diritto (16), diventava perfetta con lo scambio tra il prezzo
e le merci (17): non era più un contratto essenzialmente consensuale, ma
uno scambio diretto che solo con patti accessorii poteva scindersi in più
momenti concedendosi p. es. delle dilazioni nel pagamento del prezzo (18)
o nella consegna della cosa. Dal momento del pagamento del prezzo il
compratore era considerato come il dominus rei (19) sì che a lui andavano
1 frutti della cosa stessa (20) e il venditore non poteva di questa ulterior-
mente disporre con alienazioni (21) o manumissioni (22): fino al momento
della tradito questi, che per la mora era tenuto. al quod interest verso il
(1) S. P. 8. 40. 11. I più fideiussori non erano però solidali fra loro [8. 40. 3, 10, 20, 26].—
(2) S. P. 8. 40. 5. Non solo nel caso che il debitore fosse assente [8. 40. 3].—(3) S. P. 8. 40.2.—
(4) S. P. 2.12.1.—(5) S. P. 4.35.10, 18; 8.40.11. — (6) S. P.. 4. 65.31 —(7) S.P
4. 65. 30. — (8) S. P. 4.2. 5; 2.3.27. — (9) S. P. 4. 18.2; 4.2.5; 4. 65. 14. Parrebbe poi che.
la formula .della obbligazione solidale fosse questa: singuli et in solido cavere [4. 2.5;
7-5D.1]. — (10), S. P.4.2412. — (11) S.P: MIT. 12; 12771. ANSE E
vevano essere concesse dall’ assemblea dei creditori. — (13) S. P. 4.44.1; 4.45.1.—
(14) S. P. 4. 44.5; 4.48.3. — (15) S. P. 3.38.11, 13. L’actio de dolo doveve farsi valere
intra annum [7.75.6]. — (16) Cfr. quanto ebbi a dire parlando dei minori, degli infermi
di mente; delle donné. — (17) S. P. 4.99. 4. Cfr. Arnò. La Const. 2 Cod. 4.48 nella Sum-
ma Perusina, Modena 1902 estr. dall’Arch. giur. — (18) S. P. 4. 54.2. — (19) S. P. 4.49.5. —
(20) S. P. 4.49,13,16 [i parti delle pecore]. — (21) Il verbo alienare è sinonimo di ven-
dere in S. P. 3.37. 1. — (22) S. P. 4. 49.11.
DELLA SUMMA PERUSINA 65
compratore (1), rispondeva dei deterioramenti o della perdita della cosa
venduta e la sua responsabilità era sì rigorosa che comprendeva persino
le perdite derivanti dalle incursioni o dai saccheggi dei nemici (2).
La vendita poteva effettuarsi anche per mezzo di rappresentanti ed era
quindi ammessa fra assenti (3): pur se fatta con denaro altrui si inten-
deva conclusa in nome di colui che forniva i denari (4). Il procuratore
però non poteva vendere senza mandato speciale (5) e la vendita o la com-
pera fatta dal negottorum gestor non si validava se non colla ratifica(6).
Continuava ad essere vietata la vendita della cosa altrui (7) od obbli-
gata altrui (8) e della cosa litigiosa (9) e si mantenevano pure i divieti
per la vendita delle vestes regales (10), dei publica frumenta (11), per la
compera degli eunuchi (12) e per la vendita di merci (13) e sopratutto di
armi (14) ai nemici (15).
Nella vendita di servi od animali si ammetteva la rescissione per vizii
redibitorii (16): la S. P. si occupa anzi specialmente dal servo witiosus e
sopratutto del servus fugax (17). Il venditore non rispondeva per la fuga
se già prima non avesse conosciuto questo vizio e se si fosse appurato
oltre l’ anno della consegna (18): ricorrendo gli estremi della redibizione
il compratore avea diritto alla restituzione del prezzo e al quod interest (19).
Spesso la vendita si confermava con lo scritto (20): ma, salvo che si
trattasse d’immobili (21), poteva anche effettuarsi absque instrumento (22).
Per gli immobili era pur necessaria la tradit:0 senza che però occorresse
compierla sull'immobile stesso.
Il contratto di compravendita poteva assumere delle note speciali per
l’inserzione di patti o placita (23) accessorii tra i quali sembrano esser
stati specialmente usati quelli che concedessero il riscatto della cosa ven-
duta con la restituzione del prezzo (24) o la rendevano inalienabile ad
altri che al compratore (25) o promettevano la restituzione della cosa ad
arbitrio del compratore (26) o, trattandosi di servi, ne vietava la prostituzio-
ne (27) o ne vietava (28) o ne imponeva la manomissione (29).
(1) S. P. 4.49.4, 10.-— (2) S. P. 4.23. 1. — (3) S. P. 4.50.9. — (4) S. P. 4. 50. 1-3. Ec-
cezioni in S. P. 4.50. 4-5. — (5) S. P. 7.32. 7. — (6) S. P. 4.21.10. — (7) S. P. 3.26.4;
3.37.1; 4.51.1, 2, 5. Così era nulla la vendita della res communis [4. 52.1, 2, 3, 4;
3.37.2; 3.38.7]: però era lecita la vendita della propria quota divisa [8.38.2]. —
(8) S. P. 4. 24. 10; 4. 44. 14. — (9) S. P. 3.37. 1; 8.36.2,3.— (10) S. P. 4. 40.1. — (11) S. P.
4.40.3.— (12) S.P. 4.42. 1,2. — (13) S. P. 4.40.92; 4. 41.1; 4.63.2.—(14) S. P. 4.41.2.—
(15) Nullità della compera della cosa propria [S. P. 4.38.10]. — (16) S. P. 4.58. 1. —
(dl) NS. (D' 4.58.2,8,5. — (18) S. P. 4.58.2. — (19) S. BP. 4.58.1.— (20) S. P. 3..38.6. —
(21) S. P. 4.3.1. — (22) S. P. 4.21.10. — (23) S. P. 4. 54.8 e, probabilmente, 4. 54.1. —
(24) S. P. 4. 54.7. — (25) S. P. 4. 54.9.— (26) S. P. 4. 58. 4.— (27). S. P. 4. 56. 1-3.—(28) S.P.
4.57.5. — (29) S. P. 4.57. 1-4, 6. 9
66 IL CONTENUTO GIURIDICO
Il venditore aveva verso il compratore il duplice obbligo della restau-
ratio (1) o della dupl pretti redditio (2) nel caso di evizione e quello della
defensio o authorizatio (3) nel caso che altri chiamasse in giudizio il suo
avente causa per la cosa venduta. La renuntiatio auctoris dovea esser
fatta da questo prima che la causa finisse (4); altrimenti egli non avrebbe
più potuto rivalersi contro il suo autore o l'erede suo se l’avesse 7 item
praetermissum (5) litigando e perdendo absque auctore (6). Alla laudatio da
parte sua seguiva la conventio (7) o contestatio auctoris (S) per cui si ac-
cordavano apposite «nduciae (9), e, se quegli rifiutava di presentarsi in giu-
dizio il compratore evitto avea diritto a riavere il valore della cosa secun-
dum documentum computate le migliorie (10).
Nella donazione il principio della irrevocabilità fu normalmente mante-
nuto (11): solo l’ingratitudine la rendeva rescindibile (12); e naturalmente
cadeva anche se, essendo condizionale (13), non s’ avverava la condizione
cui era subordinata. Nè la donazione poteva ledere il diritto dei legitti-
marii: un’actio de inofficiosa donatione serviva qui a ridurla nei suoi giusti
limiti (14). Parrebbe che più non occorresse per la sua validità 1’ insinua-
zione (15).
Sulla permutatio non giova soffermarsi poichè essa fu retta evidente-
mente dalle stesse regole che disciplinarono la vendita (16). Piuttosto v'hanno
molte cose ad osservare a proposito della locazione che, concludibile an-
che verbalmente (17), era concepita come una cessione dell'uso delle pro-
prie cose o terre dietro il corrispettivo di annuali pensiones (18) 0 cano-
nes (19) o fisci (20) garantiti con tacita ipoteca sui beni del conduttore (21)
e non suscettibili di aumento (22). Il conduttore rispondeva dei deteriora-
menti e della perdita della cosa se fosse avvenuta per suo dolo o colpa (23):
e a lui incombeva anche l’onere della custodia salvo che speciali condi-
(1) S. P. 4.52.5. Cfr. Tamassra, La defensio nei doc. mediev. ital. Modena, 1904 [estr. dal-
I Arch. giur.]. — (2) S. P. 7.17.2; 8.44.25. — (3) S. P. 4.39.1, 2; 4.48.1.— (4) S. D.
3.39. 1,2; 2.3.4.—(5) S.P. 2.3.2; 8.44. 8.—(6) S. P. 8. 44. 7; 4. 48.1.—(7) S. P. 8.44.3.—
(8) S. P. 8. 44.9. Ciò si diceva anche ad auctorem recurrere [8.42.13] o redire [2.3.4].—
(9) S. P. 3.19.2. — (10) S. P. 8. 44.9. Per l’uso della frase res meliorata cfr. Reg. farf.
37; 42, 43, 44, 49 etc. — (11) S. P. 4.6.7; 8.53. 3, 7. — (12) S. P. 4.3.8.4, 7.— (13) S. PD.
4.6.2,3; 4.10.8 [sub placito]. P. es. divieto d’ alienabilità [4. 6. 3]. — (14) S. P. 3.29. —
(15) Vedemmo già vietate le donazioni fra coniugi e fornite di speciali caratteri
quelle ob nuptias contrahendas [S. P. 4. 6.8]. È alquanto dubbio se come donazione
fosse ancora raffigurato il suffragium [4.3.1]. — (16) S. P. 4.64. Per gli immobili era
di prammatica la scriptura [4 64. 1,6], pei mobili no [4. 64. 7]. — (17) S. P. 4. 65. 24, 27.
(18) S. P. 4. 65. 2, 3, 8, 18, 19; 4.34.5; 4.37.2; 4. 14. 5.— (19) S. P. 4. 61. 5, 10; 7.65.4. Nella
S. P. 4.65.7 si parla anche di canoricariî addetti alle loro riscossioni. — (20) S. P.
7.30.1 [res desertas suppetit colere ut fiscum solveret]. Cfr. census in (.41.2.3.— (21) S. P.
8. 14. 7. — (22) S. P. 4. 65. 16.— (23) Non per caso fortuito [S. P. 4. 65.29].
DELLA SUMMA PERUSINA 67
zioni non ne facessero invece obbligo al dominus (1). Se pero adempiva
regolarmente al pagamento del censo (2) e non faceva malo uso della
cosa (3) o, trattandosi di case, il padrone non volesse recarvisi ad abitarle
volesse farvi delle costruzioni (4), non poteva essere licenziato senza pena (5)
prima del termine neppure se altri facesse migliori offerte (6). Sotto pena
del duplo (7) egli dovea render integra la cosa alla sua scadenza (8) senza
che l’erede potesse accampare pretese alla successione (9) con diritto però
al compenso per le migliorie (10).
In alcuni casi la conducetio cui allude la S. P. si avvicina alla concessio
ordine libellario (11) in quanto il conductor della S. P. poteva sublocare le
res sibi locatae sebbene dovesse a ciò richiedere la voluntas domini (12)
mentre ciò non era consentito al locatario secondo il tipo normale del pla-
citum locationis (13). Però il conductor non era considerato ancora come
un quasi dominus del fondo: l’idea del condominio è esclusa dalle afferma-
zioni precise ch’ei teneva le terre pel dominus (14), locuzione non estra-
nea anche ai documenti medievali di livello (15). Così è che mentre di
questa locatio-conductio spesso si parla, della enfiteusi a pena si fa men-
zione in base alle fonti (16).
L’assuntore di più late aziende si chiamò, come conductor (17), così
spesso anche procurator (18) e forse codesta accezione va data per l'appunto
a quella parola là dove si vieta di essere procuratores ai milites (19) e ai cu-
riales (20) e al procurator si proibisce la vendita della yes domini (21).
D'altronde questi conductores non vanno confusi coi censuales (22) la
cui condizione era similare a quello del colornus (23). Che qui esistesse un
legame imprescindibile alla terra non pare poichè il compratore della terra
poteva rimuovere il colono se non vi era legato da patti col suo autore.
Erano anch'essi degli affittuarii, ma degli affittuarii minori la cui efficienza
sociale era nulla a confronto di quella dei conductores-procuratores (24).
(DSP. 4.65.38. — (2), S. P. 4.65.17. — (5) S. P. 4.65.3. — (4) S. P. 4.65.3. —
(5) S. P. 4. 65. 15. — (6) S. P. 4. 65.21.— (7) S. P. 4.27.35.—(8) S.P. 4. 65.29.—(9) S. P.
4.65.10. — (10) S. P. 8.42.24. — (11) S. P. 4.65.6. Non pare che la voce libellus abbia
il senso medievale in S. P. 4.65.22. — (12) S. P. 4. 65.5. — (13) S. P. 4. 65.16. —
(14) S. P. 4.65.3. — (15) Notevole è che in queste locazioni non si riducevano gli affitti
per sterilità [4. 65. 18]. — (16) S. P. 4. 66.1-3. Si scioglieva per un triennio di mancato
pagamento del canone [4. 66.2). — (17) S. P. 4.10.3. — (18) S. P. 4.35.12. — (19) S. P.
4.65.35. Procurator pure 8. 15. 1 e 8.—(20) S.P. 4. 65. 31.—(21) S. P. 3.26.4.12. 15; 7.32.7,12.
— (22) S. P. 6. 23. 18; 8. 14. 1.— (23) S. P. 4. 65.27; 4.10.11; 7. 34. 1. Anche il colono absque
domini consensu [2.12.15] non poteva alienare [7. 32. 5, 12] nè poteva dar a pegno le res do-
mini [8.15.8; 8.16.5] nè usucapirle col lungo pagamento delle pensiones [7.32. 5]. Per
gli hospites che se collocabant in terre altrui cfr. 3.32.2,18. — (24) I quali erano spesso
degli exactores a loro confronto [S. P. 4.10.3|. Cfr. per il conductoractos predii la S. P.
2. 12, 18, 4. 55.58. 42. 19; Conductores publici [4. 62. 4].
68 IL CONTENUTO GIURIDICO
Non manca neppure nella Summa qualche accenno, tanto più interes-
sante quanto più rado, alla locato operis o alla prestazione del proprio la-
voro dietro il pagamento di una merces (1), di un salarium (2).
Nè solo i servi erano dati ‘n obsequium dai loro signori (83) che così
traevan profitto da quei loro animati strumenti: ma anche tra i liberi
v'erano persone disposte a cedere a prezzo le ‘proprie braccia ed erano
appunto i mercenartt (4).
Il mutuo, che poteva aver per oggetto denaro e merci (5), dovea essere
normalmente fruttifero: tant'è vero che nella Summa le voci mutuare e
foenerare (6) appariscono sinonime. È dubbio però se per riguardo alle
usure vigessero ancora i limiti legali fissati da Giustiniano all'infuori di
quello che impediva la loro eccedenza sull’ ammontare del capitale (7), e
forse è più probabile che fossero caduti: ma, a prescinder dalla mora, il
debito delle usure non si presupponeva là dove non fossero state esplici-
tamente pattuite (8) o a voce (9) o per iscritto (10), anche ex nudo pacto (11),
o nella convenzione stessa con cui si dava vita al negozio giuridico del
mutuo o adiettiziamente ad esso (12). Fissato una volta l'ammontare delle
usure non si poteano poi crescere (13); anzi si riducevano per sempre se
per qualche tempo, senza rimostranze da parte del creditore, fossero state
pagate in misura più tenue (14): continuava tuttavia ad esser condan-
nato l’anatocismo (15).
Per le somme ricevute a mutuo il mutuatario, che non poteva essere
validamente nè un filzus familias (16) nè un servo (17) senza lo 2ussus del
padre o del dominus (18) nè, per motivi facilmente intelligibili di polizia,
un amministratore di provincia (19), soleva rilasciare, immanzi ad almeno
tre testimoni (20), una cautio (21) onde risultava il suo debito: anche il
verbo cavere nella Summa perusina è costantemente usato in relazione a
quell’atto (22). Se poi il mutuante non avesse consegnato a dovere le
somme promesse o non le avesse consegnate affatto (23) egli avea.
(1) S. P. 7.53. 11. Merces stipendium in S. P. 7.53.4. — (2) S. P. 4.35.17; 46.4. —
(3) S. P. 8. 14. 5. — (4) S. P. 7.14.11. Cfr. il sub locatione esse di S. P. 7.16.18.— (5) S. P.
4.2. 8.4. 23.2. — (6) S. P. 4. 42.8; 4. 29. 13; 3.33. 5. — (7) S. P. 4. 32. 10, 18 e 4. 32. 25, 26. —
(8) S. P. 4. 32. 1, 22, 24. — (9) S. P. 4.32. 1,2. — (10) Curioso è che nella S.P. 4.32. 21 si
connette la ‘validità della stipulazione delle usure al datum pignus. — (11) S. P. 4.32. 11.—
(12) S. P. 4.32. pi (13) S. P. 4. 32.4. Prima il creditore si soddisfaceva delle usure,
poi del capitale [8. 42.1]. — (14) S. P. 4.32. 5, 8. Le usure illecite continuavano ad es-
sere inesigibili anche se garentite con pegno [4. 35. 19]. — (15) S. P. 4. 32. 27. — (16) S. P.
4.28. 1,3. — (17) S. P. 4.26.6.— (18) S. P. 4.26.1,4; 4.27.3; 4.28.4,7.— (19) S. P.
4.2.3.—(20) S. P. 4.2. 17. — (21) S.P. 4.2. 12, 17; 8.17.11; 8.16.9; 8.25. 7. La cautio era
necessaria per la costituzione della ipoteca [4. 2. 14].—(22) S. P. 4. 6. 4; 4.9. 4; 4. 30. 2, 13, 15.
— (23) S. P. 4.28.2.
DELLA SUMMA PERUSINA 69
un’eccezione per riaver la cauto (1) ed annullare il negozio giuridico già con-
cluso (2). Codesta querela de non numerata (3) o non tradita (4) pecunia
dovea però esser fatta valere entro un certo termine (5) che ora era di
un mese (6), ora si estendeva ad un’intero biennio (7): trascorso quel
tempo la cautio faceva piena prova (8). Ma tale eccezione, che si poteva
muovere e contro il mutuante e contro il suo fideiussor (9) o il suo actor (10),
non era più ammessa se gia il debitore avesse cominciato la restituzione
del suo debito (11).
Dal mutuo la S. P. distingue bene il conmodato o praestitum (12)
stabilendo che della perdita della res comodata il comodatario non rispon-
desse se derivava da caso fortuito (13): ma l’avvicinò invece alla locatio in
USUM.
Più a lungo s'intrattiene sulla commendatio o sul deposito che conobbe
nella doppia forma del deposito irregolare e del deposito regolare. Nel
primo caso, che si verificava generalmente quando oggetto del deposito
fosse del denaro (14), v'era solo 1’ obbligo di rendere il tantundem della
cosa depositata: nel secondo invece dovea rendersi precisamente la cosa
stessa (15), né era permesso l’usarne per utilità del depositario. Altrimenti
questi era tenuto a pagare il quod interest al depositante (16) o a rifondere
il doppio valore della cosa (17). Anche il depositario non rispondeva del
caso fortuito: bensi della culpa lata e levis. Sottospecie di deposito indi-
viduato per caratteri proprii figurano nella Summa il sequestrum e il de-
posito delle carte in cui il depositario era obbligato all’ esibizione di esse
ogni qualvolta occorresse al suo avente causa (18).
Qualche norma a sè speciale aveva il mutuo marittimo, di cui pur si
occupa la S. P. mostrando di esser stata redatta in un luogo dove la
navigazione a scopo commerciale non era del tutto caduta e forse accanto
ad una navigazione di piccolo cabotaggio ve n'era ancor una che si av-
venturava in alto mare sopratutto verso la costa africana (19). Essa con-
templa specialmente il rischio delle merci o denari spedite per mare: in-
combeva di regola al creditore (20), ma si riversava poi sul nauclerius o
sull’assuntore del mutuo se la nave teneva una rotta diversa da quella
fissata quand’anche la perdita del carico derivasse da forza maggiore (21).
(1) S. P. 4.30. 1. — (2) Ciò si desume dall’ uso del verbo replicarî in S. P. 4.30.2.—
(3) S. P. 4.30.4, 5,6. — (4) S. P. 4.30. 1. — (5) Intra certum tempus [S. P. 4. 30. 7, 8, 16].
— (6) S. P. 4.30.14. — (7) S. P. 4.30.14. — (8) S. P. 4.30. 7. — (9) S. P. 4.30.11. —
O) (S'P. 430016. — (11)) S.P} (4:30:4)— (19) S. Py14:23:1. (19) S. Pi 4128,2) —
(14) S. P. 4.35.7,8.—(15) S. P. 4:34. 1.10. — (16) S. P. 4. 84. 3, 4.— (17) S. P. 4.34.3.—
(18) S. P. 4. 34. 5, 6.— (19) S. P. 4. 33. 4. — (20) S. P. 4. 33.2. — (21) S. P. 4. 33.4, 5.
70 IL CONTENUTO GIURIDICO
Delle società la S. P. tiene sopratutto presente la forma in cuni alcuni
soci contribuivano col capitale (1), altri coll’opera: e forse quella appunto
intese col nome di collegium (2). Qui scorgeremmo dunque una forma analoga
alla colligantia veneziana : mentre piuttosto si potrebbe ravvisar la compagnia
nel consortium (3) in cui i soci contribuivano tutti al capitale sociale di-
videndo communiter le cose communiter acquisite (4). Tipo della soczetas om-
nium bonorum dovea essere la società fraterna poichè la S. P. parla ripe-
tutamente di fratres laddove le fonti parlano di socz; (5). Notevole è poi
che la S. P. considerò come causa di rescissione della società 1° infermità
del socio (6) e sentì il bisogno di chiarire che non la scioglieva invece il
raggiungimento degli Rkonores da parte del socio (7).
Interessantissimo è anche l’accenno che al contratto di soccida sì trova
nella S. P. 3.3.8, tra i più antichi che di esso si parlino; la divisione
dei frutti soleva qui farsi ope udicis.
Il mandato era variamente concepito ora come una mandatio actionis (8),
ora come una procura ad les, ora come una commussio negotit (9) che poteva
farsi anche per litteram (10). Il mandatario doveva curare diligentemente
gli interessi del mandante rispondendo del dolo e della colpa (11): e gli
acquisiti fatti da lui si consideravano fatti senz’altro dal mandante (12)
che, se quello tardava nella consegna delle case per lui comperate, avea
diritto a ripeterle (13) cogli interessi (14). Il mandatario aveva d’altronde
azione verso il mandante per recipere expensas (15) vale a dire per farsi
indennizzare delle spese (16).
Anche il negotiorum gestor fu considerato come un quasi actor (17)i cui
atti traevano validità dalla ratifica di colui per cui avesse amministrato (18):
la sua frode non nuoceva al dominus (19).
Il mandatum come institutio ad agendam actionem si confonde invece
colla locatio (20): l’actor in tal caso non era che un conductor, cui natu-
_
(1) S. P. 4.37.1.— (2) S. P. 4.66.1. Altrove significa corpus [6. 24.8]. Collega socius
in S. P. 7.55.1: socius in 8.20.1; 8.40.11. — (8) S. P. 4.38.1. — (4) S. P. 4.37.3. —
(5) S. P. 3.38. 7. — (6) S. P. 4.37. 6. — (7) S. P. 4.37.7. Agendo pel socio conveniva
dare la cautio de ratihabitione [3. 40. 2]. — (8) S. P. 4. 35. 3; 4,5, 6,22; 8.40.14 — (9) S. P.
4.50. 7. — (10) S. P. 4.35. 7. Il mandato si scioglieva con la morte del susceptor 4. 35. 15.—
(11) S. P. 4.35.13; 6.10.13. Senza mandato non si poteva esigere l’altrui credito
[8. 42. 5]. Per mandatum obligari [8.42.13]. — (12) S. P. 4. 50.7. — (13) S. P. 4. 35. 14.—
(14) S.P. 4.35.18. — (15) S.P. 4. 85.4, 11. — (16) S. P. 4. 35. 4, 6, 10, 11,18. — (17) S. BP.
8.37.3. Aveva diritto a rifusione delle spese [2. 18.3, 10,12, 14, 16, 17). — (18) Utili-
tatem agere [S. P. 2.18.24] senza proprio interesse [2.18.20] pro bona voluntate, bona
fide [2.18.18]. — (19) S. P. 8.42.19. — (20) S. P. 2. 20. 5. Sul significato di actio ad-
ministratio vedi S. P. 5. 48.1; 4.25. 1.
DELLA SUMMA PERUSINA T1
ralmente non era concesso di vendere o di transigere senza l'assenso del
padrone (1). I doveri di codesto acceptor o susceptor actiornis (2) sono ben
definiti nel doc. farf. 45 del 757 in cui l’actor si assumeva appunto di
actionem in curte tenere et sine omne meglecto vel fraude laborare et quales-
cumque cause agende essent in ipsa erunt tam de terris quam et de fami-
lis et casis peragere conservando il tutto fideliter tamquam proprias cau-
sas etc. Quindi esigeva i censi, fermava il suo fuggitivo etc.
Dalla S. P. 4.7.5 potrebbe dedursi che fosse in uso e considerato
come giuridicamente lecito il contratto di prossenetico: non si comprenderebbe
diversamente la necessità di affermare valida la datto pro accipienda uxore
mentre la costituzione riassunta e fraintesa fa parola della mercalis ucor
ameno che non si ritenesse così indicato il prezzo del mundio.
L'atto della transazione (3), che era caratterizzato sempre dall’aver per
oggetto una res dubia (4) sia che avvenisse in giudizio o fuori (5) dalla
S. P. è solitamente indicata col verbo paetuare (6), ma qualche volta anche
con il verbo finire (7), il che suppone una sinonimia tra la voce transactio
e le altre pactum e finis (8). Essa poteva essere stabilita con lo scritto e
con la parola (9): ed era di solita implicita nella securitas (10).
La S. P. inculca ripetutamente lo stretto dovere di ‘attenervisi (11):
ma per affermarla solevasi pur ricorrere a clausole penali (12) con l’ in-
terposizione della stipulatio aquiltana (13) o al giuramento (14).
Non si potea transigere per azioni penali (15) né, nel campo civilistico,
per liti alimentarie (16).
Un elemento transattivo era pure insito nel contratto divisorio che per
essere inattaccabile (17) doveva essere redatto in iscritto (18) o affermato
con giuramento (19). La ripartizione dell’asse ereditario in quote soleva
forse esser fatta privatamente tra fratelli o soci (20) quando tutti fossero
maggiori: ma essendovi in giuoco l'interesse di minorenni era certo neces-
sario l'intervento del giudice (21).
La S. P. conferma ripetutamente l'obbligatorietà del compromesso (22):
(1) S. P. 2.4.7; 2.12.18. Il dominus poteva pur dicere contro la compera fatta dal-
l’ actor in suo nome [4. 39. 3]. — (2) S. P. 4. 35.5. — (3) Non poteva naturalmente tran-
sigere chi non poteva obbligarsi come il furioso. Cfr. S.P. 4. 38.2. — (4) S. P. 8. 42. 6. —
o SNP274220" = (6) S.P. 34. 6,9; 7.60.38: 2.31.23: —(7), S. P. 2.244 — (8) SD.
24.37. — (9) S. P. 2.4.6,28, 33. — (10) S. P. 2.4. 4, 24, 25.— (11) S. P. 2. 4,2, 4.5, 15, 19,
22, 26, 27, 28, 29, 830 salvo naturalmente la frode [2. 4.12, 19,21] e l'errore essenziale
[2. 4. .19).—(12) S. P. 2. 4.40.—(13) S. P. 2.4.3. — (14) S. P. 2.4. 41; 2.12.18. — (15) S. P.
2.4.18. — (16) S. P. 2
l’efficacia con la contestazione di stato con la dictio de fide generis. Cfr. S. P.2.4.10.—
(17) S. P. 3. 38. 18; 3. 37. 38. — (18) S. P. 3. 38. 6. — (19) S. P. 3. 38. 6.— (20) Naturalmente
anche il contratto divisorio era infirmato se doloso o frodolento [3. 38. 3; 4. 21. 9].—-(21) S. P.
3.3.1 -5; 3.38. 5, 10. — (22) S. P. 2. 55.3. Almeno se era fatta o cum scriptura [2. 55. 4].
.4.8. Fatta la transazione non era lecito cercar di annullarne
72 IL CONTENUTO GIURIDICO
il lodo dei compromissarti (1) a differenza di quello degli iudices arvitres (2)
era inappellabile (3). Si soleva corroborare con una penale da pagarsi dal
contravventore (4). Non si poteva compromettere nelle mani di una
donna (5).
JE:S
Diritto penale.
Alla larga massa di notizie che la S. P. ci offerse intorno al diritto
privato non risponde quella che se ne può trarre ne’ riguardi del diritto
primitivo: la parte che di questo trattava ex professo andò infatto per-
duta. Ma qualche dato non trascurabile si può ricavare anche da ciò che
è rimasto (6).
Intorno alla imputabilità e alla responsabilità di chi commise un reato (7)
la S. P. non si ferma presupponendo un sistema già fissato per comune con-
senso: la S. P. 2. 34. 1, 2 potrebbe a tutta prima interpretarsi nel senso che la
minor etas non costituisse una discriminante, ma in realtà vuol dir solo
che al minore il quale avesse avuto l’animus nocendi non si accordava la
restituzione in integrum. Piuttosto è notevole l'affermazione del #utamen
inculpatae tutelae per chi uccideva il ladrone sul fatto (8) o il mules. sul-
l’atto stesso della violenza (9). Il complice era punito come il reo prin-
cipale (10).
La responsabilità criminale veniva d’altronde considerata come un quid
personale : non si trasmetteva all’erede (11) e non risaliva più dal servo al
padrone in quanto la responsabilità civile del padrone non faceva sfuggire
il servo alla punizione legale (12).
Il sistema penale stesso, quà mitigato là inasprito, non era precisamente
i] giustinianeo. La deportatio era andata in disuso e veniva confusa o con
(1) Pareva fossero legati da giuramento [S.P. 2. 55.4]. — (2) Cfr. p. 16. — (8) S. P.
2.55.5; 3.11.2; 3.13.1. — (4) S. P. 2.55.5. — (5) S. P. 4.55.6.— (6) Fissato il prin-
cipio che qui contra legem agit penis subiacebit la S. P. si rimette appunto alle leggi
per le singole determinazioni di esse [6.2.9]. In più luoghi si limita ad indicare
che un’azione dovea tenersi per delittuosa senza richiamar la pena. Cfr. S. P.
22.28.33 [interdizione altrui della facoltà di testare]; 3.1.10 e 3.12.13 [conven-
zione ad un secondo giudizio dopo aver già adito un primo giudice]. — (7) Cfr. la
dizione criminalis udmissio in S. P. 3.41. 4 e le altre crimen admittere [3. 24. 1,3), aliquid
mali admittere |3. 26. 9] e l’admissum della S. P. 3.41.83. Per la violazione della legge
la S. P. 3. 26.8 usa praeter facere in generale: il crimen denotava una violazione grave.
Notevole è anche la frase in crimine iacere [7.16.37]. — (8) S. P. 3.27.1. — (9) S. P.
SIZE) ISRAEL ES EMA O ESSERI
DELLA SUMMA PERUSINA 73
l’exilium (1) che importava la perdita dei diritti civili (2) o una denvinu-
to capitis (3).
Della pena di morte le forrne più frequenti erano la suspensio (4) o la
decollatio (5): in qualche raro caso la crematio (6). Alle condanne capitali (7)
conseguiva poi normalmente la confisca (8) definita come un’amissio sub-
stantiae (9) o rerum (10).
Che si ricorresse al carcere perpetuo (11) non pare: il carcere più che
una pena a sè era un mezzo per costringere a soddisfare le pene pecu-
niarie (12). Invece, benchè usati per lo più come strumenti di costrizione
alla confessione (13), furono anche pene a sè i tormenta (14) così come la
fustigatio (15) o la corporalis disciplina (16).
(1) S.P.6.24 1. — (2) S.P. 7. 12. 1; 7, 66, 3; 3. 36. 5. L'esilio comminavasi contro l’apostata
[S. P. 1.7.6], e i matematici oi maghi [1. 3.10], contro l’ebreo che circoncidesse il cristiano
[1.9. 14], contro il giudice che violasse le consuetudini locali [4. 63.6]; contro il pre-
fetto che non osservava le norme di legge pel libellus conventionalis [1. 50.2], contro chi
mutuava danari al giudice per compere illecite [4. 2. 16], contro il tutore che si appro-
priava i beni del minore |[8. 4. 6], contro chi usava di titoli abusivi [2. 14.1; 2.15.2]. —
(3) S. P. 6. 54.9. — (4) Più rara della decapitazione. — (5) Contro lo stupratore di monache
[S. P. 1. 2. 41], contro il giudice militare che si ingerisse nel civile (3. 13.5]. — (6) S.P. 1.9.2
contro l’ ebreo che ostacolasse la conversione del correligionario. La pena del rogo fu invece
soppressa dalla S. P. 3. 26. 9.—(7) Le frasi generiche capite puniatur [S. P. 1.2.5, 10; 1. 47. 1]
od occidatur [1.10.1; 1.12.5] o ad supplicium veniat [1. 12.4] o poena supplicii consequitur
[1.21.3] o suppliciis adfligatur [1.8.1] non permettono di stabilire il genere di morte
inflitto a chi ingiuriava gli ecclesiastici nell'esercizio delle loro funzioni [1.2.10], a chi fa-
ceva tumulti in chiesa [1.12.74], a chi vendeva i pubblici frumenti [4. 40. 3. 4], ai malefici
[1.10.1], ai manumissori dei servi altrui [4. 55.4], ai violatori dell’ asilo ecclesiastico
(1.12. 5], al giudice che traesse al giudizio una matrona [1. 47.1], a chi segnava la croce
in luoghi turpi [1.8.1], a chi appellava a lite non finita [1. 21.3]. — (8) Comminata
contro chi carpiva surrettiziamente un rescritto [S. P. 2.6.8], contro 1’ uccisore del
servo fiscale [2.26.2], contro il dissipatore dei publici ornatus [8.16.6,7; 8.10.99],
contro chi abusava dei titulî publici [2.15.1], contro il servo che non difendesse il
padrone [6.35.12], contro chi non vendicava il de cuius [6.35.3].—(9) S. P. 1.5.6;
A SIL ISTE SA 1260. bonorum |1.32. 4|]. Anche trovasi detta prescriptio
bonorum [1.50.10], infiscatio (1.7.1; 2.6.8], adfiscatio [1.32. 4; 2.6.8], publicatio [1.7.2].
V’era pure una confisca speciale consistente nella perdita del grado o dell’onore [2. 7. 15;
3.13.7; 2.7.14; 1.11.1; 1.2.80] o di singoli negotia [2. 1. 24; 2. 5.5; 3. 15. 6] o cause [6. 35. 3].
— (11) S. P. 7.2.11. Mitigazioni del carcere in 1. 3. 4, 9. — (12) Codeste multe, concepite
come dationes. al fisco [S. P. 1.39.14; 1.41. 2; 1. 44.2; 1.48. 1; 1.50. 3; 1. 53. 1. etc.] vanno
nella Summa Perusina dalle 3 [1. 30.4; 1. 47.3], alle 5 [8.2.1], alle 6 [8.11.12], alle 10
[1.50.5,6, 13: 4.65.32], alle 20 [2.12.25; 7.65.6], alle 80 [1.41.2; 1.54.10], alle 50 [1. 2. 13;
1.916; 1.32.2; 1.89. 14; 1.44.92; 1. 48.1; 1.22. 3; 2.7.6;8.11.8, 19; 8.12. 1; 7. 65.5], alle
100 [1. 3.14; 2.6.8], alle 150 [1.39.6], alle 300 lire [1.2.22; 2.15.2]. Lo dus multandi
L. 50.12; 1. 39.9, 15; 1. 53.1; 8.11.8, 9] par negato al procurator fisci [1.53.2]: il pre-
fectus pare l'avesse sino a 50 lire [1. 53.4]. — (13) S. P. 4.62.12. — (14) S. P. 1.6.4;
8. 16.7. — (15) S. P. 1. 39. 12; 1. 74.12. N’erano esenti i curiales [2. 11.3, 14]. — (16) S. P.
3.2.1. Servitù come pena in 4.61.11 per chi esportava sale. 10
14 IL CONTENUTO GIURIDICO
L'infamia o la decoloratio (1), oltre al conseguire alle sentenze capi-
tali (2) e alle condanne per ingiurie ai magistrati (3) o per calunnia (4)
o per peculato (5) era pena a sè per il giudice prevaricatore (6) o dene-
gante giustizia (7), pel senatore violento (8), per l’elettore simoniaco del
vescovo (9), per il compratore doloso di refurtiva (10), per il dilapidatore
di sostanze a lui affidate (11), per l’ usuraio (12), pel violatore di patti
giurati (13), pel litigatore temerario (14), per la monaca scostumata (15),
per la vedova che violava l’anno del lutto (16), per chi dava ludibrio di
se stesso (17).
Dei reati contro lo stato la S. P. combatte anzitutto il reato di lesa
maestà assimilato ancora al sacrilegio (18) con l'offesa alle statue impe-
riali (19), il temerario ingresso nel cubiculum dell’imperatore (20), la
negata obbedienza alle iussiones imperatorum (21) e i reati contro la si-
curezza dello stato come il porto d'armi ai nemici (2). Quindi gli atten-
tati alla publica prosperità come la vendita dei pubblici frumenti o di
terre pubbliche (23); la renitenza al pagamento dei tributi (24); le com-
binazioni monopolistiche (25); l’usurpazione dei pubblici edifici e statue (26).
Poi l'abuso nell’ esercizio delle pubbliche fanzioni da parte di ufficiali
come l'assenza dalla loro sede (27), la prevaricazione (28), la violazione
della competenza altrui (29), le pignorazioni arbitrarie (30), le negligenze
nell’amministrazione (31), le esazioni indebite (32), le multe eccessive (33),
le convenzioni arbitrarie (34), il rifiuto di accogliere appelli e reclami (35),
le sentenze ultronee (36) e d’altro canto le manovre per deviare i giudici
e gli amministratori dal loro ufficio con appelli abusivi (37) e corruttele (38).
Infine l’usurpazione di pubblici uffici (39) e l'esercizio di pubblici poteri
allo scader delle cariche (40).
Di reati contro la religione e la chiesa la S. P. contempla in primo
(1) S. P. 1.2. 29; 1. 24. 1; 1. 53. 1; 5. 30. 2; 2.19.6.—(2) Non però al carcere [2. 11. 1] o alle
fustigatio [2.11.15] se non era accompagnata da una clamatio preconis, nè all’ am-
monitio [2.11.19]. — 8) S. P. 2.11.5.— (4) S. P. 2.11.10. — ©) S. P. 2.0 6,9.=
(6) (SB 2INE 6; N53 (MISA 6201921 (0)STRI2A9I6 10) SRAS 220)
= (10). S. P-2:4101..8. — (IST P=2 1.9 — (2))SP. 2010120719) IS ARA I
e pel violatore di testamento [4.55.4], non per chi rifiutava 1’ eredità paterna,
[2. 11.7, 11).—(14) S. P. 2. 14. 1.-- (15) S. P. 1.3.3. — (16) S. P. 6. 55.4; 2. 11.15.—(17) S.P.
2.11.21. —(18) S. P. 1. 23.5. —(19) S. P. 1.24. 9,3. —(20) S. PB. 1. 47.3.—(21)S. P. 139.1.=
(22) S. P. 4. 41.2. — (23) S. PB. 4 40.3, 4. — (24) S. P. 4.61, 4 — (25) S. P. 4. 59.2
(26) S. P. 1.24. 1. — (2%) S. P. 1.39. 15; 1.44. 12. — (28) S. BP. 1 26.3.—(29))S. P. 13272;
1. 44.2. — (30) S. P. 8. 16.7; 9.3.2.1. — (31) Perperam agere [S. P. 1. 39. 12, 17].— (82) S. P.
1.39, 7,8; 1.4. 15; 1.50.3. — (83), S. P. 1. 53. 1. — (34) S° PB. 1. 47.1 — (85) SD. 1° 2253;
1.41.2.— (86) 1.50.2, 11. L’ordinar viaggi in stagioni vietate [S. P. 1. 39. 6]. — (37) S. D.
1.21.3. Quindi fu mantenuto per essi il sindacato [1. 48.1; 1.50. 3]. — (38) S. P. 49.1,2;
3.1. 10. — (39) S. BP. 1.31. 4 — (40) S. P. 1.39.%.
DELLA SUMMA PERUSINA ; 75
luogo l'eresia (1) e l’apostasia (2), poi l'esercizio della mathematica o della
fattucchieria (3), il disprezzo della croce (4), la simonia (5), l’impedimento al
sacerdote nell’esercizio delle sue funzioni (6), la violazione della giurisdi-
zione ecclesiastica (7). Una speciale protezione fu data alle persone degli
ecclesiastici e specialmente del vescovo o alle proprietà della chiesa (8): e
certi delitti furono puniti più gravemente (9) se commessi contro o da per-
sone ecclesiastiche.
De’ reati contro le persone si ricorda il plagio (10) o la vocatio di per-
sona libera 2 servitutem (11), Vl eunuchizzazione (12): de’ reati contro la
libertà individuale la coazione al testamento (13); de’ reati contro la fa-
miglia la mancata vendetta del parente ucciso dai servi (14): de’ reati
contro la persona e l’onore lo stupro e il ratto aggravato se si trattava
di donna sacrata (15), e le ingiurie al clero o al magistrato (16).
Il furto, concepito come un’occulta delatio rei alienae (17), era general-
mente punito nel quadruplo (18) così come il peculato (19) e il furto ca-
lamitoso (20). Al furto fu assimilata l'assunzione di danaro da un servo
altrui (21) e l’impiego abusivo del denaro dato in accomandita (22): il
ricettatore era punito come il ladro (23). Il duplum si pagava invece pei
danni recati alle proprietà altrui (24), per la morte colposa di animali
(1) S. P. 1.3. 6; 1.6.2. Confisca ai nestoriani [1.5.7]; tormenta ai religiosi che non
fossero ossequenti ai loro presules [1.6.4]. — (2) S. P. 1.7.6 con pena capitale; 1.9.2
pena del rogo al giudeo che vieta al giudeo di farsi cristiano; 1.9.13 esilio al giu-
deo che circoncide il cristiano; 1.7.1,2,5 confisca al cristiano che si fa giudeo,
1.10.1 pena capitale a chi cerchi di convertire il servo. Gli ebrei conservavano le loro
sinagoghe [1.1.6], ma una multa di lire 50 era imposta a chi ne edificasse di nuove
[1.9.16]. — (8) S. P. 1.11.1,3 pena capitale ai malefici, 1.3.3 esilio ai mathematici. —
(4) S. P. 1.8.1: pena capitale a chi segnasse la croce in turpibus locis. — (5) S. P.
1.2. 29. — (6) Pena capitale contro chi inquietava il vescovo nelle sue funzioni
[1.2.10] o mentre sedeva in sacrario [i.2.14| — (7) Multa di lire 50 al chierico appel-
lante dal vescovo al giudice pubblico [S. P. 1.3.24]. — (8) Qui si notano molte dispo-
sizioni nuove come quelle che multavano in 300 lire d’oro l’accusatore ingiusto del ve-
scovo [S. P. 1.2.22] e in lire 50 chi violava i privilegi ecclesiastici e che condannavano
alla confisca e alla perdita del grado l’ executor che convenisse malamente il vescovo
[1.2.31].— (9) Stupro di monache punito con pena capitale [1.2.5]. Turpitudini mo-
nacali 1.3.2. — (10) Definizione in 3. 15.2. Cfr. 7. 16. 6,37; 7.49.1,2.— (11) S. P. 7.14. 5.
— (12) S. P. 4.42.1.— (13) S. P. 6. 34. 1-3; 2. 28. 23.— (14) S. P. 6. 35. 3, 12. Concubinato
punito in . 15.3. — (15) S. P. 1.2. 41. — (16) S. P. 1. 2.10. — (17) S. P. 4.20.3. Sociare
sibi rem alienam è sinonimo di furare in S. P. 1.24. 1. Il furtus è contrapposto alla vio-
lentia in 2.19. 1. — (18) S. P. 3.41.4; 1.2.11. Dalla S. P. 4.8.1 parrebbe che in caso di
complicità il quadruplum non si esigesse singolarmente dai correi, ma una volta per
tutti. — (19) Il quadruplum si dava anche per le vendite imposte con la violenza se
agivasi entro l’anno. Furto e occultatio di servi in S. P. 6.2.6, 10,14, 20.-— (20) S. P.
BIZ (21) SAP 6n1 — (22))SP”6.2.1 — (23) S. P. 6.2. 12. — (24) S. P. 3.35. 4.
76 IL CONTENUTO GIURIDICO
indebitamente catturati (1), per l’uso della cosa comodata (2) o deposi-
tata (3) o del servo affidato per la nutritio (4), per l'invasione violenta
delle proprietà altrui (5), per la eccedenza nell’ esazione dei tributi (6),
pel rifiuto di rendere la cosa presa in conduzione (7). La manumissione
del servo altrui era punita nel duplo se il servo era di privati, nel triplo
se del fisco (8).
La rimozione dei confini era punita colla perdita della res (9): la ven-
dita frodolenta di sè stesso colla perdita della libertà (10). Dei delitti di
falso, che si ricordano nelle fattispecie della falsificazione di documenti (11)
e degli incendi dolosi non si specificano le pene (12).
go
=
(1) S. P. 3.35.5. — (2) S. P. 6.2. 18. — (8) S. P. 4.34.3. Per la vendita della cosa
altrui cfr. 8. 44. 63; 4. 52.5: essa è raffigurata come furtum in 7.26. 7.Il duplum si doveva
anche nelle predationes a danno di giudei e pagani [1. 11. 6].— (4) S. P. 6.2. 15. — (5) S. P.
8.4.5, 7, 10, 15. — (6) S. P. 2. 11.2. —(7) S. P. 4. 65.33.— (8) S. P. 7.10.7. Cfr. pure
2.130.3. — (9) S. P. 3.39. 4. — (10) S. P. 7.13.5; 7. 18.5. — (LI) S. P. 4:20.20; 4.42.21
Falsificazione della subscriptio imperatoris in 1. 23.6. La frodolenta richiesta di rescritti
contrarii ai senatusconsulta era punita con la confisca del terzo degli averi [1. 17.1] e
con piena confisca punivasi se per essi si nominava avvocato un non cristiano [2. 6. 8]
comminandosi insieme la confisca della metà dei beni al giudice che l’ avesse preso
quale assessore. — (12) S. P. 3.35. 2.
NEBPRPENDICEXI
Età e patria delle Adnotationes.
_y_-
L’esame or compiuto, richiamando nel fiotto della storia viva un monumento
troppo spesso trascurato come irrilevante o incomprensibile, conferma essenzial-
mente in rapporto alle questioni dell’età e della patria sua le conclusioni del
Conrat e del Patetta. La immunità dall’ influenza del diritto longobardo ac-
certa invero che fu redatto fuori del regna langobardoranm e malgrado alcune
note stilistiche grecizzanti, come l’uso del verbo al singolare col soggetto al
plurale (1), e malgrado il ricorrere di termini specialmente usati nel raven-
nate (2), poichè nè l’uno nè l’altro fatto può considerarsi assolutamente pecu-
liare di quella regione, convien pensare che la origine romana sia sempre la più
probabile come quella che già è suggerita da ciò che sotto il nome di ca-
pitula iustinianae legis le Adnotattones Codicum furono spesso allegate in carte
romane (3). A questa ipotesi da appoggio il fatto che il manoscritto origina-
rio delle adrofationes fu probabilmente scritto in caratteri longobardi (4) e
d’altronde anche il contenuto intrinseco della Sz774 la corrobora.
L'organizzazione giudiziario-amministrativa della cz0//48, a cui appartenne
il suo compilatore, corrisponde infatti sufficientemente a quella che Roma ebbe
nel medio evo.
(1) Cfr. Arch. giur. XI, p. 266-267. — (2) Di causidici si parla anche in Roma. Cfr. Lib. pont.
[ed. Duschesne] 1.330, 359. — (3) Cfr. il CONRAT. Geseh. d. Quellen u. Lit. d. rom. Rechts im friih.
Mittelalt. Leipzig. 1889, che cita i doc. del 999 e del 1014 del Reg. farf. n. 437-492, e il PATETTA,
p. XLV, che alle testimonianze addotte da lui ne aggiunge un’altra del 996 desunta dallo Hart.
mann. S. Mariae in Via lata tabularium n. 24. I capitoli citati sono la S. P. 4.21.19,20, di
cui potremmo scorger l’influenza anche in Reg. farf. 658 [a. 1012], e la S. P. 7. 43. 8-9 di cui potremmo
pur veder traccie nel Reg. farf. 535 [a. 1021] e 657 [a. 1011]. — (4) Donde il non rado sostituirsi
del ? all’a e dell’a all’ e dell’» all’s. Cfr. PATETTA, p. XV. Nessuna speciale conclusione può trarsi
dal fatto che l’e si sia frequentemente mutato in i [potis, abis, debis] e li ine [p. solves] nè
dall’anarchia dei casi onde spesso l’accusativo si è messo al posto del nominativo e fin dell’abla-
tivo solo esteriormente confondendosi con questo per la caduta della n finale.
78 IL CONTENUTO GIURIDICO
Se pur non è noto quale sia stata realmente la sorte della prefectura urbis
dopo il 600 poichè dal 597 in poi i documenti tacciono a suo riguardo, non
si può tuttavia concludere senza più alla sua caduta. E già il Cohn (1) pensò
che l’antica magistratura fosse sopravissuta mutando forse natura e impor-
tanza: certo è che sotto Adriano I (772-795) il praefectus urbis ricompure (2)
con ampie funzioni giurisdizionali, nè sembra che fosse di recente risuscitato (3)
e più d’un indizio farebbe credere che appunto il praefectus nrbis, non l’esarca,
nominasse gli 7u4zces, gli ufficiali del territorio che, forse non a caso, pur il
Liber pontificalis designò talvolta come provincia. Come nella Summa nel ter-
ritorio romano troviamo anche dei co7zzfes proposti a singole borgate (4).
Nè a Roma mal s’attaglia quello che la Samma perusina lascia scorgere
intorno all’attività del serazus.
L’opinione dello Hegel il quale, movendo da una troppo letterale accezione
delle lamentele gregoriane sulle rovine di Roma e degli ordini suoi avea
creduto che il senato romano fosse già spento agl’inizii del secolo settimo
ha perso terreno dopo le obbiezioni del Cohn, del Patetta e recentemente
del Meyer (5): il Liber pontificalis II, 6 e il Codex carolinus 24 e 131 offrono
invece buon argomento a sostenere che esistesse ancora un corpo senatorio
distinto dalla wilitia, dal clerus e dalla plebs nè è inverosimile che avesse
tuttavia qualche parte nell’amministrazione urbana esplicando magari qualche
funzione legislativa per mezzo dei suoi serafus consulta (6).
Neppure fa ostacolo il ricordo di un cezsor: di un magister census si ha men-
zione sotto Paolo I (757-767) e appare ancora nell’ 822 e nell’ 850 e in tempi
a noi più vicini con funzioni rispondenti a quelli che la Summa gli attribui-
sce: a lui mettevano capo le varie stafzones di fabelliones (1).
E pur quel che sappiamo intorno all’ ewercifus romanus non contrasta con
ciò che la Summa dice: in Roma si mantenne lungamente la organizzazione
in danda dipendenti nel loro complesso dal magzster militum o dal dux. Uf-
ficiali subalterni erano i comztes e i #ribuni (8). E distintivo dei mlites, legati
forse da apposito giuramento e stipendiati dal pubblico, fu in Roma come
in Ravenna, il cingulum che veniva smesso dopo la mzsszo.
(1) Conn, Die Stellung d. byzantinischen Statthalter in Ober und Mittel Italien, Berlin 1889,
p. 39 seg. — (2) Lib. pont., ed. Duschesne, p. 490. Cfr. anche ARMBRUST, Dieterritoriale Politik d.
Ptipste vom 500 bis 800, Gottingen 1885, p. 29 e il KELLER, Die sieben ròmischen Pfalzriehter im
byzantinischen zeibatter, Ssuttgast 1904, p. 12, n. 3. — (3) Di iudices publici contrapposti eviden-
temente ai privati è cenno in Cod. dipl. cajet., n. 285 a 1109 e in Neap. Arch. Mon. n. 228 &
992 e n. 567 a 1117. — (4) Cfr. GrecoROvIUS, Storia della città di Roma, Roma 1901, I, p. 381,
590, 634 e seg. — (5) MEYER, Die Schenkungen Constantins « Pipins, Tiibingen 1904, p. 20, n. 20.
Cfr. KELLER, p. 135. — (6) Il KeHR, Papsturkunden in Mailand in Nachrichten A. Gesell. d. Wiss.
von Gottingen (1902), p. 83 n. 4 riporta una decretale falsificata che dovrebbe essere del 932-942
e che ricorda esplicitamente un caput senatus. — (7) Vedi la prefazione delle Hartmann al Zabu-
larinus d. Mariae in via lata ; e il Tab. S. Mariae nove n. 9 in cui nel 1038 una donazione
appar redatta coram conspeciui subnotatis prudentissimis et sollertissimis censoribus. — (8) Il
Cod. car. ricorda nell’ottavo secolo duces, cartularii, comiles, tribunenses.
DELLA SUMMA PERUSINA 79
Ma anche altri argomenti di diversa natura potrebbero suffragare l’origine
romana. La civzfas, in cui l’autore viveva, era centro di una certa naviga»
zione (1), ma d’altronde non si trattava di una navigazione di lungo corso ©
il magister navis delle fonti si tramutò in un @ar/ifex navis, ciò che difficil-
mente sarebbe avvenuto p. es. in Ravenna (2). Poi era anche sede di cul-
tura: al magister stndiornm liberalinm delle fonti la Summa Perusino sostituì
il gramatiens (3) rivelando l’esistenza di usi che si propagarono poi fino all’età
irneriana (4) e gramatiei non mancarono mai in Roma (5), dove, sebbene il
greco non fosse molto diffuso, v'era pur chi poteva valere della lingua greca
nei testamenti e nei giudizi (8).
Per quanto riguarda la patria della Summa perusina son dunque piena-
mente d’accordo col Patetta. Se qualche divario d’opinione vi potesse essere
fra noi questa concernerebbe soltanto la questione dell'età: io tenderei a
crederla alquanto più recente di quel ch’ei non pensi appunto per il fatto
che la prefettura del pretorio era sparita. Secondo lo Zachariae, in base alle
fonti bizantine, dovrebbe ammettersi che ciò fosse avvenuto già nella prima
metà del secolo settimo e sotto Eraclio (610-641) o sotto il suo successore (7);
ma secondo l’Hartmann (8), il Diehl (9), il Cohn (10) e il Patetta (11) stesso,
avrebbe vissuto un pò più a lungo, benchè non oltre la fine del secolo. An-
cora nel 681 si fa menzione di un praefecturins e, scartata giustamente
l’ ipotesi del Duchesne (12) che fosse con tal vocabolo indicato un ufficiale
addetto alla prefettura, si deve certamente ammettere col Patetta (13) che,
come nelle epistole di Gregorio magno (14) denotasse lex praefectus, 1° dro
705/00 (15) poichè il documento, in cui è rammentato (16), esclude che la parola
possa essere stata semplicemente usata, come nel glossario cassinense (17), ad indi-
(1) E anche d’un certo commercio. Cfr. S. P. 4. 60.1; 4. 63.1, 3,5. MNegotium nella S. P. val
spesso quanto merces [3. 38.4; 7.48.1; 1.3.2; 4.41.1; 4. 63.2; 4.32.23; 4. 61.5; 4.63.1].—
(2) S. P. 4. 25. 4. — (3) S. P. 3. 28. 37. — (4) Pier Damiani Sum. 39 parla di contubernales in li-
beralium artium studiis e ancora nelle glosse d’Irnerio al Digestum vetus si ricordano le scole di
grammatica come tipo di società. Nel Corp. gloss. il gramaticus è spiegato appunto come un doctor
liberalium literarum. — (5) S. P. 7.2.14; 7.45.11. — (6) Si aggiunga a tutto ciò che alcune voci
e frasi usate nelle Adnotationes non furono da me incontrate che in documenti meridionali come
annositas=praescriptio [efr. Mon. neap. arch. n. 863 e Lib. Pont. I. 213 a.1116] e rationalis=conduetor
[cfr. Res. farf. 114 a 778 e 147 a. 789]. Altro argomento potrebbe essere offerto dalla relazione
con le glosse all’Epitome Iuliani di cui parla il Conrat a p. 194 e segg., per cui cfr. special-
mente le esplicazioni di dos, usufrucetarius, privatus, magistratus, fulcidia, administrare, eque,
sponsalia, fisco, civiltulem, pretorium, curialis, obponere, e con i glossarii sorti nell'Italia meridionale
col cassinese 402 p. es. dove son notevoli le esplicazioni di censorius, decoloratio, obnozxius, pre-
fectorius e col vaticano 3321 ove meritano riguardo le esplicazioni di udministrat, di advena, di
adoptivus, di adsertor, di aerarium, di causatur, di clam, di censores, di censum, di census, di
contumar, di commodat, di collegium, di depositum, di duces, di emancipet, di exsul, di ignomi-
niosus, di induciae ete. — (7) ZACHARIAR, v. Lingenthal, Geschiehte d. griechiseh-rom. Reehts,
p. 353. — (8) HARTMANN, p. 41. — (9) DreHL, p. 157-166. — (10) Conn, p. 10. — (11) PATETTA,
p. LXIII e seg. — (12) DucHESNE, Zid. pont., I. 519 n. 76. — (13) ParETTA, p. LXIII, n. 4. —
(14) Greg. I Zp., IX, 15. — (15) Cfr. SCHLUMBERGER, Sygillographie de V empire byzantin, 1886,
p. 211. — (16) Cfr. MARINI, Pap. dipl. 132; FanTUZZI, Mon. rav., VI, 263-264; TROYA, Cod. dip.
long., 347. — (17) Corpus glossariorum latinorum ed. Goetz, V. p. 850.
80 IL CONTENUTO GIURIDICO
care colui qui preeret urbi, accezione che si sviluppò nell’Italia meridionale
lungo i secoli nono e decimo (1): però ove ciò si ammetta non v’è necessità
di escludere che i summaria perugini, i quali in 3.11. 3 considerarono
come sinonimi le voci praefectus e praefecturius applicandole al praefectus ur-
bis, possano essere anche pur della fine del secolo settimo.
E forse sono anche un pò posteriori poichè, laddove si accenna ad una
diretta dipendenza del praefectus urbis dall'imperatore, non si trova traccia
della sua dipendenza da alcun altro più alto ufficiale imperiale p.es. dall’e-
sarca. Il Patetta osservò con ragione che il non trovare esplicitamente ri-
cordata questa dignità non basterebbe ad escluderne l’esistenza, poichè, data
l'origine dei summaria che furono in origine una esplicazione riassuntiva
della legislazione giustinianea e non volutamente un manuale del diritto dal
tempo, era ben spiegabile che l’aufore non vi inserisse il ricordo di un di-
gnitario che nel Codice non figurava: tuttavia, poichè è innegabile ch’egli mo-
dernizzò spesso inconsciamente la materia che avea per le mani, il fatto or
rilevato ha sempre molta importanza. Ma si sa che nel principio del secolo
ottavo Roma tendeva già a scindersi da Ravenna opponendo all’esarca un pro-
prio duca-patrizio.
L’età più recente della 5772724 dovrebbe parer tanto più probabile a quelli
che nella commendatio della 4. 8. 8. S. P. volessero scorgere una emancipatio
per commendationem e nella uxor mercalis volessero ravvisare un accenno ai
matrimoni con l’acquisto del mundio, ipotesi però che non sono per me trop-
po sicure.
(1) CICCAGLIONE, Le istituzioni sociali e politiche dei ducati napolitani, Napoli 1892, p. 108.
ABRENIDICERIE
m______-
Proposta di correzioni e supplementi
Lo studio minuzioso della Adrotatrones mi ha fatto parer probabile, accanto
a quelle acutissime del Patetta, le altre emendazioni che seguono (1); segno
in corsivo le lettere o le parole aggiunte e fra parentesi quadre quelle che le-
Verel:
1.1.1 lin. 9 sub pari; lin. 12 motus animi; 1.2.1 lin. 1 pecuniariis, ab ospites; 1.2.2
ab executore, rogatione, proficiat; 1.2.6 et ostiariis et gerentes, vel bona; 1.2.9 dia-
coniîssa; 1.2.13 auri pena; 1.2.14 si quis est ibì ad; 1.2.15 de domum; 1.2.16 et honera
privilegiîs; 1.2.9 nam ad; 1.2.20 sî decesserint, 1.2.21 dat quod; 1.2.22 aliquem ad
iudicium, salventur; 1.2.23 abolita 1.2.25 pro sportulo, pro commodo; 1.2.27 quietus
in ministerio; 1.2. 98 si reliquerit, 1. 2.19 iudicîo, decoloratus sit, orphanotrophus, w-
versitati civium; 1.2.35 ad aliam; 1.2.37 ecclesiasticus, ad pauperes, ab episcopis fit,
1.2.39 non potest uti his; 1. 2.40 debeant impendere; 1. 2.42 se deum, et post ad; 1.3.2
sî.ab episcopo; 1.3.7 fuerint; d. 3.8 @ definitione episcopi; 1. 3.10 conducendi; 1.3.14
vel alia; 1.3.17 si cui debuerat erogari; 1.3.18 etsi, proposita evangelia; 1.3.20 ipse
spondeat; 1.83.21 Contra pupillum debitorem, ad episcopum; 1.5.9 ad heretica; 1.5.10
hereticis, hereticos; 1.5.12 testamenta valeant; 1.6.4 presulibus non; 1.7.5 qui, fidei
doctrinam etiam imperii amissione; 1.8.1 turpibus; 1.9.6 iudecis; 1.9.9 festivitatis so-
lemnia; 1.9.13 eius concrement; 1.9.15 presidibus ; 1.9. 16 officio muriatur; 1.11.5 vin-
dicet [ur] christiana; 1.11.7 audeant; 1. 11.8 locus sacro; 1.12.1 propter crimen; 1. 12.3
et requisitus, culpe fugisse, defendit; 1. 12.5 Uti, în sacrosanctis, possint; 1. 14.2 non in;
1.14. 3 cause cognitione; 1.14.5 que, sacramenta confirmata; 1.14.9 hac în urbe; 1.15.17
(1) Mi è rimaste in tutto o parzialmente indecifrata la S. P. 1.2.1, 27; 1.3.9; 2.3.24; 2.11.4,
PIRAM AZA AZ L98102 L65204 8 A AAA 80); 7. Zi 19: A3016]
ORSI CATIA 438137 ATALA A 49 67 4. 61.8 4,63..6;15,122..1,3; 5.31.11; 5.37.28; 5.38.22
5. 3a © 2 ehe DeL Rei I ALI DR TOR EA LS T.TO.1:
SZ SISSI: 860309), 18:08, LEA: 8 83569: 83768.
11
82 IL CONTENUTO GIURIDICO
late leges, prohibet; 1.18.1 et addictus es; 1.18.9 factus est; 1.18.13 subveniatur ut
possit id în; 1.19.2 non valeant, ledent; 1.19. 4 quisquis; 1.19.5 secundis causîs; 1.19.7
preter quam; 1.19.8 oraculum datis, 1.22.1 imperialibus rescriptis; 1.23.3 ab impera-
tore; 1.23.4 leguntur; 1. 23.5 alicuzus, obviari audet, sacrilegus; 1. 23.6 purpura; 1.24.3
imperatorum; 1. 24. 4imperatori dicatas fuerint; 1. 26. 3 et ipsî, egerint 1. 26.5 que ad mini-
strationem; 1. 26.1 facit annonarum, capitum, ne provinciales; 1. 27. 1 qui debeat; 1. 27.2
advocandas sint; 1.27.4 corporatorum; 1.28.83 placitare; 1.28.3 tributariorum; 1. 30.4
sî quis sua, dignitatem et; 1.31.2 resideat; 1.31.3 cuiquam; 1.30.5 aliquem sine; 1.32.2
rerum privatarum, penam inferat; 1.37.3 inquisitionem vel, a patre liberandi vel eman-
cipandi; 1.39.2 obprimere audeat; 1.39.4 ut qui, maior nec: 1.39.7 gerit sì futura;
1.39.8 gesserit, substantiam et officium eius; 1.39.17 în eum qui; 1.40.1 manifestet ut
puniatur; 1. 41.1 casum quaerendi; 1. 41.2 exigenda; 1.44. 3 pregesserit et; 1. 44.4 com-
morari debeant; 1.46. 1 sustineantur; 1.47.2 sî quis de honoratos, ingressus est sî; 1. 49.1
vicarius, 1. 50.3 iudicis, eîs quos gravaverint; eî quem; 1.50.6 domestici, retinentur;
qui retinet penam; 1.50.10 sî fuerit; 1. 52.1 prettum qui, absque veste, edificari facere;
1. 53. 6, efficit, auri rector provinciae multetur; 1.53.10 a[b]usu; 1.54.2 facultatem habeant
1.55 rub. iuridici; 2.1.1 [t]ra[di]tiones; 2.1.5 et de; 2.16 driustum; 2.2.3 autem non;
2.3.1 eius quì; 2.3.2 pulsatus tenetur dere; 2.3.3 Restituto; 2.3.5 propter beneficia;
2.3.7 faeta, esse debeant; 2.3.8 et fetus; 2.3.15 ut filia moriente; 2.38.16 cedat walet;
2.3.19 alterius; 2.3.20 traditione et, filet; 2.3.21 pactum WRadent; 2.3.27. debitoris,
exigat; exigere; 2.3.29 quod dicat; 2.3.30 ?s cui; 2.3.31 pacisci, hominis viventis 2.4.1
cum tertio; 2.4.2 per cautionem; 2.4.9 dedit; 2.4. 11 est pater; 2. 4.12 quod admi-
nistratus es[t], sì post gravamen; 2.4.20 extra; 2.4.23 si post; 2.4.24 post tradi-
tas; 2.4.25 ad abunculos, remisisti; 2.428 in verbo facta; 2.43, 1 pacto sunt si;
2.4.33 scriptura; 2.4.35 transactione; 2.4.41 post posita; 2.4.42 de servili; 2.5.1
plus reddere; 4.6.1 a prefecti, iussione; obtemperabis; 2.6.5 sî exinde, extra dudicium;
2.6.6 quod sî, suscepisse cognoscit, suscepto negotio, post sedere; 2.6.8 christianos ad-
vocatos, si quis, ei qui; 2.7.1 [si], per sententiam; 2.7.5 probaturia recepta; 2.7.6 auri
libras; 2.7.7 dignitate f[ie]rwi; 2.2. 10 consiliarius fuit; 2. 7.11 advocatos habere; 2. 7.14
sî in; 2.7.17 advocationem fori; 2.7.18 et honores; 2.7.20 biennio #rarsacto, ab sportulis
immunes sint; 2.7.21 sint sine; 2. 7.24 fisci patroni; 2.7.2 commeatu[m]; 2.8.1 post
actionem, 2.8.3 advocatus; 2.8.4 finiantur; 2.9.1 est velud; 2.9.3 iam dato mon licet;
cause litigatorum; 2.10.1 sì quod; 2.11.1 fuerint, fit; 2.11.2 plus debito; 2.11.5 pro
consuli[s]; 2. 11.6 pertinuerit iudex; 2.11.11 sibì obvenit; 2.11.13 pater filium; 2. 12.19
designavit auctorem; 2. 12.1 mandator; 2. 12.2 per procuratores; 2. 12. 3 ipse litigat; 2. 12.8
procuratorem; 2. 12.10 constituunt; 2.12.14 suscipere; 2. 12. 15. Sì a procuratore quis;2.12 17
per procurationem, pupillo procuratio licet; 2.12.18 actori dominum; 2.12.21 sicut; 2 12.21
nisi crimen aut inîmicitia, casus intervenerit; 2.12.23 domini litis; 2.12.24 si procurator;
2.12. 25 si per; 2. 13.2 creditores cau[sa|]tionem habentes; 2.14. 1 poena.....; 2.15. 1 sì qui,
res publice; 2.15.2 poena multentur; 2.16.1 adversarii; 2.18.4 gubernandum suscepit;
2.18.6 ei qui, filiorum: 2. 18.7 abes actionem reliquit; 2.18.11 pro filiis, recipiet; 2. 18.13 pro-
pter funus; 2. 18. 14 causa eorum; 2.18 16 sî quod, censum fisco; 2. 18. 17 a successoribus cu-
ratoris; 2. 18. 19 coher[ed]es tuus ratum; 2. 18. 21 rationes edendas; 2. 18. 22 si quod; 2.18.23
sî qui, quid danni, reputari debet; 2. 19.1 per vim; 2.19.4 în simplo; 2. 19.5 rem petat;
2.19.9 volente; 2. 20.4 et promisit, quos abet; 2. 20.5 instituisti patrem; 2.20.6 ex insi-
diis dolus; 2. 20.7 hereditatem fratris; 2. 21. 2 in hereditatem, eam impedit; 2. 21. 4 contra
emptorem, si quod, potest; 2. 21.7 si male egit; 2.21.8 si que; 2. 22. 2 propter patrem; 2. 23. 1
DELLA SUMMA PERUSINA 83
hereditatis, evictione non; 2.24. 1 minoris; 2. 24.2 sì minores praesente tutori; 2. 24.4 quod;
2.26.1 ef tibi, potes[t]; 2.26.2 si que contra; 2.26.3 sententians, post per; 2.26. 4 în integrum:
2.26.5 si contra; 2.27.2 propter fraudulentas; 2.28.1 ea sì; 2.29.1 potes[t|; 2:29.2 in te et;
în alium trasferendo nihil, ei patre; 2. 30.1 libertatem non, liberti a curatoribus; 2.30.3 vi-
ginti quinque, potes[t], talidus; 2. 31.1 quod; 2.32. 2. non sunt; 2.33.1 minoribus ammis,
omnes res, potes[t]; 2. 34.4 filiîs; 2. 36.2 vel privatis; 2.37.1 sciens; 2.37.8 alicui pro;
2. 38.1 propter illum non; 2.38.1 si avi, es[t], etatem salvatur; 2.39.1 paterna; 2.40. 3
tempus non; 2.40. 5 repetitioni tempus, aliter quam; 2.41.2 familiaritatis causa; 2.42. 3
potes[t]: 2. 42. 4 utigque, iudicis; 2. 43.1 es[t]; 2.44.1 illis; 2.44 2 pro agendas, [hoc],
propterea; 2. 44.3 quoad, 2. 44.4 quod, infirmum; 2 45.1 quod; 2. 45.2 quod, sì ratum;
2.46.1 imperatoris; 2. 47.1 restitutione si 2. 48.1 restitutionis causa; 2.50.1 restitutio
militi: 2. 50.4 restitutionis în, 2. 50.6 restituitur, debitor; 2. 51.1 si in, eius, vel post;
2.53.2 restitutio, cum esses in, occupatus eras; 2. 52.3 debita fuerit, e[s]; 2.52.4 tuis
restitutio, per restitutionem, successio; 2. 52.5 restituitur; 2. 52.7 post annum post, intra
quadriennium; 2.53.1 sì quis; 2. 53.2 si quis; 2.53.3 si curialis, moratus est; 2. 53.4
annuitur civitati; 3.53.5 opponitur; 2. 54. 1 si quis; 2. 55.3 observaveris; 2. 55.4 sine, ut,
causedicum, ante iudicium ; 2.55.5 appellare non licet, quod; 2 55.6 iudicare susceperit;
2.56.1 pro se causatorem ; 2. 57.2 ante quemcumque; 2. 58. 2 quod si causa; illum, prestent
ante; procuratore eius presente, 3.1.2 condicere potes[t]; 3.1.3 abes; 3.1.7 tibi; 3.1.9
, requirat causiticos; 3. 1.10 sì exinde; 3.1.10 de expensas reddendas; 3. 1.13 inde 7wdex;
3.1.14 iudices a[u]dire, licet; 3.1.15 et sì que; 3.3.1 si que; 3.3.2 [et]; in 3.3.4 muneris
absenfes sint; 3.4.1 conventio; 3.8.3 audiunt [et]; 3.8.4 in personam; 3.11.1 precem
offeret; 3.11.83 datur; 3.11.5 oblata; 3.12.1 st apellationem, fecerit; 3.12.6 factum;
3.12.9 fiant; 3. 13. 14 iudicis 7udicio; 3.13.5 decolle[n]tur; 3.13.6 militis; 3.15.1 admis-
sum; 3.22. 3 constitutus est; 3. 22. 6 agitur causa; 3. 26.2 sociertur; 3.26.3 Procurator|i];
3.26.4 a procuratore; 3.26.8 non petis sed per; 3.26.10 publicus si prefer fecit; 3.26.11
sì quid mali; 3.27.1 in horis nocturnis, ct occisus; 3.27.2 sî mortuus; 3.28.83 si alio;
3.28.10 publico; 3.28. 11 de inofficioso; 3. 28. 12 si ille; 3.28.14 quum; 3.28.20 et uxo-
rem; 3.28.21 de inofficioso; 3.28.22 si filia; 3.28.25 ad providendum; 8.28.26 filium
heredem; 3.28.27 frater heredem; 3.28.29 scriptis sî; 3.28.30 suo sî, eo; 3. 28. 31 prefer
quam in; 3.28.32 [non]; 3.28.33 si heres; 3.28.36 annum adiet, [propter]; 3.209.1 alizs;
3.29.2 potes[t]; 3.29.4 exheredavit; 3.29.5 emancipat[i]o[nem]; 3.29.7 condicere; 3.31.2
et ex; 3.31.4 expendisti; 3.31.5 quum; 3.31.6 potes[t|; 3.31.7 remota; 3.31.9 potesit];
3.31.11 confitea[n]tur; 3.31.12 edant; 3.32.4 in emptorem; 3.32.6 ad suum; 3. 32.8
militis, illius; 3.32.10 Qbello dotali; 3.32.11 inscio domino; 3.32.12 praetio dici; 3.32.14
sine consensu; 3.32.20 in tuum, si obiecto; 3.32.23 [si]; 3.32.25 quia; 3.33.1. indemnem;
3.39.70 quid accepit, expensas recipiunt ; 3.33.10 certam praestationem; 3.33.14 in do-
mum; 3.33.16 expendit; 3.34. 1 temporis spatium, propter vim; 3.34.13 si usum, pre-
sentes non utitur; 3.34. 14 tamen rebus, personas usus acquiritur 3.35.2 incendio con-
cremat, is; 3.35.83 legis aquilie vel; 3.36.10 constituit ut; 3.36.%1 non designavit;
3.37.83 dividebis; 3.37.4 cum dividisti, etate est; 3.38.3 facta est; 3.38.4 de res; 3.38.9
re[m]; 3. 39.3 ostendat possessionem ; 3.39.5 vacent; 3.40.1 excausare, socdo non; 3.41. 1
et posteus; 3.41.4 et dominus; 3.42.2 presentare; 3.48.3 pulsari si cepit; 3.42. 7 si
non; 3.42.8 a debitore, sis; 3.43.3 consentiente, donari licet; 3.43.3 expendisti;
3.43.4 corpus sepuleri; 3. 43.5 iussione; 3.43.13 si Nheres; 4.1.1 consensu partium ;
4.1.2 finito iudicio; 4.1.4 iurasti; 4.1.5 iuramento accepto; 4.1.10 absque scriptura;
4.1.11 ron volueris, suscipere; 4. 1.13 et heres; 4.2.1 legatarzis; 4.2.2 ad suum, cu-
84 IL CONTENUTO GIURIDICO
ius; 4.2.4 tuo nomine; 4.2.7 et spondisti; 4.2.9 restitui tibi; 5. 2.10 in solidum reci-
pere; 4.2.12. a colligante; 4. 2.15 [s]petivit; 4.2.16 si quis; 4.2. 17 si cautio, facta est;
4.3.1 documentus fiat; 4.4.1 Quum ; 4.5.1 sì probaveris; 4 5.2 si quîs; 4.5.3 sì in-
debita, soluta est; 4.5.4, sì indebite ; 4.5.5 here[de|s 4.5.6 reddidisti pecuniam; 4.5.9
creditoris procuratore, potest; 4.5.9 son potest; 4.6.3 res tibi datas; 4.6.6 mon manu-
misit; 4.6.8 potest; 4.6.9 dedit ut, dominus amonetur; 4.7.1 quod non, a ereditores;
4.7.5 potes[t]; 4.8.1 furtum, a duobus; 4. 10.1 potes a creditore; 4.10.2 si de; 4.10.5
contraitur, 4.10.6 tuo nomine ; 4.10.7 creditor dominus; 4.10.8 on potes; 4.10.10
creditor refundat; 4. 11.1 debitoris; 4. 13.1 sine iussu contraxit; 4.13.3 curialis, pro eo
pater; 4. 14. 1 ex eo quod; 4. 14.2 qui in; 4.14.83 promissa #bi; 4. 14.5 domino, debebat;
4. 14.6 de anteriores ; 4. 15.1 pecuniam de; 4.15.2 persona debitorîis; 4.15.38 negat de-
bitum; 4. 15.4 solutionem debiti; 4.15.5 debitores debitoris; 4.16.1 potes[t]; 4. 16.3 co-
stringitur reddere, non eius; 4. 16.7 legata; 4.19.6 si in; 4.19.10 defendunt: 4.19.11
in te, sî casu, 4.19.12 perdito est; 4.19.19 initia Vitis; 4.19.20 vel conditionalis;
4.19.21 eîs utendum; 4.19.23 sî non; 4.20.2 documenta proferanturs; 4.20. 3 tests die-
tum; 4.20.6 non veniunt; 4.20.7 non compellit; 4. 20. 11 cuigue testium; 4.20.12 pro-
ducitur; 4.20.15 debiti; solutio per scripta; 4. 20.16 redemptor exhibens: 4. 20. 17 inqui-
rantur; 4.21.3 accusato[r] documento; 4. 21.5 sî debito; 4. 21.6 prebita; 4.21.6 solutus
es[t]; 4.21.11 emancipationis chartula si; 4.21.15 quod; 4.21.18 petitori; 4.21.20 alte-
rius documenti editio fiat; 4. 21. 20 si eam accusare; 422.1 scriptum est; 4.22.2 si mu-
lier se; 4.283.1 si ab, suum esse, de comparatas; 4. 23.2 si quod; 4. 23.3 sequestre; 4. 23.4
debitor, ut sì infra certum; 4. 24.2 dedit, 4.24. 2 in debitum reputetur; 4. 24. 4 debitor st,
ut infra certum; 4. 24.5 si debitoris pignus; 4. 24.6 sì pignus, 4. 24.7 colendi; 4. 24.10
de positum ; 4. 24. 11 reddito creditori; 4.24.12 totum non; 4.25.2 ad opus, expendit;
4. 25.6 a libero; 4. 26.2 si pater, domino st, in domini; 4.26.5 maior vigintiquinque, si
pro; 4.26.11 ancille dominus reddet; 4.26.12 debitum domino; 4. 27.3 sé ab uno; 4.27.2
sì in, pater tenetur; 4.29. 5 et tacebas; 4.29. 6 si quod; 4.29. 7 suas obligavit non; 4. 29.8
patris debito, 4.29. 30 sì pro; 4.29. 11 conductionem wwxoris; 4. 29. 14 heres mariti; 4.29.23
et scriptis; 4. 29. 24 libertatem; 4.29.25 abentes si; 4 30.1 dato et, sibî de; 4. 30.2 debi-
tor; 1.30.3 de dolo; 4.30.4 non potes[t]; 4. 30.5 de pecunia, agitur, 4. 30.9 si debitum,
4.39.10 querela; 4.30.10 de non, non potest; 4.30.11 pecunie questio ; 4.30.12 non po-
tes[t]; 4.30. 14 Nullam exceptionem non numerate pecunie, si habetur securitas, pecunie
questione; debitor ante iudices; 4.30.15 creditoris; 4.30.16 etsî_sacramentus legatur;
4. 31.2 pecunia soluta ; 4. 31. 3 qua, persolves; 4. 31.7 procuratori; 4. 31.8 qui a te; 4.31.10
Quum; 4.31. 11 ab eo quod, expendit; 4. 31.12 sequestrare debet; 4.3.13 et nichil, sol-
vebis; 4.11.14 ut solvat et; 4.32.1 de usuras; 4. 32.2 si pretium; 4. 32.2 si eas; 4.32. 4
et conventa; 4. 32.5 propter maiorem; 4.32. 5 et si, alidi; 4. 32.7 cautionibus; 4. 32.8 sti-
pulatus es, cogî non potes[t]; 4. 32.9 debitas; 4.32.10 per tempora; 4.31.14 dedit, usuris
domum ‘inhabitaret valet; 4.32.15 ut sì in diem, quadruplus de usuras; 4.32.16 dn
certum; 4. 32.17 fundi; 4. 32.18 pro capitanea; 4.32.20 tardius pulsatus ; 4.32.25 pro
usuras; 4. 32.26 si 7udicium finitum, propter usuras; 4. 33.2 creditoris, quod; 4. 33.3
,non exigitur, constitutum; 4.33.4. si[et]; 4. 33.5 feneratas, si perierit navis; 4.341
communes sì; 4.34. 3 si usuaverit; 4.34. 7 ad restituendum; 4.34. 11 unusquisque; et si;
4.35.2 pro reddendas; 4. 35.6 mandata; 4.35.7 potest]; 4. 35.8 et iam servus mu-
tuasset, here[de]s; 4.35.10 potest; 4.35.12 a dominum ra tum; 4.35.14 si quas;
4.35.18 ad id quod; 4.35.17 finito opere; 4.35, 19 debitore; 4. 35.20 mandati; 4.35.83
communiter divide[n]tur; 4.37.5 tempus quod; 4.37.7 unfijus in; 4.38.9 retractatur
DELLA SUMMA PERUSINA 85
quia illa; 4.39.5 sibi; 4.39.7 accepta; 4.39.8 creditori[s]; 4.40.2 inimicas; 4.40. 4
transmittuntur; 4. 41.2 punia[n]tur; 4. 44.2 minori pretio, restituto; 4. 44. 7 juste venditas;
4.44. 8 aut pretium adimplere; 4.44. 14 obnoxias; 4 44.17 civitatis, ipse; 4. 47.1 in
dotem; 4. 47.2 Possessio sine 4.47.3 censum reddat; 4.48.2 venditoris periculum ;
4.47.4 [emptori erit res]; 4. 47.5 et casu; 4. 49.2 pervas[i]or; 4.29.3 videntur; 4.49.9
[preponi]; 4.49.12 si ex eo; [et] emptoris, venditoris; 4.49.16 sì apud; 4.50.3 pe-
cunias datas, nec tu; 4.50.6 solidos; 4. 50.1. longi temporis, quod alienas; 4.50.2
longi temporis; 4.51.6 fili?; 4.52.1 de eo, venditore abet; 4. 53.1 tutori vel curatori;
4 54.1 si intra; 4.543 si 7nfra; 4.51.4 sed petat; 4.55.2 manus iniectio; 4.55.33
st venditor; 4. 56.1 per iudicem eam liberam: 4. 57.3 efficiatar, eque, filius si; 4.57.5
ut non, retollit; 4. 58. 1 inlatum; 4. 58.4 reddere possit; 4.59.2 dent; 4.61.2 illi lis;
4 61.6 communiter; 4. 61.10 « curiales. dertur; 4. 61.10 per preces; 4.62.4 si nova;
4 63.5 negotiatorum; 4. 63.6 Qui annosam; 4. 64.7 [at] si; 4.65.1 sì quod; 4.65.3
conductor expelli; 4. 65.8 lucri divisione; 4.65.11 rem colere; 4.61.13 repellit ; 4. 65.15
tempus constitutum te; 4.65.24 scriptura valet ; 4.60.25 reddas; 4.66.28 casufs]; 4. 65.35
sî egerit; 4.66.3 potest vendere nisi nuntiet, alias; 5.1.2 que uni, iudicare în; extra-
neos; 5.11.4 accipias, 5.11.5 asocero; 5.11.6 sibi est, exigitur; 5.12.1 scriptis pro-
missa, sî evictione ; 5.12.2 si filia 5.12.3 patre testata est; 5.12.5 estimatione ; 5.12.6
dotem illi; 5.12.8 quam; 5.12.9 quam, et decessit; 5.12.10 ad reddendum estima-
tionem; 5.12.11 leguntur verba, parente st, [et]; 5.12.12 predium, fundus dotalis;
5.12.13 in fe, [non]; 5.12.15 quam, scriptura, amissionem coniugis ; 5.12. 18 de dotem-
quam, persio non; 5. 12.19 unum 5.12.21 quam, restituere deberet, [et]; 5.12.22 quem;
5.11.23 quam; 5.12.26 tenertur; 5.12.27 absente; 5.12 28 uxori, sponsalia labeat;
5.12.29 mulieri; 5.12.30 mulieri; 5.12.31 que[m]; 5.13.1 et per aliam, propinquos
uxoris, s? intra mortem uxoris; 5.14.5 si sine ; 5. 14.6 7 dote; 5.14.7 quum ; 5. 14.8
st quod, sed licet tenere; 5.14.9 relictis filiis; non corvenit; 5.14.10 partem dedit,
maiore; 5.14.11 dotem aliquid, exigere permiserit; 5.15.2 ab heredes; 5.15. 3 si in-
tra 5.16.5 suo, replicare potes, retractari non, actum 5.66. 6 sed dos, ipsius [ei];
5.16. si ex, potes|t], 5. 16.9 repetere potes[t]; 5.16.10 eas tolli; 5.16.11 quod; 5.16.14
sî in; 5.16.15 posterioribus creditoribus; 5.16.16 heredes restituunt, pretium recipis;
5.16.19 es[t]; 5.16.20 mulieris; 5. 16.22 uxoris; 5.16.24 si usque; 5.16.25 non memo-
rarent [non], partem haberent; 5.16.27 si donatio intercessit ; 5. 16.28 si donatio, 5. 17.5
genero et filiam; 5.17. prefecti; 5.17.10 non amittat dotem; 5.17.11 is per; 5.18.1
impleantur, sua reddantur; 5.18.2 potes[t]; 5.18.3 quam, recipit; 5.18.5 potent;
-
5.18.10 propter nuptias; 5.21.3 remotum; 5.22.1 omnia, in eis que; 5.28.1 eligat
©
habeat ; 5.23. 2 propter hoc; 5. 24. 1 previderi; 5.25.3 [in]certum, se expellit, sibi; 5. 24.4
sibi; 5.28.1 miscuit /ereditati, 5.28.1 novissimus valet festamentus; 5.28.4 sì per, si,
ille facit; 5.28.5 libertare ; 5.28.8 grecis literis; 5.29.1 ex c[a]usare ; 5. 29.3 legiti-
mus non est; 5.29.4 heredem; 5.30.3 excusare se; 5.31.1 adulti[s], indice dari; 5.31.4
abe[n]t; 5.35.7 alium tutorem, administrationibus ; 5.31.8 neglegentia; 5.31.11 tutorem
naturalibus filiis mater petat; 5.32. 1 licet tutorem petere; 5. 33.1 decernimus ut; 5.39. 5
apud iudicem aut curiam; 5.34. 7 persone; 5.34.8 debitoris; 5.85.10 licet et si; 5.35.15
curator vel; 5.35.1 potes[t]; 5.35.5 tactis evangeltis; 5.36.5 alius subiungi; 5.37.1 si
que; 5. 37.2 creditur illivs; 5. 37.4 ration[al]es; 5. 37.7 sic administret, 5. 37.8 et alius;
non egistis; 5.37.9 ab administratione se; 5:37.15 sed compellitur ; 5.37.16 Per
administratores ; 5. 57.18 nec; 5.37.19 cogi debet, 5.37.20 debito etsi; 5.37.22 mancipia,
ad usuras; 5.37.24 faciat pupilli[s], serventur, 5.37.25 ita ut; 5.38.3 consumptas si;
19
S6 IL CONTENUTO GIURIDICO
5.38.4 tutori; 5. 40.2 tutelam diviserunt; 5. 41.1 pro fundo fiscali; 5.42.1 causas; 5.42.2
si... vel si; 5. 42.4 propinquis pupilli [tutori]; 5.43.6 extraneis concedit: 5. 43.8 ad admi-
nistrandum; 5. 44.1 abent; 5.42.2 possit; 5. 44.5 su; 5.47.1 ordinatus est; 5.50.1 ali-
menta si, pro sumptus; 5.51.2 iudicis; 5.51.5 quam; 5. 51.8 obstat; 5.51.10 feneus;
5.51.11 si tuftelam, curatione[s]; 5.51.13 periculo; 5.53.2 de tutores; 5.52.3 [et]si;
5.53.2 iudicis; 5.53.3 quantum, iurare[t], fuisset; 5.53.5 iudicis; 5.55.1 pretermiserint,
potes[t]; 5.56.3 sibi; 5. 58.2 contra tutorem; 5.58.2 pupilla; 5.59.3 pupillo; 5 59.4 Mi-
noribus; 5. 60.1 adnltis; 6.62.3 potest]; 6.62.4 potes[t], es[t]; 6.62.5 libertis patrona-
rum; 6.62.6 a parentes; 6.62.11 es[t]; 6.62. 12 tutor|is]: 6.62.16 confessus es|t] ali-
quli]a; 6.62.17 nutricem; 6.62.22 presidis; 6. 63.1 a[d]; 6.63.2 tutele occasione excu-
sare se; 6.65.1 vetranus; 6.68.1 excusatur: 6.70.2 a tutore vel curatore; 6.70.3 ameus
est; 6.70.5 ab emancipatis; 6. 70.6 inchoationem mordi; 6.71.2 quod; 6.71.3 tutorem:
5. 71.4 pupillis, adultis; 5. 71.5 iudicis iussionem; 5. 71.6 procurator res; 5. 71.9 et sì;
5.71.10 quum; 5.71.11 minori[s] pretio; 5.71.12 iudicis; 5.71.13 curialis, 5.71.15 quem;
5.71.16 iudicis, recipiet; 7.71.17, a[d|minore[m], venit; 5. 72.1 et possessionem, iudicis
iussionem ènferrogare [restituire]; 5. 72.2 necessitatur interrogare: 3.73.2 alienum fum-
dum; 5.74.3 qui; 5. 75.1 quos illi; 5. 75.5 post tempus; 6.1.1 prescriptionem; 6.1.2
solidos det; 6.1.5 fugitivum recipit; 6.1.6 recipit; 6.1.7 coniunxerit ipsa ancilla et fili
fisco proficiant ; 6.1.8 proficiant; 6.2.2 quam; 6.2.6 domino eius; 6.2.7 furti[m]; 6.2.8
furti[ni]; 6.2.9 furti[m]; 6.2.10 quod, furti[m]; 6.2.9 poenae; 6.2.12 furti[m]; 6.2.13
a domino de furto transactione; 6.2.14 awctoris; 6.2.15 1.2 si eum, furti; 6.2.21 li-
bertus; 9.2.21 sî furtum; 6.2.22 cuius; 6.3.1 [non]; 6.3.7 libertis; 6.3.9 potes[t]: 6. 3.10
factus est; 6.3.11 libertus, abita|n]t. i servitutem redigi; 6.4.2 iura; 6.4.8 honore cò;
6.5.2 liberos vel parentes; 6.6.1 [in]damnietatem; 6.6.4 libertus; 6.6.6 reservatas;
6.6.7 libertum; 6.7.1 iussu, propter calpas; 6.7.2 iniuria fecit, filié e7us, nascuntur servi
sint, [non]; 6.7.3 si contra, heredes, egeri[njt; 6.8.1 si male; 6.9.1 filio petentem;
6.9.2 Propinquus sî, certum; 6.9.3 petentes; 6.9.4 intestato sî7, tempus ius sibi; 6.9.6
petere potest; 6.9.7 successionem, adivit; 6.9.8 opponitur; 6. 11. 1 falsus accusatus, suc-
cessorem; 6.11.2 per septem, roborato debetur; 6.12.1 invicem legata praestare licet;
6.14.2 heredes; 6.15.1 consubrino; 6.17.1 i» minori, et ille, accipitis ; 6.17.2 |te]stato;
6.19.1 repetere; 6.20.1 heredem; 6.20.3 a parentes, în hereditate, mixta[s]; 6.20. 5 mu-
lier refundat; 6.20,7 quam; ut facultates; 6.20.8 nunc; 6.20.9 aliter non; 6.20.10 ra-
tum, filius; 6.20.13 equum; 6.20.19 reliquid dividant 6.20.20 [non]; 6.20. 21 adquisitio-
nes; 6.21.1 ex successione parentum ; 6.21.2 rebus dnstituit; 6.213 per testamentum;
3.21.5 militis; 6.21.6 ut; 6.21.7 et; 6.21.9 heredem: 6.21.10 nor ignorat; 6.21.12 mi-
litis; 6.21.1 unusquisque 6.22.2 qui; 6.22.7 si posteus; 6.22.8 publicus subseridbart;
6.23.1 inventus est; 6.23.4 aliud nomen pro, heredis; 6.23.5 quod, irfirmum; 6.23. 8
necessitafe, numerus testimoniorum tune 6.23.9 sacro imperii; 6.23.11 afu]t; 6.23.12
ab, legatartis ; 6.23.13 fuerit firmum est; 6.23.14 octo [u]turc, fuerint; 6.23.16 sint, ca
solvat; 6.23.16 sé minus; 6.23.18 testamenta[m]; 6.23.19 seu, distante factum; 6.23.21
atestatore, [voluntate], relecto, si septem, firmaverint validum est, subseriba[n]t, signe[n]t,
sine scripto; 6.23.23 non legibus; 6.23.24 Nunc, sicut; ut testatoris; 6.23.25 positi
omnem, testatoris; 6.23.27 si testatos, revocare licet; 6.23.23 congregationem...; 6.23.30
si testator vel testes; 6.23.32 Im civitate septem testes subscribant testamentum et in
castris quinque, qui et, heredis; 6.24. 1 deporta[n]tur; 6.24. 8 [heres) sine; 6.24. 10 he-
redem; 6.24.11 incolae; 6.24.13 de certas; 6.24. 14 nomen voluit; 6. 25.3 emancipationis.
heredes; 6.25.4 mon erant, es[t]; 6.25.8 Qui sub; 6.25.9 ut si; 6.26.1 substitutus fe-
DELLA SUMMA PERUSINA ST
cerîit; 6.26.3 heredem; 6.26.3 tune per; 6.26. 4 iussit ut; 6. 26.8 substitutos ; 6.26.10 ut
si; 6.27.1 nomine pignoris; 6.27.2 liberti: 6.27.38 et lucrat; 6.27.4 e 5 heredem ; 6.27.5
vel si; 6.27.6 si a; 6.28.2 patrem tua, si te; 6.23.3. alîfer, masculos; 6.29.1 aliquis;
6.30.1 ron succedit, defuncti; 6.30.3 tu si, petere non neglegas; 6. 30.4 adire debet;
6.30.5 tutor adire; 6.30.9 potes[t|; 6.30.18 infanti, delato; 6.30.20 siat wt, repudiare
debeat ; 6.30. 21 testatoris, [quod], 6.30.22 annos adeat, LXta, legatariis, legatarii[s],
abeant, id quod reserationem, abert, heredis; 6.31. 1 nomine, [a]ut, fin]venditione[m),
pro debitum; 6.31.2 potest; 6.31. 6 patris; 6.38.2 sibi; 6.33.3 causitici[s], inquiefetur;
6.34.2 heredes, est reus: 6. 35.6 offendit; 6.35.7 succedit; 6. 35.8 est similis causa, éi
quem; 6.35. 9 auctoris, interpraetatur; 6.35.10 propinqui[s]; 6. 36.1 si postumum, si que;
6.36.6 ab invito [invitus]; 6.36.8 esse constet, valent; 6.37.8 [relict]; 6.37.9 accusa-
tur, iudex iubebit legata; 6.37.10 legato reliquid; 6.37.12 quem, a legatariis; 6.37.13
testafori; 6.37.14 testatore[m| vivente; 6.37.15 si quod; 6.37.16 nomine, precipiet
dari; 6.37.19 consequa[n|tur: 6.37.22 testatoris; 6.37.24 transigere; 6.38.1 dare non,
si sibi; 6.38.5 ad eos, ante filios, eis legata; 6.38.6 substantiam, iudici providendum ;
6.39.2 adirent|e], prestet; 6.39.3 persolvitis; 6.40.1 uxori[s), migraref; 6.40.2 de sub-
stantiam; 6.40.3 li maritus, superst|it]es; 6.42.1 ea sibî; 6.42.2 proherades; 6.42. 5
non succedis in ei sed; 6.42. 6 rem obligatam, legatariis; 6.42.10 etsi festamentum; 6.42.16
ade[m]pta; 6.42.17 accedere; 6.42.18 alicui; 6.42.19 es[t]; 6.42.23 ef adibisti, posses-
sionum; 6.42.29 sed ipsi heredes tune; 6.48.1 legatarios ab exactione, que; 6. 43. 3
minor [decem] decem annorum [decem]; ccmate si optio; 6. 44.1 probata fuerint; 6.44.2
querdam ; 6.44.3 fuisse[t]; 6. 44.4 sé dotem quam, significas quod; 6.44.5 accepisse et
eam reddidisse; 6.46. deseru[i]eris; 6. 46. 3 deseru[i]eris; 6.46.4 [et]; 6.46.5 uxor tua[m];
6.46.7 testator si; 6.49. 1 institutus est, tollet et, legati nomine, ab illis; 6.49. 4 propin-
qui[s]; 6.49.4 inde novem; 6.49. 5 heredes; 6.49.5 deliberaverint ; 6.49. 8 Rheres scriptus,
heredem, accipere, potes[t]; 6.49. 14 quam, ci qui pro falcidia; 6.40.16 heredem; 6.49. 18
heredibus; 6.51.1 sibi debitam; 6.52. 1 legatarii[s]; 6. 52.2 legatarzis, derelictus, eorum;
6.52. 4 uxor a, accipere dederet; 6.52.6 iussus es[t]; 6.53.83 distracta; 6.53.4 adversus
debitores ; 6.54.3 fratris, ab intestato; 6.54.4 naturales adulterinus; 6.54.9 succedit;
6.55.2 ab intestato; 6.55.4 donet, patrimonio; 6. 55.5 filiî, secundas ruptias; 6.55. 6 si
ad [et]; 6.55.7 in usumfructum; 6.56.2 mortuus est; 6.56.5 alios filios; 6.56.6 matri;
(6.50.1 patris; 6.57.3 fratri succedit [moritur]; 6.57.4 intra quattuordecim; 6. 57. 9
ille; 6.54.11 aditio nec; 6.54.12 patris; 6.57.17 nutritor eî; 6.57.18 fratre [et]; 6.59.3
tune sunt, e[s]t, servandum, avo; 6.59.4 sive, [non] an; 6.60.1. Quod filius, patris;
6.60.2 quorumeumque casu db; 6. 60. 3 filium; 6. 60.4 adquisitiorum, distraxerint; 6.60.5
patris [primum]. quod ipsa, sibi a patre atque, patris, 6.60.1 omnium adquisitionunm,
computertur; 6.60.8 patris est, autem filio, roluerit, quod, et filius, n hoc, facere fe-
stamentum; 6.61.2 militans; 6.61.3 constitutus est; 7.2.2 testatori; 7.2.3 reddes; 7.2.6
heredi; 7.2.8 liberum fecit; 7.2.9 heredem; 7.2.11 valeat; 7.2.12 sì recte factus est;
7.2.13 replicari; 7.2.15 ipsés libertis; 7.2.16 libertus; 7.4.2 libertus, neglexi[s]t is;
0.4.3 ut intra certum; 7.4.4 partus; 7.4.6 legatum; 7.4.8 uxoris; 7.4.9 ante adim-
pletam: 7. 4.10 propter hoc; 7. 4.11 ade iudicem; 7.4.13 quam; 7.4.14 qui; 7.4.15 li-
bertatem, et iudex; 7.4. 16 si heres moratus, poste[i]us; 7.4.17 libertatem Wabere, pre-
tium servi servo, dij menses; 7.6.1 sint, vel si dominus, si ante lectum, heredis, [a]
pilleati, consensisti, dixerit “filius meus es,, mox; 7.7.1 cohere[de|s, manumissori ifa ut
reddat; 1.7.2 liber factus fuit; 7.8.1 eidem non; 7.8.4 creditoris; 7.8.5. pignori[s];
7.8.6 sibi de; 7.8.7 de dotem [non]; 7.9.1 ef, sì fuga, qui manumissus, mon redit;
88 IL CONTENUTO GIURIDICO
7.9.2 quam, in servitium; 7.10.2 alterius, fuit datum; 7.10.13 non adimpletur; 7.11.2
manumitti; 7.11.4 minori viginti; 7.11.5 [non] est; 7.11.6 servus in servitio; 7.11.7
replicatur; 7.13.1 domin[u]i, vindicatur liberatur; 7.18.3 servus eius qui, domimi, [eius]
manifestaverit; 7. 14.1 liberatus ; 7. 14.2 propter nutrimenta dominium; 7.14.3 sì postea;
(.14.4 factus servus; 7.14.8 statu(i); 7.14.4 in obsequium; 7.15.1 si quis, sed sunt, do-
mino; 7.15.3 si ancilla sua concuba; 7.16.2 in iudicio, condempnatum, pro vi[n]den-
dum; 7.16.4 nec ses 7. 16.5 servus; 7.16.10 Liberi si quamcumquae; 7.16.11 servi[s];
7.16.13 potes[t] ; 7. 16. 18 potes[t]; 7. 16.19 sibi; 7. 16.21 potes[t]; 7.16.24 illius; 7.16.17
non impedit; 7.16.27 here|de]s; 7.16.29 servum te non redemit; 7.16.31 te liberum,
filii[s]; 7.16.32 adversus te; 7.16.34 potes[t]; 7.16.36 pro hoc quod in obsequio ; 7. 16. 39
adpellentur; 7.16.31 Que, apud te per; 7.17.1 mortuus; 7.18.2 hominem liberum, a|d]mit-
tit; 7.19.1 servum probet, servum esse; 7. 19.4 [et], potes[t]; 7.19.7 clama[njt; 7.19.8
repetat[ur], quam; 7.20.1 servisse, permanes; 7.21.1 et quinque; 7.21.2 sit filius;
7.21.83 sibî propter; 7. 21.8 efsi; 7.22.1 faciunt; 7.22.3 Si homo; 7.23. 1 et peculium;
8.24.1 amputata[m]; 7.26.1 Sé servus; 7.26.2 emptori, non adiuvat; 7.26.3 quam;
alienam esse; 7.24.4 quam, cuius; 7.26.2 ex par[en]te; 7.26.7 emptori[s]; 7.26.8 tran-
sactione:; 7.24.9 rem comparavit; 7.27.1 vel qui; 7.29.2 heredî; 7.30.1 domino adiu-
vat; 7.30.83 potesl[t]; 7.31.1 adquisita sì ex; 7.32.2 fuum, in possessione, sciente, po-
tes[t]; 7.32. 3 [a], minor|e] res tibi; 7. 32.4 adquisita erat; 7.32. 5 iustum habet; 7.32.10
Pro possessionem quam; 7.32.12 procurator res; 7.33.1 actione sî; 7.33.3 he res,
intercesserint ; 7. 33.4 possessio sine ; 7.33.12 provincia usucapitur ; 7.34.1 quam, pre-
scriptione ; 7.34.4 aliquo ; 7.34.5 possît; 7.34.7 possessori possessio, condici[o]; 7.36.2
etsî; 7.37.38 Si ab, et si non; 7.38.83 [in]; 7.39.2 nor inquietetur, ius proprietatis;
7.39.3 actiones; 7. 39.5 prescriptio quadraginta annis; 7.39.8 annif[s], 7.39.8 etsì, sî
postea ; 7.39.9 aliquem; 7.39.2 rogare debet ita ut, Si cui; 7.41.2 în eum absentem;
6.41.4 în te absentem; 7:41.5 iudicaris te absente[s]; 7.41.9 contumacem wocatum ;
7.41.10 quod; 7.41.11 et si non; 7.45.1 quam se; 7.45.2 liber[i]; 7. 45.3 quod iudica-
vit; 7.45.5 quod; 7.45.7 [non], potes[t]; 7.45.10 posse; 7.45.11 non dixit; 7.45.16
nec; 7.46.1 non dixît; 7.47.3 potest dici; 7.47.3 adimples; 7.47.1 quod, iudicis;
7.59.1 per premium, reddat ei; .50.2 ante finem ; 7.51.83 Ix litis, addicere licet; 7.52.5
potes[t]; 7.52. 6 fides ; 7.53.3 quod supra; 7.53.5 contra quem ; 7.53.7 remorata ; 7. 34.2
reddat ; 7.34.3 a[d]; 7.55.2 quisque; 7.57.3 iudicato a iudice; 7.57.6 terrores inter-
porit; 7.58.1 allegata ; 7.53.3 quod; 7.58.4 allegationibus; 7.€0.2 de sua; 7.60.3 èn
facultate 7.62. si noluerit ; 7. 62.5 et mortuus; 7.62.7 in administrationem ; 7.62.9 po-
test; 7.62.10 adultus, et litigavit ; 7. 62.18 et intra; 7.62.19 iusta causa habet appellat;
1.62.24 pars accipiat ; 7.62.35 in omnibus; 7.62.27 a iudicato ; 7. 62.30 ab omnibus;
7.62.34 quam, iudicis, quales ; 9.62.36 ei qui; 7. 63.1 conquiesca[n]t, peta[n]t; 7.64.2
si dixit, infirmum esse ; 7. 64.3 esses; 7.64.7 quod; 7.64.10 victori[s] ron liceat ; 7.66.3
cause ; 7.66.6 heredì, augeantur ut possit; .T1.1 cesserit; 7. 71.2 non compelleris;
T.71.3 quod; aufferri ; 7. 71.4 cesserit; 7.71.5 debitum obroxia sint ; 7.72.4 susce-
pi[s]t[i] 5 7.72.6 pignus habet, equalesque ; 7. 72.9 potes[t]; 7.72.10 possunt qui; 7. 74.6
obnoxius ; 7. 74.6 quam; 7. 75.2 potesl[t]; 7.75.5 farndum; 8.1.3 fundum esse; 8.2.1
sî te; 8.3.1 scriptus es, legatarius, sed...., mumquam; 8.4.2 restitutio detur ; 8.4.3 do-
mind ius; 8.4.5 vim eas; 8.4.6 sî dolo; 8.4.7 sì alienam; 8.4.9 sì iuraverit ; 8. 4. 10
possessionis ; 8. 4. 11 în presenti; 8.5.1 sed sib2; 8.6.1 nane; 8.8.1 comendati alòis;
8.8.2 ut presentet filium ; 8.9.1 repetere potes ab eo qui res tenet quia; 8.9.2 restitu-
tionem petere ; 8.10.1 edificari în; 8.10.7 curiales domum, possessores domus; 8.10.9
DELLA SUMMA PPERUSINA 89
quindecem ; 8.10.11 quindecem; 8.10.12 loco valent; 8.10.13 addictus ; 8.11.4 ve-
tere Roma, de suum ; 8.11.7 ab una ad alia, si valet usque ad q. 1. arg.; 8.11.9 si sub;
8.11.10 redituum sumptibus ; 8.11.11 iwxta possibilitate ; 8. 11.12 vel nova, vel wetera,
pro multa; 8.11.14 domos ruinatas; 8.11.15 distructas; 8. 11.18 murium restauratione;
8.11.19 in totum vel; 8.11.20 neque nuptias, 8. 12.1 pro ratiociniis, sî fraudem ; 8. 13. 4
reddito debito; 8.13.6 creditor in publico; 8.13.7 detinentes pignus; 8.13.9 a debitore
tibi venditur; 8.13.10 definire licet per îudicem; 8.13.12 ab uxore[s]; 8.13.14 actionem
exercere; 8.13.15 fidecomisso retinquere; 8.13.16 cuius, eius qui, restitui debes;
8.13.20 debitor[e]; 8.13.21 debito[r]; 8.13.22 creditor concreditori; 8.13.25 mortuus;
8.13.27 post contractum ; 8.14.5 pignoris causa; 8. 14.7 bona; 8.15.38 obligare; 8.15.4
obligare; 8.15.5 aliquam; 8.15.7 etsi; 8. 16.2 et ceferas res; 8.16.3 de agros; 8. 16.7
executor sî; 8. 16.8 instrumenta unde agra; 8.16.9 nec non que abiturus; 8. 17.1 cre-
ditori[s]; 8.17.4 qui generaliter; 8.17.7 preponitur posterioribus; 8.17.8 priori[s]; 3.17.10
ei; 8.17.11 in secretis; 8.11.2 censum; 5.18.3 solvat qui; 8.19.2 si vindicet; 8.22.1
obligasti; 8.22.3 sed; 8.23.1 pignus quem; 8.25.1 contra te a[d]misit; 8.25.9 si ipse;
8.25.10 crediteris, oppositas; 8.25. 6 sì fiet; 8.27.3 si quot; 8.27.4 fraudem debitoris;
8.27.5 a debitore noleret; 8.27.11 creditor vendere; 8.27.13 a creditore vendito; 8.27.15
st a; 8.27.16 unius; 8.27.17 obligatas creditori; 8.27.19 uxoris, illi mulier, potest; 8.27.20:
de superfluo non; 8.29.2 qui; 8. 29.4 superfluum petere; 8.29.5 a debitore; 8.3.2 here-
dis; 8.31.1 debitor solserit; 8.32.1 probas; 8.33.2 subsfartiam sui[s]; 8.33.3 iuret;
8.34.4 cauf[sa]tio; 8.35.1 unusquisque de portione; 8.35.2 de domo portionem; 8.35. 4
defensio integra; 8.35.5 cotio de, post de proprietate; 8.35.7 contra debitorem; 8.35.8
obici, posteus; 8.35.10 petitoris; 8.35.11 pretermussa exrceptione; 8.35.14. intra spa-
tium unius; 8.35.21 prescriptionem dilatoriam pretermiserit; 8.36.3 sed item; 8. 36.4
qui sciens, sî qui, dotem in nuptias; 8.37.1 epistolam servo; 8.37.2 si quod; 8.37.6
st fuerit; 6.37.8 et moritur post; 8.37.9 vel timorem mortis; 8.37.10 non solemniter,
pro perfecta; 8.37.14 quod; 8.37.15 sì non; 8.88.2 ei qui; 8.39.3 mutuam; 8. 40.1
unusquisque unicuique; 8. 40.2 fideinssorem det; 8. 40.3 absentia; 8.40. 4 sì ron
fiat; 8.40.5 relicto debitore; 8.40.7 pecunias recipit; 8.40.1 sì spondit; 8.40.7 si
tibi. pignus; 8.40.11 ab alio non recipit, potest; 8.40.14 mandata; 8.40.15 quod;
8. 40. 16 tenere licet, postea; 8.40.17 creditorî omisso; 8.40.18 minore; 8.40. 19
potes|t]; 8. 40.23 debitore exigit; 8.40.24 pro reliquo; 8.40.26 debitor, non absolvitur;
sî vult; 8.40.27 occupatio; 8.40.28 de duobus; 3.41.4 creditoris; 8.42.1 quiz, capitaneam;
8.42.6 [6]; 8.42.7 debito rem, pro usuras; 8. 42.9 sequestratus, es[t]; 8.42.11 cogî non
potest; 8.42.11 exigit; 8.49.12 reddit alii; 8.42.10 non licet; 8.42.18 es[t]; 8.42.19
aliquo instrumento; 8.42.21 ita ut; 8.42.24 el de plus; 8.48.1 here[de]s pro debito ;
8.44.2 si quod; 8.44.4 Si debitor res alteri[us]; 8.44.6 reddit etsi; 8.44.6 et perdit;
8.44.9 si in, et victus; 8.44.9 alienos esse; 8.44.10 quam; 8.44.11 recipis; 8.44.13
s7 eas; 8.44.14 contra patrem; 8.44.15 pignus evictionis; 8.14.16 de reditibus; 8. 44. 17
quam; 8.44.19 per legitimum; 8.44.20 et emptor; evictionis; 8.44.21 hunc, quew ;
8.44.23 sî evictus heredes; 8.44.24 esse constiterit; 8.44.27 alienum fundum; 8.44.28
venditoris, quod; 8.45. 1 a publicus ; 8. 46. 1 judicis; 8.46.3 vendat; 8.46.5 ergate; 4.47.1
Sibi licet; 8.47.9 non licet, publico fiat; 8.47.11 fieri debet ; 8.48.1 emancipatur; 8.48.3
emancipatioris; 8.48. 4 ab, emancipatur; 8. 50.1 si de, heredes ; 8.50.2 coniugem; 8.504
nec... nec, distrahartur; 8. 50.7 filia, sì in prostitutionem ; 8.50.8 qui natus est liber est;
8.50.9 hereditate, fraudetur; 8.50.10 dominis; 8.50.12 retulit captivos; 8.50.19 captivus
non exheredatur sed, tenentur, 8.51.2 serve vel; 8.52.2 concordans ; 8.53. 6 4% absente;
8.54. 7 si est. 18
XIQUUINTE PICORREZIONI
Correzioni. — A. p. 5 l. 19 leggasi: “volgari e,,; a p.6 n.3 L1 “£1.5.8;,,, 1.2
#3,32;23:,,0:56.19,7 4,1 3.‘ idicem 5a p. 6,041. 7015.420152 62.968
a p. 7 1.1 “disertor,,; a p. 7 n. 11.2 sopprimasi “1.52.15,, leggendo invece “in
corrispondenza col]a imperialis iussio della S. P. 1.24.5 e 1.28.4,,;a p. 7 n. 3 1.4 leg-
gasi)l. 23.7; a p. V n. 22 “1.36:2,,,,; a pi 6. n.61 2%6.50.1,,; a p./8 n. 12 1.92
“sinonima,, ;.a p. 9 n;:1 sopprimasi “1.52.15,,; a p. 10 n; 1 leggasi “1024.2355
a pi 10 n..2:41:25.1,,; a p. 10-n..3 “6:,23.3,16,; a: pi 10.n-4leggasi #H26.4 Cn
S. P. 1. 35. 1, 2.7.13,,; a p.11 n.6 leggasi “ praetorium,, “e 21.39.14,,; a p.11 n.8
*iudices ;,3.a; ps il um. dl! 1.26.14 poll n.44. 4.419,11; fi pui iii
ey 125.2, ga poll n 171-264 1.396, pal p.12 107012844 ape 212 pa
primes l’e; a p. 12 1. 22 leggasi “3.24.2; 5.6213,,; a p. 12 n. 6 leggasi “1.25.4,, e
sopprimasi “1.7.7,,; a p. 12 n. 8 leggasi “1.44.1,4,,; a p. 12 n. 10 trasportisi il
“6.23.16,, segnato alla n. 11; a p. 13 n. 5 sopprimasi il “5.46.1,,; a p. 13, n. 11 leg-
gasi 3.22.3; a p. 13 n. 13 “1.2.2,,5a p. 13 n.16 “3. 26.7,, e “0.9.1,,; a p.13 n.18
1. 2 “pertinere;;; a p. 13. n. (1952072; ap. dii di 83.16.70 ap 21083
“riservata ,,; a p. 14 n. 4 “6.61.4,,; a p. 14 essendosi nel testo ripetuto per errore
il richiamo (8) la n. 9 risponde al secondo (8), la n. 10 al richiamo (9), l' 11 al (10), e
la n. 12 al (11) dandosi la segnatura (12) al richiamo “7.40.2,,; a p. 15 I. 4 leggasi
“nella ,,; a p. 15 1. 18 leggasi “reali,, e a 1. 19 “terme,,; a p. 15 n. 15 “1. 26.3; a
p. 15 n. 7 “In 5.70.2; a p. 15 n.8 “In 7.57.2, 8,6 ealtrove,; a p.16 1.13 “della ,;;
a p. 16 n. 4 pongasi il richiamo “6.21.16 che fu posto invece alla n. 5,,; a p. 16 n. 5
leggasi “1.2.2, 31,,;5 a p. 16 n. 13 in fine “3.3.3,,; a p. 16 n. 171.3 “3.26.2.,,: a
p. 10 1. 18 alla; ® p. 17 n. 111.2) 810.9;.8.11.10, 11,13}; a p.ti 201614115
saline ,, e “6.61.5,,; a p. 17 n 41 2“1.54.10; 2.6.8,,; a p.17 n.413 “2.174,
e “ deputari [2. 17. 8],, a p.17 n:414“8.21.2,,; ap.17n.41. 7,invecedi“7.11.5,,,
45.16.14; a p. 17. L 8 “7.62.29,,; a p. 17 n. 5 ]. 3 sopprimasi “6.23.18,,; a p. 17
n. 5 l. 4 sopprimasi “4.8.3,, e leggasi “5.62.8; a p. 17 n. 12 tolgasi il “,2,; a
p. 18 manca fra le note la 3 “S. P. 4.61.8,, e le n. 3-17 corrispondono ‘ai richiami
4-18 mentre la n. 18 si riferisce a ciò ch'è detto nella prima linea della pagina se-
guente; a p. 18 n. 2 ]. 3 leggasi “ove si,,; a p. 18 n.9]. 4 “3.12.2,8,6,; a p. 19
n.5 “dai,,; a p. 19 n.14 “1.2.25,,; a p.19 n.17 “3.13.2,,; a p.20 n.1 °3.24.1,;;
a p. 20 n. 7 1. 4 “servitium,; a p. 20 n. 11 tolgasi “7.35.2 ,; a p. 20 n. 14 soppri-
masi “,5,,: a p. 20 n. 15 leggasi * 7.40.2,,; a p. 21 1 24 “7.21.1,5-7,,;ap.21 n.1
sopprimasi quanto si legge da Agere perperam a 1. 37.6 poichè sta invece che perpe-
ram agere valse quanto abusare dei proprii poteri nell’esercizio delle funzioni a sè com-
petenti; a p: 21 n.7 “2.2.1,,; a p.21 n.11 “3.1.12,,; a p.21 n. 1312 tolgasi “7. 16.3,
«leggasi “8.27.42 pi 22 1.6.“state,;; a p.22 n.2 “2.29.2,,; a \p.o@2 pelo 4, 19195;
à p. 20.0, 6-1. 1 7:48:8,:94;0a p. 22 n.1942./6-10,,;;;pa0p128 di. di nen
p.-28. n: 10 “7.45.1,,; ap. 20 in. 25.48.47.4,,;.0a. p. 2401 12 Salla,,; al p.o24 non
2.1.4; ‘a pi 24 n::9 2.881, .210po24 n 12, 4:19525.,; alp. 26, 6 AS
a, p-26. n 19 il 8 14118%41;.4. 1.4; 17.27.8000 po/260n, 22, 80 ARI
DELLA SUMMA PERUSINA 91
iogigisarebberolistati!; a, pi20 01488301. t;i a p.r28 1 6 dei; a p. 28 n. 8
622: ap 28 E o eat 0 ap: 280019) 21 2,214,,; anipi 28 n 19
1. 4 invece di 2.51 leggasi “4.20.18 e 7.16.3,,; a p.29 n.9 ©*7.65.7,,; a p.29 n.17
IPod 2; a p. 29) mn. L9 I 88-44:9; 1'2,,; 1a ip! 30 n. 5, ‘civitatis, ; a p. 80. n. 6
EIZO MOR 67 a PO AI A ap, 19 taetatis i; ap. 31
l. 18 “ prescrizioni,,; a p.31 n.1 “2.27. 1; 2.38.1,;; a p.31 n.5 “2.44.3,4,,, a p.81
aprile 9 20 api al n 12) 328N30;14#28:7;), 1a p..00-n. 133. 28.24 va p.31
nido 2 una. militia.,,,;) a p. 31 n. 16 ©4.65.31,.; a p..31 n. 18 1.2. 17, 20 e
ZA 92 AIA a p.1192) A N92 erostiariib,s ‘alp. 82fn 61173:
1207/2b), ta pi 32 n. db 1. 4 “fisci,, e spectabiles:; a p. 331. 4 “e che ,,; a p. 38 1 18
pgilazione Sa pros ni iosa a ipagroo n. Lr li 400071686; cfr. 0. 1412,;;
a p. 38 n. 6 1. 2 sopprimasi “5.33.1,,; a p. 40 1.17 leggasi “iudex,,; a p. 40 n. 7
Zicca Rap g41 0 11 0222:13%,; a pi 41 n. 12.1..55.51.9,,;;a pdl n dd
Pili orale pren 628 ZONA ap 497 A 12588, 118,5;
6.21.2,5:; 6.49.3.6; 8.49.3.,,; a p.49 n.11.8 “due,,; a p.49 n.1 1.8 “1.2.1, 38;
8.5; e 6.21.135.,,; a p. 49 n. L 1.98. 36.25,,,; a p. 49 n.2: 6.26. 10; 11.,; a p.49
n.2 1.3 *3.28.3,,; a p. 49 n. ( I. 4 invece di 6.28.4 leggasi “6.39.1,,; a p. 49
Moi6:s4 dia p..50, n. 7 6.24.1 };; a p. 50) n.9 È 6.56.5.,,; a p. 50 n. 13 “6.24.14,
a p.50 n.15 1.4 “6.27.4,,; a p. 50 n. 15 1.6 “6.40.1-3,,; a p. 50 n. 16 levisi “10.3,,;
“pilo belle oasi “ida sette,,; a) p. olin. 2 60237 .,; ca. p.olin.5 06.23. 14..,;0a
pilo Re bi ZE9R al pito in 86:06:21, ar pi (02) ni 16712 657-123, a p. 52
MARZO 207420, 124,132%) 6: 49) 21,,, e 6:49:9; d6,,;\a p. 53.1. 6° “deli; a p.. 53.1. 15
ciimiusti,,; a p. 59 1.2“ entro;, a p. 53 n. 1 “6.37-6,,; a p. 53 n. 5 tolgasi “6:48.2,,;
Apro ero 6 44 apo i. 1206.308513: a p:l.63 n. 20 “cfr..6.80.dlu;
a p. 54 l. 16 “tradizioni ,,; a p. 54 1. 18 “della ,,; a p. 54 1. 20 “vera e,,; a p. 54
o Eee pod i] 16042121, 813051; 2.) a p.54 n. 71.12 ‘6.42.27.,,;
fatpi 0029 Tecta,; a p. 55 n. 4 “8.6.1,,; ap. 55. n.6 1.1 “da parte di terzi: o
«del fisco ,,; a p. 55 n. 7 “2.82.25,,; a p. 55 n. 21 tolgasi “8.38.2.3,,; a p. 56 n.9
1. 3 “usufructuarium ,,; a p. 56 n. 16 “3.33.11,,; a p. 57 I. 21 “4.65.25, 26,,; a p. 58
Noa Ron: at pon 2455, ap. 19) im 102 della,,; ca p.159 ni dd 23/9;
a p. 60 alla n. 8 leggasi S. P. “2.3. 17,, e alla n.9 “Patetta p. 347,,; a p. 611.7
ini 9A MONZO; tap. (61418 ISP. 8427, a pi 61 n 2/12 649.7, a pi 61.n. 1
(*4.31.7.10,,; a p. 61 n. 12 “8.31.13.,; a p. 61 n. 14 “8.41.2.8; 8.43.2.,,; a p. 61
. 15, invece di 8.40.1 “8.41.8.,,:; a p. 62 1. 21 “rendere,,, a p. 62 ]. 24 “ patti ,,; a
No2i2k<allaimoglie7;;;iavp: (62 n- 20480343... a (p.162 n. (21 *8113.7.,;; a p-.63
. 21 n. 10 “obligare=pignorare ,,; a p. 63 n. 12 “8.13.4,, e “8.13. 24,,; a p. 63
n. 16 “4.23.3,7,,; a p. 63 n. 21 “4.830.11,,: a p. 63 n. 20, “ sponsio= fideiussio,, ;
-2 p. 64 n. 17 “4.49.4,,; a p. 65 n. 20 “4.38.6,,; a p. 65 n. 24 “4.541, 7,,; a p.66
D. 28.44.17,25,,; a p. 66 n. 12 “4.3.4,7,,: a p. 66 n. 16 “4.64.2-5,,; a p.67 n.1
4.65. 4,,; a p. 67 n.3 *4.65.3, 28; a p. 67 n.5 “4. 65.13, 15,,; a p. 67 n. 21 “3.26.4;
2.12.15,,; a p. 67 n. 24“ conductor = actor ,, e “2. 12.18; 4. 55.5; 8.42.19,,; a p. 68
n.1 “merces=stipendium,,; a p. 68 n. 5 “4.2.8; 4.23.2,,; a p. 69 n. 5 “4.30. 7,8,9,16,,;
a p. (0 1. 13 “2.3.8,,; a p. 70 n. 2 “ collega=socius,,; a p. 70 n. 20 “actio= admi-
Distratio ,,; a p. (I n. Il “2.4.2, 4, 5, 15, 16, 17, 19, 22,23, 26, 27, 28,29, 30,.39,,; ‘a p. 71
n. 4 tolgasi ‘12.12.18,,; a p. CL n. 17 leggasi “3.37.4,,; a p. 72 n.6 1. 5 < 6.28. 53,
| Citazioni da aggiungere. — A. p. 19 n. 8 in principio “S.P. 3.4:1,,; a p. 20 n. 1 in
fpaneipronsS+Pataso. di; a pi210 n: Il 258102; a pr023°n.. 20% “Cfr. 2:42/4,,;.a
fé Vr
EUCE
92 IL CONTENUTO GIURIDICO
p.- 24 n. 11 “6.44.1-5,,; a p. 24 n. 14 “4.19.24,,; a p. 20 n. 1 in fine “5.62.13,,; a
p- 25 n. 4 in principio “ Arg. S. P. 6.42.32 ,,; a p. 25 n. 13 “Cfr. 7.45.11,,; a p..25-
n. 16 “ Contro 4.21.7,,; a p. 26 n. 13 “ Cfr. 2.40.4,,; a p. 26 n. 24 “Cfr. 7. 57.1, 6;
a p.27 n.4 “7.43.10,,; a p.27 n.9 in principio “S. P. 1.22.6; 3.1.8; 7. 45.13; 7.64.5,;;
a p. 28 1. 6 n.16 “Per gli acta legitima cfr. 2.57.2,,; a p. 28 n. 19 in pr. “Cfr. S. P.
7.42,1,,; 8 p.-29 n. 3 ©2.4.82;/4:31.27,; a: p. 29 ‘n. 4 in fine) “Cir 24 ea pi298
n. Oli € Cfr 8418 eta p. 180) mn. 420 Cir 84194210: da p.180 00 n pria SA
2. 214; 2,412; 5/84. 11, xa p./30/n. 24 Cfr. 2.261; & p..SI OASI
a pi 32 n.1 Cfr 1.2:42,,; a p. 49 ni 12 in fine.“ Cfr. 6.50.4,,; ap. 49 13400630215
6.23.24 ,,; a p. 50 n.3 in principio “S. P. 6.42.10,,; a p. 50 n. 151.4 “6.23.24,; @
p-:50. n. 16-6:25.9,; a ‘p: 51 n. 14.aggoS, P..6:219,,, @ pi dl palin,
6.21.9,,; a p. 52 n.16 “Cfr. pure 6.57.15,,; a p.53 n.9 “Cfr. 3.31.1,,; a p.53 n. 14
“Cfr. 6.57.9,,; a p..54 n. linpr. “S. P. 6.42.17,,; a p.54 n.2 in fine “ Cfr.331.1,5
ap. 54 n. 4 in fine “Cfr. 6.42.26, 27; 6.39.2,,; a p. 55 n. 4 “Cfr. 7.3.29 4: a p. b5e
n. 11 “ Cfr. 7.35.6,,; a p. 56 n. 20 in fine “Cfr. 8.10.1.,,; a p. 57 n. 12 infine “Cfr.
8. 44.16,,; a p. 17 in fine “Cfr. pure 7.69.1,,; a p. 58 n. 15 in fine “ Cfr. 4.10.4,,;.
a p. 58 n. 6 in fine “Cfr. 4.23.3,,; a p. 59 n. 3 “Cfr. 8.37.10,,; a p-59 n. 8.4 Cfr.
4.08; a p.60 n.2. Cfr. 2.4.13;,;;.8 p.60 n.4 £ Cfr. 1.18.93 a piece
8.25.4,,; a p. 62 n. 2 in fine “4.34.2,,; a p. 63 n. 5 “Cfr. 8.29.4,,; a p. 63 n. 8-
“Cfr. 4. 24.2,3;.8.14.3,,; a p. 63 n. 12 in fine “Cfr. 8.9/1,;; a p: 63. n.013 Contro
8.25.10; vedi anche “8. 27.2, 15,17,,; a p.64 n.2 “Cfr. 8.13.8,,; a p.64 n.9 “Cfr.
3.2.18,,; a p. 64 n. 16 “Cfr. 2.9.4,5,9; 4.88.11, 13,,; a p. 64 n. 20 “Cfr. 8.44.1
e 3.32.12,,; a p. 65 n. 4 “Cfr. anche 4. 50.8; 8.13. 17; 3.32.6,,; a p. 66 n.8 “Cfr.
anche .8. 25.47. 75.4; 6.42:11,,; a ‘p. 65 n. 16 “Cfr. 4.9. 14 e (8/44-lvGa pr 66088
“Cfr. 8.44.28,;; a p. 66 n. 6.“ Cfr, 3.19.1,; a p. 69 n. 4. “Cfr. 13,4287Raltp 16%
n. 14 ‘Cfr. 18.82. 63,; la p. di n. AU Cfr. 24238), a pin 18 Ch 03300
Aggiunte — A_p. 9 n. 19: I rescritti imperiali a differenza dalle leggi [1. 14.1] non
erano suscettibili di estensione a persone diverse dai destinatari chè solo il giudicato
imperiale poteva esser di base ad applicazione analoghe [1. 14. 11]. Essi erano irretrat-
tabili [1. 14.11]. — A p. 19 n. 1: Il giudizio dovea essere aperto a tutti coloro che vo--
lessero adirlo [3.1.8] senza che però vi fosse coazione ad agire [3.7.1].--A p. 19
n. 16: Un foro speciale aveano anche, pare, gli acceptores publici. — Ap. 20 n. 6. La
causa pregiudiziale precedeva la principale. —A p. 21 n. 11. 28: In S. P. 2.20. 1,2.3.4,8
e in 8.44.11 si parla anche di un actio ex dolo proponibile entro il biennio dall’ atto -
doloso. — Ap. 21 n. 1 in fine: Proponere actionem leggesi: anche in 3.42.5. Propor-
l’azione utilmente non poteasi dopo una quiescenza o. una taciturritas più che trenten-
nale [2. 21.1; 7.39.7] salvo che non si trattasse d’un actio ipotecaria per cui occorreva
la quadragennale [7.40.1] o che la prescrizione non fosse sospesa per minore età
[2. 21.1, 8,9] o per assenza [2. 53.5]. — A_p. 23 1. 17: Che la prova incombesse all’ at-
tore risulta come regola dalla S. P. 4. 29.8, 14, 15. A p. 23 n. 41. 26: Non la mo--
glie pel marito [2.2.4] nè il consorte pel consorte [3.40.1]. — A_p. 28 n. 4 in fine:
“ Parrebbe che anche il procuratore dovesse giurare non malam causam defendere [2. 58.2].
A p. 24 n. 23 in fine: Che la forza probatoria della scrittura potesse essere annullata
da testimonianze contrarie si dedurrebbe da 4.21.14: ma forse il frammento è guasto.
In 4. 25. 2,5 e in 4.25.11 la prova testimoniale si sostituisce alla scritta solo per la
perdita della cartula. — A p. 25 n. 15: Possibilità di prestar giuramento per altri col
costui volere in 3.1.7..— A p. 26 n. 13: La sentenza era valida anche se pronunciata
DELLA SUMMA PERUSINA 93
in greco [9. 45. 12]. — A_p. 26 n. 15: “La condanna dovea essere in una misura certa o
almeno determinabile [7.46 2]. Non era nulla la sentenza in cui il giudice avesse
omesso le usure [7.46. 1-2; 7.47.1]),,. — A p. 26 n. 22: Il giudice non dovea temere i
patrocinia potentum [2.13.1]. Dovea esser libero [5. 45. 7]. A p. 27 n. 6. “Dalla S. P.
7.45.1 parrebbe nulla la sentenza pronunziata nell’assenza del procuratore benchè fos-
sero presenti le parti,,. — A p. 27 n. 9 “a tal caso deveriferirsila facoltà di resecare la
sentenza perperam facta cui si allude in 1.39.17. Sulla interpretazione delle leggi cfr.
1.14.1-8 e 1.17.1-2 e sull’efficacia delle consuetudini 8. 52. 1.3: sulla retroattività delle
leggi 4 32.36,.-—A p. 27 n. 30 “Potea chiedersi pur per procuratore [2.48.1],,. —
A p. 28 n. 15. “ Trascorso il termine nemmeno ricorrendo all’imperatore era possibile di
sospendere gli effetti della sentenza [1.21.2] e di sottrarsi alla condanna [6. 62. 12] ,,. —
A p. 28 n. 21 “ Anche se moriva in esilio [7. 62. 5],,., — A_p. 29 n. 3 “ Finis iudicatiin
7.52.2.—A p..29 n. 9. “Le esecuzioni erano vietate le domeniche [3. 12.9]. — Ap. 29
To IG RESI, pignorazione sfuggivano gli strumenti di lavoro [8. 16. 7-8]. — A_p. 30 n.7.
“Ma poteva garentire per sè [4.29.1| e forse a favor delle figlie per la dote |4. 29. 12).
Anche poteva prestar cauzione per l’ esercizio della tutela [4.29.6],.— A p. 80 n. 8.
“Pur non dovea esserle facile il factum suum retractare se agiva con dolo [1. 18.13] ,,.—-
A p. 30 n. 25. “L'atto nullo pel minore non lo era per chi scientemente lo garantiva
(2.23. 2], — A p. 31 n. 6. “Potea ottenersi a diciott'anni per le donne, a venti pei ma-
schi,. — A_p.:31 n.17. “La milizia poteva ancora acquisirsi per denaro [4. 7.3; 8.13. 27].
Nè poi era lecito abbandonarle per altre professioni: p. es. excepto militia principilarum
il milite non potea chiericarsi senza esser revocato al suo ufficio [1.2.27,,. — A p. 33
n. 13. Pel prezzo degli schiavi cfr. 6.1.3; 4.43.3; 7.7.1,. — A_p. 87 n. 1. “ Per la sem-
plice promissio dotis e pei suoi effetti cfr. 5.11.3,6; 5. 12.2,6,7,25. Se nel prometter
la dote non ne fosse stato fissato precisamente l'ammontare la commisurazione di essa
era fatta da arbitri [5. 11.3], — A_p. 39 n. 24: “ Le seconde nozze, malgrado la S. P.
6. 40.3, parrebbe che importassero sempre limitazioni di diritti per riguardo alla vedova
come la perdita dell’usufrutto legatole dal marito [5.10.1; 6.40.1]. E il vedovo che si
rimaritasse non peteva d’altronde lasciar alla seconda moglie più d’una quota figliale
[5.1.1-2]. — A p. 49 n. 4: “ Parrebbe che reserare testamentum tanto valesse quanto
testamentum scribere. Cfr. S. P. 6. 22.2; 6.23.18; 6.32.1-4; 7. 65.6. — A p. 49 n. 12:
Vedi anche 7.64.2. “Altrove vediamo figurare come termine minimo d’età per le
donne maritate i diciassette anni [6.26.7]. Per la manumissione ne occorrevano venti
(7.2.1; 7.11.4; 7.16.5]). A p. 50 n. 15. “ Parrebbe che l'inadempimento della condizione
posta ad un atto concernente più persone dovesse nuocer solo a quelli da cui esso
era dipeso [6.46.7]: i legati che pel non verificarsi della condizione diventavano ine-
sigibili andavano a favor dell’erede [6. 32.5]. — Ap. 51 n. 11. “Se in 6.23. 29 si alluda
a un vero testamento olografo è dubbio. — A. p. 52 n. 23. “La falcidia dovea esser de-
tratta prima del soddisfacimento dei legati. — Ap. 52 n. 23. “La S. P. 6.37.18 dice
che l’esazione dovea esser fatta non cum iniuria e direttamente: ciò può esser posto
forse in rapporto con la c. 5 h. t, dov'è detto che da parte dei legatarii ad iudicium
non est provocari. — Ap. 52 n. 19. “Il concetto del legato come una iussio accipiendi è
in 6.52.4; 6.53.1; 6.37.12 e come una dussio faciendi è raffigurato in 6.37.12. Se un
fondo era legato a più ne nasceva un rapporto di condominio [6.52.2]. — A_ p. 53 n. 3.
“ Vietata la disposizione testamentaria avente per oggetto la quota indivisa del socio (S. P.
6.42. 15).—A p.54 n.9. “In S. P. 6.9. 3 la prescrizione pare veramente vietata solo nei ri-
guardi dell’infans, il quale, se pur avesse rifiutata l’eredità, potea ripeterla entro il quadrien-
94 IL CONTENUTO GIURIDICO
nio dal raggiungimento dell’età maggiore [6.31.6]. La S. P. 6.11.1 non tronca il dubbio per-
‘chè vuol dir solo che l’impugnazione del testamento interrompeva la prescrizione a danno
dell’erede ,,.—A p. 54 n. 1: “I coeredì erano solidali attivamente e passivamente [8.31.2].—
A p. 54 n. 8: “Chi si fosse in buona fede portato da erede poteva riavere quel che
avesse sborsato in tal veste [3.31.5],,. — A p. 54 n. 13: “ Per l’unione dei possessi cfr.
7.32.1,2,.— A p. 55 n. 7: “ L’imperscrittibilità delle cose furtive è affermata in 7. 26.7
e quelle dei beni male acquisiti in 7.26.1, 4,9 e 5. 73.5, 4,. — A p. 55 n. 17: “ Pel
concetto della pertinenza cfr. 6. 38.2 ,,. — A p. 56 n. 8: “ Le alienazioni doveano quindi
esser fatte di comune accordo [2.18.19]; altrimenti non erano valide. La manumissione
arbitraria del servo comune non dovea però nuocere alla costui libertà: i soci qui aveano
solo il diritto alla rifusione del prezzo del servo, — A p. 57 n. 12: “Il possessore di
buona fede anche pel servo avea diritto alla rifusione delle spese [8.51.1].— A p. 57
n. 5. “Sulle res religiosa cfr. S. P. 3.43.2,4.9. I sepulchra diventavano res nullius
solo in mancanza d’eredi [3.43.13]: dal titolo di erede e non dalla qualità di parente
nasceva il diritto ad usarne [3.43.8],,. — A p. 57 n. 16. “Il possessore non avea l’ob-
bligo di provare il proprio diritto [4.19.2],.-- A p. 58 n. 6. “ Così pure quando si
fosse fatta una inutilis remissio 8.25.9,,.—A p. 60 n. 13. “Se il pagamento non era
provato diventava necessario il soddisfacimento dell’obbligazione |8. 42, 23, 25; 8.41.3,,.
A p. 61 n. 1. “ Naturalmente la restituzione della carta dovea esser stata fatta libera-
mente [8. 42.5], — A_p. 61 n. 4. “Il creditore che offriva il pagamento al concre-
ditore poziore si surrogava a lui [8.17.1; 8.26.4]: ma da 8.41.4 parrebbe che 1’ ac-
cettazione della sua offerta non fosse necessaria ,, — A p. 61 n. 12. “Il debito per
esser compensabile dovea esser liquido [4. 31.9, 10], la compensazione opponibile al cre-
dito per legato [4. 31.8], non lo era al credito per vendita [4. 31.7]. — A p. 63 n. 4.
“ Per la vendita giudiziaria cfr. 7.53.1,3; 8.21.1,2; 8.27.14. Annullabilità della vendita
frodolenta in 8.27.4,.—A p. 63 n. 13. “La vendita del pegno da parte del debitore
si validava in ogni caso se costui offriva il pagamento [8. 27.9] o se l’alienazione fosse
avvenuta a scienza del creditore [8.27.10], — A p. 63 n. 19. “Parrebbe da quest’'ul-
timo capitolo che l’occupatio publica esonerasse dalla fideiussio. — A. p. 64 n. 1. “ L’erede
rispondeva pei debiti del suo autore nascenti da fideiussione [8. 41.5; 8.44. 30]. La pro-
messa in misura più larga dell'ammontare effettivo del debito non mutava l’ obbligazione
del debitore principale [8.40.42].. La fideiussione non nasceva di per sè dal man-
dato [8. 40. 7]. — A p. 64 n. 3. “Però nella S. P. 8.40.21 è detto che prima d’agire
verso i fideiussori bisognava valersi della garenzia reale ,,. — A_p. 64 n. 11. “ Conte-
standosi ammontare del credito il creditore dovea provarlo [4. 17.1; 4.19.1],. — A
p. 64 1. 16.“ Per la cessio bonorum cfr. 7.71.1-7,.— A p. 64 n. 10.“ Dalla S. P. 8.39.83
parrebbe che la solidarietà venisse meno se di più condebitori uno solo avesse profilitato
delle somme mutuate : ma potrebbe esser caduta la negativa ,,.—-A p. 65 1. 6 dopo “in nome
di colui, leggasi: “che figurava come acquirente nel documento e non in nome di colui,,.—-
A p. 65 n. 4. “Dalla S. P. 3. 32.8 parrebbe pure che dei beni comperati con denari del milite
costui diventasse proprietario per metà: ma è sospettabile che una tal pratica realmente
esistesse ,,, — A p. 65 n.7 “La S. P. vieta in 2.25. 22, 23 la vendita delle actiones. Rela-
tivamente illecita era il contratto di compravendita tra chi era in exactione publica e
i suoi soggetti [4. 44. 18] ,,., — Ap. 65 l. 22. In caso di vendita o donazione doppia pre-
valeva chi avesse avuto effettuata la traditio a favor suo [S. P. 3.32.15]. Sull’efficacia
della traditio cfr. pure 3.32.26 e 4.7.2. Compratore costituito procurator în rem suam
a venditore [4. 39.2] ,,.— A p. 65 n. 29. “ Altro patto in 4.54.83 (risoluzione della ven-
DELLA SUMMA PERUSINA 95
dita per tardato pagamento del prezzo): in casi normali il ritardo non importava
che le usure moratorie ,,. — A p. 66 1. 11. “La rescissione per lesione enorme è pre-
sentata nella S. P. come un’actio de minori praetio [4.44.2,11,12,15,16; 4.45.2;
4.49.2; 6.8.42,29|] intesa ad ottenere la restitutio praetii [4. 54.6] o il supplemento
del prezzo: non era quindi accordata ancora al compratore contro il venditore [4. 49. 9].
La lesione parrebbe dovesse essere almeno della metà del valore [4. 44. 4, 8] quantunque
qualche dubbio nasca dal fatto che ripetutamente s’insiste sulla irretrattabilità di una
iusta venditio [4. 44. 3, 6, 7; 4. 47.2; 4.51.3]. La rescissione non era ammessa per com-
pere fatte a pubblico incanto,,. — A p. 66 n. 2. “Il compratore qui rem male emit
non era esonerato dall’ obbligo della restituzione [6.2.2] se avesse ceduto la cosa
«a terzi [4.4410],. A p. 66 n. 8. “Parrebbe però che il recursus ad anctorem non
fosse ammesso da parte del venditore conoscente il vizio della vendita [8.44.2]. — A
p. 66 n. 11. “ Diritto di agire per aver la cosa donata [8. 53.1] o il duplo in caso di
evizione [8. 44.2],. — “Ap. 66 n. 16. “ L'onere delle prestazione dell’evizione rispetto
alla permuta è attestato della S. P. 8.44.3,,, — A p. 67 n. 21 “tanto meno era lecito
il donare [8.53.4],. — A p. 67 n. 9. “D'altronde il conduttore non era tenuto a col-
tivar la terra oltre il termine prefisso [4.65.11]. La vendita risolveva la locazione
4. 65.2], — A_p. 69 n. 2. “Il mutuatario era proprietario delle pecuniae mutuate on-
c’egli agiva contro il ladro [6. 2.22]: a lui andavano i frutti delle somme stesse [4. 2.2].
Cfr. 4. 2.7. Circa l’obbligo delle restituzione cfr. 4. 2.13 e 4.7.6,.— A p. 69 n. 7. “Era
ammessa anche contro la transactio [4. 30.10, 12],,., — A_p. 69 n. 9. “ Chi pregava altrui
per un mutuo ne diventava garante [4.2. 15] ,,., — A p. 79 n. 1. “ Ad tempus [4.37.4.5],,=
Ap. 71 n. 15. “Non giovava che ai contraenti [4.2.1].
Con queste aggiunte crederei che nessun capitolo della S. P. sia sfuggito al mio
esame. Con ciò non presumo d’aver tutto ben capito e ben esposto: l’assunto era, oltre
che faticoso e fatigante, difficile e insidioso.
Ma l’opera mia paziente potrà servire d’indice e di guida al lavoro altrui: se non
m’inganno essa dimostra per lo meno che c’è da lavorare utilmente.
IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
PER
10 STUDIO GRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIMILIS,,
COMUNICAZIONE FATTA ALL’ACCADEMIA
dal Segretario Generale
PROF. SALVATORE RICCOBONO
nella tornata del 16 Aprile 1905
DS
PT
IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
PER
bO STUDIO CRITICO DEL “CORPUS IURIS CIVILIS,,
L'opinione dominante insegna che gli scritti degl’interpreti greci sulla
compilazione di Giustiniano hanno altissimo valore per restituire i testi
perduti, per controllare o ristabilire, ove il bisogno lo richieda, la lezione
dei mss. latini dei Digesti e del Codice !, come, in altra direzione, ne ap-
prezza convenientemente l'utilità per la conoscenza delle dottrine giusti-
nianee %; ma nega invece a tutte quelle fonti qualsiasi autorità per. le
investigazioni sullo stato del diritto avanti Giustiniano.
Cotesti canoni di critica poggiano su un apprezzamento generale di tutta
la produzione dei Greci, in quanto la questione preliminare, relativa al me-
todo ed all’origine dei singoli lavori bizantini sui libri di Giustiniano, è
risoluta nel senso che essi derivino in complesso dalla compilazione uffi-
ciale, senza altri sussidi di sorta.
Così pianamente e senza sforzo si è pervenuti ad affermare, che gl’in-
terpetri del sec. VI misero nello studio della compilazione ogni diligenza,
la quale mirabilmente accoppiarono cum absoluta iuris antiquioris omnium-
que omnino quae extra corpus iuris posita essent ignoratione : le parole sono
1 Il contenuto dell’articolo di E. Heimbach, “ Ueber den Nutzen der Basiliken und
der sogen. alten Scholien fiir die Kritik des Digestentextes,, in Zeitschrift f. Rechtsg.
II (1863) p. 319 e seg. si limita a porre in rilievo l’utilità dei Basilici per la correzione
e la integrazione dei passi dei Digesti.
? Cf. Kriiger, Geschichte etc. p. 364; Ferrini, Il Digesto p. 78, e specialmente
C. Longo, Natura actionis nelle Fonti Bizantine in BIDR. 17, p. 34 e seg.
4 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
del Mommsen, ma il giudizio ha radici profonde e domina incontrastato
nella nostra scienza ?.
E l'opinione dominante, bisogna riconoscerlo, si trova a suo agio, pro-
tetta da difese formidabili; da una parte stanno gli ordini severi dell’Im-
peratore, che, per la pace dell'umanità, vietò per tutti i secoli i comenti ai
testi delle leggi, ai contemporanei in particolare, e l’uso delle raccolte e degli
studi più antichi e la collazione con i mss. originali; d’altra parte sta la
tradizione costante sull’efficacia reale di quei precetti, documentata dalle
forme esteriori dei primi manuali greci, che figurano appunto come versioni,
indici e confronti dei testi legali. Escluso quindi ogni sospetto d’infrazione
agl’ordini imperiali, poteva anche scansarsi qualsiasi indagine in proposito
e ogni discussione.
Ma gli studiosi di altri secoli come i moderni hanno visto benissimo
che le versioni, gl'indici e le annotazioni dei Greci alle leggi del Corpus
iuris si distaccano assai di frequente dal testo latino, in quanto in alcuni
punti offrono elementi più copiosi, in altri contengono meno, ed in non
pochi tratti, infine, divergono essenzialmente dai libri ufficiali.
Ragionevolmente, cotali divergenze suscitano difficoltà gravi. Possono
elle accordarsi con la credenza di sopra mentovata , dell’ origine pura di
tutti i lavori bizantini del tempo di Giustiniano ?
Così è posto il problema nei termini più semplici, e credo che il vero
discernimento e la vera serietà scientifica consistano non già nel fuggire
senz'altro ogni indagine e discussione, per un motivo formale, qual'è quello
dei precetti di Giustiniano, ma invece nell’affrontare l’ una e l’altra con
prudente libertà, studiando attentamente caso per caso, per trarre dai fatti
le conseguenze legittime.
Il contenuto di quelle fonti, come s'è detto, non consente pertanto alla
opinione dominante una tranquillità beata; quelle divergenze sono mo-
leste. E difatti i migliori critici, poste in rilievo le anomalie più appari-
scenti, hanno tentato darne una spiegazione, che fosse nello stesso tempo
in armonia con i divieti del grande legislatore.
Si dice che i Greci contemporanei di Giustiniano dovevano avere
3 Mommsen, praef. p. LX; Kriiger, praef. p. XVIII; Bruns-Lenel, Holtzendorff's
Enc. p. 160; Dirksen, Hinterlass. Schrift. II p. 145, che nondimeno, mentre afferma
che la produzione bizantina è in complesso misera cosa, una stentata elaborazione dei
libri di Giustiniano, ammette negli autori la conoscenza e l’uso delle raccolte pregiu- È
stinianee; Eckard, Hermen. iuris civilis, dissertatio VI $ 268; VII, 292, il quale tuttavia
riconosce ($ 300) che i Greci: iurisprudentiam suorum temporum veteriî iurisprudentiàe
passim miscuerint. E. Heimbach nello articolo sopra cit. p. 340 ammette soltanto per |
Doroteo l’uso di vecchi esemplari.
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS ,, 1)
fresca memoria dello stato del diritto anteriore, e, molti di essi, anche
della forma degli scritti dei romani giuristi; si attribuiscono di conseguenza
le notizie particolari che offrono nelle loro elaborazioni a semplici remi-
niscenze *.
Ovvero si afferma, come ha fatto lo Zachariài, che alcuni degli inter-
petri del Codice, specialmente Taleleo, compirono le loro versioni e gl’in-
dici sulla prima edizione del 529.
Ma più generalmente si insegna, infine, che tutte le anomalie o i nuovi
tratti che si leggono in quei comenti, derivino dagli studi fatti dai Greci
sulla compilazione nel corso del secolo VI risalendo fino a Teofilo: il frutto
di cotali studi si sarebbe manifestato in aggiunte inserite nei testi e nella
sapienza sparsa nelle annotazioni ?.
Queste spiegazioni, per quanto diverse, convergono ad un medesimo
punto : nel dichiarare cioè le raccolte dei Greci prive di ogni valore per
la cognizione del diritto antico. Il corollario è legittimo. Chi suppone che
1 Greci interpetri non avessero altro conosciuto che i libri di Giustiniano,
deve necessariamente ritenere inservibili tutti i prodotti di quell'epoca ai
fini di un'indagine critica diretta a porre in luce la struttura dei testi ge-
nuini dei giureconsulti classici e delle costituzioni imperiali, o ad investi-
gare, viceversa, le modificazioni introdottevi da Giustiniano.
Or tale insegnamento non risponde alla realtà delle cose, ed è in
sommo grado pregiudizievole. L'errore fu denunziato nel 1865 da un insigne
maestro, l’ Alibrandi, che in una lettura tenuta nell’ Accademia romana di
Archeologia , atfermava , in base a copiosi elementi ricavati dai Basilici,
“che i greci commentatori ebbero sussidî utilissimi che a noi in gran parte
mancano ,° ; ed il Ferrini, che, per questo riguardo, non si seppe discostare
tante volte dalle orme dello Zachariti, e dagl’insegnamenti del Mommsen
e del Krigger “ dovette riconoscere senza esitanza che “l'autorità de’
bizantini deriva dalle fonti, di cui poterono valersi: tali fonti non sono
direttamente le opere classiche, bensì le loro elaborazioni antegiustinianee ,,°.
4 A parte le contraddizioni dell’ Eckard e del Dirksen di cui sopra nella nota 3,
cfr. Zacharià ZSS vol. X p. 285; Ferrini in BIDR. vol. 3 p. 63.
© Cfr. Mommsen, praef. p. LXXIII e segg.; Kriiger, Gesch. p. 361; v. specialmente
n. 12; Lenel, ZSS. vol. 2 p. 72 e segg.
6 Opere p. 49 e seg.
? Cfr. per es. in B. IDR. vol. IV, p.9.
8 Per l’ VIII centenario della Università di Bologna, p. 85; e già in forma più
decisa nei Proleg. alla graeca Paraphr. p. XIV scriveva: 1s igitur fuit, ut patet, aetatis
Iustiniani imperatoris mos, ut libri ex berutiensi schola profecti, cum fieri posset, ad nova
studia aptarentur; cf. il Digesto, p. 81, 180.
6 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
Ecco un apprezzamento adeguato, che l'esame di tutta la produzione giu-
ridica del sec. VI può confermare e porre in una luce migliore. È se in
questo luogo non è consentita una indagine larga a quello scopo, tuttavia
ritengo possibile, in grazia specialmente agli studi anteriori, mettefe in evi-
denza le linee direttive delle ricerche onde avviare il problema ad una so-
luzione deffinitiva.
Per quanto riguarda le Istituzioni imperiali, gli studi del compianto
Ferrini ® misero in chiaro il metodo seguito da Teofilo nella formazione
“ parafrasi greca delle Istituzioni ,,. Il maestro costantino-
della cosidetta
politano si rese agevole il compito, adattando al nuovo libro imperiale una
antica versione greca, forse beritese, del testo gaiano. L’opera così condotta
doveva necessariamente contenere molte sconcordanze col dettato latino
e portare copiose tracce del vecchio esemplare in forma di notizie storiche,
argomentazioni o interi tratti. E gli elementi disarmonizzanti con il titolo
e la natura del lavoro sono così numerosi e appariscenti che, già avanti
la scoperta del Gaio veronese, eruditi scrittori 1° avvertirono che la para-
frasi in molti punti si adattava meglio all’ epitome gaiano che al testo
ufficiale. Per questa parte della compilazione quindi la prova è completa,
nel senso contrario all'insegnamento che corre rispetto alla formazione ed
al contenuto dei lavori greci.
ol
Versioni e paragrafe relative alle leggi del Codice furono sotto questo
punto di vista studiate dallo Zacharià 1, il quale pervenne, quanto alla
constatazione del fatto, al medesimo risultato.
L'interprete massimo del Codice specialmente, Taleleo, rende spesso nel
xatà Téòas, 0 presuppone nelle annotazioni un testo che non coincide con
quello ufficiale; ma contiene in certi punti elementi più copiosi, in altri
° Il quale riprodusse da ultimo il confronto dei testi in Byz. Zeitschrift, VI p. 457
e seg.; un nuovo elemento efficacissimo vi aggiunge il Bonfante (Studi in onore di
V. Scialoja vol. 1 p. 547, 548) rispetto alla terminologia costantemente usata nella pa-
rafrasi: adquisitio per universitatem, resa più di frequente con la frase xm7ow xl’ Sudda,
in contrapposto alla costruzione giustinianea : successio per universitatem.
10 Mylius “ historia Theoph.,, p. 25 (in Reitz vol. II p. 1052); Zuichemus “ praefat.
Theoph. ,, $ 32; Eckard, Dissert. VII, $ 300.
11 Cf. Zeitschrift SS. vol. 8 pag. 1 e seg.
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS na 7
offre meno, o presenta infine, in varii luoghi, divergenze nelle frasi o nel
contenuto delle costituzioni. Qui intervengono i codici pregiustinianei, il
Teodosiano particolarmente , a toglier di mezzo ogni dubbio; poichè, ove
le costituzioni conservate dai codici più antichi consentono il confronto,
sì osserva che il testo tradotto o annotato da Taleleo collima appunto col
dettato che si legge in quelle collezioni.
L'esistenza poi di versioni e studi compiuti sui codici più antichi in
Oriente, attestata dagli scolii Sinaitici e dalle stesse citazioni dei contem-
poranei di Giustiniano !, non può esser messa in dubbio ; se ne deduce,
quindi, naturalmente che il primo interprete del Codice dovette utilizzare,
come appunto fece Teofilo, materiali pregiustinianei. Altre congetture, per
spiegare tutte le disarmonie delle elaborazioni greche sul Codice, sono vane;
né riuscì, in particolare, lo Zacharià a rendere nemmeno probabile la sua
asserzione, che cioè in tutti quei casì la versione, l’epitome o le note fatte
sulle costituzioni si riferissero alla prima edizione del Codice di Giustiniano,
poiché, conoscendo noi della raccolta del 529 un bel nulla, quella spiega-
zione poggia nel vuoto.
I confronti intanto fatti dallo Zacharit sono tutti a vantaggio della
dimostrazione che qui si vuol dare !8; noterò quindi pochi esempî che mi
sembrano caratteristici.
a) La costituzione di Gordiano riportata nel C. INT, 32, 5 ha nella chiusa
ùn periodo, certamente aggiunto dai compilatori, del seguente tenore : nisi
necessarios sumptus fecerint: sin autem utiles, licentia eis permittitur sine
laesione prioris status rei eos auferre. Questo brano addiettizio manca nel-
l’epitome del rescritto che leggiamo in Armenopulo :
II, 1, 35:°0 xax]] nioter Fevov vîxov xpatov xaì vepnbeis drodidwor t@
xupiw Toto adiòv petà Taviwyv, bs cis PeAtiwow tod otxov Toljoyi, tac dé
în adro éE0d0vs od Aappdvet.
È quindi accertato che cotesto sunto fu tratto dall’ esemplare genuino
della costituzione. Ma lo stesso Armenopulo, nel medesimo titolo del ma-
12 Cf. Sin. 1, 2,5,9, 52; B. 11, 2, 60 sch. 1. (Heimb. 1, p. 726): ud\iota èîvt@ zot: Aspouer®
“Eppoyevav xbdzi deyobexs; B. 11, 2, 35 sch. 1. (Heimbach 1 p. 704): Teodoro: y.%0:,
NATÀ TOUS TAlaoUc vouimoÙs xal TÀ Ev To Eouoysvayo xa Vpayopravoi diatazzs. Cf. Fer-
rini, Proleg. alla Paraphr. p. XIV; l'opinione del Mommsen (Proleg. ud Theod. p. XXXI)
che ritiene il Teodosiano poco noto, o almeno poco usato, in Oriente prima di Giusti-
niano è più singolare che dimostrata.
13 E già lo stesso Zacharià, ripetutamente accennò alla possibilità che i coevi di
Giustiniano avessero adoperato versioni preesistenti dei codici antichi; cfr. Kritische Vier-
teijahresschrift vol. XVI p. 228 e seg.; Geschichte des Griech. rim. Rechtes p. 6 e
altri scritti.
8 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
nuale, riferisce altro epitome del testo, e questa volta con l'interpolazione
glustinianea :
II, 1, 6: ‘O tòv &MAétproy cixov xaxî (4227) Harm.) rioter veunbeis ato-
dlòwor pòv adtbv petà t@v oteyovopiwy nai tavtòds ETtipov: tà Sì datavpata
où AapBdvet, [cè pù) dpa dvaynati ciov tà Sè Enwpeif divatar pi) pidrtwY
tijy dpyalav bb àdpereobar].
Osservando i due sunti si vede che essi differiscono di poco nella forma
e nella concisione del dettato, coincidono poi perfettamente nella chiusa,
in quanto corre parallela nei due testi, nelle parole ©è..... cd Aapfdvet il
èé ha qui forza nettamente avversativa ed io ne deduco che i due sunti
dovettero essere tratti dalla costituzione originale di Gordiano: entrambi
chiudevano nel punto indicato, negando al possessore di mala fede qual-
siasi compenso per spese fatte sulla cosa altrui. Ma l’interpolazione giu-
stinianea dovette essere applicata da uno degli interpreti del codice a
quell’estratto che passò poi nei Basilici !* e quindi nella Sinopsi !, dalla
quale raccolta il testo venne nel Manuale di Armenopulo.
Altri esempî dello stesso genere ci occorreranno più oltre; per ora noti
il lettore quale distacco si avverte pur nel testo greco tra il sunto più
antico, breve e pregnante, e la versione quasi letterale, sciatta dell'aggiunta
glustinianea.
5) Il patto in favore di un terzo fu reso efficace da Triboniano anche
nella c. 8 Cod. 3, 42, nella quale la decisione originale fu modificata con
l'aggiunta delle parole: stricto iure..... utilis autem tibi propter aequitatis
rationem dabitur depositi actio. L'interpolazione è ammessa oggi senza con-
trasto 19; ed a confermarla può ben richiamarsi la versione greca del
rescritto accolta nei Basilici 1", dove il periodo addiettizio manca.
La spiegazione preferita dall’Eisele, che i commissarî dei Basilici avessero
ricondotto il testo alla forma primitiva, è destituita di fondamento. Infatti
quella commissione coordinatrice non apportò modificazioni sostanziali alla
raccolta giustinianea; e più direttamente poi, nella quistione che qui inte-
ressa, i Basilici riproducono costantemente il diritto giustinianeo 18. Inoltre
14 B. 15, 1, 85, Zacharià, Suppl. p. 36.
15 Ediz. Zacharià A, 1, 5 p. 168.
16 Cf. Eisele, Beitrige zur ròm. Rechtsg. p. 79 e seg. ; Pacchioni, I contratti a fa-
vore di terzi p. 52.
I B. 15, 4, 28 (Heimbach II. p. 178).
18 Cf. B. 25, 1, 13 (Heimb. III. p. 60) corrispondente a D. 13, 7, 13 pr.; per l’inter-
polazione giustinianea v. anche Fabro, Coniect. 19 c. 19. — B. 52, 1, 10 (Heimb. 5 p. 105)
corrispondente a D. 44, 7, 11; per l’interpolazione v. anche Wlassak, Geschichte der
Cognitur p. 33. -
PER LO STUDIO CRITICO DEL © CORPUS IURIS CIVILIS ., 9
Taleleo ha cognizione piena di analoghe riforme introdotte da Giustiniano,
ed a proposito della c. 7 C. 5, 14, avverte alle parole obdttàia tè agpòfer che
il rimedio è nuovo, accordato contro la regola generale e chiude la nota
con la solita frase: 6g (diuòv xaì Fevov onpermoxobat 19,
Il reseritto dioclezianeo quindi sopra citato, potè arrivare nella sua forma
genuina fino ai Basilici perchè la versione greca proveniva dal codice Er-
mogeniano. I primi interpreti del codice giustinianeo utilizzarono normal-
mente le antiche collezioni, e in questo punto, come tante altre volte,
non avvertirono che la decisione nella raccolta ufficiale era stata mutata
in senso contrario. Ed è ancora significativo lo scolio 2 applicato al testo
dei Basilici 2°, alle parole odèeptiav &ywyMv che è del seguente tenore: Àtà
TOV Advova tTov Acyovta, dî TAXOTPIOL TPOCW!TOL dyWi Tvr ad Tpostopitetar.
Qui lo scoliaste richiama la regola del diritto classico nella sua forma
più pura 2! Ma la regola se poteva ben servire per illustrare la decisione
di Diocleziano, non poteva mai più adattarsi al testo modificato di Giu-
stiniano; ne segue che anche l'annotazione deve avere origine pregiusti-
nianea: germogliata dal medesimo ceppo insieme alla versione del rescritto,
ne seguì le vicende attraverso i vari manuali e collezioni.
c) Theod. II, 1,4 (a.
383).
Quisquismalor aetate
atque administran-
disfamiliarum sua-
rum curis idoneus
comprobatus prae-
dia, etiam procul posita
distraxerit, etiamsi
praedii forte totius
quolibet casu mini-
me facta distractio
est, repetitionis in re-
liquum, pretii nomi-
ne vilioris, copiam mi-
nime consequatur etc.
B. 19, 10, 84 (Zac-
charià p. 282).
Ù tig ®c pellwy TOY
NÉ ÈVIAUTOY Aal ETTI,
x
delwe dom oat Tijv idia
papidiav = donruaodelc
umMpata, el xa Toppw
draxelpeva , TWANOEL
-
EDTEAEOTE ov Tsi] |uaxtos
ovopati avaAnbewe Tod
Tpabévtos TodYypatoc ed-
Toplav pryoap®c ET
,
do).
Cod. Iust. IV, 44, 15.
Quisquis maior aeta-
te praedia etiam pro-
cul posita distraxerit,
paulo vilioris preti no-
mine repetitionis rez
venditae copiam mini-
me consequatur etc.
19 Cod. 5, 14, 7=B. 29, 1, 37 (Heimb. III, 483); Taleleo schol. 2.
e rem PAVEI 179).
ii 10 MIS...
nè può ritenersi il nostro scolio derivato da Theoph. II, 9, 5 perchè qui la regola è
vulgo dicitur, per extraneam personam nobis adquiri non posse;
tradotta diversamente: dì èimTIXOd TpOCH)TOL undiy Tposmoortecda: divarba:. Cf. del resto
Bonfante, Inst. p. 74 n. 1. 2
10 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
Riportati i testi paro a paro il commento può essere breve.
Il lettore osserva infatti con- un semplice confronto che i compilatori
estrassero dalla prima parte della legge di Valentiniano un sunto e modi-
ficarono inoltre alcune parole: essi sostituirono la frase in reliquum
con le parole re; venditae ; aggiunsero l avverbio paulo, che richiama le
nuove prescrizioni giustinianee circa la /aesio enormis, regolata da Tribo-
niano nello stesso titolo con le note modificazioni apportate ad un rescritto
di Diocleziano ?; ed infine invertirono l'ordine della frase : pretii nomine
vilioris, per dar maggior risalto all’avv. paulo.
La versione greca, all'opposto, riproduce più integralmente il testo ori-
ginale, e senza quei ritocchi formali fattivi dai compilatori; in essa manca
inoltre l’accenno alla l/aesio enormis, che nella nuova redazione della legge,
da parte di Triboniano , aveva importanza saliente riguardo alla stessa
decisione. Non può essere quindi dubbio che il sunto greco, ricavato dal
codice Teodosiano, sia stato poi nel sec. VI utilizzato per i nuovi manuali
sul codice di Giustiniano ??.
La copia degli esempii di questo stampo che le fonti greche otfrono,
raccolti, come si disse, ed esammati dallo Zacharià, autorizzano l’afferma-
zione precisa che Taleleo , cioè l’ autore che meglio conosciamo, seguì in
tutta l’opera sua d’interprete del codice siffatto metodo. Nelle annotazioni
poi egli usa ogni cura nel porre in evidenza le riforme introdotte da Tri-
boniano nelle leggi del codice; e attesta così, nella maniera più esplicita e
diretta, che egli teneva dinanzi agli occhi insieme al testo ufficiale le col-
lezioni più antiche dei rescritti e delle leggi; e da queste collezioni egli
aveva già ricavato, in buona parte, la materia prima per la formazione
del xatà 7665, completato immediatamente dopo la pubblicazione della
raccolta ufficiale ?*.
In quanto al confronto dei testi fatto da Taleleo nelle paragrafe riporto
due soli esempii. Egli rende conto di una aggiunta inserita da Triboniano
‘ad un rescritto di Diocleziano e Massimiano in Cod. 2, 12, 17; e scrive:
Toùto TÎS éxx)Ntov pi) mpogxelpevov tj tarard dratdter Tpocebmzaav vdv ot
Teprpaveotato: xwdxeuvtat 29. Viceversa, a proposito della c. 1 Cod. 2,9 (10)
rileva dal confronto le parole che furono omesse dai compilatori nel riferire
dal Gregoriano il rescritto di Alessandro, e nota ?5: tavty dratate: è
2 Cod. 4, 44, 2; confr. Gradenwitz, Bull. Ist. D. R. II p. 14.
23 Heimbach II. p. 317 riporta in B. 19, 10, 77 il sommario del testo dal l'ipuciso!
24 Cf B. 8,1, 28 sch. alla c. 16 C. 2, 7. Heimbach, vol. 1p.347; Kriiger, Geschichte p. 364.
2°B.08, 2-9lisch.(Heimbach Wil pid
20 BN: IA0, ch (leimiby ip 1355)
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS , alal
TANA AO) TOSCELELTO..... dia mepiethov vOv Toto TÒ puntò cò meproavelc xwdt-
MEUTEAÙ, ©< T7S Tpitme dratatews tovtov tod TITÀOL capeotapov adrò Xeyovong 27
Le versioni greche dei passi dei Digesti, e le paragrafe relative, non fu-
rono finora esaminate da questo punto di vista; ma è noto altresì, per
ripetute esperienze, che esse, di frequente, diversificano dal testo latino
ufficiale per le medesime disuguaglianze notate nei lavori al Codice.
La constatazione questa volta è fatta dal Mommsen, il quale, ai fini
dell’accertamento del testo latino ufficiale e senza approfondire oltre l'esame
che riconosce estraneo al suo compito, scrive 23: sane qui temere admittit
apud Graecos reperta quae non leguntur aliterve leguntur in libris latinis,
etsi per se probabilia et fortasse optima, ne is videat, ne Graecorum commentis
latina corrumpat magis quam corrigat; e più oltre satis enim constat tam
Cyrillum quam Anonymum ante oculos habuisse praeter archetypum etiam
versionem pleniorem et multa inde retinuisse, ut consensus interpretum licet
raro fallat, tamen fallere possit; ed a proposito della versione stefaniana
soggiunge : quae ex versione petita leguntur apud Stephanum num ipse Graece
fecerit ex Latinis an traxerit ex versione antiquiore, quod magis crediderim,
quaerent quorum interest 29.
S'ntende che per il Mommsen quelli esemplari più antichi da cui .i
contemporanei di Giustiniano avrebbero ricavati molti elementi, non pote-
vano essere che i prodotti dei primissimi interpreti delle Pandette; e lo
Zacharià, rigidamente fedele a quel cotale domma della derivazione, me-
diata o immediata, di tutte le fonti greche dalla collezione ufficiale, si
appigliava a tre indizi, ben lievi in verità, per dichiarare effettivamente
un rapporto di parentela tra l’opera di Stefano e l’Indice di Teofilo. Ma
il preteso rapporto potè ben presto essere dimostrato privo d’ogni base
da una accurata indagine del Ferrini, che mise in rilievo il carattere spic-
catamente diverso, per struttura e indole, dell’Indice di Stefano 3°. Per
Teofilo e Doroteo, già primissimi nella interpretazione del testo ufficiale,
la questione non poteva ragionevolmente nemmeno porsi in quei termini;
in quanto poi alle fonti usate da Cirillo e dall’ Anonimo lo stesso Zacharià
tornava dalle sue peregrinazioni attraverso le fonti contemporanee a mani
2 Altri esempii v. in Alibrandi o. c. p. 53 e seg. Cfr. anche Kriiger, Geschichte
p. 393, 364.
28 Praef. p. LXXV.
Ce cip IE XXITI n. (4°
3 Bullettino I. D. R. III. p. 64 e seg.
12 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
vuote 3!, Non potrebbe essere cotesto un segno del falso cammino fatto da
un così potente signore nei suoi regni? Io lo credo; e credo pure che te-
nendo lo stesso metro, come s'è proceduto nell’esame dei lavori relativi
alle Istituzioni ed al Codice, si possa pervenire, anche rispetto ai manuali
greci composti sui Digesti, a sciogliere il problema e con le risultanze me-
desime.
Ma qui l'ampiezza del materiale impone limiti rigorosi nelle investigazioni,
le quali ad ottenere il massimo effetto debbono esser coordinate e dirette
sui punti più salienti, saggiando per così dire la materia, e ponendo più
che altro in evidenza il metodo delle indagini. E pertanto — non tenendo
conto degli argomenti che potrebbero cavarsi dal vocabolario e dallo stile
dei vari tratti greci, la cui valutazione sfugge alla mia competenza—giova
distinguere in quattro categorie gl'indizi dai quali possiamo con buon fon-
damento argomentare l’uso di materiali pregiustinianei da parte degli in-
terpreti bizantini dei Digesti.
Le categorie sono le seguenti :
1° Disuguaglianze tra i testi latini e greci per elementi nuovi e diversi
riportati dai greci scrittori.
2° Passi che non hanno riscontro nelle fonti latine.
3° Frammenti greci immuni dalle interpolazioni tribonianee.
4° Passi greci che portano tracce visibili di aggiunte posteriori, inserite
delle volte per mezzo di semplici note marginali.
Su questi gruppi intendo fermare la mia attenzione.
I. I grecicomentatoririportano testi con elementi nuovi o di-
versi che non si leggono nel tratto corrispondente latino, o vi
sì riferiscono integrandone il contenuto.
Ciò avviene, come è noto, molto di frequente; questa categoria anzi com-
prende una gran copia di casi, in cui le disuguaglianze sono appariscenti
e come tali segnalate in ogni tempo.
Doroteo indica più volte Servio come autore dei responsi riferiti da Al-
feno nei /1bri digest.; segna il nome di Giuliano nelle trattazioni esposte
da Africano: e quelle indicazioni, soppresse nei libri di Giustiniano, sono
corrette. Tuttavia questo argomento da solo non avrebbe gran forza, per-
chè anche gli scrittori antichi, col solo sussidio dei materiali di confronto 3°
31 Zeitschrift der SS. vol. X p. 271 e seg. i
32 Cfr. già Antonio Augustino, De nominibus ete.; così anche il Mommsen, Zeitschrift
f. RG. vol. IX p. 90 e seg.; Praef. p. LX n. 4, che attribuisce tutte quelle nuove indi-
cazioni e correzioni a studî diligenti compiuti dai bizantini sui Digesti nel corso del
sec.. VI.
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS ,, 3
che porgono i Digesti intuirono il giusto rapporto tra autori e discepoli in
quei casi; ma esso acquista ogni vigore alla luce di nuove correzioni dei
testi latini che si rinvengono presso i Greci.
Così Stefàmo riporta correttamente il fr. 22 D. 3, 2 a Marciano ?3,
laddove gli altri Greci e la Florentina lo attribuiscono a Marcello. Lo stesso
interprete in B. 16, 8, 10, corrispondente a D. 7, 8, 10, 2 riferisce i nomi
di due giuristi Proculus et Neratius 3* ed anche qui i libri latini presen-
tano una variante erronea: Priscus et Neratius. La versione letterale del
fr. 4 pr. D. 41, 10 di Pomponio XXXII ad Sabinum, riportata da Ar-
menopulo 3°, ha il nome di Neratius in luogo di quello di Trebatius che
si legge nei libri latini.
Or la citazione del tratto greco risponde meglio alla dottrina esposta nel
passo, ed acquista poi uno speciale valore ove si avverta che la versione
greca riferita da Armenopulo è la più antica in confronto dei sunti greci
noti relativi a quel passo; da essa anzi Doroteo ricavò la summa del fr.
pomponiano che ci è conservata nel ms. parigino graec. 1351 fol. 235; e
questo fatto insieme ad altri indizi precisi, che ebbi occasione di porre in
rilievo altrove 35, portano a conchiudere che la versione è indipendente
dal testo ufficiale latino e che essa con tutta probabilità è pregiustinianea.
E che i nostri interpreti abbiano di fatto trovato nei lavori degli “ eroi
beritesi , un poderoso sussidio, anche per la interpretazione delle fonti giu-
stinianee, si avverte di continuo nelle paragrafe ed in varie direzioni. Così
Taleleo nell’annotare la c. 4 Cod. 11, 11 (12) combatte una dottrina e si
richiama all'autorità di Patricio in questa forma: dteXéyfw dì odx tx TOY
oîmetwy pov Tovwy, &X)° Èèx t@Ov tod fjewos Iatprxtov 3": che lo scoliaste
avesse per le mani autori antichi si ricava dalla chiusa di questa stessa
paragrafe, in cui da Eudossio trae una citazione dell’opera di Ulpiano de
officio proconsulis che riporterò più oltre.
Stefano attesta in più luoghi di aver sott’ occhio un vecchio autore,
tov taiet0y 3. e dello esemplare pregiustinianeo passarono nei suoi lavori
ib: 82295013) (Heimb. Ii tp.1542). Cf Lenel, Pal. 1, c. 6/9.n. 1; così anche il
Mommsen, il quale, dal suo punto di vista, sente il bisogno di notare: recte quidem,
sed contra archetypum cum pars grecorum cum Florentino libro in falsa lectione consentiat;
praef. p. LX, n. 4.
34 Suppl. Zacharià p. 116; sch. 11.
#3 006 See
36 Cfr. Studî Senesi, in onore di Luigi Moriani a. 1905, vol. I, p. 355 e seg.
% Bas. 21, 3, 4 (Heimb. II, p. 454),
8 B. 21, 2, 6 (Heimbach 2, p. 438); altri esempi in Ferrini, Per 1’ VIII centenario
della Univ. di Bologna p. 85 e seg.
14 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
elementi notevoli; tra questi merita speciale menzione il richiamo che in
una annotazione egli fa del fr. 32 fr. D. 15, 1, con le parole : divatar xatà
tod diov pecxiccapiav niuvelv, e 6 odArttavòs Èv TO Ap' dif. qNoi tod ma-
povtoc ti. 39. Il brano di pergamena di Strasburgo, decifrato dal Lenel,
ci ha conservato i residui del passo genuino ulpianeo, cui lo scoliaste sì
riferisce, e dal confronto emerge che Stefano, pur notando la collocazione
che il testo aveva nella raccolta ufficiale, riportava le parole originali del
passo, traendole evidentemente da una versione antegiustinianea 40. Esem-
pio lucidissimo cotesto per la dimostrazione che qui si vuol dare. Ed esso
trova perfetto riscontro nella doppia citazione che si legge in B. 21, 3, 4,
sch. 1 4, dove lo scoliaste, Taleleo, così si esprime: &AXà todto pùv ò
avayvacpa darò tod 8° fit. tv de officio proconsulis od povov adtéc, dAXd
nai 6 fows Evdotwos dvhyaye: neltar dì BL8, pm. tri. de poenis 7 dty.
TOÙ TUT.
Qui è evidente che l’ interprete traeva il passo ulpianeo da Eudossio,
il quale, riferendosi all’ opera genuina del giureconsulto, doveva citarla in
modo completo; Taleleo vi aggiunge la collocazione che il passo aveva
nella raccolta ufficiale xeîtar dé cet. E in tatto i Digesti contengono quello
squarcio nel libro 48, 19, 8, 7 4, ma lo riportano con tali rimaneggia-
menti 4 che a stento vi si può riconoscere il contenuto originale riferito
dai Greci.
II. Le versioni dei greci, o elementi essenziali in esse contenuti,
non trovano in alcuni casì riscontro diretto nelle fonti latine.
a) L'esempio più celebre è fornito, anche per questa categoria, da Ste-
fano e riguarda la formula prohibitoria, richiamata alla attenzione dei ro-
manisti dallo Zacharià *. Come è noto, il nostro interprete in un’annota-
zione al fr. 5,$1 D. 7, 6 riferisce l’ 2refentio di una formula prohibitoria
applicata all’usufrutto con le parole : eî:patverat pe dixatov Eye Tod AWADELV
cè tod uti frui *.
SERA Es cho (Zecharia p 92105):
40 Cf. Bullettino I. D. R. vol. 17, pag. 217 e segg.
4 Heimbach, II, p. 454.
£ Cf. Heimbach, Proleg. p. 11; Mortreuil, Histoire du droit bizantin, I, p. 265; Ali-
brandi o. c. p. 52.
4 Ed invero, a parte la glossa notata dal Mommsen e dal Lenel, la chiusa del testo
è quanto mai involuta e contraddittoria; essa è così concepita: et magis est, ut tran-
sferatur aut perpetuetur. generaliter enim dicitur, quotiens decennium excessura est. dupli-
catio, non esse tempore poenam artandam. $
4 Zeitschrift f. GRW, vol. XII, p. 258 e seg.
4 B. 16, 6, 5 sch. 6 (Zacharià p. 113).
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILTS 5 15
Notizie e tracce della formula furono messe in rilievo e da altre fonti
bizantine e dagli stessi frammenti del Digesto; ma la diffidenza verso i
Greci, per ogni cognizione che non fosse ricavata direttamente dalla com-
pilazione ufficiale, indusse dapprima anche il Lenel # a dichiarare la no-
tizia destituita d’ogni base, e soltanto in seguito ad esame più maturo la
formula prohibitoria potè ottenere la cittadinanza romana che gode ora
optimo iure *'.
b) Taleleo in un’annotazione *, riferito il contenuto del fr. 10 D. 3, 1,
aggiunge il seguente tratto: îy abito di to TITÀw Èv T]) Tpò tavens cevtev-
tias nai tinwpiav Opicer 6 Iladios xatà t00 proxocuvnydgov cUvnfoprnoavtos
Il passo, nota il Mommsen #, non ha riscontro nelle fonti latine e tra
gli stessi greci è riportato solo da Taleleo. Tuttavia il Mommsen, s'è per-
suaso che il brano ricordato da Taleleo sia stato tratto dallo stesso ti-
tolo dei Digesti °°, ove leggevasi avanti il fr. 10, e che dovette cadere
dai mss. per omissione degli antichi amanuensi: obstat quidem, egli so0g-
giunge, quod tam Florentinus codex haec ignorat quam Graeci interpretes
omnes: sed Thalelacus nominatus inter antecessores cos. ad quos constitutio-
nem Omnem Iustinianus dedit, fieri potest, ut locum antiquissimo tempore
librariorum culpa in digestis omissum mihilo minus nortt.
Ecco un’altra supposizione che poggia nel vuoto, ma che nella mente
del critico sommo s'incardinava su quella cotale absoluta ignoratione che i
Greci avrebbero goduto di tutto ciò che si trovava fuori il corpus iuris®.
c) Analoga lacuna è ammessa dal Mommsen nel fr. 55 D. 19, 2 °°, in
quanto vi suppone perduto il paragrafo ultimo che nei B. XX, 1, forma
4 Zeitschrift SS. II p. 73 e seg.
47 Cf. Ferrini, Per l'VIII centenario cit. p. 83 e seg. e autori ivi citati; Lenel, L’Edit.
perp. vol. 1, p. 216, 217; Audibert, Studi in onore di Fadda vol. 5, p. 364 e seg. Per
altri esempi comprovanti la conoscenza che i Greci contemporanei di Giustiniano ave-
vano dell’antica procedura romana e dello Editto perpetuo cf. Zacharii, Zeitschrift
t. GR W. vol. XIV p. 108 e seg.; Alibrandi, o. c. p. 59 e seg.; Ferrini, 1. c. p. 87 e seg.
SEBAN 6 (Heimibani p.1354
49 Praef. p. LXXXIII.
0 Le parole îy x)t5 di tw trà possono riferirsi ad altra fonte che ai Digesti, ove
si ammetta che lo scoliaste abbia tratto il brano da una elaborazione giuridica pre-
giustinianea.
© Per Zacharii, Zeitschrift SS. vol. Xp. 225, la cosa resta dubbia; in quanto poi
all'argomento che il Mommsen intende ricavare dall'ordine dei fr. nel titolo dei Digesti
citato, esso si distrugge con la semplice osservazione che il titolo nei fr. 8-11 contiene
a modo di appendice la traitazione di casi particolari.
228 (adi hi. li)
16 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
il cap. 55 °2. Or è evidente che a confermare l’ esistenza del passo nei
Digesti non può esser considerato un argomento invincibile il fatto che
se ne legge il compendio nel Tipucito, e nemmeno che al passo è nei Ba-
silici applicato uno scolio ° il Mommsen infatti è costretto, tutto som-
mato, a dare maggior risalto ai dubbî, scrivendo : habet quidem gravissi-
mam dubitationem, quod duo interpretes, qui per hunc titulum in Basili-
corum scholus perpetuo fere referuntur, ad hunc locum non extant neque
habemus ad eum misi scholimn incerti auctoris, fortasse Stephani; sed tamen
magis placwt recipere. E questi due esempi possono essere ritenuti suffi-
cienti per quanto ha tratto alle pretese lacune dei Digesti ?9.
d) In Armenopulo, nel contesto della teoria della specificazione, leg-
gesi il brano che segue: II, 1, 23: ’Iotéoy dé dt Erì TOY torobtwy ei pèv
na)f tioter etc tr eÎdos DAN peteozevdobn, duvatar Enteiv è xataczevicag
TÀc dDatdvac: eÈ dì nani] Tioter, ENteiv TadTAG oÙ dUvatat.
Il passo non deriva dalla parafrasi teofilina, come erroneamente notava
Heimbach, ma ha soltanto parziale riscontro con Gaio II, 76; e, per la
collocazione, con l’epitome gaiano II, 1, 6; i quali riscontri ci obbligano a
ricercarne la fonte nelle composizioni giuridiche fatte in Oriente avanti
Giustiniano 5%.
e) Altro frammento del vépoc Yewpytxés riportato dal ms. ambrosiano Q. 50
è del tenore seguente :
$ 87 ‘O èy &XAotplm Èòaper xrlfwy 7) otelowYy 7) putedwy 7) dAXo tr Èpya-
Copevos ÈATLTTETW TI)S deototetas pundè tà dartavMpata dapPfdvwy.
Nello squarcio gli elementi classici sono preponderanti, ed anche rispetto
ad esso i punti di contatto sono di nuovo con Gaio II, 73-75; laddove il
distacco dalle fonti giustinianee, per la dottrina che vi si espone, è note-
volissimo 5”.
III. Versioni, sunti e paragrafe di passi dei Digesti immuni
dalle alterazioni giustinianee.
Gli esempî di questa categoria provano in modo diretto che i tratti
53 Così anche E. Heimbach, Zeitschrift f. Rechtsg. II. p. 338, il quale ritiene però
caduto il fr. collocato nel tit. cit. dei Dig. tra il 55 e il 56.
54 Cf. Heimbach II, 364.
5 Heimbach nello articolo sopra citato della Z. f. RG. II p. 337 e seg. riunisce i
vari casi rispondenti al tipo che abbiamo descritto, argomentando in sostanza nel modo
“i Greci conoscono tale brano, nei Digesti esso è ignorato, also dovette ca-
seguente :
dere per negligenza di amanuensi.,, Nè il lettore riterrà siffatta argomentazione ecces-
sivamente ingenua, sol che richiami alla mente quel certo domma dell’absoluta ignoratione.
56 Cfr. Bullettino IDR. vol 17 p. 155 e seg.
5 Cf. Bullettino cit. p. 162 e seg.
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS ,, e
greci, in quei punti, derivano da lavori più antichi, e rimasero del tutto
liberi dall’influenza della compilazione per semplice svista degli interpreti
delisec:l VIa
Nelle versioni delle leggi del Codice i casi di questo tipo sono sover-
chianti, come s' è detto di sopra; rispetto ai frammenti dei Digesti in-
vece si hanno poche esperienze, ma ciò per il fatto che indagini critiche
in questa direzione mai furono intraprese.
a) Il sunto greco del fr. 52 $ 2 D. 17, 2 58 non contiene la frase ef
culpam che leggesi nei Digesti nel riferimento della dottrina di Celso. La
norma pertanto generale della responsabilità dei socii anche per culpa è
in dissonanza con l'esame di casi speciali fatti dal giureconsulto nel se-
guito del testo, e l’interpolazione giustinianea fu dimostrata dal Brassloff ?9.
5) In D. 20, 1, 16, 4 si legge nel periodo finale la frase mis? eestent
et res non sufficit. L'aggiunta ha non lieve importanza, in quanto dà come
norma che il convenuto con l’acto khypothecaria può essere condannato, in
casi particolari, a restituire anche i frutti percetti dalla cosa prima della
litis contestatio. Siffatta conseguenza è affatto dismisurata, incomprensibile
dal punto di vista del diritto classico; ma risponde con precisione, per il
suo contenuto e per la forma; alle nuove direttive del diritto giustinianeo 9°;
come mai adunque non si rinviene di essa alcuna traccia nella versione
greca del testo che danno i B. 25, 2, 16, 42 91.
c) Da Doroteo proviene la versione quasi letterale del fr. 47 D. 19, 2
di Marcello, riprodotta in B. 20, 1, 46 °°.
Ma il testo latino, pel caso ivi fatto di una convenzione di correalità
nella vendita o locazione, contiene una doppia decisione contraddittoria.
Infatti, nella prima decisione è detto che i coobligati debbono godere il
beneficium divisionis ; in proposito il testo si esprime così: ifa demum ad
praestationem partis singuli sunt compellendi, si constabit esse omnes solvendo:
quamquam forlasse iustius sit... ma tosto si soggiunge che non deve pri-
varsi il creditore della potestà di convenire a sua scelta uno dei coobli-
gati, anche se tutti sono solvibili. Quest'ultima soluzione è detta più giusta,
e noi sappiamo che per il diritto classico è la sola corretta, in quanto vi
si riconosce l’effetto normale delle obbligazioni correali. Il beneficium di-
58 B. 12, 1, 50 (Heimbach I p. 751).
59 Wiener Studien, vol. 24 p. 577. Così in altri testi relativi alla società è interpolato
il limite della diligentia quam suis, cf. Bonfante, Ist. p. 434.
6 L’interpolazione fu indicata dal Goeppert, Organ. Erzeugnisse p. 395, dall’ Eisele,
Zeitschrift SS. vol. 18 p. 4 ed è segnata dal Lenel, Pal. c. 649 n. 1.
61 Heimbach, III p. 70.
6 Heimbach II, p. 360. 3
18 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
vistonis invece dovette essere introdotto nel testo dai compilatori ‘; ren-
dendolo con quell’aggiunta, ispirata alla solita mitezza, inesplicabile ©.
L'interprete greco intanto rende il passo genuino, con l’unica decisione
corretta, affermante il diritto del creditore a perseguire a sua scelta uno
qualsiasi dei coobligati :
°Eàv TOM} prod 7) TwiN]ov azeri tod Enaotoy eis 6AbxANpov Eveyeobat,
etovolav Èyw yuwpioar xab° 05 fovAiopat, tùs xatà ov di)wy dywràs èxyw-
pov abrò 0.
d) L'’interpretazione più larga del diritto d’uso, secondo cui il titolare
ha facoltà di locare una parte della casa, purchè egli vi coabiti, di per-
cepire dal fondo frutti, sia pure in modica misura, non che gli alimenti
per i bisogni proprii e della sua famiglia, di avere poco di latte dal gregge,
di ricavare mercede per le opere del servo o degli animali dei quali avesse
l’uso, è opera di Giustiniano 5. Tra i frammenti interpolati a tal uopo
63 I caratteri formali della interpolazione non mancano ; così l’uso del verbo com-
pellere, la frase introduttiva ita demum che serve ai compilatori tante volte per saldare
un’aggiunta nel mezzo di un periodo; il comparativo neutro 7ustius.
64 La dimostrazione più completa è data dal Bortolucci in Bullettino IDR. vol. 17,
p. 314 e seg. Confr. anche Fabro, Ration. ad h. l., il quale esagera attribuendo tutto il
fr. a Triboniano; ma bene egli richiama la Nov. 99. che mette in piena luce la ten-
denza del diritto giustinianeo.
6 Ma nello scolio 1, Cirillo dà la versione del testo giustinianeo.
66 Cf. il mio scritto negli studi in onore di V. Scialoja I, pag. 581 e seg. La tesi
da me sostenuta è stata nel frattempo messa in dubbio dal Perozzi |Inst. p. 503 n. 3;
cf. anche Bonfante Inst. p. 299] il quale ritiene quella dimostrazione più abile che
vera. Non è qui il luogo di chiarire l'equivoco in cui il Perozzi incorre nel manifestare
i suoi dubbii; perchè da essi attingo il convincimento che noi, nel secolo XX e dopo
tante elucubrazioni sull’uso e usufrutto, non abbiamo ancora un concetto, nemmeno
approssimativo, del valore dei termini uti e frui presso i Romani. Così può spiegarsi
il fatto che il Perozzi colloca tutti gli esempii che dànno le fonti in unica fila, am-
mettendo tutt'alpiù fra essi una progressione quantitativa: recipere hospitem e pensio-
nem accipere; uti stercore e lacte; uti pomis, floribus, aqua ete. e frugibus, frumento, oleo
etc., formano unica categoria; e soltanto così può arrivare il Perozzi a conchiudere:
che già i giureconsulti del primo secolo concedevano all’usuario una certa partecipa-
zione ai frutti, e che conseguentemente la interpretazione più larga del contenuto
dell’ uso non può essere giustinianea.
Or appunto in ciò consiste l’errore, nel ritenere che la coabitazione con la moglie e
i servi, l’accogliere ospiti in casa, l’utilizzare il concime, il godere dell’acqua e dei fiori,
il passeggiare 0 farsi trasportare in lettiga , l’uso di strame, sarmenti e frutta da ta-
vola, e cose simili costituiscano utilità annoverate dai romani în fructu, siano cioè nel
significato tecnico fructus. Il Perozzi dovrebbe anche - oggi; con le. nostre progredite
condizioni economiche, trovarsi imbarazzato ad annoverare in fructu parecchie delle
voci soprariferite !!
L'argomento merita quindi di essere meglio considerato nella direzione qui di volo
toccata, e quanto prima vi ritornerò io stesso.
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS ,, 19
spicca nei Digesti il fr. 12 $ 1 (7-8) che contiene i seguenti periodi: sed
Sabinus et Cassius et Labeo et Proculus hoc amplius etiam ea his quae in
fundo nascuntur, quod ad vietum sibi suwisque sufficiat sumpturum et ex
his quae Nerva negavit e più oltre: sed melius est accipere et in oppidum
deferenda, neque enim grave onus est horum, si abundent in fundo. Questo
accordo solenne dei corifei delle due scuole, relativamente alle facoltà più
larghe attribuite all’usuario, riesce inesplicabile; perchè già nel tratto che
precede Sabino e Cassio, ed in correlazione anche Nerva, discutevano le
singole voci di cui l’ usuario potesse trar profitto; discussione del tutto
vana, se veramente la formula più comprensiva ora trascritta: ex his quae
in fundo nascuntur, fosse stata già approvata dagli stessi giureconsulti.
Ulpiano invero riferisce la trattazione di questo punto di diritto da parte
dei giuristi del primo secolo nei termini seguenti:
Sabinus et Cassius et lignis ad usum cottidianum et horto et pomas et
holeribus et floribus et aqua usurum, non usque ad compendium, sed ad
usum, scilicet non usque ad abusum: idem Nerva, et adicit stramentis [et
sarmentis] % etiam usurum, sed neque folris neque oleo neque frumento neque
frugibus usurum.
A chi legga questo brano non può sfuggire l'osservazione, che se Nerva
stimò dovere aggiungere ancora due voci: strame e sarmenti, vuol dire
che le medesime erano da Sabino e Cassio escluse 0, perlomeno, omesse
nella loro trattazione; quell’adiectio presuppone di nuovo e necessariamente
che Nerva non conobbe la formula più comprensiva attribuita nel seguito
del fr. a Sabino, Cassio, Labeone e Proculo. La struttura logica del passo
è quindi condannata in maniera irreparabile.
E se si procede avanti nei confronti, in base agli esempî genuini che
troviamo nel fr. 12 in esame, i risultati sono conformi e nella stessa mi-
sura invincibili.
Nelle Inst. II, 5, 1 si dice di chi ha Vuso: s0/ ulterius habere intel-
legitur, quam ut oleribus, ponvs, floribus, foeno, stramentis, lignis ad usum
cottidianum utatur.
Il brano è ricavato da Gaio rer. cott. il quale riproduce la dottrina di
Sabino, Cassio e Nerva, con gli stessi esempii, se ne togli il fieno, che
si leggono nella parte genuina del passo dei Digesti.
Ho voluto mantenere nel testo le parole ef sarmentis che mancano in tutti i libri
latini; ma Stefano nello Sch. 18 a questa legge (B. 16, 8, 12) le riporta: xaì toîs gp.
yavo:s, e ciò dimostra che effettivamente Nerva ne aveva fatta menzione. Ma non per
questo si è autorizzati, come ha creduto il Mommsen, ad inserire la voce nel testo uf-
ficiale di Giustiniano ; il lettore troverà in seguito, nell’ esame dello sch. cit., ragioni
decisive per escluderle.
20 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
Or Gaio non avrebbe potuto ignorare la formula più larga attribuita ai
più grandi giureconsulti del primo secolo, tra i quali figurano i suoi mae-
stri ed i suoi autori: nè l’ avrebbero in modo alcuno potuto ignorare gli
esemplari dai quali traeva le dottrine, dovunque si vogliano ricercare, a
qualsiasi tempo far risalire.
Teofilo non va preso in considerazione, per ora, perchè riproduce il
passo delle Istituzioni; e così pure non si può tener conto di uno scolio
applicato al cap. 46 dei Bas. 60, 12 5; perchè esso deriva come prova
un segno rivelatore, cioè la voce yégtoy= foenum, da una summa assai
stringata delle Istituzioni, di cui si hanno varie tracce nelle fonti greche.
Ma un termine di confronto assai prezioso per la determinazione genuina
del diritto di uso è fornito dallo scolio seguente: dè yg7otg povn peprzi)
got, ofov tè AapPdverv Adyava, Î èorbpas 7) puida, Enpòv EbAov, f ©
tovobroy. 59.
Questo testo non coincide, nè per la forma nè per gli esempî, con la
summa delle Istituzioni di sopra ricordata, ed è pure indipendente da Teo-
filo; esso ha invece riscontri significanti con la trattazione ulpianea di
questo punto di diritto nell'opera ad Sabinum. Soltanto Ulpiano nel fr. 10
$ 4 D. 7, 8 adopera rispetto all’sus una frase che ci è conservata per
metà, ma che differenziava, come sembra, il nostro diritto dall’usufrutto
per la quantità ed insieme per la qualità del godimento. Scrive infatti
Ulpiano: minus utique esse quam fructum longeque [aliud 2]; il peg del
passo greco potrebbe rispondere a quest'ultimo concetto. Nello stesso squarcio
poi dell’opera di Ulpiano seguivano gli esempi riportati nel fr. 12 $ 1
sopra trascritto : e come qui non è ricordata la voce foenum così essa
manca nello scolio; laddove le Istituzioni imperiali, Teofilo, e l’altra summa
del testo giustinianeo la comprendono °°.
Ancora, un altro scolio per dar ragione dell’indivisibilità dell’usus arreca
due esempî ricavati dal fr. 12 $ 1, e cioè dal tratto genuino; lo scoliaste
osserva: où yàùp duvatat ts pepinbs innateodat, 7) Tepuratety 11
Ma sopratutto poi è rimarchevole l’Indice di Stefano ? nel punto cor-
rispondente al fr. 12 $ 1. La parte genuina del testo ulpianeo è resa alla
lettera, con perfetta misura, con tutti i nomi dei giureconsulti che vi oc-
corrono, ampliata di un esempio 63015 tuyév apposto alla parola floridus
68 Sch. 4 (Heimb. vol. 5 p. 489).
69 B. 16, 8, 2, sch. 1 (Heimbach 2., p. 201).
70 Nello scolio fa difficoltà la voce 40))x la quale è riferita male, come io credo,
invece di gu))43xs = stramenta.
71 B. 16, 8 c. 19 sch. 1 (Heimb. 2 p. 204).
© B. 16, 8, 12. Sch. 18 (Zacharià p. 118).
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS , 21
e di una nota per dar ragione della voce folta di cui Nerva negava al-
l’usuario il godimento: tadta yàp sig dTotpogily Pwby te rai tO dA wy
Opeppatwyv roreî. Invece i periodi giustinianei sono riferiti liberamente : or
sono omessi i nomi dei giureconsulti: twvég pévtor; or il testo latino è am-
pliato con ripetizioni inutili; ripetuti sono gli esempî di Nerva senza al-
cuna necessità; la proposizione latina: ex his quae in fundo nascuntur,
è resa, per dare un esempio della versione faticata, nel modo seguente :
ÙTL NA. Toîg TIXTOEVOLS KATÀ TÒY AYPOY.... XXÌ Li) povov Toîg tixto|pevote ATÀ.
Come mai possono giustificarsi queste disuguaglianze nella versione di uno
stesso tratto ? Perchè mai Stefano, in presenza del testo legale giustinia-
neo, che accordava all’ usuario anche la facoltà di servirsi delle foglie,
avrebbe sentito il bisogno di dar ragione della esclusione sostenuta da
Nerva, ricordando che esse sono adoperate per mangime del bestiame ?
Le difficoltà si appianano e la spiegazione corre svelta ove noi suppo-
niamo che l’Indice di Stefano in quel punto risulti costituito da due strati
diversi; uno pregiustinianeo, che si riferiva al testo genuino di Ulpiano,
e conteneva in più le parole et sarmentis, omesse da Triboniano °;
l’altro sovrapposto da Stefano, che confronta e interpreta la nuova reda-
zione del passo nella raccolta ufficiale.
E l’esperienza nel senso ora indicato non è fatta da me la prima volta;
chè lo Zacharià "* aveva già osservato in altri scritti lo stesso fenomeno.
Nell’ esame dell’opera di Taleleo al Codice egli notò che la versione e
l'indice delle costituzioni più antiche differiscono in ogni rapporto dalla
versione delle leggi di Giustiniano ; infatti le più recenti, come egli av-
vertiva, rendono liberamente il senso della legge, mentre le antiche rap-
presentano il testo latino alla lettera e con precisione. Nelle paragrafe ri-
conobbe le stesse disuguaglianze e in misura più rimarchevole. Dunque,
se, come s'è visto avanti, non può essere dubbio che Taleleo trasse dalle
collettanee più antiche traduzioni e paragrafe che inseriva nelle sue elabora-
zioni al Codice, lo stesso sistema dovette pure essere seguito da Stefano per
rendere in greco e illustrare le Pandette. Nè questo è tutto; chè i rima-
neggiamenti di esemplari più antichi, operati dai coevi di Giustiniano,
nemmeno sfuggirono all'analisi acutissima dello Zacharià, il quale a pro-
posito dell’Indice di Isidoro al Codice vi riconobbe “tracce evidentissime
di aggiunte di nuovi precetti nel testo di costituzioni più antiche, che
fanno ritenere probabile il rifacimento di una redazione più antica , ‘°.
78 Cfr. nota 67.
71 Zeitschrift SS. vol. 8, pag. 25, 39.
© L. c. p. 62. S'intende poi che lo Zacharià tira in campo quella solita infelice spie-
gazione, del rifacimento dei lavori compiuti sulla 1% edizione del Codice.
29 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
Noi ci troviamo quindi di fronte ad un metodo di lavoro non partico-
lare ad uno scrittore, ma comune ai primi interpreti della compilazione
di Giustiniano ; la dissimiglianza nel rappresentare i testi latini in una
stessa opera, non dipende dal capriccio dello scrittore ma svela l’indole di-
versa e la ineguale capacità degli autori di due epoche distinte.
Per l’opera di Stefano poi in particolare, e per il punto disopra esami-
nato, bisogna richiamare alla memoria che i libri di Ulpiano ad Sabinum
furono nelle scuole orientali studiati e comentati con predilezione: è quindi
molto probabile che ne esistessero versioni letterali utilizzate poi con van-
taggio nel secolo VI dai coevi di Giustiniano.
E se così è, non può arrecare meraviglia che le fonti greche abbiano
sull'argomento dell’uso copiosi elementi classici, che escludono qualsiasi fa-
coltà dell’usuario a trarre profitto dei fructus della cosa; chè anzi, se bene os-
serviamo, cotali sopravvivenze attestano, quanto fosse ancora larga presso i
Greci del secolo VI la sconoscenza di quella trasformazione sostanziale,
che il diritto d'uso aveva subìto nella compilazione di Giustiniano.
Ma se i redattori delle Istituzioni latine ignorano la riforma, se la ignora
Teofilo e l’altro epitomatore greco, si ha motivo di ritenere che essa
non fu nota alla scuola d'Oriente. Non è concepibile attribuire al solo
Gaio l’ attardarsi per sei secoli, fino nei libri di Giustiniano, e fuori di
questi, d’una dottrina che si pretende già superata da Labeone e Sabino.
Non è possibile che gli “eroi beritesi,, nutriti alla scuola di Ulpiano, che
certamente conoscevano il testo originale del fr. 12 $ 1, proveniente dal
commento ad Sabinum, non abbiano poi esercitata un’ influenza decisiva
nella tradizione giuridica orientale, conforme al testo classico.
4. Interpolazioni giustinianee trasportate nelle versioni o
sunti greci.
Con l'esame di quest’ultima categoria la dimostrazione che qui si vuol
dare deve attingere il colmo dell’evidenza. Poichè i coevi di Giustiniano,
se è vero che ebbero per le mani le elaborazioni fatte dai loro predeces-
sori sui libri dei giureconsulti, dovettero poi necessariamente sforzarsi, e
nel comporre nuovi manuali e nella revisione di essi, a ridurre gli elementi
vecchi in armonia con i testi ufficiali. Gl’interpreti quindi dovettero per
conto loro ripetere sulle fonti greche, quanto già Triboniano con i suoi
colleghi avevano in larga misura operato negli scritti latini; e cioè per via
di aggiunte, di ampliamenti dei sunti più antichi o di innovazioni dei
testi, tentarono ristabilire quella concordanza troppo spesso turbata da Tri-
boniano.
Or relativamente ai passi greci, come già per i latini, varî segni possono
soccorrere per mettere in luce siffatti rimaneggiamenti: qui sarà la strut-
PER LO STUDIO CRITICO DEL ©“ CORPUS IURIS CIVILIS ” 23
tura ineguale del passo indizio sicuro ; altrove sarà il contrasto tra due
periodi consecutivi, vieppiù insopportabile in un sunto o in una annotazione;
in un altro punto il brano addiettizio conserverà ancora l'impronta d'una
nota marginale; ed infine altre anomalie o semplici inconcinnità possono
avvlarci a riconoscere nei passi greci varie stratificazioni.
Nelle pagine che precedono, furono già esaminati, per connessione di
argomento, parecchi esempî che presentano l'una o l’altra delle caratteristi-
che enumerate; nel paragrafo presente quindi l’analisi, diretta di proposito
a porre in evidenza i casi più salienti di quest'ordine, può essere più breve.
a) Riattaccando il discorso sull'argomento dell'uso, merita attenzione
il cap. 12 $ 2 B. 16, 8 ‘5 ricavato dall’Indice di Stefano, ‘così concepito:
"Hay dyéhns Tpopktwv ypfors povn Amyarer0i, iyontar ti norton mpùs
TO xortpioar: où pi)jv TO Epiw 7) to Yidaxt, [ TÀAMv petpiwe: tàsyàp 1vbpas
7
e r
TOY TeiEuTWyYTwy od del atevbe Eopnvevetv].
L’esemplare latino forma nei Digesti il fr. 12 $ 2, VII, 8, dove è ri-
conoscibile l'aggiunta giustinianea del seguente tenore : Hoc amplius etiam
modico lacte usurum puto: neque enim tam stricte interpretandae sunt vo-
luntates defunetorum ?.
Nella versione greca intanto le parole Av Letpiws si riferiscono a tutte
le voci che precedono nel testo, e l'eccezione stabilita da Triboniano solo
per il latte si estende, per una legatura mal fatta, anche alla lana ed
agli agnelli. Ciò prova secondo me che il sunto greco, nella sua prima
redazione , fu estratto dal passo originale di Ulpiano, cui fu adattato in
seguito, mediante una glossa marginale, il periodo giustinianeo. E il lega-
mento sversato, che nel nostro caso poi offende il contenuto del testo
latino, contrasta vivamente con la summa che precede, misurata nelle pa-
role e precisa.
b) Speciali divieti di matrimonio conosce il diritto romano, stabiliti
per motivi di dignità e per rapporti di ufficio. Ai Senatori è inibito il
matrimonio con liberte, donne di teatro o inonorate; tutori e curatori non
possono contrarre nozze con la pupilla; magistrati delle provincie non pos-
sono sposare una donna nativa o domiciliata nel territorio amministrato.
Ma il divieto per sè non colpisce gli sponsali. E la ragione sta in ciò, che
la promessa di futuro matrimonio non costituisce un vincolo giuridico; ma
ha, perlomeno nell'età della giurisprudenza classica, prevalentemente, im-
portanza etico-sociale. Il diritto se ne occupa riguardo ad alcuni effetti
particolari, in quanto la promessa già mira a preparare e porre in ordine
il legame giuridico del matrimonio.
7% Heimbach II p. 202; (Zacharià p. 118).
© Cf. il mio scritto citato sull’usus p. 597.
24 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
Il divieto quindi di contrarre nozze, se la causa ne è transitoria, non
ha influenza sugli sponsali. Ciò è attestato per gl’impuberi, ed espressa-
mente da Paolo per i magistrati delle provincie ‘. Che se l’impedimento
al matrimonio è permanente, gli sponsali sono inutili, come affermò la giu-
risprudenza riferita da Ulpiano, rispetto ai divieti stabiliti per le persone
dell'ordine senatorio 9.
Tracciata questa norma, la quistione della possibilità degli sponsali dei
tutori, curatori o loro figli, con la pupilla è decisa. Tra tutte queste per-
sone l’inibizione del matrimonio è temporanea, determinata non da motivi
etici, sibbene dalla responsabilità che incombe al tutore per l’amministrazione
dei beni della pupilla, e non induce la impossibilità degli sponsali.
La prova di quest’affermazione, per quanto attiene alla giurisprudenza
classica, si ricava da quegli stessi testi che furono da Giustiniano modificati;
ed infatti soltanto Giustiniano, procedendo in questa materia con maggiore
miticolosità, estese il divieto anche alla promessa di futuro matrimonio.
Tra i passi interpolati a tale effetto * merita speciale considerazione
un testo di Modestino che riferirò in confronto con la versione greca che
ne danno i Basilici.
D. 23,1,15. Tutor factam pu- B. 28, 1, 13. ‘O yevépevos èritporos
pillam suam nec ipse uxorem | où duvata: yapetv tijv da? adtod èrt
ducere nec filio suo in matri- | tporevbeloay dppaviy, cre Tatdì adtot
monio adiungere potest. sceias ta- | Sevyvivat.
men quod de nuptus tractamus, et ad [Tò adtò rai mepì pvnotetac.]
sponsalia pertinere 33.
78 D. 23, 2, 38 pr.... quamvis sponsare non prohibeatur; il seguito del testo ita scili-
cet... acceperat è interpolato.
7 D. 28. 1, 16: “ Oratio imperatorum... de sponsalibus nihil locuta est; recte tamen
dicitur, etiam sponsalia in his casibus ipso iure nullius esse momenti, ut suppleatur
quod orationi deest. Il testo in verità è sospetto per la forma, la sanzione è troppo
solenne ed è certamente bizantina: îpso iure nullius esse momenti, ed io ritenni, altra
volta, tutto il brano interpolato; ma dichiaro ora, dopo più matura riflessione, che la
sostanza del passo, perlomeno, è ineccepibile.
80 Il fr. principale in proposito è il 60 $ 5 D. 23, 2, Paul. l. sing. ad Orationem divi
Antonini et Commodi: Quamvis verbis orationis cautum sit, ne uxorem tutor pupillam
suam ducat, tamen intellegendum est ne desponderi quidem posse; nam cum qua nuptiae
contrahi non possunt, haec plerumque (2) ne quidem desponderi potest, nam quae duci potest
iure despondetur. La forma di questo brano è indegna di Paolo, la motivazione è falsa
(cf. Paolo D. 23, 2, 28 pr.) e va intorno al concetto saltellone ; si può anche dubitare
che il giureconsulto avesse appunto in questo luogo proposta la quistione. Cf. Studî in
onore di Fadda, vol. 1, p. 306.
81 La interpolazione del brano riprodotto in corsivo fu da me dimostrata nel l. c.,
in base all’indizio della forma scias tamen adoperata di frequente dagli scoliasti greci=
to0:, mai dai romani giureconsulti.
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS ., 25
La versione è tratta dall’Anonimo. probabilmente discepolo di Stefano,
ed è notevolissima ai fini della presente dimostrazione ; poichè, come il
lettore vede, il testo genuino è tradotto alla lettera, riproduce i due verbi
latini che esprimono il concetto di sposare, laddove il periodo addiettizio
assume nel brano greco spiccato il carattere di una nota marginale, appli-
cata all'ultima parola del testo, senza alcun verbo : dem de sponsalibus.
Questa disuguaglianza del testo greco rispetto all’ esemplare latino sa-
rebbe altrimenti inesplicabile.
Ed altri esempi sono più rimarchevoli e, vorrei dire, infallibili.
c) Le più importanti riforme relative all'istituto della dote, annunziate
da Giustiniano in una costituzione dell’anno 530 82, furono riportate assi-
duamente nei frammenti dei Digesti.
Così, per le spese voluttuarie fatte dal marito sulla dote Giustiniano
aveva disposto nel $ 5 della c. citata: quod sì voluptuariae sunt, licet vo-
luntate eius (sc. mulieris) expensae, deductio operis quod fecit, sine laesione
tamen prioris speciei, marito relinquatur.
Da questo esemplare fu formato per i Digesti un intiero frammento,
giusto il sistema seguito da Triboniano, almeno nei primi 34 libri del-
l’opera, di riprodurre con larghezza le nuove prescrizioni del suo Signore,
decorate con i nomi dei giureconsulti. Ebbe origine in tal maniera il fr. 9
D. 25-1, che figura estratto dal l. 36 di Ulpiano ad Sab. Ma, per somma
ventura, quel che Ulpiano aveva scritto effettivamente in quel punto del-
l’opera, fa accolto pure nella collezione giustinianea, certamente per inav-
vertenza, e noi lo leggiamo nel principio del fr. 11 eod. nei termini se-
guenti: In voluptariis autem Aristo scribit nec si voluntate mulieris factae
sunt exationem parere.
Il confronto di questi testi insegna, che per le spese voluttuarie la giu-
risprudenza romana non accordò al marito alcun compenso; insegna pari-
menti che lo sus tollendi — affatto sconosciuto ai classici, perchè in con-
traddizione con norme fondamentali dello ius civile 83 — fu creato da
Giustiniano, che ne fece la prima e più cospicua applicazione nell'istituto
della dote. Tutti i testi latini, esaminati a dovere, concordano mirabil-
mente a confermare cotesti risultati.
Vediamo ora se tali esperienze trovano riscontro nelle fonti greche.
82 Const. un. 5.13; confr. la più particolare dimostrazione di quanto segue nel testo
in Bullettino I. D. R. vol IX. p. 238 e seg., 281 e seg.; vol. 18 p. 213 e seg.
83 Alcune decisioni dei Proculiani, che interpretavano la legge de tigno iuneto più
liberamente (cf. Cuiacio, Observ. X, 4), offrirono ai compilatori l’occasione di creare il
mostruoso istituto; cfr. Archivio Giuridico vol. 53 p. 521 e seg.; vol. 54 p. 265 e seg.;
Bullettino IDR. vol. 9 p. 239 e seg. ed autori ivi citati.
4
26 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
a) Schol. Sinaitica 20: [tà] pevro: voluptaria [o]ddè d[martei oddè Xo]jyi
[G]etar, [ei pi) dpa Eiorto ) yuvi) Eyetv adrd. [ei] dì od Bovet
Eyetv aÙTà 7) yuvi, di[dota: TH] dvdpi Ttappeoynota tod &geiéc@
adtà pi pAidrTOvVTL T)v dpratav è[Y]tv].
8) Schol. Anonymi 8: Tadta dì tà Borountkpra, duva natà yvopny ti
yuvarmòs datavmoz: è Avio, od divatar [Xxovoay adti)v] arartetv [Èv © &vs-
yetat aùti) repratpelvy abdtà povAbpevov].
Y) Harmenopuli IV, 10,55 5°: Kàv yvbun ts yuvamòs yefévaor cà meòs
Teppiv daravnpata, cda drartobvia:.
Meraviglioso fenomeno, se si dovesse prestar credito a quella “ absoluta
iuris antiquioris omniumque ommino quae extra corpus iuris posita essent
ignoratione ,. La tradizione classica di questo punto di diritto è arrivata
attraverso una serie di vicende, che noi non possiamo particolarmente
indovinare, fino ad Armenopulo; il quale ci rappresenta, in due paragrafi
consecutivi (55 e 56), la dottrina pura dei giureconsulti riguardo al com-
penso delle spese utili e voluttuarie.
Lo scolio dell’Anonimo si parte dal fr. 11 pr. di Ulpiano, che come fu
detto è genuino; riproduce inopportunamente una frase classica, &o0voey
aòtiy che noi leggiamo in un testo latino di Paolo *5; e dopo tutto ciò
chiude con 7 parole: ev ® dviyeta: adTi) Teprarpeiv adrà fovAbpevov che
toccano , alla svelta, l’aggrovigliato e prolisso fr. 9, onusto della grave
riforma giustinianea.
Lo scolio Sinaitico presenta l’identica struttura; il fr. 11 di Ulpiano
precede, rinforzato, nella veste greca, con due negazioni odèè — obdèé, che sono
immediatamente annientate da un'aggiunta : eî pu %pa — dbw, abbastanza
pedestre nella forma, insopportabile per la complessione logica del passo.
Dopo tutti questi riscontri, voler negare che il fr. 9 dei Digesti fu for-
mulato di pianta dai compilatori per far posto alle nuove disposizioni
emanate nel 530 da Giustiniano ; voler negare che nello scolio Sinaitico,
come nella nota dell’Anonimo i periodi finali, applicati al contenuto del
fr. 11 pr., siano semplicemente, nel primo un adattamento del fr. 9 alla
versione già esistente del testo classico ulpianeo, nella seconda una glossa
84 B. 28, 10, 11. Sch. 1; (Heimbach, 3 p. 298).
8 Coincide con il c. 11 dei B. 28,10; Synopsis 7, 39, 66; ma cf. Bullettino cit.
vol. 18 p. 215. i
86 D. 50, 16, 79, 1: querum uomine onerari mulierem ignorantem vel invitam non
oportet. Ma il giureconsulto si riferiva qui alle 2mpersae utiles, e soltanto per queste la
voluntas mulieris era decisiva nel diritto classico. Ne segue, in maniera incontrovertibile,
che le parole %x0v7%v aùt4» furono inserite nel testo dopo, insieme ed in correlazione.
al periodo finale, per rappresentare alla meglio la riforma di Giustiniano.
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS ., 27
marginale inserita al medesimo scopo, è lo stesso che negare la luce del sole.
Ma, mi si dirà, che osta, per lo meno, la credenza ferma della genui-
nità del documento Sinaitico, il quale, essendo un prodotto della scuola
antegiustinianea, non può mai contenere i freschi rivoli della sapienza le-
gislativa che erompono nel sec. VI. Or cotesta credenza, nella sua esclu-
sività, non ha per fondamento che il vecchio motivo, quel cotale pregiu-
dizio che ho voluto disfare in queste pagine. Se si ritiene invece, quel che
è poi più ragionevole, che gl’interpreti della compilazione non ebbero l’au-
dacia di affrontare 0lotis manibus i grossi volumi di Giustiniano; se si
ritiene che essi non ebbero la semplicità supina di riporre tra i ferri vecchi,
come ciarpame inutile, tutte le illustrazioni dei “ maestri dell'universo ,
sulle fonti romane, allora anche il documento Sinaitico, che porta la tra-
dizione della scuola orientale, si ravviva di nuova luce.
I fatti del resto non si discolorano nè s’arrestano di fronte a deduzioni
metafisiche. Gli scolii Sinaitici hanno altre tracce di elementi giustinianei;
il $ 18, formula la distinzione tra le 2mpernsae in rem e quelle n fructus
ed è ricavato dal fr. 3$ 1 D. 25, 1 che è fattura di Triboniano 87; le pa-
role della chiusa del $ 2: zaì peygì tod èirA09 sono una semplice versione
delle parole usque ad duplum che si leggono nella c. 5 Cod. V, 1; la quale,
se nel Codice porta la data del 472 ed è attribuita all’imperatore Leone,
in verità, per quanto si attiene alla mitigazione della pena al duplum e
per le altre riforme più salienti, è una legge di Giustiniano messa insieme
con pochi elementi Leoniani 8.
Tutto ciò prova semplicemente che i Bizantini non solo si avvalsero
delle collezioni antegiustinianee per comporre i loro Indici o le Paragrafe;
ma, in perfetto riscontro, dovettero tenere per le mani, assiduamente, gli
studî dei maestri della scuola di Oriente sui libri de’ classici, adoprandosi
come meglio potevano per ridurli in concordanza con la compilazione uf-
‘ ficiale.
TIVE
1. Il vecchio pregiudizio è sfatato. Gruppi di esempî, i più varî, ricavati
da tutte le fonti, da Teofilo ad Armenopulo, mettono in luce il metodo
adoperato dagli scrittori greci del sec. VI, nei primi studi sull’opera legi-
slativa di Giustiniano. I quali, come abbiamo visto, non si limitarono a
8 Cf. Bullettino cit. vol. IX p. 230 e seg.; Archivio Giuridico vol. 58 p. 78 e seg.
88 Cf. Pel 50° anno d'insegnamento del prof. F. Pepere, 1900, pag. 139 e seg.; le
osservazioni del Kalb, Iahresbericht iiber die Fortschr. der class. Altert. vol. 99 n. 183,
e del Girard, Textes p. 578 su questo scritto dicono niente in contrario.
28 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
consultare nei punti difficili o per curiosità scientifica gl'insegnamenti dei
maestri più antichi, ma ne utilizzarono con assiduità i lavori, traendone
la versione dei passi e la sapienza delle loro paragrafe. E tutti cotesti ma-
teriali, estratti e collazionati furono poi, per quanto era possibile, combi-
nati con i luoghi corrispondenti della compilazione, per via di ritocchi 0
di ampliamenti o di aggiunte marginali. La produzione giuridica dei coevi
di Giustiniano si fondò quindi essenzialmente e largamente su quella let-
teratura sviluppata dai maestri greci sui libri dei giureconsulti romani.
Il sussidio che quei lavori offrivano era in verità di grande momento,
perchè anche la semplice versione dei testi latini importa di continuo l’in-
terpretazione in un senso o in un altro di termini giuridici, decisioni di
giureconsulti o delle figure degli istituti.
Di conseguenza le tracce, appariscenti o più occulte, degli elementi pre-
giustinianei sono nelle collezioni bizantine piuttosto numerose. E se si
tien conto della dispersione di tutta quella produzione, la quale, all'infuori
della parafrasi delle Istituzioni, a noi pervenne in forma frammentaria,
dopo un processo di selezione e di studi durato più di tre secoli, per opera
di privati e di commissioni ufficiali, tendenti a porre in evidenza i precetti
legislativi quali risultavano dalla compilazione di Giustiniano; se tutto ciò
si consideri, le vestigia pregiustinianee, superstiti ancora in quelle raccolte
più tarde, appariranno sotto ogni aspetto notevoli e soverchianti.
Gli è che l'adattamento del vecchio al nuovo dovette farsi grado a grado,
più intimo nelle revisioni posteriori; perfetto non lo fu mai. I primi studi
sui libri di Giustiniano dominarono tutte le cognizioni degli scrittori po-
steriori; e gli elementi da quelle sorgenti si trasfusero, in molti punti
ancora integri, nelle nuove collezioni.
E di cotal metodo di studi e di lavori si ha pure la riprova. Gli scolii
Sinaitici, residui lacunosi di un comentario insigne ai libri di Ulpiano ad
Sabinum, formatosi nella scuola fiorente avanti Giustiniano, ricco di con-
fronti con tutte le opere giuridiche del ciclo Severiano, cospicuo per for-
mulazioni solide e fedeli, fu sicuramente utilizzato dopo il 534, in un mo-
mento anzi, come dobbiamo supporre, assai vicino a quella data, riveduto
ed in alcuni punti messo in armonia con il nuovo testo ufficiale *9.
Gli elementi confermativi dunque della opinione qui sostenuta sono co-
stanti, come debbono essere, in tutte le fonti; visibilissimi sopratutto per
la disuguaglianza di contenuto e di forma dei prodotti delle due epoche.
Si è osservato infatti che le aggiunte dei coevi di Giustiniano appaiono
nella lingua madre più misere che nei testi latini. Il contrasto è sensibile.
8° Cfr. Bullettino IDR. vol. IX p. 217 e seg.
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS , 29
La intelligenza e la rappresentazione greca del testo nei brani derivati
dai maestri antichi è perfetta; in contrapposto le riforme introdotte da
Giustiniano sono annunziate con fretta, fiaccamente, con contorcimenti
del pensiero penosi.
Quel che il Fitting ® osservò nel 1870 rispetto alla Glossa Torinese
delle Istituzioni è meravigliosamente confermato da queste indagini più
estese. Infatti nella produzione giuridica del periodo giustinianeo si distin-
guono agevolmente due strati; uno più profondo, formato di brani limpidi,
solidi, perfettamente intonati ai modelli latini; l’altro sovrapposto dai coevi
di Giustiniano, i quali, nel riprodurre le riforme introdotte dal loro Si-
gnore, si mostrano impacciati e goffi come principianti.
2. La sorprendente attività di Teofilo, Doroteo e Taleleo, i quali tutti
in poco tempo, e quasi simultaneo alla compilazione, poterono apparec-
chiare manuali completi su singole parti dell’opera di Giustiniano , trova
nel sistema dei loro lavori la spiegazione più naturale.
Il contenuto dell’opera di Giustiniano vi si prestava egregiamente. Que-
sta, nel fondo, risultava di quelli stessi materiali notissimi alla scuola
d’Oriente e ivi studiati con diligenza, cioè delle opere dei giuristi del ciclo
Severiano. E di riscontro, il nuovo ordine di studi disposto da Giustiniano
non rappresentava che un adattamento dell’ antico, con leggieri sposta-
menti, alle nuove fonti ?*. I commenti più antichi quindi sulle opere dei
giureconsulti nulla avevano perduto del loro valore intrinseco, nè per la
scuola nè ai fini della pratica. Certo è che l’unico comentario a noi per-
venuto, lacunoso ed esiguo, offre tuttavia in un punto una corrispondenza
impressionante con i Digesti; si confrontino gli scolii Sinaitici 17-20 con
i D. 25,1 ?2. Che quel documento della scuola del IV e V secolo si ritenga
prettamente genuino o riveduto in prosieguo di tempo, importa poco; anzi
esso deve riuscire più significativo a chi voglia mantenere ferma la cre-
denza della sua genuinità; perchè attesta, in ogni caso, che gli studi pre-
giustinianei si adattavano meravigliosamente a guidare la nuova genera-
zione d’interpreti e di docenti nella intelligenza e illustrazione dei libri
ufficiali.
3. Le composizioni giuridiche dell’ epoca avanti Giustiniano dovettero
avere nel secolo VI grande diffusione, se gli elementi riboccano in tutte
le raccolte, in Oriente come in Occidente. Giovanni Lido ° fa menzione
% Ueber die sogenante Turiner Institutionen Glosse etc. p. 13 e seg.
9 Const. Omnem $ 1.
?2 Vedi lo specchio in Bullettino I. D. R. vol IX p. 238.
9 De mag. 2,10.
30 IL VALORE DELLE COLLEZIONI GIURIDICHE BIZANTINE
di una legge di Arcadio esistente èy pèv to dia: Oeodoctavò, e sa dire che
fu omessa &v t6 veag@; se il Mommsen * inclina a diffidare di questa
notizia, ciò dipende principalmente da quella sua particolare convinzione,
che il Teodosiano nella parte orientale dell’Impero fosse stato, anche prima
del 529, scarsamente adoperato.
Una citazione del 1. III quaestionum di Papiniano nella sua forma ge-
nuina, potè pervenire, per il tramite di Giuliano di Ascalona, fino ad Ar-
menopulo °, ma il contenuto di essa s' era già dileguato, per far posto
al nuovi precetti dell’edilizia bizantina.
Nell’Occidente è la Glossa Torinese delle Istituzioni che riproduce gl’in-
segnamenti antegiustinianei, nella identica forma e forse dagli stessi mo-
delli greci.
Nulla di singolare in tutto ciò. Lo stesso fenomeno si ripete in ogni
tempo ed in ogni luogo, per la stessa natura della scienza del diritto, e più
generalmente per la tenacia della tradizione di scuola, in tutti i rami del
sapere.
In Roma sono le istituta di Gaio, che immettono già profonde radici
nella letteratura del 1° secolo dell'Impero; e suntate, diluite o tradotte do-
minano la scuola, in Occidente come in Oriente, fino a Giustiniano.
Negli scritti giuridici del primo medioevo °%, in Occidente, la tradi-
zione della scuola si mantiene per quanto affievolita, e per mille fili si
riattacca all’antichità classica, per congiungersi poi ai Glossatori.
Passando a considerare le forme del diritto nell’età nostra, nè il codice
napoleonico in Francia, nè la codificazione del 1865 in Italia, nè quella
del 1900 in Germania poterono rompere i legami con la letteratura giu-
ridica preesistente. In Italia, malgrado gli sforzi fatti dai commissarii del
Codice civile per chiarire molti punti, ed evitare le controversie dibattutesi
su varie formulazioni del codice napoleonico, tuttavia la dottrina e la giu-
risprudenza restarono per buon tratto attaccate ai commentatori francesi,
e le difficoltà si riprodussero e le controversie continuarono negli stessi
termini, inconturbate, come nella giurisprudenza e nella dottrina francese.
E sotto i nostri occhi il fenomeno si ripete in Germania dopo la codi-
ficazione del 1900 ; il più celebre manuale di diritto romano, quello del
Windscheid, assunse, in seguito a quell’avvenimento, nuovo atteggiamento;
e per via di appendici, opportunamente aggiunte, ha potuto tener conto delle
nuove modellazioni dei precetti giuridici; i trattati autorevolissimi del
% Prolegomena în Theod., p. XXXI.
9 II, 4, 51; cfr. Studî in onore di Carlo Fadda, vol. I, p. 289 e seg.
56 Cfr. Fitting, Iuristische Schriften des friiheren Mittelalters, 1876, p. 38 e seg.
PER LO STUDIO CRITICO DEL “ CORPUS IURIS CIVILIS ” 3
Dernburg sulle Pandette e sul Diritto Prussiano apprestarono allo stesso
scrittore la base larga, per comporre, in breve tempo, un terzo trattato
sul diritto civile dell'Impero. 1
Supporre che il corso fatale della storia si sia per un momento arre-
stato, per comando di un legislatore, è una ingenuità solenne, divenuta
per difetto di esame un pregiudizio storico.
4. Dalla dimostrazione che precede seguono due corollari per 1’ apprez-
zamento più conveniente delle collezioni giuridiche bizantine :
a) esse possono prestare un sussidio non trascurabile per lo studio
delle dottrine della giurisprudenza romana, o, delle volte, per stabilire la
struttura genuina dei testi latini;
b) dove i frammenti latini riportati da Giustiniano non si accordano,
per un verso o per un altro, con gli elementi greci, questi non possono
ogni volta indurre a correzioni o integrazioni dei passi ufficiali; perchè il
supposto che i tratti greci derivino in complesso dalla stessa raccolta di
Giustiniano è erroneo ?".
% Cfr. anche Zacharii, Zeitschrift SS. vol. 8 p. 25.
IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
nella primavera del 17837
LETTURA DEL PRESIDENTE
@lOiSiERPE-PITERE
nell'adunanza del 30 Luglio 1905.
EIRIRL
AAARANNANANANANI ANANAS
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IAA FARAI PISIIIIIIIIISIIIFF
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ATTTTT7yTyvwywW< ==
D]
OASI III III III III II DITA
IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
NELLA PRIMAVERA DEL 1787
Il Viaggio di Goethe in Sicilia, terza parte del Viaggio in Italia (1), è
descritto in lettere indirizzate alla Signora von Stein e ad altri, lettere le
quali furono mandate a gruppi. Le difficoltà delle comunicazioni andavano
di pari passo con la esorbitanza delle spese postali. Un foglio di pochi
grammi dalla Germania in Sicilia costava la bella somma di 60 bajocchi,
e doveva incontrare la fortunata occasione del corriere pel Continente.
Quelle lettere sono un diario, e vanno dagli ultimi di Marzo al 17 Aprile
del 1787; ma, meno qualcuna (nominatamente quella sulla grotta di Santa
Rosalia, la quale venne pubblicata nel Merkur di Wieland, ottobre 1788
e venne poi radicalmente modificata anche nella parte religiosa) non vi-
dero la luce prima del 1816: data da tenersi bene a mente, perchè a
chi studia i viaggiatori in Sicilia deve recare una certa sorpresa che
fatti e costumi rilevati da uno, e da quest’uno non comunicati per via di
stampa, concordino pienamente con fatti e costumi rilevati e pubblicati da
altri. Joseph Hager, per esempio, osservò nel 1795 e descrisse più tardi
cose state osservate e descritte da Goethe; ma Hager non conobbe quel
che Goethe aveva veduto e pensato; e Goethe, d’altro lato, dà ragione a
credere di non aver letto i Gemdlde von Palermo del dotto orientalista,
perito della causa contro l'abate maltese Giuseppe Vella, falsificatore del
(1) Italitinische Reise. Stutgart u. Tiibingen 1816. Zweiter Theil, 1817.
La edizione da me tenuta presente è stata questa : Italienische Reise. Leipzig, Philipp
Reclam jun.
4 IL VIA&GIO DI GOETHE A PALERMO
Codice di S. Martino. Il medesimo può dirsi di altri visitatori dell'Isola
prima del 1816.
Goethe moveva da Napoli per Palermo il 29 Marzo del 1787; e, come
usavano allora molti, veniva con un compagno. Era costui Cristoforo En-
rico Kniep di Hildesheim, artista di molto valore (quasi coetaneo del nostro),
il quale, rimasto privo in Roma del suo benefico protettore, il principe
Kraschinsky, vescovo, era passato, in tristi condizioni economiche, in Na-
poli sotto la guida operosa del rinomato pittore Guglielmo Tischbein, che
lo presentò e fece conoscere al poeta. Costui potè apprezzarne la non ordi-
naria abilità nel disegnare e, ad ogni passo per la Sicilia, compiacersi delle
singolari scene che egli ritraeva. Parisot ebbe a dire più tardi: * La fe-
deltà minuziosa che Kniep metteva nel riprodurre i particolari d’una rupe,
d’un arbusto, non soffocava in lui la spontaneità e la fantasia. Alla fini-
tezza sapeva unire ardore e vita, e si sentiva in lui la ispirazione , (1).
Che cosa sia avvenuto dei suoi cartoni dopo morto (Napoli, 9 Luglio 1825)
io non saprei se non mi venisse in aiuto il bravo prot. E. Zaniboni, che
da molti anni con intelligente amore si occupa delle opere di Goethe e
che è per darci una versione con copiose note illustrative della Italienzsehe
Reise. Il frutto delie sue e delle altrui ricerche in proposito, si raccoglie
nelle seguenti notizie:
“Il comm. Bourguignon, un francofortese residente a Napoli da una
quarantina d’anni, Direttore della Casa Meuricoffre (i Meuricoffre furono
i banchieri di Goethe a Napoli ed a Messina), modesto ma appassionato .
goethiano, era riuscito a raccogliere parecchi fra gli acquarelli e i disegni
di Kniep, portati da costui di ritorno dal viaggio in Sicilia fino dal 1787
o eseguiti a Napoli in schizzi di viaggio. Io stesso ho avuto occasione di
veder questi acquarelli (una ventina)e di ammirare sopra tutto un grosso
album di disegni e schizzi e cartoni ecc. di quasi tutti i paesi siciliani visi-
tati dal Goethe; e precisamente nel 1899, quando cioè ero nel principio
delle mie ricerche. Morto (1903) il Bourguignon, mi recai, poco dopo, dal
cav. Meuricoffre per aver notizie delle opere del Kniep. Ma dal cav. Meu-
ricoffre seppi soltanto che tutta l'eredità Bourguignon era passata ad una
figlia maritata in Francia. Dopo d’allora, non feci altre ricerche. È possi-
bile che il cav. B. abbia mandato qualche disegno o copia di disegni del
Kniep a Weimar, che sarebbe poi stato riprodotto nei vari volumi dei
Goethe-Jahrbiicher, o della Goethe-Gesellschaft ,, (2).
Questo mi scriveva da Napoli il 15 Maggio Eugenio Zaniboni; e quattro.
(1) V. Larousse, Grand Dictionnaire umiverselle du XIXme siècle, t. IX, p. 1230.
Paris, 1873.
(2) Goethe-Jahrbuch, XXVI, 225-258. Frankfurt a|]M, Riitten und Loening 1950.
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 5
mesi dopo mi indicava un ampio studio di Alfredo Peltzer su Kniep,
dal quale rilevava le notizie dei disegni presi da lui, Kniep, in Palermo.
Due di essi a seppia, firmati: “ C. H. Kniep del. et inv. Napoli 1805 ,,
ricordano le beate ore passate dal Poeta nella Villa Giulia. Provengono
dalla Russia e si trovano nella Galleria nazionale di Berlino. Ben quaran-
tasei, quasi tutti a lapis, probabilmente riuniti dallo stesso Goethe, si ri-
scontrano in una cartella della Casa del medesimo Goethe in Weimar, ove
pur dieci altri se ne ammirano quale con la firma del Kniep, quale col
nome del luogo che rappresentano e quale con qualche nota di Goethe.
Vi son marine palermitane, con la data del 1 e del 2 aprile 1787; v'è la
rada di Palermo con pescatori che tendon le reti, con capanne di pesca-
tori e con barche tirate in secco, “
rada probabilmente ritratta dalla fine-
stra dall’Albergo ,, secondo il Peltzer. V'è un quadro del golfo con la città
ed il Pellegrino; il Pellegrino giganteggiante sulla fertile valle che si stende
fino al mare (3 Aprile); ed ancora un tratto di esso Pellegrino, ed una
“ valle presso Palermo, celebre (son parole di Kniep) per una battaglia di
so
Annibale ,; ed in mezzo “ non so quanti altri disegni di luoghi e monu-
menti dell’Isola fin qui non identificati, il palazzo del Sant'Uffizio ,, (Ge-
biude der Inquisition), del quale però neanche una parola è nella esse,
forse, penso io, perchè il terribile tribunale era stato da cinque anni (12
Marzo 1782) abolito.
Attiguo a questo palazzo ve n'è nel medesimo disegno un altro, stile
Rinascimento, privo di qualsiasi indicazione; ma che, diviso appena da una
stretta viuzza (vic. del S. Uffizio), deve corrispondere all’ abitazione del
Marchese di S. Onofrio di famiglia del Castillo (1), divenuta al principiare
del sec. XIX locanda, ora Hotel de France. Dovrebbe passarsi ancora
un’ altra viuzza (Vie. Valguarnera) per giungere al celebre palazzo della
Regia Zecca, opera del 1700 (2).
In una recentissima pubblicazione del prof. G. von Graevenitz : Goethe :
unser Reisebegleiter in Italien (3), accanto alla riproduzione d’un acquarello
di Goethe, rappresentante un paesaggio siciliano, forse di una delle cam-
pagne del Val di Mazzara, acquarello che egli donò alla signora von Stein,
e un bel disegno degli avanzi del tempio di Ercole in Girgenti: e pare
faccia parte di altri disegni simili posseduti dal Graevenitz.
(1) PaLeRMO, Guida istruttiva per poter conoscere con facilità ecc. tutte le magnificenze
ecc. della città di Palermo, giornata II, p. 24. In Palermo, 1816.
(2) Lo stesso, pp. 20-21.
(3) Berlin, 1904.
6 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
KE:
Ma veniamo al viaggio : argomento principale di queste pagine.
Sul legno nel quale Goethe e Kniep presero imbarco era un'allegra com-
pagnia teatrale, stata scritturata per Palermo. Goethe non ne dice più che
tanto; ma io posso aggiungere che quella compagnia veniva pel teatro di
S. Cecilia, che preparavasi a riaprire, pel domani di Pasqua (9 Aprile), i
suoi battenti, rimasti chiusi durante la Quaresima.
Il Carnevale era passato un po’ freddino e sarebbe stato anche glaciale
senza i grandi carri trionfali dei nobili. Le solite opere in musica di cappa
e spada ed i ridotti al S. Cecilia, le solite opere comiche al S. Caterina
non erano riuscite a riscaldar l’ ambiente; ed il popolo si era goduto sol-
tanto le rappresentazioni drammatiche siciliane dette vastasate dentro le
baracche teatrali, volgarmente chiamate casott.
Goethe chiama corvetta quel legno; e probabilmente sarà stato il Tar-
taro, pacchetto (ingl. packet - boat) che faceva il corriere da Napoli a Pa-
lermo e viceversa, e che nelle due città accoglieva passeggieri del Conti-
nente per l'Isola e dell'Isola pel Continente, cioè per la Capitale del Regno
e per la Capitale della Sicilia.
Era quella la prima volta che Goethe andava per mare, e soffrì non
poco, ma con una certa filosofia, il mal di mare, durato, meno qualche
intervallo, quasi tutti i quattro giorni di navigazione mentr’egli se ne stava
immobile proseguendo un dramma (Torquato Tasso) da lui tempo prima
incominciato, ed il cui ms. avea portato con sè.
Pare sbarcasse alla Cala ed entrasse per Porta Felice, donde sarebbe
stato condotto ad una vicina locanda, la migliore che s’avesse allora a Pa-
lermo e forse in tutta l'Isola, tenuta da un vecchietto, abituato a ricevere
il fiore dei forestieri d’ogni nazione che giungessero nella Capitale.
Perchè alla Cala e non al Molo?
Perchè i piccoli legni andavano al porto vecchio (Cala) : ed i passeggieri,
nessuno eccettuato, doveano recarsi alla Sanità, sotto il baluardo meridio-
nale del Castello, dietro la chiesa di Piedigrotta, donde solo l’anno 1788
passò alla Garita, in seguito a consulto del Principe di Caramanico Vicerè
e del Duca D. Ignazio Lucchesi Palli Pretore (1).
Questa indicazione dell’ ufficio di Sanità non è, come vedremo, inutile.
Dobbiamo all'inglese Brydone il poco che sappiamo dell’albergo di Goethe,
e che non è guari io ebbi occasione di mettere in evidenza a proposito
delle locande di Palermo nella seconda metà del settecento (2). 2
(1) Fu tenuto il 29 Dicembre del 1787.
(2) La vita în Palermo cento e più anni fa, v. I, c. IX Palermo, Reber, 1904.
NELLA PRIMAVERA DEL 1757 Ti
Il vecchietto era marito d’una signora provenzale, specie di precursora
della Veneranda dell’ Amor pacifico del Giusti. Chiamavasi Montaigne, vulgo
Madama di Montagna, e, come avverte il Villabianca, teneva la sua “
no-
bile locanda nel Cassaro morto del braccio Kalsa ,. Lì stette nei giorni
che si fermò a Palermo l’ingegnere francese Sonnini, recandosi in Egitto (1);
il quale si sbizzarrì nel leggerle nella comune loro lingua le argute e non
benevoli pagine inglesi del Brydone (2), che lo avea preceduto di soli sette
anni. Un secolo dopo, nel 1875, dettata da Isidoro La Lumia, una lapide
veniva murata sulla porta di quella locanda, che sarebbe oggi la casa Ca-
stagnetta-Pollaci, di fronte al R. Archivio di Stato, già Casa dei Padri
Teatini.
La lapide suona così:
GIOVANNI VOLFANGO GOETHE
DURANTE IL SUO SOGGIORNO A PALERMO
NEL 1787
DIMORÒ IN QUESTA CASA
ALLORA PUBBLICO ALBERGO
La indicazione che ne lasciò Goethe è questa: “ Noi entrammo in città
per la porta maravigliosa formata da due immensi pilastri, in alto non
chiusi ad arco affinchè possa liberamente passarvi il carro colossale della
famosa festa di S. Rosalia; e, girando a sinistra, appena entrati, trovam-
mo una locanda. L’ albergatore ci condusse in un’ampia stanza, dal cui
balcone si vedeva il mare e la rada, il monte di S. Rosalia e la spiaggia,
e dal quale potemmo pur vedere il nostro bastimento e aver un'idea del
nostro primo punto d'osservazione (3).
Ma in questa indicazione, apparentemente chiara, quanta oscurità, e però,
quante ragioni di discussione! Basta salir le scale, percorrere i piani, vi-
sitare i quartierini di quella casa per accorgersi che poco o punto con-
corda oggi e dovea concordare allora con quel che Goethe scrivea. La
sola cameretta dalla cui finestra (e non già balcone) si vede un po’ della
Cala e molto del Pellegrino, è una stamberguccia all’ultimo piano, donde
Goethe potè forse affacciarsi, ma solo per un momento di curiosità, e non
certo per fermarvisi, e molto meno per dimorarvi: è un’augusta soffitta.
Il resto delle camere del fabbricato non permette di vedere altro che la
(1) SonxnInI, Voyage dans la Haute et Basse Egypte, ch. IV. À Paris, Buisson, An 7 de
la République.
(2) BrrDonE, A Tour through Sicily a. Malta, letter XXI. London, MDCCLXXIII.
(3) Lettera del 2 Aprile 1787.
8 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
strada principale, cioè la via Toledo d’ allora, Corso V. E. d'oggi, che
Goethe designa quando grosse Strasse, quando lange Strasse, e meglio
Hauptstrasse, senza identificarla col Cassaro, che egli nomina una volta
soltanto, nelle pagine sulla famiglia di Cagliostro.
Nè c’è da supporre che la Casa dei Teatini fosse più bassa e permettesse
perciò larga visuale, perchè essa all’esterno è nè più nè meno qual’era un
bel secolo e più anni fa; e se quivi fosse stata la locanda, il Villabianca,
con la sua abituale minutezza, l’ avrebbe indicata: “affaccio la Casa de’
Teatini ,,-
Nella lettera del 13 Aprile Goethe racconta: “ Adesso, dopo desinato,
alla finestra, sulla strada! Passa un malfattore al quale, come è uso ogni
anno, nella ricorrenza delle feste pasquali è stata concessa la grazia. Una
confraternita lo accompagna fino ai piedi del patibolo; quivi egli deve
recitare una preghiera; indi viene ricondotto in carcere ,,. E prosegue mu-
tando in tempo passato imperfetto il presente. “ Il disgraziato era un bel-
l’uomo del ceto medio, ben pettinato, con abito bianco, bianco cappello,
tutto vestito di bianco. Il cappello ei lo teneva in mano; ed avrebbe po-
tuto senz’altro fare la sua bella figura in un ballo se quel cappello fosse
stato guernito di nastri variopinti ,,.
Tornerò più innanzi su questa scena. Qui intanto stupisco come Goethe
abbia potuto vedere dall’ albergo tutto quel che descrive. Dalla finestra
(1 2 Aprile avea parlato di balcone) s'atfaccia sulla strada, scorge il gra-
ziato, accuratamente lisciato, e segue i particolari della cerimonia : il giro
della forca, il bacio delle travi ecc. ecc., cerimonia che si dovea svolgere
non già nel Cassaro, ma nel piano della Marina.
Mi sia permesso di dubitare, non già dell’occhio linceo di Goethe, ma
del luogo dal quale egli guardava. E allora c'è da sospettare che egli
s’affacciasse dal lato meridionale dell’albergo, la cui vista è ora impedita
dall’edificio della Zecca. Ma se è così, come c’entra la strada, che non può
essere se non il Cassaro?
Anche ad un uomo di vista acutissima non è poi possibile discernere
alla distanza di un quarto di chilometro, quanto ne intercorre dalla casa
della lapide all’attuale palazzo delle Finanze, carcere del tempo, i parti-
colari pei quali il fortunato delinquente dovea passare per esser graziato.
Dico fortunato, ma egli non si credette tale. Goethe non prese conto
di costui, nè del suo nome, nè del suo delitto. Le mie ricerche d’archivio
però mi han condotto al seguente risultato.
Egli era un certo Giuseppe Occo palermitano, giovane sui 27 anni, figlio
di Michele, forense e forse nipote di quel Santi Occo che nel 1735 avea
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 9
celebrato in versi Carlo HI (1). Era stato condannato a morte per avere com-
messo un omicidio in rissa. Quando il Vicerè, su proposta della Compagnia
dei Bianchi (la confraternita alla quale G. allude) lo graziò, e si fecero i
preparativi volati dall’ uso e dai Capitoli della Compagnia medesima, ci
volle del bello e del buono per persuaderlo a quella formalità di espia-
zione. Il Villabianca, membro della confratria pietosa, con infinita sorpresa
scriveva che “ molto s’ebbe a sudare per ei contentarsi meglio di un tale
affronto di forca finta che del pericolo di subirla forse da vero, con la-
sciarci la vita da afforcato,,; e ne dava come spiegazione: che “1° onestà
de’ suoi natali lo faceva così pensare , (2).
Cade acconcio qui osservare un errore di data di Goethe. Egli stabilisce
per Venerdì, 13. la processione (stavolta dopo la Settimana Santa) com-
piuta invece Mercoledì, 11 Aprile.
Tornando all’Albergo di madama Montaigne non possiamo sottrarci ad
una delle due seguenti ipotesi: O che esso non fosse proprio là dove oggi
si ritiene, o che sullo scorcio del secolo passasse molto più in su, verso
occidente della via Toledo. Abbiamo in proposito una testimonianza che
sposta di molto la casa designata dalla lapide. Miss Cornelia Ellis Knight,
damigella di compagnia della Principessa Carlotta di Walls, quella stessa
Knight che dovea nei primi del secolo XIX tradurre in inglese alcuni
idillî del Meli e al dolce poeta ispirare la graziosa ode che la celebrava
come la decima musa (3), nella sua Autobiografia dettava notevoli pagine
su Palermo. Raccontava che, partita da Napoli con la madre e con altri
assal, giunse dopo faticosa traversata nella Capitale il 1° Gennaio 1799.
“ Sbarcate, diceva, andammo nell’ unico albergo che s'avea allora a Pa-
lermo, quello appunto del quale parla Brydone nel suo Viaggio (lett. 21).
Allogate nella sola stanza (se deve chiamarsi tale) possibile , osservam-
mo il ritratto della padrona di casa nel costume da lui descritto nel
Viaggio .. (4) La madre della Knight avea contratta una grave polmo-
nite, per la quale le due donne dovettero fermarsi alcuni giorni nell’al-
bergo. “In faccia a questo era il carcere principale della città. Siccome
(1) S. Occo palermitano, I Presagi avverati, Panegirico in lode della S. R. M. di Carlo,
Infante di Spagna. In Palermo, Epiro MDCCXXXV.
(2) Diario Palermitano inedito, tomo XV, a 1787, p. 38. Ms. della Biblioteca Comu-
nale di Palermo, segn. Qq D 107.
(3) MELI, Poesie siciliane. Edizione II, 1. II, odi XLI, p. 178: A la celebri Sig. (sic)
Cornelia Ellis Miss Knight, chi avia tradutti alcuni Idilj di V Auturi nellu sò idioma In-
glisi. In Palermo, 1814. Per Interollo.
(4) Amena la descrizione del ritratto della padrona di casa, cioè della locandiera Mon-
taigne, fatta da P. Brydone nella XXI delle sue Lettere!
LiS)
10 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
la strada era stretta, noi potevamo sentire tutta la notte i gemiti ed i
lamenti degli infelici. Un prigioniero però soleva stare dietro le grate della
sua finestra con una chitarra, colla quale sonava molto bene ,, (1).
x Chi sta in Palermo e ne conosce luoghi e distanze, giudicherà se possa
ammettersi l’albergo dov'è ora la lapide commemorativa. Miss Knight, ve-
nuta ad alloggiare a pochi passi dal carcere maggiore della città, cioè
dall’antica Vicaria, udiva non pur lamentare i detenuti, ma anche sonare
e cantare canzonette siciliane. Ciò vuol dire che l'albergo era vicinissimo
alla Vicaria, dalla quale dividevalo una via stretta. Questa, checchè se ne
pensi, non può essere il Cassaro; ma invece via di Porto Salvo, dove la
casa oggi Gramignani raccoglie tutti i dati per potersi ritenere la lo-
canda Montaigne. Goethe ci aiuta in questa identificazione. Egli vide
dalla sua finestra (che poteva anche essere balcone) uscire il graziato. Ora
i rei che si andavano o a graziare o a giustiziare sulla piazza Marina non
uscivano dalla porta meridionale, che dà sul Cassaro, ma dalla orientale,
che dà sulla via Porto Salvo, di fronte alla casa Gramignani, porta che,
quantunque trasformata, esiste ancora (2). Goethe affacciandosi dalla fine-
stra della locanda Montaigne vedeva il monte Pellegrino ed il legno sul
quale era venuto, nè più nè meno che afferma la Knight, che pur ve-
deva il suo. Inoltre Goethe aggiungeva: “ Vorrei che questo foglio vi
potesse far godere della incomparabile bellezza di questo golfo partendo
da levante, dove sorge sul mare un promontorio piano, le cui aspre rupi,
bene formate e rivestite di boschi, scendono fino ai sobborghi della città.
Quivi sono le case dei pescatori, e segue la città medesima, ed alla estre-
mità di questa, le case e la nostra locanda, che hanno tutte la vista sul
porto fino alla porta per la quale siamo entrati , (3).
Il promontorio piano (Adicheres Vorgebirg) a levante è Capo Zafferano;
le abitazioni o case dei pescatori (Fischerwohnungen), son quelle della
Tonnarazza a pochi passi dell’ estremo limite della inferriata della Villa
Giulia, dal lato orientale, e forse, con larga accezione di voce, della Kalsa.
(1) Autobiography of Miss CorneLia KxnIGHT ecc. With extracts from her Journals ecc.
In two volumes. Second Edition. Vol. I, chap. 8. London, Allen, 1861. Devo la conoscenza
di questo libro alla nobile Contessa Jeanna Chanaz di Saint Amour.
(2) “ Dalla porta di Oriente di questo edificio (l'antica Vicaria) vi è la porta grande
segnata di numero 2; dalla quale si sale alla Cappella, dove si dispongono a ben mo-
rire per tre giorni i condannati a morte, e le chiavi si conservano dal Superiore de’
Bianchi, come quelli che li provvedono di tutto il bisognevole, e gli assistono in detti
tre giorni a ricevere con rassegnazione il meritato castigo ,,, G. PaLeRMOo, Guida Istrut-
tiva, giornata I e II, p. 124.
(3) Lettera del 3 Aprile.
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 11
Il porto è la Cala. Potrebbe osservarsi che dalla Cala non si vede nè la
Tonnarazza, nè la Kalsa. E va bene; ma non è detto che la lettera de-
scrivesse una scena tutta visibile dalla camera dell’albergo; ed è assoluta-
mente impossibile che dalla casa della lapide si vedesse quella scena, op-
ponendovisi il Palazzo Butera, che anche sulla fine del settecento , meno
una piccola aggiunta posteriore al 1798, esisteva quale è oggi.
Il particolare dei due pilastri e della mancanza d’ arco. su di essi pel
passaggio del carro di S. Rosalia (la famosa mole trionfale per le feste
della santa Patrona di Palermo) (1) sta contro la mia rettifica, e pare fatta
a posta per darmi torto.
Eppure non è così.
Goethe entrando da Porta Felice (se vi entrò davvero appena mise
piede a Palermo) non si sarà sognato di chiedere perchè i pilastri non
fossero coronati dall’arco, egli che non conosceva le altre porte. La noti-
zia, caso mai, potè averla posteriormente; ed è strano, per non dire incon-
cepibile, che stanco d’un viaggio faticosissimo, avesse pensato a questa insi-
gnificante minuzia ; la quale tutt'al più potè egli sentire dopo 1’ arrivo.
Dico minuzia, perché, topograficamente parlando, essa non importa nulla,
in quanto era comune ad altre porte della città proprio al tempo della
visita goethiana. Se senz’ arco era Porta Felice, senz’ arco erano pure le
rifatte porte di Vicari (S. Antonino) e Macqueda, e la nuova Porta Ca-
rolina, oggi Reale.
Ben altra spiegazione della forma architettonica di quella porta era stata
data invece al Conte de Borch: ed io la riferirei se non ci vedessi un
arguta piacevolezza, buona ad esilarare il lettore amante di scandali (2).
Ora supponiamo invece che Goethe fosse entrato, come è molto pro-
babile, da Porta delle Legna o del Carbone; quel che egli afferma: “ gi-
rando a sinistra, appena entrati, trovammo una locanda ,, risponderebbe
perfettamente alla casa Gramignani, la quale, ripeto, deve o può essere
stata l’albergo tenuto dalla signora Montaigne.
La ubicazione stabilita dal Villabianca: “ Madama di Montagna. Lo-
canda nel Cassaro morto, del braccio Kalsa ,, non impone; perchè nel
settecento la circoscrizione parrocchiale della Kalsa, dal lato settentrionale
estendevasi a tutto il fabbricato che partiva dall’Ospedale degli Incurabili,
(1) Chi voglia conoscere quel che fu scritto dagli stranieri prima e dopo Goethe in-
torno a queste famose feste, potrà vedere il volume: Le feste di S. Rosalia in Palermo
e dell’Assunta in Messina. Versioni dal francese, dall’inglese, dal tedesco con note di MARIA
Pirré. Con 22 illustrazioni. Palermo, A. Reber, 1900.
(2) M. JrAN DE Borc4, Lettres sur le Sicile et sur Vle de Malta, t. II, lett. XV, 15
février, 17077. Turin, Reycends, 1782.
12 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
ora Ospizio dei trovatelli, fin poco oltre la imboccatura della via Porto
Salvo.
Questa digressione parrà inutile; ma per la migliore locanda che ospitò
i più insigni visitatori dell'Isola ed i più gran signori che venivano nella
Capitale non è indegna della ricerca degli eruditi. Sappiamo così poco su
quest’argomento !...
Se poi siffatta ricerca sarà presa a cuore da qualcuno, costui si rispar-
mii quella degli archivi della parrocchia nella quale dovette essere denun-
ziata la morte della Montaigne, dato che costei abitasse nella casa delle
lapide goethiana. S. Niccolò la Kalsa, gioiello della architettura dei primi
tempi aragonesi se non di tempi anteriori, sorgeva nella piazzetta che è
ora di S. Spirito, decorata della fontana del cavallo marino presso Porta
Felice. Il tremuoto del 1823 la danneggiò gravemente; alte influenze con-
temporanee la fecero demolire. I registri di S. Niccolò passarono nella vi-
cina chiesa della Catena. Ora dal 1770 (ed è già troppo, perchè nel 1776
il Sonnini trovò la Montaigne sana e chiacchierina, al 1814, la nota alber-
gatrice non comparisce una volta; sicchè essa non dovette morire nella
circoscrizione parrocchiale, ove, secondo s'è affermato, avrebbe tenuta la sua
locanda. Forse converrà guardare i registri della parrocchia di S. Giacomo
la Marina (della quale dirò più innanzi) accolti nella chiesa di S. Cita,
parrocchia che principia dalla via di Porto Salvo, ed intercorre all'antico
carcere ed alle case che lo fronteggiano. Se il “ Registro dei morti, di
quella comprende anche il nome della Montaigne, allora un po’ di fede
alle mie osservazioni potrà aggiustarsi.
Lascio la digressione, e ripiglio il Diario di Goethe.
JI,
Quali idee sulla Sicilia avesse Goethe venendo tra noi è facile imma-
ginare scorrendo le sue entusiastiche pagine. Egli giungeva preparato,
oltre che con istudî all'uopo, con la lettura dei viaggiatori che lo aveano
preceduto. Lasciamo stare “ le capannucce col tetto di paglia ,, che pare
un momento aver egli potuto fantasticare (1); questo però è certo:che la Sicilia
gli aprì orizzonti non prima sognati. Ben conosceva quel che ne era stato
detto; ma la realtà fu superiore all’ aspettativa. Brydone e l’ antagonista
di lui de Borch gli aveano rivelato grandi e belle cose, ma più che il
Tour through Sicily and Malta dell'uno e le Lettres sur la Sicile et sur
Vite de Malta dell'altro, egli predilesse la esse durch Stcilien und Gross-
(1) Lettera del 3 Aprile.
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 13
Griechenland del Barone von Riedesel, il quale vent’ anni innanzi avea
percorsa l'Isola, ed era morto due anni prima (1785) della venuta di lui.
Goethe lo chiamava suo Mentore, ed il libricino di lui portava al petto come
un breviario o come un talismano (1).
Nel vedere questo cielo ridente e questa terra baciata dal sole, l’anima
‘sua si sublimò. “ Io, diceva, non saprei trovar parole che bastino a deseri-
vere e riprodurre la limpidezza vaporosa dell’atmosfera di queste spiagge
quando arrivammo a Palermo nel pomeriggio d’ una bellissima giornata:
tanta era la purezza dei contorni, la morbidezza del tutto, la varietà delle
tinte, la perfetta armonia fra cielo, terra e mare. Chi lo ha visto una
volta, non potrà più dimenticarsene. Solo ora posso dire di comprendere e
d’essere in grado di apprezzare l’ aspetto magico di queste contrade e di
poterne portare con me il ricordo nel settentrione ,.
Così comincia l'inno a questo cielo, a questo golfo e al Monte Pelle-
grino, “ il più bel promontorio del mondo , (2).
Da dieci anni s' era dato mano alla Villa Giulia, ed egli ne fece il suo
godimento intellettuale. Là comprese Omero e lo lesse in un testo (Homer?
‘Opera) premurosamente procuratosi presso un libraio. Lieto dell'accoglienza
preparatagli dalla natura, “con gelsi rivestiti di fronde recenti, con oleandri
sempre verdi e con siepi d’agrumi ,, egli si deliziò ancora più nelle aiuole
di ranuncoli e di anemoni.
Gli oleandri, infatti, erano così copiosi che, non essendosi ancora pen-
sato a chiudere con cancellate tutto il giardino, formavano quattro lunghe
e folte siepi di circuito e di chiusura. Solo dopo il 1800 cedettero esse al
ferro; ma non perciò cessarono dal profumare coi loro innumerevoli fiori
rosacei i bianchi viali e le verdi, perennemente verdi aiuole.
Il 7 Aprile scrivea: “ Oggi ho passato ore piacevolissime e tranquil-
lissime nel giardino pubblico, che è proprio aderente alla rada: ,, rilievo,
questo, del tutto storico, giacchè il mare era più vicino alla Villa Giulia.
“ Il luogo è maraviglioso. Non ostante che di forme regolari, ha aspetto
magico; e quantunque piantato da poco, vi trasporta ai tempi antichi...
È un vero incanto per l’occhio.
“ Osservai rami di forma curiosa in piante che non conosco, e che sono
tuttora spoglie di fronde, perchè probabilmente originarie di regioni più
‘calde. Sedendo sopra un banco, in un punto elevato, si gode l’aspetto di
tutta quella vegetazione nuova e curiosa, e lo sguardo va a cadere su di
un’ampia vasca, dove si agitano, si muovono pesci dalle squame d’oro e
(1) Lettera da Girgenti, 26 Aprile.
(2) Lettera del 3 Aprile.
14 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
d’argento, ora nascondendosi sotto le canne ricoperte di muschio, ora ve-
nendo su a frotte, quando loro si caccia una bricciola di pane .,. Era la vasca.
centrale del giardino, liberalmente fatta costruire da Monsignor Gioeni (1).
_“ Non sì può dire abbastanza quale aspetto maraviglioso dia quell’ atmo-
sfera vaporosa agli oggetti più lontani, bastimenti, promontorî, dei quali
possono comprendersi, misurarsi le distanze. Una passeggiata in quelle
alture deve riuscire piacevolissima ,,.
E conchiudea: “L'impressione di quel giardino fu in me profonda. Le.
onde cupe del mare a settentrione, il loro frangersi sulle spiagge dei varî
seni, l’ odore delle acque salse, tutto mi richiamava alla memoria l' isola.
dei beati Feaci ,,.
“ Sotto la minaccia di dover abbandonar fra breve questo paradiso ,,.
[e paradiso lo disse anche il tedesco Justus Tommasini (2) |, il 16 di quel
mese vagheggiava ancora la speranza di potervi trovare un sollievo nel
leggere l'Odissea e nello ideare il piano della sua. Nausicaa; e con molta
sua soddisfazione ne meditava la tela e non sapeva tenersi dallo svolgerne.
alcune scene, le quali più gli sorridevano ; e ritornava il dì seguente col
fermo proposito di proseguire ad occuparsi di quelli ch’ egli chiamava.
“ sogni poetici ,, (3).
A questa Nausicaa egli ripensava tre settimane dopo (4) stando seduto
a piè d’un arancio presso l'azzurro mare sotto Taormina (Giardini): e si
affrettava a comporne la tela come il miglior commentario dell’ Odissea.
Si ricordò allora della Villa Giulia e delle sue passeggiate “ fra le siepi
e gli oleandri, sotto i pergolati di aranci e di limoni, fra tutte quelle.
piante e quei fiori a lui ignoti fino allora e risentiva la influenza di tutti
quegli elementi nuovi ,,.
E come non commuoversi alla vista di alberi che all’aria aperta cresce-
vano prosperosi e gagliardi mentr’egli era abituato a vederli in Germania,
rachitici e nanerottoli dentro stufe e dietro cristalli ? (5).
Una gazzetta palermitana, pochi mesi dopo la partenza di Goethe, il 9:
Settembre, scriveva: “ La Villa Giulia, opera pubblica di magnificenza e
di delizie, la quale riconosce i suoi principj in questo piano di S. Erasmo
alla Marina dal genio creatore del sig. Marchese di Recalmici mentr’ era.
(1) TerxR3RA , Origine e disposizione dell’ Ecc.mo Senato, v. 1, cap. XIV, $ 211-212,
Ms. dell’Archivio Comunale di Palermo.
(2) Briefe aus Sizilien, p. 54-55. Berlin, Nicolai, 1825.
(3) Nell’Archivio goethiano di Weimar si conservano orai foglietti sui quali il Poeta.
abbozzò nella Villa Giulia la sua Nausicaa. i
(4) Lettera dell’8 Maggio.
(5) Lettera del 17 Aprile.
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 15
Pretore di questa Capitale, e 1’ acquisto di due orchestre di musica per
tutta la state dalla splendidezza del sig. Principe di Paternò, siccome deve
altresì i suoi felici progressi all’indefessa cura e vigilanza del signor. cava-
liere G. B. Asmundo Paternò, attual Presidente della G. C., va ora acqui-
stando nuove bellezze ,, (1).
IV.
Profondo naturalista ed osservatore sagace, Goethe trovava nel nostro
suolo argomento di indagini e di ricerche. Nel letto del fiume Oreto, con
grave scandalo del cicerone che gli parlava di antichi combattimenti svol-
tisi in quei dintorni, mettevasi a raccattare sassolini d'ogni genere: per-
suaso che * per formarsi prontamente un’idea della natura d’una contrada
montuosa non vi sia metodo più sicuro di quello di osservare i sassi e le
pietre che si rinvengono ‘nei corsi d’acqua, i quali scendono dalle alture;
‘e che anche in questa occasione si cerchi rappresentarsi per mezzo di quelle
reliquie l’età classica del nostro globo , (2).
Lo scienziato disdegnava il fastidioso chiacchierone, uno delle migliaia
di chiacchieroni onde pullulano città e terre con solitarî edificî e monu-
menti del passato. E metteva insieme una quarantina di campioni: diaspri,
pietre cornee, schisti argillosi varî di forme e di colori, e brecce collegate
con calce, formate di diaspri o di pietre calcari. Ai Colli ed a Bagheria
trovava pietra rocciosa calcare e vedeva cave per materiale di costruzione;
nelle vicinanze del Pellegrino (senza dubbio ai /'oss:, estendentisi fin sotto
la collina Belmonte, all’Acquasanta), cave di pietra bianca profonda cin-
quanta piedi; e lì sotto, coralli, avanzi di animali e conchiglie petrificate;
e negli strati superiori, argille rossastre scarse o mancanti di conchiglie;
nel Pellegrino, rocce calcari di antica formazione, porose, a screpolature,
apparentemente irregolari, ma in realtà ordinatamente stratificate ; e le
rocce, percosse, davano come un suono metallico. Risposta a chi vagella
alle ombre di un Monte Pellegrino imboschito nel settecento, è questa :
che il monte era nudo, senza piante nè cespugli, e soltanto i tratti piani
erano rivestiti parte di erbe, parte di muschio (3).
In quel di Monreale, scendendo da S. Martino, la strada è fra monti
di roccia calcare, la quale cotta da calce bianchissima. “ Per alimentare
le fornaci, osserva Goethe, si valgano d’un’erba incolta, alta e dura, già
(1) Raccolta di Notizie, a. 1787.
(2) Lettera del 4 Aprile.
(3) Lettere del 4 e del 6 Aprile.
16 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
seccata e legata in fascine ,,. Quest’erba è il saracchio, vulgo ddisa (arundo
ampelodesmos di Linneo), che anche ora, mescolato a virgulti ed a legne,
si usa nelle fornaci dove si cuoce calcina od altro.
“ Fin alle maggiori alture si vede a fior di terra argilla rossa, che forma.
il terriccio; argilla tanto più rossa quanto più in alto si sale, dove la ve-
getazione scarseggia. Osservai in lontananza una caverna rossa quasi ci-
nabro. Il monastero poi sorge in mezzo ai monti calcari, ricchi di sorgenti,
con terreni ben coltivati , (1).
È noto che il Conte de Borch fece nel 1777 un lungo viaggio in
Sicilia e, com’era allora costume di alcuni, anche in Malta (2). Durante.
quel viaggio, che poi descrisse in due accurati volumi con l’intendimento
di correggere certe affermazioni di Brydone, si dedicò a studî speciali
sulle pietre dell'Isola e ne compose opere allora molto accreditate (3).
Ad esse fece capo Goethe venendo tra noi, e pur non tacendone i di
fetti, ebbe a confessare avervi ricorso per ben prepararsi sotto questo.
aspetto. Intanto con uno di quei volumi egli potè fare non poche, utili
constatazioni mineralogiche, che formarono una delle migliori pagine della
Reise e l’attuale “ Collezione goethiana dei minerali di Sicilia , in Weimar.
Dal regno minerale egli passa al vegetale, che nella Villa Giulia di
Palermo assurge a vaghe visioni di fantasia, e in Caltanissetta si mescola.
e confonde con quello (4). La scienza diventa poesia: gli alberi, le piante,
le foglie, i fiori parlano non pur dell’oggi, ma anche dell’ ieri e delle età.
più remote; e quando nell'ultimo giorno di sua dimora in Palermo Goethe
torna a quella Villa, lo assale un gran dubbio, forte problema di fito-
biologia. “ Le molte piante che io sono abituato a vedere solo in casse
di legno ed in vasi, e la massima parte dell’anno dietro finestre di
cristallo, qui stanno all’aria aperta, e frattanto sviluppandosi si prestano.
meglio al nostro esame. Alla vista di tante figure nuove o rinnovate (di.
piante) si riaffaccia alla mia mente l'antico mio capriccio, cioè se io non
possa sotto questa schiera scoprire la pianta originale (Urpflanze)? Siffatta.
pianta deve pure esservi; se no, come potrei io conoscere che questa.
o quell’altra figura sia una pianta se esse tutte non fossero da riportare
ad un medesimo tipo ? Mi adoperai a indagare in che si differissero le
(1) Lettera del 10 Aprile.
(2) Confronta i Viaggi di Brydone, de la Platière, Houel ecc.
(8) Lithographie sicilienne ecc. Naples, 1777. — LithOlogie sicilienne ecc. Rome, 1778.—
Minéralogie sicilienne docimastique et métallurgique ece., Turin, 1780.
(4) Lettera del 28 aprile.
i
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 17
une dalle altre; la forma che tra loro più si scosterà nella forma; e trovai
sempre più analogie che differenze ,, (1).
Astratto in siffatte considerazioni, egli vede scomparso il giardino in-
cantato di Alcinoo, e trasformato in orto comune.
Questo pensiero non abbandonò più nè allora nè poi il sommo morfologo
delle piante. Il 17 Maggio, appena tornato a Napoli, egli così ne scriveva
ad Herder (altri invece di Herder mette di mezzo la Carlotta von Stein):
“ Ti significo confidenzialmente che io sono sul punto di scoprire il mi-
stero del nascere e dell’organarsi delle piante. Il mio tipo della pianta pri-
mitiva sarà la cosa più singolare del mondo, e la natura medesima me lo
indicherà. Con tale modello e con tale chiave si potrà creare un'infinità di
nuove piante, le quali, se non esisteranno realmente, potrebbero esistere,
e che lungi dell’essere riflesso o parto d’un’immaginazione artistica o poe-
tica, avranno un’intima e vera esistenza, direi anche necessaria; e tal legge
creatrice potrà applicarsi a tutto ciò che gode di una vita qualsiasi ,.
Tre anni dopo (1790) egli arditamente lanciava in mezzo agli scienziati
d'Europa, i quali l’accoglievano tra sorpresi ed increduli, la sua teoria, co-
minciata a intravedere in Italia, compiuta in Sicilia, sopra la Metamorfosi
delle piante, e con essa, vedi coincidenza d’ opere intellettuali ! quel T'or-
quato Tasso, che, iniziato in Weimar, venne mentalmente continuato nella
traversata da Napoli a Palermo e portato molto innanzi nell’ Isola. Così
la Sicilia ha il vanto di avere ispirato non solo una parte del dramma ov’è
adombrata una circostanza della vita esteriore del Goethe, ma anche la
scoperta morfologica e, come vedremo, una commedia e versi bellissimi.
AVA
Pochi e sommarî i rilievi che Goethe viene facendo dentro e fuori la
città. I cavalli sono adoperati assai meno che i muli, ai quali si sommi-
nistra orzo, paglia tagliata e trifoglio ; e in primavera orzo verde come
rinfrescativo. Poche le pecore, di razze originarie della Barberia. Graziose
le scope, formate di rami di palma, le quali con qualche modificazione
potrebbero rendere miglior servizio : di palma dice, ma doveva dire, in-
vece, di gerfoglio (chamoerops humilis) (2).
(1) Poco prima e poco dopo la morte di Goethe anche in Italia furono celebrate le
teorie sulla Urpflanze e le osservazioni scientifiche di lui notate in Palermo. Entusia-
stici, fra gli altri, sono due scritti inseriti nella Biblioteca Italiana di Milano: 1. Goethe
scienziato di B.; 2. Le teoriche più recenti dei botanici del Nord in fatto di fisica vegeta-
bile esposte compendiosamente in una serie di discorsi da Vincenzo Cesati, vol. 63, pagi-
ne 247-251, anno 1831, e vol. 84, p. 92 e seguenti a. 1836 (Vedi specialmente la p. 96).
(2) Lettere del 4 e del 5 Aprile. 3
18 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
Stupendi i legumi; tenere soprattutto le insalate e dolci come il latte,
donde il nome di lattuga dato loro dagli antichi. Buoni egualmente l’olio
ed il vino, e potrebbero esserlo di più se meglio ne fosse curata la fabbri-
cazione. Di gusto delicato i pesci; buone le carni, benchè scarse. Egli ne
ebbe ottime di animali giovani (1).
A proposito di pratiche agrarie, poche son quelle che enumera in Al-
camo; molte invece quelle delle campagne di Girgenti (2).
Le costruzioni architettoniche della città gli ricordano le costruzioni di
Napoli. Goethe non trova spirito artistico che indirizzi ed informi le opere.
“ Gli edificî sorgono a caso ed a capriccio, ed è a meravigliare come possa
esser nata in Palermo una fontana come quella che vi si ammira, se non
si pensasse che la Sicilia è ricca di marmi e possiede uno scultore capace
di riprodurre figure e teste di animali stupendamente disegnate e lavo-
rate .,. Forse, con ciò, vuole alludere ad Antonino Gagini: e descrive quella
fontana senza conoscerne gli autori, 1 quali non sono siciliani. Nessuno disse
a Goethe che la Fonte Pretoria venne architettata ed eseguita in Firenze
prima del 1552 da Francesco Camilliani e Angelo Vagherino, scultori fio-
rentini, con l'assistenza di Frate Angelo da Montorsoli; che l’ opera era
stata ordinata da Don Pietro di Toledo per una villa in Firenze, e che il
figliuolo di lui, a corto di quattrini, la vendette al Senato di Palermo (3).
È bensì vero che a quella fontana, copiosa di acque, allora ritenute su-
periori ad altre della città, andavano ad attingere i buoni Palermitani; ed
i diaristi del tempo notavano come un fatto ordinario che i servitori delle
famiglie aristocratiche vi si recassero con lucide mezzine di rame nell’ora
consueta del desinare dei loro padroni.
Insistendo sulla capricciosa esuberanza degli ornati, Goethe lamenta che
le chiese ne abbiano in tanta profusione (4) da superare quelli della chiesa
dei Gesuiti (alludendo probabilmente a Casa Professa), senza un disegno
prestabilito, senza ordine e senza gusto. E non tien conto della chiesa di
S. Giuseppe, tipica per siffatti ornati; e non cerca del tempo in che esse
ebbero origine e dello stile al quale vennero informate da artisti che
spesso rappresentavano quanto di più ingegnoso potesse dare la inven-
zione, di più corretto il disegno, di più fine l’indirizzo del secolo. Tutto è
(1) Lettera del 13 Aprile.
(2) Lettere del 19 e 26 Aprile.
(3) Lo PrestI, Nuova ed esatta descrizione del celeberrimo fonte esistente nella piazza del
Palazzo Senatorio. In Palermo, Epiro, 1737. — PaLerMo, Guida istruttiva, 2% edizione,
pp. 261-67. 3 io
(4) Dalla profusione di ornamenti nelle chiese fa cenno BARTOLI, Briefe, lett. XXXII,
p. 536.
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 19
relativo : ed è bene spiegabile che ad un genio come quello di Goethe,
nato e cresciuto in un ambiente anche dal punto di vista religioso, così
diverso dal nostro, certe rappresentazioni e forme paressero esagerate.
Egli è quindi coerente a sè stesso quando salito sul Pellegrino resta vi-
vamente ammirato della semplicità della grotta di S. Rosalia. “ Tutto il
cristianesimo, che da diciotto secoli ha fondato il suo possesso, il suo sfog-
gio, le sue splendide feste sulla povertà dei suoi primitivi fondatori e dei
suoi zelanti confessori, non offre un santuario che sia ornato così inno-
centemente e con tanto sentimento come questo ,, (1).
Varî scrittori italiani e stranieri (lasciamo i siciliani) han parlato di questo
santuario, ma nessuno — se io non m' inganno — l’ha fatto col sincero e
squisito sentimento di Goethe. Accennato alla bellezza mirabile del Monte
ed alla fedele riproduzione che ne era stata fatta nel Voyage pittoresque de
la Stcile (titolo incompleto del Voyage pittoresque ou Description des Royau-
mes de Naples et de Sicie) dell’ab. Richard de Saint Non (2), e descritto
minutamente il luogo, sì ferma da ultimo all’ altare del lato sinistro, nel
quale era ed è il simulacro della Verginella di Palermo,. “* Guardai, dice,
attraverso una graticella d’ ottone. un lavoro a fogliame, e vidi lampade
accese innanzi l’altare; m’inginocchiai vicino e guardai tra i vani di quella.
C'era internamente un’altra graticella di più sottili fili d’ ottone, cosicchè
attraverso le maglie di essa io potevo discernere bene. E scorsi alla luce se-
rena di alcune lampade una bella figura di donna, giacente come in estasi,
gli occhi semichiusi, il capo alquanto piegato dal lato della mano destra,
le dita adorne di molte anella. Io non mi stancavo di contemplare quella
immagine, splendente a me in tutta la sua vaghezza. La sua veste era di
lamina dorata, che imitava benissimo una ricca stoffa tessuta in oro. La
testa e le mani erano di marmo bianco, non oserei dire di stile eletto, ma
pur lavorate con tanta naturalezza e gradevolezza che si sarebbe creduto
quella figura alitare e muoversi. Le stava allato un angioletto che con
un ramo di giglio in mano pareva volesse farle fresco e luce ,, (3).
Questa poetica descrizione è divenuta classica per ogni buon viaggiatore
tedesco che salga sul Pellegrino e visiti la grotta. Egli vuol vedere uno
per uno i particolari della lettera della Italtenische Reise.
Sei anni dopo di Goethe, il 13 Settembre del 1793, un nobile lombardo,
il Conte Castone della Torre di Rezzonico, visitando la medesima imma-
gine, senza nulla sapere del giudizio di Goethe, scriveva: “ Sotto l’altare
giace la statua della Santa, e nessuna fin'ora m'è accaduto di vederne più
(1) Lettera del 6 Aprile.
(2) Paris, 1782-86, vol. 5.
(3) Lettera del 6 Aprile.
20 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
formosa e tenera, e meglio atteggiata. Il volto è di bellissima forma, e
col braccio sotto la testa regge la santa una foltissima chioma: e nella
destra sostiene un crocefisso che amorosamente contempla nell’ atto di
socchiudere le vaghe pupille nel sonno d’una placida morte. Una ricca
veste di tocca d’oro, aspra di molte gemme, la ricopre: adorna più lam-
pade intorno e una doppia cancellata la difende da’ profani, che appena
possono rimirarla fra que’ molteplici trafori. L’arte ha qui saputo far uso
maestrevole del poter suo nello scolpire e nel collocare in misterioso luogo
il ben operato simulacro ed anzi contribuisce a nodrire la divozione , (1).
Siffatta descrizione avvalora e documenta quella di Goethe. Chi conosce
il dotto patrizio comasco, e la sua incontentabilità nelle opere d’ arte,
dovrà per necessaria conseguenza ammettere che la S. Rosalia del Monte
Pellegrino, non ostante che fattura del seicento, abbia pregi singolari.
Raffigura la Santa presso a render la vita e col capo rivolto verso la città.
Ne fu autore Gregorio Tedeschi fiorentino. La veste d’oro, costata duemila
scudi, fu dono del pio Carlo III quando egli venne ad incoronarsi in Pa-
lermo (1735). Le anella sono antiche offerte di divoti. La corona di rose
d’oro, frutto di limosine sì di divoti e sì della Deputazione della Grotta, è
del valore di mille scudi, e fu posata sul capo della statua il 20 Aprile 1727 (2).
Una minuta analisi condurrebbe alla documentazione storica di questo brano
di gentile poesia, dove è anche da rilevare lo incontro di Goethe con un
sacerdote della comunia, uno dei dodici canonici recentemente istituiti dal-
l'Arcivescovo di Palermo mons. Sanseverino.
Chi oggi si rechi in pellegrinaggio al benedetto luogo e volga l'occhio
a sinistra del vestibolo tra la porta esterna e la leggendaria grotta, vro-
verà la modesta iscrizione seguente da me dettata :
IN QUESTO SPECO
SACRO ALLA VERGINE PATRONA DI PALERMO
IL DÌ VI APRILE MDCCLXXXVII
VOLFANGO GOETHE
SI FERMAVA A CONTEMPLARF
LA SEMPLICITÀ PRIMITIVA
DEL SANTUARIO
E LE FORME ELETTE
DEL
VENERATO SIMULACRO.
(1) Opere, t. V., p. 103. Como 1817. — MARIA Pirrè, Le Feste di S. Rosalia in Palermo
e della Assunta în Messina, Versioni ecc., pp. 15-16.
(@) VirLaBIANcA, Palermo d’oggigiorno, in Biblioteca del Di Marzo, v. X, p. 485. — Pa-
LeRMO, Guida istruttiva per Palermo e suoi dintorni, 22 ediz.; p. 737.—Ew. SaLemi BAT- —
TAGLIA, S. Rosalia e Palermo, 2 ediz., p. 162. Palermo, 1889.
È NELLA PRIMAVERA DEL 1787 21
VI.
Alternando il giro della città con le gite nei dintorni, Goethe visita quello
che più lo attira senza un ordine prestabilito che lo inceppi come una
guida Bxedeker dei giorni nostri. In città si ferma qualche volta presso un
merciaiuolo del Cassaro , probabilmente tra i Quattro Canti e S. Matteo.
Con quell’uomo simpatico egli s'intrattiene volentieri nella bottega di lui. Il
Cassaro era allora lastricato diversamente d’ adesso, in forma di sezione
concava; talehè o per le piogge che scendevano dall’alto, o per le immon-
dizie che il tempo asciutto ed il vento vi trasportava, facile cosa era il
raccogliervisi mota d'inverno, polvere d'estate. È antico il costume di met-
tere in mucchi presso i marciapiedi il fango o la spazzatura in attesa
di un carretto che venga a portar via tutto : il che è sempre un lavoro tardi-
vamente fatto. Così era nel quattrocento, così nel settecento.
Nel quattrocento , per non andare indietro più lontano , si prescriveva
che non si dovessero abbandonare così ammucchiate le immondizie; ma
erano bandi di Palermo, e si sa che rimanevano lettera morta. Nel sette-
cento infatti, chiacchierando col suo nuovo conoscente, Goethe se la pigliava
coi Palermitani, * che lasciavano ammucchiare, diceva, innanzi le botteghe
tante immondizie (1), che poi il vento ritornava alle botteghe medesime ,,;
ed il merciaiuolo, malizioso, gli faceva osservare che “ coloro ai quali spet-
tava di provvedere alla pulizia aveano grande influenza, e non si riusciva
ad obbligarli a fare il loro dovere. Se si sgombrasse, aggiungeva, tutta
quella lordura, verrebbe in luce lo stato miserando del sottostante selciato,
e si scoprirebbero le malversazioni della loro disonesta amministrazione ,,.
Oh! come il mondo è sempre lo stesso !
Concludeva poi scherzando : “ Le male lingue dicono essere la Nobiltà
quella che favorisce questo stato di cose, affinchè le carrozze, andando di
sera alla passeggiata, possano proceder senza scosse, sopra un pavimento
meno duro ,,.
Ma quel merciaiuolo se non sapeva che già fin dai primi del quattro-
cento esistevano disposizioni per la pulitura delle vie, se ignorava che nel
1600 il Comune ne avea dato in appalto lo spazzamento ed annaffiamento
giornaliero (2); poteva almeno dire a Goethe, cosa della quale egli era te-
(1) È curioso che l’usanza lamentata da Goethe fosse un’ antica disposizione del Se-
nato consacrata nei contratti di appalto della spazzatura. Si prescrivea che le immon-
dezze spazzate venissero raccolte a mucchi, con l’intendimento che poi dovessero por-
tarsi via. Vedi il Contratto citato nella nota 2 di questa pagina.
(2) R. STARRABBA, Contratto d'appalto ecc. in Archivio stor. sic., nuova serie, a. II, fasc. II,
pp. 204-9. Palermo, 1877.
22 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
stimonio, che otto anni innanzi (7 Ag. 1779) si era ordinato lo spazzamento
del Cassaro e della Strada Nuova in una maniera più rispondente allo
scopo. Poteva fargli osservare che certi carrettieri aveano impegnata con
gli ortolani la spazzatura; anzi, come ho rilevato in altro mio studio (1),
per antico ordine del Senato, le bestie da soma che entravano in città
cariche di ortaggi non potevano uscirne senza la spazzatura delle case,
tanto nociva alla pubblica salute quanto utile all'agricoltura (2); e che i
padroni delle botteghe pagavano un bajocco (cent. 4) l'uno, per due lavori
di questo genere la settimana, fatti da 20 forzati. Poteva anche soggiun-
gere, ed egli doveva saperlo di preferenza, che per quanto il Senato fa-
cesse e nel Cassaro e nel piano della Martorana lastricando, ripulendo,
non riusciva mai a sbarazzarsi della grossa impraticabile mota che le piogge
continue vi producevano , comune ad altri punti della città, ed alla Ma-
rina particolarmente (3).
Gli effetti del livello stradale si fanno pel Goethe più rilevanti quando
egli vede nel bel mezzo del Cassaro, in inappuntabile costume aristocra-
tico del tempo, il Principe di Palagonia andar questuando per i poveri
schiavi siciliani in Barberia. D. Ferdinando Francesco Gravina Alliata
(VII di quel titolo) procedeva dignitoso ed imperturbabile in parrucca ar-
ricciata e incipriata, spada al fianco, calze di seta e scarpine con fibbie,
guarnite di diamanti. Era piovuto a dirotto, ed egli non si dava pensiero
del fango che tutto lo inzaccherava (4).
A proposito di piogge possiamo , con testimonî oculari, sapere come
esse fossero andate. Uno, il Villabianca, nota pioggerelle frequenti (5);
Goethe, piogge ad intervalli con lampi e tuoni il 13, e un vero diluvio
nella notte dal 14 al 15. O il diluvio non ci fu, o se ci fu, il Goethe,
giovane a 39 anni, può averlo veduto; Villabianca a 67 non ne avrà ve-
duto nulla, o non ne avrà riportata impressione. La neve caduta copio-
sissima il 13 Gennaio, riapparsa dal 23 al 25 Febbraio, non si ripetè nei
giorni di fermata di Goethe in Palermo; e quando il 2 Maggio riapparve,
egli era forse a Catania e non ne ebbe sentore.
La descrizione di quell’acquazzone dà un’idea di quel che fosse allora la
città quando un vero torrente scendeva impetuoso pel Corso a mare. Chi
dovea attraversare da un lato all’altro la strada, poteva farlo solo su ponti
(1) La vita în Palermo cento e più anni fa, v. I, cap. III.
(2) Capitoli del Senato, t. II, f. 406. Ms. dell’ Archivio Comunale. —TEXEIRA, op. cit.
cap. XIII, $ 191.
(3) ViLLaBianca, Diario in Bibl. del Di Marzo, v. XXVI, p. 372; v. XXVII, p. 486..
(4) Lettera del 12 Aprile.
(9) ViLLaBIANca, Diario in Bib!., tomo cit., a. 1787, pp. 3-5.
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 De
primitivi in legno, o rassegnarsi a diventar carico abbastanza ridicolo di
uno dei tanti facchini che in quella occasione facevano da marangoni. Bi-
sogna ricordarsi che a cagione di questo torrente e di questi ponti posticci,
dovuti alla previdenza del Senato ed all’opera materiale del famoso mastro
Agostino Tumminello, fu in tutta serietà scritto, non ricordo da quale
viaggiatore, che Palermo era una grande città, divisa da un fiume e unita
da ponti: notizia divenuta anche argutamente tradizionale.
“Il torrente che scendeva sulla via fra i marciapiedi, da entrambi i lati,
avea liberato il suolo dal fango più leggiero, trascinando parte a mare,
parte nelle chiaviche non otturate, qua e là le materie più pesanti, e aprendo
nel basolato una specie di meandro tortuoso, libero dalle immondezze. Era
il Sabato della Domenica in Albis e dovea aver luogo la processione. Cen-
tinaia di operai, con pali, forche, scope, compievano l’opera incominciata
dall'acqua, raccogliendo di lato tutte quelle immondezze, cercando di allar-
gare e dare miglior forma a quella strada improvvisata. Così quando la
processione uscì, la via, per quanto tortuosa, era già abbastanza pulita
perchè tra quella palude la lunga fila del clero, dei nobili in ‘scarpine e
calze, dietro il Vicerè potessero percorrerla senza infangarsi. Parevami ve-
dere il popolo d’Israele, in mezzo a fanghi e paludi guidato per la via
asciutta dall’angelo; e questa impressione era nobilitata dalla vista di tante
persone elette, le quali pompeggiavano sì, ma con attitudine di compun-
zione, cantando tra quei mucchi di fango laudi e preghiere ,.
‘ Questo vide e pensò Goethe il 15 Aprile. Ma per quanto io abbia in-
dagato, non son riuscito a trovare una processione di quella fatta proprio
în quel giorno. Nessun diarista ne fa parola; e nel Ceremoniale del De
Franchis (1788), banditore e cerimoniere del Senato di Palermo, non ve
n'è traccia. E sì che il Senato dovea prendervi parte se ve la prendeva il
Vicere! A farlo apposta, nessuna funzione solenne celebravasi in quel
giorno ; e solo il domani, senza intervento del Vicerè , il Senato andava
alla Cattedrale per la Messa cantata e per la processione interna, la quale
indicava il principio delle pubbliche novenarie preghiere dell’anno per Fer-
dinando INI Borbone e per la reale famiglia, e conduceva in giro per la
chiesa la immagine della Madonna (1).
Prima assai dei Borboni, l'11 Aprile del 1706, v’ era stata una proces-
sione per la Domenica in ‘Albis, disposta dall’Autorità ecclesiastica; e v'eb-
bero frati, clero e Capitolo della Cattedrale cantanti litanie, l'Arcivescovo,
Il Vicerè col Sacro Consiglio ed il Senato; ma fu spettacolo straordinario
(1) De FraNcHIS, Ceremoniale, pp. 206-15. Ms. H, C. 25 dell'Archivio Comunale.—Pa-
LeRMO, Guida istruttiva ecc., p. 28.
24 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
e particolare per impetrare da Dio il buon esito delle armi di Filippo V,
che comandava in persona il suo esercito contro quello di Austria.
Se le notizie di quel Venerdì santo non fossero esplicite, io sarei ten-
tato a riportare a quel giorno la funzione religiosa annunziata pel Sabato
successivo; e allora c’entrerebbe il Vicerè con tutti i componenti le nobili
confraternite della Pace, della Carità e de’ Bianchi, e non dovrebbe par-
larsi, come diceva il mercantuolo a Goethe, di Divinissimo, ma della Ma-
donna della Solidad (1).
Tant'è : questo porse occasione al nostro viaggiatore di visitare appunto
la Cattedrale e di “ contemplarne le rarità ,. Ma ben poco deve aver ve-
duto, essendo essa in via di quel restauro che si tradusse in vera e pro-
pria ricostruzione, di triste memoria per la storia dell’arte.
Poco dopo si recò in “ una casa moresca tuttora ben conservata, mon
molto grande, ma con ampie e belle stanze di armoniche proporzioni , ;
e dovea certo essere il castello della Zisa, opera dei tempi dei due Gu-
glielmi, che dispensa da qualunque illustrazione. Visitò altresì “ un luogo
sgraditissimo, con resti di antiche statue ,, che non ebbe il coraggio di
fermarsi ad osservare: il quale accenno, invero troppo vago, fa pensare
al Museo Salnitriano nell’ex-Collegio dei Gesuiti, cioè nell'Accademia degli
Studî (Università) (2). N’era Direttore il Bibliotecario D. Giuseppe Ster-
zinger, teatino bavarese (3). Il Sonnini, che avea veduto prima di Goethe
quel Museo, dicevalo: “una raccolta confusa di oggetti poco interes-
santi ,, (4). Simili a questo, peraltro, doveano essere altre collezioni pri-
vate, eccezione fatta a quella del Principe di Torremuzza; onde Bartels
potè notare come e musei e pinacoteche non attirassero 1’ attenzione dei
visitatori provenienti da Roma, molto più che erano senza ordine e sen-
z’arte (5).
(1) De FRANCHIS, op. cit., pp. 186-89.
(2) Era nell’antico salone e in altri luoghi attigui all’ attuale Biblioteca Nazionale.
Fu fondato (1730) dal gesuita P. Ignazio Salnitro e tenuto, dopo la morte di lui (1738),
dai suoi successori pp. Melchiorre Spedalieri, Giovanni Amato, Antonio Lupi, Vespa-
siano Trigona, i quali concorsero ad ampliarlo ed accrescerlo.
I ritratti del Salnitro, del Lupi e del Trigona sono oggi al Museo Nazionale; quello
della Sterzinger alla Biblioteca Nazionale. Vedi aggiunte manoscritte e inedite di
Francesco Serio Mongitore alla Bibliotheca sicula del Mongitore nella Biblioteca Comu-
nale di Palermo, ai segni Qq E 153-57.— Scmà, Prospetto della Storia letteraria di Si-
cilia nel sec. XVIII.—SAmpPoLo, La R. Accademia degli studi di Palermo, cap. VII. Pa-
lermo, 1888. i S
(3) Stato della Deputazione de’ Regj Studj ecc. Palermo, 1787.
- (4) SoNNINI, op. cit., p. 46. i
(5) BartELS, Briefe tiber Kalabrien und Sicilien. Dritter Band, p. 604. Gottingen, bei .
T. Chr. Dietrich 1792.
(DK
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 9i
VII.
Le visite archeologiche e monumentali non sono a dir vero la parte
migliore e caratteristica del Viaggio, almeno in Palermo. Converrebbe se-
guire lo scienziato fuori per sentire i suoi pensieri e giudizî. Segesta è il
tempio in faccia al quale egli impressionato si ferma, contempla ed istrui-
sce. Pure anche in Palermo bisogna seguirlo un momento, giacchè i suoi
giudizî rafforzano quelli di altri personaggi contemporanei.
Goethe in tre giorni consecutivi (1) si recò al Monastero di S. Martino,
al Palazzo Reale ed al Palazzo Torremuzza.
Diverse, secondo i luoghi, le impressioni. A. S. Martino i monaci gli
mostrarono oggetti pregevoli di antichità. Ed esso vantavasi d’una pre-
ziosa Biblioteca e d’ un non men prezioso medaglione faciente parte del
museo incominciato da Antonino de Requesens ed ingrandito dall’ Abate
Salvatore M. Di Blasi (2). Piacquegli specialmente una medaglia con la
figura di una divinità giovane, e ne avrebbe presa la impronta se ne
avesse avuto pronto il mezzo. Il monastero si presentava in tutta la sua
opulenza; ma i monaci ne lamentavano il decadimento. Erano vecchi e
giovani, cadetti dal primo all’ultimo, delle principali famiglie aristocratiche;
gli uni, laudatores temporis acti, dovevano le cento volte aver levato a
cielo il tempo dell’ auge della fortuna, e rimpianto le antiche sfondolate
niechezze, ora ridotte dall’avidità del Governo, dalla fiscalità delle leggi e
dalle riforme dianzi iniziate dal Vicerè Caracciolo; gli altri, i giovani, go-
dendo delle splendidezze presenti, doveano sentirsi eccitare al ricordo d’un
passato circonfuso di glorie artistiche e di godimenti... culinari.
E dire che le entrate annuali di S. Martino soverchiavano la bella cifra
di 40000 scudi! (3).
Il rimpianto però era ben fondato. D. Onorato Salerno, palermitano,
Abate nel 1709 e poi nel 1725, fu un abilissimo amministratore che ac-
crebbe grandemente le entrate del monastero. Un recente storico del quale,
cassinese anche lui, racconta che riordinò migliorandoli gli affitti de’ feudi
o tenute, promosse “la cultura delle terre non affittate; introdusse delle pian-
tagioni luerose, fra le quali quella del sommacco , poco sviluppata allora
(1) Lettere del 10, 11 e 12 Aprile.
(2) In quel tempo pubblicava l’ab. D. SaLv. M. Di BLASI: Breve ragguaglio del Museo
del monastero di S. Martino dalle Scale dei Padri Benedettini di Palermo dato in una
lettera al sig. Gaetano Filangeri; in Raccolta di opuscoli di autori siciliani, v. XX, pp. 45-82.
Palermo, 1774.
(3) PALERMO, op. cit., p. 777.
26 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
nell'isola nostra, ; sì che “ mai la finanza del monastero fu più prospera che
sotto il suo governo. Da questo comincia l’ epoca del massimo splendore
e della grandezza temporale di S. Martino. Ottenne dalla G. Corte di
Palermo la facoltà di tenere 14 uomini armati a servizio e tutela del mo-
nastero. Il numero di costoro ascese a 24 e così si mantenne sino alla
metà del sec. XIX ,, (1).
Il rimpianto del passato non toglieva il piacere del presente e la si-
gnorile ospitalità dei Benedettini verso quanti capitassero lassù, nella loro
monastica reggia. Un proverbio comunissimo allora, storico oggi, decantava :
Lettu di Dumimcami, Lussu di Binidittini, Tavula di Cappuccini.
Non per nulla Goethe, raccomandato dal Vicerè, venne con Kniep ri-
cevuto con particolari distinzioni. Menato in un salotto , dal balcone del
quale si godeva una vista stupenda, trovò apparecchiata la tavola per sè
e pel compagno , ed ebbe servito un ottimo desinare. Alle frutta andò a
trovarlo l’Abate col Decano ; e, dopo una nuova occhiata alle collezioni,
accompagnato fino alla carrozza dai giovani , lasciò il monastero , soddi-
sfatto delle accoglienze ricevute.
Il silenzio sul nome dell'Abate stuzzica anche qui la cuoriosità dello stu-
dioso. Certo non importa nulla se egli sì chiamasse D. Tizio o D. Sem-
pronio; ma non rincresce il sapere che egli era appunto il Rev.mo D. Fi-
lippo Benedetto De Cordova, centesimo Abate, che nel 1772-76 e nel
1785-88 fu supremo moderatore dell’ Ordine dei Cassinesi, ove affluivano
le entrate dei feudi vicini e lontani del monastero e donde partivano i
monaci ed emanavano le disposizioni che regolavano la vita religiosa ed
amministrativa di Borgetto, Cinisi, Chifana e di S. Carlo alla Fieravec-
chia e dallo Spirito Santo, gangia in Palermo. I monacelli così gentili
verso il Goethe poco appresso doveano colmar di gentilezze il suo con-
nazionale Professore Giovanni Enrico Bartels, tornato tutt'altro che edifi-
cato delle confidenze di uno, e delle dimostrazioni grafiche di un altro
monaco (2).
Ed il Decano chi era ?
Era D. Gioacchino Monroy, che la cronaca del tempo e la vita del
Meli ci fa incontrare dal principio del settimo decennio alla fine del se-
colo ora nelle feste letterarie o poetiche del monastero , ora nelle opere
benefiche a favore della famiglia del valente medico D. Stefano Pizzoli (3).
(1) Gr. FrancIpANI, Storia, cap. XIII, cit. nella nota 3% di questa pagina.
(2) BARTELS, op. cit., v. IL, p. 657.
(3) Vedi Nuove Effemeridi Siciliane, serie III, voll. IX e XI. Lettere di G. Men. Sul
monastero di S. Martino vedi le erudite pagine del ParLeRMo, Guida Istruttiva, 2° ediz.
cit., pag. 776 e segg., e il recente volume di GrEGORIO FRANGIPANI, Storia del Monastero
di S. Martino presso Palermo (Assisi, Tip. Metastasio, 1905).
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 27
Nel R. Palazzo trovò gran disordine per le decorazioni architettoniche
che vi si venivano eseguendo.
Il Vicerè Principe di Caramanico avea ordinato radicali riforme in quasi
tutti gli appartamenti, compreso quello che fu poi abitato dalla Regina
Carolina e lo era stato dal suocero di lei Carlo II; e proprio quando
Goethe vi si recò, la galleria si dipingeva a fresco, e sulla volta un qua-
drone rappresentante la Maestà Regia, protettrice delle Scienze e delle
Arti. Quella galleria, per varî fatti storici, prese più tardi ed ha anche
adesso il titolo di Sala di Ercole, poichè nel 1799 , poco dopo giunta la
Corte di Napoli a Palermo, Ferdinando III Borbone la volle dal pittore
Giuseppe Velasquez ridipinta facendovi sostituire sulla volta 1° apoteosi e
nelle pareti le forze del mistico semideo.
In mezzo a tanto disordine ed allo atfaccendarsi dei servitori, Goethe
potè imperfettamente vedere qualcuna delle statue, le quali, scese dai pie-
distalli e coperte di tele, mal si prestavano allo esame dei visitatori. Lì,
a sinistra della galleria, erano attaccati alle parete i due famosi arieti di
bronzo, maravigliosa opera greca, che Giorgio Maniace , Prefetto di Co-
stantino Manomaco, Imperatore di Costantinopoli e re di Sicilia , avea
fatto collocare alla porta della fortezza che serba ancora il nome di lui
in Siracusa. Dopo svariate vicende ebbero , da ultimo , definitivo posto
nella galleria medesima (1). Goethe avea gran desiderio di vedere questi
arieti, e confessò che, visti anche in quelle sfavorevoli condizioni, valevano
a soddisfare grandemente il senso artistico. “ Son due figure potenti nella
famiglia mitologica, degne di portare Friso ed Elle. La lana non è punto
corta e crespa, ma lunga e liscia, che ricade pel corpo ; ed il tutto, ese-
guito con grande verità ed eleganza, appartiene fuor di dubbio ai tempi
migliori dell’arte greca ., (2).
Oggi dei due monumenti ne rimane un solo, e maltrattato. Nella rivo-
luzione del 1848 alcuni forsennati ne fecero tanto scempio, che uno venne
fuso e l’altro malconcio; v'è chi dice che un colpo di cannone ridusse in
frantumi quello che ora più non esiste.
Oh se potesse parlare , quante delle sue vicende racconterebbe questo
ariete !
Per esempio, dopo quattro secoli di dimora in Siracusa, nel 1448 passò
in dono a Giovanni Ventimiglia, che sventò una congiura e distrusse i
congiurati: e ne fu donatore il Vicerè Lopes Ximenes de Urrea, al quale
non parve vero di essersi liberato di quei nemici. Il Ventimiglia lo
(1) PaLeRMo, Guida Istruttiva ecc., 22 ediz., pp. 392-93.
(2) Lettera dell’11 Aprile.
28 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
portò nella sua terra di Castelbuono, ed il figlio Antonio ne ornò il se-
polcro del padre, cui venne presto tolto per passarsi al Vicerè Gaspare de
Spes, nel palazzo Chiaramonte , allora residenza regia o viceregia. — Oh
perchè tanta offesa alla memoria di un morto ?—Perchè Enrico Ventimiglia,
nipote di Giovanni, venne accusato di fellonia, e spogliato dei suoi beni.
Un Vicerè avea premiato con gli arieti un barone fedele, un Vicerè pu-
niva il nipote infedele !
Dal Palazzo Chiaramonte l opera passò coi Vicerè nell’abitazione del
Castellamare ; poi (1556) nel Palazzo Reale con D. Giovanni de Vega in
una sala che venne detta de los carneros. La servilità dei governanti mandò
nel 1735 a Carlo III; l’ equanimità di questo principe fece tornare alla
Reggia in Palermo i due capolavori che la fantasia dei Siciliani giunse
«a sognare modellati da Archimede (1).
E quali li restituì il benemerito figlio di Filippo V e di Elisabetta Far-
nese, tali li vide nella Reggia Goethe.
Mentr’egli vi si trovava, vide Goethe la stanza detta di Ruggiero e la
Cappella palatina ?
Nessuna parola di lui in proposito : e probabilmente non vide nè l’una
nè l’altra; od anche vistele non ne prese nota.
Dio glielo perdoni !...
Alle poetiche reminiscenze anche fridericiane dell’ una, ed all’ armonica
fusione degli elementi arabi e normanni dell’altra egli non poteva restare
impassibile. Goethe invece si lasciò condurre alle catacombe fuori città,
“le quali architettonicamente disposte non son cave abbandonate di pietra
e ridotte a sepolture ,,. Solo da due anni disterrate nell’ orto del Barone
Quaranta, quasi di fronte a porta d’Ossuna, esse erano nuovo acquisto pel
patrimonio archeologico del paese. Il Principe di Torremuzza, che ebbe a
sovraintendere agli scavi e ne scrisse (2), le giudicò sepolcreti dei tempi
fenicî. Chi ha visto quelle di Roma e di Siracusa può formarsene una idea;
ma delle une e delle altre son meno estese. “ Vi si scorgono volte aperte
nelle pareti verticali di un tufo abbastanza compatto; dove si praticarono
nicchie per le sepolture, tutte nel vivo; senz’opera alcuna di muratura. Le
nicchie più in alto son più ristrette, e negli spazî sopra i pilastri si sca-
varono le tombe per i fanciulli ,, (3).
(1) Vedi tra le Notizie varie di Palermo della Biblioteca Comunale di Palermo (ms.
Qq © 3, foglio 136 bis) la notizia minuta che ne lasciò il Mongitore, e che pur venne
pubblicata dal Di Marzo, in Bibl., v. IV, pp. 323-26.
(2) Relazione delle Catacombe di Palermo, nel vol. II della Antologia romana.
(3) Cfr. Hacrnr, Gemélde von Palermo, pp. 175 e segg.
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 29
Tant'è : un giudizio sicuro su di questi ipogei non può ancora avventu-
rarsi, discutibile essendo tutto ciò che se n’è detto.
VII.
Il nome del dotto patrizio palermitano non poteva sfuggire a Goethe.
Fin dal 1767 egli avea dato fuori il primo saggio di antiche medaglie da
lui possedute (1), saggio che divenne nel 1781 la classica collezione di
nummi corredata di ben 107 tavole illustrative (2). Un catalogo completo
ne diede più tardi l’Ab. benedettino D. Salvatore M. Di Blasi (3).
Quanti, possedendo anche una mediocre cultura, mettevano piede nella
Capitale, si recavano al Palazzo Torremuzza, presso il piano di Santa Te-
resa alla Kalsa (4), dov'era raccolto il più ricco ed il meglio ordinato me-
dagliere dell’ Isola. Gabriele Lancellotto Castello era per Palermo quello
che per Catania Paternò Castello Principe di Biscari: uno dei più dotti
del tempo. La sua fama di antiquario in generale e di numismatico in
particolare correva non solo per la Penisola, ma anche per la Francia, la
Germania, l'Inghilterra e la Russia. La sua signorilità era ragione di ono-
revoli ricordi in quanti stranieri fossero stati ricevuti da lui, e le sue opere
attestano quanto meritata fosse la celebrità che lo accompagnava (5).
Da lui pertanto andò Goethe e non per una delle consuete visite di eti-
chetta, riducentisi a soddisfare la propria o l'altrui vanità, ma per vedere
il medagliere. Vi andò di mala voglia, ma ne tornò soddisfatto d’ esservi
andato. “Io non m’intendo gran fatto, diceva, di questo ramo, ed un viag-
giatore, mosso puramente dalla curiosità, non può se non riuscire molesto
ad un raccoglitore colto ed appassionato... Io imparai se non altro come
(1) Siciliae veterum populorum et urbium, regum quoque et tyrannorum numismata quae
extant în eius (Castello di Torremuzza) cimelio. Panormi, 1767.
_ (2) Siciliae populorum et urbium regum quoque et tyrannorum veteres nummi saracenorum
epocham antecedentes. Panormi, Typis regiis, 1781.
(3) “ Nè colto forestiere in Sicilia perveniva che direttamente a lui non andasse, come
ad uomo di chiarissimo nome, e tra’ più dotti della sua patria reputato ,. F. CARELLI,
Elogio cit. nella nota 5, pp. 53-54.
In proposito vedi SwinBURNE, Travels in the two Sicilies in the years 1777, 1778, 177
and 1780, v. IL, p. 197. London, 1785.—BartELs, Briefe, XX.XV, ed altri.
(4) SaLv. M. Dr Brasi, Catalogus veterum et recentiorum nummorum qui in Gabr. Lan-
cellotti Castelli gazophylacio servantur. Panormi, a. 1793.
| (5) Della vita e delle opere del Torremuzza (1727-1797) scrisse specialmente CARELLI,
Elogio di Gabriello Lancellotto Castello, Principe di Torremuzza. Palermo, M. DCC. XCIV.
= Somì, Prospetto, t. ITI., c. III. — OrtOLANI, Biografia degli uomini illustri della Sicilia,
vol. I. Napoli, 1817. Si ha inoltre un’ Autobiografia: Memorie della sua vita letteraria ,
scritte da lui stesso con annotazioni di Gio. D’AneeLO. Palermo, 1804.
30 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
il mondo antico fosse popolato di città, fra le quali, anche le più piccole,
lasciarono ricordo delle varie epoche di loro esistenza se non in una serie
di opere d’arte, in monete preziose. Da quelle vetrine spira un’ aura pri-
maverile di fiori e di frutti dell’arte, la quale richiama al pensiero un’epoca
splendida per sempre scomparsa. La magnificenza delle antiche città sici-
liane ora del tutto risorge all’ aspetto di quei dischi incisi di metallo , in
tutta la sua freschezza primitiva , (1).
L'osservazione è semplice, ma quanto acuta! (2).
La gita dianzi descritta del 12 Aprile al Palazzo Reale non era stata
la prima.
Già il giorno di Pasqua di Resurrezione (8 Apr.), Goethe, invitato dal
Vicerè, ne avea fatta un’ altra. La festa religiosa si era chiassosamente
aperta col solito sparo di mortaretti e suono di campane fuori; con i ri-
tuali canti e messe solenni dentro le chiese. Dallo scrittore apprendiamo
un’usanza poco gradevole per chi ne era vittima: l’augurio della buona
Pasqua, il famoso mille di questi giorni ai signori dell’ Albergo da parte
dei servitori del Vicerè. Che l'usanza fosse viva, si raccoglie da documenti
del tempo. La seguivano i varî ceti dal nobile al plebeo ; potevano ben
seguirla i servitori. Agli augurî di questi doveva rispondersi con mance,
le quali entravano nello stato discusso di non poche famiglie magnatizie,
poichè si ripetevano anche per S. Martino e per Natale o Capo d’anno.
Nelle spese di molte pubbliche amministrazioni e di sodalizî ve n’eran
sempre per le tre ricorrenze: spese peraltro non del tutto inutili quando
sì pensi che giovavano a facilitare il disbrigo di affari, l'approvazione di
pratiche, altrimenti lasciate lungamente a dormire se appunto quei servitori
(1) Lettera del 12 Aprile.
(2) Lo Scinà nel 1827 così scriveva: “Le forme delle nostre antiche monete sono
così pure ed eleganti che gli occhi nel guardarle ti allettano, il bello nell’animo dolce-
mente ti effigiano e, ricordandoti la nostra antica gentilezza, vanto pigli e piacere di
calcar questa classica terra... Senza prendere in considerazione che ci ajutano alla cro-
nologia, alla geografia e in generale alla storia, quali memorie si pregiano della sici-
liana grandezza, e quali monumenti delle arti belle, e come tali, anche quei che di sì
fatti studii non prendon pensiero, movono a riverenza ed onore! La Real Corte che
di medaglioni arricchiva i pubblici musei, e i nobili personaggi e i corpi religiosi che
le loro case ne ornavano, vaghezza ne moveano , e sostenean la pubblica stima verso
la numismatica; e il Principe di Torremuzza, quel ch’è più, le dava coll’autorità della
persona e colle ornate fatiche credito, nome e dignità. Però il pregio della numisma-
tica, ancorchè l’antiquaria non più come prima si gustasse tra noi, mai non venne a
mancare; e tutta la Sicilia fece plauso e liete accoglienze di onore a Torremuzza, al-
lorchè egli mise fuori nel 1781 a regie spese la bella e grande raccolta di quelle mo-
nete di Sicilia, che l’epoca precedeva de’ Saraceni ,,. Prospetto, t. III, c. III.
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 31
non ne sollecitassero il corso fino alla firma delle autorità competenti. Era
una cuccagna, che, trascurata anche per dimenticanza , poteva generare
atti di soperchieria da parte dei trascurati; e non è molto io ebbi a rile-
vare i tristi effetti di una dimenticanza di queste per un sodalizio letterario.
Imperocchè, non avendo il Segretario dell’Accademia del Buon Gusto data
al maestro di casa del Pretore la solita mancia, gli accademici, che sole-
vano tenere la loro seduta nel Palazzo del comune, il di 11 Settembre
del 1797, furono ricevuti così male che, privi di sedie e di lumi, se ne
dovettero tornare mortificati alle case loro (1).
I servitori o gli staffieri del Vicerè andarono pertanto alla locanda di
Mad. Montaigne ad augurare ai forestieri quivi albergati le buone feste.
Le mance non si fecero aspettare: e quelle di Goethe furono maggiori
delle altre, perchè gli augurî a lui ed a Kniep vennero accompagnati da
un invito a pranzo del Capo del Governo, il Principe di Caramanico.
L'invito fu tenuto. All’ora designata (che allora non andava oltre l’una
pomeridiana) , i due amici si trovarono al Palazzo; ed ecco avanzarsi il
Vicerè col suo seguito, e primo e con particolar distinzione salutare Goethe.
Il Caramanico era persona coltissima, non seconda a nessuno in nobiltà
d'animo e gentilezza contegnosa e squisita di maniere. Come cultore di
studî e protettore di studiosi e di artisti, egli doveva conoscere Goethe e
le innocenti ragioni del suo viaggio; sicchè suo primo pensiero fu quello
di avvertirlo avere impartiti ordini che gli si facesse veder tutto e gli
fosse fornito ogni espediente all’uopo. Goethe non si presentava in veste
politica pericolosa o sospetta, e la sua Italienische Reise lo attesta. Non
è improbabile che raccomandazioni dirette o indirette dell’ Ambasciatore
inglese in Napoli, Hamilton, amico dell’Autore del Werther, avessero pre-
ceduto costui nella Corte vicereale. L'unica cosa che avrebbe potuto tenere
in un certo ritegno il Vicerè era la qualità del viaggiatore, membro di
una società segreta d’allora, quella de’ frammassoni; ma con molta pro-
babilità il buon Principe non ne sapeva nulla e, a quel che è dato sup-
porre, lo seppero solo all’ultimo momento, in Messina un ufficiale e poche
altre persone ch’ebbero occasione di conoscerlo come loro fratello (2).
Non una parola del pranzo; ma non è difficile presumerlo.
Ricordo di aver letto in un viaggio del tempo il magnifico servizio da
tavola di lui, e posso affermarlo superbo, specialmente per le antiche ar-
genterie ond’era ricco. Anche Brydone si occupa della tavola del Vicerè
Marchese Fogliani nel 1770 (3). Del numero delle portate è superfluo par-
(1) La vita in Palermo cento e più anni fa, v. II, pp. 398-99.
(2) Lettera del 13 Maggio.
(3) BrYDONE, op. cit., lett. XXIII.
32 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
lare conoscendosi oramai che esse si succedevano , in ragione della eti-
chetta e degli ospiti, sino all’infinito. In un convito di Girgenti, lo stesso
Brydone s’era visti presentare quasi cento piatti ; e in un pranzo tenuto
nel refettorio di S. Domenico per la elezione del nuovo Provinciale P. Pan-
nuzzo (15 Maggio 1796), si ebbero 24 piatti e sessantaquattro intramessi
e tornagusti oltre il pospasto ed i sorbetti (1).
Un'ultima visita fu per le vicinanze di Palermo.
La stranissima villa Palagonia chiamò sempre curiosi siciliani e fore-
stieri nella terra di Bagheria, allora sobborgo di Palermo e dipendente
dal Senato di questa.
Quanto di esorbitante dal naturale, anzi quanto di non naturale possa
concepire un cervello anomalo, si collocò nel recinto e nella parte interna
di essa, la quale avrebbe potuto essere delizia e fu ed è invece nausea a
quanti vi si recano. Uomini con teste di donne, donne con teste di uomini,
cavalli con zampe di cani e rostri di uccelli rapaci, bestie tricipiti camuf-
fate alla moda di Parigi, bipedi senza piedi, esseri con la bocca nella
fronte e nasi all'ombelico, soldati, pulcinelli, turchi, spagnuoli e mostri
delle più stravaganti forme; e con essi nani, gobbi, sbilenchi, sciancati,
figuracce orride per composizioni non mai sognate, per atteggiamenti si-
nistramente contorti, per ininfrenabili corruzioni di gusto: tutto vi venne
impostato.
E v'ha dell’altro, rilevato da Goethe.
Oltre che i cornicioni delle casette circondanti il palazzo sono tanto in
un senso quanto in un altro oblique, “ confondendo ogni idea dello scolo
delle acque, della linea perpendicolare, base della solidità e della euritmia.....
quei cornicioni sono ornati d’idre, di teste di draghi, di piccoli busti, di
figure di scimmie che suonano strumenti musicali e di altre stramberie ,,
con figure di divinità, tra le quali quella di un Atlante che invece di
globo sorregge un barile.
Goethe ne uscì disgustato : ed il disgusto, che fu anche sdegno ed or-
rore, sfogò in quella delle sue lettere che porta la data del 9 Aprile. Tre
giorni dopo, di sera, stando innanzi alla bottega del merciaiuolo , ebbe
occasione di conoscer l’autore e continuatore di tante strampalataggini. Lo
vide, come si è detto, nel Cassaro questuare per gli schiavi siciliani in Bar-
beria; e tutto scandalizzato, non si trattenne dall’esclamare : “ Avrebbe do-
vuto a questo nobile scopo impiegare il danaro maledettamente sprecato
(1) BryDONE, op. cit., lett. XX e XXXIII. — D’AnceLo, Giornale inedito, nella Bi-
blioteca Comunale di Palermo, p. 105. — PirrRÈ, La vita in Palermo , cento e più anni
fa, v. I., cap. XXII, pp. 361-363.
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 33
nella sua villa; e nessun principe si sarebbe potuto vantare di opera più
meritoria ! ,,.
L'architetto e pittore del Re di Francia, Jean Houel, l’avea (1776) somi-
gliata “ al soggiorno d'un negromante ,,.
Meritava il Principe di Palagonia lo sfogo di Goethe ?
In parte sì.
Il Principe che passava non era in tutto l’autore ma l’erede della villa,
o, come sempre volgarmente si è chiamata, casina di Palagonia. L'autore
primo era stato un zio suo, D. Francesco Ferdinando Gravina, cava-
liere del Toson d’oro: il quale per suo godimento aveane affidata la co-
struzione (1715) al frate domenicano P. Tomaso di Napoli, uno dei più
rinomati architetti del tempo; a cui era succeduto l’ architetto Agatino
Daidone. Alla morte di D. Francesco, il fratello Salvatore, primo di questo
nome ,ne avea largamente modificata, anzi rinnovata la decorazione interna
forse lasciando intatte le prime mostruosità, che da ultimo sarebbero state
accresciute dall’attuale Principe D. Francesco Ferdinando juniore Gravina
Alliata, padre di Salvatore 2° Gravina Cottone (1).
Tre solenni iscrizioni su tre porte dell’ edifizio ricordano i due tempi e
i due autori della villa: tutte e tre fatte murare dal riformatore.
La prima, al pari della terza, verseggiata, dice :
CANGIÒ L'ANTICA INTERIOR STRUTTURA
AL GUSTO DI MODERNA ARCHITETTURA.
La seconda:
SALVATORE GRAVINA, PRIMO DI QUESTO
NOME, PRINCIPE DI PALAGONIA, FRATELLO
DEL FU FRANCESCO FERDINANDO, FONDATORE
DI QUESTI SINGOLI ORNAMENTI.
La terza:
SPÉCCHIATI IN QUEI CRISTALLI, E NELL'ISTESSA
MAGNIFICENZA SINGOLAR CONTEMPLA
DI FRALEZZA MORTAL L’IMAGO ESPRESSA (2).
Dove, a bene intendere 1’ affare dei cristalli, convien sapere che upa
delle grandi pazzie della ornamentazione interna era quella di enormi spec-
chi che coprivano pavimenti, pareti e volte di certe stanze, specchi fatti
a posta per moltiplicare ritte, capovolte, di lato, di fronte, di dietro le visita-
trici ed ospiti (povere signore quando vi mettevano piede !) e a Goethe era
(1) VinraBiaNnca, Palermo d’oggigiorno cit., in Bibl. del Di Marzo, v. XVI, p. 165.
(2) La Sicile IWustrée, 22 année, n. IV. Avril 1905, p. 14. — Pirrè, La vita in Palermo,
cento e più anni fa, v. I, cap. XXVI.
34 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
parsa la, più folle cosa. Donne incinte si erano sconciate; e le non incinte,
svenute (1). Il cav. de Mayer si teneva soddisfatto che il palazzo Valguar-
nera valesse a cancellare in lui quelle ripugnanti immagini (2).
IX.
La prima ricerca in Sicilia su Giuseppe Balsamo, sedicente Conte Ca-
gliostro, fu fatta da Goethe. Dico la prima, e forse dovrei dire l’ unica:
Le notizie messe insieme dal Marchese di Villabianca e quelle della Con-
versazione istruttiva, periodico palermitano del tempo (3), sono posteriori
alla venuta di Goethe e di seconda o terza mano; e ci vuol poco a vedere
che provengono dal noto Compendio della vita e delle gesta di G. Balsamo
denominato il Conte Cagliostro, che si è estratto dal processo contro di lui
formato in Roma l’anno 1790 (4). Quel che ne dice Hager nei suoi Ge-
miilde von Palermo non è nè nuovo nè originale (5) come non nuovo nè
originale è il poema La Caghostreide dell’ab. Francesco Carì, che si con-
serva tuttora inedito nella Biblioteca Comunale di Palermo (6). A_ Goethe si
devono particolari non prima conosciuti sulla origine del famigerato imposto-
re, tanto celebre fuori quanto oscura in Palermo era la famiglia di lui. La
lettera del 17 Aprile, la più lunga di tutto il Viaggio in Sicilia, racconta
cose che nel 1787 doveano essere, anzi erano del tutto ignote al gran
pubblico. Peccato che non vennero in luce subito dopo sapute da Goethe,
chè in tempo opportuno, quando cioè egli le ebbe, sarebbero riuscite utili
alla ricostruzione della biografia dell’emulo di Casanova.
Premetto che Goethe, in Palermo, raccolto in se stesso, non disposto,
a cercar persone del paese, difficilmente vi sarebbe riuscito se una occasione
fortunata non gliene avesse fornito il destro.
Uno del foro palermitano era stato incaricato dal Governo francese di
cercare intorno alla nascita di un birbone matricolato di Palermo, il quale
in Francia ne avea fatte di tutti i colori e si era trovato implicato in
una grossa truffa. Il losco baratto della collana di Maria Antonietta, di
che i giornali d’allora andaron pieni, era a tutti noto: baratto finito con
(1) SonnINI, op. cit., t. I, cap. IV, p. 48.
(2) DE M., op. cit., lett. XV, p. 162. Cfr. anche BartELS, Briefe, n. XXXV; Rezzo-
NICO, Viaggio, in Opere, t. V, p. 44; 19 Agosto 1793.
(3) Palermo, 1792, pp. 5 e 6.
(4) In Roma, MDCCXCI, ed in Palermo, MDCCXCI. Nella Stamperia di D. Rosario.
Abbate.
(5) HAGER, op. cit., pp. 145-49,
(6) Ms. 4 Qq B 15. |
——— yTt6
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 35
la rovina e l'esilio di quel Cardinal Armand Gaston de Rohan, vescovo
di Strasburgo, che discendeva dai celebri signori dalla divisa:
Roy ne puis,
Duc ne daigne,
Rohan je suis;
e col marchio e la pubblica frusta a sangue della Contessa La Motte, di-
scendente da sangue reale, rinchiusa da ultimo tra le male femmine alla
Salpetrière (1).
Or questo legale, occupato delle necessarie ricerche, era riuscito a met-
tere insieme notizie del tutto nuove; ma non così segretamente che qualche
cosa non se ne risapesse da amici e conoscenti di lui. Infatti, stando a
desinare a tavola tonda nell’albergo, uno dei commensali, siciliano, se ne
mostrò informato, sicchè Goethe potè recarsi da quel legale, avere e met-
tere a profitto il memoriale da lui composto sul Balsamo, identificato
allora col Cagliostro, e poi per due volte conversare con la madre e la
sorella di costui. Nella prima di queste visite fu accompagnato da un
commesso del forense, certo Giovanni; nella seconda andò solo, e n’ ebbe
una lettera. della madre, Felice Balsamo , in data del 17 Aprile. Quella
lettera era senza dubbio uscita dalla penna di uno dei soliti serivani di
mestiere i quali da poche settimane avean preso posto a piedi della nuova
officina postale (oggi Posta Vecchia, sede municipale della Polizia Ur-
bana), dietro il Palazzo Pretorio. Tradotta com’essa è in tedesco, meri-
terebbe essere ricondotta alla sua forma originale; e non sarebbe malagevole,
data la persistenza delle formule tradizionali di composizioni simili. Se
non che, studio di brevità costringe a tralasciarla insieme con l’altra che
l’a. 1788 la famiglia Balsamo mandò a Goethe, e così tutta la parte re-
lativa al gran ciarlatano.
Pure non tacerò che i particolari raccolti da Goethe in Palermo e gli
altri che prima e dopo il viaggio potè egli sentire, non rimasero infecondi
nella sua mente. Sotto la figura del Conte di Rostro egli li ritrasse nei
cinque atti della commedia Grosscophta, la quale per quanto inferiore al
valore ed alla forma del focoso pittore di Goetz von Berlichingen, attesta
che le imprese di Cagliostro non si cancellarono dalla memoria di Goethe.
Quella commedia venne in luce l’anno 1790, tre anni dopo il viaggio, e
l’anno appunto in cui l’ audace, già caduto nelle reti del S. Uffizio in
Roma, veniva sottoposto a rigoroso processo.
(1) Franz Funk-BreEnTANO, L'affaire du collier d’aprés des nouveaux documents recueillis
en partie par A. REGIS. Cinquième édition. Paris, Hachette, 1903.
36 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
Chi può essere stato in Palermo il forense incaricato dal Governo di
Francia di indagare intorno alle origini di Cagliostro ?
Questo dubbio s'è dovuto le cento volte affacciare alla mente di ogni
leggitore delle pagine siciliane della Resse e deve molto attivamente avere
occupato gli studiosi dell’opera.
Io stesso nella prima edizione del presente saggio cercai, se pur vi
riuscii, di nascondere sotto il silenzio la infruttuosità delle mie ricerche d’ar-
chivio sul proposito; le quali solo al domani della pubblicazione potei veder
coronate da buon successo.
Tout court, quel forense non può essere stato se non il Barone Antonio
Bivona.
Quindici mesi dopo la visita di Goethe, egli, questo signore, sospettato,
anzi addirittura ritenuto autore d'un gravissimo opuscolo in cattivo fran-
cese contro il famigerato abate Giuseppe Vella e perciò indirettamente
contro il protettore di lui monsignor Airoldi, Giudice della Monarchia in
Sicilia, scriveva una lunghissima lettera per respingere la calunniosa ac-
cusa e mettere le cose a posto (1).
Quell’opuscolo, in forma di lettera al de Guignes, stampato in Malta
(30 Marzo 1788), portava il finto nome di de Veillant; ma in verità era
di Rosario Gregorio; ed impugnava il Codice arabo di S. Martino e met-
teva alla gogna il sedicente traduttore (Vella), cui coraggiosamente bol-
lava col titolo di Cagliostro maltese (2).
La lettera del Bivona, stata scoperta un secolo dopo nel manoscritto 9020
del fondo vaticano in Roma, è un'amara, anzi un’acerba critica del pseu-
donimo ed insieme un’auto-difesa chiara, stringente, vigorosa.
Seguendola a passo a passo noi impariamo a conoscere davvicino l’au-
tore e le singolari doti per le quali egli potè ricevere frequenti, delicatis-
simi incarichi dal Governo francese e cattivarsi la fiducia dei rappresen-
tanti di esso.
“ Io, egli diceva facendo un rapido e severo esame grammaticale del-
l'opuscolo di de Veillant, fui allevato in una colonia francese; giovinetto
servii tre anni in un Reggimento fiammingo; ho tradotto alcune opere del
signor de Voltaire; sotto il governo del signor maresciallo de Castries ho
mandato alla Corte di Versailles diverse memorie da me scritte in fran-
cese, e come avvocato di questa nazione in Sicilia coltivo con moltissimi
francesi un carteggio non interrotto ,,.
(1) Vedi Archivio storico siciliano, N.S., a. XVI, fase. I-II, pp. 2177-27. Palermo, 1891.
(2) Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel sec. XVIII, tt. ILL c. IV. Pa-
lermo, 1827.
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 31
Ragguardevoli le sue amicizie in Napoli: il Barone di Talleyrand, Am-
basciatore di Francia, il signor de Sacault (o Cacacult) segretario d’amba-
sciata, il D.r de Léon, il letterato francese Cueilles, il Console generale
interno signor de Perier “ ed altri soggetti rispettabili ,.
Da notare altre informazioni dell’esser suo : ventiquattr’ anni passati fra
studio ed esercizio della professione legale ,,, e la esplicita benevolenza
dell’Airoldi, tradotta in frequenti desinari e in comunione di vita.
Con questi precedenti qualunque riserbo cede alla luce dei fatti.
Quando la rassegna dei più o meno abili, più o men noti forensi del tempo
(1787) non indica un uomo, un solo uomo che raccolga le qualità di cono-
scitore esperto del francese, in relazione continua, operosa con le autorità
francesi, il quale ne ricevesse incumbenze e le compiesse con loro piena sod-
disfazione ragguagliandone in memorie e rapporti al Governo di Francia
sia direttamente, sia indirettamente per mezzo del Consolato in Palermo,
o per mezzo dell'Ambasciata in Napoli, si ha diritto di ritenere che il fo-
rense di Goethe nella inchiesta cagliostriana in Palermo non fosse altro
se non l'avvocato Barone Antonio Bivona.
Potrebbe nondimeno chiedersi come mai la Polizia d’allora, così oculata
nel sorvegliare ogni classe di cittadini, permettesse tanta intimità tra un
siciliano e i sudditi d'un governo straniero. Ma io rispondo che l’ordina-
mento del tempo, che era vecchio di più secoli, traeva largo profitto al
commercio insulare dalle nazioni lombarda, francese, veneziana, la prospe-
rità delle quali era di grande vantaggio al paese. Il Bivona poteva ben
dire: “Io fo l'avvocato; e nessuno può impedirmi di assistere i miei
chenti chiunque essi siano ,. Il Governo dell’Isola, peraltro , nel tempo
che il Bivona prestava l’opera sua ai Francesi, non avea ragione di osta-
colarlo. L’accigliato e bizzarro Vicerè Marchese Caracciolo (1781-84), educato
alla scuola degli Enciclopedisti, idolatrava la Francia, dov'era stato Am-
basciatore del Re di Napoli. Il mite Presidente del Regno (1784-86) arci-
Vescovo Sanseverino, appunto perchè Presidente, cioè funzionante da Vi-
cere, non la prendeva tanto pel sottile; meno ancora il precario Presi-
dente (1786) Gioacchino Fons de Viela, Generale delle armi in Sicilia. Il
buon D. Francesco d’ Aquino Principe di Caramanico , nella prima metà
del suo vice-regno (1786-94), non ebbe argomento di preoccuparsi dei Fran-
cesì: tanto che il Bivona potea nell’ottantotto all'alta autorità dell’ Arci-
Vescovo Airoldi scrivere quella lettera. Solo dopo l’ottantanove dovette
egli aprire gli occhi sulla loro condotta e sorvegliarli; donde i rigori non
pur suoi ma anche dei suoi successori spinti dipoi fino alla espulsione in
massa dei Francesi dalla Sicilia. Quando questo avvenne e lo spettro del
giacobinismo rincorreva il pauroso successore di lui, mons. Filippo Lopez
38 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
y Royo, l’avvocato della nazione francese, il corrispondente fiduciario del
governo di Versailles potè aver perduto i suoi clienti fedeli e con essi la
fonte principale dei suoi guadagni; ma allora non deve più parlarsi della
visita di Goethe nella vecchia Capitale dell’Isola.
Ed ora che ho potuto alla meglio seguire il geniale scrittore di Fran-
coforte in questa Capitale , mi sia permessa qualche osservazione fornita
dalla critica della Reise e dai ricordi che dell’Isola ci lasciò, o sì presume
abbia lasciati il Cantore di NMaust.
X.
Nota dominante nel Viaggio goethiano in Sicilia è la indeterminatezza
di luoghi e di persone: nota che si accentua nella visita a Palermo. Lo
spirito potente del Poeta, innamorato della natura , non s’ indugiò abba-
stanza in ciò che natura non fosse; e quando vi s’indugiò, lo fece più con
l’intuito del genio che con la documentazione dell’erudito. Uomini, strade,
monumenti, edificî da lui veduti, sono per lo più accennati, e rivelano so-
vente una certa vaghezza di indicazioni che potrebbe prendersi e forse è
noncuranza, ma è pure espressione d’un’indole ben diversa dalle altre. So-
vente, dico, e non sempre , perchè qualche volta egli mostra una sin-
golare premura per persone e per cose.
Come già nel corso di questa esposizione si è potuto vedere, certe per-
sone ch’era indispensabile per noi, utile per lui conoscere rimangono al-
l'ombra. Un fitto velo copre in Palermo il titolo della locanda Montaigne
e con essa la Montaigne medesima. Il Vicerè che fece per lui quel che
potè, passa innominato; e, col Vicerè, quel forense che con fiducia senza
pari e disinteresse unico mise a disposizione di Goethe il frutto delle sue
faticose ricerche sul Balsamo. A Girgenti, non trovando una stanza per
dormire , viene graziosamente ospitato da una famiglia la quale gli cede
una grandissima camera con alcova (1). Questa famiglia, che intende in
così bella maniera la ospitalità siciliana, incontra la sorte comune del si-
lenzio. A Messina un Console nol lascia un istante: lo accompagna, lo
guida, lo consiglia, lo assiste (2): e passa nell’obblio. Per non dire altro,
il Governatore di quella città, che lo avrebbe voluto a pranzo nei giorni
di sua fermata colà e l’ebbe solo una volta non sapremmo chi fosse se
non ci alutasse la storia locale; ed il molto che Goethe ne disse diede
origine a leggende e ad errori topografici e genealogici, solo teste sfatati,
(1) Lettera del 20 Aprile.
(2) Lettera dell’11-13 Maggio.
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 39
ma non ricondotti alla realtà dal compianto Augusto Schneegans, già Con-
sole Germanico in Messina.
Il Governatore della piazza era il Maresciallo di campo Michele Odea, il
quale, giunto in Messina nei primi dell’Agosto 1783, (anno memorabile pel
terremoto che la devastò) vi stette fino a pochi giorni dopo la partenza
di Goethe. Un dispaccio del 4 Aprile 1787 lo sostituiva al governo politico
e militare della città col Generale Giovanni Danero , uomo di alta leva-
tura (1): e non è improbabile che l’indole bisbetica e sospettosa dell’Odea
sì trovasse grandemente eccitata proprio in quei giorni appunto per la
notizia dell’imminente ritiro (2).
Uno dei favoriti di Goethe è D. Michele Vella antiquario, che in Gir-
genti lo accompagna ed illumina nella visita dei templi, e che egli con
degnazione inusitata chiama suo cicerone, sua guida e una volta, con
parola carezzevole, “il mio vecchietto ,, (3). Il Vella era difatti un abile
conoscitore e curatore delle antichità agrigentine e, per questa ragione,
in corrispondenza ufficiale con mons. Alfonso Airoldi. Due sue lettere del
17 e del 81 Ottobre 1772 relative a quelle antichità sono conservate nella
Biblioteca Comunale di Palermo (4).
Come poi pel lettore siciliano della esse molte persone e cose rimangono
tuttora nel buio, così per l'Autore molte altre non furono cercate, nè osser-
vate. Per quelle può dirsi il già detto: avervi, cioè, concorso l’indole di
Goethe; per queste, invece , la superiorità ch'egli sentiva (e ne avea ben
donde) e che rendevalo schifo della compagnia o della conversazione di
uomini coi quali non avea consuetudine o comunanza d'idee. In Palermo,
centro di cultura, egli naturalista insigne, avrebbe potuto intrattenersi con
frate Bernardino da Ucria, della cui scienza facevasi bello il professore
ufficiale di botanica Giuseppe Tineo. Notomista esperto, che avea affer-
mato: la legge dell’ unità presiedere alla struttura dei corpi viventi, ed
avealo dimostrato con l’esistenza d’un osso intermascellare nell'uomo come
negli animali (5), non cercò nemmeno di Stefano Di Pasquale, cui, reduce
da Parigi, avrebbe potuto vedere nell’ “ Accademia degli studî ,, come
(1) Annali dalla Città di Messina, Vol. V. Continuazione all'opera di C. D. Gallo per
G. OLiva, Vol. I, pp. 157, 169, 171. Messina, Filomena, 1892.
(2) Si notino le date: 4 Aprile, nomina del Generale Danero; arrivo di Goethe a
Messina, 11 Maggio.
. (3) Lettera del 27 Aprile.
(4) ArroLDI, Raccolta di scritture e documenti che riguardano le antichità e Belle Arti
în Sicilia, Ms. 4, Qq, D, 42.
(5) W. GoetHE, Studi scientifici sulle origini, affinità e trasformazione degli esseri. Tra-
duzione e Prefazione di Giuseppe e Giovanni MontI. Torino, Bocca, 1903.
40 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
allora si chiamava l’Università, dov'era anche Sterzinger, ed il Museo; e,
genio della poesia, avrebbe potuto chiedere, come scrittori sommi, principi
e re facevano giungendo nella Capitale e come pur fecero il Miinter e il
Conte Rezzonico , il Barone di Refues, G. B. Casti e lo stesso Ammi-
raglio Nelson mettendovi piede , del primo poeta vivente dell’ Isola, Gio-
vanni Meli.
Di nessuno egli chiese, a nessuno fece capo; così nessuno seppe di lui, nes-
suno ne serbò ricordo; nessuno, ripeto, neanche il Marchese di Villabianca,
che cercava conoscer tutto e di tutto prendeva nota. E chi sa! forse
pochi, pochissimi lo avrebbero riconosciuto, perchè lo stesso Werther, pub-
blicato nel 1774, era presso che ignoto in Sicilia.
Ma siccome la trascuranza delle persone ch’ egli incontrò è veramente
notevole, io vorrei arrischiare una ipotesi, sulla quale invoco il giudizio
del lettore.
Io non so neppur concepire l’idea, e, concepitala, carezzarla, che Goethe,
dopo avvicinato uno e ricevutene cortesie , che costituiscono circostanze
interessanti, talora precipue, d'una fermata in un paese, non ne avesse
preso nota. Le cosa è tanto ovvia che il contrario sarebbe una eccezione
estremamente rara.
Ora ecco che c'è da supporre.
All’ultimo momento della composizione della Italienische Reise, l'Autore,
rivedendo i suoi vecchi appunti, avrà pensato che dopo tanto tempo ben
pochi si sarebbero ricordati più delle persone , e però a pochi, e forse a
nessuno, specialmente in Germania, sarebbe importato il conoscerle.
Quante novità infatti dopo quelle che egli avea vedute e udite! Eran
passati quasi trent'anni: una nuova generazione era venuta su. Più d’uno
dei pochissimi personaggi da lui conosciuti nell’ Isola era morto , comin-
ciando dal Vicerè Caramanico, che giaceva, e purtroppo giace ancora, sotto
un angolo del pavimento della chiesa dei Cappuccini, negletto, dimenticato
dai parenti, dal Governo, dai suoi stessi beneficati.
Il silenzio su nomi di strade e di luoghi della città, ha una spiegazione
plausibile, che lo scusa se non lo giustifica.
Nel 1787 non esistevano in Palermo lapidi con titoli di vie. Mentre di
lapidi se ne profondeva, come un po’ dappertutto, per ogni nuova opera
pubblica, grande e non grande che essa fosse, non una se ne apponeva
per indicare come si appellasse una strada, una piazza, un cortile. Solo
nel 1802 si vide murare la prima nel Cassaro e, vedi combinazione! pro-
prio presso la casa che oggi si dice albergo di Goethe. Un testimonio
oculare di allora, Gaetano Alessi, parroco di S. Ippolito, scriveva: “A 3
Febbrajo 1802, mercoledì mattina, giorno di S. Biagio, si appose alla can-
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 41
toniera della parrocchia di S. Nicolò La Kalsa una lapide marmorea colla
iscrizione che dice: Via Toledo. Indi in ogni casa si sono cominciati ad
apporre li mattoni stagnati colla iscrizione delli numeri ,, (1). La parroc-
chia non esiste più dal tremuoto del 1823, ma la lapide esisteva fino alla
rivoluzione del 1860 e noi l’abbiamo ancora presente.
Di alcune inesattezze del viaggio in Palermo ho toccato qua e là nel
corso di queste. pagine; ma altre ancora potrei rilevarne all’inoltrarsi del-
l'Autore nell'Isola, le quali danno a sospettare aver Goethe con vaghe re-
miniscenze supplito al difetto, irrimediabile per lui lontano e niente di-
sposto a chiederne, di notizie precise.
Il sospetto non è privo di fondamento.
Ho già detto che la /taltenische Reise non uscì prima del 1816. Come
parte della ben nota autobiografia Dichtung und Wahrheit (2), essa fu
seritta nel 1814; ma venne fuori trent'anni dopo il viaggio. Ora le lettere
originali, quelle cioè che l'A. scrisse, non meno che i diarî sui quali fondò
la sua relazione posteriore e che sono stati scoperti nella casa di Goethe
a Weimar, e già pubblicati, dimostrano che anche in questa parte della sua
biografia, egli volle non di rado intessere la fantasia alla realtà per pro-
durre una verità ideale conforme al suo intimo essere.
“Ed è verosimile, osserva lo Schneegans, che tutto il viaggio in Sicilia
(uno dei più splendidi saggi della prosa di Goethe) ricevesse il suo perfe-
zionamento più dalla fantasia del poeta che dalla esattezza del narra-
tore ., (3). La confusione che Goethe faceva in Messina tra il Capo della
Polizia o della sanità ed il Governatore generale, capo politico della città,
rappresentante del Vicerè, è prova irrefragabile di questa affermazione;
onde la strana leggenda del palazzo dei Principi di Brunaccini, il quale forse
è da identificare con la “ Locanda del principe Boraccino .,, dove abitò
Bartels (4).
(1) G. Arrssi, Prontuario di alcune notarelle, ammassate brevemente alla rinfusa concer-
nenti alcuni fatti ed occorsi nella nostra Capitale, n. 148, p. 25. Ms. Qq, 15, 17 della Bi-
blioteca Comunale di Palermo.
Medesimamente Vincenzo DI TorreMUZZA, Giornale Istorico ecc., p. 283, Ms. Qq, H, 179
di essa Biblioteca :
“Febbraio 1802. Numerazione delle case della città con numero impresso in mattone
bianco sulla porta, e nome della strada in marmo ai due capi di essa,,.
(2) GorTHE, Aus meiînem Leben. Dichtung und Wahrheit. Tiibingen. 1811-22.
(3) A. ScanEEGANS, Sicilien, I. Kap. Leipzig, Brockhaus 1887 e 1905. Vedi la versione
ital. del Bulle. Firenze, Barbera, 1890.
(4) BartELS, op. cit., II, 75.
In proposito ho scritto Una parola sul soggiorno di W. Goethe in Messina. Messina,
Tip. D'Amico, 1907.
42 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
Altra prova di ciò che il Poeta potè vedere o sentire allora e di ciò
che si le&ge nella Reise ce la offrono le pagine di essa che vanno sotto
la data del 17 Aprile, e che, come s'è visto, descrivono la ricerca della
famiglia Cagliostro.
Quelle pagine, se ne togli qualche periodo, vennero senza dubbio com-
poste di sana pianta molto dopo il viaggio. Il lettore le guardi un po’
attentamente, e vedrà che la forma grammaticale è di tempo passato re-
moto mentre altre pagine spesso procedono col passato prossimo o con
l’imperfetto.
Vi hanno particolari non ancora accaduti quando Goethe era in Paler-
mo: ed è evidente che certe notizie del 1787 furono da lui integrate con
altre di fatti svoltisi o conosciuti dopo.
Là dove si annunzia che il memoriale dell’ avvocato o legale palermi-
tano sopra la vita e le geste di Cagliostro e sulla famiglia di esso * con-
teneva più o meno circostanze le quali (come risultava da un estratto da
lu fattone a suo tempo) vennero fuori dagli atti del processo in Roma ,,
si ha il più valido argomento per ritenere che gli appunti messi in-
sieme da quell’ avvocato subirono interpolazioni che alterarono la rela-
zione originale della inchiesta ed aggiunsero qualche cosa al Compendio
della vita del Balsamo, estratta nel 1791 dal processo del 1790.
A noi manca la base di questa affermazione, cioè il memoriale che
Goethe ebbe e studiò; ma anche conoscendolo noi potremmo forse ritenere
in modo assoluto che le notizie della lettera del 17 Aprile partecipano
del memoriale e del Compendio in quanto che Goethe avrebbe preso da
quello i preziosi appunti dell'albero genealogico e qualche circostanza spe-
ciale della vita del Balsamo; e da questo, cioè dal Compendio, la somma
delle malvage imprese del noto impostore. Le. fonti principali son quelle
due. La parte originale della narrazione goethiana è la personale: la visita
alla madre ed alla sorella di Balsamo; le quali dal vicolo che ora si chiama .
Conte Cagliostro nell’Albergaria tra la piazzetta Ballarò ed i Bentratelli,
eransi per istrettezze ridotte nella “casa che sta —son parole di Goethe —
nell’angolo d’una stradicciuola a poca distanza della via principale deno-
minata Cassero ,. Chi voglia sapere di quella stradicciuola, cerchi della
Via terra delle mosche.
E qui parmi doveroso rilevare un’opera buona dell'Uomo.
Quando egli lasciò le due povere donne, vedove entrambe, senza mezzi
di sussistenza, con la prospettiva di sei bocche che consumavano senza
produrre, cioè: Felice Balsamo, madre di Giuseppe, inteso Conte Caglio-
stro, Marana Capitummino, sorella, tre figliuoli di lei, e una loro parente
malata, che stremava la scarsa loro minestra, rimase spiacente di non aver
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 43
potuto dar loro nulla. Tornato in Germania, partecipò ai suoi amici la
cosa, e lesse la lettera che la madre avea scritta al figliuolo, e che, come
è facile comprendere, egli non poteva spedire. I suoi amici, commossi del
caso pietoso, contribuirono una somma per sollevare le sventurate. Goethe la
fece giungere per mezzo del mercante inglese in Palermo Jacob Joff: e
madre e sorella la credettero provvidenza dell’amato congiunto. L'atto be-
nefico rispose pienamente allo scopo, e mille benedizioni partirono per
l’ignaro Giuseppe, in una lettera del 25 Dicembre 1788.
Così l’immortale Poeta veniva in aiuto di due povere famiglie nascon-
dendo alla sinistra quel che la sua mano destra aveva fatto.
Sottilizzando, potrebbe poi domandarsi: Portò egli personalmente, il si-
gnore inglese, quel denaro ai Balsamo ? Probabilmente no. Di Joff non si
ha traccia nelle carte del tempo; e, con la diffidenza siciliana, e maggior-
mente con quella della famiglia Balsamo, non è senza riserva da ammet-
tere che egli, straniero, si presentasse in persona. Goethe stesso, accingen-
dosi alla ricerca dei Balsamo, desideroso di far la loro conoscenza, si era
sentito dire non esser la cosa tanto facile, giacchè essi facevano vita molto
ritirata, non abituati a veder forestieri: e col carattere naturalmente so-
spettoso del popolo siciliano, difficilmente si sarebbero prestati a ricevere
un forestiero (1).
Sappiamo peraltro che i Balsamo erano pii, devoti e pieni di educazione.
A me sembra probabile, invece, che un parroco della città, che a quei
tempi, come tutti i parroci della Sicilia, godeva la massima fiducia, fosse
stato cercato per la delicata incombenza. Autorità incontestata, il parroco
era tutto per la sua parrocchia. Egli conosceva un per uno i suoi par-
rocchiani, ne sapeva a menadito le abitazioni, ne benediceva anno per
anno le case; li comunicava per la Pasqua, prendeva nota dei loro nomi,
compilava il censimento delle loro famiglie. Convien vedere in proposito
l preziosi documenti che si hanno.
Nel quartiere della Loggia (Castellammare d’oggi) ove stavano i Bal-
samo si contavano tre parrocchie: quella di Santa Margherita, quella di
S. Antonio e l’altra di S. Giacomo la Marina. In quest’ ultima era com-
presa la “via Terra delle mosche ,,; e n’ era parroco il buon sacerdote
Giovanni Pizzi (2). Ebbene, dev'essere stato il Pizzi colui che ricevette da
Joff e passò alla madre di Cagliostro il denaro mandato da Goethe. Può
anche aver accompagnato e presentato a lei il Joff medesimo.
Sarei lieto se altri mi dimostrasse mal fondata questa supposizione.
(1) Lettera del 17 Aprile.
(2) Atti del Senato di Palermo dal 1780 al 1801. Ms. A, 9, dell'Archivio Comunale di
Palermo, p. 262.
44 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMC
XI.
Non ostante i difetti, la esse vuol esser tenuta in molto conto per i
dolci ricordi della Sicilia. Il bello ed il buono che l’Autore rilevò nell’Isola
echeggiò nel cuore dei lettori del libro e, parte favorevolmente li predi-
spose, parte li affezionò ai luoghi ivi descritti. Io credo che in Germania
abbiano giovato alla simpatica riputazione del nostro paese più le vivide,
entusiastiche pagine di Goethe che non dozzine di libri di viaggiatori an-
tichi e di tourestes recenti. Di questi ultimi io non so quanti percorrendole
abbiano messo gli occhi sopra la Reise durch Sicilien del Barone von Rie-
desel, la Reise in Deutschland... und Sicihen di Stolberg, la Reise von
Warschau nach der Hauptstadt von Sicilien e i Gemiilde von Palermo del
prof. Hager e le Reisen in verschiedenen Provinzen... Neapel und Sicilien
di Salis von Marschlins. So questo però: che la Italenische Reise di Goe-
the fu letta, studiata, commentata, anche imparata a memoria nei brani
più poetici. Gli è che le osservazioni dei grandi s’' impongono e si fanno
strada.
L’ammirazione per questa terra luminosa, ove Goethe si beò alle ca-
rezze delle aure dolcissime, al tepore della più mite primavera, al verde
vellutato degli alberi, al vivificante sorriso della natura tutta, venne da
lui formulata in una sentenza che passò in epigrafe in più di un libro
sulla Sicilia: “ Italien ohne Sicilien macht gar kein Bild in der Seele:
hier liegt der Schiissel zu Allem (l’Italia senza la Sicilia non lascia una
impressione durevole nell’anima: qui sta la chiave di tutto) (1).
Ma ben più alto deve apparire questo concetto a chi nella deliziosa
canzone di Mignon veda l’apoteosi dell'Isola radiante di sole, baciata dal
mar di cobalto, profumata di zagare.
Nessun tedesco che parli della Sicilia, nessun italiano che goda di ve-
derla lodata ignora quella canzone, che forse primo Hager prese per in-
gemmarne il frontespizio dei suoi Gemdlde (2) ed il Levi prese a titolo
d’un suo libro sull’Isola bella (3):
Kennst du das Land, wo die Citronen bliihn,
Im dunkeln Laub die Gold-Orangen gliihn,
Ein sanfter Wind vom blauen Himmel weht,
Die Myrte still und hoch der Lorbeer steht ?
Kennst du es wohl? (4).
(1) Lettera del 13 Aprile 1787.
(2) HaceR, Gemdlde von Palermo, frontespizio.
(3) Primo, Nor conosci il bel suol, Palermo, Sett. - Nov. MDCCCLXXXV. Stab. tip.
del Tempo, MDCOCCLXXXVI. Ù
(4) GortBE, Gedichte. Erster Theil, p. 76. Leipzig, Reclam.
NELLA PRIMAVERA DEL 1787 45
(Conosci tu il paese dove fiorisce il limone e in mezzo al cupo fogliame
splendono gli aranci d’oro, — dove lieve un zefiretto spira dal cielo azzur-
rino, — ed il mirto sta silenzioso, ed alto si leva I’ alloro ? — Lo conosci
tu bene ?).
Fu detto avere il Goethe composto questi versi sul piazzale della
chiesa di S. Gregorio in Messina; e già prima del 1840 la Contessa Ida
Hahn-Hahn ne accoglieva in un suo libro la notizia (1). Ma non può ri-
scontrarsi notizia meno conforme al vero, ed anche al verosimile.
Potrei discutere la topicità e la tradizione; giacché la terrazza di S. Gre-
gorio altre idee può far nascere, altre immagini ispirare fuori che quelle
dei versi medesnni :.salvo che non voglia affermarsi che alla fantasia del
Poeta si rappresentassero vive le immagini di cose altrove vedute o udite.
Ma io non le discuto neppure, ricordandomi delle dolci visioni alle quali
il giardino di Palermo riportava il Poeta, che sempre più si sentiva ac-
cendere per la composizione della Nausicaa. Abbiamo in proposito un do-
cumento di capitale importanza : uno dei frammenti della Nausicaa stessa:
Dort dringen neben Friichten wieder Bliiten,
Und Frucht auf Friichte wechseln durch das Jahr.
Die Pomeranze, die Zitrone steht
Im dunkeln Laube.... (2).
(Lì tra 1 frutti spuntano nuovi fiori;—e per tutto l’anno il frutto si
alterna col frutto; —l’ arancio, il limone si alza—di mezzo al cupo to-
gliame). 7
La impressione della Villa Giulia è mirabilmente ritratta in questa strofe.
Quando nella Neue Zeitung di Berlino (3) lo Schneegans pubblicava la
prima redazione del suo Goethe in Messina, futuro capitolo del libro $?-
cilien, non tardò guari a comparire nel medesimo giornale una nota sulla
anteriorità della canzone alla venuta di Goethe in Sicilia, anteriorità ri-
badita pochi di appresso da August Fresenius con un articolo intitolato :
Mignons Lied und Goethes Aufenthalf in Messina (4). Per coloro che sono
molto addentro nella letteratura goethiana, la cosa è oramai indiscutibile:
ed è stata sfatata la leggenda che applica alla Sicilia la soave poesia
della melinconica Mignon dettata da Goethe per una contrada dell’ alta
Ttalia prima che egli l’avesse veduta, e quando la sognava quale la cantò poi.
Pure io osservo a me stesso: Se la canzone è anteriore al viaggio (e
(1) Ina HagN-Hann, Jenseits der Berge, p. 194. Leipzig, Brockhaus, 1840. Una seconda
edizione porta la data del 1845.
(2) G. von GRAEVENITZ, Goethe unser Reisebegleiter in Italien, p. T7. Berlin, 1804.
(3) N. 63, Februar 1886.
(4) Neue Zeitung, Berlin, 4 Marz 1886.
46 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
col Wuhelm Meister alla mano se ne può fissare la data), essa non venne
in luce prima del 1795; ed il solo fatto che il Poeta se ne ricordò nella
Villa Giulia e se ne servì per uno dei frammenti (il Dort dringen ece.)
della Nausicaa, rivela senz'altro che una stretta relazione spirituale esista
tra il Poeta in Germania ed il Poeta in Sicilia. La contemplazione del
paradisiaco spettacolo della estremità meridionale della Marina di Palermo,
o della Conca d’oro, o di altri luoghi dell’ Isola, non può astrarsi dal
Kennst du das Land.
Queste dolci memorie non si obliterarono mai in lui, e dovettero sorri-
dere in fantasiose reminiscenze della terra che nel Poeta rimase come una
di quelle visioni che accompagnano per tutta la vita.
Mi fermo sopra un punto dei NMaust, e non ne cerco altri; i quali, a dir
vero, non potrebbero offrire maggiore evidenza di richiami alla visita della
primavera siciliana del 1737; non ne cerco altri, ripeto, neanche nella ana-
logia che Domenico Gnoli ed altri han trovata fra la descrizione goethiana
della Villa Palagonia e la “ Cucina delle streghe ,, del Waust.
Nella tregenda, che dal tedesco Walpurgisnacht si è tradotta: “la notte
di Santa Valpurga ,,, il Dott. Faust danza con una bella giovane, e dan-
zando le dice :
Einst hatt ich einen schòner Traum:
Da-sah ich einen Apfelbaum,
Zwei schòne Apfel glinzten dran,
Sie reizten mich, ich stieg hinan.
A cui la bella risponde :
Das Aepfelchen begehrt ihr sehr,
Und schon vom Paradiese her.
Von Freuden fiihl ich mich bewegt,
Dass auch mein Garten solche trigt (1).
(— Una volta io feci un bel sogno: — Io vidi un melo; —in esso due |
belle mele splendevano—che mi attirarono; ed io vi salii.
— Il piccolo melo voi lo desiderate molto — fin dai tempi del paradiso. —
Io sono grandemente lieta—che anche il mio giardino abbia mele come
quelle).
Ora è stata ragione di discussione se codeste voluttuose strofette non
siano un’eco apparentemente lontana di qualche canto udito da Goethe in
Sicilia. Apparentemente, dico, perchè se le prime scene del Faust appar-
vero nel 1790, la prima parte di esso venne in luce l’anno 1806.
Brevi ma opportune osservazioni sono state fatte (2) e più larghe son
(1) GoretHE, Faust. Eine Tragbdie. Erster Theil: Walpurgisnacht.
(2) Cronache delle Civiltà Elleno-latina, a. II, n. 15-16, pp. 226-27. Roma, nov. 1903.
(art. di C. W. Guastalla).
NELLA PRIMAVERA DEL 1878 47.
lieto di farne anch'io sulla somiglianza d'immagini tanto nei versi sopra
riferiti, del Mawust medesimo, quanto in una canzonetta siciliana, dalla
quale Goethe avrebbe tratta la ispirazione. Nei Canti popolari da me co-
minciati a raccogliere prima del 1865 (1) si legge un’aria con queste due
vaghe strofette:
Chi sonnu graziusissimu
Mi passa pi li manu!......
’Nta stu bellu jardinu
Cci su’ due belli puma:
Io li vuleva cògghiri :
Nun vosi la furtuna! (2).
(Che. grazioso sonno ini capita!... In questo bel giardino, sono due belle
mele; io volevo [desideravo] coglierle; ma la fortuna non volle [non mi
fu concesso|).
L'’ardita, sensuale allegoria goethiana si traduce in somiglianza che im-
pressiona, tanto nella prima strota tedesca quanto nelle due strofe sici-
liane; ed a chi abbia una certa dimestichezza con la poesia popolare in
genere può far pensare ad un motivo comune presso varî popoli. Ma
quando questo motivo suona tradizionale e salta fuori con sì gagliarda
evidenza in Sicilia, dove il Poeta si fermò estasiato, non è irragionevole
il sospetto che appunto in Sicilia possa egli averlo sentito portandone l’eco
passionale in Germania. Che se la risposta della bella giovane (die Schone)
un cotal poco ne differisce, la differenza rivela la castigatezza del canto
siciliano e la trasparente lascivia della canzonetta tedesca.
Si è cercato dove e come (Goethe potesse aver sentito quei versi in Si-
cilia; e non si è pensato ai vetturini che accompagnavano lui e 1° amico
Kniep. A certo punto del suo diario (3) egli cita ad esempio di tempe-
ranza siciliana un garzone di stalla ai servigi d'un vetturino, — uno dei
tanti vetturini che viveano di quel mestiere, fedeli a tutta prova. Vettu-
rino e garzone pare dovessero servire i viaggiatori fimo a Sciacca o a
Girgenti, ma entrambi li lasciarono a Messina, prima che costoro s° im-
barcassero pel Continente. In Alcamo Goethe lodava la disinvoltura del
garzone e si piaceva che disimpegnasse a maraviglia “le parti di garzone
di stalla, di cicerone, di dispensiere e di cuoco: tutto sapendo fare ,, (4).
| A Messina l’industre mulattiere andava a strappare al padrone o al te-
(1) Vedi La Sicilia, Rivista periodica di Scienze, Lettere e Politica, a. I, pp. 44-45.
Palermo, MDCCCLXV.
(2) Pirrk, Canti popolari siciliani, v. II, n. 899. Palermo; 1871.
(3) Lettera del 17 Aprile.
(4) Lettera del 19 Aprile.
48 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
nitore della locanda, che s'era messo a letto, i materassi occorrenti allo
stanco Poeta, il quale al domani si congedava da lui dandogli pei pre-
murosi servigi ricevuti una buona mancia (1).
Il mestiere, la monotonia dell’ andare per luoghi cento volte percorsi,
l'indole di questa gente a tutto disposta fuori che al silenzio, specialmente
dopo guadagnatasi la fiducia dei viandanti; inoltre la curiosità di costoro
intesa a cogliere a volo parole e gesti delle persone del paese, deve a poco
a poco avere snodato lo scilinguagnolo del cavallaro o vetturale che fosse.
Risposte a domande, chiarimenti non chiesti, gratuite spiegazioni di luoghi
e di cose, ciceronate rusticane. motteggi, ariette canterellate a mezza voce,
motivi di melodie, devono essersi alternati e succeduti nella bocca dell'esperto
guidatore, divenuto a giusta ragione simpatico ai due tedeschi. Il fatto non
è inverosimile, nè nuovo, nè tampoco strano quando si rifletta che a cia-
scuno di noi è tante e tante volte capitato. Quante cose non abbiamo noi
udite ed imparate da codesta povera gente, nella quale insieme con la
naiveté sovente s'incontrano tesori di pratica esperienza, brillanti in aned-
doti e in canzoni, in costumanze e in proverbî ! Cu? va pri lu munnu ’mpara
assai, sentenzia il popolo siciliano; e Ou? camina, dicevami, ora è un buon
terzo di secolo, di là da S. Giuseppe Jato, un mulattiere, guarisci, patisci
e specula; (2) e davvero che giammai apologista di viaggi condensò in più
breve, filosofico dettato la verità : che *
‘ chi viaggia, gode (guarisci), soffre
e specula ,,, cioè osserva, fissa l'intelletto nella contemplazione delle cose,
istituisce paragoni e forma giudizî su quel che ha veduto e vede.
Ma Goethe, potrebbe osservarsi, non capiva il siciliano.
Ma Goethe, rispondo io, capiva e parlava l'italiano; e sarebbe un’offesa
al suo sovrano ingegno il negargli l’intelligenza d’una canzone. Nè giova
richiamarsi alla confessione di lui a proposito del dialetto parlato dalla
madre di Cagliostro (3); perchè altro è il parlare più o meno scomposto
d’ana vecchierella, che conversa nella stretta parlata dell’Albergaria, altro
la forma solenne, cadenzata, scandita d’un canto in bocca ad un vetturale,
abituato ad accompagnare forestieri e studiantesi di farsi da loro intendere.
Poi come conciliare la modesta confessione di Goethe, a proposito della
visita ai Balsamo, di non comprendere il dialetto della madre con quello
che della medesima visita dice egli stesso ? E Goethe dice: “Intanto che
10 parlavo con gli altri [della famiglia Balsamo], notai la vecchia doman-
dare alla figlia se io fossi della loro religione; e potei notare come questa
(1) Lettera del 10 Maggio.
(2) PitrÈ, Proverbi siciliani, vol. III, p. 115. Palermo, 1880.
(3) Lettera dei 17-19 Aprile.
iii e i
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NELLA PRIMAVERA DEL 1787 49
accuratamente schivasse di darle una risposta, mentre le faceva compren-
dere — per quanto mi fosse dato capire — essere stato troppo buono il fore-
stiere perchè su questo punto si dovesse fare una domanda se
E pensare che la vecchierella parlava alla figlia sottovoce !
Dato, nondimeno, e non concesso che Goethe non comprendesse i canti
che sentiva, come poteva egli intendere i popolani coi quali parlava ?_ Non
aveva egli persone che glieli potessero spiegare ? Non c'erano in Palermo,
la Montaigne e qualcuno dell’albergo, il mercantuolo, la guida? in Girgenti
l’ antiquario D. Michele Vella, e quei gentili che l’ ospitarono ? in Cal-
tanissetta, i cittadini che, secondo costumavano allora e costumano anche
adesso, sedevano a conversazione nella casa comune sulla piazza del mer-
cato e che graziosamente lo vollero con essi? E se non è così, io non so
come abbia potuto tradurre i dolcissimi versi del Meli:
Ucchiuzzi nfuri,
Si taliati,
Faciti càdiri
Casi e citati.
Jeu, muru debuli
Di petri e taju,
Cunsidiratilu
Si allura caju! (1)
tradurre, ripeto, in quel sicilianisches Lied, che piace tanto :
Ihr schwarzen Aeugelein !
Wenn ihr nur winket,
Es fallen H&user ein,
Es fallen Stàdte;
Und diese Leimenwand
Vor meinem Herzen.
Bedenk' doch nur einmal
Die sollt’ nicht fallen! (2)
ci
E vero che non ne citò la fonte; ma il Meli, ch’era di buon cuore, non si
sarà offeso della omissione del suo nome, e forse avrà appreso con piacere
che comparisse come canzonetta del popolo la sua ode ormai proverbiale.
In grazia della difficoltà del testo, avrà anche chiusi gli occhi sulla im-
magine espressa da Goethe nel quinto e nel sesto verso :
Und diese Leimenwand
Vor meinem Herzen,
(1) MeLi, Poesie siciliane. Edizione riveduta dall’ Autore ecc. V. I. p. 154. In Palermo,
MDCCLXXXVII. Nella edizione II, t. II, ode V. p. 24.
(2) Gorraw's, Gedichte. Diamant-Ausgabe ecc. Achte Auflage, p. 87. Berlin, G. Grote, 1886.
50 IL VIAGGIO DI GOETHE A PALERMO
la quale non risponde a quella dell’originale :
Ieu, muru debuli,
Di petri e taju.
(Io, muro debole, [composto] di pietre e mota).
E conchiudo.
Questa sommaria esposizione delle lettere palermitane del massimo serit-
tore della Germania, s'informa al desiderio, naturale in chicchessia, di ve-
der lumeggiati particolari rimasti fin qui oscuri o poco noti.
Forse siffatto desiderio non sarà sentito dagli eruditi nella letteratura
goethiana, paghi degli studî stati fatti sull'argomento. A me però se non
dà conforto la coscienza, sorride almeno la illusione di avere sul Palermo
di Goethe detto qualche cosa nuova, rettificato qualche notizia inesatta ,
completato qualche vago accenno, indovinato siti, identificati edificî, ricono-
sciuto persone, ma soprattutto rischiarato meglio l’ambiente nel quale lo
spregiudicato viaggiatore dovette trovarsi.
Questa illusione è di un uomo che visse gli anni più attivi della sua
vita modesta nell'amore operoso della sua terra natale, ma che volgendo
ora l’attenzione alla parte siciliana della Italienische Reise non ha voluto
guardare a nessuno degli scritti, grandi o piccoli, lunghi o brevi, italiani
o stranieri, pubblicati da quasi mezzo secolo in qua. Così ne è venuto uno
studio severamente oggettivo, libero da preoccupazioni e da preconcetti.
Se egli ha detto cose nuove, tanto di guadagnato; se ha ripetuto cose
vecchie, peggio per lui, che ha avuto la ingenuità di credere potersi illu-
strare pagine di un viaggio come quello di Goethe in Palermo con docu-
menti d’archivio, con testimonianze di diaristi del tempo e con ricordi di
viaggiatori dell’ultimo ventennio del secolo XVIII.
PER IL CENTENARIO
DI
FRANCESCO PETRARCA
Lettura fatta dal Socio
Prof. UGO ANTONIO AMICO
nell'adunanza solenne del 29 Maggio 1904
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PIER IL CENTENARIO
DI
BRANCESCO PETRARCA
09006 cecinit digna Petrarca Deis.
LAZ. BONAMICI, Carm.
Notava il mio sempre desiderato amico Adolfo Bartoli che lo scriver
oggi di messer Francesco Petrarca è reso difficile assai, non solo dalle
molte opere di lui, ma ancora dalle moltissime, e forse troppe, che in-
torno a lui furon vergate, e delle quali si potrebbe comporre una bi-
blioteca di migliaia di volumi. Fra le troppe, o Signori, mettete fin da
ora queste mie incondite parole, con le quali, fidente della cortese gra-
zia vostra, v’intratterò il meno che io possa.
Ed omettendo quel che mi porterebbe ad empire pagine soverchie,
mi è d’uopo accennare di fuga quanto dissi altra volta, cioè che l'amor
verso Laura, per farsi degno agli occhi di donna si bella, gli accese
amore alla gloria; a raggiunger la quale diessi allo studio del latino ,
donde gli venne amore all’Italia, ed alla regina del mondo — Roma.
L'anima dunque del divino poeta, (come ebbe a chiamarlo il rigidis-
simo Tommaseo) può in due aspirazioni ammirarsi: Laura e Roma;
sintesi maravigliosa, che lo fece parere, e fu davvero, miracolo di virtù
e di sapienza a quella generazione.
In mezzo alla quale vivendo, scrisse in una delle sue Lettere Varie,
che «nel cuore dell’uomo, maraviglia a dirsi, avvi un non so che di
4 PER IL CENTENARIO
« mistero, che sveglia l’amore e sollecita l’ amante. Senza cagione non
«vi ha chi ami; se bene ad altri, che ad amare sia meno inchinevole,
«la causa stessa a tanto amore apparisca forse diseguale » (Var. 64).
Verità quest’ultima, che egli ripetè nei versi:
...ÉE quel che in me non era
Mi pareva un miracolo in altrui. (Vel dolce tempo).
Or poi che le cose venienti da natura sono le più schiette, e la
schiettezza pura è bellezza, ad essa questa nativa sensitività vola con
ardore di desiderio, come a suo candido bene; la quale penetrando
entro i sacri aditi della coscienza, la fa giubilante nell’ordine interno:
e, da vivida luce irradiata, riveste la fiorente bellezza d’ una serenità
di cielo, tra i fulgori della quale trasumanata grandeggia e di sempre
nuove grazie accresce la sua beltà divina. Nè questo è innaturale, per-
chè bellezza è certa perfezione, che contemplata in pace dall’intelletto
porta ammirazione; e chi nega questo amore spirituale nega ogni amore
umano, il cui obbietto è bellezza e bene, che, secondo Plotino, sono
vittoria della forma, 0, come la chiama il Rosmini, della prima virtù
attiva, sulla materia inerte.
E questa mirabile bellezza apparve agli occhi del poeta, e gl’investi
l’anima di violenza amorosa il dì sesto di aprile del ‘3527 nella chiesa
di Santa Chiara in Avignone.
Da « Amor che solo i cor leggiadri invesca » ebbe un impeto di cuore
per tanta venustà eccellente, un senso vivissimo di maraviglia e di
affetto, che, ispirandogli fin d’allora soavità di versi, così continuò fino
agli anni più tardi, di che si compiacque tanto, che scrisse :
Quel foco ch'io pensai che fosse spento
Dal freddo tempo, e da l’età men fresca
Fiamma e martir ne l’anima rinfresca,
perchè Laura fu per lui l'incarnazione del bello ; ed in essa il poeta
adorò sempre la divinità dell'amore, giacchè
Niente in lei terreno era o mortale. (Vidi fra mille).
Da quel dì benedetto il giovane amante divenne ben altro da quel
di pria e lo ripete egli più volte nel Secretum al 3° dialogo, che io più
brevemente dirò con le parole del 15° paragrafo della Vita Nuova:
«Buona è la signoria di amore, perocchè trae lo intendimento del suo
«fedele da tutte le vili cose ». grow ddl
È saputo. che la bellezza muove il sentimento, che da questo sorge
e. si crea l’imagine candida, vivace, corruscante, perchè nata da ciò
DI FRANCESCO PETRARCA da
che più agita la mente e il cuore dell’uomo. Or questa imagine non è
che il piacere del godimento, fatto più soave dal dolore, e dalla mite
speranza di conservarlo accresciuto. Questa memoria del bene e del
male passato, e questa speranza del bene avvenire, dà luogo alla poe-
sia, che è visione imaginosa dell’anima; la quale dalle reali appren-
sioni si solleva alla possibile idealità, senza di che l’arte rimane ingof-
fita dall’arido vero. Chi mai alla vista di un’opera d’arte, chi mai ha
creduto che la bellezza tutta stesse riposta nell’ armonia delle linee,
nel degradar dei colori, nel paesaggio, che, come sfondo, si perde lon-
tano, lontano; nelle figure ben disposte e varie di movenza e di forme?
Però questa visione esteriore risveglia nel riguardante una vigile dol-
cezza, che intendere non può chi non la prova, quella dolcezza, che
muove, è verissimo, dalle tinte, dalle linee, dal paesaggio, ma che è
superiore a questi aspetti sensibili, e infiamma sempre più di desiderio;
perché di sotto, dirò quasi, la trasparenza dei colori, raggia una luce
divina, l’intelligibilità del concetto, entro agli splendori della quale
l’anima nostra queta il suo volo, s'appunta, e sovraneggia il finito,
lietissima inebriarsi nel Bello infinito, che è luce celestial piena d’a-
more. Che cosa era in sua vita Madonna Laura? Una donna mortale,
bellissima nelle sue fattezze, più nella pudica soavità dell'anima , tra-
lucente dai rai degli occhi belli. E qual maraviglia, al primo vederla,
non venne al poeta, che Vesca amorosa al petto avea ? al mirabile por-
tento esclama :
Costei per fermo nacque in paradiso !
Né mentiva a sé stesso. se nello inceder della persona gli appariva,
e manifestavasi più vereconda d’una Dea, se nel moto degli occhi era
un dolce lume, che dischiude la via che al ciel conduce.
Non istarò a raccogliere dalle Rime del solenne d’amor mastro pro-
fondo versi ed emistichj a rifarvi Laura, quale egli a noi amorosi l’af-
figura nei suoi canti: ma chiamo in ajuto alla mia insufficienza l’arte
potentissima d’un valoroso poeta, che, nel silenzio romito di sua stanza,
Vede comparirsi innanzi le donne amate dai quattro poeti, tra le quali
è Laura di Valchiusa :
Lungo sospir della più dolce musa.
A dir qual’era il suo valor, vien manco
Ogni umano parlar. Nel suo mortale
Di vero angiol sembianza ella tenea ;
Tal che in mirarla ognun mirava al bianco
Omero, attento a riguardar se l’ale
Mettean la punta. E ognor ch’ella movea
6 PER IL CENTENARIO
Il bel fianco, parea
Spiccar suo volo al regno onde discese.
Colpa dunque non fu se. come santa
Cosa adorolla, e in tanta
Fiamma d’amore il suo fedel s'accese:
Colpa era non amarla, ed in sì vago
Volto sprezzar del suo Fattor l’imago.
Ed ei l’amò sempre; e perchè nell’ anima presa da amore virtuoso
l’imagine dell’obbietto amato è ognora presente, ancor che lontano si
stia, onde verissimo quel di Virgilio absens absentem auditque videtque,
a mostrarvi la continuità della sua adorazione, omettendo quel che c’è
nelle Familiari, sceglierò da una bellissima Epistola metrica, indirizzata
dai silenzj di Valchiusa, a Giacomo Colonna, così lodata da Sant’ Ago-
stino nel 3° dialogo del Secretum, sceglierò, io dicevo, taluni luoghi tra-
sferiti in versi italiani :
... celato
Tra questi colli al fin pianger mi è dolce,
E memorar la corsa età nel pianto.
Ma che? Qui pur colei mi vien compagna,
Qui pur suo dritto mi addimanda, e agli occhi.
Se io veglio, mi si affaccia, e i lievi sonni
Con paurose imagini conturba.
Spesse fiate ancora, oh maraviglia !
Entra la chiusa stanza in su la mezza
Notte, e mi sta davanti ombra leggiera.
E mi desto, e mi piovono dagli occhi
Le prorompenti lacrime, in piè balzo
Esterrefatto; ed al venir dell'alba
To dal sospetto penetral m’involo:
E le balze dei monti, e le foreste
Cerco ansioso e qua e là m'aggiro,
E dietro, e intorno volgo gli occhi, incerto
Se ella, che venne a turbar la quiete
Del sonno, al passo mi facesse inciampo.
A stento il crederai. Io pur la vidi,
Io pur la vidi nell’elci del bosco.
O sorger dalla queta onda del rivo;
Or tra le nubi e il liquid'aere apparve
Radiosa di luce agli occhi miei;
Or dal sen dei macigni io la rividi
Bella e spirante comparirmi innanzi,
Ond’io pien di spavento arresto il passo!
Queste d’amor son l’arti, e nulla speme }
Ho di riposo in questo eremo asilo.
Concitato lo spirito in tal guisa, egli, che tanta poesia alimentava.
DI FRANCESCO PETRARCA fi
nell'anima, non ristavasi dal significare in versi quello amore per la
sua Donna, la cui imagine gli era sempre compagna.
E di poesia e di amore un’eco dolce, se non vivamente affettuoso,
gli veniva agli orecchi, chè per tutta la Provenza
Era un inno di amore e cortesia;
E i fioriti giardini e l’aure e l’onde
Iteravan dei canti ogni armonia.
Ma dei trovatori egli conserva la parte più pura, che è nell’ ardore
dell'anime loro. Però da quei canti, da quei tumulti di affetti, dagli
affanni, dalle speranze, dai queruli dolori, nessuna memoria è rimasta
d'una sola delle giovani castellane, celebrate con melodie di voci e di
liuti. Sarà il Petrarca più possente di loro; il nome di Laura travali-
cherà regioni e frontiere; e tutta la famiglia umana la benedirà, come
colei che ispirò i più bei carmi dell’affetto universale. Messer France-
sco veramente mostrò quai tesori accoglie il cuore dell’ uomo ; e _ libe-
randosi dalla trascendenza della mistica idealità, la quale fa Dante
unico ancora in quest'ordine di lirica, egli c'innamora col suo purissimo
‘canto, perchè il suo fu amore, proprio amore, tutto amore, come la
luce, proprio luce, non ha mistura d’ombra.
E questa varietà d’arte è anche un portato della vita progrediente
delle nazioni. Il poeta, al pari di ogni artista, nell'opera sua si mani-
festa come individuo, ed è quasi il centro della società umana in mezzo
alla quale ei vive, e della quale sente l’azione nella dottrina ricevuta,
nei costumi, nella religione, in una parola nella civiltà; ma in tutto
questo egli accenna la ragion progressiva, cioè che l'umanità non si
arresta nel suo cammino; e, se immutabile è la bellezza, supremo ter-
mine dell’arte, questa si modifica, piglia nuove apparenze, sviluppa
nuovi germi, che daranno novelli aspetti all'arte medesima con la ge-
nerazione successiva, che la sempre giovane natura prepara a se stessa,
della guisa che dal Guinicelli e da Cino venne il Petrarca col suo ma-
raviglioso idillio d’amore. E idillio è veramente! O ch’egli vagheggi i
dolci colli, ove nacque Laura; o miri l’acque lucide e fresche del fiume;
o pensi in qual parte del cielo era l'esempio della beltà di Laura; ella,
benchè incerto lasci l’innamorato cantore, è sempre agli occhi di lui
uno spirito celeste, il fior dell’altre belle, quella che sola agli occhi
suoi par donna. E termine a’ quadretti che ci dipinge con arte singola-
rissima, un cielo limpidamente azzurro, e poi, per accennar tutte le
note idilliache con un verso artificioso del poeta :
Fior, frondi, erbe, ombre. antri. onde, aure soavi.
do) i PER IL CENTENARIO
Nelle canzoni, nei sonetti egli ritrae della sua vita un'ora, un istante
fuggitivo; ed ei ne arresta la fuga, lo ferma e ce lo ripete in un ritmo
immortale di poesia, comune ai platonici, i quali careggiano con im-
pazienza di affetto quel che cupidamente han raccolto nel cuore, e vi-
vono di speranze, che a breve andare saranno memorie; onde il nostro
esclama : « Amor col rimembrar sol mi mantiene ». Sovente nella ombrosa
solitudine di Valchiusa, quando il cor trangosciato cercava un’ora di oblio
o almanco di riposo, quel luogo solingo, quegli antri, e le balze del
monte Ventoso pendenti a rovina, e la fragorosa scaturigine della Sorga,
tutto lo allontanava dal mondo; però d'un tratto quasi fosse in estatica
visione rapito, rivede la sua Laura « L’adora e inchina come cosa santa »
e dalla circostante natura gli viene, come per incanto, un eco di cele-
Sstiali accordanze da gentili spiritelli di amore, che gli ripetono:
L'acque parlan d’amiore, e l'ora e i rami,
E gli augelletti e i pesci e i fiori e l’erbe
Tutti insieme pregando ch'io sempre ami.
Al tornar della mente rièccolo poeta, che canta con palpito di spe-
ranza e di pena; e la sua voce malinconica, come profumo evaporante
dalle rive fiorite del Sorga, si espande per l’Italia festante, per tutta la
«Francia, valica i Pirenei; e ia Spagna e la Lusitania plaudiscono al
nuovo canto, come venisse modulato da un genio invisibile, soffermato
sui cerchi della terra silenziosa, cantante quelle elegie soavissime ; e
questo insieme, mite ed affettuoso, questa temperanza d’imagini, signi-
ficata da un linguaggio comune al cielo ed alla terra, ha dell’uomo la
passione e il dolore, ha dei cieli la speranza e la serenità.
Questo, che è poema dell'anima amante si chiude con un inno alla
Vergine. La storia d’amore cominciata nella chiesa di Santa Chiara,
si compie nella chiesa invisibile : il consorzio delle anime, non consen-
tito in. questa rea valle di pianto, si eterna «Nel ciel dell’umiltà dov'è
Maria ».
Queste cose tra me e me ripensando mi han fatto maravigliare alla.
grande sicurezza, con cui taluni critici han creduto che il Petrarca non.
avesse in pregio le sue Rime, solo perchè in due lettere a Pandolfo Ma-
latesta, che sono la nona delle Varie, e la decima della Senili, simi-
gliantissime in più luoghi, solo perchè, io dicevo, in esse lettere, e sin-
.-golarmente in quella delle Senili, scrive: «Se rozzo è lo stile, e tu
‘accagionane l’età mia, perocchè la più parte di quelle io dettai negli
anni miei giovanili. Che se magre ti sembrano queste mie scuse, pensa
che sei tu che quelle mie bazzecole hai volute. A malincuore te lo con-
fesso, or «che son fatto vecchio, io veggo divulgarsi queste mie ‘inezie
DI FRANCESCO PETRARCA 9)
‘composte nella mia giovinezza, le quali, non agli altri, vorrei fossero
ignote ancora a me; perchè se lo stile non disdice all’ingegno di quella
età, troppo per lo subbietto si disconvengono all’ età senile. Ma come
impedirlo ? Girano già da gran tempo per lo mani di tutti; e sono lette
assai più volentieri delle cose, che scrissi più tardi maturo degli anni
e del senno ». E qui Messer Francesco conviene con Dante, che scrive
nel Convivio: «Certi costumi sono idonei e laudabili a una etade, che
sono sconci e biasimevoli ad altra ». E che il Petrarca così giudicasse
di se stesso, ce ne vien prova dalla data delle lettere, ai 4 di genna-
ro 1372; quando a lui infermiccio a 68 auni, al freddo, che apporta
l'età, si aggiungeva quello della stagione, che gli ag /-Lanchisa le dita
(algentibus digitis). Ma chi vorrà credergli ? Non io di sicuro, il quale
non son riuscito a capacitarmi ch'egli, avvinto di amore ardentissimo
per Laura, non ispendesse nei suoi versi quella cura e quella diligente
sollecitudine per cui dirò « forma qui s'accorda veracemente all’ inten-
zion dell’arte» e che fece esclamare quell’ austero intelletto dell’ Al-
fieri: « Per cui Laura ebbe in terra onor celesti ». E dirò di più che
il poeta, sollevando in onore la bellezza e le virtù di Laura per eter-
narla negli avvenire, sollevava ancor sé per vivere. nella continuità
dei secoli ancora con la gloria di sommo lirico, oltre a quella di insi-
gne e magnanimo cittadino. :
Che il poeta aspettasse immortalità di fama anche dalle Rime, ad
esser breve vi addurrò taluni luoghi dei molti che potrei; e rifacen-
domi dall’epistola metrica, poco innanzi accennata, ivi io leggo
Tempo già volse, per virtù, per sangue
Nobilissima, illustre una donzella
Con i miei carmi a onor tanto levai
Che lontana ne va la nominanza.
Della imperfezione dell’arte sua negli anni primi, ce ne dice il poeta
medesimo:
Ed ebbi ardir, cantando, di dolermi
D'amor, di lei, che sì dura m’apparse ;
Ma l'ingegno e le rime erano scarse
Im quell'etade ai pensier nuovi infermi. (Mentre che ’l cor ecc.
E nella prima epistola metrica a Marco Barbato di Sulmona, man-.
dandogli le Rime, lo prega di tenerle nascoste, perchè quantunque la-
Voro giovanile, piacciono a tutti gli amanti, cui par leggere i casi pro-
prj leggendo gli altrui, e per ogni città sono udite con plauso popolare.
E tu, cui sempre, non men dei gravi, piacquer miei tenui stud), abbili
in gran conto benchè nugae, e finchè io non ti dia cose poccion
Hune tibi devoveo studii juvenilis honorem.
10 PER IL CENTENARIO
Nel notissimo sonetto: Se Virgilio ed Omero, con quel che séèguita,
il poeta ci dice la beltà di Laura degna d’esser cantata da questi due
sommi; ma il fato volle che come di Scipione Ennio, così di lei can-
tasse un rude poeta.
Però udite la chiusa:
Ennio di quel cantò ruvido carme,
Di quest’altr'io; ed oh! pur non molesto
Gli sia il mio ingegno, e il mio lodar non sprezze.
E nei giorni del disinganno riconfortavasi scrivendo :
Forse avverrà che il bel nome gentile
Consacrerò con questa stanca penna.
e notiamo che il consacrerò è qui forma latina, che vale rendere sacro.
ed immortale.
Notevolissima pare a me la chiusa del sonetto: « Lasso ch’io ardo »
nella quale l’amoroso cantore scrive :
I vostri onori in mie rime diffusi
Ne porian infiammar forse ancor mille,
Ch’ veggia nei pensier, dolce mio foco,
Fredda una lingua, e due begli occhi chiusi
Rimaner dopo noi pien di faville.
E mi piace soggiungere per l’ultimo terzetto le parole d’un amoroso.
interpetre :
Io preveggo, o Laura, mio dolce foco d'amore, che la mia lingua,.
quando sarà fredda, e i vostri occhi belli, quando saran chiusi, riter-
ranno ancora dopo noi moltissime faville; che è quanto dire, secondo-
il Leopardi, voi per virtù delle mie rime, vivrete nella memoria degli
uomini ancor dopo morte.
A volte ricorre ancora alla mitologia, e ricorda l’aquila rapitrice di.
Ganimede,
E fu l’uccel, che più per l’aer poggia
Alzando lei, che nei miei detti onoro. (Nel dolce tempo).
Ma lasciando il pincerna Jovis, è bene notare che se il nome della
donna amata volava d’una in altra terra; se anche morta avrebbe avuto.
gloria dai venturi; se tutto questo avveniva per lo splendore dei versi
del poeta, l’arte, da cui tanto bene impromettevasi, non potea esser pic-.
cina, ma larga, geniale; e doveva tenersene, se scrive :
ari e solo del suo nome
Vo empiendo l’aere, che sì dolce suona. (Ahi bella Ubertà)
Nè egli tace il fervore dell’animo, che lo sospinge; e leggesi :
Quella che al mondo sì famosa e chiara
Fé la sua gran virtute e ’l1 furor mio. (Soleano î miet)
DI FRANCESCO PETRARCA alti
E Laura si compiace del bene, venuto dal suo amore al poeta:
Salito in qualche fama 1
Solo per me, che il suo intelletto alzai,
Ove alzato per sè non fora mai. (Quell’antico)
Ed altrove, nel secondo capitolo del Trionfo della Morte :
....e piacemi il bel nome
Che lungi e presso col tuo dir m’acquisti ;
e ne aveva ben donde, poichè il poeta le aveva detto :
E se mie rime alcuna cosa ponno
Consacrata fra i nobili intelletti
Fia del tuo nome qui memoria eterna.
A non riuscir di troppo nojoso con queste pur necessarie citazioni,
ometto altri luoghi; non sì però che di pochi altri mi taccia, che a me
pajono opportunissimi. In uno di essi il poeta, esclama :
E benedette sien tutte le carte
Ov'io fama le acquisto ; e ’l1 pensier mio
Che è sol di lei, sì ch’altra non vi ha parte. (Benedetto sia)
E nella canzone bellissima « Perchè la vita è breve » scrisse :
L’amoroso pensiero
Che alberga dentro, in voi mi si discopre,
Tal che mi trae del cor ogni altra gioja:
Onde parole et opre
Escon di me sì fatte allor, ch'i’ spero
Farmi immortal, perchè la carne moja.
Mi sia consentito che un altro sonetto vi ricordi, nel quale il poeta
invita le sue Rime: «Ite, rime dolenti, al freddo sasso », uno tra quelli
che più dirittamente pigliano la via del cuore, perchè preghino Laura
di chiamarlo a sè. Alla seconda quartina continua :
Ditele ch'io son già di viver lasso,
Del navigar per queste orribil onde;
Ma, ricogliendo le già sparte fronde,
Dietro le vo pur così passo passo,
Sol di lei ragionando viva e morta
Anzi pur viva, ed or fatta immortale,
A ciò che il mondo la conosca et ame.
E il mondo conobbe Laura e l’amò, perché il poeta effuse tutta la
sentimentalità dell’anima sua nei versi, che sono lacrime e preghiere,
son canti di pace, che si compiono con tenerezza di pianto; sono ispi-
razioni amorose, come tintinno d’arpe solitarie; e fece di Laura poten-
9
12 PER IL CENTENARIO
zialità di tipo di candida bellezza e vereconda, e del poeta dal cuore
affettuoso il cantore d’una visione mirabile, in cui cielo ed anima si toc-
cano, e sentesi profondamente l’armonia della bellezza nella creatura
di Dio, e della bellezza nell’opera dell’uomo.
Noi di Sicilia abbiamo il vanto d'aver dato al Petrarca uno dei più
cari amici, Tommaso Caloria da Messina, che gli fu compagno nello
Studio di Bologna, la morte del quale pianse nelle Familiari, e poi con
versi latini; e di lui scrisse con amor diligente il prof. Letterio Lizio
Bruno, né so di altri che abbia fatto meglio. E la corona d’alloro, me-
ritata da messer Francesco, accese di desiderio per eguale onorifi-
cenza il messinese Jacopo Pizzinghe, al quale scrivendo, così il Boc-
caccio ben augura !!.. «Ora con migliori auspicj abbastanza prevedo
che tu, dall'altro corno d’Italia sorgendo, come un tempo Teocrito Si-
racusa, così tu farai illustre Messina; provati con ogni vigore alla sa-
lita, già già sei vicino alla vetta, assai valoroso nel canto, e cose mi-
gliori promettendo. Per la qual cosa, affinchè per quello, onde comin-
ciai, così progredisca la mia speranza, e si accresca il mio gaudio,
per il decoro dell’insigne tuo nome, ti prego, o coltissimo uomo, che
nulla fatica risparmi a raggiunger la gloria. Con animo virile perdura
nell'impresa : aperta, apparecchiata e lastricata ti si offre la via ». (Bocc.:
epist. Jacobo Pizzinghe). Ed eccoci un terzo messinese, fiorito circa il
1610, Mario Bonafede, che tutte volse in latino le Rime, come riferisce
Pier Angelo Spera nel Lib. 4° De Nobilitate professorum grammaticae,
«amores Laurae latino carmine donavit », — La palermitana Pellegra
Bongiovanni, valente nella pittura, e nella musica, la facilità dell’ in-
gegno poetico manifestò singolarmente nelle « Risposte a nome di Ma-
donna Laura alle Rime di Messer Francesco Petrarca in vita della me-
desima, composte da Pellegra Bongiovanni Romana, Roma 1762 ». Per-
ché siasi appellata Romana non so, forse perchè moglie dell'avv. Gia-
como Rossetti, e per la lunga dimora fatta nell’eterna città, dove morì.
Chi guarda alla difficoltà dell'impresa, se pur loderà 1’ ardimento, non
accoglierà con buon viso quel lavoro, reso ancora più difficile dalla
perfetta rispondenza del metro, e dal chiudersi ogni verso con la pa-
rola medesima, che chiude quel del Petrarca. Forse è soverchia la lode
che ne fa il Borghi, scrivendo :
Quella è Pellegra, che parlò d’ amore
In meste rime degli amori al padre,
E parve Laura, e pur ne finse il core.
Io conobbi nella ‘mia.giovinezza un vecchictto di casata Salvo, che
le Rime del Petrarca rivolse in degnissima poesia latina, che tale giu-
DI FRANCESCO PETRARCA 13
dicolla Giuseppe De Spuches principe di Galati di sempre acerba e
gloriosa memoria. Nel 1870 il prof. Giuseppe Bozzo pubblicava le Rime
col suo commento, e con quattro discorsi; lavoro lodato dal Carducci.
Ed ora è sotto ai torchi una nuova edizione delle Rime, condotta sugli
autografi della vaticana, che con gusto squisito e perizia singolare ne
prepara il cav. Giuseppe Salvo Cozzo, meritissimo Bibliotecario della
nostra Nazionale.
Ogni periodo della progrediente civiltà umana ha le sue forme; e
quelle del tempo del Petrarca son chiuse. Ma è di quei tempi e di ogni
tempo l’arte ammiranda di concepire, sentire, significar vivo ed eletto;
e quest'arte, dirò col Tommaseo, va imparata e studiata, se pure in
questo sgorgo di fogna pestilente, in tanto frastornio di lodi alle più
melmose ranocchie, non debba esser vero :
Exoritur nova lux, veteres migrate coloni.
Se l’amore per Laura concitò il giovane poeta a raggiunger la glo-
ria, questa, nuovo amore e potentissimo, invogliandogli anima ed in-
gegno agli scrittori latini, gli fece apparir Roma quale Dante nel se-
condo della Monarchia la disse «nata fatta a imperare su tutto il mon-
do ». Ad appagare il desiderio lungo, tenacemente assiduo di visitarla,
lascia, sullo scorcio del ’36, il romitaggio di. Valchiusa, ed a quella
città s'avvia, che fu appellata da Ateneo « compendio di tutto il mondo ».
Ma gliene ritarda il cammino la mente, che è piena, e il core, che
sussulta, alla memoria della prisca grandezza.
Sul venire dell’anno successivo entra innanzi le antiche mura ed in
‘compagnia dei Colonna, e di Paolo Annibaldi si aggira non dentro la
città soltanto, ma pei dintorni ancora, e spesso spesso arrestasi, vinto
da un senso di maraviglia e di affetto, a quanto gli si apre alla ve-
duta, che a meditare ed a parlare lo eccitava. Qui la reggia di Evan-
dro, la casa di Carmenta, la spelonca di Caco, la lupa nutrice. Qua i
giochi circensi, il ratto delle Sabine, la palude Caprea, nei pressi della
quale Romolo disparve. Ecco là i convegni di Numa e di Egeria; e
l'arena degli Orazj e dei Curiazj. Ecco la via Sacra; e i colli Celio,
Quirinale, Viminale, Esquilino; più in fuori ìil Campo Marzio. Qui Lu-
crezia liberamente si uccise; di qua fuggiva l’adultero; qui alla pudici-
zia offesa Bruto apparecchiò la vendetta. Ma perchè devo io ischeletrire
la stupenda lettera, che è la seconda del libro sesto delle Familiari,
che è viva nella memoria degli amorosi del Petrarca, se tanta via an-
cora mi resta, e non vorrei improvvidamente stancare la vostra gen-
tile pazienza?
14 PER IL CENTENARIO
Leggo nel Sublime di Longino al capitolo 13, (e mi sia tollerata que-
sta vecchia reminiscenza platonica in grazia di esser sempre nuova,
freschissima) « Le anime grandi di quei pochi, cui la natura creò poeti,
sono come sollevate dallo spirito degli antichi a quel modo che narrasi
dalla Pitia. Quando siede sul tripode si apre una fenditura sul suolo,
spirante un alito, che dicon divino, per cui la profetante tutta piena e
commossa da quella virtù, versa dal petto gli oracoli. Così dalla pro-
fonda sapienza degli antichi, quasi da un cupoluogo s’inalzano spiriti,
i quali muovono e levano le anime dei vati, e seco le rapiscono alla
cima della bellezza ». Or che questo alito divino dovè agitare l’anima
del nostro poeta, nessun vi ha che ne dubiti.
Nella lettera ai posteri ei dice: « Piacquemi sopra ogni altro lo stu-
dio dell'antichità: da poi che la presente età nostra ebbi io sempre in
fastidio per tal modo, che, se non fosse l’amore dei miei più cari, in
tutt'altro tempo da questo esser nato io vorrei, del quale cerco a tutt'uo-
mo di farmi dimentico, e vivo con l'animo in mezzo agli antichi ».
In tanto sublime spettacolo di eroi, di simulacri, di tempj, che gli si
agitavano nel pensiero, un senso di vergogna dovè aspreggiargli la
dolcezza delle glorie latine, quando scorse quelle venerande reliquie
sozze di sangue sparso per odj sempre ribollenti, concitati gli animi
dalla peste, più mortifera delle altre, dell’ire cittadinesche. E forse al.
lora, pulsandogli il core un vivo desiderio di bene, gli sovvenne con
sospiro di animosa esultanza la figura di Scipione Africano, come di
colui, che aveva saputo, in tanta desolazione della patria, travagliata
da Annibale, ritornarla, dopo Zama, vincitrice da ogni funesta prepo-
tenza di barbari, e signora dei popoli; quel glorioso Scipione, com’egli
ricorda nella lettera ai posteri, «il cui nome, maravigliando il ram-
mento, fin dalla fanciullezza mi ebbe preso di amor singolare ». Che
maraviglia se l’animo fervido del giovinetto Francesco ne innamorasse,
quando tanto lo venerava il suo maestro Convenevole da Prato: ed
ancor prima di costui, Dante, che nel Convivio, al capitolo quinto del
quarto trattato, scrive: « E non pose Iddio le mani, quando, per la
guerra di Annibale, li Romani vollero abbandonare la terra, se quello
benedetto Scipione giovane non avesse impresa l'andata in Affrica per
la sua (di Roma) salvezza ?» E a questa impresa provvidenziale accenna
nel sesto e nel ventisettesimo del Paradiso, e nel trentunesimo dell’ Zn-
ferno, e nel secondo del De Monarchia. E qual guerriero più di lui auda-
cemente ardito, che
TOA simile a baleno
Fiaccò de la vittrice Affrica il seno ?
DI FRANCESCO PETRARCA 15
Amico di Ennio lo volle effigiato nei monumenti della gente Cornelia.
Combatte e vince Antioco, che rimase pieno di ammirazione, quando
riebbe libero e con doni il figliolo, già prigione dei cavalieri romani.
A Literno accorre numerosissima gente a visitarlo, bacia la destra al-
l’esule eroe, e depone sulla soglia della casa ricchezza di offerte, quali
ai Numi si consacravano. A retribuirne i meriti i Romani gareggiano
nell’onorarlo; onde la statua di lui sorse nel Comizio, nel Foro, nel Sa-
erario di Giove Ottimo Massimo; ed un’altra con ornamenti di trionfo
nei Lettisternj Capitolini. Nulla accettò per legge di popolo, nè per or-
.dini del Senato; e tanto adoprossi nel rifiuto quant’erasi per opere de-
|
gne meritato gli onori. Assai gli fu cara e santa la doppia corona, che
ottenne, giovane a diciassette anni, quando alla funesta battaglia presso
il Ticino salvò da morte secura il padre sanguinante di ferite. Qual
maraviglia se al poeta, voglioso di tentare un canto epico, la figura
d'un eroe, venuto a tanta altezza di virtù, balenasse con guizzo di luce
sì raggiante da invogliarlo a metter mano all'opera ?
« Sulle prime ore di un venerdì santo, scrive egli ai posteri, a me
errante a sollazzo per i colli, ond’è ricinta Valchiusa, sorse in mente
di dettare un poema intorno al primo Scipione Africano; e trasportato
da interno impeto misi subito mano al lavoro, che poi, distratto da
mille cure, lasciai interrotto, e che dal subbietto Africa intitolai. La
quale non so per qual sua o mia ventura, prima che alcuno la cono-
scesse, destò di sè tanto amoroso desiderio ». E subito tutti ne comin-
ciarono a cantar le lodi, si che Zanobì de Strada, inteso com’ era
a simile argomento, smise ogni cura, plaudendo al nascituro dal so-
lenne ingegno di tale, che sapea dell’arte e dell’Italia amorosissimo.
Si dubita oggi se l’amore a Roma ed all’ Italia sia stato in messer
Francesco un sentimento od un fantasma. Io penso, e me ne raftferma
sempre più lo studio delle sue opere latine, che l amore «al nostro
capo, Roma » sia stato così immutabile come quello per Laura. Leggete la
prima del decimo delle Lettere Familiari a Carlo IV imperatore : è la
lettera, che parla al monarca: « Di noi tu dunque, e, se sia lecito il
dirlo, di te medesimo sei fatto immemore, e. dell’ Italia tua ogni pen-
siero hai tu deposto ? E mentre dal cielo a noi mandato ti crediamo, e
della nostra libertà sperammo avere ottenuto un pronto difensore, tu
il tempo in lunghissime deliberazioni consumi? Non sai tu dunque come
un breve momento basti a decidere di cose grandissime? e come, so-
venti volte, un giorno solo compia le imprese per molti secoli apparec-
chiate? E fra tante cure sante e nobilissime, che ti. gravano, nessuna
è al certo più importante, e più grave che ricomporre l’Italia in pace...
16 PER IL CENTENARIO
Cerchiamo nei nostri annali un esempio, se pur lo vuoi, e valga a te
per tutti Arrigo Settimo di gloriosa memoria, avolo tuo serenissimo, il
quale, se bastata gli fosse la vita a porre in opera i santi disegni della
sublime sua mente, dispersi i nemici, avrebbe lasciato al mondo mutata
la faccia, liberi e gloriosi gl’Italiani, e, regina di tutti, Roma ». E non
sarebbe male leggere un’altra lettera al medesimo Carlo nel ventesimo
terzo delle Familiari; e, fra quelle al Tribuno, l’oratoria, che è splen-
dida glorificazione di Roma e dell’Italia. Ma non so passarmi, nè lo
devo, d’accennare alla fervida epistola prima del ventesimo terzo delle
Familiari.
Quando la Grande compagnia nemica di Dio, di pietà, di misericordia,
e le bande successive contristavano di empie scelerità e di violenti ra-
pine la povera Italia, l’indomito poeta, disconsolato a tale jattura, seri-
veva ad un ignoto : « Parlo perchè parlare mi è forza; perchè l’amore
mi sprona, e l’affannoso petto per modo mi accende, che il tacere mi
è del tutto impossibile. Io parlo, nè so a chi parli. O della libertà. e
della pudicizia vindice egregio, che dal soglio precipitasti gli autori
del vergognoso servaggio, e con la spada ultrice costringesti a inab-
bissar nell'inferno gl’infami maestri delle turpitudini, oh! vivo tu fossi,
magnanimo Bruto, sì che a te la parola potessi io rivolgere! O glorioso
Cammillo, che dal sangue nostro sozza e spumante la oltramontana.
rabbia tra le fumanti ceneri della patria estinguesti, oh! vivo tu fossi,
sì che a te le parole potessi io rivolgere ! O massimo degli eroi, che
discacciato a viva forza Annibale dall'Italia, cui diciassette anni tenuto
avea sotto il giogo, e dentro i confini della sua patria respintolo, con
invitto valore secondato dalla fortuna mirabilmente lo debellasti, oh!
fossi tu vivo, perchè a te la parola potess’io rivolgere ». E continuando
ad invocare gli altri eroi di Roma, soggiunge: « Di che mi lagno, di
che tanto gemendo piango e sospiro ? Ahi che un vil pugno di ladri da
sozzi covi sbucato e raccolto, l’Italia, già regina del mondo, percorre e.
passeggia, e a sè provincia e suggetta vuole e pretende colei, che fu
di tutte provincie donna e signora. Chi sarà che ci salvi dalla vergo-
gna, poichè dal servaggio è vano lo sperare che alcun ci salvi. Chi.
potrà farci o sordi o ciechi ai mali nostri, poichè camparci da quelli.
alcuno non può ? Deh! questo almeno ci sia dato, che la coscienza di
tal onta, e la veduta delle luride piaghe nostre tolta ci sia». Ma che
starò io a fastidirvi di vantaggio ? Dirò, non per odio di altrui nè per
disprezzo, che gli adusati a leggere, od a sentire concioni comiziali ro-
boanti e canore, piglian questi santissimi affetti come esercitazione re-
torica, non qual'è nel. fatto, slancio caldissimo d’anima cittadina. Tanto
DI FRANCESCO PETRARCA 17
si fa male a giudicar gli uomini grandi, senza farci contemporanei di
loro e nel bene e nel male. Forse il Petrarca non ebbe nel riordina.
mento civile dell’Italia saldezza di proposito, come l' incrollabile Ali-
ghieri, ma che questo desiderasse in qualche deliquio platonico non è
quel che viene dalle opere di lui; il quale, riconoscentissimo ai suoi amici,
scriveva: « Non vi ha famiglia che io ami più dei Colonna; ma Roma,
ma la Repubblica, ma l’Italia mi sono ancora più cari ». Desiderava la
salvezza della terra nostra, e la vedeva possibile per virtù italiana,
...e fia il combatter corto
Chè l'antico valore
Negl'’italici cor non è ancor morto.
Venisse questa salute da un Cesare o da un Tribuno non gli fa. Gli
tardano la speranza di giorni sì desiderati le cruenti e insane discordie
civili, ond’egli sempre fedele alla patria, va gridando : Pace, pace, pace.
E non è tutta l'Africa un canto d'amore gagliardo, generosissimo,
glorificante l’Italia, inneggiante la Magna Roma? Non si sprigiona da
essa il fuoco dell’anima del poeta, che arse mai in petto di cittadino
onesto e tenero delle più nobili virtù, senza la vita delle quali si di-
sonesta qualsiasi sentimento ? Ma, parmi di sentire, essa non ha, nell’an-
dare dell’azione, la compostezza virgiliana, e manca fra le parti quel
non so che d’armonico, per cui certe digressioni, o episodj che si di-
cano, appajono assai slegati. Per la seconda colpa ogni uomo prudente
si persuaderà che ove il poeta avesse avuto agio di tempo e serena
tranquillità d’animo, ovvero sicurezza che l’opera sua era’ degnissima
dei tempi, questa menda, se pur c’è, sarebbe scomparsa, perché egli
non aveva bisogno delle nostre avvertenze a riguardar meglio il suo
lavoro. Come siam facili noi pigmei a crederci più alti del gigante,
sol perché ci solleviamo sulle spalle di lui! Alla prima poi risponderà
il Petrarca medesimo con le parole scritte in una epistola al Boccac-
cio: « Vuolsi sapere quale io mi sia? Tale son’io che mi studio batter
la strada, tenuta dai padri nostri, ma non servilmente mettere il piede
sull’orme loro. E se talvolta mi giova servirmi dei loro scritti, non per
rubarli, ma per farne a tempo opportuno uso precario; più assai mi è
grato, ov'io possa, servirmi dei miei. Tale son’io che della imitazione
mi' piaccio, non della copia, anzi nello imitare fuggo il soverchio, e
Gerco che si paia non cieco o losco, ma veggente pur esso, l’ingegno
dell’imitatore. Tale son’io che meglio vorrei non aver guida di sorta,
di quello che dover sempre mettere il. passo ove. lo mise il Duca mio.
Duca io non voglio che mi tragga alla catena, ma sol che vada iu-
nanzi, sì ch'io lo segua; né so acconciarmi in grazia di lui ;a perder
18 PER IL CENTENARIO
gli occhi, la libertà, il giudizio; nè mai sarà che alcuno mi vieti mo-
vere il passo dove mi aggrada; fuggir quel che mi spiace, provarmi a.
cose non tentate finora, avviarmi, se mi talenta, per sentiero più age-
vole o più breve, affrettarmi, posare, divertir dalla via, volgermi in-
dietro »>. Guai a lui, guai a tutti, grandi o piccini, se s’avesse a te-
‘ ner dietro il consiglio degli improvvidi consulenti: quanto meglio seguir.
ciò che il cor vuole, come disse un siciliano antico :
« Cantet amet quod quisque, levant et carmina curas ».
L'Africa è l’inno a Roma, la quale non poteva avere, secondo il nostro, .
perennità di gloria senz’essere regina d’Italia; nè questa splendore e.
vita senz’essa. Mi sia conceduto leggervi la protasi, che è tutta bel-
lezza d’ispirazione e, nell’incesso, epica maestà.
E a me l’eroe per opre inclito, e in guerra
Tremendo, o Musa, ora ricorda, al quale,
Franta dall’armi italiane, un tempo
Diede eterno l’insigne Africa il nome.
Libar questa sant’acqua a me fia dato
Da l’esausto Elicona, alme sorelle,
Cura mia dolce, perocchè mirande
Cose a voi canto. Già d’amica villa
E prati e fonti, e di campagne aperte
Muti silenzj e fiumi e collinette
Mi concesse fortuna: al vate i carmi
Voi concedete, voi spirito agli estri.
Lasciando ripetervi l’altra invocazione a Gesù Cristo, e le ragioni:
della seconda guerra punica, imagina il poeta che, al farsi dell’ alba, —
Scipione vede apparirsi in sogno un’ombra illustre, che è il padre suo
...0stendens caro proecordia nato
Et latus, et multa transfixum cuspide pectus,
che addita al figliolo Cartagine, ultima meta al suo valora. A stimolarlo
di più gli narra (e la narrazione piglia i primi due libri, che sono due
sogni) i fatti e le gesta gloriose dei Romani. Dicono ch’ ei si tenne al.
sogno di Scipione di Marco Tullio, o a quel di Boezio nel De Consolatione
philosophiae. Sia pure; ma son due libri belli, fervidi, agitati da un.
vivo calore poetico, che, specialmente in taluni quadretti o macchiette,
come direbbe un pittore, danno figure di singolare bellezza. Del resto.
chi nel prezioso libro di Pio Ràina ha studiato le fonti dell’ Orlando di
L. Ariosto; o le lunghe annotazioni e i discorsi, che il genovese Giulio
Guastavini appose alla Gerusalemme del Tasso, et similia, vedrà come-
È
DI FRANCESCO PETRARCA 19
cui un'imagine si rappresenta. Basta fare una capatina in qualche pi-
nacoteca a veder la varietà immensa nelle ‘molteplici Sacre Famiglie;
basta richiamare al pensiero che numero di Sofonisbe, di Meropi ecc.,
ci han dato i tragici, senza che l'un l’altro rubi, ma che solo nello ar-
gomento si somigliano.
Non mi soffermo all’altra accusa degli episodj, perchè è chiaro più
della luce meridiana che tutti i poemi del mondo risultano da un con-
serto di azioni accessorie alla principale: che maraviglia se il Petrarca
volle giovarsene ? Ma non si sarà mai critico fine, acuto , originale se
non sì cerca modo, o via di scalcinare lo zoccolo o piedistallo che si
voglia dire sopra al quale si aderge
Vincitor di Cartago
Di Scipione la superba imago.
Qui non son buono ridirvi qual senso di pena all’ anima ebbi io,
leggendo un giudizio, che scese a noi da oltralpe, e che sarà stato ac-
colto come oracolo, venuto fuori dagli aditi augusti della sapienza! Ma
spesso avviene che « Tal biasma altrui che sè stesso condanna » ! Gior-
gio Voigt nell’opera dottissima «Il Risorgimento dell’antichità classica »
scrivendo del poema petrarchesco, così sentenzia: «che cosa è mai la
sua Africa, della quale egli si prometteva tante cose, e della quale
parla sì spesso nei suoi libri e nelle sue Lettere ? Non è proprio il caso
del ridiculus mus? Certo è che essa anzichè giovare, nuoce alla di lui
fama ». (vol. 1°, pag. 381). Nuoce alla fama di chi giudica senza aver
alito o spirito di arte; ma non al Petrarca ed al suo canto! Nel quale,
per continuare il primo detto, è mirabile l’incontro di Lelio con Siface,
quando il Romano voleva trarre alla sua l'animo venale del re di Cirta;
la di cui reggia è descritta con vera grandezza; ed è assai bello, al
termine d’un desinare, il canto di un giovane sulle fortune della Libia
dalle mitiche tradizioni di Atlante sino ai giorni in cui era vivo An-
nibale. Stupendo pare a me il racconto che fa Lelio dei fasti gloriosi
di Roma; sempre quella Roma della quale i nobili fatti rammemorando,
ridesta a pace le anime discordi perché raggiungano il nobile fine della
canzone all’Italia :
Vostre veglie divise
Guastan del mondo la più bella parte.
E non mi arresterò al felicissimo episodio del re Siface prigione dei
Romani, che è d’una verità nuda, sincera. E me ne passerò presto della
Sofonisba, altra infelice regina Africana che muore invitta a non ac-
crescere la prossima gloria del trionfante Scipione; e non mi fermerò
3
20 PER IL CENTENARIO
nemmanco alle smanie di Massinissa Qui suppergiù tutti convengono,
ch’essendo il poeta nella sua beva, cantò passionatamente di amore; e
dipinse con mirabil magistero la morte della povera reina. Manco male
che degnano il poeta di tanta virtù poetica. Nè mancano gli Elisi, i quali,
giurano alcuni, son quelli di Virgilio maniati: e pure han tanto di
proprio che solo, a mente fredda, pensandoci su, ci rammentiamo del
Mantovano. Al Zumbini par troppa l'ira di Annibale nel lasciare VIta-
lia, quasi che il Sidonio guerriero non presentisse perdute tutte le sue
vittorie, appena dalla penisola fossesi trasferito a Cartagine. Stupendis-
simo l’episodio di Magone, con cui si chiude il sesto libro, unico fram-
mento di 34 versi, conosciuto, vivente il poeta; e del quale i fiorentini
e i beneficati dall’insigne scrittore, more solito, fecero tanto strazio, da
meritare una solenne difesa che il Petrarca dettò in una delle Senili,
diretta al Boccaccio. Per quel che guarda poi la squisitezza dell'anima
del fratello di Annibale, e del dispregio delle cose terrene, qual mara-
viglia? Donde Eraclito ed Egesia appresero che nel mondo maggior
copia c'è di male, e poca e rara assai quella del bene? L’anima be-
nigna e pia del vate aretino tutta traboccò nei dolcissimi versi, messi
in bocca al moriente Cartaginese, e la poesia è d’una insuperabile bel-
lezza. La battaglia di Zama, dicono, è cavata da Livio; e chi può ne-
garlo ? Certo in un poema storico, li appunto dov’entra la storia, non
si può rifiutare quel che da essa ci viene; e se qualche forma liviana
si suggellò nella mente del poeta così vivamente da farla rivivere nei
versi, è poi tal colpa da far gridare al plagio, quando altri pensa, e
pare a me con tutta ragione, ch’ei seppe ben congiungere il vero ar-
tistico al verismo storico ?
Chi legge l’ottavo libro chiuderà spesso il volume e gli occhi, per
rifare con la fantasia la maestà delle cose cantate dal poeta. Asdrubale,
mandato da Scipione a Roma per far dal Senato approvare la pace,
guidato da un cittadino visita la superba città vincitrice; e quantun-
que la materia sia la stessa della 2% delle Famz/iari al Lib. 6°, che arte
é quella del poeta, che impeto di affetto e di gioia ad ogni monumento
della prisca e nuova grandezza! E pare il poeta abbia voluto accere.
scerne le bellezze per far più pietoso il contrasto con i miseri carta-
ginesi, gementi entro orride prigioni, sotto il pesantissimo carico delle
catene!! Ha splendidi luoghi anche il 9° ch’è l’ultimo libro : l’ entrata
di Scipione nella nave del ritorno ha un luogo che non so temperarmi
dal non riferirlo
AE: non rauca procellis
Aequora fervebant. ventisque silentibus, undas
Victorem sensisse putes.
DI FRANCESCO PETRARCA 21
Lungo il cammino Ennio predice all’eroe, come nel corso dei secoli
un giovane toscano canterà questa solenne impresa in un poema che
avrà per titolo Africa, e che varrà al poeta l’ onore della laurea in
Campidoglio. Il trionfo di Scipione e di Ennio pon fine al canto. Altro
che il topolino nato da una montagna !
Del resto il mio giudizio non ha valore alcuno di fronte alla storica
sapienza d’un si dotto scrittore. È bene che io confessi che
Per avverso latrar non io mi muto
e me ne sto con l’autorità di tale che nota: « Prepongo a Silio, a Lu-
cano, a Stazio il Petrarca in quanto alla disposizione della favola; ed
all'ordine, che egli tenne nell'Africa, lasciando agli altri il giudizio della
lingua e dell’elocuzione: ma negli affetti amorosi è maraviglioso ». Il:
lustre professore Voigt, dalla cattedra di Lipsia, o nei regni eterni, in-
chinatevi umilmente; chi scrisse questa nobile sentenza è Torquato
Tasso, cui nomini nullum par elogium !
L'Africa fa per molti socoli negletta, come negletto il pensiero d’Ita-
lia. Risorse con l'entusiasmo nazionale, vigoreggia al trionfo dell’Italia
nostra nella sua unità; scemano i detrattori, ed ogni giorno crescono
gli ammiratori pur ammettendo vi sieno imperfezioni.
Ma il trionfo dell’ammirazione fu solenne agli 8 di aprile del 15341.
Il di primo settembre dell’anno innanzi eran pervenute al Petrarca
due lettere, che lo chiamavano alla laurea poetica a Parigi ed a Ro-
ma; e questa, a consiglio del cardinale Colonna, fu degnamente pre-
scelta. Incerto di sè, o meglio del suo merito, sull’ uscire di febbraio,
vola a Napoli. Roberto di Angiò per tre giorni lo esamina: e, dichia-
randolo degnissimo dell’onorificenza, lo regala d’una clamide. La sera
del 6 di aprile è a Roma, invanamente cercando del Barili, segretario
dell’Angioino, che di corsa era rientrato a Napoli, fuggendo le astuzie
dei briganti; ed il giorno 8, che fu domenica di Pasqua, è pronta la
festa.
Non mi perderò in descrizioni; tolgo ogni nota dalla prima epistola
metrica al medesimo Barili, che così suona: « Di subito alla chiamata
i potenti di Roma si adunano. Il Campidoglio echeggia di romore fe-
Stevole; e veggio o parmi che la mole antica esulti di lietezza. Squillan
le trombe; il popolo, desideroso di vedere, gareggia nell’ accalcarsi. Io
‘stesso, io stesso vidi più di un ciglio degli amici accorsi tremolante di
lacrime di tenerezza. Ascendo il sommo; taccion le squille, e il mor-
morio si tace; e la corona, che fu ai miei invidi segnale di colpevole
invidia, posò sulla mia fronte reclina, e con l’anima tumultuante prego
e piango ».
22 PER IL CENTENARIO
Al cantore soave dell’onesta bellezza, al cittadino amorosissimo d’ogni
glorioso bene d’Italia, richiamandola dal sonno neghittoso alla splen-
dida vita dell’antico viaggio, s'ispirino gli animi nostri; questo è il de-.
bito nostro verso di lui. « Viva egli nel cielo, e, finchè noi viviamo,
viva nella memoria nostra: ma dopo noi, viva nella memoria dei po?-
steri; i quali, se lo conosceranno, dovranno averlo caro; nè l’amore in.
questo m’inganna ». (SENIL: Lib. 3, Lett. 1°).
LA CONTRADIZIONE AMOROSA
IN
PAEPRARCA
LAVORO
Del Prof. LIBORIO AZZOLINA
Presentato dal Socio Prof. Alfonso Sansone
nella tornata del 19 Novembre 1905
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NE EONSTI
—e-
1. Ze rime di F. PerRARCA, ed. G. Mestica, Firenze, 1896.
2. Le rime di F. PertRARCA, commendate da G. Carducci e S. Ferrari,
Firenze, 1899.
3. F. Perrarca. Lettere delle cose famigliari, volg. da G. Fracassetti, Fi-
fenze, 1863.
4. F. Perrarca, Lettere senili, volg. da G. Fracassetti, Firenze, 1892.
5. L’autobiografia, il Secreto e Dell’ignoranza sua e d’altrui di messer F. Pe-
TRARCA, a cura di A. Solerti, Firenze, 1904.
G. A. Cesareo, Su le “ Poesie volgari , del Petrarca, Rocca S. Cascia-
no, 1898.
. F. De Sanctis, Saggio critico sul Petrarca, Napoli, 1892.
8. F. Dr Sanctis, Storia d. lett. ital., Napoli, 1879, vol. I.
9. L. AzzoLina, Il “ dolce stil nuovo ,, Palermo, 1903.
10. B. Zumeini, Studi sul Petrarca, Firenze, 1395.
11. C. Secrk, Studi petrarcheschi, Firenze, 1903.
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14. I BurckHarpt, La civiltà del sec. del Rinascimento in Italia, trad. da
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15. De NoLHac, Petrarque et l’humanisme, Paris, 1892.
| 16. G. Vorar, Il risorgimento dell’ antichità classica , tradotto da D. Val-
I busa, Firenze, 1888, vol. I, 25-158.
17. L. Gricer, Rinascimento e Umanismo in Italia e in Germama, trad.
da D. Valbusa, Milano, pp. 31-60.
18. A. BarroLI, I primi due secoli d. lett. ital., Milano, pp. 433-004.
19. A. Gaspary, Storia d. lett. ital., trad. da N. Zingarelli, Torino, 1887,
vol. I, pp. 347-413.
20. G. Vorpi, 1} trecento, in Storia d. lett. ital., Milano, pp. 23-83.
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LA CONTRADIZIONE AMOROSA
IN
ESPE Sr. AVERI
Se dai trovadori provenzali a Dante è chiaro ed innegabile, nella lirica
amorosa, un processo essenzialmente evolutivo ; invece, da Dante al Pe-
trarca si sente come un’impreveduta rivoluzione.
Uguale in tutti lo scopo ultimo : il perfezionamento morale; uguali gli
elementi precipui: la donna, l’amore, l’anima del poeta; uguale il contrasto
tra l’ideale e il reale, tra la mente e il cuore, tra la ragione e il senso e,
quindi, la intonazione di dolore prevalente ; uguali tanti altri particolari,
che hanno dato modo di ravvicinare ai versi scritti per Laura ora quelli
ispirati da Beatrice o da Selvaggia, ora quelli informati alla rigidezza della
Castellana d’oltr'Alpe o di Madonna.
Ma in Petrarca è un modo di considerare e di sentire tutto codesto dia-
metralmente opposto a quello degli altri: conseguenza della sua diversa
educazione intellettiva, del suo particolare temperamento, di quel determi-
nato ambiente morale, che agi su di lui. L'amore e la donna nei Rerum
vulgarium fragmenta hanno tanta parte al conseguimento della vera per-
fezione dell’ anima amante, quanta nella lirica d’arte precedente , specie
nello st! nuovo; sennonchè , là entrambi rispecchiano ben altro giudizio,
ben altro sentimento , ben altro principio estetico, essendo affatto mutati
ì criteri e le norme morali del filosofo, diverse le potenze affettive del-
l'uomo, nuovo il fine artistico del poeta.
Ciò è quanto ho in animo di esaminare il meglio possibile, e so, fin
troppo, che al mio lavoro deriverà, assai spesso, conforto e lume da pre-
cedenti trattazioni su alcuni punti dell’argomento, che la critica ha già
scrupolosamente giudicate e favorevolmente accolte.
6 LA CONTRADIZIONE AMOROSA A
L'amore, al quale i poeti stilnovisti attribuirono virtù sovrannaturali,
anzi divine, chi legga il son. Vo? ch’ascoltate del Petrarca, par già lontano
di secoli. Non è più una spirazione di Dio e, quindi, un mezzo di rigene-
razione cristiana, ma un vaneggiar ; non procura più gentilezza, ma wver-
gogna; non è faro luminoso dell'intera vita, ma finisce presto in un per-
tersi compunto. La sua sofferenza, ch'era d'aiuto al. servante, è già van
dolore, e son vane speranze quelle stesse con cui prima sollevava dalle vol-
garità della terra l’anima innamorata. Prima i suoi piaceri erano scala al
cielo , ora son breve sogno ; il sentimento di esso negli uomini costituiva
un bene e, invece, non merita perdono ma, in certo qual modo, pietà; V’e-
saltarlo senza tregua era una missione, ed è un rendersi favola al popol tutto.
E il son. Voi ch’ascoltate trova nelle rime seguenti largo riscontro e de-
terminazioni integranti. Nella canz. Io vo pensando Amore è quello
Che la strada d’onore
Mai non lassa seguir, chi troppo il crede,
mentre il Cavalcanti l’aveva segnalato a Dante giovane quale
Rane de segnor valente
che segnoreggia il mondo de l’onore 1.
Nel son. Voglia mi sprona Amore è la cieca e disleale scorta per cui
Regnano i sensi, e la ragione è morta,
quando nello sti nuovo Amore operò anche al trionfo della ragione sul.
senso 2. Nel son. Come va il mondo, il ceco Amor, fattasi compagna la
sorda mente del poeta , fa andar per viva forza quest’ultimo ov'è morte
morale, morte completa dell’anima, e per Dante Amore era unimento spi-
rituale dell'anima a Dio 3. Nei Trionfi, poi, Amore è, senz'altro,
La un garzon crudo
Con arco in mano e con saette a’ fianchi,...
Fatto signore e Dio da gente vana,
è mostro, che sopra la mente rugge, e ogni ragion indi discaccia , che si.
circonda di errori, di false opinioni, di lubrico sperar, che procura
Chiaro disnor e gloria oscura e nigra...
Sollecito furor e ragion pigra,
1 Son. Vedesti, al mio parere, ed. Ercole.
? Cfr. Azzotina, Il dolce stil nuovo, pp. 1702-80.
3 Conv.; III, cap. IL.
gl
IN F.. PETRARCA
‘onde
Poco ama sè chi ’n tal gioco s’arrischia.
Eppure, qua e là, non mancano nei Fragmenta le lodi di Amore. Di
fatto, ora è dichiarato che l’amoroso pensiero... al sommo Ben... invia; * ora
dell'anima di un amico tornato a vita amorosa è detto ch'al dritto camin
là Dio rivolta; ® ora nel mover degli
Occhi leggiadri, dove Amor fa nido,
è visto un dolce lume Che... mostra la via, ch'al ciel conduce. 3 Poi lo stesso
Amore si vanta d'aver procurato al Poeta
Quanto à del pellegrino e del gentile,
d’avergli indicato la via di levarsi a l'alta Cagion prima, d’averlo salito
in qualche fama, alzandogli l'intelletto
Ov’alzato per sè non fòra mai,
d’aver nobilitato così il dere di lui che
Aa de’ suoi detti conserve
Si fanno con diletto in alcun loco. 4
E il Poeta non ischiva di rivolgersi ad Amore perchè porga mano al-
l’affannato ingegno,
7 ed a lo stile stanco e frale,
Per dir di quella ch'è fatta immortale
E cittadina del celeste regno!
Come raccapezzarsi ? Ma se badiamo alla lineazione ideale delle “ Poesie
volgari ,, quale la determinò incomparabilmente il Cesareo 5 precisandone
netto il carattere morale nelle tre parti principali, si può di leggieri trovar
il bandolo della matassa. Di fatto, la spiccata ed esplicita esaltazione della
virtù amorosa, che fa lo stesso Poeta, dando così tutta l’apparenza di con-
tradirsi, è nella prima parte ove ancora l’ animo è “ volto qua e là dal
soffio delle passioni ,, ove l’uomo appunto “ brancolando nella selva del-
1 Son. Quando fra Valtre donne.
2 Son. Amor piangeva.
3 Canzz. Perchè la vita è breve e Gentil mia donna, è veggio.
* Canz. Quell’antiquo mio dolce empio signore.
5 Son. Deh porgi mano.
© V. Su le “ Poesie volgari ,..., pp. 261 sgg. e G. Grorger, Von Petrarca” Laura in
Miscellanea di studi critici edita în onore di A. Graf, pp. 75-6.
8 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
l’errore , ricerca se stesso ,. ® E il vanto della propria potenza messo in
bocca d’ Amore e l’invocazione a quest’ultimo perchè agevoli l'ingegno e
lo stile del Poeta, hanno luogo nella seconda parte, ove “ la commedia
dell'anima è presso al suo scioglimento .,, ma non è del tutto compiuta,
“U
ove l’uomo * si trova fuori d’ ogni passione ,,, è vero, ma non è ancora
“ superiore a ogni passione ,, come sarà poi nei Trionfi. *
L'ondeggiare tra pensieri opposti, il rimanere spesso sospeso tra un giu-
dizio e l’altro, che gli agitavano, discordi ed esclusivi tra loro, la mente,
era, lo san tutti, proprio del Petrarca, che non mutò mai. In lui l'alto
concetto d° Amore derivato già dai Provenzali e dai precedenti poeti to-
scani in genere, aveva urtato, a un certo punto , contro l’ abominazione
dello stesso Amore rilevata in S. Agostino e, dopo una lotta ostinata,
aveva ceduto. Il Secretum è là a dar larga attestazione di quel primo urto
e di quella prima lotta tra le due teorie contrarie e del trionfo dell'una
sull'altra. Ma come il Poeta continuò a tener dietro alle mille lusinghe
della gloria, anche dopo che da S. Agostino s'era fatto quasi imporre :
“Tu hai adunque ad osservare questa legge, ama la virtù e dispregia la
gloria. E nientedimeno in questo mezzo, come si legge di Mario Catone.
quanto meno la domanderai, più conseguirai quella ,,, 3 e come non riuscì
mai a liberarsi dalla “ tristizia dell'animo, la quale, come una pestilentis-
sima ombra, occide li semi della virtù e tutti li frutti dello ingegno ,, *
pur tentando tutti i rimedi suggeriti dallo stesso vescovo d'Ippona ; così
non seppe sacrificar completamente certi lati buoni d'Amore ad una con-
danna recisa di esso ed esitò a lungo tra il prò e il contro. Il che dà spie-
gazione della canz. Quell’antiquo, posta la penultima dei Fragmenta, nella
quale Amore, citato al tribunale della Ragione, si discolpa con forza e con
efficacia delle accuse del Poeta, e la Ragione al Poeta e ad Amore, che
attendono la sentenzia, dice sorridendo :
Piacemi aver vostre questioni udite,
Ma più tempo bisogna a tanta lite.
E il tempo opportuno giunse e la sentenza esplicita, severa fu data —
l’abbiam visto—nei Trionfi. Qui ogni ondeggiamento cede ad un giudizio
1 V. Cesaro, Su le * Poesie volgari ,,..., p. 244.
2 Ivi, pp., 268-69. G. AppPeL ha ripreso recentemente (in Rivista d’Italia, a. VII, fase.
VII , pp. 54-67) la questione già sostenuta da G. MeLopra (in Studio su i Trionfi del
Petrarca, Palermo, 1898, pp. 71-80) su le relazioni che i Trionfi abbiano col Canzoniere.
In proposito v. L. Azzorina, I Trionfi del Petrarca, in Giorn. dant., a. XIII (1905), q. IL
3 Il Secreto... ed. cit.. dial. III, p. 168.
4 Ivi, dial. II, p. 110.
IN F. PETRARCA 9
freddo e immutabile; il pensiero, che ha analizzato, distinto ed affermato
tra un'alternativa penosa di dubbi e di convincimenti, alfine appar libero
e sicuro ; il nuovo concetto d'Amore , abbozzato nel sonetto-proemio Vo;
ch’ascoltate , ma qua integrato e là , invece, quasi contradetto nelle altre
poesie, trova le sue linee precise, il suo giusto tono, la sua definitiva de-
terminazione.
Sennonchè , nei Fragmenta , oltre al concetto , c'è anche il sentimento
d'Amore.
Nello st! nuovo, preso nella sua vera essenza, Amore non afferra e pe-
netra, agita, infiamma la parte affettiva dell’anima, sì da renderla tutt'uno
con sè e farla vivere della sua vita, gioire delle sue gioie, soffrire delle
sue pene. Esso si accorda con la ragione e dà le ali all’ intelletto; la sua
prima origine è fuori dell’uomo e la sua vera stanza è nella mente; è idea,
non è sentimento : idea , che punisce e corregge i traviamenti del cuore,
che combatte e ammorza e deprime i sensi, che illumina e dirige le fa-
coltà intellettive, che aliena l’uomo dal vizio per accenderlo della virtù e
lo strappa alla terra per rivolgerlo al cielo e lo distacca dal mondo per
metterlo nella grazia di Dio, che uccide il male e fa trionfare il bene,
che compone il disordine morale e civile in un ordine perfetto e salutare !.
Ma nei Fragmenta il sentimento amoroso è tutto l’amore, e ciò che più
sopra è stato chiamato concetto d'Amore non è se non il giudizio di quel
sentimento medesimo , formulato al lume d'un dato principio morale. Il
Poeta, con espressione breve insieme e densa, lo definisce un dolce affanno *
e ne dà, come ognun vede, il tono unico e pieno, senza però dimenticare,
o far dimenticare, che quella piena unità risulta dalla compenetrazione di
due note, per natura, discordi e stridenti e, invece, compagne inseparabili
per destino. Poi, volendo distinguere nettamente, lo dice ora foco, fiamma,
e martir, ® un
o ao o sospirare e lacrimar mai sempre,
Pascendosi di duol, d’ira e d’affanno,
un arder da lunge ed agghiacciar da presso ;* ora un languir dolce, un
desiar cortese, © un abbagliamento così soave che fa incuranti di qualsi-
1 Cfr. Azzotina, Il dolce stil nuovo.
? Son. Benedetto sia ’l giorno.
3 Son. Quel foco ch'i’ pensai.
1 Son. S'una fede amorosa.
SII
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10 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
voglia danno ; * quindi, tornando a riunire le due qualità in antitesi, lo
apostrofa :
O viva morte o dilettoso male,
dopo essersi domandato :
S'amor non è, che dunque è quel ch'io sento ?
Ma s’egli è amor, per Dio, che cosa e quale ?
Se bona, ond’è l’effetto aspro mortale ?
Se ria, ond’è sì dolce ogni tormento ? 2
Intanto, nel Secretum , egli s'è fatto osservare da S. Agostino: * Nes-
suna cosa è che tanto partorisca la oblivione, il dispregio di Dio, quanto
quest’amore delle cose temporali, e precisamente questo , il quale per un
certo suo proprio nome è detto amore ,,;... e dopo: “ Queste e simili miserie
sono nell’amore;.... quella miseria è sopra le altre precipua, la quale par-
turisce di Dio e parimente di sè medesimo oblivione. Perchè non so in che
modo l'animo piegato da’ pesi di tanti mali, ondeggiando pervenga a questo
unico e purissimo fonte di vero bene ,, ?.
Sicchè, per il Petrarca Amore è soprattutto sentimento forte, invadente,
tremendo; è violenta passione, la quale, mentre tormenta il cuore e strugge
il corpo, nello stesso tempo trascina l’anima e l’ allontana dalla sua vera
felicità, ch'è riposta in Dio. L'uomo lo prova e lo soffre, il moralista lo
analizza e lo giudica; ed uomo insieme e moralista si trovano, così, in un
mondo assolutamente nuovo rispetto a tutti i predecessori nel genere.
PI,
Nello sti nuovo Dio è il primo amore, l'eterno amore , opera di amore
la sua creazione, amori le sue creature: gli angeli e, quindi, amore la
donna-angelo e amore la virtù operatrice di lei, la sua spirazione ; poi,
amore quello delle creature al creatore e, quindi, amore quello del poeta
alla donna-angelo e, per lei, a Dio. Tutto è emanazione graduale di Dio
e tutto è scala diritta a lui. -
Ma nei Fragmenta codesto ordine di cose cessa, e mentre Amore allon-
tana dal cielo, invece, appunto al cielo guida la ispiratrice di quello, Laura.
Onde, la contradizione par chiara ed innegabile. Soltanto, il Poeta non la
vide mai.
1 Son. Come tal ora.
2 Son. S'amor non è.
3 Dial. III, ed. cit., pp. 131 e 135.
IN F. PETRARCA i[af
Egli esalta in tutti i suoi particolari la bellezza della sua donna e dice
e ripete in tutti i toni che il suo cuore, la sua mente, tutta l’anima sua
è presa di tal bellezza e la fa sua luce, suo mondo, sua vita. Ella supera
Venere e Marte, scolora il Sole , vince con Giove... ogni altra stella; * ri-
tratta in carte, fa subito pensare a un’opera
di quelle che nel cielo
Si ponno imaginar, non qui tra noi,
Ove le membra fanno a l’alma velo; ?
ammirata in tutta la sua gloria, maggiore di quella del sole
Quando ‘1 ciel fosse più de nebbia scarco,
e di quella del celeste arco quando si vede dopo pioggia
Per l’aere in color tanti variarsi,
accende tosto la fiamma amorosa, che prende, avvolge, consuma :
I vidi Amor ch'e begli occhi volgea
Soave sì, ch’ogni altra vista oscura
Da indi in qua m'incominciò apparere.
Sennuccio, il vidi, e l’arco che tendea;
Tal che mia vita poi non fu secura,
Ed è sì vaga ancor del rivedere. 3
| Poi. negli occhi, mirando fiso, s'impara
Come s’acquista onor, come dio s’ama,..:
oo e qual è giusta via
Di gir al ciel. 4
| Soltanto, non è tutto. Ecco che il Poeta, pieno d’ un pensiero che lo
disvia dagli altri, lo fa solitario e di quando in quando lo invola a se
i stesso, ha l’oscura coscienza di dover fuggire la sua amata mentre la cerca,
e se la vede passare, la trova dolce e ria, se vuole giudicarla, la chiama
Questa bella d’Amor nemica e mia. 5
windi, pensa , riflette sugli sdegni insistenti di lei e v’intravede un am-
monimento, che rivela netto a sè e al proprio cuore, senza perdersi nei
soliti lamenti o raffreddarsi in vane considerazioni :
Sforzati al cielo, o mio stanco coraggio,
Per la nebbia entro de’ suoi dolci sdegni
Seguendo i passi onesti e ’1 divo raggio. %
. Quest'anima gentil.
. Per mirar Policleto.
on. Nè così bello ’1 sol.
. Qual donna attende.
. Pien d’un vago penser.
Son. Anima, che diverse cose tante.
192 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
In seguito, coglie un dialogo tra una donna attempata e Laura sull’o-
nestà femminile: quella antepone, per pregio, la vita alla
Vera onestà, che ’n bella donna sia,
l’altra volge l'ordine, sentenzia, in tesi generale, che
Seo e’ non fur
Senza onestà mai cose belle o care,
conclude che
qual si lascia di suo onor privare,
Nè donna è più, nè viva;
e il Poeta rincalza l'opinione di Laura e magnifica lei :
Vengan quanti filosofi fur mai
A dir di ciò: tutte lor vie fien basse;
E quest’'una vedremo alzarsi a volo. !
Dopo, è tutto un inno al modo di vedere di Laura, a cui di nulla cale,
se non d’onor; che non teme visco o lacci o reti d'amore; che disprezza
perle, robini ed oro, quasi vil soma; che tiene a noia
L'alta beltà, ch’al mondo non è pare,
È se non quanto il bel tesoro
Di castità par ch’ella adorni e fregi. ?
Oramai, i rapidi ma frequenti baleni, che attraversano la coscienza del
Poeta, rompono bruscamente le tenebre, che l’avvolgono ancora, e la ve-
rità, già nascosta e nè manco presentita, fa di quanto in quanto capolino,
scuote i primi inganni, getta il seme del dubbio. La bellezza corporea,
che sempre affascina e infiamma ed incatena, già cede il primo posto alla
castità, anzi, intanto essa ha valore in quanto è ornamento dell’altra; gli
sdegni, che ancora sconvolgono e tormentano, hanno ora un senso riposto,
distraggono dalle mondanità, mirano a qualcosa di più alto ; l’amore trova
una nemica in colei che l’ispira, spunta in lei i suoi dardi, sfrutta con lei
le sue arti. Come governarsi ?
Nelle sue confessioni al vescovo d'Ippona il Poeta, conducendosi ancora
incerto tra’ veri beni e i falsi, aveva ragionato prò e contro l’azione eser-
citata da Laura su di lui e infine, per via di sottili considerazioni e nel
fervore dei pensieri celesti dominanti, aveva con Terenzio esclamato :
O indignum facinus ! nunc ego et
Illane scelestam et miserum me esse sentio !
Eun., sc. I.
Poichè Laura, più che altro, rivolgeva tutte le facoltà di lui alla sola
1 Son. Cara la vita.
2 Son. Arbor vittoriosa.
IN F. PETRARCA 13
«sua persona e i desideri di lui “ dal Creatore alla creatura , così che “ con-
siderato che ogni cosa creata si debba amare per amore del Creatore ,,
‘egli, “ pel contrario, preso dalle lascivie d'una creatura, non amava il Crea-
tore per quel modo e via che si conviene ,, e si meravigliava “ dell’arte-
fice, come non avesse creato cosa più formosa, e niente di meno la forma
-corporea è l’ultima fra tutte quante le altre bellezze , *.
Ora, dopo cinque anni, nella canz. Jo vo pensando, lo stato d’ animo
non muta e nemmeno mutano i giudizi sfavorevoli ; soltanto, ricompaiono
sotto il velo d'una melanconia molle e spontanea, che da un lato ne at-
tenua le tinte e, dall’altro, lascia quasi indovinare la lotta intima e dispe-
rata, che li suscita. Qui è un pensiero che dice alla mente :
Già sai tu ben quanta dolcezza pòrse
Agli occhi tuoi la vista di colei,
La qual anco vorrei
Cha nascer fosse per più nostra pace;
là, è un altro voler che invade il campo e fa sì che il Poeta, come pre-
sago del vero, sino allora sconosciuto, dichiari a sè che
...mortal cosa amar con tanta fede,
Quanto a Dio sol per debito convénsi,
Più si disdice a chi più pregio brama;
infine, è lo sgomento del Poeta medesimo, il quale comprende che ha
smarrito la giusta via, sente che è troppo lontano dal cielo mentre tena-
«cemente, e senza più volerlo, è legato alla terra, osserva che invecchia e
che la morte l’incalza, cerca invano del viver suo nuovo consiglio e con-
«stata che, mentre vede il meglio, s'appiglia al peggio.
Ma un passo più avanti è fatto. Agli occhi del Poeta Laura non è più
una bellezza unica, sovrana, infinita, in cui non sa che primeggi, o il pre-
gio del corpo o la virtù dell’anima; da cui scocca il dardo amoroso, che ae-
.cende i sensi e offusca la ragione, e per cui, nello stesso tempo, si cono-
scono le vie del cielo. La necessità di distinguere cosa da cosa già si pre-
sente; i dubbi vanno risolvendosi; le contradizioni accennano a scompa-
rire. L'amore ch’arde nelle vene del Poeta, è nato dalla bellezza corporea
di Laura, la quale è l’ultima delle bellezze, è cosa mortale e cede, di gran
lunga, al paragone con la castità per cui solo la donna è vera donna ?.
Laura casta, onesta non seconda codesto amore, che è un errore, un va-
neggiar, un'estrema insania, ed è causa di morte morale certa e irrepara-
bile; ma lo combatte sn dalle origini, lo disdegna con erudezza implaca-
bile. Il Poeta ama e soffre e si lamenta; ma, a un certo punto, dubita
1 Dial. TIT, ed. cit., p. 126.
2 Son. Arbor vittoriosa.
dd LA CONTRADIZIONE AMOROSA
dell’ essenza del suo amore, giustifica le sue sofferenze, muta il tono e
l’indirizzo ai suoi lamenti.
Frattanto, nell’incalzarsi di pensieri e di sentimenti così diversi, Laura
muore. In primo, ne seguono lacrime e disperazioni, rimpianti e invoca-
zioni alla morte; poi, è un rinnovare alla memoria, con dolorosa insistenza,
tutto un passato, e un magnificarlo, desiderandolo invano; quindi, suben-
trano la riflessione, l’esame d’ogni particolare, il giudizio sereno; infine, la
)
‘verità sì mostra nella sua piena luce e conclude. e determina sicura. Il
Poeta si conferma nell'opinione, prima appena abbozzata, che negli sdegni
di Laura pel suo amore era la salute di lui:
Or comincio a svegliarmi, e veggio ch’ella
Per lo migliore al mio desir contese,
E quelle voglie giovenili accese
Temprò con una vista dolce e fella.
Lei ne ringrazio e ’1 suo alto consiglio,
Che col bel viso e co’ soavi sdegni
Fecemi, ardendo, pensar mia salute.
Oh leggiadre arti e lor effetti degni!!
E si compiace di quello stesso, per cui prima aveva levato la voce que-
rula e benedice a Laura e all’opera santa di lei :
Come va ’1 mondo! or mi diletta e piace
Quel che più mi dispiacque; or veggio e sento
Che per aver salute ebbi tormento,
E breve guerra per eterna pace.....
Oh quant’era il peggior farmi contento
Quella ch’or siede in cielo e ’n terra giace !
Benedetta colei ch'a miglior riva
Volse il mio corso, e l’empia voglia ardente,
Lusingando, affrenò, perch’io non pera! !
Poscia, nettamente, distingue in Laura la bellezza dall’ onestà e in et
fetto ritiene quella la sola ispiratrice delle amorose punte e questa, invece,
l’unica guida al cielo :
Due gran nemiche inseme eran aggiunte,
Bellezza ed Onestà, con pace tanta,
Che mai rebellion l’anima santa
Non sentì, poi ch'a star seco fur giunte;
Ed or per morte son sparse disgiunte :
L'una è nel ciel, che se ne gloria e vanta;
L’altra sotterra, ch'e begli occhi amanta,
Onde uscir già tant'amorose punte. ?
1 Son. L’alma mia fiamma.
1 Son. Come va ’l mondo!
mm
Son. Due gran nemiche.
IN F. PETRARCA 115
E mentre all’una attribuisce anche la beatitudine eterna di Laura :.
Ella ’1 se ne portò sotterra. e ’n cielo,
Ove or triunfa ornata de l’alloro,
Che meritò la sua invitta onestate ; *
nello stesso tempo, giudica recisamente caduca e fragile l’altra :
Questo nostro caduco e fragil bene,
Ch'è vento ed ombra ed à nome beltate,
Non fu già mai, se non in questa etate,
Tutto in un corpo: e ciò fu per mie pene; ?
e si pente d’averla tanto amata :
I’ vo piangendo i miei passati tempi,
I quai posi in amar cosa mortale,
Senza levarmi a volo, abbiend’io l’ale
Per dar forse di me non bassi esempi. 3
Sopraggiunge il tempo dei 7r0nfi, in cui il Poeta, come scampato da
una tempesta che ha minacciato di sommergerlo , guarda dalla riva le
onde ancora sconvolte, con occhio fermo, sovrastante, e con la mente
chiara, investigatrice. E come Amore gli è apparso nella sua vera qua-
lità: artefice d’inganni e di dolori, cagione di traviamenti e di perdizioni
per l’uomo, che tenta al sommo Bene; così Laura la vede nella sua piena
4 gloria e nel trionfo delle sue infinite virtù, tutte di cielo :
. . + . eran con lei tutte le sue
Chiare Virtuti (oh gloriosa schiera! );
E teneansi per mano a due a due.
Onestate e Vergogna a la front’era,
Nobile par’ de le Virtù divine,
Che fan costei sopra le donne altera;
Senno e Modestia a l’altre due confine ;
Abito con Diletto in mezzo ’1 core ;
Perseveranza e Gloria in su la fine;
Bell’Accoglienza, Accorgimento fòre;
Cortesia intorno intorno a Puritate;
Timor d’infamia e sol Desio d’onore ;
Pensier canuti in giovenil etate,
E (la concordia ch'è si rara al mondo)
bi. Vera con Castità somma Beltate.
bi).
. E la vede armata, più pertinace che in vita, contro Amore, il quale
! Son. Passato è ’l tempo.
2 Son. Questo nostro caduco.
* Son. I° vo piangendo.
16 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
ancora non ha smesso il proposito di tentarla e di assalirla per farla della
sua schiera. Già l’uno, con tutti è suoi argomenti, muove terribile, lo strale
nella destra, nell’altra l’arco e la corda all’orecchia :
Non corse mai sì levemente al varco
Di fuggitiva cerva un leopardo
Libero in selva o di catene scarco,»
Che non fosse stato ivi lento e tardo;
e l’altra è
più presta assai che fiamma o venti,
pronta a schivare il colpo. I preserti
è)
Ciascun per sè si ritraeva in alto
Per veder meglio, e l’orror de l’impresa
I cori e gli occhi avea fatti di smalto ;
il Poeta, che assiste trepidante, sta
“a con gli occhi attento e fiso
Sperando la vittoria ond’esser séle;
E per non esser più da lei diviso.
Il colpo d'Amore parte, ma va a vuoto, chè si estinguono in fredda
onestate
I dorati suoi strali accesi in fiamme
D’amorosa beltate e ’n piacer tinti;
Laura, con catena di diamante e di topazio, lega l’ avversario e ne fa
quello strazio, che basta a mille vendette; il Poeta ne è contento e sazio.
Ma come, in parte, lo smentiscono le parole poco prima rivolte ad Amore,
avanti che la lotta fosse decisa! Con un sospiro, mal represso, dell’animo-
gli ha detto intimamente, ma non così che non si leggessero
Ne gli occhi e ne la fronte le parole:
“ Signor mio, se tu vinci,
Legami con costei, s’io ne son degno,
Nè temer che già mai mi scioglia quinci,, !
È inutile. La mente del moralista si sforza a dar corpo al suo concetto-
prestabilito e riesce, di fatto, allo scopo, mostrando, nel complesso, che
Amore è passione, suscitata dalla parte più caduca della donna, la bel-
lezza corporea, e nemica al bene dell’uomo, il quale dalle miserie del
mondo voglia elevarsi alla pace e alla gioia del cielo; passione che la.
1 Trionfo della Pudicizia.
IN F: PETRARCA 17
donna medesima, però, può aiutare a vincere, se in essa al di sopra dei
pregi del corpo sta l’ onestà, che sola spunta i dardi amorosi, distacca
dalle apparenze di diletti terreni e rivolge l’anima a Dio, fonte unica di
bene vero, eterno. Ma il cuore dell’uomo sempre cede alle passioni e ama
. la bellezza sensibile; non sordo affatto agli ammonimenti della ragione,
nondimeno esclama ancora una volta con Terenzio :
Et tedet et amore ardeo, et prudens sciens
Vivo, vidensque pereo nec quid agam scio ; 1
compreso d’ ammirazione delle virtù celesti di Laura, gode però che in
essa, anche tra’ beati, splende i
con Castità somma Beltate.
E quando, levatosi col pensiero al terzo cerchio, la rivede più bella e
| meno altera, compassionevole ‘con lui e di lui desiderosa, lieta del bene
sommo, di cui è fatta partecipe e che mente umana non riesce a conce-
pire, gode al sentirla, fra l’altro, sospirare le sue belle membra, forse più
che al vederla in tanta gloria:
ax
poco
Te solo aspetto e, quel che tanto amasti
i E là giuso è rimaso, il mio bel velo. ?
— E per la morte di lei crede d’ aver perduto ogni dolcezza della sua’ vita
evil mondo ciò che di più bello avesse e di cui potesse gloriarsi:
Poscia ch’ogni mia gioia, gia |
Per lo suo. dipartire, in pianto è volta,
Ogni dolcezza de mia vita è tolta.....
Ahi orbo mondo ingrato !
Gran .cagion ài di dover pianger meco;
Chè quel bel, ch’era in te, perduto ài seco.
90 _ .._ Caduta è la tua gloria, e tu nol vedi. 8
Poichè indarno chiede
Me a Morte incontra Morte aita,
egli s'acqueta nel suo dolore, soltanto per la speranza che le sue rime
dolenti possano eternare sulla terra la memoria di lei:
,
E, se mie rime alcuna cosa pònno,
Consecrata fra i nobili intelletti,
Fia del tuo nome qui memoria eterna. 4
1 Il Secreto, ed. cit., dial. III, p. 136.
È Son. Levommi il mio penser.
3 Canz. Che debb’io far ?
1 Son. L’aura e l’odore. 3
18 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
Stanco di vivere ed anelante a lei nel cielo, vuol, fino all’ultimo istante,
ragionare della sua bellezza, perchè sia conosciuta pienamente al mondo
e degnamente amata :
Ite, rime dolenti, al-duro sasso
Che ’1 mio caro tesoro in terra asconde :...
Ditele ch'i? son già di viver lasso,
Del navigar per queste orribili onde;
Ma, ricogliendo le sue sparte fronde,
Dietro le vo pur così passo passo,
Sol di lei ragionando viva e morta;
Anzi pur viva ed or fatta immortale,
A ciò che ’1 mondo la conosca ed ame 1.
Diremo questa una delle tante incertezze e contradizioni del Poeta. Ma
forse non ha anch’essa le sue cause e le sue giustificazioni ?
II.
Venuto su non propriamente bello, “ma tale che sul fior degli anni
poteva piacere ; di bel colore tra il bianco e il bruno, d’occhi vivaci e di
vista che si serbò per lungo tempo acutissima ,
, Il Petrarca nel 1325
portava nella splendida e licenziosa Avignone la sua smania smodata di
godere per sè e di piacere agli altri, nonchè la sua passione dello studio,
che la modesta scuola di Convenevole da Prato aveva fatto manifestare
in Carpentras e aveva alimentato, in Bologna, il contrasto intimo ed an-
goscioso in lui tra il fascino della grand’arte dei Romani e il disgusto
delle barbare formole dei giureconsulti. Entrava tosto nello stato ecclesia-
stico, ma soltanto per provvedere ai bisogni della vita: le mondanità e
l’antichità classica non lo lasciavano distrarsi. E si dava cura di mutar
vesti sovente e di profumare la guarnacca, d’arricciare i capelli e di cal-
zare elegante; cercava ansioso le conversazioni, i conviti, le belle donne e
le loro grazie e l'ammirazione della folla al suo passaggio, in quell'epoca
ancora votata al disprezzo del mondo ed alla mortificazione della carne.
D'altro canto, con Vergilio e con Cicerone appagava il sentimento della
bellezza della forma, che nel Medioevo era andato interamente perduto e
che in lui, invece, s'era manifestato potente sin dall’adolescenza, quando
aveva mostrato gran diletto della maestà e del ritmo delle parole latine;
si esaltava della piena conoscenza del mondo antico, sino allora o abor-
1 Son. Ite, rîme dolenti.
? F. Petrarca ai Posteri in Lettere d. cose fam., ed. cit., vol. I, pp. 201-2.
|
IN F. PETRARCA 19
rito o franteso per le mire della chiesa signoreggiante a conciliare le au-
torità discordi su cui si fondava, a ridurre semplici anelli del suo sistema
così gli scrittori profani come 1 sacri ; si gloriava di rivelarsi poeta e di
apprendere l’arte oratoria, opponendo, a quanti ripetevano non aver la
poesia altro ufficio se non quello di spacciare menzogne, che per essa si
salva qualsiasi nome dall’oblio, si acquista il privilegio dell’ immortalità,
ed ai contemporanei, educati fra le pastoie della Scolastica e ligi ai det-
tami inesorabili della logica, provando, con I’ esempio, la superiorità del
parlare come detta l'intimo sentimento.
Nel 1327 conosceva Laura e, invaghitosene, nel nuovo amore metteva
tutta la fiamma del suo sangue ardente, la febbre del desiderio vivo ma
inappagato, l'entusiasmo della mente accesa dalla sensualità della lirica
provenzale.
Accompagnando il Colonna a Lombez nel 1330 e, tre anni dopo, visi-
tando la Francia settentrionale e le Fiandre, all’ anatema troppo assoluto
gettato sulla natura dal cattolicesimo medievale, al gusto dell’ abietto e
dell’ignobile, all’ apoteosi del dolore e del patimento di tutto un popolo
«malato e consunto da continui rapimenti in contemplazioni celesti, con-
trapponeva, a poco a poco, un concetto più umano della vita, un senso
vero della realtà delle cose, un diletto sommo delle varie bellezze fisiche,
un sentimento della natura, che, per lui, rimnovava e rendea mirabili le
relazioni fra lo spirito e il mondo esteriore.
Egli poteva già dirsi un vero anacronismo nell’età sua, un'anticipazione
completa e inaspettata d'un mondo a venire; quando, nel 1335, in com-
pagnia del fratello Gherardo, compì la vagheggiata ascensione sul monte
Ventoux.
Improvvisamente, in lui, al nuovo si sovrappose il vecchio coi suoi geli
e i suoi terrori, col suo antagonismo tra materia e spirito, col suo anne-
gamento del finito nell’infinito e dell’uomo in Dio. Quindi, a Cicerone e
a Vergilio fu opposto S. Agostino, fatto subito l’unico idolo, l’unico eroe;
al culto dell’eloquenza fu sostituita 1’ aspirazione alla salute dell’ anima,
allo studio della poesia quello della scienza divina. E l’amore cocente della
gloria e della donna intiepidì nell’ansia opprimente d’una triste espiazione;
e impressa a neri tratti nell’ anima pesò , ognora e dovunque, 1’ imagine
della morte.
Parea l’annientamento d’un’esistenza sino allora così rigogliosa e bella;
pareva il tramonto improvviso e doloroso d’una grande coscienza, la quale,
dopo aver lanciato nella tetraggine d’un cielo caliginoso un fascio di luce
foriero del sereno, azzurro e fulgido, lasciava al suo scomparire più fitte,
dietro a sè, le tenebre e l’aria più uggiosa.
20 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
Ma l'antico fuoco non si spense sotto la cenere che il passato, rea-
gente, vi accumulava sopra per distruggerlo, e vivide scintille, mandate
fuori ad ora ad ora, testimoniavano la sua persistenza. Il Petrarca, che
se ne avvide, ne fu accorato e, come da un amuleto. non si staccava mai
dal suo S. Agostino, e la notte recitava salmi penitenziali, si batteva il
petto, piangeva raccomandando fervorosamente l'anima a Dio. Soltanto,
sentì presto in sè prendere proporzioni smisurate la lotta tra il vecchio e
il nuovo e, ch'era peggio, a lui mancava la potenza di dare all’ uno la
palma su l’altro. Dante, natura equilibrata di sensitivo-attivo, avrebbe su-
bito deciso e seguito, senza tentennare, la via scelta. Al Petrarca faceva
ostacolo il suo temperamento di sensitivo-contemplativo-emozionale, e l’in-
tima lotta, non saputa dominare, trascinò lui per un avvicendarsi ininter-
rotto di luce e di tenebre, d’esaltazioni e di terrori, di gioie e di pene,
dove lo spirito, anelante invano alla pace, trovò le torture dell’acedia: se-
greta e perenne melanconia, dovuta a qualcosa d’insodisfatto, che sentiva
in sè e non gli dava mai requie.
Nessun fatto della vita segui, che non riflettesse codesto particolare
stato d’animo, come nessuna concezione della mente, che non ne fosse
compenetrata. Venne il tempo dell'ordinamento dei Fragmenta e le cose
non erano mutate: quelli ebbero quindi il carattere, il tono, il colorito
che dovevano avere. L'ambiente ne determinò l’intendimento morale: la
duplice educazione intellettiva vi ‘aggiunse uno scopo artistico, ne collocò
l’azione in un paesaggio campestre prima e poi nel cielo, e ne rese so-
vente opposti i pensieri, 1 sentimenti, i giudizi; il temperamento proprio
ne cagionò le incertezze, i tentennamenti, la melanconia soave. E l’amore
e la donna rispecchiarono alternativamente il giovine elegante di Avi-
gnone assetato di piaceri terreni, avvezzo alla sensuale espressione arti-
stica d’oltr’ Alpe e il fedele seguace del vescovo d’ Ippona, nemico delle
passioni ; l’uomo nuovo avido di gloria nel mondo, affascinato da ogni
bellezza sensibile, entusiasta degl’incanti della natura e l’uomo vecchio ri-
volto al cielo, innamorato delle virtù dell'anima, anelante all’annegamento
completo nella gloria divina ; il poeta orgoglioso di procacciar plauso a
sè e agli altri, studioso di dar maggiore efficacia e attrattiva ai propri
pensieri mediante il prestigio della forma, vago della vita, dell’aria armo-
niosa, profumata, delle piagge fiorite, ridenti e il moralista indifferente
di ammirazioni passeggere, ingarbugliato in un arruffio di astrazioni, di
allegorie, di simboli, preoccupato sempre di espiazioni terribili, di morti
paurose.
La meravigliosa ‘armonia, ideata dalla filosofia tomista, tra terra e cielo,
tra la creatura e il creatore, tra il sensibile e 1 intelligibile era oramai
IN F. PETRARCA Dal
rotta. Il Petrarca non conobbe S. Tommaso, anzi lo evitò; e con la guida
degli scrittori religiosi più antichi, e specie di S. Agostino, ritornò all’or-
rore del mondo e all’estasi per l'invisibile, al disprezzo della carne e al-
lesaltazione dello spirito. Sennonchè, il mondo e la carne, che lo avevano
attirato e conquistato nell’età delle impressioni più potenti e degli affetti
più tenaci, non perdettero per intero agli occhi suoi il fascino primitivo,
«ed egli, privo di forte volontà e incapace di risoluzioni recise, rimase, come
lo Stilita, sospeso tra il cielo e la terra.
Poichè, la religione del Petrarca non usci mai dal campo delle idee,
mai fu un sentimento vero e profondo. Avverso al sistema filosofico, per
-cui Dante, pur non perdendo nulla della sua individualità e della sua fi-
sionomia speciale, trovò le vie del paradiso e giunse alla misteriosa visione
-della trinità, il Petrarca si accostò piuttosto alla corrente mistica dell’e-
poca e la ritrasse in sè. Ma come scolorita, mutata! Per averne un'idea,
basta considerar lui quando il Giubileo del 1350 lo chiamò a Roma per
far penitenza. Le turbe dei romei, tutte compunte e disciplinandosi, an-
davano salmodiando per le vie e parlando di prodigi e di reliquie, ed
cegli, nella sua stanza, al tavolino solitario, evocava gli eroi dell'antichità
e a Varrone, quasi rapito dalle sue memorie, scriveva, palpitando : * A
venerarti, ed amarti, la tua virtù singolare, la tua dottrina e del tuo nome
la chiarissima fama mi astringono ,, *. Era il conforto, che l'animo, pieno
della passata gloria latina, trovava in mezzo alle manifestazioni varie e
«deliranti della fanatica devozione d'una folla, a cui un pensiero ascetico
l’aveva unito più col corpo che con lo spirito.
La sua vera fede non era per il cristianesimo, che nondimeno difendeva
-contro gli Averroisti, ma per quanto egli aveva derivato dai suoi primi studi
e dalla vita giovanile. L’ascensione sul Ventoux apportò una rivoluzione nelle
sue idee, ma poco o punto influì sui suoi sentimenti. E come i sentimenti e
.le vergogne non riuscirono mai a mutare in lui l’uomo fatto alle gioie,
pur brevi e caduche, del mondo, non impedendo che cercasse sempre la
protezione dei grandi per assicurarsi 1 comodi del buon vivere, che tante
volte tornasse al rumorosi allettamenti della società quante volte aveva
deliberato di evitarli, che invano facesse resistenza agl’ inviti insistenti
della carne e agli occhi innamorati, i quali—secondo una sua espressione —
non cessarono di essere i condottieri della sua rovina, che giudicasse am-
biguo se la morte sia un bene o un male, che mai si sentisse spinto a
sacrifizi di sorta per conquistare il bene eterno, che la mattina, dimen-
tico dei terrori notturni, desse il saluto festante al sole e alla natura; così
1 Lett. d. cose fam. XXIV, 6.
292 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
lo scopo morale, voluto raggiungere, poco agì sul suo modo di rappresen-
tare e l’amore e Laura.
La mente fredda e giudicante incatenò nel tempio della Pudicizia il
comune nemico Amore e soddisfatta inneggiò al trionfo dell’onestà di Laura,
ma il concetto non soffocò il sentimento e nulla la ragione tolse ai fremiti
del cuore. Ciò che attraversa, dal principio alla fine, i Fragmenta, e li co-
lorisce, li riscalda, li anima, è sempre il sentimento amoroso, che disprezza
la ragione : i
‘Chè ’1 fren de la ragione Amor non prezza, !
esulta dell’impotenza della ragione stessa contro glì occhi invaghiti :
Gli occhi invaghiro allor si de’ lor guai
Che ’1 fren de la ragione ivi non vale, ?
gode del predominio dei sensi sull’estinta ragione :
Regnano i sensi, e la ragione è morta; ?
che freme sotto l’ansia del Poeta di liberarsi dal foco delle passioni, e-
nelle invocazioni di lui a Dio perchè lo illumini della sua luce, lo conforti
della sua grazia, lo esalti nella sua pace, e nelle fervorose preghiere a.
Laura beata che lo chiami a sè, nella sua gloria celeste :
Oh felice quel dì, che, del terreno
Carcere uscendo, lasci rotta e sparta
Questa mia grave e frale e mortal gonna;
E da sì folte tenebre mi parta,
Volando tanto su nel bel sereno,
Ch'i' veggia il mio Signore e la mia Donna!; 4
che trema nei lamenti lacrimosi per le durezze di lei e nella speranza di
vederla un giorno buona ed arrendevole :
Vivo sol di speranza,,.....
Non è sì duro cor, che, lagrimando,
Pregando, amando, talor non si smova,
Nè'sì freddo voler, che non si scalde;
che tripudia della felicità di potere contemplar lei in questo mondo’
Sì come eterna vita è veder Dio,
Nè più si brama, nè bramar più lice,
Così me, Donna, il voi veder felice
Fa in questo breve e fraile viver mio; $
1 Son. Come talora al caldo tempo.
2 Son. Ahi, bella libertà.
Son. Voglia mi sprona.
Son. E° mì par d’or în ora.
© Son. Aspro core e salvaggio.
6 Son. Sì come eterna.
ww
IN F. PETRARCA DR
che geme in un dolore senza nome per l’immatura dipartita di lei, per
l'improvviso scomparire della sua bellezza infinita :
Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo,
Oimè il leggiadro portamento altero!
Oimè il parlar, ch’ogni aspro ingegno e fero
Facevi umile ed ogni uom vil gagliardo!
Ed oimè il dolce riso, onde uscio il dardo,
Di che morte, altro bene omai non spero! !
-@ che si sublima nel sospiro bramoso rivolto alla terra, la quale copre il
.corpo di lei; a quella terra felice :
E tu, che copri e guardi ed ài or teco,
Felice terra, quel bel viso umano,
Me dove lasci, sconsolato e cieco,
Poscia che ’1 dolce ed amoroso e piano
Lume degli occhi miei non è più meco? ?
D'altro canto, il moralista sciolse il suo voto rappresentando la gloriosa
«schiera delle virtù, che a Laura facean corona in cielo e magnificando
quest’ultima come bella vincitrice di Amore, tra il plauso di quelli
Ch’avean fatto ad Amor chiaro disdetto ; 3
ma la vera Laura, che irradia della sua luce tutte le rime, apparirà sem-
pre colei che, con le belle membra, accese e fe’ divampare il fuoco d’amore,
‘ora ammirata
GIR quand’ella parla o ride,
Che sol se stessa e null’altra somiglia,
Sg quando tra l’erba
Quasi un fior siede! o ver quand’ella preme
Col suo candido seno un verde cespo,
nonchè per quel suo
bel seren de le tranquille ciglia ; 4
«ora contemplata mentre ha % capei d’oro a l'aura sparsi e avvolti da que-
sta in mille dolci nodi, mentre ha suffuso il volto di pietosì colori e incede
«con un andar che non è
RO e cosagimortale:
Ma d’angelica forma ; ®
b)
1 Son. Oimè il bel viso.
2 Son. Poî che la vista angelica.
: ._ 3 Son. Trionfo della Pudicizia.
4 Son. Amor ed io.
> Son. Erano i capei d’oro.
24 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
ora esaltata su tutte le più belle donne d’ogni età e ritenuta come gloria
grande di natura; ! e sempre amata e desiderata dal Poeta, pianta dopo
morte e domandata ai luoghi diversi che la conobbero, sognata nelle notti
dolorose, invidiata al freddo sasso che la coprì, cercata fin lassù, nel cielo,
che ne accolse lo spirito con l'apparenza, però, della passata sua beltà
corporea.
Lo stil nuovo conobbe pure le gioie e le pene d’amore e sotto le forme
dell'angelo sentì spesso la donna; ma rivolse tutto allo scopo voluto e
tutto interpretò alla stessa stregua. Per esso Amore e la donna tormen-
tavano il poeta perchè potesse per la via del dolore giungere al sommo
bene : e tormentavano la parte sensitiva di lui, che conduceva al peccato
e quindi alla morte morale, per agevolare e far trionfare la parte intel-
lettiva, la sola adatta ad apprezzar la virtù e a procacciare la vera feli-
cità. Così doveva essere e così avveniva. Poichè lo sti! nuovo, collocato il
suo punto d'osservazione nella mente, vide tutto traverso a quella sua de-
terminata teoria filosofica, su tutto proiettò quelle sue idee dominanti e
fisse. Quindi anche il cuore umano riguardò dal di fuori e giudicò le tem-
peste di lui dalla rocca serena della ragione, come dalle sfere dell’ ideale
considerò la bassa e palpitante realtà, come dalle beatitudini del cielo va-
lutò le miserie della terra.
Ma il Petrarca sentì tutto se stesso sempre nel suo cuore, e di là ri-
guardò il mondo circostante, di là rivolse l’attenzione verso l’alto. Ne se-
guì che, pur peregrinando assai volentieri nei campi luminosi dell’ idea e
dando alla ragione, all’astrattezza sistematica e ai concetti morali la loro.
parte nella sua vita e nelle sue opere, nondimeno egli si trovò più in
centro nei regni del sentimento, e del mondo e delle cose soprattutto ri-
levò e considerò altamente il lato umano. Fece lo stesso per il suo amore
e per Laura, i quali, per ciò, lasciando tra le celesti Intelligenze del Me-
dioevo moralizzante e dottrinale, già chiuso dalla Comedia, più che ogni
altra, Beatrice e la sua divina spirazione amorosa, colorarono entrambi il
crepuscolo d’un’epoca nuova, di cui il loro Poeta era il primo uomo.
Ed ora, come procedettero nei Fragmenta l’uomo insieme e l'artista ?
TEVE
Da alcuni passi delle opere del Petrarca s'è arguito ch’egli avesse della
poesia lo stesso concetto del Medioevo ; la ritenesse, cioè, anche lui, come.
Dante, una veste della verità. 2 Ma sappiamo ch'egli medesimo a Giovanni
1 Son. Im tale stella.
2 Cfr. Vorer, Il risorgimento..., pp. 34-6.
IN F. PETRARCA 25
Colonna di San Vito serisse: “* E molto io parlo, e serivo molto, non tanto
per giovare a questa età di disperata miseria, quanto a sfogare la bile e
a disacerbare scrivendo l’animo mio .,; 1 e che nella Prefazione alle fami-
gliari confessò che per lui era tutt'uno scrivere e vivere. Egli visse so-
prattutto una vita di sensazioni e di sentimenti, ed esprimendo questi
nella loro pienezza e sincerità, come poteva contemporaneamente nei suoi
scritti collocar sempre una verità astratta, ideale? E c'è di più.
Dante vide in Dio la suprema verità e in Dio la suprema bellezza; per
lui vero e bello avevano la stessa fonte e quindi la stessa essenza: il bello
era l’apparenza del vero. Questo era proprio della parte intellettiva del-
l’anima umana, era nelle idee, le quali, perciò, risultavano le sole suscet-
tive di bellezza. E la poesia, banditrice del vero, derivava da quest’ultimo
il suo valore estetico, perchè dato appunto dal fondo morale, dalla pro-
porzione, dall'ordine, dall’armonia, dalla claritas e dalla integritas o ma-
gnitudo, presi tutti insieme, di esso ?.
Il Petrarca, invece, il quale non vide nell’universo codesto ordine pre-
fetto d'una filosofia che non conobbe, e netta segnò una linea divisoria
tra il mondo affettivo e quello ideale, collocò anche lui il vero nella mente,
ma non tutto il vero; non escluse la bellezza dell’intelligibile, ma ammirò
e amò più quella, che i suoi sensi percepivano. Di fatto, furono ugual-
mente verità reali per lui i piaceri mondani, l'entusiasmo per l’ antichità
classica, la sete di gloria tra gli uomini, la passione per Laura, l’amore
della natura, la paura della morte, la melanconia lacerante dell’anima. E
a lui parvero specialmente belli la vita tra il plauso dei contemporanei e
l'ammirazione dei posteri, gli spettacoli del mondo esteriore, la corrispon-
denza e compenetrazione dello spirito con le cose, la solitudine delle
piagge fiorite, i capelli e il viso e gli occhi e il corpo di Laura. Sen-
titelo :
Tutte le cose, di che ’1 mondo è adorno,
Uscir buone de man del Mastro eterno;
Ma me, che così a dentro non discerno,
Abbaglia il bel. che mi si mostra intorno.
Dov'è qui l’ansia medievale di penetrar a ogni costo nell’ intimo delle
cose per scoprirne la verità nascosta e godere soltanto della scoperta ?
L’apparenza sensibile basta, e se è veramente bella, l’occhio se ne diletta
@ vi riposa, lo spirito vi si appaga.
1 Lettere d. cose fam., VI, 4.
2 V. Azzonina, Op. cit., 195 segg.
3 Canz. Lasso me.
26 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
In arte, poi, giudicò somma e principale bellezza quella della forma, la
sola capace di soddisfare il suo senso dell'armonia e del ritmo, di ripro-
durre lo splendore e la dignità dell’ eloquenza ammirati in Cicerone, la
melodia e la dolcezza sentite in Vergilio, di rispecchiare la forbitezza e
l'eleganza del viver suo. Accortosi del pregio, in cui eran tenute le sue
rime volgari, dubitò dell’eccellenza del loro stile e avrebbe voluto limarle
assai più; ma non potendolo, perchè tardi, manifestò sinceramente il suo
cordoglio :
S'io avessi pensato che sì care
Fossin le voci de’ sospir miei in rima,
Fatte l’avrei dal sospirar mio prima
In numero più spesse, in stil più rare.
Morta colei che mi facea parlare,
E che si stava de’ pensier mie’ in cima,
Non posso (e non ò più sè dolce lima)
Rime aspre e fosche far soavi e chiare. *
O dunque? Ammettiamo pure che anche per quanto riguardi il concetto
della poesia il Petrarca tentennasse tra il vecchio e il nuovo, ma è inne-
gabile che in tutto codesto, testè rilevato, c'è tanto da far pensare a priori
che il problema estetico dei Fragmenta, se non diametralmente opposto,
sì presenta però molto diverso da quello dello «#2 nuovo. Poichè, si hanno
forti elementi per ritenere che non sempre nell’intenzione del Poeta una
stessa espressione dovesse rendere l’idea pura e la forma, il simboleggiato
e il simboleggiante, come per gli stilnovisti, i quali, però, per forma in-
tesero la fictio rettorica, la veste, il segno.
Nei Fragmenta il concetto, l’allegoria, il simbolo non potevano manca-
re, essendo imposti dall'epoca e dall'ambiente, e non mancano. Ma come
nell'amore del Poeta il mondo delle idee influì soltanto sul severo giudi-
zio di esso, che poco o punto interessa, così nei Fragmenta il valore
astratto, ideale è secondario e i più non vi badano. L'idea pura non vi
appare nello sforzo incessante di penetrare in ogni parola, in ogni verso,
in ogni componimento poetico, perchè il lettore la noti, l’apprezzi e la
ritenga bene, come in ispecie nella Vita nova. Essa rimane piuttosto nella
mente del Poeta e attende all’unico ufficio di presiedere all’ ordinamento
definitivo dell’opera e di condurlo con quel dato fine morale. Quando essa.
cerca un’espressione sua propria, non trova la vivezza dell'immagine o la
fiamma del sentimento, come spesso in Dante e nei suoi compagni d’arte.
Perchè, mentre da questi ultimi è sovente considerata non in sè ma nei
suoi effetti, col Petrarca non va al di là della sua essenza e del suo luogo
1 Son. So avessi pensato.
IN F. PETRARCA 257
d’origine ; e la sua espressione, quindi, che negli uni ritrae, inconsapevol-
mente, la sincerità e l'efficacia delle impressioni suscitate, nell’ altro , in-
vece, rispecchia sè sola fedelmente e freddamente. Pertanto, l’amore e la
donna ideali, nello st: nw0v0 ispirano ammirazione, meraviglia, adorazione,
gioia serena e contemplativa, tristezza, dolore, e sì muovono, palpitano,
vivono in queste emozioni diverse, e sì rivestono, così, di poesia vera, e
danno il tono, le determinazioni , il carattere alla scuola; nei Fragmenta
restano astrazioni, s'internano nell’analisi, s'inviluppano di sentenze, si raf-
freddano con declamazioni, costituiscono il lato difettoso, secondario e ge-
neralmente trascurato.
Soltanto, se non commuovono il poeta, interessano anch'essi l'artista e
il magistero della forma li adorna sempre, e talvolta così altamente da
abbagliare, ingannare e far dire poesia spontanea ciò ch'è rettorica pura.
Certo, nessuno li ammira nei versi, portati alla massima chiarezza ed
eleganza, dei Trionfi, ove l'uno e l’altra non sono che nomi, contemplati
dalla ragione e dalla riflessione filosofica, guardati nel passato e colti fuori
dell’azione, mutati da sentimento in idea, da individuo in genere; ove il
loro trionfo è nello stesso tempo la loro dissoluzione, la loro morte. E
nessuno riconosce Laura , tra l’ altro, nel son. Due gran nemiche, in cui
ella si sdoppia, s'innalza nella luce e sprofonda nelle tenebre, splende
nella gloria eterna e s’oscura nel ricordo delle amorose punte suscitate;
non è tutta astrazione nè tutta realtà, non ispira il solo bene o il solo
male, non guida recisamente al cielo nè lascia affatto sulla terra. Sono
tutti concetti, generalità, antitesi che non sfuggono, perchè troppo tra-
sparenti sotto il velo della tecnica perfetta.
Ma non è così in altre rime, come, p. es., nel son. Passa la nave mia,
che a molti assai facilmente par d’essere un’ espressione d’ arte sincera e
potente. Tutti convengono ad ammettere che intendimento del Poeta tu
di paragonarvi @ una nave in mare tempestoso l’ animo suo in balia dei
tormenti d'Amore e degli sdegni di Laura. E la struttura del verso, la
dignità della frase, la precisione della parola, il chiaroscuro delle tinte,
del toni, del movimento fanno credere ben riuscito il paragone e giudicar
sorprendente l’ effetto. È, però, una pretta illusione dovuta all’abilità som-
ma dello scrittore. Di fatto, a chi noti bene, il sonetto accarezza l’orecchio,
abbaglia la fantasia e soddisfa il gusto estetico, ma lascia freddo il cuore
e non suscita emozioni di sorta. Perchè ? perchè dovrebbe essere espres-
sione di sentimenti forti e contrari, ma il sentimento manca affatto; do-
vrebbe rappresentare in azione l’amore tormentoso e la donna oltremodo
schiva, ma l’uno è generalizzato in nimico circondato di sospiri, di spe-
ranze, di desideri, di lacrime e di errori, l’altra è rimpicciolita e immobi-
25 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
lizzata in due dolei segni, che si celano; dovrebbe mettere a nudo l'animo
del Poeta e ritrarne lo scompiglio, le pene, le lotte del senso contro la
ragione, e lo sconforto disperato, ma la visione della nave prevale ed oc-
cupa il campo. Infine, tutto anche qui è guardato dal di fuori e idealiz-
zato ; tutto rivela che il cuore è freddo e che la mente subisce il fascino
d'una bella immagine, a cui l’artista si studia di dar forma e ci riesce,
mentre il poeta tace.
Sennonchéè, tutto codesto riguarda la parte limitata che il moralista ha
nei Fragmenta; ma l’uomo, che vi predomina, va più in là e con l’artista
trova anche il poeta. L'amore e la donna reali vengono ad avere un’e-
spressione nuova e più efficace: quella tale, però, che poteva e doveva
dare il particolare temperamento dell’autore.
Come tutti i sensitivi - contemplativi - emozionali , il Petrarca subita-
mente passava, o soltanto tendeva, all’azione sotto l’impeto d’un’impressio-
ne, d’un sentimento, ma di lì a poco si raffreddava e impigriva nell’ana-
lisi e nella contemplazione di quell’impressione e di quel sentimento me-
desimi. Così procedette in tutti i casi della sua vita complessa e varia;
così fece nel suo amore per Laura. Ella lo accendeva con le sue beltà,
lo inebbriava col suo fascino, lo sconvolgeva coi suoi ritegni; ma egli poi
e beltà e fascino e ritegni di lei faceva argomento di studio e vi s’indu-
giava estatico. Parimenti, il sentimento amoroso gli procurava ora gioie
sovrumane e ora dolori profondi, ora dolci inganni e speranze soavi, ora
delusioni amare e penosi sconforti; ed ecco, a un certo punto, egli met-
tersi come dirimpetto alle sue stesse emozioni per distinguerle bene e mi-
nutamente esaminarle e spiegarsele appieno. |
L'espressione artistica non poteva non rispecchiare codesto processo, e
lo rispecchiò, infatti, fedelmente. Ebbe quindi due toni, o meglio, due
aspetti dello stesso tono : l'uno, più raro e più poetico, colorito nel mo-
mento breve e fugace dell’emozione viva ; l’altro, assai più vario e ricco
ma non tanto poetico quanto artistico, dato dal momento contemplativo
sopravvenuto. Ne sono una riprova piena moltissime rime, e le migliori,
specialmente quelle riferentisi a uno stesso avvenimento o a un'impressione
stessa, che il Poeta raggruppò non senza una determinata intenzione. Io
ne contemplerò un solo esempio e varrà per tutti.
Laura piangeva e il Poeta innamorato , che la vide e la udì, n’ebbe
IN F. PETRARCA 29
pietà e dolore insieme e vaghezza e commozione immensa. In quel punto
espresse così le sue impressioni :
Non fur ma’ Giove e Cesare si mossi
A fulminar colui, questo a ferire,
Che pietà non avesse spente l’ire,
E lor de l’usate arme ambeduo scossi.
Piangea Madonna, e ’1 mio signor ch'i’ fossi
Volse a vederla e suoi lamenti a udire,
Per colmarmi di doglia e di desire
E ricercarmi le midolle e l’ossa.
Il senso di pietà, di cui nei primi quattro versi non si sa ancora l’ori-
gine, ma che è tale da spegnere lira di Giove falminante e di Cesare
devastatore, da subito l'impressione d’una potenza non comune, sconfinata,
la quale in tanto afferra e stupisce, in quanto sta, immobilizzandoli , al
di sopra delle divine saette e d’una spada indomabile. Il pensiero già ri-
corre a qualcosa d’inconcepibile, quand’ecco le singhiozzanti parole: Pran-
gea Madonna , che illuminano e chiariscono, ma senza attenuare l’effetto
primitivo, anzi accrescendolo. Già si sa d’essere davanti a una creatura
terrena, ma il suo pianto, che ispira infinita pietà e sulla terra e nel cielo,
appar un che di divino, non mai conosciuto. È un’esagerazione ? Ma così
parve al Poeta e così par a chi legge; la poesia vera non attinge alle
fonti della critica, e tanto è più grande quanto più è ingenua. Il pianto
di Laura, nella pietà che universalmente suscita, si sente così come in
quel particolare dolore del Poeta compenetrato d’ una dolcezza che lo fa
quasi desiderabile, come nel turbamento nuovo che al Poeta medesimo
agita midolla ed ossa. E non s’arresta qui. Poichè, rimasto scolpito nel
<uore , esso non perde nulla e muta soltanto negli effetti: è sempre il
dolce pianto, che ora, però, fa piangere spesso e a lungo e gravemente
sospirare :
Quel dolce pianto mi dipinse Amore,
Anzi scolpio, e que’ detti soavi
Mi scrisse entro un diamante in mezzo ’l core ;
Ove con salde ed ingegnose chiavi
Ancor torna sovente a trarne fore
Lagrime rare e sospir lunghi e gravi.
Corrispondenza più completa tra impressione ed espressione non potrebbe
ricercarsi; chi legge rifà in sè, integralmente , il particolare stato senti-
mentale dell’autore; ciò ch'è solo dell’opera d’arte sincera e spontanea.
Ma sopraggiunge il momento della contemplazione, che sposta cose e
sentimenti, li colloca nel campo dell’analisi, li singolarizza, li scolorisce.
30 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
La conseguente e naturale immediatezza tra il lagrimare e il lamentarsi
di Laura e la pietà di chi la vede e ascolta, si dissolve in particolari di-
sgregati e gelidi: il pregio degli occhi piangenti e delle parole lamente-
voli, la rispondenza della pietà ispirata col senno e col valore di Laura.
con l’amore e col dolore del Poeta :
E vidi lagrimar que’ duo bei lumi,
Ch’àn fatto mille volte invidia al sole,
Ed udì, sospirando, dir parole,
Che farian gire i monti e stare i fiumi.
Amor, senno, valor, pietate e doglia
Facean piangendo un più dolce concento
D’ogni altro, che nel mondo udir si soglia.
Solo la dolcezza del pianto ne acquista per la immobilità della natura
circostante, che n’è incantata :
Ed era il cielo a l’armonia sì intento,
Che non se vedea ’n ramo mover foglia :
Tanta dolcezza avea pien l’aere e ’l1 vento !
Poi, l’effetto mirabile, che faceva quel pianto scolpito nel cuore del
Poeta, impallidisce e quasi si perde nell’insufficienza dell’ingegno e dello
stile a ritrarlo :
Quel sempre acerbo ed onorato giorno
Mandò sì al cor l’imagine sua viva,
Che ’ngegno o stil non fia mai che ’1 descriva;
Ma sempre a lui con la memoria torna;
e le lacrime e il lamenti di Laura non valgono ad altro che a muover
dubbi sulla vera natura di lei:
L'atto d’ogni gentil pietate adorno
E ’1 dolce amaro lamentar, ch’i’udiva,
Facean dubbiar se mortal donna o diva
Fosse, che ’1 ciel rasserenava intorno,
e lacrime e lamenti, come gli occhi e le labbra da cui si partono, passano.
a rivestirsi di rettorico abbigliamento :
Perle e rose vermiglie, ove l’accolto
Dolor formava ardenti voci e belle;
Fiamma i sospir, le lagrime cristallo.
Infine, anche il primitivo desiderio di veder sempre Laura piangente, pur
IN F. PETRARCA S1
soffrendone: desiderio vago ma tanto significativo ed efficace, si nasconde
dietro uno nuovo ma sforzato :
Ove ch'i’ pòsi gli occhi lassi o giri
Per quetar la vaghezza, che gli spinge,
Trovo chi bella donna ivi depinge
Per far sempre mai verdi i miei desiri;
e la pietà del pianto si restringe ai soli cuori gentili :
Con leggiadro dolor par ch’ella spiri
Alta pietà, che gentil core stringe ;
e la dolcezza di esso e dei lamenti passa interamente nel mondo dei fatti
logici e si neutralizza nella misurata concissione d’un giudizio :
Amor e ’1 ver fur meco a dir che quelle,
Chi vidi, eran bellezze al mondo sole,
Mai non vedute più sotto le stelle.
Nè sì pietose e sì dolci parole
S’udiron mai, nè lagrime sì belle
Di sì belli occhi uscir mai vide ’1 sole. !
È un proceder lento ma continuo dal sentimento al concetto, dall’osser-
vazione immediata all’apprezzamento riflesso ; ciò che costituisce la carat-
teristica dell’arte petrarchesca e ne spiega i pregi e i difetti. Ed è così
in tutto: anche nella ricostruzione del paesaggio che fa da sfondo alla
rappresentazione dell'amore e della donna, anche nella espressione della
malinconia indomabile, che di quella rappresentazione è nota dominante.
Lo sti) nuovo coglie talvolta quelle tinte della natura, le quali possano
lumeggiare la bellezza meravigliosa della donna, e tocca assai spesso la
mestizia indefinita d’un amore ideale, che non può mai realizzarsi. Ma
nei Fragmenta il paesaggio campestre è il mondo ove Laura si muove in
vita e dopo morte, ove l’amore del Poeta si svolge, si alimenta, permane;
e la melanconia è tutta l'essenza di codesto amore reale e potente, ma
imappagato ed angoscioso. Sicchè, specialmente quando l’uno e l’altra tro-
vano l’espressione sincera che li ritrae nella loro pienezza e verità , come
nelle canzz. Chiare, fresche e dolci acque e Di pensier in pensier, di monte
im monte, concorrono con le altre determinazioni, già notate, a dare e al-
l’amore e alla donna, in arte, un carattere di novità repentina e impre-
Veduta.
x
E appunto la rivoluzione, a cui accennavo nel principio della tratta-
zione e che mi proponevo di dimostrare.
1 V.i sonn. CXXII-CXXV., ed. Mestica.
32 LA CONTRADIZIONE AMOROSA
Laura non è ancora la donna che, mentre ispira amore, ama anch'essa e
soffre, come più tardi faranno Erminia, Armida, Silvia, Ermengarda; ma
non è più la donna - angelo, che ella dimentica nella vaporosità mistica d'un
simbolismo campato fuori della vita, per rispecchiare tutta la sua bellezza
corporea nella natura, che se ne riveste, nel mondo, che se ne gloria, nel Poe-
ta,che se ne accende e la esalta e la immortala col verso. L'amore del Petrarca
non sfugge interamente al misticismo moralizzante del tempo, ma è già
tutto l’ opposto dell'amore di Dante e degli altri della sua scuola, come
quello che non ha più la sua sede nella mente, ma nel cuore, non è più
idea, ma sentimento, non è essenzialmente astratto, ma soprattutto umano.
L'espressione artistica e di codesto amore e di Laura, più specialmente
ispirata alla verità dell’osservazione e alla vivezza dell’ emozione, e pla-
smata nell’assiduo aspirare a una tecnica perfetta, a una bellezza di forma
sovr’ogni altro apprezzata, è già fuori dall’ estetica tomista, alla quale
Dante s’attenne, e fa già pensare all'’Ambrogini e all’ Ariosto. E il tono
di mestizia che in codesta espressione predomina, non richiama affatto
gli stilnovisti, punti e accorati, di quando in quando, dal presentir vano
ogni sforzo rivolto a dar concretezza alle astrazioni vagheggiate, dal ri-
maner delusi nella ricerca dell'idea pura in seno alla realtà palpitante,
ma rivolge il pensiero al Tasso, al Leopardi e a quanti, nelle età seguenti,
sentirono l'immensa sproporzione tra quello che si vuole e quello che sì
può, si logorarono negli spasimi della loro impotenza, soggiacquero alle
torture da sè procuratesi. E il sentimento della natura, che qua e là co-
lorisce variamente quell’espressione medesima, separa e distingue, in modo
netto e indiscusso, dallo st: nuovo i Fragmenta, i quali, perciò, preludono
alla schiera infinita di poeti ed artisti di tutte le nazioni, che si finge-
ranno con la natura una sincera comunione di sentimenti e di vita, o l’a-
meranno nella solitudine con intero abbandono, o le tributeranno un af-
fetto ora impetuoso e ora tenero, ora tragico e ora ditirambico.
Insomma, la contradizione amorosa in Petrarca potrà riconoscersi o no,
ovvero ammettersi in tutto o in parte, secondo che si giudichi da un punto.
di vista più o meno diverso da quello del Poeta, o conforme. Mà è chiaro
che la maniera particolare di lui di trattare e la donna e l’ amore, getta
imprevedutamente le basi del Rinascimento il quale al comune sonnam-
bulismo ascetico e al freddo simbolismo dottrinale del Medioevo sosti-
tuirà il culto delle bellezze sensibili nella vita e in arte l'eccellenza della
forma per sè presa e ammirata; e irradia ancora più in là la sua luce,
nei secoli posteriori, i quali, senza trascurare il mondo esterno, volgeranno
però l’attenzione piuttosto all’intimo dell'anima, per iscrutarne le pieghe, |
analizzarne i movimenti diversi e rivelarne gl’infiniti misteri.
e
COMMEMORAZIONE
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letta nell'adunanza del 18 Febbraio 1906
Ù DAL SEGRETARIO GENERALE
PROF. SALVATORE RICCOBONO
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GAETANO SCANDURRA SAMPOLO
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COMMEMORAZIONE
DI
IRSA MOLO
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La commemorazione in questa Reale Accademia ad onore di Luigi Sam-
polo, mancato ai viventi il 24 febbraio dell’ anno scorso, si celebra solo
oggi; ma essa ritrova gli animi ancora commossi; e come il giorno di
quel tristissimo evento l'Accademia, l’ Ateneo, il Circolo Giuridico — i mas-
simi istituti scientifici di Palermo—videro un consenso così pieno levarsi
d’ogni parte intorno al loro lutto, e largo e schietto compianto suscitarsi
fra tutti gli ordini di cittadini, così la manifestazione odierna non è sol-
tanto accademica ma è cittadina, perchè Egli lasciò profonde tracce della
sua attività prodigiosa in tutti i rami della vita pubblica.
Il 26 febbraio dell’anno scorso, una giornata triste, senza sole, il corteo
funebre che attraversava lento la via Maqueda, era seguito da una eletta
schiera di cittadini, da cento e cento alunni di istituti di beneficenza, da
tutto un popolo (1).
Sin da quel momento si potè valutare il prestigio che l’uomo che scom-
pariva aveva acquistato, nella sua città natale, con l'esempio di un tenace
lavoro, con la luce di una vita intemerata.
Peregrine virtù di cuore, candore d’animo congiunte con le doti più co-
| spicue della mente facevano di Luigi Sampolo una personalità eletta pur
| tra le migliori della vita comune, una personalità tutta vibrante di idea -
lità e di purezza.
Nessuno può averlo conosciuto senza rimanere, dinanzi ad un così raro
esempio di facoltà squisite, compreso di ammirazione e riverenza. Chi gli
4 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
abbia parlato ben difficilmente può dimenticarlo. Chi ebbe secolui fami-
liarità, ne porterà in cuore lutto perenne.
Questo illustre magistrato accademico volle a me conferire l’alto onore
di ricordare Luigi Sampolo dinanzi a così nobile consesso (2).
Ed io rispondo all’ invito con animo grato; poichè questo tributo di
onore a L. Sampolo, per quanto a me, non è solo rivolto al predecessore
nell’ufficio di Segretario Generale di questa R. Accademia, sì ancora al
Maestro venerato.
Nel compiere il doveroso ufficio, io vi porrò quindi, se non altro, l’af-
fetto di un discepolo sempre devoto, che ebbe intima, continua conoscenza
del maestro, che ricambiò ognora con animo grato e riverente la benevo-
lenza resasi negli ultimi anni amichevole.
Ma di L. Sampolo , appena mancato ai vivi, dissero degnamente , con
parola affettuosa e sincera , in forma nobilissima , la Signorina Annetta
Cerri nell’Educatorio Whitaker, l’avv. Stefano Giardina nella sede del Cir-
colo Giuridico; l’avv. Gioacchino La Vecchia, nella Rivista del Circolo (8).
Il mio dire può quindi restringersi in termini più brevi e proprî per
questo Consesso , illustrando più da vicino l’ opera di Lui nel magistero
della cattedra e come scrittore nell’arringo delle scienze giuridiche.
Egli ebbe nella sua famiglia la prima ispirazione all'amore degli studî,
in particolare delle lettere, chè il padre, Francesco di Paola, ebbe cultura
classica e visse tra gli studî severi ed ameni (4), il fratello maggiore Pietro
fu professore di Codice e Pandette nella nostra Università (5).
Appena novenne perdette il padre, fu accolto nel seminario arcivescovile
ove ebbe maestri insigni in Filosofia e nelle lettere, quali: Benedetto
d'Acquisto, Nicolò Di Carlo, Giuseppe Castiglione, Gregorio Ugdulena.
Compiuti gli studî classici, s’iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza,
quivi pure segnalandosi con molto onore.
Conseguì la laurea il 10 luglio 1845, appena ventenne; e già nell’anno
successivo si cimentava al concorso per il premio istituito da Monsignor
Di Giovanni con esperimenti in lettere greche, latine e storia (6). Non ne
riportò la palma ; ma ne ebbe onore ed il vanto singolare di essersi mi-
surato con Maurizio Polizzi (7), vera gloria della scuola monrealese, cono-
scitore profondo delle lettere latine-greche, e gran signore dell’ idioma
gentile.
ili
È
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO D)
Io m’inchino riverente dinanzi alla memoria di quest’ altro Maestro, i
cui meriti insigni rimasero nascosti quasi da un fitto velo di modestia.
Sì era già iniziato, e sempre con encomio, all’esercizio dell’ avvocatura (8),
ed il 28 gennajo 1850, con magnifico ardimento, difese il giovane pensa-
tore Nicolò Garzilli, nuovo martire della libertà , della religione, della
patria (9).
E poco dopo, seguendo la sua vocazione imperiosa, lo vediamo rivol-
gersi allo insegnamento. Infatti, noto per la eletta coltura, sebbene sprov-
visto di titoli accademici, ebbe nel 1853 la supplenza nella cattedra di
Codice e Pandette, di cui il fratello Pietro era titolare.
Il 26 maggio 1857 fu autorizzato a dare lezioni private di Diritto Ci-
vile e penale. E ben presto, il 3 novembre 1860, sale la cattedra come
straordinario di Codice Civile col confronto delle leggi romane. E nella
stessa qualità gli vien conferita, 11 ottobre 1861, la cattedra di Diritto Ro-
mano.
L'anno appresso, con Decreto del 5 dicembre 1862, è di nuovo trasfe-
rito al Diritto Civile; la quale cattedra il 17 aprile 1863 ebbe come ordi-
nario, in seguito a concorso, (10) e tenne poi fino alla morte.
Ma nel frattempo fu chiamato ad altri insegnamenti, che tenne come
incaricato o supplente. Così dal 1860 al 1867 supplì il Musmeci per il Di-
ritto Commerciale.
Dal 1879 al 1881 insegnò Pandette come incaricato; nel 1885 la Storia
del Diritto italiano; e di nuovo il Diritto Commerciale per due anni, nel
1887 e 1888.
Il corso di esegesi sul corpus +uris civilis imparti come insegnamento
libero sin dall’anno 1880 e 1881, è poi come corso complementare, retribuito
dal Consorzio Universitario, dal 1889 fino agli ultimi giorni di sua vita.
In tutti cotesti insegnamenti Egli portò le doti della sua mente versa-
tile; ll disimpegno tutti con quella coscenziosità singolare, quasi rara, che
era a Lui propria.
Ma per la cattedra di Diritto Civile e di Esegesi sulle fonti romane,
che Egli tenne come più particolarmente proprie, noi avremo a conside-
rarlo di proposito.
Così Egli trascorse tutta la vita nella sua diletta città natale. Qui ebbe
educazione, qui conseguì gli onori accademici, qui vide succedersi elette
schiere di giovani, che poi nella palestra del foro o negli altri uffici hanno
tenuta alta la bandiera della scienza.
Ognuno di noi seppe del Sampolo quale uomo privato: della sua atti-
5
Vità prodigiosa, varia e intensa, indice di una vita esuberante, che lo in-
duce ad agire, a scrivere, a lavorare.
6 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Per lui il riposo non era l’ozio, ma cangiare di occupazione.
Spirito semplice, modesto, la sua parola è calma, il suo giudizio tem-
prato sempre da una grande bontà, da un’ elevata aspirazione di pace e
serenità per tutte le cose, per tutti gli uomini.
Pace e serenità che si riverberano nella signorilità dei modi, nella con-
versazione bonaria, animata spesso da una festività eletta per cultura
varia, per conoscenza di tempi, di vicende, di persone dell’ambiente paler-
mitano; alla quale associava sempre una ingenua curiosità e amichevole
interessamento.
Era credente, di una fede illuminata, profonda, sinceramente religiosa.
Il precetto fondamentale della dottrina di Gesù; l’amore dei deboli, la
protezione dei caduti, il conforto delle umane sciagure; in una parola la
carità, era per lui la grande forza viva rigeneratrice del mondo, il faro
della nostra civiltà, che sola rende l’esistenza sublime.
Fu quindi sempre largo di aiuti a tutti che richiedessero l’opera sua, o
consiglio alla sua esperienza, al suo sapere.
Dei giovani studiosi in particolare fu la guida amorevole, il mecenate.
Di sensi liberali, temperamento entusiasta, quando tutto intorno era azione
intensa di vita, in un momento in cui tutti i cuori pulsavaro del mede-
simo ardentissimo palpito, nel 1848, lo troviamo milite della legione sici-
liana guidata da Giuseppe La Masa contro gli Austriaci.
E nel declivio dell’età, nel 1903, presidente del V. Congresso Giuridi-
co-Forense (11), lo rivedemmo acceso di nuova fede, di nuovi entusiasmi,
gareggiare con i giovani nell’ascendere il colle di Solunto, con negli occhi
cerulei un inno di gloria (12).
Difatti quella solenne festa della scienza fu tutta opera sua.
Di lui può dirsi che possedette una di quelle anime sempre pronte a
vibrare in tutte le stagioni della vita; dalla prima infanzia attraverso la
giovinezza, la maturità fino alla vecchiaia. Egli non conobbe dolorosa e
stanca vecchiaia.
Nella tarda età conservò freschezza di pensiero, energia di mente e pronta
iniziativa; il portamento prestante, pieno il volto di coscienza dignitosa.
Amò la patria, e cogli interessi generali del paese ebbe poi in particolar
modo a cuore quelli dell’isola nostra, della sua diletta Palermo.
Sua nobile ambizione fu sempre di tener alto il nome della Sicilia, di
Palermo. Di tutto ebbe vivo assiduo interessamento. Con legittimo orgo-
glio ricordava le nostre più belle tradizioni, le glorie antiche e recenti della
nostra storia; gl’illustri figli che a questa terra diedero onore e fama.
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 1
E l’uomo ha nei fasti di Palermo e della scienza una pagina d’oro; che
nessuno mai potrà cancellare.
L'istituzione del Circolo Giuridico, che ha sede nella nostra Università,
fu tutta opera sua; opera di fede, di quella fede che in determinati am-
bienti appare una forza divina (13).
Le spoglie mortali cadono, passano; l'istituzione sta ed è immortale.
Il nome di Luigi Sampolo è indissolubilmente legato al Circolo Giuri-
dico (14). Della nostra Accademia fu pure in sommo grado benemerito.
Segretario Generale fin dal 1884, vi trasfuse mirabilmente il suo spirito,
tutte le sue doti, adoperandosi con amore per la floridezza dell’Istituto.
Ne sono documento prezioso le relazioni annuali (15) e le letture (16) e
gli studii sull'origine, le vicende, il risorgimento di essa (17).
Fu egli insomma uno di quegli uomini onesti, operosi che pregiano un'età;
puro riflesso della vita del mondo antico, fatta di fede, di idealità, di la-
voro.
Una morte serena chiuse quella nobile esistenza.
Come insegnante il Sampolo ebbe le doti del cattedratico in grado sin-
golare.
Animava il suo corso con parola sobria ma efficace e colorita , infon-
dendovi calore ed entusiasmo.
Nell’insegnamento del Diritto Civile portò chiarezza, precisione, concate-
nazione lucida di ragionamento, eleganza di forma, esponendo la materia
con semplicità; che è parsa perfino eccessiva a chi reputa non inutile sti-
molo allo studio un po’ di oscurità.
Nei tempi migliori l’aula VI, la più vasta della nostra Università, non
poteva contenere gli studenti che s'affollavano alle sue lezioni.
Nel suo lungo magistero espose tutte le parti del Codice Civile, ma pre-
ferì la trattazione del Diritto di famiglia, successione, proprietà.
Educato e cresciuto nella vecchia tradizione fu ben lungi dallo aver di-
sdegno delle cose e dei metodi nuovi.
Ma Egli rimase rappresentante della vecchia scuola, la quale per la
scienza del Diritto Civile aderiva ai Francesi.
I Codici dei singoli Stati dell’Italia divisa, prima, quello del 1865, poi,
dopo l'unificazione furono fatti ad imitazione francese.
Il Diritto romano o meglio il Diritto comune ricevette una formulazione
legislativa dalla scienza francese.
Non vi fu mai tempo a meditare sul diritto, quando questa nostra Italia
8 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
sì moveva e agitava per l'unificazione; e quando, rinata, tutti i problemi
pel riordinamento della nuova famiglia si presentavano con carattere di
urgenza.
Insieme al Codice i commenti della dottrina francese, fra i quali alcuni
certamente insigni, invasero la penisola.
Ma il sistema della scuola francese fu meramente pratico.
L'’insufficienza di quei commenti come trattazione scientifica del diritto
è evidente. Essi distendono attraverso gli articoli del codice le fila di una
minuta analisi, sparsa in poderosi volumi, sicchè lungo la via non s’imcon-
trano che gli articoli del codice.
Vi manca quella veduta complessiva, quella sintesi coordinatrice che
ponga in rilievo, connetta e assommi i principî regolatori degli istituti,
formandone un organismo perfetto, un sistema in ogni sua parte armo-
nizzante.
La scuola più recente Italiana ha superato con la modernità dei metodi
e con i nuovi indirizzi quello stadio; ravvivata, come già altrove, dalla
scuola storica, fecondata dalla corrente di vita che viene dagli studii sulle
scienze morali, politiche e sociali. Essa ha dato già ottimi frutti e più ne
promette per l’avvenire.
D'altro lato la lotta, fra le diverse idee e tendenze che si disputano il
terreno, ferve viva fra coloro che vogliono tutto riformare ab imis funda-
mentis ribbattezzando il diritto civile al fonte dell’evoluzione con vedute
nuove, con spirito moderno.
La missione delle scienze giuridiche, si dice, non è di costringere le
nuove creazioni sociali nei vecchi quadri dei sistemi giuridici, infrangen-
done violentemente il loro carattere e la loro essenza; ma di penetrare le
nuove creazioni col nuovo spirito e di compenetrarsi del loro spirito.
Queste dispute nulla hanno a vedere con la nostra quistione, perchè
quello di cui si sente forte bisogno è una trattazione scientifica di tutto
il nostro diritto civile.
L'indagine poi se questo organismo del diritto vigente risponda ai bi-
sogni, alla coscienza moderna, è ben altra quantunque non meno impor-
tante quistione.
A noi interessa notare, di fronte a questo risveglio che si è mostrato
nella scienza Italiana degli ultimi tempi, il fatto che ancora non abbiamo
una trattazione sistematica del diritto civile, compiuta con intendimento e
metodo scientifico.
Alcuni tentativi di pregio non vanno oltre le dottrine generali e singole
parti del sistema.
Il Sampolo non restò estraneo a questo movimento febbrile della gio- |
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 9.
vine scienza civilistica. Egli conobbe i pregiati lavori ispirati al nuovo
indirizzo; molti tra i valorosi autori lo ebbero giudice nei concorsi univer-
sitarii, nè disdegnò i nuovi orizzonti.
Nel discorso di chiusura del Congresso giuridico ripeteva “ che l'ideale di
una scienza del diritto deve rispondere efficace ai moderni nascenti biso-
gni che si levano imperiosi dai campi e dalle officine ,.
Egli diede alla luce pregiate monografie e commenti ad articoli del co-
dice (18).
Fra questi lavori meritano speciale menzione le prolusioni ai corsi di
diritto civile e di diritto romano : Sul progresso del diritto civile (1860) ;
Sul matrimonio civile (1865); Sull’unità del diritto in Italia (1867).
Inoltre le monografie: Statuto personale rispetto agli stranieri secondo
le leggi civili del regno delle due Sicilie (1ST0); Sull’ interpretazione del-
Vart. 67 del codice civile (1875); Sulla capacità degli ammoniti (1877); Sul-
affinità; le api in rapporto al duitto.
Per circa 20 anni tenne il corso complementare di Esegesi sul. Corpus
iuris civilis. Egli considerò quindi quella cattedra come propria. Si rilevò
già che Egli esordì nell'’insegnamento in Pandette e comentò il fr. 5 Dig.
de aqua cott. et aestiva, rimettendo in onore l’interpretazione datane dal
Cuiacio.
Conobbe il diritto romano come un tesoro di regole tradizionali, di prin-
cipî astratti quali una secolare elaborazione delle fonti romane avea posto
alla luce.
La scienza più recente, precisa, formidabile nella vertigine luminosa di
ipotesi felici, delle volte ardite, di ricerche pazienti, fu estranea al suo
ordine di studii e di conoscenze. Ma tutto questo apparato di critica non
è per quel corso indispensabile.
Il Corpus juris è come il mare, che ha vortici profondi e perigliosi, ma
ha pure superficie calme e azzurre; ciascuno vi può attingere secondo le
proprie forze e attitudini tutto il meglio.
Ed il suo insegnamento riuscì profittevole ai giovani ; perchè stimò
ognora di dover tenere rivolta la mira alla intelligenza del testo, sforzan-
dosi di ottenere una traduzione esatta pel concetto, quanto possibilmente
letterale e consona al genio della nostra lingua.
10 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Anche qui portava tutta la sua coscenziosità d'insegnante nella prepa-
razione che io potei negli ultimi anni constatare ed ammirare ; confronti
della glossa, delle migliori edizioni, principalmente della momseniana; studio
dei commentatori in primo luogo del Gliick, e poi delle illustrazioni a sin-
goli titoli del Digesto del Roby, del Muirhead, ricche di copiose notizie fi-
lologiche e storiche.
E con vero eroismo, nel declivio dell’età , affrontò le astruserie della
lingua tedesca per il vivo desiderio di tener alto il suo insegnamento.
Ora io credo di essere nel vero rilevando , che per la gran massa dei
giovani e per una prima e proficua conoscenza delle fonti , l'obbiettivo
precipuo era così raggiunto.
E questo giudizio dovrebbe avere tanto più valore in quanto chi lo pro-
nunzia conosce i tormenti della critica, li manifesta spesso nella scuola,
e sa pure per esperienza che la massa dei giovani vi resta indifferente,
delle volte atterrita, per usare una frase robusta di Giustiniano.
Noi dimentichiamo spesso che i nostri giovani vengono a scuola pronti
d’ingegno, ma non forniti di bastevole cultura classica per indagini sottili
o difficili.
Dimentichiamo che l’Università è essenzialmente una scuola, ove bisogna
cominciare dall impartire ai giovani i primi elementi di discipline gra-
vissime.
Un nome glorioso nella scienza italiana, C. Ferrini(19), l'amato Collega che
nel fiore degli anni immerse nel lutto la scienza, scriveva : * l’esperienza
mi ha dimostrato che nell’insegnamento devesi tendere alla massima sem-
plicità di esposizione e che la continua menzione... di controversie minute
ed erudite, genera spesso confusione ed impedisce la chiara comprensione
delle cose fondamentali. Per cui, concludeva, il mio insegnamento si è
sempre venuto rendendo più chiaro e modesto ,.
Ecco perchè l'insegnamento semplice , castigato di Luigi Sampolo riu-
sciva di giovamento.
I giuristi romani sono per la scienza del diritto ciò che per la poesia
sono i poemi di Omero, per l’arte le statue divine, i monumenti maestosi
della Grecia. Contemplando le opere dei grandi maestri, diceva il Savigny,
noi afferriamo il segreto della loro superiorità, esercitiamo le facoltà che |
l’arte o la scienza richiedono, ed apprendiamo a ben dirigere i nostri sforzi.
Quindi in presenza del Corpus iris noi ricaviamo nella scuola tutto il
profitto , se maestro e discepoli restiamo ad ascoltare quasi le parole dei
grandi maestri del diritto che ci obbligano a lavorare e pensare con loro.
E questo faceva il Sampolo con profitto dei giovani. Ripeterlo giova,
perchè quel corso fu avversato in seno alla Giunta del consorzio univer-.
È. dé trctt
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO Il
sitario che lo retribuiva, per ostilità alla materia, e anche all’ insegnante
perchè non era romanista di professione.
Il fatto sarebbe meraviglioso se non fossimo abituati già da tempo a
siffatte ostilità. D'ordinario chi ha proposito di muovere un attacco si
procura esatta conoscenza delle forze del nemico, per mirare ai punti de-
boli. prenderli di fronte e schiacciarli.
Tutto al contrario rispetto al diritto romano. In ogni tempo gli attacchi
son venuti da persone che conoscevano appena la leggenda dei decemviri
e qualche episodio clamoroso di Roma repubblicana o di Roma imperiale.
Il diritto romano appare quindi una cosa arcaica, da relegarsi nei musei,
con grande onore.
E nella Giunta del consorzio si vagheggiò l’idea che con quel fondo si
retribuisse l’insegnamento di una disciplina moderna, viva. E si pensò alla
sociologia.
Strana coincidenza. La scienza indicata, con parola nuova, intende allo
studio dei fatti sociali. Ma non si è osservato che appunto per questo ri-
guardo il corpus juris è un monumento di primo ordine.
Esso difatti aveva fornito alla scuola il più meraviglioso strumento di
logica deduttiva, perchè offre i fatti più svariati, con una selezione già
compiuta di tutti 1 fenomeni sociali, bisogni materiali, idee, tendenze che
formano la vita; esso quindi può iniziarci ai procedimenti del metodo spe-
rimentale meglio che non potrebbero farlo tutti gl'insegnamenti della pra-
tica moderna o di scienze ancora pargoleggianti.
Esso cì fa conoscere ciò che è caratteristico del fenomeno giuridico, ciò
che è sopravvissuto , le ragioni che determinarono il trionfo di una data
idea, di una decisione.
E queste ragioni, se bene vi guardiamo addentro , corrispondono quasi
sempre ad una manifestazione più netta della giustizia del mondo.
Gli è che i giuriconsulti romani, vissuti nei primi tre secoli dell’impero,
si trovarono nella condizione privilegiata d’ avere come campo d’osserva-
zione la vita febbrile di una grande metropoli, che era il centro del com-
mercio di tutto il mondo, e presentava quindi un'immensa varietà di rap-
porti, di atteggiamenti del pensiero, di bisogni materiali.
In deffinitivo quello che diciamo diritto romano non è il diritto di un sol
popolo; ma porta in sè compenetrato tutto il patrimonio delle più fiorenti
civiltà del mondo antico. E questi varî elementi furono per circa un mil-
lennio in continua elaborazione, determinando un progresso incessante del
fenomeno giuridico; che si formò così sempre a contatto con la vita , in
maniera del tutto naturalistica.
Se tutto ciò si consideri, l’affermazione innanzi fatta è spiegata.
12 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Il corpus juris, altro a parte, resta un’opera cospicua anche dal punto
di vista sociologico; come già accanto alla Bibbia è stato il libro più influente
e venerato del mondo.
Mi si dirà forse che la sociologia non mira soltanto all'indagine del fe-
nomeno giuridico, e che ha più vasti orizzonti.
Ma la risposta è facile in doppio senso :
1° Un corso di una facoltà di giurisprudenza deve aver riguardo in
primo luogo all'elemento giuridico ed economico per trovarsi im armonia
nell’organismo delle varie discipline.
2° Che tra i fenomeni sociali senza dubbio il giuridico è il più saliente,
quello che ben presto si presenta nelle società primitive disciplinato, e
rende allo storico la sintesi di tutte le forze sociali:
una feroce
Forza il mondo possiede e fa nomarsi
Dritto
Se quindi la sociologia, rivolta allo studio dei fatti sociali, non può re-
stringersi al fenomeno giuridico, questo deve sempre costituirne l’obbietto
più cospicuo.
Mi sono indugiato sull'argomento forse oltre il dovere; ma non ne chiedo
venia ai cortesi uditori, perchè a me incombeva l'obbligo di sfatare una
leggenda; a me che frequentai con assiduità e con amore il corso di Ese-
gesi del Sampolo.
Del resto si poteva parlarne con calma oggi, chè il Consorzio ha isti-
tuito il suo corso di sociologia, e l’Esegesi sulle fonti rimane, su proposta
della facoltà, inclusa nel numero degli insegnamenti a carico dello Stato.
L'attività di Luigi Sampolo come scrittore fu meno intensa.
Questo giudizio da me pronunziato su la bara del maestro ha bisogno
di spiegazione. Certamente i suoi lavori sono svariatissimi ed innumerevoli,
riuniti formerebbero una bella serie di volumi.
Io intendevo quindi riferirmi alla produzione più strettamente scientifica
della materia professata.
I suoi migliori scritti, e di gran lunga i più numerosi, sono storico-let-
terarii (20). Nè noi ci dorremo di questo, perchè gli uomini sono per le atti-
tudini del pensiero e del sentimento assai più diversi e disuguali che non
per i caratteri fisici.
Luigi Sampolo ebbe temperamento d’azione e senso d’arte.
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 13
Come uomo d'azione riesce a superare ogni difficoltà con la tenacia del
volere, con il lavoro costante.
Ma le molteplici sue occupazioni mai lo distolsero dallo studio, dai libri,
dal comporre.
Principalmente gli studî letterarì ebbero per il suo spirito una grande
attrattiva, formavano, il suo più gradito diletto. Chi lo conobbe sa che
Egli provava un vero godimento nei suoi lavori, che leggeva con visibile
gioia agli intimi amici.
La sua prosa eccelle nella forma narrativa, snella, vivace, cospicua nel
disegnare ritratti e nel rappresentare con garbo avvenimenti.
Della sua cultura letteraria, del gusto educato ai migliori esempi sono
documento la più parte dei suoi scritti; necrologie, discorsi, lavori di sog-
getto storico.
Nel ricordare uomini illustri diede nobile esempio di sentimenti elevati,
di memore affetto e devozione, perchè ciò fece, per lo più, per impulso del-
l’animo che per dovere di ufficio. In quelle ricordanze trasfondeva nel
modo più perspicuo un senso squisito delle cose, una nota delicatamente
poetica, che vibrava per ogni sentimento pietoso, per ogni forma di lavoro,
di attività, di grandezza ; per ogni atto di sacrificio, per tutte le arcane
armonie della natura, per ogni cosa, in breve, che commuove lo spirito,
suscita entusiasmi, nobili esempi o allieta la vita; e commemorò tutti i
grandi, i migliori: Emerico Amari, Giuseppe Ugdulena, Nicolò Musmeci,
Luigi Mercantini, Vincenzo Di Marco, Gaetano Deltignoso, Raffaello Bu-
sacca, Antonino Turretta e poi il Pacifici Mazzoni, il Pisanelli ed altri,
“ perchè possano i giovani, Egli diceva, ritemprarsi guardando ed ammi-
“rando le virtù d’insigni trapassati, perocchè la virtù ha il suo fascino,
“ che eccita i volenterosi a farsene seguaci ,.
Celebrò le memorie patrie, e coglieva opportuna ogni occasione per ri-
cordare i periodi luminosi della storia dell’isola nostra, che fu modello di
sapienza civile e politica; per magnificare i monumenti superbi di tutte le
civiltà, che s'ergono solenni o stanno, immani giganti, prostrati sui monti,
nel piano o nelle valli, dove tutto intorno brilla e sorride; e quei ricordi
rievocava religiosamente , con intensità di affetto illuminato dal prestigio
dell’arte.
Questa la nobile figura, o illustri colleghi, che la mia parola disadorna
ma affettuosa ha tentato ravvivare alla vostra mente.
14 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO "di
E tale uomo meritava fosse qui ricordato ed onorato; perchè nella furia
con cui si combatte oggidì la battaglia della vita, esistenze così operose |
e tranquille divengono più che mai rare; ma esse spandono una luce can-
dida sulla terra, operando il bene in misura maggiore di tante vite ru-
morose e vanesie.
Da Lui, che visse operoso, si parte un monito paterno alla gioventù,
che è pregio ripetere con le sue parole; un ammonimento “ad operare
‘con valore, con costanza e con la forza antica ,,.
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(1) Salutarono la bara con affettuosi discorsi il Rettore dell’Università pro-
fessore cav. L. Manfredi, il dott. comm. G. Pitrè presidente della R. Accademia
di scienze, lettere e belle arti, il prof. cav. S. Riccobono per la Facoltà giu-
ridica, l’avv. cav. F. Enea per il Consiglio della Pia Opera degli Asili rurali
ed urbani e dell’Educatorio Whitaker, l’avv. comm. G. Accardi vicepresidente
del Circolo Giuridico ed il laureando sig. Rosario Crea a nome degli stu-
denti universitarii. Il nipote cav. uff. F. E. Scandurra ringraziò a nome della
famiglia. V. sui funerali: Giorzale di Steilia 26-27 febbraio 1905, n. 58; L'Ora
27 febbraio 1905, n. 58.
(2) L'Accademia nell’adunanza del 19 marzo 1905 dopo affettuose ed elevate
parole del presidente Pitrè deliberò di fare la solenne commemorazione, di
prendere il lutto per sei mesi e di inviare le condoglianze alla vedova. V. pro-
cesso verbale: Bo//ettino FR. Accademia 1903-906, pag. 24.
(3) L’Elogio scritto dall'avv. cav. G. La Vecchia, la Commemorazione letta
dall'avv. Stefano Giardina nella solenne adunanza del Circolo Giuridico ai
26 di marzo 1905, quella detta dalla signorina Annetta Cerri nell’Educatorio
Whitaker ai 4 di aprile del 1905 insieme ai discorsi pronunziati allo scio-
gliersi del corteo furono pubblicati nella rivista // Circolo Giuridico (XXXVI
1905, 1, 43) ed estratti, a cura dei nipoti Scandurra, insieme col ritratto a
fototipia (Roma, Stab. Danesi) per i tipi dello stab. Virzì, 1905.
(4) Di Francesco Sampolo (n. in Palermo 20 febbraio 1774, } ivi 16 agosto
1834) fu fatta all'Accademia la solenne commemorazione nell’adunanza del 30
novembre 1834 con un discorso del ch. letterato Agostino Gallo e con un
sonetto di Giuseppe Lanza Principe di Trabia che ne era il presidente. V. il
giornale Za Cerere 5 dicembre 1834, n. 268.
16 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Il ritratto di Francesco Sampolo, opera di Giuseppe Patania. fu dal figlio,
insieme coi manoscritti, legato alla Biblioteca Comunale, «ove è la preziosa
raccolta dei ritratti degli uomini illustri siciliani ».
La « preziosa raccolta» fu iniziata da Agostino Gallo « con intenzione di
farne morendo generoso dono a questa Biblioteca Comunale » e gli eredi di
lui soddisfacendo al suo voto con atto 28 marzo 1874, rogato da notar Leonardi
da Palermo, fecero deposito perpetuo dei 152 ritratti da lui raccolti. V. Bu
lettino della Biblioteca Comunale di Palermo n.3, settembre 1873 - maggio 1874.
Una iscrizione dettata del prof. V. Di Giovanni, che fu presidente dell’Ae-
cademia dal maggio 1891 al dicembre 1902, essendo stato poi nominato Pre-
sidente onorario, fu murata nella scala della Biblioteca a ricordare il gene-
roso dono.
La raccolta va ogni giorno accrescendosi a cura della Biblioteca o per
doni di privati.
Del padre il Sampolo nel 1868 pubblicò il sonetto Pi la mort di Giuvanni
Meli in occasione del mezzobusto eretto nella Villa Giulia all’illustre poeta,
facendolo precedere da queste parole: « Ricorrendo la solenne dedicazione di
un busto a Giovanni Meli queste lodi al poeta palermitano pubblicava Luigi
Sampolo, XXIII giugno MDCCCLXVIII ».
Il sonetto fa pubblicato ne Zo Scià, giornale letterario per la Sicilia,
anno I, 1868, 12 e fu tradotto in francese da Antonio Lo Monaco. V. Per
l inaugurazione del busto di Giovanni Meli, discorso e poesie letti il 23 giu-
gno 1868. Palermo, Gaipa, 1868, p. 29.
Col detto sonetto chiuse l’illustrazione di Una lettera inedita di Giovanni Meli
che fu letta all'Accademia nell’adunanza dei 17 aprile 1904.
Una notizia di Lui diede nell’appendice al lavoro Sw la origine, le vicende
e il rinnovamento dell’Accademia di scienze, lettere e belle arti, e nell’altro ‘sul-
l’Accademia Siciliana.
Pubblicò poi il carme latino per la morte di Giuseppe Piazzi e nuove no-
tizie diede nell’illustrare Vr Canto [di Francesco Sampolo] in dialetto siciliano
per le nozze di Carlo Felice di Savoia con M. Cristina Borbone.
(5) Di Pietro Sampolo (n. in Palermo 10 febbraio 1807, + ivi 17 maggio 1861)
tessè l’elogio funebre Carmelo Pardi. V. PARDI: Scrzft varti, Palermo, tip. del
Giornale di Sicilia, 1874, vol. I, 299.
(6) Il concorso ebbe luogo il 21 aprile 1846.
Mons. Paolo di Giovanni, Abate di S. Anastasia, per atti 5 dicembre 1825
e 13 agosto 1826, rogati Lo Bianco Zito, istituì un premio di L. 5100 da as-
segnarsi in rate uguali per 8 anni ad un giovane dai 16 ai 24 anni, che
avesse superato un concorso di lingua latina (traduzione in italiano di autore
classico latino ed in latino di un tratto di autore classico greco), storia sacra
e storia di Sicilia sino a Carlo III.
Il premio veniva conferito dalla Congregazione dell'Oratorio di S. Filippo
Neri di Palermo, amministratrice del legato.
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO IT
Di seguito al decreto dittatoriale 9 giugno 1860. che assegnava i legati di
incerto genere all'Azienda dei danneggiati dalle truppe borboniche, la fonda-
zione Di Giovanni fu travolta ed il Sampolo, lamentandolo nella Comzemora=
zione di Giuseppe Ugdulena. auguravasi che « fossero rivendicate le rendite
destinate a promuovere nella gioventù l’amore agli studii classici ed alla
storia patria ».
Il voto di Lui fu adempiuto col R. Decreto 12 febbraio 1885 che affidò
l’amministrazione del legato all’Università ed oggi la Facoltà di filosofia e
lettere. sotto la presidenza del Rettore, conferisce il premio. « Così, esclamò,
gli studi classici torneranno ad avere un validissimo eccitamento » V. Za A. Ae-
cademia degli studi, pag. 131.
Il primo concorso dopo il 186£ ebbe luogo il 6 giugno 1887. V. Le due pen-
sioni di studio fondate dall Abate Paolo Di Giovanni. Breve storia e documenti,
Palermo, Amenta, 1887.
{7) Maurizio Polizzi (n. in Monreale 3 marzo 1827, % ivi 12 maggio 1904) fu
canonico della Collegiata, Vicario generale dell’ Archidiocesi e Cameriere se-
greto del Papa Leone XIII.
Insegnante di lettere italiane, latine e greche nelle scuole dei PP. Benedet-
tini e nelle scuole arcivescovili di Monreale, poi prefetto degli studi nel Con-
vitto arcivescovile dei chierici rossi, fondatore del convitto Guglielmo (1876)
tenne alte le tradizioni della scuola monrealese e venne in fama come let-
terato e latinista. Fu nominato socio dell’Accademia V11 aprile 1875. V. Dar
Done can. prof. GrroLamo: /r memoria di Mons. Maurizio Polizzi. Elogio fu-
nebre detto nella insigne Chiesa Collegiata di Monreale il giorno i7 mag-
gio 1904, Palermo, Tip. Sciarrino, 1905.
Prese parte al concorso Giuseppe Montalbano (n. in Piana dei Greci 24
dicembre 1824, jin Palermo 28 aprile 1903) Canonico della Collegiata di Mon-
reale, professore di lettere italiane e latine nel Seminario dei Chierici di Pa-
lermo, poi in quello di Cefalù, insegnante di morale nella Scuola normale
femminile di Palermo, e poi nella Scuola superiore Giuseppina Turrisi Colonna.
Venne in fama come latinista e grecista e fu socio di quest’ Accademia dal 25
marzo 1862. Il Montalbano tradusse alcune poesie del Sampolo.
(8) Fu allo studio di Francesco di Paola Scoppa e di Antonio Agnetta.
Di Antonio Agnetta, v. l'E/ogzo funebre letto da FiLiPPo EvoLa nei solenni
funerali celebrati a cura del Foro il 7 settembre 1860, nella chiesa di S. Matteo.
Palermo, Lao, 1860.
Di Francesco di Paola Scoppa il Sampolo tessè brevi cenni in occasione del
ritratto di lui donato dai nipoti al Circolo Giuridico nella [relazione sull’an-
damento del Circolo Giuridico nell’anno 1901, Circolo Giuridico, 1902, pag. 9.
(9) Nicolò Garzilli (n. in Napoli 4 novembre 1830) dopo la restaurazione del
1849 meditò una novella riscossa ed insorse il 27 gennaio 1850 nella piazza
della Fieravecchia con Rosario Ajello, Giuseppe Caldara, Paolo De Luca, Giu-
Seppe Garofalo, Vincenzo Mondini. Sottoposti a giudizio furono moschettati
nella stessa piazza della Fieravecchia il domani 28. 3
18 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Il Sampolo narra la « formalità» della difesa nell’Appendice IV del discorso
Il 12 gennaio 1848 e poi nell’illustrare il ricordo del Garzilli posto nell’arcata
centrale del portico posteriore dell’ Università. V. /serizioni e ricordi dei più
illustri professori dell’ Università di Palermo, p. 99.
(10) Pel concorso alla cattedra di diritto civile il Sampolo serisse la mono-
grafia: Sulla nullità delle alienazioni di immobili fatte dagli eredi apparenti.
Nella lezione orale trattò il tema: Se gi stranieri residenti nel Regno pos-
sano esercitare î diritti politici e civili e sotto quali condizioni.
Prima di dedicarsi del tutto all'insegnamento era stato magistrato; giudice
supplente del circondario (mandamento) Tribunali di Palermo per decreto del
18 giugno 1860, fu il 3 agosto 1860 giudice (pretore) del circondario Ortobota-
nico di Palermo ed il 21 aprile 1802 sostituto avvocato dei poveri, poco dopo
optò per la cattedra.
(11) Il V. Congresso giuridico nazionale forense fu inaugurato il 20 aprile
1903 e chiuso il 27 di quel mese. V. Per l'inangurazione del V Congresso na-
zionale giuridico-forense e per la sua chiusura. Discorsi di Luigi Sampolo Pre-
sidente del Comitato esecutivo. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1903. (Estratto dal
Circolo Giuridico, parte 1°, XXXIV, 1903) pag. 121.
I due discorsi sono inseriti negli Aff [del] V Congresso nazionale giuridico
forense, Palermo, tip. F. Barravecchia e figlio, 1904.
(12) Sulla gita a Solunto (23 aprile 1903) v. A#7 del V Congresso, Appen-
dice: / festeggiamenti. Giornale di Sicilia 23-24 aprile 1903, n. 114; L'Ora 24-25
aprile 1903, 2° ediz., n. 114.
(13) {1 Circolo Giuridico sorse sullo scorcio del 1867 nella mente di alcuni
studenti dell’Università per fare esercitazioni di dritto e per la cura che
ne assunse subito il Sampolo che gli diede l’autorità del nome ed una direzione
sicura divenne un istitutc scientifico di pubblica utilità che unisce in bell’ar-
monia avvocati, magistrati, professori e studenti, ai quali appresta una ricca
biblioteca che fa onore a Palermo ed all’Università ove ha sede ed a cui
è indissolubilmente legato il nome del fondatore.
In aprile del 1870 « per far noto al pubblico ed al mondo scientifico l’e-
sistenza della Società » iniziò la pubblicazione di una Rivista di legislazione
e giurisprudenza cui diede il nome di essa, nel 1876 fu istituita la sezione
dei soci studenti.
Fu eretto in ente morale con R. Decreto 16 maggio 1889.
AI Circolo Giuridico il Sampolo volse il pensiero nel suo testamento, legan-
dogli i suoi libri, eccetto quelli che la Società possedesse.
Discorsi e relazioni sul Circolo Giuridico.
Degli studi che st possono coltivare nel Circolo Giuridico. Discorso letto il 10
novembre 1868, inedito.
Il Circolo Giuridico di Palermo [Notizia]. Circolo Giuridico IMI, 1872, 1, 3.
Discorso [/nforzo allo stato cd all’andamento della Società) letto nella tornata
del 26 dicembre 1873. Circolo Giuridico 1874, 1, 7.
Pel decimo anniversario della fondazione del Circolo Ginridico. Discorso letto [i]
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 19
28 aprile 1879, seguito dalla Bibliografia dei primi otto volumi del giornale
Il Circolo Giuridico, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1879. [Estratto dalla rivista
Il Circolo Giuridico, X 1879, I, 73].
La bibliografia è inserita a pag. 17.
Relazione della Commissione nominata dal Circolo Giuridico sul VII concorso
del giornale « Il Notariato Italiano ». Tema: Può il notaio ricevere in de-
posito il testamento olografo che il testatore gli avrebbe affidato chiuso, non
però con le formalità prescritte per la consegna dei testamenti segreti, ma
con quelle stabilite pel deposito di ogni altro documento ? Notarzato Italia-
20 VII, 1883, 212.
II Notariato Italiano, pregevolissimo giornale che si pubblica dal ch.mo
notaro cav. Pietro Moscatello, indice concorsi a premii ed il giudizio ne è de-
ferito al Circolo Giuridico.
A chi legge [Prefazione alla seconda serie]. Circolo Giuridico XI, 1880, 1,3.
Notizia intorno al Circolo Giuridico di Palermo, Palermo, tipografia dello
Statuto, 1884. Fu scritta in occasione dell’ Esposizione Nazionale di Torino.
Segue Bibliografia dei primi 14 volumi del Circolo Giuridico, pag. 14.
Elenco degli istituti e dei giornali con cui il Circolo Giuridico è in rela-
zione, pag. 24.
In occasione del XXV anniversario dell’istituzione, ad eccitamento del Sam-
polo, fu redatta dal dott. Luigi Siciliano Villanueva, oggi professore di storia
del diritto italiano nell’ Università di Sassari, la bibliografia delle vere e
proprie monografie inserite nei primi 23 volumi del Crreo/o Grarzdico; «a di-
mostrare, diceva nel Discorso per l andamento del Circolo Giuridico nel-
Vanno 1893 (pag. 4), quanta sia stata 1’ operosità dei soci, e quanto il con-
tributo del Circolo Giuridico, nel grande rinnovamento degli studi giuridici
in Italia».
Lavori pubblicati nei primi 23 volumi del Crrcolo Giuridico (Contributo alle
scienze giuridiche, politiche e sociali, Circolo Giuridico XXIV,1893, 1,113 e 157).
Per la inaugurazione della nuova sede del Circolo Giuridico, Discorso letto il
7 febbraro 1886. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1886. Estratto dalla rivista // Cr-
colo Giuridico, anno XVII, fasc. III, [1886, 1, 37].
Parole di ringraziamento pel collocamento del suo ritratto nella sala del Ciùr-
colo Giuridico dette nell’adunanza del 24 giugno 1886.
Allegato 2 al processo verbale dell'adunanza, Circolo Giuridico XVII, 1886,
UENd95.
Il collocamento del ritratto fu deliberato dal Consiglio direttivo, a proposta
del vicepresidente avv. coum. Luigi Testa nell’adunanza del 31 maggio 1886.
V. Allegato A al detto processo verbale.
L'assemblea ne prese atto con compiacimento nella detta adunanza del 24
giugno, ed in occasione della lettura di quel processo verbale, nell’adunanza
del 1° agosto 1886, l’avv. comm. Leonardo Ruggieri, cui si associò il consigliere
comm. Emanuele Basile, oggi Presidente di sezione della Corte di Cassazione
20 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
di Roma, propose un ordine del giorno che fu votato per acclamazione. col
quale l’assemblea deliberò un voto di esplicita lode all’ iniziativa del Consi-
glio direttivo e fece suoi i motivi di essa a conferma della propria gratitu-
dine verso il suo Presidente. V. il processo verbale: Circolo Giuridico, XVII,
1886, 1, 197.
kelazione sulla proposta di erezione del Circolo Ginridico ad ente morale, letta
nell’adunanza dell’it settembre 1887.
Allegato A al processo verbale dell'adunanza, Circolo Giuridico, XVIII. 1887,
1, 308.
Per la erezione ad ente morale del Circolo Giuridico di Palermo. Parole lette
il dì 80 giugno 1889 nella sala del Circolo Giuridico. Palermo, Stab. tipo-
grafico Virzì, 1889. [Estratto dal Curcolo Giaridico, XX, 1889, 1, 161].
La visita dell'onorevole Guardasigilli Zanardelli al Circolo Giuridico il 16 ot-
fobre 1889. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1889.
Onoranze all’on. Guardasigilli Zanardelli nel Circolo Giuridico, pag. 3.
Parole del prof. Luigi Sampolo, pag. 5.
Parole dell’on. Guardasigilli Zanardelli, pag. 15.
Il Circolo Giuridico [Prefazione alla] Terza serie, Circolo Ginridico, XXI,
1890, 1, 5.
Discorso di ringraziamento per la nomina a Presidente a vita. Letto nell’ a-
dunanza del 21 settembre 1890.
Allegato A al processo verbale dell'adunanza. Circolo Ginridico, XXII, 1891,
13018:
La nomina a Presidente a vita proposta dall'avv. comm. Gaetano Spina nell’a-
dunanza del Circolo Giuridico del 4 agosto 1889, (v. processo verbale Circolo
Giuridico, XX, 1889, 2, 281) fatta propria dalla commissione per la riforma dello
Statuto, (relatore l’avv. cav. Giuseppe Falcone) fu approvata ad acclamazione
a proposta dell'avv. comm. Alfonso Siragusa, nell’adunanza del 3 agosto 1890.
(V. processo verbale, Circolo Giuridico, XXI, 1890, 1, 294), divenne l’art. 63
dello Statuto approvato con R. D. 7 dicembre 1890.
Tra le altre onoranze disposte dal Consiglio direttivo del Circolo Gim-
ridico il domani della morte fu la erezione di un mezzo busto in marmo. Il
dott. Enrico Santangelo propose che sia fatto a contribuzione fra i soci sia per
non aggravare il Circolo di spese che per rendere maggiore omaggio all'uomo
che si vuole onorare e l’assemblea approvò nell’adunanza del 14 maggio 1905.
V.il processo verbale dell'adunanza. Circolo Giuridico, XXXVI, 1905, 1, 315.
Per la tnaugurazione dei nnovi scaffali della Biblioteca del Circolo Giuridico
(21 dicembre 1890). Discorso, Circolo Graridico, X.XII, 1891, 1, 3.
Relazione intorno ai corsi di esegesi ed alle esercitazioni pratiche fatte nel-
Panno 1886 [nel] Circolo Giuridico (sezione degli studenti). Palermo, Stab. tip.
Virzì, 1886. [Letta nell’adunanza del 1° agosto 1886.] Estratto dalla rivista //
Circolo Giuridico, ann. XVII, fase. VIII, [1886 1, 181].
Seconda relazione intorno ai corsi di esegesi ed alle esercitazioni pratiche fatte.
e a sd.
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 21
nell’anno 1887 [nel] Circolo Giuridico (sezione degli studenti). Palermo, Stab.
tip. Virzì, 1887. [Letta nell'adunanza del 29 maggio 1887]. Estratto dalla ri.
vista // Circolo Giuridico, ann. XVIII, fasc. VI, [1887, 1, 115].
Terza relazione intorno at corsi di esegesi ed alle esercitazioni pratiche fatte
nel Circolo Giuridico nell’anno 1887-88, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1887. [Letta
nell’adunanza dell’11 novembre 1888.] Estratto dalla rivista // Circolo Ginridi-
co, anno XIX, [1888, 1, 327].
Segue: Programma det corsi esegetici e delle esercitazioni pratiche che si da-
ranno nell’anno 1888-89.
Intorno ai corsi di esegesi delle fonti del diritto ed alle esercitazioni pratiche
fatte nel Circolo Giuridico nell’anno 1888-89. Quarta relazione, Palermo, Stab.
tip. Virzì, 1890. [Letta nell'adunanza del 1° settembre 1889. Estratto dalla rivista
Il Circolo Giuridico, anno XXI, 1890, 1, 81].
Relazione intorno al concorso del Circolo Ginridico pel biennio 1885 - S6. —
Tema: Del giurì in materia civile, correzionale e commerciale, Palermo,
Stab. tip.Virzì, 1889. Estratto dalla rivista // Circolo Giuridico, XVIII,1887,1,245.
Il tema fu messo nuovamente a concorso tra gli stessi concorrenti.
[Seconda] /elazione intorno al concorso del Circolo Giuridico pel biennio
1885-1886, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1889. (Estratto dalla rivista // Circolo Gin-
ridico, vol. XX), [1889, 1, 214].
Relazione del Presidente sull'andamento del Circolo Giuridico nell'anno 1891,
Palermo , Stab. tip. Virzì, 1892. (Letta nell’ adunanza del 7 febbraro 1892.
Estratto dalla rivista // Circolo Giuridico, vol. XXIII), 1892, 1, 58].
Col nuovo Statuto approvato con R. D. 7 dicembre 1890, il Presidente è
tenuto a fare nell’ultima adunanza di ogni anno la relazione sull'andamento
della Società.
Relazione sull'andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1892, Palermo, Stab.
tip. Virzì, 1893. (Letta nell’ adunanza del 29 dicembre 1892. Estratto del Czr-
colo Giuridico, vol. XXIV, parte 1%), [1893, 1, 26].
Per l'andamento del Circolo Ginridico nell’anno 1893, XXV anniversario della
sua fondazione. Discorso [del] Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1894. [Letta
nell'adunanza del 24 dicembre 1893.] (Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXV,
parte I, 1894), [25].
Sull'andamento del Circolo Giuridico nell’ anno 1894, XXVI della sua fonda-
zione. Relazione [del] Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1895. (Letta nell’a-
dunanza del 23 dicembre 1894. Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXVI, parte
1%, 1895), [3].
Sull'andamento del Circolo Giuridico nell'anno 1895. Relazione annuale [del]
Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1896. (Letta nell'adunanza del 22 dicem-
bre 1895. Estratto dal Circolo Ginridico, parte 1%, vol. XXVII, 1896), [3].
Sullandamento del Circolo Giuridico nell'anno 1896. Relazione annuale [del]
Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1897. (Letta nell’adunanza del 22 dicem-
bre 1896. Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXVIII, parte 1%, 1897), [3].
29 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Segue : Allegato A, [Statistica dei frequentatori della Biblioteca da ottobre 1895].
La statistica fu aggiunta poi ad ogni relazione, manca solo nell’ultima re-
lazione pel 1904.
Sull'andamento del Circolo Ginridico nell’anno 1897. Relazione annuale [del]
Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1898. (Letta nell’ adunanza del 27 di-
cembre 1897. Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXIX, parte 1%, 1898), [3].
Sull’andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1898 ed esposizione del bilan=
cio 1899. Relazione annuale [del] Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1899.
(Letta nell'adunanza del 29 dicembre 1898. Estratto dal Circolo Grnridico.
vol. XXX, parte 1, 1899), [3].
Sull’andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1899. Relazione [del] Presidente,
Palermo, Stab. tip. Virzì, 1900. (Letta nell’ adunanza del 7 gennaio 1900.
Estratto dal Circolo Ginridico, vol. XXXI, parte 1%, 1900), [3].
Sull’andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1900. Relazione annuale [del]
Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1901. (Letta nell'adunanza del 23 dicem-
bre 1900. Estratto dal Circolo Giuridico, XXXII 1901), [1, 3].
Sull’andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1901. Relazione annuale [del]
Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1902. (Letta nell'adunanza del 26 dicem-
bre, 1901. Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXXIII, parte 12, 1902), [7].
Sull'andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1902. Relazione annuale [del]
Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1903. (Letta nell'adunanza del 28 dicem-
bre 1902. Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXXIV, parte 12, 1903), [3].
Sull’andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1903. Relazione annuale [del]
Presidente, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1904. (Letta nell'adunanza del 27 dicem-
bre 1903. Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXXV, 1904), [1, 3].
Sull’andamento del Circolo Giuridico nell’anno 1904. Relazione [del] Presi-
dente. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1905. (Letta nell'adunanza del 30 dicembre
1904. Estratto dal Crrcolo Giuridico, vol. XXXVI, 1905), [3].
Questa fu l’ultima letta al Circolo Giuridico, ma il Sampolo non arrivò a
correggere le prove di stampa.
Della rivista // Circolo Giuridico , si pubblicarono sotto la direzione del
Sampolo, XXXV volumi dal 1870 al 1904. Ogni 10 volumi formano una
serie.
Il Sampolo, oltre gli articoli e le recensioni portanti la firma o la sigla S, vi
scrisse numerose note bibliografiche, necrologie e la Cronaca giuridica.
(14) Per unanime voto dell’assemblea del 30 dicembre 1906, del quale si at-
tende la sanzione sovrana, la Società assumerà il nome di « Circolo Giuridico
Luigi Sampolo ».
(15) relazione accademica per gli anni 1889,1890,1891,1892, recitata alla R. Ac-
cademia di scienze, lettere e belle arti nell’adunanza dei 19 febbraio 1893. Pa-
lermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1895. [Estratto dal vol. INT della Terza
Serie degli Atti della R. Accademia].
Irelazioni accademiche per gli anni 1893, 1894, 1895, recitate alla R. Accademia
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 23
di scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1897.
Estratto dal vol. IV della Terza Serie degli Atti della R. Accademia.
La prima fu letta il 15 aprile 1894, la seconda il 17 aprile 1895, la terza
il i5 marzo 1896 e furono insieme pubblicate in estratto.
felazioni accademiche per gli anni 1896, 1897 recitate alla R. Accademia
di scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio 1898.
Estratto dal vol. V della Terza serie degli Atti della R. Accademia.
La prima fu letta il 21 febbraio 1897, la seconda il 19 giugno 1898 e fu-
rono insieme pubblicate in estratto.
felazione accademica per l’anno 1898 letta [il 25 luglio 1899] alla R. Ac-
cademia di scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e fi-
glio, 1900. Estratto dal vol. V della Terza Serie degli Atti della R. Acca-
demia.
Felazione accademica per l’anno 1899, letta [il 18 marzo 1900] alla R. Ac-
cademia di scienze lettere e belle arti, inedita.
Relazione accademica per l’anno 1900, letta [il 17 novembre 1901] alla R. Ac-
cademia di scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio,
1902. Estratto dagli Atti dell’Accademia, Terza Serie, vol. VI.
felazione accademica per l’anno 1902, letta [il 14 febbraio 1903] alla R. Ac-
cademia di scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio,
1903. Estratto dagli Atti dell’Accademia, Vol. VII, Terza Serie.
Riguarda anche l’anno 1901.
Relazione accademica per gli anni 1903-4 letta [il 20 novembre 1904] alla
R. Accademia ui scienze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia
e figlio, 1906. Estratto dagli Atti della R. Accademia di scienze, lettere ed arti,
Serie Terza, vol. VIII.
Fu stampata dopo la morte.
(16) Z2 IV Centenario della scoverta d’ America. discorso [letto] per il IV Cen-
tenario della scoverta d'America, [nella] Solenne adunanza della R. Accademia
di scienze, lettere e belle arti (30 ottobre 1892). Palermo, Tip. F. Barravecchia e
figlio, 1893. Estratto dal vol. II della Terza Serie degli Atti della R. Accademia.
Sulla vita e sulle opere di Antonio Veneziano (lettura). Pel III Centenario
di Antonio Veneziano, 22 agosto 1893.
Dei centenari celebrati dalla R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti e
di Torquato Tasso [lettura]. Per il III Centenario della morte di Torquato
Tasso [nell’]adunanza del 19 maggio 1895, tenuta dalla R. Accademia di scien-
ze, lettere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1895. [Estratto
dal vol. IV della Terza Serie degli Atti dell’Accademia].
Appendice: Soretto del signor Torquato Tasso all'illimo signor Don Giovanni LIT
conte di Ventimiglia marchese di Geraci.
Lesse nell’ Accademia il 20 novembre 1882 1’ Z/ogio di Vincenzo Di Marco,
il 30 dicembre 1883 ed il 24 agosto 1884 il lavoro: / primz 25 anni dell'Uni-
versità, il 19 marzo 1893 la Commemorazione di Raffaello Busacca, il 21 no-
24 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
vembre 1897 la Commemorazione di Vincenzo Errante, il 16 giugno 1901 il
Ricordo di Vincenzo Crisafulli che lo avea preceduto nell’ Ufficio di Segre-
tario Generale.
L'ultima lettura fu quella dei 17 di aprile del 1904 presentando una Lettera
inedita di Giovanni Meli.
(16) Sw la origine, le vicende e il rinnovamento dell’Accademia di svienze, let-
tere e belle arti. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1891. [Estratto del
vol. I della Terza Serie degli Atti dell’ Accademia].
Contiene un appendice con documenti.
Letta pel 1° centenario del trasferimento dell’ Accademia dal palazzo del
principe Filangeri di S. Flavia in quello del Municipio, celebratosi il 5 lu
glio 1891.
Studi giuridici.
(18) Prolnstone al corso di diritto civile. [Sul progresso del diritto civile), letta nel
1860 da Luigi Sampolo già professore straordinario di diritto civile ed ora di
diritto romano nella R. Università di Palermo, Stamperia e legatoria Clamis
e Roberti, 1862.
Prolusione al corso di diritto romano. [Sul importanza del diritto romano),
letta in novembre 1861 da Luigi Sampolo professore straordinario di diritto
romano nella R. Università di Palermo, Palermo, Clamis e Roberti, 1862.
Sulla nullità delle alienazioni di immobili fatte dagli eredi apparenti. Diser-
tazione per il concorso alla cattedra di diritto civile col confronto delle leggi
romane nell'Università di Palermo, Tip. Morvillo, 1862.
Il matrimonio civile. Prolusione al corso di diritto civile, letta il 7 di-
cembre 1865 nella R. Università di Palermo. Palermo, Stamp. Perino, 1866.
[Estratto dalla Azvista Nazionale di scienze, arti e lettere, anno I, 1866. 5]. CM
Dell’Unità del diritto in Italia. Discorso inaugurale agli studi letto il 13°
gennaro 1867 nella R. Università di Palermo. Palermo Tip. Morvillo, 1867. b
Dei lavori preparatori del codice civile e particolarmente di quelli della Com-
missione legislativa di Palermo, Circolo Giuridico, I, 1870, 1, 17.
Premise un breve cenno sui lavori e si proponeva di pubblicare nel C7r-
colo Giuridico tatti i verbali della Commissione di Palermo, allora posseduti i
dal senatore Pietro Castiglia Primo Presidente della Corte di Cassazione di
Palermo che ne avea fatto parte e poi da lui depositati nella Biblioteca Comu-
nale. Ne smise il pensiero perchè la mole di essi avrebbe occupato molti vo= i
lumi del Circolo Giuridico e non avrebbe potuto darsi posto ad altri scritti: |
furono pubblicati soltanto i verbali delle adunanze del 17 maggio 1863 Sul
titolo preliminare del progetto Miglietti e del 31 maggio 1863 sul titolo I È
cap. I Dei modi di acquistare e di perdere la cittadinanza, ed il Sampolo vi
fece annotazioni e raffronti.
Nel detto articolo si augurava «che l’ esempio spingesse altri a lavori di |.
tal fatta» ma nessuno vi si accinse. i
I lavori preparatorii furono pubblicati dal Ministero di Grazia e Giustizia
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 259
edi verbali della Commissione di Palermo costituiscono VIII volume della Race-
colta Lavori preparatori del codice civile del Regno d'Italia, parte TV, Roma,
Stamperia Ripamonti, 1889, che venne però infarcito di grossolani errori,
lamentati dal Sampolo in una recensione, Circolo Giuridico XXI,1900, I, 288,
nella quale dà notizie degli illustri giureconsulti che componevano la Com-
missione.
Della Commissione di Palermo il Sampolo era stato nominato segretario,
ma ricusò l'ufficio. Furono segretarii G. B. Pagano allora sostituto Procura»
tore del Re in Palermo, oggi, Primo Presidente illustre della Corte di Cas-
sazione di Roma e socio onorario dell’Accademia e gli avv. Simone Cuccia
poi professore di Storia del diritto nell'Università e deputato al Parlamento
morto il 9 febbrajo 1894 e Francesco Fortunato morto presidente del Consi-
glio dell'Ordine degli avvocati il 4 ottobre 1902.
Lo statuto personale rispetto agli stranieri secondo le leggi civili del Regno
delle Due Sicilie. Lettera al chiarissimo sig. cav. Giuseppe Saredo —- [Estratto
dal Circolo Giuridico, I, 1570, 1, 159].
Lo statuto personale rispetto agli stranieri secondo le leggi civili del Regno
delle Due Sicilie. Seconda lettera al chiarissimo sig. cav. Giuseppe Saredo. —
Circolo Giuridico, II, 1871, 1, 5.
Scritta in seguito alla risposta del Saredo, Circolo Giuridico, 1870, 1, 193.
Sulla interpretazione dell'art. 67 del codice civile italiano, Studio, Palermo
tipografia del Grorzale di Sicilia, 1875. [Lettura fatta al Circolo Giuridico il 6
dicembre 1874]. Estratto dal Czrcolo Ginridico volume V. [1875, 1, 257].
La Corte di Cassazione di Palermo e il Demanio, Palermo, tipografia del
Giornale di Sicilia, 1874. (Estratto dal Circolo Giuridico volume V,) [1874, 1, 227].
Date due successive donazioni, delle quali Pultima sola trascritta, il primo do-
natario ha diritto di essere rivaluto dal donante dei danni interessi? Lettura
fatta al Circolo Giuridico nell'adunanza del 5 giugno 1877 (inedita).
Snll’ammonizione e specialmente sullu capacità degli ammoniti. Considerazioni.
Palermo, Stab. tip. Virzì, 1878.— [Estratto dal Circolo Giuridico, VIII.1877,1, 267].
A proposito della sentenza della Corte di appello di Palermo 24 agosto 1877
che dichiarò gli ammoniti nè elettori nè eligibili.
Un errore giudiziario. Commento dell’art.. 688 cod. di proc. penale, Palermo
Stab. tip. Virzì, 1880. [Letto nell’adunanza del 21 dicembre 1879]. (Estratto dal
Circolo Giuridico di Palermo, anno XI, 1880), [1, 21].
Affinità nel Digesto Italiano. Enciclopedia metodica di legislazione, dottrina
e giurisprudenza, vol. II, parte 1°, pag. 345-51, 1884.
Cenni intorno all’Ordinamento giudiziario nell'impero germanico riscontrato con
quello d’Italia : (Code d’organisation general allemand. 27 janvier 1877. I. In-
troduction par L. Dubarle. II. Traduction et notes par L. Dubarle, Paris, 1885)
Circolo Giuridico, 1885, 1, 235.
Il frammento 5°, T. XX, L. XLIII del Digesto (De aqua quotidiana et aestiva).
Saggio esegetico con raffronti col codice civile, Palermo, Stab. tip. Virzì, 1887.
[Estratto dal Circolo Giuridico, XVIII, 1887, 1, 73]. 4
26 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Della capacità del fallito dopo la chiusura delle operazioni per mancanza di
attivo. Brevi osservazioni sopra una sentenza della Corte di Cassazione di
Palermo, [7 febbraio 1888, c. Giudice-Di Blasi], Circolo Ginridico, XIX, 1888,
1,89. Riprodotto nel Moritore delle Leggi di Genova, IV, 1888, 169.
La donna maritata parte civile nei gindizi penali, Circolo Giuridico, XXII.1891,.
[1, 50].
L’apicoltura e il diritto civile, Circolo Giuridico, 1895, i. 249.
Pubblicati i soli cap. I De//a natura delle api e II Le api materia a varii
rapporti di diritto.
Una lettura Sz//e api avea fatto il Sampolo al Circolo Giuridico il 9 dicem-
bre 1883; poi varii capitoli col titolo: Le api considerate nei rapporti di diritto
sino al cap. V. « Del danno recato dalle api» avea pubblicato nel giornale
La Sicilia Agricola, anno 1885, 443, 583, 747, 927; anno 1886, 63, 83, 683, 703;
anno 1887, 3. Il lavoro rifatto ed ampliato pubblicò nel C7rcolo Giaridico e
si proponeva di compierlo. :
Il codice civile ed 11 suo giubileo secolare. Discorso letto al Circolo Giuridico
l’11 dicembre 1904 (inedito). È
Note di giurisprudenza.
[Sull’art. 2187 delle leggi civili del 1819. Se l'art. 2187 nel ridurre a 30 anni
7 periodo della più lunga prescrizione, interrotta sotto l'impero di leggi anteriori
ha compreso nei 30 anni il tempo trascorso sin dall'inizio della prescrizione me-
des’ma]. Nota alla sentenza della Corte di appello di Palermo, 16 aprile 1883, 3
c. Pandolfina-Gattinara, Circolo Giuridico, XIV, 1883, 2, 113. i
[Sulla perenzione del precetto e dell’ istanza di espropriazione). Nota alla sen-
tenza della Corte di Cassazione di Palermo 12 dicembre 1882, c. Siragusa-
Bagnasco, Circolo Giuridico, XIV, 1883, 2, 361.
[Degli effetti di un ordine in derrate nel quale la denominazione « cambiale » man-
casse nel contesto e fosse solo nella epigrafe). Nota alla sentenza della Corte di
appello di Palermo, 25 aprile 1885, c. Dainotto-Barrile, Circolo Graridico, XVII,
1886, 2, 66.
[Sull’art. 543 del codice civile). Nota alla sentenza della Corte di Cassazione di
Palermo, 15 ap.ile 1886, c. Cappellani-Multisanti, Circolo Giuridico, XVII,
1886, 2, 244.
[Z vizio del consenso per violenza fatta dal padre alla figlia). Nota alla sentenza
della Corte di appello di Palermo, 10 settembre 1886, c. Cipollina-Genuardi—
Banca Nazionale, Circolo Giuridico, XVII, 1886, 2, 317.
[Da chi sono dovute le spese dell'offerta reale, non preceduta da quella amiche-.
vole, prima rifiutata e poi accettata dal creditore]. Nota alla sentenza della Corte
di Cassazione di Palermo, 20 febbraio 1890, c. Gargano-Bonaccorso, Circolo
Giuridico, XXI, 1890, 2, 242.
[Se lantorizzazione ai corpi morali serva per integrare la loro capacità giuridica.
ad acquistare o solo per la presa di possesso]. Nota alla sentenza della Corte di
Cassazione di Roma 8 luglio 1890, c. Finanze-Mosella, Circolo Giuridico, XXIL .
1891, 2, 74.
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 97
[Za conferibilità dell’usufrutto). Nota alla sentenza della Corte di Cassazione
di Palermo, 29 maggio 1900, c. Cusenza-Majorana, Circolo Giuridico, XXXI,
1900, 2, 298.
[Sulla personalità giuridica delle Unicersità Siciliane). Nota alla sentenza del
Tribunale di Palermo, 16 febbrajo 1903, c. Università e Comuni di Palermo,
Catania e Messina.—Ministeri delle Finanze e del Tesoro, Circolo Giuridico,
XXXIV, 1903, 2, 67.
Traduzioni.
Marcapb V. Spiegazione teorico-pratica del Codice Napoleone contenente l’ana-
list critica degli autori e della giurisprudenza e seguita da un riassunto alla fine
di ciascun titolo. Versione italiana sulla 5* ed ultima edizione di Parigi, ac-
cresciuta dall’ A. di molte quistioni e di leggi e decisioni recenti, col confronto
degli articoli del Codice per lo Regno delle Due Sicilie e con tutte le dispo-
sizioni governative emanate sin’ oggi sotto ciascun titolo. [Dal libro 3° Delle
successioni], Palermo, Stab. Tip. dei Fratelli Pedone Lauriel, 1857-65, vol. II-IV,
[il II e il III in due parti, il IV in tre parti].
HeLIE FaustIN. Trattato della istruzione criminale o Teoria del codice di istru-
zione criminale. Traduzione italiana e annotazioni. Palermo e Napoli, Pedone
Lauriel 1863-67, vol. I-IV.
DunnING MacLEOoD E[NRICO0]. Sulla moderna scienza dell’Economica. (Conferenza
letta il 16 marzo 1881 all'Istituto dei banchieri di Londra. (Estratto dal Circolo
Giuridico, [X1, 1881, 217].
Periodici.
Giurisprudenza teorico-pratica comparata della Corte Suprema di Palermo e
della Gran Corte civile e criminale di Palermo, Palermo, 1852.
Collaboratori : Salvatore Salafia avvocato, Luigi Sampolo avvocato, Gaetano
Scandurra avvocato, Placido Civiletti, Salvatore Crisafulli, Pietro Galifi,
alunni di giurisprudenza [uditori giudiziarii].
Se ne pubblicarono soltanto sette fascicoli contenenti le decisioni fino a
giugno 1822.
Nel 1857 il Sampolo, Placido Civiletti e Gaetano Scandurra si erano ripro-
posti la continuazione del giornale, ma questa non ebbe luogo.
Salvatore Salafia si spense immaturamente nel 1854.
A Gaetano Scandurra, morto Presidente di Corte d'Appello a riposo il 6 di-
cembre 1898, il Sampolo consacrò affettuose parole nella ‘relazione sull’ anda-
mento del Circolo nel 1898 (V.le parole pronunziate dal cons. Giuseppe
Bugenio FuRrITANO per salutarne la salma, Circolo Giuridico, 1899, 1, 32.
Salvatore Crisafulli, morto Consigliere della Corte di appello di Palermo
il 16 novembre 1592, fu socio di questa Accademia, ed il Sampolo ne scrisse
un breve cenno necrologico, Bollettino Accademia, 1892, 55.
Placido Civiletti e Pietro Galifi sono Primi Presidenti di Corte d’appello a
riposo.
(19) Contardo Ferrini fu socio onorario di quest’ Accademia, eletto nel gen-
28 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
naio 1900 ed il Sampolo lo ricordò con affetto nella Relazione Accademica
per l’ anno 1900. Ne commemorò la morte nella Aelazione Accademica per
l’anno 1902.
(20) Studi sulle vicende dell’Università.
L’ Università di Palermo e il suo passato. Discorso inaugurale per la ria-
pertura degli studi nell’ anno scolastico 1878-79 nella R. Università di Pa-
lermo letto [il 17 novembre 1878], Palermo, Stab. Tip. Lao, 1878.
Rassegna degli ultimi 100 anni dell’Università. Segue un’ Appendice con do-
cumenti ed iscrizioni.
I primi 25 anni della È. Università degli studi di Palermo. Letture fatte nelle
tornate di dicembre 1883 [30] e agosto 1884 [24] alla R. Accademia di scienze,
lettere ed arti, Palermo, Tip. del Grorza/e di Stcilta. [Estratto dal vol. IX della
Nuova [2*] Serie degli Atti dell’ Accademia].
Riguarda le prime leggi del 1772, la biblioteca, il museo, la stamperia,
la fondazione Gioeni, la cattedra di diritto canonico e quella di diritto pubblico.
Segue un'Appendice con documenti.
La k. Accademia degli studi di Palermo. Narrazione storica. Palermo, Ti.
pografia dello Statuto, 1888.
Dagli inizii al 1805 quando ebbe dignità e nome di Università.
Segue una copiosa appendice con XXX documenti, la Bibliografia delle
opere riguardanti l’Accademia, quella dei professori, le leggi riguardanti
l’Accademia e prospetti statistici.
Contributo alla storia della R. Università di Palermo. Palermo Tipografia
Lo Statuto, 1895. [Lettura fatta alla Società Siciliana di Storia Patria il 12
maggio 1894]. (Estratto dall’ Archivio Storico Stelliano N. S., anno XIX, fa-
scicolo III-IV), 1895 [329].
Si intrattiene delle cattedre di diritto e procedura civile, di diritto e pro-
cedura penale, di medicina forense, di diritto nautico e commerciale istituite
nel 1841.
Il Sampolo uno dei fondatori della Società di Storia patria, ne fu più volte
Consigliere.
Iscrizioni e ricordi dei più illustri professori della R. Università di Palermo.
Omaggio al V Congresso nazionale giuridico-forense 20 aprile 1903. Palermo,
Tip. F. Andò, 1903.
Sono raccolte le iscrizioni riguardanti i più illustri professori dell U-
niversità che si leggono nel portico e nelle aule e le altre che si leggevano
prima del 1860 nel portico anteriore e che egli si auguarò vi fossero nuova-
mente murate. Sono aggiunti i profili biografici dei professori e di Nicolò
Garzilli.
Monsignor Giuseppe Gioeni e la cattedra di filosofia morale nell’ Università di
Palermo. Messina, Tip. D'Angelo, 1904 (Estratto dal volume in onore del pro-
fessore Vincenzo Lilla pel suo XL anno d’insegnamento).
Seguono in appendice tre documenti.
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4
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 29
Studi sugli Istituti di beneficenza e previdenza.
La Casa di lavoro e l° Istituto delle Artigianelle di Palermo. Cenni. Milano,
Tip. editrice Lombarda già D. Salvi e C., 1874. Estratto dal giornale Arista
della beneficenza pubblica, (fascicolo di gennaio) [{6].
Nel 1869 fu membro del Comitato eletto dal Prefetto (Medici) per la uni-
ficazione dell’Istituto delle Artigianelle con la Casa di lavoro.
L’Orfanotrofio Ardizzone in Palermo. Milano, Tip. editrice Lombarda già
D. Salvi e C., 1874. Estratto dal giornale vista della beneficenza pubblica,
(fasc. di marzo) [264).
Nel 1867, essendo assessore municipale, era stato incaricato dal Sindaco
(Balsano) di visitare l’Istituto e riferire sullo stato di esso.
Sugli istituti di emenda della città di Palermo dal secolo XVI al XIX, Studi,
Palermo Tip. Bernardo Virzì di Francesco, 1874.
Seguono in appendice IX documenti. (Estratto dall'Archivio storico siciliano),
[II, 289].
La Casa d' Istruzione ed Emenda con un Cenno sugli antichi e recenti istituti
congeneri. Palermo, Tip. dello Statuto, 1884.
Segue l’Elenco dei deputati della detta Casa dal 1749 al 1884.
La Casa d'Istruzione e d'Emenda di Palermo con un Cenno sugli antichi e re-
centi rifugi per le ravvedute, 2% edizione riveduta. Palermo, Tipografia dello
Statuto, 1892.
Appendice: Elenco dei deputati della detta Casa dal 1749 al 1890. Lapidi
commemorative; iscrizioni ed epigrafi. Notizie statistiche.
La Casa d'Istruzione ed Emenda negli anni 1898-1902. Relazione [del] Pre-
sidente della Deputazione. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1902.
Fu deputato della Casa dal 1867 al 1872 e poi dal 18/7 in avanti. Nel 1898
assunse la Presidenza che gli fu dopo conferita dal Consiglio Comunale nel 1899:
in questa Relazione rende conto dell’opera sua di Presidente.
Alla Casa d’Istruzione ed Emenda, che insieme al Circolo Giuridico fu og-
getto delle sue più indefesse cure, volse il pensiero nel suo testamento: le-
gandole la Cappella ed i quadri sacri, una Madonna antica ad olio ed un
quadro rappresentante la Madonna di Raffaello della Reggia di Napoli.
Per la premiazione nella Casa d'Istruzione ed Emenda ricadendo 11 XXV an-
niversario dell'entrata in essa delle suore del Buon Pastore. Parole. Palermo, Ti-
pografia F. Barravecchia e figlio, 1903.
Per opera di Lui l’Istituto fu affidato alle suore della Congregazione del
Buon Pastore di Angers, ed il XXV anniversario del loro ingresso nella
Casa volle festeggiare con un discorso letto il 20 agosto 1903.
Per l'inaugurazione dell'Asilo rurale Margherita in S. Giovanni dei Leprosi,
15 giugno 1869. Palermo, Gaudiano, 1869. Corriere Siciliano, 16 giugno 1869,
N. 169.
L'Opera degli asili rurali fu fondata nel 1868 da Francesco Enrico Scan-
durra. Il Sampolo fu sin dalla fondazione Presidente del Comitato, che con
lo statuto dell'11 giugno 1896 assunse il nome di Consiglio di Amministrazione.
30 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Per l’inaugnrazione dell’ Asilo rurale J. P. Favier in Mezzomonreale, XVIII
ottobre MDCCCLXXIV. Parole. Palermo, Tip. del Giornale di Sicilia, 1874.
Segue in appendice la Relazione dell'Assessore di I. P. (Deltignoso) sulle se-
zioni di asilo.
Questi due discorsi furono poi pubblicati insieme senza appendice:
Per la inaugurazione degli Asili rurali di S. Giovanni dei Leprosi e di Mez-
zomonreale. Parole. Palermo, Tip. del Grornale di Sicilia, 1874.
Per la inaugurazione dell’ Asilo Garibaldi [18 settembre 1881| Parole. Paler-
mo, Ufficio dell’ Archivio di Pedagogia e della Biblioteca pedagogica, 1881.
[Estratto dall'Archivio di Pedagogia e scienze affini, 1881, 179].
La Cassa di Risparmio V. E. di Palermo. Origine, progresso, stato pre-
sente. Notizie e documenti. Palermo, Tip. dello Stafuzo, 1891.
Nominato membro del Consiglio di amministrazione il 10 novembre 1864
in sostituzione del deputato avv. Francesco Crispi Genova durò nell’ ufficio
sino al 1892.
La memoria, della quale fu incaricato. fu scritta in occasione dell’Espo-
sizione Nazionale di Palermo del 1891.
Studi e discorsi letterari e storici.
Una scena del bombardamento di Palermo. |La morte di Maria Sampolo e
di Giuseppino Scandurra Sampolo]. (Estratto dal Giornale officiale di Sicilia
n. 39), [26 luglio 1860].
Sulla vita e sulle opere di Rosina Muzio Salvo.
Genero di Rosina Muzio Salvo curò l'edizione postuma delle sue opere
in 2 volumi:
I. Racconti di Rosina Muzio Salvo con alcuni scritti morali preceduti da
un discorso sulla vita dell’autrice. Palermo, Tip. del Gzorzale di Sicilia, 1869.
II. Versi, Palermo, Tip. del Gzornale di Sicilia, 1870.
Palermo e Bologna dal secolo XVI al XVII Lettera di Domenico Schiavo
ripubblicata ed annotata. Palermo, Stab. Tip. Virzì, 1888.
Questa lettera di Domenico Schiavo, insigne letterato del secolo XVII
(1719-1773) che fu direttore dell’Accademia del Buon Gusto nel 1753 e nel
1758, inserita nelle Memorze per servire alla storta letteraria di Sicilia (I, parte IV.
Palermo, Bentivenga, 1748) fu ripubblicata ed annotata in occasione dell’ VIII
centenario dell’Università di Bologna, « perchè ci fa conoscere alcuni dei si-
ciliani che andarono a studiare in essa ed. alcuni degli isolani che con V’'in-
segnamento in quell’Ateneo e con la predicazione in quella città si chiari-
rono uomini dotti e eloquenti ». i
In appendice il Sampolo da notizia di M. Antonio Vogli (1736-1821) bolo-
gnese che insegnò filosofia. morale nell'Accademia degli studi di Palermo, di
Ugo Bassi (1800-1849) bolognese che predicando in Palermo la quaresima
del 1837 vi destò tante simpatie, di Carlo Gemelli (1811-1886) messinese che |
fu vicebibliotecario della Biblioteca di Bologna.
Questa lettera fa parte del volume: AVa Università di sca Ricadendo .
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COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO S1
78 centenario della sua fondazione. Omaggio del Circolo Giuridico di Palermo.
Palermo, Stab. Tip. Virzì, 1888, pag. 119-138.
Il 12 gennaro 1848. Discorso recitato la sera del 12 gennaro 1890 al ban-
chetto dei Veterani del 1848-49. Palermo, Stab. Tip. Virzì, 1890.
Segue un’Appendice con documenti.
Per la inaugurazione del busto di Giuseppe de Spuches principe di Galati
alla Villa Giulia il 21 giugno 1891. Bollettino Accademia 1891, 66; In memoria
di Giuseppe de Spuches principe di Galati. Supplemento straordinario al Cor-
riere di Sicilia. Palermo, giugno 1891.
Per la premiazione della Senola Superiore femminile Ginseppina Turrisi Co-
lonna nell'aprile del 1895. (Discorso letto il giorno 21 di aprile 1895) Palermo,
Stabilimento Tip. Virzì, 1895.
Il Sampolo fu per parecchi anni membro del Consiglio di vigilanza della
Scuola.
Per la inaugurazione del mezzobusto a Giuseppina Melazzo nei Gramignani
nella Villa Giulia (13 ottobre 1895). Supplemento straordinario alla Szezlia
Musicale.
Accademia Siciliana. Nuove ricerche. [1790-1818]. (Lettura fatta alla Società
di Storia Patria il 14 gennaro 1895), Tip. Zo Sfafuto, 1896. (Estratto dal-
l'Archivio Storico Siciliano, N. S., anno XX, fasc. IILIV), 1895, [317]. Con
appendice.
Cenno su Luigi Terranova.
Premesso alle Nozizie sopra Iccari e Carini di Luici TERRANOVA (n. 15 giu-
gno 1817 + 80 giugno 1876) coi programmi editi nel 1854 che erano rimaste
inedite, pubblicate a sua cura nell'Archivio Storico Stelliano ed annotate.
Si pubblicarono sino al V. capitolo, pagine 112: vol. XVIII, 1893,1, XIX,
1894, 65, e XXI, 1896, 97 (numerazione separata).
Per la inaugurazione del busto di Giacomo Leopardi alla Villa Giulia il 4
aprile 1899. [Discorso] (con la fotografia del busto). Palermo, Stab. Tipogra-
fico Virzì, 1899.
Era Presidente del Comitato che promosse l'erezione del monumento.
Carini ebbe mai vescovado? La Sicilia Sacra, I, 1899, 481.
Riporta il tratto del Terranova che afferma essere stata Carini sede di ve-
scovado e la nota da lui apposta.
Giuseppe Piazzi ed alcuni versi latini di Francesco di Paola Sampolo. Pa-
lermo, Stab. Tip. Virzì, 1901.
Precedono notizie di Giuseppe Piazzi e di Francesco Sampolo. Seguono :
IJosepho Platio astronomo celebratissimo Exametri Francisci de Paula Sampolo e
la Traduzione italiana del prof. Ugo Antonio Amico.
Un canto in dialetto siciliano per le nozze di Carlo Felice di Savota con Marta
Cristina Borbone. Palermo, Stab. Tip. Lo Casto, 1902. Estratto dall’ Arzologia St-
eiliana, fasc. VII-VIII [621].
Mlustra il canto scritto da Francesco Sampolo; seguono il canto ed alcuni
documenti che si riferiscono alle nozze.
32 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
A Vincenzo Lilla pel XL anniversario del suo insegnamento 15 ottobre 1903.
Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio, 1903.
Lettera inedita di Giovanni Meli. Palermo, Tip. F. Barravecchia e figlio,
1904. [Lettura fatta all'Accademia ai 17 aprile 1904]. (Estratto dagli Atti della
R. Accademia di Scienze, lettere e belle arti, serie 3*, vol. VII)
Traduzioni.
TrIvuLZIO DE’ BeLGIOJOso CRISTINA. La rivoluzione e la repubblica di Vene-
zia. Traduzione dal francese. Palermo, Clamis e Roberti 1849.
La mimica siciliana (Brano di un lavoro: Sul linguaggio dei segni tra gli
Indiani dell'America del Nord di GaRRICK MALLERY pubblicato nel Primo rap-
porto annuale dell'Ufficio etnografico dal Segretario dell'Istituto Smitsoniano
(First annual Report of the Bureau of Ethnology to the Segretary of the Smithso-
nian Institution 1879-80). Archivio per le tradizioni popolari IIl, 1884, 445.
Ne fece una comunicazione all’Accademia nell'adunanza del 25 novembre 1883.
Bollettino Accademia, 1884, 7. i
Periodici.
La Favilla, Palermo 1856-59.
«I giovani che intrapresero la ava furono i signori Achille Basile,
Luigi de Brun, Carmelo Pardi, Camillo Randazzo, Luigi Sampolo, Giuseppe
Sensales ai quali si aggiunse Rosina Muzio Salvo.
« Vi collaborarono anche Calcedonio Inghilleri, Angelo Porcari, Francesco
Minà-Palumbo, Gaetano Daita, Isidoro La Lumia, Ugo Antonio Amico, Gioac-
chino Di Marzo, Onofrio Di Benedetto, Antonino Salinas, Benedetto Intrigila,
Giovambattista Filippo Basile ». Nota n. 12 apposta allo Elogio di Carmelo
Pardi.
Il 1° numero fu pubblicato il 1° Settembre 1856, il giornale visse sino
al 1859.
Nel 1563 Carmelo Pardi e Francesco Salesio Scavo pubblicarono la seconda
serie de Za Favilla ed il Sampolo vi scrisse parecchie recensioni.
Poesie.
Alle culte e gentili giovanette Luigia ed Eleonora Codemo. Treviso 1° giugno 1848.
Il Sampolo era in Treviso con la Legione Siciliana guidata da Giuseppe
La Masa e alla firma è apposto « Milite della Legione Siciliana ».
Al prof. can. Giuseppe Montalbano. In morte del fratello Vito: Un conforto.
V. In morte del Pretore avv. Vito Montalbano. Poesie di varì autori. Palermo,
Natale, 1873, pag. 33.
Il 19 luglio 1812 o l'abolizione della feudalità. Dipinto di Francesco Pado-
‘vani, settembre 1874.
Segue la traduzione latina del can. Giuseppe Montalbano.
Un saluto ad Acireale. Sonetto. 1874 (Palermo, Tip. dello Sfazuzo), [1874].
Contiene il detto sonetto e la traduzione latina del can. Giuseppe Montal-
bano, due sonetti di Lionardo Vigo: « A L. Sampolo » ed uno di Ernesto
Corti « AI cav. Lionardo Vigo ed al cav. prof. Luigi Sampolo ».
Fu ristampato nello stesso anno 1874 dallo Stab. Tip. Virzì.
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pe e 7 e pere |
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 33
A S. M. Margherita di Savoia Regina d'Italta che nel gennaro 1881 degnavasi
visitare lEducatorio Whitaker e l' Asilo rurale Principe Scordia. Versi messi in
musica dal marchese Antonio de Gregorio.
L’Educatorio per le istitutrici della infanzia e della puerizia fu fondato
nel 1876 da Francesco Enrico Scandurra, col 1° gennaro 1881, in omaggio
al suo maggiore benefattore Giuseppe Whitaker, assunse il nome di Educa-
torio Whitaker.
All’ illustre signor Giuseppe Whitaker pel suo giorno onomastico (19 marzo 1882).
Le alunne dell’Educatorio Whitaker.
Iscrizioni.
Fer Carmelo Pardi in Elogio dr Carmelo Pardi, pag. 26.
Per la solenne commemorazione di Giuseppe Whitaker [nell'| Educatorio Whitaker.
Iscrizione. XVII novembre MDCCCLXXXIV.
Per Gaetano Deltignoso in FALcoNE avv. Giuseppe. Elogio di Gaetano Delti-
gnoso. [letto al Circolo Giuridico il 14 novembre 1886], Palermo, Tip. dello
Statuto, 1887.
L'iscrizione è a pag. 47.
L’apertura del Liceo nei Regiò Conservatorio di Musica in Palermo. Palermo,
Stab. Tip. Virzì, 1890.
L'iscrizione è a pag. 5.
Commemorazioni.
Commemorazione di Emerico Amari, letta il 29 novembre 1870 nell’Univer-
sità di Palermo. Palermo, Tip. del Giornale di Sicilia, 1871. [Estratto dal
Circolo Giuridico, 1870, 1, 133].
Ricordanza di Micolò) Musmeci e L|uigi| Mercantini, letta il 15 dicembre 1872
nella grande aula della R. Università di Palermo, Palermo, Tip. Morvillo, 1873.
La commemorazione riguardante il Musmeci fu inserita nel Circolo Giuri-
MICOSTII, 1872, I, 231.
In morte del prof. Paolo Morello. Parole lette nel chiostro di S. Antonino
il 12 luglio 1873. Palermo. Tip. del Giornale di Sicilia, 18973.
Segue Elenco delle opere del prof. Paolo Morello, pag. 17.
lesse allo sciogliersi del corteo funebre queste parole, poi nel 1888 fece
un discorso per l'inaugurazione del monumento nel cimitero di Santa Maria
di Gesù.
Ginseppe Pisanelli, Commemorazione letta [al Circolo Giuridico il 4 mag-
gio 1879] nella grande sala dell’ Università ricorrendo l’undecimo anniver-
sario della fondazione del Circolo Giuridico. Palermo Stab. Tip. Virzì, 1881.
Estratta dal Circolo Giuridico di Palermo, [XI, 1880, I., 197 e 257].
Di Giuseppe Ugdulena e di Emidio Pacifici Mazzoni. Commemorazione letta
[nell’anno scolastico 1880-81 pel riaprimento del corso di diritto civile] nella
R. Università di Palermo. In Palermo coi tipi di P. Montaina e C. 1881.
(Estratto dalle Nuove Effemeridi Siciliane, vol. X), [Serie III, 241].
Comm. avv. Vincenzo Di Marco (Palermo, Virzì 1881).
34 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Poche parole pel comm. avv. Vincenzo Di Marco. Palermo, Stab. tip. Virzì. 1881,
2* edizione. Inserite nel Circolo Giuridico, XII, 1881, I, 58.
Elogio di Vincenzo Di Marco, letto nella solenne tornata dei 20 novembre
1881 all'Accademia di scienze, lettere ed arti. Palermo tip. del Grorma/e di
Steilta, 1882, (con ritratto). Estratto dal vol. VIII della Nuova [2°] Serie degli
Atti dell’Accademia.
Precede il processo verbale dell'adunanza p. 3.
Commemorazione di Isidoro La Lumia, letta alla Società Siciliana di Eco-
nomia politica nell'adunanza del 5 ottobre 1879. Grormale ed Atti della Società
Siciliana di Economia politica 1879, IV, 120.
Commemorazione di Gaetano Deltignoso, letta [il 24 aprile 1887] alla Società
Siciliana di Economia politica. Palermo, tip. Militare, 1887. (Estratta da Gzor-
nale ed Atti della Società Siciliana di Economia politica). [Nuova Serie, vol. II,
anno XIII, 1887, 11].
Per la inaugurazione del monumento a Paolo Morello. Discorso letto il 10 lu-
glio 1888 nel Cimitero di S. Maria di Gesù. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1889.
(con la fotoincisione del monumento).
Elogio di Carmelo Pardi, letto il 27 luglio 890 nella sala della R. Scuola
normale maschile G. A. De Cosmi. Palermo. Stab. tip. Virzì, 1890.
Della vita e delle opere di Raffaello Busacca. Palermo, tip. F. Barravecchia
e figlio, 1895. [Estratto dal vol. III della 3* Serie degli Atti della R. Acca-
demia].
Lesse alla R. Accademia il 19 marzo 1903 1 elogio di Busacca, il lavoro
pubblicato è assai più ampio e più particolareggiato.
Di Antonino Turretta e dei suor tempi. In occasione del ritratto di lui dona sa
ai Circolo Giuridico. Discorso letto il 28 luglio 1896. Palermo, Stab. tipogra- 9
fico Virzì, 1896. (Estratto dal Circolo Giuridico vol. XXVII, parte I, 1896) [296]. î
Commemorazione di Vincenzo Errante. Palermo tip. F. Barravecchia e figlio. i
[Letta alla R. Accademia il 21 novembre 1897|. Estratto dal vol. VI della 3* A
Serie degli Atti della R. Accademia. +
Eicordo dello Abate Vincenzo Crisafulli, letto nella tornata [della R. Aeca-
demia di Scienze lettere e belle arti] del 16 giugno 1901, Palermo tip. F. Bar- —
ravecchia e figlio, 1901. [Estratto dal vol. VI della 3% Serie degli Atti della ;
R. Accademia], i
Necrologie.
Giovannina Sampolo in Lacrime e fiori sull’urna di Giovannina Sampolo
Manzella, Palermo, Clamis e Roberti 1852. ;
Necrologia di Salvatore Madonia. Palermo, tip. del giornale 2? i 1881.
È inserita nel Circolo Giuridico 1881, I, 190. )
Cenno necrologico dell'avv.Giovanni Ferlazzo. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1885.
Estratto dalla Rivista Il Circolo Giuridico, anno XVI, fasc. XII [1885, I, 30008
Luigi Testa vicepresidente del Circolo Giuridico (Letta al Circolo Giuridico il5
febbraio 1899). Estratto dal Circolo Ginridico parte I, vol. XXX, 1899, [71].
COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO 35
Salvatore Sangiorgi Di Maria. Parole lette al Circolo Giuridico nella tor-
nata del 6 maggio [1900]. Palermo, Stab. tip. Virzì, 1900 (Estratto dal C7rcolo
Giuridico vol. XXXI, parte I), 1900, [147].
Elogio di Giuseppe Eugenio Furitano vicepresidente del Circolo Giuridico
[Letto al Circolo Giuridico il 16 giugno 1902] Palermo, Stab. tip. Virzì, 1902.
(Estratto dal Circolo Giuridico, vol. XXIII. parte I, 1902, [309].
Profili e cenni biografici.
Giuristi ed Economisti.
Filippo Orlando, Consigliere della Cassazione di Palermo, Circolo Ginridico,
MSI.
Bartolomeo d’Ondes Rau, Czrcolo Giuridico, IX, 1878, I, 183.
Salvatore Iannelli, Circolo Giuridico, X, 1879, I, 158.
Diego Orlando, Circolo Giuridico, X, 1879, IL, 217.
Michelangelo Raibaudi, Circolo Giuridico, X, 1879, I, 219.
Pietro Castiglia, Primo Presidente della Corte di Cassazione di Palermo,
Circolo Ginridico, XI, 1880, I, 38.
Nicolò Uzzo, Circolo Giuridico, XI, 1880, I, 64.
Luigi Mazza, Circolo Giuridico, XI, i880, I, 94.
Gaetano Parisi, Presidente di Sezione alla Corte di Cassazione di Palermo,
Circolo Giuridico, XI, 18S0; I, 95.
Antonio Fulci. (Parole lette il 16 gennaro 1883 nella scuola di diritto civi-
le), Circolo Giuridico, XIV, 1883, I, 3.
Agostino Invidiato, Bollettino Accademia, 1884,39.
. Giovanni Demolombe, Circolo Giuridico, XVIII, 1887, I, 64.
Francesco Laurent, Circolo Giuridico, XVIII, 1887, I, 69.
Paolo Maltese, Circolo Giuridico, XX, 1889, 1, 157.
Giovanni Bruno, Bollettino Accademia, 1891, 79.
Francesco Nobile, Bo//elfino Accademia, 1891, X, 52.
Ignazio Abrignani, Circolo Giuridico, XXXII, 1891, I, 30.
Agostino Todaro, Bollettino Accademia, 1892, 28.
Salvatore Crisafulli, Bo//eltino Accademia, 1892, 55.
. Francesco Saluto, Circolo Ginridico, XXIII, 1892, I, 32.
Leone Larombière, Czrcolo Giuridico, XXVI, 1893, I, 184.
. Nicola De Crescenzio, Circolo Giuridico, XXVI, 1895, I, 78.
Francesco Saverio Caiazzo, Circolo Giuridico, XXV, 1894, I, 119.
Antonio Pertile, Circolo Giuridico, XXVI, 1895, I, 79.
Ludovico Fulci, Circolo Giuridico, XXVII, 1896, I, 73.
Giovanni Costantini, Circolo Giuridico, XXVII, 1896, I, 77.
Francesco Auriti, Parole lette nell'adunanza del Circolo Giuridico del 26
aprile 1896, Circolo Giuridico, XXVII, 1896, I, 131.
Giuseppe di Menza, Parole lette nell'adunanza del Circolo Giuridico del
26 aprile 1896, Circolo Giuridico, XXVII, 1896, I, 133.
Gaetano Feri, Circolo Giuridico, XXVIII, 1897, I, 78.
36 COMMEMORAZIONE DI LUIGI SAMPOLO
Filippo Serafini, Parole dette agli studenti di diritto civile addì 18 maggio
1897, Circolo Giuridico, XXVIII, 1897, I, 147.
Luigi Goldschmidt, Circolo Giuridico, XXVIII, 1897, I, 235.
Giuseppe Ceneri, Circolo Giuridico, XXIX, 1898, I, 166.
Domenico Viti, Circolo Giuridico, XXIX, 1898, I, 168.
Carlo Dionisotti, Circolo Giuridico, XXX, 1899, I, 99.
Vito La Mantia, Circolo Giuridico, XXXV, 1904, I, 164.
Letterati, storici e scienziati.
Vincenzo Tineo, La Favilla, 1856, 18.
Giuseppe de Spi:ches, principe di Galati. Parole pronunziate [a nome del-
l'Accademia], innanzi al feretro il 14 novembre 1884. Lo Statuto, 15 novembre
1884, n. 315; Bollettino Accademia, 1884, 44.
Simone Corleo, Bollettino Accademia, 1890, 16.
Seguono le Parole pronunziate (a nome dell’Accademia) innanzi il corteo
che accompagnava la salma del prof. Corleo al cimitero di S. Orsola (2 mar-
zo 1890) Grornale di Sicilia, 3-4 marzo 1890, n. 62; Bollettino Accademia, 1890, 19;
La filosofia, anno II, fasc. I, luglio - agosto 1891, pag. 47: /n memoria del
prof. Simone Corleo, Palermo, Amenta 1891, pag. 47.
Nicolò Cervello, Bo//ettfino Accademia, 1890, 24.
G. B. Filippo Basile, Bo//ettino Accademia, 1891, 112.
Francesco Perez, Bollettino Accademia, 1892, 21.
Giuseppe Albeggiani, Bollettino Accademia, 1892, 53.
Giovanni Fraccia, Bollettino Accademia, 1893, 27.
Salvatore Cusa. Parole lette [a nome dell’Accademia] nella piazza del Po-
liteama [innanzi al feretro] addì 1° dicembre 1893, Bollettino Accademia, 1893, 29.
Innanzi al feretro del prof. Saverio Cavallari. [Parole pronunziate a nome
dell’Accademia il 30 agosto 1896], Bollettino Accademia, 1896, 4i.
Nei funeri del sac. prof. Giuseppe Orlando. |Parole pronunziate a nome
dell’ Accademia dinanzi al feretro il 27 marzo 1896]. La Szeslza Cattolica 28-29
marzo 1896 n. 72; Bollettino Accademia, 1896, 43.
Tutti i profili e cenni biografici pubblicati nel Bo//eftino dell’ Accademia,
sono seguiti dalla Bibliografia delle opere degli estinti.
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RelLASS.UNTO
DELLE
OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE
Nel R. Osservatorio di Palermo (Valverde)
NEGLI ANNI 1904-5-6=7
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RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ESE
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BAROMETRO Termometro centigrado VENTI
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Novembre. . . .. 63,40 | 20 56,91 | 45,00| 24 25,6 % 13,4| 44 19 SW 7,8 |
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Medie, estremi e I
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ORIO DI VALVERDE IN PALERMO DURANTE L'ANNO 1904
Altitudine della Stazione m. 72,2
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annuale del termometro 18,47 Escursione termometrica annua = 359,4.
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Massima forza del vento = Km. 60 alle ore 19 del giorno 4 febbraio
RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE E
BAROMETRO Termometro centigrado
MESI
Predominante
Forza media
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Febbraio. . . ... 69,60 | 4-5 | 5846| 4800) 21 | 181| 21 | 9,67|—05| 15
Marzo cu. 6240 | 30 | 55,10| 4670| 3 | 226) 13 |1377| 30 | 6
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Maggio ...... 6180 | 1 5497 | 4540| 23 | 296| 5 |1901| 77 | 1
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Luglio pa 5940 | 2-3 | 57,78) 5180] 15 | 360) 1 |26,93| 167| 29
Agosto... .... 5920 | 9 | 5621) 4880| 29 | 381| 29 |2676| 167) 24
Settembre. . ... 59,80 | 11 | 56,10| 5162| 24 | 368 25 | 25,17] 130| 23
Ottobre ...... 62,30 | 27-28| 5471| 4880) 17 | 291| 26 | 1848] 92 | 28
Novembre. . ... 62,30 |26-27| 55,56 | 40,65 |13-14| 284| 4 |1715| 52 | 27
Dicembre... .. 68,20 | 21 | 5955| 5180|29-30| 181| 8 |1225| 43 | 27
Medie, estremi e
totali annui .. | 769,60 — 756,29 | 740,65 — 88,1 — 18,12/—05| —
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Medio. . ... annuale del barometro ‘(56,29 Escursione barometrica annua = mm. 28;£
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Altitudine della Stazione m. 72,2
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Massima forza del vento = Km. 56 alle ore 18 del giorno 21 febbraio
RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ESE
BAROMETRO
Termometro centigrado
Forza media
Minimo. . . .
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Agosto. . . .... 61,20 | 31 56,57 | 52,00 | 11 39,1 | 10 |26,46| 14,7) 22 ENE
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Ottobre . ..... 62,80 | 21 56,81 | 44,60 | 15 25,5 | 14.20 | 1946| 95 24
Novembre. ... .. 66,30 | 24 58,10 | 45,60 1 28,1 q 16,61| 6,0 27 ENE
Dicembre... .. 61,50 | 13-23 | 52,42 | 42,69 | 10 20,9 8 11,06| 1,5 |20.23| SSW
Medie, estremi e
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10 DI VALVERDE IN PALERMO DURANTE L'ANNO 1906
Altitudine della Stazione m. 72,2
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Massima forza del vento = Km. 55 alle ore 15 del giorno 6 febbraio
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Dicembre... .. 7050 | 18 | 5820| 46,60| 29 | 206| 11 |13,83| 10 | 18 S
Medie, estremi e
totali annui . . || 770,60 | — | 756,32 | 738,30 | — 34,4 | — |17,64|-04| — ENE
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Medio... .. annuale del barometro | ‘(56,32 Escursione barometrica annua = mm. 2,0
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0 DI VALVERDE IN PALERMO DURANTE L’ANNO 1907
Altitudine della Stazione m. 72,2
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ATTI DELL'ACCADEMIA —.
DI
Scienze, Lettere ed Arti
—.—
PRIMA SERIE
Saggi di dissertazione dell’ Accademia palermitana del Buon Gusto anno 1755.
Saggi di dissertazione dell’Accademia palermitana del Buon Gusto dopo la —
sua reintegrazione l’anno 1791 . . . . . . . ... . anno 1800%
NUOVA SERIE
Atti dell’Accademia di Scienze e Lettere di Palermo
Vol. 3
Vol.
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1859 —
1874
Vol. 1875 _—
Vol. 1878-79
Vol. 1882
Vol. . + 1886. ;
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TERZA SERIE
Atti della R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti
Molde:
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Vol. IV
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Vol. VI.
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SAVOIR
ATTI
DELLA
ERLE ACCADEMIA
DI PALERMO
TERZA SERIE
(Anni 1908-09-10-11)
Volume IX.
PALERMO
- Stabil. Tip.-Litogr. dell'Impresa Generale d’Affissione e Pubblicità
già F. Barravecehia e F.0
1912
ACEA
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