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Full text of "Atti dell' Accademia Gioenia di Scienze Naturali in Catania"

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<5".  ///< F.  A.  37. 


14  MAY.  1907 


ATTI 


DELLA 


DI  SCIENZE  NATURALI 


IJV  CATANIA 


ANNO  LXXXIII 

19  0 6 


S E IES  I IE  QTJAETA 


VOLUME  XIX. 


C.  GALÀTOLA,  EDITORE 

1 9 0 6. 


1 4 MAY.  1907 


ATTI 

DELLA 

ACCADEMIA  GIOENIA 

DI  SCIENZE  NATURALI 

IN  CATANIA 


ANNO  LXXXIII 

19  0 6 


QUARTA 


VOLUME  XIX. 


O.  OALÀTOLA  , EDITORE 


1 9 0 6. 


Catania 


Stabilimento  Tipografico  C.  6 alatola 


Accademia  Gioenia  di  Scienze  Naturali 

IN  CATANIA 


Cariche  Accademiche  per  l’anno  1905-’906 


UFFICIO  DI  PRESIDENZA 


RICCO  Uff.  Prof.  Annibale  — Presidente 
CLEMENTI  Comm.  Prof.  Gesualdo  — Vice-Presidente 
RUSSO  Prof.  Achille  — Segretario 

PENNACCHIETTI  Gav.  Prof.  Giovanni  — Vice-Segretario  per  la  sezione  di 

Scienze  fisiche  e matematiche 
FELETTI  Cav.  Prof.  Raimondo  — Vice-Segretario  per  la  sezione  di  Scienze 

naturali 


CONSIGLIO  DI  AMMINISTRAZIONE 


STADERINI  Prof.  Rutilio 

PIERI  Prof.  Mario 

PERRANDO  Prof.  Gian  Giacomo 

GRASSI  Cav.  Prof.  Giuseppe  — Cassiere 

LAURICELLA  Prof.  Giuseppe  — Bibliotecario 


Elenco  dei  Soci  Onorari,  Effettivi  e Corrispondenti 


Soci  Onorari 

NOMINATI  DOPO  L’  APPROVAZIONE  DEL  NUOVO  STATUTO 


S.  A.  R.  IL  DUCA  DEGLI  ABRUZZI 


Todaro  sen.  comm.  prof.  Francesco 
Chaix  prof.  Emilio 
Macaiuso  comm.  prof.  Damiano 
Cannizzaro  sen.  gr.  uff.  prof.  Stanislao 
Mosso  sen.  comm.  prof.  Angelo 
Blaserna  sen.  comm.  prof.  Pietro 
Naccari  uff.  prof.  Andrea 
Struver  comm.  prof.  Giovanni 
Ròiti  uff.  prof.  Antonino 
Cerruti  sen.  comm.  prof.  Valentino 
Berthelot  prof.  Marcellino 


Grassi  cav.  prof.  Battista 
Schiaparelli  sen.  comm.  prof.  Giovanni 
Wiedemann  prof.  Eilhard 
Capellini  sen.  comm.  prof.  Giovanni 
Righi  sen.  prof.  Augusto 
Volterra  sen.  prof.  Vito 
Dini  sen.  comm.  prof.  Ulisse 
Ciamician  comm.  prof.  Giacomo 
Dohrn  comm.  prof.  Antonio 
Briosi  comm.  prof.  Giovanni 


SOCI  EFFETTIVI 


1.  Clementi  comm.  prof.  Gesualdo 

2.  Orsini  Faraone  prof.  Angelo 

3.  Basile  prof.  Gioachino 

4.  Capparelli  uff.  prof.  Andrea 

5.  Mollame  cav.  prof.  Vincenzo 

6.  Aradas  cav.  prof.  Salvatore 

7.  Di  Sangiuliano  march,  gr.  uff.  Ant. 

8.  Ughetti  cav.  prof.  Giambattista 

9.  Fichera  uff.  prof.  Filadelfo 

10.  Feletti  cav.  prof.  Raimondo 

11.  Pennacchietti  cav.  prof.  Giovanni 

12.  Petrone  uff.  prof.  Angelo 

13.  Ricco  Uff.  prof.  Annibaie 

14.  Curci  cav.  prof.  Antonino 

15.  Bucca  prof.  Lorenzo 


10.  Grimaldi  cav.  prof.  Giov.  Pietro 

17.  Grassi  cav.  prof.  Giuseppe 

18.  Di  Mattei  uff.  prof.  Eugenio 

19.  D’  Abundo  prof.  Giuseppe 

20.  Lauricella  prof.  Giuseppe 

21.  Pieri  prof.  Mario 

22.  Staderini  prof.  Rutilio 

23.  Russo  prof.  Achille 

24.  Perrando  prof.  Gian  Giacomo 

25  

26  

27  

28  

29  

30  


SOCI  EFFETTIVI 

DIVENUTI  CORRISPONDENTI  PER  CAMBIAMENTO  DI  RESIDENZA 


Speciale  prof.  Sebastiano 
Stracciati  prof.  Enrico 
Peratoner  prof.  Alberto 
Leonardi  gr.  uff.  avv.  Giovanni 
Ricciardi  uff.  prof.  Leonardo 


Baccarini  prof.  Pasquale 
Zanetti  prof.  Carlo  Umberto 
Cavara  prof.  Fridiano 
Fubini  prof.  Guido 


SOCI  CORRISPONDENTI 

NOMINATI  DOPO  l’  APPROVAZIONE  DEL  NUOVO  STATUTO 


Pelizzari  prof.  Guido 
Martinetti  prof.  Vittorio 
Meli  prof.  Romolo 
Papasogli  prof.  Giorgio 
Condorelli  Francaviglia  dott.  Mario 
Pisani  dott.  Rocco 
Bassani  cav.  prof.  Francesco 
Gaglio  cav.  prof.  Gaetano 
Moscato  dott.  Pasquale 
Guzzardi  dott.  Michele 
Alonzo  dott.  Giovanni 
Distefano  dott.  Giovanni 
Gozzolino  uff.  prof.  Vincenzo 
Magnanini  prof.  Gaetano 
Sella  prof.  Alfonso 
Pagliani  cav.  prof.  Stefano 
Chistoni  cav.  prof.  Ciro 
Galitzine  Principe  Boris 
Battelli  cav.  prof.  Angelo 
Guglielmo  prof.  Giovanni 
Cardani  cav.  prof.  Pietro 
Garbieri  cav.  prof.  Giovanni 
Giannetti  cav.  prof.  Paolo 
Cervello  comm.  prof.  Vincenzo 
Albertoni  cav.  prof'.  Pietro 
La  Monaca  dott.  Silvestro 
Luciani  sen.  comm.  prof.  Luigi 


Zona  cav.  prof.  Temistocle 
Bazzi  prof.  Eugenio 
Chironi  cav.  prof.  Vincenzo 
Morselli  prof.  Enrico 
Raffo  dott.  Guido 
Materazzo  dott.  Giuseppe 
Borzì  cav.  prof.  Antonio 
Falco  dott.  Francesco 
Del  Lungo  prof.  dott.  Carlo 
Giovannozzi  prof.  Giovanni 
Kohlrausch  prof.  Giovanni 
Zambacco  dott.  N. 

Donati  prof.  Luigi 
De  Heen  prof.  Pietro 
Pernice  prof.  Biagio 
Caldarera  dott.  Gaetano 
Salomone  Marino  prof.  Salvatore 
Pandolfì  dott.  Eduardo 
Lo  Bianco  dott.  Salvatore 
Guzzanti  cav.  Corrado 
Valenti  prof.  Giulio 
Majorana  dott.  Quirino 
Boggio-Lera  prof.  Enrico 
Lo  Priore  prof.  Giuseppe 
Pinto  prof.  Luigi 
Romiti  Prof.  Guglielmo 


Divenuto  Socio  corrispondente  per  dimissione  dal  grado  di  effettivo. 


' 


. 

- 


» 

. 

. 

. 

... 

- 

M 

' 


Memoria  J. 


Sul  movimento  piano  di  un  punto  materiale  libero  nello  spazio 


Nota  di  G.  PENNAGCHIETTI 


Il  Prof.  Giuseppe  Bardeìli  in  una  Nota  pubblicata  nei  Ren- 
diconti dell1  Istituto  Lombardo  (1)  si  propone  il  problema,  per 
cui,  date  le  equazioni  differenziali  del  moto  di  un  punto  ma- 
teriale libero  nello  spazio,  si  vuol  riconoscere,  senza  eseguire 
nemmeno  parziali  integrazioni,  se  la  traiettoria  è piana.  Non 
mi  sembra  superfluo  aggiungere  alcuni,  per  quanto  semplici, 
svolgimenti  alle  considerazioni  del  Bardeìli , le  quali,  sebbene 
riferentisi  a problema  di  facile  soluzione,  hanno  tuttavia  senza 
alcun  dubbio  molta  importanza. 

I.  Siano  : 


(1) 


d2  x d2  y d2z 

~dF  ~ " 1 di2  = 1 W ~ 


le  equazioni  differenziali  del  moto  e le  forze  X,  Y,  Z siano  date 
in  modo  che  la  traiettoria  sia  in  un  piano  passante  per  un  punto 
dato  che  prenderemo,  per  semplicità,  come  origine  delle  coor- 
dinate. La  equazione  del  piano  sia  : 

(2)  x -f  c{y  c2s  = 0, 

dove  i coefficienti  er  e2  sono  arbitrari  e la  loro  determinazione, 
nell1  ipotesi  fatta  sulle  forze  date,  sarà  completa  appenachè  sa- 


Serie.  II,  voi.  XXXVIII,  1905. 

Atti  acci.  Serie  4%  Voi..  XIX — Mem.  I. 


1 


2 


Prof.  tì.  Pennacchietti 


[Memoria  I.] 


ranno  conosciuti  i dati  iniziali  del  problema  del  moto.  Deno- 
tando con  apici  le  derivate  rispetto  al  tempo  e dovendosi  avere  : 

(3)  X -f-  CJ)  -p  G%Z  z=z  0 , 

il  problema  del  moto  ammetterà  i due  integrali  primi  frazionari 
rispetto  a x , y , z : 

. zx  — xz  xy'  — yx 

(4  C - 7 7 , C = p— 7 . 

yz  — zy  yz  — zy 

Le  (4)  esprimono  la  proprietà,  manifesta  a priori , che,  se 
la  traiettoria  è piana,  il  momento  geometrico  della  quantità  di 
moto  o della  velocità  è normale  al  piano  della  traiettoria  stessa. 

Dalla  (3)  si  avrà  identicamente,  in  virtù  del  sistema  (1) 
delle  equazioni  differenziali  del  moto  : 


(5) 


X -f  ol  Y -j-  c2  Z — 0. 


Eliminando  cv  c2  dalle  tre  equazioni  lineari  simultanee  (2) 
(3),  (5)  ovvero  derivando  totalmente  l’  una  o l1  altra  delle  (4) 
con  riguardo  alle  (4),  si  avrà  : 


X1 
JC  j 

X, 


y, 


z 

z 

Z 


= 0, 


la  quale  equazione,  sviluppata,  prende  la  forma  : 

((5)  X ( yz  — zy)  -j-  Y (zx  — xz')  -)-  Z ( xy'  — yx)  = 0 , 

od  anche  : 


x ( yZ  — zY)  -)-  y'  (zX  — zZ)  -f-  z (xY  — yXj  = 0. 

Da  ciò  risulta  immediatamente  la  seguente  proposizione, 
che  è però  evidente  a priori  senza  che  alcun  calcolo  sia  neces- 
sario, cioè  : L<i  condizione  necessaria  e sufficiente  affinchè  un  ino- 


tini  movimento  piano  di  un  punto  materiale  libero  nello  spazio 


3 


bile  libero  nello  spazio,  sotto  V azione  di  una  forza , descriva  una 
traiettoria  situata  in  un  piano  passante  per  un  punto  dato , è che 
la  forza  sia  normale  al  momento  geometrico  della  velocità  rispetto 
al  punto  dato , o ciò  che  è lo  stesso,  il  momento  geometrico  della 
forza  rispetto  al  punto  dato  sia  normale  alla  velocità. 

Se  le  forze  debbono,  per  ipotesi  dipendere  unicamente  dalle 
coordinate  x,  g,  z e possono  dipendere,  anche  esplicitamente, 
dal  tempo,  ma  non  debbono  dipendere  dalle  componenti  x , y/,  z 
della  velocità,  la  (6)  non  può  essere  soddisfatta  che  quando  sia: 

x _ r _ z 

x y z 

In  questo  caso  particolare  il  momento  geometrico  della 
quantità  di  moto  non  solo  è normale  alla  traiettoria,  ma,  come 
si  sa,  è inoltre  costante  in  grandezza  ed  il  problema  del  moto 
ammette  i tre  integrali  notissimi  delle  aree,  cioè  sono  costanti 
il  denominatore  comune  e i due  numeratori  dei  rapporti  che 
costituiscono  i secondi  membri  dei  due  integrali  (4).  Dunque  : 
La  condizione  necessaria  e sufficiente  affinché  un  mobile , libero  nello 
spazio , nell ’ ipotesi  che  le  tre  componenti  della  forza  debbano  di- 
pendere dalle  sole  coordinate  e possano  dipendere  dal  tempo,  anche 
esplicitamente,  ma  non  dalle  componenti  x',  y,  vi  della  velocità , resti 
in  un  piano  passante  per  un  punto  dato , è che  la  linea  di  azione 
della  forza  passi  costantemente  per  questo  punto. 

II.  Più  generalmente  la  traiettoria  si  trovi  in  un  piano 
qualunque,  cioè  si  tolga  la  restrizione  che  il  piano  passi  per 
un  punto  dato  e la  equazione  del  piano  sia  : 


(1) 


epe  -|-  cpy  -(-  c.p  — . 1. 


cf  -f-  cgj  -(-  cf  = 0 , 
ctA  -j-  c9l  -j-  e.f/j  — 0 , 
CiX  + cX  + c3Z'  = 0 , 


(2) 

(3) 

(4) 


Si  dovrà  avere  : 


4 


Frof.  tì.  Fennaccliietti 


[Memoria  IJ. 


essendo  X\  Jr/,  Z' , le  derivate  totali  di  X,  Y,  Z , rispetto  al 
tempo. 

Si  dovrà  avere  identicamente  : 


Supponendo  che  X,  Y,  Z dipendano  generalmente  da  x,  //, 
z,  x,  y\  z , t,  è (piesta  un’  equazione  differenziale  parziale  alla 
quale  debbono  soddisfare  X , Y,  Z affinchè  il  problema  del  moto 
ammetta  V integrale  (1),  o ciò  che  è lo  stesso,  il  problema  del 
moto  ammetta  i tre  integrali  primi  frazionari  che  si  ottengono 
risolvendo  le  (1),  (2),  (3)  rispetto  alle  tre  costanti  cv  c.2,  c3. 

Aggiungiamo  la  restrizione  che  A”,  Y,  Z debbano  dipendere 
unicamente  dalla  posizione  del  mobile  e possano  dipendere  dal 
tempo  anche  esplicitamente  , ma  non  debbano  dipendere  da  x, 
y\  z . Allora  la  (5)  sviluppata  diviene  : 


Uguagliando  a zero  i coefficienti  di  x '2,  y'2,  z '2,  xy\  y'z , z'x, 
si  hanno  le  sei  equazioni  : 


x,  IJ,  z 


(7) 


Sul  movimento  piano  di  un  punto  materiale  libero  nello  spazio 


Però  1’  ultima  equazione  è una  combinazione  lineare  delle 
precedenti  (6),  (7),  perchè  moltiplicando  le  (6),  le  (7)  e rultima 
rispettivamente  per  — A"2,  — l72,  — Z2,  A A7,  YZ,  ZX  e somman- 
do, si  ottiene  manifestamente  un’  identità. 

Finalmente  eguagliando  a zero  i coefficienti  di  x,  y,  z,  si 

ha  : 


ax  3T 

(8)  dt  dt  dt 

~X  Y Z ' 

Dalle  (6)  si  deduce  : 


(9)  X — y/a  {x,  y,  t),  Y = Z fl  ( y , g,  t),  Z = X f2  (g,  x,  t), 

essendo  f3  tre  funzioni  soddisfacenti  identicamente  alla 

relazione  : 

{}/,  Z,  t)  . ft  (z,  X,  t)  . /;  (, X , y,  t)  = 1. 


Da  questa  identità  è facile  trarre  che,  in  generale,  dovrà 
essere  : 


(io) 


fi.  (V,  «7  *)  = 


F;,  (z,  t) 
^2  (y,  0 ’ 


f2  (®>  xi  0 = 
fz  (®j  y.  0 = 


f , («,  0 

(*,  *)  \ 

(X,  t) 

Fj  (®,  i)  ’ 


essendo  VF1  (x,  t),  F2  (//,  /),  vIr3  (~,  t)  tre  funzioni  arbitrarie  degli 
argomenti  posti  in  evidenza. 

Esprimendo  che  le  (9)  e (10)  soddisfano  alla  prima  delle 
(7)  si  trova  facilmente  che  dev’  essere  : 


xl\  {x , t)  = 


z0  (t)  X -f-  (■ t ) 


F2  (y,  t)  = 


(0  x + S (0 


G 


Prof.  G.  Pennacchietti 


[Memoria  I.] 


Esprimendo  finalmente  ohe  anche  la  seconda  delle  (7)  de- 
y’  essere  soddisfatta,  si  trova  : 


V 0,  t) 


fc0 


(fi 


(fi 


ove  n3  (t)  è una  funzione  arbitraria  di  fi 

Tenendo  adunque  conto  soltanto  delle  (6),  (7),  si  ha  : 

X _ Y _ Z 

7T0  (fi  oc  + iq  (fi  ~~  (fi  X + ic4  (fi  — TZ0  (fi  z + x3  (fi 

e finalmente,  tenendo  conto  anche  delle  (8  j,  si  vede  che  n0  (/), 
ni  (#),  n2  (t),  h3  (fi)  devono  ridursi  a costanti  fi,  a,  b,  c , all’  in- 
fuori di  un  fattore  comune  f (fi)  funzione  del  tempo  , il  quale 
fattore  può  evidentemente  essere  soppresso. 

Si  avranno  così  le  seguenti  condizioni  per  le  forze  : 


lece  -[-  a ly  -j-  b A ;z  -j-  c 


Se  è identicamente  fi=o,  la  forza  ha  direzione  costante  ; 
se  fi  =|=  o,  la  sua  linea  d’  azione  passa  per  il  punto  fisso  di  coor- 
dinate   y, — , y.  Se  sono  dati  i rapporti  di  tre  delle 

le  le  le 

quantità  fi,  a,  b , c alla  quarta,  cioè  se  è dato  il  punto  pel  qua- 
le deve  passare  costantemente  la  linea  d’  azione  della  forza,  le 
costanti  cl9  c.2,  c3  che  figurano  nell’  equazione  (1)  del  piano  , si 
determinano  per  mezzo  delle  equazioni  : 

ClX0  4“  C2$'o  4“  CSZ0  1 ? 

C1XU  + C22/o  4~  C3Z0  — 0 , 

CjC  — J — Cuyb  — | — c.^c  — [ — lì  — 0 , 

a cui,  in  virtù  delle  (11),  si  riduce  il  sistema  delle  (1),  (2),  (3) 
per  la  sostituzione  dei  valori  iniziali. 


Sul  movimento  piano  di  un  punto  materiale  libero  nello  spazio 


7 


Si  conclude  che  : La  condizione  necessaria  e sufficiente  af- 
finchè un  mobile , libero  nello  spazio , soggetto  alV  azione  di  una 
forza  le  cui  tre  componenti  debbano  dipendere  dalla  posizione  del 
mobile  e possano  dipendere  dal  tempo  anche  esplicitamente , ma  non 
debbano  dipendere  dalle  componenti  della  velocità,  descriva  una 
traiettoria  piana , è che  la  forza  sia  centrale , cioè  diretta  verso  un 
punto  fisso , che  può  essere  anche  a distanza  infinita. 


Catania,  10  aprile  1906. 


iVeiiioria  II 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una 
interessante  forma  di  Sìeospora  fierHarum  (Pers.)  Rab. 

per  F.  CAVAR  A e N.  MOLLICA  * " , 

( con  2 tavole  e ligure  intercalate  nel  testo  ) 


Le  ricerche  che  sono  oggetto  della  presente  memoria  si 
riferiscono  allo  studio  del  ciclo  evolutivo  di  una  forma  di  Pleo- 
sj)ora  herbarum  (Pers.)  Rab.  riscontrata  su  foglie  di  (Jorypha 
australi s , e che,  cimentata  in  vari  substrati  di  coltura,  diede 
con  straordinaria  costanza  ed  in  copia  stragrande  , veramente 
insperata,  determinate  forme  di  organi  riproduttori. 

Da  qualche  anno  un  bell1  esemplare  di  Gorypha  australis , 
coltivato  in  piena  terra  all’  Orto  botanico  di  Catania,  andava 
soggetto  a singolari  alterazioni  delle  foglie  che  dinotavano  un 
processo  patologico  perpetuantesi  da  un  periodo  vegetativo  all’al- 
tro. Le  foglie  giovani,  appena  dispiegatesi,  vi  andavano  soggette 
e le  alterazioni  si  accentuavano  sempre  più  col  graduale  sviluppo 
delle  foglie  stesse,  così  da  fare  pensare  che  il  processo  patologico 
fosse  di  natura  infettiva. 

L’  osservazione  attenta  delle  foglie  malate  mise  in  evi- 
denza realmente  che  sulle  porzioni  alterate  si  presentavano  qua 
e là  dei  minuti  corpiccioli  nerastri,  prominenti  che  erompevano 
dalla  epidermide  lacerata  e che,  ad  un  occhio  abituato,  si  pa- 
lesavano quali  con.cetta.coli  fruttiferi  di  un  mieromieete.  Esami- 
nati infatti  al  microscopio,  risultavano  quali  periteci  di  uno  sfe- 
riaceo  e precisamente  di  una  Pleospora.  La  costanza  colla  quale 
si  presentavano  cotesti  periteci  nelle  porzioni  inaridite  del  lembo 
fogliare,  la  consociazione  che  qua  e là  essi  mostravano  di  avere 
con  forme  conidiche,  che  si  connettono  col  ciclo  evolutivo  di 
tal  genere  di  pirenomiceti,  avvalorarono  l’idea  che  ad  un  Pleo- 

Atti  Acc.  Serie  4a,  Vor..  XiX  — Meni..  II. 


1 


2 


F.  Cavava  e N.  Mollica 


[Memoria  II.] 


spora  fosse  dovuto  il  caso  patologico  offerto  dalla  Corypha  au- 
strali. Se  ne  intraprese  perciò  uno  studio  sia  per  accertare  i rap- 
porti di  parassitismo,  sia  per  portare  un  contributo  alla  cono- 
scenza del  suo  ciclo  evolutivo.  Il  materiale  si  prestava  molto 
opportunamente  ad  una  indagine  perché,  come  si  disse  , il  pro- 
cesso patologico  era  continuativo  su  di  un  esemplare  molto  ri- 
goglioso e ricco  di  foglie,  le  quali  andavano  successivamente  sog- 
giacendo alla  infezione  ed  offrivano  perciò  stadi  graduali  di 
questa.  Parte  di  materiale  veniva,  ad  intervalli  di  tempo,  de- 
bitamente fissato  per  opportune  ricerche  microscopiche,  e parte 
ci  serviva  per  le  ricerche  di  coltura  del  micromicete  e per  altre 
investigazioni. 

Caratteri  macro-e  microscopici  delle  alterazioni. 

Sulle  foglie  di  Corypha  australi,  che  mostravano  i primi 
indizi  di  alterazioni,  si  notavano  delle  minutissime  lividure  o 
macchie  puntiformi  giallastre,  disposte  in  serie  nel  lembo  de- 
corrente fra  i cordoni  fibrovascolari,  macchie  dovute  a degene- 
razione dei  cloroplasti,  e che  viste  per  trasparenza  si  presenta- 
vano semidiafane  e come  una  soluzione  di  continuità  nel  tessuto 
assimilatore.  Tali  piccole  macchie  finivano  in  appresso  per  con- 
fluire insieme  in  guisa  da  formare  delle  linee  sinuose  , limitate 
dai  cordoni  fibrovascolari  e che  in  senso  radiale  si  estendevano 
dalla  base,  o inserzione  delle  nervature,  fino  presso  1’  estremità 
delle  lacinie  delle  foglie,  che  per  solito  non  raggiungevano. 

Mentre  andavano  così  estendendosi  le  dette  macchie  assu- 
mevano grado  a grado  un  colore  giallo  più  scuro  , fino  a di- 
venire giallo  ocraceo  o ferruginoso  , dopodiché  i tessuti,  colpiti 
da  necrosi,  inaridivano  e le  macchie  divenivano  grigio-cineree  ; 
il  lembo  allora  perdeva  ogni  consistenza,  si  faceva  fragile  e si 
rompeva  lungo  le  porzioni  alterate.  Le  nervature  di  vario  ordine 
restavano  solo  in  posto  con  sottile  porzione  di  tessuto  da  parte 
a parte,  onde  l’intera  foglia  veniva  ad  essere  divisa  in  numerose 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una  intomsante  forma  ecc. 


ó 


fibrille  riunite  solo  all1  estremità  delle  lacinie  e presso  il  pic- 
ciolo (Eig.  1). 


Fig.  1.  Foglia  di  Corypha  ausiralis  colpita  da  infezione  di  Pleospora. 


Prima  ancora  che  avvenisse  tale  sfibrili  amento  delle  foglie, 
sulle  linee  sinuose  o strie  di  lembo  alterato,  si  manifestavano  i 
minuti  concettaceli  carbonacei  del  pirenomicete,  molti  dei  quali 
restavano  pure  sulle  porzioni  sfrangiate  aderenti  alle  nervature 


4 


F.  Cavava  e JV.  Mollica. 


Memoria  II.] 


Facendo  bollire  pezzettini  di  foglia  alterata  in  idrato  potas- 
sico per  un  certo  tempo,  passandoli  successivamente  in  acido  ace- 
tico ed  in  acqua  glicerinata,  si  rendevano  assai  bene  manifesti 
al  microscopio  tali  concettacoli  contornati  da  fitto  intreccio  di 
filamenti  micelici,  dei  quali  quelli  che  circondavano  immediata- 
mente i periteci  erano  di  colore  bruno-oli  vaceo,  mentre  quelli  che 
si  internavano  nel  parenchima  fogliare  erano  incolori  o di  un 
giallo  chiaro.  Oltre  i periteci  si  riscontravano  alla  superfìcie  delle 
macchie  fogliari  delle  forme  conidiche  riferibili  ad  Aiternaria  e 
a Macrosporium  , ed  anche  degli  aggruppamenti  miceliari  e dei 
veri  e propri  sclerozi. 

Facendo  delle  sezioni  trasversali  o longitudinali  , in  corri- 
spondenza delle  porzioni  alterate,  si  potè  meglio  stabilire  il  de- 
corso del  micelio  , il  quale  era  prettamente  intercellulare.  Per 
metterlo  meglio  in  evidenza  bastò  trattare  le  sezioni  con  acqua 
di  Javelle  che,  come  è noto,  asporta  il  contenuto  delle  cellule,  e, 
dopo  opportuni  lavaggi,  colorarle  con  bleu  di  metilene  ed  cosina 
o con  verde  luce  e rosso  Congo  , od  anche  con  acido  lattico  e 
bleu  di  Poirier. 

Con  tali  processi  si  potè  ben  seguire  il  percorso  del  micelio 
anche  in  macchie  incipienti,  e là  dove  si  iniziava  la  formazione 
dei  conidiofori  (Fig.  1,  Tav.  I).  Le  ife  miceliche  erano,  come  si 
disse,  incolore  nell’ interno  dei  tessuti,  qua  e là  ramificate  e for- 
nite a brevi  intervalli  di  setti  trasversali. 

Il  loro  contenuto  era  dato  da  plasma  finamente  granulare 
e da  piccoli  nuclei  che  non  presentavano  una  struttura  differen- 
ziata, ma  sembravano  ridotti  a piccole  porzioni  di  sostanza  cro- 
matica. 

Quale  conseguenza  del  parassitismo  del  fungo,  le  cellule  del 
mesofìllo,  ad  immediato  contatto  del  micelio,  presentavano  note- 
voli modificazioni  sia  nel  contenuto  che  nelle  membrane  loro. 
Per  quanto  le  ife  non  mandassero  austorì  nell’  interno  delle  cel- 
lule, pure  il  loro  decorso  fra  cellula  e cellula  non  era  senza  azio- 
ne disorganizzatrice.  Fra  i prodotti  del  metabolismo  di  queste 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  eco. 


5 


ife  dovevanvi  essere  degli  enzimi  i quali  agivano  direttamente 
sulla  lamella  mediana  sciogliendola,  d’  onde  la  dissociazione  delle 
cellule,  il  disturbo  immancabile  nei  processi  osmotici  di  queste, 
quindi  plasmolisi  , degenerazione  dei  cloroplasti  e del  citopla- 
sma. La  scolorazione  del  mesolillo  lungo  le  porzioni  interfasciali 
era  precisamente  la  esterna  manifestazione  dei  disturbi  fisiologici 
causati  dal  decorso  intercellulare  del  micelio  parassita. 

Dalla  natura  delle  alterazioni  esterne  e cioè  dalla  forma 
delle  macchie  limitate  alle  tenui  porzioni  di  tessuto  fogliare  in- 
terposto alle  nervature  della  Goryplia  , è lecito  arguire  che  il 
micelio  non  aveva  azione  sopra  gli  elementi  molto  lignificati  del 
tessuto  conduttore,  il  quale  rimaneva,  come  si  disse,  illeso.  L’os- 
servazione microscopica  confermò  appunto  questo  arresto  nella 
diffusione  del  micelio  in  corrispondenza  dei  cordoni  fibrovasco- 
lari ; le  ife  iniceliche  , perciò,  non  avevano  per  svilupparsi  che 
una  direzione  sola,  quella  delle  porzioni  di  parenchima  fogliare 
intercedenti  fra  le  nervature.  Quando  esse  avevano  raggiunto  da 
un  lato  la  base  della  foglia  e dall’altro  l’estremità  delle  lacinie, 
ed  il  parenchima  si  era  esaurito,  il  parassita  si  disponeva  a frut- 
tificare, sia  emettendo  ife  conidifere  che,  o attraverso  (Fig.  1, 
Tav.  I)  le  cellule  dello  strato  epidermico  o per  la  via  degli  sto- 
mi, si  rendevano  libere  all’  esterno  dando  collidi,  sia  confluendo 
in  determinati  punti  ove  coll’anastomizzarsi  delle  ife  si  costitui- 
vano dei  gangli  micelici,  d’onde  poi  si  originavano  sclerozi  e con- 
ce ttacoli  ascofori. 

Le  forme  conidiche  che  si  osservavano  nelle  foglie  alterate 
erano  riferibili,  come  si  disse,  a due  tipi  diversi  e cioè  a Macro- 
sporium  (Sarei  imi  e)  e ad  Aiternaria  (piriformi  ed  a catenelle). 
Ciò  mise  in  sospetto  che  sullo  stesso  substrato  avessero  preso 
stanza  due  specie  di  Pleospora,  essendo  ormai  noto  che  alcune 
Pleospora  hanno  per  forma  conidica  dei  Macrosporium,  altre  in- 
vece delle  Aiternaria.  Molto  probabilmente  una  di  queste  specie 
si  era  sviluppata  da  saprofita  sulle  porzioni  alterate  di  foglie  di 
Corypha  danneggiata  dall’  altra  specie. 


6 


F.  Cavava  e N.  Mollica 


[Memoria  II.] 


Questa  supposizione  era  avvalorata  da  due  circostanze  : la 
prima  che  le  due  forme  conidiche  non  si  presentavano  colla  stessa 
costanza,  nè  sempre  concomitanti , la  seconda  che  anche  i con- 
cettaceli ascofori  avevano  forma,  dimensioni  e distribuzione  di- 
versa. Gli  uni  erano  più  grandi  e formati  di  un  ostiolo  promi- 
nente a guisa  di  collo  più  o meno  incurvato,  e sparsi  qua  e là  ; 
gli  altri  erano  globosi,  o globoso-depressi,  più  piccoli,  senza  collo 
e spesso  riuniti  a gruppetti.  Nei  primi  si  riscontravano  ascili  a 
spore  piuttosto  grandi,  con  sette  sepimenti  trasversali  ; nei  se- 
condi spore  più  piccole,  a soli  cinque  setti. 

Ci  trovavamo  perciò  di  fronte  ad  uno  spiccato  dualismo  di 
forme  sia  conidiche  sia  periteciali,  e ciò  era  tanto  più  singolare  in 
quanto,  per  essere  queste  sulla  stessa  matrice,  potevano  risollevare 
il  dubbio  che  entrambe  appartenessero  al  ciclo  evolutivo  della 
ornai  tanto  discussa  Pleospora  herbarum.  Ciò  ci  indusse  viem- 
maggiormente  ad  imprenderne  uno  studio  accurato  anche  nello 
intento  di  portare  luce  su  alcune  fasi  evolutive  del  tutto  trascu- 
rate da  coloro  che  fin  qui  si  sono  occupati  di  questo  interessan- 
tissimo pirenomicete. 

Il  preteso  polimorfismo  della  Pleospora  herbarum  (Pers.)  Rab. 

Non  vi  è forse  in  micologia  argomento  di  ricerche  così  di- 
battuto come  quello  del  ciclo  evolutivo  della  Pleospora  herbarum 
(Pers.)  Rab.,  il  tipo  collettivo  di  pirenomicete  altrettanto  diffuso 
in  natura  quanto  ricco  di  forme,  e sviluppantesi  sopra  steli  er- 
bacei, foglie,  frutti,  etc. , talora  quale  parassita,  più  spesso  con 
caratteri  di  saprofita. 

Il  trovarsi  i concettatoli  ascofori  di  questo  sferiaceo  sovente 
associati  con  forme  conidifere  , picnidiclie  e spermogonicbe  ha 
fatto  da  tempo  pensare  alla  correlazione  di  queste  forme  con 
le  periteciali  e vi  è tutta  una  ricca  letteratura  sul  pleioinorfi- 
sino  della  Pleospora  herbarum. 


Ricerche  intorno  ni  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  ecc. 


7 


Limitandoci  ai  più  importanti  lavori,  riassumeremo  qui  bre- 
vemente le  opinioni  messe  avanti  da  distinti  micologi. 

È noto  come  il  Tulasne  (1)  assegnasse  al  ciclo  della  Pleo- 
s por  a Jierbarum  ben  cinque  forine  di  sviluppo  e cioè  : periteci 
ascofori  (, Sphaeria.  herbarum  Pers.),  picnidì  a stilospore  minutis- 
sime ( Cytispora  orbicularis  Berk.  , Plioma  herbarum  West.),  co- 
nidi riferibili  a Cladosporium  herbarum , collidi  a Sarchiala  (Ma- 
crosporium  Sarcinula  Berk.)  e conidì  a catenella  (. Helmintliospo - 
rium  teuu  issi  munì  Ivze,  Aitenaria  tennis  Nees). 

I criteri  che  condussero  il  Tulasne  a tale  coordinamento 
di  forme  furono  suggeriti  non  da  risultati  di  ricerche  sperimen- 
tali, ma  dall’  osservazione  della  loro  concomitanza  o della  loro 
successione  sul  medesimo  substrato.  Ne  fa  fède  quanto  egli  scris- 
se intorno  al  modo  e tempo  di  apparire  delle  varie  forme  : 
Fungillus  conidiophorus  omni  fere  anni  tempestate  in  lierbis  demor- 
tuis  ubique  frequentissima  apud  nos  reperitur , pycnides  vero  peri- 
thecia  polissi  mus  sero  autumno  et  liyeme  currente  maturare  solet. 

L1 2 3 4  Hallier  (2)  andò  più  oltre  ed  aggiunse  alle  forme  teste 
citate  del  Tulasne  i corpuscoli  del  Cornalia,  il  Penicillium  g ran- 
de, il  Iihyzopus  nigricans,  un  Micrococcus , forme  di  Mycothrix  e 
bacterì  ! 

II  Fuckel  (3)  opinò  che  gli  Epicoceum  rappresentassero  pure 
delle  forme  macroconidiche  delle  Pleospora. 

Il  Cooke  (I)  assegnò  alla  Sphaeria  ( Pleospora ) herbarum  il 
ciclo  seguente  : 

« Conidia  {Cladosporium  herbarum  Lk.)  ; macroconidia  (Ma- 
crosporium  Sarcinula  B.  et  Br.)  ; pycnidia  (. Myxosporium  orbi- 
culare  Berk.);  stylosporae  (. Plioma  herbarum  West.);  ascosporae 
{Pleospora  herbarum  li  ab.)  ». 


(1)  Tulasne.  Selecta  Fungorum  Carpologia,  II  p.  261. 

(2)  Hallier.  Untersuch.  ii.  d.  pflanzl.  Organismi,  eto.  Potsdam  1868  — Die  Muscardine 
des  Kieferspinners  (Zeitschrift  fiir  die  Parasitenkunde  Bd.  I 1868). 

(3)  Fuckel.  Symbolae  mycologicae.  Wiesbaden  1869. 

(4)  Cooke.  Handbook  of  British  Fungi,  1871,  II,  p.  896. 


8 


F.  Cavava  e N.  Mollica 


iMemokia  IL] 


Gibelli  e Griffini  (1),  i quali  consacrarono  lunghe  ed  ac- 
curate ricerche  sperimentali  allo  studio  del  ciclo  evolutivo  della 
Pleospora  herbarum , vennero  alla  conclusione  che  nelle  forme  as- 
segnate dal  Tulasne  alla  Pleospora  herbarum  si  trovano  gli  ele- 
menti estremi  almeno  per  due  specie  distinte,  l’ una  a conidi 
sarei  niformi  e fornita  di  picnidì,  l’altra  a con  idi  di  Alterna  ria  e 
a picnidì  ignoti.  Il  Cladosporium  herbarum  Lk.  è forma  concomi- 
tante quasi  sempre  colle  diverse  forme  di  Pleospora  , ma  è da 
escludersi  dal  ciclo  evolutivo  di  queste. 

Bauke  (2),  nel  1877,  dalle  ascospore  di  Pleospora  ottenne  : da 
alcune  Aiternaria  e picnidì  e da  altre  Sarei  nule  (. Macrosporium ) 
e periteci,  e concluse  coll’ assegnare  entrambe  le  forme  collidi- 
ci! e alla  stessa  Pleospora  capace  di  un’alternanza  di  generazione. 

Kolil  (3),  studiando  nel  1883  aneli’  egli  le  forme  ottenute 
dalle  ascospore,  giunse  alle  seguenti  conclusioni: 

1.  Dalle  Alternarla  si  hanno  sempre  Alternarla. 

2.  Le  ascospore  danno  Sarei  nule  ( Macrosporium ) e periteci 
ascofori. 

3.  Dalle  stilospore  di  picnidì  concomitanti  coi  periteci  di 
Pleospora  si  ottengono  picnidì  ed  Aiternarie. 

E conformemente  ai  risultati  ottenuti  da  Gibelli  e Griffini 
conchiuse  che  si  possono  avere  due  distinte  specie  di  Pleospora. 

Il  Saceardo  nella  a Spilo  gè  (4),  a proposito  della  Pleospora 
herbarum , ammette  però  entrambe  le  forme  conidiche  di  Alter- 
narla e di  Macrosporium  ed  anche  uno  stadio  spermogonico  ( Ph <>- 
ma  herbarum  West.). 

Il  De  Bary  (5)  ritenne  intanto  come  fortemente  verosimile 
la  distinzione  proposta  da  Gibelli  e Griffini  in  due  Pleospora  a 


(1)  Gibelli  e Griffini.  Sul  Polimorfismo  della  Pleospora  herbarum  Tal.  (Archiv.  trieun. 
del  Laborat.  di  Botan.  crittog.  di  Pavia.)  1874. 

(2)  Bauke.  Beitràge  sur  Kenntniss  der  Pycniden,  Halle.  1877. 

(3)  Kohl.  Ueber  devi  Polymorfismus  von  Pleospora  herbarum.  (Bot.  Centi'.)  1883. 

(4)  Saccardo.  Syll.  Fung.  IJ.  1883.  p.  247. 

(5)  De  Bary  A.  Vergleich.  Morph.  u.  Physiol.  d.  Pilse,  Leipzig.  1884. 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  ecc. 


9 


forme  conidiclie  rispettivamente  di  Macrosporium  e di  Aiternaria. 

Il  compianto  Berlese  (1)  , annettendo  alla  Pleospora  lier- 
barum  la  forma  conidica  di  Macrosporium , giudicò  non  provata 
invece  la  forma  picnidica  ( Phoma  lierbarum). 

Il  Mattirolo  (2),  partendo  da  ascospòre  di  Pleospora  lierbarum 
tipica  da  un  lato,  e di  P.  infectoria  Euck.  ( — P.  Alternariae  Gib. 
et  Grifi.)  dall’altro,  ottenne  dalla  prima  collidi  a Sarcinula  (Ma- 
crosporium ) e dalla  seconda  Aiternarie  e picnidì  , confermando 
così  i risultati  di  Gibelli  e Griffini  e di  Kohl.  Arrivato  a questa 
sola  conclusione,  non  seguì  1’  ulteriore  evoluzione  delle  colture. 

Il  Costantin  (3)  dalle  spore  di  Aiternaria , variando  il  sub- 
strato di  coltura,  ottenne  forme  somiglianti  specialmente  al 
Cladosporium  ed  altre  che  facevano  transizione  all’ Hormodendron. 

Il  Brefeld  (4)  ottenne  conidì  di  Aiternaria  tanto  da  Pleo- 
spora infectoria  Euck.,  quanto  da  P.  vulgaris  Ni  essi.  ; invece  da 
ascospore  di  P.  lierbarum , presa  da  diversi  substrati,  ottenne  sem- 
pre Sarcinule  e solo  dopo  quattro  mesi  accenni  di  periteci  che 
non  arrivarono  a completarsi. 

Infine  il  Peglion  (5),  a proposito  di  una  speciale  infezione 
dei  semi  di  Erba  medica  e di  Trifoglio,  ebbe  ad  osservare  su 
questi  semi,  tenuti  in  opportune  condizioni,  lo  sviluppo  di  cate- 
nelle di  Alternarla  tennis  Nees,  e dopo  alcuni  giorni  la  formazione 
di  sclerozi  e di  concettacoli  ascofori  riferibili  alla  Pleospora  Al- 
ternariae Gib.  et  Grifi'. 


Come  si  rileva  facilmente  dalla  citata  letteratura  sono  due 
le  correnti  intorno  al  polimorfismo  della  Pleospora  lierbarum 

(1)  Berlesk  A.  N.  Monografia  dei  generi  Pleospora  etc.  1888. 

(2)  Mattirolo  O.  Sul  polimorfismo  della  Pleospora  herbarum  etc.  (Malpighia)  1888. 

(3)  Costantin  I.  Sur  les  variations  des  Alternarla  et  dee  Cladosporium.  (Rev.  génér.  de 
bot.  1889). 

(4)  Brefeld  O.  Untersuchung . aus  d.  Gesammutgebiete  der  Mycologie.  X Heft. 

(5)  Peglion  V.  IH  una  speciale  infezione  crittogamica  dei  semi  di  erba  medica  etc.  (Rend. 
Acc.  d.  Lincei  1903). 

Atti  Acc.  Serie  4a,  Vol.  XIX  — Mem.  II. 


2 


10 


F.  Cavava  e N.  Mollica 


[Memoria  IL] 


Pers.  : l’una,  secondo  la  quale  al  ciclo  evolutivo  di  questo  pire- 
noinicete  apparterrebbero  una  forma  ascofora  , una  picnidica  o 
spermog'onifera  e più  forme  conidicbe,  ed  è la  corrente  della  vec- 
chia scuola  di  micologi  descrittori  (Tulasne,  Hallier,  Fuekel  , 
Gook,  etc.),  invano  tentata  di  risollevare  da  Bauke  ; l’altra,  die  è 
data  dalla  scuola  modernà  di  micologi  sperimentatori  (Gibelli  e 
Griffi  ni  , Kolil,  de  Baiy  , Brefeld,  Matti  rolo,  Peglion),  secondo 
la  quale  due  specie  almeno  di  Pleospora  sono  da  distinguere  nel 
tipo  della  P.  herbarum  Pers.,  e cioè  una  (P.  Sarei  n trine  Gib.  et 
Griffi)  ad  ascospore  più  grandi,  a 7 sepi menti  trasversali,  dalle 
quali  nelle  colture  si  hanno  conidì  a Sarchiala  o Macrospor inm, 
ed  un’altra  ad  ascospore  più  piccole,  a soli  5 setti  trasversali,  dalle 
quali  nelle  colture  si  hanno  per  conidì  delle  Alternarla. 

Mentre  non  vi  ha  dubbio  alcuno  sulla  costanza  delle  forme 
conidicbe  rispettivamente  di  Macrosporimn  e di  Aiternaria  perle 
due  specie  di  Pleospora  (P.  lierbarum  — P.  Snrein  trine,  e P.  Infec- 
toria  — P.  Alternariae)  , altrettanto  non  può  dirsi  per  le  forme 
picnidiche  ottenute  talora  per  1 ’ una  specie  di  Pleospora  e non 
per  1’  altra  e vice-versa 

Le  osservazioni  di  Bauke,  portanti  alla  unificazione  delle  due 
specie  di  Pleospora  in  un  solo  tipo  a ciclo  alternante  ora  a co- 
nidì di  Macrosporimn  ora  di  Alternarla  con  miceli  anche  di- 
morfi, sono  contradette  dalle  ricerche  dei  più  ; e così  anche  quelle 
di  Costantin  intorno  ai  possibili  passaggi  da  Alternarla  a Cla- 
dosporlum  e Hormodendron,  essendo  stata  da  tutti  gli  sperimen- 
tatori citati  esclusa  la  forma  di  Cladosporium  dal  ciclo  evolutivo 
della  Pleospora  herbarum  e della  P.  infectoria. 

Le  nostre  colture. 


Portati  da  queste  controversie  a prendere  in  nuovo  esame 
la  questione  del  polimorfismo  della  Pleospora  herbarum  ed  aven- 
do a nostra  disposizione  materiale  offrente  le  due  forme  critiche 


Ricerche  intorno  ni  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  ecc. 


11 


e cotanto  cimentate,  ci  accingemmo  pur  noi  a delle  ricerche  di 
colture  sperimentali.  i 

Nel  Dicembre  del  1904  si  cominciarono  i primi  saggi  sulla 
germinazione  delle  ascospore  della  forma  maggiore,  come  chia- 
meremo la  Pieoi spora  a periteci  più  grandi,  erompenti,  con  lungo 
collo  ricurvo  ed  aventi  spore  a sette  sepi menti  trasversali,  rife- 
ribile quindi  alla  Pleospora  /Sorci» ulne  Gib.  et  Grifi’. 

Le  prime  prove  di  germinazione  furono  anzitutto  fatte  in 
acqua  potabile  (1),  sterilizzata  mediante  ebollizione  prolungata. 
I periteci  di  Pleospora , tolti  con  un  ago  dalle  porzioni  alterate 
di  foglia  di  Coryplut , venivano  enucleati  direttamente  sul  ve- 
trino portaoggetti,  contenente  una  goccia  d’acqua,  esercitando 
una  lieve  pressione  o col  coprioggetti  o con  una  lancetta,  l’uno 
e l’altra  sterilizzati  alla  fiamma.  Trasportando  in  altro  vetrino  il 
nucleo  di  ascili  fuoruscito  e comprimendolo  di  nuovo  colla  lan- 
cetta si  mettevano  in  libertà  le  ascospore  in  quantità  da  fornire 
materiale  per  più  colture  in  goccia  pendente  contenenti  ciascuna 
un  numero  limitatissimo  di  spore,  talora  anche  una  sola. 

Non  ostante  la  bassa  temperatura  dell’  ambiente  nel  quale 
si  fecero  questi  primi  saggi  (la  temperatura  scendeva  fino  a 5° 
e a 4“  C.  di  notte),  le  ascospore  germinarono.  Si  notò  per  altro  che 
la  germinazione  non  avveniva  affatto  di  giorno,  ma  solo  di  notte 
non  ostante  l’abbassamento  notevole  di  temperatura.  Seminate  in- 
fatti al  mattino  nella  goccia  d’acqua  delle  camerette  umide  di 
vetro  e tenute  su  di  un  tavolo  alquanto  lungi  da  una  finestra,  le 
spore  non  mostrarono  accenni  di  germinazione  durante  le  ore  del 
giorno  ; mentre  il  mattino  dopo  si  trovarono  fornite  di  lunghi 
tubetti  germinativi.  A maggior  prova  di  questa  eliofobia  delle 
ascospore,  se  ne  misero  a germinare  verso  sera,  e all’  indomani 
si  trovarono  con  cospicui  tubi  germinativi.  Si  fecero  pure  delle 
semine  di  giorno,  mettendo  le  camerette  da  coltura  sotto  una  grande 


(1)  L’  acqua  potabile  usata  fu  quella  della  conduttura  Cardaci  piuttosto  ricca  di  sali  di 
Calcio  e di  Magnesio. 


12 


F.  Cavava  e N.  Mollica 


[Memoria  II.] 


campana  di  vetro  rivestita  di  carta  nera,  e dopo  poche  ore  si 
ebbe  del  pari  ad  osservare  la  formazione  di  tubi  germinativi. 

La  luce  perciò  risultò  essere  condizione  sfavorevole  alla  ger- 
minazione delle  ascospore. 

Riguardo  all’  influenza  del  calore,  se  le  basse  temperature 
su  indicate  non  ostacolarono  la  germinazione,  era  da  vedersi 
quale  azione  avevano  temperature  più  elevate. 

Si  misero  perciò  delle  spore  a germinare  in  termostato  a varie 
temperature , e dalle  nostre  esperienze  risultò  che  le  ascospore 
germinavano  a temperature  di  15°,  20°,  30°  e fìnanco  37°  0.  Tut- 
tavia restò  assodato  che  la  germinazione  avveniva  in  minor 
tempo  alle  temperature  comprese  tra  i 15°  e i 20°  0.,  si  rallen- 
tava a 30°  e cessava  oltre  i 37°.  La  latitudine  adunque  di  capa- 
cità germinativa,  al  riguardo  delle  temperature,  è assai  grande  e 
va  da  pochi  gradi  sopra  zero  fino  a 37°  e 1’  ottimo  sembra  of- 
ferto dai  15°  ai  20°. 

Assicuratici  della  capacità  germinativa  delle  ascospore,  pas- 
sammo alle  colture  sperimentando  mezzi  liquidi  e solidi. 

Mezzi  liquidi.  Per  substrati  liquidi  ci  servimmo  sia  di  acqua 
di  fonte  genuina,  sia  di  una  decozione  acquosa  di  pezzetti  di  fo- 
glia di  Coryma  austràlis  addizionata  del  5%  di  glucosio.  Dopo 
prolungata  ebullizione  si  filtrava  il  decotto  e si  sterilizzava  al- 
1’  autoclave. 

Le  ascospore  a 7 tramezzi  ( Pleospora  herbarum ),  le  quali 
appena  formate  sono  circondate  da  uno  strato  muscoso  che  poi 
perdono  (Pig.  2,  Tav.  I),  messe  a germinare  in  goccia  pendente, 
in  acqua  potabile  e al  buio  , mostravano  dopo  una  o due  ore  i 
loculi  più  o meno  rigonfi  ed  alcuni  di  essi  , generalmehte  di 
quelli  estremi,  ingrandivano  più  degli  altri,  al  punto  che  le  spore 
ne  restavano  alquanto  sformate  (Pig.  3,  Tav.  I).  Dopo  altre 
due  ore  da  tali  loculi  si  osservava  la  emissione  di  robusti  tubetti 
germinativi  cilindrici  (Pig.  4),  jalini,  con  plasma  omogeneo,  i 
quali  dopo  essersi  alquanto  accresciuti  si  segmentavano  trasversal- 
mente (Pig.  5 , Tav.  I)  e cominciavano  a ramificarsi  (Pig.  6). 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  ecc. 


13 


Dopo  quattro  ore  circa  anche  le  ife,  che  si  originavano  dai 
tubi  germinativi,  prendevano  a ramificarsi  ed  i rami  si  allungava- 
no diminuendo  sensibilmente  di  diametro,  mentre  tendevano  a 
raggiungere  i contorni  della  goccia  d’  acqua  ed  anche  a sorpas- 
sarli divenendo,  così,  aerei.  Lo  sviluppo  miceliare  dopo  dieci  o 
dodici  ore  si  arrestava  evidentemente  per  la  deficienza  di  mate- 
riali nutritizi  nel  substrato  di  coltura. 

Seminate  le  spore  in  goccie  di  decozione  preparata  con  fo- 
glie di  Corypha , allora,  oltre  che  ad  un  più  rigoglioso  sviluppo 
di  micelio,  si  assisteva  in  processo  di  tempo  ad  interessanti  fe- 
nomeni, i quali  preludevano  alla  formazione  di  organi  riprodut- 
tori. Dopo  due  giorni  dalla  semina,  il  micelio  acquistava  l’aspet- 
to di  un  fitto  ed  intricatissimo  velo.  Nei  singoli  articoli  delle 
ife  venivano  a formarsi  delle  goccioline  in  numero  di  due  a tre 
per  cellula  e disposte  con  rilevante  regolarità  in  serie.  A giu- 
dicare dalla  rifrangenza,  sembravano  essere  delle  sostanze  grasse 
di  riserva,  e cogli  ordinari  metodi  di  colorazione  non  si  colora- 
vano , mentre  ciò  avveniva  di  uno  o due  altri  corpiccioli  che 
le  accompagnavano  e che  erano  evidentemente  dei  nuclei.  Col- 
l’ulteriore accrescimento  delle  ife,  queste  escivano  fuori  dalla  goc- 
cia pendente  mantenendosi  aderenti  al  vetrino  per  la  umidità  che 
esso  presentava,  ina  in  breve  venivano  ad  esaurirsi.  Seguitando  ad 
alimentare  con  nuova  somministrazione  di  decozione  la  goccia 
pendente,  si  osservavano  dopo  3 o 4 giorni  dei  processi  di  anasto- 
mosi svariati  fra  le  ife  miceliche.  I casi  più  frequenti  erano  i se- 
guenti: due  ife  decorrenti  parallelamente  mandavano  corti  ramet- 
ti che  incontrandosi  venivano  a saldarsi  e a fondersi  insieme.  Si 
avevano  così  unioni  ad  H (Fig.  7,  Tav.  I)  che  spesso  si  ripete- 
vano in  successivi  articoli  delle  due  ife  (Fig.  8).  Altre  volte  una 
estremità  di  un’  ifa  si  incurvava  ad  arco  fino  ad  incontrare  o 
una  cellula  della  stessa  ifa  (Fig.  10  e 11)  o cellule  di  altre  ife 
(Fig.  9)  : in  ambo  i casi  avveniva  la  intima  unione  delle  mem- 
brane nei  punti  di  contatto,  ed  il  successivo  loro  riassorbimento, 
onde  i plasmi  venivano  a fondersi  insieme. 


14 


F.  Cavarci  e N.  Mollica 


[Memoria  II.] 


Coleste  anastomosi  ci  sembrano  una  condizione  necessaria 
per  la  formazione  di  organi  riproduttori  e sono  da  interpretarsi, 
a parere  nostro,  come  altrettante  zigosi  o atti  sessuali. 

Dopo  parecchi  giorni,  nei  punti  di  maggior  lavorìo  di  ana- 
stomosi miceliari  , si  videro  prendere  origine  delle  forme  coni- 
diche.  Da  ife  procedenti  dalle  anastomosi  ad  H,  ad  arco  , etc. 
si  staccavano  dei  rametti  (Eig.  16  a , b)  i quali,  ergendosi  più  o 
meno  sul  feltro  micelico,  si  segmentavano  una  o più  volte  ed 
assumevano  un  colore  olivastro.  Indi  si  rigonfiavano  a botton- 
cino alla  estremità  (Eig.  16  e)  e questa  dopo  aver  raggiunto 
un  certo  diametro,  si  separava  con  un  setto  trasversale  dall’  ifa 
generatrice  e successivamente  con  altro  setto  veniva  a dividersi 
in  due  porzioni  eguali  siccome  due  emisferi.  La  direzione  del 
setto  era  varia  : ora  normale  al  filamento,  (Eig.  16  d)  ora  obli- 
quo (Eig.  16  e,  f),  ora  nella  stessa  direzione  /Eig.  16  b , e).  Al 
primo  setto  altro  ne  succedeva  secondo  un  piano  normale  e , 
dopo  ulteriori  divisioni,  si  veniva  ad  individualizzare  una  spora 
o conidio  a forma  di  Sarchia  con  2 o 3 setti  trasversali  e a 
membrana  da  prima  liscia  poi  minutamente  aculeolata  (Eig.  17). 

Tali  conidì  corrispondevano  perfettamente  a quelli  ottenuti 
già  da  Gibelli  e Grilfini  e da  altri  da  Pleoftpora  Sarcinulae  os- 
sia dalla  vera  Pleospora  herbarum. 

In  alcune  di  queste  colture  su  decozione  di  Corypha  venne 
fatto  di  osservare,  frammiste  alle  forme  a Sorcina  o di  Macro- 
sporiam , dei  conidì  piriformi  riuniti  a catenelle  riferibili  al  tipo 
di  Alternarla.  Ma  da  un  lato  il  micelio  generatore  di  essi  si 
presentava  diverso  da  quello  che  generava  le  Sarchiale,  sia  pel 
diametro  delle  ife  che  per  la  lunghezza  degli  articoli,  e dall’  al- 
tro coteste  Alternarla  si  formavano  in  determinati  punti  , in 
porzioni  ben  limitate  del  substrato.  Si  attribuì,  perciò,  la  loro 
formazione  alla  casuale  presenza  di  un  micelio  dovuto  a conidi 
di  Aiternaria  caduti  in  quelle  colture. 

Tenendo  in  osservazione  le  colture  che  avevano  dato  solo 
dei  Macrosporium , si  notò  che  questi  conidì,  arrivati  a completa 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  ecc. 


15 


maturità,  si  disarticolavano  dall’  ifa  generatrice  e indi  a poco  en- 
travano essi  pure  in  germinazione,  dando  luogo  a ife  miceliche 
che  non  differivano  da  quelle  emanate  dalle  ascospore.  Solo  in 
qualche  caso  si  aveva  una  variante,  in  quanto  dai  tubi  germina- 
tivi, uscenti  da  vari  loculi  di  un  Macrosporium,  dopo  breve  decor- 
so si  aveva  una  novella  formazione  di  Sarcinule  (Fig.  18,  Tav.  I), 
cosa  avvertita  già  da  Tulasne  e da  (ribelli  e Griffi  ni,  in  modo 
da  ottenersi  delle  colonie  di  Macrosporium  fra  di  loro  allacciati 
da  brevi  porzioni  di  tubi  germinativi. 

Verso  il  ventesimo  giorno  in  queste  stesse  colture  e dopo 
la  germinazione  delle  Sarcinule,  si  ebbero  a notare  delle  parti- 
colari differenziazioni  nel  nuovo  micelio.  Qua  e là  si  presenta- 
vano delle  singolari  modificazioni  delle  ife,  alcune  delle  quali  alla 
loro  estremità  si  attorcigliavano  a spirale,  formando  come  dei 
cirri  o pastorali  (Fig.  12  e 15). 

Ora  avveniva  che,  trovandosi  in  vicinanza  0 contiguità  due 
di  cotesti  cirri,  si  stabilisse  ben  presto  il  contatto  fra  le  loro 
spire  (Fig.  13,  14)  e successivamente  una  intima  unione  fra  due 
tratti  di  esse,  d’  onde  la  formazione  di  un  gomitolo  (Fig.  14),  che 
diveniva  così  l’inizio  di  un  corpo  fruttifero. 

Evidentemente  anche  cotesto  processo  di  attorcigliamento  di 
ife  e la  unione,  due  per  due,  di  cirri  o pastorali  è pure  da  in- 
terpretarsi come  un  atto  sessuale  necessario  alla  formazione  di 
concettaceli  fruttiferi  ed  inerente  al  micelio  emanante  dalle  Sar- 
cinule. Esso  ricordava  assai  quanto  si  verifica  nell’  Ascodesmis 
nigricans  Van  Tiegli.  (1)  per  quanto  il  Van  Tieghem  non  vi 
desse  altro  significato  che  di  un  modo  particolare  di  anastomosi; 
e ricorda  parimenti  quanto  avviene  nella  Boudiera , studiata  re- 
centemente da  P.  Claussen  (2),  il  quale  considerò  invece  la  unio- 
ne delle  ife  contorte  a spira  come  un  atto  sessuale,  fungendo  una 
di  esse  da  ascogonio,  1’  altra  da  anteridio. 


(1)  Van  Tieghem  T.  Bull.  d.  la  Soo.  bot.  de  France  T.  XXIII  p.  271-279. 

(2)  Claussen  T.  Bot.  Zeitung  Iahrg.  1905  Heft.  I/II. 


16 


F.  Cavava  e N.  Mollica 


Memoria  II 


A conferma  di  queste  vedute,  che  sono  da  noi  condivise,  ci 
sarebbe  la  seguente  osservazione  e cioè  che  là  dove  non  avve- 
niva la  corrispondenza  di  due  ife  attorcigliate  a spira,  ma  se  ne 
formava  una  sola  in  un  determinato  punto  della  coltura,  si  ve- 
deva che  essa,  dopo  aver  conseguito  alcuni  giri  di  spira,  rima- 
neva stazionaria  per  parecchio  tempo,  senza  che  intervenisse  al- 
cuna modificazione  di  forma,  senza  che  si  costituisse  alcun  go- 
mitolo; anzi  il  suo  contenuto  da  granulare  si  faceva  omogeneo  e 
poi  acquoso,  e la  membrana  lentamente  difluiva  fino  a non  di- 
stinguersi più  dal  contenuto  : in  una  parola  il  cirro  micelico  ca- 
deva in  degenerazione.  (1) 

Dal  gomitolo  formatosi  per  V unione  intima  di  due  ife  a 
pastorale,  in  seguito  a processo  di  segmentazione  si  veniva  a for- 
mare un  nodulo  pseudo-parenchimatico  che,  mentre  aumentava 
in  grandezza  e compattezza,  andava  gradatamente  modificandosi 
alla  periferia.  Ivi  le  membrane  delle  ife  venivano  via  via  sclero- 
tizzandosi  e assumendo  un  colore  ocraceo  che  si  intensificava 
sempre  più.  Si  era  costituito  , in  altre  parole,  uno  sclerozio,  la 
cui  durata  di  vita  latente  era  più  o meno  lunga,  e che  per  strut- 
tura e dimensione  corrispondeva  bene  a quelli  riscontrati  sulle 
foglie  alterate  di  Corypha  austrcilis. 

Dopo  un  mese  e mezzo  dalla  semina  delle  ascospore,  cotesti 
sclerozi  erano  già  divenuti  dei  periteci  ascofori  forniti  di  ascili 
con  spore  a 7 sepimenti  trasversali  del  tutto  identiche  a quelle 
dei  periteci  tratti  dalle  foglie  di  Coryplia. 

I periteci  ottenuti  nelle  nostre  colture  in  goccia  pendente 
avevano  carattere  affatto  sporadico  ; la  forma  loro  era  assai 
regolare  ed  erano  forniti  di  un  lungo  collo  (Eig.  20,  Tav.  I) 


(1)  La  sterilità  che  si  osservò  in  colture  assolutamente  pure,  ottenute,  cioè,  per  germi- 
nazione di  una  sola  ascospora,  fa  assegnare  alla  specie  da  noi  studiata  carattere  di  eterotal- 
lia,  analogamente  a quanto  si  verifica  in  certe  Mucorinee  (Veggansi  il  lavoro  di  A.  F.  Blakeslee 
Sexual  Reproduchtion  in  thè  Mucorineae.  Proceedings  of  thè  American  Academy  of  Art  and 
Sciences  voi.  XL.  N.  4.  1904.). 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  ecc. 


17 


incurvato  superiormente.  Tanto  nella  parte  rigonfia  quanto  nella 
ristretta  mantenevano  per  qualche  tempo  residui  di  ife  brune 
che  poi  scomparivano  interamente  a maturità. 

Dai  periteci  così  ottenuti  si  ebbero  ascospore  ben  formate 
le  quali  servirono  a nuove  colture,  sempre  in  goccia  pendente,  di 
decozione  di  Cory filici.  Essendosi  la  temperatura  dell’  ambiente 
di  un  poco  elevata,  si  ebbe  tosto  la  germinazione  e dopo  5 o 6 
giorni  la  formazione  di  conidi  a Sarei  nula  che,  staccatisi  dai  co- 
nidiofori,  presero  a germinare  dando  nuovo  micelio.  Dopo  soli 
quindici  giorni  si  riebbero  sclerozi  e periteci  che  maturarono 
ottimamente  ascospore.  Si  riprese  a coltivare  pur  queste  asco- 
spore e si  completò  novellamente  il  ciclo  evolutivo,  e così  per 
cinque  volte  di  seguito,  non  ottenendosi  mai  altre  forme  all’  in- 
fuori delle  Sarcinule  e dei  periteci  ascofori. 

Benché  soddisfatti  di  questi  risultati  ottenuti  con  tanta  co- 
stanza, partendoci  sempre  dalle  ascospore,  volemmo  invertire  le 
ricerche  prendendo  per  punto  di  partenza  la  forma  conidica  e 
cioè  il  Macrosporium.  Seminammo  delle  spore  di  questo  ifomi- 
cete  nello  stesso  decotto  di  Corypha , avendo  ogni  cura  perchè 
le  colture  riuscissero  pure  e mettendo  in  ogni  goccia  da  uno  a 
pochi  collidi.  Ottenuta  la  germinazione  regolare  di  questi  e la 
formazione  di  un  abbondante  micelio,  vedemmo  ripetersi  nelle 
sue  ife  le  stesse  anastomosi  notate  già  pel  micelio  avuto  dalle 
ascospore,  e formarsi,  dopo  pochi  giorni,  nuovi  conidi  a Sarci- 
nula.  Questi  germinarono  alla  loro  volta,  e dal  micelio  formatosi 
si  ebbero  dopo  una  ventina  di  giorni  gli  aggrovigliamenti  caratte- 
ristici preludenti  alla  formazione  degli  sclerozi.  Prodottisi  questi, 
e con  forme  simili  a quelli  avuti  dalle  ascospore,  si  differenzia- 
rono,  in  altri  10  o 12  giorni,  in  veri  periteci  con  ascili  e ascospore 
a 7 setti. 

Non  è stata  certo  piccola  la  nostra  soddisfazione  l’aver  otte- 
nuto in  tempo  relativamente  breve  (poco  più  di  due  mesi)  la  ripe- 
tizione del  ciclo  evolutivo  con  costante  alternanza  di  conidì  e di 
concettaceli  ascofori  partendo  tanto  dalle  ascospore  quanto  dai 

Atti  Acc.  Serie  4’,  Vol.  XIX  — Mera.  II.  3 


18 


F.  Cacar  a e N~.  Mollica 


[Memoria  II.] 


conidì.  Ed  era  ben  giustificata  la  nostra  soddisfazione  se  si  pensi 
che  i periteci  furono  in  iscarsa  misura  ottenuti  da  alcuni  investi- 
gatori, e non  ottenuti  affatto  da  altri.  Il  Brefeld,  che  si  può  dire 
il  maestro  in  micologia  sperimentale,  non  ne  ottenne  affatto  in 
sei  mesi  di  colture  ! 

Mezzi  solidi.  Parecchi  furono  i mezzi  solidi  di  coltura  che 


si  sperimentarono. 

Anzitutto  si  usarono  le  patate  bollite,  tagliate  a fette  di  1 cm. 
circa  di  spessore  e sterilizzate  all’  autoclave.  Le  ascospore  della 
solita  forma,  a 7 setti,  germinarono  prestissimo  dando  luogo  ad 
un  fìtto  ed  intricatissimo  micelio  cotonoso  a disposizione  raggiata, 
avente  per  centro  il  punto  in  cui  era  avvenuta  la  inoculazione 
delle  ascospore  (Eig.  2).  Dopo  qualche  giorno  i rami  conidio- 
fori  si  erano  già  formati  sollevandosi  sul  substrato  a guisa  di 


Fig.  2 • — Coltura  su  patata  di  ascospore  di  Pleospora  herbarum. 

si,  spesso  anche  di  forma  irregolare  che  si  riconobbero  nelle 
preparazioni  microscopiche  per  sclerozi. 

Evidentemente  nel  mezzo  solido  la  formazione  di  cotesti 
sclerozi  avveniva  più  tumultuosa  che  non  nel  mezzo  liquido  e 
da  ciò  anche  la  loro  forma  irregolare  e le  varie  dimensioni  da 


zone  scure  di  aspetto 
vellutato.  Staccando  dei 
pezzetti  di  coltura  ed 
esaminandoli  al  micro- 
scopio, essi  risultavano 
costituiti  di  perfettissime 
Sarei  nule  portate  dai  so- 
liti rametti  di  colore 
ocraceo. 

Dopo  venti  giorni  cir- 
ca apparvero  degli  am- 
massi di  colore  bruno 
risultanti  dall’  insieme 
di  tanti  corpicciuoli  glo- 
bulari o globoso-depres- 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  ecc. 


19 


essi  assunte.  Lo  stato  di  riposo  di  questi  sclerozi  durò  assai  più 
a lungo  che  nelle  colture  in  goccia  pendente,  poiché  la  loro  tra- 
sformazione in  periteci  ascofori  si  fece  aspettare  oltre  un  mese 
e mezzo.  Per  atfrettare  lo  sviluppo  di  questi  si  tentò  da  prima 
di  sottoporli  ad  una  temperatura  più  elevata  in  un  termostato, 
ma  senza  effetto  ; solo  si  ebbe  a notare  un  risveglio  vegetativo 
delle  ife  periferiche  degli  sclerozi,  le  quali  dopo  essersi  allungate 
alquanto  diedero  di  nuovo  delle  Sarei  nule  (fìg.  19,  Tav.  I).  Anche 
il  Tulasne  figura  di  tali  Sarcinule  procedenti  dal  peridio  dei 
periteci.  Ritorneremo  più  avanti  su  tale  fatto. 

Non  riscontrandosi  differenziazione  in  ascili  del  contenuto 
di  questi  sclerozi,  si  pensò  che  questi  potessero  essere  delle  forme 
picnidiclie,  ina  anche  questo  dubbio  svanì  per  la  nessuna  com- 
parsa di  stilospore. 

Siccome  intanto  il  mezzo  solido  usato,  cioè  le  patate,  an- 
dava essiccandosi  per  continuata  evaporazione  dell’acqua  propria, 
sottratta  anche  dai  miceli , si  pensò  di  aggiungere  dell’  acqua 
distillata  nelle  scatole  Retri  entro  cui  stavano  le  fette  di  patate 
con  le  colture.  Dopo  5 o 6 giorni  esaminati  gli  sclerozi  si  ri- 
scontrò che  in  essi  erano  venute  a differenziarsi  delle  cellule  o 
ife  ascogene  ed  in  alcuni  gli  stessi  ascili. 

Eravamo  così  venuti  in  possesso  di  un  mezzo  assai  accon- 
cio per  ottenere  in  gran  numero  e sclerozi  e periteci  che  ci  ser- 
virono poi,  come  diremo,  ad  interessanti  ricerche  sulla  evoluzione 
di  questi  organi  riproduttori. 

Altro  mezzo  solido  da  noi  tentato  fu  la  zucca  , quella  va- 
rietà che  ha  polpa  aranciata  assai  ricca  di  sostanza  zuccherina. 
Si  ebbe  qui  pure  un  abbondante  sviluppo  di  micelio,  non  però 
così  rigoglioso  come  nelle  patate  e senza  la  regolare  struttura 
raggiata  che  si  avvertiva  in  queste  (Pig.  3). 

Si  formarono  Sarcinule  e dopo  qualche  tempo  sclerozi  in 
quantità,  non  solo  alla  superficie  delle  fette  di  zucca  ma  anche 
nell’interno  di  queste  per  compenetrazione,  nella  molle  polpa,  del 
micelio.  Ad  accelerare  la  trasformazione  degli  sclerozi  in  periteci 


20 


F.  Cavava  e N.  Mollica 


[Memoria  IL] 


riuscì  qui  pure  l1  addizione  di  acqua  distillata.  Non  si  verificò 
inai  alcuna  forma  pienidica. 

Le  carote  bollite  non  diedero  risultati  soddisfacenti.  Il  micelio 

scarsamente  sviluppato 
( > ri gi n <' > dopo  p aree  c li  i 
giorni  delle  Sarei  nule  ina 
non  sclerozi  e quindi  nè 
anche  periteci. 

Le  mele  bollite  e ta- 
gliate a fette  si  mostra- 
rono un  eccellente  sub- 
strato. Il  micelio  si  svi- 
luppò copiosissimo  dando 
dopo  pochi  giorni  Sarci- 
nule  e al  decimo  giorno 
sclerozi.  Addizionate  le 
colture  di  acqua  distilla- 
tasi diedero  esse  pure  pe- 
riteci, molti  dei  quali  più 
regolari  che  nelle  patate  e nelle  zucche  , con  collo  allungato 
come  nelle  colture  in  goccia  pendente. 

Si  volle  pure  tentare  la  colla  d’amido  del  commercio,  sem- 
pre in  scatole  Petri.  Si  ebbe  copioso  micelio  e pur  copiosa  pro- 
duzione di  Sarcinule.  Ma  coll’ essicarsi  del  substrato  si  arrestò 
completamente  lo  sviluppo  delle  colture. 

Le  colture  in  gelatina  ordinaria  , preparata  secondo  la  ri- 
cetta di  A.  Mayer,  (1)  cioè  : 
cc.  500  acqua 
gr.  6 peptone  Witte 
gr.  4 estratto  di  carne  Liebig 
gr.  1 cloruro  di  sodio 
gr.  5 destrosio 
gr.  50  gelatina  marca  d’  oro 


(1)  A.  Maybr,  Prak  icum  fiir  bofanischen  Bakterienknnde,  Jena  1903  p.  28. 


Ricerche  intorno  ni  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  ecc. 


21 


diedero  pure  un  copioso  sviluppo  di  micelio  fioccoso  dal  quale 
si  ebbero  indi  a poco  Sarei  nule  e sclerozi.  Per  altro  per  suc- 
cessiva liquefazione  della  gelatina  avvenne  una  sommersione 
del  fungo  e una  degenerazione  di  questo  manifestantesi  con 
acutissimo  odore  ammoniacale.  Non  valse  il  trasportare  micelio 
e sclerozi  in  gelatina  fresca  a fare  riprendere  lo  sviluppo;  forse 
per  prodotti  laterali  nella  scomposizione  dei  costituenti  della  ge- 
latina era  avvenuta  un’intossicazione  delle  ife  e delle  cellule  de- 
gli sclerozi. 

Nell’  agar-agar , preparato  pure  secondo  la  ricetta  di  A. 
Mayer  (Op.  cit.),  si  ebbero  ottimi  risultati,  e cioè,  micelio  ab- 
bondante, fioccoso,  formazione  rapida  di  Sarcinule  e susseguen- 
temente  di  sclerozi  e periteci  ascofori  del  tutto  conformi  a quelli 
ottenuti  con  altri  substrati. 

Riassumendo  i risultati  delle  colture  in  mezzi  tanto  liquidi 
che  solidi  di  Pleospora  lierbarum  si  ha  che  : 

1.  Dalle  ascospore  di  periteci  tratti  da  foglie  di  Corypha 
si  ebbero  sempre  da  prima  dei  conidì  sarciniformi  e successiva- 
mente sclerozi  e poi  periteci  ascofori. 

2.  Dalle  Sarcinule  o Macrosporium , ottenuti  dalle  ascospore 
si  ottennero  altre  Sarcinule,  degli  sclerozi  e dei  periteci  ascofori. 

Essendosi  completato  questo  ciclo  cinque  volte  consecuti- 
vamente in  mezzo  liquido  e su  quasi  tutti  i mezzi  solidi  tentati, 
senz’  alcun  altra  forma  intermedia  nè  conidica  nè  picnidica  ci 
siamo  ritenuti  autorizzati  a riconoscere  nella  Pleospora  studiata 
queste  sole  forme,  e cioè  : due  forme  vegetative  date  dal  micelio 
filamentoso  e dagli  sclerozi  e due  forme  riproduttive  : Macro- 
sporium e ascospore,  con  una  ritmica  alternanza  avendosi  questa 
successione  : micelio — Macrosporium , sclerozi — ascospore. 

Questo  schema  del  ciclo  evolutivo  della  Pleospora  lierbarum 
è il  più  semplice  di  quanti  altri  sieno  stati  presentati  o presunti 
dai  vari  investigatori  : ma  attesa  la  ritmica  ripercussione  delle 
due  forme  riproduttive,  ottenute  in  tanti  diversi  substrati,  ed  in 
così  grande  copia,  siamo  indotti  a ritenere  il  nostro  schema  come 


22 


F.  Cavava  e N.  Mollica 


(Memoria  II.] 


la  espressione  netta  e definitiva  del  ciclo  evolutivo  di  questo  pi- 
renomicete. 

Colture  con  ascospore  di  Pleospora  a 5 setti  (P.  Alternariae 
Gib.  e Grill.  —P.  infectoria  Dock.).  Oouie  abbiamo  fatto  notare 
fin  dal  principio  di  questo  lavoro  , le  foglie  di  Corypha  nelle 
loro  parti  alterate  albergavano  oltre  alla  forma  di  Pleospora  lier- 
barum , della  quale  abbiamo  studiato  il  ciclo  biologico,  un’altra 
Pleospora  a periteci  più  piccoli  , con  ostiolo  non  prolungato  a 
guisa  di  collo,  e ad  ascospore  a soli  cinque  setti  trasversali.  Inol- 
tre erasi  pure  osservato  che  alla  superficie  delle  macchie  si  pre- 
sentavano talora  dei  conidì  riferibili  ad  Alternarla.  Dovevasi 
quindi  procedere  a colture  anche  di  questa  forma  , per  quanto 
fosse  già  noto  come  essa  non  abbia  nessi  genetici  con  la  Pleo- 
spora lierbarum.  Colle  ascospore  di  essa  si  ripeterono,  perciò,  le 
stesse  esperienze  di  colture  fatte  per  l’ altra  specie. 

In  goccia  pendente  con  decotto  di  Corypha  si  ebbero  gli 
stessi  fenomeni  circa  la  germinazione  delle  ascospore,  e cioè:  ri- 
gonfiamento di  alcuni  loculi  inducenti  alterazione  di  forma  nelle 
spore,  produzione  di  più  tubi  germinativi,  d’  onde  ife  miceliche 
ramificate,  incolore,  e la  produzione,  dopo  cinque  o sei  giorni,  di 
conidì  riferibili  al  tipo  di  Alternarla  succedentisi  a catenelle 
con  straordinaria  regolarità. 

Crediamo  superfluo  il  descrivere  qui  il  modo  di  formazione 
sia  dei  conidì  ad  Alternarla  sia  delle  colonie  di  queste. 

È da  notare  soltanto  che  nessuna  forma  intermedia  fra  Al- 
ternarla e Macrosporlum  apparve  nelle  colture,  e che  germinando 
dopo  pochi  giorni  le  Alternarla  ottenute  dalle  ascospore  davano 
luogo  a nuovo  micelio  che  non  produceva  le  particolari  dispo- 
sizioni a cirro  o a pastorale  che  notammo  nel  caso  della  Pleo- 
spora lierbarum , ma  solo  qua  e là  manifestava  delle  abbondanti 
e compatte  ramificazioni  assumenti  un  aspetto  cespuglioso. 

Il  significato  di  questi  cespuglieti  micelici  non  si  potè  col- 
pire poiché  essi  in  ibreve  subivano  degenerazione.  All’infuori  di 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  ecc. 


23 


queste  manifestazioni,  non  si  verificarono  altri  fatti  che  si  po- 
tessero mettere  in  relazione  con  la  formazione  di  sclerozi  e tanto 
meno  di  concettacoli  ascofori.  Una  nuova  produzione  di  Al  ter- 
narie aveva  luogo  fino  all’  esaurimento  del  substrato  di  coltura, 
e nulla  più. 

Si  rifecero  nuove  colture  coi  conidi  di  seconda  generazione, 
ma  si  ebbe  una  ripetizione  degli  stessi  processi  con  novella  for- 
mazione di  Aiternarie.  Solo  a titolo  di  curiosità  noteremo  che  in 
alcune  colture  si  riscontrarono  dei  singolari  gruppi  di  Aiternarie 
in  luogo  delle  regolari  ordinarie  catenelle  , così  da  far  pensare 
alla  costituzione  di  gomitoli  micelici  preludenti  alla  formazione 
di  sclerozi  o di  periteci.  Ma  esercitando  su  tali  accumuli  di  Ai- 
ternarie una  lieve  pressione  con  vetrino  coprioggetto , si  ve- 
rificava subito  la  dissociazione  dei  eonidì  non  restando  che  un 
gruppo  di  ife  brevemente  ramificate  e fra  di  loro  a bastanza 
intimamente  riunite. 

Si  tentarono  anche  colture  partendo  dalle  Aiternarie,  sia  ot- 
tenute dalle  ascospore,  sia  prese  da  foglie  di  Corypha;  ma  dopo  un 
rigoglioso  sviluppo  di  micelio  e di  eonidì,  non  ostante  ripetute 
somministrazioni  di  liquido  colturale,  non  si  ebbe  produzione  al- 
cuna di  sclerozi  e tanto  meno  di  periteci. 

Nei  mezzi  solidi  non  si  ebbe  maggior  fortuna  circa  la  pro- 
duzione di  forme  di  organi  riproduttori  oltre  le  conidiclie. 

Nelle  patate  le  ascospore  diedero  abbondante  micelio  vellu- 
tato, ma  non  cotonoso  o fioccoso  come  nella  forma  precedente- 
mente  descritta,  e dopo  5 o 6 giorni  si  venivano  a differenziare 
parti  più  sollevate  siccome  zone  annulari  intercalatamente  piane 
e rialzate  che  assumevano  colorazione  verde  oliva  scuro.  Erano 
le  ife  conidiofore  che  prendevano  tale  disposizione  ; ed  esaminate 
al  microscopio  le  zone  più  scure  risultavano  costituite  di  fitto 
intreccio  di  catenelle  di  Aiternaria. 

Lasciate  a sè  per  molto  tempo  coteste  colture  non  manife- 
starono alcuna  variazione,  e non  si  ebbe  accenno  a formazione 
di  sclerozi  e di  periteci. 


24 


F.  Cavava  e N.  Mollica 


| Memoria  II]. 


Nelle  carote  fu  debole  sin  dall’  inizio  lo  sviluppo  del  mi- 
celio, nè  alcuna  particolarità  richiamò  la  nostra  attenzione.  Si 
ebbero  dopo  parecchi  giorni  collidi  di  Aiternaria , e nulla  più. 

Su  dadi  di  polpa  di  zucca  le  ascospore  germinarono  ottima- 
mente dando  un  micelio  olivastro  disposto  a zone,  come  nelle 
patate,  e con  copiosa  produzione  di  Aiternarie.  Il  nuovo  micelio 
che  si  generava  per  la  germinazione  immediata  delle  Aiternarie 
determinava  un  processo  di  erosione  nel  substrato  polposo  che  ne 
restava  come  alveolato  o spugnoso.  Notammo  nella  nuova  pro- 
duzione di  Aiternarie  molti  casi  d’ involuzione  che  facevano 
pensare  a possibili  forme  di  passaggio  ad  altre  sorta  di  collidi  , 
ma  erano  vere  e proprie  forme  degenerative. 

Anche  qui  nessun  indizio  a formazione  di  sclerozi  e di 
periteci. 

Su  fette  di  mele  cotte , abbondante  si  sviluppò  il  micelio 
che  diede  le  solite  Aiternarie  in  tempo  anzi  più  breve  che  ne- 
gli altri  substrati  ed  in  alcuni  punti  in  modo  tumultuoso.  Es- 
sendosi disseccate  alquanto  le  fette  di  mela  si  pensò  di  aggiun- 
gervi acqua  sterilizzata  per  riattivare  lo  sviluppo  del  fungo.  Si 
ebbe  infatti  un  notevole  risveglio  nel  micelio  con  nuova  produ- 
zione di  collidi  di  Alternarla , ma  non  apparvero  mai  nè  sclerozi, 
nè  picnidì,  nè  periteci. 

Coll’  amido  del  commercio  in  forma  di  colla  si  ebbero  gli 
stessi  fenomeni  che  per  la  Pleospora  a 7 setti:  abbondante  micelio, 
produzione  di  conidì  seguita  però  da  esaurimento  del  substrato. 

Le  colture  in  gelatina  diedero  uno  splendido  sviluppo  di  mi- 
celio da  prima  omogeneo,  poi  in  determinati  punti  distintamente 
zonato  in  seguito  a formazione  intermittente  di  ife  sterili  e di 
conidiofori  con  Aiternarie  (Fig.  4).  Qui  pure  si  ebbe  la  fusione 
della  gelatina  e la  sommersione  del  micelio  e delle  Aiternarie, 
ed  in  appresso  la  degenerazione  del  fungo. 

In  agar-agar  le  ascospore  germinarono  ottimamente  dando 
luogo  ad  abbondante  micelio  e ad  Aiternarie,  senza  seguito  di 
altre  forme  riproduttive  o metagenetiche. 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  ecc.  25 


Riassumendo  i risultati  ottenuti  colla  seconda  forma  di  Pleo- 
spora , cimentata  nei  vari  substrati,  si  ha  che  : 

1.  Le  ascospore  a cinque  setti  trasversali,  di  periteci  tratti 
dalle  macchie  fogliari 
di  Coryplia  australis 
diedero  infallantemente 
dei  collidi  piriformi  mu- 
rale-settati  , riuniti  in 
catenelle,  riferibili  ad 
Aiternaria  (certamente 
V Aiternaria  tenuisNees). 

2.  Le  Aiternarie  ot- 
tenute da  ascospore,  ger- 
minando nello  stesso 
substrato  di  coltura,  die- 
dero novellamente  delle 
Aiternaria. 

3.  Le  Aiternaria  sia 
delle  colture,  sia  prese  dalle  foglie  di  Corypha  (substrato  natu- 
rale), coltivate  a se,  diedero  costantemente  Aiternarie. 

4.  Aon  si  ebbe  in  questa  seconda  serie  di  esperienze  pro- 
duzione alcuna  di  sclerozi,  nè  di  periteci. 

L adunque  assai  diverso  il  comportamento  nelle  colture  di 
questa  forma  di  Pleospora  a spore  a 5 setti,  da  quello  offerto 
dall’altra  forma  a 7 setti  sopratutto  pel  fatto  saliente  della 
ripetizione  della  forma  conidica  e pel  mancato  completamento 
del  ciclo  evolutivo. 

Ad  altri  investigatori  era  pure  occorso  di  verificare  simile 
ripetizione  di  forma  conidica  ( Aiternaria ) senza  ottenere  periteci 
(Kohl,  Brefeld,  Costantin),  e gli  stessi  Gibelli  e Griffini  (1),  ai  quali 
venne  dato  di  ottenere  periteci  in  colture  di  oltre  due  mesi,  eb- 
bero a fare  la  seguente  dichiarazione  «....  ci  conviene  dire  che 


(1)  Gibelli  e Griffini  op.  cit.  p.  87. 

Atit  Acc.  Serie  4a,  Vol.  XIX  — Meni.  II. 


4 


26 


F.  Cavava  e JV.  Mollica 


[Memoria  II.] 


finora  non  abbiamo  ancora  potuto  trovare  le  condizioni  oppor- 
tune per  la  formazione  dei  periteci  dalle  ascospore  che  ci  pro- 
dussero Aiternarie  nelle  nostre  seminagioni,  poiché  tre  sole  volte , 
sopra  ventidue  preparati  che  fruttificarono  Aiternarie,  si  orga- 
nizzarono i periteci  con  ascospore  (1).  » 

La  ragione  di  cotesta  difficoltà  di  dare  periteci,  per  parte 
della  Pleosy>ora  Alternariae  Grill,  e Griffi,  nei  substrati  colturali 
è forse  da  ricercarsi,  secondo  noi,  in  speciali  attitudini  fisiolo- 
giche di  questa  specie  e precisamente  nel  suo  comportamento 
di  parassita  facoltativo.  Stragrande  è infatti  in  natura  la  diffu- 
sione della  sua  forma  conidica  ( Aiternaria  tennis  Nees)  la  quale 
ha  abito  decisamente  saprofìtico.  Essa,  al  pari  del  Clciclosporium 
Jierbarnm , è uno  dei  più  comuni  intrusi  delle  nostre  colture,  come 
pure  una  delle  forme  più  frequenti  negli  organi  vegetali  in  Aria 
di  decomposizione.  Cotesta  forma  conidica  basta  a se  stessa  nei 
substrati  organici,  ma  non  in  quelli  organizzati,  e ciò  risultò 
nelle  colture  da  noi  e da  altri  fatte. 

Se  condizioni  speciali,  che  noi  ignoriamo , permettono  a 
questo  pirenomicete  di  insediarsi  in  organi  vivi  di  piante  supe- 
riori, ivi  esso  può  completare  il  suo  ciclo  e dare  periteci  ascofori. 

E così  che  si  può  spiegare  la  presenza  de’  suoi  periteci  nelle 
foglie  della  Coryplia  anstralis  sulla  quale , come  si  disse , si  ri- 
scontrarono anche  i collidi  alla  superfìcie  delle  parti  alterate. 

Si  spiega  pure  in  tal  guisa  il  risultato  ottenuto  dal  Peglion 
su  semi  di  Vicia  e di  Trifolium  attaccati  da  micelio  di  Pleo- 
sporct  Alternamele,  che  messi  in  opportune  condizioni  diedero  luogo 
prima  ad  Aiternarie  e successivamente  a periteci  ascofori. 

Se  la  nostra  induzione  è conforme  al  vero,  le  alterazioni 
delle  foglie  di  Coryplui  anstralis  dovrebbero  essere  causate  piut- 
tosto dalla Pleospora  Alternariae  Gib.  e Griffi  (P.  infectoria  Euok.) 
anziché  dalla  Pleospora  Jierbarum  (Pers.)  Kab.  le  cui  attitudini 

(1)  Da  questo  passo  citato  del  memorabile  lavoro  di  Gibolli  e Griffini,  risulterebbe  errata 
V affermazione  del  Mattirolo  (Op.  cit.  p.  362)  che  da  conidl  di  Aiternaria  Gibelli  e Griffini 
ottenessero  periteci  complessivamente  in  23  colture. 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  ecc. 


27 


saprofìtiche  sono  luminosamente  confermate  dalle  nostre  come 
dalle  precedenti  ricerche. 

La  presenza  della  P.  herbamm  sulle  foglie  alterate  di  Cory- 
pha  australi s dovrebbe  ascriversi  a mera  consociazione  ed  all’a- 
vere essa  trovato,  nelle  porzioni  già  danneggiate  od  uccise  dalla 
P.  infectoria,  un  substrato  adatto  pel  suo  sviluppo. 

Quanto  ad  altre  forme  metagenetiche,  per  ambo  le  specie 
di  Pleospora , esse  dai  numerosi  e costanti  risultati  delle  nostre 
colture  su  così  svariati  substrati,  sono  da  escludere. 

Riteniamo  quindi,  e con  ogni  ragione,  prive  di  nesso  genetico 
le  forme  picnidiche  ascritte  dai  vari  autori  ora  alla  Pleospora 
lierbamm  Pers.  ( P.  Sarcinulae  Gib.  et  Griff.)  ora  alla  Pleospora 
infectoria  Pack.  (P.  Alternariae  Gib.  et  Griff.). 

E se  picnidì  o altre  forme  conidiche,  oltre  le  due  ornai 
indiscutibilmente  ammesse  di  Macrosporium  e di  Alternarla,  ri- 
spettivamente per  la  P.  herbamm  e P.  Alternariae  , sono  stati 
riscontrati  in  substrati  di  coltura  di  questi  due  Pirenomiceti,  è 
da  ritenersi  , a nostro  avviso  , che  essi  rappresentino  delle  ca- 
suali intrusioni  e non  facciano  assolutamente  parte  del  ciclo  evo- 
lutivo delle  Pleospora  in  questione. 

La  leggenda  del  polimorfismo  di  queste  è andata  via  via 
spogliandosi  delle  iperboliche  gonfiature  di  Hallier,  delle  com- 
plicate associazioni  di  Tulasne  e di  Euckel,  dopo  che  le  colture 
sperimentali  condotte  con  procedimenti  esatti  hanno  ridotto  al 
giusto  valore  le  fasi  evolutive.  Sussisteva  tuttavia  fino  ad  oggi  la 
credenza  che  forme  picnidiche  ( Phoma , Gito  spora,  etc.)  potessero 
rappresentare  degli  stadi  intermedi,  attese  le  frequenti  consocia- 
zioni di  queste  con  periteci  o con  forme  conidiche  sullo  stesso 
substrato  naturale  ; e i risultati  di  parecchi  sperimentatori  ave- 
vano pur  dato  peso  a cotesta  credenza.  Ma  la  non  concordanza 
di  questi  stessi  risultati,  i dubbi  espressi  in  proposito  da  auto- 
revoli investigatori  da  un  lato,  e il  responso  assolutamente  ne- 
gativo delle  nostre  colture  dall’altro,  tolgono  ogni  valore  all’  am- 
missione di  forme  metagenetiche  date  da  picnidì. 


28 


F.  Cavava  e N.  Mollica 


[Memoria  II.J 


Ciò  che  ha  molte  volte  indotto  i micologi  ad  affermare  il 
polimorfismo  dei  Pirenomiceti  è stato  anche  il  criterio  dell’evo- 
luzione o differenziazione  organica  che  ha  fatto  supporre  una  ge- 
rarchia di  forme  negli  organi  riproduttori:  alcune  più  semplici 
ritenute  inferiori,  altre  più  complicate  ritenute  superiori,  fino  da 
arrivarsi  alla  provvisoria  e convenzionale  distinzione  di  fungili 
imperfetti  per  tutte  le  forme  inferiori  (conidiclie  e picnidiche).  Le 
invocate  ricerche  sperimentali  che  avrebbero  dovuto  dipannare 
la  intricatissima  matassa  dei  cicli  evolutivi  per  ridurre  ad  un 
giusto  limite  e valore  le  specie  fungine,  non  hanno  dato  che 
scarsi  ed  incompleti  responsi,  e spesso  in  queste  ricerche  il  pre- 
concetto di  una  graduale  evoluzione  organica , di  una  ritmica 
successione  di  forme,  dalle  più  semplici  alle  più  complesse,  ha 
finito  per  dar  peso  e valore  a fatti  non  bene  accertati  e ad  os- 
servazioni non  abbastanza  scevre  dall’errore,  così  facile  ad  insi- 
nuarsi nelle  esperienze. 

Se  le  risultanze  delle  molteplici  e svariate  nostre  colture  , 
con  tanta  costanza,  di  dati  i quali  collimano  con  i più  salienti 
ottenuti  da  scrupolosi  ricercatori  che  ci  hanno  preceduto,  posso- 
no avere  sufficiente  valore  probatorio,  le  due  forme  di  Pleospora 
che  si  trovano  così  frequentemente  consociate  anche  su  di  uno 
stesso  substrato,  devono  ritenersi,  come  già  ebbero  a dimostrare 
Gibelli  e Griffini,  due  specie  distinte  che,  in  omaggio  ai  due  mi- 
cologi italiani  che  le  sceverarono  pei  primi,  potrebbersi  tuttora 
indicare  per  Pleospora  Sarcinulae  Gib.  et  Griffi  e Pleospora  Al- 
ternariae  Gib.  et  Griffi  Alla  prima  apparterrebbero  le  numerose 
forme  della  Pleospora  herbarum  (Pers.)  Kab.,  alla  seconda  la 
Pleospora  infectoria  Euck.,  la  P.  vulgaris  Messi,  e forse  altre. 

Ambedue  le  specie  collettive  hanno  un  ciclo  di  sviluppo 
assai  semplice,  e integrato  in  due  forme  di  organi  riproduttori  : 
i conidì  o spore  esogene  (rispettivamente  Macrosporium  e Ai- 
ternaria), e le  ascospore  o spore  endogene  a 7 e a 5 setti. 

Questa  duplicità  di  forme  riproduttive  è,  dopo  tutto,  conforme 
a quanto  si  verifica  in  molti  altri  funghi  ed  in  tante  alghe.  Le 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  ecc. 


29 


Carposporee  alle  quali  i Pirenoiniceti  sono  equiparati  in  ra- 
gione della  complicanza  degli  organi  riproduttori,  (e  sempre  nuove 
omologie  vengon  messe  in  luce  dai  recenti  studi  sui  loro  processi 
fecondativi),  presentano  tipicamente  cotesta  duplicità  di  organi 
riproduttori. 

D’  altronde  è pure  assodato  clie  altre  specie  di  Pleospora 
danno  solo  conidì  e periteci,  così  la  Pleospora  trichostoma  (Fr.) 
Wint.,  che  è una  specie  collettiva  , comprendente  forme  che  si 
sviluppano  sulle  graminacee.  Dalle  ricerche  di  coltura  e di  ino- 
culazione istituite  da  Dieticke  (1)  risulta  appunto  che  a lato  dei 
concettaceli  ascofori  si  sviluppano,  per  le  forme  comprese  in  que- 
sta specie,  dei  conidì  riferibili  ad  Helminthos'porium. 

Sviluppo  degli  sclerozi  della  Pleospora  Zierbarutn  (Pers)  Rab. 
v.  Cori/phae  Cav.  et  [Violi.  (2) 

Se  le  precedenti  ricerche  hanno  messo  in  chiaro  le  fasi  evo- 
lutive delle  due  specie  di  Pleospora  che  albergavano  le  foglie  di 
Coryplia  australis  e,  particolarmente  per  la  P.  herbarum , hanno 
dato  piena  conferma  dei  risultati  ottenuti  da  altri  micologi  e 
sopratutto  da  Gibelli  e Griffini , parve  a noi  che  un  punto  ab- 
bastanza oscuro  restasse  a chiarire  e cioè  lo  sviluppo  degli  scle- 
rozi e la  loro  ditferenziazione  in  periteci  ascofori. 

Alla  soluzione  di  questo  problema  furono  intese  le  ulteriori 
nostre  ricerche  prendendo  le  mosse  dall’inizio  degli  sclerozi  stessi, 
seguendo  gradatamente  le  modificazioni  di  forma  e di  strut- 
tura fino  alla  loro  completa  trasformazione  in  organi  riprodut- 
tori, ossia  in  periteci  ascofori. 

Il  materiale  copioso  da  noi  ottenuto,  in  così  svariati  mezzi 
di  coltura,  si  offriva  egregiamente  ad  essere  utilizzato  per  simili 


(1)  Vedi  Dieticke  H,  Uber  den  Zusammenhang  ewischen  Pleospora,  u.  Helminthosporinm- 
Arten.  Centralld.  f.  Bakter.  u.  Parassitenk.  1902. 

(2J  Differt  a typo  : peritheciis  globoso-conicis  numquam  colldbescentibus , ostiolo  in  eollum 
praelongum,  cylindraceum,  arcuatimi  protracto. 


30 


F.  Cavava  e N.  Mollica. 


[Memoria  II.] 


indagini  i cui  risultati  cercheremo  di  riassumere  qui  breve- 
mente. 

Il  modo  di  prendere  origine  degli  sclerozi  è già  stato  da  noi 
in  parte  descritto,  ed  anche  interpretato  quale  il  risultato  di  un 
processo  fecondativo  e più  precisamente  di  un  atto  di  coniuga- 
zione di  ife  (gameti)  morfologicamente  non  differenziate. 

Nei  substrati  liquidi  le  ife  destinate  a tale  processo  si  at- 
torcigliano a spirale,  e dalla  fusione  della  estremità  di  due  di 
queste  ife,  così  avvolte  a spira,  sembra  trarre  origine  lo  sclero- 
zio. Una  conferma  di  tale  induzione  non  si  potè  avere  in  dati 
di  ordine  citologico  essendo  stata  assai  scarsa  la  produzione  di 
sclerozi  e di  periteci  nei  substrati  liquidi.  Tuttavia  l’osservazio- 
ne da  noi  fatta  del  ripetersi  di  simili  disposizioni  di  ife  prelu- 
denti alla  formazione  di  sclerozi,  e l’altra  osservazione  non  meno 
importante  relativa  alla  sterilità  di  ife  avvolte  a spira,  isolate, 
ossia  ottenute  dalla  germinazione  di  un’unica  ascospora,  avvalorano 
certamente  1’  ipotesi  di  un  processo  fecondativo  presiedente  alla 
formazione  di  uno  sclerozio. 

Nei  mezzi  solidi  di  coltura,  che  come  si  è visto,  furono  molti 
e diedero  sclerozi  in  grande  quantità  per  la  Pleospora  herbarum , 
fu  possibile  approfondire  delle  ricerche  e seguire,  nelle  varie  fasi, 
lo  sviluppo  di  tali  organi. 

Il  materiale  di  coltura  veniva,  in  tempi  successivi,  fissato  con 
soluzione  alcoolico-acetico  di  sublimato  corrosivo  , e previa  un 
passsagio  di  20  a 24  ore  in  alcool  jodato,  passato  agli  alcooli  e 
agli  xiloli  (xilolo  X alcool,  xilolo  puro)  e indi  imparaffìnato  e se- 
zionato al  microtomo.  Non  ostante  il  processo  di  sclerotizzazione 
cui  vanno  soggette  le  ife  periferiche  degli  sclerozi,  l’ im paraffina- 
li] ento  riuscì  quasi  sempre  egregiamente,  atteso  il  lungo  soggior- 
no (12,  24  fin  48  ore)  al  quale  si  sottopose  il  materiale  nei  vari 
passaggi-. 

Le  sezioni  attaccate  al  portaoggetti  con  glicero-albuinina 
Mayer  , dopo  essere  state  negli  xiloli  e negli  alcooli , venivano 
colorate  preferibilmente  con  Ematossilina  (metodo  Heidenhein  al 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  ecc. 


31 


l’allume  ferrico)  e molte  volte  ricolorate  con  Orango  per  dare  mag- 
gior contrasto  ai  nuclei  in  seno  al  protoplasma. 

Dall’esame  di  migliaia  di  sezioni,  così  ottenute,  emersero 
fatti  di  non  dubbio  valore,  che  certamente  aprono  la  via  a nuo- 
ve interpretazioni  intorno  alla  genesi  ed  al  significato  degli  scle- 
rozi, come  anche  relativamente  alle  differenziazioni  interne  che 
conducono  alla  maturazione  degli  organi  riproduttori  od  ascili. 
Prendiamo  in  attento  esame  le  fasi  tutte. 

L’  unione  dei  gameti,  od  ife  destinate  a coniugarsi,  avviene 
nei  mezzi  solidi  con  qualche  variante.  Tali  ife  non  si  attorcigliano 
più  a pastorale,  come  ne’  mezzi  liquidi,  ma  o subiscono  una  lieve 
incurvatura  che  agevola  il  loro  combaciamento  (Fig.  21,  22,  25, 
27,  Tav.  II)  ovvero  questo  ha  luogo  senza  alcuna  curvatura  fra 
due  ife  che  si  dispogono  parallelamente  Y una  rispetto  all’  altra 
(Fig.  23),  ovvero  mettendosi  rispettivamente  di  fronte  colle  loro 
estremità  (Fig.  21). 

Quasi  sempre  sono  gli  articoli  terminali  che  contraggono 
aderenza  fra  di  loro  (Fig.  21,  23,  21,  25)  ; in  alcuni  casi  però 
l’unione  può  effettuarsi  anche  fra  una  cellula  terminale  ed  una 
intercalare  (Fig.  22,  27)  o fra  due  articoli  intercalari  (Fig.  2(3). 

Le  porzioni  di  ife  che  vengono  a mettersi  a contatto  restano 
sempre  limitate  da  un  setto  trasversale  dalla  rimanente  ifa  , e 
sono  fornite  di  un  vistoso  nucleo  ognuna,  e di  abbondante  proto- 
plasma spesso  vacuolizzato,  onde  dallo  strato  parietale  di  esso  si 
dipartono  sottili  barulerelle  che  vanno  al  nucleo.  Questi  carat- 
teri citologici  rendono  assai  manifeste  le  ife  che  iniziano  il  pro- 
cesso di  formazione  degli  sclerozi,  oltre  la  maggiore  loro  gran- 
dezza in  confronto  delle  ife,  sterili  o vegetative. 

Il  processo  di  intima  unione  delle  due  ife  in  coniugazione, 
se  ci  è sfuggito  in  alcune  sue  fasi,  resta  però  sufficientemente 
provato  da  alcuni  fatti  da  noi  colpiti  e che  abbiamo  cercato  di 
rappresentare  nella  Tavola  II  che  accompagna  la  presente  me- 
moria. 

Anzitutto,  dopo  essersi  stabilito  il  mutuo  contatto  delle  ife 


32 


F.  Cavava  e N.  Mollica 


[Memoria  II. J 


destinate  a compiere  il  processo  di  coniugazione,  si  potè  osser- 
vare parecchie  volte  una  reciproca  orientazione  dei  loro  nuclei 
(Eig.  21,  22)  portantisi  rispettivamente  verso  la  parete  di  con- 
tatto, ed  in  evidente  corrispondenza,  in  virtù  forse  di  uno  sti- 
molo cheinotattico. 

Inoltre  in  molti  de’  nostri  preparati,  come  le  Eig.  26,  27, 
attestano  chiaramente,  si  ebbe  a riscontrare  da  un  lato  la  scom- 
parsa del  nucleo  in  una  delle  due  cellule  venute  a contatto  e 
la  contemporanea  presenza  di  due  nuclei  nell’  altra  contigua,  e 
d’  altro  lato  la  conseguente  degenerazione  del  contenuto  dell’ar- 
ticolo rimasto  privo  di  nucleo.  Per  quanto  non  si  sia  potuto 
colpire  il  passaggio  di  uno  dei  nuclei  dalla  cellula  virtualmente 
funzionante  da  anteridio  nell’  altra  che  può  considerarsi  come 
1’  oogonio,  e nemmeno  dedurlo  da  traecie  di  perforazione  della 
membrana  di  separazione  , i fatti  accennati  parlano  senz’  altro 
in  favore  di  un  processo  di  coniugazione  verificatosi  fra  i due 
elementi. 

Altri  dati  del  resto  vengono  ad  avvalorare  tale  interpreta- 
zione. 

E prima  di  ogni  altra  cosa  il  processo  di  corticazione  che 
attorno  all’  elemento,  funzionante  da  oogonio,  si  inizia  per  parte 
di  ife  circostanti , procedenti  da  articoli  in  connessione  più  o 
meno  stretta  coll’  elemento  stesso  (Eig.  28,  29,  30,  31).  E tale 
processo  di  corticazione,  che  ha  riscontro  in  altri  ascomiceti  ed 
anche  in  alghe  carposporee,  conduce  da  prima  alla  formazione 
di  un  ganglio  micelico,  e successivamente  a quella  di  un  corpo 
pseudo-parenchimatico  i cui  caratteri  di  sclerozio  vengono  sein- 
prepiù  ad  accentuarsi.  Le  sue  cellule  centrali,  infatti  vanno  facen- 
dosi isodiametriche,  mentre  le  ife  corticanti  imbruniscono  la  loro 
membrana  e si  schiacciano  in  senso  tangenziale. 

Inoltre  nell’  esordire  di  questi  gangli  micelici,  il  comporta- 
mento dei  nuclei  inette  in  chiara  evidenza  come  da  una  cellula 
iniziale  , rappresentante  1’  oogonio  fecondato  , traggano  origine  , 
per  ripetute  divisioni,  altre  tante  cellule  i cui  caratteri  di  eie- 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  ecc. 


33 


menti  germinali  o riproduttivi,  rispetto  a quelle  che  si  possono 
dire  somatiche  o vegetative,  sono  dalla  speciale  capacità  a colo- 
rirsi, dalla  grandezza  del  loro  nucleo,  e dalla  maggiore  densità 
del  protoplasma  assai  bene  messi  in  evidenza  (Eig.  28-36).  I di- 
segni tratti  dalle  sezioni  microtomiche  chiariscono  senza  alcun 
dubbio  queste  particolari  differenziazioni  citologiche  che  avven- 
gono in  seno  ai  corpicciuoli  emananti  dalla  fusione  dei  gameti. 
È certamente  degno  di  osservazione  il  diverso  comportamento 
di  alcune  fra  le  cellule  di  questi  gangli  inicelici,  o sclerozi  ini- 
ziali, i nuclei  delle  quali  si  lasciano  tanto  bene  mettere  in  evi- 
denza dalle  sostanze  coloranti,  di  fronte  alle  altre  circostanti  , 
di  carattere  evidentemente  vegetativo  che  non  reagiscono  affatto 
od  assai  debolmente. 

Coll’  ingrossare  di  cotesti  corpi  scleroziali  il  numero  di  cel- 
lule a nuclei  vistosi  va  pure  aumentando  sempre  per  continuato 
processo  di  divisione,  senoncliè  la  loro  distribuzione  nelle  sezioni 
microtomiche  diviene  assai  irregolare  e senza  una  apparente 
continuità. 

Ciò  si  deve  al  fatto  che  cotesti  aggruppamenti  di  ife  che 
determinano  il  costituirsi  di  uno  sclerozio  non  seguono  alcuna 
legge  cosicché  gli  elementi  che  in  serie,  traggono  origine  dalle 
successive  segmentazioni  dell’  oogonio  , possono  avere  decorso 
tortuoso  e allacciarsi  in  varia  guisa  con  quelli  delle  ife  corti- 
canti,  onde  in  una  sezione  trasversale  restano  mescolati  gli  uni 
agli  altri,  a ino’  di  mosaico.  Il  solo  reperto  citologico,  e cioè 
la  varia  capacità  di  colorirsi,  può  fare  distinguere  gli  elementi 
germinali  da  quelli  somatici,  e dare  ragione  in  certo  qual  modo 
della  varia  loro  distribuzione.  Si  nota,  ad  esempio,  non  infrequen- 
temente che  cellule  fornite  di  nucleo  manifesto  e di  ricco  pro- 
toplasma si  trovano  verso  la  periferia  di  giovani  sclerozi  ed 
anche  fra  gli  elementi  stessi  del  peridio  (Eig.  36,  39,  40).  Sono 
precisamente  delle  emanazioni  delle  cellule  germinali  che,  per 
virtù  di  segmentazione  in  determinate  direzioni,  si  sono  mesco- 
late alle  ife  corticanti,  pur  conservando  le  loro  proprietà  di  ele- 

Atti  Acc.  Serie  4a,  Vol.  XIX  — Mem.  II. 


5 


34 


F.  Cavava  e N.  Mollica 


[Memoria  II.  | 


menti  riproduttivi  e cioè  la  particolare  colorabilità.  Ciò  spieghe- 
rebbe, a parer  nostro,  il  fatto,  riscontrato  nelle  nostre  colture, 
della  produzione  di  conidiofori,  per  parte  di  cellule  del  peridio, 
di  periteci  o di  cellule  periferiche  di  sclerozi  (Fig.  19  Tav.  I)  ; 
fatto  segnalato  anche  da  Tulasne  senza  essere  stato  però  spie- 
gato da  questo  micologo.  Ora  la  presenza  nel  peridio  di  elementi 
aventi  plasma  germinativo,  che  si  spiega  benissimo  col  modo 
dianzi  accennato  di  prendere  origine  dei  gangli  micelici,  dà  ra- 
gione della  formazione  suddetta  di  conidiofori  da  elementi  dello 
stesso  peridio. 

D’  altra  parte  si  notano  pure  di  questi  gangli  micelici  senza 
che  alcuna  cellula  si  ditferenzì  dalle  altre  per  la  colorabilità  o 
maggior  mole  del  nucleo.  È questo  il  caso  rappresentato  dalle 
figure  37,  38  riferentisi  a corpi  che  possono  essere  interpretati 
anche  per  formazioni  analoghe  alle  spore-bulbelli  di  Eidain  e 
Mattinilo.  (1) 

La  ulteriore  evoluzione  degli  sclerozi  si  esplica  in  due  di- 
rezioni diverse:  da  un  lato  le  ife  periferiche,  o corticanti,  si  mo- 
dificano nella  loro  struttura  e nella  chimica  costituzione  in  guisa 
da  formare  più  strati  di  natura  protettiva — il  così  detto  peridio — 
e , dall’  altro  gli  elementi  della  parte  centrale  , secondocliè  de- 
rivano da  cellule  germinali  o da  elementi  somatici  , assumono 
funzione  diversa  o riproduttiva,  o di  riserva  e nutritiva.  Le  so- 
stanze coloranti  (Ematossilina  od  altre)  servono  in  questo  caso 
a sceverare  gli  uni  dagli  altri  elementi.  Negli  sclerozi  allo  stato 
di  riposo  le  cellule  a contenuto  di  riserva  alimentare  prevalgono 
su  quelle  di  carattere  riproduttivo;  ma  quando  per  determinate 
condizioni  dell’  ambiente  (umidità  e calore)  si  risveglia  l’attività 
moltiplicativa  allora  queste  ultime  prendono  il  sopravvento  sulle 
prime,  e lo  sviluppo  e l’aumento  in  numero  di  queste  si  compie 
interamente  a spese  di  quelle  che  vanno  via  via  obliterandosi, 
o che,  per  essere  più  esatti,  vengono  gradatamente  digerite. 

(1)  M ATTIRO i-O  O.  — Sullo  sviluppo  eli  due  nuovi  Hypocreacei  e sulle  spore-bulbilli  degli 
Ascomiceti.  in  N.  Giornale  botanico  italiano.  Voi.  XVIII.  Firenze  1886  p.  142  e seg. 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  ecc. 


35 


In  un  determinato  stadio  di  uno  sclerozio  si  ha,  perciò,  la 
sostituzione  completa  degli  elementi  vegetativi  con  elementi  ri- 
produttivi  forniti  tutti  di  nucleo  e di  plasma  denso  e attivo. 

Un’  ulteriore  differenziazione,  e di  grande  valore  morfologi- 
co, è quella  che  prelude  alla  formazione  degli  aschi.  In  un 
punto  determinato  dello  sclerozio  che  abbia  già  raggiunto  le 
dimensioni  normali,  si  accenna  un  particolare  orientamento  delle 
sue  cellule  accompagnato  da  uno  stiramento  di  esse,  da  una  re- 
gione ad  altra  dello  sclerozio,  per  solito  da  quella  che  può  es- 
sere assunta  per  base  (in  quanto  è a contatto  del  micelio  da 
cui  si  è originato  e quindi  del  substrato  di  coltura)  verso  la 
opposta  che  diventa  perciò  1’  apice  del  futuro  peritecio  (Eig.  41 
Tav.  II).  Tale  orientazione  e stiramento  di  cellule  interessa  da 
prima  un  piccolo  nucleo  di  elementi,  il  quale  va  poi  aumen- 
tando fino  a toccare  i più  interni  degli  strati  del  peridio.  È 
una  trasformazione  in  elementi  allungati,  forniti  di  vistosi  nuclei, 
delle  cellule  poliedriche , isodiametriclie  dello  sclerozio  ; e tali 
elementi  sono  fra  di  loro  disposti  in  serie  e strettamente  uniti 
in  fascio. 

Per  la  forma  loro  e pei  rapporti  che  vanno  ad  assumere 
in  seguito  essi  sono  da  considerarsi  come  gli  inizi  delle  cosidette 
parafisi , la  comparsa  delle  quali  precede,  come  si  vede,  quella 
degli  aschi. 

Nel  maggior  numero  dei  casi  la  genesi  di  questi  elementi 
allungati  disposti  in  serie  lineari  si  accenna  in  un  punto  più  o 
meno  centrale  dello  sclerozio  ; ma  non  infrequentemente  dan- 
nosi più  punti  di  origine,  spesso  due,  talora  ma  più  raramente 
tre  ; ed  apparendo  questi  nelle  sezioni  mediane  degli  sclerozi , 
si  può  dedurne  che  la  differenziazione  di  tali  elementi  in  seno 
al  pseudoparenchima  avvenga  secondo  una  zona  annidare  quando 
sono  due  i nuclei  di  differenziazione  , ed  anche  al  centro  nel 
caso  che  sieno  tre. 

Molto  difficile  ci  è stato  lo  stabilire  il  punto  di  partenza 
della  differenziazione  medesima  dalFomogeneo  ifenchima  sclero- 


36 


F.  Cavava  e N.  Mollica 


[Memoria  II.J 


ziale,  poiché  nel  maggior  numero  delle  sezioni  praticate  erano 
più  frequentemente  avvertibili  gii  stadi  più  o meno  avanzati 
di  essa  e cioè  il  nuovo  orientamento  di  ife  che  mentre  si  dispo- 
nevano quasi  parallelamente  tra  di  loro  , assumevano  caratteri 
citologici  assai  spiccati  e cioè  un  contenuto  più  denso  e sopra- 
tutto dei  nuclei  dotati  di  grande  capacità  colorativa. 

Tuttavia  passando  e ripassando  in  esame  le  nostre  prepara- 
zioni facendo  uso  dell’  obbiettivo  ad  immersione  omogenea  V12 
della  casa  Zeiss,  abbiamo  potuto  rilevare  stadi  che  dànno  luce 
particolare  sulla  genesi  delle  paratisi  e degli  ascili. 

In  mezzo  alle  cellule  costituenti  il  pseudoparenchima  dello 
sclerozio  se  ne  notano,  in  un  determinato  momento  di  questo  , 
secondo  le  condizioni  di  sviluppo,  alcune  il  cui  protoplasma  si 
fa  più  manifestamente  granulare  , e presentasi  più  o meno  va- 
cuolato, segno  non  dubbio  di  un  risveglio  di  attività. 

Inoltre  i nuclei  acquistano  una  forma  e una  struttura  ben 
definite,  apparendo  essi  come  vescicole  sferoidali  con  un  grosso 
globulo  al  centro  particolarmente  colorabile.  Il  carioplasma  es- 
sendo più  chiaro,  più  finamente  granulare  che  non  il  citoplasma 
i nuclei  restano  perciò  ben  delimitati  e visibilissimi. 

Ora  ci  venne  fatto  di  osservare  che  in  quei  punti  dello 
sclerozio  ne’  quali  si  accennava  tale  differenziazione  citologica 
interna,  le  cellule  presentavano  modificazioni  nella  forma  oltrec- 
chè  nel  contenuto. 

Il  loro  contorno,  per  ineguale  distensione  della  membrana, 
diveniva  irregolare  e sinuoso  (fig.  12  a , h , Tav.  II),  e come 
fossero  dotate  di  speciale  metabolia  , esse  si  insinuavano  fra  le 
ife  dello  sclerozio  sia  dissociandole,  sia  dissolvendole,  evidente- 
mente per  mezzo  di  enzimi  da  esse  elaborate. 

Tale  processo  di  digestione  di  una  parte  degli  elementi  dello 
sclerozio,  compiuto  da  alcune  cellule,  è cosa  fuori  di  ogni  dub- 
bio e perfettamente  consona  alla  natura  di  questi  organi  che 
rappresentano  dei  magazzini  di  sostanza  di  riserva. 

Intanto  si  notò  che  talune  di  queste  cellule  a ripresa  atti- 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  ecc. 


37 


vita  ed  a contorno  sinuoso,  possedevano  due  nuclei,  ed  altre  ne 
avevano  quattro  con  regolare  disposizione  , occupanti  i quattro 
angoli  di  un  quadrilatero  (Eig.  42  c Tav.  II).  Ora  cellule  binu- 
cleate si  osservavano  in  precedenza  anche  in  nuclei  sclerozi  allo 
stato  di  riposo,  mentre  quelle  fornite  di  quattro  nuclei  appari- 
vano solo  nei  punti  di  risveglio  cellulare  di  questi,  onde  è lecito 
indurre  che  coteste  cellule  tetranucleate  derivano  dalle  binucleate 
o per  divisione  dei  due  nuclei  di  queste,  o per  fusione  due  a due 
di  cellule  binucleate.  La  figura  42  b della  nostra  Tavola  II  ap- 
poggerebbe  piuttosto  la  seconda  ipotesi. 

Quale  può  essere  il  significato  morfobiologico  di  queste  strut- 
ture'? È veramente  difficile  dare  una  risposta.  Solo  è presumi- 
bile che  esse  rappresentino  una  condizione  di  fatto  per  la  costi- 
tuzione degli  elementi  senati  sopraindicati,  poiché  è precisamente 
dai  punti  ne1  quali  si  osservano  queste  differenziazioni  che  trag- 
gono origine  le  cellule  che  si  orientano  in  serie  lineari,  disposte 
a gruppi,  in  uno  o più  parti  dello  sclerozio. 

Avvenuta  la  costituzione  di  questi  gruppi,  nei  quali  ogni 
singola  cellula  è uninucleata,  si  nota  però  che  in  breve  processo 
di  tempo  una  fra  le  cellule  della  parte  mediana  di  talune  delle 
serie  lineari  viene  ad  essere  binucleata.  Ora  anche  in  questo  caso 
la  origine  di  due  nuclei  resta  assai  dubbia,  potendosi  essa  spie- 
gare o colla  divisione  del  nucleo  unico  preesistente,  ovvero  per 
un  processo  di  anastomosi  fra  due  porzioni  di  ife  contigue. 

Alcuni  fatti  potrebbero  avvalorare  anche  in  questo  caso  co- 
testa  seconda  interpretazione,  così  ad  esempio  lo  sformarsi  di  al- 
cune cellule  delle  serie  lineari,  il  divenire  esse  gibbose  da  un  lato, 
1’  emettere  una  protuberanza  che  accenna  a formazione  di  un 
rametto  il  quale  però  si  arresta  in  breve  appena  venuto  a con- 
tatto di  un  articolo  di  serie  contigua  (Eig.  43  a-c). 

Questi  processi  parlerebbero  in  favore  di  una  possibile  ana- 
stomosi, ma  non  abbiamo  dati  sufficienti  per  affermare  in  modo 
assoluto  che  ciò  avvenga. 

Ciò  di  cui  non  si  può  dubitare  è 1’  origine  dell’  asco  da 


38 


F.  Cavava  e JV.  Mollica 


[Memoria  II.] 


quella  fra  le  cellule  di  una  serie  lineare,  che  si  presenta  ad  un 
momento  dato  binucleata.  Quindi  anche  per  la  Pleospora  herba- 
rum  il  nucleo  della  cellula  madre  dell’  asce  è il  risultato  della 
fusione  di  due  nuclei  preesistenti. 

E cotesta  cellula  madre  è di  origine  prettamente  interca- 
lare, proviene  cioè,  da  una  cellula  mediana  di  una  serie  lineare 
fertile,  mentre  sonvi  serie  lineari  del  tutto  sterili  che  non  dif- 
ferenziando alcuna  delle  loro  cellule  in  asco,  restano  delle  para- 
fisi. Il  caso  offerto  dagli  sclerozi  della  Pleospora  lierbanim  è,  per- 
ciò, abbastanza  singolare,  conoscendosi  solo  finora  una  origine 
dell’  asco  o da  una  cellula  terminale  di  un  ifa  differenziata,  o da 
cellula  situata  di  poco  al  disotto  della  terminale  (1).  È da  no- 
tare che  le  serie  lineari  di  cellule  che  si  differenziano  negli  scle- 
rozi, hanno  rapporto  tanto  cogli  elementi  della  base  dello  sclero- 
zio quanto  con  quelli  della  parte  superiore  di  esso  (Eig.  44),  per 
una  evidente  fusione  avvenuta  durante  la  loro  differenziazione. 

Ora  la  differenziazione  di  una  cellula  di  una  serie  lineare 
che  prelude  alla  formazione  dell’  asco  è la  comparsa  di  due  nu- 
clei in  seno  ad  essa.  Questo  fatto  che  dal  Dangeard  (2)  è dato 
come  la  caratteristica  della  costituzione  di  un  asco  , in  quanto 
questo  autore  dà  valore  di  atto  sessuale  alla  fusione  di  tali  due 
nuclei,  è di  assai  difficile  interpretazione,  come  si  disse  ; e pur 
volendolo  riannodare  ai  fatti  precedentemente  descritti , e cioè 
alla  presenza  di  cellule  bi-e  tetranucleate  nello  sclerozio  , ciò 
non  rimuove  le  difficoltà.  Si  può  infatti,  accostandosi  alle  idee 
del  Dangeard  ritenere  di  origine  diversa  i due  nuclei  che  ven- 
gono a sdoppiarsi  nella  cellula  ascogena , in  quanto  che  dalle 
cellule  tetranucleate  sarebbero  derivate  , successivamente  le  bi- 
nucleate e poi  le  uninucleate  delle  serie  lineari  , ma  resta  però 
sempre  il  fatto  che  l’intiero  sclerozio  è il  prodotto  della  unione 


(1)  Faxji.l,  H.  J.  Development  of  Ascns  and  Spore  formation  in  Aseomycetes.  Procee- 
dings  of  tlie  Boston  Soc.  of  Nat.  History.  1905  p.  99. 

(2)  Dangeard  P.  A.  — Kecherches  sur  le  dévelopement  clu  périthèce  clìez  les  ascomycètes. 
Le  Botaniste,  Décembre  1904. 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  ecc. 


39 


di  due  ife  distinte,  cioè  morfologicamente  differenziate  , onde  è 
poco  ammissibile  die  a questo  atto  di  natura  sessuale  ne  deb- 
bano succedere  altri  nello  stesso  ciclo  di  sviluppo  ontogenetico. 

Noi  perciò  siamo  d’  avviso  che  la  costituzione  dell’  asco  pro- 
ceda dallo  sclerozio  per  lo  sviluppo  di  una  cellula  da  prima  bi- 
nucleata poi  uninucleata  , ma  non  possiamo  accordare  a questo 
fenomeno  il  carattere  di  sessualità  che  vi  annette  il  Dangeard. 

Anche  il  T'aulì  (1)  che  si  è occupato  recentemente  dall’origine 
dell’  asco  non  può  condividere  la  opinione  del  Dangeard  dopo 
i numerosi  esempi  di  una  vera  e propria  fecondazione  esplican- 
tesi  negli  ascomiceti  in  modo  affatto  diverso  da  quello  voluto 
dal  Dangeard.  E vogliamo  anzi  riprodurre  le  stesse  sue  parole 
perchè  ci  sembrano  di  una  grande  convinzione. 

Dopo  avere  il  Taulì  ammesso  che  il  Dangeard  fu  il  primo 
a scoprire  la  binuclearità  della  cellula  madre  dell’asco  e ad  at- 
tribuirle il  carattere  di  un  atto  sessuale,  soggiunge:  « but  tliis 
conclusimi  scarcely  seems  plausible  because  tlie  following  facts 
appears  ho  bave  been  ab  ready  been  satifactorily  demonstrated 
in  several  instances  : 1.  there  has  already  been  a fusimi  of 
sexual  elements  in  thè  ontogeny  of  thè  individuai,  2.  thè  fusing 
nuclei  in  thè  ascus  are  division  products  of  nuclei  belonging  to 
thè  sanie  celi,  and  perii  ape  in  some  cases  even  daughters  of  si- 
ster  nuclei  , and  3.  they  are  vegetatively  active  before  fusimi  , 
as  is  tlie  single  nucleus  after  fusimi.  The  phenomenon  is  pro- 
bably  vegetative  rather  tlian  sexual,  but  its  nature  and  signifi- 
cance  will  not  be  fully  understood  untili  fnrther  research  reveals 
wlietlier  or  not  it  is  an  acqui red  feature. 

Senza  ingolfarci  in  una  discussione  la  quale  non  lascia  spe- 
rare una  definitiva  soluzione  di  questi  particolari  problemi  dello 
sviluppo  degli  ascomiceti , e senza  volere  costringere  i fatti  da 
noi  osservati  nella  cerchia  di  teorie  non  ancora  interamente 
accettate  in  micologia , riassumeremo  in  uno  schema  i punti 


(1)  Fatili,  J.  H. — Development  of  Ascus  ancl  Spore  formation  in  Ascomycetes. — pag.  102. 


40 


F.  Cavava  e N.  Mollica 


[Memoria  II.J 


salienti  del  ciclo  evolutivo  della  Pleospora  herbarum  quali  sono 
risultati  dalle  nostre  ricerche,  tenendo  presente  le  odierne  vedute 
del  Blakeslee  relative  alla  ripartizione  dei  sessi  in  miceli  solo 
fisiologicamente  differenziati,  in  quanto  che  la  Pleospora  Jierba- 
rum  da  noi  studiata  si  è dimostrata  nelle  colture  decisamente 
eterotallica,  cioè  fornita  di  ascospore  dalle  quali  procedono  mi- 
celi sessualmente  differenziati. 

Ecco  lo  schema  riassumente  i fatti  da  noi  osservati. 


ascospore  q~ 

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cellula  madre  delle  paratisi 
paratisi 

-■«  cellula  madre  degli  ascili 
. - ascili 


0 è©©®©©  0— - * ascospore 


In  questo  schema  il  punto  meno  chiaro  dal  lato  della  in- 
terpretazione è quello  riguardante  la  fase  preparatoria  delle  pa- 
rafisi, e cioè  la  comparsa  di  cellule  bi-e  tetranucleate. 

Se  non  si  vuole  accettare  la  opinione  del  Eaull  (loc.  cit.) 


Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  di  una  interessante  forma  eco. 


41 


che  cotesti  processi  di  divisione  e di  fusione  nucleare  rappre- 
sentino delle  fasi  puramente  vegetative,  e se  anche  non  si  vuole 
ammettere  in  uno  stesso  ciclo  di  sviluppo  ontogenetico  la  ripe- 
tizione di  atti  sessuali,  la  bi-e  tetranuclearità  delle  cellule  madri 
delle  parafisi  potrebbe  avere  il  solo  significato  di  disgiunzione 
e ricombinazione  di  entità  nucleari  (cromosomi  o procromosomi) 
a fine  di  trasmettere  e ripartire  nelle  ascospore  i caratteri  ere- 
ditari appartenenti  ai  progenitori.  Nelle  tre  divisioni  che  nell’asco 
precedono  la  formazione  delle  ascospore , la  sostanza  cromatica 
verrebbe  a ripartirsi  nelle  cellule  figlie  in  quantità  eguali  ma  non 
altrettanto  fornite  delle  stesse  qualità  (caratteri  o germi)  eredi- 
tarie. 

Dal  punto  di  vista  filogenetico  la  successione  delle  fasi  quali 
abbiamo  delineate  nella  Pleospora  herbarum  farebbe  riattaccare 
viemaggiormente  questi  Pirenomiceti  alle  Alghe  Oarposporee,  e 
fors’anco  alle  Embriofite  potendosi  annettere  allo  sclerozio  il  si- 
gnificato di  un  organo  omologabile  all’  embrione. 


. 


) 


Spiegazione  delle  Tav.  I e II. 

Tav.  I. 

1.  — Sezione  trasversale  di  foglia  di  Corypha  australis  , che  fa  vedere 
il  micelio  intercellulare  di  Pleospora  herbarum,  del  quale  alcune  ife 
perforano  1’  epidermide. 

2 a 6.  — Ascospore  di  Pleospora  herbarum  ; 2)  spora  appena  uscita  dal- 
l’asco  e fornita  di  alone  mucillaginoso;  3 a 6)  spore  germinanti. 

7 e 8.  — Fusioni  ad  H di  ife  miceliche. 

9 a 11.  — Altri  e differenti  casi  di  unione  di  ife. 

12  a 15.  — Particolari  modi  di  unione  di  ife  a pastorale,  precedenti  la 
formazione  degli  sclerozi. 

16  e 17.  — Stadi  vari  della  formazione  dei  collidi  a Sarcinula. 

18.  — Proliferazione  in  colonia  di  Macrosporium. 

19.  — Formazione  di  collidi  da  cellule  del  peridio  di  uno  sclerozio. 

20.  — Peritecio  di  Pleospora  herbarum  var.  Coryphae  ottenuto  in 
coltura  a goccia  pendente. 

Tav.  II. 

21  a 27.  — Vari  modi  di  unione  di  ife  precedenti  la  formazione  degli 
sclerozi,  in  mezzi  di  coltura  solidi,  ed  osservati  uelle  sezioni  mi- 
crotomiclie.  Nelle  Fig.  26  e 27  si  osserva  il  passaggio  avvenuto 
del  nucleo  da  una  cellula  nell’  altra. 

28  a 36,  39  e 40.  — Stadi  vari  della  formazione  di  uno  sclerozio.  Gli  ele- 
menti disegnati  con  protoplasma  denso  e con  nucleo  vistoso  rap- 
presentano cellule  germinali  emauanti  dalla  divisione  della  cellula 
che  è il  prodotto  della  fusione  di  due  gameti. 

37  e 38.  — Gangli  micelici  senza  cellule  germinali,  comparabili  a spo- 
re-bulbilli. 

41.  — Sezione  assile  di  uno  sclerozio  maturo  nel  quale  si  nota  la  dif- 
ferenziazione di  una  parte  delle  sue  cellule  in  serie  di  elementi 
filiformi  (parafisi). 

42.  — Cellule  di  uno  sclerozio  in  via  di  differenziazione  ascogena. 

43.  — Elementi  disposti  in  serie  lineare,  frammisti  alle  parafisi  e che 
si  differenziano  in  aschi. 

44.  — Sezione  di  uno  sclerozio  dififerenziantesi  in  peritecio  ascoforo, 
dove  si  nota  P origine  intercalare  delle  cellule  madri  degli  aschi. 


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Memoria  III 


Azione  sperimentale  dei  succhi  digerenti  sull’  involucro 
delle  ova  di  alcune  Tenie 


Ricerche  di  UMBERTO  DRAGO 


RELAZIONE 

della  Commissione  di  revisione  composta  dai  soci  effettivi 
Proli.  STADERINT  ed  A.  RUSSO  {relatore). 


In  questa  Memoria  1’  A.  espone  una  serie  di  ricerche  sperimentali  sulle 
ova  di  Taenia  cramicollis,  T.  serrata  e T.  medio-cannellata,  dirette  a saggiare 
l’ azione  dei  succhi  digerenti  dei  rispettivi  osti  intermedi  sul  guscio  di 
dette  ova.  Le  esperienze  sono  condotte  con  la  massima  circospezione,  trattando 
le  ova  con  succo  gastrico  acidificato,  con  bile  e con  succo  pancreatico — ri- 
cavati secondo  le  norme  della  tecnica  fisiologica — e mantenute  nel  termostato 
alla  temperatura  di  38°-39°  C,  insieme  a preparati  di  controllo  tendenti  ad 
esplorare  il  potere  digerente  dei  succhi  stessi 

Il  risultato  di  tali  esperienze,  contrariamente  a quanto  generalmente  si 
ammette,  non  fu  assolutamente  positivo,  e quelle  relative  modificazioni  con- 
statate dall’  A.  non  sono  esclusivamente  devolute  all’  azione  della  bile,  come 
sosteneva,  per  sue  esperienze,  il  De  Vuieenzis.  Secondo  1’  A.  non  è cousta- 
tabile  quell’azione  dissolvente  sull’intera  membrana  ovulare  ammessa  co- 
munemente, poiché  questa  non  scomparisce  nè  si  assottiglia  ; ma  dalla  mag- 
giore fragilità  da  essa  acquistata  dopo  1'  azione  del  succo  gastrico,  e più  spe- 
cialmente in  seguito  alla  digestione  con  succo  pancreatico,  è a dedurne  che 
queste  secrezioni,  e a preferenza  1’  ultima,  agiscano  digerendo  il  cemento 
che  unisce  i pezzi  cintinosi  del  guscio. 

Un’  altra  serie  di  esperienze  fu  intrapresa  per  provare  se  le  ova  prima 
di  pervenire  nell’  oste  subissero  delle  modificazioni  dovute  all’ambiente  ester- 
no, ma  anche  tali  ricerche  risultarono  negative. 

L’  A.  con  opportune  considerazioni  mette  in  rilievo  l’ apparente  cou- 
Atti  acc.  S'RRIK  4a,  Voi..  XIX  — Mern.  III.  1 


2 


Umberto  Drago 


[Memoria  IH J. 


traddizione  tra  i risultati  sperimentali  e le  affermazioni  dei  Parassitologi 
derivanti  dalla  necessità,  di  spiegare  il  ciclo  evolutivo  delle  Tenie,  e spiega 
tale  contraddizione  ammettendo  che  le  condizioni  dell’  esperimento  in  vetro, 
per  quanto  prossime  alle  naturali,  non  siano  tuttavia  identiche,  e che  influenze 
esterne  diverse  da  quelle  sperimentali  agiscano  sul  guscio,  rendendolo  più 
accessibile  all’  azione  dei  succhi  digerenti,  o che  infine  il  guscio  dell’  ovo 
reso  più  fragile  dell’  azione  peptolitica  del  succo  gastrico  e pancreatico,  sia 
disgregato  dall’  azione  meccanica  dei  movimenti  intestinali. 

I risultati  notevoli  contenuti  in  questa  Memoria,  che  sarà  seguita  da 
altre  su  lo  stesso  soggetto,  la  rendono  degna  di  essere  inserita  negli  Atti 
della  nostra  Accademia. 


Nel  corso  ili  alcune  ricerche  sull’  embrione  della  Tenia  ser- 
rata del  Cane  e della  T.  crassicollis  del  Gatto  fui  colpito  dal 
fatto  die  le  ova  iT)  , inesse  a contatto  con  succo  gastrico  rispet- 
tivamente di  Coniglio  e di  Topo,  e mantenute  alla  temperatura 
di  37°-38°  non  presentarono  notevoli  modificazioni  relative  all’in- 
tegrità dell’  involucro  esterno. 

Però  è così  generalizzato  fra  i Parassitologi  il  concetto  che 
il  succo  gastrico  digerisca  il  guscio  delle  ova  delle  varie  specie 
di  Tenia,  pervenute  che  esse  siano  nello  stomaco  degli  animali 
destinati  ad  ospitarne  il  cisticeroo,  che  un  risultato  sperimentale, 
il  quale  deponga  in  senso  contrario  , deve  essere  assoggettato  a 
prove  reiterate,  e ad  una  critica  rigorosa.  D’  altro  canto  1’  asser- 
zione dei  Parassitologi,  rispondente  più  che  altro  a una  neces- 
sità biologica  per  potere  spiegare  il  ciclo  evolutivo  di  detti  pa- 
rassiti, non  è stata  fin’  ora  controllata  da  alcuna  prova  speri- 
mentale. (* *) 

Po  osservare  prima  di  tutto  che  riesce  incomprensibile  co- 


fi)  Per  maggiore  intelligenza  di  linguaggio,  mantengo  all’  embrioforo  la  comune  deno- 
minazione di  « ovo  » . 

(*)  V.  appendice  in  line. 


Azione  sperimentale  dei  succhi  digerenti  ecc. 


3 


me  mai  il  guscio  di  dette  ova,  il  quale  generai  mente  si  ritiene 
di  natura  cliitinosa,  possa  venire  più  die  attaccato,  digerito  dal 
succo  gastrico  al  quale,  coni’  è noto,  è refrattaria  la  chitina. 

Sulla  costituzione  chimica  di  questa  membrana  non  pare 
esistano  dei  dubbi  : il  Cobbolr  (1)  p.  es.  fra  gli  altri  ne  sostiene 
la  natura  cliitinosa  avvalendosi  dell’  autorità  del  Leuckart,  ed 
afferma  che...  « The  reinaining  part  of  thè  volle  forins  a granular 
mass,  being  probably  concerned  in  thè  formation  of  thè  trine 
cliitinoìis  shell  ».  Dopo  di  questi  autori  tutti  gli  altri  che  si  sono 
occupati  dell’  argomento  non  hanno  affermato  diversamente. 

Per  quanto  concerne  1’  azione  digerente  spiegata  dal  succo 
gastrico  su  questa  membrana  , e la  consecutiva  fuoruscita  delia 
larva  esacanta,  mi  basti  per  tutti  menzionare  il  Raillet  (2)  il 
quale  scrive  che  : « Dés  qu’ils  (le  ova)  sont  parvenus  dans  l’in- 
testin,  leur  coque  est  détruite  sous  l’action  du  sue  gastrique  et 
1’  éclosion  a lieu  » ; e il  Blavchard  (3)  , parlando  dell’  ovo  della 
T.  serrata  afferma  che  « Les  sues  digesti fs  dissolvent  la  coque, 
et  1’  embrvon  est  inis  en  libertà  ».  Ma,  in  contrapposto  a que- 
ste asserzioni,  i chimici  e biologi,  fra  cui  1’  Hollemann  (3)  e 
il  Luciani  (5)  , insegnano  che  la  chitina  , come  avanti  ho  ac- 
cennato, è refrattaria  all’  azione  del  succo  gastrico. 

Date  queste  considerazioni  contraddittorie  , e la  mia  osser- 
vazione precedentemente  ricordata,  ho  creduto  di  intraprendere 
delle  ricerche  sull’  argomento,  non  col  preconcetto  di  distruggere 
un’  asserzione  la  quale  rientra  nel  dominio  delle  necessità  bio- 
logiche, ina  per  constatare  se  ne  fossero  esatti  i particolari  e le 
condizioni  invocate,  ed  il  meccanismo  così  semplice.  Tanto  mag- 
giormente mi  sono  accinto  a questa  ricerca  in  quanto  che  la 


(1)  Parafiteli  ; A treatise  on  thè  Entozoa  of  man  and  animale  ecc.  by  T.  Spencer  Con- 
sono. 

(2)  Traiti  de  Zoologie  medicale  et  agricole  par  A.  Raillet. 

(3)  Traiti  de  Zoologie  medicale  par  Raphael  Blancharp. 

(4)  A.  F.  Hollemann.  Trattato  di  Chimica  organica. 

(5)  Luciani  — Fisiologia  dell’  uomo.  -, 


4 


Umberto  Drago 


[Memoria  III]. 


membrana  cliitinosa  di  cui  è parola,  non  è costituita  da  uno 
strato  continuo,  ma  da  bastoncelli  radiali  disposti  in  serie  , co- 
me hanno  asserito  il  Leuckart,  e gli  autori  susseguenti,  fra  cui 
il  più  recente  il  Mingazziki  (1) , e come  io  stesso  ho  potuto 
constatare  (2).  « The  trae  shell,  dice  il  Cobbold  (3)  display»  a 
series  of  radiating  and  circolar  lines  ; thè  foriner,  however,  are 
more  conspicuous  t.han  thè  lattei*,  being  due,  accordi  ng-  fo  Leu- 
ckart to  tlie  presence  of  a series  of  fine  rod-like  chitinous  ele- 
menti, wich  are  forni  ed  on  thè  external  surface  of  thè  originai 
trae  shell-membrane  ». 

Sarebbe  quindi  legittimo  il  sospetto  che  questi  bastoncelli 
chitinosi,  quantunque  inattaccabili  dal  succo  gastrico,  siano  tutta- 
via saldati  fra  di  loro  da  una  sostanza  cementante,  sulla  quale 
agendo  il  succo  gastrico,  indurrebbe  il  disgregamento  dei  baston- 
celli e quindi  sarebbe  resa  possibile  la  fuoruscita  dell’embrione. 


LTna  prima  serie  di  ricerche  sono  state  eseguite  su  ova  di 
Tenia  serrata  e di  1\  crassicollis.  Il  materiale  rappresentato  dalle 
ultime  proglottidi  mature  di  questi  elminti,  veniva  ricercato  nei 
Cani  e nei  Gratti  che  a questo  scopo  venivano  sacrificati.  Devo 
però  far  notare  come  non  mi  sia  riuscito  riscontrare  specialmente 
la  T.  serrata  con  quella  estrema  frequenza  colla  quale  si  affer- 
ma che  essa  occorra.  Molto  probabilmente  questa  infrequenza  è 
dovuta  alla  circostanza  che  fra  i Cani  da  me  sacrificati  solo  po- 
chi erano  animali  da  caccia  , la  maggior  parte  provenendo  da 
quelli  randagi  catturati  e fornitimi  dal  Municipio.  Comunque  , 
su  un  grande  numero  di  animali  uccisi,  solo  tre  volte  ebbi  oc- 
casione di  riscontrare  la  T.  serrata , e,  su  parecchi  Gatti  quattro 
volte  la  T.  crassicollis. 


(1)  Pio  Mingazzjmi  — Zoologia  medica. 
‘(2)  V.  appendice. 

(3)  Loc.  cit. 


Azione  sperimentale  dei  succhi  digerenti  eco. 


5 


Una  seconda  serie  di  esperienze  , per  questa  relativa  diffi- 
coltà di  procurarmi  il  materiale,  è stata  intrapresa  con  proglot- 
tidi di  Tenia  saginata  eliminate  quotidianamente  da  un  indivi- 
duo che  T ospitava. 

SERIE  PRIMA 
(Tenia  serrata  e T.  crassicollis) 

Esperienza  I. 

Le  proglottidi  mature  di  T.  serrata  finamente  tagliuzzata 
vengono  poste  in  una  capsula  di  Retri  insieme  a succo  gastrico 
di  Coniglio  ricavato  col  metodo  di  Eberle,  e acidificato  con  acido 
cloridrico  in  rapporto  del  2 °/0o.  La  capsula  col  suo  contenuto 
viene  posta  nel  Termostato  riscaldato  a 39°  C.  Contemporanea- 
mente in  un’  altra  capsula  di  controllo  contenente  un’  altra  por- 
zione dello  stesso  succo  gastrico  acidificato,  è messo  un  pezzetto 
di  muscolo  per  saggiare  il  potere  digerente  della  miscela. 

Due  ore  dopo  si  notano  alquanto  rimpiccioliti  i pezzetti  di 
proglottidi  , e nella  capsula  di  controllo  il  muscolo  si  riscontra 
rammollito  e di  colore  sbiadito. 

Quatti*’  ore  dopo  si  osservano  assai  più  accentuate  queste  mo- 
dificazioni, e finalmente  , riesaminati  dopo  otto  ore  , si  trovano 
fluidificati  e irriconoscibili  tanto  i frammenti  di  proglottidi  che 
il  muscolo. 

Analizzato  al  microscopio  il  liquido  proveniente  dalla  dige- 
stione artificiale  delle  proglottidi,  si  osserva  un  numero  grandis- 
simo di  ova  libere  col  loro  involucro  caratteristico  immodificato, 
e 1’  embrione  esacanto. 

Prolungando  la  digestione  per  altre  12  ore  coll’  aggiunta  di 
acqua  acidulata,  e riesaminato  il  liquido,  le  ova  si  mostrano  cogli 
stessi  caratteri  precedentemente  accennati,  e quindi  colla  mem- 
brana integra,  però  alquanto  più  fragile  alla  pressione. 


6 


Umberto  Drago 


[Memoria  III]. 


Esperienza  II. 

Manipolazione  come  nel  caso  precedente  con  risultati  iden- 
tici. 

Il  succo  gastrico  attivo  sui  pezzetti  di  muscolo  collocativi 
per  controllo,  non  addimostra  alcuna  azione  sul  guscio  delle  ova 
le  quali  lasciano  vedere  nel  loro  interno  l’embrione  già  4-8-12-24 
ore  dopo  1’  inizio  della  digestione  artificiale. 

I preparati  vengono  mantenuti  nell’incubatrice  per  lo  spa- 
zio di  due  giorni  e mezzo  , dopo  il  quale  le  ova  continuano  a 
mostrare  inalterato  il  loro  guscio. 

Esperienza  III. 

Quest7  esperienza  identica  alla  precedente  per  quanto  con- 
cerne la  digestione  di  frammenti  di  proglottidi  e di  muscolo  nel 
succo  gastrico,  differisce  in  quanto  viene  completata  da  contem- 
poraneo cimento  dei  pezzi  in  succo  pancreatico. 

Questo  viene  preparato  con  infuso  di  pancreas  fresco  di  Co- 
niglio, e vi  si  immettono  frammenti  di  proglottidi  e di  muscolo, 
che  sono  esposti  alla  temperatura  del  termostato  contemporanea- 
mente ai  pezzi  immersi  nel  succo  gastrico. 

Riesaminati  dopo  8 ore  si  riscontra  la  colliquazione  dei  pezzi, 
mentre  le  ova  , osservate  al  microscopio  non  presentano  , come 
negli  esperimenti  precedenti,  alcuna  modificazione  nel  guscio. 

La  digestione  viene  prolungata  per  30  ore  senza  che  inter- 
venga alcun7  altra  modificazione. 

Esperienza  IV. 

Proglottiti  mature  di  Tenia  crassicollis  manipolate  come  nei 
casi  precedenti  sono  messe  a digerire  in  succo  gastrico  ottenuto, 
col  solito  metodo  dallo  stomaco  di  Mùs  decumanus  e acidificato. 
In  altro  recipiente  è saggiato  il  potere  digerente  mediante  fram- 
menti di  muscolo. 


Azione  sperimentale  dei  succhi  digerenti  ecc. 


7 


La  digestione  prolungata  sino  a due  giorni  , e le  intercor- 
renti osservazioni  macroscopiche  e microscopiche  mentre  danno 
risultati  positivi  per  quanto  si  riferisce  al  potere  digerente  del 
succo  gastrico,  non  lasciano  scorgere  alcuna  moditicazione  nel 
guscio  dell’  uovo. 

Esperienza  V e VI. 

Manipolazioni  identiche  e identici  risultati  ; solo  nell’  espe- 
rienza Y si  nota  una  maggiore  fragilità  nel  guscio  delle  ova  , 
il  quale  a una  lieve  pressione  si  rompe  in  varii  punti  nel  senso 
delle  strie  radiali. 

% 

Esperienza  VII. 

In  questa  viene,  come  per  la  T.  serrata , saggiata  contem- 
poraneamente 1’  azione  del  succo  pancreatico  ricavato  dal  Topo 
per  infuso  della  glandola. 

L’osservazione  prolungata  sino  a due  giorni  non  fa  rilevare 
alcun  risultato  positivo,  ma,  come  per  le  esperienze  precedenti, 
le  ova  presentano  il  guscio  inalterato  , e 1’  embrione  all’  inter- 
no coi  suoi  uncini  caratteristici. 

Però,  avendo  lasciato  per  altri  due  giorni  i preparati  nel 
termostato  , constatai  che  al  1°  giorno  il  guscio  aveva  assunto 
una  certa  fragilità  dimostrata  dal  fatto  che  in  molte  ova  esso 
si  rompeva  sotto  la  semplice  pressione  del  vetrino,  mentre  l’os- 
servazione del  preparato  privo  del  coprioggetti  mi  faceva  discer- 
nere i gusci  integri. 

Yon  avendo  potuto,  [ter  mancanza  di  materiale,  controllare 
se  questa  maggiore  fragilità  di  guscio  dipendesse  esclusivamente 
dall’  azione  digerente  del  liquido  , ovvero  da  un  semplice  fatto 
di  imbibizione  agevolato  dall’  azione  prolungata  del  calore  , do- 
vetti rimandare  il  seguito  di  queste  esperienze  ad  altra  epoca, 
tanto  più  che  in  alcuni  casi  avevo  visto  il  fenomeno  avverarsi 
in  ova  che  non  avevano  subito  1’  azione  dei  liquidi  digerenti,  e 


8 


Umberto  Drago 


[Memoria  IIIJ. 


provenienti  da  proglottidi  rimaste  per  parecchi  giorni  in  mace- 
razione nell7  acqua. 


SECONDA  SEME 
Tenia  saginata. 

Più  tardi  ho  avuto  occasione  di  trovare  una  fonte  inesau- 
ribile di  materiale  in  un  individuo  che  ospitava  la  T.  saginata 
ed  emetteva  quotidianamente  da  5-8  proglottidi  mature  di  questo 
elminto. 

Ho  voluto  allora  riprendere  le  ricerche  sperimentando  1’  a- 
»zione  del  succo  gastrico  artificiale  sulle  ova  di  questa  Tenia,  e 
a tal  uopo  ho  preparato  una  soluzione  acquosa  di  pepsina  del 
commercio  che  ho  acidificato  con  acido  cloridrico  al  2 0 00. 

Ho  quindi  sperimentato  il  potere  digerente  di  questa  mi- 
scela, non  solo  coi  soliti  frammenti  di  muscolo,  ma  ancora  coi 
cubetti  e coi  dischi  di  albumina  cotta  , come  si  pratica  comu- 
nemente, e il  risultato  è stato  positivo,  in  quanto  che  tanto  il 
muscolo  che  1’  albumina  dopo  circa  sette  ore  erano  fluidificati. 

Con  questa  miscela  ho  intrapreso  delle  esperienze  sulle  ova 
di  T.  saginata  le  quali  mi  hanno  condotto  a risultati  sostanzial- 
mente non  dissimili  da  quelli  ottenuti  nelle  precedenti  espe- 
rienze. 

Epperò,  considerando  che  la  pepsina , per  quanto  attiva , 
provenendo  per  avventura  da  animali  diversi  da  quello  destinato 
ad  ospitare  il  Cisticercus  bovis , non  mi  avrebbe  messo  nelle  iden- 
tiche condizioni  della  natura,  ho  voluto  contemporaneamente 
sperimentare  con  succo  gastrico  procuratomi  direttamente  da 
tali  animali,  e relativamente  fresco. 

Per  tanto  ho  preparato  ogni  volta  una  certa  quantità  di 
succo  gastrico  di  Vitello  valendomi  della  mucosa  dello  stomaco 
di  animali  appena  uccisi  al  mattatoio  , e ricavandolo  col  solito 
metodo  di  Eberle.  Acidificandolo  al  titolo  del  2-4  °/AA  con  acido 

1 (X) 


Azione  sperimentale  dei  succhi  digerenti  ecc. 


9 


cloridrico  , ne  ho  quindi  saggiato  il  potere  digerente  come  nei 
casi  precedenti  , e assicuratomi  di  esso  ho  intrapreso  le  espe- 
rienze. 

Esperienza  Vili. 

Le  proglottidi  di  T.  sagi  nata  sminuzzate  in  piccoli  fram- 
menti vengono  poste  in  succo  gastrico  di  Vitello  ed  esposte  alla 
temperatura  di  38°-39°  nell’incubatrice  assieme  ad  altra  capsula 
di  controllo  contenente  frammenti  di  muscolo  e di  albumina 
cotta. 

Dopo  sei  ore  tutti  i frammenti  sono  digeriti  , e il  liquido 
contenente  le  proglottidi  si  mostra  al  microscopio  ricco  di  ova 
col  guscio  inalterato  e coll’  embrione  fornito  degli  uncini  carat- 
teristici. 

Prolungando  la  digestione  per  molte  ore  ancora  (sino  a tre 
giorni)  nessuna  ulteriore  modificazione  si  riscontrava  nel  guscio 
delle  ova  , salvo  una  certa  opacità  che  non  sempre  permetteva 
di  distinguere  attraverso  di  esso  1’  embrione , e talora  alcune 
leggiere  sfrangiature  radiali  , superficiali  dell’  orlo  esterno.  Nei 
casi  in  cui  l’opacità  non  permetteva  di  distinguere  gli  uncini 
dell’  embrione  , si  poteva  sempre  constatare  la  presenza  di  que- 
sto, facendolo  fuoruscire  dall’  involucro  mediante  pressione  sul 
vetrino. 


Esperienza  IX,  X,  e XI. 

Queste  esperienze  sono  state  ripetute  nelle  identiche  condi- 
zioni e colla  stessa  tecnica  delle  precedenti  allo  scopo  di  con- 
fermare i risultati,  i quali  sono  stati  perfettamente  simili  : il 
guscio  delle  uova  non  pare  risenta  nell’  insieme  alcuna  azione 
da  queste  digestioni  per  quanto  prolungate,  e per  quanto  attivo 
si  mostri  sui  frammenti  di  muscolo  e sulle  parti  molli  delle 
proglottidi  e sull’  albumina  cotta  ; però  si  nota  ancora  quella 
condizione,  precedentemente  accennata,  della  sua  maggiore  fragi- 

Atti  acc.  Stsrik  4a,  Voi..  XIX  — Mem.  III.  2 


Umberto  Drago 


[Memoria  III]. 


IO 


lità  la  quale  fa  sì  che  alla  pressione  si  rompa,  e accentuando  la 
pressione  i frammenti  vengano  in  parte  rimossi  dall’embrione  (1). 

Esperienza  XII. 

Constatata  Y attività  del  succo  gastrico  sulle  parti  molli 
delle  proglottidi,  sui  frammenti  di  muscolo,  e sull’  albumina  cot- 
ta, lio  voluto  fare  a meno  di  frammentare  gli  anelli  della  Te- 
nia che  ho  quindi  immessi  interi  nel  liquido  digerente. 

Il  risultato  è stato  conforme  all’aspettativa,  poiché  già  alla  4a 
ora  è avvenuta  la  completa  colliquazione  delle  proglottidi  , e 
quindi  nel  liquido  non  si  sono  osservati  al  microscopio  che  ova 
libere. 

Ma  con  questo  esperimento  ho  voluto  mettermi  ancora  più 
precisamente  nelle  condizioni  naturali,  ed  ho  quindi  trattato  le 
ova,  che  avevano  già  subito  l’azione  del  succo  gastrico,  con  bile 
e successivamente  con  succo  pancreatico  ricavato  dallo  stesso 
animale  di  recente  ucciso. 

Il  risultato  come  in  tutti  i casi  precedenti  è stato  negativo 
per  quanto  si  riferiva  alla  digestione  del  guscio  chitinoso. 
Però  molte  delle  ova,  che  si  presentavano  intensamente  colorate 
in  verde  scuro  per  la  bile  , si  schiacciarono  in  seguito  alla  so- 
vrapposizione del  vetrino,  la  quale  aveva  per  effetto  di  rompere 
in  parecchi  punti  il  guscio,  con  fratture  nel  senso  radiale  , che 
permettevano  talora  con  qualche  leggiera  pressione  la  fuoru- 
scita dall’  embrione. 

Esperienza  XIII. 

Quest’  esperienza  è stata  condotta  colla  stessa  tecnica  e nelle 
stesse  condizioni  della  precedente.  Le  ova  che  avevano  già  subito 
per  4 ore  l’azione  del  succo  gastrico  dimostrato  attivo  sui  fram- 
menti di  muscolo  e sulla  stessa  proglottide,  sono  state  sottoposte 
successivamente  all’  azione  della  bile  e del  succo  pancreatico. 


(1)  Noto  un  particolare  non  privo  di  interesse  : che  tutte  le  volte  che  riuscivo  a libe- 
rare dal  guscio  1’  embrione,  questo  si  mostrava  immobile. 


Azione  sperimentale  dei  succhi  digerenti  ecc. 


11 


I risultati  sono  stati  identici  : ho  potuto  anche  qui  consta- 
tare con  piena  convinzione  la  maggiore  fragilità  del  guscio,  nel 
quale  bastava  apporre  il  copriogetti  per  determinarne  la  rottura 
in  molti  punti. 


ei.-  ^ 

Dimostrato  così  sperimentalmente  insussistente  il  concetto 
che  i succhi  digerenti  facciano  scomparire  per  azioni  peptolitica 
il  guscio  delle  ova  delle  Tenie,  come  parrebbe  dovesse  avvenire 
secondo  le  asserzioni  di  molti  Elmintologi , ma  che  invece  essi 
rendono  soltanto  l’involucro  più  fragile,  non  ho  voluto  arrestare 
a questo  punto  il  corso  delle  mie  esperienze  , ma  ho  creduto 
prudente  variarne  alquanto  le  condizioni. 

Partendo  dalla  considerazione  che  nelle  condizioni  naturali 
della  infezione  le  proglottidi  di  questa  Tenia  e con  esse  le  ova, 
non  pervengono  nel  canale  alimentare  dei  bovini  appena  emes- 
se dall’  uomo,  ma  dopo  un  tempo  variabile  , ho  supposto  non 
inverosimile  che  esse  subissero  una  modificazione  nell’  ambiente 
esterno  per  la  quale  venisse  resa  più  accessibile  all’  azione  dis- 
solvente dei  succhi  digerenti  la  membrana  involgente.  Tanto  più 
verosimile  mi  è sembrata  questa  ipotesi  , in  quanto  che  , come 
si  sa,  gli  embrioni  di  varie  Tenie  conservano  per  lungo  tempo, 
dopo  la  fuoruscita  delle  proglottidi  dal  corpo  dell’  animale  ospi- 
tatore,  la  loro  vitalità  e la  capacità  a svilupparsi  in  cisticerchi, 
quando  pervengono  nell’  ospite  intermedio. 

Pertanto  ho  istituito  nuove  esperienze  mettendo  a macerare 
in  acqua  delle  proglottidi  e cimentandole  quindi  coi  succhi  di- 
gerenti del  Vitello,  come  per  le  esperienze  precedenti,  ad  inter- 
valli successivi  di  4-7-9-12  giorni. 

Esperienza  XIV. 

Proglottidi  in  macerazione  in  acqua  sudicia  da  4 giorni. 
Trattamento  come  nei  casi  precedenti. 


12 


Umberto  Drago 


[Memoria  III]. 


Risultato  : dissoluzione  delle  proglottidi  nei  succhi  digerenti: 
nessuna  alterazione  di  insieme  nel  guscio  : solo  constatabile  la 
consueta  fragilità. 

Esperienza  XY. 

Macerazione  prolungata  per  7 giorni.  Trattamento  identico 
all’  esperimento  precedente. 

Risultato  : In  molte  ova  il  guscio  si  frattura  in  parecchi 
punti  appena  vi  si  sovrappone  il  coprioggetti.  Esaminate  però 
le  ova  prima  di  sovrapporre  il  vetrino  sul  preparato,  solo  in  al- 
cuni si  rinvengono  fratture  nel  guscio. 

Esperienza  XYI. 

Proglottidi  in  macerazione  da  9 giorni.  Trattamento  suc- 
cessivo coi  succhi  digerenti  del  Yitello. 

Risultato  : come  nei  casi  precedenti. 

Esperienza  XYII  e XYIII. 

Dopo  una  macerazione  prolungata  per  12  giorni  , le  pro- 
glottidi macroscopicamente  si  presentano  alquanto  spogliate  della 
cuticola , ed  attortigliate  , e nel  liquido  maceratore  si  nota  la 
presenza  di  una  grande  quantità  di  ova  inalterate  relativamente 
al  guscio  e all’  embrione.  Queste  proglottidi  insieme  a una  certa 
quantità  di  ova  vengono  immerse  nei  soliti  liquidi  digerenti  ed 
esposti  alla  stufa. 

Risultato  : Maggiore  fragilità  del  guscio  già  dopo  1’  azione 
del  succo  gastrico,  condizione  la  quale  si  accentua  dopo  1’  azio- 
ne della  bile  e del  succo  pancreatico. 

COXCLU  SIOXI 

I.  Le  esperienze  su  esposte  dimostrano  sufficientemente  che 
le  digestioni  artificiali  non  esercitano  sull’insieme  del  guscio  chi- 
tinoso  delle  ova  di  Tenia  quell’  azione  dissolvente,  attribuita  per 


Azione  sperimentale  dei  succhi  digerenti  ecc. 


13 


comune  opinione  e per  necessità  biologica  al  succo  gastrico  del- 
1’  ospite  intermedio,  ma  esse  lo  rendono  semplicemente  più  fra- 
gile confermando  la  refrattarietà  della  chitina  ai  succhi  dige- 
renti. 

II.  Questa  maggiore  fragilità  è dovuta  verosimilmente  al- 
1’  azione  peptolitica  esercitata  da  questi  succhi  sulla  sostanza  che 
cementa  i pezzi  cintinosi  del  guscio.  L1  azione  peptolitica  sul 
cemento  sarebbe  iniziata  dal  succo  gastrico,  e il  disgregamento 
dei  pezzi  cintinosi  verrebbe  quindi  agevolato  dalla  bile  e dal 
succo  pancreatico. 

III.  Gli  elementi  cintinosi  del  guscio  così  disgregati  ven- 
gono quindi  rimossi  dalla  periferia  dell’  embrione  presumibil- 
mente mediante  i movimenti  intestinali. 

IV.  Non  è dimostrata  sul  guscio  delle  dette  ova  un’  influen- 
za della  macerazione  in  acqua  che  agevoli  il  disgregamento  di 
esso  nei  succhi  digerenti. 

APPENDICE 

Il  presente  lavoro  era  già  stato  comunicato  ed  in  corso  di 
stampa  allorché  venni  a cognizione  che  il  De  Vincenzis  in  una 
monografia  sui  Cisticerchi  oculari  comparsa  nel  1887  nella  « Ri- 
vista internazionale  » si  era  occupato  dell’  argomento.  Questo 
lavoro  rimasto  quasi  ignorato  fra  i Parassitologi  e i trattatisti 
che  si  sono  in  seguito  intrattenuti  sull’  argomento,  forse  perchè 
il  titolo  lo  ha  fatto  considerare  come  una  monografia  speciale 
di  oculistica  , contiene  una  serie  di  esperienze  sull’  azione  del 
succo  gastrico  e della  bile  sopra  il  guscio  dell1  ovo  di  Tenia  sa- 
ffi nata  e diligenti  osservazioni  sulla  fina  struttura  del  guscio 
stesso. 

Per  quanto  si  riferisce  a questa  1’  A.  pur  ammettendo  che 
essa  sia  costituita  da  bastoncelli,  presumibilmente  cementati  da 
una  sostanza  intermedia,  sostiene  di  avere  osservato  che  tali  ba- 
stoncelli, non  sono  del  tutto  staccati  alla  estremità,  ma  derivino 


14 


Umberto  Drago 


[Memoria  III]. 


da  un  unico  pezzo  ripiegato  ad  anse  formanti  perifericamente 
delle  « staffe  ». 

Ma  in  ordine  all’  azione  spiegata  dal  succo  gastrico  e dalla 
bile  sulla  membrana  esterna  dell’  ovo,  mentre  i risultati  tinali 
convergono  con  i miei,  molte  incertezze  e contraddizioni  si  ri- 
scontrano nei  particolari,  nella  tecnica  e negli  apprezzamenti. 

Così  1’  A.  fa  vagamente  comprendere  di  avere  inutilmente 
sperimentato  il  succo  gastrico,  senza  per  altro  riferire  per  quanto 
tempo  vi  abbia  tenuto  le  ova,  non  solo  , ma  dichiara  di  avere 
adoperato  i succhi  digerenti  del  maiale  nella  supposizione  che  il 
materiale  da  esperimento  appartenesse  alla  T.  armata  mentre 
successivamente  fa  sapere  che  si  trattava  della  T.  ,s ‘aginata. 

Oltre  a ciò  l’A.  non  acidifica  a successivi  intervalli  di  tem- 
po la  miscela  digerente  di  succo  gastrico,  come  si  suole  praticare 
nelle  digestioni  sperimentali,  nè  controlla  il  potere  digerente  del 
liquido  da  lui  adoperato,  per  quanto  ci  faccia  sapere  che  lo 
estraeva  mediante  fistola  dagli  animali. 

Quindi,  dopo  aver  fatto  subire  alle  ova  della  supposta  Te- 
nia armata  l’azione  del  succo  gastrico  di  maiale,  non  si  sa  per 
quanto  tempo,  deducendone  la  quasi  inattività  le  sottopone  ai- 
fi  azione  della  bile  dello  stesso  animale,  ma,  caso  singolare  e 
contradittorio  , mentre  egli  afferma  di  essere  riuscito  in  tutti 
i casi  a fare  « sgusciare  » gii  embrioni  colla  bile  di  maiale  , 
riferisce  a titolo  di  cronaca  in  una  nota  , che  un’esperienza  gli 
fallì  sol  perchè  la  bile  adoperata,  che  gli  si  era  dato  ad  inten- 
dere come  appartenente  a un  maiale,  era  invece  di  pecora  ! 

Ognuno  vede  agevolmente  da  queste  premesse  quale  valore 
meritino  i risultati  e le  relative  considerazioni,  quando  si  rifletta 
che,  sperimentare  coi  succhi  del  maiale  sulle  ova  di  T.  saginata 
non  è mettersi  nelle  identiche  condizioni  della  natura,  come  ho 
avuto  occasione  di  osservare  nel  corso  del  mio  lavoro.  Quando 
poi  si  ponga  mente  che  nel  caso  di  indifferenza  specifica  di  azio- 
ne dei  succili  avrebbero  dovuto  mostrarsi  ugualmente  attivi  quelli 
dei  due  citati  animali,  o,  nel  caso  di  prevalenza  d’azione,  quello 


Azione  sperimentale  dei  succhi  digerenti  ecc. 


15 


di  pecora  avrebbe  dovuto  per  affinità  fisiologica  dimostrarsi  più 
attivo,  i risultati  e gli  esperimenti  del  De  Vincenzis  diventano 
molto  discutibili. 

Ma  non  meno  discutibile  è la  deduzione  dell’  A.  intorno  al- 
1’  azione  che  la  bile  eserciterebbe,  per  sè  sola,  sul  guscio,  poiché 
stando  a quanto  egli  descrive  e raffigura,  questo  liquido  non  solo 
disgregherebbe  gli  elementi  che  compongono  V involucro  esterno 
dell’  ovo,  ma,  a quanto  pare,  li  dissolverebbe,  o,  non  si  sa  come, 
li  allontanerebbe  dal  corpo  dell’  animale.  Egli  mentre  , confor- 
memente a quanto  io  stesso  ho  constatato,  sostiene  che  i gusci 
divengono  più  fragili,  esclude  che  la  loro  rottura,  nelle  condizioni 
di  esperimento  sia  dovuta  alla  pressione  artificiale- del  vetrino 
coprioggetti,  o ad  altra  causa  estranea  , ritenendo  sufficiente  di 
avere  appoggiato  questo  su  due  altri  frammenti  di  vetrino  adia- 
centi alla  goccia,  allorquando  gli  sarebbe  stato  più  agevole  e più 
persuasivo  esaminare  il  liquido,  come  è stato  da  me  praticato 
per  lo  stesso  intendimento,  senza  vetrino. 

Io  tralascio  dal  fare  apprezzamenti  su  questa  pretesa  azione 
peptolitica  della  bile,  la  quale  non  è stata  fin’  ora  da  alcun  au- 
tore in  via  generale  nè  accennata  nè  sospettata.  Viceversa  dalle 
più  recenti  ricerche  su  questa  secrezione-  digerente,  eseguite  dal 
Bruno  nel  1899  si  ammette  oggidì  che  1’  azione  predominante 
della  bile  sia  quella  di  sospendere  1’  azione  del  succo  gastrico  , 
eccitando  all’incontro  quella  degli  enzimi  del  succo  pancreatico. 

Ed  è precisamente  col  succo  pancreatico  che  il  De  Vincen- 
zis ha  omesso  di  sperimentare. 

È quindi  evidente  elle  nel  lavoro  di  quest’  autore  da  un 
canto  è difettosa  la  sperimentazione,  dall’  altro  sono  zoppicanti 
le  interpretazioni  ; così  che  è lecito  supporre  in  base  alle  cono- 
scenze fisiologiche  e ai  risultati  delle  mie  ricerche,  che  egli,  per 
difetto  di  manipolazione  ha  attribuito  esclusivamente  alla  bile 
quell’  azione  che  va  devoluta  principalmente  al  succo  gastrico  e 
secondariamente  alla  bile  o al  succo  pancreatico. 

A tutti  questi  difetti  di  sperimentazione  e di  deduzioni  io 


16 


Umberto  Brago 


[Memoria  IIIJ. 


avevo  già  precedentemente  ovviato  nel  mio  lavoro,  condotto  senza 
conoscere  quello  del  De  Vincenzis,  così  che  mi  credo  dispensato 
da  ulteriori  richiami,  rimandando  il  lettore  alle  mie  conclusioni. 

Non  posson  intanto  chiudere  il  presente  lavoro  senza  por- 
gere sentite  azioni  di  grazie  al  prof.  B.  Grassi  che  mi  ha  gen- 
tilmente fornito  la  chiestagli  monografia  del  De  Vincenzis. 


Memoria  IT. 


Sopra  un  nuovo  sviluppo  singolarmente  convergente 
per  l’integrale  delia  estinzione  secondo  ia  teoria  di  Bouguer 


Partendo  dalla  espressione  data  da  Bouguer  per  il  calcolo  delle  masse 
d’  aria  attraversate  dai  raggi  d’  un  astro,  il  Dott.  Azeglio  Bemporad  mostra 
come  1’  integrale,  che  compare  in  questa  espressione,  possa  calcolarsi  me- 
diante uno  sviluppo  assai  convergente,  i cui  termini  dipendono  in  modo  sem- 
plice dalla  funzione  di  Kramp.  La  convergenza  dello  sviluppo  è specialmeute 
notevole  per  astri  assai  vicini  all’  orizzonte,  mentre  le  altre  forme  di  svi- 
luppo ti  li  qui  note  non  erano  praticamente  applicabili  oltre  la  distanza  ze- 
nitale di  85°.  L’  A.  estende  inoltre  questa  forma  di  sviluppo  al  caso  di  strati 
atmosferici  di  altezza  limitata  e anche  al  caso  di  distanze  zenitali  superiori 
a 90".  Questi  risultati  ci  sembrano  importanti,  e però  la  Commissione  stima 
che  la  Memoria  sia  degna  di  essere  inserita  negli  Atti  dell7  Accademia. 


1.  Quantunque  la  teoria  d1  estinzione  di  Bouguer  non  abbia 
ormai  elle  un  interesse  puramente  storico,  poiché  altre  più  pre- 
cise sono  venute  a sostituirla,  pure  è utile  dal  lato  teorico  e 


didattico,  dare  ai  relativi  sviluppi  il  necessario  rigore  non  dis- 
giunto dalla  massima  rapidità  possibile. 

La  teoria  d’  estinzione  di  Bouguer  fornisce  per  il  calcolo 

Atti  acc.  Serie  4%  Voi..  XIX  — Mem.  IV. 


A.  BEMPORAD 


RELAZIONI-: 


DELLA  COMMISSIONE  DI  REVISIONE,  COMPOSTA  DEI  SOCI  EFFETTIVI 

proff.  M.  PIERI  E G.  PENNACCH  I GITI  (relatore). 


l 


2 


A.  Bemporad 


[Memoria  IV] 


della  massa  d’  aria  F(z)  attraversata  dai  raggi  incidenti  colla 
distanza  zenitale  s V espressione 

00 

* _ h 

1 / e 1 la  4-  h)  dh 

F(z)  — I — 1 ■-  - 

I I | / a 2 cos2«  -)-  2 ah  -)-  h 2 

0 

dove  a indica  il  raggio  terrestre,  / l1  altezza  dell1  atmosfera  ri- 
dotta omogenea,  //  V altezza  di  un  punto  generico  della  traiet- 
toria dei  raggi  luminosi  al  di  sopra  del  luogo  d1  osservazione  e 
finalmente  e la  base  dei  logaritmi  Neperiani  *). 

Mostrai  già  in  una  mia  prima  nota  su  questa  teoria  a), 
come  lo  sviluppo  dato  da  Kouguer  per  questo  integrale  e ripro- 
dotto anche  nei  più  recenti  trattati  di  fotometria 

/ ->  i , , 1 „ / sec %z  tg2z 

F(z)  = sec  z — — sec  2:  tg-z  f (l  — — a cos-z)  — — -2 — -(-  •••  (1) 


lasci  molto  a desiderare  dal  lato  del  rigore,  e assegnai  in  pari 
tempo  lo  sviluppo  esatto 

l 3 p sF 

F(z)  = sec  z sec  z t(fz  -4  — see3*  tq*z  — (5  sec'-z — 1 ) sec3z  tg-z- j~...  (la) 

' a a ’ a 


e le  relative  condizioni  di  convergenza.  Da  queste  risultava, 
che  lo  sviluppo  in  discorso  non  è applicabile  oltre  z — 82°, 
mentre  nelle  ordinarie  tabelle  d’  estinzione  sogliono  darsi  i valori 
delle  masse  d’aria  secondo  la  teoria  di  Bouguer,  fino  a 2=88° 3). 
In  una  nota  successiva  4)  colmai  questa  lacuna,  dando  un  nuovo 


1 . V.  G.  Miirj.nit — Die  Photometrie  dar  Gestirne,  pa.g.  119,  ovvero  la  mia  nota  : Sulla 
teoria  d’  ex  Unzione  di  Bouguer  — Memorie  della  Soe.  degli  Spettro, se.  Ita!.  Voi.  XXX,  1901. 

-)  V.  Nota  testò  citata. 

3)  Cfr.  G.  Mììlchr,  Die,  Photometrie  dee  Gestirne,  pag.  135. 

4)  Sopra  un  nuovo  sviluppo  dell’  integrale  della  estinzione  atmosferica  — Memorie  Spettro- 
scopisti  XXXI,  1902. 


Sopra  un  nuovo  sviluppo  singolarmente  convergente  ece. 


? 


sviluppo  della  teoria  di  Bouguer  applicabile  per  qualunque 
distanza  zenitale,  nella  forma 


i=r—\  n*=  OC 


/:=o  n= o 


dove  le  cn  sono  coefficienti  costanti  e le  JH  integrali  ausiliari 
dati  rispettivamente  da 

i V 

T 
e 

( — U" 

1.2...  « l"+ì 

r*v 

li  " (a  -[-  i v -|-  h ) 

| /{a  ■ i v -j-  h)2  — a 2 siu2s 

«y 

0 

Il  calcolo  delle  cn  Jn  veniva  eseguito  mediante  forinole  ri- 
correnti e con  un  procedimento  assai  rapido  di  approssimazioni 
successive,  che  non  occorre  qui  ricordare.  1 

Questo  secondo  sviluppo  è in  effetto  praticamente  applica- 
bile per  qualunque  distanza  zenitale  (90°  esci.),  ma  ha  l’  incon- 
veniente di  essere  un  po’  troppo  laborioso.  La  nota  attuale  ha 
ora  appunto  lo  scopo  di  accennare  una  terza  forma  di  sviluppo, 
che  al  vantaggio  di  rimanere  applicabile  per  qualunque  distanza 
zenitale  (90°  ilici.)  unisce  quello  della  massima  rapidità.  Questo 
si  ottiene,  riducendo  con  opportune  trasformazioni  il  calcolo 
dell’  integrale  (1)  a quello  della  nota  funzione  di  Kramp,  di 
tanto  uso  nella  teoria  della  retrazione, 


4 


A . Bemporad 


[Memoria  IV|. 


per  la  quale  vennero  costruite  notoriamente  tavole  numeriche  da 
Kramp,  da  Bessel  e da  Radau.  *) 

2.  Nell’  integrale  (1)  pongasi 

h = X — X , 

determinando  il  parametro  X in  modo  che  venga  a scomparire 
il  termine  noto  del  trinomio  di  secondo  grado  sotto  radice,  cioè 
in  modo  che  risulti, 

JT2  — 2 a X -|-  a~  cos2z  — 0. 


JHYa  le  due  radici  scegliamo  quella  fornita  dall’  espressione 
X — a (1  — sin  s)  , (3) 

che  si  annulla  per  z — 90°.  Risulta 


ao 

X /»  _ *_ 
l 


F(z) 


e (a  sin  z + x ) dx 
1 I i 2 a sin  z x x2 


(4) 


e integrahdo  per  parti 


F (z)  = - 


i/2  a si 


!>  sin  z X 4-  X 


-jT  I e ' j 2 a sin  z x x2dx.{^a) 


Jj  integrale 


Il  X 


Fi  (Z)  = -p 


T |/2  a sin  z x -|~  x2  dx, 


*/ 

X 


*)  V.  R.  Radai  . — Tdb leu  de  V intégrale  '1  ( Z ) 


■>  = / J 


f2 

e dt.  Armale»  de  1'  Obser- 


vatoire  de  Paris.  Ménroires.  T.  XVIII,  pag.  D.  1. 


Sopra  un  nuovo  sviluppo  singolarmente  conveniente  eoe. 


o 


sviluppando  il  radicale  iti  serie  binomiale 

- — J. — , diviene  ') 

2 a sin  z 


secondo  le  potenze  di 


• X 


X 

l 

e \ 

1 

2 a sin  2 / 

1 - 

1 X 

1 

| x )2 

tr,\  _ 

/ 

2 2 a sin  z 

8 

\2  a sin  zi 

' ; — i2  ! 

A' 

e operando  In  sostituzione 

x = it* , x =2  i r\ 

si  trasforma  in 


(5) 


i / l 


F,(z ) 2 e'rT\  h, : 2 / e -et  f dt 

J w ‘ ' 2 a sin  z-j  » 


ì / l 


2 \2  a sin  z, 


2 I e u t4  dt 


1 

8 \2  a sin  z 


2 I e te  dt 


Si  ha  poi  con  successive  integrazioni  per  parti  : 

/»  CC 

— — T e~n  — j—  2 / e~u  t 2 dt 


T 

y*oc 

le~lc  t 2 dt 


1 2 

— ■ r errr  -I  - — 
3 3 


e u t‘  dt 


e-'A  r = l-  Th  e-  ' r 

5 


e_C£  f6  dt 


1 ) Lo  sviluppo  sarà  convergente  solo  finché  x <C  2 a sin  z ossia  h < 3 a sili  z — a , 
mentre  invece  l’intervallo  d’integrazione  si  estenderebbe  da  h — 0 [ad  h — oo  . Qui  vale 
però  la  considerazione  che  per  distanze  zenitali  piuttosto  grandi,  alle  quali  appunto  ci  ri- 


6 


A.  Bevi  por  ad 


[Memoria  IV]. 


Posto  quindi 

T (T)  = e 


/•OC 

/ e-'1 


dt  (funzione  di  Krainp) 


B, 


T 4-  T (T) 


e,  = t -j 


e..  = T' 


— 

o t 


(6) 


risulta 


a sin  zi 


1 ìli 

t 0.  H- 


2 \2  a sin  z 


8 '2  a sin  s 


1 

T 0, 


3 

7>  B 


Tornando  ora  all’espressione  (4«)  di  il  primo  termine 

di  questa  può  scriversi  in  virtù  della  (5) 


| / 2 a sin  ^ X -f-  X- 


T | '2  a sin  z 


1 -f 


1 - t2)4- 


2 a sin  « 


£ 


2 « sin  0 


1 1 

2 T — 


<>  lo 


l \ 1 
\Y  Ts 


a sin  z 


l 


8 '2  a sin  z 


2 T’ — . 


feriamo,  3 a sin  z — • « è prossimamente  — 2 a — 12800  km.  circa,  e per  questo  valore 

_ JL 

di  h il  fattore  e I della  funzione  integrandi  ha  un  valore  estremamente  piccolo,  onde 
il  valore  dell’  integrale  fra  h — 0 e li  — 3a  sin  z — a non  differisce  praticamente  dal  valore 
dell’  integrale  preso  fra  li  — : 0 e li  — qo  . La  condizione  di  convergenza  non  porta  dunque 
altra  limitazione  alla  applicabilità  della  integrazione  [per  serie,  che  di  considerare  distanze 
zenitali  sufficientemente  grandi  (}>  70°J,  ma  questa  è una  limitazione  facilmente  concedibile, 
visto  che  per  distanze  zenitali  sufficientemente  piccole  (<C  70")  riesce  convergentissimo  lo 
sviluppo  di  Bouguer  rettificato  nella  forma  (la). 


i Sopra  un  nuovo  sviluppo  singolarmente  convergente  eco. 


1 


Sommando  questo  sviluppo  col  precedente  di  fr\  (5?),  si  ot- 
tiene come  sviluppo  definitivo  di  F (è) 


F(z) 


1 a sin  z 


■è>(r)  + JL[  ' )t 

1 J.  ' V n cui  v. 


0 


a sm  z 
I 3 


16  >2  a sili  z 


2 0 


(7) 


dove  l1  argomento  ausiliario  T è dato  da 

T — I sin  4-  (90° — s) 
l 2 

e le  0j  , 02 hanno  le  espressioni  (6),  mentre  la  funzione  di 
Kramp  (7T)  si  intende  presa  da  una  delle  note  tavole,  ad  es. 

(come  nei  calcoli  che  seguono)  dalla  estesa  tavola  di  Radati  già 
citata  a pag.  4. 

Questo  sviluppo  di  F (s)  riesce,  come  si  è detto,  convergen- 
tissimo  i>er  distanze  zenitali  assai  grandi,  e intatti  oltre  *'=84° 
bastano  due  soli  termini  a fornire  il  valore  di  F (s)  esatto  tino 
alla  4a  decimale,  mentre  collo  sviluppo  (1«)  anche  nella  forma 
corretta  da  me  indicata  occorsero  per  g = 85°  non  meno  di  30 
termini  per  ottenere  solamente  la  terza  cifra  J).  Riproduciamo 
qui  sotto  i singoli  termini  degli  sviluppi  corrispondenti  a 
z — 80°,  81°, 89°,  pei  valori 

log  l0  = *>,9027583  log'  a,  — 3,8046410 

delle  costanti  1 ed  a. 


z 

80" 

81° 

82" 

83° 

84", 

85° 

86" 

87" 

88" 

89° 

I 

5,  4827 

6,  0508 

6,  7520 

7,  5992 

8,  6866 

10,  1041 

12,  0149 

1 4,  6962 

18,  6521 

24,  8631 

li 

685 

621 

558 

496 

435 

375 

319 

266 

219 

182 

III 

2 

2 

— 1 

— 1 

— 1 

F(z) 

5,  5510 

6,  1 127 

6,  7977 

7,  6487 

8,  7300  j 10,  1416 

1 2,  0468 

14.  7228 

18,  6740 

24,  8813 

‘)  v.  Sulla  teoria,  d’  estinzione  di  tiouf/uer.  Meni,  della.  Soc.  degli  Spettroscopisti  Ital. 
Voi.  XXX,  1901.  Pag.  235. 


8 


A . Bemporad 


[Memoria  IV]. 


Nella  prima  delle  note  citate  ')  avevamo  ottenuto  mediante 
la  forinola  (la)  e in  parte  coll’aiuto  delle  quadrature  numeriche 
i valori 

0 80"  81°  82"  83°  84" 

F{z)  5,551  0,113  0.708  7.040  8,730 

in  accordo  perfetto  coi  valori  dati  dalla  nuova  forinola. 

Nella  seconda  delle  note  citate  avevamo  ottenuto  mediante 
la  forinola  (2)  i valori  2) 

z 85"  86"  87"  88" 

F(z)  10,1422  12,0474  14,7237  18,6703,  (8) 

che  differiscono  al  massimo  di  due  unità  della  terza  decimale 
dai  valori  forniti  dalla  nuova  forinola.  Ma  anche  questa  pic- 
cola differenza  non  dipende  menomamente  da  scarsa  approssi- 
mazione dell1  uno  o dell’  altro  calcolo,  bensì  dalla  diversità  delle 
costanti  assunte  nei  due  casi.  Infatti  nei  calcoli  delle  due  note 
citate  venne  adoperato  il  valore  log  10  — 0, 9025196  in  luogo  del 
valore  più  esatto  log  = 0,9027583,  che  qui  venne  assunto.  Col 
primo  valore  di  log  70  anche  il  nuovo  sviluppo  (7)  di  F(z)  for- 
nirebbe esattamente  gii  stessi  valori  (8),  che  fornisce  lo  svi- 
luppo (2).  Ad  es.  per  z — SS"  risulterebbe 

lk 

I 18,6544 

Il  219 

F(  88°)  18,6763 

e la  perfetta  coincidenza  dei  valori  ottenuti  per  vie  tanto  di- 
verse dimostra  1’  esattezza  di  ambedue  i procedimenti.  Certo  il 

q ibidem  Tal».  I,  pag. 

*)  Nella  nota  in  discorso  (Sopra  un  nuovo  sviluppo.  . . . Memorie  XXXI,  pag.  113) 
vien  dato  il  valore  F( 88°)  ~ 18,6773  in  luogo  di  18,6763,  come  effettivamente  deve  essere, 

e come  subito  risulta  ripetendo  la  somma  «lei  termini  corrispondenti  ad  j ^ per  « = 88° 
(pag.  142),  la  quale  deve  leggersi  LO, 840829  in  luogo  di  10,841829. 


Sopra  un  nuovo  sviluppo  singolarmente  convergente  eoe. 


9 


nuovo  sviluppo  tanto  più  rapido  rende  orinai  inutile  per  il  se- 
guito lo  sviluppo  (2),  ma  a noi  premeva  far  rilevare,  'come  la 
maggior  lungliez/a  di  questo  non  neccia  affatto  all’esattezza 
dei  risultati. 

3.  Per  s — 90°,  ossia  per  la  estinzione  orizzontale,  risulta 
T — 9,  ed  è notoriamente 


w (0) 


V - 


e quindi 


0, 


, e2 


0.  — — 


e inline 

F (90°) 


1 

4 I 2 a 


“(  1)1 

32  2 a 1 


Coi  valori  accennati  sopra  delle  costanti  l ed  a risulta  quindi 

F (90°)  — 35,416  (9ff) 

Bouguer  ottiene  invece  per  la  estinzione  orizzontale  la  e- 
spressione  *) 

p {90o)  = M (2  _ « 1 ~ 3P  _ 7 a2  F - 18  a l>  + 15  F + j 

6 (2  a iy  120  (2  a l)^  ì 

Quest’  ultimo  sviluppo,  oltreché  più  complicato,  è inesatto 
per  il  solito  vizio  d’origine  degli  sviluppi  di  Bouguer  di  aver 

h_ 

ricorso  alla  variabile  u = 1 — e 1 , con  che  si  vengono  a tra- 
scurare termini,  che  non  sono  affatto  trascurabili  2).  K invero 


1)  V.  G.  Mììlj.hk,  Die  Fhotometrie  der  Gestirne,  pag.  120  (1897). 

2)  V.  Nota:  citata  Sulla  teoria  d’  estinzione  di  Bouguer. 

Atti  acc.  Sekik  4a,  Vol.  XIX  — Mem.  IV. 


2 


10 


A.  Beni  parafi 


[Memoria.  IVt] 


questo  sviluppo  fornisce  per  F (90°)  il  valore 


F (90°)  — 36,678 


con  una  differenza  di  più  che  un’ atmosfera  dal  valore  esatto  (9 a). 

4.  TI  procedimento  d’  integrazione  da  noi  accennato  per 
1’  integrale  della  estinzione  propriamente  detto,  fra  i limiti  Ji—() 
e li  = oc,  vale  a dire  esteso  dal  luogo  d1  osservazione  tino  al 
limite  dell’  atmosfera,  jiuò  applicarsi  convenientemente  anche 
quando  si  prenda  come  limite  superiore  un  determinato  valore 
H =|=  oc,  cioè  quando  accada  di  dover  determinare  1’  assorbi- 
mento di  uno  strato  parziale  dell1  atmosfera.  Una  tale  questione 
si  presenta  in  varie  interessanti  ricerche  sperimentali,  come  nelle 
osservazioni  astrofotometriche  eseguite  simultaneamente  in  due 
stazioni  a rilevante  dislivello  (Langley,  Mùller-Kempf)  ovvero 
nelle  osservazioni  fotometriche  di  nevai  alpini  (Oddone)  e simili. 
Le  tavole  da  me  date  in  un  precedente  lavoro  4)  per  il  calcolo  di 


risolvono  la  questione  solo  per  il  caso  di  altezze  non  superiori 
a 5000™  e di  distanze  zenitali  non  eccedenti  89°.  L’estendere  le 
tavole  fino  a 90°  sarebbe  stato  eccessivamente  laborioso  (almeno 
colla  forma  di  tavole  da  me  adottata)  in  causa  del  forte  anda- 
mento, che  assumono  i valori  di  F(z)  fra  89°  e 90°. 

Considerando  ora,  che  non  è affatto  raro  di  osservare  astri 
nell’  immediata  prossimità  dell’  orizzonte,  e anche  qualche  grado 
al  disotto  di  questo  per  stazioni  molto  elevate  2),  non  parrà  su- 


fi L’  assorbimento  selettivo  dell ’ atmosfera  terrestre  sulla  hi  ve  degli  astri.  Memorie  «iella 
R.  Accademia  «lei  Lincei.  Serie  5a,  voi.  V. 

fi  Per  l’Osservatorio  Etneo  ad  es.  la  depressione  dell’orizzonte  tìsico  ammonta  a circa  1°30/. 


h 


| /a2  eos2  z -f-  2 ah  fi  k2 


o 


Sopra  un  nuovo  sviluppo  singolarmente  convergente  eoe. 


Il 


perfino  accennare  qui,  come  possa  agevolmente  calcolarsi,  caso 
per  caso,  il  valore  di  F {z,  H ) per  valori  q ua-lisi vogliano  di  sr 
e di  H. 

Avremo  anzitutto 


F(z,  H)  = F(z)  — 


/a2 


h 

e 1 (a  -)-  h)  dh 
cos2  z -\~  2 a h ■ \ - h* 


H 


e introducendo  ancora  la  variabile  ./•  definita  dalla  (3)  e po- 
nendo 


X,  a (1  — sin 


H 


avremo  altresì 


a A-1  / e x a (sin  z -|-  x)  dx 

—e  ' e 1 I , — 


F (z,  H)  = F (z)  — e 1 e i/o 

•/ 

x 


a sin  z x 


Ora  T integrale  del  secondo  membro  non  differisce  da  quello 
della  forinola  (4)  se  non  per  avere  Xi  in  luogo  di  X.  Sono 
quindi  applicabili  tutti  gli  sviluppi  seguenti  col  semplice  cam- 
biamento di  T in 


r | 'a  (1  — sin  2)  -)-  H 

1 ~~  ' l 

Si  ottiene  così  in  definitiva,  ricordando  lo  sviluppo  (7)  di  F (z), 

1 


Fiz,  ir 


(10) 


\2  a sin  zi 


— ( ) 

4 '2  a sin  zi 


l 

2 


16 '2  a sin  z 


4 (T)  — e 1 4*  (T,! 


tì,  (T)  - e '8,  ( T)l 


0,(2’)  - « ' 0,  (1\) 


12 


.4.  Beni-por a4 


[Memoria  IV J. 


In  pratica,  risto  che  fino  ad  N9°  si  possono  usare  le  tavole 
citate  sopra,  e che  da  89°  in  là  i termini  di  2°  ordine  sono  pic- 
colissimi, si  potranno  trascurare  i termini  in  H,,  0.,,  . . . , e si 
ha  così  una  espressione  di  F (s,  H)  notevolmente  semplice  e per- 
fettamente atta  al  calcolo  numerico  fino  a ~ = 90".  Come  esempio 
ho  calcolato  i valori  di  F(z,  11)  per  //=3000  e s=86°,  87", ...90°. 
1 primi  quattro  valori  si  accordano  sufficientemente  con  quelli 
• da  me  calcolati  secondo  una  teoria  più  rigorosa  nel  lavoro  già 
citato. 


z 

F(z,  3000m  ) 

forni.  (10) 

forni,  rigor. 

86IJ 

4,  069 

4,  447 

87 

6,  007 

5,  779 

88 

8,  292 

8,  1 36 

89 

12,  743 

12,  995 

90 

31,  258 

— 

5.  Accenniamo  ora  brevemente,  come  gli  sviluppi  conside- 
rati di  F{z)  e di  F(ss,  H)  possano  estendersi  con  tutta  facilità 
anche  al  caso  di  distanze  zenitali  superiori  a 90".  In  tal  caso, 
essendo  il  raggio  luminoso  volto  verso  il  basso,  rispetto  al  luogo 
d’  osservazione,  la  variabile  d’integrazione  h (altezza  sul  livello 
del  luogo  d’osservazione  O)  non  varierà  più  da  0 ad  x per  valori 
positivi,  come  vien  supposto  nella  forinola  fondamentale  (1),  ma 
assumerà  invece  dapprimo  valori  negativi  fino  ad  un  minimo — H 
(altezza  del  punto  P dove  il  raggio  corre  orizontalmente,  data, 
come  subito  si  vede,  da 

H — a ( 1 — sin  z)  = 2 a sin2  -5-  , (11) 

se  Z indica  la  depressione  'della  visuale  rispetto  all’  orizzonte) 
per  poi  risalire  da  — H a 0 e quindi  da  0 ad  x . Scindendo 


Sopra  un  nuovo  sviluppo  singolarmente  convergente  eee. 


13 


corrispondentemente  l’integrale  F (z)  =.  F (90°  -j-  '£)  in  tre  parti 
sarà,  come  subito  dimostra  una  semplice  considerazione  geome- 
trica, 


F (90°  r-  Q 


•-H  '0 

<IF  4-  / dF  -!  F (90"  — Q 

— H 


-H 


2 / dF  -f  F (90"  — Q 


(13) 


*— H 


Tutto  si  riduce  quindi  al  calcolo  di  f dF;  ma  questo  non 


è altro  evidentemente  (secondo  la  notazione  da  noi  introdotta 
nel  precedente  §)  che  F (90°,  H)  relativo  ad  un  punto  situato 
all’ altezza  — H rispetto  al  luogo  d’osservazione,  cosicché  il 
problema  si  riduce  senz’  altro  ad  un  caso  particolare  di  quello 
trattato  nel  caso  precedente,  colla  sola  avvertenza,  che  non  es- 
sendo i punti  O e P allo  stesso  livello,  converrà  moltiplicare 
la  F (90°,//)  per  la  misura  della  densità  dell’  aria  in  P rispetto 
a quella  in  O presa  come  unità,  affine  di  ridurre  i due  termini 
del  secondo  membro  della  (13)  ad  una  medesima  unità  di  massa. 

H 

E poiché  la  misura  in  discorso  è data  da  e1  , così  avremo 
infine  ricordando  le  (9)  (10), 


F (90°  -(-  '£_) 


/ 2 a 

T 


n 


i — 2 vr  ([  H- 

t 


F(  90°  — Q 


(14) 


dove  s’intende  che  H abbia  l’espressione  (11). 

Un’altra  forma  di  calcolo  per  F (90°  4-  £)  può  aversi  os- 
servando che  i due  ultimi  termini  della  (12)  presi  insieme  costi- 
tuiscono f integrale  della  estinzione  orizzontale  per  il  punto  P 
non  differente  dall’  integrale  da  noi  calcolato  nel  § 3 che  per 


14 


A . Rempoi  fui 


[Memoria  IV.] 


un  fattore  corrispondente  alla  misura  della  densità  dell’  aria  in 
P rispetto  a quella  in  0 assunta  come  unità.  Deve  esser  quindi 
ancora 


F(90°  -f  r) 


H 

eT 


1 ì 


H 

Jf’ (90»)  (15) 


forinola  notevolmente  diversa  dalla  (14),  e die  può  servire  a con- 
trollarla. Così  ad  es.  per  z ~ 91°,  92°  si  trova 


« = 90°  -f  Z 

H — 2 sin-  ~ 
2 

B 

log  e 1 

log 

F (90" 

+ Q 

91° 

<>km  , 9735 

0,  05289 

9, 

79398 

forni.  (14) 
55,  137 

forni.  (15) 
55,  132 

92 

3,  8939 

0,  21155 

9, 

00914 

90,  014 

90,  0 1 5 

Le  lievi  divergenze  che  risultano  fra  i valori  calcolati  nei 
due  modi,  divergenze  del  tutto  trascurabili  in  pratica,  sono  im- 
putabili all’  omissione  dei  termini  d’  ordine  superiore. 

Forinole  affatto  analoghe  alle  (14)  e (15)  valgono  per  le  fun- 
zioni F (z,  H ) (integrali  della  estinzione  corrispondenti  a strati 
atmosferici  limitati  ad  una  altezza  H'  al  disopra  del  luogo  di 
osservazione)  e si  deducono  anzi  senz’  altro  dalle  (14),  (15)  col 
semplice  cambiamento  dei  simboli  F (z)  in  F (z,  //'). 

N.  B.  Quando  questa  nota  eia  già  composta  venne  a mia  cognizione,  che  il  Chiù. ino 
Dott.  Cerulli,  con  un  procedimento  assai  diverso,  fondato  sopra  una  elegante  considerazione 
geometrica,  giungeva  a forinole  del  tutto  analoghe  a quelle  qui  date. 

Lieto  della  conferma  ricevuta  per  parte  del  chiaro  Astronomo,  che  mi  onora  della  sua 
amicizia,  aggiungo,  che  la  sua  nota  comparirà  fra  breve  nelle  Memorie  della  Società  degli 
Spettroscopisti  italiani.  Voi.  XXXVI. 


Memoria,  V 


Sulla  identità  proiettiva  di  due  curve  algebriche 
Memoria  del  D.r  GIUSEPPE  MARLETTA 


RELAZIONE 

della  Commissione  di  Revisione  composta  deì  soci  effettivi 
Proff.  G.  PENNACCHIETT1  e M.  PIERI  {relatore). 


Da  pochi  fatti  spettanti  alla  Geometria  sull’ente  algebrico,  l’A.  desume 
una  condizione  (sufficiente)  affinchè  una  corrispondenza  frazionale  fra  due 
curve  del  medesimo  ordine  provenga  da  un’  omografia  «lei  loro  spazi  d’  im- 
mersione : e la  illustra  con  molti  esempi;  deducendone  varie  eleganti  pro- 
posizioni — parte  già  note  (quantunque  per  vie  men  brevi)  e parte  non  an- 
cora osservate.  Uno  di  questi  risultati  ne  accerta,  che  fra  due  curve  piane 
del  medesimo  ordine  prive  di  punti  multipli  non  può  intercedere  alcuna 
corrispondenza  frazionale  non  lineare  : teorema  che  l’A.  generalizza  poi  di- 
mostrando che  il  simile  accade  fra  due  ipersuperficie  algebriche  dell’  Sr  di 
ordine  n > r 1,  con  un  numero  finito  di  punti  multipli  secondo  i < r. 
L’  ultimo  § risolve  il  problema  di  assegnare  — sotto  forma  notevolmente 
semplice  — una  condizione  necessaria  e sufficiente  acciocché  due  curve  al- 
gebriche dell’  8,.  siano  infinite  volte  proiettive  fra  loro. 

La  Commissione  — riscontrando  nelle  quistioni  trattate  dall’ A.  e nei 
risultati  da  Lui  conseguiti  pregi  bastanti  d’  interesse,  di  novità  e metodo — 
propone  che  questo  lavoro  sia  inserito  negli  Atti  accademici. 


Atti  acc.  Serie  4a,  Voi..  XIX  — Meni.  V. 


1 


»•/ 

■ 


. • 

. 

. 


- 


11  primo  capitolo  di  questa  nota  lia  lo  scopo  di  assegnare 
alcuni  teoremi,  che  possono  essere  utili  per  decidere  se  due  date 
curve  algebriche  (distinte  o sovrapposte)  sono  riferibili  proietti- 
vamente fra  loro  (*). 

Alcuni  di  questi  teoremi  sono  già  noti  ; e di  essi  si  trove- 
ranno qui  nuove  dimostrazioni  di  notevole  semplicità  e natura- 
lezza. Altri,  invece,  sono  nuovi,  e non  mi  sembrano  privi  d’in- 
teresse. 

Il  secondo  capitolo  è dedicato  alla  ricerca  delle  condizioni 
necessarie  e sufficienti,  affinchè  due  curve  algebriche  (distinte  o 
no),  siano  trasformate  l’una  nell’altra  da  infinite  omografie. 

I. 

1.  Siano  C e C'  due  curve  algebriche  d’ordine  n,  di  gene- 
re p,  e immerse  rispettivamente  negli  spazi  [?•]  e [»•]'  da  r di- 
mensioni. 

Supponiamo  che  fra  i punti  delle  due  curve,  si  possa  sta- 
bilire una  corrispondenza  biunivoca  tu.  Questa  trasformerà  la 
serie  yrn  secata  su  C dagl’ iperpiani  dello  spazio  [r],  in  una  certa 
serie  di  C' . Se  coincide  con  la  g'rn  secata  su  C'  dagl’  iper- 
piani di  [r]',  allora  m individua  fra  gli  spazi  [r]  e [r\  una  col- 
lineazione  trasformante  C in  C'. 

Ciò  avverrà  certamente,  se  o>  trasforma  s gruppi  iperplanari 


(*)  Per  le  curve  razionali  vedi  Maulf.tta  « Contributo  alla  teoria  delle  curve  razionali  » . 
[Read,  del  Circolo  Matem.  di  Palermo,  tomo  XXI,  1906]. 


4 


D.r  Giuseppe  M arietta 


[Memoria  V]. 


linearmente  indipendenti  di  C in  altrettanti  e siffatti  gruppi  di 
C,  essendo  s il  numero  dei  gruppi  linearmente  indipendenti, 
atti  ad  individuare  una  grn  sopra  una  curva  di  genere  p ; ovvero 
se  i numeri  n,  r,  p sono  tali,  che  sopra  una  curva  di  genere  p, 
esista  una  sola  serie  lineare  d’ordine  n e dimensione  r. 

Osserviamo  che  i soli  valori  possibili  di  s sono  s = 1 e 
s — r -f-  1. 

Sarà  s — 1 se  sulla  curva  di  genere  p esiste  più  d’una  grn , 
e inoltre  è r la  massima  dimensione  che  può  avere  una  gn;  sarà 
s = r -\-  1 negli  altri  casi.  Allorché  sulla  curva  di  genere  p esi- 
ste una  sola  grn  , diremo  che  questa  è individuata  da  s — 0 dei 
suoi  gruppi. 

2.  Da  ciò  segue  senz’  altro  il  teorema  : 

« Date  due  curve  0 e C'  d’ordine  n,  genere  p,  e immerse  ne- 
gli spazi  [r]  e [r]';  se  s è il  numero  dei  gruppi  linearmente  indi- 
pendenti  atti  ad  individuare  una  g*  sopra  una  curva  di  genere  p, 
allora  qualunque  corrispondenza  biunivoca  fra  i punti  delle  due 
curve , la  quale  trasformi  s gruppi  iperplanari  linearmente  indipen- 
denti di  0,  in  altrettanti  e siffatti  gruppi  di  0',  individua  fra  gli 
spazi  [r]  ^ W'  una  collimazione  trasformante  O in  0’  ». 

Nei  paragrafi  seguenti  illustreremo  questo  teorema. 

3.  Sopra  una  curva  di  genere  p , si  abbia  una  serie  lineare 
gTn  , essendo  n > 2 p — 2.  Allora  è noto  (*)  che  si  ha  r < n — p\ 
cioè  che  n — p è la  massima  dimensione,  che  può  avere  su  quel- 
la curva  una  serie  lineare  d’ordine  n. 

Dunque,  per  il  teorema  del  § precedente,  possiamo  conclu- 
dere che  : 

« date  due  curve  0 e C'  d’ordine  n,  genere  p , con  n > 2 p — 2 , 
immerse  negli  spazi  [n  — p]  e [n  — p]',  se  esiste  fra  i loro  punti 


(*)  Clifkord  « On  thè  Classifieation  of  Loci  ».  [Phil.  Trans.  1878]. 

Segre  « Rechcrches  générales  sur  les  courbes  et  les  surfaces  réglées  algebriques  » . [ Matk. 
Ann.,  Bd.  XXX]. 

Castelnuovo  « Sui  multipli  di  una  serie  lineare  di  gruppi  di  punti  appartenente  ad  una 
curva  algebrica  »..  [Rend.  del  Circolo  Matem.  di  Palermo,  tomo  VII,  1893]. 


Sulla  identità  proiettiva  di  due  curve  algebriche 


5 


una  corrispondenza  biunivoca  trasformante  un  gruppo  iperpla tiare 
di  C in  uno  siffatto  di  C,  allora  questa  corrispondenza  individua 
fra  gli  spazi  [n  — ]>]  e [11  — p]'  una  collinea zione,  la  quale  tra- 
sforma 0 in  C'  (*). 

In  particolare  dunque  sono  proiettivamente  identiche  due 
curve  ellittiche  d’ordine  n dello  spazio  ad  n — 1 dimensioni,  se  fra 
i loro  punti  intercede  una  corrispondenza  biunivoca  tale  che  ad 
un  punto  d’  iperosculazione  dell’una,  corrisponda  un  punto  sif- 
fatto nell’altra  (**). 

4.  Sia  C una  curva  d’ordine  n,  di  genere  p,  immersa  nello 
spazio  [r],  con  r < n — p e n > 2 p — 2.  La  C si  può  sempre 
riferire  hi  univocamente  (***)  ad  una  curva  Dx  d’ordine  n -(-  p di 
genere  p e immersa  in  un  [«].  Essendo  n — p la  massima  dimen- 
sione di  una  gn  di  Dx  , ogni  gl~p  di  questa  curva  è individuata 
da  uno  qualunque  dei  suoi  gruppi.  Onde  una  gnn~p  qualunque 
di  Dx  si  ottiene  secando  la  curva  con  gl’  iperpiani  passanti  per 
il  [p — 1]  individuato  dai  p punti  della  curva,  che  stanno  in  uno 
stesso  iperpiano  cogli  n punti  di  un  gruppo  qualunque  di  g„~p . 
La  grn  di  J)t , che  corrisponde  alla  serie  secata  su  C dagl’  iper- 
piani di  [r],  e la  gnn~p  individuata  da  uno  qualunque  dei  gruppi 
di  grn,  devono  essere  contenute  in  una  stessa  g„  , che  sarà  evi- 
dentemente quella  gn~p . 

Onde  la  grn  in  quistione  è secata  dagl’  iperpiani  passanti  per 


(*)  Segre  « 1.  c.  » . 

Per  p — 1 vedi  anche  Castelnuovo  « Geometria  sulle  curve  ellittiche  . [Atti  della  R.  Acc. 
di  Torino,  voi.  XXIV,  1888]. 

Le  i/”-' p di  una  curva  di  genere  p,  sono  oop-  Vedi  p.  es.  Brill  e Nother  « Veber  die 
aUjebraischen  Functionen  » [Math.  Ann.  Bd.  VII].  Dunque  sono  in  numero  finito  solamente, 
se  la  data  curva  è razionale.  In  tal  caso  è evidente  che  si  ha  una  sola  g"- , e quindi  (SI) 
ritroviamo  il  noto  teorema,  che  qualunque  corrispondenza  biunivoca  fra  i punti  di  due  curve 
razionali  normali,  individua  una  colliueazione  fra  gli  spazi  delle  due  curve,  trasformante 
Luna  curva  nell’altra. 

(**)  Segre  « Le  corrispondenze  univoche  sulle  curve  ellittiche  » . [Atti  della  R.  Acc.  di  To- 
rino, 1889]. 

(***)  Castelnuovo  « ricerche  di  geometria  sulle  curve  algèbriche  » . [Atti  della  R.  Acc.  di 
Torino,  1889]. 


(5 


D.r  Giuseppe  Marletta 


Memoria  VJ. 


un  certo  [n — r — 1]  avente  p punti  in  comune  con  . Proiet- 
tando la  curva  da  quest’  [w — r — 1]  in  un  [r]  , si  ottiene  una 
curva  Cx  d’ordine  n,  proiettivamente  identica  a C.  Dunque  C si 
può  considerare  come  proiezione  di  una  certa  curva  I)  d’ordine 
ìi-\-p  di  un  [n\,  fatta  da  uno  spazio  2 da  n — r — 1 dimensioni, 
avente  p punti  in  comune  con  T).  Conduciamo  ora  per  lo  spazio 
[>•]  di  C un  \ii — p~\,  che  appartenga  allo  spazio  [w]  di  I ).  Proiet- 
tando I)  in  quest’  \n — p]  dallo  spazio  [p — 1]  individuato  dai  p 
punti  comuni  a I)  e a - , si  ottiene  una  curva  F d’ordine  ii.  È 
chiaro  che  (J  si  può  considerare  come  una  proiezione  di  F,  fatta 
dall’  [n  — r — p — 1]  traccia  di  2 in  [n — p~\.  Dunque: 

« Ogni  curva  (V  ordine  n e genere  p , delio  spazio  [r]  , con 
r < n — p,  e n > 2 p — 2,  è sempre  proiezione  di  una  curva  d’or- 
dine n dello  spazio  [n  — p]  >>.  (*) 

5.  Siano  date  due  curve  C e C d’ordine  n,  di  genere  p , 
immerse  rispettivamente  negli  spazi  da  r dimensioni  [r]  e [r]', 
con  r < ti  — p e n > 2 p — 2.  Siano  I)  e I)  le  curve  d’ordine  n 
degli  spazi  n — p]  e [n — p]\  delle  quali  C e C'  sono  rispettiva- 
mente proiezioni  da  certi  due  spazi  2 e 2'  ad  n — r — p — 1 di- 
mensioni (§  4).  Pra  i punti  delle  due  curve  C e C interceda 
una  corrispondenza  biunivoca  w , trasformante  un  gruppo  iper- 
planare  di  C in  uno  siftatto  di  C’,  e inoltre  s{~\-  1 punti  (4=1, 
2...,  li)  di  C posti  in  un  -)-  r — n p],  in  -^+1  punti  siffatti 
di  C\  essendo  s{  > n — r — p — 1 ; e inoltre  gli  li  spazi  -j-  r — n -{-p\, 

non  abbiano  alcun  punto  comune  nell’  \r — 1]  in  cui  giace  l’an- 
zidetto  gruppo  iperplanare  di  C.  E chiaro  che  due  punti  omo- 
loghi in  u) , sono  proiezioni  di  due  punti  uno  di  I)  e uno  di  /), 
omologhi  in  una  corrispondenza  biunivoca  aq,  la  quale  trasfor- 
mando un  gruppo  iperplanare  di  D in  uno  siffatto  di  T)\  indivi- 
dua fra  gli  spazi  \n — p]  e \n — p]'  una  colli neazione  trasformante 
1)  in  I)  (§  3).  Inoltre,  per  le  altre  condizioni  alle  quali  soddi- 


(*)  Veronese  « Beliandluny  der  projectivischen  Verhaltuisse 


. [Matti.  Ann.  Bel.  XIX]. 


i Sulla  identità  proiettiva  di  due  curve  algebriche 


sfa  co  , sono  omologhi  nella  detta  collineazione  gli  spazi  S e 2'. 
Concludendo  : 

« Date  due  curve  0 e C'  d’ordine  n e genere  p,  immerse  ne- 
gli spazi  da  r dimensioni  [r]  e [r]',  essendo  r < ri  — p,  ed  n > 2p — 2 ; 
se  esiste  fra  i loro  punti  una  corrispondenza  biunivoca  trasformante 
un  gruppo  iperplanare  di  C in  uno  siffatto  di  C'  ed  Sj  1 punti 
(i  = /,  2,..,  li)  di  0 posti  in  un  [Sj  -)-  r — n -f-  p]  , in  Sj.  -j-  1 punti 
siffatti  di  0',  essendo  s£  > n — r — p — 1 ; e se  inoltre  gli  li  spazi 
[Sj  -f-  r — n — {—  p]  non  hanno  alcun  punto  a comune  nell ” [r  — /]  cui 
appartiene  il  gruppo  iperplanare  anzidetto  di  0,  allora  quella  cor- 
rispondenza individua  fra  gli  spazi  [ r]  ed  [r]'  una  collineazione  che 
trasforma  C in  C'  ». 

Facciamo  qualche  caso  particolare. 

a)  Si  ponga:  n=5,  p=l,  r—  3,  li— 1,  ^=1.  Il  teorema 
ora  dimostrato  ci  dice,  che  date  due  qui  litiche  gobbe  ellittiche 
C e C\  se  fra  i loro  punti  si  può  stabilire  una  corrispondenza 
biunivoca  trasformante  un  gruppo  piano  di  C in  uno  siffatto  di 
C',  e i due  rami  (distinti  o coincidenti ) di  un  punto  doppio  di 
C,  in  quelli  di  un  punto  doppio  di  C',  allora  la  detta  corrispon- 
denza biunivoca  individua  fra  gli  spazi  delle  due  curve  una 
collineazione,  la  quale  trasforma  C in  C'.  Si  noti  però,  che  il 
punto  doppio  di  C (di  C'),  non  deve  appartenere  al  piano  dei 
gruppo  di  C (di  C)  anzidetto. 

b)  Si  ponga  : n— 5,  p— 1,  r=3,  7>=2,  .^=3,  s2= 2.  Il  teo- 
rema ci  dice,  che  date  due  quintiche  gobbe  ellittiche  C e C', 
se  fra  i loro  punti  si  può  stabilire  una  corrispondenza  biunivoca 
trasformante  un  gruppo  piano  G di  C , in  uno  siffatto  G'  di  C, 
quattro  punti  complanari  di  C in  quattro  punti  complanari  di 
C\  e tre  punti  allineati  di  C in  tre  punti  allineati  di  C',  allora 
la  detta  corrispondenza  individua  fra  gli  spazi  delle  due  curve 
una  collineazione,  la  quale  trasforma  C in  C'.  Per  altro  la  retta 
dei  tre  punti  di  C (di  C')  e il  piano  dei  quattro  punti  suddetti 
della  medesima  curva,  non  devono  avere  in  comune  alcun  punto 
del  piano  di  G (di  G'). 


8 


D.r  Giuseppe  Marletta 


[Memoria  V]. 


c ) Si  ponga:  n=5,  ^>=1,  r— 3,  7/=2.  s\=2  s2—2.  Il  teo- 
rema ci  dice  che  date  due  quintiche  gobbe  ellittiche  C e C',  se 
fra  i loro  punti  si  può  stabilire  una  corrispondenza  biunivoca 
trasformante  un  gruppo  piano  G di  C , in  uno  siffatto  G'  di  C', 
e due  trisecanti  di  C in  due  trisecanti  di  C\  allora  la  detta 
corrispondenza  biunivoca  individua  fra  gii  spazi  delle  due  curve 
una  collineazione  trasformante  C in  C' . Si  noti  però,  che  le  due 
trisecanti  di  C (di  C')  non  devono  avere  alcun  punto  del  piano 
di  G (di  G')  in  comune. 

6.  È noto  che  la  massima  dimensione  che  può  avere  una 
g2p_ 2 sopra  una  curva  di  genere  p,  è p — 1 ; e che  anzi  sopra  la 
curva  esiste  una  sola  gl~ % , che  è precisamente  la  serie  canoni- 
ca. Ne  segue  (§  2)  che 

« date  due  curve  0 e C (V ordine  2p — 2,  di  genere  p,  e immerse 
in  due  spazi  [p — 1]  e [p — da  p — 1 dimensioni , qualunque  cor- 
rispondenza biunivoca  passi  fra  i loro  pienti  , individua  una  colli- 
neazione fra  gli  spazi  [p — 7]  e [p — /]',  trasformante  0 in  C'  ».  (*) 

Per  es.,  se  due  sesti  eli  e gobbe  C e C'  di  genere  p = 4 si 
corrispondono  biunivocamente,  esse  saranno  proiettivamente  iden- 
tiche. 

7.  Siano  C e C'  due  curve  piane  d’ordine  n > 3 ciascuna 
priva  di  punti  multipli.  Le  curve  F d’ordine  n — 3 del  piano  [2] 
di  C , secano  su  questa  una  c/i-  " ("-3)  che  è la  serie  canonica  di  C. 

Se  fra  i punti  di  C e di  C'  esiste  una  corrispondenza  biu- 
nivoca co , questa  trasformerà  la  serie  canonica  di  C in  quella 
di  C\  cioè  farà  corrispondere  ad  ogni  gruppo  di  n (n — 3)  punti 
di  C appartenenti  ad  una  curva  F,  un  gruppo  di  altrettanti  punti 
di  C\  giacenti  sopra  una  curva  F d’ordine  n — 3.  Ora  vogliamo 
dimostrare  che  ad  n punti  allineati  di  C corrispondono,  in  virtù 
di  oc,  n punti  allineati  di  C'\  cioè  che  co  individua  fra  i piani 
delle  due  curve  una  collineazione  trasformante  C in  C'. 

A tal  tine  supporremo  che,  per  un  certo  valore  di  * _<  n — 3 


(*)  SeCtRE  « Rcchcrche»  . . 


. » 1.  c. 


Sulla  identità  proiettiva  di  due  curve  algebriche 


9 


gli  ns  punti  di  C appartenenti  ad  una  curva  qualsivoglia  E, 
d’ordine  s , abbiano  sempre  i loro  corrispondenti  in  C'  sopra 
una  curva  E's  ; e dimostreremo  che  al  lora,  se  n (s — 1)  punti  di 
C appartengono  ad  una  curva  E,_ l d'ordine  s — 1,  anche  i loro 
corrispondenti  apparterranno  necessariamente  ad  una  E's_x  . E 
infatti  il  gruppo  degli  n (s — 1)  punti  comuni  a Ce  ad  Es_x  ap- 
partengono ad  oc2  curve  Es , ciascuna  composta  della  Es_1  tissa 
e di  una  retta;  onde  per  gli  n (s — 1)  punti  corrispondenti  di  C 
passeranno  ancora  ro2  curve  E's . Ma  due  E's  non  possono  avere 
})iù  di  s2  punti  comuni  ; dunque  se  è n (s  — 1)  > s2,  le  oo2  E\ 
dovranno  avere  una  parte  fissa  comune  contenente  gli  n (s — 1) 
punti.  Ne  segue  che  questa  parte  fissa  è necessariamente  una 
E\_x ; atteso  che  una  curva  E's_2,  p.  es.,  non  può  secare  in 
n fs — 1)  > n {s — 2)  punti  la  curva  irriducibile  C’ . Resta  solo  da, 
far  vedere,  che  per  1 < s < n — 3 è sempre  n (s — 1)  > -v2:  e invero 
da  n > s -|-  3 ed  s > 1 si  deduce  n (s — 1)  >_  tr  -j  2.v — 3 > s2. 

Concludiamo  che: 

« Se  fra  i punii  di  due  curve  piane  dello  stesso  ordine  n > 3, 
ciascuna  priva  di  punti  multipli , si  può  stabilire  una  corrispondenza 
biunivoca , questa  individua  fra  i loro  piani  una  colli  ovazione , la- 
gnale trasforma  Vinta  curva  nell’altra  ». 

8.  « Se  fra  i punti  di  due  ipersuperficie  o forme  algebriche  0 e C' 
dello  stesso  ordine  n degli  spazi  [r]  e [r]',  prive  di  punti  multipli, 
con  n > r -4-  1,  si  può  stabilire  una  corrispondenza  bir azionale,  que- 
sta individua  fra  gli  spazi  [r]  e [r]'  una  colli  oraziane  trasformante 
C in  C'  » (*) 


(*)  È noto  die  il  sistema  canonico  della  superficie  C d’ordine  » di  uno  spazio  ordinario 
[3],  priva  di  punti  multipli,  è secato,  per  n 4,  dalle  superficie  d’ordine  n — 4.  Analoga- 
mente il  sistema  canonico  della  forma  C d’ordine  n di  un  [}•],  priva  di  punti  multipli,  è se- 
cato. per  n r -)-  1,  dalle  forme  d’ordine  » — r — 1.  L’assenza  di  punti  multipli  non  è 
necessaria  : le  forme  potrebbero  avere,  p.  es.,  un  numero  finito  di  punti  multipli  ordinari 
di  multiplicità  i < r — 1 ; visto  che  le  forme  d’ordine  n — r — 1 secanti  il  sistema  cano- 
nico di  C,  devono  contener  questi  punti  in  qualità  di  punti  (i  — r -f-  1)  pii.  Una  proposi- 
zione analoga  per  due  superficie  d’ordine  ».  4 non  contenenti  altre  curve  che  intersezioni 

complete  trovasi  già  dimostrata  nelle  Ricerche  di  Geometria  sulle  superficie  algebriche  » del 
prof.  F.  Enriques  [Meni,  dell’ Acc.  delle  Scienze  di  Torino,  v.  XLIV2  , Capit.  III]. 


Atti  acc.  Serie  4a,  Voi..  XIX  — Meni.  V. 


10 


D.r  Giuseppe  Marletta 


[Memoria  V]. 


Questo  teorema  si  dimostra  in  modo  perfettamente  analogo 
a quello  del  § precedente;  sapendosi  che  i due  sistemi  lineari 
(canonici)  segati  su  C e su  C'  dalle  forme  ( aggiunte  ) d’ordine 
n — r — 1 debbono  essere  omologhi  nella  data  corrispondenza  biu- 
nivoca. Però,  mentre  nella  dimostrazione  precedente  ad  n (s — 1) 
punti  di  C corrispondevano  necessariamente  n (s  — 1)  punti  di 
C',  per  il  teorema  del  presente  § occorre  stabilire,  che  alla  va- 
rietà da  r — 2 dimensioni  C Es_ x,  che  è d’ordine  n(s — 1),  corri- 
sponde su  C'  una  varietà  pur  essa  d’  ordine  uguale  ad  n (s — 1). 
E infatti  r — 2 forme  generiche  Es  d’ordine  s di  [r],  si  tagliano 
in  una  superfìcie  P d’ordine  sr~2 , la  quale  seca  C in  una  curva 
7 d’ordine  nsr~2.  A 7 corrisponderà  in  C'  una  curva  7'  ancli’essa 
d’ordine  ns7~2 , giacché  ad  una  forma  Es  corrisponde  una  E\. 
La  varietà  C Es_1  ha  (s — 1)  nsr~2  punti  in  comune  con  7,  onde 
anche  7',  avrà  (s — 1)  nsr~2  punti  comuni  con  la  varietà  di  C' 
corrispondente  alla  C Eg^.  ]Se  segue  che  questa  varietà  di  C'  è 
incontrata  in  (s — 1)  nsr~2  punti  dalla  superficie  P'  (d’ordine  sr~2), 
e quindi  essa  è d’ordine  n ( s — 1).  c.  v.  d. 

In  modo  analogo  al  teorema  del  § precedente,  si  proverebbe 
il  seguente  : 

« /Se  fra  i punti  di  due  curve  inane  d1  ordine  n > 4 , ciascuna 
dotata  di  un  solo  punto  doppio,  si  può  stabilire  una  corrispondenza 
biunivoca,  questa  individua  fra  i dite  piani  una  collineazione  tra- 
sformante l’ima  curva  nell’altra  ». 

9.  Sia  data  una  curva  d’ordine  n , genere  p con  n < 2 p — 2, 
e immersa  nello  spazio  [r].  Nella  presente  ipotesi,  anzi  che  cer- 
care in  generale  qual’  è la  massima  dimensione  che  può  avere 
sulla  curva  una  gn  , la  qual  cosa  del  resto  è facile  a farsi  (*) 
ogni  qual  volta  si  conoscano  i valori  di  n e di  p,  ci  limiteremo 
a registrare  nella  seguente  tavola  i casi  più  semplici  ; osser- 
vando che  anche  alla  presente  ipotesi  di  n < 2 p — 2,  può  appli- 
carsi il  teorema  del  § 2. 


(*)  Castelnuovo  « Sui  multipli ....  » 1.  e. 


Sulla  identità  proiettiva  di  due  curve  algebriche 


11 


=ordine  della  ser. 

n = 2p  — 3 
n~  2p  — 4 
n = 2p  — 5 
n~2p  — 6 
n = 2p  — 7 
n = 2p  ■ — 8 
n = 2p  — 9 
n — 2p  — IO 


2 p 
2p 


11 

12 


jp=gen.  della  curva 
P 

p 

p 

P 

P 

P 

P 

P 

P 

P 


r = massima  dimens.  di  una  gn. 

r = p — 2 
r = p — 3 
r =p  — 3 
r = p — 4 

r =p  — 5 (Per p=6  è invece  r—p — 4=2). 
r—p  — 5 
r = p — 6 

r = p — 7 | Per  p— 8,  è invece  r—p — 6=2  i 
( » p= 9,  '»  » r —p — 6=3  ! 

r =p  — 7 

r—p  — 8.  (Per  p = 9,  è invece  r—p — 7=2). 


Esempi.  Indicando  con  C%>p  una  curva  d’ ordine  n e genere  p 
dello  spazio  [r],  si  ha  : 

Sono  proiettivamente  identiche  due  curve  6”5 

» » » » » G'f  6 

» » » » » C*5 


C’37,6 
C!,, 
Ci, , 

^2,7 

C\7,8 

C%9 

CÌ,io 

Silo 

°3,11 


se  fra  i loro  punti  può  sta- 
bilirsi una  corrispondenza 
biunivoca  , trasformante 
un  gruppo  iperpiano  del- 
1’  una,  in  un  gruppo  iper- 
piano dell’  altro. 


10.  Ecco  un  altro  teorema  (§  2)  semplicissimo  : 

« Date  due  curve  0 e 0 d’ordine  n,  genere  p,  immerse  negli 
spazi  da  r dimensioni  [r]  ed  [r]',  qualunque  siano  del  resto  i valori 
di  n,  di  p e di  r ; se  esiste  fra  i punti  delle  due  curve  una  cor- 


12 


TJ.r  Giuseppe  M arietta 


[Memoria  V]. 


rispondenza  biunivoca  trasformante  r 4-  1 gruppi  iperpiani  linear- 
mente indipendenti  di  0 in  altrettanti  gruppi  siffatti  di  C',  allora 
la  detta  corrispondenza  individua  fra  gli  spazi  [r]  e [r]  una  col- 
li reazione  che  trasforma  0 in  C ». 

Per  esempio,  date  due  curve  razionali  C e C'  d’ordine  n, 
degli  spazi  [?■]  ed  [r]'  ciascuna  dotata  di  r -[-  1 iperpiani  ipero- 
sculatori  singolari,  cioè  di  contatto  n — punto,  allora  condizione 
necessaria  e sufficiente  affinchè  le  due  curve  siano  proiettiva- 
mente identiche,  è che  siano  proiettivi  i due  gruppi  dei  punti 
di  contatto  dei  detti  iperpiani  iperosculatori  singolari  (*). 

Per  r = n — 1 e C = C\  questo  teorema  è già  noto  (**). 

II. 

1.  Ci  proponiamo  ora  di  trovare  le  condizioni  necessarie  e 
sufficienti,  affinchè  due  date  curve  algebriche  C e C (distinte  o 
coincidenti),  siano  infinite  volte  omografiche  ; o vogliam  dire, 
affinchè  esistano  infinite  omografìe  fra  i loro  spazi,  rispetto  a 
ciascuna  delle  quali  esse  siano  corrispondenti. 

Cominciamo  dall’osservare  che  per  un  noto  teorema  (***)  il 
genere  delle  due  date  curve,  non  è maggior  d’uno  ; cioè  che  in- 
dicando con  p il  genere  delle  curve  C e C\  può  essere  soltanto 
^=0,  ovvero  p— - 1.  Quest’ ultima  ipotesi  si  esclude  facilmente. 
Infatti  ogni  omografia  che  trasformi  C in  C coordinerà,  p.  es., 
il  punto  di  contatto  di  un  iperpiano  stazionario  di  C'  ad  un 
punto  siffatto  di  C ; e in  generale  ad  un  punto  di  C dove  que- 
sta curva  abbia  qualche  singolarità  proiettiva  , un  punto  di  C', 
nel  quale  C è dotata  della  stessa  singolarità.  Ma  esistono  (in 
generale)  due  sole  (****)  corrispondenze  biunivoche  fra  i punti  di 

(*)  Marletta  « ].  c.  » 

(**)  Lorjia  — « Intorno  alle  curve  razionali  d’ordine  11  dello  spazio  a n — 1 dimensioni.  » 
[Rendiconto  del  Circolo  Matern.  di  Palermo,  tomo  II  (1888)]. 

(***)  Schivare  « Ueber  diejenigen  algebraischen  Gleichungen  zwìschen » Iourn 

f.  Math.  87. 

(****)  Queste  corrispondenze  sono  4 se  C’  e C sono  armoniche,  e 6 se  C e C'  sono  equi- 
anannoniche.  Vedi  Se orf.  <-  Le  corrispondenze » 1.  e. 


Sulla  identità  proiettiva  di  due  curve  algebriche 


13 


C e C',  tali  che  abbiano  come  omologhi  due  punti  dati  a pia- 
cere, lino  in  Ce  l’altro  in  C'  : onde  saranno  per  certo  in  numero 
fui  i/o  le  omografìe  fra  gli  spazi  [r]  e [r\  (dove  supponiamo  im- 
merse le  C e C'),  tali  da  trasformare  queste  due  curve  V una 
nell’altra. 

Concludiamo  perciò,  che  se  due  date  curve,  distinte  o coin- 
cidenti, sono  trasformate  l’una  nell’altra  da  infinite  omografìe, 
esse  sono  entrambe)  razionali. 

2.  Come  è noto,  intanto,  le  curve  C e C’  sono  oc3  volte 
omografiche  se  è n = r,  essendo  n l'ordine  di  esse.  Onde  basta 
considerare  1’  ipotesi  di  r < n. 

La  curva  razionale  C ha  (r  -f-  1)  (n — r)  iperpiani  stazionari. 
Sia  u un  iperpiano  di  [>•]  avente  un  contatto  m — punto  in  M 
con  C,  essendo  n > m >_  r -\-  1 ; esso  secherà  ulteriormente  la  curva 
in  n — m punti  distinti  da  M,  uno  dei  quali  sia  per  es.  A. 

Ogni  omografia  Q.  esistente  fra  gli  spazi  [r]  e [r]',  e rispetto 
alla  quale  si  corrispondono  le  due  curve  C e C trasforma  S in 
un  iperpiano  di  [>•]',  avente  un  contatto  m — punto  con  C in 
un  certo  punto  M\  e secante  la  medesima  curva  in  un  gruppo 
di  n — m punti,  distinti  da  M\  che  chiameremo  Af  [i  — 1,  2,  ... 
... , n m ).  Ad  0 dunque  è subordinata  un’  omografia  binaria  w 
fra  i punti  di  C e C\  aventi  come  omologhi  M ed  M\  A e A'{; 
dove  i ha  un  determinato  valore.  Ma  l’ iperpiano  2,  che  è da 
contarsi  in — r volte  fra  gli  (r  -f-  1)  (n — r)  iperpiani  stazionari  di 
(7,  non  gli  esaurisce  tutti  : per  la  qual  cosa  le  omografie  fra  gli 
spazi  [r]  e [r]',  aventi  come  omologhe  C e C',  sarebbero  in  nu- 
mero finito.  In  altri  termini  1’  ipotesi  dell’esistenza  di  iperpiani 
stazionari  come  S,  con  n > m > r -(-  1,  contradice  all’altra,  che 
le  C e C siano  infinite  volte  omografiche.  JSe  segue  che  se  C 
e C'  sono  infinite  volte  omografiche,  ciascuna  di  esse  è neces- 
sariamente dotata  di  r -}-  1 iperpiani  stazionari  singolari,  cioè  di 
contatto  n — punto. 

3.  Siano  C e C'  due  curve  razionali  siffatte.  Coni’  è noto  (*), 


(*)  Marletta  1.  c.  I. 


14 


D.r  Giuseppe  Marletta 


[Memoria  Vj. 


qualunque  omografia  Q esistente  fra  [r]  e [r]'  e tale  ila  trasfor- 
mare C in  C,  determina  fra  i punti  di  queste  curve,  una  omo- 
grafia binaria  co  , rispetto  alla  quale  sono  corrispondenti  i due 
gruppi  dei  punti  di  contatto  degl’ iperpiani  stazionari  singolari 
e viceversa,  se  w è un’  omografia  binaria  siffatta,  essa  individua 
una  omografìa  Si  fra  [r]  e [?•]',  rispetto  alla  quale  C e C si  cor- 
rispondono. Onde  condizione  necessaria  e sufficiente  affinché  C 
e C'  siano  infinite  volte  omografiche,  è che  i punti  di  contatto 
degl’ iperpiani  stazionari  singolari  di  C (e  similmente  di  C)  si 
distribuiscano  in  due  gruppi,  ciascuno  formato  di  punti  infinita- 
mente vicini. 

Possiamo  dunque  concludere  che 
« le  condizioni  necessarie  e sufficienti  affinchè  due  curve  ( distinte  o 
coincidenti ) O e C',  siano  trasformate  V una  nell’ ultra  da  infinite 
omografie  degli  spazi  [r]  e [r]'  cui  appartengono , sono  : 
la)  che  esse  siano  razionali  ; 

2a)  e poi , o che  esse  siano  normali , ovvero  che  ciascuna  sia  dotata 
di  r -|-  1 iperpiani  stazionari  singolari , e gli  r -f- 1 punti  di  contatto 
si  raccolgano  in  due  gruppi , uno  formato  da  s punti  infinitamente 
vicini , e V altro  da  r — s -\-  1 punti  pur  essi  infinitamente  vicini , 
essendo  1 < s < r ». 

Si  noti  infine,  che  per  r~2k — 1,  e s — k , esistono  due  si- 
stemi oo1  di  omografìe  fra  gli  spazi  [r]  e [?•]',  le  quali  trasfor- 
mano C in  C'. 


Catania,  ottobre  1905. 


Memoria  TI. 


Sulla  direzione  delle  correnti  atmosferiche  in  Catania 


Dr.  FILIPPO  ERED1A 


RELAZIONE 

della  Commissione  di  Revisione  composta  dai  Soci  effettivi 
Proff.  G.  P.  Grimaldi  ed  A.  Ricco  ( relatore ) 


L’  A.,  quando  era  assistente  nell’  Osservatorio  di  Catania,  raccolse  dalle 
registrazioni  del  nostro  Anemografo  i dati  per  lo  studio  della  frequenza  dei 
venti  nelle  varie  direzioni  ; elaborato  poscia  questo  materiale,  presenta  ora 
per  mio  mezzo  all’  Accademia  una  nota  importante  per  la  meteorologia  e 
climatologia  di  Catania,  e che  perciò  ritengo  meritevole  per  se  stessa  e 
conveniente  per  1’  Accademia  di  pubblicarsi  nei  propri  Atti. 

D’  accordo  con  l’A.  si  sono  soppresse  alcune  tabelle  che  non  erano  as- 
solutamente indispensabili  : così  la  stampa  riuscirà  meno  gravosa. 

Il  Relatore 
A.  RICCO 


Le  correnti  aeree  nelle  altissime  regioni  dell’atmosfera,  de- 
vono certamente  mani  testare  fenomeni  regolari  e costanti,  ma 
presso  terra  , gli  ostacoli  prodotti  dalle  prominenze  e dagli  av- 
vallamenti del  suolo,  gli  attriti,  i riscaldamenti  o raffreddamenti 
locali  ed  altre  simili  cause  influiscono  talmente  sulla  loro  dire- 
zione da  complicare  le  leggi  generali  con  molteplici  deviazioni 
ed  anomalie. 


Atti  acc.  Serie  4a,  Voi..  XIX  — Meni.  VI. 


1 


9 


D.r  Filippo  Eredia 


[Memoria  VI]. 


Rendesi  quindi  indispensabile  uno  studio  lungo  ed  accurato 
del  fenomeno,  con  buoni  mezzi  di  osservazione,  per  determinare 
con  esattezza  il  modo  di  azione  delle  circostanze  locali,  e i ca- 
ratteri particolari  delle  modificazioni  che  esse  producono. 

L’Osservatorio  Astrotisico,  la  cui  direzione  è affidata  al 
chiarissimo  Prof.  A.  Ricco , trovandosi  in  possesso  d’  un  ec- 
cellente anem om etrografo  Brassart , ho  voluto  qui  riunire  i 
risultati  che  questo  strumento  ha  som  ministrato  nel  periodo 
discretamente  lungo  1892-1902  che  io  ho  studiato  con  lo  scopo 
di  apprestare  qualche  elemento  relativo  a queste  ricerche  e cer- 
care di  dedurre  le  leggi  che  regolano  in  Catania  la  direzione 
delle  correnti  atmosferiche. 

Il  padiglione  meteorologico,  annesso  all’ Osservatorio  Astro- 
tìsico, è isolato  da  tre  lati  per  cui  non  subisce  perturbazioni  nè 
impedimenti  da  terreno  o da  altri  fabbricati,  che  restano  molto 
al  di  sotto. 

Come  tetto  della  camera  meteorologica  c’  è una  terrazza 
sulla  quale  sporgono  le  parti  superiori  collettrici  dell’  anemome- 
trografo,  all’  altezza  di  m.  98  sul  mare  e m.  10  sul  suolo. 

In  tutto  quello  che  segue  deve  intendersi  che  1’  unità  di 
tempo  è l’ora,  cioè  che  il  numero  delle  osservazioni  di  base  è 
di  21  per  giorno.  Pippiù  siccome  1’  anemometrografo  indica 
unicamente  le  direzioni  dei  quattro  punti  cardinali  e le  inter- 
medie, le  mie  ricerche  si  limiteranno  agli  otto  punti  principali 
della  rosa  dei  venti.  Bisogna  ancora  avvertire  che  i giorni  sono 
contati  da  una  mezzanotte  all’  altra  e che  V anno  è valutato 
meteorologicamente,  cioè  dal  1°  dicembre  al  30  novembre  del- 
1’  anno  seguente. 

Nella  compilazione  dei  quadri  riassuntivi  si  ebbe  cura  di 
tralasciare  intieramente  quei  giorni  in  cui  mancavano  alcune 
ore  di  registrazione,  ed  a un  esame  scrupoloso  furono  sottoposti 
i dati,  cercando  così  di  garentire  maggiormente  1’  attendibilità 
delle  conclusioni. 

Mi  furono  di  guida  in  tale  laborioso  lavoro  i consigli  del 


Sulla  direzione  delle  correnti  atmosferiche  in  Catania 


chiarissimo  Prof.  A.  Piccò  e mi  è grata  F occasione  per  espri- 
mere i sensi  della  più  alta  stima  e riconoscenza. 

« 


Cominciamo  a considerare  il  periodo  annuo. 

Ho  determinato  per  ogni  mese  il  numero  delle  volte  che  è 
stato  osservato  il  vento  in  ciascuna  direzione  per  tutto  il  periodo. 
Però  onde  avere  numeri  che  siano  tra  di  loro  più  esattamente 
paragonali,  ho  ridotto  la  frequenza  a 10000  cioè  ho  supposto 
che  in  ogni  mese  si  siano  fatte  10000  osservazioni.  La  tal).  I. 
dà  queste  frequenze  in  diecimillesimi. 

Un  esame  alla  sunnominata  tabella  permetterà  trarre  le 
conclusioni  che  qui  sotto  trascrivo. 

Il  vento  della  direzione  Ovest  è predominante  nei  mesi  di 
Gennaio,  Pehhraio,  Marzo,  Novembre  , Dicembre  ; col  massimo 
in  Gennaio  e Dicembre. 

11  vento  della  direzione  Est  è predominante  nei  mesi  di 
Giugno,  Luglio,  Agosto,  Settembre , col  massimo  principale  in 
Giugno,  e massimo  secondario  in  Settembre. 

Il  vento  della  direzione  NE  è predominante  nei  mesi  di 
Aprile,  Maggio,  Ottobre,  col  massimo  principale  in  Aprile. 

I venti  delle  direzioni  W e E si  presentano  sempre  con 
proprietà  opposte  coincidendo  i massimi  dell’uno  coi  minimi 
dell’  altro. 

II  N spira  con  maggiore  frequenza  nei  mesi  da  Ottobre  a 
Marzo  che  negli  altri. 

Il  S spira  con  poca  frequenza  e raggiunge  il  massimo  in 
Marzo  ed  il  minimo  in  Luglio  ed  Agosto. 

Il  SE  segue  F E ; il  SW  e NW  seguono  F W quasi  per 
tutto  F anno. 

Allo  scopo  di  maggiormente  fare  risaltare  F andamento  della 
frequenza  delle  singole  direzioni,  adoperando  il  noto  metodo  di 


4 


D.  r Filippo  Eredia 


[Memoria  VI.] 


Schouw  abbiamo  ridotto  le  otto  direzioni  alle  quattro  direzioni 
principali;  ed  i valori  relativi  tro vansi  qui  sotto  trascritti  : 


N 

S 

W 

E 

Gennaio 

....  2100 

1702 

4692 

1470 

Febbraio 

1431 

4125 

2643 

Marzo 

....  3281 

1787 

3754 

3330 

Aprile 

....  3375 

1422 

2787 

4000 

Maggio 

1358 

2137 

4159 

Giugno  

....  2025 

1391 

1248 

3869 

Luglio 

....  1009 

1121 

1048 

3571 

Agosto 

....  1531 

1325 

1146 

3206 

Settembre  .... 

....  2026 

1148 

2062 

2808 

Ottobre 

....  2645 

865 

1979 

2420 

Novembre  .... 

....  2120 

768 

2119 

1848 

Dicembre  .... 

....  2860 

1204 

4351 

1768 

Operando  sui  soprascritti  valori,  approssimativamente  risultano 
le  seguenti  proporzioni  : 


Gennaio  . . . . 

. . . N : 

: S 

= 2:1 

W : 

: E = 

4 

: 1 

Febbraio  . . . . 

. . . N : 

: S 

= 3:1 

W : 

: E = 

2 : 

: 1 

Marzo 

. . . N : 

S 

= 3:1 

tV  : 

E = 

1 : 

: 1 

Aprile 

. . . N : 

: S 

= 3:1 

W : 

: E = 

1 : 

: 2 

Maggio 

. . . N : 

: S 

= 2:1 

W : 

: E = 

1 : 

: 2 

Giugno  

. . . N : 

: S 

= 2:1 

W : 

: E = 

1 : 

: 3 

Luglio 

. . . N : 

S 

= 1:1 

W : 

: E = 

1 : 

: 3 

Agosto  . . , . . 

. . . N 

: S 

= 1:1 

W : 

: E = 

1 : 

: 3 

Settembre  . . . . 

. . . N 

: S 

= 2:1 

W 

: E = 

1 : 

: 1 

Ottobre 

. . . N : 

: S 

= 3:1 

W : 

: E = 

1 : 

: 2 

Novembre  . . . . 

. . . N 

: S 

= 3:1 

W : 

: E = 

2 : 

: 1 

Dicembre  . . . . 

. . . N : 

: S 

= 2:1 

W : 

: E = 

3 : 

: 1 

Da  cui  si  deduce  come  nei  mesi  d’  inverno  abbiamo  pre- 
dominio dei  venti  settentrionali  e occidentali  ; nei  mesi  della 
primavera  settentrionali  ed  orientali;  nei  mesi  dell’  està  orienta- 
li e nei  mesi  dell’  autunno  settentrionali  ed  occidentali. 


Sulla  direzione  delle  correnti  atmosferiche  in  Catania 


5 


Per  i singoli  mesi  abbiamo  anche  : 


Gennaio 

Febbraio 

Marzo  . . 

Aprile 

Maggio 

Giugno 

Luglio 

Agosto 

Settembre 

Ottobre 

Novembre 

Dicembre 


N 

+ 

s 

: W 

E 

= 3 

: 6 

N 

4 

s 

: W 

4 

E 

= 4 

: 6 

N 

+ 

S : 

W 

4 

E 

==  5 : 

7 

l\ 

4- 

S : 

: W 

4 

E 

= 4 : 

: b 

N 

4- 

S : 

W 

4 

E 

= 4 : 

6 

N 

+ 

S : 

: W 

4 

E 

= 3 : 

: 5 

N 

+ 

S : 

W 

4 

E 

__  2 : 

4 

N 

4 

S : 

W 

4 

E 

= 2 

: 4 

N 

-h 

S : 

: W 

_j_ 

E 

= 3 

: 5 

N 

+ 

S : 

: W 

4 

E 

= 3 : 

: 5 

N 

S 

: W 

+ 

E 

= 2 

: 3 

N 

_i_ 

S 

: W 

4 

E 

= 4 

: 6 

Abbiamo  dunque  per  tutti  i mesi  dell’  anno  una  leggiera 
preponderanza  dei  venti  che  agiscono  secondo  la  direzione  del 
parallelo  in  confronto  a quelli  che  agiscono  secondo  la  direzio- 
ne del  meridiano. 

E ciò  dipende  certamente  dal  fatto  che  i primi  spirando 
dalla  direzione  del  mare  sono  più  liberi,  mentre  i secondi  spi- 
rando dalla  direzione  della  terra  ferma,  incontrano  un  forte  osta- 
colo nel  monte  Etna. 

Esaminando  infine  la  tabella  I che  ci  dà  la  frequenza  re- 
lativa per  i singoli  mesi,  ci  risulta  come  il  NE  è sempre  supe- 
riore del  N soltanto  per  i mesi  di  Marzo,  Giugno,  Luglio,  A- 
gosto,  Settembre;  inferiore  dell1  E per  tutti  i mesi. 

Il  SW  è sempre  inferiore  all’ W e superiore  del  S;  il  SE 
sempre  inferiore  all1  E e superiore  in  alcuni  mesi  al  S. 

Donde  deduciamo  che  nel  periodo  da  noi  esaminato  non  ri- 
sulta la  costanza  di  quella  legge  per  la  quale  i venti  intermedii 
prevalgano  sui  principali. 


ifc- 


Riassunte  le  particolarità  delle  singole  direzioni  delle  cor- 
renti, cerchiamo  di  vedere  in  che  relazione  stanno  i nostri  dati 
con  quelli  emessi  da  altri  che  in  tale  studio  ci  precedettero,  uti- 
lizzando altre  serie  di  osservazioni. 


6 


D.r  Filippo  Erediti 


[Memoria.  VI.] 


Le  prime  osservazioni  meteorologiche  rispondenti  al  caratte- 
re scientifico,  riguardano  il  decennio  1817-1826;  esse  furono  sa- 
pientemente discusse  dal  valoroso  scienziato  C.  Geni m ella ro  che 
nel  suo  pregevole  lavoro:  « Saggio  sopra  il  Clima  di  Catania» 
così  dispone  i venti  per  ordine  di  frequenza  : W,  E,  XW,  SE, 
XE,  SW,  IX,  che  rispettivamente  furono  predominanti  per  mesi 
41,  31,  23,  13  , 7 , 3 , 2.  Operando  col  metodo  di  Schouw  su 
questi  dati,  otteniamo: 


N-j-S:0-fE  — 6:11 

il  che,  analogamente  a quanto  abbiamo  detto  innanzi,  ci  segnala 
il  predominio  dei  venti  secondo  la  direzione  del  parallelo.  I va- 
lori delle  quattro  direzioni  principali  sono  : X = 50,  S = 16, 
W = 67,  E = 51  ; questi  valori  ci  dicono  come  i venti  disposti 
secondo  la  frequenza  così  si  succedono  : W,  E,  X,  S.  Successione, 
che  se  si  pone  in  confronto  a quanto  superiormente  abbiamo 
detto  pel  periodo  1892-1902,  coincide  esattamente. 

Lo  stesso  può  dirsi  pel  periodo  1833-1840  e 1840-1846  di 
osservazioni  fatte  sotto  la  guida  del  dotto  Grem  niellare. 

* 

% * 

Per  il  periodo  diurno  abbiamo  scelto  come  unità  le  stagioni 
poiché  è evidente  che  aggruppando  per  trimestri  le  quantità  re- 
lative alla  frequenza  dei  venti  nel  periodo  diurno,  debbonsi  in 
parte  eliminare  ed  in  parte  attenuare  gli  effetti  delle  anomalie 
accidentali. 

Abbiamo  notato  nella  tabella  II  e seguenti  il  numero  delle 
volte  che  ha  spirato  il  vento  da  una  data  direzione  per  tutto  il 
periodo,  per  ciascuna  ora  ed  allo  scopo  di  avere  quantità  che 
siano  tra  di  loro  paragonabili,  abbiamo  ridotto  la  frequenza  os- 
servata a 10000  ; analogamente  a quando  si  fece  pel  periodo 


annuo. 


Sulla  direzione  delle  correnti  atmosferiche  in  Catania 


7 


Un  primo  sguardo  a siffatte  cifre  ci  fa  notare  come  in 
primavera,  estate  ed  autunno,  non  esiste  più  quella  regolarità 
mirabile  di  andamento  nella  frequenza  della  direzione  dei  venti 
che  si  nota  in  inverno  ; sembra  che  l1  aria  più  densa  e pesante 
pel  freddo,  sia  in  inverno  meno  che  nelle  altre  stagioni  soggetta 
a svariati  cambiamenti  di  direzione. 

E ciò  sembra  confermare  quanto  è noto,  che  in  inverno  le 
variazioni  atmosferiche  si  estendono  equabilmente  in  vastissime 
regioni  della  superficie  terrestre  , mentre  nelle  altre  stagioni  e 
massimo  in  estate  sono  molto  più  localizzate  e variabili. 

Bimane  ancora  facile  trarre  le  seguenti  conclusioni  : 

In  autunno  : il  vento  N spira  con  maggiore  frequenza  du- 
rante la  notte  che  durante  il  giorno,  raggiungendo  il  massimo 
nelle  ore  del  minimo  della  temperatura. 

NE,  E,  SE  hanno  lo  stesso  andamento  ; la  loro  frequenza 
aumenta  coll’  aumentare  del  calore  e raggiunge  il  massimo  nel- 
r epoca  del  massimo  calore. 

NW,  W,  SW  presentano  anche  lo  stesso  carattere  diminui- 
scono coll1  aumentare  della  temperatura  e raggiungono  il  massimo 
nell’epoca  del  minimo  calore. 

Abbiamo  dunque  in  autunno  due  tipi  principali  di  frequen- 
za; l’uno  rappresentato  dai  venti  NE,  E,  SE,  e l’altro  dai 
venti  NW,  W,  SW.  I primi  predominano  nell’  epoca  del  mas- 
simo calore  appunto  quando  per  essere  il  suolo  riscaldato  più 
del  mare  vengonsi  a produrre  delle  correnti  che  vanno  dal  mare 
alla  terra  apportando  una  temperatura  fresca;  i secondi  predo- 
minano nell’epoca  del  minimo  calore  appunto  quando  per  esse- 
re il  mare  più  caldo  del  suolo  si  producono  correnti  che  vanno 
dalla  terra  al  mare  e che  per  l’attraversare  che  fanno  di  estese 
regioni  coltivate  ci  apportano  dell’  umidità  in  abbondanza. 

Se  confrontiamo  la  frequenza  dei  venti  E e W non  riscon- 
triamo caratteri  opposti,  mentre  li  abbiamo  per  1’  E e NW.  Il 
che  vuol  dire  che  il  vento  che  spira  dalla  direzione  W subisce 
un  forte  deviamento  per  la  forte  azione  esercitata  dal  nostro 


8 


D.r  Filippo  Eredia 


[Memoria  VI.] 


Mongibello;  deviamento  clie  possiamo  anche  far  militare  per  spie- 
garci lo  spostamento  che  subisce  il  NE  relativamente  all’  E e 
SE.  Nelle  altre  stagioni  si  ripete  lo  stesso  tipo  di  frequenza  che 
abbiamo  notato  per  Y autunno,  solo  abbiamo  dei  valori  maggio- 
ri o minori  per  i venti  di  E e W,  a seconda  del  succedersi  del 
massimo  e del  minimo  del  calore. 

La  calma  in  tutte  le  stagioni  diminuisce  col  crescere  del- 
la temperatura;  al  nascere  del  sole  si  mantiene  veramente  un 
po’  alta,  e tale  rimane  per  un  po’  di  tempo  e ciò  dipende  cer- 
tamente dal  fatto  che  1’  azione  del  sole  non  si  manifesta  subi- 
tamente. 


R.  Osservatorio  Astrotisico  di  Catania,  Gennaio  1906. 


titilla  direzione  delle  correnti  atmosferiche  in  Catania 


9 


Tav.  I. 

Frequenza  dei  venti  dedotta  dalla  somma  della  frequenza  nelle  24  ore. 


C 

N 

NE 

E 

SE 

s 

SW 

W 

NW 

Somma 

Gennaio  . 

1858 

274 

399 

373 

96 

134 

775 

1428 

567 

5904 

Febbraio  . 

1110 

449 

670 

507 

155 

71 

495 

982 

602 

5040 

Marzo  . 

1083 

416 

950 

752 

257 

216 

578 

1066 

564 

5882 

; Aprile  . 

1431 

261 

1104 

684 

401 

66 

311 

732 

482 

5472 

I 

Maggio 

1724 

332 

931 

1019 

436 

68 

275 

533 

418 

5736 

Giugno 

2417 

248 

729 

1068 

394 

100 

294 

244 

170 

5664 

! Luglio  . 

2931 

128 

647 

937 

464 

27 

152 

250 

199 

5736 

Agosto. 

3093 

161 

461 

816 

585 

27 

158 

240 

267 

5808 

Settembre. 

2612 

237 

496 

814 

287 

69 

297 

457 

419 

5688 

Ottobre 

2720 

422 

690 

597 

136 

151 

222 

499 

443 

5880 

Novembre. 

2924 

408 

515 

486 

55 

114 

270 

653 

288 

5712 

| Dicembre  . 

1682 

443 

484 

416 

129 

134 

438 

1358 

737 

5822 

Frequenza  relativa,  supponendo  che  le  osservazioni 
per  ogni  mese  siano  10000. 


Gennaio  . 

3147 

464 

676 

632 

162 

227 

1313 

2419 

960 

10000 

Febbraio  . 

2203 

891 

1329 

1006 

308 

141 

982 

1949 

1194 

1 0000 

Marzo  . . 1 

1842 

707 

1615 

1278 

437 

367 

983 

1812 

959 

10000 

Aprile  . 

2615 

477 

2017 

1250 

733 

121 

568 

1338 

881 

10000 

Maggio 

3006 

579 

1622 

1777 

760 

119 

479 

929 

729 

10000 

Ginguo 

4268 

438 

1287 

1886 

696 

177 

518 

430 

300 

10000 

Luglio  . 

5110 

224 

1128 

1634 

809 

47 

265 

436 

347 

10000 

Agosto. 

5325 

277 

794 

1405 

1007 

46 

272 

414 

460 

10000 

Settembre. 

4592 

417 

872 

1431 

505 

121 

522 

803 

737 

10000 

Ottobre 

4626 

718 

1175 

1015 

230 

257 

378 

849 

752 

roooo 

Novèmbre. 

5119 

714 

902 

850 

96 

200 

472 

1143 

504 

10000 

Dicembre  . 

2889 

762 

832 

714 

222 

230 

752 

2333 

1266 

10000 

Atti  acc.  Skkik  4; 


Voi.. 


XIX—  Meni.  VI. 


10 


D.r  Filippo  Eredia 


[Memoria  VI.J 


Tav.  II. 

INVERNO  (Frequenza  per  10000). 


Ore 

C 

N 

NE 

E 

SE 

S 

sw 

W 

NW 

0-  1 

136,  4 

29,  2 

33,  8 

16,7 

5,  4 

3,  0 

38,2 

98,4 

56,  1 

1-  2 

133,  6 

32,  2 

33,  8 

18,  5 

3,  6 

5,  4 

44,  7 

93,  0 

52,  5 

2-  3 

128,  2 

27,  4 

26,  2 

19,  7 

6,  6 

7,2 

51,  3 

99,  5 

53,7 

3-  4 

131,  8 

27,4 

26,8 

18,  5 

7,2 

12,5 

47,  1 

91,  2 

55,  5 

4-  5 

131,  8 

31,  0 

21,  5 

20,  3 

7,2 

9,  5 

38,2 

102,0 

55,  5 

5-  6 

137,  2 

28,  6 

25,  0 

17,  3 

6,  6 

13,  7 

40,  6 

100,  2 

47,  7 

6-7 

132,4 

27,  4 

28,  0 

12,  5 

7,2 

10,  7 

46,  5 

97,  2 

54,  9 

7-  8 

134,  8 

29,8 

27,4 

18,  5 

6,  6 

13,  1 

42,  3 

98,  4 

45,9 

8-  9 

134,  8 

26,  6 

37,  6 

19,  2 

6,  6 

13,  1 

45,  3 

94,  2 

39,  4 

9-10 

135,  4 

26,  8 

37,7 

23,  3 

8,9 

13,  1 

52,  5 

89,  4 

29,8 

10-11 

116,  9 

23,  3 

37,  6 

35,  8 

13,  7 

14,  9 

53,  7 

88,  8 

32,  2 

11-12 

96,  6 

20,  3 

15,  9 

47,  7 

10,  4 

8,9 

54,  3 

93,  6 

39,  4 

12-13 

76,  3 

19,  1 

47,1 

64,  4 

18,  5 

12,  5 

41,  7 

99,  6 

37,  6 

13-14 

76,  3 

25,  6 

47,  7 

69,  8 

19,1 

16, 1 

41,  1 

76,  9 

44,  1 

14-15 

58,  4 

29,  2 

53,  7 

74,  5 

19,  1 

10,1 

55,  5 

81,7 

34,  6 

15-16 

84,  7 

28,  0 

55,  5 

66,  2 

16,7 

9,  5 

35,8 

82,  3 

38,  2 

16-17 

99,  0 

29,8 

50,  1 

62,  0 

17,3 

6,  6 

35,  8 

76,  9 

39,  9 

17-18 

110,  3 

37,  0 

57,  2 

35,  8 

8,  3 

6,  0 

30,  3 

81, 1 

50,  7 

18-19 

121,  7 

29,  2 

54,  9 

24,  4 

7,  7 

4,8 

34,  6 

90,  6 

48,9 

19-20 

121,  1 

30.  4 

38,  2 

30,  4 

9,  5 

1,  7 

33,  4 

96,  0 

56,  1 

20-21 

112, 1 

37,0 

42,  9 

21,5 

3,  0 

4,2 

36,  4 

107,  9 

51,  3 

21-22 

115,  7 

35,  8 

34,  0 

19,  7 

7,  7 

1,7 

34,  6 

106,2 

61,  4 

22-23 

127,  6 

32,  2 

30,  4 

22,  1 

4,  2 

1,8 

45,  3 

100,2 

53,  1 

23-24 

118,  1 

32,  8 

35,2 

13,  7 

6,  6 

1,7 

39,  4 

104,  4 

65,  0 

Sulla  direzione  delle  correnti  atmosferiche  in  Catania 


11 


Tav.  III. 

PRIMAVERA  (Frequenza  per  10000). 


Ore 

C 

N 

NE 

E 

SE 

S 

sw 

W 

NW 

0-  1 

1 51,  6 

30,4 

48,  6 

12,  9 

4,  7 

3,  5 

31,  6 

80,  2 

53,2 

1-  2 

158,  0 

30,4 

43,  3 

15,  8 

3,  5 

5,8 

26,  9 

77,  8 

55,  0 

2-  3 

160,  4 

31,  0 

43,  9 

12,  3 

V2 

4,  7 

28,  1 

82,5 

1 

52,  7 

3-  4 

152,  7 

31,  0 

48,  0 

11,  1 

2,3 

5,  8 

26,  3 

79,  0 

60,  3 

4-  5 

166,  2 

31,0 

47,  4 

8,  8 

4,  2 

2,  9 

32,  2 

76,  1 

50,  9 

5-  6 

171,  5 

29,  8 

41,  5 

12,  9 

1,2 

5,  8 

25,  7 

78,  4 

49,  7 

6-  7 

169,  7 

17,  5 

52,  7 

13,5 

4,  1 

8,  8 

33,  9 

72,  6 

43,  9 

7-  8 

158,  6 

16,  4 

55,  0 

18,  7 

10,  5 

11,  1 

38,  0 

65,  0 

43,  3 

8-  9 

109,  4 

16,  4 

63,  8 

47,  4 

24,  6 

19,  9 

43,  3 

65,  5 

26,  3 

9-10 

59,  7 

15,  8 

59, 1 

84,  8 

52.  7 

15,  8 

43,  9 

57,  3 

27,  5 

10-11 

35,  7 

13,  4 

64,  9 

113,  0 

63,  2 

15.  8 

37,  5 

48,  6 

24,  6 

11-12 

26,  9 

15,  2 

67,  9 

132,  3 

72,  0 

11,  7 

29,  8 

42,1 

18,  7 

12-13 

22,8 

11,1 

79,  6 

140,5 

72,  0 

12,  3 

23,4 

33,  4 

21,6 

13-14 

21,1 

17,  5 

89,  5 

141,  0 

70,2 

8,8 

21,  6 

28,7 

18,  1 

14-15 

20,  5 

18,  7 

94,  2 

148,  6 

57,  9 

9,  9 

20,  5 

24,  6 

21,  6 

15-16 

23,  4 

24,  0 

108,  8 

138, 1 

55,  0 

7,0 

17,  6 

25,  7 

17,  0 

16-17 

34,  5 

22,  8 

115,  8 

120,  0 

46,8 

8,8 

18,  7 

26,  3 

22,  8 

17-18 

56,  2 

28,7 

124,  1 

95,  4 

35,  7 

7,  6 

16,  4 

31,  0 

21,  6 

18-19 

87,  2 

26,3 

120,  6 

62,  6 

25,  2 

8,  8 

24,  0 

oOj  / 

26,  3 

19-20 

117,  0 

32,  8 

110,  6 

33,  3 

13,  5 

7,  0 

24,  6 

54,  4 

23,  4 

20-21 

131,  1 

33,3 

86,  0 

24,  6 

9,4 

7,0 

26,  9 

63,  8 

34,  5 

21-22 

146,  3 

33,  3 

70,8 

19,  3 

4,7 

5,  3 

27,  5 

71,  4 

38,  0 

22-23 

148,  7 

33,  9 

58,  5 

15,2 

4,7 

5,  3 

30,  4 

72,  0 

48,0 

23-24 

151,  0 

29,  3 

52,  1 

12,  3 

4.  1 

5,  3 

32,2 

72,  0 

58,  5 

12 


D.r  Filippo  Eredia 


[Memoria  VI.  ] 


Tav.  IV. 

ESTATE  (Frequenza  per  10000). 


Ore 

c 

N 

NE 

E 

SE 

S 

SW 

W 

NW 

0-  1 

299,  3 

20,9 

11,  6 

6,4 

0,  6 

2,  3 

21,  5 

33,  7 

20,  3 

1-  2 

307,  4 

11,  6 

9,  9 

4,  6 

0,  0 

2,3 

17,  4 

35,  4 

27,  9 

2-  3 

325,  4 

12,  2 

6,  4 

5,  8 

2,  4 

1,  2 

17,  4 

23,  2 

22,  7 

3-  4 

335,  3 

11,  0 

9,9 

3,  5 

1,2 

0,  6 

16,  8 

18,  6 

19,8 

4-  5 

333,  5 

14,  5 

7,  5 

4,  6 

0,  5 

1,  7 

14,  5 

22,1 

17,4 

5-  6 

331,  8 

11,  6 

8,1 

4,6 

0,  5 

0,0 

13,  4 

23,  2 

23,  2 

6-  7 

325,4 

11,  6 

9,  9 

7,  6 

1,2 

3,5 

19,  2 

18,  6 

19,  8 

7-  8 

287,  6 

11,  6 

20,  9 

16,  8 

1,  1 

9,  3 

19,8 

20,  3 

19,  2 

8-  9 

216,  8 

9,  3 

26,  7 

41,  3 

43,  6 

8,7 

25,  6 

25.  6 

19,  2 

9-10 

138,  9 

8,  l 

38,  3 

97,  0 

72,  6 

7,0 

27,  3 

13,  9 

13,4 

10-11 

90,  6 

8,7 

51,  7 

135,  4 

87,  7 

5,8 

16,  3 

9,  9 

10,  5 

11-12 

72,  0 

7,0 

64,  5 

153,  4 

87,  7 

5,  8 

10,  5 

8,7 

7,0 

12-13 

45,  3 

7,0 

75,  5 

166,  2 

93,  6 

4,6 

12,  2 

7,  0 

5,2 

13-14 

43,  0 

6,  4 

77,  9 

166,  2 

97,  0 

5,2 

11,  6 

3,5 

5,  8 

14-15 

37,  2 

5,  8 

84,8 

170,  9 

90,  1 

4,6 

10,  5 

5,  8 

7,0 

15-16 

51,  7 

9,3 

96,  5 

158, 1 

76,  7 

1,7 

8,  1 

5,  2 

9,3 

16-17 

83,  1 

11,  0 

91,  8 

138,  9 

66,  2 

1,  1 

8,1 

1,6 

8,7 

17-18 

112,  1 

16,  3 

92,  4 

124,  4 

47, 1 

1,7 

5,  2 

9,  3 

8,1 

18-19 

157,  5 

23.  2 

81,  3 

95,9 

27,  9 

3,  5 

s,: 

11,  6 

7,  5 

19-20 

214,  4 

13,4 

72,  0 

61,  0 

15,  7 

2,9 

7,  5 

15, 1 

14,  4 

20-21 

243,  5 

19,  2 

55,  2 

34,9 

8,7 

5,  8 

1,2 

18,  0 

19,  2 

21-22 

274,  2 

16,  8 

39,  5 

19,  8 

2,9 

3,  5 

13,  9 

29,  0 

16,  8 

22-23 

286,  5 

22,  7 

19,2 

13,  4 

2,  3 

2,3 

14,  8 

32,0 

23,  2 

23-24 

! 

292,  3 

22,  7 

15,  7 

8,7 

1,  2 

1,  7 

18,  6 

32,  0 

23,  8 

Sulla  direzione  delle  correnti  atmosferiche  in  Catania 


13 


Tav.  V. 


AUTUNNO  (frequenza  per  10000) 


j ■ 

Ork. 

C 

N 

| 

NE 

E 

SE 

S 

éw 

W 

NW 

Il 

1 «-1 

238,  8 

33,  9 

22,  4 

11,  5 

2,  9 

4,  0 

19,0 

44,  9 

l 

36,  8 

1-  2 

250,  3 

30,  5 

23,  0 

9,  2 

l,  7 

4,  0 

16, 1 

43,  2 

36.  2 

2-  3 

248,  6 

32,  8 

23,  6 

8,  0 

4,  0 

4,6 

14,4 

4o,  i 

34.  5 

3-  4 

248,  6 

31,  1 

25,  3 

8,6 

1,  2 

6,  3 

1 5,  0 

40,  3 

38,  0 

4-  5 

248,  0 

29.  9 

27,  0 

6,  3 

2,  3 

2,9 

16,  1 

40,  3 

41,4 

5-  6 

1 

256,  1 

24,  7 

23,  0 

8,  1 

4,0 

3,  4 

13,  2 

38,  5 

43,2 

6-  7 

261,  8 

23,  0 

21,  3 

7,  5 

2,  3 

4,  0 

16,7 

37,4 

40,  3; 

7-  8 

249,  7 

20,7 

26,  5 

10,  4 

2,  9 

6,  3 

22,  4 

43,7 

31,  6 

8-  9 

214,  0 

20,  7 

33.9 

24,  2 

6,  9 

10,  9 

25,3 

52,4 

25,  9 

9-10 

168,  0 

14,  4 

36,  2 

48,  9 

16,  1 

16, 1 

27,  6 

58,  7 

28,  2 

10-11 

141,  6 

19,  6 

39,  7 

73,  6 

24,  7 

15,  5 

28,  8 

46,  0 

24,  7 

11-12 

118,0 

17,  8 

46,  6 

93,  8 

33,4 

15,  0 

28,2 

39,  1 

22,  4 

12-13 

105,  3 

12,  7 

48,  9 

118,  6 

31,  6 

19,  6 

22  4 

35,  1 

20,  1 

13-14 

107,  6 

16,  1 

57,  0 

1 20,  3 

34,  5 

11,5 

26,  4 

25.  9 

15,  0 

1 14-15 

99,  0 

16,  1 

69,  0 

128,  3 

25,  9 

10  4 

18,  4 

32,2 

15,  0 

15-16 

119,  7 

21,  3 

67,  3 

116,  2 

20,  1 

10,  4 

14,4 

25,  3 

13,  8 

' 16-17 

145,  0 

21,9 

70,  7 

93,  8 

16,  1 

8,  6 

16,  1 

23,  0 

19,  0 

17-18 

169,  7 

24,7 

74,  2 

66,  2 

14,3 

6,  9 

16,  1 

28,  8 

13,2 

18-19 

196,  8 

27,  0 

59,  3 

47,  8 

10,  4 

7,5 

18,  4 

27,  6 

19,  6 

19-2U 

i 

215,  8 

33,  9 

50,  1 

28,  2 

5,  2 

5,  7 

16,  1 

36,  8 

22,  4 

20-21 

220,  4 

37,  4 

42,  6 

23,  6 

4,  6 

6,9 

16,  1 

39,  7 

23,  0 

21-22 

ii 

235,  9 

35,1 

37,  4 

15,  5 

2,9 

4,  0 

13,  8 

39,  7 

29,  9 

' 22-23 

242,  2 

33,  4 

28,  8 

13  ,4 

4,  0 

3,4 

16,  1 

39,  7 

33,  4 

| 23-24 

249,  7 

35,  1 

24,  7 

9,  8 

2,  9 

3,  4 

16.  7 

38,  0 

33,  9 

Memoria  VII. 


Trasformazioni  delle  energie 
del  Prof.  ANTONIO  CDRCI. 


Le  forale  più  conosciute  di  energia  secondo  1’  opinione  co- 
nnine sono  : meccanica,  termica,  luminosa,  elettrica,  chimica,  le 
quali  si  trasformano  le  ime  nelle  altre. 

Questo  fa  supporre  che  sia  una  1’  energia  universale  princi- 
pale e primordiale  , la  quale  dia  luogo  trasformandosi  da  una 
in  altra  forma  a secondo  il  sistema  materiale  in  cui  si  sviluppa 
e secondo  quello  in  cui  passa  successivamente.  Quale  è 1’  ener- 
gia prima  universale  da  cui  si  generano  le  altre  '? 

L’  attrazione  della  materia  e le  sue  forme  secondarie  di 
affinità  chimica  , coesione,  adesione  , gravità  , gravitazione  ecc. 
sono  effetti  meccanici  di  quella  primitiva  ; onde  se  queste  for- 
me sono  degli  effetti,  non  sono  la  energia  stessa. 

In  ogni  modo  le  suddette  forme  di  energia  non  sono  dif- 
ferenti per  natura  e per  origine  tra  loro  come  si  crede  erronea- 
mente ; esse  sono  sempre  la  stessa  cosa,  sotto  differenti  stati  ed 
aspetti,  sensibili  a noi  atte  a produrre  variati  effetti.  La  stessa 
energia  primordiale  si  manifesta  ai  nostri  imperfetti  sensi  ora 
come  movimento,  ora  come  calore  e luce  , ora  come  elettricità 
dinamica  e statica,  ora  come  attrazione  o affinità  chimica  ecc. 
producendo  cambiamenti  di  materia  e di  forme  e di  spazio  e 
dando  luogo  agl’innumerevoli  fenomeni  della  natura. 

Per  comprendere  questi  principii  è necessario  vedere  da  vi- 
cino una  per  una,  cosa  sono  o almeno,  quali  proprietà  hanno  le 
diverse  forme  di  energia. 

1.  Elettricità.  — Secondo  gli  ultimi  recenti  portati  della  fi- 

Atti  acc.  Serif.  4a,  Voi..  XIX—  Meni.  VII. 


1 


2 


Prof.  Antonio  Curai 


[Memoria  VII.] 


sica  questa  energia,  tanto  importante,  sarebbe  costituita  da  mi- 
nime particelle  di  energia,  dette  elettroni  o ioni  elettrici,  i quali 
hanno  per  carattere  più  saggiente  quello  di  essere  forza  viva,  in 
moto,  atti  a propagarsi  o diffondersi  con  immensa  velocità  pei 
conduttori  e a seconda  la  conducibilità  della  materia  (1)  e per 
1’  etere  cosmico.  Questi  elettroni,  che  si  sono  conosciuti  e dimo- 
strati per  diverse  maniere,  sono  costituiti  di  elettricità  negativa  ; 
essi  si  attaccano  agli  atomi  e molecole  dissociate  da  un  solvente 
o dal  calore  o da  altra  energia,  e costituiscono  la  carica  elettrica 
degli  ioni. 

Un  elemento  o gruppi  di  atomi  e di  molecole,  caricandosi 
di  elettroni,  si  carica  di  elettricità  negativa  ; sottraendo  elettroni 
ad  un  elemento  o molecola,  si  ha  un  ione  positivo. 

Così  p.  e.  sciogliendosi  in  acqua  un  corpo  , quale  CINa  o 
,S04Na2  si  scindono  il  primo  in  ione  CI  negativo  e ione  Na  po- 
sitivo, ed  il  secondo  in  SO4  ione  negativo  e Xa  2Ja  due  ioni  po- 
sitivi. Questi  ioni,  quando  sono  combinati  come  sali,  sono  in  uno 
stato  neutrale  o di  equilibrio,  essi  sono  attratti  l’un  l’altro  e 
così  reciprocamente  si  soddisfano;  essi  sono  senza  energia  inter- 
na come  vedremo  meglio  in  seguito.  Gli  atomi  , quali  quelli 
che  si  dicono  allo  stato  nascente  e le  molecole,  non  possono  stare 
da  soli  nello  spazio  ; essi  hanno  un  vuoto  e perciò  un’  avidità, 
un  bisogno  assoluto  di  essere  associati  a qualche  cosa  o ad  altra 
materia,  come  elemento  o molecola  capace  di  forza  ed  energia 
contrarià,  o almeno  ad  una  carica  o data  quantità  di  energia 
elettrica  positiva  o negativa.  Natura  dborret  a vacuo.  Perciò 
quando  il  solvente  o il  riscaldamento  protratto  opera  la  dissocia- 
zione, gli  ioni  nello  staccarsi  e mettersi  in  libertà  gli  uni  dagli 
altri  , non  possono  farlo  se  non  a condizione  di  combinarsi  a 
qualche  altra  materia  o di  acquistare  una  carica  di  energia  elet- 
trica: in  quest’ultimo  caso  si  ha  la  vera  ionizzazione  per  disso- 


(1)  A.  Righi.  — La  moderna  teoria  dei  fenomeni  fisici  (radioattività,  ioni,  elettroni).  Bo- 
logna N.  Zanichelli  — 1904. 


Trasformazioni  delle  energie 


3 


|! 


ciazione,  e si  lia  l’ione  libero  nell’acqua  o nell’aria,  cioè  un 
atomo  solo  o molecola  che  ha  carica  elettrica  positiva  o negativa. 

La  carica  degli  ioni  è 96534  Coulomb  per  ogni  valenza,  sia 
positiva,  sia  negativa.  Crii  ioni  che  hanno  funzione  chimica  ba- 
sica sono  positivi  elettricamente,  e gli  ioni  che  hanno  funzione 
chimica  acida  sono  elettricamente  negativi. 

Intanto  è provato  generalmente,  sia  in  Eisica,  che  in  Chi- 
mica, che  quando  vi  è dissociazione  di  molecole  e di  atomi,  vi 
è notevole  assorbimento  di  energia  dall’ambiente  esterno,  e sic- 
come il  calore  è l’energia  comune  che  esiste  nell’atmosfera  e 
nella  terra,  perciò  ordinariamente  in  ogni  dissociazione  vi  è as- 
sorbimento di  calore. 

Egualmente  possono  essere  assorbite  altre  forme  di  energia 
quando  vi  sono,  con  lo  stesso  risultamento,  ma  il  calore  è sem- 
pre presente  dapertutto  a buon  mercato  , mandatoci  dal  Sole  e 
depositato  nei  corpi. 

Questo  assorbimento  di  energia  dall’  ambiente  esterno  è ne- 
cessario , perchè  nella  dissociazione  , una  molecola  o un  atomo 
che  abbandona  e si  allontana  dal  compagno,  col  quale  si  attrae- 
va e si  soddisfaceva,  si  saturava  , si  neutralizzava,  si  teneva  in 
riposo  o quiete  ; non  può  esistere  senza  la  carica  di  enegia  , 
che  natura  aborret  a vacuo  , e per  fare  ciò  assorbe  calore  cir- 
costante o altra  energia  se  vi  si  trova:  quale  azione  meccanica, 
calore,  luce,  elettricità  ecc.  Ripeto  che  nelle  condizioni  ordinarie 
e comuni  il  calore  è 1’  energia  che  si  trova  sempre  presente  , e 
perciò  esso  è la  sorgente  principale  di  energia  in  ogni  reazione 
chimica  ed  in  ogni  dissociazione.  Intanto  come  abbiamo  detto 
gli  elementi  dissociati  costituiscono  ioni  con  carica  elettrica  po- 
sitiva o negativa,  mentre  hanno  assorbito  calore  e in  caso  ec- 
cezionale altra  energia.  Si  può  negare  e chiudere  gli  occhi  alia 
verità  del  fatto,  che  il  calore  dell’ambiente  e qualunque  calore 
si  trasforma  ipsofacto  in  carica  elettrica,  per  soddisfare  quell’  a- 
vidità  che  hanno  gli  atomi  e le  molecole  dissociate  di  essere 
soddisfatte  ed  equilibrate  o da  una  quantità  di  forza  o da  una 


4 


Prof.  Antonio  Curci 


[Memoria  VII.] 


equivalente  quantità  di  materia  % Perciò  che  ad  un  equivalente 
di  elettricità  corrisponde  un  equivalente  di  materia  (V.  Peggi 
di  Faraday  sulla  elettrolisi). 

Non  occorre  che  io  qui  riferisca  le  esperienze  galvanome- 
triche, gli  studi  di  elettrochimica  ecc.,  in  cui  brillano  i nomi  di 
Faraday,  di  Ostawald  ed  altri  per  dimostrare  che  gli  atomi  e 
le  molecole  assorbono  calore  quando  si  dissociano  , acquistando 
carica  elettrica,  e quando  poi  si  associano  e si  combinano  emet- 
tono elettricità,  la  quale  alla  sua  volta  si  trasforma  di  nuovo  in 
calore  o altra  forma  di  energia.  Questo  è il  fatto  fondamentale. 

Apparisce  chiaro  che  nella  dissociazione  vi  è assorbimento 
di  energia  , che  qualunque  sia  si  trasforma  in  elettricità  negli 
ioni , e che  nella  combinazione  vi  è emissione  di  energia  elet- 
trica che  si  trasforma  in  altre  ; e siccome  dissociazione  non  av- 
viene senza  assorbimento  di  energia  esterna  per  formare  la  ca- 
rica elettrica,  vale  a dire  che  gli  atomi  e le  molecole  associate 
sono  senza  energia  interna,  che  se  l1  avessero  non  avrebbero  bi- 
sogno di  prenderla  all’  esterno. 

Perciò  nelle  molecole  elettricamente  neutre  non  vi  è ener- 
gia interna  come  si  presume  , ma  all’  esterno  ha  un’  aureola  o 
atmosfera  unipolare  o bipolare  e anche  a più  poli,  pei  quali  le 
molecole  si  attirano  e possono  subire  cambiamenti  chimici  o 
atomici.  L’  elettricità  si  tiene  all’esterno,  alla  superfìcie  colla  ten- 
denza a fuggire. 

Dunque  quando  gli  atomi  si  separano  assorbono  energia  ; 
quando  si  uniscono  la  emettono , e così  ciascun  atomo  alterna- 
tivamente o è combinato  ad  un  altro  atomo  o è combinato  ad 
una  data  quantità  di  elettricità  : è questo  il  fatto  fondamentale 
espresso  dall’  antico  adagio  natura  aborret  a vacuo , che  talvolta 
è ricordato  per  ridere. 

I due  ioni,  01  e Na,  p.  e.  separati  hanno  ciascuno  la  carica 
elettrica  contraria,  per  la  quale  essi  tendono  ad  attrarsi  e com- 
binarsi. Si  dice  che  si  combinano  per  affinità  chimica,  come  se 
questa  affinità  fosse  una  cosa  differente  dall’  attrazione.'  Gli  ioni 


Trasformazioni  delle  energie 


5 


si  attraggono  perchè  hanno  carica  elettrica  con  diversa  tensione; 
se  per  quantità  è sempre  la  stessa  per  ogni  valenza,  negativa  o 
positiva,  per  tensione  è diversa.  Così  messi  insieme  sciolti  in 
acqua,  in  cui  si  ionizzano  CINa  e IK,  si  ha  uno  scambio  con 
formazione  di  INa  e C1K,  perchè  sebbene  i quattro  ioni  abbiano 
la  stessa  carica  quantitativa,  è differente  per  tensione,  la  quale 
è più  forte  nel  CI  che  nel  I,  e più  nel  K che  nel  Na  ; perciò 
i due  più  forti  si  attraggono  e si  combinano,  abbandonando  gli 
altri  due  restanti,  i quali  si  combinano  alla  lor  volta. 

I detti  quattro  ioni  separandosi  acquistano  la  carica  elet- 
trica, che  prendono  dal  calore  dell’ambiente  ; nel  combinarsi  la 
emettono  come  calore  in  quantità  eguale  a quella  che  avevano 
assorbito.  Intanto  la  loro  carica  elettrica  è scomparsa;  siccome 
energia  non  si  distrugge  , perciò  è obbligo  ammettere  che  tale 
elettricità  si  sia  trasformata  di  nuovo  in  calore.  Ma  se  dove  av- 
viene reazione  chimica  vi  fossero  le  condizioni  opportune  acciò 
l1  elettricità  svolta  possa  immettersi  in  un  conduttore  e formare 
corrente,  allora  non  si  ha  sviluppo  di  calore  ; o se  ne  ha  in 
parte  più  o meno,  a seconda  che  più  o meno  possa  trasformarsi 
in  corrente,  o sia  forzata  a rimanere  incontrando  resistenza. 

Nelle  condizioni  ordinarie,  in  moltissime  reazioni  chimiche 
vi  è sviluppo  di  energia  termica,  perchè  l’energia  elettrica,  che 
primieramente  si  svolge,  si  trova  in  ambiente  cattivo  conduttore 
senza  potersi  trasformare  in  corrente  e quindi  obbligato  a tra- 
sformarsi in  calore. 

L’  energia  chimica  non  è che  energia  elettrica  e non  altro 
di  diverso;  è l’effetto  dell’attrazione,  come  questa  è energia  mec- 
canica generata  dalla  elettricità,  la  quale  accompagna  la  materia 
ionizzata  con  diverso  potenziale.  La  teoria  elettrochimica  di 
Berzelius,  corretta  opportunamente,  ritorna,  a novella  vita. 

L’elettricità  è una,  recentemente  si  è dimostrata  1’ esistenza 
di  elettroni  negativi,  capaci  di  caricare  un  atomo  od  una  mo- 
lecola e formare  un  ione  elettronegativo  ; mentre  la  mancanza  o 
sottrazione  di  questi  elettroni  costituisce  un  ione  positivo.  È 


6 


Prof.  Antonio  Curci 


[Memoria  VII.] 


strana  questa  inversione  di  concetto  alle  denominazioni  dell’an- 
tica teoria. 

Ogni  processo  chimico  fornisce  soltanto  dell’ energia  elet- 
trica ? Sperimentalmente  era  stato  trovato  presso  a poco  lo  stesso 
valore  e si  concluse  che  1’  energia  chimica  si  trasforma  intera- 
mente in  energia  elettrica.  Ulteriore  ricerche  diedero  risulta- 
menti  meno  soddisfacenti.  Il  problema  parrebbe  che  fosse  risolto 
per  le  ricerche  teoriche  e sperimentali  di  W.  Gribbs,  di  E.  Brami 
e di  H.  v.  Helmotz  : i quali  dimostrarono  che  in  generale  esiste 
divario  fra  energia  chimica  e quella  elettrica,  vale  a dire  che 
contemporaneamente  del  calore  si  genera  o viene  consumato. 

Eppure,  se  dobbiamo  chinare  la  fronte  all’alta  autorità  scien- 
tifica dei  suddetti  eminenti  Fisici,  non  bisogna  mettere  in  non 
cale  che  in  tutte  le  reazioni  chimiche  e nei  più  perfezionati  ap- 
parecchi che  1’  uomo  possa  adoperare,  non  sempre  o quasi  mai 
tutta  1’  energia  elettrica,  che  possa  svolgersi,  trova  le  condizioni 
opportune  per  prendere  la  forma  di  corrente  e che  perciò  in 
tutto  o in  parte  si  deve  trasformare  all’ istante  in  calore. 

Onde  è duopo  ritornare  alla  primitiva  opinione. 

In  seguito  ai  recenti  progressi  della  Elettrofisica  e della 
Elettrochimica,  non  che  della  Elettrofisiologia,  non  è consentito 
di  considerare  1’  energia  chimica  come  qualche  cosa  di  differente 
dall’  energia  elettrica  ; ambedue  sono  la  stessa  cosa  e che  quindi 
quando  ci  pare  di  svolgersi  energia  chimica  non  è che  energia 
elettrica  , la  quale  in  tutto  o in  parte  si  trasforma  in  calore  o 
altra  forma  di  energia  quando  sia  il  caso,  subito  instantanea- 
mente  nell’atto  di  rendersi  libera  o scaricarsi,  se  non  trova  tutte 
le  condizioni  complete  assolute  per  essere  condotta  fuori,  ciò  che 
è impossibile  nel  mondo,  in  qualunque  punto  dello  spazio  e della 
materia. 

Prendiamo  ad  esaminare  una  combustione  per  ossidazione. 
L’  ossigeno  è un  elemento  singolare , il  massimo  elettronegativo 
ed  ogni  altro  elemento  sotto  la  sua  influenza  funziona  da  posi- 
tivo. L’ossido  che  ne  risulta  è positivo  nelle  valenze  basse,  è 


Trasformazioni  delle  energie 


7 


negativo  nelle  valenze  alte  quando  si  combina  a elementi  me- 
tallici ; è sempre  acido  cogli  elementi  metalloidici.  L1  ossigeno 
ha  il  potere  di  fare  generare  una  grande  forza  elettromotrice,  e 
quindi  una*  grande  quantità  di  calore  e luce. 

In  una  combustione  vi  è combinazione  di  ossigeno  al  car- 
bonio e idrogeno  ; i combustibili  sono  cattivi  conduttori  della 
elettricità  ed  in  generale  ogni  reazione  chimica  avviene  in  un 
sistema  di  materia,  in  cui  l’elettricità  che  si  svolge  non  può  tra- 
sformarsi in  corrente.  La  energia  o carica  elettrica,  inerente  al 
carbonio  e all’  idrogeno  da  una  parte , acquistata  nel  separarsi 
dal  calore  comunicato  , e quella  inerente  all’  ossigeno  si  svolge 
intensa  nell’atto  della  ossidazione.  L’ossido  risultante  è privo  di 
energia,  ma  quella  energia  resa  libera  resta  attaccata  ai  prodotti 
della  combustione,  non  ha  conduttori  per  potersi  diffondere,  in- 
contra da  ogni  lato  resistenza,  per  necessità  si  trasforma  subito 
in  calore.  Perciò  nelle  osservazioni  ed  esperienze,  l’energia  che 
nella  maggior  parte  si  manifesta  è calore  : onde  le  osservazioni 
sono  giuste  , ma  la  deduzione  è falsa. 

Del  resto  non  è strano  questo  mio  concetto,  anzi  è così  sem- 
plice e vero  che  basta  considerare  il  fatto,  che  ogni  corrente  elet- 
trica tutte  le  volte  che  trova  resistenza  si  trasforma  in  calore  e 
luce  per  convincersene.  E qui  è opportuno  ricordare  le  leggi  di 
Ionie;  cioè:  La  quantità  di  calore,  sviluppato  in  un  circuito  di 
corrente  o parte  di  esso  nell’  unità  di  tempo,  è proporzionale  alla 
resistenza  e al  quadrato  della  intensità  della  corrente. 

Ond’  è,  che  l’energia  elettrica,  che  assume  le  diverse  forme 
a seconda  le  condizioni  meccaniche  e fisiche  del  sistema,  il  quale 
ordinariamente  si  trova  in  condizioni  non  atte  a fare  eseguire 
un  lavoro  all’energia  elettrica  come  corrente,  è quella  che  si 
trasforma  in  calore. 

L’elettricità  è l’energia  in  moto,  è la  forza  viva,  l’anima 
del  mondo  , 1’  energia  che  tutto  muove  e trasforma  in  natura, 
ma  non  sempre  può  funzionare  e compiere  un  lavoro  come  cor- 
rente.  Da  per  tutto  incontra  ostacolo  o deve  rimanere  inattiva; 


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Prof.  Antonio  Curci 


[Memoria  VII.] 


in  attesa  di  lavoro  quando  occorre;  attendere  inerte  come  mo- 
vimento come  azione  è assurdo  , inconcepibile  ; non  può  andar- 
sene, anzi  deve  rimanere,  deve  restare  per  servire  al  momento 
opportuno,  è necessario  quindi  clie  prenda  una  forma,  la  quale 
possa  restare,  penetrare  tutti  corpi,  diffondersi  lentamente  e que- 
sta è la  forma  di  calore.  Come  elettricità  tende  a disporsi  alla 
superfìcie  e a fuggire  ; occorre  invece  che  penetri  e vi  resti  mo- 
mentaneamente e questo  non  può  farlo  che  come  calore.  Neces- 
saria e sublime  trasformazione  dell’ energia  universale. 

In  natura  avvengono  decomposizioni  e ricomposizioni  suc- 
cessive ed  alternative.  Nella  dissociazione  vi  è assorbimento  di 
energia  per  formare  la  carica  elettrica,  come  pure  la  forza  di 
affinità  o di  attrazione  tra  gli  ioni  liberi.  Gli  ioni  più  forti  si 
combinano  coi  più  forti,  i più  deboli  coi  più  deboli  , emettono 
energia  elettrica  libera,  attiva,  la  quale  compie  quel  dato  lavoro 
e produce  quel  dato  fenomeno.  In  questo  immenso  lavoro,  che 
in  fondo  è un  processo  di  ossidazione,  si  svolge  energia  elettrica 
e questa  come  corrente  multiforme  compie  tutte  le  funzioni  vi- 
tali degli  organismi  viventi  (1)  ed  anche  una  gran  parte  o tutti 
dei  fenomeni  meteorici  e tellurici;  in  ciò  1’  ettricità  avanzata  si 
trasforma  in  calore.  I prodotti  ossidati  poi  debbono  essere  de- 
composti e allora  occorre  energia;  i componenti  nella  dissocia- 
zione debbono  riacquistare  quella  carica  che  avevano  perduto  e 
ciò  lo  fanno  assorbendo  calore  dell’  ambiente.  Il  calore  nel  pe- 
netrare i corpi,  elettrizza  negativamente  gli  atomi,  (perchè  il 
calore  è elettricità  negativa  costituita  di  elettroni)  i quali  si 
respingono  e nel  separarsi,  i positivi  perdono  elettroni,  i nega- 
tivi ne  acquistano  e si  formano  le  due  cariche  contrarie  ; eli- 
minato l’ossigeno,  gli  elementi  che  vi  restano  il  carbonio,  l’idro- 
geno e 1’  azoto  si  combinano  per  formare  le  sostanze  organiche. 
Questo  grandioso  fenomeno  avviene  nella  clorofilla  delle  piante, 
in  cui  i raggi  solari  si  trasformano  in  corrente  elettrolitica,  che 


(1)  V.)  Curci  L’  organismo  vivente  e la  sua  anima. 


Trasformazioni  delle  energie 


9 


decompone  i sali  e 1’  acqua,  e il  cui  idrogeno  nascente  o H io- 
nizzato, riduce  subito  gli  acidi  ossigenati  del  solfo,  dell’  azoto  e 
del  carbonio,  i quali  elementi  alla  loro  volta  trovandosi  liberi 
dall’  ossigeno  si  combinano  tra  loro.  L’  ossigeno  restato  libero  è 
respinto  dal  radicale  acido,  ambedue  elettronegativi,  mentre  l’i- 
drogeno positivo  è attratto  e opera  la  riduzione. 

Quindi  se  nella  decomposizione  degli  ossidi  fa  bisogno  di 
energia  elettrica,  questa  è fornita  dal  calore  proveniente  dall’  e- 
lettricità  avanzata  nelle  precedenti  ossidazioni  e idratazioni, 
trasformata  in  calore.  Appunto  sotto  forma  di  calore  può  rima- 
nere nell’ambiente,  onde  attendere  e penetrare  i corpi  per  de- 
comporli, dopo  ritornata  come  corrente. 

Ma  ciò  si  comprenderà  meglio  quando  avremo  dimostrato 
cosa  sia  il  calore. 

2.  Calore.  — Ein  qui  abbiamo  considerato  il  fatto  del  pas- 
saggio della  elettricità  in  forma  di  calore  e di  altre  energie. 

Adesso  facciamo  1’  inversa,  consideriamo  il  passaggio  del 
calore  in  elettricità.  Abbiamo  diversi  fatti  che  dimostrano  que- 
sta trasformazione. 

a)  Abbiamo  veduto  che  nella  dissociazione  idrolitica , in 
quella  termica  ed  in  ogni  altra,  gli  ioni  liberati  assorbono  calore 
dell’  ambiente  esterno  e con  questo  formano  la  loro  carica  elet- 
trica, che  nel  combinarsi  poi  emettono  come  corrente  se  vi  sono 
le  condizioni  opportune,  oppure  se  mancano  queste  emettono  di 
nuovo  come  calore.  Isella  dissociazione  e formazione  di  ioni  , 
dunque  il  calore  si  trasforma  in  elettricità.  Aon  fa  bisogno  di 
insistere  su  questo  fatto  molto  importante  e generale  ; è chiaro 
e incontestabile. 

In  generale  si  può  ritenere  che  tutte  le  reazioni,  che  av- 
vengono fra  ioni,  disponendo  opportunamente  1’  esperienza,  for- 
niscono una  corrente  elettrica,  come  si  dimostra  coll’apparecchio 
di  Lepke. 

b)  In  natura  non  vi  sono  che  le  combustioni,  le  quali  danno 
calore  e luce  provenienti  dall’  elettricità  che  primieramente  si 

Atti  acc.  Serie  4a,  Voi..  XIX  — Meni.  VII.  2 


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Prof.  Antonio  Curci 


[Memoria  VII.] 


svolge.  Apparecchi  elettrogenici  naturali  sono  gli  organismi  vi- 
venti, i quali  sono  atti  a trasformare  alla  loro  superficie  e nel 
loro  interno  tutte  le  forme  eli  energia  dell’  ambiente  in  elettri- 
cità ; la  quale  allora  compie  le  diverse  funzioni  e,  producendo 
i fenomeni  meccanici,  fisici  e chimici  vitali,  ritorna  alle  primi- 
tive forme  di  energia  da  cui  derivò,  principalmente  in  calore. 
In  questi  organismi  ogni  cellula  costituisce  una  pila  o un  ele- 
mento elettrogenico:  protoplasma  negativo  e nucleo  positivo  sono 
le  due  parti  essenziali  per  produrre  energia  elettrica  dalle  energie 
dell’ambiente;  per  cui  l’uno  non  può  fare  a meno  dell’altro  e la 
loro  coesistenza  è necessaria  in  modo  assoluto,  perchè  si  scambino 
le  correnti  di  energia  protoplasmatiche,  che  costituiscono  il  prin- 
cipio della  vita.  L’elettricità  in  corrente,  che  nasce  e si  trasforma 
nelle  funzioni,  costituisce  l’essenza  della  vita:  ed  essa,  che  nel 
suo  insieme  considerata  costituisce  l’anima,  proviene  dal  calore. 

Per  molto  tempo  l’uomo  ha  ignorato  il  significato  di  appa- 
recchio elettrogenico  negli  organismi  viventi  animali  e vegetali. 
Pu  Galvani  che  fece  questa  grandiosa  ed  immortale  scoperta  e 
che  io,  forte  delle  molte  ricerche  posteriori  interpretandole  nel 
loro  A7ero  significato,  indiscutibilmente  ho  messo  in  evidenza  nel 
mio  libro  U Organismo  vivente  e la  sua  anima. 

Occorreva  inventare  un  apparecchio  elettrogenico  artificiale 
che,  per  quanto  imperfetto,  come  cosa  fatta  dall’  uomo  , dimo- 
strasse questa  elettricità  potersi  generare  dal  calore  e da  altra 
energia.  In  seguito  alla  scoperta  del  Galvani,  Volta  inventa  la 
sua  pila.  Epoca  memorabile  ed  unica  di  un  grande  avvenimento 
per  l’umanità  e per  la  scienza!  Premetto  però,  che  ogni  pila  di 
qualunque  genere  non  è che  un  meschino  ed  imperfetto  apparec- 
chio elettrogenico,  appena  paragonabile  a quello  perfettissimo 
naturale  della  cellula  vivente. 

Gli  immensi  studi  di  Elettrofìsica  e di  Elettrochimica  hanno 
avuto  degli  importantissimi  ed  inaspettati  risultamenti,  che  io 
riassumo  brevemente,  i quali  dimostrano  che  il  calore  dell’  am- 
biente si  trasforma  in  elettricità. 


Trasformazioni  delle  energie 


11 


Tutte  le  pile  di  soluzione  e di  concentrazione  hanno  di 
comune,  che  T energia  elettrica  fornita  non  viene  generata  da 
energia  chimica,  perchè  in  esse  ha  sempre  luogo  semplicemente 
un  passaggio  da  una  pressione  alta  ad  un’  altra  inferiore  e sia 
questo  passaggio  effettuato  da  un  corpo  gassoso  o disciolto,  la 
provvista  di  energia  del  corpo  non  varia.  Nemmeno  dall’  energia 
interna  (T)  che  non  varia  può  dunque  provenire  il  lavoro  ese- 
guito ; esso  proviene  dal  calore  dell’  ambiente.  Per  conseguenza 
gli  elementi  galvanici  suddetti  non  ci  rappresentano  che  delle  mac- 
chine, le  quali  trasformano  il  calore  delV  ambiente  in  energia  elet- 
trica (Le  Piane,  Elettrochimica,  189). 

Anche  nelle  termopile  viene  trasformato  del  calore  in  ener- 
gia elettrica  ; la  trasformazione  avviene  in  seguito  al  determi- 
narsi di  una  differenza  di  temperatura.  Mentre  nelle  pile  di 
concentrazione  viene  trasformato  in  energia  elettrica  il  calore 
di  temperatura  costante.  È noto  che  la  tormalina  col  riscalda- 
mento si  elettrizza;  così  pure  altri  corpi:  in  essi  il  calore  si 
trasforma  in  elettricità. 

Nelle  pile  chimiche  (come  quella  di  Danieli)  l’energia  chi- 
mica viene  trasformata  in  elettrica  ; ma  noi  abbiamo  veduto  che 
l’energia  chimica  è energia  elettrica  proveniente  dal  calore,  che 
il  ione  zinco  acquista  disciogliendosi,  perciò  in  fondo  è la  stessa 
cosa.  Possiamo  concepire  questi  elementi  come  macchine  in  cui 
tutta  l’energia  in  esse  immagazzinata  può  essere  trasformata  in 
energia  elettrica. 

Vi  sono  altre  pile  in  cui  una  parte  dell’  energia  è trasfor- 
mata in  elettrica,  1’  altra  si  manifesta  come  calore,  a somiglianza 
degli  organismi  viventi  (1). 

Altre  pile  forniscono  più  energia  elettrica  di  quanto  con- 
sente la  quantità  di  energia  chimica,  perchè  oltre  1’  energia  in 
esse  accumulata,  trasformano  anche  il  calore  dell’  ambiente. 

Insomma  è da  concludere  che  il  calore  si  trasforma  diret- 

(1)  A.  Curci  — Meccanismo  della  termogenesi  animale  e natura  della  febbre — Atti  (lolla 
Accademia  Gioenia — Catania,  Serie  4a,  Voi.  XVIII. 


12 


Prof.  Antonio  Curci 


[Memoria  VII.J 


tamente  in  elettricità,  quando  mediante  opportune  disposizioni 
questa  possa  farsi  svolgere  come  corrente  fuori  del  sistema,  e 
ciò  è ampiamente  dimostrato  dai  diversi  apparecchi  elettromotori, 
che  1’  uomo  abbia  potuto  inventare  da  Volta  in  poi. 

c)  Anche  un  altro  fatto,  abbastanza  esteso,  dimostra  che  il 
calore  si  trasforma  in  elettricità,  e cioè  quello  che  il  calore,  oltre 
il  fornire  la  carica  elettrica  agli  ioni  , quando  si  trova  in  ec- 
cesso fa  aumentare  le  valenze  agli  atomi. 

Riferisco  dapprima  un  po’  di  fatti  bruti,  di  cui  in  Chimica 
ve  ne  sono  numerosi. 

Facendo  arrivare  una  corrente  di  cloro  nella  calce  o potassa 
a freddo,  si  forma  ipoclorito  (in  cui  il  01  è monovalente)  ; in- 
vece nella  calce  riscaldata  si  formano,  clorati  e perclorati,  in  cui 
il  CI  è polivalente  sino  a 7.  Lo  stesso  fanno  Br  e I.  Il  calore 
ha  fatto  aumentare  le  valenze  col  fornire  1’  energia  necessaria 
a formare  le  cariche  elettriche.  Facendo  agire  il  fosforo  sulla 
potassa  a freddo  si  forma  fosfina  e ipofosfìto  ; facendolo  a caldo 
si  formano  fosfiti  e fosfati. 

L’  acido  ipofosforico  si  forma  nell’  ossidazione  lenta  del 
fosforo  all’aria  umida;  bruciando  il  fosforo  all’aria  si  ha  l’ani- 
dride fosforica.  Il  protossido,  P40,  si  ottiene  trattando  a tempe- 
ratura ordinaria  fosforo  finamente  diviso  colla  soluzione  di 
alcali  caustico  in  alcool  acquoso  ; facendo  ardere  il  fosforo  in 
aria  secca  si  forma  anidride  fosforosa,  P203,  e pentossido. 

L’  arsenico  bruciato  all’  aria  dà  anidride  arseli  iosa,  e questa 
ossidata  a caldo  in  una  soluzione  di  acido  nitrico  dà  l1  acido 
arsenico. 

Il  pentasolfuro  di  arsenico,  As”2S5,  si  ottiene  da  una  soluzione 
calda  acidificata  di  acido  arsenico,  facendo  passare  una  corrente 
di  H2S  ; in  soluzione  a freddo  si  ottiene  trisolfuro  As2S3. 

Trattando  con  acido  cloridrico  concentrato  1’  ossido  od  il 
cloruro  di  antimonio  si  ottiene  il  tricloruro  SbCl3;  scaldando 
1’  antimonio  in  corrente  di  cloro  si  ottiene  il  pentacloruro  SbCF, 
mentre  a freddo  si  ottiene  SbCl3.  Ossidando  1’  antimonio  con 


Trasformazioni  delle  energie 


13 


acido  nitrico  diluito  si  ottiene  il  triossido  Sb203  ; scaldandolo 
con  acido  nitrico  concentrato  si  ottiene  l’acido  antimonico  H3Sb04. 

Trattandone  il  tri  cloruro  in  fusione  con  un  eccesso  di  cloro, 
si  ha  il  pentacloruro.  In  questo  caso  nel  tricloruro  fuso,  1’  an- 
timonio, stimolato  dal  cloro  trova  nell’  eccessivo  calore  l’energia 
necessaria  per  formare  altre  due  cariche  elettriche  positive.  Si 
capisce  che  ciò  non  potrebbe  avvenire  senza  la  presenza  di  ca- 
lore o di  altra  energia. 

Sciogliendo  il  tellurio  in  acido  nitrico  si  ottiene  acido  tel- 
luroso,  fondendolo  con  carbonato  sodico  e salnitro  si  ottiene 
acido  tellurico. 

Il  solfo  bruciando  all’  aria  produce  SO2  ; in  queste  condi- 
zioni sviluppa  quattro  cariche  positive  e non  più  ; ma  questo  in 
presenza  di  ossigeno  sotto  1’  azione  catalitica  di  asbesto  platinato 

0 di  ossido  di  ferro  o di  ossido  cromico,  dà  SQ:!  sviluppandosi 
altre  due  cariche  positive,  e sotto  1’  azione  di  scariche  elettriche 
oscure  si  forma  S207.  L’  azione  catalitica  o di  contatto  non  è 
che  un’azione  meccanica,  la  quale  sviluppa  energia  elettrica  nei 
corpi,  e perciò  come  le  scariche  elettriche  stesse,  modifica  e au- 
menta la  carica  degli  elementi,  per  cui  questi  non  solo  reagiscono 
facilmente  tra  loro,  ma  aumentano  le  valenze. 

Nella  soluzione  di  un  elettrolita,  la  somma  delle  quantità 
di  elettricità  negativa  deve  essere  eguale  a quella  delle  cariche 
positive,  poiché  la  soluzione  si  comporta  come  elettricamente 
neutra.  In  una  soluzione  di  acido  cloridrico  la  carica  positiva 
degli  ioni  H'  deve  perciò  essere  identica  a quella  negativa  degli 
ioni  Of  e siccome  sono  presenti  numeri  eguali  dei  due  ioni, 
ognuno  di  essi  deve  possedere  una  carica  eguale,  differente  solo 
per  segno.  In  una  soluzione  di  acido  solforico  invece  i due  ioni 
H'  debbono  possedere  complessivamente  tanta  elettricità  positiva 
quanta  negativa  ne  possiede  un  ione  SO4"  ; il  quale  si  dice  bi- 
valente rispetto  all’  idrogeno.  In  questo  ione  complesso  restano 
libere  due  valenze  dell’  ossigeno  e perciò  due  cariche  negative. 
Le  valenze  del  solfo  sono  neutralizzate  da  6 di  ossigeno.  Cosic- 

1 


14 


Prof.  Antonio  Cunei 


[Memoria  VII.] 


cliè  ,nelle  molecole  complesse,  mentre  si  neutralizzano  le  diverse 
cariche  degli  atomi  componenti,  si  ha  una  risultante,  in  cui  ogni 
molecola  rappresenta  un  sistema  polarizzato,  con  un  lato  nega- 
tivo ed  uno  positivo.  E quando  si  trova  una  molecola  in  pre- 
senza di  un  altra  molecola  od  elemento,  si  scambia  un  gruppo 
od  un  elemento  che  sia  più  forte  del  sostituito,  cioè  elettrica- 
mente più  positivo  o più  negativo.  Da  ciò  risulta  la  varietà 
immensa  delle  reazioni  a seconda  gli  elementi  e le  condizioni 
fisiche  con  o senza  1’  apparente  intervento  di  un’  altra  energia 
elettrica,  termica,  luminosa,  meccanica,  la  quale  è sempre  e- 
lettrizzante,  modificando  la  carica  preesistente  e favorendo  la 
reazione. 

La  valenza  dello  stesso  elemento  può  essere  diversa  secondo 
la  natura  degli  elementi  monovalenti,  coi  quali  esso  è combi- 
nato. P.  e.  SH2,  SOI4,  SPI0,  in  cui  il  solfo  è bivalente,  tetrava- 
lente  ed  esavalente.  Il  solfo  in  questi  casi  rispettivamente  allo 
idrogeno  è elettronegativo  e contiene  due  cariche,  rispetto  al- 
cloro  funziona  da  elettropositivo  e sviluppa  I cariche,  rispetto 
al  fluoro  sviluppa  6 cariche  positive.  1 più  forti  negativi  tolgono 
più  elettroni  ai  meno  forti,  i quali  diventano  positivi,  e svilup- 
pano corrispondenti  valenze  con  le  relative  cariche. 

Grli  alogeni  rispetto  all’  idrogeno  e metalli  sono  monovalenti, 
perchè  questi  forti  elettropositivi  neutralizzano  elettricità  nega- 
tiva, e così  non  permettono  che  si  formino  ulteriori  cariche  ne- 
gative e che  si  aumentino  le  valenze;  si  capisce  quindi  che 
al  contrario  rispetto  all’  ossigeno  ed  altri  elementi  metalloi- 
dici, i detti  alogeni  sieno  polivalenti.  Il  indo  col  cloro  forma  101' 
e col  fluore  IP15  ; essendo  il  iodo  elettronegativo,  per  funzionare 
da  positivo  e combinarsi  nei  due  composti  notati,  ha  bisogno  di 
subire  1’  influenza  stimolante  di  una  forte  massa  negativa,  la 
quale  sviluppa  la  relativa  carica  positiva,  onde  ne  avvenga  la 
combinazione.  Perciò  1’  iodo  col  cloro  è trivalente  e col  fluore 
più  forte  è pentavalente. 

Grli  elementi  i più  elettropositivi,  neutralizzando  energia 


Trasformazioni  delle  energie 


15 


riducono  i metalloidi  a monovalenti,  i meno  elettropositivi  in- 
vece diventano  più  polivalenti  a misura  che  cresce  il  carattere 
metalloidico  e la  carica  elettrica  negativa.  I forti  elettronegativi 
hanno  il  potere  di  sviluppare  un  maggior  numero  di  valenze  ne- 
gli elementi  e fare  funzionare  da  elettropositivi  i deboli  metal- 
loidici o elettronegativi  ; ma  ciò  in  presenza  di  calore  necessario 
per  formare  la  carica. 

Perciò  l’elettronegatività  e la  massa  servono  a stimolare,  col 
concorso  però  del  calore,  lo  sviluppo  di  altre  valenze  e di  altret- 
tante cariche  elettriche.  Ad  onta  della  massa  dello  elemento  sti- 
molante, la  polivalenza  non  si  sviluppa  senza  la  presenza  del  calore, 
che  fornisca  P energia  necessaria  per  la  carica  di  ogni  valenza. 
Quando  P ossigeno  o un  alogeno  agisce  su  di  un  elemento  meno 
elettronegativo  stimola  la  prima  valenza,  la  cui  carica  elettrica 
è fornita  dal  calore  ambiente  ; e in  tal  caso  quando  il  calore  è in 
eccesso,  sviluppata  una  prima  valenza,  favorisce  lo  sviluppo  di 
altre  consecutive  , alle  quali  fornisce  P energia  per  le  relative 
cariche  elettriche,  e quindi  provoca  la  formazione  di  composti 
ad  alte  valenze  ; e allorquando  è deticiente,  non  si  possono  svi- 
luppare le  valenze  perchè,  mancando  P energia,  non  si  possono 
formare  altre  cariche  elettriche,  e valenze  vuote  di  energia  non 
sono  possibili;  così  si  hanno  composti  a valenze  basse. 

Dunque  ad  elevata  temperatura  aumenta  il  numero  delle 
valenze.  Ogni  valenza  ha  una  carica  elettrica  di  9C540  Con- 
lomb,  vale  dire  colPaumentare  le  valenze  aumentano  tante  cariche 
elettriche,  e P elemento  per  soddisfarsi  ha  bisogno  di  altrettanti 
atomi,  e queste  cariche,  nelle  condizioni  ordinarie,  non  possono 
essere  fornite  che  dal  calore.  Perciò  che  per  ottenere  composti 
superiori  ci  vuole  la  presenza  di  molto  calore,  senza  del  quale 
P ossigeno  o P alogeno,  anche  in  grande  massa,  non  può  fare 
sviluppare  le  altre  valenze,  per  le  quali  ci  vuole  energia.  Quindi 
è da  concludere,  che  mentre  la  valenza  è una  funzione  elettrica, 
il  calore  si  trasforma  in  elettricità,  la  quale  deve  costituire  la 
carica  per  ogni  valenza. 


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Prof.  Antonio  Curri 


[Memoria  VII.] 


Vale  a dire  che  formatasi  la  prima  carica,  il  calore  essen- 
dovi in  eccesso  forma  di  sè  stesso  altre  cariche  per  altre  valenze, 
stimolate  o provocate  dall’azione  della  massa  dell’elemento  elet- 
tronegativo. 

È infine  da  notare,  che  il  calore  nell’  aumentare  il  numero 
delle  cariche  o le  valenze  tende  a rendere  gli  ossidi  più  elettrone- 
gativi, meno  basici  e più  acidi.  Gli  ossidi  monovalenti  sono  più 
basici,  la  basicità  diminuisce  nei  bi  e trivalenti  e diventa  acida 
nei  plurivalenti  superiori.  Sono  numerosi  i fatti  che  dimostrano 
lo  esposto  enunciato,  sia  guardando  gli  elementi  secondo  la  Legge 
periodica,  sia  guardandoli  individualmente.  P.  e.  abbiamo  1’  os- 
sido ferroso,  1’  ossido  ferrico  e 1’  acido  ferrico  ; 1’  ossido  manga 
noso,  l’ossido  manganico,  1’  acido  manganico  e l’acido  iperinan- 
ganico  ; gli  ossidi  di  cromo  e gli  acidi  cromici  ecc:.  Anche  nei 
composti  alogenati  si  osserva  lo  stesso  fatto. 

Se  il  calore  da  una  parte  fornisce  1’  elettricità  per  le  cariche 
delle  valenze,  e dall’  altra  in  proporzione  del  numero  delle  va- 
lenze, i composti  sono  meno  basici  e più  acidi,  formando  ioni 
elettronegativi  , vale  a dire  che  1’  elettricità  da  esso  fornita  è 
elettricità  negativa.  Difatti  è provato  per  altra  via  che  esso 
elettrizza  negativamente  i corpi  che  riscalda.  Vale  a dire  inoltre 
che  il  calore  stesso  è una  forma  di  elettricità  negativa,  cioè  è 
costituito  da  elettroni  in  uno  stato  speciale  di  tensione,  atti  a 
penetrare  i corpi  tutti,  siano  buoni  o cattivi  conduttori  della 
corrente  elettrica.  Perciò  il  calore  si  può  chiamare  elettricità 
termica.  Esso  penetra  direttamente  in  linea  retta  qualunque  corpo 
più  o meno  lentamente  di  strato  in  strato,  senza  bisogno  di 
conduzione;  per  la  via  che  entra  per  la  stessa  ne  esce;  se  occorre 
vi  resta  accumulato  per  lungo  tempo. 

Stabilito  ciò,  è facile  comprendere  perchè  il  calore  opera 
la  dilatazione  dei  corpi  e la  scissione  delle  molecole  in  ioni 
liberi,  carichi  di  elettricità. 

Velie  molecole  gli  ioni  combinati  sono  scarichi  di  elettricità  ; 
ma  le  molecole  sebbene  siano  elettricamente  neutre,  possiedono 


Trasformazioni  delle  energie 


17 


alla  superficie  un’atmosfera  di  energìa  in  equilibrio  polarizzata, 
in  virtù  della  quale  si  attraggono  e si  tengono  unite,  cioè  ub- 
bidiscono così  alle  forze  di  coesione  e di  adesione,  le  quali  non 
sono  che  forme  dell’  attrazione  elettromagnetica.  Vale  a dire 
ogni  molecola,  sebbene  non  ionizzata  , ha  un  polo  negativo  ed 
uno  positivo  , per  cui  tutte  si  attraggono  e si  dispongono  in 
modo  speciale  geometrico  nei  cristalli.  Perciò  in  fondo  anche 
la  cristallizzazione  è una  funzione  elettrica.  Perciò  qualunque 
massa  più  o meno  grande  di  molecole  possiede  la  forza  di  attra- 
zione in  ragione  di  essa. 

Abbiamo  così  un  corpo  solido.  Facendo  agire  su  questo 
corpo  solido  del  calore,  il  quale  è elettricità  negativa  in  tensione 
speciale  , il  calore  vi  penetra,  elettrizza  le  molecole,  si  capisce 
negativamente,  facendo  scomparire  la  polarità  e uniformando  la 
carica  e la  tensione.  Le  molecole  allora  elettrizzate  omogenea- 
mente si  respingono,  si  allontanano  sempre  più  in  proporzione 
del  calore  che  vi  penetra  fra  di  esse,  (il  corpo  si  dilata)  si  ren- 
dono mobili  (il  corpo  fonde)  infine  si  separano  (il  corpo  evapora). 
Nella  separazione  prendono  una  certa  quantità  di  calore  , il 
quale  vi  rimane  aderente  ad  esse  come  carica  elettrica  polariz- 
zata, prevalendo  or  la  tensione  positiva  ora  la  negativa  secondo 
i casi.  Le  molecole  aeriformi  si  respingono  ed  acquistano  una 
forza  di  espansione  , atta  a trasformarsi  in  azione  meccanica  , 
tanto  più  quanto  più  calore  o elettricità  termica  vi  si  comunica. 

Proseguendo  il  riscaldamento,  anche  le  molecole  si  scom- 
pongono, cioè  gli  atomi  che  costituivano  la  molecola,  si  separa- 
no e allora  si  formano  gli  ioni  atomici,  e quella  loro  carica 
elettrica  fornita  dal  calore  si  divide  in  positiva  per  gli  ioni 
metallici,  in  negativa  per  gli  ioni  metalloidici  nell’  atto  della 
scissione.  Gli  è perciò  che  nella  fusione  e nella  evaporazione  vi 
è assorbimento  di  energia  e non  vi  è sviluppo  di  elettricità.  Que- 
sta si  sviluppa  bensì  come  corrente  o come  calore  quando  il 
corpo  passa  da  aeriforme  a liquido  e da  liquido  a solido,  ritor- 
nando allo  stato  primiero,  perchè  allora  si  libera  dell’  energia. 

Atti  acc.  Skrih  4a,  Vor,.  XIX  — Mem.  VII. 


3 


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Prof.  Antonio  Curai 


[Memoria  VII.] 


Come  nella  evaporazione,  avviene  nelle  soluzioni , cioè  il 
corpo  clie  vi  si  scioglie  si  evapora  nel  liquido  e assorbe  calore. 
Le  molecole  si  scindono  in  ioni  carichi  di  elettricità  negativa  e 
in  ioni  carichi  di  elettricità  positiva;  nell’acqua  specialmente 
avviene  questa  dissociazione  idrolitica  in  tanto  maggiore  quantità 
quanto  più  diluita  la  soluzione  o meglio  quanto  più  solvente  si 
adopera  finché  vi  è sostanza  da  ionizzarsi  ; come  pure  avviene 
con  maggiore  rapidità  quando  più  calore  è presente  nell’  am- 
biente liquido,  come  quello  che  fornisce  1’  energia  necessaria  a 
ciò  1’  atomo  ione  staccato  ne  acquisti  la  carica,  senza  della  quale 
non  può  staccarsi  nè  esistere  libero. 

Dunque  il  calore  è una  forma  di  elettricità  negativa  in 
tensione,  in  aspettativa,  mentre  1’  elettricità  è energia  in  lavoro  ; 
tutte  le  volte  che  l’elettricità  si  svolge,  se  non  può  compiere  un 
lavoro  o neutralizzarsi,  e mettersi  in  equilibrio  , si  trasforma  in 
calore  , il  quale  nel  mondo  forma  il  deposito  dell’  energia  , im- 
magazzinata da  per  tutto  nello  ambiente,  per  servire,  quando 
occorre,  a fornire  quella  energia  elettrica,  la  quale  deve  eseguire 
un  dato  lavoro. 

La  vita  nel  mondo  e tutti  i fenomeni  della  natura  consi- 
stono nella  vicendevole  e alterna  trasformazione  dell’  elettricità 
in  movimento,  in  luce  ed  in  calore  ; e di  questi  in  elettricità. 

L’  elettricità  negativa  e positiva  sono  la  stessa  cosa,  ma 
contrarie,  a somiglianza  di  una  forma  e del  relativo  oggetto, 
come  in  una  fotografia  abbiamo  la  negativa  e la  positiva,  dove 
ciò  che  è nero  in  uno  è bianco  nell’  altro,  dove  è di  più  o ri- 
levato in  uno  e meno  o rientrante  nell’  altro. 

La  forma  e l’immagine,  la  negativa  e la  positiva,  applicati 
l’ una  sull’  altra,  si  neutralizzano,  si  annullano  scambievolmente  ; 
s’  intende  in  apparenza  ; giacché  separati  acquistano  un  potere 
che  1’  una  genera  1’  altra. 

La  sostanza  assume  la  forma  e la  forma  rappresenta  la  so- 
stanza. Così  è l’elettricità  positiva  e negativa  ; separate,  quella 
rappresenta  la  mancanza  e questa  la  ^esistenza  ; così  il  corpo  caldo 


Trasformazioni  delle  energie 


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contiene  elettroni  accumulati  e condensati,  il  freddo  ne  è privo. 
Messi  insieme  tutto  si  equilibra  e in  apparenza  non  si  ha  nè  elet- 
tricità, nè  calore.  Questo  è lo  stato  di  riposo  o neutro  della  energia. 

Quando  le  elettricità,  negativa  e positiva,  s’incontrano  subi- 
scono come  una  scossa,  danno  luogo  alla  scintilla  elettrica  cioè 
a formazione  di  luce  e si  neutralizzano,  cioè  si  mettono  in  equi- 
librio e scompare  dell’energia  elettrica  e termica;  si  ha  abbas- 
samento di  temperatura  e assenza  di  stato  elettrico.  Forza  senza 
materia  non  può  lavorare,  non  può  manifestarsi,  nè  neutralizzarsi; 
perciò  è lo  stesso  dire  che  due  corpi  elettrizzati  oppostamente 
(come  p.  e.  fra  due  nubi  o fra  una  nube  e una  montagna)  cioè 
uno  carico  di  elettroni,  1’  altro  privo  affatto,  se  s’  incontrano  e 
vengono  a opportuna  vicinanza,  si  forma  una  scarica  tra  essi  e si 
ha  un  equilibrio  di  energia  ; chi  ne  ha  di  più  ne  cede  a chi  ne 
ha  di  meno. 

In  quell’  istante  si  forma  una  scintilla  (lampo  , fulmine  e 
tuono)  si  neutralizza  dell’  energia  e si  ha  assorbimento  di  calore 
con  raffreddamento  dell’  ambiente  circostante.  Si  condensa  del 
vapore  e si  ha  la  pioggia  con  o senza  grandine  o caduta  di  neve. 
Chi  non  ha  osservato  che  tutte  le  volte  che  scoppia  il  tuono  si 
ha  un  aumento  di  pioggia  e diminuzione  negl’intervalli  Molte 
volte  accade  di  vedere,  specialmente  in  estate,  che  dopo  alcune 
giornate  di  forte  caldo,  nella  sera  appariscono  nell’orizzonte  alcune 
nubi  elettrizzate,  nella  notte  si  scambiano  le  cariche  elettriche, 
coi  relativi  lampi,  il  giorno  dopo  la  temperatura  è molto  abbas- 
sata, il  cielo  è nuvoloso  e anche  piovoso. 

I raggi  solari,  costituiti  di  elettroni  negativi,  nell’atmosfera 
si  trasformano  in  calore  e luce,  determinano  la  evaporazione  del- 
f acqua,  il  cui  vapore,  nel  separarsi  dalla  terra  o dai  sali  che 
tiene  sciolti,  si  elettrizza  positivamente  e sale  nell’aria.  I raggi 
solari  ionizzano  il  vapore  acquoso  ed  ossigeno  nell’  atmosfera, 
in  cui  si  stabilisce  una  forte  tensione  con  aumento  della  pres- 
sione barometrica.  In  questa  ionizzazione  vi  è assorbimento  di 
calore  e così  fa  bel  tempo  relativamente  fresco. 


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Prof.  Antonio  L'urci 


[Memoria  VII.] 


In  un  dato  spazio  non  si  può  contenere  una  maggiore  quan- 
tità di  ioni,  perciò  ad  un  dato  punto  la  ionizzazione  si  diminuisce 
e si  arresta,  e siccome  continua  la  evaporazione  dalla  superficie 
della  terra  e del  mare  , così,  contemporaneamente  aumenta  la 
quantità  del  vapore  acquoso  , fino  a die  1’  atmosfera  si  satura. 
Allora  gli  ioni  soffrono  una  pressione,  si  ricompongono  e si  ha 
emissione  di  calore  e di  elettricità  con  formazione  di  vapore  e di 
nebbia  e abbassamento  della  pressione  barometrica  ; allora  fa 
tempo  umido  e caldo. 

Mi  spiego  : 

Allora  le  ionizzate  molecole  acquose  non  hanno  spazio  suffi- 
ciente per  tenersi  a distanza,  sono  come  compresse,  si  mettono 
in  contatto,  emettono  energia  di  cui  sono  cariche,  in  parte  sotto 
forma  di  calore;  allora  si  formano  le  nubi,  mentre  la  tempera- 
tura atmosferica  aumenta  e si  hanno  le  giornate  calde  afose, 
in  seguito  a quelle  fresche  e splendide. 

Se  si  formano  nubi  oppostamente  elettrizzate,  allora  si  han- 
no le  scariche,  la  neutralizzazione  dell’elettricità,  1’  abbassamento 
della  temperatura  e la  condensazione  dei  vapori  acquosi  in  acqua 
o in  neve  come  abbiamo  detto. 

Le  meteore  e le  aurore  sono  pure  effetti  di  elettricità.  Quan- 
do si  stabiliscono  le  correnti  aeree  fra  poli  ed  equatore  , si  ha 
una  corrente  in  alto  dall’  equatore  al  polo,  ed  una  in  basso  dal 
polo  all’  equatore. 

Le  correnti  equatoriali  sono  cariche  di  vapore  elettrizzato  e 
quando  arrivano  ai  poli,  scaricano  la  loro  elettricità  con  quella 
contraria,  donde  le  meravigliose  aurore  boreali  e le  tempeste  polari. 

Ho  parlato  di  ciò  per  dimostrare  che  quando  una  corrente 
elettrica  è immessa  in  un  conduttore  compie  un  lavoro,  è in  at- 
tività, allora  può  produrre  azioni  meccaniche  , azioni  fìsiche  ed 
azioni  chimiche,  subendo  le  relative  trasformazioni;  quando  questa 
corrente  può  neutralizzarsi  si  mette  in  equilibrio,  dell’  energia  si 
rende  latente  e si  ha  abbassamento  di  temperatura  ; e quando  in- 
contra resistenza  senza  potersi  neutralizzare  o mettersi  in  equi- 


Trasformazioni  delle  energie 


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librio  con  quella  contraria,  si  trasforma  in  calore  e luce.  Quindi 
il  calore  è elettricità  negativa,  non  neutralizzata,  non  in  riposo, 
ina  in  forzata  coatta  inerzia,  è in  tensione. 

Un  corpo  incandescente  è un  corpo  che  emette  elettroni  ne- 
gativi, parte  sotto  forma  di  luce,  cioè  dotati  d’immensa  forza 
espansiva  e parte  come  calore,  cioè  condensati,  penetranti  e poco 
radianti,  e parte  come  ondulazioni  elettromagnetiche  e come  raggi 
dotati  di  azione  chimica  ecc.,  e tutti  più  o meno  ionizzanti.  Il 
semplice  riscaldamento,  spinto  più  o meno,  produce  pure  la  ioniz- 
zazione di  un  gas.  Tale  è il  caso  delle  fiamme  e dei  corpi  arro- 
ventati. L’  energia  di  ionizzazione  è allora  fornita  sotto  forma 
di  energia  termica. 

Visto  cosa  sia  il  calore,  si  comprende  il  meccanismo  degli 
effetti  di  esso  sugli  organismi  viventi,  sia  quando  manca  come 
nell’  inverno  , sia  quando  è in  aumento  come  in  primavera  ed 
in  estate. 

Gli  organismi  viventi,  dai  microbi  all’uomo,  sotto  l’influen- 
za del  calore,  ad  una  data  temperatura  speciale  a ciascuno,  si 
elettrizzano  , e quel  calore  interno  costituisce  ed  è la  manife- 
stazione esterna  del  potenziale  elettromagnetico,  per  il  quale  le 
molecole  componenti  i protoplasmi  e quindi  le  cellule,  le  quali 
sono  altrettante  pile  elettrogeniche , acquistano  eccitabilità  ed 
energia,  la  quale  però  è elettricità.  Con  ciò  ogni  cellula  si  mette 
in  attività,  si  desta  alla  vita.  Allora  sente  le  attrazioni  e le  ri- 
pulsioni, cioè  tropismo  positivo  e negativo  con  altri  corpi  e con 
altre  energie  dell’  ambiente , si  stabiliscono  correnti  interne  e 
scambio  con  quelle  esterne  ; si  formano  dapertutto  sistemi  elet- 
trogenici, correnti  che  operano  fenomeni  meccanici,  fisici  e chi- 
mici; scambio  di  materia;  decomposizioni  e composizioni;  ossi- 
dazioni e riduzioni  ; organizzazioni  e disorganizzazioni;  morti  e 
rinascimenti  ; vita  e morte  ; insomma  sviluppo  di  elettricità  in 
lavoro,  di  energia  attiva,  viva.  (1) 


(1)  V.  L’  Organismo  vivente  e la  sua  anima. 


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Prof.  Antonio  Curci 


[Memoria  VII.] 


Ogni  corpo,  come  ogni  cellula  ed  ogni  organismo  vivente 
quando  è caldo  è elettrizzato,  perciò  allora  è eccitabile  e vivo, 
atto  a muoversi  e a trasformarsi,  attrarsi  o respingersi  con  un 
altro,  produrre  e scambiare  energia  , attrarre  materia  , crescere 
e moltiplicarsi. 

Perciò  pare  die  tutto  faccia  il  calore  ; pare  giusto  il  dire 
che  dove  vi  è calore  c’è  vita.  È giusto  ciò,  quando  però  si  con- 
sideri che  dove  v’è  calore  vi  è sviluppo  di  elettricità  e che,  il 
corpo  caldo  è corpo  elettrizzato.  Ciò  viene  dimostrato  dal  fatto, 
che  un  corpo  qualunque  vivo  o non,  sottoposto  ad  un  agente 
elettrizzante  meccanico,  tisico  o chimico,  quando  è saturato  di 
elettricità  potenziale  e che  la  elettricità  sviluppata  è superiore 
alla  sua  capacità  elettrica  o termica  o,  ciò  che  è lo  stesso,  alla 
sua  capacità  per  il  calore  latente,  si  riscalda  ; perchè  la  esube- 
rante elettricità  si  trasforma  in  calore.  Perciò  è da  concludere 
che  il  corpo  caldo  è corpo  elettrizzato  e che  allora  è più  sen- 
sibile e più  eccitabile.  Quando  il  riscaldamento  è oltre  un  certo 
limite  per  intensità  e per  durata,  il  corpo  s’  infiamma  : così 
avviene  il  processo  infiammatorio  in  un  tessuto  vivente  (1). 

Il  calore  è l’energia  in  forzata  inazione,  è il  generatore  dell’e- 
nergia attiva,  l’elettricità,  è la  forza  depositata  e presente  daper- 
tutto  per  servire  a fornire  la  essenza  necessaria,  di  cui  formare 
le  cariche  elettriche  negli  ioni  e nelle  molecole,  in  virtù  delle 
quali  avvengono  le  trasformazioni  della  materia  e le  manifesta- 
zioni dei  fenomeni  della  natura  e della  vita.  Ma  1’  elettricità  è 
quella  che  direttamente  opera  ogni  fenomeno,  trasformandosi  alla 
sua  volta  in  quelle  energie  donde  ebbe  origine.  Perciò  il  calore 
rende  elettrizzabile  ed  elettrizza  ogni  corpo,  specialmente  ogni 
organismo  vivente,  dai  microbi  all’  uomo  ; perciò  pare  che  esso  sia 
l’energia  vitale,  ma  non  è.  Esso  è forma  di  passaggio,  iniziale, 
la  materia  prima,  ed  è avvertito  solamente  dai  nervi  tennoestesici, 


(1)  Curci  — Sul  Meccanismo  dell’ infiammazione  — Gazzetta  degli  Ospedali  eco.  N.  112, 
Milano,  1904. 


Trasformazioni  delle  energie 


23 


i quali  lo  trasformano  in  corrente  elettrica,  quella  eli  e dà  la  sen- 
sazione psichica  del  caldo  e che  eccita  ogni  protoplasma  e anche 
contribuisce  all’accumulo  del  potenziale  vitale.  Esso,  trasforman- 
dosi in  elettricità  o derivando  da  questa,  compie  indirettamente 
tutti  i fenomeni  della  natura. 

È proprio  il  caso  di  dire  essere  e non  essere.  Quando  un 
organismo  è freddo,  non  è elettrizzato,  non  ha  potenziale,  perciò 
non  è eccitabile. 

Quando  manca  il  calore,  come  quando  il  Sole  manda  raggi 
obliqui,  vengono  sottratti  gli  elettroni  alla  materia,  l’energia  agli 
atomi  ed  alle  molecole,  i quali  e le  quali  si  stringono  sempre 
più  l’un  l’altro  e s’ immobilizzano,  sono  senza  energia,  non  sono 
elettrizzabili  ; cascano  in  inerzia,  in  assiderazione,  in  morte  ; la 
vita  si  arresta.  Dall’  equatore  ai  poli  si  osservano  tutte  le  gra- 
dazioni di  passaggio  tra  questi  due  fatti  estremi. 

Sicché  per  ogni  pianeta,  il  suo  Sole  è la  sorgente  principale 
dell’  energia  almeno  in  apparenza  , e noi  non  sappiamo  se  gli 
astri  solari  ricevano  energia  da  altra  sorgente  a noi  ignota,  op- 
pure 1’  abbiano  in  sé,  come  costituiti  da  materia  scissa  e ioniz- 
zata o cioè  da  ioni  carichi  di  elettricità , i quali  in  continua 
condensazione  e combinazione  emettono  elettroni  irradianti  nello 
spazio  dell’  etere  cosmico.  Questi  incontrando  i pianeti,  ivi  pe- 
netrano l’ atmosfera  e colpiscono  la  superfìcie  terraquea  : incon- 
trano resistenza  nell’  azoto  e nell’  ossigeno,  i quali  sono  elettro- 
negativi  , si  trasformano  in  calore  e luce  , che  dalla  crosta 
terrestre  sono  assorbiti  e trasformati,  mentre  una  parte  di  questo 
calore  e luce  dagli  organismi  viventi  ò trasformata  in  elettricità 
attiva , (1)  la  quale  ritorna  ad  essere  emessa  come  calore , e 
così  tutto  infine  nella  terra  si  disperde  come  correnti  magnetiche 


(1)  Nella  clorofilla  e altri  pigmenti,  e nei  diversi  organi  di  senso  e parti  dell’  organi- 
smo tutte  le  forme  di  energia  dell’  ambiente,  prodotte  dai  raggi  solari  , si  trasformano  in 
correnti  elettriche,  le  quali  compiono  le  diverse  funzioni  vitali  e mettono  in  attività  gli  or- 
gani adatti. 


24 


Prof.  Antonio  Curci 


[Memoria  VII.] 


terrestri  (1).  Durante  la  notte  avviene  neutralizzazione  ed  irradia- 
zione di  energia  e perciò  abbassamento  di  temperatura. 

Ohe  la  produzione  del  calore  e della  luce  avvenga  nell’at- 
mosfera del  pianeta,  e non  nel  Sole  stesso,  sarebbe  provato  dal 
fatto  che  vi  è più  calore  e luce  alla  superfìcie  del  pianeta  e meno 
nelle  alte  regioni  atmosferiche,  dove  ad  una  certa  altezza  vi  è 
invece  freddo  e tenebre;  (2)  (dovrebbe  essere  il  contrario).  Così 
pure  quanto  più  i raggi  sono  perpendicolari  alla  superficie  della 
terra,  colla  quale  faccia  angolo  retto , tanto  più  vi  è calore  e 
luce  , mentre  ve  n’  è meno  in  ragione  della  obliquità.  Quando 
i raggi  sono  perpendicolari  incontrano  più  resistenza  ; quando 
sono  obliqui  meno  resistenza,  perchè  sfuggono  strisciando  e vi 
è meno  azione  meccanica. 

Perciò  nelle  regioni  tropicali  fa  più  caldo,  che  nelle  polari. 

La  distanza  tra  le  diverse  regioni  della  terra  ed  il  Sole 
non  ha  alcuna  influenza  ; essa  è troppo  piccola. 

3.  Luce.  — La  luce  è una  particolare  forma  di  energia,  la 


(1)  Nella  terra  si  possono  formare  come  dei  nodi  carichi  di  elettricità  statica,  la  quale 
arrivata  ad  una  certa  tensione  produce  le  scosse  del  terremoto. 

(2)  Il  Direttore  dell’  Osservatorio  Geotisico  di  Pavia  ha  comunicato  nel  1905  che  avendo 
lanciato  dei  palloni  sonda,  da  un  sommario  esame  del  diagramma  ottenuto  sull’apparecchio 
registratore  risultò,  che  i palloni  avevano  raggiunto  una  altezza  di  14,000  metri,  trovandovi 
una  temperatura  di  65  centigradi  sotto  zero. 

Inoltre  si  dimostra  la  genesi  locale  del  calore  dal  fatto  che  da  un  giorno  all’altro,  co- 
me anche  nello  stesso  giorno  si  ha  diverso  grado  di  temperatura  nelle  diverse  città. 

Ed  ecco  un  esempio  : 

Roma  9 Agosto  1905,  ore  15 — V.)  Massa  31.2,  Alessandria  30.6,  Novara  32,  Pavia  31.6, 
Milano  31.3,  Brescia  32.5,  Cremona,  31.2,  Mantova  32.8,  Verona  32.4,  Udine  30.1,  Treviso 
32.8,  Venezia  30.6,  Padova  31.3,  Rovigo  34,  Reggio  Emilia  32,  Modena  31.1,  Ferrara  31.9, 
Bologna  32.9,  Ravenna  30.5,  Porli  32.8,  Pesaro  34.4,  Ancona  35.2,  Urbino  31.9,  Macerata 
33.5,  Ascoli  Piceno  35.5,  Perugia  32.5,  Camerino  31.8,  Lucca  30.1,  Livorno  30,5,  Firenze 
31.3,  Arezzo  33.4,  Siena  31,  Grosseto  35.1,  Roma  34.3,  Teramo  35.8,  Chieti  34.6,  Foggia  37, 
Bari  34.2,  Lecce.  34,  Caserta  34,  Napoli  31.1,  Benevento  32.5,  Cosenza  34,  Reggio  Calabria 
32,  Trapani  30.1,  Palermo  33.8,  Messina  33.2,  Catania  32.1,  Siracusa  33.6,  Cagliari  34,  Ta- 
ranto 34.3,  Civitavecchia  35. 

Questo  prova  che  il  calore  si  produce  localmente  a seconda  la  densità  dell’  aria,  pres- 
sione barometrica,  umidità,  vento,  separazione  e congiunzione  di  ioni,  produzione  o neutra- 
lizzazione di  elettricità,  etc. 


Trasformazioni  delle  energie 


25 


quale,  proveniente  dal  Sole  come  raggi  rettilinei,  quando  colpisce 
l’atmosfera  e la  superficie  terrestre  si  trasforma  in  oscillazioni 
elittiche  somiglianti  a quelle  del  pendolo  ; tali  raggi  di  vibra- 
zioni vengono  riflessi  dal  corpo  colpito  e sono  percepiti  dagli 
organi  visivi  nei  quali  si  forma  1’  immagine  dell’  oggetto.  Que- 
sti raggi,  detti  luminosi,  in  ogni  pigmento  e specialmente  nella 
clorofilla  e negli  organi  della  vista,  come  sulla  lastra  fotografica, 
sono  trasformati  in  corrente  elettrica,  la  quale  nelle  piante  pro- 
duce la  elettrolisi  dell’  acqua  e delle  sostanze  ossigenate,  da  cui 
si  sprigiona  ossigeno  e si  formano  le  sostanze  idrocarbonate  sem- 
plici ed  animidate  ; e negli  organi  visivi  degli  animali,  detta 
corrente,  presa  dalle  espansioni  della  retina,  per  il  nervo  ottico 
va  a fare  capo  ai  centri  nervosi  , dove  produce  la  sensazione 
visiva  psichica.  Che  sia  così  è dimostrato  col  galvanometro,  il 
quale  fa  vedere  che  quando  penetra  nell’occhio  un  fascio  di  luce, 
si  sviluppa  una  corrente  nei  centri  cerebrali  corrispondenti.  Così 
che  negli  organismi  viventi  i raggi  luminosi,  da  oscillazioni  trasver- 
sali passano  a corrente  elettrica,  a somiglianza  del  calore,  che  pure 
alla  sua  volta  si  trasforma  in  corrente  elettrica  nei  nervi  terinoe- 
stesici,  la  quale  nei  centri  dà  la  sensazione  di  caldo.  Per  ogni 
forma  di  energia  vi  è negli  organismi  un  organo  speciale,  gusto, 
olfatto,  udito,  tatto,  il  quale  la  trasforma  in  corrente  elettrica. 

La  corrente  elettrica,  la  quale  negli  organi  visivi  è prodotta 
dalla  luce,  non  solamente  produce  la  sensazione  psichica  , ma 
anche,  riflessa  dal  sistema  nervoso,  diventa  corrente  elettrolitica, 
la  quale  eccita  il  ricambio  materiale.  Fu  dimostrato  da  Mole- 
schott  e da  altri  che  la  luce,  per  mezzo  degli  organi  visivi,  fa 
aumentare  1’  esalazione  dell’  acido  carbonico,  e poi  tutti  sappiamo 
che  alla  luce  ci  sentiamo  più  eccitati,  più  energici,  più  caldi, 
più  vivi,  più  allegri,  più  felici. 

Ma  in  questi  ultimi  anni  in  Fisica  è stato  dimostrato  che 
la  luce  è dovuta  ad  elettroni,  diffondendosi  con  grande  rapidità, 
i quali  quando  colpiscono  un  corpo  acquistano  un  moto  vibra- 
torio dittico  e si  riflettono,  peroni  a noi  è possibile  vedere  il  corpo, 

Atti  acc.  Serie  4a,  Voi,.  XIX  — Mem.  VII. 


4 


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Prof.  Antonio  Curci 


[Memoria  VII.] 


col  quale  i nostri  organi  visivi  sono  in  relazione  mediante  tali  rag- 
gi. Oggi  dopo  molti  studi  si  ammette  che  le  onde  luminose  sono 
onde  elettromagnetiche.  (1)  Perciò  non  è più  da  rifiutare  nè  da 
sembrare  strana  la  mia  teoria,  d’altronde  dimostrata  dal  galva- 
nometro,  che  la  luce  nei  pigmenti  e negli  organi  visivi  si  trasfor- 
ma in  corrente  elettrica  , essendo  già  costituita  da  elettroni  o 
forma  irradiante  di  elettricità.  Come  le  cariche  elettriche  degli 
ioni  in  una  pila  si  scaricano  sugli  elettrodi  e generano  la  cor- 
rente, così  le  onde  luminose  o elettroni  diffusibili  si  scaricano 
nei  pigmenti,  si  modificano  e generano  la  corrente,  la  quale  è 
presa  dalle  espansioni  del  nervo  ottico  o dai  granuli  dei  proto- 
plasmi negli  organismi  inferiori,  formando  una  sorgente  di  ener- 
gia vitale.  Dunque  la  luce  genera  elettricità  in  corrente  ed  è 
forma  di  elettricità.  Richiamo  1’  attenzione  sopra  questo  argo- 
mento fisiologico  da  aggiungersi  a quelli  tìsici. 

Inoltre  la  luce  fu  già  dimostrata  da  Melloni  e da  altri  es- 
sere identica  al  calore  ; calore  e luce  si  accompagnano  sempre; 
noi  abbiamo  sopra  dimostrato  che  il  calore  è una  forma  di  elet- 
tricità costituita  da  elettroni  condensati  ; dunque  calore  e luce 
sono  forme  o stati  della  stessa  energia,  che  noi  conosciamo  sotto 
la  denominazione  di  elettricità. 

I fenomeni  meravigliosi,  attribuiti  ai  raggi  catodici,  sono 
prodotti  dai  raggi  rettilinei,  che  partono  dal  catodo,  in  aria  ra- 
refatta, i quali  sono  dotati  della  proprietà  di  riscaldare  i corpi 
da  essi  colpiti,  spesso  ancora  di  renderli  luminosi , di  dare  ori- 
gine col  loro  urto  su  di  un  corpo  (anticatodo)  a nuovi  raggi  di 
altra  natura,  che  sono  poi  i famosi  raggi  del  Rontgen,  e infine 
di  rendere  conduttore  il  gas  entro  il  quale  si  propagano. 

Oltre  tali  effetti  viene  ammesso  generalmente  , che  i raggi 
catodici  possano  , urtando  corpi  leggieri  e mobilissimi  metterli 
in  moto,  che  A.  Righi  crede  avere  dimostrato,  che  tale  effetto 
meccanico  dei  raggi  catodici  sia  un  effetto  secondario  almeno 


(1)  A.  Righi.  — L’  Ottica  delle  oscillazioni  elettriche — Bologna  1897  — Idem  La  moderna 
teoria  dei  fenomeni  fisici  — Bologna.  1904. 


Trasformazioni  delle  energie 


27 


in  massima  parte  del  riscaldamento  da  essi  prodotto.  {Il  moto  degli 
ioni  nelle  scariche  elettriche.  Bologna  Ditta  W.  Zanichelli,  1903). 

Quindi  i raggi  catodici  sono  ad  un  tempo  elettroni,  i quali 
prendono  forma  di  elettricità,  di  calore  e di  luce. 

I raggi  catodici  sono  deviati  da  una  calamita  e perciò  sono 
elettromagnetici  e,  dall’accurato  studio  che  è stato  fatto  d’  un 
tale  fenomeno,  si  è dedotto,  che  essi  si  comportano  come  fosse- 
ro costituiti  da  corpuscoli  elettrizzati  negativamente  e dotati  di 
grandissima  velocità  e cioè  di  elettroni  negativi  liberi. 

È noto,  che  i fenomeni  della  luce  e del  calore  raggiante 
possono  considerarsi  come  fenomeni  elettromagnetici,  e che  dalle 
equazioni  del  campo  elettromagnetico  possono  desumersi  quelle 
che  rappresentano  la  propagazione  delle  onde  luminose  (Righi). 

Lorentz  ha  supposto  che  agli  atomi  della  materia  siano  con- 
giunte delle  particelle  elettrizzate  o tutte  positivamente  o tutte 
negativamente,  le  quali  prendano  parte  per  via  di  assorbimento 
o di  emissione  al  fenomeno  elettromagnetico.  In  particolare  la 
emissione  della  luce  sarebbe  dovuta  a quelle  particelle,  le  quali 
perchè  elettrizzate,  generano  vibrando  quelle  onde  elettromagne- 
tiche che  chiamiamo  onde  luminose.  Zeemann,  con  lo  studio  delle 
radiazioni  di  un  gas  luminoso,  le  quali  si  modificano  sotto  1’  a- 
zione  di  un  forte  campo  magnetico,  in  cui  ogni  riga  dello  spettro 
di  emissione  è sostituita  da  un  gruppo  di  righe  nuove,  ha  dato 
dimostrazione  e conferma  di  questa  teoria. 

Con  ulteriori  studi  di  questo  fenomeno  si  è riconosciuto, 
che  nelle  righe  nuove  sdoppiate,  la  luce  è polarizzata  e si  è 
giunti  a dovere  ammettere,  che  le  particelle  vibranti  abbiano 
carica  negativa,  e che  le  particelle,  le  quali  prendono  parie  colle 
loro  vibrazioni  ai  fenomeni  luminosi  propagati  dall1  etere  , altro 
non  sieno  che  gli  elettroni  negativi  , che  già  i raggi  catodici  ci 
avevano  fatto  conoscere. 

I raggi  X sono  ionizzatoli,  producono  fenomeni  chimici  come 
ogni  corrente  elettrica,  sono  penetranti  in  linea  retta  anche  at- 
traverso cattivi  elettroconduttori,  a somiglianza  del  calore. 


28 


Prof.  Antonio  Curci 


[Memoria  VII.] 


Essi  sono  originati  dai  raggi  catodici  e questi  da  elettroni 
negativi  e cioè  da  elettricità. 

Anche  le  altre  radiazioni  sono  derivanti  da  elettricità  tra- 
sformata, onde  è sempre  una  quella  energia,  la  quale  prende  i 
diversi  aspetti  ed  acquista  delle  proprietà,  per  le  quali  si  distin- 
guono le  diverse  forme  sensibili  ai  nostri  sensi  e ai  nostri  ap- 
parecchi. (1)  In  modo  che  le  forme  sono  diverse  ma  la  sostanza 
o 1’  essenza  dell’  energia  è una. 

Da  quanto  abbiamo  esposto  risulta  una  conseguenza  assai 
importante,  cioè  quella  che  i raggi  catodici  sono  ad  un  tempo 
irradiazioni  elettriche  (elettroni),  calore  e luce,  vale  a dire  sono 
costituiti  da  energia,  la  quale  facilmente  assume  le  tre  forme 
principali  di  elettricità,  di  calore  e di  luce,  oltre  alle  forme  se- 
condarie. Presumo  quindi  di  avere  dimostrato  l’unità  dell’energia. 

4.  Energia  Chimica.  — Ora  che  abbiamo  veduto  quali  sono 
le  forme  principali  ed  essenziali  dell’energia  e quali  le  sue  tra- 
sformazioni, possiamo  comprendere  appieno  il  valore  della  sup- 
posta energia  chimica. 

Sono  stati  i Biologi  e Fisiologi,  i primi  a commettere  questo 
errore  i quali,  dominati  dal  più  cieco  materialismo  chimico  si 
sono  formati  una  idea  confusa  e fantastica  che  la  vita  e ogni 
fenomeno  vitale,  (funzioni)  fossero  effetto  di  reazione  chimica  e 
manifestazione  o lavoro  di  energia  chimica  senza  sapere  cosa 
sia.  E da  ciò  ne  è seguito  la  ipotesi,  generalmente  accetta  come 
verità  fondamentale,  che  in  ogni  funzione  vitale,  vi  sia  in  ori- 
gine una  reazione  chimica,  e da  questa  si  svolga  1’  energia  detta 
chimica,  la  quale  generi  le  altre  energie  per  la  esplicazione  delle 
funzioni  o dei  fenomeni  vitali  e che  quindi  è ritenuta  come  la 
sorgente  principale,  anzi  la  madre  delle  altre  energie  : energia 
vitale,  elettrica,  termica,  luminosa  ecc. 

Così  il  pensiero,  un  atto  riflesso,  la  contrazione  muscolare 
non  sarebbero  che  effetto  di  una  reazione  chimica. 


(1)  È molto  probabile  cbe  vi  sieno  nel  mondo  irradiazioni  ancora  ignote. 


Trasformazioni  delle  energie 


29 


Questa  opinione  comune  è completamente  erronea  e falsa, 
come  risulta  dal  nostro  studio  precedente  ; ed  anche  senza  di 
questo,  basterebbe  domandare  a questi  Signori:  quale  sarebbe  la 
causa  prima  che  determinerebbe  la  reazione  chimica  generatrice 
del  pensiero,  dell’atto  riflesso,  della  contrazione  muscolare,  della 
sensazione  ecc.  Lo  stimolo,  si  risponderebbe,  determinerebbe  la 
reazione  chimica  nelle  cellule  e da  ciò  l’esplosione  dell’  energia. 
Ma  noi  rispondiamo  e dimostriamo  che  lo  stimolo  sviluppa  1’  e- 
nergia  immediatamente  senza  l’intermezzo  della  reazione  chimica, 
come  tutta  la  Fisica  sperimentale  e la  Elettrofisiologia  e la 
stessa  Fisiologia  generale  dimostrano  ampiamente  ed  all’evidenza. 

Ma  da  quanto  abbiamo  sopradetto,  1’  energia  che  si  sviluppa 
in  una  reazione  chimica,  è nel  primo  istante  elettrica,  la  quale, 
a seconda  le  condizioni  materiali  del  posto  dove  avviene  la  rea- 
zione, si  svolge  in  tutto  o in  parte  come  corrente,  come  calore 
e come  luce.  Questa  energia  elettrica  proviene  dalla  carica  degli 
ioni,  che  questi  acquistano,  allorché  si  formano,  dal  calore  am- 
biente e non  da  una  energia  accumulata  nelle  molecole  composte, 
le  quali,  quando  si  formano,  come  sappiamo  dalla  congiunzione 
degli  ioni,  sviluppano  come  elettricità  o calore  e luce  1’  energia 
portata  da  essi.  Perciò  questa  elettricità  non  proviene  da  energia 
accumulata  nei  composti,  come  s’è  supposto,*  i quali  ne  sono  sen- 
za. I composti  sono  senza  energia  interna , perchè  quando  si 
formano  perdono  quell’  energia  portata  dagli  ioni,  e contraria- 
mente alla  ipotesi  dell’  energia  chimica,  quando  vi  è separazione 
di  ioni  o scissione  di  molecole  vi  è assorbimento  di  energia,  ma 
quando  vi  è combinazione  di  ioni  e formazione  di  molecole, 
vi  è emissione  di  energia;  la  quale  è elettrica  nel  primo  istante, 
cioè  è fisica,  non  chimica  e non  proviene  dalla  non  esistente 
energia  interna,  ma  da  quella  esterna  acquistata  nel  momento 
della  scissione. 

In  molte  o quasi  tutte  le  reazioni  chimiche,  precede  prima 
la  scissione  e la  formazione  degli  ioni,  i quali  prendono  dal  ca- 
lore ambiente  tante  cariche  elettriche  quante  valenze  hanno,  e 


30 


Prof.  Antonio  Curci 


[Memoria  YII.J 


poi  a questa  segue  immediatamente  lo  scambio  degli  ioni  e la 
loro  combinazione  con  lo  svolgimento  all’  esterno  della  carica 
acquistata  nella  scissione. 

Quando  gl’  ioni  nella  combinazione  sviluppano  meno  calore 
di  quanto  ne  assorbono  nella  scissione,  si  hanno  le  reazioni  en- 
dotermiche, come  nella  formazione  delle  sostanze  organiche. 

Si  vede  chiaro  che  in  una  reazione  chimica  non  si  mani- 
festa nessuna  energia  interna  accumulata  precedentemente  nel 
composto. 

Riferiamo  un  esempio  concreto.  Nella  molecola  albumina 
o in  generale  organica,  si  suppone  accumulata  l’energia  del  Sole, 
che  si  svolge  nella  cellula  nell’  atto  della  funzione,  la  quale  se- 
guirebbe all’ossidazione  della  molecola  organica.  Questo  è il  prin- 
cipio falso  comune  ; falso  perchè  non  è così  il  vero  processo  ; 
che  invece  è il  seguente  : 

La  molecola  organica  è atta  ad  ossidarsi  perciò  può  coll’os- 
sidazione svolgere  1’  energia  che  gli  atomi  componenti  acquistano 
nello  scindersi  ; cioè  : le  molecole  organiche  non  hanno  energia 
interna  al  pari  delle  altre  ma  in  presenza  di  alcali  minerale, 
che  le  rende  conduttrici,  sono  attraversate  dall’energia  elettrica, 
che  si  svolge  dalle  cellule  e sotto  la  cui  influenza  si  scindono  ; 
allora  si  formano  ioni  che  assorbono  energia  dell’  ambiente,  ioni 
sempre  più  semplici,  tino  agli  atomi  del  C,  H,  S,  Az.  Questi 
ioni  hanno  valenze  libere  con  cariche  elettriche  relative  , e 
perciò  avidi  di  combinarsi  con  ioni  con  cariche  opposte  e con- 
trarie, e siccome  l’ossigeno  si  trova  sempre  presente,  si  combina 
ad  essi,  e si  ha  così  l’ossidazione  della  molecola  organica.  L’os- 
sidazione ed  ogni  altra  combinazione  di  ioni  contrari  sviluppa 
enorme  quantità  di  energia  elettrica,  la  quale  si  accumula  nei 
protoplasmi  dell’organismo  vivente,  specialmente  in  quello  ner- 
voso, e serve  a svolgersi  per  compiere  le  funzioni,  allorché  uno 
stimolo  meccanico  , fisico  o chimico  ne  provoca  lo  sviluppo  di 
essa  nell’  organo  senza  bisogno  di  una  previa  reazione  chimica. 

Quindi  non  è 1’  energia  chimica  non  esistente  nei  composti 


Trasformazioni  delle  energie 


31 


quella  che  genera  le  energie  e che  produce  i fenomeni  vitali. 
Ci  vuole  sempre  una  energia  precedente  esterna  per  fare  sorgere 
una  reazione  chimica,  ed  è in  questa  circostanza  che  si  mani- 
festa l’ energia  assorbita  dagli  ioni  e che,  quando  è resa  mani- 
festa, vi  resta  come  calore  nell’  ambiente  esterno  o come  po- 
tenziale elettrico  vitale  nei  protoplasmi  viventi  , per  poi  , ad 
altra  prossima  occasione,  servire  a formare  la  carica  e a scindere 
altre  molecole  e ritornare  a manifestarsi  per  compiere  un  lavoro 
od  una  nuova  reazione  chimica. 

Queste  sono  le  trasformazioni  che  1’  energia  universale  su- 
bisce nella  sua  eterna  circolazione  o nel  suo  moto  perpetuo,  in 
ogni  organismo  vivente  e in  tutta  la  natura.  Nell’  ambiente  se 
una  reazione  chimica  avviene  fuori  l’influenza  di  un  protoplasma 
vivente,  viene  prima  provocata  da  una  energia  ; e poi  la  elet- 
tricità svoltasi  non  trovando  conduttori  o se  non  può  compiere 
un  lavoro  si  trasforma  in  calore.  In  tutti  i casi  mai  si  svolge 
energia  chimica,  la  cui  esistenza  diviene  inammissibile  dopo  gli 
studi  splendidi  della  Fisico-chimica  moderna. 

Fu  chiamata  affinità  quella  forza  che  fa  combinare  gli  ele- 
menti fra  loro,  e siccome  la  combinazione  avviene  fra  elementi 
con  carica  elettrica  contraria,  così  essa  non  è che  effetto  mec- 
canico dell’  attrazione  della  materia,  e questa  alla  sua  volta  è 
effetto  della  carica  elettrica.  Perciò  anche  nella  suddetta  proprietà, 
che  è un  pernio  della  Chimica,  la  supposta  energia  chimica  non 
trova  appoggio,  nè  ha  con  essa  quella  relazione  che  si  è voluta 
ammettere. 

5.  Dio. — Da  tutto  ciò  che  noi  abbiamo  fin’  ora  detto  risulta, 
che  la  energia  assume  tre  forme  o stati  principali  : calore,  corrente 
elettrica  e luce.  Le  diverse  radiazioni  dei  corpi  radioattivi  sono  for- 
me secondarie  di  elettricità  e sono  speciali  a data  materia.  I raggi 
X sono  raggi  catodici,  cioè  elettricità  negativa  o elettroni  radi- 
anti e molto  penetranti,  come  è noto.  L’  azione  meccanica  non 
è una  energia  in  sè  stessa,  come  si  dice,  ma  è un  effetto  di 
spostamento  nello  spazio  di  una  data  materia,  prodotto  da  una 


32 


Prof.  Antonio  Curci 


[Memoria  VII.] 


vera  energia  come  elettricità,  calore  e luce.  La  coesione,  l’ ade- 
sione, 1’  affinità  chimica  sono  anche  effetti  meccanici  dell’  at- 
trazione della  materia,  ma  quest’  attrazione  è data  dall’  energia 
elettrica,  come  carica  positiva  o negativa  inerente  agli  atomi 
ed  alle  molecole.  La  famosa,  misteriosa  e tanto  decantata  ener- 
gia, chimica,  abbiamo  visto,  è carica  elettrica.  Risulta  evidente 
da  ciò  che  1’  energia  universale  assume  tre  forme  principali  nel 
passare  da  un  sistema  di  materia  ad  un  altro,  e propriamente 
corrente  elettrica  genera  calore  e luce,  come  calore  e luce  gene- 
rano corrente. 

Noi  abbiamo  quindi  : 

1.  L’  energia  termica  come  elettricità  condensata,  quando 
non  trova  conduttori  per  scorrere,  che  è costretta  rimanere,  poco 
atta  a irradiarsi  e diffondersi,  penetrante  più  o meno  qualunque 
corpo  buono  o cattivo  conduttore,  per  cui  si  può  paragonare  ad 
una  sostanza  solida,  la  quale  costituisce  un  deposito  di  energia 
condensata  e impedita  di  espandersi,  e perciò  pronta  a fondersi 
e sciogliersi  (mi  si  permetta  1’  espressione)  o a mettersi  in  moto 
per  riempire  il  vuoto  di  un  atomo  o molecola  che  si  scinde  e si 
separa,  cioè  a formare  la  carica  degli  ioni. 

2.  Abbiamo  energia  elettrica,  come  corrente,  che  sopra  un 
conduttore  isolato  è temporaneamente  statica,  ma  in  conduttore 
all’  infinito  scorre  con  grandissima  velocità,  come  farebbe  un  li- 
quido, in  cerca  di  neutralizzarsi. 

Questa  è paragonabile  ad  una  sostanza  liquida,  la  quale  in 
corrente  adatta  opera  fatti  meccanici,  fisici  e chimici  ; perciò  è 
energia  in  moto,  in  lavoro,  ed  ha  bisogno  di  conduttura;  è pe- 
netrante solo  dove  può  compiere  delle  scissioni  e trova  ioni  ato- 
mici o molecolari.  Dove  incontra  ostacolo,  e basta  una  condut- 
tura più  stretta  o meno  conducibile  o una  interruzione,  acciò 
come  un  liquido  subisca  una  specie  di  compressione  ed  una  con- 
densazione, per  cui  subito  si  trasforma  in  calore  e luce. 

3.  Infine  abbiamo  1’  energia  luminosa,  sotto  forma  di  onde 
elettromagnetiche,  atte  ad  espandersi  per  ogni  lato  con  immensa 


Trasformazioni  delle  energie 


33 


velocità,  a somiglianza  di  un  gas,  il  quale  si  sprigiona  appena 
si  forma  e non  ha  bisogno  di  conduttura,  se  incontra  un  corpo 
si  ridette  e così  lo  rende  a noi  visibile  e alla  seconda  ridessione 
essa  è spenta,  è assorbita  tutta  dai  corpi,  nei  quali  si  trasforma  in 
elettricità  o si  neutralizza.  Dove  vi  è sviluppo  di  energia,  come 
in  una  combustione,  nella  combinazione  dell’ossigeno  con  il  car- 
bonio e 1’  idrogeno  (tutti  tre  già  ionizzati)  vi  è sviluppo  di  elet- 
tricità la  quale,  non  trovando  conduttori,  si  trasforma  parte  in 
calore,  cioè  si  condensa  e vi  rimane  nel  gas  che  si  svolge,  come 
anche  nell’  aria  e nei  corpi  circostanti  vicini  ; parte  si  espande 
istantaneamente  intorno,  qual  gas  esilissimo  con  immensa  forza 
di  espansione,  come  raggi  luminosi,  quelli  cioè  atti  a trasfor- 
marsi in  corrente  negli  organi  visivi  per  produrre  la  sensazione 
psichica  della  visione. 

Vale  a dire,  che  gli  elettroni  nella  luce  si  respingono,  si 
espandono  e s’irradiano  con  grandissima  velocità  per  mezzo  del- 
l’etere cosmico  o forse  senza  bisogno  di  esso,  e servono  a mettere 
in  relazione  gli  animali  con  l’ambiente  anche  a grande  distanza. 
Senza  gli  organi  visivi  e i corpuscoli  della  clorotìlla  questa  ener- 
gia, che  li  produce,  sarebbe  inutile  nel  mondo.  Cfli  elettroni  nel 
calore,  come  se  sottoposti  ad  una  compressione,  si  condensano, 
acquistano  una  grande  tensione,  si  muovono  intorno  a sè  stessi 
con  moto  circolare,  vorticoso,  elicoide  e aderiscono  agli  atomi 
ed  alle  molecole  della  materia  ; diventano  penetranti  , atti  ad 
essere  assorbiti,  poco  ad  essere  ritiessi.  Infine  nella  elettricità,  gli 
elettroni  scorrevoli  , mobili  , se  trovano  conduttore,  si  mettono 
in  moto  come  le  molecole  di  un  liquido,  e perciò  essi  sono  in 
una  condizione  di  movimento,  intermedio  fra  il  calore  e la  luce. 

Appunto  in  questo  stato  intermedio  costituiscono  1’  energia 
attiva,  funzionante,  viva,  quella  che  opera  le  trasformazioni  della 
materia  con  fenomeni  meccanici,  tìsici  e chimici,  che  si  ammi- 
rano in  natura  ; quella  che  crea  e anima  gli  organismi  viventi, 
i quali  perciò  sono  macchine  che  trasformano  le  energie  dello 
ambiente  in  correnti  elettriche  interne,  mediante  le  quali  si  com- 

Atti  acc.  Seri®  4a,  Voi..  XIX  — Mem.  VII. 


5 


34 


Prof.  Antonio  Curci 


[Memoria  YJI.J 


piono  tutte  le  funzioni,  compresa  la  meravigliosa  psiche  animale, 
e che  poi  restituiscono  all’ambiente  come  calore  e luce;  quella 
che  riempie  tutto  il  mondo  e tutto  1’  infinito  universo  e che  pro- 
duce e muove  gli  astri  ; quella  insomma  che  costituisce  la  po- 
tenza o onnipotenza  creatrice,  infinita,  increata,  indistruttibile, 
presente  da  pertutto,  in  ogni  tempo,  che  tutto  fa  e tutto  muove; 
che  è negli  astri,  è in  noi,  in  ogni  animale,  in  ogni  essere  di 
qualunque  natura.  Insemina  quella  essenza  creatrice,  che  si  chia- 
ma Dio,  Allah  o Brama,  Età,  come  si  voglia,  il  nome  non  im- 
porta, non  è che  questa  energia  universale,  che  tutto  crea  e tutto 
trasforma  e che  si  manifesta  a noi  come  corrente  elettrica,  come 
calore  e luce  e come  altra  forma  radiante  con  gli  effetti  mec- 
canici, fìsici  e chimici  della  materia,  e gl’innumerevoli  fenomeni 
relativi  del  mondo  universale. 

Perciò  tutte  le  forme  di  energia,  tutti  i fenomeni  in  natura 
in  noi  e fuori  di  noi,  tutte  le  vicende  umane,  sociali,  politiche 
e religiose  e quelle  individuali  sono  manifestazioni  di  questa 
energia  universale  creatrice,  cioè  di  Dio.  Onde  considerato  così, 
non  possiamo  negare  di  vedere  e sentire  realmente  ed  evidente- 
mente che  Dio  esiste,  è da  per  tutto  ; negli  atomi,  nelle  mole- 
cole e nei  corpi  viventi  o non  (1),  e possiamo  ripetere  con 
convinzione  e cognizione  di  causa,  quale  fatto  vero,  tangibile, 
sensibile,  reale  e naturale  gli  eloquenti  versi  di  Metastasio 

Dovunque  il  guardo  io  giro 

Immenso  o Dio  ti  vedo 


E qualunque  fenomeno,  meraviglioso  che  sia,  è sempre  feno- 
meno naturale,  non  soprannaturale,  onde  la  metafisica  entra  nei 
limiti  della  natura  , perchè  il  soprannaturale  è fuori  di  Dio  e 


(1)  Ciò  relativamente  a,  noi,  giacché  la  natura  col  suo  Dio  è tutto  un  organismo  vi- 
vente. Materia  senza  energia  è inerte,  energia  senza  materia  non  si  può  trasformare  e mani- 
festare; perciò  la  natura  è costituita  dall’  energia  colla  materia  o da  Dio  col  suo  creato. 


Trasformazioni  delle  energie 


35 


perciò  non  esiste.  Fuori  natura  nulla  esiste,  nemmeno  lo  stesso 
Dio.  La  natura  è infinita  come  infinito  è anche  il  suo  Dio  o 
1’  energia  che  la  crea  e la  anima  : e perciò  oltre  l’ infinito  nulla 
può  esistere  ed  ogni  preteso  soprannaturale  è assurdo. 

Così  possiamo  concludere  che  noi  siamo  giunti  a dimostrare 
scientificamente  la  esistenza  di  Dio  ; quale  cosa  vera  che  vedia- 
mo, che  sentiamo  e che  tocchiamo  da  per  tutto;  e perciò  è vero 
il  detto  comune  ab  antiquo,  che  nulla  si  fa  e nulla  si  muove, 
sia  in  bene  che  in  male,  senza  il  volere  di  Dio,  cioè  senza  le 
trasformazioni  fatali  della  energia,  che  noi  abbiamo  fatto  oggetto 
del  nostro  studio. 


Liberatorio  di  farmacologia  sperimentale  della  E.  Università. 
Catania,  Agosto,  1905. 


Memoria,  Vili. 


Risultati  delle  osservazioni  meteorologiche  del  1905 
fatte  nel  R.  Osservatorio  di  Catania 


Nota  di  A.  RICCO  e A.  CAVASINO 


Il  luogo,  gli  strumenti  meteorici,  le  ore  di  osservazione  e il 
modo  di  fare  le  medie  degli  elementi  osservati,  sono  quelli  stessi 
adoperati  nei  tredici  anni  precedenti,  e se  ne  trova  la  descrizione 
nella  nota  pubblicata  nel  1898  *)  , rammentiamo  qui  soltanto 
che  le  coordinate  geografiche  dell’  Osservatorio  sono  : 

Latitudine  boreale 37°  30'  13",  21 

Longitudine  Est  da  Green wich  . lb  0m  18S,  9 

e che  il  pozzetto  del  barometro  è elevato  64,9  m.  sul  livello 
medio  del  mare,  e 19  m.  sul  suolo  : gli  altri  strumenti  meteo- 
rici circa  altrettanto. 

I quadri  H.  1,  2 e 3 contengono  i risultati  delle  osserva- 
zioni dell’anno  meteorico  1905  (dicembre  1904  a novembre  1905): 
nei  primi  due  si  aggiungono  anche  i valori  del  dicembre  suc- 
cessivo, allo  scopo  di  trovare  nello  stesso  quadro  i dati  di  tutto 
1’  anno  civile,  e si  riportano  in  fondo  anche  le  medie  relative  a 
questo  intervallo  : come  nei  precedenti  riassunti  le  temperature 
e pressioni  barometriche  non  sono  ridotte  al  livello  del  mare  , 
nè  queste  ultime  al  valore  normale  della  gravità. 

La  media  della  trasparenza  dell’aria  (Tab.  2,  colonna  M)  in 
quest’  anno  è dedotta  dalle  osservazioni  delle  ore  7 o 8,  9,  15,  16 

9 Ricco  A.  e Saija  G. — munitati  delle  osservazioni  nieteoroloqiche  fatte  nel  quinquennio 
1892-96  all’Osservatorio  di  Catania  — Atti  dell’  Acc.  Gioeni.v  di  j scienze  ; naturali:,  Serie  4A)  i 
Voi.  XI.  Catania,  1898. 

, i''i  J ;,(  j : H , ; 1 ) il  fi  . * ! ■ i S ■ '!  U ■•  ! iti  :'m  t I ■liti  ) > 1 

Atti  ir'f  Sirniir  ,Ia  V„i  YTY Af  „ r. . vfrr  1 


2 


A.  Ricco  e A.  Caratino 


[Memoria  Vili.] 


o 17,  essendosi  aggiunta  una  osservazione  nelle  ore  pomeridiane 
a distanza  dal  mezzodì  eguale  a quella  della  prima  osservazione 
mattutina.  Per  gli  eventuali  confronti  si  è aggiunta  anche  la  me- 
dia alle  ore  7 o 8,  9 , 15  , (colonna  N)  , analoga  a quella  degli 
anni  precedenti. 

Nel  quadro  X.  1 si  trovano  dei  singoli  elementi  i valori 
medi  dedotti  dal  quattordicennio  di  osservazioni:  dicembre  1891 
a tutto  novembre  1905,  valori  che  consideriamo  provvisoriamente 
come  normali.  Della  temperatura  si  riportano  nella  seconda  co- 
lonna i valori  ridotti  col  calcolo  al  livello  medio  del  mare  : così 
ancora  la  quarta  contiene  i valori  della  pressione  atmosferica  ri- 
dotta al  livello  del  mare  e al  valore  g5_  della  gravità  alla  lati- 
tudine di  45°. 

Confrontando  i valori  delle  stagioni  e dell’  anno  meteorico 
in  esame  con  i corrispondenti  dell’  anno  precedente,  abbiamo  ot- 
tenuto il  seguente  specchietto  : 


Temperatura 
dell’  aria 

Pressione 

atmosferica 

! 

Tensione 
del  vapore 

Umidità 
r e 1 a t i va 

Evaporazione 
all’  ombra 

£ 

cg 

© 

c3 

Se 

b£ 

o 

£ 

Nebulosità 

Soleggiamento 

Inverno. 

0 

—2,  4 

min 
-4-3,  6 

mm 
— 1,  46 

-5,7 

mm 
+0,  13 

mm 
— 271,  6 

-7,7 

+0,10 

Primavera  . 

— 0,  3 

—0,  2 

— 0,  40 

—2,  4 

-PO,  39 

— 76,5 

+ 7,0 

-0,  02 

Estate  . 

-0,2 

—0,6 

0,  00 

+ 0,1 

+ 0,  49 

— 8, 5 

-1-3,  8 

+0,01 

Autunno 

+ 1,4 

-0,2 

+0,  49 

-3,2 

+ 1,  27 

—151,  9 

—4,  6 

— 0,  07 

Anno 

—0,  4 

+0,  6 

— 0,  35 

-2,8 

-+-0,  56 

— 508,  5 

-0,4 

0,  00 

Degni  di  nota  sono,  in  confronto  a quelli  del  1904,  i valori 
della  temperatura  , più  bassi  (specialmente  quelli  dell’  inverno) 
fino  all’  autunno  ; quello  molto  alto  della  pressione  nell’inverno, 
quello  basso  dell’  umidità  relativa  e della  quantità  di  pioggia, 
specialmente  nell’inverno,  e in  tutte  le  altre  stagioni  e nell’  anno. 

Quanto  al  comportamento  dei  singoli  mesi , è notevole  la 
temperatura  media  e la  minima  più  bassa  in  gennaio  e febbraio; 
1’  umidità  relativa  e la  pioggia  più  grande  in  dicembre. 


Risultati  delle  osservazioni  meteorologiche  del  1905  eoe. 


3 


Passando  poi  a paragonare  gii  stessi  valori  con  quelli  medi 
del  quattordicennio,  si  ha  quest’  altro  specchietto  : 


43  -r 

J5  'w 

.V 

£ "i 

? X 

£ 5 

Tensione 
del  vapore 

45  .— 
£4  o 

V 

N ^ 

j>  li 

Pioggia  totale 

» 

o 

«D 

£ 

II 

Soleggiamento 

Inverno. 

0 

-1,6 

mm 
+ 1,6 

mm 

— 1,  07 

—4,  4 

mm 
+0,  13 

m m 

— 62,  8 

+ 1,  5 

—0,03 

Primavera  . 

— 0,  3 

+0,  1 

+0,  12 

—0,  7 

+0,  28 

- 

4-2  2 

0,  00 

Estate  . 

-4-0,  4 

— 0,  3 

+0,  48 

4-0,  4 

+0,  62 

+ 8,  9 

+4,6 

— 0,  07 

Autunno 

—0,  3 

—0,8 

—0,  35 

-2,7 

,4-0,  75 

— 97,  8 

+ 2,  5 

— 0,  06 

Anno 

-0,4 

4-0, 1 

—0,  21 

— 1.8 

+ 0,  44 

1 

—158,9 

+2,  6 

— 0,  04 

Le  differenze  generalmente  sono  poco  forti  : però  la  pioggia 
fu  inferiore  alla  normale  in  tutte  le  stagioni  (eccetto  1’  estate)  e 
nell’  insieme  dell’  anno.  La  nebulosità  fu  sempre  maggiore  della 
normale,  e ciò  specialmente  nell’  estate. 

Quanto  alle  medie  mensili  in  confronto  alle  normali  , il 
gennaio  ed  il  febbraio  ebbero  temperatura  bassa,  l’agosto  l’ebbe 
alta;  in  dicembre  l’umidità  relativa  fu  molto  forte  e la  pioggia 
abbondantissima. 

E da  notarsi  anche  la  poca  frequenza  di  aria  perfettamente 
trasparente  in  tutto  1’  anno. 

Riguardo  agli  estremi  meteorici,  fu  notevole  la  temperatura 
minima  dell’anno  — 1°,4  in  febbraio;  con  abbondante  caduta  di 
neve  per  due  notti  di  seguito,  ciò  che  in  Catania  non  si  era  verifi- 
cato da  parecchi  anni;  1’  altissima  pressione  (771m,2)  in  gennaio,  e 
la  grandissima  tensione  del  vapore  acqueo  (20mm,54)  in  settembre. 

Avendo  ora  14  anni  di  osservazioni  , abbiamo  creduto  op- 
portuno di  fare  anche  il  Quadro  ]S\  5 che  dà  i risultati  relativi 
ai  venti,  allo  stato  del  cielo  , ecc.  e gli  estremi  degli  elementi 
meteorici  nei  medesimi  14  anni. 

Risulta  confermata  la  consueta  predominanza  in  Catania  dei 
venti  col  seguente  ordine  Ì7E,  E,  W,  SW  ; la  notevole  serenità 
del  cielo  , la  scarsità  dei  giorni  con  pioggia  , grandine  , neve  , 
o brina,  ed  anche  la  scarsità  dei  temporali. 


4 


A.  Ricco  e A.  Cavasino 


Memoria  Vili.] 


Quadro  N.  1 — 1905. 


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-4^  ©H 

© *C 

P4 

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Medie 

dei  massimi  diurni 
di  temperatura, 
dei  minimi  e delle  escurs. 

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Dicem.  1904 

0 

11,0 

o 

14,7 

0 

7,8 

o 

6,  9 

0 

12,9 

o 

16,  1 

mm 
757,  6 

mm 
6,  91 

i 

66,  7 

Gennaio  ’905 

8,1 

11,  9 

4,8 

7,1 

10,  4 

15,  8 

758,  7 

5,  35 

62,  6 

Febbraio.  . 

8,  8 

13,1 

5,1 

8,  0 

10,2 

15,  9 

759,0 

5,  25 

58,  4 

Marzo  . . . 

12,  9 

17,2 

8,7 

8,5 

11,7 

16,  0 

755,  4 

7,  07 

60,  5 

Aprile  . . . 

15,  7 

19,8 

11,7 

M 

13,  8 

16,  0 

754,  9 

8,  39 

60,  4 

Maggio  . . 

18,  4 

22,  3 

14,  6 

7,7 

15,  6 

16,  1 

756,  1 

10,  05 

61,7 

Giugno  . . 

22,  6 

26,  6 

17,8 

8,8 

17,7 

16,  1 

755,  8 

11,  29 

53,8 

Luglio . . . 

26,  7 

31,  1 

22,4 

8,  6 

20,  8 

16,  2 

755,  7 

14,60 

52,9 

Agosto.  . . 

27,  4 

81,7 

22.  8 

8,9 

22,  3 

16,  3 

756,  2 

14,  33 

50,8 

Settembre  . 

24,  7 

28,8 

20,  5 

8,  3 

22,4 

16,4 

756,  9 

14,  55 

60,  2 

Ottobre  . . 

18,  3 

22,  4 

14,  4 

8,  0 

19,  2 

16,  2 

755,  2 

9,  99 

60,7 

Novembre  . 

15,  9 

19,  9 

12,1 

7,  8 

17,0 

16,  2 

756,  8 

9,  36 

66.  0 

Dicembre  . 

12,1 

15,  0 

9,  6 

5,  4 

14,  9 

16,  3 

759,  7 

7,  21 

75,  8 

Inverno  . . 

9,3 

13,2 

5,  9 

7,3 

11,2 

15,  9 

758,4 

5,  84 

62,  6 

Primavera . 

15,  7 

19,  8 

11,7 

8,1 

13,  7 

16,  0 

755,  5 

8,50 

60,  9 

Estate  . . . 

25,  6 

29,8 

21,  0 

8,  8 

20,  3 

16,  2 

755,9 

13,  41 

52,  5 

Autunno  . 

19,  6 

23,7 

15,7 

8,  0 

19,  5 

16,  2 

756,  3 

11,  30 

62,3 

Anno  meteor. 

1 7,  5 

21,  6 

13,  6 

8,  0 

16,2 

16,  1 

756,  5 

9,  76 

59,  6 

» civile. 

17,  6 

21,  6 

13,7 

7,9 

16,  3 

16, 1 

756,  7 

9,79 

60,  3 

Risultati  delle  osservazioni  meteorologiche  del  1905  eco. 


5 


Quadro  UT.  2 — 1005. 


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TRASPARENZA  ATMOSF. 

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Dicem.  1904 

min 
1,  68 

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127,  1 

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296.5 

0,  43 

3,  3 

3,5 

0,  11 

Gennaio  ‘905 

1,99 

74,  5 

w 

54,  1 

102,  8 

305,  1 

0,  34 

3,  5 

3,7 

0,  12 

Febbraio.  . 

2,  47 

46,  2 

w 

54,  4 

129,  6 

301,  0 

0,43 

3,2 

3,  4. 

0,17 

Marzo  . . . 

2,51 

19,  3 

w 

46,  3 

211,  9 

370,  4 

0,  57 

3,  3 

3,  5 

0,  11 

Aprile  . . . 

3,14 

4,3 

NE 

42,  2 

187,  2 

394,  4 

0,  47 

2,  7 

3,0 

0,  02 

Maggio  . . 

3,  64 

80,  3 

NE 

50,  2 

193,  2 

438,  4 

0,44 

2,6 

2,8 

0,  00 

Giugno  . . 

4,  80 

3,  6 

NE 

31,  2 

247,  7 

439,  9 

0,  56 

2,9 

3,  1 

0,  00 

Loglio.  . . 

5,  73 

27,  9 

NE 

24,  3 

254,  0 

446,6 

0,  57 

2,  5 

2,  7 

00,  1 

Agosto.  . . 

6,  68 

1,3 

E 

13,  8 

258,0 

419,  0 

0.62 

3,  1 

3,4 

0,  06 

•Settembre  . 

4,  70 

45,  7 

NE 

25,  9 

200,  2 

370,  8 

0,  54 

3.  0 

3,2 

0,  07 

Ottobre  . . 

4,  32 

98,7 

W 

53,  3 

141,  1 

345,  8 

0,  41 

3,0 

3,  3 

0,  08 

Novembre  . 

2,  89 

10,  3 

w 

59,4 

93,3 

303,  1 

0,  31 

2,  9 

3,  1 

0,  04 

Dicembre  . 

1,  70 

231,4 

NE 

69,1 

68, 1 

296,  5 

0,23 

2,7 

2,  9 

0,  08 

Inverno  . . 

2,  05 

177,8 

W 

50,  4 

359,  5 

902,  6 

0,  40 

3,  3 

3,  5 

0,  13 

Primavera . 

3, 10 

103,  9 

NE 

46,  2 

592,  3 

1203,  2 

0,  49 

2,9 

3,1 

0,  04 

Estate  . . . 

5,  74 

32,  8 

NE 

23,  0 

759,  7 

1305,  5 

0,  58 

2,8 

3,1 

0,  02 

Autunno.  . 

3,  97 

154,  7 

W 

46,  2 

434,6 

1019,  7 

0,  42 

3,0 

3,2 

0,  06 

Anno  meteor. 

3.  71 

469,  2 

NE 

41,4 

2146,  1 

4431,  0 

0,  47 

3,  0 

3,  2 

0,  06 

» civile 

3,  71 

643,  5 

NE 

43,  6 

2087,  1 

4431,  0 

0,  46 

2,  9 

3,2 

0,  06 

6 


A.  Ricco  e A.  Car asino 


[Memoria  Vili.] 


Quadro  M.  3 — 1905. 


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ESTREMI  METEOROLOGICI  ANNUI 

9 

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35 

20 

25 

110 

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1 

1 

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Temperatura 

38,°  2 

— 1,°  4 

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dell’  aria 

29  agosto 

16  febbraio 

NE 

12 

19 

24 

16 

71 

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1 

7 

17 

6 

31 

Temperatura 

24,°  5 

5,0  4 

del  sotterraneo 

29  agosto 

16  febbraio 

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2 

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5 

Temperatura 

16,°  4 

15,°  5 

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acqua  del  pozzo 

12  settembre 

10  gennaio 

n 

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12 

11 

15 

5 

43 

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19 

11 

5 

19 

54 

Pressione 

771,  2 

743,0 

£ 

NW 

5 

2 

1 

14 

22 

atmosferica 

24  gennaio  9h 

17  aprile  15h 

Tensione 

20,  54 

1,  69 

sereni 

29 

22 

58 

29 

138 

| vapore  acqueo 

24  sett.  21h 

4 febbraio  8h 

•- 

misti 

35 

55 

30 

42 

162 

O 

Umidità 

100 

13 

coperti  .... 

26 

15 

4 

20 

65 

relativa 

15  febbr.  21h 

29  giugno  15h 

0 

con  pioggia  . 

36 

27 

20 

28 

ni 

1 con  grandine  o 

Evaporazione 

13,  34 

0.  30 

fi 

T 

neve  .... 

4 

1 

0 

0 

5 

in  24h  all’ombra 

4 ottobre 

17  gennaio 

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con  nebbia  . . 

2 

1 

0 

3 

6 

46,  8 

S" 

Pioggia  in  24h 

— 

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con  brina.  . , 

2 

0 

0 

0 

2 

1 

30  ottobre 

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"5 

SS 

con  temporale 

5 

2 

1 

6 

14 

Velocità 

oraria  del  vento 

40  Km.  NE 

— 

e direzione 

29  genu.  llh 

'conscariche  elettriche 

12 

8 

19 

10 

49 

Risultati  delle  osservazioni  meteorologiche  del  1905  eoe, 


i 


Quadro  ST.  4 - Medie  1802-1905. 


Tempe 

dell’ 

all’osser- 

vatorio 

ratura 

aria 

ridotta 
al  mare 

Pres 

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all’osser- 

vatorio 

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Nebulosità 

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Gennaio  . . 

0 

10,1 

0 

10,4 

mm 

757,  3 

min 

762,8 

mm 
6,  47 

66,  3 

mm 
1 , 80 

mm 
80,  9 

47,  5 

0,  44 

Febbraio.  . 

11,  0 

11,  3 

756,  5 

762,  0 

6*  74 

65,  3 

2,  08 

61,  4 

48,8 

0,  46 

Marzo  . . . 

12,  6 

13,  0 

755,  2 

760,  6 

7,  32 

64,  3 

2,  28 

51,  5 

47,  0 

0,  48 

Aprile  . . . 

15,  1 

15,  5 

755, 1 

7 60,  4 

8,  32 

62,  7 

2,70 

34,8 

45,  9 

0,46 

Maggio.  . . 

18,  5 

18,  9 

755,  8 

761,  0 

9,  51 

57,  8 

3,  48 

24,  8 

39,  0 

0,  52 

Giugno.  . . 

22,9 

23,  2 

756,  l 

761,  3 

11,  70 

53,  1 

4,  52 

6,  5 

26,  4 

0,  60 

Luglio.  . . 

26,3 

26,6 

755,  9 

761,  0 

13, 12 

49,  7 

5,  55 

4,4 

12,7 

0, 68 

Agosto.  . . 

26, 

26,  6 

756,  5 

761,  6 

13,99 

53,  6 

5,  28 

13,  1 

16,2 

0,  67 

Settembre  . 

24,  1 

24,  4 

757,  1 

762,  3 

13,  37 

59,0 

4,  46 

52,  4 

29,  9 

0,  56 

Ottobre  . . 

20,  3 

20,7 

757,  0 

762,  3 

12,  04 

66, 1 

3,  09 

92,  0 

48,  2 

0,  47 

Novembre  . 

15,  4 

15,  8 

757,4 

762,  7 

9,53 

70,1 

2, 10 

108,  1 

53,0 

0,  42 

Dicembre  . 

11,7 

12,1 

756,  6 

762,  1 

7,  51 

69,  4 

1,  86 

98,  3 

50,  5 

0,39 

Inverno  . . 

10,  9 

11,  3 

756,  8 

762,  3 

6,  91 

67,0 

1,92 

240,  6 

48,  9 

0,43 

Primavera. 

15,  4 

15,  8 

755,  4 

760,  7 

8,  38 

61,  6 

2,82 

111,  1 

44,  0 

0,  49 

Estate . . . 

25,  2 

25, 5 

756,  2 

761,  3 

12,  93 

52, 1 

5,  12 

23,  9 

18,  4 

0,  65 

Autunno.  . 

19,9 

20,  3 

757,  1 

762,  4 

11,  65 

65,  0 

3,22 

252,5 

43,  7 

0,  48 

Il  Anno  . . . 

17,  9 

18,  2 

756,  4 

761,  7 

9,  97 

61,  4 

3,27 

628, 1 

38,8 

0,  51 

Meteore  acque  — numero  dei  giorni  Frequenza  della  calma  e dei  venti 


8 


A.  Ricco  e A.  Cavasino 


[Memoria  Vili.] 


Quadro  5 — Medie  1802-100*5. 


j sereni 

1 misti 

1 coperti  .... 
I con  pioggia  . 

I 

{ con  grandine  . 

(con  neve.  . . 

con  briua.  . . 

I con  nebbia  . . 
l con  temporale 


Inverno 

Primavera 

Estate 

Autunno 

Anno 

ESTREMI  METEOROLOGICI 

DEI.  QUATTORDICENNIO 

Massimo 

Minimo 

29 

25 

38 

39 

131 

7 

4 

o 

6 

19 

Temperatura 

4-  41,  1 

o 

- 1,8 

dell’  aria 

11  Agosto 

19  Febbraio 

1896 

1895 

9 

19 

16 

11 

OD 

7 

13 

16 

10 

46 

mm 

111  III 

Pressione 

772,  3 

737,  7 

1 

5 

8 

3 

17 

atmosferica 

9 Febbraio  9h 

17  Genn.  9h 

1903 

1893 

2 

2 

1 

2 

7 

mm 

(Vi  Ili 

12 

7 

5 

7 

31 

Tensione 

21,  73 

1,  07 

vapore  acqueo 

3 Settem.  15h 

18  Febbr.  21h 

1902 

1895 

16 

12 

4 

8 

40 

8 

5 

2 

5 

20 

Umidità 

100 

4 

relativa 

1892,  18  Feb.  12h 

26  Giugno  7h 

1893,  1 Geu.  9» 

1898 

24 

29 

67 

29 

149 

1904,  7 Geu.  9h 

1905,  15  Feb.  21h 

34 

41 

21 

38 

134 

min 

mm 

32 

22 

4 

24 

82 

Evaporazione 

18,  22 

0,  08 

in  24h  all’  ombra 

25  Giugno 

27  Gennaio 

33 

25 

9 

25 

92 

1898 

1896 

1,  5 

1,0 

0,2 

0,  8 

3,  5 

mm 

Pioggia  in  24l1 

175,  2 

— 

0,  6 

0.  0 

0,  0 

0.0 

0,  6 

25  Settembre 

1902 

2,7 

2,1 

0,  3 

1,  5 

6,6 

Velocità 

55  Km.  N 

— 

0,4 

0,  1 

0,1 

0,1 

0,7 

oraria  del  vento 

22  Dicem.  21h 

e direzione 

1904 

3,2 

3,7 

3,  7 

4,9 

lo,  5 

Memorisi  IX, 


Sul  moto  di  rotolamento 


Memoria  1“  del  prof.  G.  PENNACCHIETTI 


Il  vincolo  di  rotolamento  puro,  cioè  senza  possibilità  di 
strisciamento,  si  esprime,  coni’  è noto,  mediante  un  sistema  di 
equazioni  ai  differenziali  totali,  per  lo  più  non  integrabile,  per 
il  qual  fatto,  da  più  anni,  si  è riconosciuto  che  alcuni  principii 
e procedimenti  generali  della  meccanica  razionale  non  sono  ap- 
plicabili, senza  opportune  modificazioni,  a siffatta  specie  di  pro- 
blemi. I sistemi  in  movimento  ad  n gradi  di  libertà  sono  stati 
con  Hertz  (*)  distinti  in  olonomi  e non  olonomi.  Questi  ultimi 
sistemi,  ai  quali  assai  spesso  appartengono  i corpi  in  rotolamento 
puro,  hanno  dato  origine  a importanti  lavori  recenti,  tra  cui 
quelli  degli  illustri  matematici  Leumann,  Yierkand,  Hada- 
mard,  Caryallo,  Korteweg,  Appell  (2),  Maggi  (3)  e (Deb- 
bia (4).  Quanto  segue  si  riferisce  al  problema  del  rotolamento  puro 
di  un  corpo  solido  sopra  un  corpo  solido  fisso  e panni  che  nella 
forma  spedita  di  tali  svolgimenti  possa  trovarsi,  se  non  m’ingan- 
no, qualche  piccolo  contributo  alla  teoria  meccanica  del  moto 


("*)  Prinzipien  cler  Mechanik,  1894. 

(-)  Si  vegga  1’  eccellente  opera  di  P.  Appell,  Traité  de  Mécanique  Rationello,  ove  si 
trovano  anche  molte  citazioni,  t.  II,  seconda  edizióne  1904.  Si  consulti  anche:  P.  Appell, 
Scientia  1899,  Lee  mouvements  de  roulement  en  Dynamique. 

( 3 ) Teoria  matematica  del  movimento  dei  corpi,  Milano  1896  ; Principii  di  Stereodina- 
mica, 1903,  nei  quali  trattati  la  teoria  dei  sistemi  non  olonomi  è bastantemente  svolta  e si 
hanno  altre  citazioni  sul  soggetto. 

('*)  M.  Gebbia.  Sulla  integrabilità  delle  condizioni  di  rotolamento  di  un  corpo  solido 
sopra  un  altro,  e su  qualche  questione  geometrica  che  vi  è connessa.  Rendiconti  del  Cir- 
colo Matematico  di  Palermo,  T.  XX,  anno  1905. 

Atti  Acc.  Serie  4a,  Vor,.  XIX  — Mera.  IX. 


1 


2 


G.  Pennacchietti 


[Memoria  IX.] 


di  rotolamento,  sicché  ho  stimato  farne  oggetto  della  presente 
pubblicazione. 


Sia  xx  yi  zl  una  terna  d’assi  cartesiani  ortogonali  fìssi  nello 
spazio.  Gli  assi  s’intenderanno  sempre  disposti  in  modo  che  un 
osservatore  coi  piedi  all’  origine  0t  e col  capo  verso  zì  veda  av- 
venire dalla  sua  sinistra  alla  sua  destra  la  rotazione  di  90°  con 
la  quale  si  può  far  coincidere  la  semiretta  0^  colla  semiretta 
01?/1  ed  analoga  disposizione  intenderemo  per  ogn’ altra  terna 
d’  assi  che  ci  occorrerà  di  considerare.  Il  centro  di  gravità  0 
del  corpo  mobile  si  assuma  come  origine  comune  di  un  sistema 
di  assi  0 x\y\z\  paralleli  agli  assi  0ixiyizl  e del  medesimo  senso 
rispettivamente  e d’  un  sistema  d’  assi  0 xyz  fìssi  nel  corpo.  Di- 
remo Yj,  £ le  tre  coordinate  di  0 rispetto  agli  assi  0 ixiyizi,  <p 
i tre  angoli  euleriani  che  servono  a determinare  la  posizione 
della  terna  0 xyz  rispetto  alla  terna  0 x jy\z  Diremo  cq , «., , a3  i 
coseni  direttori  dell’  asse  Oa*  rispetto  alla  terna  0 ixiyizi , ed  ana- 
logo significato  abbiano  [B2,  P3  ; y1?  T2>  T3  per  gli  altri  due  assi 
0 y,  0s.  Ohiameremo  x,  y , z : xi,  yì,  zi  le  coordinate  d’uno  stesso 
punto  del  corpo  rispetto  agli  assi  omonimi. 

Le  due  superfìcie  convesse  del  corpo  mobile  e del  corpo  fisso 
in  contatto  sieno  rappresentate  rispettivamente  dalle  equazioni  : 


§ I. 


Relazioni  geometriche  provenienti  dal  solo  contatto. 


(1)  /(*,  y,  ?)  = 0 , (2)  F (aq,  yl}  ZJ  = 0. 


Le  formule  di  trasformazione  delle  coordinate  sono  : 


x = ixL  — §)  «i  + (; IJ L — ri)  p4  + (z1  — Q Ti  ? 

y — t*i  £)  a2  ~b  (Vi  — ri)  P2  ~f"  (zi  ~ £)  h i 

z = (xL-  q)  a3  + (yi  - -/])  p3  -f-  (zL  — Q T3 


/Sul  moto  di  rotolamento 


3 


colle  loro  inverse  : 

— £ — «i  * + «2  y + «s  * i 

Vi  - ri  = Pi x + P2  y + P3  2 > 

zi  — £ = Tt  * rf-  T-2  3/  h z • 

Avendo  le  due  superficie  nel  punto  di  contatto  la  normale 
connine,  le  coordinate  di  questo  x,  y , z;  xv  yv  zi  dovranno,  oltre 
alle  (1)  e (2),  soddisfare  alle  due  equazioni  : 

3f_  K K. 

dx,  dy,  .32, 

~JF  ÌF_  W~ 

dx,  3 y,  dz. 


(L 


cioè,  facendo  uso  delle  formule  (3)  : 


(5) 


df  , df  , 
3^+3^“*+ 
di | 
dx. 


df 

dza> 


dx  1 1 1 


i/ 


32 


3i^ 


3/'  , df  . 

3^+37'^ 
3 F 
dz{ 


E_. 

dz 


Le  (1),  (2),  (5)  per  mezzo  delle  (4)  e delle  formule  die 
esprimono  i nove  coseni  mediante  i tre  angoli  euleriani  sono 
quattro  equazioni  fra  le  nove  quantità  £,  vj,  S,  0,  ’s>,  l>,  x,  ?/,  z.  Ael 
caso  in  cui  queste  4 equazioni  siano  tutte  fra  loro  compatibili  e 
distinte,  potremo  ottenere  1’  espressione  d’  uno  de’  sei  parametri 
S,  v],  Z,  0,  <p,  <|>  in  funzione  degli  altri  cinque  e potremo  avere 
altresì  l’espressione  delle  tre  coordinate  x,y,z  del  punto  di  con- 
tatto in  funzione  di  questi  cinque  parametri  e,  posto  che  il  cor- 
po solido  mobile  non  sia  soggetto  ad  altro  legame  oltre  il  pre- 
supposto contatto  col  corpo  fisso,  il  sistema  mobile  avrà  cinque 
gradi  di  libertà.  È pure  agevole  la  interpretazione  del  caso  in 
cui  le  4 suddette  equazioni  non  siano  tutte  fra  loro  distinte, 


4 G.  Pennacchi  etti  [Memoria  IX. J 


ma  siano  bensì  compatibili.  Dell’  uno  e dell’  altro  caso  seguono 
qui  gli  esempi. 

A)  — Le  due  superfìcie  rappresentate  dalle  (1) , (2)  siano  p.  es. 
sferiche  e tangenti  esternamente,  avendo  la  seconda  il  centro  nel 
punto  . Le  stesse  equazioni  potranno  assumere  rispettivamente 
le  forme  : 


X‘ 

5 -f  y2  -f-  s2  = R2 , x2  + y 2 + z*  = R2  ; 

si  dicano  b,  e,  le  coordinate  del  punto  0a  rispetto 

0 xyz  ; si  troverà  col  metodo  ora  accennato  il  risultato 

agli  assi 
d’  altron- 

de  evidente  ; 

Ra  Rh  Re 

X R+R^  y R-^R{  ’ ^ R+R,  ’ 

l/S*  + r, 2 -j-Z2  = R+R,  , 

essendo  : 

a = — (£cq  -f  7jP4  -f  CTi) , 
b = — (c[a2  -4  riP2  + ^2)  ? 
0 — — (^a3  + -/Ìp3  + ^Ts)  • 

B)  — Supponiamo  invece  che  la  superfìcie  fìssa  sia  il  piano 
01  xi  yi  , onde  : 

3P_0  f^_0 
3®,  ’ 3y,  ’ 

(7) 

_3£  3/1  3/1 

02/  32 

Ti  T2  T3 

Il  piano  fisso  ssi=  0 è rappresentato  rispetto  agli  assi  0 xyz 
dall’  equazione  : 

(8)  Ti*  + T*3'  + T8s,  = — Z- 

Poiché  : 

■q  = sen  6 sen  tp  , T2  — sen  ® cos  h — cos  ® ? 


(9) 


Sul  moto  di  rotolamento 


5 


le  equazioni  (1) , (7) , (8)  ci  daranno  una  relazione  algebrica 
fra  0 , <p,  Z,  p.  es. 

C = Z (0,  cp) 

ed  inoltre  le  espressioni  di  x , z in  funzione  di  0,  cp  : 

y = y(Q,< p),  z = z(d,i p) . 

P.  es.  se  il  corpo  mobile  in  contatto  col  piano  fisso  01  xi  yx 
è terminato  dall’ellissoide  : 


I — I — ! 

a2  -r  b2  -f  C2  — 


si  trova  : 


x — — 


«2U 


c2T2 


« = l/»V+»V+o!t.. 

ove  sarà  preso  il  radicale  positivamente,  supponendo,  come  si 
farà  anche  in  seguito,  la  semiretta  0jsi  diretta  verso  quella  parte, 
rispetto  al  piano  0 ìxiyì , nella  quale  è il  corpo. 

Nel  caso  di  una  sfera  mobile  di  raggio  li  si  porrà  nelle  ul- 
time 5 equazioni  a=b=c  = H e si  verifica  così  il  risultato 
evidente  : 

.V  — — i2Tl  , y = — Ep,  , S = — Rh,  Z — R. 

C ) — Se  la  superfìcie  mobile  è di  rivoluzione  ed  è rappre- 
sentata dall’  equazione  : 


z =.  F (p)  ove  p =r  [/  x‘l  -f-  if  , 

si  troverà  facilmente  dalle  (7)  e (8),  supponendo  0 acuto: 
^ F'  (p)  = tan  6 , x = ~ p sen  cp  , y = — p cos  cp  , z = F (p) , 


(9) 


Z = — F ( p)  cos  6 -j-  p sen  6. 


6 


G.  Pennacchietti 


[Memoria  IX.] 


D) — Supponiamo  che  un  corpo  solido  sia  in  contatto  col 
piano  fìsso  0 per  mezzo  d’uno  spigolo  vivo  circolare  e che  il 
centro  di  gravità  0 sia  sulla  perpendicolare  Oz  condotta  per  0 al 
piano  del  cerchio.  Supporremo  che  la  semiretta  Oz  formi  un 
angolo  acuto  colla  semiretta  0zt.  Le  due  equazioni  del  cerchio 
sieno  : 

x2  -(-  y2  — R2 , z—  — a . 

La  equazione  della  tangente  al  cerchio  nel  piano  del  cerchio 
stesso  è : 

xX-\-yY—  R2  = 0 , 

dove  x , y sono  le  coordinate  del  punto  di  contatto;  X,  Y,  le 
oor  dinate  correnti  rispetto  agli  assi  0 xy  . L’  equazione  del  pia- 
no fìsso  rispetto  a questi  assi  è : 

£ + Ti  X-\-  T2  Y -|-  73  Z = 0. 

Avendosi  anche  : 


Ti  x + L y + z — «Ts  = 0 » 

si  otterrà  : 

x — — R sen  cp  , y—  — R cos  cp , z — — a , Z = a cos  6 R sen  6. 

E)  — Supponiamo  che  la  curva  rappresentata  dalle  equazioni: 
f(X,  ¥,Z)  = 0,  F (A,  Y,Z)  = 0 

debba  essere  tangente  al  piano  fisso  rappresentato  dall’  equazione 

Zl  = — Tc 

o,  ciò  che  è lo  stesso,  dall’  altra  : 


b + T2  T3  z — ~ 


k > 0 . 


Sul  moto  di  rotolamento 


7 


Qui  denotiamo  con  lettere  maiuscole  le  coordinate  correnti 
rispetto  agli  assi  0 xys  rigidamente  uniti  alla  curva  e mobili  in- 
sieme con  essa.  Affinchè  la  tangente  alla  curva  mobile,  rappre- 
sentata dalle  equazioni  : 


i<x-*>+I(r-*)  + I(Z-2)=#’ 


c>F  d F d F 

sr(*— ) + s*(1  -»)  + aT<z-2>=0’ 


giaccia  nel  piano  fìsso,  devono  essere  soddisfatte  le  due  condi- 
zioni : 


K 

3 f 

K 

dx  ’ 

3 y ’ 

dz 

dF 

dF 

d_l F 

dx  ’ 

dy’ 

dz 

Ti  ». 

T2  > 

t3 

K 

dx  ’ 

^—1  ^ 

df  .3  f . df 

te  * + 1^+3?  2 

= 0 

dF 
di)  ’ 

dF 
dy  ’ 

dF  . dF  , dF 
tex  + df  'J  + Tz  z 

Ti  » 

To  » 

— k 

delle  quali  la  seconda  è evidente  conseguenza  della  prima  e 
della  seguente  : 

(è)  Tt  x + h y + Ts  2 = — k. 

Abbiamo  così  un  sistema  formato  da  4 equazioni  che  sono 
le  (a),  (6),  (1)  e (2),  alle  quali  debbono  soddisfare  i sei  parame- 
tri che  determinano  la  posizione  della  fìgura  mobile,  acciocché 
il  contatto  abbia  luogo.  Queste  4 equazioni,  supposte  distinte  e 
non  contradittorie,  ci  daranno  una  relazione  fra  i due  angoli 


8 


G.  Pennacclxietti 


[Memoria  IX.] 


euleriani  0,  © e ci  faranno  perciò  conoscere  le  coordinate  x , ?/,  ~ 
del  punto  di  contatto  in  funzione  di  uno  di  questi  due  angoli . 
La  figura  mobile  avrà  5 gradi  di  libertà.  Se  si  aggiunge  la  con- 
dizione clic  un  punto  connesso  rigidamente  colla  figura  mobile 
sia  fìsso,  il  sistema  ammetterà  due  gradi  di  libertà. 

Nel  caso  di  un  cerchio  di  raggio  B col  centro  fìsso  , 
prendendo  gli  assi  Oj  # , 0 nel  piano  stesso  del  cerchio  e fìssi 
nel  cerchio,  si  troverà  : 


x = — P sen  <p , y = — P cos  <p , 


2 = 0, 


ìc 

E 


= sen  9 


e dovrà  essere  h < B. 

Se  1’  analogo  procedimento  si  applica  ad  una  curva  rigida 
la  quale  1°  debba  essere  tangente  ad  una  retta  fìssa  nello  spazio, 
2°  debba  inoltre  essere  tale  che  un  punto  legato  invariabilmen- 
te alla  curva  stessa  sia  fìsso  nello  spazio,  si  dimostra  facilmen- 
te, supposto  che  tali  condizioni  non  siano  incompatibili,  che  la 
curva  rigida  ha  zero  gradi  di  libertà,  sicché  ne  è impossibile  il 
movimento. 

Se  un  corpo  avente  un  punto  fisso  0,  che  prenderemo  come 
origine  comune  dei  due  sistemi  di  assi  xyz , xiyizi,  è termina- 
to dalla  superfìcie  convessa  avente  per  equazione  f(x,  y , z)  — 0 
e se  tal  superfìcie  dev’  essere  tangente  al  piano  fìsso  rappresen- 
tato dalla  equazione  zi  — — li  cioè  iLx-\ - 7*2/ + Ts*  — — que- 
st’ultima  equazione,  insieme  con  le  (7)  e con  la  equazione  della 
superfìcie  del  corpo  mobile,  costituisce  un  sistema  di  4 equazioni 
fra  le  tre  coordinate  x , y,  z del  punto  di  contatto  e gli  angoli 
euleriani  6,  <p.  Supposte  le  equazioni  compatibili,  il  corpo  solido 
avrà  due  gradi  di  libertà. 

F)  — Si  abbia  un  cilindro  colle  generatrici  parallele  all’asse 
Ox  e la  sua  superfìcie  sia  rappresentata  dalla  equazione  : 

y — F(z)  = 0 . 

Questo  cilindro  debba  esser  tangente  al  piano  fìsso  0t  xi 


Sul  moto  di  rotolamento 


9 


rappresentato  dalla  (8)  rispetto  agli  assi  0 xyz.  Le  equazioni  (7) 
saranno  nel  presente  caso  : 

Ti  = 0,  Ts  + T2  f'  (*)  = 0 

cioè  : 

sen  0 sen  cp  = 0,  cos  6 -J-  sen  6 cos  co  F'  (z)  = 0. 

La  (8)  diventerà  : 

y sen  0 cos  cp  — [ -z  cos  0 = — Z . 

Escludendo  il  caso  in  cui  F'(z)  possa  diventare  infinito  e 9 
possa  prendere  il  valore  zero,  si  hanno  le  seguenti  4 relazioni 

COS  co  rrr  + 1 , F'  (z)  — + COS  0 , 

Z = + 3;  sen  0 — z cos  0 , y =.  F (z)  é 


Queste  dimostrano  che  il  cilindro  ha  4 gradi  di  libertà  e 
determinano  la  generatrice  di  contatto.  Possiamo  disporre  gli 
assi  in  modo  che  sia  cp  = 0,  sicché  nelle  ambiguità  possiamo  as- 
sumere i segni  superiori. 

G)  — Un  corpo  sia  limitato  da  una  superficie  conica,  per 
mezzo  della  quale  esso  sia  in  contatto  col  piano  fisso  : 

zi  = 0 

e la  equazione  della  superficie  conica  sia  : 

P — F(o)  = 0, 

ove  : 

y -f-  b z -f-  c 

p — -T  - ? a = 1 ■ ? 

x -\ -a  x a 

e dove  a,  1) , c sono  le  coordinate  conosciute  del  centro  di  gra- 
vità 0 del  corpo  rispetto  a tre  assi  x0  yQ  z0  condotti  pel  vertice 
del  cono  parallelamente  agli  assi  0 xyz  fissi  nel  cono  stesso . Se 

Atti  Acc.  Serie  4%  Voi..  XIX  — Mem.  IX. 


2 


10 


G.  Pennaccliietti 


[Memoria  IX.| 


invece  delle  variabili  y , z si  prendono  le  variabili  p,  a,  le  (7) 
e (8)  ci  daranno  facilmente  : 

— p -}-  z F'  (o)  __  JL_ — F'  (o) 

Ti  _ T2  _ T3  ’ 

5 = «Ti  + fcT2  + ch  • 

Abbiamo  così  un  sistema  di  4 equazioni  tra  p,  6,  ©,  £ 
dalle  quali  possiamo  ottenere  : 1°  una  relazione  tra  i due  angoli 
euleriani  0 , ©,  2°  la  espressione  di  £ in  funzione  di  uno  di  questi 
due  angoli,  p.  es.  <p,  3°  i valori,  in  funzione  di  cp,  dei  due  para- 
metri p , a che  determinano  la  generatrice  di  contatto.  Perciò 
una  superfìcie  conica  rigida,  obbligata,  nel  suo  movimento,  a 
rimanere  semplicemente  in  contatto,  cioè  in  generale  con  stri- 
sciamento, con  un  piano  fìsso,  ha  quattro  gradi  di  libertà. 

§ II. 

Relazioni  provenienti  dall’  assenza  di  strisciamento. 

Ci  riferiremo  generalmente,  ove  non  si  dica  il  contrario, 
al  caso  in  cui  il  corpo  avrebbe  cinque  gradi  di  libertà  se  si 
considerassero  le  sole  relazioni  che  provengono  dal  semplice  con- 
tatto e che  si  sono  considerate  nel  paragrafo  precedente . 

Le  componenti,  secondo  gli  assi  0lxiylzl  fissi  nello  spazio, 
della  velocità  V di  un  punto  qualunque  del  corpo  sono  date, 
come  si  sa,  dalle  equazioni  : 

= % + «i  (*i  — Z)  — ri  (Vi  ~ >l)  » 

L/i  = n + »’i  K — S)  --  Pi  Oh  — z) , 

VzL  = Z'-^Pi  (Vi  — fi)  - 2,  K — ?) , 

nelle  quali  , qx  , ri  sono  le  componenti,  secondo  gli  assi  xiyissì^ì 
della  velocità  angolare  istantanea  del  corpo.  Se  xi,yi,  zl  sono 


Sul  moto  di  rotolamento 


11 


le  coordinate  del  punto  del  corpo  mobile  che  all’  istante  t è in 
contatto  col  corpo  fisso,  si  avrà: 


Osservando  che  la  componente  della  velocitò  del  centro  di 
gravitò  secondo  la  normale  n comune  alle  due  superficie  condotta 
pel  punto  di  contatto,  è evidentemente  nulla,  una  di  queste  tre 
equazioni  è conseguenza  delle  altre  due  in  virtù  delle  relazioni 
geometriche  considerate  nel  § I. 

Otteniamo  così  le  seguenti  relazioni  cinematiche  : 


una  delle  quali,  per  quanto  abbiamo  detto,  può  dedursi  per 
mezzo  della  derivazione,  dalla  equazione  algebrica  tra  tj,  z,  0,  co,  c|> 
che  si  ottiene  secondo  il  § I . 

Denotando  con  p,  q,  r le  componenti  della  velocitò  angolare 
istantanea  secondo  gli  assi  Oxyz  e valendosi  delle  formule  di 
trasformazione  delle  coordinate  (§1,4),  si  avrà  dalle  (1): 


W j ri  —Ih  -Q-  rL  [x,  — K) , 

\ — Pi(yi  - *]), 


% = K*  — a3y)p  + M 2 + («!«/  — 


(CC3X  — atz)  q -f  (cqy  — a0x)  r, 


(2)  i 'r(  = ~ M P + (hx  ~ M 2 + (M  — M r > 

\ Z'  = — T 3y)  P + (hx  — Ti*)  <1  + (hy  — t2*)  r • 


Siano  «,  à,  c le  coordinate  del  punto  fisso  rispetto  al 
sistema  di  assi  0 xyz  legati  invariabilmente  al  corpo  mobile.  Si 


G.  PennaccMetti 


[Memoria  IX.j 


12 


avrà  : 

a — — (S«4  + r$L  + CTt) , 
b = — (^a2  -f-  */]P2  -j-  Ct2)  , 
c — — (^“3  + "(IP3  + CTs)  • 

Se  queste  equazioni  si  derivano  rispetto  al  tempo  e nei  ri- 
sultati si  sostituiscono  invece  di  V,  e;'  le  espressioni  (2)  e 
invece  delle  derivate  dei  coseni  si  pongono  le  note  espressioni 
in  funzione  dei  coseni  stessi  e di  p,  q , r,  si  ottengono  le  formule 
seguenti  : 

a = q(z  — c)  — r(y  — b), 
b'  = r [x  — a)  — p (z  — c) , 
c=p(y  — b)  — q{x  — a), 

da  7,  db  , de 
-T7  , b c =-r7  . 


ove  è posto 


(3) 


Chiamando  TT  la  velocità  del  centro  di  gravità,  si  avrà 
dalle  (2)  : 

W2  — (x2  + y2  + z2)  ( p 2 + q2  + r2)  — ( xp  + yq  -f  zrf  . 


Se  x,  y , z sono  assi  baricentrici  principali  del  corpo  mo- 
bile e se  A,  B,  G sono  i momenti  principali  d’inerzia  ed  ‘m  è 
la  massa  totale  del  corpo,  la  forza  viva  T sarà  data  dall’  espres- 
sione : 


(4) 


(x2-\-y2-lrz2)(p2-\-q2-\-r2) — {x:p-\~yq-\-zr)2 


+ \ {Ap2-\- Bq2  + Cr)2. 


Nei  tre  casi  seguenti  A),  B),  C ) il  sistema  mobile  ha 
solo  grado  di  libertà  ed  è quindi  necessariamente  olonomo. 


un 


Sul  moto  di  rotolamento 


13 


JJ)  — Consideriamo  in  particolare  il  caso  del  rotolamento 
puro  di  un  cilindro  sopra  un  piano  (§  I,  TP).  Faremo  uso  delle 
formule  generali  : 

a — cos  <p  cos  •(}>  — sen  cp  sen  cjj  cos  6,  a2  = — sei)  cp  cos  — cos  cp  seu  c|>  cos  b , 

P — cos  «p  seu  c})  -j-  seu  cp  cos  cj>  cos  G,  P2  ==  — seu  cp  seu  cj>  -j-  cos  cp  cos  c|>  cos  0, 
a3  = seu  cjj  sen  0,  P3  = — cos  <j>  sen  0, 

p — seu  0 sen  cp,  = sen  0 cos  cp,  ?3  = cos  0 , 

— cp'  sen  0 sen  <[>  -j-  0'  cos  c[> , qL  — — cp'  sen  0 cos  cjj  -|-  6'  sen  cp, 
rA  r=z  cp'  cos  0 cj/. 

Colle  convenzioni  e notazioni  del  (§  I,  jF1)  avremo  : 
y = F (z) , cp  =r  0,  F'  (z)  — cot  0 , £ = — (/  sen  0 — 2 cos  0. 

Le  prime  due  delle  equazioni  (1)  diventano  : 


5'  -j-  0'  sen  cj;  (j/  sen  6 -j-  z cos  0)  — di'  x sen  cj>  -j-  cos  cj>  (y  cos  6 — z sen  6) 


0, 


7j'  -j-  cj/  a?  cos  cj>  -[-  seu  cjj  ( — y cos  0 -j-  z seu  0)  — 0'  cos  cjj  {y  sen  b s cos  6)  — (h 


Queste  due  equazioni,  di  1"  grado  rispetto  ad  x,  devono  esj 
sere  soddisfatte  per  qualunque  valore  della  x,  sicché  se  ne  de- 
duce dapprima  cj/  = 0,  cioè  4>  = essendo  <J>0  il  valore  iniziale 
di  cjj.  Per  maggior  semplicità  potremo  supporre  cjjQ  nullo,  sicché 
per  tutta  la  durata  del  movimento  avremo  : 


c}>  = 0. 

Allora  si  avrà  anche  % = 0,  cioè  : 

5 = ^0 

e inoltre  : 


-/)'  — b'  ( y sen  6 -[-  z cos  6)  = 0. 


14 


G.  Pennacchietti 


[Memoria  IX. J 


B) — Consideriamo  il  caso  di  un  cono  che  rotola  senza  striscia- 
re sopra  un  piano.  A causa  delle  relazioni  sopra  trovate  (§  I,  G) 
si  avrà’  dalle  (§  I,  4)  : 


xl  — Z = x (cq  + a2  p + «3  a)  -j-  a2  (ap  — b)  -f  a,  (ac  - c) , 

ÌJi  — ri  = x (Px  — j—  P2  p — P3  G)  P-2  (a?  ~~  b)  + P3  («5  — c) . 
eL  — Z = T2  (op  — 6)  + T3  («o— c). 

Dovendo  le  relazioni  VxL  = 0 , T7[/l=0  e perciò  le  prime 
due  delle  (1)  essere  soddisfatte  qualunque  sia  x,  si  conclude  che 
dovrà  essere  : 

**1  = 0- 

Le  prime  due  delle  (1)  diventeranno  perciò  : 


+ <h  T2  («P  — &)  + h (az  — c ) 


= 0, 


V - ih 


T2  (ap  — 6)  -f  t3  («a  — c) 


: 0. 


Le  tre  ultime  equazioni,  insieme  con  le  quattro  equazioni 
che  nel  (§  I,  G ) si  sono  trovate  tra  le  quantità  p>  o,  0,  Z,  co- 
stituiscono un  sistema  di  sette  equazioni  fra  le  otto  quantità 
p,  a>  Z,  0,  <p,  <I>.  Queste  sette  equazioni  ci  dicono  che  un  cono 
obbligato  a rotolare  senza  strisciamento  sopra  un  piano  fisso 
ha  un  solo  grado  di  libertà,  sicché  la  determinazione  del  movi- 
mento richiede  la  conoscenza  di  un  solo  parametro  in  funzione 
del  tempo. 

C ) — Supponiamo  infine  che  un  corpo  solido  debba  muo- 
versi parallelamente  al  piano  fisso  0 1a,1?y1  e nello  stesso  tempo 
per  mezzo  della  sua  superfìcie,  che  supporremo  convessa,  rotoli 
senza  strisciare  sul  piano  stesso.  Prendo  il  piano  xOy  parallelo 
al  piano  xfiiyi , onde  : 

0 = 0. 

La  linea  dei  nodi  rimane  indeterminata,  ma  condotti  gli 


Sul  moto  di  rotolamento 


15 


assi  0 x{y'z{  paralleli  agli  assi  Oix1yisi , potremo  prendere  la  se- 
miretta Ox^  come  linea  dei  nodi,  onde  : 

4».==  o. 

Si  lia  inoltre  : 

S — Zoì 

essendo  Z0  il  valore  iniziale  di  z.  Se  nel  contatto  non  è impe- 
dito lo  strisciamento,  il  corpo  che  qui  si  considera,  ha  tre  gradi 
di  libertà  ; la  condizione  dell’  assenza  dello  strisciamento  dà  luo- 
go a due  nuove  equazioni  e non  resterà  al  corpo  che  un  solo 
grado  di  libertà. 

§ III. 

Equazioni  del  moto. 

Siano  X,  Y,  Z,  />,  M,  X le  sei  coordinate  del  sistema  delle 
forze  attive  rispetto  agli  assi  0 xyz  supposti  baricentrici  e prin- 
cipali ; siano  X',  Y',  Z',  L' , il/',  N'  le  proiezioni  sugli  stessi  assi 
della  reazione  del  corpo  fìsso  applicata  al  punto  xpj^x  di  con- 
tatto e i momenti  di  questa  reazione  rispetto  agli  stessi  assi. 
Siano  li,  v,  w,  p,  q,  r le  componenti  della  velocità  del  centro 
di  gravità  e della  rotazione  istantanea  e finalmente  denotiamo 
con  A,  B , C i momenti  principali  d’inerzia  del  corpo  mobile 
rispetto  al  centro  di  gravità  0.  Sia  m la  massa  totale  del  corpo 
mobile.  Le  equazioni  del  moto  saranno  : 

m ^Tt  qw  ~~  rvì  ~ x + x'  > 

* ! 

m + ru  ~~  — y+  Y'  ’ 
m pv  ~ ^ z > 


16 


G.  Pennacchietti 


[Memoria  IX.] 


A -)-  ( C — B ) qr  — L -f-  L' , 
B^.  + (A-C}rp  = M + M', 
C Ì^  + (B-  A)pq  = N-\-r. 


Essendo  nulla  la  velocità  del  punto  di  contatto,  si  avrà  : 

u — j—  qz  — ry  = 0,  v -\ -rx  — pz  — 0,  w -j-  py  — qx  — 0. 

Inoltre  si  ha  : 

Li  = yZ'  — zY' , M'  — zX'  — ; xZ\  N'  = xY'  — yX 

Se  Lq  , M0,  JY0  sono  le  proiezioni,  sugli  assi  Oxyz,  del  mo- 
mento risultante  delle  forze  attive  relativo  al  punto  di  contatto, 
si  ha  : 


(1)  L0=  L — yZ+zY,  M0  — M — zX  -J-  xZ,  N0  = N — xY  + yX. 


Dalle  equazioni  precedenti,  per  via  di  eliminazione,  si  ot- 
tengono le  equazioni  del  moto  nella  forma  : 


(2)  \A-\-  — mx  (y  -f  « -^)  -f-  {C—  B)  qr  -f-  m ( pxJrqy-\-rz)X 


X (yr  — «2)  — (qy  + «0  + p {yy'  -f  zz) 

con  due  altre  analoghe,  od  anche  : 


= Ln 


(3) 


A + m (x2  -f-  y2  -f-  z2)  ]^-  _ mx  {x  -f  y -f  e -f  (6Y-  B)  qr 


dt 


dt 


dt 


-j-  m (px  -)-  qy  -f-  rz)  {yr  — zq  — x)  -]- p {xx'  -j-  yy'  -]-  zz) 


= L„ 


con  due  altre  analoghe. 

Moltiplicando  le  (2)  rispettivamente  per  x,  y,  z e sommali- 


Bui  moto  di  rotolamento 


17 


do,  si  trova  la  seguente  notevole  loro  combinazione,  la  quale 
può  tener  luogo  di  una  di  esse  : 


(4) 


A 


dp 

dt 


( C — B)  qr  — L 


Bd±  + (A-V)r1>-M]p  + 


+ {u%  + (B-A)n-v 


= 0. 


Inoltre  si  può  osservare  clie,  quando  esiste  l’integrale  delle 
forze  vive,  questo  può  tener  luogo  di  un’  altra  delle  equazioni 
(2)  ovvero  (3)  del  moto.  Se  U è il  potenziale  da  cui  provengono 
le  forze  attive,  l’ integrale  delle  forze  vive  è: 


(5)  ^m(xz-\-yz-\-z2) (j>2— |— {— »'2)  + ^(Ap2+JBr/+6V2)—  ~m(xp+yq-{-zr)z—  D=h. 

Se  nelle  equazioni  (2)  si  considerano  x,  y , z costanti,  si  ot- 
terranno pel  moto  di  un  corpo  solido  intorno  a un  punto  fisso 
che  ha  le  coordinate  assegnate  x , y , z rispetto  agli  assi  bari- 
centrici  principali  d’inerzia,  le  equazioni  seguenti  : 


A -f  m ( y 2 


dp  do 

mx  ( y —A 

dt  ' dt 


4- 


dv 

*-fa)  + (V  — B)  V + m (px-\~qy  + rz)x 


X (yr  — zq)  — L0  , 

con  due  altre  analoghe,  nelle  quali  equazioni  devono  intendersi 
x , y , z eguali  a costanti  date. 

Nel  caso  del  rotolamento  puro  di  una  superficie  sferica  o 
anche  di  una  linea  sferica  di  raggio  B sopra  una  superfìcie  qua- 
lunque fìssa  le  equazioni  (3)  si  semplificano,  perchè  si  ha  allora 
identicamente  : 

x1  ~Y  V 2 -f - zz  = Rz , xx  -}-  yy  -[-  zz  = 0, 

onde  : 

(6)  (A  -j-  mR2)  ~ — mx  (xp  -]-  yq'  -j-  zr)  -j-  (C  — B ) qr  m (px  -(-  qy  -(-  rz)  x 

X (2/»’  — zq  — x)  = L0 
Atti  Acc.  Serie  4a,  Voi..  XIX  — Mem.  IX. 


3 


18 


G.  Pennaccliietti 


[Memoria  IX.  J 


con  due  altre  analoghe. 

Se  il  corpo  rotolante  è una  sfera  omogenea  soggetta  all’  a- 
zione  di  una  forza  qualunque  applicata  al  centro  e di  una  cop- 
pia situata  in  un  piano  parallelo  alla  retta  che  unisce  il  centro 
al  punto  di  contatto  colla  superficie  fìssa,  si  avrà  : 

A = B = C , Lx  - {-  My  -J-  Nz  = 0 
e la  (4)  diventerà  : 


ÈP  ,r  i d± 
dt  ^ dt 


Se  di  più  la  superficie  fìssa,  su  cui  rotola  la  sfera  , è un 
piano,  quest’  ultima  relazione  diverrà  (§  I,  B)  : 


dp  , dq  , dr  n 

dT^-0’ 

onde,  osservando  che  si  ha  : 

pi  i + 2t'2  + n'  3 = o , 

avremo  : 

Ph  + (lh  + rh  = ^ 

ove  Jc  è una  costante.  Quest’  integrale  del  problema  ci  offre  la 
seguente  proposizione  : /Se  una  sfera  omogenea  è costretta  a roto- 
lare senza  strisciare  sopra  un  piano  fisso , sotto  V azione  di  una 
forza  qualunque  applicata  al  centro  e di  una  coppia  situata  in  un 
piano  qualunque  perpendicolare  al  piano  fisso,  la  componente  della 
rotazione  istantanea  secondo  la  normale  al  piano  fisso  è costante. 

Se  il  corpo  che  è in  contatto  col  piano  fisso  0 lxiyi,  è una 
sfera,  si  avrà  (§  I,  B): 

yr  — zq  — x = 0,  zp  — xr  — y — 0,  xq  — yp  — z = 0, 

e supponendo  di  più  che  la  sfera  sia  omogenea  e che  L0  — 3f0 
z=]¥0=0,  si  concluderà  subito  dalle  equazioni  precedenti  il  ri- 


l 


Sul  moto  di  rotolamento 


19 


sultato  notissimo  : p =p0 , q = q0 , r = rQ,  siocliè  la  rotazione 
avverrà  uniformemente  intorno  a uno  stesso  diametro  della  sfera. 
Perciò  si  può  supporre  = 0 , qQ  = 0 e quindi  : 

c!>  = 0,  6=  0O,  cp  r =r0t 

Pi  = 0,  qt  — — r0  sen  0o , rt  = r0  cos  . 

Essendo  ora  : 

oo i = 5 , = *1  ? «i  = 0 » 

le  (§  I,  1)  diveranno  : 

= — Rr0  sen  0o  , r[  — 0,  = 0 , 

onde  : 

c,  — — Zir0  £ sen  0O , r(  = 0 , 

oltre  £ = 7?,  e si  concluderà  die  il  moto  del  centro  di  gravità 
avviene  uniformemente  lungo  una  retta  perpendicolare  al  dia- 
metro (isso  della  sfera  intorno  al  quale  essa  ruota. 

Qui  osserviamo  che  il  metodo  seguito  dall’illustre  matema- 
tico C.  Xeumamt  (*)  nel  problema  del  moto  di  rotolamento  puro 
di  una  superficie  convessa  sopra  un  piano  fisso  non  è esatto,  per- 
chè si  fonda  sopra  una  non  giusta  applicazione  del  principio  di 
Hamilton  ad  un  sistema  non  olonomo,  per  quanto  il  Leumann 
abbia  avuto  per  primo  il  grande  merito  di  riconoscere  che  sif- 
fatta specie  di  questioni  costituisce  una  classe  di  problemi  ai 
quali  non  si  possono  applicare  inalterati  i principii  classici  della 
meccanica  di  Lagrange.  Applicando  le  formule  di  0.  \ eum 
al  caso  tanto  ovvio  di  una  sfera  pesante  vincolata  a rotolare  so- 
pra un  piano  orizzontale  si  trovano  formule  assai  più  compli- 
cate di  quelle  estremamente  semplici  che  abbiamo  dato  in  fine 


(*)  C.  Neumann,  Ueber  die  rolleude  Bewegnng  anf  einer  gegebenen  Horizontalebeno 
imter  dem  Einfluss  der  Schwere  ; Bericlite  der  Konigl.  sachs.  Gesellschaft  der  Wissenschaf- 
ten  zu  Leipzig,  1885  : Mathematiche  Aunalen,  B.  XXVII,  anno  1886  pag.  478. 


20 


G.  Pennaccliietti 


[Memoria  IX. J 


del  presente  paragrafo  come  applicazione  ovvia  delle  formule 
generali. 


§ 1 Y. 

Applicazione  alla  circonferenza. 

Applichiamo  le  equazioni  del  moto  ad  una  circonferenza 
pesante  di  raggio  B,  che  rotola,  senza  strisciare,  sopra  il  piano 
fisso  Oxiì/1,  supposto  orizzontale.  Avremo: 


mR2 

A = B—  — — , x 


— R sen  9 , y = — R cos  9 , z = 0 


L0  — mg  (yr3  — zj9) , M0  = mg  (aqq  — xy3)  , N0  — mg  (aq,  — y^) , 

e quindi  : 

L0—  — mg  R cos  c p cos  6 , M0  = mg  R sen  9 cos  6 , iV0  = 0. 

Con  sole  sostituzioni  si  avranno  le  equazioni  del  moto  nella 
forma  seguente  : 


(1— (— 2 cos2  9)  ^ — 2seii9Cos  9^  — qr — 2 (jp sen 9—]—^ c°s cp)2 cos cp eot  © — ~ cos 9 cos 

(1)  \ — 2 sen  9COS  9^-j-(1_l_2sen29)-^=rjp-l-2(i>sen9-j-Scos9)2sen9Cot0-[_'^,seilcPCOf 

dv 

2 = (p  sen  9 q cos  9)  (p  cos  9 — q sen  9) . 


Moltiplicando  la  la  per  sen  9 , la  2a  per  cos  9 e sommando 


si  ha  : 


(2) 


(-^r  ) sen  9 -f  ( — pr)  cos  9 = 0. 


Sul  moto  di  rotolamento 


21 


Risolvendo  le  stesse  equazioni  rispetto  alle  derivate  di  p, 
q, , r,  si  lia  : 

3 _ qr( l-J-2  se  li'2  cp)-f-2  sen  cp  cos  cp||»'  — 2 (p  sencp-j-gcoscp)2  cos  cpcot  6—  ^coscpcos (5, 


3 d~=pr  (1— (— 2 cos2  cp)  — 2 sen  ? cos  cp.  gr-j-2  (p  sen  cp-f-g  cos  cp)2  seu  cp  cot  0 -f-  ^sen<pcos0, 
dì* 

2 ~^  = (p  sen  cp  -j-  g coscp)  (p  cos  cp  — g sen  cp) . 

Moltiplicando  la  V delle  (3)  per  — cos  cp , la  2a  per  sen  cp  e 
sommando  si  ha  : 

(4)  3( — ~ cos  c?  -j-  T?  sen  cp)=2  cot  0 (p  sen  cp  -j-  g cos  cp)2  -j-  r {p  sen  cp  -)- 

Cto  Q/Z 


+ g coscp) + 


R 


cos  6. 


Consideriamo  un  nuovo  triedro  di  referenza  Gx'y'z  avente 
per  origine  il  punto  C di  contatto  ed  assumiamo  come  asse  x\ 
parallelo  all’asse  xi,  il  diametro  condotto  per  C e diretto  verso 
il  centro,  come  asse  y parallelo  all’asse  //1  , la  tangente  al  cer- 
chio in  G e per  asse  z la  normale  al  piano  del  cerchio,  in  guisa 
che  si  abbia  la  seguente  tabella  di  coseni  : 


x 


x y'  z 


sen  <p  — cos  © 0 


y cos  ® sen  <p  0 

z 0 0 1 

Se  p , q , r sono  le  componenti  della  rotazione  istantanea 
rispetto  agli  assi  x , y'  , z , si  avrà  : 


(5)  p =p  sen  <p  — (—  g cos  cp , 

(6)  p —p'  sen  cp  — g'  cos  cp , 

(7)  r ~ r . 


g'  — — p cos  c p — |—  g sen  cp , 
g — p cos  cp  — (—  g'  sen  © , 


22 


G.  Pennacchietti 


[Memoria  IX. J 


Colle  nuove  variabili  la  (2),  la  3a  delle  (1)  e la  (4)  diven- 
gono : 


Le  equazioni  (8)  sono  identiche  a quelle  date  dal  Carvallo  (’) 
se  si  osserva  che  le  rotazioni  da  noi  denotate  con  p,  q,  r sono 
dal  Carvallo  rappresentate  colle  lettere  r,  p , q rispettivamente  e 
che  l’angolo  0 del  Carvallo  è quello  dei  tre  angoli  euleriani  che  in 
tutto  il  nostro  lavoro  abbiamo  costantemente  denotato  colla  stessa 
lettera  6. 


Corpo  omogeneo  pesante  di  rivoluzione  che  rotola  mediante  uno 


Le  coordinate  del  punto  di  contatto  della  circonferenza  col 
piano  e l’ ordinata  'C  del  centro  di  gravità  sono  date,  come  si  è 
veduto  (§  I,  Z>),  dalle  formule  : 

x = — E sen  co  , y = — R cos  co  , z = — a,  'C,  = a cos  6 -j-  E sen  6 . 

Si  sostituiranno  questi  valori  nella  3a  delle  (§  III,  2)  e nella 
(§  III,  4)  e si  esprimeranno  le  />,  q , r mediante  le  p , q , r , co- 
me si  è fatto  nel  § precedente.  Si  osserverà  inoltre  che  dalle 
formule  (§  IV,  5)  e dalle  seguenti  : 


(q  Carvallo,  Théorie  du  mouvement  du  monocycle  et  de  la  bicyolette,  Mém.  couronnd 
par  V Academie  des  Seieuces,  Prix  Foiirneyron,  Iournal  Polyteelinique,  1900. 


§ V. 


spigolo  vivo  sopra  un  piano  orizzontale  fisso. 


p — cp'  seu  0 sen  co  -j-  6'  cos  cp  , q = cji'  seu  6 cos  cp  — 6'  sen  co  , 
r ■=  ò'  cos  0 -j-  cp' 


Sul  moto  di  rotolamento 


23 


si  trae  : 

(1)  p — c|/  sen  d , — — 6%  r'  r= <[>'  cos  6 — {—  cp'  . 


(2) 

(3) 


Si  ottengono  così  le  due  equazioni  : 

mRa  — {G  -j-  mR2)  ^ -j-  mRp  ( a cot  0 -(-  R)  = 0 , 
AR%  + Ga%  = R(I  (AP  cot  d — Gr')  . 


L’  integrale  delle  forze  vive  è : 


(4) 


m 


{R-\-a2)(p'2-\-qz^-r'2)—(ar'-^Rp')2  j + .y [ Y/2+S'2)+  Or'2  j 


Gr'2  =h. 


È facile  verificare  che  i risultati  precedenti  equivalgono  in- 
tieramente a quelli  dati  da  P.  Appell  (*)  nella  Memoria  in  cui  è 
trattato  il  problema  precedente.  Basta  porre  nella  (2)  m~  1 e 
inoltre  sostituire  alle  nostre  notazioni  <p  , li,  a rispettivamente 
<J>,  a,  — c come  pure,  per  cambiamento  di  senso  di  assi,  a p , q , r 
rispettivamente  — p , — q,  r,  per  vedere  che  le  (3),  (2)  sono 
rispettivamente  identiche  alle  equazioni  (d)  pag.  5 della  citata 
Memoria  di  Appell,  alla  quale  rimandiamo  per  la  elegante  ap- 
plicazione delle  serie  ipergeometriche  nel  caso  di  a = 0 che  è 
quello  del  cerchio. 


§ YI. 


Corpo  solido  omogeneo  pesante  di  rivoluzione  sopra 
un  piano  orizzontale. 

Seguendo  le  notazioni  del  (§1,  C ),  si  ha: 

X—  — p sen  cp  , y — — p cos  cp  , z — F (p) , F'  (p)  — tan  0 , 
Z = p sen  6 — F (p)  cos  6 . 


O Appell,  Sur  1’  intégration  des  équations  dii  nionvement  d’  un  corps  pesant  de  ré- 
volution  roulante  par  line  arète  circnlaire  sur  un  pian  liorizontal  ; cas  particulier  du  cercali. 
Rend.  Ciro.  Matem.  di  Palermo,  t.  XIV.  anno  1900. 


24 


G.  Pennaccliietti 


[Memoria  IX.] 


Facendo  le  sostituzioni  come  nel  § precedente,  si  giunge  al 
seguente  sistema  di  equazioni  differenziali  : 


la  3a  delle  quali  è 1’  integrale  delle  forze  vive. 

Siccome  p e z si  conoscono  in  funzione  di  6 , le  prime  due 
delle  equazioni  (2) 'ci  daranno  p , r in  funzione  di  6 mediante 
la  integrazione  di  un’  equazione  differenziale  ordinaria  lineare 
del  2°  ordine,  dalla  quale,  oltreché  da  quadrature,  dipenderà  la 
soluzione  completa  di  questo  problema  che  è una  generalizza- 
zione di  quello  svolto  nel  paragrafo  precedente  e sul  quale  si 
trova  una  sommaria  indicazione  in  fine  della  citata  Memoria 
di  Appele. 

Catania  21  Novembre  1906. 


(2) 


m (p 2-\-z2)  {p2-\-<f2-\-r'2) — (rz—pp)2  -j-  mg  (p  seri  6 — z e°s  6)  = li 


CORREZIONI 


A pag.  9 riga  10a  si  legga  : F'  ( z ) ~ zh  cot  0. 

A pag.  12  riga  penultima  si  legga  : Nei  due  casi  seguenti  J),  B) 
il  sistema  mobile  ete. 

A pag.  15  riga  7a  si  legga:  due  gradi. 

id.  righe  9a  e 10a  si  legga  : almeno  generalmente,  nessun 
grado  di  libertà. 


Memorisi  X 


G.  LOPRIORE  x ^ 

‘ 1 1 ' " ir""1  •' 

Note  sulla  biologia  dei  processi  di  rigenerazione  delle  Cormofite, 
determinati  da  stimoli  traumatici. 


La  struttura  dei  vegetali  è tale,  per  cui  è per- 
fettamente ammissibile  che  uno  stimolo  ri- 
sentito da  un  individuo  in  un  determinato 
punto,  produca  i suoi  effetti  in  un’  altra  par- 
te del  medesimo. 

Beccaki,  Nelle  foreste  di  Borneo.  Firenze  1902. 


Lo  studio  delle  reazioni  prodotte  da  stimoli  traumatici  in 
piante  ed  animali  ha  grande  importanza  sia  per  la  teratologia 
e patologia  che  per  la  teoria  delle  correlazioni,  in  quanto  mostra 
che  forme  teratologiche  derivano  spesso  da  normali  è che  nuove 
correlazioni  si  destano  per  effetto  di  azioni  traumatiche. 

Ma  se  lo  studio  delle  forme  teratologiche  promosse  artifi- 
cialmente ha  dato  corpo  soltanto  ora  alla  « teratologia  speri- 
mentale » , quello  sulla  rigenerazione  di  uova  e di  embrioni  s’  è 
impersonato  già  da  tempo  nella  « embriogenià  sperimentale  » , 
costituendone  uno  dei  rami  più  importanti  dell’indagine  biologica. 

La  morfologia  posa  ora  sulla  embriogenià  ed  aspetta  dalla 
teratologia  sperimentale  nuovi  lumi  intorno  alla  genesi  di  quelle 
forme,  che  l’indagine  comparativa  non  potè  ancora  chiarire. 

Intendendo  per  rigenerazione,  in  questo  come  in  altri 
miei  scritti  sullo  stesso  argomento,  quel  complesso  di  reazioni  , 
che,  dalla  superficie  d’  un  organo  ferito  ed  in  continuazione 
diretta  dello  stesso,  permettono  l’integrazione  o restituzione 
completa  della  parte  asportata,  ne  consegue  che  i soli  menatemi 
primari  conducono  alla  rigenerazione  vera  od  in  senso  stretto. 

Atti  acc.  Serie  4a,  Voi..  XIX — Meni.  X.  I 


2 


Prof.  (t.  Lopriore 


[Memoria  X.] 


Quelle  reazioni,  invece,  che  promuovono  formazioni  nuove 
o da  menatemi  secondari, % originatisi  spesso  per  stimoli  trauma- 
tici, o da  inizi  che  sarebbero  rimasti  a lungo  se  non  per  sempre 
inattivi  e che,  sviluppandosi,  tendono  a compensare  il  difetto  o 
ad  acquistare  l’egemonia  perduta  dall’organo  soppresso,  sono 
da  comprendersi  nella  rigenerazione  in  senso  largo  o meglio  nei 
fenomeni  di  sostituzione. 

Dal  punto  di  vista  biologico  è bene  distinguere  1'  una  dal- 
l’altra genesi,  anche  in  considerazione  delle  induzioni  generali 
di’  è permesso  derivarne. 

I processi  di  rigenerazione,  che  si  esplicano  nelle  Cormofite 
in  conseguenza  di  azioni  traumatiche,  possono  essere  studiati  da 
diversi  punti  di  vista,  secondo  che  si  considerano  o i soli  cam- 
biamenti anatomici  dei  tessuti  o l’ influenza  di  agenti  esterni  od 
infine  le  correlazioni  che  ne  risultano. 

La  cognizione  esatta  della  biologia  delle  reazioni  traumati- 
che rendendone  indispensabile  1’  esame  da  tutti  tre  questi  punti 
di  vista,  farò  qui  una  breve  rassegna  delle  disposizioni  nettamente 
biologiche,  relative  ad  ognuno  di  questi  tre  punti  nonché  ai  mo- 
vimenti traumatropici,  accennando  in  fine  alle  possibili  induzioni 
d’ordine  generale  e filogenetico. 

Credo  opportuno  di  esporre  le  particolarità  biologiche  in 
modo  comparativo  per  gli  assi  e per  le  appendici,  allo  scopo  di 
riconoscere  se  esse  presentano  differenze  così  profonde  come  gli 
organi  a cui  si  riferiscono  e se  permettono,  anche  per  questa 
via,  di  confermare  la  diversità  fondamentale  fra  conno  e foglia. 

In  tale  esposizione,  se  faccio  astrazione  dai  muschi  e dalle 
felci,  rinviando  al  breve  sunto  dato  altrove  (Lopriore  vi,  p.  275), 
considero,  però,  le  foglie  di  quelle  felci  che,  per  essere  provviste 
di  meristema  apicale,  presentano  identità  di  comportamento  con 
quelle  di  alcune  rare  fanerogame  munite  di  meristema  basale. 

Per  altre  particolarità  rinvio  a quest’  ultimo  lavoro,  poi  che 
Necessità  mi  fa  esser  veloce. 


Note  sulla  biologia  dei  processi  di  rigenerazione  delle  Cormofite , eco. 


3 


Rigenerazione  di  fusti  e radici. 

Senza  esporre  qui  molte  particolarità  <f  indole  anatomica, 
e fusto  radice  presentano  nei  processi  di  rigenerazione  un  com- 
portamento quasi  identico.  Se  ad  es.  se  ne  fende  l’apice  con  un 
taglio  longitudinale  mediano,  della  profondità  massima  d’  1 cui, 
le  due  metà  si  rigenerano  in  modo  completo,  producendo  rispet- 
tivamente nuove  radici  e nuovi  germogli  laterali  a rizotassi  e 
fillotassi  tanto  più  regolari  quanto  più  prossime  all’  apice  delle 
due  metà  rigenerate. 

La  potenza  rigenerativa  di  fusti  e radici,  in  conseguenza  di 
spaccili  longitudinali,  raggiunge  la  maggiore  espressione  in  frutti 
e semi  spaccati,  i cui  embrioni  si  rigenerano  completamente, 
come  Haberlandt  (i)  ha  provato  fin  dal  1877.  E se  si  pensa 
quanto  spesso  nei  semi  in  riposo  l’embrione  è menomato  da  lar- 
ve, che  v’iniziano  lo  sviluppo  dalle  uova  depostevi,  s’intende 
di  quanta  importanza  biologica  sia  la  possibilità  per  parte  sua  di 
rigenerarsi. 

Se,  invece  d’  un  taglio  mediano,  si  conducono  tagli  in  nu- 
mero e senso  diverso,  come  il  Némec  (i)  ha  fatto  con  radici 
di  fave,  di  mais  e di  altre  piante  , la  rigenerazione  si  compie 
ugualmente,  presentando  modalità  svariatissime  per  quanto  in- 
teressanti dal  punto  di  vista  anatomico  e fisiologico. 

Soltanto  rispetto  alla  decapitazione  i fusti  parrebbero  non 
presentare  la  stessa  facoltà  rigenerativa  delle  radici  , almeno 
per  quanto  finora  risulta  dai  tentativi  fatti.  Però,  dalla  consi- 
derazione dei  risultati  da  me  ottenuti  nella  rigenerazione  di 
fusti  spaccati,  il  Peeeeee  (i,  voi.  ri.  p.  206)  induce  che  anche 
quelli  decapitati  possono  rigenerarsi,  se  soltanto  la  parte  estrema 
della  gemma  apicale  viene  asportata.  Tale  induzione  condivido 
io  pure  in  base  a risultati  parziali  finora  ottenuti  e che  spero 
di  completare  con  ulteriori  indagini  su  materiale  più  adatto. 


4 


Prof.  G.  Lopriore 


[Memoria  X.J 


Biologicamente  un  simile  difetto  potrebbe  spiegarsi  con 
l’ammettere  che  la  soppressione  della  gemma  apicale,  affrettando 
la  schiusa  di  quelle  laterali,  determina  la  sostituzione  di  queste 
all’  altra.  Ma  per  le  radici  fittonate,  essendo  parimenti  sicura  la 
sostituzione  da  parte  di  quelle  laterali,  bisognerebbe  invocare  la 
stessa  spiegazione  biologica.  Conviene,  quindi,  ammettere  che  se 
la  rigenerazione  di  fusti  decapitati  non  potè  finora  essere  seguita, 
il  difetto  è dovuto  piuttosto  a difficoltà  tecniche  od  a materiale 
inadatto  che  ad  incapacità  insita  negli  assi. 

La  tendenza  alla  sostituzione  è nella  pianta  molto  più  grande 
di  quella  alla  rigenerazione,  perchè  in  natura  e per  parte  di 
agenti  diversi  non  si  verificano  lesioni  nè  così  regolari,  nè  in 
condizioni  così  favorevoli,  come  quelle  compiute  dallo  scalpello 
dello  sperimentatore. 

Notevole  in  questi  fenomeni  di  sostituzione  è la  polarità 
scoperta  dal  Vochtixg  (i),  per  cui  1’  ordine  dispositivo  dei  nuovi 
germogli  e delle  nuove  radici  è costante.  I primi  si  formano 
all’estremo  apicale  del  fusto  ed  a quello  basale  della  radice; 
le  nuove  radici  si  formano  all’  estremo  apicale  della  radice  ed 
a quello  basale  del  fusto.  Nelle  foglie  non  v’  è polarità. 

Lesioni  poco  profonde,  non  compromettenti  cioè  il  peri- 
cambio  cicatrizzano  facilmente  con  processi  rapidi  ed  opportuni. 

Disposizioni  anatomo-biologiche. 

Dal  punto  di  vista  biologico  le  reazioni  dei  diversi  tessuti 
sono  tanto  più  pronte  ed  efficaci  quanto  più  grande  è 1’  impor- 
tanza loro  nella  economia  della  pianta.  Così  il  pericambio  e 
gli  strati  più  periferici  del  cilindro  centrale  reagiscono,  data  la 
loro  importanza,  molto  più  energicamente  della  corteccia  e del 
tessuto  midollare  o midollariforme,  che  ne  hanno  relativamente 
meno. 

L’  attività  del  pericambio  nella  ricostituzione  di  nuovi  apici 
radicali  è così  grande  e prevale  tanto  sugli  altri  tessuti  da  con- 


i 


Note  stillo  biologia  dei  processi  di  rigenerazione  delle  Cormofite , eoe. 


5 


durre,  anche  senza  l’intervento  d’un  callo,  alla  rigenerazione  com- 
pleta di  essi.  Sarebbe  questa  la  cosiddetta  rigenerazione  diret- 
ta del  Simon  (i)  , da  distinguersi  dalla  parziale  — forse  me- 
glio indiretta  — dello  stesso  autore  e dalla  procambiale  del 
Pkantl  (i),  che  si  compie  per  intervento  del  callo. 

Ma  se  gli  altri  sistemi  di  tessuti  non  possono  senza  il 
cambio  condurre  alla  ricostituzione  di  nuovi  apici,  esercitano 
nondimeno  uffici  biologici  importanti.  Così  merita  considerazione 
il  fatto  che  gli  elementi  situati  all'  esterno  della  nuova  epider- 
mide e del  meristema  rigeneratosi  dal  cambio  formino  una  pi- 
leoriza  provvisoria,  che  nel  mais  vien  più  tardi  rigettata,  mentre 
nelle  leguminose  passa  gradatamente  in  quella  normale  (Simon). 

Questa  diversità  di  comportamento  è da  riferirsi,  secondo 
me,  al  fatto  biologico  che  il  tìttoncino,  rappresentando  nel  primo 
sviluppo  delle  dicotiledoni  1’  unico  asse  dell’  intero  sistema  sot- 
terraneo, ha  bisogno  di  meglio  difendere  1’  apice  in  confronto  alle 
radici  fascicolate  delle  monocotiledoni. 

Nella  corteccia,  1’  allungamento  delle  cellule  a ino’  di  clava 
per  tendere  alla  chiusura  della  ferita,  la  formazione  di  bandelle 
di  elementi  più  piccoli  e serrati,  allo  scopo  di  proteggere  il  si- 
stema conduttore,  sono  reazioni  secondarie  che  assicurano  l’esito 
della  rigenerazione.  L’  endoderma  ispessisce  e suberitica  unifor- 
memente le  sue  cellule  lungo  la  zona  compromessa,  lasciando 
solo  in  corrispondenza  dei  primani  delle  placche  legnose  una  o 
più  cellule  di  passaggio. 

Il  sistema  meccanico  spiega  un’  azione  immediata  , provve- 
dendo alla  difesa  dei  tessuti  rigenerantisi  o rigenerati,  mediante 
cingoli  di  elementi  ispessiti,  che  dalla  zona  intatta  si  estendono 
a quella  ferita.  Nelle  radici  di  Pandanus  e,  più  tipicamente,  in 
quelle  di  Syngonium  mi  è occorso  di  osservare  che  questi  cingoli 
risultano  di  elementi  meccanici  due  o tre  volte  più  grandi  dei 
normali.  Sorprende  anzi  che  in  alcuni  casi  mentre  1’  ipoderma 
presenta  all’ esterno  una  sola  fila  di  cellule  meccaniche,  nella 
parte  lesa  e rigenerata  se  ne  abbiano  due  a tre,  sovrapposte,  in 


t> 


Prof.  G.  Lopriore 


[Memoria.  X.| 


conseguenza  forse  della  reazione  troppo  immediata,  disordinata- 
mente  1’  una  all’  altra. 

Con  l’utilità  evidente  di  siffatte  reazioni  del  sistema  mec- 
canico contrasta  però  il  fatto,  biologicamente  poco  spiegabile,  che 
i cordoni  di  sclerenchima  nel  libro  delle  radici  di  fava  si  avvol- 
gano quasi  interamente  con  un  parenchima  di  elementi  concen- 
trici ai  cordoni  e distesi  tangenzialmente  agli  stessi,  come  il  Ber- 
trand (i,  p.  3)  descrive  per  le  superfici  libere  od  isolanti. 

Quanto  alle  altre  reazioni,  se  non  sempre  emerge  l’  utilità 
dei  movimenti  traumatropici,  è chiara  invece  quella  delle  rea- 
zioni successive,  intese  a difendere  i tessuti  interni  ed  a ristabi- 
lirne la  funzione.  Così  il  sughero,  la  gomma  e la  resina  di 
difesa  sono  prodotti  di  azioni  traumatiche,  che  per  la  loro  po- 
sizione periferica  hanno  fin  qui  meglio  fermala  l’attenzione. 

L’  importanza  loro  dal  punto  di  vista  biologico  è nota.  Op- 
ponendosi all’entrata  dell’aria  e dell’acqua,  prestano  efficace  di- 
fesa ai  tessuti  sottostanti,  messi  improvvisamente  a nudo. 

Il  cosiddetto  legno  di  difesa  risponde  aneli’ esso  mirabil- 
mente al  suo  ufficio,  grazie  all’ impermeabilità  per  l’aria  e per 
l’acqua  ed  al  peso  specifico  maggiore.  [Fisiologicamente  ed  anato- 
micamente esso  non  è altro  che  durame  formatosi  precocemente 
per  la  difesa  dell’  alburno. 

Agenti  esterni. 

Per  quel  che  riguarda  l’azione  degli  agenti  esterni,  un’impor- 
tanza grandissima  esercita  la  temperatura,  importanza,  che,  rilevata 
prima  da  me  (Lopriore  ii,  p.  208)  venne  poi  confermata  dagli 
studi  successivi  del  Simon  (i,  p.  127)  e del  Némec  (i,  p.  272). 

Così,  importa,  dal  punto  di  vista  biologico  , che  1’  ottimo 
di  temperatura  per  la  rigenerazione  coincida  con  quello  per  lo 
accrescimento  e che  temperature  basse,  le  quali  ancor  permet- 
tono l’accrescimento,  ritardino  la  rigenerazione,  senza  però  so- 
spenderla del  tutto  od  almeno  arrestare  quei  processi  interni 
che  ne  preludiano  l’inizio. 


Note  sulla  biologia  dei  processi  di  rigenerazione  delle  Cormo  fite , eco. 


( 


Non  meno  importante  è il  fatto  che  in  radici  situate  in- 
versamente, cioè  con  F apice  rivolto  in  su  , la  durata  della  ri- 
generazione  si  prolunghi  di  poco  oltre  l1  ordinario  e che  la  pi- 
leoriza  si  conformi  diversamente,  pur  potendo  riprendere  la  for- 
ma consueta  non  appena  la  radice  vien  rimessa  in  posizione 
normale. 

Tutti  quei  mezzi  meccanici  che  ritardano  F accrescimento  , 
ritardano  pure  la  rigenerazione.  Radici  ingessate  conservano  il 
potere  rigenerativo  tino  a quando  conservano  la  vitalità.  Questo 
limite,  variabile,  com’  è da  aspettarsi  , nelle  diverse  piante  , è 
per  le  radici  di  fava  di  7,  per  quelle  di  mais  di  14  giorni.  Le 
stesse  radici,  decapitate  e rinchiuse  in  cubi  di  argilla  , si  rige- 
nerano normalmente  in  3 giorni. 

L’  importanza  biologica  di  questi  risultati,  così  evidente  per 
sè  stessa,  rifluisce  pur  nella  pratica,  se  si  pensa  che  in  terreno 
argilloso,  molto  compatto,  le  radici  vengono  spesso  arrestate  nel 
loro  sviluppo  od  anche  stirate  e dilacerate,  come  quello,  dissec- 
candosi, si  screpola  o si  fende. 

I mezzi  chimici  finora  tentati,  per  studiare  sui  processi  ri- 
generativi specialmente  F azione  anestetica  , sono  F etere  ed  il 
cloralio.  I risultati  relativi  , per  quanto  importanti  dal  punto 
di  vista  fisiologico,  lo  sono  meno  da  quello  biologico,  in  riguar- 
do particolarmente  alle  condizioni  naturali  di  vegetazione.  Così 
in  acqua  col  3/4  % di  etere  le  radici  di  mais  compiono  con 
normale  rapidità  la  rigenerazione  loro,  pur  mostrando  un  note- 
vole ritardo  nell’ accrescimento  in  lunghezza  (Simon).  Inacqua 
doralizzata,  invece,  tanto  la  rigenerazione  quanto  F allungamento 
subiscono  un  notevole  ritardo,  mentre  il  nuovo  cono  vegetativo 
non  sospende  F allungamento,  come  il  Simon  ha  osservato  nelle 
colture  sopra  cennate. 

Oltre  che  sui  veri  processi  di  rigenerazione , Fazione  del- 
F etere  venne  anche  tentata  dal  Goebel  (i)  per  promuovere  nel 
Bryophyllum  la  formazione  di  germogli  fogliari.  L'  effetto  ne  è 
anzi  così  pronto  , che  questi  si  mostrano  già  dopo  un  giorno, 


8 


Prof.  G.  Lopriore 


[Memoria  X.J 


per  quanto  d7  altra  parte  i vapori  di  etere  danneggino  le  foglie, 
facendole  perire  insieme  agl7  inizi  dei  nuovi  germogli. 

Effetti  non  diversi  produce  I7  etere  , anticipando  la  schiusa 
delle  gemme  coll7  abbreviare  il  loro  periodo  invernale  di  riposo. 
Il  suo  impiego  nelle  colture  forzate  tende,  anzi,  a divenire  una 
pratica  abbastanza  diffusa  di  giardinaggio. 

Quanto  alle  condizioni  esterne  che  promuovono  la  nutri- 
zione, è ovvio  che  la  rigenerazione  si  compie  tanto  più  rapida- 
mente quanto  meglio  favorita  da  un  abbondante  trasporto  di 
materiali  plastici.  L’accumulo  di  questi  nella  regione  che  sta  per 
rigenerarsi  esercita  un’influenza  notevole  sull7  intensità  del  pro- 
cesso rigenerativo,  specialmente  se  azioni  favorevoli  vi  cooperano. 

Biologicamente  importante  è però  il  fatto  che  , in  conse- 
guenza dello  stimolo  traumatico  , la  pianta  moltiplichi  la  sua 
attività  fisiologica  e quindi  le  sue  risorse  materiali  , trionfando 
anche  sulle  condizioni  esterne  poco  favorevoli  alla  nutrizione. 

In  correlazione  con  questo  fatto  sta  forse  quello  della  gran- 
de rapidità  con  cui  si  svolgono  i processi  di  rigenerazione,  po- 
tendo i nuovi  coni  vegetativi  formarsi  già  in  due  o tre  giorni. 

Correlazioni. 


Le  correlazioni,  che  si  destano  in  conseguenza  di  stimoli 
traumatici,  sono  di  natura  strutturale  o funzionale,  per  quanto 
difficile  sia  distinguere  l7  una  dall7  altra.  Esse  si  rivelano  o sul- 
l7  organo  stesso  colpito  dal  trauma  oppure  su  organi  diversi  , 
prossimi  o lontani,  « potendo  uno  stimolo  risentito  da  un7  in- 
dividuo in  un  determinato  punto  produrre  i suoi  effetti  in  altra 
parte  del  medesimo  ».  (Beccari  i,  p.  537). 

Biologicamente  vantaggioso  per  la  pianta  sarebbe  il  posse- 
dere un  certo  grado  d7  indipendenza  fra  sistema  aereo  e sotter- 
raneo, dimodoché  uno  stimolo  prodotto  sull7  uno  non  determini 
un  ritardo  nell’altro,  fino  a che  questo  non  sia  rigenerato. 

Le  prime  ricerche,  in  tal  senso  condotte  dal  Kny  (i)  mediante 
la  soppressione  ora  dell7  asse  epicotileo  ora  di  quello  ipocotileo, 


Note  sulla  biologia  dei  processi  di  rigenerazione  delle  Cormofite  eco. 


9 


mostrarono  infatti  un  alto  grado  d’indipendenza  dell’uno  dal- 
l1  altro,  sicché  la  decapitazione  dell’  uno  non  ritardava  1’  accre- 
scimento dell’  altro.  Questo  fatto,  messo  in  evidenza  per  piante 
di  mais  e di  fava  provenienti  da  semi,  non  ha  trovato  conferma 
in  esperienze  successive  condotte  su  tralci  di  vite  vergine  e di 
salice.  In  questi  la  soppressione  dei  germogli  produce  un  note- 
vole ritardo  nello  sviluppo  delle  radici  e viceversa  (Kjsty  ii,  p.  tus). 

Correlazioni  non  meno  importanti  ho  potuto  osservare  in 
piantine  di  fave  private,  per  decapitazione,  della  pluinula.  Al- 
l’ascella dei  cotiledoni  si  formano  in  tal  caso  fino  a tre  germogli 
laterali.  1 cotiledoni  inverdiscono  prima  ancora  di  esaurire  i 
materiali  di  riserva  e perdurano  più  a lungo  sulla  pianta. 

Sebbene  fra  i germogli  cotiledonari  persistano  più  tardi  rap- 
porti molto  evidenti  di  gerarchia,  relativi  al  tempo  della  forma- 
zione, sicché  non  tutti  raggiungono  lo  stesso  grado  di  sviluppo, 
è certo  biologicamente  utile  che  la  pianta  reagisca  alla  decapi- 
tazione, moltiplicando  il  numero  dei  futuri  capi. 

Il  fatto,  però,  di  non  aver  mai  osservato  dopo  la  decapita- 
zione la  tendenza  a fasciarsi  sia  nelle  radici  laterali  di  fagiuolo 
che  nei  germogli  cotiledonari  di  fava,  lascia  credere  che  il  di- 
fetto di  concomitanza  del  fenomeno  sul  sistema  epi-  ed  ipogeo 
della  stessa  pianta  sia  dovuto  a ragioni  di  costituzione  interna, 
che  forse  meritano  di  venir  meglio  indagate. 

La  decapitazione  del  tìttoncino  provoca  lo  sviluppo  delle 
radici  laterali  con  tanto  maggiore  intensità  quanto  più  preco- 
cemente eseguita.  A 3 cui.  di  distanza  dal  piano  d’inserzione 
dei  cotiledoni  si  formano  in  media  10  radici  per  ogni  centimetro 
di  lunghezza  del  fittone,  a 5 chi.  se  ne  formano  7 ed  a 7 cui. 
appena  5.  Sotto  1’  enorme  sviluppo  delle  radici  laterali,  1’  antico 
fittone  quasi  scompare,  sicché  il  sistema  radicale  arieggia  quello 
delle  radici  fascicolate  delle  monocotiledoni. 

Su  queste  correlazioni  non  insisto  più  a lungo  , rientrando 
esse  piuttosto  nei  fenomeni  di  sostituzione  che  in  quelli  di  ri- 
generazione  , rilevo  , però , il  fatto  che  le  azioni  traumatiche 

Atti  acc.  Stori k 4%  Vor..  XIX — Meni.  X. 


J 


Prof.  G.  Lopriore 


[Memoria  X.] 


IO 


hanno  spesso  1’  effetto  di  rendere  palesi  caratteri  latenti.  Così 
mentre  le  radici  laterali  fasciate  si  riscontrano  normalmente  su 
fìttoni  interi  di  fava  nella  proporzione  dell1  8 °/0,  su  quelli  de- 
capitati alla  distanza  di  3,  5,  e 7 cm.  dal  piano  d’inserzione  dei 
cotiledoni  si  riscontrano  rispettivamente  nella  proporzione  del 
37,  26  e 15  %. 

I risultati  del  Kny,  relativi  agli  effetti  ritardatari  prodotti 
dalla  soppressione  dell’un  sistema  sull’  altro,  vennero  da  Franz 
Hering  (i)  confermati,  seguendo  1’  inclusione  in  gesso  ora  degli 
organi  aerei,  ora  dei  sotterranei.  Con  questo  processo  gli  organi 
rimangono,  invero,  sotto  lo  stimolo  continuo  del  protratto  ac- 
crescimento, stimolo  ben  diverso  da  quello  traumatico  e che, 
una  volta  cessato,  promuove  senz’altro  l’accrescimento  tino  al- 
lora sospeso.  Ad  ogni  modo  1’  importanza  biologica  di  poter  ri- 
prendere e continuare  in  misura  più  rapida  dell’  ordinaria  il  so- 
speso sviluppo  è abbastanza  grande. 

La  pressione  può  condurre  a correlazioni  non  diverse  da 
quelle  prodotte  dalla  decapitazione.  Così  la  formazione  di  radici 
laterali  su  fittoncini  sottoposti  a pressione  si  trasporta  , in  ra- 
gione dell’  intensità  dello  stimolo,  dalla  base  all’  apice  di  questi, 
traslocandosi  in  senso  inverso  non  appena  cessa  la  pressione.  Ma 
se,  per  numero  e peso,  le  radici  laterali  sottostanno  a quelle  di 
piante  normali,  biologicamente  si  rendono  utili  sia  per  la  ten- 
denza a formarsi  sull’  asse  epi-  ed  ipocotileo,  sia  per  la  capacità 
di  raggiungere  in  breve,  cessato  che  sia  lo  stimolo,  dimensioni 
in  lunghezza  e spessore  financo  1/3  maggiori  delle  normali. 

Steli  di  fava  con  fìttoni  sottoposti  a pressione  si  sviluppano 
dapprima  così  bene  se  non  meglio  dei  normali,  ma  non  tardano 
dopo  qualche  tempo  a risentirne  sfavorevolmente. 

Questi  risultati,  biologicamente  spiegabili,  ma  non  sempre, 
nello  stesso  senso,  utili  alla  pianta,  conseguiti  dal  Kòhler  (i)  per 
mezzo  della  pressione,  vennero  da  me  confermati,  in  assoluta  in- 
dipendenza da  essi,  sia  per  mezzo  della  pressione  che  della  de- 
capitazione e incisione  radiale. 


Note  sulla  biologia  dei  processi  di  rigenerazione  delle  Cormofite , eoe. 


11 


Riguardo  all’incisione  radiale,  l’osservazione  da  ine  fatta  che 
Httoncini  feriti  lateralmente  alla  punta  possono  partire  e rige- 
nerare F apice  come  per  effetto  d’  un  taglio  longitudinale,  m’in- 
dusse a tentare  se  1’  incisione  radiale  possa  condurre  allo  stesso 
risultato.  Confermata  sperimentalmente  questa  idea,  trovai  che 
anche  la  pressione,  da  me  invano  tentata  per  promuovere  la 
fasciazione  delle  radici,  può  condurre  allo  stesso  risultato. 

Il  Kòhlek  (i,  p.  23)  ha  infatti  osservato  che  se  un  fittone  di 
fava,  stretto  fra  due  lastre  di  vetro  convergenti  ed  ingessate,  non 
può  ad  onta  dell’appiattimento  proseguire  il  suo  cammino  ed  at- 
tingere maggiore  profondità,  scinde  il  suo  corpo  fibro-vascolare, 
già  tanto  schiacciato,  in  due  o più  altri  di  forma  quasi  cilindrica. 

Questi,  dopo  di  essersi  isolati,  possono  fondersi  per  ricosti- 
tuire il  corpo  primitivo,  che  a sua  volta  può  scindersi  di  nuovo 
e ripetere  ancora  la  detta  vicenda.  Siffatto  comportamento,  men- 
tre prova  la  grande  plasticità  della  radice,  si  svela  d’ un’ impor- 
tanza biologica  grandissima,  nel  caso  che  la  radice  partisca  ef- 
fettivamente il  suo  apice.  La  bipartizione  di  questo  sarebbe  in 
tal  caso  preceduta  e favorita  da  quella  del  corpo  libro- vascolare. 

La  formazione  di  più  coni  vegetativi,  capaci  di  fondersi  op- 

> 

pure  di  crescere  isolatamente,  è certo  biologicamente  vantaggio- 
sa, se  si  pensa  che  nel  terreno  la  punta  dei  ffttoncini  subisce 
azioni  traumatiche  d’  ogni  sorta.  Ma  se  i due  coni  provenienti 
dalla  rigenerazione  di  un  apice  fenduto,  vengono  nel  terreno  a 
contatto,  possono  fondersi  e ricostituire  un  cono  unico. 

Questo  fatto,  da  me  prima  osservato,  poi  confermato  per  altra 
via  dal  Kòhler  e dal  Simon,  se  prova  la  grande  plasticità  della 
radice,  dimostra  che  la  tendenza,  promossa  dal  geotropismo,  a ri- 
costituire un  apice  unico  torna  biologicamente  utile  alla  radice 
nel  lavoro  di  penetrazione  attraverso  il  terreno.  Radici  aeree  di 
Pandanus  con  apice  fenduto  ed  in  via  di  rigenerazione  presentano 
i due  coni  rigenerati,  1’  un  dall’altro  divisi  finché  si  sviluppano 
nell’  aria,  ma  come  attingono  il  terreno,  fondono  gli  stessi  per 
ricostituire  un  cono  unico  e potervi  più  facilmente  penetrare. 


12  Prof.  O.  Lopriore  [Memoria  X.] 


Siffatta  tendenza  è provata  ancora  da  un  esperimento  inge- 
gnoso del  Simon.  Se  nel  pleroma  d’  una  radice  decapitata  si 
introduce  un  tubetto  di  vetro  in  modo  da  farne  rimaner  fuori 
l’estremo,  del  pleroma  si  rigenerano  lobi  staccati,  die,  ricongiun- 
gendosi all’apice  del  tubo,  ricostituiscono  un  sol  cono  vegetativo. 

Nelle  correlazioni  finora  accennate  non  è sempre  agevole 
il  distinguere  dal  carattere  strutturale  quello  funzionale,  poiché 
i cambiamenti  anatomici  sono  determinati  da  quelli  fisiologici. 

Fra  le  correlazioni  in  cui  prevale  il  carattere  anatomico  sonò 
da  contarsi  quelle  in  cui  gli  stimoli  si  trasmettono  a distanza. 
In  radici  di  fava  e di  mais  ho  potuto  spesso  osservare  che,  per 
effetto  dell’  incisione  longitudinale  non  ledente  il  cilindro  cen- 
trale , lo  stimolo  ripercuotessi  in  direzione  diametralmente  op- 
posta sino  a promuovere  qui  la  formazione  di  radici  laterali. 

In  qualche  caso,  però,  la  struttura  del  cilindro  centrale  è così 
eccentrica  da  far  pensare  a perturbazioni  profonde  nelle  condi- 
zioni trofiche  della  radice,  riflettentisi  anche  in  quelle  laterali. 

Al  riguardo  il  tessuto  midollariforme  molto  sviluppato  ed 
omogeneo  delle  radici  di  mais  deve  contribuire  a trasmettere  più 
facilmente  gli  stimoli  da  un  punto  all1  altro  della  radice. 

A questo  genere  di  correlazioni  sarebbe  pure  da  riferirsi 
la  scliizostelia,  più  facile  a verificarsi  nel  fusto  che  nella  radice, 
stante  la  natura  diversa,  nonché  la  disposizione  là  periferica  , 
qui  centrale  dei  fasci  tìbro-vascolari.  L’  utilità  biologica  della 
schizostelia,  quando  ogni  cordone  stelico  non  si  avvolga  d’ un 
mantello  proprio  di  corteccia,  panni,  però,  molto  dubbia. 

Era  le  correlazioni  meno  dirette,  ma  non  meno  importanti, 
accennerò  quelle  rilevate  dal  Lindemuth  (i)  e dal  Mattinolo  (i). 

Il  primo,  tagliando  alla  base  gli  assi  fiorali  di  Lilium  can- 
didimi e Laclienalia  luteola  e tenendone  il  piede  immerso  in  acqua, 
otteneva  semi  normali,  come  d’ordinario  non  si  hanno  in  natura. 
Impedendo  la  formazione  dei  semi,  mediante  1’  estirpazione  dei 
fiori,  promuoveva  in  basso  quella  di  bulbilli.  Nei  giacinti,  invece, 
compiendosi  normalmente  la  granificazione,  i bulbilli  si  forma- 
vano  in  alto. 


Note  sulla  biologia  dei  processi  di  rigenerazione  delle  Cormofite,  eoe. 


13 


Il  Mattinolo  riusciva,  anche  per  mezzo  dell’  estirpazione 
dei  fiori,  via  via  che  si  formavano,  a prolungare  di  molto  la  fio- 
ritura della  fava  ed  a provocare  la  cauli  fio  ria. 

Rinviando  alle  spiegazioni,  da  me  offerte  altrove  (vi,  p.  271) 
su  questi  fenomeni  correlativi,  panni  specialmente  importante  il 
fatto,  fin  qui  non  rilevato  ma  chiedente  ancora  più  estesa  confer- 
ma, di  potere  sperimentalmente  produrre  la  caulifìoria  mediante 
azioni  traumatiche.  Ora  se  si  pensa  che  queste  in  natura  possono 
compiersi  nei  modi  più  diversi,  s’  intende  F estensione  grandis- 
sima che  possono  assumere  nell’  indurre  la  caulifìoria , offrendo 
una  spiegazione  più  completa  e soddisfacente  di  questo  fenomeno. 

Se  le  stesse  cause  possano  provocare  la  scapiti  ori  a,  stan- 
no per  provare  alcune  mie  esperienze  in  corso. 

Movimenti  traumatropici. 

Ho  affermato  che  F utilità  dei  movimenti  traumatropici  non 
sempre  lasciasi  biologicamente  intendere.  Mi  permetto  ora  di  ritor- 
nare sull’  argomento,  per  meglio  chiarire  alcune  osservazioni  mie 
e commentare  altre  più  recenti  dello  Spaldlng  (i)  e del  Bulìns  (i). 

Se  si  fende  il  cono  vegetativo  d’  una  radice  o d7  un  fusto  e 
se  in  conseguenza  le  due  metà  divaricano  fra  di  loro  , volgen- 
dosi in  fuori  ad  arco,  non  è certo  con  l’esporre  all’esterno  una 
così  larga  superfìcie  di  ferita  ch’esse  provvedono  alla  rigenera- 
zione in  modo  più  sicuro  di  quanto  avverrebbe  se  rimanessero  a 
combaciare  fra  di  loro.  E se  più  tardi,  allungandosi,  si  avvolgo- 
no a spira  od  a nodo  intorno  a sè  stesse,  come  non  di  rado  mi 
è occorso  (li,  p.  224)  di  osservare  per  radici  aeree  o crescenti 
in  soluzione  acquosa,  esse  rivelano  in  modo  ancor  più  manifesto 
F inutilità  di  simili  movimenti.  Ma  se,  astraendo  da  comporta- 
menti così  poco  naturali  per  quanto  ovvii  alla  mia  esperienza  , 
ne  osserviamo  altri  più  facili  a compiersi  in  natura,  come  p.  es. 
quelli  di  fìttoli cini  incisi  radialmente,  le  curve  traumatropiche 
avrebbero  forse  F utilità  biologica  di  rimuovere  dalla  causa  tran- 


14 


Prof.  G.  Lopriore 


[Memoria  X.J 


matica  (meccanica  o chimica)  la  parte  del  fittone,  che  sovrasta 
alla  ferita  e che  perde  tanto  più  della  sua  capacità  rigenerativa 
quanto  più  s’approssima  alla  base. 

Ohe  tali  curve  possano  in  realtà  compiersi  nel  terreno,  spe- 
cialmente se  troppo  compatto,  così  come  in  segatura  di  legno,  è 
però  da  mettersi  in  dubbio,  dopo  che  le  osservazioni  dello  Sfal- 
dino e quelle  più  recenti  del  Burn»s  hanno  dimostrato  che  i 
mezzi  meccanici  (inclusione  delle  radici  in  gesso  o introduzione 
in  tubi  di  vetro)  rendono  impossibile  il  compimento  loro. 

Anche  il  geotropismo  tende  già  24  ore  dopo  l’ avvenuto 
trauma  a neutralizzare,  secondo  il  Nèmec,  il  traumatropismo,  ri- 
ducendone 1’  intensità  o limitandolo  alle  parti  più  giovani. 

L’  inclusione  in  gesso,  se  non  permette  le  curve  traumatro- 
piche , non  le  estingue  però  del  tutto,  potendo  esse  esplicarsi, 
dopo  che  le  radici  vengono  liberate  dall’  invoglio  di  gesso,  tino 
ad  otto  giorni  dopo  1’  inclusione. 

Con  1’  altro  mezzo  meccanico  , per  cui  radici  lateralmente 
ferite  vengono  introdotte  in  tubi  di  vetro  , che,  senza  impedire 
1’  allungamento,  impediscono  il  compiersi  delle  curve  traumatro- 
piche, lo  stimolo  traumatropico  non  si  estingue  ina  rimane  at- 
tivo, traducendosi  in  curve  evidenti,  non  appena  le  radici  escono 
con  l’apice  dall’altro  estremo  del  tubo. 

Cessata  V influenza  dei  mezzi  meccanici,  la  reazione  si  com- 
pie con  pari  intensità,  per  impulso  sia  della  vecchia  che  d’nna 
nuova  ferita,  praticata  uniformemente  a ino’  d’incisione  anulare. 

Ma  molto  più  che  dall’azione  ritardatrice  dei  mezzi  mecca- 
nici, l’ intensità  delle  curve  traumatropiche  viene  affievolita  dalla 
bassa  temperatura.  Così  radici  ferite  continuano  ad  allungarsi 
a 4-7°  C.  senza  mostrare  curve  traumatropiche,  portate  invece 
a 18-21°  C.  incurvano  tutte  1’  estremo  dopo  24  ore.  L’  intensità 
delle  curve  è però  meno  sensibile  rispetto  a quella  di  altre  ra- 
dici, che,  ferite  allo  stesso  modo,  vengono  ingessate,  poi  liberate 
dopo  alcuni  giorni  dall’  involucro  e portate  in  segatura  di  legno. 

A limitare  l’ importanza  biologica  del  traumatropismo  sta 


Note  sulla  biologia  dei  processi  di  rigenerazione  delle  Cormofite,  eco. 


15 


il  fatto  , osservato  dal  Xèmec,  die  lo  stimolo  traumatropico  si 
trasmette  soltanto  fino  ad  una  determinata  distanza  dalla  ferita 
e die  la  curva  traumatropica  rimane  dapprima  limitata  nella 
zona  di  accrescimento  più  vicina  all’  apice,  accentuandosi  però, 
col  tempo,  più  verso  la  base  che  verso  l1  apice. 

Le  curve  traumatropiche,  estinguendosi  dopo  le  24  ore  che 
susseguono  al  trauma,  non  procedono  di  conserva  con  la  rige- 
nerazione. L’affermazione,  quindi,  del  Buttisrs  che  ferite  laterali 
esercitino  uno  stimolo  continuo  per  l’induzione  di  curve  trauma- 
tropiche,  il  quale  dura  tino  a che  le  radici  non  siano  rigenerate, 
va  intesa  dal  Nèmec  nel  senso  che  lo  stimolo  traumatropico 
scompare  prima  della  completa  rigenerazione  e , invero , quasi 
contemporaneamente  all’  iniziarsi  dei  processi  specifici  di  rige- 
nerazione o di  cicatrizzazione.  Così  radici  incise  obliquamente  , 
rigenerantisi  quindi  prima  di  quelle  incise  trasversalmente,  estin- 
guono anche  prima  le  loro  curve  traumatropiche. 

La  tendenza  nei  filatici  ni  di  sèmi  in  germinazione  a perforare 
il  terreno  con  la  piumetta  volta  ad  uncino,  allo  scopo  biologico  di 
proteggerne  il  cono  vegetativo,  se  potesse  essere  riportata  in  conto 
dello  stimolo  traumatropico  esercitato  dal  terreno,  troverebbe  forse 
una  spiegazione  biologica  più  soddisfacente.  Ma,  astraendo  dal 
fatto  che  spesso  la  piumetta  mostra  già  fra  i cotiledoni  del  seme 
in  riposo  una  conformazione  rispondente  a quella  che  adotta  più 
tardi,  diffìcile  è spiegare,  perchè  i germogli  di  fava,  formatisi  nel- 
l’ascella dei  cotiledoni  in  conseguenza  della  soppressione  dell’  asse 
epicotileo,  conformino  ugualmente  1’  apice  ad  uncino. 

Questa  tendenza,  da  me  spesso  osservata,  sorprende  tanto 
più  in  quanto  esplicasi  su  piante  allevate  in  colture  acquose  , i 
cui  semi  posano,  non  entro  terra,  ma  su  reti  di  filo  , su  lastre 
di  vetro  o di  sughero.  Biologicamente  essa  è così  poco  spiega- 
bile come  1’  altra  dei  germogli  ascellari  dei  cotiledoni  del  Plia- 
seolus  multijlorus,  prodottisi  in  modo  identico  a quelli  di  fava,  a 
presentarsi  fasciati  ed  a strisciare  lungamente  sul  sostrato,  pri- 
ma di  divenire  eretti. 


16 


Prof.  G.  Lopriore 


[Memoria  X.] 


Rigenerazione  delle  foglie 

A differenza  di  fusti  e radici,  le  foglie  delle  fanerogame 
mancano  della  capacità  di  rigenerarsi,  essendo  più  vantaggioso 
per  la  pianta  affrettare  la  schiusa  delle  gemme  anzi  che  rappez- 
zare foglie  rotte,  forate  o contuse. 

Questa  spiegazione,  non  sperimentale  ma  teleologica,  offerta 
dal  Weismanx,  risponde  al  vero,  con  la  sola  restrizione  che  le 
foglie  succedenti  si  a quelle  distrutte  da  insetti  o da  crittogame 
sfruttano,  con  danno  non  lieve,  le  riserve  plastiche  della  pianta, 
come  per  es.  avviene  per  effetto  delle  infezioni  peronosporiche. 

Il  Wejsmanx  (i)  pensa  che  « per  la  pianta  sarebbe  di  un 
vantaggio  minimo  il  richiudere  fori  nelle  foglie,  possedendo  sen- 
z’ altro  la  capacità  di  emettere  nuove  foglie.  » Ora  in  foglie  di 
Monstera  pertusa , caratteristiche  per  la  presenza  di  fori  abba- 
stanza grandi  ed  ineguali,  io  ho  provato  con  un  foratappi  a pro- 
durne altri , meno  per  constatarne  la  chiusura  che  per  seguire 
la  rimarginazione  dell’orlo.  Ma  questa,  mentre  è così  facile  nei 
fori  naturali  , in  cui  1’  orlo  si  distingue  appena  da  quello  peri- 
ferico della  lamina  , non  si  compie  affatto  nei  fori  artificiali  , 
che,  suberificando  gli  elementi  periferici,  si  delimitano  con  una 
aureola  color  ruggine.  Oggi  ancora,  dopo  quattro  anni  dacché 
furono  praticati,  non  si  sono  estesi  nè  per  necrosi  ulteriore  del 
tessuto  limitrofo . nè  per  macerazione  della  lamina  promossa 
artificialmente.  Sorprende  , ad  ogni  modo,  il  comportamento  di 
queste  foglie,  che,  pur  persistendo  parecchi  anni  sulla  pianta, 
non  curano  nè  la  chiusura  , nè  la  rimarginazione  dei  fori  , di- 
versamente da  quanto  fanno  gli  assi  aerei  di  piante  vivaci  nel 
tendere  con  vicenda  costante  alla  chiusura  di  quei  fori  , che,  a 
ino’  di  cingoli  e per  attività  del  cambio,  sormontano  le  ferite  delle 
parti  adulte,  in  conseguenza  dell’  asportazione  di  rami. 

Siffatto  comportamento  si  spiega  con  la  mancanza  nella  foglia 


Note  sulla  biologia  dei  processi  di  rigenerazione  delle  Cormofite , eco. 


17 


di  meristemi,  capaci  di  rigenerare  i tessuti  lesi.  Per  questa  ra- 
gione non  mi  è riuscito  di  osservar  mai  foglie  rigenerate,  spe- 
rimentando sulla  rigenerazione  degli  apici  di  fusti  spaccati.  Non- 
dimeno lamine  e picciuoli,  colpiti  dal  taglio  , tendono  in  certo 
modo  a regolarizzare  i contorni,  assumendo,  ad  onta  della  strut- 
tura asimmetrica,  un  aspetto  quasi  normale. 

Il  difetto  di  rigenerazione  è largamente  compensato  in  alcu- 
ne piante  dalla  proliferazione  o formazione  d’individui  agami. 


Fig.  1.  Nymphaea  stellata  Willd.  var.  bulbillifera.  Foglia  clie  alla  base  della  lamina 
produce  una  nuova  pianta  con  numerose  altre  foglie  (che  ripetono  la  stessa  vicenda),  radici 
e gemme  liorali.  */2  Grand,  nat.  (dal  Ross) 

Questa  tendenza  è specialmente  grande  in  quelle  piante,  in 
cui,  mancando  un  conno  evoluto,  le  foglie  tendono  a sostituir- 
visi,  acquistando  una  grande  egemonia  di  sviluppo.  Così  nella 
Nymphaea  stellata  var.  bulbillifera  alla  base  della  lamina  ed  alla 
pagina  superiore,  nel  punto  in  cui  i nervi  convergono  insieme, 

Atti  acc.  Serie  4a,  Vol.  XIX  — 


Meni.  X. 


3 


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Prof.  G.  Lopriore 


[Memoria  X.J 


si  forma  una  gemma,  capace  di  produrre  una  nuova  pianta  con 
numerose  foglie,  radici  e gemme  fiorali. 

Il  Ross  , da  cui  riproduco  la  figura  1 e che  ringrazio  per 
la  cortese  concessione  della  riproduzione  galvanica,  ha  osservato 
che  la  formazione  di  tali  gemme  si  verifica  specialmente  in  au- 
tunno, quando  la  pianta  concentra  le  sue  riserve  plastiche,  ma 
che  il  loro  germogliamento  si  compie  in  estate  o sulle  foglie  più 
esterne  morenti  o su  quelle  recise. 

La  tendenza  a formarsi  alla  base  della  lamina  è dovuta  , 
secondo  Goebeb,  al  fatto  che  là  convergono  i fasci  conduttori, 
destinati  al  trasporto  dei  materiali  plastici.  In  foglie  di  altre 
piante  ( Bryopliyllum , Begonia)  le  gemme  si  formano  alla  peri- 
feria della  lamina  in  condizioni  biologiche  rispondenti  alla  vita 
di  quelle  ed  atte  ad  assicurare  la  moltiplicazione  loro. 

La  sostituzione  di  bulbilli  a semi  in  alcune  piante  fluvio- 
lacustri  dell’  Amazzonia  avrebbe  un’  importanza  biologica  non 
diversa  da  quella  dianzi  accennata,  servendo  i bulbilli,  secondo 
Buscalioni  (i),  a moltiplicare  la  pianta  più  rapidamente  dei 
semi,  non  appena  attingono  il  terreno  melmoso  e vi  radicano  a 
somiglianza  di  quanto  fanno  le  mangrovie. 

Oasi  di  vera  rigenerazione  fogliare  sono  stati  osservati  dal 
Goebel  (ii  p.  485),  dal  Pischixger  (i)  e dal  Pigdob  (i)  nei  due 
generi  di  Gesneriacee,  Monopliyllaea  e Streptocarpus , sottogenere 
Eu-Streptocarpns  con  specie  ad  una  foglia  sola,  gruppo  « Uni- 
foliati  » del  Pritsch  (iii,  p.  i58). 

Per  intendere  il  particolare  comportamento  di  queste  foglie, 
occorre  premettere  eh’  esse  rappresentano  nell’  Eu-Streptocarpus 
quasi  i soli  organi  vegetativi  provenienti  dai  cotiledoni,  di  cui 
uno  solo  sviluppasi  prevalentemente  per  differenziazione  del  uieri- 
stema  sito  alla  sua  base.  Questo,  proliferando,  permette  un  vero 
accrescimento  secondario,  producente  una  nuova  lamina,  che 
s’ interpone  fra  base  ed  apice  del  cotiledone  e che,  mentre  perde 
i caratteri  embrionali,  acquista  quelli  d’  una  vera  foglia  caulina. 
La  differenziazione,  compiendosi  in  quello  soltanto  dei  cotiledoni, 


Note  sulla  biologia  dei  processi  di  rigenerazione  delle  Cormofite  ecc. 


19 


che  è dotato  di  meristema  basale,  produce  un’anisofillia  spicca- 
tissima, accentuando  la  già  notevole  diversità  iniziale  di  gran- 
dezza dei  cotiledoni,  di  cui  il  picciuolo  suol  rimanere  rudimentale. 

Foglie  diverse  dalle  embrionali  per  forma,  grandezza  e pre- 
senza di  picciuolo  possono  non  di  rado  formarsi,  originandosi  da 
quell’internodio  dell’asse  principale,  intercalato,  fra  epi-  ed  ipo- 
cotile,  che  dal  Eritsch  (i,  p.  98)  fu  denominato  « mesocotile  » 
e che  suol  formare  anche  radici  avventizie,  in  difetto  di  qual- 
siasi accenno  di  una  radichetta  embrionale. 

Altra  particolarità  importante  che  .determina  , secondo  me, 
la  capacità  nelle  foglie  a rigenerarsi,  è il  difetto  assoluto  di  una 
plumula,  cioè  di  un  cono  vegetativo  emergente  fra  i cotiledoni 
dall’  apice  del  mesocotile,  difetto,  che  riscontrasi  oltre  che  nello 
Streptocar finis,  nella  Rlugia  zeylanica  ( K . Notoniana  dei  giardinie- 
ri) e probabilmente  nella  Iioettlera  liamosa  (Eritsch,  iii,  p.  iss). 

Un  comportamento  quasi  identico  mostra  la  Monophyllaea 
Horsfieldii , senonchè,  rispetto  alle  specie  unifoliate  dello  Strep- 
tocarpus , essa  presenta  non  un  mesocotile,  ma  un  ipocotile,  che 
persiste  e sviluppasi  più  tardi  in  uno  stelo  evoluto. 

Date  queste  particolarità  anatomo-biologiche  delle  due  Gres- 
neriacce,  1’  asportazione  nello  Streptocarpus  del  cotiledone  gran- 
de, di  quello  cioè  destinato  a servire  come  organo  assimilatore, 
promuove  la  rigenerazione  dello  stesso , sia  che  il  meristema 
basale  venga  asportato  per  intero  coll’  embriofìllo,  sia  che  ri- 
manga in  parte.  In  quest’ultimo  caso  il  meristema,  proliferando, 
rigenera  la  foglia  , compiendo  quell’ accrescimento,  che  avrebbe 
compiuto  anche  senza  1’  asportazione  della  lamina  cotiledonare. 
Nell’altro  caso  vi  è rigenerazione  (l’un a lamina  fogliare  a spese 
del  callo,  rigenerazione,  che  il  Pischhstger  ritiene  come  vera, 
a differenza  dell’  altra,  che  non  sarebbe  tale.  La  nuova  lamina 
si  forma  sul  mesocotile  in  continuazione  diretta  del  moncone 
rimasto  ed  in  conseguenza  dell’attività  del  callo,  che  origina  un 
nuovo  meristema.  Questa  rigenerazione  corrisponderebbe  alla  par- 
ziale, l’altra  alla  diretta  del  Simoist. 


20 


Frof.  G.  Lopriore 


[Memoria  X.J 


Ma  ben  più  importanti  di  questi  fenomeni  di  rigenerazione 
sono,  dal  punto  di  vista  biologico  , quelli  di  correlazione  , pro- 
dottisi in  conseguenza  dell’  asportazione  dello  stesso  cotiledone. 

Per  piantine  di  Streptocarpus  Eraxz  Heriistg  ba  provato 
che  se  il  cotiledone  destinato  a svilupparsi  viene  per  tempo  sop- 
presso o ritardato  nel  suo  sviluppo  mediante  l1  inclusione  in 
gesso,  sviluppasi  in  sua  vece  il  cotiledone  piccolo,  che  normal- 
mente suol  rimanere  rudimentale. 

Queste  esperienze,  continuate  dal  Pischlxger  in  modo  com- 
parativo su  tre  diverse  specie  di  Streptocarpus , cioè  S.  Wend- 
landi , S.  Oardeni  e S.  hybridus , hanno  mostrato  che  se  nella 
prima  specie  l’asportazione  totale  o parziale  del  cotiledone  gran- 
de, destinato  a svilupparsi,  viene  eseguita  per  tempo  , il  cotile- 
done piccolo  raggiunge  molto  più  rapidamente  del  solito  le  dimen- 
sioni definitive,  elevandole,  in  certi  casi,  fino  al  doppio  delle 
normali.  La  ragione  biologica  di  questo  forzato  sviluppo  è evi- 
dente: intanto  che  si  compie  la  rigenerazione  del  cotiledone 
grande,  l’assimilazione  viene  assunta  dal  piccolo,  il  quale  prov- 
vede i materiali  necessari  al  compiersi  di  quella. 

Il  fatto  più  importante  in  questi  fenomeni  di  correlazione  è 
che  alla  base  del  cotiledone  piccolo  si  forma,  in  conseguenza  dello 
stimolo  traumatico  esercitato  sul  grande,  un  meristema  secondario 
(secondo  Pritsch  primario,  perchè  dato  dal  mesocotile),  capace 
di  proliferare  e di  permettere  quindi,  oltre  che  1’  accrescimento 
secondario,  le  funzioni  definitive,  spettanti  al  cotiledone  grande. 

Altro  fatto  importante  è che  la  proprietà,  atavica  nello 
Streptocarpus  Wendlandi  e probabilmente  in  altre  specie  ad  una 
sola  foglia,  di  produrre  appendici  diverse  dalle  embrionali,  men- 
tre per  norma  rimane  latente,  si  rende  invece  palese  dopo  l’ a- 
sportazione  del  cotiledone  grande. 

Altra  proprietà  atavica,  che  dimostra  in  questa  specie  una 
differenza  profonda  di  organizzazione  rispetto  alle  specie  caule- 
scenti e rosulate,  è la  tendenza  nei  germogli  avventizi  o di 
sostituzione  a ripetere  lo  stato  embrionale  della  pianta.  Soppri- 


Note  sulla  biologia  dei  processi  di  rigenerazione  delle  Cormofite , eco. 


21 


mendo,  infatti,  la  maggior  parte  della  lamina  e dell’appena  ini- 
ziata infiorescenza,  il  GtOebel  (ih,  p.  138)  otteneva  tre  germogli 
avventizi,  provvisti  ognuno  di  u n a gran  foglia  caniina  e perciò 
distinguibili  da  quelli  delle  specie  caulescenti  e rosolate. 

Nello  Streptocarpus  Gardenia  die,  come  specie  rosulata,  pro- 
duce una  rosetta  di  foglie,  il  cotiledone  grande  non  si  rigenera, 
se  viene  asportato  in  parte  od  in  tutto. 

Un  comportamento  intermedio  presenta  lo  S •treptocarpus 
liybridus  , il  quale  è probabilmente  una  forma  ibrida  delle  due 
precedenti.  In  esso  1’  asportazione  totale  del  cotiledone  grande 
conduce,  come  nello  8.  G (ir  deni  , all’accrescimento  secondario 
ed  allo  sviluppo  di  foglie  non  embrionali.  L’  asportazione  par- 
ziale, invece,  lasciando  ancor  parte  del  meristema  basale , con- 
duce, come  nello  8.  Wendlandi , alla  rigenerazione  del  cotiledone 
stesso. 

Nella  Monophyllaea  Borsjieldii  l’asportazione  del  cotiledone 
grande  con  parte  del  meristema  basale  , ne  determina  la  rige- 
nerazione , mentre  il  cotiledone  piccolo  o non  cresce  affatto  o 
cresce  al  punto  da  raggiungere  dimensioni  fìnanco  doppie  delle 
normali.  L’  asportazione  del  cotiledone  grande  con  tutto  il  me- 
ristema fa  perire  le  piante,  non  potendo  il  cotiledone  piccolo 
assumere  le  funzioni  di  quello  soppresso.  Non  di  rado,  però,  il 
Ligdob.  (i)  avrebbe  in  questo  caso  osservato  la  formazione  sul 
rnesocotile  di  foglie  avventizie,  se,  ben  inteso,  gli  esemplari  in 
esperimento  avevano  raggiunto  un  certo  grado  di  sviluppo.  Que- 
sto risultato,  mentre  conferma  quello  del  GtOebel  sulla  tenden- 
za nei  germogli  avventizi  dello  Str.  Wendlandi  a ripetere  la  con- 
formazione embrionale,  conferma  ancora  quello  osservato  da  me 
rispetto  alla  tendenza  nei  germogli  formatisi  all’  ascella  dei  co- 
tiledoni di  fava,  in  conseguenza  della  soppressione  della  piu- 
metta,  a conformare  1’  apice  ad  uncino. 

La  facoltà  rigenerativa  nei  cotiledoni  sembra  essere  più 
grande  di  quella  a produrre  individui  agami,  cbe,  se  finora  ven- 
ne osservata  dal  Zabel  nei  cotiledoni  della  Borrago  officinali s , 


22 


Prof.  G.  Lopriore 


[Memoria  X.] 


fu  tentata  invano  dal  Kuester  (i)  in  quelli  di  altre  piante,  per 
quanto  ricchi  di  materiali  plastici. 

Il  comportamento  particolare  delle  due  Gesneriacee  dipende 
verosimilmente  dal  difetto  di  un  vero  conno,  per  cni  le  foglie  ten- 
dono a sostituirvisi,  munendosi  di  meri  stema  o prestandosi  quello 
del  mesocotile  e acquistando  la  capacità  rigenerativa.  In  questi 
casi  la  foglia  svelerebbe  una  entità  superiore  a quella  del  conno. 

Anche  nelle  felci,  ore  il  conno  non  è così  evoluto  come 
nelle  fanerogame,  la  capacità  rigenerativa  viene  assunta  dalle 
foglie,  che  a differenza  di  quelle  dello  Streptocarpus , sou  prov- 
viste di  meristeina  apicale.  Tale  capacità,  difettando  negli  assi, 
(il  cui  apice  presenta  una  sola  cellula  terminale,  non  un  gruppo 
iniziale  facile  a rigenerarsi)  viene  assunta  dalle  foglie,  che,  per 
venir  spesso  brucate  dagli  animali,  hanno  bisogno  di  rigenerarsi. 

L’identità  di  comportamento  rispetto  alle  due  Gesneriacee 
dipende  dal  fatto  che  l’apice  rimane  a lungo  embrionale.  In 
conseguenza  però  della  localizzazione  diversa  del  meristema,  la 
rigenerazione  si  compie  non  più  alla  base  ma  all’  apice.  Se 
questo  infatti  viene  longitudinalmente  spaccato  , si  rigenera , 
dando  luogo  allo  sdoppiamento  della  lamina  ed  al  completarsi 
di  ogni  singola  metà,  come  mostra  la  figura  2.  La  possibilità 
di  tale  sdoppiamento  fu  messa  in  evidenza  dal  Beyerinck  (i) 
per  il  Blechnum  brattili  ente,  dal  Goebel  (i)  per  il  Polypodium 
Heracleam  e dal  ITgdor  (ii)  per  lo  a Scolopenclrium  Scolopendrium. 

Dal  punto  di  vista  filogenetico  merita  considerazione  il  fatto, 
rilevato  già  dal  Figdoe,  che  uno  sdoppiamento  a forchetta  della 
lamina  fogliare,  simile  a quello  ottenuto  artificialmente  non  è 
raro  in  natura,  anzi,  per  essere  stato  spesso  osservato,  venne  già 
descritto  come  varietà  « daedalea  » Dòli.  Tale  varietà  sarebbe 
più  frequente  in  Inghilterra  che  altrove,  a causa  della  presenza 
là  di  particolari  animaletti,  capaci  con  la  loro  visita  di  determi- 
nare reazioni  identiche  a quelle  promosse  artificialmente. 

Induzione  simile  avventurai  io  pure,  dieci  anni  fa,  parago- 
nando il  comportamento  di  radici  fendute,  rigenerate  e di  nuovo 


Note  sulla  biologia  dei  processi  di  rigenerazione  delle  Cormofite,  ecc. 


23 


fendute  con  quello  dei  Tunicati  , sottoposti  dal  Magazzini  (i) 
a tagli  successivi.  Il  taglio  ripetuto  dello  stesso  sifone  in  un  esem- 
plare di  Giona  intestinalis  determinando  una  forma  identica  alla 
varietà  descritta  come  « inavrosiplionica  »,  permette  indurre  che  in 
natura  una  tale  varietà  s’  è probabilmente  formata  per  amputa- 
zione ripetuta  da  parte  di  altri  animali.  L’  azione  di  questi  nel 
foggiare,  per  successivi  adattamenti  biologici,  determinate  forme 
di  organi  vegetali,  se  de- 
bole ora,  dev’  essere  stata 
particolarmente  grande  al 
tempo  della  cosiddetta  e- 
poca  plasmativa  del 
Beccare 

Ben  diversi  dai  fe- 
nomeni di  rigenerazione 
sono  quelli  di  sostituzio- 
ne, offerti  in  modo  ti- 
pico dalle  foglie  di  cicla- 
mi,  in  conseguenza  di  fe- 
rite o di  altri  mezzi  che 
inattivano  la  funzione,  co- 
me ad  es.  inclusione  in 
gesso  o rivestimento  con 
collodio. 

Questo  fatto,  scoperto 
prima  da  Hildebraind  (i), 
poi  seguito  nelle  sue  par- 
ticolarità dal  Winkler  e 
dal  Goebel,  è stato  anche 
recentemente  con  nuovi 
casi  illustrato  dal  suo  sco- 
pritore e ricondotto  alla 
vera  natura,  attribuitagli  fin  dapprima  come  processo  di  sostitu- 
zione e non  di  rigenerazione  (Hildebrand,  ii,  p.  39). 


Fig‘.  2.  Polypoditim  Heracleum.  Foglia  spaccata 
longitudinalmente  all’  apice  ed  in  cui  ogni  metà  ha 
rigenerato  la  metà  clic  le  manca,  (dal  Goebel) 


24 


Prof.  G.  Lopriore 


[Memoria  X.] 


Contrariamente  all’  effetto  ritardatore  dei  mezzi  meccanici, 
l’inattiyità  promossa  dal  buio  sulla  foglia  di  Cyclamen  non  pro- 
voca la  formazione  di  una  nuova  lamina  (Winkler),  mentre 
basta  nella  Circaea  per  rendere  ortotropo  il  germoglio  plagiotropo 
più  vicino  all’apice  (Goebel,  i,  p.  647  ).  Tal  comportamento  crea 
in  organi , come  son  le  foglie  , viventi  alla  luce  e per  la  luce, 
quindi  sensibili  alla  sottrazione  di  essa,  un  divario  profondo  ri- 
spetto al  conno. 

La  luce  può  influire,  però,  non  di  rado  direttamente  sulle 
condizioni  fototrofìclie  delle  foglie,  promuovendo  1’  anisofillia. 

Il  Wiesner  (i)  ha  osservato  , infatti , che  le  foglie  ancor 
giovani  dei  rami  di  Aescalus  esposte  direttamente  al  sole,  riman- 
gono turgide  e continuano  a crescere,  mentre  quelle  opposte  ap- 
passiscono e muoiono,  in  conseguenza  dello  spostamento  in  senso 
trasversale  della  corrente  d’  acqua  ascendente  , promosso  dalle 
foglie  soleggiate.  A questo  modo  si  può  tanto  promuovere  una 
spiccata  anisofillia  quanto  invertire  quella  già  esistente. 

La  stessa  spiegazione  potrebbe  anche  valere  a giustificare 
la  grande  anisofillia  delle  Gesneriacee,  fissata  già  nel  seme  per 
ereditarietà  e riconoscibile  per  la  diversa  grandezza  dei  due  co- 
tiledoni. 

Ora  se  si  pensa  che  la  foglia  ha  per  funzione  principale  la 
traspirazione  e che  ad  essa  subordina  lo  sviluppo  dei  veicoli  di 
trasporto,  coordinandovi  la  funzione  fotosintetica,  non  sorprende 
se  la  luce  provoca  reazioni  diverse  per  favorire  1’  una  o 1’  altra 
funzione.  Maggiori  particolarità  al  riguardo  sta  per  offrire  il  Bu- 
SCALioxi  in  un  suo  studio  biologico  sulla  vegetazione  dell’Au- 
stralia, relativo  specialmente  alle  acacie  a fillodi  ed  agli  eucalipti. 

Indifferente  non  è neppure  la  respirazione,  se  atmosfere  pri- 
ve di  ossigeno  possono  determinare  nei  cicìami  l’inattività  delle 
lamine  fogliari  e quindi  la  sostituzione  loro  con  delle  nuove 
(Goebel,  iv,  p.  394). 

Gli  stessi  effetti  possono  dunque  venir  provocati  da  agenti 
diversi,  anzi  molto  diversi  dalle  azioni  traumatiche. 


Note  sulla  biologia  dei  processi  di  rigenerazione  delle  Cormo  fite,  ecc. 


25 


Cenno  sintetico. 

La  considerazione  dei  fatti  sinora  esposti  rivela  che,  mentre 
fusto  e radice  presentano  nei  processi  di  rigenerazione  identità 
di  comportamento,  la  foglia  ne  differisce  per  un  comportamento 
particolare,  che  non  di  rado  svela  in  essa  un’entità  superiore  a 
quella  del  conno. 

L’ identità  dì  comportamento  negli  assi  delle  Cormofite  si 
svela  nella  capacità  loro  di  rigenerarsi  per  virtù  dei  menatemi 
apicali,  di  cicatrizzarsi  per  virtù  di  quelli  secondari  e di  pre- 
sentare gli  stessi  fenomeni  di  correlazione.  Così  alle  fillotassi 
aberranti  nel  fusto  , corrispondono  rizotassi  aberranti  nella  ra- 
dice, finché,  pero,  la  rigenerazione  non  è completa.  Così  la 
stessa  deviazione  teratologica  , come  la  fasciazione,  da  latente 
rendesi  palese  negli  assi  laterali  di  prim’ordine,  in  conseguenza 
delle  azioni  traumatiche  compiute  sugli  assi  principali. 

La  foglia  o manca  interamente  della  facoltà  di  rigenerarsi  o 
l’esplica  nei  rari  casi  che  possiede  meristemi.  Il  difetto  di  questi 
determinerebbe  dunque  l’impossibilità  a rigenerarsi,  difetto,  che, 
in  organi  caduchi  come  le  foglie,  è teleologicamente  spiegabile. 

I casi  ancor  rari  ed  isolati  di  vera  rigenerazione  fogliare  si 
hanno  in  quelle  piante,  in  cui  il  conno  è poco  evoluto  o manca 
interamente  della  pi  umetta  ( Streptocarpus ) o presenta  all’apice 
una  sola  cellula  terminale  incapace  a rigenerarsi  (felci). 

Dove  i meristemi  esistono,  la  foglia  presenta,  oltre  che  la 
facoltà  rigenerativa , particolari  disposizioni  atte  a proteggerli , 
come  ad  es.  speciali  tricomi  per  i meristemi  basali  delle  (fe- 
sneriacee,  arrollamento  spirale  dell’apice  per  i meristemi  apicali 
delle  foglie  giovani  di  felci.  Importante  , però  , è il  fatto  che 
nello  Streptocarpus  la  soppressione  del  cotiledone  provvisto  di 
meri  stema  abbia  1’  effetto  di  promuovere  la  formazione  od  emi- 
grazione di  ineriste m a nell’altro  che  ne  è privo  e che  resta  ru- 
dimentale. Se  tal  fenomeno  di  correlazione,  dovesse  ulteriormente 


Atti  acc.  Serie  4a,  Vol.  XIX 


Meni.  X. 


4 


Prof.  G.  Lopriore 


[Memoria  X.] 


26 


svelarsi,  l’importanza  dei  meristemi  primari  nei  processi  di  rige- 
nerazione verrebbe  molto  a limitarsi. 

La  capacità  di  cicatrizzazione  è grande  negli  assi,  mi- 
nima o nulla  nelle  foglie.  Rispetto  alla  rigenerazione  essa  ap- 
pare biologicamente  più  utile,  richiedendo  un  consumo  di  ma- 
teriali e di  energia  notevolmente  più  piccolo. 

La  polarità,  riconosciuta  dal  Vììchting  (ii)  negli  assi  ri- 
spetto alle  formazioni  nuove , manca  nelle  foglie,  per  quanto 
W.  Magnus  (i)  creda  di  scorgerla  in  quelle  colpite  da  galle. 

La  sostituzione  si  compie  quasi  sempre  mediante  un  ger 
meglio  od  una  radice  laterale,  che,  prendendo  il  posto  dell’  asse 
principale,  ne  assume  anche  la  struttura  per  mezzo  di  variazioni 
anatomiche  corrispondenti  (Boirivant).  La  foglia  manca  di  si- 
mile capacità  plastica.  Le  lamine  formatesi  non  da  gemme  ma 
da  inizi  siti  sul  picciuolo,  in  sostituzione  di  quella  soppressa  o 
resa  inattiva,  non  raggiungono  insieme  la  superficie  venuta  meno, 
nè  lasciano  riconoscere  alcun  rapporto  di  egemonia  ( Cijclamen ). 

L’  inattività  prodotta  dal  buio  sull’estremo  del  fusto  basta 
a rendere  ortotropo  il  germoglio  plagiotropo  più  vicino  all’  api- 
ce (Cireneo,),  ma  non  provoca  nella  foglia  la  formazione  di  una 
nuova  lamina,  così  facile  a venir  altrimenti  promossa  ( Oyclamen ). 

In  attesa  che  ricerche  ulteriori  completino  la  biologia  della 
rigenerazione  della  foglia,  sta  per  ora  il  fatto  che  come,  per  effetto 
della  divisione  del  lavoro  e della  conseguente  differenziazione  dei 
meristemi,  vi  è progressiva  evoluzione  dalle  Tallofite  alle  Cormo- 
fite, così  in  seno  a queste  vi  è progressione  dal  conno  alla  foglia. 

La  foglia  rappresenterebbe,  in  conseguenza  della  differenzia- 
zione più  spinta  dei  meristemi  e quindi  della  sua  incapacità  a 
rigenerarsi,  un  organo  più  evoluto  del  conno. 

Ad  illustrare  le  idee  di  Delfino  sull’  interpretazione  del 
conno  e della  foglia  sarebbe  questo  uno  degli  argomenti  più  pro- 
mettenti per  stabilire  se  le  piante  siano  cormofite  o fillofite. 


I 


Note  sulla  biologia  dei  processi  di  rigenerazione  delle  Cormofite,  eoe. 


27 


LETTERATURA 


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28 


Prof.  G.  Lopriore 


[Memoria  X.  J 


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LXVI. 

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Bd.  XL. 

Spalding,  The  traumatropic  curvature  of  Roots.  Ann.  of  Botany  1894,  Voi.  Vili. 
Vochting,  (i)  Trausplautation  am  Pflanzenkorper,  Tiibingen  1892. 

— (ir)  Ueber  Organbildmg  im  Pflauzenreich.  I.  u.  II.  Tei],  Bonn  1878-84 
Weismann,  Das  Keiruplasma.  Jena  1892. 

Wiesner,  Ueber  correlative  Transpiration  mit  Hauptriicksicht  auf  Anisophyllie  und  Plioto- 
tropbie.  Vorl.  Mitth.  in  den  Sitzuugsber.  d.  Kais.  Akad.  d.  Wiss.  Wieu.  Math.-nat. 
Ivi.  Bd.  CXIV.  Abt.  I.  Mai  1905.  Mit  2 Taf. 

Winkler,  Ueber  die  Regeneration  von  Blattspreiten  bei  einigen  Cyklnmenarten , Ber.  d. 
Deutscben  bot.  Gesellscb.  1902,  Bd.  XX,  p.  81. 


Memoria  XI 


Istituto  Dermosifilopatico  della  R.  Università  di  Catania 


Nuovi  tentativi  di  sieroterapia  nella  lebbra 
Pel  Prof.  R.  DE  LOCA 


Comunicando  questi  nuovi  tentativi  di  siero-terapia  della  leb- 
bra, ad  onta  dei  progressi  fatti  in  questi  ultimi  tempi  dalla  dot- 
trina delle  immunità  naturali  ed  artificiali  verso  gli  agenti  delle 
malattie  infettive,  potrei  su  per  giù  ripetere  quello  che  scrissi 
nel  1896  sull’  istesso  argomento  (1)  ; con  questa  differenza,  che 
invece  di  far  consistere,  come  feci  allora,  i fattori  dell’immunità 
naturale  dei  bruti  rispetto  alla  lebbra,  in  sostanze  godenti  potere 
antisettico  specifico,  preformato  o no,  riferirei  oggi  tali  fattori  a 
sostanze  battericide  o antitossiche;  e inoltre  : invece  di  ritenere, 
come  ritenni  allora,  che  coll’inoculazione  di  materiale  lebbroso 
nell’animale,  si  produca  nell’  organismo  di  questo,  una  sostanza 
antisettica,  capace  di  annientare  la  vitalità  del  bacillo  di  Hansen, 
riterrei  oggi  che,  con  tale  inoculazione,  si  avrebbe  la  produzione 
di  sostanze  battericide  dotate  della  medesima  costituzione  delle 
sostanze  battericide  dei  sieri,  cioè  sostanze  costituite  da  una  parte 
termostabile  (sensibilizzatrice  o anticorpo)  e da  una  parte  ter- 
molabile (alessina  o complemento).  E nelle  sostanze  antisettiche 
da  me  ammesse  nel  1896,  farei  oggi  forse  anche  rientrare  quelle 
sostanze  antitossiche,  che  è da  sospettare,  si  formino  nell’ organi- 
smo refrattario  inoculato  con  virus  lebbroso  , per  neutralizzare  , 

(1)  Tentativi  ili  siero-terapia  nella  lebbra.  Comunicazione  alla  Soc.  ital.  di  dermatolo- 
gia— Ottobre  1895. 

Giorn.  ital.  mal.  cen.  e della  pelle.  Fase.  Il,  1896. 

Atti  acc.  Serie  4%  Voi..  XIX — Meni.  XI. 


1 


2 


Prof.  R.  De  Luca 


[Memoria  XI.] 


non  dico  dei  veleni  solubili  (esotossine  nello  stretto  senso  della 
parola),  uia  veleni  più  o meno  insolubili  (endotossiue)  quale  le 
proteine  in  genere,  derivanti  dalla  distruzione  dei  corpi  batterici. 

* 

* 


Una  differenza  fondamentale  fra  le  prime  ricerche  e quelle 
attuali,  sta  però  nel  concetto  direttivo  che  mi  guidò  allora  e quello 
che  mi  ha  guidato  adesso  ; allora  con  la  sola  inoculazione  di 
sostanza  lebbrosa  nel  coniglio,  credei  di  poter  suscitare  nell1  or- 
ganismo di  questo,  la  produzione  di  una  sostanza  antitossica  che 
supponevo  impedisse  lo  svolgersi  dell’  infezione  e di  poterla  avere 
nel  siero  di  quest’animale  in  tale  quantità  da  esercitare  un’azio- 
ne battericida  sul  bacillo  di  Hansen.  Oggi  invece  , ben  cono- 
scendo come  si  possono  ritenere,  in  massima,  falliti  i tentativi 
diretti  ad  ottenere  sieri  curativi  da  animali  refrattarii  inoculati 
direttamente  col  virus  verso  cui  non  sono  recettivi  , riprendo 
le  ricerche  , e le  riprendo  collo  scopo  di  togliere  o almeno  di 
diminuire  quanto  è più  possibile  il  potere  battericida  normale 
del  siero  di  animale  refrattario  alla  lebbra  e di  stimolare  in 
questo  la  produzione  di  sostanze  specifiche  contro  il  b di  Hansen 
e i suoi  veleni.  In  altri  termini,  mi  propongo  di  vedere  se  sia 
possibile  ottenere  un  siero  antilebbroso,  inoculando  di  sostanza 
lebbrosa  un  animale  refrattario,  reso  precedentemente  più  o meno 
recettivo  con  la  diminuzione  o anche  colla  distruzione  dei  com- 
plementi. 

* 

Proponendomi  di  diminuire  o anche  di  distruggere  i com- 
plementi di  un  organismo  refrattario  alla  lebbra  e non  potendo 
far  calcolo  sui  complementi  battericidi,  perchè  nessun  animale, 
per  quanto  è oggi  ammesso  , è ritenuto  recettivo  rispetto  alla 


Nuovi  tentativi  di  sieroterapia  nella  lebbra 


3 


lebbra  (1)  bo  preso  in  considerazione  i complementi  emolitici  , 
perciò  bo  scelto  per  l1  esperimento,  un  animale  il  cui  siero  fosse 
normalmente  emolitico  sui  corpuscoli  rossi  dell’  uomo  , cioè  lo 
agnello.  Nella  speranza  die  parallelamente  alla  diminuzione  dei 
complementi  detti,  in  seguito  al  trattamento,  diminuissero  anche 
i battericidi,  e nel  caso  nostro,  i lepricidi,  e dopo  di  avere  pre- 
so in  considerazione  alcuni  dei  procedimenti  die  poteano  ri- 
spondere allo  scopo  di  diminuire  o anche  di  distruggere  i com- 
plementi, bo  ricorso  al  procedimento  indicato  da  Wassermann, 
per  ottenere  dal  coniglio,  siero  che  fosse  capace  di  fissare  i com- 
plementi esistenti  nel  siero  normale  di  cavia.  Soltanto  , poiché 
io,  invece  dei  due  termini  : coniglio  e cavia , aveva  quelli  di 
agnello  ed  uomo,  ricavai  dal  primo  il  siero  che  dovea  fissare  i 
complementi  nel  secondo. 

Preparato  così  l1  uomo  col  siero  di  agnello,  siccome  lo  sco- 
po da  raggiungere  era  quello  di  rendere  1’  agnello  recettivo  e 
poscia  infettarlo  di  lebbra,  inoculai  questo,  prima  con  siero  an- 
ticomplementare tirato  dal  sangue  del  lebbroso  trattato  e poscia 
con  sostanza  lebbrosa  carica  di  b di  Hansen. 

Con  tale  trattamento,  si  sarebbero,  è vero,  potuti  ottenere, 
nel  siero  d’ uomo,  anche  delle  sostanze  antisensibilizzatrici,  ma 
tale  eventualità  non  avrebbe  potuto  che  essere  favorevole  alle 
mie  ricerche,  perchè  mi  avrebbe  dato  un  mezzo  per  rendere  an- 
che più  recettivo  li  animale. 

* 

-*  * 

Il  10  Novembre  1904.  Salasso  della  giugulare  di  un  agnello 
del  peso  di  kilogr.  14  ; si  estrae  circa  22  chic,  di  sangue  che 

(1)  Perchè  non  li  credo  dimostrati  e anche  perchè  contraddicono  ai  miei  numerosissimi 
esperimenti  (V.  trasmissibilità  della  lebbra  la  e 2a  serie  di  esperimenti  in  Rivista  di  igiene 
e sanità  pubblica,  1895)  non  ammetto  i trapassi  della  lebbra  agli  animali,  che  si  asseri- 
scono recentemente  ottenuti.  Cfr.  Tiroux — Ann.  d’  Hyg.  et  méd.  colon.  J.  Vili,  N.  1.  1905. 
Nicolle  Comptes  Reudu  de  1’  Acc.  d.  se.  27  Febbr.  1905.  Nè  tanto  meno  ritengo  esatta 
P osservazione  secondo  la  quale  si  sarebbero  osservati  dai  ratti  lebbrosi.  Cfr.  Déau.  lourn. 
of  Hyg.  1905  N.  I. 


4 


Prof.  li.  De  Luca 


[Memoria  XI. J 


si  lascia  coagulare  in  larga  capsula  Petri  al  coperto  di  qualunque 
inquinamento;  si  separano  12  chic,  di  siero,  di  cui  6 chic,  furono 
injettati  il  giorno  11  e 6 il  giorno  16  novembre  nel  cellulare 
sottocutaneo  di  C.  Gì.  di  anni  17  nativo  dell’  isola  di  Malta,  da 
3 anni  affetto  di  lebbra  mai  curata  e tìglio  di  madre  lebbrosa. 

Il  11  Novembre  1904  , nuovo  salasso  di  27  cmc.  dalla  giu- 
gulare del  medesimo  agnello  , da  cui  si  ottengono  15  cmc.  di 
siero,  di  cui  sette  cmc.  si  incettano  il  18  e otto  il  26  successi- 
vo nel  cellulare  sottocutaneo  del  medesimo  lebbroso. 

Il  3 Dicembre  1904 , salasso  dalla  giugulare  di  un  altro  gio- 
vine agnello  del  peso  di  Kil.  13  di  18  cmc.  di  sangue  , da  cui 
si  tirano  8 cmc.  di  siero  , che  si  injetta  sottocute  al  medesimo 
lebbroso  in  unica  volta. 

Il  13  Dicembre  1904  , salasso  dalla  giugulare  di  un  altro 
giovine  agnello  del  peso  di  16  kilogr.  , da  cui  si  ricavano  10 
cmc.  di  siero  che  vengono  injettati  in  unica  volta  sempre  al 
medesimo  lebbroso. 

Oosicliè,  fatti  i conti,  in  31  giorni,  furono  injettati  al  leb- 
broso C.  complessivamente  15  cmc.  di  siero  di  agnello  sano. 

Patto  questo  trattamento,  bisognava  vedere  se  nel  siero  del 
lebbroso  trattato,  fossero  diminuiti  i complementi  emolitici. 

Conoscendo  che  in  condizioni  normali  10  cmc.  di  siero  di 
agnello  emolizzano  completamente  le  einasie  contenute  in  1 cmc. 
di  emulsione  London  (5  cmc.  di  sangue  umano  defibrinato 
in  100  di  Na.  Cl.  a 0,  85)  mi  fu  possibile  stabilirlo.  A tal  uo- 
po, ad  1 cmc.  di  soluzione  di  Na.  Cl.  a 0,  85,  aggiunsi  in  dosi 
via  via  crescenti  frazioni  da  0,005  a 1 crac,  di  sangue  del  leb- 
broso trattato  e poi  successivamente  cmc.  10  di  siero  di  agnello, 
e trovai  così  che  1’  azione  emolitica  di  questo  era  ostacolata 
da  0,  75  di  siero  di  lebbroso  trattato. 

Il  risultato  di  avere  ottenuto  un  siero  anticomplementare  dal 
lebbroso  trattato  verso  1’  agnello  era  così  raggiunto  ; però  ove 
con  questo  siero  avessi  voluto  distruggere  tutti  i complementi 
emolitici  contenuti  nella  massa  sanguigna  dell’  agnello,  facendo 


Nuovi  tentativi  di  sieroterapia  nella  lebbra 


5 


le  dovute  proporzioni  , trovai  che  avrei  avuto  bisogno  di  una 
dose  di  siero  antieoinplenientare  enorme  ed  impossibile  ad  ot- 
tenere da  un  uomo,  dose,  che  del  resto,  era  da  sospettare  aves- 
se potuto  riuscire  tossica  all’  animale.  Conoscendo  però,  che  per 
rendere  recettivi  alcuni  animali  ad  infezioni  batteriche,  p.  e.  i 
colombi  al  carbonchio,  basta  inoculare  dosi  di  siero  anticomple- 
mentare infinitamente  minori  di  quelli  che  occorrono  negli  espe- 
rimenti in  vitro  (una  centesima  parte  ed  anche  meno)  così  mi 
contentai  di  incettare  qualche  cmc.  per  volta  di  siero  anticom- 
plementare. 

E dal  19  Dicembre  in  poi,  inoculai  fi  giovani  agnelli  e per 
20  giorni,  singolarmente  ad  ognuno  10  cmc.  di  siero  anticom- 
plementare , ottenuto  in  varii  piccoli  salassi  fatti  al  lebbroso 
trattato. 

Procedei  indi  all1  injezione  ai  medesimi  6 agnelli  di  mate- 
riale lebbroso  e nel  modo  seguente  : 

Il  (fiorilo  11  Gennaio  1905 , cioè  dopo  due  giorni  dell1  ulti- 
ma injezione  di  siero  negli  agnelli  , escisi  dalla  fronte  del  leb- 
broso 0.  E.  di  anni  27  da  Pachino , ammalato  da  9 anni  di 
lebbra  tubercolare,  un  grosso  nodulo  di  circa  cmc.  1 \'2  , carico 
di  b di  H.  ; lo  tagliuzzai  colle  forbici  e lo  ridussi  in  poltiglia 
(senza  nè  sabbia  nè  quarzo)  poltiglia  che  diluii  in  soluzione  fi- 
siologica di  Na.  01.  nella  proporzione  di  1 : 20. 

Lasciai  riposare  alquanto  e in  3 dei  6 agnelli  injettai  la 
porzione  liquida  per  via  endovenosa  , e l’altra,  depositatasi  in 
fondo  del  mortaio,  per  la  via  sottocutanea  ed  endoperitoneale. 

Nei  rimanenti  3 agnelli,  injettai  un  estratto  acquoso-glice- 
rico  di  grosso  leproma,  carico  di  bacilli  di  H.  , esciso  dal  brac- 
cio del  medesimo  ammalato  0.  e preparato  nel  modo  seguente: 
dopo  spezzettato  minutamente  colle  forbici  il  leproma,  lo  triturai 
in  mortaio  ; diluii  la  poltiglia  ottenuta  in  una  miscela  di  Na. 
01.  al  0,  85  per  100  e glicerina  ana,  nelle  proporzioni  1 di  pol- 
tiglia e 30  di  miscela  ; lasciai  riposare  il  materiale  per  18  ore 
e poi  lo  filtrai  al  carbone. 


6 


Prof.  R.  De  Luca 


[Memoria  XI.] 


Tale  filtrato  fu  iniettato  ai  detti  3 agnelli  tanto  per  via 
endovenosa  quanto  per  la  sottocutanea  ed  endoperitoneale. 

In  tutto  il  corso  dell’ osserva/ione  , durata  dal  Gennaio  a 
Dicembre  1905,  nessuno  dei  6 agnelli  trattati  presentò  fenome- 
ni morbosi  di  sorta  , eccetto  che  uno  , nel  quale  , nei  mesi  di 
Maggio  e Giugno,  fu  notata  una  certa  spontanea  caduta  dei  peli 
del  dorso,  senza  visibile  alterazione  della  sottostante  cute.  Tale 
caduta  di  peli,  dopo  il  Giugno,  si  arrestò  spontaneamente. 

Il  siero  separatosi  dal  sangue  di  tutti  e 6 i detti  agnelli 
trattati,  cavato  con  salassi  successivi  e a turno  (in  tutto  180  chic.) 
fu  adoperato  per  infezioni  sottocutanee  , a scopo  curativo  , nel 
contadino  S.  A.  di  anni  28  da  Mascalucia,  con  pertinenze  ere- 
ditarie negative  e da  12  anni  affetto  da  lebbra  tubercolare  (1). 

Tali  infezioni  non  sortirono  effetto  curativo  di  sorta  nè  pros- 
simo nè  a distanza.  Infatti  oggi,  Aprile  1900,  il  S.  si  trova  an- 
cora ricoverato  in  clinica  nelle  identiche  condizioni  nelle  quali 
si  trovava  l’anno  scorso,  prima  della  cura. 

* * 

Come  conclusione  delle  esposte  ricerche  si  ha:  che  con  i me- 
todi ora  da  me  adoperati  non  si  riesce  a rendere  recettivo  l’a- 
gnello alla  infezione  lebbrosa , meglio  che  con  qualcuno  degli 
altri  metodi  pure  da  me  sperimentati  in  altri  animali  (smilza- 
mento,  dissanguamento,  narcosi , fame)  (2)  nè  ad  ottenere  dallo 
agnello  trattato,  un  siero  che  abbia  azione  curativa  di  sorta. 

(1)  Mi  piace  notare  che  il  comune  di  Mascalucia  non  ha  lebbrosi,  e che  nel  S.  la  lebbra 
si  sviluppò  dopo  2 anni  dacché  lasciata  Mascalucia,  era  andato  ad  abitare  Cibali,  antico 
focolaio  di  lebbra. 

(2)  V.  Sul  trapasso  della  lebbra — 2a  serie  di  esperimenti,  Catania  1897. 


Memoria  XII. 


Istituto  Zoologico  della  K.  Università  diretto  dal  Prof.  A.  Russo. 


Sopra  un  mostro  doppio  di  Sus  Scrofa  L.  (Sicefalo-Sinoto) 
per  i dottori  G.  POLARA  e S.  COMES <l) 


RELAZIONE 


della  Commissione  di  revisione  composta  dai  membri  effettivi 
Proti  R.  STADERINI  e A.  RUSSO  (relatore). 


Iti  questa  Memoria  i Dottori  G.  Folata  ed  S.  Comes  danno  nuovi  e 
più  precisi  dettagli  intorno  ad  un  mostro  doppio  di  Sus  Scrofa  L.  (Sicefalo-si- 
noto)  facendo  notare  le  differenze  tra  1’  esemplare  da  loro  studiato  e quello 
cbe  fu  illustrato  alcuni  anni  fa  dal  Calori.  Tali  differenze  riguardano  in 
special  modo  i sistemi  digerente,  respiratorio,  scheletrico  e nervoso,  nei  quali 
si  riscontra  una  diversità  di  conformazione  anatomica  dovuta  ad  azioni  mec- 
caniche, che  hanno  agito  durante  lo  sviluppo. 

La  Commissione  ritiene  che  la  Memoria  dei  Dottori  G.  Polara  ed  S. 
Comes  contenga  fatti  notevoli,  che  illustrano  meglio  alcuni  caratteri  tera- 
tologici e perciò  propone  che  sia  inserita  negli  Atti  di  questa  Accademia. 


Il  20  marzo  ilei  corrente  anno  fu  portato  in  questo  labo- 
ratorio un  mostro  doppio  di  JSus  /Scrofa  che,  secondo  le  classi- 


fi)  Perchè  il  lavoro  resti  diviso  si  dichiara  che  il  Dottor  Comes  si  è occupato  special- 
mente dei  sistemi  digerente,  circolatorio  e scheletrico  e il  Dottor  Polara  dei  sistemi  respi- 
ratorio, genito-uriuario  e nervoso.  Entrambi  presero  ugual  parte  alle  ricerche  bibliografiche 
alle  deduzioni  e al  resto  del  lavoro. 

Atti  acc.  Serie  4a,  Vor..  XIX—  Meni.  XII. 


1 


2 


Dottori  G.  Potar  a e ÌS.  Comes 


[Memoria  XII] 


ficazioni  di  Isid.  Greoff.  Saint-Hilaire  (1)  e di  Tarnffi  (2)  deve 
annoverarsi  fra  i Bicefali  Sinoti. 

Sebbene  un  caso  simile  sia  stato  egregiamente  illustrato  dal 
Calori  (3)  pure  le  curiose  e nuovi  anomalie  degli  organi  inter- 
ni, che  il  nostro  soggetto  presenta,  ci  hanno  indotto  a studiarlo 
e a descriverlo. 

Forma  esterna  e dimensioni 

J1  mostro  (4)  è costituito  da  due  individui  pressocchè  egual- 
mente sviluppati  , uniti  dall1 2 3 4  ombelico  in  su  tino  all1  estremità 
facciale.  L’asse  di  unione  è quasi  parallelo  agli  assi  vertebrali  dei 
singoli  individui  nella  parte  posteriore,  mentre  su  di  esso  questi 
ultimi  si  inclinano  vie  più  che  si  procede  verso  la  testa. 

Nello  stesso  senso  la  fusione  va  facendosi  sempre  più  inti- 
ma : i due  soggetti  infatti  hanno  le  regioni  ipogastriche  com- 
pletamente libere  e gli  arti  posteriori  normali  e normalmente 
disposti  per  rispetto  ad  ognuno  dei  due  componenti. 

La  parte  superiore  dell1  addome  ed  il  petto  sono  opposti 
l’uno  all’altro  e quindi  due  degli  arti  toracici  sono  rivolti  dal 
lato  ventrale  del  mostro,  gli  altri  due  dal  lato  dorsale.  I due 
ventrali  corrispondono  al  destro  del  soggetto  di  destra  e al  si- 
nistro del  sinistro  e i due  dorsali  al  sinistro  del  destro  e al  de- 
stro del  sinistro.  Il  mostro  quindi  posava  su  (1  piedi,  quattro  poste- 
riori e due  anteriori,  portando  gli  altri  due  anteriori  dorsalmente. 

Le  due  colonne  vertebrali  parallele  nella  parte  posteriore  si 
incurvano  lateralmente  nella  regione  dorsale  spostandosi  rispetti- 
vamente verso  destra  nell1  individuo  destro  e verso  sinistra  nel 

(1)  Isid.  Geoffk . Saint  Hilaire  — Hi  stai  re  des  anomalie»  de  l’organisation  — Paris  Li- 
brairie I.  B.  Bailliere  1886. 

(2)  Taruffi  C.  — Sull’ordinamento  della  Teratologia — Memorie  delPAccademia  di  Scienze 
dell’  Istituto  di  Bologna  T.  V.  S.  V.  1896,  pag.  696-706. 

(3)  Calori  L.  — Dell’  Iniope  e del  Sinoto,  dei  caratteri  comuni  e propri  e dei  vari  Sicefalì 
e della  loro  genesi — Memorie  delPAcc.  delle  Se.  Ist.  Bologna  T.  V.  Ser.  IV.  1883  p.  143-185. 

(4)  A dire  di  chi  ce  lo  portò,  il  mostro  nacque  ad  un  parto  insieme  con  altri  porcellini,  j 
e morì  tre  giorni  dopo  la  nascita. 


Sopiii  vn  mostro  doppio  di  Svs  Scrofa  L.  [Sice  falò- Sinoto) 


sinistro  e ritornano  infine  nella  regione  cervicale  a decorrere 
quasi  parallelamente.  Per  tal  modo  se  si  uniscono  con  una  linea 
le  apotìsi  spinose  di  tutte  le  vertebre  di  una  stessa  colonna  , 
essa  risulterà  una  curva  con  la  convessità  rivolta  all’  in  su  e 
all’ infuori.  (Y.  tig.  1). 


Dal  sudetto  modo  di  unione 
consegue  che  lo  sterno  di  ogni 
individuo  è rimasto  diviso  sul- 
la linea  mediana  e le  sue  due 
metà  sono  state  ritorte  lateral- 
mente e trasportate  sui  fianchi, 
dove,  in  contatto  con  le  due  me- 
tà simili  e simmetricamente  di- 
sposte dello  sterno  dell’altro  in- 
dividuo, si  sono  riunite  forman- 
do due  sterni  comuni  ai  due 
individui,  laterali  rispetto  ad 
ognun  di  essi  , dorsale  e ven- 
trale rispetto  al  tronco  del  mo- 
stro (v.  f.  I). 


Fig.  I.  — l'ologrufia  dello  sterno  superiore  del  mostro.  -,  . , , . • ,» 

Le  colonne  vertebrali  fanno 
capo  ad  una  testa  unica  molto  grossa  nella  regione  occipitale  , 
situata  all'  estremità  anteriore  dell’asse  di  unione,  diretta  ver- 
ticalmente in  basso  per  rispetto  al  mostro,  lateralmente  riguardo 
ad  ognuno  dei  componenti.  Ai  due  lati  della  testa  esistono  due 
orecchi  normali  e lungo  la  linea  di  congiungimento  di  essi,  alla 
sommità  occipitale  ne  esistono  altri  due  molto  rudimentali,  privi 
di  condotto  uditivo  esterno. 

Si  trovano  due  occhi  normali  per  posizione.  Ma.  mentre  il 
sinistro  è completo,  il  destro  manca  del  cristallino  ed  è conte- 
nuto in  una  cavità  orbitaria  ridotta. 

I due  soggetti  sono  di  colore  identico  : bianchi  sul  dorso  e 
negli  arti,  neri  nella  testa  con  macchia  bianca  al  grugno  , neri 
nella  regione  sacrolombare  e nelle  code. 


4 


Dottori  (ì.  Potava  e iS.  Comes 


[Memoria  XII.] 


Dalla  inserzione  della  coda  alla  sutura  lambdoidea  V indi- 
viduo sinistro  misura  min,  170,  il  destro  inni.  172.  La  testa  ha 
un  diametro  aliterò  posteriore  lungo  49  1 2 min.  nel  sinistro,  51 
nel  destro  ed  un  diametro  trasverso  massimo  di  min.  44. 


Cavità  del  Corpo 


Ognuno  dei  due  individui  ha  una  cavità  toracica  ed  una 
addominale  propria  molto  più  sviluppate  nell’  individuo  di  sini- 
stra, di  meno  in  quello  di  destra,  per  cui  le  due  cavità  sinistre 
si  estendono  per  breve  tratto  sulle  destre. 

Apparato  Digerente 

L’  apparato  digerente  ha  una  disposizione  essenzialmente 
diversa  da  quella  descritta  dal  Calori  e solo  alcune  leggere  so- 
miglianze esistono  fra  le  cavità  boccali  rispettive.  Nel  Sinoto  da 
noi  osservato  la  bocca  è una  cavità  unica  priva  della  volta  del 
palato  e comunicante  direttamente  con  le  fosse  nasali,  essa  cioè 
presenta  quella  speciale  conformazione  cono- 
sciuta in  teratologia  sotto  il  nome  di  gola  di 
lupo.  Nel  soggetto  studiato  dal  Calori  man- 
cavano solo  le  porzioni  orizzontali  delle  ossa 
palatine. 

lai  lingua  è unica,  molto  grossa  alla  base, 
dilaminata  all’apice  ; essa  presenta  due  creste 
■“ laterali  rivolte  in  alto  verso  la  cavità  boccale 
'--'•■P  e fornite  di  lunghe  e vistose  papille,  che  si 


H 

P~ 


SM 


-A 


estendono  anche  al  margine  laminare  anteriore. 

Fig.  II. — Semischematica  del-  le  due  CTOSte  COTTO  UH  Solco  (V-  f.  2)  evi- 

ia  lingua:  a apice  delia  lingua— ^en^einen  te  dovuto  alla  pressione  esercitata 
p papaie- sm  solco  mediano.  Slllla  lingua  dal  vomere,  il  quale  produrebbe 
ancora  il  rialzo  delle  parti  laterali  della  lingua  e l’introduzione 
di  esse  nelle  cavità  nasali.  Le  grosse  e numerose  papille  ricor- 
dano quelle  scagliose  dei  pesci  e dei  rettili. 


Sopra  un  mostro  doppio  di  Svs  Scrofa  L.  (Sicef alo- Sinoto) 


a 


Segue  un’unica  faringe  ed  un  unico  esofago  molto  svilup- 
pato e contenuto  nella  cavità  toracica  sinistra.  L ’esofago  immet- 
te in  uno  stomaco  contenuto  pur  esso  nella  cavità  addominale 
sinistra  e costituito  da  due  tasche  laterali,  fra  le  quali  corre  un 
solco  mediano  che  continua  l’esofago  direttamente  col  duodeno. 
Esso  risulta  senza  dubbio  dalla  fusione  dei  due  stomachi,  avve- 
nuta per  le  piccole  curvature  ed  il  solco  descritto  rappresenta 
i bordi  delle  pareti  gastriche  venute  in  contatto.  L’intestino  è 
unico  fino  alla  prima  ansa  del  duodeno,  quivi  esso  si  biforca  e 
dà  due  rami.  L’  uno  si  continua,  dopo  aver  ricevuto  lo  sbocco 
del  coledoco  del  fegato  di  sinistra,  (contenuto  nella  cavità  addo- 
minale sinistra  ) tino  all’estremità  anale  dell’ individuo  sinistro: 
esso  è del  tutto  normale.  L’  altro  invece,  appena  ricevuto  lo 
sbocco  del  coledoco  del  fegato  di  destra  (contenuto  aneli’  esso 

nella  cavità  addominale  si- 
nistra) si  suddivide  in  due 
branche,  delle  quali  1’  una, 
continuandosi  per  lungo 
tratto  nella  cavità  addomi- 
nale sinistra,  va  a congiun- 
gersi , immediatamente  do- 
po la  sua  appendice  cecale, 
con  il  principio  del  retto 
dell’intestino  sinistro,  l’al- 
tra, perforato  il  setto  divi- 
sorio tra  le  cavità  dei  due 
individui,  passa  nell’altro 
soggetto  e dopo  breve  per- 
corso rettilineo  va  a sbocca- 
lestinn  re  all’  esterno,  nello  stesso 

testino  desti o — PìllsT  punto  di  tusione  degli  intestini  destro 

e sinistro  - ED  retto  destro-i?S  retto  sinistro.  lliodo  COllie  awieiie  pei*  l’ÌU- 

dividuo  di  sinistra.  Sotto  questo  riguardo  1’  individuo  destro  si 
può  considerare  come  parassita  dell’individuo  di  sinistra,  giacche 
manca  dell’esofago,  dello  stomaco  e della  parte  assorbente  del- 


Fig.  III.  — Semischematica  dell’apparato  digerente:  CD 
cieco  destro — ES  esofago  —INTS  inlestino  sinistro — INTD  in- 


t) 


Dottori  G.  Colava  e tS.  Comes 


[M  Estolti  A XII. | 


1’  intestino.  Questa  disposizione  dell1  intestino  è intimamente 
legata  all’  esistenza  di  una  sola  bocca  e di  una  sola  farin- 
ge (v.  fig.  3). 

Abbiamo  osservato  una  sola  milza  ed  un  solo  pancreas  con- 
tenuti nella  cavità  sinistra  e,  come  si  è detto  avanti,  due  fegati 
nettamente  distinti,  l’uno  a livello  dello  stomaco,  l’altro  più  in 
basso  e a destra,  meno  sviluppato  del  primo,  contenuti  entrambi 
nella  cavità  sinistra. 

Le  glandule  sottolinguali , le  parotidi  e le  sottomascellari 
sono  normali. 


Apparato  Respiratorio 

Anche  1’  apparato  respiratorio  differisce  essenzialmente  da 
quello  descritto  dal  Calori. 

Esistono  due  laringi,  due  trachee,  quattro  grossi  bronchi  e 
quattro  polmoni. 

Le  due  laringi  e le  due  trachee  sono  disposte  in  piani  di- 
versi, l’una  avanti  all’esofago,  l’altra  dietro  e spostata  un  po1  a 

destra.  Le  due  trachee 
decorrono  nella  cavità 
toracica  sinistra,  però  il 
bronco  destro  della  tra- 
chea superiore  entra  nel 
polmone  sinistro  dell’in- 
dividuo di  destra  e corri- 
spondentemente il  bron- 
co destro  della  trachea 
inferiore  penetra  nel  pol- 
mone destro  dell’indivi- 
duo  di  destra  (v.  f.  4). 
Così  i bronchi,  che  van- 
no ai  polmoni  contenuti 
nella  cavità  toracica  di 


Fig  IV.  - Semischematica  dell'  apparato  respiratorio  : 
ES  esofago  — PD  polmoni  dell’  individuo  destro  — PS  polmoni 
dell’individuo  sinistro— TRD  trachea  destra  —TRS  trachea  si- 
nistra. 


Sopra  un  mostro  doppio  di  Sus  Scrofa  L.  (Sice falò- Sinoto) 


7 


ogni  individuo , non  provengono  dalla  stessa  trachea  , ina  ap- 
partengono ad  entrambe.  L’  interpretazione  di  questa  curiosa  e 
nuova  (1)  disposizione  è abbastanza  difficile. 

Possiamo  pensare  che  la  porzione  anteriore  del  tubo  ento- 
demiico  formatasi  nella  cavità  dell’individuo  sinistro  lungo  la 
linea  mediana  del  mostro,  nei  primi  momenti  dello  sviluppo  abbia 
dato  origine  a due  tubi  respiratori  1’  uno  superiore  e l’altro  in- 
feriore, ognuno  dei  quali  trovava  Io  spazio  necessario  per  allo- 
gare nella  cavità  sinistra  solo  uno  dei  polmoni,  mentre  1’  altro, 
che  rasentava  il  setto  divisorio  dei  due  soggetti,  doveva  neces- 
sariamente attraversare  quest’  ultimo  e penetrare  nella  cavità 
adiacente  giacché  la  inestensibilità  e la  scarsa  flessibilità  del 
tronco  non  permettevano  una  ritorsione  nella  stessa  cavità. 

Apparato  Circolatorio 

Anche  1’  apparato  cireolatore  è diverso  da  quello  riscontrato 
dal  Calori. 

Esso  è quasi  normale  nei  due  individui. 

Esistono  due  cuori,  il  sinistro  alquanto  più  sviluppato  del 
destro.  In  questo  ultimo  1’  arteria  polmonare  corre  parallela  al- 
l’arco aortico  che  perciò  nel  suo  primo  tratto  non  è sormontato 
da  quella.  Il  cuore  sinistro  è disposto  nella  cavità  sinistra  fra 
i due  bronchi  della  trachea  superiore,  il  destro  nella  cavità  de- 
stra rasenta  il  margine  divisorio  ed  è disposto  tra  i due  bronchi 
della  trachea  inferiore. 

Non  abbiamo  potuto  seguire  il  resto  del  sistema  cireolatore 
per  le  condizioni  poco  propizie,  in  cui  si  trovava  il  mostro. 

Apparato  Genito-Urinario 

Esso  è invece  pressoché  identico  a quello  del  Bicefalo  del 
Calori.  Si  trovano  4 reni  normali  i due  del  sinistro  collocati 


(lj  Dalle  estese  ricerche  bibliografiche  fatte  risulta  che  tale  anomalia  non  ostata  finora 
riscontrata. 


8 


Dottori  G.  Dolora  e ÌS.  Comes 


[Memoria  XII.] 


nella  cavità  addominale  sinistra  alquanto  più  sviluppati  dei 
corrispondenti  destri,  i quali  sono  alquanto  più  ravvicinati  fra 
di  loro  per  lo  scarso  sviluppo  della  cavità  peritoneale  destra  , 
in  cui  sono  allogati.  Quattro  ureteri  normali  mettono  capo  a 
due  vesciche  aneli’ esse  normali.  Esistono  in  ogni  individuo  due 
arterie  ombelicali  già  obliterate  e un  unico  normale,  facenti  tutti 
capo  all’  unico  ombelico. 

I due  soggetti  però  sono  entrambi  di  sesso  femminile  con 
utero  e ovaie  più  sviluppati  nel  sinistro. 

Scheletro  del  tronco  e degli  arti  (1). 

Le  due  colonne  vertebrali  sono  anatomicamente  identiche: 
ognuna  di  esse  ha  6 vertebre  cervicali,  13  dorsali,  10  lombari, 
5 sacrali  e 10  caudali  perfettamente  normali.  L’  anomalia  nu- 
merica per  difetto  alla  regione  cervicale  è compensata,  come  si 
vede,  nella  regione  dorsale.  Le  coste  sono  13  paia  per  ogni  in- 
dividuo, di  cui  sette,  le  vere  coste,  si  sviluppano  enormemente 
per  congiungersi  con  le  corrispondenti  dell’individuo  vicino  nello 
sterno  rispettivo. 

Lo  sterno  ventrale  (relativamente  al  mostro)  è più  svilup- 
pato del  dorsale.  Alla  loro  inserzione  con  lo  sterno  , le  coste 
dorsali  (sempre  relativamente  al  mostro)  formano  un’  arcata 
molto  più  convessa  della  ventrale  mentre  fra  il  loro  punto  d’in- 
serzione alle  vertebre  e le  apotìsi  spinose  mostrano  un  avvalla- 
mento, dove  si  dispongono  le  scapole  destra  del  sinistro  e sinistra 
del  destro  (v.  fìg.  1). 

La  causa  di  questo  avvallamento  si  deve  ricercare  nella 
mutua  compressione  più  fortemente  esercitata  dai  due  individui 
lungo  la  linea  dorsale  del  piano  di  unione. 

Tutte  le  ossa  degli  arti  sono  normali. 


fi)  Il  Calori  non  descrive,  nè  figura  lo  scKeletro  del  tronco  e degli  arti  del  suo  sog- 
getto. 


Sopra  un  mostro  doppio  di  Sus  Scrofa  L.  (Bicefalo- Sinoto) 


9 


Scheletro  della  testa 

Sebbene  nelle  linee  generali  la  descrizione  dello  scheletro 
della  testa  mostruosa  data  dall’  anatomico  di  Bologna  coordini 
con  la  nostra,  pure  importanti  e numerose  sono  le  differenze. 

La  forma  del  cranio  è emisferica  con  la  porzione  posteriore 
con  raggio  di  curvatura  minore  di  quello  della  parte  anteriore 
mentre  nel  normale  la  forma  è pressocchè  quella  di  un  prisma 
retto  a base  triangolare.  Mentre  nel  normale  la  sommità  del- 
l’ occipitale  superiore  costituisce  il  punto  più  alto  del  cranio  e 
le  altre  ossa,  che  seguono  ad  esso,  sono  disposte  su  di  un  piano 
declinante  in  avanti,  nel  mostro  la  disposizione  è diversa.  I due 
parietali  risalgono  a curva  in  alto,  raggiungono  i due  frontali 
segnando  al  punto  di  unione,  corrispondente  alla  fontanella 
breginatica,  il  punto  di  massima  altezza  cranica.  Di  qua  la  curva 
decresce  rapidamente  fino  all’  estremità  nasale. 

Così  fatta  la  linea  di  contorno  della  testa  mostruosa  ri- 
chiama , specialmente  nella  sua  parte  posteriore,  quella  del- 
1’  uomo  (tig.  5). 

La  duplicità  della  colonna  vertebrale 
si  continua  nella  parte  posteriore  della 
testa. 

Gli  occipitali  sono  due,  disposti  la- 
teralmente alla  linea  mediana  di  unione. 
Essi  hanno  un  forameli  magnum  per  ognu- 
no un  poco  inclinato  dall’alto  al  basso  e 
dall’indietro  all’avanti,  mentre  nel  normale 
il  foro  occipitale  è verticale. 

In  ogni  occipitale  si  distinguono  un 
occipitale  basilare  disposto  sul  piano  della 
mandibola,  uno  laterale,  inclinato  un  po’ 
sul  primo  diretto  dall’interno  all’esterno 

Flg.  V.— Fotografia  della  sca-  „ , , , , , 

toh.  cranica.  e tomiaiite  col  piano  sudetto  un  angolo 

Atti  acc.  Srrik  4%  Voi..  XIX  — Meni.  XII.  2 


10 


Dottori  G.  Polara  e >S.  Comes 


[Memoria  XII. J 


ottuso  verso  la  linea  mediana.  Le  apofisi  giugulari  sono  normali, 
le  due  interne  sono  addossate  ai  lati  della  linea  mediana  di 
fusione  e ridotte.  Era  i due  occipitali  superiori  si  trova  un  os- 
sicino soprannumerario  di  forma  pentagonale  (v.  fig.  6),  che  si  può 
considerare  come  derivante  dalla  fusione  delle  due  squamine  dei 
temporali  interni  dei  due  individui. 

Il  Calori  descrive  quest’  osso  formato  dalla  fusione  delle 
squamine  dei  temporali  interni  con  un  solco  mediano  (sicuro 
accenno  di  duplicità)  confinante  in  alto  coi  due  parietali,  men- 
tre nel  nostro  soggetto  esso  è più  piccolo  e compreso  fra  i due 
occipitali  superiori  e l’interparietale,  che  evidentemente  mancava 
nel  soggetto  del  Calori. 

La  forma  di  ognuno  dei  due  parietali  è quella  di  un  qua- 
drilatero (v.  fig.  6)  molto  diversa  dal  normale  avvicinandosi  in- 
^ vece  a quella  del  parietale  umano. 

Infatti  esiste  una  bozza  parietale, 
che  manca  nel  normale  e mentre 
quivi  il  parietale  è formato  di  due 
parti,  una  orizzontale  e l’altra  quasi 
verticale  e unentesi  con  la  prima 
lungo  una  cresta  ad  angolo  legger- 
mente ottuso,  nel  mostro  manca  tale 
distinzione  essendo  il  parietale  co- 
stituito da  una  unica  parte  convessa 
all’infuori,  però  la  sutura  temporo- 
parietale  è,  come  nel  normale,  con- 
vessa in  basso.  Era  i due  margini 
superiori  interni  degli  occipitali  su- 
periori e la  parte  posteriore  interna 
dei  margini  posteriori  dei  parietali 
esiste  un  interparietale,  che  assume 
uno  sviluppo  notevele  anche  fra  i due  occipitali.  Esso  è disposto 
in  avanti  e all’insù  dell’osso  soprannumerario  descritto.  La  sua 
forma  è esagonale  (v.  fig.  6). 


Fig.  VI.  — Ossa  principali  del  cranio  : 
1.  frontale  — 2.  parietale  — 3.  occipitale  su- 
periore—4.  interparietale — ó.  osso  sopran- 
numerario interoecipitale. 


Sopra  un  mostro  doppio  di  Sus  Scrofa  L.  (tricefalo- Sinoto) 


11 


I temporali  sono  4 , gli  esterni  dei  due  individui  normal- 
mente sviluppati  ; delle  quattro  apofisi  inastoidee  le  interne  sono 
molto  ridotte  e disposte  lungo  la  linea  mediana  ed  ai  suoi  lati. 
Lungo  la  linea  mediana  avanti  a loro  e fra  i due  occipitali  ba- 
silari esiste  un  foro  triangolare,  che  si  deve  intendere  originato 
dalla  fusione  dei  due  forami  lacero-anteriori  interni  corrispon- 
denti. Esistono  quindi  tre  forami  lacero-anteriori  in  tutto,  come 
nel  soggetto  del  Calori.  In  avanti  del  foro  i basi-occipitali  si 
uniscono  lungo  la  linea  mediana.  Similmente  le  rocche  dei  tem- 
porali interni  sono  ridotte  e per  la  compressione  laterale  acqui- 
stano uno  sviluppo  maggiore  in  lunghezza  senza  però  saldarsi 
fra  di  loro,  come  nell’esemplare  del  Calori.  Sulla  loro  superficie 
si  notano  i forami  dei  condotti  uditivi  interni  poco  sviluppati 
e i fori  mastoidei  ridotti  ad  un  leggero  infossamento.  Esistono 
quindi  4 fori  uditivi  interni  e solo  due  veri  forami  mastoidei. 
I fori  lacero-posteriori  sono  occlusi  lungo  la  linea  di  unione 
delle  rocche  sudette  da  membranelle  ossee,  in  tutto  quindi  i fori 
lacero-posteriori  sono  4 di  cui  i due  interni  incompleti,  contra- 
riamente a quanto  avveniva  nel  soggetto  del  Calori,  dove  erano 
tutti  e quattro  egualmente  sviluppati. 

I fori  dei  condotti  uditivi  esterni  delle  rocche  mediane  sono 
coperti  dall’osso  soprannumerario  e quindi  non  comunicano  con 
gli  orecchi  rudimentali  descritti.  Nei  temporali  esterni  manca 
la  cresta,  che  nel  normale  si  estende  dal  foro  auricolare  esterno 
alla  sutura  tempore-parietale. 

Lo  sfenoide  è unico  e normale.  Esso  si  unisce  per  la  base, 
munita  di  due  facce  convergenti  indietro  con  il  margine  ante- 
riore dei  due  basi-occipitali,  formando  una  sella  turcica  molto 
profonda  e superiormente  limitata  da  due  apotisi  clinoidee  molto 
sviluppate.  Nel  soggetto  del  Calori  il  basisfenoide  è doppio  , il 
posteriore  è rudimentale  e situato  sulla  linea  mediana.  I due 
forami  ovali  e le  due  fessure  sfenoidee  sono  normali.  Degna  di 
nota  è 1’  origine  dei  forami  ottici  da  un  infossamento  osseo  co- 
mune, diretto  dall’indietro  all’avanti  e a sghembo  verso  sinistra; 


12 


Dottori  G.  Potava  e 8.  Pome», 


[Memoria  XII.] 


il  destro  molto  più  stretto  del  sinistro  dà  passaggio  al  nervo 
ottico  molto  ridotto  , che  immette  nella  cavità  orbitaria  con 
l’occhio  privo  del  cristallino,  il  sinistro  è invece  normale. 

La  cecità  è dovuta  quindi  alla  mancanza  del  cristallino  e 
all’atrofìa  del  nervo  ottico. 

L’alisfenoide  destro  è più  inclinato  verso  l’esterno  del  sini- 
stro, il  quale  è meno  concavo  e limita  quindi  una  cavità  orbi- 
taria più  grande  della  corrispondente  destra.  Il  limite  anteriore, 
infatti  della  cavità  orbitaria  destra  è più  indietro  del  corrispon- 
dente di  sinistra.  L’etmoide  è unico  e normale,  così  pure  i 
frontali. 

Tutte  le  ossa  della  faccia  sono  normali  e come  appartenenti 
ad  un  solo  individuo,  eccezion  fatta  degli  intermascellari  privi 
delle  apofìsi  palatine  e delle  ossa  palatine,  che  mancano  affatto 
(mancano  quindi  anche  le  coane). 

Dalla  fatta  descrizione  risulta  che  la  duplicità  della  testa 
cessa  di  rendersi  evidente  all’interno  dalla  sella  turcica  in  avanti 
ed  all’esterno  dai  parietali  ai  nasali. 

La  cavità  cranica  in  complesso  è molto  diversa  dalla  nor- 
male: questa  è ad  imbuto  allungato  e con  la  parte  slargata 
all’i  il  dietro  , quella  del  mostro  è,  come  la  scatola  cranica,  emi- 
sferica. Cavità  e scatola  cranica  somigliano  alle  corrispondenti 
parti  dell’  uomo  , come  s’  è fatto  notare,  rassomiglianza  dovuta 
certamente  ad  un  fenomeno  di  convergenza  prodotto  da  azione 
meccanica. 

Sistema  Nervoso  Centrale 

Il  cervello  nella  parte  anteriore  è unico  e normale.  Le  cir- 
convoluzioni cerebrali  sono  numerosissime  e non  simmetrica- 
mente disposte  nei  due  emisferi  ; così  la  scissura  superiore  in- 
terna dell’  emisfero  destro  decorre  dalla  parte  posteriore  del  lobo 
parietale  alla  anteriore  del  lobo  frontale,  mentre  la  corrispon- 
dente dell’emisfero  sinistro  si  termina  solo  al  terzo  anteriore  dello 


Sopra  un  mostro  doppio  di  Sus  Scrofa  L.  (Sice falò- Sinoto) 


13 


stesso  (1).  I corpi  quadrigemini  sono  disposti  lungo  una  stessa 
linea  trasversale  mentre  nel  normale  si  dispongono  due  in  avanti 
e due  indietro.  Di  essi  i due  mediani  sono  più  grossi  , i due 
laterali  meno  sviluppati.  Ma  appare  evidente  che  i due  di  de- 
stra, uno  più  grande,  l’altro  più  piccolo  appartengono  al  nuovo- 
nato destro  e gli  altri  due  al  sinistro  perchè  ognuno  della 
coppia  destra,  come  ognuno  della  coppia  sinistra  porta  un  solco 
trasversale  poco  pronunziato,  è vero,  ina  certo  valevole  ad  atte- 
stare la  duplicità  d’ognuno,  risultante  dalla  fusione  di  due  corpi 
quadrigemini  : 1’  anteriore  e il  posteriore.  Depilisi  manca  del 
tutto. 

Si  trovali  solo  due  corpi  genicolati  1’  uno  appartenente  al- 
F individuo  destro,  1’  altro  al  sinistro.  È interessante  a notare 
1’  andamento  delle  due  henderelle  ottiche,  che  dal  chiasma  dei 
nervi  ottici  si  portano  in  alto  e indietro  passando  avanti  e vi- 
cino ai  corpi  genicolati,  ai  quali  non  si  fermano,  ma,  procedendo 
oltre,  vanno  a portarsi  al  disopra  dei  talami  ottici  corrispondenti 
terminandosi  alla  parte  posteriore  di  questi  ultimi  cioè  ai  due 
pulvinar. 

Le  cavità  dei  ventricoli  laterali  sono  normali,  molto  svilup- 
pata invece  è la  cavità  del  terzo  ventricolo,  da  cui  partono  , 
lateralmente  alla  linea  mediana,  due  aquedotti  di  Silvio,  ognuno 
dei  quali  inette  capo  alla  cavità  di  un  quarto  ventricolo  de- 
corrente dall’  interno  verso  l’esterno. 

Esistono  due  cervelletti,  sormontante  ognuno  la  cavità  del 
quarto  ventricolo  corrispondente  ; ogni  cervelletto  è fornito  del 
verme  e degli  emisferi  cerebellari  all’  esterno,  dell’  albero  della 
vita  nel  suo  interno.  Dei  quattro  peduncoli  cerebrali  , che  ab- 
biamo riscontrato,  i due  esterni  si  continuano  direttamente  nel 
midollo  allungato  rispettivo,  gl’  interni  si  saldano  fra  di  loro 
lungo  la  linea  mediana  formando  un  istmo  che  si  continua  di- 


(1)  Le  circonvoluzioni  risultano  perfino  più  numerose  delle  circonvoluzioni  di  un  cer- 
vello adulto. 


14 


Dottori  6r.  Potava  e ti.  Comes 


[Mkmokia  XII. 


Fig.  VII.— Schematica  del  cervello:  CQS  corpi  quadri- 
gemini sinistri — CQD  corpi  quadrimini  destri — CTS  cer- 
velletto sinistro  — CTD  cervelletto  destro  TLC— emisferi 
cerebrali — IjICTC  Lobo  interecebellare  cuneiforme. 


rettamente  oon  un  lobo  intercerebellare  soprannumerario  molto 
sviluppato  ed  interposto  fra  i due  cervelletti  (v.  tig.  7). 

Prima  di  congiungersi  col 
lobo  sudetto  i peduncoli  in- 
terni danno  un  ramo  laterale, 
che  prende  parte , insieme 
con  i peduncoli  esterni,  alla 
formazione  del  midollo  al- 
lungato cor  ri  spo  n d en  te . 

11  lobo  intercerebellare 
su  descritto  è ricoperto  per 
intero  dall’  inter- parietale  e 
dall1  osso  soprannumerario 
inter-oeeipitale.  Una  forma- 
zione encefalica  molto  vicina 
a quella  da  noi  or  ora  ac- 
cennata fu  ritrovata  anche  dal  Calori.  Egli,  avendo  riscontrato 
nel  suo  esemplare  « due  cervelli,  uno  vescicolare  posteriore  con 
una  cavità  ventricolare,  ed  uno  anteriore  perfettamente  normale  » 
ritenne  che  il  cervello  posteriore  rappresentasse  la  vescicola  ce- 
rebrale anteriore  primitiva.  Il  cervello  posteriore  del  Calori  è 
anch’esso  una  formazione  soprannumeraria  molto  simile  per  po- 
sizione e per  forma  a quella  da  noi  segnalata. 

Ma  mentre  questa  è situata  tra  i due  cervelletti  laterali 
e un  po’  all’  infuori  nella  linea  mediana  , combaciando  i suoi 
margini  esterni  con  i margini  interni  degli  emisferi  cerebellari, 
quella  del  Calori  è posta  sempre  fra  i due  cervelletti,  ma  al- 
quanto in  avanti  sulla  linea  mediana  per  modo  che  i bordi  in- 
terni degli  emisferi  cerebellari  ricoprono  in  parte  i bordi  esterni 
del  corpo  soprannumerario.  Inoltre  la  nostra  è priva  di  cavità 
ed  è formata  invece  da  circonvoluzioni  trasverse  simili  in  tutto 
a quelle  dei  cervelletti  e come  in  questi  differenziate  sulla  linea 
mediana  in  un  vero  e proprio  verme,  quella  del  Calori  presenta 
una  cavità  ed  è priva  di  circonvoluzioni,  come  dimostrano  i 


Sopra  un  mostro  doppio  di  Sus  Scrofa  L.  (Sice falò- Sinoto) 


15 


suoi  disegni.  Evidentemente  al  nostro  caso  non  può  convenire 
F interpretazione  die  l1  Anatomico  di  Bologna  lia  dato  a sif- 
fatta formazione,  sia  perchè  essa  ha  tutti  i caratteri  esterni  d’un 
cervelletto  e presenta  un  regolare  albero  della  vita  nel  suo  in- 
terno, sia  perchè,  esistendo  due  talami  ottici  normali,  non  pos- 
siamo comprendere  la  presenza  d"  una  vescicola  cerebrale  indi- 
visa. Senza  dire  che  difficile  sarebbe  il  concepire  uno  sposta- 
mento cotanto  pronunziato  della  prima  vescicola  cerebrale  indi- 
visa posteriormente  ai  talami  ottici  e alle  lamine  quadrigemine. 
E se  il  Calori  ammette,  come  risulta  dal  suo  lavoro,  che  « dalle 
gambe  del  cervello  e dalle  braccia  dei  tubercoli  quadrigemini 
cominci  l1  unione  dei  cervelli  propriamente  detti  » come  pos- 
siamo comprendere  la  presenza  d’  una  vescicola  cerebrale  primi- 
tiva indivisa  quando  essa  si  sarebbe  dovuta  fondere  del  tutto 
colla  corrispondente  ? Pertanto,  con  tutti  i riguardi  dovuti  alla 
memoria  dell’  Illustre  Scienziato,  noi  ci  permettiamo  di  dissen- 
tire al  riguardo  dalla  sua  ipotesi  e crediamo  piuttosto  che  il 
lobo  soprannumerario  sia  prodotto  dalla  proliferazione  delle  metà 
degli  emisferi  cerebellari,  che  costeggiano  la  linea  mediana  d’u- 
nione. 

Lobo  ed  osso  sono  senza  dubbio  formazioni  volute  dalla 
necessità  di  sostegno  dalle  parti  adiacenti,  e da  queste  per  un 
adattamento  cenogenetico  prodotti,  come  per  altro  ebbe  a dichia- 
rare per  1’  osso  lo  stesso  Calori. 

Posteriormente  al  cervelletto  ogni  parte  del  tubo  encefalo 
midollare  è normale. 

CONCLUSIONI 

Il  mostro  in  esame,  nella  progressiva  fusione  delle  sue  parti 
dall’  indietro  all’  avanti  fa  rilevare  quanto  possa  1’  azione  mec- 
canica nello  sviluppo  ontogenetico.  Ad  essa  crediamo  si  debbano 
attribuire  la  conformazione  dello  scheletro  cranico  e le  modifi- 
cazioni di  posizione  e di  forma  avvenute  nelle  colonne  verte- 


16 


Dottori  0.  Potava  e <S'.  Comes 


[Memoria  XII.] 


tirali.  In  essa  si  deve  ricercare  la  causa  della  ipertrofia  delle 
parti  che  non  mostrano  accenno  di  duplicità,  dove  al  mancato 
sviluppo  d’  una  parte  simmetrica  fa  riscontro  una  proliferazione 
cellulare  compensatrice.  All’  azione  meccanica  ancora  si  debbono 
riferire  da  un  lato  le  strane  disposizioni  di  organi  molli  (appa- 
rato respiratorio,  digerente  ecc.)  dall’  altro  la  formazione  di  parti 
soprannumerarie  (lobo  intercerebellare,  osso  interoccipitale)  in 
organi  importantissimi  tra  i primi  a differenziarsi,  o il  mancato 
sviluppo  di  altre  parti  non  meno  importanti  nè  meno  primitive 
(cristallino  destro,  condotto  uditivo  esterno  delle  orecchie  atro- 
fiche ecc.).  In  tutto  lo  sviluppo  insomma  prevalgono  e s’impon- 
gono processi  cenogenetici. 

L’  uguaglianza  di  sesso  dei  due  soggetti,  la  presenza  d’  un 
solo  cordone  ombelicale  comune  a tutti  e due  depongono  a fa- 
vore dell’origine  monocoriale  del  mostro. 

Infine  il  nostro  caso  non  puQ  presumere  di  risolvere  1’  im- 
portante e sempre  dibattuta  quistione  teratogenetica  dei  mostri 
doppi  , nessuna  delle  sue  anomalie  propugnando  a favore  della 
ipotesi  per  divisione  di  un’unica  area  embrionale  o di  qualche 
sua  parte  piuttosto  che  a favore  dell’altra  per  fusione  di  due. 

Ad  ogni  modo  le  anomalie  presentate  dal  mostro  studiato 
ci  fanno  sempre  più  convincere  che  nello  sviluppo  ontogenetico, 
abbia  molta  parte  l’azione  modificatrice  dell’ambiente. 


Memoria.  XIII 


S.  S C ALI  A 


Sopra  alcune  singolari  formazioni  montuose  dei  Messico 


RELAZIONE 

DEI, LA  COMMISSIONE  DI  REVISIONE,  COMPOSTA  DEI  SOCI  EFFETTIVI 

PROF.  A.  RUSSO  e L.  BUCCA  {relatore). 


Il  lavoro  del  D.r  S.  Scalia,  riguardante  alcune  formazioni  geologiche  del 
Messico,  dov’  egli  per  più  di  un  anno  ha  occupato  il  posto  di  Geologo,  pre- 
senta un  grande  interesse  in  relazione  alle  ipotesi  della  formazione  delle 
montagne. 

Dopo  gli  studi  del  Suess  si  è ammesso  generalmente  che  le  montagne 
fossero  dovute  esclusivamente  all’azione  di  spinte  laterali:  studi  recenti  di 
valenti  geologi  sulle  formazioni  laccolitiche  del  Nord  America  e dell’Europa 
centrale  , tendono  a provare  che  le  rocce  eruttive  intrusive  hanno  spesso 
contribuito  al  sollevamento  di  alcune  parti  della  crosta  terrestre;  ciò  richiama 
le  idee  di  L.  v.  Buch  riguardo  all’origine  delle  montagne.  — Lo  studio  del 
D.r  Scalia  che  illustra  alcuni  nuovi  esempi  di  sollevamenti  originati  da  spin- 
te verticali,  merita  di  essere  accolto  dall’Accademia,  e pertanto  la  Commis- 
sione di  Revisione  ne  propone  la  pubblicazione  nei  suoi  Atti. 


Nel  mese  di  marzo  dell’  anno  passato  venivo  incaricato 
dalla  Direzione  dell’  Istituto  Geologico  di  Messico,  del  quale  fa- 
cevo allora  parte  in  qualità  di  Geologo,  di  fare  uno  studio  della 
regione  compresa  fra  Terreo  n e Monte  rey  seguendo  il  ramo 
della  Ferrovia  Centrale  Messicana,  per  preparare  un’  escursione 
per  il  X Congresso  Geologico  Internazionale  che  si  riunirà  pros- 
simamente in  Messico. 

Atti  acc.  Sf.rik,  4*,  Voi..  XIX — Meru.  XIII.  1 


9 


S.  Scalia 


[Memoria  XIII. ] 


Circostanze  speciali  ini  hanno  impedito  tino  ad  ora  di  ren- 
dere pubbliche  le  osservazioni  geo-tettoniche  da  me  fatte  in  quel- 
la interessante  regione  montuosa,  affatto  sconosciuta  dai  geologi. 
Sarebbe  stato  mio  vivo  desiderio  poter  corredare  questa  breve 
nota  di  alcune  immagini  fotografiche  di  quelle  località  e di 
poter  presentare  uno  studio  completo  del  ricco  materiale  paleon- 
tologico, nuovo  in  parte  per  il  Messico,  che  vi  ho  raccolto.  Però, 
tornando  dalle  mie  escursioni  alla  capitale  , mi  vennero  rubate 
le  numerose  fotografie  che  avevo  fatte,  i libretti  di  appunti,  la 
macchina  fotografica  ed  altri  strumenti,  nonché  alcuni  bellissimi 
fossili  che  portavo  con  me  in  una  valigia.  La  massima  parte 
dei  fossili  li  avevo  spedito  in  precedenza  all’  Istituto  Geologico, 
dove  in  seguito  al  mio  definitivo  allontanamento,  credo  saranno 
stati  affidati  in  istudio  al  Dr.  Emil  Pòse  , geologo  capo  presso 
lo  stesso  Istituto. 

Debbo  rendere  qui  i miei  più  sentiti  ringraziamenti  ai  Si- 
gnori Antonio  Teresa  e Benito  Garcia  Prieto  per  l’ospitalità 
gentilmente  concessami  alla  Eattoria  La  Luz,  senza  di  che  non 
avrei  avuto  la  possibilità  di  fare  alcune  interessantissime  escur- 
sioni nella  Sierra  de  la  Paila,  completamente  isolata  dal 
consorzio  umano. 

* 

* * 

Viaggiando  da  Torreon  a Monte rey  sulla  Perrovia  Cen- 
trale Messicana,  si  attraversa  dapprima  una  vasta  pianura  nella 
quale  le  rigogliose  coltivazioni  di  cotone , cedono  ben  presto  il 
posto  ad  un  arido  deserto,  limitato  in  lontananza  dalla  Sierra 
de  la  Paila,  al  Nord,  e dalla  catena  montuosa  di  Par  ras,  al 
Sud.  La  vasta  pianura  compresa  fra  queste  montagne  è una  delle 
più  aride  ed  uniformi  di  quante  altre  mi  fu  dato  vedere  nella 
Bepubblica  Messicana  , durante  il  mio  soggiorno  in  quel  paese. 

La  scarsa  vegetazione  che  qua  e là  vi  stenta  la  vita,  è com- 
posta prevalentemente  da  rachitiche  acacie , da  piccole  agavi 
{Agave  exacantha),  da  yucche  e da  varie  specie  di  cactacee  nane, 


Sopra  alcune  singolari  formazioni  montuose  del  Messico 


3 


che  riescono  a stento  a trattenere  le  mobili  arene,  le  quali  for- 
mano spesso  delle  dune  a volte  abbastanza  notevoli  e sollevate 
in  numerosi  remolino*  de  polvo  (turbini  di  polvere),  si  spostano 
continuamente  in  forma  di  colonne  gigantesche  sulla  vasta  ed 
arida  distesa. 

In  prossimità,  e a Nord,  dello  scambio  di  Venus,  sorge 
dalla  pianura  uniforme  un  gruppo  di  piccole  alture,  disposte  in 
forma  di  croissant,  al  cui  lato  interno  l’ erosione  ha  messo  allo 
scoperto  le  testate  degli  strati  , inclinati  in  tutte  le  direzioni 
verso  la  periferia,  dove  spariscono  ben  presto  sotto  ai  banchi  di 
conglomerati  e di  sabbie  alluvionali  circostanti. 

Alture  simili  si  scorgono  in  maggior  numero  e più  elevate 
verso  il  Sud  , dove  formano  una  vasta  zona  accidentata,  nella 
quale  sono  disposte  in  vari  sistemi  di  cerchi  , come  quelli  che 
si  otterrebbero  facendo  cadere  contemporaneamente  dei  sassolini 
in  vari  punti  di  uno  specchio  d’  acqua. 

Queste  colline  sono  tutte  costituite  da  strati  di  marne  va- 
riegate, prevalentemente  verdicce  o giallastre,  alternanti  con  grossi 
banchi  di  arenarie  marnose  , verdastre , molto  ossidate  esterna- 
mente , che  prevalgono  in  alto  e costituiscono  generalmente  le 
creste  delle  colline. 

Delle  stesse  rocce  è costituita  la  caratteristica  prominenza 
che  si  eleva  come  un  tronco  di  cono  tra  gli  scambi  di  Marte 
e di  Bri  sa,  terminando  in  alto  con  una  piattaforma  perfetta- 
mente orizzontale,  formata  da  grossi  banchi  di  arenaria. 

In  prossimità  della  stazione  di  Hi  poi  ito,  la  strada  ferrata 
si  accosta  ai  contrafforti  sud-orientali  della  vasta  formazione 
calcarea  della  Paila,  così  denominata  perchè  verso  la  sua 
parte  centrale  esistono  delle  doline  , le  quali  a volte  raggiun- 
gono parecchi  chilometri  di  diametro  e varie  centinaia  di  metri 
di  profondità  , che  dai  primi  esploratori  furono  rassomigliate  a 
delle  pentole  enormi.  (1) 


(1)  Palla,  in  lingua  del  paese  significa  appunto:  pentola,  caldaia  eoe. 


4 


S.  Scalia 


[Memoria  XIII.] 


Oltrepassata  la  stazione  di  Sau  ceda,  presso  lo  scambio  di 
Arispe,  la  [Ferrovia  Centrale  attraversa  una  serie  di  alture, 
costituite  dalle  solite  marne  alternanti  con  le  arenarie,  che  verso 
il  Sud-Ovest  si  elevano  a più  di  1000  metri  sulla  pianura  e si 
estendono  in  vasto  semicerchio  dalle  vicinanze  della  stazione  di 
Beata  fino  al  Sud  degli  scambi  di  Ceres  e di  Minerva  per 
più  di  200  chilometri.  Tutte  queste  alture  formano  come  una 
gigantesca  muraglia  che  segue  il  contorno  della  Pai  la  ad  una 
distanza  dai  15  ai  30  chilometri  e presentano  il  loro  lato  inter- 
no scosceso,  lungo  il  quale  si  possono  seguire  per  tutta  la  loro 
estensione  le  testate  dei  grossi  banchi  di  arenaria,  sporgenti  tra 
le  marne  e largamente  ondulati,  mentre  sul  versante  esterno 
gli  strati  s’  inclinano  in  giro  verso  tutte  le  direzioni  come  i 
resti  di  una  cupola  gigantesca  il  cui  centro  corrisponderebbe  a 
quello  della  grande  formazione  calcarea  della  Pai  la. 

Vedremo  in  seguito  , a quali  fenomeni  geologici  è dovuta 
questa  singolare  formazione  montuosa,  simile  in  tutto  alle  altre 
che  giacciono  più  all’Est,  verso  Monte  rey,  e che  per  essere 
di  minori  dimensioni  si  prestano  meglio  ad  un  esame  più  mi- 
nuzioso della  loro  struttura. 


Il  circo  di  Anhelo  visto  dalla  stazione  di  Paredón. 


A Nord  dello  scambio  di  Amargos  e della  stazione  di 
Paredón,  il  potente  complesso  di  marne  e di  arenarie  si  dispo- 
ne in  forma  di  un  vasto  circo,  di  circa  45  chilometri  di  circonfe- 
renza, interrotto  in  corrispondenza  a certe  ondulazioni  degli  strati, 
che  per  brevi  tratti  sono  stati  completamente  asportati  dalle 
poderose  correnti  alluvionali  defluenti  verso  1’  esterno.  Vicino 
ad  una  di  queste  interruzioni  sorge  la  stazione  di  Anhelo, 
della  Ferrovia  Internazionale. 


Sopra  alcune  singolari  formazioni  montuose  del  Messico 


Crii  strati  delle  marne  e delle  arenarie  mostrano  le  loro  te- 
state rivolte  verso  1’  interno  del  circo,  in  mezzo  al  quale  sorge 
una  montagna  calcarea  di  forma  conica,  nella  quale  si  scorgono 
i grossi  banchi  di  calcare  inclinati  in  giro  dal  centro  della  cu- 
pola verso  r esterno. 

Su  questi  calcari  1’  azione  erosiva  degli  agenti  atmosferici 
lia  inciso  un  regolare  disegno  a zig-zag,  risultante  dalla  sovrap- 
posizione di  strati  sempre  più  estesamente  erosi  verso  l’esterno, 
in  corrispondenza  alle  creste  che  delimitano  i valloni  radiali 
scavati  dalle  acque  che  scendono  dalla  sommità  della  montagna. 
Un  disegno  uguale  , anzi  ancora  più  regolare  ed  appariscente  , 
presentano  esternamente  le  marne  e le  arenarie  i cui  strati,  in- 
clinati in  giro  in  tutte  le  direzioni,  circondano  la  pianura  dalla 
quale  affiora  la  massa  calcarea  centrale. 

Questo  fenomeno  è così  evidentemente  dovuto  all’  azione 
erosiva  delle  acque  irradiantesi  dal  centro  della  cupola,  che 
sembra  addirittura  strano  come  il  Sig.  Aguilera,  Direttore  del- 
l’Istituto Geologico  di  Messico,  abbia  potuto  incorrere  nello  er- 
rore di  crederlo  dovuto  ad  un  vero  piegamento  a zig-zag  degli 
strati  (1). 

La  pianura  a Sud  di  Paredón  è limitata  da  un  altro  va- 
sto circo  di  colline  costituite  dalle  solite  marne  alternanti  con 
grossi  banchi  di  arenarie  che  hanno  le  testate  rivolte  verso  il 
centro  della  pianura,  dove  però  non  si  vede  affiorare  la  forma- 
zione calcarea.  Anche  più  all’Est,  vicino  alla  stazione  di  Arista, 
della  Eerrovia  Internazionale  Messicana  , si  scorgono  i resti  di 
due  piccole  cupole,  costituite  da  arenarie  e da  calcari  alternanti 
con  brecciole  calcaree  e con  marne.  A poca  distanza  dal  villag- 
gio di  Mina  sorge  un’altra  collina,  la  cui  cresta  circolare  den- 
tellata per  effetto  dell’erosione,  rassomiglia  ad  un  cratere  di  esplo- 

(1)  Aguilera — Itinerario s geològico s ( Bosquvjo  Geològico  de  Mexico , Boll.  d.  Inst.  Geol. 
de  Mexico,  Nrtms.  4,  5 y 6,  pag.  135  , 1897)  » Està  sterra  està  formada  de  capas  plegadas 
con  zig-zags  tan  regalare s que  tomadas  alternativamente  las  rama s de  los  zig-sags,  està»  son 
perfectamente  paralelas.  » 


6 


ti.  ìScalia 


[Memoria  XIII.] 


sione  un  po’  smantellato.  In  un’altra  collina,  di  maggiori  dimen- 
sioni, posta  a Nord-Ovest  di  Mina  si  scorgono  come  nel  circo 
di  Anhelo,  benché  in  proporzioni  molto  minori,  gli  strati  cal- 
carei sollevati  in  forma  di  una  cupola  bassa  a contatto  imme- 
diato con  le  marne  e le  arenarie,  ciò  che  denota  uno  stadio  di 
sviluppo  intermedio  tra  quello  della  cupola  di  Anhelo,  nella 
quale  i calcari  sono  stati  portati  molto  in  alto  e quello  delle 
basse  cupole  , appena  abbozzate  , che  si  elevano  tra  la  stazione 
di  Pa  redo  n e lo  scambio  di  Arispe,  nelle  vicinanze  dello 
scambio  di  Yenus,  ecc. 

Lateralmente  alla  strada  ferrata,  tra  la  stazione  di  P a redo  n 
e lo  scambio  di  Arispe,  come  anche  nella  regione  ad  Est  e 
a Nord  dello  scambio  di  Delgado  , ecc.,  si  scorgono  delle  basse 
colline  , più  o meno  circolari  , incavate  internamente  in  forma 
di  coppa  e a volte  abbastanza  estese,  nelle  quali  gli  strati  pen- 
dono dalla  periferia  verso  il  centro  della  concavità,  mentre  sui 
fianchi  esterni  si  possono  seguire  per  tutto  il  loro  contorno  le 
testate  erose  degli  strati,  largamente  ondulati. 

Al  disotto  della  poderosa  formazione  di  arenarie  e di  marne, 
tra  lo  scambio  di  I camole  e la  stazione  di  (farcia  (sulla 
Perrovia  Centrale)  affiora  lungo  la  strada  ferrata  un  complesso 
di  strati  calcarei,  grigio  - chiari  od  oscuri,  spessi  da  15  a 50  cui., 
ai  quali  segue  ben  tosto  una  poderosa  pila  di  grossi  banchi  cal- 
carei , grigio  - oscuri  , dai  quali  risultano  formate  varie  cupole 
ellissoidali  molto  allungate,  come  quelle  di  Pesqueria,  di 
Topo  Grande  e Topo  Chi  co,  la  Montagna  di  Las  M i- 
tras  e la  caratteristica  Siila,  le  quali  hanno  i loro  assi  mag- 
giori diretti  sensibilmente  da  Est  ad  Ovest  e si  riattaccano , 
nelle  vicinanze  di  Monterey  ai  contrafforti  settentrionali  della 
Sierra  Madre  Orientai. 

Sui  fianchi  di  queste  montagne  l’erosione  ha  inciso  lo  stesso 
disegno  a zig-zag  che  si  può  seguire  in  alto,  fino  in  prossimità 
dei  crinali  più  o meno  capricciosi,  dove  gli  strati  sono  disposti 
quasi  orizzontalmente. 


Sopra  alcune  singolari  formazioni  montuose  del  Messico 


7 


Fin  dalle  prime  escursioni  potei  convincermi  che  il  potente 
complesso  di  marne  e di  arenarie  è in  tutta  la  sua  estensione 
molto  fossilifero.  Presso  lo  scambio  di  Aris  p e contai  tino  a 
nove  banchi  fossiliferi,  contenenti  migliaia  di  esemplari  di  Exo- 
gira,  rare  Attornia  e Nerinea , ed  in  alto,  Acteonella.  Le  Attornia 
sono  più  frequenti  nelle  colline  a Sud  della  stazione  di  Par  e don, 
dove  ho  trovato  anche  due  esemplari  di  Tissotia  ( Buchiceras .) 

I banchi  con  Exogira  ed  Attornia  si  possono  seguire  per  dei 
chilometri  lungo  la  grande  parete  di  marne  e di  arenarie , a 
Nord  - Est  della  stazione  di  P a r e d ó n,  nello  stretto  passaggio 
scavato  in  essa  da  un  torrente  ed  attraversato  dalla  Ferrovia 
Internazionale,  nella  gola  ad  Est  dello  scambio  di  Ixtle,  a 
Sud  e a Nord  di  quello  di  Arispe  ed  in  molti  altri  punti  che 
è inutile  indicare  dettagliatamente,  perchè  i numerosi  individui 
di  Exogira  e di  Attornia  si  trovano  quasi  dapertutto,  spesso  per- 
fettamente isolati  ed  in  ottimo  stato  di  conservazione,  in  mezzo 
alle  marne  ed  alle  arenarie  disgregate  dalla  lunga  azione  demo- 
litrice degli  agenti  atmosferici. 

I calcari  sottostanti,  grigio  - chiari  od  oscuri,  in  istrati  poco 
spessi,  oltre  che  tra  I camole  e darci  a,  si  mostrano  anche 
allo  scoperto  sui  banchi  della  Montagna  di  Las  Mitras,  ad- 
dossati ai  calcari  in  grossi  banchi,  che  circondano  per  buon  trat- 
to, da  Nord -Est  a Sud-Ovest. 

Oli  stessi  calcari  seguono  il  contorno  orientale  della  P a i 1 a 
formando  delle  colline  poco  elevate.  In  una  di  queste  piccole 
colline,  distante  circa  duecento  metri  dalla  Fattoria  La  Luz, 
ho  avuto  la  fortuna  di  scoprire  una  ricca  fauna  di  lnoceramus, 
Hoplites,  Crioceras,  Turrilites , Baculites , Belemnites,  ecc.,  in  parte 
nuova  per  il  Messico.  I calcari  sottostanti,  in  grossi  banchi,  sono 
in  vari  punti  pieni  zeppi  di  Nerinea  e di  numerosi  individui 
di  Caprinula  che  difficilmente  si  possono  staccare  interi  dalla 
roccia.  Le  conchiglie  delle  Caprinula , di  color  nero  e finemente 
striate,  vanno  facilmente  in  frantumi  quando  si  cerca  di  isolarne 
qualche  esemplare. 


8 


S.  Scalia 


Memoria  XIIL] 


Ho  già  accennato  come  in  seguito  al  mio  definitivo  allon- 
tanamento dall’  Istituto  Geologico  di  Messico,  lo  studio  di  que- 
sta fauna  sarà  stato  probabilmente  affidato  ad  altri;  nella  speranza 
che  tale  studio  ci  venga  a fornire  al  più  presto  degli  elementi 
sicuri  per  un  più  esatto  riferimento  cronologico  di  questa  im- 
portante serie  cretacica,  mi  limiterò  a dire  che  in  base  ai  fos- 
sili da  me  raccolti  , ritengo  i calcari  con  Caprinula  e Nerinea 
come  appartenenti  alla  parte  superiore  dell1  Albiano  o ai  più 
bassi  orizzonti  del  Cenomaniano  , i calcari  con  Tnoceramm , 
Hoplites , Criocercis,  Turrilites,  Baeulites,  Belemnites  ecc.,  al  Geno- 
ma si  a no  inferiore,  e la  potente  serie  di  marne  e di  arenarie  con 
estesi  banchi  di  Exogira  ed  Anemia  e rari  esemplari  di  Acteo- 
nella  , Nerinea  e Tissotia  , al  Oenomaniano  superiore  ed  al 
Turoniano. 


*- 

A-  sfc- 

Sebbene  la  paleontologia  e la  stratigrafia  di  questa  regione 
siano  interessantissime  , anche  perchè  ben  poco  si  conosce  fino 
ad  ora  del  Cretacico  del  Messico , pure  quello  che  maggior- 
mente ha  colpito  la  mia  attenzione  è la  tettonica  di  queste  sin- 
golari montagne,  tanto  diverse  da  quelle  della  vicina  Sierra 
Madre  Orientai  e delle  altre  montagne  isolate  che  in  vici- 
nanza di  Monte  rey  formano  delle  cupole  molto  allungate  con 
i loro  assi  maggiori  diretti  da  Est  ad  Ovest. 

Se  ci  facciamo  ad  esaminare  un  pò  da  vicino  la  montagna 
calcarea  di  Anhelo  ed  il  vasto  circo  di  marne  e di  arenarie 
che  delimita  la  pianura  dalla  quale  essa  sorge,  quello  che  ci 
colpisce  a prima  vista  è la  strana  somiglianza  di  questa  singo- 
lare formazione  montuosa  con  le  montagne  lunari  e con  le  for- 
me di  alcuni  vulcani,  dai  quali,  per  anologie  morfologiche,  si  è 
desunta  l’origine  vulcanica  di  quasi  tutte  le  montagne  del  nostro 
satellite. 

Il  certo  si  è che  per  la  sua  forma  perfettamente  8ÌmmeJ 


/Sopra  alcune  singolari  formazioni  montuose  del  Messico 


9 


trita  non  si  può  ascrivere  P origine  di  questa  montagna  a pres- 
sioni laterali,  specialmente  se  si  riflette  che  in  questa  regione 
esiste  un  sistema  molto  esteso  di  cupole  circolari  e di  elevazioni 
incavate  in  forma  di  coppa,  per  le  (piali  si  dovrebbe  ammettere 
che  le  spinte  laterali  si  siano  tradotte  anche  in  sprofondamenti 
circolari  intimamente  collegati  con  gli  inalzamenti  in  forma 
di  cupola. 

Generalmente  le  spinte  laterali,  risultanti  da  abbassamenti 
di  una  porzione  di  crosta  terrestre,  producono  dei  sistemi  di 
pieghe  asimmetriche  e delle  fratture  più  o meno  evidenti,  con 
relative  fratture,  scivolamenti,  salti,  ecc.  Nella  regione  da  noi 
studiata  le  elevazioni  assumono  invece  una  forma  simmetrica,  a 
volte  anche  perfettamente  circolare  e gli  strati  pendono  da  tutti 
i lati,  formando  delle  cupole  che  P erosione  ha  più  o meno 
smantellato,  specialmente  in  corrispondenza  alle  marne  ed  alle 
arenarie,  dai  quali  materiali  risultano  in  gran  parte  costituiti  i 
conglomerati  e le  sabbie  delle  pianure.  In  prossimità  delle  cupole 
calcaree  P erosione  ha  accumulato  invece  dei  grossi  banchi  di 
brecce  e di  conglomerati  calcarei. 

Diamo  qui  un  profilo  ideale  del  circo  di  Aulì  e lo,  come 
si  otterrebbe  facendo  una  sezione  attraverso  la  massa  calcarea 
centrale  e il  circo  esterno,  in  qualsiasi  direzione. 


Profilo  ideale  del  circo  di  Aulielo.  e.,  Calcari,  a.m..  Arenarie  e marne. 

La  cupola  centrale,  formata  dai  calcari  in  grossi  banchi,  è 
circondata  dalla  pianura  alluvionale,  alla  sua  volta  delimitata  dal 
circo  di  marne  e di  arenarie  i cui  strati  pendono  verso  l’esterno. 

Lo  stesso  profilo,  però  in  proporzioni  molto  più  grandi,  si 
ottiene  facendo  una  sezione  ideale  della  Pai  la,  almeno  nei 


Atti  acc.  Stcrik  4a,  Voi..  XIX—  Mera.  XIII. 


10 


S.  Scalia 


[Memoria  XI11.J 


punti  che  ho  potuto  osservare,  dalla  stazione  di  Reata  tìn  presso 
Tal  la,  dove  si  scorgono  tutto  all’ ingiro  le  testate  erose  degli 
strati  delle  marne  e delle  arenarie,  rivolte  verso  la  grandiosa 
cupola  calcarea  della  P a i 1 a. 

Il  Sig.  Aguilera,  (1)  che  tempo  addietro  visitò  questa  re- 
gione, rimase  impressionato  dal  fatto  che  tanto  in  queste  mon- 
tagne, come  in  quelle  tra  Jmulco  e Perdo,  non  si  scorgono 
dal  lato  della  pianura  delle  rocce  eruttive  in  relazione  col  sol- 
levamento  degli  strati  sedimentari. 

Palle  osservazioni  geo-tettoniche  da  me  fatte  in  quella  re- 
gione risulta  invece,  che  sebbene  il  sollevamento  di  quelle  mon- 
tagne sia  dovuto  alla  spinta  di  rocce  massicce,  pure  non  bisogna 
andare  a cercar  queste  nelle  pianure  alluvionali  che  circondano 
le  masse  calcaree,  ma  piuttosto  al  disotto  di  tali  masse  centrali 
che  rappresentano  le  parti  più  profonde  delle  cupole,  non  an- 
cora sufficientemente  erose  perchè  si  mostrino  allo  scoperto  le 
rocce  intrusive  che  le  hanno  spinte  in  alto. 

Molti  studi  recenti  di  valenti  geologi  (2)  tendono  a provare 
che  1’  idea  di  Suess,  che  cioè  le  rocce  eruttive  intrusive  non 
hanno  avuto  che  una  parte  del  tutto  passiva  nella  formazione 
delle  montagne,  è molto  esagerata,  ed  oltre  i classici  esempi  dei 
laccoliti  di  Henry  Mountains,  descritti  dal  Gilbert,  si  co- 
noscono ora  molte  altre  montagne  che  debbono  il  loro  sollevamen- 
to alle  spinte  prodotte  da  magma  lavici  ascendenti  in  direzione 
verticale. 

Ad  Ovest  della  regione  da  noi  studiata,  in  prossimità  di 
Coltoli,  il  Dr.  Emil  Buse  scoperse  nell’ottobre  del  1904  un 

(1)  Aguilera — Op.  cit.  pag.  134  « Es  (Ugno  de  notarne  que  tanto  en  està»  sterrati  corno 
en  las  que  existen  elitre  Jmulco  y Lerdo,  no  se  vean  del  lado  de  la  llanura  rocan  eruptivas  re- 
lacionadas  con  el  levantamiento  de  làs  capa n sedimentar ias  cretacea « * (!?) 

(2)  W.  Branco  — Nette  Beweise  fiir  dìe  UnabhàngigJceit  der  Vulcane  von  praexistirenden 
Spalten  (Nenes  Jalirb.  f.  Min.  etc.,  Bd.  1.)  1898. 

W.  Salomon  — Nette  Beobaclitungen  aus  don  Gebieten  des  Adamello  und  des  St.  Gotthard 
(Sitzungsber.  d.  K.  Preuss.  Akad.  d.  Wis.  zu  Berlin,)  1899. 

C.  Burckhardt — Les  masse»  èruptìves  intrnsives  et  la  formation  des  monta gnes  (Memo- 
rias  de  la  Soc.  Cient.  « Antonio  Alzate  »,  T.  21,  pag.  5-8),  Mèxico,  1 904. 


Sopra  alcune  singolari  formazioni  montuose  del  Messico 


li 


laccolite  attorno  al  quale  le  rocce  sedimentarie  cretacee  presen- 
tano una  zona  profondamente  alterata  dal  contatto  del  magma 
intrusivo. 

Questo  fatto,  del  quale  ebbi  notizia  poco  dopo  la  scoperta 
fattane  dal  Dr.  Bose,  mi  conferma  maggiormente  nell’idea  che 
il  sollevamento  delle  cupole,  di  forma  più  o meno  circolare  che 
si  trovano  tra  Torreon  e Monterey,  sia  dovuto  alla  spinta 
di  magma  lavici  non  ancora  messi  allo  scoperto  dall’  erosione. 

Del  resto  non  tutte  queste  cupole  sono  ugualmente  svilup- 
pate. Da  quelle  nelle  quali  le  masse  calcaree  centrali,  fortemente 
erose,  emergono  dalle  pianure  alluvionali,  circoscritte  dalle  marne 
e dalle  arenarie,  passiamo  gradatamente  a quelle  nelle  quali  i 
calcari  sporgono  appena  in  forma  di  basse  cupole  ed  alle  altre  in 
cui  i calcari  sono  completamente  mascherati  dalle  marne  e dalle 
arenarie,  che  qua  e là  formano  delle  leggiere  protuberanze  cir- 
colari sulle  vaste  pianure  alluvionali. 

Parlando  della  Pai  la  abbiamo  già  visto  come  le  masse 
calcaree  presentano  a volte  verso  la  loro  parte  centrale  delle  do- 
line più  o meno  vaste  e profonde.  È molto  probabile  che  spro- 
fondamenti simili  si  siano  prodotti  anche  in  altri  punti,  dove  i 
calcari  sono  ancora  ricoperti  dalle  marne  e dalle  arenarie,  dando 
così  origine  a quelle  colline  in  forma  di  coppa,  nelle  quali  ab- 
biamo visto  queste  ultime  formazioni  inclinate  verso  il  centro 
della  concavità , mentre  tutto  all’  ingiro  si  scorgono  le  testate 
dei  loro  strati  erosi. 

*- 

Da  quanto  abbiamo  esposto  sopra,  risulta  abbastanza  chiaro 
che  la  meccanica  del  sollevamento  di  alcune  parti  della  crosta 
terrestre  corrisponde,  come  dice  bene  il  Salomon,  alle  idee  dei 
grandi  geologi  del  principio  del  secolo  passato. 

Queste  idee,  combattute  e rigettate  completamente  fino  a 
poco  tempo  addietro,  tornano  ad  esser  prese  di  nuovo  in  consi- 


12 


8.  >Scalia 


[Memoria  XIII.] 


derazione  per  ispiegare  la  formazione  delle  montagne  simmetriche, 
la  cui  tettonica,  piuttosto  che  alla  teoria  delle  spinte  laterali,  con 
la  quale  si  è cercato  di  spiegare  il  sollevamento  di  tutte  le  mon- 
tagne della  terra,  corrisponde  alle  idee  di  Leopold  von  Buch 
il  quale  pensava  che  le  spinte  dei  magma  lavici,  ascendenti  in 
direzione  verticale , hanno  dovuto  esercitare  un’  azione  molto 
importante  nella  formazione  delle  montagne. 

Dal  Gabinetto  di  Geologia  della  R.  Università. 

Catania,  aprile  1906. 


Memoria  XIV, 


Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare 
durante  le  fasi  di  un’eclisse 


Memoria  di  A.  BEMPORAD 


RELAZIONE 

DELLA  COMMISSIONE  DI  REVISIONE,  COMPOSTA  DEI  SOCI  EFFETTIVI 

Proff.  G.  P.  GRIMALDI  e A.  RICCO  {relatore). 


Il  Dott.  Bemporad,  partendo  dalle  osservazioni  di  Secchi,  Langley  ed 
altri  circa  la  diminuzione  del  potere  radiante  dei  punti  del  disco  solare  dal 
centro  verso  la  periferia,  stabilisce  anzitutto  una  forinola,  che  rappresenta 
assai  bene  i risultati  di  queste  osservazioni,  e che  corrisponde  all’  ipotesi 
dell’esistenza  di  un’atmosfera  omogenea  attorno  al  Sole.  Egli  applica  quindi 
questa  forinola  per  determinare  mediante  integrazione  i valori  della  radia- 
zione relativa  delle  varie  parti  scoperte  del  disco  solare  durante  le  fasi  d’una 
eclisse,  e dà  una  soluzione  completa  del  problema  con  quel  grado  di  appros- 
simazione, che  consentono  le  nostre  cognizioni  attuali.  L’  A.  applica  infine 
questi  suoi  risultati  alle  osservazioni  attinometriche  e alle  misure  delle  fasi 
eseguite  nell’  Osservatorio  astrotìsico  di  Catania  durante  le  eclissi  parziali 
di  Sole  del  28  Maggio  1900  e del  30  Agosto  1905,  giungendo  alla  conclu- 
sione notevole,  che  in  ambedue  i casi  la  diminuzione  osservata  della  radia- 
zione fu  più  forte  di  quella  calcolata.  Le  tavole  numeriche  , che  accompa- 
gnano il  lavoro  facilitano  notevolmente  la  riduzione  delle  osservazioni  atti- 
nometriche eseguite  durante  un’eclisse  in  circostanze  qualisivogliano,  e me- 
ritano quindi  di  venire  integralmente  pubblicate. 


INTRODUZIONE 

È ben  noto  da  molteplici  ed  accurate  ricerche  di  vari  astro- 
nomi, come  il  potere  radiante  dei  punti  del  disco  solare  decresca, 
procedendo  dal  centro  verso  la  periferia,  fino  a ridursi,  sul  lembo 
estremo,  ai  quattro  decimi  circa  del  potere  radiante  dei  punti 

Atti  acc.  Skrik  4a,  Voi..  XIX  — Mem.  XIV.  1 


2 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


della  regione  centrale.  Questo  contegno,  nel  quale  ha  certo  gran 

parte,  se  non  unica  *),  1’  assorbimento  esercitato  dall’  atmosfera 
solare,  fa  sì  che  la  radiazione  delle  varie  porzioni  scoperte  del 

disco  solare  durante  un’  eclisse  non  sia  proporzionale  alla  super- 
ficie apparente  delle  porzioni  stesse,  ma  vari  secondo  una  legge 
più  complessa,  che  qui  ci  proponiamo  di  studiare.  Non  è fuor 
di  luogo  notare,  che  per  la  esatta  interpetrazione  dei  risultati 
delle  osservazioni  attinometriche  o bolometriche  fatte  durante 
un’  eclisse  solare  è indispensabile  tener  conto  della  circostanza 
in  questione,  fenomeni  analoghi  possono  avere  anche  qualche 
importanza  nello  studio  di  certe  variabili  (stelle  del  tipo  di 
Algol,  ovvero  doppie  spettroscopiche  o fotometriche 1  2),  e in  altre 
ricerche  affini. 

In  quello  che  segue,  ottengo  anzitutto  (Oap.  I)  una  rap- 
presentazione analitica  del  modo  di  variare  del  potere  radiante 
dei  punti  del  Sole,  secondo  la  distanza  apparente  dal  centro, 
fondandomi  sulla  forinola  ottenuta,  calcolo  (Oap.  II)  in  due 
modi  diversi,  e cioè  con  procedimento  analitico  e colla  integra- 
zione numerica,  il  valore  dell’  integrale  del  potere  radiante  esteso 
a tutto  il  disco  solare  e quindi  il  valor  medio  del  potere  ra- 
diante medesimo.  Calcolo  quindi  (Oap.  Ili)  con  procedimenti 
diversi,  secondochè  la  fase  considerata  è maggiore  o minore  di 
0,5,  1’  integrale  del  potere  radiante  esteso  all’  area  scoperta  del 
Sole  durante  un’  eclisse  parziale,  e raccolgo  in  una  tabella  i va- 


1)  Non  unica,  perchè  Secchi  avrebbe  notato  ad  es.  un  massimo  d’ intensità  della  radia- 
zione in  corrispondenza  all’  equatore,  massimo  che  non  potrebbe  farsi  dipendere  evidente- 
mente dall’  azione  dell’  atmosfera  solare.  V.  Memorie  della  Società  degli  Spettrosc.  Italiani. 
Voi.  IV,  1875  pag.  121. 

2)  Lo  spettroscopio  rivela,  com’  è noto,  la  duplicità  di  varie  stelle  (come  Algol)  che 
non.  sono  altrimenti  risolubili  cogli  attuali  mezzi  d’osservazione.  In  molti  casi  (come  nel  caso 
citato)  le  doppie  spettroscopiche  sono  anche  variabili,  e la  natura  della  variabilità  è tale, 
che  si  concilia  benissimo  colla  ipotesi  di  un  sistema  doppio  o multiplo,  in  cui  intervengano 
periodicamente  parziali  occultazioni.  Vi  sono  infine  dei  casi,  in  cui,  essendo  la  luminosità 
dell’  astro  troppo  scarsa,  lo  spettroscopio  nulla  rivela,  mentre  il  fotometro  accusa  una  va- 
riabilità del  tipo  di  Algol.  In  tal  caso  si  parla  di  doppie  fotometriche  (Cfr.  in  proposito  Ch. 
André.  Sur  le  systéme  formé  par  la  Planète  doublé  (433)  Eros.  Astron.  Nachr.  Voi.  155  p.  27.) 


Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un'eclisse  3 


lori  numerici  da  me  ottenuti,  coi  quali,  ricorrendo  naturalmente 
alla  interpolazione,  può  considerarsi  come  completamente  risoluto 
(con  quel  grado  di  approssimazione,  che  consentono  le  nostre 
cognizioni  attuali)  il  problema  di  determinare  per  una  fase  qual- 
siasi di  una  eclisse  solare  in  condizioni  qualsi vogliano  (eclisse 
parziale,  totale  o anulare)  l’ importo  della  radiazione  dell’  area 
scoperta  del  Sole,  in  parti  della  radiazione  totale.  Applico  infine 
(Cap.  IV)  la  tabella  così  ottenuta  alle  osservazioni  eseguite  nel- 
l’Osservatorio di  Catania  durante  le  eclissi  del  28  Maggio  1900  e 
del  30  Agosto  1905,  mostrando  come  ambedue  le  volte  la  di- 
minuzione osservata  della  radiazione  solare  sia  stata  più  forte 
di  quella  calcolata.  Questa  conclusione  importante  viene  confer- 
mata anche  dalle  osservazioni  eseguite  dal  Prof.  Julius  a Burgos 
durante  l’ultima  eclisse,  e solleva  la  questione  di  vedere,  se,  come 
opina  lo  Julius,  i procedimenti  fin  qui  usati  per  lo  studio  delia 
diminuzione  del  potere  radiante  verso  il  bordo  del  disco  solare 
non  siano  affetti  da  cause  sistematiche  d’  errore.  Questa  ricerca 
verrà  senza  dubbio  molto  agevolata  dalle  nostre  tavole.  Lo  studio 
attuale  dunque,  anche  prescindendo  dall’  interesse  che  può  pre- 
sentare dal  lato  puramente  teorico,  si  prefigge  anzitutto  uno  scopo 
essenzialmente  pratico,  quale  è quello  di  preparare  i mezzi  per 
il  confronto  delle  osservazioni  col  calcolo  in  eclissi  future. 

Cap.  I.  — Rappresentazione  analitica  del  modo  di 

VARIARE  DEL  POTERE  RADIANTE  DEI  PUNTI  DEL  DISCO  SOLARE 
DAL  CENTRO  ALLA  PERIFERIA. 

1.  Valori  osservati  del  potere  calorifico  dei  punti  del  disco 
solare  a varie  distanze  dal  centro. 

Dall’eccellente  trattato  del  Prof.  G.  Mfiller  ricavo  la  se- 
guente tabella  comparativa  dei  valori  ottenuti  da  Secchi,  Vogel, 
Langley  e Frost  per  il  potere  calorifico  dell’  unità  di  superficie 
apparente  del  disco  solare  a varie  distanze  dal  centro  *). 


l)  Mììller — Die  Photometrie  dei'  Gestirne  (189 7)  p.  323. 


4 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.  [ 


Tabella  I. 


Distanza 
dal  centro  del  0 

♦ 

Secchi  - Vogel 

Potere  calor 
Langley 

fico  secondo  : 
Frost 

Media 

0,  00 

100 

100,  0 

100,  0 

100 

0,  20 

99 

99,  5 

99,  4 

99 

0,  40 

98 

96,  8 

96,  3 

97 

0,  60 

94 

92,  2 

89,  8 

92 

0,  70 

89 

88,  4 

84,  6 

87 

0,  80 

82 

82,  o 

77,  9 

81 

0,  90 

69 

72,  6 

68,0 

70 

0,  96 

(57) 

61,  9 

57,  2 

59 

0,  98 

(47) 

50,  1 

50,  0 

49 

1,  00 

40 

— 

(39) 

(40) 

Il  divario  fra  i vari  autori  sale  in  qualche  caso  al  5 °/0,  la 
media  può  essere  allora  approssimata  a meno  del  2 o del  3 °/0. 
Questo  avvertiamo,  perchè  pei  calcoli  definitivi  ci  permettiamo 
di  ragguagliare  i valori  medi  assegnati  nella  5a  colonna  con 
forinole  empiriche,  che  lasciano  in  qualche  caso  residui  appunto 
del  2 o 3 °/0  rispetto  ai  detti  valori  medi. 

2.  — Varie  forinole  di  ragguaglio. 

Supponendo,  che  la  diminuzione  del  potere  radiante  dei 
punti  del  Sole  verso  la  periferia  dipenda  essenzialmente  dall’as- 
sorbimento dell’  atmosfera  solare,  sarà  naturale  cercare  di  rag- 
guagliare i valori  medi  della  precedente  tabella  con  qualcuna 
delle  forinole  empiriche  più  usate  per  lo  studio  dell’  assorbi- 
mento dell’  atmosfera  terrestre.  Le  forinole  da  noi  date  in  un 
recente  lavoro  *)  ci  parvero  troppo  complicate  per  lo  scopo  at- 
tuale, in  ragione  sopratutto  della  scarsità  delle  nostre  cognizioni 
circa  la  costituzione  fìsica  dell’  atmosfera  solare.  Restava  a sce- 
gliere fra  1’  una  o 1’  altra  delle  più  note  forinole  empiriche,  come 
quella  di  Laplace,  che  mette  in  relazione  1’  assorbimento  colla 


P Zur  Theorie  der  Extinktion  des  Lichtes  in  der  Erdatmosphàre — Mitteilungen  der  Grossherz. 
Sternwarte  zu  Heidelberg  N.  IV. 


Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  5 


refrazione  subita  dai  raggi,  quella  di  Bouguer,  che  parte  dalla 
ipotesi  di  una  legge  esponenziale  per  la  diminuzione  della  den- 
sità del  mezzo  assorbente  coll’  altezza,  e infine  quella  di  Lam- 
bert, che  corrisponde  all’  ipotesi  di  un’  atmosfera  omogenea. 

La  formola  di  Laplace  Tenne  già  applicata  dal  Prof.  Seeliger 
per  una  ricerca  analoga  alla  presente,  benché  indirizzata  a tut- 
t’  altro  scopo,  nella  forma 


log  J - 


Reir. 
sin  £ 


ammettendo  la  refrazione  nell’  atmosfera  solare  come  propor- 
zionale a tgz.  Questa  espressione  presenta  l’inconYeniente  di  con- 
durre ad  un  valore  infinito  di  — log  J per  z — 90°,  e poiché 
questo  valore  di  z corrisponde  al  contorno  del  disco  solare,  ne 
seguirebbe  per  i punti  al  contorno  una  intensità  calorifica  nulla, 
ma  questo  contrasta  così  vivamente  coi  risultati  sperimentali 
(Tabella  I),  che  giudicammo  del  tutto  inopportuna  l’applicazione 
della  formola  in  discorso  per  il  nostro  scopo. 

Lo  stesso  inconveniente  si  presenta  colla  formola  di  Bou- 
guer, sia  nella  forma  originaria  *) 


log  J 


log  J0 


-j-  log  p sec  2 — 


tefz  sec  « -f- 


sia  nella  forma  corretta  da  me  accennata  in  un  precedente  lavoro 1  2) 
log  J = log  J0  -j-  log  p |sec  z — tefz  sec  z -j-  ....  — lj  , 

ed  è singolare,  a questo  proposito,  che  tale  inconveniente  sfug- 
gisse del  tutto  al  Secchi,  a cui  pure  si  debbono  le  prime  espe- 
rienze in  questo  campo  3). 


1)  Cfr.  G.  Mììller.  Die  Photometrie  der  Gestirne.  Pagg.  119,  120. 

2)  Sulla  teoria  d’  estinzione  di  Bouguer.  Memorie  della  Società  degli  Spettroscopisti  Ita- 
liani Voi.  XXX  (1901)  pag.  217. 

3)  Sull’  intensità  del  calore  nelle  varie  parti  del  disco  solare.  Memorie  dell’  Osserv.  del 
Collegio  Romano  1851,  App.  3 e App.  5 e inoltre  Astron.  Nachr.  Voi.  34  N.  806  (1852) 
Voi.  35  N.  833  (1833).  V.  anche  Sur  V intensité  lumineuse  des  diverses  parties  du  disque  so- 
laire.  Compt.  Rend.  Voi.  49  pag.  931  (1859)  e 62  pag.  1060  (1866).. 


6 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


Altre  forme  di  sviluppo  da  me  date  altrove  *)  per  la  teoria 
d’ estinzione  di  Bouguer,  clie  andrebbero  esenti  dall’  inconve- 
niente di  dare  estinzione  infinita  (o  indeterminata)  per  z = 90° 
sono  da  rigettare  nel  caso  attuale  perchè  troppo  complicate *  2). 
Non  resta  dunque  che  ricorrere  alla  forinola  di  Lambert,  la  quale 
per  avventura  risponde  a tutte  le  condizioni  desiderate,  vale  a 
dire  fornisce  una  espressione  analitica  assai  semplice  deir  assor- 
bimento di  uno  strato  sferico  omogeneo,  dà  un  valore  finito  per 
z = 90°,  e conduce,  come  si  vedrà,  ad  un’  ottima  rappresenta- 
zione della  intensità  calorifica  nei  vari  punti  del  disco  solare 
in  ordine  alla  distanza  dal  centro. 

3.  — Deduzione  della  forinola  di  Lambert. 

Alla  forinola  di  Lambert  si  viene  immediatamente  condotti 
nel  caso  nostro  dalla  seguente  semplice  considerazione. 

Sia  O P (Big.  1)  il  raggio  condotto  dall’  occhio  O dell’  os- 
servatore a un  punto  qualunque  P della  superfìcie  APRE  del 
Sole  ; PQ  — r la  distanza  apparente  del  punto  P dal  centro 

del  disco  solare  ; z l’inclinazione  del  raggio 
OP  rispetto  alla  normale  PS  alla  super- 
ficie solare;  S il  centro  del  Sole;  A PRE' 
la  superficie  limite  dell’  atmosfera  solare. 

„ . Se  noi  ammettiamo  quest’atmosfera  come 

f ig.  -1 

omogenea,  le  masse  atmosferiche  attraver- 
sate dai  raggi  parelleli  ORS  e OP  sta- 
ranno fra  loro  come  i segmenti  PP'  ed  RR' . Ponendo  per  bre- 


4)  Sopra  un  nuovo  sviluppo  dell’  integrale  della  estinzione  atmosferica.  Memorie  della  Soc. 
degli  Spettrosc.  Ital.  Voi.  XXXI  (1932)  pag.  131. 

2)  Prima  che  questo  lavoro  venisse  alla  luce,  giungevo  quasi  contemporaneamente  col 
Ch.ino  Dott.  Cerulli,  ad  un  nuovo  sviluppo  assai  più  semplice  degli  altri  citati  per  l’inte- 
grale di  Bouguer,  ma  allora  avevo  ormai  condotta  a termine  la  trattazione  presente  col 
mezzo  della  formola  di  Lambert,  e non  era  più  il  caso  di  mettere  in  prova  anche  la  nuova 
forinola  (V.  Sopra  uno  sviluppo  singolarmente  convergente  per  V integrale  della  estinzione,  se- 
condo la  teoria  di  Bouguer.  Atti  dell’  Accademia  Gioenia  di  Scienze  naturali  in  Catania 
Serie  4 voi.  XIX  1906.) 


Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  7 


rità  RP'=l0  (spessore  dell’atmosfera  solare  in  direzione  normale), 
e indicando  con  l il  segmento  PP'  (spessore  attraversato  nell’atmo- 
sfera solare  dal  raggio  OP)  con  a infine  il  raggio  del  Sole  , 
abbiamo  subito  dal  triangolo  PP’S 

{a  -}-  l0 )2  = l2  -}-  a2  -j-  2 a l cos  z, 

da  cui 

l 1/  , , „ a . a 2 „ a 

— — =11  — 2 — — cos-  « — — cos  s (1) 

^0  ^0  ‘0 

che  è appunto  la  forinola  nota  nell’  Astrofotometria  sotto  il 
nome  di  forinola  di  Lambert. 

4.  — Variazione  della  intensità  calorifica  J dei  punti  del  disco 
solare  dal  centro  alla  periferia , nella  ipotesi  di  un’  atmosfera  omo- 
genea. 

Indichi  ora  J*  il  potere  radiante  dell’  unità  di  superficie 
apparente  del  disco  solare,  quale  sarebbe  senza  1’  esistenza  di 
un’  atmosfera  attorno  al  Sole.  Semplici  considerazioni  mostrano 
che,  in  virtù  del  principio  di  emanazione  di  Lambert,  rigoro- 
samente dimostrato  da  Lommel  per  le  sostanze  incandescenti 
opache  ’),  questo  potere  radiante  J*  può  ritenersi  uguale  in  tutte 
le  regioni  del  disco  solare,  vale  a dire  che  questo,  al  pari  di 
una  palla  infocata,  ci  apparirebbe  per  tutto  egualmente  lumi- 
noso, se  non  esistesse  1’  atmosfera  assorbente  che  lo  circonda. 
Ammettendo  allora,  che  1’  assorbimento  operato  dall’  atmosfera 
solare  sulla  radiazione  calorifica  complessiva  (risultante  di  tutti 
i raggi  calorifici  delle  varie  lunghezze  d’  onda)  segua  la  legge 
esponenziale  di  Bouguer-Pouillet,  avremo,  detti  J,  J0  i valori 
del  potere  radiante  dell’  unità  di  superfìcie  apparente  in  P'  ed 
P',  cioè  dopo  1’  assorbimento  operato  dall’  atmosfera  solare,  e 


4)  Cfr.  Wiedemann  Annalen.  Bd.  10,  p.  149  e G.  Miiller,  Die  Photometrie  der  Gestirne 

p.  31. 


8 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


detto  p il  coefficiente  di  trasmissione  dell’atmosfera  medesima 
in  direzione  normale, 

J0  = J*  p 

i 

J = J*  p l°  . 

Di  qui  si  lia 

log  J = log  JQ  + log  p — lj  , 

e sostituendo  per  — 1’  espressione  (1)  , dopo  avervi  fatto 

cos  e — i/l  — r2  ? 

e ponendo  per  brevità 

-r-  = >■  » log  p = — (j. , /0  — 1,  o = l, 
l0 

si  ottiene  infine  l’ espressione 

log  / = - p-  j|/l  + 21  + 1/1-  f2)  - X |/r=7*  - lj  (2) 

per  rappresentare  (colle  varie  ipotesi  da  noi  fatte)  la  legge  di 
variazione  della  intensità  calorifica  J col  variare  della  distanza 
apparente  r dal  centro  del  disco  solare.  Si  vede  subito,  che  per 
r — 1,  vale  a dire  sul  lembo  estremo  del  disco,  si  ha  ancora 
un  valore  finito  di  log  J,  epperò  un  valore  diverso  da  zero  per 
la  intensità  J,  come  appunto  1’  esperienza  dimostra. 

5.  — Determinazione  delle  costanti  X,  p.. 

La  forinola  (2)  è così  semplice,  che  la  determinazione  delle 
costanti  e v-  dai  valori  osservati  di  J non  presenta  difficoltà 
sostanziali.  Tuttavia  non  è immediatamente  applicabile  il  metodo 
dei  minimi  quadrati,  perchè  il  parametro  X compare  in  (2)  sotto 
un’  espressione  irrazionale.  Oi  limitammo  quindi  a determinare 
i valori  delle  dette  costanti,  in  modo  da  rappresentare  esatta- 


ISul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  9 


mente  due  dei  valori  osservati  della  J.  Questa  determinazione 
condurrebbe  in  generale  ad  equazioni  piuttosto  complicate,  che 
si  semplificano  però,  se  per  uno  dei  due  valori  della  J si  sceglie 
quello  corrispondente  al  contorno  del  disco  solare,  cioè  il  valore 
Ji  della  J per  r = 1. 

Si  avranno  da  determinare  allora  le  due  incognite  X e n dalle 
due  equazioni 

log  J = — |i  jj/r+  2 X -f  X2  (1  — r2)  — X j/l  — r-  — 1 j (2) 
log  J,  = - g jj/1  + 2 X - lj  (3) 

dove  s’  intende,  che  J , Jv  r denotino  valori  noti.  Posto  per 
brevità 


log  J — L log  J1  = Li 

(logaritmi  intesi  a base  10)  si  lia  per  X 1’  equazione 


L,  /j/l  + 2 X + X2  (1  - »•*)  - X j/l  — r2  — lj  — L (yl  + 2 X - l)  =0. 

L’ eliminazione  dei  radicali  contenenti  x condurrebbe  ad 
espressioni  piuttosto  complicate  e ad  un’  equazione  di  4°  grado 
in  X.  Si  ottengono  invece  espressioni  più  semplici  ed  una  risul- 
tante di  2°  grado,  introducendo  1’  incognita  ausiliaria 


u = j/l  -)-  2 X 


W 


Con  ciò  si  ottiene  infatti,  dopo  varie  riduzioni,  1’  equazione 


LLl  |/ 1—  r2  ul-\-  li1  — L\  jl— |/l— Pj'j  u — {Ll—Lf-\-Li  {L—L)  ^/l— rz=%) 


Per  valori  di  r piuttosto  grandi  il  termine  noto  di  questa 
equazione  risulta  negativo.  Non  si  avrà  in  tal  caso  nessuna  am- 
biguità nella  scelta  fra  i due  valori  possibili  per  u,  perchè  delle 
due  radici  si  dovrà  scegliere  (conforme  alla  (3)  sempre  la  posi- 

Atti  acc.  Skrik  4a,  Voi..  XIX  — Meni.  XIV.  2 


10 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


tiva.  ]Se  può  nascere  ambiguità,  quando  le  radici  siano  ambedue 
positive,  cioè  per  valori  di  r tali  che 


R (Ll  - L)  l/l  - r2  - (Li  - Lf  > 0, 


poiché  allora  per  legge  di  continuità  dovrà  scegliersi  manifesta- 
mente la  radice  corrispondente  al  segno  + del  radicale. 

Avuta  la  u , la  (4)  fornisce  X e la  (3)  fi.  Riproduco  nel 
quadro  seguente  i valori  ottenuti  per  le  u,  X,  n da  tre  diverse 
coppie  di  valori  di  J ricavate  dalla  Tabella  I (5a  colonna) 


I 


II 


III 


r — 0,7 
r = 1,0 


J — 0,87 
J=  0,40 


r = 0,8 
r=  1,0 


J — 0,81 
J = 0,40 


r = 0,9 
r = 1,0 


J = 0,70 
J : 0,40 


log 

u 

0,44642 

log 

X 

0,53234 

log 

b 

9,34568 

0,45469 

0,55125 

9,33286 


0,42612 

0,48544 

9,37772 


6.  — Rappresentazione  dei  valori  osservati  della  intensità  J. 
La  forinola  (2)  conduce  con  questi  valori  dei  parametri 
X e n alle  seguenti  rappresentazioni  dei  valori  medi  di  J (Ta- 
bella I). 


Distanza 

dal 

centro 
del  © 

Valori 
osservati 
della  J 

V alori 

I 

calcolati 

U 

iella  J 

III 

I 

0 — c 

II 

III 

0,  20 

0,  99 

0,  992 

0,  992 

0,  992 

0 

0 

0 

0,  40 

0,  97 

0,  966 

0,  966 

0,  964 

0 

0 

+ 1 

0,  60 

0,  92 

0,  913 

0,  914 

0,  909 

+ 1 

+ 1 

+ 1 

0,  70 

0,  87 

0,  S7o 

0,  872 

0,  86= 

0 

0 

0 

0,  80 

0,  81 

0,  80s 

0,  81o 

0,  80i 

0 

0 

+ 1 

0,  90 

0,  70 

0,  707 

0,  709 

0,  70o 

— 1 

— 1 

0 

0,  96 

0,  59 

0,  60o 

0,  60s 

0,  595 

— 1 

— 1 

0 

0,  98 

0,  49 

0,  542 

0,  544 

0,  538 

— 5 

— 5 

— 5 

1,  00 

0,  40 

0,  40o 

0,  40o 

0,  40o 

0 

0 

0 

La  rappresentazione  dei  valori  osservati  appare  a prima 


Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  uni1  eclisse  11 


vista  assai  buona,  e fa  solo  eccezione  il  valore  di  J per  r= 98, 
che  presenta  (con  tutte  e tre  le  coppie  di  valori  dei  parametri 
X e n)  un  divario  del  5 °/0  dal  valore  osservato.  La  cosa  non 
può  sorprendere,  perchè  i valori  della  radiazione  solare  al  con- 
torno del  disco  risentono  naturalmente  in  maggior  grado  1’  in- 
fluenza dell’  atmosfera  solare,  che  non  sarà  certamente  omogenea 
come  noi  abbiamo  supposto,  e che  darà  luogo  in  ogni  caso  a 
delle  refrazioni  e forse  anche  a riflessioni  totali.  Per  un  primo 
calcolo  di  saggio  ci  parve  lecito  trascurare  questo  divario  fra  il 
calcolo  e V osservazione,  e applicammo  quindi  nei  calcoli  defi- 
nitivi la  semplice  forinola  (2)  senza  alcun  termine  correttivo  per 
le  parti  al  contorno  del  disco  solare.  Solo  ci  parve  opportuno 
distribuire  gli  scarti  fra  i due  ultimi  valori  di  J per  r = 0,98 
e r = 1,00,  e provammo  quindi,  quali  rappresentazioni  si  hanno, 


assumendo 

IV 

V 

r ~ 0,7  J — 0,87 

r = 0,7  J 

= 0,87 

r — 1,0  J : 0,38 

II 

"o 

H 

■—  0,37 

Si  ottiene  rispettivamente 

log  u — 0,47375 

0,48713 

log  X =z  0,59446 

. . . 0,62452 

log  ji  = 9,32752 

9,31933 

Distanza 

Valori 

Valori  calcolati  della  J 

0 - 

- C 

dal  centro 

osservati 

del  © 

della  J 

IV 

V 

IV 

V 

0,20 

0,99 

0,  992 

0,  99-2 

0 

0 

0,40 

0,97 

0,  966 

0,  96c 

0 

0 

0,60 

0,92 

0,  91s 

0,  91s 

+ 1 

+ 1 

0,70 

0,87 

0,  87o 

0,  87o 

0 

0 

0,80 

0,81 

0,  80e 

0,  80e 

0 

0 

0,90 

0,70 

0,  70s 

0,  70o 

0 

0 

0,96 

0,59 

0,  59i 

0,  58t 

0 

0 

0,98 

0,49 

0,  53o 

0,  524 

— 4 

+ 3 

1,00 

0,40 

0,  38o 

0,  37o 

+ 2 

— 3 

La  rappresentazione  fornita  dal  sistema  V di  costanti  è 


12 


A.  Beni  por  ad 


[Memoria  XIV.] 


ormai  tale,  che  difficilmente  potrebbe  ottenersi  migliore  senza 
ricorrere  a forinole  assai  più  complicate.  A questo  sistema  quindi 
ci  arrestiamo,  e di  questo  ci  serviremo  nei  calcoli,  che  seguono 
per  rappresentare  la  distribuzione  apparente  della  energia  calo- 
rifica sul  disco  solare. 

Cap.  II.  — Calcolo  del  potere  radiante  medio  dei 

PUNTI  DEL  DISCO  SOLARE,  RISPETTO  AL  POTERE  RADIANTE  DEL- 
LA REGIONE  CENTRALE,  ASSUNTO  COME  1. 

7. — Disposizione  del  calcolo.  — Prima  di  procedere,  coll’aiuto 
della  forinola  ottenuta  nel  precedente  capitolo. 


al  calcolo  della  radiazione  delle  singole  fasi,  applichiamo  la  for- 
inola stessa  per  ottenere  il  valore  della  radiazione  complessiva 
del  disco  solare,  quando  si  ponga  = 1 il  potere  radiante  delle 
parti  centrali,  vale  a dire  il  valore  di 


esteso  a tutto  il  disco  solare  O,  o ciò  che  torna  lo  stesso  il  va- 
lore del  potere  radiante  medio  dei  punti  del  disco  solare 


esteso  all’  area  scoperta  a , che  corrisponde  ad  una  determinata 
fase  di  un’  eclisse  (e  inoltre  a un  determinato  rapporto  dei  se- 


( 


J te 


O 


O 


Ottenendo  poi  il  valore 


a 


Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un'eclisse  13 


midi  a ni  etri  r©  e r^)  il  quoziente  //  : 1 ci  darà  il  valore  della 
radiazione  della  fase  considerata,  rispetto  alla  radiazione  del- 
l’ intero  disco  solare  computata  come  1. 

Vista  l’importanza  fondamentale  che  ha  nella  nostra  ri- 
cerca il  calcolo  esatto  di  Y,  abbiamo  ottenuto  questo  valore  in 
due  modi  diversi,  e cioè  in  primo  luogo  per  quadratura  nume- 
rica, e secondariamente  con  procedimento  analitico.  Mettiamo 
questo  al  secondo  luogo,  perchè  tale  fu  in  effetto  1’  ordine  della 
nostra  ricerca,  ordine,  che  vorremmo  quasi  chiamare  naturale, 
perchè  1’  integrazione  numerica  è sempre  effettuabile , e basta 
alla  pratica,  mentre  1’  integrazione  analitica  solo  per  avventura 
è effettuabile  con  procedimenti  semplici,  come  capita  nel  caso 
attuale. 

8.  — Quadratura  numerica. 

Si  ha  in  primo  luogo 


(5) 


Assumendo  Jr  come  funzione  integranda  f (r) , venne  ap- 
plicata per  il  tratto  da  r =.  0 a r = 0,98  la  nota  forinola  d’ in- 
tegrazione 4) 


« + (i  + A) 

f (r)  dr  — w j /[«+(*  + y)  w ] + -W  / 


a — w 


+ (H-  t ) w ] 
- La+  (®  + t)  w]  + •• 


con 


ì 

24 


17 

5760 


4)  Cfr.  Banschinger.  Tafeln  zur  theoretischen  Astronomie.  Pag.  137  (Leipzig.  1901). 


14 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


e con  un  interyallo  w di  0,08  da  r^O,  00  fino  a r — 0,  40 
con  intervallo  di  0,04  da  r — 0,  40  fino  a r = 0,  88 
e con  intervallo  di  0,  01  da  r = 0,  88  fino  a r — 0,  98 


Per  il  tratto  da  r = 0,  98  a r = 1,00  venne  invece  appli- 
cata la  forinola  da  me  accennata  in  un  precedente  lavoro  *) 


(6) 


f (r)  dr  = w f 


-f-  [i w ] -)-  f ( a-\-iw] 


J 

h ? [a+(iJrVìw]  + ìi  fU  [«  + (*  + !)«>] 


_ _19_  fnl 
720  •' 


a + (*+ 4) w]  + mfIV  + (i  + 2)  w]  - • • • 


con 


(6«)  \f  [a  — i-w)  = — \ /'(«)  + / («+  \w)  — -yr  f*  («  + w)  + • • 

e coll’  intervallo  w = 0,004. 

Con  queste  forinole  e mediante  calcolo  logaritmico  a 5 de- 
cimali, sulla  base  della  forinola  (2)  , coi  valori  (V)  delle  co- 
stanti 1 2)  , ci  risultò 


/ 0,40 

J JrdV 

o 

/' 


0,88 

0,40 

0,88 


J 


0,98 

ri,  oo 

0,98 


— 0,  07868 

— 0,  26673 

— 0,  05970 
= 0,  00933 


Jr  àr 


— 0,  41444 


1)  Riduzione  delle  osservazioni  attinometrielie  eseguite  in  Catania  durante  P eclisse  di 
Sole  del  30  Agosto  1905.  Memorie  della  Società  degli  Spettroscopisti,  1906. 

2)  V.  pag.  11. 


Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  15 


9.  Quadratura  con  procedimento  analìtico. 

Introducendo  -nella  relazione  (5)  l’espressione  (2)  e la  no- 
tazione (4)  e ricordando  che  il  log  J della  (2)  è inteso  a base 
10,  abbiamo 


i f > r 

±Y=  Jrdr  = 10  / r dr.  LO 


| u2  + X2  (1  — r2)  ~\\/  1 — r2 


o 


a , 1 —vii' 

= 10  / r dr.  e 


[ (/  u 2 + X2  (1  — r2)  - X [/  1 _ 


avendo  posto 


!og10  « 


= [ 9,  68155 


Ponendo  ora 


otteniamo  anzitutto 


1 — r2  = t , 


1 ^ / — v 

Y = 10  | t dt . e 


V u2  -f  X2  A2  — X t 


Ponendo  poi 


_ V u 2 + l2t2  —\t 


ossia 


t r~ 


2 X v x 


, ar  — v*  ir 

t (li  = 112  "2 2 > 

4 A.2  v2  ar 


otteniamo  (scambiando  i limiti  d’  integrazione) 


4- 


l'- 

io 


° x (v4  id  — x* 


4 X2  v2  a?3 


dx , 


(7) 


16 


.4.  Bemporad 


| Memoria  XIV.] 


dove  (cfr.  forili.  (4)  a pag.  9) 

*0  = V [ [/  U%  -j-  X2  — X ] 


Ora  si  lia,  mediante  integrazione  per  parti  , 


f*  T 

/ —*1 

— X — X ~ 

1 e x dx  — 

_e  -f-  x e 

e,  mediante  integrazione  per  serie, 


e dx 
xz 


111  x 

2^  + V+2  '0gX  “1^3  + 


, X 2 ( — 1)"  xn 

' 2.1. 2.3.4  “ w.l.2...(»+2)  ' 


Procedendo  al  calcolo  numerico  dei  singoli  termini,  coi  va- 
lori (V)  delle  costanti  u , X , |i , otteniamo  ordinatamente 


e x dx  — + 0,61867  + 0,29713  (termini  in  x0) 

— 0,  22886  — 0,  33749  (termini  in  xj 

= + 0,  34935 


dx  = -f-  2,  16705  — 2,  08186  -f-  0,  36663 


I 


-j-  0,  08004  — 0,  00481  -f-  0,  00031  ^ termini  in  x0 

— 0,  00002  -f ) 

— 0,22994  + 0,67814  + 0,19420  \ 

— 0,  24577  + 0,  04530  — 0,  00891 

termini  in  x, 

+ 0,  00164  — 0,  00028  + 0,  00004  i 

— 0,00001  + ) 

= 0,  96175  , 


Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  17 


e sostituendo  infine  in  (7) 

~ Y = 0,  41415 

in  accordo  perfetto  col  valore  (0,  41444)  già  trovato  sopra  colla 
quadratura  numerica.  Dai  due  calcoli  si  trae  dunque  la  conclu- 
sione che  : 

Il  potere  radiante  medio  dell’unità  di  superficie  apparente  del 
disco  solare , rispetto  al  potere  radiante  delle  parti  centrali  assunto 
come  unità , viene  espresso  dal  valore  0,  829. 

In  uno  studio  precedente 4 * *  7)  ottenevo  con  procedimento  pu- 
ramente numerico  fondato  sui  valori  di  J direttamente  osservati 
(valori  medi  della  tabella  I)  il  valore  0,831  come  espressione  dello 
stesso  potere  radiante  medio.  L7  accordo  non  potrebbe  esser  mi- 
gliore, e anche  questo  viene  a confermare  come  la  forinola  (2) 
sia  un’  ottima  forinola  di  ragguaglio  per  il  nostro  scopo. 

Gap.  III.  — Calcolo  della  radiazione  della  porzio- 
ne SCOPERTA  DEL  SOLE  PER  UNA  DATA  FASE  DI  UN7  ECLISSE 

10.  Varie  forme  di  calcolo. 

Il  calcolo  numerico  della  radiazione  y della  porzione  sco- 
perta del  disco  solare,  corrispondente  ad  una  data  fase  di  una 
eclisse  richiede  una  doppia  integrazione,  per  la  quale  è naturale 
riferirsi  ad  un  sistema  di  coordinate  polari  r , 0 col  polo  nel 
centro  del  Sole  e colla  congiungente  i centri  del  O e della  C 
come  asse  polare.  Secondochè  si  pensa  di  eseguire  prima  la  in- 


4)  Relazione  sulle  osservazioni  attinometriche  eseguite  nell’  Osservatorio  astrotisico  di 

Catania  durante  l’eclisse  del  30  Agosto  1905.  Memorie  della  Soc.  degli  Spetfrosc.  Hai.  XXXV, 

pag.  31. 

Atti  acc.  Suiti h 4a,  Voi..  XIX  — Meni.  XIV. 


I 


3 


3,8 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


tegrazione  nel  senso  della  r o quella  nel  senso  della  0 , si  avran- 
no due  diverse  forme  di  calcolo  espresse  rispettivamente  da 


(8«) 


y = -~J Jr  6{r)  di'  . (86) 

ro 

In  ambedue  le  forinole  s’intende  sostituita  per  J l’espres- 
sione esponenziale,  che  si  ricava  della  (2). 

Nella  prima  forinola  poi  20  indica  1’  angolo  , sotto  cui  la 
porzione  scoperta  del  Sole  è vista  dal  centro  del  Sole  medesimo, 
e sarà  da  porre  = 2%,  qualora  il  centro  del  Sole  sia  contenuto 
nella  porzione  in  discorso  (fase  minore  di  0,5) , ovvero  quando 
si  tratti  di  un’  eclisse  anulare  ; r0 , ì\  invece  denotano  i raggi 
vettori  dei  punti,  in  cui  il  contorno  della  porzione  scoperta  viene 
incontrato  dal  raggio  generico  di  anomalia  0.  La  r0  è quindi  in 
ogni  caso  una  radice  della  equazione 


?"  -j-  a - -j-  2 or  cos  0 — l2, 


(9) 


dove  l indica  la  misura  del  raggio  apparente  del  disco  lunare 
ed  a la  misura  della  distanza  dei  centri  del  O e della  C in 
parti  del  raggio  apparente  del  disco  solare  assunto  come  unità  ; 
mentre  rì  secondo  i casi,  o vien  dato  dall’  altra  radice  di  que- 
sta stessa  equazione,  ovvero  è da  porre  = 1. 

Nella  seconda  forni  ola  d(r)  indica  la  porzione  di  circon- 
ferenza del  cerchio  di  raggio  r concentrico  al  Sole,  che  cade  en- 
tro 1’  area  scoperta  , e viene  quindi  definito  dalla  relazione 

72  2 2 

0(?')  — are  cos  — , (10) 

v ' 2ar 

fatta  speciale  considerazione  dei  casi,  in  cui  questa  espressione 
risulti  immaginaria,  come  avviene,  quando  il  cerchio  di  raggio 


Svi  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un'eclisse  19 


r appartenga  per  intero  alla  porzione  scoperta  del  Sole  ; r0  in- 
dica poi  nella  forinola  (8b)  la  minima  distanza  dei  punti  della 
porzione  scoperta  dal  centro  del  O . 

La  prima  forma  di  calcolo  (Sa)  è assai  comoda,  ma  richie- 
de per  il  calcolo  numerico  effettivo,  che  siano  preventivamente 


P 

formati  i valori  di  / Jrdr  per  una  serie  di  valori  snfficiente- 

J r0 

mente  vicini  di  rQ , così  da  poterne  ricavare  agevolmente  per  sem- 
plice interpolazione  V ammontare  dell’  integrale  medesimo  per 
un  valore  qualunque  di  rQ  fra  0 ed  1.  Ora  il  calcolo  per  qua- 
dratura numerica  da  noi  eseguito  nel  capitolo  precedente  si  presta 
benissimo  a tale  scopo.  In  base  a questo  calcolo  abbiamo  quindi 

. . r 

costruito  la  tabella  di  valori  di  / Jr  dr  data  in  line  (Tav.  II), 


ottenendo  dapprima  i valori  del  detto  integrale  per  r = 0,04 
0,08,  . . . 0,96  1,00  e riducendo  poi  l’intervallo  tavolare  a 0,001 
coi  noti  procedimenti  d’interpolazione.  Soltanto  per  gli  ultimi 
valori  di  r (e  precisamente  da  r = 0,  994  a r — 1,  000)  essendo 
malagevole  l’impiego  delle  forinole  d’interpolazione,  in  causa 
del  forte  andamento  delle  differenze,  si  dovette  ricorrere  al  pro- 
cedimento analitico,  pure  accennato  nel  cap.  precedente,  e que- 
sto fornì  in  pari  tempo  un  saggio  soddisfacentissimo  del  grado 
di  approssimazione  ottenuto  col  procedimento  numerico. 

La  seconda  forma  di  calcolo  (86)  non  richiede  alcuna  inte- 
grazione numerica  preventiva,  perchè  l’integrale  si  presenta  già 
nella  forma  di  integrale  semplice  ; però  per  valori  assai  piccoli 
di  a la  funzione  0(r)  acquista  un  andamento  assai  forte , che 
rende  malagevole  l’integrazione  numerica. 


11.  I ari  casi  'possibili. 

Per  ridurre  al  minimo  i calcoli  numerici  necessari  alla  co- 
struzione delle  tavole,  che  rappresentano  la  soluzione  pratica  del 
nostro  problema,  abbiamo  trovato  opportuno  distinguere  vari  casi1 


20 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


secondo  la  grandezza  della  fase  e il  valore  del  rapporto  l dei 
semidiametri  apparenti  del  O e della  C. 

l.°  Caso  Fase  > 0 , 5.  Eclisse  parziale.  In  forinole  : 

a < l a -j-  l > 1 

In  tal  caso  (fig.  2 ) sono  applicabili  in  generale  tanto  la  (80) 
come  la  (86) , però  la  prima  senza  eccezione,  la  seconda  invece 
solo  per  valori  non  troppo  piccoli  di  a.  Nella  (80)  0 s’intende 
definito  dalla  relazione 

cos  0 = -,  (0  < 0 < 7C)  (11) 

Z et 

ed  è da  porre  inoltre 

r0  = — a cos  b -\-  \/l~ — or  siir0  (12) 

*•,  = 

Nella  (8b)  invece  è da  porre  r0  — l — a,  e s’intende  b (r)  ri- 
cavato dalla  (10)  colla  limitazione  0 < b <C  ir. 


2.°  Caso.  Fase  < 0,5.  In  forinola  : a <11.  In  tal  caso  (Mg.  3), 
detta  © 1’  area  complessiva  del  disco  solare,  o la  porzione  sco- 


Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  21 


perta  e c,  la  porzione  occultata  del  disco  medesimo,  potrà  scri- 
versi 


dove  Y denota  la  radiazione  totale  del  disco  solare,  da  noi  <nà 

© 

calcolata  nel  precedente  capitolo.  Il  calcolo  di  y è dunque  ri- 
dotto al  calcolo  di 


die  potrà  eseguirsi  secondo  runa  o l’altra  delle  forinole  (80),  (8b). 
Nella  prima  2 0 indicherà  1’  angolo,  sotto  cui  è veduta  dal  cen- 
tro del  Sole  l’area  occultata  °t  , si  ricaverà  quindi  dall’equa- 
zione 


I!  limite  superiore  i\  della  integrazione  rispetto  ad  r non 
sarà  più  in  generale  1,  come  nel  caso  precedente,  perchè  per 
valori  di  a di  poco  superiori  ad  l , vi  sono  raggi  per  il  centro 
del  © , che  segano  in  due  punti  il  bordo  interno  di  a (o  a ).  E 
precisamente  per  quei  valori  di  0,  per  cui  le  radici  della  equazione 


li  sultano  entrambe  minori  di  1,  le  radici  in  discorso  forniscono 
senz  altro  i valori  di  r0  ed  , altrimenti  la  radice  minore  di  1 


Nella  forinola  (S6)  invece,  che  pel  caso  attuale  è d’impiego 
più  semplice,  s’ intenderà  r0  = a — l e 0(r)  definito  dall’  espres- 


V = I Jte  — / Jd*—\  Jd°  = Y-  J do  , 


J 

a 


o 


l2  =z  r~  -j-  a 2 — 2 a r cos  0 


dà  il  valore  di  r0,  ed  ri  è da  porre  = 1. 


sione 


0 Ir)  = are  cos 


2 a r 


(14) 


22 


A.  Beni  por  ad 


[Memoria.  XIV.] 


ovvero  dalla  espressione  equivalente  più  comoda  pel  calcolo  lo- 
garitmico 

6 (r)  = 2 are  tg  I / (s~ (s  ~r) 

1 « (s-l) 

dove  s = + r + Z. 

3°  Caso.  Fase  0,  5.  Eclisse  anulare.  In  forinole 
a l «•  — |—  Z 1 

In  questo  caso  (v.  Pig.  4)  sono  ancora,  come  sempre,  ap- 
plicabili due  forme  d’ integrazione,  ma  quella  fornita  dalla  for- 
inola (8a)  è qui  decisamente  la  più  comoda,  epperò  ci  limitiamo 
a citar  questa,  che  dà  per  y l’ espressione 


r0  ottenendosi  ancora  dalla  (12). 

12.  Disposizione  dei  calcoli. 

Per  procedere  all’integrazione  numerica  1),  abbiamo  calco- 
lato anzitutto  i valori  di  J per  una  estesa  serie  di  valori  di  r 
fra  0 ed  1 (Tavola  I),  servendoci  della  forinola  (2)  coi  valori 
(V)  per  le  costanti  X e |j.. 

Abbiamo  calcolato  in  seguito,  e disposto  nella  Tavola  II, 

f 

i valori  di  \ Jrdr , pei  valori  di  r da  0 ad  1,  di  millesimo  in 

J r 

millesimo.  Infine  abbiamo  calcolato  coll’  uno  o coll'altro  dei  pro- 


4)  Non  facciamo  cenno  che  della  integrazione  numerica,  perchè  la  integrazione  analitica, 
riesce  in  generale  oltremodo  laboriosa  e non  applicabile  pei  nostri  calcoli  dove  occorrevano 
per  la  soluzione  completa  del  problema  (v.  tav.  Ili)  ben  duecento  integrazioni  singole. 


Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  23 


cedimenti  suindicati,  i valori  della  radiazione  relativa  y : Y per 
i tre  casi  l = 0.  9,  l — 1.  0,  l — 1. 1 e per  varie  porzioni  scoperte 
(1)  — 1 -fft  — l)  del  disco  solare,  e precisamente  per  b = 0.  08 , 
0.16,  0.32  . . . 1.84  (in  unità  di  semidiametro  apparente  del  Sole). 
Pei  valori  da  5 = 0.08  a b = 0.  94  (ossia  per  fasi  maggiori  di 
0.5)  trovammo  opportuno  ridurre  a 0.02  l’intervallo  tavolare 
nel  senso  della  Z,  e calcolammo  quindi  le  corrispondenti  y:Y 
anclie  per  l = 0. 92 , 0.94,  . . . 1.06,  1.08. 

I valori  di  y : Y corrispondenti  a b = 0.  24,  0.  40,  . . . 1.92 
vennero  ottenuti  per  interpolazione  dei  precedenti.  Tutti  i cal- 
coli vennero  eseguiti  in  5 cifre,  ma  i valori  finali  della  y : Y 
vennero  poi  arrotondati  a 3 cifre.  La  tavola  III  fornisce  quin- 
di, con  questo  grado  di  approssimazione,  mediante  una  duplice 
interpolazione,  coi  due  argomenti  l , semidiametro  lunare,  e b, 
porzione  scoperta  del  diametro  trasversale  del  Sole  (ambedue 
espressi  in  unità  del  semidiametro  solare)  il  valore  della  radia- 
zione relativa  y : Y dell’area  scoperta  del  Sole,  per  una  fase  qua- 
lunque di  una  eclisse  in  condizioni  qualisi vogliano.  Osserviamo 
espressamente  per  questo,  che,  secondo  i valori  noti  degli  ele- 
menti delle  orbite  della  Terra  c della  Luna,  il  rapporto  del  se- 
midiametro apparente  della  C a quello  del  O può  variare  (te- 
nendo conto  della  parallasse  media  della  C)  da  0.  92  a 1.  06  ; 
perciò  i limiti  da  noi  scelti  comprendono  in  ogni  caso  i valori, 
che  possono  presentarsi  in  una  eclisse.  Se  alcuno  poi  volesse 
riprendere  le  belle  esperienze  attinometriche  di  Ericsson  consi- 
stenti in  sostanza  in  eclissi  artificiali  del  Sole  *),  allora  sarebbe 
forse  il  caso  di  estendere  ancor  pivi  i detti  limiti,  ciò  che  non 
presenterebbe  altra  difficoltà,  che  quella  materiale  dei  calcoli,  e 
questi  sarebbero  sempre  molto  agevolati  delle  nostre  tavole  I e 
II.  Non  credo  inopportuno,  appunto  per  1’  eventuale  estensione 


P V.  in  proposito  Nature,  Voi.  XII,  pag.  517  e Voi.  XIII  pag.  226  ovvero  A.  Secchi. 
Recenti  ricerche  intorno  alla  distribuzione  del  calore  sul  disco  solare.  Memorie  della  Società 
degli  Spettroscofwti  italiani.  Voi.  IV.  1875. 


24 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


dei  calcoli,  accennare  qui  succintamente  un  esempio  numerico 
per  ciascuno  dei  tre  casi  considerati  nel  precedente  §. 


13.  Esempi  numerici  dei  calcoli  d1  integrazione. 
l.°  Caso.  Si  voglia  calcolare  la  radiazione  della  porzione  sco- 
perta del  Sole  per  la  fase  0,96  , importando  il  rapporto  dei  dia- 
metri della  Luna  e del  Sole  1=0,  98.  In  tal  caso,  essendo  à— 0,08 
(in  parti  di  semidiametro  solare)  la  porzione  scoperta  del  dia- 
metro trasversale  del  Sole,  sarà  a — b + / — 1 ==  0,06  la  distan- 
za dei  centri  del  O e della  C-  Applicando  quindi  la  (11),  si  avrà 
per  1’  angolo  0 , sotto  cui  è veduta  dal  centro  del  Sole  la  metà 
della  falce  scoperta,  il  valore  0 = ili0  6,0.  Come  intervallo 

d’integrazione  prenderemo  60  = ^ Q = 11°  6 ,6  , e potremo  al- 
lora applicare  le  forinole  d’ integrazione  (6)  (6a)  (pag.  14)  con 


2 666', 6 

T — 10800' 


— — [9,  17299]  . 


e colla  funzione  integranda 

f=j  Jrdr, 

J 

r0 

dove  s’  intende  rQ  espresso  dalla  (12).  Il  divisore  Y (radiazione 
totale  del  disco  solare)  die  non  figura  nella  (8  ),  venne  da  noi 
aggiunto  per  ottenere  direttamente  dalla  integrazione  numerica 
la  radiazione  relativa  y : Y ; e precisamente  venne  assunto  (v. 
cap.  prec.)  Y — 0,  41444. 

Calcolando  il  valore  di  r0  per  0 = 0o,  2 0Q , ...  10  0O,  e ri- 
cavando dalla  tabella  II  i corrispondenti  valori  di  f,  indi  for- 
mando le  successive  differenze  e serie  sommate,  si  ottiene  il  se- 
guente prospetto  d’ integrazione. 


IStil  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  25 


111°  6',0 
99  59,4 
88  52,8 


77  46,  2 


66  39,  6 


55  33,4 
44  26,4 
33  19,8 
22  13,  2 
11  6,  6 
0 0,  0 


»*0 

f 

f 

1, 00000 

0,  00000 

0,  98S65 

+0,  00038 

502 

+502 

0,  97700 

540 

1087 

+585 

0, 96554 

1627 

1705 

+618 

0,  95468 

3332 

2316 

+611 

0,  944S0 

5648 

2891 

+575 

0, 93626 

8539 

3398 

+507 

11937 

+418' 

0,  92930 

3816 

0,  92418 

15753 

4128 

+312 

0, 92106 

19881 

4319 

+191 

24200 

+ 66 

0,  92000 

4385 

— 66 

f 


il 


+ 83 
+ 33 

— 7 

— 36 

— 68 

— 89 
—106 

— 121 
—125 

— 132 

— 125 


0, 24200 


+ 2192,  5 + 5,  5 


— 5,2  — 0,26393 


E questo  valore  moltiplicato  per  l’altro  già  ottenuto  (li  w forni- 
sce il  valore  0,016,  per  la  radiazione  relativa,  quale  si  trova  nella 
tabella  III  in  corrispondenza  agli  argomenti  Z=0,  9S  , 5—0,08. 

2°  Caso.  Vogliasi  il  valore  della  radiazione  relativa  y : Y 
per  l = 0,90  b = 1,52  (fase  = 0,24  , a = l + b — 1 = 1,42). 

Applicheremo  la  forinola  (S6)  all’  area  occultata  af  , assu- 
mendo come  intervallo  d’  integrazione  per  la  r 0, 04  , e calco- 
lando quindi  i valori  della  funzione  integranda  per  r = 0,52, 
0,  56, ...  1,  00.  Indicando  con  —6'  gli  angoli  ~6  calcolati  in  pri- 
mi secondo  la  forinola  (14),  dovremo  considerare  nella  funzione 

2 0 0' 

integranda  della  forinola  (8&)  — = , e formando  i valori  di 


0,  04 
5400 


Atti  acc.  Serie  4a,  Voi..  XIX  — Mem.  XIV. 


4 


26 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


e applicando  a questi  l’ integrazione  numerica  secondo  la  for- 
inola (6),  si  otterrà  V importo  di  \ yl  radiazione  dell’  area 

occultata +)  e quindi  la  corrispondente  radiazione  relativa  2 Vl  , 

0,41444 

il  cui  complemento  sarà  la  radiazione  relativa  dell’  area  sco- 
perta a.  Comunico  nel  quadro  seguente  i valori  di  4-  di  wjr 
(ottenuti  dalla  Tab.  I)  , di  f e delle  relative  differenze  e serie 
sommate,  avvertendo  che  l’integrazione  è stata  suddivisa  in  due 
procedenti  in  senso  contrario  da  0,52  a 0,76  e da  1,00  a 0,76. 


r 

\ 

log  ir  6' 
& 2 

log  wJr 

f 

f1 

fu 

fili 

0,  52 

— CO 

+0,  00024 

0,  00000 

+197 

0,  56 

2,  7104 

4,  5849 

221 

197 

+ 85 

—112 

+93 

0,  60 

2,  8424 

4,  6085 

282 

— 19 

503 

+ 66 

0,  64 

2,  9124 

4,  6291 

851 

348 

+ 54 

— 12 

0,  68 

2,  9574 

4,  6467 

402 

— 9 

1253 

+ 45 

0,  72 

2,  9888 

4,  6611 

1700 

447 

+ 36 

— 9 

0,  76 

3,  0118 

4,  6721 

2763 

483 

+ 28 

— 8 

0,  80 

3,  0291 

4,  6791 

2253 

511 

+ 

— 11 

0,  84 

3,  0421 

4,  6809 

528 

— 11 

1724 

+ 6 

0,  88 

3,  0520 

4,  675S 

1190 

534 

— 11 

— 15 

0,  92 

3,  0594 

4,  6593 

667 

523 

— 38 

— 27 

— 99 

0,  96 

3,  0648 

4,  6206 

+0,  00182 

485 

— 164 

—126 

o 

o 

rH 

3,  0684 

4,  4379 

321 

/ 

= 0,01700  +241,5  — 2,5  ) 

1 

J 

= 0,04945  = 

- ~2  Vi 

. + 0,02763  + 241,5  + 2,5  ) 

l 

t y = 

= -+- 

T Vi  = °’ 

36499 

y 

T 

0,  881 

Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  27 


Nella  tabella  III , in  corrispondenza  agli  argomenti  £=0,9 
7>=1,52  si  trova  appunto  0,881  come  valore  della  radiazione  re- 
lativa. 

3°  Caso.  Quando  il  bordo  del  disco  lunare  non  taglia  quello 
del  disco  solare,  ma  è tutto  interno  (o  tangente)  a questo,  il  li- 
mite d’  integrazione  0 , colla  forinola  (8a)  , coincide  con  * , e 
quindi  1’  intervallo  d’  integrazione  ^ risulta  un  sum multiplo  di 
% , ciò  che  porta  una  notevole  semplificazione  nei  calcoli.  Al- 
l’ infuori  di  questa,  non  v’  ha  altra  differenza  sostanziale  fra  i 
calcoli  del  3°  caso  e quelli  del  1°  ; non  aggiungiamo  quindi  al- 
tro in  proposito,  limitandoci  ad  accennare,  che  l’ intervallo  preso 
nei  nostri  calcoli  (del  3°  tipo)  fu  sempre  di  15°. 

II.  Relazioni  particolari  e ricerca  dei  massimi  e minimi  dei 
nostri  integrali. 

Avendo  ammesso  che  la  intensità  J sia  funzione  semplice- 
mente  della  distanza  r dal  centro  del  disco  solare,  è senz’  altro 
manifesto , che  nel  caso  di  una  eclisse  anulare  il  valore  della 
radiazione  corrispondente  ad  una  data  fase  corrisponde  a due 
diversi  valori  di  b (parti  scoperte  del  diametro  trasversale  del 
Sole)  legati  fra  loro  dalla  relazione 

b + 21 J-  bi  — 2. 

Possiamo  dunque  dire  che,  quando  l <C  1 , i nostri  integrali 
y riescono  tali  funzioni  dei  due  parametri  l e b — a 1 — l , 
che  riprendono  lo  stesso  valore,  quando  il  parametro  b si  cam- 
bia in  b1  = 2(1 — T)  — b.  Così  nella  tabella  III  vediamo  che  in 
corrispondenza  ad  l — 0,92  si  ha  uno  stesso  valore  per  b — 0,06 
e per  b — 0,00. 

Questa  relazione  fa  senz’altro  prevedere,  per  semplici  con- 
siderazioni geometriche,  che  il  caso  b =.  bì  = 1 — l ossia  a = 0 
(eclisse  anulare,  centralità  perfetta)  deve  corrispondere  al  minimo 

I 


28 


A.  Bem 'por ad 


[Memoria  XIV.] 


della  radiazione.  È facile  aver  di  ciò  la  conferma  dall’  esame  dei 
nostri  integrali  nella  forma 


//  J r 6 (r)  dr  , 


1 


essendo 


e 


6 (r)  = are  cos  

v ' 2 a r 


(v.  pagg.  18  e 21) 


Avremo  infatti 


ì 

Jr  dr 


a 


V 4 a*V-  — ( l 2 — r2  + a2)' 


Il  primo  termine  è sempre  nullo,  perché  0(rQ)  = 0.  Per  la 
ricerca  dei  massimi  e minimi  basta  dunque  vedere  , quando  è 
che  il  secondo  termine  si  annulla  o diviene  infinito.  L’  annul- 
lamento, essendo  la  funzione  integranda  essenzialmente  positiva, 
non  può  avvenire  che  per  r0  = 1 cioè  l = a -f-  1 (eclisse  totale) 
e questo  è un  minimo  ben  manifesto.  Ma  noi  vediamo  inoltre, 
che  l’ integrale  diviene  infinito  per  a = 0,  e questo  corrisponde 
al  minimo  della  radiazione  per  una  eclisse  anulare  centrale.  Se 
non  si  tenesse  conto  del  decrescimento  della  intensità  calorifica 
dei  punti  del  disco  solare  dal  centro  alla  periferia,  non  si  avreb- 
be traccia  di  questo  minimo  corrispondente  alla  centralità,  per- 
chè la  radiazione  sarebbe  manifestamente  costante  durante  tutto 
il  passaggio  dal  2°  al  3°  contatto. 

Da  tutto  1’  esposto  seguirebbe  esser  più  naturale  la  scelta 
del  parametro  a (distanza  dei  centri  del  O e della  0)  , anziché 
di  1)  (porzione  scoperta  del  diametro  trasversale  del  O),  come 
argomento  per  la  nostra  tavola  III.  I nostri  integrali  sono  infatti 
funzioni  sempre  crescenti  di  a,  mentre  presentano  le  singolarità 
notate  rispetto  al  parametro  b.  Ma  la  scelta  di  quest’  altro  ar- 
gomento venne  consigliata  da  una  ragione  d’  indole  pratica  molto 


Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  29 


importante,  e cioè  dalla  molto  minore  estensione,  che  assume  la 
tavola  rispetto  al  parametro  b anziché  rispetto  al  parametro  a. 
E invero  per  una  data  distanza  b fra  i lembi  dei  dischi  solare 
e lunare  , la  variazione  del  rapporto  l dei  diametri  dei  dischi 
medesimi  non  produce  che  variazioni  piccolissime  nell’  importo 
della  radiazione;  mentre  per  una  data  distanza  a fra  i centri  dei 
due  dischi  la  variazione  di  l dà  luogo  ad  una  variazione  ben 
sensibile  nell’  importo  della  radiazione. 

È quasi  superfluo  aggiungere,  che  nel  caso  della  centralità 
(/>  = 1 — T)  il  calcolo  della  radiazione  non  richiede  nessuna  qua- 
dratura superficiale,  ma  si  riduce  senz’  altro  al  calcolo  dell’inte- 
grale semplice 

f 

/ Jrdr 
l 

da  noi  già  tabulato  nella  Tav.  II. 

Nella  figura  (5)  abbiamo  rappresentato  l’ andamento  di  al- 

Radiaz. 

0,32 

0,24 

0,16 


0,08 


0,00 

Porz.  scoperta  6 — 0,40  0,32  0,24  0,16  0,08  0,00 

Fig.  5. 


cuni  dei  nostri  integrali  da  b = 0,  40  a b — 0,  vale  a dire  il 
modo  di  variare  della  radiazione  solare  (in  varie  ipotesi  circa  il 
rapporto  dei  semidiametri  del  O e della  ©)  col  variare  della  fase 


30 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


da  0,  80  ad  1, 00  (totalità  o centralità).  Per  fasi  non  troppo  grandi 
le  varie  curve  corrono  quasi  parallelamente  ; una  differenza  sen- 
sibile non  si  manifesta  che  per  fasi  maggiori  di  0,  9.  La  diffe- 
renza più  rilevante,  coni’  è naturale,  vien  presentata  dalle  due 
curve  relative  all’  eclisse  anulare.  Per  avere  una  idea  dell’  errore 
a cui  si  andrebbe  incontro,  trascurando  la  diminuzione  del  po- 
tere calorifico  dei  punti  del  O dal  centro  alla  periferia,  abbiamo 
aggiunto  alle  quattro  curve  1,  2,  3,  I rappresentanti  i risultati  del 
nostro  calcolo  (per  l = 0,92  0,96  1,00  1,08)  una  quinta  curva  (5) 
corrispondente  al  caso  l = 0,  92,  ottenuta  ammettendo  , che  la 
radiazione  delle  porzioni  scoperte  del  disco  solare  sia  propor- 
zionale alla  superficie  delle  porzioni  medesime  *).  Come  si  vede, 
la  differenza  è sensibilissima,  e tale  da  giustificare  ampiamente 
l’estensione  data  ai  nostri  calcoli.  Intorno  alla  fase  massima  in- 
fatti 1’  errore  a cui  si  va  incontro,  ammettendo  la  detta  propor- 
zionalità, ammonta  quasi  alla  metà  dell’  importo  della  radiazio- 
ne, quale  risulta  dal  calcolo  rigoroso. 


p Per  tracciare  questa  curva  abbiamo  calcolato  le  aree  a,,  a2,  s3,  a4  delle  porzioni  sco- 
perte del  disco  solare  per  Z — 0,92  e per  a — 0,16  0,24  0,32  0,40.  Nel  primo  caso  (area 
anulare)  è manifestamente  a,  — 1,00* — 0,922  = 0,1536.  Per  gli  altri  tre  casi  ci  siamo  serviti 
del  sistema  di  formolo  subito  ottenibile  dalla  Fig.  6. 

P = ^ (*  + a + b 


= Area  triang.  ABC—  1/  p (p — 1)  (p — a)  (p — l) 


tg 


2 p ( p—a ) 


tg 


P 


p {p— 1) 


tg  — 


«i 


p (p—t) 


(Controllo  — + -~ 


■ — 90°) 


^ £QO 

So  — Area  settore  A C E — — o^0  ~ 


<S.,  — Area  settore  A B D~  — - l~ 
3 360» 


a = Area  lunula  A D A'  E — 


Fig.  6. 


Abbiamo  così  ottenuto  per  a — 0,  24  0,  32  0,  40 

rispettiv.  3 = 0,  187  0,  231  0,  277. 

Su  questi  numeri,  insieme  col  primo  trovato,  si  fonda  la  curva  5 della  fig.  6. 


Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  31 


15.  Valori  delle  funzioni  ro(0)  e 6(r). 

Poiché  le  scopo  finale  dei  nostri  calcoli  è di  fornire  ele- 
menti, che  facilitino  lo  studio  dei  valori  del  potere  radiante  J a 
varie  distanze  dal  centro,  ci  sembra  opportuno  distinguere  quella 
parte  dei  calcoli,  che  non  dipende  dalla  speciale  ipotesi  da  noi 
fatta  per  la  funzione  J (r)  (valori  di  Secchi,  Yogel  ed  altri,  rap- 
presentazione analitica  mediante  la  forinola  (21),  e di  comunicare 
i relativi  risultati  numerici,  che  potranno  trovare  immediata  ap- 
plicazione, quando  si  ricorra  ad  un’  altra  ipotesi  circa  la  detta 
funzione  J (r),  come  capiterà  appunto  anche  nel  corso  del  pre- 
sente lavoro  (vedi  Cap.  4°,  Osservazioni  del  Prof.  Julius  a Burgos). 

Ora  i calcoli  che  non  dipendono  dalla  J , ma  solo  da  ele- 
menti geometrici  relativi  alla  posizione  mutua  e alle  dimensioni 
relative  dei  dischi  apparenti  del  O e della  C,  sono  quelli  dello 
funzioni  ro(0)  (forinola  12,  pag.  20)  e 6 (r)  (forinola  14,  pag.  21). 
Nelle  tavole  IV  e V (in  fine)  comunico  quindi  i valori  di  que- 
ste funzioni  per  quei  valori  dei  parametri  b ed  l,  che  sono  oc- 
corsi nei  nostri  calcoli. 

Cap.  IV.  — Applicazione  del  metodo  esposto  a varie 

SERIE  DI  OSSERVAZIONI  ESEGUITE  DURANTE  LE  ECLISSI  DEL  28 

Maggio  1900  e del  30  Agosto  1905. 

16.  Principio  del  metodo. 

L’  applicazione  della  tavola  III  consiste  semplicemente  n el- 
fi estrarne  per  interpolazione  la  tabella  di  valori  teorici  della 
radiazione  in  corrispondenza  alle  varie  fasi  di  una  data  eclisse, 
conoscendo  il  valore  del  rapporto  l del  semidiametro  lunare  a 
quello  solare.  Il  confronto  dei  detti  valori  teorici  con  quelli  ot- 
tenuti dalla  osservazione,  debitamente  purgati  della  influenza 
dell’ assorbimento  atmosferico,  fornirà  dei  dati  circa  la  vera  legge 
di  decrescimento  della  intensità  calorifica  dei  punti  del  disco 
solare  dal  centro  alla  periferia,  e,  indirettamente,  circa  la  pro- 
babile costituzione  dell’  atmosfera  solare. 


32 


A.  Bernporad 


[Memoria  XIV.] 


Come  esempio,  assai  modesto,  data  l’esiguità  dei  mezzi  d’os- 
servazione impiegati,  accennerò  in  primo  luogo  1’  applicazione 
della  Tav.  Ili  alle  osservazioni  attinometriclie  eseguite  nell’Os- 
servatorio astrotìsico  di  Catania  durante  le  eclissi  del  28  Mag- 
gio 1900  e del  30  Agosto  1905. 


17.  Osservazioni  eseguite  in  Catania  durante  V eclisse  del  1006. 

Secondo  i calcoli  da  me  eseguiti  in  un  precedente  lavoro  ’), 
il  rapporto  del  diametro  apparente  del  disco  lunare  a quello  del 
disco  solare  (tenuto  il  debito  conto  della  parallasse)  aveva  in- 
torno alla  fase  massima  della  ultima  eclisse  (per  Catania)  il  va- 
lore 1,046.  La  variazione  oraria  del  diametro  lunare  (0,34)  è 
nel  caso  nostro  trascurabile.  Per  questo  valore  di  l la  tavola  III 
fornisce  a vista  la  seguente  tabella  di  valori  teorici  della  radia- 
zione in  corrispondenza  alla  fase  (grandezza  f della  fase=l — - b) 


Fase 

Radiazione 

relativa 

Diff. 

Fase 

Radiazione 

relativa 

1 

Diff. 

0,00 

1,000 

— 6 

0,52 

0,574 

—50 

0,04 

0,994 

—13 

0,56 

0,524 

—52 

0,08 

0,981 

— 19 

0,60 

0,472 

—52 

0,12 

0,962 

—25 

0,64 

0,420 

—53 

0,16 

0,937 

—29 

0,68 

0,367 

—52 

0,20 

0,908 

—32 

0,72 

0,315 

—52 

0,24 

0,876 

—36 

0,76 

0,263 

—51 

0,28 

0,840 

—39 

0,80 

0,212 

—51 

0,32 

0,801 

—41 

0,84 

0,161 

—49 

0,36 

0,760 

—43 

0,88 

0,112 

—45 

0,40 

0,717 

— 46 

0,92 

0,067 

—39 

0,44 

0,671 

—48 

0,96 

0,028 

— 28 

0,48 

0,623 

— 49 

1,00 

0,000 

Riunendo  ora  i risultati  del  presente  lavoro  di  puro  calcolo 
con  quelli  di  due  precedenti  lavori  di  osservazione,  intesi  1’  uno 


£)  Relazione  sulle  fotografìe  delle  fasi  eseguite  nell’  Osservatorio  di  Catania  durante 
V Eclisse  del  30  Agosto  1905,  per  A.  Bernporad  e U.  Mazzarella.  Memorie  della  Soc.  degli 
Spcttroscopisti  Ital.  XXXV,  1906,  pag.  72. 


iSul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  33 


allo  studio  delle  già  citate  osservazioni  attinometriclie  + l’altro 
alla  determinazione  fotografica  della  grandezza  delle  tirsi *  2),  abbia- 
mo la  seguente  tabella  comparativa  del  Calcolo  coll’  Osservazione. 


T.  in.  Catania 

Grand,  della 
Fase  (Osserv.) 

Eadiaziou 

Osservata 

e relativa 
Calcolata 

o — c 

h m 

14  27,4 

0,76 

(0,24) 

0,26 

—0,02 

36,0 

0,86 

0,16 

0,14 

+0,02 

36,6 

0,87 

0,15 

0,13 

+0,02 

40,4 

0,90 

0,11 

0,09 

+0,02 

44,5 

0,92 

0,06 

0,07 

—0,01 

46,7 

0,91 

0,05 

0,08 

— 0,03 

Abbiamo  racchiuso  fra  parentesi  il  primo  valore  osservato 
della  radiazione  relativa  , perchè  mentre  tutti  gli  altri  sono  ri- 
sultati immediati  dell’  osservazione  ricavati  dalla  tabella  a pag. 
25  del  primo  lavoro  citato,  il  detto  valore  (0,24)  venne  rica- 
vato dalla  curva  di  ragguaglio  delle  osservazioni  data  a pag.  2G, 
attesoché  il  valore  (0,20)  , che  risulterebbe  dalla  detta  tabella, 
si  scosta  notevolmente  dalla  curva  di  ragguaglio,  ed  è quindi 
alquanto  sospetto.  Eccettuato  tutt’  al  più  questo  valore,  per  gli 
altri  1’  accordo  fra  1’  osservazione  ed  il  calcolo  può  dirsi  soddi- 
sfacentissimo, quando  si  tenga  conto  del  grado  assai  limitato  di 
esattezza  conseguibile  in  tal  genere  di  osservazioni  coll’  atti  no- 
metro  di  Arago  3). 

Come  venne  già  notato  nella  prima  riduzione  di  queste  os- 
servazioni attinometriclie,  così  ora  risulta,  che  la  diminuzione 
osservata  della  radiazione  solare  fu  maggiore  di  quella  teorica,  e 
presentò  un  ritardo  di  alcuni  minuti  rispetto  a questa,  seinpre- 
chè  si  voglia  accordare  un  significato  reale  a differenze  di  due 
centesimi  in  questo  genere  di  misure. 

f)  V.  Osservazioni  attinometriche  eseguite  in  Catania  durante  l’Eclisse  del  30  Agosto 
1905.  Memorie  della  Società  degli  Spettrosc.  Ital.  XXXV  1906,  pagg.  25,  26. 

2)  V.  citazione  alla  pag.  preced. 

3)  Una  coppia  di  termometri  l’uno  a bulbo  bianco  1’  altro  a bulbo  affumicato,  ciascuno 
racchiuso  in  un  inviluppo  di  vetro,  nel  quale  è stato  praticato  il  vuoto. 


Atti  acc.  Serie  4*,  Voi..  XIX 


Meni.  XIV. 


5 


34 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


17.  Eclisse  del  1900. 

Ad  una  conclusione  affatto  simile  conducono  però  anche  le 
osservazioni  attinometriche  eseguite  nel  nostro  Osservatorio  du- 
rante 1’  eclisse  del  28  Maggio  1900,  per  quanto  le  condizioni 
atmosferiche  fossero  assai  sfavorevoli,  poiché  il  cielo  rimase  quasi 
tutto  coperto  fin  oltre  il  principio  dell’eclisse,  e si  rischiarò  a 
poco  a poco,  restando  il  Sole  leggermente  velato  fino  alla  fase 
massima,  e interamente  scoperto  solo  nella  seconda  metà  della 
eclisse.  Mancando  osservazioni  attinometriche  con  Sole  intera- 
mente scoperto  prima  del  principio  dell’  eclisse,  è assai  diffìcile 
liberare  le  osservazioni  dall’  influenza  dell’  assorbimento  atmo- 
sferico, influenza  ben  sensibile,  poiché  verso  la  fase  massima  il 
Sole  era  alto  appena  19°  sull’  orizzonte.  Abbiamo  cercato  tut- 
tavia di  calcolare  in  via  approssimativa  l’importo  dell’assorbi- 
mento, nel  modo  che  segue. 

Dalla  rappresentazione  grafica  della  variazione  della  radia- 
zione solare  e della  grandezza  delle  fasi  per  la  detta  eclisse  *) 
si  rilevano  per  i tempi  sottoindicati  i seguenti  valori  di  questi 
elementi 


T.  m.  Catania 

5h  10m 

5h  15m 

5h  20m 

5h  25m,2 

5h  28m,9 

5h  33m 

Porz.  scop.  del  © 

7', 25 

5',  00 

o 

o 

4', 00 

5',  00 

7', 25 

gr=l)iffer.  termom. 

2°, 50 

1°,95 

10,35 

00,95 

0°,90 

0°,90 

Possiamo  ammettere,  che  q (differenza  delle  letture  dei  due 
termometri)  varierebbe  proporzionalmente  alla  radiazione  solare, 
se  non  intervenisse  la  variazione  delFassorbimento.  Ora  è noto, 
che  quest’  ultima  variazione  può  esprimersi  in  modo  semplice, 
introducendo  in  luogo  delle  intensità  q i logaritmi  delle  stesse 
intensità  (forinole  di  Pouillet,  Bartoli,  Crova *  2).  Si  può  sperare 
quindi  di  ottenere  una  rappresentazione  discreta  della  variazio- 


!)  V.  A.  Mascari,  Relazione  sulle  osservazioni  dell’eclisse  parziale  di  Sole  del  28  Mag- 
gio 1900  fatte  nell’  Osservatorio  di  astrotìsico  di  Catania.  Memorie  della  Società  degli  Spettro- 
scopisti  italiani,  Voi.  XXIX  (1900)  pag.  129. 

2)  V.  nota  citata  in  priucipio  pag.  23. 


Sul  modo  di  variare  della 'radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un'eclisse  35 


ne  di  q dipendente  dall’  assorbimento  atmosferico,  anche  in  con- 
dizioni atmosferiche  variabili , ricorrendo  allo  sviluppo  di  log  q 
in  serie  di  Taylor  rispetto  al  tempo  t durante  un  intervallo 
piuttosto  ristretto,  qual’  è quello  da  noi  considerato  di  23  mi- 
nuti. Poniamo  dunque 

log'  Qo  — log  Q = at-\-bt2-\-  Ct3  (15) 

indicando  Q0  V intensità  della  radiazione  per  il  tempo  iniziale 
f—’cf  10m  , e MI  tempo  contato  a partire  da  t0 . Indicando  con 
Qi , Qò  i valori  che  avrebbe  assunto  la  radiazione  solare 

per  effetto  della  sola  variazione  dell7  assorbimento  atmosferico 
(cioè  se  non  fosse  variata  la  fase  a partire  da  tQ)  e con  qv  qr..  qb 
i valori  effettivamente  osservati  della  radiazione  solare  ai  tempi 
ti , t2 t5 , poiché  questi  tempi  sono  stati  così  scelti,  che  cor- 
rispondono due  a due  a fasi  uguali,  epperò  ad  uguali  importi 
della  radiazione  solare,  potremo  stabilire  in  corrispondenza  alle 
tre  coppie  di  valori  comparabili  tre  equazioni  per  la  determi- 
nazione dei  coefficienti  a,  b , c,  e precisamente  le  equazioni  se- 
guenti 

log'  Qo  — log  ^5=l0g  ?0 log  (h=a  h + b *52+C  #53 

log  Q—  log  y4=log-  2,-100-  qi=a  (t—tj-f-l)  (tf-tfj-fc  (tf—tf) 
log  ^2-log  Q3=\og  q,—  log  q3=a  (t3-  t2)-fb  (t32—tf)+c  (t33—tf) 

Applicando  queste  equazioni  ai  valori  notati  sopra  delle  t 
e delle  g,  e prendendo  come  unità  di  t 10  minuti,  otteniamo 

log  a = 9", 7944  log  b = 9,6102  log  c --=  8n, 3606 

Il  fatto  che  per  il  primo  coefficiente  a risulta  un  valore  ne- 
gativo sta  ad  attestare  che  sul  principio  dell’  intervallo  conside- 
rato, vale  a dire  fra  5h  10m  e 5h  20m  , 1’  assorbimento  atmosfe- 
rico diminuiva  invece  di  aumentare  col  tempo,  come  sarebbe 
avvenuto  in  condizioni  normali  dell’  atmosfera.  Questo  risultato 
concorda  perfettamente  colla  nota,  che  si  trova  a lato  dei  risultati 
delle  osservazioni  attinometriche  fra  5h  17m  e 5h  20m  (/Sole  leg- 


36 


J..  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


germente  velato , il  cielo  si  rischiara  sempre  più  i)  ) , e dimostra 
1’  opportunità  dello  speciale  procedimento  di  riduzione  da  noi 
usato. 

Applicando  ora  la  (15)  pei  singoli  tempi  d’osservazione,  pos- 
siamo ottenerne  i valori  delle  q liberati  della  influenza  dell’  as- 
sorbimento atmosferico,  e precisamente  otteniamo  per  le  condizioni 
dell’  atmosfera  all’istante  iniziale  5h  10ra  i seguenti  importi  di  q. 

Porzione  scop.  del  © . . . 7', 25  5', 00  4', 00  3', 82  (Fase  mass.) 

Intensità  radiazione  q . . . 2°, 50  1°,20  0°,78  0,72 

i quali  ormai  ci  rappresentano,  come  è variata  la  radiazione  per 
effetto  della  sola  variazione  della  fase. 

Per  confrontare  questi  risultati  con  quelli  della  nostra  Tav. 
Ili,  ricaviamo  anzitutto  dalla  Connaissance  des  Temps  pel  1900 
(applicando  ad  r©  la  debita  correzione  di  parallasse) 

rQ=  15', 80  >-0  = 16', 02 

epperò 

l = — - Q-  = 1.014. 

Dividendo  poi  i valori  osservati  delle  porzioni  scoperte  del 
O per  r©  otteniamo  i valori  seguenti  di  b 

b 0,459  0,316  0,253  0,242 

e per  questi  valori  di  l e b si  ricavano  infine  dalla  Tav.  Ili  i 
valori  seguenti  della  radiazione  relativa  p 

P 0,255  0,164  0,126  0,119 

La  circostanza  che  le  prime  due  cifre  significative  nella 
prima  coppia  di  valori  di  q e p coincidono,  mentre  nelle  due 
coppie  seguenti  si  accentua  la  superiorità  di  p rispetto  a q , sta 


l)  Memorie  della  Società  degli  SpettroseopisU  italiani  XXIX,  pag.  133. 


iSul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  37 


a dimostrare  clie  la  diminuzione  osservata  della  radiazione  so- 
lare corrispondente  all’  aumento  della  fase,  anche  nella  eclisse 
del  1900,  come  nell’  ultima  dell’  anno  scorso  , fu  più  forte  di 
quella  teorica. 

Questa  notevole  manifestazione,  che  si  ripete  in  circostanze 
così  diverse,  sembra  confermare  F ipotesi  da  noi  già  avanzata 
in  un  precedente  lavoro  1),  che  F eclisse  solare  provochi  una  va- 
riazione nel  potere  assorbente  dell’atmosfera  terrestre,  concomi- 
tante alle  variazioni  della  fase  e dello  stesso  segno  di  queste. 

Questa  ipotesi  viene  altresì  convalidata  dal  fatto,  che  secon- 
do i nostri  calcoli,  la  diminuzione  della  radiazione  sarebbe  stata 
più  forte  nella  eclisse  del  1900,  anziché  in  quella  del  1905,  in 
relazione  evidentemente  col  fatto  che  le  condizioni  atmosferiche 
furono  allora  più  sfavorevoli  e il  Sole  più  basso  sull’  orizzonte, 
che  non  nell’  ultima  eclisse  del  1905.  Le  nostre  osservazioni  at- 
tinometriche  sono  troppo  grossolane,  per  poterne  ricavare,  anche 
solo  all’ingrosso,  di  quanto  sarebbe  aumentato,  ciascuna  volta,  e 
con  quale  legge,  F assorbimento  atmosferico  ; molto  fondata  ap- 
pare invece  la  speranza,  che  interessanti  risultati  al  riguardo 
possano  ricavarsi,  applicando  il  nostro  metodo  di  riduzione  a se- 
rie di  osservazioni  ottenute  durante  un’  eclisse  coi  moderni  sen- 
sibilissimi pireliometri  a compensazione  elettrica. 

18.  Osservazioni  del  Prof.  W.  IL  Julius  a Burgos. 

In  un  recentissimo  studio  del  prof.  W.  H.  Julius,  pubbli- 
cato nel  numero  di  Maggio  dell’  Astr opti ysical  Journal , viene 
esposto  a new  method  for  determining  thè  rate  of  deerease  of  thè 
radiative  power  from  thè  center  toieard  thè  limò  of  solar  disi-,  che 
presenta  qualche  analogia  col  metodo  da  noi  proposto,  e che  ap- 
plicato alle  osservazioni  da  lui  stesso  ottenute  nell’ultima  eclisse 
a Burgos,  conduce  al  risultato  del  tutto  conforme  al  nostro,  che 

*)  V.  Relazione  sulle  osservazioni  attinometriche  eseguite  nell’  Osservatorio  di  Catania 
durante  1’  eclisse  di  Sole  del  30  Agosto  1905.  Memorie  della  Società  degli  Spettro  scopisti  ita- 
liani, Voi.  XXXV  pag.  34  e 35. 


38 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.[ 


la  radiazione  solare  diminuirebbe,  procedendo  dal  centro  Terso 
la  periferia  del  disco  solare,  piu  rapidamente  di  quanto  Tenne 
finora  ammesso,  così  da  ridursi  sul  lembo  estremo  a 0,24  del 
potere  radiante  al  centro,  anziché  a 0,40,  come  risulta  in  media 
dai  precedenti  risultati.  Il  metodo  di  Julius  consiste  nello  sta- 
bilire con  procedimento  grafico  e meccanico — precisamente  di- 
segnando in  grandi  proporzioni  le  successiTe  porzioni  scoperte 
del  O per  Tari  istanti  durante  1’  eclisse  e,  in  ciascuna  di  queste 
porzioni,  tante  zone  concentriche  al  Sole,  e poi  ritagliando  e pe- 
sando accuratamente  le  listerelle  corrispondenti  alle  singole  zone — 
un  grande  numero  di  equazioni  fra  i Talori  medi  dell’intensità  J 
corrispondenti  alle  dette  zone,  e i valori  osservati  della  radia- 
zione. 11  metodo  da  noi  proposto  consiste  invece  nell’am  mettere 
dapprima  una  legge  già  abbastanza  approssimata,  e nel  ricavar- 
ne  poi  con  procedimenti  differenziali  soltanto  le  piccole  corre- 
zioni necessarie  per  stabilire  l’accordo  più  soddisfacente  fra  l’os- 
servazione ed  il  calcolo.  Il  nostro  metodo  non  è dunque  altro 
a priori  che  un  metodo  di  riduzione , inteso  a mettere  in  luce  le 
discordanze  fra  i risultati  delle  osservazioni  atti  no  metriche  ese- 
guite durante  un’eclisse  e quelli  delle  osservazioni  attinometriche 
eseguite  con  Sole  interamente  scoperto  in  vari  punti  del  disco  so- 
lare, il  metodo  di  Julius  aspira  invece  a riuscire  un  metodo  di  ri- 
cerca diretta , vale  a dire  ammette,  che  queste  discordanze  siano 
dovute  ad  errori  sistematici  nelle  dette  osservazioni  attinometriche 
con  Sole  interamente  scoperto,  e conduce  senz’altro  ai  valori  del 
potere  radiante  J a varie  distanze  dal  centro  dal  O , che  meglio 
si  accordano  coi  risultati  delle  osserrazioni  fatte  durante  un’  e- 
clisse.  Secondo  ogni  probabilità  il  nostro  metodo  dovrebbe  riu- 
scire di  applicazione  più  facile  e più  sicura  che  non  quello  di 
Julius,  perchè  più  conforme  al  principio — tanto  fecondo  nelle 
scienze  matematiche  e naturali—  delle  approssimazioni  successiTe. 

19.  Applicazione  della  Tavola  III  alle  osservazioni  di  Julius . 

Per  applicare  il  nostro  metodo  di  riduzione  alle  osserva- 


Sul  modo  di  variare  delia  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  39 


zioni  di  Julius  dobbiamo  procurarci  per  i singoli  valori  osser- 
vati della  radiazione  solare  i corrispondenti  valori  della  porzione 
scoperta  b dal  diametro  solare.  Poiché  le  osservazioni,  sulle  quali 
si  fonda  lo  Julius  per  dedurne  i valori  di  </,  si  riferiscono  al- 
l’ intervallo  di  tempo  compreso  fra  il  terzo  e il  quarto  contatto, 
così  basterà  per  il  nostro  scopo  la  conoscenza  dei  tempi  e degli 
angoli  di  posizione  relativi  a questi  contatti.  Ora  secondo  i dati 
assunti  da  Julius  (su  calcoli  del  Prof.  Hyìand)  si  ebbe  a Burgos 


per  il  III  e IV  contatto 

rispettivamente  : 

angolo  di  posiz.  03  = 304°, 9 6i  = 114°, 9 

t.  m.  locale  t.A  = 0h  55m  39s  tA  = 2'1  12m  14s 

e inoltre 

l = rC  ' }’0  = 132,8  : 126»8  = 1,047. 

Da  questi  valori,  assumendo  come  unità  di  lunghezza  il  se- 
midiametro solare  vq  , e come  assi  x,  y quelli  rispetto  ai  quali 
s’ intendono  computati  gli  angoli  di  posizione,  otteniamo  per  le 
coordinate  del  centro  della  C rispetto  al  centro  del  © negli  i- 
stanti  del  3°  e 4°  contatto  rispettivamente 


III 


IV 


%3  = {l  — 1)  cos  03  = — 0,0269 


= 1)  cos  0i  = — 0,8619 


y3  — (l  — 1)  sin  03  = -j-  0,0385 


yi  = (l  - 1)  sin  04  — 1,8567» 


Ammettendo,  che  fra  gli  istanti  del  3°  e 4°  contatto  il  mo- 
vimento del  centro  della  <C  rispetto  al  centro  del  © possa  con- 
siderarsi come  rettilineo,  uniforme,  avremo  come  coordinate  xt , 
yt  al  tempo  t 

xt  — %3  — 0,8350  (t  — #3) 

yt  = y3  + i?8i82  (t-t3) 

e di  qui  infine  i valori  at  — {/ xc2  -)-  yt2  della  distanza  at  dei  cen- 


40 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


tri  del  © e della  © al  tempo  t e infine  i valori  bt  — at  —{l — 1) 
per  le  porzioni  scoperte  bt  del  diametro  solare  , quali  sono  se- 
gnati nel  seguente  quadro.  In  questo  la  prima  colonna  contiene 
i tempi  delle  singole  osservazioni  di  Julius,  la  seconda  i valori 
di  b ottenuti  nel  modo  die  si  è detto,  la  terza  i valori  delle  or- 
dinate della  curva  della  radiazione  corretti  empiricamente  dei- 
fi  influenza  dell’  assorbimento  atmosferico  *) , la  4a  i valori  della 
radiazione  relativa  ricavati  cogli  argomenti  b ed  l dalla  nostra 
tabella  III  (v.  infine).  Per  poter  confrontare  i valori  osservati  con 
quelli  calcolati,  poiché  non  si  rileva  dal  lavoro  di  Julius,  quale 
ordinata  possa  farsi  corrispondere  alla  fase  0 (disco  del  Sole  inte- 
ramente scoperto),  così  abbiamo  formato  i rapporti  delle  singole 
ordinate  corrette  rispetto  all1  ultima  e i rapporti  analoghi  delle 
corrispondenti  radiazioni  relative  da  noi  calcolate  ; le  differenze 


dei 

rapporti 

COSÌ 

ottenuti  danno  gli 

O — C della 

5a  colonna. 

t 

b 

Ordiuate  della 
curva  corretta 
della  radiazione 
(Julius) 

Radiazioue 
relativa 
(Tav.  Ili) 

O—C 

h m 

0 55 

40 

0,000 

0,0 

0,000 

0,000 

57 

40 

0,051 

20,1 

0,017 

—0,009 

59 

40 

0,102 

52,5 

0,038 

— 0,014 

1 1 

40 

0,153 

91,0 

0,063 

—0,019  1 

3 

40 

0,204 

136,5 

0,092 

-0,025 

5 

40 

0,254 

187,0 

0,121 

—0,024 

7 

40 

0,305 

241,0 

0,151 

—0,025 

9 

40 

0,356 

297,0 

0,183 

—0,026 

* 11 

40 

0,407 

355,0 

0,217 

—0.028 

13 

40 

0,458 

414,0 

0,250 

— 0,028 

15 

40 

0,509 

474,0 

0,2S3 

—0,026 

17 

40 

0,560 

535,0 

0,315 

—0,023 

19 

40 

0,611 

597,0 

0,34S 

—0,020 

21 

40 

0,662 

659,0 

0,382 

— 0,018 

23 

40 

0,713 

721,0 

0,415 

—0,015 

25 

40 

0,763 

783,0 

0,449 

—0,014 

27 

40 

0,814 

844,5 

0,482 

— 0,011 

29 

40 

0,865 

905,5 

0,514 

—0,007 

31 

40 

0,916 

966,0 

0,546 

—0,004 

33 

40 

0,967 

1026,0 

0,579 

—0,003 

35 

40 

1,018 

1085,5 

0,611 

0,000 

p V.  Table  II  a pag.  318  del  lavoro  citato  di  Julius. 


Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  41 


I valori  0 — (7,  per  quanto  piccoli,  poiché  non  superano  in 
nessun  caso  l’importo  del  3 per  cento  hanno  però  un  anda- 
mento del  tutto  sistematico.  Questo  era  senz’  altro  prevedibile  a 
priori,  pel  fatto  che  i valori  del  potere  radiante  J ottenuti  dal 
Prof.  Julius  dalle  sue  osservazioni  col  procedimento  accennato 
a pag.  38  , si  scostano  notevolmente  dai  valori  da  noi  assunti 
(pag.  4 ),  che  sono  quelli  ottenuti  da  Sécchi,  Vogel  ed  altri 
mediante  il  confronto  simultaneo  dell’  intensità  calorifica  di  punti 
del  disco  solare  a varie  distanze  dal  centro,  col  disco  del  Sole 
interamente  scoperto.  Ora  però  la  conoscenza  dell’  importo  effet- 
tivo di  questi  O — C (e  di  quelli  consimili  relativi  ad  altre  serie 
di  osservazioni)  permetterà  senza  dubbio  di  risolvere,  se  non  su- 
bito, certo  in  breve  volger  di  tempo,  la  questione  di  riconoscere, 
quale  sia  V effettiva  legete  di  decrescimento  del  potere  radiante  dei 
punti  del  disco  solare , se  siano  cioè  più  nel  vero  Secchi , Vogel 
e Prost,  che  fanno  ammontare  il  potere  radiante  alla  periferia 
del  disco  solare  a 0,  40  del  potere  radiante  delle  parti  centrali, 
o lo  Julius,  che  trova  per  lo  stesso  rapporto  il  valore  0,  24. 

21.  Varie  spiegazioni  possibili  per  il  divario  dell’  osservazione 
dal  calcolo. 

II  Prof.  Julius  ritiene,  che  questo  disaccordo  sia  da  attri- 
buire ad  un  errore  sistematico  del  metodo,  diremo  così,  antico,  e 
precisamente  al  fatto,  che  nel  confronto  simultaneo  di  areole  a 
varie  distanze  dal  centro  del  disco  solare,  alla  intensità  calori- 
fica propria  delle  singole  areole  si  aggiunga  quella  diffusa  pro- 
veniente dalle  altre  parti  del  disco 1  2).  Voi  non  vediamo  vera- 


1)  Notiamo  incidentalmente  che  dello  stesso  ordine  di  grandezza  sono  gli  0-0  relativi 
alle  due  serie  di  osservazioni  attinomètriche  eseguite  nell’  Osservatorio  di  Catania,  da  noi 
precedentemente  discusse. 

2)  Credo  opportuno  citare  le  parole  testuali  del  Prof.  Julius:  tliere  is....  a systèmatic 
errar  wli ìch  must  have  influenced  sìmilarly  all  of  thè  resulta  thus  ohtained,  and  ivhich  proeeed 
from  thè  scattering  of  thè  rays  by  thè  terrestrial  atmosphere.  In  any  point  of  an  image  of  thè 
Sun  is  not  only  to  be  found  thè  radiation  comiug  from  thè  corresponding  point  of  thè  disk,  bui, 
in  addition,  some  diffused  radiation  proceeding  from  other  parts  of  thè  disk. 

Atti  acc.  Serie  4a,  Voi,.  XIX  — Meni.  XIV. 


6 


42 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


mente,  come  la  diffusione  possa  falsare  le  misure,  quando  si  ado- 
perino schermi  ben  costruiti,  e a considerevole  distanza  dagli 
attinometri,  come  già  operò  Ericsson  ii  ; vediamo  bensì  un’altra 
causa  assai  probabile  di  perturbazione  nel  metodo  proposto  dal- 
l’ Julius,  della  quale  non  fa  cenno  l’insigne  fìsico,  e che  consi- 
ste nelle  variazioni  (da  noi  già  accennate  a pag.  37)  cui  può 
andar  soggetto  durante  lo  svolgersi  dell’  eclisse  il  potere  assor- 
bente dell’  atmosfera  terrestre.  Basta  infatti  un  leggero  aumento 
in  questo  potere  assorbente  2)  col  progredire  della  fase  per  spie- 
gare completamente  la  diminuzione  più  rapida  della  radiazione, 
quale  è risultata  allo  Julius  e a noi. 

22.  Rappresentazione  dei  valori  dati  da  Julius  per  il  potere 
radiante  J mediante  la  forinola  (2). 

Intanto  un  fatto  molto  interessante  è questo,  che  i valori 
dati  da  Julius  per  il  potere  radiante  J a varie  distanze  dal 
centro  del  disco  solare  , per  quanto  notevolmente  diversi  da 
quelli  da  noi  assunti  sul  fondamento  delle  osservazioni  di  Sec- 
chi, Yogel  ed  altri,  si  possono  tuttavia  rappresentare  in  modo 
quasi  perfetto  colla  stessa  forinola  (2) , che  abbiamo  usato  per 
rappresentar  quelli,  quando  solo  si  cangino  convenientemente  i 
valori  delle  costanti  l , i*. 

Procedendo  come  al  solito  per  approssimazioni  successive  , 
abbiamo  determinato  queste  costanti  in  cinque  modi  diversi,  e 
cioè  anzitutto  in  modo  da  rappresentare  esattamente  i valori  dati 
da  Julius  per  r = 0,7  e per  r = 1,0  (sistema  1),  poi  variando 
successivamente  questo  secondo  valore  in  modo  da  ottenere  un 
accordo  sempre  più  soddisfacente  per  tutti  gli  altri  (sistemi  li 
e III)  poi  variando  leggermente  anche  il  valore  di  J per  0,7 


q V.  citazione  a pag.  23. 

2)  Non  mancano  osservazioni,  che  confermano  indirettamente  questa  ipotesi.  V.  in  pro- 
posito : Observations  de  Al.  Ch.  Trèpied...  à Guelma.  Bulletin  de  la  Societé  astronomique  de 
France.  1905.  pag.  493,  e inoltre  Observations  de  Al.  3.  Perrotin  à Alcala  de  Chisvert.  Ibidem 
pag.  539. 


Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un'eclisse  43 


(sistema  IV)  e in  ultimo  rappresentando  esattamente  i valori 
J — 0,791  per  r — 0,7  e J — 0,441  per  r = 0,95.  Le  prime  de- 
terminazioni vennero  ottenute  mediante  il  sistema  di  formole  ac- 
cennato a pag.  9.  L’  ultimo  calcolo  venne  invece  eseguito  ri- 
solvendo 1’  equazione  risultante  di  4°  grado  in  f colla  regnici 
falsi.  Riproduco  nella  tabella  seguente  i valori  ottenuti  per  le 
costanti  e le  differenze  0 — C corrispondenti  ai  singoli  sistemi 
(in  millesimi  del  potere  radiante  unitario). 


Distanza 
al  centro 
del  © 
(r) 

Valori  del 
potere  radian. 
sec.  Julius 

W) 

I 

log  1=0, 46511 
log  jr=9, 58418 

il 

log  1=0,53585 
log  ji=9, 56143 

O—C’ 

III 

log  1=0,57054 
log  jj=9,55117 

IV 

log  1=0,58692 
log  u=9, 55354 

V 

log  1=0,60293 
log  (t=9, 55059 

0,  0 

1,  000 

0 

0 

0 

0 

0 

0,1 

0,  998 

+ 1 

+ 2 

+ 1 

+ 1 

+ 1 

0,  2 

0,  986 

— 1 

— 1 

- 1 

— 1 

--  1 

0,  3 

0,  966 

— 3 

— 4 

— 4 

— 4 

— 3 

0,  4 

0,  940 

—11 

— 3 

— 4 

— 4 

— 4 

0,  5- 

0,  903 

— 5 

— 6 

— 6 

— 5 

— 5 

0,  6 

0,  855 

— 5 

— 5 

- 6 

— 5 

— 4 

0,7 

0,  795 

0 

0 

0 

+ 3 

+ * 

0,  75 

0,  753 

— 1 

0 

0 

+ 3 

+ 3 

0,  8 

0,  701 

--  4 

2 

— 1 

+ 2 

+ 5 

0,  85 

0,  635 

— 10 

— 6 

— 5 

— 1 

+ 2 

0,  9 

0,  550 

— 19 

— 14 

—11 

— 6 

— 2 

0,  95 

0,  440 

-29 

— 18 

— 13 

— 6 

— 1 

1,0 

(0,  240) 

(0) 

(+20) 

(+30) 

(+40) 

(+46) 

L’  accordo  a meno  di  5 millesimi  fra  i valori  osservati  e i 
calcolati  è quanto  di  meglio  possa  attendersi  in  questo  genere 
di  misure.  Ea  eccezione  il  valore  di  J sul  bordo  estremo,  dove 

10  scarto  sale  a 5 centesimi,  ma  il  valore  0,24  venne  ottenuto 
dal  Prof.  Julius  per  estrapolazione  (grafica  probabilmente),  ed  egli 
stesso  mostra  di  ritenerlo  più  incerto  degli  altri,  racchiudendolo 
entro  parentesi. 

Il  risultato  ottenuto  può  rendersi  più  intuitivo,  ricordando 

11  significato  fisico  delle  costanti  ^ e 9-  e i valori  (V)  già  ottenuti  a 
pag.  11  per  queste  costanti.  Può  dirsi  dunque  che  : I valori  dati 
da  Julius  per  il  potere  radiante  J a varie  distanze  dal  centro  del 


I 


44 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


disco  solare  si  conciliano  non  meno  bene  dei  valori  di  Secchi , Togel 
ed  altri  colla  ipotesi  di  un ’ atmosfera  omogenea  attorno  al  Sole  ; 
mentre  però  V altezza  di  quest’atmosfera  risulterebbe  in  ambedue  i casi 

sensibilmente  la  stessa  e pari  ad  -j-  circa  del  raggio  solare  (esat- 
tamente 0,24  per  le  osservazioni  di  Secchi — Yogel  e di  0,25  per 
quelle  di  Julius)  il  coefficiente  d’assorbimento  risulterebbe  secondo  le 
osservazioni  di  Julius  sensibilmente  più  forte  di  quello  fornito  dalle 
osservazioni  di  Secchi — Yogel  ( 0,35  contro  0,21). 

Beninteso  l’atmosfera,  di  cui  qui  si  tratta,  non  ha  nulla  a che 
vedere  coll’  effettiva  atmosfera  solare,  certo  non  omogenea  e uni- 
forme, come  1’  abbiamo  supposta,  e ben  più  alta  che  di  rag- 
gio solare  ; ma  è da  riguardare  come  un  semplice  modello,  la 
cui  introduzione  è giustificata  solo  dal  fatto,  che  agevola  la 
rappresentazione  delle  osservazioni.  Un’  idea  della  differenza,  che 
può  presentare  1’  atmosfera  effettiva  da  quella  fittizia,  l’abbiamo 
nell’  atmosfera  terrestre,  la  cui  altezza  determinata  dalle  osser- 
vazioni di  estinzione  col  fondamento  della  forinola  di  Lambert 
risulterebbe  di  una  diecina  di  km.  mentre  è certo  almeno  qual- 
che centinaio. 

23.  Potere  radiante  medio  dei  punti  del  disco  solare  secondo 
le  osservazioni  di  Julius. 

Una  volta  riconosciuto  che  la  nostra  forinola  (2)  può  rap- 
presentare benissimo  i valori  proposti  da  Julius  per  il  potere  ra- 
diante J,  si  presenta  da  sè  la  questione  di  vedere,  come  vengano 
rappresentate,  col  nostro  metodo  di  riduzione  e coi  nuovi  valori 
ottenuti  per  le  costanti 

log  X = 0,  60293  log’  [jl  = 9,  55059,  (16) 

le  osservazioni  di  Julius  circa  il  modo  di  variare  della  radiazione 
solare  durante  le  fasi  di  un  eclisse,  e se  venga  a scomparire  l’an- 
damento sistematico  degli  0 — C,  quale  ci  è risultato  a pag.  40 
coi  primitivi  valori  delle  X , t^. 


Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  45 


Per  questo  abbiamo  calcolato  anzitutto  il  valore  del  potere 
radiante  medio 


Y = 2 

o 

coi  due  procedimenti  d’  integrazione  già  accennati  nel  2°  Capi- 
tolo. La  quadratura  numerica  ci  ha  dato  : 


r 

I Jr  dr 


con  io  = 0,  04 
e colla  foratola  a pag.  13 


con  w — 0,  01 

e colla  forinola  (6)  pag.  14 


’0,88 

Jr  dr 


1*0,98 
Jr  dr 


= 0,  32096 


= 0,  04468 


0,88 

r i,oo 

con  w ±=  0,002  / 

e colla  forinola  (6)  pag.  14  / ~ 


0,98 


epperò  Y=  Jr  dr 


0,37137 


La  quadratura  con  procedimento  analitico  ci  ha  dato  (cfr. 
§ 9,  pag.  15) 


1 = v = X, 

^gioe 


VIt  — X, 
1 


[9,  91281] 

= [0,  39031] 


= 1 1 + 21  = [0,47750]  (17) 


46 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.Ì 


= -J-  0,  80227  (termini  in  aq) 

— 0,  29635  (termini  in  x0) 

= + 0,  50592 


è*  + V + T ‘0g  * _ db  +-•+ ( ” lr».1.2.".(»+2) 


= + 0,74705  — 1,22233  + 0,10039 

+ 0,13635  — 0,01394  + 0,00152  ( termini  in  x0 

— 0,00016  + 0,00001  — ) 


— 0,08286  + 0,40709  + 0,44937  \ 

— 0,40941  + 0,12571  — 0,04117  / 

termini  in  x. 

+ 0,01264  — 0,00355  + 0,00091  ( 

— 0,00021  + 0,00005  — 0,00001  J 

= + 0,20745 


E introducendo  i valori  di  questi  due  integrali  nella  espres- 
sione (7)  di  Y data  a pag.  15,  coi  valori  (16)  e (17)  per  le  co- 
stanti X,  [i,  v,  u,  abbiamo  ottenuto  infine 


~ T = 0,  37137 

Jl 


in  coincidenza  perfetta  col  valore  ottenuto  mediante  la  quadra- 
tura numerica  (v.  pag.  prec.). 

Come  era  prevedibile,  le  osservazioni  di  Julius  conducono 
dunque  ad  un  valore  (0,74)  del  potere  radiante  medio  dei  punti  del 

disco  solare  più  piccolo  |di  circa  -^-j  di  quello  da  noi  già  ottenuto 

nel  2°  Oap.  sul  fondamento  delle  osservazioni  attinometriche  di 
Secchi,  Yogel  ed  altri  (0,83). 


Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  47 


24.  Valori  del  potere  radiante  J e di  / Jr  dr  .secondo  il  si- 
ti 

sterna  (16)  di  costanti  (ricavate  dalle  osservazioni  di  Julius  a 
Burgos). 

La  stessa  quadratura  numerica,  che  ci  ha  fornito  il  valore 
del  potere  radiante  medio  dei  punti  del  disco  solare  , ci  for- 
nisce anche  la  seguente  tabella  di  valori  di  log,/  e di  / Jr  dr, 

o 

a noi  necessaria  per  poter  applicare  le  forinole  (Sa)  e (8Ò)  , e che 
crediamo  opportuno  comunicare  in  extenso , affine  di  agevolare 
ad  altri  il  confronto  fra  le  osservazioni  attinoinetriclie  di  Julius 
ed  altre  consimili. 


0,  00 
0,  01 
0,  02 
0,  03 
0,04 
0,  05 
0,  06 
0,07 
0,  08 
0,09 


log  J 


0,  0000 
0.  0000 
9,  9999 
9,  9999 
9,9998 
9,  9996 
9,  9995 
9,  9993 
9, 9991 
9.  9988 


0,  10 
0, 11 
0, 12 
0, 13 
0, 14 
0, 15 
0,  16 
0, 17 
0, 18 
0, 19 


9,  9986 
9,  9983 
9,9980 
9,  9976 
9,9972 
9,  9968 
9,9963 
9,  9958 
9, 9953 
9,  9948 


i 

d 


0 

1 

0 

1 

2 

1 

2 

2 

3 

2 

3 

3 

4 
4 

4 

5 
5 
5 

5 

6 


0,37137 
0,  37132 
0,  37117 
0,  37092 
0, 37057 
0,  37012 
0,  36957 
0,  36892 
0, 36817 
0,  36732 


0,  36637 
0,  36532 
0,  36418 
0, 36293 
0,  36159 
0,  36015 
0,  35862 
0, 35698 
0,  35525 
0. 35342 


5 

15 

25 

35 

45 

55 

65 

75 

85 

95 

105 

114 

125 

134 

144 

153 

164 

173 

183 

192 


0,  20 
0,  21 
0,22 
0,  23 
0,  24 
0,  25 
0,  26 
0,  27 
0,  28 
0,  29 


9,  9942 
9,  9936 
9,  9929 
9,9922 
9,  9915 
9,  9908 
9,  9900 
9,  9892 
9,  9883 
9,  9874 


0,  35150 
0,  34948 
0,  34737 
0, 34516 
0,  34285 
0,  34045 
0,  33796 
0,  33537 
0,  33269 
0,  32991 


202 

211 

221 

231 

240 

249 

259 

268 

278 


r 

log/ 

0,  30 

9,  9865 

0,  31 

9,  9855 

0,  32 

9,  9845 

0,  33 

9,  9834 

0,  34 

9,9823 

0,  35 

9,  9812 

0,  36 

9,  9800 

0,  37 

9,  9787 

0,  38 

9,  9775 

0,  39 

9,  9761 

0,  40 

9,  9747 

0,  41 

9,  9733 

0,42 

9,  9718 

0,  43 

9,  9703 

0,  44 

9,  9687 

0,  4 5 

9,  9671 

0,  46 

9,  9654 

0,  47 

9,  9636 

0,  46 

9,  9618 

0,  49 

9,  9599 

0,  50 

9,  9579 

0,  51 

9,  9558 

0,  52 

9,  9537 

0,  53 

9, 9515 

0,  54 

9,  9493 

0,  55 

9,  9469 

0,  56 

9,  9445 

0,  57 

9,  9420 

0,  58 

9,  9393 

0,  59 

9,  9366 

d 

(V  dr 

d 

10 

0, 32705 

295 

10 

0,  32410 

304 

314 

11 

0,  32106 

11 

0,  31792 

322 

11 

0,  31470 

331 

12 

0,  31139 

339 

13 

0, 30800 

348 

12 

0,  30452 

357 

14 

0, 30095 
0,  29730 

365 

14 

373 

14 

0,  29357 

382 

15 

0,  28975 

390 

15 

0, 28585 

397 

16 

0, 28188 

405 

16 

0.  27783 

413 

17 

0,  27370 

421 

18 

0,  26949 

428 

18 

0,  26521 

436 

19 

0,  26085 
0,  25642 

443 

20 

451 

21 

0,  25191 

457 

21 

0,  24734 

464 

22 

0,24270 

471 

22 

0,  23799 

477 

24 

0,  23322 

484 

24 

0,  22838 

490 

25 

0,  22348 

496 

27 

0,21852 

501 

27 

0,  21351 
0,  20844 

507 

28 

513 

9 


286 


48 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIY.j 


r 

log  J 

d 

f Jr  dr 
J r 

d 

r 

iog/ 

d 

^Jr  dr 
J r 

d 

0,  60 
0,  61 

9,  9338 
9,  9308 

30 

30 

32 

33 
35 
35 
37 
39 
41 

0, 20331 
0,  19813 

518 

523 

527 

532 

536 

540 

543 

547 

550 

0,80 
0,  81 

9,  8429 
9,8356 

73 

78 

82 

89 

94 

101 

109 

119 

127 

0,  09370 
0, 08813 

557 

553 

550 

545 

541 

535 

528 

520 

512 

0,  62 
0,  63 
0,  64 

9, 9278 
9,  9246 
9,  9213 

0, 19290 
0, 18763 
0, 18231 

0,  82 
0,  83 
0,84 

9,  8278 
9, 8196 
9,8107 

0,  08260 
0,  07710 
0, 07165 

0,  65 
0,  66 
0,  67 

9,  9178 
9,  9143 
9, 9106 

0, 17695 
0, 17155 
0,  16612 

0,  85 
0,  86 
0,  87 

9,8013 
9,  7912 
9,  7803 

0,06624 
0,  06089 
0, 05561 

0,  68 
0,  69 

9,  9067 
9,  9026 

0,  16065 
0,  15515 

0,  88 
0,  89 

9, 7684 
9,  7557 

0,  05041 
0,  04529 

42 

553 

140 

502 

0,  70 

9, 8984 

44 

0, 14962 

555 

0,90 

9,  7417 

153 

0,  04027 

492 

0,  71 

9,8940 

47 

0,  14407 

557 

0,  91 

9,7264 

170 

0,  03535 

478 

0,  72 

9,8893 

48 

0, 13850 

559 

0,  92 

9,  7094 

190 

0,  03057 

463 

0,  73 

9,  8845 

51 

0,  13291 

560 

0,93 

9, 6904 

215 

0,  02594 

448 

0,  74 

9, 8794 

53 

0,  12731 

561 

0,  94 

9, 6689 

245 

0, 02146 

429 

0,  75 

9,  87  41 

56 

0,  12170 

561 

0,  95 

9, 6444 

293 

0,  01717 

408 

0,  76 

9, 8685 

59 

0,  11609 

561 

0.  96 

9,  6151 

352 

0, 01309 

383 

0,  77 

9,  8626 

62 

0,  11048 

561 

0,  97 

9,  5799 

450 

0,  00926 

353 

0,  78 

9, 8564 

65 

0,  10487 

559 

0,  98 

9,5349 

643 

0, 00573 

315 

0,  79L 

9, 8499 

0,  09928 

0,  99 

9,  4706 

0,  00258 

70 

558 

2421 

258 

0,  80 

9,  8429 

0,  09370 

1,  00 

9,  2285 

0,  00000 

25.  Calcolo  della  radiazione  relativa  corrispondente  alle  varie 
fasi  di  un’eclisse  secondo  le  costanti  ricavate  dalle  osservazioni  di 


Julius. 


Introducendo  i valori  di  J e 


che  si  ricavano  da 


questa  tabella  nelle  forinole  (8a)  e (8b)  , e ricavando  i valori  delle 
6 e di  rQ  dalla  tabella  IV,  abbiamo  calcolato  (al  solito  con  qua- 
dratura numerica)  i valori  della  radiazione  relativa  pei  valori 
sottosegnati  delle  porzioni  scoperte  b del  disco  solare  e pei  va- 
lori l = 1,04  , l = 1,06  del  rapporto  : vq  . Da  questi  infine 
mediante  interpolazione  abbiamo  ottenuto  i valori  della  radia- 
zione relativa  corrispondente  ad  l = 1,047  , che  comunichiamo 
insieme  agli  altri  nella  seguente  breve  tabella  1). 


£)  Questo  procedimento  di  successive  interpolazioni  potrebbe  sembrare  a taluno  troppo 
laborioso  e poco  esatto.  Si  deve  riflettere  però  che  il  calcolo  diretto  dei  valori  della  radia- 
zione relativa  per  le  venti  osservazioni  in  questione  richiederebbe  il  calcolo  di  20  serie  di 


Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  49 


l / 
/ b 

1,04 

1,06 

1,047 

* 

d 

1.  04 

0,  622 

0.  619 

0,  621 

53 

0,  96 

0,  564 

0,  567 

0,  568 

53 

0,  88 

0,  516 

0,  514 

0,  515 

53 

0,  80 

0.  463 

0,  460 

0,  462 

54 

0,  72 

0,  408 

0,  405 

0,  406 

54 

0,  64 

0,  353 

0,  350 

0,  352 

54 

0,  56 

0,  299 

O,  296 

0,  298 

54 

0,  48 

0,  245 

0,242 

0,  244 

52 

0,  40 

0, 193 

0,190 

0, 192 

49 

0,  32 

0,  144 

0, 141 

0,  143 

47 

0,  24 

0,097 

0,  094 

0,  096 

42 

0, 16 

0,  055 

0,  053 

0,  054 

34 

0,08 

0,  020 

0,  020 

0.  020 

20 

0,  00 

0,  000 

0,  000 

0,  000 

26.  Rappresentazione  dei  valori  della  radiazione  solare  osser- 
vati da  Julius. 

Quest’  ultima  tabella  applicata  alle  osservazioni  di  Julius, 
eoi  valori  di  b da  noi  già  ottenuti  sopra,  conduce  ai  seguenti 
valori  della  radiazione  relativa  e ai  seguenti  (O — C)2  (differenze 


valori  di  0 ed  r0  , ciò  che  si  evita  completamente,  facendo  il  calcolo  per  quei  valori  di  l e 
di  b considerati  nella  nostra  tabella  IV,  ed  applicando  poi  una  duplice  interpolazione.  Che 
questo  risparmio  di  lavoro  poi  non  vada  a scapito  della  esattezza,  si  può  riscontrare  agevol- 
mente col  calcolo  diretto  di  uno  dei  valori  della  radiazione  relativa,  p.  es.  di  quello  cor- 
rispondente a 6 = 0,051,  che,  essendo  vicino  all’estremo  della  tavola,  risente  in  maggior 
grado  delle  incertezze  della  interpolazione.  Ora  dal  calcolo  diretto  secondo  la  forinola  (8* 
coi  valori  6 = 0,051  ed  1 = 1,047  e ricavando  i valori  di  j Jr  dr  dalla  tabella  a pagg.  47, 
48  abbiamo  ottenuto  i risultati  seguenti  : 


0 

»'o 

j'jr  dr 

ro 

0 

0,  00 

0,  9490 

0,  01758 

6° 

22’, 66 

0,  9496 

0,  01734 

12 

45,  33 

0,  9512 

0,  01667 

19 

8,  00 

0,  9539 

0, 01556 

25 

30,  66 

0,  9577 

0,  01409 

31 

33,  33 

0,  9625 

0,  01211 

38 

16,  00 

0,  9682 

0,  00994 

44 

38,  66 

0,  9750 

0,  00746 

51 

1,  33 

0,  9826 

0,  00489 

57 

24,  00 

0,  9910 

0,  00225 

63 

46,  66 

1,  0000 

0,  00000 

r n «/ 

da  cui  / dd  / Jr  dr  — — - — • . 0,10927  = 0,0104  contro  0,011,  come  otteniamo  dalle  nostre 

O {.  zY 

successive  interpolazioni  (v.  tabella  a pag.  50).  L’accordo  è dunque  del  tutto  soddisfacente. 
Atti  acc.  Serie  4a,  Voi..  XIX  — Mem.  XIV.  7 


50 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


fra  i rapporti  delle  radiazioni  osservate  e quelli  delle  radiazioni 
calcolate,  v.  osservazione  3 pag.  40). 


b 

Radiazione 

osservata 

(Julius) 

Radiaz.  relat. 
calcolata 
(2°  calcolo) 

( 0—c)2 

(iu  millesimi) 

0,  000 

0,  0 

0,  000 

0 

0,  051 

20,  1 

0,  011 

— 1 

0,  102 

52,  5 

0,  028 

2 

0, 153 

91,  0 

0.  051 

0 

0,204 

136,  5 

0,  076 

+ 1 

0,  254 

187,  0 

0, 104 

0 

0,  305 

241,0 

0,134 

± 1 

0.  356 

297,  0 

0,  165 

_i_  2 

0,  407 

355,  0 

0, 197 

-f-  2 

0,  458 

414,0 

0,229 

+ 3 

0,  509 

474,  0 

0,  263 

+ 3 

0,  560 

535,  0 

0,  298 

+ 1 

0,  611 

597,  0 

0,  332 

+ 2 

0,  662 

659,  0 

0,  367 

+ 1 

0,  713 

721,  0 

0,  401 

+ 2 

0,  763 

783,  0 

0,  439 

— 3 

0,814 

844,  5 

0,  471 

+ 1 

0,  865 

905,  5 

0,  505 

+ 1 

0,  916 

966,0 

0,  539 

4- 1 

0,  967 

1026,  0 

0,  573 

— 1 

1,  018 

1085,  5 

0,  606 

0 

Come  si  vede,  1’  andamento  decisamente  sistematico,  che  si 
notava  negli  ( 0 — C)l  a pag.  40  (riduzione  delle  osservazioni  di 
Julius  colla  nostra  Tavola  III  ricavata  dalle  osservazioni  di  Sec- 
chi, Vogel  ed  altri)  può  dirsi  quasi  totalmente  scomparso.  Mentre 
prima  infatti  gli  (0 — C)i  erano  tutti  di  ugual  segno  e gradata- 
mente  crescenti  dalle  osservazioni  estreme  verso  il  centro  della 
serie,  qui  invece  l’importo  degli  (0 — 0),  positivi  di  poco  supera 
quello  degli  (0 — C)2  negativi,  e il  valor  medio,  che  prima  era 
— 0,  016  adesso  è sceso  a + 0,0007,  se  si  tien  conto  del  segno,  e a 
±0,0015  se  si  considerano  gli  0 — C in  valore  assoluto. 

27.  Conclusione. 

Se  si  considera  ora  che  il  procedimento  grafico-meccanico, 
con  cui  il  Prof.  Julius  ha  ricavato  dai  valori  osservati  della  ra- 
diazione i valori  del  potere  radiante  J a varie  distanze  dal  cen- 
tro del  disco  solare,  è di  natura  affatto  diversa  da  quella  del 
nostro  procedimento  analitico-numerico  inteso  allo  scopo  inverso, 


ìSul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  51 


conviene  riconoscere  che  l’accordo  soddisfacentissimo  del  nostro 
calcolo  colla  osservazione  dimostra  insieme  l’ esattezza  di  ambe- 
due i procedimenti  in  questione,  e costituisce  un  potente  argo- 
mento in  favore  dell’opinione  espressa  dal  Prof.  Julius,  che  qual- 
che errore  sistematico  affetti  le  determinazioni  antiche  del  po- 
tere radiante  J a varie  distanze  dal  centro  del  disco  solare,  e 
che  più  esatti  siano  i valori,  che  risultano  da  osservazioni  fatte 
durante  un’  eclisse,  nel  modo  da  lui  indicato. 

Tuttavia  noi  riteniamo  che  questa  conclusione  sarebbe  per 
ora  prematura,  e non  possa  in  ogni  modo  accettarsi  come  ac- 
cennavamo già  a pag.  42,  che  sotto  la  riserva  di  riconoscere, 
quanta  parte  possano  avere  nella  variazione  della  radiazione  so- 
lare durante  le  fasi  di  un’  eclisse  eventuali  variazioni  delPassor- 
bimento  atmosferico  dipendenti  direttamente  dalla  intercetta- 
zione dei  raggi  solari,  epperò  proporzionali  alla  grandezza  della 
fase  e tendenti  quindi  a produrre  le  stesse  manifestazioni  , che 
Julius  spiega  col  più  rapido  decrescimento  del  potere  radiante 
J(f)  verso  la  periferia  del  disco  solare. 

Nella  nostra  riduzione  delle  osservazioni  atti  nometriche  ese- 
guite nell’  Osservatorio  di  Catania  durante  1’  ultima  eclisse  ') 
abbiamo  già  accennato  chiaramente,  che  non  si  può  sperare  di 
eliminare  del  tutto  1’  influenza  dell’  assorbimento  atmosferico 
con  procedimenti  empirici,  come  quelli  usati  dal  Prof.  Julius 
(ragguaglio  grafico)  e da  noi  stessi  (ragguaglio  numerico  colla 
forinola  di  Pouillet,  o di  Orova,  o di  Bartoli),  ma  che  bisogna 
istituire  apposite  esperienze  per  controllare  1’  effettiva  variazione 
dell’  assorbimento  atmosferico  durante  1’  eclisse.  Un  modo  assai 
semplice  per  giungere  a questo  è già  stato  indicato  da  noi  a 
pag.  34,  e consisterebbe  nell’  accompagnare  le  osservazioni  atti- 
nometriche  con  misure  della  grandezza  della  fase,  e nel  confron- 
tare poi  le  misure  attinoinetriche  corrispondenti  a fasi  uguali.  Un 
altro  procedimento  anche  assai  efficace  sarebbe  quello  di  eseguire 


) V.  Memorie  della  Società  degli  Spettrosc.  italiani  Voi.  XXXV  pagg. 


24,  34,  35. 


52 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV. j 


due  serie  di  osservazioni  simultanee  in  due  stazioni  vicine,  a rile- 
vante dislivello  1).  Finché  però  non  venga  dimostrato,  in  un  modo 
o in  un  altro,  che  1’  influenza  delle  variazioni  dell’  assorbimento 
atmosferico  durante  un’  eclisse  sia  effettivamente  trascurabile,  il 
procedimento  proposto  da  Julius  per  lo  studio  dei  valori  del  po- 
tere radiante  J a varie  distanze  dal  centro  del  disco  solare  non 
potrà  ritenersi  senz’altro  come  più  sicuro  di  quello  antico  di  Sec- 
chi, Vogel  ed  altri.  Una  prova,  se  questo  nostro  dubbio  sia  fon- 
dato, o no,  potrà  aversi  confrontando  i risultati  ottenuti  da  Ju- 
lius con  quelli  ottenibili  da  altre  serie  di  osservazioni  eseguite 
durante  la  medesima  eclisse  2)  e con  strumenti  consimili  in  lo- 
calità diverse.  Se  il  procedimento  di  Julius  è libero  da  influenze 
perturbatrici,  dovrebbero  risultare  molto  prossimamente  gli  stessi 
valori  di  J da  tutte  le  serie  d’  osservazioni  ; se  invece,, come  noi 
riteniamo,  il  divario  fra  i valori  ottenuti  da  Julius  e quelli  finora 
ammessi  è da  ascrvere  in  molta  parte  all’influenza  delle  variazioni 
dell’assorbimento  atmosferico,  l’applicazione  dello  stesso  procedi- 
mento in  località  diverse  (e  sopratutto  a notevole  dislivello,  per 
modo  che  l’influenza  dell’assorbimento  dell’atmosfera  terrestre 
sia,  quanto  si  può,  diversa)  condurrà  a valori  diversi  per  il  po- 
tere radiante  J alle  varie  distanze  dal  centro  del  disco  solare.  E 
non  ci  sarà  nemmeno  bisogno  per  questo  di  applicare  il  proce- 
dimento, in  verità  alquanto  laborioso,  consigliato  dal  Prof.  Julius, 
ma  basterà  confrontare  i risultati  delle  singole  serie  d’ osserva- 
zione con  quelli  della  nostra  tabella  III,  e discutere  il  compor- 
tamento dei  relativi  valori  0 — C.  Se  poi,  scoperte  ed  eliminate 

4)  Cfr.  Memorie  della  Società  degli  Spettrosc.  Ital.  Voi.  XXXV,  pag.  35. 

2)  Il  confronto  di  serie  di  osservazioni  eseguite  durante  eclissi  diverse  è meno  decisivo, 
perchè  le  variazioni  dipendenti  dalle  diverse  condizioni  atmosferiche  possono  combinarsi  colle 
altre  provenienti  dal  vario  grado  di  attività  del  Sole.  Tuttavia  noteremo  a questo  proposito 
che  le  osservazioni  eseguite  in  Catania  nel  1900  ci  hanno  dato  (v.  pag.  37)  una  diminu- 
zione della  radiazione  col  progredire  della  fase  assai  più  rilevante  che  le  osservazioni  ana- 
loghe eseguite  nel  1905  (v.  pag.  33)  ciò  che  starebbe  in  perfetto  accordo  colla  ipotesi  di 
una  variazione  dell’  assorbimento  atmosferico,  poiché  questa  avrebbe  dovuto  appunto  esser 
maggiore  nella  eclisse  del  1900  avvenuta  (per  Catania)  in  condizioni  atmosferiche  più  sfa- 
vorevoli e con  Sole  più  basso  sull’  orizzonte,  di  quanto  si  ebbe  nella  eclisse  del  1905. 


/Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  53 


tutte  le  fonti  di  errori  sistematici  nei  vari  metodi  , resteranno 
delle  differenze  sensibili  nei  valori  del  potere  radiante  J(r)  otte- 
nuti in  varie  epoche,  nulla  impedirà  di  ritenere  queste  differenze 
come  reali  ed  inerenti  alle  condizioni  dell’  atmosfera  solare  ; poi- 
ché le  osservazioni  della  corona  dimostrano,  come  questa  atmo- 
sfera sia  soggetta  a variazioni  ben  rilevanti,  che  possono  venir  ac- 
compagnate da  variazioni  analoghe  nel  relativo  potere  assorbente 
e quindi  anche  nella  legge  di  decrescimento  del  potere  radiante 
dei  punti  del  disco  solare  dal  centro  verso  la  periferia. 


Tavole  numeriche  per  il  calcolo  dei  valori  della  radiazione  relativa 
corrispondenti  alle  varie  fasi  di  un’  eclisse. 

Tavola  I» 

Valori  del  potere  radiante  J(r)  dei  punti  del  disco  solare  a varie  distanze  r dal  centro,  se- 
condo la  forinola  (2)  e coi  valori 


log  \ — 0,  62452  log  a — 9,  31933  per  le  costanti. 


r j 

d. 

V 

log  J(r) 

d. 

r 

log  J(r) 

d. 

V 

log  J(r) 

d. 

0,  Ou 
' 0,01 
| 0,  02 
0,  03 

0,  0000 
0.  0000 
0,  0000 
9,  9999 

0 

0 

1 

0 

0,  25 
0,  26 
0,  27 
0,  28 

9,  9946 
9,  9941 
9, 9936 
9,  9931 

5 

5 

5 

0,  50 
0,  51 
0,  52 
0,  53 

9,  9750 
9,  9738 
9,  9725 
9,  9712 

12 

13 

13 

14 

0,  75 
0,  76 
0,  77 
0,  78 

9,  9250 
9,  9216 
9,  9181 
9,  9144 

34 

35 
37 

1 0,04 

9,  9999 

0,  29 

9,  9926 

5 

0,  54 

9,  9698 

0,  79 

9,  9105 

oJ 

1 

6 

14 

42 

0,  05 

9,  9998 

0,  30 

9,9920 

0,  55 

9,  9684 

14 

15 

16 
16 

0,  80 

9,  9063 

44 

46 

50 

54 

0,  06 
0,07 

9,  9997 
9,9996 

1 

0,  31 
0,  32 

9,  9914 
9,  9908 

D 

6 

6 

0,  56 
0,  57 

9. 9670 
9,  9655 

0,  81 

0,  82 

9,  9019 
9,  8973 

0,  08 

9,  9995 

0,  33 

9,  9902 

0,  58 

9,  9639 

0,  83 

9,  8923 

0,  09 

9,  9994 

0,  34 

9,  9895 

1 

0,  59 

9,  9623 

0,  84 

9,  8869 

2 

7 

17 

57 

0,  10 

9,  9992 

0,  35 

9,  9888 

0,  60 

9,  9606 

17 

18 

19 

20 

0,  85 

9,  8812 

60 

65 

71 

77 

0, 11 

9,  9990 

9 

0,  36 

9,9881 

0,  61 

9,  9589 

0,86 

9,  8752 

0,  12 

9,  9988 

9 

0,  37 

9,  9874 

0,  62 

9,  9571 

0,  87 

9,  8687 

0.  13 
0, 14 

9,  9986 
9.9983 

3 

0,  38 
0,  39 

9,  9866 
9,  9858 

0 

8 

0,  63 
0,  64 

9,  9552 
9,  9532 

0,  88 
0,89 

9,  8616 
9,  8539 

2 

8 

21 

84 

0, 15 

9,  9981 

3 

q 

0,40 

9,9850 

0,  65 

9.  951 1 

21 

22 

23 

24 

0,  90 

9,  8455 

93 

104 

116 

130 

0, 16 

9,  9978 

0,  41 

9,  9842 

O 

0,66 

9,  9490 

0,  91 

9,  8362 

0,  17 

9,  9975 

0,  42 

9,  9833 

y 

9 

10 

0,  67 

9,  9468 

0,  92 

9,  8258 

0,  18 

9,  9972 

q 

0,  43 

9,  9824 

0,  68 

9,  9445 

0,  93 

9,  8142 

0,  19 

9,  9969 

0,  44 

9,  9814 

0,  69 

9,9421 

0,  94 

9,  8012 

4 

10 

26 

149 

0,  20 

0,  21 

9,  9965 
9,  9962 

3 

0,  45 
0,  46 

9,  9804 
9,  9794 

10 

10 

11 

11 

0,  70 
0,  71 

9,  9395 
9,  9369 

26 

28 

29 

30 

0,  95 
0,96 

9,  7863 
9,  7686 

177 

214 

276 

393 

0,22 

0,23 

9,  9958 
9,  9954 

4 

0,  47 
0,  48 

9,  9784 
9,  9773 

0,  72 
0,  73 

9,  9341 
9,  9312 

0,  97 
0,  98 

9,  7472 
9,  7196 

0,  24 

9,  9950 

0,  49 

9,  9762 

0,  74 

9,  9282 

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0,  75 

9,  9250 

1,  00 

9,  5682 

4 


A.  Bemporad 


Memoria  XIV.] 


il. 


r 

0 

1 

2 

3 

4 

5 

6 

7 

8 

9 

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1444 

1444 

1444 

1444 

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1443 

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1442 

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Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un'eclisse  55 


Valori  di  J Jr  dr 

r 


V 

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1 

2 

3 

4 

5 

6 

7 

8 

9 

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9230 

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9136 

9088 

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7626 

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7526 

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2189 

2134 

0,  80 

0,1 

2070 

2006 

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1877 

1812 

1747 

1682 

1618 

1 553 

1489 

0,81 

1424 

1359 

1295 

1230 

1166 

1101 

1036 

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0907 

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0,82 

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0,  84 

0,  0 

9482 

9417 

9353 

9288 

9223 

9158 

9093 

9029 

8964 

8899 

0,  85 

0,  0 

8834 

8769 

8705 

8640 

8576 

8511 

8446 

8382 

8317 

8253 

0,86 

8188 

8124 

8059 

7995 

7930 

7866 

7802 

7737 

7673 

7608 

0,  87 

7544 

7480 

7415 

7351 

7287 

7223 

7159 

7095 

7031 

7967 

0,88 

6903 

6839 

6775 

6712 

6648 

6584 

6520 

6456 

6393 

6329 

0.  89 

6265 

6201 

6138 

6074 

6011 

5948 

5885 

5821 

5758 

5695 

0,90 

0,0 

5632 

5569 

55C6 

5444 

5381 

5318 

5255 

5193 

5130 

5068 

0,  91 

5005 

4943 

4880 

4818 

4756 

4694 

4632 

4570 

4508 

4447 

0,  92 

4385 

4323 

4262 

4200 

4139 

4078 

4017 

3956 

3895 

3834 

0,  93 

3774 

3714 

3653 

3593 

3533 

3473 

3413 

3353 

3293 

3233 

0,  94 

3174 

3115 

3056 

2997 

2938 

2879 

2820 

2762 

2703 

2645 

0,  95 

0,0 

2587 

2529 

2471 

2413 

2355 

2298 

2241 

2184 

2127 

2070 

0,  96 

2014 

1958 

1902 

1846 

1790 

1735 

1680 

1625 

1570 

1515 

0,  97 

1461 

1407 

1353 

1299 

1246 

1193 

1140 

1087 

1035 

0983 

0,98 

0932 

0881 

0830 

0780 

0730 

0680 

0631 

0582 

0533 

0485 

0,  99 

0437 

0390 

0344 

0298 

0253 

0209 

0165 

0121 

0078 

0038 

1,00 

0,0 

00000 

56 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


Tavola  111. 


La  tavola  fornisce  cogli  argomenti  l (rapporto  del  diametro  apparente  della  © rispetto 
a quello  del  ©)  e b (rapporto  della  porzione  scoperta  del  diametro  trasversale  al  semidia- 
metro solare)  il  valore  della  radiazione  relativa. 


1 / 
/ b 

0,9 

1,0 

1,  1 

l / 
/ 1 

0,90 

0,92 

0,  94 

2,  00 

1,  000 

1,000 

1,  000 

0,96 

0,  592 

0, 589 

0,  586 

1,92 

0,  994 

0,  994 

0,  993 

0,  88 

0,  544 

0,  540 

0,  537 

1,  84 

0,981 

0,  981 

0,980 

0,  80 

0,  495 

0,  491 

0,  488 

1,  76 

0,  962 

0,962 

0,  961 

0,  72 

0,  446 

0,  441 

0,  438 

1,  68 

0,  937 

0,937 

0,  936 

0,  64 

0,  396 

0,  391 

0,387 

1,  60 

0,  914 

0,  909 

0,  907 

0,  56 

0,  346 

0,  440 

0,  336 

1,52 

0,  881 

0,877 

0,  874 

0,  48 

0,  296 

0,  29Ò 

0,  285 

1,  44 

0,847 

0,  842 

0,  838 

0,  40 

0,  248 

0,  241 

0,  235 

1,  36 

0,  810 

0,804 

0,  799 

0,  32 

0,  202 

0, 193 

0,  186 

1,  28 

0,  770 

0,  763 

0,  757 

0,  24 

0,  164 

0,  149 

0,  140 

1,  20 

0,728 

0,  720 

0,713 

0, 16 

0,  139 

0,  112 

0,  097 

1,12 

0,  684 

0,  675 

0,  667 

0,08 

0,  136 

0,106 

0,077 

1,04 

0,  639 

0,  628 

0,  618 

0,  00 

0, 114 

0,112 

0,  081 

l / 
/ h 

0,96 

0,  98 

1,00 

1,  02 

1,  04 

1,  06 

1,08 

1,  io 

0,96 

0,  584 

0,  581 

0,  579 

0,  577 

0,  575 

0,  572 

0,  570 

0,  568 

0,  88 

0.  534 

0,  531 

0,  529 

0,  527 

0,  525 

0,  522 

0,  520 

0,  517 

0,  80 

0,  484 

0,  481 

0,  478 

0,  476 

0,473 

0,  470 

0,  468 

0,466 

0,72 

0,433 

0,430 

0,  427 

0,  424 

0,  421 

0,  418 

0,  416 

0,  413 

0,54 

0,  382 

0,379 

0,  375 

0,  372 

0,  368 

0,  365 

0,  363 

0,  360 

0,  56 

0,  331 

0,  327 

0,  323 

0,  320 

0,  316 

0,  312 

0,  310 

0,  307 

0,  48 

0,  280 

0,  275 

0,271 

0,267 

0,  264 

0,  260 

0,  257 

0,  255 

0,  40 

0,229 

0,  224 

0,  220 

0,  216 

0,  213 

0,  209 

0,206 

0,203 

0,  32 

0, 180 

0,  175 

0,  170 

0, 165 

0, 162 

0,  158 

0, 155 

0, 152 

0,  24 

0, 133 

0, 127 

0,  121 

0,  117 

0, 113 

0,  110 

0, 107 

0,  104 

0,  16 

0,  087 

0,  080 

0,  075 

0,  071 

0,068 

0,  065 

0,  062 

0.  060 

0,08 

0,  051 

0,  039 

0,033 

0,  030 

0,028 

0,  027 

0,026 

0,  025 

0,  00 

0,051 

0,023 

0,000 

0,000 

0,000 

0,  000 

0,  000 

0,  000 

Sul  modo  di  variare  delia  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse 


Tavola  IV.  Valori  della  funzione  r0  (0)  — — a cos  0 + [ Z2 — a2  sin2  0 (forinola  12)  per 
valori  diversi  dei  parametri  Z — — — e b — a -f-  1 l — 2 (1  — Grand.  Fase),  a essendo  la  di- 

re 

stanza  apparente  dei  centri  del  0 e della  in  semidiametri  solari. 


\ l 
b 

o, 

90 

0, 

92 

0,  94 

0, 

96 

o. 

98 

0 

»o  (<>) 

0 

ro  (6) 

0 

»'o  (0) 

0 

io  (0) 

0 

»'o  (0) 

122°, 72 

1,  0000 

121°, 82 

1,  0000 

120°,  98 

1,  0000 

120°, 17 

1,  0000 

119°,  41 

1,  0000 

1 

116,  58 

0,  8522 

115,  73 

0,  8490 

114,  93 

0,  8457 

114,  17 

0,  8425 

113, 44 

0,  8393 

110,  45 

0,  7012 

109,  64 

0,  6951 

108,88 

0,  6892 

108,  16 

0,  6834 

107,  47 

0,  6776 

104,  31 

0,  5525 

103,  55 

0,  5446 

102,  83 

0,  5368 

102, 15 

0,  5293 

101,  50 

0,  5219 

98,  17 

0,  4143 

97,  46 

0,  4059 

96,  78 

0,  3976 

96,  14 

0,  3897 

95,  53 

0,  3821 

92,  04 

0,  2976 

91,  37 

0,  2902 

90,  73 

0,  2831 

90, 13 

0,  2763 

89,  56 

0,  2699 

85,  90 

0,  2109 

85,  28 

0,  2055 

84,  68 

0,  2004 

84,  12 

0, 1957 

83,  59 

0,  1914 

0,  96 

79,  77 

0,  1533 

79,  18 

0,  1500 

78,  63 

0, 1468 

78,  11 

0,  1438 

77,62 

0,  1411 

73,  63 

0.  1170 

73,  09 

0, 1149 

72,  59 

0,  1130 

72,  10 

0.  1111 

71,  64 

0,  1095 

61,  36 

0,  0780 

60,  91 

0,  0772 

60,  49 

0,  0764 

60,  09 

0,  0757 

59,  70 

0,  0751 

4 9,  09 

0,  0594 

48,  73 

0,  0591 

48,39 

0,  0587 

48,  07 

0,  0584 

47,  76 

0,  0581 

36,  82 

0,  0494 

36,  55 

0,0492 

36,29 

0,  0491 

36.  05 

0,  0489 

35,  82 

0,  0488 

i 

24,54 

0,  0438 

24,  37 

0,  0437 

24,20 

0,  0437 

24.  04 

0.  0436 

23,  88 

0,  0436 

l 12,27 

0,  0409 

12, 18 

0,  0409 

12, 10 

0,  0409 

12,  02 

0,  0409 

11,  94 

0,  0409 

1 0,00 

0,  0400 

0,  00 

0,  0400 

0.  00 

0,  0400 

0,  00 

0,  0400 

0,  00 

0,  0400 

1 119,  06 

1,  0000 

117,82 

1,  0000 

116,  67 

1,  0000 

115,  57 

1,  0000 

114,  54 

1,  0000 

113,  11 

0,  9036 

111,  93 

0,  9015 

110,  83 

0,  8996 

109,  79 

0,  8979 

108,  82 

0,  8960 

107.  15 

0,  8087 

106,  04 

0,  8051 

104,  99 

0,  8019 

104,  01 

0,  7987 

103,  09 

0,  7957 

101,  20 

0,  7178 

100, 15 

0,  7134 

99,  16 

0,  7093 

98,  23 

0,  7054 

97,  36 

0,  7016 

95,  25 

0,  6333 

94,  26 

0,  6286 

93,  33 

0,  6242 

92,  45 

0,  6200 

91,  64 

0,  6160 

89,  30 

0,  5571 

88,  36 

0,5525 

87.  49 

0,  5482 

86,  68 

0,  5441 

85,  91 

0,  5403 

83,34 

0,  4903 

82,  47 

0,  4861 

81,  66 

0,  4822 

80,  90 

0,  4785 

80, 18 

0,  4751 

, U,  oU 

71,44 

0,  3851 

70.  69 

0,  3822 

69,99 

0,  3794 

69,  34 

0,  3768 

68,  73 

0,  3744 

59,53 

0,  3128 

58,  91 

0,  3110 

58,  33 

0,  3093 

57,  78 

0,  3077 

57,  27 

0,  3062 

1 47,62 

0,  2648 

47, 13 

0,  2638 

26,  66 

0,  2628 

46,  23 

0,  2619 

45,  82 

0,  2611 

•35,  72 

0,  2335 

35,  35 

0,  2331 

35,  00 

0,  2326 

34,  67 

0,  2321. 

34,  36 

0,  2317 

23,  81 

0,  2141 

23,  56 

0.  2139 

23,  33 

0,  2137 

23,  12 

0,  2135 

22,  91 

0,2133 

11,91 

0, 2034 

11,  78 

0,  2034 

11,  67 

0,2033 

11,  56 

0,  2033 

11,  45  . 

0,  2033 

\ 0, 00 

0,  2000 

0,  00 

0,  2000 

0,  00 

0,  2000 

0,  00 

0,  2000 

0,  00 

0,  2000 

! 116,  48 

1,  0000 

114,  65 

1,  0000 

112,  98 

1,  0000 

111,  43 

1,  0000 

110,  00 

1,  0000 

104,83 

0,  8714 

103,  19 

0,  8688 

101.  68 

0,  8664 

100,  29 

0,  8642 

99,  00 

0,  8621 

I 93,  19 

0,  7507 

91,  72. 

0,  7470 

90,  38 

0,  7436 

89, 14 

0,  7405 

88,  00 

0,  7376 

\ 81.54 

0,  6449 

80,  26 

0,  6413 

79,  08 

0,  6380 

78,  00 

0,  6350 

77,  00 

0,  6322 

] 69,  89 

0,  5580 

68.  79 

0,  5549 

67,  79 

0,  5523 

66,  86 

0,  5498 

66,  00 

0,  5476 

0,  64 

< 58,24 

0,  4900 

57,  33 

0,  4878 

56,  49 

0,  4858 

55,  71 

0,  4841 

55,  00 

0,  4875 

| 46,59 

0,  4390 

45,  86 

0,  4376 

45, 19 

0,  4364 

44,  57 

0,  4353 

44,  00 

0,  4343 

f 34,95 

0,  4026 

34,  40 

0,  4018 

33,  89 

0,  4012 

33,  43 

0,  4006 

33,  00 

0,  4000 

23,  30 

0,  3783 

22,  93 

0,  3780 

22,  60 

0,  3777 

22,  29 

0,  3775 

22,  00 

0,  3772 

1 1 , 65 

0.  3645 

11,  47 

0,  3644 

11,  30 

0,  3643 

11,  14 

0,  3643 

11,  00 

0,  3642 

V 0, 00 
1 

0,  3600 

0,  00 

0,  3600 

0,  00 

0,  3600 

0,  00 

0,  3600 

0,  00 

0,  3600 

1 

/ 116,  11 

1,0000 

113,  08 

1,  0000 

110,  40 

1,0000 

108,  00 

1,0000 

105,  85 

1,  0500 

104,  49 

0,  9165 

101, 77 

0,9141 

99,36 

0,9120 

97,  20 

0,9102 

95,  26 

0,  9085 

92,  88 

0,  8352 

90,  46 

0,  8318 

88,  32 

0,  8287 

86,  40 

0,  8261 

84,  68 

0,  8237 

\ 81,27 

0,  7602 

79, 16 

0,  7567 

77,  28 

0,  7535 

75,  60 

0,  7508. 

74,  09 

0,  7484 

| 69,66 

0,6944 

67.  85 

0,  6913 

66,  24 

0, 6886 

64,  80 

0,  6862 

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0,  6841 

0 ,48 

< 58,05 

0,  6392 

56,  54 

0,  6368 

55,  20 

0,  6348 

54,  00 

0,  6330 

52,  92 

0,  6314 

j 46,44 

0,  5950 

45,  23 

0,  5934 

44,  16 

0,  5920 

43,  20 

0,  5908 

42,  34 

0,  5897 

1 34,83 

0,  5612 

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0,5598 

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0.  5591 

31,  75 

0,  5585 

f 23,22 

0,  5382 

22,62 

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22,  08 

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0,  5371 

21, 17 

0,  5369 

11,61 

0,  5245 

11,  31 

0,  5244 

11,  04 

0,  5243 

10,80 

0,  5242 

10,  59 

0,  5242 

\ 0, 00 

0,  5200 

0,  00 

0,  5200 

0,  00 

0,  5200 

0,  00 

0,  5200 

0,  00 

0,  5200 

Atti  acc.  Skiuk  4%  Vol.  XIX  — Meni.  XIV. 


8 


58 


A.  Bemporad 


[Memoria  XIV.] 


Segue  ( Tavola  IV). 


\ l 
b \ 

1, 

00 

1, 

02 

1, 

04 

1, 

06 

1, 

08 

1, 

10 

0 

° I 

0 

(0) 

0 

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0 

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0 

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6 

(0) 

118n,69 

1,0000 

118°,  00 

1,  0000 

117°, 34  1,  0000 

116,  71 

1,0000 

116°, 11 

1,  0000 

1 1 5°53 

1,  0000 

'112,  75 

0,  8362 

112, 10 

0,8332 

111,  47 

0,  8302 

110,  87 

0,  8273 

106,  43 

0,  7077 

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0,  7623 

106,82 

0,  6721 

106,  20 

0,  6667 

105,  60 

0,  6612 

105,  04 

0,  6560 

96,  76 

0,  4382 

100, 13 

0,  5343 

*100,88 

0,  5148 

100,  30 

0,  5078 

99,  74 

0,  5010 

99,  20 

0,  4944 

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0,2430 

92,  42 

0,  3421 

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94,  40 

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77,  40 

0,  1423 

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0,2121 

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0,  2639 

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0,  2583 

88,  00 

0,  2529 

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0,  2478 

67,  73 

0,  0959 

77,  02 

0,  1402 

83,  08 

0,  1873 

82,  60 

0,  1834 

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0, 1799 

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0,  1766 

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0,  0723 

69,  32 

0, 1015 

0,  96  / 

77, 15 

0,  1386 

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0,  1341 

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48,  38 

0,  0589 

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0,  0794 

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70,  80 

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70,  40 

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70,  02 

0, 1040 

38,  70 

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53,  91 

0,  0657 

59,  34 

0,  0744 

59,  00 

0,  0738 

58,  67 

0,  0733 

58,  35 

0,  0728 

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0,  0455 

46,  21 

0,  0567 

47,  48 

0,  0578 

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0,  0573 

46,  68 

0,  0572 

19,  35 

0.  0423 

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0,0487 

35,  40 

0,  0486 

35,  20 

0,  0485 

35,  01 

0,  0484 

9,  68 

0,  0405 

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0,  0435 

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0,  0435 

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0,  0435 

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0,  0435 

0,  00 

0,  0400 

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0,  0433 

1 

11,  87 

0,  0408 

11,  80 

0,  0408 

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0,  0408 

11,  67 

0,  0408 

15,  40 

0.  0414 

0,  00 

0, 0400 

0,  00 

0,  0400 

0,  00 

0,  0400 

0,  00 

0,  0400 

7,  70 

0,  0403 

0,00 

0,  0400 

113,  58 

1,  0000 

112,  67 

1,  0000 

111,  80 

1,  0000 

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1,  0000 

110,  21 

1,  0000 

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1,  0000 

; 107,  90 

0,  8943 

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0,  8166 

100,  35 

0,  8147 

102,  22 

0.  7928 

101,  40 

0,  7900 

100,62 

0,  7873 

99,  89 

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0,  6550 

91,  23 

0,  6520 

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0,  6946 

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0,  6882 

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0,5237 

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90,  13 

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0,  6051 

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0,  6018 

73,47 

0,  4240 

72,  98 

0,  4217 

i 85, 18 

0,  5367 

84,  50 

0,  5331 

83,  85 

0,  5298 

83,  24 

0,  5267 

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0.  3515 

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0,  3500 

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55, 11 

0,  3000 

54,  74 

0,  2989 

c 

oc 

c 

68, 15 

0,  3720 

67,  60 

0,  3699 

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0,  3679 

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0,  3660 

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0,  2635 

45,  61 

0,  2628 

56,  79 

0,  3048 

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0,  3035 

55,  90 

0,  3023 

55,  49 

0.  3011 

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0,  2378 

36,  49 

0,  2375 

| 45,  43 

0,  2603 

45,  07 

0,  2595 

44,  72 

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44,  39 

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0,  2202 

27,  37 

0,  2200 

34,07 

0,2313 

33.  80 

0,  2309 

33,  54 

0.  2306 

33,  30 

0,  2303 

18,  37 

0,  2086 

18,  25 

0, 2085 

22,  72 

0,  2131 

22,  53 

0,  2130 

22,  36 

0,  2129 

22,  20 

0,  2127 

9, 18 

0,  2021 

9, 12 

0,  2021 

11,  36 

0,  2032 

11,  27 

0,  2032 

11,  18 

0,  2031 

11,  10 

0,  2031 

0,  00 

0,2000 

0,  00 

0,  2000 

\ 0, 00 

0,  2000 

0,  00 

0,  2000 

0,  00 

0,  2000 

0,  00 

0,  2000 

108,  66 

1,  0000 

107,  42 

1,  0000 

106,  26 

1,  0.00 

105,  17 

1,  0000 

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1,  0000 

103, 19 

1,  0000 

97,80 

0,  8601 

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0,  8582 

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0,  8549 

95,  47 

0,  8765 

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0,  7849 

85,  94 

0,  7323 

85,01 

0,  7299 

84, 14 

0,  72  77 

86,79 

0,  7656 

84,  43 

0,  7451 

76,  06 

0,  6296 

75,  20 

0,  6271 

74,  38 

0,  6248 

73,  62 

0,  6227 

78.  11 

0,  6702 

75,  04 

0,  6150 

I 65,20 

0,  5455 

64,  45 

0,  5435 

63,  76 

0,  5417 

63, 10 

0,  5400 

69,  43 

0,  5909 

65,  66 

0,  5644 

0,  64 

54,33 

0,  4810 

53,  71 

0,  4796 

53, 13 

0,  4784 

52,  59 

0,  4772 

60,  75 

0,  5267 

56,  28 

0,5009 

1 43,47 

0,  4334 

42,97 

0,  4325 

42,  50 

0,  4317 

42,  07 

0,4310 

52,  07 

0,  4761 

46,  90 

0,  4525 

1 32,  60 

0,  3995 

32,23 

0,  3990 

31,  88 

0,  3986 

31,  55 

0,  3982 

43,  40 

0,  4369 

37,  52 

0,  4165 

21,73 

0,  3770 

21,  48 

0.  3768 

21,  25 

0,  3766 

21,  03 

0.  3764 

34,  72 

0,  4073 

28, 14 

0,  3907 

10,87 

0,  3642 

10,  74 

0,  3642 

10,  63 

0,  3641 

10,  52 

0,  3640 

26,  04 

0,  3858 

18,  76 

0,  3733 

1 0, 00 

0,  3600 

0,  00 

0,  3600 

0,  00 

0,  3600 

0,00 

0.  3600 

17,36 

0,  3712 

9,  38 

0,  3633 

j 

8,  68 

0,  3627 

0,  00 

0,  3600 

1 

0,  00 

0,  3600 

1 103,  89 

1,  0000 

102, 10 

1,  0000 

100,  46 

1,  0000 

98,  95 

1,  0000 

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1,0000 

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1,  0000 

93,  50 

0,  9071 

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0,  9044 

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0,9033 

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0,  9784 

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0,  9012 

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0,  8216 

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0,  8196 

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0,  8179 

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0,  8163 

81,30 

0,  8926 

77,  00 

0,  8133 

72,72 

0,  7462 

71,  47 

0,  7442 

70,  32 

0,  7424 

69,  27 

0,  7408 

73, 17 

0,  8153 

67,38 

0,  7378 

1 62,33 

0,  6823 

61,  26 

0,  6805 

60,  28 

0,  6790 

59,  37 

0,  6776 

65,  04 

0,  7475 

57,  75 

0.  6751 

) 51,94 

0,  6299 

51,  05 

0,  6286 

50,  23 

0,  6275 

49,  48 

0,  6264 

56,  91 

0,  6896 

48,13 

0,  6245 

0 , 48 

41,  55 

0,  5888 

40,  84 

0,  5879 

40, 18 

0, 5872 

39,  58 

0,  5864 

48,  78 

0,  6413 

38,  50 

0,  5851 

J 31,  17 

0,  5579 

30,  63 

0,  5574 

30,  14 

0,  5570 

29,  69 

0,  5566 

40,  65 

0,  6022 

28,  87 

0,  5559 

f 20,78 

0,  5366 

20,  42 

0, 5364 

20,  09 

0,  5362 

19,  79 

0,  5360 

32,  52 

0,  5715 

19,  25 

0,  5357 

10,39 

0,  5242 

10,21 

0,  5241 

10,  05 

0,  5240 

9,  90 

0,  5240 

24,  39 

0,  5484 

9,  63 

0,  5239 

0,  00 

0,  5200 

0,00 

0,  5200 

0,00 

0,  5200 

0,  00 

0,  5200 

16,  26 

0,  5325 

0,  00 

0,  5200 

8,  13 

0,  5231 

\ 

0,  00 

0,  5200 

Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un’eclisse  59 


Segue  {Tavola  IV). 


\ l 
b \ 

o, 

90 

o, 

92 

o, 

94 

0, 

96 

o, 

98 

0 

},o  (0) 

0 

ro(6) 

0 

ro  (0) 

0 

r0  (0) 

0 

»'o  (0) 

122°,  81 

1,  0000 

116°, 10 

1,  0000 

110°, 72 

1, 0000 

106°,  26 

1,  0000 

102o,48 

1,  0000 

110,  53 

0,  9532 

104,  49 

0,  9502 

99,  65 

0,  9480 

95,  63 

0,  9462 

92,  23 

0,  9447  1 

98,  25 

0.  9048 

92,  88 

0,  9003 

88,  58 

0,  8969 

85,  01 

0,  8942 

81,98 

0,  8921 

85,  97 

0,  8574 

81,  27 

0,  8525 

77,  51 

0,  8488 

74,  38 

0,  8460 

71,  73 

0,  8436 

| 73,69 

0,  8131 

69,  66 

0,  8087 

66,  43 

0,  8053 

63,  76 

0,  8027 

61,  49 

0,  8007 

0,  32 

' 61.  40 

0,  7737 

58,  05 

0,  7702 

55,  36 

0,  7676 

53, 13 

0,  7655 

51,  24 

0,  7638 

i 49,12 

0,  7405 

46,  44 

0,  7380 

44,  29 

0,  7362 

42,  50 

0,  7348 

40,  99 

0,  7336 

1 36,84 

0,7142 

34,83 

0,7127 

33,22 

0,7116 

31,  88 

0,  7108 

30,  74 

0,  7101 

24,  56 

0.  6953 

23,22 

0,  6946 

22, 14 

0,  6941 

21,  25 

0,  6937 

20,  50 

0,  6934 

12,  28 

0,  6839 

11  61 

0,  6837 

11,07 

0,  6835 

10,  63 

0,  6834 

10,  25 

0,  6834 

0,  00 

0,  6800 

0,00 

0,  6800 

0,  00 

0,  6800 

0,  00 

0,  6800 

0,  00 

0,  6800 

180,  00 

0,  9600 

180,  00 

1,0000 

129,  20 

1,  0000 

112,  75 

1,  0000 

102,  21 

1,  0000 

165,  00 

0,  9578 

165,  00 

0.9971 

119,  26 

0,9848 

101,  47 

0,9766 

91,99 

0,  9748 

150,  00 

0,  9515 

150,  00 

0,  9884 

109,32 

0,9684 

90,  20 

0,  9521 

81,77 

0,9501 

135,  00 

0,9414 

135,  00 

0,  9748 

99,38 

0,  9511 

78,92 

0,  9296 

71,  54 

0,  9267 

, 120,  00 

0,  9285 

120,  00 

0,  9574 

89,  45 

0,  9337 

67,  65 
56,  37 

0,  9079 

61,32 

0,  9051 

0,  16 

1 105,  00 

0.  9137 

105,  00 

0,  9375 

79,51 

0,  9166 

0,  8884 

51, 10 

0,  8860 

90,00 

0,  8980 

90,  00 

0,  9165 

69,  57 

0,9004 

45, 10 

0,  8715 

40,  88 

0,  8699 

| 75,00 

0,  8826 

75,  00 

0,  8960 

59,  63 

0,  8855 

33,82 

0,  8580 

30,  66 

0,  8570 

60,00 

0,  8685 

60,  00 

0,8774 

49,  69 

0,  8722 

22,  55 

0,  8481 

20,  44 

0,  8476 

45,  00 

0,  8566 

45,  00 

0,  8617 

39,75 

0,  8609 

11,27 

0,  8420 

10,  22 

0,  8419 

30,  00 
15,  00 
0,  00 

0,  8475 
0,  8419 
0,  8400 

30,  00 
15,00 
0,  00 

0,  8499 
0,  8425 
0,  8400 

29,  82 
19,  88 
9,  94 
0,  00 

0,  8519 
0,  8454 
0,  8413 
0,8400 

0,  00 

0,  8400 

0,  00 

0,  8400 

00 

1, 

02 

1,  04 

1, 

06 

1, 

08 

1, 

1,0000 

96,  35 

1,  0000 

93,  82 

1,  0000 

91,  57 

1,  0000 

89,  53 

1,  0000 

87,  71 

0,  9434 

86,  71 

0,9424 

84,  44 

0,  9415 

82,41 

0,  9407 

80,  58 

0,  9397 

77,96 

0,  8902 

77,  08 

0,  8887 

75,06 

0,  8873 

73,  25 

0,  8861 

71,  63 

0,  8850 

68,22 

0,  8417 

67,  44 

0,  8400 

65,  68 

0,  8386 

64,  10 

0,  8374 

62,  67 

0,  8362 

58,  47 

0,  7989 

57,  81 

0,  7974 

56,  29 

0,  7962 

54,  94 

0,  7951 

53,  72 

0,  7941 

48,  73 

0,  7624 

48, 17 

0,  7613 

46,  91 

0,  7603 

45,  78 

0,  7594 

44,  77 

0,  7586 

38,  98 

0,  7326 

38,  54 

0,  7317 

37,  53 

0,  7311 

36,  63 

0,  7305 

35,  81 

0,  7300 

29,  24 

0,  7095 

28,90 

0,  7090 

28,  15 

0,  7086 

27,  47 

0,7083 

26,  86 

0,  7079 

19,  49 

0,  6931 

19,  27 

0,  6929 

18,  76 

0,  6927 

18,  31 

0,  6925 

17,  91 

0,  6924 

9,  75 

0,  6833 

9,  63 

0,  6832 

9,  38 

0,  6832 

9, 16 

0,  6831 

8,  95 

0,  6831 

0,  00 

0,  6800 

0,  00 

0,  6800 

0,00 

0,  6800 

0,  00 

0,  6800 

0,  00 

0,  6800 

1,0000 

88,  73 

1,  0000 

84,  03 

1,  0000 

80,  16 

1,0000 

76,  90 

1,  0000 

74,  11 

0,  9736 

79,  85 

0,  9728 

75,  63 

0,  9721 

72, 14 

0,  9716 

69,  21 

0,  9713 

64,  84 

0,  9483 

70,  98 

0,  9470 

67,  22 

0,  9461 

64, 13 

0,  9454 

61,  52 

0, 9447 

55,  58 

0,9247 

62,  11 

0,  9233 

58,  82 

0,9223 

56,  11 

0,  9215 

53,  83 

0,  9208 

46,32 

0,  9033 

53,  24 

0,  9020 

50,  42 

0,  9011 

48,  10 

0,  9004 

46,  14 

0,  8998 

37,  05 

0,  8846 

44,  36 

0,  8835 

42,  02 

0,  8827 

40.  08 

0,  8822 

38,  45 

0,  8818 

27,  79 

0,  8688 

35,  49 

0,  8681 

33,61 

0,  8675 

32,  06 

0,  8671 

30,  76 

0,  8667 

18,  53 

0,  8563 

26,  62 

0,  8559 

25.  21 

0,  8555 

24,  05 

0,  8553 

23,07 

0,  8551 

9,  26 

0,  8473 

17,  75 

0,  8471 

16,  81 

0,  8470 

16,  03 

0,  8468 

15,  38 

0,  8467 

0,  00 

0,  8418 

8,  87 

0,  8418 

8,  40 

0,  8417 

8,  02 

0,  8417 

7,  69 

0,  8417 

0,  8400 

0,00 

0,  8400 

0,  00 

0,  8400 

0,  00 

0,  8400 

0,  00 

0,  8400 

0,  32 


0,  16 


99.21 
89,  29 
79,  37 
69,  44 
59  52 
49,  60 
39,  68 
29,  76 

19.84 
9,92 
0,  00 

94,  59 
85,  13 
75,  67 

66.21 
56,  75 
47,  29 

37.84 
28,  37 
18,  92 

9,  46 
0,  00 


1,  0000 
0,  9328 
0.  8727 
0,  8205 
0,  7767 
0,  7413 
0,  7142 
0,  6951 
0,  6837 
0.  6800 


1,  0000 
0,  9640 
0,  9319 
0.  9042 
0,  8813 
0,  8633 
0,  8504 
0,  8426 
0,  8400 


60 


A.  Bemporad 


[Memoria  X1Y.J 


Tavola  V. 


Valori  della  funzione  — 0 (r)  = are  tag  j 1 ) (l  + r "_)  valori  diversi  di  ì o 

2 ' l (a+r  + iXa  + r — i) 

6=za+l  — l (0  espresso  in  primi). 


\ 1 
b \ 

0,  9 

1,0 

1,  1 

r 

logi-  0 (»•) 

Diff. 

log^-  0 (r) 

Diff. 

log  L 0 (r) 

Diff. 

0,04 

X 

+ 

X 

X 

+ 

X 

X 

+ 

X 

0,  08 

3,  2395 

4- 

640 

3,2411 

+ 

646 

3,  2424 

651 

0,  12 

3,  3035 

+ 

233 

3, 3057 

+ 

240 

3,  3075 

245 

0,  16 

3,  3268 

101 

3,  3297 

4 

108 

3.3320 

-f 

113 

0,  20 

3,  3369 

-j- 

41 

3,  3405 

+ 

47 

3,  3433 

4- 

54 

0,24 

3,  3410 

-p 

7 

3,  3452 

+ 

15 

3,  3487 

+ 

20 

0,  28 

■ 3, 3417 

— 

13 

3,  3467 

— 

6 

3,  3507 

0 

0,  32 

3, 3404 

— 

28 

3,  3461 

— 

20 

3,  3507 



14 

0,  36 

3,  3376 

— 

37 

3,  3441 

— 

29 

3,  3493 



93 

0,  40 

3,3339 

— 

46 

3,3412 

— 

37 

3,  3470 



30 

0,  44 

3,  3293 

— 

51 

3,  3375 

— 

43 

3,  3440 

36 

0,  48 

3, 3242 

... 

37 

3,  3332 

— 

48 

3 3404 



40 

1,  04 

0,  52 

3,  3185 

— 

62 

3,  3284 

— 

51 

3,  3364 



44 

\ 0, 56 

3,  3123 

-- 

66 

3,  3233 

— 

56 

3,  3320 



48 

0,60 

3;  3057 

_ 

69 

3,  3177 

— 

59 

3,  3272 



50 

0,  64 

3,  2988 

— 

74 

3,3118  ' 

— 

61 

3,  3222 



53 

0,  68 

3,2914 

— 

77 

3,  3057 

— 

65 

3,3169 



56 

0,  72 

3,  2837 

— 

80 

3,  2992 

— 

68 

3,  3113 



58 

0,  76 

3,  2757 

— 

85 

3,  2924 

— 

71 

3,  3055 



61 

0,  80 

3,  2672 

— 

89 

3,  2853 

- 

74 

3,  2994 



63 

0,  84 

3,  2583 

— 

92 

3,  2779 

— 

76 

3|  2931 



65 

0,  88 

3,  2491 

— 

96 

3 2703 

— 

79 

3,  2866 



67 

0,92 

3,  2395 

— 

101 

3,  2624 

— 

83 

3,  2799 



70 

0,96 

3, 2294 

— 

105 

3,  2541 

— 

86 

3,  2729 



73 

1,00 

3,2189 

3,  2455 

3,  2656 

0,  20 

■—  X 

+ 

X 

- X 

+' 

X 

X 

+ 

X 

0,  24 

2,  9532 

-1-1155 

2,  9578 

-1-1161 

2,  9616 

-1-1166 

0,28 

3,  0687 

+ 

565 

3,  0739 

571 

3,  0782 

-1- 

•376 

0,32 

3,  1252 

+ 

335 

3,  1310 

+ 342 

3, 1358 

4-  347 

0,  36 

3,  1587 

+ 

215 

3, 1652 

+ 

222 

3,  1705 

+ 

228 

0,  40 

3,  1802 

4- 

144 

3, 1874 

+ 

151 

3,  1933 

156 

1 °,  44 

3,  1946 

4- 

96 

3, 2025 

-4- 

103 

3,  2089 

+ 

110 

0,  48 

3, 2042 

+ 

63 

3,  2128 

+ 

71 

3,2199 

+ 

76 

0,  52 

3,  2105 

+ 

38 

3,  2199 

+ 

46 

3,  2275 

4- 

53 

0,  56 

3,  2143 

4- 

20 

3, 2245  . 

28 

3,  2328 

34 

1,  20 

0,  60 

3,  2163 

+ 

4 

3,  2273 

+ 

12 

3,  2362 

4- 

20 

0,  64 

3,2167 

— 

9 

3,2285 

+ 

1 

3,2382 

4- 

8 

J 0,  68 

3,  2158 

— 

18 

3,  2286 

— 

9 

3,  2390 

1 

0,  72 

3,  2140 
3,  2113 

— 

27 

3,  2277 

— 

17 

3,  2389 



10 

1 0, 76 

— 

36 

3,  2260 

— 

25 

3,  2379 



17 

0,  80 

3,2077 

— 

42 

3,  2235 

— 

31 

3,  2362 



23 

■ 

0,84 

3,  2035 

— 

49 

3,2204 

— 

37 

3,  2339 



28 

0,  88 

3,  1986 

— 

56 

3,  2167 

— 

43 

3,  2311 



33 

0,  92 

3,  1930 

— 

61 

3,  2124 

— 

47 

3,  2278 



38 

0,  96 

3, 1869 

' 

67 

3,  2077 

— L 

52 

3,2240 



41 

1,00 

3, 1802 

3,  2025 

3,  2199 

Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  durante  le  fasi  di  un'eclisse  61 


Segue  Tavola  V. 


\ 1 
b \ 

0,  0 

1,  o 

1,  1 

r 

log  y 1 (»’) 

> Diff. 

log  A fi  (r) 

Diff. 

log  \ 0 0') 

Diff’. 

0,  36 

— CO 

4"  00 

— 00 

+ QO 

— co 

-f-  OO 

0,  40 

2,  8104 

+1268 

2,  8172 

+1275 

2,  8230 

+1280 

0,  44 

2,  9372 

+ 657 

2,  9447 

+ 663 

2,  9510 

+ 667 

0,  48 

3,  0029 

+ 411 

3,  0110 

+ 418 

3,  0177 

+ 424 

1 0,  52 

3,  0440 

+ 280 

3,  0528 

+ 287 

3,  0601 

+ 292 

0,  56 

3,  0720 

+ 200 

3, 0815 

+ 206 

3,  0893 

+ 212 

| 0,  60 

3,  0920 

-j-  145 

3,  1021 

+ 152 

3,  1105 

+ 157 

0,  64 

3,  1065 

+ 106 

3,  1173 

+ 113 

3,  1262 

+ 119 

1,  36 

0,  68 

3,  1171 

-f-  75 

3,  1286 

+ 83 

3,  1381 

+ 90 

0,  72 

3,  1246 

+ 53 

3,  1369 

+ 91 

3, 1471 

+ 67 

0,  76 

3,  1299 

+ 34 

3,  1430 

+ 43 

3,  1538 

+ 50 

0,  80 

3,  1334 

+ 19 

3, 1473 

+ 29 

3,  1588 

-)-  35 

0,  84 

3, 1353 

+ 6 

3,  1502 

+ 15 

3,  1623 

+ 23 

0,  88 

3,  1359 

— 4 

3,  1517 

+ 6 

3, 1646 

+ 13 

0,92 

3,  1355 

— 15 

3,  1523 

— 4 

3,  1659 

+ 4 

0,96 

3,  1340 

— 23 

3,  1519 

— 12 

3,  1663 

— 3 

1,  00 

3,  1317 

3,  1507 

3, 1660 

0,52 

— CO 

~j — CO 

CO 

+ oo 

OO 

+ so 

0,  56 

2,  7104 

+1320 

2,  7191 

+1325 

2,  7264 

+1329 

0,  60 

2,  8424 

+ 700 

2,  8516 

+ 706 

2,  8593 

+ 712 

0,64 

2,  9124 

+ 450 

2,  9222 

+ 456 

2,9305 

+ 461 

0,  68 

2,  9574 

+ 314 

2,9678 

+ 322 

2,  9766 

+ 327 

0,  72 

2,  9888 

+ 230 

3,  0000 

+ 236 

3,  0093 

+ 242 

1,  52 

0,  76 

3,  0118 

+ 173 

3,0236 

+ 180 

3,  0335 

+ 185 

0,  80 

3,  0291 

+ 130 

3,  0416 

-4-  137 

3,  0520 

+ 143 

0,  84 

3,  0421 

+ 99 

3,  0553 

+ 107 

3, 0663 

+ 113 

0,88 

3,  0520 

+ 74 

3,  0660 

+ 82 

3,  0776 

+ 88 

0,  92 

3,  0594 

+ 54 

3,  0742 

+ 62 

3, 0864 

+ 69 

0,  96 

3,  0648 

+ 36 

3,  0804 

+ 46 

3,  0933 

+ 52 

1,00 

3,  0684 

3,  0850 

3,  0985 

0,  68 

00 

+ so 

OO 

+ 00 

OO 

+ 00 

0,  72 

2,  6322 

+1347 

2,  6423 

+1353 

2,  6509 

+1358 

0,  76 

2,  7669 

+ 726 

2,  7776 

+ 732 

2,  7867 

+ 736 

0,  80 

2,  8395 

+ 474 

2,  8508 

+ 480 

2,  8603 

+ 485 

1,  68 

0,84 

2,  8869 

+ 336 

2,  8988 

+ 342 

2, 9088 

+ 347 

0,88 

2,  9205 

+ 250 

2,  9330 

+ 256 

2,  9435 

+ 262 

0,  92 

2,  9455 

+ 190 

2,  9586 

+ 198 

2, 9697 

+ 203 

0,  96 

2,9645 

+ 147 

2,  9784 

+ 154 

2,  9900 

+ 160 

1,  00 

2,  9792 

2,  9938 

3,  0060 

0,  84 

00 

+ oo 

OO 

+ OO 

OO 

+ <» 

1,  84 

0,  88 

2,  5674 

+1366 

2,  5786 

+ 1372 

2,  5883 

+ 1376 

0,  92 

2,  7040 

+ 743 

2,  7158 

+ 749 

2,  7259 

+ 754 

0,96 

2,  7783 

+ 489 

2,  7907 

+ 495 

2,  8013 

+ 500 

1,00 

2,  8272 

2,  8402 

2,  8513 

Memoria  XV 


Effetti  magnetici  del  fulmine  sulle  lave  dell’Etna 
del  Dott.  GIOVANNI  TR OVATO -C ASTORI N A 


RELAZIONE 


della  Commissione  di  revisione  composta  dai  soci  effettivi 
Proff.  G.  P.  GRIMALDI  e A.  RICCO  ( relatore ) 


Le  indagini  del  D.r  Trovato  sono  molto  interessanti  , in  quanto  che 
fanno  conoscere  buon  numero  di  tracce  magnetiche  a nastro  doppio , la- 
sciate dalle  scariche  fulminee  sulle  lave,  (non  semplici  punti  o poli  magne- 
tici isolati  come  si  è trovato  altrove)  ; le  quali  tracce,  come  quelle  trovate 
dai  Proff.  Giovanni  e Gaetano  Platania  sui  fabbricati,  possono  servire  a deter- 
minare la  direzione  delle  scariche  elettriche  atmosferiche. 

Pertanto  si  ritieue  la  detta  nota  meritevole  di  esser  pubblicata  negli 
Atti  dell’Accademia;  anche  perchè  mette  in  vista  un  fenomeno  che  finora 
pare  speciale  delle  roccie  laviche  dell’  Etna. 


I. 

1.  Nei  dintorni  di  Acireale  e precisamente  in  contrada 
Piano  Pizzone  avevo,  nell’estate  dell’ anno  scorso,  intrapreso  uno 
studio  sui  punti  magnetici  distinti  nelle  rocce  dell’  Etna.  In  se- 
guito al  temporale  che  ebbe  luogo  il  18  Agosto  dello  stesso  an- 
no verso  le  ore  15  V2 , avendo  dopo  la  pioggia  ripreso  le  osser- 
vazioni, da  una  guardia  daziaria  fui  informato  che  un  fulmine 
era  poco  prima  caduto  a piccola  distanza  dui  luogo  ove  io  mi 
trovavo. 

Il  muro  fulminato  trovasi  nella  proprietà  del  Sig.  Oasimiro 
Carpinati  a circa  200  m.  dal  cancello  di  ferro  che  guarda  a S-E, 
posto  al  principio  della  via  per  la  quale  si  può  andare  a S.a 

Atti  acc.  Serie  4a,  Voi..  XIX  — Meni.  XV.  I 


o 


Trovato  Castorina 


[Memoria  XV.] 


MIMIItllllliffi 


Maria  di  Loreto.  Esso  ha  sensibilmente  la  direzione  E-W  , se- 
para 1’  orto  dal  vigneto  ed  è a pochi  passi  dal  punto  ove  co- 
mincia il  rampicante,  che  ne  riveste  la  parte  superiore. 

Il  tratto  di  muro  colpito  dal  fulmine  trovasi  compreso  fra 
due  muri  paralleli  AB  e CD  (tìg.  1)  , alti  poco  più  di  un  me- 
tro e distanti  circa  ni.  25  tra  loro,  go  Su 

i quali  sono  quasi  perpendicolari 
al  muro  colpito  e si  arrestano  a 
circa  1 ni.  da  esso. 

17el  vigneto,  alla  distanza  di 
meno  di  1 m.  dal  muro  E-W,  vi 
sono  due  mandorli  M ed  M'  di 
6 in.  circa  d’altezza.  Il  primo  M 
dista  circa  m.  12  dall’  estremo 
A del  muro  AB.  Due  gruppi  dei 
suoi  rami , m , n , pendono  sul 
muro  fulminato  per  una  larghez- 
za di  m.  1 circa,  presentando  una 

interruzione  di  più  di  tre  metri  in  m ed  n.  A circa  8 m.  da  que- 
sto mandorlo  verso  W,  trovasi  il  secondo  31  del  quale  un  grup- 
po di  rami  pende  sullo  stesso  muro.  Alcune  viti,  poste  nella 
vigna  a poca  distanza  dal  muro,  avevano  i loro  lunghi  tralci  av- 
viticchiati ai  rami  del  primo  mandorlo  pendenti  sul  muro.  Esse 
furono  completamente  disseccate;  altre,  poste  a maggior  distanza, 
subirono  di  meno  1’  influenza  del  fulmine.  Un  uccellino  fu  ful- 
minato, il  rampicante  in  parte  disseccato,  le  foglie  delle  piccole 
querce  crescenti  sul  muro  scolorate. 

2.  Sul  terreno,  dalla  parte  dell’  orto,  osserva  valisi  tre  lunghi 
solchi  ('tìg.  1)  s\  s",  quasi  normali  al  muro  colpito  , della 
profondità  di  3 cm.  circa , sensibilmente  rettilinei.  Il  primo  , 
lungo  in.  8,  distava  circa  m.  I dal  muro  AB  \ a m.  4,  50  cir- 
ca dal  primo  solco  trpvavasi  il  secondo  lungo  in.  10  ; il  terzo 
lungo  m.  7,  distante  circa  ni.  8,  50  dal  precedente  , era  al  di 
là  del  muro  CD  ed  a 10  cm.  da  esso.  Avvicinando  una  bussola 


Affetti  magnetici  del  fulmine  sulle  lave  dell ’ Etna 


ó 


tascabile  (1)  al  muro  ili  corrispondenza  del  1°  solco  s'  sotto  il  pri- 
mo gruppo  di  rami  procedendo  da  sinistra  a destra,  lio  subito 
verificato  resistenza  di  una  zona  distinta  a nastro  , di  polarità 


Fig.  2. 


Nord  nn  , (fig.  2)  per  tutta  una  striscia  quasi  verticale  del  muro 
a sinistra  del  solco  (per  citi  guarda  il  muro  stando  sul  solco),  ed 
una  seconda  zona  distinta,  ma  di  polarità  Sud  s,  per  una  secon- 
da striscia,  sensibilmente  parallela  alla  prima,  a destra  del  solco. 
Queste  due  zone  sono  larghe  1 cm.  e distanti  cm.  25  circa  l’una 
dall’  altra  (2). 

A destra  della  zona  s , lio  osservato  successivamente  altre 
due  zone  distinte  a nastro  ; la  prima  nn  di  polarità  Nord,  l’al- 
tra ss  di  polarità  Sud  leggermente  tortuose,  ina  aneli’  esse  pres- 
s’  a poco  verticali  e distanti  tra  loro  da  15  a 20  cm.  Queste 
due  zone  però,  mentre  cominciano,  come  le  due  precedenti,  dal 
ciglio  del  muro,  non  arrivano  fino  al  suolo  fortemente  magne- 
tiche , ma  cominciano  ad  indebolirsi  ad  80  cm.  dal  medesimo. 
Ivi  trovasi  una  pietra,  la  quale  presenta  una  piccola  superfìcie 
erosa,  dovuta  alla  scarica  elettrica,  ed  in  corrispondenza  ad  essa 


(1)  Queste  ricerche  sono  state  eseguite  con  una  bussola  tascabile,  l’ago  della  quale  ha 
3 cm.  di  lunghezza. 

(2)  I nostri  muri  di  campagna  , aventi  circa  90  cm.  di  spessore,  sono  costruiti  a secco 
con  pezzi  di  lava  basaltica,  ciascuno  dei  quali  presenta  all’esterno  una  faccia  più  o meno 
piana  con  contorno  poligonale.  Le  faccie  dei  muri,  e specialmente  quelle  appartenenti  a 
muri  non  da  recente  costruiti  , come  nel  caso  attuale,  non  sono  pertanto  continue  e quindi 
i nastri  distinti  citati  sono  interrotti  dagli  spazi  tra  un  pezzo  di  lava  e l’altro. 


4 


Trovato  Castorina 


[Memoria  XV.] 


erano  stati  anche  rotti  dal  fulmine  i rami  sovrapposti  del  ram- 
picante. 

In  seguito  i due  nastri  magnetici  si  abbassano  tino  al  suolo, 
però,  ad  eccezione  di  qualche  punto,  non  presentano  la  caratte- 
ristica di  distinti. 

Un  po’  a destra  dell’  estremo  superiore  del  nastro  ss,  se  ne 
osservano  due  altri,  distanti  cin.  10,  paralleli  tra  loro,  però  è a 
sinistra  il  nastro  distinto  di  polarità  /Sud  s',  lungo  circa  15  cm. 
a destra  quello  di  polarità  Nord  n',  un  po’  più  lungo  del  prece- 
dente (1). 

3.  Al  secondo  solco  s ",  sotto  il  secondo  gruppo  di  rami,  non 
corrisponde,  come  per  gli  altri,  una  traccia  magnetica  per  tutta 
la  lunghezza  del  muro  sulla  faccia  rivolta  a settentrione.  In  corri- 
spondenza a questo  solco  si  osservano  due  zone,  a nastro,  distinte, 
di  1 cm.  di  larghezza  e parallele  tra  loro  (fìg.  2),  le  quali  co- 
minciano a 60  cm.  dal  suolo  e,  come  nell’ultimo  caso  considerato 
è a destra  la  zona  distinta  di  polarità  Nord  un,  fortemente  ma- 
gnetica , che  raggiunge  il  suolo  ed  a sinistra  quella  di  polarità 
/Sud  s,  la  quale  comincia  quasi  dall’altezza  della  precedente,  dista 
cm.  20  e scompare  dopo  circa  25  cm.  di  lunghezza.  Segue  quindi 
che , tanto  in  questo , quanto  nell ’ ultimo  dei  casi  precedenti,  la 
scarica  elettrica  sarebbe  avvenuta  tra  elettricità,  positiva  della  nube 
e negativa  del  suolo. 

4.  La  traccia  magnetica  su  questa  faccia  corrispondente  al 
terzo  solco  s ha  forma  un  po’  arcuata,  il  punto  più  alto  della 
quale  si  trova  immediatamente  sotto  i rami  del  secondo  man- 
dorlo M'  pendenti  sul  muro.  I rami  del  rampicante,  che  ne  ri- 
vestono la  parte  superiore , furono  in  parte  rotti  e spezzati. 
La  traccia  magnetica  comincia  a partire  dal  suolo  , ove  si  tro- 
vano molte  pietre  accumulate.  È lunga  circa  m.  2,70  ed  è co- 
stituita da  due  zone  distinte  a nastro  nn,  ss,  (fìg.  2,  a destra)  e 

(1)  Per  mettere  in  evidenza  la  disposizione  delle  zone  magnetiche  nei  muri  fulminati 
di  cui  si  parla,  colla  scorta  della  bussola  ne  ho  segnato  convenientemente  la  traccia  sul 
posto  prima  di  fotografarli. 


-Effetti  magnetici  (tei  fulmine  sulle  lare  delV  Etna 


5 


di  polarità  Nord  a sinistra,  Sud  a destra,  in  generale  di  1 cm. 
di  larghezza  e distanti  da  8 a 15  cui.  tra  loro. 

5.  Nessun  effetto  meccanico  osservatasi  sul  terreno  dalla  parte 
della  vigna,  quantunque  le  tracce  magnetiche  sulla  faccia  del 
muro  ad  essa  rivolta  si  presentino  abbastanza  estese.  Sul  muro, 
sul  quale  pendono  i rami  del  mandorlo  M,  (fig.  3)  appartenenti 


Fig.  s. 


al  primo  gruppo,  vi  sono  delle  pietre  con  punti  distinti.  Essi 
fanno  seguito  ai  nastri  magnetici  suddetti  della  faccia  rivolta  a 
N,  corrispondenti  al  primo  solco  s (n.  2j.  Ad  esso  corrisponde, 
sulla  faccia  che  guarda  a /S,  un’altra  traccia  magnetica,  la  quale 
comincia  (fig.  3)  dall’orlo  del  muro,  alto  m.  1,30  e finisce  al 
suolo.  Non  è verticale,  ma  sensibilmente  inclinata,  in  corri- 
spondenza ai  tralci  di  una  vite,  i quali,  appoggiandosi  soltanto 
sulF  orlo  del  muro,  si  tenevano  da  esso  lontani  persino  a 40  cm. 
di  distanza,  quasi  parallelamente  alla  traccia  magnetica.  Essa  a 
sinistra  (per  chi  guarda  il  muro  da  ffj  è costituita  da  un  nastro 
distinto  di  polarità  Nord  mi,  leggermente  tortuoso  e lungo  in.  1,60. 
Verso  destra,  ed  a 7 cm.  di  distanza,  trovasi  il  rispettivo  nastro 
di  polarità  Sud  ad  esso  parallelo  e lungo  cm.  15  , il  quale 
comincia  verso  il  basso  e raggiunge  il  suolo. 

Più  in  là  13  cm.  da  questo  nastro,  se  ne  trova  un  altro  di- 
stinto di  polarità  Nord,  il  quale  è lungo  cm.  20  e quasi  ad  esso 
parallelo.  Segue  quindi,  sempre  verso  destra  a 10  cm.  di  di- 
stanza dal  precedente,  un  secondo  nastro  distinto  di  polarità 


6 


Trovato  Castorina 


[Memoria  XV. J 


Sud  s's'.  Esso  dista  circa  30  cui.  dal  nastro  distinto  nn  , co- 
mincia aneli’  esso  dall’  orlo  del  muro,  si  mantiene  ad  esso  pa- 
rallelo e raggiunge  il  suolo. 

Presso  1’  estremo  superiore  del  nastro  nn,  si  notano,  a si- 
nistra, due  punti  distinti  a 40  cm.  circa  tra  loro,  ed  è a sinistra 
il  punto  distinto  di  polarità  Nord  ed  a destra  quello  di  polarità 
Sud  in  una  piccola  superfìcie  erosa. 

6.  Su  questa  stessa  faccia,  a pochi  metri  verso  sinistra 
dalla  precedente  traccia  magnetica,  se  ne  osserva  un’  altra  sotto 
il  secondo  gruppo  di  rami  del  mandorlo  M in  corrispondenza 
al  secondo  solco  s".  Due  viti  collocate  a 20  cm.  di  distanza  da 
questa  faccia  ed  a circa  m.  2,50  tra  loro  avevano  i loro  lunghi 
tralci  disposti  a forma  di  arco. 

La  traccia  magnetica  ha  forma  analoga  (fig.  3),  quantunque 
i tralci  delle  due  viti,  come  nel  caso  precedente,  fossero  lon- 
tani del  muro  persino  ad  una  distanza  di  30  cm.  Essi  poggiavano 
soltanto  sull’  orlo  del  muro,  corrispondente  alla  parte  più  alta 
della  traccia  magnetica,  che  dista  m.  1,40  dal  suolo  ed  erano 
avviticchiati  al  2°  gruppo  di  rami  del  mandorlo  M pendenti  sul 
muro. 

La  traccia  magnetica  in  discorso  è costituita  da  due  nastri 
distinti  di  un  cm.  di  larghezza,  lunghi  circa  m.  1,95,  distanti  da 
10  a 15  cm.  e sensibilmente  paralleli  tra  loro  : a sinistra  v’è  il 
nastro  distinto  di  polarità  Nord  nn,  a destra  quello  di  polarità 
Sud  ss. 

A poca  distanza  verso  sinistra  dai  precedenti  nastri,  e pa- 
rallelamente alla  loro  parte  più  bassa,  ve  ne  sono  altri  due,  ana- 
loghi ad  essi  e lunghi  15  cm.  circa,  e come  precedentemente,  si 
ha  : nastro  Nord  a sinistra,  nastro  Sud  a destra. 

Sia  a sinistra  di  quest’  arco  magnetico,  che  sull’  estremo  del 
muro,  sotto  i rami  del  mandorlo,  si  osservano  punti  distinti  di 
polarità  diversa. 

La  traccia  magnetica  che  costituisce  la  parte  destra  dell’arco 
è invece  abbastanza  debole  non  solo,  ma  le  due  polarità  opposte 


Effetti  magnetici  del  fulmine  sulle  lave  dell ’ Etna 


7 


sono  soltanto  sensibili  verso  la  parte  più  bassa  e si  ha  : a sinistra 
la  zona  magnetica  di  polarità  Nord  riri , a destra  quella  di  po- 
larità contraria  ss.  Non  si  osservano  punti  distinti. 

Le  pietre  della  faccia  8 , racchiuse  da  tutto  1’  arco  magne- 
tico, non  esercitano  azione  sensibile  sull’  ago  della  bussola  ; in- 
vece quelle  esterne  e comprese  fra  queste  e la  prima  traccia,  lo 
fanno  deviare  sensibilmente  dalla  sua  posizione  di  riposo.  Su 
questa  parte  si  vedeva  chiaramente  P azione  del  fulmine,  poiché 
per  lungo  tempo  le  foglie  del  rampicante,  di  cui  esso  è ricoperto, 
erano  appassite  per  una  lunghezza  di  circa  8 m.  e facevano  un 
chiaro  contrasto  colle  parti  laterali  perfettamente  verdi. 

7.  Mentre  a ciascun  solco  s ed  s"  corrisponde,  sulla  faccia 
del  muro  rivolta  alla  vigna,  la  traccia  magnetica  già  descritta, 
invece  relativamente  al  solco  s"  , su  questa  stessa  faccia  e sotto 
i rami  del  mandorlo  M' , non  si  osserva  nessun  effetto  magne- 
tico. 

8.  Ho  detto  che  il  terzo  solco  s"‘  era  parallelo  alla  faccia 
che  guarda  ad  W del  muro  C 1)  (tig.  1)  ; il  quale  è alto  circa 
m.  1,20.  La  traccia  magnetica  su  questa  faccia  è lunga  comples- 
sivamente circa  m.  4,  (30.  Il  suo  principio  dalla  parte  sinistra 
(per  chi  guarda  il  muro  da  W)  corrisponde  perfettamente  al  prin- 
cipio del  solco  sul  terreno.  Essa  leggermente  inclinata  da  sini- 
stra a destra  comincia  da  m.  0,  9(3  dal  suolo  (tig.  4),  presentan- 
do a destra  la  zona  di  polarità 
Sud  ss,  ed  a sinistra  quella  di 
polarità  contraria  un,  con  qual- 
che punto  distinto.  Cominciano 
quasi  alla  stessa  altezza  dal  suo- 
lo e scompaiono  entrambe  a 30 
cui.  da  esso.  La  zona  di  pola- 
rità Sud  non  è però  continua  ed 
è più  evidente  soltanto  agli  estre- 
mi. Ad  80  cm.  dalla  parte  più  bassa  verso  destra,  si  osservano 
due  nastri  distinti  n,s  paralleli  tra  loro,  sopra  una  pietra  che 


Fig.  4. 


8 


Trovato  Cast-ovina 


[Memoria  XV.] 


poggia  sul  terreno,  ed  è a sinistra  il  nastro  distinto  di  polarità 
Nord,  a destra  quello  di  polarità  contraria.  Sono  lunghi  20  citi. 
circa. 

Quindi,  dopo  breve  interruzione,  si  osserva  presso  il  suolo 
il  principio  di  altre  due  zone  magnetiche,  le  quali  in  seguito  si 
dirigono  verso  alto,  ed  è a destra  la  zona  di  polarità  Sud  s's,  de- 
bolissima e discontinua  , a sinistra  quella  di  polarità  contraria 
nrì,  molto  più  sensibile  con  un  punto  distinto  N , di  polarità 
Nord,  a 70  cm.  dal  suolo,  sullo  spigolo  rivolto  a NW. 

Il  solco  s"  sul  terreno  (1)  continuava  per  un  metro  circa 
oltre  1’  estremo  di  questo  muro  ed  aveva  line  presso  il  muro  EW 
sotto  i rami  del  mandorlo  il/'  pendenti  sul  muro.  A questo  solco 
faceva  seguito  il  doppio  nastro  distinto  sul  muro  EW,  di  cui 
ho  detto  al  n.  4,  come  si  osserva  dalla  fìg.  4. 

9.  La  faccia  opposta  di  questo  muro  che  guarda  dentro  l’orto 
presenta  aneli’  essa  delle  tracce  magnetiche  e per  lo  più  verti- 
cali. Ad  8 m.  di  distanza  circa  dall’  estremo  sinistro  di  questa 
faccia  ( per  chi  guarda),  havvi  una  pietra,  a cm.  96  dal  suolo, 
sulla  quale  si  osservano  due  sensibili  nastri  distinti  : a sinistra 
v’  è quello  di  polarità  Sud,  lungo  cm.  36,  a destra  quello  di  po- 
larità contraria,  lungo  cm.  15.  Questi  nastri  sono  sensibilmente 
verticali  e paralleli.  Altre  tracce  isolate  più  o meno  estese  so- 
pra pietre  analoghe  si  osservano  proseguendo  ancora  verso  de- 
stra per  circa  in.  2,  4,  5,  8 da  questa  pietra  magnetica.  Il  non 
avere  indizio  alcuno  che  questa  faccia  fosse  stata,  contempora- 
neamente alle  altre  già  descritte  , colpita  in  qualche  punto  da 
scariche  elettriche,  l’ esistenza  di  tali  tracce  magnetiche  più  o 
meno  estese,  frequentissima  a diverse  altezze  nei  nostri  muri  di 
campagna,  e 1’  abbondanza  di  punti  e nastri  distinti  nelle  lave 
in  situ  di  queste  contrade  , corroborano  1’  ipotesi  che  le  tracce 
magnetiche  accennate  siano  dovute  ad  altre  fulminazioni. 

10.  Nell’  orto  , accanto  al  muro  dalla  parte  N,  trovai  poi 

(1)  Le  tracce  magnetiche  sulla  faccia  di  questo  muro  parallelo  al  solco  s"'  si  potreb-  [ 
bero  considerare  come  dovute  a due  scariche  elettriche  diverse. 


Effetti  magnetici  del  f ulmine  sulle  lave  deW’  Etna 


9 


delle  selieggie  che  dimostravano  all’  evidenza  di  essere  state  stac- 
cate dalle  pietre  del  muro  in  corrispondenza  della  scarica  ful- 
minea ed,  esaminatele  colla  bussola  , ho  trovato  che  in  esse  la 
distribuzione  magnetica  è analoga  a quella  di  una  calamita  : 
una  parte  della  loro  superficie  presenta  un  magnetismo  di  po- 
larità Nord,  il  resto  offre  una  polarità  contraria.  Una  scheggia, 
avente  forma  circolare  di  1 cm.  di  diametro,  presenta  nelle  sue 
due  faecie  le  due  polarità  opposte.  Una  parte  di  una  pietra  fran- 
tumata dal  fulmine  ha  la  forma  di  una  piramide  triangolare. 
Per  la  base  ed  una  sua  faccia  stava  attaccata  al  resto  della 
pietra.  La  base  presenta  un  magnetismo  di  polarità  Nord,  il  re- 
sto della  superficie  una  polarità  contraria.  Una  pietra  di  circa 
3 Kg.  , avente  forma  sferoidale,  tolta  dal  mucchio  presso  il  mu- 
ro EW  (n.  4)  , offre  un  solo  punto  distinto  di  polarità  Sud  , il 
resto  della  superficie  presenta  un  magnetismo  di  polarità  Nord. 

II. 

11.  Durante  lo  stesso  temporale  un  fulmine  cadde  presso 
la  stazione  ferroviaria  al  n.  18  della  strada  detta  Crocifisso.  La 

cala  colpita,  a pian  terreno,  posta  den- 
tro un  cortile,  dista  pochi  m.  dalla  stra- 
da suddetta.  La  porta  e la  finestra, 
praticate  in  uno  stesso  muro,  guardano 
a S-W.  A pochi  metri  dalla  finestra 
v’  è un  grosso  fico  dell’  altezza  ordina- 
ria, alcuni  rami  del  quale  pendono  su 
l’estremo  sinistro  della  casa.  Il  fulmine 
investì  il  muro  SE-NW. 

Della  facciata  SW  ne  scrostò  un 
pezzo  (fìg.  5)  presso  la  parte  superiore 
dello  stipite  sinistro  della  finestra  , la- 
sciando una  impronta  avente  la  forma 
di  un  triangolo  isoscele  colla  base  in  alto  di  27  cm.  di  lun- 
ghezza e 36  cm.  di  lato.  Un  gallo  presso  la  finestra  fu  fulini- 


At'II  acc.  Skiuk  4a,  Vor,.  XIX  — Meni.  XV. 


2 


10 


Trovato  Castorina 


[Memoria  XV.J 


nato.  Un  bambino  di  3 anni  che  stava  sulla  soglia  della  porta, 
distante  più  di  1 in.  dalla  finestra  , colpito  leggermente  dal 
fulmine  stramazzò  a terra.  In  seguito  rinvenne. 

Salito  su  di  una  scala  a pinoli,  esplorando  questo  muro  per 
mezzo  della  bussola,  in’  accorsi  che  la  traccia  magnetica,  comin- 
ciava dalla  parte  più  alta  di  questa  facciata.  Seguendo  1’  orlo 
da  sinistra  a destra,  a 85  cin.  dall’  estremo  sinistro  comincia  un 
nastro  distinto  di  polarità  Nord  nn,  di  1 cm.  di  larghezza  ; si 
abbassa  quasi  verticalmente  per  più  di  mezzo  metro,  quindi  di- 
venta tortuoso  piegando  verso  destra  e lambendo  quasi  la  parte 
scrostata  ; in  seguito  continua  in  basso  per  altri  38  era.  sulla 
faccia  SE  dello  stesso  stipite  , nel  resto  del  quale  non  ci  sono 
punti  distinti. 

Seguendo  sempre  1’  orlo  del  muro,  a 9 cm.  di  distanza  dal- 
1’  estremo  superiore  del  precedente  nastro,  se  ne  osserva  un  altro 
brevissimo,  pure  distinto  e di  polarità  Sud. 

Più  in  là  9 cm.  dall’  estremo  superiore  di  esso,  ha  origine 
un  altro  nastro  distinto  ri  di  polarità  Nord,  lungo  circa  cm.  15 
e leggermente  inclinato  verso  sinistra. 

Poscia  a 13  cm.  ne  segue  un  altro  ss  della  stessa  lar- 
ghezza dei  precedenti  e di  polarità  Sud,  il  quale,  quasi  verti- 
calmente, si  abbassa  per  cm.  80  e scompare  presso  1’  estremità 
inferiore  della  parte  scrostata  ; così  che  essa  rimane  compresa 
tra  il  primo  nastro  distinto  nn  e quest’  ultimo  s's.  Siccome  la 
faccia  del  muro  è continua  (1)  anche  continui  sono  i nastri  ma- 
gnetici distinti.  Più  giù  dello  stipite,  fino  al  suolo  , non  si  os- 
servano tracce  magnetiche. 

Presso  la  parte  scrostata  staccai  un  pezzo  di  calcinaccio  ed 
un  pezzo  di  tegola  di  terra  cotta  ad  esso  aderente.  Tanto  l’uno, 


(1)  I muri  di  città  sono  costruiti,  iu  generale,  con  pezzi  di  lava  basaltica  più  o meno 
regolare  ; gli  spazi  tra  i diversi  pezzi  sono  riempiti  con  rottami  di  terra  cotta,  schegge  di 
lava  ecc.  ed  i vari  pezzi  sono  tra  loro  collegati  con  una  malta  che  localmente  chiamasi 
« cottile  » 


Effetti  magnetici  del  fulmine  sulle  lave  dell'  Etna 


11 


quanto  1’  altra  fanno  deviare  sensibilmente  l’ ago  magnetico. 

La  finestra,  di  forma  rettangolare  lunga  m.  1,16  e larga 
cin.  79,  era  chiusa  durante  il  temporale.  Sulla  sua  parte  sini- 
stra, a circa  30  cm.  di  altezza,  si  vede  una  traccia  di  legno  bru- 
ciato b larga  cm.  1,5  e lunga  cm.  30,  avente  origine  presso  lo 
stipite  e leggermente  inclinata  in  basso. 

Nella  parte  superiore  di  destra,  a pochi  cm.  dal  rispettivo 
stipite,  si  osservano  fusi  le  estremità  di  due  chiodi  e tutto  in- 
torno il  legno  bruciato. 

12,  Dentro  la  stanza  offre  tracce  magnetiche  soltanto  quel 
tratto  della  parete  opposta  compreso  tra  la  porta  e la  finestra. 

Esse,  in  generale,  sono  deboli  e tali  da  prevalere  il  ma- 
gnetismo di  polarità  Sud.  A cui.  68  dal  suolo  si  osserva  che  , 
per  un  tratto  lungo  cm.  21  e largo  da  3 a 5 cui.  1’  intonaco 
fu  scrostato  e la  pietra  messa  a nudo  offre  un  debole  magne- 
tismo di  polarità  Sud. 

13.  Da  quanto  precede  è facile  concludere  : 

1.  Sulla  lava  dell’ Etna  il  fulmine  ha  prodotto  tracce  sensi- 
bilissime magnetiche  costituite  in  gran  parte  da  lunghe  zone  distinte , 
a nastro,  di  1.  cm.  di  larghezza. 

2.  La  loro  disposizione  è abbastanza  regolare  e tale  da  non 
lasciare  dubbio  alcuno  sulla  via  percorsa  dal  fulmine  , essendo 
ogni  zona  di  una  data  polarità  parallela  a quella  di  polarità 
opposta. 

A sinistra  ( per  chi  guarda)  si  ha  quasi  sempre  la  zona  di 
polarità  Nord,  a destra  quella  di  polarità  Sud. 

In  due  soli  casi  (n.  1,  2)  le  zone  hanno  polarità  in- 
vertite. 

3.  La  scarica  elettrica  , determinata  dalla  disposizione  di 
queste  zone,  ha  avuto  quindi  luogo,  nel  maggior  numero  dei  casi , 
tra  elettricità  positiva  del  suolo  e negativa  della  nube. 

Ad  analoghe  conclusioni  son  venuto  da  ricerche  eseguite 


12 


Trovato  Castorina 


{Memoria  XV.] 


su  rocce  dell1  Etna,  presso  il  luogo  fulminato.  (1)  Le  zone  distinte 
a nastro  dopano,  dalle  quali  si  pub  rilevare  la  direzione  della  sca- 
rica elettrica , sono  ivi  abbastanza  frequenti.  Di  ciò  ini  occuperò 
per  esteso  in  una  prossima  nota. 

4.  In  quei  casi  in  cui  i tralci  delle  viti  erano  presso  il 
muro,  quantunque  ad  una  certa  distanza  , la  traccia  magnetica 
lia  forma  analoga  alla  loro  disposizione,  la  quale  negli  altri  casi 
è ordinariamente  verticale. 

5.  Il  fatto  poi  che  queste  scariche  elettriche  avvennero  in  cor- 
rispondenza ai  rami  degli  alberi , di  cui  si  è parlato,  conferma  an- 
cora una  volta  quanto  è pericoloso  ricoverarsi , durante  i temporali , 
sotto  gli  alberi  in  campagna. 


(1)  Invece  i Proli'.  Giovanni  e Gaetano  Platania  avendo  eseguite  analoghe  ricerche  sui 
fabbricati  fulminati  trovano  la  direzione  della  scarica  elettrica  costantemente  dal  suolo  alla 
nule— Coni.  Gaetano  e Giovanni  Platania  : Effets  magnetiques  de  la  foudre  sur  les  roches 
volcaniques.  Comptes  Rendus  4 Décembre  1905  — Giovanni  e Gaetano  Platania  : Sul 
magnetismo  prodotto  da  fulminazioni.  Meni.  R.  Acc.  degli  Zelanti  3a  serie— Volume  IV  1905-1906. 

Maggio  1906. 


Catania, 


Memoria  XVI 


Ricerche  sull’  “ attrazione  „ delle  cellule  sessuali 
di  OMBERTO  DRAGO 


RELAZIONE 

DELLA  COMMISSIONE  DI  REVISIONE  COMPOSTA  DAI  SOCI  EFFETTIVI 

Proff.  R.  STADERINI  ed  A.  RUSSO  (relatore). 


L’  Autore,  premesso  che  1’  attrazione  che  eserciterebbero  le  ova  sugli 
spermatozoi  della  stessa  specie  viene  oggi  dai  più  interpretata  come  una 
modalità-  di  Chemiotropismo,  e dopo  una  minuta  rassegna  bibliografica  dalla 
quale  risultano  opinioni  contradittorie , per  tentare  di  risolvere  un  così 
grave  problema  instituisce  varie  esperienze.  Dalle  ricerche  che  l’A.  ha  con- 
dotto con  tecnica  rigorosa  ed  i cui  risultati  sottopone  ad  una  critica  minu- 
ziosa, emergono  nuove  circostanze  di  fatto,  le  quali  escludono  un’  attrazione 
specifica  e.  l’ intervento  di  azioni  chemiotropiche.  Risulta  infatti,  dalle  molte 
ricerche  fatte,  che  spermatozoi  appartenenti  a generi  diversi,  a diverse  classi 
ed  anche  a tipi  animali  diversi  possono  aggrupparsi  attorno  alle  ova,  co- 
stituendo cumuli  analoghi  a quelli  formati  da  elementi  della  stessa  specie 
dell’  ovo,  come  ancora  che  attorno  alle  ova  uccise  con  vari  mezzi  e rese 
artificialmente  incapaci  di  “attrarre,,  gli  spermatozoi,  si  possono  con  sem- 
plici artifizi  fisico-meccanici,  indipendentemente  dal  chemiotropismo,  indurre 
quegli  accumuli,  che  hanno  fatto  pensare  ad  azioni  chemiotropiche. 

L’ importanza  dell’  argomento  che  il  Dott.  U.  Drago  si  è proposto  di 
trattare,  non  ostante  le  grandi  difficoltà  che  talora  oltrepassano  i comuni 
mezzi  d’ indagine,  rendono  il  presente  lavoro  molto  pregevole  e perciò  la 
Commissione  propone  che  sia  inserito  negli  Atti  di  questa  Accademia. 


Secondo  l’ indirizzo  della  moderna  Biologia,  molti  dei  più 
noti  fenomeni  vitali  presentati  dagli  esseri  unicellulari,  vengono 
ascritti,  a stimoli  chimici  e fisici  i quali  avrebbero  una  certa 

Atti  acc.  Serie  4a,  Voi..  XIX  — Mem.  XVI. 


1 


2 


Umberto  Drago 


[Memoria  XVI.] 


analogia  colle  affinità  chimiche  e le  proprietà  tisiche  che  si  avvera- 
no nella  materia  non  organizzata.  Per  tali  manifestazioni  del  pro- 
toplasma vivente  si  sono  create  denominazioni  speciali  traducenti 
le  modalità  dei  fenomeni  che  ne  derivano,  e la  « chemiotassi,  » il 
« barotropismo  » colle  sue  modalità,  il  « termotropismo  » ecc. 
sono  assurti  alla  dignità  di  fenomeni  biologici  reattivi  essenzial- 
mente legati  all’  azione  di  stimoli  tìsici  e chimici,  mentre  d’altro 
canto  non  mancano  coloro  i quali  assegnano  a tali  fenomeni  cause 
tisico-meccaniche,  come  la  diffusione,  l’osmosi,  l’imbibizione,  dalle 
quali  gli  organismi  elementari  sarebbero  sollecitati  passivamente. 

Da  quali  di  queste  due  scaturigini  derivino  poi  realmente 
le  attività  e le  influenze  che  presiedono  a questi  fenomeni  è 
tuttavia  oggetto  di  esperimento  e di  discussione  essendo  appunto 
il  campo  dei  biologi  diviso  e contrastato. 

Non  si  può  negare  a quest’  arduo  problema  quella  singola- 
re attrattiva  che  deriva  . dal  desiderio  di  ricondurre  a leggi  e 
fenomeni  conosciuti,  tuttocciò  che  si  sottrae  a una  facile  spiega- 
zione il  che  spiega  1’  indirizzo  unilaterale  della  moderna  biologia, 
e la  concorrenza  verso  di  esso  da  parte  di  molti  dei  suoi  cultori. 
D’  altro  canto  però  la  brama  del  nuovo  e quella  di  raggiungere 
la  meta  fa  lasciare  per  via  molte  questioni  insolute  , o fa  ap- 
prestare interpretazioni  discutibili  sotto  parecchi  aspetti. 

Una  delle  questioni  che  si  è creduto  di  aver  risoluto,  per 
lo  meno  mediante  illazioni,  è quella  relativa  al  chemotropismo 
sessuale  — altre  volte  noto  sotto  la  denominazione  di  attrazione 
sessuale — a quel  fenomeno  cioè  per  il  quale  l’elemento  sessuale 
maschile  sarebbe  attratto  dall’elemento  femminile  in  via  generica, 
e in  via  specifica  l’ elemento  maschile  di  una  data  specie  non 
sarebbe  attratto  che  dall’elemento  femminile  della  stessa  specie. 
Le  moderne  teorie  e le  moderne  ricerche  tendono  in  altri  termini 
ad  ammettere  che  quell’ ignota  e misteriosa  « forza  di  attrazione 
sessuale  » che  secondo  la  vecchia  dottrina,  quasi  come  un  ap- 
petito sessuale  elementare,  richiama  attorno  all’ ovo  gli  sperma- 
tozoi,  e soltanto  quelli  che  sono  atti  a fecondarlo,  cioè  della 


Ricerche  sulV  u attrazione  ,,  delle  cellule  sessuali 


3 


STESSA  specie,  non  sia  dovuto  che  a stimoli  chimici,  determi- 
nati dall’  azione  di  speciali  sostanze  contenute  nell’  ovo,  ovvero 
il  prodotto  di  fenomeni  tisici  , indotti  da  speciali  condizioni 
tìsiche  quali  p.  e.  1’ isotonicità,  e rispettivamente  l’ anisotonicità 
degli  elementi  sessuali  fra  di  loro  e col  mezzo  in  cui  si  muo- 
vono, le  correnti  osmotiche  l’attrazione  molecolare  ecc. 

L’accennata  dottrina  chimica  ha  avuto  il  principale  punto  di 
partenza  dalle  ricerche  dello  Pfeffer  sugli  spermatozoi  di  felce.  (1) 
Com’  è noto  quest’  autore  riempiva  dei  tubetti  capillari,  saldati 
ad  un’estremità,  con  soluzione  al  5°/0  di  acido  malico,  e li  im- 
mergeva quindi  in  goccie  contenenti  spermatozoi  di  felce.  Dopo 
un  certo  tempo  notava  che  gli  spermatozoi  erano  penetrati  nel 
tubo,  e da  questa  osservazione  deduceva  che  1’  acido  malico  agi- 
sce come  chemotropico  per  gli  spermatozoi  della  felce.  In  se- 
guito quest’autore  volle  trasportare  le  sue  conclusioni  dal  campo 
artificiale  a quello  naturale,  e con  ricerche  microchimiche  di- 
mostrò la  presenza  di  acido  malico  nelle  parti  delle  piante  che 
contengono  i prodotti  sessuali,  però  non  potè  dimostrare  ugual- 
mente la  presenza  di  quest’  acido  nell’  archegonio  delle  felci. 
Ciò  non  pertanto  l’  azione  chemotropica  dell’  acido  malico  sui 
prodotti  sessuali  maschili  delle  felci  è entrata  nella  convinzione 
dei  biologi  i quali  ritengono  che  lo  stimolo  direttivo  degli  sper- 
matozoi sia  appunto  determinato  dall’acido  malico,  che,  secondo 
loro,  sebbene  non  ne  sia  stata  particolarmente  provata  la  pre- 
senza, esisterebbe  nell’ovulo  delle  felci. 

Accanto  a queste  ricerche  del  Pfeffer  si  possono  mettere  le 
ricerche  del  Lidforrs  sui  tubi  pollinici  (2).  Quest’  autore  speri- 
mentando sui  tubi  pollinici  di  A arcissus  Tazzetta  avrebbe  trovato 
che,  mentre  molte  sostanze  zuccherine,  acide  e saline  (destrosio, 

(1)  W.  Pfeffer  — Locomotorisclie  Ricbtungsbewegungen  durcb  Cliemiesche  Reize.  Un- 
tersucb.  ans  dern  hot.  Iust.  zu  Tuliingen — Bd.  I (1881-1885). 

Id.  Ueber  cbemotactiscbe  Beweguugen  von  Bact.  Flagellateli  un  Volvoeineen  — Ibid. 
Bd.  II  (1886-88). 

(2)  Lidforrs  (Bengt)  Ueber  deli  Chemotropismus  des  Pollenscblaiicbe  (Ber  deutscb.  Bot. 
Ges.  XXX). 


4 


Umberto  Drago 


[Memoria  XVI.] 


levulosio  , maltosio , arabinosio  , acido  citrico  malico , formico  , 
solfato  di  soda  ecc.)  sono  senza  azione  sui  detti  tubi  pollinici, 
la  diastasi  ne  lia  una  sorprendente,  poiché  introducendone  alcuni 
granuli  nella  soluzione  di  coltura,  dopo  l/2  ora  i tubi  pollinici 
manifestano  una  netta  curvatura  nella  direzione  dei  grani. 

Le  conclusioni  dei  seguaci  del  Pfeffer  campate,  come  s’  è 
visto,  sopra  un  semplice  hoc  post  hoc , sono  state  in  seguito  ge- 
neralizzate ed  estese  sino  al  punto  da  suscitare  nei  biologi  il 
convincimento  che  in  ogni  cellula  femminile  esistano  sostanze 
speciali  capaci  di  attrarre  soltanto  quella  determinata  specie  di 
spermatozoi.  « Il  fenomeno  straordinario  che  fra  le  innumerevoli 
masse  di  spermatozoi  di  animali  differenti  che  popolano  il  mare, 
ogni  specie,  trovi  il  suo  ovulo  corrispondente,  è quasi  sempre  un 
effetto  di  chemotropismo , e si  spiega  molto  facilmente  perchè 
ogni  specie  di  spermatozoo  è chemotropico  per  certe  sostanze 
specifiche  le  quali  sono  caratteristiche  dell’  ovulo  della  specie 
corrispondente.  » Così  si  esprime  il  Verworn  nella  Fisiologia  ge- 
nerale, illustrando  le  esperienze  del  Pfeffer  : così  è ammesso 
comunemente  dai  biologi. 

Che  cosa  intenda  1’  A.  con  quel  « trovare  » 1’  ovulo  cor- 
rispondente, non  si  comprende  bene,  poiché  se  si  considera  che 
1’  atto  della  fecondazione  ovulare  si  può  scindere  in  due  momenti, 
cioè  1°  nell’  avvicinamento  dello  spermatozoo  all’  ovo  2°  ; nella 
penetrazione  e quindi  nella  fusione  dei  pronuclei,  non  si  sa  a 
quale  dei  due  momenti  il  Verworn  alluda;  poiché  non  sarebbe 
inverosimile  ammettere  a priori  che  gli  elementi  femminili,  pur 
attirando  indifferentemente  tutte  o parecchie  specie  di  sperma- 
tozoi , sarebbero  poi  capaci  di  lasciarsi  penetrare  e fecondare 
soltanto  dalla  specie  corrispondente. 

Non  a torto  adunque  il  Morgan  (1)  parlando  di  questo  feno- 
meno si  esprime  con  queste  parole: 

« It  has  been  assumed  by  embryologists  that  there  exists  some 

(1)  F.  H.  Morgan — s elf-Fertilization  induced  by  artificial  means  in  thè  Journal  of  espe- 
rirà. zool. 


„ Ricerche  sulV  “ attrazione  „ delle  cellule  sessuali 


5 


sort  of  attraction  between  thè  eggs  and  thè  spermatozoa  of  thè 
sanie  species.  This  idea  would  readly  snggest  itself  to  anyone 
who  saw  spermotozoa  collecting  in  crowds  around  thè  eggs,  but 
it  by  no  means  follows  that  this  phenomenon  is  really  due  to 
an  attracting  substance  emanati ng  from  thè  egg. 

The  result  may  be  due  to  thè  membrane  of  thè  egg  , to 
wicli  those  spermatozoa  stick  that  come  accidentally  into  contact 
witli  it.  In  faci  I have  observed  similar  collections  of  sperma- 
tozoa in  thè  ascidian  around  pieces  of  thè  body  tessile  , wliere 
thè  result  had  wery  appearance  of  being  due  to  some  sticky 
substance,  exuding  from  tlie  piece,  rather  than  to  an  attraction 
exerted  by  thè  piece  on  thè  spermatozoa. 

« Pfeffer  ’s  oft-quoted  experiment  with  thè  antlierozooides 
of  ferns,  lineworts  etc.  appears  to  support  thè  idea  that  tlie  an- 
terozooids  are  attracted  to  thè  malie  acid  that  is  present  in  tlie 
neck  of  te  archegonia,  but  in  thè  light  of  thè  recent  experiments 
of  Jenning  and  others,  as  to  tlie  way  in  wicli  unicellular  forma 
accumulate  in  a drop  of  acid,  we  can  readely  see  that  usually 
given  to  them.  » 

Senza  entrare  sui  particolari  di  queste  afferai  azioni  è certo 
che  la  dottrina  del  cliemotropismo  sessuale  che  ha  già  varcato  i 
confini  delle  monografie,  e ha  invaso  i trattati,  comincia  a per- 
dere terreno  non  soltanto  per  quanto  riguarda  l1  attrazione  che 
io  ho  chiamato  « specifica  » ma  ancora  il  fenomeno  d’ indole 
generale;  ed  anzi,  come  si  può  desumere  dalle  precedenti  afferma- 
zioni e interpretazioni  del  Morgan,  quasi  per  reazione  si  tende 
all’  estremo  opposto,  a negare  cioè  che,  in  generale  1’  affollarsi 
degli  spermatozoi  attorno  alle  ova  sia  dovuto  a speciali  sostanze 
cheinotropiche  dell1  ovo  esercitanti  uno  stimolo  direttivo  sugli 
elementi  sessuali  maschili. 

Il  Carazzi  nelle  sue  Ricerche  embriologiche  e istologiche 
sull’  ovo  di  Myzostoma  (j labrum  L.  discutendo  l1  « attrazione  chi- 
mica » degli  spermatozoi  per  opera  delle  ova  prevede  il  non  lon- 
tano tramonto  di  tale  dottrina,  e combatte  la  sua  applicazione 


6 


Umberto  Drago 


[Memoria  XVI.] 


nella  spiegazione  del  processo  fecondativo  dei  mammiferi  addu- 
cendo  1’  enorme  distanza  alla  quale  gli  spermatozoi  dal  collo  u- 
terino  dovrebbero  risentire  1’  azione  ehemotropica  delle  ova  che 
si  trovano  all’  estremo  superiore  delle  trombe.  Non  v’  ha  dubbio 
che  da  questo  punto  di  vista  l’obbiezione  sarebbe  esatta,  se  fosse 
vera  la  premessa.  Ma  i biologi  moderni  a spiegare  il  fenomeno 
attrattivo  nei  mammiferi  non  invocano  più  il  cliemotropismo  : in 
questo  caso,  secondo  loro  (per  es.  il  V erworn  fondandosi  sulle 
esperienze  di  Stilai  e di  Itotli)  (1)  lo  stimolo  sarebbe  rappresen- 
tato dal  reotropismo  cioè  dall’  azione  della  corrente  liquida  che 
normalmente  va  dai  genitali  interni  agli  esterni,  la  quale  stimo- 
lerebbe gli  spermatozoi  a muoversi  in  senso  ad  essa  contrario  ; 
senza  contare  che  il  Low  (2)  in  seguito  alle  sue  esperienze  pra- 
ticate con  spermatozoi  e pezzetti  di  mucosa  uterina  e intestinale, 
attribuisce  il  cliemotropismo  alla  reazione  alcalina  della  mucosa 
dell’utero,  la  quale  avrebbe  un’  azione  direttiva  sugli  spermatozoi. 

D’altro  canto  il  Buller  (3)  studiando  il  processo  di  fecon- 
dazione negli  Echinodermi  ( Arbacia  pustolosa.  E.  microtubercu- 
latus.  Spliaerechinus  granularis ) per  indagare  se  le  ova  di  que- 
sta specie  secernano  sostanze  capaci  di  attrarre  chimicamente 
gli  spermatozoi,  è riuscito  a risultati  perfettamente  negativi.  Per 
il  che  egli  si  crede  autorizzato  a concludere  che  non  esiste  at- 
trazione; « il  contatto  è assicurato  semplicemente  dal  gran  nu- 
mero di  spermatozoi  e dalle  dimensioni  delle  ova.  » Non  solo,  ma 
le  esperienze  lo  inducono  a credere  che,  d’  una  maniera  generale, 
gli  spermatozoi  sono  incapaci  di  rispondere  alle  eccitazioni  chi- 
miche con  un  cambiamento  di  direzione. 

In  contrapposto  a queste  deduzioni  il  dttxgerx  (4)  ricercan- 


(t)  Anche  il  Battelli  si  è occupato  di  questo  argomento  con  ricerche  le  quali  lo  hauno 
condotto  a identiche  conclusioni  (V.  Archlves  de  Sciences  phisiques  et  naturelles  an.  15°  — 
4°  period,  voi.  XII. 

2)  Low  — Die  Chemotaxie  der  Spermatozoen  in  weiblichen  Genti  alstràkt. 

(3)  Buller  — (A.  H.  R.)  The  Fertilization  Proces  in  JEcMnoidea  (Meét.  Brit.  Assoc.). 

(4)  E.  von  Dungern  Nouvelles  experiences  sur  la  physiologie  de  la  fecondation — Zeitschrift 
fin  Allg.  Phys.  1.  1. 


Ricerche  sull ’ u attrazione  ,,  delle  cellule  sessuali 


7 


do  le  cause  che  favoriscono  1’  unione  degli  elementi  sessuali  di 
un  medesimo  genere,  e impediscono  generalmente  quella  fra  ge- 
neri differenti,  ha  potuto  isolare  dalle  ova  di  Astropecten  auran- 
tiacus  e Asteria*  glacialis  delle  sostanze  che  uccidono  gli  sper- 
matozoi  dei  Ricci.  Queste  sostanze  sarebbero  resistentissime  e 
sopportebbero,  senza  alterarsi  una  temperatura  di  G0°.  Nelle  ova 
dei  Ricci  mancano  però  sostanze  tossiche  per  gli  spermatozoi  di 
Asterias,  e allora  l’ A.  suppone  che  la  penetrazione  degli  sper- 
matozoi di  Ast.  nelle  ova  di  Riccio  sia  impedita  o da  sostanze 
agglutinanti  sui  detti  spermatozoi  , o da  sostanze  capaci  di  sti- 
molarne i movimenti  , provocando  in  essi  quel  movimento  ana- 
logo al  « riflesso  » riscontrato  dal  Jenning  negli  Infusori , e 
consistente  in  movimenti  circolari  continui  , mentre  all’  opposto 
per  favorire  la  penetrazione  degli  spermatozoi  dello  stesso  genere, 
entrerebbero  in  giuoco  influenze  capaci  di  indebolirne  i movi- 
menti e di  contribuire  quindi  a far  loro  prendere  una  direzione 
perpendicolare  favorevole  alla  penetrazione.  Queste  influenze  sa- 
rebbero principalmente  costituite  da  un  protoplasma  omogeneo. 

Un  altro  agente , fisico  , P elettricità  , è stato  invocato  da 
O.  Hertwig  per  spiegare  P attrazione  sessuale.  IP  A.  ricusan- 
dosi ad  ammettere  come  causa  essenziale  di  questo  fenomeno  la 
chemiotassi  nel  senso  di  Pfeffer,  e quindi  P influenza  di  una 
sostanza  chimica  eliminata,  poiché  gli  spermatozoi  si  uniscono 
soltanto  coll’  ovo  della  stessa  specie,  tende  piuttosto  ad  ammet- 
tere l’ipotesi  anticamente  sostenuta  dal  Nageli,  secondo  il  quale 
P attrazione  sessuale  sarebbe  dovuta  a fenomeni  elettrici. 

Sul  proposito  il  Boeodest,  citato  dal  Kulagii  (1)  osserva 
che,  poiché  non  vi  sono  che  due  specie  di  elettricità,  non  si  com- 
prende come  un  uovo  avrebbe  azione  soltanto  sullo  spermatozoo 
della  stessa  specie.  («  Da  es  zwei  Arten  Electricitàt  giebt,  eine 
positive,  und  eine  negative,  so  ist  nielli  zu  begreifen  , wie  es 


(1)  Nic.  Kulagin — Ueber  die  Frage  der  geschleclitlicheii  Vermehrung  bei  den  Tieren — Zoolog. 
Auz.  XXI,  pag.  653. 


s 


Umberto  Drago 


[Memoria  XVI.] 


si  eli  wohl  durch  electrisch  Erscheinungen  erklaren  liesse,  wa- 
rum  das  Ei  nur  auf  die  Spermatozoiden  derselben  Art  anziehend 
wirkt.  ») 

Einalmente  il  Delage  (1)  che  è riuscito  a frammentare  le 
ova  di  Stron gilocentrotus  lividus  in  due  parti,  di  cui  una  conte- 
nente il  nucleo,  e 1’  altra  priva  , avendo  notato  che  attorno  ad 
entrambe  si  affollavano  egualmente  gli  spermatozoi,  nega  al  nu- 
cleo ogni  influenza  sull’attrazione  sessuale,  mentre  I’Iwanzow  (2) 
gliene  attribuisce  tanta  da  farne  dipendere  un  maggior  potere 
chemotropico  sugli  spermatozoi  nelle  ova  non  mature.  Infatti 
quest’autore  avendo  sperimentato  con  ova  immature  di  H olotu- 
ria fabulosa,  non  solo  ha  notato  che  gli  spermatozoi  vi  si  diri- 
gono numerosi,  ma  che  altresì  vi  penetrano  raggiungendo  il  nu- 
cleo ove  si  dissolvono  in  un  ammasso  di  granuli,  e quest’ azione 
chemotropica  sarebbe  maggiore  da  parte  delle  ora  immature  anzi- 
ché di  quelle  mature. 

Ma  accanto  a queste  vedute  e a queste  ricerche  nel  campo 
della  chimica  biologica  , non  mancano  le  ipotesi  fisico-mecca- 
niche confortate  da  esperimenti  per  analogia,  e fra  queste  è da 
annoverare  quelle  esposte  nel  lavoro  di  Herrera  (3)  tendente  a 
mostrare  il  processo  fecondativo  come  un  fenomeno  di  attrazio- 
ne molecolare.  L’A.  si  è servito  per  questo  intento  di  un  sot- 
tile strato  d’  olio  (versato  in  un  piatto,)  nel  mezzo  del  quale 
ha  lasciato  cadere  una  goccia  di  tuorlo  d'  ovo  che  vi  è rimasta 
sospesa.  Avvicinando  alla  goccia  un  corpo  acuminato  , questa 
estuberava  nella  direzione  del  corpo,  simulando  perfettamente 
un  cono  d’  attrazione,  e talora  presentando  contemporaneamente 
delle  deformazioni  che  potevano  paragonarsi  a pseudopodi.  Se 
invece  del  corpo  acuminato  fisso,  si  poneva  vicino  alla  goccia  di 


(1)  Djslage  V.  — Embrione  sane  noyaw  maternel — C.  R,  Ac.  Se.  CXXVII — p.  528-531 

(2)  N.  Ivanzow  - Ueber  die  pliysiologische  Bedeutung  der  Process  der  Eireifung  — Bull. 
Soc.  Moscou  1898,  pag.  355. 

(3)  Herrera  Alfonzo — La  fecondation  par  attraction  molecularè — Boll,  de  la  Soc.  Zool. 
de  Franco.  XII— 225. 


Ricerche  sulV  “ attrazione  „ delle  cellule  sessuali 


9 


tuorlo  un  piccolo  « spermatozoo  artificiale  » di  legno,  questo 
veniva  immediatamente  attratto  e penetrava  nella  goccia. 

L’  A.  paragona  quindi  questi  corpi  all’  ovo  e allo  sperma- 
tozoo, e i fenomeni  fisici  che  essi,  presentano,  ai  rispettivi  feno- 
meni biologici  che  precedono  il  processo  fecondativo,  e si  crede 
pertanto  autorizzato  a dedurne  un’  analogia  la  quale,  come  è evi- 
dente, non  è esente  di  critica. 

Come  s’  è visto  da  questa  rapida  esposizione  bibliografica, 
le  vedute,  le  ricerche  e le  conclusioni  dei  vari  autori  sul  feno- 
meno dell’  « attrazione  sessuale  » sono  così  disparate  e contra- 
dittorie,  che  il  problema  si  può  dire  ben  lontano  dalla  soluzione 
definitiva.  Fatta  astrazione  dai  particolari  del  fenomeno  , dalla 
*ua  natura,  dal  suo  meccanismo,  si  può  dire  che  gli  autori  non 
sono  d’  accordo  nemmeno  sul  principio  generale  , cioè  se  real- 
mente si  verifichi  una  vera  attrazione  da  parte  delle  ova  e degli 
spermatozoo 

Così  che  allo  stato  attuale  si  può  stabilire  che  volendo  in- 
trattenersi a studiare  le  modalità  del  fenomeno,  bisogna  comin- 
ciare colla  pregiudiziale. 

In  ordine  alle  ricerche  dei  vari  autori  e alle  deduzioni  tratte 
dai  biologi  come  ancora  ai  risultati  contradittori  sull’argomento 
dell’  « attrazione  sessuale  » ho  voluto  intraprendere  un  corso  di 
ricerche  le  quali  ho  continuato  per  circa  tre  anni  con  brevi  in- 
terruzioni. 

Come  si  vedrà  nell’  esposizione  di  esse  non  ho  mancato  di 
sottoporre  i procedimenti  tecnici,  i risultati  e le  deduzioni  ad  una 
critica  rigorosa,  circondandomi  di  quella  circospezione  che  un 
compito  così  difficile  e delicato  richiede. 

Ho  intrapreso  le  esperienze  con  obbiettivi  diversi,  e in  or- 
dine a questi  le  distinguo  in  serie  in  questa  rapida  esposizione. 

Serie  prima. 

In  questa  serie  ho  avuto  di  mira  di  trasportare  nel  campo 
della  biologia  animale  quanto  era  stato  praticato  dallo  Pfeffer 

Atti  acc.  Serie  4a,  Voi..  XIX  — 


Meni.  XVI. 


2 


10 


Umberto  Drago 


[Memoria  .XVI.] 


r»el  campo  della  biologia  vegetale  : ho  voluto  cioè  sperimentare 
se  le  ova  introdotte  insieme  ad  un  mestruo  in  tubetti  capillari 
chiusi  ad  un’  estremità,  esercitassero  un  qualche  stimolo  che 
motropico  sugli  spermatozoi  della  stessa  specie  animale,  conte- 
nuti in  una  goccia  di  liquido  nella  quale  pescava  P apertura 
del  tubo  capillare. 

Salvo  qualche  modificazione,  che  noterò,  intesa  a semplifi- 
care la  tecnica,  ho  modellato  il  mio  metodo  di  ricerca  su  quello 
praticato  dal  citato  autore  nelle  sue  ricerche  sugli  spermatozoi 
delle  felci. 

Come  materiale  di  esperimento  ho  scelto  ova  e sperma  dello 
jStrongilocentrotus  lividus  che  ho  diluito  in  acqua  di  mare,  assi- 
curandomi, prima  di  estrarre  gli  organi  sessuali,  che  gli  animali 
fossero  vivi,  e controllando,  dopo  l1  aggiunta  del  mestruo  l’ino- 
cuità  di  esso,  rivelata  dalla  vivace  mobilità  degli  spermatozoi. 
Questa  precauzione  mi  si  è dimostrata  indispensabile  perchè 
non  di  rado  notavo,  che  P aggiunta  di  acqua  di  mare  uccideva 
gli  spermatozoi  o per  lo  meno  ne  paralizzava  il  movimento,  già 
molto  vivace  prima  della  miscela. 

Con  tali  precauzioni  ero  sicuro  di  operare  con  elementi  ses- 
suali perfettamente  vitali. 

I tubi  adoperati  avevano  un  diametro  oscillante  da  l/\ 
a 72-2/3  di  lum-  e una  lunghezza  da  12-18  inni. 

Patta  la  diluizione  delle  ova  che  avevo  cura  di  trarre  da 
ovaie  mature,  in  individui  che  già  ne  emettevano  all’  esterno  in 
acqua  di  mare,  come  ho  precedentemente  esposto,  le  introducevo 
nel  tubo  capillare  con  un  procedimento  diverso  da  quello  dello 
Pfetfer. 

Questi  operava  nel  modo  seguente  : Prescelti  i tubi,  dopo 
averli  chiusi  alla  lampada  ad  una  delle  estremità,  li  immergeva 
nel  liquido  di  cui  voleva  riempirli,  e sottoponeva  il  tutto  al 
vuoto  nella  macchina  pneumatica.  Avvenuta  la  rarefazione  del- 
1’  aria  il  liquido  si  introduceva  nei  tubi,  e alla  fine  rimaneva 
nell’ estremità,  chiusa  uno  spazio  di  2-4  min.  ripien  d’aria. 


Ricerche  sull’  “ attrazione  ,,  delle  cellule  sessuali 


11 


Questo  processo  abbastanza  lungo  e relativamente  compli- 
cato, veniva  da  me  sostituito  come  appresso  : Prescelti  i tubi 
aperti  da  tutte  e due  le  estremità,  li  immergevo  nel  liquido  il 
quale  prontamente  vi  ascendeva.  Prima  che  si  riempissero  com- 
pletamente e quando  ancora  rimaneva  uno  spazio  di  4-6  mm. 
all’  altra  estremità,  li  ritiravo.  Sostenendoli  con  una  pinzetta, 
senza  esercitarvi  alcuna  pressione,  avvicinavo  1’  estremità  vuota 
di  liquido  a una  piccolissima  fiammella  e rapidamente  immer- 
gevo F altra  estremità  nel  liquido  contenuto  in  un  vetro  da 
orologio  che  avevo  tenuto  vicinissimo  al  tubo.  L’  estremo  di 
questo  esposto  alla  fiammella  si  saldava  subito,  e l’istantanea 
immersione  dell’altro  estremo  nel  liquido,  aveva  per  effetto  di 
ricostituire  entro  il  tubo  la  colonna  liquida  spostata  per  opera 
della  dilatazione  indotta  dal  calore.  Se  l’operazione  non  m’era 
riuscita  , se  cioè  per  effetto  della  dilatazione  dell’  aria  e del  li- 
quido e della  loro  successiva  contrazione  pel  raffreddamento , 
veniva  a penetrare  dell’  aria  all’  estremo  libero  del  tubo,  bastava 
avvicinare  l’estremo  chiuso  del  tubo,  mantenuto  dentro  al  liquido, 
a una  certa  distanza  dalla  fiamma  perchè  avvenisse  una  nuova 
dilatazione  dell’aria  e del  liquido,  capace  di  scacciare  la  bollicina 
d’aria  terminale,  richiamandovi  in  sua  vece  del  liquido. 

Una  precauzione  indispensabile  doveva  ancora  adottare  nel 
rompere  i tubi  per  ottenerli  delle  volute  dimensioni  , poiché  se 
la  superfìcie  di  frattura  non  era  pressoché  orizzontale,  e relati- 
vamente liscia  e continua,  ma  frastagliata  o a becco  di  flauto  , 
si  tratteneva  all’  estremo  libero  del  tubo  una  bollicina  d’  aria  la 
quale  naturalmente,  come  nel  caso  precedente,  impediva  il  con- 
tatto diretto  fra  il  liquido  interno  e l’ esterno. 

Si  comprenderà  di  leggieri  come  non  sia  agevole  ottenere 
che  tubi  si  trovino  in  queste  condizioni,  e come  occorra  spesso 
rifare  più  d’  una  volta  la  preparazione  dello  stesso  tubetto.  È 
perciò  che  in  questo  genere  di  ricerche  il  tempo  e la  pazienza 
dello  sperimentatore  sono  messi  a dura  prova. 

Colla  modificazione  di  tecnica  precedentemente  accennata  , 


12 


Umberto  Drago 


[Memoria  XVI.] 


non  solo  semplificavo  e rendevo  più  spedito  il  metodo,  ma  ottenevo 
che,  dopo  la  chiusura  del  tubo  , lo  spazio  di  aria  residuale  era 
molto  minore  di  quello  che  residuava  nei  tubi  adoperati  dallo 
Pfeffer  nei  quali  tale  spazio,  su  tubi  di  4-7  inni,  di  lunghezza, 
variava  dai  2-4  cioè  circa  la  metà  della  lunghezza  del  tubo. 
Questo  risultato  ha  una  grande  importanza  per  1’  esattezza  delle 
ricerche,  poiché  avuto  riguardo  alla  sottigliezza  delle  pareti  del 
capillare,  lo  spazio  d’aria  viene  tanto  più  facilmente  influenzato 
dalla  temperatura  esterna  e quindi  tanto  più  facilmente  determi- 
na la  fuoruscita  o il  rientrameli to  meccanico  del  liquido,  quanto 
maggiore  è la  quantità  d’  aria  a tergo  e rispettivamente  la  dila- 
tazione di  essa.  Col  metodo  da  me  adoperato  io  riuscivo  per  lo 
più  a ridurre  quello  spazio  a meno  di  un  millimetro. 

Compiuta  quest’  operazione  adagiavo  il  capillare  sul  porta- 
oggetti,  in  modo  che  l’ imboccatura  pescasse  nella  goccia  di  li- 
quido, mantenendovelo  orizzontale,  obliquo,  o verticale,  con  oppor- 
tune disposizioni  , a seconda  le  esigenze  dell’  esperimento.  Per 
impedire  1’  evaporazione  del  liquido  esterno,  collocavo  per  lo  più 
il  preparato  in  camera  umida,  invece  di  ricoprirlo  col  portaog- 
getti, come  praticava  lo  Pfeffer,  il  che  del  resto  non  avrei  potuto 
ugualmente  fare,  data  la  disposizione  obliqua  e verticale  dei  tubi. 
Così  a determinati  intervalli  toglievo  dalla  camera  umida  il 
preparato,  e lo  sottoponevo  a una  rapida  osservazione. 

Esperienze. 

Un  numero  considerevole  di  esperienze  vengono  eseguite  in- 
troducendo nei  capillari  le  ova  di  Strongilocentrotus  con  acqua 
di  mare,  e immergendo  1’  estremità  aperta  dei  tubi  nella  goccia 
di  liquido  contenente  gli  spermatozoi  dello  stesso  animale.  Esa- 
minato già  dopo  pochi  minuti  il  liquido  contenuto  entro  il  tubo 
ho  notato  la  penetrazione  degli  spermatozoi  e il  loro  caratteristi- 
co aggruppamento  attorno  alle  ova.  ideile  osservazioni  successi- 
ve la  penetrazione  è andata  aumentando  : gli  spermatozoi  con- 
tenuti nel  tubo  non  solo  si  sono  mostrati  in  quantità  crescenti,  ma 


Ricerche  sull ’ u attrazione  ,,  delle  cellule  sessuali 


13 


si  sono  approfonditi  guadagnando  le  sezioni  superiori  del  tubo, 
e aggruppandosi  al  solito  attorno  alle  ova.  Quest’aumento  nella 
manifestazione  del  fenomeno  lia  però  un  limite  e cessa  dall’ os- 
servarsi quando  gli  elementi  maschili  agglutinati  all’  imbocca- 
tura 1’  occludono. 

L’  esito  di  questo  genere  di  esperienze  è costantemente  quello 
descritto  , tutte  le  volte  che  si  osservano  le  precauzioni  di  tec- 
nica che  ho  accennato  precedentemente,  poiché  basta  la  più  pic- 
cola inosservanza  come  p.  es.  la  penetrazione  di  qualche  piccola 
bolla  d’  aria  nel  tubo,  o il  residuo  di  esso  all’imboccatura,  o la 
concentrazione  del  liquido  esterno  anche  per  leggiera  evapora- 
zione, o lo  spostamento  meccanico  del  tubo  dal  centro  della  goc- 
cia verso  i margini  di  essa,  ove  generalmente  la  concentrazione 
è maggiore  e gli  elementi  si  incontrano  meno  vitali  e quindi 
meno  vivaci  e in  parte  agglutinati,  bastano  lo  ripeto,  queste  cause 
apparentemente  di  poca  entità  perchè  gli  spermatozoi  del  liqui- 
do esterno  rimangano  agglutinati  all’  imboccatura  del  tubo  senza 
penetrarvi  sino  a raggiungere  le  ova. 

Devo  notare  a questo  proposito  che  non  ho  potuto  con  si- 
curezza convincermi  se  la  distanza  delle  ova  contenute  nel  tubo 
dall’  imboccatura  di  esso,  avesse  un  certo  rapporto  coll’  intensità 
di  penetrazione  degli  spermatozoi.  Xell’  introdurre  nel  capillare 
il  liquido  colle  ova  mi  è accaduto  spesso  di  notare,  specialmente 
quando  il  numero  di  esse  era  rilevante,  che  il  primo  ovo  della 
serie  contenuta  era  vicinissimo  all’  imboccatura,  ed  all’  opposto, 
ho  notato  altre  volte  che  il  primo  ovo  della  serie  distava  dell’im- 
boccatura non  di  rado  per  più  di  metà  della  lunghezza  del  tubo. 
Ebbene,  in  tutti  e due  i casi  il  fenomeno  della  penetrazione  de- 
gli spermatozoi,  salvo  qualche  eccezione,  si  verificava  ugualmente 
e colle  stesse  modalità. 

Dalle  esperienze  surriferite  si  può  adunque  ammettere  con 
sicurezza  che  gli  spermatozoi  dello  Strongylocentrotus  liviclus  con- 
tenuti in  un  mestruo  penetrano  nei  tubi  capillari  contenenti  ova 


14 


Umberto  Drago 


[Memoria  XVI.] 


dello  stesso  individuo.  Questa  conclusione  soltanto,  e non  altra 
più  ampia,  si  può  trarre  da  questi  fatti,  i quali  non  autorizzano 
certamente  a dedurre  clie  si  tratti  di  un  fenomeno  di  chemo- 
tropismo. 

II.  Serie  di  esperienze. 

Per  escludere  eventualmente  la  possibilità  che  la  penetra- 
zione degli  spermatozoi  nel  tubo  sia  un  fenomeno  di  barotrofi- 
smo negativo,  ho  intrapreso  un’  altra  serie  di  ricerche  variando 
la  disposizione  degli  oggetti  in  senso  perfettamente  opposto.  Ho 
introdotto  cioè  gli  spermatozoi  dello  stesso  animale  nei  tubetti 
la  cui  imboccatura  ho  immerso  in  una  goccia  d’  acqua  di  mare 
contenente  ova. 

Le  esperienze  ripetute  per  molte  volte  mi  hanno  condotto 
a risultati  costantemente  positivi  : gli  spermatozoi  cioè  fuoresco- 
no  dai  tubi  e assumono  la  caratteristica  disposizione  attorno  alle 
ova  contenute  nella  goccia  esterna. 

III.  Serie. 

Per  assicurarmi  meglio  dell’  entità  delle  precedenti  ricerche 
ho  adottato  una  terza  modificazione  nella  disposizione  degli  og- 
getti, capovolgendo  i tubetti  contenenti  lo  sperma  diluito  e facen- 
done pescare  1’  estremità  in  goccia  pendente  dal  vetrino  , nella 
quale  erano  contenute  ova  in  acqua  di  mare. 

Queste  operazioni  richiedono  una  tecnica  speciale,  e più  che 
la  tecnica,  molta  circospezione. 

Per  mantenere  i tubi  nella  posizione  verticale  io  usavo  at- 
taccarli a un  piccolo  cubo  di  paraffina  di  cui  fondevo  la  parte 
centrale.  Bisognerà  però  condurre  l’operazione  rapidamente,  e aver 
cura  di  immergere  1’  estremo  chiuso  del  tubo  nella  paraffina  solo 
quando  questa  comincia  a solidificarsi  , poiché  nel  caso  diverso 
si  rischia  di  perdere  una  piccola  quantità  di  liquido  per  evapo- 
razione all’  imboccatura,  ed  altra  più  rilevante  per  dilatazione 


15 


Ricerche  sull'  u attrazione  „ delle  cellule  sessuali 


dell’  aria  e del  liquido  stesso  dovuta  al  calore  della  paraffina  a 
contatto  coll’  estremo  chiuso,  il  che,  nel  consecutivo  ritrarsi  dal 
liquido  farebbe  penetrare  l’ aria  nell’  imboccatura  costituendo 
quindi  un’  interruzione  nella  colonna  liquida  interna  ed  esterna. 

Per  maggiore  sicurezza  e rapidità  è opportunissimo  d’incol- 
lare il  tubetto  sulla  paraffina  dopo  di  averne  immerso  1’  imboc- 
catura nella  goccia  pendente,  e adottarvi  quindi  al  disotto  un 
sostegno  mobile. 

Ma  con  tali  precauzioni  non  è esaurita  la  prova  della  pa- 
zienza dello  sperimentatore , poiché  occorre  che  1’  imboccatura 
del  tubetto  non  vada  a battere  contro  il  vetro  che  sostiene  la 
goccia  pendente,  e quindi  bisogna  che  questo  sia  aneli’  esso  ap- 
poggiato a un  sostegno  mobile  capace  di  piccoli  spostamenti  a 
vite  nelle  due  direzioni  verticali. 

Dopo  ciò  io  mettevo  1’  apparecchino  in  camera  umida  per 
impedire  che  la  goccia  esterna  evaporasse,  dovendo  esaminarla  a 
intervalli  relativamente  lunghi  per  esser  sicuro  del  risultato  delle 
esperienze. 

Il  risultato  di  queste  è stato  in  massima  negativo,  in  quanto 
che,  quasi  costantemente  non  si  è avverato  la  fuoruscita  degli 
spermatozoi  dal  tubetto,  e quindi  il  consecutivo  aggruppamento 
attorno  alle  ova  della  goccia  pendente.  Solo  su  due  delle  nove 
esperienze  eseguite  ho  notato  pochissimi  spermatozoi  fuorusciti 
dal  tubo  e aggruppati  attorno  alle  ova.  E poiché  è da  ammet- 
tere che  nel  maggior  numero  dei  casi,  1’  uscita  degli  spermatozoi 
era  impedita  dalla  pressione  del  liquido  della  goccia  esterna, 
è facile  interpretare  i risultati  diversi  dei  due  casi  citati  consi- 
derando che  la  quantità  del  liquido  della  goccia  non  può  essere 
sempre  uguale,  e tale  da  esercitare  una  pressione  significante 
sul  sottostante  liquido  del  tubetto. 

Per  controllare  poi  i risultati  e constatare  che  realmente  nes- 
suno spermatozoo  era  penetrato  nella  goccia  contenente  le  ova, 
nei  citati  casi  con  esito  negativo,  io  usavo,  esaurita  1’  esperienza, 
diluire  la  goccia  in  acqua  di  mare,  ed  osservare  dopo  un  certo 


16 


Umberto  Drago 


1[Memoria  XVI.] 


tempo  se  si  etfettuissero  in  qualche  ovo  dei  processi  di  segmen- 
tazione, osservazione  che  ebbe  in  tutti  e sette  i casi  esito  nega- 
tivo, mentre  il  campione  di  controllo,  che  avevo  cura  di  appre- 
stare ogni  volta  unendo  direttamente  sperma  ed  ova  deliriti  in 
acqua  di  mare,  in  una  capsuletta  , mi  dava  i soliti  stadi  divi- 
sionali. 

Dalle  precedenti  esperienze  si  può  quindi  concludere  che  la 
constatata  fuoruscita  degli  spermatozoi  dai  tubi  o reciprocamente 
la  loro  introduzione  e il  loro  movimento  verso  le  ova  non  siano 
dovuti  a nessuna  delle  due  specie  di  barotropismo,  poiché  se  da 
un  canto  è evidente  e quasi  costante  che  gli  elementi  sessuali 
maschili  dell’  JEJcMnus  lividus  per  raggiungere  le  ova  si  diriggo- 
no,  (entro  un  determinato  limite  di  pressione)  nel  senso  perfet- 
tamente opposto  alla  pressione  del  liquido  , è altresì  evidente  e 
costante  che  essi  seguono  ancora  la  direzione  della  pressione. 

A precisare  presumibilmente  V indole  del  fenomeno  consta- 
tato nelle  varie  serie  di  esperienze,  ho  istituito  un’  altra  serie, 
servendomi  di  ova  della  stessa  specie,  delle  quali  distruggevo 
previamente  la  vitalità  del  protoplasma  col  calore. 

IY.  Serie. 

Per  assicurarmi  del  grado  di  temperatura  necessario  ad  uc- 
cidere il  protoplasma  delle  ova,  esponevo  contemporaneamente 
nel  termostato  in  due  capsule  distinte,  ben  chiuse,  ova  e sperma- 
tozoi diluiti  in  acqua  di  mare,  partendo  da  una  temperatura  ini- 
ziale di  25°  e facendola  aumentare  gradatamente.  Successiva- 
mente, ad  ogni  aumento  di  5°  gradi  , esaminavo  la  mobilità 
degli  spermatozoi.  Questa,  a partire  da  45°  si  andava  indebo- 
lendo, finché  a 55°  era  completamente  annullata.  Era  quindi  a 
presumere  che  a questa  temperatura  la  loro  vitalità  fosse  annul- 
lata. Però  per  assicurarmi  viemmeglio  che  non  si  trattava  di 
una  semplice  sospensione  del  movimento,  aggiungevo  alla  cap- 


Ricerche  sull’  “ attrazione ,,  delle  cellule  sessuali 


17 


siila  contenente  gli  spermatozoi  così  riscaldata,  una  quantità  re- 
lativamente grande  di  acquà  di  mare  allo  scopo  di  raffreddare 
il  mestruo  e di  ripristinarne  la  densità  eventualmente  aumen- 
tata per  evaporazione  del  liquido,  quantunque,  come  ho  accen- 
nato precedentemente,  avessi  ben  chiuso  le  capsule. 

Allorché  mi  ero  assicurato  che  la  temperatura  di  questa  mi- 
scela era  quella  dell’  ambiente  riesaminavo  gli  spermatozoi  i quali 
si  mostravano  ugualmente  immobili  come  prima  di  quest’  ag- 
giunta. L’osservazione  prolungata  e ripetuta  mi  metteva  al  co- 
perto da  possibili  errori. 

Se  adunque  a 55°  l’attività  del  protoplasma  di  questi  sper- 
matozoi è annullata,  è molto  verosimile  che  alla  stessa  tempe- 
ratura il  protoplasma  delle  ova  subisca  la  stessa  sorte.  Tuttavia 
per  essere  più  sicuro,  riscaldavo  le  ova  a 65°.  Noto  di  passaggio 
che  queste  temperature  le  assumevo  direttamente  immergendo  il 
termometro  nei  liquidi  delle  capsule,  poiché  non  solo  si  manife- 
sta, coni’  è naturale,  una  notevole  differenza  fra  la  temperatura 
del  termostato  e quella  dei  liquidi  contenuti  nei  piccoli  recipienti 
introdottivi,  ma  questa  differenza  non  è nè  costante,  nè  propor- 
zionale ai  vari  aumenti  di  temperatura. 

Per  assicurarmi  della  integrità  fisiologica  del  materiale  sot- 
toposto alle  dette  esperienze,  usavo  ad  ogni  ricerca  preparare  un 
campione  di  controllo,  come  ho  riferito  nell’  esposizione  della  se- 
rie precedente. 


1. 

In  un  primo  gruppo  di  questa  serie  ho  voluto  osservare  il 
comportamento  degli  spermatozoi  verso  le  ova  quando  queste  ve- 
nivano riscaldate  alla  temperatura  eccessiva  di  100°  0.  Aggiun- 
gendo lo  sperma  diluito,  all’  acqua  contenente  le  ova  riscaldate 
a 100°  dopo  un  certo  tempo  che  questa  si  era  raffreddata  alla 
temperatura  dell’ambiente,  notavo  che  gli  elementi  sessuali  ma- 
schili generalmente  non  costituivano  attorno  alle  ova  quei  soliti 


Atti  acc.  Serik  4*,  Voi-.  XIX  — Meni.  XVI. 


3 


18 


Umberto  Drago 


[Memoria  XVI.) 


aggruppamenti  caratteristici,  ovvero  se  si  accumulavano  attorno 
a qualcuno,  il  cumulo  era  rado  noli  solo,  ma  temporaneo  : dopo 
pochi  istanti  si  scioglieva  e gli  elementi  maschili  si  allontana- 
vano. 

Per  rendermi  un  conto  più  esatto  del  fenomeno  e avere  sot- 
t’  occhio  la  differenza  del  comportamento  degli  spermatozoi  verso 
le  ova  normali  vive  a quelle  uccise  col  calore  a 100°  facevo  quindi 
una  miscela  delle  due  specie  d’  ova  e vi  aggiungevo  lo  sperma. 

La  distinzione  fra  le  due  specie  d’  ova  era  facile , poiché 
quelle  esposte  alla  temperatura  di  100°  assumevano  un  colorito 
più  chiaro,  opaco,  e non  lasciavano  scorgere  il  nucleo. 

Quest,’  esperienza  ripetuta  parecchie  volte  mi  faceva  appunto 
confermare  con  maggior  sicurezza  il  risultato  precedentemente 
esposto  cioè  che  gli  spermatozoi  non  si  accumulavano  , o solo 
scarsissimamente  e fugacemente  attorno  alle  ova  previamente 
esposte  alla  temperatura  di  100°  0. 

Xelle  capsule  di  controllo  1’  integrità  fisiologica  del  mate- 
riale adoperato  era  assicurata  dal  fatto  che  già  alla  Ia  ora  dopo 
1’  unione  dello  sperma  colle  ova  normali,  queste  si  presentavano 
allo  stadio  di  morula. 

II. 

In  un  susseguente  gruppo  di  esperienze  riscaldavo  diretta- 
mente  in  una  capsuletta  di  porcellana  che  esponevo  a una  piccola 
fiamma  a gas,  le  ova  a 75°  O.  e dopo  il  rafreddamento  aggiun- 
gevo lo  sperma  diluito.  Tolta  una  goccia  dalla  miscela  ed  esa- 
minata al  microscopio,  non  notavo  alcun  aggruppamento  degli 
spermatozoi  attorno  alle  ova.  Riesaminata  la  miscela  dopo  1-6 
ore  non  notavo  alcuna  figura  di  segmentazione,  mentre  nel  cam- 
pione di  controllo  le  morule  erano  osservabili  già  dalla  Ia  ora. 

III. 

Nel  terzo  gruppo  di  esperienze  riscaldavo  le  ova  nel  termo- 
stato a 67°.  La  temperatura  del  liquido  contenuto  nella  capsula 


Ricerche  sull’  11  attrazione  ,,  delle  cellule  sessuali 


19 


misurata  direttamente  era  in  tal  caso  di  58°.  L’  aggiunta  dello 
sperma,  dopo  il  raffreddamento  del  liquido,  induceva  P aggrup- 
pamento degli  spermatozoi  attorno  alle  ora  quasi  come  nelle  ora 
normali  contenute  nella  capsula  di  controllo.  In  questa  si  nota- 
vano al  solito  gli  stadi  di  morula  dopo  la  4a  ora. 

IY. 

Yel  quarto  gruppo  il  riscaldamento  delle  ova  veniva  fatto 
direttamente  nella  solita  capsuletta  in  cui  tenevo  il  termometro 
sin  dal  principio  dell’  esperienza,  e che  esponevo  a una  piccola 
fiamma  a gas.  A 60°  0.  ritiravo  la  capsula  dalla  fiamma  e raf- 
freddavo gradatamente  il  liquido  coll’  aggiunta  di  acqua  di  mare 
e ponendo  la  capsula  a galleggiare  in  acqua  fredda. 

L’  aggiunta  di  sperma  diluito  non  provocava  alcun  aggrup- 
pamento dei  suoi  elementi  attorno  alle  ova,  malgrado  i movimenti 
vivacissimi  degli  spermatozoo  e l’integrità  fisiologica  del  mate- 
riale dimostrata  dalle  figure  di  segmentazione  ottenute  al  solito 
nella  capsula  di  controllo. 

Y. 

Esperienze  come  nei  gruppo  precedente.  Riscaldamento  di- 
retto a 56°.  Risultato  negativo  come  nel  caso  precedente.  Yelìe 
capsule  di  controllo  il  risultato  è come  al  solito  positivo. 

Yl. 

In  questo  gruppo  di  esperienze  esponevo  nel  termostato  la 
capsula  col  liquido  contenente  le  ova,  e la  ritiravo  quando  la 
temperatura  della  stufa  segnava  60°.  La  temperatura  del  liquido 
della  capsula  misurata  direttamente  era  allora  di  52°.  Raffreddato 
il  liquido,  e aggiunta  la  miscela  di  sperma  e acqua  di  mare  non 
si  notava  alcun  aggruppamento  attorno  alle  ova,  nè  figure  di  seg- 


20 


Umberto  Drogo 


[Memoria  XVI.] 


mentazione  nelle  ore  successive,  mentre  nel  materiale  di  controllo 
alla  5a  ora  si  costatavano  le  ova  allo  stadio  di  morula. 


VII. 


Riscaldamento  diretto  a 50°.  Risultato  positivo  : aggruppa- 
mento caratteristico  evidentissimo.  Nessuno  stadio  di  segmenta- 
zione però  si  osserva  sino  alla  6a  ora  in  queste  ova,  mentre  nel 
campione  di  controllo  con  ova  normali,  il  risultato  è al  solito 
positivo. 

Vili. 


Riscaldamento  a 52°  nel  termostato  della  capsula  contenente 
il  liquido  colle  ova.  Temperatura  interna  del  liquido  17°.  Ag- 
gruppamento degli  spermatozoi  come  nelle  ova  normali.  Nessu- 
na figura  di  segmentazione  però  vi  si  nota  in  prosieguo,  mentre 
nelle  ova  normali  di  controllo  si  riscontra  lo  stadio  di  gastrula 
alla  12a  ora. 


IX. 


In  un  susseguente  gruppo  di  esperienze  riscaldavo  diretta- 
mente  le  ova  a 47°  0.  e dopo  il  raffredamento  aggiungevo  lo 
sperma  diluito.  Tolta  una  goccia  dalla  miscela  ed  esaminata  al 
microscopio,  notavo  attorno  alle  ova  l’ aggruppamento  caratteri- 
stico degli  spermatozoi,  il  quale  perdurava , esaminando  dopo 
molto  tempo  il  rimanente  della  miscela  contenuta  nella  capsula. 
Però  nessuno  stadio  di  segmentazione  mi  era  dato  di  riscontrare 
nelle  ova  contenutevi,  malgrado  prolungassi  le  osservazioni  sino 
alla  6a  ora  , mentre  nel  materiale  di  controllo  già  dopo  4 ore 
riscontravo  quasi  tutte  le  ova  allo  stadio  di  morula. 

X. 

Riscaldamento  diretto  delle  ova  a 42°.  Raffreddamento  e ag- 
giunta di  sperma.  Aggruppamento  caratteri sco  degli  spermatozoi 


Ricerche  sull ’ “ attrazione  „ delle  cellule  sessuali 


21 


attorno  alle  ova  come  nel  caso  normale.  Nessuna  figura  di  seg- 
mentazione dopo  6 ore.  Nelle  ova  normali  di  controllo  si  nota 
lo  stadio  di  morula  alla  4a  ora. 

XI. 

Riscaldamento  delle  ova  in  termostato.  Temperatura  della 
stufa  40°.  Temperatura  del  liquido  contenente  le  ova  nella  cap- 
sula 37°.  Risultati  come  nel  caso  precedente. 

XII. 

Riscaldamento  in  termostato.  Temperatura  della  stufa  35°. 
Temperatura  del  liquido  entro  la  capsula  33°.  Aggruppamento 
caratteristico  degli  spermatozoi  attorno  alle  ova,  come  nei  casi 
precedenti.  Alla  12a  ora  si  nota  lo  sviluppo  di  larve  poco  mo- 
bili e non  vitali,  in  quanto  die  delle  gastrule  formatisi  solo  po- 
chissime si  muovono  debolmente  , e non  vanno  più  oltre  nello 
sviluppo,  mentre  nelle  capsule  di  controllo  si  riscontrano  larve 
mobilissime  che  seguitano  a progredire  nello  sviluppo  se  si  man- 
tengono vive  sino  al  3°  giorno,  dopo  il  quale  non  vengono  più 
esaminate. 

XIII. 

A partire  dalla  temperatura  di  33°  quale  è stata  provata 
nel  precedente  gruppo  di  esperienze  eseguii  altre  ricerche  abbas- 
sando ogni  volta  il  riscaldamento  delle  ova  di  3 gradi  , e per- 
venni già  dalla  seconda  prova  in  poi  cioè  sin  da  quando  elevavo 
la  temperatura  a 27°  ad  ottenere  oltre  all’  aggruppamento  carat- 
teristico degli  spermatozoi  attorno  alle  ova  , anche  le  figure  di 
segmentazione  e le  larve  in  condizioni  di  tempo,  di  sviluppo  e 
di  vitalità  identiche  a quelle  ottenute  colle  ova  normali  di  con- 
trollo. 


Riassumendo  i risultati  delle  ricerche  di  questa  serie  va  con- 


22 


Umberto  Drago 


[Memoria  IVI.] 


siderato  anzitutto  che  la  diversità  fra  il  risultato  ottenuto  da 
qualche  esperimento  mediante  il  riscaldamento  diretto  e qualche 
altro  dedotto  da  esperimento  in  termostato  a temperatura  pres- 
soché uguale,  non  è che  apparente,  e che  le  ragioni  devono  ap- 
punto risiedere  rispettivamente  nella  lentezza  o nella  rapidità 
colla  quale  nei  due  casi  era  determinato  il  riscaldamento.  Così 
p.  es.  si  capisce  agevolmente  il  perchè  nel  gruppo  III  in  cui  il 
riscaldamento  medio  a 58°  veniva  ottenuto  indirettamente  nel  ter- 
mostato, si  otteneva  un  risultato  positivo,  mentre  alla  tempera- 
tura di  56°  determinata  direttamente,  il  risultato  era  negativo. 
Evidentemente  l’integrità  fisica  e fisiologica  delle  ova  veniva  dan- 
neggiata in  misura  maggiore  nel  caso  in  cui  il  riscaldamento  era 
più  brusco,  benché  la  temperatura  fosse  di  due  gradi  inferiore. 
Del  resto  non  è su  queste  piccole  differenze  di  temperatura  che 
io  conto  di  fondare  delle  deduzioni. 

A prescindere  adunque  da  questa  piccola  e apparente  discor- 
danza, i risultati  delle  esperienze  eseguite  precedentemente  ci 
dicono  : 

1.  Che  gli  spermatozoi  dell’  E lividus  non  si  aggruppano 
colla  consueta  disposizione  caratteristica  attorno  alle  ova  della 
stessa  specie  le  quali  siano  state  previamente  sottoposte  nel  ter- 
mostato a temperature  superiori  a 50.°  E reciprocamente , con 
linguaggio  più  pratico,  che  le  ova  di  E.  lividus  esposte  come  so- 
pra, a temperature  superiori  a 50°  perdono  il  potere  di  « attrarre 
gli  spermatozoi  » della  stessa  specie. 

2.  Che  le  dette  ova  mentre  conservano  sino  alla  tempera- 
tura di  50°  il  potere  di  attrarre  gli  spermatozoi,  perdono,  a par- 
tire da  temperature  superiori  a 33°  la  capacità  di  venire  fecon- 
date e svilupparsi. 

3.  Che  le  temperature  inferiori  a 33°  non  offendono  sensibil- 
mente nelle  dette  ova  nè  il  potere  attrattivo,  nè  la  facoltà  di 
essere  fecondate. 

I.  E quindi  che  i momenti  della  coniugazione  cellulare, 
cioè  l’avvicinamento  dello  spermatozoo  all’ovo,  e la  fecondozione 


23 


Ricerche  sull ’ “ attrazione ,,  delle  cellule  sessuali 


di  questo,  sono  sino  ad  un  certo  punto  indipendenti  Furio  dall’altro, 
in  quanto  die  l’ovo  può  essere  incapace  alla  fecondazione,  pur  es- 
sendo capace  di  attrarre  lo  spermatozoo  come  in  condizioni  normali. 

Questo  sdoppiamento  di  un’attitudine  che  si  è ritenuta  fin 
ora  unica,  come  lo  provano  i lavori  e le  considerazioni  dei  pre- 
cedenti osservatori,  in  parte  già  citati  nel  corso  di  questo  lavoro, 
sarà  oggetto  a suo  tempo  di  discussione.  Quel  che  importa  per 
ora  precisare  è la  ragione  per  la  quale  gli  spermatozoi  non  si 
accumulano  attorno  alle  ova  che  hanno  subito  temperature  su- 
periori a 50'J. 

Si  potrebbe  anzitutto  supporre  che  venendo  meno  a quella 
temperatura  la  vitalità  del  protoplasma  ovulare,  questo  non  sia 
più  capace  di  attrarre  gli  spermatozoi.  Si  verrebbe  così  a rimettere 
in  onore  la  vecchia  dottrina  vitalistica  che  ammetteva  la  mis-te- 
riosa  forza  vitale  capace  di  esercitare  un’  arcana  forza  attrattiva 
sull’  elemento  maschile.  Ma  è però  certo  che  se  tale  non  è la 
causa,  essa  è intimamente  collegata  a modificazioni  fisiche  o 
chimiche  le  quali  a quella  temperatura  devono  avverarsi  rid- 
i’ ovo,  e che  non  è ammissibile  dopo  questi  risultati  che  F ac- 
cumulo degli  spermatozoi  attorno  alle  ova,  sia,  come  vogliono 
certuni,  fra  crii  il  citato  Boiler  un  fenomeno  puramente  occa- 
sionale di  contatto,  dovuto  alla  loro  molteplicità  nel  mezzo  in 
cui  sono  contenute  le  ova,  e alla  dimensione  di  queste. 

Che  quest’  ipotesi  fosse  già  da  scartare  si  può  assumere  a 
priori  considerando  anzitutto  che  quel  caratteristico  accumulo 
degli  elementi  maschili  attorno  alle  uova,  si  avvera  anche  se  il 
mezzo  è povero  dei  detti  elementi,  ma  quando  tale  considera- 
zione non  bastasse,  i risultati  sperimentali  da  me  citati  prece- 
dentemente distruggono  completamente  tale  ipotesi.  Non  si  com- 
prenderebbe infatti  perchè  gli  spermatozoi  si  accumulano  attorno 
alle  ova  che  non  hanno  subito  Fazione  di  una  temperatura  re- 
lativamente elevata,  mentre  si  mantengono  lontani  da  quelle 
esposte  a temperature  superiori  a 50°,  pur  rimanendone  costan- 
te il  loro  numero  e le  dimensioni  delle  ova. 


24 


Umberto  Drago 


[Memoria  XVI.] 


A ogni  modo  per  togliere  ogni  dubbio  possibile  a favore 
dell’  ipotesi  del  Buller,  io  lio  praticato  un  gruppo  di  esperienze 
unendo  corpuscoli  inerti,  come  polveri  di  carbone  e sabbia,  con 
spermatozoi  di  Echinus  lividus. 


IV.  Serie 

In  questa  serie  ho  adoperate  polveri  di  carbone  e sabbia  a 
granuli  piuttosto  grossi,  che  ho  aggiunto  sul  coprioggetti  alla 
goccia  di  sperma  diluito  in  acqua  di  mare,  facendo  nelle  varie 
esperienze  variare  la  quantità  di  spermatozoi  contenuti  nel  li- 
quido tino  ad  adoperare  soluzioni  poverissime,  ottenute  mediante 
ripetute  diluizioni  della  goccia  che  chiamerò  madre.  Contem- 
poraneamente ho  avuto  cura  di  istituire  collo  stesso  liquido  di- 
luito che  mi  serviva  per  sperimentare  la  polvere,  delle  esperienze 
di  controllo  con  ova  normali  dell’  Echinus. 

I risultati  pareva  sulle  prime,  dovessero  dar  ragione  al 
Buller,  poiché  nelle  miscele  ricche  di  zoospermi,  si  vedevano 
questi  accumulati  attorno  ai  corpuscoli  di  sabbia  e di  carbone. 
Però  osservando  attentamente,  e confrontando  coi  preparati  di 
controllo  si  notava  : 1°  Che  i detti  acciainoli  si  avveravano  anche 
attorno  a granuli  piccolissimi.  2°.  Ohe  essi  erano  di  gran  lunga 
meno  ricchi  di  zoospermi  che  i cumuli  attorno  alle  ova.  3°  Che 
la  loro  formazione  era  fugace  e non  permanente,  come  in  questo 
ultimo  caso.  4°  Finalmente  che  il  fenomeno  diminuiva  di  inten- 
sità a misura  che  si  impoveriva  di  zoospermi  la  miscela,  me- 
diante le  diluizioni,  finché  non  si  avverava  affatto  ; mentre  era 
sempre  dimostrabile  e in  maniera  evidente  trattando  le  ova  nor- 
mali del  Riccio  cogli  stessi  liquidi  contenenti  minore  quantità 
di  zoospermi. 

Dopo  tali  esperienze  non  mi  pare  che  il  Buller  abbia  più 
ragione  di  sostenere  la  sua  ipotesi,  la  quale  del  resto  non  è for- 
mulata in  una  maniera  tanto  chiara  da  escludere  che  essa  col- 


25 


Ricerche  sull ’ “ attrazione  „ delle  cellule  sessuali 


leghi  il  fenomeno  alla  serie  di  quelli  dovuti  a diverso  tropismo 
e precisamente  a quello  che  i biologi  chiamano  tigmotropismo. 

Cade  qui  opportuno  di  far  rilevare  che  il  vero  fenomeno 
dell’  attrazione  sessuale,  nel  senso  in  cui  viene  obbiettivamente 
osservato,  non  consiste  semplicemente  nell’  accumulo  degli  sper- 
matozoi  attorno  alle  ova,  ma  presenta  altre  particolari  modalità 
che  gli  sono  caratteristiche,  e delle  quali  non  si  deve  fare  astra- 
zione. Queste  modalità  consistono,  coni’  è stato  testé  accennato 
principalmente  nella  persistenza  degli  accumuli,  nella  loro  esten- 
sione, la  quale  comprende  attorno  all’  ovo  un’  area  che  talora 
ha  un  raggio  doppio  di  quello  dell’ovo,  nella  loro  compattezza  e 
nella  graduale  degradazione  verso  la  periferia,  mentre  le  zone 
intermedie  fra  le  varie  ova  sono  relativamente  povere  di  fila- 
menti spermatici.  È l’ insieme  di  tutti  questi  caratteri,  e non 
soltanto  i semplici  accumoli,  che  hanno  indotto  gli  osservatori 
ad  ammettere  nelle  ova  una  proprietà  attrattiva  sugli  sperma- 
tozoi,  intimamente  legata  alla  fecondazione. 

Così  che  nei  risultati  dei  vari  autori  che  hanno  sperimen- 
tato in  un  senso  o nell’altro,  per  escludere  o ammettere  l’at- 
trazione sessuale,  e per  assegnarle  una  causa  tìsica,  chimica  o 
meccanica  che  agisca  come  stimolo  fisiologico  attivo  o come 
agente  da  cui  siano  sollecitati  passivamente  gli  elementi  ma- 
schili, sono  appunto  da  fare  le  più  caute  riserve,  essendo  legit- 
timo dubitare  se  essi  si  siano  realmente  trovati  di  fronte  ad 
osservazioni  perfettamente  identiche,  nella  loro  esteriorità  ob- 
biettiva, ai  fenomeni  d’“  attrazione  sessuale  ,,. 

Escluso  adunque  che  1’  accumulo  degli  spermatozoi  attorno 
alle  ova  si  debba  unicamente  a un  semplice  contatto  nel  senso 
del  Bueler,  resta  a indagare  quale  altra  ragione  possa  inter- 
venire nel  fenomeno  dell1  “ attrazione  ,,  dal  momento  che  questa, 
come  s’  è visto,  non  si  verifica  nelle  ova  esposte  a temperature 
relativamente  alte. 

E anzitutto,  pur  non  allontanandomi  dai  concetti  biologici 
moderni,  mi  è sembrato  indispensabile  precisare  se  il  fenomeno 


Atti  acc.  Serie  4a,  Voi,.  XIX  — Meni.  XVI. 


4 


26 


Umberto  Drago 


[Memoria  XVI.} 


si  connetta  esclusivamente  all’  attività  del  protoplasma  vivente, 
o possa  sussistere  indipendentemente  da  questa  per  effetto  dei 
prodotti  del  suo  metabolismo  già  preformati. 

Per  ricavarne  eventualmente  qualche  delucidazione,  lio  vo- 
luto istituire  nuove  esperienze  coi  tubetti,  come  nella  prima 
serie,  introducendovi  in  un  gruppo  il  liquido,  ottenuto  mediante 
finissimo  pestamento,  espressione  e decantazione  dagli  ovari 
del  Riccio,  in  un  altro  ova,  previamente  esposte  a varie  tempe- 
rature come  nelle  esperienze  della  serie  III. 

Y.  Serie 

Yon  avendo  nulla  di  particolare  da  aggiungere  per  quanto 
si  riferisce  alla  tecnica,  la  quale  è stata  identica  a quella  se- 
guita nelle  precedenti  serie  di  esperienze,  mi  occupo  dei  criteri 
ai  quali  mi  sono  informato  e ai  relativi  risultati. 

Le  prove  del  primo  gruppo  sono  state  seguite  da  risultati 
positivi  analoghi  a quelli  della  la  serie  in  cui  le  ova  erano  state 
introdotte  integre.  In  quelle  del  secondo  gruppo,  praticate  cioè 
introducendo  nei  tubetti  le  ova  esposte  precedentemente  alle 
identiche  temperature  provate  nelle  esperienze  fatte  direttamente, 
ho  notato,  da  prima  con  molta  sorpresa,  che  gli  sperinatozoi 
contenuti  nella  goccia  esterna  in  cui  pescava  al  solito,  l’ imboc- 
catura dei  tubi,  penetravano  in  questi  anche  quando  le  ova 
contenutevi  erano  state  esposte  a temperature  superiori  a 50°  0. 
Per  maggiore  uniformità  di  procedimento  riscaldai  le  ova  a 
75°  C.  prima  e a 100°  successivamente,  ottenendo  uguali  risul- 
tati positivi.  Però  notai  che  i zoospermi  malgrado  la  loro  pene- 
trazione  nei  capillari  contenenti  ova  riscaldate  oltre  i 50°  C, 
non  si  disponevano  attorno  alle  ova  nei  noti  cumuli  caratteri- 
stici, come  avveniva  nelle  ova  normali  e in  quelle  riscaldate  a 
temperature  inferiori,  introdotte  nei  tubi. 

Era  quindi  evidente  che  la  penetrazione  nei  capillari  non 
aveva  nulla  che  vedere  coi  fenomeni  di  attrazione  e che  proba- 


Ricerche  sull1  “ attrazione  ,,  delle  cellule  sessuali 


'Q1 


Miniente  non  riconosceva  1’  influenza  specifica  del  contenuto  dei 
tubi. 

Per  assicurarmi  di  questa  possibilità  ho  istituito  un’  altra 
serie  di  esperienze. 

VI.  Sekie 

1.  Ho  introdotto  dapprima  nei  capillari  soltanto  dell’  acqua 
di  mare  previamente  filtrata  e ho  immerso  1’  imboccatura  nella 
solita  goccia  di  liquido  contenente  sperili atozoi  del  Riccio. 

Il  risultato  è stato  positivo,  in  quanto  che  si  è ottenuta 
una  evidente  penetrazione  degli  elementi  sessuali  entro  i tubi 
capillari. 

2.  Ho  riempito  i tubi  con  acqua  distillata,  adoperando  in 
seguito  lo  stesso  procedimento. 

Il  risultato  è stato  positivo:  gli  sperai  atozoi  sono  penetrati 
nei  tubi  ; però  essendo  1’  acqua  distillata  un  mezzo  nocivo  alla 
loro  esistenza,  ne  sono  stati  uccisi  o per  lo  meno  paralizzati, 
poco  dopo  la  loro  introduzione,  cosicliè  non  hanno  potuto  inva- 
dere le  parti  più  alte  dei  tubi. 

3.  Tubi  riempiti  con  soluzione  concentrata  di  Cloruro  di 
sodio  in  acqua  distillata. 

Penetrazione  come  nel  caso  procedente,  riuscendo  tale  solu- 
zione tossica  per  gli  elementi  sessuali  dell’  Echinus. 

4.  Tubi  con  soluzione  1 °/0  di  acido  ossalico. 

Risultati  come  nel  caso  precedente. 

Questi  risultati,  non  volendo  generalizzare,  provano  per  lo 
meno  che  il  metodo  dei  tubi  capillari  non  è assolutamente  adatto 
allo  studio  dei  fenomeni  di  attrazione  sessuale.  Poiché  la  pene- 
trazione  degli  spermatozoi  nei  detti  tubi  avviene  in  qualunque 
condizione,  qualunque  sia  la  costituzione  chimica  e la  condizione 
fisiologica  del  contenuto,  poiché  gli  zoospermi  pur  penetrando 
nei  tubetti  contenenti  ova  sovrariscaldate  non  si  accumulano  at- 
torno ad  esse,  poiché  essi  penetrano  indifferentemente  nei  tubi 
non  solo  quando  questi  contengono  sostanze  per  essi  indifferenti 


28 


Umberto  Brago 


[Memoria  XVI.] 


come  1’  acqua  di  mare,  ma  altresì  nocive  e tossiche  come  l1  acqua 
distillata,  le  dosi  elevate  di  cloruro  di  sodio,  e 1’  acido  ossalico, 
è evidente  che  la  loro  penetrazione  non  è dovuta  a un  qualsiasi 
stimolo  fisiologico  direttivo  che  abbia  attinenza  colla  funzione 
fecondativa. 

Nello  stato  attuale  di  queste  ricerche  non  mi  paiono  adun- 
que possibili  che  le  seguenti  ipotesi  per  spiegare  il  mancante 
accumulo  degli  speruiatozoi  attorno  alle  ova  riscaldate  oltre  i 
50°  0. 

1.  Determinandosi  per  effetto  del  calore  una  parziale  coa- 
gulazione del  protoplasma  dell’  ovo,  questa  modificazione  fisica 
potrebbe  ostacolare  meccanicamente  la  penetrazione  del  zoosper- 
ma, togliendo  ogni  ragione  fisiologica  all’  attrazione,  e rispetti- 
vamente agli  spemi atozoi  per  accumularsi  attorno  alle  ova. 

2.  O i detti  accumuli  sono  realmente  dovuti  a chemotro- 
pismo  derivante  dall’  ovo  i cui  prodotti,  agenti  da  stimoli  chi- 
mici, vengono  a quella  temperatura  alterati. 

3.  Ovvero  che  non  si  avveri  realmente  un  tropismo  sessuale, 
ma  che  1’  accumulo  degli  spermatozoi  attorno  alle  ova,  e quindi 
l’apparente  attrazione  non  sia  dovuta  che  a un  agglutinamento 
prodotto  da  una  qualche  sostanza  vischiosa  esistente  in  quantità 
inapprezzabile  nello  strato  più  periferico  dell’  ovo , e quindi 
coagulata  o distrutta  da  temperature  superiori. 

La  prima  ipotesi  mi  pare  facile  a scartare  considerando 
anzitutto  che  temperature  poco  superiori  a 50°  non  producono 
nel  protoplasma  coagulazioni  o precipitazioni  così  dense  da  osta- 
colare meccanicamente  1’  introduzione  del  filamento  spermatico. 

Ma  dato  pure  che  1’  alterazione  si  verifichi,  noi  possiamo 
affermare  che  i due  momenti  della  coniugazione  : attrazione  e 
penetrazione,  sono  aneli’  essi  sino  ad  un  certo  punto  indipendenti 
o che  in  altri  termini  gli  spermatozoi  formano  i cumuli  carat- 
teristici anche  attorno  a quelle  ova,  nei  quali  sicuramente  non 
possono  penetrare,  come  ad  esempio  attorno  alle  ova  fecondate. 
Ma  poiché  si  potrebbe  obbiettare  che  tali  cumuli  osservati  at- 


Ricerche  sull’  “ attrazione  ,,  delle  cellule  sessuali 


29 


torno  all’  oro  dopo  la  penetrazione  del  zoosperma,  siano  cumuli, 
residuali  determinati  prima  della  penetrazione,  ho  istituito  le 
seguenti  esperienze. 

Y II.  Serie 
I.  Gruppo 

Agitando  alquanto  un’  acqua  di  mare  ova  di  E.  lividus  che 
presumevo  molto  verosimilmente  fecondate,  riuscivo  a liberarli 
quasi  completamente  dei  zoospermi  che  vi  erano  aderenti.  Ag- 
giungendo alle  ova  così  preparate,  nuovo  liquido  spermatico, 
notavo  evidentissimo  il  fenomeno  dell’  attrazione  e dei  cumuli 
attorno  a tali  ova. 

II.  Gruppo 

Ova  di  E.  lividus  fecondate  e in  via  di  segmentazione. 
Aggiunta  di  liquido  spermatico  come  sopra. 

Risultato  positivo  evidente  : attorno  alle  ova  che  si  trovano 
nelle  prime  fasi  della  segmentazione  cioè  a 2,  4,  8 blastomeri, 
gli  spermatozoi  si  accumulano  come  attorno  alle  ova  normali  non 
fecondate. 

Dopo  tali  esperienze  mi  pare  sufficientemente  dimostrato 
che  1’  « attrazione  sessuale  » è indipendente  dalla  penetrazione 
dello  spermatozoo  nell’  ovo  e quindi  la  prima  ipotesi  per  spie- 
gare la  mancante  attrazione  in  ova  soprariscaldate  è destituita 
di  fondamento. 

Occorre  adunque  esaminare  la  2a  quistione  se  cioè  tale  at- 
trazione sia  dovuta  a sostanze  emananti  dall’  ovo  ed  esercitanti 
uno  stimolo  chimico,  o in  altri  termini,  se  trattasi  proprio  di 
un  caso  di  chemotropisino  sessuale,  come  ammette  la  generalità 
dei  biologi  da  Pfeffer  in  poi. 

Certamente  l’ ipotesi  non  manca  di  avere  il  suo  addentellato 
sperimentale  d’ indole  generale , per  quanto  ci  siano  ignoti  i 
cambiamenti  chimici  che  possono  per  avventura  verificarsi  nel 


30 


Umberto  Drago 


[Memoria  XVI.] 


protoplasma  ovulare  per  effetto  della  temperatura.  Noi  sappiamo 
per  esempio  che  a temperature  superiori  a 60°  O.  le  lecitine 
del  tuorlo  si  sdoppiano.  Si  potrebbe  quindi  dedurre  che  altri 
sdoppiamenti  o sintesi  si  determinino  a noi  sconosciuti,  per  ef- 
fetto dei  quali  cambiando  struttura  la  sostanza  protoplasmatica, 
verrebbe  meno  1’  azione  cliemotropica  di  esse. 

Per  delucidare  possibilmente  questo  quesito,  ho  voluto  stu- 
diare il  problema  non  meno  importante  dell’attrazione  specifica 
cioè  di  quell’influenza  che,  secondo  la  generalità  dei  biologi,  ogni 
oyo  spiegherebbe  per  attrarre  soltanto  lo  spermatozoo  della  stessa 
specie  ; ho  creduto  quindi  utile  istituire  una  nuova  serie  di 
esperienze.  Con  queste  ho  cercato  anzitutto  di  constatare  se  fosse 
realmente  vero  che  gli  spermatozoi  si  accumulassero  soltanto 
attorno  alle  ova  della  stessa  specie,  o si  trattasse  piuttosto  di 
uno  dei  soliti  preconcetti  scientifici,  di  cui  il  Yerworx,  sul 
proposito  , nel  passo  precedentemente  citato  , ci  dà  un  esempio 
dimostrativo. 

Esperienze 

Per  questo  scopo  ho  incrociato  sperimentalmente  ova  e sper- 
matozoi di  animali  diversi,  cominciando  prima  con  elementi 
sessuali  provenienti  da  individui  di  specie  diversa  poi  da  indi- 
vidui di  diverso  genere,  classi,  ordini  e tipi,  avendo  cura  di 
mettere  i detti  elementi  nelle  identiche  condizioni  naturali  di 
mezzo  : avvalendomi  cioè  di  animali  marini. 

Nella  tecnica  ho  avuto  cura  di  assicurarmi  della  perfetta 
vitalità  dei  prodotti  sessuali  sia  coll’  osservazione  diretta,  sia  coi 
campioni  di  controllo  nei  quali  seguivo  il  fenomeno  di  fecon- 
dazione e di  segmentazione  ; non  solo,  ma  ho  anche  istituito 
delle  esperienze  comparative  per  quando  si  riferiva  all’  entità 
dell’  attrazione,  mescendo  il  liquido  spermatico  sia  con  ova  dello 
individuo  diverso,  sia  con  quello  di  individui  della  stessa  specie. 
Questa  pratica  usavo  sia  in  preparati  separati,  sia  sullo  stesso 
preparato,  cosichè  non  poteva  rimanere  dubbio.  1°  Che  gli  elementi 


31 


Ricerche  sull ’ “ attrazione ,,  delle  cellule  sessuali 


sessuali  fossero  vivi  ed  attivi.  2°  Ohe  il  contenuto  dei  liquidi 
spermatici  fosse  nei  due  casi  quantitativamente  identico.  3°  Ohe 
il  paragone  fra  il  prodotto  normale  e quello  incrociato  fosse 
contemporaneo  e perfettamente  obbiettivo. 

Queste  precauzioni  mi  sono  sembrate  indispensabili  non 
solo  per  l’ esattezza  e la  scrupolosità  dei  risultati,  ma  ancora 
per  evitare  che  nelle  mie  osservazioni  e deduzioni  si  infiltrasse 
quella  suggestione,  dalla  quale  pur  troppo  non  pochi  osservatori 
sembra  siano  stati  trascinati  in  ricerche  di  questo  genere. 

Vili.  S E EIE 

I.  (xEUPPO 

Ova  di  Echinus  microtuherc.  Spermatozoi  di  E.  lividus. 

Lo  sperma  di  E.  lividus  diluito  al  .solito  in  acqua  di  mare 
viene  aggiunto  sul  porta  oggetti  a una  goccia  contenente  ova 
di  E.  microtuberculatus , e in  altro  vetro  a una  goccia  con  ova 
dello  stesso  E lividus. 

Il  risultato  dell1  esperienza  è positivo  e abbastanza  evidente 
come  del  resto  era  a presumersi,  visto  la  naturale  possibilità  di 
incrociamenti  fecondativi  e generativi  fra  individui  di  specie 
differente.  Gli  spermatozoi  si  aggruppano  attorno  alle  ova  co- 
stituendo quei  cumoli  tanto  caratteristici.  Questo  gruppo  di  espe- 
rienze viene  anche  invertito  nel  senso  che  vengono  successiva- 
mente incrociati  gli  spermatozoi  dell1  Echinus  tuberculatus  colle 
ova  dell’E.  lividus  ottenendone  gli  stessi  risultati  positivi. 

II.  Geuppo 

Uova  di  Echinus  lividus  e spermatozoi  di  Asterias  glaciali  s 

In  una  prima  esperienza  vengono  messi  insieme  ova  di  E. 
lividus  e sperma  di  Asterias  glacialis , e contemporaneamente  è 
preparato  il  solito  campione  di  controllo  con  ova  e spermatozoi 
di  Echinus. 


32 


Umberto  Drago 


[Memoria  XVI.] 


Il  risultato  è positivo  ed  evidente  anche  in  questi  elementi 
sessuali  incrociati,  appartenenti  a individui  di  differenti  classi  : 
si  notano  gli  accumuli  di  spermatozoi  attorno  alle  ova  come  nel 
campione  contenente  ova  e spermatozoi  di  Echino. 

L’  esperienza  reciproca  con  ova  di  Asterias  e spermatozoi  di 
Echinus  si  esegue  contemporaneamente  a quella  di  controllo , 
essendo  facile  a distinguere  le  ova  di  Echino  da  quelle  di  Aste- 
rias, per  il  maggior  diametro  di  queste.  Viene  quindi  fatta  una 
miscela  delle  due  sorta  di  ova,  e vi  si  aggiunge  sperma  diluito 
di  Echino. 

I risultati  che  si  hanno  contemporaneamente  sott’  occhio  non 
lasciano  distinguere  differenze  sostanziali.  Come  nei  casi  prece- 
denti, gli  spermatozoi  di  Echino  si  accumulano  attorno  alle  ova 
di  Asterias  nella  stessa  guisa  che  si  addensano  attorno  a quelle 
dello  stesso  individuo. 

III.  Gruppo 

Ova  di  Echinus  e spermatozoi  di  Ophyuris 

Questo  gruppo  di  esperienze  è stato  condotto  come  il  pre- 
cedente, e mi  risparmio  quindi  dal  riferirne  i particolari  : lo 
sperma  di  Ophyuris  viene  aggiunto  alle  ova  di  Echinus  e si 
hanno  analoghi  risultati  positivi  evidenti,  in  quanto  che  gli 
spermatozoi  di  Otìuride  fanno  densi  accumuli  attorno  alle  ova 
di  Echino. 

Per  mancanza  di  materiale  non  ho  potuto  eseguire  il  gruppo 
di  esperienze  reciproche  cioè  con  spermatozoi  di  Echino  e ova 
di  Otiuride. 


IV.  Gruppo 

Ova  di  Echinus  e spermatozoi  di  Sepia  ofpc. 

Da  questo  gruppo  in  poi  ho  assunto  i prodotti  sessuali  da 
differenti  tipi  animali  marini,  incominciando  a incrociare  le  ova 
di  Echinus  cogli  spermatozoi  della  Sepia  officinali^. 


Ricerche  sull ’ “ attrazione  ,,  delle  cellule  sessuali 


33 


Ed  anche  qui,  nelle  numerosissime  prove  ripetute  il  risul- 
tato è stato  positivo. 

E poiché  gli  spermatozoi  di  Sepia  sono  facilmente  distin- 
guibili da  quelli  dell ’ Echinus  ho  voluto  in  alcuni  preparati  fare 
un  miscuglio  delle  due  sorta  di  sperma  e aggiungere  tale  mi- 
scuglio alle  ova  di  Echino.  I cumuli  che  si  sono  subito  formati 
attorno  alle  ova  erano  molto  densi  e costituiti  in  proporzioni 
talmente  abbondanti  delle  due  sorta  di  zoospermi,  da  non  potere 
assolutamente  dire  quali  di  essi  prevalesse  numericamente. 

Anche  qui  non  ho  potuto  eseguire  1’  esperienza  reciproca 
per  F eccessiva  dimensione  delle  ova  di  Sepia  la  quale  non  mi 
permetteva  di  seguire  1’  esperimento  al  microscopio. 

V.  Gruppo 

Le  esperienze  seguenti  sono  state  eseguite  mettendo  insieme 
i prodotti  sessuali  di  alcuni  pesci  con  quelli  dell’  Echinus  livi- 
dus.  Devo  però  far  notare  che  la  difficoltà  di  procurarmi  dal 
mercato  pesci  vivi  o pescati  da  recente,  quantunque  mi  abbia 
condotto  a fare  molteplici  esperimenti , tuttavia  solo  in  tre  mi 
ha  fatto  riscontrare  gli  elementi  sessuali  vivi. 

In  uno  di  questi  esperimenti  ho  riunito  lo  sperma  di  En- 
graulisencrasicholus  i cui  elementi  erano  vivacissimi,  colle  ora 
dell’  Echinus. 

Il  risultato  è stato  positivo,  poiché  attorno  a tali  ova  ho 
potuto  notare  i caratteristici  cumuli  di  spermatozoi  dell’ Engraulis. 

ÌNÙi  due  altri  esperimenti  mi  sono  valso  rispettivamente 
delle  ova  di  Mugil  ceplialus  e Crenilabrus  pavo  tratte  da  indi- 
vidui che  mi  erano  stati  portati  al  laboratorio  quasi  vivi.  Ho 
prescelto  le  ova  più  piccole  perché  fossero  accessibili  allo  esa- 
me microscopico  e vi  ho  aggiunto  lo  sperma  dell’  Echinus. 

Anche  in  queste  due  esperienze  ho  avuto  risultato  positivo 
poiché  ho  potuto  notare  attorno  alle  dette  ova  cumuli  molto 
ricchi  di  spermatozoi. 

Atti  acc.  Serie  4%  Voi..  XIX  — Meni.  XVI. 


5 


34 


Umberto  Drago 


[Memoria  XVI.] 


Ma  in  queste  due  esperienze  sono  i cumuli,  per  la  loro  ori- 
gine, da  assimilare  a quelli  che  si  formano  attorno  alle  ora 
dell’  E.  lividus  ? Certamente  i loro  caratteri  non  lasciano  a ve- 
dere alcuna  dissomiglianza,  ma  sulla  loro  origine  non  può  asso- 
lutamente concludersi  che  sia  identica  a quella  dei  casi  prece- 
denti. Infatti,  data  la  forma  e la  dimensione  delle  ova,  i detti 
accumuli  potrebbero  aver  quella  causa  puramente  fìsica  di  attra- 
zione molecolare  accennata  dall’  Herrera  e che  io  stesso  ho 
potuto  constatare  con  alcuni  esperimenti  molto  dimostrativi 
eseguiti  mettendo  insieme  ova  di  Rana  e spennatozoi  di  Eclii- 
nus  uccisi  col  calore. 

Anche  in  questo  caso  in  cui  nessuna  causa  di  attrazione 
può  venire  invocata  sugli  spennatozoi  morti,  ho  ottenuto  attor- 
no alle  ova  dei  cumuli  di  questi , sebbene  non  molto  ricchi, 
cumuli  i quali  non  possono  spiegarsi  diversamente  se  non  am- 
mettendo che  l’ ovo  per  la  sua  dimensione  e la  sua  forma  sfe- 
rica eserciti  sui  piccoli  spennatozoi  sospesi  nel  liquido  un’  attra- 
zione d’  indole  tìsica  analoga  alle  attrazioni  molecolari. 

Oosicliè  non  si  può  assegnare  un  valore  decisivo,  positivo  o 
negativo,  ai  risultati  di  queste  due  ultime  esperienze. 

Ma  dalle  altre  esperienze  di  incrociamento  risulta  evidente 
che  1’  « attrazione  » degli  spennatozoi  verso  le  ova  e i relativi 
cumuli,  si  verificano  anche  quando  gli  elementi  dei  due  sessi  non 
solo  appartengono  a generi  diversi,  ma  a diverse  classi  e diversi 
tipi,  e come  sia  una  semplice  presunzione  il  ritenere  che  ogni 
spermatozoo  sia  attratto  dall’  ovo  della  stessa  specie.  L’  invocare 
poi,  come  fa  il  Verworx,  l’argomento  delle  « innumerevoli  masse 
di  spennatozoi  di  animali  differenti  che  popolano  il  mare  » per 
sostenere  che  « ogni  specie  trovi  il  suo  ovulo  corrispondente  » 
infirma  anziché  rafforzare  il  concetto  dell’  attrazione  specifica. 

Dato  infatti  che  realmente  esista  nel  mare  questa  grande 
promiscuità  di  innumerevoli  masse  di  spennatozoi  di  differenti 
specie,  sarebbe  strano  l’ammettere  che  per  ogni  ovo  esistesse  per 
lo  meno  una  sostanza  specifica  capace  di  agire  sullo  spermatozoo 


Ricerche  sull1  “ attrazione  „ delle  cellule  sessuali 


35 


della  stessa  specie  come  una  calamita  sulla  limatura  di  ferro  com- 
mista ad  altre  polveri  , prelevandolo  dalla  promiscuità  , senza 
subire  influenze  minoratrici  dalla  distanza,  dalla  diluizione  del 
mezzo,  e dall’  incontro  delle  analoghe  sostanze  emananti  dalle 
ova  delle  altre  specie.  ISTè  d’ altro  canto  sarebbe  giustificata  l’e- 
norme dispersione  di  prodotti  sessuali  che  avviene  per  ogni  ani- 
male in  confronto  a quelli  che  realmente  vengono  fecondati  e 
si  sviluppano. 

Pare  invece  più  leggittimo  T ammettere  che,  anche  quando 
sussista  una  causa  generale  che  solleciti  indistintamente  tutti 
gli  spermatozoi  verso  le  ova,  a qualunque  specie  appartengano, 
manchi  invece  quella  causa  specifica  che  attragga  la  specie  verso 
la  specie,  e che  l’ incontro  degli  elementi  della  stessa  specie  sia 
nella  generalità  affidato  al  caso,  agevolato  dalla  comunanza  del 
mezzo,  dalla  vicina  convivenza  degli  animali  della  stessa  specie, 
e dal  numero  straordinariamente  grande  di  elementi  sessuali  di 
cui  la  natura  , indipendentemente  dalla  prolificità  , ha  fornito 
tali  animali.  Tanto  più  verosimile  appare  questa  deduzione,  in 
quanto  che  ha  riscontro  di  analogia  nel  regno  vegetale,  come 
per  es.  nell’  impollinazione  delle  piante  anemofile. 

L’indole  stessa  della  fecondazione  nelle  varie  specie  ani- 
mali in  rapporto  alla  quantità  dei  prodotti  sessuali  , ci  fa  pre- 
sumere che  l’attrazione  specifica  non  è conciliabile  colle  moda- 
lità fisiologiche  dei  vari  casi.  Così  troviamo  in  generale  assai 
più  abbondante  la  produzione  e più  frequente  la  emissione  dei 
prodotti  sessuali  in  quelle  specie  che  si  riproducono  per  fecon- 
dazione esterna,  in  confronto  a quelle  in  cui  questa  funzione  si 
compie  nell’interno  dell’organismo.  Qual’ altra  ragione  adunque 
può  fare  variare  nei  due  casi  la  produzione  degli  elementi  ri- 
produttori,  se  non  la  più  facile  o più  difficile  dispersione  nel- 
l’ambiente, poiché  la  prolificità  non  può  in  tutti  i casi  venire 
invocata*?  ìson  pare  adunque  logico  a priori  1’ ammettere  nelle 
ova  la  presenza  di  sostanze  capaci  di  attrarre  soltanto  gii  sper- 
matozoi  della  stessa  specie,  essendo  questa  una  condizione  che 


36 


Umberto  Drago 


[Memoria  XVI.] 


impedirebbe  o per  lo  meno  limiterebbe  grandemente  la  disper- 
sione di  tanta  quantità  di  prodotti  sessuali  , e quindi  non  ren- 
derebbe ragione  della  loro  esuberante  produzione. 

Per  i precedenti  esperimenti  e per  gli  argomenti  testé  espo- 
sti, la  pretesa  atti-azione  esercitata  dalle  ova  sugli  spermatozoi 
della  stessa  specie  non  ha  ragione  di  sussistere,  e non  sussiste 
nel  fatto.  Per  quanto  io  lio  constatato  nei  vari  esperimenti,  gli 
spermatozoi  si  accumulano  indifferentemente  attorno  a ora  di 
specie  diverse.  Molto  probabilmente  la  differenziazione  specifica 
si  manifesta  nell’  impossibilità  che  avrebbe  lo  spermatozoo  di 
differente  specie  a penetrare  entro  1’  ovo  o a fecondarlo  deter- 
minandone la  segmentazione. 

Con  ciò  non  è però  risoluta  la  questione  dell’  attrazione 
sessuale  nella  sua  espressione  generale,  cioè  l’indagine  della  causa 
che  determina  gli  accumuli  degli  spermatozoi  attorno  alle  ova 
in  genere,  comprese  quelle  di  specie  differente. 

Prendendo  le  mosse  dalle  esperienze  eseguite  mediante  lo 
aumento  di  temperatura  , noi  abbiamo  potuto  escludere  1’  inter- 
vento d’  una  modificazione  fìsica  la  quale  impedendo  la  pene- 
trazione  del  zoosperma,  tolga  eventualmente  il  movente  per  la 
attrazione  ; ma  rimane  ancora  a discutere  la  2a  ipotesi  cioè  la 
possibilità  di  un’  influenza  perturbatrice  della  temperatura  sulle 
eventuali  sostanze  chimiche  agenti  come  stimoli,  e la  3a  rela- 
tiva anch’  essa  all’  azione  perturbatrice  del  calore  su  una  so- 
stanza agglutinatrice  degli  spermatozoi  la  quale  potrebbe  av- 
volgere 1’  ovo  esternamente,  e determinare  quindi  1’  apparenza 
di  fenomeno  attrattivo  a un  fenomeno  puramente  meccanico. 

Per  tentare  di  chiarire  queste  due  ipotesi  ho  istituito  una 
nuova  serie  di  esperienze  tendenti  ad  ottenere  la  morte  del  pro- 
toplasma ovulare  senza  indurvi  presumibilmente  alterazioni  chi- 
miche, e studiando  quindi  il  comportamento  degli  spermatozoi 
quando  venivano  messe  a contatto  coll’  ovo  così  influenzato. 

Per  tale  scopo  mi  sono  servito  della  corrente  elettrica  co- 
stante ottenuta  da  un  grande  elemento  Grenet,  misurabile  con 


37 


Ricerche  sull ’ u attrazione  ,,  delle  cellule  sessuali 


un  sensibile  milliamperometro  e graduabile  con  reostato  metal- 
lico. 

IX.  Serie 

Adoperando  correnti  debolissime  di  1-1V2  MA  sono  riuscito 
ad  uccidere  le  ora,  assumendo  come  criterio  di  controllo  per  la 
loro  morte  la  contemporanea  morte  degli  spermatozoi  trattati 
colla  stessa  intensità  di  corrente,  e 1’  incapacità  delle  dette  ova 
ad  essere  fecondate  e a segmentarsi. 

Poiché  P aggiunta  dello  sperma  al  liquido  (acqua  di  mare) 
in  cui  si  trovavano  le  ova  già  sottoposte  a questo  trattamento, 
determinava  la  morte  istantanea  degli  elementi  maschili,  ho  ri- 
cambiato 1’  acqua  lavando  parecchie  volte  le  ova  in  nuovo  li- 
quido. Dopo  tale  pratica  ho  notato  che  gli  spermatozoi  si  ag- 
gruppavano immediatamente  attorno  alle  ova  uccise  colla  cor- 
rente, come  attorno  alle  ova  normali. 

Per  effetto  della  corrente  le  ova  subivano  delle  modificazioni 
fìsiche  visibili,  consistenti  principalmente  nel  loro  rigonfiamento 
e nel  rischiaramento  del  protoplasma  che  poteva  determinarsi  o 
soltanto  alla  periferia  o in  tutto  1’  ovo. 

Ma  poiché,  ad  onta  della  circospezione  spiegata  per  elimi- 
nare P influenza  elettrolitica  della  corrente  (alternandola  rapida- 
mente con  opportuno  invertitore)  non  riuscivo  completamente 
nello  intento,  ed  ottenevo  dopo  l’applicazione  della  corrente  un 
liquido  nocivo  alla  vitalità  degli  elementi  maschili,  era  presu- 
mibile che  P azione  elettrolitica  sebbene  diminuita  non  fosse 
completamente  eliminata,  e che  quindi  le  scomposizioni  che  av- 
venivano nell’acqua  contenente  le  ova  si  avveravano  presumi- 
bilmente nel  protoplasma  di,  questo. 

Sebbene  adunque  non  sia  sicuro  di  essere  riuscito  allo  scopo 
di  uccidere  il  protoplasma  senza  indurvi  alterazioni  chimiche, 
tuttavia  i risultati  di  queste  esperienze  hanno  un  valore  non 
trascurabile. 

Xelle  ova,  infatti,  sottoposte  a tale  trattamento,  essendo  il 
protoplasma  morto  , P accumulo  degli  spermatozoi  non  poteva 


38 


Umberto  Drago 


[Memoria  XVI.] 


evidentemente  attribuirsi  all’azione  cheun iotropica  dei  prodotti 
metabolici  in  formazione,  nè  a quella  dei  prodotti  preformati  e 
residuali,  i quali  anche  quando  non  fossero  influenzati  diretta- 
mente  dalla  azione  chimica  elettrolitica  della  corrente,  dovevano 
tuttavia  trovarsi  nell’uovo  in  associazione  a quegli  stessi  prodotti 
della  decomposizione  elettrolitica  die  avevano  reso  l’acqua  di 
mare,  attraversata  dalla  corrente  elettrica,  letale  per  gli  spermato- 
zoo Quell’eventuale  azione  chemiotropica  positiva  di  tali  sostanze 
residuali  doveva  necessariamente  esser  controbilanciata  dall’azione 
negativa,  letale,  dei  prodotti  elettrolitici. 

L’  ipotesi  adunque  che  l’accumulo  degli  spermatozoi  attorno 
alle  ova  fosse  il  portato  d’  un’  azione  chemiotropica,  perdeva  per 
effetto  di  quest’  altra  serie  di  esperienze  nuovo  terreno. 

Ma  poiché,  volendo  sottilizzare,  si  potrebbe  obbiettare  che 
la  decomposizione  elettrolitica  del  protoplasma,  quantunque  ovvia 
ad  ammettere,  non  era  tuttavia  provata  direttamente,  come  lo 
erano  la  sua  morte  e le  sue  alterazioni  fisiche,  e le  modifica- 
zioni fisiologiche  del  liquido  contenente  le  dette  ova,  ho  voluto 
intraprendere  un’  altra  serie  di  esperienze  tendenti  appunto  ad 
alterare  chimicamente  il  protoplasma  ovulare  non  solo,  ma  a 
renderlo  altresì  tossico  per  gli  spermatozoi. 

X.  Seme 

Per  tale  scopo  ho  trattato  le  ova  del  Riccio  con  soluzioni 
di  bicloruro  di  mercurio  adoperando  concentrazioni  di  liquido 
diverse,  e variando  la  durata  di  permanenza  delle  ova  in  esse. 

I.  Gruppo  ! 

In  un  primo  gruppo  ho  aggiunto  una  goccia  di  soluzione 
satura  di  sublimato  corrosivo  a 20  goccie  d’acqua,  venendo  così 
ad  ottenere  una  diluizione  di  circa  3,35  0/00,  abbastanza  concen- 
trata, come  si  vede,  per  uccidere  i microrganismi  e le  spore  più 


Ricerche  sull ’ “ attrazione ,,  delle  cellule  sessuali 


39 


resistenti.  In  questa  soluzione  ho  mantenuto  le  ova  per  10  mi- 
nuti, dopo  il  qual  tempo  le  ho  rimosse,  aspirando  cautamente 
il  liquido  e sostituendolo  ripetute  Tolte  con  acqua  di  mare.  Quando 
mi  sono  assicurato  che  quest’  acqua  addizionale  non  uccideva 
gli  spermatozoi,  ho  messo  insieme  le  ova  così  trattate,  e lo  sper- 
ma normale  del  Riccio  diluito  come  al  solito. 

Il  risultato  positivo  è stato  di  un’evidenza  indiscutibile  : gli 
spermatozoi  hanno  formato  immediatamente  attorno  alle  ova  i 
cumuli  tanto  caratteristici. 

II.  Gruppo 

In  questo  gruppo  di  esperienze  ho  prolungato  la  durata  di 
permanenza  delle  ova  nella  stessa  soluzione  mercurica  per  mez- 
z’  ora,  dopo  il  qual  tempo  ho  dovuto  eseguire  un  lavaggio  assai 
più  abbondante  e ripetuto  delle  ova,  prima  di  ottenere  un  li- 
quido innocuo  per  gli  spermatozoi. 

L’  aggiunta  dello  sperma  diluito,  alle  ova  così  trattate,  ha 
mostrato  chiaramente  la  formazione  dei  soliti  accumuli  degli 
elementi  maschili  attorno  alle  ova  ; non  solo,  ma  1’  esperimento 
è valso  a dare  la  misura  della  rapidità  con  cui  il  fenomeno  si 
determina,  poiché  quando  si  va  ad  esaminare  il  preparato,  dopo 
l’aggiunta  dello  sperma,  per  quanta  sollecitudine  si  spieghi  nella 
manipolazione,  si  riscontrano  i noti  cumuli  già  formati  e gli 
spermatozoi  morti. 

III.  Gruppo 

Ho  voluto  finalmente  trattare  le  ova  con  soluzione  satura 
di  sublimato,  lasciandovele  per  dieci  minuti,  dopo  il  qual  tempo 
ho  eseguito  al  solito  un  lavaggio  esauriente  sino  ad  ottenere  una 
acqua  innocua  per  gli  spermatozoi. 

L’  aggiunta  di  questi  alle  ova  non  determina  accumuli  di 
sorta:  gli  spermatozoi  permangono  per  un  certo  tempo  vivaci, 
ma  poi  perdono  ogni  mobilità. 


40 


Umberto  Brago 


[Memoria  XVI.] 


Le  modificazioni  fìsiche  sono  nei  tre  gruppi  di  esperienze, 
comuni;  variano  solo  nel  grado.  Esse  consistono  principalmente 
nell’opacità  acquistata  dal  protoplasma,  che  già  ad  occhio  nudo 
si  rivela  come  un  imbianchimento  delle  ova,  modificazione  del 
resto  notissima  nelle  pratiche  di  fissazione  al  sublimato,  usate 
per  la  tecnica  istologica,  e dovute  alla  coogulazione  degli  albu- 
minosi con  formazione  di  composti  organici  del  mercurio. 

Per  tali  esperienze  nelle  quali  il  protoplasma  dell’evo  non 
soltanto  perde  ogni  attività  vitale,  ma  si  trasforma  chimicamente 
in  un  composto  letale  per  gli  spermatozoi,  mi  pare  ovvio  conclu- 
dere che  nè  i prodotti  di  un  metabolismo  che  più  non  sussiste, 
nè  quelli  eventualmente  preesistenti,  possono  essere  invocati  co- 
me cause  stimolanti  degli  accumuli  degli  spermatozoi  attorno 
alle  ova.  Ancora  qui  militano,  e più  potentemente,  le  conside- 
razioni fatte  a proposito  delle  ova  sottoposte  all’  influenza  delia 
corrente  costante,  e l’unica  obbiezione  possibile  relativa  all’e- 
ventualità che  il  sublimato  pur  uccidendo  il  protoplasma,  arre- 
standone il  metabolismo,  e inducendovi  notevoli  alterazioni  chi- 
miche, non  alteri  le  sostanze  chemiotropiche  residuate  dai  pro- 
cessi metabolici  originati  prima  della  morte,  cade  di  fronte  alla 
contemporanea  tossicità  assunta  dal  protoplasma  in  queste  con- 
dizioni. Poiché  , dato  pure  che  queste  sostanze  chemiotropiche 
residuali  non  vengano  alterate  dal  sublimato,  è evidente  che  la 
loro  azione  fisiologica  « attrattiva  » deve  venire  neutralizzata 
dall’  azione  per  dir  così,  repulsiva  di  quel  veleno  contenuto  nel 
protoplasma,  azione,  la  quale  abbiamo  visto  determinare  la  morte 
degli  spermatozoi,  poco  dopo  che  questi  si  sono  accumulati  at- 
torno alle  ova. 

Se  adunque  da  un  canto  è dimostrato  insussistente,  il  clie- 
motropismo  specifico  soltanto  fra  prodotti  sessuali  della  stessa 
specie  , se  dall’  altro  le  manovre  atte  a produrre  la  morte  del 
protoplasma,  la  sua  alterazione  chimica  e la  sua  tossicità  , en- 
tro certi  limiti,  non  impediscono  gli  accumuli  degli  spermatozoi 
attorno  alle  ova  in  genere,  la  dottrina  del  chemotropisino  ses- 


41 


Ricerche  sull ’ u attrazione  ,,  delle  cellule  sessuali 


suale  non  si  può  dire  per  lo  meno  confortata  dall’  esperienza 
dei  fatti. 

Resterebbe  a ricercare  allora  la  cagione  per  la  quale  gli 
spermatozoi  si  accumulano  attorno  alle  ova,  e l’ ipotesi  più  na- 
turale mi  parrebbe  in  questo  caso  che  il  fenomeno  sia  dovuto 
a un  agglutinamento  dei  filamenti  spermatici  attorno  all’  ovo,  de- 
terminato da  una  sostanza  attaccaticcia  che  lo  ricopra  esterna- 
mente, o dalla  proprietà  adesiva  dello  strato  periferico. 

Quest’  ipotesi  spiegherebbe  anche  la  mancanza  di  accumuli 
attorno  alle  ova  trattate  con  soluzione  satura  di  sublimato,  es- 
sendo verosimile  che  la  soluzione  così  concentrata  alteri  tìsica- 
mente lo  strato  periferico  dell’ ovo  sino  a impedire  l’agglutina- 
mento degli  spermatozoi. 

Tuttavia  per  tentare  di  comprovare  tale  ipotesi  io  ho  eseguito 
due  ordini  di  esperienze,  valendomi  di  ova  di  Riccio  rese  speri- 
mentalmente col  calore  o la  soluz.  satura  di  sublimato,  incapaci 
di  « attrarre  » gli  spermatozoi.  Ho  immerso  queste  ova  rispetti- 
vamente in  albume  d’ovo  e in  muco  faringeo,  allungati  con  acqua 
di  mare,  lasciandovele  per  circa  un’  ora,  dopo  il  qual  tempo  li 
ho  tratti  dai  liquidi,  e vi  ho  aggiunto,  come  al  solito,  lo  sper- 
ma diluito  dello  stesso  animale. 

Ho  notato  attorno  alle  ova  che  avevano  soggiornato  nell’al- 
bume dei  ricchi  cumuli  di  zoospermi  vivacissimi,  però  tali  cumuli 
non  erano  permanenti,  in  quanto  che  dopo  un  certo  tempo  si  dira- 
davano. Viceversa,  attorno  alle  ova  uccise  colla  soluzione  satura 
di  sublimato  e trattate  quindi  col  muco,  si  formavano  cumuli 
quasi  ugualmente  ricchi  come  nelle  ova  normali,  e permanenti. 

Se  adunque  ova  incapaci  di  « attrarre  » gli  spermatozoi,  e 
quindi  prive  delle  presunte  sostanze  cliemiotropiche  interne  , 
diventano  capaci  di  attrazione  con  una  manovra  artificiale  che 
ne  modifica  soltanto  lo  strato  esterno  tìsicamente,  è logico  am- 
mettere che  il  chemotropismo,  quale  fattore  dei  noti  cumuli 
degli  spermatozoi  attorno  alle  ova,  non  sussista  nel  fatto. 

Tuttavia  io  non  voglio  annettere  a queste  esperienze  un 

Atti  acc.  Serik  4a,  Vol.  XIX  — Mem.  XVI.  6 


42 


Umberto  Drago 


[Memoria  XVI.] 


valore  decisivo  per  spiegare  quei  cumuli  di  spermatozoi  attorno 
alle  ova,  che  hanno  tanto  fissato  1’  attenzione  dei  biologi  indu- 
cendoli ad  ascriverli  a una  « forza  di  attrazione  » concretata  in 
questi  ultimi  tempi  sotto  forma  di  stimolo  cliemiotropico  eser- 
citato da  speciali  sostanze  contenute  del  protoplasma  dell’  ovo. 
Mi  limito  solo  a rilevare  che  tutti  questi  risultati  non  depongono 
in  favore  di  questa  dottrina  del  chemotropismo  sessuale , e che 
molto  verosimilmente  gli  accumuli  di  spermatozoi  attorno  alle 
ova  della,  stessa  e di  diversa  specie,  e quindi  P apparente  « at- 
trazione » esercitata  dall’  elemento  femminile,  non  rappresentino 
che  il  prodotto  della  proprietà  aggluti natrice  degli  elementi  dei 
due  sessi  la  quale  si  intensificherebbe  col  contatto  dei  due  ele- 
menti viventi. 

Riassiiii to  dei  risultati 

Facendo  astrazione  da  ogni  apprezzamento,  mi  pare  oppor- 
tuno riassumere  i risultati  delle  ricerche  fatte  : 

1.  Il  metodo  dei  tubi  capillari,  già  adoperato  dal  Pfeffer 
pei  prodotti  sessuali  di  alcune  piante,  applicato  ad  analoghe  in- 
dagini sugli  animali,  non  dà  alcun  affidamento.  Esso  è fallace 
in  quanto  che  non  fornisce  un  criterio  sicuro  per  asserire  che 
gli  spermatozoi  obbediscano  a stimoli  emananti  dalle  sostanze 
contenute  nei  capillari  , seguendo  soltanto  quella  direzione  per 
penetrarvi.  Dalle  esperienze  fatte  con  sostanze  presumibilmente 
chemiotropiche,  indifferenti  e nocive,  risulta  invece  che  gli  sper- 
matozoi animali  agitandosi  in  tutte  le  direzioni , pervengono 
accidentalmente  entro  i tubi  capillari. 

2.  Grli  spermatozoi  dell’  JEchimis  lividus , e probabilmente 
di  altre  specie  animali,  fuorescono  ed  entrano  indifferentemente 
dei  tubi  capillari  disposti  verticalmente,  e fecondano  le  ova  col- 
locate rispettivamente  all’  interno  e all’  esterno. 

3.  Il  previo  riscaldamento  delle  ove  di  E.  I.  a tempera- 
ture superiori  a 50°  0.  circa  impedisce  1’  « attrazione  » degli 
spermatozoi. 


43 


Ricerche  sull ’ “ attrazione,,  delle  cellule  sessuali 


4.  Il  riscaldamento  a temperature  superiori  a 33°  C.  e 
inferiore  a 50°.  C.  mantiene  nelle  ova  la  capacità  di  « attrarre  » 
gli  spermatozoi,  ma  le  rende  incapaci  di  essere  fecondate. 

5.  Le  oya  immature  con  grossa  vescicola  germinativa  , 
attraggono  gli  sperai  atozoi  allo  stesso  modo  die  le  ova  mature. 

6.  L’  ovo  già  fecondato,  e quindi  provvisto  di  membrana 
esterna,  attrae  gli  spermatozoi  come  1’  ovo  non  fecondato. 

7.  Nell’  unione  incrociata  dei  prodotti  sessuali  di  Ecliinus 

lividus , Asterias  glacialis , Ophyuris  , Sepia  officinalis, 

EngrauHs  encrasicholus , Mugli  cefalus  , Crenilabrus  paco,  1’  attra- 
zione e 1’  accumulo  degli  spermatozoi  attorno  alle  ova  si  eser- 
cita come  fra  gli  elementi  della  stessa  specie. 

8.  La  corrente  galvanica  debole  mentre  uccide  il  proto- 
plasma ovulare , non  impedisce  1’  accumulo  degli  spermatozoi 
attorno  alle  ova. 

9.  Le  ova  di  Riccio  trattate  per  10-30  minuti  con  solu- 
zione di  bi cloruro  di  mercurio  al  3 °/00  e lavate  accuratamente 
attraggono  gli  spermatozoi  come  le  ova  normali. 

10.  Le  ova  predette  trattate  con  soluzione  satura  di  bi- 
cloruro  di  mercurio  per  10  minuti  perdono  il  potere  di  attrarre 
gli  spermatozoi. 

11.  Le  ova  che  in  seguito  ai  superiori  trattamenti  hanno 
perduto  il  potere  di  attrarre  gli  spermatozoi,  lo  riacquistano  se 
vengono  tenuti  per  circa  un’  ora  in  muco  diluito  con  acqua  di 
mare. 

CONCLUSIONI 

Da  questi  risultati  sperimentali,  io  credo  si  possano  trarre 
le  seguenti  conclusioni. 

I.  Gli  spermatozoi  di  E.  lividus  non  risentono  come  stimolo 
direttivo  l’ influenza  della  gravità  : essi  non  sono  cioè  barotropici. 

II.  L’  « attrazione  sessuale  » è indipendente  dalla  capacità 
dell’ ovo  a lasciarsi  penetrare  dallo  spermatozoo. 


44 


Umberto  Drago 


[Memoria  XVI.] 


III.  Essa  è altresì  indipendente  dalla  maturazione  dell’ovo 
e dalla  sua  fecondabilità,  cioè  dall’attitudine  a segmentarsi. 

IV.  A prescindere  dalla  causa  dell’  attrazione  sessuale  , è 
erronea  la  credenza  di  un’  attrazione  specifica,  determinante  lo 
accumulo  degli  sperrnatozoi  soltanto  attorno  alle  ova  della  stessa 
specie. 

V.  Gli  esperimenti  non  confermano  1’  opinione  di  un  che- 
motropismo  sessuale  d’ indole  generale  : per  essi  pare  invece  più 
verosimile  1’  ammettere  che  gli  sperrnatozoi  si  accumulano  at- 
torno alle  ova  per  una  proprietà  adesiva  dello  strato  periferico 
di  queste,  resa  più  efficace  dal  potere  agglutinante  degli  sper- 
matozoi. 

E quindi  per  non  pregiudicare  il  concetto  sull’  indole  e 
sulla  causa  del  fenomeno  sarebbe  opportuno  sopprimere  le  espres- 
sioni di  « chemotropismo  »,  e « attrazione  sessuale  » sostituen- 
dole con  altra  che  caratterizzi  il  fenomeno  dal  lato  puramente 
obbiettivo,  come  p.  es.  « coniugazione  germinale.  » 


Memoria  XVII. 


1 fossili  postpliocenici  di  Salustro,  presso  Motta  S.  Anastasia. 


Mentre  i vari  depositi  postpliocenici  che  compariscono  qua 
e là  in  mezzo  ai  terreni  vulcanici  che  si  estendono  a Nord-Est 
della  città  di  Catania  sono  stati  da  lungo  tempo  oggetto  di  studio 
da  parte  di  molti  geologi  e paleontologi  italiani  e stranieri,  la 
vasta  formazione  di  argille  che  si  estende  ad  Ovest  della  città 
fin  presso  Paterno  è rimasta  quasi  inesplorata,  almeno  dal  punto 
di  vista  paleontologico. 

Tolto  infatti  un  elenco  di  13  specie  rinvenute  da  Inter- 
landi  alla  Possa  della  Creta  (1),  altre  30  enumerate  dal  prof.  B. 
Gravina  (2)  di  varie  località  delle  Terreforti,  non  abbiamo  di 
questa  contrada  che  degli  accenni  un  po’  vaghi  in  alcune  me- 
morie del  Prof.  C.  Gemmellaro  (3)  ed  una  Relazióne  geognostica 
del  Prof.  Sci uto-Pàtti  (4),  nella  quale  sono  compendiate  le  po- 
che notizie  geologiche  che  si  avevano  sni  vari  depositi  di  questa 
fertile  regione. 


(1)  P.  Inthrlandi  — - Memoria  sopra  il  terreno  terziario  della  Fossa  della  Creta  e sue  a- 
diacenze  presso  Catania  ( Atti  d.  Acc.  Gioeiiiu  oli  Se.  Nat.  in  Catania,  Tomo  XIII,  1839). 

(2)  B.  Gravina  — Note  sur  les  terrains  tertiaires  et  quaternaires  des  environs  de  Catane 
(Boll.  ol.  Soc.  Geo.  ole  Trance,  sér.  2e  ; voi.  XV,  1858). 

(3)  C.  Gemmei.t.aro  — Condizioni  geologiche  del  tratto  terrestre  dell’  Etna  ( Atti  d.  Acc. 
Gioenia  oli  Se.  Nat.  in  Catania,  T.  I.  ) — Cenno  geologico  sul  terreno  della  Piana  di  Catania 
(Ibiolem,  voi.  XIII)  — Sulla  costituzione  fìsica  dell’  Etna  (Ibidem,  ser  2a.  voi.  III).  — Saggio 
di  storia  fisica  di  Catania  (Ibiolem,  ser.  2a  voi.  V.) — Vulcanologìa  dell’Etna  (Ibiolem,  ser.  2a, 
voi.  XIV)  — Elementi  di  Geologia,  pag.  132.,  Catania,  1840.,  ecc. 

(4)  C.  Sciuto  Patti  — Relazione  geognostica  delle  colline  delle  Terreforti,  ecc.  (Atti  ol. 
Acc.  Gioenia  di  Se.  Nat.  ser.  2a,  voi.  XII),  1856. 

Atti  acc.  Serie  4a,  Voi,.  XIX  — Meni.  XVII. 


1 


2 


Doti.  8.  Scalia 


[Memoria  XVII.] 


Anche  più  tardi  Lyell  (1),  Waltershausen  (2)  ed  altri  autori 
hanno  parlato  incidentalmente  delle  argille  delle  Terreforti,  che 
strati  grati  cani  e n te  sono  state  sempre  associate  ai  ben  noti  depositi 
fossiliferi  di  Cibali,  di  Catira  e di  Nizzeti  ; fino  ad  ora  però  non  si 
conosceva  di  questa  contrada  una  località  molto  fossilifera  la  cui 
fauna  potesse  mettersi  a raffronto  con  quelle  abbastanza  ricche 
degli  altri  depositi  postpliocenici  sub-etnei,  già  da  tempo  cono- 
sciuti, e dei  quali  mi  sono  occupato  in  vari  lavori  pubblicati 
negli  Atti  di  questa  Accademia  (3). 

La  nuova  località  fossilifera  dalla  quale  provengono  le  specie 
più  avanti  enumerate  mi  venne  indicata  dal  sig.  O.  De  Fiore  che 
ne  ebbe  notizia  dai  signori  Monaco,  nella  cui  proprietà  sita  in 
contrada  Salustro,  a trecento  metri  circa  ad  Ovest  del  Cimitero 
di  Motta  S.  Anastasia,  i fossili  si  trovano  in  grande  abbondan- 
za sul  pendio  settentrionale  di  una  coll  inetta  argillosa,  elevata 
di  280  metri  sul  livello  del  mare. 

In  questa  località,  come  negli  altri  depositi  del  Postpliocene 
sub-etneo,  le  argille  azzurre,  quasi  pure,  che  stanno  in  basso,  sono 
molto  povere  di  fossili,  i quali  si  trovano  invece  in  abbondanza 
nelle  argille  superiori,  giallastre  e sabbiose  che  contengono  anche 
dei  ciottolini  di  arenarie,  di  quarziti  e di  varie  rocce  cristalline. 
Nella  formazione  argillosa  di  Salustro  non  ho  riscontrato  lenti  di 
sabbie  vulcaniche,  ciottoli  di  basalto,  cristallini  isolati  di  augite 
o frammenti  di  altri  elementi  vulcanici  che  si  trovano  frequen- 
temente nei  depositi  di  Nizzeti,  Catira,  S.  Paolo,  etc.  Superior- 


(1)  Ch.  Lyell  — Principles  of  geology.  Varie  edizioni. 

» — • On  thè  Structure  of  Lavas  with  Remarks  on  thè  Mode  of  Origin  of 

Mount  Etna,  etc.  (Phil.  Trans,  for  1858,  Bd.  148,  P.  II). 

(2)  S.  von  Waltershausen.  — Ber  Aetna,  voi.  II,  pag.  33-39,  Leipzig.  1880. 

(3)  S.  Scali  a — Revisione  della  fauna  post-pliocenica  dell’  argilla  di  Nizzeti,  presso  Aci- 
Ca8tello  (Catania)  Atti  d.  Acc.  Gioenia  di  Se.  Nat.  in  Catania,  ser.  4a,  voi.  XIII,  1900). — 
Il  Post-  pliocene  del  Poggio  di  Cibali  e dì  Catira,  presso  Catania  (Ibidem,  ser.  4a  , voi.  XIV, 
1901).  — Sopra  una  nuova  località  fossilifera  del  Post-pliocene  sub-etneo  (Ibidem,  ser.  4a,  voi. 
XIV,  1901).  — Sul  Pliocene  e il  Post-pliocene  di  Cannizzaro  ( Boll.  d.  Acc.  Gioenia  di  Se. 
Nat.  in  Catania,  fase.  LXXII,  febbraio,  1902). 


1 fossili  postpliocenici  di  Salustro 


3 


mente  agli  strati  fossiliferi , che  formano  come  una  lente  , si 
notano  degli  straterelli  di  sabbie  giallastre  zeppi  di  piccole  valve 
di  Mactra  siibtruncata , Montg.  s p . , e più  in  alto  le  argille  , 
sempre  più  sabbiose,  passano  a sabbie  giallastre,  sulle  quali 
riposa  il  conglomerato  che  si  estende  sopra  una  vasta  zona  delle 
Terreforti. 

Dall’elenco  che  segue  risulta  che  le  specie  dame  rinvenute 
nella  contrada  Salustro  ascendono  a 154,  delle  quali  solo  cinque 
non  sono  conosciute  viventi:  Chlamys  sub-clavata,  O ant.r . sp., 
Dentai  inni  PhiUppii , Montrs.,  Tur  niella  tricarinata , Br.  s p . , 
v a r . plio-recens,  Montrs.,  Buccinimi  striatimi  , P h . , Nassa 
crasse-sculpta , Brugn.  sp.  Queste  specie  si  riscontrano  anche 
negli  altri  depositi  postpliocenici  sub-etnei. 

Questa  fauna  che  per  il  modo  di  aggregazione  dei  generi  e 
delle  specie,  per  la  freschezza  delle  conchiglie,  le  quali  spesso  mo- 
strano ancora  vivi  i colori,  e per  1’  esiguo  numero  di  specie  non 
conosciute  viventi,  mostra  le  più  grandi  affinità  con  quelle  di 
Nizzeti,  Cibali,  Catira  e S.  Paolo,  non  lascia  alcun  dubbio  sul 
riferimento  di  questo  nuovo  deposito  fossilifero  ad  un  orizzonte 
molto  elevato  del  Postpliocene  marino  o piano  siciliano  del 
Doderlein,  al  quale  appartengono  gli  altri  depositi  argillosi  sub- 
etnei. 

Elenco  delle  specie  fossili  raccolte  a Salustro. 

ANTHOZOA 

1.  Lophohelia  Defrancei,  Ed,  et  H.  — Quattro  esemplari. 

2.  Caryopliyllia  clavus , Scacchi  — Rara.  Fossile  anche  a Cannizzaro,  a 
Catira  e a Nizzeti. 

3.  Cladocorci  caespitosa,  L.  sp.  — Rara  (viv.  z.  Lt.)  Fossile  anche  a 
Nizzeti,  S.  Paolo  e Pozzo  di  S.  Toda.ro  (Oollez.  Gravina). 

EOHINODERMATA 

4.  Ampliiura  squamata,  Sars.  — Gii  bello  esemplare , (viv.  Lt.  L.) 
Debbo  la  determinazione  di  questa  specie,  trovata  dal  Sig.  De  Fiore  in  un 


4 


Doti.  S.  Scalia 


[Memoria  XVII.] 


tubo  di  Vermetus  gigas,  Biv. , alla  gentilezza  del  Chiarissimo  Prof.  A.  Busso, 
al  quale  rendo  qui  vivissime  grazie. 

o.  Cidaris  sp.  — Un  frammento  di  radiolo. 

VERMES 

6.  Serpula  vermicularis , L.  — Rara  (viv.  z.  Lt.).  Fossile  anche  a Ca- 
tira  e a Xizzeti. 

7.  Vermilia  sp.  — Rara. 

* 8.  Bitrupa  arietina , Miill.  — Frequente  (viv.  z.  Lt.  L.)  Abbonda  nei 
depositi  di  Cannizzaro,  Cibali,  Catira,  Xizzeti,  S.  Paolo,  Vena  e Fossa  della 
Creta  (Collez.  Aradas). 

9.  Pomatoceros  triqueter , L.  sp.  — Rara  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fossile  anche 
a Catira,  Xizzeti  e S.  Paolo. 

10.  Protula  protula,  Cuv.  sp.  — Frequente  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fossile  an- 
che a Catira,  a Xizzeti  e a S.  Paolo. 

11.  Betepora  cellulosa , L.  — Un  bello  esemplare  (viv.  z.  Lt.) 

MOLLUSCA 

Lamellibranchiata 

12.  Chlamys  opercularis , L.  sp.  — Frequente  (viv.  z.  Lt.  L.  C.)  Fossile 
anche  a Cibali,  Catira,  Xizzeti,  S.  Paolo  e Vena. 

* 13.  Chlamys  inflexa , Poli  sp. — Una  valva  beu  conservata  (viv.  z.  L.  C.) 
Fossile  anche  a Cannizzaro,  Cibali,  Catira,  Xizzeti  e Motta  S.  Anastasia 
(Collez.  Grav.). 

14.  Chlamys  subclavata , Cantr.  sp.  — Una  valva  rotta.  Fossile  anche 
a Cibali,  Catira,  Xizzeti  e S.  Paolo. 

15.  Pecten  Jacoboeus,  L.  sp.  — Piccole  valve,  (viv.  z.  L.)  Fossile  an- 
che a Cibali,  Catira,  Xizzeti,  S.  Paolo  e Vena. 

1G.  Lima  ( Radula ) squamosa , Lamk.  — Una  valva  rotta  (viv.  z.  Lt.  L.) 
Fossile  anche  a Catira,  Xizzeti  e S.  Paolo. 

17.  Anomia  ephyppium L.  — Due  belle  valve  (viv.  z.  Lt.  L.  C.)  Fos- 
sile anche  a Cibali,  Catira,  Xizzeti  e S.  Paolo. 

18.  Placunanomia  potetti  formis,  L.  sp.  — Varie  valve  (viv.  z.  L.  C.)  Fos- 
sile anche  a Cibali,  Catira,  Xizzeti  e S.  Paolo. 


* Le  specie  precedute  da  un  * sono  state  indicate  dal  Prof.  B.  Gravina  (Op.  cit.,  pag. 
418-421)  per  le  Terreforti,  senza  precisarne  le  località  dove  furono  rinvenute.  Quelle  pre- 
cedute da  una  -f-  non  sono  conosciute  viventi. 


1 fossili  postpliòcenici  di  Sa  lustro 


5 


19.  Placunanomia  striata , Br.  sp.  — Frequente  (viv.  z.  L.)  Fossile  nu- 
che a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

20.  Ostrea  sp.  — Valve  indeterminabili. 

* 21.  » ( Gryphaea ) cochlear , Poli  — Una  valva  rotta  (viv.  z.  L.  C.) 

Fossile  anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti,  S.  Paolo  e M.  Cardillo  (Grav.). 

* 22.  Nucula  nucleus,  L.  sp.  — Varie  valve  (viv.  z.  Lt.  L.  C.)  Fossile  an- 
che a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

23.  Nudila  silicata,  Bronn.  — Abbastanza  frequente  (viv.  z.  L.  C.)  Fos- 
sile anche  a Cannizzaro,  Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

24.  Leda  (Lembulus)  polla , L.  sp.  — Una  sola  valva  (viv.  z.  Lt.  L.  C.) 
Fossile  anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

25.  Arca  ( Anadara ) Polii , Mayer.  — Una  valva  (viv.  z.  L.  C.)  Fossile 
anche  a Cannizzaro,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

26.  Pectunculus  insubricus,  Br.  sp.  — Due  valve  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fos- 
sile anche  a Cannizzaro,  Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

27.  Pectunculus  bimaculatus.  Poli  sp.  — Una  valva  (viv.  z.  L.  C.)  Fos- 
sile anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti,  S.  Paolo  e Vallone  di  S.  Biagio  (Grav.). 

28.  Venericardia  silicata , Brug.  sp.  — Una  sola  valva  (viv.  z.  Lt.  L.) 
Fossile  anche  a Nizzeti. 

29.  Astarte  fusca , Poli  sp.  — Una  piccola  valva  (viv  z.  L.  C.)  Fossile 
anche  a Cannizzaro,  Cibali,  Catira  e Nizzeti. 

30.  Astarte  silicata,  Da  Costa  sp.  — Rara  (viv.  z.  L.  C.)  Fossile  anche 
a Catira  e a Nizzeti. 

* 31.  Cardium  echinatum,  L.  — Una  piccola  valva  (viv.  z.  L.  C.)  Fossile 
anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

32.  Cardium  papillosum,  Poli  — Abbondante  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fossile  an- 
che a Cibali,  Catira,  Nizzeti,  S.  Paolo  e Pozzo  di  S.  Todoro  ( Collez. 
Grav.  ). 

* 33.  Cardium  tuberculatum,  L.  — Abbastanza  frequente  (viv.  z.  Lt.  L.) 
Fossile  anche  a Cannizzaro,  Cibali,  Catira,  Nizzeti,  San  Paolo,  Vena  e Fossa 
della  Creta  (Iuterlandi). 

34.  Cardium  paucicostatum,  L.  — Due  belle  valve  (viv.  z.  L.  C.)  Fos- 
sile anche  a Cibali  e a S.  Paolo. 

35.  Cardium  minimum , Ph.  — Abbondante  (viv.  z.  C.)  Fossile  anche 
a Nizzeti. 

36.  Tapes  edulis,  Chemntz  sp.  — Una  valva  rotta  (viv.  z.  Lt.)  Fossile 
anche  a Cibali  e a Catira. 

37.  Venus  ( Cliione ) ovata , Peno.  — Comune  (viv.  z.  Lt.  L.  C.)  Molto 
frequente  in  tutti  i depositi  postpliocenici  sub-etnei. 


6 


Doti.  ti.  tienila 


[Memoria  XVII.] 


38.  Venus  ( Chione ) striatula , Forb.  et  Haul.  — Abbondante  (viv.  z.  L.) 
Fossile  anche  a Cannizzaro,  Cibali,  Catira,  Xizzeti,  S.  Paolo  e Vena. 

39.  Venus  (Chione)  gallina , L.  — Piccole  valve  (viv.  z.  L.)  Fossile  anche 
a Cibali,  Catira,  Xizzeti,  S.  Paolo  e Vena. 

# 40.  Venus  (. Anaitis ) fasciata , Donov. — Poche  valve  (viv.  z.  L.  C.)  Fos- 
sile anche  a Canuizzaro,  Cibali,  Catira,  Xizzeti  e S.  Paolo. 

41.  Meretrix  chione,  L.  sp.  — Una  valva  (viv.  z.  L.  C.)  Fossile  anche 
a Cibali,  Catira,  Xizzeti,  S.  Paolo  e Vena. 

43.  Donax  trunculus , L.  — Tre  valve  (viv.  z.  Lt.)  Fossile  anche  a Ci- 
bali, Catira  e 8.  Paolo. 

43.  Tellina  donacina , L.  — Tre  valve  (viv.  z.  L.  C.)  Fossile  anche  a 
Cibali,  Xizzeti  e S.  Paolo. 

# 44.  Tellina  distorta,  Poli  — Una  piccola  valva  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fossile 
anche  a Cibali,  Xizzeti  e S.  Paolo. 

45.  Tellina  pulchella,  Poli  — Una  piccola  valva  (viv.  Lt.)  Fossile  an- 
che a Cibali  e a Catira. 

# 46.  Mactra  subtruncata , Montg.  sp.  — Abbondante  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fos- 
sile anche  a Cibali,  Catira,  Xizzeti,  8.  Paolo,  Vena,  Pozzo  di  S.  Todaro 
(Collez.  Gravina)  e Fossa  della  Creta  (Collez.  Aradas). 

47.  Mactra  corallina,  L.  — Una  valva  ben  conservata  (viv.  z.  Lt.  L.) 

48.  Lutraria  ellittica,  L.  — Un  frammento  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fossile  an- 
che a Catira,  a Cibali  e a Xizzeti. 

49.  Corbula  gibba,  L.  — Abbondante  (viv.  z.  L.  C.)  Fossile  anche  a 
Cannizzaro,  Cibali,  Catira,  Xizzeti,  S.  Paolo,  Vena,  Fossa  della  Creta  (Collez. 
Aradas)  e Pozzo  di  S.  Todaro  (Collez.  Gravina). 

50.  Pholas  dactylus,  L.  — Pochi  frammenti  (viv.  z.  Lt.)  Fossile  anche 
a Xizzeti  e a S.  Paolo. 

Scaphopoda 

51.  Dentalium  dentale , L.  — Un  esemplare  rotto  (viv.  z.  L.  C.)  Fossile 
anche  a Cannizzaro,  Cibali,  Catira,  Xizzeti,  S.  Paolo  e Vallone  di  8.  Biagio. 
(Gravina). 

52.  Dentalium  novemcostatum,  Lamk.  — Belli  esemplari  (viv.  z.  L.  C.) 
Fossile  anche  a Cibali,  Catira,  Xizzeti,  San  Paolo  e Pozzo  di  S.  Todaro 
(Collez.  Gravina). 

53.  Dentalium  rubescens,  Desìi.  — Quattro  frammenti  (viv.  z.  L.  C.) 
Fossile  anche  a Cibali  e a Catira. 

-f-  54.  Dentalium  Philippii,  Moutrs.  — Un  esemplare  e varii  frammenti. 
Fossile  anche  a Cannizzaro,  Cibali,  Vena  e Fossa  della  Creta  (Interlaudi). 


I fossili  postpliocenici  di  Salustro 


7 


Amphineura 

55.  Chiton  olivaceus,  Spengler.  — Una  placca  intermedia  (viv,  z.  Lt.) 
Fossile  anche  a Nizzeti. 

Gastropoda 

56.  Fattila  coernlea , L.  — Due  esemplari  (viv.  z.  Lt.)  Fossile  anche  a 
Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

57.  Emarginala  elongata , O.  G.  Costa  — Un  bello  esemplare  (viv.  z. 
Lt.  L.)  Fossile  anche  a Cibali,  Catira  e Nizzeti. 

58.  Fissurella  gibberula,  Lamk.  — Un  esemplare  rotto  (viv.  z.  Lt.) 
Fossile  anche  a Nizzeti  e a S.  Paolo. 

59.  Haliotis  lamellosa , Hidalgo  — Un  piccolo  esemplare  (viv.  z.  Lt.) 
Fossile  anche  a Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

60.  Astralium  ( Bolina ) rugosum , L.  sp.  — Un  magnifico  esemplare  ed 
un  opercolo  (viv.  z.  L.  C.)  Fossile  anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

61.  Turbo  (Collonia)  sanguineus,  L.  — Belli  esemplari  (viv.  z.  L.  C.) 
Fossile  anche  a Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

62.  Fhasianella  palla  L.  sp.  — Vari  esemplari  (viv.  z.  Lt.)  Fossile  an- 
che a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

63.  Fhasianella  punctaia , Risso  — Diversi  esemplari  (viv.  z.  Lt.  L.) 
Fossile  anche  a Nizzeti. 

64.  Calliostoma  conuloide,  Lamk.  sp.  — Diversi  esemplari  (viv.  z.  L.  C.) 
Fossile  anche,  a Nizzeti  e S.  Paolo. 

65.  Calliostoma  convitivi,  Lamk.  sp.  — Un  solo  esamplare  (viv.  z.  L.) 
Fossile  anche  a Cibali,  Catira  e Nizzeti. 

66.  Calliostoma  dubitivi , Ph.  sp.  — Frequente  (viv.  z.  L.  C.)  Fossile 
anche  a Nizzeti  e S.  Paolo. 

67.  Calliostoma  Laugieri,  Payr.  sp,  — Quattro  esemplari  (viv.  z.  Lt.  L.) 
Fossile  anche  a Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

68.  Calliostoma  sp. 

69.  Calliostoma  granulatimi , Borii,  sp.  — Un  solo  esemplare  (viv.  z. 
Lt.  L.  C.)  — Fossile  anche  a Catira  e Nizzeti. 

70.  Calliostoma  M atonii , Payr.  sp.  — Frequente  (viv.  z.  Lt.)  Fossile  an- 
che a Catira  e Nizzeti. 

71.  Calliostoma  striatimi , L.  sp.  — Frequente  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fossile 
anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

72.  Calliostoma  exasperatum,  Perni,  sp.  — Molto  abbondante  (viv.  z.  Lt. 
L.)  Fossile  anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 


8 


Doti.  8.  /Scali a 


[Memoria  XVII.] 


73.  Calliostoma  millegranum , Pii.  sp.  — Abbondante  (viv.  z.  L.  C.) 
Fossile  anche  a Catira  e Nizzeti. 

74.  Calliostoma  depictum,  Desìi,  sp.  — Non  molto  comune  (viv.  z.  L.  <_'.) 
Fossile  anche  a Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

75.  Calliostoma  sp.  — Uu  magnifico  esemplare. 

76.  Gibbuta  magus,  L.  sp.  — Abbondante  (viv.  z.  Lt.  L.  C.)  Fossile 
anche  a Canuizzaro,  Cibuli,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

77.  Gibbuta  Guttadauri,  Ph.  sp.  — Quattro  piccoli  esemplari  (viv.  z. 
L.  C.)  Fossile  anche  a Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

78.  Gibbuta  ardens , von  Salis  — Frequente  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fossile 
anche  a Catira  e Nizzeti. 

79.  Gibbuta  fanulum , Gmel.  sp.  — Tre  bei  esemplari  (viv.  z.  L.  C.) 
Fossile  anche  a Nizzeti. 

80.  Gibbuta  Richardii , Payr.  sp.  — Vari  esemplari  (viv.  z.  Lt.)  Fossile 
anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

81.  Gibbuta  canaliculata , Lamk.  sp.  — Rara  (viv.  z.  Lt.) 

82.  Gibbuta  turbinoides , Desh.  sp.  — Comune  (viv.  z.  Lt.)  Fossile  an- 
che a Nizzeti  e S.  Paolo. 

83.  Gibbuta  umbilicaris , L.  sp.  — Tre  esemplari  (viv.  z.  Lt.)  Fossile 
anche  a Nizzeti  e S.  Paolo. 

84.  Gibbuta  Ractcetti,  Payr.  sp.  — Frequente  (viv.  z.  Lt.)  Fossile  auche 
a Nizzeti. 

85.  Clanculus  corallinus , Cerni,  sp.  — Sei  esemplari  molto  ben  conser- 
vati (viv.  z.  Lt.  L.)  — Fossile  anche  a Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

86.  Clanculus  cruciatus , L.  sp.  — Frequente  (viv.  z.  Lt.)  Fossile  a Ci- 
bali, Catira  Nizzeti,  e S.  Paolo. 

87.  Clanculus  Jussieui , Payr.  sp.,  et  var.  cincta , Seal.  — Frequente 
(viv.  z.  Lt.)  — Fossile  anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

88.  Clanculus  (Olivia)  Tinei , Calcara  sp.  — Un  bello  esemplare  (viv. 
z.  C.  A.)  Fossile  anche  a Nizzeti. 

89.  Calyptraea  chinensis,  L.  sp.  — Piuttosto  frequente  (viv.  z.  Lt.  L. 
C.)  Fossile  anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

# 90.  Natica  (Nacca)  millepunctata.  Lamk.  sp.  — Abbondante  (viv.  z.  Lt. 
L.  C.)  Fossile  anche  a Canuizzaro,  Cibali,  Catira,  Nizzeti,  S.  Paolo  e Pozzo 
di  S.  Todaro  (Collez.  Gravina). 

91.  Natica  ( Nacca. ) fusca , De  Blainv.  — Due  esemplari  (viv.  z.  L.  C.) 
Fossile  anche  a Canuizzaro,  Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

92.  Natica  (Nacca)  catena , Da  Costa  sp.  — Poco  frequente  (viv.  z.  Lt. 
L.  ) Fossile  anche  a Nizzeti  e S.  Paolo. 


1 fossili  postpliocenici  di  iSalustro 


9 


93.  Natica  ( Naticina ) macilenta , Ph.  — Abbastanza  frequente  (viv.  z.  L. 
0.)  Fossile  anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti,  S.  Paolo  e Pozzo  di  S.  Todaro 
(Collez.  Gravina). 

94.  Natica  (Ne verità)  Josephinia , Risso  sp.  — Due  bei  esemplari  (viv. 
z.  Lt.  L.)  Fossile  anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti,  S.  Paolo  e Pozzo  di  S.  To- 
daro (Collez.  Gravina). 

95.  Rissoia  variabili s,  Miilhf.  sp.  — Vari  esemplari  (viv  z.  Lt.  L.)  Fos- 
sile anche  a Nizzeti  e S.  Paolo. 

* 96.  Rissoia  oblonga , Desm.  — Rara  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fossile  anche  Cibali, 
Catira  e Nizzeti. 

97.  Rissoia  sp.  — Un  solo  esemplare. 

98.  Rissoia  (Alvania)  cimex,  L.  sp.  — Rara  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fossile  an- 
che a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

99.  Rissoia  ( Alvania ) lactea,  L.  — Un  solo  esemplare  (viv.  z.  Lt.)  Fos- 
sile anche  a Nizzeti. 

100.  Rissoia  ( Alvania ) cancellata , Da  Costa  sp. — Rara  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fos- 
sile anche  a Nizzeti  e S.  Paolo. 

101.  Rissoia  ( Alvania ) Montagui,  Payr.  — Rara  (viv.  z.  Lt.)  Fossile  anche 
a Nizzeti. 

* 102.  Scalarla  ( Clathrus ) communis , Lamk.  — Un  esemplare  rotto  (viv. 
z.  Lt.  L.)  Fossile  anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti,  S.  Paolo  e Fossa  della  Creta 
(luterlandi). 

103.  Scalarla  (Fuscoscala)  ten uico sta,  Mieli.  — Vari  esemplari  rotti  (viv. 
z.  L.  C.)  Fossile  a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

* 104.  Turritella  communis , Risso  — Abbondante  (viv.  z.  L.  C.)  Fossile 
anche  a Cannizzaro,  Cibali,  Catira,  Nizzeti,  tì.  Paolo  , Vena  e Pozzo  di  S. 
Todaro  (Collez.  Gravina). 

-)-  105.  Turritella  tricarinata , Br.  sp.,  var.  plio-recens,  Montrs.  — Comune. 
Fossile  anche  a Catira  e Nizzeti. 

106.  Turritella  breviata  , Brugn.  — Due  esemplari  (viv.  z.  L.  C.)  Fos- 
sile anche  a Cannizzaro,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

107.  Vermetus  gigas , Biv.  — Un  frammento  ben  riconoscibile  (viv.  z. 
Lt.)  Fossile  anche  a Nizzeti  e al  Pozzo  di  S.  Todaro  (Collez.  Gravina). 

108.  Vermetus  semisurrectus,  Biv.  — Un  frani  incinto  (viv.  z.  Lt.)  Fossile 
anche  a Nizzeti  e a S.  Paolo. 

* 109.  Vermetus  subcancellatus , Biv.  — Vari  frammenti  (viv.  z.  Lt.)  Fos- 
sile anche  a Nizzeti  e S.  Paolo. 

110.  Vermetus  triqueier,  Biv.  — Due  bei  frammenti  (viv.  z.  Lt.)  Fossile 
anche  a S.  Paolo. 

Atti  acc.  Serie  4a,  Vor..  XIX  — Mem.  XVII.  2 


10 


Boti.  8.  Scalia 


[Memoria  XVII.] 


# 111.  Buiima  subulata,  Donov.  sp.  — Un  esemplare  molto  beu  conservato 
(viv.  z.  L.  C.)  Fossile  anche  a Cibali. 

112.  Cerithium  vulgatum , Brug.  — Un  framento  ben  riconoscibile  (viv. 
Z.  Lt.  L.  C.)  Fossile  anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e Fossa  della  Creta 
(Collez.  Aradas). 

113.  Ceritlnum  rupestre , Risso.  — Due  esemplari  ben  conservati  (viv.  z. 
Lt.  L.)  Fossile  anche  a Nizzeti  e a S.  Paolo. 

114.  Bittium  Jadertinum , Brus.  sp.  — Vari  esemplari  (viv.  z.  Lt.)  Fos- 
sile anche  a Nizzeti. 

115.  Bittium  lacteum , Ph.  sp. — Tre  esemplari  (viv.  z.  L.  C.)  Fossile  anche 
a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

116.  Bittium  Latreillei , Payr.  sp.  — Frequente  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fossile 
anche  a Nizzeti  e S.  Paolo. 

117.  Triforis  perversa , L.  sp.  — Un  solo  esemplare  (viv.  z.  Lt.  L.  C.) 
Fossile  anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

118.  Chenopus  serresianus , Mich.  — Frequente  (viv.  z.  L.  C.)  Fossile 
anche  a Cannizzaro,  Cibali,  Catira,  Nizzeti,  S.  Paolo  e Fossa  della  Creta 
(Collez.  Aradas). 

119.  Cypraea  ( Trivia ) europaea , Montg.  — Un  solo  esemplare  (viv.  z.  Lt. 
L.  C.)  Fossile  anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

120.  Cypraea  ( Trivia ) pulex , Gray  — Due  esemplari  (viv.  z.  Lt.  L.  C.) 
Fossile  anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

121.  Cassidaria  echinophora,  L.  sp.  — Frequente  (viv.  z.  L.  C.)  Fossile 
anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

* 122.  Cassidaria  Thyrrena , Chemntz.  sp. — Un  magnifico  esemplare  (viv.  z. 
L.  C.)  Fossile  anche  a Cibali  e Catira, 

123.  Triton  corrugatus , Lamk.  — Un  bello  esemplare  (viv.  z.  L.  C.)  Fos- 
sile anche  a Cannizzaro,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

124.  Columbella  rustica , L.  sp.  — Due  esemplari  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fossile 
anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

125.  Columbella  ( Mitrella ) scripta , L.  sp.  — Abbastanza  frequente  e 
molto  ben  conservata  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fossile  anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti 
e S.  Paolo. 

126.  Columbella  ( Mitrella ) decollata , Brus.  — Rara  (viv.  z.  L.)  Fossile 
anche  a Nizzeti. 

127.  Columbella  ( Mitrella ) Gervillei , Payr.  sp.  — Due  esemplari  (viv.  z. 
L.  C.)  Fossile  anche  a Nizzeti  e a S.  Paolo. 

128.  Lachesis  minima , Montg.  sp.  --  Un  esemplare  (viv.  z.  L.  C.)  Fos- 
sile anche  a Cibali. 


I fossili  postpliocenici  di  Salustro 


11 


-j-  129.  Buccinimi  striatimi , Pii.  — Un  magnifico  esemplare.  Fossile  anche 
a Cannizzaro,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

130.  Nassa  Edwardsi , Fischer.  — Abbastanza  frequente  (viv.  z.  L.  C. 
A.)  Fossile  anche  a Cannizzaro,  Cibali,  Catira,  Nizzeti,  S.  Paolo  e Pozzo  di 
S.  Todaro  (Collez.  Gravina). 

131.  Nassa  costatata,  Ren.  sp.  — Rara  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fossile  anche  a 
Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

-f-  * 132.  Nassa  crasse-sculpta,  Brugo,  sp.  — Due  piccoli  esemplari.  Fossile 
anche  a Cannizzaro,  Cibali,  > Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

133.  Nassa  limata , Chemntz.  sp.  — Abbastanza  frequente  (viv.  z.  L.  C.) 
Fossile  anche  a Cannizzaro,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

* 131.  Nassa  mutabilis,  L.  sp.  — Abbondante  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fossile 
anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti,  S.  Paolo  e Pozzo  di  S.  Todaro  (Collez.  Gra- 
vina). 

135.  Nassa  ( Zeuxis ) incrassata,  Strom.  sp.  — Rara  (viv.  z.  Lt.)  Fossile 

anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti,  S.  Paolo  e Pozzo  di  S.  Todaro  (Collez.  Gra- 

vina). 

136.  Nassa  ( Zeuxis ) reticulata,  L.  sp.  — Rara  (viv.  z.  Lt.)  Fossile  anche  a 
Nizzeti  e S.  Paolo. 

137.  Nassa  (. Zeuxis ) varicosa,  Turton  sp.  — Abbastanza  frequente  (viv. 
z.  Lt.  L.)  Fossile  anche  a Nizzeti  e S.  Paolo. 

L38.  Nassa  (. Amycla)  corniculum , Olivi  sp.  — Rara  (viv.  z.  Lt.)  Fossile 
anche  a Cannizzaro,  Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

* 139.  Nassa  (Mone)  gibbosula,  L.  sp.  — Rara  (viv.  z.  L.)  Fossile  anche 

a Cibali,  Catira,  Nizzeti,  S.  Paolo  e Fossa  della  Creta  (Interlandi). 

140.  Cyclonassa  neritea,  L.  sp.  — Molto  rara  (viv.  z.  Lt.  L.)  Fossile  anche 

a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

* 141.  Murex  (Bolinus)  brandaris,  L.  — Vari  frammenti  ben  riconoscibili 
(viv.  z.  L.  C.)  Fossile  anche  a Cibali,  Catira  e Nizzeti. 

142.  Murex  ( Muricantlia ) trunculus,  L.  — Un  magnifico  esemplare  (viv.  z. 
Lt.  L.)  Fossile  anche  a Cannizzaro,  Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

* 143.  Murex  ( Muricopsis ) eristatus,  Br.  sp.  — Nou  molto  frequente  (viv. 
z.  L.  C.)  Fossile  anche  a Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

144.  Ocinebra  Edwardsi,  Payr.  sp.  — Un  solo  esemplare  (viv.  z.  Lt.) 
Fossile  anche  a Nizzeti  e S.  Paolo. 

145.  Ocinebra  erinacea,  L.  sp.  — Vari  esemplari  (viv.  z.  L.  (3.)  Fossile 
anche  a Nizzeti. 

146.  Ocinebra  ( Hadriania)  craticulata , Br.  sp. — Frequente  (viv.  z.  L.  C.) 
Fossile  anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 


12 


Boti.  S.  Scalia 


[Memoria  XYIT.] 


147.  Trophon  muricatus,  Montg.  sp. — Non  molto  frequente  (viv.  z.  L.  C.) 
Fossile  anche  a Nizzeti. 

148.  Fusus  rostratus , Olivi  sp.  — Due  soli  esemplari  (viv.  z.  Lt.  L.  C.) 
Fossile  anche  a Oannizzaro,  Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

149.  Eutria  cornea,  L.  sp.  — Un  solo  esemplare  (viv.  z.  Lt.  L.  C.)  Fos- 
sile anche  a Oannizzaro,  Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

150.  Marginella  secalina , Ph.  — Rara  (viv.  z.  L.  C.)  Fossile  auclie  a Ca- 
tira, Nizzeti  e S.  Paolo. 

151.  Daphnella  ( Raphitoma ) fuscata , Desìi,  sp. — Rara  (viv.  z.  Lt.)  Fossile 
anche  a Nizzeti  e S.  Paolo. 

152.  Daphnella  ( Bella rdiella)  gracilis,  Montg.  sp.  — Rara  (viv.  z.  L.  C.) 
Fossile  anche  a Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

153.  Bonus  ( Chelyconus ) mediterraneus,  Brug.  — Un  solo  esemplare  (viv.  z. 
Lt.  L.)  Fossile  anche  a Oannizzaro,  Cibali,  Catira,  Nizzeti  e S.  Paolo. 

154.  Ringicnla  conformis , Montrs.  — Abbastanza  frequente  (viv.  z.  L.  C.) 
Fossile  anche  a Cibali,  Nizzeti,  S.  Paolo,  Vena  e Pozzo  «li  S.  Todaro  (Collez. 
Gravina). 


Dal  Museo  di  Geologia  della  R.  Università 
Catania,  maggio  1906. 


Memoria  XVIII. 


Dott.  SALVATORE  DI  FRANCO 


T 


Gli  inclusi  nei  basalte  dell’  isola  dei  Ciclopi. 


fcou  una  tavola) 


RELAZIONE 

DELLA  COMMISSIONE  DI  REVISIONE  COMPOSTA  DAI  SOCI  EFFETTIVI 

Proff.  GRASSI  e BUGGA  (relatore). 


Il  lavoro  del  D.r  S.  Di  Franco  tratta  di  una  questione  importante  e 
nuova  riguardante  la  genesi  di  svariati  minerali,  onde  va  rinomata  l’ isola 
dei  Ciclopi.  Nessuno  uvea  sinora  accennato  all’  esistenza  di  singolari  inclu- 
sioni nel  basalte  di  quell’  isola,  e che  la  ricchezza  di  quei  minerali  fosse 
limitata  ad  una  speciale  e limitata  zona,  indicata  dal  D.r  Di  Franco  col 
nome  di  zona  ad  analcime.  ' 

Pertanto  la  Commissione  propone  che  il  suddetto  lavoro  venga  inserito 
negli  Atti  dell’  Accademia 


Da  gran  tempo  V isola  dei  Ciclopi  è stata  argomento  di  stu- 
dio, principalmente  per  la  sua  ricchezza  di  minerali,  che  la  pon- 
gono in  vivo  contrasto  con  tutta  la  regione  etnea  , dove  quelli 
sono  scarsi  ; in  quanto,  poi,  all’  analcime  essa  è divenuta  una  lo- 
calità classica. 

L’ esame  del  copioso  materiale  di  quell’  isola,  esistente  nel 
Gabinetto  di  Mineralogia  e Vulcanologia  della  R.  Università  di 
Catania,  mi  ha  condotto  ad  osservare  che,  principalmente  nei 
campioni  ricchi  di  zeoliti , il  basalte  presenta  delle  macchie  gri- 
gie più  o meno  chiare,  ordinariamente  di  forme  arrotondate,  del 
diametro  di  5 mm.  sino  a 8 cm.  e più,  che  spiccano  sulla  massa 

Atti  acc.  Serie  4*,  Voi..  XIX  — Mem.  XVIII.  1 


2 


Doti.  Salvatore  Di  Franco 


[Memoria  XVJII.] 


molto  oscura  del  basalte  , e alcuni  campioni  di  esso  sono  così 
ricchi  di  queste  macchie  da  assumere  1’  aspetto  di  una  vera 
breccia. 

Di  queste  macchie  nessuno  ha  fatto  cenno  sinora  e pertanto 
ho  creduto  importante  lo  studio  di  esse,  anche  per  le  conseguenze 
minerogenetiche  che  se  ne  possono  ricavare.  (1) 

Queste  macchie  , che  un’  osservazione  superficiale  potrebbe 
riferire  ad  accidentalità  proprie  della  massa  del  basalte,  ad  esa- 
me più  attento  si  fanno  riconoscere  come  vere  e proprie  inclu- 
sioni di  rocce  estranee,  più  o meno  metamorfizzate  dal  magma 
basaltico. 

È da  notare,  però,  che  non  tutto  il  basalte,  che  forma  il 
basamento  dell’  isola,  presenta  queste  inclusioni  ; nè,  come  gene- 
ralmente si  crede,  in  tutte  le  parti  del  basalte  dell’  isola  abbon- 
dano le  druse  di  cristalli  di  analcime.  Questo  minerale  è limi- 
tato ad  una  zona  molto  sviluppata  nell’  insenatura  Nord  dell’i- 
sola , zona  potente  da  tre  a quattro  metri , nella  quale  si  nota 
una  struttura  piuttosto  brecciata  e in  cui  sono  inglobati  anche 
grossi  pezzi  di  marna  (v.  fìg.  1). 

Tale  zona  è ricca  delle  suddette  inclusioni  e di  geodi  di 
analcime  : essa  è formata  da  una  roccia,  simile  nell’  aspetto  al 
basalte,  ma  un  po’  più  oscura  e con  lucentezza  più  grassa,  ed  è 
costituita  principalmente  da  analcime  (2)  e deve  considerarsi  come 
un  prodotto  secondario  locale,  del  quale  mi  occuperò  in  altro 
studio. 

La  zona  di  cui  parlo  è sottostante  alla  marna  (3)  dell’  isola  : 
riposa  sopra  di  un  basalte  compatto,  spesso  con  pronunziata  strut- 


(1)  Questo  lavoro  fu  annunciato  con  una  nota  preventiva  nel  Bollettino  dell ’ Accademia 
Gioenia  di  Catania — Fase.  LXXXIV,  Gennaio  1905. 

(2)  Quella  appunto  denominata  da  C.  Geinmellaro  Analcimite  (Atti  Accademia  Gioenia 
Sjer.  I,  Voi.  II,  1827,  pag.  64). 

(3)  Questa  marna  fu  creduta  da  C.  Geinmellaro  (Atti  Accad.  Gioenia,  Catania,  Ser.  II. 
Voi.  II,  1845,  pag.  309)  come  un  prodotto  di  alterazione  del  basalte  e denominata  Ciclopite,, 
idea  combattuta  da  Lyell  (Principes  of  Geology  Voi.  Ili,  pag.  337)  il  quale  la  ritenne  co- 
me marna  argillosa  anteriore  al  basalte  e da  esso  spinta  in  alto. 


Gli  inclusi  nel  basalte  dell’  isola  dei  Ciclopi. 


3 


tura  columnare  , più  sviluppato  nella  parte  settentrionale  del- 
l’isola (v.  fìg.  2)  la  quale,  battuta  continuamente  dalle  onde  ma- 
rine è sottoposta  ad  un  progressivo  diroccamento.  Questo  basalte 
è del  tutto  identico  a quello  dei  vicini  scogli  (faraglioni),  della 
costa  di  Aci  Trezza  e Aci  Castello  e della  vicina  località  di 
Nizzeti  e in  quest’  ultima  a contatto  con  marna  fossilifera. 

Nelle  lave  e nelle  bombe  dell’  Etna  trovansi  non  di  rado 
inclusioni  principalmente  di  arenaria  ; note  sono  quelle  delle 
eruzioni  del  1883,  1886  e 1892  (1). 

Gli  inclusi  del  basalte  dell’  isola  dei  Ciclopi  sono  però  di 
natura  differente , perché  dovute  ad  una  marna  più  o meno 
argillosa.  Esse,  per  l’aspetto  che  presentano  all’  osservazione  of- 
frono il  modo  di  constatare  il  graduale  passaggio  della  loro 
formazione.  Infatti  dalle  inclusioni  di  marna  intatta  , analoga 
a quella  sovrastante  al  basalte  dell’  isola  stessa  o a quella  della 
costa  vicina,  troviamo  altre  inclusioni  con  struttura  gradatamente 
sempre  più  compatta  e massiccia,  e in  fine  aggregati  di  diversi 
minerali  estranei  al  basalte,  e che  pare  siano  stati  sin’  oggi  ri- 
tenuti invece  come  accidentali  concentrazioni  degli  elementi 
dello  stesso  basalte,  o come  prodotto  dall’azione  di  acque  ter- 
mali sulla  massa  del  basalte. 

Non  è sempre  sicuro  che  tali  aggregati  debbano  riferirsi  ad 
inclusioni  profondamente  metani  orti  zzate  , ma  è degno  di  nota 
che  essi  mancano  del  tutto  nel  basalte  ordinario  ; sono  invece 


(1)  Cfr . G.  Basile.  — Le  bombe  vulcaniche  dell ’ Etna  — (Atti  Aoc.  Gioenia,  Catania  , 
Ser.  Ili,  Voi.  XX,  1888,  pag.  29). 

0.  Silvestri.  — L’eruzione  dell’Etna  del  1886.  — Nota  II.  Ricerche  petrografiche  sugli 
inclusi  della  lava  e delle  bombe.  — Atti  Aoc.  Gioenia,  Catania,  Ser.  IV,  Voi.  VI,  1893. 

Altre  inclusioni  si  trovano  nelle  lave  dell’  Etna,  alcune  delle  quali  furono  descritte  da 
A.  Lacroix  (Lee  enclaves  des  roches  volcaniques  — pag.  40,  155,  474);  però  nulla  lianno  esse  di 
comune  con  quelle  dei  basalti  dell’  isola  dei  Ciclopi,  si  tratta  di  rarità  cosi  limitate  , da 
non  poterne  ricavare  delle  serie  conclusioni,  pertanto  meritano  uno  studio  accurato  che  io 
ho  da  qualche  tempo  intrapreso  e mi  propongo  di  pubblicare  prossimamente,  quando  sarà 
possibile  aumentare  il  materiale  che  da  tempo  vado  raccogliendo,  con  la  massima  esattezza 
sia  per  la  provenienza,  sia  per  le  condizioni  di  giacitura. 


4 


Doti.  Salvatore  Di  Franco 


[Memoria  XY1II.] 


frequenti  nella  zona  ad  analcime , nella  quale  soltanto,  come  lio 
detto,  si  presentano  gl’  inclusi. 

Inoltre  è d’  avvertire  che  queste  associazioni  minerali  hanno 
dimensioni  e forme  simili  agli  inclusi,  e abbondano  là  dove 
questi  sono  piu  metani  orfizzati. 

Delle  inclusioni  alcune  sono  giallo-chiare  e conservano  tal- 
volta ancora  la  friabilità  della  marna  originaria  ; esse  spiccano 
nettamente  sulla  massa  oscura  del  basalte  (v.  fìg.  3)  dal  quale 
si  staccano  senza  transizione. 

Generalmente  si  presentano  di  color  grigio  più  o meno 
chiaro,  con  struttura  compatta,  molto  tenaci,  talora  dall’aspetto 
di  selce.  Al  contatto  col  basalte  terminano  con  una  zona  più 
chiara,  di  larghezza  variabile  da  ijw  di  min.  a più  di  1 min. 
dovuto  a metamorfismo  di  contatto. 

Tra  queste  e le  prime  specie  di  inclusioni  abbiamo  tutti  i 
passaggi  possibili;  ma  non  è raro  il  caso  che  in  uno  stesso  pezzo 
di  basalte  si  trovino  inclusioni  corrispondenti  a diversi  stadi  di 
metamorfismo,  disordinatamente  distribuite,  riferibili  perciò  a 
frammenti  di  marna  strappati  a diverse  profondità  e metamor- 
fìzzate  più  o meno  profondamente  dal  magma  basaltico. 

Mentre  la  massima  parte  delle  inclusioni  presentano  una 
massa  compatta,  in  molte  di  esse  è notevole  una  cavernosità  de- 
terminata da  una  certa  bollosità,  colle  cavità  per  lo  più  tap- 
pezzate da  minerali  cristallizzati  ( pirosseno , ciclopite,  e zeoliti  di- 
verse), oppure  rivestite  da  una  patina  bianca  (probabilmente  di 
silice  idrata  ( idrosilicite  di  Waltershausen). 

Questa  cavernosità  è più  notevole  nelle  inclusioni  più  pro- 
fondamente metainorfizzate  ; ma  non  è rara  pure  in  quelle  che 
ricordano  ancora  la  loro  origine  marnosa. 

In  talune  di  queste  inclusioni,  la  cavernosità  è più  accen- 
tuata, o anche  limitata  alla  parte  periferica,  proprio  in  vicinan- 
za del  contatto  col  basalte  , in  modo  da  determinare  un  facile 
distacco  dell’  inclusione  dal  basalte  includente;  1’  inclusione  anzi 
talvolta  giace  completamente  distaccata  dentro  una  corrispon- 


Gli  inclusi  nel  basalte  dell’  isola  dei  Ciclopi. 


5 


dente  cavità  del  basalte.  In  questo  caso  è sempre  dalla  parte 
della  massa  del  basalte  che  si  trova  la  zona  oscura  di  contatto, 
riuscendo  così  più  chiara  la  dimostrazione  che  questa  caverno- 
sità è soltanto  nella  inclusione  e non  mai  nella  massa  del  ba- 
salte. 

L’  origine  di  queste  cavità  dentro  le  inclusioni  va  collegata 
non  solo  coll’  acqua  contenuta  nella  marna  come  acqua  di  cava, 
ma  pure  in  parte  dovuta  alla  disidratazione  dell’  argilla  della 
marna  stessa  , anzi  con  questa  va  pari  passo  la  formazione  dei 
varii  minerali  succennati,  come  1’  analcime  o altre  zooliti , la  ci- 
clopite  (varietà  di  anortitè). 

Esame  del  basalte  includente. 

Macr.  — Il  basalte  racchiudente  le  inclusioni  è in  tutto 
identico  a quello  libero  d’inclusioni  e di  analcime,  che  come  ab- 
biamo detto , è sviluppato  alla  parte  inferiore  dell’  isola.  E di 
colore  grigio  oscuro  , leggermente  verdastro;  tale  colorazione  è 
dovuta  ad  un  gran  numero  di  piccole  macchie  giallastre  o ver- 
dastre disseminate  nella  sua  massa.  Vi  spiccano  le  segregazioni 
nere  di  augite  e giallo  dorate  di  olivina  , più  raramente  quelle 
di  feldspato. 

Micr.  — Al  microscopio  si  rivela  una  struttura  nettamente 
doleritica  lasciandosi  distinguere  i seguenti  elementi  : feldspato, 
augite , olivina  e magnetite. 

Il  feldispato  predomina  : è in  cristalli  lamellari  , molti  al- 
lungati, a geminazione  secondo  la  legge  dell’  albite;  fra  i Nicols 
danno  un  angolo  di  estinzione  fra  le  lamelle,  che  varia  da  27° 
a 32°.  Consimili  valori  trovò  il  Lasaulx  (1)  che  dalla  composi- 
zione chimica  della  roccia  deduceva  doversi  riferire  ad  un  pla- 
gioclase  meno  basico  dell’  anortitè , la  quale,  come  si  sa,  com- 
pare sotto  la  varietà  di  ciclopite , nelle  cavità  del  basalte  stesso. 


(1)  Waltershausen-Lasaulx.  — Ber  Aetna— Leipzig — 1880,  Voi.  II,  pag.  427. 


Doti.  Salvatore  Di  Franco 


[Memoria  XVIII.] 


6 


La  ciclopite  a sua  volta  è dal  Lasaulx  riferita  a prodotto  di 
sublimazione  ; da  quanto  abbiamo  sopra  detto  riesce  invece  più 
facile  attribuirla  ad  un  prodotto  di  metamorfismo,  infatti  non  la 
troviamo  che  nella  zona  ad  analcime  ed  inclusioni. 

L’  augite  è in  granuli  più  o meno  irregolari  e arrotondati; 
talora,  specie  nei  più  piccoli  è conservata  la  forma  geometrica; 
presenta  un  colore  grigio-violaceo,  leggermente  pleocrotica  (gial- 
lo-verdastro , verde-giallastro  , verde-violaceo)  ; contiene  inclusi 
di  magnetite  : rare  sono  le  inclusioni  vetrose.  I granuli  più 
grandi  presentano  spesso  un  nucleo  più  chiaro  o anche  perfet- 
tamente incoloro. 

L’  olivina  è generalmente  in  piccoli  granuli  , per  lo  più  è 
mascherata  da  un  prodotto  rossastro  di  decomposizione,  che  va 
anche  diffondendosi  nella  massa  fondamentale  e arriva  a cir- 
condare 1’  augite  o il  feldispato. 

La  magnetite  è in  granuli  discretamente  grandi,  diffusi  nella 
massa  del  basalte. 

La  massa  fondamentale  è vetrosa  , e presenta  in  modo  ir- 
regolare delle  macchie  più  o meno  sviluppate  di  sostanza  gial- 
lastra o verdastra  delessitica  , che  il  Lasaulx  considera  come 
prodotto  di  decomposizione  di  essa.  In  alcuni  punti  ad  essa  si 
aggiunge  un  po’  di  quel  prodotto  rossastro  dell’  olivina , colo- 
rando tutta  o parte  della  macchia. 

Esame  microscopico  delle  inclusioni. 

Le  inclusioni,  esaminate  al  microscopio  , risultano  formate 
da  granuli  e scagliette  incolori  , disseminati  in  una  massa  fon- 
damentale grigiastra  d’  apparenza  omogenea. 

Questi  granuli  o scagliette  sono  in  alcuni  punti  più  grandi, 
più  numerosi  e addossati  fra  di  loro  in  guisa  da  dare  alla  roc- 
cia un  aspetto  cristallino  ; in  altri  punti  invece  sono  minuti  e 
radi,  in  modo  da  dare  piuttosto  un  aspetto  porfirico  ; è la  strut- 
tura ordinaria  delle  rocce  argillose. 


Gli  inclusi  nel  basalte  delV  isola  dei  Ciclopi. 


7 


Quando  però  1’  inclusione  ha  subito  un  più  profondo  me- 
tamorfismo, oltre  a questa  parte  or  cennata  , presenta  dei  cri- 
stalli ben  sviluppati  di  un  pirosseno  verde  smeraldo  {smarag di- 
te), sparsi  nella  massa  , la  quale  acquista  una  tinta  un  po’  più 
giallastra  dovuta  ad  un  abbondante  concorso  di  granuli  o ba- 
stoncelli giallognoli  che  per  le  proprietà  ottiche  si  lasciano  ri- 
ferire ad  epidoto. 

Un’  altra  formazione  speciale  è quella  che  si  trova  nelle 
cavità  delle  inclusioni;  le  quali  vengono  riempite  da  una  sostanza 
rossastra,  che  in  alcuni  punti  dimostra  una  certa  struttura  fi- 
brosa, colle  fibre  perpendicolari  alle  pareti  della  cavità.  Alcune 
volte  le  cavità  restano  completamente  ostruite  , altre  volte  ri- 
mane uno  spazio  ancora  libero. 

La  sostanza  di  queste  fibre,  che  non  si  lascia  attaccare  dagli 
acidi,  va  riferita  a termantite. 

Esaminando  con  un  ingrandimento  maggiore  la  massa  di 
queste  inclusioni,  si  osserva  che  i granelli  cennati  sono  formati 
da  masserelle  di  sostanza  amorfa,  cosparse  internamente  da  mi- 
nutissimi cristallini  rettangolari  , i quali  a nicols  incrociati  in- 
terferiscono e si  estinguono  obliquamente  alla  loro  massima  lun- 
ghezza, lasciandosi  riferire  con  molta  facilità  a feldispato. 

L’ angolo  di  estinzione  è grande,  sì  da  arrivare  sino  a 30°, 
ciò  che  fa  sospettare  trattarsi  di  anortite  che,  confò  noto,  è uno 
dei  minerali  frequenti  delle  druse  di  questo  basalte,  costituendo 
la  varietà  ciclopite. 

Nella  massa  dell’  inclusione  sono  rari  i granuli  che  possono 
riferirsi  con  sicurezza  a magnetite;  ciò  forma  un  grande  contra- 
sto col  vicino  basalte,  in  cui  la  magnetite  è tanto  abbondante. 

La  massa  dell’  inclusione  presenta  una  struttura  nettamente 
differente  da  quella  del  vicino  basalte;  essa  è più  o meno  granu- 
lare, mentre  il  basalte  ci  presenta  la  struttura  di  un  feltro  a fi- 
bre di  feldispato  e pirosseno. 

Al  contatto  della  inclusione  col  basalte  però  compare  una 
zona  nettamente  distinta  (v.  fig.  4)  per  il  colore  più  carico  del 


8 


Doti.  Salvatore  di  Franco 


[Memoria  XVIII.] 


resto  dell’  inclusione  e per  la  struttura  minutamente  cristallina. 

In  questa  zona  si  distinguono  chiaramente  due  parti  prin- 
cipali : una  più  chiara  dal  lato  del  basalte  , con  prevalenza  di 
elementi  vetrosi  e feldispatici  e forse  anche  di  wollastonite  , di 
cui  quelli  di  forma  più  allungata,  penetrano  dentro  al  basalte , 
mostrando  così  come  in  questo  punto  la  marna  si  sia  intima- 
mente mescolata  al  magma  basaltico  ; l’ altra  parte  più  oscura 
dal  lato  interno  della  inclusione,  risultando  costituita  essenzial- 
mente da  minutissimi  cristalli  di  pvrosseno  verde  chiaro,  interca- 
lati con  grossi  granuli  bruni  o rossastri  di  termantite. 

Spesso  notansi  delle  macchie  verde  giallo  chiare,  poco  pleo- 
croitici  e debolmente  birifrangenti  da  riferirsi  a clorite. 

Catania,  Gabinetto  di  Mineralogia  e Vulcanologia  dell’Università. 


ii  Acc.  Gioenti  di  Se.  Nat.  Ser.  4 Voi.  XIX.  D.’  S.  DI  FRANCO,  Gli  inclusi  nel  basalte  dell’  isola  dei  Ciclopi, 


Memorisi  XIX 


Sui  potenziali  elastici  ritardati 
Mota  di  G LAURICELLA 


• Come  la  nota  formolo,  di  Kircliliojf , relativa  all’  equazione 
canonica  dei  piccoli  moti , porta  alla  considerazione  dei  potenziali 
ritardi , così  1’  estensione  di  tale  forinola  alle  equazioni  generali 
dei  movimenti  vibratori  nei  mezzi  isotropi  porta  alla  conside- 
razione di  tre  sistemi  di  integrali  di  spazio  e di  superficie,  che 
per  analogia  si  possono  chiamare  potenziali  elastici  ritardati. 

I potenziali  ritardati  godono  , come  è noto,  di  proprietà 
analoghe  ai  potenziali  newtoniani-,  in  particolare  per  essi  si  han- 
no teoremi  analoghi  a quelli  di  Poisson , di  discontinuità  dei 
doppi  strati,  di  discontinuità  delle  derivate  normali  degli  strati 
semplici , eco.  (1) 

Mi  propongo  qui  di  fare  1’  estensione  di  tali  teoremi  ai 
potenziali  elastici  ritardati. 

1.  Indichiamo  con  /S  lo  spazio  occupato  da  un  mezzo  iso- 
tropo, con  a la  superficie  limite,  con  n la  normale  nei  punti  di 
° diretta  verso  lo  spazio  /S,  con  x,  y,  z le  coordinate  dei  punti 
dello  spazio  riferiti  a tre  assi  cartesiani  ortogonali  , con  a e b 
rispettivamente  le  velocità  di  vibrazioni  longitudinali  e trasver- 
sali del  mezzo,  con  t il  tempo  variabile  e con  r la  distanza  di 
due  punti  qualsiasi  (x,  ?/,  z),  ( £,  o,  £)  dello  spazio. 

Come  risulta  dalle  formolo  di  Love  (2),  le  quali  rappresenta- 
no 1’  estensione  della  forinola  di  Kirclihoff  alle  equazioni  gene- 


(*)  v.  Voi.tekra,  Sul  principio  di  fhrt/ghens  (Nuovo  Cimento  ; S.  Ili  ; T.  XXXII,  XXXIII; 
1892,  1 893). 

2)  The  propay'ation  of  wave-moliou  in  cui  isotropie  clastic  solici  medium  [Prooeedings  <>f  thè 
London  Mathem.  Society,  Ser.  2,  Voi.'  I,  Parts  4 and  5.]. 

Atti  acc.  Serie  4a,  Voi..  XIX  — Meni.  XIX. 


1 


2 


Prof.  G.  Lauricella 


[Memoria  XIX.| 


rali  dei  movimenti  vibratori  nei  mezzi  isotropi,  i tre  sistemi  di 
potenziali  elastici  ritardati  si  possono  scrivere  nel  seguente  modo  : 


, , 1 / 3r\2 1 1 


r.  1 


tX{q,o,Z,t  f)dt  - 1-  r ( 0^,]  \ 2 X(£,o,Z,t  a') 


+-p7.z(^ 


^ rdxdy  \Jkx(£j>&t  a)  fe2X(£,o,£:,*  --)j 


dove  dS—  dfc  do  de. , e dove  X(x,y,z,t)  è una  funzione  arbi- 
traria delle  variabili  r,  ;y,  5?,  £,  che  si  suppone  finita  e continua, 
insieme  alle  sue  derivate  prime  rispetto  ad  x , y,  z e alle  sue  de- 
rivate dei  due  primi  ordini  rispetto  a t,  per  tutti  i sistemi  di 
valori  di  x,  y , z corrispondenti  ai  punti  di  jS  e per  qualsiasi  va- 
lore di  t,  ; 


i 


Sui  potenziali  elastici  ritardati 


3 


dove  da  è 1’  elemento  di  superfìcie  a , al  quale  appartiene  il 
punto  (£  , o , £),  e dove  X (S- , o , Z,  t)  è una  funzione  dei  punti 
(£j , o , z)  di  a e della  variabile  t , finita  e continua  insieme  alle 
derivate  prime  tangenziali  su  a e alle  derivate  dei  due  primi 
ordini  rispetto  a t ; 


dove  : 


1 dx2 


r.  1 


I t'xfe,o,z,t-t')  (-]  ( -2.X(^,0,C,  <— )--j* z j)  ^ [ 


(4) 


, 1 1 ^ r 

+ °>  Zi* j~)> 


m=tll  * |^r  *(&•>,  v-^)— ' 


dxdy] 


a ' ft2 


6'  \ » 


con  (£ , o , £)  funzione  dei  punti  (£  , u , £)  di  a e della  va- 

riabile finita  e continua  insieme  alle  derivate  prime  tangen- 
ziali su  a e alle  derivate  dei  due  primi  ordini  rispetto  a,  t , e 
dove  ancora  si  conviene  che,  nel  fare  le  derivazioni  di  u, , v,  , w, 
rispetto  ad  n,  u,  e;,  le  variabili  c, , u,  £ , che  compariscono  e- 


4 


Prof.  G.  Lauricella 


[Memoria  XIX.] 


V 

splicitamente  nelle  funzioni  X (c , o,  rC,  t — t'),X(£,  u,  £,  t — ) , 

A (£,  o,  21,  £ — devono  essere  ritenute  come  costanti. 

2.  Per  gli  integrali  (1)  sussiste  un  teorema  analogo  a quel- 
lo di  Poifison. 

Dimostreremo  tale  teorema,  servendoci  delle  eleganti  con- 
siderazioni fatte  dal  prof.  Somigliala  in  una  Sua  recenti1  No- 
ta 1 ) per  il  calcolo  di  tre  integrali  (che  si  possono  ottenere  dalle 
(4),  supponendo  X funzione  della  sola  variabile  t),  dei  quali  si 
è giovato  il  Love  per  dedurre  le  Sue  forinole. 

Posto  : 

/*  r ( * r 

cp  (g,  0,  C,  r,  t)=  ^2-yl  tir  j X (g,  o,  Z,  t — ~)  dr  , 
ò o 


<p'(&  c,  r,  t)=  • — / <Zr  / X (5,  0,  Z,t  — ~)  rfr  , 


J 

0 0 


sarà  (“)  : 


— * 


a1 


/Sa* 


^(cp — cp')  -f-  A2  9'  ( v=  I - (cp — co')  dò',  u 


Sa?  3^ 


(cp— cp')  ; 


e posto  ancora  : 


<I)  (,T,  y,  0,  «) 


*'  (ar,  2/,  t) 


f)  <SwZZa  ‘propagazione  dalle  onde  nei  mezzi  isotropi.  —Atti  della  R.  Acc.  delle  Se.  di.  To- 
rino, Voi.  XLI,  anno  1905. 

2)  Cfr.  Somigliala  ; 1.  c.  , j 3. 


Sui  potenziali  elastici  ritardati 


5 


risulterà 


*“j£**-n 


Poiché  (*)  : 


A2  $ — / X (5,  o,  * — — ) — 


4iwr 


a r 


(„=4i-i>>,)  *-  3|  = A-  / A’  (5,  o,  C «,  ^ + ±1 ■!  A (5,,,  5,  »)  tó  , 


ne  segue  : 


«=*  + *+  «=!  A**, 
3a;  cy  dz  x 


32<I>  . _„.  3W 


3 hi 


A 2/ 

;3.rs 


= (fc2  A,  - - *>'t)  **«'+(«*  A2  - ^>2t)  - (&*  A2-D?)  ^ = 


= — X[x,y,  «,*)  + 


5 Ut:  / X Z,t)  r + 4t zaj  dt  X (^’  *}  ^ ” 


_3M  1 
3ic4 5 


1 i . (?aSy  1 i 3 / 

4 K f X (Xì  °)  ^ ~ 4^|  ^ ^ (?>  u’  *)  ^ | = (a:>  20  2>  *0 

«y  «y 

« 5 

Similmente  si  lia  : 

3?=<>. 

30  3^?/? 

(a2  - Z>2)  ^ 4-  fc2  A2  ^ = o . 

' 32  1 3f2 


4)  Cfr.  Somigli  ana  ; 1.  c.,  forni.  (6),  (6)'. 

Atti  acc.  Skiiiic  4a,  Vol.  XIX  — Meni.  XIX. 


2 


6 


Prof.  G.  Lauricella 


[Memoria  XIX. J 


Le  tre  precedenti  forinole  rappresentano  appunto  l1  esten- 
sione del  teorema  di  Poisson  agli  integrali  di  spazio  (1). 

3.  Grli  integrali  (2),  (3)  godono  rispettivamente  di  proprietà 
analoghe  a quelle  degli  strati  e dei  doppi  strati. 

Per  stabilire  tali  proprietà,  cominciamo  dall’  osservare  che 
si  può  scrivere  : 


1 l 


1 d2r  ( 1 


1—  rXfe,o,Z,i  & )+  2 a )'  b2  J ^ b] 


r 


13'4  LldX(Z,o,Z,t-t)  t)\l 

2 dt  b 2 Ir 


b2 — a2  d’rj 
2 a2  dx2) 


r 

a 


1 -£)— Xfaì&fì 


3*rll  i Xfao&t—^—Xfco&t)) 


_L  _X_L  5 X 
' 2dx2  I b3 


+ 


/ \,2dX&o,Z,t-lf)  ^ 

2 ~dx2  I * di  dt’ 


Xfep. fC,ft)fb2 — a 2 d2r  ^ r d2r  ^ 1 -j)  ■£■) 

Vi=  ¥ ì~2aP  dxdyW~2dxdyr¥  — 4^-  a?  — f 


+ 


L / 0 r-  dX{^A>  t-f) 

2 dxdy  I dt 


w. 


du^  __  £fep,'C,t)  _3_  (J.  _j_  b2 — a2d2r  ) 1_  1 dt  b ■ 

dx  b2  dx  I r 1 2 a2  dx 2 ì b3  ì b — A. 

1 1 j)— X{Z,otZ,t)\dr 

* —P  b’  


+ 


Sui  potenziali  elastici  ritardati 


7 


A,t)  d ^1 
b 2 2#/  r 


Z>2 — a 2 22rl 
2 a2  d,z.‘2j 


1_§  dtX^°,^,t  T*  à-L) 

l>r'  —^-(1-8) 


2r 

2# 


X&»,Z,t)  dsl 
b 2 2#  j r 


Z>2-  a2  22r/ 
2 et2  2&Ù 


22 


2f 


rXfc’VCJ- 


r,  2> 


^ + • 


Z>  2* 


? 


2iq X (£,  o,  C,  t)  g ^ ir— a2  d2r  ) 

dx  b 2 dx  Z 2 et2  2,r2(/ 

d«h  _ (S,  C»  fi  _9_  ( ^2— ^2  2V  ^ 

2#  Z>2  dx  l 2 rt2  dxdz  \ 


con  3,  3j  quantità  comprese  fra  0 e<l  1. 
Poniamo  poi  : 


1 , b2—a 2 d2r 


Z>2— a2  2V 


2 a2  2x2  ’ 1 — 9 «2 


a2  2#2?/ 


» wi 


2 a2,  dx  dz  ’ 


X fe  o,C,  fi  , 


z>2 


M i + “ i 1 


X (£,  u,  £,  t)  , 


«'l+A , 


Dalla  semplice  ispezione  delle  forinole  precedenti  risulta  che 
le  funzioni  , v\  , sono  finite  e continue  dovunque  sia  il 
punto  ( x , y , #),  e che  le  loro  derivate  prime  si  mantengono  finite 
e continue  finche  tale  punto  è discosto  da  a,  mentre  diventano 

infinite,  tutt’ al  più  come  — , quando  esso  punto  va  su  a;  per 

cui,  se  si  indica  con  n0  la  normale  a a in  un  punto  jp0=(£o,  o0,  Z0) 
e si  pone  : 


_fr2  dU'i2 

dnn 


-)-(a2 — b2) 


(3*«  , 

3<2  | ^'l2 

\ 2#  ' 

2(/  9^ 

cos  ( n0x)-\-b - 


^ 1 «o_ cos (n0x) 


lfC0 s(n,y)--^ 


) + 


-f-  Z>2  12  cos(»0z) — ^cos  (n0x)  J , 


8 


Prof.  G.  Lauricella 


[Memoria  XIX.| 


Y\z=b2  ^ +(a2-&2)(^2  +^H  C0&M+b2  Ì^f  cos (n0z)—  d-^f  cos  (n0y) 


+ &2  cos  (V»  — %T  cos  (»o!0  ) » 


avremo  che  le  espressioni  X\2 , Y\2 , Z\2  sono  funzioni  finite  e 
continue  dei  punti  (%,  y,  z)  di  tutto  lo  spazio  (i  punti  della  su- 
perficie a compresi). 

Similmente,  se  si  pone  : 


J " 00  " 

(nxìXb^YXXcoshriy)  — X cos(nx 
1 ' oz  co 


w . 


con 


dn" 

cln 


du" 

3£ 


cos  (nx) 


du? 

do 


cos  (ny)  -|- 


cos  (nz) 


e con  l’avvertenza  che,  nell’eseguire  le  derivazioni  di  u"  v”  w? 
rispetto  a £,  o,  c,  le  variabili  5,  o,  C,  che  entrano  esplicitamente 
nella  funzione  X(£,  o,  £,  £)  , devono  ritenersi  come  costanti,  ri- 
sulterà che  le  espressioni  u'\2,  v'\2,  w'i2  sono  ancli’esse  funzioni 
finite  e continue  dei  punti  (.r,  y,  z)  di  tutto  lo  spazio  (i  punti 
della  superficie  a compresi). 

4.  Ora  poniamo  : 


X&  C,  *) 

b 2 


u L do, 


X (É,  o,  C,  f) 
b 2 


1 X&o.Z,t) 


w\d 


a 


a 


a 


Sui  potenziali  elastici  ritardati 


9 


_k2  du  n 
11  d,K 


{a2 — b2) 


I da' 


3l/lt  . dw\{ 


dx 


2// 


3°' ii 


dvn 


^jcosK,T)+fc2  (^cos(»0?/) j—  cos(w0»)  ) + 


3m/ii  , , 3 w 

-Jj-cos(n^) 


^ COS 
00 


^1*  = 


il. 


? 


e supponiamo  che  la  superfìcie  a soddisfi  alle  seguenti  condi- 
zioni : 

1°  in  ogni  suo  punto  abbia  il  piano  tangente  determinato 
e variabile  con  continuità  al  variare  con  continuità  del  punto 
di  contatto  ; 

2°  esista  una  lunghezza  l tale  che,  preso  un  punto  p qual- 
siasi di  a e considerato  il  cilindro  circolare  avente  per  asse  la 
normale  nQ  a a in  |»0  e per  raggio  1 , la  porzione  di  superfìcie 
a interna  a questo  cilindro  sia  incontrata  in  un  solo  punto  al 
più  dalle  parallele  ad  nQ  ; 

3°  esista  un  numero  positivo  c tale  che,  chiamando  rQ  la 
distanza  di  p0  da  un  altro  punto  pì  qualsiasi  di  a , e £ l’angolo 
acuto  (die  n0  fa  con  la  normale  in  px  , si  abbia  : 

s < cr0. 

Dall’ipotesi  fatta  che  la  funzione  X (5,  o,  £,  t)  è finita  e 
continua  in  tutti  i punti  (S,  o,  C)  di  a e per  tutti  i valori  di  t , 
insieme  alle  sue  derivate  prime  tangenziali,  risulta  (1),  indicando 
con  p o con  p il  punto  (x,  y , z)  (sempre  discosto  da  a)  secondo 
che  è nel  campo  finito  limitato  da  o o nel  campo  infinito,  (die 
le  espressioni  : 


lini  X'li  (X,  y,  z,  t.)  , 

li  ni  y'n  {x,  ih  z,  0 , 

lim  Z’ u (x,  y,  z,  t)  ; 

P=P0 

P=Po 

P=Po 

lim  X'u  (®,  Ih  z,  t ) , 

lim  Fu  (tv,  y,  z,  t)  , 

lim  Z' ii  (x,  y , z.  t) 

P'=Po 

P'=Po 

P'=Po 

(f)  Cfr.  la  mia  Memoria  : Equilibrio  dei  corpi  elastici  isotro})i  (Annali  della  R.  Scuola 
Normale  Superiore  di  Pisa,  1894)  , Cap.  Ili0,  § 6. 

Atti  acc.  Sbiuk  4a,  Vor..  XIX  - Mem.  XIX.  2 


10 


Prof.  G.  Lauricella 


[Memoria  XJX.| 


sono  determinate  e finite  e soddisfano  alle  equazioni  (‘)  : 

lini  X'u  ( x , y,  z,  t)  — lini  X'n  («,  y,  z,  t)  = — X (5  0,  o0,  Z0,  t ) , 
P=Po  P’=Po 

lini  Tu  ( x , y,  2,  t)  — lira  Tu  (x,  </,  »,  t)  = 0, 

P’-=P(i 


lira  Z'n  (.»,  2/,  s,  t)  — lini  Z'u  (x,  y,  z , *)  = 0. 
2>= P=Po 


Quindi,  posto  : 


X'i  = X'n  + X' 


12  * 


rx  : Tu  + 


r 


12 


? 


Z'i  — Z'u  -[-  Z'l2 , 


avremo  che  le  espressioni 

lira  X'i  {x,  y,  z,  t)  , lira  Y\  (, x , y,  z,  t)  , 
J>=Po  P=Po 


lira  Ai  (x,  y,  z,  t) , lini  Yi  [x,  y,  z , «) , 
P'=Po  P—Po 


lira  Z'i  (x,  y , 2,  t)  ; 
P=Po 

lira  ZA  (a?,  i/,  2,  t) 
P=Po 


sono  determinate  e finite  e soddisfano  alle  equazioni: 

- X (£,,  C0,  <)  , 

0, 

°, 

ossia:  le  tensioni  nei  piotiti  di  a,  corrispondenti  agli  integrali  (2)  : 
u'  (x,  y,  z,  t),  v'  (x,  y,  z,  t),  V (x,  y,  z,  t)  delle  equazioni  del  moto  ela- 
stico, sowo  determinate  e finite  dalle  due  facce  di  a e soddisfano 
alle  equazioni  (5). 

Questo  risultato  rappresenta  l’estensione  agli  integrali  di 
superficie  (2)  del  noto  teorema  sulla  discontinuità  della  derivata 
normale  di  strato. 

5.  Passiamo  ora  allo  studio  degli  integrali  (3). 


lira  X\  (x.  y,  2,  t)  — lira  X\  (x,  y,  z,  t ) = 
P=P0  P'=Po 

,,,  \ dm  Yl'  ( x , y,  2,  i)  — lira  F/  (a?,  y,  2,  t)  = 
j I P=Po  P—Po 

■ lira  Z[  (x,  y,  2,  t)  — lira  Zt'  {x,  y , 2,  #)  = 
\ P=P0  P'=Po 


( 1 ) Ibid.  ; Gap.  Ili»,  forni.  (25),  (25)'. 


Sui  potenziali  elastici  ritardati 


11 


Si  ponga  : 


U 11=4x 


1 jX(^,u,Z,t)\  , 2 duL 
b2  > dn 


I du' . d'',  dw'  \ 

- + («2-62)  (~w  + 17+  17  ) c< 


lde\ 

^cos  (ny)  — 
c’r 


de'. 


9 /9w'i 


3w'i 


1 cos  ( nx ) | -)-  62  | cos  (nz)  — ~^r~  cos  (nx)  j ^ da  , 


3? 


A (^,  0)  ^ , 2 1 

4tc  / Z>2  / dn 


/ 

1 


da  , 


Se  vani  mentiamo  che  la  funzione  X(S-,  u,  t)  per  ipotesi  è 
finita  e continua  in  tutti  i punti  (£,  o,  £)  di  a e per  tutti  i va- 
lori di  t , insieme  alle  sue  derivate  prime  tangenziali,  e se  an- 
che qui  indichiamo  con  p o con  p il  punto  (x,y,z)  (sempre  di- 
scosto da  a)  secondo  che  è interno  o esterno  ad  S,  si  avrà  (*) 
che  le  espressioni  : 


lini  u"il  , 

lini  r"  , 

lini  w" 

P=P0 

o 

II 

P=Po 

lini  u\ , , 

lini  v"u  , 

lini  w" 

P=Po 

P'=P» 

P--Po 

sono  determinate  e finite  e soddisfano  alle  equazioni  : 


lini  (, x , ,ì/,  z,t)  — 

lini  u" Kl  (, 

II 

sii 

P=Po 

V'~Po 

lini  v"u  (x,  y,  z , t)  — 

lini  v"l{  (, 

x,  y,  z,  t)  7-  0 , 

P=Po 

P'=Po 

lini  w"u  { x , y,  z,  t ) — 

■ lini  w"il 

{x,  y,  z , t)  z=  (). 

P=Po 

P'=Po 

Di  guisa  che,  se  si  pone  niente  a quanto  fu  dimostrato  per 
le  funzioni  u\2  (a?,  y,  z,  t ) , v"n  (a?,  y,  z,  t),  w'\2  (ai,  y,  z,  t ) al  § 3,  e se 


(4)  Crf.  mia  cit.  Meni.  ; Cap.  Ili,  § 4. 


12 


Prof.  G.  Lauricella 


[Memoria  XIX.] 


si  ha  riguardo  alle  forinole  : 

//  //  i //  //  //  i n n tr  i n 

u — tt  u -j-  m 12 , » = « n r 12  , w = w l{  + io  ts 

risulterà  che  le  espressioni  : 

lini  u"  (x,  y,  »,  t)  , lini  v"  (x,  y,  z,t) , lim  io"  ( x , y,  »,  t)  ; 


2^=Pn 


P=P  0 


P=2>„ 


lim  ?t"  (a?,  :»/,  »,  t) , lini  r"  (a?,  y,  »,  t) , lim  m?"  (a?,  y,  »,  #) 
/= Po  P=Pa 


sono  determinate  e finite  e soddis  fano  alle  equazioni  : 

lini  u (x,  y,  »,  t)  — lim  u"  ( x , y,  »,  t)  = X (&, , u0,  £0,  t), 

2>=2>o  /=2>o 

lim  v"  ( a? , y,  »,  2)  — lim  ®"  (a?,  y,  2,  <)  = 0, 

P—Po  P=P0 

lini  w"  (x,  y,  »,  #)  — lim  io"  (a?,  y,  »,  t)  = 0. 

P=P0  P=Po 

Questo  risultato  è 1’  estensione  agli  integrali  di  superfìcie 
(3)  del  noto  teorema  sulla ; discontinuità  dei  doppi  strati. 

6.  Passiamo  ora  a dimostrare  un  teorema  relativo  agli  in- 
tegrali (3),  il  quale  rappresenta  1’  estensione  del  noto  teorema  di 
continuità  della  derivata  normale  dei  doppi  strati. 

Supponiamo  che  la  funzione  X(£,  o,  £,  t)  sia  finita  e continua 
insieme  alle  sue  derivate  dei  tre  primi  ordini  tangenziali  e ri- 
spetto a t.  In  virtù  di  questa  ipotesi  si  può  dimostrare,  appunto 
come  si  fa  per  i doppi  strati  (*)  , che  le  derivate  dei  primi  due 
ordini  delle  funzioni  u ( x , ?/,  »,  t),  v"  (x,  ?/,  »,  t),  w"  (x,  y , »,  t)  sono 
finite  e continue  anche  quando  il  punto  («,;/,»)  di  8 (o  del  cam- 
po 8'),  mantenendosi  discosto  da  a , si  avvicina  indefinitamente 


f1)  Vedi  la  mia  nota  : Sulle  derivate,  della  funzione  potenziale  di  doppio  strato  (Rendiconti 
della  R.  Acc.  dei  Lincei  : voi.  XIV,  serie  5al. 


Sui  potenziali  elastici  ritardati 


13 


ad  un  punto  qualsiasi  di  a.  In  particolare  le  espressioni: 


ammetteranno  limiti  determinati  e finiti,  quando  il  punto  (yc,g,z) 


del  moto  elastico  hanno  le  tensioni , nei  punti  di  o e dalle  due  facce 
di  essa,  determinate  e finite. 

Noi  qui  ammetteremo  senz’  altro  le  precedenti  proposizioni, 
che  possono  dimostrarsi  nel  modo  anzidetto,  e passiamo  a dimo- 
strare che  queste  tensioni  dalle  due  facce  di  a hanno  in  uno  stesso 
punto  il  medesimo  valore. 

Introduciamo  le  seguenti  notazioni  : 


■JW  \ 

37  j «os  Ka)  + 


{x,y,  z , t)= 


di  8 (o  di  8')  si  avvicina  ad  un  punto  p0  = (%oi  £0)  di  a,  ossia 
gli  integrali  u"  (x,  y,  z,  t),  v"  (x,  y,  z,  t),  w"  (x,  y,  z,  t)  delle  equazioni 


A"21  = lini  X\  (x, y,  z , t),  Y2l" 
P=Po 


li  m Yf  {x,  y,  z,  t),  . . . 
P=P  0 


A"22  = lini  X’\  (x,y,  z , t) , 
P=Po 


u"2i  — lini  u'  (x,y , z,  t),  v"2l 

P=Po 


— lini  t1"  (#,  */,  0,  fi, 


P=P  0 


h"22  — lini  u"  (x,y,  z , fi,  = ?«"21  --  A (£0,  o0,  £0,  fi  , 
P=Po 


v\2  = lini  v"  (x,  y,  z,  t)  = v"2l  , 
P—P  o 


14 


Prof.  G.  Lauricella 


(Memoria  XIX. 


*iW— |^f/  t r (3J  fl)  b,X(z,o,r,t  b)^-j- 


I r (s>  u>  5 ) > 


*1  (-*)= 


a4  / T 


dxdy 


* ’ 


^J-l  * *X&'>,Z,t-f)df  + ±¥; 


U,{X): 


dydx 


r ’èy  dx  ( 


v,  {X)=X- r—  / tX  (£,  o,  £,  £ — t ) -j- 

* 


v,j_  / ir 


«.(*)= 


*'X  (£,  0,  £,  i—  f)  ' -}- 


A («1,  X,  «)=/>2  +(«2-^2)  (|r  + !~  + tr)  C0S  (',ta:;)+62  (^C08(»y)—  ^cos  (nx)j 


3£  3u  3£ 


a? 


/3m?  Sm;,  , 

-)-  o*  (-^r-  cos  (nz) cos  (noe)  ) , 


B(«„X,»)  = 6!'4^-)  + . . . 


Sui  potenziali  elastici  ritardati 


15 


Le  forinole  di  Love  ci  danno  per  i punti  di  S : 


" (x,y,  Z,  t)  = j I A(ulf  u"2l,  n)  + B(uv  v"2l,n)-^C(ul,  w"2l,n) j da—  j |«£  (Z"21)-f 

e/  e/ 

a a 

-f  L (Y"gl)  + tMZ"21)  j da, 

ir  i punti  di  /S'  : 

(%:  y,  *,  t)=  ^ )A  (“»  M"22>  »)+'-5(wi>  l"22’  »)-b6'(*i>  Mf'gg,  «)  j da-f-  _L  / j tti  (Z"22)-f 

a a 

H-  vi  (Y  22)  H-  M’i(^  22)  ! d° 


4* 


1 ' j Z («,,  m"21,  »)  -f-  B(ulì  v"2i,  n)  -f  C (tu,  w'' 21,  n)  j da 


4ir 


Z (m, , Z,  »)  da  -)-  — — / J «1  (Z  22)  -f-  ri  (Y  22)  — tri  ( Z 22)  j da  ; 


4tc 


e poiché  si  lui,  come  risulta  dalle  (6), 

lini  1 „ lini  li  „ f 

p=po  ^ A(uh  u 21,  »)  da  — — / Z (tti,  m 21,  »)  da  = m 21  (?i,  u0»  C0,  *) , 


^ — -Po  4x 


lim  1 | „ , lini  1 , 

B (mi,  « 21,  »)  da  — ) — / £ («1,  r 21,  n)  da  0, 


risulterà  dalle  due  precedenti  forinole,  passando  ai  limiti  e som- 
mando membro  a membro, 

M 21  (?0,  uo,  Zqì  t)  -j-  M 22  (<^0,  U0,  £0,  t)  :zr  tt  21  (^o,  ,jqì  X101 


lini  1 I 

P'=Po  4tT 


A (mi,  Z,  n)  da  — 


16 


Prof.  G.  Lauricella 


[Memoria  XIX.] 


— lini  1 

P=Po  4ic 


jiti  (X'^d+t’d  1 21)  | (Z  21  ) j do- (- 


lira  1 

P ’=P0  4x 


jl<l  (X  22 ) | ®l(  i 22) — J — ^^1  (-^  22) 


a 


a 


=«"21  (£o>  «0,  Co,*)  + lim  (^30  *)  — 

P'=Po 


— I |«i  (A"ai  - r'22)  + n (Y"2i  - f 


e per  conseguenza  : 


+«>1  {Z"'2\  — Z"22)  ! ria 


®=Có 

*/=uo 

»=C0 


(7) 


0 — 


f% 

~l |«1  (X"ai-A"„)  + n (Y"21-Y"22)  + in (Z"al  Z"22)  j do 


x=z0 

y=*  0 

Z— £„ 


Similmente  sarà: 


0 = 


4~Jl  U2  (X"si  — A"22)-f-^2  (Y"21  — Y"22)  4“  u\  (Z"21-Z\2)  j do 


(7)' 


^ / / W3  21  ^ 22 ) “h 


! da 


x — 1 
y—^o 
2 — Co 


r 

X — £0 

Z=C 


7.  Ciò  premesso  , si  considerino  le  tre  funzioni  dei  punti 
(x,  y,  z)  dello  spazio  e di  t : 

Hi  (x,  y,  z,  t)= 


\uv  (X"2i-Z"22)+n  ( Y\i-  r'22)  + Wl  (Z'21  - Z"22)\  do  , 


! 


Svi  potenziali  elastici  ritardati 


17 


n2  (Z"2i-X"l)-f  v2  (l"2i— r'22)  + w2  (Z"21-Z”22)  J do  , 


Queste  funzioni  sono  della  medesima  natura  delle  funzioni 
u , v , w’ , espresse  dalle  forinole  (2),  e formano  un  sistema  di 
integrali  delle  equazioni  del  moto  elastico.  Poiché  le  Hv  Hy 
come  risulta  dalle  (7),  (7)',  si  annullano  nei  punti  di  a per  qua- 
lunque valore  del  tempo,  e poiché  esse  a distanza  infinita  di- 
vengono infinitesime  come  ~ , avremo  per  qualunque  valore  del 
tempo  t e per  qualunque  punto  ( x , ?/,  «)dello  spazio  : 

Hi  {x,  y , t)  = H,  (x,  y.  2,  t)  = H3  (x,  y,z,tj  = 0. 

Si  ha  quindi  : 


ed  in  forza  delle  forinole  (5)  e delle  analoghe,  che  non  abbia- 
mo scritte,  risulterà  finalmente  : 


Memoria  XX, 


Sulla  radioattività  di  alcune  terre 
per  ENRICO  BOGGIO-LERA  * ^ • 


Il  metodo  ideato  dai  coniugi  Curie  per  la  determinazione 
della  radioattività  di  una  sostanza,  consistente  nel  misurare  me- 
diante la  compensazione  col  quarzo  piezoelettrico,  la  corrente 
che  si  produce  attraverso  P aria  compresa  fra  le  armature  d’un 
condensatore  piano,  quando  queste  vengono  mantenute  ad  una 
differenza  di  potenziale  costante  e sufficientemente  elevata  per- 
chè possano  essere  utilizzati  tutti  gli  ioni  che  vengono  prodotti 
da  uno  straterello  della  sostanza  attiva  sparsa  in  modo  unifor- 
me sopra  una  delle  armature,  panni  tino  al  presente  il  migliore. 
Ma  non  tutti  hanno  i mezzi  di  provvedersi  di  un  apparecchio 
Curie.  E d’  altronde  v’  è da  farsi  la  presente  domanda  : Consi- 
derata la  complessità  delle  radiazioni  dei  corpi  radioattivi,  e il 
diverso  potere  penetrante  di  esse  anche  per  P aria,  e P assorbi- 
mento talora  notevolissimo  che  si  verifica  nello  spessore  stesso 
dello  strato  del  corpo  attivo,  e per  maggior  complicazione  anche 
P emanazione  di  quasi  tutti  i corpi  radioattivi,  si  può  realmente 
asserire  che  P intensità  della  corrente  fra  le  armature  del  con- 
densatore nell’  apparecchio  Curie  dia  la  misura  della  radioatti- 
vità di  una  sostanza  ì 

A me  pare  di  nò — Sembrami  infatti  che  anzitutto  bisogne- 
rebbe poter  studiare  per  ciascuna  sostanza  P effetto  dipendente 
dai  raggi  a,  ih  y,  separatamente,  e così  quello  dipendente  dal- 
Pemanazione  ; e che  inoltre  bisognerebbe  sempre  misurare  l’effetto 
prodotto  dall’  unità  di  massa  della  sostanza  attiva,  mentre  que- 
sta poi  dovrebbe  esser  distribuita  in  strato  sottilissimo  per  evi- 
tare P assorbimento  delle  radiazioni  per  opera  della  sostanza 
medesima. 


Atti  acc.  Serie  4a,  Voi..  XIX  — Meni.  XX. 


1 


2 


Enrico  Boggio-Lera 


[Memoria  XX.] 


Ma  appunto  per  tali  difficoltà,  nelle  misure  di  radioattività 
si  determina  di  solito  l’effetto  complessivo  delle  diverse  radiazioni 
e dell’  emanazione  di  una  sostanza  radioattiva,  introducendo  in 
un  ambiente  limitato  una  certa  quantità  di  questa  sostanza  in- 
sieme ad  un’elettrometro  caricato  ad  un  potenziale  arbitrario,  e 
misurando  la  velocità  di  abbassamento  del  potenziale  , tenendo 
conto  naturalmente  dell’abbassamento  dovuto  all’imperfetto  iso- 
lamento. 

Così  Elster  e Geitei  che  per  i primi  misurarono  la  radioat- 
tività di  numerose  terre  e prodotti  vulcanici  di  varii  paesi,  tro- 
varono, con  un  elettrometro  da  loro  ideato,  e con  125  grammi 
di  sostanza,  una  dispersione  di  29  volt  per  ora  coi  fanghi  di 
Battaglia,  di  102  volt  col  fango  di  Capri,  di  350  volt  coi 
fanghi  di  Baden-Baden,  3000  volt  per  ora  coi  fanghi  delle  sor- 
genti di  Baden-Baden,  di  2,  9 volt  con  terra  del  giardino  del- 
l’ Osservatorio  di  Catania,  di  1 volt  con  ceneri  dell’  eruzione 
Etnea  del  1659. 

Analogamente  Vicentini  e De  Zara  misurarono  la  disper- 
sione, in  volt  per  ora,  prodotta  in  un  loro  speciale  elettroscopio, 
particolarmente  costruito  allo  scopo  di  sottrarlo  all’  influenza 
dell’atmosfera  attivata  dalla  sostanza  in  esame,  e trovarono  con 
18  gr.  di  materiale  attivo  una  dispersione  di  3,  5 volt  per  ora  per 
i fanghi  di  Abano,  di  1,  1 volt  coi  residui  ottenuti  per  evapo- 
razione delle  acque  di  quelle  sorgenti  , di  6,  d volt  colle  incro- 
stazioni raccolte  nei  bacini  di  concentrazione,  e similmente  per 
i fanghi  di  Battaglia  ed  altre  sorgenti  termali  Euganee. 

Il  Doti.  Giovanni  Trovato  usò  un  apparecchio  simile  a 
quello  di  Elster  e Geitei,  ed  esperimento  in  modo  analogo  sopra 
un  gran  numero  di  terre  e di  rocce  specialmente  dei  dintorni 
di  Acireale  e dell1  Etna,  e trovò  che  tutte  sono  più  o meno 
debolmente  radioattive. 

Essendomi  ancor  io  accinto  a fare  delle  esperienze  sulla 
radioattività  di  alcune  terre,  ed  avendo  riconosciuto  la  conve- 
nienza di  usare  un  elettroscopio  di  piccola  capacità,  parvenu 


Svila  radioattività  di  alcune  terre 


3 


anzitutto  non  rigoroso  il  misurare  la  radioattività  eoi  decre- 
mento del  potenziale  in  volt  per  ora,  od  in  generale  per  uguali 
intervalli  di  tempo,  giacche  quando  è piccola  la  capacità  dell’e- 
lettroscopio, essa  varia  in  modo  non  indifferente  col  grado  di 
divergenza  della  fogliolina,  ossia  col  potenziale.  Infatti  se  anche 
si  esperimenti  partendo  sempre  con  ogni  sostanza  da  uno  stesso 
valore  iniziale  per  il  potenziale,  al  variare  della  sostanza  varian- 
do pure  il  potenziale  tinaie  risulta  pure  diversa  la  capacità  tinaie 
dell’  elettroscopio,  e i decrementi  del  potenziale  cessano  allora 
di  essere  proporzionali  ai  decrementi  delle  cariche. 

Stimai  pertanto  metodo  migliore  quello  di  esperimentare 
a decremento  di  potenziale  costante  e tempo  variabile , anziché  a 
tempo  costante  e potenziale  di  scarica  variabile  come  hanno  fatto 
sin  qui  tutti  gli  altri  esperi mentatori  ; misurai  quindi  i tempi 
necessairi  perchè  il  potenziale  discendesse  da  un  costante  e sem- 
pre uguale  valore  iniziale  ad  un  altro  pure  costante  e sempre 
uguale  valore  finale  ; così  il  decremento  del  potenziale  verifi- 
candosi sempre  fra  gli  stessi  limiti,  la  quantità  di  elettricità 
sottratta  all’elettroscopio  dalla  sostanza  attiva  fu  sempre  in  tutte 
le  mie  esperienze  rigorosamente  costante. 

L’elettroscopio  di  cui  mi  sono  giovato  è del  tipo  di  quello 
dei  sigg.  Elster  e Greitel  , e fu  costruito  dal  Dott.  Giovanni 
Trovato.  Esso  consiste  in  una  scatoletta  cubica  ( di  lamiera  di 
ottone  sottile  ) avente  5 cm.  di  lato,  e due  finestre  di  vetro  su 
due  facce  opposte.  Nell’  interno  della  scatoletta  è fissato  sul 
fondo  un  sottile  cilindretto  di  dielettrina  , su  cui  a guisa  di 
cappello  è fissato  un  ditalino  di  ottone,  i cui  bordi  non  toccano 
però  il  cilindretto  di  dielettrina  per  evitare  l’inconveniente  della 
carica  di  quest’  ultima.  Sul  ditalino  è saldata  un’  asticella  di 
ottone  con  una  fogliolina  di  alluminio  che  si  muove  in  un  piano 
parallelo  a quello  delle  facce  della  scatoletta  aventi  le  tìnestrine 
di  vetro.  L’  asticella  di  ottone  è più  lunga  della  fogliolina  e 
sporge  all’  infuori  della  scatoletta  per  un  foro  praticato  nella 
faccia  superiore  e termina  con  un  cilindretto  cavo  di  ottone 


4 


Enrico  Boggio-Lera 


[Memoria  XX.] 


della  lunghezza  di  cui.  2 e del  diametro  di  cui.  1.  Al  disotto 
della  faccia  inferiore  della  scatoletta  cubica  è saldato  un  piuo- 
lino  di  rame  che  serve  a sostenere  la  scatoletta  stessa  al  disopra 
di  una  vaschetta  circolare  di  rame  di  cm.  13  di  diametro  e 
cm.  2 di  altezza , nell’  interno  della  quale  veniva  collocata  la 
sostanza  attiva.  Tutto  1’  apparecchio  era  posto  sopra  una  base 
circolare  di  ferro,  e coperto  con  un  cilindro  di  ottone  dell1  al- 
tezza di  cm.  30  e del  diametro  di  cm.  15,  munita  anch’essa  di 
due  tìnestrine  di  vetro  in  corrispondenza  delle  tinestrine  analo- 
ghe dell1  elettroscopio. 

Per  avere  una  buona  scala  graduata  a tratti  assai  sottili  , 
ne  disegnai  una  di  20  cm.  di  raggio  e quindi  ne  ritrassi  una 
fotografia  alle  dimensioni  della  lunghezza  della  fogliolina  di 
alluminio  contenuta  nell1  elettroscopio  ; ed  invece  di  mettere 
questa  scala  nell’  interno  dell’  elettroscopio,  seguendo  una  dispo- 
sizione preconizzata  dal  Prof.  Righi,  la  collocai  al  di  fuori  del- 
l’apparecchio , e mercè  una  lente  ne  proiettai  1’  immagine  nel 
piano  dello  spostamento  della  fogliolina.  Con  un  cannocchiale 
osservavo  poi  insieme  la  fogliolina  e la  scala. 

Per  esperi mentare  distribuivo  uniformemente  sulla  vaschetta 
di  rame  situata  al  di  sotto  dell’  elettroscopio  una  quantità  de- 
terminata della  sostanza  in  esame,  e dopo  aver  caricato  l1  elet- 
troscopio fino  ad  avere  una  deviazione  un  pò  superiore  a 48° , 
ricoprivo  1’  apparecchio,  e misuravo  con  un  contasecondi  il  tempo 
t che  trascorreva  fra  il  momento  in  cui  la  fogliolina  veniva  a 
passare  dalla  divisione  48  e quello  in  cui  veniva  a passare  sulla 
divisione  47. 

Ma  t non  rappresentava  realmente  il  tempo  che  la  sostanza 
dovea  impiegare  ad  infliggere  all’elettroscopio  la  perdita  di  po- 
tenziale corrispondente  a quella  diminuzione  di  deviazione  della 
fogliolina , giacché  1’  elettroscopio  indipendentemente  dalle  so- 
stanze, ossia  colla  vaschetta  vuota,  subiva  lo  stesso  decremento 
del  potenziale  in  un  tempo  ti  (naturalmente  sempre  più  grande 
di  t)  a cagione  degli  ioni  normalmente  già  esistenti  nell’  aria  e 


Sulla  radioattività  delle  terre 


o 


della  imperfezione  dell’isolamento.  Per  tenere  conto  di  tali  per- 
dite io  facevo  delle  determinazioni  alternate  di  t e di  , met- 
tendo nna  volta  dentro  l’apparecchio  la  vaschetta  con  la  sostanza 
ed  un’  altra  volta  una  vaschetta  identica  ma  vuota.  Indi  dalle 
medie  ottenute  rispettivamente  per  t e per  deducevo  il  valore  T 
del  tempo  vero  che  la  sostanza  da  sè  sola  avrebbe  impiegato  a 
produrre  la  stessa  caduta  di  potenziale  nell’  ipotesi  d’  un  isola- 
mento assolutamente  perfetto , e dell’  assenza  assoluta  di  ioni 
nell’  aria  atmosferica,  mediante  la  forinola 

T=tX 

h 

che  io  giustifico  subito  mediante  la  seguente  considerazione  : 

Se  con  la  sostanza,  il  tempo  impiegato  è stato  t , e senza 
di  essa  è stato  ti  , nel  tempo  t l’aria  coi  suoi  ioni  e l’ isolatore 

dell’  eletti’.0  hanno  per  loro  conto  sottratto  la  frazione  — del- 

1’  elettricità  perduta  dall’  elettroscopio  in  quel  dato  intervallo  di 
scarica  ; e quindi  la  sostanza  in  esame,  nel  tempo  t ha  sottratto 

soltanto  1 — ossia  di  quella  quantità  di  elettricità  per- 

h h 

duta  ; quindi  per  infliggere  all’elettroscopio  quella  intiera  perdita 
la  sostanza  da  sola  avrebbe  dovuto  impiegare  il  tempo  ^X  r^— - 

T ^ — X 

Ora  io  ho  trovato  che  per  tutte  le  terre  su  cui  ho  esperi- 
mentato,  il  tempo  T così  da  me  calcolato  è inversamente  pro- 
porzionale alla  quantità  di  sostanza  attiva  posta  nella  vaschetta 
purché  questa  quantità  non  superi  considerevolmente  i 100 
grammi;  od  in  altri  termini  il  prodotto  del  numero  dei  grammi 
m di  sostanza  posta  nella  vaschetta  per  il  tempo  T,  è costante 
per  una  data  sostanza  nei  limiti  di  massa  anzidetti.  Questo  pro- 
dotto che  indico  con  M,  io  chiamerò  modulo  relativo  di  radio- 
attività  della  sostanza. 

Così  ecco  un  esempio  che  tolgo  dal  libro  delle  mie  espe- 


rienze. 


6 


Enrico  Boggìo-Lera 


[Memoria  XX.] 


22  gennaio  1906. 

Esperimenti  con  25  gr.  di  terra  della  villa  del  Dott.  Cuonio 
(Capri)  : 

t media  di  varie  determinazioni  = 14™ 
tL  » » » — 46™  50, 

__  14  X 46,  50 

32,50  ’ 

M = 20  X 25  = 500 


Esperimenti  con  50  gr.  della  terra  medesima  : 
t media  di  varie  determinazioni  = 8m  40 


K 

T 

M 


2>  » » 
8,  40  X 50,  12 


56"'  12 


47,  72 
9,  9 X 50  = 495 


= 9,  9 


Esperimenti  con  75  gr.  della  terra  medesima  : 


t media  di  varie  determinazioni 


t. 


T = 


» » 

5,  80  X 40,  50 


5m  80 
40"’  50 


34,  70 
M = 6,  8 X 75 


0,  8 


507 


Esperimenti  con  100  gr.  della  terra  medesima  : 
t media  di  varie  determinazioni  4™  41  , 


37™  24, 


T = 4’  41.  X.37'  34  = 5,  0 


M 


32,  83 
5 X 100  =r  500 


Esperimenti  con  10  gr.  della  terra  medesima: 

t media  di  varie  determinazioni  = 25™  50 

50™  75 

25,  50  X 50,  75 


I _ 

25,  25 
M = 51,  3 X 10 


= 51,  3 

513. 


Sulla  radioattività  di  alcune  terre 


7 


Assumo  quindi  come  modulo  relativo  di  radioattività  della 
terra  predetta  di  Capri  il  numero  medio 


500  -f-  495  -(-  507  -j-  500  j-  513 
5 


503 


II  significato  del  modulo  di  radioattivila  di  una  sostanza 
è chiaro  : Esso  rappresenta  il  numero  dei  minuti  primi  che  1 gr. 
di  sostanza  impiegherebbe  a sottrarre  all ’ elettroscopio  quella  co- 
stante quantità,  di  elettricità  che  esso  perde  nella  caduta  della  fo- 
gliolina dalla  divisione  48  alla  divisione  47  ; ed  è evidente  che 
esso  è tutC  affatto  relativo  al  mio  elettroscopio,  ed  a quella  de- 
terminata caduta  del  potenziale.  Esso  è tanto  minore  quanto  è 
maggiore  la  radioattività  della  sostanza,  e la  sua  inversa  può 
assumersi  come  misura  di  questa  radioattività  in  unità  arbitraria. 

Xel  seguente  prospetto  presento  analogamente  i risultati 
ottenuti  da  esperimenti  con  altre  terre  : 


SOSTANZA 

Quantità 
di  sost. 
m. 

t 

h 

T 

Ms 

media 

rn 

m 

m 

Depositi  vulcanici  di  Capri  . . 

10  gr. 

19.  12 

39.  12 

37.  2 

372 

20  » 

11.  25 

33.  25 

17.  00 

340 

30  » 

9.  03 

40.  47 

11.  6 

348 

355 

40  » 

7.  53 

41.  10 

9.  2 

368 

50  » 

5.  97 

41.  66 

6.  95 

348 

Pozzolana  di  Acireale 

25  » 

22.  50 

59.  17 

36  4 

910 

50  » 

13.  63 

57.  50 

17.  9 

895 

901 

75  » 

9.  75 

52.  66 

12.  0 

898  1 

100  » 

7.  72 

53.  16 

9.  0 

900 

Sabbia  dal  324  a,  C 

25  » 

31.  03 

44.  16 

104.  5 

2610 

50  » 

18.  45 

27.  75 

55.  1 

2755  1 

2746 

75  » 

19.  61 

41.  83 

36.  8 

2760 

100  '> 

16.  60 

39.  25 

28.  6 

2860 

8 


Enrico  Boggio-Lera 


[Memoria  XX.] 


SOSTANZA 

Quantità 
di  sost. 
m. 

t 

h 

1 

T 

T/s 

media 

m 

in 

m 

Fango  delle  Macalube 

25 

» 

31.  50 

45.  50 

101.  0 

2525 

50 

» 

23.  75 

46.  00 

49.  0 

2450 

2494 

75 

» 

19.  25 

46.  50 

32.  8 

2460  i 

100 

» 

16.50 

47.  00 

25.  4 

2540 

: 

Fango  di  S.  Venera  di  Acireale 

25 

» 

28.  38 

49.  37 

66.  8 

1670 

j 

50 

» 

20.  40 

49. 17 

34.8 

1740 

' 17.39 

75 

» 

16.  03 

49.  00 

23.8 

1780  1 

100 

» 

13.  60 

49.  37 

17.4 

1740 

Argilla  di  Acitrezza 

25 

» 

31.  47 

46.  00 

99.5 

2480 

50 

» 

25.  66 

50.  85 

51.  9 

2595 

, 2516 

75 

» 

21  75 

55.  43 

35.  6 

2490  l 

100 

» 

17.  05 

53.  45 

25.  0 

2500 

Terra  deL  giardino  dell’  Istituto 

Tecnico  di  Catania 

100 

» 

13.  05 

57.  00 

16.  5 

1650 

Terra  del  podere  della  Scuola 

Enologica  di  Catania  .... 

100 

» 

12.  12 

20.  08 

30.  4 

3040 

Terra  di  una  grotta  del  detto 

podere 

100 

» 

14.  05 

42.  67 

21.  0 

2100 

Terra  dell’  Orto  Botanico  . . . 

100 

2> 

22.  50 

47.  63 

41.  4 

4140 

Terra  delia  Piana  di  Catania  . 

100 

» 

16.  70 

34.  42 

32.  4 

3240 

» dell’  Anfiteatro  Greco-Ro- 

mano 

100 

7> 

28.  78 

49.  67 

68.  5 

6850 

» del  Giardino  Bellini  . . . 

100 

» 

23.  10 

37.  83 

59.  5 

5950 

» della  Plaia  (Catania! . . . 

100 

» 

16.  70 

34.  42 

32.  4 

3240 

3130 

» » 

100 

» 

18.  77 

49.  50 

30.  2 

3020 

» Salmastra  della  Plaia  . . 

100 

» 

24.  16 

34.  92 

78.  0 

7800 

» della  Contrada  Bicocca.  . 

100 

» 

17.  90 

41.  05 

31.  8 

3180 

Ghiaia  rossa  da  costruzione  (Ca- 

tani  a) 

100 

» 

28.  70 

46.  83 

74.  0 

7400 

Arena  della  Plaia 

100 

» 

35.  92 

39.  25 

42.  4 

42400 

Terra  di  Grammichele 

luO 

» 

17.  25 

40.  17 

30.  2 

3020 

» » Francofonte 

100 

» 

17.  15 

44.  50 

27.  95 

2795 

» » Isola  dei  Ciclopi . . . 

100 

» 

25.  33 

47.  42 

54.  75 

5475 

» Villa  Belvedere  (Acireale) 

25 

» 

28.  00 

52.  50 

59.  50 

1485  - 

» 

50 

» 

19  00 

52.  50 

29.  7 

1485  | 

1 

» 

75 

» 

14.  50 

52.  00 

20. 1 

1505  1 

H>  

100 

X> 

11.  50 

52.  50 

14.  7 

1470  ' 

Sulla  radioattività  di  alcune  terre 


9 


STAZIONE 

Quantità 
di  sost. 
m. 

t 

h 

T 

m 

m 

m 

Marua  del  Basso  Egitto  .... 

100  » 

14.  00 

51.  93 

19.  2 

1920 

Terra  fina  di  Palazzello  Motta 

100  » 

15.  66 

37.  83 

27.  4 

2740 

» Piedimonte  Etneo  .... 

100  » 

6.  30 

34.  73 

7.  7 

770 

Fango  di  Montegrotta 

100  » 

2.  00 

30.  75 

2.  14 

214 

80  » 

2.  54 

29.  75 

2.  8 

224 

60  » 

3.  23 

31.  33 

3.  6 

216 

216 

40  » 

4.  60 

34.  31 

5.  3 

212 

Cenere  del  Vesuvio  (eruz.  1906) 

12  gr.  65 

20.  00 

27.  00 

77.  1 

975  ' 

Ma  per  quanto  è stato  detto  precedentemente,  questi  mo- 
duli di  radioattività  non  hanno  così  che  un  valore  relativo  di- 
pendente dall’  elettroscopio  e dall’  intervallo  di  scarica,  e quindi 
servono  soltanto  ad  esprimere  relativamente  il  diverso  grado  di 
radioattività. 


Per  ottenere  dei  risultati  indipendenti  dall’  elettroscopio  e 
dalla  caduta  del  potenziale , ho  poi  fatto  numerose  esperienze 
di  confronto  con  l’Uranio  metallico  in  polvere.  E poiché  esso 
è molto  più  radioattivo  delle  terre  è bastato  metterne  1 gr.  nella 
vaschetta  di  rame  sotto  all’elettroscopio;  sarebbe  stata  sufficiente 
una  quantità  anche  molto  minore,  ma  per  mettermi  nelle  stesse 
condizioni  delle  esperienze  fatte  con  le  terre  bisognava  per  lo  meno 
ricoprire  uniformemente  il  fondo  della  vaschetta.  L’Uranio  me- 
tallico puro  mi  fu  fornito  nella  quantità  di  15  gr.  dalla  Casa 
Kalilbaun. 

Dalla  media  di  molte  determinazioni  è risultato  per  1’  U- 
ranio  il  modulo  di  0,85  che  io  indicherò  con  Mu. 

Poiché  come  ho  precedentemente  osservato  l’ inversa  del 
modulo  di  una  sostanza  può  misurarne  la  radioattività  (in  unità 


arbitraria)  , il  rapporto  del  modulo  dell’Uranio  al  modulo 

1\L  s 


della  sostanza,  potrà  assumersi  come  misura  della  radioattività 
della  sostanza  in  confronto  all’Uranio;  ed  esso  sarà  indipen- 

Atti  acc.  Serie  4a,  Voi..  XIX  — Mem.  XX.  2 


10 


Enrico  Boggio-Lera 


[Memoria  XX.] 


dente  dalla  grandezza,  dimensione  e forma  dell’  elettroscopio  e 
dalla  caduta  del  potenziale.  Infatti  io  di  ciò  mi  assicurai  fa- 
cendo variare  sia  la  caduta  del  potenziale,  sia  la  capacità  del- 
l’ elettroscopio  (mettendo  sul  cilindretto  dispersore  un  dischetto 
di  stagnola,  od  una  vaschetta  di  Alluminio)  : cambiavano  i mo- 
duli Mu  ed  J/s,  ma  restava  costante  il  rapporto. 

ideila  seguente  tabella  presento  i valori  dei  rapporti  os- 

sia  le  radioattività  cosi  dedotte  per  le  precedenti  sostanze  in 
rapporto  all’Uranio  metallico  in  polvere. 

Radioattività  rispetto  all’  Uranio. 


Terra  di  Capri 16,  7X10-4 

Depositi  vulcanici  di  Capri 24,  0 » 

Pozzolana  di  Acireale 8,  9 » 

Sabbia  del  324  a.  C.  (Acireale; 3,  1 » 

Fango  delle  Macalube  (Girgenti) 3,4  » 

» di  S.  Venera  di  Acireale 4, 9 » 

Argilla  di  Acitrezza 3,  4 » 

Terra  del  Giardino  dell’  Istituto  Tecnico  di  Catania  ....  5,  1 » 

» » Podere  della  Scuola  Enologica  » ....  2,  8 » 

» » Grotta  del  Podere  » » » ....  4, 0 » 

» Orto  Botanico  di  Catania 2, 0 » 

» Piana  di  Catania 2,  6 » 

» Anfiteatro  Greco  Romano  di  Catania 1,  2 » 

» Giardino  Bellini  di  Catania 1,  4 » 

» Plaia  di  Catania 2,  7 » 

» Salmastra  della  Plaia  di  Catania 1,  1 » 

» Contrada  Bicocca  di  Catania 2,  7 » 

Ghiaia  rossa  da  costruzione  di  Catania. 1,1  » 

Arena  della  Plaia  di  Catania 0,  2 » 

Terra  di  Grammichele 2,  8 » 

» Fraucofonte  3, 0 » 

Isola  dei  Ciclopi 1,  5 » 

Villa  Belvedere  (Acireale) 5,  7 » 

Marna  del  Basso  Egitto 4,  4 » 

Terra  fina  di  Palazzello  Motta 3?  1 » 


Sulla  radioattività  di  alcune  terre 


11 


Terra  lina  di  Piedimonte  Etneo 11,  1 » 

' Fango  di  Montegrotta 39,  3 » 

Cenere  del  Vesuvio  (eruzione  1906) 8,  7 » 

Cenere  dell’  Etna  (1906) 0,  53  » 


Avverto  che  questi  numeri  esprimono  la  radioattività  delle 
predette  sostanze  in  confronto  all’Uranio  in  condizioni  normali. 
Io  ho  di  recente  constatato  (credo  per  il  primo)  che  la  radio- 
attività  di  questa  sostanza,  e così  quella  della  pechblenda,  e di 
alcune  altre,  viene  notevolissimamente  influenzato  dalla  luce.  In 
fatti  esponendo  la  vaschetta  contenente  1’  uranio  al  sole  prima 
d’  introdurla  nell’  apparecchio  , la  radioattività  dell’  Uranio  si 
trova  essere  divenuta  ben  sette  volte  maggiore,  giacché  il  mo- 
dulo è disceso  da  0,85  a 0,12;  però  quest’aumento  di  radioat- 
tività scompare  in  un  tempo  pressapoco  uguale  a quello  della 
durata  di  esposizione  alla  luce  solare.  Risultato  analogo  ho  tro- 
vato esponendo  l’Uranio  alla  luce  dell’arco  voltaico;  e siccome 
anzi  con  questa  sorgente  luminosa,  l’effetto  fu  assai  cospicuo, 
debbo  ritenere  che  esso  sia  dovuto  ai  raggi  ultravioletti.  Di  que- 
sto fenomeno  intendo  fare  uno  studio  particolare. 

Ho  poi  fatto  delle  esperienze  sulla  radioattività  di  una 
mescolanza  di  una  materia  inattiva  con  dell’  Uranio  metallico 
in  polvere.  P.  es.  ho  mescolato  intimamente  1 gr.  di  Uranio 
con  99  gr.  di  arena  della  Piala,  la  quale  è la  sostanza  meno 
radioattiva  che  ho  fin  qui  trovato  nelle  mie  ricerche.  Mettendo 
successivamente  nella  vaschetta  quantità  crescenti  di  questa 
miscela,  i risultati  ottenuti  furono  molto  diversi  da  quelli  avuti 
con  le  terre.  Infatti  trovai  : 


CON 

io 

gr. 

di  arena 

urauata  all’  1 % , 

M ~ 

= 67 

» 

20 

» 

» 

» 

» 

103 

» 

30 

» 

» 

» 

» 

120 

» 

40 

» 

» 

» 

» 

135 

» 

60 

» 

» 

» 

» 

208 

12 


Enrico  Boggio-Lera 


[Memoria  XX.] 


La  conclusione  die  io  credo  poter  ricavare  da  questo  fatto, 
e dagli  esperimenti  sulle  terre  e sui  fanghi  mi  pare  abbastanza 
importante  : 

Come  1’  aumento  che  si  riscontra  nel  modulo  della  terra 
uranata,  e che  ho  pure  verificato  esperimentando  sull1  Uranio 
metallico  in  polvere,  all1  aumentare  della  massa,  sta  a dimostrare 
che  i raggi  uranici  vengono  assorbiti  considerevolmente  dall’ura- 
nio  stesso  e dalla  sostanza  inattiva  a cui  esso  è mescolato,  e che 
perciò  essi  sono  principalmente  costituiti  dai  raggi  poco  pene- 
tranti a e P;  così  al  contrario  l’indipendenza  del  modulo  di  ra- 
dioattività delle  terre  e dei  fanghi  dalla  loro  massa,  (almeno 
fino  a un  certo  limite)  dimostra  che  il  potere  radioattivo  di  dette 
terre  e fanghi  è principalmente  dovuto  ai  raggi  T e ad  una  e- 
manazione. 

Ed  invero  io  ho  potuto  di  recente  accertare  che  una  fra- 
zione abbastanza  grande  della  radioattività  delle  terre  e dei 
fanghi  è dovuta  a raggi  y penetrantissimi,  mediante  le  seguenti 
esperienze  : 

Introdotto  nell1  apparecchio  gr.  100  di  terra  di  Piedi  monte 
Etneo  ho  trovato  che  il  tempo  ts  necessario  perchè  la  deviazione 
della  fogliolina  dell1  elettrometro  si  riducesse  da  18°  a 47°  era 
minuti  5,  50  ; ricoperta  poi  la  terra  con  un  disco  di  Alluminio 
di  mm.  0,  3 di  spessore  ho  trovato  che  il  tempo  richiesto  era 
tc  — min.  9,66;  d’altra  parte  a vaschetta  vuota,  si  aveva  £t=m.l5,9. 

Con  la  formula  da  me  data 


deduconsi  quindi  i tempi  Ts  e Tc  che  sarebbero  stati  impiegati 
rispettivamente  a sostanza  scoperta,  ed  a sostanza  coperta,  per 
la  stessa  diminuzione  della  deviazione,  senza  le  dispersioni  estra- 
nee ; e cioè  : 


Ts  — in.  8,  4 


Tc  — m.  24,  6 


Sulla  radioattività  delle  terre 


13 


Conseguentemente  mentre  la  sostanza  scoperta  toglie  ad  ogni 
minuto  all’  elettrometro  -1—  della  carica  considerata,  la  sostanza 

b,  4 

stessa  coperta  col  disco  di  Alluminio  di  mm.  0,  3 di  spessore 
toglie  ancora  7^-— r della  carica  al  minuto  ; e quindi  deducesi 

die  — — : — ■ cioè  circa  d—  dell’  azione  radioattiva  totale  della 
24, o 8,4  100 

terra  di  Piedimonte  Etneo  passano  ancora  attraverso  all’  Allu- 
minio dello  spessore  di  mm.  0,  3. 

Ricoprendo  la  terra  medesima  con  un  disco  di  zinco  dello 
spessore  di  mm.  0,  65  lio  trovato  : 


t'c  = m.  10,  40, 

e quindi  mediante  la  solita  formula  : 


T'ì  = m.  10,  4 X — 


15,9 


15,9  — 10,4 


m.  30  ; 


onde  deducesi  analogamente  che  attraverso  allo  zinco  dello  spes- 

1 1 28 

sore  di  mm.  0,  65  passano  ancora  — : — — ossia  — — della  radia- 
1 30  8,  4 100 

zione  totale. 

Pinalmente  ricoprendo  la  terra  con  un  disco  di  Piombo  di 
mm.  2 di  spessore  ho  trovato  : 

t"c=m.  11,25, 

da  cui  : 


T"c  = 11,  25  X 


15,  90 


15,90—  11,25 


= m.  38,  5 ; 


onde  si  ricava  che  attraverso  al  Piombo  dello  spessore  di  2 mm. 
11  22 

passano  tuttavia  5 - : 7—  ossia  — — dell’  effetto  totale. 

1 38,25  8,  4 100 

Inoltre  ricoprendo  soltanto  in  parte  la  sostanza  attiva  me- 
diante settori  circolari  di  lamiera  metallica  aventi  angoli  di 

T’T’T,7CT’  A-  ’ T ’ 10  trwvato  clie  11  temP°  Afe'  imPie" 


14 


Enrico  Boggio-Lera 


[Memoria  XX.] 


gato  nella  scarica  quando  una  frazione  Jc  della  superficie  trovasi 
scoperta,  e la  frazione  residua  Té  — 1 — h trovasi  coperta,  si  può 
rappresentare  abbastanza  bene  in  funzione  di  Jc  e di  Jc',  e di  Ts 
e Tc , mediante  la  formola  : 


Thth,  Ts  T T 


Questa  forinola  era  d’  altronde  prevedibile  ; giacché  se  -7=— 

•*•8 

come  abbiamo  osservato  esprime  la  frazione  della  carica  sottratta 
ad  ogni  minuto  all’  elettrometro  quando  l’ intera  superfìcie  della 

sostanza  si  trova  scoperta,  e la  frazione  della  carica  sottratta 


ogni  minuto  quando  la  superfìcie  è coperta  dalla  lamina  metal- 

ll  le 

lica  ; -7=-  e saranno  le  frazioni  della  carica  sottratte  all’elet- 

-*-S  J~C 

trometro  ad  ogni  minuto,  rispettivamente  dalla  porzione  scoperta 
e dalla  porzione  coperta  della  superfìcie  della  sostanza  ; onde  la 

somma  deve  rappresentare  la  frazione  — della  carica 

■*-s  J-c 

sottratta  complessivamente  per  ogni  minuto  all’elettrometro,  sem- 
pre beninteso  senza  le  dispersioni  estranee. 


P.  S.  Sento  il  dovere  di  ringraziare  il  Cav.  Leonardo  Pratesi,  Preside  di  questo  Regio 
Istituto  Tecnico,  per  avermi  fornito  i mezzi  di  eseguire  questo  lavoro,  e il  Dott.  G.  Tro- 
vato per  avermi  zelantemente  aiutato  nelle  esperienze. 


Catania,  5 Luglio  1906. 


Memoria  XXI 


Dott.  6I0LI0  TRINCHIER1 
Contributo  allo  studio  della  « caulillorìa  » 


RELAZIONE 

DELLA  COMMISSIONE  DI  REVISIONE,  COMPOSTA  DEI  PlIOFF.  A.  RUSSO 
E G.  LOPRIORE  (relatore). 


La  memoria  dal  titolo  : Contributo  allo  studio  della  « cauliflorìa  »,  pre- 
sentata all’  Accademia  Gioenia.  dal  Dott.  Giulio  Trinchieri,  si  occupa  di  un 
fenomeno  molto  discusso,  frequente  fra  le  piante  dei  climi  caldo-umidi  delle 
regioni  tropicali,  raro  in  quelle  della  zona  temperata,  per  cui  i fiori  si  svi- 
luppano sul  caule  e sui  rami  adulti  in  prossimità  di  cicatrici  fogliari. 

L’  Autore,  delimitato  il  vero  carattere  di  questa  disposizione,  designa 
per  « pseudocauliflorìa  » quei  casi  in  cui  i fiori  si  formano  all’  ascella  di 
foglie,  ma  vi  persistono  dopo  che  queste  son  cadute. 

In  base  al  lavoro  del  Buscalioni  su  questo  fenomeno,  l’Autore  mette 
in  rilievo  la  particolare  tendenza  delle  piante  cauliflore  a difendersi  contro 
l’ azione  dannosa  della  soverchia  umidità  o delle  piogge  frequenti  ed  ab- 
bondanti. Spiega  alcune  apparenti  contraddizioni  offerte  da  piante  xerofite, 
come  le  Cac tacce,  le  quali,  pur  vivendo  in  luoghi  aridi  , presentano  nondi- 
meno i loro  tessuti  riccamente  provvisti  di  acqua  e quindi  in  condizioni  bio- 
logiche non  molto  diverse  da  quelle  viventi  in  luoghi  umidi  o piovosi  e 
come  tali  ricche  parimenti  di  acqua. 

Quanto  alla  possibile  influenza  delle  azioni  traumatiche  sulla  cauliflorìa 
(vedi  di  questo  volume  la  nostra  memoria  X.  p.  13),  il  Trinchieri  senza  pro- 
nunziarsi esplicitamente  in  riguardo  all’  azione  diretta,  ritiene  però  che 
esse  siano  da  considerare  come  un  fattore  indiretto,  importante  per  la  de- 
terminazione del  processo. 

È merito  dell’Autore  di  avere  accertato  casi  tipici  di  cauliflorìa  in 
piante  da  noi  estesamente  coltivate,  come  il  Cìtrus  medica  L.  var.  Limon  L. 
e il  C.  Aurantium  L.  var.  Limetta  (Risso),  e di  averne  scoperti  nuovi  in  altre 

Atti  acc.  Sekie  4a,  Vol.  XIX  — Meni.  XXI.  1 


2 


Dott.  Giulio  Trinchieri 


[Memoria  XXL] 


esotiche,  come  il  Ficus  capensis  Tliuub.  ed  il  Jasminum  Sambac  Ait.,  ospitate 
da  qualche  tempo  nell’  Orto  botanico  di  Catania. 

Il  metodo  seguito  nello  studiare  questi  casi  e le  escogitazioni  dell’  Au- 
tore nel  riportarli  ai  principi  generali  del  fenomeno  fanno  sperare  che  pros- 
simamente nuovi  contributi  si  abbiano  su  quest’  importante  argomento,  men- 
tre per  ora  delle  indagini  compiute  si  propone  la  pubblicazione  negli  Atti 
dell’  Accademia. 


.È  noto  che  col  nome  di  « caulitiorìa  » o « caulofìorìa  » 
si  designa  quella  particolare  disposizione  presentata  da  molte 
piante,  proprie  dei  climi  caldi  ed  umidi  delle  regioni  tropicali,  e 
che  solo  per  eccezione  si  osserva  nella  flora  delle  zone  temperate, 
in  virtù  della  quale  le  gemme  fiorali  appaiono  sul  caule  e sui 
rami,  per  lo  più  in  corrispondenza  d’ una  cicatrice  fogliare.  Ta- 
lora le  gemme  fiorali  si  mostrano  anche  su  organi  sotterranei  o 
decorrenti  a fior  di  terra,  per  la  qual  cosa  è lecito  domandarsi 
se,  in  alcuni  casi,  esse  non  siano  da  considerare  come  formazioni 
aventi  sede  su  vere  radici,  anzi  che  su  stoloni  o rizomi. 

Ciò  premesso,  credo  opportuno  di  circoscrivere  esattamente 
il  significato  della  caulitiorìa,  poi  che  altrimenti  si  possono  ri- 
tenere cauliflore  piante,  che  in  realtà  non  lo  sono. 

Perchè  una  pianta  sia  caulifiora,  occorre  per  lo  meno  che 
il  fiore  si  sviluppi  dopo  che  la  foglia  ascellante  è caduta,  giac- 
che qualora  si  sviluppi  all’  ascella,  ma  persista  dopo  che  la  foglia 
è caduta,  è difficile  stabilire  se  si  tratti  di  una  condizione  quasi 
normale  piuttosto  che  di  vera  caulitiorìa  ; ond’  io  propongo , 
per  questo  caso,  il  nome  di  « pseudocauliflorìa.  » 

Sono  invece  realmente  cauliflore  quelle  piante  che  svilup- 
pano i loro  fiori  in  più  o meno  immediata  vicinanza  d’  una  ci- 
catrice fogliare,  ma  su  rami  più  o meno  vecchi. 

Confi  è noto  , per  spiegare  il  fenomeno  in  discorso  furono 
proposte  diverse  ipotesi,  tra  cui  quelle  del  Pumpe,  del  Walla- 
ce, dell’HABEELAXDT,  del  Potoxié,  dello  Schimper,  del  Johow. 


Contributo  allo  studio  della  « caulifloria  » 


3 


Di  recente,  poi,  il  prof.  Buscalioni  (1) , dallo  studio  del 
controverso  problema,  è giunto  a conclusioni  le  quali  modificano 
notevolmente  le  idee  finora  in  vigore.  Egli,  fra  altro,  ha  potuto 
mettere  in  evidenza,  con  la  scorta  dei  dati  paleontologici  , che 
la  Gau  littori  a è un  fatto  antichissimo  , poi  che  di  essa  esistono 
tracce  già  nel  Carbonifero  (2)  e successivamente  nel  Cretaceo  (3). 
Sembra  che  il  processo  caulifloro  s’  inizi i con  gruppi  abbastanza 
degradati  del  regno  vegetale,  in  quanto  che  il  Potorie  l’avreb- 
be riscontrato  in  parecchie  Calamariacee,  nelle  Botrodendracee, 
in  diverse  Lepidodendracee,  nelle  Sigillariee  e nelle  Cordaite  (4), 
ma  non  al  di  là  di  un  certo  limite.  Per  i terreni  posteriori,  poi, 
valgono  le  osservazioni  del  Buscalioni  : delle  34  famiglie  con 
rappresentanti  cauliflori  riportate  da  questo  autore,  22  fecero  la 
loro  prima  comparsa  nel  Cretaceo,  3 nell’  Eocene,  2 nell’  Oligo- 
cene. Cosi  pure  delle  126  specie  di  Dicotiledoni  sicuramente  cau- 
lifiore  citate  dal  Buscalioni,  20  si  rinvengono  nel  Cretaceo  su- 
periore, se  pure  non  sono  apparse  prima,  4 nel  Paleocene,  6 nel- 
1’ Eocene  e 15  nell’Oligocene  (5). 

Come  ognun  sa,  opinano  i geologi  che  in  quei  tempi,  da 
noi  tanto  lontani,  la  temperatura  del  nostro  globo  fosse  più  ele- 
vata di  adesso  e nello  stesso  tempo  il  clima  molto  umido,  a causa 
dei  frequenti  acquazzoni  che  trasformavano  le  terre  emerse  in 
veri  pantani.  E quindi  naturale  l’ ammettere  che  le  piante  di 
quei  periodi  dovessero  modificarsi  in  guisa  da  ottenere  che  la 
pioggia  non  danneggiasse  organi  così  importanti  per  le  stesse, 
quali  sono  i fiori  e i frutti.  Noi  vediamo  perciò  largamente 
diffuse  nelle  piante  del  Carbonifero  certe  disposizioni  dirette 


(1)  Buscalioni  L. , Sulla  caulifloria.  Malpighia,  voi.  XVIII,  1904,  p.  117-177,  tav.  II-III. 
A questa  Nota  potrà  ricorrere  utilmente  il  lettore,  così  per  maggiori  notizie  sull’  argo- 
mento come  per  la  bibliografia  del  medesimo. 


(2)  Buscalioni  L. 

. loc. 

citi.  , 

p.  138-139. 

(3) 

loc. 

cit.  , 

p.  150-152. 

(b 

loc. 

cit.  , 

p.  138. 

(5) 

loc. 

Cit.  ; 

, p.  150-151. 

4 


Boti.  Giulio  Trinchieri 


[Memoria  XXI.] 


appunto  a proteggere  gli  apparati  riproduttori  da  un  eccesso 
di  umidità,  come  ia  forma  di  cono  assunta  dai  frutti  delle 
Selaginella , dei  Lepido dendron  e di  altre  piante  ancora,  nei  quali 
organi  le  parti  essenziali  erano  in  modo  efficace  difese  da  brat- 
tee ; come  la  riduzione  in  larghezza  della  lamina  nelle  foglie 
delle  Calamariee,  ciò  che  doveva  impedire  la  persistenza  sulle 
stesse  delle  gocce  di  pioggia;  e l’essere,  in  varii  casi,  l’infiore- 
scenza collocata  sotto  un  notevole  numero  di  foglie,  del  die  si 
trovano  tracce  nelle  Sigillarla  ; e la  presenza  delle  aflebie , vale 
a dire  di  quegli  organi  riscontrati  nelle  [Felci  del  Carbonifero, 
e che,  secondo  il  Potorie  , avevano  1’  ufficio  di  proteggere  le 
gemme  fogliari,  oltre  a quello  di  contenere  acqua  (1). 

Disposizioni  analoghe,  cioè  inerenti  alle  condizioni  d’  umi- 
dità eccessiva  offerte  dall’  ambiente,  si  rinvennero  nei  periodi  po- 
steriori al  Carbonifero — e ne  sono  esempio  gli  apparati  riprodut- 
tori delle  Grimnosperme,  le  radici  a ginocchio  dei  Taxodi-uni  (2) — 
come  si  trovano  oggidì  nelle  piante  equatoriali,  specialmente  se 
queste  vivono  in  siti  soggetti  a frequenti  piogge  (3). 

Così  nelle  Pandanacee  e in  molte  Palme  la  speciale  costi- 
tuzione dell’  infiorescenza  è,  per  gli  organi  riproduttori,  un’  effi- 
cace difesa  contro  l’umidità;  in  altre  Palme,  poi,  l’infiorescen- 
za è doppiamente  protetta  contro  i rovesci  di  pioggia,  prima  dalla 
presenza  di  una  larga  spata  e poi  dalla  riunione  dì  parecchie 
foglie  al  di  sopra  dell’ infiorescenza  stessa:  è un  caso  simile  a 
quello,  già  ricordato,  delle  Sigillarla  del  Carbonifero. 

Nelle  Dicotiledoni,  le  principali  disposizioni  protettive  sono 
rappresentate  o da  involucri  di  origine  bratteate — ed  esempi  di 
ciò  dànno  diverse  famiglie  come  Bignoniacee  , Composite,  Dip- 
sacacee,  Santalacee,  Ombrellifere,  Clusiacee  , Miricacee,  Cupuli- 
fere  — ovvero  da  involucri  perianziali  e ricettacolari  , il  che  si 
verifica  per  le  Moracee,  Orticacee,  Vochisiacee,  Lauracee,  Tern- 


(1)  Buscalioni  L.  , loc,  cit.  , p.  136-138. 

(2)  loc.  cit.  , p.  139-140. 

(3)  loc.  cit.  , p.  152-158. 


Contributo  allo  studio  della  « cari Ujl orla,  » 


stretti  iacee,  Colliri  nifere,  Euforbiacee,  Rainnacee  , Sassifragacee  , 
Mirtacee,  Litrariee,  Ericacee,  Rosacee  , Ebenacee  , Verbénacee  , 
Rubiacee,  Mori  ini  iacee,  Chenopodiacee,  e per  altre  famiglie  ancora. 

Altre  volte,  poi,  le  piante  (Artocarpee,  Magnoliacee,  .Aloni- 
in  iacee,  Rosacee,  Sassifragacee,  Rubiacee,  Anonacee,  Melaste  ma- 
cee,  Ficus , Castilloa , A rtocarpus  inteff  ri  foli  a , Trochodendron , Tambou- 
rissa , / Siparuna , For stenia , Nelumbo , Euryale,  Victoria , Boccalaya , 
Frayaria , Fhodotypas,  Liquidambar , Morinda,  iSarcocephalus , Anona 
■nutricata , Fupomatia,  Melastoma  e Btackea)  sono  difese  contro  ru- 
mi dita  per  mezzo  di  sincarpi  ; ovvero  per  mezzo  di  arilli  e di 
organi  arilloidei  : così  nelle  Dilleniacee,  Sapindacee,  Celastracee, 
Anonacee,  Rainnacee,  Rubiacee,  Ninfeacee  , Enforbiacee,  Legu- 
minose, Miristicacee,  Connaracee,  ecc. 

Lo  stesso  ufficio  protettivo  esercitano  pure  la  così  detta 
« linea  lucida  » delle  Colun nifere  , Celastracee  , Leguminose  , 
Marsiliacee  e Oannacee,  nonché  i peli  che  appaiono  sul  tegu- 
mento seminale  ( Oossypium , Quiina,  Triyonia,  ecc.). 

Ora,  a tutte  queste  disposizioni,  intese  a difendere  gli  ap- 
parati riproduttori  delle  piante  contro  1’  azione  dannosa  della 
soverchia  umidità,  dovuta  alla  frequenza  e all’ abbondanza  della 
pioggia,  va  aggiunta,  secondo  il  Buscalioli,  anche  la  cauli  fio- 
rì a (1).  Disposizione  questa,  che  attualmente  s’  incontra  assai 
spesso  in  tutti  i punti  delle  regioni  tropicali  dove  perdurano 
quelle  condizioni  d’  ambiente  le  quali,  stando  ai  dati  paleonto- 
logici, costituivano  la  principale  caratteristica  del  Carbonifero  e 
del  Cretaceo.  Infatti,  la  maggior  parte  delle  126  specie  di  piante 
indubbiamente  caulitiore,  enumerate  dal  Buscatagli  (2),  è pro- 
pria di  regioni  calde  ed  a piogge  frequenti  e copiose. 

E qui  credo  opportuno  di  osservare  che,  dato  il  grande  nu- 
mero di  piante  caulitiore  esistenti,  1’  elenco  riportato  dal  Busca- 
tagli non  può  essere  certamente  completo  , pur  tenendo  conto 


(1)  Boscajjoni  L.  , loc.  cit.  , p.  139  e 159-160. 

(2)  loc.  cit.,  p.  121-128. 


6 


Doti.  Giulio  Trinchieri 


[Memoria  XXI.] 


delle  modificazioni  che  lo  stesso  autore  già  vi  introdusse  mediante 
le  aggiunte  contenute  nella  nota  collocata  alla  fine  del  suo  la- 
voro (1). 

Per  esempio,  nel  citato  elenco  non  è fatta  menzione  dei- 
fi  Frycibe  ramiflora,  di  cui  ci  dà  notizia  H.  Hallier  (2). 

Quest’autore  pone  il  gen.  Frycibe  fra  le  Convolvulacee,  men- 
tre , secondo  il  De  Oaxdolle  (3)  , fi  ordine  delle  Frycibeae 
va  da  quelle  allontanato  e avvicinato  invece  alle  Ebenacee — che 
hanno  varie  altre  specie  caùliflore,  già  ricordate  dal  Buscalio- 
ìti — o alle  Aquifoliacee.  Però,  nella  monografia  del  Peter  (4).  il 
gen.  Frycibe  vien  messo  fra  le  Convolvuloideae-Frycibeae  (5). 

Paccio  notare  tuttavia  che  i pochi  rappresentanti  fossili  delle 
Convolvulacee  furon  trovati  nel  Terziario  antico  (6),  il  che  è in 
accordo  con  fi  ipotesi  del  Buscalioxi. 

Così  pure  fra  le  specie  del  gen.  Ficus — ben  noto  per  avere 
molti  rappresentanti  cauliflori — comprese  nell’elenco  sopra  ricor- 
dato, non  figura  il  Ficus  capensis  Thunb. , dell’  Africa  australe, 
di  cui,  nel  maggio  di  quest’anno,  ho  potuto  osservare  nell’Orto 
botanico  di  Catania  uno  splendido  esemplare,  che  aveva  la  mag- 
gior parte  del  suo  tronco  addirittura  coperta  di  tanti  ricettacoli 
piriformi  (cenanzi).  Questi  erano  raccolti  in  numerosi  grappoli  — 
non  saprei  come  altrimenti  chiamarli  — risultanti  di  molte  in- 
fiorescenze , discretamente  peduncolate.  I grappoli  pendevano 
lungo  il  tronco  ed  avevano  i rispettivi  apici  occupati  , non  già 
da  uno  o più  cenanzi,  bensì  da  una  gemma  fogliare  chiusa.  Inoltre 
i singoli  ricettacoli  erano  così  disposti  su  quella  specie  di  grap- 


(1)  Buscalioni  L.  , loc.  cit.  , p.  169  e segg. 

(2)  [I allibi;  H,  , Bamteine  zn  einer  Monograpbie  d.  Convolvulaceen.  Ueb.  d.  Gattung  Ery- 
cibe  i(.  biol.  Bedeutung  d.  stammbiirtìgen  Bliiten  u.  Friichte.  Bull,  de  1’  Herbier  Boi  ssi  er,  voi.  V, 
1897,  11.  9,  p.  735-754  e n.  12,  p.  105. 

(3)  De  Candolle  , Prodromm  systematis  naturalis  regni  vegetabilis  , pars  IX,  Parisiis , 
MDCCCXLV,  p.  463-464. 

(4)  Peter  A.  , Convolvulaceae,  in  Fai.  P/lanzenfam.  , IV.  Teil,  Abt.  3a. 

(5)  loc.  cit.  , p.  36. 

(6)  loc.  cit.  , p.  11. 


Contributo  allo  studio  della  « cauliflorìa  » 


7 


poli  che  i loro  piccoli  orifici  apicali  guardavan  tutti  il  terreno, 
ciò  che  avviene  talora  anche  nel  Ficus  Carica  L. 

Ora  , sembra  a me  che  le  accennate  disposizioni  debbano 
esercitare  un  ufficio  di  protezione  contro  1’  eccessiva  umidità.  E 
mi  spiego.  Se  anche  all’  estremità  del  grappolo  esistessero  uno  o 
più  ricettacoli,  1’  acqua  di  pioggia,  la  quale,  per  essere  il  grap- 
polo diretto  verso  terra,  dopo  averne  percorso  P asse,  si  raccoglie 
all’  apice  del  grappolo  stesso,  finirebbe,  a lungo  andare,  col  dan- 
neggiarli. L’  essere  poi  le  aperture  apicali  dei  varii  cenanzì  co- 
stantemente rivolte  in  basso  fa  sì  che  la  pioggia  non  possa  per 
quella  via  penetrare  in  mezzo  ai  fiori,  e recar  loro  nocumento 
con  la  sua  presenza. 

Infine,  nei  primi  giorni  del  corrente  mese  di  luglio,  trovai 
nello  stesso  Orto  botanico  di  Catania  un’altra  pianta,  il  Jasminum 
/Sambac  Ait.  , la  quale  portava  numerosi  fiori  sui  rami  più  vecchi 
e privi  di  foglie. 

Si  tratta  perciò  di  una  pianta  caulifiora,  che,  come  le  altre 
due  sopra  ricordate,  non  è indicata  tra  quelle  dell’  elenco  del 
Buscalio:ni,  alle  quali  pertanto  P aggiungo. 

Il  Jasminum  Sambac  è un  frutice  originario  delle  Indie 
orientali  e , precisamente,  vive  nelle  foreste  presso  la  spiaggia 
del  mare  (1)  ; per  conseguenza  è propria  di  luoghi  molto  umidi. 
Inoltre  il  gen.  Jasminum  è molto  antico,  giacché,  sarebbe  apparso 
nell’  Eocene  (2). 

La  cauliflorìa  della  specie  da  me  esaminata  forse  è in  rela- 
zione con  la  sua  qualità  di  pianta  rampicante. 

Finalmente,  il  gen.  Jasminum  è assai  diffuso  nelle  regioni 
tropicali  bagnate  da  piogge  torrenziali  (3),  il  che  spiegherebbe, 
se  ancora  ce  ne  fosse  bisogno  , la  comparsa  della  cauliflorìa  in 
qualche  tipo  del  genere  stesso. 


(1)  De  Candolle,  Prodromus  systematis  naturalis  regni  vegetabilis , pars  Vili,  Parisiis, 
MDCCCXLIV,  p.  301. 

(2)  Buscai,[ONi  L.,  loc.  cit.,  p.  149. 

(3)  De  Candolee,  loc.  cit.,  p.  301  e segg. 


8 


Doti.  Giulio  Trinchieri 


[Memoria  XXI.] 


* * 

Ho  accennato  in  principio  che  nelle  regioni  temperate  la  cau- 
liliorìa  non  è,  nelle  condizioni  normali,  un  fatto  frequente  : anzi, 
per  quanto  mi  consta,  da  noi  ne  otfre  un  esempio  sicuro  soltanto 
il  Cercis  iSiliquastrum  L.  (1)  , che,  in  primavera , dischiude  i 
suoi  graziosi  fiori  rosei. 

Però  è risaputo  che  esistono  alcune  piante  le  quali  eccezio- 
nalmente possono  presentare  il  fenomeno,  specie  se  assoggettate 
ad  azioni  traumatiche. 

Una  pianta,  per  esempio,  che  in  tali  condizioni  con  fre- 
quenza diventa  caulitìora  è la  Vite.  A questo  proposito,  O.  Bec- 
caci (2)  ricorda  di  aver  rilevato  la  presenza  di  qualche  piccolo 
grappolo  di  fiori  sui  ceppi,  nudi  di  foglie  , di  alcune  viti  , che, 
per  innesto  , erano  state  private  delle  loro  parti  superiori.  Lo 
stesso  autore  (3)  cita  poi  un  altro  caso  di  caulifiorìa  nella  Vite, 
nel  quale  ai  fiori  erano  succeduti  i frutti  , riportato  dalla  Henne 
H orticole  (4).  Hi  un  altro  ancora,  perfettamente  identico  al  pre- 
cedente, nel  modo  di  manifestarsi,  il  dott.  Moxtemartixi  (5)  ci 
dà  la  descrizione  accompagnata  dalla  relativa  figura.  Infine,  an- 
che il  prof.  Lopriore,  a quanto  gentilmente  mi  riferisce,  ebbe 
a notare  più  d’  una  volta  casi  consimili. 

Grazie  alle  osservazioni  che  potei  fare  sopra  un’  altra  pian- 
ta, è dato  anche  a me  di  portare  un  contributo  all’  argomento 
che  ora  ci  interessa. 

Sul  finire  del  mese  di  maggio  dell’  anno  scorso,  mentre  os- 


(1)  Alcuni  considerano  come  pianta  caulitìora  anche  la  Ceratonia  Siliqua  L.  Le  mie  os- 
servazioni, che  ho  dovuto  per  ora  limitare  a piante  già  fruttificate,  non  mi  permettono  di 
stabilire  se  nel  caso  del  Carrubbio  si  tratti  o non  di  vera  caulifiorìa. 

(2)  Bkccari  0.  , Nelle  foreste  di  Borneo.  Firenze,  1902,  nota  a p.  538. 

(3)  loc.  cit.  , nota  a p.  538. 

(4)  Vedi  p.  430,  fig.  93,  anno  1882. 

(5)  Montemartini  L.,  Un  caso  di  «.  caulofloria  » nella  vite.  Italia  agricola,  anno  XL, 
n.  15,  1903,  p.  348-349,  e tavola  a colori. 


Contributo  allo  studio  della  « cauliflorìa  » 


9 


servavo  con  un  senso  di  rincrescimento  un  alberetto  di  Citrus 
medica  L.  var.  IAmon  L.,  coltivato  nell’  Orto  botanico  di  Sassari 
e che  mani  inesperte  avevano  non  molto  tempo  prima  sottopo- 
sto ad  una  intempestiva  ed  esagerata  potatura,  mi  accadde  di 
posare  gli  occhi  sopra  un  ramo  , eh’  era  tra  i più  grossi  posse- 
duti dalla  pianta,  sul  quale  spiccavano,  a varia  distanza  fra  loro, 
tre  fiori  (fig.  1).  Esaminando  più  da  vicino  il  ramo  in  discorso, 


Fig.  1.  Cauliflorìa  nel  Citrus  medica  L.  var.  Limon  L.  — A,  B,  C,  primo,  secondo  e terzo 
fiore  nati  sul  ramo  ; dei  primi  due  è rimasto  il  gineceo  , il  terzo  è chiuso  ancora. 
(Da  una  fotografia  dell’  Autore). 

tosto  mi  accorsi  che  nessuna  traccia  di  foglia  era  presso  i fiori 
da  me  notati,  per  la  qual  cosa  fui  indotto  a concludere  che  si 
ti  aitasse  di  un  caso  di  cauliflorìa,  die,  per  quanto  io  sappia, 
ancora  non  e stato  da  altri  riscontrato  e descritto  nel  Limone. 

Seguendo,  giorno  per  giorno,  lo  sviluppo  dei  fiori  del  mio 
alberetto,  i quali  verso  la  metà  di  giugno  erano  tutti  e tre 
aperti,  potei  constatare  che  i medesimi  presentavano  molti  casi 
teiatologici.  Casi  teratologici,  più  o meno  interessanti  e in  com- 

Atti  acc.  Serie  4a,  Vol.  XIX  — Mem.  XXI.  2 


10 


Doti.  Giulio  Tr incineri 


[Memoria  XXL] 


plesso  già  conosciuti  nel  gen.  Citrus  L.  (1),  dal  prof.  Pexzig  (2) 
attribuiti  alla  coltura  e da  altri  autori  , per  esempio  Cesati  , 
Passerini  e Girelli  (3),  nonché  Paoletti  (4),  considerati  in 
parte  come  caratteri  ormai  stabili  del  genere  stesso,  ma  che 
non  è,  credo,  superfluo  riferire  qui. 

Il  calice  del  bore,  che  si  aprì  per  primo  (fig.  1,  A),  aveva 
quattro  lobi  , dei  quali  uno  alquanto  più  piccolo  dei  rimanenti 
piuttosto  espansi,  disposti  tutti  da  una  parte,  vicinissimi  tra  loro. 

La  corolla  dello  stesso  fiore  si  componeva  di  otto  petali, 
però  soltanto  quattro  apparivano  normalmente  sviluppati. 

Giudicando  dall’  aspetto,  fui  indotto  a sospettare  che  gli 
altri  quattro  petali  ripetessero  la  loro  origine  da  altrettanti  stami. 

Esclusi  questi  ultimi,  1’  androceo  risultava  di  ventidue  sta- 
mi, venti  di  lunghezza  disuguale,  tutti  liberi,  meno  quattro  sal- 
dati a due  a due  per  breve  tratto  a cominciare  dalla  base,  uno 
accennante  appena  a trasformarsi  in  petalo,  ed  uno,  infine,  mac- 
chiato in  due  punti  di  rosso,  con  l’antera  abortita  e saldato  per 
intero  col  pistillo,  che  mostrava,  per  tutta  la  lunghezza  dell’o- 
vario, una  specie  di  solco,  nel  quale  andava  ad  affondarsi  la 
corrispondente  porzione  del  filamento  dello  stame.  La  saldatura 
dello  stame  col  pistillo  era  tale,  che,  dopo  parecchi  giorni  dall’a- 
pertura del  fiore,  disarticolatosi  lo  stilo  — alquanto  schiacciato 
in  alto  — dall’  ovario,  la  porzione  superiore  dello  stame  servì  a 
trattenere  lo  stilo  medesimo. 

Avvenuta,  poco  dopo  1’  antesi  del  primo  fiore,  quella  del 
• 

(1)  Cfr.  : Savastano  L.,  Le  forme  teratologiche  del  fiore  e frutto  degli  Agrumi.  Annuario 
della  R.  Scuola  superiore  d'agricoltura  in  Portici,  voi.  IV,  1884,  fase.  3°,  p.  5-32,  tav.  I-IV. 
Pisnzig  O.,  — Studi  botanici  sugli  Agrumi  e sulle  piante  affini.  — Annali  di  Agricoltura,  Ro- 
ma, 1887,  voi.  116,  p.  99-103,  e tav.  Vili,  ±ìg.  2-3,  dell’  Atlante.  — Pflaneen-Teratologie. 
Genua,  1890,  I.  Bd.,  p.  310  e 345. 

(2)  Penzig  O.  , — Studi  botanici  sugli  Agrumi  e sulle  piante  affini.  — Annali  di  Agricol- 
tura, Roma,  1887,  voi.  116,  pag.  99. 

(3)  Cfr.  : Cesati  V.,  Passerini  G.  e Gibelli  G.,  Compendio  della  Flora  italiana,  1881, 
p.  760. 

(4)  Cfr.  : Paoeetti  G.,  — Butaceae,  in  Fiori  Adr.,  Paoeetti  G.  e Béguinot  A.,  Flo- 
ra analitica  d’Italia.  Padova,  1900-1902,  voi.  II,  p.  25  7. 


Contributo  allo  studio  della  « cauli florta  » 


11 


secondo  (fìg.  1,  B),  notai  che  anche  in  questo  il  calice  era  di- 
viso in  quattro  lobi,  uno  dei  quali  ridottissimo;  che  quattro  era- 
no i petali,  di  cui  due  soltanto  ben  sviluppati.  Gli  stami,  in  nu- 
mero di  venti,  si  mostravano  tutti  liberi. 

Del  terzo  fiore  (fìg.  1,  (7),  molto  prima  del  suo  sbocciamento, 
appariva  all’esterno,  circondato  dai  petali  stretti  fra  di  loro,  l’estre- 
mità superiore  dello  stilo,  di  forma  perfettamente  cilindrica,  sul 
quale  spiccava  ben  distinto  lo  stimma  conico  e colorato  in  giallo 
intenso.  Pur  rimanendo  chiusi  i petali,  lo  stilo  continuò  per 
diversi  giorni  ad  allungarsi  e,  da  bianco  che  era,  assunse  prima 
un  color  verde  carico,  poi  divenne  intensamente  paonazzo.  Ghian- 
dole oleifere  ben  evidenti  erano  sparse  per  tutta  la  lunghezza 
della  colonnetta  stilare.  Quando  poi  il  fiore  accennò  a sboccia- 
re, l’ apertura  della  corolla  cominciò  dalla  base,  mentre  in  alto 
i petali  continuavano  a rimanere  come  saldati  tra  loro  ; dalla 
fessura  in  tal  modo  prodottasi  nella  corolla  s’  intravedevano 
alcuni  stami  alquanto  contorti. 

Il  cal  ice  di  questo  terzo  fiore  non  era  affatto  diviso  in  lobi. 
Sei  erano  i petali,  esternamente  di  color  rosso  sbiadito  e irre- 
golari quanto  alle  dimensioni  e alla  forma,  per  contorsioni  più 
o meno  pronunciate,  sfrangiature  all’apice,  eco.  Gli  stami,  in 
numero  di  trenta,  erano  di  lunghezza  ridotta  ed  in  parte  ave- 
vano antere  atrofiche.  Notai  inoltre  che  i filamenti  di  due  stami 
presentavano  alla  base  una  breve  saldatura  e che  due  altri  sta- 
mi s’  erano  uniti  per  mezzo  delle  antere. 

Dopo  venti  e più  giorni  dal  completo  sbocciamento  dei 
miei  tre  fiori,  sebbene  la  forma  primitiva  dei  rispettivi  ovarii 
avesse  cominciato  a modificarsi,  temendo  forte  per  la  loro  esi- 
stenza, a causa  della  stagione  asciuttissima  e dei  venti  che  sof- 
fiavano impetuosi,  mi  decisi  a sacrificare  e raccogliere  i tre 
ovarii  in  discorso.  Sottoposti  i medesimi  all’ esame  microscopico, 
dopo  averli  convenientemente  preparati,  vidi  che  il  primo  di 
essi  presentava  sette  logge  ben  sviluppate,  più  un’  altra  quasi 
atrofica  in  corrispondenza  del  solco  in  cui,  come  sopra  ho  ac- 


12 


Doti.  Giulio  Trinchieri 


[Memoria  XXI. | 


cennato,  stava  in  parte  affondato  uno  staine.  Nove  logge  aveva 
l’ovario  del  secondo  dorè,  ed  otto  quello  del  terzo. 

Non  potei  appurare  se  gli  ovarii  fossero  stati  o non  fecondati. 
Lo  stesso  processo  caulitìoro,  che  ho  descritto  nel  Limone, 
vidi  presentato,  con  relativa  frequenza,  dal  Citrns  Aurantium  L. 
vai*.  Limetta  (Risso). 

Un  esempio  di  ciò  può  dare  la  fig.  2,  tratta  dalla  fotografia* 

che  feci  nel  passato  maggio,  di 
un  esemplare  della  pianta  ora 
ricordata,  vivente  nell’  Orto  bo- 
tanico di  Catania. 

Per  quanto  mi  consta,  nep- 
pure questo  secondo  caso  di  cau- 
liflorìa  è stato  finora  messo  in 
evidenza  da  altri. 

Mi  fu  riferito  che  l’ esem- 
plare citato  venne  sottoposto,  in 
diversi  tempi,  alla  potatura,  tal- 
volta anche  un  po’  eccessiva  , a 
giudicare  dalle  tracce  rimaste. 
Oltre  a ciò,  può  forse  aver  con- 
tribuito alla  comparsa  del  feno- 
meno un  altro  fatto  : l’ individuo, 
che  fu  oggetto  delle  mie  osser- 
vazioni , sorge  proprio  sull’  orlo 
di  un  antico  canale  d’ irrigazione 
dell’  Orto  , per  la  qual  cosa  le 
sue  radici  si  trovano  nella  spe- 
ciale condizione  di  essere  assai  di 
frequente  e molto  copiosamente 
bagnate  dall’  acqua  che  scorre  nel  canale. 

I fiori  del  mio  esemplare,  che  in  modo  tanto  evidente  ca- 
ratterizzavano il  fenomeno  , non  presentavano,  per  sè  stessi,  al- 
cuna particolarità  degna  di  menzione. 


Fig.  2.  — • Cauliflorìa  nel  Citrns  Aurantium 
L.  var.  Limetta  (Risso).  — A,  Gine- 
ceo di  un  fiore  nato  sul  ramo. 

(Da  una  fotografia  dell’Autore). 


Contributo  allo  studio  della  « cauliflorìa  » 


13 


In  riguardo  al  gen.  Citrus,  dirò  infine  che  alcune  sue  spe- 
cie, per  esempio  C.  Aurantium  L.  var.  grandi?  L.  {C.  decuma- 
nus  L.),  sono  diffuse  in  luoghi  piovosi , altre  nell’  Arcipelago 
indo-malese,  la  regione  delle  piante  cauliflore,  e soltanto  poche 
in  siti  aridi  (1). 

* 

* * 

Passati  così  in  rapida  rassegna  i diversi  casi  di  cauliflorìa 
nelle  piante  dei  nostri  paesi,  venuti  a mia  cognizione,  mi  sem- 
bra ora  molto  interessante  il  cercare  la  giusta  interpretazione 
dei  medesimi. 

Si  è detto  nelle  pagine  precedenti  che,  per  quanto  riguarda 
i casi  da  noi  esaminati  , il  processo  caulitìoro  si  manifestò  di 
solito  su  individui  che  avevano  subito  1’  influenza  di  azioni  trau- 
matiche. 

Ma  sono  queste  direttamente  sufficienti  a spiegare  il  feno- 
meno ? jSToii  oserei  affermarlo. 

Lasciamo  , per  un  momento  , da  parte  ogni  considerazione 
biologica,  e vediamo  se  non  sia  possibile  in  qualche  altro  modo 
renderci  piena  ragione  di  quanto  abbiamo  osservato. 

Io  credo  che  nel  determinare  la  comparsa  della  cauliflorìa 
nelle  nostre  piante  abbia  avuto  speciale  importanza  il  fattore 
anatomo-morfologico. 

Se  noi  ci  facciamo  a considerare  il  fenomeno  sotto  il  punto 
di  vista  morfologico,  non  tardiamo  a convincerci  di  questo:  che, 
in  ultima  analisi,  la  cauliflorìa  è rappresentata  dallo  sviluppo 
di  gemme,  le  quali  dallo  stato  latente,  dopo  tempo  spesso  lun- 
ghissimo, passano  allo  stato  di  vita  attiva  (2). 

Ora,  le  gemme  dormenti  possono  distinguersi  in  fiorali  e 
fogliari.  Quest’  ultime  , di  organizzazione  naturalmente  meno 


(1)  Cfr.  : De  C andò  lek  Alph  . , Géograpliie  botanique  raisonnte,  t.  II,  Paris  - Genève, 
MDCCCLV,  p.  863  e segg. 

(2)  Buscalioni  L.  , loc.  cit.  , p.  119-120. 


14 


Boti.  Giulio  Trinchieri 


[Memoria  XXI.] 


complicata  delle  prime,  sono,  in  regola  generale  , quasi  le  sole 
che  si  sviluppano  nei  nostri  climi.  Al  contrario  , nei  paesi  tro- 
picali, date  le  condizioni  particolari  dell’  ambiente,  le  gemme 
fiorali  dormenti  tendono  a svilupparsi  pure  frequentemente. 

Conosciamo  inoltre,  per  le  ricerche  del  Prunet  (1),  F esi- 
stenza di  un  grosso  raggio  midollare,  che  lo  stesso  autore  chiama 
« rayon  médullaire  gemma-ire  » , mediante  il  quale  le  gemme 
dormenti  delle  piante  legnose  sono  messe  in  comunicazione  col 
midollo  del  fusto  (2). 

Orbene,  questo  potente  raggio  midollare,  tra  altro,  ha  l’uf- 
ficio di  portare  una  grande  quantità  d’  acqua  alla  gemma  dor- 
mente. 

Sappiamo  ancora  , per  limitarci  ai  casi  di  cauliflorìa  ri- 
cordati , che  i frutti  delle  nostre  piante  cauliflore  sono  molto 
ricchi  d’  acqua,  la  quale  è in  gran  parte  fornita  dall’  umidità 
del  terreno  in  cui  le  piante  vivono. 

Se  a tutto  questo  complesso  di  condizioni  , mirante  a for- 
nire un  largo  quantitativo  d’  acqua  o alla  pianta  o per  lo  meno 
ad  alcune  delle  sue  parti  (frutti  succulenti,  per  esempio),  noi  ag- 
giungiamo F azione  di  cause  traumatiche,  che  determinino  gravi 
mutilazioni,  vedremo  portato  al  grado  massimo  lo  stato  d’imbi- 
bizione della  pianta  , a causa  della  ridotta  traspirazione.  Così 
che,  se  le  azioni  traumatiche  non  hanno,  per  sè  sole,  la  poten- 
zialità di  produrre  il  fenomeno  della  cauliflorìa , date  queste 
condizioni  di  cose  , che  rispecchiano  in  parte  quanto  si  osserva 
nelle  regioni  tropicali  delle  « foreste  piovose  » ( Begenwalder ) , 
sono  tuttavia  da  considerarsi  come  un  fattore  importante  per  la 
comparsa  del  processo. 

Nei  casi  da  me  in  particolar  modo  studiati  , la  cauliflorìa 


(1)  Prunet  A.  , Becherches  sur  les  noeuds  et  sur  les  eiitre-noeuds  de  la  tirje  des  Dieoty- 
lédones.  Aim.  des  Se.  nat.  , Botan.  , 7.e  sèrie,  t.  XIII,  1891,  p.  344  e segg.  , pi.  V, 
fig.  15-16. 

(2)  Il  Prunet  (loc.  cit.  , p.  351-353  , pi.  V,  fig.  16)  descrisse  questa  particolare  di- 
sposizione anatomica  anche  in  una  pianta  cauliflora  , il  ricordato  Cercis  Siliqiiastrum. 


Contributo  allo  studio  della  « cauliflorìa  » 


15 


ha  origine  puramente  da  fattori  interni,  anatomo-morfologici  da 
un  lato  e fisiologici  dall1  altro  , essendo  estraneo  alla  sua  com- 
parsa il  momento  biologico.  Però,  ciò  ammettendo,  si  viene  in- 
direttamente a confermare  l1  ipotesi  del  Buscalioej,  secondo  la 
quale  la  cauliflorìa  dei  paesi  tropicali  è una  conseguenza  della 
necessità  sentita  dalla  pianta  di  difendersi  da  un’  eccessiva  umi- 
dità. Infatti,  nelle  regioni  delle  Begenw timer  abbiamo  anzitutto 
il  terreno  imbibito  d1  acqua,  condizione  questa  che  favorisce  lo 
assorbimento  per  parte  delle  radici.  Secondariamente  , abbiamo 
dei  tipi  di  piante  dotate  di  grande  fogliame,  di  legno  tenero  e 
di  altre  particolarità  anatomo-morfologiclie,  le  quali  ci  indicano 
che  queste  piante  assorbono  grande  quantità  d’  acqua.  Ed  in 
verità,  è noto  che  molte  di  esse  hanno  il  fusto  riccamente  prov- 
visto d’  acqua. 

Ora  , sono  appunto  queste  le  condizioni  che  si  richiedono 
perchè  si  sviluppi  la  cauliflorìa.  Ivi  , però  , a questo  momento 
fisiologico  si  aggiunge,  coirne  sopra  è stato  detto,  il  fattore  bio- 
logico, il  quale  ha  perpetuato  una  condizione  di  cose,  che  altri- 
menti sarebbe  andata  perduta.  Peraltro,  a questo  proposito,  devo 
far  osservare  che  v’  è una  specie  di  contraddizione  in  termini 
nella  cauliflorìa  delle  regioni  tropicali  , poi  che  mentre  il  pro- 
cesso caulifìoro  serve  , come  si  è detto  più  volte,  a difendere  i 
fiori  e i frutti  dalla  pioggia  , viene  invece  da  questa  favorito. 
Ma  è facile  accorgersi  che  la  contraddizione  esiste  soltanto  in 
apparenza. 

Tuttavia  v’è  qualche  caso,  che  si  presta  ad  essere  ritenuto 
anomalo.  È noto,  infatti,  che  anche  le  Cactaoee  (I)  presentano 
talora  il  fenomeno  della  cauliflorìa.  Orbene  , potrebbe  sembrare 
che  1’  interpretazione  data  al  fenomeno  stesso  mal  si  accordasse 
con  la  natura  delle  citate  piante  , essenzialmente  xerofìte.  Ma 


(1)  Schumann  K.,  Umgewòhnliche  SprossMldung  an  Kakteen.  Monatsschrift  Jfìir  Kakteen- 
kuntle.  VI.  Jahrg.  1896,  p.  102. 


16 


Doti.  Giulio  Trinchieri 


[Memoria  XXI.] 


basta  considerare  che  le  Oactacee,  pur  vivendo  nei  luoghi  aridi, 
hanno  i loro  tessuti  riccamente  provvisti  d’ acqua,  perchè  , sen- 
z’  altro,  si  sia  condotti  a riconoscere  che,  anche  questa  volta,  la 
contraddizione  non  è reale,  bensì  soltanto  apparente. 

Dal  R.  Istituto  botanico  di  Catania,  nel  luglio  del  1906. 


il  4 MAY.  1907 


INDICE 


Memoria 

G.  Pennacchietti  — Sul  movimento  piano  di  un  punto  materiate 

libero  nello  spazio I 

F.  Gavara  e N.  Mollica  — Ricerche  intorno  al  ciclo  evolutivo  eli 

una  interessante  forma  di  Pleospora  herbarum  ( Pers .) 

Rab.  (con  figure  intercalate  e (lue  tavole)  . ....  II 

Drago  Umberto  — Azione  sperimentale  dei  sacelli  digerenti  sul- 

V involucro  delle  ova  di  alcune  tenie. Ili 

A.  Bemporad  — Sopra  un  nuovo  sviluppo  singolarmente  conver- 
gente per  V integrale  della  estinzione  secondo  la  teoria 
di  Bouguer IV 

G.  Marletta  — Sulla  identità  proiettiva  di  due  curve  algebriche.  V 

Filippo  Eredia  — Sulla  direzione  delle  correnti  atmosferiche  in 

Catania VI 

A.  Curci  — Trasformazioni  delle  energie VII 

A.  Ricco  e A.  Cavasino  — Risultali  delle  osservazioni  meteoro- 
logiche del  1905  fatte  nel  R.  Osservatorio  di  Catania  . Vili 

G.  Pennacchietti  — Sul  moto  di  rotolamento  — Memoria  la  . . IX 

G.  Lopriore  — Note  sulla,  biologia  dei  processi  di  rigenerazione 
delle  Cormofite  determinati  da  stimoli  traumatici  (con 
figure  intercalate) X 

R.  De  Luca  — Nuovi  tentativi  di  siero-terapia  nella  lebbra  . . XF 

S.  Comes  e G.  Polara  — Sopra  un  mostro  doppio  di  Sus  Scrofa 

L.  (Sice fato- Sinoto)  (con  figure  intercalate) XI F 

S.  Scalia  — Sopra  alcune  singolari  formazioni  montuose  del 

Messico  (cou  figure  intercalate) XFII 

A.  Bemporad  — Sul  modo  di  variare  della  radiazione  solare  du- 
rante le  fasi  di  un'  eclisse  (con  figure  intercalate)  ....  XIV 

G.  Trovato  Castorina  — Effetti  magnetici  del  fulmine  sulle  lave 

dell  Etna  (con  figure  intercalate) XV 

U.  Drago  — Ricerche  « Sull'  attrazione  » delle  cellule  sessuali  . XVI 

S.  Scalia  — I fossili  postpliocenici  della  contrada  Salustro,  presso 

Motta  S.  Anastasia XVII 

S.  Di  Franco  — Gli  inclusi  nel  basalto  dell'  isola  elei  Ciclopi 

(con  una  tavola) XVIII 

G.  Lauricella  — Sui  potenziali  elastici  ritardati XIX 

E.  Boggio-Lera  — Sulla  radioattività  di  alcune  terre  ....  XX 

Giulio  Trinchieri  — Contributo  allo  studio  della,  « Caulifloria  » 

(con  due  figure  intercalate) XXI 


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