<5". ///< F. A. 37.
14 MAY. 1907
ATTI
DELLA
DI SCIENZE NATURALI
IJV CATANIA
ANNO LXXXIII
19 0 6
S E IES I IE QTJAETA
VOLUME XIX.
C. GALÀTOLA, EDITORE
1 9 0 6.
1 4 MAY. 1907
ATTI
DELLA
ACCADEMIA GIOENIA
DI SCIENZE NATURALI
IN CATANIA
ANNO LXXXIII
19 0 6
QUARTA
VOLUME XIX.
O. OALÀTOLA , EDITORE
1 9 0 6.
Catania
Stabilimento Tipografico C. 6 alatola
Accademia Gioenia di Scienze Naturali
IN CATANIA
Cariche Accademiche per l’anno 1905-’906
UFFICIO DI PRESIDENZA
RICCO Uff. Prof. Annibale — Presidente
CLEMENTI Comm. Prof. Gesualdo — Vice-Presidente
RUSSO Prof. Achille — Segretario
PENNACCHIETTI Gav. Prof. Giovanni — Vice-Segretario per la sezione di
Scienze fisiche e matematiche
FELETTI Cav. Prof. Raimondo — Vice-Segretario per la sezione di Scienze
naturali
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
STADERINI Prof. Rutilio
PIERI Prof. Mario
PERRANDO Prof. Gian Giacomo
GRASSI Cav. Prof. Giuseppe — Cassiere
LAURICELLA Prof. Giuseppe — Bibliotecario
Elenco dei Soci Onorari, Effettivi e Corrispondenti
Soci Onorari
NOMINATI DOPO L’ APPROVAZIONE DEL NUOVO STATUTO
S. A. R. IL DUCA DEGLI ABRUZZI
Todaro sen. comm. prof. Francesco
Chaix prof. Emilio
Macaiuso comm. prof. Damiano
Cannizzaro sen. gr. uff. prof. Stanislao
Mosso sen. comm. prof. Angelo
Blaserna sen. comm. prof. Pietro
Naccari uff. prof. Andrea
Struver comm. prof. Giovanni
Ròiti uff. prof. Antonino
Cerruti sen. comm. prof. Valentino
Berthelot prof. Marcellino
Grassi cav. prof. Battista
Schiaparelli sen. comm. prof. Giovanni
Wiedemann prof. Eilhard
Capellini sen. comm. prof. Giovanni
Righi sen. prof. Augusto
Volterra sen. prof. Vito
Dini sen. comm. prof. Ulisse
Ciamician comm. prof. Giacomo
Dohrn comm. prof. Antonio
Briosi comm. prof. Giovanni
SOCI EFFETTIVI
1. Clementi comm. prof. Gesualdo
2. Orsini Faraone prof. Angelo
3. Basile prof. Gioachino
4. Capparelli uff. prof. Andrea
5. Mollame cav. prof. Vincenzo
6. Aradas cav. prof. Salvatore
7. Di Sangiuliano march, gr. uff. Ant.
8. Ughetti cav. prof. Giambattista
9. Fichera uff. prof. Filadelfo
10. Feletti cav. prof. Raimondo
11. Pennacchietti cav. prof. Giovanni
12. Petrone uff. prof. Angelo
13. Ricco Uff. prof. Annibaie
14. Curci cav. prof. Antonino
15. Bucca prof. Lorenzo
10. Grimaldi cav. prof. Giov. Pietro
17. Grassi cav. prof. Giuseppe
18. Di Mattei uff. prof. Eugenio
19. D’ Abundo prof. Giuseppe
20. Lauricella prof. Giuseppe
21. Pieri prof. Mario
22. Staderini prof. Rutilio
23. Russo prof. Achille
24. Perrando prof. Gian Giacomo
25
26
27
28
29
30
SOCI EFFETTIVI
DIVENUTI CORRISPONDENTI PER CAMBIAMENTO DI RESIDENZA
Speciale prof. Sebastiano
Stracciati prof. Enrico
Peratoner prof. Alberto
Leonardi gr. uff. avv. Giovanni
Ricciardi uff. prof. Leonardo
Baccarini prof. Pasquale
Zanetti prof. Carlo Umberto
Cavara prof. Fridiano
Fubini prof. Guido
SOCI CORRISPONDENTI
NOMINATI DOPO l’ APPROVAZIONE DEL NUOVO STATUTO
Pelizzari prof. Guido
Martinetti prof. Vittorio
Meli prof. Romolo
Papasogli prof. Giorgio
Condorelli Francaviglia dott. Mario
Pisani dott. Rocco
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Gaglio cav. prof. Gaetano
Moscato dott. Pasquale
Guzzardi dott. Michele
Alonzo dott. Giovanni
Distefano dott. Giovanni
Gozzolino uff. prof. Vincenzo
Magnanini prof. Gaetano
Sella prof. Alfonso
Pagliani cav. prof. Stefano
Chistoni cav. prof. Ciro
Galitzine Principe Boris
Battelli cav. prof. Angelo
Guglielmo prof. Giovanni
Cardani cav. prof. Pietro
Garbieri cav. prof. Giovanni
Giannetti cav. prof. Paolo
Cervello comm. prof. Vincenzo
Albertoni cav. prof'. Pietro
La Monaca dott. Silvestro
Luciani sen. comm. prof. Luigi
Zona cav. prof. Temistocle
Bazzi prof. Eugenio
Chironi cav. prof. Vincenzo
Morselli prof. Enrico
Raffo dott. Guido
Materazzo dott. Giuseppe
Borzì cav. prof. Antonio
Falco dott. Francesco
Del Lungo prof. dott. Carlo
Giovannozzi prof. Giovanni
Kohlrausch prof. Giovanni
Zambacco dott. N.
Donati prof. Luigi
De Heen prof. Pietro
Pernice prof. Biagio
Caldarera dott. Gaetano
Salomone Marino prof. Salvatore
Pandolfì dott. Eduardo
Lo Bianco dott. Salvatore
Guzzanti cav. Corrado
Valenti prof. Giulio
Majorana dott. Quirino
Boggio-Lera prof. Enrico
Lo Priore prof. Giuseppe
Pinto prof. Luigi
Romiti Prof. Guglielmo
Divenuto Socio corrispondente per dimissione dal grado di effettivo.
'
.
-
»
.
.
.
...
-
M
'
Memoria J.
Sul movimento piano di un punto materiale libero nello spazio
Nota di G. PENNAGCHIETTI
Il Prof. Giuseppe Bardeìli in una Nota pubblicata nei Ren-
diconti dell1 Istituto Lombardo (1) si propone il problema, per
cui, date le equazioni differenziali del moto di un punto ma-
teriale libero nello spazio, si vuol riconoscere, senza eseguire
nemmeno parziali integrazioni, se la traiettoria è piana. Non
mi sembra superfluo aggiungere alcuni, per quanto semplici,
svolgimenti alle considerazioni del Bardeìli , le quali, sebbene
riferentisi a problema di facile soluzione, hanno tuttavia senza
alcun dubbio molta importanza.
I. Siano :
(1)
d2 x d2 y d2z
~dF ~ " 1 di2 = 1 W ~
le equazioni differenziali del moto e le forze X, Y, Z siano date
in modo che la traiettoria sia in un piano passante per un punto
dato che prenderemo, per semplicità, come origine delle coor-
dinate. La equazione del piano sia :
(2) x -f c{y c2s = 0,
dove i coefficienti er e2 sono arbitrari e la loro determinazione,
nell1 ipotesi fatta sulle forze date, sarà completa appenachè sa-
Serie. II, voi. XXXVIII, 1905.
Atti acci. Serie 4% Voi.. XIX — Mem. I.
1
2
Prof. tì. Pennacchietti
[Memoria I.]
ranno conosciuti i dati iniziali del problema del moto. Deno-
tando con apici le derivate rispetto al tempo e dovendosi avere :
(3) X -f- CJ) -p G%Z z=z 0 ,
il problema del moto ammetterà i due integrali primi frazionari
rispetto a x , y , z :
. zx — xz xy' — yx
(4 C - 7 7 , C = p— 7 .
yz — zy yz — zy
Le (4) esprimono la proprietà, manifesta a priori , che, se
la traiettoria è piana, il momento geometrico della quantità di
moto o della velocità è normale al piano della traiettoria stessa.
Dalla (3) si avrà identicamente, in virtù del sistema (1)
delle equazioni differenziali del moto :
(5)
X -f ol Y -j- c2 Z — 0.
Eliminando cv c2 dalle tre equazioni lineari simultanee (2)
(3), (5) ovvero derivando totalmente l’ una o l1 altra delle (4)
con riguardo alle (4), si avrà :
X1
JC j
X,
y,
z
z
Z
= 0,
la quale equazione, sviluppata, prende la forma :
((5) X ( yz — zy) -j- Y (zx — xz') -)- Z ( xy' — yx) = 0 ,
od anche :
x ( yZ — zY) -)- y' (zX — zZ) -f- z (xY — yXj = 0.
Da ciò risulta immediatamente la seguente proposizione,
che è però evidente a priori senza che alcun calcolo sia neces-
sario, cioè : L<i condizione necessaria e sufficiente affinchè un ino-
tini movimento piano di un punto materiale libero nello spazio
3
bile libero nello spazio, sotto V azione di una forza , descriva una
traiettoria situata in un piano passante per un punto dato , è che
la forza sia normale al momento geometrico della velocità rispetto
al punto dato , o ciò che è lo stesso, il momento geometrico della
forza rispetto al punto dato sia normale alla velocità.
Se le forze debbono, per ipotesi dipendere unicamente dalle
coordinate x, g, z e possono dipendere, anche esplicitamente,
dal tempo, ma non debbono dipendere dalle componenti x , y/, z
della velocità, la (6) non può essere soddisfatta che quando sia:
x _ r _ z
x y z
In questo caso particolare il momento geometrico della
quantità di moto non solo è normale alla traiettoria, ma, come
si sa, è inoltre costante in grandezza ed il problema del moto
ammette i tre integrali notissimi delle aree, cioè sono costanti
il denominatore comune e i due numeratori dei rapporti che
costituiscono i secondi membri dei due integrali (4). Dunque :
La condizione necessaria e sufficiente affinché un mobile , libero nello
spazio , nell ’ ipotesi che le tre componenti della forza debbano di-
pendere dalle sole coordinate e possano dipendere dal tempo, anche
esplicitamente, ma non dalle componenti x', y, vi della velocità , resti
in un piano passante per un punto dato , è che la linea di azione
della forza passi costantemente per questo punto.
II. Più generalmente la traiettoria si trovi in un piano
qualunque, cioè si tolga la restrizione che il piano passi per
un punto dato e la equazione del piano sia :
(1)
epe -|- cpy -(- c.p — . 1.
cf -f- cgj -(- cf = 0 ,
ctA -j- c9l -j- e.f/j — 0 ,
CiX + cX + c3Z' = 0 ,
(2)
(3)
(4)
Si dovrà avere :
4
Frof. tì. Fennaccliietti
[Memoria IJ.
essendo X\ Jr/, Z' , le derivate totali di X, Y, Z , rispetto al
tempo.
Si dovrà avere identicamente :
Supponendo che X, Y, Z dipendano generalmente da x, //,
z, x, y\ z , t, è (piesta un’ equazione differenziale parziale alla
quale debbono soddisfare X , Y, Z affinchè il problema del moto
ammetta V integrale (1), o ciò che è lo stesso, il problema del
moto ammetta i tre integrali primi frazionari che si ottengono
risolvendo le (1), (2), (3) rispetto alle tre costanti cv c.2, c3.
Aggiungiamo la restrizione che A”, Y, Z debbano dipendere
unicamente dalla posizione del mobile e possano dipendere dal
tempo anche esplicitamente , ma non debbano dipendere da x,
y\ z . Allora la (5) sviluppata diviene :
Uguagliando a zero i coefficienti di x '2, y'2, z '2, xy\ y'z , z'x,
si hanno le sei equazioni :
x, IJ, z
(7)
Sul movimento piano di un punto materiale libero nello spazio
Però 1’ ultima equazione è una combinazione lineare delle
precedenti (6), (7), perchè moltiplicando le (6), le (7) e rultima
rispettivamente per — A"2, — l72, — Z2, A A7, YZ, ZX e somman-
do, si ottiene manifestamente un’ identità.
Finalmente eguagliando a zero i coefficienti di x, y, z, si
ha :
ax 3T
(8) dt dt dt
~X Y Z '
Dalle (6) si deduce :
(9) X — y/a {x, y, t), Y = Z fl ( y , g, t), Z = X f2 (g, x, t),
essendo f3 tre funzioni soddisfacenti identicamente alla
relazione :
{}/, Z, t) . ft (z, X, t) . /; (, X , y, t) = 1.
Da questa identità è facile trarre che, in generale, dovrà
essere :
(io)
fi. (V, «7 *) =
F;, (z, t)
^2 (y, 0 ’
f2 (®> xi 0 =
fz (®j y. 0 =
f , («, 0
(*, *) \
(X, t)
Fj (®, i) ’
essendo VF1 (x, t), F2 (//, /), vIr3 (~, t) tre funzioni arbitrarie degli
argomenti posti in evidenza.
Esprimendo che le (9) e (10) soddisfano alla prima delle
(7) si trova facilmente che dev’ essere :
xl\ {x , t) =
z0 (t) X -f- (■ t )
F2 (y, t) =
(0 x + S (0
G
Prof. G. Pennacchietti
[Memoria I.]
Esprimendo finalmente ohe anche la seconda delle (7) de-
y’ essere soddisfatta, si trova :
V 0, t)
fc0
(fi
(fi
ove n3 (t) è una funzione arbitraria di fi
Tenendo adunque conto soltanto delle (6), (7), si ha :
X _ Y _ Z
7T0 (fi oc + iq (fi ~~ (fi X + ic4 (fi — TZ0 (fi z + x3 (fi
e finalmente, tenendo conto anche delle (8 j, si vede che n0 (/),
ni (#), n2 (t), h3 (fi) devono ridursi a costanti fi, a, b, c , all’ in-
fuori di un fattore comune f (fi) funzione del tempo , il quale
fattore può evidentemente essere soppresso.
Si avranno così le seguenti condizioni per le forze :
lece -[- a ly -j- b A ;z -j- c
Se è identicamente fi=o, la forza ha direzione costante ;
se fi =|= o, la sua linea d’ azione passa per il punto fisso di coor-
dinate y, — , y. Se sono dati i rapporti di tre delle
le le le
quantità fi, a, b , c alla quarta, cioè se è dato il punto pel qua-
le deve passare costantemente la linea d’ azione della forza, le
costanti cl9 c.2, c3 che figurano nell’ equazione (1) del piano , si
determinano per mezzo delle equazioni :
ClX0 4“ C2$'o 4“ CSZ0 1 ?
C1XU + C22/o 4~ C3Z0 — 0 ,
CjC — J — Cuyb — | — c.^c — [ — lì — 0 ,
a cui, in virtù delle (11), si riduce il sistema delle (1), (2), (3)
per la sostituzione dei valori iniziali.
Sul movimento piano di un punto materiale libero nello spazio
7
Si conclude che : La condizione necessaria e sufficiente af-
finchè un mobile , libero nello spazio , soggetto alV azione di una
forza le cui tre componenti debbano dipendere dalla posizione del
mobile e possano dipendere dal tempo anche esplicitamente , ma non
debbano dipendere dalle componenti della velocità, descriva una
traiettoria piana , è che la forza sia centrale , cioè diretta verso un
punto fisso , che può essere anche a distanza infinita.
Catania, 10 aprile 1906.
iVeiiioria II
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una
interessante forma di Sìeospora fierHarum (Pers.) Rab.
per F. CAVAR A e N. MOLLICA * " ,
( con 2 tavole e ligure intercalate nel testo )
Le ricerche che sono oggetto della presente memoria si
riferiscono allo studio del ciclo evolutivo di una forma di Pleo-
sj)ora herbarum (Pers.) Rab. riscontrata su foglie di (Jorypha
australi s , e che, cimentata in vari substrati di coltura, diede
con straordinaria costanza ed in copia stragrande , veramente
insperata, determinate forme di organi riproduttori.
Da qualche anno un bell1 esemplare di Gorypha australis ,
coltivato in piena terra all’ Orto botanico di Catania, andava
soggetto a singolari alterazioni delle foglie che dinotavano un
processo patologico perpetuantesi da un periodo vegetativo all’al-
tro. Le foglie giovani, appena dispiegatesi, vi andavano soggette
e le alterazioni si accentuavano sempre più col graduale sviluppo
delle foglie stesse, così da fare pensare che il processo patologico
fosse di natura infettiva.
L’ osservazione attenta delle foglie malate mise in evi-
denza realmente che sulle porzioni alterate si presentavano qua
e là dei minuti corpiccioli nerastri, prominenti che erompevano
dalla epidermide lacerata e che, ad un occhio abituato, si pa-
lesavano quali con.cetta.coli fruttiferi di un mieromieete. Esami-
nati infatti al microscopio, risultavano quali periteci di uno sfe-
riaceo e precisamente di una Pleospora. La costanza colla quale
si presentavano cotesti periteci nelle porzioni inaridite del lembo
fogliare, la consociazione che qua e là essi mostravano di avere
con forme conidiche, che si connettono col ciclo evolutivo di
tal genere di pirenomiceti, avvalorarono l’idea che ad un Pleo-
Atti Acc. Serie 4a, Vor.. XiX — Meni.. II.
1
2
F. Cavava e N. Mollica
[Memoria II.]
spora fosse dovuto il caso patologico offerto dalla Corypha au-
strali. Se ne intraprese perciò uno studio sia per accertare i rap-
porti di parassitismo, sia per portare un contributo alla cono-
scenza del suo ciclo evolutivo. Il materiale si prestava molto
opportunamente ad una indagine perché, come si disse , il pro-
cesso patologico era continuativo su di un esemplare molto ri-
goglioso e ricco di foglie, le quali andavano successivamente sog-
giacendo alla infezione ed offrivano perciò stadi graduali di
questa. Parte di materiale veniva, ad intervalli di tempo, de-
bitamente fissato per opportune ricerche microscopiche, e parte
ci serviva per le ricerche di coltura del micromicete e per altre
investigazioni.
Caratteri macro-e microscopici delle alterazioni.
Sulle foglie di Corypha australi, che mostravano i primi
indizi di alterazioni, si notavano delle minutissime lividure o
macchie puntiformi giallastre, disposte in serie nel lembo de-
corrente fra i cordoni fibrovascolari, macchie dovute a degene-
razione dei cloroplasti, e che viste per trasparenza si presenta-
vano semidiafane e come una soluzione di continuità nel tessuto
assimilatore. Tali piccole macchie finivano in appresso per con-
fluire insieme in guisa da formare delle linee sinuose , limitate
dai cordoni fibrovascolari e che in senso radiale si estendevano
dalla base, o inserzione delle nervature, fino presso 1’ estremità
delle lacinie delle foglie, che per solito non raggiungevano.
Mentre andavano così estendendosi le dette macchie assu-
mevano grado a grado un colore giallo più scuro , fino a di-
venire giallo ocraceo o ferruginoso , dopodiché i tessuti, colpiti
da necrosi, inaridivano e le macchie divenivano grigio-cineree ;
il lembo allora perdeva ogni consistenza, si faceva fragile e si
rompeva lungo le porzioni alterate. Le nervature di vario ordine
restavano solo in posto con sottile porzione di tessuto da parte
a parte, onde l’intera foglia veniva ad essere divisa in numerose
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una intomsante forma ecc.
ó
fibrille riunite solo all1 estremità delle lacinie e presso il pic-
ciolo (Eig. 1).
Fig. 1. Foglia di Corypha ausiralis colpita da infezione di Pleospora.
Prima ancora che avvenisse tale sfibrili amento delle foglie,
sulle linee sinuose o strie di lembo alterato, si manifestavano i
minuti concettaceli carbonacei del pirenomicete, molti dei quali
restavano pure sulle porzioni sfrangiate aderenti alle nervature
4
F. Cavava e JV. Mollica.
Memoria II.]
Facendo bollire pezzettini di foglia alterata in idrato potas-
sico per un certo tempo, passandoli successivamente in acido ace-
tico ed in acqua glicerinata, si rendevano assai bene manifesti
al microscopio tali concettacoli contornati da fitto intreccio di
filamenti micelici, dei quali quelli che circondavano immediata-
mente i periteci erano di colore bruno-oli vaceo, mentre quelli che
si internavano nel parenchima fogliare erano incolori o di un
giallo chiaro. Oltre i periteci si riscontravano alla superfìcie delle
macchie fogliari delle forme conidiche riferibili ad Aiternaria e
a Macrosporium , ed anche degli aggruppamenti miceliari e dei
veri e propri sclerozi.
Facendo delle sezioni trasversali o longitudinali , in corri-
spondenza delle porzioni alterate, si potè meglio stabilire il de-
corso del micelio , il quale era prettamente intercellulare. Per
metterlo meglio in evidenza bastò trattare le sezioni con acqua
di Javelle che, come è noto, asporta il contenuto delle cellule, e,
dopo opportuni lavaggi, colorarle con bleu di metilene ed cosina
o con verde luce e rosso Congo , od anche con acido lattico e
bleu di Poirier.
Con tali processi si potè ben seguire il percorso del micelio
anche in macchie incipienti, e là dove si iniziava la formazione
dei conidiofori (Fig. 1, Tav. I). Le ife miceliche erano, come si
disse, incolore nell’ interno dei tessuti, qua e là ramificate e for-
nite a brevi intervalli di setti trasversali.
Il loro contenuto era dato da plasma finamente granulare
e da piccoli nuclei che non presentavano una struttura differen-
ziata, ma sembravano ridotti a piccole porzioni di sostanza cro-
matica.
Quale conseguenza del parassitismo del fungo, le cellule del
mesofìllo, ad immediato contatto del micelio, presentavano note-
voli modificazioni sia nel contenuto che nelle membrane loro.
Per quanto le ife non mandassero austorì nell’ interno delle cel-
lule, pure il loro decorso fra cellula e cellula non era senza azio-
ne disorganizzatrice. Fra i prodotti del metabolismo di queste
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma eco.
5
ife dovevanvi essere degli enzimi i quali agivano direttamente
sulla lamella mediana sciogliendola, d’ onde la dissociazione delle
cellule, il disturbo immancabile nei processi osmotici di queste,
quindi plasmolisi , degenerazione dei cloroplasti e del citopla-
sma. La scolorazione del mesolillo lungo le porzioni interfasciali
era precisamente la esterna manifestazione dei disturbi fisiologici
causati dal decorso intercellulare del micelio parassita.
Dalla natura delle alterazioni esterne e cioè dalla forma
delle macchie limitate alle tenui porzioni di tessuto fogliare in-
terposto alle nervature della Goryplia , è lecito arguire che il
micelio non aveva azione sopra gli elementi molto lignificati del
tessuto conduttore, il quale rimaneva, come si disse, illeso. L’os-
servazione microscopica confermò appunto questo arresto nella
diffusione del micelio in corrispondenza dei cordoni fibrovasco-
lari ; le ife iniceliche , perciò, non avevano per svilupparsi che
una direzione sola, quella delle porzioni di parenchima fogliare
intercedenti fra le nervature. Quando esse avevano raggiunto da
un lato la base della foglia e dall’altro l’estremità delle lacinie,
ed il parenchima si era esaurito, il parassita si disponeva a frut-
tificare, sia emettendo ife conidifere che, o attraverso (Fig. 1,
Tav. I) le cellule dello strato epidermico o per la via degli sto-
mi, si rendevano libere all’ esterno dando collidi, sia confluendo
in determinati punti ove coll’anastomizzarsi delle ife si costitui-
vano dei gangli micelici, d’onde poi si originavano sclerozi e con-
ce ttacoli ascofori.
Le forme conidiche che si osservavano nelle foglie alterate
erano riferibili, come si disse, a due tipi diversi e cioè a Macro-
sporium (Sarei imi e) e ad Aiternaria (piriformi ed a catenelle).
Ciò mise in sospetto che sullo stesso substrato avessero preso
stanza due specie di Pleospora, essendo ormai noto che alcune
Pleospora hanno per forma conidica dei Macrosporium, altre in-
vece delle Aiternaria. Molto probabilmente una di queste specie
si era sviluppata da saprofita sulle porzioni alterate di foglie di
Corypha danneggiata dall’ altra specie.
6
F. Cavava e N. Mollica
[Memoria II.]
Questa supposizione era avvalorata da due circostanze : la
prima che le due forme conidiche non si presentavano colla stessa
costanza, nè sempre concomitanti , la seconda che anche i con-
cettaceli ascofori avevano forma, dimensioni e distribuzione di-
versa. Gli uni erano più grandi e formati di un ostiolo promi-
nente a guisa di collo più o meno incurvato, e sparsi qua e là ;
gli altri erano globosi, o globoso-depressi, più piccoli, senza collo
e spesso riuniti a gruppetti. Nei primi si riscontravano ascili a
spore piuttosto grandi, con sette sepimenti trasversali ; nei se-
condi spore più piccole, a soli cinque setti.
Ci trovavamo perciò di fronte ad uno spiccato dualismo di
forme sia conidiche sia periteciali, e ciò era tanto più singolare in
quanto, per essere queste sulla stessa matrice, potevano risollevare
il dubbio che entrambe appartenessero al ciclo evolutivo della
ornai tanto discussa Pleospora herbarum. Ciò ci indusse viem-
maggiormente ad imprenderne uno studio accurato anche nello
intento di portare luce su alcune fasi evolutive del tutto trascu-
rate da coloro che fin qui si sono occupati di questo interessan-
tissimo pirenomicete.
Il preteso polimorfismo della Pleospora herbarum (Pers.) Rab.
Non vi è forse in micologia argomento di ricerche così di-
battuto come quello del ciclo evolutivo della Pleospora herbarum
(Pers.) Rab., il tipo collettivo di pirenomicete altrettanto diffuso
in natura quanto ricco di forme, e sviluppantesi sopra steli er-
bacei, foglie, frutti, etc. , talora quale parassita, più spesso con
caratteri di saprofita.
Il trovarsi i concettatoli ascofori di questo sferiaceo sovente
associati con forme conidifere , picnidiclie e spermogonicbe ha
fatto da tempo pensare alla correlazione di queste forme con
le periteciali e vi è tutta una ricca letteratura sul pleioinorfi-
sino della Pleospora herbarum.
Ricerche intorno ni ciclo evolutivo di una interessante forma ecc.
7
Limitandoci ai più importanti lavori, riassumeremo qui bre-
vemente le opinioni messe avanti da distinti micologi.
È noto come il Tulasne (1) assegnasse al ciclo della Pleo-
s por a Jierbarum ben cinque forine di sviluppo e cioè : periteci
ascofori (, Sphaeria. herbarum Pers.), picnidì a stilospore minutis-
sime ( Cytispora orbicularis Berk. , Plioma herbarum West.), co-
nidi riferibili a Cladosporium herbarum , collidi a Sarchiala (Ma-
crosporium Sarcinula Berk.) e conidì a catenella (. Helmintliospo -
rium teuu issi munì Ivze, Aitenaria tennis Nees).
I criteri che condussero il Tulasne a tale coordinamento
di forme furono suggeriti non da risultati di ricerche sperimen-
tali, ma dall’ osservazione della loro concomitanza o della loro
successione sul medesimo substrato. Ne fa fède quanto egli scris-
se intorno al modo e tempo di apparire delle varie forme :
Fungillus conidiophorus omni fere anni tempestate in lierbis demor-
tuis ubique frequentissima apud nos reperitur , pycnides vero peri-
thecia polissi mus sero autumno et liyeme currente maturare solet.
L1 2 3 4 Hallier (2) andò più oltre ed aggiunse alle forme teste
citate del Tulasne i corpuscoli del Cornalia, il Penicillium g ran-
de, il Iihyzopus nigricans, un Micrococcus , forme di Mycothrix e
bacterì !
II Fuckel (3) opinò che gli Epicoceum rappresentassero pure
delle forme macroconidiche delle Pleospora.
Il Cooke (I) assegnò alla Sphaeria ( Pleospora ) herbarum il
ciclo seguente :
« Conidia {Cladosporium herbarum Lk.) ; macroconidia (Ma-
crosporium Sarcinula B. et Br.) ; pycnidia (. Myxosporium orbi-
culare Berk.); stylosporae (. Plioma herbarum West.); ascosporae
{Pleospora herbarum li ab.) ».
(1) Tulasne. Selecta Fungorum Carpologia, II p. 261.
(2) Hallier. Untersuch. ii. d. pflanzl. Organismi, eto. Potsdam 1868 — Die Muscardine
des Kieferspinners (Zeitschrift fiir die Parasitenkunde Bd. I 1868).
(3) Fuckel. Symbolae mycologicae. Wiesbaden 1869.
(4) Cooke. Handbook of British Fungi, 1871, II, p. 896.
8
F. Cavava e N. Mollica
iMemokia IL]
Gibelli e Griffini (1), i quali consacrarono lunghe ed ac-
curate ricerche sperimentali allo studio del ciclo evolutivo della
Pleospora herbarum , vennero alla conclusione che nelle forme as-
segnate dal Tulasne alla Pleospora herbarum si trovano gli ele-
menti estremi almeno per due specie distinte, l’ una a conidi
sarei niformi e fornita di picnidì, l’altra a con idi di Alterna ria e
a picnidì ignoti. Il Cladosporium herbarum Lk. è forma concomi-
tante quasi sempre colle diverse forme di Pleospora , ma è da
escludersi dal ciclo evolutivo di queste.
Bauke (2), nel 1877, dalle ascospore di Pleospora ottenne : da
alcune Aiternaria e picnidì e da altre Sarei nule (. Macrosporium )
e periteci, e concluse coll’ assegnare entrambe le forme collidi-
ci! e alla stessa Pleospora capace di un’alternanza di generazione.
Kolil (3), studiando nel 1883 aneli’ egli le forme ottenute
dalle ascospore, giunse alle seguenti conclusioni:
1. Dalle Alternarla si hanno sempre Alternarla.
2. Le ascospore danno Sarei nule ( Macrosporium ) e periteci
ascofori.
3. Dalle stilospore di picnidì concomitanti coi periteci di
Pleospora si ottengono picnidì ed Aiternarie.
E conformemente ai risultati ottenuti da Gibelli e Griffini
conchiuse che si possono avere due distinte specie di Pleospora.
Il Saceardo nella a Spilo gè (4), a proposito della Pleospora
herbarum , ammette però entrambe le forme conidiche di Alter-
narla e di Macrosporium ed anche uno stadio spermogonico ( Ph <>-
ma herbarum West.).
Il De Bary (5) ritenne intanto come fortemente verosimile
la distinzione proposta da Gibelli e Griffini in due Pleospora a
(1) Gibelli e Griffini. Sul Polimorfismo della Pleospora herbarum Tal. (Archiv. trieun.
del Laborat. di Botan. crittog. di Pavia.) 1874.
(2) Bauke. Beitràge sur Kenntniss der Pycniden, Halle. 1877.
(3) Kohl. Ueber devi Polymorfismus von Pleospora herbarum. (Bot. Centi'.) 1883.
(4) Saccardo. Syll. Fung. IJ. 1883. p. 247.
(5) De Bary A. Vergleich. Morph. u. Physiol. d. Pilse, Leipzig. 1884.
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc.
9
forme conidiclie rispettivamente di Macrosporium e di Aiternaria.
Il compianto Berlese (1) , annettendo alla Pleospora lier-
barum la forma conidica di Macrosporium , giudicò non provata
invece la forma picnidica ( Phoma lierbarum).
Il Mattirolo (2), partendo da ascospòre di Pleospora lierbarum
tipica da un lato, e di P. infectoria Euck. ( — P. Alternariae Gib.
et Grifi.) dall’altro, ottenne dalla prima collidi a Sarcinula (Ma-
crosporium ) e dalla seconda Aiternarie e picnidì , confermando
così i risultati di Gibelli e Griffini e di Kohl. Arrivato a questa
sola conclusione, non seguì 1’ ulteriore evoluzione delle colture.
Il Costantin (3) dalle spore di Aiternaria , variando il sub-
strato di coltura, ottenne forme somiglianti specialmente al
Cladosporium ed altre che facevano transizione all’ Hormodendron.
Il Brefeld (4) ottenne conidì di Aiternaria tanto da Pleo-
spora infectoria Euck., quanto da P. vulgaris Ni essi. ; invece da
ascospore di P. lierbarum , presa da diversi substrati, ottenne sem-
pre Sarcinule e solo dopo quattro mesi accenni di periteci che
non arrivarono a completarsi.
Infine il Peglion (5), a proposito di una speciale infezione
dei semi di Erba medica e di Trifoglio, ebbe ad osservare su
questi semi, tenuti in opportune condizioni, lo sviluppo di cate-
nelle di Alternarla tennis Nees, e dopo alcuni giorni la formazione
di sclerozi e di concettacoli ascofori riferibili alla Pleospora Al-
ternariae Gib. et Grifi'.
Come si rileva facilmente dalla citata letteratura sono due
le correnti intorno al polimorfismo della Pleospora lierbarum
(1) Berlesk A. N. Monografia dei generi Pleospora etc. 1888.
(2) Mattirolo O. Sul polimorfismo della Pleospora herbarum etc. (Malpighia) 1888.
(3) Costantin I. Sur les variations des Alternarla et dee Cladosporium. (Rev. génér. de
bot. 1889).
(4) Brefeld O. Untersuchung . aus d. Gesammutgebiete der Mycologie. X Heft.
(5) Peglion V. IH una speciale infezione crittogamica dei semi di erba medica etc. (Rend.
Acc. d. Lincei 1903).
Atti Acc. Serie 4a, Vol. XIX — Mem. II.
2
10
F. Cavava e N. Mollica
[Memoria IL]
Pers. : l’una, secondo la quale al ciclo evolutivo di questo pire-
noinicete apparterrebbero una forma ascofora , una picnidica o
spermog'onifera e più forme conidicbe, ed è la corrente della vec-
chia scuola di micologi descrittori (Tulasne, Hallier, Fuekel ,
Gook, etc.), invano tentata di risollevare da Bauke ; l’altra, die è
data dalla scuola modernà di micologi sperimentatori (Gibelli e
Griffi ni , Kolil, de Baiy , Brefeld, Matti rolo, Peglion), secondo
la quale due specie almeno di Pleospora sono da distinguere nel
tipo della P. herbarum Pers., e cioè una (P. Sarei n trine Gib. et
Griffi) ad ascospore più grandi, a 7 sepi menti trasversali, dalle
quali nelle colture si hanno conidì a Sarchiala o Macrospor inm,
ed un’altra ad ascospore più piccole, a soli 5 setti trasversali, dalle
quali nelle colture si hanno per conidì delle Alternarla.
Mentre non vi ha dubbio alcuno sulla costanza delle forme
conidicbe rispettivamente di Macrosporimn e di Aiternaria perle
due specie di Pleospora (P. lierbarum — P. Snrein trine, e P. Infec-
toria — P. Alternariae) , altrettanto non può dirsi per le forme
picnidiche ottenute talora per 1 ’ una specie di Pleospora e non
per 1’ altra e vice-versa
Le osservazioni di Bauke, portanti alla unificazione delle due
specie di Pleospora in un solo tipo a ciclo alternante ora a co-
nidì di Macrosporimn ora di Alternarla con miceli anche di-
morfi, sono contradette dalle ricerche dei più ; e così anche quelle
di Costantin intorno ai possibili passaggi da Alternarla a Cla-
dosporlum e Hormodendron, essendo stata da tutti gli sperimen-
tatori citati esclusa la forma di Cladosporium dal ciclo evolutivo
della Pleospora herbarum e della P. infectoria.
Le nostre colture.
Portati da queste controversie a prendere in nuovo esame
la questione del polimorfismo della Pleospora herbarum ed aven-
do a nostra disposizione materiale offrente le due forme critiche
Ricerche intorno ni ciclo evolutivo di una interessante forma ecc.
11
e cotanto cimentate, ci accingemmo pur noi a delle ricerche di
colture sperimentali. i
Nel Dicembre del 1904 si cominciarono i primi saggi sulla
germinazione delle ascospore della forma maggiore, come chia-
meremo la Pieoi spora a periteci più grandi, erompenti, con lungo
collo ricurvo ed aventi spore a sette sepi menti trasversali, rife-
ribile quindi alla Pleospora /Sorci» ulne Gib. et Grifi’.
Le prime prove di germinazione furono anzitutto fatte in
acqua potabile (1), sterilizzata mediante ebollizione prolungata.
I periteci di Pleospora , tolti con un ago dalle porzioni alterate
di foglia di Coryplut , venivano enucleati direttamente sul ve-
trino portaoggetti, contenente una goccia d’acqua, esercitando
una lieve pressione o col coprioggetti o con una lancetta, l’uno
e l’altra sterilizzati alla fiamma. Trasportando in altro vetrino il
nucleo di ascili fuoruscito e comprimendolo di nuovo colla lan-
cetta si mettevano in libertà le ascospore in quantità da fornire
materiale per più colture in goccia pendente contenenti ciascuna
un numero limitatissimo di spore, talora anche una sola.
Non ostante la bassa temperatura dell’ ambiente nel quale
si fecero questi primi saggi (la temperatura scendeva fino a 5°
e a 4“ C. di notte), le ascospore germinarono. Si notò per altro che
la germinazione non avveniva affatto di giorno, ma solo di notte
non ostante l’abbassamento notevole di temperatura. Seminate in-
fatti al mattino nella goccia d’acqua delle camerette umide di
vetro e tenute su di un tavolo alquanto lungi da una finestra, le
spore non mostrarono accenni di germinazione durante le ore del
giorno ; mentre il mattino dopo si trovarono fornite di lunghi
tubetti germinativi. A maggior prova di questa eliofobia delle
ascospore, se ne misero a germinare verso sera, e all’ indomani
si trovarono con cospicui tubi germinativi. Si fecero pure delle
semine di giorno, mettendo le camerette da coltura sotto una grande
(1) L’ acqua potabile usata fu quella della conduttura Cardaci piuttosto ricca di sali di
Calcio e di Magnesio.
12
F. Cavava e N. Mollica
[Memoria II.]
campana di vetro rivestita di carta nera, e dopo poche ore si
ebbe del pari ad osservare la formazione di tubi germinativi.
La luce perciò risultò essere condizione sfavorevole alla ger-
minazione delle ascospore.
Riguardo all’ influenza del calore, se le basse temperature
su indicate non ostacolarono la germinazione, era da vedersi
quale azione avevano temperature più elevate.
Si misero perciò delle spore a germinare in termostato a varie
temperature , e dalle nostre esperienze risultò che le ascospore
germinavano a temperature di 15°, 20°, 30° e fìnanco 37° 0. Tut-
tavia restò assodato che la germinazione avveniva in minor
tempo alle temperature comprese tra i 15° e i 20° 0., si rallen-
tava a 30° e cessava oltre i 37°. La latitudine adunque di capa-
cità germinativa, al riguardo delle temperature, è assai grande e
va da pochi gradi sopra zero fino a 37° e 1’ ottimo sembra of-
ferto dai 15° ai 20°.
Assicuratici della capacità germinativa delle ascospore, pas-
sammo alle colture sperimentando mezzi liquidi e solidi.
Mezzi liquidi. Per substrati liquidi ci servimmo sia di acqua
di fonte genuina, sia di una decozione acquosa di pezzetti di fo-
glia di Coryma austràlis addizionata del 5% di glucosio. Dopo
prolungata ebullizione si filtrava il decotto e si sterilizzava al-
1’ autoclave.
Le ascospore a 7 tramezzi ( Pleospora herbarum ), le quali
appena formate sono circondate da uno strato muscoso che poi
perdono (Pig. 2, Tav. I), messe a germinare in goccia pendente,
in acqua potabile e al buio , mostravano dopo una o due ore i
loculi più o meno rigonfi ed alcuni di essi , generalmehte di
quelli estremi, ingrandivano più degli altri, al punto che le spore
ne restavano alquanto sformate (Pig. 3, Tav. I). Dopo altre
due ore da tali loculi si osservava la emissione di robusti tubetti
germinativi cilindrici (Pig. 4), jalini, con plasma omogeneo, i
quali dopo essersi alquanto accresciuti si segmentavano trasversal-
mente (Pig. 5 , Tav. I) e cominciavano a ramificarsi (Pig. 6).
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc.
13
Dopo quattro ore circa anche le ife, che si originavano dai
tubi germinativi, prendevano a ramificarsi ed i rami si allungava-
no diminuendo sensibilmente di diametro, mentre tendevano a
raggiungere i contorni della goccia d’ acqua ed anche a sorpas-
sarli divenendo, così, aerei. Lo sviluppo miceliare dopo dieci o
dodici ore si arrestava evidentemente per la deficienza di mate-
riali nutritizi nel substrato di coltura.
Seminate le spore in goccie di decozione preparata con fo-
glie di Corypha , allora, oltre che ad un più rigoglioso sviluppo
di micelio, si assisteva in processo di tempo ad interessanti fe-
nomeni, i quali preludevano alla formazione di organi riprodut-
tori. Dopo due giorni dalla semina, il micelio acquistava l’aspet-
to di un fitto ed intricatissimo velo. Nei singoli articoli delle
ife venivano a formarsi delle goccioline in numero di due a tre
per cellula e disposte con rilevante regolarità in serie. A giu-
dicare dalla rifrangenza, sembravano essere delle sostanze grasse
di riserva, e cogli ordinari metodi di colorazione non si colora-
vano , mentre ciò avveniva di uno o due altri corpiccioli che
le accompagnavano e che erano evidentemente dei nuclei. Col-
l’ulteriore accrescimento delle ife, queste escivano fuori dalla goc-
cia pendente mantenendosi aderenti al vetrino per la umidità che
esso presentava, ina in breve venivano ad esaurirsi. Seguitando ad
alimentare con nuova somministrazione di decozione la goccia
pendente, si osservavano dopo 3 o 4 giorni dei processi di anasto-
mosi svariati fra le ife miceliche. I casi più frequenti erano i se-
guenti: due ife decorrenti parallelamente mandavano corti ramet-
ti che incontrandosi venivano a saldarsi e a fondersi insieme. Si
avevano così unioni ad H (Fig. 7, Tav. I) che spesso si ripete-
vano in successivi articoli delle due ife (Fig. 8). Altre volte una
estremità di un’ ifa si incurvava ad arco fino ad incontrare o
una cellula della stessa ifa (Fig. 10 e 11) o cellule di altre ife
(Fig. 9) : in ambo i casi avveniva la intima unione delle mem-
brane nei punti di contatto, ed il successivo loro riassorbimento,
onde i plasmi venivano a fondersi insieme.
14
F. Cavarci e N. Mollica
[Memoria II.]
Coleste anastomosi ci sembrano una condizione necessaria
per la formazione di organi riproduttori e sono da interpretarsi,
a parere nostro, come altrettante zigosi o atti sessuali.
Dopo parecchi giorni, nei punti di maggior lavorìo di ana-
stomosi miceliari , si videro prendere origine delle forme coni-
diche. Da ife procedenti dalle anastomosi ad H, ad arco , etc.
si staccavano dei rametti (Eig. 16 a , b) i quali, ergendosi più o
meno sul feltro micelico, si segmentavano una o più volte ed
assumevano un colore olivastro. Indi si rigonfiavano a botton-
cino alla estremità (Eig. 16 e) e questa dopo aver raggiunto
un certo diametro, si separava con un setto trasversale dall’ ifa
generatrice e successivamente con altro setto veniva a dividersi
in due porzioni eguali siccome due emisferi. La direzione del
setto era varia : ora normale al filamento, (Eig. 16 d) ora obli-
quo (Eig. 16 e, f), ora nella stessa direzione /Eig. 16 b , e). Al
primo setto altro ne succedeva secondo un piano normale e ,
dopo ulteriori divisioni, si veniva ad individualizzare una spora
o conidio a forma di Sarchia con 2 o 3 setti trasversali e a
membrana da prima liscia poi minutamente aculeolata (Eig. 17).
Tali conidì corrispondevano perfettamente a quelli ottenuti
già da Gibelli e Grilfini e da altri da Pleoftpora Sarcinulae os-
sia dalla vera Pleospora herbarum.
In alcune di queste colture su decozione di Corypha venne
fatto di osservare, frammiste alle forme a Sorcina o di Macro-
sporiam , dei conidì piriformi riuniti a catenelle riferibili al tipo
di Alternarla. Ma da un lato il micelio generatore di essi si
presentava diverso da quello che generava le Sarchiale, sia pel
diametro delle ife che per la lunghezza degli articoli, e dall’ al-
tro coteste Alternarla si formavano in determinati punti , in
porzioni ben limitate del substrato. Si attribuì, perciò, la loro
formazione alla casuale presenza di un micelio dovuto a conidi
di Aiternaria caduti in quelle colture.
Tenendo in osservazione le colture che avevano dato solo
dei Macrosporium , si notò che questi conidì, arrivati a completa
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc.
15
maturità, si disarticolavano dall’ ifa generatrice e indi a poco en-
travano essi pure in germinazione, dando luogo a ife miceliche
che non differivano da quelle emanate dalle ascospore. Solo in
qualche caso si aveva una variante, in quanto dai tubi germina-
tivi, uscenti da vari loculi di un Macrosporium, dopo breve decor-
so si aveva una novella formazione di Sarcinule (Fig. 18, Tav. I),
cosa avvertita già da Tulasne e da (ribelli e Griffi ni, in modo
da ottenersi delle colonie di Macrosporium fra di loro allacciati
da brevi porzioni di tubi germinativi.
Verso il ventesimo giorno in queste stesse colture e dopo
la germinazione delle Sarcinule, si ebbero a notare delle parti-
colari differenziazioni nel nuovo micelio. Qua e là si presenta-
vano delle singolari modificazioni delle ife, alcune delle quali alla
loro estremità si attorcigliavano a spirale, formando come dei
cirri o pastorali (Fig. 12 e 15).
Ora avveniva che, trovandosi in vicinanza 0 contiguità due
di cotesti cirri, si stabilisse ben presto il contatto fra le loro
spire (Fig. 13, 14) e successivamente una intima unione fra due
tratti di esse, d’ onde la formazione di un gomitolo (Fig. 14), che
diveniva così l’inizio di un corpo fruttifero.
Evidentemente anche cotesto processo di attorcigliamento di
ife e la unione, due per due, di cirri o pastorali è pure da in-
terpretarsi come un atto sessuale necessario alla formazione di
concettaceli fruttiferi ed inerente al micelio emanante dalle Sar-
cinule. Esso ricordava assai quanto si verifica nell’ Ascodesmis
nigricans Van Tiegli. (1) per quanto il Van Tieghem non vi
desse altro significato che di un modo particolare di anastomosi;
e ricorda parimenti quanto avviene nella Boudiera , studiata re-
centemente da P. Claussen (2), il quale considerò invece la unio-
ne delle ife contorte a spira come un atto sessuale, fungendo una
di esse da ascogonio, 1’ altra da anteridio.
(1) Van Tieghem T. Bull. d. la Soo. bot. de France T. XXIII p. 271-279.
(2) Claussen T. Bot. Zeitung Iahrg. 1905 Heft. I/II.
16
F. Cavava e N. Mollica
Memoria II
A conferma di queste vedute, che sono da noi condivise, ci
sarebbe la seguente osservazione e cioè che là dove non avve-
niva la corrispondenza di due ife attorcigliate a spira, ma se ne
formava una sola in un determinato punto della coltura, si ve-
deva che essa, dopo aver conseguito alcuni giri di spira, rima-
neva stazionaria per parecchio tempo, senza che intervenisse al-
cuna modificazione di forma, senza che si costituisse alcun go-
mitolo; anzi il suo contenuto da granulare si faceva omogeneo e
poi acquoso, e la membrana lentamente difluiva fino a non di-
stinguersi più dal contenuto : in una parola il cirro micelico ca-
deva in degenerazione. (1)
Dal gomitolo formatosi per V unione intima di due ife a
pastorale, in seguito a processo di segmentazione si veniva a for-
mare un nodulo pseudo-parenchimatico che, mentre aumentava
in grandezza e compattezza, andava gradatamente modificandosi
alla periferia. Ivi le membrane delle ife venivano via via sclero-
tizzandosi e assumendo un colore ocraceo che si intensificava
sempre più. Si era costituito , in altre parole, uno sclerozio, la
cui durata di vita latente era più o meno lunga, e che per strut-
tura e dimensione corrispondeva bene a quelli riscontrati sulle
foglie alterate di Corypha austrcilis.
Dopo un mese e mezzo dalla semina delle ascospore, cotesti
sclerozi erano già divenuti dei periteci ascofori forniti di ascili
con spore a 7 sepimenti trasversali del tutto identiche a quelle
dei periteci tratti dalle foglie di Coryplia.
I periteci ottenuti nelle nostre colture in goccia pendente
avevano carattere affatto sporadico ; la forma loro era assai
regolare ed erano forniti di un lungo collo (Eig. 20, Tav. I)
(1) La sterilità che si osservò in colture assolutamente pure, ottenute, cioè, per germi-
nazione di una sola ascospora, fa assegnare alla specie da noi studiata carattere di eterotal-
lia, analogamente a quanto si verifica in certe Mucorinee (Veggansi il lavoro di A. F. Blakeslee
Sexual Reproduchtion in thè Mucorineae. Proceedings of thè American Academy of Art and
Sciences voi. XL. N. 4. 1904.).
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc.
17
incurvato superiormente. Tanto nella parte rigonfia quanto nella
ristretta mantenevano per qualche tempo residui di ife brune
che poi scomparivano interamente a maturità.
Dai periteci così ottenuti si ebbero ascospore ben formate
le quali servirono a nuove colture, sempre in goccia pendente, di
decozione di Cory filici. Essendosi la temperatura dell’ ambiente
di un poco elevata, si ebbe tosto la germinazione e dopo 5 o 6
giorni la formazione di conidi a Sarei nula che, staccatisi dai co-
nidiofori, presero a germinare dando nuovo micelio. Dopo soli
quindici giorni si riebbero sclerozi e periteci che maturarono
ottimamente ascospore. Si riprese a coltivare pur queste asco-
spore e si completò novellamente il ciclo evolutivo, e così per
cinque volte di seguito, non ottenendosi mai altre forme all’ in-
fuori delle Sarcinule e dei periteci ascofori.
Benché soddisfatti di questi risultati ottenuti con tanta co-
stanza, partendoci sempre dalle ascospore, volemmo invertire le
ricerche prendendo per punto di partenza la forma conidica e
cioè il Macrosporium. Seminammo delle spore di questo ifomi-
cete nello stesso decotto di Corypha , avendo ogni cura perchè
le colture riuscissero pure e mettendo in ogni goccia da uno a
pochi collidi. Ottenuta la germinazione regolare di questi e la
formazione di un abbondante micelio, vedemmo ripetersi nelle
sue ife le stesse anastomosi notate già pel micelio avuto dalle
ascospore, e formarsi, dopo pochi giorni, nuovi conidi a Sarci-
nula. Questi germinarono alla loro volta, e dal micelio formatosi
si ebbero dopo una ventina di giorni gli aggrovigliamenti caratte-
ristici preludenti alla formazione degli sclerozi. Prodottisi questi,
e con forme simili a quelli avuti dalle ascospore, si differenzia-
rono, in altri 10 o 12 giorni, in veri periteci con ascili e ascospore
a 7 setti.
Non è stata certo piccola la nostra soddisfazione l’aver otte-
nuto in tempo relativamente breve (poco più di due mesi) la ripe-
tizione del ciclo evolutivo con costante alternanza di conidì e di
concettaceli ascofori partendo tanto dalle ascospore quanto dai
Atti Acc. Serie 4’, Vol. XIX — Mera. II. 3
18
F. Cacar a e N~. Mollica
[Memoria II.]
conidì. Ed era ben giustificata la nostra soddisfazione se si pensi
che i periteci furono in iscarsa misura ottenuti da alcuni investi-
gatori, e non ottenuti affatto da altri. Il Brefeld, che si può dire
il maestro in micologia sperimentale, non ne ottenne affatto in
sei mesi di colture !
Mezzi solidi. Parecchi furono i mezzi solidi di coltura che
si sperimentarono.
Anzitutto si usarono le patate bollite, tagliate a fette di 1 cm.
circa di spessore e sterilizzate all’ autoclave. Le ascospore della
solita forma, a 7 setti, germinarono prestissimo dando luogo ad
un fìtto ed intricatissimo micelio cotonoso a disposizione raggiata,
avente per centro il punto in cui era avvenuta la inoculazione
delle ascospore (Eig. 2). Dopo qualche giorno i rami conidio-
fori si erano già formati sollevandosi sul substrato a guisa di
Fig. 2 • — Coltura su patata di ascospore di Pleospora herbarum.
si, spesso anche di forma irregolare che si riconobbero nelle
preparazioni microscopiche per sclerozi.
Evidentemente nel mezzo solido la formazione di cotesti
sclerozi avveniva più tumultuosa che non nel mezzo liquido e
da ciò anche la loro forma irregolare e le varie dimensioni da
zone scure di aspetto
vellutato. Staccando dei
pezzetti di coltura ed
esaminandoli al micro-
scopio, essi risultavano
costituiti di perfettissime
Sarei nule portate dai so-
liti rametti di colore
ocraceo.
Dopo venti giorni cir-
ca apparvero degli am-
massi di colore bruno
risultanti dall’ insieme
di tanti corpicciuoli glo-
bulari o globoso-depres-
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc.
19
essi assunte. Lo stato di riposo di questi sclerozi durò assai più
a lungo che nelle colture in goccia pendente, poiché la loro tra-
sformazione in periteci ascofori si fece aspettare oltre un mese
e mezzo. Per atfrettare lo sviluppo di questi si tentò da prima
di sottoporli ad una temperatura più elevata in un termostato,
ma senza effetto ; solo si ebbe a notare un risveglio vegetativo
delle ife periferiche degli sclerozi, le quali dopo essersi allungate
alquanto diedero di nuovo delle Sarei nule (fìg. 19, Tav. I). Anche
il Tulasne figura di tali Sarcinule procedenti dal peridio dei
periteci. Ritorneremo più avanti su tale fatto.
Non riscontrandosi differenziazione in ascili del contenuto
di questi sclerozi, si pensò che questi potessero essere delle forme
picnidiclie, ina anche questo dubbio svanì per la nessuna com-
parsa di stilospore.
Siccome intanto il mezzo solido usato, cioè le patate, an-
dava essiccandosi per continuata evaporazione dell’acqua propria,
sottratta anche dai miceli , si pensò di aggiungere dell’ acqua
distillata nelle scatole Retri entro cui stavano le fette di patate
con le colture. Dopo 5 o 6 giorni esaminati gli sclerozi si ri-
scontrò che in essi erano venute a differenziarsi delle cellule o
ife ascogene ed in alcuni gli stessi ascili.
Eravamo così venuti in possesso di un mezzo assai accon-
cio per ottenere in gran numero e sclerozi e periteci che ci ser-
virono poi, come diremo, ad interessanti ricerche sulla evoluzione
di questi organi riproduttori.
Altro mezzo solido da noi tentato fu la zucca , quella va-
rietà che ha polpa aranciata assai ricca di sostanza zuccherina.
Si ebbe qui pure un abbondante sviluppo di micelio, non però
così rigoglioso come nelle patate e senza la regolare struttura
raggiata che si avvertiva in queste (Pig. 3).
Si formarono Sarcinule e dopo qualche tempo sclerozi in
quantità, non solo alla superficie delle fette di zucca ma anche
nell’interno di queste per compenetrazione, nella molle polpa, del
micelio. Ad accelerare la trasformazione degli sclerozi in periteci
20
F. Cavava e N. Mollica
[Memoria IL]
riuscì qui pure l1 addizione di acqua distillata. Non si verificò
inai alcuna forma pienidica.
Le carote bollite non diedero risultati soddisfacenti. Il micelio
scarsamente sviluppato
( > ri gi n <' > dopo p aree c li i
giorni delle Sarei nule ina
non sclerozi e quindi nè
anche periteci.
Le mele bollite e ta-
gliate a fette si mostra-
rono un eccellente sub-
strato. Il micelio si svi-
luppò copiosissimo dando
dopo pochi giorni Sarci-
nule e al decimo giorno
sclerozi. Addizionate le
colture di acqua distilla-
tasi diedero esse pure pe-
riteci, molti dei quali più
regolari che nelle patate e nelle zucche , con collo allungato
come nelle colture in goccia pendente.
Si volle pure tentare la colla d’amido del commercio, sem-
pre in scatole Petri. Si ebbe copioso micelio e pur copiosa pro-
duzione di Sarcinule. Ma coll’ essicarsi del substrato si arrestò
completamente lo sviluppo delle colture.
Le colture in gelatina ordinaria , preparata secondo la ri-
cetta di A. Mayer, (1) cioè :
cc. 500 acqua
gr. 6 peptone Witte
gr. 4 estratto di carne Liebig
gr. 1 cloruro di sodio
gr. 5 destrosio
gr. 50 gelatina marca d’ oro
(1) A. Maybr, Prak icum fiir bofanischen Bakterienknnde, Jena 1903 p. 28.
Ricerche intorno ni ciclo evolutivo di una interessante forma ecc.
21
diedero pure un copioso sviluppo di micelio fioccoso dal quale
si ebbero indi a poco Sarei nule e sclerozi. Per altro per suc-
cessiva liquefazione della gelatina avvenne una sommersione
del fungo e una degenerazione di questo manifestantesi con
acutissimo odore ammoniacale. Non valse il trasportare micelio
e sclerozi in gelatina fresca a fare riprendere lo sviluppo; forse
per prodotti laterali nella scomposizione dei costituenti della ge-
latina era avvenuta un’intossicazione delle ife e delle cellule de-
gli sclerozi.
Nell’ agar-agar , preparato pure secondo la ricetta di A.
Mayer (Op. cit.), si ebbero ottimi risultati, e cioè, micelio ab-
bondante, fioccoso, formazione rapida di Sarcinule e susseguen-
temente di sclerozi e periteci ascofori del tutto conformi a quelli
ottenuti con altri substrati.
Riassumendo i risultati delle colture in mezzi tanto liquidi
che solidi di Pleospora lierbarum si ha che :
1. Dalle ascospore di periteci tratti da foglie di Corypha
si ebbero sempre da prima dei conidì sarciniformi e successiva-
mente sclerozi e poi periteci ascofori.
2. Dalle Sarcinule o Macrosporium , ottenuti dalle ascospore
si ottennero altre Sarcinule, degli sclerozi e dei periteci ascofori.
Essendosi completato questo ciclo cinque volte consecuti-
vamente in mezzo liquido e su quasi tutti i mezzi solidi tentati,
senz’ alcun altra forma intermedia nè conidica nè picnidica ci
siamo ritenuti autorizzati a riconoscere nella Pleospora studiata
queste sole forme, e cioè : due forme vegetative date dal micelio
filamentoso e dagli sclerozi e due forme riproduttive : Macro-
sporium e ascospore, con una ritmica alternanza avendosi questa
successione : micelio — Macrosporium , sclerozi — ascospore.
Questo schema del ciclo evolutivo della Pleospora lierbarum
è il più semplice di quanti altri sieno stati presentati o presunti
dai vari investigatori : ma attesa la ritmica ripercussione delle
due forme riproduttive, ottenute in tanti diversi substrati, ed in
così grande copia, siamo indotti a ritenere il nostro schema come
22
F. Cavava e N. Mollica
(Memoria II.]
la espressione netta e definitiva del ciclo evolutivo di questo pi-
renomicete.
Colture con ascospore di Pleospora a 5 setti (P. Alternariae
Gib. e Grill. —P. infectoria Dock.). Oouie abbiamo fatto notare
fin dal principio di questo lavoro , le foglie di Corypha nelle
loro parti alterate albergavano oltre alla forma di Pleospora lier-
barum , della quale abbiamo studiato il ciclo biologico, un’altra
Pleospora a periteci più piccoli , con ostiolo non prolungato a
guisa di collo, e ad ascospore a soli cinque setti trasversali. Inol-
tre erasi pure osservato che alla superficie delle macchie si pre-
sentavano talora dei conidì riferibili ad Alternarla. Dovevasi
quindi procedere a colture anche di questa forma , per quanto
fosse già noto come essa non abbia nessi genetici con la Pleo-
spora lierbarum. Colle ascospore di essa si ripeterono, perciò, le
stesse esperienze di colture fatte per l’ altra specie.
In goccia pendente con decotto di Corypha si ebbero gli
stessi fenomeni circa la germinazione delle ascospore, e cioè: ri-
gonfiamento di alcuni loculi inducenti alterazione di forma nelle
spore, produzione di più tubi germinativi, d’ onde ife miceliche
ramificate, incolore, e la produzione, dopo cinque o sei giorni, di
conidì riferibili al tipo di Alternarla succedentisi a catenelle
con straordinaria regolarità.
Crediamo superfluo il descrivere qui il modo di formazione
sia dei conidì ad Alternarla sia delle colonie di queste.
È da notare soltanto che nessuna forma intermedia fra Al-
ternarla e Macrosporlum apparve nelle colture, e che germinando
dopo pochi giorni le Alternarla ottenute dalle ascospore davano
luogo a nuovo micelio che non produceva le particolari dispo-
sizioni a cirro o a pastorale che notammo nel caso della Pleo-
spora lierbarum , ma solo qua e là manifestava delle abbondanti
e compatte ramificazioni assumenti un aspetto cespuglioso.
Il significato di questi cespuglieti micelici non si potè col-
pire poiché essi in ibreve subivano degenerazione. All’infuori di
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc.
23
queste manifestazioni, non si verificarono altri fatti che si po-
tessero mettere in relazione con la formazione di sclerozi e tanto
meno di concettacoli ascofori. Una nuova produzione di Al ter-
narie aveva luogo fino all’ esaurimento del substrato di coltura,
e nulla più.
Si rifecero nuove colture coi conidi di seconda generazione,
ma si ebbe una ripetizione degli stessi processi con novella for-
mazione di Aiternarie. Solo a titolo di curiosità noteremo che in
alcune colture si riscontrarono dei singolari gruppi di Aiternarie
in luogo delle regolari ordinarie catenelle , così da far pensare
alla costituzione di gomitoli micelici preludenti alla formazione
di sclerozi o di periteci. Ma esercitando su tali accumuli di Ai-
ternarie una lieve pressione con vetrino coprioggetto , si ve-
rificava subito la dissociazione dei eonidì non restando che un
gruppo di ife brevemente ramificate e fra di loro a bastanza
intimamente riunite.
Si tentarono anche colture partendo dalle Aiternarie, sia ot-
tenute dalle ascospore, sia prese da foglie di Corypha; ma dopo un
rigoglioso sviluppo di micelio e di eonidì, non ostante ripetute
somministrazioni di liquido colturale, non si ebbe produzione al-
cuna di sclerozi e tanto meno di periteci.
Nei mezzi solidi non si ebbe maggior fortuna circa la pro-
duzione di forme di organi riproduttori oltre le conidiclie.
Nelle patate le ascospore diedero abbondante micelio vellu-
tato, ma non cotonoso o fioccoso come nella forma precedente-
mente descritta, e dopo 5 o 6 giorni si venivano a differenziare
parti più sollevate siccome zone annulari intercalatamente piane
e rialzate che assumevano colorazione verde oliva scuro. Erano
le ife conidiofore che prendevano tale disposizione ; ed esaminate
al microscopio le zone più scure risultavano costituite di fitto
intreccio di catenelle di Aiternaria.
Lasciate a sè per molto tempo coteste colture non manife-
starono alcuna variazione, e non si ebbe accenno a formazione
di sclerozi e di periteci.
24
F. Cavava e N. Mollica
| Memoria II].
Nelle carote fu debole sin dall’ inizio lo sviluppo del mi-
celio, nè alcuna particolarità richiamò la nostra attenzione. Si
ebbero dopo parecchi giorni collidi di Aiternaria , e nulla più.
Su dadi di polpa di zucca le ascospore germinarono ottima-
mente dando un micelio olivastro disposto a zone, come nelle
patate, e con copiosa produzione di Aiternarie. Il nuovo micelio
che si generava per la germinazione immediata delle Aiternarie
determinava un processo di erosione nel substrato polposo che ne
restava come alveolato o spugnoso. Notammo nella nuova pro-
duzione di Aiternarie molti casi d’ involuzione che facevano
pensare a possibili forme di passaggio ad altre sorta di collidi ,
ma erano vere e proprie forme degenerative.
Anche qui nessun indizio a formazione di sclerozi e di
periteci.
Su fette di mele cotte , abbondante si sviluppò il micelio
che diede le solite Aiternarie in tempo anzi più breve che ne-
gli altri substrati ed in alcuni punti in modo tumultuoso. Es-
sendosi disseccate alquanto le fette di mela si pensò di aggiun-
gervi acqua sterilizzata per riattivare lo sviluppo del fungo. Si
ebbe infatti un notevole risveglio nel micelio con nuova produ-
zione di collidi di Alternarla , ma non apparvero mai nè sclerozi,
nè picnidì, nè periteci.
Coll’ amido del commercio in forma di colla si ebbero gli
stessi fenomeni che per la Pleospora a 7 setti: abbondante micelio,
produzione di conidì seguita però da esaurimento del substrato.
Le colture in gelatina diedero uno splendido sviluppo di mi-
celio da prima omogeneo, poi in determinati punti distintamente
zonato in seguito a formazione intermittente di ife sterili e di
conidiofori con Aiternarie (Fig. 4). Qui pure si ebbe la fusione
della gelatina e la sommersione del micelio e delle Aiternarie,
ed in appresso la degenerazione del fungo.
In agar-agar le ascospore germinarono ottimamente dando
luogo ad abbondante micelio e ad Aiternarie, senza seguito di
altre forme riproduttive o metagenetiche.
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 25
Riassumendo i risultati ottenuti colla seconda forma di Pleo-
spora , cimentata nei vari substrati, si ha che :
1. Le ascospore a cinque setti trasversali, di periteci tratti
dalle macchie fogliari
di Coryplia australis
diedero infallantemente
dei collidi piriformi mu-
rale-settati , riuniti in
catenelle, riferibili ad
Aiternaria (certamente
V Aiternaria tenuisNees).
2. Le Aiternarie ot-
tenute da ascospore, ger-
minando nello stesso
substrato di coltura, die-
dero novellamente delle
Aiternaria.
3. Le Aiternaria sia
delle colture, sia prese dalle foglie di Corypha (substrato natu-
rale), coltivate a se, diedero costantemente Aiternarie.
4. Aon si ebbe in questa seconda serie di esperienze pro-
duzione alcuna di sclerozi, nè di periteci.
L adunque assai diverso il comportamento nelle colture di
questa forma di Pleospora a spore a 5 setti, da quello offerto
dall’altra forma a 7 setti sopratutto pel fatto saliente della
ripetizione della forma conidica e pel mancato completamento
del ciclo evolutivo.
Ad altri investigatori era pure occorso di verificare simile
ripetizione di forma conidica ( Aiternaria ) senza ottenere periteci
(Kohl, Brefeld, Costantin), e gli stessi Gibelli e Griffini (1), ai quali
venne dato di ottenere periteci in colture di oltre due mesi, eb-
bero a fare la seguente dichiarazione «.... ci conviene dire che
(1) Gibelli e Griffini op. cit. p. 87.
Atit Acc. Serie 4a, Vol. XIX — Meni. II.
4
26
F. Cavava e JV. Mollica
[Memoria II.]
finora non abbiamo ancora potuto trovare le condizioni oppor-
tune per la formazione dei periteci dalle ascospore che ci pro-
dussero Aiternarie nelle nostre seminagioni, poiché tre sole volte ,
sopra ventidue preparati che fruttificarono Aiternarie, si orga-
nizzarono i periteci con ascospore (1). »
La ragione di cotesta difficoltà di dare periteci, per parte
della Pleosy>ora Alternariae Grill, e Griffi, nei substrati colturali
è forse da ricercarsi, secondo noi, in speciali attitudini fisiolo-
giche di questa specie e precisamente nel suo comportamento
di parassita facoltativo. Stragrande è infatti in natura la diffu-
sione della sua forma conidica ( Aiternaria tennis Nees) la quale
ha abito decisamente saprofìtico. Essa, al pari del Clciclosporium
Jierbarnm , è uno dei più comuni intrusi delle nostre colture, come
pure una delle forme più frequenti negli organi vegetali in Aria
di decomposizione. Cotesta forma conidica basta a se stessa nei
substrati organici, ma non in quelli organizzati, e ciò risultò
nelle colture da noi e da altri fatte.
Se condizioni speciali, che noi ignoriamo , permettono a
questo pirenomicete di insediarsi in organi vivi di piante supe-
riori, ivi esso può completare il suo ciclo e dare periteci ascofori.
E così che si può spiegare la presenza de’ suoi periteci nelle
foglie della Coryplia anstralis sulla quale , come si disse , si ri-
scontrarono anche i collidi alla superfìcie delle parti alterate.
Si spiega pure in tal guisa il risultato ottenuto dal Peglion
su semi di Vicia e di Trifolium attaccati da micelio di Pleo-
sporct Alternamele, che messi in opportune condizioni diedero luogo
prima ad Aiternarie e successivamente a periteci ascofori.
Se la nostra induzione è conforme al vero, le alterazioni
delle foglie di Coryplui anstralis dovrebbero essere causate piut-
tosto dalla Pleospora Alternariae Gib. e Griffi (P. infectoria Euok.)
anziché dalla Pleospora Jierbarum (Pers.) Kab. le cui attitudini
(1) Da questo passo citato del memorabile lavoro di Gibolli e Griffini, risulterebbe errata
V affermazione del Mattirolo (Op. cit. p. 362) che da conidl di Aiternaria Gibelli e Griffini
ottenessero periteci complessivamente in 23 colture.
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc.
27
saprofìtiche sono luminosamente confermate dalle nostre come
dalle precedenti ricerche.
La presenza della P. herbamm sulle foglie alterate di Cory-
pha australi s dovrebbe ascriversi a mera consociazione ed all’a-
vere essa trovato, nelle porzioni già danneggiate od uccise dalla
P. infectoria, un substrato adatto pel suo sviluppo.
Quanto ad altre forme metagenetiche, per ambo le specie
di Pleospora , esse dai numerosi e costanti risultati delle nostre
colture su così svariati substrati, sono da escludere.
Riteniamo quindi, e con ogni ragione, prive di nesso genetico
le forme picnidiche ascritte dai vari autori ora alla Pleospora
lierbamm Pers. ( P. Sarcinulae Gib. et Griff.) ora alla Pleospora
infectoria Pack. (P. Alternariae Gib. et Griff.).
E se picnidì o altre forme conidiche, oltre le due ornai
indiscutibilmente ammesse di Macrosporium e di Alternarla, ri-
spettivamente per la P. herbamm e P. Alternariae , sono stati
riscontrati in substrati di coltura di questi due Pirenomiceti, è
da ritenersi , a nostro avviso , che essi rappresentino delle ca-
suali intrusioni e non facciano assolutamente parte del ciclo evo-
lutivo delle Pleospora in questione.
La leggenda del polimorfismo di queste è andata via via
spogliandosi delle iperboliche gonfiature di Hallier, delle com-
plicate associazioni di Tulasne e di Euckel, dopo che le colture
sperimentali condotte con procedimenti esatti hanno ridotto al
giusto valore le fasi evolutive. Sussisteva tuttavia fino ad oggi la
credenza che forme picnidiche ( Phoma , Gito spora, etc.) potessero
rappresentare degli stadi intermedi, attese le frequenti consocia-
zioni di queste con periteci o con forme conidiche sullo stesso
substrato naturale ; e i risultati di parecchi sperimentatori ave-
vano pur dato peso a cotesta credenza. Ma la non concordanza
di questi stessi risultati, i dubbi espressi in proposito da auto-
revoli investigatori da un lato, e il responso assolutamente ne-
gativo delle nostre colture dall’altro, tolgono ogni valore all’ am-
missione di forme metagenetiche date da picnidì.
28
F. Cavava e N. Mollica
[Memoria II.J
Ciò che ha molte volte indotto i micologi ad affermare il
polimorfismo dei Pirenomiceti è stato anche il criterio dell’evo-
luzione o differenziazione organica che ha fatto supporre una ge-
rarchia di forme negli organi riproduttori: alcune più semplici
ritenute inferiori, altre più complicate ritenute superiori, fino da
arrivarsi alla provvisoria e convenzionale distinzione di fungili
imperfetti per tutte le forme inferiori (conidiclie e picnidiche). Le
invocate ricerche sperimentali che avrebbero dovuto dipannare
la intricatissima matassa dei cicli evolutivi per ridurre ad un
giusto limite e valore le specie fungine, non hanno dato che
scarsi ed incompleti responsi, e spesso in queste ricerche il pre-
concetto di una graduale evoluzione organica , di una ritmica
successione di forme, dalle più semplici alle più complesse, ha
finito per dar peso e valore a fatti non bene accertati e ad os-
servazioni non abbastanza scevre dall’errore, così facile ad insi-
nuarsi nelle esperienze.
Se le risultanze delle molteplici e svariate nostre colture ,
con tanta costanza, di dati i quali collimano con i più salienti
ottenuti da scrupolosi ricercatori che ci hanno preceduto, posso-
no avere sufficiente valore probatorio, le due forme di Pleospora
che si trovano così frequentemente consociate anche su di uno
stesso substrato, devono ritenersi, come già ebbero a dimostrare
Gibelli e Griffini, due specie distinte che, in omaggio ai due mi-
cologi italiani che le sceverarono pei primi, potrebbersi tuttora
indicare per Pleospora Sarcinulae Gib. et Griffi e Pleospora Al-
ternariae Gib. et Griffi Alla prima apparterrebbero le numerose
forme della Pleospora herbarum (Pers.) Kab., alla seconda la
Pleospora infectoria Euck., la P. vulgaris Messi, e forse altre.
Ambedue le specie collettive hanno un ciclo di sviluppo
assai semplice, e integrato in due forme di organi riproduttori :
i conidì o spore esogene (rispettivamente Macrosporium e Ai-
ternaria), e le ascospore o spore endogene a 7 e a 5 setti.
Questa duplicità di forme riproduttive è, dopo tutto, conforme
a quanto si verifica in molti altri funghi ed in tante alghe. Le
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc.
29
Carposporee alle quali i Pirenoiniceti sono equiparati in ra-
gione della complicanza degli organi riproduttori, (e sempre nuove
omologie vengon messe in luce dai recenti studi sui loro processi
fecondativi), presentano tipicamente cotesta duplicità di organi
riproduttori.
D’ altronde è pure assodato clie altre specie di Pleospora
danno solo conidì e periteci, così la Pleospora trichostoma (Fr.)
Wint., che è una specie collettiva , comprendente forme che si
sviluppano sulle graminacee. Dalle ricerche di coltura e di ino-
culazione istituite da Dieticke (1) risulta appunto che a lato dei
concettaceli ascofori si sviluppano, per le forme comprese in que-
sta specie, dei conidì riferibili ad Helminthos'porium.
Sviluppo degli sclerozi della Pleospora Zierbarutn (Pers) Rab.
v. Cori/phae Cav. et [Violi. (2)
Se le precedenti ricerche hanno messo in chiaro le fasi evo-
lutive delle due specie di Pleospora che albergavano le foglie di
Coryplia australis e, particolarmente per la P. herbarum , hanno
dato piena conferma dei risultati ottenuti da altri micologi e
sopratutto da Gibelli e Griffini , parve a noi che un punto ab-
bastanza oscuro restasse a chiarire e cioè lo sviluppo degli scle-
rozi e la loro ditferenziazione in periteci ascofori.
Alla soluzione di questo problema furono intese le ulteriori
nostre ricerche prendendo le mosse dall’inizio degli sclerozi stessi,
seguendo gradatamente le modificazioni di forma e di strut-
tura fino alla loro completa trasformazione in organi riprodut-
tori, ossia in periteci ascofori.
Il materiale copioso da noi ottenuto, in così svariati mezzi
di coltura, si offriva egregiamente ad essere utilizzato per simili
(1) Vedi Dieticke H, Uber den Zusammenhang ewischen Pleospora, u. Helminthosporinm-
Arten. Centralld. f. Bakter. u. Parassitenk. 1902.
(2J Differt a typo : peritheciis globoso-conicis numquam colldbescentibus , ostiolo in eollum
praelongum, cylindraceum, arcuatimi protracto.
30
F. Cavava e N. Mollica.
[Memoria II.]
indagini i cui risultati cercheremo di riassumere qui breve-
mente.
Il modo di prendere origine degli sclerozi è già stato da noi
in parte descritto, ed anche interpretato quale il risultato di un
processo fecondativo e più precisamente di un atto di coniuga-
zione di ife (gameti) morfologicamente non differenziate.
Nei substrati liquidi le ife destinate a tale processo si at-
torcigliano a spirale, e dalla fusione della estremità di due di
queste ife, così avvolte a spira, sembra trarre origine lo sclero-
zio. Una conferma di tale induzione non si potè avere in dati
di ordine citologico essendo stata assai scarsa la produzione di
sclerozi e di periteci nei substrati liquidi. Tuttavia l’osservazio-
ne da noi fatta del ripetersi di simili disposizioni di ife prelu-
denti alla formazione di sclerozi, e l’altra osservazione non meno
importante relativa alla sterilità di ife avvolte a spira, isolate,
ossia ottenute dalla germinazione di un’unica ascospora, avvalorano
certamente 1’ ipotesi di un processo fecondativo presiedente alla
formazione di uno sclerozio.
Nei mezzi solidi di coltura, che come si è visto, furono molti
e diedero sclerozi in grande quantità per la Pleospora herbarum ,
fu possibile approfondire delle ricerche e seguire, nelle varie fasi,
lo sviluppo di tali organi.
Il materiale di coltura veniva, in tempi successivi, fissato con
soluzione alcoolico-acetico di sublimato corrosivo , e previa un
passsagio di 20 a 24 ore in alcool jodato, passato agli alcooli e
agli xiloli (xilolo X alcool, xilolo puro) e indi imparaffìnato e se-
zionato al microtomo. Non ostante il processo di sclerotizzazione
cui vanno soggette le ife periferiche degli sclerozi, l’ im paraffina-
li] ento riuscì quasi sempre egregiamente, atteso il lungo soggior-
no (12, 24 fin 48 ore) al quale si sottopose il materiale nei vari
passaggi-.
Le sezioni attaccate al portaoggetti con glicero-albuinina
Mayer , dopo essere state negli xiloli e negli alcooli , venivano
colorate preferibilmente con Ematossilina (metodo Heidenhein al
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc.
31
l’allume ferrico) e molte volte ricolorate con Orango per dare mag-
gior contrasto ai nuclei in seno al protoplasma.
Dall’esame di migliaia di sezioni, così ottenute, emersero
fatti di non dubbio valore, che certamente aprono la via a nuo-
ve interpretazioni intorno alla genesi ed al significato degli scle-
rozi, come anche relativamente alle differenziazioni interne che
conducono alla maturazione degli organi riproduttori od ascili.
Prendiamo in attento esame le fasi tutte.
L’ unione dei gameti, od ife destinate a coniugarsi, avviene
nei mezzi solidi con qualche variante. Tali ife non si attorcigliano
più a pastorale, come ne’ mezzi liquidi, ma o subiscono una lieve
incurvatura che agevola il loro combaciamento (Fig. 21, 22, 25,
27, Tav. II) ovvero questo ha luogo senza alcuna curvatura fra
due ife che si dispogono parallelamente Y una rispetto all’ altra
(Fig. 23), ovvero mettendosi rispettivamente di fronte colle loro
estremità (Fig. 21).
Quasi sempre sono gli articoli terminali che contraggono
aderenza fra di loro (Fig. 21, 23, 21, 25) ; in alcuni casi però
l’unione può effettuarsi anche fra una cellula terminale ed una
intercalare (Fig. 22, 27) o fra due articoli intercalari (Fig. 2(3).
Le porzioni di ife che vengono a mettersi a contatto restano
sempre limitate da un setto trasversale dalla rimanente ifa , e
sono fornite di un vistoso nucleo ognuna, e di abbondante proto-
plasma spesso vacuolizzato, onde dallo strato parietale di esso si
dipartono sottili barulerelle che vanno al nucleo. Questi carat-
teri citologici rendono assai manifeste le ife che iniziano il pro-
cesso di formazione degli sclerozi, oltre la maggiore loro gran-
dezza in confronto delle ife, sterili o vegetative.
Il processo di intima unione delle due ife in coniugazione,
se ci è sfuggito in alcune sue fasi, resta però sufficientemente
provato da alcuni fatti da noi colpiti e che abbiamo cercato di
rappresentare nella Tavola II che accompagna la presente me-
moria.
Anzitutto, dopo essersi stabilito il mutuo contatto delle ife
32
F. Cavava e N. Mollica
[Memoria II. J
destinate a compiere il processo di coniugazione, si potè osser-
vare parecchie volte una reciproca orientazione dei loro nuclei
(Eig. 21, 22) portantisi rispettivamente verso la parete di con-
tatto, ed in evidente corrispondenza, in virtù forse di uno sti-
molo cheinotattico.
Inoltre in molti de’ nostri preparati, come le Eig. 26, 27,
attestano chiaramente, si ebbe a riscontrare da un lato la scom-
parsa del nucleo in una delle due cellule venute a contatto e
la contemporanea presenza di due nuclei nell’ altra contigua, e
d’ altro lato la conseguente degenerazione del contenuto dell’ar-
ticolo rimasto privo di nucleo. Per quanto non si sia potuto
colpire il passaggio di uno dei nuclei dalla cellula virtualmente
funzionante da anteridio nell’ altra che può considerarsi come
1’ oogonio, e nemmeno dedurlo da traecie di perforazione della
membrana di separazione , i fatti accennati parlano senz’ altro
in favore di un processo di coniugazione verificatosi fra i due
elementi.
Altri dati del resto vengono ad avvalorare tale interpreta-
zione.
E prima di ogni altra cosa il processo di corticazione che
attorno all’ elemento, funzionante da oogonio, si inizia per parte
di ife circostanti , procedenti da articoli in connessione più o
meno stretta coll’ elemento stesso (Eig. 28, 29, 30, 31). E tale
processo di corticazione, che ha riscontro in altri ascomiceti ed
anche in alghe carposporee, conduce da prima alla formazione
di un ganglio micelico, e successivamente a quella di un corpo
pseudo-parenchimatico i cui caratteri di sclerozio vengono sein-
prepiù ad accentuarsi. Le sue cellule centrali, infatti vanno facen-
dosi isodiametriche, mentre le ife corticanti imbruniscono la loro
membrana e si schiacciano in senso tangenziale.
Inoltre nell’ esordire di questi gangli micelici, il comporta-
mento dei nuclei inette in chiara evidenza come da una cellula
iniziale , rappresentante 1’ oogonio fecondato , traggano origine ,
per ripetute divisioni, altre tante cellule i cui caratteri di eie-
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc.
33
menti germinali o riproduttivi, rispetto a quelle che si possono
dire somatiche o vegetative, sono dalla speciale capacità a colo-
rirsi, dalla grandezza del loro nucleo, e dalla maggiore densità
del protoplasma assai bene messi in evidenza (Eig. 28-36). I di-
segni tratti dalle sezioni microtomiche chiariscono senza alcun
dubbio queste particolari differenziazioni citologiche che avven-
gono in seno ai corpicciuoli emananti dalla fusione dei gameti.
È certamente degno di osservazione il diverso comportamento
di alcune fra le cellule di questi gangli inicelici, o sclerozi ini-
ziali, i nuclei delle quali si lasciano tanto bene mettere in evi-
denza dalle sostanze coloranti, di fronte alle altre circostanti ,
di carattere evidentemente vegetativo che non reagiscono affatto
od assai debolmente.
Coll’ ingrossare di cotesti corpi scleroziali il numero di cel-
lule a nuclei vistosi va pure aumentando sempre per continuato
processo di divisione, senoncliè la loro distribuzione nelle sezioni
microtomiche diviene assai irregolare e senza una apparente
continuità.
Ciò si deve al fatto che cotesti aggruppamenti di ife che
determinano il costituirsi di uno sclerozio non seguono alcuna
legge cosicché gli elementi che in serie, traggono origine dalle
successive segmentazioni dell’ oogonio , possono avere decorso
tortuoso e allacciarsi in varia guisa con quelli delle ife corti-
canti, onde in una sezione trasversale restano mescolati gli uni
agli altri, a ino’ di mosaico. Il solo reperto citologico, e cioè
la varia capacità di colorirsi, può fare distinguere gli elementi
germinali da quelli somatici, e dare ragione in certo qual modo
della varia loro distribuzione. Si nota, ad esempio, non infrequen-
temente che cellule fornite di nucleo manifesto e di ricco pro-
toplasma si trovano verso la periferia di giovani sclerozi ed
anche fra gli elementi stessi del peridio (Eig. 36, 39, 40). Sono
precisamente delle emanazioni delle cellule germinali che, per
virtù di segmentazione in determinate direzioni, si sono mesco-
late alle ife corticanti, pur conservando le loro proprietà di ele-
Atti Acc. Serie 4a, Vol. XIX — Mem. II.
5
34
F. Cavava e N. Mollica
[Memoria II. |
menti riproduttivi e cioè la particolare colorabilità. Ciò spieghe-
rebbe, a parer nostro, il fatto, riscontrato nelle nostre colture,
della produzione di conidiofori, per parte di cellule del peridio,
di periteci o di cellule periferiche di sclerozi (Fig. 19 Tav. I) ;
fatto segnalato anche da Tulasne senza essere stato però spie-
gato da questo micologo. Ora la presenza nel peridio di elementi
aventi plasma germinativo, che si spiega benissimo col modo
dianzi accennato di prendere origine dei gangli micelici, dà ra-
gione della formazione suddetta di conidiofori da elementi dello
stesso peridio.
D’ altra parte si notano pure di questi gangli micelici senza
che alcuna cellula si ditferenzì dalle altre per la colorabilità o
maggior mole del nucleo. È questo il caso rappresentato dalle
figure 37, 38 riferentisi a corpi che possono essere interpretati
anche per formazioni analoghe alle spore-bulbelli di Eidain e
Mattinilo. (1)
La ulteriore evoluzione degli sclerozi si esplica in due di-
rezioni diverse: da un lato le ife periferiche, o corticanti, si mo-
dificano nella loro struttura e nella chimica costituzione in guisa
da formare più strati di natura protettiva — il così detto peridio —
e , dall’ altro gli elementi della parte centrale , secondocliè de-
rivano da cellule germinali o da elementi somatici , assumono
funzione diversa o riproduttiva, o di riserva e nutritiva. Le so-
stanze coloranti (Ematossilina od altre) servono in questo caso
a sceverare gli uni dagli altri elementi. Negli sclerozi allo stato
di riposo le cellule a contenuto di riserva alimentare prevalgono
su quelle di carattere riproduttivo; ma quando per determinate
condizioni dell’ ambiente (umidità e calore) si risveglia l’attività
moltiplicativa allora queste ultime prendono il sopravvento sulle
prime, e lo sviluppo e l’aumento in numero di queste si compie
interamente a spese di quelle che vanno via via obliterandosi,
o che, per essere più esatti, vengono gradatamente digerite.
(1) M ATTIRO i-O O. — Sullo sviluppo eli due nuovi Hypocreacei e sulle spore-bulbilli degli
Ascomiceti. in N. Giornale botanico italiano. Voi. XVIII. Firenze 1886 p. 142 e seg.
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc.
35
In un determinato stadio di uno sclerozio si ha, perciò, la
sostituzione completa degli elementi vegetativi con elementi ri-
produttivi forniti tutti di nucleo e di plasma denso e attivo.
Un’ ulteriore differenziazione, e di grande valore morfologi-
co, è quella che prelude alla formazione degli aschi. In un
punto determinato dello sclerozio che abbia già raggiunto le
dimensioni normali, si accenna un particolare orientamento delle
sue cellule accompagnato da uno stiramento di esse, da una re-
gione ad altra dello sclerozio, per solito da quella che può es-
sere assunta per base (in quanto è a contatto del micelio da
cui si è originato e quindi del substrato di coltura) verso la
opposta che diventa perciò 1’ apice del futuro peritecio (Eig. 41
Tav. II). Tale orientazione e stiramento di cellule interessa da
prima un piccolo nucleo di elementi, il quale va poi aumen-
tando fino a toccare i più interni degli strati del peridio. È
una trasformazione in elementi allungati, forniti di vistosi nuclei,
delle cellule poliedriche , isodiametriclie dello sclerozio ; e tali
elementi sono fra di loro disposti in serie e strettamente uniti
in fascio.
Per la forma loro e pei rapporti che vanno ad assumere
in seguito essi sono da considerarsi come gli inizi delle cosidette
parafisi , la comparsa delle quali precede, come si vede, quella
degli aschi.
Nel maggior numero dei casi la genesi di questi elementi
allungati disposti in serie lineari si accenna in un punto più o
meno centrale dello sclerozio ; ma non infrequentemente dan-
nosi più punti di origine, spesso due, talora ma più raramente
tre ; ed apparendo questi nelle sezioni mediane degli sclerozi ,
si può dedurne che la differenziazione di tali elementi in seno
al pseudoparenchima avvenga secondo una zona annidare quando
sono due i nuclei di differenziazione , ed anche al centro nel
caso che sieno tre.
Molto difficile ci è stato lo stabilire il punto di partenza
della differenziazione medesima dalFomogeneo ifenchima sclero-
36
F. Cavava e N. Mollica
[Memoria II.J
ziale, poiché nel maggior numero delle sezioni praticate erano
più frequentemente avvertibili gii stadi più o meno avanzati
di essa e cioè il nuovo orientamento di ife che mentre si dispo-
nevano quasi parallelamente tra di loro , assumevano caratteri
citologici assai spiccati e cioè un contenuto più denso e sopra-
tutto dei nuclei dotati di grande capacità colorativa.
Tuttavia passando e ripassando in esame le nostre prepara-
zioni facendo uso dell’ obbiettivo ad immersione omogenea V12
della casa Zeiss, abbiamo potuto rilevare stadi che dànno luce
particolare sulla genesi delle paratisi e degli ascili.
In mezzo alle cellule costituenti il pseudoparenchima dello
sclerozio se ne notano, in un determinato momento di questo ,
secondo le condizioni di sviluppo, alcune il cui protoplasma si
fa più manifestamente granulare , e presentasi più o meno va-
cuolato, segno non dubbio di un risveglio di attività.
Inoltre i nuclei acquistano una forma e una struttura ben
definite, apparendo essi come vescicole sferoidali con un grosso
globulo al centro particolarmente colorabile. Il carioplasma es-
sendo più chiaro, più finamente granulare che non il citoplasma
i nuclei restano perciò ben delimitati e visibilissimi.
Ora ci venne fatto di osservare che in quei punti dello
sclerozio ne’ quali si accennava tale differenziazione citologica
interna, le cellule presentavano modificazioni nella forma oltrec-
chè nel contenuto.
Il loro contorno, per ineguale distensione della membrana,
diveniva irregolare e sinuoso (fig. 12 a , h , Tav. II), e come
fossero dotate di speciale metabolia , esse si insinuavano fra le
ife dello sclerozio sia dissociandole, sia dissolvendole, evidente-
mente per mezzo di enzimi da esse elaborate.
Tale processo di digestione di una parte degli elementi dello
sclerozio, compiuto da alcune cellule, è cosa fuori di ogni dub-
bio e perfettamente consona alla natura di questi organi che
rappresentano dei magazzini di sostanza di riserva.
Intanto si notò che talune di queste cellule a ripresa atti-
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc.
37
vita ed a contorno sinuoso, possedevano due nuclei, ed altre ne
avevano quattro con regolare disposizione , occupanti i quattro
angoli di un quadrilatero (Eig. 42 c Tav. II). Ora cellule binu-
cleate si osservavano in precedenza anche in nuclei sclerozi allo
stato di riposo, mentre quelle fornite di quattro nuclei appari-
vano solo nei punti di risveglio cellulare di questi, onde è lecito
indurre che coteste cellule tetranucleate derivano dalle binucleate
o per divisione dei due nuclei di queste, o per fusione due a due
di cellule binucleate. La figura 42 b della nostra Tavola II ap-
poggerebbe piuttosto la seconda ipotesi.
Quale può essere il significato morfobiologico di queste strut-
ture'? È veramente difficile dare una risposta. Solo è presumi-
bile che esse rappresentino una condizione di fatto per la costi-
tuzione degli elementi senati sopraindicati, poiché è precisamente
dai punti ne1 quali si osservano queste differenziazioni che trag-
gono origine le cellule che si orientano in serie lineari, disposte
a gruppi, in uno o più parti dello sclerozio.
Avvenuta la costituzione di questi gruppi, nei quali ogni
singola cellula è uninucleata, si nota però che in breve processo
di tempo una fra le cellule della parte mediana di talune delle
serie lineari viene ad essere binucleata. Ora anche in questo caso
la origine di due nuclei resta assai dubbia, potendosi essa spie-
gare o colla divisione del nucleo unico preesistente, ovvero per
un processo di anastomosi fra due porzioni di ife contigue.
Alcuni fatti potrebbero avvalorare anche in questo caso co-
testa seconda interpretazione, così ad esempio lo sformarsi di al-
cune cellule delle serie lineari, il divenire esse gibbose da un lato,
1’ emettere una protuberanza che accenna a formazione di un
rametto il quale però si arresta in breve appena venuto a con-
tatto di un articolo di serie contigua (Eig. 43 a-c).
Questi processi parlerebbero in favore di una possibile ana-
stomosi, ma non abbiamo dati sufficienti per affermare in modo
assoluto che ciò avvenga.
Ciò di cui non si può dubitare è 1’ origine dell’ asco da
38
F. Cavava e JV. Mollica
[Memoria II.]
quella fra le cellule di una serie lineare, che si presenta ad un
momento dato binucleata. Quindi anche per la Pleospora herba-
rum il nucleo della cellula madre dell’ asce è il risultato della
fusione di due nuclei preesistenti.
E cotesta cellula madre è di origine prettamente interca-
lare, proviene cioè, da una cellula mediana di una serie lineare
fertile, mentre sonvi serie lineari del tutto sterili che non dif-
ferenziando alcuna delle loro cellule in asco, restano delle para-
fisi. Il caso offerto dagli sclerozi della Pleospora lierbanim è, per-
ciò, abbastanza singolare, conoscendosi solo finora una origine
dell’ asco o da una cellula terminale di un ifa differenziata, o da
cellula situata di poco al disotto della terminale (1). È da no-
tare che le serie lineari di cellule che si differenziano negli scle-
rozi, hanno rapporto tanto cogli elementi della base dello sclero-
zio quanto con quelli della parte superiore di esso (Eig. 44), per
una evidente fusione avvenuta durante la loro differenziazione.
Ora la differenziazione di una cellula di una serie lineare
che prelude alla formazione dell’ asco è la comparsa di due nu-
clei in seno ad essa. Questo fatto che dal Dangeard (2) è dato
come la caratteristica della costituzione di un asco , in quanto
questo autore dà valore di atto sessuale alla fusione di tali due
nuclei, è di assai difficile interpretazione, come si disse ; e pur
volendolo riannodare ai fatti precedentemente descritti , e cioè
alla presenza di cellule bi-e tetranucleate nello sclerozio , ciò
non rimuove le difficoltà. Si può infatti, accostandosi alle idee
del Dangeard ritenere di origine diversa i due nuclei che ven-
gono a sdoppiarsi nella cellula ascogena , in quanto che dalle
cellule tetranucleate sarebbero derivate , successivamente le bi-
nucleate e poi le uninucleate delle serie lineari , ma resta però
sempre il fatto che l’intiero sclerozio è il prodotto della unione
(1) Faxji.l, H. J. Development of Ascns and Spore formation in Aseomycetes. Procee-
dings of tlie Boston Soc. of Nat. History. 1905 p. 99.
(2) Dangeard P. A. — Kecherches sur le dévelopement clu périthèce clìez les ascomycètes.
Le Botaniste, Décembre 1904.
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc.
39
di due ife distinte, cioè morfologicamente differenziate , onde è
poco ammissibile die a questo atto di natura sessuale ne deb-
bano succedere altri nello stesso ciclo di sviluppo ontogenetico.
Noi perciò siamo d’ avviso che la costituzione dell’ asco pro-
ceda dallo sclerozio per lo sviluppo di una cellula da prima bi-
nucleata poi uninucleata , ma non possiamo accordare a questo
fenomeno il carattere di sessualità che vi annette il Dangeard.
Anche il T'aulì (1) che si è occupato recentemente dall’origine
dell’ asco non può condividere la opinione del Dangeard dopo
i numerosi esempi di una vera e propria fecondazione esplican-
tesi negli ascomiceti in modo affatto diverso da quello voluto
dal Dangeard. E vogliamo anzi riprodurre le stesse sue parole
perchè ci sembrano di una grande convinzione.
Dopo avere il Taulì ammesso che il Dangeard fu il primo
a scoprire la binuclearità della cellula madre dell’asco e ad at-
tribuirle il carattere di un atto sessuale, soggiunge: « but tliis
conclusimi scarcely seems plausible because tlie following facts
appears ho bave been ab ready been satifactorily demonstrated
in several instances : 1. there has already been a fusimi of
sexual elements in thè ontogeny of thè individuai, 2. thè fusing
nuclei in thè ascus are division products of nuclei belonging to
thè sanie celi, and perii ape in some cases even daughters of si-
ster nuclei , and 3. they are vegetatively active before fusimi ,
as is tlie single nucleus after fusimi. The phenomenon is pro-
bably vegetative rather tlian sexual, but its nature and signifi-
cance will not be fully understood untili fnrther research reveals
wlietlier or not it is an acqui red feature.
Senza ingolfarci in una discussione la quale non lascia spe-
rare una definitiva soluzione di questi particolari problemi dello
sviluppo degli ascomiceti , e senza volere costringere i fatti da
noi osservati nella cerchia di teorie non ancora interamente
accettate in micologia , riassumeremo in uno schema i punti
(1) Fatili, J. H. — Development of Ascus ancl Spore formation in Ascomycetes. — pag. 102.
40
F. Cavava e N. Mollica
[Memoria II.J
salienti del ciclo evolutivo della Pleospora herbarum quali sono
risultati dalle nostre ricerche, tenendo presente le odierne vedute
del Blakeslee relative alla ripartizione dei sessi in miceli solo
fisiologicamente differenziati, in quanto che la Pleospora Jierba-
rum da noi studiata si è dimostrata nelle colture decisamente
eterotallica, cioè fornita di ascospore dalle quali procedono mi-
celi sessualmente differenziati.
Ecco lo schema riassumente i fatti da noi osservati.
ascospore q~
©
l
•• ascospore
!
O
0
micelio
\
© &—■
1
©
-*■*' couidi
\
©
micelio
© , © — ---.3 gameti
« sclerozio
■"1
© ©
w
©-
À-
/v-'\
A A
A R A A
■« fase preparatoria delle paratisi
cellula madre delle paratisi
paratisi
-■« cellula madre degli ascili
. - ascili
0 è©©®©© 0— - * ascospore
In questo schema il punto meno chiaro dal lato della in-
terpretazione è quello riguardante la fase preparatoria delle pa-
rafisi, e cioè la comparsa di cellule bi-e tetranucleate.
Se non si vuole accettare la opinione del Eaull (loc. cit.)
Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma eco.
41
che cotesti processi di divisione e di fusione nucleare rappre-
sentino delle fasi puramente vegetative, e se anche non si vuole
ammettere in uno stesso ciclo di sviluppo ontogenetico la ripe-
tizione di atti sessuali, la bi-e tetranuclearità delle cellule madri
delle parafisi potrebbe avere il solo significato di disgiunzione
e ricombinazione di entità nucleari (cromosomi o procromosomi)
a fine di trasmettere e ripartire nelle ascospore i caratteri ere-
ditari appartenenti ai progenitori. Nelle tre divisioni che nell’asco
precedono la formazione delle ascospore , la sostanza cromatica
verrebbe a ripartirsi nelle cellule figlie in quantità eguali ma non
altrettanto fornite delle stesse qualità (caratteri o germi) eredi-
tarie.
Dal punto di vista filogenetico la successione delle fasi quali
abbiamo delineate nella Pleospora herbarum farebbe riattaccare
viemaggiormente questi Pirenomiceti alle Alghe Oarposporee, e
fors’anco alle Embriofite potendosi annettere allo sclerozio il si-
gnificato di un organo omologabile all’ embrione.
.
)
Spiegazione delle Tav. I e II.
Tav. I.
1. — Sezione trasversale di foglia di Corypha australis , che fa vedere
il micelio intercellulare di Pleospora herbarum, del quale alcune ife
perforano 1’ epidermide.
2 a 6. — Ascospore di Pleospora herbarum ; 2) spora appena uscita dal-
l’asco e fornita di alone mucillaginoso; 3 a 6) spore germinanti.
7 e 8. — Fusioni ad H di ife miceliche.
9 a 11. — Altri e differenti casi di unione di ife.
12 a 15. — Particolari modi di unione di ife a pastorale, precedenti la
formazione degli sclerozi.
16 e 17. — Stadi vari della formazione dei collidi a Sarcinula.
18. — Proliferazione in colonia di Macrosporium.
19. — Formazione di collidi da cellule del peridio di uno sclerozio.
20. — Peritecio di Pleospora herbarum var. Coryphae ottenuto in
coltura a goccia pendente.
Tav. II.
21 a 27. — Vari modi di unione di ife precedenti la formazione degli
sclerozi, in mezzi di coltura solidi, ed osservati uelle sezioni mi-
crotomiclie. Nelle Fig. 26 e 27 si osserva il passaggio avvenuto
del nucleo da una cellula nell’ altra.
28 a 36, 39 e 40. — Stadi vari della formazione di uno sclerozio. Gli ele-
menti disegnati con protoplasma denso e con nucleo vistoso rap-
presentano cellule germinali emauanti dalla divisione della cellula
che è il prodotto della fusione di due gameti.
37 e 38. — Gangli micelici senza cellule germinali, comparabili a spo-
re-bulbilli.
41. — Sezione assile di uno sclerozio maturo nel quale si nota la dif-
ferenziazione di una parte delle sue cellule in serie di elementi
filiformi (parafisi).
42. — Cellule di uno sclerozio in via di differenziazione ascogena.
43. — Elementi disposti in serie lineare, frammisti alle parafisi e che
si differenziano in aschi.
44. — Sezione di uno sclerozio dififerenziantesi in peritecio ascoforo,
dove si nota P origine intercalare delle cellule madri degli aschi.
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Memoria III
Azione sperimentale dei succhi digerenti sull’ involucro
delle ova di alcune Tenie
Ricerche di UMBERTO DRAGO
RELAZIONE
della Commissione di revisione composta dai soci effettivi
Proli. STADERINT ed A. RUSSO {relatore).
In questa Memoria 1’ A. espone una serie di ricerche sperimentali sulle
ova di Taenia cramicollis, T. serrata e T. medio-cannellata, dirette a saggiare
l’ azione dei succhi digerenti dei rispettivi osti intermedi sul guscio di
dette ova. Le esperienze sono condotte con la massima circospezione, trattando
le ova con succo gastrico acidificato, con bile e con succo pancreatico — ri-
cavati secondo le norme della tecnica fisiologica — e mantenute nel termostato
alla temperatura di 38°-39° C, insieme a preparati di controllo tendenti ad
esplorare il potere digerente dei succhi stessi
Il risultato di tali esperienze, contrariamente a quanto generalmente si
ammette, non fu assolutamente positivo, e quelle relative modificazioni con-
statate dall’ A. non sono esclusivamente devolute all’ azione della bile, come
sosteneva, per sue esperienze, il De Vuieenzis. Secondo 1’ A. non è cousta-
tabile quell’azione dissolvente sull’intera membrana ovulare ammessa co-
munemente, poiché questa non scomparisce nè si assottiglia ; ma dalla mag-
giore fragilità da essa acquistata dopo 1' azione del succo gastrico, e più spe-
cialmente in seguito alla digestione con succo pancreatico, è a dedurne che
queste secrezioni, e a preferenza 1’ ultima, agiscano digerendo il cemento
che unisce i pezzi cintinosi del guscio.
Un’ altra serie di esperienze fu intrapresa per provare se le ova prima
di pervenire nell’ oste subissero delle modificazioni dovute all’ambiente ester-
no, ma anche tali ricerche risultarono negative.
L’ A. con opportune considerazioni mette in rilievo l’ apparente cou-
Atti acc. S'RRIK 4a, Voi.. XIX — Mern. III. 1
2
Umberto Drago
[Memoria IH J.
traddizione tra i risultati sperimentali e le affermazioni dei Parassitologi
derivanti dalla necessità, di spiegare il ciclo evolutivo delle Tenie, e spiega
tale contraddizione ammettendo che le condizioni dell’ esperimento in vetro,
per quanto prossime alle naturali, non siano tuttavia identiche, e che influenze
esterne diverse da quelle sperimentali agiscano sul guscio, rendendolo più
accessibile all’ azione dei succhi digerenti, o che infine il guscio dell’ ovo
reso più fragile dell’ azione peptolitica del succo gastrico e pancreatico, sia
disgregato dall’ azione meccanica dei movimenti intestinali.
I risultati notevoli contenuti in questa Memoria, che sarà seguita da
altre su lo stesso soggetto, la rendono degna di essere inserita negli Atti
della nostra Accademia.
Nel corso ili alcune ricerche sull’ embrione della Tenia ser-
rata del Cane e della T. crassicollis del Gatto fui colpito dal
fatto die le ova iT) , inesse a contatto con succo gastrico rispet-
tivamente di Coniglio e di Topo, e mantenute alla temperatura
di 37°-38° non presentarono notevoli modificazioni relative all’in-
tegrità dell’ involucro esterno.
Però è così generalizzato fra i Parassitologi il concetto che
il succo gastrico digerisca il guscio delle ova delle varie specie
di Tenia, pervenute che esse siano nello stomaco degli animali
destinati ad ospitarne il cisticeroo, che un risultato sperimentale,
il quale deponga in senso contrario , deve essere assoggettato a
prove reiterate, e ad una critica rigorosa. D’ altro canto 1’ asser-
zione dei Parassitologi, rispondente più che altro a una neces-
sità biologica per potere spiegare il ciclo evolutivo di detti pa-
rassiti, non è stata fin’ ora controllata da alcuna prova speri-
mentale. (* *)
Po osservare prima di tutto che riesce incomprensibile co-
fi) Per maggiore intelligenza di linguaggio, mantengo all’ embrioforo la comune deno-
minazione di « ovo » .
(*) V. appendice in line.
Azione sperimentale dei succhi digerenti ecc.
3
me mai il guscio di dette ova, il quale generai mente si ritiene
di natura cliitinosa, possa venire più die attaccato, digerito dal
succo gastrico al quale, coni’ è noto, è refrattaria la chitina.
Sulla costituzione chimica di questa membrana non pare
esistano dei dubbi : il Cobbolr (1) p. es. fra gli altri ne sostiene
la natura cliitinosa avvalendosi dell’ autorità del Leuckart, ed
afferma che... « The reinaining part of thè volle forins a granular
mass, being probably concerned in thè formation of thè trine
cliitinoìis shell ». Dopo di questi autori tutti gli altri che si sono
occupati dell’ argomento non hanno affermato diversamente.
Per quanto concerne 1’ azione digerente spiegata dal succo
gastrico su questa membrana , e la consecutiva fuoruscita delia
larva esacanta, mi basti per tutti menzionare il Raillet (2) il
quale scrive che : « Dés qu’ils (le ova) sont parvenus dans l’in-
testin, leur coque est détruite sous l’action du sue gastrique et
1’ éclosion a lieu » ; e il Blavchard (3) , parlando dell’ ovo della
T. serrata afferma che « Les sues digesti fs dissolvent la coque,
et 1’ embrvon est inis en libertà ». Ma, in contrapposto a que-
ste asserzioni, i chimici e biologi, fra cui 1’ Hollemann (3) e
il Luciani (5) , insegnano che la chitina , come avanti ho ac-
cennato, è refrattaria all’ azione del succo gastrico.
Date queste considerazioni contraddittorie , e la mia osser-
vazione precedentemente ricordata, ho creduto di intraprendere
delle ricerche sull’ argomento, non col preconcetto di distruggere
un’ asserzione la quale rientra nel dominio delle necessità bio-
logiche, ina per constatare se ne fossero esatti i particolari e le
condizioni invocate, ed il meccanismo così semplice. Tanto mag-
giormente mi sono accinto a questa ricerca in quanto che la
(1) Parafiteli ; A treatise on thè Entozoa of man and animale ecc. by T. Spencer Con-
sono.
(2) Traiti de Zoologie medicale et agricole par A. Raillet.
(3) Traiti de Zoologie medicale par Raphael Blancharp.
(4) A. F. Hollemann. Trattato di Chimica organica.
(5) Luciani — Fisiologia dell’ uomo. -,
4
Umberto Drago
[Memoria III].
membrana cliitinosa di cui è parola, non è costituita da uno
strato continuo, ma da bastoncelli radiali disposti in serie , co-
me hanno asserito il Leuckart, e gli autori susseguenti, fra cui
il più recente il Mingazziki (1) , e come io stesso ho potuto
constatare (2). « The trae shell, dice il Cobbold (3) display» a
series of radiating and circolar lines ; thè foriner, however, are
more conspicuous t.han thè lattei*, being due, accordi ng- fo Leu-
ckart to tlie presence of a series of fine rod-like chitinous ele-
menti, wich are forni ed on thè external surface of thè originai
trae shell-membrane ».
Sarebbe quindi legittimo il sospetto che questi bastoncelli
chitinosi, quantunque inattaccabili dal succo gastrico, siano tutta-
via saldati fra di loro da una sostanza cementante, sulla quale
agendo il succo gastrico, indurrebbe il disgregamento dei baston-
celli e quindi sarebbe resa possibile la fuoruscita dell’embrione.
LTna prima serie di ricerche sono state eseguite su ova di
Tenia serrata e di 1\ crassicollis. Il materiale rappresentato dalle
ultime proglottidi mature di questi elminti, veniva ricercato nei
Cani e nei Gratti che a questo scopo venivano sacrificati. Devo
però far notare come non mi sia riuscito riscontrare specialmente
la T. serrata con quella estrema frequenza colla quale si affer-
ma che essa occorra. Molto probabilmente questa infrequenza è
dovuta alla circostanza che fra i Cani da me sacrificati solo po-
chi erano animali da caccia , la maggior parte provenendo da
quelli randagi catturati e fornitimi dal Municipio. Comunque ,
su un grande numero di animali uccisi, solo tre volte ebbi oc-
casione di riscontrare la T. serrata , e, su parecchi Gatti quattro
volte la T. crassicollis.
(1) Pio Mingazzjmi — Zoologia medica.
‘(2) V. appendice.
(3) Loc. cit.
Azione sperimentale dei succhi digerenti eco.
5
Una seconda serie di esperienze , per questa relativa diffi-
coltà di procurarmi il materiale, è stata intrapresa con proglot-
tidi di Tenia saginata eliminate quotidianamente da un indivi-
duo che T ospitava.
SERIE PRIMA
(Tenia serrata e T. crassicollis)
Esperienza I.
Le proglottidi mature di T. serrata finamente tagliuzzata
vengono poste in una capsula di Retri insieme a succo gastrico
di Coniglio ricavato col metodo di Eberle, e acidificato con acido
cloridrico in rapporto del 2 °/0o. La capsula col suo contenuto
viene posta nel Termostato riscaldato a 39° C. Contemporanea-
mente in un’ altra capsula di controllo contenente un’ altra por-
zione dello stesso succo gastrico acidificato, è messo un pezzetto
di muscolo per saggiare il potere digerente della miscela.
Due ore dopo si notano alquanto rimpiccioliti i pezzetti di
proglottidi , e nella capsula di controllo il muscolo si riscontra
rammollito e di colore sbiadito.
Quatti*’ ore dopo si osservano assai più accentuate queste mo-
dificazioni, e finalmente , riesaminati dopo otto ore , si trovano
fluidificati e irriconoscibili tanto i frammenti di proglottidi che
il muscolo.
Analizzato al microscopio il liquido proveniente dalla dige-
stione artificiale delle proglottidi, si osserva un numero grandis-
simo di ova libere col loro involucro caratteristico immodificato,
e 1’ embrione esacanto.
Prolungando la digestione per altre 12 ore coll’ aggiunta di
acqua acidulata, e riesaminato il liquido, le ova si mostrano cogli
stessi caratteri precedentemente accennati, e quindi colla mem-
brana integra, però alquanto più fragile alla pressione.
6
Umberto Drago
[Memoria III].
Esperienza II.
Manipolazione come nel caso precedente con risultati iden-
tici.
Il succo gastrico attivo sui pezzetti di muscolo collocativi
per controllo, non addimostra alcuna azione sul guscio delle ova
le quali lasciano vedere nel loro interno l’embrione già 4-8-12-24
ore dopo 1’ inizio della digestione artificiale.
I preparati vengono mantenuti nell’incubatrice per lo spa-
zio di due giorni e mezzo , dopo il quale le ova continuano a
mostrare inalterato il loro guscio.
Esperienza III.
Quest7 esperienza identica alla precedente per quanto con-
cerne la digestione di frammenti di proglottidi e di muscolo nel
succo gastrico, differisce in quanto viene completata da contem-
poraneo cimento dei pezzi in succo pancreatico.
Questo viene preparato con infuso di pancreas fresco di Co-
niglio, e vi si immettono frammenti di proglottidi e di muscolo,
che sono esposti alla temperatura del termostato contemporanea-
mente ai pezzi immersi nel succo gastrico.
Riesaminati dopo 8 ore si riscontra la colliquazione dei pezzi,
mentre le ova , osservate al microscopio non presentano , come
negli esperimenti precedenti, alcuna modificazione nel guscio.
La digestione viene prolungata per 30 ore senza che inter-
venga alcun7 altra modificazione.
Esperienza IV.
Proglottiti mature di Tenia crassicollis manipolate come nei
casi precedenti sono messe a digerire in succo gastrico ottenuto,
col solito metodo dallo stomaco di Mùs decumanus e acidificato.
In altro recipiente è saggiato il potere digerente mediante fram-
menti di muscolo.
Azione sperimentale dei succhi digerenti ecc.
7
La digestione prolungata sino a due giorni , e le intercor-
renti osservazioni macroscopiche e microscopiche mentre danno
risultati positivi per quanto si riferisce al potere digerente del
succo gastrico, non lasciano scorgere alcuna moditicazione nel
guscio dell’ uovo.
Esperienza V e VI.
Manipolazioni identiche e identici risultati ; solo nell’ espe-
rienza Y si nota una maggiore fragilità nel guscio delle ova ,
il quale a una lieve pressione si rompe in varii punti nel senso
delle strie radiali.
%
Esperienza VII.
In questa viene, come per la T. serrata , saggiata contem-
poraneamente 1’ azione del succo pancreatico ricavato dal Topo
per infuso della glandola.
L’osservazione prolungata sino a due giorni non fa rilevare
alcun risultato positivo, ma, come per le esperienze precedenti,
le ova presentano il guscio inalterato , e 1’ embrione all’ inter-
no coi suoi uncini caratteristici.
Però, avendo lasciato per altri due giorni i preparati nel
termostato , constatai che al 1° giorno il guscio aveva assunto
una certa fragilità dimostrata dal fatto che in molte ova esso
si rompeva sotto la semplice pressione del vetrino, mentre l’os-
servazione del preparato privo del coprioggetti mi faceva discer-
nere i gusci integri.
Yon avendo potuto, [ter mancanza di materiale, controllare
se questa maggiore fragilità di guscio dipendesse esclusivamente
dall’ azione digerente del liquido , ovvero da un semplice fatto
di imbibizione agevolato dall’ azione prolungata del calore , do-
vetti rimandare il seguito di queste esperienze ad altra epoca,
tanto più che in alcuni casi avevo visto il fenomeno avverarsi
in ova che non avevano subito 1’ azione dei liquidi digerenti, e
8
Umberto Drago
[Memoria IIIJ.
provenienti da proglottidi rimaste per parecchi giorni in mace-
razione nell7 acqua.
SECONDA SEME
Tenia saginata.
Più tardi ho avuto occasione di trovare una fonte inesau-
ribile di materiale in un individuo che ospitava la T. saginata
ed emetteva quotidianamente da 5-8 proglottidi mature di questo
elminto.
Ho voluto allora riprendere le ricerche sperimentando 1’ a-
»zione del succo gastrico artificiale sulle ova di questa Tenia, e
a tal uopo ho preparato una soluzione acquosa di pepsina del
commercio che ho acidificato con acido cloridrico al 2 0 00.
Ho quindi sperimentato il potere digerente di questa mi-
scela, non solo coi soliti frammenti di muscolo, ma ancora coi
cubetti e coi dischi di albumina cotta , come si pratica comu-
nemente, e il risultato è stato positivo, in quanto che tanto il
muscolo che 1’ albumina dopo circa sette ore erano fluidificati.
Con questa miscela ho intrapreso delle esperienze sulle ova
di T. saginata le quali mi hanno condotto a risultati sostanzial-
mente non dissimili da quelli ottenuti nelle precedenti espe-
rienze.
Epperò, considerando che la pepsina , per quanto attiva ,
provenendo per avventura da animali diversi da quello destinato
ad ospitare il Cisticercus bovis , non mi avrebbe messo nelle iden-
tiche condizioni della natura, ho voluto contemporaneamente
sperimentare con succo gastrico procuratomi direttamente da
tali animali, e relativamente fresco.
Per tanto ho preparato ogni volta una certa quantità di
succo gastrico di Vitello valendomi della mucosa dello stomaco
di animali appena uccisi al mattatoio , e ricavandolo col solito
metodo di Eberle. Acidificandolo al titolo del 2-4 °/AA con acido
1 (X)
Azione sperimentale dei succhi digerenti ecc.
9
cloridrico , ne ho quindi saggiato il potere digerente come nei
casi precedenti , e assicuratomi di esso ho intrapreso le espe-
rienze.
Esperienza Vili.
Le proglottidi di T. sagi nata sminuzzate in piccoli fram-
menti vengono poste in succo gastrico di Vitello ed esposte alla
temperatura di 38°-39° nell’incubatrice assieme ad altra capsula
di controllo contenente frammenti di muscolo e di albumina
cotta.
Dopo sei ore tutti i frammenti sono digeriti , e il liquido
contenente le proglottidi si mostra al microscopio ricco di ova
col guscio inalterato e coll’ embrione fornito degli uncini carat-
teristici.
Prolungando la digestione per molte ore ancora (sino a tre
giorni) nessuna ulteriore modificazione si riscontrava nel guscio
delle ova , salvo una certa opacità che non sempre permetteva
di distinguere attraverso di esso 1’ embrione , e talora alcune
leggiere sfrangiature radiali , superficiali dell’ orlo esterno. Nei
casi in cui l’opacità non permetteva di distinguere gli uncini
dell’ embrione , si poteva sempre constatare la presenza di que-
sto, facendolo fuoruscire dall’ involucro mediante pressione sul
vetrino.
Esperienza IX, X, e XI.
Queste esperienze sono state ripetute nelle identiche condi-
zioni e colla stessa tecnica delle precedenti allo scopo di con-
fermare i risultati, i quali sono stati perfettamente simili : il
guscio delle uova non pare risenta nell’ insieme alcuna azione
da queste digestioni per quanto prolungate, e per quanto attivo
si mostri sui frammenti di muscolo e sulle parti molli delle
proglottidi e sull’ albumina cotta ; però si nota ancora quella
condizione, precedentemente accennata, della sua maggiore fragi-
Atti acc. Stsrik 4a, Voi.. XIX — Mem. III. 2
Umberto Drago
[Memoria III].
IO
lità la quale fa sì che alla pressione si rompa, e accentuando la
pressione i frammenti vengano in parte rimossi dall’embrione (1).
Esperienza XII.
Constatata Y attività del succo gastrico sulle parti molli
delle proglottidi, sui frammenti di muscolo, e sull’ albumina cot-
ta, lio voluto fare a meno di frammentare gli anelli della Te-
nia che ho quindi immessi interi nel liquido digerente.
Il risultato è stato conforme all’aspettativa, poiché già alla 4a
ora è avvenuta la completa colliquazione delle proglottidi , e
quindi nel liquido non si sono osservati al microscopio che ova
libere.
Ma con questo esperimento ho voluto mettermi ancora più
precisamente nelle condizioni naturali, ed ho quindi trattato le
ova, che avevano già subito l’azione del succo gastrico, con bile
e successivamente con succo pancreatico ricavato dallo stesso
animale di recente ucciso.
Il risultato come in tutti i casi precedenti è stato negativo
per quanto si riferiva alla digestione del guscio chitinoso.
Però molte delle ova, che si presentavano intensamente colorate
in verde scuro per la bile , si schiacciarono in seguito alla so-
vrapposizione del vetrino, la quale aveva per effetto di rompere
in parecchi punti il guscio, con fratture nel senso radiale , che
permettevano talora con qualche leggiera pressione la fuoru-
scita dall’ embrione.
Esperienza XIII.
Quest’ esperienza è stata condotta colla stessa tecnica e nelle
stesse condizioni della precedente. Le ova che avevano già subito
per 4 ore l’azione del succo gastrico dimostrato attivo sui fram-
menti di muscolo e sulla stessa proglottide, sono state sottoposte
successivamente all’ azione della bile e del succo pancreatico.
(1) Noto un particolare non privo di interesse : che tutte le volte che riuscivo a libe-
rare dal guscio 1’ embrione, questo si mostrava immobile.
Azione sperimentale dei succhi digerenti ecc.
11
I risultati sono stati identici : ho potuto anche qui consta-
tare con piena convinzione la maggiore fragilità del guscio, nel
quale bastava apporre il copriogetti per determinarne la rottura
in molti punti.
ei.- ^
Dimostrato così sperimentalmente insussistente il concetto
che i succhi digerenti facciano scomparire per azioni peptolitica
il guscio delle ova delle Tenie, come parrebbe dovesse avvenire
secondo le asserzioni di molti Elmintologi , ma che invece essi
rendono soltanto l’involucro più fragile, non ho voluto arrestare
a questo punto il corso delle mie esperienze , ma ho creduto
prudente variarne alquanto le condizioni.
Partendo dalla considerazione che nelle condizioni naturali
della infezione le proglottidi di questa Tenia e con esse le ova,
non pervengono nel canale alimentare dei bovini appena emes-
se dall’ uomo, ma dopo un tempo variabile , ho supposto non
inverosimile che esse subissero una modificazione nell’ ambiente
esterno per la quale venisse resa più accessibile all’ azione dis-
solvente dei succhi digerenti la membrana involgente. Tanto più
verosimile mi è sembrata questa ipotesi , in quanto che , come
si sa, gli embrioni di varie Tenie conservano per lungo tempo,
dopo la fuoruscita delle proglottidi dal corpo dell’ animale ospi-
tatore, la loro vitalità e la capacità a svilupparsi in cisticerchi,
quando pervengono nell’ ospite intermedio.
Pertanto ho istituito nuove esperienze mettendo a macerare
in acqua delle proglottidi e cimentandole quindi coi succhi di-
gerenti del Vitello, come per le esperienze precedenti, ad inter-
valli successivi di 4-7-9-12 giorni.
Esperienza XIV.
Proglottidi in macerazione in acqua sudicia da 4 giorni.
Trattamento come nei casi precedenti.
12
Umberto Drago
[Memoria III].
Risultato : dissoluzione delle proglottidi nei succhi digerenti:
nessuna alterazione di insieme nel guscio : solo constatabile la
consueta fragilità.
Esperienza XY.
Macerazione prolungata per 7 giorni. Trattamento identico
all’ esperimento precedente.
Risultato : In molte ova il guscio si frattura in parecchi
punti appena vi si sovrappone il coprioggetti. Esaminate però
le ova prima di sovrapporre il vetrino sul preparato, solo in al-
cuni si rinvengono fratture nel guscio.
Esperienza XYI.
Proglottidi in macerazione da 9 giorni. Trattamento suc-
cessivo coi succhi digerenti del Yitello.
Risultato : come nei casi precedenti.
Esperienza XYII e XYIII.
Dopo una macerazione prolungata per 12 giorni , le pro-
glottidi macroscopicamente si presentano alquanto spogliate della
cuticola , ed attortigliate , e nel liquido maceratore si nota la
presenza di una grande quantità di ova inalterate relativamente
al guscio e all’ embrione. Queste proglottidi insieme a una certa
quantità di ova vengono immerse nei soliti liquidi digerenti ed
esposti alla stufa.
Risultato : Maggiore fragilità del guscio già dopo 1’ azione
del succo gastrico, condizione la quale si accentua dopo 1’ azio-
ne della bile e del succo pancreatico.
COXCLU SIOXI
I. Le esperienze su esposte dimostrano sufficientemente che
le digestioni artificiali non esercitano sull’insieme del guscio chi-
tinoso delle ova di Tenia quell’ azione dissolvente, attribuita per
Azione sperimentale dei succhi digerenti ecc.
13
comune opinione e per necessità biologica al succo gastrico del-
1’ ospite intermedio, ma esse lo rendono semplicemente più fra-
gile confermando la refrattarietà della chitina ai succhi dige-
renti.
II. Questa maggiore fragilità è dovuta verosimilmente al-
1’ azione peptolitica esercitata da questi succhi sulla sostanza che
cementa i pezzi cintinosi del guscio. L1 azione peptolitica sul
cemento sarebbe iniziata dal succo gastrico, e il disgregamento
dei pezzi cintinosi verrebbe quindi agevolato dalla bile e dal
succo pancreatico.
III. Gli elementi cintinosi del guscio così disgregati ven-
gono quindi rimossi dalla periferia dell’ embrione presumibil-
mente mediante i movimenti intestinali.
IV. Non è dimostrata sul guscio delle dette ova un’ influen-
za della macerazione in acqua che agevoli il disgregamento di
esso nei succhi digerenti.
APPENDICE
Il presente lavoro era già stato comunicato ed in corso di
stampa allorché venni a cognizione che il De Vincenzis in una
monografia sui Cisticerchi oculari comparsa nel 1887 nella « Ri-
vista internazionale » si era occupato dell’ argomento. Questo
lavoro rimasto quasi ignorato fra i Parassitologi e i trattatisti
che si sono in seguito intrattenuti sull’ argomento, forse perchè
il titolo lo ha fatto considerare come una monografia speciale
di oculistica , contiene una serie di esperienze sull’ azione del
succo gastrico e della bile sopra il guscio dell1 ovo di Tenia sa-
ffi nata e diligenti osservazioni sulla fina struttura del guscio
stesso.
Per quanto si riferisce a questa 1’ A. pur ammettendo che
essa sia costituita da bastoncelli, presumibilmente cementati da
una sostanza intermedia, sostiene di avere osservato che tali ba-
stoncelli, non sono del tutto staccati alla estremità, ma derivino
14
Umberto Drago
[Memoria III].
da un unico pezzo ripiegato ad anse formanti perifericamente
delle « staffe ».
Ma in ordine all’ azione spiegata dal succo gastrico e dalla
bile sulla membrana esterna dell’ ovo, mentre i risultati tinali
convergono con i miei, molte incertezze e contraddizioni si ri-
scontrano nei particolari, nella tecnica e negli apprezzamenti.
Così 1’ A. fa vagamente comprendere di avere inutilmente
sperimentato il succo gastrico, senza per altro riferire per quanto
tempo vi abbia tenuto le ova, non solo , ma dichiara di avere
adoperato i succhi digerenti del maiale nella supposizione che il
materiale da esperimento appartenesse alla T. armata mentre
successivamente fa sapere che si trattava della T. ,s ‘aginata.
Oltre a ciò l’A. non acidifica a successivi intervalli di tem-
po la miscela digerente di succo gastrico, come si suole praticare
nelle digestioni sperimentali, nè controlla il potere digerente del
liquido da lui adoperato, per quanto ci faccia sapere che lo
estraeva mediante fistola dagli animali.
Quindi, dopo aver fatto subire alle ova della supposta Te-
nia armata l’azione del succo gastrico di maiale, non si sa per
quanto tempo, deducendone la quasi inattività le sottopone ai-
fi azione della bile dello stesso animale, ma, caso singolare e
contradittorio , mentre egli afferma di essere riuscito in tutti
i casi a fare « sgusciare » gii embrioni colla bile di maiale ,
riferisce a titolo di cronaca in una nota , che un’esperienza gli
fallì sol perchè la bile adoperata, che gli si era dato ad inten-
dere come appartenente a un maiale, era invece di pecora !
Ognuno vede agevolmente da queste premesse quale valore
meritino i risultati e le relative considerazioni, quando si rifletta
che, sperimentare coi succhi del maiale sulle ova di T. saginata
non è mettersi nelle identiche condizioni della natura, come ho
avuto occasione di osservare nel corso del mio lavoro. Quando
poi si ponga mente che nel caso di indifferenza specifica di azio-
ne dei succili avrebbero dovuto mostrarsi ugualmente attivi quelli
dei due citati animali, o, nel caso di prevalenza d’azione, quello
Azione sperimentale dei succhi digerenti ecc.
15
di pecora avrebbe dovuto per affinità fisiologica dimostrarsi più
attivo, i risultati e gli esperimenti del De Vincenzis diventano
molto discutibili.
Ma non meno discutibile è la deduzione dell’ A. intorno al-
1’ azione che la bile eserciterebbe, per sè sola, sul guscio, poiché
stando a quanto egli descrive e raffigura, questo liquido non solo
disgregherebbe gli elementi che compongono V involucro esterno
dell’ ovo, ma, a quanto pare, li dissolverebbe, o, non si sa come,
li allontanerebbe dal corpo dell’ animale. Egli mentre , confor-
memente a quanto io stesso ho constatato, sostiene che i gusci
divengono più fragili, esclude che la loro rottura, nelle condizioni
di esperimento sia dovuta alla pressione artificiale- del vetrino
coprioggetti, o ad altra causa estranea , ritenendo sufficiente di
avere appoggiato questo su due altri frammenti di vetrino adia-
centi alla goccia, allorquando gli sarebbe stato più agevole e più
persuasivo esaminare il liquido, come è stato da me praticato
per lo stesso intendimento, senza vetrino.
Io tralascio dal fare apprezzamenti su questa pretesa azione
peptolitica della bile, la quale non è stata fin’ ora da alcun au-
tore in via generale nè accennata nè sospettata. Viceversa dalle
più recenti ricerche su questa secrezione- digerente, eseguite dal
Bruno nel 1899 si ammette oggidì che 1’ azione predominante
della bile sia quella di sospendere 1’ azione del succo gastrico ,
eccitando all’incontro quella degli enzimi del succo pancreatico.
Ed è precisamente col succo pancreatico che il De Vincen-
zis ha omesso di sperimentare.
È quindi evidente elle nel lavoro di quest’ autore da un
canto è difettosa la sperimentazione, dall’ altro sono zoppicanti
le interpretazioni ; così che è lecito supporre in base alle cono-
scenze fisiologiche e ai risultati delle mie ricerche, che egli, per
difetto di manipolazione ha attribuito esclusivamente alla bile
quell’ azione che va devoluta principalmente al succo gastrico e
secondariamente alla bile o al succo pancreatico.
A tutti questi difetti di sperimentazione e di deduzioni io
16
Umberto Brago
[Memoria IIIJ.
avevo già precedentemente ovviato nel mio lavoro, condotto senza
conoscere quello del De Vincenzis, così che mi credo dispensato
da ulteriori richiami, rimandando il lettore alle mie conclusioni.
Non posson intanto chiudere il presente lavoro senza por-
gere sentite azioni di grazie al prof. B. Grassi che mi ha gen-
tilmente fornito la chiestagli monografia del De Vincenzis.
Memoria IT.
Sopra un nuovo sviluppo singolarmente convergente
per l’integrale delia estinzione secondo ia teoria di Bouguer
Partendo dalla espressione data da Bouguer per il calcolo delle masse
d’ aria attraversate dai raggi d’ un astro, il Dott. Azeglio Bemporad mostra
come 1’ integrale, che compare in questa espressione, possa calcolarsi me-
diante uno sviluppo assai convergente, i cui termini dipendono in modo sem-
plice dalla funzione di Kramp. La convergenza dello sviluppo è specialmeute
notevole per astri assai vicini all’ orizzonte, mentre le altre forme di svi-
luppo ti li qui note non erano praticamente applicabili oltre la distanza ze-
nitale di 85°. L’ A. estende inoltre questa forma di sviluppo al caso di strati
atmosferici di altezza limitata e anche al caso di distanze zenitali superiori
a 90". Questi risultati ci sembrano importanti, e però la Commissione stima
che la Memoria sia degna di essere inserita negli Atti dell7 Accademia.
1. Quantunque la teoria d1 estinzione di Bouguer non abbia
ormai elle un interesse puramente storico, poiché altre più pre-
cise sono venute a sostituirla, pure è utile dal lato teorico e
didattico, dare ai relativi sviluppi il necessario rigore non dis-
giunto dalla massima rapidità possibile.
La teoria d’ estinzione di Bouguer fornisce per il calcolo
Atti acc. Serie 4% Voi.. XIX — Mem. IV.
A. BEMPORAD
RELAZIONI-:
DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE, COMPOSTA DEI SOCI EFFETTIVI
proff. M. PIERI E G. PENNACCH I GITI (relatore).
l
2
A. Bemporad
[Memoria IV]
della massa d’ aria F(z) attraversata dai raggi incidenti colla
distanza zenitale s V espressione
00
* _ h
1 / e 1 la 4- h) dh
F(z) — I — 1 ■- -
I I | / a 2 cos2« -)- 2 ah -)- h 2
0
dove a indica il raggio terrestre, / l1 altezza dell1 atmosfera ri-
dotta omogenea, // V altezza di un punto generico della traiet-
toria dei raggi luminosi al di sopra del luogo d1 osservazione e
finalmente e la base dei logaritmi Neperiani *).
Mostrai già in una mia prima nota su questa teoria a),
come lo sviluppo dato da Kouguer per questo integrale e ripro-
dotto anche nei più recenti trattati di fotometria
/ -> i , , 1 „ / sec %z tg2z
F(z) = sec z — — sec 2: tg-z f (l — — a cos-z) — — -2 — -(- ••• (1)
lasci molto a desiderare dal lato del rigore, e assegnai in pari
tempo lo sviluppo esatto
l 3 p sF
F(z) = sec z sec z t(fz -4 — see3* tq*z — (5 sec'-z — 1 ) sec3z tg-z- j~... (la)
' a a ’ a
e le relative condizioni di convergenza. Da queste risultava,
che lo sviluppo in discorso non è applicabile oltre z — 82°,
mentre nelle ordinarie tabelle d’ estinzione sogliono darsi i valori
delle masse d’aria secondo la teoria di Bouguer, fino a 2=88° 3).
In una nota successiva 4) colmai questa lacuna, dando un nuovo
1 . V. G. Miirj.nit — Die Photometrie dar Gestirne, pa.g. 119, ovvero la mia nota : Sulla
teoria d’ ex Unzione di Bouguer — Memorie della Soe. degli Spettro, se. Ita!. Voi. XXX, 1901.
-) V. Nota testò citata.
3) Cfr. G. Mììlchr, Die, Photometrie dee Gestirne, pag. 135.
4) Sopra un nuovo sviluppo dell’ integrale della estinzione atmosferica — Memorie Spettro-
scopisti XXXI, 1902.
Sopra un nuovo sviluppo singolarmente convergente ece.
?
sviluppo della teoria di Bouguer applicabile per qualunque
distanza zenitale, nella forma
i=r—\ n*= OC
/:=o n= o
dove le cn sono coefficienti costanti e le JH integrali ausiliari
dati rispettivamente da
i V
T
e
( — U"
1.2... « l"+ì
r*v
li " (a -[- i v -|- h )
| /{a ■ i v -j- h)2 — a 2 siu2s
«y
0
Il calcolo delle cn Jn veniva eseguito mediante forinole ri-
correnti e con un procedimento assai rapido di approssimazioni
successive, che non occorre qui ricordare. 1
Questo secondo sviluppo è in effetto praticamente applica-
bile per qualunque distanza zenitale (90° esci.), ma ha l’ incon-
veniente di essere un po’ troppo laborioso. La nota attuale ha
ora appunto lo scopo di accennare una terza forma di sviluppo,
che al vantaggio di rimanere applicabile per qualunque distanza
zenitale (90° ilici.) unisce quello della massima rapidità. Questo
si ottiene, riducendo con opportune trasformazioni il calcolo
dell’ integrale (1) a quello della nota funzione di Kramp, di
tanto uso nella teoria della retrazione,
4
A . Bemporad
[Memoria IV|.
per la quale vennero costruite notoriamente tavole numeriche da
Kramp, da Bessel e da Radau. *)
2. Nell’ integrale (1) pongasi
h = X — X ,
determinando il parametro X in modo che venga a scomparire
il termine noto del trinomio di secondo grado sotto radice, cioè
in modo che risulti,
JT2 — 2 a X -|- a~ cos2z — 0.
JHYa le due radici scegliamo quella fornita dall’ espressione
X — a (1 — sin s) , (3)
che si annulla per z — 90°. Risulta
ao
X /» _ *_
l
F(z)
e (a sin z + x ) dx
1 I i 2 a sin z x x2
(4)
e integrahdo per parti
F (z) = -
i/2 a si
!> sin z X 4- X
-jT I e ' j 2 a sin z x x2dx.{^a)
Jj integrale
Il X
Fi (Z) = -p
T |/2 a sin z x -|~ x2 dx,
*/
X
*) V. R. Radai . — Tdb leu de V intégrale '1 ( Z )
■> = / J
f2
e dt. Armale» de 1' Obser-
vatoire de Paris. Ménroires. T. XVIII, pag. D. 1.
Sopra un nuovo sviluppo singolarmente conveniente eoe.
o
sviluppando il radicale iti serie binomiale
- — J. — , diviene ')
2 a sin z
secondo le potenze di
• X
X
l
e \
1
2 a sin 2 /
1 -
1 X
1
| x )2
tr,\ _
/
2 2 a sin z
8
\2 a sin zi
' ; — i2 !
A'
e operando In sostituzione
x = it* , x =2 i r\
si trasforma in
(5)
i / l
F,(z ) 2 e'rT\ h, : 2 / e -et f dt
J w ‘ ' 2 a sin z-j »
ì / l
2 \2 a sin z,
2 I e u t4 dt
1
8 \2 a sin z
2 I e te dt
Si ha poi con successive integrazioni per parti :
/» CC
— — T e~n — j— 2 / e~u t 2 dt
T
y*oc
le~lc t 2 dt
1 2
— ■ r errr -I - —
3 3
e u t‘ dt
e-'A r = l- Th e- ' r
5
e_C£ f6 dt
1 ) Lo sviluppo sarà convergente solo finché x <C 2 a sin z ossia h < 3 a sili z — a ,
mentre invece l’intervallo d’integrazione si estenderebbe da h — 0 [ad h — oo . Qui vale
però la considerazione che per distanze zenitali piuttosto grandi, alle quali appunto ci ri-
6
A. Bevi por ad
[Memoria IV].
Posto quindi
T (T) = e
/•OC
/ e-'1
dt (funzione di Krainp)
B,
T 4- T (T)
e, = t -j
e.. = T'
—
o t
(6)
risulta
a sin zi
1 ìli
t 0. H-
2 \2 a sin z
8 '2 a sin s
1
T 0,
3
7> B
Tornando ora all’espressione (4«) di il primo termine
di questa può scriversi in virtù della (5)
| / 2 a sin ^ X -f- X-
T | '2 a sin z
1 -f
1 - t2)4-
2 a sin «
£
2 « sin 0
1 1
2 T —
<> lo
l \ 1
\Y Ts
a sin z
l
8 '2 a sin z
2 T’ — .
feriamo, 3 a sin z — • « è prossimamente — 2 a — 12800 km. circa, e per questo valore
_ JL
di h il fattore e I della funzione integrandi ha un valore estremamente piccolo, onde
il valore dell’ integrale fra h — 0 e li — 3a sin z — a non differisce praticamente dal valore
dell’ integrale preso fra li — : 0 e li — qo . La condizione di convergenza non porta dunque
altra limitazione alla applicabilità della integrazione [per serie, che di considerare distanze
zenitali sufficientemente grandi (}> 70°J, ma questa è una limitazione facilmente concedibile,
visto che per distanze zenitali sufficientemente piccole (<C 70") riesce convergentissimo lo
sviluppo di Bouguer rettificato nella forma (la).
i Sopra un nuovo sviluppo singolarmente convergente eco.
1
Sommando questo sviluppo col precedente di fr\ (5?), si ot-
tiene come sviluppo definitivo di F (è)
F(z)
1 a sin z
■è>(r) + JL[ ' )t
1 J. ' V n cui v.
0
a sm z
I 3
16 >2 a sili z
2 0
(7)
dove l1 argomento ausiliario T è dato da
T — I sin 4- (90° — s)
l 2
e le 0j , 02 hanno le espressioni (6), mentre la funzione di
Kramp (7T) si intende presa da una delle note tavole, ad es.
(come nei calcoli che seguono) dalla estesa tavola di Radati già
citata a pag. 4.
Questo sviluppo di F (s) riesce, come si è detto, convergen-
tissimo i>er distanze zenitali assai grandi, e intatti oltre *'=84°
bastano due soli termini a fornire il valore di F (s) esatto tino
alla 4a decimale, mentre collo sviluppo (1«) anche nella forma
corretta da me indicata occorsero per g = 85° non meno di 30
termini per ottenere solamente la terza cifra J). Riproduciamo
qui sotto i singoli termini degli sviluppi corrispondenti a
z — 80°, 81°, 89°, pei valori
log l0 = *>,9027583 log' a, — 3,8046410
delle costanti 1 ed a.
z
80"
81°
82"
83°
84",
85°
86"
87"
88"
89°
I
5, 4827
6, 0508
6, 7520
7, 5992
8, 6866
10, 1041
12, 0149
1 4, 6962
18, 6521
24, 8631
li
685
621
558
496
435
375
319
266
219
182
III
2
2
— 1
— 1
— 1
F(z)
5, 5510
6, 1 127
6, 7977
7, 6487
8, 7300 j 10, 1416
1 2, 0468
14. 7228
18, 6740
24, 8813
‘) v. Sulla teoria, d’ estinzione di tiouf/uer. Meni, della. Soc. degli Spettroscopisti Ital.
Voi. XXX, 1901. Pag. 235.
8
A . Bemporad
[Memoria IV].
Nella prima delle note citate ') avevamo ottenuto mediante
la forinola (la) e in parte coll’aiuto delle quadrature numeriche
i valori
0 80" 81° 82" 83° 84"
F{z) 5,551 0,113 0.708 7.040 8,730
in accordo perfetto coi valori dati dalla nuova forinola.
Nella seconda delle note citate avevamo ottenuto mediante
la forinola (2) i valori 2)
z 85" 86" 87" 88"
F(z) 10,1422 12,0474 14,7237 18,6703, (8)
che differiscono al massimo di due unità della terza decimale
dai valori forniti dalla nuova forinola. Ma anche questa pic-
cola differenza non dipende menomamente da scarsa approssi-
mazione dell1 uno o dell’ altro calcolo, bensì dalla diversità delle
costanti assunte nei due casi. Infatti nei calcoli delle due note
citate venne adoperato il valore log 10 — 0, 9025196 in luogo del
valore più esatto log = 0,9027583, che qui venne assunto. Col
primo valore di log 70 anche il nuovo sviluppo (7) di F(z) for-
nirebbe esattamente gii stessi valori (8), che fornisce lo svi-
luppo (2). Ad es. per z — SS" risulterebbe
lk
I 18,6544
Il 219
F( 88°) 18,6763
e la perfetta coincidenza dei valori ottenuti per vie tanto di-
verse dimostra 1’ esattezza di ambedue i procedimenti. Certo il
q ibidem Tal». I, pag.
*) Nella nota in discorso (Sopra un nuovo sviluppo. . . . Memorie XXXI, pag. 113)
vien dato il valore F( 88°) ~ 18,6773 in luogo di 18,6763, come effettivamente deve essere,
e come subito risulta ripetendo la somma «lei termini corrispondenti ad j ^ per « = 88°
(pag. 142), la quale deve leggersi LO, 840829 in luogo di 10,841829.
Sopra un nuovo sviluppo singolarmente convergente eoe.
9
nuovo sviluppo tanto più rapido rende orinai inutile per il se-
guito lo sviluppo (2), ma a noi premeva far rilevare, 'come la
maggior lungliez/a di questo non neccia affatto all’esattezza
dei risultati.
3. Per s — 90°, ossia per la estinzione orizzontale, risulta
T — 9, ed è notoriamente
w (0)
V -
e quindi
0,
, e2
0. — —
e inline
F (90°)
1
4 I 2 a
“( 1)1
32 2 a 1
Coi valori accennati sopra delle costanti l ed a risulta quindi
F (90°) — 35,416 (9ff)
Bouguer ottiene invece per la estinzione orizzontale la e-
spressione *)
p {90o) = M (2 _ « 1 ~ 3P _ 7 a2 F - 18 a l> + 15 F + j
6 (2 a iy 120 (2 a l)^ ì
Quest’ ultimo sviluppo, oltreché più complicato, è inesatto
per il solito vizio d’origine degli sviluppi di Bouguer di aver
h_
ricorso alla variabile u = 1 — e 1 , con che si vengono a tra-
scurare termini, che non sono affatto trascurabili 2). K invero
1) V. G. Mììlj.hk, Die Fhotometrie der Gestirne, pag. 120 (1897).
2) V. Nota: citata Sulla teoria d’ estinzione di Bouguer.
Atti acc. Sekik 4a, Vol. XIX — Mem. IV.
2
10
A. Beni parafi
[Memoria. IVt]
questo sviluppo fornisce per F (90°) il valore
F (90°) — 36,678
con una differenza di più che un’ atmosfera dal valore esatto (9 a).
4. TI procedimento d’ integrazione da noi accennato per
1’ integrale della estinzione propriamente detto, fra i limiti Ji—()
e li = oc, vale a dire esteso dal luogo d1 osservazione tino al
limite dell’ atmosfera, jiuò applicarsi convenientemente anche
quando si prenda come limite superiore un determinato valore
H =|= oc, cioè quando accada di dover determinare 1’ assorbi-
mento di uno strato parziale dell1 atmosfera. Una tale questione
si presenta in varie interessanti ricerche sperimentali, come nelle
osservazioni astrofotometriche eseguite simultaneamente in due
stazioni a rilevante dislivello (Langley, Mùller-Kempf) ovvero
nelle osservazioni fotometriche di nevai alpini (Oddone) e simili.
Le tavole da me date in un precedente lavoro 4) per il calcolo di
risolvono la questione solo per il caso di altezze non superiori
a 5000™ e di distanze zenitali non eccedenti 89°. L’estendere le
tavole fino a 90° sarebbe stato eccessivamente laborioso (almeno
colla forma di tavole da me adottata) in causa del forte anda-
mento, che assumono i valori di F(z) fra 89° e 90°.
Considerando ora, che non è affatto raro di osservare astri
nell’ immediata prossimità dell’ orizzonte, e anche qualche grado
al disotto di questo per stazioni molto elevate 2), non parrà su-
fi L’ assorbimento selettivo dell ’ atmosfera terrestre sulla hi ve degli astri. Memorie «iella
R. Accademia «lei Lincei. Serie 5a, voi. V.
fi Per l’Osservatorio Etneo ad es. la depressione dell’orizzonte tìsico ammonta a circa 1°30/.
h
| /a2 eos2 z -f- 2 ah fi k2
o
Sopra un nuovo sviluppo singolarmente convergente eoe.
Il
perfino accennare qui, come possa agevolmente calcolarsi, caso
per caso, il valore di F {z, H ) per valori q ua-lisi vogliano di sr
e di H.
Avremo anzitutto
F(z, H) = F(z) —
/a2
h
e 1 (a -)- h) dh
cos2 z -\~ 2 a h ■ \ - h*
H
e introducendo ancora la variabile ./• definita dalla (3) e po-
nendo
X, a (1 — sin
H
avremo altresì
a A-1 / e x a (sin z -|- x) dx
—e ' e 1 I , —
F (z, H) = F (z) — e 1 e i/o
•/
x
a sin z x
Ora T integrale del secondo membro non differisce da quello
della forinola (4) se non per avere Xi in luogo di X. Sono
quindi applicabili tutti gli sviluppi seguenti col semplice cam-
biamento di T in
r | 'a (1 — sin 2) -)- H
1 ~~ ' l
Si ottiene così in definitiva, ricordando lo sviluppo (7) di F (z),
1
Fiz, ir
(10)
\2 a sin zi
— ( )
4 '2 a sin zi
l
2
16 '2 a sin z
4 (T) — e 1 4* (T,!
tì, (T) - e '8, ( T)l
0,(2’) - « ' 0, (1\)
12
.4. Beni-por a4
[Memoria IV J.
In pratica, risto che fino ad N9° si possono usare le tavole
citate sopra, e che da 89° in là i termini di 2° ordine sono pic-
colissimi, si potranno trascurare i termini in H,, 0.,, . . . , e si
ha così una espressione di F (s, H) notevolmente semplice e per-
fettamente atta al calcolo numerico fino a ~ = 90". Come esempio
ho calcolato i valori di F(z, 11) per //=3000 e s=86°, 87", ...90°.
1 primi quattro valori si accordano sufficientemente con quelli
• da me calcolati secondo una teoria più rigorosa nel lavoro già
citato.
z
F(z, 3000m )
forni. (10)
forni, rigor.
86IJ
4, 069
4, 447
87
6, 007
5, 779
88
8, 292
8, 1 36
89
12, 743
12, 995
90
31, 258
—
5. Accenniamo ora brevemente, come gli sviluppi conside-
rati di F{z) e di F(ss, H) possano estendersi con tutta facilità
anche al caso di distanze zenitali superiori a 90". In tal caso,
essendo il raggio luminoso volto verso il basso, rispetto al luogo
d’ osservazione, la variabile d’integrazione h (altezza sul livello
del luogo d’osservazione O) non varierà più da 0 ad x per valori
positivi, come vien supposto nella forinola fondamentale (1), ma
assumerà invece dapprimo valori negativi fino ad un minimo — H
(altezza del punto P dove il raggio corre orizontalmente, data,
come subito si vede, da
H — a ( 1 — sin z) = 2 a sin2 -5- , (11)
se Z indica la depressione 'della visuale rispetto all’ orizzonte)
per poi risalire da — H a 0 e quindi da 0 ad x . Scindendo
Sopra un nuovo sviluppo singolarmente convergente eee.
13
corrispondentemente l’integrale F (z) =. F (90° -j- '£) in tre parti
sarà, come subito dimostra una semplice considerazione geome-
trica,
F (90° r- Q
•-H '0
<IF 4- / dF -! F (90" — Q
— H
-H
2 / dF -f F (90" — Q
(13)
*— H
Tutto si riduce quindi al calcolo di f dF; ma questo non
è altro evidentemente (secondo la notazione da noi introdotta
nel precedente §) che F (90°, H) relativo ad un punto situato
all’ altezza — H rispetto al luogo d’osservazione, cosicché il
problema si riduce senz’ altro ad un caso particolare di quello
trattato nel caso precedente, colla sola avvertenza, che non es-
sendo i punti O e P allo stesso livello, converrà moltiplicare
la F (90°,//) per la misura della densità dell’ aria in P rispetto
a quella in O presa come unità, affine di ridurre i due termini
del secondo membro della (13) ad una medesima unità di massa.
H
E poiché la misura in discorso è data da e1 , così avremo
infine ricordando le (9) (10),
F (90° -(- '£_)
/ 2 a
T
n
i — 2 vr ([ H-
t
F( 90° — Q
(14)
dove s’intende che H abbia l’espressione (11).
Un’altra forma di calcolo per F (90° 4- £) può aversi os-
servando che i due ultimi termini della (12) presi insieme costi-
tuiscono f integrale della estinzione orizzontale per il punto P
non differente dall’ integrale da noi calcolato nel § 3 che per
14
A . Rempoi fui
[Memoria IV.]
un fattore corrispondente alla misura della densità dell’ aria in
P rispetto a quella in 0 assunta come unità. Deve esser quindi
ancora
F(90° -f r)
H
eT
1 ì
H
Jf’ (90») (15)
forinola notevolmente diversa dalla (14), e die può servire a con-
trollarla. Così ad es. per z ~ 91°, 92° si trova
« = 90° -f Z
H — 2 sin- ~
2
B
log e 1
log
F (90"
+ Q
91°
<>km , 9735
0, 05289
9,
79398
forni. (14)
55, 137
forni. (15)
55, 132
92
3, 8939
0, 21155
9,
00914
90, 014
90, 0 1 5
Le lievi divergenze che risultano fra i valori calcolati nei
due modi, divergenze del tutto trascurabili in pratica, sono im-
putabili all’ omissione dei termini d’ ordine superiore.
Forinole affatto analoghe alle (14) e (15) valgono per le fun-
zioni F (z, H ) (integrali della estinzione corrispondenti a strati
atmosferici limitati ad una altezza H' al disopra del luogo di
osservazione) e si deducono anzi senz’ altro dalle (14), (15) col
semplice cambiamento dei simboli F (z) in F (z, //').
N. B. Quando questa nota eia già composta venne a mia cognizione, che il Chiù. ino
Dott. Cerulli, con un procedimento assai diverso, fondato sopra una elegante considerazione
geometrica, giungeva a forinole del tutto analoghe a quelle qui date.
Lieto della conferma ricevuta per parte del chiaro Astronomo, che mi onora della sua
amicizia, aggiungo, che la sua nota comparirà fra breve nelle Memorie della Società degli
Spettroscopisti italiani. Voi. XXXVI.
Memoria, V
Sulla identità proiettiva di due curve algebriche
Memoria del D.r GIUSEPPE MARLETTA
RELAZIONE
della Commissione di Revisione composta deì soci effettivi
Proff. G. PENNACCHIETT1 e M. PIERI {relatore).
Da pochi fatti spettanti alla Geometria sull’ente algebrico, l’A. desume
una condizione (sufficiente) affinchè una corrispondenza frazionale fra due
curve del medesimo ordine provenga da un’ omografia «lei loro spazi d’ im-
mersione : e la illustra con molti esempi; deducendone varie eleganti pro-
posizioni — parte già note (quantunque per vie men brevi) e parte non an-
cora osservate. Uno di questi risultati ne accerta, che fra due curve piane
del medesimo ordine prive di punti multipli non può intercedere alcuna
corrispondenza frazionale non lineare : teorema che l’A. generalizza poi di-
mostrando che il simile accade fra due ipersuperficie algebriche dell’ Sr di
ordine n > r 1, con un numero finito di punti multipli secondo i < r.
L’ ultimo § risolve il problema di assegnare — sotto forma notevolmente
semplice — una condizione necessaria e sufficiente acciocché due curve al-
gebriche dell’ 8,. siano infinite volte proiettive fra loro.
La Commissione — riscontrando nelle quistioni trattate dall’ A. e nei
risultati da Lui conseguiti pregi bastanti d’ interesse, di novità e metodo —
propone che questo lavoro sia inserito negli Atti accademici.
Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Meni. V.
1
»•/
■
. •
.
.
-
11 primo capitolo di questa nota lia lo scopo di assegnare
alcuni teoremi, che possono essere utili per decidere se due date
curve algebriche (distinte o sovrapposte) sono riferibili proietti-
vamente fra loro (*).
Alcuni di questi teoremi sono già noti ; e di essi si trove-
ranno qui nuove dimostrazioni di notevole semplicità e natura-
lezza. Altri, invece, sono nuovi, e non mi sembrano privi d’in-
teresse.
Il secondo capitolo è dedicato alla ricerca delle condizioni
necessarie e sufficienti, affinchè due curve algebriche (distinte o
no), siano trasformate l’una nell’altra da infinite omografie.
I.
1. Siano C e C' due curve algebriche d’ordine n, di gene-
re p, e immerse rispettivamente negli spazi [?•] e [»•]' da r di-
mensioni.
Supponiamo che fra i punti delle due curve, si possa sta-
bilire una corrispondenza biunivoca tu. Questa trasformerà la
serie yrn secata su C dagl’ iperpiani dello spazio [r], in una certa
serie di C' . Se coincide con la g'rn secata su C' dagl’ iper-
piani di [r]', allora m individua fra gli spazi [r] e [r\ una col-
lineazione trasformante C in C'.
Ciò avverrà certamente, se o> trasforma s gruppi iperplanari
(*) Per le curve razionali vedi Maulf.tta « Contributo alla teoria delle curve razionali » .
[Read, del Circolo Matem. di Palermo, tomo XXI, 1906].
4
D.r Giuseppe M arietta
[Memoria V].
linearmente indipendenti di C in altrettanti e siffatti gruppi di
C, essendo s il numero dei gruppi linearmente indipendenti,
atti ad individuare una grn sopra una curva di genere p ; ovvero
se i numeri n, r, p sono tali, che sopra una curva di genere p,
esista una sola serie lineare d’ordine n e dimensione r.
Osserviamo che i soli valori possibili di s sono s = 1 e
s — r -f- 1.
Sarà s — 1 se sulla curva di genere p esiste più d’una grn ,
e inoltre è r la massima dimensione che può avere una gn; sarà
s = r -\- 1 negli altri casi. Allorché sulla curva di genere p esi-
ste una sola grn , diremo che questa è individuata da s — 0 dei
suoi gruppi.
2. Da ciò segue senz’ altro il teorema :
« Date due curve 0 e C' d’ordine n, genere p, e immerse ne-
gli spazi [r] e [r]'; se s è il numero dei gruppi linearmente indi-
pendenti atti ad individuare una g* sopra una curva di genere p,
allora qualunque corrispondenza biunivoca fra i punti delle due
curve , la quale trasformi s gruppi iperplanari linearmente indipen-
denti di 0, in altrettanti e siffatti gruppi di 0', individua fra gli
spazi [r] ^ W' una collimazione trasformante O in 0’ ».
Nei paragrafi seguenti illustreremo questo teorema.
3. Sopra una curva di genere p , si abbia una serie lineare
gTn , essendo n > 2 p — 2. Allora è noto (*) che si ha r < n — p\
cioè che n — p è la massima dimensione, che può avere su quel-
la curva una serie lineare d’ordine n.
Dunque, per il teorema del § precedente, possiamo conclu-
dere che :
« date due curve 0 e C' d’ordine n, genere p , con n > 2 p — 2 ,
immerse negli spazi [n — p] e [n — p]', se esiste fra i loro punti
(*) Clifkord « On thè Classifieation of Loci ». [Phil. Trans. 1878].
Segre « Rechcrches générales sur les courbes et les surfaces réglées algebriques » . [ Matk.
Ann., Bd. XXX].
Castelnuovo « Sui multipli di una serie lineare di gruppi di punti appartenente ad una
curva algebrica ».. [Rend. del Circolo Matem. di Palermo, tomo VII, 1893].
Sulla identità proiettiva di due curve algebriche
5
una corrispondenza biunivoca trasformante un gruppo iperpla tiare
di C in uno siffatto di C, allora questa corrispondenza individua
fra gli spazi [n — ]>] e [11 — p]' una collinea zione, la quale tra-
sforma 0 in C' (*).
In particolare dunque sono proiettivamente identiche due
curve ellittiche d’ordine n dello spazio ad n — 1 dimensioni, se fra
i loro punti intercede una corrispondenza biunivoca tale che ad
un punto d’ iperosculazione dell’una, corrisponda un punto sif-
fatto nell’altra (**).
4. Sia C una curva d’ordine n, di genere p, immersa nello
spazio [r], con r < n — p e n > 2 p — 2. La C si può sempre
riferire hi univocamente (***) ad una curva Dx d’ordine n -(- p di
genere p e immersa in un [«]. Essendo n — p la massima dimen-
sione di una gn di Dx , ogni gl~p di questa curva è individuata
da uno qualunque dei suoi gruppi. Onde una gnn~p qualunque
di Dx si ottiene secando la curva con gl’ iperpiani passanti per
il [p — 1] individuato dai p punti della curva, che stanno in uno
stesso iperpiano cogli n punti di un gruppo qualunque di g„~p .
La grn di J)t , che corrisponde alla serie secata su C dagl’ iper-
piani di [r], e la gnn~p individuata da uno qualunque dei gruppi
di grn, devono essere contenute in una stessa g„ , che sarà evi-
dentemente quella gn~p .
Onde la grn in quistione è secata dagl’ iperpiani passanti per
(*) Segre « 1. c. » .
Per p — 1 vedi anche Castelnuovo « Geometria sulle curve ellittiche . [Atti della R. Acc.
di Torino, voi. XXIV, 1888].
Le i/”-' p di una curva di genere p, sono oop- Vedi p. es. Brill e Nother « Veber die
aUjebraischen Functionen » [Math. Ann. Bd. VII]. Dunque sono in numero finito solamente,
se la data curva è razionale. In tal caso è evidente che si ha una sola g"- , e quindi (SI)
ritroviamo il noto teorema, che qualunque corrispondenza biunivoca fra i punti di due curve
razionali normali, individua una colliueazione fra gli spazi delle due curve, trasformante
Luna curva nell’altra.
(**) Segre « Le corrispondenze univoche sulle curve ellittiche » . [Atti della R. Acc. di To-
rino, 1889].
(***) Castelnuovo « ricerche di geometria sulle curve algèbriche » . [Atti della R. Acc. di
Torino, 1889].
(5
D.r Giuseppe Marletta
Memoria VJ.
un certo [n — r — 1] avente p punti in comune con . Proiet-
tando la curva da quest’ [w — r — 1] in un [r] , si ottiene una
curva Cx d’ordine n, proiettivamente identica a C. Dunque C si
può considerare come proiezione di una certa curva I) d’ordine
ìi-\-p di un [n\, fatta da uno spazio 2 da n — r — 1 dimensioni,
avente p punti in comune con T). Conduciamo ora per lo spazio
[>•] di C un \ii — p~\, che appartenga allo spazio [w] di I ). Proiet-
tando I) in quest’ \n — p] dallo spazio [p — 1] individuato dai p
punti comuni a I) e a - , si ottiene una curva F d’ordine ii. È
chiaro che (J si può considerare come una proiezione di F, fatta
dall’ [n — r — p — 1] traccia di 2 in [n — p~\. Dunque:
« Ogni curva (V ordine n e genere p , delio spazio [r] , con
r < n — p, e n > 2 p — 2, è sempre proiezione di una curva d’or-
dine n dello spazio [n — p] >>. (*)
5. Siano date due curve C e C d’ordine n, di genere p ,
immerse rispettivamente negli spazi da r dimensioni [r] e [r]',
con r < ti — p e n > 2 p — 2. Siano I) e I) le curve d’ordine n
degli spazi n — p] e [n — p]\ delle quali C e C' sono rispettiva-
mente proiezioni da certi due spazi 2 e 2' ad n — r — p — 1 di-
mensioni (§ 4). Pra i punti delle due curve C e C interceda
una corrispondenza biunivoca w , trasformante un gruppo iper-
planare di C in uno siftatto di C’, e inoltre s{~\- 1 punti (4=1,
2..., li) di C posti in un -)- r — n p], in -^+1 punti siffatti
di C\ essendo s{ > n — r — p — 1 ; e inoltre gli li spazi -j- r — n -{-p\,
non abbiano alcun punto comune nell’ \r — 1] in cui giace l’an-
zidetto gruppo iperplanare di C. E chiaro che due punti omo-
loghi in u) , sono proiezioni di due punti uno di I) e uno di /),
omologhi in una corrispondenza biunivoca aq, la quale trasfor-
mando un gruppo iperplanare di D in uno siffatto di T)\ indivi-
dua fra gli spazi \n — p] e \n — p]' una colli neazione trasformante
1) in I) (§ 3). Inoltre, per le altre condizioni alle quali soddi-
(*) Veronese « Beliandluny der projectivischen Verhaltuisse
. [Matti. Ann. Bel. XIX].
i Sulla identità proiettiva di due curve algebriche
sfa co , sono omologhi nella detta collineazione gli spazi S e 2'.
Concludendo :
« Date due curve 0 e C' d’ordine n e genere p, immerse ne-
gli spazi da r dimensioni [r] e [r]', essendo r < ri — p, ed n > 2p — 2 ;
se esiste fra i loro punti una corrispondenza biunivoca trasformante
un gruppo iperplanare di C in uno siffatto di C' ed Sj 1 punti
(i = /, 2,.., li) di 0 posti in un [Sj -)- r — n -f- p] , in Sj. -j- 1 punti
siffatti di 0', essendo s£ > n — r — p — 1 ; e se inoltre gli li spazi
[Sj -f- r — n — {— p] non hanno alcun punto a comune nell ” [r — /] cui
appartiene il gruppo iperplanare anzidetto di 0, allora quella cor-
rispondenza individua fra gli spazi [ r] ed [r]' una collineazione che
trasforma C in C' ».
Facciamo qualche caso particolare.
a) Si ponga: n=5, p=l, r— 3, li— 1, ^=1. Il teorema
ora dimostrato ci dice, che date due qui litiche gobbe ellittiche
C e C\ se fra i loro punti si può stabilire una corrispondenza
biunivoca trasformante un gruppo piano di C in uno siffatto di
C', e i due rami (distinti o coincidenti ) di un punto doppio di
C, in quelli di un punto doppio di C', allora la detta corrispon-
denza biunivoca individua fra gli spazi delle due curve una
collineazione, la quale trasforma C in C'. Si noti però, che il
punto doppio di C (di C'), non deve appartenere al piano dei
gruppo di C (di C) anzidetto.
b) Si ponga : n— 5, p— 1, r=3, 7>=2, .^=3, s2= 2. Il teo-
rema ci dice, che date due quintiche gobbe ellittiche C e C',
se fra i loro punti si può stabilire una corrispondenza biunivoca
trasformante un gruppo piano G di C , in uno siffatto G' di C,
quattro punti complanari di C in quattro punti complanari di
C\ e tre punti allineati di C in tre punti allineati di C', allora
la detta corrispondenza individua fra gli spazi delle due curve
una collineazione, la quale trasforma C in C'. Per altro la retta
dei tre punti di C (di C') e il piano dei quattro punti suddetti
della medesima curva, non devono avere in comune alcun punto
del piano di G (di G').
8
D.r Giuseppe Marletta
[Memoria V].
c ) Si ponga: n=5, ^>=1, r— 3, 7/=2. s\=2 s2—2. Il teo-
rema ci dice che date due quintiche gobbe ellittiche C e C', se
fra i loro punti si può stabilire una corrispondenza biunivoca
trasformante un gruppo piano G di C , in uno siffatto G' di C',
e due trisecanti di C in due trisecanti di C\ allora la detta
corrispondenza biunivoca individua fra gii spazi delle due curve
una collineazione trasformante C in C' . Si noti però, che le due
trisecanti di C (di C') non devono avere alcun punto del piano
di G (di G') in comune.
6. È noto che la massima dimensione che può avere una
g2p_ 2 sopra una curva di genere p, è p — 1 ; e che anzi sopra la
curva esiste una sola gl~ % , che è precisamente la serie canoni-
ca. Ne segue (§ 2) che
« date due curve 0 e C (V ordine 2p — 2, di genere p, e immerse
in due spazi [p — 1] e [p — da p — 1 dimensioni , qualunque cor-
rispondenza biunivoca passi fra i loro pienti , individua una colli-
neazione fra gli spazi [p — 7] e [p — /]', trasformante 0 in C' ». (*)
Per es., se due sesti eli e gobbe C e C' di genere p = 4 si
corrispondono biunivocamente, esse saranno proiettivamente iden-
tiche.
7. Siano C e C' due curve piane d’ordine n > 3 ciascuna
priva di punti multipli. Le curve F d’ordine n — 3 del piano [2]
di C , secano su questa una c/i- " ("-3) che è la serie canonica di C.
Se fra i punti di C e di C' esiste una corrispondenza biu-
nivoca co , questa trasformerà la serie canonica di C in quella
di C\ cioè farà corrispondere ad ogni gruppo di n (n — 3) punti
di C appartenenti ad una curva F, un gruppo di altrettanti punti
di C\ giacenti sopra una curva F d’ordine n — 3. Ora vogliamo
dimostrare che ad n punti allineati di C corrispondono, in virtù
di oc, n punti allineati di C'\ cioè che co individua fra i piani
delle due curve una collineazione trasformante C in C'.
A tal tine supporremo che, per un certo valore di * _< n — 3
(*) SeCtRE « Rcchcrche» . .
. » 1. c.
Sulla identità proiettiva di due curve algebriche
9
gli ns punti di C appartenenti ad una curva qualsivoglia E,
d’ordine s , abbiano sempre i loro corrispondenti in C' sopra
una curva E's ; e dimostreremo che al lora, se n (s — 1) punti di
C appartengono ad una curva E,_ l d'ordine s — 1, anche i loro
corrispondenti apparterranno necessariamente ad una E's_x . E
infatti il gruppo degli n (s — 1) punti comuni a Ce ad Es_x ap-
partengono ad oc2 curve Es , ciascuna composta della Es_1 tissa
e di una retta; onde per gli n (s — 1) punti corrispondenti di C
passeranno ancora ro2 curve E's . Ma due E's non possono avere
})iù di s2 punti comuni ; dunque se è n (s — 1) > s2, le oo2 E\
dovranno avere una parte fissa comune contenente gli n (s — 1)
punti. Ne segue che questa parte fissa è necessariamente una
E\_x ; atteso che una curva E's_2, p. es., non può secare in
n fs — 1) > n {s — 2) punti la curva irriducibile C’ . Resta solo da,
far vedere, che per 1 < s < n — 3 è sempre n (s — 1) > -v2: e invero
da n > s -|- 3 ed s > 1 si deduce n (s — 1) >_ tr -j 2.v — 3 > s2.
Concludiamo che:
« Se fra i punii di due curve piane dello stesso ordine n > 3,
ciascuna priva di punti multipli , si può stabilire una corrispondenza
biunivoca , questa individua fra i loro piani una colli ovazione , la-
gnale trasforma Vinta curva nell’altra ».
8. « Se fra i punti di due ipersuperficie o forme algebriche 0 e C'
dello stesso ordine n degli spazi [r] e [r]', prive di punti multipli,
con n > r -4- 1, si può stabilire una corrispondenza bir azionale, que-
sta individua fra gli spazi [r] e [r]' una colli oraziane trasformante
C in C' » (*)
(*) È noto die il sistema canonico della superficie C d’ordine » di uno spazio ordinario
[3], priva di punti multipli, è secato, per n 4, dalle superficie d’ordine n — 4. Analoga-
mente il sistema canonico della forma C d’ordine n di un [}•], priva di punti multipli, è se-
cato. per n r -)- 1, dalle forme d’ordine » — r — 1. L’assenza di punti multipli non è
necessaria : le forme potrebbero avere, p. es., un numero finito di punti multipli ordinari
di multiplicità i < r — 1 ; visto che le forme d’ordine n — r — 1 secanti il sistema cano-
nico di C, devono contener questi punti in qualità di punti (i — r -f- 1) pii. Una proposi-
zione analoga per due superficie d’ordine ». 4 non contenenti altre curve che intersezioni
complete trovasi già dimostrata nelle Ricerche di Geometria sulle superficie algebriche » del
prof. F. Enriques [Meni, dell’ Acc. delle Scienze di Torino, v. XLIV2 , Capit. III].
Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Meni. V.
10
D.r Giuseppe Marletta
[Memoria V].
Questo teorema si dimostra in modo perfettamente analogo
a quello del § precedente; sapendosi che i due sistemi lineari
(canonici) segati su C e su C' dalle forme ( aggiunte ) d’ordine
n — r — 1 debbono essere omologhi nella data corrispondenza biu-
nivoca. Però, mentre nella dimostrazione precedente ad n (s — 1)
punti di C corrispondevano necessariamente n (s — 1) punti di
C', per il teorema del presente § occorre stabilire, che alla va-
rietà da r — 2 dimensioni C Es_ x, che è d’ordine n(s — 1), corri-
sponde su C' una varietà pur essa d’ ordine uguale ad n (s — 1).
E infatti r — 2 forme generiche Es d’ordine s di [r], si tagliano
in una superfìcie P d’ordine sr~2 , la quale seca C in una curva
7 d’ordine nsr~2. A 7 corrisponderà in C' una curva 7' ancli’essa
d’ordine ns7~2 , giacché ad una forma Es corrisponde una E\.
La varietà C Es_1 ha (s — 1) nsr~2 punti in comune con 7, onde
anche 7', avrà (s — 1) nsr~2 punti comuni con la varietà di C'
corrispondente alla C Eg^. ]Se segue che questa varietà di C' è
incontrata in (s — 1) nsr~2 punti dalla superficie P' (d’ordine sr~2),
e quindi essa è d’ordine n ( s — 1). c. v. d.
In modo analogo al teorema del § precedente, si proverebbe
il seguente :
« /Se fra i punti di due curve inane d1 ordine n > 4 , ciascuna
dotata di un solo punto doppio, si può stabilire una corrispondenza
biunivoca, questa individua fra i dite piani una collineazione tra-
sformante l’ima curva nell’altra ».
9. Sia data una curva d’ordine n , genere p con n < 2 p — 2,
e immersa nello spazio [r]. Nella presente ipotesi, anzi che cer-
care in generale qual’ è la massima dimensione che può avere
sulla curva una gn , la qual cosa del resto è facile a farsi (*)
ogni qual volta si conoscano i valori di n e di p, ci limiteremo
a registrare nella seguente tavola i casi più semplici ; osser-
vando che anche alla presente ipotesi di n < 2 p — 2, può appli-
carsi il teorema del § 2.
(*) Castelnuovo « Sui multipli .... » 1. e.
Sulla identità proiettiva di due curve algebriche
11
=ordine della ser.
n = 2p — 3
n~ 2p — 4
n = 2p — 5
n~2p — 6
n = 2p — 7
n = 2p ■ — 8
n = 2p — 9
n — 2p — IO
2 p
2p
11
12
jp=gen. della curva
P
p
p
P
P
P
P
P
P
P
r = massima dimens. di una gn.
r = p — 2
r = p — 3
r =p — 3
r = p — 4
r =p — 5 (Per p=6 è invece r—p — 4=2).
r—p — 5
r = p — 6
r = p — 7 | Per p— 8, è invece r—p — 6=2 i
( » p= 9, '» » r —p — 6=3 !
r =p — 7
r—p — 8. (Per p = 9, è invece r—p — 7=2).
Esempi. Indicando con C%>p una curva d’ ordine n e genere p
dello spazio [r], si ha :
Sono proiettivamente identiche due curve 6”5
» » » » » G'f 6
» » » » » C*5
C’37,6
C!,,
Ci, ,
^2,7
C\7,8
C%9
CÌ,io
Silo
°3,11
se fra i loro punti può sta-
bilirsi una corrispondenza
biunivoca , trasformante
un gruppo iperpiano del-
1’ una, in un gruppo iper-
piano dell’ altro.
10. Ecco un altro teorema (§ 2) semplicissimo :
« Date due curve 0 e 0 d’ordine n, genere p, immerse negli
spazi da r dimensioni [r] ed [r]', qualunque siano del resto i valori
di n, di p e di r ; se esiste fra i punti delle due curve una cor-
12
TJ.r Giuseppe M arietta
[Memoria V].
rispondenza biunivoca trasformante r 4- 1 gruppi iperpiani linear-
mente indipendenti di 0 in altrettanti gruppi siffatti di C', allora
la detta corrispondenza individua fra gli spazi [r] e [r] una col-
li reazione che trasforma 0 in C ».
Per esempio, date due curve razionali C e C' d’ordine n,
degli spazi [?■] ed [r]' ciascuna dotata di r -[- 1 iperpiani ipero-
sculatori singolari, cioè di contatto n — punto, allora condizione
necessaria e sufficiente affinchè le due curve siano proiettiva-
mente identiche, è che siano proiettivi i due gruppi dei punti
di contatto dei detti iperpiani iperosculatori singolari (*).
Per r = n — 1 e C = C\ questo teorema è già noto (**).
II.
1. Ci proponiamo ora di trovare le condizioni necessarie e
sufficienti, affinchè due date curve algebriche C e C (distinte o
coincidenti), siano infinite volte omografiche ; o vogliam dire,
affinchè esistano infinite omografìe fra i loro spazi, rispetto a
ciascuna delle quali esse siano corrispondenti.
Cominciamo dall’osservare che per un noto teorema (***) il
genere delle due date curve, non è maggior d’uno ; cioè che in-
dicando con p il genere delle curve C e C\ può essere soltanto
^=0, ovvero p— - 1. Quest’ ultima ipotesi si esclude facilmente.
Infatti ogni omografia che trasformi C in C coordinerà, p. es.,
il punto di contatto di un iperpiano stazionario di C' ad un
punto siffatto di C ; e in generale ad un punto di C dove que-
sta curva abbia qualche singolarità proiettiva , un punto di C',
nel quale C è dotata della stessa singolarità. Ma esistono (in
generale) due sole (****) corrispondenze biunivoche fra i punti di
(*) Marletta « ]. c. »
(**) Lorjia — « Intorno alle curve razionali d’ordine 11 dello spazio a n — 1 dimensioni. »
[Rendiconto del Circolo Matern. di Palermo, tomo II (1888)].
(***) Schivare « Ueber diejenigen algebraischen Gleichungen zwìschen » Iourn
f. Math. 87.
(****) Queste corrispondenze sono 4 se C’ e C sono armoniche, e 6 se C e C' sono equi-
anannoniche. Vedi Se orf. <- Le corrispondenze » 1. e.
Sulla identità proiettiva di due curve algebriche
13
C e C', tali che abbiano come omologhi due punti dati a pia-
cere, lino in Ce l’altro in C' : onde saranno per certo in numero
fui i/o le omografìe fra gli spazi [r] e [r\ (dove supponiamo im-
merse le C e C'), tali da trasformare queste due curve V una
nell’altra.
Concludiamo perciò, che se due date curve, distinte o coin-
cidenti, sono trasformate l’una nell’altra da infinite omografìe,
esse sono entrambe) razionali.
2. Come è noto, intanto, le curve C e C’ sono oc3 volte
omografiche se è n = r, essendo n l'ordine di esse. Onde basta
considerare 1’ ipotesi di r < n.
La curva razionale C ha (r -f- 1) (n — r) iperpiani stazionari.
Sia u un iperpiano di [>•] avente un contatto m — punto in M
con C, essendo n > m >_ r -\- 1 ; esso secherà ulteriormente la curva
in n — m punti distinti da M, uno dei quali sia per es. A.
Ogni omografia Q. esistente fra gli spazi [r] e [r]', e rispetto
alla quale si corrispondono le due curve C e C trasforma S in
un iperpiano di [>•]', avente un contatto m — punto con C in
un certo punto M\ e secante la medesima curva in un gruppo
di n — m punti, distinti da M\ che chiameremo Af [i — 1, 2, ...
... , n m ). Ad 0 dunque è subordinata un’ omografia binaria w
fra i punti di C e C\ aventi come omologhi M ed M\ A e A'{;
dove i ha un determinato valore. Ma l’ iperpiano 2, che è da
contarsi in — r volte fra gli (r -f- 1) (n — r) iperpiani stazionari di
(7, non gli esaurisce tutti : per la qual cosa le omografie fra gli
spazi [r] e [r]', aventi come omologhe C e C', sarebbero in nu-
mero finito. In altri termini 1’ ipotesi dell’esistenza di iperpiani
stazionari come S, con n > m > r -(- 1, contradice all’altra, che
le C e C siano infinite volte omografiche. JSe segue che se C
e C' sono infinite volte omografiche, ciascuna di esse è neces-
sariamente dotata di r -}- 1 iperpiani stazionari singolari, cioè di
contatto n — punto.
3. Siano C e C' due curve razionali siffatte. Coni’ è noto (*),
(*) Marletta 1. c. I.
14
D.r Giuseppe Marletta
[Memoria Vj.
qualunque omografia Q esistente fra [r] e [r]' e tale ila trasfor-
mare C in C, determina fra i punti di queste curve, una omo-
grafia binaria co , rispetto alla quale sono corrispondenti i due
gruppi dei punti di contatto degl’ iperpiani stazionari singolari
e viceversa, se w è un’ omografia binaria siffatta, essa individua
una omografìa Si fra [r] e [?•]', rispetto alla quale C e C si cor-
rispondono. Onde condizione necessaria e sufficiente affinché C
e C' siano infinite volte omografiche, è che i punti di contatto
degl’ iperpiani stazionari singolari di C (e similmente di C) si
distribuiscano in due gruppi, ciascuno formato di punti infinita-
mente vicini.
Possiamo dunque concludere che
« le condizioni necessarie e sufficienti affinchè due curve ( distinte o
coincidenti ) O e C', siano trasformate V una nell’ ultra da infinite
omografie degli spazi [r] e [r]' cui appartengono , sono :
la) che esse siano razionali ;
2a) e poi , o che esse siano normali , ovvero che ciascuna sia dotata
di r -|- 1 iperpiani stazionari singolari , e gli r -f- 1 punti di contatto
si raccolgano in due gruppi , uno formato da s punti infinitamente
vicini , e V altro da r — s -\- 1 punti pur essi infinitamente vicini ,
essendo 1 < s < r ».
Si noti infine, che per r~2k — 1, e s — k , esistono due si-
stemi oo1 di omografìe fra gli spazi [r] e [?•]', le quali trasfor-
mano C in C'.
Catania, ottobre 1905.
Memoria TI.
Sulla direzione delle correnti atmosferiche in Catania
Dr. FILIPPO ERED1A
RELAZIONE
della Commissione di Revisione composta dai Soci effettivi
Proff. G. P. Grimaldi ed A. Ricco ( relatore )
L’ A., quando era assistente nell’ Osservatorio di Catania, raccolse dalle
registrazioni del nostro Anemografo i dati per lo studio della frequenza dei
venti nelle varie direzioni ; elaborato poscia questo materiale, presenta ora
per mio mezzo all’ Accademia una nota importante per la meteorologia e
climatologia di Catania, e che perciò ritengo meritevole per se stessa e
conveniente per 1’ Accademia di pubblicarsi nei propri Atti.
D’ accordo con l’A. si sono soppresse alcune tabelle che non erano as-
solutamente indispensabili : così la stampa riuscirà meno gravosa.
Il Relatore
A. RICCO
Le correnti aeree nelle altissime regioni dell’atmosfera, de-
vono certamente mani testare fenomeni regolari e costanti, ma
presso terra , gli ostacoli prodotti dalle prominenze e dagli av-
vallamenti del suolo, gli attriti, i riscaldamenti o raffreddamenti
locali ed altre simili cause influiscono talmente sulla loro dire-
zione da complicare le leggi generali con molteplici deviazioni
ed anomalie.
Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Meni. VI.
1
9
D.r Filippo Eredia
[Memoria VI].
Rendesi quindi indispensabile uno studio lungo ed accurato
del fenomeno, con buoni mezzi di osservazione, per determinare
con esattezza il modo di azione delle circostanze locali, e i ca-
ratteri particolari delle modificazioni che esse producono.
L’Osservatorio Astrotisico, la cui direzione è affidata al
chiarissimo Prof. A. Ricco , trovandosi in possesso d’ un ec-
cellente anem om etrografo Brassart , ho voluto qui riunire i
risultati che questo strumento ha som ministrato nel periodo
discretamente lungo 1892-1902 che io ho studiato con lo scopo
di apprestare qualche elemento relativo a queste ricerche e cer-
care di dedurre le leggi che regolano in Catania la direzione
delle correnti atmosferiche.
Il padiglione meteorologico, annesso all’ Osservatorio Astro-
tìsico, è isolato da tre lati per cui non subisce perturbazioni nè
impedimenti da terreno o da altri fabbricati, che restano molto
al di sotto.
Come tetto della camera meteorologica c’ è una terrazza
sulla quale sporgono le parti superiori collettrici dell’ anemome-
trografo, all’ altezza di m. 98 sul mare e m. 10 sul suolo.
In tutto quello che segue deve intendersi che 1’ unità di
tempo è l’ora, cioè che il numero delle osservazioni di base è
di 21 per giorno. Pippiù siccome 1’ anemometrografo indica
unicamente le direzioni dei quattro punti cardinali e le inter-
medie, le mie ricerche si limiteranno agli otto punti principali
della rosa dei venti. Bisogna ancora avvertire che i giorni sono
contati da una mezzanotte all’ altra e che V anno è valutato
meteorologicamente, cioè dal 1° dicembre al 30 novembre del-
1’ anno seguente.
Nella compilazione dei quadri riassuntivi si ebbe cura di
tralasciare intieramente quei giorni in cui mancavano alcune
ore di registrazione, ed a un esame scrupoloso furono sottoposti
i dati, cercando così di garentire maggiormente 1’ attendibilità
delle conclusioni.
Mi furono di guida in tale laborioso lavoro i consigli del
Sulla direzione delle correnti atmosferiche in Catania
chiarissimo Prof. A. Piccò e mi è grata F occasione per espri-
mere i sensi della più alta stima e riconoscenza.
«
Cominciamo a considerare il periodo annuo.
Ho determinato per ogni mese il numero delle volte che è
stato osservato il vento in ciascuna direzione per tutto il periodo.
Però onde avere numeri che siano tra di loro più esattamente
paragonali, ho ridotto la frequenza a 10000 cioè ho supposto
che in ogni mese si siano fatte 10000 osservazioni. La tal). I.
dà queste frequenze in diecimillesimi.
Un esame alla sunnominata tabella permetterà trarre le
conclusioni che qui sotto trascrivo.
Il vento della direzione Ovest è predominante nei mesi di
Gennaio, Pehhraio, Marzo, Novembre , Dicembre ; col massimo
in Gennaio e Dicembre.
11 vento della direzione Est è predominante nei mesi di
Giugno, Luglio, Agosto, Settembre , col massimo principale in
Giugno, e massimo secondario in Settembre.
Il vento della direzione NE è predominante nei mesi di
Aprile, Maggio, Ottobre, col massimo principale in Aprile.
I venti delle direzioni W e E si presentano sempre con
proprietà opposte coincidendo i massimi dell’uno coi minimi
dell’ altro.
II N spira con maggiore frequenza nei mesi da Ottobre a
Marzo che negli altri.
Il S spira con poca frequenza e raggiunge il massimo in
Marzo ed il minimo in Luglio ed Agosto.
Il SE segue F E ; il SW e NW seguono F W quasi per
tutto F anno.
Allo scopo di maggiormente fare risaltare F andamento della
frequenza delle singole direzioni, adoperando il noto metodo di
4
D. r Filippo Eredia
[Memoria VI.]
Schouw abbiamo ridotto le otto direzioni alle quattro direzioni
principali; ed i valori relativi tro vansi qui sotto trascritti :
N
S
W
E
Gennaio
.... 2100
1702
4692
1470
Febbraio
1431
4125
2643
Marzo
.... 3281
1787
3754
3330
Aprile
.... 3375
1422
2787
4000
Maggio
1358
2137
4159
Giugno
.... 2025
1391
1248
3869
Luglio
.... 1009
1121
1048
3571
Agosto
.... 1531
1325
1146
3206
Settembre ....
.... 2026
1148
2062
2808
Ottobre
.... 2645
865
1979
2420
Novembre ....
.... 2120
768
2119
1848
Dicembre ....
.... 2860
1204
4351
1768
Operando sui soprascritti valori, approssimativamente risultano
le seguenti proporzioni :
Gennaio . . . .
. . . N :
: S
= 2:1
W :
: E =
4
: 1
Febbraio . . . .
. . . N :
: S
= 3:1
W :
: E =
2 :
: 1
Marzo
. . . N :
S
= 3:1
tV :
E =
1 :
: 1
Aprile
. . . N :
: S
= 3:1
W :
: E =
1 :
: 2
Maggio
. . . N :
: S
= 2:1
W :
: E =
1 :
: 2
Giugno
. . . N :
: S
= 2:1
W :
: E =
1 :
: 3
Luglio
. . . N :
S
= 1:1
W :
: E =
1 :
: 3
Agosto . . , . .
. . . N
: S
= 1:1
W :
: E =
1 :
: 3
Settembre . . . .
. . . N
: S
= 2:1
W
: E =
1 :
: 1
Ottobre
. . . N :
: S
= 3:1
W :
: E =
1 :
: 2
Novembre . . . .
. . . N
: S
= 3:1
W :
: E =
2 :
: 1
Dicembre . . . .
. . . N :
: S
= 2:1
W :
: E =
3 :
: 1
Da cui si deduce come nei mesi d’ inverno abbiamo pre-
dominio dei venti settentrionali e occidentali ; nei mesi della
primavera settentrionali ed orientali; nei mesi dell’ està orienta-
li e nei mesi dell’ autunno settentrionali ed occidentali.
Sulla direzione delle correnti atmosferiche in Catania
5
Per i singoli mesi abbiamo anche :
Gennaio
Febbraio
Marzo . .
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto
Settembre
Ottobre
Novembre
Dicembre
N
+
s
: W
E
= 3
: 6
N
4
s
: W
4
E
= 4
: 6
N
+
S :
W
4
E
== 5 :
7
l\
4-
S :
: W
4
E
= 4 :
: b
N
4-
S :
W
4
E
= 4 :
6
N
+
S :
: W
4
E
= 3 :
: 5
N
+
S :
W
4
E
__ 2 :
4
N
4
S :
W
4
E
= 2
: 4
N
-h
S :
: W
_j_
E
= 3
: 5
N
+
S :
: W
4
E
= 3 :
: 5
N
S
: W
+
E
= 2
: 3
N
_i_
S
: W
4
E
= 4
: 6
Abbiamo dunque per tutti i mesi dell’ anno una leggiera
preponderanza dei venti che agiscono secondo la direzione del
parallelo in confronto a quelli che agiscono secondo la direzio-
ne del meridiano.
E ciò dipende certamente dal fatto che i primi spirando
dalla direzione del mare sono più liberi, mentre i secondi spi-
rando dalla direzione della terra ferma, incontrano un forte osta-
colo nel monte Etna.
Esaminando infine la tabella I che ci dà la frequenza re-
lativa per i singoli mesi, ci risulta come il NE è sempre supe-
riore del N soltanto per i mesi di Marzo, Giugno, Luglio, A-
gosto, Settembre; inferiore dell1 E per tutti i mesi.
Il SW è sempre inferiore all’ W e superiore del S; il SE
sempre inferiore all1 E e superiore in alcuni mesi al S.
Donde deduciamo che nel periodo da noi esaminato non ri-
sulta la costanza di quella legge per la quale i venti intermedii
prevalgano sui principali.
ifc-
Riassunte le particolarità delle singole direzioni delle cor-
renti, cerchiamo di vedere in che relazione stanno i nostri dati
con quelli emessi da altri che in tale studio ci precedettero, uti-
lizzando altre serie di osservazioni.
6
D.r Filippo Erediti
[Memoria. VI.]
Le prime osservazioni meteorologiche rispondenti al caratte-
re scientifico, riguardano il decennio 1817-1826; esse furono sa-
pientemente discusse dal valoroso scienziato C. Geni m ella ro che
nel suo pregevole lavoro: « Saggio sopra il Clima di Catania»
così dispone i venti per ordine di frequenza : W, E, XW, SE,
XE, SW, IX, che rispettivamente furono predominanti per mesi
41, 31, 23, 13 , 7 , 3 , 2. Operando col metodo di Schouw su
questi dati, otteniamo:
N-j-S:0-fE — 6:11
il che, analogamente a quanto abbiamo detto innanzi, ci segnala
il predominio dei venti secondo la direzione del parallelo. I va-
lori delle quattro direzioni principali sono : X = 50, S = 16,
W = 67, E = 51 ; questi valori ci dicono come i venti disposti
secondo la frequenza così si succedono : W, E, X, S. Successione,
che se si pone in confronto a quanto superiormente abbiamo
detto pel periodo 1892-1902, coincide esattamente.
Lo stesso può dirsi pel periodo 1833-1840 e 1840-1846 di
osservazioni fatte sotto la guida del dotto Grem niellare.
*
% *
Per il periodo diurno abbiamo scelto come unità le stagioni
poiché è evidente che aggruppando per trimestri le quantità re-
lative alla frequenza dei venti nel periodo diurno, debbonsi in
parte eliminare ed in parte attenuare gli effetti delle anomalie
accidentali.
Abbiamo notato nella tabella II e seguenti il numero delle
volte che ha spirato il vento da una data direzione per tutto il
periodo, per ciascuna ora ed allo scopo di avere quantità che
siano tra di loro paragonabili, abbiamo ridotto la frequenza os-
servata a 10000 ; analogamente a quando si fece pel periodo
annuo.
Sulla direzione delle correnti atmosferiche in Catania
7
Un primo sguardo a siffatte cifre ci fa notare come in
primavera, estate ed autunno, non esiste più quella regolarità
mirabile di andamento nella frequenza della direzione dei venti
che si nota in inverno ; sembra che l1 aria più densa e pesante
pel freddo, sia in inverno meno che nelle altre stagioni soggetta
a svariati cambiamenti di direzione.
E ciò sembra confermare quanto è noto, che in inverno le
variazioni atmosferiche si estendono equabilmente in vastissime
regioni della superficie terrestre , mentre nelle altre stagioni e
massimo in estate sono molto più localizzate e variabili.
Bimane ancora facile trarre le seguenti conclusioni :
In autunno : il vento N spira con maggiore frequenza du-
rante la notte che durante il giorno, raggiungendo il massimo
nelle ore del minimo della temperatura.
NE, E, SE hanno lo stesso andamento ; la loro frequenza
aumenta coll’ aumentare del calore e raggiunge il massimo nel-
r epoca del massimo calore.
NW, W, SW presentano anche lo stesso carattere diminui-
scono coll1 aumentare della temperatura e raggiungono il massimo
nell’epoca del minimo calore.
Abbiamo dunque in autunno due tipi principali di frequen-
za; l’uno rappresentato dai venti NE, E, SE, e l’altro dai
venti NW, W, SW. I primi predominano nell’ epoca del mas-
simo calore appunto quando per essere il suolo riscaldato più
del mare vengonsi a produrre delle correnti che vanno dal mare
alla terra apportando una temperatura fresca; i secondi predo-
minano nell’epoca del minimo calore appunto quando per esse-
re il mare più caldo del suolo si producono correnti che vanno
dalla terra al mare e che per l’attraversare che fanno di estese
regioni coltivate ci apportano dell’ umidità in abbondanza.
Se confrontiamo la frequenza dei venti E e W non riscon-
triamo caratteri opposti, mentre li abbiamo per 1’ E e NW. Il
che vuol dire che il vento che spira dalla direzione W subisce
un forte deviamento per la forte azione esercitata dal nostro
8
D.r Filippo Eredia
[Memoria VI.]
Mongibello; deviamento clie possiamo anche far militare per spie-
garci lo spostamento che subisce il NE relativamente all’ E e
SE. Nelle altre stagioni si ripete lo stesso tipo di frequenza che
abbiamo notato per Y autunno, solo abbiamo dei valori maggio-
ri o minori per i venti di E e W, a seconda del succedersi del
massimo e del minimo del calore.
La calma in tutte le stagioni diminuisce col crescere del-
la temperatura; al nascere del sole si mantiene veramente un
po’ alta, e tale rimane per un po’ di tempo e ciò dipende cer-
tamente dal fatto che 1’ azione del sole non si manifesta subi-
tamente.
R. Osservatorio Astrotisico di Catania, Gennaio 1906.
titilla direzione delle correnti atmosferiche in Catania
9
Tav. I.
Frequenza dei venti dedotta dalla somma della frequenza nelle 24 ore.
C
N
NE
E
SE
s
SW
W
NW
Somma
Gennaio .
1858
274
399
373
96
134
775
1428
567
5904
Febbraio .
1110
449
670
507
155
71
495
982
602
5040
Marzo .
1083
416
950
752
257
216
578
1066
564
5882
; Aprile .
1431
261
1104
684
401
66
311
732
482
5472
I
Maggio
1724
332
931
1019
436
68
275
533
418
5736
Giugno
2417
248
729
1068
394
100
294
244
170
5664
! Luglio .
2931
128
647
937
464
27
152
250
199
5736
Agosto.
3093
161
461
816
585
27
158
240
267
5808
Settembre.
2612
237
496
814
287
69
297
457
419
5688
Ottobre
2720
422
690
597
136
151
222
499
443
5880
Novembre.
2924
408
515
486
55
114
270
653
288
5712
| Dicembre .
1682
443
484
416
129
134
438
1358
737
5822
Frequenza relativa, supponendo che le osservazioni
per ogni mese siano 10000.
Gennaio .
3147
464
676
632
162
227
1313
2419
960
10000
Febbraio .
2203
891
1329
1006
308
141
982
1949
1194
1 0000
Marzo . . 1
1842
707
1615
1278
437
367
983
1812
959
10000
Aprile .
2615
477
2017
1250
733
121
568
1338
881
10000
Maggio
3006
579
1622
1777
760
119
479
929
729
10000
Ginguo
4268
438
1287
1886
696
177
518
430
300
10000
Luglio .
5110
224
1128
1634
809
47
265
436
347
10000
Agosto.
5325
277
794
1405
1007
46
272
414
460
10000
Settembre.
4592
417
872
1431
505
121
522
803
737
10000
Ottobre
4626
718
1175
1015
230
257
378
849
752
roooo
Novèmbre.
5119
714
902
850
96
200
472
1143
504
10000
Dicembre .
2889
762
832
714
222
230
752
2333
1266
10000
Atti acc. Skkik 4;
Voi..
XIX— Meni. VI.
10
D.r Filippo Eredia
[Memoria VI.J
Tav. II.
INVERNO (Frequenza per 10000).
Ore
C
N
NE
E
SE
S
sw
W
NW
0- 1
136, 4
29, 2
33, 8
16,7
5, 4
3, 0
38,2
98,4
56, 1
1- 2
133, 6
32, 2
33, 8
18, 5
3, 6
5, 4
44, 7
93, 0
52, 5
2- 3
128, 2
27, 4
26, 2
19, 7
6, 6
7,2
51, 3
99, 5
53,7
3- 4
131, 8
27,4
26,8
18, 5
7,2
12,5
47, 1
91, 2
55, 5
4- 5
131, 8
31, 0
21, 5
20, 3
7,2
9, 5
38,2
102,0
55, 5
5- 6
137, 2
28, 6
25, 0
17, 3
6, 6
13, 7
40, 6
100, 2
47, 7
6-7
132,4
27, 4
28, 0
12, 5
7,2
10, 7
46, 5
97, 2
54, 9
7- 8
134, 8
29,8
27,4
18, 5
6, 6
13, 1
42, 3
98, 4
45,9
8- 9
134, 8
26, 6
37, 6
19, 2
6, 6
13, 1
45, 3
94, 2
39, 4
9-10
135, 4
26, 8
37,7
23, 3
8,9
13, 1
52, 5
89, 4
29,8
10-11
116, 9
23, 3
37, 6
35, 8
13, 7
14, 9
53, 7
88, 8
32, 2
11-12
96, 6
20, 3
15, 9
47, 7
10, 4
8,9
54, 3
93, 6
39, 4
12-13
76, 3
19, 1
47,1
64, 4
18, 5
12, 5
41, 7
99, 6
37, 6
13-14
76, 3
25, 6
47, 7
69, 8
19,1
16, 1
41, 1
76, 9
44, 1
14-15
58, 4
29, 2
53, 7
74, 5
19, 1
10,1
55, 5
81,7
34, 6
15-16
84, 7
28, 0
55, 5
66, 2
16,7
9, 5
35,8
82, 3
38, 2
16-17
99, 0
29,8
50, 1
62, 0
17,3
6, 6
35, 8
76, 9
39, 9
17-18
110, 3
37, 0
57, 2
35, 8
8, 3
6, 0
30, 3
81, 1
50, 7
18-19
121, 7
29, 2
54, 9
24, 4
7, 7
4,8
34, 6
90, 6
48,9
19-20
121, 1
30. 4
38, 2
30, 4
9, 5
1, 7
33, 4
96, 0
56, 1
20-21
112, 1
37,0
42, 9
21,5
3, 0
4,2
36, 4
107, 9
51, 3
21-22
115, 7
35, 8
34, 0
19, 7
7, 7
1,7
34, 6
106,2
61, 4
22-23
127, 6
32, 2
30, 4
22, 1
4, 2
1,8
45, 3
100,2
53, 1
23-24
118, 1
32, 8
35,2
13, 7
6, 6
1,7
39, 4
104, 4
65, 0
Sulla direzione delle correnti atmosferiche in Catania
11
Tav. III.
PRIMAVERA (Frequenza per 10000).
Ore
C
N
NE
E
SE
S
sw
W
NW
0- 1
1 51, 6
30,4
48, 6
12, 9
4, 7
3, 5
31, 6
80, 2
53,2
1- 2
158, 0
30,4
43, 3
15, 8
3, 5
5,8
26, 9
77, 8
55, 0
2- 3
160, 4
31, 0
43, 9
12, 3
V2
4, 7
28, 1
82,5
1
52, 7
3- 4
152, 7
31, 0
48, 0
11, 1
2,3
5, 8
26, 3
79, 0
60, 3
4- 5
166, 2
31,0
47, 4
8, 8
4, 2
2, 9
32, 2
76, 1
50, 9
5- 6
171, 5
29, 8
41, 5
12, 9
1,2
5, 8
25, 7
78, 4
49, 7
6- 7
169, 7
17, 5
52, 7
13,5
4, 1
8, 8
33, 9
72, 6
43, 9
7- 8
158, 6
16, 4
55, 0
18, 7
10, 5
11, 1
38, 0
65, 0
43, 3
8- 9
109, 4
16, 4
63, 8
47, 4
24, 6
19, 9
43, 3
65, 5
26, 3
9-10
59, 7
15, 8
59, 1
84, 8
52. 7
15, 8
43, 9
57, 3
27, 5
10-11
35, 7
13, 4
64, 9
113, 0
63, 2
15. 8
37, 5
48, 6
24, 6
11-12
26, 9
15, 2
67, 9
132, 3
72, 0
11, 7
29, 8
42,1
18, 7
12-13
22,8
11,1
79, 6
140,5
72, 0
12, 3
23,4
33, 4
21,6
13-14
21,1
17, 5
89, 5
141, 0
70,2
8,8
21, 6
28,7
18, 1
14-15
20, 5
18, 7
94, 2
148, 6
57, 9
9, 9
20, 5
24, 6
21, 6
15-16
23, 4
24, 0
108, 8
138, 1
55, 0
7,0
17, 6
25, 7
17, 0
16-17
34, 5
22, 8
115, 8
120, 0
46,8
8,8
18, 7
26, 3
22, 8
17-18
56, 2
28,7
124, 1
95, 4
35, 7
7, 6
16, 4
31, 0
21, 6
18-19
87, 2
26,3
120, 6
62, 6
25, 2
8, 8
24, 0
oOj /
26, 3
19-20
117, 0
32, 8
110, 6
33, 3
13, 5
7, 0
24, 6
54, 4
23, 4
20-21
131, 1
33,3
86, 0
24, 6
9,4
7,0
26, 9
63, 8
34, 5
21-22
146, 3
33, 3
70,8
19, 3
4,7
5, 3
27, 5
71, 4
38, 0
22-23
148, 7
33, 9
58, 5
15,2
4,7
5, 3
30, 4
72, 0
48,0
23-24
151, 0
29, 3
52, 1
12, 3
4. 1
5, 3
32,2
72, 0
58, 5
12
D.r Filippo Eredia
[Memoria VI. ]
Tav. IV.
ESTATE (Frequenza per 10000).
Ore
c
N
NE
E
SE
S
SW
W
NW
0- 1
299, 3
20,9
11, 6
6,4
0, 6
2, 3
21, 5
33, 7
20, 3
1- 2
307, 4
11, 6
9, 9
4, 6
0, 0
2,3
17, 4
35, 4
27, 9
2- 3
325, 4
12, 2
6, 4
5, 8
2, 4
1, 2
17, 4
23, 2
22, 7
3- 4
335, 3
11, 0
9,9
3, 5
1,2
0, 6
16, 8
18, 6
19,8
4- 5
333, 5
14, 5
7, 5
4, 6
0, 5
1, 7
14, 5
22,1
17,4
5- 6
331, 8
11, 6
8,1
4,6
0, 5
0,0
13, 4
23, 2
23, 2
6- 7
325,4
11, 6
9, 9
7, 6
1,2
3,5
19, 2
18, 6
19, 8
7- 8
287, 6
11, 6
20, 9
16, 8
1, 1
9, 3
19,8
20, 3
19, 2
8- 9
216, 8
9, 3
26, 7
41, 3
43, 6
8,7
25, 6
25. 6
19, 2
9-10
138, 9
8, l
38, 3
97, 0
72, 6
7,0
27, 3
13, 9
13,4
10-11
90, 6
8,7
51, 7
135, 4
87, 7
5,8
16, 3
9, 9
10, 5
11-12
72, 0
7,0
64, 5
153, 4
87, 7
5, 8
10, 5
8,7
7,0
12-13
45, 3
7,0
75, 5
166, 2
93, 6
4,6
12, 2
7, 0
5,2
13-14
43, 0
6, 4
77, 9
166, 2
97, 0
5,2
11, 6
3,5
5, 8
14-15
37, 2
5, 8
84,8
170, 9
90, 1
4,6
10, 5
5, 8
7,0
15-16
51, 7
9,3
96, 5
158, 1
76, 7
1,7
8, 1
5, 2
9,3
16-17
83, 1
11, 0
91, 8
138, 9
66, 2
1, 1
8,1
1,6
8,7
17-18
112, 1
16, 3
92, 4
124, 4
47, 1
1,7
5, 2
9, 3
8,1
18-19
157, 5
23. 2
81, 3
95,9
27, 9
3, 5
s,:
11, 6
7, 5
19-20
214, 4
13,4
72, 0
61, 0
15, 7
2,9
7, 5
15, 1
14, 4
20-21
243, 5
19, 2
55, 2
34,9
8,7
5, 8
1,2
18, 0
19, 2
21-22
274, 2
16, 8
39, 5
19, 8
2,9
3, 5
13, 9
29, 0
16, 8
22-23
286, 5
22, 7
19,2
13, 4
2, 3
2,3
14, 8
32,0
23, 2
23-24
!
292, 3
22, 7
15, 7
8,7
1, 2
1, 7
18, 6
32, 0
23, 8
Sulla direzione delle correnti atmosferiche in Catania
13
Tav. V.
AUTUNNO (frequenza per 10000)
j ■
Ork.
C
N
|
NE
E
SE
S
éw
W
NW
Il
1 «-1
238, 8
33, 9
22, 4
11, 5
2, 9
4, 0
19,0
44, 9
l
36, 8
1- 2
250, 3
30, 5
23, 0
9, 2
l, 7
4, 0
16, 1
43, 2
36. 2
2- 3
248, 6
32, 8
23, 6
8, 0
4, 0
4,6
14,4
4o, i
34. 5
3- 4
248, 6
31, 1
25, 3
8,6
1, 2
6, 3
1 5, 0
40, 3
38, 0
4- 5
248, 0
29. 9
27, 0
6, 3
2, 3
2,9
16, 1
40, 3
41,4
5- 6
1
256, 1
24, 7
23, 0
8, 1
4,0
3, 4
13, 2
38, 5
43,2
6- 7
261, 8
23, 0
21, 3
7, 5
2, 3
4, 0
16,7
37,4
40, 3;
7- 8
249, 7
20,7
26, 5
10, 4
2, 9
6, 3
22, 4
43,7
31, 6
8- 9
214, 0
20, 7
33.9
24, 2
6, 9
10, 9
25,3
52,4
25, 9
9-10
168, 0
14, 4
36, 2
48, 9
16, 1
16, 1
27, 6
58, 7
28, 2
10-11
141, 6
19, 6
39, 7
73, 6
24, 7
15, 5
28, 8
46, 0
24, 7
11-12
118,0
17, 8
46, 6
93, 8
33,4
15, 0
28,2
39, 1
22, 4
12-13
105, 3
12, 7
48, 9
118, 6
31, 6
19, 6
22 4
35, 1
20, 1
13-14
107, 6
16, 1
57, 0
1 20, 3
34, 5
11,5
26, 4
25. 9
15, 0
1 14-15
99, 0
16, 1
69, 0
128, 3
25, 9
10 4
18, 4
32,2
15, 0
15-16
119, 7
21, 3
67, 3
116, 2
20, 1
10, 4
14,4
25, 3
13, 8
' 16-17
145, 0
21,9
70, 7
93, 8
16, 1
8, 6
16, 1
23, 0
19, 0
17-18
169, 7
24,7
74, 2
66, 2
14,3
6, 9
16, 1
28, 8
13,2
18-19
196, 8
27, 0
59, 3
47, 8
10, 4
7,5
18, 4
27, 6
19, 6
19-2U
i
215, 8
33, 9
50, 1
28, 2
5, 2
5, 7
16, 1
36, 8
22, 4
20-21
220, 4
37, 4
42, 6
23, 6
4, 6
6,9
16, 1
39, 7
23, 0
21-22
ii
235, 9
35,1
37, 4
15, 5
2,9
4, 0
13, 8
39, 7
29, 9
' 22-23
242, 2
33, 4
28, 8
13 ,4
4, 0
3,4
16, 1
39, 7
33, 4
| 23-24
249, 7
35, 1
24, 7
9, 8
2, 9
3, 4
16. 7
38, 0
33, 9
Memoria VII.
Trasformazioni delle energie
del Prof. ANTONIO CDRCI.
Le forale più conosciute di energia secondo 1’ opinione co-
nnine sono : meccanica, termica, luminosa, elettrica, chimica, le
quali si trasformano le ime nelle altre.
Questo fa supporre che sia una 1’ energia universale princi-
pale e primordiale , la quale dia luogo trasformandosi da una
in altra forma a secondo il sistema materiale in cui si sviluppa
e secondo quello in cui passa successivamente. Quale è 1’ ener-
gia prima universale da cui si generano le altre '?
L’ attrazione della materia e le sue forme secondarie di
affinità chimica , coesione, adesione , gravità , gravitazione ecc.
sono effetti meccanici di quella primitiva ; onde se queste for-
me sono degli effetti, non sono la energia stessa.
In ogni modo le suddette forme di energia non sono dif-
ferenti per natura e per origine tra loro come si crede erronea-
mente ; esse sono sempre la stessa cosa, sotto differenti stati ed
aspetti, sensibili a noi atte a produrre variati effetti. La stessa
energia primordiale si manifesta ai nostri imperfetti sensi ora
come movimento, ora come calore e luce , ora come elettricità
dinamica e statica, ora come attrazione o affinità chimica ecc.
producendo cambiamenti di materia e di forme e di spazio e
dando luogo agl’innumerevoli fenomeni della natura.
Per comprendere questi principii è necessario vedere da vi-
cino una per una, cosa sono o almeno, quali proprietà hanno le
diverse forme di energia.
1. Elettricità. — Secondo gli ultimi recenti portati della fi-
Atti acc. Serif. 4a, Voi.. XIX— Meni. VII.
1
2
Prof. Antonio Curai
[Memoria VII.]
sica questa energia, tanto importante, sarebbe costituita da mi-
nime particelle di energia, dette elettroni o ioni elettrici, i quali
hanno per carattere più saggiente quello di essere forza viva, in
moto, atti a propagarsi o diffondersi con immensa velocità pei
conduttori e a seconda la conducibilità della materia (1) e per
1’ etere cosmico. Questi elettroni, che si sono conosciuti e dimo-
strati per diverse maniere, sono costituiti di elettricità negativa ;
essi si attaccano agli atomi e molecole dissociate da un solvente
o dal calore o da altra energia, e costituiscono la carica elettrica
degli ioni.
Un elemento o gruppi di atomi e di molecole, caricandosi
di elettroni, si carica di elettricità negativa ; sottraendo elettroni
ad un elemento o molecola, si ha un ione positivo.
Così p. e. sciogliendosi in acqua un corpo , quale CINa o
,S04Na2 si scindono il primo in ione CI negativo e ione Na po-
sitivo, ed il secondo in SO4 ione negativo e Xa 2Ja due ioni po-
sitivi. Questi ioni, quando sono combinati come sali, sono in uno
stato neutrale o di equilibrio, essi sono attratti l’un l’altro e
così reciprocamente si soddisfano; essi sono senza energia inter-
na come vedremo meglio in seguito. Gli atomi , quali quelli
che si dicono allo stato nascente e le molecole, non possono stare
da soli nello spazio ; essi hanno un vuoto e perciò un’ avidità,
un bisogno assoluto di essere associati a qualche cosa o ad altra
materia, come elemento o molecola capace di forza ed energia
contrarià, o almeno ad una carica o data quantità di energia
elettrica positiva o negativa. Natura dborret a vacuo. Perciò
quando il solvente o il riscaldamento protratto opera la dissocia-
zione, gli ioni nello staccarsi e mettersi in libertà gli uni dagli
altri , non possono farlo se non a condizione di combinarsi a
qualche altra materia o di acquistare una carica di energia elet-
trica: in quest’ultimo caso si ha la vera ionizzazione per disso-
(1) A. Righi. — La moderna teoria dei fenomeni fisici (radioattività, ioni, elettroni). Bo-
logna N. Zanichelli — 1904.
Trasformazioni delle energie
3
|!
ciazione, e si lia l’ione libero nell’acqua o nell’aria, cioè un
atomo solo o molecola che ha carica elettrica positiva o negativa.
La carica degli ioni è 96534 Coulomb per ogni valenza, sia
positiva, sia negativa. Crii ioni che hanno funzione chimica ba-
sica sono positivi elettricamente, e gli ioni che hanno funzione
chimica acida sono elettricamente negativi.
Intanto è provato generalmente, sia in Eisica, che in Chi-
mica, che quando vi è dissociazione di molecole e di atomi, vi
è notevole assorbimento di energia dall’ambiente esterno, e sic-
come il calore è l’energia comune che esiste nell’atmosfera e
nella terra, perciò ordinariamente in ogni dissociazione vi è as-
sorbimento di calore.
Egualmente possono essere assorbite altre forme di energia
quando vi sono, con lo stesso risultamento, ma il calore è sem-
pre presente dapertutto a buon mercato , mandatoci dal Sole e
depositato nei corpi.
Questo assorbimento di energia dall’ ambiente esterno è ne-
cessario , perchè nella dissociazione , una molecola o un atomo
che abbandona e si allontana dal compagno, col quale si attrae-
va e si soddisfaceva, si saturava , si neutralizzava, si teneva in
riposo o quiete ; non può esistere senza la carica di enegia ,
che natura aborret a vacuo , e per fare ciò assorbe calore cir-
costante o altra energia se vi si trova: quale azione meccanica,
calore, luce, elettricità ecc. Ripeto che nelle condizioni ordinarie
e comuni il calore è 1’ energia che si trova sempre presente , e
perciò esso è la sorgente principale di energia in ogni reazione
chimica ed in ogni dissociazione. Intanto come abbiamo detto
gli elementi dissociati costituiscono ioni con carica elettrica po-
sitiva o negativa, mentre hanno assorbito calore e in caso ec-
cezionale altra energia. Si può negare e chiudere gli occhi alia
verità del fatto, che il calore dell’ambiente e qualunque calore
si trasforma ipsofacto in carica elettrica, per soddisfare quell’ a-
vidità che hanno gli atomi e le molecole dissociate di essere
soddisfatte ed equilibrate o da una quantità di forza o da una
4
Prof. Antonio Curci
[Memoria VII.]
equivalente quantità di materia % Perciò che ad un equivalente
di elettricità corrisponde un equivalente di materia (V. Peggi
di Faraday sulla elettrolisi).
Non occorre che io qui riferisca le esperienze galvanome-
triche, gli studi di elettrochimica ecc., in cui brillano i nomi di
Faraday, di Ostawald ed altri per dimostrare che gli atomi e
le molecole assorbono calore quando si dissociano , acquistando
carica elettrica, e quando poi si associano e si combinano emet-
tono elettricità, la quale alla sua volta si trasforma di nuovo in
calore o altra forma di energia. Questo è il fatto fondamentale.
Apparisce chiaro che nella dissociazione vi è assorbimento
di energia , che qualunque sia si trasforma in elettricità negli
ioni , e che nella combinazione vi è emissione di energia elet-
trica che si trasforma in altre ; e siccome dissociazione non av-
viene senza assorbimento di energia esterna per formare la ca-
rica elettrica, vale a dire che gli atomi e le molecole associate
sono senza energia interna, che se l1 avessero non avrebbero bi-
sogno di prenderla all’ esterno.
Perciò nelle molecole elettricamente neutre non vi è ener-
gia interna come si presume , ma all’ esterno ha un’ aureola o
atmosfera unipolare o bipolare e anche a più poli, pei quali le
molecole si attirano e possono subire cambiamenti chimici o
atomici. L’ elettricità si tiene all’esterno, alla superfìcie colla ten-
denza a fuggire.
Dunque quando gli atomi si separano assorbono energia ;
quando si uniscono la emettono , e così ciascun atomo alterna-
tivamente o è combinato ad un altro atomo o è combinato ad
una data quantità di elettricità : è questo il fatto fondamentale
espresso dall’ antico adagio natura aborret a vacuo , che talvolta
è ricordato per ridere.
I due ioni, 01 e Na, p. e. separati hanno ciascuno la carica
elettrica contraria, per la quale essi tendono ad attrarsi e com-
binarsi. Si dice che si combinano per affinità chimica, come se
questa affinità fosse una cosa differente dall’ attrazione.' Gli ioni
Trasformazioni delle energie
5
si attraggono perchè hanno carica elettrica con diversa tensione;
se per quantità è sempre la stessa per ogni valenza, negativa o
positiva, per tensione è diversa. Così messi insieme sciolti in
acqua, in cui si ionizzano CINa e IK, si ha uno scambio con
formazione di INa e C1K, perchè sebbene i quattro ioni abbiano
la stessa carica quantitativa, è differente per tensione, la quale
è più forte nel CI che nel I, e più nel K che nel Na ; perciò
i due più forti si attraggono e si combinano, abbandonando gli
altri due restanti, i quali si combinano alla lor volta.
I detti quattro ioni separandosi acquistano la carica elet-
trica, che prendono dal calore dell’ambiente ; nel combinarsi la
emettono come calore in quantità eguale a quella che avevano
assorbito. Intanto la loro carica elettrica è scomparsa; siccome
energia non si distrugge , perciò è obbligo ammettere che tale
elettricità si sia trasformata di nuovo in calore. Ma se dove av-
viene reazione chimica vi fossero le condizioni opportune acciò
l1 elettricità svolta possa immettersi in un conduttore e formare
corrente, allora non si ha sviluppo di calore ; o se ne ha in
parte più o meno, a seconda che più o meno possa trasformarsi
in corrente, o sia forzata a rimanere incontrando resistenza.
Nelle condizioni ordinarie, in moltissime reazioni chimiche
vi è sviluppo di energia termica, perchè l’energia elettrica, che
primieramente si svolge, si trova in ambiente cattivo conduttore
senza potersi trasformare in corrente e quindi obbligato a tra-
sformarsi in calore.
L’ energia chimica non è che energia elettrica e non altro
di diverso; è l’effetto dell’attrazione, come questa è energia mec-
canica generata dalla elettricità, la quale accompagna la materia
ionizzata con diverso potenziale. La teoria elettrochimica di
Berzelius, corretta opportunamente, ritorna, a novella vita.
L’elettricità è una, recentemente si è dimostrata 1’ esistenza
di elettroni negativi, capaci di caricare un atomo od una mo-
lecola e formare un ione elettronegativo ; mentre la mancanza o
sottrazione di questi elettroni costituisce un ione positivo. È
6
Prof. Antonio Curci
[Memoria VII.]
strana questa inversione di concetto alle denominazioni dell’an-
tica teoria.
Ogni processo chimico fornisce soltanto dell’ energia elet-
trica ? Sperimentalmente era stato trovato presso a poco lo stesso
valore e si concluse che 1’ energia chimica si trasforma intera-
mente in energia elettrica. Ulteriore ricerche diedero risulta-
menti meno soddisfacenti. Il problema parrebbe che fosse risolto
per le ricerche teoriche e sperimentali di W. Gribbs, di E. Brami
e di H. v. Helmotz : i quali dimostrarono che in generale esiste
divario fra energia chimica e quella elettrica, vale a dire che
contemporaneamente del calore si genera o viene consumato.
Eppure, se dobbiamo chinare la fronte all’alta autorità scien-
tifica dei suddetti eminenti Fisici, non bisogna mettere in non
cale che in tutte le reazioni chimiche e nei più perfezionati ap-
parecchi che 1’ uomo possa adoperare, non sempre o quasi mai
tutta 1’ energia elettrica, che possa svolgersi, trova le condizioni
opportune per prendere la forma di corrente e che perciò in
tutto o in parte si deve trasformare all’ istante in calore.
Onde è duopo ritornare alla primitiva opinione.
In seguito ai recenti progressi della Elettrofisica e della
Elettrochimica, non che della Elettrofisiologia, non è consentito
di considerare 1’ energia chimica come qualche cosa di differente
dall’ energia elettrica ; ambedue sono la stessa cosa e che quindi
quando ci pare di svolgersi energia chimica non è che energia
elettrica , la quale in tutto o in parte si trasforma in calore o
altra forma di energia quando sia il caso, subito instantanea-
mente nell’atto di rendersi libera o scaricarsi, se non trova tutte
le condizioni complete assolute per essere condotta fuori, ciò che
è impossibile nel mondo, in qualunque punto dello spazio e della
materia.
Prendiamo ad esaminare una combustione per ossidazione.
L’ ossigeno è un elemento singolare , il massimo elettronegativo
ed ogni altro elemento sotto la sua influenza funziona da posi-
tivo. L’ossido che ne risulta è positivo nelle valenze basse, è
Trasformazioni delle energie
7
negativo nelle valenze alte quando si combina a elementi me-
tallici ; è sempre acido cogli elementi metalloidici. L1 ossigeno
ha il potere di fare generare una grande forza elettromotrice, e
quindi una* grande quantità di calore e luce.
In una combustione vi è combinazione di ossigeno al car-
bonio e idrogeno ; i combustibili sono cattivi conduttori della
elettricità ed in generale ogni reazione chimica avviene in un
sistema di materia, in cui l’elettricità che si svolge non può tra-
sformarsi in corrente. La energia o carica elettrica, inerente al
carbonio e all’ idrogeno da una parte , acquistata nel separarsi
dal calore comunicato , e quella inerente all’ ossigeno si svolge
intensa nell’atto della ossidazione. L’ossido risultante è privo di
energia, ma quella energia resa libera resta attaccata ai prodotti
della combustione, non ha conduttori per potersi diffondere, in-
contra da ogni lato resistenza, per necessità si trasforma subito
in calore. Perciò nelle osservazioni ed esperienze, l’energia che
nella maggior parte si manifesta è calore : onde le osservazioni
sono giuste , ma la deduzione è falsa.
Del resto non è strano questo mio concetto, anzi è così sem-
plice e vero che basta considerare il fatto, che ogni corrente elet-
trica tutte le volte che trova resistenza si trasforma in calore e
luce per convincersene. E qui è opportuno ricordare le leggi di
Ionie; cioè: La quantità di calore, sviluppato in un circuito di
corrente o parte di esso nell’ unità di tempo, è proporzionale alla
resistenza e al quadrato della intensità della corrente.
Ond’ è, che l’energia elettrica, che assume le diverse forme
a seconda le condizioni meccaniche e fisiche del sistema, il quale
ordinariamente si trova in condizioni non atte a fare eseguire
un lavoro all’energia elettrica come corrente, è quella che si
trasforma in calore.
L’elettricità è l’energia in moto, è la forza viva, l’anima
del mondo , 1’ energia che tutto muove e trasforma in natura,
ma non sempre può funzionare e compiere un lavoro come cor-
rente. Da per tutto incontra ostacolo o deve rimanere inattiva;
8
Prof. Antonio Curci
[Memoria VII.]
in attesa di lavoro quando occorre; attendere inerte come mo-
vimento come azione è assurdo , inconcepibile ; non può andar-
sene, anzi deve rimanere, deve restare per servire al momento
opportuno, è necessario quindi clie prenda una forma, la quale
possa restare, penetrare tutti corpi, diffondersi lentamente e que-
sta è la forma di calore. Come elettricità tende a disporsi alla
superfìcie e a fuggire ; occorre invece che penetri e vi resti mo-
mentaneamente e questo non può farlo che come calore. Neces-
saria e sublime trasformazione dell’ energia universale.
In natura avvengono decomposizioni e ricomposizioni suc-
cessive ed alternative. Nella dissociazione vi è assorbimento di
energia per formare la carica elettrica, come pure la forza di
affinità o di attrazione tra gli ioni liberi. Gli ioni più forti si
combinano coi più forti, i più deboli coi più deboli , emettono
energia elettrica libera, attiva, la quale compie quel dato lavoro
e produce quel dato fenomeno. In questo immenso lavoro, che
in fondo è un processo di ossidazione, si svolge energia elettrica
e questa come corrente multiforme compie tutte le funzioni vi-
tali degli organismi viventi (1) ed anche una gran parte o tutti
dei fenomeni meteorici e tellurici; in ciò 1’ ettricità avanzata si
trasforma in calore. I prodotti ossidati poi debbono essere de-
composti e allora occorre energia; i componenti nella dissocia-
zione debbono riacquistare quella carica che avevano perduto e
ciò lo fanno assorbendo calore dell’ ambiente. Il calore nel pe-
netrare i corpi, elettrizza negativamente gli atomi, (perchè il
calore è elettricità negativa costituita di elettroni) i quali si
respingono e nel separarsi, i positivi perdono elettroni, i nega-
tivi ne acquistano e si formano le due cariche contrarie ; eli-
minato l’ossigeno, gli elementi che vi restano il carbonio, l’idro-
geno e 1’ azoto si combinano per formare le sostanze organiche.
Questo grandioso fenomeno avviene nella clorofilla delle piante,
in cui i raggi solari si trasformano in corrente elettrolitica, che
(1) V.) Curci L’ organismo vivente e la sua anima.
Trasformazioni delle energie
9
decompone i sali e 1’ acqua, e il cui idrogeno nascente o H io-
nizzato, riduce subito gli acidi ossigenati del solfo, dell’ azoto e
del carbonio, i quali elementi alla loro volta trovandosi liberi
dall’ ossigeno si combinano tra loro. L’ ossigeno restato libero è
respinto dal radicale acido, ambedue elettronegativi, mentre l’i-
drogeno positivo è attratto e opera la riduzione.
Quindi se nella decomposizione degli ossidi fa bisogno di
energia elettrica, questa è fornita dal calore proveniente dall’ e-
lettricità avanzata nelle precedenti ossidazioni e idratazioni,
trasformata in calore. Appunto sotto forma di calore può rima-
nere nell’ambiente, onde attendere e penetrare i corpi per de-
comporli, dopo ritornata come corrente.
Ma ciò si comprenderà meglio quando avremo dimostrato
cosa sia il calore.
2. Calore. — Ein qui abbiamo considerato il fatto del pas-
saggio della elettricità in forma di calore e di altre energie.
Adesso facciamo 1’ inversa, consideriamo il passaggio del
calore in elettricità. Abbiamo diversi fatti che dimostrano que-
sta trasformazione.
a) Abbiamo veduto che nella dissociazione idrolitica , in
quella termica ed in ogni altra, gli ioni liberati assorbono calore
dell’ ambiente esterno e con questo formano la loro carica elet-
trica, che nel combinarsi poi emettono come corrente se vi sono
le condizioni opportune, oppure se mancano queste emettono di
nuovo come calore. Isella dissociazione e formazione di ioni ,
dunque il calore si trasforma in elettricità. Aon fa bisogno di
insistere su questo fatto molto importante e generale ; è chiaro
e incontestabile.
In generale si può ritenere che tutte le reazioni, che av-
vengono fra ioni, disponendo opportunamente 1’ esperienza, for-
niscono una corrente elettrica, come si dimostra coll’apparecchio
di Lepke.
b) In natura non vi sono che le combustioni, le quali danno
calore e luce provenienti dall’ elettricità che primieramente si
Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Meni. VII. 2
10
Prof. Antonio Curci
[Memoria VII.]
svolge. Apparecchi elettrogenici naturali sono gli organismi vi-
venti, i quali sono atti a trasformare alla loro superficie e nel
loro interno tutte le forme eli energia dell’ ambiente in elettri-
cità ; la quale allora compie le diverse funzioni e, producendo
i fenomeni meccanici, fisici e chimici vitali, ritorna alle primi-
tive forme di energia da cui derivò, principalmente in calore.
In questi organismi ogni cellula costituisce una pila o un ele-
mento elettrogenico: protoplasma negativo e nucleo positivo sono
le due parti essenziali per produrre energia elettrica dalle energie
dell’ambiente; per cui l’uno non può fare a meno dell’altro e la
loro coesistenza è necessaria in modo assoluto, perchè si scambino
le correnti di energia protoplasmatiche, che costituiscono il prin-
cipio della vita. L’elettricità in corrente, che nasce e si trasforma
nelle funzioni, costituisce l’essenza della vita: ed essa, che nel
suo insieme considerata costituisce l’anima, proviene dal calore.
Per molto tempo l’uomo ha ignorato il significato di appa-
recchio elettrogenico negli organismi viventi animali e vegetali.
Pu Galvani che fece questa grandiosa ed immortale scoperta e
che io, forte delle molte ricerche posteriori interpretandole nel
loro A7ero significato, indiscutibilmente ho messo in evidenza nel
mio libro U Organismo vivente e la sua anima.
Occorreva inventare un apparecchio elettrogenico artificiale
che, per quanto imperfetto, come cosa fatta dall’ uomo , dimo-
strasse questa elettricità potersi generare dal calore e da altra
energia. In seguito alla scoperta del Galvani, Volta inventa la
sua pila. Epoca memorabile ed unica di un grande avvenimento
per l’umanità e per la scienza! Premetto però, che ogni pila di
qualunque genere non è che un meschino ed imperfetto apparec-
chio elettrogenico, appena paragonabile a quello perfettissimo
naturale della cellula vivente.
Gli immensi studi di Elettrofìsica e di Elettrochimica hanno
avuto degli importantissimi ed inaspettati risultamenti, che io
riassumo brevemente, i quali dimostrano che il calore dell’ am-
biente si trasforma in elettricità.
Trasformazioni delle energie
11
Tutte le pile di soluzione e di concentrazione hanno di
comune, che T energia elettrica fornita non viene generata da
energia chimica, perchè in esse ha sempre luogo semplicemente
un passaggio da una pressione alta ad un’ altra inferiore e sia
questo passaggio effettuato da un corpo gassoso o disciolto, la
provvista di energia del corpo non varia. Nemmeno dall’ energia
interna (T) che non varia può dunque provenire il lavoro ese-
guito ; esso proviene dal calore dell’ ambiente. Per conseguenza
gli elementi galvanici suddetti non ci rappresentano che delle mac-
chine, le quali trasformano il calore delV ambiente in energia elet-
trica (Le Piane, Elettrochimica, 189).
Anche nelle termopile viene trasformato del calore in ener-
gia elettrica ; la trasformazione avviene in seguito al determi-
narsi di una differenza di temperatura. Mentre nelle pile di
concentrazione viene trasformato in energia elettrica il calore
di temperatura costante. È noto che la tormalina col riscalda-
mento si elettrizza; così pure altri corpi: in essi il calore si
trasforma in elettricità.
Nelle pile chimiche (come quella di Danieli) l’energia chi-
mica viene trasformata in elettrica ; ma noi abbiamo veduto che
l’energia chimica è energia elettrica proveniente dal calore, che
il ione zinco acquista disciogliendosi, perciò in fondo è la stessa
cosa. Possiamo concepire questi elementi come macchine in cui
tutta l’energia in esse immagazzinata può essere trasformata in
energia elettrica.
Vi sono altre pile in cui una parte dell’ energia è trasfor-
mata in elettrica, 1’ altra si manifesta come calore, a somiglianza
degli organismi viventi (1).
Altre pile forniscono più energia elettrica di quanto con-
sente la quantità di energia chimica, perchè oltre 1’ energia in
esse accumulata, trasformano anche il calore dell’ ambiente.
Insomma è da concludere che il calore si trasforma diret-
(1) A. Curci — Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre — Atti (lolla
Accademia Gioenia — Catania, Serie 4a, Voi. XVIII.
12
Prof. Antonio Curci
[Memoria VII.J
tamente in elettricità, quando mediante opportune disposizioni
questa possa farsi svolgere come corrente fuori del sistema, e
ciò è ampiamente dimostrato dai diversi apparecchi elettromotori,
che 1’ uomo abbia potuto inventare da Volta in poi.
c) Anche un altro fatto, abbastanza esteso, dimostra che il
calore si trasforma in elettricità, e cioè quello che il calore, oltre
il fornire la carica elettrica agli ioni , quando si trova in ec-
cesso fa aumentare le valenze agli atomi.
Riferisco dapprima un po’ di fatti bruti, di cui in Chimica
ve ne sono numerosi.
Facendo arrivare una corrente di cloro nella calce o potassa
a freddo, si forma ipoclorito (in cui il 01 è monovalente) ; in-
vece nella calce riscaldata si formano, clorati e perclorati, in cui
il CI è polivalente sino a 7. Lo stesso fanno Br e I. Il calore
ha fatto aumentare le valenze col fornire 1’ energia necessaria
a formare le cariche elettriche. Facendo agire il fosforo sulla
potassa a freddo si forma fosfina e ipofosfìto ; facendolo a caldo
si formano fosfiti e fosfati.
L’ acido ipofosforico si forma nell’ ossidazione lenta del
fosforo all’aria umida; bruciando il fosforo all’aria si ha l’ani-
dride fosforica. Il protossido, P40, si ottiene trattando a tempe-
ratura ordinaria fosforo finamente diviso colla soluzione di
alcali caustico in alcool acquoso ; facendo ardere il fosforo in
aria secca si forma anidride fosforosa, P203, e pentossido.
L’ arsenico bruciato all’ aria dà anidride arseli iosa, e questa
ossidata a caldo in una soluzione di acido nitrico dà l1 acido
arsenico.
Il pentasolfuro di arsenico, As”2S5, si ottiene da una soluzione
calda acidificata di acido arsenico, facendo passare una corrente
di H2S ; in soluzione a freddo si ottiene trisolfuro As2S3.
Trattando con acido cloridrico concentrato 1’ ossido od il
cloruro di antimonio si ottiene il tricloruro SbCl3; scaldando
1’ antimonio in corrente di cloro si ottiene il pentacloruro SbCF,
mentre a freddo si ottiene SbCl3. Ossidando 1’ antimonio con
Trasformazioni delle energie
13
acido nitrico diluito si ottiene il triossido Sb203 ; scaldandolo
con acido nitrico concentrato si ottiene l’acido antimonico H3Sb04.
Trattandone il tri cloruro in fusione con un eccesso di cloro,
si ha il pentacloruro. In questo caso nel tricloruro fuso, 1’ an-
timonio, stimolato dal cloro trova nell’ eccessivo calore l’energia
necessaria per formare altre due cariche elettriche positive. Si
capisce che ciò non potrebbe avvenire senza la presenza di ca-
lore o di altra energia.
Sciogliendo il tellurio in acido nitrico si ottiene acido tel-
luroso, fondendolo con carbonato sodico e salnitro si ottiene
acido tellurico.
Il solfo bruciando all’ aria produce SO2 ; in queste condi-
zioni sviluppa quattro cariche positive e non più ; ma questo in
presenza di ossigeno sotto 1’ azione catalitica di asbesto platinato
0 di ossido di ferro o di ossido cromico, dà SQ:! sviluppandosi
altre due cariche positive, e sotto 1’ azione di scariche elettriche
oscure si forma S207. L’ azione catalitica o di contatto non è
che un’azione meccanica, la quale sviluppa energia elettrica nei
corpi, e perciò come le scariche elettriche stesse, modifica e au-
menta la carica degli elementi, per cui questi non solo reagiscono
facilmente tra loro, ma aumentano le valenze.
Nella soluzione di un elettrolita, la somma delle quantità
di elettricità negativa deve essere eguale a quella delle cariche
positive, poiché la soluzione si comporta come elettricamente
neutra. In una soluzione di acido cloridrico la carica positiva
degli ioni H' deve perciò essere identica a quella negativa degli
ioni Of e siccome sono presenti numeri eguali dei due ioni,
ognuno di essi deve possedere una carica eguale, differente solo
per segno. In una soluzione di acido solforico invece i due ioni
H' debbono possedere complessivamente tanta elettricità positiva
quanta negativa ne possiede un ione SO4" ; il quale si dice bi-
valente rispetto all’ idrogeno. In questo ione complesso restano
libere due valenze dell’ ossigeno e perciò due cariche negative.
Le valenze del solfo sono neutralizzate da 6 di ossigeno. Cosic-
1
14
Prof. Antonio Cunei
[Memoria VII.]
cliè ,nelle molecole complesse, mentre si neutralizzano le diverse
cariche degli atomi componenti, si ha una risultante, in cui ogni
molecola rappresenta un sistema polarizzato, con un lato nega-
tivo ed uno positivo. E quando si trova una molecola in pre-
senza di un altra molecola od elemento, si scambia un gruppo
od un elemento che sia più forte del sostituito, cioè elettrica-
mente più positivo o più negativo. Da ciò risulta la varietà
immensa delle reazioni a seconda gli elementi e le condizioni
fisiche con o senza 1’ apparente intervento di un’ altra energia
elettrica, termica, luminosa, meccanica, la quale è sempre e-
lettrizzante, modificando la carica preesistente e favorendo la
reazione.
La valenza dello stesso elemento può essere diversa secondo
la natura degli elementi monovalenti, coi quali esso è combi-
nato. P. e. SH2, SOI4, SPI0, in cui il solfo è bivalente, tetrava-
lente ed esavalente. Il solfo in questi casi rispettivamente allo
idrogeno è elettronegativo e contiene due cariche, rispetto al-
cloro funziona da elettropositivo e sviluppa I cariche, rispetto
al fluoro sviluppa 6 cariche positive. 1 più forti negativi tolgono
più elettroni ai meno forti, i quali diventano positivi, e svilup-
pano corrispondenti valenze con le relative cariche.
Grli alogeni rispetto all’ idrogeno e metalli sono monovalenti,
perchè questi forti elettropositivi neutralizzano elettricità nega-
tiva, e così non permettono che si formino ulteriori cariche ne-
gative e che si aumentino le valenze; si capisce quindi che
al contrario rispetto all’ ossigeno ed altri elementi metalloi-
dici, i detti alogeni sieno polivalenti. Il indo col cloro forma 101'
e col fluore IP15 ; essendo il iodo elettronegativo, per funzionare
da positivo e combinarsi nei due composti notati, ha bisogno di
subire 1’ influenza stimolante di una forte massa negativa, la
quale sviluppa la relativa carica positiva, onde ne avvenga la
combinazione. Perciò 1’ iodo col cloro è trivalente e col fluore
più forte è pentavalente.
Grli elementi i più elettropositivi, neutralizzando energia
Trasformazioni delle energie
15
riducono i metalloidi a monovalenti, i meno elettropositivi in-
vece diventano più polivalenti a misura che cresce il carattere
metalloidico e la carica elettrica negativa. I forti elettronegativi
hanno il potere di sviluppare un maggior numero di valenze ne-
gli elementi e fare funzionare da elettropositivi i deboli metal-
loidici o elettronegativi ; ma ciò in presenza di calore necessario
per formare la carica.
Perciò l’elettronegatività e la massa servono a stimolare, col
concorso però del calore, lo sviluppo di altre valenze e di altret-
tante cariche elettriche. Ad onta della massa dello elemento sti-
molante, la polivalenza non si sviluppa senza la presenza del calore,
che fornisca P energia necessaria per la carica di ogni valenza.
Quando P ossigeno o un alogeno agisce su di un elemento meno
elettronegativo stimola la prima valenza, la cui carica elettrica
è fornita dal calore ambiente ; e in tal caso quando il calore è in
eccesso, sviluppata una prima valenza, favorisce lo sviluppo di
altre consecutive , alle quali fornisce P energia per le relative
cariche elettriche, e quindi provoca la formazione di composti
ad alte valenze ; e allorquando è deticiente, non si possono svi-
luppare le valenze perchè, mancando P energia, non si possono
formare altre cariche elettriche, e valenze vuote di energia non
sono possibili; così si hanno composti a valenze basse.
Dunque ad elevata temperatura aumenta il numero delle
valenze. Ogni valenza ha una carica elettrica di 9C540 Con-
lomb, vale dire colPaumentare le valenze aumentano tante cariche
elettriche, e P elemento per soddisfarsi ha bisogno di altrettanti
atomi, e queste cariche, nelle condizioni ordinarie, non possono
essere fornite che dal calore. Perciò che per ottenere composti
superiori ci vuole la presenza di molto calore, senza del quale
P ossigeno o P alogeno, anche in grande massa, non può fare
sviluppare le altre valenze, per le quali ci vuole energia. Quindi
è da concludere, che mentre la valenza è una funzione elettrica,
il calore si trasforma in elettricità, la quale deve costituire la
carica per ogni valenza.
16
Prof. Antonio Curri
[Memoria VII.]
Vale a dire che formatasi la prima carica, il calore essen-
dovi in eccesso forma di sè stesso altre cariche per altre valenze,
stimolate o provocate dall’azione della massa dell’elemento elet-
tronegativo.
È infine da notare, che il calore nell’ aumentare il numero
delle cariche o le valenze tende a rendere gli ossidi più elettrone-
gativi, meno basici e più acidi. Gli ossidi monovalenti sono più
basici, la basicità diminuisce nei bi e trivalenti e diventa acida
nei plurivalenti superiori. Sono numerosi i fatti che dimostrano
lo esposto enunciato, sia guardando gli elementi secondo la Legge
periodica, sia guardandoli individualmente. P. e. abbiamo 1’ os-
sido ferroso, 1’ ossido ferrico e 1’ acido ferrico ; 1’ ossido manga
noso, l’ossido manganico, 1’ acido manganico e l’acido iperinan-
ganico ; gli ossidi di cromo e gli acidi cromici ecc:. Anche nei
composti alogenati si osserva lo stesso fatto.
Se il calore da una parte fornisce 1’ elettricità per le cariche
delle valenze, e dall’ altra in proporzione del numero delle va-
lenze, i composti sono meno basici e più acidi, formando ioni
elettronegativi , vale a dire che 1’ elettricità da esso fornita è
elettricità negativa. Difatti è provato per altra via che esso
elettrizza negativamente i corpi che riscalda. Vale a dire inoltre
che il calore stesso è una forma di elettricità negativa, cioè è
costituito da elettroni in uno stato speciale di tensione, atti a
penetrare i corpi tutti, siano buoni o cattivi conduttori della
corrente elettrica. Perciò il calore si può chiamare elettricità
termica. Esso penetra direttamente in linea retta qualunque corpo
più o meno lentamente di strato in strato, senza bisogno di
conduzione; per la via che entra per la stessa ne esce; se occorre
vi resta accumulato per lungo tempo.
Stabilito ciò, è facile comprendere perchè il calore opera
la dilatazione dei corpi e la scissione delle molecole in ioni
liberi, carichi di elettricità.
Velie molecole gli ioni combinati sono scarichi di elettricità ;
ma le molecole sebbene siano elettricamente neutre, possiedono
Trasformazioni delle energie
17
alla superficie un’atmosfera di energìa in equilibrio polarizzata,
in virtù della quale si attraggono e si tengono unite, cioè ub-
bidiscono così alle forze di coesione e di adesione, le quali non
sono che forme dell’ attrazione elettromagnetica. Vale a dire
ogni molecola, sebbene non ionizzata , ha un polo negativo ed
uno positivo , per cui tutte si attraggono e si dispongono in
modo speciale geometrico nei cristalli. Perciò in fondo anche
la cristallizzazione è una funzione elettrica. Perciò qualunque
massa più o meno grande di molecole possiede la forza di attra-
zione in ragione di essa.
Abbiamo così un corpo solido. Facendo agire su questo
corpo solido del calore, il quale è elettricità negativa in tensione
speciale , il calore vi penetra, elettrizza le molecole, si capisce
negativamente, facendo scomparire la polarità e uniformando la
carica e la tensione. Le molecole allora elettrizzate omogenea-
mente si respingono, si allontanano sempre più in proporzione
del calore che vi penetra fra di esse, (il corpo si dilata) si ren-
dono mobili (il corpo fonde) infine si separano (il corpo evapora).
Nella separazione prendono una certa quantità di calore , il
quale vi rimane aderente ad esse come carica elettrica polariz-
zata, prevalendo or la tensione positiva ora la negativa secondo
i casi. Le molecole aeriformi si respingono ed acquistano una
forza di espansione , atta a trasformarsi in azione meccanica ,
tanto più quanto più calore o elettricità termica vi si comunica.
Proseguendo il riscaldamento, anche le molecole si scom-
pongono, cioè gli atomi che costituivano la molecola, si separa-
no e allora si formano gli ioni atomici, e quella loro carica
elettrica fornita dal calore si divide in positiva per gli ioni
metallici, in negativa per gli ioni metalloidici nell’ atto della
scissione. Gli è perciò che nella fusione e nella evaporazione vi
è assorbimento di energia e non vi è sviluppo di elettricità. Que-
sta si sviluppa bensì come corrente o come calore quando il
corpo passa da aeriforme a liquido e da liquido a solido, ritor-
nando allo stato primiero, perchè allora si libera dell’ energia.
Atti acc. Skrih 4a, Vor,. XIX — Mem. VII.
3
18
Prof. Antonio Curai
[Memoria VII.]
Come nella evaporazione, avviene nelle soluzioni , cioè il
corpo clie vi si scioglie si evapora nel liquido e assorbe calore.
Le molecole si scindono in ioni carichi di elettricità negativa e
in ioni carichi di elettricità positiva; nell’acqua specialmente
avviene questa dissociazione idrolitica in tanto maggiore quantità
quanto più diluita la soluzione o meglio quanto più solvente si
adopera finché vi è sostanza da ionizzarsi ; come pure avviene
con maggiore rapidità quando più calore è presente nell’ am-
biente liquido, come quello che fornisce 1’ energia necessaria a
ciò 1’ atomo ione staccato ne acquisti la carica, senza della quale
non può staccarsi nè esistere libero.
Dunque il calore è una forma di elettricità negativa in
tensione, in aspettativa, mentre 1’ elettricità è energia in lavoro ;
tutte le volte che l’elettricità si svolge, se non può compiere un
lavoro o neutralizzarsi, e mettersi in equilibrio , si trasforma in
calore , il quale nel mondo forma il deposito dell’ energia , im-
magazzinata da per tutto nello ambiente, per servire, quando
occorre, a fornire quella energia elettrica, la quale deve eseguire
un dato lavoro.
La vita nel mondo e tutti i fenomeni della natura consi-
stono nella vicendevole e alterna trasformazione dell’ elettricità
in movimento, in luce ed in calore ; e di questi in elettricità.
L’ elettricità negativa e positiva sono la stessa cosa, ma
contrarie, a somiglianza di una forma e del relativo oggetto,
come in una fotografia abbiamo la negativa e la positiva, dove
ciò che è nero in uno è bianco nell’ altro, dove è di più o ri-
levato in uno e meno o rientrante nell’ altro.
La forma e l’immagine, la negativa e la positiva, applicati
l’ una sull’ altra, si neutralizzano, si annullano scambievolmente ;
s’ intende in apparenza ; giacché separati acquistano un potere
che 1’ una genera 1’ altra.
La sostanza assume la forma e la forma rappresenta la so-
stanza. Così è l’elettricità positiva e negativa ; separate, quella
rappresenta la mancanza e questa la ^esistenza ; così il corpo caldo
Trasformazioni delle energie
19
contiene elettroni accumulati e condensati, il freddo ne è privo.
Messi insieme tutto si equilibra e in apparenza non si ha nè elet-
tricità, nè calore. Questo è lo stato di riposo o neutro della energia.
Quando le elettricità, negativa e positiva, s’incontrano subi-
scono come una scossa, danno luogo alla scintilla elettrica cioè
a formazione di luce e si neutralizzano, cioè si mettono in equi-
librio e scompare dell’energia elettrica e termica; si ha abbas-
samento di temperatura e assenza di stato elettrico. Forza senza
materia non può lavorare, non può manifestarsi, nè neutralizzarsi;
perciò è lo stesso dire che due corpi elettrizzati oppostamente
(come p. e. fra due nubi o fra una nube e una montagna) cioè
uno carico di elettroni, 1’ altro privo affatto, se s’ incontrano e
vengono a opportuna vicinanza, si forma una scarica tra essi e si
ha un equilibrio di energia ; chi ne ha di più ne cede a chi ne
ha di meno.
In quell’ istante si forma una scintilla (lampo , fulmine e
tuono) si neutralizza dell’ energia e si ha assorbimento di calore
con raffreddamento dell’ ambiente circostante. Si condensa del
vapore e si ha la pioggia con o senza grandine o caduta di neve.
Chi non ha osservato che tutte le volte che scoppia il tuono si
ha un aumento di pioggia e diminuzione negl’intervalli Molte
volte accade di vedere, specialmente in estate, che dopo alcune
giornate di forte caldo, nella sera appariscono nell’orizzonte alcune
nubi elettrizzate, nella notte si scambiano le cariche elettriche,
coi relativi lampi, il giorno dopo la temperatura è molto abbas-
sata, il cielo è nuvoloso e anche piovoso.
I raggi solari, costituiti di elettroni negativi, nell’atmosfera
si trasformano in calore e luce, determinano la evaporazione del-
f acqua, il cui vapore, nel separarsi dalla terra o dai sali che
tiene sciolti, si elettrizza positivamente e sale nell’aria. I raggi
solari ionizzano il vapore acquoso ed ossigeno nell’ atmosfera,
in cui si stabilisce una forte tensione con aumento della pres-
sione barometrica. In questa ionizzazione vi è assorbimento di
calore e così fa bel tempo relativamente fresco.
20
Prof. Antonio L'urci
[Memoria VII.]
In un dato spazio non si può contenere una maggiore quan-
tità di ioni, perciò ad un dato punto la ionizzazione si diminuisce
e si arresta, e siccome continua la evaporazione dalla superficie
della terra e del mare , così, contemporaneamente aumenta la
quantità del vapore acquoso , fino a die 1’ atmosfera si satura.
Allora gli ioni soffrono una pressione, si ricompongono e si ha
emissione di calore e di elettricità con formazione di vapore e di
nebbia e abbassamento della pressione barometrica ; allora fa
tempo umido e caldo.
Mi spiego :
Allora le ionizzate molecole acquose non hanno spazio suffi-
ciente per tenersi a distanza, sono come compresse, si mettono
in contatto, emettono energia di cui sono cariche, in parte sotto
forma di calore; allora si formano le nubi, mentre la tempera-
tura atmosferica aumenta e si hanno le giornate calde afose,
in seguito a quelle fresche e splendide.
Se si formano nubi oppostamente elettrizzate, allora si han-
no le scariche, la neutralizzazione dell’elettricità, 1’ abbassamento
della temperatura e la condensazione dei vapori acquosi in acqua
o in neve come abbiamo detto.
Le meteore e le aurore sono pure effetti di elettricità. Quan-
do si stabiliscono le correnti aeree fra poli ed equatore , si ha
una corrente in alto dall’ equatore al polo, ed una in basso dal
polo all’ equatore.
Le correnti equatoriali sono cariche di vapore elettrizzato e
quando arrivano ai poli, scaricano la loro elettricità con quella
contraria, donde le meravigliose aurore boreali e le tempeste polari.
Ho parlato di ciò per dimostrare che quando una corrente
elettrica è immessa in un conduttore compie un lavoro, è in at-
tività, allora può produrre azioni meccaniche , azioni fìsiche ed
azioni chimiche, subendo le relative trasformazioni; quando questa
corrente può neutralizzarsi si mette in equilibrio, dell’ energia si
rende latente e si ha abbassamento di temperatura ; e quando in-
contra resistenza senza potersi neutralizzare o mettersi in equi-
Trasformazioni delle energie
21
librio con quella contraria, si trasforma in calore e luce. Quindi
il calore è elettricità negativa, non neutralizzata, non in riposo,
ina in forzata coatta inerzia, è in tensione.
Un corpo incandescente è un corpo che emette elettroni ne-
gativi, parte sotto forma di luce, cioè dotati d’immensa forza
espansiva e parte come calore, cioè condensati, penetranti e poco
radianti, e parte come ondulazioni elettromagnetiche e come raggi
dotati di azione chimica ecc., e tutti più o meno ionizzanti. Il
semplice riscaldamento, spinto più o meno, produce pure la ioniz-
zazione di un gas. Tale è il caso delle fiamme e dei corpi arro-
ventati. L’ energia di ionizzazione è allora fornita sotto forma
di energia termica.
Visto cosa sia il calore, si comprende il meccanismo degli
effetti di esso sugli organismi viventi, sia quando manca come
nell’ inverno , sia quando è in aumento come in primavera ed
in estate.
Gli organismi viventi, dai microbi all’uomo, sotto l’influen-
za del calore, ad una data temperatura speciale a ciascuno, si
elettrizzano , e quel calore interno costituisce ed è la manife-
stazione esterna del potenziale elettromagnetico, per il quale le
molecole componenti i protoplasmi e quindi le cellule, le quali
sono altrettante pile elettrogeniche , acquistano eccitabilità ed
energia, la quale però è elettricità. Con ciò ogni cellula si mette
in attività, si desta alla vita. Allora sente le attrazioni e le ri-
pulsioni, cioè tropismo positivo e negativo con altri corpi e con
altre energie dell’ ambiente , si stabiliscono correnti interne e
scambio con quelle esterne ; si formano dapertutto sistemi elet-
trogenici, correnti che operano fenomeni meccanici, fisici e chi-
mici; scambio di materia; decomposizioni e composizioni; ossi-
dazioni e riduzioni ; organizzazioni e disorganizzazioni; morti e
rinascimenti ; vita e morte ; insomma sviluppo di elettricità in
lavoro, di energia attiva, viva. (1)
(1) V. L’ Organismo vivente e la sua anima.
22
Prof. Antonio Curci
[Memoria VII.]
Ogni corpo, come ogni cellula ed ogni organismo vivente
quando è caldo è elettrizzato, perciò allora è eccitabile e vivo,
atto a muoversi e a trasformarsi, attrarsi o respingersi con un
altro, produrre e scambiare energia , attrarre materia , crescere
e moltiplicarsi.
Perciò pare die tutto faccia il calore ; pare giusto il dire
che dove vi è calore c’è vita. È giusto ciò, quando però si con-
sideri che dove v’è calore vi è sviluppo di elettricità e che, il
corpo caldo è corpo elettrizzato. Ciò viene dimostrato dal fatto,
che un corpo qualunque vivo o non, sottoposto ad un agente
elettrizzante meccanico, tisico o chimico, quando è saturato di
elettricità potenziale e che la elettricità sviluppata è superiore
alla sua capacità elettrica o termica o, ciò che è lo stesso, alla
sua capacità per il calore latente, si riscalda ; perchè la esube-
rante elettricità si trasforma in calore. Perciò è da concludere
che il corpo caldo è corpo elettrizzato e che allora è più sen-
sibile e più eccitabile. Quando il riscaldamento è oltre un certo
limite per intensità e per durata, il corpo s’ infiamma : così
avviene il processo infiammatorio in un tessuto vivente (1).
Il calore è l’energia in forzata inazione, è il generatore dell’e-
nergia attiva, l’elettricità, è la forza depositata e presente daper-
tutto per servire a fornire la essenza necessaria, di cui formare
le cariche elettriche negli ioni e nelle molecole, in virtù delle
quali avvengono le trasformazioni della materia e le manifesta-
zioni dei fenomeni della natura e della vita. Ma 1’ elettricità è
quella che direttamente opera ogni fenomeno, trasformandosi alla
sua volta in quelle energie donde ebbe origine. Perciò il calore
rende elettrizzabile ed elettrizza ogni corpo, specialmente ogni
organismo vivente, dai microbi all’ uomo ; perciò pare che esso sia
l’energia vitale, ma non è. Esso è forma di passaggio, iniziale,
la materia prima, ed è avvertito solamente dai nervi tennoestesici,
(1) Curci — Sul Meccanismo dell’ infiammazione — Gazzetta degli Ospedali eco. N. 112,
Milano, 1904.
Trasformazioni delle energie
23
i quali lo trasformano in corrente elettrica, quella eli e dà la sen-
sazione psichica del caldo e che eccita ogni protoplasma e anche
contribuisce all’accumulo del potenziale vitale. Esso, trasforman-
dosi in elettricità o derivando da questa, compie indirettamente
tutti i fenomeni della natura.
È proprio il caso di dire essere e non essere. Quando un
organismo è freddo, non è elettrizzato, non ha potenziale, perciò
non è eccitabile.
Quando manca il calore, come quando il Sole manda raggi
obliqui, vengono sottratti gli elettroni alla materia, l’energia agli
atomi ed alle molecole, i quali e le quali si stringono sempre
più l’un l’altro e s’ immobilizzano, sono senza energia, non sono
elettrizzabili ; cascano in inerzia, in assiderazione, in morte ; la
vita si arresta. Dall’ equatore ai poli si osservano tutte le gra-
dazioni di passaggio tra questi due fatti estremi.
Sicché per ogni pianeta, il suo Sole è la sorgente principale
dell’ energia almeno in apparenza , e noi non sappiamo se gli
astri solari ricevano energia da altra sorgente a noi ignota, op-
pure 1’ abbiano in sé, come costituiti da materia scissa e ioniz-
zata o cioè da ioni carichi di elettricità , i quali in continua
condensazione e combinazione emettono elettroni irradianti nello
spazio dell’ etere cosmico. Questi incontrando i pianeti, ivi pe-
netrano l’ atmosfera e colpiscono la superfìcie terraquea : incon-
trano resistenza nell’ azoto e nell’ ossigeno, i quali sono elettro-
negativi , si trasformano in calore e luce , che dalla crosta
terrestre sono assorbiti e trasformati, mentre una parte di questo
calore e luce dagli organismi viventi ò trasformata in elettricità
attiva , (1) la quale ritorna ad essere emessa come calore , e
così tutto infine nella terra si disperde come correnti magnetiche
(1) Nella clorofilla e altri pigmenti, e nei diversi organi di senso e parti dell’ organi-
smo tutte le forme di energia dell’ ambiente, prodotte dai raggi solari , si trasformano in
correnti elettriche, le quali compiono le diverse funzioni vitali e mettono in attività gli or-
gani adatti.
24
Prof. Antonio Curci
[Memoria VII.]
terrestri (1). Durante la notte avviene neutralizzazione ed irradia-
zione di energia e perciò abbassamento di temperatura.
Ohe la produzione del calore e della luce avvenga nell’at-
mosfera del pianeta, e non nel Sole stesso, sarebbe provato dal
fatto che vi è più calore e luce alla superfìcie del pianeta e meno
nelle alte regioni atmosferiche, dove ad una certa altezza vi è
invece freddo e tenebre; (2) (dovrebbe essere il contrario). Così
pure quanto più i raggi sono perpendicolari alla superficie della
terra, colla quale faccia angolo retto , tanto più vi è calore e
luce , mentre ve n’ è meno in ragione della obliquità. Quando
i raggi sono perpendicolari incontrano più resistenza ; quando
sono obliqui meno resistenza, perchè sfuggono strisciando e vi
è meno azione meccanica.
Perciò nelle regioni tropicali fa più caldo, che nelle polari.
La distanza tra le diverse regioni della terra ed il Sole
non ha alcuna influenza ; essa è troppo piccola.
3. Luce. — La luce è una particolare forma di energia, la
(1) Nella terra si possono formare come dei nodi carichi di elettricità statica, la quale
arrivata ad una certa tensione produce le scosse del terremoto.
(2) Il Direttore dell’ Osservatorio Geotisico di Pavia ha comunicato nel 1905 che avendo
lanciato dei palloni sonda, da un sommario esame del diagramma ottenuto sull’apparecchio
registratore risultò, che i palloni avevano raggiunto una altezza di 14,000 metri, trovandovi
una temperatura di 65 centigradi sotto zero.
Inoltre si dimostra la genesi locale del calore dal fatto che da un giorno all’altro, co-
me anche nello stesso giorno si ha diverso grado di temperatura nelle diverse città.
Ed ecco un esempio :
Roma 9 Agosto 1905, ore 15 — V.) Massa 31.2, Alessandria 30.6, Novara 32, Pavia 31.6,
Milano 31.3, Brescia 32.5, Cremona, 31.2, Mantova 32.8, Verona 32.4, Udine 30.1, Treviso
32.8, Venezia 30.6, Padova 31.3, Rovigo 34, Reggio Emilia 32, Modena 31.1, Ferrara 31.9,
Bologna 32.9, Ravenna 30.5, Porli 32.8, Pesaro 34.4, Ancona 35.2, Urbino 31.9, Macerata
33.5, Ascoli Piceno 35.5, Perugia 32.5, Camerino 31.8, Lucca 30.1, Livorno 30,5, Firenze
31.3, Arezzo 33.4, Siena 31, Grosseto 35.1, Roma 34.3, Teramo 35.8, Chieti 34.6, Foggia 37,
Bari 34.2, Lecce. 34, Caserta 34, Napoli 31.1, Benevento 32.5, Cosenza 34, Reggio Calabria
32, Trapani 30.1, Palermo 33.8, Messina 33.2, Catania 32.1, Siracusa 33.6, Cagliari 34, Ta-
ranto 34.3, Civitavecchia 35.
Questo prova che il calore si produce localmente a seconda la densità dell’ aria, pres-
sione barometrica, umidità, vento, separazione e congiunzione di ioni, produzione o neutra-
lizzazione di elettricità, etc.
Trasformazioni delle energie
25
quale, proveniente dal Sole come raggi rettilinei, quando colpisce
l’atmosfera e la superficie terrestre si trasforma in oscillazioni
elittiche somiglianti a quelle del pendolo ; tali raggi di vibra-
zioni vengono riflessi dal corpo colpito e sono percepiti dagli
organi visivi nei quali si forma 1’ immagine dell’ oggetto. Que-
sti raggi, detti luminosi, in ogni pigmento e specialmente nella
clorofilla e negli organi della vista, come sulla lastra fotografica,
sono trasformati in corrente elettrica, la quale nelle piante pro-
duce la elettrolisi dell’ acqua e delle sostanze ossigenate, da cui
si sprigiona ossigeno e si formano le sostanze idrocarbonate sem-
plici ed animidate ; e negli organi visivi degli animali, detta
corrente, presa dalle espansioni della retina, per il nervo ottico
va a fare capo ai centri nervosi , dove produce la sensazione
visiva psichica. Che sia così è dimostrato col galvanometro, il
quale fa vedere che quando penetra nell’occhio un fascio di luce,
si sviluppa una corrente nei centri cerebrali corrispondenti. Così
che negli organismi viventi i raggi luminosi, da oscillazioni trasver-
sali passano a corrente elettrica, a somiglianza del calore, che pure
alla sua volta si trasforma in corrente elettrica nei nervi terinoe-
stesici, la quale nei centri dà la sensazione di caldo. Per ogni
forma di energia vi è negli organismi un organo speciale, gusto,
olfatto, udito, tatto, il quale la trasforma in corrente elettrica.
La corrente elettrica, la quale negli organi visivi è prodotta
dalla luce, non solamente produce la sensazione psichica , ma
anche, riflessa dal sistema nervoso, diventa corrente elettrolitica,
la quale eccita il ricambio materiale. Fu dimostrato da Mole-
schott e da altri che la luce, per mezzo degli organi visivi, fa
aumentare 1’ esalazione dell’ acido carbonico, e poi tutti sappiamo
che alla luce ci sentiamo più eccitati, più energici, più caldi,
più vivi, più allegri, più felici.
Ma in questi ultimi anni in Fisica è stato dimostrato che
la luce è dovuta ad elettroni, diffondendosi con grande rapidità,
i quali quando colpiscono un corpo acquistano un moto vibra-
torio dittico e si riflettono, peroni a noi è possibile vedere il corpo,
Atti acc. Serie 4a, Voi,. XIX — Mem. VII.
4
26
Prof. Antonio Curci
[Memoria VII.]
col quale i nostri organi visivi sono in relazione mediante tali rag-
gi. Oggi dopo molti studi si ammette che le onde luminose sono
onde elettromagnetiche. (1) Perciò non è più da rifiutare nè da
sembrare strana la mia teoria, d’altronde dimostrata dal galva-
nometro, che la luce nei pigmenti e negli organi visivi si trasfor-
ma in corrente elettrica , essendo già costituita da elettroni o
forma irradiante di elettricità. Come le cariche elettriche degli
ioni in una pila si scaricano sugli elettrodi e generano la cor-
rente, così le onde luminose o elettroni diffusibili si scaricano
nei pigmenti, si modificano e generano la corrente, la quale è
presa dalle espansioni del nervo ottico o dai granuli dei proto-
plasmi negli organismi inferiori, formando una sorgente di ener-
gia vitale. Dunque la luce genera elettricità in corrente ed è
forma di elettricità. Richiamo 1’ attenzione sopra questo argo-
mento fisiologico da aggiungersi a quelli tìsici.
Inoltre la luce fu già dimostrata da Melloni e da altri es-
sere identica al calore ; calore e luce si accompagnano sempre;
noi abbiamo sopra dimostrato che il calore è una forma di elet-
tricità costituita da elettroni condensati ; dunque calore e luce
sono forme o stati della stessa energia, che noi conosciamo sotto
la denominazione di elettricità.
I fenomeni meravigliosi, attribuiti ai raggi catodici, sono
prodotti dai raggi rettilinei, che partono dal catodo, in aria ra-
refatta, i quali sono dotati della proprietà di riscaldare i corpi
da essi colpiti, spesso ancora di renderli luminosi , di dare ori-
gine col loro urto su di un corpo (anticatodo) a nuovi raggi di
altra natura, che sono poi i famosi raggi del Rontgen, e infine
di rendere conduttore il gas entro il quale si propagano.
Oltre tali effetti viene ammesso generalmente , che i raggi
catodici possano , urtando corpi leggieri e mobilissimi metterli
in moto, che A. Righi crede avere dimostrato, che tale effetto
meccanico dei raggi catodici sia un effetto secondario almeno
(1) A. Righi. — L’ Ottica delle oscillazioni elettriche — Bologna 1897 — Idem La moderna
teoria dei fenomeni fisici — Bologna. 1904.
Trasformazioni delle energie
27
in massima parte del riscaldamento da essi prodotto. {Il moto degli
ioni nelle scariche elettriche. Bologna Ditta W. Zanichelli, 1903).
Quindi i raggi catodici sono ad un tempo elettroni, i quali
prendono forma di elettricità, di calore e di luce.
I raggi catodici sono deviati da una calamita e perciò sono
elettromagnetici e, dall’accurato studio che è stato fatto d’ un
tale fenomeno, si è dedotto, che essi si comportano come fosse-
ro costituiti da corpuscoli elettrizzati negativamente e dotati di
grandissima velocità e cioè di elettroni negativi liberi.
È noto, che i fenomeni della luce e del calore raggiante
possono considerarsi come fenomeni elettromagnetici, e che dalle
equazioni del campo elettromagnetico possono desumersi quelle
che rappresentano la propagazione delle onde luminose (Righi).
Lorentz ha supposto che agli atomi della materia siano con-
giunte delle particelle elettrizzate o tutte positivamente o tutte
negativamente, le quali prendano parte per via di assorbimento
o di emissione al fenomeno elettromagnetico. In particolare la
emissione della luce sarebbe dovuta a quelle particelle, le quali
perchè elettrizzate, generano vibrando quelle onde elettromagne-
tiche che chiamiamo onde luminose. Zeemann, con lo studio delle
radiazioni di un gas luminoso, le quali si modificano sotto 1’ a-
zione di un forte campo magnetico, in cui ogni riga dello spettro
di emissione è sostituita da un gruppo di righe nuove, ha dato
dimostrazione e conferma di questa teoria.
Con ulteriori studi di questo fenomeno si è riconosciuto,
che nelle righe nuove sdoppiate, la luce è polarizzata e si è
giunti a dovere ammettere, che le particelle vibranti abbiano
carica negativa, e che le particelle, le quali prendono parie colle
loro vibrazioni ai fenomeni luminosi propagati dall1 etere , altro
non sieno che gli elettroni negativi , che già i raggi catodici ci
avevano fatto conoscere.
I raggi X sono ionizzatoli, producono fenomeni chimici come
ogni corrente elettrica, sono penetranti in linea retta anche at-
traverso cattivi elettroconduttori, a somiglianza del calore.
28
Prof. Antonio Curci
[Memoria VII.]
Essi sono originati dai raggi catodici e questi da elettroni
negativi e cioè da elettricità.
Anche le altre radiazioni sono derivanti da elettricità tra-
sformata, onde è sempre una quella energia, la quale prende i
diversi aspetti ed acquista delle proprietà, per le quali si distin-
guono le diverse forme sensibili ai nostri sensi e ai nostri ap-
parecchi. (1) In modo che le forme sono diverse ma la sostanza
o 1’ essenza dell’ energia è una.
Da quanto abbiamo esposto risulta una conseguenza assai
importante, cioè quella che i raggi catodici sono ad un tempo
irradiazioni elettriche (elettroni), calore e luce, vale a dire sono
costituiti da energia, la quale facilmente assume le tre forme
principali di elettricità, di calore e di luce, oltre alle forme se-
condarie. Presumo quindi di avere dimostrato l’unità dell’energia.
4. Energia Chimica. — Ora che abbiamo veduto quali sono
le forme principali ed essenziali dell’energia e quali le sue tra-
sformazioni, possiamo comprendere appieno il valore della sup-
posta energia chimica.
Sono stati i Biologi e Fisiologi, i primi a commettere questo
errore i quali, dominati dal più cieco materialismo chimico si
sono formati una idea confusa e fantastica che la vita e ogni
fenomeno vitale, (funzioni) fossero effetto di reazione chimica e
manifestazione o lavoro di energia chimica senza sapere cosa
sia. E da ciò ne è seguito la ipotesi, generalmente accetta come
verità fondamentale, che in ogni funzione vitale, vi sia in ori-
gine una reazione chimica, e da questa si svolga 1’ energia detta
chimica, la quale generi le altre energie per la esplicazione delle
funzioni o dei fenomeni vitali e che quindi è ritenuta come la
sorgente principale, anzi la madre delle altre energie : energia
vitale, elettrica, termica, luminosa ecc.
Così il pensiero, un atto riflesso, la contrazione muscolare
non sarebbero che effetto di una reazione chimica.
(1) È molto probabile cbe vi sieno nel mondo irradiazioni ancora ignote.
Trasformazioni delle energie
29
Questa opinione comune è completamente erronea e falsa,
come risulta dal nostro studio precedente ; ed anche senza di
questo, basterebbe domandare a questi Signori: quale sarebbe la
causa prima che determinerebbe la reazione chimica generatrice
del pensiero, dell’atto riflesso, della contrazione muscolare, della
sensazione ecc. Lo stimolo, si risponderebbe, determinerebbe la
reazione chimica nelle cellule e da ciò l’esplosione dell’ energia.
Ma noi rispondiamo e dimostriamo che lo stimolo sviluppa 1’ e-
nergia immediatamente senza l’intermezzo della reazione chimica,
come tutta la Fisica sperimentale e la Elettrofisiologia e la
stessa Fisiologia generale dimostrano ampiamente ed all’evidenza.
Ma da quanto abbiamo sopradetto, 1’ energia che si sviluppa
in una reazione chimica, è nel primo istante elettrica, la quale,
a seconda le condizioni materiali del posto dove avviene la rea-
zione, si svolge in tutto o in parte come corrente, come calore
e come luce. Questa energia elettrica proviene dalla carica degli
ioni, che questi acquistano, allorché si formano, dal calore am-
biente e non da una energia accumulata nelle molecole composte,
le quali, quando si formano, come sappiamo dalla congiunzione
degli ioni, sviluppano come elettricità o calore e luce 1’ energia
portata da essi. Perciò questa elettricità non proviene da energia
accumulata nei composti, come s’è supposto,* i quali ne sono sen-
za. I composti sono senza energia interna , perchè quando si
formano perdono quell’ energia portata dagli ioni, e contraria-
mente alla ipotesi dell’ energia chimica, quando vi è separazione
di ioni o scissione di molecole vi è assorbimento di energia, ma
quando vi è combinazione di ioni e formazione di molecole,
vi è emissione di energia; la quale è elettrica nel primo istante,
cioè è fisica, non chimica e non proviene dalla non esistente
energia interna, ma da quella esterna acquistata nel momento
della scissione.
In molte o quasi tutte le reazioni chimiche, precede prima
la scissione e la formazione degli ioni, i quali prendono dal ca-
lore ambiente tante cariche elettriche quante valenze hanno, e
30
Prof. Antonio Curci
[Memoria YII.J
poi a questa segue immediatamente lo scambio degli ioni e la
loro combinazione con lo svolgimento all’ esterno della carica
acquistata nella scissione.
Quando gl’ ioni nella combinazione sviluppano meno calore
di quanto ne assorbono nella scissione, si hanno le reazioni en-
dotermiche, come nella formazione delle sostanze organiche.
Si vede chiaro che in una reazione chimica non si mani-
festa nessuna energia interna accumulata precedentemente nel
composto.
Riferiamo un esempio concreto. Nella molecola albumina
o in generale organica, si suppone accumulata l’energia del Sole,
che si svolge nella cellula nell’ atto della funzione, la quale se-
guirebbe all’ossidazione della molecola organica. Questo è il prin-
cipio falso comune ; falso perchè non è così il vero processo ;
che invece è il seguente :
La molecola organica è atta ad ossidarsi perciò può coll’os-
sidazione svolgere 1’ energia che gli atomi componenti acquistano
nello scindersi ; cioè : le molecole organiche non hanno energia
interna al pari delle altre ma in presenza di alcali minerale,
che le rende conduttrici, sono attraversate dall’energia elettrica,
che si svolge dalle cellule e sotto la cui influenza si scindono ;
allora si formano ioni che assorbono energia dell’ ambiente, ioni
sempre più semplici, tino agli atomi del C, H, S, Az. Questi
ioni hanno valenze libere con cariche elettriche relative , e
perciò avidi di combinarsi con ioni con cariche opposte e con-
trarie, e siccome l’ossigeno si trova sempre presente, si combina
ad essi, e si ha così l’ossidazione della molecola organica. L’os-
sidazione ed ogni altra combinazione di ioni contrari sviluppa
enorme quantità di energia elettrica, la quale si accumula nei
protoplasmi dell’organismo vivente, specialmente in quello ner-
voso, e serve a svolgersi per compiere le funzioni, allorché uno
stimolo meccanico , fisico o chimico ne provoca lo sviluppo di
essa nell’ organo senza bisogno di una previa reazione chimica.
Quindi non è 1’ energia chimica non esistente nei composti
Trasformazioni delle energie
31
quella che genera le energie e che produce i fenomeni vitali.
Ci vuole sempre una energia precedente esterna per fare sorgere
una reazione chimica, ed è in questa circostanza che si mani-
festa l’ energia assorbita dagli ioni e che, quando è resa mani-
festa, vi resta come calore nell’ ambiente esterno o come po-
tenziale elettrico vitale nei protoplasmi viventi , per poi , ad
altra prossima occasione, servire a formare la carica e a scindere
altre molecole e ritornare a manifestarsi per compiere un lavoro
od una nuova reazione chimica.
Queste sono le trasformazioni che 1’ energia universale su-
bisce nella sua eterna circolazione o nel suo moto perpetuo, in
ogni organismo vivente e in tutta la natura. Nell’ ambiente se
una reazione chimica avviene fuori l’influenza di un protoplasma
vivente, viene prima provocata da una energia ; e poi la elet-
tricità svoltasi non trovando conduttori o se non può compiere
un lavoro si trasforma in calore. In tutti i casi mai si svolge
energia chimica, la cui esistenza diviene inammissibile dopo gli
studi splendidi della Fisico-chimica moderna.
Fu chiamata affinità quella forza che fa combinare gli ele-
menti fra loro, e siccome la combinazione avviene fra elementi
con carica elettrica contraria, così essa non è che effetto mec-
canico dell’ attrazione della materia, e questa alla sua volta è
effetto della carica elettrica. Perciò anche nella suddetta proprietà,
che è un pernio della Chimica, la supposta energia chimica non
trova appoggio, nè ha con essa quella relazione che si è voluta
ammettere.
5. Dio. — Da tutto ciò che noi abbiamo fin’ ora detto risulta,
che la energia assume tre forme o stati principali : calore, corrente
elettrica e luce. Le diverse radiazioni dei corpi radioattivi sono for-
me secondarie di elettricità e sono speciali a data materia. I raggi
X sono raggi catodici, cioè elettricità negativa o elettroni radi-
anti e molto penetranti, come è noto. L’ azione meccanica non
è una energia in sè stessa, come si dice, ma è un effetto di
spostamento nello spazio di una data materia, prodotto da una
32
Prof. Antonio Curci
[Memoria VII.]
vera energia come elettricità, calore e luce. La coesione, l’ ade-
sione, 1’ affinità chimica sono anche effetti meccanici dell’ at-
trazione della materia, ma quest’ attrazione è data dall’ energia
elettrica, come carica positiva o negativa inerente agli atomi
ed alle molecole. La famosa, misteriosa e tanto decantata ener-
gia, chimica, abbiamo visto, è carica elettrica. Risulta evidente
da ciò che 1’ energia universale assume tre forme principali nel
passare da un sistema di materia ad un altro, e propriamente
corrente elettrica genera calore e luce, come calore e luce gene-
rano corrente.
Noi abbiamo quindi :
1. L’ energia termica come elettricità condensata, quando
non trova conduttori per scorrere, che è costretta rimanere, poco
atta a irradiarsi e diffondersi, penetrante più o meno qualunque
corpo buono o cattivo conduttore, per cui si può paragonare ad
una sostanza solida, la quale costituisce un deposito di energia
condensata e impedita di espandersi, e perciò pronta a fondersi
e sciogliersi (mi si permetta 1’ espressione) o a mettersi in moto
per riempire il vuoto di un atomo o molecola che si scinde e si
separa, cioè a formare la carica degli ioni.
2. Abbiamo energia elettrica, come corrente, che sopra un
conduttore isolato è temporaneamente statica, ma in conduttore
all’ infinito scorre con grandissima velocità, come farebbe un li-
quido, in cerca di neutralizzarsi.
Questa è paragonabile ad una sostanza liquida, la quale in
corrente adatta opera fatti meccanici, fisici e chimici ; perciò è
energia in moto, in lavoro, ed ha bisogno di conduttura; è pe-
netrante solo dove può compiere delle scissioni e trova ioni ato-
mici o molecolari. Dove incontra ostacolo, e basta una condut-
tura più stretta o meno conducibile o una interruzione, acciò
come un liquido subisca una specie di compressione ed una con-
densazione, per cui subito si trasforma in calore e luce.
3. Infine abbiamo 1’ energia luminosa, sotto forma di onde
elettromagnetiche, atte ad espandersi per ogni lato con immensa
Trasformazioni delle energie
33
velocità, a somiglianza di un gas, il quale si sprigiona appena
si forma e non ha bisogno di conduttura, se incontra un corpo
si ridette e così lo rende a noi visibile e alla seconda ridessione
essa è spenta, è assorbita tutta dai corpi, nei quali si trasforma in
elettricità o si neutralizza. Dove vi è sviluppo di energia, come
in una combustione, nella combinazione dell’ossigeno con il car-
bonio e 1’ idrogeno (tutti tre già ionizzati) vi è sviluppo di elet-
tricità la quale, non trovando conduttori, si trasforma parte in
calore, cioè si condensa e vi rimane nel gas che si svolge, come
anche nell’ aria e nei corpi circostanti vicini ; parte si espande
istantaneamente intorno, qual gas esilissimo con immensa forza
di espansione, come raggi luminosi, quelli cioè atti a trasfor-
marsi in corrente negli organi visivi per produrre la sensazione
psichica della visione.
Vale a dire, che gli elettroni nella luce si respingono, si
espandono e s’irradiano con grandissima velocità per mezzo del-
l’etere cosmico o forse senza bisogno di esso, e servono a mettere
in relazione gli animali con l’ambiente anche a grande distanza.
Senza gli organi visivi e i corpuscoli della clorotìlla questa ener-
gia, che li produce, sarebbe inutile nel mondo. Cfli elettroni nel
calore, come se sottoposti ad una compressione, si condensano,
acquistano una grande tensione, si muovono intorno a sè stessi
con moto circolare, vorticoso, elicoide e aderiscono agli atomi
ed alle molecole della materia ; diventano penetranti , atti ad
essere assorbiti, poco ad essere ritiessi. Infine nella elettricità, gli
elettroni scorrevoli , mobili , se trovano conduttore, si mettono
in moto come le molecole di un liquido, e perciò essi sono in
una condizione di movimento, intermedio fra il calore e la luce.
Appunto in questo stato intermedio costituiscono 1’ energia
attiva, funzionante, viva, quella che opera le trasformazioni della
materia con fenomeni meccanici, tìsici e chimici, che si ammi-
rano in natura ; quella che crea e anima gli organismi viventi,
i quali perciò sono macchine che trasformano le energie dello
ambiente in correnti elettriche interne, mediante le quali si com-
Atti acc. Seri® 4a, Voi.. XIX — Mem. VII.
5
34
Prof. Antonio Curci
[Memoria YJI.J
piono tutte le funzioni, compresa la meravigliosa psiche animale,
e che poi restituiscono all’ambiente come calore e luce; quella
che riempie tutto il mondo e tutto 1’ infinito universo e che pro-
duce e muove gli astri ; quella insomma che costituisce la po-
tenza o onnipotenza creatrice, infinita, increata, indistruttibile,
presente da pertutto, in ogni tempo, che tutto fa e tutto muove;
che è negli astri, è in noi, in ogni animale, in ogni essere di
qualunque natura. Insemina quella essenza creatrice, che si chia-
ma Dio, Allah o Brama, Età, come si voglia, il nome non im-
porta, non è che questa energia universale, che tutto crea e tutto
trasforma e che si manifesta a noi come corrente elettrica, come
calore e luce e come altra forma radiante con gli effetti mec-
canici, fìsici e chimici della materia, e gl’innumerevoli fenomeni
relativi del mondo universale.
Perciò tutte le forme di energia, tutti i fenomeni in natura
in noi e fuori di noi, tutte le vicende umane, sociali, politiche
e religiose e quelle individuali sono manifestazioni di questa
energia universale creatrice, cioè di Dio. Onde considerato così,
non possiamo negare di vedere e sentire realmente ed evidente-
mente che Dio esiste, è da per tutto ; negli atomi, nelle mole-
cole e nei corpi viventi o non (1), e possiamo ripetere con
convinzione e cognizione di causa, quale fatto vero, tangibile,
sensibile, reale e naturale gli eloquenti versi di Metastasio
Dovunque il guardo io giro
Immenso o Dio ti vedo
E qualunque fenomeno, meraviglioso che sia, è sempre feno-
meno naturale, non soprannaturale, onde la metafisica entra nei
limiti della natura , perchè il soprannaturale è fuori di Dio e
(1) Ciò relativamente a, noi, giacché la natura col suo Dio è tutto un organismo vi-
vente. Materia senza energia è inerte, energia senza materia non si può trasformare e mani-
festare; perciò la natura è costituita dall’ energia colla materia o da Dio col suo creato.
Trasformazioni delle energie
35
perciò non esiste. Fuori natura nulla esiste, nemmeno lo stesso
Dio. La natura è infinita come infinito è anche il suo Dio o
1’ energia che la crea e la anima : e perciò oltre l’ infinito nulla
può esistere ed ogni preteso soprannaturale è assurdo.
Così possiamo concludere che noi siamo giunti a dimostrare
scientificamente la esistenza di Dio ; quale cosa vera che vedia-
mo, che sentiamo e che tocchiamo da per tutto; e perciò è vero
il detto comune ab antiquo, che nulla si fa e nulla si muove,
sia in bene che in male, senza il volere di Dio, cioè senza le
trasformazioni fatali della energia, che noi abbiamo fatto oggetto
del nostro studio.
Liberatorio di farmacologia sperimentale della E. Università.
Catania, Agosto, 1905.
Memoria, Vili.
Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1905
fatte nel R. Osservatorio di Catania
Nota di A. RICCO e A. CAVASINO
Il luogo, gli strumenti meteorici, le ore di osservazione e il
modo di fare le medie degli elementi osservati, sono quelli stessi
adoperati nei tredici anni precedenti, e se ne trova la descrizione
nella nota pubblicata nel 1898 *) , rammentiamo qui soltanto
che le coordinate geografiche dell’ Osservatorio sono :
Latitudine boreale 37° 30' 13", 21
Longitudine Est da Green wich . lb 0m 18S, 9
e che il pozzetto del barometro è elevato 64,9 m. sul livello
medio del mare, e 19 m. sul suolo : gli altri strumenti meteo-
rici circa altrettanto.
I quadri H. 1, 2 e 3 contengono i risultati delle osserva-
zioni dell’anno meteorico 1905 (dicembre 1904 a novembre 1905):
nei primi due si aggiungono anche i valori del dicembre suc-
cessivo, allo scopo di trovare nello stesso quadro i dati di tutto
1’ anno civile, e si riportano in fondo anche le medie relative a
questo intervallo : come nei precedenti riassunti le temperature
e pressioni barometriche non sono ridotte al livello del mare ,
nè queste ultime al valore normale della gravità.
La media della trasparenza dell’aria (Tab. 2, colonna M) in
quest’ anno è dedotta dalle osservazioni delle ore 7 o 8, 9, 15, 16
9 Ricco A. e Saija G. — munitati delle osservazioni nieteoroloqiche fatte nel quinquennio
1892-96 all’Osservatorio di Catania — Atti dell’ Acc. Gioeni.v di j scienze ; naturali:, Serie 4A) i
Voi. XI. Catania, 1898.
, i''i J ;,( j : H , ; 1 ) il fi . * ! ■ i S ■ '! U ■• ! iti :'m t I ■liti ) > 1
Atti ir'f Sirniir ,Ia V„i YTY Af „ r. . vfrr 1
2
A. Ricco e A. Caratino
[Memoria Vili.]
o 17, essendosi aggiunta una osservazione nelle ore pomeridiane
a distanza dal mezzodì eguale a quella della prima osservazione
mattutina. Per gli eventuali confronti si è aggiunta anche la me-
dia alle ore 7 o 8, 9 , 15 , (colonna N) , analoga a quella degli
anni precedenti.
Nel quadro X. 1 si trovano dei singoli elementi i valori
medi dedotti dal quattordicennio di osservazioni: dicembre 1891
a tutto novembre 1905, valori che consideriamo provvisoriamente
come normali. Della temperatura si riportano nella seconda co-
lonna i valori ridotti col calcolo al livello medio del mare : così
ancora la quarta contiene i valori della pressione atmosferica ri-
dotta al livello del mare e al valore g5_ della gravità alla lati-
tudine di 45°.
Confrontando i valori delle stagioni e dell’ anno meteorico
in esame con i corrispondenti dell’ anno precedente, abbiamo ot-
tenuto il seguente specchietto :
Temperatura
dell’ aria
Pressione
atmosferica
!
Tensione
del vapore
Umidità
r e 1 a t i va
Evaporazione
all’ ombra
£
cg
©
c3
Se
b£
o
£
Nebulosità
Soleggiamento
Inverno.
0
—2, 4
min
-4-3, 6
mm
— 1, 46
-5,7
mm
+0, 13
mm
— 271, 6
-7,7
+0,10
Primavera .
— 0, 3
—0, 2
— 0, 40
—2, 4
-PO, 39
— 76,5
+ 7,0
-0, 02
Estate .
-0,2
—0,6
0, 00
+ 0,1
+ 0, 49
— 8, 5
-1-3, 8
+0,01
Autunno
+ 1,4
-0,2
+0, 49
-3,2
+ 1, 27
—151, 9
—4, 6
— 0, 07
Anno
—0, 4
+0, 6
— 0, 35
-2,8
-+-0, 56
— 508, 5
-0,4
0, 00
Degni di nota sono, in confronto a quelli del 1904, i valori
della temperatura , più bassi (specialmente quelli dell’ inverno)
fino all’ autunno ; quello molto alto della pressione nell’inverno,
quello basso dell’ umidità relativa e della quantità di pioggia,
specialmente nell’inverno, e in tutte le altre stagioni e nell’ anno.
Quanto al comportamento dei singoli mesi , è notevole la
temperatura media e la minima più bassa in gennaio e febbraio;
1’ umidità relativa e la pioggia più grande in dicembre.
Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1905 eoe.
3
Passando poi a paragonare gii stessi valori con quelli medi
del quattordicennio, si ha quest’ altro specchietto :
43 -r
J5 'w
.V
£ "i
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£ 5
Tensione
del vapore
45 .—
£4 o
V
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Pioggia totale
»
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II
Soleggiamento
Inverno.
0
-1,6
mm
+ 1,6
mm
— 1, 07
—4, 4
mm
+0, 13
m m
— 62, 8
+ 1, 5
—0,03
Primavera .
— 0, 3
+0, 1
+0, 12
—0, 7
+0, 28
-
4-2 2
0, 00
Estate .
-4-0, 4
— 0, 3
+0, 48
4-0, 4
+0, 62
+ 8, 9
+4,6
— 0, 07
Autunno
—0, 3
—0,8
—0, 35
-2,7
,4-0, 75
— 97, 8
+ 2, 5
— 0, 06
Anno
-0,4
4-0, 1
—0, 21
— 1.8
+ 0, 44
1
—158,9
+2, 6
— 0, 04
Le differenze generalmente sono poco forti : però la pioggia
fu inferiore alla normale in tutte le stagioni (eccetto 1’ estate) e
nell’ insieme dell’ anno. La nebulosità fu sempre maggiore della
normale, e ciò specialmente nell’ estate.
Quanto alle medie mensili in confronto alle normali , il
gennaio ed il febbraio ebbero temperatura bassa, l’agosto l’ebbe
alta; in dicembre l’umidità relativa fu molto forte e la pioggia
abbondantissima.
E da notarsi anche la poca frequenza di aria perfettamente
trasparente in tutto 1’ anno.
Riguardo agli estremi meteorici, fu notevole la temperatura
minima dell’anno — 1°,4 in febbraio; con abbondante caduta di
neve per due notti di seguito, ciò che in Catania non si era verifi-
cato da parecchi anni; 1’ altissima pressione (771m,2) in gennaio, e
la grandissima tensione del vapore acqueo (20mm,54) in settembre.
Avendo ora 14 anni di osservazioni , abbiamo creduto op-
portuno di fare anche il Quadro ]S\ 5 che dà i risultati relativi
ai venti, allo stato del cielo , ecc. e gli estremi degli elementi
meteorici nei medesimi 14 anni.
Risulta confermata la consueta predominanza in Catania dei
venti col seguente ordine Ì7E, E, W, SW ; la notevole serenità
del cielo , la scarsità dei giorni con pioggia , grandine , neve ,
o brina, ed anche la scarsità dei temporali.
4
A. Ricco e A. Cavasino
Memoria Vili.]
Quadro N. 1 — 1905.
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Medie
dei massimi diurni
di temperatura,
dei minimi e delle escurs.
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Gennaio ’905
8,1
11, 9
4,8
7,1
10, 4
15, 8
758, 7
5, 35
62, 6
Febbraio. .
8, 8
13,1
5,1
8, 0
10,2
15, 9
759,0
5, 25
58, 4
Marzo . . .
12, 9
17,2
8,7
8,5
11,7
16, 0
755, 4
7, 07
60, 5
Aprile . . .
15, 7
19,8
11,7
M
13, 8
16, 0
754, 9
8, 39
60, 4
Maggio . .
18, 4
22, 3
14, 6
7,7
15, 6
16, 1
756, 1
10, 05
61,7
Giugno . .
22, 6
26, 6
17,8
8,8
17,7
16, 1
755, 8
11, 29
53,8
Luglio . . .
26, 7
31, 1
22,4
8, 6
20, 8
16, 2
755, 7
14,60
52,9
Agosto. . .
27, 4
81,7
22. 8
8,9
22, 3
16, 3
756, 2
14, 33
50,8
Settembre .
24, 7
28,8
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8, 3
22,4
16,4
756, 9
14, 55
60, 2
Ottobre . .
18, 3
22, 4
14, 4
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19, 2
16, 2
755, 2
9, 99
60,7
Novembre .
15, 9
19, 9
12,1
7, 8
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16, 2
756, 8
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Dicembre .
12,1
15, 0
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5, 4
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16, 3
759, 7
7, 21
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Inverno . .
9,3
13,2
5, 9
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11,2
15, 9
758,4
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62, 6
Primavera .
15, 7
19, 8
11,7
8,1
13, 7
16, 0
755, 5
8,50
60, 9
Estate . . .
25, 6
29,8
21, 0
8, 8
20, 3
16, 2
755,9
13, 41
52, 5
Autunno .
19, 6
23,7
15,7
8, 0
19, 5
16, 2
756, 3
11, 30
62,3
Anno meteor.
1 7, 5
21, 6
13, 6
8, 0
16,2
16, 1
756, 5
9, 76
59, 6
» civile.
17, 6
21, 6
13,7
7,9
16, 3
16, 1
756, 7
9,79
60, 3
Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1905 eco.
5
Quadro UT. 2 — 1005.
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Dicem. 1904
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296.5
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0, 11
Gennaio ‘905
1,99
74, 5
w
54, 1
102, 8
305, 1
0, 34
3, 5
3,7
0, 12
Febbraio. .
2, 47
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w
54, 4
129, 6
301, 0
0,43
3,2
3, 4.
0,17
Marzo . . .
2,51
19, 3
w
46, 3
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370, 4
0, 57
3, 3
3, 5
0, 11
Aprile . . .
3,14
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NE
42, 2
187, 2
394, 4
0, 47
2, 7
3,0
0, 02
Maggio . .
3, 64
80, 3
NE
50, 2
193, 2
438, 4
0,44
2,6
2,8
0, 00
Giugno . .
4, 80
3, 6
NE
31, 2
247, 7
439, 9
0, 56
2,9
3, 1
0, 00
Loglio. . .
5, 73
27, 9
NE
24, 3
254, 0
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0, 57
2, 5
2, 7
00, 1
Agosto. . .
6, 68
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E
13, 8
258,0
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3, 1
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•Settembre .
4, 70
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NE
25, 9
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0, 54
3. 0
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Ottobre . .
4, 32
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W
53, 3
141, 1
345, 8
0, 41
3,0
3, 3
0, 08
Novembre .
2, 89
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w
59,4
93,3
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0, 31
2, 9
3, 1
0, 04
Dicembre .
1, 70
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NE
69,1
68, 1
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0,23
2,7
2, 9
0, 08
Inverno . .
2, 05
177,8
W
50, 4
359, 5
902, 6
0, 40
3, 3
3, 5
0, 13
Primavera .
3, 10
103, 9
NE
46, 2
592, 3
1203, 2
0, 49
2,9
3,1
0, 04
Estate . . .
5, 74
32, 8
NE
23, 0
759, 7
1305, 5
0, 58
2,8
3,1
0, 02
Autunno. .
3, 97
154, 7
W
46, 2
434,6
1019, 7
0, 42
3,0
3,2
0, 06
Anno meteor.
3. 71
469, 2
NE
41,4
2146, 1
4431, 0
0, 47
3, 0
3, 2
0, 06
» civile
3, 71
643, 5
NE
43, 6
2087, 1
4431, 0
0, 46
2, 9
3,2
0, 06
6
A. Ricco e A. Car asino
[Memoria Vili.]
Quadro M. 3 — 1905.
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ESTREMI METEOROLOGICI ANNUI
9
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20
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7
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Temperatura
38,° 2
— 1,° 4
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dell’ aria
29 agosto
16 febbraio
NE
12
19
24
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71
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1
7
17
6
31
Temperatura
24,° 5
5,0 4
del sotterraneo
29 agosto
16 febbraio
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Temperatura
16,° 4
15,° 5
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acqua del pozzo
12 settembre
10 gennaio
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sw
12
11
15
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43
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19
11
5
19
54
Pressione
771, 2
743,0
£
NW
5
2
1
14
22
atmosferica
24 gennaio 9h
17 aprile 15h
Tensione
20, 54
1, 69
sereni
29
22
58
29
138
| vapore acqueo
24 sett. 21h
4 febbraio 8h
•-
misti
35
55
30
42
162
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Umidità
100
13
coperti ....
26
15
4
20
65
relativa
15 febbr. 21h
29 giugno 15h
0
con pioggia .
36
27
20
28
ni
1 con grandine o
Evaporazione
13, 34
0. 30
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4
1
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in 24h all’ombra
4 ottobre
17 gennaio
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1
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46, 8
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Pioggia in 24h
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30 ottobre
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2
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6
14
Velocità
oraria del vento
40 Km. NE
—
e direzione
29 genu. llh
'conscariche elettriche
12
8
19
10
49
Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1905 eoe,
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Quadro ST. 4 - Medie 1802-1905.
Tempe
dell’
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mm
6, 47
66, 3
mm
1 , 80
mm
80, 9
47, 5
0, 44
Febbraio. .
11, 0
11, 3
756, 5
762, 0
6* 74
65, 3
2, 08
61, 4
48,8
0, 46
Marzo . . .
12, 6
13, 0
755, 2
760, 6
7, 32
64, 3
2, 28
51, 5
47, 0
0, 48
Aprile . . .
15, 1
15, 5
755, 1
7 60, 4
8, 32
62, 7
2,70
34,8
45, 9
0,46
Maggio. . .
18, 5
18, 9
755, 8
761, 0
9, 51
57, 8
3, 48
24, 8
39, 0
0, 52
Giugno. . .
22,9
23, 2
756, l
761, 3
11, 70
53, 1
4, 52
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26, 4
0, 60
Luglio. . .
26,3
26,6
755, 9
761, 0
13, 12
49, 7
5, 55
4,4
12,7
0, 68
Agosto. . .
26,
26, 6
756, 5
761, 6
13,99
53, 6
5, 28
13, 1
16,2
0, 67
Settembre .
24, 1
24, 4
757, 1
762, 3
13, 37
59,0
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52, 4
29, 9
0, 56
Ottobre . .
20, 3
20,7
757, 0
762, 3
12, 04
66, 1
3, 09
92, 0
48, 2
0, 47
Novembre .
15, 4
15, 8
757,4
762, 7
9,53
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2, 10
108, 1
53,0
0, 42
Dicembre .
11,7
12,1
756, 6
762, 1
7, 51
69, 4
1, 86
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50, 5
0,39
Inverno . .
10, 9
11, 3
756, 8
762, 3
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67,0
1,92
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48, 9
0,43
Primavera.
15, 4
15, 8
755, 4
760, 7
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61, 6
2,82
111, 1
44, 0
0, 49
Estate . . .
25, 2
25, 5
756, 2
761, 3
12, 93
52, 1
5, 12
23, 9
18, 4
0, 65
Autunno. .
19,9
20, 3
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11, 65
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43, 7
0, 48
Il Anno . . .
17, 9
18, 2
756, 4
761, 7
9, 97
61, 4
3,27
628, 1
38,8
0, 51
Meteore acque — numero dei giorni Frequenza della calma e dei venti
8
A. Ricco e A. Cavasino
[Memoria Vili.]
Quadro 5 — Medie 1802-100*5.
j sereni
1 misti
1 coperti ....
I con pioggia .
I
{ con grandine .
(con neve. . .
con briua. . .
I con nebbia . .
l con temporale
Inverno
Primavera
Estate
Autunno
Anno
ESTREMI METEOROLOGICI
DEI. QUATTORDICENNIO
Massimo
Minimo
29
25
38
39
131
7
4
o
6
19
Temperatura
4- 41, 1
o
- 1,8
dell’ aria
11 Agosto
19 Febbraio
1896
1895
9
19
16
11
OD
7
13
16
10
46
mm
111 III
Pressione
772, 3
737, 7
1
5
8
3
17
atmosferica
9 Febbraio 9h
17 Genn. 9h
1903
1893
2
2
1
2
7
mm
(Vi Ili
12
7
5
7
31
Tensione
21, 73
1, 07
vapore acqueo
3 Settem. 15h
18 Febbr. 21h
1902
1895
16
12
4
8
40
8
5
2
5
20
Umidità
100
4
relativa
1892, 18 Feb. 12h
26 Giugno 7h
1893, 1 Geu. 9»
1898
24
29
67
29
149
1904, 7 Geu. 9h
1905, 15 Feb. 21h
34
41
21
38
134
min
mm
32
22
4
24
82
Evaporazione
18, 22
0, 08
in 24h all’ ombra
25 Giugno
27 Gennaio
33
25
9
25
92
1898
1896
1, 5
1,0
0,2
0, 8
3, 5
mm
Pioggia in 24l1
175, 2
—
0, 6
0. 0
0, 0
0.0
0, 6
25 Settembre
1902
2,7
2,1
0, 3
1, 5
6,6
Velocità
55 Km. N
—
0,4
0, 1
0,1
0,1
0,7
oraria del vento
22 Dicem. 21h
e direzione
1904
3,2
3,7
3, 7
4,9
lo, 5
Memorisi IX,
Sul moto di rotolamento
Memoria 1“ del prof. G. PENNACCHIETTI
Il vincolo di rotolamento puro, cioè senza possibilità di
strisciamento, si esprime, coni’ è noto, mediante un sistema di
equazioni ai differenziali totali, per lo più non integrabile, per
il qual fatto, da più anni, si è riconosciuto che alcuni principii
e procedimenti generali della meccanica razionale non sono ap-
plicabili, senza opportune modificazioni, a siffatta specie di pro-
blemi. I sistemi in movimento ad n gradi di libertà sono stati
con Hertz (*) distinti in olonomi e non olonomi. Questi ultimi
sistemi, ai quali assai spesso appartengono i corpi in rotolamento
puro, hanno dato origine a importanti lavori recenti, tra cui
quelli degli illustri matematici Leumann, Yierkand, Hada-
mard, Caryallo, Korteweg, Appell (2), Maggi (3) e (Deb-
bia (4). Quanto segue si riferisce al problema del rotolamento puro
di un corpo solido sopra un corpo solido fisso e panni che nella
forma spedita di tali svolgimenti possa trovarsi, se non m’ingan-
no, qualche piccolo contributo alla teoria meccanica del moto
("*) Prinzipien cler Mechanik, 1894.
(-) Si vegga 1’ eccellente opera di P. Appell, Traité de Mécanique Rationello, ove si
trovano anche molte citazioni, t. II, seconda edizióne 1904. Si consulti anche: P. Appell,
Scientia 1899, Lee mouvements de roulement en Dynamique.
( 3 ) Teoria matematica del movimento dei corpi, Milano 1896 ; Principii di Stereodina-
mica, 1903, nei quali trattati la teoria dei sistemi non olonomi è bastantemente svolta e si
hanno altre citazioni sul soggetto.
('*) M. Gebbia. Sulla integrabilità delle condizioni di rotolamento di un corpo solido
sopra un altro, e su qualche questione geometrica che vi è connessa. Rendiconti del Cir-
colo Matematico di Palermo, T. XX, anno 1905.
Atti Acc. Serie 4a, Vor,. XIX — Mera. IX.
1
2
G. Pennacchietti
[Memoria IX.]
di rotolamento, sicché ho stimato farne oggetto della presente
pubblicazione.
Sia xx yi zl una terna d’assi cartesiani ortogonali fìssi nello
spazio. Gli assi s’intenderanno sempre disposti in modo che un
osservatore coi piedi all’ origine 0t e col capo verso zì veda av-
venire dalla sua sinistra alla sua destra la rotazione di 90° con
la quale si può far coincidere la semiretta 0^ colla semiretta
01?/1 ed analoga disposizione intenderemo per ogn’ altra terna
d’ assi che ci occorrerà di considerare. Il centro di gravità 0
del corpo mobile si assuma come origine comune di un sistema
di assi 0 x\y\z\ paralleli agli assi 0ixiyizl e del medesimo senso
rispettivamente e d’ un sistema d’ assi 0 xyz fìssi nel corpo. Di-
remo Yj, £ le tre coordinate di 0 rispetto agli assi 0 ixiyizi, <p
i tre angoli euleriani che servono a determinare la posizione
della terna 0 xyz rispetto alla terna 0 x jy\z Diremo cq , «., , a3 i
coseni direttori dell’ asse Oa* rispetto alla terna 0 ixiyizi , ed ana-
logo significato abbiano [B2, P3 ; y1? T2> T3 per gli altri due assi
0 y, 0s. Ohiameremo x, y , z : xi, yì, zi le coordinate d’uno stesso
punto del corpo rispetto agli assi omonimi.
Le due superfìcie convesse del corpo mobile e del corpo fisso
in contatto sieno rappresentate rispettivamente dalle equazioni :
§ I.
Relazioni geometriche provenienti dal solo contatto.
(1) /(*, y, ?) = 0 , (2) F (aq, yl} ZJ = 0.
Le formule di trasformazione delle coordinate sono :
x = ixL — §) «i + (; IJ L — ri) p4 + (z1 — Q Ti ?
y — t*i £) a2 ~b (Vi — ri) P2 ~f" (zi ~ £) h i
z = (xL- q) a3 + (yi - -/]) p3 -f- (zL — Q T3
/Sul moto di rotolamento
3
colle loro inverse :
— £ — «i * + «2 y + «s * i
Vi - ri = Pi x + P2 y + P3 2 >
zi — £ = Tt * rf- T-2 3/ h z •
Avendo le due superficie nel punto di contatto la normale
connine, le coordinate di questo x, y , z; xv yv zi dovranno, oltre
alle (1) e (2), soddisfare alle due equazioni :
3f_ K K.
dx, dy, .32,
~JF ÌF_ W~
dx, 3 y, dz.
(L
cioè, facendo uso delle formule (3) :
(5)
df , df ,
3^+3^“*+
di |
dx.
df
dza>
dx 1 1 1
i/
32
3i^
3/' , df .
3^+37'^
3 F
dz{
E_.
dz
Le (1), (2), (5) per mezzo delle (4) e delle formule die
esprimono i nove coseni mediante i tre angoli euleriani sono
quattro equazioni fra le nove quantità £, vj, S, 0, ’s>, l>, x, ?/, z. Ael
caso in cui queste 4 equazioni siano tutte fra loro compatibili e
distinte, potremo ottenere 1’ espressione d’ uno de’ sei parametri
S, v], Z, 0, <p, <|> in funzione degli altri cinque e potremo avere
altresì l’espressione delle tre coordinate x,y,z del punto di con-
tatto in funzione di questi cinque parametri e, posto che il cor-
po solido mobile non sia soggetto ad altro legame oltre il pre-
supposto contatto col corpo fisso, il sistema mobile avrà cinque
gradi di libertà. È pure agevole la interpretazione del caso in
cui le 4 suddette equazioni non siano tutte fra loro distinte,
4 G. Pennacchi etti [Memoria IX. J
ma siano bensì compatibili. Dell’ uno e dell’ altro caso seguono
qui gli esempi.
A) — Le due superfìcie rappresentate dalle (1) , (2) siano p. es.
sferiche e tangenti esternamente, avendo la seconda il centro nel
punto . Le stesse equazioni potranno assumere rispettivamente
le forme :
X‘
5 -f y2 -f- s2 = R2 , x2 + y 2 + z* = R2 ;
si dicano b, e, le coordinate del punto 0a rispetto
0 xyz ; si troverà col metodo ora accennato il risultato
agli assi
d’ altron-
de evidente ;
Ra Rh Re
X R+R^ y R-^R{ ’ ^ R+R, ’
l/S* + r, 2 -j-Z2 = R+R, ,
essendo :
a = — (£cq -f 7jP4 -f CTi) ,
b = — (c[a2 -4 riP2 + ^2) ?
0 — — (^a3 + -/Ìp3 + ^Ts) •
B) — Supponiamo invece che la superfìcie fìssa sia il piano
01 xi yi , onde :
3P_0 f^_0
3®, ’ 3y, ’
(7)
_3£ 3/1 3/1
02/ 32
Ti T2 T3
Il piano fisso ssi= 0 è rappresentato rispetto agli assi 0 xyz
dall’ equazione :
(8) Ti* + T*3' + T8s, = — Z-
Poiché :
■q = sen 6 sen tp , T2 — sen ® cos h — cos ® ?
(9)
Sul moto di rotolamento
5
le equazioni (1) , (7) , (8) ci daranno una relazione algebrica
fra 0 , <p, Z, p. es.
C = Z (0, cp)
ed inoltre le espressioni di x , z in funzione di 0, cp :
y = y(Q,< p), z = z(d,i p) .
P. es. se il corpo mobile in contatto col piano fisso 01 xi yx
è terminato dall’ellissoide :
I — I — !
a2 -r b2 -f C2 —
si trova :
x — —
«2U
c2T2
« = l/»V+»V+o!t..
ove sarà preso il radicale positivamente, supponendo, come si
farà anche in seguito, la semiretta 0jsi diretta verso quella parte,
rispetto al piano 0 ìxiyì , nella quale è il corpo.
Nel caso di una sfera mobile di raggio li si porrà nelle ul-
time 5 equazioni a=b=c = H e si verifica così il risultato
evidente :
.V — — i2Tl , y = — Ep, , S = — Rh, Z — R.
C ) — Se la superfìcie mobile è di rivoluzione ed è rappre-
sentata dall’ equazione :
z =. F (p) ove p =r [/ x‘l -f- if ,
si troverà facilmente dalle (7) e (8), supponendo 0 acuto:
^ F' (p) = tan 6 , x = ~ p sen cp , y = — p cos cp , z = F (p) ,
(9)
Z = — F ( p) cos 6 -j- p sen 6.
6
G. Pennacchietti
[Memoria IX.]
D) — Supponiamo che un corpo solido sia in contatto col
piano fìsso 0 per mezzo d’uno spigolo vivo circolare e che il
centro di gravità 0 sia sulla perpendicolare Oz condotta per 0 al
piano del cerchio. Supporremo che la semiretta Oz formi un
angolo acuto colla semiretta 0zt. Le due equazioni del cerchio
sieno :
x2 -(- y2 — R2 , z— — a .
La equazione della tangente al cerchio nel piano del cerchio
stesso è :
xX-\-yY— R2 = 0 ,
dove x , y sono le coordinate del punto di contatto; X, Y, le
oor dinate correnti rispetto agli assi 0 xy . L’ equazione del pia-
no fìsso rispetto a questi assi è :
£ + Ti X-\- T2 Y -|- 73 Z = 0.
Avendosi anche :
Ti x + L y + z — «Ts = 0 »
si otterrà :
x — — R sen cp , y— — R cos cp , z — — a , Z = a cos 6 R sen 6.
E) — Supponiamo che la curva rappresentata dalle equazioni:
f(X, ¥,Z) = 0, F (A, Y,Z) = 0
debba essere tangente al piano fisso rappresentato dall’ equazione
Zl = — Tc
o, ciò che è lo stesso, dall’ altra :
b + T2 T3 z — ~
k > 0 .
Sul moto di rotolamento
7
Qui denotiamo con lettere maiuscole le coordinate correnti
rispetto agli assi 0 xys rigidamente uniti alla curva e mobili in-
sieme con essa. Affinchè la tangente alla curva mobile, rappre-
sentata dalle equazioni :
i<x-*>+I(r-*) + I(Z-2)=#’
c>F d F d F
sr(*— ) + s*(1 -») + aT<z-2>=0’
giaccia nel piano fìsso, devono essere soddisfatte le due condi-
zioni :
K
3 f
K
dx ’
3 y ’
dz
dF
dF
d_l F
dx ’
dy’
dz
Ti ».
T2 >
t3
K
dx ’
^—1 ^
df .3 f . df
te * + 1^+3? 2
= 0
dF
di) ’
dF
dy ’
dF . dF , dF
tex + df 'J + Tz z
Ti »
To »
— k
delle quali la seconda è evidente conseguenza della prima e
della seguente :
(è) Tt x + h y + Ts 2 = — k.
Abbiamo così un sistema formato da 4 equazioni che sono
le (a), (6), (1) e (2), alle quali debbono soddisfare i sei parame-
tri che determinano la posizione della fìgura mobile, acciocché
il contatto abbia luogo. Queste 4 equazioni, supposte distinte e
non contradittorie, ci daranno una relazione fra i due angoli
8
G. Pennacclxietti
[Memoria IX.]
euleriani 0, © e ci faranno perciò conoscere le coordinate x , ?/, ~
del punto di contatto in funzione di uno di questi due angoli .
La figura mobile avrà 5 gradi di libertà. Se si aggiunge la con-
dizione clic un punto connesso rigidamente colla figura mobile
sia fìsso, il sistema ammetterà due gradi di libertà.
Nel caso di un cerchio di raggio B col centro fìsso ,
prendendo gli assi Oj # , 0 nel piano stesso del cerchio e fìssi
nel cerchio, si troverà :
x = — P sen <p , y = — P cos <p ,
2 = 0,
ìc
E
= sen 9
e dovrà essere h < B.
Se 1’ analogo procedimento si applica ad una curva rigida
la quale 1° debba essere tangente ad una retta fìssa nello spazio,
2° debba inoltre essere tale che un punto legato invariabilmen-
te alla curva stessa sia fìsso nello spazio, si dimostra facilmen-
te, supposto che tali condizioni non siano incompatibili, che la
curva rigida ha zero gradi di libertà, sicché ne è impossibile il
movimento.
Se un corpo avente un punto fisso 0, che prenderemo come
origine comune dei due sistemi di assi xyz , xiyizi, è termina-
to dalla superfìcie convessa avente per equazione f(x, y , z) — 0
e se tal superfìcie dev’ essere tangente al piano fìsso rappresen-
tato dalla equazione zi — — li cioè iLx-\ - 7*2/ + Ts* — — que-
st’ultima equazione, insieme con le (7) e con la equazione della
superfìcie del corpo mobile, costituisce un sistema di 4 equazioni
fra le tre coordinate x , y, z del punto di contatto e gli angoli
euleriani 6, <p. Supposte le equazioni compatibili, il corpo solido
avrà due gradi di libertà.
F) — Si abbia un cilindro colle generatrici parallele all’asse
Ox e la sua superfìcie sia rappresentata dalla equazione :
y — F(z) = 0 .
Questo cilindro debba esser tangente al piano fìsso 0t xi
Sul moto di rotolamento
9
rappresentato dalla (8) rispetto agli assi 0 xyz. Le equazioni (7)
saranno nel presente caso :
Ti = 0, Ts + T2 f' (*) = 0
cioè :
sen 0 sen cp = 0, cos 6 -J- sen 6 cos co F' (z) = 0.
La (8) diventerà :
y sen 0 cos cp — [ -z cos 0 = — Z .
Escludendo il caso in cui F'(z) possa diventare infinito e 9
possa prendere il valore zero, si hanno le seguenti 4 relazioni
COS co rrr + 1 , F' (z) — + COS 0 ,
Z = + 3; sen 0 — z cos 0 , y =. F (z) é
Queste dimostrano che il cilindro ha 4 gradi di libertà e
determinano la generatrice di contatto. Possiamo disporre gli
assi in modo che sia cp = 0, sicché nelle ambiguità possiamo as-
sumere i segni superiori.
G) — Un corpo sia limitato da una superficie conica, per
mezzo della quale esso sia in contatto col piano fisso :
zi = 0
e la equazione della superficie conica sia :
P — F(o) = 0,
ove :
y -f- b z -f- c
p — -T - ? a = 1 ■ ?
x -\ -a x a
e dove a, 1) , c sono le coordinate conosciute del centro di gra-
vità 0 del corpo rispetto a tre assi x0 yQ z0 condotti pel vertice
del cono parallelamente agli assi 0 xyz fissi nel cono stesso . Se
Atti Acc. Serie 4% Voi.. XIX — Mem. IX.
2
10
G. Pennaccliietti
[Memoria IX.|
invece delle variabili y , z si prendono le variabili p, a, le (7)
e (8) ci daranno facilmente :
— p -}- z F' (o) __ JL_ — F' (o)
Ti _ T2 _ T3 ’
5 = «Ti + fcT2 + ch •
Abbiamo così un sistema di 4 equazioni tra p, 6, ©, £
dalle quali possiamo ottenere : 1° una relazione tra i due angoli
euleriani 0 , ©, 2° la espressione di £ in funzione di uno di questi
due angoli, p. es. <p, 3° i valori, in funzione di cp, dei due para-
metri p , a che determinano la generatrice di contatto. Perciò
una superfìcie conica rigida, obbligata, nel suo movimento, a
rimanere semplicemente in contatto, cioè in generale con stri-
sciamento, con un piano fìsso, ha quattro gradi di libertà.
§ II.
Relazioni provenienti dall’ assenza di strisciamento.
Ci riferiremo generalmente, ove non si dica il contrario,
al caso in cui il corpo avrebbe cinque gradi di libertà se si
considerassero le sole relazioni che provengono dal semplice con-
tatto e che si sono considerate nel paragrafo precedente .
Le componenti, secondo gli assi 0lxiylzl fissi nello spazio,
della velocità V di un punto qualunque del corpo sono date,
come si sa, dalle equazioni :
= % + «i (*i — Z) — ri (Vi ~ >l) »
L/i = n + »’i K — S) -- Pi Oh — z) ,
VzL = Z'-^Pi (Vi — fi) - 2, K — ?) ,
nelle quali , qx , ri sono le componenti, secondo gli assi xiyissì^ì
della velocità angolare istantanea del corpo. Se xi,yi, zl sono
Sul moto di rotolamento
11
le coordinate del punto del corpo mobile che all’ istante t è in
contatto col corpo fisso, si avrà:
Osservando che la componente della velocitò del centro di
gravitò secondo la normale n comune alle due superficie condotta
pel punto di contatto, è evidentemente nulla, una di queste tre
equazioni è conseguenza delle altre due in virtù delle relazioni
geometriche considerate nel § I.
Otteniamo così le seguenti relazioni cinematiche :
una delle quali, per quanto abbiamo detto, può dedursi per
mezzo della derivazione, dalla equazione algebrica tra tj, z, 0, co, c|>
che si ottiene secondo il § I .
Denotando con p, q, r le componenti della velocitò angolare
istantanea secondo gli assi Oxyz e valendosi delle formule di
trasformazione delle coordinate (§1,4), si avrà dalle (1):
W j ri —Ih -Q- rL [x, — K) ,
\ — Pi(yi - *]),
% = K* — a3y)p + M 2 + («!«/ —
(CC3X — atz) q -f (cqy — a0x) r,
(2) i 'r( = ~ M P + (hx ~ M 2 + (M — M r >
\ Z' = — T 3y) P + (hx — Ti*) <1 + (hy — t2*) r •
Siano «, à, c le coordinate del punto fisso rispetto al
sistema di assi 0 xyz legati invariabilmente al corpo mobile. Si
G. PennaccMetti
[Memoria IX.j
12
avrà :
a — — (S«4 + r$L + CTt) ,
b = — (^a2 -f- */]P2 -j- Ct2) ,
c — — (^“3 + "(IP3 + CTs) •
Se queste equazioni si derivano rispetto al tempo e nei ri-
sultati si sostituiscono invece di V, e;' le espressioni (2) e
invece delle derivate dei coseni si pongono le note espressioni
in funzione dei coseni stessi e di p, q , r, si ottengono le formule
seguenti :
a = q(z — c) — r(y — b),
b' = r [x — a) — p (z — c) ,
c=p(y — b) — q{x — a),
da 7, db , de
-T7 , b c =-r7 .
ove è posto
(3)
Chiamando TT la velocità del centro di gravità, si avrà
dalle (2) :
W2 — (x2 + y2 + z2) ( p 2 + q2 + r2) — ( xp + yq -f zrf .
Se x, y , z sono assi baricentrici principali del corpo mo-
bile e se A, B, G sono i momenti principali d’inerzia ed ‘m è
la massa totale del corpo, la forza viva T sarà data dall’ espres-
sione :
(4)
(x2-\-y2-lrz2)(p2-\-q2-\-r2) — {x:p-\~yq-\-zr)2
+ \ {Ap2-\- Bq2 + Cr)2.
Nei tre casi seguenti A), B), C ) il sistema mobile ha
solo grado di libertà ed è quindi necessariamente olonomo.
un
Sul moto di rotolamento
13
JJ) — Consideriamo in particolare il caso del rotolamento
puro di un cilindro sopra un piano (§ I, TP). Faremo uso delle
formule generali :
a — cos <p cos •(}> — sen cp sen cjj cos 6, a2 = — sei) cp cos — cos cp seu c|> cos b ,
P — cos «p seu c}) -j- seu cp cos cj> cos G, P2 == — seu cp seu cj> -j- cos cp cos c|> cos 0,
a3 = seu cjj sen 0, P3 = — cos <j> sen 0,
p — seu 0 sen cp, = sen 0 cos cp, ?3 = cos 0 ,
— cp' sen 0 sen <[> -j- 0' cos c[> , qL — — cp' sen 0 cos cjj -|- 6' sen cp,
rA r=z cp' cos 0 cj/.
Colle convenzioni e notazioni del (§ I, jF1) avremo :
y = F (z) , cp =r 0, F' (z) — cot 0 , £ = — (/ sen 0 — 2 cos 0.
Le prime due delle equazioni (1) diventano :
5' -j- 0' sen cj; (j/ sen 6 -j- z cos 0) — di' x sen cj> -j- cos cj> (y cos 6 — z sen 6)
0,
7j' -j- cj/ a? cos cj> -[- seu cjj ( — y cos 0 -j- z seu 0) — 0' cos cjj {y sen b s cos 6) — (h
Queste due equazioni, di 1" grado rispetto ad x, devono esj
sere soddisfatte per qualunque valore della x, sicché se ne de-
duce dapprima cj/ = 0, cioè 4> = essendo <J>0 il valore iniziale
di cjj. Per maggior semplicità potremo supporre cjjQ nullo, sicché
per tutta la durata del movimento avremo :
c}> = 0.
Allora si avrà anche % = 0, cioè :
5 = ^0
e inoltre :
-/)' — b' ( y sen 6 -[- z cos 6) = 0.
14
G. Pennacchietti
[Memoria IX. J
B) — Consideriamo il caso di un cono che rotola senza striscia-
re sopra un piano. A causa delle relazioni sopra trovate (§ I, G)
si avrà’ dalle (§ I, 4) :
xl — Z = x (cq + a2 p + «3 a) -j- a2 (ap — b) -f a, (ac - c) ,
ÌJi — ri = x (Px — j— P2 p — P3 G) P-2 (a? ~~ b) + P3 («5 — c) .
eL — Z = T2 (op — 6) + T3 («o— c).
Dovendo le relazioni VxL = 0 , T7[/l=0 e perciò le prime
due delle (1) essere soddisfatte qualunque sia x, si conclude che
dovrà essere :
**1 = 0-
Le prime due delle (1) diventeranno perciò :
+ <h T2 («P — &) + h (az — c )
= 0,
V - ih
T2 (ap — 6) -f t3 («a — c)
: 0.
Le tre ultime equazioni, insieme con le quattro equazioni
che nel (§ I, G ) si sono trovate tra le quantità p> o, 0, Z, co-
stituiscono un sistema di sette equazioni fra le otto quantità
p, a> Z, 0, <p, <I>. Queste sette equazioni ci dicono che un cono
obbligato a rotolare senza strisciamento sopra un piano fisso
ha un solo grado di libertà, sicché la determinazione del movi-
mento richiede la conoscenza di un solo parametro in funzione
del tempo.
C ) — Supponiamo infine che un corpo solido debba muo-
versi parallelamente al piano fisso 0 1a,1?y1 e nello stesso tempo
per mezzo della sua superfìcie, che supporremo convessa, rotoli
senza strisciare sul piano stesso. Prendo il piano xOy parallelo
al piano xfiiyi , onde :
0 = 0.
La linea dei nodi rimane indeterminata, ma condotti gli
Sul moto di rotolamento
15
assi 0 x{y'z{ paralleli agli assi Oix1yisi , potremo prendere la se-
miretta Ox^ come linea dei nodi, onde :
4».== o.
Si lia inoltre :
S — Zoì
essendo Z0 il valore iniziale di z. Se nel contatto non è impe-
dito lo strisciamento, il corpo che qui si considera, ha tre gradi
di libertà ; la condizione dell’ assenza dello strisciamento dà luo-
go a due nuove equazioni e non resterà al corpo che un solo
grado di libertà.
§ III.
Equazioni del moto.
Siano X, Y, Z, />, M, X le sei coordinate del sistema delle
forze attive rispetto agli assi 0 xyz supposti baricentrici e prin-
cipali ; siano X', Y', Z', L' , il/', N' le proiezioni sugli stessi assi
della reazione del corpo fìsso applicata al punto xpj^x di con-
tatto e i momenti di questa reazione rispetto agli stessi assi.
Siano li, v, w, p, q, r le componenti della velocità del centro
di gravità e della rotazione istantanea e finalmente denotiamo
con A, B , C i momenti principali d’inerzia del corpo mobile
rispetto al centro di gravità 0. Sia m la massa totale del corpo
mobile. Le equazioni del moto saranno :
m ^Tt qw ~~ rvì ~ x + x' >
* !
m + ru ~~ — y+ Y' ’
m pv ~ ^ z >
16
G. Pennacchietti
[Memoria IX.]
A -)- ( C — B ) qr — L -f- L' ,
B^. + (A-C}rp = M + M',
C Ì^ + (B- A)pq = N-\-r.
Essendo nulla la velocità del punto di contatto, si avrà :
u — j— qz — ry = 0, v -\ -rx — pz — 0, w -j- py — qx — 0.
Inoltre si ha :
Li = yZ' — zY' , M' — zX' — ; xZ\ N' = xY' — yX
Se Lq , M0, JY0 sono le proiezioni, sugli assi Oxyz, del mo-
mento risultante delle forze attive relativo al punto di contatto,
si ha :
(1) L0= L — yZ+zY, M0 — M — zX -J- xZ, N0 = N — xY + yX.
Dalle equazioni precedenti, per via di eliminazione, si ot-
tengono le equazioni del moto nella forma :
(2) \A-\- — mx (y -f « -^) -f- {C— B) qr -f- m ( pxJrqy-\-rz)X
X (yr — «2) — (qy + «0 + p {yy' -f zz)
con due altre analoghe, od anche :
= Ln
(3)
A + m (x2 -f- y2 -f- z2) ]^- _ mx {x -f y -f e -f (6Y- B) qr
dt
dt
dt
-j- m (px -)- qy -f- rz) {yr — zq — x) -]- p {xx' -j- yy' -]- zz)
= L„
con due altre analoghe.
Moltiplicando le (2) rispettivamente per x, y, z e sommali-
Bui moto di rotolamento
17
do, si trova la seguente notevole loro combinazione, la quale
può tener luogo di una di esse :
(4)
A
dp
dt
( C — B) qr — L
Bd± + (A-V)r1>-M]p +
+ {u% + (B-A)n-v
= 0.
Inoltre si può osservare clie, quando esiste l’integrale delle
forze vive, questo può tener luogo di un’ altra delle equazioni
(2) ovvero (3) del moto. Se U è il potenziale da cui provengono
le forze attive, l’ integrale delle forze vive è:
(5) ^m(xz-\-yz-\-z2) (j>2— |— {— »'2) + ^(Ap2+JBr/+6V2)— ~m(xp+yq-{-zr)z— D=h.
Se nelle equazioni (2) si considerano x, y , z costanti, si ot-
terranno pel moto di un corpo solido intorno a un punto fisso
che ha le coordinate assegnate x , y , z rispetto agli assi bari-
centrici principali d’inerzia, le equazioni seguenti :
A -f m ( y 2
dp do
mx ( y —A
dt ' dt
4-
dv
*-fa) + (V — B) V + m (px-\~qy + rz)x
X (yr — zq) — L0 ,
con due altre analoghe, nelle quali equazioni devono intendersi
x , y , z eguali a costanti date.
Nel caso del rotolamento puro di una superficie sferica o
anche di una linea sferica di raggio B sopra una superfìcie qua-
lunque fìssa le equazioni (3) si semplificano, perchè si ha allora
identicamente :
x1 ~Y V 2 -f - zz = Rz , xx -}- yy -[- zz = 0,
onde :
(6) (A -j- mR2) ~ — mx (xp -]- yq' -j- zr) -j- (C — B ) qr m (px -(- qy -(- rz) x
X (2/»’ — zq — x) = L0
Atti Acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Mem. IX.
3
18
G. Pennaccliietti
[Memoria IX. J
con due altre analoghe.
Se il corpo rotolante è una sfera omogenea soggetta all’ a-
zione di una forza qualunque applicata al centro e di una cop-
pia situata in un piano parallelo alla retta che unisce il centro
al punto di contatto colla superficie fìssa, si avrà :
A = B = C , Lx - {- My -J- Nz = 0
e la (4) diventerà :
ÈP ,r i d±
dt ^ dt
Se di più la superficie fìssa, su cui rotola la sfera , è un
piano, quest’ ultima relazione diverrà (§ I, B) :
dp , dq , dr n
dT^-0’
onde, osservando che si ha :
pi i + 2t'2 + n' 3 = o ,
avremo :
Ph + (lh + rh = ^
ove Jc è una costante. Quest’ integrale del problema ci offre la
seguente proposizione : /Se una sfera omogenea è costretta a roto-
lare senza strisciare sopra un piano fisso , sotto V azione di una
forza qualunque applicata al centro e di una coppia situata in un
piano qualunque perpendicolare al piano fisso, la componente della
rotazione istantanea secondo la normale al piano fisso è costante.
Se il corpo che è in contatto col piano fisso 0 lxiyi, è una
sfera, si avrà (§ I, B):
yr — zq — x = 0, zp — xr — y — 0, xq — yp — z = 0,
e supponendo di più che la sfera sia omogenea e che L0 — 3f0
z=]¥0=0, si concluderà subito dalle equazioni precedenti il ri-
l
Sul moto di rotolamento
19
sultato notissimo : p =p0 , q = q0 , r = rQ, siocliè la rotazione
avverrà uniformemente intorno a uno stesso diametro della sfera.
Perciò si può supporre = 0 , qQ = 0 e quindi :
c!> = 0, 6= 0O, cp r =r0t
Pi = 0, qt — — r0 sen 0o , rt = r0 cos .
Essendo ora :
oo i = 5 , = *1 ? «i = 0 »
le (§ I, 1) diveranno :
= — Rr0 sen 0o , r[ — 0, = 0 ,
onde :
c, — — Zir0 £ sen 0O , r( = 0 ,
oltre £ = 7?, e si concluderà die il moto del centro di gravità
avviene uniformemente lungo una retta perpendicolare al dia-
metro (isso della sfera intorno al quale essa ruota.
Qui osserviamo che il metodo seguito dall’illustre matema-
tico C. Xeumamt (*) nel problema del moto di rotolamento puro
di una superficie convessa sopra un piano fisso non è esatto, per-
chè si fonda sopra una non giusta applicazione del principio di
Hamilton ad un sistema non olonomo, per quanto il Leumann
abbia avuto per primo il grande merito di riconoscere che sif-
fatta specie di questioni costituisce una classe di problemi ai
quali non si possono applicare inalterati i principii classici della
meccanica di Lagrange. Applicando le formule di 0. \ eum
al caso tanto ovvio di una sfera pesante vincolata a rotolare so-
pra un piano orizzontale si trovano formule assai più compli-
cate di quelle estremamente semplici che abbiamo dato in fine
(*) C. Neumann, Ueber die rolleude Bewegnng anf einer gegebenen Horizontalebeno
imter dem Einfluss der Schwere ; Bericlite der Konigl. sachs. Gesellschaft der Wissenschaf-
ten zu Leipzig, 1885 : Mathematiche Aunalen, B. XXVII, anno 1886 pag. 478.
20
G. Pennaccliietti
[Memoria IX. J
del presente paragrafo come applicazione ovvia delle formule
generali.
§ 1 Y.
Applicazione alla circonferenza.
Applichiamo le equazioni del moto ad una circonferenza
pesante di raggio B, che rotola, senza strisciare, sopra il piano
fisso Oxiì/1, supposto orizzontale. Avremo:
mR2
A = B— — — , x
— R sen 9 , y = — R cos 9 , z = 0
L0 — mg (yr3 — zj9) , M0 = mg (aqq — xy3) , N0 — mg (aq, — y^) ,
e quindi :
L0— — mg R cos c p cos 6 , M0 = mg R sen 9 cos 6 , iV0 = 0.
Con sole sostituzioni si avranno le equazioni del moto nella
forma seguente :
(1— (— 2 cos2 9) ^ — 2seii9Cos 9^ — qr — 2 (jp sen 9—]—^ c°s cp)2 cos cp eot © — ~ cos 9 cos
(1) \ — 2 sen 9COS 9^-j-(1_l_2sen29)-^=rjp-l-2(i>sen9-j-Scos9)2sen9Cot0-[_'^,seilcPCOf
dv
2 = (p sen 9 q cos 9) (p cos 9 — q sen 9) .
Moltiplicando la la per sen 9 , la 2a per cos 9 e sommando
si ha :
(2)
(-^r ) sen 9 -f ( — pr) cos 9 = 0.
Sul moto di rotolamento
21
Risolvendo le stesse equazioni rispetto alle derivate di p,
q, , r, si lia :
3 _ qr( l-J-2 se li'2 cp)-f-2 sen cp cos cp||»' — 2 (p sencp-j-gcoscp)2 cos cpcot 6— ^coscpcos (5,
3 d~=pr (1— (— 2 cos2 cp) — 2 sen ? cos cp. gr-j-2 (p sen cp-f-g cos cp)2 seu cp cot 0 -f- ^sen<pcos0,
dì*
2 ~^ = (p sen cp -j- g coscp) (p cos cp — g sen cp) .
Moltiplicando la V delle (3) per — cos cp , la 2a per sen cp e
sommando si ha :
(4) 3( — ~ cos c? -j- T? sen cp)=2 cot 0 (p sen cp -j- g cos cp)2 -j- r {p sen cp -)-
Cto Q/Z
+ g coscp) +
R
cos 6.
Consideriamo un nuovo triedro di referenza Gx'y'z avente
per origine il punto C di contatto ed assumiamo come asse x\
parallelo all’asse xi, il diametro condotto per C e diretto verso
il centro, come asse y parallelo all’asse //1 , la tangente al cer-
chio in G e per asse z la normale al piano del cerchio, in guisa
che si abbia la seguente tabella di coseni :
x
x y' z
sen <p — cos © 0
y cos ® sen <p 0
z 0 0 1
Se p , q , r sono le componenti della rotazione istantanea
rispetto agli assi x , y' , z , si avrà :
(5) p =p sen <p — (— g cos cp ,
(6) p —p' sen cp — g' cos cp ,
(7) r ~ r .
g' — — p cos c p — |— g sen cp ,
g — p cos cp — (— g' sen © ,
22
G. Pennacchietti
[Memoria IX. J
Colle nuove variabili la (2), la 3a delle (1) e la (4) diven-
gono :
Le equazioni (8) sono identiche a quelle date dal Carvallo (’)
se si osserva che le rotazioni da noi denotate con p, q, r sono
dal Carvallo rappresentate colle lettere r, p , q rispettivamente e
che l’angolo 0 del Carvallo è quello dei tre angoli euleriani che in
tutto il nostro lavoro abbiamo costantemente denotato colla stessa
lettera 6.
Corpo omogeneo pesante di rivoluzione che rotola mediante uno
Le coordinate del punto di contatto della circonferenza col
piano e l’ ordinata 'C del centro di gravità sono date, come si è
veduto (§ I, Z>), dalle formule :
x = — E sen co , y = — R cos co , z = — a, 'C, = a cos 6 -j- E sen 6 .
Si sostituiranno questi valori nella 3a delle (§ III, 2) e nella
(§ III, 4) e si esprimeranno le />, q , r mediante le p , q , r , co-
me si è fatto nel § precedente. Si osserverà inoltre che dalle
formule (§ IV, 5) e dalle seguenti :
(q Carvallo, Théorie du mouvement du monocycle et de la bicyolette, Mém. couronnd
par V Academie des Seieuces, Prix Foiirneyron, Iournal Polyteelinique, 1900.
§ V.
spigolo vivo sopra un piano orizzontale fisso.
p — cp' seu 0 sen co -j- 6' cos cp , q = cji' seu 6 cos cp — 6' sen co ,
r ■= ò' cos 0 -j- cp'
Sul moto di rotolamento
23
si trae :
(1) p — c|/ sen d , — — 6% r' r= <[>' cos 6 — {— cp' .
(2)
(3)
Si ottengono così le due equazioni :
mRa — {G -j- mR2) ^ -j- mRp ( a cot 0 -(- R) = 0 ,
AR% + Ga% = R(I (AP cot d — Gr') .
L’ integrale delle forze vive è :
(4)
m
{R-\-a2)(p'2-\-qz^-r'2)—(ar'-^Rp')2 j + .y [ Y/2+S'2)+ Or'2 j
Gr'2 =h.
È facile verificare che i risultati precedenti equivalgono in-
tieramente a quelli dati da P. Appell (*) nella Memoria in cui è
trattato il problema precedente. Basta porre nella (2) m~ 1 e
inoltre sostituire alle nostre notazioni <p , li, a rispettivamente
<J>, a, — c come pure, per cambiamento di senso di assi, a p , q , r
rispettivamente — p , — q, r, per vedere che le (3), (2) sono
rispettivamente identiche alle equazioni (d) pag. 5 della citata
Memoria di Appell, alla quale rimandiamo per la elegante ap-
plicazione delle serie ipergeometriche nel caso di a = 0 che è
quello del cerchio.
§ YI.
Corpo solido omogeneo pesante di rivoluzione sopra
un piano orizzontale.
Seguendo le notazioni del (§1, C ), si ha:
X— — p sen cp , y — — p cos cp , z — F (p) , F' (p) — tan 0 ,
Z = p sen 6 — F (p) cos 6 .
O Appell, Sur 1’ intégration des équations dii nionvement d’ un corps pesant de ré-
volution roulante par line arète circnlaire sur un pian liorizontal ; cas particulier du cercali.
Rend. Ciro. Matem. di Palermo, t. XIV. anno 1900.
24
G. Pennaccliietti
[Memoria IX.]
Facendo le sostituzioni come nel § precedente, si giunge al
seguente sistema di equazioni differenziali :
la 3a delle quali è 1’ integrale delle forze vive.
Siccome p e z si conoscono in funzione di 6 , le prime due
delle equazioni (2) 'ci daranno p , r in funzione di 6 mediante
la integrazione di un’ equazione differenziale ordinaria lineare
del 2° ordine, dalla quale, oltreché da quadrature, dipenderà la
soluzione completa di questo problema che è una generalizza-
zione di quello svolto nel paragrafo precedente e sul quale si
trova una sommaria indicazione in fine della citata Memoria
di Appele.
Catania 21 Novembre 1906.
(2)
m (p 2-\-z2) {p2-\-<f2-\-r'2) — (rz—pp)2 -j- mg (p seri 6 — z e°s 6) = li
CORREZIONI
A pag. 9 riga 10a si legga : F' ( z ) ~ zh cot 0.
A pag. 12 riga penultima si legga : Nei due casi seguenti J), B)
il sistema mobile ete.
A pag. 15 riga 7a si legga: due gradi.
id. righe 9a e 10a si legga : almeno generalmente, nessun
grado di libertà.
Memorisi X
G. LOPRIORE x ^
‘ 1 1 ' " ir""1 •'
Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite,
determinati da stimoli traumatici.
La struttura dei vegetali è tale, per cui è per-
fettamente ammissibile che uno stimolo ri-
sentito da un individuo in un determinato
punto, produca i suoi effetti in un’ altra par-
te del medesimo.
Beccaki, Nelle foreste di Borneo. Firenze 1902.
Lo studio delle reazioni prodotte da stimoli traumatici in
piante ed animali ha grande importanza sia per la teratologia
e patologia che per la teoria delle correlazioni, in quanto mostra
che forme teratologiche derivano spesso da normali è che nuove
correlazioni si destano per effetto di azioni traumatiche.
Ma se lo studio delle forme teratologiche promosse artifi-
cialmente ha dato corpo soltanto ora alla « teratologia speri-
mentale » , quello sulla rigenerazione di uova e di embrioni s’ è
impersonato già da tempo nella « embriogenià sperimentale » ,
costituendone uno dei rami più importanti dell’indagine biologica.
La morfologia posa ora sulla embriogenià ed aspetta dalla
teratologia sperimentale nuovi lumi intorno alla genesi di quelle
forme, che l’indagine comparativa non potè ancora chiarire.
Intendendo per rigenerazione, in questo come in altri
miei scritti sullo stesso argomento, quel complesso di reazioni ,
che, dalla superficie d’ un organo ferito ed in continuazione
diretta dello stesso, permettono l’integrazione o restituzione
completa della parte asportata, ne consegue che i soli menatemi
primari conducono alla rigenerazione vera od in senso stretto.
Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Meni. X. I
2
Prof. (t. Lopriore
[Memoria X.]
Quelle reazioni, invece, che promuovono formazioni nuove
o da menatemi secondari, % originatisi spesso per stimoli trauma-
tici, o da inizi che sarebbero rimasti a lungo se non per sempre
inattivi e che, sviluppandosi, tendono a compensare il difetto o
ad acquistare l’egemonia perduta dall’organo soppresso, sono
da comprendersi nella rigenerazione in senso largo o meglio nei
fenomeni di sostituzione.
Dal punto di vista biologico è bene distinguere 1' una dal-
l’altra genesi, anche in considerazione delle induzioni generali
di’ è permesso derivarne.
I processi di rigenerazione, che si esplicano nelle Cormofite
in conseguenza di azioni traumatiche, possono essere studiati da
diversi punti di vista, secondo che si considerano o i soli cam-
biamenti anatomici dei tessuti o l’ influenza di agenti esterni od
infine le correlazioni che ne risultano.
La cognizione esatta della biologia delle reazioni traumati-
che rendendone indispensabile 1’ esame da tutti tre questi punti
di vista, farò qui una breve rassegna delle disposizioni nettamente
biologiche, relative ad ognuno di questi tre punti nonché ai mo-
vimenti traumatropici, accennando in fine alle possibili induzioni
d’ordine generale e filogenetico.
Credo opportuno di esporre le particolarità biologiche in
modo comparativo per gli assi e per le appendici, allo scopo di
riconoscere se esse presentano differenze così profonde come gli
organi a cui si riferiscono e se permettono, anche per questa
via, di confermare la diversità fondamentale fra conno e foglia.
In tale esposizione, se faccio astrazione dai muschi e dalle
felci, rinviando al breve sunto dato altrove (Lopriore vi, p. 275),
considero, però, le foglie di quelle felci che, per essere provviste
di meristema apicale, presentano identità di comportamento con
quelle di alcune rare fanerogame munite di meristema basale.
Per altre particolarità rinvio a quest’ ultimo lavoro, poi che
Necessità mi fa esser veloce.
Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite , eco.
3
Rigenerazione di fusti e radici.
Senza esporre qui molte particolarità <f indole anatomica,
e fusto radice presentano nei processi di rigenerazione un com-
portamento quasi identico. Se ad es. se ne fende l’apice con un
taglio longitudinale mediano, della profondità massima d’ 1 cui,
le due metà si rigenerano in modo completo, producendo rispet-
tivamente nuove radici e nuovi germogli laterali a rizotassi e
fillotassi tanto più regolari quanto più prossime all’ apice delle
due metà rigenerate.
La potenza rigenerativa di fusti e radici, in conseguenza di
spaccili longitudinali, raggiunge la maggiore espressione in frutti
e semi spaccati, i cui embrioni si rigenerano completamente,
come Haberlandt (i) ha provato fin dal 1877. E se si pensa
quanto spesso nei semi in riposo l’embrione è menomato da lar-
ve, che v’iniziano lo sviluppo dalle uova depostevi, s’intende
di quanta importanza biologica sia la possibilità per parte sua di
rigenerarsi.
Se, invece d’ un taglio mediano, si conducono tagli in nu-
mero e senso diverso, come il Némec (i) ha fatto con radici
di fave, di mais e di altre piante , la rigenerazione si compie
ugualmente, presentando modalità svariatissime per quanto in-
teressanti dal punto di vista anatomico e fisiologico.
Soltanto rispetto alla decapitazione i fusti parrebbero non
presentare la stessa facoltà rigenerativa delle radici , almeno
per quanto finora risulta dai tentativi fatti. Però, dalla consi-
derazione dei risultati da me ottenuti nella rigenerazione di
fusti spaccati, il Peeeeee (i, voi. ri. p. 206) induce che anche
quelli decapitati possono rigenerarsi, se soltanto la parte estrema
della gemma apicale viene asportata. Tale induzione condivido
io pure in base a risultati parziali finora ottenuti e che spero
di completare con ulteriori indagini su materiale più adatto.
4
Prof. G. Lopriore
[Memoria X.J
Biologicamente un simile difetto potrebbe spiegarsi con
l’ammettere che la soppressione della gemma apicale, affrettando
la schiusa di quelle laterali, determina la sostituzione di queste
all’ altra. Ma per le radici fittonate, essendo parimenti sicura la
sostituzione da parte di quelle laterali, bisognerebbe invocare la
stessa spiegazione biologica. Conviene, quindi, ammettere che se
la rigenerazione di fusti decapitati non potè finora essere seguita,
il difetto è dovuto piuttosto a difficoltà tecniche od a materiale
inadatto che ad incapacità insita negli assi.
La tendenza alla sostituzione è nella pianta molto più grande
di quella alla rigenerazione, perchè in natura e per parte di
agenti diversi non si verificano lesioni nè così regolari, nè in
condizioni così favorevoli, come quelle compiute dallo scalpello
dello sperimentatore.
Notevole in questi fenomeni di sostituzione è la polarità
scoperta dal Vochtixg (i), per cui 1’ ordine dispositivo dei nuovi
germogli e delle nuove radici è costante. I primi si formano
all’estremo apicale del fusto ed a quello basale della radice;
le nuove radici si formano all’ estremo apicale della radice ed
a quello basale del fusto. Nelle foglie non v’ è polarità.
Lesioni poco profonde, non compromettenti cioè il peri-
cambio cicatrizzano facilmente con processi rapidi ed opportuni.
Disposizioni anatomo-biologiche.
Dal punto di vista biologico le reazioni dei diversi tessuti
sono tanto più pronte ed efficaci quanto più grande è 1’ impor-
tanza loro nella economia della pianta. Così il pericambio e
gli strati più periferici del cilindro centrale reagiscono, data la
loro importanza, molto più energicamente della corteccia e del
tessuto midollare o midollariforme, che ne hanno relativamente
meno.
L’ attività del pericambio nella ricostituzione di nuovi apici
radicali è così grande e prevale tanto sugli altri tessuti da con-
i
Note stillo biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite , eoe.
5
durre, anche senza l’intervento d’un callo, alla rigenerazione com-
pleta di essi. Sarebbe questa la cosiddetta rigenerazione diret-
ta del Simon (i) , da distinguersi dalla parziale — forse me-
glio indiretta — dello stesso autore e dalla procambiale del
Pkantl (i), che si compie per intervento del callo.
Ma se gli altri sistemi di tessuti non possono senza il
cambio condurre alla ricostituzione di nuovi apici, esercitano
nondimeno uffici biologici importanti. Così merita considerazione
il fatto che gli elementi situati all' esterno della nuova epider-
mide e del meristema rigeneratosi dal cambio formino una pi-
leoriza provvisoria, che nel mais vien più tardi rigettata, mentre
nelle leguminose passa gradatamente in quella normale (Simon).
Questa diversità di comportamento è da riferirsi, secondo
me, al fatto biologico che il tìttoncino, rappresentando nel primo
sviluppo delle dicotiledoni 1’ unico asse dell’ intero sistema sot-
terraneo, ha bisogno di meglio difendere 1’ apice in confronto alle
radici fascicolate delle monocotiledoni.
Nella corteccia, 1’ allungamento delle cellule a ino’ di clava
per tendere alla chiusura della ferita, la formazione di bandelle
di elementi più piccoli e serrati, allo scopo di proteggere il si-
stema conduttore, sono reazioni secondarie che assicurano l’esito
della rigenerazione. L’ endoderma ispessisce e suberitica unifor-
memente le sue cellule lungo la zona compromessa, lasciando
solo in corrispondenza dei primani delle placche legnose una o
più cellule di passaggio.
Il sistema meccanico spiega un’ azione immediata , provve-
dendo alla difesa dei tessuti rigenerantisi o rigenerati, mediante
cingoli di elementi ispessiti, che dalla zona intatta si estendono
a quella ferita. Nelle radici di Pandanus e, più tipicamente, in
quelle di Syngonium mi è occorso di osservare che questi cingoli
risultano di elementi meccanici due o tre volte più grandi dei
normali. Sorprende anzi che in alcuni casi mentre 1’ ipoderma
presenta all’ esterno una sola fila di cellule meccaniche, nella
parte lesa e rigenerata se ne abbiano due a tre, sovrapposte, in
t>
Prof. G. Lopriore
[Memoria. X.|
conseguenza forse della reazione troppo immediata, disordinata-
mente 1’ una all’ altra.
Con l’utilità evidente di siffatte reazioni del sistema mec-
canico contrasta però il fatto, biologicamente poco spiegabile, che
i cordoni di sclerenchima nel libro delle radici di fava si avvol-
gano quasi interamente con un parenchima di elementi concen-
trici ai cordoni e distesi tangenzialmente agli stessi, come il Ber-
trand (i, p. 3) descrive per le superfici libere od isolanti.
Quanto alle altre reazioni, se non sempre emerge l’ utilità
dei movimenti traumatropici, è chiara invece quella delle rea-
zioni successive, intese a difendere i tessuti interni ed a ristabi-
lirne la funzione. Così il sughero, la gomma e la resina di
difesa sono prodotti di azioni traumatiche, che per la loro po-
sizione periferica hanno fin qui meglio fermala l’attenzione.
L’ importanza loro dal punto di vista biologico è nota. Op-
ponendosi all’entrata dell’aria e dell’acqua, prestano efficace di-
fesa ai tessuti sottostanti, messi improvvisamente a nudo.
Il cosiddetto legno di difesa risponde aneli’ esso mirabil-
mente al suo ufficio, grazie all’ impermeabilità per l’aria e per
l’acqua ed al peso specifico maggiore. [Fisiologicamente ed anato-
micamente esso non è altro che durame formatosi precocemente
per la difesa dell’ alburno.
Agenti esterni.
Per quel che riguarda l’azione degli agenti esterni, un’impor-
tanza grandissima esercita la temperatura, importanza, che, rilevata
prima da me (Lopriore ii, p. 208) venne poi confermata dagli
studi successivi del Simon (i, p. 127) e del Némec (i, p. 272).
Così, importa, dal punto di vista biologico , che 1’ ottimo
di temperatura per la rigenerazione coincida con quello per lo
accrescimento e che temperature basse, le quali ancor permet-
tono l’accrescimento, ritardino la rigenerazione, senza però so-
spenderla del tutto od almeno arrestare quei processi interni
che ne preludiano l’inizio.
Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormo fite , eco.
(
Non meno importante è il fatto che in radici situate in-
versamente, cioè con F apice rivolto in su , la durata della ri-
generazione si prolunghi di poco oltre l1 ordinario e che la pi-
leoriza si conformi diversamente, pur potendo riprendere la for-
ma consueta non appena la radice vien rimessa in posizione
normale.
Tutti quei mezzi meccanici che ritardano F accrescimento ,
ritardano pure la rigenerazione. Radici ingessate conservano il
potere rigenerativo tino a quando conservano la vitalità. Questo
limite, variabile, com’ è da aspettarsi , nelle diverse piante , è
per le radici di fava di 7, per quelle di mais di 14 giorni. Le
stesse radici, decapitate e rinchiuse in cubi di argilla , si rige-
nerano normalmente in 3 giorni.
L’ importanza biologica di questi risultati, così evidente per
sè stessa, rifluisce pur nella pratica, se si pensa che in terreno
argilloso, molto compatto, le radici vengono spesso arrestate nel
loro sviluppo od anche stirate e dilacerate, come quello, dissec-
candosi, si screpola o si fende.
I mezzi chimici finora tentati, per studiare sui processi ri-
generativi specialmente F azione anestetica , sono F etere ed il
cloralio. I risultati relativi , per quanto importanti dal punto
di vista fisiologico, lo sono meno da quello biologico, in riguar-
do particolarmente alle condizioni naturali di vegetazione. Così
in acqua col 3/4 % di etere le radici di mais compiono con
normale rapidità la rigenerazione loro, pur mostrando un note-
vole ritardo nell’ accrescimento in lunghezza (Simon). Inacqua
doralizzata, invece, tanto la rigenerazione quanto F allungamento
subiscono un notevole ritardo, mentre il nuovo cono vegetativo
non sospende F allungamento, come il Simon ha osservato nelle
colture sopra cennate.
Oltre che sui veri processi di rigenerazione , Fazione del-
F etere venne anche tentata dal Goebel (i) per promuovere nel
Bryophyllum la formazione di germogli fogliari. L' effetto ne è
anzi così pronto , che questi si mostrano già dopo un giorno,
8
Prof. G. Lopriore
[Memoria X.J
per quanto d7 altra parte i vapori di etere danneggino le foglie,
facendole perire insieme agl7 inizi dei nuovi germogli.
Effetti non diversi produce I7 etere , anticipando la schiusa
delle gemme coll7 abbreviare il loro periodo invernale di riposo.
Il suo impiego nelle colture forzate tende, anzi, a divenire una
pratica abbastanza diffusa di giardinaggio.
Quanto alle condizioni esterne che promuovono la nutri-
zione, è ovvio che la rigenerazione si compie tanto più rapida-
mente quanto meglio favorita da un abbondante trasporto di
materiali plastici. L’accumulo di questi nella regione che sta per
rigenerarsi esercita un’influenza notevole sull7 intensità del pro-
cesso rigenerativo, specialmente se azioni favorevoli vi cooperano.
Biologicamente importante è però il fatto che , in conse-
guenza dello stimolo traumatico , la pianta moltiplichi la sua
attività fisiologica e quindi le sue risorse materiali , trionfando
anche sulle condizioni esterne poco favorevoli alla nutrizione.
In correlazione con questo fatto sta forse quello della gran-
de rapidità con cui si svolgono i processi di rigenerazione, po-
tendo i nuovi coni vegetativi formarsi già in due o tre giorni.
Correlazioni.
Le correlazioni, che si destano in conseguenza di stimoli
traumatici, sono di natura strutturale o funzionale, per quanto
difficile sia distinguere l7 una dall7 altra. Esse si rivelano o sul-
l7 organo stesso colpito dal trauma oppure su organi diversi ,
prossimi o lontani, « potendo uno stimolo risentito da un7 in-
dividuo in un determinato punto produrre i suoi effetti in altra
parte del medesimo ». (Beccari i, p. 537).
Biologicamente vantaggioso per la pianta sarebbe il posse-
dere un certo grado d7 indipendenza fra sistema aereo e sotter-
raneo, dimodoché uno stimolo prodotto sull7 uno non determini
un ritardo nell’altro, fino a che questo non sia rigenerato.
Le prime ricerche, in tal senso condotte dal Kny (i) mediante
la soppressione ora dell7 asse epicotileo ora di quello ipocotileo,
Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite eco.
9
mostrarono infatti un alto grado d’indipendenza dell’uno dal-
l1 altro, sicché la decapitazione dell’ uno non ritardava 1’ accre-
scimento dell’ altro. Questo fatto, messo in evidenza per piante
di mais e di fava provenienti da semi, non ha trovato conferma
in esperienze successive condotte su tralci di vite vergine e di
salice. In questi la soppressione dei germogli produce un note-
vole ritardo nello sviluppo delle radici e viceversa (Kjsty ii, p. tus).
Correlazioni non meno importanti ho potuto osservare in
piantine di fave private, per decapitazione, della pluinula. Al-
l’ascella dei cotiledoni si formano in tal caso fino a tre germogli
laterali. 1 cotiledoni inverdiscono prima ancora di esaurire i
materiali di riserva e perdurano più a lungo sulla pianta.
Sebbene fra i germogli cotiledonari persistano più tardi rap-
porti molto evidenti di gerarchia, relativi al tempo della forma-
zione, sicché non tutti raggiungono lo stesso grado di sviluppo,
è certo biologicamente utile che la pianta reagisca alla decapi-
tazione, moltiplicando il numero dei futuri capi.
Il fatto, però, di non aver mai osservato dopo la decapita-
zione la tendenza a fasciarsi sia nelle radici laterali di fagiuolo
che nei germogli cotiledonari di fava, lascia credere che il di-
fetto di concomitanza del fenomeno sul sistema epi- ed ipogeo
della stessa pianta sia dovuto a ragioni di costituzione interna,
che forse meritano di venir meglio indagate.
La decapitazione del tìttoncino provoca lo sviluppo delle
radici laterali con tanto maggiore intensità quanto più preco-
cemente eseguita. A 3 cui. di distanza dal piano d’inserzione
dei cotiledoni si formano in media 10 radici per ogni centimetro
di lunghezza del fittone, a 5 chi. se ne formano 7 ed a 7 cui.
appena 5. Sotto 1’ enorme sviluppo delle radici laterali, 1’ antico
fittone quasi scompare, sicché il sistema radicale arieggia quello
delle radici fascicolate delle monocotiledoni.
Su queste correlazioni non insisto più a lungo , rientrando
esse piuttosto nei fenomeni di sostituzione che in quelli di ri-
generazione , rilevo , però , il fatto che le azioni traumatiche
Atti acc. Stori k 4% Vor.. XIX — Meni. X.
J
Prof. G. Lopriore
[Memoria X.]
IO
hanno spesso 1’ effetto di rendere palesi caratteri latenti. Così
mentre le radici laterali fasciate si riscontrano normalmente su
fìttoni interi di fava nella proporzione dell1 8 °/0, su quelli de-
capitati alla distanza di 3, 5, e 7 cm. dal piano d’inserzione dei
cotiledoni si riscontrano rispettivamente nella proporzione del
37, 26 e 15 %.
I risultati del Kny, relativi agli effetti ritardatari prodotti
dalla soppressione dell’un sistema sull’ altro, vennero da Franz
Hering (i) confermati, seguendo 1’ inclusione in gesso ora degli
organi aerei, ora dei sotterranei. Con questo processo gli organi
rimangono, invero, sotto lo stimolo continuo del protratto ac-
crescimento, stimolo ben diverso da quello traumatico e che,
una volta cessato, promuove senz’altro l’accrescimento tino al-
lora sospeso. Ad ogni modo 1’ importanza biologica di poter ri-
prendere e continuare in misura più rapida dell’ ordinaria il so-
speso sviluppo è abbastanza grande.
La pressione può condurre a correlazioni non diverse da
quelle prodotte dalla decapitazione. Così la formazione di radici
laterali su fittoncini sottoposti a pressione si trasporta , in ra-
gione dell’ intensità dello stimolo, dalla base all’ apice di questi,
traslocandosi in senso inverso non appena cessa la pressione. Ma
se, per numero e peso, le radici laterali sottostanno a quelle di
piante normali, biologicamente si rendono utili sia per la ten-
denza a formarsi sull’ asse epi- ed ipocotileo, sia per la capacità
di raggiungere in breve, cessato che sia lo stimolo, dimensioni
in lunghezza e spessore financo 1/3 maggiori delle normali.
Steli di fava con fìttoni sottoposti a pressione si sviluppano
dapprima così bene se non meglio dei normali, ma non tardano
dopo qualche tempo a risentirne sfavorevolmente.
Questi risultati, biologicamente spiegabili, ma non sempre,
nello stesso senso, utili alla pianta, conseguiti dal Kòhler (i) per
mezzo della pressione, vennero da me confermati, in assoluta in-
dipendenza da essi, sia per mezzo della pressione che della de-
capitazione e incisione radiale.
Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite , eoe.
11
Riguardo all’incisione radiale, l’osservazione da ine fatta che
Httoncini feriti lateralmente alla punta possono partire e rige-
nerare F apice come per effetto d’ un taglio longitudinale, m’in-
dusse a tentare se 1’ incisione radiale possa condurre allo stesso
risultato. Confermata sperimentalmente questa idea, trovai che
anche la pressione, da me invano tentata per promuovere la
fasciazione delle radici, può condurre allo stesso risultato.
Il Kòhlek (i, p. 23) ha infatti osservato che se un fittone di
fava, stretto fra due lastre di vetro convergenti ed ingessate, non
può ad onta dell’appiattimento proseguire il suo cammino ed at-
tingere maggiore profondità, scinde il suo corpo fibro-vascolare,
già tanto schiacciato, in due o più altri di forma quasi cilindrica.
Questi, dopo di essersi isolati, possono fondersi per ricosti-
tuire il corpo primitivo, che a sua volta può scindersi di nuovo
e ripetere ancora la detta vicenda. Siffatto comportamento, men-
tre prova la grande plasticità della radice, si svela d’ un’ impor-
tanza biologica grandissima, nel caso che la radice partisca ef-
fettivamente il suo apice. La bipartizione di questo sarebbe in
tal caso preceduta e favorita da quella del corpo libro- vascolare.
La formazione di più coni vegetativi, capaci di fondersi op-
>
pure di crescere isolatamente, è certo biologicamente vantaggio-
sa, se si pensa che nel terreno la punta dei ffttoncini subisce
azioni traumatiche d’ ogni sorta. Ma se i due coni provenienti
dalla rigenerazione di un apice fenduto, vengono nel terreno a
contatto, possono fondersi e ricostituire un cono unico.
Questo fatto, da me prima osservato, poi confermato per altra
via dal Kòhler e dal Simon, se prova la grande plasticità della
radice, dimostra che la tendenza, promossa dal geotropismo, a ri-
costituire un apice unico torna biologicamente utile alla radice
nel lavoro di penetrazione attraverso il terreno. Radici aeree di
Pandanus con apice fenduto ed in via di rigenerazione presentano
i due coni rigenerati, 1’ un dall’altro divisi finché si sviluppano
nell’ aria, ma come attingono il terreno, fondono gli stessi per
ricostituire un cono unico e potervi più facilmente penetrare.
12 Prof. O. Lopriore [Memoria X.]
Siffatta tendenza è provata ancora da un esperimento inge-
gnoso del Simon. Se nel pleroma d’ una radice decapitata si
introduce un tubetto di vetro in modo da farne rimaner fuori
l’estremo, del pleroma si rigenerano lobi staccati, die, ricongiun-
gendosi all’apice del tubo, ricostituiscono un sol cono vegetativo.
Nelle correlazioni finora accennate non è sempre agevole
il distinguere dal carattere strutturale quello funzionale, poiché
i cambiamenti anatomici sono determinati da quelli fisiologici.
Fra le correlazioni in cui prevale il carattere anatomico sonò
da contarsi quelle in cui gli stimoli si trasmettono a distanza.
In radici di fava e di mais ho potuto spesso osservare che, per
effetto dell’ incisione longitudinale non ledente il cilindro cen-
trale , lo stimolo ripercuotessi in direzione diametralmente op-
posta sino a promuovere qui la formazione di radici laterali.
In qualche caso, però, la struttura del cilindro centrale è così
eccentrica da far pensare a perturbazioni profonde nelle condi-
zioni trofiche della radice, riflettentisi anche in quelle laterali.
Al riguardo il tessuto midollariforme molto sviluppato ed
omogeneo delle radici di mais deve contribuire a trasmettere più
facilmente gli stimoli da un punto all1 altro della radice.
A questo genere di correlazioni sarebbe pure da riferirsi
la scliizostelia, più facile a verificarsi nel fusto che nella radice,
stante la natura diversa, nonché la disposizione là periferica ,
qui centrale dei fasci tìbro-vascolari. L’ utilità biologica della
schizostelia, quando ogni cordone stelico non si avvolga d’ un
mantello proprio di corteccia, panni, però, molto dubbia.
Era le correlazioni meno dirette, ma non meno importanti,
accennerò quelle rilevate dal Lindemuth (i) e dal Mattinolo (i).
Il primo, tagliando alla base gli assi fiorali di Lilium can-
didimi e Laclienalia luteola e tenendone il piede immerso in acqua,
otteneva semi normali, come d’ordinario non si hanno in natura.
Impedendo la formazione dei semi, mediante 1’ estirpazione dei
fiori, promuoveva in basso quella di bulbilli. Nei giacinti, invece,
compiendosi normalmente la granificazione, i bulbilli si forma-
vano in alto.
Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite, eoe.
13
Il Mattinolo riusciva, anche per mezzo dell’ estirpazione
dei fiori, via via che si formavano, a prolungare di molto la fio-
ritura della fava ed a provocare la cauli fio ria.
Rinviando alle spiegazioni, da me offerte altrove (vi, p. 271)
su questi fenomeni correlativi, panni specialmente importante il
fatto, fin qui non rilevato ma chiedente ancora più estesa confer-
ma, di potere sperimentalmente produrre la caulifìoria mediante
azioni traumatiche. Ora se si pensa che queste in natura possono
compiersi nei modi più diversi, s’ intende F estensione grandis-
sima che possono assumere nell’ indurre la caulifìoria , offrendo
una spiegazione più completa e soddisfacente di questo fenomeno.
Se le stesse cause possano provocare la scapiti ori a, stan-
no per provare alcune mie esperienze in corso.
Movimenti traumatropici.
Ho affermato che F utilità dei movimenti traumatropici non
sempre lasciasi biologicamente intendere. Mi permetto ora di ritor-
nare sull’ argomento, per meglio chiarire alcune osservazioni mie
e commentare altre più recenti dello Spaldlng (i) e del Bulìns (i).
Se si fende il cono vegetativo d’ una radice o d7 un fusto e
se in conseguenza le due metà divaricano fra di loro , volgen-
dosi in fuori ad arco, non è certo con l’esporre all’esterno una
così larga superfìcie di ferita ch’esse provvedono alla rigenera-
zione in modo più sicuro di quanto avverrebbe se rimanessero a
combaciare fra di loro. E se più tardi, allungandosi, si avvolgo-
no a spira od a nodo intorno a sè stesse, come non di rado mi
è occorso (li, p. 224) di osservare per radici aeree o crescenti
in soluzione acquosa, esse rivelano in modo ancor più manifesto
F inutilità di simili movimenti. Ma se, astraendo da comporta-
menti così poco naturali per quanto ovvii alla mia esperienza ,
ne osserviamo altri più facili a compiersi in natura, come p. es.
quelli di fìttoli cini incisi radialmente, le curve traumatropiche
avrebbero forse F utilità biologica di rimuovere dalla causa tran-
14
Prof. G. Lopriore
[Memoria X.J
matica (meccanica o chimica) la parte del fittone, che sovrasta
alla ferita e che perde tanto più della sua capacità rigenerativa
quanto più s’approssima alla base.
Ohe tali curve possano in realtà compiersi nel terreno, spe-
cialmente se troppo compatto, così come in segatura di legno, è
però da mettersi in dubbio, dopo che le osservazioni dello Sfal-
dino e quelle più recenti del Burn»s hanno dimostrato che i
mezzi meccanici (inclusione delle radici in gesso o introduzione
in tubi di vetro) rendono impossibile il compimento loro.
Anche il geotropismo tende già 24 ore dopo l’ avvenuto
trauma a neutralizzare, secondo il Nèmec, il traumatropismo, ri-
ducendone 1’ intensità o limitandolo alle parti più giovani.
L’ inclusione in gesso, se non permette le curve traumatro-
piche , non le estingue però del tutto, potendo esse esplicarsi,
dopo che le radici vengono liberate dall’ invoglio di gesso, tino
ad otto giorni dopo 1’ inclusione.
Con 1’ altro mezzo meccanico , per cui radici lateralmente
ferite vengono introdotte in tubi di vetro , che, senza impedire
1’ allungamento, impediscono il compiersi delle curve traumatro-
piche, lo stimolo traumatropico non si estingue ina rimane at-
tivo, traducendosi in curve evidenti, non appena le radici escono
con l’apice dall’altro estremo del tubo.
Cessata V influenza dei mezzi meccanici, la reazione si com-
pie con pari intensità, per impulso sia della vecchia che d’nna
nuova ferita, praticata uniformemente a ino’ d’incisione anulare.
Ma molto più che dall’azione ritardatrice dei mezzi mecca-
nici, l’ intensità delle curve traumatropiche viene affievolita dalla
bassa temperatura. Così radici ferite continuano ad allungarsi
a 4-7° C. senza mostrare curve traumatropiche, portate invece
a 18-21° C. incurvano tutte 1’ estremo dopo 24 ore. L’ intensità
delle curve è però meno sensibile rispetto a quella di altre ra-
dici, che, ferite allo stesso modo, vengono ingessate, poi liberate
dopo alcuni giorni dall’ involucro e portate in segatura di legno.
A limitare l’ importanza biologica del traumatropismo sta
Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite, eco.
15
il fatto , osservato dal Xèmec, die lo stimolo traumatropico si
trasmette soltanto fino ad una determinata distanza dalla ferita
e die la curva traumatropica rimane dapprima limitata nella
zona di accrescimento più vicina all’ apice, accentuandosi però,
col tempo, più verso la base che verso l1 apice.
Le curve traumatropiche, estinguendosi dopo le 24 ore che
susseguono al trauma, non procedono di conserva con la rige-
nerazione. L’affermazione, quindi, del Buttisrs che ferite laterali
esercitino uno stimolo continuo per l’induzione di curve trauma-
tropiche, il quale dura tino a che le radici non siano rigenerate,
va intesa dal Nèmec nel senso che lo stimolo traumatropico
scompare prima della completa rigenerazione e , invero , quasi
contemporaneamente all’ iniziarsi dei processi specifici di rige-
nerazione o di cicatrizzazione. Così radici incise obliquamente ,
rigenerantisi quindi prima di quelle incise trasversalmente, estin-
guono anche prima le loro curve traumatropiche.
La tendenza nei filatici ni di sèmi in germinazione a perforare
il terreno con la piumetta volta ad uncino, allo scopo biologico di
proteggerne il cono vegetativo, se potesse essere riportata in conto
dello stimolo traumatropico esercitato dal terreno, troverebbe forse
una spiegazione biologica più soddisfacente. Ma, astraendo dal
fatto che spesso la piumetta mostra già fra i cotiledoni del seme
in riposo una conformazione rispondente a quella che adotta più
tardi, diffìcile è spiegare, perchè i germogli di fava, formatisi nel-
l’ascella dei cotiledoni in conseguenza della soppressione dell’ asse
epicotileo, conformino ugualmente 1’ apice ad uncino.
Questa tendenza, da me spesso osservata, sorprende tanto
più in quanto esplicasi su piante allevate in colture acquose , i
cui semi posano, non entro terra, ma su reti di filo , su lastre
di vetro o di sughero. Biologicamente essa è così poco spiega-
bile come 1’ altra dei germogli ascellari dei cotiledoni del Plia-
seolus multijlorus, prodottisi in modo identico a quelli di fava, a
presentarsi fasciati ed a strisciare lungamente sul sostrato, pri-
ma di divenire eretti.
16
Prof. G. Lopriore
[Memoria X.]
Rigenerazione delle foglie
A differenza di fusti e radici, le foglie delle fanerogame
mancano della capacità di rigenerarsi, essendo più vantaggioso
per la pianta affrettare la schiusa delle gemme anzi che rappez-
zare foglie rotte, forate o contuse.
Questa spiegazione, non sperimentale ma teleologica, offerta
dal Weismanx, risponde al vero, con la sola restrizione che le
foglie succedenti si a quelle distrutte da insetti o da crittogame
sfruttano, con danno non lieve, le riserve plastiche della pianta,
come per es. avviene per effetto delle infezioni peronosporiche.
Il Wejsmanx (i) pensa che « per la pianta sarebbe di un
vantaggio minimo il richiudere fori nelle foglie, possedendo sen-
z’ altro la capacità di emettere nuove foglie. » Ora in foglie di
Monstera pertusa , caratteristiche per la presenza di fori abba-
stanza grandi ed ineguali, io ho provato con un foratappi a pro-
durne altri , meno per constatarne la chiusura che per seguire
la rimarginazione dell’orlo. Ma questa, mentre è così facile nei
fori naturali , in cui 1’ orlo si distingue appena da quello peri-
ferico della lamina , non si compie affatto nei fori artificiali ,
che, suberificando gli elementi periferici, si delimitano con una
aureola color ruggine. Oggi ancora, dopo quattro anni dacché
furono praticati, non si sono estesi nè per necrosi ulteriore del
tessuto limitrofo . nè per macerazione della lamina promossa
artificialmente. Sorprende , ad ogni modo, il comportamento di
queste foglie, che, pur persistendo parecchi anni sulla pianta,
non curano nè la chiusura , nè la rimarginazione dei fori , di-
versamente da quanto fanno gli assi aerei di piante vivaci nel
tendere con vicenda costante alla chiusura di quei fori , che, a
ino’ di cingoli e per attività del cambio, sormontano le ferite delle
parti adulte, in conseguenza dell’ asportazione di rami.
Siffatto comportamento si spiega con la mancanza nella foglia
Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite , eco.
17
di meristemi, capaci di rigenerare i tessuti lesi. Per questa ra-
gione non mi è riuscito di osservar mai foglie rigenerate, spe-
rimentando sulla rigenerazione degli apici di fusti spaccati. Non-
dimeno lamine e picciuoli, colpiti dal taglio , tendono in certo
modo a regolarizzare i contorni, assumendo, ad onta della strut-
tura asimmetrica, un aspetto quasi normale.
Il difetto di rigenerazione è largamente compensato in alcu-
ne piante dalla proliferazione o formazione d’individui agami.
Fig. 1. Nymphaea stellata Willd. var. bulbillifera. Foglia clie alla base della lamina
produce una nuova pianta con numerose altre foglie (che ripetono la stessa vicenda), radici
e gemme liorali. */2 Grand, nat. (dal Ross)
Questa tendenza è specialmente grande in quelle piante, in
cui, mancando un conno evoluto, le foglie tendono a sostituir-
visi, acquistando una grande egemonia di sviluppo. Così nella
Nymphaea stellata var. bulbillifera alla base della lamina ed alla
pagina superiore, nel punto in cui i nervi convergono insieme,
Atti acc. Serie 4a, Vol. XIX —
Meni. X.
3
18
Prof. G. Lopriore
[Memoria X.J
si forma una gemma, capace di produrre una nuova pianta con
numerose foglie, radici e gemme fiorali.
Il Ross , da cui riproduco la figura 1 e che ringrazio per
la cortese concessione della riproduzione galvanica, ha osservato
che la formazione di tali gemme si verifica specialmente in au-
tunno, quando la pianta concentra le sue riserve plastiche, ma
che il loro germogliamento si compie in estate o sulle foglie più
esterne morenti o su quelle recise.
La tendenza a formarsi alla base della lamina è dovuta ,
secondo Goebeb, al fatto che là convergono i fasci conduttori,
destinati al trasporto dei materiali plastici. In foglie di altre
piante ( Bryopliyllum , Begonia) le gemme si formano alla peri-
feria della lamina in condizioni biologiche rispondenti alla vita
di quelle ed atte ad assicurare la moltiplicazione loro.
La sostituzione di bulbilli a semi in alcune piante fluvio-
lacustri dell’ Amazzonia avrebbe un’ importanza biologica non
diversa da quella dianzi accennata, servendo i bulbilli, secondo
Buscalioni (i), a moltiplicare la pianta più rapidamente dei
semi, non appena attingono il terreno melmoso e vi radicano a
somiglianza di quanto fanno le mangrovie.
Oasi di vera rigenerazione fogliare sono stati osservati dal
Goebel (ii p. 485), dal Pischixger (i) e dal Pigdob (i) nei due
generi di Gesneriacee, Monopliyllaea e Streptocarpus , sottogenere
Eu-Streptocarpns con specie ad una foglia sola, gruppo « Uni-
foliati » del Pritsch (iii, p. i58).
Per intendere il particolare comportamento di queste foglie,
occorre premettere eh’ esse rappresentano nell’ Eu-Streptocarpus
quasi i soli organi vegetativi provenienti dai cotiledoni, di cui
uno solo sviluppasi prevalentemente per differenziazione del uieri-
stema sito alla sua base. Questo, proliferando, permette un vero
accrescimento secondario, producente una nuova lamina, che
s’ interpone fra base ed apice del cotiledone e che, mentre perde
i caratteri embrionali, acquista quelli d’ una vera foglia caulina.
La differenziazione, compiendosi in quello soltanto dei cotiledoni,
Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite ecc.
19
che è dotato di meristema basale, produce un’anisofillia spicca-
tissima, accentuando la già notevole diversità iniziale di gran-
dezza dei cotiledoni, di cui il picciuolo suol rimanere rudimentale.
Foglie diverse dalle embrionali per forma, grandezza e pre-
senza di picciuolo possono non di rado formarsi, originandosi da
quell’internodio dell’asse principale, intercalato, fra epi- ed ipo-
cotile, che dal Eritsch (i, p. 98) fu denominato « mesocotile »
e che suol formare anche radici avventizie, in difetto di qual-
siasi accenno di una radichetta embrionale.
Altra particolarità importante che .determina , secondo me,
la capacità nelle foglie a rigenerarsi, è il difetto assoluto di una
plumula, cioè di un cono vegetativo emergente fra i cotiledoni
dall’ apice del mesocotile, difetto, che riscontrasi oltre che nello
Streptocar finis, nella Rlugia zeylanica ( K . Notoniana dei giardinie-
ri) e probabilmente nella Iioettlera liamosa (Eritsch, iii, p. iss).
Un comportamento quasi identico mostra la Monophyllaea
Horsfieldii , senonchè, rispetto alle specie unifoliate dello Strep-
tocarpus , essa presenta non un mesocotile, ma un ipocotile, che
persiste e sviluppasi più tardi in uno stelo evoluto.
Date queste particolarità anatomo-biologiche delle due Gres-
neriacce, 1’ asportazione nello Streptocarpus del cotiledone gran-
de, di quello cioè destinato a servire come organo assimilatore,
promuove la rigenerazione dello stesso , sia che il meristema
basale venga asportato per intero coll’ embriofìllo, sia che ri-
manga in parte. In quest’ultimo caso il meristema, proliferando,
rigenera la foglia , compiendo quell’ accrescimento, che avrebbe
compiuto anche senza 1’ asportazione della lamina cotiledonare.
Nell’altro caso vi è rigenerazione (l’un a lamina fogliare a spese
del callo, rigenerazione, che il Pischhstger ritiene come vera,
a differenza dell’ altra, che non sarebbe tale. La nuova lamina
si forma sul mesocotile in continuazione diretta del moncone
rimasto ed in conseguenza dell’attività del callo, che origina un
nuovo meristema. Questa rigenerazione corrisponderebbe alla par-
ziale, l’altra alla diretta del Simoist.
20
Frof. G. Lopriore
[Memoria X.J
Ma ben più importanti di questi fenomeni di rigenerazione
sono, dal punto di vista biologico , quelli di correlazione , pro-
dottisi in conseguenza dell’ asportazione dello stesso cotiledone.
Per piantine di Streptocarpus Eraxz Heriistg ba provato
che se il cotiledone destinato a svilupparsi viene per tempo sop-
presso o ritardato nel suo sviluppo mediante l1 inclusione in
gesso, sviluppasi in sua vece il cotiledone piccolo, che normal-
mente suol rimanere rudimentale.
Queste esperienze, continuate dal Pischlxger in modo com-
parativo su tre diverse specie di Streptocarpus , cioè S. Wend-
landi , S. Oardeni e S. hybridus , hanno mostrato che se nella
prima specie l’asportazione totale o parziale del cotiledone gran-
de, destinato a svilupparsi, viene eseguita per tempo , il cotile-
done piccolo raggiunge molto più rapidamente del solito le dimen-
sioni definitive, elevandole, in certi casi, fino al doppio delle
normali. La ragione biologica di questo forzato sviluppo è evi-
dente: intanto che si compie la rigenerazione del cotiledone
grande, l’assimilazione viene assunta dal piccolo, il quale prov-
vede i materiali necessari al compiersi di quella.
Il fatto più importante in questi fenomeni di correlazione è
che alla base del cotiledone piccolo si forma, in conseguenza dello
stimolo traumatico esercitato sul grande, un meristema secondario
(secondo Pritsch primario, perchè dato dal mesocotile), capace
di proliferare e di permettere quindi, oltre che 1’ accrescimento
secondario, le funzioni definitive, spettanti al cotiledone grande.
Altro fatto importante è che la proprietà, atavica nello
Streptocarpus Wendlandi e probabilmente in altre specie ad una
sola foglia, di produrre appendici diverse dalle embrionali, men-
tre per norma rimane latente, si rende invece palese dopo l’ a-
sportazione del cotiledone grande.
Altra proprietà atavica, che dimostra in questa specie una
differenza profonda di organizzazione rispetto alle specie caule-
scenti e rosulate, è la tendenza nei germogli avventizi o di
sostituzione a ripetere lo stato embrionale della pianta. Soppri-
Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite , eco.
21
mendo, infatti, la maggior parte della lamina e dell’appena ini-
ziata infiorescenza, il GtOebel (ih, p. 138) otteneva tre germogli
avventizi, provvisti ognuno di u n a gran foglia caniina e perciò
distinguibili da quelli delle specie caulescenti e rosolate.
Nello Streptocarpus Gardenia die, come specie rosulata, pro-
duce una rosetta di foglie, il cotiledone grande non si rigenera,
se viene asportato in parte od in tutto.
Un comportamento intermedio presenta lo S •treptocarpus
liybridus , il quale è probabilmente una forma ibrida delle due
precedenti. In esso 1’ asportazione totale del cotiledone grande
conduce, come nello 8. G (ir deni , all’accrescimento secondario
ed allo sviluppo di foglie non embrionali. L’ asportazione par-
ziale, invece, lasciando ancor parte del meristema basale , con-
duce, come nello 8. Wendlandi , alla rigenerazione del cotiledone
stesso.
Nella Monophyllaea Borsjieldii l’asportazione del cotiledone
grande con parte del meristema basale , ne determina la rige-
nerazione , mentre il cotiledone piccolo o non cresce affatto o
cresce al punto da raggiungere dimensioni fìnanco doppie delle
normali. L’ asportazione del cotiledone grande con tutto il me-
ristema fa perire le piante, non potendo il cotiledone piccolo
assumere le funzioni di quello soppresso. Non di rado, però, il
Ligdob. (i) avrebbe in questo caso osservato la formazione sul
rnesocotile di foglie avventizie, se, ben inteso, gli esemplari in
esperimento avevano raggiunto un certo grado di sviluppo. Que-
sto risultato, mentre conferma quello del GtOebel sulla tenden-
za nei germogli avventizi dello Str. Wendlandi a ripetere la con-
formazione embrionale, conferma ancora quello osservato da me
rispetto alla tendenza nei germogli formatisi all’ ascella dei co-
tiledoni di fava, in conseguenza della soppressione della piu-
metta, a conformare 1’ apice ad uncino.
La facoltà rigenerativa nei cotiledoni sembra essere più
grande di quella a produrre individui agami, cbe, se finora ven-
ne osservata dal Zabel nei cotiledoni della Borrago officinali s ,
22
Prof. G. Lopriore
[Memoria X.]
fu tentata invano dal Kuester (i) in quelli di altre piante, per
quanto ricchi di materiali plastici.
Il comportamento particolare delle due Gesneriacee dipende
verosimilmente dal difetto di un vero conno, per cni le foglie ten-
dono a sostituirvisi, munendosi di meri stema o prestandosi quello
del mesocotile e acquistando la capacità rigenerativa. In questi
casi la foglia svelerebbe una entità superiore a quella del conno.
Anche nelle felci, ore il conno non è così evoluto come
nelle fanerogame, la capacità rigenerativa viene assunta dalle
foglie, che a differenza di quelle dello Streptocarpus , sou prov-
viste di meristeina apicale. Tale capacità, difettando negli assi,
(il cui apice presenta una sola cellula terminale, non un gruppo
iniziale facile a rigenerarsi) viene assunta dalle foglie, che, per
venir spesso brucate dagli animali, hanno bisogno di rigenerarsi.
L’identità di comportamento rispetto alle due Gesneriacee
dipende dal fatto che l’apice rimane a lungo embrionale. In
conseguenza però della localizzazione diversa del meristema, la
rigenerazione si compie non più alla base ma all’ apice. Se
questo infatti viene longitudinalmente spaccato , si rigenera ,
dando luogo allo sdoppiamento della lamina ed al completarsi
di ogni singola metà, come mostra la figura 2. La possibilità
di tale sdoppiamento fu messa in evidenza dal Beyerinck (i)
per il Blechnum brattili ente, dal Goebel (i) per il Polypodium
Heracleam e dal ITgdor (ii) per lo a Scolopenclrium Scolopendrium.
Dal punto di vista filogenetico merita considerazione il fatto,
rilevato già dal Figdoe, che uno sdoppiamento a forchetta della
lamina fogliare, simile a quello ottenuto artificialmente non è
raro in natura, anzi, per essere stato spesso osservato, venne già
descritto come varietà « daedalea » Dòli. Tale varietà sarebbe
più frequente in Inghilterra che altrove, a causa della presenza
là di particolari animaletti, capaci con la loro visita di determi-
nare reazioni identiche a quelle promosse artificialmente.
Induzione simile avventurai io pure, dieci anni fa, parago-
nando il comportamento di radici fendute, rigenerate e di nuovo
Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite, ecc.
23
fendute con quello dei Tunicati , sottoposti dal Magazzini (i)
a tagli successivi. Il taglio ripetuto dello stesso sifone in un esem-
plare di Giona intestinalis determinando una forma identica alla
varietà descritta come « inavrosiplionica », permette indurre che in
natura una tale varietà s’ è probabilmente formata per amputa-
zione ripetuta da parte di altri animali. L’ azione di questi nel
foggiare, per successivi adattamenti biologici, determinate forme
di organi vegetali, se de-
bole ora, dev’ essere stata
particolarmente grande al
tempo della cosiddetta e-
poca plasmativa del
Beccare
Ben diversi dai fe-
nomeni di rigenerazione
sono quelli di sostituzio-
ne, offerti in modo ti-
pico dalle foglie di cicla-
mi, in conseguenza di fe-
rite o di altri mezzi che
inattivano la funzione, co-
me ad es. inclusione in
gesso o rivestimento con
collodio.
Questo fatto, scoperto
prima da Hildebraind (i),
poi seguito nelle sue par-
ticolarità dal Winkler e
dal Goebel, è stato anche
recentemente con nuovi
casi illustrato dal suo sco-
pritore e ricondotto alla
vera natura, attribuitagli fin dapprima come processo di sostitu-
zione e non di rigenerazione (Hildebrand, ii, p. 39).
Fig‘. 2. Polypoditim Heracleum. Foglia spaccata
longitudinalmente all’ apice ed in cui ogni metà ha
rigenerato la metà clic le manca, (dal Goebel)
24
Prof. G. Lopriore
[Memoria X.]
Contrariamente all’ effetto ritardatore dei mezzi meccanici,
l’inattiyità promossa dal buio sulla foglia di Cyclamen non pro-
voca la formazione di una nuova lamina (Winkler), mentre
basta nella Circaea per rendere ortotropo il germoglio plagiotropo
più vicino all’apice (Goebel, i, p. 647 ). Tal comportamento crea
in organi , come son le foglie , viventi alla luce e per la luce,
quindi sensibili alla sottrazione di essa, un divario profondo ri-
spetto al conno.
La luce può influire, però, non di rado direttamente sulle
condizioni fototrofìclie delle foglie, promuovendo 1’ anisofillia.
Il Wiesner (i) ha osservato , infatti , che le foglie ancor
giovani dei rami di Aescalus esposte direttamente al sole, riman-
gono turgide e continuano a crescere, mentre quelle opposte ap-
passiscono e muoiono, in conseguenza dello spostamento in senso
trasversale della corrente d’ acqua ascendente , promosso dalle
foglie soleggiate. A questo modo si può tanto promuovere una
spiccata anisofillia quanto invertire quella già esistente.
La stessa spiegazione potrebbe anche valere a giustificare
la grande anisofillia delle Gesneriacee, fissata già nel seme per
ereditarietà e riconoscibile per la diversa grandezza dei due co-
tiledoni.
Ora se si pensa che la foglia ha per funzione principale la
traspirazione e che ad essa subordina lo sviluppo dei veicoli di
trasporto, coordinandovi la funzione fotosintetica, non sorprende
se la luce provoca reazioni diverse per favorire 1’ una o 1’ altra
funzione. Maggiori particolarità al riguardo sta per offrire il Bu-
SCALioxi in un suo studio biologico sulla vegetazione dell’Au-
stralia, relativo specialmente alle acacie a fillodi ed agli eucalipti.
Indifferente non è neppure la respirazione, se atmosfere pri-
ve di ossigeno possono determinare nei cicìami l’inattività delle
lamine fogliari e quindi la sostituzione loro con delle nuove
(Goebel, iv, p. 394).
Gli stessi effetti possono dunque venir provocati da agenti
diversi, anzi molto diversi dalle azioni traumatiche.
Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormo fite, ecc.
25
Cenno sintetico.
La considerazione dei fatti sinora esposti rivela che, mentre
fusto e radice presentano nei processi di rigenerazione identità
di comportamento, la foglia ne differisce per un comportamento
particolare, che non di rado svela in essa un’entità superiore a
quella del conno.
L’ identità dì comportamento negli assi delle Cormofite si
svela nella capacità loro di rigenerarsi per virtù dei menatemi
apicali, di cicatrizzarsi per virtù di quelli secondari e di pre-
sentare gli stessi fenomeni di correlazione. Così alle fillotassi
aberranti nel fusto , corrispondono rizotassi aberranti nella ra-
dice, finché, pero, la rigenerazione non è completa. Così la
stessa deviazione teratologica , come la fasciazione, da latente
rendesi palese negli assi laterali di prim’ordine, in conseguenza
delle azioni traumatiche compiute sugli assi principali.
La foglia o manca interamente della facoltà di rigenerarsi o
l’esplica nei rari casi che possiede meristemi. Il difetto di questi
determinerebbe dunque l’impossibilità a rigenerarsi, difetto, che,
in organi caduchi come le foglie, è teleologicamente spiegabile.
I casi ancor rari ed isolati di vera rigenerazione fogliare si
hanno in quelle piante, in cui il conno è poco evoluto o manca
interamente della pi umetta ( Streptocarpus ) o presenta all’apice
una sola cellula terminale incapace a rigenerarsi (felci).
Dove i meristemi esistono, la foglia presenta, oltre che la
facoltà rigenerativa , particolari disposizioni atte a proteggerli ,
come ad es. speciali tricomi per i meristemi basali delle (fe-
sneriacee, arrollamento spirale dell’apice per i meristemi apicali
delle foglie giovani di felci. Importante , però , è il fatto che
nello Streptocarpus la soppressione del cotiledone provvisto di
meri stema abbia 1’ effetto di promuovere la formazione od emi-
grazione di ineriste m a nell’altro che ne è privo e che resta ru-
dimentale. Se tal fenomeno di correlazione, dovesse ulteriormente
Atti acc. Serie 4a, Vol. XIX
Meni. X.
4
Prof. G. Lopriore
[Memoria X.]
26
svelarsi, l’importanza dei meristemi primari nei processi di rige-
nerazione verrebbe molto a limitarsi.
La capacità di cicatrizzazione è grande negli assi, mi-
nima o nulla nelle foglie. Rispetto alla rigenerazione essa ap-
pare biologicamente più utile, richiedendo un consumo di ma-
teriali e di energia notevolmente più piccolo.
La polarità, riconosciuta dal Vììchting (ii) negli assi ri-
spetto alle formazioni nuove , manca nelle foglie, per quanto
W. Magnus (i) creda di scorgerla in quelle colpite da galle.
La sostituzione si compie quasi sempre mediante un ger
meglio od una radice laterale, che, prendendo il posto dell’ asse
principale, ne assume anche la struttura per mezzo di variazioni
anatomiche corrispondenti (Boirivant). La foglia manca di si-
mile capacità plastica. Le lamine formatesi non da gemme ma
da inizi siti sul picciuolo, in sostituzione di quella soppressa o
resa inattiva, non raggiungono insieme la superficie venuta meno,
nè lasciano riconoscere alcun rapporto di egemonia ( Cijclamen ).
L’ inattività prodotta dal buio sull’estremo del fusto basta
a rendere ortotropo il germoglio plagiotropo più vicino all’ api-
ce (Cireneo,), ma non provoca nella foglia la formazione di una
nuova lamina, così facile a venir altrimenti promossa ( Oyclamen ).
In attesa che ricerche ulteriori completino la biologia della
rigenerazione della foglia, sta per ora il fatto che come, per effetto
della divisione del lavoro e della conseguente differenziazione dei
meristemi, vi è progressiva evoluzione dalle Tallofite alle Cormo-
fite, così in seno a queste vi è progressione dal conno alla foglia.
La foglia rappresenterebbe, in conseguenza della differenzia-
zione più spinta dei meristemi e quindi della sua incapacità a
rigenerarsi, un organo più evoluto del conno.
Ad illustrare le idee di Delfino sull’ interpretazione del
conno e della foglia sarebbe questo uno degli argomenti più pro-
mettenti per stabilire se le piante siano cormofite o fillofite.
I
Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite, eoe.
27
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28
Prof. G. Lopriore
[Memoria X. J
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Deutscben bot. Gesellscb. 1902, Bd. XX, p. 81.
Memoria XI
Istituto Dermosifilopatico della R. Università di Catania
Nuovi tentativi di sieroterapia nella lebbra
Pel Prof. R. DE LOCA
Comunicando questi nuovi tentativi di siero-terapia della leb-
bra, ad onta dei progressi fatti in questi ultimi tempi dalla dot-
trina delle immunità naturali ed artificiali verso gli agenti delle
malattie infettive, potrei su per giù ripetere quello che scrissi
nel 1896 sull’ istesso argomento (1) ; con questa differenza, che
invece di far consistere, come feci allora, i fattori dell’immunità
naturale dei bruti rispetto alla lebbra, in sostanze godenti potere
antisettico specifico, preformato o no, riferirei oggi tali fattori a
sostanze battericide o antitossiche; e inoltre : invece di ritenere,
come ritenni allora, che coll’inoculazione di materiale lebbroso
nell’animale, si produca nell’ organismo di questo, una sostanza
antisettica, capace di annientare la vitalità del bacillo di Hansen,
riterrei oggi che, con tale inoculazione, si avrebbe la produzione
di sostanze battericide dotate della medesima costituzione delle
sostanze battericide dei sieri, cioè sostanze costituite da una parte
termostabile (sensibilizzatrice o anticorpo) e da una parte ter-
molabile (alessina o complemento). E nelle sostanze antisettiche
da me ammesse nel 1896, farei oggi forse anche rientrare quelle
sostanze antitossiche, che è da sospettare, si formino nell’ organi-
smo refrattario inoculato con virus lebbroso , per neutralizzare ,
(1) Tentativi ili siero-terapia nella lebbra. Comunicazione alla Soc. ital. di dermatolo-
gia— Ottobre 1895.
Giorn. ital. mal. cen. e della pelle. Fase. Il, 1896.
Atti acc. Serie 4% Voi.. XIX — Meni. XI.
1
2
Prof. R. De Luca
[Memoria XI.]
non dico dei veleni solubili (esotossine nello stretto senso della
parola), uia veleni più o meno insolubili (endotossiue) quale le
proteine in genere, derivanti dalla distruzione dei corpi batterici.
*
*
Una differenza fondamentale fra le prime ricerche e quelle
attuali, sta però nel concetto direttivo che mi guidò allora e quello
che mi ha guidato adesso ; allora con la sola inoculazione di
sostanza lebbrosa nel coniglio, credei di poter suscitare nell1 or-
ganismo di questo, la produzione di una sostanza antitossica che
supponevo impedisse lo svolgersi dell’ infezione e di poterla avere
nel siero di quest’animale in tale quantità da esercitare un’azio-
ne battericida sul bacillo di Hansen. Oggi invece , ben cono-
scendo come si possono ritenere, in massima, falliti i tentativi
diretti ad ottenere sieri curativi da animali refrattarii inoculati
direttamente col virus verso cui non sono recettivi , riprendo
le ricerche , e le riprendo collo scopo di togliere o almeno di
diminuire quanto è più possibile il potere battericida normale
del siero di animale refrattario alla lebbra e di stimolare in
questo la produzione di sostanze specifiche contro il b di Hansen
e i suoi veleni. In altri termini, mi propongo di vedere se sia
possibile ottenere un siero antilebbroso, inoculando di sostanza
lebbrosa un animale refrattario, reso precedentemente più o meno
recettivo con la diminuzione o anche colla distruzione dei com-
plementi.
*
Proponendomi di diminuire o anche di distruggere i com-
plementi di un organismo refrattario alla lebbra e non potendo
far calcolo sui complementi battericidi, perchè nessun animale,
per quanto è oggi ammesso , è ritenuto recettivo rispetto alla
Nuovi tentativi di sieroterapia nella lebbra
3
lebbra (1) bo preso in considerazione i complementi emolitici ,
perciò bo scelto per l1 esperimento, un animale il cui siero fosse
normalmente emolitico sui corpuscoli rossi dell’ uomo , cioè lo
agnello. Nella speranza die parallelamente alla diminuzione dei
complementi detti, in seguito al trattamento, diminuissero anche
i battericidi, e nel caso nostro, i lepricidi, e dopo di avere pre-
so in considerazione alcuni dei procedimenti die poteano ri-
spondere allo scopo di diminuire o anche di distruggere i com-
plementi, bo ricorso al procedimento indicato da Wassermann,
per ottenere dal coniglio, siero che fosse capace di fissare i com-
plementi esistenti nel siero normale di cavia. Soltanto , poiché
io, invece dei due termini : coniglio e cavia , aveva quelli di
agnello ed uomo, ricavai dal primo il siero che dovea fissare i
complementi nel secondo.
Preparato così l1 uomo col siero di agnello, siccome lo sco-
po da raggiungere era quello di rendere 1’ agnello recettivo e
poscia infettarlo di lebbra, inoculai questo, prima con siero an-
ticomplementare tirato dal sangue del lebbroso trattato e poscia
con sostanza lebbrosa carica di b di Hansen.
Con tale trattamento, si sarebbero, è vero, potuti ottenere,
nel siero d’ uomo, anche delle sostanze antisensibilizzatrici, ma
tale eventualità non avrebbe potuto che essere favorevole alle
mie ricerche, perchè mi avrebbe dato un mezzo per rendere an-
che più recettivo li animale.
*
-* *
Il 10 Novembre 1904. Salasso della giugulare di un agnello
del peso di kilogr. 14 ; si estrae circa 22 chic, di sangue che
(1) Perchè non li credo dimostrati e anche perchè contraddicono ai miei numerosissimi
esperimenti (V. trasmissibilità della lebbra la e 2a serie di esperimenti in Rivista di igiene
e sanità pubblica, 1895) non ammetto i trapassi della lebbra agli animali, che si asseri-
scono recentemente ottenuti. Cfr. Tiroux — Ann. d’ Hyg. et méd. colon. J. Vili, N. 1. 1905.
Nicolle Comptes Reudu de 1’ Acc. d. se. 27 Febbr. 1905. Nè tanto meno ritengo esatta
P osservazione secondo la quale si sarebbero osservati dai ratti lebbrosi. Cfr. Déau. lourn.
of Hyg. 1905 N. I.
4
Prof. li. De Luca
[Memoria XI. J
si lascia coagulare in larga capsula Petri al coperto di qualunque
inquinamento; si separano 12 chic, di siero, di cui 6 chic, furono
injettati il giorno 11 e 6 il giorno 16 novembre nel cellulare
sottocutaneo di C. Gì. di anni 17 nativo dell’ isola di Malta, da
3 anni affetto di lebbra mai curata e tìglio di madre lebbrosa.
Il 11 Novembre 1904 , nuovo salasso di 27 cmc. dalla giu-
gulare del medesimo agnello , da cui si ottengono 15 cmc. di
siero, di cui sette cmc. si incettano il 18 e otto il 26 successi-
vo nel cellulare sottocutaneo del medesimo lebbroso.
Il 3 Dicembre 1904 , salasso dalla giugulare di un altro gio-
vine agnello del peso di Kil. 13 di 18 cmc. di sangue , da cui
si tirano 8 cmc. di siero , che si injetta sottocute al medesimo
lebbroso in unica volta.
Il 13 Dicembre 1904 , salasso dalla giugulare di un altro
giovine agnello del peso di 16 kilogr. , da cui si ricavano 10
cmc. di siero che vengono injettati in unica volta sempre al
medesimo lebbroso.
Oosicliè, fatti i conti, in 31 giorni, furono injettati al leb-
broso C. complessivamente 15 cmc. di siero di agnello sano.
Patto questo trattamento, bisognava vedere se nel siero del
lebbroso trattato, fossero diminuiti i complementi emolitici.
Conoscendo che in condizioni normali 10 cmc. di siero di
agnello emolizzano completamente le einasie contenute in 1 cmc.
di emulsione London (5 cmc. di sangue umano defibrinato
in 100 di Na. Cl. a 0, 85) mi fu possibile stabilirlo. A tal uo-
po, ad 1 cmc. di soluzione di Na. Cl. a 0, 85, aggiunsi in dosi
via via crescenti frazioni da 0,005 a 1 crac, di sangue del leb-
broso trattato e poi successivamente cmc. 10 di siero di agnello,
e trovai così che 1’ azione emolitica di questo era ostacolata
da 0, 75 di siero di lebbroso trattato.
Il risultato di avere ottenuto un siero anticomplementare dal
lebbroso trattato verso 1’ agnello era così raggiunto ; però ove
con questo siero avessi voluto distruggere tutti i complementi
emolitici contenuti nella massa sanguigna dell’ agnello, facendo
Nuovi tentativi di sieroterapia nella lebbra
5
le dovute proporzioni , trovai che avrei avuto bisogno di una
dose di siero antieoinplenientare enorme ed impossibile ad ot-
tenere da un uomo, dose, che del resto, era da sospettare aves-
se potuto riuscire tossica all’ animale. Conoscendo però, che per
rendere recettivi alcuni animali ad infezioni batteriche, p. e. i
colombi al carbonchio, basta inoculare dosi di siero anticomple-
mentare infinitamente minori di quelli che occorrono negli espe-
rimenti in vitro (una centesima parte ed anche meno) così mi
contentai di incettare qualche cmc. per volta di siero anticom-
plementare.
E dal 19 Dicembre in poi, inoculai fi giovani agnelli e per
20 giorni, singolarmente ad ognuno 10 cmc. di siero anticom-
plementare , ottenuto in varii piccoli salassi fatti al lebbroso
trattato.
Procedei indi all1 injezione ai medesimi 6 agnelli di mate-
riale lebbroso e nel modo seguente :
Il (fiorilo 11 Gennaio 1905 , cioè dopo due giorni dell1 ulti-
ma injezione di siero negli agnelli , escisi dalla fronte del leb-
broso 0. E. di anni 27 da Pachino , ammalato da 9 anni di
lebbra tubercolare, un grosso nodulo di circa cmc. 1 \'2 , carico
di b di H. ; lo tagliuzzai colle forbici e lo ridussi in poltiglia
(senza nè sabbia nè quarzo) poltiglia che diluii in soluzione fi-
siologica di Na. 01. nella proporzione di 1 : 20.
Lasciai riposare alquanto e in 3 dei 6 agnelli injettai la
porzione liquida per via endovenosa , e l’altra, depositatasi in
fondo del mortaio, per la via sottocutanea ed endoperitoneale.
Nei rimanenti 3 agnelli, injettai un estratto acquoso-glice-
rico di grosso leproma, carico di bacilli di H. , esciso dal brac-
cio del medesimo ammalato 0. e preparato nel modo seguente:
dopo spezzettato minutamente colle forbici il leproma, lo triturai
in mortaio ; diluii la poltiglia ottenuta in una miscela di Na.
01. al 0, 85 per 100 e glicerina ana, nelle proporzioni 1 di pol-
tiglia e 30 di miscela ; lasciai riposare il materiale per 18 ore
e poi lo filtrai al carbone.
6
Prof. R. De Luca
[Memoria XI.]
Tale filtrato fu iniettato ai detti 3 agnelli tanto per via
endovenosa quanto per la sottocutanea ed endoperitoneale.
In tutto il corso dell’ osserva/ione , durata dal Gennaio a
Dicembre 1905, nessuno dei 6 agnelli trattati presentò fenome-
ni morbosi di sorta , eccetto che uno , nel quale , nei mesi di
Maggio e Giugno, fu notata una certa spontanea caduta dei peli
del dorso, senza visibile alterazione della sottostante cute. Tale
caduta di peli, dopo il Giugno, si arrestò spontaneamente.
Il siero separatosi dal sangue di tutti e 6 i detti agnelli
trattati, cavato con salassi successivi e a turno (in tutto 180 chic.)
fu adoperato per infezioni sottocutanee , a scopo curativo , nel
contadino S. A. di anni 28 da Mascalucia, con pertinenze ere-
ditarie negative e da 12 anni affetto da lebbra tubercolare (1).
Tali infezioni non sortirono effetto curativo di sorta nè pros-
simo nè a distanza. Infatti oggi, Aprile 1900, il S. si trova an-
cora ricoverato in clinica nelle identiche condizioni nelle quali
si trovava l’anno scorso, prima della cura.
* *
Come conclusione delle esposte ricerche si ha: che con i me-
todi ora da me adoperati non si riesce a rendere recettivo l’a-
gnello alla infezione lebbrosa , meglio che con qualcuno degli
altri metodi pure da me sperimentati in altri animali (smilza-
mento, dissanguamento, narcosi , fame) (2) nè ad ottenere dallo
agnello trattato, un siero che abbia azione curativa di sorta.
(1) Mi piace notare che il comune di Mascalucia non ha lebbrosi, e che nel S. la lebbra
si sviluppò dopo 2 anni dacché lasciata Mascalucia, era andato ad abitare Cibali, antico
focolaio di lebbra.
(2) V. Sul trapasso della lebbra — 2a serie di esperimenti, Catania 1897.
Memoria XII.
Istituto Zoologico della K. Università diretto dal Prof. A. Russo.
Sopra un mostro doppio di Sus Scrofa L. (Sicefalo-Sinoto)
per i dottori G. POLARA e S. COMES <l)
RELAZIONE
della Commissione di revisione composta dai membri effettivi
Proti R. STADERINI e A. RUSSO (relatore).
Iti questa Memoria i Dottori G. Folata ed S. Comes danno nuovi e
più precisi dettagli intorno ad un mostro doppio di Sus Scrofa L. (Sicefalo-si-
noto) facendo notare le differenze tra 1’ esemplare da loro studiato e quello
cbe fu illustrato alcuni anni fa dal Calori. Tali differenze riguardano in
special modo i sistemi digerente, respiratorio, scheletrico e nervoso, nei quali
si riscontra una diversità di conformazione anatomica dovuta ad azioni mec-
caniche, che hanno agito durante lo sviluppo.
La Commissione ritiene che la Memoria dei Dottori G. Polara ed S.
Comes contenga fatti notevoli, che illustrano meglio alcuni caratteri tera-
tologici e perciò propone che sia inserita negli Atti di questa Accademia.
Il 20 marzo ilei corrente anno fu portato in questo labo-
ratorio un mostro doppio di JSus /Scrofa che, secondo le classi-
fi) Perchè il lavoro resti diviso si dichiara che il Dottor Comes si è occupato special-
mente dei sistemi digerente, circolatorio e scheletrico e il Dottor Polara dei sistemi respi-
ratorio, genito-uriuario e nervoso. Entrambi presero ugual parte alle ricerche bibliografiche
alle deduzioni e al resto del lavoro.
Atti acc. Serie 4a, Vor.. XIX— Meni. XII.
1
2
Dottori G. Potar a e ÌS. Comes
[Memoria XII]
ficazioni di Isid. Greoff. Saint-Hilaire (1) e di Tarnffi (2) deve
annoverarsi fra i Bicefali Sinoti.
Sebbene un caso simile sia stato egregiamente illustrato dal
Calori (3) pure le curiose e nuovi anomalie degli organi inter-
ni, che il nostro soggetto presenta, ci hanno indotto a studiarlo
e a descriverlo.
Forma esterna e dimensioni
J1 mostro (4) è costituito da due individui pressocchè egual-
mente sviluppati , uniti dall1 2 3 4 ombelico in su tino all1 estremità
facciale. L’asse di unione è quasi parallelo agli assi vertebrali dei
singoli individui nella parte posteriore, mentre su di esso questi
ultimi si inclinano vie più che si procede verso la testa.
Nello stesso senso la fusione va facendosi sempre più inti-
ma : i due soggetti infatti hanno le regioni ipogastriche com-
pletamente libere e gli arti posteriori normali e normalmente
disposti per rispetto ad ognuno dei due componenti.
La parte superiore dell1 addome ed il petto sono opposti
l’uno all’altro e quindi due degli arti toracici sono rivolti dal
lato ventrale del mostro, gli altri due dal lato dorsale. I due
ventrali corrispondono al destro del soggetto di destra e al si-
nistro del sinistro e i due dorsali al sinistro del destro e al de-
stro del sinistro. Il mostro quindi posava su (1 piedi, quattro poste-
riori e due anteriori, portando gli altri due anteriori dorsalmente.
Le due colonne vertebrali parallele nella parte posteriore si
incurvano lateralmente nella regione dorsale spostandosi rispetti-
vamente verso destra nell1 individuo destro e verso sinistra nel
(1) Isid. Geoffk . Saint Hilaire — Hi stai re des anomalie» de l’organisation — Paris Li-
brairie I. B. Bailliere 1886.
(2) Taruffi C. — Sull’ordinamento della Teratologia — Memorie delPAccademia di Scienze
dell’ Istituto di Bologna T. V. S. V. 1896, pag. 696-706.
(3) Calori L. — Dell’ Iniope e del Sinoto, dei caratteri comuni e propri e dei vari Sicefalì
e della loro genesi — Memorie delPAcc. delle Se. Ist. Bologna T. V. Ser. IV. 1883 p. 143-185.
(4) A dire di chi ce lo portò, il mostro nacque ad un parto insieme con altri porcellini, j
e morì tre giorni dopo la nascita.
Sopiii vn mostro doppio di Svs Scrofa L. [Sice falò- Sinoto)
sinistro e ritornano infine nella regione cervicale a decorrere
quasi parallelamente. Per tal modo se si uniscono con una linea
le apotìsi spinose di tutte le vertebre di una stessa colonna ,
essa risulterà una curva con la convessità rivolta all’ in su e
all’ infuori. (Y. tig. 1).
Dal sudetto modo di unione
consegue che lo sterno di ogni
individuo è rimasto diviso sul-
la linea mediana e le sue due
metà sono state ritorte lateral-
mente e trasportate sui fianchi,
dove, in contatto con le due me-
tà simili e simmetricamente di-
sposte dello sterno dell’altro in-
dividuo, si sono riunite forman-
do due sterni comuni ai due
individui, laterali rispetto ad
ognun di essi , dorsale e ven-
trale rispetto al tronco del mo-
stro (v. f. I).
Fig. I. — l'ologrufia dello sterno superiore del mostro. -, . , , . • ,»
Le colonne vertebrali fanno
capo ad una testa unica molto grossa nella regione occipitale ,
situata all' estremità anteriore dell’asse di unione, diretta ver-
ticalmente in basso per rispetto al mostro, lateralmente riguardo
ad ognuno dei componenti. Ai due lati della testa esistono due
orecchi normali e lungo la linea di congiungimento di essi, alla
sommità occipitale ne esistono altri due molto rudimentali, privi
di condotto uditivo esterno.
Si trovano due occhi normali per posizione. Ma. mentre il
sinistro è completo, il destro manca del cristallino ed è conte-
nuto in una cavità orbitaria ridotta.
I due soggetti sono di colore identico : bianchi sul dorso e
negli arti, neri nella testa con macchia bianca al grugno , neri
nella regione sacrolombare e nelle code.
4
Dottori (ì. Potava e iS. Comes
[Memoria XII.]
Dalla inserzione della coda alla sutura lambdoidea V indi-
viduo sinistro misura min, 170, il destro inni. 172. La testa ha
un diametro aliterò posteriore lungo 49 1 2 min. nel sinistro, 51
nel destro ed un diametro trasverso massimo di min. 44.
Cavità del Corpo
Ognuno dei due individui ha una cavità toracica ed una
addominale propria molto più sviluppate nell’ individuo di sini-
stra, di meno in quello di destra, per cui le due cavità sinistre
si estendono per breve tratto sulle destre.
Apparato Digerente
L’ apparato digerente ha una disposizione essenzialmente
diversa da quella descritta dal Calori e solo alcune leggere so-
miglianze esistono fra le cavità boccali rispettive. Nel Sinoto da
noi osservato la bocca è una cavità unica priva della volta del
palato e comunicante direttamente con le fosse nasali, essa cioè
presenta quella speciale conformazione cono-
sciuta in teratologia sotto il nome di gola di
lupo. Nel soggetto studiato dal Calori man-
cavano solo le porzioni orizzontali delle ossa
palatine.
lai lingua è unica, molto grossa alla base,
dilaminata all’apice ; essa presenta due creste
■“ laterali rivolte in alto verso la cavità boccale
'--'•■P e fornite di lunghe e vistose papille, che si
H
P~
SM
-A
estendono anche al margine laminare anteriore.
Fig. II. — Semischematica del- le due CTOSte COTTO UH Solco (V- f. 2) evi-
ia lingua: a apice delia lingua— ^en^einen te dovuto alla pressione esercitata
p papaie- sm solco mediano. Slllla lingua dal vomere, il quale produrebbe
ancora il rialzo delle parti laterali della lingua e l’introduzione
di esse nelle cavità nasali. Le grosse e numerose papille ricor-
dano quelle scagliose dei pesci e dei rettili.
Sopra un mostro doppio di Svs Scrofa L. (Sicef alo- Sinoto)
a
Segue un’unica faringe ed un unico esofago molto svilup-
pato e contenuto nella cavità toracica sinistra. L ’esofago immet-
te in uno stomaco contenuto pur esso nella cavità addominale
sinistra e costituito da due tasche laterali, fra le quali corre un
solco mediano che continua l’esofago direttamente col duodeno.
Esso risulta senza dubbio dalla fusione dei due stomachi, avve-
nuta per le piccole curvature ed il solco descritto rappresenta
i bordi delle pareti gastriche venute in contatto. L’intestino è
unico fino alla prima ansa del duodeno, quivi esso si biforca e
dà due rami. L’ uno si continua, dopo aver ricevuto lo sbocco
del coledoco del fegato di sinistra, (contenuto nella cavità addo-
minale sinistra ) tino all’estremità anale dell’ individuo sinistro:
esso è del tutto normale. L’ altro invece, appena ricevuto lo
sbocco del coledoco del fegato di destra (contenuto aneli’ esso
nella cavità addominale si-
nistra) si suddivide in due
branche, delle quali 1’ una,
continuandosi per lungo
tratto nella cavità addomi-
nale sinistra, va a congiun-
gersi , immediatamente do-
po la sua appendice cecale,
con il principio del retto
dell’intestino sinistro, l’al-
tra, perforato il setto divi-
sorio tra le cavità dei due
individui, passa nell’altro
soggetto e dopo breve per-
corso rettilineo va a sbocca-
lestinn re all’ esterno, nello stesso
testino desti o — PìllsT punto di tusione degli intestini destro
e sinistro - ED retto destro-i?S retto sinistro. lliodo COllie awieiie pei* l’ÌU-
dividuo di sinistra. Sotto questo riguardo 1’ individuo destro si
può considerare come parassita dell’individuo di sinistra, giacche
manca dell’esofago, dello stomaco e della parte assorbente del-
Fig. III. — Semischematica dell’apparato digerente: CD
cieco destro — ES esofago —INTS inlestino sinistro — INTD in-
t)
Dottori G. Colava e tS. Comes
[M Estolti A XII. |
1’ intestino. Questa disposizione dell1 intestino è intimamente
legata all’ esistenza di una sola bocca e di una sola farin-
ge (v. fig. 3).
Abbiamo osservato una sola milza ed un solo pancreas con-
tenuti nella cavità sinistra e, come si è detto avanti, due fegati
nettamente distinti, l’uno a livello dello stomaco, l’altro più in
basso e a destra, meno sviluppato del primo, contenuti entrambi
nella cavità sinistra.
Le glandule sottolinguali , le parotidi e le sottomascellari
sono normali.
Apparato Respiratorio
Anche 1’ apparato respiratorio differisce essenzialmente da
quello descritto dal Calori.
Esistono due laringi, due trachee, quattro grossi bronchi e
quattro polmoni.
Le due laringi e le due trachee sono disposte in piani di-
versi, l’una avanti all’esofago, l’altra dietro e spostata un po1 a
destra. Le due trachee
decorrono nella cavità
toracica sinistra, però il
bronco destro della tra-
chea superiore entra nel
polmone sinistro dell’in-
dividuo di destra e corri-
spondentemente il bron-
co destro della trachea
inferiore penetra nel pol-
mone destro dell’indivi-
duo di destra (v. f. 4).
Così i bronchi, che van-
no ai polmoni contenuti
nella cavità toracica di
Fig IV. - Semischematica dell' apparato respiratorio :
ES esofago — PD polmoni dell’ individuo destro — PS polmoni
dell’individuo sinistro— TRD trachea destra —TRS trachea si-
nistra.
Sopra un mostro doppio di Sus Scrofa L. (Sice falò- Sinoto)
7
ogni individuo , non provengono dalla stessa trachea , ina ap-
partengono ad entrambe. L’ interpretazione di questa curiosa e
nuova (1) disposizione è abbastanza difficile.
Possiamo pensare che la porzione anteriore del tubo ento-
demiico formatasi nella cavità dell’individuo sinistro lungo la
linea mediana del mostro, nei primi momenti dello sviluppo abbia
dato origine a due tubi respiratori 1’ uno superiore e l’altro in-
feriore, ognuno dei quali trovava Io spazio necessario per allo-
gare nella cavità sinistra solo uno dei polmoni, mentre 1’ altro,
che rasentava il setto divisorio dei due soggetti, doveva neces-
sariamente attraversare quest’ ultimo e penetrare nella cavità
adiacente giacché la inestensibilità e la scarsa flessibilità del
tronco non permettevano una ritorsione nella stessa cavità.
Apparato Circolatorio
Anche 1’ apparato cireolatore è diverso da quello riscontrato
dal Calori.
Esso è quasi normale nei due individui.
Esistono due cuori, il sinistro alquanto più sviluppato del
destro. In questo ultimo 1’ arteria polmonare corre parallela al-
l’arco aortico che perciò nel suo primo tratto non è sormontato
da quella. Il cuore sinistro è disposto nella cavità sinistra fra
i due bronchi della trachea superiore, il destro nella cavità de-
stra rasenta il margine divisorio ed è disposto tra i due bronchi
della trachea inferiore.
Non abbiamo potuto seguire il resto del sistema cireolatore
per le condizioni poco propizie, in cui si trovava il mostro.
Apparato Genito-Urinario
Esso è invece pressoché identico a quello del Bicefalo del
Calori. Si trovano 4 reni normali i due del sinistro collocati
(lj Dalle estese ricerche bibliografiche fatte risulta che tale anomalia non ostata finora
riscontrata.
8
Dottori G. Dolora e ÌS. Comes
[Memoria XII.]
nella cavità addominale sinistra alquanto più sviluppati dei
corrispondenti destri, i quali sono alquanto più ravvicinati fra
di loro per lo scarso sviluppo della cavità peritoneale destra ,
in cui sono allogati. Quattro ureteri normali mettono capo a
due vesciche aneli’ esse normali. Esistono in ogni individuo due
arterie ombelicali già obliterate e un unico normale, facenti tutti
capo all’ unico ombelico.
I due soggetti però sono entrambi di sesso femminile con
utero e ovaie più sviluppati nel sinistro.
Scheletro del tronco e degli arti (1).
Le due colonne vertebrali sono anatomicamente identiche:
ognuna di esse ha 6 vertebre cervicali, 13 dorsali, 10 lombari,
5 sacrali e 10 caudali perfettamente normali. L’ anomalia nu-
merica per difetto alla regione cervicale è compensata, come si
vede, nella regione dorsale. Le coste sono 13 paia per ogni in-
dividuo, di cui sette, le vere coste, si sviluppano enormemente
per congiungersi con le corrispondenti dell’individuo vicino nello
sterno rispettivo.
Lo sterno ventrale (relativamente al mostro) è più svilup-
pato del dorsale. Alla loro inserzione con lo sterno , le coste
dorsali (sempre relativamente al mostro) formano un’ arcata
molto più convessa della ventrale mentre fra il loro punto d’in-
serzione alle vertebre e le apotìsi spinose mostrano un avvalla-
mento, dove si dispongono le scapole destra del sinistro e sinistra
del destro (v. fìg. 1).
La causa di questo avvallamento si deve ricercare nella
mutua compressione più fortemente esercitata dai due individui
lungo la linea dorsale del piano di unione.
Tutte le ossa degli arti sono normali.
fi) Il Calori non descrive, nè figura lo scKeletro del tronco e degli arti del suo sog-
getto.
Sopra un mostro doppio di Sus Scrofa L. (Bicefalo- Sinoto)
9
Scheletro della testa
Sebbene nelle linee generali la descrizione dello scheletro
della testa mostruosa data dall’ anatomico di Bologna coordini
con la nostra, pure importanti e numerose sono le differenze.
La forma del cranio è emisferica con la porzione posteriore
con raggio di curvatura minore di quello della parte anteriore
mentre nel normale la forma è pressocchè quella di un prisma
retto a base triangolare. Mentre nel normale la sommità del-
l’ occipitale superiore costituisce il punto più alto del cranio e
le altre ossa, che seguono ad esso, sono disposte su di un piano
declinante in avanti, nel mostro la disposizione è diversa. I due
parietali risalgono a curva in alto, raggiungono i due frontali
segnando al punto di unione, corrispondente alla fontanella
breginatica, il punto di massima altezza cranica. Di qua la curva
decresce rapidamente fino all’ estremità nasale.
Così fatta la linea di contorno della testa mostruosa ri-
chiama , specialmente nella sua parte posteriore, quella del-
1’ uomo (tig. 5).
La duplicità della colonna vertebrale
si continua nella parte posteriore della
testa.
Gli occipitali sono due, disposti la-
teralmente alla linea mediana di unione.
Essi hanno un forameli magnum per ognu-
no un poco inclinato dall’alto al basso e
dall’indietro all’avanti, mentre nel normale
il foro occipitale è verticale.
In ogni occipitale si distinguono un
occipitale basilare disposto sul piano della
mandibola, uno laterale, inclinato un po’
sul primo diretto dall’interno all’esterno
Flg. V.— Fotografia della sca- „ , , , , ,
toh. cranica. e tomiaiite col piano sudetto un angolo
Atti acc. Srrik 4% Voi.. XIX — Meni. XII. 2
10
Dottori G. Polara e >S. Comes
[Memoria XII. J
ottuso verso la linea mediana. Le apofisi giugulari sono normali,
le due interne sono addossate ai lati della linea mediana di
fusione e ridotte. Era i due occipitali superiori si trova un os-
sicino soprannumerario di forma pentagonale (v. fig. 6), che si può
considerare come derivante dalla fusione delle due squamine dei
temporali interni dei due individui.
Il Calori descrive quest’ osso formato dalla fusione delle
squamine dei temporali interni con un solco mediano (sicuro
accenno di duplicità) confinante in alto coi due parietali, men-
tre nel nostro soggetto esso è più piccolo e compreso fra i due
occipitali superiori e l’interparietale, che evidentemente mancava
nel soggetto del Calori.
La forma di ognuno dei due parietali è quella di un qua-
drilatero (v. fig. 6) molto diversa dal normale avvicinandosi in-
^ vece a quella del parietale umano.
Infatti esiste una bozza parietale,
che manca nel normale e mentre
quivi il parietale è formato di due
parti, una orizzontale e l’altra quasi
verticale e unentesi con la prima
lungo una cresta ad angolo legger-
mente ottuso, nel mostro manca tale
distinzione essendo il parietale co-
stituito da una unica parte convessa
all’infuori, però la sutura temporo-
parietale è, come nel normale, con-
vessa in basso. Era i due margini
superiori interni degli occipitali su-
periori e la parte posteriore interna
dei margini posteriori dei parietali
esiste un interparietale, che assume
uno sviluppo notevele anche fra i due occipitali. Esso è disposto
in avanti e all’insù dell’osso soprannumerario descritto. La sua
forma è esagonale (v. fig. 6).
Fig. VI. — Ossa principali del cranio :
1. frontale — 2. parietale — 3. occipitale su-
periore—4. interparietale — ó. osso sopran-
numerario interoecipitale.
Sopra un mostro doppio di Sus Scrofa L. (tricefalo- Sinoto)
11
I temporali sono 4 , gli esterni dei due individui normal-
mente sviluppati ; delle quattro apofisi inastoidee le interne sono
molto ridotte e disposte lungo la linea mediana ed ai suoi lati.
Lungo la linea mediana avanti a loro e fra i due occipitali ba-
silari esiste un foro triangolare, che si deve intendere originato
dalla fusione dei due forami lacero-anteriori interni corrispon-
denti. Esistono quindi tre forami lacero-anteriori in tutto, come
nel soggetto del Calori. In avanti del foro i basi-occipitali si
uniscono lungo la linea mediana. Similmente le rocche dei tem-
porali interni sono ridotte e per la compressione laterale acqui-
stano uno sviluppo maggiore in lunghezza senza però saldarsi
fra di loro, come nell’esemplare del Calori. Sulla loro superficie
si notano i forami dei condotti uditivi interni poco sviluppati
e i fori mastoidei ridotti ad un leggero infossamento. Esistono
quindi 4 fori uditivi interni e solo due veri forami mastoidei.
I fori lacero-posteriori sono occlusi lungo la linea di unione
delle rocche sudette da membranelle ossee, in tutto quindi i fori
lacero-posteriori sono 4 di cui i due interni incompleti, contra-
riamente a quanto avveniva nel soggetto del Calori, dove erano
tutti e quattro egualmente sviluppati.
I fori dei condotti uditivi esterni delle rocche mediane sono
coperti dall’osso soprannumerario e quindi non comunicano con
gli orecchi rudimentali descritti. Nei temporali esterni manca
la cresta, che nel normale si estende dal foro auricolare esterno
alla sutura tempore-parietale.
Lo sfenoide è unico e normale. Esso si unisce per la base,
munita di due facce convergenti indietro con il margine ante-
riore dei due basi-occipitali, formando una sella turcica molto
profonda e superiormente limitata da due apotisi clinoidee molto
sviluppate. Nel soggetto del Calori il basisfenoide è doppio , il
posteriore è rudimentale e situato sulla linea mediana. I due
forami ovali e le due fessure sfenoidee sono normali. Degna di
nota è 1’ origine dei forami ottici da un infossamento osseo co-
mune, diretto dall’indietro all’avanti e a sghembo verso sinistra;
12
Dottori G. Potava e 8. Pome»,
[Memoria XII.]
il destro molto più stretto del sinistro dà passaggio al nervo
ottico molto ridotto , che immette nella cavità orbitaria con
l’occhio privo del cristallino, il sinistro è invece normale.
La cecità è dovuta quindi alla mancanza del cristallino e
all’atrofìa del nervo ottico.
L’alisfenoide destro è più inclinato verso l’esterno del sini-
stro, il quale è meno concavo e limita quindi una cavità orbi-
taria più grande della corrispondente destra. Il limite anteriore,
infatti della cavità orbitaria destra è più indietro del corrispon-
dente di sinistra. L’etmoide è unico e normale, così pure i
frontali.
Tutte le ossa della faccia sono normali e come appartenenti
ad un solo individuo, eccezion fatta degli intermascellari privi
delle apofìsi palatine e delle ossa palatine, che mancano affatto
(mancano quindi anche le coane).
Dalla fatta descrizione risulta che la duplicità della testa
cessa di rendersi evidente all’interno dalla sella turcica in avanti
ed all’esterno dai parietali ai nasali.
La cavità cranica in complesso è molto diversa dalla nor-
male: questa è ad imbuto allungato e con la parte slargata
all’i il dietro , quella del mostro è, come la scatola cranica, emi-
sferica. Cavità e scatola cranica somigliano alle corrispondenti
parti dell’ uomo , come s’ è fatto notare, rassomiglianza dovuta
certamente ad un fenomeno di convergenza prodotto da azione
meccanica.
Sistema Nervoso Centrale
Il cervello nella parte anteriore è unico e normale. Le cir-
convoluzioni cerebrali sono numerosissime e non simmetrica-
mente disposte nei due emisferi ; così la scissura superiore in-
terna dell’ emisfero destro decorre dalla parte posteriore del lobo
parietale alla anteriore del lobo frontale, mentre la corrispon-
dente dell’emisfero sinistro si termina solo al terzo anteriore dello
Sopra un mostro doppio di Sus Scrofa L. (Sice falò- Sinoto)
13
stesso (1). I corpi quadrigemini sono disposti lungo una stessa
linea trasversale mentre nel normale si dispongono due in avanti
e due indietro. Di essi i due mediani sono più grossi , i due
laterali meno sviluppati. Ma appare evidente che i due di de-
stra, uno più grande, l’altro più piccolo appartengono al nuovo-
nato destro e gli altri due al sinistro perchè ognuno della
coppia destra, come ognuno della coppia sinistra porta un solco
trasversale poco pronunziato, è vero, ina certo valevole ad atte-
stare la duplicità d’ognuno, risultante dalla fusione di due corpi
quadrigemini : 1’ anteriore e il posteriore. Depilisi manca del
tutto.
Si trovali solo due corpi genicolati 1’ uno appartenente al-
F individuo destro, 1’ altro al sinistro. È interessante a notare
1’ andamento delle due henderelle ottiche, che dal chiasma dei
nervi ottici si portano in alto e indietro passando avanti e vi-
cino ai corpi genicolati, ai quali non si fermano, ma, procedendo
oltre, vanno a portarsi al disopra dei talami ottici corrispondenti
terminandosi alla parte posteriore di questi ultimi cioè ai due
pulvinar.
Le cavità dei ventricoli laterali sono normali, molto svilup-
pata invece è la cavità del terzo ventricolo, da cui partono ,
lateralmente alla linea mediana, due aquedotti di Silvio, ognuno
dei quali inette capo alla cavità di un quarto ventricolo de-
corrente dall’ interno verso l’esterno.
Esistono due cervelletti, sormontante ognuno la cavità del
quarto ventricolo corrispondente ; ogni cervelletto è fornito del
verme e degli emisferi cerebellari all’ esterno, dell’ albero della
vita nel suo interno. Dei quattro peduncoli cerebrali , che ab-
biamo riscontrato, i due esterni si continuano direttamente nel
midollo allungato rispettivo, gl’ interni si saldano fra di loro
lungo la linea mediana formando un istmo che si continua di-
(1) Le circonvoluzioni risultano perfino più numerose delle circonvoluzioni di un cer-
vello adulto.
14
Dottori 6r. Potava e ti. Comes
[Mkmokia XII.
Fig. VII.— Schematica del cervello: CQS corpi quadri-
gemini sinistri — CQD corpi quadrimini destri — CTS cer-
velletto sinistro — CTD cervelletto destro TLC— emisferi
cerebrali — IjICTC Lobo interecebellare cuneiforme.
rettamente oon un lobo intercerebellare soprannumerario molto
sviluppato ed interposto fra i due cervelletti (v. tig. 7).
Prima di congiungersi col
lobo sudetto i peduncoli in-
terni danno un ramo laterale,
che prende parte , insieme
con i peduncoli esterni, alla
formazione del midollo al-
lungato cor ri spo n d en te .
11 lobo intercerebellare
su descritto è ricoperto per
intero dall’ inter- parietale e
dall1 osso soprannumerario
inter-oeeipitale. Una forma-
zione encefalica molto vicina
a quella da noi or ora ac-
cennata fu ritrovata anche dal Calori. Egli, avendo riscontrato
nel suo esemplare « due cervelli, uno vescicolare posteriore con
una cavità ventricolare, ed uno anteriore perfettamente normale »
ritenne che il cervello posteriore rappresentasse la vescicola ce-
rebrale anteriore primitiva. Il cervello posteriore del Calori è
anch’esso una formazione soprannumeraria molto simile per po-
sizione e per forma a quella da noi segnalata.
Ma mentre questa è situata tra i due cervelletti laterali
e un po’ all’ infuori nella linea mediana , combaciando i suoi
margini esterni con i margini interni degli emisferi cerebellari,
quella del Calori è posta sempre fra i due cervelletti, ma al-
quanto in avanti sulla linea mediana per modo che i bordi in-
terni degli emisferi cerebellari ricoprono in parte i bordi esterni
del corpo soprannumerario. Inoltre la nostra è priva di cavità
ed è formata invece da circonvoluzioni trasverse simili in tutto
a quelle dei cervelletti e come in questi differenziate sulla linea
mediana in un vero e proprio verme, quella del Calori presenta
una cavità ed è priva di circonvoluzioni, come dimostrano i
Sopra un mostro doppio di Sus Scrofa L. (Sice falò- Sinoto)
15
suoi disegni. Evidentemente al nostro caso non può convenire
F interpretazione die l1 Anatomico di Bologna lia dato a sif-
fatta formazione, sia perchè essa ha tutti i caratteri esterni d’un
cervelletto e presenta un regolare albero della vita nel suo in-
terno, sia perchè, esistendo due talami ottici normali, non pos-
siamo comprendere la presenza d" una vescicola cerebrale indi-
visa. Senza dire che difficile sarebbe il concepire uno sposta-
mento cotanto pronunziato della prima vescicola cerebrale indi-
visa posteriormente ai talami ottici e alle lamine quadrigemine.
E se il Calori ammette, come risulta dal suo lavoro, che « dalle
gambe del cervello e dalle braccia dei tubercoli quadrigemini
cominci l1 unione dei cervelli propriamente detti » come pos-
siamo comprendere la presenza d’ una vescicola cerebrale primi-
tiva indivisa quando essa si sarebbe dovuta fondere del tutto
colla corrispondente ? Pertanto, con tutti i riguardi dovuti alla
memoria dell’ Illustre Scienziato, noi ci permettiamo di dissen-
tire al riguardo dalla sua ipotesi e crediamo piuttosto che il
lobo soprannumerario sia prodotto dalla proliferazione delle metà
degli emisferi cerebellari, che costeggiano la linea mediana d’u-
nione.
Lobo ed osso sono senza dubbio formazioni volute dalla
necessità di sostegno dalle parti adiacenti, e da queste per un
adattamento cenogenetico prodotti, come per altro ebbe a dichia-
rare per 1’ osso lo stesso Calori.
Posteriormente al cervelletto ogni parte del tubo encefalo
midollare è normale.
CONCLUSIONI
Il mostro in esame, nella progressiva fusione delle sue parti
dall’ indietro all’ avanti fa rilevare quanto possa 1’ azione mec-
canica nello sviluppo ontogenetico. Ad essa crediamo si debbano
attribuire la conformazione dello scheletro cranico e le modifi-
cazioni di posizione e di forma avvenute nelle colonne verte-
16
Dottori 0. Potava e <S'. Comes
[Memoria XII.]
tirali. In essa si deve ricercare la causa della ipertrofia delle
parti che non mostrano accenno di duplicità, dove al mancato
sviluppo d’ una parte simmetrica fa riscontro una proliferazione
cellulare compensatrice. All’ azione meccanica ancora si debbono
riferire da un lato le strane disposizioni di organi molli (appa-
rato respiratorio, digerente ecc.) dall’ altro la formazione di parti
soprannumerarie (lobo intercerebellare, osso interoccipitale) in
organi importantissimi tra i primi a differenziarsi, o il mancato
sviluppo di altre parti non meno importanti nè meno primitive
(cristallino destro, condotto uditivo esterno delle orecchie atro-
fiche ecc.). In tutto lo sviluppo insomma prevalgono e s’impon-
gono processi cenogenetici.
L’ uguaglianza di sesso dei due soggetti, la presenza d’ un
solo cordone ombelicale comune a tutti e due depongono a fa-
vore dell’origine monocoriale del mostro.
Infine il nostro caso non puQ presumere di risolvere 1’ im-
portante e sempre dibattuta quistione teratogenetica dei mostri
doppi , nessuna delle sue anomalie propugnando a favore della
ipotesi per divisione di un’unica area embrionale o di qualche
sua parte piuttosto che a favore dell’altra per fusione di due.
Ad ogni modo le anomalie presentate dal mostro studiato
ci fanno sempre più convincere che nello sviluppo ontogenetico,
abbia molta parte l’azione modificatrice dell’ambiente.
Memoria. XIII
S. S C ALI A
Sopra alcune singolari formazioni montuose dei Messico
RELAZIONE
DEI, LA COMMISSIONE DI REVISIONE, COMPOSTA DEI SOCI EFFETTIVI
PROF. A. RUSSO e L. BUCCA {relatore).
Il lavoro del D.r S. Scalia, riguardante alcune formazioni geologiche del
Messico, dov’ egli per più di un anno ha occupato il posto di Geologo, pre-
senta un grande interesse in relazione alle ipotesi della formazione delle
montagne.
Dopo gli studi del Suess si è ammesso generalmente che le montagne
fossero dovute esclusivamente all’azione di spinte laterali: studi recenti di
valenti geologi sulle formazioni laccolitiche del Nord America e dell’Europa
centrale , tendono a provare che le rocce eruttive intrusive hanno spesso
contribuito al sollevamento di alcune parti della crosta terrestre; ciò richiama
le idee di L. v. Buch riguardo all’origine delle montagne. — Lo studio del
D.r Scalia che illustra alcuni nuovi esempi di sollevamenti originati da spin-
te verticali, merita di essere accolto dall’Accademia, e pertanto la Commis-
sione di Revisione ne propone la pubblicazione nei suoi Atti.
Nel mese di marzo dell’ anno passato venivo incaricato
dalla Direzione dell’ Istituto Geologico di Messico, del quale fa-
cevo allora parte in qualità di Geologo, di fare uno studio della
regione compresa fra Terreo n e Monte rey seguendo il ramo
della Ferrovia Centrale Messicana, per preparare un’ escursione
per il X Congresso Geologico Internazionale che si riunirà pros-
simamente in Messico.
Atti acc. Sf.rik, 4*, Voi.. XIX — Meru. XIII. 1
9
S. Scalia
[Memoria XIII. ]
Circostanze speciali ini hanno impedito tino ad ora di ren-
dere pubbliche le osservazioni geo-tettoniche da me fatte in quel-
la interessante regione montuosa, affatto sconosciuta dai geologi.
Sarebbe stato mio vivo desiderio poter corredare questa breve
nota di alcune immagini fotografiche di quelle località e di
poter presentare uno studio completo del ricco materiale paleon-
tologico, nuovo in parte per il Messico, che vi ho raccolto. Però,
tornando dalle mie escursioni alla capitale , mi vennero rubate
le numerose fotografie che avevo fatte, i libretti di appunti, la
macchina fotografica ed altri strumenti, nonché alcuni bellissimi
fossili che portavo con me in una valigia. La massima parte
dei fossili li avevo spedito in precedenza all’ Istituto Geologico,
dove in seguito al mio definitivo allontanamento, credo saranno
stati affidati in istudio al Dr. Emil Pòse , geologo capo presso
lo stesso Istituto.
Debbo rendere qui i miei più sentiti ringraziamenti ai Si-
gnori Antonio Teresa e Benito Garcia Prieto per l’ospitalità
gentilmente concessami alla Eattoria La Luz, senza di che non
avrei avuto la possibilità di fare alcune interessantissime escur-
sioni nella Sierra de la Paila, completamente isolata dal
consorzio umano.
*
* *
Viaggiando da Torreon a Monte rey sulla Perrovia Cen-
trale Messicana, si attraversa dapprima una vasta pianura nella
quale le rigogliose coltivazioni di cotone , cedono ben presto il
posto ad un arido deserto, limitato in lontananza dalla Sierra
de la Paila, al Nord, e dalla catena montuosa di Par ras, al
Sud. La vasta pianura compresa fra queste montagne è una delle
più aride ed uniformi di quante altre mi fu dato vedere nella
Bepubblica Messicana , durante il mio soggiorno in quel paese.
La scarsa vegetazione che qua e là vi stenta la vita, è com-
posta prevalentemente da rachitiche acacie , da piccole agavi
{Agave exacantha), da yucche e da varie specie di cactacee nane,
Sopra alcune singolari formazioni montuose del Messico
3
che riescono a stento a trattenere le mobili arene, le quali for-
mano spesso delle dune a volte abbastanza notevoli e sollevate
in numerosi remolino* de polvo (turbini di polvere), si spostano
continuamente in forma di colonne gigantesche sulla vasta ed
arida distesa.
In prossimità, e a Nord, dello scambio di Venus, sorge
dalla pianura uniforme un gruppo di piccole alture, disposte in
forma di croissant, al cui lato interno l’ erosione ha messo allo
scoperto le testate degli strati , inclinati in tutte le direzioni
verso la periferia, dove spariscono ben presto sotto ai banchi di
conglomerati e di sabbie alluvionali circostanti.
Alture simili si scorgono in maggior numero e più elevate
verso il Sud , dove formano una vasta zona accidentata, nella
quale sono disposte in vari sistemi di cerchi , come quelli che
si otterrebbero facendo cadere contemporaneamente dei sassolini
in vari punti di uno specchio d’ acqua.
Queste colline sono tutte costituite da strati di marne va-
riegate, prevalentemente verdicce o giallastre, alternanti con grossi
banchi di arenarie marnose , verdastre , molto ossidate esterna-
mente , che prevalgono in alto e costituiscono generalmente le
creste delle colline.
Delle stesse rocce è costituita la caratteristica prominenza
che si eleva come un tronco di cono tra gli scambi di Marte
e di Bri sa, terminando in alto con una piattaforma perfetta-
mente orizzontale, formata da grossi banchi di arenaria.
In prossimità della stazione di Hi poi ito, la strada ferrata
si accosta ai contrafforti sud-orientali della vasta formazione
calcarea della Paila, così denominata perchè verso la sua
parte centrale esistono delle doline , le quali a volte raggiun-
gono parecchi chilometri di diametro e varie centinaia di metri
di profondità , che dai primi esploratori furono rassomigliate a
delle pentole enormi. (1)
(1) Palla, in lingua del paese significa appunto: pentola, caldaia eoe.
4
S. Scalia
[Memoria XIII.]
Oltrepassata la stazione di Sau ceda, presso lo scambio di
Arispe, la [Ferrovia Centrale attraversa una serie di alture,
costituite dalle solite marne alternanti con le arenarie, che verso
il Sud-Ovest si elevano a più di 1000 metri sulla pianura e si
estendono in vasto semicerchio dalle vicinanze della stazione di
Beata fino al Sud degli scambi di Ceres e di Minerva per
più di 200 chilometri. Tutte queste alture formano come una
gigantesca muraglia che segue il contorno della Pai la ad una
distanza dai 15 ai 30 chilometri e presentano il loro lato inter-
no scosceso, lungo il quale si possono seguire per tutta la loro
estensione le testate dei grossi banchi di arenaria, sporgenti tra
le marne e largamente ondulati, mentre sul versante esterno
gli strati s’ inclinano in giro verso tutte le direzioni come i
resti di una cupola gigantesca il cui centro corrisponderebbe a
quello della grande formazione calcarea della Pai la.
Vedremo in seguito , a quali fenomeni geologici è dovuta
questa singolare formazione montuosa, simile in tutto alle altre
che giacciono più all’Est, verso Monte rey, e che per essere
di minori dimensioni si prestano meglio ad un esame più mi-
nuzioso della loro struttura.
Il circo di Anhelo visto dalla stazione di Paredón.
A Nord dello scambio di Amargos e della stazione di
Paredón, il potente complesso di marne e di arenarie si dispo-
ne in forma di un vasto circo, di circa 45 chilometri di circonfe-
renza, interrotto in corrispondenza a certe ondulazioni degli strati,
che per brevi tratti sono stati completamente asportati dalle
poderose correnti alluvionali defluenti verso 1’ esterno. Vicino
ad una di queste interruzioni sorge la stazione di Anhelo,
della Ferrovia Internazionale.
Sopra alcune singolari formazioni montuose del Messico
Crii strati delle marne e delle arenarie mostrano le loro te-
state rivolte verso 1’ interno del circo, in mezzo al quale sorge
una montagna calcarea di forma conica, nella quale si scorgono
i grossi banchi di calcare inclinati in giro dal centro della cu-
pola verso r esterno.
Su questi calcari 1’ azione erosiva degli agenti atmosferici
lia inciso un regolare disegno a zig-zag, risultante dalla sovrap-
posizione di strati sempre più estesamente erosi verso l’esterno,
in corrispondenza alle creste che delimitano i valloni radiali
scavati dalle acque che scendono dalla sommità della montagna.
Un disegno uguale , anzi ancora più regolare ed appariscente ,
presentano esternamente le marne e le arenarie i cui strati, in-
clinati in giro in tutte le direzioni, circondano la pianura dalla
quale affiora la massa calcarea centrale.
Questo fenomeno è così evidentemente dovuto all’ azione
erosiva delle acque irradiantesi dal centro della cupola, che
sembra addirittura strano come il Sig. Aguilera, Direttore del-
l’Istituto Geologico di Messico, abbia potuto incorrere nello er-
rore di crederlo dovuto ad un vero piegamento a zig-zag degli
strati (1).
La pianura a Sud di Paredón è limitata da un altro va-
sto circo di colline costituite dalle solite marne alternanti con
grossi banchi di arenarie che hanno le testate rivolte verso il
centro della pianura, dove però non si vede affiorare la forma-
zione calcarea. Anche più all’Est, vicino alla stazione di Arista,
della Eerrovia Internazionale Messicana , si scorgono i resti di
due piccole cupole, costituite da arenarie e da calcari alternanti
con brecciole calcaree e con marne. A poca distanza dal villag-
gio di Mina sorge un’altra collina, la cui cresta circolare den-
tellata per effetto dell’erosione, rassomiglia ad un cratere di esplo-
(1) Aguilera — Itinerario s geològico s ( Bosquvjo Geològico de Mexico , Boll. d. Inst. Geol.
de Mexico, Nrtms. 4, 5 y 6, pag. 135 , 1897) » Està sterra està formada de capas plegadas
con zig-zags tan regalare s que tomadas alternativamente las rama s de los zig-sags, està» son
perfectamente paralelas. »
6
ti. ìScalia
[Memoria XIII.]
sione un po’ smantellato. In un’altra collina, di maggiori dimen-
sioni, posta a Nord-Ovest di Mina si scorgono come nel circo
di Anhelo, benché in proporzioni molto minori, gli strati cal-
carei sollevati in forma di una cupola bassa a contatto imme-
diato con le marne e le arenarie, ciò che denota uno stadio di
sviluppo intermedio tra quello della cupola di Anhelo, nella
quale i calcari sono stati portati molto in alto e quello delle
basse cupole , appena abbozzate , che si elevano tra la stazione
di Pa redo n e lo scambio di Arispe, nelle vicinanze dello
scambio di Yenus, ecc.
Lateralmente alla strada ferrata, tra la stazione di P a redo n
e lo scambio di Arispe, come anche nella regione ad Est e
a Nord dello scambio di Delgado , ecc., si scorgono delle basse
colline , più o meno circolari , incavate internamente in forma
di coppa e a volte abbastanza estese, nelle quali gli strati pen-
dono dalla periferia verso il centro della concavità, mentre sui
fianchi esterni si possono seguire per tutto il loro contorno le
testate erose degli strati, largamente ondulati.
Al disotto della poderosa formazione di arenarie e di marne,
tra lo scambio di I camole e la stazione di (farcia (sulla
Perrovia Centrale) affiora lungo la strada ferrata un complesso
di strati calcarei, grigio - chiari od oscuri, spessi da 15 a 50 cui.,
ai quali segue ben tosto una poderosa pila di grossi banchi cal-
carei , grigio - oscuri , dai quali risultano formate varie cupole
ellissoidali molto allungate, come quelle di Pesqueria, di
Topo Grande e Topo Chi co, la Montagna di Las M i-
tras e la caratteristica Siila, le quali hanno i loro assi mag-
giori diretti sensibilmente da Est ad Ovest e si riattaccano ,
nelle vicinanze di Monterey ai contrafforti settentrionali della
Sierra Madre Orientai.
Sui fianchi di queste montagne l’erosione ha inciso lo stesso
disegno a zig-zag che si può seguire in alto, fino in prossimità
dei crinali più o meno capricciosi, dove gli strati sono disposti
quasi orizzontalmente.
Sopra alcune singolari formazioni montuose del Messico
7
Fin dalle prime escursioni potei convincermi che il potente
complesso di marne e di arenarie è in tutta la sua estensione
molto fossilifero. Presso lo scambio di Aris p e contai tino a
nove banchi fossiliferi, contenenti migliaia di esemplari di Exo-
gira, rare Attornia e Nerinea , ed in alto, Acteonella. Le Attornia
sono più frequenti nelle colline a Sud della stazione di Par e don,
dove ho trovato anche due esemplari di Tissotia ( Buchiceras .)
I banchi con Exogira ed Attornia si possono seguire per dei
chilometri lungo la grande parete di marne e di arenarie , a
Nord - Est della stazione di P a r e d ó n, nello stretto passaggio
scavato in essa da un torrente ed attraversato dalla Ferrovia
Internazionale, nella gola ad Est dello scambio di Ixtle, a
Sud e a Nord di quello di Arispe ed in molti altri punti che
è inutile indicare dettagliatamente, perchè i numerosi individui
di Exogira e di Attornia si trovano quasi dapertutto, spesso per-
fettamente isolati ed in ottimo stato di conservazione, in mezzo
alle marne ed alle arenarie disgregate dalla lunga azione demo-
litrice degli agenti atmosferici.
I calcari sottostanti, grigio - chiari od oscuri, in istrati poco
spessi, oltre che tra I camole e darci a, si mostrano anche
allo scoperto sui banchi della Montagna di Las Mitras, ad-
dossati ai calcari in grossi banchi, che circondano per buon trat-
to, da Nord -Est a Sud-Ovest.
Oli stessi calcari seguono il contorno orientale della P a i 1 a
formando delle colline poco elevate. In una di queste piccole
colline, distante circa duecento metri dalla Fattoria La Luz,
ho avuto la fortuna di scoprire una ricca fauna di lnoceramus,
Hoplites, Crioceras, Turrilites , Baculites , Belemnites, ecc., in parte
nuova per il Messico. I calcari sottostanti, in grossi banchi, sono
in vari punti pieni zeppi di Nerinea e di numerosi individui
di Caprinula che difficilmente si possono staccare interi dalla
roccia. Le conchiglie delle Caprinula , di color nero e finemente
striate, vanno facilmente in frantumi quando si cerca di isolarne
qualche esemplare.
8
S. Scalia
Memoria XIIL]
Ho già accennato come in seguito al mio definitivo allon-
tanamento dall’ Istituto Geologico di Messico, lo studio di que-
sta fauna sarà stato probabilmente affidato ad altri; nella speranza
che tale studio ci venga a fornire al più presto degli elementi
sicuri per un più esatto riferimento cronologico di questa im-
portante serie cretacica, mi limiterò a dire che in base ai fos-
sili da me raccolti , ritengo i calcari con Caprinula e Nerinea
come appartenenti alla parte superiore dell1 Albiano o ai più
bassi orizzonti del Cenomaniano , i calcari con Tnoceramm ,
Hoplites , Criocercis, Turrilites, Baeulites, Belemnites ecc., al Geno-
ma si a no inferiore, e la potente serie di marne e di arenarie con
estesi banchi di Exogira ed Anemia e rari esemplari di Acteo-
nella , Nerinea e Tissotia , al Oenomaniano superiore ed al
Turoniano.
*-
A- sfc-
Sebbene la paleontologia e la stratigrafia di questa regione
siano interessantissime , anche perchè ben poco si conosce fino
ad ora del Cretacico del Messico , pure quello che maggior-
mente ha colpito la mia attenzione è la tettonica di queste sin-
golari montagne, tanto diverse da quelle della vicina Sierra
Madre Orientai e delle altre montagne isolate che in vici-
nanza di Monte rey formano delle cupole molto allungate con
i loro assi maggiori diretti da Est ad Ovest.
Se ci facciamo ad esaminare un pò da vicino la montagna
calcarea di Anhelo ed il vasto circo di marne e di arenarie
che delimita la pianura dalla quale essa sorge, quello che ci
colpisce a prima vista è la strana somiglianza di questa singo-
lare formazione montuosa con le montagne lunari e con le for-
me di alcuni vulcani, dai quali, per anologie morfologiche, si è
desunta l’origine vulcanica di quasi tutte le montagne del nostro
satellite.
Il certo si è che per la sua forma perfettamente 8ÌmmeJ
/Sopra alcune singolari formazioni montuose del Messico
9
trita non si può ascrivere P origine di questa montagna a pres-
sioni laterali, specialmente se si riflette che in questa regione
esiste un sistema molto esteso di cupole circolari e di elevazioni
incavate in forma di coppa, per le (piali si dovrebbe ammettere
che le spinte laterali si siano tradotte anche in sprofondamenti
circolari intimamente collegati con gli inalzamenti in forma
di cupola.
Generalmente le spinte laterali, risultanti da abbassamenti
di una porzione di crosta terrestre, producono dei sistemi di
pieghe asimmetriche e delle fratture più o meno evidenti, con
relative fratture, scivolamenti, salti, ecc. Nella regione da noi
studiata le elevazioni assumono invece una forma simmetrica, a
volte anche perfettamente circolare e gli strati pendono da tutti
i lati, formando delle cupole che P erosione ha più o meno
smantellato, specialmente in corrispondenza alle marne ed alle
arenarie, dai quali materiali risultano in gran parte costituiti i
conglomerati e le sabbie delle pianure. In prossimità delle cupole
calcaree P erosione ha accumulato invece dei grossi banchi di
brecce e di conglomerati calcarei.
Diamo qui un profilo ideale del circo di Aulì e lo, come
si otterrebbe facendo una sezione attraverso la massa calcarea
centrale e il circo esterno, in qualsiasi direzione.
Profilo ideale del circo di Aulielo. e., Calcari, a.m.. Arenarie e marne.
La cupola centrale, formata dai calcari in grossi banchi, è
circondata dalla pianura alluvionale, alla sua volta delimitata dal
circo di marne e di arenarie i cui strati pendono verso l’esterno.
Lo stesso profilo, però in proporzioni molto più grandi, si
ottiene facendo una sezione ideale della Pai la, almeno nei
Atti acc. Stcrik 4a, Voi.. XIX— Mera. XIII.
10
S. Scalia
[Memoria XI11.J
punti che ho potuto osservare, dalla stazione di Reata tìn presso
Tal la, dove si scorgono tutto all’ ingiro le testate erose degli
strati delle marne e delle arenarie, rivolte verso la grandiosa
cupola calcarea della P a i 1 a.
Il Sig. Aguilera, (1) che tempo addietro visitò questa re-
gione, rimase impressionato dal fatto che tanto in queste mon-
tagne, come in quelle tra Jmulco e Perdo, non si scorgono
dal lato della pianura delle rocce eruttive in relazione col sol-
levamento degli strati sedimentari.
Palle osservazioni geo-tettoniche da me fatte in quella re-
gione risulta invece, che sebbene il sollevamento di quelle mon-
tagne sia dovuto alla spinta di rocce massicce, pure non bisogna
andare a cercar queste nelle pianure alluvionali che circondano
le masse calcaree, ma piuttosto al disotto di tali masse centrali
che rappresentano le parti più profonde delle cupole, non an-
cora sufficientemente erose perchè si mostrino allo scoperto le
rocce intrusive che le hanno spinte in alto.
Molti studi recenti di valenti geologi (2) tendono a provare
che 1’ idea di Suess, che cioè le rocce eruttive intrusive non
hanno avuto che una parte del tutto passiva nella formazione
delle montagne, è molto esagerata, ed oltre i classici esempi dei
laccoliti di Henry Mountains, descritti dal Gilbert, si co-
noscono ora molte altre montagne che debbono il loro sollevamen-
to alle spinte prodotte da magma lavici ascendenti in direzione
verticale.
Ad Ovest della regione da noi studiata, in prossimità di
Coltoli, il Dr. Emil Buse scoperse nell’ottobre del 1904 un
(1) Aguilera — Op. cit. pag. 134 « Es (Ugno de notarne que tanto en està» sterrati corno
en las que existen elitre Jmulco y Lerdo, no se vean del lado de la llanura rocan eruptivas re-
lacionadas con el levantamiento de làs capa n sedimentar ias cretacea « * (!?)
(2) W. Branco — Nette Beweise fiir dìe UnabhàngigJceit der Vulcane von praexistirenden
Spalten (Nenes Jalirb. f. Min. etc., Bd. 1.) 1898.
W. Salomon — Nette Beobaclitungen aus don Gebieten des Adamello und des St. Gotthard
(Sitzungsber. d. K. Preuss. Akad. d. Wis. zu Berlin,) 1899.
C. Burckhardt — Les masse» èruptìves intrnsives et la formation des monta gnes (Memo-
rias de la Soc. Cient. « Antonio Alzate », T. 21, pag. 5-8), Mèxico, 1 904.
Sopra alcune singolari formazioni montuose del Messico
li
laccolite attorno al quale le rocce sedimentarie cretacee presen-
tano una zona profondamente alterata dal contatto del magma
intrusivo.
Questo fatto, del quale ebbi notizia poco dopo la scoperta
fattane dal Dr. Bose, mi conferma maggiormente nell’idea che
il sollevamento delle cupole, di forma più o meno circolare che
si trovano tra Torreon e Monterey, sia dovuto alla spinta
di magma lavici non ancora messi allo scoperto dall’ erosione.
Del resto non tutte queste cupole sono ugualmente svilup-
pate. Da quelle nelle quali le masse calcaree centrali, fortemente
erose, emergono dalle pianure alluvionali, circoscritte dalle marne
e dalle arenarie, passiamo gradatamente a quelle nelle quali i
calcari sporgono appena in forma di basse cupole ed alle altre in
cui i calcari sono completamente mascherati dalle marne e dalle
arenarie, che qua e là formano delle leggiere protuberanze cir-
colari sulle vaste pianure alluvionali.
Parlando della Pai la abbiamo già visto come le masse
calcaree presentano a volte verso la loro parte centrale delle do-
line più o meno vaste e profonde. È molto probabile che spro-
fondamenti simili si siano prodotti anche in altri punti, dove i
calcari sono ancora ricoperti dalle marne e dalle arenarie, dando
così origine a quelle colline in forma di coppa, nelle quali ab-
biamo visto queste ultime formazioni inclinate verso il centro
della concavità , mentre tutto all’ ingiro si scorgono le testate
dei loro strati erosi.
*-
Da quanto abbiamo esposto sopra, risulta abbastanza chiaro
che la meccanica del sollevamento di alcune parti della crosta
terrestre corrisponde, come dice bene il Salomon, alle idee dei
grandi geologi del principio del secolo passato.
Queste idee, combattute e rigettate completamente fino a
poco tempo addietro, tornano ad esser prese di nuovo in consi-
12
8. >Scalia
[Memoria XIII.]
derazione per ispiegare la formazione delle montagne simmetriche,
la cui tettonica, piuttosto che alla teoria delle spinte laterali, con
la quale si è cercato di spiegare il sollevamento di tutte le mon-
tagne della terra, corrisponde alle idee di Leopold von Buch
il quale pensava che le spinte dei magma lavici, ascendenti in
direzione verticale , hanno dovuto esercitare un’ azione molto
importante nella formazione delle montagne.
Dal Gabinetto di Geologia della R. Università.
Catania, aprile 1906.
Memoria XIV,
Sul modo di variare della radiazione solare
durante le fasi di un’eclisse
Memoria di A. BEMPORAD
RELAZIONE
DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE, COMPOSTA DEI SOCI EFFETTIVI
Proff. G. P. GRIMALDI e A. RICCO {relatore).
Il Dott. Bemporad, partendo dalle osservazioni di Secchi, Langley ed
altri circa la diminuzione del potere radiante dei punti del disco solare dal
centro verso la periferia, stabilisce anzitutto una forinola, che rappresenta
assai bene i risultati di queste osservazioni, e che corrisponde all’ ipotesi
dell’esistenza di un’atmosfera omogenea attorno al Sole. Egli applica quindi
questa forinola per determinare mediante integrazione i valori della radia-
zione relativa delle varie parti scoperte del disco solare durante le fasi d’una
eclisse, e dà una soluzione completa del problema con quel grado di appros-
simazione, che consentono le nostre cognizioni attuali. L’ A. applica infine
questi suoi risultati alle osservazioni attinometriche e alle misure delle fasi
eseguite nell’ Osservatorio astrotìsico di Catania durante le eclissi parziali
di Sole del 28 Maggio 1900 e del 30 Agosto 1905, giungendo alla conclu-
sione notevole, che in ambedue i casi la diminuzione osservata della radia-
zione fu più forte di quella calcolata. Le tavole numeriche , che accompa-
gnano il lavoro facilitano notevolmente la riduzione delle osservazioni atti-
nometriche eseguite durante un’eclisse in circostanze qualisivogliano, e me-
ritano quindi di venire integralmente pubblicate.
INTRODUZIONE
È ben noto da molteplici ed accurate ricerche di vari astro-
nomi, come il potere radiante dei punti del disco solare decresca,
procedendo dal centro verso la periferia, fino a ridursi, sul lembo
estremo, ai quattro decimi circa del potere radiante dei punti
Atti acc. Skrik 4a, Voi.. XIX — Mem. XIV. 1
2
A. Bemporad
[Memoria XIV.]
della regione centrale. Questo contegno, nel quale ha certo gran
parte, se non unica *), 1’ assorbimento esercitato dall’ atmosfera
solare, fa sì che la radiazione delle varie porzioni scoperte del
disco solare durante un’ eclisse non sia proporzionale alla super-
ficie apparente delle porzioni stesse, ma vari secondo una legge
più complessa, che qui ci proponiamo di studiare. Non è fuor
di luogo notare, che per la esatta interpetrazione dei risultati
delle osservazioni attinometriche o bolometriche fatte durante
un’ eclisse solare è indispensabile tener conto della circostanza
in questione, fenomeni analoghi possono avere anche qualche
importanza nello studio di certe variabili (stelle del tipo di
Algol, ovvero doppie spettroscopiche o fotometriche 1 2), e in altre
ricerche affini.
In quello che segue, ottengo anzitutto (Oap. I) una rap-
presentazione analitica del modo di variare del potere radiante
dei punti del Sole, secondo la distanza apparente dal centro,
fondandomi sulla forinola ottenuta, calcolo (Oap. II) in due
modi diversi, e cioè con procedimento analitico e colla integra-
zione numerica, il valore dell’ integrale del potere radiante esteso
a tutto il disco solare e quindi il valor medio del potere ra-
diante medesimo. Calcolo quindi (Oap. Ili) con procedimenti
diversi, secondochè la fase considerata è maggiore o minore di
0,5, 1’ integrale del potere radiante esteso all’ area scoperta del
Sole durante un’ eclisse parziale, e raccolgo in una tabella i va-
1) Non unica, perchè Secchi avrebbe notato ad es. un massimo d’ intensità della radia-
zione in corrispondenza all’ equatore, massimo che non potrebbe farsi dipendere evidente-
mente dall’ azione dell’ atmosfera solare. V. Memorie della Società degli Spettrosc. Italiani.
Voi. IV, 1875 pag. 121.
2) Lo spettroscopio rivela, com’ è noto, la duplicità di varie stelle (come Algol) che
non. sono altrimenti risolubili cogli attuali mezzi d’osservazione. In molti casi (come nel caso
citato) le doppie spettroscopiche sono anche variabili, e la natura della variabilità è tale,
che si concilia benissimo colla ipotesi di un sistema doppio o multiplo, in cui intervengano
periodicamente parziali occultazioni. Vi sono infine dei casi, in cui, essendo la luminosità
dell’ astro troppo scarsa, lo spettroscopio nulla rivela, mentre il fotometro accusa una va-
riabilità del tipo di Algol. In tal caso si parla di doppie fotometriche (Cfr. in proposito Ch.
André. Sur le systéme formé par la Planète doublé (433) Eros. Astron. Nachr. Voi. 155 p. 27.)
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un'eclisse 3
lori numerici da me ottenuti, coi quali, ricorrendo naturalmente
alla interpolazione, può considerarsi come completamente risoluto
(con quel grado di approssimazione, che consentono le nostre
cognizioni attuali) il problema di determinare per una fase qual-
siasi di una eclisse solare in condizioni qualsi vogliano (eclisse
parziale, totale o anulare) l’ importo della radiazione dell’ area
scoperta del Sole, in parti della radiazione totale. Applico infine
(Cap. IV) la tabella così ottenuta alle osservazioni eseguite nel-
l’Osservatorio di Catania durante le eclissi del 28 Maggio 1900 e
del 30 Agosto 1905, mostrando come ambedue le volte la di-
minuzione osservata della radiazione solare sia stata più forte
di quella calcolata. Questa conclusione importante viene confer-
mata anche dalle osservazioni eseguite dal Prof. Julius a Burgos
durante l’ultima eclisse, e solleva la questione di vedere, se, come
opina lo Julius, i procedimenti fin qui usati per lo studio delia
diminuzione del potere radiante verso il bordo del disco solare
non siano affetti da cause sistematiche d’ errore. Questa ricerca
verrà senza dubbio molto agevolata dalle nostre tavole. Lo studio
attuale dunque, anche prescindendo dall’ interesse che può pre-
sentare dal lato puramente teorico, si prefigge anzitutto uno scopo
essenzialmente pratico, quale è quello di preparare i mezzi per
il confronto delle osservazioni col calcolo in eclissi future.
Cap. I. — Rappresentazione analitica del modo di
VARIARE DEL POTERE RADIANTE DEI PUNTI DEL DISCO SOLARE
DAL CENTRO ALLA PERIFERIA.
1. Valori osservati del potere calorifico dei punti del disco
solare a varie distanze dal centro.
Dall’eccellente trattato del Prof. G. Mfiller ricavo la se-
guente tabella comparativa dei valori ottenuti da Secchi, Vogel,
Langley e Frost per il potere calorifico dell’ unità di superficie
apparente del disco solare a varie distanze dal centro *).
l) Mììller — Die Photometrie dei' Gestirne (189 7) p. 323.
4
A. Bemporad
[Memoria XIV. [
Tabella I.
Distanza
dal centro del 0
♦
Secchi - Vogel
Potere calor
Langley
fico secondo :
Frost
Media
0, 00
100
100, 0
100, 0
100
0, 20
99
99, 5
99, 4
99
0, 40
98
96, 8
96, 3
97
0, 60
94
92, 2
89, 8
92
0, 70
89
88, 4
84, 6
87
0, 80
82
82, o
77, 9
81
0, 90
69
72, 6
68,0
70
0, 96
(57)
61, 9
57, 2
59
0, 98
(47)
50, 1
50, 0
49
1, 00
40
—
(39)
(40)
Il divario fra i vari autori sale in qualche caso al 5 °/0, la
media può essere allora approssimata a meno del 2 o del 3 °/0.
Questo avvertiamo, perchè pei calcoli definitivi ci permettiamo
di ragguagliare i valori medi assegnati nella 5a colonna con
forinole empiriche, che lasciano in qualche caso residui appunto
del 2 o 3 °/0 rispetto ai detti valori medi.
2. — Varie forinole di ragguaglio.
Supponendo, che la diminuzione del potere radiante dei
punti del Sole verso la periferia dipenda essenzialmente dall’as-
sorbimento dell’ atmosfera solare, sarà naturale cercare di rag-
guagliare i valori medi della precedente tabella con qualcuna
delle forinole empiriche più usate per lo studio dell’ assorbi-
mento dell’ atmosfera terrestre. Le forinole da noi date in un
recente lavoro *) ci parvero troppo complicate per lo scopo at-
tuale, in ragione sopratutto della scarsità delle nostre cognizioni
circa la costituzione fìsica dell’ atmosfera solare. Restava a sce-
gliere fra 1’ una o 1’ altra delle più note forinole empiriche, come
quella di Laplace, che mette in relazione 1’ assorbimento colla
P Zur Theorie der Extinktion des Lichtes in der Erdatmosphàre — Mitteilungen der Grossherz.
Sternwarte zu Heidelberg N. IV.
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 5
refrazione subita dai raggi, quella di Bouguer, che parte dalla
ipotesi di una legge esponenziale per la diminuzione della den-
sità del mezzo assorbente coll’ altezza, e infine quella di Lam-
bert, che corrisponde all’ ipotesi di un’ atmosfera omogenea.
La formola di Laplace Tenne già applicata dal Prof. Seeliger
per una ricerca analoga alla presente, benché indirizzata a tut-
t’ altro scopo, nella forma
log J -
Reir.
sin £
ammettendo la refrazione nell’ atmosfera solare come propor-
zionale a tgz. Questa espressione presenta l’inconYeniente di con-
durre ad un valore infinito di — log J per z — 90°, e poiché
questo valore di z corrisponde al contorno del disco solare, ne
seguirebbe per i punti al contorno una intensità calorifica nulla,
ma questo contrasta così vivamente coi risultati sperimentali
(Tabella I), che giudicammo del tutto inopportuna l’applicazione
della formola in discorso per il nostro scopo.
Lo stesso inconveniente si presenta colla formola di Bou-
guer, sia nella forma originaria *)
log J
log J0
-j- log p sec 2 —
tefz sec « -f-
sia nella forma corretta da me accennata in un precedente lavoro 1 2)
log J = log J0 -j- log p |sec z — tefz sec z -j- .... — lj ,
ed è singolare, a questo proposito, che tale inconveniente sfug-
gisse del tutto al Secchi, a cui pure si debbono le prime espe-
rienze in questo campo 3).
1) Cfr. G. Mììller. Die Photometrie der Gestirne. Pagg. 119, 120.
2) Sulla teoria d’ estinzione di Bouguer. Memorie della Società degli Spettroscopisti Ita-
liani Voi. XXX (1901) pag. 217.
3) Sull’ intensità del calore nelle varie parti del disco solare. Memorie dell’ Osserv. del
Collegio Romano 1851, App. 3 e App. 5 e inoltre Astron. Nachr. Voi. 34 N. 806 (1852)
Voi. 35 N. 833 (1833). V. anche Sur V intensité lumineuse des diverses parties du disque so-
laire. Compt. Rend. Voi. 49 pag. 931 (1859) e 62 pag. 1060 (1866)..
6
A. Bemporad
[Memoria XIV.]
Altre forme di sviluppo da me date altrove *) per la teoria
d’ estinzione di Bouguer, clie andrebbero esenti dall’ inconve-
niente di dare estinzione infinita (o indeterminata) per z = 90°
sono da rigettare nel caso attuale perchè troppo complicate * 2).
Non resta dunque che ricorrere alla forinola di Lambert, la quale
per avventura risponde a tutte le condizioni desiderate, vale a
dire fornisce una espressione analitica assai semplice deir assor-
bimento di uno strato sferico omogeneo, dà un valore finito per
z = 90°, e conduce, come si vedrà, ad un’ ottima rappresenta-
zione della intensità calorifica nei vari punti del disco solare
in ordine alla distanza dal centro.
3. — Deduzione della forinola di Lambert.
Alla forinola di Lambert si viene immediatamente condotti
nel caso nostro dalla seguente semplice considerazione.
Sia O P (Big. 1) il raggio condotto dall’ occhio O dell’ os-
servatore a un punto qualunque P della superfìcie APRE del
Sole ; PQ — r la distanza apparente del punto P dal centro
del disco solare ; z l’inclinazione del raggio
OP rispetto alla normale PS alla super-
ficie solare; S il centro del Sole; A PRE'
la superficie limite dell’ atmosfera solare.
„ . Se noi ammettiamo quest’atmosfera come
f ig. -1
omogenea, le masse atmosferiche attraver-
sate dai raggi parelleli ORS e OP sta-
ranno fra loro come i segmenti PP' ed RR' . Ponendo per bre-
4) Sopra un nuovo sviluppo dell’ integrale della estinzione atmosferica. Memorie della Soc.
degli Spettrosc. Ital. Voi. XXXI (1932) pag. 131.
2) Prima che questo lavoro venisse alla luce, giungevo quasi contemporaneamente col
Ch.ino Dott. Cerulli, ad un nuovo sviluppo assai più semplice degli altri citati per l’inte-
grale di Bouguer, ma allora avevo ormai condotta a termine la trattazione presente col
mezzo della formola di Lambert, e non era più il caso di mettere in prova anche la nuova
forinola (V. Sopra uno sviluppo singolarmente convergente per V integrale della estinzione, se-
condo la teoria di Bouguer. Atti dell’ Accademia Gioenia di Scienze naturali in Catania
Serie 4 voi. XIX 1906.)
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 7
rità RP'=l0 (spessore dell’atmosfera solare in direzione normale),
e indicando con l il segmento PP' (spessore attraversato nell’atmo-
sfera solare dal raggio OP) con a infine il raggio del Sole ,
abbiamo subito dal triangolo PP’S
{a -}- l0 )2 = l2 -}- a2 -j- 2 a l cos z,
da cui
l 1/ , , „ a . a 2 „ a
— — =11 — 2 — — cos- « — — cos s (1)
^0 ^0 ‘0
che è appunto la forinola nota nell’ Astrofotometria sotto il
nome di forinola di Lambert.
4. — Variazione della intensità calorifica J dei punti del disco
solare dal centro alla periferia , nella ipotesi di un’ atmosfera omo-
genea.
Indichi ora J* il potere radiante dell’ unità di superficie
apparente del disco solare, quale sarebbe senza 1’ esistenza di
un’ atmosfera attorno al Sole. Semplici considerazioni mostrano
che, in virtù del principio di emanazione di Lambert, rigoro-
samente dimostrato da Lommel per le sostanze incandescenti
opache ’), questo potere radiante J* può ritenersi uguale in tutte
le regioni del disco solare, vale a dire che questo, al pari di
una palla infocata, ci apparirebbe per tutto egualmente lumi-
noso, se non esistesse 1’ atmosfera assorbente che lo circonda.
Ammettendo allora, che 1’ assorbimento operato dall’ atmosfera
solare sulla radiazione calorifica complessiva (risultante di tutti
i raggi calorifici delle varie lunghezze d’ onda) segua la legge
esponenziale di Bouguer-Pouillet, avremo, detti J, J0 i valori
del potere radiante dell’ unità di superfìcie apparente in P' ed
P', cioè dopo 1’ assorbimento operato dall’ atmosfera solare, e
4) Cfr. Wiedemann Annalen. Bd. 10, p. 149 e G. Miiller, Die Photometrie der Gestirne
p. 31.
8
A. Bemporad
[Memoria XIV.]
detto p il coefficiente di trasmissione dell’atmosfera medesima
in direzione normale,
J0 = J* p
i
J = J* p l° .
Di qui si lia
log J = log JQ + log p — lj ,
e sostituendo per — 1’ espressione (1) , dopo avervi fatto
cos e — i/l — r2 ?
e ponendo per brevità
-r- = >■ » log p = — (j. , /0 — 1, o = l,
l0
si ottiene infine l’ espressione
log / = - p- j|/l + 21 + 1/1- f2) - X |/r=7* - lj (2)
per rappresentare (colle varie ipotesi da noi fatte) la legge di
variazione della intensità calorifica J col variare della distanza
apparente r dal centro del disco solare. Si vede subito, che per
r — 1, vale a dire sul lembo estremo del disco, si ha ancora
un valore finito di log J, epperò un valore diverso da zero per
la intensità J, come appunto 1’ esperienza dimostra.
5. — Determinazione delle costanti X, p..
La forinola (2) è così semplice, che la determinazione delle
costanti e v- dai valori osservati di J non presenta difficoltà
sostanziali. Tuttavia non è immediatamente applicabile il metodo
dei minimi quadrati, perchè il parametro X compare in (2) sotto
un’ espressione irrazionale. Oi limitammo quindi a determinare
i valori delle dette costanti, in modo da rappresentare esatta-
ISul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 9
mente due dei valori osservati della J. Questa determinazione
condurrebbe in generale ad equazioni piuttosto complicate, che
si semplificano però, se per uno dei due valori della J si sceglie
quello corrispondente al contorno del disco solare, cioè il valore
Ji della J per r = 1.
Si avranno da determinare allora le due incognite X e n dalle
due equazioni
log J = — |i jj/r+ 2 X -f X2 (1 — r2) — X j/l — r- — 1 j (2)
log J, = - g jj/1 + 2 X - lj (3)
dove s’ intende, che J , Jv r denotino valori noti. Posto per
brevità
log J — L log J1 = Li
(logaritmi intesi a base 10) si lia per X 1’ equazione
L, /j/l + 2 X + X2 (1 - »•*) - X j/l — r2 — lj — L (yl + 2 X - l) =0.
L’ eliminazione dei radicali contenenti x condurrebbe ad
espressioni piuttosto complicate e ad un’ equazione di 4° grado
in X. Si ottengono invece espressioni più semplici ed una risul-
tante di 2° grado, introducendo 1’ incognita ausiliaria
u = j/l -)- 2 X
W
Con ciò si ottiene infatti, dopo varie riduzioni, 1’ equazione
LLl |/ 1— r2 ul-\- li1 — L\ jl— |/l— Pj'j u — {Ll—Lf-\-Li {L—L) ^/l— rz=%)
Per valori di r piuttosto grandi il termine noto di questa
equazione risulta negativo. Non si avrà in tal caso nessuna am-
biguità nella scelta fra i due valori possibili per u, perchè delle
due radici si dovrà scegliere (conforme alla (3) sempre la posi-
Atti acc. Skrik 4a, Voi.. XIX — Meni. XIV. 2
10
A. Bemporad
[Memoria XIV.]
tiva. ]Se può nascere ambiguità, quando le radici siano ambedue
positive, cioè per valori di r tali che
R (Ll - L) l/l - r2 - (Li - Lf > 0,
poiché allora per legge di continuità dovrà scegliersi manifesta-
mente la radice corrispondente al segno + del radicale.
Avuta la u , la (4) fornisce X e la (3) fi. Riproduco nel
quadro seguente i valori ottenuti per le u, X, n da tre diverse
coppie di valori di J ricavate dalla Tabella I (5a colonna)
I
II
III
r — 0,7
r = 1,0
J — 0,87
J= 0,40
r = 0,8
r= 1,0
J — 0,81
J = 0,40
r = 0,9
r = 1,0
J = 0,70
J : 0,40
log
u
0,44642
log
X
0,53234
log
b
9,34568
0,45469
0,55125
9,33286
0,42612
0,48544
9,37772
6. — Rappresentazione dei valori osservati della intensità J.
La forinola (2) conduce con questi valori dei parametri
X e n alle seguenti rappresentazioni dei valori medi di J (Ta-
bella I).
Distanza
dal
centro
del ©
Valori
osservati
della J
V alori
I
calcolati
U
iella J
III
I
0 — c
II
III
0, 20
0, 99
0, 992
0, 992
0, 992
0
0
0
0, 40
0, 97
0, 966
0, 966
0, 964
0
0
+ 1
0, 60
0, 92
0, 913
0, 914
0, 909
+ 1
+ 1
+ 1
0, 70
0, 87
0, S7o
0, 872
0, 86=
0
0
0
0, 80
0, 81
0, 80s
0, 81o
0, 80i
0
0
+ 1
0, 90
0, 70
0, 707
0, 709
0, 70o
— 1
— 1
0
0, 96
0, 59
0, 60o
0, 60s
0, 595
— 1
— 1
0
0, 98
0, 49
0, 542
0, 544
0, 538
— 5
— 5
— 5
1, 00
0, 40
0, 40o
0, 40o
0, 40o
0
0
0
La rappresentazione dei valori osservati appare a prima
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di uni1 eclisse 11
vista assai buona, e fa solo eccezione il valore di J per r= 98,
che presenta (con tutte e tre le coppie di valori dei parametri
X e n) un divario del 5 °/0 dal valore osservato. La cosa non
può sorprendere, perchè i valori della radiazione solare al con-
torno del disco risentono naturalmente in maggior grado 1’ in-
fluenza dell’ atmosfera solare, che non sarà certamente omogenea
come noi abbiamo supposto, e che darà luogo in ogni caso a
delle refrazioni e forse anche a riflessioni totali. Per un primo
calcolo di saggio ci parve lecito trascurare questo divario fra il
calcolo e V osservazione, e applicammo quindi nei calcoli defi-
nitivi la semplice forinola (2) senza alcun termine correttivo per
le parti al contorno del disco solare. Solo ci parve opportuno
distribuire gli scarti fra i due ultimi valori di J per r = 0,98
e r = 1,00, e provammo quindi, quali rappresentazioni si hanno,
assumendo
IV
V
r ~ 0,7 J — 0,87
r = 0,7 J
= 0,87
r — 1,0 J : 0,38
II
"o
H
■— 0,37
Si ottiene rispettivamente
log u — 0,47375
0,48713
log X =z 0,59446
. . . 0,62452
log ji = 9,32752
9,31933
Distanza
Valori
Valori calcolati della J
0 -
- C
dal centro
osservati
del ©
della J
IV
V
IV
V
0,20
0,99
0, 992
0, 99-2
0
0
0,40
0,97
0, 966
0, 96c
0
0
0,60
0,92
0, 91s
0, 91s
+ 1
+ 1
0,70
0,87
0, 87o
0, 87o
0
0
0,80
0,81
0, 80e
0, 80e
0
0
0,90
0,70
0, 70s
0, 70o
0
0
0,96
0,59
0, 59i
0, 58t
0
0
0,98
0,49
0, 53o
0, 524
— 4
+ 3
1,00
0,40
0, 38o
0, 37o
+ 2
— 3
La rappresentazione fornita dal sistema V di costanti è
12
A. Beni por ad
[Memoria XIV.]
ormai tale, che difficilmente potrebbe ottenersi migliore senza
ricorrere a forinole assai più complicate. A questo sistema quindi
ci arrestiamo, e di questo ci serviremo nei calcoli, che seguono
per rappresentare la distribuzione apparente della energia calo-
rifica sul disco solare.
Cap. II. — Calcolo del potere radiante medio dei
PUNTI DEL DISCO SOLARE, RISPETTO AL POTERE RADIANTE DEL-
LA REGIONE CENTRALE, ASSUNTO COME 1.
7. — Disposizione del calcolo. — Prima di procedere, coll’aiuto
della forinola ottenuta nel precedente capitolo.
al calcolo della radiazione delle singole fasi, applichiamo la for-
inola stessa per ottenere il valore della radiazione complessiva
del disco solare, quando si ponga = 1 il potere radiante delle
parti centrali, vale a dire il valore di
esteso a tutto il disco solare O, o ciò che torna lo stesso il va-
lore del potere radiante medio dei punti del disco solare
esteso all’ area scoperta a , che corrisponde ad una determinata
fase di un’ eclisse (e inoltre a un determinato rapporto dei se-
(
J te
O
O
Ottenendo poi il valore
a
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un'eclisse 13
midi a ni etri r© e r^) il quoziente // : 1 ci darà il valore della
radiazione della fase considerata, rispetto alla radiazione del-
l’ intero disco solare computata come 1.
Vista l’importanza fondamentale che ha nella nostra ri-
cerca il calcolo esatto di Y, abbiamo ottenuto questo valore in
due modi diversi, e cioè in primo luogo per quadratura nume-
rica, e secondariamente con procedimento analitico. Mettiamo
questo al secondo luogo, perchè tale fu in effetto 1’ ordine della
nostra ricerca, ordine, che vorremmo quasi chiamare naturale,
perchè 1’ integrazione numerica è sempre effettuabile , e basta
alla pratica, mentre 1’ integrazione analitica solo per avventura
è effettuabile con procedimenti semplici, come capita nel caso
attuale.
8. — Quadratura numerica.
Si ha in primo luogo
(5)
Assumendo Jr come funzione integranda f (r) , venne ap-
plicata per il tratto da r =. 0 a r = 0,98 la nota forinola d’ in-
tegrazione 4)
« + (i + A)
f (r) dr — w j /[«+(* + y) w ] + -W /
a — w
+ (H- t ) w ]
- La+ (® + t) w] + ••
con
ì
24
17
5760
4) Cfr. Banschinger. Tafeln zur theoretischen Astronomie. Pag. 137 (Leipzig. 1901).
14
A. Bemporad
[Memoria XIV.]
e con un interyallo w di 0,08 da r^O, 00 fino a r — 0, 40
con intervallo di 0,04 da r — 0, 40 fino a r = 0, 88
e con intervallo di 0, 01 da r = 0, 88 fino a r — 0, 98
Per il tratto da r = 0, 98 a r = 1,00 venne invece appli-
cata la forinola da me accennata in un precedente lavoro *)
(6)
f (r) dr = w f
-f- [i w ] -)- f ( a-\-iw]
J
h ? [a+(iJrVìw] + ìi fU [« + (* + !)«>]
_ _19_ fnl
720 •'
a + (*+ 4) w] + mfIV + (i + 2) w] - • • •
con
(6«) \f [a — i-w) = — \ /'(«) + / («+ \w) — -yr f* (« + w) + • •
e coll’ intervallo w = 0,004.
Con queste forinole e mediante calcolo logaritmico a 5 de-
cimali, sulla base della forinola (2) , coi valori (V) delle co-
stanti 1 2) , ci risultò
/ 0,40
J JrdV
o
/'
0,88
0,40
0,88
J
0,98
ri, oo
0,98
— 0, 07868
— 0, 26673
— 0, 05970
= 0, 00933
Jr àr
— 0, 41444
1) Riduzione delle osservazioni attinometrielie eseguite in Catania durante P eclisse di
Sole del 30 Agosto 1905. Memorie della Società degli Spettroscopisti, 1906.
2) V. pag. 11.
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 15
9. Quadratura con procedimento analìtico.
Introducendo -nella relazione (5) l’espressione (2) e la no-
tazione (4) e ricordando che il log J della (2) è inteso a base
10, abbiamo
i f > r
±Y= Jrdr = 10 / r dr. LO
| u2 + X2 (1 — r2) ~\\/ 1 — r2
o
a , 1 —vii'
= 10 / r dr. e
[ (/ u 2 + X2 (1 — r2) - X [/ 1 _
avendo posto
!og10 «
= [ 9, 68155
Ponendo ora
otteniamo anzitutto
1 — r2 = t ,
1 ^ / — v
Y = 10 | t dt . e
V u2 -f X2 A2 — X t
Ponendo poi
_ V u 2 + l2t2 —\t
ossia
t r~
2 X v x
, ar — v* ir
t (li = 112 "2 2 >
4 A.2 v2 ar
otteniamo (scambiando i limiti d’ integrazione)
4-
l'-
io
° x (v4 id — x*
4 X2 v2 a?3
dx ,
(7)
16
.4. Bemporad
| Memoria XIV.]
dove (cfr. forili. (4) a pag. 9)
*0 = V [ [/ U% -j- X2 — X ]
Ora si lia, mediante integrazione per parti ,
f* T
/ —*1
— X — X ~
1 e x dx —
_e -f- x e
e, mediante integrazione per serie,
e dx
xz
111 x
2^ + V+2 '0gX “1^3 +
, X 2 ( — 1)" xn
' 2.1. 2.3.4 “ w.l.2...(»+2) '
Procedendo al calcolo numerico dei singoli termini, coi va-
lori (V) delle costanti u , X , |i , otteniamo ordinatamente
e x dx — + 0,61867 + 0,29713 (termini in x0)
— 0, 22886 — 0, 33749 (termini in xj
= + 0, 34935
dx = -f- 2, 16705 — 2, 08186 -f- 0, 36663
I
-j- 0, 08004 — 0, 00481 -f- 0, 00031 ^ termini in x0
— 0, 00002 -f )
— 0,22994 + 0,67814 + 0,19420 \
— 0, 24577 + 0, 04530 — 0, 00891
termini in x,
+ 0, 00164 — 0, 00028 + 0, 00004 i
— 0,00001 + )
= 0, 96175 ,
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 17
e sostituendo infine in (7)
~ Y = 0, 41415
in accordo perfetto col valore (0, 41444) già trovato sopra colla
quadratura numerica. Dai due calcoli si trae dunque la conclu-
sione che :
Il potere radiante medio dell’unità di superficie apparente del
disco solare , rispetto al potere radiante delle parti centrali assunto
come unità , viene espresso dal valore 0, 829.
In uno studio precedente 4 * * 7) ottenevo con procedimento pu-
ramente numerico fondato sui valori di J direttamente osservati
(valori medi della tabella I) il valore 0,831 come espressione dello
stesso potere radiante medio. L7 accordo non potrebbe esser mi-
gliore, e anche questo viene a confermare come la forinola (2)
sia un’ ottima forinola di ragguaglio per il nostro scopo.
Gap. III. — Calcolo della radiazione della porzio-
ne SCOPERTA DEL SOLE PER UNA DATA FASE DI UN7 ECLISSE
10. Varie forme di calcolo.
Il calcolo numerico della radiazione y della porzione sco-
perta del disco solare, corrispondente ad una data fase di una
eclisse richiede una doppia integrazione, per la quale è naturale
riferirsi ad un sistema di coordinate polari r , 0 col polo nel
centro del Sole e colla congiungente i centri del O e della C
come asse polare. Secondochè si pensa di eseguire prima la in-
4) Relazione sulle osservazioni attinometriche eseguite nell’ Osservatorio astrotisico di
Catania durante l’eclisse del 30 Agosto 1905. Memorie della Soc. degli Spetfrosc. Hai. XXXV,
pag. 31.
Atti acc. Suiti h 4a, Voi.. XIX — Meni. XIV.
I
3
3,8
A. Bemporad
[Memoria XIV.]
tegrazione nel senso della r o quella nel senso della 0 , si avran-
no due diverse forme di calcolo espresse rispettivamente da
(8«)
y = -~J Jr 6{r) di' . (86)
ro
In ambedue le forinole s’intende sostituita per J l’espres-
sione esponenziale, che si ricava della (2).
Nella prima forinola poi 20 indica 1’ angolo , sotto cui la
porzione scoperta del Sole è vista dal centro del Sole medesimo,
e sarà da porre = 2%, qualora il centro del Sole sia contenuto
nella porzione in discorso (fase minore di 0,5) , ovvero quando
si tratti di un’ eclisse anulare ; r0 , ì\ invece denotano i raggi
vettori dei punti, in cui il contorno della porzione scoperta viene
incontrato dal raggio generico di anomalia 0. La r0 è quindi in
ogni caso una radice della equazione
?" -j- a - -j- 2 or cos 0 — l2,
(9)
dove l indica la misura del raggio apparente del disco lunare
ed a la misura della distanza dei centri del O e della C in
parti del raggio apparente del disco solare assunto come unità ;
mentre rì secondo i casi, o vien dato dall’ altra radice di que-
sta stessa equazione, ovvero è da porre = 1.
Nella seconda forni ola d(r) indica la porzione di circon-
ferenza del cerchio di raggio r concentrico al Sole, che cade en-
tro 1’ area scoperta , e viene quindi definito dalla relazione
72 2 2
0(?') — are cos — , (10)
v ' 2ar
fatta speciale considerazione dei casi, in cui questa espressione
risulti immaginaria, come avviene, quando il cerchio di raggio
Svi modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un'eclisse 19
r appartenga per intero alla porzione scoperta del Sole ; r0 in-
dica poi nella forinola (8b) la minima distanza dei punti della
porzione scoperta dal centro del O .
La prima forma di calcolo (Sa) è assai comoda, ma richie-
de per il calcolo numerico effettivo, che siano preventivamente
P
formati i valori di / Jrdr per una serie di valori snfficiente-
J r0
mente vicini di rQ , così da poterne ricavare agevolmente per sem-
plice interpolazione V ammontare dell’ integrale medesimo per
un valore qualunque di rQ fra 0 ed 1. Ora il calcolo per qua-
dratura numerica da noi eseguito nel capitolo precedente si presta
benissimo a tale scopo. In base a questo calcolo abbiamo quindi
. . r
costruito la tabella di valori di / Jr dr data in line (Tav. II),
ottenendo dapprima i valori del detto integrale per r = 0,04
0,08, . . . 0,96 1,00 e riducendo poi l’intervallo tavolare a 0,001
coi noti procedimenti d’interpolazione. Soltanto per gli ultimi
valori di r (e precisamente da r = 0, 994 a r — 1, 000) essendo
malagevole l’impiego delle forinole d’interpolazione, in causa
del forte andamento delle differenze, si dovette ricorrere al pro-
cedimento analitico, pure accennato nel cap. precedente, e que-
sto fornì in pari tempo un saggio soddisfacentissimo del grado
di approssimazione ottenuto col procedimento numerico.
La seconda forma di calcolo (86) non richiede alcuna inte-
grazione numerica preventiva, perchè l’integrale si presenta già
nella forma di integrale semplice ; però per valori assai piccoli
di a la funzione 0(r) acquista un andamento assai forte , che
rende malagevole l’integrazione numerica.
11. I ari casi 'possibili.
Per ridurre al minimo i calcoli numerici necessari alla co-
struzione delle tavole, che rappresentano la soluzione pratica del
nostro problema, abbiamo trovato opportuno distinguere vari casi1
20
A. Bemporad
[Memoria XIV.]
secondo la grandezza della fase e il valore del rapporto l dei
semidiametri apparenti del O e della C.
l.° Caso Fase > 0 , 5. Eclisse parziale. In forinole :
a < l a -j- l > 1
In tal caso (fig. 2 ) sono applicabili in generale tanto la (80)
come la (86) , però la prima senza eccezione, la seconda invece
solo per valori non troppo piccoli di a. Nella (80) 0 s’intende
definito dalla relazione
cos 0 = -, (0 < 0 < 7C) (11)
Z et
ed è da porre inoltre
r0 = — a cos b -\- \/l~ — or siir0 (12)
*•, =
Nella (8b) invece è da porre r0 — l — a, e s’intende b (r) ri-
cavato dalla (10) colla limitazione 0 < b <C ir.
2.° Caso. Fase < 0,5. In forinola : a <11. In tal caso (Mg. 3),
detta © 1’ area complessiva del disco solare, o la porzione sco-
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 21
perta e c, la porzione occultata del disco medesimo, potrà scri-
versi
dove Y denota la radiazione totale del disco solare, da noi <nà
©
calcolata nel precedente capitolo. Il calcolo di y è dunque ri-
dotto al calcolo di
die potrà eseguirsi secondo runa o l’altra delle forinole (80), (8b).
Nella prima 2 0 indicherà 1’ angolo, sotto cui è veduta dal cen-
tro del Sole l’area occultata °t , si ricaverà quindi dall’equa-
zione
I! limite superiore i\ della integrazione rispetto ad r non
sarà più in generale 1, come nel caso precedente, perchè per
valori di a di poco superiori ad l , vi sono raggi per il centro
del © , che segano in due punti il bordo interno di a (o a ). E
precisamente per quei valori di 0, per cui le radici della equazione
li sultano entrambe minori di 1, le radici in discorso forniscono
senz altro i valori di r0 ed , altrimenti la radice minore di 1
Nella forinola (S6) invece, che pel caso attuale è d’impiego
più semplice, s’ intenderà r0 = a — l e 0(r) definito dall’ espres-
V = I Jte — / Jd*—\ Jd° = Y- J do ,
J
a
o
l2 =z r~ -j- a 2 — 2 a r cos 0
dà il valore di r0, ed ri è da porre = 1.
sione
0 Ir) = are cos
2 a r
(14)
22
A. Beni por ad
[Memoria. XIV.]
ovvero dalla espressione equivalente più comoda pel calcolo lo-
garitmico
6 (r) = 2 are tg I / (s~ (s ~r)
1 « (s-l)
dove s = + r + Z.
3° Caso. Fase 0, 5. Eclisse anulare. In forinole
a l «• — |— Z 1
In questo caso (v. Pig. 4) sono ancora, come sempre, ap-
plicabili due forme d’ integrazione, ma quella fornita dalla for-
inola (8a) è qui decisamente la più comoda, epperò ci limitiamo
a citar questa, che dà per y l’ espressione
r0 ottenendosi ancora dalla (12).
12. Disposizione dei calcoli.
Per procedere all’integrazione numerica 1), abbiamo calco-
lato anzitutto i valori di J per una estesa serie di valori di r
fra 0 ed 1 (Tavola I), servendoci della forinola (2) coi valori
(V) per le costanti X e |j..
Abbiamo calcolato in seguito, e disposto nella Tavola II,
f
i valori di \ Jrdr , pei valori di r da 0 ad 1, di millesimo in
J r
millesimo. Infine abbiamo calcolato coll’ uno o coll'altro dei pro-
4) Non facciamo cenno che della integrazione numerica, perchè la integrazione analitica,
riesce in generale oltremodo laboriosa e non applicabile pei nostri calcoli dove occorrevano
per la soluzione completa del problema (v. tav. Ili) ben duecento integrazioni singole.
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 23
cedimenti suindicati, i valori della radiazione relativa y : Y per
i tre casi l = 0. 9, l — 1. 0, l — 1. 1 e per varie porzioni scoperte
(1) — 1 -fft — l) del disco solare, e precisamente per b = 0. 08 ,
0.16, 0.32 . . . 1.84 (in unità di semidiametro apparente del Sole).
Pei valori da 5 = 0.08 a b = 0. 94 (ossia per fasi maggiori di
0.5) trovammo opportuno ridurre a 0.02 l’intervallo tavolare
nel senso della Z, e calcolammo quindi le corrispondenti y:Y
anclie per l = 0. 92 , 0.94, . . . 1.06, 1.08.
I valori di y : Y corrispondenti a b = 0. 24, 0. 40, . . . 1.92
vennero ottenuti per interpolazione dei precedenti. Tutti i cal-
coli vennero eseguiti in 5 cifre, ma i valori finali della y : Y
vennero poi arrotondati a 3 cifre. La tavola III fornisce quin-
di, con questo grado di approssimazione, mediante una duplice
interpolazione, coi due argomenti l , semidiametro lunare, e b,
porzione scoperta del diametro trasversale del Sole (ambedue
espressi in unità del semidiametro solare) il valore della radia-
zione relativa y : Y dell’area scoperta del Sole, per una fase qua-
lunque di una eclisse in condizioni qualisi vogliano. Osserviamo
espressamente per questo, che, secondo i valori noti degli ele-
menti delle orbite della Terra c della Luna, il rapporto del se-
midiametro apparente della C a quello del O può variare (te-
nendo conto della parallasse media della C) da 0. 92 a 1. 06 ;
perciò i limiti da noi scelti comprendono in ogni caso i valori,
che possono presentarsi in una eclisse. Se alcuno poi volesse
riprendere le belle esperienze attinometriche di Ericsson consi-
stenti in sostanza in eclissi artificiali del Sole *), allora sarebbe
forse il caso di estendere ancor pivi i detti limiti, ciò che non
presenterebbe altra difficoltà, che quella materiale dei calcoli, e
questi sarebbero sempre molto agevolati delle nostre tavole I e
II. Non credo inopportuno, appunto per 1’ eventuale estensione
P V. in proposito Nature, Voi. XII, pag. 517 e Voi. XIII pag. 226 ovvero A. Secchi.
Recenti ricerche intorno alla distribuzione del calore sul disco solare. Memorie della Società
degli Spettroscofwti italiani. Voi. IV. 1875.
24
A. Bemporad
[Memoria XIV.]
dei calcoli, accennare qui succintamente un esempio numerico
per ciascuno dei tre casi considerati nel precedente §.
13. Esempi numerici dei calcoli d1 integrazione.
l.° Caso. Si voglia calcolare la radiazione della porzione sco-
perta del Sole per la fase 0,96 , importando il rapporto dei dia-
metri della Luna e del Sole 1=0, 98. In tal caso, essendo à— 0,08
(in parti di semidiametro solare) la porzione scoperta del dia-
metro trasversale del Sole, sarà a — b + / — 1 == 0,06 la distan-
za dei centri del O e della C- Applicando quindi la (11), si avrà
per 1’ angolo 0 , sotto cui è veduta dal centro del Sole la metà
della falce scoperta, il valore 0 = ili0 6,0. Come intervallo
d’integrazione prenderemo 60 = ^ Q = 11° 6 ,6 , e potremo al-
lora applicare le forinole d’ integrazione (6) (6a) (pag. 14) con
2 666', 6
T — 10800'
— — [9, 17299] .
e colla funzione integranda
f=j Jrdr,
J
r0
dove s’ intende rQ espresso dalla (12). Il divisore Y (radiazione
totale del disco solare) die non figura nella (8 ), venne da noi
aggiunto per ottenere direttamente dalla integrazione numerica
la radiazione relativa y : Y ; e precisamente venne assunto (v.
cap. prec.) Y — 0, 41444.
Calcolando il valore di r0 per 0 = 0o, 2 0Q , ... 10 0O, e ri-
cavando dalla tabella II i corrispondenti valori di f, indi for-
mando le successive differenze e serie sommate, si ottiene il se-
guente prospetto d’ integrazione.
IStil modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 25
111° 6',0
99 59,4
88 52,8
77 46, 2
66 39, 6
55 33,4
44 26,4
33 19,8
22 13, 2
11 6, 6
0 0, 0
»*0
f
f
1, 00000
0, 00000
0, 98S65
+0, 00038
502
+502
0, 97700
540
1087
+585
0, 96554
1627
1705
+618
0, 95468
3332
2316
+611
0, 944S0
5648
2891
+575
0, 93626
8539
3398
+507
11937
+418'
0, 92930
3816
0, 92418
15753
4128
+312
0, 92106
19881
4319
+191
24200
+ 66
0, 92000
4385
— 66
f
il
+ 83
+ 33
— 7
— 36
— 68
— 89
—106
— 121
—125
— 132
— 125
0, 24200
+ 2192, 5 + 5, 5
— 5,2 — 0,26393
E questo valore moltiplicato per l’altro già ottenuto (li w forni-
sce il valore 0,016, per la radiazione relativa, quale si trova nella
tabella III in corrispondenza agli argomenti Z=0, 9S , 5—0,08.
2° Caso. Vogliasi il valore della radiazione relativa y : Y
per l = 0,90 b = 1,52 (fase = 0,24 , a = l + b — 1 = 1,42).
Applicheremo la forinola (S6) all’ area occultata af , assu-
mendo come intervallo d’ integrazione per la r 0, 04 , e calco-
lando quindi i valori della funzione integranda per r = 0,52,
0, 56, ... 1, 00. Indicando con —6' gli angoli ~6 calcolati in pri-
mi secondo la forinola (14), dovremo considerare nella funzione
2 0 0'
integranda della forinola (8&) — = , e formando i valori di
0, 04
5400
Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Mem. XIV.
4
26
A. Bemporad
[Memoria XIV.]
e applicando a questi l’ integrazione numerica secondo la for-
inola (6), si otterrà V importo di \ yl radiazione dell’ area
occultata +) e quindi la corrispondente radiazione relativa 2 Vl ,
0,41444
il cui complemento sarà la radiazione relativa dell’ area sco-
perta a. Comunico nel quadro seguente i valori di 4- di wjr
(ottenuti dalla Tab. I) , di f e delle relative differenze e serie
sommate, avvertendo che l’integrazione è stata suddivisa in due
procedenti in senso contrario da 0,52 a 0,76 e da 1,00 a 0,76.
r
\
log ir 6'
& 2
log wJr
f
f1
fu
fili
0, 52
— CO
+0, 00024
0, 00000
+197
0, 56
2, 7104
4, 5849
221
197
+ 85
—112
+93
0, 60
2, 8424
4, 6085
282
— 19
503
+ 66
0, 64
2, 9124
4, 6291
851
348
+ 54
— 12
0, 68
2, 9574
4, 6467
402
— 9
1253
+ 45
0, 72
2, 9888
4, 6611
1700
447
+ 36
— 9
0, 76
3, 0118
4, 6721
2763
483
+ 28
— 8
0, 80
3, 0291
4, 6791
2253
511
+
— 11
0, 84
3, 0421
4, 6809
528
— 11
1724
+ 6
0, 88
3, 0520
4, 675S
1190
534
— 11
— 15
0, 92
3, 0594
4, 6593
667
523
— 38
— 27
— 99
0, 96
3, 0648
4, 6206
+0, 00182
485
— 164
—126
o
o
rH
3, 0684
4, 4379
321
/
= 0,01700 +241,5 — 2,5 )
1
J
= 0,04945 =
- ~2 Vi
. + 0,02763 + 241,5 + 2,5 )
l
t y =
= -+-
T Vi = °’
36499
y
T
0, 881
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 27
Nella tabella III , in corrispondenza agli argomenti £=0,9
7>=1,52 si trova appunto 0,881 come valore della radiazione re-
lativa.
3° Caso. Quando il bordo del disco lunare non taglia quello
del disco solare, ma è tutto interno (o tangente) a questo, il li-
mite d’ integrazione 0 , colla forinola (8a) , coincide con * , e
quindi 1’ intervallo d’ integrazione ^ risulta un sum multiplo di
% , ciò che porta una notevole semplificazione nei calcoli. Al-
l’ infuori di questa, non v’ ha altra differenza sostanziale fra i
calcoli del 3° caso e quelli del 1° ; non aggiungiamo quindi al-
tro in proposito, limitandoci ad accennare, che l’ intervallo preso
nei nostri calcoli (del 3° tipo) fu sempre di 15°.
II. Relazioni particolari e ricerca dei massimi e minimi dei
nostri integrali.
Avendo ammesso che la intensità J sia funzione semplice-
mente della distanza r dal centro del disco solare, è senz’ altro
manifesto , che nel caso di una eclisse anulare il valore della
radiazione corrispondente ad una data fase corrisponde a due
diversi valori di b (parti scoperte del diametro trasversale del
Sole) legati fra loro dalla relazione
b + 21 J- bi — 2.
Possiamo dunque dire che, quando l <C 1 , i nostri integrali
y riescono tali funzioni dei due parametri l e b — a 1 — l ,
che riprendono lo stesso valore, quando il parametro b si cam-
bia in b1 = 2(1 — T) — b. Così nella tabella III vediamo che in
corrispondenza ad l — 0,92 si ha uno stesso valore per b — 0,06
e per b — 0,00.
Questa relazione fa senz’altro prevedere, per semplici con-
siderazioni geometriche, che il caso b =. bì = 1 — l ossia a = 0
(eclisse anulare, centralità perfetta) deve corrispondere al minimo
I
28
A. Bem 'por ad
[Memoria XIV.]
della radiazione. È facile aver di ciò la conferma dall’ esame dei
nostri integrali nella forma
// J r 6 (r) dr ,
1
essendo
e
6 (r) = are cos
v ' 2 a r
(v. pagg. 18 e 21)
Avremo infatti
ì
Jr dr
a
V 4 a*V- — ( l 2 — r2 + a2)'
Il primo termine è sempre nullo, perché 0(rQ) = 0. Per la
ricerca dei massimi e minimi basta dunque vedere , quando è
che il secondo termine si annulla o diviene infinito. L’ annul-
lamento, essendo la funzione integranda essenzialmente positiva,
non può avvenire che per r0 = 1 cioè l = a -f- 1 (eclisse totale)
e questo è un minimo ben manifesto. Ma noi vediamo inoltre,
che l’ integrale diviene infinito per a = 0, e questo corrisponde
al minimo della radiazione per una eclisse anulare centrale. Se
non si tenesse conto del decrescimento della intensità calorifica
dei punti del disco solare dal centro alla periferia, non si avreb-
be traccia di questo minimo corrispondente alla centralità, per-
chè la radiazione sarebbe manifestamente costante durante tutto
il passaggio dal 2° al 3° contatto.
Da tutto 1’ esposto seguirebbe esser più naturale la scelta
del parametro a (distanza dei centri del O e della 0) , anziché
di 1) (porzione scoperta del diametro trasversale del O), come
argomento per la nostra tavola III. I nostri integrali sono infatti
funzioni sempre crescenti di a, mentre presentano le singolarità
notate rispetto al parametro b. Ma la scelta di quest’ altro ar-
gomento venne consigliata da una ragione d’ indole pratica molto
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 29
importante, e cioè dalla molto minore estensione, che assume la
tavola rispetto al parametro b anziché rispetto al parametro a.
E invero per una data distanza b fra i lembi dei dischi solare
e lunare , la variazione del rapporto l dei diametri dei dischi
medesimi non produce che variazioni piccolissime nell’ importo
della radiazione; mentre per una data distanza a fra i centri dei
due dischi la variazione di l dà luogo ad una variazione ben
sensibile nell’ importo della radiazione.
È quasi superfluo aggiungere, che nel caso della centralità
(/> = 1 — T) il calcolo della radiazione non richiede nessuna qua-
dratura superficiale, ma si riduce senz’ altro al calcolo dell’inte-
grale semplice
f
/ Jrdr
l
da noi già tabulato nella Tav. II.
Nella figura (5) abbiamo rappresentato l’ andamento di al-
Radiaz.
0,32
0,24
0,16
0,08
0,00
Porz. scoperta 6 — 0,40 0,32 0,24 0,16 0,08 0,00
Fig. 5.
cuni dei nostri integrali da b = 0, 40 a b — 0, vale a dire il
modo di variare della radiazione solare (in varie ipotesi circa il
rapporto dei semidiametri del O e della ©) col variare della fase
30
A. Bemporad
[Memoria XIV.]
da 0, 80 ad 1, 00 (totalità o centralità). Per fasi non troppo grandi
le varie curve corrono quasi parallelamente ; una differenza sen-
sibile non si manifesta che per fasi maggiori di 0, 9. La diffe-
renza più rilevante, coni’ è naturale, vien presentata dalle due
curve relative all’ eclisse anulare. Per avere una idea dell’ errore
a cui si andrebbe incontro, trascurando la diminuzione del po-
tere calorifico dei punti del O dal centro alla periferia, abbiamo
aggiunto alle quattro curve 1, 2, 3, I rappresentanti i risultati del
nostro calcolo (per l = 0,92 0,96 1,00 1,08) una quinta curva (5)
corrispondente al caso l = 0, 92, ottenuta ammettendo , che la
radiazione delle porzioni scoperte del disco solare sia propor-
zionale alla superficie delle porzioni medesime *). Come si vede,
la differenza è sensibilissima, e tale da giustificare ampiamente
l’estensione data ai nostri calcoli. Intorno alla fase massima in-
fatti 1’ errore a cui si va incontro, ammettendo la detta propor-
zionalità, ammonta quasi alla metà dell’ importo della radiazio-
ne, quale risulta dal calcolo rigoroso.
p Per tracciare questa curva abbiamo calcolato le aree a,, a2, s3, a4 delle porzioni sco-
perte del disco solare per Z — 0,92 e per a — 0,16 0,24 0,32 0,40. Nel primo caso (area
anulare) è manifestamente a, — 1,00* — 0,922 = 0,1536. Per gli altri tre casi ci siamo serviti
del sistema di formolo subito ottenibile dalla Fig. 6.
P = ^ (* + a + b
= Area triang. ABC— 1/ p (p — 1) (p — a) (p — l)
tg
2 p ( p—a )
tg
P
p {p— 1)
tg —
«i
p (p—t)
(Controllo — + -~
■ — 90°)
^ £QO
So — Area settore A C E — — o^0 ~
<S., — Area settore A B D~ — - l~
3 360»
a = Area lunula A D A' E —
Fig. 6.
Abbiamo così ottenuto per a — 0, 24 0, 32 0, 40
rispettiv. 3 = 0, 187 0, 231 0, 277.
Su questi numeri, insieme col primo trovato, si fonda la curva 5 della fig. 6.
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 31
15. Valori delle funzioni ro(0) e 6(r).
Poiché le scopo finale dei nostri calcoli è di fornire ele-
menti, che facilitino lo studio dei valori del potere radiante J a
varie distanze dal centro, ci sembra opportuno distinguere quella
parte dei calcoli, che non dipende dalla speciale ipotesi da noi
fatta per la funzione J (r) (valori di Secchi, Yogel ed altri, rap-
presentazione analitica mediante la forinola (21), e di comunicare
i relativi risultati numerici, che potranno trovare immediata ap-
plicazione, quando si ricorra ad un’ altra ipotesi circa la detta
funzione J (r), come capiterà appunto anche nel corso del pre-
sente lavoro (vedi Cap. 4°, Osservazioni del Prof. Julius a Burgos).
Ora i calcoli che non dipendono dalla J , ma solo da ele-
menti geometrici relativi alla posizione mutua e alle dimensioni
relative dei dischi apparenti del O e della C, sono quelli dello
funzioni ro(0) (forinola 12, pag. 20) e 6 (r) (forinola 14, pag. 21).
Nelle tavole IV e V (in fine) comunico quindi i valori di que-
ste funzioni per quei valori dei parametri b ed l, che sono oc-
corsi nei nostri calcoli.
Cap. IV. — Applicazione del metodo esposto a varie
SERIE DI OSSERVAZIONI ESEGUITE DURANTE LE ECLISSI DEL 28
Maggio 1900 e del 30 Agosto 1905.
16. Principio del metodo.
L’ applicazione della tavola III consiste semplicemente n el-
fi estrarne per interpolazione la tabella di valori teorici della
radiazione in corrispondenza alle varie fasi di una data eclisse,
conoscendo il valore del rapporto l del semidiametro lunare a
quello solare. Il confronto dei detti valori teorici con quelli ot-
tenuti dalla osservazione, debitamente purgati della influenza
dell’ assorbimento atmosferico, fornirà dei dati circa la vera legge
di decrescimento della intensità calorifica dei punti del disco
solare dal centro alla periferia, e, indirettamente, circa la pro-
babile costituzione dell’ atmosfera solare.
32
A. Bernporad
[Memoria XIV.]
Come esempio, assai modesto, data l’esiguità dei mezzi d’os-
servazione impiegati, accennerò in primo luogo 1’ applicazione
della Tav. Ili alle osservazioni attinometriclie eseguite nell’Os-
servatorio astrotìsico di Catania durante le eclissi del 28 Mag-
gio 1900 e del 30 Agosto 1905.
17. Osservazioni eseguite in Catania durante V eclisse del 1006.
Secondo i calcoli da me eseguiti in un precedente lavoro ’),
il rapporto del diametro apparente del disco lunare a quello del
disco solare (tenuto il debito conto della parallasse) aveva in-
torno alla fase massima della ultima eclisse (per Catania) il va-
lore 1,046. La variazione oraria del diametro lunare (0,34) è
nel caso nostro trascurabile. Per questo valore di l la tavola III
fornisce a vista la seguente tabella di valori teorici della radia-
zione in corrispondenza alla fase (grandezza f della fase=l — - b)
Fase
Radiazione
relativa
Diff.
Fase
Radiazione
relativa
1
Diff.
0,00
1,000
— 6
0,52
0,574
—50
0,04
0,994
—13
0,56
0,524
—52
0,08
0,981
— 19
0,60
0,472
—52
0,12
0,962
—25
0,64
0,420
—53
0,16
0,937
—29
0,68
0,367
—52
0,20
0,908
—32
0,72
0,315
—52
0,24
0,876
—36
0,76
0,263
—51
0,28
0,840
—39
0,80
0,212
—51
0,32
0,801
—41
0,84
0,161
—49
0,36
0,760
—43
0,88
0,112
—45
0,40
0,717
— 46
0,92
0,067
—39
0,44
0,671
—48
0,96
0,028
— 28
0,48
0,623
— 49
1,00
0,000
Riunendo ora i risultati del presente lavoro di puro calcolo
con quelli di due precedenti lavori di osservazione, intesi 1’ uno
£) Relazione sulle fotografìe delle fasi eseguite nell’ Osservatorio di Catania durante
V Eclisse del 30 Agosto 1905, per A. Bernporad e U. Mazzarella. Memorie della Soc. degli
Spcttroscopisti Ital. XXXV, 1906, pag. 72.
iSul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 33
allo studio delle già citate osservazioni attinometriclie + l’altro
alla determinazione fotografica della grandezza delle tirsi * 2), abbia-
mo la seguente tabella comparativa del Calcolo coll’ Osservazione.
T. in. Catania
Grand, della
Fase (Osserv.)
Eadiaziou
Osservata
e relativa
Calcolata
o — c
h m
14 27,4
0,76
(0,24)
0,26
—0,02
36,0
0,86
0,16
0,14
+0,02
36,6
0,87
0,15
0,13
+0,02
40,4
0,90
0,11
0,09
+0,02
44,5
0,92
0,06
0,07
—0,01
46,7
0,91
0,05
0,08
— 0,03
Abbiamo racchiuso fra parentesi il primo valore osservato
della radiazione relativa , perchè mentre tutti gli altri sono ri-
sultati immediati dell’ osservazione ricavati dalla tabella a pag.
25 del primo lavoro citato, il detto valore (0,24) venne rica-
vato dalla curva di ragguaglio delle osservazioni data a pag. 2G,
attesoché il valore (0,20) , che risulterebbe dalla detta tabella,
si scosta notevolmente dalla curva di ragguaglio, ed è quindi
alquanto sospetto. Eccettuato tutt’ al più questo valore, per gli
altri 1’ accordo fra 1’ osservazione ed il calcolo può dirsi soddi-
sfacentissimo, quando si tenga conto del grado assai limitato di
esattezza conseguibile in tal genere di osservazioni coll’ atti no-
metro di Arago 3).
Come venne già notato nella prima riduzione di queste os-
servazioni attinometriclie, così ora risulta, che la diminuzione
osservata della radiazione solare fu maggiore di quella teorica, e
presentò un ritardo di alcuni minuti rispetto a questa, seinpre-
chè si voglia accordare un significato reale a differenze di due
centesimi in questo genere di misure.
f) V. Osservazioni attinometriche eseguite in Catania durante l’Eclisse del 30 Agosto
1905. Memorie della Società degli Spettrosc. Ital. XXXV 1906, pagg. 25, 26.
2) V. citazione alla pag. preced.
3) Una coppia di termometri l’uno a bulbo bianco 1’ altro a bulbo affumicato, ciascuno
racchiuso in un inviluppo di vetro, nel quale è stato praticato il vuoto.
Atti acc. Serie 4*, Voi.. XIX
Meni. XIV.
5
34
A. Bemporad
[Memoria XIV.]
17. Eclisse del 1900.
Ad una conclusione affatto simile conducono però anche le
osservazioni attinometriche eseguite nel nostro Osservatorio du-
rante 1’ eclisse del 28 Maggio 1900, per quanto le condizioni
atmosferiche fossero assai sfavorevoli, poiché il cielo rimase quasi
tutto coperto fin oltre il principio dell’eclisse, e si rischiarò a
poco a poco, restando il Sole leggermente velato fino alla fase
massima, e interamente scoperto solo nella seconda metà della
eclisse. Mancando osservazioni attinometriche con Sole intera-
mente scoperto prima del principio dell’ eclisse, è assai diffìcile
liberare le osservazioni dall’ influenza dell’ assorbimento atmo-
sferico, influenza ben sensibile, poiché verso la fase massima il
Sole era alto appena 19° sull’ orizzonte. Abbiamo cercato tut-
tavia di calcolare in via approssimativa l’importo dell’assorbi-
mento, nel modo che segue.
Dalla rappresentazione grafica della variazione della radia-
zione solare e della grandezza delle fasi per la detta eclisse *)
si rilevano per i tempi sottoindicati i seguenti valori di questi
elementi
T. m. Catania
5h 10m
5h 15m
5h 20m
5h 25m,2
5h 28m,9
5h 33m
Porz. scop. del ©
7', 25
5', 00
o
o
4', 00
5', 00
7', 25
gr=l)iffer. termom.
2°, 50
1°,95
10,35
00,95
0°,90
0°,90
Possiamo ammettere, che q (differenza delle letture dei due
termometri) varierebbe proporzionalmente alla radiazione solare,
se non intervenisse la variazione delFassorbimento. Ora è noto,
che quest’ ultima variazione può esprimersi in modo semplice,
introducendo in luogo delle intensità q i logaritmi delle stesse
intensità (forinole di Pouillet, Bartoli, Crova * 2). Si può sperare
quindi di ottenere una rappresentazione discreta della variazio-
!) V. A. Mascari, Relazione sulle osservazioni dell’eclisse parziale di Sole del 28 Mag-
gio 1900 fatte nell’ Osservatorio di astrotìsico di Catania. Memorie della Società degli Spettro-
scopisti italiani, Voi. XXIX (1900) pag. 129.
2) V. nota citata in priucipio pag. 23.
Sul modo di variare della 'radiazione solare durante le fasi di un'eclisse 35
ne di q dipendente dall’ assorbimento atmosferico, anche in con-
dizioni atmosferiche variabili , ricorrendo allo sviluppo di log q
in serie di Taylor rispetto al tempo t durante un intervallo
piuttosto ristretto, qual’ è quello da noi considerato di 23 mi-
nuti. Poniamo dunque
log' Qo — log Q = at-\-bt2-\- Ct3 (15)
indicando Q0 V intensità della radiazione per il tempo iniziale
f—’cf 10m , e MI tempo contato a partire da t0 . Indicando con
Qi , Qò i valori che avrebbe assunto la radiazione solare
per effetto della sola variazione dell7 assorbimento atmosferico
(cioè se non fosse variata la fase a partire da tQ) e con qv qr.. qb
i valori effettivamente osservati della radiazione solare ai tempi
ti , t2 t5 , poiché questi tempi sono stati così scelti, che cor-
rispondono due a due a fasi uguali, epperò ad uguali importi
della radiazione solare, potremo stabilire in corrispondenza alle
tre coppie di valori comparabili tre equazioni per la determi-
nazione dei coefficienti a, b , c, e precisamente le equazioni se-
guenti
log' Qo — log ^5=l0g ?0 log (h=a h + b *52+C #53
log Q— log y4=log- 2,-100- qi=a (t—tj-f-l) (tf-tfj-fc (tf—tf)
log ^2-log Q3=\og q,— log q3=a (t3- t2)-fb (t32—tf)+c (t33—tf)
Applicando queste equazioni ai valori notati sopra delle t
e delle g, e prendendo come unità di t 10 minuti, otteniamo
log a = 9", 7944 log b = 9,6102 log c --= 8n, 3606
Il fatto che per il primo coefficiente a risulta un valore ne-
gativo sta ad attestare che sul principio dell’ intervallo conside-
rato, vale a dire fra 5h 10m e 5h 20m , 1’ assorbimento atmosfe-
rico diminuiva invece di aumentare col tempo, come sarebbe
avvenuto in condizioni normali dell’ atmosfera. Questo risultato
concorda perfettamente colla nota, che si trova a lato dei risultati
delle osservazioni attinometriche fra 5h 17m e 5h 20m (/Sole leg-
36
J.. Bemporad
[Memoria XIV.]
germente velato , il cielo si rischiara sempre più i) ) , e dimostra
1’ opportunità dello speciale procedimento di riduzione da noi
usato.
Applicando ora la (15) pei singoli tempi d’osservazione, pos-
siamo ottenerne i valori delle q liberati della influenza dell’ as-
sorbimento atmosferico, e precisamente otteniamo per le condizioni
dell’ atmosfera all’istante iniziale 5h 10ra i seguenti importi di q.
Porzione scop. del © . . . 7', 25 5', 00 4', 00 3', 82 (Fase mass.)
Intensità radiazione q . . . 2°, 50 1°,20 0°,78 0,72
i quali ormai ci rappresentano, come è variata la radiazione per
effetto della sola variazione della fase.
Per confrontare questi risultati con quelli della nostra Tav.
Ili, ricaviamo anzitutto dalla Connaissance des Temps pel 1900
(applicando ad r© la debita correzione di parallasse)
rQ= 15', 80 >-0 = 16', 02
epperò
l = — - Q- = 1.014.
Dividendo poi i valori osservati delle porzioni scoperte del
O per r© otteniamo i valori seguenti di b
b 0,459 0,316 0,253 0,242
e per questi valori di l e b si ricavano infine dalla Tav. Ili i
valori seguenti della radiazione relativa p
P 0,255 0,164 0,126 0,119
La circostanza che le prime due cifre significative nella
prima coppia di valori di q e p coincidono, mentre nelle due
coppie seguenti si accentua la superiorità di p rispetto a q , sta
l) Memorie della Società degli SpettroseopisU italiani XXIX, pag. 133.
iSul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 37
a dimostrare clie la diminuzione osservata della radiazione so-
lare corrispondente all’ aumento della fase, anche nella eclisse
del 1900, come nell’ ultima dell’ anno scorso , fu più forte di
quella teorica.
Questa notevole manifestazione, che si ripete in circostanze
così diverse, sembra confermare F ipotesi da noi già avanzata
in un precedente lavoro 1), che F eclisse solare provochi una va-
riazione nel potere assorbente dell’atmosfera terrestre, concomi-
tante alle variazioni della fase e dello stesso segno di queste.
Questa ipotesi viene altresì convalidata dal fatto, che secon-
do i nostri calcoli, la diminuzione della radiazione sarebbe stata
più forte nella eclisse del 1900, anziché in quella del 1905, in
relazione evidentemente col fatto che le condizioni atmosferiche
furono allora più sfavorevoli e il Sole più basso sull’ orizzonte,
che non nell’ ultima eclisse del 1905. Le nostre osservazioni at-
tinometriche sono troppo grossolane, per poterne ricavare, anche
solo all’ingrosso, di quanto sarebbe aumentato, ciascuna volta, e
con quale legge, F assorbimento atmosferico ; molto fondata ap-
pare invece la speranza, che interessanti risultati al riguardo
possano ricavarsi, applicando il nostro metodo di riduzione a se-
rie di osservazioni ottenute durante un’ eclisse coi moderni sen-
sibilissimi pireliometri a compensazione elettrica.
18. Osservazioni del Prof. W. IL Julius a Burgos.
In un recentissimo studio del prof. W. H. Julius, pubbli-
cato nel numero di Maggio dell’ Astr opti ysical Journal , viene
esposto a new method for determining thè rate of deerease of thè
radiative power from thè center toieard thè limò of solar disi-, che
presenta qualche analogia col metodo da noi proposto, e che ap-
plicato alle osservazioni da lui stesso ottenute nell’ultima eclisse
a Burgos, conduce al risultato del tutto conforme al nostro, che
*) V. Relazione sulle osservazioni attinometriche eseguite nell’ Osservatorio di Catania
durante 1’ eclisse di Sole del 30 Agosto 1905. Memorie della Società degli Spettro scopisti ita-
liani, Voi. XXXV pag. 34 e 35.
38
A. Bemporad
[Memoria XIV.[
la radiazione solare diminuirebbe, procedendo dal centro Terso
la periferia del disco solare, piu rapidamente di quanto Tenne
finora ammesso, così da ridursi sul lembo estremo a 0,24 del
potere radiante al centro, anziché a 0,40, come risulta in media
dai precedenti risultati. Il metodo di Julius consiste nello sta-
bilire con procedimento grafico e meccanico — precisamente di-
segnando in grandi proporzioni le successiTe porzioni scoperte
del O per Tari istanti durante 1’ eclisse e, in ciascuna di queste
porzioni, tante zone concentriche al Sole, e poi ritagliando e pe-
sando accuratamente le listerelle corrispondenti alle singole zone —
un grande numero di equazioni fra i Talori medi dell’intensità J
corrispondenti alle dette zone, e i valori osservati della radia-
zione. 11 metodo da noi proposto consiste invece nell’am mettere
dapprima una legge già abbastanza approssimata, e nel ricavar-
ne poi con procedimenti differenziali soltanto le piccole corre-
zioni necessarie per stabilire l’accordo più soddisfacente fra l’os-
servazione ed il calcolo. Il nostro metodo non è dunque altro
a priori che un metodo di riduzione , inteso a mettere in luce le
discordanze fra i risultati delle osservazioni atti no metriche ese-
guite durante un’eclisse e quelli delle osservazioni attinometriche
eseguite con Sole interamente scoperto in vari punti del disco so-
lare, il metodo di Julius aspira invece a riuscire un metodo di ri-
cerca diretta , vale a dire ammette, che queste discordanze siano
dovute ad errori sistematici nelle dette osservazioni attinometriche
con Sole interamente scoperto, e conduce senz’altro ai valori del
potere radiante J a varie distanze dal centro dal O , che meglio
si accordano coi risultati delle osserrazioni fatte durante un’ e-
clisse. Secondo ogni probabilità il nostro metodo dovrebbe riu-
scire di applicazione più facile e più sicura che non quello di
Julius, perchè più conforme al principio — tanto fecondo nelle
scienze matematiche e naturali— delle approssimazioni successiTe.
19. Applicazione della Tavola III alle osservazioni di Julius .
Per applicare il nostro metodo di riduzione alle osserva-
Sul modo di variare delia radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 39
zioni di Julius dobbiamo procurarci per i singoli valori osser-
vati della radiazione solare i corrispondenti valori della porzione
scoperta b dal diametro solare. Poiché le osservazioni, sulle quali
si fonda lo Julius per dedurne i valori di </, si riferiscono al-
l’ intervallo di tempo compreso fra il terzo e il quarto contatto,
così basterà per il nostro scopo la conoscenza dei tempi e degli
angoli di posizione relativi a questi contatti. Ora secondo i dati
assunti da Julius (su calcoli del Prof. Hyìand) si ebbe a Burgos
per il III e IV contatto
rispettivamente :
angolo di posiz. 03 = 304°, 9 6i = 114°, 9
t. m. locale t.A = 0h 55m 39s tA = 2'1 12m 14s
e inoltre
l = rC ' }’0 = 132,8 : 126»8 = 1,047.
Da questi valori, assumendo come unità di lunghezza il se-
midiametro solare vq , e come assi x, y quelli rispetto ai quali
s’ intendono computati gli angoli di posizione, otteniamo per le
coordinate del centro della C rispetto al centro del © negli i-
stanti del 3° e 4° contatto rispettivamente
III
IV
%3 = {l — 1) cos 03 = — 0,0269
= 1) cos 0i = — 0,8619
y3 — (l — 1) sin 03 = -j- 0,0385
yi = (l - 1) sin 04 — 1,8567»
Ammettendo, che fra gli istanti del 3° e 4° contatto il mo-
vimento del centro della <C rispetto al centro del © possa con-
siderarsi come rettilineo, uniforme, avremo come coordinate xt ,
yt al tempo t
xt — %3 — 0,8350 (t — #3)
yt = y3 + i?8i82 (t-t3)
e di qui infine i valori at — {/ xc2 -)- yt2 della distanza at dei cen-
40
A. Bemporad
[Memoria XIV.]
tri del © e della © al tempo t e infine i valori bt — at —{l — 1)
per le porzioni scoperte bt del diametro solare , quali sono se-
gnati nel seguente quadro. In questo la prima colonna contiene
i tempi delle singole osservazioni di Julius, la seconda i valori
di b ottenuti nel modo die si è detto, la terza i valori delle or-
dinate della curva della radiazione corretti empiricamente dei-
fi influenza dell’ assorbimento atmosferico *) , la 4a i valori della
radiazione relativa ricavati cogli argomenti b ed l dalla nostra
tabella III (v. infine). Per poter confrontare i valori osservati con
quelli calcolati, poiché non si rileva dal lavoro di Julius, quale
ordinata possa farsi corrispondere alla fase 0 (disco del Sole inte-
ramente scoperto), così abbiamo formato i rapporti delle singole
ordinate corrette rispetto all1 ultima e i rapporti analoghi delle
corrispondenti radiazioni relative da noi calcolate ; le differenze
dei
rapporti
COSÌ
ottenuti danno gli
O — C della
5a colonna.
t
b
Ordiuate della
curva corretta
della radiazione
(Julius)
Radiazioue
relativa
(Tav. Ili)
O—C
h m
0 55
40
0,000
0,0
0,000
0,000
57
40
0,051
20,1
0,017
—0,009
59
40
0,102
52,5
0,038
— 0,014
1 1
40
0,153
91,0
0,063
—0,019 1
3
40
0,204
136,5
0,092
-0,025
5
40
0,254
187,0
0,121
—0,024
7
40
0,305
241,0
0,151
—0,025
9
40
0,356
297,0
0,183
—0,026
* 11
40
0,407
355,0
0,217
—0.028
13
40
0,458
414,0
0,250
— 0,028
15
40
0,509
474,0
0,2S3
—0,026
17
40
0,560
535,0
0,315
—0,023
19
40
0,611
597,0
0,34S
—0,020
21
40
0,662
659,0
0,382
— 0,018
23
40
0,713
721,0
0,415
—0,015
25
40
0,763
783,0
0,449
—0,014
27
40
0,814
844,5
0,482
— 0,011
29
40
0,865
905,5
0,514
—0,007
31
40
0,916
966,0
0,546
—0,004
33
40
0,967
1026,0
0,579
—0,003
35
40
1,018
1085,5
0,611
0,000
p V. Table II a pag. 318 del lavoro citato di Julius.
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 41
I valori 0 — (7, per quanto piccoli, poiché non superano in
nessun caso l’importo del 3 per cento hanno però un anda-
mento del tutto sistematico. Questo era senz’ altro prevedibile a
priori, pel fatto che i valori del potere radiante J ottenuti dal
Prof. Julius dalle sue osservazioni col procedimento accennato
a pag. 38 , si scostano notevolmente dai valori da noi assunti
(pag. 4 ), che sono quelli ottenuti da Sécchi, Vogel ed altri
mediante il confronto simultaneo dell’ intensità calorifica di punti
del disco solare a varie distanze dal centro, col disco del Sole
interamente scoperto. Ora però la conoscenza dell’ importo effet-
tivo di questi O — C (e di quelli consimili relativi ad altre serie
di osservazioni) permetterà senza dubbio di risolvere, se non su-
bito, certo in breve volger di tempo, la questione di riconoscere,
quale sia V effettiva legete di decrescimento del potere radiante dei
punti del disco solare , se siano cioè più nel vero Secchi , Vogel
e Prost, che fanno ammontare il potere radiante alla periferia
del disco solare a 0, 40 del potere radiante delle parti centrali,
o lo Julius, che trova per lo stesso rapporto il valore 0, 24.
21. Varie spiegazioni possibili per il divario dell’ osservazione
dal calcolo.
II Prof. Julius ritiene, che questo disaccordo sia da attri-
buire ad un errore sistematico del metodo, diremo così, antico, e
precisamente al fatto, che nel confronto simultaneo di areole a
varie distanze dal centro del disco solare, alla intensità calori-
fica propria delle singole areole si aggiunga quella diffusa pro-
veniente dalle altre parti del disco 1 2). Voi non vediamo vera-
1) Notiamo incidentalmente che dello stesso ordine di grandezza sono gli 0-0 relativi
alle due serie di osservazioni attinomètriche eseguite nell’ Osservatorio di Catania, da noi
precedentemente discusse.
2) Credo opportuno citare le parole testuali del Prof. Julius: tliere is.... a systèmatic
errar wli ìch must have influenced sìmilarly all of thè resulta thus ohtained, and ivhich proeeed
from thè scattering of thè rays by thè terrestrial atmosphere. In any point of an image of thè
Sun is not only to be found thè radiation comiug from thè corresponding point of thè disk, bui,
in addition, some diffused radiation proceeding from other parts of thè disk.
Atti acc. Serie 4a, Voi,. XIX — Meni. XIV.
6
42
A. Bemporad
[Memoria XIV.]
mente, come la diffusione possa falsare le misure, quando si ado-
perino schermi ben costruiti, e a considerevole distanza dagli
attinometri, come già operò Ericsson ii ; vediamo bensì un’altra
causa assai probabile di perturbazione nel metodo proposto dal-
l’ Julius, della quale non fa cenno l’insigne fìsico, e che consi-
ste nelle variazioni (da noi già accennate a pag. 37) cui può
andar soggetto durante lo svolgersi dell’ eclisse il potere assor-
bente dell’ atmosfera terrestre. Basta infatti un leggero aumento
in questo potere assorbente 2) col progredire della fase per spie-
gare completamente la diminuzione più rapida della radiazione,
quale è risultata allo Julius e a noi.
22. Rappresentazione dei valori dati da Julius per il potere
radiante J mediante la forinola (2).
Intanto un fatto molto interessante è questo, che i valori
dati da Julius per il potere radiante J a varie distanze dal
centro del disco solare , per quanto notevolmente diversi da
quelli da noi assunti sul fondamento delle osservazioni di Sec-
chi, Yogel ed altri, si possono tuttavia rappresentare in modo
quasi perfetto colla stessa forinola (2) , che abbiamo usato per
rappresentar quelli, quando solo si cangino convenientemente i
valori delle costanti l , i*.
Procedendo come al solito per approssimazioni successive ,
abbiamo determinato queste costanti in cinque modi diversi, e
cioè anzitutto in modo da rappresentare esattamente i valori dati
da Julius per r = 0,7 e per r = 1,0 (sistema 1), poi variando
successivamente questo secondo valore in modo da ottenere un
accordo sempre più soddisfacente per tutti gli altri (sistemi li
e III) poi variando leggermente anche il valore di J per 0,7
q V. citazione a pag. 23.
2) Non mancano osservazioni, che confermano indirettamente questa ipotesi. V. in pro-
posito : Observations de Al. Ch. Trèpied... à Guelma. Bulletin de la Societé astronomique de
France. 1905. pag. 493, e inoltre Observations de Al. 3. Perrotin à Alcala de Chisvert. Ibidem
pag. 539.
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un'eclisse 43
(sistema IV) e in ultimo rappresentando esattamente i valori
J — 0,791 per r — 0,7 e J — 0,441 per r = 0,95. Le prime de-
terminazioni vennero ottenute mediante il sistema di formole ac-
cennato a pag. 9. L’ ultimo calcolo venne invece eseguito ri-
solvendo 1’ equazione risultante di 4° grado in f colla regnici
falsi. Riproduco nella tabella seguente i valori ottenuti per le
costanti e le differenze 0 — C corrispondenti ai singoli sistemi
(in millesimi del potere radiante unitario).
Distanza
al centro
del ©
(r)
Valori del
potere radian.
sec. Julius
W)
I
log 1=0, 46511
log jr=9, 58418
il
log 1=0,53585
log ji=9, 56143
O—C’
III
log 1=0,57054
log jj=9,55117
IV
log 1=0,58692
log u=9, 55354
V
log 1=0,60293
log (t=9, 55059
0, 0
1, 000
0
0
0
0
0
0,1
0, 998
+ 1
+ 2
+ 1
+ 1
+ 1
0, 2
0, 986
— 1
— 1
- 1
— 1
-- 1
0, 3
0, 966
— 3
— 4
— 4
— 4
— 3
0, 4
0, 940
—11
— 3
— 4
— 4
— 4
0, 5-
0, 903
— 5
— 6
— 6
— 5
— 5
0, 6
0, 855
— 5
— 5
- 6
— 5
— 4
0,7
0, 795
0
0
0
+ 3
+ *
0, 75
0, 753
— 1
0
0
+ 3
+ 3
0, 8
0, 701
-- 4
2
— 1
+ 2
+ 5
0, 85
0, 635
— 10
— 6
— 5
— 1
+ 2
0, 9
0, 550
— 19
— 14
—11
— 6
— 2
0, 95
0, 440
-29
— 18
— 13
— 6
— 1
1,0
(0, 240)
(0)
(+20)
(+30)
(+40)
(+46)
L’ accordo a meno di 5 millesimi fra i valori osservati e i
calcolati è quanto di meglio possa attendersi in questo genere
di misure. Ea eccezione il valore di J sul bordo estremo, dove
10 scarto sale a 5 centesimi, ma il valore 0,24 venne ottenuto
dal Prof. Julius per estrapolazione (grafica probabilmente), ed egli
stesso mostra di ritenerlo più incerto degli altri, racchiudendolo
entro parentesi.
Il risultato ottenuto può rendersi più intuitivo, ricordando
11 significato fisico delle costanti ^ e 9- e i valori (V) già ottenuti a
pag. 11 per queste costanti. Può dirsi dunque che : I valori dati
da Julius per il potere radiante J a varie distanze dal centro del
I
44
A. Bemporad
[Memoria XIV.]
disco solare si conciliano non meno bene dei valori di Secchi , Togel
ed altri colla ipotesi di un ’ atmosfera omogenea attorno al Sole ;
mentre però V altezza di quest’atmosfera risulterebbe in ambedue i casi
sensibilmente la stessa e pari ad -j- circa del raggio solare (esat-
tamente 0,24 per le osservazioni di Secchi — Yogel e di 0,25 per
quelle di Julius) il coefficiente d’assorbimento risulterebbe secondo le
osservazioni di Julius sensibilmente più forte di quello fornito dalle
osservazioni di Secchi — Yogel ( 0,35 contro 0,21).
Beninteso l’atmosfera, di cui qui si tratta, non ha nulla a che
vedere coll’ effettiva atmosfera solare, certo non omogenea e uni-
forme, come 1’ abbiamo supposta, e ben più alta che di rag-
gio solare ; ma è da riguardare come un semplice modello, la
cui introduzione è giustificata solo dal fatto, che agevola la
rappresentazione delle osservazioni. Un’ idea della differenza, che
può presentare 1’ atmosfera effettiva da quella fittizia, l’abbiamo
nell’ atmosfera terrestre, la cui altezza determinata dalle osser-
vazioni di estinzione col fondamento della forinola di Lambert
risulterebbe di una diecina di km. mentre è certo almeno qual-
che centinaio.
23. Potere radiante medio dei punti del disco solare secondo
le osservazioni di Julius.
Una volta riconosciuto che la nostra forinola (2) può rap-
presentare benissimo i valori proposti da Julius per il potere ra-
diante J, si presenta da sè la questione di vedere, come vengano
rappresentate, col nostro metodo di riduzione e coi nuovi valori
ottenuti per le costanti
log X = 0, 60293 log’ [jl = 9, 55059, (16)
le osservazioni di Julius circa il modo di variare della radiazione
solare durante le fasi di un eclisse, e se venga a scomparire l’an-
damento sistematico degli 0 — C, quale ci è risultato a pag. 40
coi primitivi valori delle X , t^.
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 45
Per questo abbiamo calcolato anzitutto il valore del potere
radiante medio
Y = 2
o
coi due procedimenti d’ integrazione già accennati nel 2° Capi-
tolo. La quadratura numerica ci ha dato :
r
I Jr dr
con io = 0, 04
e colla foratola a pag. 13
con w — 0, 01
e colla forinola (6) pag. 14
’0,88
Jr dr
1*0,98
Jr dr
= 0, 32096
= 0, 04468
0,88
r i,oo
con w ±= 0,002 /
e colla forinola (6) pag. 14 / ~
0,98
epperò Y= Jr dr
0,37137
La quadratura con procedimento analitico ci ha dato (cfr.
§ 9, pag. 15)
1 = v = X,
^gioe
VIt — X,
1
[9, 91281]
= [0, 39031]
= 1 1 + 21 = [0,47750] (17)
46
A. Bemporad
[Memoria XIV.Ì
= -J- 0, 80227 (termini in aq)
— 0, 29635 (termini in x0)
= + 0, 50592
è* + V + T ‘0g * _ db +-•+ ( ” lr».1.2.".(»+2)
= + 0,74705 — 1,22233 + 0,10039
+ 0,13635 — 0,01394 + 0,00152 ( termini in x0
— 0,00016 + 0,00001 — )
— 0,08286 + 0,40709 + 0,44937 \
— 0,40941 + 0,12571 — 0,04117 /
termini in x.
+ 0,01264 — 0,00355 + 0,00091 (
— 0,00021 + 0,00005 — 0,00001 J
= + 0,20745
E introducendo i valori di questi due integrali nella espres-
sione (7) di Y data a pag. 15, coi valori (16) e (17) per le co-
stanti X, [i, v, u, abbiamo ottenuto infine
~ T = 0, 37137
Jl
in coincidenza perfetta col valore ottenuto mediante la quadra-
tura numerica (v. pag. prec.).
Come era prevedibile, le osservazioni di Julius conducono
dunque ad un valore (0,74) del potere radiante medio dei punti del
disco solare più piccolo |di circa -^-j di quello da noi già ottenuto
nel 2° Oap. sul fondamento delle osservazioni attinometriche di
Secchi, Yogel ed altri (0,83).
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 47
24. Valori del potere radiante J e di / Jr dr .secondo il si-
ti
sterna (16) di costanti (ricavate dalle osservazioni di Julius a
Burgos).
La stessa quadratura numerica, che ci ha fornito il valore
del potere radiante medio dei punti del disco solare , ci for-
nisce anche la seguente tabella di valori di log,/ e di / Jr dr,
o
a noi necessaria per poter applicare le forinole (Sa) e (8Ò) , e che
crediamo opportuno comunicare in extenso , affine di agevolare
ad altri il confronto fra le osservazioni attinoinetriclie di Julius
ed altre consimili.
0, 00
0, 01
0, 02
0, 03
0,04
0, 05
0, 06
0,07
0, 08
0,09
log J
0, 0000
0. 0000
9, 9999
9, 9999
9,9998
9, 9996
9, 9995
9, 9993
9, 9991
9. 9988
0, 10
0, 11
0, 12
0, 13
0, 14
0, 15
0, 16
0, 17
0, 18
0, 19
9, 9986
9, 9983
9,9980
9, 9976
9,9972
9, 9968
9,9963
9, 9958
9, 9953
9, 9948
i
d
0
1
0
1
2
1
2
2
3
2
3
3
4
4
4
5
5
5
5
6
0,37137
0, 37132
0, 37117
0, 37092
0, 37057
0, 37012
0, 36957
0, 36892
0, 36817
0, 36732
0, 36637
0, 36532
0, 36418
0, 36293
0, 36159
0, 36015
0, 35862
0, 35698
0, 35525
0. 35342
5
15
25
35
45
55
65
75
85
95
105
114
125
134
144
153
164
173
183
192
0, 20
0, 21
0,22
0, 23
0, 24
0, 25
0, 26
0, 27
0, 28
0, 29
9, 9942
9, 9936
9, 9929
9,9922
9, 9915
9, 9908
9, 9900
9, 9892
9, 9883
9, 9874
0, 35150
0, 34948
0, 34737
0, 34516
0, 34285
0, 34045
0, 33796
0, 33537
0, 33269
0, 32991
202
211
221
231
240
249
259
268
278
r
log/
0, 30
9, 9865
0, 31
9, 9855
0, 32
9, 9845
0, 33
9, 9834
0, 34
9,9823
0, 35
9, 9812
0, 36
9, 9800
0, 37
9, 9787
0, 38
9, 9775
0, 39
9, 9761
0, 40
9, 9747
0, 41
9, 9733
0,42
9, 9718
0, 43
9, 9703
0, 44
9, 9687
0, 4 5
9, 9671
0, 46
9, 9654
0, 47
9, 9636
0, 46
9, 9618
0, 49
9, 9599
0, 50
9, 9579
0, 51
9, 9558
0, 52
9, 9537
0, 53
9, 9515
0, 54
9, 9493
0, 55
9, 9469
0, 56
9, 9445
0, 57
9, 9420
0, 58
9, 9393
0, 59
9, 9366
d
(V dr
d
10
0, 32705
295
10
0, 32410
304
314
11
0, 32106
11
0, 31792
322
11
0, 31470
331
12
0, 31139
339
13
0, 30800
348
12
0, 30452
357
14
0, 30095
0, 29730
365
14
373
14
0, 29357
382
15
0, 28975
390
15
0, 28585
397
16
0, 28188
405
16
0. 27783
413
17
0, 27370
421
18
0, 26949
428
18
0, 26521
436
19
0, 26085
0, 25642
443
20
451
21
0, 25191
457
21
0, 24734
464
22
0,24270
471
22
0, 23799
477
24
0, 23322
484
24
0, 22838
490
25
0, 22348
496
27
0,21852
501
27
0, 21351
0, 20844
507
28
513
9
286
48
A. Bemporad
[Memoria XIY.j
r
log J
d
f Jr dr
J r
d
r
iog/
d
^Jr dr
J r
d
0, 60
0, 61
9, 9338
9, 9308
30
30
32
33
35
35
37
39
41
0, 20331
0, 19813
518
523
527
532
536
540
543
547
550
0,80
0, 81
9, 8429
9,8356
73
78
82
89
94
101
109
119
127
0, 09370
0, 08813
557
553
550
545
541
535
528
520
512
0, 62
0, 63
0, 64
9, 9278
9, 9246
9, 9213
0, 19290
0, 18763
0, 18231
0, 82
0, 83
0,84
9, 8278
9, 8196
9,8107
0, 08260
0, 07710
0, 07165
0, 65
0, 66
0, 67
9, 9178
9, 9143
9, 9106
0, 17695
0, 17155
0, 16612
0, 85
0, 86
0, 87
9,8013
9, 7912
9, 7803
0,06624
0, 06089
0, 05561
0, 68
0, 69
9, 9067
9, 9026
0, 16065
0, 15515
0, 88
0, 89
9, 7684
9, 7557
0, 05041
0, 04529
42
553
140
502
0, 70
9, 8984
44
0, 14962
555
0,90
9, 7417
153
0, 04027
492
0, 71
9,8940
47
0, 14407
557
0, 91
9,7264
170
0, 03535
478
0, 72
9,8893
48
0, 13850
559
0, 92
9, 7094
190
0, 03057
463
0, 73
9, 8845
51
0, 13291
560
0,93
9, 6904
215
0, 02594
448
0, 74
9, 8794
53
0, 12731
561
0, 94
9, 6689
245
0, 02146
429
0, 75
9, 87 41
56
0, 12170
561
0, 95
9, 6444
293
0, 01717
408
0, 76
9, 8685
59
0, 11609
561
0. 96
9, 6151
352
0, 01309
383
0, 77
9, 8626
62
0, 11048
561
0, 97
9, 5799
450
0, 00926
353
0, 78
9, 8564
65
0, 10487
559
0, 98
9,5349
643
0, 00573
315
0, 79L
9, 8499
0, 09928
0, 99
9, 4706
0, 00258
70
558
2421
258
0, 80
9, 8429
0, 09370
1, 00
9, 2285
0, 00000
25. Calcolo della radiazione relativa corrispondente alle varie
fasi di un’eclisse secondo le costanti ricavate dalle osservazioni di
Julius.
Introducendo i valori di J e
che si ricavano da
questa tabella nelle forinole (8a) e (8b) , e ricavando i valori delle
6 e di rQ dalla tabella IV, abbiamo calcolato (al solito con qua-
dratura numerica) i valori della radiazione relativa pei valori
sottosegnati delle porzioni scoperte b del disco solare e pei va-
lori l = 1,04 , l = 1,06 del rapporto : vq . Da questi infine
mediante interpolazione abbiamo ottenuto i valori della radia-
zione relativa corrispondente ad l = 1,047 , che comunichiamo
insieme agli altri nella seguente breve tabella 1).
£) Questo procedimento di successive interpolazioni potrebbe sembrare a taluno troppo
laborioso e poco esatto. Si deve riflettere però che il calcolo diretto dei valori della radia-
zione relativa per le venti osservazioni in questione richiederebbe il calcolo di 20 serie di
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 49
l /
/ b
1,04
1,06
1,047
*
d
1. 04
0, 622
0. 619
0, 621
53
0, 96
0, 564
0, 567
0, 568
53
0, 88
0, 516
0, 514
0, 515
53
0, 80
0. 463
0, 460
0, 462
54
0, 72
0, 408
0, 405
0, 406
54
0, 64
0, 353
0, 350
0, 352
54
0, 56
0, 299
O, 296
0, 298
54
0, 48
0, 245
0,242
0, 244
52
0, 40
0, 193
0,190
0, 192
49
0, 32
0, 144
0, 141
0, 143
47
0, 24
0,097
0, 094
0, 096
42
0, 16
0, 055
0, 053
0, 054
34
0,08
0, 020
0, 020
0. 020
20
0, 00
0, 000
0, 000
0, 000
26. Rappresentazione dei valori della radiazione solare osser-
vati da Julius.
Quest’ ultima tabella applicata alle osservazioni di Julius,
eoi valori di b da noi già ottenuti sopra, conduce ai seguenti
valori della radiazione relativa e ai seguenti (O — C)2 (differenze
valori di 0 ed r0 , ciò che si evita completamente, facendo il calcolo per quei valori di l e
di b considerati nella nostra tabella IV, ed applicando poi una duplice interpolazione. Che
questo risparmio di lavoro poi non vada a scapito della esattezza, si può riscontrare agevol-
mente col calcolo diretto di uno dei valori della radiazione relativa, p. es. di quello cor-
rispondente a 6 = 0,051, che, essendo vicino all’estremo della tavola, risente in maggior
grado delle incertezze della interpolazione. Ora dal calcolo diretto secondo la forinola (8*
coi valori 6 = 0,051 ed 1 = 1,047 e ricavando i valori di j Jr dr dalla tabella a pagg. 47,
48 abbiamo ottenuto i risultati seguenti :
0
»'o
j'jr dr
ro
0
0, 00
0, 9490
0, 01758
6°
22’, 66
0, 9496
0, 01734
12
45, 33
0, 9512
0, 01667
19
8, 00
0, 9539
0, 01556
25
30, 66
0, 9577
0, 01409
31
33, 33
0, 9625
0, 01211
38
16, 00
0, 9682
0, 00994
44
38, 66
0, 9750
0, 00746
51
1, 33
0, 9826
0, 00489
57
24, 00
0, 9910
0, 00225
63
46, 66
1, 0000
0, 00000
r n «/
da cui / dd / Jr dr — — - — • . 0,10927 = 0,0104 contro 0,011, come otteniamo dalle nostre
O {. zY
successive interpolazioni (v. tabella a pag. 50). L’accordo è dunque del tutto soddisfacente.
Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Mem. XIV. 7
50
A. Bemporad
[Memoria XIV.]
fra i rapporti delle radiazioni osservate e quelli delle radiazioni
calcolate, v. osservazione 3 pag. 40).
b
Radiazione
osservata
(Julius)
Radiaz. relat.
calcolata
(2° calcolo)
( 0—c)2
(iu millesimi)
0, 000
0, 0
0, 000
0
0, 051
20, 1
0, 011
— 1
0, 102
52, 5
0, 028
2
0, 153
91, 0
0. 051
0
0,204
136, 5
0, 076
+ 1
0, 254
187, 0
0, 104
0
0, 305
241,0
0,134
± 1
0. 356
297, 0
0, 165
_i_ 2
0, 407
355, 0
0, 197
-f- 2
0, 458
414,0
0,229
+ 3
0, 509
474, 0
0, 263
+ 3
0, 560
535, 0
0, 298
+ 1
0, 611
597, 0
0, 332
+ 2
0, 662
659, 0
0, 367
+ 1
0, 713
721, 0
0, 401
+ 2
0, 763
783, 0
0, 439
— 3
0,814
844, 5
0, 471
+ 1
0, 865
905, 5
0, 505
+ 1
0, 916
966,0
0, 539
4- 1
0, 967
1026, 0
0, 573
— 1
1, 018
1085, 5
0, 606
0
Come si vede, 1’ andamento decisamente sistematico, che si
notava negli ( 0 — C)l a pag. 40 (riduzione delle osservazioni di
Julius colla nostra Tavola III ricavata dalle osservazioni di Sec-
chi, Vogel ed altri) può dirsi quasi totalmente scomparso. Mentre
prima infatti gli (0 — C)i erano tutti di ugual segno e gradata-
mente crescenti dalle osservazioni estreme verso il centro della
serie, qui invece l’importo degli (0 — 0), positivi di poco supera
quello degli (0 — C)2 negativi, e il valor medio, che prima era
— 0, 016 adesso è sceso a + 0,0007, se si tien conto del segno, e a
±0,0015 se si considerano gli 0 — C in valore assoluto.
27. Conclusione.
Se si considera ora che il procedimento grafico-meccanico,
con cui il Prof. Julius ha ricavato dai valori osservati della ra-
diazione i valori del potere radiante J a varie distanze dal cen-
tro del disco solare, è di natura affatto diversa da quella del
nostro procedimento analitico-numerico inteso allo scopo inverso,
ìSul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 51
conviene riconoscere che l’accordo soddisfacentissimo del nostro
calcolo colla osservazione dimostra insieme l’ esattezza di ambe-
due i procedimenti in questione, e costituisce un potente argo-
mento in favore dell’opinione espressa dal Prof. Julius, che qual-
che errore sistematico affetti le determinazioni antiche del po-
tere radiante J a varie distanze dal centro del disco solare, e
che più esatti siano i valori, che risultano da osservazioni fatte
durante un’ eclisse, nel modo da lui indicato.
Tuttavia noi riteniamo che questa conclusione sarebbe per
ora prematura, e non possa in ogni modo accettarsi come ac-
cennavamo già a pag. 42, che sotto la riserva di riconoscere,
quanta parte possano avere nella variazione della radiazione so-
lare durante le fasi di un’ eclisse eventuali variazioni delPassor-
bimento atmosferico dipendenti direttamente dalla intercetta-
zione dei raggi solari, epperò proporzionali alla grandezza della
fase e tendenti quindi a produrre le stesse manifestazioni , che
Julius spiega col più rapido decrescimento del potere radiante
J(f) verso la periferia del disco solare.
Nella nostra riduzione delle osservazioni atti nometriche ese-
guite nell’ Osservatorio di Catania durante 1’ ultima eclisse ')
abbiamo già accennato chiaramente, che non si può sperare di
eliminare del tutto 1’ influenza dell’ assorbimento atmosferico
con procedimenti empirici, come quelli usati dal Prof. Julius
(ragguaglio grafico) e da noi stessi (ragguaglio numerico colla
forinola di Pouillet, o di Orova, o di Bartoli), ma che bisogna
istituire apposite esperienze per controllare 1’ effettiva variazione
dell’ assorbimento atmosferico durante 1’ eclisse. Un modo assai
semplice per giungere a questo è già stato indicato da noi a
pag. 34, e consisterebbe nell’ accompagnare le osservazioni atti-
nometriche con misure della grandezza della fase, e nel confron-
tare poi le misure attinoinetriche corrispondenti a fasi uguali. Un
altro procedimento anche assai efficace sarebbe quello di eseguire
) V. Memorie della Società degli Spettrosc. italiani Voi. XXXV pagg.
24, 34, 35.
52
A. Bemporad
[Memoria XIV. j
due serie di osservazioni simultanee in due stazioni vicine, a rile-
vante dislivello 1). Finché però non venga dimostrato, in un modo
o in un altro, che 1’ influenza delle variazioni dell’ assorbimento
atmosferico durante un’ eclisse sia effettivamente trascurabile, il
procedimento proposto da Julius per lo studio dei valori del po-
tere radiante J a varie distanze dal centro del disco solare non
potrà ritenersi senz’altro come più sicuro di quello antico di Sec-
chi, Vogel ed altri. Una prova, se questo nostro dubbio sia fon-
dato, o no, potrà aversi confrontando i risultati ottenuti da Ju-
lius con quelli ottenibili da altre serie di osservazioni eseguite
durante la medesima eclisse 2) e con strumenti consimili in lo-
calità diverse. Se il procedimento di Julius è libero da influenze
perturbatrici, dovrebbero risultare molto prossimamente gli stessi
valori di J da tutte le serie d’ osservazioni ; se invece,, come noi
riteniamo, il divario fra i valori ottenuti da Julius e quelli finora
ammessi è da ascrvere in molta parte all’influenza delle variazioni
dell’assorbimento atmosferico, l’applicazione dello stesso procedi-
mento in località diverse (e sopratutto a notevole dislivello, per
modo che l’influenza dell’assorbimento dell’atmosfera terrestre
sia, quanto si può, diversa) condurrà a valori diversi per il po-
tere radiante J alle varie distanze dal centro del disco solare. E
non ci sarà nemmeno bisogno per questo di applicare il proce-
dimento, in verità alquanto laborioso, consigliato dal Prof. Julius,
ma basterà confrontare i risultati delle singole serie d’ osserva-
zione con quelli della nostra tabella III, e discutere il compor-
tamento dei relativi valori 0 — C. Se poi, scoperte ed eliminate
4) Cfr. Memorie della Società degli Spettrosc. Ital. Voi. XXXV, pag. 35.
2) Il confronto di serie di osservazioni eseguite durante eclissi diverse è meno decisivo,
perchè le variazioni dipendenti dalle diverse condizioni atmosferiche possono combinarsi colle
altre provenienti dal vario grado di attività del Sole. Tuttavia noteremo a questo proposito
che le osservazioni eseguite in Catania nel 1900 ci hanno dato (v. pag. 37) una diminu-
zione della radiazione col progredire della fase assai più rilevante che le osservazioni ana-
loghe eseguite nel 1905 (v. pag. 33) ciò che starebbe in perfetto accordo colla ipotesi di
una variazione dell’ assorbimento atmosferico, poiché questa avrebbe dovuto appunto esser
maggiore nella eclisse del 1900 avvenuta (per Catania) in condizioni atmosferiche più sfa-
vorevoli e con Sole più basso sull’ orizzonte, di quanto si ebbe nella eclisse del 1905.
/Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 53
tutte le fonti di errori sistematici nei vari metodi , resteranno
delle differenze sensibili nei valori del potere radiante J(r) otte-
nuti in varie epoche, nulla impedirà di ritenere queste differenze
come reali ed inerenti alle condizioni dell’ atmosfera solare ; poi-
ché le osservazioni della corona dimostrano, come questa atmo-
sfera sia soggetta a variazioni ben rilevanti, che possono venir ac-
compagnate da variazioni analoghe nel relativo potere assorbente
e quindi anche nella legge di decrescimento del potere radiante
dei punti del disco solare dal centro verso la periferia.
Tavole numeriche per il calcolo dei valori della radiazione relativa
corrispondenti alle varie fasi di un’ eclisse.
Tavola I»
Valori del potere radiante J(r) dei punti del disco solare a varie distanze r dal centro, se-
condo la forinola (2) e coi valori
log \ — 0, 62452 log a — 9, 31933 per le costanti.
r j
d.
V
log J(r)
d.
r
log J(r)
d.
V
log J(r)
d.
0, Ou
' 0,01
| 0, 02
0, 03
0, 0000
0. 0000
0, 0000
9, 9999
0
0
1
0
0, 25
0, 26
0, 27
0, 28
9, 9946
9, 9941
9, 9936
9, 9931
5
5
5
0, 50
0, 51
0, 52
0, 53
9, 9750
9, 9738
9, 9725
9, 9712
12
13
13
14
0, 75
0, 76
0, 77
0, 78
9, 9250
9, 9216
9, 9181
9, 9144
34
35
37
1 0,04
9, 9999
0, 29
9, 9926
5
0, 54
9, 9698
0, 79
9, 9105
oJ
1
6
14
42
0, 05
9, 9998
0, 30
9,9920
0, 55
9, 9684
14
15
16
16
0, 80
9, 9063
44
46
50
54
0, 06
0,07
9, 9997
9,9996
1
0, 31
0, 32
9, 9914
9, 9908
D
6
6
0, 56
0, 57
9. 9670
9, 9655
0, 81
0, 82
9, 9019
9, 8973
0, 08
9, 9995
0, 33
9, 9902
0, 58
9, 9639
0, 83
9, 8923
0, 09
9, 9994
0, 34
9, 9895
1
0, 59
9, 9623
0, 84
9, 8869
2
7
17
57
0, 10
9, 9992
0, 35
9, 9888
0, 60
9, 9606
17
18
19
20
0, 85
9, 8812
60
65
71
77
0, 11
9, 9990
9
0, 36
9,9881
0, 61
9, 9589
0,86
9, 8752
0, 12
9, 9988
9
0, 37
9, 9874
0, 62
9, 9571
0, 87
9, 8687
0. 13
0, 14
9, 9986
9.9983
3
0, 38
0, 39
9, 9866
9, 9858
0
8
0, 63
0, 64
9, 9552
9, 9532
0, 88
0,89
9, 8616
9, 8539
2
8
21
84
0, 15
9, 9981
3
q
0,40
9,9850
0, 65
9. 951 1
21
22
23
24
0, 90
9, 8455
93
104
116
130
0, 16
9, 9978
0, 41
9, 9842
O
0,66
9, 9490
0, 91
9, 8362
0, 17
9, 9975
0, 42
9, 9833
y
9
10
0, 67
9, 9468
0, 92
9, 8258
0, 18
9, 9972
q
0, 43
9, 9824
0, 68
9, 9445
0, 93
9, 8142
0, 19
9, 9969
0, 44
9, 9814
0, 69
9,9421
0, 94
9, 8012
4
10
26
149
0, 20
0, 21
9, 9965
9, 9962
3
0, 45
0, 46
9, 9804
9, 9794
10
10
11
11
0, 70
0, 71
9, 9395
9, 9369
26
28
29
30
0, 95
0,96
9, 7863
9, 7686
177
214
276
393
0,22
0,23
9, 9958
9, 9954
4
0, 47
0, 48
9, 9784
9, 9773
0, 72
0, 73
9, 9341
9, 9312
0, 97
0, 98
9, 7472
9, 7196
0, 24
9, 9950
0, 49
9, 9762
0, 74
9, 9282
0, 99
9, 6803
4
12
32
1121
0,25
9, 9946
0, 50
9, 9750
0, 75
9, 9250
1, 00
9, 5682
4
A. Bemporad
Memoria XIV.]
il.
r
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
0, 00
0,4
1444
1444
1444
1444
1444
1443
1443
1442
1442
1441
0, 01
1440
1439
1438
1437
1435
1434
1432
1431
1429
1427
0, 02
1425
1423
1421
1419
1416
1414
1411
1409
1406
1403
0, 03
1400
1397
1394
1390
1387
1383
1379
1376
1372
1 368
i 0, 01
1364
1360
1356
1352
1348
1343
1338
1334
1329
1324
0, 05
0, 4
1319
1314
1309
1304
1299
1293
1287
1282
1276
1270
0, 06
1264
1258
1252
1246
1240
1233
1226
1220
1213
1206
0, 07
1199
1192
1185
1178
1171
1163
1 155
1148
1140
1132
0, 08
1124
1116
1108
1100
1092
1083
1075
1066
1057
1048
1 0, 00
1039
1030
1021
1012
1003
0993
0983
0974
0964
0954
0, 10
0, 4
0944
0934
0924
0914
0903
0893
0882
0872
0861
0860
0, 11
0839
0828
0817
0806
0794
0783
0771
0760
0748
0737
0, 12
0725
0713
0701
0698
0676
0664
0651
0639
0626
0614
0, 13
060!
0688
0675
0662
0648
0535
0521
0508
0494
0680
0, 14
0466
0452
0438
0424
0410
0395
0381
0367
0352
0337
0, lo
0. 4
0322
0307
0292
0277
0261
0246
0230
0215
0199
0183
0, 16
0167
0151
0135
0119
0102
0086
0069
0053
0036
0020
0, 17
0003
*9986
*9969
*9952
*9934
*9917
*9899
*9882
*9864
*9847
0, 18
0, 3
9829
9811
9793
9775
9756
9738
9719
9701
9682
9664
0, 19
9645
9626
9607
9588
9569
9550
9531
9511
9492
9472
0, 20
0, 3
9452
9432
9412
9392
9372
9352
9332
9311
9291
9270
0,21
9249
9228
9207
9186
9165
9144
9123
9101
9080
9058
0, 22
9036
9014
8992
8970
8948
8926
8903
8881
8858
8836
0, 23
88 1 3
8790
8767
8744
8721
8698
8675
8652
8628
8605
0, 24
8581
8557
8533
8509
8485
8461
8437
8413
8388
8364
0, 25
0, 3
8339
8319
8290
8265
8240
8215
8190
8165
8139
8114
0, 26
8088
8062
8037
8011
7985
7959
7933
7907
7881
7854
0, 27
7827
7800
7774
7747
7720
7693
7666
7 639
7611
7584
0, 28
7556
7528
7501
7473
7445
7417
7389
7361
7333
7305
0, 29
7276
7247
7219
7190
7161
7132
7103
7074
7045
7016
0, 30 ‘
0, 3
6986
6956
6927
6897
6888
6838
6808
6778
6748
6717
0, 31
6687
6636
6605
6575
6544
6534
6503
6472
6441
6410
0, 32
6378
6346
6315
6283
6252
6220
6188
6156
6124
6092
0, 33
6060
6027
5995
5962
5930
5897
5884
5831
5798
5765
0, 34
5732
5699
5666
5632
5599
5565
5531
5498
5464
5430
0, 35
0,3
5396
5362
5327
5293
5258
5224
5189
5155
5120
5085
0,36
5050
5015
4980
4945
4909
4874
4838
4803
4767
4731
0, o7
4695
4659
4623
4587
4550
4514
4477
4441
4404
4368
0, 38
4331
4294
4257
4220
4183
4146
4109
4072
4034
3996
0, 39
3958
3920
3882
3844
3806
3768
3730
3692
3654
3615
0, 40
0, 3
3576
3537
3499
3460
3421
3382
3343
3304
3265
3225
0, 41
3185
3145
3106
3066
3026
2986
2946
2906
2866
2826
0, 42
2785
2744
2704
2663
2623
2582
2541
2500
2459
2418
0, 43
2376
2335
2294
2252
2211
2169
2127
2085
2043
2001
0, 44
1959
1917
1874
1832
1789
1747
1704
1662
1619
1576
0, 45
0, 3
1533
1490
1447
1404
1360
1317
1273
1230
1186
1142
0,46
1098
1054
1010
0965
0921
*0877
*0833
*0788
*0744
*0700
0, 47
0655
0610
0566
0521
0476
0431
0386
0340
0295
0250
0,48
0201
0158
0113
0067
0021
9975
9929
9883
9837
9791
0, 49
0,2
9745
9699
9653
9606
9559
9512
9465
9418
9371
9324
0, 50
0,2
9277'
9230
9183
9136
9088
9040
8992
8945
8897
8849
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un'eclisse 55
Valori di J Jr dr
r
V
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
0, 50
0, 2
9277
9230
9183
9136
9088
9040
8992
8945
8897
8849
0, 51
8801
8753
8705
8657
8608
8560
8612
8464
8415
8366
0, 52
8317
8268
8219
8jl70
8121
8072
8023
7974
7925
7875
0, 53
7825
7775
7726
7676
7626
7576
7526
7476
• 7426
7376
0, 54
7325
7275
7225
7174
7123
7072
7021
6970
6919
,6868
0. 55
0,2
6817
6766
6715
6664
661 3
6561
6509
6458
6406
6354
0, 56
6302
6250
6198
6146
6093
6041
5989
5937
5885
5832
0, 57
5779
5726
5674
5621
5568
5515
5462
5409
5356
5303
0, 58
5249
5196
5143
5089
5035
4981
4927
4873
4819
4765
0, 59
4711
4657
4603
4549
4495
4440
4386
4332
4277
4222-
0, 60
0,2
4167
4112
4057
4002
3947
3892
3837
3782
3727
3671
0,61
3615
3560
3504
3449
3393
3337
3281
3225
3169
3113
0, 62
3057
3001
3045
2889
2832
2775
2718
2662
2605
2549
0, 63
2492
2435
2378
2321
2264
2207
2150
2093
2036
1978
0, 64
1921
1864
1806
1749
1691
1633
1575
1517
1459
1401
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0, 2
1343
1285
1227
1169
1110
1 052
0994
0935
0877
0818
0, 66
0759
0700
0642
0583
0524
0465
0406
0347
0288
0228
0,67
0169
0110
0050
*9991
*9931
*9872
*9812
*9753
*9693
*9634
0, 68
0, 1
9574
9514
9454
9394
9334
9274
9214
9154
9094
9033
0, 69
8973
8913
8953
8792
8732
8671
8610
8550
8489
8428
0, 70
0,1
8367
8306
8245
8184
8123
8062
8001
7910
7878
7817
0, 71
7755
7693
7632
7570
7509
7447
7385
7324
7262
7201
0,72
7139
7077
7015
6953
6891
6829
6767
6705
6643
6580
0, 73
6518
6156
6393
6331
6269
6209
6143
6081
6018
5955
0, 74
5893
5830
5768
5705
5642
5579
5516
5453
'5390
5327
0, 75
0,1
5264
5201
51 38
5075
5011
4948
4885
4821
4758
4695
0, 76
4631
4568
4504
4441
4377
4313
4249
4186
4122
4059
0, 77
3995
3931
3868
3804
3740
3676
3612
3548
3484
3420
0, 78
3356
3292
3228
3163
3099
3035
2971
2907
2842
2778
0, 79
2714
2650
2585
2521
2456
2392
2328
2263
2189
2134
0, 80
0,1
2070
2006
1941
1877
1812
1747
1682
1618
1 553
1489
0,81
1424
1359
1295
1230
1166
1101
1036
0972
0907
0842
0,82
0777
0712
0648
0583
0519
0454
0389
0325
0260
0195
0, 83
0130
0065
0001
*9936
*9871
*9806
*9741
*9677
*9612
*9547
0, 84
0, 0
9482
9417
9353
9288
9223
9158
9093
9029
8964
8899
0, 85
0, 0
8834
8769
8705
8640
8576
8511
8446
8382
8317
8253
0,86
8188
8124
8059
7995
7930
7866
7802
7737
7673
7608
0, 87
7544
7480
7415
7351
7287
7223
7159
7095
7031
7967
0,88
6903
6839
6775
6712
6648
6584
6520
6456
6393
6329
0. 89
6265
6201
6138
6074
6011
5948
5885
5821
5758
5695
0,90
0,0
5632
5569
55C6
5444
5381
5318
5255
5193
5130
5068
0, 91
5005
4943
4880
4818
4756
4694
4632
4570
4508
4447
0, 92
4385
4323
4262
4200
4139
4078
4017
3956
3895
3834
0, 93
3774
3714
3653
3593
3533
3473
3413
3353
3293
3233
0, 94
3174
3115
3056
2997
2938
2879
2820
2762
2703
2645
0, 95
0,0
2587
2529
2471
2413
2355
2298
2241
2184
2127
2070
0, 96
2014
1958
1902
1846
1790
1735
1680
1625
1570
1515
0, 97
1461
1407
1353
1299
1246
1193
1140
1087
1035
0983
0,98
0932
0881
0830
0780
0730
0680
0631
0582
0533
0485
0, 99
0437
0390
0344
0298
0253
0209
0165
0121
0078
0038
1,00
0,0
00000
56
A. Bemporad
[Memoria XIV.]
Tavola 111.
La tavola fornisce cogli argomenti l (rapporto del diametro apparente della © rispetto
a quello del ©) e b (rapporto della porzione scoperta del diametro trasversale al semidia-
metro solare) il valore della radiazione relativa.
1 /
/ b
0,9
1,0
1, 1
l /
/ 1
0,90
0,92
0, 94
2, 00
1, 000
1,000
1, 000
0,96
0, 592
0, 589
0, 586
1,92
0, 994
0, 994
0, 993
0, 88
0, 544
0, 540
0, 537
1, 84
0,981
0, 981
0,980
0, 80
0, 495
0, 491
0, 488
1, 76
0, 962
0,962
0, 961
0, 72
0, 446
0, 441
0, 438
1, 68
0, 937
0,937
0, 936
0, 64
0, 396
0, 391
0,387
1, 60
0, 914
0, 909
0, 907
0, 56
0, 346
0, 440
0, 336
1,52
0, 881
0,877
0, 874
0, 48
0, 296
0, 29Ò
0, 285
1, 44
0,847
0, 842
0, 838
0, 40
0, 248
0, 241
0, 235
1, 36
0, 810
0,804
0, 799
0, 32
0, 202
0, 193
0, 186
1, 28
0, 770
0, 763
0, 757
0, 24
0, 164
0, 149
0, 140
1, 20
0,728
0, 720
0,713
0, 16
0, 139
0, 112
0, 097
1,12
0, 684
0, 675
0, 667
0,08
0, 136
0,106
0,077
1,04
0, 639
0, 628
0, 618
0, 00
0, 114
0,112
0, 081
l /
/ h
0,96
0, 98
1,00
1, 02
1, 04
1, 06
1,08
1, io
0,96
0, 584
0, 581
0, 579
0, 577
0, 575
0, 572
0, 570
0, 568
0, 88
0. 534
0, 531
0, 529
0, 527
0, 525
0, 522
0, 520
0, 517
0, 80
0, 484
0, 481
0, 478
0, 476
0,473
0, 470
0, 468
0,466
0,72
0,433
0,430
0, 427
0, 424
0, 421
0, 418
0, 416
0, 413
0,54
0, 382
0,379
0, 375
0, 372
0, 368
0, 365
0, 363
0, 360
0, 56
0, 331
0, 327
0, 323
0, 320
0, 316
0, 312
0, 310
0, 307
0, 48
0, 280
0, 275
0,271
0,267
0, 264
0, 260
0, 257
0, 255
0, 40
0,229
0, 224
0, 220
0, 216
0, 213
0, 209
0,206
0,203
0, 32
0, 180
0, 175
0, 170
0, 165
0, 162
0, 158
0, 155
0, 152
0, 24
0, 133
0, 127
0, 121
0, 117
0, 113
0, 110
0, 107
0, 104
0, 16
0, 087
0, 080
0, 075
0, 071
0,068
0, 065
0, 062
0. 060
0,08
0, 051
0, 039
0,033
0, 030
0,028
0, 027
0,026
0, 025
0, 00
0,051
0,023
0,000
0,000
0,000
0, 000
0, 000
0, 000
Sul modo di variare delia radiazione solare durante le fasi di un’eclisse
Tavola IV. Valori della funzione r0 (0) — — a cos 0 + [ Z2 — a2 sin2 0 (forinola 12) per
valori diversi dei parametri Z — — — e b — a -f- 1 l — 2 (1 — Grand. Fase), a essendo la di-
re
stanza apparente dei centri del 0 e della in semidiametri solari.
\ l
b
o,
90
0,
92
0, 94
0,
96
o.
98
0
»o (<>)
0
ro (6)
0
»'o (0)
0
io (0)
0
»'o (0)
122°, 72
1, 0000
121°, 82
1, 0000
120°, 98
1, 0000
120°, 17
1, 0000
119°, 41
1, 0000
1
116, 58
0, 8522
115, 73
0, 8490
114, 93
0, 8457
114, 17
0, 8425
113, 44
0, 8393
110, 45
0, 7012
109, 64
0, 6951
108,88
0, 6892
108, 16
0, 6834
107, 47
0, 6776
104, 31
0, 5525
103, 55
0, 5446
102, 83
0, 5368
102, 15
0, 5293
101, 50
0, 5219
98, 17
0, 4143
97, 46
0, 4059
96, 78
0, 3976
96, 14
0, 3897
95, 53
0, 3821
92, 04
0, 2976
91, 37
0, 2902
90, 73
0, 2831
90, 13
0, 2763
89, 56
0, 2699
85, 90
0, 2109
85, 28
0, 2055
84, 68
0, 2004
84, 12
0, 1957
83, 59
0, 1914
0, 96
79, 77
0, 1533
79, 18
0, 1500
78, 63
0, 1468
78, 11
0, 1438
77,62
0, 1411
73, 63
0. 1170
73, 09
0, 1149
72, 59
0, 1130
72, 10
0. 1111
71, 64
0, 1095
61, 36
0, 0780
60, 91
0, 0772
60, 49
0, 0764
60, 09
0, 0757
59, 70
0, 0751
4 9, 09
0, 0594
48, 73
0, 0591
48,39
0, 0587
48, 07
0, 0584
47, 76
0, 0581
36, 82
0, 0494
36, 55
0,0492
36,29
0, 0491
36. 05
0, 0489
35, 82
0, 0488
i
24,54
0, 0438
24, 37
0, 0437
24,20
0, 0437
24. 04
0. 0436
23, 88
0, 0436
l 12,27
0, 0409
12, 18
0, 0409
12, 10
0, 0409
12, 02
0, 0409
11, 94
0, 0409
1 0,00
0, 0400
0, 00
0, 0400
0. 00
0, 0400
0, 00
0, 0400
0, 00
0, 0400
1 119, 06
1, 0000
117,82
1, 0000
116, 67
1, 0000
115, 57
1, 0000
114, 54
1, 0000
113, 11
0, 9036
111, 93
0, 9015
110, 83
0, 8996
109, 79
0, 8979
108, 82
0, 8960
107. 15
0, 8087
106, 04
0, 8051
104, 99
0, 8019
104, 01
0, 7987
103, 09
0, 7957
101, 20
0, 7178
100, 15
0, 7134
99, 16
0, 7093
98, 23
0, 7054
97, 36
0, 7016
95, 25
0, 6333
94, 26
0, 6286
93, 33
0, 6242
92, 45
0, 6200
91, 64
0, 6160
89, 30
0, 5571
88, 36
0,5525
87. 49
0, 5482
86, 68
0, 5441
85, 91
0, 5403
83,34
0, 4903
82, 47
0, 4861
81, 66
0, 4822
80, 90
0, 4785
80, 18
0, 4751
, U, oU
71,44
0, 3851
70. 69
0, 3822
69,99
0, 3794
69, 34
0, 3768
68, 73
0, 3744
59,53
0, 3128
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0, 00
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0, 00
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0, 00
0, 5200
Atti acc. Skiuk 4% Vol. XIX — Meni. XIV.
8
58
A. Bemporad
[Memoria XIV.]
Segue ( Tavola IV).
\ l
b \
1,
00
1,
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oc
c
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j
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40, 18
0, 5872
39, 58
0, 5864
48, 78
0, 6413
38, 50
0, 5851
J 31, 17
0, 5579
30, 63
0, 5574
30, 14
0, 5570
29, 69
0, 5566
40, 65
0, 6022
28, 87
0, 5559
f 20,78
0, 5366
20, 42
0, 5364
20, 09
0, 5362
19, 79
0, 5360
32, 52
0, 5715
19, 25
0, 5357
10,39
0, 5242
10,21
0, 5241
10, 05
0, 5240
9, 90
0, 5240
24, 39
0, 5484
9, 63
0, 5239
0, 00
0, 5200
0,00
0, 5200
0,00
0, 5200
0, 00
0, 5200
16, 26
0, 5325
0, 00
0, 5200
8, 13
0, 5231
\
0, 00
0, 5200
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 59
Segue {Tavola IV).
\ l
b \
o,
90
o,
92
o,
94
0,
96
o,
98
0
},o (0)
0
ro(6)
0
ro (0)
0
r0 (0)
0
»'o (0)
122°, 81
1, 0000
116°, 10
1, 0000
110°, 72
1, 0000
106°, 26
1, 0000
102o,48
1, 0000
110, 53
0, 9532
104, 49
0, 9502
99, 65
0, 9480
95, 63
0, 9462
92, 23
0, 9447 1
98, 25
0. 9048
92, 88
0, 9003
88, 58
0, 8969
85, 01
0, 8942
81,98
0, 8921
85, 97
0, 8574
81, 27
0, 8525
77, 51
0, 8488
74, 38
0, 8460
71, 73
0, 8436
| 73,69
0, 8131
69, 66
0, 8087
66, 43
0, 8053
63, 76
0, 8027
61, 49
0, 8007
0, 32
' 61. 40
0, 7737
58, 05
0, 7702
55, 36
0, 7676
53, 13
0, 7655
51, 24
0, 7638
i 49,12
0, 7405
46, 44
0, 7380
44, 29
0, 7362
42, 50
0, 7348
40, 99
0, 7336
1 36,84
0,7142
34,83
0,7127
33,22
0,7116
31, 88
0, 7108
30, 74
0, 7101
24, 56
0. 6953
23,22
0, 6946
22, 14
0, 6941
21, 25
0, 6937
20, 50
0, 6934
12, 28
0, 6839
11 61
0, 6837
11,07
0, 6835
10, 63
0, 6834
10, 25
0, 6834
0, 00
0, 6800
0,00
0, 6800
0, 00
0, 6800
0, 00
0, 6800
0, 00
0, 6800
180, 00
0, 9600
180, 00
1,0000
129, 20
1, 0000
112, 75
1, 0000
102, 21
1, 0000
165, 00
0, 9578
165, 00
0.9971
119, 26
0,9848
101, 47
0,9766
91,99
0, 9748
150, 00
0, 9515
150, 00
0, 9884
109,32
0,9684
90, 20
0, 9521
81,77
0,9501
135, 00
0,9414
135, 00
0, 9748
99,38
0, 9511
78,92
0, 9296
71, 54
0, 9267
, 120, 00
0, 9285
120, 00
0, 9574
89, 45
0, 9337
67, 65
56, 37
0, 9079
61,32
0, 9051
0, 16
1 105, 00
0. 9137
105, 00
0, 9375
79,51
0, 9166
0, 8884
51, 10
0, 8860
90,00
0, 8980
90, 00
0, 9165
69, 57
0,9004
45, 10
0, 8715
40, 88
0, 8699
| 75,00
0, 8826
75, 00
0, 8960
59, 63
0, 8855
33,82
0, 8580
30, 66
0, 8570
60,00
0, 8685
60, 00
0,8774
49, 69
0, 8722
22, 55
0, 8481
20, 44
0, 8476
45, 00
0, 8566
45, 00
0, 8617
39,75
0, 8609
11,27
0, 8420
10, 22
0, 8419
30, 00
15, 00
0, 00
0, 8475
0, 8419
0, 8400
30, 00
15,00
0, 00
0, 8499
0, 8425
0, 8400
29, 82
19, 88
9, 94
0, 00
0, 8519
0, 8454
0, 8413
0,8400
0, 00
0, 8400
0, 00
0, 8400
00
1,
02
1, 04
1,
06
1,
08
1,
1,0000
96, 35
1, 0000
93, 82
1, 0000
91, 57
1, 0000
89, 53
1, 0000
87, 71
0, 9434
86, 71
0,9424
84, 44
0, 9415
82,41
0, 9407
80, 58
0, 9397
77,96
0, 8902
77, 08
0, 8887
75,06
0, 8873
73, 25
0, 8861
71, 63
0, 8850
68,22
0, 8417
67, 44
0, 8400
65, 68
0, 8386
64, 10
0, 8374
62, 67
0, 8362
58, 47
0, 7989
57, 81
0, 7974
56, 29
0, 7962
54, 94
0, 7951
53, 72
0, 7941
48, 73
0, 7624
48, 17
0, 7613
46, 91
0, 7603
45, 78
0, 7594
44, 77
0, 7586
38, 98
0, 7326
38, 54
0, 7317
37, 53
0, 7311
36, 63
0, 7305
35, 81
0, 7300
29, 24
0, 7095
28,90
0, 7090
28, 15
0, 7086
27, 47
0,7083
26, 86
0, 7079
19, 49
0, 6931
19, 27
0, 6929
18, 76
0, 6927
18, 31
0, 6925
17, 91
0, 6924
9, 75
0, 6833
9, 63
0, 6832
9, 38
0, 6832
9, 16
0, 6831
8, 95
0, 6831
0, 00
0, 6800
0, 00
0, 6800
0,00
0, 6800
0, 00
0, 6800
0, 00
0, 6800
1,0000
88, 73
1, 0000
84, 03
1, 0000
80, 16
1,0000
76, 90
1, 0000
74, 11
0, 9736
79, 85
0, 9728
75, 63
0, 9721
72, 14
0, 9716
69, 21
0, 9713
64, 84
0, 9483
70, 98
0, 9470
67, 22
0, 9461
64, 13
0, 9454
61, 52
0, 9447
55, 58
0,9247
62, 11
0, 9233
58, 82
0,9223
56, 11
0, 9215
53, 83
0, 9208
46,32
0, 9033
53, 24
0, 9020
50, 42
0, 9011
48, 10
0, 9004
46, 14
0, 8998
37, 05
0, 8846
44, 36
0, 8835
42, 02
0, 8827
40. 08
0, 8822
38, 45
0, 8818
27, 79
0, 8688
35, 49
0, 8681
33,61
0, 8675
32, 06
0, 8671
30, 76
0, 8667
18, 53
0, 8563
26, 62
0, 8559
25. 21
0, 8555
24, 05
0, 8553
23,07
0, 8551
9, 26
0, 8473
17, 75
0, 8471
16, 81
0, 8470
16, 03
0, 8468
15, 38
0, 8467
0, 00
0, 8418
8, 87
0, 8418
8, 40
0, 8417
8, 02
0, 8417
7, 69
0, 8417
0, 8400
0,00
0, 8400
0, 00
0, 8400
0, 00
0, 8400
0, 00
0, 8400
0, 32
0, 16
99.21
89, 29
79, 37
69, 44
59 52
49, 60
39, 68
29, 76
19.84
9,92
0, 00
94, 59
85, 13
75, 67
66.21
56, 75
47, 29
37.84
28, 37
18, 92
9, 46
0, 00
1, 0000
0, 9328
0. 8727
0, 8205
0, 7767
0, 7413
0, 7142
0, 6951
0, 6837
0. 6800
1, 0000
0, 9640
0, 9319
0. 9042
0, 8813
0, 8633
0, 8504
0, 8426
0, 8400
60
A. Bemporad
[Memoria X1Y.J
Tavola V.
Valori della funzione — 0 (r) = are tag j 1 ) (l + r "_) valori diversi di ì o
2 ' l (a+r + iXa + r — i)
6=za+l — l (0 espresso in primi).
\ 1
b \
0, 9
1,0
1, 1
r
logi- 0 (»•)
Diff.
log^- 0 (r)
Diff.
log L 0 (r)
Diff.
0,04
X
+
X
X
+
X
X
+
X
0, 08
3, 2395
4-
640
3,2411
+
646
3, 2424
651
0, 12
3, 3035
+
233
3, 3057
+
240
3, 3075
245
0, 16
3, 3268
101
3, 3297
4
108
3.3320
-f
113
0, 20
3, 3369
-j-
41
3, 3405
+
47
3, 3433
4-
54
0,24
3, 3410
-p
7
3, 3452
+
15
3, 3487
+
20
0, 28
■ 3, 3417
—
13
3, 3467
—
6
3, 3507
0
0, 32
3, 3404
—
28
3, 3461
—
20
3, 3507
14
0, 36
3, 3376
—
37
3, 3441
—
29
3, 3493
93
0, 40
3,3339
—
46
3,3412
—
37
3, 3470
30
0, 44
3, 3293
—
51
3, 3375
—
43
3, 3440
36
0, 48
3, 3242
...
37
3, 3332
—
48
3 3404
40
1, 04
0, 52
3, 3185
—
62
3, 3284
—
51
3, 3364
44
\ 0, 56
3, 3123
--
66
3, 3233
—
56
3, 3320
48
0,60
3; 3057
_
69
3, 3177
—
59
3, 3272
50
0, 64
3, 2988
—
74
3,3118 '
—
61
3, 3222
53
0, 68
3,2914
—
77
3, 3057
—
65
3,3169
56
0, 72
3, 2837
—
80
3, 2992
—
68
3, 3113
58
0, 76
3, 2757
—
85
3, 2924
—
71
3, 3055
61
0, 80
3, 2672
—
89
3, 2853
-
74
3, 2994
63
0, 84
3, 2583
—
92
3, 2779
—
76
3| 2931
65
0, 88
3, 2491
—
96
3 2703
—
79
3, 2866
67
0,92
3, 2395
—
101
3, 2624
—
83
3, 2799
70
0,96
3, 2294
—
105
3, 2541
—
86
3, 2729
73
1,00
3,2189
3, 2455
3, 2656
0, 20
■— X
+
X
- X
+'
X
X
+
X
0, 24
2, 9532
-1-1155
2, 9578
-1-1161
2, 9616
-1-1166
0,28
3, 0687
+
565
3, 0739
571
3, 0782
-1-
•376
0,32
3, 1252
+
335
3, 1310
+ 342
3, 1358
4- 347
0, 36
3, 1587
+
215
3, 1652
+
222
3, 1705
+
228
0, 40
3, 1802
4-
144
3, 1874
+
151
3, 1933
156
1 °, 44
3, 1946
4-
96
3, 2025
-4-
103
3, 2089
+
110
0, 48
3, 2042
+
63
3, 2128
+
71
3,2199
+
76
0, 52
3, 2105
+
38
3, 2199
+
46
3, 2275
4-
53
0, 56
3, 2143
4-
20
3, 2245 .
28
3, 2328
34
1, 20
0, 60
3, 2163
+
4
3, 2273
+
12
3, 2362
4-
20
0, 64
3,2167
—
9
3,2285
+
1
3,2382
4-
8
J 0, 68
3, 2158
—
18
3, 2286
—
9
3, 2390
1
0, 72
3, 2140
3, 2113
—
27
3, 2277
—
17
3, 2389
10
1 0, 76
—
36
3, 2260
—
25
3, 2379
17
0, 80
3,2077
—
42
3, 2235
—
31
3, 2362
23
■
0,84
3, 2035
—
49
3,2204
—
37
3, 2339
28
0, 88
3, 1986
—
56
3, 2167
—
43
3, 2311
33
0, 92
3, 1930
—
61
3, 2124
—
47
3, 2278
38
0, 96
3, 1869
'
67
3, 2077
— L
52
3,2240
41
1,00
3, 1802
3, 2025
3, 2199
Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un'eclisse 61
Segue Tavola V.
\ 1
b \
0, 0
1, o
1, 1
r
log y 1 (»’)
> Diff.
log A fi (r)
Diff.
log \ 0 0')
Diff’.
0, 36
— CO
4" 00
— 00
+ QO
— co
-f- OO
0, 40
2, 8104
+1268
2, 8172
+1275
2, 8230
+1280
0, 44
2, 9372
+ 657
2, 9447
+ 663
2, 9510
+ 667
0, 48
3, 0029
+ 411
3, 0110
+ 418
3, 0177
+ 424
1 0, 52
3, 0440
+ 280
3, 0528
+ 287
3, 0601
+ 292
0, 56
3, 0720
+ 200
3, 0815
+ 206
3, 0893
+ 212
| 0, 60
3, 0920
-j- 145
3, 1021
+ 152
3, 1105
+ 157
0, 64
3, 1065
+ 106
3, 1173
+ 113
3, 1262
+ 119
1, 36
0, 68
3, 1171
-f- 75
3, 1286
+ 83
3, 1381
+ 90
0, 72
3, 1246
+ 53
3, 1369
+ 91
3, 1471
+ 67
0, 76
3, 1299
+ 34
3, 1430
+ 43
3, 1538
+ 50
0, 80
3, 1334
+ 19
3, 1473
+ 29
3, 1588
-)- 35
0, 84
3, 1353
+ 6
3, 1502
+ 15
3, 1623
+ 23
0, 88
3, 1359
— 4
3, 1517
+ 6
3, 1646
+ 13
0,92
3, 1355
— 15
3, 1523
— 4
3, 1659
+ 4
0,96
3, 1340
— 23
3, 1519
— 12
3, 1663
— 3
1, 00
3, 1317
3, 1507
3, 1660
0,52
— CO
~j — CO
CO
+ oo
OO
+ so
0, 56
2, 7104
+1320
2, 7191
+1325
2, 7264
+1329
0, 60
2, 8424
+ 700
2, 8516
+ 706
2, 8593
+ 712
0,64
2, 9124
+ 450
2, 9222
+ 456
2,9305
+ 461
0, 68
2, 9574
+ 314
2,9678
+ 322
2, 9766
+ 327
0, 72
2, 9888
+ 230
3, 0000
+ 236
3, 0093
+ 242
1, 52
0, 76
3, 0118
+ 173
3,0236
+ 180
3, 0335
+ 185
0, 80
3, 0291
+ 130
3, 0416
-4- 137
3, 0520
+ 143
0, 84
3, 0421
+ 99
3, 0553
+ 107
3, 0663
+ 113
0,88
3, 0520
+ 74
3, 0660
+ 82
3, 0776
+ 88
0, 92
3, 0594
+ 54
3, 0742
+ 62
3, 0864
+ 69
0, 96
3, 0648
+ 36
3, 0804
+ 46
3, 0933
+ 52
1,00
3, 0684
3, 0850
3, 0985
0, 68
00
+ so
OO
+ 00
OO
+ 00
0, 72
2, 6322
+1347
2, 6423
+1353
2, 6509
+1358
0, 76
2, 7669
+ 726
2, 7776
+ 732
2, 7867
+ 736
0, 80
2, 8395
+ 474
2, 8508
+ 480
2, 8603
+ 485
1, 68
0,84
2, 8869
+ 336
2, 8988
+ 342
2, 9088
+ 347
0,88
2, 9205
+ 250
2, 9330
+ 256
2, 9435
+ 262
0, 92
2, 9455
+ 190
2, 9586
+ 198
2, 9697
+ 203
0, 96
2,9645
+ 147
2, 9784
+ 154
2, 9900
+ 160
1, 00
2, 9792
2, 9938
3, 0060
0, 84
00
+ oo
OO
+ OO
OO
+ <»
1, 84
0, 88
2, 5674
+1366
2, 5786
+ 1372
2, 5883
+ 1376
0, 92
2, 7040
+ 743
2, 7158
+ 749
2, 7259
+ 754
0,96
2, 7783
+ 489
2, 7907
+ 495
2, 8013
+ 500
1,00
2, 8272
2, 8402
2, 8513
Memoria XV
Effetti magnetici del fulmine sulle lave dell’Etna
del Dott. GIOVANNI TR OVATO -C ASTORI N A
RELAZIONE
della Commissione di revisione composta dai soci effettivi
Proff. G. P. GRIMALDI e A. RICCO ( relatore )
Le indagini del D.r Trovato sono molto interessanti , in quanto che
fanno conoscere buon numero di tracce magnetiche a nastro doppio , la-
sciate dalle scariche fulminee sulle lave, (non semplici punti o poli magne-
tici isolati come si è trovato altrove) ; le quali tracce, come quelle trovate
dai Proff. Giovanni e Gaetano Platania sui fabbricati, possono servire a deter-
minare la direzione delle scariche elettriche atmosferiche.
Pertanto si ritieue la detta nota meritevole di esser pubblicata negli
Atti dell’Accademia; anche perchè mette in vista un fenomeno che finora
pare speciale delle roccie laviche dell’ Etna.
I.
1. Nei dintorni di Acireale e precisamente in contrada
Piano Pizzone avevo, nell’estate dell’ anno scorso, intrapreso uno
studio sui punti magnetici distinti nelle rocce dell’ Etna. In se-
guito al temporale che ebbe luogo il 18 Agosto dello stesso an-
no verso le ore 15 V2 , avendo dopo la pioggia ripreso le osser-
vazioni, da una guardia daziaria fui informato che un fulmine
era poco prima caduto a piccola distanza dui luogo ove io mi
trovavo.
Il muro fulminato trovasi nella proprietà del Sig. Oasimiro
Carpinati a circa 200 m. dal cancello di ferro che guarda a S-E,
posto al principio della via per la quale si può andare a S.a
Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Meni. XV. I
o
Trovato Castorina
[Memoria XV.]
MIMIItllllliffi
Maria di Loreto. Esso ha sensibilmente la direzione E-W , se-
para 1’ orto dal vigneto ed è a pochi passi dal punto ove co-
mincia il rampicante, che ne riveste la parte superiore.
Il tratto di muro colpito dal fulmine trovasi compreso fra
due muri paralleli AB e CD (tìg. 1) , alti poco più di un me-
tro e distanti circa ni. 25 tra loro, go Su
i quali sono quasi perpendicolari
al muro colpito e si arrestano a
circa 1 ni. da esso.
17el vigneto, alla distanza di
meno di 1 m. dal muro E-W, vi
sono due mandorli M ed M' di
6 in. circa d’altezza. Il primo M
dista circa m. 12 dall’ estremo
A del muro AB. Due gruppi dei
suoi rami , m , n , pendono sul
muro fulminato per una larghez-
za di m. 1 circa, presentando una
interruzione di più di tre metri in m ed n. A circa 8 m. da que-
sto mandorlo verso W, trovasi il secondo 31 del quale un grup-
po di rami pende sullo stesso muro. Alcune viti, poste nella
vigna a poca distanza dal muro, avevano i loro lunghi tralci av-
viticchiati ai rami del primo mandorlo pendenti sul muro. Esse
furono completamente disseccate; altre, poste a maggior distanza,
subirono di meno 1’ influenza del fulmine. Un uccellino fu ful-
minato, il rampicante in parte disseccato, le foglie delle piccole
querce crescenti sul muro scolorate.
2. Sul terreno, dalla parte dell’ orto, osserva valisi tre lunghi
solchi ('tìg. 1) s\ s", quasi normali al muro colpito , della
profondità di 3 cm. circa , sensibilmente rettilinei. Il primo ,
lungo in. 8, distava circa m. I dal muro AB \ a m. 4, 50 cir-
ca dal primo solco trpvavasi il secondo lungo in. 10 ; il terzo
lungo m. 7, distante circa ni. 8, 50 dal precedente , era al di
là del muro CD ed a 10 cm. da esso. Avvicinando una bussola
Affetti magnetici del fulmine sulle lave dell ’ Etna
ó
tascabile (1) al muro ili corrispondenza del 1° solco s' sotto il pri-
mo gruppo di rami procedendo da sinistra a destra, lio subito
verificato resistenza di una zona distinta a nastro , di polarità
Fig. 2.
Nord nn , (fig. 2) per tutta una striscia quasi verticale del muro
a sinistra del solco (per citi guarda il muro stando sul solco), ed
una seconda zona distinta, ma di polarità Sud s, per una secon-
da striscia, sensibilmente parallela alla prima, a destra del solco.
Queste due zone sono larghe 1 cm. e distanti cm. 25 circa l’una
dall’ altra (2).
A destra della zona s , lio osservato successivamente altre
due zone distinte a nastro ; la prima nn di polarità Nord, l’al-
tra ss di polarità Sud leggermente tortuose, ina aneli’ esse pres-
s’ a poco verticali e distanti tra loro da 15 a 20 cm. Queste
due zone però, mentre cominciano, come le due precedenti, dal
ciglio del muro, non arrivano fino al suolo fortemente magne-
tiche , ma cominciano ad indebolirsi ad 80 cm. dal medesimo.
Ivi trovasi una pietra, la quale presenta una piccola superfìcie
erosa, dovuta alla scarica elettrica, ed in corrispondenza ad essa
(1) Queste ricerche sono state eseguite con una bussola tascabile, l’ago della quale ha
3 cm. di lunghezza.
(2) I nostri muri di campagna , aventi circa 90 cm. di spessore, sono costruiti a secco
con pezzi di lava basaltica, ciascuno dei quali presenta all’esterno una faccia più o meno
piana con contorno poligonale. Le faccie dei muri, e specialmente quelle appartenenti a
muri non da recente costruiti , come nel caso attuale, non sono pertanto continue e quindi
i nastri distinti citati sono interrotti dagli spazi tra un pezzo di lava e l’altro.
4
Trovato Castorina
[Memoria XV.]
erano stati anche rotti dal fulmine i rami sovrapposti del ram-
picante.
In seguito i due nastri magnetici si abbassano tino al suolo,
però, ad eccezione di qualche punto, non presentano la caratte-
ristica di distinti.
Un po’ a destra dell’ estremo superiore del nastro ss, se ne
osservano due altri, distanti cin. 10, paralleli tra loro, però è a
sinistra il nastro distinto di polarità /Sud s', lungo circa 15 cm.
a destra quello di polarità Nord n', un po’ più lungo del prece-
dente (1).
3. Al secondo solco s ", sotto il secondo gruppo di rami, non
corrisponde, come per gli altri, una traccia magnetica per tutta
la lunghezza del muro sulla faccia rivolta a settentrione. In corri-
spondenza a questo solco si osservano due zone, a nastro, distinte,
di 1 cm. di larghezza e parallele tra loro (fìg. 2), le quali co-
minciano a 60 cm. dal suolo e, come nell’ultimo caso considerato
è a destra la zona distinta di polarità Nord un, fortemente ma-
gnetica , che raggiunge il suolo ed a sinistra quella di polarità
/Sud s, la quale comincia quasi dall’altezza della precedente, dista
cm. 20 e scompare dopo circa 25 cm. di lunghezza. Segue quindi
che , tanto in questo , quanto nell ’ ultimo dei casi precedenti, la
scarica elettrica sarebbe avvenuta tra elettricità, positiva della nube
e negativa del suolo.
4. La traccia magnetica su questa faccia corrispondente al
terzo solco s ha forma un po’ arcuata, il punto più alto della
quale si trova immediatamente sotto i rami del secondo man-
dorlo M' pendenti sul muro. I rami del rampicante, che ne ri-
vestono la parte superiore , furono in parte rotti e spezzati.
La traccia magnetica comincia a partire dal suolo , ove si tro-
vano molte pietre accumulate. È lunga circa m. 2,70 ed è co-
stituita da due zone distinte a nastro nn, ss, (fìg. 2, a destra) e
(1) Per mettere in evidenza la disposizione delle zone magnetiche nei muri fulminati
di cui si parla, colla scorta della bussola ne ho segnato convenientemente la traccia sul
posto prima di fotografarli.
-Effetti magnetici (tei fulmine sulle lare delV Etna
5
di polarità Nord a sinistra, Sud a destra, in generale di 1 cm.
di larghezza e distanti da 8 a 15 cui. tra loro.
5. Nessun effetto meccanico osservatasi sul terreno dalla parte
della vigna, quantunque le tracce magnetiche sulla faccia del
muro ad essa rivolta si presentino abbastanza estese. Sul muro,
sul quale pendono i rami del mandorlo M, (fig. 3) appartenenti
Fig. s.
al primo gruppo, vi sono delle pietre con punti distinti. Essi
fanno seguito ai nastri magnetici suddetti della faccia rivolta a
N, corrispondenti al primo solco s (n. 2j. Ad esso corrisponde,
sulla faccia che guarda a /S, un’altra traccia magnetica, la quale
comincia (fig. 3) dall’orlo del muro, alto m. 1,30 e finisce al
suolo. Non è verticale, ma sensibilmente inclinata, in corri-
spondenza ai tralci di una vite, i quali, appoggiandosi soltanto
sulF orlo del muro, si tenevano da esso lontani persino a 40 cm.
di distanza, quasi parallelamente alla traccia magnetica. Essa a
sinistra (per chi guarda il muro da ffj è costituita da un nastro
distinto di polarità Nord mi, leggermente tortuoso e lungo in. 1,60.
Verso destra, ed a 7 cm. di distanza, trovasi il rispettivo nastro
di polarità Sud ad esso parallelo e lungo cm. 15 , il quale
comincia verso il basso e raggiunge il suolo.
Più in là 13 cm. da questo nastro, se ne trova un altro di-
stinto di polarità Nord, il quale è lungo cm. 20 e quasi ad esso
parallelo. Segue quindi, sempre verso destra a 10 cm. di di-
stanza dal precedente, un secondo nastro distinto di polarità
6
Trovato Castorina
[Memoria XV. J
Sud s's'. Esso dista circa 30 cui. dal nastro distinto nn , co-
mincia aneli’ esso dall’ orlo del muro, si mantiene ad esso pa-
rallelo e raggiunge il suolo.
Presso 1’ estremo superiore del nastro nn, si notano, a si-
nistra, due punti distinti a 40 cm. circa tra loro, ed è a sinistra
il punto distinto di polarità Nord ed a destra quello di polarità
Sud in una piccola superfìcie erosa.
6. Su questa stessa faccia, a pochi metri verso sinistra
dalla precedente traccia magnetica, se ne osserva un’ altra sotto
il secondo gruppo di rami del mandorlo M in corrispondenza
al secondo solco s". Due viti collocate a 20 cm. di distanza da
questa faccia ed a circa m. 2,50 tra loro avevano i loro lunghi
tralci disposti a forma di arco.
La traccia magnetica ha forma analoga (fig. 3), quantunque
i tralci delle due viti, come nel caso precedente, fossero lon-
tani del muro persino ad una distanza di 30 cm. Essi poggiavano
soltanto sull’ orlo del muro, corrispondente alla parte più alta
della traccia magnetica, che dista m. 1,40 dal suolo ed erano
avviticchiati al 2° gruppo di rami del mandorlo M pendenti sul
muro.
La traccia magnetica in discorso è costituita da due nastri
distinti di un cm. di larghezza, lunghi circa m. 1,95, distanti da
10 a 15 cm. e sensibilmente paralleli tra loro : a sinistra v’è il
nastro distinto di polarità Nord nn, a destra quello di polarità
Sud ss.
A poca distanza verso sinistra dai precedenti nastri, e pa-
rallelamente alla loro parte più bassa, ve ne sono altri due, ana-
loghi ad essi e lunghi 15 cm. circa, e come precedentemente, si
ha : nastro Nord a sinistra, nastro Sud a destra.
Sia a sinistra di quest’ arco magnetico, che sull’ estremo del
muro, sotto i rami del mandorlo, si osservano punti distinti di
polarità diversa.
La traccia magnetica che costituisce la parte destra dell’arco
è invece abbastanza debole non solo, ma le due polarità opposte
Effetti magnetici del fulmine sulle lave dell ’ Etna
7
sono soltanto sensibili verso la parte più bassa e si ha : a sinistra
la zona magnetica di polarità Nord riri , a destra quella di po-
larità contraria ss. Non si osservano punti distinti.
Le pietre della faccia 8 , racchiuse da tutto 1’ arco magne-
tico, non esercitano azione sensibile sull’ ago della bussola ; in-
vece quelle esterne e comprese fra queste e la prima traccia, lo
fanno deviare sensibilmente dalla sua posizione di riposo. Su
questa parte si vedeva chiaramente P azione del fulmine, poiché
per lungo tempo le foglie del rampicante, di cui esso è ricoperto,
erano appassite per una lunghezza di circa 8 m. e facevano un
chiaro contrasto colle parti laterali perfettamente verdi.
7. Mentre a ciascun solco s ed s" corrisponde, sulla faccia
del muro rivolta alla vigna, la traccia magnetica già descritta,
invece relativamente al solco s" , su questa stessa faccia e sotto
i rami del mandorlo M' , non si osserva nessun effetto magne-
tico.
8. Ho detto che il terzo solco s"‘ era parallelo alla faccia
che guarda ad W del muro C 1) (tig. 1) ; il quale è alto circa
m. 1,20. La traccia magnetica su questa faccia è lunga comples-
sivamente circa m. 4, (30. Il suo principio dalla parte sinistra
(per chi guarda il muro da W) corrisponde perfettamente al prin-
cipio del solco sul terreno. Essa leggermente inclinata da sini-
stra a destra comincia da m. 0, 9(3 dal suolo (tig. 4), presentan-
do a destra la zona di polarità
Sud ss, ed a sinistra quella di
polarità contraria un, con qual-
che punto distinto. Cominciano
quasi alla stessa altezza dal suo-
lo e scompaiono entrambe a 30
cui. da esso. La zona di pola-
rità Sud non è però continua ed
è più evidente soltanto agli estre-
mi. Ad 80 cm. dalla parte più bassa verso destra, si osservano
due nastri distinti n,s paralleli tra loro, sopra una pietra che
Fig. 4.
8
Trovato Cast-ovina
[Memoria XV.]
poggia sul terreno, ed è a sinistra il nastro distinto di polarità
Nord, a destra quello di polarità contraria. Sono lunghi 20 citi.
circa.
Quindi, dopo breve interruzione, si osserva presso il suolo
il principio di altre due zone magnetiche, le quali in seguito si
dirigono verso alto, ed è a destra la zona di polarità Sud s's, de-
bolissima e discontinua , a sinistra quella di polarità contraria
nrì, molto più sensibile con un punto distinto N , di polarità
Nord, a 70 cm. dal suolo, sullo spigolo rivolto a NW.
Il solco s" sul terreno (1) continuava per un metro circa
oltre 1’ estremo di questo muro ed aveva line presso il muro EW
sotto i rami del mandorlo il/' pendenti sul muro. A questo solco
faceva seguito il doppio nastro distinto sul muro EW, di cui
ho detto al n. 4, come si osserva dalla fìg. 4.
9. La faccia opposta di questo muro che guarda dentro l’orto
presenta aneli’ essa delle tracce magnetiche e per lo più verti-
cali. Ad 8 m. di distanza circa dall’ estremo sinistro di questa
faccia ( per chi guarda), havvi una pietra, a cm. 96 dal suolo,
sulla quale si osservano due sensibili nastri distinti : a sinistra
v’ è quello di polarità Sud, lungo cm. 36, a destra quello di po-
larità contraria, lungo cm. 15. Questi nastri sono sensibilmente
verticali e paralleli. Altre tracce isolate più o meno estese so-
pra pietre analoghe si osservano proseguendo ancora verso de-
stra per circa in. 2, 4, 5, 8 da questa pietra magnetica. Il non
avere indizio alcuno che questa faccia fosse stata, contempora-
neamente alle altre già descritte , colpita in qualche punto da
scariche elettriche, l’ esistenza di tali tracce magnetiche più o
meno estese, frequentissima a diverse altezze nei nostri muri di
campagna, e 1’ abbondanza di punti e nastri distinti nelle lave
in situ di queste contrade , corroborano 1’ ipotesi che le tracce
magnetiche accennate siano dovute ad altre fulminazioni.
10. Nell’ orto , accanto al muro dalla parte N, trovai poi
(1) Le tracce magnetiche sulla faccia di questo muro parallelo al solco s"' si potreb- [
bero considerare come dovute a due scariche elettriche diverse.
Effetti magnetici del f ulmine sulle lave deW’ Etna
9
delle selieggie che dimostravano all’ evidenza di essere state stac-
cate dalle pietre del muro in corrispondenza della scarica ful-
minea ed, esaminatele colla bussola , ho trovato che in esse la
distribuzione magnetica è analoga a quella di una calamita :
una parte della loro superficie presenta un magnetismo di po-
larità Nord, il resto offre una polarità contraria. Una scheggia,
avente forma circolare di 1 cm. di diametro, presenta nelle sue
due faecie le due polarità opposte. Una parte di una pietra fran-
tumata dal fulmine ha la forma di una piramide triangolare.
Per la base ed una sua faccia stava attaccata al resto della
pietra. La base presenta un magnetismo di polarità Nord, il re-
sto della superficie una polarità contraria. Una pietra di circa
3 Kg. , avente forma sferoidale, tolta dal mucchio presso il mu-
ro EW (n. 4) , offre un solo punto distinto di polarità Sud , il
resto della superficie presenta un magnetismo di polarità Nord.
II.
11. Durante lo stesso temporale un fulmine cadde presso
la stazione ferroviaria al n. 18 della strada detta Crocifisso. La
cala colpita, a pian terreno, posta den-
tro un cortile, dista pochi m. dalla stra-
da suddetta. La porta e la finestra,
praticate in uno stesso muro, guardano
a S-W. A pochi metri dalla finestra
v’ è un grosso fico dell’ altezza ordina-
ria, alcuni rami del quale pendono su
l’estremo sinistro della casa. Il fulmine
investì il muro SE-NW.
Della facciata SW ne scrostò un
pezzo (fìg. 5) presso la parte superiore
dello stipite sinistro della finestra , la-
sciando una impronta avente la forma
di un triangolo isoscele colla base in alto di 27 cm. di lun-
ghezza e 36 cm. di lato. Un gallo presso la finestra fu fulini-
At'II acc. Skiuk 4a, Vor,. XIX — Meni. XV.
2
10
Trovato Castorina
[Memoria XV.J
nato. Un bambino di 3 anni che stava sulla soglia della porta,
distante più di 1 in. dalla finestra , colpito leggermente dal
fulmine stramazzò a terra. In seguito rinvenne.
Salito su di una scala a pinoli, esplorando questo muro per
mezzo della bussola, in’ accorsi che la traccia magnetica, comin-
ciava dalla parte più alta di questa facciata. Seguendo 1’ orlo
da sinistra a destra, a 85 cin. dall’ estremo sinistro comincia un
nastro distinto di polarità Nord nn, di 1 cm. di larghezza ; si
abbassa quasi verticalmente per più di mezzo metro, quindi di-
venta tortuoso piegando verso destra e lambendo quasi la parte
scrostata ; in seguito continua in basso per altri 38 era. sulla
faccia SE dello stesso stipite , nel resto del quale non ci sono
punti distinti.
Seguendo sempre 1’ orlo del muro, a 9 cm. di distanza dal-
1’ estremo superiore del precedente nastro, se ne osserva un altro
brevissimo, pure distinto e di polarità Sud.
Più in là 9 cm. dall’ estremo superiore di esso, ha origine
un altro nastro distinto ri di polarità Nord, lungo circa cm. 15
e leggermente inclinato verso sinistra.
Poscia a 13 cm. ne segue un altro ss della stessa lar-
ghezza dei precedenti e di polarità Sud, il quale, quasi verti-
calmente, si abbassa per cm. 80 e scompare presso 1’ estremità
inferiore della parte scrostata ; così che essa rimane compresa
tra il primo nastro distinto nn e quest’ ultimo s's. Siccome la
faccia del muro è continua (1) anche continui sono i nastri ma-
gnetici distinti. Più giù dello stipite, fino al suolo , non si os-
servano tracce magnetiche.
Presso la parte scrostata staccai un pezzo di calcinaccio ed
un pezzo di tegola di terra cotta ad esso aderente. Tanto l’uno,
(1) I muri di città sono costruiti, iu generale, con pezzi di lava basaltica più o meno
regolare ; gli spazi tra i diversi pezzi sono riempiti con rottami di terra cotta, schegge di
lava ecc. ed i vari pezzi sono tra loro collegati con una malta che localmente chiamasi
« cottile »
Effetti magnetici del fulmine sulle lave dell' Etna
11
quanto 1’ altra fanno deviare sensibilmente l’ ago magnetico.
La finestra, di forma rettangolare lunga m. 1,16 e larga
cin. 79, era chiusa durante il temporale. Sulla sua parte sini-
stra, a circa 30 cm. di altezza, si vede una traccia di legno bru-
ciato b larga cm. 1,5 e lunga cm. 30, avente origine presso lo
stipite e leggermente inclinata in basso.
Nella parte superiore di destra, a pochi cm. dal rispettivo
stipite, si osservano fusi le estremità di due chiodi e tutto in-
torno il legno bruciato.
12, Dentro la stanza offre tracce magnetiche soltanto quel
tratto della parete opposta compreso tra la porta e la finestra.
Esse, in generale, sono deboli e tali da prevalere il ma-
gnetismo di polarità Sud. A cui. 68 dal suolo si osserva che ,
per un tratto lungo cm. 21 e largo da 3 a 5 cui. 1’ intonaco
fu scrostato e la pietra messa a nudo offre un debole magne-
tismo di polarità Sud.
13. Da quanto precede è facile concludere :
1. Sulla lava dell’ Etna il fulmine ha prodotto tracce sensi-
bilissime magnetiche costituite in gran parte da lunghe zone distinte ,
a nastro, di 1. cm. di larghezza.
2. La loro disposizione è abbastanza regolare e tale da non
lasciare dubbio alcuno sulla via percorsa dal fulmine , essendo
ogni zona di una data polarità parallela a quella di polarità
opposta.
A sinistra ( per chi guarda) si ha quasi sempre la zona di
polarità Nord, a destra quella di polarità Sud.
In due soli casi (n. 1, 2) le zone hanno polarità in-
vertite.
3. La scarica elettrica , determinata dalla disposizione di
queste zone, ha avuto quindi luogo, nel maggior numero dei casi ,
tra elettricità positiva del suolo e negativa della nube.
Ad analoghe conclusioni son venuto da ricerche eseguite
12
Trovato Castorina
{Memoria XV.]
su rocce dell1 Etna, presso il luogo fulminato. (1) Le zone distinte
a nastro dopano, dalle quali si pub rilevare la direzione della sca-
rica elettrica , sono ivi abbastanza frequenti. Di ciò ini occuperò
per esteso in una prossima nota.
4. In quei casi in cui i tralci delle viti erano presso il
muro, quantunque ad una certa distanza , la traccia magnetica
lia forma analoga alla loro disposizione, la quale negli altri casi
è ordinariamente verticale.
5. Il fatto poi che queste scariche elettriche avvennero in cor-
rispondenza ai rami degli alberi , di cui si è parlato, conferma an-
cora una volta quanto è pericoloso ricoverarsi , durante i temporali ,
sotto gli alberi in campagna.
(1) Invece i Proli'. Giovanni e Gaetano Platania avendo eseguite analoghe ricerche sui
fabbricati fulminati trovano la direzione della scarica elettrica costantemente dal suolo alla
nule— Coni. Gaetano e Giovanni Platania : Effets magnetiques de la foudre sur les roches
volcaniques. Comptes Rendus 4 Décembre 1905 — Giovanni e Gaetano Platania : Sul
magnetismo prodotto da fulminazioni. Meni. R. Acc. degli Zelanti 3a serie— Volume IV 1905-1906.
Maggio 1906.
Catania,
Memoria XVI
Ricerche sull’ “ attrazione „ delle cellule sessuali
di OMBERTO DRAGO
RELAZIONE
DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE COMPOSTA DAI SOCI EFFETTIVI
Proff. R. STADERINI ed A. RUSSO (relatore).
L’ Autore, premesso che 1’ attrazione che eserciterebbero le ova sugli
spermatozoi della stessa specie viene oggi dai più interpretata come una
modalità- di Chemiotropismo, e dopo una minuta rassegna bibliografica dalla
quale risultano opinioni contradittorie , per tentare di risolvere un così
grave problema instituisce varie esperienze. Dalle ricerche che l’A. ha con-
dotto con tecnica rigorosa ed i cui risultati sottopone ad una critica minu-
ziosa, emergono nuove circostanze di fatto, le quali escludono un’ attrazione
specifica e. l’ intervento di azioni chemiotropiche. Risulta infatti, dalle molte
ricerche fatte, che spermatozoi appartenenti a generi diversi, a diverse classi
ed anche a tipi animali diversi possono aggrupparsi attorno alle ova, co-
stituendo cumuli analoghi a quelli formati da elementi della stessa specie
dell’ ovo, come ancora che attorno alle ova uccise con vari mezzi e rese
artificialmente incapaci di “attrarre,, gli spermatozoi, si possono con sem-
plici artifizi fisico-meccanici, indipendentemente dal chemiotropismo, indurre
quegli accumuli, che hanno fatto pensare ad azioni chemiotropiche.
L’ importanza dell’ argomento che il Dott. U. Drago si è proposto di
trattare, non ostante le grandi difficoltà che talora oltrepassano i comuni
mezzi d’ indagine, rendono il presente lavoro molto pregevole e perciò la
Commissione propone che sia inserito negli Atti di questa Accademia.
Secondo l’ indirizzo della moderna Biologia, molti dei più
noti fenomeni vitali presentati dagli esseri unicellulari, vengono
ascritti, a stimoli chimici e fisici i quali avrebbero una certa
Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Mem. XVI.
1
2
Umberto Drago
[Memoria XVI.]
analogia colle affinità chimiche e le proprietà tisiche che si avvera-
no nella materia non organizzata. Per tali manifestazioni del pro-
toplasma vivente si sono create denominazioni speciali traducenti
le modalità dei fenomeni che ne derivano, e la « chemiotassi, » il
« barotropismo » colle sue modalità, il « termotropismo » ecc.
sono assurti alla dignità di fenomeni biologici reattivi essenzial-
mente legati all’ azione di stimoli tìsici e chimici, mentre d’altro
canto non mancano coloro i quali assegnano a tali fenomeni cause
tisico-meccaniche, come la diffusione, l’osmosi, l’imbibizione, dalle
quali gli organismi elementari sarebbero sollecitati passivamente.
Da quali di queste due scaturigini derivino poi realmente
le attività e le influenze che presiedono a questi fenomeni è
tuttavia oggetto di esperimento e di discussione essendo appunto
il campo dei biologi diviso e contrastato.
Non si può negare a quest’ arduo problema quella singola-
re attrattiva che deriva . dal desiderio di ricondurre a leggi e
fenomeni conosciuti, tuttocciò che si sottrae a una facile spiega-
zione il che spiega 1’ indirizzo unilaterale della moderna biologia,
e la concorrenza verso di esso da parte di molti dei suoi cultori.
D’ altro canto però la brama del nuovo e quella di raggiungere
la meta fa lasciare per via molte questioni insolute , o fa ap-
prestare interpretazioni discutibili sotto parecchi aspetti.
Una delle questioni che si è creduto di aver risoluto, per
lo meno mediante illazioni, è quella relativa al chemotropismo
sessuale — altre volte noto sotto la denominazione di attrazione
sessuale — a quel fenomeno cioè per il quale l’elemento sessuale
maschile sarebbe attratto dall’elemento femminile in via generica,
e in via specifica l’ elemento maschile di una data specie non
sarebbe attratto che dall’elemento femminile della stessa specie.
Le moderne teorie e le moderne ricerche tendono in altri termini
ad ammettere che quell’ ignota e misteriosa « forza di attrazione
sessuale » che secondo la vecchia dottrina, quasi come un ap-
petito sessuale elementare, richiama attorno all’ ovo gli sperma-
tozoi, e soltanto quelli che sono atti a fecondarlo, cioè della
Ricerche sulV u attrazione ,, delle cellule sessuali
3
STESSA specie, non sia dovuto che a stimoli chimici, determi-
nati dall’ azione di speciali sostanze contenute nell’ ovo, ovvero
il prodotto di fenomeni tisici , indotti da speciali condizioni
tìsiche quali p. e. 1’ isotonicità, e rispettivamente l’ anisotonicità
degli elementi sessuali fra di loro e col mezzo in cui si muo-
vono, le correnti osmotiche l’attrazione molecolare ecc.
L’accennata dottrina chimica ha avuto il principale punto di
partenza dalle ricerche dello Pfeffer sugli spermatozoi di felce. (1)
Com’ è noto quest’ autore riempiva dei tubetti capillari, saldati
ad un’estremità, con soluzione al 5°/0 di acido malico, e li im-
mergeva quindi in goccie contenenti spermatozoi di felce. Dopo
un certo tempo notava che gli spermatozoi erano penetrati nel
tubo, e da questa osservazione deduceva che 1’ acido malico agi-
sce come chemotropico per gli spermatozoi della felce. In se-
guito quest’autore volle trasportare le sue conclusioni dal campo
artificiale a quello naturale, e con ricerche microchimiche di-
mostrò la presenza di acido malico nelle parti delle piante che
contengono i prodotti sessuali, però non potè dimostrare ugual-
mente la presenza di quest’ acido nell’ archegonio delle felci.
Ciò non pertanto l’ azione chemotropica dell’ acido malico sui
prodotti sessuali maschili delle felci è entrata nella convinzione
dei biologi i quali ritengono che lo stimolo direttivo degli sper-
matozoi sia appunto determinato dall’acido malico, che, secondo
loro, sebbene non ne sia stata particolarmente provata la pre-
senza, esisterebbe nell’ovulo delle felci.
Accanto a queste ricerche del Pfeffer si possono mettere le
ricerche del Lidforrs sui tubi pollinici (2). Quest’ autore speri-
mentando sui tubi pollinici di A arcissus Tazzetta avrebbe trovato
che, mentre molte sostanze zuccherine, acide e saline (destrosio,
(1) W. Pfeffer — Locomotorisclie Ricbtungsbewegungen durcb Cliemiesche Reize. Un-
tersucb. ans dern hot. Iust. zu Tuliingen — Bd. I (1881-1885).
Id. Ueber cbemotactiscbe Beweguugen von Bact. Flagellateli un Volvoeineen — Ibid.
Bd. II (1886-88).
(2) Lidforrs (Bengt) Ueber deli Chemotropismus des Pollenscblaiicbe (Ber deutscb. Bot.
Ges. XXX).
4
Umberto Drago
[Memoria XVI.]
levulosio , maltosio , arabinosio , acido citrico malico , formico ,
solfato di soda ecc.) sono senza azione sui detti tubi pollinici,
la diastasi ne lia una sorprendente, poiché introducendone alcuni
granuli nella soluzione di coltura, dopo l/2 ora i tubi pollinici
manifestano una netta curvatura nella direzione dei grani.
Le conclusioni dei seguaci del Pfeffer campate, come s’ è
visto, sopra un semplice hoc post hoc , sono state in seguito ge-
neralizzate ed estese sino al punto da suscitare nei biologi il
convincimento che in ogni cellula femminile esistano sostanze
speciali capaci di attrarre soltanto quella determinata specie di
spermatozoi. « Il fenomeno straordinario che fra le innumerevoli
masse di spermatozoi di animali differenti che popolano il mare,
ogni specie, trovi il suo ovulo corrispondente, è quasi sempre un
effetto di chemotropismo , e si spiega molto facilmente perchè
ogni specie di spermatozoo è chemotropico per certe sostanze
specifiche le quali sono caratteristiche dell’ ovulo della specie
corrispondente. » Così si esprime il Verworn nella Fisiologia ge-
nerale, illustrando le esperienze del Pfeffer : così è ammesso
comunemente dai biologi.
Che cosa intenda 1’ A. con quel « trovare » 1’ ovulo cor-
rispondente, non si comprende bene, poiché se si considera che
1’ atto della fecondazione ovulare si può scindere in due momenti,
cioè 1° nell’ avvicinamento dello spermatozoo all’ ovo 2° ; nella
penetrazione e quindi nella fusione dei pronuclei, non si sa a
quale dei due momenti il Verworn alluda; poiché non sarebbe
inverosimile ammettere a priori che gli elementi femminili, pur
attirando indifferentemente tutte o parecchie specie di sperma-
tozoi , sarebbero poi capaci di lasciarsi penetrare e fecondare
soltanto dalla specie corrispondente.
Non a torto adunque il Morgan (1) parlando di questo feno-
meno si esprime con queste parole:
« It has been assumed by embryologists that there exists some
(1) F. H. Morgan — s elf-Fertilization induced by artificial means in thè Journal of espe-
rirà. zool.
„ Ricerche sulV “ attrazione „ delle cellule sessuali
5
sort of attraction between thè eggs and thè spermatozoa of thè
sanie species. This idea would readly snggest itself to anyone
who saw spermotozoa collecting in crowds around thè eggs, but
it by no means follows that this phenomenon is really due to
an attracting substance emanati ng from thè egg.
The result may be due to thè membrane of thè egg , to
wicli those spermatozoa stick that come accidentally into contact
witli it. In faci I have observed similar collections of sperma-
tozoa in thè ascidian around pieces of thè body tessile , wliere
thè result had wery appearance of being due to some sticky
substance, exuding from tlie piece, rather than to an attraction
exerted by thè piece on thè spermatozoa.
« Pfeffer ’s oft-quoted experiment with thè antlierozooides
of ferns, lineworts etc. appears to support thè idea that tlie an-
terozooids are attracted to thè malie acid that is present in tlie
neck of te archegonia, but in thè light of thè recent experiments
of Jenning and others, as to tlie way in wicli unicellular forma
accumulate in a drop of acid, we can readely see that usually
given to them. »
Senza entrare sui particolari di queste afferai azioni è certo
che la dottrina del cliemotropismo sessuale che ha già varcato i
confini delle monografie, e ha invaso i trattati, comincia a per-
dere terreno non soltanto per quanto riguarda l1 attrazione che
io ho chiamato « specifica » ma ancora il fenomeno d’ indole
generale; ed anzi, come si può desumere dalle precedenti afferma-
zioni e interpretazioni del Morgan, quasi per reazione si tende
all’ estremo opposto, a negare cioè che, in generale 1’ affollarsi
degli spermatozoi attorno alle ova sia dovuto a speciali sostanze
cheinotropiche dell1 ovo esercitanti uno stimolo direttivo sugli
elementi sessuali maschili.
Il Carazzi nelle sue Ricerche embriologiche e istologiche
sull’ ovo di Myzostoma (j labrum L. discutendo l1 « attrazione chi-
mica » degli spermatozoi per opera delle ova prevede il non lon-
tano tramonto di tale dottrina, e combatte la sua applicazione
6
Umberto Drago
[Memoria XVI.]
nella spiegazione del processo fecondativo dei mammiferi addu-
cendo 1’ enorme distanza alla quale gli spermatozoi dal collo u-
terino dovrebbero risentire 1’ azione ehemotropica delle ova che
si trovano all’ estremo superiore delle trombe. Non v’ ha dubbio
che da questo punto di vista l’obbiezione sarebbe esatta, se fosse
vera la premessa. Ma i biologi moderni a spiegare il fenomeno
attrattivo nei mammiferi non invocano più il cliemotropismo : in
questo caso, secondo loro (per es. il V erworn fondandosi sulle
esperienze di Stilai e di Itotli) (1) lo stimolo sarebbe rappresen-
tato dal reotropismo cioè dall’ azione della corrente liquida che
normalmente va dai genitali interni agli esterni, la quale stimo-
lerebbe gli spermatozoi a muoversi in senso ad essa contrario ;
senza contare che il Low (2) in seguito alle sue esperienze pra-
ticate con spermatozoi e pezzetti di mucosa uterina e intestinale,
attribuisce il cliemotropismo alla reazione alcalina della mucosa
dell’utero, la quale avrebbe un’ azione direttiva sugli spermatozoi.
D’altro canto il Buller (3) studiando il processo di fecon-
dazione negli Echinodermi ( Arbacia pustolosa. E. microtubercu-
latus. Spliaerechinus granularis ) per indagare se le ova di que-
sta specie secernano sostanze capaci di attrarre chimicamente
gli spermatozoi, è riuscito a risultati perfettamente negativi. Per
il che egli si crede autorizzato a concludere che non esiste at-
trazione; « il contatto è assicurato semplicemente dal gran nu-
mero di spermatozoi e dalle dimensioni delle ova. » Non solo, ma
le esperienze lo inducono a credere che, d’ una maniera generale,
gli spermatozoi sono incapaci di rispondere alle eccitazioni chi-
miche con un cambiamento di direzione.
In contrapposto a queste deduzioni il dttxgerx (4) ricercan-
(t) Anche il Battelli si è occupato di questo argomento con ricerche le quali lo hauno
condotto a identiche conclusioni (V. Archlves de Sciences phisiques et naturelles an. 15° —
4° period, voi. XII.
2) Low — Die Chemotaxie der Spermatozoen in weiblichen Genti alstràkt.
(3) Buller — (A. H. R.) The Fertilization Proces in JEcMnoidea (Meét. Brit. Assoc.).
(4) E. von Dungern Nouvelles experiences sur la physiologie de la fecondation — Zeitschrift
fin Allg. Phys. 1. 1.
Ricerche sull ’ u attrazione ,, delle cellule sessuali
7
do le cause che favoriscono 1’ unione degli elementi sessuali di
un medesimo genere, e impediscono generalmente quella fra ge-
neri differenti, ha potuto isolare dalle ova di Astropecten auran-
tiacus e Asteria* glacialis delle sostanze che uccidono gli sper-
matozoi dei Ricci. Queste sostanze sarebbero resistentissime e
sopportebbero, senza alterarsi una temperatura di G0°. Nelle ova
dei Ricci mancano però sostanze tossiche per gli spermatozoi di
Asterias, e allora l’ A. suppone che la penetrazione degli sper-
matozoi di Ast. nelle ova di Riccio sia impedita o da sostanze
agglutinanti sui detti spermatozoi , o da sostanze capaci di sti-
molarne i movimenti , provocando in essi quel movimento ana-
logo al « riflesso » riscontrato dal Jenning negli Infusori , e
consistente in movimenti circolari continui , mentre all’ opposto
per favorire la penetrazione degli spermatozoi dello stesso genere,
entrerebbero in giuoco influenze capaci di indebolirne i movi-
menti e di contribuire quindi a far loro prendere una direzione
perpendicolare favorevole alla penetrazione. Queste influenze sa-
rebbero principalmente costituite da un protoplasma omogeneo.
Un altro agente , fisico , P elettricità , è stato invocato da
O. Hertwig per spiegare P attrazione sessuale. IP A. ricusan-
dosi ad ammettere come causa essenziale di questo fenomeno la
chemiotassi nel senso di Pfeffer, e quindi P influenza di una
sostanza chimica eliminata, poiché gli spermatozoi si uniscono
soltanto coll’ ovo della stessa specie, tende piuttosto ad ammet-
tere l’ipotesi anticamente sostenuta dal Nageli, secondo il quale
P attrazione sessuale sarebbe dovuta a fenomeni elettrici.
Sul proposito il Boeodest, citato dal Kulagii (1) osserva
che, poiché non vi sono che due specie di elettricità, non si com-
prende come un uovo avrebbe azione soltanto sullo spermatozoo
della stessa specie. (« Da es zwei Arten Electricitàt giebt, eine
positive, und eine negative, so ist nielli zu begreifen , wie es
(1) Nic. Kulagin — Ueber die Frage der geschleclitlicheii Vermehrung bei den Tieren — Zoolog.
Auz. XXI, pag. 653.
s
Umberto Drago
[Memoria XVI.]
si eli wohl durch electrisch Erscheinungen erklaren liesse, wa-
rum das Ei nur auf die Spermatozoiden derselben Art anziehend
wirkt. »)
Einalmente il Delage (1) che è riuscito a frammentare le
ova di Stron gilocentrotus lividus in due parti, di cui una conte-
nente il nucleo, e 1’ altra priva , avendo notato che attorno ad
entrambe si affollavano egualmente gli spermatozoi, nega al nu-
cleo ogni influenza sull’attrazione sessuale, mentre I’Iwanzow (2)
gliene attribuisce tanta da farne dipendere un maggior potere
chemotropico sugli spermatozoi nelle ova non mature. Infatti
quest’autore avendo sperimentato con ova immature di H olotu-
ria fabulosa, non solo ha notato che gli spermatozoi vi si diri-
gono numerosi, ma che altresì vi penetrano raggiungendo il nu-
cleo ove si dissolvono in un ammasso di granuli, e quest’ azione
chemotropica sarebbe maggiore da parte delle ora immature anzi-
ché di quelle mature.
Ma accanto a queste vedute e a queste ricerche nel campo
della chimica biologica , non mancano le ipotesi fisico-mecca-
niche confortate da esperimenti per analogia, e fra queste è da
annoverare quelle esposte nel lavoro di Herrera (3) tendente a
mostrare il processo fecondativo come un fenomeno di attrazio-
ne molecolare. L’A. si è servito per questo intento di un sot-
tile strato d’ olio (versato in un piatto,) nel mezzo del quale
ha lasciato cadere una goccia di tuorlo d' ovo che vi è rimasta
sospesa. Avvicinando alla goccia un corpo acuminato , questa
estuberava nella direzione del corpo, simulando perfettamente
un cono d’ attrazione, e talora presentando contemporaneamente
delle deformazioni che potevano paragonarsi a pseudopodi. Se
invece del corpo acuminato fisso, si poneva vicino alla goccia di
(1) Djslage V. — Embrione sane noyaw maternel — C. R, Ac. Se. CXXVII — p. 528-531
(2) N. Ivanzow - Ueber die pliysiologische Bedeutung der Process der Eireifung — Bull.
Soc. Moscou 1898, pag. 355.
(3) Herrera Alfonzo — La fecondation par attraction molecularè — Boll, de la Soc. Zool.
de Franco. XII— 225.
Ricerche sulV “ attrazione „ delle cellule sessuali
9
tuorlo un piccolo « spermatozoo artificiale » di legno, questo
veniva immediatamente attratto e penetrava nella goccia.
L’ A. paragona quindi questi corpi all’ ovo e allo sperma-
tozoo, e i fenomeni fisici che essi, presentano, ai rispettivi feno-
meni biologici che precedono il processo fecondativo, e si crede
pertanto autorizzato a dedurne un’ analogia la quale, come è evi-
dente, non è esente di critica.
Come s’ è visto da questa rapida esposizione bibliografica,
le vedute, le ricerche e le conclusioni dei vari autori sul feno-
meno dell’ « attrazione sessuale » sono così disparate e contra-
dittorie, che il problema si può dire ben lontano dalla soluzione
definitiva. Fatta astrazione dai particolari del fenomeno , dalla
*ua natura, dal suo meccanismo, si può dire che gli autori non
sono d’ accordo nemmeno sul principio generale , cioè se real-
mente si verifichi una vera attrazione da parte delle ova e degli
spermatozoo
Così che allo stato attuale si può stabilire che volendo in-
trattenersi a studiare le modalità del fenomeno, bisogna comin-
ciare colla pregiudiziale.
In ordine alle ricerche dei vari autori e alle deduzioni tratte
dai biologi come ancora ai risultati contradittori sull’argomento
dell’ « attrazione sessuale » ho voluto intraprendere un corso di
ricerche le quali ho continuato per circa tre anni con brevi in-
terruzioni.
Come si vedrà nell’ esposizione di esse non ho mancato di
sottoporre i procedimenti tecnici, i risultati e le deduzioni ad una
critica rigorosa, circondandomi di quella circospezione che un
compito così difficile e delicato richiede.
Ho intrapreso le esperienze con obbiettivi diversi, e in or-
dine a questi le distinguo in serie in questa rapida esposizione.
Serie prima.
In questa serie ho avuto di mira di trasportare nel campo
della biologia animale quanto era stato praticato dallo Pfeffer
Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX —
Meni. XVI.
2
10
Umberto Drago
[Memoria .XVI.]
r»el campo della biologia vegetale : ho voluto cioè sperimentare
se le ova introdotte insieme ad un mestruo in tubetti capillari
chiusi ad un’ estremità, esercitassero un qualche stimolo che
motropico sugli spermatozoi della stessa specie animale, conte-
nuti in una goccia di liquido nella quale pescava P apertura
del tubo capillare.
Salvo qualche modificazione, che noterò, intesa a semplifi-
care la tecnica, ho modellato il mio metodo di ricerca su quello
praticato dal citato autore nelle sue ricerche sugli spermatozoi
delle felci.
Come materiale di esperimento ho scelto ova e sperma dello
jStrongilocentrotus lividus che ho diluito in acqua di mare, assi-
curandomi, prima di estrarre gli organi sessuali, che gli animali
fossero vivi, e controllando, dopo l1 aggiunta del mestruo l’ino-
cuità di esso, rivelata dalla vivace mobilità degli spermatozoi.
Questa precauzione mi si è dimostrata indispensabile perchè
non di rado notavo, che P aggiunta di acqua di mare uccideva
gli spermatozoi o per lo meno ne paralizzava il movimento, già
molto vivace prima della miscela.
Con tali precauzioni ero sicuro di operare con elementi ses-
suali perfettamente vitali.
I tubi adoperati avevano un diametro oscillante da l/\
a 72-2/3 di lum- e una lunghezza da 12-18 inni.
Patta la diluizione delle ova che avevo cura di trarre da
ovaie mature, in individui che già ne emettevano all’ esterno in
acqua di mare, come ho precedentemente esposto, le introducevo
nel tubo capillare con un procedimento diverso da quello dello
Pfetfer.
Questi operava nel modo seguente : Prescelti i tubi, dopo
averli chiusi alla lampada ad una delle estremità, li immergeva
nel liquido di cui voleva riempirli, e sottoponeva il tutto al
vuoto nella macchina pneumatica. Avvenuta la rarefazione del-
1’ aria il liquido si introduceva nei tubi, e alla fine rimaneva
nell’ estremità, chiusa uno spazio di 2-4 min. ripien d’aria.
Ricerche sull’ “ attrazione ,, delle cellule sessuali
11
Questo processo abbastanza lungo e relativamente compli-
cato, veniva da me sostituito come appresso : Prescelti i tubi
aperti da tutte e due le estremità, li immergevo nel liquido il
quale prontamente vi ascendeva. Prima che si riempissero com-
pletamente e quando ancora rimaneva uno spazio di 4-6 mm.
all’ altra estremità, li ritiravo. Sostenendoli con una pinzetta,
senza esercitarvi alcuna pressione, avvicinavo 1’ estremità vuota
di liquido a una piccolissima fiammella e rapidamente immer-
gevo F altra estremità nel liquido contenuto in un vetro da
orologio che avevo tenuto vicinissimo al tubo. L’ estremo di
questo esposto alla fiammella si saldava subito, e l’istantanea
immersione dell’altro estremo nel liquido, aveva per effetto di
ricostituire entro il tubo la colonna liquida spostata per opera
della dilatazione indotta dal calore. Se l’operazione non m’era
riuscita , se cioè per effetto della dilatazione dell’ aria e del li-
quido e della loro successiva contrazione pel raffreddamento ,
veniva a penetrare dell’ aria all’ estremo libero del tubo, bastava
avvicinare l’estremo chiuso del tubo, mantenuto dentro al liquido,
a una certa distanza dalla fiamma perchè avvenisse una nuova
dilatazione dell’aria e del liquido, capace di scacciare la bollicina
d’aria terminale, richiamandovi in sua vece del liquido.
Una precauzione indispensabile doveva ancora adottare nel
rompere i tubi per ottenerli delle volute dimensioni , poiché se
la superfìcie di frattura non era pressoché orizzontale, e relati-
vamente liscia e continua, ma frastagliata o a becco di flauto ,
si tratteneva all’ estremo libero del tubo una bollicina d’ aria la
quale naturalmente, come nel caso precedente, impediva il con-
tatto diretto fra il liquido interno e l’ esterno.
Si comprenderà di leggieri come non sia agevole ottenere
che tubi si trovino in queste condizioni, e come occorra spesso
rifare più d’ una volta la preparazione dello stesso tubetto. È
perciò che in questo genere di ricerche il tempo e la pazienza
dello sperimentatore sono messi a dura prova.
Colla modificazione di tecnica precedentemente accennata ,
12
Umberto Drago
[Memoria XVI.]
non solo semplificavo e rendevo più spedito il metodo, ma ottenevo
che, dopo la chiusura del tubo , lo spazio di aria residuale era
molto minore di quello che residuava nei tubi adoperati dallo
Pfeffer nei quali tale spazio, su tubi di 4-7 inni, di lunghezza,
variava dai 2-4 cioè circa la metà della lunghezza del tubo.
Questo risultato ha una grande importanza per 1’ esattezza delle
ricerche, poiché avuto riguardo alla sottigliezza delle pareti del
capillare, lo spazio d’aria viene tanto più facilmente influenzato
dalla temperatura esterna e quindi tanto più facilmente determi-
na la fuoruscita o il rientrameli to meccanico del liquido, quanto
maggiore è la quantità d’ aria a tergo e rispettivamente la dila-
tazione di essa. Col metodo da me adoperato io riuscivo per lo
più a ridurre quello spazio a meno di un millimetro.
Compiuta quest’ operazione adagiavo il capillare sul porta-
oggetti, in modo che l’ imboccatura pescasse nella goccia di li-
quido, mantenendovelo orizzontale, obliquo, o verticale, con oppor-
tune disposizioni , a seconda le esigenze dell’ esperimento. Per
impedire 1’ evaporazione del liquido esterno, collocavo per lo più
il preparato in camera umida, invece di ricoprirlo col portaog-
getti, come praticava lo Pfeffer, il che del resto non avrei potuto
ugualmente fare, data la disposizione obliqua e verticale dei tubi.
Così a determinati intervalli toglievo dalla camera umida il
preparato, e lo sottoponevo a una rapida osservazione.
Esperienze.
Un numero considerevole di esperienze vengono eseguite in-
troducendo nei capillari le ova di Strongilocentrotus con acqua
di mare, e immergendo 1’ estremità aperta dei tubi nella goccia
di liquido contenente gli spermatozoi dello stesso animale. Esa-
minato già dopo pochi minuti il liquido contenuto entro il tubo
ho notato la penetrazione degli spermatozoi e il loro caratteristi-
co aggruppamento attorno alle ova. ideile osservazioni successi-
ve la penetrazione è andata aumentando : gli spermatozoi con-
tenuti nel tubo non solo si sono mostrati in quantità crescenti, ma
Ricerche sull ’ u attrazione ,, delle cellule sessuali
13
si sono approfonditi guadagnando le sezioni superiori del tubo,
e aggruppandosi al solito attorno alle ova. Quest’aumento nella
manifestazione del fenomeno lia però un limite e cessa dall’ os-
servarsi quando gli elementi maschili agglutinati all’ imbocca-
tura 1’ occludono.
L’ esito di questo genere di esperienze è costantemente quello
descritto , tutte le volte che si osservano le precauzioni di tec-
nica che ho accennato precedentemente, poiché basta la più pic-
cola inosservanza come p. es. la penetrazione di qualche piccola
bolla d’ aria nel tubo, o il residuo di esso all’imboccatura, o la
concentrazione del liquido esterno anche per leggiera evapora-
zione, o lo spostamento meccanico del tubo dal centro della goc-
cia verso i margini di essa, ove generalmente la concentrazione
è maggiore e gli elementi si incontrano meno vitali e quindi
meno vivaci e in parte agglutinati, bastano lo ripeto, queste cause
apparentemente di poca entità perchè gli spermatozoi del liqui-
do esterno rimangano agglutinati all’ imboccatura del tubo senza
penetrarvi sino a raggiungere le ova.
Devo notare a questo proposito che non ho potuto con si-
curezza convincermi se la distanza delle ova contenute nel tubo
dall’ imboccatura di esso, avesse un certo rapporto coll’ intensità
di penetrazione degli spermatozoi. Xell’ introdurre nel capillare
il liquido colle ova mi è accaduto spesso di notare, specialmente
quando il numero di esse era rilevante, che il primo ovo della
serie contenuta era vicinissimo all’ imboccatura, ed all’ opposto,
ho notato altre volte che il primo ovo della serie distava dell’im-
boccatura non di rado per più di metà della lunghezza del tubo.
Ebbene, in tutti e due i casi il fenomeno della penetrazione de-
gli spermatozoi, salvo qualche eccezione, si verificava ugualmente
e colle stesse modalità.
Dalle esperienze surriferite si può adunque ammettere con
sicurezza che gli spermatozoi dello Strongylocentrotus liviclus con-
tenuti in un mestruo penetrano nei tubi capillari contenenti ova
14
Umberto Drago
[Memoria XVI.]
dello stesso individuo. Questa conclusione soltanto, e non altra
più ampia, si può trarre da questi fatti, i quali non autorizzano
certamente a dedurre clie si tratti di un fenomeno di chemo-
tropismo.
II. Serie di esperienze.
Per escludere eventualmente la possibilità che la penetra-
zione degli spermatozoi nel tubo sia un fenomeno di barotrofi-
smo negativo, ho intrapreso un’ altra serie di ricerche variando
la disposizione degli oggetti in senso perfettamente opposto. Ho
introdotto cioè gli spermatozoi dello stesso animale nei tubetti
la cui imboccatura ho immerso in una goccia d’ acqua di mare
contenente ova.
Le esperienze ripetute per molte volte mi hanno condotto
a risultati costantemente positivi : gli spermatozoi cioè fuoresco-
no dai tubi e assumono la caratteristica disposizione attorno alle
ova contenute nella goccia esterna.
III. Serie.
Per assicurarmi meglio dell’ entità delle precedenti ricerche
ho adottato una terza modificazione nella disposizione degli og-
getti, capovolgendo i tubetti contenenti lo sperma diluito e facen-
done pescare 1’ estremità in goccia pendente dal vetrino , nella
quale erano contenute ova in acqua di mare.
Queste operazioni richiedono una tecnica speciale, e più che
la tecnica, molta circospezione.
Per mantenere i tubi nella posizione verticale io usavo at-
taccarli a un piccolo cubo di paraffina di cui fondevo la parte
centrale. Bisognerà però condurre l’operazione rapidamente, e aver
cura di immergere 1’ estremo chiuso del tubo nella paraffina solo
quando questa comincia a solidificarsi , poiché nel caso diverso
si rischia di perdere una piccola quantità di liquido per evapo-
razione all’ imboccatura, ed altra più rilevante per dilatazione
15
Ricerche sull' u attrazione „ delle cellule sessuali
dell’ aria e del liquido stesso dovuta al calore della paraffina a
contatto coll’ estremo chiuso, il che, nel consecutivo ritrarsi dal
liquido farebbe penetrare l’ aria nell’ imboccatura costituendo
quindi un’ interruzione nella colonna liquida interna ed esterna.
Per maggiore sicurezza e rapidità è opportunissimo d’incol-
lare il tubetto sulla paraffina dopo di averne immerso 1’ imboc-
catura nella goccia pendente, e adottarvi quindi al disotto un
sostegno mobile.
Ma con tali precauzioni non è esaurita la prova della pa-
zienza dello sperimentatore , poiché occorre che 1’ imboccatura
del tubetto non vada a battere contro il vetro che sostiene la
goccia pendente, e quindi bisogna che questo sia aneli’ esso ap-
poggiato a un sostegno mobile capace di piccoli spostamenti a
vite nelle due direzioni verticali.
Dopo ciò io mettevo 1’ apparecchino in camera umida per
impedire che la goccia esterna evaporasse, dovendo esaminarla a
intervalli relativamente lunghi per esser sicuro del risultato delle
esperienze.
Il risultato di queste è stato in massima negativo, in quanto
che, quasi costantemente non si è avverato la fuoruscita degli
spermatozoi dal tubetto, e quindi il consecutivo aggruppamento
attorno alle ova della goccia pendente. Solo su due delle nove
esperienze eseguite ho notato pochissimi spermatozoi fuorusciti
dal tubo e aggruppati attorno alle ova. E poiché è da ammet-
tere che nel maggior numero dei casi, 1’ uscita degli spermatozoi
era impedita dalla pressione del liquido della goccia esterna,
è facile interpretare i risultati diversi dei due casi citati consi-
derando che la quantità del liquido della goccia non può essere
sempre uguale, e tale da esercitare una pressione significante
sul sottostante liquido del tubetto.
Per controllare poi i risultati e constatare che realmente nes-
suno spermatozoo era penetrato nella goccia contenente le ova,
nei citati casi con esito negativo, io usavo, esaurita 1’ esperienza,
diluire la goccia in acqua di mare, ed osservare dopo un certo
16
Umberto Drago
1[Memoria XVI.]
tempo se si etfettuissero in qualche ovo dei processi di segmen-
tazione, osservazione che ebbe in tutti e sette i casi esito nega-
tivo, mentre il campione di controllo, che avevo cura di appre-
stare ogni volta unendo direttamente sperma ed ova deliriti in
acqua di mare, in una capsuletta , mi dava i soliti stadi divi-
sionali.
Dalle precedenti esperienze si può quindi concludere che la
constatata fuoruscita degli spermatozoi dai tubi o reciprocamente
la loro introduzione e il loro movimento verso le ova non siano
dovuti a nessuna delle due specie di barotropismo, poiché se da
un canto è evidente e quasi costante che gli elementi sessuali
maschili dell’ JEJcMnus lividus per raggiungere le ova si diriggo-
no, (entro un determinato limite di pressione) nel senso perfet-
tamente opposto alla pressione del liquido , è altresì evidente e
costante che essi seguono ancora la direzione della pressione.
A precisare presumibilmente V indole del fenomeno consta-
tato nelle varie serie di esperienze, ho istituito un’ altra serie,
servendomi di ova della stessa specie, delle quali distruggevo
previamente la vitalità del protoplasma col calore.
IY. Serie.
Per assicurarmi del grado di temperatura necessario ad uc-
cidere il protoplasma delle ova, esponevo contemporaneamente
nel termostato in due capsule distinte, ben chiuse, ova e sperma-
tozoi diluiti in acqua di mare, partendo da una temperatura ini-
ziale di 25° e facendola aumentare gradatamente. Successiva-
mente, ad ogni aumento di 5° gradi , esaminavo la mobilità
degli spermatozoi. Questa, a partire da 45° si andava indebo-
lendo, finché a 55° era completamente annullata. Era quindi a
presumere che a questa temperatura la loro vitalità fosse annul-
lata. Però per assicurarmi viemmeglio che non si trattava di
una semplice sospensione del movimento, aggiungevo alla cap-
Ricerche sull’ “ attrazione ,, delle cellule sessuali
17
siila contenente gli spermatozoi così riscaldata, una quantità re-
lativamente grande di acquà di mare allo scopo di raffreddare
il mestruo e di ripristinarne la densità eventualmente aumen-
tata per evaporazione del liquido, quantunque, come ho accen-
nato precedentemente, avessi ben chiuso le capsule.
Allorché mi ero assicurato che la temperatura di questa mi-
scela era quella dell’ ambiente riesaminavo gli spermatozoi i quali
si mostravano ugualmente immobili come prima di quest’ ag-
giunta. L’osservazione prolungata e ripetuta mi metteva al co-
perto da possibili errori.
Se adunque a 55° l’attività del protoplasma di questi sper-
matozoi è annullata, è molto verosimile che alla stessa tempe-
ratura il protoplasma delle ova subisca la stessa sorte. Tuttavia
per essere più sicuro, riscaldavo le ova a 65°. Noto di passaggio
che queste temperature le assumevo direttamente immergendo il
termometro nei liquidi delle capsule, poiché non solo si manife-
sta, coni’ è naturale, una notevole differenza fra la temperatura
del termostato e quella dei liquidi contenuti nei piccoli recipienti
introdottivi, ma questa differenza non è nè costante, nè propor-
zionale ai vari aumenti di temperatura.
Per assicurarmi della integrità fisiologica del materiale sot-
toposto alle dette esperienze, usavo ad ogni ricerca preparare un
campione di controllo, come ho riferito nell’ esposizione della se-
rie precedente.
1.
In un primo gruppo di questa serie ho voluto osservare il
comportamento degli spermatozoi verso le ova quando queste ve-
nivano riscaldate alla temperatura eccessiva di 100° 0. Aggiun-
gendo lo sperma diluito, all’ acqua contenente le ova riscaldate
a 100° dopo un certo tempo che questa si era raffreddata alla
temperatura dell’ambiente, notavo che gli elementi sessuali ma-
schili generalmente non costituivano attorno alle ova quei soliti
Atti acc. Serik 4*, Voi-. XIX — Meni. XVI.
3
18
Umberto Drago
[Memoria XVI.)
aggruppamenti caratteristici, ovvero se si accumulavano attorno
a qualcuno, il cumulo era rado noli solo, ma temporaneo : dopo
pochi istanti si scioglieva e gli elementi maschili si allontana-
vano.
Per rendermi un conto più esatto del fenomeno e avere sot-
t’ occhio la differenza del comportamento degli spermatozoi verso
le ova normali vive a quelle uccise col calore a 100° facevo quindi
una miscela delle due specie d’ ova e vi aggiungevo lo sperma.
La distinzione fra le due specie d’ ova era facile , poiché
quelle esposte alla temperatura di 100° assumevano un colorito
più chiaro, opaco, e non lasciavano scorgere il nucleo.
Quest,’ esperienza ripetuta parecchie volte mi faceva appunto
confermare con maggior sicurezza il risultato precedentemente
esposto cioè che gli spermatozoi non si accumulavano , o solo
scarsissimamente e fugacemente attorno alle ova previamente
esposte alla temperatura di 100° 0.
Xelle capsule di controllo 1’ integrità fisiologica del mate-
riale adoperato era assicurata dal fatto che già alla Ia ora dopo
1’ unione dello sperma colle ova normali, queste si presentavano
allo stadio di morula.
II.
In un susseguente gruppo di esperienze riscaldavo diretta-
mente in una capsuletta di porcellana che esponevo a una piccola
fiamma a gas, le ova a 75° O. e dopo il rafreddamento aggiun-
gevo lo sperma diluito. Tolta una goccia dalla miscela ed esa-
minata al microscopio, non notavo alcun aggruppamento degli
spermatozoi attorno alle ova. Riesaminata la miscela dopo 1-6
ore non notavo alcuna figura di segmentazione, mentre nel cam-
pione di controllo le morule erano osservabili già dalla Ia ora.
III.
Nel terzo gruppo di esperienze riscaldavo le ova nel termo-
stato a 67°. La temperatura del liquido contenuto nella capsula
Ricerche sull’ 11 attrazione ,, delle cellule sessuali
19
misurata direttamente era in tal caso di 58°. L’ aggiunta dello
sperma, dopo il raffreddamento del liquido, induceva P aggrup-
pamento degli spermatozoi attorno alle ora quasi come nelle ora
normali contenute nella capsula di controllo. In questa si nota-
vano al solito gli stadi di morula dopo la 4a ora.
IY.
Yel quarto gruppo il riscaldamento delle ova veniva fatto
direttamente nella solita capsuletta in cui tenevo il termometro
sin dal principio dell’ esperienza, e che esponevo a una piccola
fiamma a gas. A 60° 0. ritiravo la capsula dalla fiamma e raf-
freddavo gradatamente il liquido coll’ aggiunta di acqua di mare
e ponendo la capsula a galleggiare in acqua fredda.
L’ aggiunta di sperma diluito non provocava alcun aggrup-
pamento dei suoi elementi attorno alle ova, malgrado i movimenti
vivacissimi degli spermatozoo e l’integrità fisiologica del mate-
riale dimostrata dalle figure di segmentazione ottenute al solito
nella capsula di controllo.
Y.
Esperienze come nei gruppo precedente. Riscaldamento di-
retto a 56°. Risultato negativo come nel caso precedente. Yelìe
capsule di controllo il risultato è come al solito positivo.
Yl.
In questo gruppo di esperienze esponevo nel termostato la
capsula col liquido contenente le ova, e la ritiravo quando la
temperatura della stufa segnava 60°. La temperatura del liquido
della capsula misurata direttamente era allora di 52°. Raffreddato
il liquido, e aggiunta la miscela di sperma e acqua di mare non
si notava alcun aggruppamento attorno alle ova, nè figure di seg-
20
Umberto Drogo
[Memoria XVI.]
mentazione nelle ore successive, mentre nel materiale di controllo
alla 5a ora si costatavano le ova allo stadio di morula.
VII.
Riscaldamento diretto a 50°. Risultato positivo : aggruppa-
mento caratteristico evidentissimo. Nessuno stadio di segmenta-
zione però si osserva sino alla 6a ora in queste ova, mentre nel
campione di controllo con ova normali, il risultato è al solito
positivo.
Vili.
Riscaldamento a 52° nel termostato della capsula contenente
il liquido colle ova. Temperatura interna del liquido 17°. Ag-
gruppamento degli spermatozoi come nelle ova normali. Nessu-
na figura di segmentazione però vi si nota in prosieguo, mentre
nelle ova normali di controllo si riscontra lo stadio di gastrula
alla 12a ora.
IX.
In un susseguente gruppo di esperienze riscaldavo diretta-
mente le ova a 47° 0. e dopo il raffredamento aggiungevo lo
sperma diluito. Tolta una goccia dalla miscela ed esaminata al
microscopio, notavo attorno alle ova l’ aggruppamento caratteri-
stico degli spermatozoi, il quale perdurava , esaminando dopo
molto tempo il rimanente della miscela contenuta nella capsula.
Però nessuno stadio di segmentazione mi era dato di riscontrare
nelle ova contenutevi, malgrado prolungassi le osservazioni sino
alla 6a ora , mentre nel materiale di controllo già dopo 4 ore
riscontravo quasi tutte le ova allo stadio di morula.
X.
Riscaldamento diretto delle ova a 42°. Raffreddamento e ag-
giunta di sperma. Aggruppamento caratteri sco degli spermatozoi
Ricerche sull ’ “ attrazione „ delle cellule sessuali
21
attorno alle ova come nel caso normale. Nessuna figura di seg-
mentazione dopo 6 ore. Nelle ova normali di controllo si nota
lo stadio di morula alla 4a ora.
XI.
Riscaldamento delle ova in termostato. Temperatura della
stufa 40°. Temperatura del liquido contenente le ova nella cap-
sula 37°. Risultati come nel caso precedente.
XII.
Riscaldamento in termostato. Temperatura della stufa 35°.
Temperatura del liquido entro la capsula 33°. Aggruppamento
caratteristico degli spermatozoi attorno alle ova, come nei casi
precedenti. Alla 12a ora si nota lo sviluppo di larve poco mo-
bili e non vitali, in quanto die delle gastrule formatisi solo po-
chissime si muovono debolmente , e non vanno più oltre nello
sviluppo, mentre nelle capsule di controllo si riscontrano larve
mobilissime che seguitano a progredire nello sviluppo se si man-
tengono vive sino al 3° giorno, dopo il quale non vengono più
esaminate.
XIII.
A partire dalla temperatura di 33° quale è stata provata
nel precedente gruppo di esperienze eseguii altre ricerche abbas-
sando ogni volta il riscaldamento delle ova di 3 gradi , e per-
venni già dalla seconda prova in poi cioè sin da quando elevavo
la temperatura a 27° ad ottenere oltre all’ aggruppamento carat-
teristico degli spermatozoi attorno alle ova , anche le figure di
segmentazione e le larve in condizioni di tempo, di sviluppo e
di vitalità identiche a quelle ottenute colle ova normali di con-
trollo.
Riassumendo i risultati delle ricerche di questa serie va con-
22
Umberto Drago
[Memoria IVI.]
siderato anzitutto che la diversità fra il risultato ottenuto da
qualche esperimento mediante il riscaldamento diretto e qualche
altro dedotto da esperimento in termostato a temperatura pres-
soché uguale, non è che apparente, e che le ragioni devono ap-
punto risiedere rispettivamente nella lentezza o nella rapidità
colla quale nei due casi era determinato il riscaldamento. Così
p. es. si capisce agevolmente il perchè nel gruppo III in cui il
riscaldamento medio a 58° veniva ottenuto indirettamente nel ter-
mostato, si otteneva un risultato positivo, mentre alla tempera-
tura di 56° determinata direttamente, il risultato era negativo.
Evidentemente l’integrità fisica e fisiologica delle ova veniva dan-
neggiata in misura maggiore nel caso in cui il riscaldamento era
più brusco, benché la temperatura fosse di due gradi inferiore.
Del resto non è su queste piccole differenze di temperatura che
io conto di fondare delle deduzioni.
A prescindere adunque da questa piccola e apparente discor-
danza, i risultati delle esperienze eseguite precedentemente ci
dicono :
1. Che gli spermatozoi dell’ E lividus non si aggruppano
colla consueta disposizione caratteristica attorno alle ova della
stessa specie le quali siano state previamente sottoposte nel ter-
mostato a temperature superiori a 50.° E reciprocamente , con
linguaggio più pratico, che le ova di E. lividus esposte come so-
pra, a temperature superiori a 50° perdono il potere di « attrarre
gli spermatozoi » della stessa specie.
2. Che le dette ova mentre conservano sino alla tempera-
tura di 50° il potere di attrarre gli spermatozoi, perdono, a par-
tire da temperature superiori a 33° la capacità di venire fecon-
date e svilupparsi.
3. Che le temperature inferiori a 33° non offendono sensibil-
mente nelle dette ova nè il potere attrattivo, nè la facoltà di
essere fecondate.
I. E quindi che i momenti della coniugazione cellulare,
cioè l’avvicinamento dello spermatozoo all’ovo, e la fecondozione
23
Ricerche sull ’ “ attrazione ,, delle cellule sessuali
di questo, sono sino ad un certo punto indipendenti Furio dall’altro,
in quanto die l’ovo può essere incapace alla fecondazione, pur es-
sendo capace di attrarre lo spermatozoo come in condizioni normali.
Questo sdoppiamento di un’attitudine che si è ritenuta fin
ora unica, come lo provano i lavori e le considerazioni dei pre-
cedenti osservatori, in parte già citati nel corso di questo lavoro,
sarà oggetto a suo tempo di discussione. Quel che importa per
ora precisare è la ragione per la quale gli spermatozoi non si
accumulano attorno alle ova che hanno subito temperature su-
periori a 50'J.
Si potrebbe anzitutto supporre che venendo meno a quella
temperatura la vitalità del protoplasma ovulare, questo non sia
più capace di attrarre gli spermatozoi. Si verrebbe così a rimettere
in onore la vecchia dottrina vitalistica che ammetteva la mis-te-
riosa forza vitale capace di esercitare un’ arcana forza attrattiva
sull’ elemento maschile. Ma è però certo che se tale non è la
causa, essa è intimamente collegata a modificazioni fisiche o
chimiche le quali a quella temperatura devono avverarsi rid-
i’ ovo, e che non è ammissibile dopo questi risultati che F ac-
cumulo degli spermatozoi attorno alle ova, sia, come vogliono
certuni, fra crii il citato Boiler un fenomeno puramente occa-
sionale di contatto, dovuto alla loro molteplicità nel mezzo in
cui sono contenute le ova, e alla dimensione di queste.
Che quest’ ipotesi fosse già da scartare si può assumere a
priori considerando anzitutto che quel caratteristico accumulo
degli elementi maschili attorno alle uova, si avvera anche se il
mezzo è povero dei detti elementi, ma quando tale considera-
zione non bastasse, i risultati sperimentali da me citati prece-
dentemente distruggono completamente tale ipotesi. Non si com-
prenderebbe infatti perchè gli spermatozoi si accumulano attorno
alle ova che non hanno subito Fazione di una temperatura re-
lativamente elevata, mentre si mantengono lontani da quelle
esposte a temperature superiori a 50°, pur rimanendone costan-
te il loro numero e le dimensioni delle ova.
24
Umberto Drago
[Memoria XVI.]
A ogni modo per togliere ogni dubbio possibile a favore
dell’ ipotesi del Buller, io lio praticato un gruppo di esperienze
unendo corpuscoli inerti, come polveri di carbone e sabbia, con
spermatozoi di Echinus lividus.
IV. Serie
In questa serie ho adoperate polveri di carbone e sabbia a
granuli piuttosto grossi, che ho aggiunto sul coprioggetti alla
goccia di sperma diluito in acqua di mare, facendo nelle varie
esperienze variare la quantità di spermatozoi contenuti nel li-
quido tino ad adoperare soluzioni poverissime, ottenute mediante
ripetute diluizioni della goccia che chiamerò madre. Contem-
poraneamente ho avuto cura di istituire collo stesso liquido di-
luito che mi serviva per sperimentare la polvere, delle esperienze
di controllo con ova normali dell’ Echinus.
I risultati pareva sulle prime, dovessero dar ragione al
Buller, poiché nelle miscele ricche di zoospermi, si vedevano
questi accumulati attorno ai corpuscoli di sabbia e di carbone.
Però osservando attentamente, e confrontando coi preparati di
controllo si notava : 1° Che i detti acciainoli si avveravano anche
attorno a granuli piccolissimi. 2°. Ohe essi erano di gran lunga
meno ricchi di zoospermi che i cumuli attorno alle ova. 3° Che
la loro formazione era fugace e non permanente, come in questo
ultimo caso. 4° Finalmente che il fenomeno diminuiva di inten-
sità a misura che si impoveriva di zoospermi la miscela, me-
diante le diluizioni, finché non si avverava affatto ; mentre era
sempre dimostrabile e in maniera evidente trattando le ova nor-
mali del Riccio cogli stessi liquidi contenenti minore quantità
di zoospermi.
Dopo tali esperienze non mi pare che il Buller abbia più
ragione di sostenere la sua ipotesi, la quale del resto non è for-
mulata in una maniera tanto chiara da escludere che essa col-
25
Ricerche sull ’ “ attrazione „ delle cellule sessuali
leghi il fenomeno alla serie di quelli dovuti a diverso tropismo
e precisamente a quello che i biologi chiamano tigmotropismo.
Cade qui opportuno di far rilevare che il vero fenomeno
dell’ attrazione sessuale, nel senso in cui viene obbiettivamente
osservato, non consiste semplicemente nell’ accumulo degli sper-
matozoi attorno alle ova, ma presenta altre particolari modalità
che gli sono caratteristiche, e delle quali non si deve fare astra-
zione. Queste modalità consistono, coni’ è stato testé accennato
principalmente nella persistenza degli accumuli, nella loro esten-
sione, la quale comprende attorno all’ ovo un’ area che talora
ha un raggio doppio di quello dell’ovo, nella loro compattezza e
nella graduale degradazione verso la periferia, mentre le zone
intermedie fra le varie ova sono relativamente povere di fila-
menti spermatici. È l’ insieme di tutti questi caratteri, e non
soltanto i semplici accumoli, che hanno indotto gli osservatori
ad ammettere nelle ova una proprietà attrattiva sugli sperma-
tozoi, intimamente legata alla fecondazione.
Così che nei risultati dei vari autori che hanno sperimen-
tato in un senso o nell’altro, per escludere o ammettere l’at-
trazione sessuale, e per assegnarle una causa tìsica, chimica o
meccanica che agisca come stimolo fisiologico attivo o come
agente da cui siano sollecitati passivamente gli elementi ma-
schili, sono appunto da fare le più caute riserve, essendo legit-
timo dubitare se essi si siano realmente trovati di fronte ad
osservazioni perfettamente identiche, nella loro esteriorità ob-
biettiva, ai fenomeni d’“ attrazione sessuale ,,.
Escluso adunque che 1’ accumulo degli spermatozoi attorno
alle ova si debba unicamente a un semplice contatto nel senso
del Bueler, resta a indagare quale altra ragione possa inter-
venire nel fenomeno dell1 “ attrazione ,, dal momento che questa,
come s’ è visto, non si verifica nelle ova esposte a temperature
relativamente alte.
E anzitutto, pur non allontanandomi dai concetti biologici
moderni, mi è sembrato indispensabile precisare se il fenomeno
Atti acc. Serie 4a, Voi,. XIX — Meni. XVI.
4
26
Umberto Drago
[Memoria XVI.}
si connetta esclusivamente all’ attività del protoplasma vivente,
o possa sussistere indipendentemente da questa per effetto dei
prodotti del suo metabolismo già preformati.
Per ricavarne eventualmente qualche delucidazione, lio vo-
luto istituire nuove esperienze coi tubetti, come nella prima
serie, introducendovi in un gruppo il liquido, ottenuto mediante
finissimo pestamento, espressione e decantazione dagli ovari
del Riccio, in un altro ova, previamente esposte a varie tempe-
rature come nelle esperienze della serie III.
Y. Serie
Yon avendo nulla di particolare da aggiungere per quanto
si riferisce alla tecnica, la quale è stata identica a quella se-
guita nelle precedenti serie di esperienze, mi occupo dei criteri
ai quali mi sono informato e ai relativi risultati.
Le prove del primo gruppo sono state seguite da risultati
positivi analoghi a quelli della la serie in cui le ova erano state
introdotte integre. In quelle del secondo gruppo, praticate cioè
introducendo nei tubetti le ova esposte precedentemente alle
identiche temperature provate nelle esperienze fatte direttamente,
ho notato, da prima con molta sorpresa, che gli sperinatozoi
contenuti nella goccia esterna in cui pescava al solito, l’ imboc-
catura dei tubi, penetravano in questi anche quando le ova
contenutevi erano state esposte a temperature superiori a 50° 0.
Per maggiore uniformità di procedimento riscaldai le ova a
75° C. prima e a 100° successivamente, ottenendo uguali risul-
tati positivi. Però notai che i zoospermi malgrado la loro pene-
trazione nei capillari contenenti ova riscaldate oltre i 50° C,
non si disponevano attorno alle ova nei noti cumuli caratteri-
stici, come avveniva nelle ova normali e in quelle riscaldate a
temperature inferiori, introdotte nei tubi.
Era quindi evidente che la penetrazione nei capillari non
aveva nulla che vedere coi fenomeni di attrazione e che proba-
Ricerche sull1 “ attrazione ,, delle cellule sessuali
'Q1
Miniente non riconosceva 1’ influenza specifica del contenuto dei
tubi.
Per assicurarmi di questa possibilità ho istituito un’ altra
serie di esperienze.
VI. Sekie
1. Ho introdotto dapprima nei capillari soltanto dell’ acqua
di mare previamente filtrata e ho immerso 1’ imboccatura nella
solita goccia di liquido contenente sperili atozoi del Riccio.
Il risultato è stato positivo, in quanto che si è ottenuta
una evidente penetrazione degli elementi sessuali entro i tubi
capillari.
2. Ho riempito i tubi con acqua distillata, adoperando in
seguito lo stesso procedimento.
Il risultato è stato positivo: gli sperai atozoi sono penetrati
nei tubi ; però essendo 1’ acqua distillata un mezzo nocivo alla
loro esistenza, ne sono stati uccisi o per lo meno paralizzati,
poco dopo la loro introduzione, cosicliè non hanno potuto inva-
dere le parti più alte dei tubi.
3. Tubi riempiti con soluzione concentrata di Cloruro di
sodio in acqua distillata.
Penetrazione come nel caso procedente, riuscendo tale solu-
zione tossica per gli elementi sessuali dell’ Echinus.
4. Tubi con soluzione 1 °/0 di acido ossalico.
Risultati come nel caso precedente.
Questi risultati, non volendo generalizzare, provano per lo
meno che il metodo dei tubi capillari non è assolutamente adatto
allo studio dei fenomeni di attrazione sessuale. Poiché la pene-
trazione degli spermatozoi nei detti tubi avviene in qualunque
condizione, qualunque sia la costituzione chimica e la condizione
fisiologica del contenuto, poiché gli zoospermi pur penetrando
nei tubetti contenenti ova sovrariscaldate non si accumulano at-
torno ad esse, poiché essi penetrano indifferentemente nei tubi
non solo quando questi contengono sostanze per essi indifferenti
28
Umberto Brago
[Memoria XVI.]
come 1’ acqua di mare, ma altresì nocive e tossiche come l1 acqua
distillata, le dosi elevate di cloruro di sodio, e 1’ acido ossalico,
è evidente che la loro penetrazione non è dovuta a un qualsiasi
stimolo fisiologico direttivo che abbia attinenza colla funzione
fecondativa.
Nello stato attuale di queste ricerche non mi paiono adun-
que possibili che le seguenti ipotesi per spiegare il mancante
accumulo degli speruiatozoi attorno alle ova riscaldate oltre i
50° 0.
1. Determinandosi per effetto del calore una parziale coa-
gulazione del protoplasma dell’ ovo, questa modificazione fisica
potrebbe ostacolare meccanicamente la penetrazione del zoosper-
ma, togliendo ogni ragione fisiologica all’ attrazione, e rispetti-
vamente agli spemi atozoi per accumularsi attorno alle ova.
2. O i detti accumuli sono realmente dovuti a chemotro-
pismo derivante dall’ ovo i cui prodotti, agenti da stimoli chi-
mici, vengono a quella temperatura alterati.
3. Ovvero che non si avveri realmente un tropismo sessuale,
ma che 1’ accumulo degli spermatozoi attorno alle ova, e quindi
l’apparente attrazione non sia dovuta che a un agglutinamento
prodotto da una qualche sostanza vischiosa esistente in quantità
inapprezzabile nello strato più periferico dell’ ovo , e quindi
coagulata o distrutta da temperature superiori.
La prima ipotesi mi pare facile a scartare considerando
anzitutto che temperature poco superiori a 50° non producono
nel protoplasma coagulazioni o precipitazioni così dense da osta-
colare meccanicamente 1’ introduzione del filamento spermatico.
Ma dato pure che 1’ alterazione si verifichi, noi possiamo
affermare che i due momenti della coniugazione : attrazione e
penetrazione, sono aneli’ essi sino ad un certo punto indipendenti
o che in altri termini gli spermatozoi formano i cumuli carat-
teristici anche attorno a quelle ova, nei quali sicuramente non
possono penetrare, come ad esempio attorno alle ova fecondate.
Ma poiché si potrebbe obbiettare che tali cumuli osservati at-
Ricerche sull’ “ attrazione ,, delle cellule sessuali
29
torno all’ oro dopo la penetrazione del zoosperma, siano cumuli,
residuali determinati prima della penetrazione, ho istituito le
seguenti esperienze.
Y II. Serie
I. Gruppo
Agitando alquanto un’ acqua di mare ova di E. lividus che
presumevo molto verosimilmente fecondate, riuscivo a liberarli
quasi completamente dei zoospermi che vi erano aderenti. Ag-
giungendo alle ova così preparate, nuovo liquido spermatico,
notavo evidentissimo il fenomeno dell’ attrazione e dei cumuli
attorno a tali ova.
II. Gruppo
Ova di E. lividus fecondate e in via di segmentazione.
Aggiunta di liquido spermatico come sopra.
Risultato positivo evidente : attorno alle ova che si trovano
nelle prime fasi della segmentazione cioè a 2, 4, 8 blastomeri,
gli spermatozoi si accumulano come attorno alle ova normali non
fecondate.
Dopo tali esperienze mi pare sufficientemente dimostrato
che 1’ « attrazione sessuale » è indipendente dalla penetrazione
dello spermatozoo nell’ ovo e quindi la prima ipotesi per spie-
gare la mancante attrazione in ova soprariscaldate è destituita
di fondamento.
Occorre adunque esaminare la 2a quistione se cioè tale at-
trazione sia dovuta a sostanze emananti dall’ ovo ed esercitanti
uno stimolo chimico, o in altri termini, se trattasi proprio di
un caso di chemotropisino sessuale, come ammette la generalità
dei biologi da Pfeffer in poi.
Certamente l’ ipotesi non manca di avere il suo addentellato
sperimentale d’ indole generale , per quanto ci siano ignoti i
cambiamenti chimici che possono per avventura verificarsi nel
30
Umberto Drago
[Memoria XVI.]
protoplasma ovulare per effetto della temperatura. Noi sappiamo
per esempio che a temperature superiori a 60° O. le lecitine
del tuorlo si sdoppiano. Si potrebbe quindi dedurre che altri
sdoppiamenti o sintesi si determinino a noi sconosciuti, per ef-
fetto dei quali cambiando struttura la sostanza protoplasmatica,
verrebbe meno 1’ azione cliemotropica di esse.
Per delucidare possibilmente questo quesito, ho voluto stu-
diare il problema non meno importante dell’attrazione specifica
cioè di quell’influenza che, secondo la generalità dei biologi, ogni
oyo spiegherebbe per attrarre soltanto lo spermatozoo della stessa
specie ; ho creduto quindi utile istituire una nuova serie di
esperienze. Con queste ho cercato anzitutto di constatare se fosse
realmente vero che gli spermatozoi si accumulassero soltanto
attorno alle ova della stessa specie, o si trattasse piuttosto di
uno dei soliti preconcetti scientifici, di cui il Yerworx, sul
proposito , nel passo precedentemente citato , ci dà un esempio
dimostrativo.
Esperienze
Per questo scopo ho incrociato sperimentalmente ova e sper-
matozoi di animali diversi, cominciando prima con elementi
sessuali provenienti da individui di specie diversa poi da indi-
vidui di diverso genere, classi, ordini e tipi, avendo cura di
mettere i detti elementi nelle identiche condizioni naturali di
mezzo : avvalendomi cioè di animali marini.
Nella tecnica ho avuto cura di assicurarmi della perfetta
vitalità dei prodotti sessuali sia coll’ osservazione diretta, sia coi
campioni di controllo nei quali seguivo il fenomeno di fecon-
dazione e di segmentazione ; non solo, ma ho anche istituito
delle esperienze comparative per quando si riferiva all’ entità
dell’ attrazione, mescendo il liquido spermatico sia con ova dello
individuo diverso, sia con quello di individui della stessa specie.
Questa pratica usavo sia in preparati separati, sia sullo stesso
preparato, cosichè non poteva rimanere dubbio. 1° Che gli elementi
31
Ricerche sull ’ “ attrazione ,, delle cellule sessuali
sessuali fossero vivi ed attivi. 2° Ohe il contenuto dei liquidi
spermatici fosse nei due casi quantitativamente identico. 3° Ohe
il paragone fra il prodotto normale e quello incrociato fosse
contemporaneo e perfettamente obbiettivo.
Queste precauzioni mi sono sembrate indispensabili non
solo per l’ esattezza e la scrupolosità dei risultati, ma ancora
per evitare che nelle mie osservazioni e deduzioni si infiltrasse
quella suggestione, dalla quale pur troppo non pochi osservatori
sembra siano stati trascinati in ricerche di questo genere.
Vili. S E EIE
I. (xEUPPO
Ova di Echinus microtuherc. Spermatozoi di E. lividus.
Lo sperma di E. lividus diluito al .solito in acqua di mare
viene aggiunto sul porta oggetti a una goccia contenente ova
di E. microtuberculatus , e in altro vetro a una goccia con ova
dello stesso E lividus.
Il risultato dell1 esperienza è positivo e abbastanza evidente
come del resto era a presumersi, visto la naturale possibilità di
incrociamenti fecondativi e generativi fra individui di specie
differente. Gli spermatozoi si aggruppano attorno alle ova co-
stituendo quei cumoli tanto caratteristici. Questo gruppo di espe-
rienze viene anche invertito nel senso che vengono successiva-
mente incrociati gli spermatozoi dell1 Echinus tuberculatus colle
ova dell’E. lividus ottenendone gli stessi risultati positivi.
II. Geuppo
Uova di Echinus lividus e spermatozoi di Asterias glaciali s
In una prima esperienza vengono messi insieme ova di E.
lividus e sperma di Asterias glacialis , e contemporaneamente è
preparato il solito campione di controllo con ova e spermatozoi
di Echinus.
32
Umberto Drago
[Memoria XVI.]
Il risultato è positivo ed evidente anche in questi elementi
sessuali incrociati, appartenenti a individui di differenti classi :
si notano gli accumuli di spermatozoi attorno alle ova come nel
campione contenente ova e spermatozoi di Echino.
L’ esperienza reciproca con ova di Asterias e spermatozoi di
Echinus si esegue contemporaneamente a quella di controllo ,
essendo facile a distinguere le ova di Echino da quelle di Aste-
rias, per il maggior diametro di queste. Viene quindi fatta una
miscela delle due sorta di ova, e vi si aggiunge sperma diluito
di Echino.
I risultati che si hanno contemporaneamente sott’ occhio non
lasciano distinguere differenze sostanziali. Come nei casi prece-
denti, gli spermatozoi di Echino si accumulano attorno alle ova
di Asterias nella stessa guisa che si addensano attorno a quelle
dello stesso individuo.
III. Gruppo
Ova di Echinus e spermatozoi di Ophyuris
Questo gruppo di esperienze è stato condotto come il pre-
cedente, e mi risparmio quindi dal riferirne i particolari : lo
sperma di Ophyuris viene aggiunto alle ova di Echinus e si
hanno analoghi risultati positivi evidenti, in quanto che gli
spermatozoi di Otìuride fanno densi accumuli attorno alle ova
di Echino.
Per mancanza di materiale non ho potuto eseguire il gruppo
di esperienze reciproche cioè con spermatozoi di Echino e ova
di Otiuride.
IV. Gruppo
Ova di Echinus e spermatozoi di Sepia ofpc.
Da questo gruppo in poi ho assunto i prodotti sessuali da
differenti tipi animali marini, incominciando a incrociare le ova
di Echinus cogli spermatozoi della Sepia officinali^.
Ricerche sull ’ “ attrazione ,, delle cellule sessuali
33
Ed anche qui, nelle numerosissime prove ripetute il risul-
tato è stato positivo.
E poiché gli spermatozoi di Sepia sono facilmente distin-
guibili da quelli dell ’ Echinus ho voluto in alcuni preparati fare
un miscuglio delle due sorta di sperma e aggiungere tale mi-
scuglio alle ova di Echino. I cumuli che si sono subito formati
attorno alle ova erano molto densi e costituiti in proporzioni
talmente abbondanti delle due sorta di zoospermi, da non potere
assolutamente dire quali di essi prevalesse numericamente.
Anche qui non ho potuto eseguire 1’ esperienza reciproca
per F eccessiva dimensione delle ova di Sepia la quale non mi
permetteva di seguire 1’ esperimento al microscopio.
V. Gruppo
Le esperienze seguenti sono state eseguite mettendo insieme
i prodotti sessuali di alcuni pesci con quelli dell’ Echinus livi-
dus. Devo però far notare che la difficoltà di procurarmi dal
mercato pesci vivi o pescati da recente, quantunque mi abbia
condotto a fare molteplici esperimenti , tuttavia solo in tre mi
ha fatto riscontrare gli elementi sessuali vivi.
In uno di questi esperimenti ho riunito lo sperma di En-
graulisencrasicholus i cui elementi erano vivacissimi, colle ora
dell’ Echinus.
Il risultato è stato positivo, poiché attorno a tali ova ho
potuto notare i caratteristici cumuli di spermatozoi dell’ Engraulis.
ÌNÙi due altri esperimenti mi sono valso rispettivamente
delle ova di Mugil ceplialus e Crenilabrus pavo tratte da indi-
vidui che mi erano stati portati al laboratorio quasi vivi. Ho
prescelto le ova più piccole perché fossero accessibili allo esa-
me microscopico e vi ho aggiunto lo sperma dell’ Echinus.
Anche in queste due esperienze ho avuto risultato positivo
poiché ho potuto notare attorno alle dette ova cumuli molto
ricchi di spermatozoi.
Atti acc. Serie 4% Voi.. XIX — Meni. XVI.
5
34
Umberto Drago
[Memoria XVI.]
Ma in queste due esperienze sono i cumuli, per la loro ori-
gine, da assimilare a quelli che si formano attorno alle ora
dell’ E. lividus ? Certamente i loro caratteri non lasciano a ve-
dere alcuna dissomiglianza, ma sulla loro origine non può asso-
lutamente concludersi che sia identica a quella dei casi prece-
denti. Infatti, data la forma e la dimensione delle ova, i detti
accumuli potrebbero aver quella causa puramente fìsica di attra-
zione molecolare accennata dall’ Herrera e che io stesso ho
potuto constatare con alcuni esperimenti molto dimostrativi
eseguiti mettendo insieme ova di Rana e spennatozoi di Eclii-
nus uccisi col calore.
Anche in questo caso in cui nessuna causa di attrazione
può venire invocata sugli spennatozoi morti, ho ottenuto attor-
no alle ova dei cumuli di questi , sebbene non molto ricchi,
cumuli i quali non possono spiegarsi diversamente se non am-
mettendo che l’ ovo per la sua dimensione e la sua forma sfe-
rica eserciti sui piccoli spennatozoi sospesi nel liquido un’ attra-
zione d’ indole tìsica analoga alle attrazioni molecolari.
Oosicliè non si può assegnare un valore decisivo, positivo o
negativo, ai risultati di queste due ultime esperienze.
Ma dalle altre esperienze di incrociamento risulta evidente
che 1’ « attrazione » degli spennatozoi verso le ova e i relativi
cumuli, si verificano anche quando gli elementi dei due sessi non
solo appartengono a generi diversi, ma a diverse classi e diversi
tipi, e come sia una semplice presunzione il ritenere che ogni
spermatozoo sia attratto dall’ ovo della stessa specie. L’ invocare
poi, come fa il Verworx, l’argomento delle « innumerevoli masse
di spennatozoi di animali differenti che popolano il mare » per
sostenere che « ogni specie trovi il suo ovulo corrispondente »
infirma anziché rafforzare il concetto dell’ attrazione specifica.
Dato infatti che realmente esista nel mare questa grande
promiscuità di innumerevoli masse di spennatozoi di differenti
specie, sarebbe strano l’ammettere che per ogni ovo esistesse per
lo meno una sostanza specifica capace di agire sullo spermatozoo
Ricerche sull1 “ attrazione „ delle cellule sessuali
35
della stessa specie come una calamita sulla limatura di ferro com-
mista ad altre polveri , prelevandolo dalla promiscuità , senza
subire influenze minoratrici dalla distanza, dalla diluizione del
mezzo, e dall’ incontro delle analoghe sostanze emananti dalle
ova delle altre specie. ISTè d’ altro canto sarebbe giustificata l’e-
norme dispersione di prodotti sessuali che avviene per ogni ani-
male in confronto a quelli che realmente vengono fecondati e
si sviluppano.
Pare invece più leggittimo T ammettere che, anche quando
sussista una causa generale che solleciti indistintamente tutti
gli spermatozoi verso le ova, a qualunque specie appartengano,
manchi invece quella causa specifica che attragga la specie verso
la specie, e che l’ incontro degli elementi della stessa specie sia
nella generalità affidato al caso, agevolato dalla comunanza del
mezzo, dalla vicina convivenza degli animali della stessa specie,
e dal numero straordinariamente grande di elementi sessuali di
cui la natura , indipendentemente dalla prolificità , ha fornito
tali animali. Tanto più verosimile appare questa deduzione, in
quanto che ha riscontro di analogia nel regno vegetale, come
per es. nell’ impollinazione delle piante anemofile.
L’indole stessa della fecondazione nelle varie specie ani-
mali in rapporto alla quantità dei prodotti sessuali , ci fa pre-
sumere che l’attrazione specifica non è conciliabile colle moda-
lità fisiologiche dei vari casi. Così troviamo in generale assai
più abbondante la produzione e più frequente la emissione dei
prodotti sessuali in quelle specie che si riproducono per fecon-
dazione esterna, in confronto a quelle in cui questa funzione si
compie nell’interno dell’organismo. Qual’ altra ragione adunque
può fare variare nei due casi la produzione degli elementi ri-
produttori, se non la più facile o più difficile dispersione nel-
l’ambiente, poiché la prolificità non può in tutti i casi venire
invocata*? ìson pare adunque logico a priori 1’ ammettere nelle
ova la presenza di sostanze capaci di attrarre soltanto gii sper-
matozoi della stessa specie, essendo questa una condizione che
36
Umberto Drago
[Memoria XVI.]
impedirebbe o per lo meno limiterebbe grandemente la disper-
sione di tanta quantità di prodotti sessuali , e quindi non ren-
derebbe ragione della loro esuberante produzione.
Per i precedenti esperimenti e per gli argomenti testé espo-
sti, la pretesa atti-azione esercitata dalle ova sugli spermatozoi
della stessa specie non ha ragione di sussistere, e non sussiste
nel fatto. Per quanto io lio constatato nei vari esperimenti, gli
spermatozoi si accumulano indifferentemente attorno a ora di
specie diverse. Molto probabilmente la differenziazione specifica
si manifesta nell’ impossibilità che avrebbe lo spermatozoo di
differente specie a penetrare entro 1’ ovo o a fecondarlo deter-
minandone la segmentazione.
Con ciò non è però risoluta la questione dell’ attrazione
sessuale nella sua espressione generale, cioè l’indagine della causa
che determina gli accumuli degli spermatozoi attorno alle ova
in genere, comprese quelle di specie differente.
Prendendo le mosse dalle esperienze eseguite mediante lo
aumento di temperatura , noi abbiamo potuto escludere 1’ inter-
vento d’ una modificazione fìsica la quale impedendo la pene-
trazione del zoosperma, tolga eventualmente il movente per la
attrazione ; ma rimane ancora a discutere la 2a ipotesi cioè la
possibilità di un’ influenza perturbatrice della temperatura sulle
eventuali sostanze chimiche agenti come stimoli, e la 3a rela-
tiva anch’ essa all’ azione perturbatrice del calore su una so-
stanza agglutinatrice degli spermatozoi la quale potrebbe av-
volgere 1’ ovo esternamente, e determinare quindi 1’ apparenza
di fenomeno attrattivo a un fenomeno puramente meccanico.
Per tentare di chiarire queste due ipotesi ho istituito una
nuova serie di esperienze tendenti ad ottenere la morte del pro-
toplasma ovulare senza indurvi presumibilmente alterazioni chi-
miche, e studiando quindi il comportamento degli spermatozoi
quando venivano messe a contatto coll’ ovo così influenzato.
Per tale scopo mi sono servito della corrente elettrica co-
stante ottenuta da un grande elemento Grenet, misurabile con
37
Ricerche sull ’ u attrazione ,, delle cellule sessuali
un sensibile milliamperometro e graduabile con reostato metal-
lico.
IX. Serie
Adoperando correnti debolissime di 1-1V2 MA sono riuscito
ad uccidere le ora, assumendo come criterio di controllo per la
loro morte la contemporanea morte degli spermatozoi trattati
colla stessa intensità di corrente, e 1’ incapacità delle dette ova
ad essere fecondate e a segmentarsi.
Poiché P aggiunta dello sperma al liquido (acqua di mare)
in cui si trovavano le ova già sottoposte a questo trattamento,
determinava la morte istantanea degli elementi maschili, ho ri-
cambiato 1’ acqua lavando parecchie volte le ova in nuovo li-
quido. Dopo tale pratica ho notato che gli spermatozoi si ag-
gruppavano immediatamente attorno alle ova uccise colla cor-
rente, come attorno alle ova normali.
Per effetto della corrente le ova subivano delle modificazioni
fìsiche visibili, consistenti principalmente nel loro rigonfiamento
e nel rischiaramento del protoplasma che poteva determinarsi o
soltanto alla periferia o in tutto 1’ ovo.
Ma poiché, ad onta della circospezione spiegata per elimi-
nare P influenza elettrolitica della corrente (alternandola rapida-
mente con opportuno invertitore) non riuscivo completamente
nello intento, ed ottenevo dopo l’applicazione della corrente un
liquido nocivo alla vitalità degli elementi maschili, era presu-
mibile che P azione elettrolitica sebbene diminuita non fosse
completamente eliminata, e che quindi le scomposizioni che av-
venivano nell’acqua contenente le ova si avveravano presumi-
bilmente nel protoplasma di, questo.
Sebbene adunque non sia sicuro di essere riuscito allo scopo
di uccidere il protoplasma senza indurvi alterazioni chimiche,
tuttavia i risultati di queste esperienze hanno un valore non
trascurabile.
Xelle ova, infatti, sottoposte a tale trattamento, essendo il
protoplasma morto , P accumulo degli spermatozoi non poteva
38
Umberto Drago
[Memoria XVI.]
evidentemente attribuirsi all’azione cheun iotropica dei prodotti
metabolici in formazione, nè a quella dei prodotti preformati e
residuali, i quali anche quando non fossero influenzati diretta-
mente dalla azione chimica elettrolitica della corrente, dovevano
tuttavia trovarsi nell’uovo in associazione a quegli stessi prodotti
della decomposizione elettrolitica die avevano reso l’acqua di
mare, attraversata dalla corrente elettrica, letale per gli spermato-
zoo Quell’eventuale azione chemiotropica positiva di tali sostanze
residuali doveva necessariamente esser controbilanciata dall’azione
negativa, letale, dei prodotti elettrolitici.
L’ ipotesi adunque che l’accumulo degli spermatozoi attorno
alle ova fosse il portato d’ un’ azione chemiotropica, perdeva per
effetto di quest’ altra serie di esperienze nuovo terreno.
Ma poiché, volendo sottilizzare, si potrebbe obbiettare che
la decomposizione elettrolitica del protoplasma, quantunque ovvia
ad ammettere, non era tuttavia provata direttamente, come lo
erano la sua morte e le sue alterazioni fisiche, e le modifica-
zioni fisiologiche del liquido contenente le dette ova, ho voluto
intraprendere un’ altra serie di esperienze tendenti appunto ad
alterare chimicamente il protoplasma ovulare non solo, ma a
renderlo altresì tossico per gli spermatozoi.
X. Seme
Per tale scopo ho trattato le ova del Riccio con soluzioni
di bicloruro di mercurio adoperando concentrazioni di liquido
diverse, e variando la durata di permanenza delle ova in esse.
I. Gruppo !
In un primo gruppo ho aggiunto una goccia di soluzione
satura di sublimato corrosivo a 20 goccie d’acqua, venendo così
ad ottenere una diluizione di circa 3,35 0/00, abbastanza concen-
trata, come si vede, per uccidere i microrganismi e le spore più
Ricerche sull ’ “ attrazione ,, delle cellule sessuali
39
resistenti. In questa soluzione ho mantenuto le ova per 10 mi-
nuti, dopo il qual tempo le ho rimosse, aspirando cautamente
il liquido e sostituendolo ripetute Tolte con acqua di mare. Quando
mi sono assicurato che quest’ acqua addizionale non uccideva
gli spermatozoi, ho messo insieme le ova così trattate, e lo sper-
ma normale del Riccio diluito come al solito.
Il risultato positivo è stato di un’evidenza indiscutibile : gli
spermatozoi hanno formato immediatamente attorno alle ova i
cumuli tanto caratteristici.
II. Gruppo
In questo gruppo di esperienze ho prolungato la durata di
permanenza delle ova nella stessa soluzione mercurica per mez-
z’ ora, dopo il qual tempo ho dovuto eseguire un lavaggio assai
più abbondante e ripetuto delle ova, prima di ottenere un li-
quido innocuo per gli spermatozoi.
L’ aggiunta dello sperma diluito, alle ova così trattate, ha
mostrato chiaramente la formazione dei soliti accumuli degli
elementi maschili attorno alle ova ; non solo, ma 1’ esperimento
è valso a dare la misura della rapidità con cui il fenomeno si
determina, poiché quando si va ad esaminare il preparato, dopo
l’aggiunta dello sperma, per quanta sollecitudine si spieghi nella
manipolazione, si riscontrano i noti cumuli già formati e gli
spermatozoi morti.
III. Gruppo
Ho voluto finalmente trattare le ova con soluzione satura
di sublimato, lasciandovele per dieci minuti, dopo il qual tempo
ho eseguito al solito un lavaggio esauriente sino ad ottenere una
acqua innocua per gli spermatozoi.
L’ aggiunta di questi alle ova non determina accumuli di
sorta: gli spermatozoi permangono per un certo tempo vivaci,
ma poi perdono ogni mobilità.
40
Umberto Brago
[Memoria XVI.]
Le modificazioni fìsiche sono nei tre gruppi di esperienze,
comuni; variano solo nel grado. Esse consistono principalmente
nell’opacità acquistata dal protoplasma, che già ad occhio nudo
si rivela come un imbianchimento delle ova, modificazione del
resto notissima nelle pratiche di fissazione al sublimato, usate
per la tecnica istologica, e dovute alla coogulazione degli albu-
minosi con formazione di composti organici del mercurio.
Per tali esperienze nelle quali il protoplasma dell’evo non
soltanto perde ogni attività vitale, ma si trasforma chimicamente
in un composto letale per gli spermatozoi, mi pare ovvio conclu-
dere che nè i prodotti di un metabolismo che più non sussiste,
nè quelli eventualmente preesistenti, possono essere invocati co-
me cause stimolanti degli accumuli degli spermatozoi attorno
alle ova. Ancora qui militano, e più potentemente, le conside-
razioni fatte a proposito delle ova sottoposte all’ influenza delia
corrente costante, e l’unica obbiezione possibile relativa all’e-
ventualità che il sublimato pur uccidendo il protoplasma, arre-
standone il metabolismo, e inducendovi notevoli alterazioni chi-
miche, non alteri le sostanze chemiotropiche residuate dai pro-
cessi metabolici originati prima della morte, cade di fronte alla
contemporanea tossicità assunta dal protoplasma in queste con-
dizioni. Poiché , dato pure che queste sostanze chemiotropiche
residuali non vengano alterate dal sublimato, è evidente che la
loro azione fisiologica « attrattiva » deve venire neutralizzata
dall’ azione per dir così, repulsiva di quel veleno contenuto nel
protoplasma, azione, la quale abbiamo visto determinare la morte
degli spermatozoi, poco dopo che questi si sono accumulati at-
torno alle ova.
Se adunque da un canto è dimostrato insussistente, il clie-
motropismo specifico soltanto fra prodotti sessuali della stessa
specie , se dall’ altro le manovre atte a produrre la morte del
protoplasma, la sua alterazione chimica e la sua tossicità , en-
tro certi limiti, non impediscono gli accumuli degli spermatozoi
attorno alle ova in genere, la dottrina del chemotropisino ses-
41
Ricerche sull ’ u attrazione ,, delle cellule sessuali
suale non si può dire per lo meno confortata dall’ esperienza
dei fatti.
Resterebbe a ricercare allora la cagione per la quale gli
spermatozoi si accumulano attorno alle ova, e l’ ipotesi più na-
turale mi parrebbe in questo caso che il fenomeno sia dovuto
a un agglutinamento dei filamenti spermatici attorno all’ ovo, de-
terminato da una sostanza attaccaticcia che lo ricopra esterna-
mente, o dalla proprietà adesiva dello strato periferico.
Quest’ ipotesi spiegherebbe anche la mancanza di accumuli
attorno alle ova trattate con soluzione satura di sublimato, es-
sendo verosimile che la soluzione così concentrata alteri tìsica-
mente lo strato periferico dell’ ovo sino a impedire l’agglutina-
mento degli spermatozoi.
Tuttavia per tentare di comprovare tale ipotesi io ho eseguito
due ordini di esperienze, valendomi di ova di Riccio rese speri-
mentalmente col calore o la soluz. satura di sublimato, incapaci
di « attrarre » gli spermatozoi. Ho immerso queste ova rispetti-
vamente in albume d’ovo e in muco faringeo, allungati con acqua
di mare, lasciandovele per circa un’ ora, dopo il qual tempo li
ho tratti dai liquidi, e vi ho aggiunto, come al solito, lo sper-
ma diluito dello stesso animale.
Ho notato attorno alle ova che avevano soggiornato nell’al-
bume dei ricchi cumuli di zoospermi vivacissimi, però tali cumuli
non erano permanenti, in quanto che dopo un certo tempo si dira-
davano. Viceversa, attorno alle ova uccise colla soluzione satura
di sublimato e trattate quindi col muco, si formavano cumuli
quasi ugualmente ricchi come nelle ova normali, e permanenti.
Se adunque ova incapaci di « attrarre » gli spermatozoi, e
quindi prive delle presunte sostanze cliemiotropiche interne ,
diventano capaci di attrazione con una manovra artificiale che
ne modifica soltanto lo strato esterno tìsicamente, è logico am-
mettere che il chemotropismo, quale fattore dei noti cumuli
degli spermatozoi attorno alle ova, non sussista nel fatto.
Tuttavia io non voglio annettere a queste esperienze un
Atti acc. Serik 4a, Vol. XIX — Mem. XVI. 6
42
Umberto Drago
[Memoria XVI.]
valore decisivo per spiegare quei cumuli di spermatozoi attorno
alle ova, che hanno tanto fissato 1’ attenzione dei biologi indu-
cendoli ad ascriverli a una « forza di attrazione » concretata in
questi ultimi tempi sotto forma di stimolo cliemiotropico eser-
citato da speciali sostanze contenute del protoplasma dell’ ovo.
Mi limito solo a rilevare che tutti questi risultati non depongono
in favore di questa dottrina del chemotropismo sessuale , e che
molto verosimilmente gli accumuli di spermatozoi attorno alle
ova della, stessa e di diversa specie, e quindi P apparente « at-
trazione » esercitata dall’ elemento femminile, non rappresentino
che il prodotto della proprietà aggluti natrice degli elementi dei
due sessi la quale si intensificherebbe col contatto dei due ele-
menti viventi.
Riassiiii to dei risultati
Facendo astrazione da ogni apprezzamento, mi pare oppor-
tuno riassumere i risultati delle ricerche fatte :
1. Il metodo dei tubi capillari, già adoperato dal Pfeffer
pei prodotti sessuali di alcune piante, applicato ad analoghe in-
dagini sugli animali, non dà alcun affidamento. Esso è fallace
in quanto che non fornisce un criterio sicuro per asserire che
gli spermatozoi obbediscano a stimoli emananti dalle sostanze
contenute nei capillari , seguendo soltanto quella direzione per
penetrarvi. Dalle esperienze fatte con sostanze presumibilmente
chemiotropiche, indifferenti e nocive, risulta invece che gli sper-
matozoi animali agitandosi in tutte le direzioni , pervengono
accidentalmente entro i tubi capillari.
2. Grli spermatozoi dell’ JEchimis lividus , e probabilmente
di altre specie animali, fuorescono ed entrano indifferentemente
dei tubi capillari disposti verticalmente, e fecondano le ova col-
locate rispettivamente all’ interno e all’ esterno.
3. Il previo riscaldamento delle ove di E. I. a tempera-
ture superiori a 50° 0. circa impedisce 1’ « attrazione » degli
spermatozoi.
43
Ricerche sull ’ “ attrazione,, delle cellule sessuali
4. Il riscaldamento a temperature superiori a 33° C. e
inferiore a 50°. C. mantiene nelle ova la capacità di « attrarre »
gli spermatozoi, ma le rende incapaci di essere fecondate.
5. Le oya immature con grossa vescicola germinativa ,
attraggono gli sperai atozoi allo stesso modo die le ova mature.
6. L’ ovo già fecondato, e quindi provvisto di membrana
esterna, attrae gli spermatozoi come 1’ ovo non fecondato.
7. Nell’ unione incrociata dei prodotti sessuali di Ecliinus
lividus , Asterias glacialis , Ophyuris , Sepia officinalis,
EngrauHs encrasicholus , Mugli cefalus , Crenilabrus paco, 1’ attra-
zione e 1’ accumulo degli spermatozoi attorno alle ova si eser-
cita come fra gli elementi della stessa specie.
8. La corrente galvanica debole mentre uccide il proto-
plasma ovulare , non impedisce 1’ accumulo degli spermatozoi
attorno alle ova.
9. Le ova di Riccio trattate per 10-30 minuti con solu-
zione di bi cloruro di mercurio al 3 °/00 e lavate accuratamente
attraggono gli spermatozoi come le ova normali.
10. Le ova predette trattate con soluzione satura di bi-
cloruro di mercurio per 10 minuti perdono il potere di attrarre
gli spermatozoi.
11. Le ova che in seguito ai superiori trattamenti hanno
perduto il potere di attrarre gli spermatozoi, lo riacquistano se
vengono tenuti per circa un’ ora in muco diluito con acqua di
mare.
CONCLUSIONI
Da questi risultati sperimentali, io credo si possano trarre
le seguenti conclusioni.
I. Gli spermatozoi di E. lividus non risentono come stimolo
direttivo l’ influenza della gravità : essi non sono cioè barotropici.
II. L’ « attrazione sessuale » è indipendente dalla capacità
dell’ ovo a lasciarsi penetrare dallo spermatozoo.
44
Umberto Drago
[Memoria XVI.]
III. Essa è altresì indipendente dalla maturazione dell’ovo
e dalla sua fecondabilità, cioè dall’attitudine a segmentarsi.
IV. A prescindere dalla causa dell’ attrazione sessuale , è
erronea la credenza di un’ attrazione specifica, determinante lo
accumulo degli sperrnatozoi soltanto attorno alle ova della stessa
specie.
V. Gli esperimenti non confermano 1’ opinione di un che-
motropismo sessuale d’ indole generale : per essi pare invece più
verosimile 1’ ammettere che gli sperrnatozoi si accumulano at-
torno alle ova per una proprietà adesiva dello strato periferico
di queste, resa più efficace dal potere agglutinante degli sper-
matozoi.
E quindi per non pregiudicare il concetto sull’ indole e
sulla causa del fenomeno sarebbe opportuno sopprimere le espres-
sioni di « chemotropismo », e « attrazione sessuale » sostituen-
dole con altra che caratterizzi il fenomeno dal lato puramente
obbiettivo, come p. es. « coniugazione germinale. »
Memoria XVII.
1 fossili postpliocenici di Salustro, presso Motta S. Anastasia.
Mentre i vari depositi postpliocenici che compariscono qua
e là in mezzo ai terreni vulcanici che si estendono a Nord-Est
della città di Catania sono stati da lungo tempo oggetto di studio
da parte di molti geologi e paleontologi italiani e stranieri, la
vasta formazione di argille che si estende ad Ovest della città
fin presso Paterno è rimasta quasi inesplorata, almeno dal punto
di vista paleontologico.
Tolto infatti un elenco di 13 specie rinvenute da Inter-
landi alla Possa della Creta (1), altre 30 enumerate dal prof. B.
Gravina (2) di varie località delle Terreforti, non abbiamo di
questa contrada che degli accenni un po’ vaghi in alcune me-
morie del Prof. C. Gemmellaro (3) ed una Relazióne geognostica
del Prof. Sci uto-Pàtti (4), nella quale sono compendiate le po-
che notizie geologiche che si avevano sni vari depositi di questa
fertile regione.
(1) P. Inthrlandi — - Memoria sopra il terreno terziario della Fossa della Creta e sue a-
diacenze presso Catania ( Atti d. Acc. Gioeiiiu oli Se. Nat. in Catania, Tomo XIII, 1839).
(2) B. Gravina — Note sur les terrains tertiaires et quaternaires des environs de Catane
(Boll. ol. Soc. Geo. ole Trance, sér. 2e ; voi. XV, 1858).
(3) C. Gemmei.t.aro — Condizioni geologiche del tratto terrestre dell’ Etna ( Atti d. Acc.
Gioenia oli Se. Nat. in Catania, T. I. ) — Cenno geologico sul terreno della Piana di Catania
(Ibiolem, voi. XIII) — Sulla costituzione fìsica dell’ Etna (Ibidem, ser 2a. voi. III). — Saggio
di storia fisica di Catania (Ibiolem, ser. 2a voi. V.) — Vulcanologìa dell’Etna (Ibiolem, ser. 2a,
voi. XIV) — Elementi di Geologia, pag. 132., Catania, 1840., ecc.
(4) C. Sciuto Patti — Relazione geognostica delle colline delle Terreforti, ecc. (Atti ol.
Acc. Gioenia di Se. Nat. ser. 2a, voi. XII), 1856.
Atti acc. Serie 4a, Voi,. XIX — Meni. XVII.
1
2
Doti. 8. Scalia
[Memoria XVII.]
Anche più tardi Lyell (1), Waltershausen (2) ed altri autori
hanno parlato incidentalmente delle argille delle Terreforti, che
strati grati cani e n te sono state sempre associate ai ben noti depositi
fossiliferi di Cibali, di Catira e di Nizzeti ; fino ad ora però non si
conosceva di questa contrada una località molto fossilifera la cui
fauna potesse mettersi a raffronto con quelle abbastanza ricche
degli altri depositi postpliocenici sub-etnei, già da tempo cono-
sciuti, e dei quali mi sono occupato in vari lavori pubblicati
negli Atti di questa Accademia (3).
La nuova località fossilifera dalla quale provengono le specie
più avanti enumerate mi venne indicata dal sig. O. De Fiore che
ne ebbe notizia dai signori Monaco, nella cui proprietà sita in
contrada Salustro, a trecento metri circa ad Ovest del Cimitero
di Motta S. Anastasia, i fossili si trovano in grande abbondan-
za sul pendio settentrionale di una coll inetta argillosa, elevata
di 280 metri sul livello del mare.
In questa località, come negli altri depositi del Postpliocene
sub-etneo, le argille azzurre, quasi pure, che stanno in basso, sono
molto povere di fossili, i quali si trovano invece in abbondanza
nelle argille superiori, giallastre e sabbiose che contengono anche
dei ciottolini di arenarie, di quarziti e di varie rocce cristalline.
Nella formazione argillosa di Salustro non ho riscontrato lenti di
sabbie vulcaniche, ciottoli di basalto, cristallini isolati di augite
o frammenti di altri elementi vulcanici che si trovano frequen-
temente nei depositi di Nizzeti, Catira, S. Paolo, etc. Superior-
(1) Ch. Lyell — Principles of geology. Varie edizioni.
» — • On thè Structure of Lavas with Remarks on thè Mode of Origin of
Mount Etna, etc. (Phil. Trans, for 1858, Bd. 148, P. II).
(2) S. von Waltershausen. — Ber Aetna, voi. II, pag. 33-39, Leipzig. 1880.
(3) S. Scali a — Revisione della fauna post-pliocenica dell’ argilla di Nizzeti, presso Aci-
Ca8tello (Catania) Atti d. Acc. Gioenia di Se. Nat. in Catania, ser. 4a, voi. XIII, 1900). —
Il Post- pliocene del Poggio di Cibali e dì Catira, presso Catania (Ibidem, ser. 4a , voi. XIV,
1901). — Sopra una nuova località fossilifera del Post-pliocene sub-etneo (Ibidem, ser. 4a, voi.
XIV, 1901). — Sul Pliocene e il Post-pliocene di Cannizzaro ( Boll. d. Acc. Gioenia di Se.
Nat. in Catania, fase. LXXII, febbraio, 1902).
1 fossili postpliocenici di Salustro
3
mente agli strati fossiliferi , che formano come una lente , si
notano degli straterelli di sabbie giallastre zeppi di piccole valve
di Mactra siibtruncata , Montg. s p . , e più in alto le argille ,
sempre più sabbiose, passano a sabbie giallastre, sulle quali
riposa il conglomerato che si estende sopra una vasta zona delle
Terreforti.
Dall’elenco che segue risulta che le specie dame rinvenute
nella contrada Salustro ascendono a 154, delle quali solo cinque
non sono conosciute viventi: Chlamys sub-clavata, O ant.r . sp.,
Dentai inni PhiUppii , Montrs., Tur niella tricarinata , Br. s p . ,
v a r . plio-recens, Montrs., Buccinimi striatimi , P h . , Nassa
crasse-sculpta , Brugn. sp. Queste specie si riscontrano anche
negli altri depositi postpliocenici sub-etnei.
Questa fauna che per il modo di aggregazione dei generi e
delle specie, per la freschezza delle conchiglie, le quali spesso mo-
strano ancora vivi i colori, e per 1’ esiguo numero di specie non
conosciute viventi, mostra le più grandi affinità con quelle di
Nizzeti, Cibali, Catira e S. Paolo, non lascia alcun dubbio sul
riferimento di questo nuovo deposito fossilifero ad un orizzonte
molto elevato del Postpliocene marino o piano siciliano del
Doderlein, al quale appartengono gli altri depositi argillosi sub-
etnei.
Elenco delle specie fossili raccolte a Salustro.
ANTHOZOA
1. Lophohelia Defrancei, Ed, et H. — Quattro esemplari.
2. Caryopliyllia clavus , Scacchi — Rara. Fossile anche a Cannizzaro, a
Catira e a Nizzeti.
3. Cladocorci caespitosa, L. sp. — Rara (viv. z. Lt.) Fossile anche a
Nizzeti, S. Paolo e Pozzo di S. Toda.ro (Oollez. Gravina).
EOHINODERMATA
4. Ampliiura squamata, Sars. — Gii bello esemplare , (viv. Lt. L.)
Debbo la determinazione di questa specie, trovata dal Sig. De Fiore in un
4
Doti. S. Scalia
[Memoria XVII.]
tubo di Vermetus gigas, Biv. , alla gentilezza del Chiarissimo Prof. A. Busso,
al quale rendo qui vivissime grazie.
o. Cidaris sp. — Un frammento di radiolo.
VERMES
6. Serpula vermicularis , L. — Rara (viv. z. Lt.). Fossile anche a Ca-
tira e a Xizzeti.
7. Vermilia sp. — Rara.
* 8. Bitrupa arietina , Miill. — Frequente (viv. z. Lt. L.) Abbonda nei
depositi di Cannizzaro, Cibali, Catira, Xizzeti, S. Paolo, Vena e Fossa della
Creta (Collez. Aradas).
9. Pomatoceros triqueter , L. sp. — Rara (viv. z. Lt. L.) Fossile anche
a Catira, Xizzeti e S. Paolo.
10. Protula protula, Cuv. sp. — Frequente (viv. z. Lt. L.) Fossile an-
che a Catira, a Xizzeti e a S. Paolo.
11. Betepora cellulosa , L. — Un bello esemplare (viv. z. Lt.)
MOLLUSCA
Lamellibranchiata
12. Chlamys opercularis , L. sp. — Frequente (viv. z. Lt. L. C.) Fossile
anche a Cibali, Catira, Xizzeti, S. Paolo e Vena.
* 13. Chlamys inflexa , Poli sp. — Una valva beu conservata (viv. z. L. C.)
Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Xizzeti e Motta S. Anastasia
(Collez. Grav.).
14. Chlamys subclavata , Cantr. sp. — Una valva rotta. Fossile anche
a Cibali, Catira, Xizzeti e S. Paolo.
15. Pecten Jacoboeus, L. sp. — Piccole valve, (viv. z. L.) Fossile an-
che a Cibali, Catira, Xizzeti, S. Paolo e Vena.
1G. Lima ( Radula ) squamosa , Lamk. — Una valva rotta (viv. z. Lt. L.)
Fossile anche a Catira, Xizzeti e S. Paolo.
17. Anomia ephyppium L. — Due belle valve (viv. z. Lt. L. C.) Fos-
sile anche a Cibali, Catira, Xizzeti e S. Paolo.
18. Placunanomia potetti formis, L. sp. — Varie valve (viv. z. L. C.) Fos-
sile anche a Cibali, Catira, Xizzeti e S. Paolo.
* Le specie precedute da un * sono state indicate dal Prof. B. Gravina (Op. cit., pag.
418-421) per le Terreforti, senza precisarne le località dove furono rinvenute. Quelle pre-
cedute da una -f- non sono conosciute viventi.
1 fossili postpliòcenici di Sa lustro
5
19. Placunanomia striata , Br. sp. — Frequente (viv. z. L.) Fossile nu-
che a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
20. Ostrea sp. — Valve indeterminabili.
* 21. » ( Gryphaea ) cochlear , Poli — Una valva rotta (viv. z. L. C.)
Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e M. Cardillo (Grav.).
* 22. Nucula nucleus, L. sp. — Varie valve (viv. z. Lt. L. C.) Fossile an-
che a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
23. Nudila silicata, Bronn. — Abbastanza frequente (viv. z. L. C.) Fos-
sile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
24. Leda (Lembulus) polla , L. sp. — Una sola valva (viv. z. Lt. L. C.)
Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
25. Arca ( Anadara ) Polii , Mayer. — Una valva (viv. z. L. C.) Fossile
anche a Cannizzaro, Nizzeti e S. Paolo.
26. Pectunculus insubricus, Br. sp. — Due valve (viv. z. Lt. L.) Fos-
sile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
27. Pectunculus bimaculatus. Poli sp. — Una valva (viv. z. L. C.) Fos-
sile anche a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Vallone di S. Biagio (Grav.).
28. Venericardia silicata , Brug. sp. — Una sola valva (viv. z. Lt. L.)
Fossile anche a Nizzeti.
29. Astarte fusca , Poli sp. — Una piccola valva (viv z. L. C.) Fossile
anche a Cannizzaro, Cibali, Catira e Nizzeti.
30. Astarte silicata, Da Costa sp. — Rara (viv. z. L. C.) Fossile anche
a Catira e a Nizzeti.
* 31. Cardium echinatum, L. — Una piccola valva (viv. z. L. C.) Fossile
anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
32. Cardium papillosum, Poli — Abbondante (viv. z. Lt. L.) Fossile an-
che a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Pozzo di S. Todoro ( Collez.
Grav. ).
* 33. Cardium tuberculatum, L. — Abbastanza frequente (viv. z. Lt. L.)
Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti, San Paolo, Vena e Fossa
della Creta (Iuterlandi).
34. Cardium paucicostatum, L. — Due belle valve (viv. z. L. C.) Fos-
sile anche a Cibali e a S. Paolo.
35. Cardium minimum , Ph. — Abbondante (viv. z. C.) Fossile anche
a Nizzeti.
36. Tapes edulis, Chemntz sp. — Una valva rotta (viv. z. Lt.) Fossile
anche a Cibali e a Catira.
37. Venus ( Cliione ) ovata , Peno. — Comune (viv. z. Lt. L. C.) Molto
frequente in tutti i depositi postpliocenici sub-etnei.
6
Doti. ti. tienila
[Memoria XVII.]
38. Venus ( Chione ) striatula , Forb. et Haul. — Abbondante (viv. z. L.)
Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Xizzeti, S. Paolo e Vena.
39. Venus (Chione) gallina , L. — Piccole valve (viv. z. L.) Fossile anche
a Cibali, Catira, Xizzeti, S. Paolo e Vena.
# 40. Venus (. Anaitis ) fasciata , Donov. — Poche valve (viv. z. L. C.) Fos-
sile anche a Canuizzaro, Cibali, Catira, Xizzeti e S. Paolo.
41. Meretrix chione, L. sp. — Una valva (viv. z. L. C.) Fossile anche
a Cibali, Catira, Xizzeti, S. Paolo e Vena.
43. Donax trunculus , L. — Tre valve (viv. z. Lt.) Fossile anche a Ci-
bali, Catira e 8. Paolo.
43. Tellina donacina , L. — Tre valve (viv. z. L. C.) Fossile anche a
Cibali, Xizzeti e S. Paolo.
# 44. Tellina distorta, Poli — Una piccola valva (viv. z. Lt. L.) Fossile
anche a Cibali, Xizzeti e S. Paolo.
45. Tellina pulchella, Poli — Una piccola valva (viv. Lt.) Fossile an-
che a Cibali e a Catira.
# 46. Mactra subtruncata , Montg. sp. — Abbondante (viv. z. Lt. L.) Fos-
sile anche a Cibali, Catira, Xizzeti, 8. Paolo, Vena, Pozzo di S. Todaro
(Collez. Gravina) e Fossa della Creta (Collez. Aradas).
47. Mactra corallina, L. — Una valva ben conservata (viv. z. Lt. L.)
48. Lutraria ellittica, L. — Un frammento (viv. z. Lt. L.) Fossile an-
che a Catira, a Cibali e a Xizzeti.
49. Corbula gibba, L. — Abbondante (viv. z. L. C.) Fossile anche a
Cannizzaro, Cibali, Catira, Xizzeti, S. Paolo, Vena, Fossa della Creta (Collez.
Aradas) e Pozzo di S. Todaro (Collez. Gravina).
50. Pholas dactylus, L. — Pochi frammenti (viv. z. Lt.) Fossile anche
a Xizzeti e a S. Paolo.
Scaphopoda
51. Dentalium dentale , L. — Un esemplare rotto (viv. z. L. C.) Fossile
anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Xizzeti, S. Paolo e Vallone di 8. Biagio.
(Gravina).
52. Dentalium novemcostatum, Lamk. — Belli esemplari (viv. z. L. C.)
Fossile anche a Cibali, Catira, Xizzeti, San Paolo e Pozzo di S. Todaro
(Collez. Gravina).
53. Dentalium rubescens, Desìi. — Quattro frammenti (viv. z. L. C.)
Fossile anche a Cibali e a Catira.
-f- 54. Dentalium Philippii, Moutrs. — Un esemplare e varii frammenti.
Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Vena e Fossa della Creta (Interlaudi).
I fossili postpliocenici di Salustro
7
Amphineura
55. Chiton olivaceus, Spengler. — Una placca intermedia (viv, z. Lt.)
Fossile anche a Nizzeti.
Gastropoda
56. Fattila coernlea , L. — Due esemplari (viv. z. Lt.) Fossile anche a
Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
57. Emarginala elongata , O. G. Costa — Un bello esemplare (viv. z.
Lt. L.) Fossile anche a Cibali, Catira e Nizzeti.
58. Fissurella gibberula, Lamk. — Un esemplare rotto (viv. z. Lt.)
Fossile anche a Nizzeti e a S. Paolo.
59. Haliotis lamellosa , Hidalgo — Un piccolo esemplare (viv. z. Lt.)
Fossile anche a Catira, Nizzeti e S. Paolo.
60. Astralium ( Bolina ) rugosum , L. sp. — Un magnifico esemplare ed
un opercolo (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
61. Turbo (Collonia) sanguineus, L. — Belli esemplari (viv. z. L. C.)
Fossile anche a Catira, Nizzeti e S. Paolo.
62. Fhasianella palla L. sp. — Vari esemplari (viv. z. Lt.) Fossile an-
che a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
63. Fhasianella punctaia , Risso — Diversi esemplari (viv. z. Lt. L.)
Fossile anche a Nizzeti.
64. Calliostoma conuloide, Lamk. sp. — Diversi esemplari (viv. z. L. C.)
Fossile anche, a Nizzeti e S. Paolo.
65. Calliostoma convitivi, Lamk. sp. — Un solo esamplare (viv. z. L.)
Fossile anche a Cibali, Catira e Nizzeti.
66. Calliostoma dubitivi , Ph. sp. — Frequente (viv. z. L. C.) Fossile
anche a Nizzeti e S. Paolo.
67. Calliostoma Laugieri, Payr. sp, — Quattro esemplari (viv. z. Lt. L.)
Fossile anche a Catira, Nizzeti e S. Paolo.
68. Calliostoma sp.
69. Calliostoma granulatimi , Borii, sp. — Un solo esemplare (viv. z.
Lt. L. C.) — Fossile anche a Catira e Nizzeti.
70. Calliostoma M atonii , Payr. sp. — Frequente (viv. z. Lt.) Fossile an-
che a Catira e Nizzeti.
71. Calliostoma striatimi , L. sp. — Frequente (viv. z. Lt. L.) Fossile
anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
72. Calliostoma exasperatum, Perni, sp. — Molto abbondante (viv. z. Lt.
L.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
8
Doti. 8. /Scali a
[Memoria XVII.]
73. Calliostoma millegranum , Pii. sp. — Abbondante (viv. z. L. C.)
Fossile anche a Catira e Nizzeti.
74. Calliostoma depictum, Desìi, sp. — Non molto comune (viv. z. L. <_'.)
Fossile anche a Catira, Nizzeti e S. Paolo.
75. Calliostoma sp. — Uu magnifico esemplare.
76. Gibbuta magus, L. sp. — Abbondante (viv. z. Lt. L. C.) Fossile
anche a Canuizzaro, Cibuli, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
77. Gibbuta Guttadauri, Ph. sp. — Quattro piccoli esemplari (viv. z.
L. C.) Fossile anche a Catira, Nizzeti e S. Paolo.
78. Gibbuta ardens , von Salis — Frequente (viv. z. Lt. L.) Fossile
anche a Catira e Nizzeti.
79. Gibbuta fanulum , Gmel. sp. — Tre bei esemplari (viv. z. L. C.)
Fossile anche a Nizzeti.
80. Gibbuta Richardii , Payr. sp. — Vari esemplari (viv. z. Lt.) Fossile
anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
81. Gibbuta canaliculata , Lamk. sp. — Rara (viv. z. Lt.)
82. Gibbuta turbinoides , Desh. sp. — Comune (viv. z. Lt.) Fossile an-
che a Nizzeti e S. Paolo.
83. Gibbuta umbilicaris , L. sp. — Tre esemplari (viv. z. Lt.) Fossile
anche a Nizzeti e S. Paolo.
84. Gibbuta Ractcetti, Payr. sp. — Frequente (viv. z. Lt.) Fossile auche
a Nizzeti.
85. Clanculus corallinus , Cerni, sp. — Sei esemplari molto ben conser-
vati (viv. z. Lt. L.) — Fossile anche a Catira, Nizzeti e S. Paolo.
86. Clanculus cruciatus , L. sp. — Frequente (viv. z. Lt.) Fossile a Ci-
bali, Catira Nizzeti, e S. Paolo.
87. Clanculus Jussieui , Payr. sp., et var. cincta , Seal. — Frequente
(viv. z. Lt.) — Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
88. Clanculus (Olivia) Tinei , Calcara sp. — Un bello esemplare (viv.
z. C. A.) Fossile anche a Nizzeti.
89. Calyptraea chinensis, L. sp. — Piuttosto frequente (viv. z. Lt. L.
C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
# 90. Natica (Nacca) millepunctata. Lamk. sp. — Abbondante (viv. z. Lt.
L. C.) Fossile anche a Canuizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Pozzo
di S. Todaro (Collez. Gravina).
91. Natica ( Nacca. ) fusca , De Blainv. — Due esemplari (viv. z. L. C.)
Fossile anche a Canuizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
92. Natica (Nacca) catena , Da Costa sp. — Poco frequente (viv. z. Lt.
L. ) Fossile anche a Nizzeti e S. Paolo.
1 fossili postpliocenici di iSalustro
9
93. Natica ( Naticina ) macilenta , Ph. — Abbastanza frequente (viv. z. L.
0.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Pozzo di S. Todaro
(Collez. Gravina).
94. Natica (Ne verità) Josephinia , Risso sp. — Due bei esemplari (viv.
z. Lt. L.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Pozzo di S. To-
daro (Collez. Gravina).
95. Rissoia variabili s, Miilhf. sp. — Vari esemplari (viv z. Lt. L.) Fos-
sile anche a Nizzeti e S. Paolo.
* 96. Rissoia oblonga , Desm. — Rara (viv. z. Lt. L.) Fossile anche Cibali,
Catira e Nizzeti.
97. Rissoia sp. — Un solo esemplare.
98. Rissoia (Alvania) cimex, L. sp. — Rara (viv. z. Lt. L.) Fossile an-
che a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
99. Rissoia ( Alvania ) lactea, L. — Un solo esemplare (viv. z. Lt.) Fos-
sile anche a Nizzeti.
100. Rissoia ( Alvania ) cancellata , Da Costa sp. — Rara (viv. z. Lt. L.) Fos-
sile anche a Nizzeti e S. Paolo.
101. Rissoia ( Alvania ) Montagui, Payr. — Rara (viv. z. Lt.) Fossile anche
a Nizzeti.
* 102. Scalarla ( Clathrus ) communis , Lamk. — Un esemplare rotto (viv.
z. Lt. L.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Fossa della Creta
(luterlandi).
103. Scalarla (Fuscoscala) ten uico sta, Mieli. — Vari esemplari rotti (viv.
z. L. C.) Fossile a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
* 104. Turritella communis , Risso — Abbondante (viv. z. L. C.) Fossile
anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti, tì. Paolo , Vena e Pozzo di S.
Todaro (Collez. Gravina).
-)- 105. Turritella tricarinata , Br. sp., var. plio-recens, Montrs. — Comune.
Fossile anche a Catira e Nizzeti.
106. Turritella breviata , Brugn. — Due esemplari (viv. z. L. C.) Fos-
sile anche a Cannizzaro, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
107. Vermetus gigas , Biv. — Un frammento ben riconoscibile (viv. z.
Lt.) Fossile anche a Nizzeti e al Pozzo di S. Todaro (Collez. Gravina).
108. Vermetus semisurrectus, Biv. — Un frani incinto (viv. z. Lt.) Fossile
anche a Nizzeti e a S. Paolo.
* 109. Vermetus subcancellatus , Biv. — Vari frammenti (viv. z. Lt.) Fos-
sile anche a Nizzeti e S. Paolo.
110. Vermetus triqueier, Biv. — Due bei frammenti (viv. z. Lt.) Fossile
anche a S. Paolo.
Atti acc. Serie 4a, Vor.. XIX — Mem. XVII. 2
10
Boti. 8. Scalia
[Memoria XVII.]
# 111. Buiima subulata, Donov. sp. — Un esemplare molto beu conservato
(viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali.
112. Cerithium vulgatum , Brug. — Un framento ben riconoscibile (viv.
Z. Lt. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e Fossa della Creta
(Collez. Aradas).
113. Ceritlnum rupestre , Risso. — Due esemplari ben conservati (viv. z.
Lt. L.) Fossile anche a Nizzeti e a S. Paolo.
114. Bittium Jadertinum , Brus. sp. — Vari esemplari (viv. z. Lt.) Fos-
sile anche a Nizzeti.
115. Bittium lacteum , Ph. sp. — Tre esemplari (viv. z. L. C.) Fossile anche
a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
116. Bittium Latreillei , Payr. sp. — Frequente (viv. z. Lt. L.) Fossile
anche a Nizzeti e S. Paolo.
117. Triforis perversa , L. sp. — Un solo esemplare (viv. z. Lt. L. C.)
Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
118. Chenopus serresianus , Mich. — Frequente (viv. z. L. C.) Fossile
anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Fossa della Creta
(Collez. Aradas).
119. Cypraea ( Trivia ) europaea , Montg. — Un solo esemplare (viv. z. Lt.
L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
120. Cypraea ( Trivia ) pulex , Gray — Due esemplari (viv. z. Lt. L. C.)
Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
121. Cassidaria echinophora, L. sp. — Frequente (viv. z. L. C.) Fossile
anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
* 122. Cassidaria Thyrrena , Chemntz. sp. — Un magnifico esemplare (viv. z.
L. C.) Fossile anche a Cibali e Catira,
123. Triton corrugatus , Lamk. — Un bello esemplare (viv. z. L. C.) Fos-
sile anche a Cannizzaro, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
124. Columbella rustica , L. sp. — Due esemplari (viv. z. Lt. L.) Fossile
anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
125. Columbella ( Mitrella ) scripta , L. sp. — Abbastanza frequente e
molto ben conservata (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti
e S. Paolo.
126. Columbella ( Mitrella ) decollata , Brus. — Rara (viv. z. L.) Fossile
anche a Nizzeti.
127. Columbella ( Mitrella ) Gervillei , Payr. sp. — Due esemplari (viv. z.
L. C.) Fossile anche a Nizzeti e a S. Paolo.
128. Lachesis minima , Montg. sp. -- Un esemplare (viv. z. L. C.) Fos-
sile anche a Cibali.
I fossili postpliocenici di Salustro
11
-j- 129. Buccinimi striatimi , Pii. — Un magnifico esemplare. Fossile anche
a Cannizzaro, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
130. Nassa Edwardsi , Fischer. — Abbastanza frequente (viv. z. L. C.
A.) Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Pozzo di
S. Todaro (Collez. Gravina).
131. Nassa costatata, Ren. sp. — Rara (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a
Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
-f- * 132. Nassa crasse-sculpta, Brugo, sp. — Due piccoli esemplari. Fossile
anche a Cannizzaro, Cibali, > Catira, Nizzeti e S. Paolo.
133. Nassa limata , Chemntz. sp. — Abbastanza frequente (viv. z. L. C.)
Fossile anche a Cannizzaro, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
* 131. Nassa mutabilis, L. sp. — Abbondante (viv. z. Lt. L.) Fossile
anche a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Pozzo di S. Todaro (Collez. Gra-
vina).
135. Nassa ( Zeuxis ) incrassata, Strom. sp. — Rara (viv. z. Lt.) Fossile
anche a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Pozzo di S. Todaro (Collez. Gra-
vina).
136. Nassa ( Zeuxis ) reticulata, L. sp. — Rara (viv. z. Lt.) Fossile anche a
Nizzeti e S. Paolo.
137. Nassa (. Zeuxis ) varicosa, Turton sp. — Abbastanza frequente (viv.
z. Lt. L.) Fossile anche a Nizzeti e S. Paolo.
L38. Nassa (. Amycla) corniculum , Olivi sp. — Rara (viv. z. Lt.) Fossile
anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
* 139. Nassa (Mone) gibbosula, L. sp. — Rara (viv. z. L.) Fossile anche
a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Fossa della Creta (Interlandi).
140. Cyclonassa neritea, L. sp. — Molto rara (viv. z. Lt. L.) Fossile anche
a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
* 141. Murex (Bolinus) brandaris, L. — Vari frammenti ben riconoscibili
(viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira e Nizzeti.
142. Murex ( Muricantlia ) trunculus, L. — Un magnifico esemplare (viv. z.
Lt. L.) Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
* 143. Murex ( Muricopsis ) eristatus, Br. sp. — Nou molto frequente (viv.
z. L. C.) Fossile anche a Catira, Nizzeti e S. Paolo.
144. Ocinebra Edwardsi, Payr. sp. — Un solo esemplare (viv. z. Lt.)
Fossile anche a Nizzeti e S. Paolo.
145. Ocinebra erinacea, L. sp. — Vari esemplari (viv. z. L. (3.) Fossile
anche a Nizzeti.
146. Ocinebra ( Hadriania) craticulata , Br. sp. — Frequente (viv. z. L. C.)
Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
12
Boti. S. Scalia
[Memoria XYIT.]
147. Trophon muricatus, Montg. sp. — Non molto frequente (viv. z. L. C.)
Fossile anche a Nizzeti.
148. Fusus rostratus , Olivi sp. — Due soli esemplari (viv. z. Lt. L. C.)
Fossile anche a Oannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
149. Eutria cornea, L. sp. — Un solo esemplare (viv. z. Lt. L. C.) Fos-
sile anche a Oannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
150. Marginella secalina , Ph. — Rara (viv. z. L. C.) Fossile auclie a Ca-
tira, Nizzeti e S. Paolo.
151. Daphnella ( Raphitoma ) fuscata , Desìi, sp. — Rara (viv. z. Lt.) Fossile
anche a Nizzeti e S. Paolo.
152. Daphnella ( Bella rdiella) gracilis, Montg. sp. — Rara (viv. z. L. C.)
Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
153. Bonus ( Chelyconus ) mediterraneus, Brug. — Un solo esemplare (viv. z.
Lt. L.) Fossile anche a Oannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo.
154. Ringicnla conformis , Montrs. — Abbastanza frequente (viv. z. L. C.)
Fossile anche a Cibali, Nizzeti, S. Paolo, Vena e Pozzo «li S. Todaro (Collez.
Gravina).
Dal Museo di Geologia della R. Università
Catania, maggio 1906.
Memoria XVIII.
Dott. SALVATORE DI FRANCO
T
Gli inclusi nei basalte dell’ isola dei Ciclopi.
fcou una tavola)
RELAZIONE
DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE COMPOSTA DAI SOCI EFFETTIVI
Proff. GRASSI e BUGGA (relatore).
Il lavoro del D.r S. Di Franco tratta di una questione importante e
nuova riguardante la genesi di svariati minerali, onde va rinomata l’ isola
dei Ciclopi. Nessuno uvea sinora accennato all’ esistenza di singolari inclu-
sioni nel basalte di quell’ isola, e che la ricchezza di quei minerali fosse
limitata ad una speciale e limitata zona, indicata dal D.r Di Franco col
nome di zona ad analcime. '
Pertanto la Commissione propone che il suddetto lavoro venga inserito
negli Atti dell’ Accademia
Da gran tempo V isola dei Ciclopi è stata argomento di stu-
dio, principalmente per la sua ricchezza di minerali, che la pon-
gono in vivo contrasto con tutta la regione etnea , dove quelli
sono scarsi ; in quanto, poi, all’ analcime essa è divenuta una lo-
calità classica.
L’ esame del copioso materiale di quell’ isola, esistente nel
Gabinetto di Mineralogia e Vulcanologia della R. Università di
Catania, mi ha condotto ad osservare che, principalmente nei
campioni ricchi di zeoliti , il basalte presenta delle macchie gri-
gie più o meno chiare, ordinariamente di forme arrotondate, del
diametro di 5 mm. sino a 8 cm. e più, che spiccano sulla massa
Atti acc. Serie 4*, Voi.. XIX — Mem. XVIII. 1
2
Doti. Salvatore Di Franco
[Memoria XVJII.]
molto oscura del basalte , e alcuni campioni di esso sono così
ricchi di queste macchie da assumere 1’ aspetto di una vera
breccia.
Di queste macchie nessuno ha fatto cenno sinora e pertanto
ho creduto importante lo studio di esse, anche per le conseguenze
minerogenetiche che se ne possono ricavare. (1)
Queste macchie , che un’ osservazione superficiale potrebbe
riferire ad accidentalità proprie della massa del basalte, ad esa-
me più attento si fanno riconoscere come vere e proprie inclu-
sioni di rocce estranee, più o meno metamorfizzate dal magma
basaltico.
È da notare, però, che non tutto il basalte, che forma il
basamento dell’ isola, presenta queste inclusioni ; nè, come gene-
ralmente si crede, in tutte le parti del basalte dell’ isola abbon-
dano le druse di cristalli di analcime. Questo minerale è limi-
tato ad una zona molto sviluppata nell’ insenatura Nord dell’i-
sola , zona potente da tre a quattro metri , nella quale si nota
una struttura piuttosto brecciata e in cui sono inglobati anche
grossi pezzi di marna (v. fìg. 1).
Tale zona è ricca delle suddette inclusioni e di geodi di
analcime : essa è formata da una roccia, simile nell’ aspetto al
basalte, ma un po’ più oscura e con lucentezza più grassa, ed è
costituita principalmente da analcime (2) e deve considerarsi come
un prodotto secondario locale, del quale mi occuperò in altro
studio.
La zona di cui parlo è sottostante alla marna (3) dell’ isola :
riposa sopra di un basalte compatto, spesso con pronunziata strut-
(1) Questo lavoro fu annunciato con una nota preventiva nel Bollettino dell ’ Accademia
Gioenia di Catania — Fase. LXXXIV, Gennaio 1905.
(2) Quella appunto denominata da C. Geinmellaro Analcimite (Atti Accademia Gioenia
Sjer. I, Voi. II, 1827, pag. 64).
(3) Questa marna fu creduta da C. Geinmellaro (Atti Accad. Gioenia, Catania, Ser. II.
Voi. II, 1845, pag. 309) come un prodotto di alterazione del basalte e denominata Ciclopite,,
idea combattuta da Lyell (Principes of Geology Voi. Ili, pag. 337) il quale la ritenne co-
me marna argillosa anteriore al basalte e da esso spinta in alto.
Gli inclusi nel basalte dell’ isola dei Ciclopi.
3
tura columnare , più sviluppato nella parte settentrionale del-
l’isola (v. fìg. 2) la quale, battuta continuamente dalle onde ma-
rine è sottoposta ad un progressivo diroccamento. Questo basalte
è del tutto identico a quello dei vicini scogli (faraglioni), della
costa di Aci Trezza e Aci Castello e della vicina località di
Nizzeti e in quest’ ultima a contatto con marna fossilifera.
Nelle lave e nelle bombe dell’ Etna trovansi non di rado
inclusioni principalmente di arenaria ; note sono quelle delle
eruzioni del 1883, 1886 e 1892 (1).
Gli inclusi del basalte dell’ isola dei Ciclopi sono però di
natura differente , perché dovute ad una marna più o meno
argillosa. Esse, per l’aspetto che presentano all’ osservazione of-
frono il modo di constatare il graduale passaggio della loro
formazione. Infatti dalle inclusioni di marna intatta , analoga
a quella sovrastante al basalte dell’ isola stessa o a quella della
costa vicina, troviamo altre inclusioni con struttura gradatamente
sempre più compatta e massiccia, e in fine aggregati di diversi
minerali estranei al basalte, e che pare siano stati sin’ oggi ri-
tenuti invece come accidentali concentrazioni degli elementi
dello stesso basalte, o come prodotto dall’azione di acque ter-
mali sulla massa del basalte.
Non è sempre sicuro che tali aggregati debbano riferirsi ad
inclusioni profondamente metani orti zzate , ma è degno di nota
che essi mancano del tutto nel basalte ordinario ; sono invece
(1) Cfr . G. Basile. — Le bombe vulcaniche dell ’ Etna — (Atti Aoc. Gioenia, Catania ,
Ser. Ili, Voi. XX, 1888, pag. 29).
0. Silvestri. — L’eruzione dell’Etna del 1886. — Nota II. Ricerche petrografiche sugli
inclusi della lava e delle bombe. — Atti Aoc. Gioenia, Catania, Ser. IV, Voi. VI, 1893.
Altre inclusioni si trovano nelle lave dell’ Etna, alcune delle quali furono descritte da
A. Lacroix (Lee enclaves des roches volcaniques — pag. 40, 155, 474); però nulla lianno esse di
comune con quelle dei basalti dell’ isola dei Ciclopi, si tratta di rarità cosi limitate , da
non poterne ricavare delle serie conclusioni, pertanto meritano uno studio accurato che io
ho da qualche tempo intrapreso e mi propongo di pubblicare prossimamente, quando sarà
possibile aumentare il materiale che da tempo vado raccogliendo, con la massima esattezza
sia per la provenienza, sia per le condizioni di giacitura.
4
Doti. Salvatore Di Franco
[Memoria XY1II.]
frequenti nella zona ad analcime , nella quale soltanto, come lio
detto, si presentano gl’ inclusi.
Inoltre è d’ avvertire che queste associazioni minerali hanno
dimensioni e forme simili agli inclusi, e abbondano là dove
questi sono piu metani orfizzati.
Delle inclusioni alcune sono giallo-chiare e conservano tal-
volta ancora la friabilità della marna originaria ; esse spiccano
nettamente sulla massa oscura del basalte (v. fìg. 3) dal quale
si staccano senza transizione.
Generalmente si presentano di color grigio più o meno
chiaro, con struttura compatta, molto tenaci, talora dall’aspetto
di selce. Al contatto col basalte terminano con una zona più
chiara, di larghezza variabile da ijw di min. a più di 1 min.
dovuto a metamorfismo di contatto.
Tra queste e le prime specie di inclusioni abbiamo tutti i
passaggi possibili; ma non è raro il caso che in uno stesso pezzo
di basalte si trovino inclusioni corrispondenti a diversi stadi di
metamorfismo, disordinatamente distribuite, riferibili perciò a
frammenti di marna strappati a diverse profondità e metamor-
fìzzate più o meno profondamente dal magma basaltico.
Mentre la massima parte delle inclusioni presentano una
massa compatta, in molte di esse è notevole una cavernosità de-
terminata da una certa bollosità, colle cavità per lo più tap-
pezzate da minerali cristallizzati ( pirosseno , ciclopite, e zeoliti di-
verse), oppure rivestite da una patina bianca (probabilmente di
silice idrata ( idrosilicite di Waltershausen).
Questa cavernosità è più notevole nelle inclusioni più pro-
fondamente metainorfizzate ; ma non è rara pure in quelle che
ricordano ancora la loro origine marnosa.
In talune di queste inclusioni, la cavernosità è più accen-
tuata, o anche limitata alla parte periferica, proprio in vicinan-
za del contatto col basalte , in modo da determinare un facile
distacco dell’ inclusione dal basalte includente; 1’ inclusione anzi
talvolta giace completamente distaccata dentro una corrispon-
Gli inclusi nel basalte dell’ isola dei Ciclopi.
5
dente cavità del basalte. In questo caso è sempre dalla parte
della massa del basalte che si trova la zona oscura di contatto,
riuscendo così più chiara la dimostrazione che questa caverno-
sità è soltanto nella inclusione e non mai nella massa del ba-
salte.
L’ origine di queste cavità dentro le inclusioni va collegata
non solo coll’ acqua contenuta nella marna come acqua di cava,
ma pure in parte dovuta alla disidratazione dell’ argilla della
marna stessa , anzi con questa va pari passo la formazione dei
varii minerali succennati, come 1’ analcime o altre zooliti , la ci-
clopite (varietà di anortitè).
Esame del basalte includente.
Macr. — Il basalte racchiudente le inclusioni è in tutto
identico a quello libero d’inclusioni e di analcime, che come ab-
biamo detto , è sviluppato alla parte inferiore dell’ isola. E di
colore grigio oscuro , leggermente verdastro; tale colorazione è
dovuta ad un gran numero di piccole macchie giallastre o ver-
dastre disseminate nella sua massa. Vi spiccano le segregazioni
nere di augite e giallo dorate di olivina , più raramente quelle
di feldspato.
Micr. — Al microscopio si rivela una struttura nettamente
doleritica lasciandosi distinguere i seguenti elementi : feldspato,
augite , olivina e magnetite.
Il feldispato predomina : è in cristalli lamellari , molti al-
lungati, a geminazione secondo la legge dell’ albite; fra i Nicols
danno un angolo di estinzione fra le lamelle, che varia da 27°
a 32°. Consimili valori trovò il Lasaulx (1) che dalla composi-
zione chimica della roccia deduceva doversi riferire ad un pla-
gioclase meno basico dell’ anortitè , la quale, come si sa, com-
pare sotto la varietà di ciclopite , nelle cavità del basalte stesso.
(1) Waltershausen-Lasaulx. — Ber Aetna— Leipzig — 1880, Voi. II, pag. 427.
Doti. Salvatore Di Franco
[Memoria XVIII.]
6
La ciclopite a sua volta è dal Lasaulx riferita a prodotto di
sublimazione ; da quanto abbiamo sopra detto riesce invece più
facile attribuirla ad un prodotto di metamorfismo, infatti non la
troviamo che nella zona ad analcime ed inclusioni.
L’ augite è in granuli più o meno irregolari e arrotondati;
talora, specie nei più piccoli è conservata la forma geometrica;
presenta un colore grigio-violaceo, leggermente pleocrotica (gial-
lo-verdastro , verde-giallastro , verde-violaceo) ; contiene inclusi
di magnetite : rare sono le inclusioni vetrose. I granuli più
grandi presentano spesso un nucleo più chiaro o anche perfet-
tamente incoloro.
L’ olivina è generalmente in piccoli granuli , per lo più è
mascherata da un prodotto rossastro di decomposizione, che va
anche diffondendosi nella massa fondamentale e arriva a cir-
condare 1’ augite o il feldispato.
La magnetite è in granuli discretamente grandi, diffusi nella
massa del basalte.
La massa fondamentale è vetrosa , e presenta in modo ir-
regolare delle macchie più o meno sviluppate di sostanza gial-
lastra o verdastra delessitica , che il Lasaulx considera come
prodotto di decomposizione di essa. In alcuni punti ad essa si
aggiunge un po’ di quel prodotto rossastro dell’ olivina , colo-
rando tutta o parte della macchia.
Esame microscopico delle inclusioni.
Le inclusioni, esaminate al microscopio , risultano formate
da granuli e scagliette incolori , disseminati in una massa fon-
damentale grigiastra d’ apparenza omogenea.
Questi granuli o scagliette sono in alcuni punti più grandi,
più numerosi e addossati fra di loro in guisa da dare alla roc-
cia un aspetto cristallino ; in altri punti invece sono minuti e
radi, in modo da dare piuttosto un aspetto porfirico ; è la strut-
tura ordinaria delle rocce argillose.
Gli inclusi nel basalte delV isola dei Ciclopi.
7
Quando però 1’ inclusione ha subito un più profondo me-
tamorfismo, oltre a questa parte or cennata , presenta dei cri-
stalli ben sviluppati di un pirosseno verde smeraldo {smarag di-
te), sparsi nella massa , la quale acquista una tinta un po’ più
giallastra dovuta ad un abbondante concorso di granuli o ba-
stoncelli giallognoli che per le proprietà ottiche si lasciano ri-
ferire ad epidoto.
Un’ altra formazione speciale è quella che si trova nelle
cavità delle inclusioni; le quali vengono riempite da una sostanza
rossastra, che in alcuni punti dimostra una certa struttura fi-
brosa, colle fibre perpendicolari alle pareti della cavità. Alcune
volte le cavità restano completamente ostruite , altre volte ri-
mane uno spazio ancora libero.
La sostanza di queste fibre, che non si lascia attaccare dagli
acidi, va riferita a termantite.
Esaminando con un ingrandimento maggiore la massa di
queste inclusioni, si osserva che i granelli cennati sono formati
da masserelle di sostanza amorfa, cosparse internamente da mi-
nutissimi cristallini rettangolari , i quali a nicols incrociati in-
terferiscono e si estinguono obliquamente alla loro massima lun-
ghezza, lasciandosi riferire con molta facilità a feldispato.
L’ angolo di estinzione è grande, sì da arrivare sino a 30°,
ciò che fa sospettare trattarsi di anortite che, confò noto, è uno
dei minerali frequenti delle druse di questo basalte, costituendo
la varietà ciclopite.
Nella massa dell’ inclusione sono rari i granuli che possono
riferirsi con sicurezza a magnetite; ciò forma un grande contra-
sto col vicino basalte, in cui la magnetite è tanto abbondante.
La massa dell’ inclusione presenta una struttura nettamente
differente da quella del vicino basalte; essa è più o meno granu-
lare, mentre il basalte ci presenta la struttura di un feltro a fi-
bre di feldispato e pirosseno.
Al contatto della inclusione col basalte però compare una
zona nettamente distinta (v. fig. 4) per il colore più carico del
8
Doti. Salvatore di Franco
[Memoria XVIII.]
resto dell’ inclusione e per la struttura minutamente cristallina.
In questa zona si distinguono chiaramente due parti prin-
cipali : una più chiara dal lato del basalte , con prevalenza di
elementi vetrosi e feldispatici e forse anche di wollastonite , di
cui quelli di forma più allungata, penetrano dentro al basalte ,
mostrando così come in questo punto la marna si sia intima-
mente mescolata al magma basaltico ; l’ altra parte più oscura
dal lato interno della inclusione, risultando costituita essenzial-
mente da minutissimi cristalli di pvrosseno verde chiaro, interca-
lati con grossi granuli bruni o rossastri di termantite.
Spesso notansi delle macchie verde giallo chiare, poco pleo-
croitici e debolmente birifrangenti da riferirsi a clorite.
Catania, Gabinetto di Mineralogia e Vulcanologia dell’Università.
ii Acc. Gioenti di Se. Nat. Ser. 4 Voi. XIX. D.’ S. DI FRANCO, Gli inclusi nel basalte dell’ isola dei Ciclopi,
Memorisi XIX
Sui potenziali elastici ritardati
Mota di G LAURICELLA
• Come la nota formolo, di Kircliliojf , relativa all’ equazione
canonica dei piccoli moti , porta alla considerazione dei potenziali
ritardi , così 1’ estensione di tale forinola alle equazioni generali
dei movimenti vibratori nei mezzi isotropi porta alla conside-
razione di tre sistemi di integrali di spazio e di superficie, che
per analogia si possono chiamare potenziali elastici ritardati.
I potenziali ritardati godono , come è noto, di proprietà
analoghe ai potenziali newtoniani-, in particolare per essi si han-
no teoremi analoghi a quelli di Poisson , di discontinuità dei
doppi strati, di discontinuità delle derivate normali degli strati
semplici , eco. (1)
Mi propongo qui di fare 1’ estensione di tali teoremi ai
potenziali elastici ritardati.
1. Indichiamo con /S lo spazio occupato da un mezzo iso-
tropo, con a la superficie limite, con n la normale nei punti di
° diretta verso lo spazio /S, con x, y, z le coordinate dei punti
dello spazio riferiti a tre assi cartesiani ortogonali , con a e b
rispettivamente le velocità di vibrazioni longitudinali e trasver-
sali del mezzo, con t il tempo variabile e con r la distanza di
due punti qualsiasi (x, ?/, z), ( £, o, £) dello spazio.
Come risulta dalle formolo di Love (2), le quali rappresenta-
no 1’ estensione della forinola di Kirclihoff alle equazioni gene-
(*) v. Voi.tekra, Sul principio di fhrt/ghens (Nuovo Cimento ; S. Ili ; T. XXXII, XXXIII;
1892, 1 893).
2) The propay'ation of wave-moliou in cui isotropie clastic solici medium [Prooeedings <>f thè
London Mathem. Society, Ser. 2, Voi.' I, Parts 4 and 5.].
Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Meni. XIX.
1
2
Prof. G. Lauricella
[Memoria XIX.|
rali dei movimenti vibratori nei mezzi isotropi, i tre sistemi di
potenziali elastici ritardati si possono scrivere nel seguente modo :
, , 1 / 3r\2 1 1
r. 1
tX{q,o,Z,t f)dt - 1- r ( 0^,] \ 2 X(£,o,Z,t a')
+-p7.z(^
^ rdxdy \Jkx(£j>&t a) fe2X(£,o,£:,* --)j
dove dS— dfc do de. , e dove X(x,y,z,t) è una funzione arbi-
traria delle variabili r, ;y, 5?, £, che si suppone finita e continua,
insieme alle sue derivate prime rispetto ad x , y, z e alle sue de-
rivate dei due primi ordini rispetto a t, per tutti i sistemi di
valori di x, y , z corrispondenti ai punti di jS e per qualsiasi va-
lore di t, ;
i
Sui potenziali elastici ritardati
3
dove da è 1’ elemento di superfìcie a , al quale appartiene il
punto (£ , o , £), e dove X (S- , o , Z, t) è una funzione dei punti
(£j , o , z) di a e della variabile t , finita e continua insieme alle
derivate prime tangenziali su a e alle derivate dei due primi
ordini rispetto a t ;
dove :
1 dx2
r. 1
I t'xfe,o,z,t-t') (-] ( -2.X(^,0,C, <— )--j* z j) ^ [
(4)
, 1 1 ^ r
+ °> Zi* j~)>
m=tll * |^r *(&•>, v-^)— '
dxdy]
a ' ft2
6' \ »
con (£ , o , £) funzione dei punti (£ , u , £) di a e della va-
riabile finita e continua insieme alle derivate prime tangen-
ziali su a e alle derivate dei due primi ordini rispetto a, t , e
dove ancora si conviene che, nel fare le derivazioni di u, , v, , w,
rispetto ad n, u, e;, le variabili c, , u, £ , che compariscono e-
4
Prof. G. Lauricella
[Memoria XIX.]
V
splicitamente nelle funzioni X (c , o, rC, t — t'),X(£, u, £, t — ) ,
A (£, o, 21, £ — devono essere ritenute come costanti.
2. Per gli integrali (1) sussiste un teorema analogo a quel-
lo di Poifison.
Dimostreremo tale teorema, servendoci delle eleganti con-
siderazioni fatte dal prof. Somigliala in una Sua recenti1 No-
ta 1 ) per il calcolo di tre integrali (che si possono ottenere dalle
(4), supponendo X funzione della sola variabile t), dei quali si
è giovato il Love per dedurre le Sue forinole.
Posto :
/* r ( * r
cp (g, 0, C, r, t)= ^2-yl tir j X (g, o, Z, t — ~) dr ,
ò o
<p'(& c, r, t)= • — / <Zr / X (5, 0, Z,t — ~) rfr ,
J
0 0
sarà (“) :
— *
a1
/Sa*
^(cp — cp') -f- A2 9' ( v= I - (cp — co') dò', u
Sa? 3^
(cp— cp') ;
e posto ancora :
<I) (,T, y, 0, «)
*' (ar, 2/, t)
f) <SwZZa ‘propagazione dalle onde nei mezzi isotropi. —Atti della R. Acc. delle Se. di. To-
rino, Voi. XLI, anno 1905.
2) Cfr. Somigliala ; 1. c. , j 3.
Sui potenziali elastici ritardati
5
risulterà
*“j£**-n
Poiché (*) :
A2 $ — / X (5, o, * — — ) —
4iwr
a r
(„=4i-i>>,) *- 3| = A- / A’ (5, o, C «, ^ + ±1 ■! A (5,,, 5, ») tó ,
ne segue :
«=* + *+ «=! A**,
3a; cy dz x
32<I> . _„. 3W
3 hi
A 2/
;3.rs
= (fc2 A, - - *>'t) **«'+(«* A2 - ^>2t) - (&* A2-D?) ^ =
= — X[x,y, «,*) +
5 Ut: / X Z,t) r + 4t zaj dt X (^’ *} ^ ”
_3M 1
3ic4 5
1 i . (?aSy 1 i 3 /
4 K f X (Xì °) ^ ~ 4^| ^ ^ (?> u’ *) ^ | = (a:> 20 2> *0
«y «y
« 5
Similmente si lia :
3?=<>.
30 3^?/?
(a2 - Z>2) ^ 4- fc2 A2 ^ = o .
' 32 1 3f2
4) Cfr. Somigli ana ; 1. c., forni. (6), (6)'.
Atti acc. Skiiiic 4a, Vol. XIX — Meni. XIX.
2
6
Prof. G. Lauricella
[Memoria XIX. J
Le tre precedenti forinole rappresentano appunto l1 esten-
sione del teorema di Poisson agli integrali di spazio (1).
3. Grli integrali (2), (3) godono rispettivamente di proprietà
analoghe a quelle degli strati e dei doppi strati.
Per stabilire tali proprietà, cominciamo dall’ osservare che
si può scrivere :
1 l
1 d2r ( 1
1— rXfe,o,Z,i & )+ 2 a )' b2 J ^ b]
r
13'4 LldX(Z,o,Z,t-t) t)\l
2 dt b 2 Ir
b2 — a2 d’rj
2 a2 dx2)
r
a
1 -£)— Xfaì&fì
3*rll i Xfao&t—^—Xfco&t))
_L _X_L 5 X
' 2dx2 I b3
+
/ \,2dX&o,Z,t-lf) ^
2 ~dx2 I * di dt’
Xfep. fC,ft)fb2 — a 2 d2r ^ r d2r ^ 1 -j) ■£■)
Vi= ¥ ì~2aP dxdyW~2dxdyr¥ — 4^- a? — f
+
L / 0 r- dX{^A> t-f)
2 dxdy I dt
w.
du^ __ £fep,'C,t) _3_ (J. _j_ b2 — a2d2r ) 1_ 1 dt b ■
dx b2 dx I r 1 2 a2 dx 2 ì b3 ì b — A.
1 1 j)— X{Z,otZ,t)\dr
* —P b’
+
Sui potenziali elastici ritardati
7
A,t) d ^1
b 2 2#/ r
Z>2 — a 2 22rl
2 a2 d,z.‘2j
1_§ dtX^°,^,t T* à-L)
l>r' —^-(1-8)
2r
2#
X&»,Z,t) dsl
b 2 2# j r
Z>2- a2 22r/
2 et2 2&Ù
22
2f
rXfc’VCJ-
r, 2>
^ + •
Z> 2*
?
2iq X (£, o, C, t) g ^ ir— a2 d2r )
dx b 2 dx Z 2 et2 2,r2(/
d«h _ (S, C» fi _9_ ( ^2— ^2 2V ^
2# Z>2 dx l 2 rt2 dxdz \
con 3, 3j quantità comprese fra 0 e<l 1.
Poniamo poi :
1 , b2—a 2 d2r
Z>2— a2 2V
2 a2 2x2 ’ 1 — 9 «2
a2 2#2?/
» wi
2 a2, dx dz ’
X fe o,C, fi ,
z>2
M i + “ i 1
X (£, u, £, t) ,
«'l+A ,
Dalla semplice ispezione delle forinole precedenti risulta che
le funzioni , v\ , sono finite e continue dovunque sia il
punto ( x , y , #), e che le loro derivate prime si mantengono finite
e continue finche tale punto è discosto da a, mentre diventano
infinite, tutt’ al più come — , quando esso punto va su a; per
cui, se si indica con n0 la normale a a in un punto jp0=(£o, o0, Z0)
e si pone :
_fr2 dU'i2
dnn
-)-(a2 — b2)
(3*« ,
3<2 | ^'l2
\ 2# '
2(/ 9^
cos ( n0x)-\-b -
^ 1 «o_ cos (n0x)
lfC0 s(n,y)--^
) +
-f- Z>2 12 cos(»0z) — ^cos (n0x) J ,
8
Prof. G. Lauricella
[Memoria XIX.|
Y\z=b2 ^ +(a2-&2)(^2 +^H C0&M+b2 Ì^f cos (n0z)— d-^f cos (n0y)
+ &2 cos (V» — %T cos (»o!0 ) »
avremo che le espressioni X\2 , Y\2 , Z\2 sono funzioni finite e
continue dei punti (%, y, z) di tutto lo spazio (i punti della su-
perficie a compresi).
Similmente, se si pone :
J " 00 "
(nxìXb^YXXcoshriy) — X cos(nx
1 ' oz co
w .
con
dn"
cln
du"
3£
cos (nx)
du?
do
cos (ny) -|-
cos (nz)
e con l’avvertenza che, nell’eseguire le derivazioni di u" v” w?
rispetto a £, o, c, le variabili 5, o, C, che entrano esplicitamente
nella funzione X(£, o, £, £) , devono ritenersi come costanti, ri-
sulterà che le espressioni u'\2, v'\2, w'i2 sono ancli’esse funzioni
finite e continue dei punti (.r, y, z) di tutto lo spazio (i punti
della superficie a compresi).
4. Ora poniamo :
X& C, *)
b 2
u L do,
X (É, o, C, f)
b 2
1 X&o.Z,t)
w\d
a
a
a
Sui potenziali elastici ritardati
9
_k2 du n
11 d,K
{a2 — b2)
I da'
3l/lt . dw\{
dx
2//
3°' ii
dvn
^jcosK,T)+fc2 (^cos(»0?/) j— cos(w0») ) +
3m/ii , , 3 w
-Jj-cos(n^)
^ COS
00
^1* =
il.
?
e supponiamo che la superfìcie a soddisfi alle seguenti condi-
zioni :
1° in ogni suo punto abbia il piano tangente determinato
e variabile con continuità al variare con continuità del punto
di contatto ;
2° esista una lunghezza l tale che, preso un punto p qual-
siasi di a e considerato il cilindro circolare avente per asse la
normale nQ a a in |»0 e per raggio 1 , la porzione di superfìcie
a interna a questo cilindro sia incontrata in un solo punto al
più dalle parallele ad nQ ;
3° esista un numero positivo c tale che, chiamando rQ la
distanza di p0 da un altro punto pì qualsiasi di a , e £ l’angolo
acuto (die n0 fa con la normale in px , si abbia :
s < cr0.
Dall’ipotesi fatta che la funzione X (5, o, £, t) è finita e
continua in tutti i punti (S, o, C) di a e per tutti i valori di t ,
insieme alle sue derivate prime tangenziali, risulta (1), indicando
con p o con p il punto (x, y , z) (sempre discosto da a) secondo
che è nel campo finito limitato da o o nel campo infinito, (die
le espressioni :
lini X'li (X, y, z, t.) ,
li ni y'n {x, ih z, 0 ,
lim Z’ u (x, y, z, t) ;
P=P0
P=Po
P=Po
lim X'u (®, Ih z, t ) ,
lim Fu (tv, y, z, t) ,
lim Z' ii (x, y , z. t)
P'=Po
P'=Po
P'=Po
(f) Cfr. la mia Memoria : Equilibrio dei corpi elastici isotro})i (Annali della R. Scuola
Normale Superiore di Pisa, 1894) , Cap. Ili0, § 6.
Atti acc. Sbiuk 4a, Vor.. XIX - Mem. XIX. 2
10
Prof. G. Lauricella
[Memoria XJX.|
sono determinate e finite e soddisfano alle equazioni (‘) :
lini X'u ( x , y, z, t) — lini X'n («, y, z, t) = — X (5 0, o0, Z0, t ) ,
P=Po P’=Po
lini Tu ( x , y, 2, t) — lira Tu (x, </, », t) = 0,
P’-=P(i
lira Z'n (.», 2/, s, t) — lini Z'u (x, y, z , *) = 0.
2>= P=Po
Quindi, posto :
X'i = X'n + X'
12 *
rx : Tu +
r
12
?
Z'i — Z'u -[- Z'l2 ,
avremo che le espressioni
lira X'i {x, y, z, t) , lira Y\ (, x , y, z, t) ,
J>=Po P=Po
lira Ai (x, y, z, t) , lini Yi [x, y, z , «) ,
P'=Po P—Po
lira Z'i (x, y , 2, t) ;
P=Po
lira ZA (a?, i/, 2, t)
P=Po
sono determinate e finite e soddisfano alle equazioni:
- X (£,, C0, <) ,
0,
°,
ossia: le tensioni nei piotiti di a, corrispondenti agli integrali (2) :
u' (x, y, z, t), v' (x, y, z, t), V (x, y, z, t) delle equazioni del moto ela-
stico, sowo determinate e finite dalle due facce di a e soddisfano
alle equazioni (5).
Questo risultato rappresenta l’estensione agli integrali di
superficie (2) del noto teorema sulla discontinuità della derivata
normale di strato.
5. Passiamo ora allo studio degli integrali (3).
lira X\ (x. y, 2, t) — lira X\ (x, y, z, t ) =
P=P0 P'=Po
,,, \ dm Yl' ( x , y, 2, i) — lira F/ (a?, y, 2, t) =
j I P=Po P—Po
■ lira Z[ (x, y, 2, t) — lira Zt' {x, y , 2, #) =
\ P=P0 P'=Po
( 1 ) Ibid. ; Gap. Ili», forni. (25), (25)'.
Sui potenziali elastici ritardati
11
Si ponga :
U 11=4x
1 jX(^,u,Z,t)\ , 2 duL
b2 > dn
I du' . d'', dw' \
- + («2-62) (~w + 17+ 17 ) c<
lde\
^cos (ny) —
c’r
de'.
9 /9w'i
3w'i
1 cos ( nx ) | -)- 62 | cos (nz) — ~^r~ cos (nx) j ^ da ,
3?
A (^, 0) ^ , 2 1
4tc / Z>2 / dn
/
1
da ,
Se vani mentiamo che la funzione X(S-, u, t) per ipotesi è
finita e continua in tutti i punti (£, o, £) di a e per tutti i va-
lori di t , insieme alle sue derivate prime tangenziali, e se an-
che qui indichiamo con p o con p il punto (x,y,z) (sempre di-
scosto da a) secondo che è interno o esterno ad S, si avrà (*)
che le espressioni :
lini u"il ,
lini r" ,
lini w"
P=P0
o
II
P=Po
lini u\ , ,
lini v"u ,
lini w"
P=Po
P'=P»
P--Po
sono determinate e finite e soddisfano alle equazioni :
lini (, x , ,ì/, z,t) —
lini u" Kl (,
II
sii
P=Po
V'~Po
lini v"u (x, y, z , t) —
lini v"l{ (,
x, y, z, t) 7- 0 ,
P=Po
P'=Po
lini w"u { x , y, z, t ) —
■ lini w"il
{x, y, z , t) z= ().
P=Po
P'=Po
Di guisa che, se si pone niente a quanto fu dimostrato per
le funzioni u\2 (a?, y, z, t ) , v"n (a?, y, z, t), w'\2 (ai, y, z, t ) al § 3, e se
(4) Crf. mia cit. Meni. ; Cap. Ili, § 4.
12
Prof. G. Lauricella
[Memoria XIX.]
si ha riguardo alle forinole :
// // i // // // i n n tr i n
u — tt u -j- m 12 , » = « n r 12 , w = w l{ + io ts
risulterà che le espressioni :
lini u" (x, y, », t) , lini v" (x, y, z,t) , lim io" ( x , y, », t) ;
2^=Pn
P=P 0
P=2>„
lim ?t" (a?, :»/, », t) , lini r" (a?, y, », t) , lim m?" (a?, y, », #)
/= Po P=Pa
sono determinate e finite e soddis fano alle equazioni :
lini u (x, y, », t) — lim u" ( x , y, », t) = X (&, , u0, £0, t),
2>=2>o /=2>o
lim v" ( a? , y, », 2) — lim ®" (a?, y, 2, <) = 0,
P—Po P=P0
lini w" (x, y, », #) — lim io" (a?, y, », t) = 0.
P=P0 P=Po
Questo risultato è 1’ estensione agli integrali di superfìcie
(3) del noto teorema sulla ; discontinuità dei doppi strati.
6. Passiamo ora a dimostrare un teorema relativo agli in-
tegrali (3), il quale rappresenta 1’ estensione del noto teorema di
continuità della derivata normale dei doppi strati.
Supponiamo che la funzione X(£, o, £, t) sia finita e continua
insieme alle sue derivate dei tre primi ordini tangenziali e ri-
spetto a t. In virtù di questa ipotesi si può dimostrare, appunto
come si fa per i doppi strati (*) , che le derivate dei primi due
ordini delle funzioni u ( x , ?/, », t), v" (x, ?/, », t), w" (x, y , », t) sono
finite e continue anche quando il punto («,;/,») di 8 (o del cam-
po 8'), mantenendosi discosto da a , si avvicina indefinitamente
f1) Vedi la mia nota : Sulle derivate, della funzione potenziale di doppio strato (Rendiconti
della R. Acc. dei Lincei : voi. XIV, serie 5al.
Sui potenziali elastici ritardati
13
ad un punto qualsiasi di a. In particolare le espressioni:
ammetteranno limiti determinati e finiti, quando il punto (yc,g,z)
del moto elastico hanno le tensioni , nei punti di o e dalle due facce
di essa, determinate e finite.
Noi qui ammetteremo senz’ altro le precedenti proposizioni,
che possono dimostrarsi nel modo anzidetto, e passiamo a dimo-
strare che queste tensioni dalle due facce di a hanno in uno stesso
punto il medesimo valore.
Introduciamo le seguenti notazioni :
■JW \
37 j «os Ka) +
{x,y, z , t)=
di 8 (o di 8') si avvicina ad un punto p0 = (%oi £0) di a, ossia
gli integrali u" (x, y, z, t), v" (x, y, z, t), w" (x, y, z, t) delle equazioni
A"21 = lini X\ (x, y, z , t), Y2l"
P=Po
li m Yf {x, y, z, t), . . .
P=P 0
A"22 = lini X’\ (x,y, z , t) ,
P=Po
u"2i — lini u' (x,y , z, t), v"2l
P=Po
— lini t1" (#, */, 0, fi,
P=P 0
h"22 — lini u" (x,y, z , fi, = ?«"21 -- A (£0, o0, £0, fi ,
P=Po
v\2 = lini v" (x, y, z, t) = v"2l ,
P—P o
14
Prof. G. Lauricella
(Memoria XIX.
*iW— |^f/ t r (3J fl) b,X(z,o,r,t b)^-j-
I r (s> u> 5 ) >
*1 (-*)=
a4 / T
dxdy
* ’
^J-l * *X&'>,Z,t-f)df + ±¥;
U,{X):
dydx
r ’èy dx (
v, {X)=X- r— / tX (£, o, £, £ — t ) -j-
*
v,j_ / ir
«.(*)=
*'X (£, 0, £, i— f) ' -}-
A («1, X, «)=/>2 +(«2-^2) (|r + !~ + tr) C0S (',ta:;)+62 (^C08(»y)— ^cos (nx)j
3£ 3u 3£
a?
/3m? Sm;, ,
-)- o* (-^r- cos (nz) cos (noe) ) ,
B(«„X,») = 6!'4^-) + . . .
Sui potenziali elastici ritardati
15
Le forinole di Love ci danno per i punti di S :
" (x,y, Z, t) = j I A(ulf u"2l, n) + B(uv v"2l,n)-^C(ul, w"2l,n) j da— j |«£ (Z"21)-f
e/ e/
a a
-f L (Y"gl) + tMZ"21) j da,
ir i punti di /S' :
(%: y, *, t)= ^ )A (“» M"22> »)+'-5(wi> l"22’ »)-b6'(*i> Mf'gg, «) j da-f- _L / j tti (Z"22)-f
a a
H- vi (Y 22) H- M’i(^ 22) ! d°
4*
1 ' j Z («,, m"21, ») -f- B(ulì v"2i, n) -f C (tu, w'' 21, n) j da
4ir
Z (m, , Z, ») da -)- — — / J «1 (Z 22) -f- ri (Y 22) — tri ( Z 22) j da ;
4tc
e poiché si lui, come risulta dalle (6),
lini 1 „ lini li „ f
p=po ^ A(uh u 21, ») da — — / Z (tti, m 21, ») da = m 21 (?i, u0» C0, *) ,
^ — -Po 4x
lim 1 | „ , lini 1 ,
B (mi, « 21, ») da — ) — / £ («1, r 21, n) da 0,
risulterà dalle due precedenti forinole, passando ai limiti e som-
mando membro a membro,
M 21 (?0, uo, Zqì t) -j- M 22 (<^0, U0, £0, t) :zr tt 21 (^o, ,jqì X101
lini 1 I
P'=Po 4tT
A (mi, Z, n) da —
16
Prof. G. Lauricella
[Memoria XIX.]
— lini 1
P=Po 4ic
jiti (X'^d+t’d 1 21) | (Z 21 ) j do- (-
lira 1
P ’=P0 4x
jl<l (X 22 ) | ®l( i 22) — J — ^^1 (-^ 22)
a
a
=«"21 (£o> «0, Co,*) + lim (^30 *) —
P'=Po
— I |«i (A"ai - r'22) + n (Y"2i - f
e per conseguenza :
+«>1 {Z"'2\ — Z"22) ! ria
®=Có
*/=uo
»=C0
(7)
0 —
f%
~l |«1 (X"ai-A"„) + n (Y"21-Y"22) + in (Z"al Z"22) j do
x=z0
y=* 0
Z— £„
Similmente sarà:
0 =
4~Jl U2 (X"si — A"22)-f-^2 (Y"21 — Y"22) 4“ u\ (Z"21-Z\2) j do
(7)'
^ / / W3 21 ^ 22 ) “h
! da
x — 1
y—^o
2 — Co
r
X — £0
Z=C
7. Ciò premesso , si considerino le tre funzioni dei punti
(x, y, z) dello spazio e di t :
Hi (x, y, z, t)=
\uv (X"2i-Z"22)+n ( Y\i- r'22) + Wl (Z'21 - Z"22)\ do ,
!
Svi potenziali elastici ritardati
17
n2 (Z"2i-X"l)-f v2 (l"2i— r'22) + w2 (Z"21-Z”22) J do ,
Queste funzioni sono della medesima natura delle funzioni
u , v , w’ , espresse dalle forinole (2), e formano un sistema di
integrali delle equazioni del moto elastico. Poiché le Hv Hy
come risulta dalle (7), (7)', si annullano nei punti di a per qua-
lunque valore del tempo, e poiché esse a distanza infinita di-
vengono infinitesime come ~ , avremo per qualunque valore del
tempo t e per qualunque punto ( x , ?/, «)dello spazio :
Hi {x, y , t) = H, (x, y. 2, t) = H3 (x, y,z,tj = 0.
Si ha quindi :
ed in forza delle forinole (5) e delle analoghe, che non abbia-
mo scritte, risulterà finalmente :
Memoria XX,
Sulla radioattività di alcune terre
per ENRICO BOGGIO-LERA * ^ •
Il metodo ideato dai coniugi Curie per la determinazione
della radioattività di una sostanza, consistente nel misurare me-
diante la compensazione col quarzo piezoelettrico, la corrente
che si produce attraverso P aria compresa fra le armature d’un
condensatore piano, quando queste vengono mantenute ad una
differenza di potenziale costante e sufficientemente elevata per-
chè possano essere utilizzati tutti gli ioni che vengono prodotti
da uno straterello della sostanza attiva sparsa in modo unifor-
me sopra una delle armature, panni tino al presente il migliore.
Ma non tutti hanno i mezzi di provvedersi di un apparecchio
Curie. E d’ altronde v’ è da farsi la presente domanda : Consi-
derata la complessità delle radiazioni dei corpi radioattivi, e il
diverso potere penetrante di esse anche per P aria, e P assorbi-
mento talora notevolissimo che si verifica nello spessore stesso
dello strato del corpo attivo, e per maggior complicazione anche
P emanazione di quasi tutti i corpi radioattivi, si può realmente
asserire che P intensità della corrente fra le armature del con-
densatore nell’ apparecchio Curie dia la misura della radioatti-
vità di una sostanza ì
A me pare di nò — Sembrami infatti che anzitutto bisogne-
rebbe poter studiare per ciascuna sostanza P effetto dipendente
dai raggi a, ih y, separatamente, e così quello dipendente dal-
Pemanazione ; e che inoltre bisognerebbe sempre misurare l’effetto
prodotto dall’ unità di massa della sostanza attiva, mentre que-
sta poi dovrebbe esser distribuita in strato sottilissimo per evi-
tare P assorbimento delle radiazioni per opera della sostanza
medesima.
Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Meni. XX.
1
2
Enrico Boggio-Lera
[Memoria XX.]
Ma appunto per tali difficoltà, nelle misure di radioattività
si determina di solito l’effetto complessivo delle diverse radiazioni
e dell’ emanazione di una sostanza radioattiva, introducendo in
un ambiente limitato una certa quantità di questa sostanza in-
sieme ad un’elettrometro caricato ad un potenziale arbitrario, e
misurando la velocità di abbassamento del potenziale , tenendo
conto naturalmente dell’abbassamento dovuto all’imperfetto iso-
lamento.
Così Elster e Geitei che per i primi misurarono la radioat-
tività di numerose terre e prodotti vulcanici di varii paesi, tro-
varono, con un elettrometro da loro ideato, e con 125 grammi
di sostanza, una dispersione di 29 volt per ora coi fanghi di
Battaglia, di 102 volt col fango di Capri, di 350 volt coi
fanghi di Baden-Baden, 3000 volt per ora coi fanghi delle sor-
genti di Baden-Baden, di 2, 9 volt con terra del giardino del-
l’ Osservatorio di Catania, di 1 volt con ceneri dell’ eruzione
Etnea del 1659.
Analogamente Vicentini e De Zara misurarono la disper-
sione, in volt per ora, prodotta in un loro speciale elettroscopio,
particolarmente costruito allo scopo di sottrarlo all’ influenza
dell’atmosfera attivata dalla sostanza in esame, e trovarono con
18 gr. di materiale attivo una dispersione di 3, 5 volt per ora per
i fanghi di Abano, di 1, 1 volt coi residui ottenuti per evapo-
razione delle acque di quelle sorgenti , di 6, d volt colle incro-
stazioni raccolte nei bacini di concentrazione, e similmente per
i fanghi di Battaglia ed altre sorgenti termali Euganee.
Il Doti. Giovanni Trovato usò un apparecchio simile a
quello di Elster e Geitei, ed esperimento in modo analogo sopra
un gran numero di terre e di rocce specialmente dei dintorni
di Acireale e dell1 Etna, e trovò che tutte sono più o meno
debolmente radioattive.
Essendomi ancor io accinto a fare delle esperienze sulla
radioattività di alcune terre, ed avendo riconosciuto la conve-
nienza di usare un elettroscopio di piccola capacità, parvenu
Svila radioattività di alcune terre
3
anzitutto non rigoroso il misurare la radioattività eoi decre-
mento del potenziale in volt per ora, od in generale per uguali
intervalli di tempo, giacche quando è piccola la capacità dell’e-
lettroscopio, essa varia in modo non indifferente col grado di
divergenza della fogliolina, ossia col potenziale. Infatti se anche
si esperimenti partendo sempre con ogni sostanza da uno stesso
valore iniziale per il potenziale, al variare della sostanza varian-
do pure il potenziale tinaie risulta pure diversa la capacità tinaie
dell’ elettroscopio, e i decrementi del potenziale cessano allora
di essere proporzionali ai decrementi delle cariche.
Stimai pertanto metodo migliore quello di esperimentare
a decremento di potenziale costante e tempo variabile , anziché a
tempo costante e potenziale di scarica variabile come hanno fatto
sin qui tutti gli altri esperi mentatori ; misurai quindi i tempi
necessairi perchè il potenziale discendesse da un costante e sem-
pre uguale valore iniziale ad un altro pure costante e sempre
uguale valore finale ; così il decremento del potenziale verifi-
candosi sempre fra gli stessi limiti, la quantità di elettricità
sottratta all’elettroscopio dalla sostanza attiva fu sempre in tutte
le mie esperienze rigorosamente costante.
L’elettroscopio di cui mi sono giovato è del tipo di quello
dei sigg. Elster e Greitel , e fu costruito dal Dott. Giovanni
Trovato. Esso consiste in una scatoletta cubica ( di lamiera di
ottone sottile ) avente 5 cm. di lato, e due finestre di vetro su
due facce opposte. Nell’ interno della scatoletta è fissato sul
fondo un sottile cilindretto di dielettrina , su cui a guisa di
cappello è fissato un ditalino di ottone, i cui bordi non toccano
però il cilindretto di dielettrina per evitare l’inconveniente della
carica di quest’ ultima. Sul ditalino è saldata un’ asticella di
ottone con una fogliolina di alluminio che si muove in un piano
parallelo a quello delle facce della scatoletta aventi le tìnestrine
di vetro. L’ asticella di ottone è più lunga della fogliolina e
sporge all’ infuori della scatoletta per un foro praticato nella
faccia superiore e termina con un cilindretto cavo di ottone
4
Enrico Boggio-Lera
[Memoria XX.]
della lunghezza di cui. 2 e del diametro di cui. 1. Al disotto
della faccia inferiore della scatoletta cubica è saldato un piuo-
lino di rame che serve a sostenere la scatoletta stessa al disopra
di una vaschetta circolare di rame di cm. 13 di diametro e
cm. 2 di altezza , nell’ interno della quale veniva collocata la
sostanza attiva. Tutto 1’ apparecchio era posto sopra una base
circolare di ferro, e coperto con un cilindro di ottone dell1 al-
tezza di cm. 30 e del diametro di cm. 15, munita anch’essa di
due tìnestrine di vetro in corrispondenza delle tinestrine analo-
ghe dell1 elettroscopio.
Per avere una buona scala graduata a tratti assai sottili ,
ne disegnai una di 20 cm. di raggio e quindi ne ritrassi una
fotografia alle dimensioni della lunghezza della fogliolina di
alluminio contenuta nell1 elettroscopio ; ed invece di mettere
questa scala nell’ interno dell’ elettroscopio, seguendo una dispo-
sizione preconizzata dal Prof. Righi, la collocai al di fuori del-
l’apparecchio , e mercè una lente ne proiettai 1’ immagine nel
piano dello spostamento della fogliolina. Con un cannocchiale
osservavo poi insieme la fogliolina e la scala.
Per esperi mentare distribuivo uniformemente sulla vaschetta
di rame situata al di sotto dell’ elettroscopio una quantità de-
terminata della sostanza in esame, e dopo aver caricato l1 elet-
troscopio fino ad avere una deviazione un pò superiore a 48° ,
ricoprivo 1’ apparecchio, e misuravo con un contasecondi il tempo
t che trascorreva fra il momento in cui la fogliolina veniva a
passare dalla divisione 48 e quello in cui veniva a passare sulla
divisione 47.
Ma t non rappresentava realmente il tempo che la sostanza
dovea impiegare ad infliggere all’elettroscopio la perdita di po-
tenziale corrispondente a quella diminuzione di deviazione della
fogliolina , giacché 1’ elettroscopio indipendentemente dalle so-
stanze, ossia colla vaschetta vuota, subiva lo stesso decremento
del potenziale in un tempo ti (naturalmente sempre più grande
di t) a cagione degli ioni normalmente già esistenti nell’ aria e
Sulla radioattività delle terre
o
della imperfezione dell’isolamento. Per tenere conto di tali per-
dite io facevo delle determinazioni alternate di t e di , met-
tendo nna volta dentro l’apparecchio la vaschetta con la sostanza
ed un’ altra volta una vaschetta identica ma vuota. Indi dalle
medie ottenute rispettivamente per t e per deducevo il valore T
del tempo vero che la sostanza da sè sola avrebbe impiegato a
produrre la stessa caduta di potenziale nell’ ipotesi d’ un isola-
mento assolutamente perfetto , e dell’ assenza assoluta di ioni
nell’ aria atmosferica, mediante la forinola
T=tX
h
che io giustifico subito mediante la seguente considerazione :
Se con la sostanza, il tempo impiegato è stato t , e senza
di essa è stato ti , nel tempo t l’aria coi suoi ioni e l’ isolatore
dell’ eletti’.0 hanno per loro conto sottratto la frazione — del-
1’ elettricità perduta dall’ elettroscopio in quel dato intervallo di
scarica ; e quindi la sostanza in esame, nel tempo t ha sottratto
soltanto 1 — ossia di quella quantità di elettricità per-
h h
duta ; quindi per infliggere all’elettroscopio quella intiera perdita
la sostanza da sola avrebbe dovuto impiegare il tempo ^X r^— -
T ^ — X
Ora io ho trovato che per tutte le terre su cui ho esperi-
mentato, il tempo T così da me calcolato è inversamente pro-
porzionale alla quantità di sostanza attiva posta nella vaschetta
purché questa quantità non superi considerevolmente i 100
grammi; od in altri termini il prodotto del numero dei grammi
m di sostanza posta nella vaschetta per il tempo T, è costante
per una data sostanza nei limiti di massa anzidetti. Questo pro-
dotto che indico con M, io chiamerò modulo relativo di radio-
attività della sostanza.
Così ecco un esempio che tolgo dal libro delle mie espe-
rienze.
6
Enrico Boggìo-Lera
[Memoria XX.]
22 gennaio 1906.
Esperimenti con 25 gr. di terra della villa del Dott. Cuonio
(Capri) :
t media di varie determinazioni = 14™
tL » » » — 46™ 50,
__ 14 X 46, 50
32,50 ’
M = 20 X 25 = 500
Esperimenti con 50 gr. della terra medesima :
t media di varie determinazioni = 8m 40
K
T
M
2> » »
8, 40 X 50, 12
56"' 12
47, 72
9, 9 X 50 = 495
= 9, 9
Esperimenti con 75 gr. della terra medesima :
t media di varie determinazioni
t.
T =
» »
5, 80 X 40, 50
5m 80
40"’ 50
34, 70
M = 6, 8 X 75
0, 8
507
Esperimenti con 100 gr. della terra medesima :
t media di varie determinazioni 4™ 41 ,
37™ 24,
T = 4’ 41. X.37' 34 = 5, 0
M
32, 83
5 X 100 =r 500
Esperimenti con 10 gr. della terra medesima:
t media di varie determinazioni = 25™ 50
50™ 75
25, 50 X 50, 75
I _
25, 25
M = 51, 3 X 10
= 51, 3
513.
Sulla radioattività di alcune terre
7
Assumo quindi come modulo relativo di radioattività della
terra predetta di Capri il numero medio
500 -f- 495 -(- 507 -j- 500 j- 513
5
503
II significato del modulo di radioattivila di una sostanza
è chiaro : Esso rappresenta il numero dei minuti primi che 1 gr.
di sostanza impiegherebbe a sottrarre all ’ elettroscopio quella co-
stante quantità, di elettricità che esso perde nella caduta della fo-
gliolina dalla divisione 48 alla divisione 47 ; ed è evidente che
esso è tutC affatto relativo al mio elettroscopio, ed a quella de-
terminata caduta del potenziale. Esso è tanto minore quanto è
maggiore la radioattività della sostanza, e la sua inversa può
assumersi come misura di questa radioattività in unità arbitraria.
Xel seguente prospetto presento analogamente i risultati
ottenuti da esperimenti con altre terre :
SOSTANZA
Quantità
di sost.
m.
t
h
T
Ms
media
rn
m
m
Depositi vulcanici di Capri . .
10 gr.
19. 12
39. 12
37. 2
372
20 »
11. 25
33. 25
17. 00
340
30 »
9. 03
40. 47
11. 6
348
355
40 »
7. 53
41. 10
9. 2
368
50 »
5. 97
41. 66
6. 95
348
Pozzolana di Acireale
25 »
22. 50
59. 17
36 4
910
50 »
13. 63
57. 50
17. 9
895
901
75 »
9. 75
52. 66
12. 0
898 1
100 »
7. 72
53. 16
9. 0
900
Sabbia dal 324 a, C
25 »
31. 03
44. 16
104. 5
2610
50 »
18. 45
27. 75
55. 1
2755 1
2746
75 »
19. 61
41. 83
36. 8
2760
100 '>
16. 60
39. 25
28. 6
2860
8
Enrico Boggio-Lera
[Memoria XX.]
SOSTANZA
Quantità
di sost.
m.
t
h
1
T
T/s
media
m
in
m
Fango delle Macalube
25
»
31. 50
45. 50
101. 0
2525
50
»
23. 75
46. 00
49. 0
2450
2494
75
»
19. 25
46. 50
32. 8
2460 i
100
»
16.50
47. 00
25. 4
2540
:
Fango di S. Venera di Acireale
25
»
28. 38
49. 37
66. 8
1670
j
50
»
20. 40
49. 17
34.8
1740
' 17.39
75
»
16. 03
49. 00
23.8
1780 1
100
»
13. 60
49. 37
17.4
1740
Argilla di Acitrezza
25
»
31. 47
46. 00
99.5
2480
50
»
25. 66
50. 85
51. 9
2595
, 2516
75
»
21 75
55. 43
35. 6
2490 l
100
»
17. 05
53. 45
25. 0
2500
Terra deL giardino dell’ Istituto
Tecnico di Catania
100
»
13. 05
57. 00
16. 5
1650
Terra del podere della Scuola
Enologica di Catania ....
100
»
12. 12
20. 08
30. 4
3040
Terra di una grotta del detto
podere
100
»
14. 05
42. 67
21. 0
2100
Terra dell’ Orto Botanico . . .
100
2>
22. 50
47. 63
41. 4
4140
Terra delia Piana di Catania .
100
»
16. 70
34. 42
32. 4
3240
» dell’ Anfiteatro Greco-Ro-
mano
100
7>
28. 78
49. 67
68. 5
6850
» del Giardino Bellini . . .
100
»
23. 10
37. 83
59. 5
5950
» della Plaia (Catania! . . .
100
»
16. 70
34. 42
32. 4
3240
3130
» »
100
»
18. 77
49. 50
30. 2
3020
» Salmastra della Plaia . .
100
»
24. 16
34. 92
78. 0
7800
» della Contrada Bicocca. .
100
»
17. 90
41. 05
31. 8
3180
Ghiaia rossa da costruzione (Ca-
tani a)
100
»
28. 70
46. 83
74. 0
7400
Arena della Plaia
100
»
35. 92
39. 25
42. 4
42400
Terra di Grammichele
luO
»
17. 25
40. 17
30. 2
3020
» » Francofonte
100
»
17. 15
44. 50
27. 95
2795
» » Isola dei Ciclopi . . .
100
»
25. 33
47. 42
54. 75
5475
» Villa Belvedere (Acireale)
25
»
28. 00
52. 50
59. 50
1485 -
»
50
»
19 00
52. 50
29. 7
1485 |
1
»
75
»
14. 50
52. 00
20. 1
1505 1
H>
100
X>
11. 50
52. 50
14. 7
1470 '
Sulla radioattività di alcune terre
9
STAZIONE
Quantità
di sost.
m.
t
h
T
m
m
m
Marua del Basso Egitto ....
100 »
14. 00
51. 93
19. 2
1920
Terra fina di Palazzello Motta
100 »
15. 66
37. 83
27. 4
2740
» Piedimonte Etneo ....
100 »
6. 30
34. 73
7. 7
770
Fango di Montegrotta
100 »
2. 00
30. 75
2. 14
214
80 »
2. 54
29. 75
2. 8
224
60 »
3. 23
31. 33
3. 6
216
216
40 »
4. 60
34. 31
5. 3
212
Cenere del Vesuvio (eruz. 1906)
12 gr. 65
20. 00
27. 00
77. 1
975 '
Ma per quanto è stato detto precedentemente, questi mo-
duli di radioattività non hanno così che un valore relativo di-
pendente dall’ elettroscopio e dall’ intervallo di scarica, e quindi
servono soltanto ad esprimere relativamente il diverso grado di
radioattività.
Per ottenere dei risultati indipendenti dall’ elettroscopio e
dalla caduta del potenziale , ho poi fatto numerose esperienze
di confronto con l’Uranio metallico in polvere. E poiché esso
è molto più radioattivo delle terre è bastato metterne 1 gr. nella
vaschetta di rame sotto all’elettroscopio; sarebbe stata sufficiente
una quantità anche molto minore, ma per mettermi nelle stesse
condizioni delle esperienze fatte con le terre bisognava per lo meno
ricoprire uniformemente il fondo della vaschetta. L’Uranio me-
tallico puro mi fu fornito nella quantità di 15 gr. dalla Casa
Kalilbaun.
Dalla media di molte determinazioni è risultato per 1’ U-
ranio il modulo di 0,85 che io indicherò con Mu.
Poiché come ho precedentemente osservato l’ inversa del
modulo di una sostanza può misurarne la radioattività (in unità
arbitraria) , il rapporto del modulo dell’Uranio al modulo
1\L s
della sostanza, potrà assumersi come misura della radioattività
della sostanza in confronto all’Uranio; ed esso sarà indipen-
Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Mem. XX. 2
10
Enrico Boggio-Lera
[Memoria XX.]
dente dalla grandezza, dimensione e forma dell’ elettroscopio e
dalla caduta del potenziale. Infatti io di ciò mi assicurai fa-
cendo variare sia la caduta del potenziale, sia la capacità del-
l’ elettroscopio (mettendo sul cilindretto dispersore un dischetto
di stagnola, od una vaschetta di Alluminio) : cambiavano i mo-
duli Mu ed J/s, ma restava costante il rapporto.
ideila seguente tabella presento i valori dei rapporti os-
sia le radioattività cosi dedotte per le precedenti sostanze in
rapporto all’Uranio metallico in polvere.
Radioattività rispetto all’ Uranio.
Terra di Capri 16, 7X10-4
Depositi vulcanici di Capri 24, 0 »
Pozzolana di Acireale 8, 9 »
Sabbia del 324 a. C. (Acireale; 3, 1 »
Fango delle Macalube (Girgenti) 3,4 »
» di S. Venera di Acireale 4, 9 »
Argilla di Acitrezza 3, 4 »
Terra del Giardino dell’ Istituto Tecnico di Catania .... 5, 1 »
» » Podere della Scuola Enologica » .... 2, 8 »
» » Grotta del Podere » » » .... 4, 0 »
» Orto Botanico di Catania 2, 0 »
» Piana di Catania 2, 6 »
» Anfiteatro Greco Romano di Catania 1, 2 »
» Giardino Bellini di Catania 1, 4 »
» Plaia di Catania 2, 7 »
» Salmastra della Plaia di Catania 1, 1 »
» Contrada Bicocca di Catania 2, 7 »
Ghiaia rossa da costruzione di Catania. 1,1 »
Arena della Plaia di Catania 0, 2 »
Terra di Grammichele 2, 8 »
» Fraucofonte 3, 0 »
Isola dei Ciclopi 1, 5 »
Villa Belvedere (Acireale) 5, 7 »
Marna del Basso Egitto 4, 4 »
Terra fina di Palazzello Motta 3? 1 »
Sulla radioattività di alcune terre
11
Terra lina di Piedimonte Etneo 11, 1 »
' Fango di Montegrotta 39, 3 »
Cenere del Vesuvio (eruzione 1906) 8, 7 »
Cenere dell’ Etna (1906) 0, 53 »
Avverto che questi numeri esprimono la radioattività delle
predette sostanze in confronto all’Uranio in condizioni normali.
Io ho di recente constatato (credo per il primo) che la radio-
attività di questa sostanza, e così quella della pechblenda, e di
alcune altre, viene notevolissimamente influenzato dalla luce. In
fatti esponendo la vaschetta contenente 1’ uranio al sole prima
d’ introdurla nell’ apparecchio , la radioattività dell’ Uranio si
trova essere divenuta ben sette volte maggiore, giacché il mo-
dulo è disceso da 0,85 a 0,12; però quest’aumento di radioat-
tività scompare in un tempo pressapoco uguale a quello della
durata di esposizione alla luce solare. Risultato analogo ho tro-
vato esponendo l’Uranio alla luce dell’arco voltaico; e siccome
anzi con questa sorgente luminosa, l’effetto fu assai cospicuo,
debbo ritenere che esso sia dovuto ai raggi ultravioletti. Di que-
sto fenomeno intendo fare uno studio particolare.
Ho poi fatto delle esperienze sulla radioattività di una
mescolanza di una materia inattiva con dell’ Uranio metallico
in polvere. P. es. ho mescolato intimamente 1 gr. di Uranio
con 99 gr. di arena della Piala, la quale è la sostanza meno
radioattiva che ho fin qui trovato nelle mie ricerche. Mettendo
successivamente nella vaschetta quantità crescenti di questa
miscela, i risultati ottenuti furono molto diversi da quelli avuti
con le terre. Infatti trovai :
CON
io
gr.
di arena
urauata all’ 1 % ,
M ~
= 67
»
20
»
»
»
»
103
»
30
»
»
»
»
120
»
40
»
»
»
»
135
»
60
»
»
»
»
208
12
Enrico Boggio-Lera
[Memoria XX.]
La conclusione die io credo poter ricavare da questo fatto,
e dagli esperimenti sulle terre e sui fanghi mi pare abbastanza
importante :
Come 1’ aumento che si riscontra nel modulo della terra
uranata, e che ho pure verificato esperimentando sull1 Uranio
metallico in polvere, all1 aumentare della massa, sta a dimostrare
che i raggi uranici vengono assorbiti considerevolmente dall’ura-
nio stesso e dalla sostanza inattiva a cui esso è mescolato, e che
perciò essi sono principalmente costituiti dai raggi poco pene-
tranti a e P; così al contrario l’indipendenza del modulo di ra-
dioattività delle terre e dei fanghi dalla loro massa, (almeno
fino a un certo limite) dimostra che il potere radioattivo di dette
terre e fanghi è principalmente dovuto ai raggi T e ad una e-
manazione.
Ed invero io ho potuto di recente accertare che una fra-
zione abbastanza grande della radioattività delle terre e dei
fanghi è dovuta a raggi y penetrantissimi, mediante le seguenti
esperienze :
Introdotto nell1 apparecchio gr. 100 di terra di Piedi monte
Etneo ho trovato che il tempo ts necessario perchè la deviazione
della fogliolina dell1 elettrometro si riducesse da 18° a 47° era
minuti 5, 50 ; ricoperta poi la terra con un disco di Alluminio
di mm. 0, 3 di spessore ho trovato che il tempo richiesto era
tc — min. 9,66; d’altra parte a vaschetta vuota, si aveva £t=m.l5,9.
Con la formula da me data
deduconsi quindi i tempi Ts e Tc che sarebbero stati impiegati
rispettivamente a sostanza scoperta, ed a sostanza coperta, per
la stessa diminuzione della deviazione, senza le dispersioni estra-
nee ; e cioè :
Ts — in. 8, 4
Tc — m. 24, 6
Sulla radioattività delle terre
13
Conseguentemente mentre la sostanza scoperta toglie ad ogni
minuto all’ elettrometro -1— della carica considerata, la sostanza
b, 4
stessa coperta col disco di Alluminio di mm. 0, 3 di spessore
toglie ancora 7^-— r della carica al minuto ; e quindi deducesi
die — — : — ■ cioè circa d— dell’ azione radioattiva totale della
24, o 8,4 100
terra di Piedimonte Etneo passano ancora attraverso all’ Allu-
minio dello spessore di mm. 0, 3.
Ricoprendo la terra medesima con un disco di zinco dello
spessore di mm. 0, 65 lio trovato :
t'c = m. 10, 40,
e quindi mediante la solita formula :
T'ì = m. 10, 4 X —
15,9
15,9 — 10,4
m. 30 ;
onde deducesi analogamente che attraverso allo zinco dello spes-
1 1 28
sore di mm. 0, 65 passano ancora — : — — ossia — — della radia-
1 30 8, 4 100
zione totale.
Pinalmente ricoprendo la terra con un disco di Piombo di
mm. 2 di spessore ho trovato :
t"c=m. 11,25,
da cui :
T"c = 11, 25 X
15, 90
15,90— 11,25
= m. 38, 5 ;
onde si ricava che attraverso al Piombo dello spessore di 2 mm.
11 22
passano tuttavia 5 - : 7— ossia — — dell’ effetto totale.
1 38,25 8, 4 100
Inoltre ricoprendo soltanto in parte la sostanza attiva me-
diante settori circolari di lamiera metallica aventi angoli di
T’T’T,7CT’ A- ’ T ’ 10 trwvato clie 11 temP° Afe' imPie"
14
Enrico Boggio-Lera
[Memoria XX.]
gato nella scarica quando una frazione Jc della superficie trovasi
scoperta, e la frazione residua Té — 1 — h trovasi coperta, si può
rappresentare abbastanza bene in funzione di Jc e di Jc', e di Ts
e Tc , mediante la formola :
Thth, Ts T T
Questa forinola era d’ altronde prevedibile ; giacché se -7=—
•*•8
come abbiamo osservato esprime la frazione della carica sottratta
ad ogni minuto all’ elettrometro quando l’ intera superfìcie della
sostanza si trova scoperta, e la frazione della carica sottratta
ogni minuto quando la superfìcie è coperta dalla lamina metal-
ll le
lica ; -7=- e saranno le frazioni della carica sottratte all’elet-
-*-S J~C
trometro ad ogni minuto, rispettivamente dalla porzione scoperta
e dalla porzione coperta della superfìcie della sostanza ; onde la
somma deve rappresentare la frazione — della carica
■*-s J-c
sottratta complessivamente per ogni minuto all’elettrometro, sem-
pre beninteso senza le dispersioni estranee.
P. S. Sento il dovere di ringraziare il Cav. Leonardo Pratesi, Preside di questo Regio
Istituto Tecnico, per avermi fornito i mezzi di eseguire questo lavoro, e il Dott. G. Tro-
vato per avermi zelantemente aiutato nelle esperienze.
Catania, 5 Luglio 1906.
Memoria XXI
Dott. 6I0LI0 TRINCHIER1
Contributo allo studio della « caulillorìa »
RELAZIONE
DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE, COMPOSTA DEI PlIOFF. A. RUSSO
E G. LOPRIORE (relatore).
La memoria dal titolo : Contributo allo studio della « cauliflorìa », pre-
sentata all’ Accademia Gioenia. dal Dott. Giulio Trinchieri, si occupa di un
fenomeno molto discusso, frequente fra le piante dei climi caldo-umidi delle
regioni tropicali, raro in quelle della zona temperata, per cui i fiori si svi-
luppano sul caule e sui rami adulti in prossimità di cicatrici fogliari.
L’ Autore, delimitato il vero carattere di questa disposizione, designa
per « pseudocauliflorìa » quei casi in cui i fiori si formano all’ ascella di
foglie, ma vi persistono dopo che queste son cadute.
In base al lavoro del Buscalioni su questo fenomeno, l’Autore mette
in rilievo la particolare tendenza delle piante cauliflore a difendersi contro
l’ azione dannosa della soverchia umidità o delle piogge frequenti ed ab-
bondanti. Spiega alcune apparenti contraddizioni offerte da piante xerofite,
come le Cac tacce, le quali, pur vivendo in luoghi aridi , presentano nondi-
meno i loro tessuti riccamente provvisti di acqua e quindi in condizioni bio-
logiche non molto diverse da quelle viventi in luoghi umidi o piovosi e
come tali ricche parimenti di acqua.
Quanto alla possibile influenza delle azioni traumatiche sulla cauliflorìa
(vedi di questo volume la nostra memoria X. p. 13), il Trinchieri senza pro-
nunziarsi esplicitamente in riguardo all’ azione diretta, ritiene però che
esse siano da considerare come un fattore indiretto, importante per la de-
terminazione del processo.
È merito dell’Autore di avere accertato casi tipici di cauliflorìa in
piante da noi estesamente coltivate, come il Cìtrus medica L. var. Limon L.
e il C. Aurantium L. var. Limetta (Risso), e di averne scoperti nuovi in altre
Atti acc. Sekie 4a, Vol. XIX — Meni. XXI. 1
2
Dott. Giulio Trinchieri
[Memoria XXL]
esotiche, come il Ficus capensis Tliuub. ed il Jasminum Sambac Ait., ospitate
da qualche tempo nell’ Orto botanico di Catania.
Il metodo seguito nello studiare questi casi e le escogitazioni dell’ Au-
tore nel riportarli ai principi generali del fenomeno fanno sperare che pros-
simamente nuovi contributi si abbiano su quest’ importante argomento, men-
tre per ora delle indagini compiute si propone la pubblicazione negli Atti
dell’ Accademia.
.È noto che col nome di « caulitiorìa » o « caulofìorìa »
si designa quella particolare disposizione presentata da molte
piante, proprie dei climi caldi ed umidi delle regioni tropicali, e
che solo per eccezione si osserva nella flora delle zone temperate,
in virtù della quale le gemme fiorali appaiono sul caule e sui
rami, per lo più in corrispondenza d’ una cicatrice fogliare. Ta-
lora le gemme fiorali si mostrano anche su organi sotterranei o
decorrenti a fior di terra, per la qual cosa è lecito domandarsi
se, in alcuni casi, esse non siano da considerare come formazioni
aventi sede su vere radici, anzi che su stoloni o rizomi.
Ciò premesso, credo opportuno di circoscrivere esattamente
il significato della caulitiorìa, poi che altrimenti si possono ri-
tenere cauliflore piante, che in realtà non lo sono.
Perchè una pianta sia caulifiora, occorre per lo meno che
il fiore si sviluppi dopo che la foglia ascellante è caduta, giac-
che qualora si sviluppi all’ ascella, ma persista dopo che la foglia
è caduta, è difficile stabilire se si tratti di una condizione quasi
normale piuttosto che di vera caulitiorìa ; ond’ io propongo ,
per questo caso, il nome di « pseudocauliflorìa. »
Sono invece realmente cauliflore quelle piante che svilup-
pano i loro fiori in più o meno immediata vicinanza d’ una ci-
catrice fogliare, ma su rami più o meno vecchi.
Confi è noto , per spiegare il fenomeno in discorso furono
proposte diverse ipotesi, tra cui quelle del Pumpe, del Walla-
ce, dell’HABEELAXDT, del Potoxié, dello Schimper, del Johow.
Contributo allo studio della « caulifloria »
3
Di recente, poi, il prof. Buscalioni (1) , dallo studio del
controverso problema, è giunto a conclusioni le quali modificano
notevolmente le idee finora in vigore. Egli, fra altro, ha potuto
mettere in evidenza, con la scorta dei dati paleontologici , che
la Gau littori a è un fatto antichissimo , poi che di essa esistono
tracce già nel Carbonifero (2) e successivamente nel Cretaceo (3).
Sembra che il processo caulifloro s’ inizi i con gruppi abbastanza
degradati del regno vegetale, in quanto che il Potorie l’avreb-
be riscontrato in parecchie Calamariacee, nelle Botrodendracee,
in diverse Lepidodendracee, nelle Sigillariee e nelle Cordaite (4),
ma non al di là di un certo limite. Per i terreni posteriori, poi,
valgono le osservazioni del Buscalioni : delle 34 famiglie con
rappresentanti cauliflori riportate da questo autore, 22 fecero la
loro prima comparsa nel Cretaceo, 3 nell’ Eocene, 2 nell’ Oligo-
cene. Cosi pure delle 126 specie di Dicotiledoni sicuramente cau-
lifiore citate dal Buscalioni, 20 si rinvengono nel Cretaceo su-
periore, se pure non sono apparse prima, 4 nel Paleocene, 6 nel-
1’ Eocene e 15 nell’Oligocene (5).
Come ognun sa, opinano i geologi che in quei tempi, da
noi tanto lontani, la temperatura del nostro globo fosse più ele-
vata di adesso e nello stesso tempo il clima molto umido, a causa
dei frequenti acquazzoni che trasformavano le terre emerse in
veri pantani. E quindi naturale l’ ammettere che le piante di
quei periodi dovessero modificarsi in guisa da ottenere che la
pioggia non danneggiasse organi così importanti per le stesse,
quali sono i fiori e i frutti. Noi vediamo perciò largamente
diffuse nelle piante del Carbonifero certe disposizioni dirette
(1) Buscalioni L. , Sulla caulifloria. Malpighia, voi. XVIII, 1904, p. 117-177, tav. II-III.
A questa Nota potrà ricorrere utilmente il lettore, così per maggiori notizie sull’ argo-
mento come per la bibliografia del medesimo.
(2) Buscalioni L.
. loc.
citi. ,
p. 138-139.
(3)
loc.
cit. ,
p. 150-152.
(b
loc.
cit. ,
p. 138.
(5)
loc.
Cit. ;
, p. 150-151.
4
Boti. Giulio Trinchieri
[Memoria XXI.]
appunto a proteggere gli apparati riproduttori da un eccesso
di umidità, come ia forma di cono assunta dai frutti delle
Selaginella , dei Lepido dendron e di altre piante ancora, nei quali
organi le parti essenziali erano in modo efficace difese da brat-
tee ; come la riduzione in larghezza della lamina nelle foglie
delle Calamariee, ciò che doveva impedire la persistenza sulle
stesse delle gocce di pioggia; e l’essere, in varii casi, l’infiore-
scenza collocata sotto un notevole numero di foglie, del die si
trovano tracce nelle Sigillarla ; e la presenza delle aflebie , vale
a dire di quegli organi riscontrati nelle [Felci del Carbonifero,
e che, secondo il Potorie , avevano 1’ ufficio di proteggere le
gemme fogliari, oltre a quello di contenere acqua (1).
Disposizioni analoghe, cioè inerenti alle condizioni d’ umi-
dità eccessiva offerte dall’ ambiente, si rinvennero nei periodi po-
steriori al Carbonifero — e ne sono esempio gli apparati riprodut-
tori delle Grimnosperme, le radici a ginocchio dei Taxodi-uni (2) —
come si trovano oggidì nelle piante equatoriali, specialmente se
queste vivono in siti soggetti a frequenti piogge (3).
Così nelle Pandanacee e in molte Palme la speciale costi-
tuzione dell’ infiorescenza è, per gli organi riproduttori, un’ effi-
cace difesa contro l’umidità; in altre Palme, poi, l’infiorescen-
za è doppiamente protetta contro i rovesci di pioggia, prima dalla
presenza di una larga spata e poi dalla riunione dì parecchie
foglie al di sopra dell’ infiorescenza stessa: è un caso simile a
quello, già ricordato, delle Sigillarla del Carbonifero.
Nelle Dicotiledoni, le principali disposizioni protettive sono
rappresentate o da involucri di origine bratteate — ed esempi di
ciò dànno diverse famiglie come Bignoniacee , Composite, Dip-
sacacee, Santalacee, Ombrellifere, Clusiacee , Miricacee, Cupuli-
fere — ovvero da involucri perianziali e ricettacolari , il che si
verifica per le Moracee, Orticacee, Vochisiacee, Lauracee, Tern-
(1) Buscalioni L. , loc, cit. , p. 136-138.
(2) loc. cit. , p. 139-140.
(3) loc. cit. , p. 152-158.
Contributo allo studio della « cari Ujl orla, »
stretti iacee, Colliri nifere, Euforbiacee, Rainnacee , Sassifragacee ,
Mirtacee, Litrariee, Ericacee, Rosacee , Ebenacee , Verbénacee ,
Rubiacee, Mori ini iacee, Chenopodiacee, e per altre famiglie ancora.
Altre volte, poi, le piante (Artocarpee, Magnoliacee, .Aloni-
in iacee, Rosacee, Sassifragacee, Rubiacee, Anonacee, Melaste ma-
cee, Ficus , Castilloa , A rtocarpus inteff ri foli a , Trochodendron , Tambou-
rissa , / Siparuna , For stenia , Nelumbo , Euryale, Victoria , Boccalaya ,
Frayaria , Fhodotypas, Liquidambar , Morinda, iSarcocephalus , Anona
■nutricata , Fupomatia, Melastoma e Btackea) sono difese contro ru-
mi dita per mezzo di sincarpi ; ovvero per mezzo di arilli e di
organi arilloidei : così nelle Dilleniacee, Sapindacee, Celastracee,
Anonacee, Rainnacee, Rubiacee, Ninfeacee , Enforbiacee, Legu-
minose, Miristicacee, Connaracee, ecc.
Lo stesso ufficio protettivo esercitano pure la così detta
« linea lucida » delle Colun nifere , Celastracee , Leguminose ,
Marsiliacee e Oannacee, nonché i peli che appaiono sul tegu-
mento seminale ( Oossypium , Quiina, Triyonia, ecc.).
Ora, a tutte queste disposizioni, intese a difendere gli ap-
parati riproduttori delle piante contro 1’ azione dannosa della
soverchia umidità, dovuta alla frequenza e all’ abbondanza della
pioggia, va aggiunta, secondo il Buscalioli, anche la cauli fio-
rì a (1). Disposizione questa, che attualmente s’ incontra assai
spesso in tutti i punti delle regioni tropicali dove perdurano
quelle condizioni d’ ambiente le quali, stando ai dati paleonto-
logici, costituivano la principale caratteristica del Carbonifero e
del Cretaceo. Infatti, la maggior parte delle 126 specie di piante
indubbiamente caulitiore, enumerate dal Buscatagli (2), è pro-
pria di regioni calde ed a piogge frequenti e copiose.
E qui credo opportuno di osservare che, dato il grande nu-
mero di piante caulitiore esistenti, 1’ elenco riportato dal Busca-
tagli non può essere certamente completo , pur tenendo conto
(1) Boscajjoni L. , loc. cit. , p. 139 e 159-160.
(2) loc. cit., p. 121-128.
6
Doti. Giulio Trinchieri
[Memoria XXI.]
delle modificazioni che lo stesso autore già vi introdusse mediante
le aggiunte contenute nella nota collocata alla fine del suo la-
voro (1).
Per esempio, nel citato elenco non è fatta menzione dei-
fi Frycibe ramiflora, di cui ci dà notizia H. Hallier (2).
Quest’autore pone il gen. Frycibe fra le Convolvulacee, men-
tre , secondo il De Oaxdolle (3) , fi ordine delle Frycibeae
va da quelle allontanato e avvicinato invece alle Ebenacee — che
hanno varie altre specie caùliflore, già ricordate dal Buscalio-
ìti — o alle Aquifoliacee. Però, nella monografia del Peter (4). il
gen. Frycibe vien messo fra le Convolvuloideae-Frycibeae (5).
Paccio notare tuttavia che i pochi rappresentanti fossili delle
Convolvulacee furon trovati nel Terziario antico (6), il che è in
accordo con fi ipotesi del Buscalioxi.
Così pure fra le specie del gen. Ficus — ben noto per avere
molti rappresentanti cauliflori — comprese nell’elenco sopra ricor-
dato, non figura il Ficus capensis Thunb. , dell’ Africa australe,
di cui, nel maggio di quest’anno, ho potuto osservare nell’Orto
botanico di Catania uno splendido esemplare, che aveva la mag-
gior parte del suo tronco addirittura coperta di tanti ricettacoli
piriformi (cenanzi). Questi erano raccolti in numerosi grappoli —
non saprei come altrimenti chiamarli — risultanti di molte in-
fiorescenze , discretamente peduncolate. I grappoli pendevano
lungo il tronco ed avevano i rispettivi apici occupati , non già
da uno o più cenanzi, bensì da una gemma fogliare chiusa. Inoltre
i singoli ricettacoli erano così disposti su quella specie di grap-
(1) Buscalioni L. , loc. cit. , p. 169 e segg.
(2) [I allibi; H, , Bamteine zn einer Monograpbie d. Convolvulaceen. Ueb. d. Gattung Ery-
cibe i(. biol. Bedeutung d. stammbiirtìgen Bliiten u. Friichte. Bull, de 1’ Herbier Boi ssi er, voi. V,
1897, 11. 9, p. 735-754 e n. 12, p. 105.
(3) De Candolle , Prodromm systematis naturalis regni vegetabilis , pars IX, Parisiis ,
MDCCCXLV, p. 463-464.
(4) Peter A. , Convolvulaceae, in Fai. P/lanzenfam. , IV. Teil, Abt. 3a.
(5) loc. cit. , p. 36.
(6) loc. cit. , p. 11.
Contributo allo studio della « cauliflorìa »
7
poli che i loro piccoli orifici apicali guardavan tutti il terreno,
ciò che avviene talora anche nel Ficus Carica L.
Ora , sembra a me che le accennate disposizioni debbano
esercitare un ufficio di protezione contro 1’ eccessiva umidità. E
mi spiego. Se anche all’ estremità del grappolo esistessero uno o
più ricettacoli, 1’ acqua di pioggia, la quale, per essere il grap-
polo diretto verso terra, dopo averne percorso P asse, si raccoglie
all’ apice del grappolo stesso, finirebbe, a lungo andare, col dan-
neggiarli. L’ essere poi le aperture apicali dei varii cenanzì co-
stantemente rivolte in basso fa sì che la pioggia non possa per
quella via penetrare in mezzo ai fiori, e recar loro nocumento
con la sua presenza.
Infine, nei primi giorni del corrente mese di luglio, trovai
nello stesso Orto botanico di Catania un’altra pianta, il Jasminum
/Sambac Ait. , la quale portava numerosi fiori sui rami più vecchi
e privi di foglie.
Si tratta perciò di una pianta caulifiora, che, come le altre
due sopra ricordate, non è indicata tra quelle dell’ elenco del
Buscalio:ni, alle quali pertanto P aggiungo.
Il Jasminum Sambac è un frutice originario delle Indie
orientali e , precisamente, vive nelle foreste presso la spiaggia
del mare (1) ; per conseguenza è propria di luoghi molto umidi.
Inoltre il gen. Jasminum è molto antico, giacché, sarebbe apparso
nell’ Eocene (2).
La cauliflorìa della specie da me esaminata forse è in rela-
zione con la sua qualità di pianta rampicante.
Finalmente, il gen. Jasminum è assai diffuso nelle regioni
tropicali bagnate da piogge torrenziali (3), il che spiegherebbe,
se ancora ce ne fosse bisogno , la comparsa della cauliflorìa in
qualche tipo del genere stesso.
(1) De Candolle, Prodromus systematis naturalis regni vegetabilis , pars Vili, Parisiis,
MDCCCXLIV, p. 301.
(2) Buscai,[ONi L., loc. cit., p. 149.
(3) De Candolee, loc. cit., p. 301 e segg.
8
Doti. Giulio Trinchieri
[Memoria XXI.]
* *
Ho accennato in principio che nelle regioni temperate la cau-
liliorìa non è, nelle condizioni normali, un fatto frequente : anzi,
per quanto mi consta, da noi ne otfre un esempio sicuro soltanto
il Cercis iSiliquastrum L. (1) , che, in primavera , dischiude i
suoi graziosi fiori rosei.
Però è risaputo che esistono alcune piante le quali eccezio-
nalmente possono presentare il fenomeno, specie se assoggettate
ad azioni traumatiche.
Una pianta, per esempio, che in tali condizioni con fre-
quenza diventa caulitìora è la Vite. A questo proposito, O. Bec-
caci (2) ricorda di aver rilevato la presenza di qualche piccolo
grappolo di fiori sui ceppi, nudi di foglie , di alcune viti , che,
per innesto , erano state private delle loro parti superiori. Lo
stesso autore (3) cita poi un altro caso di caulifiorìa nella Vite,
nel quale ai fiori erano succeduti i frutti , riportato dalla Henne
H orticole (4). Hi un altro ancora, perfettamente identico al pre-
cedente, nel modo di manifestarsi, il dott. Moxtemartixi (5) ci
dà la descrizione accompagnata dalla relativa figura. Infine, an-
che il prof. Lopriore, a quanto gentilmente mi riferisce, ebbe
a notare più d’ una volta casi consimili.
Grazie alle osservazioni che potei fare sopra un’ altra pian-
ta, è dato anche a me di portare un contributo all’ argomento
che ora ci interessa.
Sul finire del mese di maggio dell’ anno scorso, mentre os-
(1) Alcuni considerano come pianta caulitìora anche la Ceratonia Siliqua L. Le mie os-
servazioni, che ho dovuto per ora limitare a piante già fruttificate, non mi permettono di
stabilire se nel caso del Carrubbio si tratti o non di vera caulifiorìa.
(2) Bkccari 0. , Nelle foreste di Borneo. Firenze, 1902, nota a p. 538.
(3) loc. cit. , nota a p. 538.
(4) Vedi p. 430, fig. 93, anno 1882.
(5) Montemartini L., Un caso di «. caulofloria » nella vite. Italia agricola, anno XL,
n. 15, 1903, p. 348-349, e tavola a colori.
Contributo allo studio della « cauliflorìa »
9
servavo con un senso di rincrescimento un alberetto di Citrus
medica L. var. IAmon L., coltivato nell’ Orto botanico di Sassari
e che mani inesperte avevano non molto tempo prima sottopo-
sto ad una intempestiva ed esagerata potatura, mi accadde di
posare gli occhi sopra un ramo , eh’ era tra i più grossi posse-
duti dalla pianta, sul quale spiccavano, a varia distanza fra loro,
tre fiori (fig. 1). Esaminando più da vicino il ramo in discorso,
Fig. 1. Cauliflorìa nel Citrus medica L. var. Limon L. — A, B, C, primo, secondo e terzo
fiore nati sul ramo ; dei primi due è rimasto il gineceo , il terzo è chiuso ancora.
(Da una fotografia dell’ Autore).
tosto mi accorsi che nessuna traccia di foglia era presso i fiori
da me notati, per la qual cosa fui indotto a concludere che si
ti aitasse di un caso di cauliflorìa, die, per quanto io sappia,
ancora non e stato da altri riscontrato e descritto nel Limone.
Seguendo, giorno per giorno, lo sviluppo dei fiori del mio
alberetto, i quali verso la metà di giugno erano tutti e tre
aperti, potei constatare che i medesimi presentavano molti casi
teiatologici. Casi teratologici, più o meno interessanti e in com-
Atti acc. Serie 4a, Vol. XIX — Mem. XXI. 2
10
Doti. Giulio Tr incineri
[Memoria XXL]
plesso già conosciuti nel gen. Citrus L. (1), dal prof. Pexzig (2)
attribuiti alla coltura e da altri autori , per esempio Cesati ,
Passerini e Girelli (3), nonché Paoletti (4), considerati in
parte come caratteri ormai stabili del genere stesso, ma che
non è, credo, superfluo riferire qui.
Il calice del bore, che si aprì per primo (fig. 1, A), aveva
quattro lobi , dei quali uno alquanto più piccolo dei rimanenti
piuttosto espansi, disposti tutti da una parte, vicinissimi tra loro.
La corolla dello stesso fiore si componeva di otto petali,
però soltanto quattro apparivano normalmente sviluppati.
Giudicando dall’ aspetto, fui indotto a sospettare che gli
altri quattro petali ripetessero la loro origine da altrettanti stami.
Esclusi questi ultimi, 1’ androceo risultava di ventidue sta-
mi, venti di lunghezza disuguale, tutti liberi, meno quattro sal-
dati a due a due per breve tratto a cominciare dalla base, uno
accennante appena a trasformarsi in petalo, ed uno, infine, mac-
chiato in due punti di rosso, con l’antera abortita e saldato per
intero col pistillo, che mostrava, per tutta la lunghezza dell’o-
vario, una specie di solco, nel quale andava ad affondarsi la
corrispondente porzione del filamento dello stame. La saldatura
dello stame col pistillo era tale, che, dopo parecchi giorni dall’a-
pertura del fiore, disarticolatosi lo stilo — alquanto schiacciato
in alto — dall’ ovario, la porzione superiore dello stame servì a
trattenere lo stilo medesimo.
Avvenuta, poco dopo 1’ antesi del primo fiore, quella del
•
(1) Cfr. : Savastano L., Le forme teratologiche del fiore e frutto degli Agrumi. Annuario
della R. Scuola superiore d'agricoltura in Portici, voi. IV, 1884, fase. 3°, p. 5-32, tav. I-IV.
Pisnzig O., — Studi botanici sugli Agrumi e sulle piante affini. — Annali di Agricoltura, Ro-
ma, 1887, voi. 116, p. 99-103, e tav. Vili, ±ìg. 2-3, dell’ Atlante. — Pflaneen-Teratologie.
Genua, 1890, I. Bd., p. 310 e 345.
(2) Penzig O. , — Studi botanici sugli Agrumi e sulle piante affini. — Annali di Agricol-
tura, Roma, 1887, voi. 116, pag. 99.
(3) Cfr. : Cesati V., Passerini G. e Gibelli G., Compendio della Flora italiana, 1881,
p. 760.
(4) Cfr. : Paoeetti G., — Butaceae, in Fiori Adr., Paoeetti G. e Béguinot A., Flo-
ra analitica d’Italia. Padova, 1900-1902, voi. II, p. 25 7.
Contributo allo studio della « cauli florta »
11
secondo (fìg. 1, B), notai che anche in questo il calice era di-
viso in quattro lobi, uno dei quali ridottissimo; che quattro era-
no i petali, di cui due soltanto ben sviluppati. Gli stami, in nu-
mero di venti, si mostravano tutti liberi.
Del terzo fiore (fìg. 1, (7), molto prima del suo sbocciamento,
appariva all’esterno, circondato dai petali stretti fra di loro, l’estre-
mità superiore dello stilo, di forma perfettamente cilindrica, sul
quale spiccava ben distinto lo stimma conico e colorato in giallo
intenso. Pur rimanendo chiusi i petali, lo stilo continuò per
diversi giorni ad allungarsi e, da bianco che era, assunse prima
un color verde carico, poi divenne intensamente paonazzo. Ghian-
dole oleifere ben evidenti erano sparse per tutta la lunghezza
della colonnetta stilare. Quando poi il fiore accennò a sboccia-
re, l’ apertura della corolla cominciò dalla base, mentre in alto
i petali continuavano a rimanere come saldati tra loro ; dalla
fessura in tal modo prodottasi nella corolla s’ intravedevano
alcuni stami alquanto contorti.
Il cal ice di questo terzo fiore non era affatto diviso in lobi.
Sei erano i petali, esternamente di color rosso sbiadito e irre-
golari quanto alle dimensioni e alla forma, per contorsioni più
o meno pronunciate, sfrangiature all’apice, eco. Gli stami, in
numero di trenta, erano di lunghezza ridotta ed in parte ave-
vano antere atrofiche. Notai inoltre che i filamenti di due stami
presentavano alla base una breve saldatura e che due altri sta-
mi s’ erano uniti per mezzo delle antere.
Dopo venti e più giorni dal completo sbocciamento dei
miei tre fiori, sebbene la forma primitiva dei rispettivi ovarii
avesse cominciato a modificarsi, temendo forte per la loro esi-
stenza, a causa della stagione asciuttissima e dei venti che sof-
fiavano impetuosi, mi decisi a sacrificare e raccogliere i tre
ovarii in discorso. Sottoposti i medesimi all’ esame microscopico,
dopo averli convenientemente preparati, vidi che il primo di
essi presentava sette logge ben sviluppate, più un’ altra quasi
atrofica in corrispondenza del solco in cui, come sopra ho ac-
12
Doti. Giulio Trinchieri
[Memoria XXI. |
cennato, stava in parte affondato uno staine. Nove logge aveva
l’ovario del secondo dorè, ed otto quello del terzo.
Non potei appurare se gli ovarii fossero stati o non fecondati.
Lo stesso processo caulitìoro, che ho descritto nel Limone,
vidi presentato, con relativa frequenza, dal Citrns Aurantium L.
vai*. Limetta (Risso).
Un esempio di ciò può dare la fig. 2, tratta dalla fotografia*
che feci nel passato maggio, di
un esemplare della pianta ora
ricordata, vivente nell’ Orto bo-
tanico di Catania.
Per quanto mi consta, nep-
pure questo secondo caso di cau-
liflorìa è stato finora messo in
evidenza da altri.
Mi fu riferito che l’ esem-
plare citato venne sottoposto, in
diversi tempi, alla potatura, tal-
volta anche un po’ eccessiva , a
giudicare dalle tracce rimaste.
Oltre a ciò, può forse aver con-
tribuito alla comparsa del feno-
meno un altro fatto : l’ individuo,
che fu oggetto delle mie osser-
vazioni , sorge proprio sull’ orlo
di un antico canale d’ irrigazione
dell’ Orto , per la qual cosa le
sue radici si trovano nella spe-
ciale condizione di essere assai di
frequente e molto copiosamente
bagnate dall’ acqua che scorre nel canale.
I fiori del mio esemplare, che in modo tanto evidente ca-
ratterizzavano il fenomeno , non presentavano, per sè stessi, al-
cuna particolarità degna di menzione.
Fig. 2. — • Cauliflorìa nel Citrns Aurantium
L. var. Limetta (Risso). — A, Gine-
ceo di un fiore nato sul ramo.
(Da una fotografia dell’Autore).
Contributo allo studio della « cauliflorìa »
13
In riguardo al gen. Citrus, dirò infine che alcune sue spe-
cie, per esempio C. Aurantium L. var. grandi? L. {C. decuma-
nus L.), sono diffuse in luoghi piovosi , altre nell’ Arcipelago
indo-malese, la regione delle piante cauliflore, e soltanto poche
in siti aridi (1).
*
* *
Passati così in rapida rassegna i diversi casi di cauliflorìa
nelle piante dei nostri paesi, venuti a mia cognizione, mi sem-
bra ora molto interessante il cercare la giusta interpretazione
dei medesimi.
Si è detto nelle pagine precedenti che, per quanto riguarda
i casi da noi esaminati , il processo caulitìoro si manifestò di
solito su individui che avevano subito 1’ influenza di azioni trau-
matiche.
Ma sono queste direttamente sufficienti a spiegare il feno-
meno ? jSToii oserei affermarlo.
Lasciamo , per un momento , da parte ogni considerazione
biologica, e vediamo se non sia possibile in qualche altro modo
renderci piena ragione di quanto abbiamo osservato.
Io credo che nel determinare la comparsa della cauliflorìa
nelle nostre piante abbia avuto speciale importanza il fattore
anatomo-morfologico.
Se noi ci facciamo a considerare il fenomeno sotto il punto
di vista morfologico, non tardiamo a convincerci di questo: che,
in ultima analisi, la cauliflorìa è rappresentata dallo sviluppo
di gemme, le quali dallo stato latente, dopo tempo spesso lun-
ghissimo, passano allo stato di vita attiva (2).
Ora, le gemme dormenti possono distinguersi in fiorali e
fogliari. Quest’ ultime , di organizzazione naturalmente meno
(1) Cfr. : De C andò lek Alph . , Géograpliie botanique raisonnte, t. II, Paris - Genève,
MDCCCLV, p. 863 e segg.
(2) Buscalioni L. , loc. cit. , p. 119-120.
14
Boti. Giulio Trinchieri
[Memoria XXI.]
complicata delle prime, sono, in regola generale , quasi le sole
che si sviluppano nei nostri climi. Al contrario , nei paesi tro-
picali, date le condizioni particolari dell’ ambiente, le gemme
fiorali dormenti tendono a svilupparsi pure frequentemente.
Conosciamo inoltre, per le ricerche del Prunet (1), F esi-
stenza di un grosso raggio midollare, che lo stesso autore chiama
« rayon médullaire gemma-ire » , mediante il quale le gemme
dormenti delle piante legnose sono messe in comunicazione col
midollo del fusto (2).
Orbene, questo potente raggio midollare, tra altro, ha l’uf-
ficio di portare una grande quantità d’ acqua alla gemma dor-
mente.
Sappiamo ancora , per limitarci ai casi di cauliflorìa ri-
cordati , che i frutti delle nostre piante cauliflore sono molto
ricchi d’ acqua, la quale è in gran parte fornita dall’ umidità
del terreno in cui le piante vivono.
Se a tutto questo complesso di condizioni , mirante a for-
nire un largo quantitativo d’ acqua o alla pianta o per lo meno
ad alcune delle sue parti (frutti succulenti, per esempio), noi ag-
giungiamo F azione di cause traumatiche, che determinino gravi
mutilazioni, vedremo portato al grado massimo lo stato d’imbi-
bizione della pianta , a causa della ridotta traspirazione. Così
che, se le azioni traumatiche non hanno, per sè sole, la poten-
zialità di produrre il fenomeno della cauliflorìa , date queste
condizioni di cose , che rispecchiano in parte quanto si osserva
nelle regioni tropicali delle « foreste piovose » ( Begenwalder ) ,
sono tuttavia da considerarsi come un fattore importante per la
comparsa del processo.
Nei casi da me in particolar modo studiati , la cauliflorìa
(1) Prunet A. , Becherches sur les noeuds et sur les eiitre-noeuds de la tirje des Dieoty-
lédones. Aim. des Se. nat. , Botan. , 7.e sèrie, t. XIII, 1891, p. 344 e segg. , pi. V,
fig. 15-16.
(2) Il Prunet (loc. cit. , p. 351-353 , pi. V, fig. 16) descrisse questa particolare di-
sposizione anatomica anche in una pianta cauliflora , il ricordato Cercis Siliqiiastrum.
Contributo allo studio della « cauliflorìa »
15
ha origine puramente da fattori interni, anatomo-morfologici da
un lato e fisiologici dall1 altro , essendo estraneo alla sua com-
parsa il momento biologico. Però, ciò ammettendo, si viene in-
direttamente a confermare l1 ipotesi del Buscalioej, secondo la
quale la cauliflorìa dei paesi tropicali è una conseguenza della
necessità sentita dalla pianta di difendersi da un’ eccessiva umi-
dità. Infatti, nelle regioni delle Begenw timer abbiamo anzitutto
il terreno imbibito d1 acqua, condizione questa che favorisce lo
assorbimento per parte delle radici. Secondariamente , abbiamo
dei tipi di piante dotate di grande fogliame, di legno tenero e
di altre particolarità anatomo-morfologiclie, le quali ci indicano
che queste piante assorbono grande quantità d’ acqua. Ed in
verità, è noto che molte di esse hanno il fusto riccamente prov-
visto d’ acqua.
Ora , sono appunto queste le condizioni che si richiedono
perchè si sviluppi la cauliflorìa. Ivi , però , a questo momento
fisiologico si aggiunge, coirne sopra è stato detto, il fattore bio-
logico, il quale ha perpetuato una condizione di cose, che altri-
menti sarebbe andata perduta. Peraltro, a questo proposito, devo
far osservare che v’ è una specie di contraddizione in termini
nella cauliflorìa delle regioni tropicali , poi che mentre il pro-
cesso caulifìoro serve , come si è detto più volte, a difendere i
fiori e i frutti dalla pioggia , viene invece da questa favorito.
Ma è facile accorgersi che la contraddizione esiste soltanto in
apparenza.
Tuttavia v’è qualche caso, che si presta ad essere ritenuto
anomalo. È noto, infatti, che anche le Cactaoee (I) presentano
talora il fenomeno della cauliflorìa. Orbene , potrebbe sembrare
che 1’ interpretazione data al fenomeno stesso mal si accordasse
con la natura delle citate piante , essenzialmente xerofìte. Ma
(1) Schumann K., Umgewòhnliche SprossMldung an Kakteen. Monatsschrift Jfìir Kakteen-
kuntle. VI. Jahrg. 1896, p. 102.
16
Doti. Giulio Trinchieri
[Memoria XXI.]
basta considerare che le Oactacee, pur vivendo nei luoghi aridi,
hanno i loro tessuti riccamente provvisti d’ acqua, perchè , sen-
z’ altro, si sia condotti a riconoscere che, anche questa volta, la
contraddizione non è reale, bensì soltanto apparente.
Dal R. Istituto botanico di Catania, nel luglio del 1906.
il 4 MAY. 1907
INDICE
Memoria
G. Pennacchietti — Sul movimento piano di un punto materiate
libero nello spazio I
F. Gavara e N. Mollica — Ricerche intorno al ciclo evolutivo eli
una interessante forma di Pleospora herbarum ( Pers .)
Rab. (con figure intercalate e (lue tavole) . .... II
Drago Umberto — Azione sperimentale dei sacelli digerenti sul-
V involucro delle ova di alcune tenie. Ili
A. Bemporad — Sopra un nuovo sviluppo singolarmente conver-
gente per V integrale della estinzione secondo la teoria
di Bouguer IV
G. Marletta — Sulla identità proiettiva di due curve algebriche. V
Filippo Eredia — Sulla direzione delle correnti atmosferiche in
Catania VI
A. Curci — Trasformazioni delle energie VII
A. Ricco e A. Cavasino — Risultali delle osservazioni meteoro-
logiche del 1905 fatte nel R. Osservatorio di Catania . Vili
G. Pennacchietti — Sul moto di rotolamento — Memoria la . . IX
G. Lopriore — Note sulla, biologia dei processi di rigenerazione
delle Cormofite determinati da stimoli traumatici (con
figure intercalate) X
R. De Luca — Nuovi tentativi di siero-terapia nella lebbra . . XF
S. Comes e G. Polara — Sopra un mostro doppio di Sus Scrofa
L. (Sice fato- Sinoto) (con figure intercalate) XI F
S. Scalia — Sopra alcune singolari formazioni montuose del
Messico (cou figure intercalate) XFII
A. Bemporad — Sul modo di variare della radiazione solare du-
rante le fasi di un' eclisse (con figure intercalate) .... XIV
G. Trovato Castorina — Effetti magnetici del fulmine sulle lave
dell Etna (con figure intercalate) XV
U. Drago — Ricerche « Sull' attrazione » delle cellule sessuali . XVI
S. Scalia — I fossili postpliocenici della contrada Salustro, presso
Motta S. Anastasia XVII
S. Di Franco — Gli inclusi nel basalto dell' isola elei Ciclopi
(con una tavola) XVIII
G. Lauricella — Sui potenziali elastici ritardati XIX
E. Boggio-Lera — Sulla radioattività di alcune terre .... XX
Giulio Trinchieri — Contributo allo studio della, « Caulifloria »
(con due figure intercalate) XXI
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