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Full text of "Atti della R. Accademia delle scienze di Torino"

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5; 


ATTI) 
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


DI TORTNO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XXIII, Disp. 1°, 1887-88 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali 


TORINO 
ERMANNO LOESCHER 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


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- 
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4 


Me * 


DISTRIBUZIONE: DELLE SEDUTE 


R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 
DI TORINO 
NELL'ANNO fl 897-888 


divise per Classi 


Classe di Scienze 
morali, storiche 
e filologiche 


Classe di Scienze 
fisiche, matematiche 
e naturali 


1887 - 20 Novembre 1887 - 27 Novembre 


» 4 Dicembre » 11 Dicembre 

» 18. 1d, 1888 - 1 Gennaio 
1888 - 8 Gennaio » 15. Id. 

» d. » 29. Id. 

» 5 Febbraio » 12 Febbraio 

» 19 Id. » 26 Id. 

» “4 Marzo > 11 Marzo 

» 18. Id. » D1, 00AAO Ko fe 

» 8 Aprile » 15 Aprile 

>» SICURI: » 29 Id. 

» 6 Maggio » 13 Maggio 

>» 27. . Id. » 10 Giugno 

» 17 Giugno » 2 Id. 

» 1 Luglio « 8 Luglio 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 20 Novembre 1887. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI 
PRESIDENTE 


Sono presenti i Soci: Cossa, SoBRERO, LESSONA, SALVADORI, 
Bruno, Basso, D’Ovipio, FERRARIS, NaccaRI, Mosso, SPEZIA, 
GIBELLI, GIACOMINI. 

Il Presidente apre la prima seduta dell’anno accademico cor- 
rente col porgere il benvenuto ai Soci, ed avvertendo che ricorre 
appunto in questo giorno il compleanno di S. M. la Regina, 
‘esprime, in nome dell’Accademia, sensi di riverente ossequio e di 
felicitazione. 

Si legge l’atto verbale dell'adunanza del 19 giugno p. p. 
che viene approvato. 


Fra i libri offerti in omaggio all'Accademia vengono segnalati 

ì seguenti; 

1° « Bullettino di bibliografia e di storia delle Scienze 
matematiche e fisiche pubblicato dal Principe B. Boncompagni; 
vol. XX, gennaio-febbraio 1887, presentato dal Presidente: 

2° « Applicazioni di geometria descrittiva, del Prof. Va- 
lentino ARNÒ ; 1 vol. di testo con un atlante, presentati dal Pre- 
sidente ; 

3° « Elenco delle specie di coleotteri trovati in Piemonte, 
di Vittorio GHILIANI; opera postuma pubblicata dal Dott. Lo- 
renzo CAMERANO; presentato dal Socio LESSONA. 

4° « Comptes rendus des travaua du Comité international 
chargé des essais electriques; lavoro, a cui, in occasione del- 
l’Esposizione universale di Anversa nel 1885, prese parte il do- 
natore, Prof. A. Rolri, Corrispondente della Accademia:  pre- 
sentato dal Socio NACCARI; 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIILL 1 


2 GIUSEPPE BASSO 


5° Un lavoro del Prof. Giulio MicHEL « Ueber Sehnerven- 
Degeneration und Sehnerven-Kreuzung », pubblicato per cura 
della Facoltà Medica dell’Università di Wiirzburg, in occasione 
del settantesimo anniversario della nascita del Prof. Alberto von - 
KOLLIKER; mandato in dono dall'Università di Wiirzburg. 


Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ ordine che 
segue : 
1° « Breve Commemorazione del Socio Corrispondente 
Gustavo Roberto KigcHBorr, morto il 17 ottobre scorso; del 
Socio Basso; 
2° « Alcumi teoremi sui coefficienti di Legendre (Nota 2°), 
dell'Ing. Ottavio ZanortI-Branco; presentati dal Presidente ; 
3° « Sulla origine del gesso micaceo ed anfibolico di 
Val Cherasca mnell’Ossola; del Socio SPEZIA; 
4° « Sulla densità di alcuni metalli allo stato liquido 
e sulla loro dilatazione termica; dei Dottori G. VICENTINI e 
D. OmopE1; lavoro presentato dal Socio NACCARI; 
5° « La Aegialitis asiatica (PELL.) trovata per la prima 
volta in Italia; del Socio SALVADORI. î 


. 


LETTURE 


In commemorazione di Gustavo Roberto Kirchhoff, 


Parole del Prof. GiusePPe Basso 


Uno dei più eminenti cultori delle discipline fisico-matematiche. 
il professore Gustavo Roberto Kirchhoff, socio corrispondente 
della nostra Accademia, cessava di vivere in Berlino il giorno 
17 dello scorso ottobre. Già da alcuni anni gravi sofferenze ne- 
vralgiche lo costringevano spesso a sospendere il suo insegna- 
mento universitario ; tuttavia la crisi che lo spense nell’età di 
63 anni giunse inaspettata anche ai suoi famigliari e per ciò 
tanto più dolorosa. 

Siami concesso qui di ricordare in brevi parole i punti più 
salienti della sua vita operosissima e quelli, fra i molti suoi 


COMMEMORAZIONE DI G. R. KIRCHHOFF 3 


lavori, che si possono annoverare fra le maggiori conquiste della 
scienza contemporanea. 

Gustavo Roberto Kirchhoff nacque in Kònisberg il 12 marzo 
1824 e, dedicatosi di buon’ora nella sua città nativa agli studi 
che dovevano poi rendere insigne il suo nome, ebbe la fortuna 
di avere a maestro e guida Francesco Neumann. Recatosi poscia 
a Berlino, vi ottenne nel 1848 Vl’abilitazione alla libera docenza 
per la fisica matematica e, due anni dopo, venne chiamato ad 
insegnare questa disciplina a Breslavia. Fu appunto in questa 
città che, incontratosi il Kirchhoff con Roberto Guglielmo Bun- 
sen, si strinsero fra i due giovani studiosi i primi vincoli di una 
calda amicizia, mercè la quale sorse e lungamente si mantenne 
quella loro collaborazione scientifica che fruttò più tardi alla 
scienza l'invenzione dell’analisi spettroscopica. Allorchè il Bunsen 
nel 1854 dovette recarsi ad Heidelberg e porvi stabile dimora, 
il Kirchhoff volle seguirlo e così i lavori già intrapresi in comune 
proseguirono non interrotti per oltre un ventennio. In questo 
periodo di tempo si esplicò in tutta la sua pienezza la vita 
scientifica di Kirchhoff; il nome suo non tardò a salire in alta 
rinomanza e non è a maravigliare che lusinghieri ed insistenti 
inviti gli siano stati diretti dall’Ateneo della prima città di Ger- 
mania allo scopo di trarlo a sè. A tali inviti egli cedette final- 
mente nel 1875. Nell’ Università di Berlino, della quale fu lustro 
fino all'ultimo, Kirchhoff inaugurò il suo insegnamento con una 
serie di lezioni sull’ Ottica geometrica; svolse in seguito argo- 
menti spettanti ad altri rami di scienza e fortunatamente l’edi- 
tore B. G. Teubner di Lipsia potè raccogliere tutti questi studi 
d’origine didattica in un’opera col titolo : Lezioni di fisica ma- 
tematica e di meccanica. 

In quanto ai lavori originali del Kirchhoff si può ben dire 
che non vi ha parte delle dottrine fisiche al cui perfezionamento 
egli non abbia contribuito con novità di concetti, con acume di 
analisi e raggiungendo dapertutto risultati importanti e fecondi. 
Nel campo della elettrologia e dell’ elettromagnetismo Kirchhoff 
lascia studi preziosi sulla distribuzione delle correnti elettriche 
nei sistemi di conduttori filiformi, sulla misura delle resistenze 
elettriche, sulla teoria dei condensatori, sulla determinazione delle 
costanti dalle quali dipende l'intensità delle correnti d’ induzione, 
sulla teoria del magnetismo indotto nel ferro dolce ed infine 
sulla distribuzione dell’elettricità in equilibrio sopra un sistema 


4 GIUSEPPE BASSO - COMMEMORAZIONE DI G. R. KIRCHHOFF 


di due sfere conduttrici; il quale ultimo argomento era già stato 
prima oggetto di indagini profonde per parte specialmente di 
Poisson e del nostro Plana. 

Appartengono all’acustica e ad un tempo alle dottrine re- 
lative all’elasticità gli studi del Kirchhoff sul movimento vibra- 
torio nelle lamine e nelle verghe e sulle vibrazioni permanenti 
nelle masse fluide ; sono contribuzioni alla termologia le sue ri- 
cerche intorno all’ influenza della conduttività calorifica di un 
gaz sulla propagazione del suono in esso, quelle intorno alla 
tensione delle mescolanze di vapori di varie specie ed un lavoro 
sperimentale sulla capacità termica del ferro. 

Però gli è nel campo dell’ottica e specialmente della cro- 
matica che si trovano i titoli di benemerenza scientifica del Kir- 
chhoff più brillanti e più universalmente conosciuti. Poichè, oltre 
ad uno studio teorico sulla riflessione e rifrazione della luce alla 
superficie dei mezzi cristallizzati, oltre ad accurate misure di 
angoli degli assi ottici per le diverse linee di Frauenhofer ese- 
guite specialmente sull’aragonite, ognuno sa che devesi in gran 
parte al genio di Kirchhoff la conoscenza completa della rela- 
zione fra il potere emissivo ed il potere assorbente rispetto alle 
varie specie di radiazioni calorifiche e luminose. Assunta questa 
relazione come guida nell’esame delle luci emanate da sorgenti di 
varia natura e condizione, ne scaturirono direttamente: la spie- 
gazione delle linee di Frauenhofer nello spettro solare , la for- 
mazione delle diverse specie di spettri continui e discontinui, l’in- 
terpretazione del fenomeno dell’inversione delle linee spettrali e 
quindi le applicazioni dello spettroscopio all’ analisi chimica ed 
alle indagini intorno alla costituzione dei corpi celesti. 

La fecondità del nuovo procedimento analitico che forma 
come l’incoronamento dei grandi lavori di Kirchhoff e di Bunsen 
trovasi fin d’ora confermata dalle splendide scoperte ottenute, 
mercè sua, dalla chimica e dall’astronomia fisica; ed è ben giusto 
che i nomi dei due autori, indissolubilmente congiunti, vengano 
ricordati fino alla più tarda posterità con riverente gratitudine 
dagli studiosi delle scienze naturali. 


Alcuni teoremi sui coefficienti di Legendre, 
Nota seconda di Ottavio ZaxotrI Branco Ingegnere. 


I 


Per quanto io so i matematici, e fra essi segnatamente 
LeGENDRE, LapLace ed N. C. ScHMIT, si occuparono unicamente 
degli integrali delle forme 


LI srl +1 


fer. (2) da, fe. (x) P,(2) 4x3 fe. @)Polada, 


nelle quali P rappresentano le funzioni d’x armoniche zonali 
superficiali dell'ordine indicato dal loro indice: è scopo del pre- 
sente lavoro il determinare il valore degli integrali delle forme 
seguenti : 

SI gl 


fo-nFrme fonairzia du, 


I. 


Per seguire le notazioni adottate nella nota precedente su 
questo argomento, supporrò le P funzioni della variabile u = cos 9 
e quindi-du=—sen9d6. Ciò posto ricordo che si ha 


Pip(@) 4, pH Agi) Peke A, A) 


- 


(0) OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 
in questa è 
n __(4t-1)(4#--3)...(2t+1) \ 
e CA 
S(4t MAE 5). 
2 (27 2)c2 tù* 


n 1) (ee) e 
siti ot SET 
Si ha del pari 


Pilu Az A A pl 


nella quale è 
(4#+1)(4#-1)...(2#+3) 


ao BoA...dt 
VAI id CLES AR CLS) 
di O ar) ° + cx 


A 
i RR 


Richiamo ora dal calcolo integrale alcune formole di cui do- 
vremo far continuamente uso in appresso. 


f ossi can opraszo ; . (1) 


sia m pari o dispari. 
1.3...(2m—1)][1.3...(2n—1)] 
lo) 2n cs] = [ È i 
feno Aim 16 (22) 


fc 6)°"(sen9)?"*+'d6 


° ? (7). 
A e | 
7. 1.3.5...(2m—3)(2m—1) (2m+1)(2m+3)...(2m+2n+1) 


ALCUNI TEOREMI SUI! COEFFICIENTI DI LEGENDRE 7 


Essendo = cos e du=—sen0d9, gli integrali che stanno 
al primo membro di ciascuna delle tre ultime formole diventano 


+1 =: 


fonia ; fora o) du | 


1 +1 — I N age (8) 
fora — n°) d p. o 


Rammento ancora. che dalla teoria delle armoniche zonali 
superficiali sì ha in generale 


n 


1 d'(p°—-1)" 
aq i (E SA LS) 
2°.n! du" (9) (9) 


II. 


Nella (1) pongo w=cos@? e moltiplico per (sen 0)?"d8, 
avrò dopo ciò integrando fra 0 e 7: 


n 


fr. 5) (sen da dé 4; I (cos 6)?‘ (sen 9)?” d0 | 


o n o LT Si (LO) 
37 SAPOA j (cos 6)?‘7? (sen 6)?" d.6 + DICA (sen srrar\ 
; ) 


n 


Gli integrali del secondo membro sono tutti della forma data 
dalla (6), quindi sostituendo ai coefficienti 4, i loro valori dati 
dalla (2), avremo: 


(*) Avverto, che per svista, nell’ultima pagina del mio precedente lavoro 
su questo argomento si scrisse (2*— 1) invece di (22—1;” e (2?—1)”, secondo 
i casi. 


8 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


n = X 
2n1—1 


fa. (cos 6) (sen 6)" d0=|P..(2)(1-p°) ® dp 


(o) 


e eli 


— I 


Eli : 
1 at(yy°__ 1)?! samni 
7 4'(24) JR (1EP9T7 a 


fi.B.. CSV n o a] 2641)... (46—3)(4t1)] 
[2. 2t][2,4...2m...(2m+2t)] 

(1.8. e ese. .(4t—8)] 
si ma. er nay 2 ][ 208.2 (Fn PON] 
RRILIE: Qi 

E 4...2t][2.4...(2m—-2)2m] 


(11) 


= 


IRE e ee 


Si avrà similmente, tenendo della (7) e delle (2) : 


| P,,(cos 6) (sen 0)?*+'d0-—= fr. (2) (1- pp)” dp a 


. 


le] eil 


1 ue” 
n e (£ eg I m 
=egli fe ner Ta (1- 1°) dp 


2. 4. .-(2m_—2)2m][1.3 .-(2f-1)(24+1)...(4t-1)]- .(4t-1)] 
E, 201.3. .(Qm+è NI )(22:+1)(2m—3)...(2m+2n+1)] coral 
[Rd (2a) ava][1° 3 DI c20=3)(2 1.0 2a 

Mpa: =2))[1:#8. E i Gm42i= i) 

2. sd) tuta Cioe linda Siani 4. 3 ici elio 3...(2t—1)] 

Rent 3 206 = 1) i Ami) @m+D] 


(12) 


+...+(-1) 


Nell'espressione (3) pongo 4 = cos@?, ne moltiplico ambi i 
membri per (sen 0)"*'d6, ed integro poi fra 0 e 7, avrò: 


n 


fre (cos) (sen 0)"*'d0=4,,,, [cosa congedo | 
i 5 È ; (13) 
ta fico 9)" "(sen @)"*'d0+...+A frrecin ops) 


(0) 


ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENII DI LEGENDRE 9 


Ora in virtù dell'espressione (5) gl’ integrali del secondo 
membro sono tutti nulli sia # pari o dispari, e sarà: 


E: 9) (sen tre | 
oh  ...(14) 


4(; Jet: m 
me |; SITI il A (1-p )adu=0 - 


IV. 


Nell’equazione (1) pongo u=cos9, ne moltiplico ambi i 
membri per (cos 4)? (sen 9)?" 49 ed integro fra 0 e x avrò: 


fr. (cos 6) (cos 6) ** (sen 5)*"d @ 


o n T 


È du fo 0)?'+?*(sen6)"d9+A,,_, [cos 9)24+257=(sen0)*"d6+...\ (15) 
È +4 (cos 6)°* (sen 0)°" d 0 

Ù | 

Gli integrali del secondo membro sono tutti della forma (6), 

pertanto eseguendo le integrazioni, e sostituendo ai coefficienti A, 


i loro valori dati dalla (2), avremo: 


n iI 


fruo 6) (cos 6)?‘ (sen grras=(P..t) (0)? (1-1?) - dia 
o IT dai 
i d*'(p°—1)?! vari 
e —-——_ STENZA ER 25 Str 5 ] i 
44.(24) | d °° (2)**(1- wu") dp 


(411) (46-83). ICONE ..(2r—1)][1.3...(24+2s—1)] }(16). 
[2.4...2t][2.4.6...(2#+2s+2r)] | 
[(4t#—3).. biur .«(2r—1)][1.3...(2#+2s—3)] 


[2.4...(26—=2)x2][2:4.6.1 (2442542 —2)] 


pelt3. (2t—8)(2t—1)][1.3...(2r—1)][1.8...(2s—=1)]! 


to e aan \/ 


7 


10 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


Con un procedimento affatto analogo al precedente si avrà: 


n | 


fe. (cos 6) (cos @)?* (sen @)?"+'d 6 (P.s1) (pu)? (1—-p°Y dp 


[e] AI 


he 
bc ori, d vie 
I] (a) (1 pd 


[(4#-1)(4t-3)...(24+1)][1.3...(2#+2s—1)][2.4...(2r-2)2] ) (17) 


-_ [2.4...2t][1.3...(2r—3)(2r—1)(2r+1)...(2r+2s+2#+1)] 
[(4#—3)(4#—5)...(24-1)][1.3...(2#+2s—3)][2.4...(2r—2)2r] 


[2.4...(2#—2)][1.3...(2r—1)(2r+1)..(2r+2s5+2#—1)] 


; 1y[1.3--(2#-3)(241)][2.4...(2r-2)2r][1.3...(2s-1)] 
postata [24..24][1.3..(@r-1)@r+1)(@r4 25500008 


Dico ora che si ha: 


| P,,4.,(005 6) (cos 6)?* (sen 6)"d = i; P,.s. (1) (a (1-2) Fap 
ti Fr (18) 
! CORIO ha Boe et 
WI OLGAICIESI j ici — (a)(1h°) = dd 


a | 


sia r pari o dispari. 

Infatti moltiplicando la (3) per — (sen?)"(cosî)?"*d46, ed 
integrando di poi fra 0 e 7, gl’integrali che staranno nel secondo 
membro dell’equazione che così risulta, saranno della forma (5), 
donde si deduce immediatamente l’equazione (18). 

Applicando l’equazione (6) e la (14), si avrà, con un pro- 
cesso identico a quelli già usati, dall’equazione (3) : 


ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE 


n srl 
2Fr—1 


fron ny ener rt” — n°) * dp 


<A — I 
+ I 


1 dEi 1): 
n ____ sE pari DATI 25+1(1__ 2 ti 
(2 fa de sa (L 1.) ( = n A [3 


__\[(4#+1)(4#-1)...(2#+3)][1.3...(2#+25+1)][1.3...(2r—1)] 
fr ai sar] 


"=_=" 


__[(4#_1)(4#_3)...(24+1)][1.3...(2#+2s—1)][1.3...(2r—1) 3)...(2t+1)][1.8...(26+2s—1)][1.3...(2r—1)] 
(2.4. | SCRSITTES\NCMiE: EEE) 4...(2r+2s+28)] 
+ CD'24+ Dt 1)..8.1][1.8...(2 s+1)][1.3 fr II 
[2.4...2t][2.4 erge 2)] 
Si avrà del pari: 


(Prc 0) (on en (Pal + (1-p))dp n 


È 1 Vr (RI al 
“aeani] 


gra (fg — p°Ydp 


__2[(4#+1)(4#—1)...(2#+3)][1.3...(2#+2s+1)][2.4...(2,—2)2r] 

_[2.4...2t][1.3.5...(2r—3)(2r—1)(2r+1)(2r+3)...(2r+2s+2#+3)] I 
n 
] 


| [(4t-1)(4t-3)...(2t+1)][1.3...(2t+2s—1)][2.4...(2r-2)2r 

T[2.4...(24-2 Di BR Ar e erat ri 
[(2t+1)(24—1). 811.3. 2441]. 4...(2r—2)2r] | 

[2.4...2#][(1.3...(2r—1)(2r+1)...(2r+2s+3)] | 
Moltiplicando la (1) per (sen 0)"*'(cos 6)?**' 40 ed integrando 


fra i limiti 0 e 7, avremo applicando la formola (5) agli in- 
tegrali del secondo membro dell’equazione che ne risulta : 


+2(—1) 


fre 6) (sen 6)"+' (cos 9)?*+!d0= | P..(pÎ(1 Zu gua vi edi | 
o + = b (21) 
Ml fa) Zscote, NNAR \ 
fi 4‘(2 t) 1° d°' 1, (ge ) (U u) dp= 0. 


sia 7 pari o dispari. 


12 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


V. 


A mezzo delle formole trovate nei paragrafi precedenti, po- 
tremo avere i valori dei due seguenti integrali : 


n sugli sa 
fe (cos 9) P, (cos 6) (sen 9)" 46 =fe (vu) P.(u)(1—-p?) * dp. 
vir sd'(#i--1)' de Ie Ri 
n SE IT d'u. tai, 


ot SE 


Je (così) P, (cost) (sen 8)" (cos spa=(r. (2) P.(2)(1- 1°) ? (2'dp | 
o (23). 


Grol 
1 ZH. a ( ES h—_r 
"i setnf pier da È (ip) = (fd. 

Infatti : per avere il primo di questi integrali, rispettiva- 
mente per 7 pari e per < impari, basterà moltiplicare le (1) e (3), 
in cui si faccia = cos0, per P,(così)(sen6)"d0, ed integrare 
poscia rispetto a 9 fra 0 e x, tenendo conto delle formole ot- 
tenute nel paragrafo precedente, ponendo ben mente, a quella 
di esse, che si deve applicare, secondochè { ed % sono o l’uno 
pari e l’altro dispari, od entrambi pari od entrambi dispari. Ci 
dispensiamo dall’eseguire questo sviluppo di calcolo, che dopo l’in- 
dicazione del processo a seguirsi si riduce ad una semplice so- 
stituzione. 

A mezzo delle formole che così si ottengono si può battendo 
la stessa via avere il valore dell’integrale (23). 

Si vede ora facilmente, come procedendo di questo passo, si 
possano in generale avere i valori degli integrali delle due forme 
seguenti: 


ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE +3 


fico) 7609), (008)... Genet | 


+1 


E(P. eboli) (IL) dp 


sap) 
] di (0°-1 ) no (zi } dr(n°—1 } : bi 
een al du RIS 


Delelrt pl... » sii de dv 


n 


i (cos 0) P,(cos6) P, (cos 6)... (sen 9)" (cos) d6 


h—_i 
"a fe, PA) dp Y(25) 
1 d'(v°-1)" d'iuî—1)° d? (4°-1)P } Mai; 
iii — O I SANA j __— (2) (1-4 ) 2 du. 
9 mr | de sE de 
VI. 


Se Y,; (1, 4) è una funzione di Laplace od una funzione 
armonica sferica, si ha che essa è funzione del grado ? in 


cos © VI — pè, seng VI — p°, p., che soddisfa all’equazione dif- 


ferenziale 
9 | sibi i. 0 ae ° ; 
2.) SETT pg To: ai Li ( 6) 
Ciò posto, è nota la formola 
[ren ar=® Y.()P.(1), Le 


nella quale Y, (1) è il valore costante di Y,(u.,) al polo 
dell’armonica zonale P, (1). 


14 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


Moltiplico ora ambi i membri della (27) per 


PIC | 


(sen0)?"—'senéd6—=—(1—p°) * du, 


ed integro rispetto a 6 fra 0 e x, ossia rispetto a fp. fra — l 
e +1: avrò: 


Il fa 6)” d6. Y;(cosd,@)dv 


=D rmfr (cos $) (sen 0)?" 46 , 


se = 2# il valore dell’integrale del secondo membro è dato 
dalla (11): indico per brevità con }11{ la parentesi che sta al 
secondo membro della (11), avrò così: 


f fia )}:” Y. (così, 0) d0do 
(fa Lpd de=22"1. 01 


—1 0 


Similmente rappresentando con }12( il secondo membro della 
(12) si avrà: 


f femore Y,,(cos6, 0) d0 dv 


SS ... (30) 
=f fae Ve. odo —=27 E,(1) MB. \ 
| o | 


Se 7-=2#+1, con procedimento analogo si avrà dalla (27) 
ed in virtù della (14) 


ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE 15 


Li 27 \ 
ffen9 d)mt+'Y.,4:(così, c)dbdo | 


a col) 


4 +! _2r | 
sl fair arag=o. | 


| 
ll (0) 


Suppongo ancora 2=2# e moltiplico la (27) per 


2r—-1i 


(cos 9)** (sen 6):"d0=—(p)°*(1—p?) * du 


ed integro poscia fra 0 e x rispetto a @, o fra —l e +1 
rispetto a 1, avvertendo che l'integrale del secondo membro sarà 


dato dalla (16), rappresento con 16! la parentesi che sta al 


secondo membro ed avrò: 


Te But \ 
ji J (cos 0)?* (sen 0)" Y,, (così, 0) d0dv 


...(82) 
sai fo “‘(1—p?) To Yip diari) De 4 
| 
In modo a questo analogo avrò colla formola (17): 
Ji fn 6)?* (sen 6)?"*' Y,,(cos0?, 0) dd dp 
o (33) 


=f fora EA ert. (lg) dado 22. (elit. 


Se 2—=2#+1, seguendo una via identica, a quella già più 
volte battuta si avranno facilmente le formole seguenti: 


16 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


I fo 6)?' (sen 6)"Y,,,, (così, g)d0d9 


.- (34) 
+1 2r 
| forannit rt dudo=0 , 
che si ottiene applicando la formola (18); 
[Je (cos 8)?5+'(sen 6)?" Y.,,,, (così. 9) d0dv 
(35) 


+1_2r 
"| fo 2541 ( Soma ,Q)dpdo= 2r Va }19,| 


che si ottiene coll’applicazione della formola (19), il cui secondo 
membro, per la parte in parentesi, fu rappresentato da \19%; 
e finalmente: 


f feno (sen 6)?"*'Y,,,,(cos?, 0) d6dq 


=| I pre (1-05YY, 26, €) dp. de=2 n Y.,4:(1)}20f 


(86) 


) 


nella quale 201 è il simbolo del secondo membro della (20) 


\ 
che servì ad ottenerla. 

Se é=2t%, applicando la (21), sì avrà in maniera non di- 
versa da quella finora seguita: 


1 G):*+*(sen 6)"+'Y,,(cos6, 4) d0dq 
=f fio ):*t'(1—- PL, (u,e)duda=0. 


“ia (000) 


ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE 17 


VII. 


Dalla teoria delle armoniche zonali superficiali si hanno i 
due teoremi seguenti: 


+1 


fe, (2) P,. (0) P, (2) du=0, 1438) 


ca 


per tutti i valori di 7, m ed », tranne per quelli che son tali, 
che {+ m+n=20, e di più che ciascuno dei tre numeri sia 
minore della somma degli altri due, od uno eguale ad essa: per 
essi sì ha, 


ant 


P(n)P 2 #7 MY(E a) 


m (12 )cE n ((2.) dp= 20+1 d (0) ’ (39) 


nella quale si ha con simboli generali 


ERO TROP, 
aC. ne e = meo 


Moltiplico ora l'equazione (27) per P,,, (21) P.(L)dp, m ed n 
essendo due intieri positivi che con ; soddisfanno alle condizioni 
volute dall’equazione (39), ed integro fra — 1 e +1 rispetto 


a L, avrò 
Sf m (0) P.(M)Y; (1. e)dp..dov | 


_ 4nY(1) d(o- )U(7 
iL SO d (0) 


. (40) 


Questa formola comprende come caso particolare, nm =0, 
n=i, quella dimostrata da FERRERS a pag. 84 del suo 7rattato 
sulle Armoniche sferiche, 


DS 


(*) ZanortI Branco, Alcuni teoremi sui coefficienti di Legendre. Atti della 
R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XVII, 1887. 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII, 2 


18 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


Se 7, m ed n non soddisfano alle condizioni volute dalla (39). 
si dovrà applicare l’equazione (38) e si avrà 


Î Je: (2) P._ (MM Y(p.,e)du.do=0. ©...(41) 


A mezzo ora dei valori degli integrali (22) e (23) che in- 
dicammo nel $ V come si ottengono nei varii casi, è facile l’avere 
quelli degli integrali seguenti 


+1! _27r 


J fr (cos 6) (sen 4)" Y; (cos ?, 6) d0, do 
e. v . (42) 
al iL (2)(1- pp?) ? Yi(,0)du.do , 
nb! _2r 
J fr (cos 6) (sen 6)" (cos 0)" Y, (cos ?, 0) d0. do 
+1 2r ; di 


J fr. (2) (1—-L a (2) Y, Yip,o)dp.do. 


Così seguendo la via già finora tenuta ed applicando i valori, 
che fu insegnato da noi come si abbiano, degli integrali (24) 
e (25), si potranno avere generalmente i valori degli integrali 
delle a forme seguenti: 


\ 
f fe. (cost) P,(cos6)P, (cos6)...(sen6)*. Y; (così, 9) d9. | 
( (44) 


tI _27 


e/ 


È 
| fe. (e) P.p)P.(fl (Ape) > dA (L., 0) dp..dg 


Mi a” (1 >_1)” d'(0°—1) dP(p°—1)? 
FARE na e 


mata i 


«(41 -° NE }  Y, (2,0) dp. de + 


ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE 19 


n 2a 


f free 2,00 2,(cx0. n (cos6)*. Y;(cos9, 6) dI .dg 


+1 2 
h—-1i 
= P.. (0) P.(R)P,(0)...(1- 1° nm p,0)dp..d | 
aa n)? TI | (45) 


s a" (1 1)? d'(u°—-1)' dP (1° dP (pu —1)P 
AAA = ue dp SE 


De. m'ilp!. Ù 


. 
— IMI" T_ 


h—-1 


«.(1_-p°) ® (2)°Y;(u,e)du.do. 


VIII. 


FERRERS a pag. 155 del suo 7rattato sulle Armoniche sfe- 
riche, ha dato la formola seguente : 
, 

14 sen— 
(46), 


1 1 1 
4: 57. (cos 6) #5 P_(cos0) + g 1 3(c0s9)4 ...=log 
sen — 
2 
ne moltiplico ambi i membri per ?;(cost)sen7d?, ed integro 


rispetto a 9 fra 0 e 7, avrò: 


n n 


Îi 
fe (cos 6) #n009+3 (P (cos 6) P{(cos 4) sen0d0+ ..... 
x Va î 
1+sen3 
= log —T_ Pi(cos 6) sen 0 d0= 
sen 3 
$ sa Di MH 


] 
bi” + 4 (1) P; (2) dp. + ;fr. (2) P. (2) Apt 


— 1 — I _ 2 


pg E +VIZE 


Pi(u)dpu, 
PA Vi-w 


20 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


giacchè 


G VI così_ _Vi=v 


SeliT=— ie = 
2 V 9 V2 

Ora si sa dalla teoria dei Cocfficienti di Legendre che gli in- 
tegrali del secondo membro son tutti nulli, tranne quello pel quale 
gli ordini delle due funzioni P sono uguali, nel qual caso si ha: 


+1 


: 2 
) 
fire * ori 3 


sarà pertanto 


14 sen2 
log «a P,(cos 6) sen 946 
sen — i 
5 à MEI 
Wa UIL DI 
24+V1l—v 1 2 2 
fi E Pde= pf} EI) s 


Richiamo adesso l'equazione (27) 


2r 


[ripe 


0 


e ne moltiplico ambo i membri per 


Vip 


ed integro fra —1 e +1 a” a p., si avrà: 


hi + sen È - 
Y; (cos 9, 9) sen? ab de ..+ (48) 
sen È segue 


ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE 21 


SOLO o e \ 
-f log EHI —e Y;(u,c)dpdo | 


i? seguito 
o a 1a (48) 
Dr a 47 
Ae Piu AI) 


IX. 


Se nelle formole (16), (18) e (19) al paragrafo IV pongo 
r=0, esse divengono: 


T +! 


f.co: (cos ai=| P..(11) O Sa 
Vip? 


o | 


23h 
ni 1 d°! (1° — DI iareda 
4'.(2 4) 1 das BE VI _ 


— 1 


CITE i 1)(&#®3) 04-13-24 1], j (89) 
5) [2.4...2t][2.4.6...(2t+23)] 
ORE et i(1.3. 04M 
faz 4 2i=2) x 2][2.4...(24+25= 2)] 
Ali se ax e] 2 e 
n 1) PARSO. eagì mi 
T I ] 
P,;3:(c0s6) (cos6)*d0=| P.,.. (0) (E 
J (cos 9) (cos 5) il (12) (2) Via | 
i si (50) 


cet 
A 1 d°'4! (y°— 1) LE ] 
CCA EA "Aeg 1) (1) pae: 


22 OFTAVIO ZANOTTI BIANCO 
n +: 


du. \ 
(ZIO d@= fe RESTI CAI (0) pa Po \ 


(1) ali 


Sapio 
1 d'Mpe-1*1,. lef AL 
22443(2%+1)! dr n A VI— p? 


___{{4#+1)(4#—1)..:(244-3)][1.3...(2#+2s4+1)] } (65 

Gi (2.4. 20][2.4...(25+2#+2)] | 

ME .(24+1)][1.3...(244+2s—1)] 
[2.4...(2t-2)][2.4...(2#+25)] 


ta A 1][1.3...(2s+1)]{ 


FAI) 


Se nella formola (21) si fa r=—1 si ha 


T cli 


fran 007 40 fe. (ui di 


1 e (pe—1 dl)? (at*t'dp __ 
)! d°*p Vi—L? 


a 


A mezzo di queste formole si possono con un procedimento 
analogo a quello usato nel S V per avere i valori degli inte- 
grali (22) e (28), ottenere (hi integrali seguenti, che si hanno 
anche dalle (22) e (23) facendo K1=0: 


Lo + 


fe (cos 5) P, (cos 0) 1=(r (1) P;(1) seÉ 


ci oe) \dp 
24517) d'p d'u  VI2p° 


ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE ita) 


n i tI 


n 
1 


| ui dp 
P,(cos 6) P, (cos 7) (cos6)*d7= | P.(u) P.(1) aa 
ViI—da 
3 # vi \...(54) 
I d'(p°—1)° d'(0°—1) Lap \ 
EE AIA ua n d'u VE Sr | 


Così, si possono senza difficoltà alcuna, ma servendosi di sem- 
plici sostituzioni successive, giungere ai valori degli integrali 
seguenti, che si ottengono facendo nelle (24) e (25) X=0. 


fr.) 2,000) 2,100 DA; î=[ P,(PPHA)P a) va 
, 1 /1-p° 
! 108, 14 (55) 
1 ] d'(u° — 1) d'(p° —1)! dP (1° 1)? du 
CEI È d'() du) de(p) Vi=pò’ 
i ee: pi O v'dy 
P,(cos6)P,(cos6)P,(cos0)...(cosé)*d6= i 
—jyz 
È, % (56) 
1 I di (p?-1)° d'(u°—1) d’(2°-1)P p*du 
TT, CELLE SnE5: egg VV MONOTTT e è 
2 È dari.. dp, Ae LE Vip 


—— I 


Nell’equazione (27) faccio #=2f e ne moltiplico ambi i 
membri per (cos 0)*"d? ed integro poscia fra 0 e x rispetto a 9, 
ossia fra —1 e +1 rispetto a P. Avrò : 


Il fteoorer. (cos$, 4) d6de=2 2a) P,.(c0s9) (cos6)?5d9 ; 


(0) 


Ma l'integrale del secondo membro è dato dall'espressione (49); 


di essa rappresento con 149! la parte del secondo membro, che 
moltiplica 7, avrò: 


24 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


f fonorz. (cos @, 0) d6 du 


(57) 
| forziere za 
Così applicando la formola (52) avrò: 
E (0080, 9) 404% 
...(98) 


Similmente tenendo conto delle espressioni (50) e (51) si avrà: 


f formi ti nasa 
EA dp 
fat (1) ?* Vafun (Pi; (0) -do= 0 ns 
e 0° Vip. 
f fromtera. tt.) a0a; I 


I 2 du 3 
= Tp, y male )j51}. 


In quest’ultima espressione !51! , rappresenta la parentesi 
q p pai PP p 


(60) 


che sta al secondo membro della (51). 
Osservo ora, che essendo, per quanto precede, noti i valori 
degli integrali (53), (54), (55) e (56) si potranno mercè essi 


ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE 25 


ottenere quelli rappresentati in generale dalle espressioni se- 
guenti : 


JÌ a (cos 6) P, (cos 5) E (cos 6) .....-Y;(cos9, ) d0 do 


+1 AT 
=[ Je. (u)P,(p) P, (2)... Y; (1,9) vi n 53 dé; 


il fr. (cos 6) P, (cos 6) P, (cos 6)... (cos 6)* Y, (cos 8, )d9de 


ni | Pm (4) P() P, (0)... (1)° Mi 1 — de. 


Torino, novembre 1887. 


Sulla origine del gesso micaceo e anfibolico 
di val Cherasca nell’ Ossola. 


Nota di GiorGIO SPEZIA 


Nella valle Cherasca, la quale partendo da Varzo fa capo 
al pittoresco ripiano dell’alpe di Veglia, furono da tempo os- 
servati alcuni banchi di gesso, il quale venne talvolta preparato 
per uso di cemento dagli abitanti della vallata; ed io ne avevo 
raccolto per i miei studi sui minerali dell’Ossola trovandolo assai 
interessante sia per la sua giacitura che per la sua associazione 
con anfibolo e mica. 

Nel lavoro geologico eseguito nel 1882 dai signori Heim, 
Lory, Taramelli e Renevier, riguardo un progetto di traforo del 
Sempione, fu detto gesso non solamente menzionato ma fatto 
oggetto di discussione a proposito della sua origine, e prevalse fra 
i detti geologi l'opinione di Heim come appare dal seguente brano 
della loro relazione che io ritengo conveniente di riprodurre: 


2.6 GIORGIO SPEZIA 


« Au pont de San-Bernardo, près de Gebbo, nous avons 
constaté un petit lambeau de gypse pulvérulent sur un point, 
cristallin et micacé sur un autre. La question doit naturelle- 
ment se poser: Ce gypse forme-t-il une couche constante, au 
contact du micaschiste et du gneiss d’Antigorio, et par conséquent 
se rétrouverait-il dans le tunnel? ou n’existe-t-il là que par l’effet 
d'une cause tout à fait locale? La faiblesse de ce lambeau de 
gypse, et l’absence dans le voisinage d’autres affleurements sem- 
blables, pourraient faire pencher pour la seconde alternative. 

« L’un de nous, M. Heim, est très affirmatif à ce sujet. Dans 
la petite exploration qu'il a faite seul, sur la rive gauche de la 
Cherasca, il s'est, dit-il, convaincu que ce lambeau de gypse doit 
etre le résultat d'une altération locale de la roche. Nous lui 
laissons la parole pour l’exposé de ses observations individuelles 
sur la berge Est de la Cherasca, en amont du pont San Bernardo. 

« Cette paroi de rochers, qui de loin déjà nous avait frappés 
par sa teinte blanchàtre avec taches de rouille, est formée de 
gneiss d’Antigorio, assez fortement altéré sur place. Ce gneiss 
est fendillé dans tous les sens, se brise facilement, et sur quel- 
ques points il est décomposé en kaolin friable, contenant des 
grains de quartz. Au pied du talus de ses détritus, on voit sour- 
dre un certain nombre de sources, qui s'écoulent directement 
dans la Cherasca. 

« « Dans le haut de la paroi, en dessous du village de Fon- 
tana, on voit le gneiss, de plus en plus micacé, passer au m22- 
caschiste granatifère, entremélé de schistes ampbiboliques. Celui- 
ci forme un ensemble de couches presque horizontales, de couleur 
foncée, contrastant avec le gneiss altéré qui le supporte. Ce 
complexe, qui ne présente aucune trace d’altération, paraît ré- 
gulièrement interstratifié au milieu du gneiss d’Antigorio. 

« La partie altérée du gneiss a environ cent mètres de lon- 
gueur, parallèlement à la Cherasca. Au-delà, en amont, on voit 
les mèmes bancs de gneiss reprendre petit à petit leur texture 
normale; ce gneiss partiellement kaolinisé passe graduellement au 
gneiss solide. Sur la rive droite de la Cherasca, le gneiss reste 
intact; je n'y ai trouvé aucune trace de cette décomposition, sauf 
toutefois le lambeau gypseux, tout près du pont. Ce dernier se 
présente donc comme un nid de gypse à la base d'une masse de 
gneiss altéré, qui peut atteindre 100 à 200 mètres d’épaisseur à 
partir du niveau de la Cherasca. Je n'ai aucun doute que ce gypse 


ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL CHERASCA 27 


ne résulte de la mème action de décomposition locale, qui peut 
étre attribuée a la filtration de l’eau des sources susmentionnées. 

« Il m’est impossible de prévoir quelles sont les dimensions 
souterraines de la masse de gneiss en décomposition, ni s'il peut 
en exister d’autres masses semblables, entièrement cachées sous 
le sol. En aval du pont San Bernardo, je n’en ai observé au- 
cune trace (1). » 

Da tale scritto risulta che Heim attribuisce il gesso ad una 
decomposizione locale della roccia, ed asserendo che sulla destra 
della Cherasca non trovò altra traccia di decomposizione del gneiss 
salvo il lembo di gesso, lascia credere, a mio avviso, che egli voglia 
ammettere la decomposizione del gneiss, come origine del gesso. 

Perciò non ritengo privo d'interesse il riferire alcune mie 
osservazioni, le quali condurrebbero ad indicare altra roccia dalla 
cui alterazione si avrebbe il gesso, ed in pari tempo di rendere 
affatto improbabile che possa essere il gneiss, nel caso che l'Heim 
nel suo scritto abbia voluto realmente attribuire alla decomposi- 
zione di tal roccia il deposito di gesso. 

E spero che ai detti geologi non parrà inopportuno che, sullo 
stesso giacimento gessifero da loro studiato, vi sia un lavoro ba- 
sato sopra osservazioni mineralogiche e considerazioni chimico-geo- 
logiche, anche se le conclusioni siano diverse da quelle indicate 
nella loro relazione. 

Nella predetta relazione si ammette che il gesso il quale si 
trova vicino ed a monte del ponte di San Bernardo sulla destra 
del torrente Cherasca costituisca solamente un nido e che non esi- 
stano altri affioramenti nelle vicinanze di esso. 

Invece a circa 130 metri a valle del ponte e sulla sinistra del 
torrente si trovano altri affioramenti stratiformi di maggiore esten- 
sione visibili per una lunghezza di circa 100 metri e larghezza di 
quasi 10 metri. La direzione ed inclinazione di questi strati con- 
ducono al deposito osservato dall’Heim, e dal lato litologico coin- 
cidono così perfettamente, che per me è un fatto certo che tali af- 
fioramenti di gesso appartengono tutti allo stesso strato, il quale, 
posto allo scoperto dall’erosione, rimane ora coperto di tratto in 
tratto dai detriti dell’alveo del torrente che lo attraversa e da 
quelli degli scoscendimenti delle pareti laterali. 


(1) Etude geologique sur le nouveau projet de tunnel coudé traversant le 
massif du Simplon. Bull. de la Soc. Vaudoise des Sc. Nat., vol. XIX, n.89. 


28 GIORGIO SPEZIA 


Il gesso di San Bernardo si presenta in grosse lenti inchiuse 
in uno schisto micaceo anfibolico il quale, sia in straticelli sia coi 
suoi componenti isolati, inquina la massa gessosa e talvolta in modo 
tale da essere il gesso non solamente in minore quantità, ma da 
costituire un graduale passaggio ad una roccia nella quale vi sono 
appena traccie di gesso e predominano invece la mica, l’anfibolo e 
il quarzo. 

Prendendo frammenti di gesso che abbiano l'aspetto di maggior 
purezza e trattandoli a varie riprese con carbonato ammonico e poi 
con acido cloroidrico diluito e a freddo, onde decomporre ed elimi- 
nare il solfato calcico, essi lasciano sempre un abbondante residuo. 

Detto residuo esaminato al microscopio risulta costituito da 
granuli cristallini di quarzo, da lamine di mica incolora o leg- 
germente giallognola, e da frammenti di trasparenti cristalli di 
anfibolo verde i quali presentano quelle traccie di corrosione come 
sì osserva sovente nei grani o di pirosseno, o di anfibolo o di ver- 
nerite disseminati in calcari cristallini. 

Oltre i detti minerali sono visibili anche piccoli romboedri i 
quali io ritengo per dolomite perchè insolubili nell’ acido a freddo 
si sciolgono con effervescenza a caldo. 

In alcuni frammenti di roccia nella quale la mica ed il quarzo 
predominavano sul gesso potei constatare la presenza della calcite. 

La roccia gessosa in sezioni sottili all'osservazione microscopica 
sì presenta costituita da granuli cristallini e da cristalli bacillari, 
i quali paiono essere prodotti posteriormente per un precesso di 
diagenesi. 

Anche a valle della cappella di Maulone sulla sinistra del tor- 
rente vi ha traccia di affioramento di roccia gessosa, la quale, se- 
parato il solfato calcico, lascia un residuo costituito essenzialmente 
da dolomite, quarzo, e mica bianca o rosea, e qualche grano di 
anfibolo incoloro. 

La giacitura ed il modo diassociazione dei minerali in entrambe 
le masse gessose permettono due ipotesi sulla loro origine; o che 
il gesso sia originario ossia di formazione coeva al micaschisto an- 
fibolico che lo accompagna, ovvero sia il prodotto di alterazione di 
altra roccia, e questa seconda ipotesi è certamente la più proba- 
bile e perciò nel concetto in massima di prodotto di alterazione 
sta il parere di Heim. 

° Ma per supporre poi che il gesso provenga dalla decomposi- 
zione del gneiss, bisogna naturalmente premettere che il gneiss con- 


ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL UuHERASCA 29 


tenga anzitutto lo zolfo, e, facendo in favore di tale idea la più 
probabile combinazione, immaginare un gneiss ricco di un solfuro 
metallico, p. es. pirite. 

Riguardo al calcio lo si trova nel gneiss sia per la frequente pre- 
senza di feldispati plagioclasi e massime poi se qualche silicato ricco 
di calcio come p. es. l’anfibolo entra a sostituire la mica. Infatti vi 
ha il gneiss anfibolico di Ober-Ramstadt (1) il quale è così ricco di 
anfibolo che l’analisi complessiva dà 10,65 °/, di ossido di calcio. 

Ossia per avere da un gneiss quale prodotto di decomposizione 
il gesso bisognerebbe anzitutto ammettere un gneiss molto anfibo- 
lico e piritifero. 

Ma tale ipotesi sarebbe contraria alla premessa di Heim, il 
quale ritiene secondo Gerlach per gneiss detto d’Antigorio da questo 
autore, il gneiss di val Cherasca, nella qual roccia secondo l’analisi 
di Scheerer (2) vi sarebbe solamente 3, 95 p °/, di ossido di calcio. 

Si potrebbe supporre che un tale gneiss quando fosse piritifero 
o attraversato da sorgenti ricche di solfato di ferro o anche di 
acido solforico libero, come sarebbero acque provenienti da gia- 
cimento di piriti in decomposizione, potrebbe fornire gesso colla 
sua piccola quantità di ossido di calcio, impiegando il tempo per 
la concentrazione. Ma ostacolo a detta ipotesi sarebbe la solubi- 
lità del solfato calcico, la quale impedirebbe, alla poca quantità 
che se ne forma, di rimanere, costituendo un deposito di gesso. 

E ammettendo pure che nella grande estensione che ha il 
gneiss d’ Antigorio, ve ne sia qualche tratto molto anfibolico e 
piritifero, bisognerebbe che l’anfibolo si decomponesse per cedere 
il calcio all’acido solforico proveniente dall’ossidazione della pi— 
rite in contatto; ma in tal caso non credo si possa spiegare fa- 
cilmente la presenza dell’anfibolo nel gesso di S. Bernardo. 

Inoltre ammessa anche tale decomposizione di un gneiss an- 
fibolico è a ritenersi che più facilmente sarebbesi decomposto an- 
che l’ortosio del gneiss e quindi: o il gesso dovrebbe contenere 
del caolino il che non è nel nostro caso, ovvero supponendo anche 
una decomposizione del caolino, le acque che per detta alterazione 
si mineralizzassero dovrebbero essere ricche non solo di solfato 
calcico ma anche di solfato di allumina, e per la presenza di 
questo sale essere poverissime di carbonati. 


(1) J. RoruH, Beitrage sur Petrographie, 1879-1883, pag. IV. 
(2) GERLACH, Die penninischen Alpen, pag. 107. 


30 GIORGIO SPEZIA 


Secondo Heim pare fuori dubbio che il gesso sia dovuto alla 
decomposizione prodotta dalle sorgenti che egli osservò scaturire 
ai piedi del al/us formato dai detriti del gneiss alterato, che si 
trova quasi sovrastante al deposito di gesso da lui esaminato. 
Dette sorgenti non sono, a mio avviso, da porsi fra le minerali, 
ma se anche lo fossero, sta sempre per loro il dilemma che: o dette . 
sorgenti non contengono il solfato calcico e allora siamo alla 
difficoltà dimostrata di trovare gli elementi del gesso nel gneiss, o 
ne contengono già in parte gli elementi e allora non credo debba 
ritenersi necessario il gneiss alla formazione del gesso. 

P. es. un'acqua ricca di bicarbonato calcico potrebbe sem- 
pre al contatto di gneiss ricco in pirite in decomposizione, dar luogo 
a solfato calcico ma in tal caso il gneiss non entrerebbe nella rea- 
zione; e se anche tale acqua poi contenesse acido carbonico 
libero che, insieme al solfato calcico formatosi, alterasse  contem- 
poraneamente il gneiss, non potrebbesi mai a questa roccia attri- 
buirsi l'origine del gesso. 

Resa così, a mio avviso, molto improbabile l’ipotesi della de- 
composizione del gneiss come origine del gesso, ricerchiamone 
qualche altra. 

Vi sarebbe quella di supporre che il gesso di val Cherasca 
provenga dall’ idratazione di anidrite, se l’ammettere 1’ anidrite 
originaria inchiusa nei micaschisti anfibolici delle Alpi non incon- 
trasse quasi le stesse difficoltà dell’ ammettere il gesso stesso. 
D'altronde sino ad ora io non ho mai veduta l’anidrite in val 
Cherasca. 

Non rimane quindi, a mio parere, che prendere in conside- 
razione i calcari cristallini, i calceschisti ed i micaschisti anfibolici 
ricchi di calcare, le quali roccie sono assai diffuse in val Cherasca. 

Ammettendo un’alterazione di tali roccie si ha già uno dei 
principali elementi del gesso, il calcio. Riguardo allo solfo lo si 
trova esaminando alcune di dette roccie. 

Nella località detta Gebbo a valle della casa del signor Gio- 
vanni Roggia (1) si trova sulla destra della Cherasca un affio- 
ramento di calcare cristallino ricchissimo di pirite e pirrotina. 
Detti solfuri sono diffusi nella roccia talvolta assai visibili ad 
occhio nudo, talvolta no. 


(1) Colgo l’occasione per ringraziare il sig, Roggia, maestro comunale a 
Varzo, per le cortesie usatemi nelle mie escursioni in val Cherasca. 


ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL CHERASCA 31 


Prendendo del calcare nel quale dall’ aspetto non si crede 
vi siano solfuri e trattandolo con acido cloroidrico diluito a 
freddo, si sente anzitutto odore di idrogeno solforato e poi si ot- 
tiene un residuo insolubile costituito da lamine di mica, granuli 
di quarzo, e per circa la metà in peso di una polvere nero ver- 
dastra, la quale, esaminata al microscopio, è costituita da cri- 
stalli di pirite e lamine esagonali di pirrotina che sì lasciano 
facilmente separare dalla pirite mediante un magnete. 

Entrambi i solfuri si trovano anche abbondanti come inclusioni 
nella mica e nei grani di quarzo i quali sono talvolta attratti 
dal magnete quando hanno inclusioni di pirrotina. E a causa 
di tali inclusioni mi fu impossibile di fare nel residuo insolubile 
una separazione esatta mediante liquidi a densità variabile. 

Un altro esempio di analogo calcare lo trovai all’ alpe di 
Veglia sopra la sorgente minerale. Tale roccia a struttura cri- 
stallina sente di idrogeno solforato quando la si rompe e lascia, 
trattata con acido cloroidrico, un residuo di cristalli corrosi di 
anfibolo bianco, grani di quarzo, lamine di mica e la polvere 
cristallina di piriti e pirrotina, i quali solfuri sono anche in ab- 
bondanza inclusi nell’anfibolo e nella mica. 

Adiacente allo stesso calcare vi ha un micaschisto calcareo il 
quale contiene anche pirite e pirrotina. 

Nello stesso piano di Veglia vicino al torrente Frova in un 
banco di calcare bianco saccaroide, contenente sottili strati mi- 
cacei anfibolici con traccie di distene, vi ha uno straticello di 
calcare ricchissimo di cristalli macroscopici di pirite, ed uno strato 
di dolomite ricca di mica e piriti. 

Al colle di Valtendra vi ha pure un micaschisto bianco ric- 
chissimo di piriti. 

Insomma l'associazione di solfuri di ferro con carbonato di 
calcio è comune in val Cherasca. 

Ora è, a parer mio, ipotesi più probabile che il gesso mi- 
caceo anfibolico di San Bernardo provenga dall’ossidazione della 
pirite e della pirrotina inchiuse in dette roccie calcaree 

Ad appoggio di tale ipotesi sta il processo chimico il quale 
oltre armonizzare colle reazioni chimiche oggi conosciute, non 
richiede quella sequela di reazioni che sarebbero necessarie per 
spiegare la trasformazione dell’ ortosio o dell’ anfibolo in gesso 
quando si volesse dire che il gesso provenga dall’alterazione di un 
gneiss anfibolico. 


dal GIORGIO SPEZIA 


Inoltre è di aiuto all’ipotesi il confronto dei residui dei vari 
gessi, cioè il quarzo, la mica e l’anfibolo, minerali che insieme 
ai solfuri costituiscono il residuo dei calcari esaminati. 

Infine vi ha altro validissimo appoggio nell'esame delle acque 
minerali le quali possono sovente fornire importanti nozioni per lo 
studio delle alterazioni delle roccie. 

All’alpe di Veglia sulla sponda sinistra del rio Mottissa si trova 
la sorgente di acqua minerale acidula conosciuta in terapeutica 
col nome di acqua minerale di Varzo. 

Di detta acqua il Cossa (1) fece un saggio quantitativo li- 
mitato solamente ai componenti sotto indicati, escludendo cioè 
l’acido carbonico perchè non ebbe opportunità di raccogliere 
egli stesso l’acqua alla sorgente ed escludendo le piccole quan- 
tità di alcali ed altri elementi, non avendo avuto a sua dispo- 
sizione la quantità necessaria di acqua. 

Egli trovò che 1000 parti in peso di acqua contengono : 


Gioeo. A, TM So OD LIUTO TAG IRE 
Anidride solforica . . . 0,3405 
Ossido di calcio . . . 0,4836 
Ossido di magnesio . . 0,0666 
Carbonato ferroso . . . 0,0488 


Inoltre l’autore dell’analisi constatò la mancanza assoluta di 
idrogeno solforato e verificò qualitativamente: l’acidità dell’acqua 
per l'acido carbonico, la presenza di silice, soda, potassa, tracce 
di allumina, anidride fosforica ed ossido di manganese; e col- 
l’analisi spettrale, il litio. 

Ora l'acqua di Veglia è ricca: di acido carbonico ; e dalla 
cortese comunicazione, per cui rendo grazie, fattami dal D." Dac- 
como, il quale raccolse l’acqua in posto e ne analizzò la quantità 
complessiva, risulta che 1000 grammi in peso contengono, alla 
temperatura di 6° e pressione barometrica di 623 (2) millimetri, 
grammi 1,4862 di acido carbonico. 

E sebbene l’analisi del Cossa sia stata fatta nel 1879 ed 
il saggio quantitativo del Daccomo nel 1885, e in tal lasso di 
tempo abbia l’acqua potuto variare nella quantità dei compo- 
nenti, tuttavia credo che si possano riunire per calcolare l’acido 


(1) Idrologia medica, anno II, 1880, pag. 80 
(2) L’alpe di Veglia è a 1753 metri di altitudine dal mare. 


ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL CHERASCA 53 


carbonico libero, massime che il Cossa nella sua relazione ag- 
giunge che l’acqua datagli ad analizzare sviluppava abbondanti 
bolle di gas acido carbonico , il che prova la ricchezza in gas 
libero dell’acqua, anche quando si fece l’analisi delle principali 
materie fisse. 

Perciò la quantità di ossido di calcio residua da quella de- 
voluta all’anidride solforica e tutto l’ossido di magnesio si deb- 
bono ritenere combinati con acido carbonico, e si può ammet- 
tere che l’acqua contenga in 1000 parti 


Cloro MR ANAGIEO e"), SMS E ICE 
Solfato di calcio ‘“. . 0,5788 
Carbonato di calcio . 0,4380 
Carbonato di magnesio 0,1398 
Carbonato ferroso . . 0,0438 
1,20154 


ossia della quantità complessiva di acido carbonico: gr. 0,2825 
sarebbero legati per formare i carbonati neutrali; altrettanto si 
potrebbe supporne per ridurli in bicarbonati solubili e rimarrebbe 
la quantità di 0,9212 di acido carbonico libero. 

La quantità dei sopraindicati componenti fissi dell’acqua 
sarebbe di 1,20154 e considerando che secondo Cossa 1000 
grammi d’acqua evaporata a secco lasciano gr. 1,4723 di ma- 
terie fisse, resterebbe una quantità di gr. 0,27076 costituita 
essenzialmente da acqua del solfato calcico che per l’evapora- 
zione a 100° non l’avrà perduta tutta, e poi dalla silice, sodio, 
potassio, ecc. ossia dagli altri elementi la cui presenza fu indicata 
per saggio qualitativo. 

Quindi volendo anche ammettere, come dovrebbe essere, che 
parte dell’anidride solforica data dall’analisi sia combinata col 
sodio, oltre la quantità di cloro, e col potassio diminuendo in 
proporzione il solfato di calcio, la quantità di questo composto 
sarebbe sempre tale da ritenerlo come un componente principale 
dell’acqua di Veglia. 

Ora tale acqua sebbene ricca di solfato calcico non è cer- 
tamente a porsi nè fra le saline per la tenuissima quantità di 
cloro, nè fra le sulfuree per l'assenza di idrogeno solforato; e 
neppure fra quelle che si mineralizzano dalla decomposizione di si- 
licati alluminiferi o calciferi componenti roccie, prodotta dall'azione 


Atti RR. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 3 


34 GIORGIO SPEZIA 


dell’acido solforico proveniente sia dall'ossidazione di acido solfo- 
roso 0 idrogeno solforato come nei terreni vulcanici, sia dall’ossida- 
zione di solfuri metallici; perchè in queste acque è caratteristica 
l'abbondanza di solfato di allumina e la povertà di carbonati. 

Se poi si considera la quantità di acido carbonico libero si 
può facilmente essere condotti ad un’ ipotesi assai probabile 
sull'origine dell’acqua di Veglia, ed in pari tempo rendere dif- 
ficile la supposizione che si volesse fare che l’acqua acquisti la 
ricchezza in solfato calcico attraversando un banco di gesso pree- 
sistente e di formazione coeva agli schisti cristallini. 

La quantità di gas portata alla superficie dall'acqua, non 
certo trascurabile se si tiene calcolo che l’efflusso dell’ acqua 
di 300 litri per ora. 

Generalmente le acque si arricchiscono di acido carbonico : 

1° Nelle regioni vulcaniche e in quelle non vulcaniche nelle 
quali per litoclasi possono diffondersi sia l’acido carbonico già 
prodotto nei terreni vulcanici, sia i reagenti chimici, cause della 
sua formazione, come p. es. acque termali contenenti acidi liberi, 
le quali decompongono i carbonati che incontrano nel loro percorso. 

2° In terreni che contengono resti organici in decomposizione 
ed in circostanze di continua ossidazione. 

3° Per ossidazione dei solfuri metallici in contatto con 
calcare e massime della pirite, come suppose per îl primo Stein (1) 
onde spiegare la presenza dell’acido carbonico nelle acque acidule 
di Pyrmont. 

Nel caso dell’acqua di Veglia io credo debbansi escludere 
le due prime condizioni, perchè le roccie di val Cherasca non 
appartengono all’evidente roccia vulcanica caratterizzata da crateri, 
e la bassa temperatura dell’acqua non permette di supporre la . 
provenienza da grandi profondità, causa in generale della ter- 
micità delle acque; nè fanno parte dell’evidente roccia sedimen- 
taria caratterizzata da resti organici; ma bensì appartengono al 
sempre problematico campo geologico che sta nel mezzo degli in- 
dicati estremi della serie litologica. 

Non rimane quindi che la terza causa, cioè l’ossidazione di 
piriti al contatto di calcari. 

Tale ipotesi sebbene ammessa dal lato chimico, non pare 
sia tenuta valevole per spiegare in certi casi grandi produzioni 


De e 


(1) Neues Jahrbuch fur Min. u. Pal., 1845, pag: 801. 


ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL CHERASCA 35 


di acido carbonico; per esempio Bischof (1) la pone in dubbio 
basandosi sulla credenza che la pirite si trovi raramente nel cal- 
care. Tuttavia il fatto seguente riportato da Delesse (2) è una 
prova della sua possibilità. Nella miniera carbonifera di Rochebelle 
alla profondità di 345 metri avvenne uno scoppio prodotto da 
efflusso violento di acido carbonico rinchiuso in vani della roccia; 
la cagione fu, secondo anche il parere di Dumas, data alla de- 
composizione di un giacimento piritifero in contatto con calcare 
e confinante col deposito carbonifero. La quantità di gas ap- 
prossimativa calcolata dalla cubatura delle gallerie invase fu di 
4500 metri cubi, 

E per l’acqua di Veglia detta ipotesi spiegherebbe a mio 
avviso, non solamente la presenza dell’ acido carbonico di essa 
ma quella di tutti i suoi componenti. 

Infatti si potrebbe supporre che la pirite e la pirrotina os- 
sidandosi completamente darebbero luogo ad acido solforico libero 
e solfato ferroso; il primo agendo sul calcare darebbe gesso e 
acido carbonico libero, parte del quale col calcare in eccesso for - 
merebbe bicarbonato calcico solubile. 

Il solfato ferroso non sarebbe decomposto dal calcare, massime 
per la presenza di acido carbonico libero, e rimarrebbe in solu- 
zione finchè l’acqua nel suo percorso incontrasse nuovo ossigeno 
portato da altre infiltrazioni sia di aria che di acque aerate. 

Allora il solfato ferroso si muterebbe in solfato ferrico e 
agendo in tale stato sopra altre roccie calcaree darebbe luogo, 
secondo l’esperienza di Stein, a deposito di ossido idrato di 
ferro, gesso e sviluppo di acido carbonico, il quale arricchirebbe 
vieppiù l’acqua di biearbonato calcico e gas libero. E supponendo 
che una piccola parte di solfato ferroso non sì sia ossidato po- 
trebbe in soluzione con bicarbonato calcico dar luogo a quella 
piccola quantità di bicarbonato ferroso, che senza ulteriore de- 
composizione per favorevoli circostanze, sarebbe trasportato al- 
l’esterno , dall'acqua. La presenza poi del solfato calcico nel- 
l’acqua è dimostrata dalla solubilità del gesso. 

Con tale processo si spiegherebbe anche il trovarsi deposito 
di gesso sceyro di ossido di ferro come a San Bernardo, ed in 
pari tempo si avrebbe la spiegazione di ciò che si osserva sulla 


(1) Lehrbuch der chem., u. phy. Geologie, vol. 4, pag. 725. 
(2; Comptes rendus, tome 89, pag. 814. 


36 GIORGIO SPEZIA 


sinistra del torrente Ciamperio confluente della Cherasca al piano 
dell’alpe di Veglia, dove l’erosione ha posto allo scoperto un 
grosso banco di roccia schistosa la quale presenta una grande 
alterazione. Essa è friabile, porosa e contiene gran quantità di 
ocra con quarzo, mica, calcite e dolomite; e trattandola con acqua 
distillata si può in essa ancora riconoscere la presenza di traccie 
di solfato di calcio, sebbene l’esperimento sia stato fatto sopra 
frammenti tolti alla superficie. 

Il depositarsi poi della maggior quantità di ferro allo stato 
d’ossido dà la ragione per cui l’acqua minerale contenga così 
poco ferro, sebbene l'origine della sua mineralizzazione sia dovuta 
ad un minerale essenzialmente ferrifero. 

Il carbonato di magnesio nell'acqua troverebbe la sua origine 
o supponendo un calcare magnesiaco, ipotesi basata sulla osser- 
vazione che il calcare anfibolico e piritifero di Veglia da me esami- 
nato contiene 6,89 p. ® di ossido di magnesio; ovvero supponendo 
che alla mineralizzazione dell’acqua abbia in parte contribuito 
qualche dolomite piritifera alla cui esistenza io già accennai. 

Riguardo poi le piccole quantità di silice, soda, potassa, 
allumina, ecc. possono benissimo considerarsi come prodotti del- 
l'alterazione di roccie feldispatiche sulle quali agisca nel suo 
percorso l’acqua minerale; alterazione dovuta sia all’acido car- 
bonico il quale toglie ai feldispati secondo le esperienze di R. 
Miiller (1) gli alcali, parte della silice e anche traccie di allu- 
mina ; sia all’azione decomponente del solfato calcico dimostrata 
dalle esperienze di Cossa. Le quali cause di alterazione di roccie 
feldispatiche spiegano l’effetto, che si osserva al ponte di S. Ber- 
nardo in val Cherasca, dell’essere il gneiss in decomposizione dove 
havvi il deposito gessifero. 

Riassumendo ora i fatti che si osservano in val Cherasca 
si trova : 

1° L'esistenza di calcari anfibolici e micacei, e di mica- 
schisti anfibolici con calcare, ricchi entrambi di pirite e pirrotina. 

2° L'esistenza di banchi di gesso contenente anfibolo, mica 
e quarzo. 

3° L'esistenza di un’acqua che per la ricchezza in solfato 
calcico e acido carbonico ha tutta la probabilità di essere mi- 


+ 


(1) Tschermak. Min. Mitth., 1874, pug. dI. 


ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL CHERASCA 37 


neralizzata dai prodotti di alterazione di solfuri metallici in 
contatto con carbonato di calcio. 

4. L'esistenza di roccie alterate costituite da ocra, mica, 
quarzo e calcite. 

5° La presenza del carbonato di magnesio nei calcari, nei 
gessi e nell'acqua minerale prodotta. 

Perciò a me pare che si possa essere autorizzati di consi- 
derare tali fatti quali rappresentanti di cause ed effetti di un 
analogo processo chimico che sarebbe avvenuto in varii punti 
della val Cherasca e che tutt'oggi continua; e dedurre che se 
dove si mineralizza ora l’acqua di Veglia si forma del gesso , 
dove ora vi sono i banchi di gesso e prima che fossero scoperti 
dall'erosione del torrente, dovevano esistere altre acque con la 
stessa mineralizzazione di quella di Veglia. Ed in conclusione si 
possa ritenere che il gesso micaceo e anfibolico che si trova a 
San Bernardo nella valle Cherasca sia un prodotto dell’altera- 
zione dei calcari micacei e anfibolici e di micaschisti anfibolici 
con calcare ricchi in solfuri di ferro. 

È un'ipotesi la quale ha senza dubbio una spiegazione chi- 
mica più facile che quella della trasformazione del gneiss in 
gesso, la quale altra ipotesi può stare solamente nello stesso 
modo che sta quella del cambiamento del calcare in gneiss, 
che i sostenitori della metasomatosi delle roccie ammettono per 
possibile estendendo su larga scala alcune pseudomorfosi singola- 
rissime che si osservano nei minerali. 

Infine ammettendo l’ipotesi da me indicata, ne deriva la 
conseguenza che si possa trovare gesso non solamente alla su- 
perficie ma anche a profondità ossia fin dove possono giungere, 
per causa qualunque, gli agenti che servono all’ ossidazione dei 
solfuri in contatto con carbonato di calcio ; e che si possa tro- 
vare alterato il gneiss che sia stato attraversato dalle acque 
mineralizzate dal processo chimico inerente alla formazione del 
gesso. Tuttavia per tale alterazione di roccia non vi sarebbe, se- 
condo me, timore alcuno d’incontrare, nell'eseguimento del pro- 
gettato traforo del Sempione, difficoltà tecniche che non siano 
per essere facilmente superate, ammesso anche ciò che io non 
credo, che la formazione gessosa di val Cherasca arrivi in pro- 
fondità al livello della galleria. 


38 G. VICENTINI, E D. OMODEI 


Sulla densità di alcuni metalli allo stato liquido 
e sulla loro dilatazione termica, 


Nota di G. VICENTINI e di D. OMODEI 


In due note già presentate all'Accademia (1), abbiamo comu- 
nicato i risultati di nostre ricerche destinate alla misura della 
variazione di volume subita dai metalli Cd, Pd, Bi, Sn, quando 
cambiano di stato, nonchè alla misura del coefficiente di dilata- 
zione degli stessi metalli fusi, 

Abbiamo allora mostrato il grado buono di approssimazione 
che si poteva ottenere in quelle misure, ricorrendo all’uso di 
dilatometri di vetro dei quali si era misurato il coefficiente di 
dilatazione anche per temperature elevate. 

L'unico appunto che si può muovere all’attendibilità dei dati 
comunicati in quello studio, si è che la misura delle temperature 
fu fatta con termometro a mercurio, del quale non si fece il 
completo confronto con uno ad aria. 

Colla deficienza dei mezzi del laboratorio di Fisica della 
R. Università di Cagliari, ci trovavamo nella impossibilità di fare 
lo studio desiderato del nostro termometro a mercurio a pres- 
sione interna di azoto (preparato dal Miiller in Bonn) e temevano 
di non poterlo fare nel corrente anno. Negli ultimi mesi ci è 
stato possibile procurarci i mezzi necessari; ed ora diamo i risul- 
tati delle esperienze sui metalli, già comunicati colle note ante- 
cedenti, corretti per quello che fu necessario, per le piccole diffe- 
renze riscontrate fra le indicazioni del termometro a mercurio 
usato, e quelle del termometro ad aria. 


(4) Atti dell’Acc. Adunanze 414 novembre 1886, 8 maggio 1887. 


DENSITÀ DI ALCUNI METALLI ALLO STATO LIQUIDO 39 


Il termometro ad aria da noi impiegato è quello del Jolly ; 
e lo abbiamo adoperato con un catetometro (uscito dall’officina 
del Miller di Innsbruck) che dà il cinquantesimo di millimetro. 

Per il confronto dei due termometri alle diverse temperature 
abbiamo usata, per l'apparecchio riscaldante, la stessa disposizione 
che servi nello studio dei metalli. 

È inutile descrivere nei minuti particolari il modo col quale 
abbiamo condotto le lunghe, numerose esperienze ed i tentativi 
ed i ripieghi ai quali abbiamo dovuto ricorrere dapprincipio per 
porci in buone condizioni; tutti conoscono le difficoltà che sì 
incontrano nell’uso del termometro ad aria, specialmente a tem- 
perature molto elevate. Diremo solo, che dovendo raggiungere 
la temperatura di 350”, allo scopo di evitare l’impiego di forti 
pressioni per mantenere invariato il volume dell’aria del termo- 
metro, abbiamo avuto l’avvertenza di riempire il bulbo di esso 
con aria un po’ rarefatta. 

Il termometro a mercurio da controllare, essendo diviso sem- 
plicemente in gradi, non permette nelle letture se non l’apprez- 
zamento dei decimi; e perciò nella misura delle temperature 
elevate quali si dovettero raggiungere nello studio dei metalli, 
causa la correzione per la colonna sporgente del termometro e 
la piccola incertezza che rimane sempre in quella da portarsi per 
lo spostamento dello zero, abbiamo ritenute incerte le indicazioni 
del decimo di grado. Nelle attuali determinazioni come risulta 
in seguito, le indicazioni del termometro a mercurio e quelle del 
termometro ad aria nelle varie serie di esperienze si possono rite- 
nere esatte entro il decimo di grado. 

Prima del confronto, determinammo il coefficiente di dilata- 
zione dell’aria rinchiusa nel bulbo del termometro, e come media 
di tre determinazioni che diedero valori molto concordanti, tro- 
vammo 


a=0,00836673 


numero che impiegammo in seguito nel calcolo delle temperature. 

Nella seguente tabella diamo i risultati di due serie di misure 
di confronto dei due termometri. Sotto # sono segnate le tem- 
perature del termometro ad aria; e sotto #' le indicazioni del ter- 
mometro a mercurio : nella colonna d sono registrate le differenze 
fra t'et. 


40 G. VICENTINI E D. OMODEI 


SERIE l° SERIE 2° 

2» — i TS cn > TO ————_:iii e Iii a 
t î d t bi d 

| 
185%7 | 184,5 | —1°,2.|| 18399 |. 182°,7 | — 1°2 
238.3 |] 29708. — 068.) 238.2. .037 7 Se 

PATER 215 ;1 — 0,2 

514.6 | BIL. — OI dl 816 


Nelle due serie di esperienze si cercò di fare le osservazioni 
a temperature vicine il più possibile; si può quindi fare la media 
dei risultati ottenuti per le temperature corrispondenti, e si ha 
così che alle seguenti temperature # del termometro ad aria le 
indicazioni di quello a mercurio mostrano le differenze d notate 
di fronte. 


t d 
184°, 8 : — 1°,2 
238,2 —- 0,5 
275,8 —0,2 
319,6 —- 0,1 
348,5 +0, 15 


Con questi valori si costruì una curva che servi a dare le 
correzioni per le temperature intermedie a quelle alle quali si 
fece il controllo. 

Come appare dalla tabella, le differenze del termometro a 
mercurio non sono molto grandi, specialmente alle temperature 
elevate e fino al disopra di 300° sono negative. Tali differenze 
vanno diminuendo coll’innalzarsi della temperatura; tantochè a 
348° cambiano di segno. 

I dati che si riferiscono ai metalli e che dobbiamo ora cor- 
reggere, per rispetto alle indicazioni del termometro ad aria, 
restano per il fatto delle piccole differenze invariati, ad eccezione 
di pochi. Nei calcoli relativi alle esperienze ad elevate tempera- 
ture, alle quali come si è notato, il decimo di grado era incerto, 
si è talvolta abbandonato, tal’altra aggiunto qualche decimo di 
grado nelle temperature per esprimerle in gradi interi; così le 


DENSITÀ DI ALCUNI METALLI ALLO STATO LIQUIDO 4] 


correzioni delle temperature colle differenze ora riportate non 

influiscono che pochissimo sui risultati finali già comunicati. 
Nella tabella che riproduciamo qui presso e che contiene i 

dati che si riferiscono ai metalli, studiati col termometro ad aria, 

si hanno poche differenze rispetto a quella già data e cioè: le 

temperature di fusione del Be dello Sw dall'essere rispettiva- 

mente di 270°,9 e 226° diventano di 271° e 226°,5; e il 

coefficiente di dilatazione dello stagno da 0,000113 passa a 

0,000114. 
I simboli adoperati hanno i seguenti significati : 

D, è la densità dei metalli solidi a 0°, 

7 la loro temperatura di fusione; 

D.D. sono le densità di essi, rispettivamente allo stato solido e 
allo stato liquido, alla loro temperatura di fusione, 

A rappresenta la variazione percentuale che subisce la loro den- 
sità nel passaggio dallo stato liquido al solido, e 

x rappresenta il medio coefficiente di dilatazione dei singoli me- 
talli liquidi, fra le temperature di fusione 7 e di #°, segnate 
vicino ad esse. 


Metallo]  D T D. Dr: A % 


(e) 


Pb |11,359 [325 |11,005 |10,645| 3,39] 0,000129| 7 — 357° 
Cd 8,6681|318 8,3665| 7,989] 4,72| 0,000170|7-- 851 
Bi 9,787 [271 9,673 |10,004|— 3,31|0,000120{7— 300 
Sn 7,3006|/226,5| 7,1835| 6,988| 2,80 0,000114|7— 342 


Conclusioni. 


È qui utile raccogliere in un solo prospetto i dati che si 
hanno sulla densità e sulla dilatazione di altri metalli ed altri 
elementi allo stato liquido, per poter fare qualche considerazione 
generale su essi. Il Potassio ed il Sodio sono stati studiati da 
E. B. Hagen (Wied. Ann. XIX, 1883), lo Zolfo ed il Fosforo da 
G. Pisati e G. De-Franchis (Gazz.* Chimica Italiana 1874). Per 
densità del Mercurio allo stato solido assumiamo quella. data dal 
Mallet (1877) e per il suo coefficiente di dilatazione il suo coef- 
ficiente vero a 0°. (Secondo le recenti esperienze di Ayrton e 


42 G. VICENTINI E D. OMODKI 


Perry [Beiblitter XI, 518, 1887] il mercurio si dilata unifor- 
memente fra la sua temperatura di fusione e 0°). 


D, T D, Di A 
Pb|11,359 325° 11,005 |10,645 3,39[0,000129| 7 — 357. 
| Ca 8,6681 |318 8,3665 | 7,989 4,72|0,000170| 7 -351 
Baj 9.087 [274 9,673 |10,004 |— 3,31[0,000120|7— 300 
Sn | 7,3006 |226,5 | 7,1835 | 6,988 2,80/0,000114|7— 342 
S | 2,0748 [113 — 1,8114 — |0,000482/126-152 


Na | 0,9724 | 97,6 | 0,9519 |0,9287 2,5 |0,000278] 

K | 0,8624 | 62,1 | 0,8514 | 0,8298 2,6 |0,000299 | 
Ph\ 1,83676| 44,4 | 1,80654| 1,74529| 3,5 |0,000520| 50-60 
Hg|13,5960 |-38 ,85/14,193 |13,6902 3,67/0.000179]| 7-0 


1) I valori della tabella mostrano ad evidenza che i'sette 
metalli studiati, ad eccezione del Bismuto, diminuiscono di den- 
sità nel passaggio dallo stato solido allo stato liquido; rimane 
quindi tolto qualunque dubbio si potesse finora ammettere su 
questo fatto. 

2) Dalle esperienze dell’ Hagen sul Potassio e sul Sodio e dalle 
nostre sullo Stagno, per i quali metalli si è potuto studiare il 
coefficente di dilatazione per un intervallo di temperatura abba- 
stanza grande, al disopra del loro punto di fusione, risulta ch’essi 
possiedono un coefficiente di dilatazione costante. La stessa cosa 
si ha per il Mercurio fra la sua temperatura di fusione e 0°, 
come è stato anzi notato. 

3) La grandezza dei coefficienti di dilatazione dei vari elementi 
allo stato liquido, non mostra nessuna relazione colle rispettive 
temperature di fusione. 

Il Carnelley (Beiblitter III, 1879) raccogliendo in un pro- 
spetto il coefficiente di dilatazione degli elementi allo stato solido, 
ha rilevato che quanto più bassa è la temperatura di fusione di 
essi tanto più grande è il loro coefficiente di dilatazione. Mo- 
strano però eccezione a tale regola l’Arsenico, l’Antimonio, il 
Bismuto e lo Stagno. Il Carnelley non ha portato nel suo pro- 
spetto i coefficienti di dilatazione del Sodio e del Potassio. 


DENSITÀ DI ALCUNI METALLI ALLO STATO LIQUIDO 43 


Poniamo qui di fronte i coefficienti di dilatazione 4 e 2' dei 
diversi elementi che ci occupano, allo stato solido ed allo stato 
liquido, disposti secondo l’ordine decrescente delle loro tempe- 
rature di fusione; vicine ad essi mettiamo il valore del rap- 


t x 
Oro . 
P 274 


0,000129 


0,0000884 1,5 
0,0000948 | 0,000170 | 1,8 
0,0000395 | 0,000120 | 3,0 
0,0000689 | 0,000114 | 1,7 
0,0003540 | 0,900482 | 1,4 
0,0002160 | 0,000278 | 1,3 
0,0002500 | 0,000299 | 1,2 
0,0003760 | 0,000520 | 1,4 


-» 


- 0,000179 


Esaminando i valori dei coefficienti di dilatazione degli ele- 
menti solidi, si scorge che oltre al Bismuto ed allo Stagno, fanno 
eccezione alla regola osservata dal Carnelley il Sodio ed il Po- 
tassio. 

Per gli elementi allo stato liquido la legge è seguita ancor 
«meno, perchè oltre il Bismuto, lo Stagno ed i due metalli al- 
calini, si scostano da essa il Piombo ed il Mercurio. 

4) Il coefficiente di dilatazione dei varii elementi allo stato 
liquido, è molto più grande di quello che spetta ad essi allo 
stato solido. : 

Fatta eccezione per il Bismuto, il rapporto fra il coefficiente 
di dilatazione d’un elemento liquido ed il coefficiente dell’ ele- 
mento stesso allo stato solido, ha un valore poco diverso da 1, 5. 


Dal Laboratorio di Fisica della R. Università di Cagliari. 
Luglio 1887. 


44 TOMMASO SALVADORI 


La AEGIALITIS ASIATICA (PALt.) 
trovata per la prima volta in Italia. 


Nota di TOMMASO SALVADORI 


Un'altra specie di uccello è venuta recentemente ad aggiun- 
gersi alla Avifauna Italiana. Il sig. Enrico Marchisio di Torino, 
diligente raccoglitore di uccelli, e già noto per altri interessanti 
esemplari da lui rinvenuti, trovava il giorno 15 novembre del- 
l’anno corrente, presso un venditore di uccelli morti in Torino, 
un individuo in carne della famiglia dei Pivieri, appartenente a 
specie a lui affatto sconosciuta; egli dubitò che quell’esemplare 
potesse appartenere all’Aegialitis Geoffroyi (Wagl.), specie re- 
centemente annoverata fra le Italiane dal Giglioli nella sua Av2- 
fauna Italica, p. 371, ma che, come ho già fatto notare in 
altro mio lavoro (Elenco degli uccelli italiani, p. 211), non 
ha ancora titoli sufficienti alla cittadinanza italiana. Quando poi 
il sig. Marchisio mi mostrò il detto esemplare, che colla disse- 
zione apparve essere una femmina, riconobbi immediatamente che 
era un giovane dell’Aegialitis asiatica (Pall.), specie mai tro- 
vata prima d’ora in Italia, e della quale si conoscevano tre sole 
catture in Europa, fuori della regione dalla medesima ordinaria- 
mente abitata. Colgo quindi l'occasione della cattura di questo 
primo esemplare italiano per illustrare questa specie, intorno alla 
quale hanno scritto principalmente lo Harting (1) ed il Dresser (2). 


Aegialitis asiatica (PALL.) 
Corriere del Caspio. 
Charadrius asiaticus, Pall., Reise Russ. Reichs, II, p. 715.(1773). 


— Lath., Syn. III, p. 207 (1785). — Gm., S. N. II, p. 684 
(1788). — Lath., Ind. Orn. II, pag. 746 (1790). — 


(1) On rare or little-known LimicoLae (Ibis, 1870, pagg. 202-209, pl. V). 
(2) A History of the Birds of Europe, VII, pagg. 479 481, pl. 522 e 520, £. 1. 


LA AEGIALITIS ASIATICA (PALL.) 45 


Schleg., Rev. Crit. des Ois. d'Eur. p. LXXXII (1844). — 
Blas. et Bald., in Naum. Vòg. Deutschl. XIII. pt. 2, p. 225, 
Taf. 386, f. 1, 2 (1860). — Bree, B. of Eur. IV, p. 18 
(1862). — Schleg., Mus. P. B. Cursores, p. 38 (1865). — 
Tristr., Ibis, 1868, p. 328 (Palestina). — Finsch et Hartl., 
Vog. Ost-Afr. p. 649 (1870). — Dress., P. Z. S. 1875, 
pi97,; 


Charadrius caspius, Pall., Zoogr. Rosso-As. II, p. 136, pl. 58 
(1811). 


Charadrius jugularis, Wagl., Syst. Av., gen. Charadrius, sp. 
39 (1827). — Nordm., in Demidoff, Voy. Russ. Mérid. III, 
p. 233 (1840) (Odessa). 


Eudromias asiaticus, Keys. et Blas., Wirbelth. Eur. pp. LXX, 
208 (1840). — Bp., Cat. Met. Ucc. Eur. p. 57 (1842). 
— G. R. Gr., List B. Brit. Mus. Grallae, p. 68 (1844). — 
Bp., Rev. Crit. p. 181 (1850). — Blas., Naumannia, 1858, 
p. 315 (Heligoland). — Heugl., Syst. Uebers. Vòg. N.-0. 
Afr. p. 57 (1856). — Blas., Ibis, 1862, p. 71. — Harting, 
Ibis, 1870, p. 202, pl. V. — Cordeaux, Ibis, 1875, p. 185 
(Heligoland). — Seebh., Ibis, 1877, p. 165. — Radde, Orn. 
Caucas. p. 415 (1884). 


Charadrius damarensis, Strickl., Contr. Orn. 1851, p. 148. — 
Finsch, Ibis, 1872, p. 146. — Heugl., Vog. N. O. Afr. 
MEptots. ‘tab. XXXIV, f_ "1, 2 (1870), 


Eudromias asiatica, C. L. Brehm, Vogelf. p. 281 (1855). 
Aegialitis gigas, C. L. Brehm, Vogelf. p. 283 (1855). 
Charadrius gigas, L. Brehm, Naumannia, 1855, p. 289. 
Morinellus caspius, Bp., Compt. Rend. XLIII, p. 417 (1856). 


Aegialites ruficollis, Heugl., Syst. Uebers. Vòg. N. 0. Afr. p. 57, 
n. 586 (1856). 


Eudromas asiaticus, Blas., List B. of Eur. p. 17 (1862). 
Morinellus asiaticus, Degl. et Gerbe, Orn. Eur. II, p.132 (1867). 


Aegialitis asiatica, Dress., B. of Eur. VII, p. 479, pl. 522, 
520, f. 1 (1878). — Hume, Str. Feath. VIII, p. 112 
(1879). -- Tristr., Faun. and Flora of Palest. p. 129 
- (Siria) (1884). 


46 TOMMASO SALVADORI 


Mas. in ptil. aest. Supra griseo-fuscus, seu terricolor ; 
fronte, superciliis latissimis, genis et gula albis, hac inferius 
linea subtili fusca limbata; plumis auricularibus griseis; gui- 
ture et pectore summo rufo-castaneis, hoc inferius fascia nigra 
marginato; pectore imo, abdomine et subcaudalibus albis; alis 
dorso corcoloribus, sed remigibus primariis fusco-nigris, scapo 
remigis primae albo; subalaribus griseis, azxillaribus albis; 
cauda griseo-fusca, rectricum apicibus albis, rectricis extimae 
pogonio externo albo marginato, rectricibus omnibus fascia 
obsoleta subapicali fusca motatis; rostro subtili migricante ; 
pedibus flavido-ochraceis ; iride brunnea. 


Foem. Mari similis, sed gutture et pectore summo griseo- 
fuscis, minime rufescentibus; gula alba, inferius sine limbo 
fusco, et pectore haud fascia nigra ornato. 


Juv. Supra grisco-fusca, plumarum marginibus rufo- 
ochraceis; fronte, superciliis, genis, gula, pectore imo, abdo- 
mine et subcaudalibus albis; auricularibus griseis; gutture et 
pectore summo griseo-fuscis, plumis in medio obscurioribus ; 
remigibus et rectricibus uti in ave adulta pictis. 


Long. tot. circa 0,200; al. 0", 143; caud. 0", 055; rostri 
culm. 0",020; tarsi 0", 040. 


Io ho descritto un maschio in abito perfetto ed una. fem- 
mina adulta del fiume Lenkoran sul Mar Caspio, avuti dal Radde; 
la descrizione del giovane è tratta dalla figura del giovane data 
da Blasius e Baldamus (7. c.), e dal giovane sopra menzionato, 
il quale ha talune piume delle parti superiori di color rossigno- 
ocraceo, residuo del primo abito giovanile. 

Questa specie fu scoperta dal Pallas lungo le spiaggie del 
Mar Caspio e dei laghi salati dei deserti meridionali della Tar- 
taria. Essa abita l’Asia occidentale e la parte vicina dell’ Eu- 
ropa; nidifica, secondo il Severtzoff, nel Turkestan; durante 
l'inverno trovasi nella Siria (7ristram) ed in gran parte del— 
l’Affrica, Egitto e Mar Rosso (Heuglin), Abissinia (Blanford), 
Capo di Buona Speranza (Layard), Damara (Andersson), Fiume 
Orange (Verreaux), Angola (Barboza), Transwaal (Ayres), ecc. 
In Asia è stata trovata negli Altai (Mus. Britannico, fide Saun- 
ders), ma non pare che si estenda nell’Asia orientale e nella Siberia, 
e sebbene lo Harting asserisca che giunge talora nella Cina set- 


LA AEGIALITIS ASIATICA (PALL.) 47 


tentrionale, tuttavia pare, come fa notare il Dresser, che quella 
asserzione non sia esatta, ed invero nè lo Swinhoe, nè il padre 
David, nè altri l’annoverano fra gli uccelli della Cina, ove si 
trova una specie affine, l’Ae. vereda, Gould, distinta per le di- 
mensioni un poco maggiori e per le ascellari grigie. Neppure 
sembra che l’Ae. asiatica si trovi nell’India, e perciò lo Hume 
l’annovera nella sua lista degli uccelli di quella regione, sol- 
tanto come specie dubbia. 

In Europa invece l’ Ae. asiatica è stata osservata più volte ; 
essa si trova a quel che pare non raramente nella Russia me- 
ridionale e specialmente lungo le spiaggie del Mar Caspio; lo 
Harting afferma che esemplari di quella località si conservano 
nel Museo di S. Pietroburgo. Inoltre tre individui almeno, presi 
lungi dall’area propria di questa specie, sono stati osservati in 
Europa e ricordati prima di ora. Il prof. Nordmann nell’opera 
Voyage dans la ERussie meridionale del Demidoff, vol. III, 
p. 233, afferma che un esemplare fu preso nelle vicinanze di 
Odessa nell’aprile del 1836; altri due esemplari sono stati presi 
nell’ isola di Heligoland, famosa per le sue numerose rarità or- 
nitologiche, uno di essi, un giovane, il 16 novembre 1850, e 
l’altro, un adulto in abito estivo, il 19 maggio 1859, ed ambedue 
si conservano nella collezione del Gaetke. A questi tre esemplari 
ora si è aggiunto un quarto ed è la femmina giovane trovata , 
come si è detto, presso un venditore di uccelli in Torino, il 15 
novembre di questo anno ; essa fu venduta al sig. Marchisio come 
catturata sulle sponde del fiume Metauro presso Sinigaglia, ove 
deve essere stata uccisa pochi giorni prima, fra il 10 ed il 14. 

Questa specie, come si è detto, nidifica nel Turkestan; il 
Dresser descrive un uovo raccolto nelle steppe dei Kirghisi; esso 
è di color fulvo con leggera tinta verdognola e con piccole macchie 
quasi nere; la sua forma è ovale, ma con una estremità meno 
rotonda; diametro maggiore poll. ingl. 1,25 (=0", 032); dia- 
metro minore 1,07 (=0",027). 

Il Radde scrive di aver trovato questa specie in grande quantità 
nel mese di aprile dell’anno 1880, presso il fiume Lenkoran sul 
Caspio; ivi essa era di passaggio in numero straordinario, es- 
sendo la stagione pessima; si vedeva in comitive di 15 a 20 
individui, che frequentavano le spiaggie e le dune; nel loro modo 
di vivere somigliavano più alle specie del genere Acegialitis, che 
non ai Pivieri (Charadrius). 


48 TOMMASO SALVADORI - LA AEGIALITIS ASIATICA (PALL.) 


Lo Harting aveva creduto che questa specie dovesse essere 
annoverata nel genere Eudromias, ma il Dresser, fin da quando 
ne mostrò l’uovo alla Società Zoologica di Londra (P. Z. $. 
1875, p. 98), espresse il dubbio che questo uccello non fosse 
congenere del Piviere tortolino. Poi lo stesso Dresser (B. 0f Eur. 
I. c.) ci fa sapere che, avendo fatto esaminare lo sterno del Cor- 
riere del Caspio dal prof. Newton, questi ha riconosciuto che 
esso differisce notevolmente dallo sterno dell’Eudromias mori- 
nellus, e che invece si avvicina molto a quello dell’Aegialitis 
hiaticula e però conclude che il Charadrius asiaticus Pall. deve 
essere annoverato nel genere Aegialitis. 

Delle varie figure pubblicate di questa specie, buona è quella 
del Pallas, buonissime quelle del Blasius e Baldamus nell’opera 
del Naumann e quelle del Dresser, meno esatta quella pubbli- 
cata dallo Harting, essendo in essa il colorito troppo scuro ed il 
colore delle zampe grigio-plumbeo invece di giallo-ocraceo ! 


Torino, Museo Zoologico, 20 novembre 1887. 


Il Direttore della Classe 
ALFonso Cossa. 


SOMMARIO 


— 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


ADUNANZA del 20 Novembre 1887... ......... Pag. 


Basso — Commemorazione di Gustavo Roberto Kirchhoff... . + 


ZanoTTI-Branco — Alcuni teoremi sui coefficienti di Legendre - Nota 
SECONdAs ah n SCARSE SIAT e TR 


Spezia — Sulla origine del gesso micaceo e anfibolico di Val Che- 
érasca-mell’Ossola:. i MEN ro une ENO da 


ViceNTINI e OmopreI — Sulla densità di alcuni metalli allo stato li- 
quido e sulla loro dilatazione termica . . +... 0.4... 


SaLvapoRI — La Aegialitis asiatica (PaLL.) trovata per la prima volta 
toa nta 0° 6 SCA E Ri 


25 


38 


ATEI 
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


DI TORINO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XXIII, Disp. 2", 1887-88 


TT __ 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali 


TORINO 
ERMANNO LOESCHER 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 4 Dicembre 1887. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI 
PRESIDENTE 


Sono presenti i Soci: Cossa, LEssona, SALvapbORI, Basso, 
D’'Ovipio, Bizzozero, FERRARIS, NaccarI, Mosso. 

Si legge l'atto verbale dell'adunanza precedente che viene ap- 
provato. 

Fra le pubblicazioni pervenute in dono all’Accademia viene 
segnalato il Bollettino dei Musci di Zoologia e di Anatomia 
comparata dell’Università di Torino (dal fasc. n. 27 al 81), 
contenente lavori biologici dei Dottori L. CAMERANO, A. BORELLI, 
D. Rosa, e G. GIBELLI. 


Le comunicazioni e le letture si succedono nell’ ordine se- 

guente : 

1° « Sui calori specifici di alcuni metalli dalla tempe- 
ratura ordinaria fino a 320°; del Socio NACCARI; 

2° « Sul calcolo degli Azimut mediante le coordinate 
rettilinee; Nota del Prof. Nicodemo JADANZA, presentata dal Socio 
NACCARI; 

3° « Contributo allo studio della circolazione del sangue; 
lavoro del Prof. E. OrxHL, della R. Università di Pavia, presen- 
tato dal Socio Mosso ; 

4° « Sulle differenze di fase delle correnti elettriche, 
sul ritardo dell'induzione e sulla dissipazione di energia nei 
trasformatori; lavoro del Socio FERRARIS, approvato dalla Classe 
per la pubblicazione nei volumi delle Memorie: 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII, 4 


SC FCONOMATAO 


50 E. OEHL 


»0 


5 « Sulle varietà cubiche dello spazio a quaitro di- 
mensioni, e su certi sistemi di rette e certe superficie dello 
spazio ordinario; Studio del Dott. C. SeGrE, presentato dal 
Socio D’Ovipio. Questo lavoro, dovendo essere pubblicato nei yo- 
lumi delle Memorie, viene affidato ad una Commissione perchè lo 
esamini e ne riferisca in una prossima adunanza. 

Da ultimo il Socio Basso presenta per la consueta pubbli- 
cazione nel Bollettino annesso agli Atti le Osservazioni meteo- 
rologiche dei mesi di Gennaio, Febbraio, Marzo ed Aprile del 
1887, eseguite nell’ Osservatorio di Torino per cura dell’Assi- 
stente Prof. A. CHARRIER: a queste osservazioni vanno uniti i rias- 
sunti e le medie mensili coi relativi diagrammi. 


Contribuzione allo studio della circolazione del sangue, 
del Prof, E. OrHL dell’Università di Pavia 


In un lavoro, che mi occupa da vario tempo e che spero 
di pubblicare in seguito, mi sono accorto dell’utilità di osservare 
in piccoli animali e specialmente nella rana, la circolazione del 
sangue, con obbiettivi smontati e portanti un debole ingrandi- 
mento di 5 a 10 d. 

Si può con esso vedere non solo la corrente sanguigna e la 
sua direzione nei vasi, ma si possono anche individualizzare i 
globuli sanguigni, che col massimo degli indicati ingrandimenti, 
vengono ad acquistare nella rana un massimo diametro di circa 
due decimi di millimetro, formante un ancor ben percettibile an- 
golo visivo. 

Questo metodo ha il vantaggio di poter essere applicato an- 
che alla osservazione di organi opachi, i quali cadendo coi ri- 
spettivi vasi sanguigni in varia estensione della loro superficie 
nel campo visivo, lasciano l'opportunità di osservare le eventuali 
modificazioni che in essi avvenissero e di determinare gli even- 
tuali rapporti di causalità, in cui esse si tenessero con modifi- 
cazioni contemporanee della corrente sanguigna. Il che fino ad 


STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE 51 


ora vidi verificarsi specialmente per organi contrattili, ma po- 
trebbe anche aver luogo in genere per altri organi, i quali, come 
ad esempio, i nervi o le ghiandole, presentassero una modifica- 
zione della circolazione, per il fatto del loro passaggio dallo 
stato di riposo a quello di più o meno direttamente rilevabile 
attività e viceversa. 

Ha inoltre questo metodo il vantaggio, che potendosi tenere 
nell’una mano l’obbiettivo e nell’altra il piccolo animale preparato 
all'osservazione, sì all'uno che all’altro si possono rapidamente 
impartire tutti quanti gli atteggiamenti più proprii a meglio con- 
dizionare le diverse visioni ed a riassumere quindi dalle medesime 
un sommario concetto intuitivo. 

. Una prima applicazione di questo metodo di osservazione io 
la feci ai vasi duodenali della rana, previamente paralizzata colla 
distruzione del midollo spinale, mediante avanzamento di un ago 
dalla cavità cranica nello speco vertebrale, senza, quasi, emor- 
ragia esterna. In una rana così predisposta, si pratica, a destra 
dell'animale, una breve incisione longitudinale delle pareti addo- 
minali all’altezza del ventricolo, coll’avvertenza di tenersi ad eguale 
distanza dalla linea mediana e dal prolungamento della linea 
ascellare, per non produrre soverchia lesione dei grossi vasi cu- 
tanei, che quivi longitudinalmente decorrono. Dalla così praticata 
incisione appare e fuor esce anche, in rane turgide e vivaci, la 
porzione duodenale del ventricolo, di cui si vede la convessità 
della curva pilorica di passaggio al duodeno, con insorgenza di 
contrazioni prevalentemente peristaltiche, destate dal contatto 
dell’aria. Osservando in allora il viscere a debole ingrandimento, 
se ne vedono i vasi sanguigni scomparire nei paraggi della zona 
im cui passa la contrazione, per poi riapparire nel rilasciamento. 
Nè devesi credere che ciò dipenda, come si potrebbe sospettare, 
da opacamento contrattile del tessuto, perchè si vede distinta- 
mente e costantemente che i vasellini scompaiono dai rami verso 
1 tronchi e ricompaiono invece, nel rilasciamento, dai tronchi 
verso i rami. Se la scomparsa dei vasi non fosse che apparente 
per opacamento di tessuto, tronchi e rami dovrebbero invece 
contemporaneamente scomparire ed apparire nella zona contratta 
e rilasciata, mentre invece l’indicata costante direzione di eva— 
nescenza ed apparizione dei vasi, accenna ad una scomparsa e ad 
un ritorno del sangue nei medesimi, resi impervii dalla contra- 
zione e ritornati pervii dal rilasciamento. Questi effetti potreb- 


52 E. OEHL 


bero essere indotti tanto da una pressione esercitata sui rami 
vascolari dal muscolo contratto, quanto anche da uno stiramento 
e da un conseguente assottigliamento , fino alla impervietà, che 
questi rami subissero nel seguire il nuovo atteggiamento assunto 
dalla sostanza contratta. Nell’ uno e nell'altro caso i vasellini 
terminali, diventando impervii, devono scomparire in quella di- 
rezione — verso i tronchi — nella quale, per la più complessa 
struttura e conseguente maggiore resistenza delle pareti dei vasi, 
e per la minore loro insinuazione fra gli elementi contrattili , 
sono meno disposti, od anche intieramente si sottraggono alla 
pressione muscolare, od agli effetti del nuovo atteggiamento as- 
sunto dal muscolo in contrazione. 

Nel caso concreto però, meglio che ad una pressione con- 
trattile del muscolo, puossi determinare, che il ritrarsi del sangue 
verso i tronchi, è dovuto ad impervietà dei rami, per stiramento 
ed assottigliamento dei medesimi, indotto dall’allungamento del- 
l’osservato tratto d’ intestino per contrazione de’ suoi muscoli 
circolari. 

E infatti: nella rana preparata, osservando nell’ anzidetto 
modo la coronaria e i grossi suoi tronchi nella concavità del 
ventricolo, se questi vasi non sono iperemicamente turgidi, vi si 
vede la corrente sanguigna, manifestata dai globuli rossi, che a 
guisa di finissimi granellini si travolgono nel vaso, od isolati, 
od anche, spesso, agglomerati in più o meno voluminose masse 
rossastre. E si rileva, che quando un vaso longitudinale deve 
tener dietro all’allungamento contrattile del ventricolo, il vaso si 
assottiglia e la corrente si accelera nel medesimo; ma poi con- 
tinuando, coll’allungarsi del ventricolo, il suo assottigliamento, 
scompare affatto, e si vedono ingorgarsi i tronchi, dai quali ema- 
nano e questo e gli altri rami secondarii, fatti temporariamente 
impervii dal soverchio allungamento. Quando invece rilasciandosi 
le fibre circolari della corrispondente zona del ventricolo, questa 
si accorcia, in allora si vedono sgorgarsi i tronchi e riapparire 
nei rami secondarii la corrente, che sotto le varie modalità di 
contrazione o di rilasciamento, si accelera, si rallenta od anche 
regredisce. 

Quello che in questo caso concreto ho osservato per le ar- 
terie, ho pur veduto verificarsi per le vene. Sulla convessità della 
curva formata dalla porzione pilorica del ventricolo, nella rana 


. 


così preparata, è abbastanza costante una vena, che da questa 


STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE 53 


porzione pilorica si riassume nel solco che essa forma alla sua 
congiunzione col duodeno. La dispersione di questa vena è visi- 
bile in una estensione relativamente vasta della porzione pilo- 
rica e si vede la corrente del sangue decorrere verso il tronco 
nell'indicato solco duodenale. Appena si ecciti leggermente con 
un ago la porzione pilorica, insorge una tale contrazione cir- 
colare, per cui essa si allunga verso il duodeno. La vena si 
allunga pure e si assottiglia, con iniziale acceleramento della 
corrente, fino a scomparire, per poi ripresentarsi invertita a 
riempiere tutto il sistema, fino all’iperemia, al sopraggiungere del 
rilasciamento. 

Da queste osservazioni, che io ho ripetuto moltissime volte 
e sempre con identici risultati, è desumibile, che il grado di 
replezione dei vasi sanguigni e la circolazione del sangue nei 
medesimi si modifica nei diversi atteggiamenti degli organi con- 
trattili. E per il caso speciale della contrazione gastro-intestinale, 
sapendosi come essa possa essere eccitata da oligoemia, in seguito, 
per esempio, a pressione sull’aorta, o da stasi per ingorgo ve- 
noso, diventa interessante la dimanda: se mai, sulla ordinata 
trasmissione, o sulla forma peristaltica di questa contrazione, non 
potessero avere influenza delle eventuali e parziali anemie ed 
iperemie, che la precedente zona contratta determinasse nella 
zona successiva, con conseguente eccitazione della relativa sezione 
di plesso nervoso mio-enterico. Nè questa dimanda potrebbe pas- 
sare a priori inavvertita, quando, in relazione colla teoria di 
Mayer e v. Bosch, sulla eccitazione carbonica del midollo al- 
lungato, quale causa del ritmo respiratorio, si attribuisca, come 
già si è attribuito, all’acido carbonico la eccitazione del plesso 
mio-enterico per ispiegare la insorgenza della contrazione peristal- 
tica. Pensando infatti, che tanto l’ anemia, quanto l’ iperemia 
possono indurre carbosi dei tessuti nel corrispondente territorio 
vascolare, per deficienza relativa di globuli rossi nel primo caso 
(dissociazione gazosa), per diminuito scambio gazoso da rallen- 
tamento del circolo nel secondo, facilmente si comprende, come 
dalle modificazioni che una zona contratta dell’intestino può in- 
durre nella capacità dei vasi di una zona successiva e nella ve- 
locità della loro corrente sanguigna, possano derivarsi per quest’ul- 
tima zona le condizioni opportune per una eccitazione carbonica 
del suo plesso mio-enterico. Certo che questa non può essere 
considerata come causa unica della forma peristaltica della con- 


54 E. OEHL 


trazione, che vediamo avverarsi anche indipendentemente dalla 
circolazione nell'intestino isolato, ed anche in una sola ansa espor- 
tata del medesimo, ma prescindendo in questi casi dalla grande 
irregolarità della forma peristaltica, in ogni punto turbata dal- 
l’antiperistaltica e dalla spastica, è bene inducibile, che anche i 
nervi ed 1 muscoli dell’ intestino, possano risentire, come risen- 
tono, a guisa degli altri muscoli e nervi, l’azione di altri stimoli 
(aria, bile, corrente indotta). Se non che la sussistenza in questi 
casi, di una tuttochè turbata forma peristaltica, induce a rite- 
nerla connessa ad una particolarità di struttura, collimante colla 
peculiarità della eccitazione fisiologica ; precisamente come av- 
viene, che colla peculiarità della eccitazione fisiologica cerebrale 
collimi la struttura nei rapporti periferici di date fibre nervose_ 
con dati gruppi di muscoli volontarii. 

Applicai pure l’accennato metodo alla osservazione del bulbo 
aortico della rana, nella quale, scoprendo il cuore e levando il 
pericardio, si vede dal tronco carotico-linguale destro, in vici- 
nanza alla sua confluenza col sinistro nel contrattile bulbo, spice - 
care una piccolissima arteria, che discende a disperdersi sullo 
stesso bulbo, di cui viene quindi a rappresentare il vaso arte- 
rioso. L'origine di questo ramo dal tronco carotico è imbutiforme 
e segna nel punto di sua emergenza da questo tronco una mac: 
chietta rossigna. Va poi tosto restringendosi in un lungo vaso, che 
decorrendo pressochè rettilineo e discendendo nel solco di sepa- 
razione del tronco carotico dal bulbo, riascende quindi da questo 
solco per disperdersi al medesimo, da cui probabilmente si rias- 
sume nella così detta vena cardiaca, alla addominale (Hyrtl). 

La diastole del bulbo si annuncia cen una istantanea proie- 
zione delle sue pareti al principio della sistole ventricolare, sus- 
seguita dalla diastole quando è sul finire la diastole del bulbo; 
motivo per cui vi ha un breve istante, nel quale amendue gli 
organi sono in diastole , incipiente pel ventricolo , terminale pel 
balbo. Quest'ultimo, fattosi più globoso nella diastole, si avvi- 
cina maggiormente al tronco carotico, e tende quindi ad elidere 
il solco interposto fra esso ed il bulbo, mentre invece assotti- 
gliandosi ed allungandosi verso il basso nella sistole, si allontana 
dal itronco carotico e ne amplifica il solco suddetto. È pur de- 
gno di osservazione il fatto, che in fin di diastole il bulbo è 
anche risospinto in alto verso i tronchi carotici dalla incipiente 
diastole dell’allungatosi ventricolo, e che i tronchi carotici allun- 


STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE 55 


sati, col bulbo, dalla sistole del ventricolo, sono pur stirati in 
basso dal suo stesso accorciamento sistolico. 

Dal che risulta un maggior grado di elisione del solco bulbo- 
carotico nel volgere della diastole bulbare, pel motivo che il bulbo, 
oltre all’avvicinarsi ai tronchi carotici per il fatto stesso della 
sua diastole, è anche risospinto verso di essi dalla incipiente 
diastole del ventricolo, mentre d'altra parte non può essere am- 
pliato dall’abbassamento del bulbo per opera del ventricolo si- 
stolico, perchè compensato questo abbassamento dal contempo- 
raneo allungamento dei tronchi carotici. 

Dal concorso di queste cause risulta un aumento di differenza 
fra la maggiore e la minore ampiezza del solco, rispettivamente 
nella sistole e nella diastole del bulbo. E siccome abbiamo detto 
che questo solco è attraversato dall'arteria, che potremmo chia- 
mare bulbare, così ne risulta per essa un corrispondente allun- 
gamento ed accorciamento. 

A queste variazioni di lunghezza dell’ arteria corrispondono 
le modificazioni di: velocità della corrente sanguigna nella me- 
desima. A vero dire, fino a tanto che sul principio della osser- 
vazione il cuore pulsa con frequenza normale o maggiore, l’arteria 
essendo turgida di sangue, non vi si può scorgere la corrente. 
Ma quando, perdurando l’osservazione, le sistoli ventricolari co- 
minciano a rarefarsi e l'arteria comincia di conseguenza a re- 
lativamente vacuarsi, in allora vi si vede distintamente la corrente 
diretta dal tronco carotico al bulbo non solo, ma si veggono 
eziandio delle sensibili variazioni di velocità e perfino delle pe- 
riodiche inversioni di direzione. Si vede, cioè, che la corrente 
si accelera ed avanza nella sistole del bulbo, si rallenta ed anche 
retrocede nella diastole del medesimo. E siccome abbiamo veduto 
che durante la sistole del bulbo si amplifica il solco bulbo-ca- 
rotico e si allunga quindi l’arteria che lo attraversa, così questo 
acceleramento della corrente, anzichè all'aumento sistolico della 
pressione del ventricolo, in allora diastolico, dovrà essere attribuito, 
come per l’ intestino, e per legge idraulica, alla diminuita sezione 
dell’arteria per suo allungamento. 

Questo fatto dell’allungamento dell’arteria nella sistole del 
bulbo e dell’acceleramento della corrente nella medesima, quando 
si volesse applicarlo, come per il peristaltico intestinale, alla 
spiegazione della contrazione ritmica del cuore, dovrebbe essere 
interpretato in guisa, che il bulbo trovasse lo stimolo determi- 


56 E. OEHL 


nante la contrazione in un’accumulo di CO, durante la sua 
diastole, per accorciamento dell’arteria e relativo rallentamento 
della corrente sanguigna nella medesima. E trasferendo questa 
interpretazione al cuore degli animali superiori, dobbiamo ricor- 
dare, come pungendo una diramazione della coronaria in animale 
vivente, il getto sanguigno aumenta sistolicamente per essa, come 
per tutte le arterie, a prova che nella diastole dei ventricoli 
dovrebbe aver luogo un relativo rallentamento. Resterebbe a pro- 
varsi, se a questo relativo rallentamento diastolico della corrente 
nella coronaria dei ventricoli corrisponda un’acceleramento, assai 
probabile, nei vasi degli atrii sistolici, e quindi sommariamente 
nel tempo, in cui i ventricoli sono in diastole. Non ho avuto 
fino ad ora l'opportunità di ripetere con maggior rigore questa 
esperienza, che deve essere fatta, con respirazione artificiale, in 
animali voluminosi, e che supposta indubbiamente affermativa, 
oltrechè depurata dalla influenza che sul riscontrato accelera- 
mento potrebbe esercitare la pressione muscolare, dovrebbe pur 
sempre coordinarsi al fatto della persistenza della contrazione 
ritmica nel cuore esportato dei batraci. 

Una terza applicazione dell’indicato metodo di osservazione, 
io la feci, con risultanze che mi sembrano interessanti, a quella 
vena della rana, che suolsi dire comunicante, per la comunica- 
zione che stabilisce fra la crurale o femorale e la vena ischiatica 
dello stesso animale. rispettivamente corrispondenti nel bacino 
alla iliaca esterna ed interna dei mammiferi. Più specificati det- 
tagli su queste risultanze mi riserbo di dare in apposita Memoria, 
che sto elaborando. Mi sia dato soltanto annunciare per ora : 
che nel modo già indicato ho potuto osservare la corrente. san- 
guigna nella femorale, dalla sua apparizione fra il vasto esterno 
e il retto anteriore, alla foce in essa della vena comunicante : 
che nell’ aperto bacino ho pur potuto osservarla nel prolunga- 
mento di questa vena in iliaca esterna, non che nel prolunga- 
mento iliaco-interno della ischiatica : che meglio e più frequen- 
temente che in queste due vene, è dessa osservabile nella, fra 
esse, anastomotica vena comunicante e in pressochè tutti i suoi 
affluenti. 

Se non che ho potuto con certezza stabilire, non essere, come 
infatti non deve essere costante in questa vena la direzione della ‘ 
corrente, la quale più spesso è diretta dalla femorale alla ischiatica, 
alcune volte però anche in senso opposto, dalla ischiatica alla 


STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE 5% 


femorale. Queste variazioni dipendono dal diverso grado di re- 
plezione di un plesso, attraverso il quale, la ischiatica e la sua 
continuazione in iliaca interna, giungono colla esterna — continua- 
zione della femorale — alla iliaca — primitiva — di Miiller ; per modo 
che, vacuo che sia relativamente questo plesso, prestasi a guisa 
di serbatojo collaterale a ricevere dalla comunicante una parte 
del sangue della femorale, mentre invece riceve quest’ultima dalla 
stessa vena una parte del sangue della ischiatica quando ne sia 
turgido il plesso. Non potendosi poi derivare la replezione di 
quest’ultima da ostacolato suo sgorgo nella iliaca primitiva, la 
quale in tal caso, oltrecchè della ischiatica, dovrebbe pur de- 
terminare un ingorgo dell’altro suo affluente femorale, così bisogna 
ripeterlo da tali condizioni della corrente in ambo queste vene, 
per cui, a corrente ordinaria una parte del sangue della femorale 
si scarichi nell’ampio plessiforme serbatojo della vena ischio-iliaco- 
interna, mentre invece, a corrente accelerata di questa e della fe- 
morale, ne venga, per eccessiva affluenza alla iliaca primitiva, colla 
replezione del plesso, un rigurgito per la comunicante alla femorale. 
La maggiore frequenza ora, colla quale mi fu dato osservare 
la corrente della comunicante verso la ischiatica, può dipendere 
appunto dalla relativa deplezione del plesso ischiatico, tanto per 
‘ immobilità dei fissati arti pelvici — come vedremo più innanzi — 
quanto e più principalmente per emorragia, la quale, benchè 
varia nel grado, non può però essere naturalmente evitata del 
tutto. Se però ci facciamo a considerare, che la causa, la quale 
più frequentemente e più direttamente può agire nel senso di 
provocare un’acceleramento della corrente nelle vene degli arti 
pelvici, è la contrazione muscolare, resta giustificato il dubbio, 
che in condizioni normali debbasi alla variante intensità di questa 
causa, la variante direzione della corrente sanguigna nella co- 
municante ; direzione che sarebbe verso la femorale, quando per 
azione muscolare s’ingorga il plesso della ischiatica; sarebbe 
invece verso la ischiatica — come generalmente avviene per le rane 
fissate — quando per mancata azione di muscoli, il depleto plesso 
della ischiatica presenta allo sgorgo della femorale una resistenza 
minore in confronto della sua foce nella iliaca. Se ora si pensi 
alla frequenza del salto e del nuoto, che sono i movimenti più 
comuni della rana; se si pensi che l’azione degli arti pelvici è 
contemporanea in questi movimenti, e che non è quindi possibile 
una laterale compensazione sanguigna, eventualmente ammissibile 


58 E. OEHI, 


nelle azioni alterne, per esempio, dell’incesso ; se si pensi alla 
contemporaneità colla quale, da tutte le vene dei due arti pelvici 
affluisce un’accelerata corrente ai loro tronchi, facilmente si com- 
prende, come debbano bilateralmente ingorgarsi nel bacino i plessi 
della vena ischio-iliaco-interna, e come debba quindi la corrente 
rifluire da questa vena alla femorale per la via del più cospicuo 
ramo intermediario , rappresentato appunto dalla vena comu- 
nicante. 

Questa rifluenza però condurrebbe ancora allo stesso effetto 
d’ingorgare, cioè, la iliacap rimitiva quale affluente comune della 
ischiatica e della femorale, se non fosse, che prima di tale con- 
fluenza si spicca dal prolungamento iliaco-esterno di quest’ultima 
vena un considerevole ramo, che con quello del lato opposto 
forma la impari vena addominale. Or mentre questa vena, de- 
componendosi nel fegato colla porta, stabilisce da una parte 
la comunicazione tra il sistema di essa porta e quello della cava 
ascendente, tiensi pure d'altra parte in rapporto, per varii rami 
anastomotici attraverso la musculatura addominale, colla grande 
cutanea, che versandosi nella cava discendente , .dischiude una 
comunicazione tra essa e l'ascendente. Tutto quindi il sangue 
più velocemente refiuo dagli arti pelvici a quest'ultima vena tende 
ad equilibrarsi: 1° indirettamente nella medesima per la via 
dell’addominale e dell’epatica, evitando di tal guisa un ingorgo 
di quel suo tratto che corrisponde all’angioesi renale; 2° diretta» 
mente nella cava ascendente per la via dell’addominale e della 
grande cutanea, procurando di tal guisa una più equabile di- 
stribuzione del sangue nei due grandi sistemi delle cave. Ed 
alla determinazione di un tale e tanto equilibrio, se non, forse, 
esclusivamente, si applica però massimamente la vena comuni- 
cante, la quale doveva essere quindi una vena relativamente 
cospicua, e talmente protetta per ubicazione sottocutanea nel solco 
torso-coxale e per abbondante adiposità della propagine della 
fascia ileo-coccigea che la involge, da non essere ostacolata nella 
medesima la libera direzione della corrente alla ischiatica, o il 
suo invertimento alla femorale ogni volta che sieno ingorgati i 
plessi venosi del bacino. 

Questa disposizione non è punto estranea alla organizzazione 
del sistema venoso degli animali superiori e cell’uomo. Se non 
che, in relazione colla maggiore attività respiratoria e perspi- 
ratoria della cute della rana e colla maggiore semplicità del suo 


STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE 59 


sistema venoso, risultò dal corrispondente processo evolutivo una 
relativa maggiore facilità di comunicazioni ed una prevalenza di 
compensazione, che ameremmo dire superficiale, in confronto della 
più profonda degli animali superiori. 

Anche nell'uomo infatti abbiamo nella circonflessa un mezzo 
di compensazione fra le iliache secondarie, che la rana riproduce 
poc'oltre all’esterno nella comunicante fra la ischiatica e la fe- 
morale. Anche nell'uomo abbiamo un mezzo di compensazione 
nel sistema della cava inferiore, mediante le anastomosi riscontrate 
e ritenute normali da Burow, fra la epigastrica inferiore — dalla 
iliaca — e l’ombelicale (alla porta) o con maggiore verosimiglianza 
embriogenica, parzialmente — secondo Theile — a questa vena ed 
alla cava (1). Sarebbe questa una riproduzione, relativamente 
meno ampia e meno diretta dall’ anastomosi cruro - epatica della 
rana per la via della grande addominale. Ed anche nell'uomo 
abbiamo finalmente un mezzo di compensazione fra le due cave 
per la via dell’azigos, dell’emiazigos e della lombare ascendente, 
che pei plessi venosi sacro-lombari, comunica colla iliaca  pri- 
mitiva. Questa via di compensazione, con maggiore semplicità e 
per conseguenza in modo più diretto e con maggiore superficia- 
lità di vasi, è segnata nella rana dalla vena addominale e dalle 
sue anastomosi colla grande cutanea. 


(4) È noto del resto, come al proposito delle comunicazioni fra la porta 
e la cava inferiore, già Retzius osservasse ed Hyrtl confermasse la costanza 
dell’anastomosi fra quest’ultima vena e la mesenterica. Lo stesso Hyril con- 
sidera poi l’anastomosi normale del Burow, come un rattempramento del- 
l’anomalia osservata da Menière e da Serres, di un’ampia vena anastomotica 
fra l'iliaca destra e il tronco della porta; interpretazione questa di Hyrtl, la 
quale è ampiamente giustificata dalla storia dello sviluppo del sistema ve- 
noso. 

E come vi hanno analogie morfologiche, così vi hanno anche analogie 
fisiologiche, poichè anche negli animali superiori e nell’uomo, se non l’or- 
dinario, il rapido incesso e meglio ancora la corsa, quali movimenti che non 
lasciano tempo alle compensazioni collaterali dell’ingorgo dei plessi sacro- 
lombari per accelerata corrente venosa dagli arti pelvici, non solo devono 
indurre una compensazione per la via dell’azigos, ma anche per quella della 
epatica, non potendosi altrimenti spiegare, nel generale ravvivamento del 
circolo, nè la costante iperemia epatica della selvaggina cacciata, nè, come 
effetto di questa, la iperemia splenica per ostacolato scarico della omonima 
vena. 


60 E. OEHL — STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE 


Un ultimo risultato, a mio avviso interessante, cui venni, ap- 
plicando l’ indicato metodo di osservazione, è quello di aver potuto 
determinare l’inizio e il decorso della corrente di linfa versata 
nella vena comunicante ad ogni sistole del cuore linfatico po- 
steriore. Ritornerò su questo argomento nell'altro più dettagliato 
lavoro che, come dissi, mi riserbo di comunicare. Mi basti per 
ora accennare, che osservando nel modo anzidetto, si può vedere 
la vena comunicante percorsa da una corrente, che si accelera 
colla sistole del cuore linfatico e che appare come una ondeg- 
giante striscia bianco-splendente al dissotto della corrente san- 
guigna. Comunque sia diretta quest’ ultima corrente verso la 
ischiatica o verso la femorale, io ho sempre veduto la corrente 
linfatica tenere quest’ultima direzione, lungo la quale ho potuto 
qualche volta per buon tratto inseguirla, discendente nella stessa 
femorale. Quando in seguito alla preparazione dell'animale, con 
incisione della sua cute, si presentano le condizioni opportune 
alla penetrazione dell’aria nel cuore linfatico dai circostanti seni 
linfatici, si può anche vedere la corrente linfatica interrotta da 
bollicine aeree, che pur si possono colpire nel loro passaggio dal 
cuore linfatico alla vena. Questa osservazione permette quanto 
fino ad ora, per ciò che mi consta, non si è fatto, di deter- 
minare, cioè, con esattezza, il punto in cui comincia ad apparire 
sul decorso della comunicante la corrente linfatica e il punto 
quindi in cui mette foce a questa vena il dottolino del cuore 
linfatico. Questo punto corrisponde generalmente al termine del 
segmento iliaco della prima curva della comunicante, contiguo 
alla spina iliaca, e prima che la comunicante stessa abbia de- 
scritta una seconda curva di passaggio su questa spina. 


61 


Sul calcolo degli azimut mediante le coordinate rettilinee, 


per NIcopEMO JADANZA 


Scopo della presente nota è quello di calcolare gli azimut 
della geodetica che unisce due punti di 4° ordine di cui si co- 
noscano le coordinate rettilinee rettangolari riferite ad un'origine 
qualunque, limitandoci al caso in cui i due punti appartengano 
ad un medesimo foglio della carta d’Italia, cioè sieno compresi 
entro un trapezio sferoidico limitato da due paralleli distanti per 
20 primi di latitudine e da due meridiani che differiscono di 
30 primi in longitudine. 

La risoluzione di tale quistione può essere di grande utilità 
per il topografo, quando questi debba collegare un lavoro di 
dettaglio a punti geodetici stabiliti in precedenza. 


1. 


Nel caso che le latitudini © e @' dei due punti A e B sieno 
al massimo differenti di 10' e le longitudini al massimo di 15° 


p 


A 


(come succede per tutti i punti di un foglio della carta d’Italia 
al centomila riferiti al loro centro), le formole che servono al 


62 NICODEMO JADANZA 


calcolo delle coordinate geografiche di B e gli azimut della geo- 
detica A B ai suoi estremi sono quelle di Legendre limitate ai 
termini del 2° ordine, ossia, come è noto, le seguenti: 


9 
ta 


hi S COS 2 (ssenz) 4 

3 CAL SRI SL RA, 

a psenl 2p Nsenl IÎ 
ssen 2 


AG= Soria 
Nsen1 cosq \ 


1 , 
m=Afsenz(g+0) 
e=180+24m. 


Nelle quali formole è Ao=gy—9, A40=6—0, 2=azimut 
di Bin A, 2'=azimut di A in B, »m è la convergenza dei 
meridiani tra A e B, s la geodetica A B. 

Adoperando le formole precedenti non si avrà mai un errore 
superiore al centesimo di secondo, semprechè s è minore di 20 
chilometri (*). 

2. 

Le formole precedenti permettono di risolvere l’altro problema 
del calcolo della geodetica che unisce due punti di cui si cono- 
scono le coordinate geografiche, e gli azimut di essa ai suoi 
estremi. 

La seconda delle formole (1) dà 


ssenz== A @ Nsenl'.cosq'. 


Sostituendo questo valore nella prima sì ottiene 


S COS Z N 
Aoe= ——.,—- =—senl'tg0.(A6coso)? 
o psen 1 2p gd ( ' ) c} 


(*) Uno dei termini del 3° ordine che si trascura nella prima delle (4), 
e propriamente il più influente è 
a ì sen 2 9. cos? 
tot sen 29.008 3. 
21—e#2pNsenl” P * 
Il quale, nel caso più sfavorevole di = 0°, g= 45°, si riduce a 0",01 per 
pr=19700 7 


SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 63 
donde 
x 1) EI Li (A4cosg)? 
scosgz= A%g4psen — sen o-—_—_—_—t___|g 
| f 20 gd Ao 


Passando ai logaritmi si ottiene, ponendo per brevità , 


- 


TN 
a tg gl(2): 
di 4) 
7 AI. cos 0)? 
log.scose=log. A .psen1l pa 
ti Aq 


log.ssenz=log.A9coso' . Nsen 1° | 


MO) 


Dopo aver calcolato i valori di log. s senz, log.s cos: mediante 
le formole (3) l’azimut 2 sarà dato da 


log. tg 2 = log. ssen 2 + colog. s cos 2 CER), 
la geodetica s dall’altra 
log. s = logs sen 2 + colog. sen 2 MERA (1/5 


e l’azimut reciproco 2 dall’ultima delle (1), cioè dalla 


2'=180+2+ 40sen-(0+%0) Pur(0)- 
Le formole precedenti sono forse le più semplici per la risolu- 
zione del problema del calcolo della distanza tra due punti e 
degli azimut reciproci della geodetica, quando questa non supera 
i 20 chilometri. 

Il calcolo numerico si semplifica ancora di più adoperando 
la tavola annessa dove si trova il log P di 10'in 10' tra le 
latitudini 36° e 70°. 


ESEMPIO 
Dati 


A 450 0h le 000° 040 #34 500 
b g45 04 49 449 > 0-4 41 07638 
DD 449178449 > ABT9 45, 552=409,552 


64 NICODEMO 


logAG=2.2189344 

log. coso — 9.8488747 
log. Ad coso =2.0678091 
log. Nsenl'—1.4909450 


log.ssenz =3.5587541 


JADANZA 


log Ag=2.2515142 
logosen 1"=1.4894899 


3.7410041 
810 


A Gcosg 
Au R- 


log.s cose = 3.7410851 


co 


log P=1.02430 

log A fcosg =2.06781 

» 2.06781 

colog A o0=7.74849 

log correz. —2.90841 
pAico8? gio 


log s senz —=3.5587541 
colog. scosz=6.2589149 


log. tg.2z=9.8176690 
= 33° 18 40°, 28 


logsenz —=9.739 71 95 
logA 9=2. 


log.ssenz—=3.5587541 
colog. senz= 0. 2602805 


logs=3.8190346 


s=6592".27 


2189344 


1 
log senz (0 +9')=9.8499062 


2. 


=iolo de t40., 


0688406 


18 
18 


28 


21020037, 


46 


SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 65 


Le formole (3) dànno immediatamente le coordinate rettili- 
nee dei punti compresi in un foglio della carta d’Italia riferite 
al centro del medesimo. Indicando con X ed Y codeste coor- 
dinate si avrà 

X=A@cosp.Nsenl" | ; 

Y= Agpsenl' | vige: 
Le quali sono anch’ esse tanto semplici e facili al calcolo nu- 
merico specialmente se si osserva che le quantità 2sen1", Nsen1" 
sono le medesime per tutti i punti di un medesimo foglio. 

Così p. e. il punto A (vedi Tavole 1*, 2°) appartiene al 
foglio 56 della carta d'Italia; per calcolare le sue coordinate 
rettilinee, osservando che le coordinate geografiche del centro sono 


o=45° 10°, O=—4° 45' 


sì avrà 
logosenl'—=1.4895003 log N senl"—1.4909484 
logAg=2.6893089n logAG—1.8248415 
log Y—=4.1788092w logcoso —9.8492512 
log xX= 3, £6504/F1 
Y=— 15094,17 X=1462.32 


Se sì paragonano le (7) e le (3) si ànno le relazioni seguenti 
log. X=log.ssene 


(49c0sy)? 


log Y= log. s cose — P 
Aq 


ovvero, per le (*) 


log. X=log ssenez 


M 
log Y=- log. = ie. 10 
0g Og. 8 COS £ (3 N 


Queste ultime operazioni mostrano che, quando sono date le coor- 
dinate rettilinee dei punti appartenenti ad un foglio della carta 


Atti R. Accad, - Parte Fisica — Vol. XXIII, 5 


66 NICODEMO JADANZA 


d’ Italia, la distanza del punto del centro del foglio e l’azimut 
di codesta geodetica si potranno calcolare mediante le formole 
seguenti : 

log. s senz = log. X 


Mt 3g 
log. scos z = log. Y+(10.7-5%) 7 
ovvero, ponendo 
M tg 
—10°—, — 
Q 2 
log. ssenz = log. X 
la i MAN 
log. scos e == log. YrtO5 (9) 


I logaritmi della quantità @ corrispondenti a ciascun centro di 
sviluppo sono dati nella tavola 1° 
Ponendo per brevità 


X 
tgo=-= DE 
TO) y (10) 


l’azimut del punto le cui coordinate sono X, Y si potrà anche 
avere mediante la relazione 
QXNtg% 


2z=0— o 
d È 


(11) 


dove d" è la differenza tavolare di #g© per 1". 
La convergenza dei meridiani dovrebbe calcolarsi mediante 
la terza delle (1); però siccome si ha 


CAR 0 
psen 1 
sarà 
1 ; 1 NE ) 4 
56+#)=3(% +84 pn) = Pt 2 senl' 
e quindi 


=; spal V 
sen — (4 Salon i vasi = ES 
dI (ig DE end 


cosg = cosg (1— fgg A -) 


SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 67 


MN 
— Nsenl'cosg Nsenl'coso 


(1+097).. de) 


Sicchè si avrà 
22 ii | 1 mas. ) sen © (1 + cot o 5) 
Nsenl coso 2g Sl i ‘2p 
ovvero 


ii A 1 fa; È È 


Pel calcolo numerico si avrà 


X 
logm=log = : ji (99+pY+gaY ea) 

essendo 

Mtgq M 

p= s g==-cot 
? 20,00 

L’azimut reciproco di VA sarà dato da 

2=1804+2+%m sa RUAE 

4° 


Le formole precedenti servono a calcolare gli azimut e le 
distanze dei punti di cui si conoscono le coordinate rettilinee 
rispetto al centro di un foglio ; passiamo alla risoluzione dell’al- 
tro problema. 


X 


Date le coordinate rettilinee di due punti A e B, trovare 
la loro distanza e gli azimut reciproci della geodetica AB. 


68 NICODEMO JADANZA 


Mediante le coordinate rettilinee di A si calcoleranno la geo- 
detica 0 A=s, e gli azimut 2, 2' di essa. 

Mediante le coordinate rettilinee di B si calcoleranno la geo- 
detica 0B=s, e gli azimut reciproci 2,, 2, . 

La differenza degli azimut 2, e z darà l'angolo in Q del 
triangolo 0 A B cioè sarà 


LA] = 


Gli angoli A e 5 del triangolo ora detto si calcoleranno 
per mezzo delle note formole 


Di S.—=# i 
ig -(A-- Beto -|A5°R 
9 5( ) e 4 + B) 
1 1 
g (AB) 992) 
L’azimut di B su A sarà = — A 


e quello di A su B sarà =2,+B . 


Siccome, per la prima delle (9), indicando con X, ed Y, le 
coordinate di A e con X, ed Y, le coordinate di B, si ha 
X, Xi 
Sa = ’ S= ’ 
sen 2 senz, 


sì avrà 
Sh Sa X,senz— X,senz, 


S+ 5, X,senz+ X,senz, 


e quindi, ponendo, 


igd= = 1 SA (15) 

sarà definitivamente 
1 sE Li 
tg 5 (A—- B)=tg(45 ab i © Li OS 2) Î 


1 1 
3(4A+B)=90-;(a,—%) 


SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 69 


ho 


Quando dalle coordinate rettilinee di un punto si volesse pas- 
sare alle coordinate geografiche (supposte note le coordinate geo- 
grafiche del centro del foglio cui il punto appartiene) si proce- 
derebbe nel seguente modo. 

Le (7) dànno: 

Y 
— psenl' 
nta XxX 
— Nsenl'cosg' 


"o 


AG 
ossia pel calcolo numerico 


logA g =log Y + colog.p sen 1° I 


\ LA 
logA9= log. X+ colog. N sen 1' + cologcos q' | i 


6° 


Per risolvere il problema di cui ci siamo occupati al N° 4 
sì può procedere anche nel seguente modo. 

Per mezzo delle coordinate X,, Y, del punto A si calco- 
leranno mediante le (17) le coordinate geografiche di A. 

Per mezzo delle coordinate X,, Y, di 5 si calcoleranno le 
coordinate geografiche di DL. 

Avute le coordinate geografiche dei due punti A e B, le 
formole (3), (4), (5), (6) permetteranno di risolvere il problema 
completamente. 

Questo metodo è certamente preferibile a quello del N° 4°. 

Se le formole (3)...(6) non saranno applicabili a qualche 
caso speciale si ricorrerà a formole più rigorose. 


ESEMPIO 
I punti A e B aventi per coordinate 
Ko 1462”, 32 , X,= 5081”, 456 
Fo =>150004"5 E, Yy,=— 9585 , 907 


70 NICODEMO JADANZA 


appartengono al foglio N° 56 della Carta d’Italia. Le coordi- 
nate geografiche del centro di quel foglio sono (Vedi tavole I e II) 


o=45° AVE PESTE 


trovare la geodetica AB e gli azimut reciproci di essa 
Per calcolare le coordinate geografiche di A e B si adope- 


reranno le (17). 


Punto. 4. 
log Y,= 4.1788092 n log X,=3.1650411 
cologpsenl'= 8.5104997 colog Nsen1l "= 8.5090516 
log Aw,=2.6893089 n colog cos g'=0.1507488 
Aq,=— 489.00 logA9=1.8248415 
— —8'09.00 AG=66",81= 0°01'06°.81 
g=45 10. 90=- 4 45 i 
o =45° 01 51°.00 9 4° 4355300008 
Punto .. 
log Yy=3.9816332 x log X,=3.7059882 
logosen1'=8.5104997 log N sen 1" — 8.5090516 
logAg=2.4921329n colog coso =0.15112583 
Ag=— 310".551 log A 9=2. 3661651 
Ag=— 0° 05'10".551 AQ= 232.362 
= 45 10 A9Q=" 0°03'52". 362 
p'= 45°04'49".449 pl 45 


G=—4°41'07".638 


Conosciute le coordinate geografiche di A e B il calcolo fatto 
al N° 2. darà la distanza e gli azimut richiesti. |, 


SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 71 


Nota I. 


Le formole (1) dette di Legendre o di Delambre debbono 
essere adoperate, come abbiamo detto, per s non maggiore di 
20 chilometri, altrimenti si farà sentire l’influenza dei termini 
del 3° ordine che si trascurano. 

Nei modelli di calcolo annessi al regolamento per il Catasto 
Modenese si trova calcolata la posizione geografica di M' Pa- 
lanzuolo mediante quelle conosciute di Pizzo Menone e Campo 
di Fiori. Il primo di questi punti dista da Palanzuolo per più 
di 29 chilometri ; il secondo dista dal medesimo di circa 34 
chilometri. In questo caso non dovevano applicarsi le formole di 
Legendre limitate al 2° termine. Perciò in quell’esempio nume- 
rico vi è una grave discordanza (5 centesimi di secondi) tra le 
due latitudini ed anche tra le longitudini (2 centesimi di secondo). 

Con formole più rigorose si sarebbe avuto il risultamento 
seguente : 

Latitudine di Palanzuolo proveniente da 


Campo dei Fiori = 45° 51' 43", 09 
» » Pizzo Menone cri >. » 43 .10 


Longitudine di Palanzuolo proveniente da 
Campo dei Fiori = — 3 15 04, 85 
» » Pizzo Menone = >» » 04, 84 


Le formole di Delambre che si trovano in quei modelli e 
che coincidono con quelle che si usavano una volta nell'Istituto 
Geografico Militare non sono rigorosamente identiche alle (1) 
che sono esatte. 


Nora II. 


Le coordinate rettangolari dei punti trigonometrici, riferite 
al centro di ciascun foglio, possono essere calcolate o mediante 
le (7), ovvero mediante tavole ausiliarie che danno in metri i 
valori dei secondi di latitudine e longitudine. 


72 NICODEMO JADANZA 


Quando le coordinate rettangolari debbono servire a scopo 
grafico è indifferente calcolarle nell’uno o nell’altro modo. Ma 
se, come può accadere, debbono essere considerate come elementi 
da cui poter ricavare o le coordinate geografiche o gli azimut, 
bisognerà calcolarle mediante le formole (7); giacchè le tavole 
ausiliarie daranno sempre degli errori che altereranno special- 
mente le X. 

Così p. e. le coordinate di Poggio Pallone le cui coordinate 
geografiche sono : 

o= 42° 53' 43".02 


O=-— 1 33 51.59 


riferite al centro del foglio 127 della carta d’Italia (p,=42° 50, 
G,=-- 1° 45’) sono, calcolate colle tavole ausiliarie 


X=3+415162". 6), V=P68812,3 
mentre calcolate mediante le (7) sono : 


X=+15163",47; Y=+ 6881", 24. 


Essendo il calcolo delle (7) facilissimo ed esatto, non vi è 
ragione di calcolarle in modo meno esatto con tavole ausiliarie, 


SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 


TavoLa I. 
FOGLI | Latitudine 
della dei Log g sen l' | Log.Nsenl' | Log @ 
Carta d’Italia centri | 
275-276-277 | 36°50'| 1 4888744 | 1. 4907398 |9. 40607 | 
Me OZ4 | 37 10 3» ‘89899 | fix 7479 | 9 1632) 
Sa. 270 | 37 30 » 9233 |» 7561 |9. 41655] 
256....264 | 37 50 > 47 76043) (0 43577) 
MERE 255 | 38.10 » 9724| >» 7725 |9.42697| 
SAN 247 | 38 30 » 9971.|-:-» 7807 | 9. 43215| 
DRM. 243 | 38 50. | 1. 4890218 |" ». 7889 | 9. 43752] 
2.1.0 237 | 39 10 » 0466 s 7972) |09) 442348 
na .-230.| 39 30 » 0715 | »' 8055 |.9. 44763 
Ra 0222 | 39 50 » 0964 av 8438! |, 45276 
204....214 | 40 10 st TOT] dei 21° 8321 (19, 45188 
191....208 | 40 30 >» 1464) » 8805 |9. 46300 
179....190 | 40 50 so 1715.) È» 8388 |l0. 46810] 
Wi e178 | 41-10 » 1966 | s° 8472 |9.47320| 
MoeSi165| 41 30 G° 2218 » 8556 | 9. 47828] 
Wo. 157 | 41 50 >» 2470 » 8640 | 9. 48336| 
142....148 | 42 10 » 2722|. ». 8724 |9. 48843] 
Sa Sli1 | £9 30 » 2975 » 8808 (9. 49350]; 
o 134. 42: 50 »° 8228 » 8893 (9. 49856! 
Mo 125%) £43 10 s S4AST | Tse: 897709, 30362 
MERE L18:| 43 30 se STAI » 9061 | 9. 50867] 
Ma OTIOc| 43.50 >» 3988 sa 9146) d-513721] 
SOGEZAO1, | 44 10 o 4947 a 9831 ORI 
sur... 89 | 44 30 » 4495 » 9315 | 9. 52382 
o. 77] 44 50 >» 4749 » 9400 |9. 52886 
ddr.) 65 | 45 10 >» 5008 » 9484 | 9. 53391 
4) 53 | 45 30 | 1. 4895257 » 9599 | 9. 53895 
ct 40 | 45 50 >» 5510 >» 9653 | 9. 54400 
el: 26 | 46 10 » 5764 » 9738 |9. 54905 
du, 14 | 46 30 » 6018 » 9828 | 9. 55410 
ue, i 46 50 » 6271 » 9907 |9.55915 


NICODEMO JADANZA 


74 


UNICAOLIONOT 


Su 
iS I 


++t+t+t+t++t+t+t+t+++ 


e) 
9 
S 
si 
5 
(O 
SH TE 
G 
G 
I 
I 
0 
00 


1I}u9o TOP 


"199 ‘Fe ‘988 ‘665 ‘123 

‘79T ‘See ‘97e ‘I7e ‘ee ‘868 ‘038 ‘018 ‘OLI 

‘899 ‘FSE ‘SHE ‘078 ‘28% ‘61% ‘608 ‘861 

"UL ‘PLE “0LG ‘396° ‘898 ‘803 “261 

‘916 ‘EL ‘69% ‘198 ‘TS ‘961 ‘F8I 

"Gia ‘GL ‘89% ‘09% ‘TS ‘S6I ‘E8T ‘SLI ‘T9I 

‘TL6 ‘296 ‘696 ‘088 ‘TLI ‘09° ‘GSI ‘OFI ‘OFI 

‘996 ‘898 ‘643 ‘OLI ‘69I ‘ISI ‘SFI ‘681 ‘SI ‘PRI ‘ZII 
‘G9G ‘L96 ‘846 ‘8ST ‘OST ‘PFI ‘88I ‘IST ‘881 ‘OTI ‘601 


‘873 ‘188 
| 


FIG | 

"668 ‘SI ‘808 

‘816 ‘606 ‘061 

‘088 ‘103 ‘681 ‘8SZI 
‘TIE ‘006 *881 SLI 
‘661 ‘48T ‘SOI ‘LSI 


‘08T° SAD BITS 


SOT 


‘GRITTI 
‘CUTE ‘BOL III 
‘COP EPC NPI SFEL 


ET (SRL 80 
‘OLI 8908 
‘TOI ‘3968598 


VI'IVII IK VLIIVO VTIIUU IIDOL 


"II YIOAYI, 


‘0% 
‘FI 
‘CI 


SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 


Si 

9 

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6 

6 
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G 

I 

I 

0 

0 
O RAS e 


LI}u9O T9p 
FNICOLIONO"T 


‘ 


06 


62 


‘601 1008 
"Tee ‘ec SIE PC CICIO" GLI 1990 ‘#0P 6° 18 690389 
Bee neo fee S0Igs e 00081 DI, ‘68 ‘OL 90 ‘PR TESI 


ee ene race Le 9000 OI SOL pon 
‘FEE ‘9086 813 ‘L06. ‘POI ‘G81 ‘691 ‘96 ‘48 ‘82 

SRL TL FOLLIA SR 

(EEE SEL SOT L00 

IGEIS8CI GPL ‘900 Roero 

RP (9809680 To PLL LOT 08880999 

(08060 Le PI LEE 3081 CRI STI 80160016 (698% Sp 


‘66 
‘09 
‘19 
‘87 
‘67 
‘08 
‘19 


"8%: ‘905 ‘PSE 
"19 SEGG TE. 188 
‘89 ‘99 ‘cr ‘67 


BL Aiino 
‘97 #68 SI 
WA AREE A 
“Ce 
‘982 DITE 
We Ge Stipe 
‘88 ‘€68 ‘GI ‘ 


VITIVILI II € VIIVO VIITHIO IINHDO0OIL 


‘II VIOAVI, 2099 


76 NICODEMO JADANZA 


TavoLa III 
(0) Log P ( Log P () 
35°00' | 0. 86951 | 39°00'| 0. 93246 | 43° 00' 
10 | 0. 87219 10 | 0. 93503 10 
20 | 0. 87486 20 | 0. 93760 20 
30 | 0. 877583 30 | 0. 94017 30 
40 | 0. 88019 40 | 0. 94273 40 
50 | 0. 88284 50 | 0. 94529 50 
36 00 | 0.88550 | 40 00 | 0. 94785 | 44 00 
10 | 0. 88814 10 | 0. 95041 10 
20 | 0. 89078 20 | 0. 95296 20 
30 | 0. 89342 30 | 0. 95551 30 
40 | 0. 89605 40 | 0. 95806 40 
50 | 0. 89868 50 | 0. 96061 50 
37 00 | 0.90130 [| 41 00 | 0. 96315 | 45 00 
10 | 0. 90392 10 | 0. 96569 10 
20 | 0. 90653 20 | 0. 96823 20 
30 | 0. 90914 30 | 0. 97077 30 
40 | 0. 91175 40 | 0. 97381 40 
50 | 0. 91345 50 | 0. 97584 50 
38 00 | 0. 91695 | 42 00 | 0. 97838 | 46 00 | 1 03890 
10 | 0 91954 10 | 0. 98091 10 | 1. 04142 
20 | 0, 92218 20 | 0. 98344 20 | 1. 04394 
30 | 0. 92472 30 | 0. 98597 30 | 1. 04646 
40 | 0. 92730 40 0. 98849 40 | 1. 04898 
50 | 0. 92988 ada 0. 99102 50 | 1. 05150 


39 00 | 0. 93246 | 43 00 | 0. 99354 | 47 00 | 1. 05408 


48 


49 


50 


51 


SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 


Segue Tavora III. 


17 


30 


Rss enel Ul fees (0) PE fe ped 


fio nm pm pm nm 


fon pn n pm fm 


Log P 


05403 
. 05655 
. 05908 
. 06161 
. 06414 
. 06666 


. 06920 
. 07178 
. 07426 
. 07680 
. 07934 
. 08188 


. 08442 
. 08696 
. 08951 
. 09206 
. 09461 
09716 


. 09972 
. 10228 
. 10484 
.- 10740 
. 10997 
. 11254 


n blbbl 


52 


DO 


D4 


dò 


00 


fendi ip pn cpm pn nm 


fd fd da fd fd fa 


pop pn nm pm nm 


adi aa HWHJHWuî 


Log P 


doll 
-d1709 
. 12027 
. 12285 
. 12544 
. 12803 


. 15063 
. 13322 
. 13582 
. 13843 
. 14104 
. 14365 


. 14627 
. 14889 
. 15152 
. 15415 
. 15679 
. 15948 


. 16208 
. 16473 
. 16738 
. 17004 
- A 7271 
. 17588 


. 17806 


io 


55° 


56 


57 


98 


59 


00' | 


10 
20 
50 
40 
50 


00 
10 
20 
30 
40 
50 


00 
10 
20 
30 
40 
50 


00 
10 
20 
30 
40 
50 


00 


fm pm im nm nm 
ea Sele cana 


. 22736 
. 28017 
. 23298 
. 23580 
. 23864 
. 24148 


. 24433 


78 


NICODEMO JADANZA - SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 


Segue Tavora II. 


1) Log P Log P (A) 
99”00*| 1. 244993 | 63*00°-+ L. 351576 | 07%0D 
10 -| 1. 24719 10 | 1.31889 10 
20 | 1. 25006 20 | 1. 32202 20 
30 | 1. 25293 30 -| 1. 32517 30 
40 | 1. 25582 40 .| 1. 32834 40 
60% 47498441 50 | 1. 33152 50 
b0O700 | 1. 26162 1 6400.) 1. 3347% | 68°00 
10:| 1. 26458 t9:5h 133791 10 
20 | 1. 26746 20% L'SbkI4 20 
80 | 1. 27039 30 | 1. 84437 30 
40 | 1. 27384 40 | 1. 34763 40 
50 | 1. 27630 50 | 1. 85089 50 
DE 001 1 27920 I 652001 195418 _q 09908 
10 | 1 28224 {04195748 10 
20 | 1. 28528 20 | 1.86079 20 
30 | 1. 28823 30 | 1. 36413 30 
40 | 1 29124 40 | 1. 46748 40 
50 | 1 29426 50 | 1. 37084 50 
b2. 001 I. 29730 | 06*DO6: 1 37425 1 7000 
104. 1.'309034 DO OTTO8 
20 | 2 30340 20 | 1.38105 
30 | 1. 30647 30 | 1. 38449 
40 | 1. 30956 40 | 2. 38795 
DO «PL S1265 50 | 1. 39143 
1.31576 | 6700 .| 1. 99492 


63 


00 


fl pr pin pn pm pm 


fp pd pp 


Hu VU aa 


. 46160 


vg) 


Sui calori specifici di alcuni metalli 
dalla temperatura ordinaria fino a 320°, 


Nota del Socio Prof. A. NACCARI 


Cominciai queste esperienze destinate a determinare quanto 
calore sia necessario per riscaldare metalli diversi dalla tempe- 
ratura ordinaria fino a 320° circa, quando gli studi sperimentali 
intorno a tale argomento erano solamente quelli del Dulong e 
del Petit, del Bèede e del Bystròm. Recentemente il Pionchon im- 
prese uno studio consimile, ma esteso a temperature molto più 
alte e ne pubblicò una parte. Però l’esperienze del Pionchon sono 
poco numerose appunto in quell’intervallo di temperatura in cui 
son comprese le mie. 

È facile dimostrare che lo stato delle nostre cognizioni 
rendeva opportuno questo lavoro. 1l Dulong e il Petit (1) die- 
dero soltanto i valori del calore specifico medio per gl’intervalli 
0-100° e 0-300° senza indicare i valori direttamente ottenuti 
dalle esperienze. Queste vennero eseguite con grandi quantità di 
sostanza. Le temperature vennero ridotte a quelle che sarebbero 
state date dal termometro ad aria. Due cause di errore possono 
aver influito sui valori ottenuti. I metalli venivano immersi di- 
rettamente nell'acqua, anche quando essi avevano temperatura 
superiore ai 100°, e nell’atto dell’immersione veniva quindi vapo- 
rizzata dell’acqua e perduto del calore che non si poteva cal- 
colare. Per riscaldare i metalli si tenevano immersi in un liquido : 
quand’essi venivano trasportati nel calorimetro, portavano certa- 
mente con sè un po’ di quel liquido. Si faceva per ciò una cor- 
rezione, ma questa doveva sempre essere alquanto incerta. 

Il Bède (2) pubblicò nel 1856 una memoria sul calore spe- 


(1) Journal de l’ École Polytecnique, 1820. 

(2) BèpE, Recherches sur les chaleurs specifiques de quelques metaua è 
differentes temperatures. Mém. couronnés et Mém, des savants étrangers, pu- 
bliés par l’Académie R. de Belgique, t. XXVII, 1855-56. 


80 ANDREA NACCARI 


cifico dei metalli a varie temperature, memoria cui tuttora si 
ricorre per avere indicazioni intorno a questo argomento. In 
verità l'esperienze furono condotte in modo da far dubitare della 
esattezza dei valori ottenuti. 

Per riscaldare il metallo prima della operazione calorime- 
trica, il Bède lo poneva in un tubo di vetro che stava entro un 
bagno d’olio riscaldato da una fiamma. Il termometro, che do- 
veva dare la temperatura del metallo all'atto dell’immersione, 
non istava dentro il tubo, ma immerso nell’olio circostante, e 
quindi molto probabilmente segnava una temperatura diversa da 
quella del metallo. 

Nel calcolo delle esperienze non si tenne conto delle perdite 
di calore sofferte dal calorimetro fra l’istante dell’immersione e 
quello in cui vien raggiunta la temperatura finale, affidandosi 
all’espediente del Rumford. Le temperature non vennero riferite 
al termometro ad aria. Si lasciavano cadere i metalli anche se 
riscaldati sopra 100° nell'acqua e non si fece alcuna correzione 
per la produzione del vapore. In più casi un punto importante 
nell’andamento del fenomeno fu determinato con una sola espe- 
rienza. Così avvenne, per esempio, per lo zinco e per lo stagno 
a 210°, pel rame a 250°. Il grado di precisione non arriva in 
qualche caso al 2 °/, 

Il Bystròm (1) pubblicò nel 1860 uno studio sui calori spe- 
cifici dei metalli ad alte temperature, ma i valori da lui otte- 
nuti sembrano ancor meno esatti di quelli del Bède. 

Parlerò solamente dei calori specifici fra 15° e 300°, tacendo 
del modo strano ed arrischiatissimo in cui il Bystròm pretese 
di estendere il suo studio fino a 1000 e più gradi. 

L’esperienze vennero solamente eseguite con ghisa, acciaio 
e argento. Nessuna cura fu presa per evitare l'errore prodotto 
dalla vaporizzazione dell’acqua quando s’immerge in essa un corpo 
riscaldato al di sopra di 100°. Il termometro dell’apparato ri- 
scaldante non fu confrontato col termometro ad aria. L'A. as- 
serisce che era perfettamente calibrato e che lo zero non si spostò 
durante le operazioni, ma per ridurne le indicazioni a quelle che 
avrebbe dato un termometro ad aria si applicarono a quel ter- 
mometro, benchè fosse di tutt’altra provenienza, le correzioni 


(1) Brsrròm, Ofversigt af kh. Vetenskap-Ahademiens, 1860, v. 17, p.307. 
Stockholm, 1864. 


SUI CALORI SPECIFICI 81 


date dal Regnault per uno de’ suoi. La correzione per la colonna 
sporgente era per quel termometro grandissima, perchè, anche 
quando la temperatura del bagno era 300°, il termometro era 
immerso in esso solamente fino al punto che corrispondeva a 9°. 
La correzione calcolata dall’A. in un modo diverso dall'ordinario 
e molto discutibile era per 250° eguale a 3°,5. Calcolata nel 
modo ordinario sarebbe stata 7°,7, il che dimostra la grande 
incertezza che ne deriva ai valori del calore specifico. 

L'apparato riscaldante non fu tenuto a costante temperatura. 
Il metallo, su cui si voleva sperimentare, si lasciava cadere nel 
calorimetro, quando la temperatura del bagno passava per il va- 
lore fissato, e ciò alternativamente, quando la temperatura ascen- 
deva e discendeva. 

Estendendo le sue esperienze fino ad alte temperature nel 
modo incertissimo a cui ho fatto allusione, il Bystròm trovò che 
i calori specifici della ghisa e dell’acciaio risultavano eguali alla 
temperatura di 881°. Egli ne dedusse che a quella temperatura 
non aveva influenza sul calore specifico di quelle sostanze la 
diversa quantità di carbonio, e che dovevano essere eguali fra 
loro a quella temperatura i calori specifici del carbonio e del 
ferro puro. Ammessa questa conclusione, che del resto esperienze 
posteriori dimostrarono grandemente erronea, il Bystròm prese 
per il calore specifico del ferro puro a 881" quello trovato per 
la ghisa e per l’acciaio, e preso dalle esperienze del Regnault, 
il calore specifico del ferro puro a 100°, con questi due soli 
punti costruì una curva, da cui dedusse il calore specifico del 
ferro puro con cinque cifre decimali da 0° a 1400°. 

In modo simile fu costruita la tabella che dà il Bystròm per 
il calore specifico del platino da 0° a 1600°. 


Descrizione dell’esperienze. 


L'apparato riscaldante da me adoperato è costituito da un 
cilindro di ferro con doppia parete. Lo spazio centrale è occu- 
pato da aria ed è aperto al di sopra; di sotto può chiudersi 
nel modo che si dirà. Lo spazio anulare è destinato a contenere 
un liquido bollente; esso non ha che due fori sulla base supe- 
riore. Un tubo di ferro, che parte da uno di questi fori, s'in- 
nalza per un certo tratto verticalmente, poi si ripiega ed in 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII, 6 


82 ANDREA NACCARI 


questo secondo tratto è circondato da un refrigerante. Così il 
liquido bollente, venendo opportunamente regolata l'ebollizione, 
ricade e la temperatura d'’ebollizione si mantiene costante anche 
se il liquido non è perfettamente omogeneo. 

Lo spazio centrale vien chiuso al di sotto da una lamina 
che scorre lungo due guide. Dando un colpo all’asta che è con- 
giunta con quella lamina, si fa che venga a trovarsi al di sotto 
dello spazio centrale un foro praticato nella lamina stessa. Così 
resta aperta l’estremità inferiore di quello spazio. Al di sopra 
esso è chiuso mediante un tappo con due fori. Attraverso uno 
di questi passa un filo metallico che sostiene una cestella di 
rete metallica. In questa si pone il metallo su cui sì sperimenta 
ridotto per lo più in bastoncini cilindrici. Attraverso l’altro foro 
passa il cannello d’un termometro, il cui bulbo sta nel mezzo 
della cestella, circondato d’ogni parte dai pezzi del metallo. 

I calorimetri adoperati sono di lamina d’ottone e sul fondo 
di essi sta una reticella di ottone sostenuta da un telaino dello 
stesso metallo. Essa impedisce che il corpo immerso nel calori- 
metro vada a contatto del fondo. L’agitatore è di lamina sot- 
tile di ottone. 

Il calorimetro sta al solito entro un vaso maggiore pure di 
ottone. Questo è posto dentro un vaso ancora più grande, e nel 
secondo intervallo v'è acqua. Un disco di legno copre i due 
intervalli e anche parte dello spazio riservato al calorimetro 
lasciando soltanto l’apertura centrale al passaggio del metallo e 
del termometro. Il termometro del calorimetro ha il grado di- 
viso in cinquanta parti. Fu costruito dal Baudin. 

Il calorimetro è scorrevole lungo una guida di ottone. Esso 
occupa ordinariamente la parte di mezzo della guida ed è difeso 
da schermi posti da una parte e d ll’altra. Due apparati riscal- 
danti eguali stanno alle due estremità del tavolo su cui è fissata 
la guida. Il calorimetro può venir portato tanto sotto l’uno, 
quanto sotto l’altro apparato riscaldante purchè si sollevi lo 
schermo corrispondente. Le cose vennero disposte in questo modo 
per accelerare il lavoro ed evitare i troppo frequenti cangia- 
menti del liquido nell’apparecchio riscaldante. Dei due apparecchi 
l’uno conteneva per lo più acqua, e ciò perchè molto frequen- 
temente occorrono dei riscontri a 100°. 

Non potendo portare al di sotto degli apparati riscaldanti 
il calorimetro col termometro, il quale è lungo circa mezzo metro, 


SUI CALORI SPECIFICI 83 


adottai il partito di sollevare il termometro, opportunamente bi- 
lanciato da un contrappeso, all'istante in cui il calorimetro va 
portato sotto l'apparecchio riscaldante, e immergerlo rovamente 
nel calorimetro appena questo sia ritornato nella posizione nor- 
male. 

Esaminai se questo modo di operare portasse errore sensibile 
e mi accertai di poterlo seguire con sicurezza, perchè nel breve 
tempo, che il termometro sta sollevato, la sua temperatura varia 
pochissimo. 

Gli apparati riscaldanti vengono portati alla temperatura 
necessaria mediante uno o due anelli di fiamme a gas, che lam- 
biscono la superficie laterale dei recipienti di ferro. 

Per difendere il calorimetro dal calore che il recipiente di 
ferro può inviare ad esso nei brevi istanti in cui gli sta sotto, 
un disco di legno viene interposto facendolo girare intorno ad 
un asse eccentrico in piano orizzontale. L'asse è quello stesso 
che sorregge il recipiente di ferro. Il disco è forato per lasciar 
passare la sostanza su cui si sperimenta. Lo spazio che la so- 
stanza deve percorrere nell’aria esterna per passare nel liquido 
del calorimetro, è brevissimo, sicchè non v'è da temere perdita 
sensibile di calore. L'operazione poi si fa così rapidamente e il 
calorimetro è tanto difeso, che è pur trascurabile la quantità di 
calore che l’apparato riscaldante può inviare al calorimetro sot- 
toposto. Apposite esperienze confermarono le previsioni fatte. 

Per abbreviare il tempo durante il quale succede la trasmis- 
sione di calore, viene agitato in quel periodo anche il corpo 
immerso. Il liquido del calorimetro viene inoltre mescolato con- 
tinuamente da apposito agitatore. 

I termometri adoperati negli apparecchi riscaldanti vennero 
accuratamente confrontati col termometro ad aria del Jolly. Quelli 
del calorimetro vennero confrontati fra loro e con un campione 
del Baudin. 

Per i primi particolarmente la verificazione del punto 100 
venne frequentemente eseguita. Cercai che la correzione per la 
colonna sporgente fosse sempre quanto più piccola era possi- 
bile, scegliendo opportunamente quello tra i quattro termometri 
adoperati che meglio si prestava all’esperienze da farsi. Anche 
questi termometri erano stati costruiti dal Baudin e, fatta ecce- 
zione per uno di essi che richiese una correzione particolar- 
mente accurata, non si scostano molto dal termometro ad aria. 


84 ANDREA NACCARI 


Per evitare l’errore prodotto dall’ immersione nell’acqua di 
corpi che abbiano temperatura superiore a 100°, dopo aver ten- 
tato parecchi altri espedienti, adottai il partito di porre nel 
calorimetro del petrolio che bollisse ad alta temperatura. Non 
potrebbe servire allo scopo il petrolio di tal genere che si trova 
in commercio e si adopera come lubrificante. Dovetti per ciò 
distillare delle quantità considerevoli di petrolio comune sepa- 
randone la piccola porzione che bolle tra 330° e 380. Simil- 
mente da petrolii più pesanti estrassi la porzione opportuna, 
escludendo quella che bolle a temperatura troppo alta ed è 
troppo viscosa. Con una doppia distillazione necessaria per ot- 
tenere sufficiente omogeneità potei ottenere il liquido calorime- 
trico, del quale di tratto in tratto determinai il calore specifico 
alle temperature opportune valendomi dello zinco. 

La variazione di calore specifico sofferta da questo petrolio 
durante una serie di esperienze fu sempre molto piccola. Le 
correzioni per l'influenza dell'ambiente sul calorimetro furono 
eseguite sempre così. Dalle osservazioni del termometro fatte per 
alcuni minuti e ‘di minuto in minuto prima dell’immersione, io 
deducevo la variazione per minuto della temperatura del calo- 
rimetro. Questa temperatura si teneva sempre più bassa di quella 
dell'ambiente e possibilmente di tanto che la temperatura. finale 
del calorimetro dopo l'immersione fosse poco superiore a quella 
dell'ambiente. Da quelle osservazioni deducevo altresì la tempe- 
ratura del calorimetro nell’istante dell'immersione. Mezzo minuto 
dopo questo istante si riprendevano le osservazioni del termo- 
metro del calorimetro che si facevano per un certo tratto ogni 
mezzo minuto, poi di minuto in minuto. Le osservazioni fatte dopo 
l'istante, in cui la trasmissione del calore entro il calorimetro era 
finita, davano la variazione per minuto della temperatura del ca- 
lorimetro in quelle condizioni. Ammettendo la proporzionalità fra 
queste variazioni e le corrispondenti differenze di temperatura 
fra il calorimetro e l’ambiente, stabilivo due equazioni, dalle 
quali deducevo la temperatura dell'ambiente, e la variazione di 
temperatura del calorimetro per ogni grado di differenza di tem- 
peratura e per ogni minuto. Questi due valori servivano a cal- 
colare le correzioni dall’istante dell’immersione a quello cui 
spettava la temperatura finale. 

Nella massima parte dei casi le correzioni erano piccole 
perchè veniva scelta, opportunamente, come s’è detto, la tem- 


SUI CALORI SPECIFICI 85 


peratura iniziale del calorimetro rispetto a quella dell'ambiente 
e perchè la forte agitazione del liquido rendeva rapida la tras- 
missione del calore. 

In queste esperienze, che durarono a lungo per le molte 
modificazioni del metodo e degli apparecchi, ebbi il valido aiuto 
del Dott. Guglielmo dapprima, poi del Dott. Battelli. 

Seguono i valori ottenuti sperimentando sulle varie sostanze. 


Cadmio puro. 


Il cadmio adoperato in queste esperienze mi fa procurato 
cortesemente dal mio collega “Prof. Fileti, che lo fece depurare 
nel suo Laboratorio. | 

Nella tabella seguente, come nelle altre che riporterò più in- 
nanzi, la prima colonna segnata / contiere il peso in grammi 
del metallo, la seconda quello p della îcestella,-la*terza l’equi- 
valente in acqua A del calorimetro, del liquido contenuto e degli 
accessori, la quarta la temperatura 7 dell’apparecchio riscaldante, 
la quinta quella #, del calorimetro all’atto dell'immersione, la 
sesta quella finale #, del calorimetro. Tutte queste temperature 
vennero debitamente corrette. La settima colonna contiene il 
calore specifico, l’ottava la media dei calori specifici trovati 
per uno stesso intervallo. 


101,65|2,98/435,6| 99,33|14,539|12,598/0,05618 
» >» |171,5| 99,5 |23,421|20,787| 5576 
» » » » 23,228|20,566 5611 
3 ei » -|22,870|20,216| . 5595 
101,65|3,01|172,9/179,0 |19,470|13,900|0,05664 
È >» | >» |180,0 |19,096|13,470|  5672/0,05685 
» dv 20 kBL;3-||L9,11113}370|,- 5/LIS 
101,65/2,98|312,1[256,5 |22,904|18,290| 5790 
» >|» » |22,236|17,592| 5810|0,05798 
» » » » 22,473|17,679 5793 
(51,1 |3,45|173,7|295,0 |21,998/16,787| 5882 
> | » | » |298,0 |22,158|16,888| 5854 
| » || » |295,0 |22,350|17,160| 5832 


0,05600 


0,05839 


86 ANDREA NACCARI 


Da queste esperienze si deduce che per riscaldare un grammo 
di cadmio da 21 a 300° occorre una quantità di calore g 
espressa da 
q=0,055(£—21)+13,212.10-°(£— 21)? 
—0,03945.107°(£— 21)3. 


Col metodo dei minimi quadrati si ha la formola di due 
termini 
g=0;055107(#=21)+11,89,103% (#20 


che rappresenta bene anch'essa l’esperienze. 
Di qui il calore specifico vero 


| 
y=22— 0,055107+23,78.10-°(#—21). 


Tai 
Ne segue sedi == 0,0551, 
» 50 » » 558, 
» 100 Di SL 
toi bD » » 582, 
>» 200 » >» 594, 
» 250 » » 606, 
» 300 >» » 617. 


Cadmio impuro. 


Sperimentai anche su cadmio impuro del commercio per met- 
tere in chiaro se le impurità di questo producessero effetto sulle 
variazioni dei calori specifici. 

Le esperienze vennero fatte solamente intorno a 100° e a 290°. 

Riferisco qui sotto i valori ottenuti. Valgono per questa e 
per le tabelle simili che seguono le indicazioni date poco fa 
rispetto ai valori contenuti nelle varie colonne. 


94,48| 2,95|171,9! 99,4|25,588/23,197/0,05603 
| >» |25,251/22,845| 5608|0,05607 


» |26,546|24,181 5610 


e |. —T— | _—________ —._—___ —————— —|l _|-_——_—————-=#-<=< 


94,48| 2,95| 171,9/286,0|31,580|23,030|0,05822 
62,801 » | » |293,3/29,200/23.107|  5871|0,05839 
» » » |292,9/29,096|23,025 5808 


SUI CALORI SPECIFICI 87 


Il secondo valore è eguale a quello trovato per il cadmio 
puro. La differenza fra il primo e quello corrispondente che 
spetta al cadmio puro, è dell’1,5 per 1000, e non si può as- 
serire con sicurezza ch’essa sia maggiore dell’errore probabile. 

Questo cadmio era molto impuro. Venne dunque confermato 
ciò che era del resto probabile, che cioè, se anche i metalli non 
sono rigorosissimamente puri, i calori specifici, anche a tempera- 
ture elevate, non differiscono notevolmente da quelli spettanti ai 
metalli purissimi, 

Tutti i metalli adoperati in queste esperienze, eccetto il 
caso dove ci sia una speciale indicazione, s'intende che sono dei 
più puri che si possano acquistare presso le buone fabbriche di 
prodotti chimici, il che certo non vuol dire che sieno vera- 
mente puri. 


Zinco. 
89,00] 2,95 390,9) 99,4/20,852|19,118/0,09388| 
» » » >» |23,208|21,527 9376] 0,09392 
» » » » |21,290|/17,565 9411 
89,13] 3,52] 179,9/170,6/17,590|13,405|0,09473 
» » > » |17,269/183,052 9526] 
» » » » |18,434|14,266| 9484 eAaho 
» » » ». |17,139|12,915|_. 9530 
89,18] 3,92] 179,9/242,0|22,524|16,098|0,09641 
» » » .|241,5|28,465/17,077| 9649 
» » » |240,8|22,306|15,900 9651 a 
» » » |240,2|22,690|16,323 9604 
30,20) 3,45| 173,7|320,1|21.396|15,719) 9808 
» » » |320,3|21,770|16,121| 9836/0,09843 
» » > |320,4|21,169|15,503] 9886 


Di qui si deduce che per riscaldare 1 gr. di zinco da 18° 


alle temperature indicate nella prima colonna della tabella se- 


guente occorrono le quantità di calore indicate nella seconda 
colonna. 


88 ANDREA NACCARI 


I 
7,60 
14,88 
21,51 
29,66 
La formula con due termini scritta qui sotto fu calcolata 
col metodo dei minimi quadrati. Essa dà i valori 9, contenuti 
nella 3° colonna della tabella precedente. 
q=0,0915(#—18)+22,2.107° (£—18). 


Ne segue 


1=37=0,0915+ 44,4.107°(f—18). 
a 


Questa formula dà i seguenti valori di ‘/ 


r 7 
18 0,0915 
50 929 
100 951 
150 974 
200 996 
250 1018 
300 1040 | 
Ferro. 
116,67| 3,52 435,6! 99,3 15,282/12,721 0,1114 
» UD et) A9158/ 12 70/0, 1110 A 
» » » | » |15,341|12,763/0,1122| Ciatti 
» » | » | » (15,177|12 ,602/0,1119 
116,67] 3,52 320,9| 174,3 20,191|13,688°0, 1139 (nd 
sa Va » 173,7,21,116|14,634/0,1144 0,1142 
Li data » |172,828,480|17, 138|0, 1144 
116,67) 3,00] 320,9 246, 30 23 ,659 (13, 606 0,1186, 
ua, » » 250,422, 714/16,186/0,1189| 0,1189 


i 4 ? 250,4/23, 403/16,874/0,1192) 
29, ni ‘345| 173,2) 310198) 711|17, 184/0,1214! 
>» | »| » |811,4|22,545/15,987/0,1231|0,1224 


» | »| » |809,0|22,150|15,702|0,1226 


SU] CALORI SPECIFICI 89 


Secondo queste esperienze per riscaldare da 15° a T un 
grammo di ferro occorre la quantità 9 data dalla seguente 
tabella; 


La formula seguente con due termini fu calcolata col metodo 

dei minimi quadrati. Essa dà i valori che per i primi due 
di» p 
punti sì scostano un po troppo dai valori sperimentali. 


q=0,10603 (£—15)+53,726.10=%(#— 15)? 


Meglio si conforma ai fenomeni la seguente formola di tre 
termini. 
q=0,10912(#—15)+29,032.10-°(£t—15)° + 
+0,048858.10 7 °(#—15). 


Questa dà i valori g, registrati nella quarta colonna della 
tabella precedente. Se ne deduce 


d 
y==0,10912+58,064.10-*(f— 15) + 


+0,146574.10-5(£— 15), 


e quindi 

aci pt OL001 

50 0,1113 

100 0,1151 

150 0,1196 

200 0,1249 

250 0,1309 

300 0,1376 


La formula con tre termini differisce poco da quella del 
Pionchon che è 


q=0,11012#+25,533.10-*##4+0,05467.10-9#3, 


90 ANDREA NACCARI 


Argento. 


91,35 


» 


3:98).IvIyal 59970 


» » | » 
| 


22,774|20,368/0,05581 
23,526|21,122| 5681|0,05618 
:23,080|20,659| 5641 
91,35| 2,98| 311,5) 177,4|16,366|13,544|0,05666 
>| » | » |180,6|18,042|15,185|  5685/0,05654 
>| >» |» |176,1[17,182|14;424| -5612 
91,35] 2,98| 312,9) 256,8|21,654|17,498|0,05730 
a E » |20,693|16,501| 5756/0,05739 
» | » |» |256,5|21,796|17,647| ‘5730 
46,03] 3,45| 173,7 811,4|20,781|15,766|0,05793 
>» | » | » !810,8/21,984|16,910]  5827|0,05812 
>» |.» |318,2/22,220|17,077| 5817 


» 


La tabella seguente dà nella seconda colonna la quantità di 
calore q necessaria a riscaldare 1 gr. di argento da 23° a T. 


CO TORO I 


99 4,271 4,241 
178 8,767 8,780 
257 | 13,438 | 13,453 
313 | 16,857 | 16,846 


La seguente formula calcolata col metodo dei minimi qua- 
drati dà i valori 9g, della tabella precedente. 


q=0.054984(#—23)+10,706.10-°(— 23)? 


Di qui 
d 
y=7=0,054984+21,412.10—%(1—28) 
Si ha quindi 
a &= 128 7 = 0,05498 
50 5556 
100 5663 
150 5770 
200 5877 
250 5984 


300 6091 


-SUI CALORI SPECIFICI 91 


Rame. 


131,7] 2,98| 261,5] 99,4/17,878 13,954/0,09341 
» » » 99,3|16,551|12,544 9400)0,09360 
» » » » |16,950|12,987 9340 


.131,7| 2,98] 320,9| 171,6|20,560|14,609 0093831 
i 3 > |170,3|21,830|15,972| 9400|0,09389 
“ 3 >» |171,2|21,491|15,593| 9886! 


85,1 | 2,98| 312,1| 255,3|22,184|15,740|0,09471 
» » » |254,8/22,146|15,691 9509 
» » » 254,8 22,933 16,492 9521!) 09514 
22,25] 3,45] 173,7] 247,3|19,458/16,242 9559|_? 
» » » |248,4|19,027|15,809 9494! 
» >» |» |256,2/20,169|/16,848| 9528 
22,25] 3,45| 173,7| 323,9|20,329|16,021 0,09556, 
» » >» |320,4[21,824|17,579 9580 0,09570 


» » +asp918,H271,352/17,121) © 9574 


La quantità di calore qg necessaria a riscaldare un grammo 
di rame da 17° a 7 secondo l’esperienze riferite, è data dai 
valori registrati nella seconda colonna della tabella seguente 


cT q q, 


99 7,68 7,65 
171 14,45 | 14,49 
253 22,44 | 22,41 
321 29,08 | 29,09 


Ì 


La formula seguente, calcolata col metodo dei minimi qua- 
drati, dà i valori q, contenuti nella terza colonna della tabella 
precedente. 


q=0,092455(£—17)+10,629.10-(#— 17)? 


Di qui 
= - 0,092455+21,258.107°(f—17) 


92 ANDREA NACCARI 


Pertanto a 178 y.= 0,09245 
50 9316 

100 9422 

150 9528 

200 9634 

250 9740 

300 9846 

Nichel. 


Questo metallo era in cubetti. Era poroso e nel calorimetro 
assorbiva del petrolio che bisognava dopo ogni esperienza espel- 
lere accuratamente mediante forte riscaldamento. 


261,5) 99,3] 15,250 12,517] 0,11041 
s » |15,843|13,141|0,1101|0,1101 

> > | » > |15,745 13,045] 0,1099 

74.35] 2,98] 311,5| 176,2] 19,953) 15,600] 0,1130| 

3 brr, 176,3] 17,125| 12,653| 0,1137 

» » >» |176,2| 18,696) 14,323] 0,1126| 


74,45) 2,98 


» » 


0,1132 


49,67 3,01] 172,9 170,6] 19,644) 14,468| 0,1136 
É à > 17,930] 13,741] 0,1132f 
49,67 dl 172,9| 20 308,8 19,665] 13,123] 0,1147 VATI 
; >» |213,5! 20,518| 13,8141 0,1152| 


49,67| 3,01| 172,9| 240,0 21,653| 13,987| 0,1165 
5 ; » |258,7|20,726| 14,005| 0,1169/0,1171 
Pi >» | >» |261,1|21,329|14,370|0,1178 


24,80| 3,45] 173,7| 321,9) 23,531|,17,828| 0,1203 
» FA 319,9 22,048] 16,339| 0,1206|0,1205 
PIE 22,660| 16,904] 0,1205 
Da queste esperienze si deduce che occorre una quantità di 
calore g data dalla seguente tabella per riscaldare da 15 a 7° 


un grammo di nichel. 


T | q | I, do 
prtacnizi: | 
99 | 9,25 9,25 9,21 
174 17,98 17,96. | 18,00 
211 22,91 | 22,46 | 22.08 | 


252/L'0 20391) 21,0800 2041 
321. (000000 90,9 


| 


36,9 


| 


SUI CALORI SPECIFICI 93 


La curva, a cui spetta l’equazione 


q=0,10766 (£— 15) +24,816.10-%(#— 15)°+ 
+0,053498.10-°(£—15)? 


passa per il primo, per il secondo e per il quinto dei punti 
dati dalla precedente tabella. Essa passa a così piccola distanza 
dagli altri due punti, che si può dire che anche questi giac- 
ciono sopra di essa. Il Pionchon trovò invece che una sola for- 
mula non poteva rappresentare i valori di 9g da 0 a #, se non 
per # minore o tutto al più eguale a 230°. Da questo punto 
in su egli trovò necessario di usare un’altra formula, che però 
non può essere quella, la quale fu stampata nella sua memoria, 
e segnata (6). La vera formula ch'egli deve aver calcolato, dà 
26,6 a 230”, mentre la formula spettante al tratto inferiore 
dà 26,1. Vi dovrebb'essere dunque secondo il Pionchon un can- 
giamento repentino di direzione nella curva che rappresenta il 
fenomeno, oppure un salto intorno a quella temperatura. Il 
Pionchon ricorda a tale proposito le anomalie che il nichel pre- 
senta rispetto ad altre proprietà fisiche a temperatura un po’ alta. 
Siccome le mie esperienze calorimetriche non davano alcun in- 
dizio di anomalia, feci dell’esperienze col metodo del raffredda- 
mento. Introdussi il bulbo di un termometro in apposita cavità 
praticata in un cilindretto di nichel, scaldai il tutto fino a 320°, 
indi lasciai raffreddare in un ambiente mantenuto a 170° o 
a 100°. Costruii la velocità di raffreddamento in funzione delle 
temperature, ma non potei scoprire alcuna discontinuità. 

Del resto è molto incerto se sia da attendersi un muta- 
mento repentino del calore specifico del nichel ad una certa 
temperatura, perchè a questa temperatura variano repentinamente 
le proprietà magnetiche e termoelettriche di quel metallo. È noto 
che il ferro, quando si raffredda dopo esser stato riscaldato fino 
all’incandescenza, presenta alla temperatura del rosso scuro il 
fenomeno di un repentino riscaldamento, che fu scoperto dal 
Barrett (1), ma il nichel, nè alla temperatura, a cui perde le 
proprietà magnetiche, nè ad altre temperature, non porge alcun 
fenomeno di tal genere (2). Il nichel non presenta nemmeno il 
fenomeno del Gore, che si riscontra nel ferro ed ba somiglianza 


(1) BarrET, Philosophical Magazine (4) XLVI, 472. 


(2) Banret, |. c. e l'omLinson, Philosophical Magazine (5) XXIV. 266. 


94 ANDREA NACCARI 


con le altre anomalie citate. Infine è da ricordare che in ge- 
nerale i mutamenti nell’aggregazione molecolare d’un metallo 
solido hanno poca influenza sul calore specifico , sicchè è pro- 
babile che questo non muti grandemente in causa di quelle ignote 
variazioni che il nichel soffre a certe temperature, e che ci ven- 
gono rivelate dai mutamenti delle sue proprietà magnetiche ed 
elettriche. 

I valori g, della precedente tabella spettano alla formula 
seguente con due termini. 


q,=0,10569 (£—15)+47,3.10-°(£— 15) 


Se ne deduce 


] 
= y=0,10569+94,60.10-°(£— 15) 


e quindi gI0P8 0,1057 
50 0,1090 

100 0,1137 

150 0,1185 

200 0,1232 

250 0,1279 

300 0,1327 


Altre esperienze eseguii sopra nichel puro. Esse diedero un 
risultato consimile e non indicarono traccia di anomalie. 


Antimonio. 


76, 6, 3,52] 435,6| 99,4|13,569/12,742/0,05041 
» » » » |15,779/14,089 4976|0,05004 
VET ge 260055 >» |14,830/12,689 4994 


ze ra pale nie aa ln | 


127,1 3,52| 320,9] 172,9/20,260|17,095|0,05003 
>» |171,3|18,690]15,050 5045/0,05027 
» >» |17,663|14,467 5034 


127,1| 2,98! 312,1| 251,9/22,158|17,231[0,05046 
» » » |246,6]22,/08]17,750 5081 
» » » |248,1/[22,213]|17,224 5068 
86,7(3,01| 172,9] 247,2]19,731|13,559 5084 


43,5] 3,45] 173,7] 322,8|20,877|16,422|0,05146 
» » » |320,0|22,117|17,699 5176/0,05157 
» » >» |322,8|19,623/15,155 5148 


0,05070 


SUI CALORI SPECIFICI 95 


La tabella che segue contiene nella seconda colonna le 
quantità di calore 9g, che secondo l’esperienze testè riferite sono 
necessarie per riscaldare da 15° a 7 un grammo di antimonio. 


to q | 

99 4,20 | 4,17 
172 7,89 7,94 
249 11,85 11,90 


321 Lai gb 75 


La formula calcolata col metodo dei minimi quadrati per 
l’antimonio è la seguente. 
q=0,048896(£—15) +8,359.10-°(f—15). 
Essa dà i valori g, della tabella precedente. 


d 
Se ne deduce ,=7 =0,048896+16,718.10—9(#— 15). 


Pertanto a #— Log y= 0,04890 
50 4947 
100 5031 
150 5414 
200 5198 
250 5282 
300 5966 
Piombo. 


] 
160,2] 3,52| 435,6] 99,3/14,514|13,484'0,03058 
» » » » |14,132|13,101 3084/0,03075 
103,2] 3,4 | 277,8 » |15,240/14,180) 3082 


160,2| 2,98] 320,9] 183,9/18,261|15,507.0,03124 
5 » » |173,9/18,982|16,431| 8091|0,03099 
» » » |173,3|19,294|16,765| 3081 


| 249.( 0 20,954|17 ,058 0 0,08154 
252,1|]21,928|18,002 3148/0,03149 
247,6 21,354|17,495 3147 
71,5] 3,45! 173,7| 296,6|19,938[15,779/0,08194 
>» |297,4!/21,045|16,894 5191 
» |297,5|21,045|16,916 3170 
» > i > |296,6[21,094|16,931 3210 


0,03191 


96 ANDREA NACCARI 


La tabella seguente dà i valori della quantità 9 necessaria 
a riscaldare da 15° a 7 un grammo di piombo. 


Pai ue 4 
99 2,58 2,56 
i ei pri; 5,02 509 
250 7,99 7,41 
297 8,99 8,98 


La formula seguente calcolata col metodo de’ minimi qua- 
drati dà i valori 9, contenuti nella seconda colonna della tabella. 


q-=20702993(#— Lo)-L.6,7923,10 (#_-dale 


MEL I 
Di qui = 3=0:02993+13,5846.10-°(#— 15). 
d 

Pertanto a 155 g=0,02993 

og 3040 

100 3108 

150 3176 

200 3244 

250 3312 

300 3380 

Alluminio. 


(37,25 2,98| 435,61 99,3/ 14,869) 12,748] 0,2156 
5 " $ » |14,518|12,894|0,2164!) 9164 
>» |2,95|171,9) 99,4| 26,268| 22,716] 0,2168| 


» » » 99,5] 26,249| 22,692] 0,2166 


37,25| 3,01) 172,9) 181,4| 21,360| 13,476] 0,2210 
» » » 176,6] 19,604| 13,795] 0,2207 
» » » |178,2| 19,016) 13,115] 0,2211 
» |2,98| 306,7] 180,4] 21,696) 17,285] 0,2207 


9,57| 3,45, 178,7) 255,4| 21,065! 17,723| 0,2246 
» » >» |249,5| 19,416] 16,128| 0,2248/0,2242 
» » » |255,9] 20,296] 16,958! 0,2233 


9,57! 3,45 173,7| 314,0 21,160] 16,987| 0,2272 
A $ » |322,0|19,454|15,049/0,2287|) 0079 
4 è » |323,0| 20,980) 16,629] 0,2272| 
s 3 » |821,9/ 21,707] 17,363] 0,2284 O 


02209 


SUI CALORI SPECIFICI 97 


La tabella seguente dà i valori della quantità di calore ne- 
cessaria a riscaldare un grammo di alluminio da 20° a 7. 


La formola seguente dà i valori g, della tabella precedente. 
Essa fu calcolata col metodo dei minimi quadrati: 


q=0,2135(#—20)+47,535.10=9(— 20)? 


Di qui 
y=54=0,21235 + 95,07.10=5(#— 20) 

Pertanto 

af 120° y=0,2135 

50 0,2164 

100 0,2211 

150 0,2259 

200 0,2306 

250 0,2353 

300 0,2401 


Trascrivo qui sotto i valori dei coefficienti delle formule con 
due termini sopra riferite e ridotte alla forma 


y=a(1+bt). 


De) 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 


98 A. CHARRIER 


Ordino 1 metalli secondo i valori ascendenti di .. 


77 b. 109 
Rame 0,09205 230,8 
Antimonio 0,04864 343,7 
Argento 0,05449 392,9 
Cadmio 0,05461 483,4 
Alluminio 0,2116 449,3 
Piombo 0,0297383 456,9 


Zinco 0,09070 489,5 
Nichel 0,10427 907,0 
Ferro 0,10442 1029,1 


Dal Laboratorio di Fisica della R. Università di Torino 
4 Dicembre 1887. 


RIASSUNTO 


delle osservazioni meteorologiche fatte nei mesi di Gennaio, 
Febbraio, Marzo e Aprile 1887 nell’Osservatorio astro- 
nomico della R. Università di Torino 


dall’Assistente Prof. ANGELO CHARRIER 


Gennaio 1887. 


La media delle altezze barometriche osservate in questo mese 
è 39,97. Essa è inferiore di mm. 0,06 alla media di gennaio 
degli ultimi ventun’anni. 

Le variazioni non furono numerose; se ne ebbero delle rapide 
e di ragguardevole ampiezza. Il quadro seguente dà i valori mas- 
simi e minimi osservati. 


OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 99 


Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi. 
+ tO 89,13 dette ve 19,48 

1. art PIRO 4375 POE PAN, 36,69 

20) Si VE EIA Hi.7S TICS 43,62 

7, RAR 53,84 2 Med de 45,81 


La temperatura massima -+ 6°,9 si ebbe nel giorno 31, e 
la minima —10°,3 nel giorno 7. La media —1°,8 è inferiore 
di 2°,5 alla media di gennaio degli scorsi ventun’anni. — Sette 
furono i giorni con pioggia o con neve, e l'altezza dell’acqua ca- 
duta fu di mm. 56,6. 

Il quadro seguente dà la frequenza dei singoli venti : 


NONNE NE ENE E RSE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 
e nnt I 104 TONINO 401. 1001 LORO. 0 


Febbraio 1887. 


La media delle pressioni barometriche osservate in questo 
mese è 44,35; superiore di mm. 5,27 alla media di febbraio 
degli ultimi ventun’anni. -—- I valori massimi e minimi osservati 
sono i seguenti : 


Giorni del mese. Massimi. Giorm del mese. Mimi. 

i». 53,90 ife SO 38,59 

330 e “I a 47,21 LOR e 38,99 

MEA CISTI! IO io 35,79 

A... , 48,14 DO e 42,51 
DCR 54,32 


La temperatura in questo mese ha per valor medio + 5°,7; 
supera di 0°,9 la temperatura media di febbraio degli ultimi 
ventun’anni. Le temperature estreme — 8°,7 e +9°,9 si eb- 
bero rispettivamente nei giorni 19 e 26. 

L’acqua caduta raggiunse l’altezza di mm. 22,8 proveniente 
da neve o da pioggia caduta in quattro giorni. 

Il quadro seguente dà la frequenza dei venti nelle singole 
direzioni. 

NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 

MET. e LR 1 ST SÙ NO 


100 A. CHARRIER 
Marzo 1887. 


L'altezza barometrica in questo mese ha per valor medio 
36,30. Questa media supera di mm. 0,93 la media delle altezze 
barometriche di Marzo degli ultimi ventun’anni. Le sue variazioni 
furono di considerevole ampiezza, come si può rilevare dal seguente 
quadro, che ne contiene i massimi e minimi valori : 


Giorni del mese. Minimi. Giorm del mese. Massimi. 
[O ARS e DERE 86,92 ME PZ E 43,75 
e done 21,62 IV Lal 44,14 
oo an 30,84 Dibi pete 39,85 
2 RSI 31,52 


La temperatura ha in questo mese per valor medio + 8°,1: 
valore che supera di 0°,5 il valor medio della temperatura di 
marzo degli ultimi ventun'anni. il minimo valore della temperatura 
— 0°,7 si ebbe nel giorno 19, il massimo + 17°,4 nel giorno 4. 

Si ebbero sei giorni con pioggia leggiera, e l'altezza del- 
l’acqua caduta fu di mm. 13,95. 

La seguente tabella dà il numero delle volte che spirò 
ciaschedun vento. 


NO NNE NE RENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 
6 Gis23i 9 12:90 de Bid 11. 260/4006 - 3 


Aprile 1887. 


La pressione media barometrica (35,79) supera la media 
delle pressioni d’aprile degli ultimi ventun’anni di mm. 1,48, Essa 
fu alquanto variabile, come si può rilevare dal quadro seguente: 


Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi. 

daelorca 37,95 AR: 24,58 

ce gags beso 42,61 LET 29,24 

IT 45,87 a a i 30,42 
Dn. 43,39 


La temperatura media di questo mese è di + 11°,2 inferiore 
di 1°,6 alla temperatura media di aprile degli ultimi ventun’anni, 


OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 101 


Le temperature estreme + 0°,6 e +20,2 si ebbero nei giorni 2 
la prima, 29 la seconda. 

Si ebbe pioggia in nove giorni, e l'altezza dell’acqua rac- 
colta nel pluviometro fu di mm. 98, 6. 

Il quadro seguente dà il numero delle volte che spirò il vento 
nelle singole direzioni. 


NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 
00 ET e IV EVE 


Il Direttore della Classe 
ALFONSO Cossa. 


Qui (MORIVA EE NIAUO LI ci 


ida i DORATO i 
pf MIRA OFIT. 
- E PIA suetiti a er? ; idro: fasi at fi a a I 
A da (1A (2) dà de A i ia) 
MIO MRO, E RANOTA 1° (131 IRE EURI 4 
e Mi silod so "3 VESINI! ati (4, mean si 


Pe 


è} È ul 


SOMMARIO 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


ADUNANZA del':4 Dicembre: 14987 iu tea e ea Pag. 


OruL — Contribuzione allo studio della circolazione del sangue. . » 
Japanza — Sul calcolo degli azimut mediante le coordinate rettilinee » 


NaccarI — Sui calori specifici di aleuni metalli dalla temperatura 
ordinaria. finda:320* 14 e ee A SO E e a » 


CHaRRIER — Lavori dell’Osservatorio astronomico di Torino ... . ‘» 


49 


50 
61 


79 
98 


ATTI 


DELLA 


R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


DI: EOREINO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vox. XXIII, Disp. 3', 1887-88 


Le 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali 


TORINO 
ERMANNO LOESCHER 


Libraio della R. Aecademia delle Scienze 


103 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 18 Dicembre 1887. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI 
VICEPRESIDENTE 


Son presenti i Soci: Cossa, LESsonAa, SALVADORI, BRUNO 
BeRrKUTI, Basso, D’Ovipio, NaccarI, Mosso, SPEZIA, GIACOMINI. 

Si legge l’ atto verbale dell'adunanza precedente che viene 
approvato. 

Il Socio SPEZIA presenta in dono all'Accademia, per incarico 
dell'Autore, sei lavori pubblicati dal Dott. Federico SAcco sopra 
argomenti di geologia. 

Le comunicazioni e le letture si succedono nell'ordine se- 
guente : 

1° Relazione intorno alla Memoria del Dott. C. SEGRE 
Sulle varietà cubiche dello spazio a quattro dimensioni, e 
su certi sistemi di rette e certe superficie dello spazio ordi- 
nario » , del Socio D’Ovipio, condeputato col Socio GENOCCHI. 
2° « Su alcune anomalie di sviluppo dell’ Embrione 
Umano », del Socio GIACOMINI. 
3°. « Studio geologico dei dintorni di Guarene d'Alba ». 
del Dott. Federico Sacco, presentato dal Socio SPEZIA. 

Da ultimo il Socio Basso presenta per la consueta pubbli. 
cazione nel Bollettino annesso agli Atti le Osservazioni meteo- 
rologiche dei mesi di Maggio, Giugno, Luglio ed Agosto 1887, 
eseguite nell’Osservatorio astronomico della R. Università di To- 
rino per cura dell’Assistente Prof. Angelo CHARRIER. Sono uniti 
a dette Osservazioni i riassunti e le medie mensili coi relativi 
diagrammi. 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 8 


4°. as AAÙÙALI ALTA 


ge 


104 


RELAZIONE sulla Memoria del Dott. Corrapo SEGRE « Sulle 
varietà cubiche dello spazio a quattro dimensioni e su certi 
sistemi di rette e certe superficie dello spazio ordinario ». 


Scopo principale di questa Memoria si è lo studio, non della 
varietà cubica generale di uno spazio lineare S,, ma di quelle 
particolari che hanno punti singolari; facendo così l’analogo della 
classificazione data dallo Schlifii delle superficie cubiche di S,. 
— Nè la classificazione è fatta nel senso di stabilire tutti i casi, che 
sarebbero innumerevoli; ma sono esposti soltanto i principali, dalla 
cui combinazione si trarrebbe poi una classificazione completa. 

Sebbene un lavoro di classificazione sovente riesca pesante, 
pure tale non riuscì questo all’A., grazie alla molteplicità delle 
questioni che gli si presentarono. Fra le varietà cubiche studiate 
spiccano quelle generabili da tre reti proiettive di spazî, che nel 
caso generale hanno 6 punti doppî, ma possono averne 7, 8, 9, 
10 (il quale ultimo caso fu già trattato dall’A. in una Nota 
precedente, che in gran parte rientra nella presente Memoria), 
e possono anche acquistare linee doppie. 

Tutti questi casi sono successivamente studiati dall’A., e sono 
stabilite le condizioni cui devono soddisfare gli elementi singolari 
perchè sia possibile la detta generazione proiettiva. Sono studiati 
i casi principali che possono presentarsi circa i punti doppî di 
specie superiore (ed è anzi data qualche proposizione valida per 
qualunque dimensione e qualunque ordine di varietà). — Note- 
voli poi sono le varietà cubiche con linee doppie o con piano 
doppio: le linee doppie possono essere una o due o tre rette, 
una 0 due coniche, una quartica. — Una retta od una conica 
doppia può essere di specie superiore (analogo delle linee cus- 
pidali delle superficie ordinarie). E quanto alla retta doppia di 
2° specie, si ha una distinzione di casi che non ha l’analoga 
nello spazio ordinario, e che si presenta pure (come nota lA.) 
per le rette doppie di varietà di ordine e dimensione superiore; 
essa dipende dalla classificazione dei fasci di coni quadrici trat- 
tati dall'A. in una Nota anteriore. 


105 


L’A. applica man mano i risultati che va ottenendo intorno 
alle varietà cubiche, allo studio di quelle superficie di 4° e di 
6° ordine che si ottengono come contorni apparenti di tali va- 
rietà nello spazio ordinario rispetto a un punto che appartenga 
o no ad esse. I sistemi di rette contenuti nelle diverse varietà, 
e che son sempre esaminati dall’A., dànno come proiezioni quei 
sistemi di rette che hanno le dette superficie come focali. Ed 
è così che vengono studiati in modo affatto nuovo i sistemi di 
rette di 2° ordine e di classe 2, 3, 4, 5 e 6 (2* specie) già 
studiati dal Kummer, nonchè varî nuovi sistemi di rette di 3° or- 
dine che presentano analogie con quelli; ed altri sistemi di rette 
d’ordine superiore s'incontrano in questo modo. Alcune delle su- 
perficie di 4° e 6° ordine dianzi nominate eran già note, p. es. 
le focali dei suddetti sistemi di rette di 2° ordine, le superficie 
di 4° ordine a conica doppia o cuspidale, ecc.; di molte altre 
son date le proprietà per la prima volta in questa Memoria. 

Sulla fine del lavoro l’A., mediante due proiezioni di varietà 
cubiche sullo spazio ordinario, ottiene certe notevoli trasforma- 
zioni doppie o triple di questo spazio, per le quali quelle su- 
perficie sono doppie. 

L'argomento della Memoria è dunque molto importante ; i 
risultati cui l'A. giunse sono nuovi ed interessanti; ed il metodo 
di ricerca è elegante ed assai fecondo. 

Questo lavoro aggiunge un nuovo saggio ai molti già dati 
dall’A., della utilità che offre la teoria degli spazi lineari di più 
che 3 dimensioni, sia considerata in sè stessa, sia applicata, me- 
diante la proiezione nello spazio di tre dimensioni, a ricercare 
le più riposte proprietà dei sistemi di rette e delle superficie 
appartenenti allo spazio medesimo. 

E però i sottoscritti volentieri propongonc alla Classe che la 
presente Memoria venga ammessa alla lettura, per la inserzione 
nei volumi delle Memorie accademiche. 


A. GENOCCHI. 
E. D’OvipIo, relatore. 


La Classe, accogliendo le conclusioni della Relazione, delibera 
la lettura di questo lavoro, e poscia ne approva la pubblicazione 
nei volumi delle Memorie accademiche. 


PS 


106 C. GIACOMINI 


Su alcune anomalie di sviluppo dell’embrione umano, 
del Prof. C. GIACOMINI 


Nota 1°. 


Lo studio delle deviazioni nello sviluppo dei primissimi stadi 
della specie nostra si può dire appena iniziato. Mentre noi pos- 
sediamo descrizioni minute e sotto ogni rapporto esatte delle 
deformità che può presentare il prodotto del concepimento, quando 
è già entrato nel periodo fetale, e tutti gli organi sono già 
ben differenziati, poco sappiamo di quelle che riguardano l’em- 
brione propriamente detto. His nella sua monumentale opera 
sull’ anatomia dell’ embrione umano: ( Anatomie menschlicher 
Embryonen, Fasc. II, pag. 98) riproduce col disegno diverse 
deformità da lui osservate; ma nel testo si limita ad una de- 
scrizione sommaria, ad una semplice enumerazione, rimandando 
ad altra epoca uno studio completo di esse. Non è adunque il 
materiale che manchi, essendo che oggidì è ben dimostrato che 
negli aborti dei primi due mesi è relativamente frequente di 
osservare embrioni deformati: e non pochi degli embrioni umani 
che io ho potuto esaminare erano infatti patologici. La ragione 
principale, per cui noi difettiamo di studi sopra questo campo, 
si è che non è ancora ben conosciuta e stabilita la condizione 
normale di sviluppo nella specie nostra. 

Quando si ha la fortuna di avere embrioni umani delle prime 
settimane e si studiano con accuratezza e diligenza appunto come 
si merita un materiale così prezioso, riscontrando delle partico- 
larità le quali si allontanano da quanto noi conosciamo sullo 
sviluppo degli animali più vicini all'uomo, sorge sempre il dubbio 
se l'oggetto da noi studiato appartenga o no allo stato normale. 

Generalmente però si ha la tendenza di considerarlo come 
tale, ed allora si cerca di interpretare le diverse disposizioni 
riscontrate, tentando di ricondurle agli schemi più o meno ipotetici 


ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 107 
che hanno dominio nella scienza, senza riescire sempre e com- 
pletamente allo scopo. 

Noi siamo quindi ancor lontani dal poter stabilire le leggi 
che regolano la produzione di così fatte anomalie, per ora lo 
scopo nostro deve essere più modesto, limitandoci alla descri- 
zione esatta e precisa di quanto cade sotto la nostra osserva- 
zione lasciando ad altra epoca, quando le descrizioni si saranno 
moltiplicate, il trarre conclusioni che sorgano spontanee dal con- 
fronto dei diversi casi osservati, e che servano ad interpretare 
l’origine ed il significato di così frequenti disposizioni. 


In principio dello scorso Maggio io riceveva dall’amico e col- 
lega Mo, un ovulo umano che era stato emesso poche ore prima 
da una donna di anni 30 la quale ebbe già due parti a ter- 
mine ed un aborto nel primo anno di matrimonio. 

Messo nel liquido picro-solforico ed esaminato esso si presen- 
tava sotto la forma di un ovo di piccione, con una grossa estre- 
mità globosa ed una piccola estremità un po’ assottigliata, la 
quale probabilmente era quella che corrispondeva al collo del- 
l'utero. La massima parte della superficie era coperta dalla ca- 
duca ovulare; un piccolo tratto era completamente libero ed è 
qui dove esistevano le villosità del corion molto numerose e 
sviluppate, ed in questo punto le membrane erano già state rotte 
durante il periodo d’espulsione: circostanza questa che io devo 
molto deplorare, poichè lascia libero il campo ad interpretazioni 
diverse. 

Così galleggiante nel liquido il massimo diametro longitudinale 
misurava 4 cm., il trasvers. 2 x 

Sulla superficie del Corion le villosità erano ben sviluppate 
ma non uniformemente disposte, l'altezza nella parte libera della 
caduca era in media di 5 mm. Esse si presentavano ben rami- 
ficate e con conformazione normale. Sulla faccia opposta al punto 
dove esisteva l'apertura dell’ovulo, le villosità mancavano affatto 
ed il Corion si presentava liscio e strettamente applicato alla 
caduca. 

Per questi caratteri l’ovulo poteva corrispondere alla fine del 
1° mese di gravidanza o tutto al più al principio del 2° mese, ed 
all’interno si doveva trovare un embrione della lunghezza almeno 
di 10 a 12 mm. Allargando l’apertura con una incisione delle 
membrane in alto ed in basso si mise allo scoperto tutta la ca- 


108 C. GIACOMINI 


vità dell’ovulo. Ma essa era completamente vuota. Sul principio 
ho creduto che l'embrione fosse sbucciato fuori appena fu aperta 
la cavità, ed attesa la sua piccolezza ed il suo stato gelatinoso 
e trasparente fosse andato perduto. Ma per quanto cercassi il 
punto d’inserzione del funicolo, non mi venne dato di trovarlo. 
La superficie si presentava perfettamente liscia e regolare, in tutta 
l'estensione, senza traccia di violenza subita. Portando più in 
special modo la mia attenzione verso il fondo della cavità, notai 
l'esistenza di due piccole vescichette ben distese da liquido, con 
pareti molto sottili e regolari e perfettamente trasparenti. Erano 
poste l’una accanto all'altra senza aderire fra loro. Una più 
piccola, l’altra un po’ maggiore e' questa è quella rappresentata 
nella fig. 1. Essa misurava un diametro da 5 a 6 mm. .Erano 
libere in quasi tutta la loro estensione, solo per un piccolo tratto 
aderivano alla superficie che limitava la cavità, vale a dire al 
Corion. Non erano però peduncolate, ma sembravano come appic- 
cicate per un tratto della loro superficie. Per il loro piccolo volume 
queste vescicole non occupavano che una minima parte della ca- 
vità circoscritta dal Corion. 

Questo è quanto si poteva notare ad un semplice esame di- 
retto, coadiuvato anche dalle lenti d’ingrandimento. Volendo meglio 
conoscere i rapporti di queste formazioni con il Corion, del quale 
sembravano una dipendenza, e studiare la loro intima costitu- 
zione, l’una e l’altra vennero separatamente isolate insieme ad 
un tratto più esteso del Corion sul quale sorgevano, colorate 
col carmino-borace, incluse in paraffina, e divise col microtomo 
in un numero indefinito di sottili sezioni che vennero tutte con- 
servate nella gomma Damar nell’ordine col quale venivano fatte. 
In questi preparati non solo si può studiare la struttura delle 
vescicole, ma ancora del Corion e delle villosità che sorgevano 
numerose dalla superficie esterna di esso. 

Nel trasportare l’ovulo dal liquido picro-solforico nell’alcool 
a diversi gradi di concentrazione, le vescicole divennero meno 
trasparenti, e nel liquido entro contenuto si formò un leggero pre- 
cipitato. L’inclusione in paraffina produsse naturalmente un raggrin- 
zamento delle vescicole per cui nelle sezioni le pareti si presen- 
tavano sotto forma di un nastricino o meglio di un sottilissimo 
filo, irregolarmente disposto, ma la cui continuità poteva essere 
facilmente seguita. 

Questa disposizione irregolare della parete delle vescicole ca- 


ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 109 


gionò un altro fatto che merita d’essere tosto notato. In molte 
sezioni accanto al preparato principale si incontrano dei cerchi 
completamente chiusi, i quali farebbero credere alla esistenza di 
vescicole secondarie indipendenti, disposte attorno alla vescicola 
maggiore. Ma ciò non è che effetto del diverso ripiegarsi della 
parete della vescicola, la quale venendo dalla sezione colpita in una 
di queste ripiegature, dà l’idea di una cavità secondaria; ma 
esaminando le sezioni successive si vede come la parete di questa 
si continui con quella della vescicola principale. 

La costituzione delle due vescicole ed il loro modo di com- 
portarsi con il Corion è perfettamente identico. Solo nella vesci- 
cola minore le pareti sono un po’ più robuste in rapporto 
evidentemente al diverso grado di distensione che esse hanno su- 
bito. Questo effetto meccanico si fece sentire pure sui. diversi 
punti delle pareti della stessa vescicola. Esse infatti non pre- 
sentano egual spessore, raggiungono la massima sottigliezza nella 
parte più lontana dal punto d’impianto sul Corion e vanno gra- 
datamente aumentando quanto più ci portiamo verso il pedun- 
colo d’inserzione (vedi Fig. 2° e 3°). 

In qualunque punto però si esamini la parete risulta costituita 
da due strati, uno interno epiteliare e l’altro esterno connettivo. Lo 
strato epiteliare conserva in tutta l'estensione la medesima apparenza, 
esso è formato da un unico strato di cellule fortemente appiattite. 
Il nucleo in sezione è ovalare e un po’ sporgente nella cavità, 
visto di fronte invece è sferico con granulazioni variamente sparse 
qua e là. La sola circostanza a notarsi si è che i nuclei di 
questo strato ci appaiono più avvicinati là dove la parete ha 
un certo spessore e quindi in corrispondenza del punto d’inser- 
zione della vescicola sul Corion; più distanti invece nei tratti più 
sottili della parete (vedi Fig. 4°). 

Lo strato esterno è quello in dipendenza del quale risulta 
in principal modo il diverso spessore della parete delle vescicole. 
Esso è una continuazione del tessuto stesso del Corion, risulta 
quindi costituito da un tessuto connettivo lasso con cellule fu- 
siformi. Queste sarebbero disposte in diversi ordini nella parte 
più robusta della parete; nella porzione sottile questo strato è ri- 
dotto ad un semplice velamento che serve di sostegno all’epitelio 
sottostante. Ciò si osserva in principal modo nella parte più 
eccentrica della vescicola maggiore, dove la parete ad un su- 
perficiale esame sembra risultare dal solo strato epiteliare interno. 


110 C. GIACOMINI 


Non esiste una stretta connessione fra questi due strati, per 
cui facilmente si possono allontanare l'uno dall’altro, come av- 
venne in diversi punti sotto l’azione dei reagenti cui fu sotto- 
posto il preparato. In questi tratti la loro costituzione ed indi- 
pendenza è resa meglio evidente. 

Il Corion non presentava nulla di notevole. Ha spessore non 
uniforme e questo è un po° maggiore nei punti dove sorgono le 
vescichette. I due strati risultano costituiti nel modo conosciuto. 
Dalla superficie esterna del Corion e principalmente nel punto 
corrispondente alle vescichette sì originano numerose villosità , 
le quali vennero colpite dalla sezione nel modo più svariato. 

Non ho potuto rilevare in esse la presenza di vasi sanguigni. 
Sono tutte limitate da un doppio ordine ben evidente di cellule 
epiteliari, regolarmente disposte e fuse insieme. La parte essen- 
ziale del villo è formato da tessuto connettivo lasso con mag- 
giore o minore abbondanza di elementi cellulari. Questo riempie 
completamente lo spazio circoscritto dallo strato epiteliare; però 
in alcune villosità lo stroma appariva come raggrinzato o rac- 
colto alla parte centrale del villo, lasciando così uno spazio 
manifesto tra esso ed il rivestimento epiteliare. In questi casi 
gli elementi dell'epitelio si dimostravano molto ben distinti ed 
indipendenti dal sottoposto stroma. 

L’aderenza delle due cisti alla faccia interna del Corion si 
operava nello stesso modo. Le sezioni fatte in corrispondenza di 
questo punto dimostravano come il tessuto connettivo fosse più 
robusto, e come esso si continuasse, senza nessuna linea di con- 
fine sulla superficie stessa delle vescicole formando così lo strato 
esterno delle pareti di queste. 

Questo strato conserva meglio i caratteri del tessuto con- 
nettivo del Corion e come abbiamo già detto si presenta più ro- 
busto in vicinanza del punto d’inserzione; invece sul punto op- 
posto delle vescicole si fa più sottile, e si modifica d’alquanto per 
effetto del distendimento. 

Il tratto d'inserzione della piccola vescicola è più ristretto, 
per cui essa ci appare quasi peduncolata; nella vescicola mag- 
giore invece l'aderenza è più estesa. 

Da quanto siamo venuti discorrendo appare evidente come 
le due vescicole osservate nel nostro aborto siano una vera di- 
pendenza del Corion. 

Ma per completare la descrizione occorre di notare una cir- 


ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO UPLSI 


costanza, la quale secondo me ha grande importanza per spie- 
gare il modo di origine di siffatte produzioni. Nello spessore 
del tessuto connettivo che serve a congiungere la superficie in- 
terna del Corion con le vescicole, si osservano degli spazi ben 
circoscritti; limitato e circolarmente disposto è quello che si trova 
nel peduncolo della piccola vescicola; più ampio e più irregolare 
è nella maggiore. 

Questi spazi sono rivestiti alla lor faccia interna da uno 
strato di cellule ben evidenti con nucleo rotondeggiante e proto- 
plasma leggermente granuloso. Le cellule sono molto avvicinate 
fra loro e quasi fuse insieme. Esse sono sostenute all’esterno dal 
connettivo del Corion, col quale però si trovano molto lassa- 
mente unite, occorrendo di osservare in molte sezioni un alion- 
tanamento dello strato cellulare dal connettivo del Corion. 

Non vi ha alcun dubbio, che queste cavità sono in stretta con- 
nessione colle vescicole studiate, costituendo uno dei primi stadi 
del loro sviluppo. Se le cellule che formano il rivestimento interno 
ci appaiono con caratteri un po’ diversi da quelli che presentano 
le cellule epiteliari delle due vescicole, ciò dipende non da altro 
che dal diverso grado di sviluppo che hanno avuto questi spazi. 
Questi elementi possono essere ben studiati nella fig. 3 dove es- 
sendo allontanati dallo strato connettivo, ed essendo colpiti dalla 
sezione in piani diversi, essi si presentano colla massima evidenza 
dimostrando il loro carattere epiteliare. 

Descritti così i caratteri anatomici ed istologici delle due 
vescicole rimane a stabilire quale significato esse abbiano, ed in 
quali rapporti esse fossero col nuovo individuo che stava svilup- 
pandosi in quest’'ovo. 

La prima idea che viene alla mente, si è che fossero il rap- 
presentante dell'embrione, o meglio che esse procedessero da un 
deviato sviluppo degli elementi che dovevano produrre l’embrione 
o le sue parti annesse. Questa idea avrebbe maggior fondamento 
se noi potessimo essere certi della mancanza dell’ embrione , 
escludendo in modo assoluto il dubbio che esso non fosse sfug- 
gito per l'apertura che si produsse nelle membrane, prima di 
essere da noi esaminate. E noi troveremmo in allora un facile 
appoggio al nostro concetto, consultando gli autori, essendochè 
non è troppo raro di vedere descritte vescicole di forma sferica 
od ovale alla faccia interna del Corion, e considerate come l’em- 
brione nelle primissime fasi di sviluppo. 


113172 C. GIACOMINI 


E mi basta qui accennare che His nel fascicolo II, pagg. 32 
e 87-88 descrive e figura (36 e 47) uno dei suoi più giovani 
embrioni (XLIV), che egli considera come normale, il quale si 
presenta un po’ diversamente dagli altri risultando esso di due 
produzioni applicate alla faccia interna del Corion per mezzo di 
uno stelo molto corto, l'una elissoidale non trasparente, e l’altra 
produzione consistente di una vescica trasparente ad esso unita. 
La prima egli considera come la vescicola ombellicale, insieme 
ai rudimenti embrionali, la seconda come amnios. L'esame mi- 
croscopico non essendo stato fatto, l’His dà questa interpretazione 
come provvisoria, rimandando ad un esame più accurato un 
giudizio definitivo. Però le apparenze macroscopiche, sono 
tutte favorevoli per una stretta affinità col caso da me soprade- 
scritto. 

Più recentemente il Chiarugi (Di un uovo umano del prin- 
cipio della seconda settimana, Siena, 1887) ha descritto un 
ovulo umano al principio della seconda settimana, nella cavità del 
quale si trovava una vescichetta bilobata che per un’ampia su- 
perficie aderiva alla faccia interna del Corion. Essa fu sezionata 
in tutta la sua estensione, e l’esame microscopico dimostrò quanto 
segue: 

« Essa era costituita da varii strati di cellule mal delimi- 
tabili nel loro contorno, assai fittamente riunite, provviste di 
nucleo rotondo o ovale. Nel tratto assai esteso col quale la 
vescichetta prendeva inserzione sulla parete interna dell’uovo gli 
elementi connettivi dello strato mesodermale del Corion si con- 
fondevano e si continuavano gradatamente con quelli delle pareti 
della vescichetta e tanto da poter ritenere che identica fosse la 
natura degli uni e degli altri, come del resto era rivelata dal 
loro aspetto e particolarmente dall’apparenza dei nuclei cellulari. 
Variava solo alquanto la disposizione degli elementi, che nelle 
pareti della veschichetta erano più strettamente avvicinati. Le 
cellule che tappezzavano la cavità della vescichetta erano dispo- 
ste, con maggiore regolarità ed apparivano come elementi appiat- 
titi formanti uno strato continuo. 

Il Corion era in quel punto costituito come nel rimanente della 
faccia uterina e mediale dell’uovo, ed era anche quivi provvisto 
di villosità acute e ramificate » (pag. 14). 

Ho voluto riprodurre testualmente la descrizione del Chia- 
rugi, per dimostrare come essa sia perfettamente identica a quella 


ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 1153 


che io ho dato più sopra della costituzione delle pareti delle due 
vescichette e del modo loro di connessione col Corion. 

Il Chiarugi avendo raccolto l’ovulo intero, ed avendolo aperto 
con tutte le precauzioni volute, non trovò nell’interno della cavità 
che un liquido mucilaginoso e la vescichetta sopra descritta, 
come unico rappresentante dell'embrione. Questo fatto può venire 
in appoggio dell'idea che anche nel nostro caso le cose stessero 
in questi termini, vale a dire che le due vescichette fossero le 
sole parti contenute nella cavità del Corion, e che non esistesse 
traccia del nuovo individuo che doveva svilupparsi. 

Ammesso adunque che l’embrione mancasse non per essere 
uscito dalla apertura delle membrane, ma per un difetto nello 
sviluppo, si tratta di vedere se le due produzioni riscontrate 
alla faccia interna del Corion possono essere considerate come 
dipendenze del medesimo, ed abbiano avuto origine dagli elementi 
stessi embrionali deviati dalla loro normale evoluzione. 

Dalla descrizione che abbiamo fatto, appare evidente che 
queste vescichette sono di provenienza embrionaria, esse hanno 
troppo intimi rapporti, e stretti legami con il Corion blastoder- 
mico, per poterli considerare diversamente. Ma nello stesso tempo 
crediamo pure ad una perfetta indipendenza di esse dagli elementi 
propri dell'embrione, vale a dire che non possiamo considerarle 
come rappresentanti dell'embrione, ma semplicemente come pro- 
duzioni del Corion. L'arresto o la scomparsa dell'embrione può 
avere avuto una influenza sullo sviluppo di queste produzioni, ma 
esse certamente si sono originate dagli elementi del Corion e non 
da quelli propri dell'embrione. 

È qui d’uopo che accenni ad una particolarità che presen- 
tava il Corion in corrispondenza del punto dove aderivano le 
vescichette, particolarità la quale può dar fondamento ad una 
ipotesi, che valga a spiegare l’origine loro. Se si esamina la su- 
perficie esterna del Corion nelle sezioni della vescicola maggiore, 
sì scorge come essa, non si presenti regolare siccome osserviamo in 
tutti gli altri punti, ma presenti invece un affondamento verso la 
superficie interna, il quale si va dividendo, per modo da assumere 
l'aspetto di una ghiandola rudimentale a grappolo, con due o tre 
acini e con un condotto escretore breve. La superficie tanto degli 
uni quanto dell'altro sono rivestite dall’ epitelio del Corion, il 
quale non presenta nessuna modificazione da quello che si dispone 
su tutto il resto della superficie coriale. Questa disposizione che 


114 C. GIACOMINI 


io ho riscontrato, solamente in questo punto, si mantiene per 
una certa estensione della superficie sulla quale aderisce la ve- 
scicola (vedi fig. 3° £). 

Ora riesce facile il comprendere che se uno dei fondi ciechi 
esageri la sua forma globosa, e nello stesso tempo il connettivo 
coriale proliferi in corrispondenza della parte più ristretta, per 
mezzo della quale esso è ancora riunito alla superficie del Corion, 
può avvenire una separazione completa di esso e così aversi in 
mezzo al connettivo del Corion un follicolo chiuso, rivestito alla 
sua faccia interna da uno strato epiteliare. Ora supponendo che 
nell’interno di questo follicolo chiuso si vada producendo del li- 
quido, esso andrà aumentando in volume e così si avranno tutti 
gli stadi che abbiamo osservato nel nostro caso. E diffatti nel 
pedunculo della vescicola minore abbiamo notato l’esistenza di 
una cavità rivestita di epitelio che potrebbe rappresentare uno 
dei primi stadi; nel peduncolo della vescicola maggiore, si trova 
una cavità più ampia rivestita pure essa da epitelio, il quale 
però va già modificandosi nei suoi caratteri, e che potrebbe con- 
siderarsi come uno stadio ulteriore di sviluppo, finchè continuando 
l'accrescimento in volume si avrebbe un ultimo stadio rappresen- 
tato dalle due vescicole che facevano sporgenza nell’interno della 
cavità del Corion. 

Nè a questo punto si sarebbe arrestato il processo, se l’ovulo 
avesse continuato a rimanere nella cavità uterina, altre vesci- 
cole probabilmente si sarebbero di nuovo prodotte, le già esi- 
stenti avrebbero aumentato in volume, dando origine così ad 
un’ alterazione del Corion, la quale, non so, se sia già stata de- 
scritta a questo periodo di sviluppo. Sono molto scarse infatti 
le notizie che noi abbiamo intorno alla patologia del Corion 
nelle prime settimane della vita endouterina, e queste riguardano 
quasi esclusivamente le villosità, attesa la loro grande importanza 
funzionale. 

Non è d’uopo che io ripeta che il modo con cui ho cercato 
di rendermi ragione della formazione delle particolarità osservate 
nell’ovulo è una pura ipotesi, la sola però che si presenti la più 
razionale. Ed io l’ho accolta tanto più volentieri in quanto che 
essa è indipendente dalle condizioni di esistenza o no dell’em- 
brione. 

]l caso descritto dal Chiarugi, io reputo della stessa natura 
di quello che siamo venuti ora studiando. 


GIACOMINI- Anomalie di sviluppo dell'Embrione Umano. 


AC CAPITOLI 


6 


ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO DIS 


SPIEGAZIONE DELLE FIGURE 


Fig. 1° Cavità dell’ ovulo aperta. Sulla superficie interna del 
p I 
Corion si osserva la vescicola maggiore V. La vescicola 
minore era già stata esportata per essere studiata. 


Fig. 2° Una sezione della vescicola minore in corrispondenza del 
punto dove si inseriva al Corion. P peduncolo nello 
spessore del quale si nota uno spazio circolare rive- 
stito da epitelio F. 


Fig. 3° Una sezione della vescicola maggiore nella parte media 
della sua aderenza al Corion. Anche qui si trova nello 
spessore del Corion una cavità Y abbastanza ampia ri- 
vestita da epitelio: in £ si osserva un affondamento 
dell’epitelio del Corion verso il tessuto mesodermale. 
— © Corion — H sezioni di villosità — XX pareti 
della vescicola. 


Fig. 4° Dimostra la costituzione dei due strati che formano le 
pareti delle vescicole (Ocul. 3 obiettivo 9) Microscopico 
Koristka). — A epitelio — B strato connettivo. 


116 FEDERICO SACCO 


Studio geologico dei dintorni di Guarene d’Alba 


del Dott. FEDERICO SACcco 


CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA PALEOFITOLOGIA TERZIARIA 
DEL PIEMONTE. 


Mentre numerosissime sono, nel bacino terziario del Piemonte, 
le località che divennero famose per la loro ricchezza in resti di 
animali fossili, pochissime invece sono quelle che fornirono, in 
qualche abbondanza, resti di vegetali, ed anzi esse possonsi rag- 
gruppare in tre principali, cioè: pel miocene inferiore le vici- 
nanze di S. (Giustina nell'Appennino settentrionale; pel miocene 
medio alcune poche località dei colli torinesi e pel miocene su- 
periore le vicinanze di Guarene d’Alba. 

° I banchi fillitiferi del Tongriano interiore di S. Giustina, i 
cui stupendi fossili furono accuratamente raccolti da Don Per- 
rando, vennero già descritti dall’Issel (1) ed i terreni che li com- 
prendono già segnati in una recente carta geologica (2). 

Delle marne dure fillitifere dei colli torinesi ebbi già ad in- 
dicare in altro lavoro lo sviluppo e la precisa posizione geologica 
costituendo esse, quasi da sole, il piano Langhiano (3). 

Invece della regione fillitifera di Guarene d’Alba, quantunque 
già abbia avuto a trattare (4) in un esame generale del Mes- 


(1) A. IsseL, Note intorno al rilevamento del territorio compreso nei fogli 
di Cairo Montenotte e Varazze. Boll. R. Com. geol. ital. , serie II, vol. VI, 
1885. 

(2) A. IsseL, L. MazzuoLi e D. Zaccagna, Carta geologica delle Riviere 
Liguri e delle Alpi Marittime. Genova, 1887. 

(2) F. Sacco, / Colli torinesi. Carta geologica alla scala di 4/00, Torino, 
1887. 

(4) F. Sacco, Il piano Messiniano nel Piemonte (due parti, Mondovì- 
Guaréne e Guarene-Tortona) Boll. Soc. geol. ital., vol. V e VI, 1886 e 1887. 


STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 117 


siniano in Piemonte, tuttavia non venne finora fatto alcun la—- 
voro particolare, nè pubblicata alcuna carta geologica dettagliata, 
per cui in considerazione non solo dell'importanza paleontologica 
ma anche geologica della regione ultimamente accennata, creco 
opportuno di presentarne uno studio particolare, unendovi la 
carta geologica in grande scala, ma tralasciando però di farne 
l'esame paleontologico che venne già maestralmente eseguito spe- 
cialmente da Eugenio Sismonda (1) e riassunto nei miei preac- 
cennati lavori. 

Debbo però notare prima d'’entrare in argomento, come la 
indicata scarsità di resti fossili vegetali nei terreni terziari del 
Piemonte è piuttosto apparente che reale, e dipende essenzial- 
mente dal non essersi eseguite in proposito accurate ricerche se non 
che in pochissime località; prova evidente di ciò è il fatto, che le 
ricchezze paleofitologiche di S. Giustina sono dovute quasi uni- 
camente all'opera di un sol uomo che consacrò in tali ricerche 
parte notevole della sua vita, trascorsa appunto in tale regione, 
e quelle dei colli di Torino e di Guarene debbonsi agli studi 
del Sismonda che, avendo trascorso gran parte della sua vita 
in Torino ed in Conegliano d’ Alba, suo luogo di nascita e di 
villeggiatura estiva, ebbe campo per una lunga serie di anni di 
fare accurate ricerche nei terreni terziari di queste due regioni. 

Ma in verità nello studio che feci in questi ultimi anni del- 
l’intiero bacino terziario del Piemonte, ebbi a constatare in lo- 
calità numerosissime, ed in quasi tutti gli orizzonti geologici che 
lo costituiscono una quantità più o meno grande di resti vege- 
tali; credo anzi opportuno di dare un rapido cenno in proposito, 
colla speranza di poter incoraggiare qualche paleofitologo in 
queste ricerche. 

Nei terreni bartoniani delle colline Torino-Valenza sono ab- 
bondantissime le filliti, i rami d’albero, i frutti, le impronte di 
Zoophycos, ed i resti calcarei di Lithothamnium. Trattasi di 
una flora interessantissima, di cui il Cav. Roasenda possiede una 
ricca raccolta, finora però affatto vergine di studi speciali. 


(1) E. Sismonpa, Prodrome d’une flore tertiaire du Piemont, Mem. R, Ace. 
Se. di Torino, serie II, tomo XVIII, 1859. — Materiaux pour servir à la 
paléontologie du terrain tertiaire du Piemont, Mem. R. Acc. Sc. di Torino, 
serie II, tom. XXII, 1865 


118 FEDERICO SACCO 


Sulle lastre arenacee e su quelle calcaree del Liguriano 
rinvengonsi comunissimamente impronte di alghe d’ogni forma e 
dimensione e finora ancora ben poco studiate. 

Molto sovente s'incontrano rami, filliti, fiori e frutti nel 
Tongriano inferiore subalpino e subappennino, specialmente nei 
banchi arenacei o arenaceo-marnosi alquanto fogliettati; questa 
ricchissima e lussureggiante flora tropicale del 7ongriano, di 
cui posseggono abbondantissimi e ben conservati resti i Musei 
di Genova e di Torino, servirà certamente di prezioso mate- 
riale per uno stupendo lavoro monografico a quel paleofitologo 
che vorrà occuparsene. 

Pure assai comuni sono i resti vegetali, quantunque gene- 
ralmente non molto ben conservati, fra i depositi arenacei aqui- 
taniani sia lungo le falde appenniniche settentrionali che nelle 
colline Torino-Valenza; talora i Lithothamnium costituiscono dei 
veri orizzonti calcarei. 

Gli strati marnosi duri del Langhiano, così riccamente fil- 
litiferi nei colli torinesi, come ho dianzi indicato, continuano a 
presentare tale prezioso carattere paleontologico nella restante 
parte dei colli Torino-Valenza, come pure, quantunque meno 
comunemente, anche nella parte meridionale del bacino terziario 
del Piemonte. 

Quanto all’Elveziano, se i banchi che lo costituiscono sono 
specialmente famosi per i fossili animali, non vi sono però rari, 
in alcune località, anche resti vegetali specialmente frammenti 
di legname ed alghe calcaree, fra cui particolarmente abbondan- 
tissimi in certe località i Lithothamnium. 

Se le marne del Tortoniano racchiudono raramente fossili 
vegetali, tuttavia in certi straterelli arenaceo-marnosi che in 
alcune regioni rappresentano la parte superiore di questo oriz- 
zonte, con facies sarmatiana, (ad esempio nelle colline della 
Morra presso il Castello della Volta, nelle colline presso Nizza 
Monferrato ecc.), abbondano straordirariamente le filliti. 

Quanto al Messiniano, l'abbondanza in filliti delle marne 
sabbioso-marnose o marnoso-gessifere di Guarene, unica regione 
esaminata un po’accuratamente a questo riguardo, ci dà già un'idea 
della ricchezza paleofitologica di questo orizzonte geologico nel 
Piemonte; infatti quasi ovunque, specialmente nella parte meri- 
dionale del bacino terziario piemontese, ebbi a constatare im- 
pronte di foglie nelle marne sabbiose straterellate, assai carat- 


STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 119 


teristiche del Messiniano, ed altri resti vegetali rinvenni persino 
fra le arenarie ed i conglomerati di questo piano, come ad esempio 
nella parte alta delle colline della Morra; così pure là dove si 
dovettero fare degli ampi scavi in terreni messiniani, ad esempio 
sotto S. Vittoria d'Alba per la strada ferrata, si rinvennero 
sovente bellissime filliti che però generalmente andarono disperse, 
eccetto che nel caso suaccennato in cui vennero raccolte e custo- 
dite dal prof. Craveri di Bra. 

Nei terreni marnosi del Piacentino non sono rari i resti di 
tronchi vegetali, di strobili di conifere ed anche di foglie, special- 
mente in certi strati particolari. 

Abbondantissimi sono poi i rami, gli strobili e le filliti nel- 
l’Astiano sia superiore che inferiore, specialmente negli strati 
fogliettati. Gran numero di filliti difatti ebbe occasione di ot- 
tenere delle marne fogliettate dell’ Astiano inferiore il predetto 
Prof. Craveri durante gli scavi fatti presso Bra per la ferrovia, 
e ne potei io pure raccogliere moltissime in diversi punti del 
bacino terziario piemontese. 

Tanto nei terreni pliocenici come in quelli miocenici riscon- 
transi a certi livelli dei veri banchi a Lithothamnium, i quali 
però specificamente sono difficili a distinguersi. 

Noterò infine come numerosi resti vegetali, fra cui belle fil- 
liti, si possono anche raccogliere sia nei depositi di littorale e 
d'acqua salmastra del Fossaniano, sia nelle marne grigiastre o 
grigio-verdastre, di origine filuvio-lacustre, del Vi/lafranchiano 
persino al piede meridionale delle Alpi occidentali, come osservai 
in diversi punti sotto i terreni sahariani del cono di deiezione 
della Stura di Lanzo. 

Dopo questa rapida rassegna della ricchezza paleofitologica 
del bacino terziario del Piemonte, non mi resta più che espri- 
mere la speranza che presto sorga chi si occupi della ricerca e 
dello studio di questi tesori paleontologici, rimasti finora in gran 
parte ignorati e sepolti. 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 9 


120 FEDERICO SACCO 


II: 


ESAME PARTICOLARE DEI DINTORNI DI GUARENE. 


Passando ora all’esame geologico della famosa regione filli- 
tifera di Guarene d’Alba, osserviamo anzitutto come sieno i suoi 
strati diretti da nord-est a sud-ovest con leggiera inclinazione 
a nord-ovest, e senza notevoli disturbi stratigrafici, per modo 
che, dirigendoci dalla grande valle del Tanaro verso nord-ovest, 
si passa gradatamente dai terreni più ‘antichi ai più recenti, 
cioè dal Miocene superiore al Pliocene superiore. 

Seguendo la classificazione del Mayer si possono distinguere 
nella regione che intendiamo studiare, quattro diversi piani geologici, 
che passeremo brevemente in esame a cominciare dal più antico. 


Tortoniano. 


Il Tortoniano delle colline di Guarene, come d’altronde di 
quasi tutto il Piemonte, è essenzialmente costituito da marne ar- 
gillose grigio-bleuastre, talora alternate con strati sabbiosi od 
arenacei, talora invece piuttosto omogenee a stratificazione non 
nettamente visibile, facili ad essere disaggregate ed esportate. 

Questa natura litologica del Zortoniano ci spiega perchè le 
colline che ne sono costituite si presentino, proporzionatamente 
a quelle circostanti, poco elevate, rotondeggianti, ed a morbidi 
pendii, oppure, là dove esse vennero profondamente incise da 
piccole o da grandi correnti acquee, come in alcune vallette e 
specialmente nella valle del Tanaro, queste colline tortoniane 
presentino profondi burroni e spaccati continuamente cangianti 
di forma, non potendosi quivi i banchi marnosi sostenere a lungo 
senza appoggio laterale; da ciò derivano i pendii ripidi, franosi, 
rovinosi di borgate Scaparone, di C. La Torre, di C. Coscia e 
specialmente del paese di Guarene sulla sinistra di Val Tanaro, 
nonchè quelli di C. Ghersi, di C. Rocca, di Barbaresco ecc., 
sulla sua sponda destra. 

Di più la natura marnosa del Zortoniano ci spiega chiara- 
mente come la valle del Tanaro, della larghezza di poco più di 
un chilometro tra le colline di Verduno e quelle di S. Vittoria, 


STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 121 


dove è incisa nei terreni messiniani abbastanza resistenti, come 
vedremo, si allarghi notevolmente ad est, raggiungendo ed oltrepas- 
sando anche la larghezza di 3 chilometri come tra le colline di 
Guarene e quelle di Alba, avendo potuto il Tanaro facilmente 
esportare le marne argillose fortonzane, in cui è quivi incisa la 
vallata. 

Infine la sovraccennata natura del Tortoniano di queste re- 
gioni ci spiega ancora perchè siano continuamente in riparazione 
le gallerie ferroviarie di C. Ghersi e di C. Rocca ad est di 
Alba, opere che sono uno dei tanti errori commessi nella costru- 
zione delle linee ferroviarie che attraversano le regioni collinose 
del Piemonte, per non essersi tenuto conto della natura dei ter- 
reni che si doveano incontrare in tali lavori. 

Abbiamo già sopra accennato come la direzione generale degli 
strati della regione in esame sia da nord-est a sud-ovest; 
quanto all’inclinazione, verso nord-ovest, è di circa 10° nella 
parte meridionale cioè nelle colline d'Alba dove il Z'ortoniano 
passa inferiormente all’Elveziano, ma è invece di solo più 4° o 
5° nelle colline di Guarene e di Scaparone dove i suoi banchi 
vengono ricoperti dai terreni messiniani. 

La potenza della serie fortonzana di queste regioni, tenuto 
conto della piccola inclinazione degli strati, si può calcolare a 
solo 400 metri circa, per quanto molto ampia sia la regione 
occupata da questi terreni. 

Se nelle colline delle vicinanze d’Alba, sulla destra del Ta- 
naro, si esamina attentamente il Zortoniano inferiore e si cerca 
di separarlo dall’Elveziano superiore, si nota tosto come tale 
distinzione mentre è abbastanza facile e naturale nel complesso, 
riesce invece difficile ed arbitraria quando si cerca di segnare 
i limiti precisi tra un piano geologico e l’altro, a causa del fatto 
che tra essi esiste un passaggio graduatissimo per mezzo di ripe- 
tute alternanze di strati marnosi, sabbiosi ed arenacei che col- 
legano le marne argillose del Torfoniano alle sabbie marnose 
dell’Elveziano. 

Questo fatto d’altronde, quantunque sia d’imbarazzo a chi 
fa il rilevamento geologico, non trovandosi uno stabile punto di 
appoggio per fissare nettamente il limite tra i due orizzonti in 
questione, è però assai naturale e ci indica che tra il periodo 
lelveziano e quello tortoniano non vi fu, nella regione in esame, 
lalcun salto, ma invece un lento e graduale abbassarsi del fondo 


122 FEDERICO SACCO 


marino per modo che i depositi quivi formatisi cangiarono poco 
a poco di faczes, presentando dapprima facies di basso fondo 
ed in seguito di alto fondo. 

Qualche cosa di simile si deve pur dire rispetto al passaggio 
tra il Tortoniano superiore ed il Messiniano inferiore, che av- 
viene pure senza salti, solo che in questo caso essendo la natura 
e la resistenza dei terreni dei due orizzonti molto diversa, ne 
viene abbastanza facile la separazione, talora anche di lontano, 
a causa di una specie di gradino che formano i banchi sabbioso- 
gessiferi del Messiniano sulle marne argillose del Zortoniano 
costituenti colline a dolcissimo pendio. 

Però esaminando accuratamente i banchi che costituiscono 
l’ora indicato passaggio, si vede che anche in questo caso un 
limite netto fra i due orizzonti geologici non si può generalmente 
stabilire per l’irregolare apparire delle inferiori lenti gessifere 
fra le marne tortoniane ed anche per frequenti alternanze di 
strati sabbiosi e arenacei, con strati marnosi. 

I fossili racchiusi nei banchi fortoniani della regione collinosa 
in esame sono piuttosto rari e per lo più sparsi qua e là per modo 
che se ne trova bensì talora qualcuno eseguendo degli scavi un 
po ampi, ma quasi mai è possibile farne una discreta raccolta, 
tanto più che essi sono generalmente alquanto difficili ad estrarsi 
e conservarsi; si trovarono anche in questi terreni alcuni resti ve- 
getali, come ad esempio qualche esemplare di frutto drupaceo 
(completamente trasformato in calcite) di Juglans-nux taurinensis 
Brogn. presso la C. Torre. 

Possiamo infine accennare pel lato industriale che il terreno 
tortoniano viene qua e là utilizzato per fabbrica di laterizi, 
mentre dal lato agricolo esso costituisce un’eccellente regione vi- 
ticola sia per la natura litologica che per la forma delle sue 
colline: vi scarseggiano però le sorgenti acquee. 


Messiniano. 


1 terreni messiniani che costituiscono una specie di nastro 
irregolare, il quale taglia da nord-est a sud-ovest la regione 
in esame, sono essenzialmente rappresentati da banchi sabbioso-, 
marnosi gessiferi e da banchi sabbioso-marnosi racchiudenti talora | 
arenarie e conglomerati abbastanza potenti; i primi trovansi spe-_ 


STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 1283 


cialmente nella parte inferiore, i secondi in quella superiore del- 
l'orizzonte geologico in istudio; ma verso ovest i primi, poten- 
temente sviluppati, vengono a costituire quasi da soli l’intiero 
piano Messiniano. 

Assieme ai banchi marnoso-sabbioso-gessiferi di color grigio 
giallastro o bleuastro incontransi pure non di rado strati o lenti 
marnoso-calcaree od anche quasi unicamente calcaree, di color 
giallo biancastro, come per esempio presso C. Gomba, nella parte 
alta del Bric Paradiso, presso C. Lora, ecc. 

Le marne calcaree sono di color grigio-verdastro come al 
Bric Paradiso, oppure di color giallo-biancastro, dove il calcare 
è più abbondante, e gradatamente si passa ai veri calcari concre- 
zionati biancastri inglobati in marne grigio-verdastre come presso 
C. Roncaglia, dove la presenza del calcare è indicata anche di 
lontano dal color rossastro che il terreno assume superficialmente 
per alterazione chimica. 

Nella carta geologica unita a questo lavoro ho indicato con 
tinta speciale l'orizzonte gessifero, ma devo far notare come la 
zona indicata come gessifera è pure in gran parte rappresentata 
da terreni marnoso-sabbiosi fra cui sono compresi i banchi e le 
lenti gessose. 

Le lenti ciottolose talvolta sono fortemente cementate da 
marne sabbioso-calcaree, costituendo dei conglomerati resistentis- 
simi come presso la C. Gerbole; ma più comunemente si pre- 
sentano mescolate a sabbie ed arenarie poco cementate e quindi 
facilmente franabili come presso Guarene, presso la fontana del 
Borbore, ecc. 

Gli elementi ciottolosi sono in generale piuttosto piccoli e 
solo veggonsi alquanto voluminosi, per breve tratto e con poco 
spessore, nelle immediate vicinanze del paese di Guarene, quivi 
appoggiandosi direttamente ai banchi gessiferi e venendo ricoperti 
da arenarie, sabbie e marne straterellate assai potenti. 

I banchi sabbioso-arenacei veggonsi specialmente sviluppati 
poco sopra l’orizzonte gessifero; si possono esaminare assai bene 
nelle ripide balze delle colline dei Sioneri, di C. Signetti e di 
C. Gonella, lungo la dirupata sponda sinistra dell'alta valle Bor- 
bore ed a diversi livelli sui fianchi del Bric Monte e del Bric 
San Lucero. 

Alternate coi suddetti banchi arenacei, ma per lo più supe- 
riormente ad essi, notansi marne sabbiose straterellate grigio- 


124 FEDERICO SACCO 


giallastre o grigio-bleuastre, sovente fillitifere, coperte alla lor 
volta da marne argillose grigio-verdastre od anche brunastre su 
cui finalmente si stendono le marne argillose grigio-bleuastre ric- 
camente fossilifere del Piacentino. 

In ragione della resistenza abbastanza notevole che presentano 
i terreni messiniani, specialmente i banchi gessiferi e quelli are- 
nacei, le colline che ne sono costituite si riconoscono anche di 
lontano per i loro pendii piuttosto ripidi, per le loro creste ele - 
vate, per il luccichio che talora mostrano sui fianchi a causa dei 
cristalli di gesso, ed infine per la vegetazione arbustacea assai 
più sviluppata che nelle colline fortoniane: ne sono esempi le 
colline di C. Roncaglia, di C. Ciappella, di Bric del Paradiso, 
dei Sioneri, di Bric Monte, di Bric S. Lucero, ecc. 

Si è già accennato a questo riguardo come sia dovuto all’o- 
rizzonte messiniano, attraversante la valle del Tanaro tra Ver- 
duno e Santa Vittoria, il notevole restringimento che quivi pre- 
senta tale vallata, generalmente invece molto ampia. 

L’inclinazione generale del Messiniano è verso il nord-ovest, 
con una pendenza di solo 4° o 5° in media, ciò che ci spiega 
perchè anche là dove questo orizzonte è assai sottile, come tra la 
borgata Sioneri e la val Tanaro, esso si sviluppi tuttavia per 
quasi due chilometri di larghezza tra il fondo delle vallette e 
l’alto delle colline. 

La potenza del Messiniano, che è appena di una trentina di 
metri presso Piobesi d’Alba, si accresce rapidamente verso ovest, 
tanto che nelle colline di Guarene può essere valutata a circa 
150 metri in causa dei depositi sabbioso-ghiaiosi che quindi ven- 
gono a giorno. 

Si è già accennato come pur essendo abbastanza facile la 
distinzione tra Messiniano e Tortoniano, tuttavia esista fra questi 
due orizzonti un graduale passaggio ; così ad esempio nelle colline 
di C. Roncaglia si osserva che colle marne grigio-azzurrastre del 
Tortoniano si alternano ripetutamente strati marnoso-calcarei, 
duri, che più in alto vengono sostituiti dai caratteristici banchi 
gessosi del Messiniano. 

Nella parte superiore del terreno in questione, là dove esso 
viene coperto dal Pracentino, pare che esista talvolta una certa 
trasgressione stratigrafica, specialmente verso ovest, sovrapponendosi 
direttamente le marne argillose grigio-bleuastre piacentine alle 
marne sabbiose grigio-giallastre gessifere, per modo che parrebbe 


STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 125 


esser quivi rimasta nascosta la parte superiore del Messiniano ; 
tuttavia là dove si possono vedere spaccati che mettono a nudo 
questi terreni di passaggio, ad esempio dal piano di Monticello di- 
scendendo la valle Mellea, non si osserva alcun salto nella serie stra- 
tigrafica, ed anzi paiono le lenti gessifere essere inglobate in banchi 
marnosi di passaggio tra quelli piacentini e quelli fortoniani. 

Verso est sviluppandosi ampiamente i terreni messiniani supe- 
riori, il passaggio al Piacentino diventa più regolare, ma per 
quanto sia spesso difficile delimitare un terreno dall’ altro trat- 
tandosi in ambi i casi di marne grigiastre, tuttavia pare sempre 
che ci sia tra i due orizzonti geologici un distacco abbastanza netto, 
proveniente specialmente dalle condizioni d’ambiente assai diverse 
in cui essi si formarono, rappresentando il Messiniano un depo- 
sito essenzialmente maremmoso o littoraneo, ed il Piacentino 
invece un deposito di mare abbastanza profondo. 

In complesso si può dire che le marne del Messiniano supe- 
riore sono alquanto dure, spesso straterellate, di color grigio- 
verdastro e talora anzi nerastro, talvolta con interstraterelli sab- 
biosi e con abbondanti grumuli biancastri, e qua e là con fossili 
d’acqua salmastra; invece le marne del Piacentino inferiore sono 
meno resistenti, di color grigio bleuastro e spesso biancastro, e 
ricchissime ovunque in fossili marini, fra cui più facili a rinve- 
nirsi, anche dall’osservatore superficiale, i frammenti di Ostraea 
cochlear, Poli. 

Talora poi, almeno nella parte alta delle colline, il passaggio 
tra Messiniano e Piacentino si può conoscere anche di lontano 
in causa dei piccoli rilievi biancheggianti che i banchi piacen- 
tini inferiori costituiscono sopra alle regioni grigio-brunastre che 
rappresentano i banchi superiori del Messiniano. 

Quanto ai resti fossili di questo terreno dobbiamo anzitutto 
far notare come sia in esso precisamente che già si raccolsero 
quelle numerose filliti le quali resero famose le colline di Gua- 
rene; tali impronte rinvengonsi specialmente nelle marne sabbiose 
fogliettate giallastre o grigiastre, sia nella parte superiore della 
zona gessifera, e quindi alternate con straterelli gessosi, sia nella 
parte inferiore e media dell’orizzonte superiore, e talvolta infine 
anche frammezzo agli stessi strati di gesso per modo che le brune 
e bellissime impronte di foglie stanno direttamente sui cristalli 


gessosi, fatto importante a notarsi rispetto al modo di origine 
del gesso. 


126 FEDERICO SACCO 


Le località in cui trovansi più abbondanti le filliti, almeno 
nella regione in esame, è la parte meridionale della collinetta di 
Bric Monte a diversi livelli, dalla sommità sin quasi presso i 
terreni tortoniani. 

D'altronde però questi straterelli fillitiferi si estendono molto 
ampiamente ed è solo la maggiore o minore facilità e continuità 
di escavazione e di ricerca che ne indicano apparentemente la ric- 
chezza paleofitologica; così per esempio trovansi per lungo tratto 
a nudo queste marne fogliettate fillitifere nell'alta valle di Borbore, 
specialmente al suo lato sinistro, come pure nelle colline di Ca- 
stagnito, di Magliano (1), ecc. ma finora non furono ancora sog- 
gette ad accurate ricerche. 

La raccolta delle filliti è in questi terreni abbastanza facile, 
giacchè basta sfogliare, direi, le marne straterellate per rinve- 
nirvi le impronte sulla superficie di sfaldatura. Abbondanti sono 
in certi strati le noci calcarizzate. 

Quanto ai resti fossili animali sono a notarsi alcune impronte 
di pesci di acqua dolce e salmastra (2) e di larve di Libellula 
Doris che trovansi nelle marne fillitifere sovraccennate, nonchè la 
Testudo Craveri Portis (3), trovata fra gli stessi strati gessosi delle 
colline di Santa Vittoria d'Alba; ma molto più abbondanti sono i 
molluschi d’acqua salmastra (Neritina, Melania, Melanopsis, 
Hydrobia, Dreissena, Cardium, ecc.), che rinvengonsi talora fra 
le marne argillose del Messiniano superiore, così ad esempio nella 
valletta ad est della borgata Socco (4). 

Dal lato industriale il Messiniano è molto importante come 
quello che racchiude i depositi gessosi escavati su vasta scala in 
diverse località, specialmente presso Monticello d’Alba e presso 


(14) F. Sacco, Carta geologica di Canale e Monteu Roero Est - Scala di '/35000» 
Torino, 1887. 
F. Sacco, Carta geologica di Costigliole d'Asti — Scala di 4/2;000, Torino 
1887. 
(2) O. G. Costa, Sui pesci fossili di Bra in Piemonte, Napoli, 1865-67. 
(3) A. PortIs, Di alcuni fossili terziari del Piemonte e della Liguria, ap- 
partenenti all’ordine dei Cheloni, Mem. R. Acc. Sc. di Torino, serie II, 
vol. XXXII, 1879. 
(4) F. Sacco, Rivista della fauna malacologica fossile terrestre, lacustre e 
salmastra del Piemonte, Boll. soc. malac. ital., vol. XII, 1887. 
F. Sacco, Nuove specie terziarie di Molluschi terrestri, d'acqua dolce 
e salmastra del Piemonte, Atti Soc. it. Se. Nat., vol. XXIX, 1886. 


STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 127 


Guarene, ma ancor più estesamente, a nord di questo paese, nelle 
colline di S. Giuseppe (Castagnito). Trovansi pure talora inter- 
stratificate coi gessi sottilissime lenti solfifere, però di nessuna 
importanza industriale. 

Potrebbero pure essere utilizzate le formazioni calcaree che 
ho detto talora accompagnare i depositi gessiferi, ma esse non 
hanno molto importanza trattandosi solo di lenti poco estese e che 
darebbero soltanto della calce dolce. 

Si utilizzano sovente le sabbie ed i ciottoli del Messiniano 
medio come materiale da costruzione e come pietrisco. 

Notevole è il fatto che questi potenti depositi sabbioso-are- 
nacei messiniani assorbono nei periodi di pioggia una gran quan- 
tità d’acqua che si approfondisce poco a poco finchè incontra 
strati fogliettati argillosi, impermeabili, sui quali si arresta costi- 
tuendo così un vero velo acqueo costante che dà origine a nu- 
merose, limpide ed abbondanti sorgenti acquee, fra le quali più 
notevole quella da cui s’inizia il torrente Borbore. Tale fenomeno 
di idrografia sotterranea ebbe certamente una grande influenza 
sulla orografia di queste regioni collinose. 

Anche i banchi gessiferi danno luogo talora a veli acquei e 
quindi a copiose sorgenti; ma in tal caso l’acqua rimane quasi 
sempre più o meno gessata e quindi inadatta a molti usi ed 
anzi dannosa alla salute. 

Quanto ai rapporti tra il terreno messiniano e l’agricoltura, 
essi consistono specialmente nel fatto che le colline messinzane per 
la loro natura arenacea o gessosa e quindi per la loro forma spesso 
irregolare ed aspra, sono sovente poco adatte alla coltivazione, il 
che ci spiega come vi sia tuttora molto sviluppata la vegeta- 
zione arbustacea che anticamente doveva ricoprire tutte queste 
colline, ma che venne ora a poco a poco distrutta e sostituita 
dalla viticoltura. 

Però nelle località ove le colline messiniane presentano un 
pendio dolce, anche la vite può allignare assai bene ed i suoi 
prodotti presentano in complesso, nell’aroma e nel grado di alcoo- 
lismo, qualche differenza da quelli che danno le viti impiantate 
nelle colline tortoniane e piacentine, il che è in stretto rapporto 
colla costituzione dei diversi terreni. 


128 FEDERICO SACCO 


Piacentino. 


Il piano Piacentino o pliocene inferiore è costituito nella 
regione in esame, come d'altronde in quasi tutta l’Italia, di marne 
argillose grigio-azzurrastre piuttosto compatte ma non molto resi- 
stenti ed anzi facilmente esportabili dagli agenti acquei, motivo 
per cui vediamo che lungo la zona piacentina esistono solo basse 
colline, grigio-biancastre, rotondeggianti, a dolcissimo pendio, 
oppure ampie vallate; a causa della piccolissima inclinazione 
degli strati piacentini si osserva in generale come il fondo delle 
valli verso nord-ovest è costituito appunto di questi terreni il 
che ci spiega pure la relativa ampiezza di tali vallate. 

Sempre per la loro facile erodibilità vediamo essersi formati 
nella zona piacentina i colli più bassi per cui passano le prin- 
cipali arterie stradali della regione in istudio; così il colle di 
C. Soria, quello di Madonna del Castellero, il colle dei Sio- 
neri, ecc. 

Lo spessore della serie piacentina è assai piccolo, per quanto 
questo terreno affiori molto estesamente; infatti tenuto calcolo 
della piccola inclinazione stratigrafica, credo se ne possa valutare 
la potenza in circa 80 metri al più. 

La direzione degli strati piacentini è, come quella dei terreni 
sottostanti, abbastanza regolare da nord-est a sud-ovest; riguardo 
all’inclinazione invece, mentre nella parte meridionale gli strati 
in questione pendono di 3° o 4° circa verso il nord-ovest, con- 
cordantemente ai banchi messiniani su cui si appoggiano, nella 
parte settentrionale ed occidentale invece (specialmente ciò è visi- 
bile poco all'infuori della regione in esame) le marne piacentine 
sì rialzano poco a poco per modo che l’inclinazione, per quanto 
dolcissima, diventa quasi contraria a quella prima accennata. 

Si è già trattato del modo di sovrapposizione del Piacen- 
tino al Messiniano, non ci resta quindi che ad accennare come 
il passaggio tra Piacentino ed Astiano si compia gradatissima - 
mente per mezzo di una ripetuta alternanza di strati marnoso- 
sabbiosi grigio-bleuastri con strati sabbioso-marnosi giallastri, 
tanto che anche in questo caso, come in altri precedentemente 
nominati, non esiste affatto una netta linea di delimitazione fra 
questi due terreni per quanto essi siano nell’assieme tanto diversi 
di natura e di faczes. 


STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 129 


In complesso però la distinzione tra Piacentino ed Astiano 
non riesce molto difficile a causa del costituire i banchi preva- 
lentemente sabbiosi e relativamente resistenti di quest’ultimo piano 
geologico una specie di rialzo sopra le marne piacentine formanti 
per lo più regioni pianeggianti o quasi; ma nell’esame minuto 
di questo passaggio è certo che risulta alquanto arbitraria la linea 
di delimitazione che il geologo è obbligato a segnare sulle carte. 

Per quanto sia poco potente il terreno piacentino e per 
quanto poco profondi siano generalmente i tagli che lo mettono 
a nudo, tuttavia esso è talmente ricco in resti fossili marini ab- 
bastanza ben conservati che ovunque se ne può fare un’abbon- 
dantissima raccolta ; tuttavia possiamo notare che per questo scopo 
è particolarmente utile di esplorare gli strati superiori del P7a- 
centino , là dove esso passa all’Astiano, essendo quivi i fossili 
radunati in maggior quantità. Anzi è ad osservarsi come le più ab- 
bondanti raccolte di fossili pliocenici che si possono fare nelle 
colline in esame , come d'altronde anche in tutto il resto del 
Piemonte ed in gran parte d’Italia, si ricavino precisamente da 
questi strati di passaggio tra Piacentino ed Astiano, e quindi 
hanno i caratteri in parte d’un piano ed in parte dell’altro, ciò 
che diede già luogo a lunghe discussioni paleontologiche che si 
sarebbero potute evitare coll’esame sul terreno. 

L'argillosità e quindi l’impermeabilità dei terreni piacentini 
ci spiega il velo acqueo abbastanza regolare e costante che esiste 
tra essi ed i sovrastanti depositi ast:ani, i quali agiscono, direi. 
a guisa di spugna assorbendo l’acqua di pioggia che poscia di- 
scende gradatamente sino ai primi strati piacentini soprai quali 
è obbligata a scorrere, sinchè sbocca all'aperto formando quella 
caratteristica serie di sorgenti che osservasi spesso alla base delle 
colline. 

La relativa umidità delle regioni, per lo più pianeggianti , 
costituite da terreno piacentino, influisce eziandio sull’agricoltura, 
ed infatti possiamo osservare come la zona piacentina sia spe- 
cialmente la regione dei prati, per quanto le colline piacentine 
ci presentino pure una ricca vegetazione viticola 

Dal lato industriale devesi solo notare come nella regione in 
esame le marne argillose del Piacentino vengano solo usate talora 
per laterizi, quantunque potrebbero pure utilizzarsi per fabbrica 
di maioliche grossolane. 


130 FEDERICO SACCO 


Astiano. 


L'orizzonte geologico superiore che costituisce la massima parte 
delle colline situate nella parte nord - ovest della regione in 
esame, è l’Astiano o pliocene superiore rappresentato essenzial- 
mente da strati marnoso-sabbiosi di color giallastro, talora in- 
terrotti, nella parte inferiore, da strati pure marnoso - sabbiosi 
od anche solo marnosi, grigiastri o grigio-bleuastri, molto simili 
a quelli del Piacentino. 

Queste colline astiane che iniziano la immensa serie di col- 
line, della stessa natura ed età, dell’Astigiana e del Monferrato, 
si riconoscono anche di lontano per il loro color giallastro e per 
la loro forma abbastanza speciale a pendii piuttosto ripidi, talora 
con dei profondi spaccati e numerosi burroni dovuti alla facile 
disaggregazione dei banchi sabbiosi. 

La facile erodibilità dei terreni astiani rispetto agli agenti 
acquei ci spiega come , in un periodo di tempo relativamente 
corto, le sole acque di pioggia, raccogliendosi in allineamenti 
speciali, abbiano potuto incidere vallate piuttosto ampie di 150, 
200 metri di profondità, quali sono quelle che possonsi osser- 
vare talora nella regione in esame. 

Riguardo alla tettonica, semplicissima, dell'orizzonte Astiano 
devesi solo osservare come i suoi strati siano nella parte meri- 
dionale, leggermente inclinati verso nord - ovest, e nella parte 
settentrionale invece diventino quasi orizzontali, rialzandosi anzi 
poscia poco a poco verso nord-ovest per modo cioè da accom- 
pagnare abbastanza regolarmente nello assieme l’andamento stra- 
tigrafico già prima accennato per il Piacentino. 

Si è già esaminato nel precedente capitolo il modo graduale 
di transizione tra l’ Astiano ed il Piacentino ; riguardo all’Astiano 
superiore, costituendo esso l'orizzonte supremo della pila dei 
terreni che affiorano nella regione in esame, abbiamo solo ad 
accennare come negli strati superiori di questo piano le sabbie 
divengono spesso alquanto grossolane, inglobando talora persino 
lenti ghiaiose, come ad esempio nella parte alta di Bric Montaldo, 
accennandoci già ad un passaggio ai depositi littoranei del Fos- 
saniano che sviluppasi infatti ampiamente poco lungi, verso 
nord-ovest. 


STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 181 


La potenza dell’Astiano è assai superiore a quella del Pia- 
centino e si può calcolare di oltre 160 metri come si può ve- 
dere specialmente nelle colline di Bric Montaldo (403 m.). 

I resti fossili marini, generalmente a faczes littoranea , si 
trovano per lo più nella parte inferiore del terreno in esame 
oppure accumulati in lenti qua e là a vari livelli, ma nel primo 
caso essi sono abbastanza ben conservati e determinabili, mentre 
nel secondo invece sono spesso infranti ed erosi e quindi di dif- 
ficile determinazione. 

Dal lato agricolo notiamo che le colline costituite di terreno 
astiano, come in generale quelle dell’ Astigiana , si prestano 
assai bene alla coltivazione della vite, almeno nei versanti rivolti 
più o meno direttamente al sud, poichè verso nord essi sono 
tuttora in gran parte coperti da vegetazione arbustacea. 

Le sorgenti acquee mancano quasi affatto nelle colline astiane 
per i motivi già sovraccennati. 


Terreni quaternari. 


Lungo i pendii dolci delle colline, in diverse località della 
regione esaminata, osservansi depositi terrosi, giallastri, inglobanti 
resti di Molluschi terrestri tuttora viventi; essi ci rappresentano 
il Zoess formatosi a spese delle colline stesse per mezzo delle 
correnti d’acqua che nell’epoca quaternaria, incidendo ed erodendo 
i terreni terziari, lo trasportarono e lo depositarono a vari livelli 
sui fianchi delle colline, per modo che ora troviamo tale for- 
mazione ad elevazioni anche molto notevoli sopra l’attuale fondo 
delle vallate. 

Una parte di questo /oess si è dovuta depositare verso la fine 
dell’epoca sahariana, ma in parte anche si formò in seguito come 
si forma anche oggidì per mezzo sia delle acque di pioggia, che 
convertono i terreni terziari (affioranti alla superficie delle colline 
e quivi decomposti) in melma sdrucciolante lentamente lungo i 
fianchi delle colline stesse, sia della decomposizione e disaggrega- 
zione superficiale che si verifica, specialmente nella stagione estiva, 
nei terreni superficiali i quali per tal modo disaggregati, possono 
facilmente discendere in basso o per semplice gravità o per 
azione del vento o, specialmente, dell’acqua, come sopra dicemmo, 
e quindi depositarsi dove i pendii collinosi sono più dolci. 


132 FEDERICO SACCO 


DI 


Ma la parte più importante dei terreni quaternari è rap- 
presentata dall’ a//uvium cioè dai depositi alluvionali depostisi 
nel periodo terrazziano; queste alluvioni variano notevolissima- 
mente di potenza e di natura secondo le valli in cui si osser- 
vano, ciò in corrispondenza diretta, naturalmente, del terreno dal 
cui sfacelo derivano; così le vediamo sabbioso - marnose in val 
Cumignano ed in valle Oscura essendo quivi formate alle spese 
dei terreni piacentini ed astiani, invece anche ghiaiose in val 
Ridone ed in val Mellea, concorrendo nella loro costituzione anche 
l'orizzonte Fossaniano che incontrasi nella parte alta di queste 
vallate. 

Nell’ampia valle del Tanaro l’alluvium, della potenza di 3 
a 4 metri in media, è specialmente ciottoloso, quantunque con 
strati o lenti marnoso-sabbiose intercluse ; generalmente poi, tanto 
nelle vallette sovraccennate come in val Tanaro, al disopra dei 
depositi ghiaiosi stendesi quasi sempre un velo piuttosto sottile, 
raramente dello spessore di oltre 1 metro, di terreno giallastro, 
molto simile al /oess che appoggiasi sui pendii collinosi ; la parte 
superiore di questo /oess delle pianure è trasformata in Aumus. 


CONCLUSIONE. 


Riassumendo le osservazioni fatte sulla regione esaminata nel 
presente lavoro, noi possiamo dunque dire che essa sì presenta 
geologicamente così costituita : 


Formazione marnoso-sabbiosa (l0ess) o ghia- 
ioso-ciottolosa (alluvium) depostasi discordante- 
mente sui diversi orizzonti terziari ed inglobante 
talora conchiglie di Molluschi terrestri. 


Terrazziano 
e Sahariano 
superiore | 
| 


Marne e sabbie gialle con fossili di basso fondo 


Astiano . 
marino. 


. 
— 


Marne argillose bleuastre con fossili di alto 


Piacentino e 
fondo marino. 


_— 


Tav. I. 


Astiano 


Zzz, 


Piacentino 


_ Messiniano 


Tortoniano 


Danohu gessiferi Mare sabbies ghiaie Lenti calcarea 


[ttt 


50 SACCO — STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 


Lit Doyon 


Tonino 


A. CHARRIER 133 


inglobanti Molluschi d’acqua salmastra. 

Arenarie, sabbie e marne fogliettate grigie 
o giallastre, fillitifere. 

Lenti arenaceo-ciottolose giallastre. 

Marne fogliettate giallastre gessifere con filliti 
ed altri fossili. 

Marne grigio-giallastre con lenti calcaree e 

i banchi gessosi, talora fillitiferi. 


| Marne argillose grigio-verdastre o brunastre 
( 


Messiniano . . 


Tortoniano | Marne grigio - bleuastre con pochi fossili di 
i ‘’ | mare abbastanza profondo. 
iocsiano \ Strati marnosi, sabbiosi ed arenacei grigio- 
i } giallastri con fossili di basso fondo marino. 


RIASSUNTO 


delle osservazioni meteorologiche fatte nei mesi di Maggio, 
Giugno, Luglio ed Agosto 1887 nell’Osservatorio astro- 
nomico della ER. Università di Torino 


dall’Assistente Prof. ANGELO CHARRIER 


Maggio 1887. 


L'altezza barometrica in questo mese ha per valor medio 
35,67; valore inferiore di mm. 0,32 al valor medio dell’al- 
tezza barometrica di Maggio degli ultimi ventun anni. — I valori 
estremi osservati sono i seguenti : 


Giorni del mese, Hinimi. { Giorni del mese. Massimi. 
4 30,88 È Reppi Gteio 39 38.52 
11.2 SANARE 28,17 LO te dala 89,77 
> ARCI: 28,91 Go Ah. dh 39,36 
28 33.46 Spie, ti 39,56 


134 A. CHARRIER 


La temperatura ha per valor medio +15°,2, e per valori 
estremi + 5°,3 e + 25",1. Il primo dà la minima temperatura 
del giorno 23, il secondo la massima temperatura del giorno 31. 

Si ebbero 14 giorni con pioggia, e l’altezza dell’acqua ca- 
duta fu di mm. 120,9. 

Il quadro seguente dà la frequenza dei singoli venti. 


NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW MW 
9 416 28 12'1308 ‘240 506 “io ‘(6 ‘42. SR 


Giugno 1887. 


La media delle pressioni barometriche osservate nel mese di 
Giugno è 38,51. Essa supera la media delle pressioni barome- 
triche di Giugno degli ultimi ventun anni di mm. 1,93. — Si 
ebbero poche variazioni di quest’elemento. 

Il quadro seguente ne contiene i valori estremi osservati. 


Giorni del mese. Minimi. Giorni del mese. Massimi. 
di orale 32,72 SPERO I 41,91 

TE RT A 35,94 Di Ru 44,70 

TN SRE LAI 81,80 DO: = sca VERE 41,58 

È) PRIERSORE PI 36,42 BO sie 41,59 


La temperatura in questo mese ha per valor medio + 22°,4; 
superiore di 1°,1 del valor medio della temperatura di Giugno 
degli ultimi ventun anni. — La minima temperatura +12°,2 si 
ebbe nei giorni 4 e 30; la massima + 30°,4 nel giorno 17. 


In sette giorni si ebbe pioggia, e l’acqua caduta misurò l’al- | 
tezza di mm. 79,3. 
Il quadro seguente dà la frequenza dei venti. 


NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 
10045» 9: 17 11 2 %e3 11/5, Wa, 360 4° 00 


OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 135 


Luglio 1887. 


La media delle altezze barometriche osservate in questo mese 
è 38,63; superiore di mm. 1,71 dalla media delle altezze ba- 


rometriche di Luglio degli ultimi ventun’anni. 
Il quadro seguente dà i valori massimi e minimi dell'altezza 


barometrica. 
Giorni del mese. Minimi, Giorni del mese. Massimi. 
bl. SRURE I 13 MRI PINOIS 42,84 
Ml... 84,95 PL, RSI RETTO 41,45 
e Vo. dol Dana 41,64 


La temperatura massima + 31°,9 si ebbe nel giorno 14; la 
minima + 15°,9 nel giorno 1. La media + 24°,5 supera di 0°,5 
la media temperatura di Luglio degli ultimi ventun anni. 

Si ebbe pioggia in nove giorni e l’acqua raccolta nel plu- 
viometro raggiunse l’altezza di mm. 112. 

Nel seguente quadro è data la frequenza dei venti. 


SSE OS OSSW SW WSW W WNW NW NNW 


NO ONVE NE RENE E ESE SK 
@ gni e Caro da 


SEO AR e 213 11° 40 


Agosto 1887. 
In questo mese la media delle pressioni barometriche è 36,76, 
uguale alla media delle pressioni barometriche di Agosto degli 


ultimi ventun anni. 
La tabella seguente contiene i valori massimi e minimi os- 


servati. 
Giorni del mese. Minimi. Giorni del mese. Massimi. 
dario fr 36,82 73 E 44,56 
+4 AI: 29,92 PI. rata 36,82 
-18 28,09 Sour da 39,71 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 10 


136 OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE - A. CHARRIER 


La temperatura ha per valor medio + 23°,3; valore supe- 
riore di 0°,6 del valor medio della temperatura di Agosto degli 
ultimi ventun’anni. — La temperatura massima +32°3 si ebbe 
nel giorno 10; la minima +12°,5 nel giorno 23. 

Si ebbero 6 giorni piovosi, e l’altezza dell’acqua caduta fu 
di: mm.id7,9. 

La frequenza dei venti è data dal seguente quadro. 


NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 
23 4900/80/ 41 B de bb ik (3 9 (65607 1a 


Il Direttore della Classe 
ALFonso Cossa. 


137 


CLASSI UNITE 


Adunanza del 18 Dicembre 1887. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI 
VICEPRESIDENTE 


RELAZIONE del Segretario della 5° Giunta per il premio 
Bressa (quadriennio 1883-86), letta alle Classi unite del- 
lVAccademia nella seduta del giorno 18 dicembre 1887. 


EGREGI COLLEGHI , 


Il quinto premio Bressa, che la nostra Accademia deve con- 
ferire nella seduta del giorno 8 gennaio del prossimo anno 1888, 
è destinato a quello scienziato od inventore di qualunque nazione 
esso sia, il quale secondo le tavole di fondazione del lascito 
Bressa, durante il quadriennio 1883-1886 «a giudizio dell’Ac- 
« cademia delle Scienze di Torino avrà fatto la più importante 
« scoperta, pubblicato l’opera più ragguardevole sulle scienze 
« fisiche e sperimentali, storia naturale, matematiche pure ed 
« applicate, chimica, fisiologia e patologia, non escluse la geo- 
« logia la storia, la geografia e la statistica. » 

Di conformità a quanto prescrive il Regolamento speciale per 
il conferimento dei premii Bressa (Regolamento approvato dall’Ac- 
cademia il 25 maggio 1884), la nostra Accademia nella seduta 
del giorno 20 dicembre 1886 nominò una prima Giunta affi- 
dandole il triplice incarico di esaminare le domande di concorso 
al premio, di fare delle proposte di propria iniziativa e di acco- 
gliere quelle presentate da soci nazionali. 

Nell'adunanza generale dell’Accademia tenutasi nel 1887 ho 
già avuto l'onore di farvi conoscere i risultati dei lavori di quella 


138 A. COSSA 


prima Giunta, e voi ricorderete che delle ventisette domande pre- 
sentate direttamente per il Concorso al premio Bressa due sole 
furono giudicate meritevoli di essere prese in considerazione per 
il conferimento del premio e queste sono quelle del prof. Burgme- 
ster del Politecnico di Monaco per i primi due fascicoli di un’o- 
pera che ha per titolo Trattato di Cinematica e quella del 
prof. Sappey della Scuola di medicina di Parigi per la sua mo- 
nografia sui vasi linfatici. 

La Giunta di sua iniziativa propose per il premio il profes- 
sore Pasteur socio dell'Istituto di Francia per le sue ricerche sul 
virus rabbico, ed un nostro collega chiamò l’attenzione dell’Acca- 
demia sopra i titoli di merito dei fratelli Paolo e Prospero Henry 
dell’Osservatorio di Parigi per i grandi ed importanti perfezio- 
namenti da loro apportati alla fotografia astronomica 

Chiuso colla seduta già ricordata del 17 aprile 1887 il pe- 
riodo di tempo stabilito per il conferimento del premio, l’Acca- 
demia nell’adunanza successiva del 24 aprile 1887 nominò una 
seconda Giunta composta, oltrechè del presidente prof. Genocchi, 
dei soci Lessona, Cossa, D’Ovidio, Naccari, Giacomini per la 
classe di scienze fisiche e matematiche, e dei soci Gorresio, Flechia, 
Peyron, Carle e Pezzi per quella di scienze morali. Questa Giunta 
doveva esaminare e confrontare le proposte fatte dalla Giunta 
precedente, e presentarvi nella seduta d’oggi le proposte definitive 
per l’aggiudicazione del premio con una relazione da pubblicarsi 
negli Atti dell’Accademia. 

La Giunta, che mi volle onorare dell’incarico di suo segre- 
tario, dopo avere singolarmente esaminato e discusse le proposte 
fatte relativamente ai nomi di Burgmester, Sappey, Pasteur e 
dei fratelli Paolo e Prospero Henry, ha ritenuto che l’opera del 
prof. Burgmester che ha per titolo Yrattato di cinematica, quan- 
tunque sia fornita di pregi riguardevoli, tuttavia essa, così perchè 
non è ancora terminata, come anche per l'indole stessa dell’opera 
non ha un'importanza tale da stare in pari linea coi lavori ai 
quali si riferiscono le altre proposte. 

La Giunta poi considerando che anche l’opera del Sappey 
sui vasi linfatici non è ancora completa, ad onta che abbia rico- 
nosciuto in essa riguardevoli pregi, ha unanimemente deliberato 
di non comprenderla nelle proposte definitive per il conferimento 
del premio Bressa. 

Pertanto le proposte che oggi unanimemente la Giunta vi 


RELAZIONE SUL PREMIO BRESSA 139 


presenta per il conferimento del quinto premio Bressa, si riducono 
ai nomi di Pasteur e dei fratelli Paolo e Prospero Henry. 

Le ricerche sperimentali del Pasteur sul v2rus della rabbia sono 
così conosciute, che credo affatto superfluo di esporvele anche bre- 
vemente. È importante però dichiarare che la Giunta col proporre 
le ricerche del Pasteur come meritevoli del premio Bressa, non 
intende di pronunciarsi in alcun modo sulla questione che ancora 
si dibatte intorno la reale efficacia dell’inoculazione del virus 
rabbico convenientemente attuata, a prevenire lo sviluppo della 
rabbia negli uomini morsicati da cani idrofobi. La Giunta ritiene 
che l'illustre scienziato francese si è acquistato titoli di merito 
sufficienti per conseguire il premio che l'Accademia deve conferire, 
per avere, animato da un sentimento eminentemente filantropico, 
cercato e trovato, con una lunga serie di esperienze pericolose e 
razionalmente eseguite, la sede del vivus rabbico nei centri nervosi, 
e per avere applicata la scoperta fatta nell'attuazione del primo 
metodo razionale, che la scienza abbia suggerito contro lo svi- 
luppo dell’idrofobia. 

Si può giudicare il valore dei perfezionamenti apportati dai 
fratelli Paolo e Prospero Henry nella fotografia del cielo stellato, 
dai vantaggi che l’astronomia da essi può ripromettersi. Di questi 
vantaggi i principali sono i seguenti: Alla percezione fuggevole 
della vista si surrogano impressioni durature e capaci di essere 
riprodotte in numero indefinito di copie esatte, per modo che una 
stessa osservazione potrà essere discussa da un gran numero di 
investigatori in tutti i luoghi ed in tutti i tempi. 

Nell’osservazione si sopprime l'elemento soggettivo, e con esso 
una infinità di cause d’errore. Ad una percezione la cui intensità 
non può oltrepassare un dato limite si surroga un altro genere di 
percezione la cui intensità si accresce e si somma col tempo. Mentre 
una piccola stella non potrà mai nell’occhio umano produrre una 
sensazione superiore ad una certa intensità, l’effetto di questa 
stella sulla lastra fotografica insensibile da principio, può sommarsi 
col tempo e diventare manifesto col prolungarlo sufficientemente. 

Tale integrazione delle impressioni ha per effetto di rendere 
visibili sulle negative fotografiche astri che sfuggono alla vista 
diretta armata anche di telescopi molto maggiori di quello usato 
per la fotografia. È evidente che mercè la fotografia si potranno 
scoprire quei corpi celesti che emettono solo od in parte luce di 
altissima refrangibilità. 


140 A. COSSA - RELAZIONE SUL PREMIO BRESSA 


Giustizia vuole che si dica che ai signori fratelli Henry non 
spetta tutto il merito di questa grande innovazione, ma essi, 
giudizio di uno dei nostri più illustri astronomi il prof. Schia- 
parelli, hanno superato tutti gli altri che li precedettero in queste 
ricerche, e da una semplice curiosità che era la fotografia astro- 
nomica, l’hanno portata al punto da farne il più potente sussidio 
dell’astronomia pratica. 

Il Regolamento per il conferimento del premio Bressa impone. 
alla Giunta l'obbligo di presentarvi delle proposte graduate. 
Questa graduazione fu dalla Giunta deliberata unanimemente nel- 
l’ordine seguente : 


1° PASTEUR; 
2° PAOLO x PROSPERO HENRY. 


Questa graduazione non vincola in nessun modo le delibera- 
zioni dell’Accademia. 

La Giunta ha esaurito con queste proposte l’onorevole ed 
arduo incarico affidatole dall’Accademia. 


Prof. ALFoNSo Cossa 


Segretario Relatore. 


MIU 


Torino Tip. REALE-PARAVIA. 


a 
Le) 


SSR 
LI (ELA, 


Lr AL 


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a P, { tri i 
pe I SOM MAR 10 
Si . Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e 
| ADUNANZA del 18 Dicembre 1887. 


 D’Ovipio — Relazione sulla Memoria del Dott. Golgi SEGR 
| varietà cubiche dello spazio a quattro dimensioni e sù 
di dota e certe spade: dello Fare ordinario ». 


| Cossa — Relazione sul Premio BressA. . LL 


AA 
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


BETORENO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Von. XXIII, Disp. 4°, 1887-88 


- —PT 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali 


TORINO 
ERMANNO LOESCHER 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


a ; 


GL 
Pia 
4 
49% 


141 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza dell’ 8 Gennaio 1888. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI 
VICEPRESIDENTE 


Sono presenti i Soci: Cossa, LESsona, SALVADORI, BRUNO, 
BerRUTI, Basso, D’Ovipio, FERRARIS, NACCARI, GIBELLI, GIA- 
COMINI. 

Vien letto l’atto verbale dell'adunanza precedente che è ap- 
provato. 

Tra le pubblicazioni pervenute in dono all’Accademia vengono 
segnalate le seguenti: 

« Bullettino di bibliografia e di storia delle Scienze ma- 
tematiche e fisiche pubblicato da B. BoxncomPaGNI »; fascicolo 
di Marzo 1887, presentato dal Socio Basso per incarico del 
Presidente, assente per ragione di salute ; 

« Annali del Museo Civico di Storia naturale di Genova, 
pubblicati per cura di G. DorIA e R. GESTRO; serie 2°, vol. IV, 
presentato dal Socio SALVADORI, 

Le comunicazioni e le letture si succedono nell'ordine che 
segue : 

1° « Datolite e Calcite di Montecatini (Val di Cecina); 
Nota del Prof. F. Sansoni, dell’Università di Pavia, presentata 
dal Socio Cossa. 

2° « Su alcune anomalie di sviluppo nell’embrione umano ; 
Nota 2° del Socio GIACOMINI. 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 11 


142 FRANCESCO SANSONI 


LETTURE 


Note di mincralogia italiana 
del Dott. FRANCESCO SANSONI 


DATOLITE E CALCITE DI MONTECATINI 
(Val di Cecina) 


(Con una tavola) 


1° DATOLITE. 


Notizie assai precise riguardanti la Datolite di Montecatini, si 
possono leggere nella pregevole opera del Prof. A. D'’Achiardi , 
Mineralogia della Toscana p. 217 vol. II. Egli ricorda due maniere 
di giacitura del nostro minerale : 1° associata alla Calcopirite, ed 
anzi i cristalli stanno dentro ai noccioli di questo minerale, 2° nelle 
geodi e fessure del Gabbro rosso, associata a Calcite, Laumonite, 
Thomsonite, Picroanalcime ecc. — Il sullodato autore descrive minu- 
tamente la Datolite di Montecatini, notandovi le seguenti forme 


(*) (011)P,c0, (211)+2P,2, (511) +5P,5, (111)P, 
(001)0 P, (110)coP, (310)coP,3, (100)coPoo. 


Dal contesto del discorso parrebbe per altro, che queste deter- 
minazioni, e le relative misure, sì riferissero piuttosto alla Datolite 
del primo giacimento, che non a quella del secondo. Comunque 
sia, essendo io pervenuto mercè la graziosa liberalità del Prof. 
Bombicci, ad ottenere a scopo di studio un esemplare di Gabbro 
di Montecatini, ove sta appunto una drusa costituita essenzialmente 
da cristalli di Datolite, ho stimato opportuno sottoporre a nuove 
indagini alcuni dei cristalli distaccati, che a tutta prima dimo- 
straronsi assai ricchi di faccette. Trattasi per lo più di piccoli _ 


(*) Avvertenza. — Seguendo il metodo di recente proposto da un egregio 
mineralogista italiano, ai P dela notazione di Naumann segnati con orto 
e clino , sostituiamo rispettivamente P,, P.. 


DATOLITE E CALCITE DI MONTECATINI 143 


cristalli, confusamente impiantati sulla roccia : sono incompleta- 
mente trasparenti; predominano le faccette appartenenti alla zona 
dei prismi verticali (orientazione di Dauber); il massimo sviluppo 
è presentato ordinariamente dalla faccetta (100) oo P, co: non vi 
si riscontra grande uniformità di superficie, per cui si ottengono 
al goniometro delle immagini riflesse multiple. Meglio conformate 
appariscono invece le faccette piramidali. 


Si osservarono le seguenti forme; (1) 


b=(010)c0P,00; c=(100)coP,00; @=(001) OP; 

n=(111)—P; t=(310)c0P.3; \g=(210)coP. 2; 
m=(110) 00 P; M (011) P,00; ME (ST) IRIS 
\=(811)+3P,3; «=(211)+2P,2; x=(101)+P,o0 


YFE-(221):_12 Pl) c0=(213)e7, 25 
Tutte queste forme si osservarono riunite in un solo individuo 
(fig. 1): gli altri cristalli sebbene abbiano lo stesso abito si mo- 
strano meno ricchi di faccette : riporto alcuni valori angolari, che 
pongo in confronto con altri corrispondenti ricavati dalle tabelle 


date dal Dana (2) 


ue 100001 89.° 38' (misur.)  89.° 54'(calcol.) 
c:t =100:310 29.19 22. 52 
c:g =100:210 32. 39 32. 19 
cin =100:111 66. 20 66. 56 
M:a=011:211 40. 46 40. 28 
M:) =011:311 52. 13 51. 54 
c:yx =100:511 ISME8 SRELO 
a:M=001:011 32, 29 32. 28 
a:m =001:101 26. 20 26. 43 
a:g =001:213 21...58 21. 38 
m:Y=110:221 31. 39 31. 38 


Stante la poca concordanza dei valori ottenuti, non credei 
conveniente calcolare un rapporto parametrico particolare. 


(1) Si adottò l’orientazione di DauBER « Untersuchungen der Min. d. Saml. 
d. H. Krantz, ecc. Pogg. Ann. 103, p. 116. — Per indicare le faccie si scel- 
sero le lettere usate da GoLpscHMiDT. « Index der Krystallformen der Mi- 
neralien, 1.485, Berlino, 1886. 

(2) E Dana, On the Datolite From Bergen Hill. N.Jm.A.Jour. 1872, 4.16. 


144 FRANCESCO SANSONI 


Caratteri ottici. — Piano degli assi ottici (010) -- Prima 
bisettrice quasi normale a (001). — Due lamine tagliate nor- 
malmente alle 2 bisettrici, dettero nell’olio i seguenti valori 


2 Hog =384%8.0 2Ho=124°,38° 


da cui si ricava 2 V—74°.13.. 


2. CALCITE. 


Anche di questo minerale del giacimento toscano discorre a 
lungo il Prof. D’Achiardi (loc. cit. Vol. I, pag. 150). Vi nota 
le seguenti forme: 


(0001) = OR, (4047)4R, (1011)R (0112) Bg 
(0778) -XR, (0332) —-%R, (1010)ooR, (2134)}R3, 
(2131) -Ri8s. (8251) R&0,/(1841)=2R2,. (8584) lina 


Tanto il Prof. D’Achiardi, come il Prof. Bombicci assicurano di 
avere osservato cristalli, nei quali predomina il così detto cuboide 
(0 332) —% ER: ed altri, in cui ha il massimo sviluppo il comune 
equiasse (0112) —}4E: nè l'una nè l’altra cosa, a me venne 
fatto di osservare negli esemplari esaminati. Nota infine il pro- 
fessore D’Achiardi una terza maniera di abito dei cristalli di 
questo giacimento: essi resultano da scalenoedri, in varia guisa 
sviluppati, ma sempre predominanti sulle faccette romboedriche ; 
di questo tipo di cristalli egli dà la fig. 4. 

Fino dal 1882 io ebbi agio di studiare alcuni esemplari di 
Calcite di questa località, nel Museo di Kensington a Londra : 
varii altri esemplari appartenenti al Museo mineralogico dell’Uni- 
versità di Bologna ebbi in prestito a scopo di studio dall’ama- 
tissimo mio maestro e collega Comm. L. Bombicci: un ultimo ed inte- 
ressante esemplare io debbo alla. gentilezza del giovane sig. Piero 
Capellini. Credo opportuno descrivere alcuni di questi esemplari 
che si fanno rimarcare per la singolarità dei loro cristalli. 


N. 1 — Museo mineralogico dell’Università di Bologna. 


Cristalli bianchi smaltoidi, semi-trasparenti, di varia dimen- 


sione profondamente impiantati sopra il Gabbro compatto rosso | 


DATOLITE E CALCITE DI MONTECATINI 145 


verdastro variegato. Hanno abito romboedrico, non costituito dalla 
prevalenza di un'unica forma, ma sibbene da due che alterna- 
tivamente offrono variabile sviluppo, e questi sono i due — 2 È 
(0221), — R(0111). Hanno ordinariamente minore estensione le 
rimanenti 0R(0001), R3(2131) (1011). È senza dubbio degna 
di nota la presenza del Romboedro — R(0111), il quale è piut- 
tosto raro nella Calcite, specialmente con facce estese lucenti ed 
uniformi di superficie, e tali da fornire come nel caso nostro im- 
magini semplicissime. 


Comb: 9=—2R(0221); «=—R.(0111); K:=8(2131) 
p=E(1011); 0=0R(0001) fig.2. (1) 


Tutte le faccie hanno apparenza di superficie pressochè identica, 
salvo una leggera striatura sopra le facce della zona principale ; 
la quale striatura come d’ordinario avviene, va parallelamente agli 
spigoli laterali del Romboedro di sfaldatura. 


Valori angolari. 


p:9=1011:0221 71.956’ (misurato) 72.°26' (calcolato) 


c:g=0111:0221 18.52 18.31 
x:0 =0111:0001 44. 38 ‘44,37 
g:x =0111: 1011 74. 56 74. 55 
K:K:=2131:2311 75.28 75632 


N. 2. Museo mineralogico dell’Università di Bologna. 


Cristalli limpidi vitrei adamantini con facce nettissime: sono 
riuniti a gruppo sul gabbro rosso; oppure stanno su di esso 
profondamente impiantati, emergendo soltanto per un terzo della 
loro altezza: non sono molto voluminosi, di rado oltrepassano i 
8 centimetri sull’asse principale: mantengono una certa costanza 


(4) Si usarono anche per le forme della Calcite, le stesse lettere proposte 
da GoLpscaMipT, loc. cit. pag. 371. 


Limiti Media Calcolato 
Nl:g =0881:0221 10390 20° 19°. 44' 19° 39 
H:m=0881:4041 2059 — 21:80: 120 
M:7'=0881:8081 118. 12 a eee 
x=19:11°30:8: Spig.-X (1) 10738 />'78,80; 7390000 
» » » i 40.20— 41 40.40 40.31: 
> » sa 97.58 — 88-11 38 VO 
x:p=1911308:1011 83 14 — 33.37, 33, 200000 
x:m=19 11 30 8: 4041 20. 47 DE 20. 3% 
x:g=19 11308: 0221 36. 52 2 È BRE 


x:II1—19 11 30 8:0881 


146 FRANCESCO SANSONI 


di sviluppo nelle relative forme. Furono misurati 6 individui di 
varia grossezza. 


Forme osservate ; g=—2 (0221); m=4 R(4041); 
p=R(1011); I.=—8 (0881); è=—YE(0112); 
O0—W#(0004): <= (1911308) ea 


Sono bene sviluppate e predominanti le faccette — 2 R(0221); 
4R(4041); un po’ meno le R(1011) le quali mostrano delle 
incavature triangolari perfettamente orientate fra di loro: la forma 
R*(19 11 308) non fu peranco osservata nella Calcite, e pre- 
sentasi con faccette ben distinte, e decisamente in zona con gli 
spigoli laterali del romboedro di sfaldatura. Questo nuovo sca- 
lenoedro è compreso fra i 2 già cogniti R!}4(74 113) e R4 
(5382), appartenenti alla stessa zona principale. 


Valori angolari. 


32. 15 —_ 32. 


Fu inoltre constatata ripetutamente la pertinenza delle fac- 
cette di questa forma alla zona principale degli spigoli laterali 
del romboedro di sfaldatura. 

Furono pure constatate le zone che collegano le forme rom- 
boedriche suindicate. 


(1) S'indicano con X, Y, Z le 3 qualità di spigoli di uno scalenoedro ; 
e rispettivamente i culminanti acuti, i culminanti ottusi ei laterali a zig zag. 


DATOLITE E CALCITE DI MONTECATINI 147 


N. 3. Collezione privata del Sig. Piero Capellini. 


Piccoli cristalli di abito scalenoedrico impiantati sopra Calco- 
cite, e Calcopirite compatta. Sono questi cristalli limpidi traspa- 
renti, assai piccoli di rado oltrepassando i 4!" sull’asse principale. 


= 20221) 


Forme osservate; X: — R3(2131) = 
b:=—!/,R4 (85/84); pi R(L001) E: RiL(le4) 
fig. 4. 


Valori angolare. 


k:g=2131:0221  87°52' (misur) . 87°. 41'(calcol.) 


b: —3584 Y 37.25 37.28 
» » X 64.48 64.43 
» dI Z 47.36 47.1 
E::p=5164:1011 IN MRRE li, 42 


Sono ben distinte con immagini semplici le faccette —'/, 4; 
(3584); —2(0221); (1011): appaiono invece striate le 
rimanenti. La forma È (5164) giace sull’ incontro delle due 


zone (2131: 1011] ed [35 84:85 3 4]: attesa l’imperfezione 
delle faccette di questa forma, queste zone furono ripetutamente 
esaminate, ottenendo quasi sempre deviazioni notevoli: tuttavia le 
misurazioni ottenute non autorizzano a calcolare un nuovo simbolo. 


N. 4. — Museo di Kensington — Londra. 


Piccoli cristalli oltremodo splendenti, vitrei, trasparentissimi 
cresciuti sopra la Bornite: non sono profondamente impiantati , 
tanto che emergono quasi completamente. 


Forme osservate g=—2R(0221); K:=R3(2131); 
p=R(1011), P:=R5(32 51); m=4R(4041); 
=R(7186) g:= R4(5 279); o=—-R(01 
b=c0 R(1 010); o0=0E(0001) fig. è, 


12); 


148 FRANCESCO SANSONI 


Sono predominanti le faccette =—2 R (0221); in qualche in- 
dividuo prevalgono invece le £&3(2131): subordinate sono le ri- 
manenti, le quali tutte forniscono immagini semplici, ad eccezione 


delle faccette dello scalenoedro 4% , (5279) ed R4,(7186 
le quali per essere un poco striate, fornirono valori un poco oscil- 


lanti (1). 


Valori angolari. 


=4041:1011 831°. 12'(misur.) 31° 10' (calcol.) 


Mm ip 
p :0 =1011:0001 44. 44 44.47 
O :0 =0112:0001 26.11 26.15 
pg :d =0221:0112 36.38 36:58 
K::P: =2181:3251 8.53 8.53 
K::p =2181:1011 28.59 29.2 
c::p =7186:1011 7.50 8.6 
gi:p =5279:1011 16.9 16. 32 


N. 5. Museo mineralogico dell’Università di Bologna. 


Cristalli vitrei splendentissimi, di rado completamente impian- 
tati, su Gabbro rosso, insieme alla Datolite: per lo più la parte 
sporgente, corrisponde ad un sestante positivo, così come fu effigiato 
nella fig. 6. 

Sono questi cristalli rimarchevoli per la ricchezza delle faccette 
che presentano : e certamente a questi splendidi cristalli volle allu- 
dere il Prof. d'’Achiardi quando nella citata opera scrisse a pag. 156 
« finalmente in taluni piccoli cristalli a tutte queste forme che 
sono sempre predominanti, se ne aggiungono tante e tante, che 
ne riesce impossibile la determinazione, contandosi talora non 
meno di 4, 6 e più romboedri, 8, 10 e più scalenoedri. » Infatti 
pochi altri giacimenti possono gareggiare col nostro per copia di 
facce, per cui questi cristalli possono indubbiamente stare a paro 


(1) Queste determinazioni furono eseguite nel Laboratorio del Museo di 
Kensington a Londra: mi è grato di esternare qui la mia gratitudine al- 
l’egregio D. Fletcher, che mi permise tale studio. 


LI 


Note di Mineralogia italiana - Vatolite e Calcite di Montecatini 


DATOLITE E CALCITE DI MONTECATINI 149 


coi celebri già studiati del Lago superiore, Agaete (Gran Canaria ecc). 
Quello che poi vi ha di più notevole, si è il meraviglioso concate- 
namento zonale esistente fra tutte queste forme. 


Forme osservate g=-—2R(0221, K:=R38(2181), 


p:=—2R2(1341), p=R(1011), o=0R(0001), 
e=%R(5052), m=4R(4041), II.=—8£(0881), 
A.=—%R(0772), è=—R(0112)F:=R*/,(4153), 
G'—=—%R3(48125), b:=——-R4(3584) 
e:=X4R/,(4156) (fig. 6) 


Predominano le faccette — 2 R(0 221) , seguono in medio svi- 
luppo le —2R2(1341), R3(2131), (1011); subordinate 
sono le rimanenti. 


Valori angolari. 


I1.:9 =0881:0221 19°.40'(misur.) 19°.39' (calcol.) 
Fi::p =4153:1011 14.55 14.28 
K::e =2131:5052 17.42 A vaneg 
K::P:—-2131:1841 26.7 26.9 
PD: —=1341 ZIA 44. 43 
Pi:o =1841:0221 17.5 Lai 
pg :p =0221:1011 50.34 50. 34 
mie =4041:5052 7.51 7.51 
g :G: =0221: 48125 16. 54 rt di 
k::G:=2181:4153 14.88 14. 38 
b: — 8584 Y. 37.25 37.29 
b: — 3584 X 65.11 64. 43 
e: : p =4156: 1011 9.49 10.26 


Dal Gabinetto di Mineralogia della R. Università 
Pavia, Dicembre 1887. 


150 C. GIACOMINI 


Su alcune anomalie di sviluppo dell'embrione umano, 


del Prof. C. GIACOMINI 


Nota 2°. 


In questa seconda nota è descritto un embrione umano ar- 
restato ai primissimi stadi del suo sviluppo, e vien studiata la 
sua intima costituzione paragonandola con quella di embrioni di 
coniglio e di pollo pure arrestati nella loro evoluzione. 

In un mattino dello scorso luglio il Dott. Anglesio mi por- 
tava all'Istituto una vescicola di forma perfettamente ovale, della 
lunghezza di 3 ‘/, cent. e della larghezza massima di 2 ! ", cent., 
completamente distesa da liquido limpido. La parete era traspa- 
rentissima, e si notavano sulla superficie esterna di essa delle 
striature nerastre, formate da depositi sanguigni. 

Questa vescicola era stata emessa pochi momenti prima da 
una donna d’anni 24, la quale in 5 anni ebbe quattro parti 
a termine. Essa era ricoverata all'ospedale, presentava antifles- 
sione dell'utero con metrite granulosa del collo, e si trovava in 
uno stato di anemia assai pronunciata. La gravidanza, secondo 
la donna, datava da circa 2 mesi. 

I dati clinici e principalmente quelli ginecologici non devono 
mai essere trascurati in casi di aborto, anzi devono esser rac- 
colti con somma cura, potendo essi portar luce nell’argomento. 
Nel caso nostro abbiamo elementi più che sufficienti per ren- 
derci ragione non solo dell’aborto, ma ancora dell’arrestato svi- 
luppo dell’embrione. 

Per convenientemente conservarla fu messa la vescicola nel 
liquido picro-solforico e quindi nell’alcool secondo il metodo 
ordinario. 

La perfetta trasparenza del liquido e della parete permet- 


ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO Fold 


teva un esame accurato di tutte le parti della vescicola. In un 
punto della parete che corrispondeva alla zona della piccola 
estremità, e applicato alla superficie interna di essa si notava 
un piccolo corpicciolo d'aspetto gelatinoso, prima trasparente, che 
si fece poi sotto l’azione dei reagenti biancastro, come lattigi- 
noso, leggermente incurvato colla concavità verso il centro, e 
colla convessità rivolta alla parete (vedi fig. 5). 

Questo corpicciuolo presentava una grossa estremità intera- 
mente libera diretta all’interno. La piccola estremità si confondeva 
invece colla parete della vescicola. Nel complesso rassomigliava 
ad una virgola, non andava però regolarmente diminuendo dalla 
grossa alla piccola estremità, ma prima di raggiungere questa 
presentava un legger rilievo a destra ed a sinistra della linea 
mediana simulando quasi due estremità rudimentali, e da qui 
partiva un cordone biancastro, che era quello che lo teneva unito 
alla parete della vescicola. La grossa estremità nell’incurvarsi si 
assottigliava d'alquanto, notandosi una leggera depressione al lato 
sinistro di essa. 

A poca distanza (3 mm.) dell’estremità libera, che chiameremo 
cefalica (essendo che questo corpo ci rappresenta evidentemente 
un embrione arrestato nel suo sviluppo) si osserva nello spessore 
della parete un punto biancastro ed opaco, dovuto ad un in- 
spessimento di essa. 

La superficie esterna della parete è liscia e regolare in tutta 
l'estensione, tranne nella località ove essa aderiva alla estremità 
caudale del rudimento embrionario, nel qual punto si scorgeva 
un filamento sottile e frastagliato come se fosse lacerato che 
rappresentava i legami vascolari col Corion. L'azione dell’ alcool 
provocò un precipitato nel liquido, la vescicola si fece meno 
trasparente e divenne floscia. 

Qui adunque si trattava di un sacco amniotico molto disteso 
avuto riguardo alla piccolezza dell'embrione che conteneva, questo 
non aveva sviluppo normale, ma era fortemente deformato , ed 
era già entrato in periodo di regresso. La grande sproporzione 
tra la cavità amniotica e l'embrione è sempre sicuro indizio di 
un deviato sviluppo. Secondo His ancora negli embrioni di 15 mm. 
l’amnios si trova quasi applicato alla superficie dell’ embrione. 
Nel nostro caso invece si aveva un embrione di appena 3 mm, e 
l’amnios era 10 volte maggiore. Quindi nè dal volume dell’amnios, 
che era troppo grande, nè da quello dell'embrione che era troppo 


152 C. GIACOMINI 


piccolo, potè essere dedotta l’età dell’ovolo. Probabilmente essa 
corrispondeva al principio del 2° mese. 

Così caratterizzato quest’'aborto, manifestai il desiderio di 
avere anche le membrane quando esse venissero emesse. Nella 
sera dello stesso giorno ho ricevuto infatti un corpo piriforme 
lungo 6 cm. su 5 di larghezza, che per il suo colore e consi- 
stenza aveva l’aspetto di un grumo. 

Esaminato dopo 24 ore d’immersione nell’alcool diluito si 
trovò che esso risultava dalle membrane fetali e materne. Al 
centro esisteva una cavità piena di sangue rappreso, limitata da 
una sottile membrana che era il Corion, il quale presentava alla 
sua superficie esterna villosità ben pronunciate che si confon- 
devano con gli involucri materni, i quali per altro non erano 
ben distinguibili per la grande infiltrazione di sangue. Non fu 
possibile distinguere altre particolarità. 

L'esame praticato è però sufficiente -per ammettere che il 
distacco del sacco amniotico fu evidentemente provocato dal ver- 
samento sanguigno operatosi tra la faccia profonda del vero 
Corion e la esterna dell’amnios; e ciò è ancora confermato dalla 
striature sanguigne che si osservarono alla superficie dell’amnios. 

Questo fatto mi rende ragione di diversi altri aborti nei 
primi mesi da me osservati, nei quali non mi fu possibile di 
scoprire nell’interno del grumo traccia alcuna di embrione. Nel 
nostro caso fortunatamente la vescicola amniotica non si ruppe 
e fu raccolta subito dopo che essa fu emessa. Ma se essa scop- 
piava durante l’espulsione, anche colle più accurate ricerche sa 
rebbe stato difticile il distinguerla, e sarebbe andata perduta 
insieme all’embrione atteso la sua picciolezza e la sua estrema 
delicatezza. In allora emesse le membrane non si sarebbe riscon-. 
trato nulla che ricordi l’embrione. Però se le cose fossero av-. 
.venute in questi termini vi ha il Corion d'origine embrionaria, 
il quale è sempre facile a riconoscersi, ed esso, data la circo- 
stanza, potrà sempre risolvere la questione se si tratti o no di. 
vera gravidanza. 

Ritornando ora all’embrione dobbiamo avvertire che l’amnios 
malgrado il suo forte distendimento si presentava di costituzioni 
normale. Larghi lembi coloriti convenientemente e sottoposti al- 
l'esame microscopico non presentarono nulla di speciale. L’epi 
telio era continuo e regolarmente disposto in un solo strato, 
nuclei ben evidenti facevano sporgenza nell’interno della cavità 


ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 155 


e ciò si scorgeva meglio nelle sezioni perpendicolari alle faccie. 
All’infuori lo strato epiteliare era sostenuto dalla lamina di con- 
nettivo, e si è su questa che si trovano disposte le striature 
sanguigne che abbiamo notato esistere alla superficie esterna del- 
l’amnios. 

L'embrione malgrado il suo forte grado di deformazione , 
conservava con l’amnios quei rapporti che si osservano nelle con- 
dizioni normali. Ed erano precisamente questi rapporti che ci 
facevano distinguere nel rudimento embrionario una estremità 
cefalica ed una caudale, distinzione che non sarebbe stata pos- 
sibile se noi avessimo avuto sotto occhio solamente l'embrione. 
Esso infatti non ci presenta distinzione di parti, il processo di 
atrofia e per l'epoca in cui ha incominciato e per lo stadio a 
cui è giunto e per l’estensione sua ha ridotto il prodotto ad 
un informe tubercolo, che non lascia trasparire nulla della sua 
primitiva origine (vedi fig. 6). 

His, a pag. 18 del fascicolo II della sua Anatomie menscehli- 
cher Embryonen, riporta in una tabella tutte le deformità da 
lui osservate, che possono essere comprese in tre gruppi. Le 
forme noduluri, le forme atrofiche e le cilindriformi. 

Le forme nodulari rappresentano il massimo grado di ridu- 
zione, esse risultano di piccoli tubercoli più o meno regolarmente 
sferici unici o molteplici applicati alla superficie del Corion e 
compresi in un sacco amniotico molto ampio. Il loro diametro 
può variare da 1 a 5 mm. 

Sotto il nome di forme atrofiche V’His ha radunato quelle 
deformità, le quali malgrado presentino differenze fra di loro , 
sono però d’accordo in ciò che l'embrione secondo la sua forma 
generale è ben riconoscibile, ma anormalmente deformato e sempre 
inferiore al diametro delle membrane, dalle quali si trova cir- 
condato. Il diametro di queste forme oscilla fra 2,3 ad 8 mm. 

Nel gruppo delle forme cilindriche sono compresi 4 embrioni 
di un diametro maggiore dei precedenti (11,3 a 13,7 mm.), i 
quali furono colpiti principalmente all'estremità cefalica, mentre 
il tronco relativamente si avvicina alla condizione normale. 

Volendo riferire a qualcuno dei gruppi stabiliti da His, la 
deformità da me descritta si potrebbe dire che essa appartenga 
alle forme atrofiche, o meglio stia fra queste e le forme nodu- 
lari, essendo che il gruppo delle forme atrofiche comprende em- 
brioni, i quali malgrado siano colpiti da un processo di arresto 


154 C. GIACOMINI 


nel loro sviluppo, nella grande maggioranza di essi sono ancora 
ben distinguibili le principali particolarità della loro conformazione 
esterna, mentre nel nostro esse sono completamente scomparse. 

La distinzione stabilita da His, fu fatta, io penso, solo a 
scopo di portar un po’ d'ordine nel ricco materiale che egli aveva 
a sua disposizione, ed essendo fondata sulla semplice apparenza 
esterna, nulla ci dice riguardo all’epoca in cuî si iniziò il pro- 
cesso morboso, come pure riguardo alla sua localizzazione e 
diffusione sulle parti circostanti. Ciò evidentemente non potrà 
ottenersi che coll’esame attento e minuto dell'embrione deformato 
con quei medesimi procedimenti coi quali si studia un embrione 
normale. In molti casi però anche così operando non si otterranno | 
risultati troppo favorevoli, essendo che i prodotti così profonda- 
mente colpiti cessano generalmente di vivere nella cavità del- 
l'utero in un’epoca più o meno lontana dalla loro espulsione , 
ed allora entrano in periodo di involuzione, conseguenza del quale 
sarà una maggiore deformazione dell'embrione od anche la sua | 
totale scomparsa. E noi non saremo sempre in grado di poter | 
esattamente precisare se una data alterazione dipenda dal pro- 
cesso primitivo che ha disturbato od arrestato lo sviluppo del . 
tutto o di una parte, ovvero se essa non sia piuttosto la con- 
segnenza ultima di essa. Ad ogni modo l’esame microscopico non 
solo dell'embrione ma ancora de’ suoi annessi è il solo che possa 
somministrarci gli elementi per poter giudicare queste forme 
anormali e convenientemente classificarle. 

L’embrione che ho descritto trovandosi nelle migliori condi- 
zioni di conservazione e d’indurimento, dopo averlo colorito in 
massa col carminio-borace, e dopo l’inclusione in paraffina, fu 
sezionato col microtomo perpendicolarmente all’asse principale. Le 
sezioni cominciarono sull’amnios, là dove abbiamo notato quel- 
l’inspessimento biancastro, e terminarono nel punto ove esiste- 
vano quei filamenti sulla superficie esterna di esso. Furono così | 
fatte 800 sezioni, L’embrione che aveva la lunghezza di 3 mm. 
venne compreso in 150 sezioni. I 

È d’uopo che qui aggiunga un’altra circostanza per dimo- 
strare come le mie aspettazioni riguardo a questo studio non 
fossero molto grandi. Fin dal maggio 1879, io aveva studiato 
un embrione umano anomalo che mi fu dato dal prof. Cuzzi. 
Esso si presentava sotto forma di un tubercolo conico. La grossa 
estremità rappresentava la parte cefalica , nella quale non era 


ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 155 


possibile distinguere alcuna particolarità. Verso la piccola estre- 
mità che era la caudale si notavano due leggerissime elevazioni 
a destra ed a sinistra della linea mediana, un po’ maggiori le 
inferiori, che non erano altro che i primi rudimenti delle estre- 
 mità. L’indurimento fatto nell’alcool non riuscì troppo perfetto, 
di più la tecnica microscopica in quell’epoca non era così pro- 
gredita come oggidì, per cui le sezioni non si ottennero così 
numerose e regolari; esse però erano sufficienti a dimostrare le 
principali particolarità di struttura. 

L'unica parte che fosse ancora ben distinguibile in tutta l’e- 
stensione dell'embrione, in mezzo ad elementi rotondeggianti uni- 
formemente sparsi, sì era quella che riguardava il sistema nervoso 
centrale, principalmente nella sua parte cefalica ; ma esso era 
ridotto ad un ammasso di piccole cellule rotonde che più non 
i ricordavano la loro provenienza epiteliale. Nella maggioranza delle 
sezioni questi elementi occupavano tutto lo spazio destinato al 
canale midollare: in poche della parte cefalica ed in alcuni 
punti si disponevano per piccoli tratti sotto forma di un nastro 
flessuoso. Non esisteva traccia del canale centrale nè delle ve- 
scicole oculari primitive. E questo fatto al quale in allora non 
i diedi grande importanza, fermò meglio la mia attenzione in 
seguito quando lo vidi ripetuto in embrioni anomali di pollo e 
di coniglio siccome si vedrà più avanti (1). 

Ma per quanto io sperassi di ottener scarso materiale dallo 
studio dei preparati del nostro embrione, la realtà fu ancora al 
disotto della aspettativa. Ben poco in essi si distingueva, che 
potesse riferirsi a qualche organo embrionario, le sezioni si pre- 
sentavano più intensamente e più uniformemente colorite col car- 


(1) L’embrione descritto recentemente (lunghezza 3,78 mm.) da Franz 
von PreuscHEN nel suo lavoro Die Allantois des Menschen, eine entwicke- 
lunsgeschichtliche Studie auf Grund eigener Beobachtung, Wiesbaden , 1887, 
che io ho potuto consultare solo dopo aver fatto questa comunicazione al- 
l'Accademia, per il modo di presentarsi del sistema nervoso centrale non mi 
sembra normale. Le sezioni ricordano perfettamente quelle dell’ embrione 
umano sopra descritto. Manca completamente il canale centrale e tutto lo 
spazio, a giudicare dai disegni, sembra occupato da piccoli elementi identici 
a quelli che io ho trovato nel mio embrione. L’autore si limita a descrivere 
la conformazione interna del sistema nervoso centrale, e non dice nulla ri- 
guardo la sua struttura; forse non poteva ciò fare atteso il grande spessore 
delle sue sezioni, 


156 C. GIACOMINI 


minio che non nelle condizioni normali. Non si osservavano quelle 
variazioni di colorazione, dipendenti dal diverso modo di rispon- 
dere al reagente degli elementi dei tre foglietti blastodermici e 
delle loro provenienze che rendono così eleganti e dimostrativi i 
preparati di embrioni normali, ma qui tutto appariva disposto 
nel medesimo modo, e se qualche punto spiccava maggiormente 
per la sua colorazione, ciò era dipendente non da una proprietà 
degli elementi, ma da ciò, che quivi essi si trovavano più stipati, 
e più abbondanti. Questo fatto della colorazione, è un primo ca- 
rattere che serve a dimostrarci una alterazione avvenuta nella 
evoluzione degli elementi embrionari. Io l’ho notato in tutti gli 
embrioni di coniglio o di pulcino che avevano subìto un arresto 
nel loro sviluppo, ed esso si accentua maggiormente quanto più 
avanzato è il processo di alterazione, come era appunto il caso 
nel nostro embrione. 

Una seconda disposizione che colpisce nell’esaminare col mi- 
croscopio questi preparati si è che non esiste nessuna differenza 
negli elementi che formano il rudimento embrionario. Essi per la 
forma, per la costituzione e per il modo con cui sono disposti 
somigliano a cellule linfoidi; per cui a primo aspetto e non essendo 
avvertiti del fatto sembra d’avere sott’acchio un follicolo linfa- 
tico. Questa apparenza può essere generale per tutta l’estensione 
della sezione e per tutta la lunghezza dell'embrione, oppure può 
essere parziale, vale a dire che le piccole cellule, rotondeggianti, 
con nucleo voluminoso e fortemente colorito possono essere uni- 
formemente sparse, oppure esse possono formare degli aggruppa- 
menti ben distinti e separati fra loro. Succede il primo caso 
quando il processo morboso ha colpito l'embrione nelle primis- 
sime fasi del suo sviluppo, oppure quando esso data da lungo 
tempo ; il secondo caso invece si riscontra quando l'embrione fu 
arrestato nella sua evoluzione in un’epoca più tardiva nella quale 
era già avvenuta la comparsa di organi embrionari, in allora gli 
elementi che costituiscono questi organi, così caratteristici nelle 
condizioni normali, arrestati o disturbati nel loro sviluppo subi- 
scono una alterazione, e sembrano trasformarsi in quelli elementi 


piccoli e rotondeggianti; ma intanto finchè il processo non sia. 


molto avanzato essi restano ben distinti gli uni dagli altri, e 
quindi l'apparenza di gruppi cellulari indipendenti, che finiranno 
più tardi per fondersi insieme, quando il processo perduri più. 
lungamente. Questi due modi di presentarsi dell'embrione defor- 


ANOMALIE DI SVILUPPO DELL EMBRIONE UMANO E5S7 


mato non sarebbero che due stadi del medesimo processo. Tutto 
ciò io ho dedotto non solo dallo studio dell’embrione umano che sto 
descrivendo, ma ancora dall'esame comparativo di diversi embrioni 
animali di animali arrestati a diverso stadio del loro sviluppo. 

Ciò premesso, volendo ora brevemente indicare le particolarità 
osservate nelle sezioni del nostro embrione, dirò come in esse non 
fosse possibile distinguere traccia di organo alcuno, se si fa astra- 
zione della parte più anteriore del sistema nervoso centrale. Per 
maggiore intelligenza e per non di troppo prolungare la nostra 
descrizione, mi limito a riportare il disegno di una sezione corri- 
spondente all’estremità cefalica, dove sono visibili alcune parti- 
colarità di struttura. Inutile sarebbe per lo scopo nostro di ri- 
produrre altre figure (vedi fig. 7). 

Esaminando queste sezioni si trova innanzi tutto che il rudi- 
mento embrionario è rivestito alla sua superficie esterna da un 
doppio strato di cellule, le quali ci rappresentano la lamina 
cornea dell’epiblasta, e che conservano ancora molto ben evi- 
dente la disposizione epiteliare, malgrado esse siano profondamente 
modificate. Si presentano di figura cubica, con un nucleo piccolo 
‘e come rattrappito al centro. Il nucleo è la sola parte delle cellule 
‘che abbia risentito l’azione del carminio, il resto delle cellule è 
completamente incoloro e trasparente, come se avesse subito la 
degenerazione mucosa. Per cui nel suo complesso questo strato 
‘assume l'aspetto di un orlo chiaro intorno alla parte da esso 
circoscritta intensamente colorita. 

I limiti delle cellule sono ben marcati. Lo strato profondo è 
quello che è meglio conservato, e si riscontra su tutta l’esten- 
sione dell'embrione. Il superficiale invece presenta le cellule più 
basse ed in alcuni punti fortemente appiattite ed esse hanno ten- 
denza a staccarsi e cadere nel liquido amniotico; per ciò alcuni 
tratti della superficie presentano il solo rivestimento interno. Là 
dove l’embrione contrae delle aderenze con l’amnios, e queste 
aderenze cominciano già alla ragione cefalica, come si scorge nella 
fisura, le cellule epiteliari ridotte ad un unico strato, e modifi- 
cate tanto nella loro costituzione quanto nelle loro forme, si 
continuano senza linea d'interruzione cogli elementi che abbiamo 
veduto rivestire tutta la superficie interna dell’amnios, se non che 
le cellule epiteliari dell’ amnios ci appaiono normali ed in piena 
attività di funzione, mentre quelle dell’ embrione hanno cessato 
di vivere e sono entrate in un periodo di regresso. 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXIII, 12 


158 C. GIACOMINI 


La parte compresa dallo strato epiteliare, e sulla quale esso 
trova applicata senza però avere aderenze troppo strette, è costitui 
nella massima sua estensione da quegli elementi piccoli, forte 
mente coloriti ed abbastanza uniformemente sparsi, dei qua 
abbiamo già avuto occasione di parlare. Due punti però’ meritan 
qui la nostra attenzione. Essi si trovano situati ai due estre 
della sezione. L'estremo anteriore più piccolo corrisponde a quel 
l’assottigliamento della parte cefalica, che abbiamo veduto avve: 
nire nel mentre essa si incurva in basso ed all’interno, e preci 
samente nel punto dove abbiamo notato quella leggera depression 
che appare sotto la forma di un punto più oscuro. Quivi si notan 
due spazi circolari ben circoscritti, l’uno situato più superficial 
mente ed è il più ampio, l’altro posto al centro e più piccolo 
Tutti e due si distinguono per la forma e la disposizione deg 
elementi che limitano la loro cavità, e che grandemente si diffe 
renziano da quelli che formano il resto del rudimento embrio 
nario, ricordando i primordi di sviluppo del sistema nervoso cen 
trale o delle sue dipendenze. 

Questi elementi infatti si presentano molto allungati perfet 
tamente cilindrici con un nucleo ovolare situato al centro; son 
più alti e meglio distinti quelli che circoscrivono lo spazio pi 
piccolo. Alla superficie esterna sembrano sostenuti da sottile mem- 
branella che appare sotto forma di una linea più intensament 
colorita (membrana prima di Hensen, membrana basale), e ch 
serve sempre maggiormente a limitare queste parti dalle circo- 
stanti. La cavità circoscritta da questi elementi e ripiena di cellul 
piccole eguali a quelle che si trovano in tutto il resto dell’em- 
brione e che probabilmente provengono dalla loro trasformazione. 
Poichè è d’uopo avvertire che è solamente nel punto rappre- 
sentato nella figura, che la parte di questi spazi si trova completa 
in tutta l’estensione. Ma se si esaminano le sezioni che prece - 
dono e susseguono, si trova che una parte della parete è com- 
pletamente rovinata e confusa con il resto dell'embrione; e pro- 
cedendo nel nostro esame si arriva ad un punto in cui tutta la 
parete è distrutta e sostituita dai soliti elementi, i quali però 
si trovano in questo punto più abbondanti e più stipati, formando 
un cumulo ben distinto che può essere seguito per tratti ab- 
bastanza estesi, e possono essere riconosciute le sue connessioni 
o la sua terminazione. I 

In tal modo si può scorgere che lo spazio situato più super-| 


ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 159 


ficialmente ha origine e fine in questo punto, scomparendo affatto 
nelle sezioni inferiori e superiori. Mentre lo spazio centrale cessa 
nelle sezioni inferiori perchè qui finisce pure l’estremità cefalica 
incurvata, esaminando le sezioni situate più in alto, esso va 
aumentando in estensione prolungandosi verso la grossa estremità 
della sezione, dove si continua con un cumulo di cellule, del 
quale dobbiamo dire poche parole (vedi fig. 7 ©). 

La grossa estremità della sezione rappresenterebbe la faccia 
dorsale del rudimento embrionario. Quivi subito sotto il rivesti- 
mento epiteliare già descritto, si trova un ammasso di piccole 
cellule (C) ben circoscritto di figura circolare il quale con poche 
variazioni si osserva per tutta la lunghezza dell’embrione. Esso rap- 
presenterebbe il canale midollare in completa disorganizzazione. 
La alterazione degli elementi sarebbe quivi più avanzata essen- 
dochè in mezzo ad essi si trovano delle isole di sostanza granu- 
lare, la quale deve essere considerata come l’ultimo stadio del 
processo che li ha invasi. 

La comunicazione tra questa parte e quella più superiormente 
descritta avveniva per un tratto ristretto, ben limitato e legger- 
mente curvo, ripieno dei soliti elementi. 

Alcune sezioni al dissotto dal punto in cui succedeva questa 
congiunzione, si notava un cordone cellulare avente la stessa di- 
rezione e compreso in tutta la sua estensione in cinque sezioni, 
il quale simulava l’estremità superiore della corda dorsale. 

Queste sono le poche particolarità che erano ben distinte 
nel nostro embrione e suscettive di una interpretazione. Nel resto 
nulla poteva essere notato che avesse rapporti con qualche altro 
organo embrionario. Non esistevano traccie di vasi sanguigni nè 
nel rudimento embrionario, nè nel cordone che lo teneva unito 
all’amnios. In quest’ultimo punto fatta astrazione del rivestimento 
amniotico, non poteva distinguersi struttura alcuna. Si aveva sot- 
t'occhio infatti una specie di tessuto areolare più o meno irrego- 
larmente disposto con areole ristrette la cui rete si dimostrava 
completamente amorfa. Solo in diverse sezioni che interessavano 
la parte terminale del cordone, comparivano degli spazi o com- 
pletamente ripieni di elementi epiteliari ovvero solo rivestiti da 
un unico strato di essi, che limitavano quindi una piccola cavità. 
Essi si presentavano di forma cubica, con nucleo centrale ed 
avevano presso a poco i medesimi caratteri di quelli che abbiamo 
veduto formare il rivestimento epiteliare del rudimento embrio- 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 142 


160 C. GIACOMINI 


nario. La provenienza era però diversa, essendochè questi spazi 
ci rappresentavano residui del canale omfalomesenterico o canale 
vitellino e quindi il rivestimento epiteliare era dipendenza dell’i- 
poblasta. Questi spazi come ho già detto si notavano solo in un 
gruppo di sezioni, e non potevano essere seguiti nè verso V’em- 
brione, nè verso la terminazione del cordone ombellicale. Era 
quindi un solo piccolo tratto del canale vitellino che persisteva, 
ed esso non era disposto in linea regolare, ma descriveva delle 
flessuosità, comparendo in alcune sezioni duplice, duplicità che 
scompariva nelle sezioni successive, osservandosi la fusione dei due 
canali in un solo. Quei filamenti che si notavano alla superficie 
esterna dell’amnios in corrispondenza della inserzione dell’ em- 
brione, non erano che resti di vasi interamente otturati. 

Da quanto siamo venuti dicendo appare evidente che la no- 
stra deformità rappresenta uno degli stadi più avanzati dell’al- 
terato processo di evoluzione; per poco che esso avesse ancora 
soggiornato nella cavità uterina ogni traccia di organo embrionario 
sarebbe stata distrutta e tutto l’embrione sarebbe stato ridotto 
ad un ammasso informe di piccoli elementi cellulari in via di 
regresso, i quali più tardi anch’essi avrebbero finito per scom- 
parire. Ed accettando la distinzione fatta da His de’ suoi em- 
brioni deformati, ma volendo nello stesso tempo dare ad. essa 
una solida base fondata sulla intima costituzione; si potrebbero 
chiamare forme nodulari quelle nelle quali l’esame microscopico 
non dimostra più alcuna traccia di organi embrionari; forme 
atrofiche invece quelle altre nelle quali questi organi malgrado 
siano profondamente alterati nella costituzione, nella forma e nei 
rapporti sono sempre tuttavia ben distinguibili. Sono queste le 
forme più numerose, le più svariate e quelle che devono essere 
quindi più attentamente studiate siccome le più istruttive, po- 
tendo esse somministrarci elementi preziosi per rischiarare la 
questione della natura del processo che ha colpito l’embrione, 
l'estensione sua, il modo suo di comportarsi colle diverse parti, 
e via dicendo. È questo un campo ancora vergine e che -bhen 
coltivato può dare ampia messe di fatti non solo morfologici ma 
anche fisiologici. 

E la semplice apparenza esterna non è sufficiente per carat- 
terizzare la forma di una deformità embrionaria. In una coniglia 
al 13° giorno di gravidanza io ho trovato 6 embrioni, cinque 
dei quali erano deformi a diverso grado. Quello che aveva subìto 


ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 161 


il maggiore arresto sì presentava sotto la forma di piccolo ba- 
stoncino, esso avrebbe potuto essere classificato fra le forme no- 
dulari; l’esame microscopico invece dimostrò che il processo non 
era relativamente molto avanzato , distinguendosi tutte le parti 
embrionarie e fra queste spiccava in principale modo il sistema 
nervoso centrale, malgrado esso fosse profondamente alterato. 

Così intesa la distinzione di His, il nostro embrione appar- 
tiene alle forme atrofiche le più infime, proprio in vicinanza del 
punto di passaggio tra queste e le nodulari. 

La seconda distinzione che dovrebbe essere sempre fatta nel- 
l'esame di embrioni arrestati nella loro evoluzione è quella che 
riguarda l’ epoca in cui è avvenuta la morte. Vale a dire che 
convien cercare di ben stabilire se la morte è avvenuta qualche 
giorno prima oppure in epoca più o meno vicina al momento 
dell’espulsione. Si comprende facilmente tutto l’interesse che può 
avere una simile determinazione. Un embrione deviato nel suo 
sviluppo avendo cessato di vivere qualche tempo prima dell’aborto, 
oltre le alterazioni prodotte dal fatto primitivo, noi dovremo 
riscontrare anche quelle occasionate dalla morte avvenuta, e ta- 
lora queste possono essere tali da mascherare le prime. Che anzi 
io credo che molte deformità che si osservano nelle prime epoche 
della vita embrionaria, siano dipendenti unicamente da ciò che 
il prodotto ha cessato di vivere ed è entrato in una fase regres- 
siva. È inutile ch’io aggiunga che questa distinzione riguarda 
solamente le forme atrofiche essendo che nelle nodulari la vita 
è cessata da un’epoca più o meno lontana. 

Ma non voglio maggiormente insistere per ora sopra questo 
punto, che presenta difficoltà nè poche, nè lievi, mi limiterò solo 
a dire che nel caso nostro la morte doveva essere avvenuta da 
parecchi giorni. 

Ciò che sorprende nello studio che abbiam fatto, si è il 
vedere la completa indipendenza dell’embrione dai suoi annessi 
d'origine fetale. Mentre esso va distruggendosi e scomparendo, il 
corion e l’amnios non solo si dimostrano di costituzione normale, 
ma essi continuano a svilupparsi, e sembra che quella somma 
di attività che era destinata allo sviluppo ed accrescimento del- 
l'embrione, vada invece interamente a loro giovamento. È questo 
un fatto avvertito da tutti gli autori e considerato come causa 
della vera mola. 

Su di un ultimo punto desidero fermarmi prima di porre 


162 C. GIACOMINI 


termine a questa descrizione. Abbiamo veduto che l’unico organo 
che fosse riconoscibile nel nostro caso era la porzione anteriore 
del sistema nervoso centrale; e ciò si comprende facilmente. Il 
canale midollare è una delle parti che prima compaiono, è co- 
stituito da elementi che sono caratteristici nella loro disposizione 
e nella loro forma, assume tosto ampio sviluppo, e si rende in 
certo modo indipendente; per cui colpito l’embrione da un pro- 
cesso di arresto più facilmente resiste e più lentamente avviene 
la sua disorganizzazione. Nel nostro caso poi esso è l’unico segno 
che indichi approssimativamente l’epoca in cui lo sviluppo fu 
disturbato; il canale midollare doveva essere perfettamente chiuso 
e già formate le vescicole oculari primitive, il che corrisponde- 
rebbe alla 3* settimana. 

E non è meno caratteristico il modo di comportarsi del si- 
stema nervoso centrale quando esso è disturbato in un periodo 
più inoltrato del suo sviluppo e quando in esso si è prodotta 
una maggiore distinzione delle sue parti, In allora mentre tutto 
il resto si mostra stazionario, gli elementi del canal midollare 
perdono il loro aspetto caratteristico ed i loro mutui rapporti, 
non sono più disposti regolarmente in serie da formare le così 
dette catene di proliferazione, ma si presentano come cellule 
piccole, indifferenti, non più legate da prolungamenti protoplasma- 
tici, e sembra che esse vadano aumentando in numero, per modo 
che non potendo più capire nello spazio ad esso destinato avvengono 
nelle parti delle inflessioni le più svariate, delle quali però in 
principio può essere sempre ben riconosciuta la continuità; poi 
il nastro così disposto si spezza in diversi punti, gli elementi si 
diffondono irregolarmente e tutto lo spazio occupato dal sistema 
nervoso è ridotto ad ammasso di quelle cellule delle quali ab- 
biamo più volte avuto a discorrere. 

‘Questo fatto avviene anche nelle dipendenze del sistema ner- 
voso centrale, ad es. nella retina. E non posso trattenermi di 
qui riportare il disegno del globo oculare di un embrione di 
pollo al 5° giorno di incubazione, nel quale il sistema nervoso 
si trovava nel 1° stadio della descritta alterazione. Nella fig. 8 
si scorge che mentre la parte prossimale della vescicola oculare 
secondaria P è abbastanza regolarmente disposta se non normale 
nella sua costituzione ed in essa comincia a depositarsi il pig- 
mento, la parte distale della vescicola , quella che dà origine 
alle parti nervose della retina, oltre ad essere formata da ele- 


ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 163 


menti molto diversi dalle condizioni normali presenta una grande 
quantità di circonvoluzioni che sono veramente caratteristiche (1). 

Ora, supponendo che la causa che ha prodotto il disturbato 
sviluppo, cessi in un periodo nel quale l’embrione sia ancora 
vivo, esso continuerà a svolgersi, potrà giungere a termine, sarà 
anche vitale, ma con tali imperfezioni nella organizzazione di 
alcune parti, le quali se non compromettono la vita, alterano 
però sempre il normale andamento di diverse funzioni. 

Quanto sono venuto dicendo lo credo sufficiente per dimo- 
strare tutto l’interesse che noi possiamo ottenere da questi studi. 
E mentre attendiamo dalla Teratologia sperimentale i tanto pro- 
messi risultati che valgano a spiegarci la ragione recondita del 
così grande numero di deformità che si osservano nei primi stadi 
di sviluppo tanto nell'uomo come negli animali, noi dobbiamo 
dal lato anatomico studiare accuratamente tutte queste forme 
irregolari, preparando così il terreno ad una vera patologia del- 
l'embrione. Ed il nostro còmpito sarà reso più facile se i nostri 
colleghi e principalmente gli ostetrici e ginecologi vorranno unirsi 
a noi somministrandoci il materiale di studio, che non potremmo 
procurarci altrimenti, accompagnandolo con tutte quelle indica- 
zioni cliniche che sono di così prezioso aiuto per farci ricercare 
le cause che hanno perturbato l’ evoluzione di nuovo individuo, 
da impedire che esso raggiunga il suo scopo. 


Breve nota tecnica. 


Io praticava le sezioni dei preparati che furono oggetto di 
questo studio nell'epoca più calda della scorsa estate ed in una 
località che per la sua esposizione risentiva molto l'aumento di 
temperatura. In queste condizioni, si sa che la paraffina che si 


(4) In questi giorni ho avuto l’opportunità di studiare un nuovo embrione 
umano della lunghezza di 8 mm., il quale si presentava nella conformazione 
esterna perfettamente normale. La conservazione e l’indurimento fatto in 
alcool non troppo forte senza previa apertura delle membrane fu imperfetto, 
ciò nondimeno io ho potuto dividerlo in 742 sezioni. La particolarità che 
presentava quest’ embrione descriverò in altra occasione, ma intanto mi 
preme di notare che il sistema nervoso centrale, unitamente alla vescicola 
oculare mostrava in tutta la sua estensione l’alterazione sopradescritta, 
mentre gli altri organi erano disposti come d'ordinario, malgrado gli ele- 
menti costitutivi fossero profondamente modificati, atteso il cattivo processo 
di conservazione. 


164 C. GIACOMINI 


usa ordinariamente e che fonde a 40, 45, 50 centigradi, di- 
viene meno adatta per fare sottili sezioni. È d’uopo adoperare 
paraffina con un grado di fusibilità superiore ai 60 gradi. 

Non sempre si è in grado di poter usare di questo espe- 
diente, o perchè non si dispone al momento di questa qualità 
di paraffina, o perchè il preparato è già incluso in paraffina più 
molle. Ma ben soventi anche potendo, non è conveniente di usare 
siffatta paraffina perchè l’alta temperatura alla quale è d’uopo 
portarla per renderla liquida, può far sentire la sua azione sugli - 
elementi, specialmente se questi sono delicati e facili ad alterarsi, | 
come sono appunto quelli che costituiscono un embrione. 

Un mezzo semplice, che può essere applicato da tutti ed in | 
ogni circostanza, mi tornò di grande utilità. Basta disporre di _ 
un sottile tubo di gomma della lunghezza di un metro e di un 
recipiente capace a contenere 3 o 4 litri. Col tubo di gomma sì 
fanno giri molteplici attorno alla morsa che fissa il preparato ed 
anche attorno al preparato stesso per modo che essi non disturbino 
il movimento della slitta del microtomo. Una estremità del tubo 
pesca nel recipiente contenente acqua, nella quale vien immerso un 
pezzo di ghiaccio; all’ altra estremità vien adattato un tubetto 
di vetro con punta affilata onde il getto sia reso molto esile. 
Il tubo funziona da sifone; l’acqua a bassa temperatura circola 
attorno alla morsa, questa vien raffreddata, ed il raffreddamento 
si estende ben presto al preparato. Dopo 10 o 15 minuti che 
l'apparecchio funziona e quando cominciano a comparire piccole 
goccie di rugiada sulle pareti del tubo , si può incominciare @ 
lavorare, ed allora si trova che le sezioni riescono bene anche 
con paraffina fusibile a bassa temperatura. 

L'apparecchio può continuare a funzionare per tutta la gior- 
nata senza altra cura, che quella di aggiungere nuovo ghiaccio, 
quando quello che si è messo da principio si è sciolto. 

Questo sistema può essere adoperato i in condizioni affatto op- 
poste, vale a dire per rendere più molle la paraffina nella sta- 
gione invernale. Basta far. passare. per il sifone una corrente 
d’acqua calda alla temperatura che ‘noi vogliamo, per ottenere 
un riscaldamento di tutta la parte del microtomo che contiene 
e fissa il preparato. Aumentando o diminuendo la quantità di 
acqua che passa nel sifone o la velocità della corrente noi pos-. 
siamo avere effetti diversi di riscaldamento e raffreddamento: cor, ( 
rispondenti allo scopo che noi desideriamo ottenere. 


LÀ piede 


LOI 


14972 
AI AI ICRI 


RR 


. 


GIACOMINI- Anomalie di sviluppo dell'Embrione Umano 


ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’ EMBRIONE UMANO 165 


La semplicità dell’apparecchio, la sua facile applicazione, la 
prontezza e sicurezza nei risultati sono le circostanze che mi fanno 
raccomandare questa specie di Zermo-sifone, a preferenza di tutti 
gli altri artifici proposti per evitare piccoli inconvenienti, i quali ta- 
lora però possono impedire lo studio di preparati molto interessanti. 


SPIEGAZIONE DELLE FIGURE 
Tav 01° 


Fig. 5. Vescicola amniotica distesa, grandezza naturale. Si scorge 
all’interno il rudimento embrionale R. 

» 6. Embrione visto dalla faccia interna dell’amnios ed in- 
grandito 15 volte coll’Embrioscopio di His. A inspes- 
simento dell’amnios a poca distanza dall’estremità ce- 
falica dell'embrione. Y° cordone che legava il rudimento 
embrionario all’amnios V. Residui di vasi che si di- 
stribuivano al corion. 

» 7. Sezione (N. 291) dell’estremità cefalica del rudimento em- 
brionario, vista a piccolo ingrandimento. A, amnios €. 
residuo del canale midollare costituito interamente da 
piccoli elementi e senza cavità centrale — M. canale 
midollare nella sua parte anteriore corrispondente alla 
vescicola cerebrale anteriore. Le pareti sono ancora 
ben costituite in questo punto. La cavità è distinta 
ma piena di piccoli elementi. 

» 8. Sezione di una vescicola oculare di un embrione di pul- 
cino al 5° giorno d’incubazione arrestato nel suo svi- 
luppo — P. parte prossimale della vescicola oculare 
secondaria — D. parte distale cle presenta caratte- 
ristiche inflessioni identiche a quelle che si riscontrano 
nel sistema nervoso centrale e costituita da piccoli ele- 
menti uniformemente sparsi — ZL. lente cristallina. 


Il Direttore della Classe 
ALFronso Cossa: 


CLASSI UNITE 


Adunanza dell'8 Gennaio 1888. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI 
VICEPRESIDENTE 


In questa adunanza vien conferito il Premio BRESSA al sig. 
Prof. LUIGI PASTEUR, dell’ Istituto di Francia. 


Il Segretario pel Premio Bressa 
ALFonso Cossa. 


SOMMARIO 


e 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


ADUNANZA dell’ 8 ‘Gerinaio 1888 1.0. 0, a IA Pag. 144 
Sansoni — Note di mineralogia italiana — Datolite e Calcite di 
Montecatini (Valle di Cecina) (con una tavola). . . ...... » 142 


Giacomini — Su alcune anomalie di sviluppo dell'embrione umano . » 450 


Classi Unite. 


CONFERIMENTO: del; Premio BRESSA: e LR LI TE ». 166 


rilzie: 


ATTI 
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


DI-:--FORINO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XXIII, Disp. 5", 1887-88 


s—_—_T— 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali 


TORINO 
ERMANNO LOESCHER 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


167 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 22 Gennaio 1888. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI 
VICEPRESIDENTE 


Sono presenti i Soci: Lessona, BERRUTI, SIacci, Basso, D'O- 
vipio, BizzozERo, FERRARIS, NACCARI, SPEZIA. 

Il Socio Cossa, Direttore della Classe, fa scusare la sua 
assenza cagionata da obblighi di ufficio che lo trattengono a 
Roma. 

Letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente, 
il ff. di Segretario dà lettura di una lettera di ringraziamento che 
il signor Luigi PAasrEUR invia da Parigi al Presidente dell’Acca- 
demia, la quale gli aveva conferito il V Premio Bressa nell'ultima 
sua adunanza a Classi Unite. 

Comunica in seguito la morte di Lorenzo Guglielmo di Ko- 
NINCK, Prof. emerito della Facoltà di Scienze nella Università 
di Liegi, il quale era Socio corrispondente per la Sezione di Mi- 
neralogia, Geologia e Paleontologia. 

Fra le pubblicazioni pervenute in dono all'Accademia vengono 
segnalati parecchi lavori pubblicati a Wiesbaden in occasione 
del 60° Congresso dei Naturalisti e Medici tedeschi colà tenutosi 
nel settembre scorso, e segnatamente il volume intitolato: 7a- 
geblatt der 60 Versammlung deutscher  Naturforscher und 
Aerzte in Wiesbaden, redatto dai Dottori G. FRESENIUS e E. 
PFEIFFER. 

- Il Socio Succi, incaricato dal Presidente, presenta il fascicolo 
di Aprile 1887 del Bullettino di bibliografia e di Storia delle 
Scienze matematiche e fisiche, pubblicato da B. BoxcomPagnI e 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXIII. 13 


ero 


168 


dallo stesso offerto in omaggio all'Accademia. Indi prosegue : « Nel 
tomo XIX del bullettino diretto dal benemerito Principe Bon- 
comPaGNnI, un altro Socio corrispondente della nostra Accademia, 
Enrico NARDUCCI, ha testè pubblicato quelle delle Vite dei Ma- 
tematici scritte già da Bernardino BALDI, che, riguardando Ita- 
liani, erano rimaste tuttavia inedite. Il NARDUCCI fa omaggio 
all'Accademia di una tiratura a parte di questa pubblicazione, 
che contiene per ordine di tempi 28 Vite, da Ameristo a Giu- 
seppe Zarlino. Rimarchevoli per la copia di notizie e di scien- 
tifiche osservazioni sono quelle di Archita, Archimede, Vitruvio, 
Boezio e Gioviano Pontano. Il NARDUCCI coll’usata sua diligenza 
ha corredato il lavoro con una erudita prefazione, nella quale 
insieme ad una tavola di tutte le vite edite ed inedite dal BALDI, 
colla indicazione dei codici che le contengono, ha enumerato i 
principali scrittori che parlarono di essa opera e descritte le fonti 
per procedere a una sicura edizione delle Vite rimaste inedite, 
le quali ascendono a non meno di centocinquanta ». 
Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ ordine se- 

guente : 

1° « I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e 
della Liguria (Mitridi); » quinta ed ultima parte di un lavoro 
del Socio Prof. L. BELLARDI, presentata dal Socio Basso per 
incarico dell’autore assente per ragione di salute, ed approvata 
con voti unanimi dalla Classe per le pubblicazioni nei volumi 
delle Memorie. 

2° « Sulla struttura dell’ Hormogaster Rediî mihi; » 
Studio del Dott. Daniele Rosa, Assistente al Museo Zoologico 
della R. Università di Torino, presentato dal Socio LESSONA. 
Questo lavoro, dovendo essere pubblicato nei volumi delle Me- 
morie, viene affidato ad una Commissione perchè lo esamini e ne 
riferisca in una prossima adunanza. 

3° « Ricerche sperimentali sulle variazioni della resi- 
stenza elettrica e del potere termoelettrico del Nichel al variare 
della temperatura; Nota del Dott. A. BATTELLI, presentata dal 
Socio NACCARI. 


LETTURE 


Sulle variazioni della resistenza elettrica e del potere termo- 
elettrico del nichel al variare della temperatura; ricerche 
sperimentali di Angelo BATTELLI 


_— 2 


1) Nel presente lavoro ho cercato di scoprire se la resistenza 
elettrica del nichel variasse irregolarmente al mutare della tem- 
peratura; e se tali variazioni irregolari avessero alcuna relazione 
con i cambiamenti improvvisi che si osservano nelle proprietà 
termoelettriche di questo metallo. 

È noto che nel ferro avvengono alla temperatura del rosso 
scuro diversi fenomeni che hanno attirata l’attenzione dei fisici. 
Il Gore (*) nel 1869 trovò che alla temperatura sopraddetta i fili 
di ferro subiscono improvvisamente cangiamenti di lunghezza; il 
Prof. Barrett (**) nel 1873, seguitando le esperienze di Gore, 
ha mostrato che tale subitaneo cangiamento avviene non soltanto 
durante il raffreddamento, ma anche durante il riscaldamento ; e 
che inoltre simultaneamente a questo fenomeno, se i fili vanno 
raffreddandosi, succede in essi un repentino innalzamento di tem- 
peratura (reglow). È noto per di più, che, alla stessa temperatura 
all'incirca, il ferro perde le sue proprietà magnetiche, e dalle 
esperienze del Prof. Tait (***) risulta, che pure a quella tempe- 
ratura avviene un mutamento improvviso nelle proprietà termo- 
elettriche. Poco dopo i sigg. C. M. Smith, C. G. Knott, e A. Mac- 
farlane (****) hanno dimostrato che il diagramma termoelettrico 
del ferro si piega quasi esattamente alla temperatura, a cui av- 
viene in esso un cangiamento subitaneo nella resistenza elettrica. 

Siccome anche nel nichel avvengono alcuni dei fenomeni, che 
furono osservati nel ferro, cioè, cangiamento improvviso delle pro- 


(*) Proc. of. the Roy. Soc. for., 1869. 

(**) Phil. Mag., Ser. 4, Vol. XCVI, p. 472. 

(***) Proc. of the Roy. Soc. of Edinb., Vol. VIII, p. 32. 
(****) Ibidem, Vol. VIII, p. 629. 


170 ANGELO BATTELLI 


prietà termoelettriche alle temperature di circa 175° e dicirca 340° 
come è stato mostrato dal Prof. Tait (*) e da me (**), e perdita 
delle proprietà magnetiche a circa 320° come hatrovato Berson (***), 
oppure di circa 350°, come ha trovato Tomlinson (****); non era 
illogico il pensare che forse corrispondentemente ai fenomeni so- 
praddetti avvenisse nel nichel anche un mutamento improvviso 
nella resistenza elettrica, quantunque il T'omlinson (****) abbia tro- 
vato che non hanno luogo nel nichel nè il fenomeno di (Gore, 
nè il repentino innalzamento di temperatura scoperto da Barrett 
nol. ferro {***#%), 

2) Per fare le esperienze sulla resistenza, ho usato del filo 
del diametro di 0,48 millimetri. Mi era molto utile il poter 
collocare una lunghezza considerevole di questo filo in un piccolo 
spazio ; e siccome disponendolo liberamente in qualunque maniera 
nell’ambiente che doveva essere riscaldato, si correva poi sempre 
il pericolo che alcune parti del filo si venissero a toccare per i 
cangiamenti che in esso cagionavano le variazioni di temperatura, 
mi è stato necessario di avvolgerlo a spirale, e fissarlo sopra 
una sostanza che non conducesse la corrente elettrica. Non potevo 
per questo usare nè il vetro, nè il legno, perchè dovevo sperimen- 
tare fino a temperature superiori ai 400°. Ho scelto l’amianto, 
e mi sono assicurato che a 480° non conducesse la corrente 
elettrica, ponendone una striscia dentro l’apparecchio riscaldante, 
dopo averne legato strettamente le due estremità con due fili di 
rame; e inserendo poi nel circuito una coppia e un galvanometro.. 
Il galvanometro non diede il menomo segno di corrente elettrica. 

Ho scelto adunque due di queste striscie di amianto, e ne 
ho ricoperto il bulbo e parte del cannello di un termometro, 
che era diviso in gradi e che arrivava fino a 460°; poi ho av- 
volto fortemente a spirale sull’amianto il filo di nichel, facendone 
uscire le due estremità per due fori praticati nel sovero che so- 


(*) Proc. of the Roy. Soc. of Edinb., Vol. VIII, p. 

(**) Rend. della R. Acc. dei Lincei, Vol. Ill, fas. 4°, 2° semestre, p. 105. 

(***) Ann. de Chim. e di Phys. (1886) 2, p. 497. 

(****) Phil. Mag. S. V., Vol. 24, Settembre 1887, p. 256. 

(*****) Secondo Proncuon (Ann. de Chim. et de Phys., Serie 6*, Vol. XI, 
p. 33), alla temperatura di 230° vi sarebbe anche un salto nella variazione 
del calore specifico del nichel; però le esperienze recentissime del Prof. Nac- 
CARI, (Atti dell'Acc. delle Sc. di Torino, Vol. XXIII, Dic. 1887), alle quali ho 
avuto la fortuna di assistere, non confermano il fenomeno. 


VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 171 


steneva il termometro, avendo avuto cura di coprire con amianto 
i due tratti di filo che sarebbero stati a contatto col sovero 
stesso. Questo poi chiudeva esattamente la bocca dell’apparec- 
chio riscaldante. 

L'apparecchio riscaldante era costituito da un cilindro di 
ferro del diametro di circa 15 centimetri e a pareti molto 
grosse : dentro questo cilindro ne era collocato un altro del dia- 
metro di circa 5 centimetri. La base inferiore dei due cilindri 
e superiormente tutto lo spazio anulare era chiuso da grosse 
pareti di ferro; non era aperta che la base superiore del cilin- 
dro interno in cui si adattava il sovero che portava il termo- 
metro e il filo. Dentro il medesimo cilindro interno fu messa un 
po’ di paraftina; perchè, quando s'innalzava la temperatura del - 
l'apparecchio, i vapori che da essa sì sviluppavano a poco a poco, 
cacciavano l’aria, e così il filo rimaneva avvolto da un’ atmo- 
sfera di vapori alle temperature più elevate. 

Le due estremità del filo uscivano dal tappo per una lun- 
ghezza esatta di 30 centimetri, ed erano saldate a due grossi 
fili di rame. Le saldature poi erano immerse in un largo reci- 
piente di olio, difeso per mezzo di schermi di latta e cartone 
dall’apparecchio riscaldante. Uno di questi fili era avvitato ad 
un estremo di un buon reocordo, l’altro ad un torchietto di un 
ponte di Wheatstone in modo che il filo di nichel, i fili di rame 
e il reocordo erano inseriti in un lato del ponte stesso. Nel se- 
condo lato era inserita una resistenza che si manteneva sempre 
costante. La pila che serviva in queste esperienze era una coppia 
Daniell ordinaria; e il galvanometro inserito nella diagonale del 
ponte era molto sensibile. 

Per misurare le variazioni della resistenza al cangiare della 
temperatura, non facevo scorrere il tasto lungo il filo del ponte; 
ma tenevo invece il tasto fisso sul mezzo del filo, e movevo il 
corsoio del reocordo in modo che nel galvanometro non passasse 
mai la corrente. 

Per eseguire le esperienze si procedeva nel seguente modo; 
sì riscaldava il cilindro di ferro con fiamme sottoposte e late- 
rali, finchè il termometro segnava circa 430°; indi si spegnevano 
due fiamme, e allora io cercava sul ponte la condizione, perchè 
il galvanometro rimanesse nella posizione d’ equilibrio; e poi di 
minuto in minuto leggevo la posizione del corsoio sul reocordo, 
avendo cura che alla fine d’ogni minuto l'ago del galvanometro 


V2 ANGELO BATTELLI 


fosse in riposo. Nell’istesso tempo alla fine d'ogni minuto una 
persona leggeva il termometro : esso scendeva abbastanza lentamente, 
essendo molto grande la massa che si andava raffreddando. Più 
tardi spegnevo le altre fiamme e continuavo le esperienze fino 
alla temperatura di 80°. Per le temperature più basse fino alla 
temperatura ordinaria, facevo una nuova serie di esperienze con 
un secondo termometro, che arrivava fino a 100°. Il primo di 
questi termometri era stato confrontato col termometro ad aria, 
e ad ogni tanto se ne determinava il punto 100°; per il secondo 
venivano stabiliti al principio ed alla fine d'ogni serie di 
esperienze i punti fondamentali. 

Oltre tutte queste esperienze durante il raffreddamento, ne 
ho fatto anche due serie durante il riscaldamento. Ho dedotte 
le medie di tutte le singole determinazioni fatte alle varie tem- 


perature; e coi risultati ho costruita la curva, che nella tavola 


annessa è segnata col N. I. Siccome da prove antecedenti io 
sapevo che il filo del reocordo era omogeneo; siccome il recipiente 
di olio mi difendeva dalle correnti termoelettriche che avreb- 
bero potuto prodursi per una differenza di temperatura fra le 


due saldature; e siccome con queste prime esperienze non avevo | 


altro scopo che di accertarmi se vi fossero irregolarità nell’an- 
damento della resistenza; io ho preso senz’ altro come ordinate 
per costruire le curve, le letture fatte sul reocordo, mentre le 
ascisse erano date dalle temperature. Quindi è chiaro che nella 
curva nel senso delle ordinate crescenti, i valori delle resistenze 
sarebbero decrescenti, e viceversa. 

La curva stessa mostra che da circa 364° in giù la ragione 
secondo cui varia la resistenza al variare della temperatura au- 
menta spiccatamente, e poi da circa 226° in giù, quantunque con 
meno evidenza di prima, cambia ancora, ossia prende a diminuire. 
Per mettere maggiormente in chiaro che in questo secondo punto 
la curva realmente si piega, ho calcolato i coefficienti di varia- 
zione nel tratto da 360° a 230°, e nel tratto da 220° a 20°. Per 
ambedue i tratti ho usata la formola: 


v=at + bt? 


dove v è il valore della variazione in divisioni del reocordo, de- 
dotto dalla curva costruita in scala molto più grande, # pel 
primo tratto è la differenza fra 360° e la temperatura a cui 


TOA ORE 


O TIT SATO I ATE 9 ITA 


ca 


VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 173 


corrisponde la determinazione, e pel secondo tratto è la differenza 
fra 220° e la temperatura della determinazione stessa; a e d 
sono i due coefficienti da determinare. 

Per il primo tratto sono risultati 


a = 4,950 
PST 


Per mostrare come la formola rappresenti bene l'andamento 
della curva in quel tratto, riferisco la seguente tabella, in cui 
accanto ad alcuni valori delle variazioni risultanti direttamente 
dalla curva, si trovano i valori corrispondenti calcolati colla for- 
mola. Ricordo che come origine delle coordinate si prende il 
punto della curva che corrisponde a 360°. 


Temperature | v osservata | v calcolata 


390 146,2 146,6 
810 242,3 242,2 
280 379,6 3891 
260 473,2 474,0 
| 240 564,8 563,7 
Per il secondo tratto sono risultati 
ai==' 4,481 
b=—0,0014 


Anche qui per mostrare l'accordo fra i valori dati diretta- 
mente dalla curva, e quelli dati dal calcolo, riporterò una ta- 
bella analoga alla precedente, ricordando che pei valori in essa 
riferiti è preso come origine delle coordinate il punto che cor- 
risponde alla temperatura di 220°. 


Temperature | v osservata | v calcolata 


180° 175,5 176,9 


150 306,2 | 306,7 
120 435,4 | 434,0 
100 519,2 | 517,5 
80 598,9 | 599,7 
50 723,0 | 721,1 


20 841,2 840,0 


174 ANGELO BATTELLI 


Ora, per far vedere come i coefficienti appartenenti al primo 
tratto della curva non servano a calcolare i punti che apparten- 
gono al secondo tratto, e viceversa i coefficienti del secondo tratto 
non servano a calcolare i punti del primo, metterò in evidenza 
nella seguente tabella alcuni valori dedotti da un ramo della curva 
e di fronte ad essi i valori che si calcolerebbero per le stesse 
temperature con i coefficienti appartenenti all’altro ramo. 


0) v 
Tem- v calcolata coil] Tem- v calcolata coi 
perature | osservata | coefficienti || perature | osservata | coefficienti 
del 2° ramo del 1° ramo 


330° 146,2 L'AS 150° 306,2 333,7 
310 242,9 206,5 120 435,4 474,0 
280 379,6 340,5 100 919,2 563,7 
260 473.2 434,0 80 598,9 652,8 
240 564,8 517,5 


Si noti che nella carta, divisa in millimetri, in cui io ho de- 
scritta la curva in grande scala, ogni millimetro corrispondeva 
a una divisione del reocordo, e che i punti che erano più dis- 
costi dalla curva, distavano da essa di 9 millimetri nella dire- 
zione delle ordinate; e si noti inoltre che lo spostamento di una 
divisione del reocordo produceva nelle esperienze un piccolo mo- 
vimento nell’ago del galvanometro. Quindi la tabella mostra molto 
chiaramente che i coefficienti spettanti ad uno di questi due rami 
della curva non servono per calcolare i coefficienti dell'altro ramo ; 
e che le differenze superano sensibilmente i limiti degli errori 
d'osservazione. i 

Come prova ulteriore che a circa 226° si ha veramente una 
piega della curva farò osservare che neppure un’ equazione a tre 


coefficienti i pen gar de Rag] 


serve a rappresentare con sufficiente esattezza tutta quanta la 
curva. medesima da 360° fino a 20°. 

Finalmente per il ramo compreso fra 364° e 420° il quale 
fa un angolo più acuto col ramo medio della curva, risultano i 
seguenti coefficienti : Syosa cp EN i 


b=0,0009. 


VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 175 


: Nel quadro che segue sono riportati alcuni valori di v de- 
dotti dalla curva prendendo per origine il punto corrispondente 
a 410° e di fronte ad essi i valori ricavati col calcolo. 


| 
Temperature | v osservata | v calcolata 


390° 68,2 68,2 


380 101,2 101,5 
370 134,4 135,0 


Come si vede, i valori dati dalla curva e dal calcolo con- 
cordano abbastanza fra di loro. 

3) Stabilito così che la resistenza del nichel da 20° fino a 
circa 226° varia in modo regolare e che da 226° in su co- 
mincia a variare più rapidamente fino a circa 364°, dalla quale 
temperatura in poi riprende a variare più lentamente, ho creduto 
utile lo stabilire i coefficienti di variazione per i tre diversi in- 
tervalli di temperatura. 

A tal uopo mi era necessario di conoscere con esattezza 
quale fosse la lunghezza del filo esterno e di conoscere inoltre 
quali temperature assumesse successivamente nelle diverse deter- 
minazioni lo stesso filo esterno. — La lunghezza dell'intero filo 
era di 4 metri, e come ho detto sopra, i due capi sporgenti 
erano lunghi esattamente 30 centimetri ciascuno : cosicchè i primi 
due dati si avevano senz’altro. Per avere poi in qualunque 
istante la temperatura della porzione di filo esterno, ho collo- 
cato vicino all’apparecchio riscaldante un grande pallone di vetro 
il quale, oltre la tubulatura superiore, aveva una brevissima tu- 
bulatura laterale. Quest'ultima sporgeva precisamente sopra la 
bocca dell'apparecchio riscaldante; e attraverso al tappo che la 
chiudeva passavano due stretti tubi di vetro, i quali si ripie- 
gavano nell'interno del pallone e andavano ad uscire dalla tu- 
bulatura superiore. Dentro a questi due tubetti si facevano pas- 
sare i due capi del filo; il pallone era così grande, che i due 
capi colle saldature rimanevano interamente contenuti dentro il 
pallone medesimo, ad eccezione dei due tratti, lunghi un centi- 
metro ciascuno, che erano fra la bocca dell’apparecchio riscal- 
dante e le estremità inferiori dei tubetti. Queste estremità infe- 
riori dopo fatta l’introduzione dei fili, venivano ben chiuse con 
un tappo formato di gesso e ovatta; poi si riempivano i tubetti 


176 ANGELO BATTELLI 


con petrolio, mentre il pallone veniva riempito con acqua. At- 
traverso il sovero che chiudeva la tubulatura superiore del pal- 
lone, passavano un agitatore e un termometro. Inoltre doppi 
schermi di latta e cartone difendevano da tutte le parti il pal- 
lone dall'influenza diretta dell’apparecchio riscaldante. 

Per ottenere ancora maggiore precisione non ho più fatte 
in questo secondo caso le determinazioni di minuto in minuto, 
lasciando lentamente raffreddare il cilindro di ferro; perchè in 
questo metodo, oltre a qualche piccola inesattezza proveniente 
dalla difficoltà di poter mantenere in riposo l’ago del galvano- 
. metro alla fine d'ogni minuto, v'era anche l'inconveniente, che 
doveva esistere sempre un po’ di ritardo nella temperatura presa 
dal termometro rispetto a quella presa dal filo. E sebbene que- 
st'ultimo difetto si fosse in gran parte evitato coll’aver fatte le 
determinazioni non solo per raffreddamento ma anche per ri- 
scaldamento: tuttavia m'è sembrato che detto metodo, molto 
adatto certamente per poter descrivere una curva continua delle 
variazioni della resistenza, non fosse però il più preferibile per 
determinare con esattezza i valori dei coefficienti di variazione. 
— Quindi ho fatte le nuove esperienze col metodo ordinario del 
ponte di Wheatstone a diverse temperature mantenute costanti. 
Quando da circa un quarto d’ora il termometro dell’apparecchio 
riscaldante rimaneva quasi fermo, facevo una prima determina- 
zione, e poi ne facevo successivamente altre quattro ogni due 
minuti, curando sempre di mantenere, per quanto era possibile, 
costante la temperatura. Di tutte queste determinazioni prendevo 
la media, come la prendevo pure delle temperature a cui erano 
state fatte. — Siccome poi una qualunque differenza di tempe- 
ratura fra le due saldature del filo di nichel coi fili di rame, 
avrebbe dato luogo ad una corrente termoelettrica, che, a seconda 
della sua direzione, avrebbe fatto l’effetto come di accrescere o 
di diminuire la resistenza del filo, avevo disposto un commuta- 
tore che servisse a invertire la corrente nel filo stesso ; per modo 
che, appena fatta una determinazione con la corrente che andava 
dall’estremo A del filo all’estremo B, ne facevo subito un’altra 
con la corrente che da B andava verso A. La media di queste 
due determinazioni, quando riuscivano un poco diverse, dava il 
valore più conveniente della resistenza misurata. i 

Ad elevate temperature ho fatta la correzione per l’errore 
che portava l’allungamento subìto dal filo, quantunque tale cor-. 


VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 177 


rezione non portasse nel primo coefficiente che una piccola al- 
terazione sulla terza cifra decimale. Per coefficiente di dilatazione 
lineare del nichel ho preso quello determinato da Fizeau (*) fra 
0° e 50°, cioè: 0,00001286. 

Ho fatto prima due determinazioni a 0°, riempiendo di 
ghiaccio lo spazio anulare dell'apparato riscaldante, facendolo 
penetrare per un foro praticato nella parete superiore, che si 
chiudeva poi con un tappo di ferro. Superiormente l’apparato si 
copriva con ghiaccio, come pure si riempiva di ghiaccio tutto il 
pallone. Dopo circa un’ ora e mezza il termometro dell'apparato 
riscaldante aveva presa la temperatura del ghiaccio, e allora 
potevo esser sicuro che anche le porzioni dei fili contenute nei 
tubetti fossero già a 0°. 

Ho fatto poi due determinazioni alla temperatura dell’ am- 
biente; e nelle altre determinazioni a temperature più elevate, 
nelle quali il filo interno si trovava a temperatura diversa dal 
filo esterno, si faceva sempre la lettura contemporanea del ter- 
mometro dell'apparato riscaldante e del termometro del pallone. 

Per rappresentare la resistenza misurata alle diverse tempe- 
rature ho usata la formola: 


R=r,|!(1+at+b)+l(1+at+bt)], 


dove E è la resistenza misurata, r, la resistenza dell'unità di 
lunghezza del filo a 0°, 2 è la lunghezza della porzione di filo 
interna all'apparato riscaldante, e ?' quella della porzione esterna, 
t è la temperatura segnata dal termometro dell’apparato riscal- 
dante, e # quella segnata dal termometro del pallone, finalmente 
a e b sono due coefficienti valevoli per la temperatura #, e a' e d' 
due coefficienti valevoli per la temperatura #'. 

La quantità x, l'ho ricavata direttamente dalla determina- 
zione fatta a 0°; la resistenza totale a 0° risultò uguale a 2,312 U.S.; 
quindi, essendo l’intero filo lungo 4 m., si ha 


r-=-0;5:78-U:&; 
Quanto alle lunghezze / ed 7’ bisogna osservare che di cia- 
scuna porzione di filo esterno, soltanto 29 centimetri erano im- 


mersi nel pallone; e siccome quel centimetro di filo che rimaneva 
fuori del pallone e dell'apparato riscaldante, era ricoperto d’a- 


(*) Comp. rendus 68, p. 1125. 


178 ANGELO BATTELLI 


mianto, ho ammesso, senza commettere errore sensibile, che esso 
si trovasse alla temperatura del filo interno all’apparato stesso. 
Perciò nella formola di sopra ho ammesso 


1= 99,42, = 0%,58. 
Fino alla temperatura di 226° ho fatto 
a=a’, b=\b'; 


perchè le precedenti esperienze mostrano che fino a quella tem- 
peratura valgono sempre gli stessi coefficienti. Per le temperature 
superiori, dove a e d prendevano altri valori, ho conservato però, 
come è naturale, per a' e d' gli stessi valori di prima. 

Nella seguente tabella sono riferiti i risultati delle esperienze 
fra 0° e 220°: in essa la colonna E contiene il valore della re- 
sistenza totale, la colonna # la temperatura segnata dal termo- 
. metro dell’apparato riscaldante, e la colonna #? la temperatura 
segnata dal termometro del pallone. 


R t t 
2474 14°,3 14°,3 
2,730 51,6 15,,9 
3,058 96,4 nego. 
3.327 134 ,8 LO 
3,506 166,4 20,3 
3,802 gi gt) 21,4 


Da cui si ricava 


a = 0,0053981 
b= — 0,0000022 


I risultati ottenuti fra 230° e 360° sono i seguenti: 


VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 179 


D’onde 
a = 0,0043532 
b= — 0,0000018 


Finalmente i risultati fra 380° e 410° sono : 


R t t 
5,060 381°,9 DOEF 
5221 401,2 972 
5,320 PIO 4 | 981 
D’onde 
a=0,003322 


b= — 0,0000012 


Se coi valori contenuti nelle precedenti tabelle si descrive 
una curva, incontriamo in essa la prima piega a 222°, e la se- 
conda a 368°; abbastanza concordemente con quello che fu tro- 
vato col primo metodo. 

4) Riusciva molto interessante lo stabilire se questi due mu- 
tamenti nei coefficienti di variazione della resistenza elettrica, 
corrispondessero ai due cambiamenti che si hanno anche nell’an- 
damento termoelettrico di questo metallo. 

Perciò ho studiato anche le proprietà termoelettriche dello 
stesso filo di nichel. A tal uopo ne ho saldate le due estremità 
a due fili di piombo; e una saldatura l'ho immersa nell’appa- 
recchio riscaldante, legandola al bulbo del termometro, l’altra 
saldatura l'ho immersa in un recipiente pieno di ghiaccio. 

Per misurare le forze termoelettriche ho inserito nel circuito 
della coppia termoelettrica così formata un reostato ed un sen- 
sibile galvanometro a riflessione, il quale era stato in antecedenza 
accuratamente graduato. Cosicchè dalla lettura del reostato e del 
galvanometro (conoscendo già la resistenza opposta dalla coppia), 
io potevo calcolare direttamente la forza elettromotrice. 

L'apparecchio riscaldante fu portato a diverse temperature, 
dalla temperatura ordinaria fino a 420°. I risultati sono nella 
seguente tabella, dove la colonna 7 contiene le temperature della 
saldatura più calda, e le altre due colonne i valori E delle forze 
elettromotrici risultanti dalle osservazioni, e dal calcolo fatto 
secondo la formola di Tait. 


180 


ANGELO BATTELLI 


I valori delle forze elettromotrici sono espresse in microvolta. 


È: 


14°,6 
49,3 
87,4 
124,8 
173,6 
202 ,5 
216 ,6 
224,2 
236 ,4 
259 ,8 
277,8 
294,5 
316,4 
341 ,8 
352,2 
364 ,8 
376,5 
389,2 
397 4 
406 ,8 
415 ,8 
421 ,8 


E 
osservata 


380,22 
1350,14 
2479,89 
3698,24 
5426,33 
6495,38 
7022,42 
7258,16 
7581,44 
8155,56 
8569,78 
8866,74 
9149,47 
9373,15 
9399,19 
9424,62 
9597,18 
9899.38 

10102,32 

10338,19 

10589,96 

10753,02 


calcolata 


383,74 
1351,69 
2493,78 
3705,75 
5415,71 
6498,15 


8165,41 
8564,12 
8864,89 
9158,42 
9380,64 
9391,71 


—_ 


9904,45 


10107,16 
10343,41 
10561,06 
10729,95 


I valori di E osservati nelle diverse esperienze dalla tem- 
peratura dell’ambiente fino a 202,5, li ho sostituiti nella for- 


mola di Tait: 


dove E rappresenta la forza elettromotrice, 7, e 7, le tempe- 


rature delle due saldature, A e 7, due costanti. — In quell'in- 
tervallo (fra 0° e 202°,5) risultano per A e 7, i valori 
A=—0,0618 


T=-418°,00. 


VARIAZIONI DELLA. RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 181 


Sostituendoli poi nella formola (1), ho calcolati i valori di E 
alle diverse temperature, e li ho collocati nella 3° colonna della 
tabella, di fronte ai valori osservati, per mostrare l'accordo fra 
i dati dell’esperienza e del calcolo. 

Le forze elettromotrici ottenute a 216°,6 e a 224°,2 non 
sono sostituibili nella formola (1) ammettendo per A e 7, i valori 
sopra riferiti; nè poste insieme colle forze elettromotrici otte- 
nute alle temperature seguenti, possono essere rappresentate da 
un’ altra espressione della forma della (1). Invece i valori delle 
forze elettromotrici ottenuti da 236°,4 a 352°,2 si prestano 
molto bene ad una tale rappresentazione. — Per calcolare in 
questo intervallo i valori di A e 7, bo posto nella formola (1) 
al luogo di £ le differenze fra le forze elettromotrici corrispon- 
denti alle diverse temperature e la forza elettromotrice corris- 
pondente a 236°,4; al luogo di 7,, 236°,4; e al luogo di 7, 
le successive temperature. Ho ottenuto così 


A=+ 0,2387 


Finalmente , il valore della forza elettromotrice ottenuto 
a 364°,8 non è sostituibile nella formola appartenente alle tem- 
perature precedenti, nè in quella delle seguenti. Da 376°,5 in 
poi, i valori di A e 7, calcolati come per l’intervallo prece- 
dente, sono risultati uguali ad 


A=_- 0,0504 
CORI 


Per mezzo dei medesimi dati, ho calcolato poi i valori dei 
poteri termocelettrici 


alle diverse temperature. Siccome il valore della forza elettro- 
motrice a 215°,6 non è sostituibile nella formola che vale per 
le temperature precedenti; onde calcolare il potere termoelettrico 
in vicinanza di quella temperatura, ho diviso la differenza fra la 
forza elettromotrice a 216°,6 e quella a 202°,5, per l’inter- 
vallo fra le due temperature; e il quoziente l’ho assegnato quale 
potere termoelettrico della temperatura intermedia, 


182 ANGELO BATTELLI 


Così ho fatto fra 224°,2 e 216°,6; fra 236°,4 e 224°,2; 
e così pure fra 364°,8 e 352°, 2; e fra 376°,5 e 364°,8. Pren- 
dendo questi poteri termoelettrici come ordinate, e le tempera- 
ture corrispondenti come ascisse, ho costruito il diagramma del 
nichel rispetto al piombo: esso trovasi indicato col n° II nella 
tavola annessa. 

Uno sguardo su tale diagramma ci mostra subito, che la 
prima variazione dell’andamento termoelettrico è compresa fra 210° 
e 240° e la seconda fra 360° e 385°; quindi si può stabilire 
che le variazioni nell’andamento termoelettrico del nichel, avven- 
gono prossimamente alle stesse temperature che le variazioni nel- 
l'andamento della resistenza elettrica. 

Faccio notare infine che secondo le mie esperienze i cangia- 
menti irregolari del potere termoelettrico del nichel non avven- 
gono alle medesime temperature, a cui li ha trovati il Prof. Tait; 
ma ciò dipende certamente dalla diversa impurità dei metalli 
usati; poichè quello di Tait era quasi nichel puro; io invece ho 
dovuto usare del filo del commercio. 


CONCLUSIONI. 


1) La resistenza elettrica del nichel cresce colla temperatura 


lentamente da 0° fino a 225° circa; da quella temperatura in 
su comincia a crescere più rapidamente fino a 365° circa; do- 
podichè riprende a crescere più lentamente. 

2) Le temperature alle quali avvengono i mutamenti irrego- 
lari della resistenza elettrica, sono prossimamente le stesse alle 
quali avvengono i mutamenti irregolari del potere termoelettrico. 


Grazie alla gentilezza del Prof. Naccari, queste ricerche ven- 
nero eseguite nel laboratorio di Fisica dell’Università di ‘Torino. 


APPENDICE. — Quando questo lavoro era già al suo termine, 
(circa quindici giorni fa) è uscita negli Annali di Wiedemann una 
memoria di W. Kohlrausch (*), nella quale egli descrive alcune 


(*) Wied. Ann. 33, p. 42. 


n n 79 0R0P* 


VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 183 


esperienze eseguite per esaminare la relazione esistente fra la re- 
sistenza elettrica del ferro e del nichel e la attitudine di questi 
ad assumere magnetismo. Dalla curva che rappresenta le espe- 
rienze sul nichel, si vede che al crescere della temperatura la 
resistenza di questo metallo aumenta dapprima regolarmente, poi 
a un certo punto subisce un mutamento repentino, e infine seguita 
ad aumentare regolarmente, ma con maggiore lentezza. Quindi 
egli non sarebbe giunto esattamente al risultato ottenuto da me, 
non avendo osservata che una sola delle due variazioni irregolari 
della resistenza elettrica. Inoltre dalle esperienze di Kohlrausch 
non si può stabilire a quale temperatura avvenga questo muta- 
mento irregolare, poichè per riscaldare il filo egli usava la cor- 
rente elettrica, e quindi, non potendo computare le temperature 
delle diverse determinazioni, adoperò come ascisse per descrivere 
le curve, le intensità della corrente medesima. Nell’istesso tempo 
il Kohlrausch ha studiato l'andamento delle proprietà magnetiche 
del nichel; ed ha trovato che al punto stesso in cui si ha la piega 
della curva rappresentante le resistenze elettriche, si ha pure una 
caduta rapidissima della magnetizzazione. 

Alla fine della stessa memoria di W. Kohlrausch, si trova 
una nota, nella quale l’autore narra d’essere stato avvertito da 
G. Wiedemann che recentemente era uscita una memoria del 
Knott sulla resistenza del nichel ad alta temperatura. Non ho 
potuto sinora procacciarmi la memoria di Knott. Però dall’an- 
notazione sopra riportata, pare che pure il Knott abbia trovato in 
un solo punto un mutamento irregolare nella resistenza elettrica 
del nichel. 

Mi propongo poi di studiare in seguito anche le variazioni 
delle proprietà magnetiche del nichel adoperato in quest’espe- 
rienza al variare della temperatura, con un metodo piu preciso 
di quello usato da W. Kohlrausch. 


Torino, 21 Gennaio 1888. 


Il Direttore della Classe 
ALFronso Cossa. 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXIII. 14 


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DELLA 


Ri. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


DE-SCOREINO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XXIII, Disp. 6°, 1887-88 


‘ ———@ 


Classe di Seienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


TORINO 
ERMANNO LOESCHER 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


185 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 5 Febbraio 1888. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI 
PRESIDENTE 


Sono presenti i Soci: Cossa, Lessona, BRUNO, BERRUTI, Basso, 
Bizzozero, FERRARIS, NACCARI, SPEZIA, GIBELLI. 


Vien letto l’atto verbale dell'adunanza precedente che è 
approvato. 

Tra le pubblicazioni pervenute in dono all'Accademia viene 
segnalata la seguente : 

« Per la edizione nazionale delle opere di Galileo Ga- 
lilei sotto gli auspicii di S. M. il Re d'Italia; Esposizione 
e disegno di Antonio Favaro, » present. dal Presidente. 

Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine seguente : 

1° Relazione intorno ad un lavoro del Dott. Daniele 

Rosa, Sulla struttura dell’ Hormogaster Redii mihi, del Socio 
SALVADORI, condeputato col Socio LESSONA; 

2° Sulla Cossaite di Bousson (alta valle di Susa) : 
Osservazioni del Dott. Giuseppe Piorti, Assistente al Museo mi 
neralogico della R. Università di Torino; presentate dal Socio 
SPEZIA ; 

3° Intorno all’Ecclisse totale di Luna del 28 gennaio 
1888; Nota del Dott. Francesco Porro, incaricato della dire 
zione del R. Osservatorio astronomico di Torino, presentata dal 
Socio NACCARI. 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXIII 


186 


LETTURE 


RELAZIONE intorno alla Memoria del Dott. DANIELE Rosa, 
intitolata: Sulla struttura dell’ Hormogaster Redii. 


La. Memoria del Dott. Rosa contiene la descrizione zoologica 
ed anatomica di una nuova forma di oligocheti terricoli, che egli 
chiamò Hormogaster Redii. 

Il nome specifico fu scelto per ricordare che questa specie era 
già nota al nostro Redi, il quale, senza denominarla, la descrisse 
e figurò in modo riconoscibile nelle sue celebri Osservazioni sugli 
animali viventi che si trovano negli animali ‘viventi. 

Non ostante le sue notevoli dimensioni, questa specie passò poi 
inosservata per oltre due secoli, finchè ora venne fatto all’autore 
di averne varii esemplari viventi da Roma. All’esame anatomico 
questa specie si mostrò interessantissima e dotata di caratteri 
così distinti da doversi creare per essa un genere nuovo, il cui 
nome accenna alla presenza di tre ventrigli nella parte anteriore 
dell’ esofago, il quale mostra perciò un aspetto moniliforme 
(Zep.0s = monile). | 

Oltre all’interesse storico che si annette a questa specie ed 
oltre all'importanza che essa ha come tipo di un genere nuovo, 
è da considerare che ]'H. Redi è pure interessante perchè riu- 
nisce due gruppi, che erano finora largamente separati 1’ uno 
dall’altro, il gruppo cioè dei preclitelliani e quello degli intra- 
clitelliani. Il Rosa ritiene tuttavia che esso si avvicini più a 
quest’ultimo gruppo e specialmente a certe forme di esso (Uro- 
hbenus e affini) da poco descritte, le quali finora non avevano 
rappresentanti in Europa. 

Nella sua Memoria l’autore descrive accuratamente i carat- 


teri esterni e la struttura anatomica dell’ Hormogaster, illustran- 


dola con una tavola contenente dodici figure. 


Non entreremo qui nell'esame dei singoli fatti osservati, no- . 


teremo solo che alcuni di-essi sono tali da gettare qualche luce 
su questioni più generali: citeremo fra gli altri quello illustrato 


187 


dalla figura dodicesima; esso dimostra come i tramezzi, che di- 
vidono in tante concamerazioni successive l’interna cavità di 
questi animali, possano talora non corrispondere affatto alla seg- 
mentazione esterna e prendere una tale obliquità da mutare in 
apparenza le relazioni di posizione degli organi. Tale fenomeno 
deve presentarsi più frequentemente di quanto non si creda e 
può servire in più di un caso a spiegare certe posizioni anormali 
assegnate dagli autori ad organi importantissimi e per le quali 
si sono stabilite differenze non reali, che impediscono di rico- 
noscere le vere affinità delle specie. 

I vostri commissari sono lieti di proporre alla Classe la lettura 
della Memoria del Dott. Rosa. 

MicHELE LESSONA , 


T. SALvapoRI, Relatore. 


La Classe accoglie le conclusioni dei Commissarii, e, udita 
la lettura del lavoro del Dott. Rosa, ne approva la pubblicazione 
nei volumi delle Memorie dell’Accademia. 


Sulla Cossaite del colle di Bousson (alta valle di Susa), 
Osservazioni del Dott. GiusEPPE PIOLTI 


Dal Lago Nero (situato a 2016 m. s. 1. d. m., a due ore 
di marcia da Bousson, presso Cesana Torinese) salendo verso il 
Colle di Bousson incontrasi sulla sinistra quella estesa zona di 
calceschisti che dalla depressione detta inoltrasi fino al Colle di 
Seylières, alla base del M.'° Granero, nella valle del Po. 

Nel mese di Luglio del 1886 rinvenni intercalato fra gli 
strati dei calceschisti suaccennati un minerale d’aspetto amorfo, 
d’un bel color verde-pomo, che mi parve meritevole di studio. 
La struttura è compatta e ad occhio nudo non si riconosce traccia 
veruna di sfaldatura; però, se si osserva la superficie di rottura 
fresca al microscopio, scorgesi come una specie di luccichio , di 
splendore madreperlaceo , paragonabile a quello del talco. Stac- 
cando frammenti piccolissimi con una punta d’acciaio, non tri- 
turando il minerale, vedesi, mediante un forte ingrandimento , 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 15* 


188 GIUSEPPE PIOLTI 


trattarsi di laminette intimamente unite le une alle altre, che, 
osservate alla luce polarizzata, si comportano non solo come una 
sostanza anisotropa, ma bensì come un minerale biasse. 

Facilmente si lascia ridurre in una polvere bianca, che è legger- 
mente untuosa al tatto, dando luogo sulla pelle ad una lucentezza 
dovuta evidentemente alla presenza di laminette riflettenti la luce. 

Al cannello ordinario fonde in una massa bianca, opaca; ma 
alla base della parte fusa, là cioè dove la temperatura fu suf- 
ficiente ad espellere l’acqua dal minerale, non però a fonderlo, 
con una lente scorgonsi ad evidenza minutissime laminette a splen- 
dore madreperlaceo, ciò che vedesi anche rompendo la scheggia 
ed esaminandola nell’interno al microscopio, poichè appalesasi in 
tal caso una vera struttura criptocristallina, molto meglio che 
non nella rottura del minerale non riscaldato. 

Applicando poi, rispetto alla fusibilità, il metodo indicato 
dal Prof. Spezia (1), osservasi che col cannello ad ossigeno il mi- 
nerale riducesi rapidamente in un vetro bolloso affatto incoloro. 

I preparati microscopici polarizzano con vivissimi colori la 
luce e comportansi (come s’è già visto per le scheggette staccate 
con una punta) siccome una sostanza anisotropa e biasse. Riesce 
allora evidente una struttura criptocristallina, per l’aggregato di 
elementi distinti che fra i prismi incrociati si mostrano nella loro 
individualità ; inoltre in alcuni elementi vedonsi delle striature 
finissime, provenienti dall’aver la sezione tagliato quelli perpen- 
dicolarmente o quasi al piano di sfaldatura. 

La durezza è di 2, 5 ; la densità, ottenuta col picnometro, 
è di 3,075. Il minerale non è decomponibile dall’acido cloridrico. 

Il risultato dell’analisi quantitativa da me eseguita nel Labo- 
ratorio di Mineralogia della R. Università di Torino è il seguente : 


Silice 46,495 
Allumina 40,677 
Ossido ferrico 2,679 


Soda 4,754 
Potassa 1,389 
Litina traccie 
Acqua 4,572 

100,512 


(1) Sulla fusibilità dei minerali, Nota di Giorgio Spezia. Atti della R. Ac- 
cademia delle Scienze di Torino, vol. XXII, adunanza del 20 febbraio 1887. 


SULLA COSSAITE DEL COLLE DI BOUSSON 189 


I minerali che maggiormente s’ avvicinino a quello da me 
esaminato, pei caratteri fisici e chimici, sono due esemplari stati 
analizzati nel 1874 dal Prof. Alfonso Cossa, per incarico avu- 
tone dal Prof. Gastaldi (1) e trovati uno a Borgofranco (presso 
Ivrea) (A), l’altro (B) al Colle Blaisier, tra la valle del Chisone 
e quella della Dora Riparia, come risulta dal seguente confronto : 


A B Min. del Colle di Bousson 

Silice 46,672 46,68 46,495 
Allumina 39,015 39,88 40,677 
Ossido ferrico 2,015 1,06 2,679 
Soda 6,370 6,91 4,754 
Potassa 1,961 0,84 1,395 
Litina _ - traccie 
Acqua 4,910 5,086 4,572 

100,343 100,45 100,512 


La densità del minerale di Borgofranco è di 2,896, quella 
del minerale del Colle Blaisier è di 2,890 (secondo il Cossa, 
nella citata nota), mentre quella del minerale del Colle di Bousson 
sarebbe di 3,075: attribuisco tale differenza alla maggior pro- 
porzione dell’ossido ferrico nell’ultimo dei tre accennati minerali. 

Nella nota del Gastaldi suindicata viene anche riportata l’a- 
nalisi d'un minerale verde dei dintorni di Fenestrelle eziandio 
eseguita dal Cossa e che diede il seguente risultato : 


Silice 47,96 
Allumina 31,08 
Calce IROr 
Magnesia 3,42 
Potassa 10,44 
Soda 4,08 
Acqua 2,41 

100,41 


(4) Sulla Cossaite, varietà sodica di onkosina; breve Nota di Bartolomeo 
GastaLpI. Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino, vol. X, adu- 
nanza del 13 dicembre 1874. 


190 GIUSEPPE PIOLTI 


Secondo il Cossa, tanto il minerale del Colle Blaisier, quanto 
quello di Borgofranco dovrebbero comprendersi nel gruppo delle 
miche e più specialmente si avvicinerebbero alla Eufillite. Il 
Gastaldi invece, appoggiandosi essenzialmente sui caratteri mor- 
fologici macroscopici, credette opportuno di considerare come va- 
rietà di onkosina sodica i minerali di Borgofranco e del Colle 
Blaisier, dando loro il nome di Cossazte in onore dell’ illustre 
chimico che li analizzò e riservando il nome di omnkosina pel 
minerale verde di Fenestrelle, basandosi sulla sua analogia di 
composizione chimica coll’onkosina di Tamsweg (Salisburgo) ana- 
lizzata dal Kobell. Ciò essendo, si spiegherebbe nell’onkosina di 
Fenestrelle la presenza della calce e della magnesia ponendo mente 
alla sua giacitura, cioè al suo trovarsi in un banco di calcare 
dolomitico. Finalmente il Dana (1) considera la Cossazte quasi 
come sinonimo della Paragonite, facendo però notare che quella 
si diversificherebbe dalla seconda per l'assenza d’una distinta sfal- 
datura micacea, ed in appoggio della sua opinione mette in con- 
fronto le analisi dei minerali di Borgofranco e del Colle Blaisier 
fatte dal Cossa coll’analisi della paragonite fatta dal Rammels- 
berg. 

Ora nel caso concreto mentre il minerale del Colle di Bousson 
per la composizione chimica s’avvicina a quello di Borgofranco, 
per l’assenza invece d’una distinta sfaldatura micacea, s'avvicina 
a quello del Colle Blaisier. 

Ciò a parer mio proverebbe come la piccola divergenza, ri- 
spetto alla soda, nella composizione chimica, abbia importanza 
in questo caso secondaria e debba prevalere invece l’analogia di 
struttura fra il minerale del Colle di Bousson e quello del Colle 
Blaisier. Osservo poi di passaggio come fra i due siavi analogia 
di giacimento, trovandosi il primo fra i calceschisti ed il secondo 
(vedi nota del Gastaldi succitata) associato a calcare cristallino 
ed a quarzo latteo, il tutto formante vene a masse appiattite 
entro il calceschisto. 

Chiamerei quindi col nome di Cossazte il minerale del Colle 
di Bousson, ma intendendo sotto tale appellativo non una varietà 
di onkosina sodica, bensì una varietà di mica, poichè quantunque 


(1) Second appendix to the fifth edition of Dana's Mineralogy, by Edward 
S. Dana. New York, 1875. p. 63. 


i 
4 


SULLA COSSAITE DEL COLLE DI BOUSSON 191 


secondo il Quenstedt (1) la frattura laminare e lo splendore 
perlaceo siano così caratteristici pel gruppo delle miche tanto 
da non essere questo sotto tale rapporto raggiunto nè sorpassato 
da alcun altro minerale, tuttavia quando quei due caratteri in- 
dicati si mettono in evidenza in varii modi, come risulta dalle 
osservazioni fatte, benchè solo microscopicamente, parmi non si 
possa ragionevolmente per tal motivo escludere un minerale dal 
gruppo delle miche. 

E difatti tale era già anche l'opinione del Cossa (vedi nota 
del Gastaldi citata) rispetto ai minerali da lui analizzati : 

« Stando ai risultati delle analisi, il minerale di Borgofranco 
« e quello del colle Blaisier appartengono senza dubbio al gruppo 
« delle Miche. La specie mineralogica che per la sua compo- 
« sizione chimica più delle altre si avvicina ai minerali suddetti, 
« è a mio parere la Eufillite la quale, ad Unionville nella contea 
« di Delaware (Pensilvania), si trova, oltrechè cristallizzata, 
« anche in masse compatte o composte di un aggregato di piccole 
« laminette o scaglie sottili. A differenza però dell’Eufillite i 
« minerali di Borgofranco e del colle Blaisier non contengono 
« tracce di calce e di magnesia. » 

Quindi ripeto, tenendo anche conto del fatto che il minerale 
del Colle di Bousson non contiene neppur esso tracce di calce 
e di magnesia, opino che gli si debba applicare il nome di Cos- 
saite , ritenendo però che questo nome indichi una varietà di 
mica. 


(4) Fr. Aug. QuensteDT, Handbuch der Mineralogie. - Dritte Auflage. 
Tuùbingen, 1877, p. 287. 


PNIIAANNIINIDODNADA A 


192 


Intorno all’ecclisse totale di Luna del 28 Gennaio 1888, 


Nota di FRrANcEScO Porro 


Già sin dal 1884 il sig. Déllen, astronomo di Pulkova, ha 
accennato nelle Astronomische Nachrichten all’opportunità che 
le ecclissi totali di luna offrono di determinare con precisione | 
il diametro apparente e la parallasse del nostro satellite, mediante 
osservazione di quelle stelle che si occultano dietro al disco, e 
che in condizioni ordinarie sarebbero invisibili per la luce che 
da esso proviene. La proposta del Dollen fu accettata da molti 
osservatori, i quali in occasione dell’ecclisse totale del 4 ottobre 
di quell’anno attesero alle occultazioni, sopra dati forniti dall’Os- 
servatorio Centrale di Russia. L'esperienza fatta allora persuase gli 
iniziatori del lavoro a limitare il tempo dell’osservazione alla to-. 
talità, estendendolo per contro alle stelle di undecima grandezza, 
che a fianco della luna affatto oscurata sono perfettamente visibili 
in un cannocchiale di una certa potenza. Con questi criterii fu- 
rono preparate le liste di stelle da osservare e spedite a 120 
Osservatorii, fra i quali quello di Torino. Favorito dal cielo lim- 
pidissimo, e dalla bontà del nostro obbiettivo di trenta centi- 
metri, ho potuto raccogliere un numero abbastanza considerevole 
di osservazioni, che presento in questa nota. I 

Gli istanti delle immersioni e delle emersioni furono da me. 
cronograficamente registrati, facendo uso di un eccellente pendolo 
siderale fornito recentemente al nostro Osservatorio dal signor 
Leonardo Milani, meccanico della specola di Brera. Il cronograf 
era di Hipp, e mi fu gentilmente prestato dal sig. prof. Jadanza 
direttore del Gabinetto di Geodesia. La correzione assoluta de 
pendolo ed il suo andamento nell'intervallo delle osservazioni sì 
ebbero con notevole esattezza da alcuni confronti col pendol 
normale Dent, e da due speciali determinazioni di tempo che è 
ho eseguite nella sera del 28, prima dell’ecclisse, e subito dop 


ECCLISSE TOTALE DI LUNA DEL 28 GENNAIO 1888 193 


nelle ore antimeridiane del 29 Gennaio. Trattandosi di ottenere 
grande precisione, ho dovuto rinunciare al vecchio Cerchio Me- 
ridiano di Reichembach, che adopero nelle determinazioni ordi- 
narie del tempo per uso della Specola e della città di Torino, 
e valermi di uno strumento trasportabile dei passaggi di Repsold, 
appartenente alla Commissione Geodetica, ed a me con somma 
gentilezza prestato dall’illustre prof. Schiaparelli. 

L'aspetto della luna durante l’ecclisse fu affatto diverso da 
quello presentato nel 1884. Mentre allora il disco prese una 
luce cinerea assai fosca, quest'anno si ebbe il solito rosso cupreo 
delle ecclissi precedenti. La penombra fu visibile assai presto nel- 
l’equatoriale; già ad ore 8 e 45 minuti (tempo medio di Green- 
wich ) io distingueva nettamente la progressiva oscurazione dei 
lembi dei crateri più profondi e cospicui, in prossimità del punto 
dove l’ombra doveva apparire. Poi il disco della luna si andò 
coprendo di chiazze nerastre, visibili anche ad occhio nudo. Avan- 
zatasi l'ombra, non fu difficile riconoscere nel refrattore il color 
roseo, benchè dapprima fosse assai leggiero ed apparisse unica- 
mente al lembo; certo già prima della totalità non mi rimase 
dubbio che la colorazione della luna dovesse assomigliare piut— 
tosto a quella delle ecclissi precedenti, che a quella dell’ultima, 
prevalendo sempre più il rosso sul cinereo e sul grigio. 

Un altro fenomeno del quale ho preso nota, è la diversa 
intensità dell'ombra, dagli estremi all’interno del cono. Anche nel 
1884 io aveva notato che il lembo della luna donde la luce 
era uscita si era mantenuto per un po’ di tempo più chiaro del 
rimanente, e che, verso la fine della totalità, il lembo opposto 
si era andato gradatamente rischiarando. Ma questa volta il fe- 
nomeno fu assai più evidente, e fu confermato da quanti segui- 
rono con qualche attenzione lo svolgersi dell’ecclisse. Basta dare 
un'occhiata alla lista delle occultazioni da me osservate, per ri- 
conoscere che nel principio abbondano le immersioni, e scarseg- 
giano le emersioni, sopratutto di stelle piccole, perchè la luce 
era uscita verso ovest; invece sul finire della totalità non riesco 
più a seguire le stelle in prossimità del lembo est già troppo 
lucente. Questo fatto mi sembra la più evidente dimostrazione 
della teoria, che attribuisce la luce della luna durante le ecclissi 
a refrazione di raggi solari nell’atmosfera della terra, anzichè a 
luce propria del satellite; e mi par naturale che, mentre tale 
refrazione rende graduale l’oscurazione della luna entro il cono 


194 FRANCESCO PORRO 


d’ombra, lasci pur così netto il cerchio terminatore dell’ombra 
stessa, come quest'anno ho notato; essendo tutti i raggi refratti 
interni al cono. D'altra parte, la singolare oscurazione del disco 
lunare nel 1884 si può ragionevolmente attribuire a condizioni 
particolari dell'atmosfera, per la presenza di nubi, di pulviscoli 
meteorici o di vapori, come si è allora supposto, provenienti dal- 
l’eruzione del vulcano di Krakatoa. 

Fa seguito il quadro delle occultazioni osservate, che non 
abbisogna di alcuna spiegazione ulteriore. Il sig. dott. Charrier 
osservò l’ecclisse dal terrazzo sud, mentre il signor Buscalioni ed 
il meccanico sig. Collo mi assistevano al cronografo ed al re- 
frattore. 


% Immersione | Emersione 


di Pulkova Ge, tempo medio di Torino tempo medio di Torino ARRE 
148 | 10 {10% 59"25%,7|12% 1823452] 
89 | 7,7 111 59%) 
120 | 9,3 11 6 6,3 incerta 
156 | 11-|11- 8 12,0|12 28 38,8 
157 .| 9,4|11. 8 39,7 
152° | 11 |11 10 51,0 
100 | 9,5 11. 16, 29.,8) dubbia 
166 | 9,5|11 19 47,4|12 39,20,0) 
108 | 9,3 111 22 35,8 
164 | .0|11 26 30,4/12 87 11,0|1640153all’im 
mersione ? 
165 | 9,4|11 29 9,9|12 86 37,8 
180 | 9,5|11 33 6,2 
Vagledo4 4101587. 183 1 | 
126 | 9,5 11 41 48,5! 
128 | 9,5 (11 48 34 0 


ECCLISSE TOTALE DI LUNA DEL 28 GENNAIO 1888 


* 


di Pulkova 


136 
194 
134 
138 
192 
198 
174 
210 
150 
144 
153 
221 


. | . 
Immersione | Emersione 


" ‘tempo medio di Torino 


9,5. | 


11) 
11 | 
bem 
9,5 12 
10 | 

9,5 [12 


10 
11 


EOS 
10 [12 


10 


Mi “bas: 
‘11 59 21 


56,9, 


12 13 42 


12 18 56 


11° 520 29° 
11 |11'54% 159) 


tempo medio di Torino” 


| 


i 


39 | 
vi 
| 
| 


Annotazioni 


incerta 


| 198. 0 174? 


174 o 201? 


Il Direttore della Classe 
ALFonso Cossa, 


195 


4 ‘ 1/0 j ae 

0 1 888 osmusb'8£ 0 ARTI IO SIATOT nagl 
i - : 20 (I 
urea; pevdi ntecvtsàtr trvtderrir ite LEGEIAa 
subito (© Molisani FRE 


IuofsgtositA Ì "E: 
Î funisgfitm ohi difoscntzoi seit. Bho id DilotX d* | 


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ALI 
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


DI TORINO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XXIII, Disp. 7", 1887-88 


se 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


TORINO 


ERMANNO LOESCHER 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


197 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 19 Febbraio 1888, 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI 
VICEPRESIDENTE 


Son presenti i Soci: Cossa, Lessona, Bruno, BERKUTI, 
Basso, D’Ovipio, Bizzozero, FERRARIS, NACCARI. 

Letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente, 
si dà comunicazione alla Classe: 

1° Dell’invito diretto all'Accademia a farsi rappresentare 
al Congresso geologico internazionale, che si aprirà in Londra 
il 17 del prossimo venturo settembre ; 

2° Di una circolare inviata all'Accademia dalla Direzione 
dell’Elisabeth Thompson Science Found esistente a Stamford nel 
Connecticut, ed avente per iscopo di promuovere con largizioni di 
premi e sussidi pecuniari le ricerche originali in ogni ramo di scienza. 

Fra le pubblicazioni pervenute in dono all'Accademia, viene 
segnalato un lavoro del signor Federico FALANGOLA, Maggiore del 
Genio: « Sulle grandi mine nella roccia calcarea della catena 
peloritana (Sicilia) e nella roccia granitica di Baveno (Lago 
Maggiore) ». 

Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine seguente : 

« Sullo spostamento della lente anallattica e sulla verti- 
cale della stadia »; Nota del Prof. Nicodemo IADANZA, presen- 
tata dal Socio NACcARI. 

« Osservazioni meteorologiche dei mesi di Settembre, Ot- 
tobre, Novembre e Dicembre 1887 », eseguite nell’Osservatorio 
della R. Università di Torino per cura dell’Assistente Professore 
A. CHARRIER; presentate dal Socio Basso per la solita pubbli- 
cazione nel Bollettino annesso agli Atti. Sono uniti a queste Os- 
servazioni i Riassunti e le Medie mensili coi relativi diagrammi. 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 16 


APELLE 


SÎ Eocuonata SI 


* rico? 


198 N. JADANZA 


LETTURE 


Sullo spostamento della lente anallattica 
e sulla verticalità della stadia 


per N. JADANZA. 


Lo scopo che ci proponiamo in questa Nota è quello di 
risolvere le due seguenti questioni che hanno una certa impor- 
tanza nella Geometria pratica. 


1° Quale è lo spostamento che riceve il punto 
anallattico in conseguenza di uno spostamento della lente 
anallattica ? 

2° Quale è l'influenza di una deviazione della stadia 
dalla posizione verticale sulla misura di una distanza? 


I. 


È noto che un cannocchiale anallattico non è altro che un 
cannocchiale astronomico avente l’obbiettivro composto di due 
lenti a distanza tale l’una dall’ altra che il fuoco anteriore di 
codesto sistema si trovi ad una distanza dal fuoco anteriore del- 
l'obbiettivo semplice (della lente che riceve prima la luce) eguale 


3 i 
a 3 ©,, ©; essendo la distanza focale di essa lente. 


Inoltre, se 9, è la distanza focale della lente anallattica e 
A la distanza di essa dalla lente obbiettiva, si hanno le relazioni. 


id 


A=+t 3 n° vati “a (1) 
2 
Pai e (2); 


SULLO SPOSTAMENTO DELLA LENTE ANALLATTICA ECC. 199 


e quindi, se 0 indica la distanza focale effettiva dell’obbiettivo 
composto, si avrà: 


3 
(9) 
Q=3% e e) 
ossia, sarà sempre 


Quando col cannocchiale anallattico si legge su una stadia, 
se S è la parte di essa compresa tra i due fili orizzontali del 
reticolo, indicando con D la distanza del punto anallattico (primo 
fuoco dell’obbiettivo composto) si ha (supposto l’asse ottico del 
cannocchiale orizzontale, e la stadia perfettamente verticale): 


D=.E°S 


dove K è il coefficiente diastimometrico. Tale coefficiente si esprime 
nei due modi seguenti: 


SE I 
As I 
1 ) FEE 
vico | (4) 
dig 3® 


in funzione della distanza d dei fili del reticolo, o pure dell’an- 
golo diastimometrico %. 

Poichè il punto anallattico è il primo fuoco principale del- 
l’obbiettivo composto, si avrà (*): 


Ri Pi 
tato 
ovvero, per la (1) 
% 3 
F_Ft3% 


(*) Cfr. N. Japanza: Sui punti cardinali di un sistema diottrico centrato 
e sul cannocchiale anallattico (Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, 
Vol. XX). 


200 N. JADANZA 


Se la lente anallattica viene spostata di una quantità e sì 
avrà: 


PI 
Set & #5 
e quindi, indicando con F' ciò che diventa FY quando A si muta 


. , 
n A: 


z 


(ie: ia 
Loana an 
Seal 
Poniamo 
at 5 
n (5) 
sì avrà O) 1) 
A'= SA Se 
Po + 3 sn x I 
e (6) 
no 
ad n a 


Lo spostamento del punto anallattico sarà evidentemente eguale 
a FF. 
La seconda delle (6), osservando che 


RARI Ad Jug 3° 
2 PSE ICISHMICIDE + 
diventa 
3 9 © 27 © 
Re=dk4e Eni cite pià 
DIR pi RERO Tp A AR 


e quindi lo spostamento del punto sanallattico in conseguenza 
dello spostamento e della lente anallattica è dato da 


Fio PT+2. EDP. (e 


Così p. e. se @,=40 centimetri, «=un centimetro, sarà 
n=40 e i 
F'—F=2,33 centimetri . 
In pratica, siccome » è un numero abbastanza grande ed & 
è piccolo, possiamo ritenere 


FP'-F= 


Cs 
(e 0) 
—_— 


SULLO SPOSTAMENTO DELLA LENTE ANALLATTICA 201 


Lo spostamento del punto anallattico produce un errore co- 
stante nella misura delle distanze, sicchè l'errore relativo è mag- 
giore per le piccole distanze. Se è fissato @ priori il limite di 


1 . spl calinia vi 
tale errore e sia p. e. — , si può trovare il limite minimo della 
m 


distanza 2 al disotto della quale non è bene adoperare la stadia. 
Codesta distanza minima D sarà data dalla equazione 


9 
E 


bag cd 
DU m 
e quindi 
9 
D= me DITO 12. OO) 


Se p. e. m=1000 ed = 0",01 sarà 
PSR 


Vale a dire, perchè l’errore relativo nella distanza non raggiunga 


il 1000? sarà bene non adoperare la stadia per le distanze in- 
feriori a 22 metri. 

I costruttori di cannocchiali anallattici stabiliscono per ogni 
coppia di fili orizzontali un rapporto diastimometrico. Per assi- 
curarsi che questo rapporto si mantiene inalterato, e per reinte- 
grarlo nel caso che abbia subìto una variazione, dispongono che 
la lente anallattica possa avere uno spostamento longitudinale. 
Da ciò che si è detto precedentemente risulta l’utilità di codesto 
procedimento e nello stesso tempo il modo di tener conto, vo- 
lendo, dello spostamento del punto anallattico. Nella maggior 
parte dei casi però il piccolo spostamento della lente anallat- 
tica può ritenersi di nessuna influenza sulle distanze. 


Si può anche calcolare la variazione dell’angolo diastimo- 


metrico % in conseguenza dello spostamento e della lente anal- 
lattica- 


Le (4) sostituendo l’arco alla tangente, danno 


sol Rieti ta) 0 
3 (19) 


202 N. JADANZA 


In conseguenza dello spostamento e=1 della lente anallat- 
n 


tica, la distanza focale © dell’obbiettivo composto diventa: 


Ot 9 


- 


il valore di A dato dalla prima delle (6). 
Indicando adunque con #w+0% il nuovo angolo diastimome- 


trico, sì otterrà 
Ie 07,08, SA 
+do 2d 4 nd 8 n 
e quindi, trascurando il 3° termine ed i seguenti nel 2° membro 


della equazione precedente; 
1 TROTA 


+ w 4nd 


donde, con più che sufficiente approssimazione : 


(0) = egg ole 
"I Pd “n 
e per la (10) 
9 © 
Do «STE? deoog sottili 12 
OO) 15 5 (12) 


Ora la (11), trascurando i termini che contengono n°, dà 


sì avrà quindi 


Per n=40, si avrà: 


ossia; .se o—= 0,01 


SULLO SPOSTAMENTO DELLA LENTE ANALLATTICA ECC. 203 


II. 


Nella maggior parte dei libri italiani che trattano di Geo- 
metria pratica non è dimostrata la importanza della verticalità 
della stadia sulla misura di una distanza. In quei pochissimi nei 
quali tale argomento è svolto, a noi pare che la trattazione sia 
incompleta. Stimiamo perciò non inu- 
tile occuparci di tale quistione. 

Sia da misurarsi la distanza oriz- 
zontale tra i punti A e 5. 

Il punto da cui si contano le di- 
stanze sia O sulla verticale di A ed 
Onn', Occ' , Omm sieno le visuali 
che passano pei tre fili del reticolo, 
dei quali il medio divida in due parti 
eguali il segmento che unisce i punti 
d'’intersezione degli altri due col filo verticale, sicchè si abbia 


pui rai ce fd c 


w essendo l’angolo diastimometrico. 

Sia BMmn la stadia posta verticalmente in B e BNm'n' 
sia la posizione che occuperebbe se deviasse dalla verticale del- 
l'angolo d. 

Nel primo caso la lettura fatta sulla stadia sarebbe mn=#&, 
nel secondo invece sarebbe m'n' = S'. 

Se « è l’angolo di altezza ovvero il complemento della distanza 
zenitale di c, gli angoli M Om, M On saranno rispettivamente : 

P_i! 1 
ct 3 a+ 9% 
e quindi (indicando con D la distanza orizzontale tra A e B) 
sì avrà: 


1 
Mn=Dite (2430) 


1 
Mm=D tg (2-3) 


di 


204 N. JADANZA 


donde 
S=Mn-Mm=-D|te (c+00)-te (e 5°) | 


ovvero 
sen 4 


SD (1) 


/ il: i o. ego Te 
cos (4 + DIE (a; ») 


I due triangoli NO», NOwm' osservando che gli angoli in 
n' ed m' sono rispettivamente 


] 
90°--(24+3 043) 


1 
90 -(«-30+9) 5 


dànno 
ON # Nn' 
S ata +d £ s 
(610) (04 — ( L La 
( 5° 5) sn(2+30) 
ON Nm 


pp apra x prlernpra f 
cosfa—-0 +4 sen(2—5 0) 


e quindi, ponendo ON=D' 
i 
D'sen (2450) 


CE erano ia CNR 
cos (a+ 5944) 


: 1 
D sen (2- 5°) 


Nm = Po 


COS («-50+9) 


SULLO SPOSTAMENTO DELLA LENTE ANALLATTICA Ecc. 205 


Ji 
} sn(44+50) sen( 3°) 
ue Node __ , 


1 1 
cos (245 044) cos(2—-30+4) 


donde 


ovvero 
= 
D'cosùseno 


È 1 Il 1 > 
3 d cos (2450 )c0s (2-52)[1tsvie(2+50 )[[1-tevt(2-52)] ° 


Se si tien conto della (1) si ottiene 


Sp cosg|1 +09] . 


er (+32)] |ieevi(e-3a )| | 


ovvero, trascurando i termini che contengono tg°w e le potenze 
superiori. 


—- 


D' S ar sen? & 
D i 


l i Ti 
cos («+54 )es (2-50) 
Osservando che D'—=D+ MN e che 


H essendo l’altezza del punto P sul piano orizzontale che passa 
per B, la formola precedente diventa 


S'= 


HS Fi 20 
“a (547 ui 1+tgy i 7, i 
cos(2+5- 2)cos (2-30) 
2 
ossia 
ì dA Ssen 2a 
i n [+ sen © Sl 
o anche E 
eu“ « I Hsenw + Ssen2a | ...(2) 


COS died; U 1 
( 5 )cos( 3° 


2906 N. JADANZA - SULLO SPOSTAMENTO DELLA LENTE ECC. 


Colla medesima approssimazione la precedente si trasforma 
nella seguente : 


S— S= 184 [04 ssn2e] sia (3) I 
cos” a 
Se si ha H=o0 sarà 
S-S=28 tedio SMESSO (4) 
e per a=0 
5' 04th it) | | (5) . 


EseMPIO NUMERICO. 


A RR E 
si avrà per 3 


S o 1 | 2°, | Ba 


S'—S= 0,013 0,026 0,038 
Coi medesimi dati e L=0° 30' si ottiene: 
S = que qui Qu 
S'S = 0,0065 0,013 0.005 


I quali risultamenti mostrano ad evidenza la necessità di 
porre la stadia per quanto più è possibile nella posizione ver- 
ticale. 


Torino, Febbraio 1888 


RIASSUNTO 


delle osservazioni meteorologiche fatte, nei mesi di Settembre 
Ottobre, Novembre e Dicembre 1887 nell’ Osservatorio astro- 
nomico della R. Università di Torino 


dall’Assistente Prof. ANGELO CHARRIER 


Settembre 1887. 


La media delle pressioni barometriche osservate. in questo 
mese è 36,37 inferiore di mm, 1,67 alla media di Settembre 
degli ultimi ventun anni. -- I valori massimi e minimi osservati 
sono i seguenti: 


Giorni del mese. Minimi. Giorni del mese. Massimi. 
5 QRS 34,70 LO Ai RO 40,67 
e... sd, 6l Lio Ri AZIO 
tt. Sl AS rt 510112 
MN... 23,60 


La temperatura media di questo mese è di + 19°,0; ed i 
valori estremi +27°,4 e +10°,3 si ebbero nei giorni 1, 28 
e 30. — Si ebbero otto giorni con pioggia, e l'altezza dell’acqua 
caduta fu di mm. 23,4. 

Il quadro seguente dà la frequenza dei venti nelle singole 
direzioni. 

NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NW 

ae i A: 7 LI 0) o e RE 


Ottobre 1887. 


In questo mese la media delle altezze barometriche osservate 
è 37,17, superiore di mm. 0,06 alla media delle altezze ba- 


208 A. CHARRIER 


rometriche osservate in Ottobre negli ultimi ventun anni. — Le 
variazioni in questo mese furono ragguardevoli. 

Il seguente quadro contiene le massime e minime altezze 
barometriche : 


Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi. 

DO: bias A90 Hot: inog 24,16 

ibgtariet 93,09 ta retraszol 24,74 

SL MECAE I I PIRO 49,02 DARI dt 31,54 
Ie, 43,29 


La temperatura variò fra + 19°,2 e +1°,0; la massima 
sì ebbe nel giorno 3, la minima nel giorno 26. — Il valor medio 
della temperatura + 10°,3 è inferiore di 2°,4 alla media tem- 
peratura di Ottobre negli ultimi ventun anni. 

Sette furono i giorni con pioggia e l’altezza dell’acqua rac- 
colta nel pluviometro fu di mm. 38,0. 

Il quadro seguente dà la frequenza dei singoli venti. 


NONNE NE EVE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 
11 28,20 12 40,6, i 1,078 0, 20.3 2 


Novembre 1887. 


La media delle altezze barometriche osservate in questo mese 
è 38, 43; inferiore di mm. 83,62 alla media di Novembre degli 
ultimi ventun anni. — Le variazioni dell’altezza barometrica non 
furono numerose, ma di considerevole ampiezza. 

Nel seguente quadro sono registrati i valori estremi osservati : 


Giorni del mese. Minimi. Giorni del mese. Massimi. 
be dla 27,08 dia dp 86,87 

108 AIENSG.O. 80,00 VS ne E 38,59 

io co 27,69 i: e 44,40 

TI E Se 19,12 IC BRM TT 38,88 

31 RTAS 81,89 È RO 42,13 


Le temperature estreme +13°,1 e +0°,3 si ebbero: la 
prima nel giorno 3, la seconda nel giorno 18. 


OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 209 


Venti furono i giorni piovosi, e l’acqua caduta raggiunse 
l'altezza di mm. 103,2. La temperatura media del mese è 
+ 6° 1. 

Il quadro seguente dà la frequenza dei singoli venti: 

NONVE NE RENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 

e I 0 19600 7 65 ST, "LZ 


Dicembre 1887. 


In questo mese la pressione barometrica ha per valor medio 
34,91; valore inferiore di mm. 2,32 al valor medio della pres- 
sione barometrica osservata in Dicembre negli ultimi ventun anni. 

I valori estremi della pressione sono i seguenti : 


Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi. 
2) * Ga RAPE 50,66 CR 30,77 
Molle. 44,54 LO e: 25,20 
de 82,82 Doge te 2 A 24,90 
ae... 80,63 


Le temperature estreme si ebbero nei giorni 7 e 31. La prima 
fu di +9°,3, la seconda di —10°, 2. — La media tempera- 
tura fu di |P 0°,5. 

Frequenti furono i giorni con nebbia; undici con pioggia e 
l’acqua caduta raggiunse l’altezza di mm. 18,2. 

Nella tabella seguente è registrata la frequenza dei venti. 


NONNE NE ENER E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 
AIROLA 4 


Il Direttore della Classe 
ALronso Cossa. 


106) * MHOFDO MOTORIA AMO YANERO 


sotrtsivae stiano steps dop isti Hindi de 

does Lat mibsatto Rudd: "cn fck uva cotat 

î : i È ( e Im iù 
chitioe topi: inf punto al tb dira gia 

Mib Mg pie n iz Wa. ns Rev? N70 1° 0 

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SNA TADANZA — Sullo spostamento della lente anallat ca 
SIE RA della adi 


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| Cnarmiea — Lavori dell’ Osservatorio astronom 


ATTI 
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


cv PORENO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


ic 


Vor. XXIII, Disp. 8", 1887-88 


s—_—__ 


| Classe di Seienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


TORINO 
ERMANNO LOESCHER 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


Ù 


casa 


211 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 4 Marzo 1888. 


PRESIDENZA DEI SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI 
PRESIDENTE 


Sono presenti i Soci: Cossa, Lessona , BERRUTI , Basso , 
D’Ovipio, Bizzozero, FERRARIS, NAccaRI, Mosso, GIBELI, GIA- 
COMINI. 

Letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza precedente, 
vengono comunicate alla Classe due lettere d’invito all'Accademia 
perchè si faccia rappresentare al Congresso Chirurgico che si tiene 
a Parigi fino al giorno 17 del corrente mese, ed al Congresso 
per lo studio della tubercolosi che si terrà pure a Parigi nel 
prossimo mese di luglio. 

Le comunicazioni e le letture si succedono nell’ ordine che 
segue : 

1° « Sulle cellule epiteliali nella regione olfattiva degli 
embrioni; » lavoro del Dott. Alessandro LustIG, presentato dal 
Socio BIZZOZERO: 

2° « Nuovi gasteropodi continentali fossili del Piemonte »; 
lavoro del Dott. F. Sacco, presentato dal Socio Basso a nome 
del Socio BELLARDI assente. Questo lavoro, dovendosi pubblicare 
nei volumi delle Memorie, viene affidato ad una Commissione 
perchè lo esamini e ne riferisca alla Classe in una prossima 
adunanza. 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 17 


"E 2 ALESSANDRO LUSTIG 


LETTURE 


Sulle cellule epiteliali nella regione olfattiva degli embrioni, 


del Dott. ALESSANDRO LUSTIG. 


Il nervo olfattorio si ramifica, ciò è noto, nella parte supe- 
riore del setto nasale, nel cornetto superiore ed in una parte del 
cornetto medio; da ciò il nome di questa regione di olfattiva. 

Mentre nessuno mette in dubbio che gli elementi specifici 
dell’ organo dell’olfatto abbiano sede soltanto nella mucosa di 
questa regione, non è ancor riconosciuta la dignità fisiologica di 
tutti gli elementi epiteliali che la rivestono ; e quasi generalmente 
si ammette, che soltanto una specie di cellule della mucosa olfat- 
tiva, sieno unite alle fibrille del nervo olfattorio. Le prime ri- 
cerche sugli epitelii della mucosa nasale fatte da Eckhardt (4) e 
da Ecker ©), l'uno indipendentemente dall’ altro, diedero origine 
al ben noto lavoro di M. Schultze (8) il quale distinse nella 
regione olfattoria due specie di cellule. 

Le cellule epiteliali e le cellule olfattive. Le prime, cilindri- 
che, diritte, lunghe e prive di ciglia portano a varia altezza del 
loro corpo un nucleo ovale, al di sotto del quale la cellula si fa più 
stretta, formando un prolungamento centrale — di spessore ancor 
facilmente misurabile — che talvolta si divide in due o più rami. 

Le seconde, le olfattive, sono fusiformi, hanno un corpo ovale, 
occupato quasi per intero da un nucleo rotondo e trasparente e 
da due appendici, l’una centrifuga l’altra centripeta; la prima, 
più grossa, a forma di bastoncello e cigliata, va alla periferia 
difesa dal corpo delle cellule epiteliali; la seconda più lunga, 
estremamente sottile, presenta alcune varicosità somiglianti a quelle 
delle fibrille nervose e discende verso il tessuto (connettivo) che 
sta immediatamente sotto lo strato epiteliale. 


(1) Beitrdige zur Anatomie und Physiologie. Heft I, 1855. 
(2) Zeitschrift fiir wiss. Zoologie. Bd. 8, 1856. 


(3) Abhandlungen der Naturforsch. Gesellschaft su Halle. 1863, VII. Bd., 
pag. 1-100. 


SULLE CELLULE EPITELIALI DEGLI EMBRIONI 213 


M. Schultze osservò inoltre, che le fibre sottili del nervo 
olfattorio si dividono a mo’ di pennello in fibrille sottilissime che 
sono di struttura identica al processo terminale centrale delle 
cellule olfattive; e venne alla conclusione che soltanto questi ele- 
menti hanno un valore fisiologico per l’organo dell'olfatto, mentre 
le cellule epiteliali non servirebbero che di sostegno ( Stitzor- 
gane) agli elementi specifici. 

Allo Schultze si oppose l’Exner (4), il quale, dopo lunghe e 
dettagliate ricerche che durarono parecchi anni e con metodi 
d'indagine moderni applicati allo studio di regioni olfattorie di 
uno o più rappresentanti di quasi ogni classe di animali, dimostrò 
che i criteri morfologici differenziali che indussero Schultze alla 
suesposta distinzione in cellule epiteliali -e cellule olfattive non 
sono validi. 

Il nucleo delle cellule olfattive non è sempre rotondo nè 
sempre trasparente ; il processo periferico di queste cellule è spesso 
grosso quanto il corpo di una cellula epiteliale, il processo cen- 
trale poi non è sempre tanto sottile che non possa esser misu- 
rato, ha dimensioni varie, e può diramarsi come quello delle cellule 
epiteliali. 

L'Exner ammette adunque che oltre le cellule olfattive ed epi- 
teliali di Schultze esistano forme multiple di transizione ( Ueder- 
gangsformen) che hanno caratteri morfologici comuni all'una e 
all'altra specie. 

L’Exner osservò inoltre che il nervo olfattorio penetra nel- 
l'impalcatura reticolare (composta da grandi nuclei rotondi, cir- 
condati da sostanza protoplasmatica reticolare — secondo Schultze 
tessuto connettivo — e dai processi centrali delle soprastanti cel- 
lule), che costituisce lo strato sottoepiteliale della mucosa, dove 
si divide in fibrille esili, che corrono verso i processi centripeti 
delle cellule epiteliali. 

I filamenti sottili e varicosi delle cellule olfattive si piantano 
con ringonfiamenti conici nel reticolo sottoepiteliale.  L’Exner 
negando l’esistenza di due distinte e differenti specie di cellule, 
attribuisce a tutti gli epitelii della regione olfattiva un’ uguale 
funzione specifica, 


(1) Sitzungsberichte der Math.- Naturwiss. Classe der K. Akad. der Wiss. 
1871-72-77, 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 17* 


214 ALESSANDRO LUSTIG 


A M. Schultze si associano i seguenti Autori, ammettendo con 
lui due sole specie di cellule del tutto differenti: Paschutin (1), 
Martin ®), Laugerhans 8), V. Brunn ®), Cisoff (9), Colasanti (6), Pe- 
reyaslewzeff (7), Sidky (8), Lowe(9), Felisch (10), Retzius (14), Krause (12), 
Invece Grimm (13), Lustig (14) e Pereyaslewzeff (15) dimostrarono 
l’esistenza delle forme di transizione descritte da Exner. 

Paschutin (16) Pereyaslewzeff (1?) danno allo strato epiteliale 
descritto dall’Exner un carattere nervoso, mentre Lòwe (18) Ci- 
soff (19) Colasanti (20) V. Brunn (4) e Retzius (2) lo credono costi- 
tuito da tessuto connettivo. 

Grimm e Cisoff, osservarono un’unione fra le cellule olfattive 
e le fibrille del nervo olfattorio, Kaufmann ammette che tutte 
e due le forme di cellule descritte da M. Schultze abbiano un 
eguale valore funzionale, però senza aver osservato le termina- 
zioni nervose. 


La causa di tale divergenza, mi sembra debba esser cercata 
almeno in parte, nei metodi usati dalla maggior parte degli Au- 


(1) Ueber den Bau der Schleimhaut der Regio olfactoria des Frosches. 
Leipziger physiolog. Arbeiten., 1873. 

(2) Ueber die Structur der Riechschleimhaut. Journ. of Anat. and Phys., 
VII. 1873. 

(3) Untersuchungen ber Petromyzon Planeri. Bericht. d. naturf. Gesell. 
zu Freiburg. Bd. VI, 1873. 

(4) Die membrana limitans olfactoria. Centralblatt. f. d. med, Wiss., 1874. 
Untersuchungen iiber das Riechepithel. Arch. f. mikrosk. Anatomie XI, 3, 1875. 

(5) Zur Kenntniss d. Reg. olfactoria. Med. Centralblatt., XII. N. 44. 1874. 

(6) Untersuchungen ‘diber die Durchschneidung d. nervi Olfactori bei Frò- 
schen. Arch. f. Anat. u. Physiol., 1875. 

(7) Ueber d. Structur u. Form des Geruchsorganes bei den Fischen. Ar- 
beiten aus den St. Petersburger Gesellsch. d. Naturf., IX. 1878. 

(8) Recherches anat. microscop. sur la muqueuse olfactive. 1877. 

(9) Beitrige zur Anat. der Nase u. Mundhòhle. Berlin. 1878. 

(10) Beitrag zur Histol. der Schleimhaut in den Lufthòhlen des Pferde- 
kopfes. Diss., 1878. 

(14) Das Riechepithel d. Cyclostomen. Archiv. f. Anat. und Physiol., 1880. 

(12) Die Regio olfactoria des Schafes. Diss. Rostock, 1881. 

(13) Ueber das Geruchsorgan der Store. Gòttingen Nachrichten, 1872. 

(14) Sitzungsb. der Nat.-Math. Classe d. K. Akad. d. Wiss. Wien, 1884. 

(15) 1. ce. — (16) 1 c. — (17) L. c. — (18) l. c. 

(19) Beitrag zur Frage nach der Endigungsweise der Geruchsnerven bei 
Frosch. Kasau, 1879. 

(20) 1. c. — (21) l. c. — (22) Dl. c. 


SULLE CELLULE EPITELIALI DEGLI EMBRIONI Zlò 


tori che si occuparono della regione olfattoria, i quali seguirono 
il sistema d'indagine indicato da M. Schultze, studiando gli ele- 
menti morfologici per lo più su sezioni di tessuto, dove è im- 
possibile, almeno per quanto concerne la mucosa olfattiva, di 
osservare con sicurezza il rapporto tra cellula e cellula ed il 
nesso di queste ultime colle terminazioni nervose. 

All’incontro l'osservazione costante, prolungata, paziente, degli 
elementi morfologici ben isolati e trattati con sostanze che non 
alterino i loro caratteri di struttura e che fissino le particolarità 
morfologiche, può condurre con maggior sicurezza a risultati meno 
confutabili. Giustifico questa mia asserzione citando un fatto: 
alcuni Autori, come il Paschutin ed il Cisoff negano l’esistenza di 
ciglia nel processo periferico delle cellule epiteliali ; ora, su prepa- 
rati non alterati, ognuno si potrà convincere del contrario. 

Un'altra causa di tale divergenza può trovarsi nell’avere l' Exner 
asserito che il nervo olfattorio si divide in fibrille che si dira- 
mano nell’impalcatura sottoepiteliale dirigendosi verso il processo 
centrale delle cellale epiteliali senza che risulti chiaramente dai 
suoi lavori se gli sia riuscito di vedere l’appendice centrale di 
una cellula epiteliale in unione ad una fibrilla che indubita- 
tamente sì staccasse da una grossa fibra nervosa. Ora, ciò soltanto 
può dare un criterio esatto e sicuro dell'unione di una fibrilla 
nervosa cogli elementi periferici. 

Nelle mie ricerche sugli epitelii della regione olfattoria di alcuni 
animali adulti e dell’uomo, e nei miei studi sulla degenerazione 
di questa regione in seguito a distruzione del lobo olfattorio, ot- 
tenni il pieno convincimento che le cellule olfattive e quelle epi- 
teliali di M. Schultze costituiscano i due estremi di una serie 
continua di innumerevoli forme di transizione: non mi riuscì però 
mai di osservare al microscopio una evidente continuità tra i pro- 
lungamenti centrali degli epitelii e le fibre nervose dell’olfattorio. 

Studiai perciò la mucosa olfattoria embrionale — che a quanto 
lo mi sappia, non venne mai a questo scopo esaminata, ecce- 
zion fatta per quella dei Batrachidi studiata incidentalmente dal- 
l’Exner — nella speranza di trovarvi favorevole campo allo studio 
dello sviluppo delle cellule epiteliali ed al rapporto di queste 
col nervo olfattorio. 

La regione olfattoria degli embrioni (coniglio, cavia) dei quali 
non posso indicare l’età ma solo la grandezza (misurata dall’oc- 
cipite all’osso sacro) veniva preparata sott'acqua — coll’aiuto 


216 ALESSANDRO LUSTIG 


degli occhiali di dissezione di Briicke — dalla cavità cerebrale, 
seguendo il decorso ed il territorio di ramificazione del nervo 
olfattorio. Bisogna procedere così per maggior sicurezza, poichè 
soltanto negli embrioni di sviluppo avanzatissimo e nei neonati 
la regione olfattoria è caratterizzata dal /ocus luteus, dallo spes- 
sore e dalla succulenza della mucosa. 

La quale ultima assieme al tessuto cartilagineo sottostante 
veniva immersa per 15-20 minuti in una soluzione di acido os- 
mico all’un e mezzo per cento, e posta poi per 24 ore nell’acqua 
distillata. Dopo questo periodo di tempo era possibile di dila- 
cerare facilmente nella solita soluzione sodica, parti della mucosa 
senza danneggiarne gli elementi morfologici. 

Negli embrioni più piccoli da me esaminati (cavie di 2 a 
3 cent.) si scorgevano elementi morfologici composti da grandi 
nuclei rotondi od ovali muniti di un nucleolo e circondati da uno 
strato limitato di sostanza protoplasmatica granulare, che formava 
un corto filamento centrale sottilissimo (fig. 1, 2). Talvolta in 
un gruppo di cellule isolate si vedeva quest’ultimo (fig. 3) unirsi 
con un leggero rigonfiamento a mo’ di bottoncino ai delicati fili 
granulari che formano il reticolo protoplasmatico sottoepiteliale 
racchiudente in sè nuclei rotondi, più grandi degli or descritti, 
con superficie perfettamente liscia e che si coloravano coll’acido 
osmico in grigio bruno. 

Nella regione olfattoria di questi embrioni prevalgono le cel- 
lule rappresentate nelle figure 3, 4, 6; esse variano di grandezza, 
il loro corpo è fusiforme, il nucleo, più o meno ovale, liscio e 
trasparente, di color giallo-bruno, rare volte munito di nucleoli; 
l’appendice superiore ha metà di spessore del rispettivo nucleo, 
è trasparente con strie longitudinali privo di ciglia; il processo 
inferiore, che nasce direttamente dal polo inferiore del nucleo 
cellulare, è tanto più sottile quanto maggiormente s’allontana dal 
corpo della cellula. Cellule simili a quelle segnate con 5, 7, si 
trovano assai di rado, e queste appunto si avvicinano per i loro 
caratteri di struttura alle cellule epiteliali di M. Schultze. Il pro- 
lungamento centrale sottile e varicoso della cellula (fig. 8) si 
pianta con leggero rigonfiamento conico nel reticolo sottostante 
e precisamente allo stesso modo delle cellule olfattive descritte 
da M. Schultze. La cellula fig. 7 ha un nucleo rotondo ed un’ap- 
pendice superiore larga tanto quanto il diametro del nucleo, e il suo 
prolungamento inferiore si fa nel terzo inferiore assai sottile e pre- 


SULLE CELLULE EPITELIALI DEGLI EMBRIONI 217 


senta un leggero rigonfiamento triangolare. Nelle cellule della mu- 
cosa olfattoria di questi embrioni non osservai mai nè ramificazioni 
del processo centrale, nè appendice periferica munita di vere ciglia. 

Nell’ulteriore sviluppo (embrioni da 6 fino 8 cent.) oltre 
alle cellule olfattive di Schultze se ne scorgono altre, che per 
alcuni caratteri atipici si allontanano da quelle, dando luogo ad 
una serie di « forme di transizione »; questi sono gli elementi 
morfologici che in queste mucose prevalgono per numero. Le 
vere cellule epiteliali sono all’incontro scarse. La fig. 9 rappre- 
senta il tipo delle cellule più comuni in questi preparati: cellule 
fusiformi, con nucleo ovale fornito di nucleolo; qui scorgiamo il 
processo periferico munito di vere ciglia lunghe ed il prolunga- 
mento inferiore grosso quanto il superiore, terminante però in 
un filamento sottile varicoso simile all’appendice inferiore delle 
cellule olfattive. In alcune di queste cellule osservai per la prima 
volta la biforcazione del processo centrale (fig. 9). 

La fig. 10 dimostra una cellula olfattiva isolata : il processo 
centrale tipico di questi elementi, sottile e varicoso, va a pian- 
tarsi nel mezzo d’un nucleo rotondo protoplasmatico granulare 
dello strato sottoepiteliale. In tutti i preparati si possono scor- 
gere gruppi delle cellule della forma or descritta, in cui i sin- 
goli elementi sono in unione, mediante i rispettivi prolungamenti 
centrali lunghi, esili e varicosi, alle fibrille del reticolo od ai nuclei 
dello strato sottoepiteliale. 

Nella fig. 11 è riprodotta una cellula epiteliale con nu- 
cleolo rotondo, col processo periferico provveduto di fimbrie ; e 
qui vediamo come di solito in questi elementi embrionali, che il 
prolungamento centripeto sottilissimo e varicoso ha aspetto iden- 
tico a quello delle cellule olfattive. 

Il tipo classico ma assai più raro delle cellule epiteliali è 
riprodotto nella fig. 12. 

Le ciglia sono lunghe, il processo inferiore è più grosso di 
quelli descritti dianzi. 

È inutile ch'io dica, che ebbi occasione di osservare innu- 
merevoli volte codeste differenze di forma e di struttura della 
mucosa olfattoria di questi embrioni. 

In ogni preparato mi fu dato di osservare differenti cellule 
aggruppate assieme ancora unite allo strato nucleare sottoepite- 
liale, nel quale poi mi è sembrato di scorgere una o più fibre 
nervose piuttosto grosse (colorate dall’acido osmico); esse si dira- 


218 ALESSANDRO LUSTIG 


mavano successivamente in fibrille esilissime, che si univano a loro 
volta con i processi centrali delle soprastanti cellule. Quantunque 
questa unione potesse sembrare abbastanza evidente inquantochè 
neppure il continuo movimento dell'oggetto (prodotto dalla pres- 
sione di un ago sul vetrino coprioggetto) rese possibile il distacco 
dei processi centrali delle cellule dalle fibre sottostanti, tuttavia 
non ne acquistai la piena convinzione, e diressi perciò vieppiù la 
mia attenzione alle singole cellule isolate. E mi venne dato os- 
servare infatti pid volte figure consimili a quella segnata al n° 13. 

Qui si scorge una cellula epiteliale provveduta di un pro- 
lungamento centripeto sottile assai, varicoso in più punti e lungo 
almeno 5 volte quanto tutto l’asse longitudinale del corpo della 
cellula, che va ad unirsi ad una fibra grossa, o meglio da essa 
nasce. La natura di questa fibra non può essere che nervosa, ed 
essa corre, come lo dimostrano gli elementi ancora intatti, nel- 
l’impalcatura reticolare sottoepiteliale. 

E inutile ripetere che l’osservazione di questi elementi, venne 


fatta lungamente, cercando che l’oggetto si presentasse nel campo | 


visivo in differenti posizioni, così da assicurarmi che questa unione 
tra fibra e cellula esistesse di fatto e non fosse solo apparente. 

In embrioni di maggior sviluppo (10-15 cent.) la struttura 
delle cellule della mucosa olfattiva è simile a quella or descritta; 
soltanto lo strato sottoepiteliale è ricco di grandi nuclei rotondi, 
lisci, muniti di nucleoli che si colorano coll’acido osmico, al- 
l’istesso modo dei nuclei delle cellule epiteliali. 

Questi nuclei sono circondati da un finissimo intreccio reti- 
colare di fibrille protoplasmatiche granulare, il quale ha gli stessi 
caratteri microscopici del protoplasma che circonda e rinchiude i 
nuclei grossi, rotondi, trasparenti, con superficie liscia, che com- 
pongono la sostanza del lobo olfattorio degli embrioni e neonati. 

Nei neonati (coniglio, cavia, uomo) si scoprono nello strato su- 
perficiale della mucosa olfattiva tutte le varie forme cellulari; 
prevalgono però sempre le « forme transitorie » descritte ante- 
cedentemente. 

Non mancano però le cellule epiteliali: anzi la fig. 14 ne 
rappresenta una con un prolungamento centrale più lungo ed 
esile quasi come quello d'una cellula olfattiva (fig. 15). 

Altre volte si scorgono cellule epiteliali con prolungamenti 
centripeti un po’ più grossi, ai quali si appoggiano i nuclei sot- 
toepiteliali (fig. 16). 


SULLE CELLULE EPITELIALI DEGLI EMBRIONI 219 


Anche nella mucosa olfattiva dei neonati ho potuto osservare, 
alcune volte, cellule che secondo M. Schultze non si potrebbero 
per i loro caratteri chiamare « olfattive », il di cui processo 
centrale si univa evidentemente con una fibra indubbiamente di 
natura nervosa. 

Fra i diversi disegni fatti dalla natura ne scelgo uno rap- 
presentato nella fig. 17. 

È questa una cellula fimbriata con nucleo ovale, con un 
processo superiore cilindrico e di diametro eguale a quello del 
corpo cellulare; il prolungamento inferiore fusiforme e relati - 
vamente grosso termina in una fibrilla esile, che cominciando dal 
punto « (ove il rigonfiamento unico segna il sito di congiunzione 
di una fibrilla che parte dal sottostante protoplasma perinucleare) 
va sempre più ingrossando per acquistare il carattere di una fibra 
nervosa che alla sua estremità si ramifica. 


Tratto da questi miei studi vengo alla conclusione: a) che 
nel primo stadio di sviluppo della mucosa olfattoria prevalgono 
gli elementi nucleari, ovali rotondi e le cellule olfattive di 
M. Schultze, le forme transitorie sono rare, rarissime poi le cel- 
lule epiteliali; L) che i prolungamenti periferici delle cellule sono 
in questo periodo di sviluppo ancor prive di ciglia; i prolungamenti 
centrali non si ramificano e si trovano piantati nel reticolo sotto- 
epiteliale; c) che nell’ulteriore sviluppo prevalgono le cellule a 
forma di transizione, i prolungamenti periferici sono cigliati, 
i prolungamenti centrali sono esili al pari di quelli delle cellule 
olfattive e si uniscono alle fibrille del sottostante reticolo che 
rinserra i nuclei grandi e rotondi. Non mancano però alcune forme 
tipiche di cellule epiteliali. 

Verso la fine della vita embrionale e nei neonati si rinviene 
nella mucosa olfattiva un grande numero di cellule epiteliali, e 
di forma transitoria, nonchè in numero minore le olfattive. Dalle 
mie osservazioni risulta inoltre che le ramificazioni delle fibre 
del nervo olfattivo che corrono nell’ impalcatura sottoepiteliale 
si trovano umite tanto con « le cellule epiteliali » quanto con 
le « cellule olfattive ». 

È stabilito adunque, che tutte le cellule fino ad ora de- 
scritte nella mucosa olfattiva, perchè unite al rispettivo nervo, 
devono avere un eguale valore funzionale. 


290 ALESSANDRO LUSTIG —- SULLE CELLULE EPITELIALI ECC. 


SPIEGAZIONE DELLE FIGURE 


La maggior parte dei disegni vennero eseguiti usando dell’ocu- 
lare II o III e dell’oggettivo ad immersione X Hartnack. Il trat- 
tamento degli elementi morfologici fu sempre colle soluzioni di 
acido osmico al 2 %. 


Fig. 1-8. Cellule epiteliali della regione olfattiva di embrioni 
di 2-6 cent. 


» 9-14. Cellule della regione olfattiva di embrioni in un ulte- 
riore grado di sviluppo. 


>» 14-17. Cellule epiteliali della regione olfattiva di neonati. 


Il Direttore della Classe 
ALFonso Cossa. 


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SOMMARIO 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


ADUNANZA del'‘&-Marzo 18981 Uri. 00 a ie ia dana Pag. 211 


Lusria — Sulle cellule epiteliali nella regione olfattiva degli em- 
DILODI do EDI CRETE RR a I » 212 


oe- NB. La tavola relativa alla Memoria inserta in questo 
fascicolo verrà pubblicata in una prossima Dispensa. 


ATTI 
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


DI TORINO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XXIII, Disp. 9", 1887-88 


i 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


TORINO 
ERMANNO LOESOHER 


Libraio della R. Aecademia delle Scienze 


ID 
DO 
ri 


CLASSE 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 18 Marzo 1888. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI 
PRESIDENTE 


Sono presenti i Soci: Cossa, LESSONA, SALVADORI, BRUNO, 
Berruti, Basso, D’Ovipio, BizzozERo, FERRARIS, NACCARI, Mosso, 
SPEZIA GIACONINI. 

Si legge l'atto verbale dell'adunanza precedente che è ap- 
provato. 

Fra le pubblicazioni pervenute in dono all'Accademia viene 
segnalato : 

1° Il Bollettino dei Musci di Zoologia e di Anatomia com- 
parata dell’Università di Torino, dal fascicolo N. 34 (vol. II) 
al fascicolo n. 39 (vol. III). Esso contiene lavori biologici dei 
signori C. PoLLonERA, Dott. D. Rosa e Prof. L. CAMERANO ; 

2° Bullettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze ma- 
tematiche e fisiche pubblicato da B. Boncompagni (Maggio e 
Giugno 1887, tomo XX), presentato dal Presidente ; 

3°. Pressione atmosferica bi-oraria del 1887 tratto dai ri- 
lievi del barometro registratore Richard; Considerazioni sulle 
ore tropiche e sulle medie oscillazioni diurne barometriche ; del 
Prof. Domenico Ragona, Direttore del Reale Osservatorio di Mo- 
dena : presentate dal Socio G. Basso. 

Le comunicazioni e le letture si succedono nell’ordine che segue : 

« Rotazioni elettrodinamiche prodotte per mezzo di correnti 
alternate; del Socio Galileo FERRARIS ; 

« Relazione del Socio Prof. L. BeLLARDI, letta dal Socio 
condeputato Prof. G. Srezia intorno alla Memoria del Dottore 
Federico Sacco, intitolata « Aggiunte alla fauna malacologica 
estramarina fossile del Piemonte e della Liguria » . 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 18 


MELLE I) 


ADEN Mi SOR 
<"Ernnamato 


922 GALILEO FERRARIS 


LETTURE 


Rotazioni elettrodinamiche 
prodotte per mezzo di correnti alternate 


Nota del Prof. GALILEO FERRARIS. 


1.— Sia O un punto di uno spazio nel quale si sovrappon- 
gono i campi magnetici prodotti da due correnti elettriche; le. 
direzioni OX ed OY che hanno i due campi magnetici nel punto 
O sieno diverse, sieno per esempio perpendicolari l’una all'altra. 


Fig. 1. 


Se si rappresentano con lunghezze VA ed OB portate su OX 
ed OY le intensità dei due campi, la diagonale OR del paral- 
lelogrammo VAREB dà colla propria lunghezza e colla propria 
direzione l’intensità e la direzione del campo magnetico risul- 
tante. Se le intensità dei campi magnetici componenti variano col 
tempo, il punto £ si muove, e percorre una linea, la forma della 


ROTAZIONE ELETTRODINAMICHE 223 


quale è determinata dalla legge con cui variano VA ed VOB; 
ma in ogni istante il raggio vettore OZ rappresenta colla sua 
lunghezza e colla sua direzione l’intensità che nello stesso istante 
il campo magnetico risultante ha nel punto 0. 

Se le due correnti sono alternate e sinusoidali col medesimo 
periodo, anche le intensità OA ed OB dei due campi magnetici 
componenti sono tali; se si rappresentano rispettivamente con 4 
e con y, esse si possono esprimere in funzione del tempo # colle 
uguaglianze 

In 2 


n 
s=4sen 7 > y=Bsen (046), 


ove si indichino con A e con B i valori massimi di esse, con 7° 
Ci 

la durata del periodo e con 2 la differenza di fase fra le due 

correnti. Eliminando £ fra queste due equazioni, si ottiene una 

relazione fra x ed y, che è l'equazione della linea percorsa dal 

punto riferita alle rette OX, OY prese come assi di coor- 

dinate. 

Quando la differenza di fase tra le due correnti è uguale a 
zero, oppure corrisponde ad un numero intiero di semiperiodi, la 
linea percorsa dal punto I è una retta passante per 0, e su 
questa retta il punto £ percorre spazi proporzionali a quelli per- 
corsi nel medesimo tempo dai punti Ae 5 su OX ed OY. Al- 
lora il campo magnetico risultante ha una direzione costante ed 
una intensità variabile colla legge sinusoidale come i campi ma - 
gnetici componenti. 

In tutti gli altri casi, quando cioè le due correnti non si 
invertono simultaneamente, la linea percorsa dal punto & è una 
ellisse di centro O. Allora il raggio vettore OR che rappresenta 
l’intensità e la direzione del campo magnetico risultante, si man- 
tiene costantemente diversa da zero, e ruota nel piano XO Y at- 
torno al punto O; in altri termini si ha allora un campo ma- 
gnetico che non si annulla mai e che gira attorno ad O. Il 
campo magnetico girante compie la propria rivoluzione nella du- 
rata 7 di un periodo delle correnti. Il senso della rotazione si 
inverte se la fase di una delle correnti si fa variare di un mezzo 
periodo o di un numero intero di mezzi periodi. 

Se in particolare le direzioni O.X ed OY dei campi magne- 
tici componenti sono perpendicolari l’una all’altra, se le intensità 


224 GALILEO FERRARIS 


massime A e B dei due campi sono uguali tra di loro, e se la 


1 
differenza di fase La è uguale ad np si ha 
21 2 
s=AsenTé x y=Acost; 
quindi 
sa 2n 
UR=-A ed AOR=—-#6 


Allora la traiettoria del punto R è una circonferenza di rag- 


gio A, ed il punto X la percorre colla velocità angolare co- 
Da 


CONI 


stante ; in altri termini, si ha allora un campo magnetico di 


F, 


intensità costante, il quale gira attorno ad O con velocità uni- 
forme. 

Gli effetti sovra descritti si possono produrre per mezzo di 
una sola corrente alternativa, È infatti sempre possibile, ed în 
più modi, per mezzo di una corrente alternativa data ottenere 
le due correnti necessarie per produrre le forze magnetiche com- 
ponenti OA ed OB, e far variare, fra certi limiti, la differenza 
di fase fra le medesime. Un modo per fare ciò consiste nel far 
passare la corrente data nella spirale primaria di un trasforma - 
tore. Allora si hanno a disposizione la corrente data e la cor- 
rente secondaria da essa prodotta nel trasformatore. Facendo pas- 
sare le due correnti in due spirali aventi gli assi sulle rette OX 
ed OY, si può far servire la prima a produrre la forza magne- 
tica VA, e la seconda a produrre la forza magnetica OB. Ac- 
ciocchè le due correnti presentino la voluta differenza di fase 
basta inserire una conveniente resistenza nel circuito secondario ; 
la differenza di fase che così si ottiene, tende verso un quarto 
di periodo se la resistenza del circuito secondario si fa crescere 
fino all'infinito. Col crescere della resistenza, il rapporto tra la 
intensità media della corrente secondaria e quella della primaria 
diminuisce; ma calcolando convenientemente il numero delle spire 
nelle due spirali destinate a produrre le forze magnetiche OA 
ed OB, è possibile far sì che risulti A = 5, e realizzare ap- 
prossimativamente le condizioni nelle quali il campo magnetico 
risultante mantiene una intensità quasi costante e ruota con ve- 
locità quasi uniforme. 


ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE 225 


Un altro modo per ottenere il medesimo risultato consiste 
nel far servire alla produzione dei due campi magnetici oscilla- 
torii componenti le due correnti secondarie prodotte in due tras- 
formatori od in due porzioni d’un trasformatore ove la corrente 
alternativa data funzioni come corrente primaria. 

Si possono finalmente adoperare per produrre le forze ma- 
gnetiche 0A ed OB due correnti derivate. Se nel circuito di 
una di tali correnti si inseriscono resistenze esenti da induzione 
propria, e nel circuito dell’altra si inserisce invece una spirale 
con piccola resistenza e con grande coefticiente di autoinduzione, 
si può fare sì che mentre le medie intensità delle due correnti 
sono uguali, oppure hanno tra di loro un rapporto prefisso, le 
fasi delle correnti medesime differiscano notevolmente l’una dal- 
l’altra. 

Dunque per mezzo di una semplice corrente alternativa, ope- 
rante in spirali immobili, è possibile produrre un campo ma- 
gnetico rotante ed ottenere con questo tutti gli effetti che si 
potrebbero ottenere per mezzo della rotazione di una calamita. 

Si possono fra gli altri, riprodurre per mezzo di una sem- 
plice corrente alternata i fenomeni di induzione che si hanno 
quando si fa rotare una calamita in vicinanza di una massa con- 
duttrice; e per tal modo si possono ripetere sotto una forma 
nuova le antiche esperienze sul magnetismo di rotazione. Se nello 
spazio ove sì sovrappongono i. campi magnetici alternativi si ha 
un corpo conduttore, la rotazione del campo magnetico risultante 
produce in tale corpo correnti indotte, che per la legge di Lenz 
si oppongono alla rotazione del campo magnetico, e sulle quali 
il campo magnetico reagisce con forze che tendono a trascinare 
il conduttore nella propria rotazione. Se il conduttore è mobile 
attorno all'asse O (fig. 1°) esso si mette in movimento e prende 
a rotare come farebbe quando esso si trovasse frai poli di una 
calamita rotante attorno all'asse O medesimo. 


2. — Descrivo alcuni degli esperimenti coi quali ho verificato 
ed utilizzato questo fatto (*). 

La fig. 2 rappresenta schematicamente in prospettiva la dispo- 
sizione di una prima esperienza. Con 1AAA1' e con 2BBB2,, 


(*) Le esperienze, delle quali si fa cenno, furono eseguite nell’ autunno 
del 1885 


226 GALILEO FERRARIS 


sono rappresentate due spirali piatte, delle quali la prima è for- 
mata con poche spire di grosso filo, e la seconda contiene un 
numero più grande di spire fatte con un filo più sottile. Per 


Fig. 2. 


rendere semplice la figura si è rappresentata una sola spira per 
ciascuna spirale, e si sono indicati in 1, 1' ed in 2, 2'i reofori 
ai quali le due spirali sono collegate. I piani delle spire delle 
due spirali sono verticali e perpendicolari tra di loro; essi si 
tagliano secondo la verticale 00' che rappresenta l’asse dell’ap- 
parecchio. La spirale 1 AAA 1' di filo grosso è inserita nel cir- 
cuito primario di un trasformatore di Gaulard e Gibbs; la spi- 
rale 2 BBB2' di filo sottile è inserita nel circuito secondario 
del trasformatore medesimo. Nello stesso circuito secondario è in- 
serita una resistenza variabile priva di induzione propria, per 
mezzo della quale si può far variare il rapporto tra le intensità 
medie della corrente primaria e della secondaria, e con esso la 
differenza di fase tra le due correnti. 

Il trasformatore è disposto per un rapporto di trasformazione 
uguale ad «0, ossia ha un medesimo numero di spire nelle due 
eliche primaria e secondaria: ma siccome per produrre una grande 


ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE A 


differenza di fase fra le due correnti conviene inserire nel cir- 
cuito secondario una resistenza alquanto grande, così l'intensità 
della corrente secondaria risulta notevolmente minore di quella 
della primaria. Il maggior numero di spire esistente nella spirale 
2 BBB2' compensa questa differenza. Determinando conveniente- 
mente la resistenza inserita nel circuito secondario si può far sì 
che, pur avendo una notevole differenza di fase, le intensità me- 
die dei campi magnetici prodotti dalle due correnti nel centro 
comune © delle due spirali sieno sensibilmente uguali. Questa 
condizione si può verificare facilmente per tentativi. Quando essa 
è verificata, si ha nello spazio compreso nelle due spirali un 
campo magnetico di intensità approssimativamente costante, il 
quale gira uniformemente attorno all’asse 00' compiendo un giro 
intiero per ogni periodo della corrente alternativa. In tale spazio 
è sospeso un piccolo cilindro C di rame, vuoto e chiuso, soste- 
nuto da un filo O. 

Se si fa passare la corrente soltanto in una delle spirali, il 
cilindretto rimane immobile, ma se si fanno passare le correnti 
in entrambe le spirali, nel modo suddetto, il piccolo cilindro in- 
comincia subito a rotare attorno al proprio asse, torcendo il filo 
di sospensione per molte decine di giri. Se per mezzo di un com- 
mutatore inserito nel circuito secondario si invertono le congiun- 
zioni delle estremità 2 e 2° della spirale BB coi capi dell'elica 
secondaria del trasformatore, colla qual cosa si fa variare di un 
mezzo periodo la fase della corrente in BB, la rotazione del 
cilindretto C' si inverte. Se l’inversione del commutatore si opera 
mentre il cilindretto sta girando in un certo verso, si vede la 
rotazione rallentarsi rapidamente ed estinguersi quasi subito per 
ricominciare nel verso opposto. 

I medesimi effetti sì ottengono se si inseriscono le due spi- 
rali AAA e BBB in due circuiti derivati, uno dei quali con- 
tenga una resistenza ma sia esente da induzione propria, mentre 
l’altro presenti soltanto una piccola resistenza, ma contenga una 
spirale con nucleo di ferro e con un notevole coefficiente di in- 
duzione propria. 

Le esperienze furono ripetute coi medesimi risultati sosti- 
tuendo al cilindretto di rame un uguale cilindretto di ferro. Se 
il cilindro adoperato è piccolo ed occupa solamente una piccola 
parte dello spazio che si ha nell'interno delle spirali, l’esperienza 
riesce facilmente tanto col ferro quanto col rame. Quando invece 


228 GALILEO FERRARIS 


si adoperano cilindri grandi riempienti per una grande parte l’in- 
terno delle spirali, l’esperienza riesce meno facilmente col ferro 
che col rame. Ciò in causa dei grandi coefficienti di induzione 
propria che allora acquistano le spirali. Quando infatti le spirali 
AAA e BBB dell'apparecchio presentano grandi coefficienti di 
induzione, non si può provocare nelle due correnti la differenza 
di fase di cui si ha bisogno, se non alla condizione di inserire 
nei circuiti esterni resistenze considerevoli, le quali consumano 
inutilmente una notevole parte dell'energia di cui si dispone. 

In una esperienza ho adoperato un cilindretto di ferro for- 
mato con tanti dischi uguali di lastra sottile separati ed isolati 
per mezzo di dischetti di carta frapposti. In un tale cilindretto non 
si possono produrre le correnti indotte per mezzo delle quali si 
spiegano i risultati ottenuti col rame; tuttavia l’esperienza riuscì 
come prima. In questo caso la rotazione è dovuta al ritardo col 
quale la magnetizzazione dei dischetti di ferro segue la rotazione 
del campo magnetico a cui è dovuta. 

Le esperienze sovradescritte, ad eseguire le quali bastano ap- 
parecchi grossolani ed improvvisati, possono servire nei corsi non 
solo come ‘modificazione delle antiche e classiche esperienze di 
Arago e di Babbage ed Herschel, ma sovratutto come mezzo per 
porre in evidenza l’esistenza delle differenze di fase fra le cor- 
renti primaria e secondaria di un trasformatore, o quella delle 
differenze di fase che si hanno tra le correnti derivate alternative, 
o quelle che possono esistere fra due correnti alternative qua- 
lunque di ugual periodo. È anzi facile disporre le esperienze in 
modo tale che esse valgano a porre in chiaro il modo di variare 
delle differenze di fase col variare delle resistenze dei circuiti e 
dei coefficienti di induzione esistenti nei medesimi. 

Se poi si adopera un leggiero cilindretto di rame riempiente 
quasi completamente l’interno di due moltiplicatori incrociati, 
portato da una lunga sospensione bifilare e munito di uno spec- 
chietto per le letture col cannocchiale e colla scala, si può for- 
mare uno strumento molto sensibile, atto ad attestare, anche con 
correnti di debole intensità, piccolissime differenze di fase. 

5. — Invece di appendere il cilindro conduttore mobile ad 
un filo o ad una sospensione bifilare, lo si può far portare da 
un albero metallico appoggiato su cuscinetti; ed allora, dando 
all'apparecchio maggiori dimensioni, se ne può formare un mo- 


ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE 229 


tore elettrico per correnti alternative. È evidente a priori, e ri- 
sulterà anche dalle considerazioni che farò più sotto, che un mo- 
tore così fatto non potrebbe avere importanza come mezzo di 
trasformazione industriale di energia, ma per la sua semplicità 
e per le sue proprietà esso potrebbe tuttavia servire ad utili ap- 
plicazioni. Io ho combinato un modello provvisorio di motore, ed 
ho eseguito su di esso alcuni esperimenti. 

La fig. 3 è una sezione del motore fatta con un piano per- 
pendicolare all’asse di rotazione; essa può servire a dare un'idea 
della disposizione delle parti principali dell’ apparecchio. 

La parte mobile della macchina consiste in un cilindro di 
rame 0, centrato su di un albero di ferro O, col quale è soli- 


||esessosts 
COLZZZZZZZZZZZZA 


dario. Il cilindro di rame è vuoto, ma è chiuso, con fondi pure 
di rame, alle due estremità; ha il diametro esterno di 8, 9 cen- 
timetri e la lunghezza di 18 centim.;- pesa 4,9 chilogrammi. 
L'albero O ha il diametro di un centimetro, è orizzontale e si 
appoggia sopra due cuscinetti. 

La parte fissa della macchina è costituita semplicemente da 
due coppie di spirali, che nella figura si vedono sezionate in 44, 
A'A' ed in BB, B'B'. Una di queste coppie di spirali, la 44, 
AA’, è disposta colle sue spire in piani verticali, e quando è 
percorsa da una corrente produce nel proprio interno, nello spazio 
ove si trova il cilindro di rame, un campo magnetico di direzione 


230 GALILEO FERRARIS 


media orizzontale. L'altra coppia, la BB, B'B' invece ha le sue 
spire in piani orizzontali, e quando è percorsa da una corrente 
produce nello spazio occupato dal cilindro di rame un campo 
magnetico, del quale la direzione media è verticale. Le spirali 
sono contenute in telarini di legno di forma rettangolare. Due 
di questi telarini, quelli delle spirali orizzontali BB, B'B' hanno 
le dimensioni appena sufficienti per lasciare al cilindro C il giuoco 
necessario pel movimento, la larghezza e la lunghezza del loro 
vano superano soltanto di un centimetro il diametro e la lun- 
ghezza del cilindro di rame. Gli altri due telarini, quelli delle 
spirali verticali AA, 4°4' hanno la medesima larghezza ed una 
lunghezza maggiore, in modo che essi abbracciano i due telarimi 
BB, B'B' e li contengono esattamente. Quando i quattro telarini 
sono in posto essi chiudono uno spazio parallelepipedo d e f 9, 
che, a meno del piccolo giuoco necessario per la libertà del mo- 
vimento è circoscritto al cilindro C. La fessura lasciata tra le 
spirali A ed A'e quella lasciata tra B e B' hanno la larghezza 
strettamente necessaria per lasciar passare l’albero 0. 

Le spirali AA, A'A' sono fatte con filo di rame del diametro 
di millimetri 1,92; ciascuna di esse contiene 96 spire; esse sono 
collegate tra di loro in serie in modo da formare una spirale 
unica di 192 spire; la resistenza totale delle due spirali collegate 
in serie è di 0,844 ohm. 

Le spirali BB, B'B' sono fatte con filo di rame del dia- 
metro di 0,97 millimetri, e ciascuna di esse contiene 504 spire. 
Le due spirali sono collegate in circuiti paralleli, in modo da 
equivalere ad una spirale unica di 504 spire fatta con filo di 
sezione doppia. Le resistenze delle singole spirali sono uguali a 
7,12 ohmed a 6,63 ohm; la resistenza delle due spirali riunite 
è di 3,43 ohm. 

Per mettere in azione il piccolo motore che ho descritto mi 
servii di un generatore: secondario di Gaulard e Gibbs. Inserii 
le spirali di filo grosso AA, A'A' nel circuito primario e le spi- 
rali di filo sottile BB, B'B' nel circuito secondario. Nello stesso 
circuito secondario era pure inserito un reostato industriale a filo 
di pakfong, esente da induzione propria, per mezzo del quale si 
potevano far variare l’intensità e la fase della corrente secondaria. 
La resistenza alla quale corrispondeva il migliore funzionamento 
del piccolo motore si poteva così determinare praticamente per 
tentativi. Tale resistenza dipende naturalmente dai coefficienti di 


ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE 231 


induzione del trasformatore e dalla durata del periodo della cor- 
rente adoperata. Nelle mie esperienze la spirale secondaria del 
trasformatore era uguale alla primaria, e quindi praticamente il 
coefficiente di autoinduzione della spirale secondaria era uguale 
a quello mutuo tra la spirale medesima e la primaria. 

Le inversioni della corrente erano circa 80 per minuto se- 
condo; ed in base a questi dati risultava da esperienze anterior- 
mente eseguite sul trasformatore, che la resistenza apparente dovuta 
all’ induzione della spirale secondaria su se stessa era di circa 
8 ohm. In queste condizioni l’esperienza dimostrò che il migliore 
funzionamento del piccolo motore si aveva quando col reostato 
si introduceva nel circuito secondario una resistenza di 15 a 
18 ohm. Coi dati numerici sovrariferiti si può calcolare che ap- 
punto fra tali limiti è compresa la resistenza necessaria per fare 
sì che l’intensità media del campo magnetico prodotto dalle spirali 
BB, B'B' percorse dalla corrente secondaria sia uguale a quella 
del campo magnetico prodotto dalle spirali AA, A'A' percorse 
dalla corrente primaria. Si può poi calcolare che coi sovraindicati 
valori della resistenza inserita nel circuito secondario, la diffe- 
renza di fase tra la corrente secondaria e la primaria doveva 
corrispondere a poco meno di un quinto di periodo. 

Colle cose disposte nel modo descritto, il cilindro di rame 
del piccolo motore cominciava a mettersi in movimento sponta- 
neamente quando la corrente nel circuito primario raggiungeva 
una intensità media di circa 5 ampere. Con correnti di intensità 
superiore a questo limite il cilindro di rame prendeva una velocità, 
la quale poteva crescere fino a 900 giri per minuto. Al di là di 
questo limite l’imperfetto centramento del cilindro sul suo asse dava 
luogo a scosse troppo violenti per poter continuare l’esperimento. 

Nel circuito secondario era inserito un commutatore, col quale 
si potevano invertire le congiunzioni delle spirali B 5, B'B' colle 
estremità della spirale secondaria del trasformatore. Invertendo 
le congiunzioni si invertiva il senso della rotazione; operando 
l'inversione del commutatore mentre il cilindro girava con grande 
velocità in un verso, lo si vedeva arrestarsi rapidamente come 
se fosse stato stretto in un freno, e poi mettersi in rotazione nel 
verso opposto. i 

Fu applicato all'albero dell’apparecchio un piccolo freno di- 
namometrico equilibrato, collegato con una bilancia e sospensione 
inferiore, il quale servi a dare un'idea dell’ordine di grandezza 


232 GALILEO FERRARIS 


del lavoro meccanico ottenibile e del modo di variare del me- 
desimo. Qui sotto sono registrati i valori ottenuti. Nella prima co- 
lonna sono indicati i numeri di giri per minuto primo che l’albero 
compieva nelle successive esperienze; nella seconda colonna sono 
indicati i corrispondenti lavori meccanici misurati col freno ed 
espressi in watt. 


Giri inl'| Watt. Giri in l'| Watt. 


262 1,32 722 2,55 
400 2,12 770 2,40 
546 2,65 772 2,04 
653 2,77 900 0 


L'intensità media della corrente primaria era di circa 9 am- 
pere; le inversioni di essa erano 80 per 1". 

Vedesi che il lavoro cresce col crescere della velocità finchè 
questa non ha raggiunto il valore corrispondente a circa 650 giri 
al minuto; per tale velocità il lavoro è massimo; per velocità 
maggiori esso diminuisce con rapidità crescente, finchè per una 
velocità di 900 giri al minuto il lavoro utilizzabile si riduce a 
zero. Questa rapida decrescenza del lavoro utilizzabile è dovuta 
in gran parte all’imperfetto centramento della parte rotante: gli 
urti dovuti a questa causa dànno luogo a perdite di energia cre- 
scenti, al crescere della velocità, con progressione rapidissima. 
Portando in un disegno come ascisse i numeri di giri per minuto, 
e come ordinate i valori del lavoro misurato, e congiungendo con 
una linea i punti così ottenuti, si trova una linea, la quale da 
principio, e fino al punto corrispondente ad una velocità di circa 
500 giri per minuto, si confonde sensibilmente con una retta 
passante per l’origine, ma in seguito si ripiega verso l’asse delle 
ascisse, verso il quale discende rapidissimamente. Questa forma. 
della linea giustifica la spiegazione precedente. Senza gli effetti 
degli urti, dei quali abbiamo parlato, la linea dei lavori ottenuti 
andrebbe innalzandosi fino al punto corrispondente all’ ascissa 
1200 circa e discenderebbe poscia regolarmente per incontrare 
l’asse delle ascisse in vicinanza dell’ascissa 2400, che corrisponde 
alla velocità di ‘rotazione del campo magnetico. 


ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE 239 


4. — Le relazioni esistenti tra il momento della coppia che fa 
rotare il tamburo, il lavoro meccanico utilizzabile, l'energia che si 
trasforma in calore nel cilindro di rame e le velocità di rotazione 
del campo magnetico e del tamburo si possono stabilire facil- 
mente se si suppone la macchina nelle condizioni ideali migliori, 
se cioè si suppone che i campi magnetici sinusoidali prodotti dalle 
due correnti alternative abbiano uguali intensità massime e pre- 
sentino una differenza di fase corrispondente ad un quarto di 
periodo. 

In questo caso il campo magnetico risultante ha una inten- 
sità invariabile e ruota attorno all’asse dell'apparecchio con una 
velocità angolare uniforme. Noi rappresenteremo questa velocità 
angolare del campo magnetico colla lettera 0, e rappresenteremo 
invece con & la velocità angolare del tamburo di rame; la velo- 
cità angolare del moto relativo del campo magnetico rispetto al 
tamburo sarà allora Q—-%. 

Se diciamo -M il momento della coppia, colla quale il campo 
magnetico rotante agisce sulle correnti indotte nel tamburo di 
rame e tende a trascinare questo nella propria rotazione, possiamo 
esprimere subito il valore del lavoro meccanico prodotto dal mo- 
tore, e quello della energia che viene trasformata in calore nel 
tamburo in causa delle correnti in esso indotte. Rappresentando 
con W il lavoro meccanico prodotto dal motore in una unità di 
tempo, e intendendo che in esso sia compresa quella parte che 
è consumata dalle resistenze passive, abbiamo 


W=Mo. a) 


Rappresentando invece con P l’energia che in ogni unità di tempo 
si trasforma in calore dentro al tamburo in causa delle correnti 
che vi sono prodotte per induzione dal campo magnetico rotante, 


abbiamo : 
P=M(0-0). non (8) 


Quest'ultima relazione si dimostra osservando che l'energia tra- 
sformata in calore in causa delle correnti esistenti nel tamburo 
è uguale a quella che si spende per produrre le correnti mede- 
sime, e questa è uguale al lavoro necessario per mantenere il 
moto relativo, colla velocità Q— &, tra l’indotto ed il campo 
magnetico induttore, 


234 GALILEO FERRARIS 


Dalle formole (1) e (2) si ha per divisione 


; ii 4) 
PIMOal) i 
od anche 
W A) 
Wyp70 Md 


l'energia W, che si ottiene come lavoro meccanico o come forza 
viva, sta alla totale energia W4 P, che si manifesta in. parte 
come energia meccanica ed in parte come calore, come la velocità 
di rotazione del cilindro sta alla velocità di rotazione del campo 
magnetico. 

Se, come abbiamo supposto nel calcolo precedente, il campo 
magnetico ha una intensità costante e gira con velocità uniforme, 
vi ha nel cilindro conduttore un sistema di correnti indotte, che 
conserva costantemente la stessa configurazione; questo sistema 
di correnti si sposta girando attorno all’asse dell’apparecchio, ma 
‘i fenomeni che in un elemento di tempo qualunque avvengono 
in un elemento qualunque del volume del cilindro, in un ele- 
mento di tempo successivo si riproducono esattamente in un altro 
elemento di volume. Il calore svolto dalle correnti nel cilindro è 
adunque lo stesso che si svolgerebbe se le correnti fossero costanti 
ed immobili. Ora in ogni elemento di volume la corrente è pro- 


Oto ù 
porzionale ad — , ove si rappresenti con p la resistenza 
#) 


specifica del metallo; quindi il calore svolto è proporzionale a 


O -0\ (0-6) _. 
p ) ossia a —__ . Dicendo adunque % una costante, 


"lt le 
possiamo porre 1 
isa = O w)° 
Ù 
Portando questo valore nelle formole (1) e (2), otteniamo 
k i 
tag “esi 3180008) 


ed 


ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE 235 


Data la durata del periodo della corrente alternativa adoperata, 
Q ha un valore determinato e costante.. Allora la (1°) fa vedere 
che l'energia W, che si manifesta come lavoro meccanico, ha un 
valore massimo quando 


mentre la (2°) dà per M un valore massimo quando 


E 


Quando l'energia meccanica W è massima, ossia quando è 


=, la (3) dà 


ti Wes Pi 


l’energia che si manifesta come lavoro meccanico è allora uguale 
a quella che si manifesta come calore nel cilindro rotante. 


5. — Queste relazioni ed i risultati delle esperienze riferite più 
sopra confermano, ciò che era evidente « priorî, che un appa- 
recchio fondato sul principio di quello da noi studiato non po- 
trebbe avere alcuna importanza industriale come motore; e quan- 
tunque sia possibile studiare le dimensioni di esso in modo da 
aumentarne notevolmente la potenza e migliorarne moltissimo il 
rendimento, sarebbe inutile entrare qui in alcuna considerazione 
su tale problema. 

Io credo tuttavia che le esperienze che ho descritto possano 
presentare qualche interesse. 

In primo luogo un piccolo apparecchio come il descritto può 
servire utilmente per esperienze nei corsi. Adoperato a tale uso, 
esso presenta il vantaggio di funzionare per mezzo di una coppia 
diretta sempre nel medesimo verso, per modo che anche con le 
sole forze elettrodinamiche, sempre assai deboli, si possono con 
esso accumulare in una grande massa, come è quella del cilindro 
di rame da noi adoperato, notevoli quantità di energia cinetica. 

In secondo luogo, e ciò è più importante, un apparecchio 
analogo al descritto potrebbe servire come misuratore della elet- 
tricità somministrata in una distribuzione di energia elettrica fatta 
con correnti alternative. Bisognerebbe a quest’ uopo disporre le 
cose in modo, che al movimento del tamburo si opponesse una 


256 GALILEO FERRARIS 


resistenza proporzionale al quadrato della velocità. Siccome il 
momento della coppia motrice è proporzionale al quadrato della 
intensità media della corrente, così la velocità di regime dell’ap- 
parecchio risulterebbe proporzionale alla intensità media della 
corrente; ed il numero di giri compiuto dal tamburo in un dato 
tempo, numero che può essere indicato da un contatore, risul- 
terebbe proporzionale alla quantità di elettricità trasmessa nel 
tempo medesimo. Naturalmente converrebbe allora disporre verti- 
calmente l’asse dello strumento onde ridurre al minimo le resi- 
stenze passive perturbatrici ed attenuare gli effetti delle imper- 
fezioni del centramento. 


6. — Come già avevo fatto nelle esperienze col cilindretto so- 
speso, ho cercato di ripetere gli esperimenti, sostituendo al cilindro 
di rame un cilindro di ferro di uguali dimensioni e di peso poco 
diverso. Il risultato fu quasi completamente negativo: riuscii a 
stento a produrre una lentissima rotazione. La ragione di questo 
risultato sta nel fatto che col cilindro di ferro le spirali B 5, 
B'B' assumono un grande coefficiente di induzione propria, che 
rende necessario introdurre nel circuito secondario del trasforma- 
tore una grande resistenza onde ottenere la voluta differenza di 
fase tra le correnti. Ma con questa grande resistenza in circuito 
la intensità della corrente secondaria riesce piccolissima. Nè la 
debolezza della corrente si può compensare aumentando il numero 
delle spire nelle eliche BB, B'B', perchè col numero delle spire 
cresce il coefficiente di induzione propria delle spirali medesime. 

Provai pure, come già avevo fatto nelle esperienze col cilin- 
dretto di ferro massiccio, un cilindro formato con dischi situati in 
piani perpendicolari all’asse ed isolati con fogli di carta frap- 
posti. Il risultato, in questo caso, fu assolutamente negativo. 

Sperimentai ancora con un altro modello di motore, ‘ove il 
tamburo girava su di un asse verticale ed occupava lo spazio 
esistente fra i poli, scavati a superficie cilindrica, di quattro elet- 
tromagneti affacciati due a due. Due di questi elettromagneti, 
affacciati l’uno all’altro, erano eccitati dalla corrente primaria e 
facevano le veci delle spirali AA4, A4'4'; gli altri due, anch'essi 
affacciati l’uno all’altro, erano attivati dalla corrente secondaria, 
e facevano le veci delle spirali BB, B'B'. L'apparecchio funzionò, 
in questo caso, meglio col cilindro di ferro che con quello di 
rame; ma gli effetti furono con esso molto minori di quelli otte- 


ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE DIT 


nuti coll’ apparecchio precedente. La ragione del fatto è quella 
stessa di cui abbiamo parlato testè. 

Provai finalmente a sostituire al tamburo solido un conduttore 
liquido, una massa di mercurio. Per fare l'esperimento bastò la 
disposizione semplicissima seguente. Le spirali 44, AA e BB, 
B'B', tolte dal motore che aveva servito alle esperienze sovra- 
descritte, vennero collocate in piani verticali, due a due paralleli 
tra di loro e perpendicolari agli altri due, in modo da costituire 
le quattro faccie di un prisma a base quadrata. Nella fig. 4 le 
quattro spirali sono vedute in proiezione orizzontale e sono se- 
gnate colle lettere A, A', B, B'. Le spirali furono collegate tra 


Fig. 4. 
A 


| 
x 


di loro e col generatore secondario come lo erano nel motore; 
le A ed A' furono inserite nel circuito primario, le B, B' nel 
secondario insieme col reostato e col commutatore. Nello spazio 
circondato dalle quattro spirali si collocò un bicchiere M pieno 
di mercurio e si constatarono nel liquido le rotazioni prevedute. 
In causa della maggiore resistenza specifica le velocità aquistate 
dal mercurio furono, a parità delle altre circostanze, molto mi- 
nori di quelle acquistate dal rame. La massima velocità ottenuta 
nel mercurio fu, con una corrente di 10 ampere, di circa 18 
giri per minuto primo. 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 19 


238 


RELAZIONE sulla Memoria del sig. Prof. F. SAcco, intitolata: 
Aggiunte alla Fauna malacologica estramarina fossile del 
Piemonte e della Liguria. 


Il manoscritto che il sig. Prof. F. SAcco ha presentato all’Ac- 
cademia nella sua seduta delli 4 corrente e che i sottoscritti ebbero 
l'onorevole incarico di esaminare per esprimere il loro giudizio 
sulla sua ammessibilità nei volumi delle Memorie, è il frutto delle 
ultime ed attivissime ricerche geologiche e paleontologiche che l’au- 
tore continua indefessamente nel suolo del Piemonte e della 
Liguria. 

Come risulta dal titolo: Aggiunte alla fauna malacologica 
estramarina fossile del Piemonte e della Liguria, il sig. Pro- 
fessore Sacco in questo suo scritto si limita allo studio di parec- 
chie forme, non comprese finora nelle sue precedenti Memorie 
sullo stesso argomento, o perchè nuove per la scienza o perchè 
meritevoli di essere notate per la loro provenienza da località 
recentemente scoperte dall’Autore. x 

Il materiale scientifico dello scritto del sig. Prof. Sacco si può 
distinguere in tre parti: 

1° La descrizione di parecchie nuove specie e di alcune 
varietà di specie già note; 

2° Una speciale Monografia delle, Melunopsis trovate finora 
in Piemonte ed in Liguria corredata da un gran numero di buone 
figure rappresentanti tutte le specie distinte, le varietà di specie 
note e le variazioni intermedie, dalle quali figure. nel mentre si 
deducono gli stretti legami che collegano fra loro le specie del 
genere e ne rendono perciò difficilissima la distinzione, valgono 
per altro lato a porgere allo studioso un criterio sui caratteri del 
guscio che suggerirono all’autore la classificazione adottata e che 
molto difficilmente si sarebbero potuti esprimere in modo suffi- 
ciente con tali parole; 


239 


3° Il catalogo generale di tutti i Molluschi estramarini 
trovati fino adesso in Piemonte ed in Liguria, tanto nei terreni 
terziarii, quanto nel quaternario, il quale catalogo riassume i 
lavori publicati anteriormente dall’autore sullo stesso argomento, 
coll’aggiunta delle forme descritte nell’ attuale sua Memoria, e 
coll’indicazione delle nuove località che egli ha scoperte in questi 
ultimi tempi. 

Il Prof. Sacco è benemerito della Paleontologia estramarina 
del Piemonte e della Liguria; infatti i Molluschi terrestri, e 
d’acqua dolce o salmastra fossili di queste regioni prima delle sue 
ricerche non sommavano che a circa una ventina di specie sparse 
qua e là nelle opere di Paleontologia locale, mentre ora nel 
catalogo annesso alla presente Memoria, il quale è il riassunto 
delle sue ricerche, ascendono tra specie e varietà a circa trecento; 
inoltre i precedenti lavori paleontologici del Sacco sono una prova 
della sua competenza nella materia, epperciò la Commissione dopo 
alcune leggere modificazioni proposte nel titolo e nella esposizione 
dei caratteri delle forme descritte che l’autore ha accettate, pur 
lasciando allo stesso la responsabilità delle fatte denominazioni e 
delle sinonimie riferite, non esita a proporre lo scritto del signor 
Prof. Sacco per la lettura alla classe nella fiducia che l’Acca- 
demia voglia approvarne la stampa nei volumi delle Memorie. 

L'estensione del testo ed il numero delle tavole (2) sono nei 
limiti assegnati dai regolamenti accademici per l’inserzione nelle 
Memorie. 

Torino, 15 marzo. 
L. BELLARDI, Stelatore 
GIORGIO SPEZIA. 


La Classe accoglie la proposta dei Commissari, e, udita la 
lettura del lavoro del Dott. Sacco, ne approva la pubblicazione 
nei volumi delle Memorie dell’Accademia. 


Il Direttore della Classe 
ALronso Cossa. 


- riot leree_ 


restera lors Toti i iffgi ib olc19n98 pre 
19î jo odtioi aio ME Jo atanutasi tti osa5ha ‘( 
duri apalatan als Bb, vicamatavp San ot 
otiociuia ogaga oflie srotita Sii; otooitmoinatin. 198 
è nile MM eo pla osdar Marea t aly'So0-161 tft 
i ie: ni aprodobe aileido orta ffibvot qvogii lana 


‘ 
Li 


portibin ent; 26 3 signtotroo! ei alfeb adorano 6 nIIs? E 
si ittercioi. infoenffo 16: i idtatat «gtupil Af{sb o 
iudioliob. pmiag itoigoi 9tenup it oso? artenortaa 071 
ani gigoga ibranijasy ov n019) a ufo snavamiozi 
retiotit  élasoî sigolognosfst sh umoqo 


farti «sto 
gironsali \atitgega; ‘alloro 


depuaia she di, è colanp HT 
Meno agio sg Ataticr n nice re) Ofobiadet 


ito pos opari ggoni ‘abinigoloteoc! spiga! nf 


ETTI sh anvizziondializa tdi meo ntrstà ci pilauressoi 
ET TETRICGA Na allag aguofoti) ian stai ta e, 
uc ojattonoa pil'eion i dò tto nariot PR 
s Luojranimonoh, atte! i{nfy &iilidaanogr9t kl casate | ila 
connialoh oliima of artegotg e agian i oiti i indie è 
AT do gioghi sito ostelo alla atttàl est) 
sicontalii ‘Gllob Hyulo iomitgtanta vali ade 
ing ocog,£),alovat alato vaitian lisfio Adestelab 
allor astoiminani L.go. into: bada inocislonnio sad 
Avene nen 


aqotplafiu 10014 tania] © 


o AL gori) i lt 
” 044 424 1038 é 


nfeatilie gii iol etvoxporng af nifnosma: 
Ra magna br avete MRO ad 'IRACIOLO 
MELIA ite lia Soi 

imma, dif 121 E : î doni. 

LLeorite . °C Li fa L Ha co_M È: 

avesti nia insito Va: ra doro Ma 


Rpg agiliamizo = 10° dini Agi 
à Loro Mad, rILOTI 


Classe di Scienzo Fisiche, 


FERRARIS _ ‘Rotazioni elettrodinamiche prodot CORR mezzo 
renti alternate | 


x 


ola. 
pone 


ALI 
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


DI TORINO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XXIII, Disp. 10°, 1887-88 


«Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


TORINO 
ERMANNO LOESOHER 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


241 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza dell’ 8 Aprile 1888. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI 
VICEPRESIDENTE 


Sono presenti i Soci: Cossa, LESSONA, SALVADORI, BRUNO, 
Basso, D’Ovipio, FERRARIS, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI. 

Si legge l'atto verbale dell'adunanza precedente che è ap- 
provato. 

Viene comunicata una lettera del Presidente della Società 
delle Scienze di Finlandia che annunzia la festa che colà avrà 
luogo il 29 del mese corrente in commemorazione del cinquan- 
tesimo anniversario della fondazione di quella Società. 

Il Direttore della Classe dà lettura di una lettera esponente 
il progetto del Padre ToxpIinIi dei QUARENGHI, che si propone 
l'esame e la preparazione dei mezzi per raggiungere l’adozione 
generale del Calendario Gregoriano. Dopo alcune osservazioni del 
Presidente e del Socio Mosso, la Classe delibera di nominare ana 
Commissione perchè studi la questione e ne riferisca il risultato. 

Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine se- 
guente: 

1° « Sul calcolo delle deformazioni dei sistemi articolati » ; 
lavoro dell’Ingegnere Elia Ovazza, presentato dal Socio Cossa ; 

2° « Sul problema della corda vibrante »; Memoria del 
Dott. Giacinto MoRERA, Prof. nella R. Università di Genova, 
presentata ‘dal Socio D'OvipIo. 

Tra i libri presentati sono segnalati i seguenti: 

1° « Sopra il sistema linfatico dei rettili; Ricerche 
zootomiche di Bartolomeo PANIZZA il quale fu insigne Professore 
di Anatomia umana nell’ Università di Pavia; opera offerta in 
dono all'Accademia dal Socio Alfonso Cossa ; 


Atti R. Accod. - Parte Fisica — Vol. XXIII 20 


g\A DELLE dd 
pat CA TL 
ST n 


242 ELIA OVAZZA 


2° « Il termometro registratore Richard ; Considerazioni & 
sulle proprietà delle temperature massime e minime, del 
Prof. Domenico RagoNA, Direttore del R. Osservatorio di Modena, 
presentate dal Socio Basso. 


LETTURE 


Sul calcolo delle deformazioni dei sistemi articolati, 


Nota dell’ Ingegnere ELIA Ovazza. 


1. Il Professore MoHnR di Dresda trattando recentemente del 
moto d’una figura piana sul suo piano con legge qualunque (*), 
accennò all’opportunità di studiare l’argomento della deformazione 
dei sistemi elastici partendo dalle teorie cinematiche del moto 
composto. Nello stato attuale della scienza delle costruzioni il bi- 
sogno di semplificarne le teorie e di trovare metodi semplici di 
calcolo: per la pratica è così sentito, che non si deve lasciare 
intentata alcuna via che miri a soddisfarlo. 

Questo scritto si occupa appunto di un tale studio, limitato 
al caso dei sistemi articolati caricati ai nodi. 


2. Si consideri (fig. 1°) un sistema piano qualunque di punti 
V.,, V., V;3... mobili nel piano del sistema con legge qualunque, 
e per un punto p scelto ad arbitrio si conducano dei segmenti 
pv, , Pv, , Pv... equipollenti alle velocità dei punti V,, V,, V;... in 
un dato istante alla fine del tempo # contato a partire da un’o- 
rigine arbitraria dei tempi. La figura pv, v, v;... si dirà il dia- 
gramma delle velocità dei punti del sistema per la fine del tempo #. 
Il segmento , v, collegante due punti qualunque di questo dia- 
gramma è la velocità relativa del punto V, rispetto al punto V. 
nell'istante considerato, e le proiezioni v,v, e v, v, di 7, v; sulla di- 
rezione della retta V, V, nella sua posizione alla fine del tempo # 


(*) Monr, Ueber Geschwindigheitpline und Beschleunigungpline-Civilin- 
genieur. Jahrgang, 1887, seite 631. 


CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 243 


e sopra la direzione perpendicolare a questa sono le velocità del 
punto V, alla fine del tempo # nei due moti elementari in cui può 
.scomporsi il moto di V, relativo a V,: uno di traslazione nella 
direzione V,.V, e l’altro rotatorio attorno a Y,. Per brevità la ve- 
locità v,v', diremo la velocità di dilatazione della retta V,YV,; il 
puri la velocità di dilatazione unitaria della retta 
Lis s 
V.V,, supposto che questa sia una retta materiale che si 
dilati uniformemente per tutta la sua lunghezza. ll rapporto 
Vv UA 
AR 
nente rotatorio attorno a V, . 


rapporto 


è la velocità angolare della retta V, V, nel moto compo- 


3. Se V, VW, V.... è un sistema rigido, è nulla la velocità di 
dilatazione per ogni retta congiungente due punti del sistema, e 
quindi la velocità «,v, d'un punto qualunque Y, rispetto ad un 
altro punto Y, riducesi alla velocità di rotazione v', v,. Il sistema 
V,V.,V,;... nella sua posizione alla fine del tempo t ed il dia- 
gramma delle velocità v, ©, v;... per lo stesso istante costituiscono 
adunque due figure simili aventi le rette omologhe rispettiva- 
mente perpendicolari. Il punto P della prima figura omologo al 
polo p della seconda è il centro d’istantanea rotazione per l'istante 


DI 


considerato. Il rapporto di similitudine delle due figure —— 
pes È 
la velocità angolare della rotazione elementare. 

Se, come caso speciale, due punti v.v, del diagramma delle 
velocità coincidono in un punto , coincidono con v tutti i punti 
del diagramma, ridotto così al polo p ed al punto v, e quindi il 
VU 


rapporto di similitudine è nullo. Deve perciò essere P al- 


LI 2 


l’infinito sulla direzione normale a pv, e quindi il moto elementare 
del sistema è progressivo con velocità pv. 


4. Se il sistema VW, V, V,... nel muoversi si deforma conser- 
vandosi simile ad una data figura, sono eguali le velocità di 
dilatazione per tutte le rette del sistema. Peraltro siccome per 
due posizioni qualunque del sistema sono egaali gli angoli fatti 
da tutte le coppie di rette omologhe, sono pure uguali in un 
dato istante le velocità angolari per tutte le rette del sistema. 


244 ELIA OVAZZA 


Segue che le figure V, V, V;... e ©, ©, v3... corrispondenti ad uno 
stesso istante sono ancora simili, e le rette omologhe fanno fra 
loro un angolo 0 la cui tangente è uguale al rapporto fra la 
velocità angolare (costante per tutte le rette del sistema) e /a 
velocità di dilatazione unitaria comune a tutte le rette del 
sistema (*). 


5. Il sistema VV, V;... sia tale che la posizione d'ogni suo 
punto dipenda direttamente da quella di almeno due altri punti. 
Se per un dato istante sé conoscono le velocità di dilatazione 
per tutte le rette congiungenti due a due i punti direttamente 
dipendenti fra loro, il diagramma delle velocità per quell’istante 
è determinato quando sieno ancora note la velocità assoluta di 
un punto V, e la direzione della velocità d'un altro punto V, 
relativa al punto V,. Invero (fig. 2°) condotto pel polo pil seg- 
mento pv, rappresentante la velocità assoluta di V,, conducasi per 
v, una retta indefinita V,p nella direzione data della velocità di V,, 
si tiri v, 0, parallela a V, V, ed eguale alla nota velocità di di- 
latazione della retta V, V,: la perpendicolare per v', a ®, ©‘, in- 
contra la V,p. nel punto 2,, ed è , v, la velocità di V, relativa 
a V,. 11 punto v; corrispondente ad un punto V; vincolato di- 
rettamente coi punti V, e V, è determinato da ciò che %, 03 e v, %; 
devono proiettarsi rispettivamente sulle direzioni di V, V3 e V, W3 
secondo le note velocità di dilatazione v,v, e v,v'3 delle rette 
V,V, e V., V;. In generale ogni nuovo punto ®, del diagramma 
delle velocità corrispondente ad un punto V, direttamente vinco- 
lato a 2 punti V,_,e V,_, è determinato da ciò che le pro- 
iezioni 0,_, 0, @ v._,', dei segmenti v,_, ©, € v,_, v, sopra le 
direzioni V._,YV, e Y._,YV, devono essere le note velocità di 
dilatazione per le rette V,_,V.,e V._.,V.. 

Se il punto V, è fisso ed è invariabile la direzione Vi V,, ì 
punti v, e p coincidono, come pure le rette v, v, e 0, 0. 


6. Considerisi ora un sistema piano comunque variabile 
V,V,V;... e si immagini una coppia invariabile di assi carte- 
siani z ed y avente l’origine in un punto qualunque V, e l’asse x 
passante costantemente per un altro punto Y, del sistema. Qua- 


LS 


(*) Come caso speciale, se è nulla la velocità di dilatazione unitaria, cioè 
il sistema è rigido, è = 90°, secondo che fu detto al numero 3. 


CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 245 


lunque sia il movimento del sistema, esso può sempre conside- 
rarsi composto del moto della coppia invariabile di assi x ed y 
e del moto del sistema V, V, V;... relativo a questi assi. Pel primo 
movimento — moto d'insieme — le velocità dei singoli punti com- 
portansi come se il sistema fosse rigido, quindi il corrispondente 
diagramma pz,7,%;... delle velocità per un dato istante è simile 
alla figura Y, V, V; nella posizione che ha in quell’istante, ed 
anzi gli elementi omologhi delle due figure sono fra loro ad an- 
golo retto. Pel moto relativo 0 di deformazione, il diagramma 
delle velocità pf}, {2,;... per un dato istante, dietro quanto si 
disse al numero 3, è determinato quando sieno note le velocità 
di dilatazione delle rette unenti i punti direttamente fra di loro 
vincolati. Descritti i due diagrammi per uno stesso istante (fig. 3), 
con lo stesso polo p, i segmenti di retta %,},, 2, {?,, 4323; ... sono 
le velocità effettive dei corrispondenti punti V,, V., V}, ... del 
sistema per quell’istante. 

Nel moto di deformazione considerandosi V, fisso ed invaria- 
bile la direzione V, V,, i punti p e {}, coincidono e così pure le 
rette 6," e f,p.. 

Se il moto degli assi x ed Yy è progressivo con velocità p 2,, 
il diagramma 2, %,%3... riducesi al punto z, e quindi 7 d;agramma 
delle velocità effettive del sistema è la figura f},(3,(?3... quando 
scelgasi per polo «, . 


“. Prendiamo ora a considerare un sistema articolato piano 
formato con aste prismatiche unite a cerniera e non deformabi!e 
che in seguito a deformazioni delle aste. Sotto l’azione di forze 
applicate ai punti di concorso di più aste — mod: del sistema —, 
se si trascurano le resistenze d’attrito nelle cerniere, le varie aste 
sono sollecitate da sforzi diretti secondo i proprii assi e quindi 
se le sezioni delle aste che risultano compresse sono capaci d’im- 
pedire in queste il fenomeno della flessione laterale, le aste si 
allungano od accorciano senza inflettersi. Supposto che le dila- 
tazioni positive o negative, As, sofferte dalle lunghezze s delle 
aste siano sì piccole da potersi ritenere con sufficiente approssi- 
mazione invariate le direzioni delle aste in seguito alla deforma- 
zione, le dilatazioni As si possono ritenere proporzionali alle ve- 
locità di dilatazione per le singole aste ed il diagramma delle 
velocità pel sistema formato dai punti di concorso degli assi delle 
aste, costrutto servendosi di quelle dilatazioni come se fossero 


246 ELIA OVAZZA 


velocità di dilatazione, dà nelle velocità dei singoli punti del si- 
stema in grandezza, direzione e verso gli spostamenti subìti dai 
nodi corrispondenti in seguito alla deformazione, e può quindi 
chiamarsi il diagramma degli spostamenti dei nodi del sistema. 


8. Volendosi adunque determinare gli spostamenti dei singoli 
nodi V,, V,, V;,... d’un sistema articolato piano caricato ai nodi 
Sil delle cunicidunadioni precedenti, si calcolino mediante un 
diagramma reciproco od altrimenti gli sforzi agenti secondo gli 
assi delle singole aste, e se ne deducano le dilatazioni As me- 


diante la formola 


ST 
AST.TP ;(d- tuta 


ove s ed F indicano la lunghezza e l’area della sezione trasver- 
sale d'un’ asta qualunque, £ il modulo d’elasticità del materiale 
ond’è fatta l’asta e 7 lo sforzo totale agente secondo l’asse, da 
considerarsi positivo o negativo secondochè è una tensione od una 
compressione. Considerato un nodo V, come fisso e fissa la dire- 
zione d'un’ asta V, V, uscente da V,, si disegni il diagramma 
PE.f.:... delle velocità pel moto di deformazione pel sistema 
di punti formato dai nodi V,, V,, V;,... considerando le dila- 
tazioni As delle aste come velocità di dilatazione dei loro assi. 
Queste velocità si considereranno come positive o negative, cioè 
come velocità di dilatazione nel senso proprio della parola o come 
velocità di compressione, secondochè As risulta positivo o negativo, 
cioè un allungamento od un accorciamento. Considerando poscia 
il sistema come rigido, si costruisca il diagramma pa, %, &; ... delle 
velocità corrispondenti ad un moto capace di portare l’asta V, 7, 
nella posizione voluta dalla natura dei vincoli della travatura con 
gli appoggi. I segmenti «, f,, 4... 83. -.. misurano gli sposta- 
menti effettivi dei singoli nodi V, V, V;... prodotti dal supposto 
sistema di carichi applicati ài nodi (*). 

Se dalle condizioni di appoggio e di carico si può a priori 


(*) Cfr. WiLLior, Notions pratiques sur la statique graphique. Génie civil. 
Octobre et Décembre 1877, 
KRo8N, Der Satz von der Gegenseitigheit der Verschiebungen, und An- 
vendung desselben zur Berechnung statischunbestimmter Fachwerktriger. Zeit- 
schrift des Architekten-und-Ingenieur Vereins zu Hannover, 1884. 


CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 247 


riconoscere che la direzione di un’ asta non varia durante la de- 
formazione, converrà scegliere quest’asta come fissa per la costru- 
zione del diagramma pel moto di deformazione, chè per tale 
scelta il moto d’insieme del sistema considerato come rigido, ri- 
ducesi ad un moto progressivo, e quindi il diagramma f, ?, f;..., 
per quanto fu detto in fine del numero 6, dà immediatamente gli 
spostamenti effettivi dei nodi. 

Se le condizioni d’appoggio e di carico non permettono tale 
semplificazione, vanno effettivamente disegnati i due diagrammi 
@, 4,3... € {}, (8. {3... Così nel caso di un sistema avente un nodo 
Bio Y; ed un altro V, scorrevole in direzione determinata V,s, 
si incominci a supporre fisso oltrechè il punto V, anche la dire- 
zione d’un’asta VV, passante per V, e si idastroféea il dna 
PB. pz... pel it di deformazione (6, coincide con p e {};{}, con 
B,6,). Il moto d'insieme si riduce ad un moto rotatorio attorno 
a V,e quindi il diagramma corrispondente delle velocità ha il 
punto <, coincidente con {, (fig. 4). Per altro siccome il punto La 
non può muoversi che nella direzione V,s, la velocità effettiva 
Ù, (33 del punto V, deve essere parallela a 04 s. Tirisi adunque 
per ti la parallela V, FP a V,s e costruiscasi il diagramma &, 2,43... 
simile alla figura V, V, V,..., avente i lati rispettivamente nor- 
mali agli omologhi ed il punto 2, sulla V,U. Restano in tal 
modo determinati gli spostamenti 2, {f., «,?,, <{}3,... dei singoli 
nodi del sistema. 

Se invece il sistema ha due nodi fissi V, e V,, la retta V, Vg 
considerata appartenente al sistema va ritenuta rigida. Allora 
supposta fissa un’ asta V,V, passante per V,, e costrutto il 
diagramma (?,{},8;... pel moto di deformazione (8, coincide col 
polo), deve riuscire f,, normale a V, Vz. Costruiscasi (fig. 5) il 
diagramma <, 2, 4; ... pel moto d’insieme (rotatorio attorno ad A) 
per modo che il segmento %,%z corrispondente a V,W% riesca 
coincidente con (3,(3z. I segmenti «, fi. @,(8,, 43{;,... misurano gli 
spostamenti dei singoli nodi V,, V,, V;,... del sistema. 


9. Volendo tener conto delle deformazioni prodotte da va- 
riazioni di temperatura nei sistemi articolati, conviene distin- 
guere questi sistemi secondochè in essi le dilatazioni termiche 
possono avere o non avere luogo senza che perciò sieno provo- 
cate delle tensioni nelle aste. Nei sistemi della prima specie le 
varie aste soffrono in seguito alle variazioni di temperatura delle 


248 ELIA OVAZZA 


dilatazioni proporzionali alle loro lunghezze s, e queste dilatazioni 
sono determinate quando conoscasi la variazione di temperatura 


per ogni asta ed il coefficiente di dilatazione termica. Anzi. 


nell’ipotesi che la temperatura varii uniformemente per tutto il 
sistema e che il coefficiente di dilatazione termica sia lo stesso 
per tutte le aste, il sistema varia conservandosi simile a se stesso 


e quindi gli spostamenti dei nodi per la sola variazione di tem- 
peratura si trovano mediante le considerazioni fatte al numero 4. 
Pei sistemi della 2° specie devonsi dapprima determinare gli sforzi _ 
prodotti dalle variazioni di temperatura nelle singole aste per 


aggiungerli a quelli provocati dai carichi applicati ai nodi. 

La ricerca degli sforzi provocati da cambiamenti di tempe- 
ratura può essere facilitata applicando le considerazioni prece- 
denti. Trattisi per esempio di una travatura reticolare caricata 
di pesi e fissa in due punti situati di livello, la cui temperatura 
varii in modo uniforme per tutto il sistema. Per effetto del cam- 
biamento di temperatura si provocano sugli appoggi delle reazioni 
o spinte orizzontali non staticamente determinabili. Suppongasi 
per un momento (fig. 6) fisso un appoggio A e l’altro appoggio B 
scorrevole orizzontalmente e si determini lo spostamento che in 
tali condizioni subirebbe l'appoggio B: si calcoli il valore della 
forza capace d’impedire tale spostamento; se ne potranno in se- 
guito dedurre gli sforzi prodotti da essa, e quindi dal supposto 
cambiamento di temperatura, in tutte le aste (*). 

Gli spostamenti prodotti dalle variazioni di temperatura vanno 
composti come velocità cogli spostamenti prodotti dalle forze ap- 
plicate ai nodi per dedurne gli spostamenti totali effettivi. 


10. La costruzione grafica che risulta dalle considerazioni pre- — 


cedenti e che fu prima esposta dal WiLLIoT nell’anno 1877 (**), 
dà modo di determinare gli spostamenti effettivi di tutti i nodi 
del sistema; essa però, meno in casi specialissimi, obbliga alla 
ricerca simultanea di tutti quanti questi spostamenti. Nelle ap- 
plicazioni pratiche importano in generale soltanto le proiezioni in 
direzione determinata degli spostamenti di certi nodi: riesce quindi 
opportuno di saper calcolare tali proiezioni in modo diretto. 

In un sistema elastico articolato consideriamo due aste 


(*) KRroHn, l. c. 
(**) WitLtor, l. c. 


CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 249 


Va-1Vn € Va Vn+i Concorrenti in uno stesso nodo V,,. Po- 


m Nur 


Eito (fig. 7): 


B=V..Vn E) Sn = Va Va be è, b) 
Cm ® Cm4+1 = proiezioni verticali di s,, ed 8, 
Im ® dm = proiezioni orizzontali di s,, ed $,,,: 


ed s 


m 


e V 


moi 


uni angolidi s Sn4+ Colle orizzontali per 
Et. contati positivamente a par- 
tire dalle aste girando nel senso opposto 


a quello delle lancette dell’orologio, 
geransolo sperare 


m— I m miti 


d 


m— 1) 


O, Om4i = proiezioni verticali degli spostamenti dei nodi 
V, Vi Vus considerati positivi se 


m—_—i1)? moi 


rappresentano abbassamenti. 


Sieno inoltre As, Ae, 47, Ay, 47 le variazioni delle quantità 
s, €, ), y, 9. Se per un istante qualunque della durata del moto 
del sistema indichiamo con 7,, ed @,, le componenti della velocità 
relativa di V,, rispetto a V,,_, nella direzione V,,_, V» e nella 


direzione normale a V,,_,V,,, e con «, la proiezione di tale ve- 
locità sulla verticale, si ha 


U rm — Tm SED Ym -£ Gn, COS Ym 


Onde sostituendo alle velocità %,,, t1; @m gli spazi piccolis- 
Simi A€m, ASm, Sn Am, Cui possono considerarsi proporzionali per 
le considerazioni fatte al numero 7, risulta: 


A Cm Cai A Sm SEN Im dk Sn Ym COS Ym È) 


od anche, poichè 5,,C057m=m 


A Cm As 
JROÌ == 157 + 47Ym rese. * (2) ’ 
Ed analogamente i 
fa) Cm I AS m I 
Po ne RELA da 
mt+i Sm+ti 


Da queste due ultime eguaglianze, poichè si ha: 


N % n 
LIZA .. Ora Om 1 Alm 9 AV SJm = Ad 


DO 
UT 
2° 


ELIA OVAZZA 


% N N n 
. . On dn_1i i 7" n 
ricavasi : —-— TT =u%,y corpo 
RE Aa 
As 

4 m mt I 
se sì pone w%,,= tI Im 49Ymp Dm ti 

m miti 


Questo risultato ha un significato notevole (*). Considerisi in un 
sistema articolato una successione di aste formanti una linea spez- 
x È Nt 
zatàa VV. Vi...Vn_ Via mac no°0 86, DÒ prOsCiat NI 


m 
tici su di nn orizzontale in.C., Milos Ca iriOar CE 
Sieno (fig. 8) ),,4,,,,... le lunghezze C, C,, C, C,, C, C;,... Calco - 
lati i numeri %,, %0,, w3..., W,_, Che si hanno dall’espressione di 
W,m ponendovi successivamente m = 1, 2, 3..., si applichino in C,, 
C,, C;..., dei pesi misurati da %w,,w%,,%, ..., rispettivamente, e si 
colleghino questi pesi mediante un poligono funicolare D, D, D,...D, 
con una distanza polare qualunque H. Sieno %,,%3:%iz;--. Mn_ le 
ordinate di tale poligono in corrispondenza delle verticali per 


C,, C,, C3,... Cn, contate da un’orizzontale qualunque 00. Dalle 
due coppie di triangoli simili D,,_,X,D, ed m_—1qP, 


Pit Day dg P ssi. ha 


Imi Im __ mq Ma Mat 0 7 Fa 
< == , A” "ee. 
de del HH i H 
H (tn -% H(n n 
Onde ( m sta DR ( mt 1 ui, “a , (5) 
in LIMA: 


- 


Paragonando le relazioni (3) e (5) deducesi che le ordinate 
del poligono funicolare collegante le forze w, nella scala di 1 ad H, 
misurano a meno di una costante arbitraria gli abbassamenti è 
dei vertici della spezzata considerata. Se uno dei vertici V, è fisso, 
quelle ordinate lette a partire dall’orizzontale per D, misurano 
nella scala di 1 ad 7 gli effettivi abbassamenti dei nodi. Se sono 
fissi i vertici estremi V,, V,, e questi sono di livello, il diagramma 
degli abbassamenti dei vertici V,, V,... V,_, coincide col dia- 
gramma dei momenti flettenti per una trave C, C, appoggiata sem- 
plicemente agli estremi e sollecitata da pesi proporzionali ai nu- 
meri 4W,, W,,...U 


;) 
n_ 1° 


(*) Cfr. MiLLerR-BresLau, Die neueren Methoden der Festigheitlehre. Leipzig, 
1886, 


PA 
# 


CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 251 


11. — I numeri w,, sono determinati se oltre alle dilata- 


ST 


zioni unitarie (che si determinano partendo dagli sforzi sol- 


m 

lecitanti le aste, come si è ricordato al numero 8) ed oltre alle 
inclinazioni #9 Y,, (che in ogni caso sono date), si conoscono le 
‘variazioni angolari A9,,. Pel calcolo di queste variazioni angolari 
supponiamo che la spezzata V, V, V,... V, considerata sia tale 
che ogni suo angolo possa considerarsi come somma di angoli & 
di triangoli aventi nodi ai vertici e non lungo i lati (*). In tale 
ipotesi la variazione cercata A %,, sarà quindi la somma delle va- 
riazioni Ae degli angoli : che hanno vertice in V,, e sarà nota 
quando sieno note queste variazioni As. 

Per calcolare tali variazioni consideriamo (Fig. 9) un trian- 
golo qualunque YV,, V, V, formato da 3 aste s,=V,V,, 
Si VoVn » = Va, Sieno e; €: €, gli angoli di questo 
triangolo , è calcoliamo A e,, nell'ipotesi s,,, s,, s, si dilatino 
rispettivamente di 4s,,, 4s,, As,. Senza nuocere alla generalità 
del problema potremo supporre fisso il vertice V,, ed invariabile 
la direzione di V,,V,,; sarà Ae,, l'angolo di cui rota s, attorno 
BV. 

Diciamo tm, 7, 7, le velocità di dilatazione pei singoli 
lati del triangolo e costruiamo il diagramma della velocità pel 
sistema dei 3 punti V,, V, V, nelle condizioni esposte. Preso perciò 
un punto ad arbitrio come polo, in esso coincide il punto f?,, del 
diagramma delle velocità che corrisponde al punto fisso V,,. Tirisi 
Pm è. equipollente a 7, , cioè parallelo a Y,, V,, ed eguale a 
7,; {£, è il punto del diagramma delle velocità corrispondente 
a V,. Si tiri ora £,,(?, parallelo ad s, edeguale a 7, e fnfp 
parallelo ad s,, ed eguale a 7,,: le perpendicolari nei punti 


8, fp ® tm @ © si incontrano nel punto {,, che è il punto 
del diagramma della velocità corrispondente al vertice V,. Il 
segmento {?, {, misura la velocità @ del punto V, nel suo moto 


rotatorio attorno a YV,,. Ciò posto dalla figura, se {, è è per- 


a bi 


n 


endicolare a £,,° si ha: 
pp 
— cpr "0 ; la ra 5 : 
PB; B,=tp500E,n— Tm SONE; m+ Ppid .C0tg im ---(6), 
Ta PCOS.E34 + Ta 60987 1 + [9 d Mr" 4) 


(‘) Non sarà difficile in seguito estendere le considerazioni presenti ai casi 
che nòn rispondono a tale ipotesi. 


252 ELIA OVAZZA 


Eliminando {8, 6 fra le (6) e (7) e posto fi, P,=%, risulta 


m 


Gt SR, — Tn SEL pi die (pCOSpr to OS ca )COtg 8,m- 


Detta Q la velocità angolare di V, nel moto rotatorio at- 


torno a V,,, ossia della retta V,, Y,, essendo 


1) 4 Liga: 
QO=—-, dalla precedente relazione si ricava: (*) 
m 

7 E sen € 
O=Lcotg5,m + mi ht 0 La 

Sp ri SED &, miSCM rm 


Se /,, è l'altezza del triangolo abbassata da V,, SU Sm, è 


s sen £ dute 
— — eZ, e quindi 
hi SEN Ep SD Enm 
T ‘4 6 
Subs) 2 n È mm 
O=teotg i dg Denen of 
a Sn Sm (e) 


% 


Se ora, come al numero 7, supponiamo gli spostamenti sì piccoli 
da potersi considerare proporzionali alle a , possiamo in 
questa formola alle velocità 7,,, t,, 7, £ sostituire le varia- 


zioni Asm, As,, As,, Aen delle quantità s,, Sn) Sp 1 €m* Onde 


mi 


As, As, 
A Em" e 2 cotg sil: isa cotg Ca — — n 


#P n m 


* n : . peo È Pi s fì 
(*) Invero, essendo s,,, :5,:5, == S@N?,,:S@Ns,m:SeNemp, Si ha: 


(0) 2, Sen =, sen e T_, Sen € sen e % 
DE LU ew pu nm __m nm pr mi -" cotg È 


_ _—__—_—_ (Sen €, Enm + 08 Enm COtg Em) ;, ed 


1 
send, 


€pn) ='— (088, > SON ing + COSE COTB inn = 


CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 259 


$s 
E poichè ra) = COLE En) 1: COLE Soon a 


m 


A As A As 
A Em — (2 ud e) cotg (5 AI Li (= = =) cotg En ..-(8). 


Sp Um n m 


Questa formola determina Ae,,, note, come. sempre si è supposto, 
le dilatazioni As,, 4s,, As, dei lati del triangolo VV, V,(*). 


12. — I risultati ottenuti ai numeri 10 ed 11 concordano 
perfettamente con quelli trovati per altre vie dal MiLLER-BRESLAU 
e dal WINKLER nelle opere citate a piè di pagina Intorno ad essi 
dobbiamo però fare un’ osservazione importante. I ragionamenti 
esposti ai numeri 10 ed 11 sono indipendenti assolutamente dal- 
l'orizzonte fisico, ond’essi stanno ancora quando all’ orizzontale 
C,C, sì sostituisca una retta qualunque F,F,, con 0 si indi- 
chino le proiezioni degli spostamenti dei nodi sulla normale ad 
F,Fn, gli angoli y si misurino colla retta XF, invece che con 
l'orizzonte, e le forze w,, si applichino normalmente ad 7,7, . 

Segue che gli spostamenti effettivi dei nodi oltrechè diret- 
tamente mediante le considerazioni di cui ai numeri 8 e 9 si 
potrebbero ottenere mediante le considerazioni ai numeri 10 ed 
11, determinandone le proiezioni sopra due direzioni qualunque. 
È d’uopo però di non dimenticare che fin qui abbiamo supposto 
le velocità dei nodi proporzionali agli spostamenti : ora se questa 
ipotesi in generale equivale a trascurare quantità piccolissime di 
2° ordine, essa può in casì speciali essere causa di errori di 
grandezza piccolissima di 1° ordine e quindi paragonabili ai va- 
lori degli spostamenti. 

Per rendere evidente la cosa consideriamo il caso (Fig. 10°) 
in cui la spezzata si riduca ad una successione di aste in linea 
retta e per tutte queste aste sia costante la dilatazione unitaria 


s È ] 
—" , e supposto fisso il punto Y, cerchiamo lo spostamento di 
s 


m 


(*) Cfr. MòLLER-BBESsLAU, Die neueren Methoden etc., l..c. 
WinkcLER, Vortrage ùber Briickenbau - Theorie der Briicken. Wien, 
1881. 
W. RITTER, Die secunddaren Spannungen in Fachwerken. Schweizerische 
Bauzeitung, Marz, 1885. 


un'altra v facente con la normale a VV, l'angolo vw. Le forze 
W,, da applicarsi ai nodi nelle due direzioni v e « sono in tal 
caso eguali, e riduconsi alle variazioni — 40,,. Quindi i due po- 
ligoni funicolari che dànno gli spostamenti nelle direzioni « e ®, 


204 ELIA OVAZZA 
un nodo qualunque V,, nella direzione © normale a_V, VW, ed in 


costruiti con la stessa distanza polare H, risultano simili nel 
rapporto di cos g, sicchè detti f ed f,, gli spostamenti di uno 
qualunque dei nodi V, V,... YV, nella direzione v e nella « 
sarebbe 


fi=fcos 9 ; 


dalla quale si deduce che lo spostamento effettivo di ogni singolo 
nodo sarebbe normale alla retta V, V,, ciò che è impossibile. 
Basta infatti supporre che V, V, . . . V,, sia il contorno inferiore 
di una trave reticolare fissa in V, e scorrevole in V, nella di- 
rezione V, V, e sia costituito da un numero dispari di aste di 
lunghezza eguale. Pel punto V, essendo nullo lo spostamento ver- 
ticale dovrebbe essere nullo lo spostamento effettivo; ciò che non 
può essere, perchè in tale caso almeno una delle aste deve riu- 


scire dopo la deformazione inclinata all’orizzonte diversamente . 


dalle altre. 


135. — Per trovare in quali condizioni l’errore è d’ impor- 
tanza notevole ritorniamo sull'argomento del numero 110 e spin- 
giamoci nella ricerca fino alle quantità piccolissime di 2° ordine. 
Consideriamo l’asta s,, fra i nodi V V.:3 e conserviamo le 


Mt 9 mo 
denominazioni di cui al numero 10. Sia V,,., V,, la posizione 


dell'asta s,, dopo la deformazione, ed f lo spostamento effettivo 
di V,, (Fig. 11°). Si ha evidentemente 


A Cm = — SmSCDYm + (Sm + AS) SED (n +A7m) » 


{m 


1 
e sviluppando e ponendo sen Ayn= Am, 006 A47n=1—3(4%m": 


AdS, Ben Va dA. 009 Ya Am TT 


Rd MISA) 
de Sm . COS Im E; Ym se: Sm . sen Im a “eg 
4 
e poichè do = Sm COS Ym : 
Alm ASm 


AS m n) A” m (A- DE 
cn at "DE Segn tg va 


Sas tg Yin + Aypf 


m m “Um 


j 
| 
i 


CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 255 


Se ora vogliamo limitarci ai termini piccolissimi di 1° ordine , 
il 3° termine del 2° membro è trascurabile, e può porsi 


(A _ 


m ASm 
= VE 18m SE AYm si 


‘mm m 


18 Ym dat (1905 


la quale equazione differisce dalla (2) per l’ultimo termine 


ala 3 tg Im Li 


Se facciamo crescere 7, da 0° a 90°, questo termine, nullo 
per Ym=0, è quantità piccolissima di 2° ordine per Sn <A4D' 
o di poco > 45°, ma per valori prossimi a 90° diventa una 
quantità piccolissima di 1° ordine e quindi non trascurabile ri- 


A 
spetto alle quantità se tIYm € AYm- Segue che i risultati de- 
Sm 


dotti ai numeri 10 ed 11 stanno per una successione di aste in 
linea retta e per spostamenti dei nodi in direzione normale a 
questa retta, sono entro i limiti dell’approssimazione per valori 
di y minori di 45° o di poco maggiori, sono assurdi per va- 
lori di ‘) eguali o di poco minori di 90°. Possiamo quindi in 
generale applicare tali risultati al calcolo degli spostamenti ver- 
ticali dei nodi dei contorni delle travi reticolari da ponte, ove 
generalmente le aste sono inclinate all'orizzonte di meno che 45° 
nel caso però che qualche asta riuscisse inclinata all’orizzonte 
d’un angolo compreso fra 45° e 90°, converrà paragonare i va- 
(Am) 
2 


lori dei termini — tg). ai valori dei termini A7,, € 


As 
—* tg Ym Per riconoscere se quelli sieno trascurabili oppure non 
Sn 


rispetto a questi. 


14. — Trattandosi di una spezzata ridotta ad una successione 
di aste in linea retta (Fig. 12°), gli spostamenti dei nodi in di- 
rezione normale a questa retta si determinano a meno di quantità 
piccolissime di 2° ordine applicando le considerazioni svolte ai 
numeri 10 ed 11; con la stessa approssimazione determinansi 
gli spostamenti dei nodi nella direzione della retta stessa come 


256 ELIA OVAZZA 


segue. Sia V,..V, un'asta s,, che dopo la deformazione sia 
diventata 


magri i een; 
PEoS 148 Z Sm + ASm - Poniamo Nm St Vm Vu. Pm i 
È Sm ul ACm = (Sm + ASm) pit AYm É 


Ossia spingendo l’ approssimazione ai termini piccolissimi di 2° 
ordine 


Aces 


ni m 


Sm : 2 
Ea (4%/m) 


Se quindi d,, e 0; sono gli spostamenti di due nodi qual 
V.. e V; della serie di aste considerata, 


m m 


1 
Ò,, = Ò; + »> ASm er - 9 Î8,n z (AYm)" 
E limitandoci ai termini piccolissimi di 1° ordine (*) 
m 
O = 0; Zip itnosn(10)i 
i 
15. — Se indichiamo in generale con c,, la tensione unitaria 


che ha luogo in un'asta qualunque s,, e con E,, il modulo di 
elasticità del materiale ond’è costituita l’asta, si ha 


ASm ‘6 


‘m 


m m 


Onde le (4), (8) e (10) diventano: 


o, CARA 
Cm = tm 47m Am (1) 


T (0) o 
Ae == di Tel t =) LATINE ") INA 
«= (FE) cet + (E - £7) co  2NA 


On =d +25, sE 


Da queste eguaglianze deducesi che, se ci limitiamo ai ter- 
mini piccolissimi del 1° ordine, lo spostamento è,, di un nodo | 


(*) Cfr. WInKLER, 1. c., pag. 352. 


IT WVWr__————_—r—_———————_eo 


CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 257 


ualunque V,, in una direzione qualunque è funzione lineare delle 
q n 


tensioni unitarie 7 e quindi degli sforzi totali 7° agenti. secondo 
gli assi delle aste del sistema. Ma le tensioni 7" a meno di quan- 
tità piccolissime di 2° ordine sono funzioni lineari delle forze ap- 
plicate ai nodi del sistema (*); onde segue che indicando con 
P; una qualunque di tali forze applicata al nodo YV,, lo spo- 
stamento è, va riguardato come funzione lineare delle forze P,. 
Siccome per altro per valori nulli di tutte queste forze deve essere 
nullo d,,, potremo porre 


og =, Prep,P.4.. pi P, SAT): 


essendo f,, {2,:.. +, coefficienti indipendenti dalle forze P,. 
L'eguaglianza (14) esprime il principio della sovrapposizione 
degli effetti. 


ge E — | — po 0 prat po) 
ae Pd. 
si ha: Og . 


Onde uno qualunque dei coefficienti p, si può interpretare 
come lo spostamento del nodo V,, nella data direzione in seguito 
ad una forza 1 applicata al vertice. V, nella direzione di P,. 


16. — Sovente in pratica piuttosto che la deformazione di 
tutta una catena di aste consecutive si considera uno o più punti 
speciali del sistema e se ne cercano gli spostamenti in una di- 
rezione determinata per diverse ipotesi di carico. Così p. es. se 
si tratta d'una trave reticolare da ponte appoggiata semplicemente 
alle estremità, suolsi considerare il punto intermedio d'uno dei 
correnti e se ne cercano gli spostamenti nel senso verticale — 
freccia d’incurvamento — per varie ipotesi di carico, ed anzi 
ha importanza la ricerca della posizione d’ un dato sistema di 
carichi che produce la massima freccia. È evidente che in tali 
termini il problema sarà risolto nel modo più comodo se si sa- 
pranno determinare i coefficienti 1, che compaiono nell’eguaglianza 
(14) e che possiamo chiamare i numeri d'influenza dei rispet- 
tivi carichi P, sullo spostamento 3, . 


(*) Cfr. CasrigLIaNo, Thevrie de l'équilibre des systèmes elastiques, Turin. 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII DI 


258 ELIA OVAZZA 


Una forza 1 sia applicata al nodo V, nella direzione V;P,: 
essa provoca nelle varie aste degli sforzi 7}; e quindi degli al- 
lungamenti As, Pier La produce uno spostamento 0,,; del 

i E Pi 
nodo Y,, in una data direzione V,,P,,. Suppongasi ora che sul 
sistema agisca una sola forza 1 direttamente applicata al nodo 


v,, nella direzione V,, P,,: essa provoca nelle varie aste delle 


diga Sk 
E, FK, 
e produce uno spostamento 0; ,, del nodo V; nella direzione V; P;. 
Supponiamo gli appoggi tali che le loro reazioni non possano fare 
alcun lavoro durante la deformazione del sistema e scriviamo la 
condizione d’equilibrio delle forze 7,; e della forza 1 applicata 
in V,, esprimendo che il loro layoro totale è nullo quando il si- 
stema di punti formato dai nodi si deforma per modo che le 
aste s, si allungano delle quantità piccolissime As,,, ed il nodo 
V, si sposta di è,,; poscia scriviamo la condizione di equilibrio 
delle forze 7,,, e della forza 1 applicata in V,, esprimendo che 
il loro lavoro totale è nullo quando lo stesso sistema di punti 
deformasi di guisa che le aste sx si allunghino delle quantità 
piccolissime As, ; ed il nodo V,, si sposti di d,. Abbiamo: 


tensioni totali 7,,, e quindi degli allungamenti As,,m = 


O;.m kr, idSkm E, F, 
| ge Sd 
dell'Asia pd 
pa pa E,F, 
Onde dra = 5 ao (15) Li 


Questa eguaglianza esprime la legge che va sotto il nome di 
Principio di Maxwell o di Legge della reciprocità degli spo- 
stamenti: Se un sistema articolato si appoggia su sistemi rigidi 
e su di un suo nodo qualunque Y, agisce in una data direzione 
V,P; una forza 1, un altro nodo V,, soffre in una data dire- 
zione V,, P,, uno spostamento che è eguale allo spostamento del 
nodo YV; nella direzione V, P; quando su V,, agisca una forza 1 
nella direzione V; P, (*). 


(*) Cfr. KRouHN, l.c. 


CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI 


del sistemi articolati 


Iugi &lia Ovarzza 


(23) Lit: FED ager torino 


CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 259 


Questo teorema, che è caso particolare di uno più generale 
valido per ogni corpo o sistema elastico (*), genera una grande 
semplificazione del problema proposto. Invero si applichi al nodo 
V,, una forza 1 in una direzione W,, P,, e si determinino con uno 
dei metodi esposti gli spostamenti che in tale condizione semplice 
di carico subiscono i nodi VW, V,, V;;...V, del sistema. Questi 
spostamenti sono misurati dai numeri d ‘influenza Losa Pz 
een: P_.P..P,,...P-'applicate ai nodi V,, V., Vi,..- VW. 
nella direzione degli spostamenti calcolati, sopra lo spostamento 
d,, del nodo V,,. 

L’autore riservasi in un prossimo suo scritto di indicare in 
qual modo si possa utilizzare il Principio di Maxwell per la de- 
terminazione delle freccie statiche e delle freccie dinamiche delle 
travi reticolari da ponte, e di dilucidare con esempi numerici le 


considerazioni teoriche esposte in questa nota. 


Torin>, 8 Aprile 1888. 


(*) Cfr. MiùLLerR-BrEsLau, Die neueren Methoden etc. , l.c. 
CastiGLIANo, Intorno ad una proprietà dei sistemi elastici. Atti della 
R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XVII. 


260 G. MORERA 


Sul problema della corda vibrante , 


Memoria di G. MORERA. 


La soluzione del problema della corda vibrante fu data come 
è noto sotto due forme. Nell’una, dovuta a D’ALEMBERT, figu- 
rano due funzioni che si determinano facilmente coi dati della 
questione , nell'altra invece, dovuta a DANIEL BERNOULLI, figura 
una serie trigonometrica. Per certe applicazioni la soluzione di 
Bernoulli è di particolare importanza. Tuttavia contro questa 


soluzione parecchi matematici sollevarono, e giustamente, delle ob- 


biezioni. Invero, la sua deduzione si basa sulla derivazione ter- 
mine a termine di una serie trigonometrica, operazione che ge- 
neralmente parlando conduce a serie non convergenti. 

Inoltre le formule trovate furono applicate a vibrazioni della 
corda, nelle quali durante il movimento le derivate prime della 
funzione incognita presentano delle discontinuità, mentre nella 
deduzione della ben nota equazione alle derivate parziali quelle 
derivate erano supposte essenzialmente continue (*). 

Il sig. CaRIstorFEL ha stabilito le condizioni a cui debbono 
soddisfare quelle discontinuità affinchè esse sieno compatibili colla 
validità in generale dell’equazione a derivate parziali. Mi piace 
di qui riferire testualmente le parole del sig. Christoffel. 

« Die Formeln, welche sich fiir die Transversalbewegung einer 
« Saite unter der Voraussetzung ergeben, dass die Saite allen- 
« thalben stetig gebogen ist, werden unbedenklich auf den Fall 
« angewandt, wo die Saite Ecken darbietet; wenn man sich 
<« iberhaupt auf Griinde hierfiir einlisst , werden dieselben in 


A 


(*) Vedi Poisson, Mécanique, seconde édition, t. II, pag.305. Non ostante 
l’avvertimento di Porsson le formolè furono applicate da Lame al problema 
della corda pizzicata nel suo punto di mezzo (ZAeorie math. de l’élasticité , 
pag. 105) e da HeLmHoLTZ in larga misura a problemi analoghi (Die Lehre 
von den Tonempfindungen. Beilage, IIl, V e VI, 


SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 261 


den Figenschaften der Fourier schen Reihen gefunden. Und 
doch hat diese Frage mit den Fourier’ schen Reihen gar nichts 
zu thun, indem sie vielmehr von zwei neuen Bedingungen ab- 
hingt, einer mechanischen fiir den Stoss, welchen ein von der 
Ecke iiberschrittenes Element der Saite erleidet, und einer 
phoronomischen, welche beim Stosse eintretenden Unstetigkeiten 
so beschrinkt dass sie den Zusammenbang der Saite nicht 
« aufheben. Mit Hiilfe dieser Bedingungen kann man wie ich es 
« seit einer Reihe von Jahren in meinen Vorlesungen zu thun pflege 
beweisen, dass allerdings das Vorhandensein von Ecken auf die 
« Schlussformeln fiir die Transversalbewegung keinen Einfluss hat, 
« aber dies beruht nicht auf den Eigenschaften der Fourier'schen 
« Reihen, sondern darauf, dass die erwihnten Unstetigkeiten solche 
‘« sind, welche mit dem Fortbestehen der seit Euler so oft behan- 
« 
« 


RIRE RIO RI RESI 


delten linearen partiellen Differentialgleichung vertragen. » 
(Annali di matematica, Serie II, tomo VIII, 1877, pag. 82). 

Il sig. LINDEMANN nella memoria « Die Schwingungsformen 
gezupfter und gestrichener Saiten » (Berichte der naturfor. (Ge- 
sellschaft zu Freiburg i. B., B. VIII, 1879, pag. 500-532) 
dopo aver opportunamente posto in rilievo che nei casi da lui 
esaminati la soluzione di Bernoulli non era senz'altro applicabile, 
giacchè la doppia derivazione termine a termine della serie tri- 
gonometrica avrebbe condotto a serie non convergenti, ha discusso 
accuratamente il moto della corda in base alla soluzione di 
D’Alembert, facendo osservare che le condizioni per l’ammissibi- 
lità delle discontinuità secondo Christoffel erano verificate. In 
seguito ha trovato la rappresentazione della soluzione in serie 
trigonometrica (*). 

Ultimamente il sig. Axel Harnal: in un'elegante Memoria in- 
serita nel volume XXIX dei « Math. Annalen » (1887) a pa- 
gine 486-499 ha ripreso in esame la questione dal punto di 
vista generale ed ha concluso che le condizioni del sig. Christoffel 
essendo soddisfatte la soluzione del problema è rappresentabile 
colla serie trigonometrica di Bernoulli. 

Ora parmi che la questione puramente meccanica di ricercare 
quali equazioni nei vertici hanno luogo invece della solita equa- 


_ 


(*) Il bel lavoro del sig. LINDEMANN si trova tradotto in inglese nel Phi- 
losophical Magazine (fifth series, n. 55, 1880, pag. 197-221), sotto il titolo; 
On the forms of vibrations of twitched and stroked strings. I 


262 G. MORERA 


zione alle derivate parziali, sia affatto indipendente da quella 


puramente analitica della rappresentabilità in serie trigonometrica 


del risultato e che perciò le due questioni sieno da trattarsi se- 
paratamente. Nel passo citato il sig. Christoffel ha esplicitamente 
dichiarato che, anche tenuto debitamente conto delle equazioni 
relative. ai punti di discontinuità le formule finali non restano 
modificate, asserzione che è assai facile di provare, come qui mi 
permetterò di fare brevemente. 

Quanto alla questione analitica mi sembra che la ricerca del 
sig. Harnack lasci qualche dubbio, per ciò mi propongo in questo 
scritto di esporre una mia dimostrazione che spero verrà trovata 
pienamente rigorosa. Infine, come applicazione della serie di Ber- 
noulli, dimostrerò un teorema sulla composizione delle forze vive 
dei singoli suoni semplici, che, per quanto è a mia cognizione, non 
è stato fin qui dimostrato in modo rigoroso. 


Consideriamo un filo elastico, fissato a due punti, e che ef- 
fettua delle vibrazioni trasversali, estremamente piccole, in un piano. 


+ 


Diciamo: 
il tempo; 

x la distanza di un punto qualunque della corda equilibrata 
da un suo estremo ; 

L la lunghezza della corda equilibrata; 

p il suo peso; 

P. la sua tensione nella posizione di equilibrio ; 


f(x) la funzione che al tempo #=0 dà lo spostamento trasversale ; 


F(x)la funzione che al tempo #=0 dà la velocità dei singoli 
punti della corda ; 


m=(t,x) lo spostamento trasversale del punto di ascissa x al 
tempo #. 


Allora il problema analitico da risolversi è il seguente. 

Determinare una funzione finita e continua delle due varia- 
bili # e x (o =x=L) la quale soddisfi generalmente all’equa- 
zione alle derivate parziali : 


d*Y din J5iP 
Y 20%% (2-0 


= 
dt? da° p 


CI N e e I lee "on 


SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 263 


ed alle condizioni : 


uv L)=0; v(0,%)=f(2) ;. —=F(2) peri=0, 


abbia le derivate prime generalmente continue (*) e nei punti 
di discontinuità di queste soddisfi all’una od all’altra delle con- 


dizioni : 
DET i dr, du a d% 
ae == 
dior. TE De 


dove colla applicazione degli indici +0 e — 0 si vogliono indicare 
i limiti dei valori a destra ed a sinistra del punto di disconti- 
nuità x della funzione scritta in parentesi. 

L'equazione alle derivate parziali è la traduzione analitica 
della proposizione fondamentale della dinamica: 


forza=massa x accelerazione , 


applicata ad un elemento di corda. La condizione relativa alle 
discontinuità invece trae origine dalla proposizione fondamentale 
della dinamica : 


acquisto di quantità di moto = impulsione della forza, 


relativa alle forze cosidette istantanee, applicata all’elemento di 
corda che oltrepassa un vertice. 

Quanto a quest’ultima equazione sarà bene aggiungere qualche 
breve considerazione. " 

Se il vertice avanza con velocità e stimata secondo l’asse 
delle x, il principio di meccanica or ora rammentato, applicato 
all’elemento cd di corda, che al tempo # è a destra (c>0) del 
vertice e al tempo #+d# viene a trovarsi alla sinistra del ver- 


: A L i dx” 10% 
tice, acquistando così la velocità finita : (S -(55) sa dà 
\ d t (e) O È t 0 


ovviamente l’equazione : 


dn d% dn dr, 
4 a = Lo FT 
[9] 


Dit %3 


TJ+o0 


(*) Colla dicitura generalmente continua intendiamo dire, che ad ogni 
istante il numero della discontinuità è limitato, e queste sono tutte quante 
di prima specie. i À 


264 G. MORERA 


D'altra parte, dovendo il filo rimanere sempre connesso nel 


vertice, si ha : 
d% dn 0% 0% î: 
— +e — =|_-+ceT—- È 
SEI I De I 0) 


e moltiplicando questa equazione per c e sottraendola membro a 
membro dalla precedente, si conclude ovviamente: e° =? ossia : 


=. 

Portando questi valori di c nelle due equazioni scritte esse 
divengono fra loro coincidenti e dànno quell’equazione di con- 
dizione relativa alla discontinuità, che noi abbiamo scritta nel- 
l’enunciato del problema analitico. Orbene, in quell’enunciato 
noi dicevamo che la 4 dev'essere continua e però l’ultima delle 
equazioni dianzi scritte è implicita in tale condizione, sicchè la 
traduzione analitica della proposizione colla quale nella mecca- 


nica si valutano gli effetti delle forze istantanee è precisamente |. 


l’ultima condizione del nostro enunciato (**). 

Affinchè il nostro problema analitico ammetta la soluzione, 
oltre alla continuità di f(x) ed alle proprietà: f(0)=f(L)= 
= F(0)=F(L)=0, è necessario introdurre delle restrizioni sulle 
funzioni : 


F(x) e f (e) =G(2), 


cioè, ritenere come dato che esse siano generalmente continue 
ed ammettano le derivate prime pure generalmente continue. 

Allora la soluzione del problema è data sotto forma finita 
dalla formula di D'Alembert, la quale sbarazzata dalle funzioni 
ausiliarie assume la forma seguente: 


eden + Eta) 4 


7, È COR A Vee 7A 
n (4,2) 2 LIZA 


, 


(*) Questa equazione e la precedente sono quelle di cui parla il sig. CHRI- 
sTOFFEL nel passo sopra riferito. Esse si trovano in una nota della ricor- 
data Memoria del sig. CaRrISTOFFEL. Cfr. anche HARNACK, l.c. 

(**) Allorquando due vertici si riuniscono, la condizione si deve intendere 
applicata separatamente all'uno ed all’altro; allora nel punto d'incontro com- 
paiono tre valori limiti dellè due derivate prime. 


Pe 


tei We zg — ug Ve 


SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 265 


dove la funzione £(x), data originariamente solo nell'intervallo 
(0,L), va intesa continuata fuori di questo în guisa che essa 
riesca periodica e dispari, con periodo 2L e la funzione g (x) 
è definita nell'intervallo (0,L) dalla formula 

g(2)=|F(7) da 


(e) 


e fuori di questo dalla condizione che essa riesca periodica e 
pari, con periodo 2 L. 

In simboli la legge con cui si debbono intendere continuate 
le funzioni f(x) e 9(x) è espressa dalle equazioni : 


f(a)=-—f(—2) : PE 2265).=7 (9 
g(@)=9(-2) ;  g(et2L)=g(z) . 


Le funzioni f(x) e 9 (x) troverebbero la loro naturale rap- 
presentazione analitica in due serie di Fourier, e cioè, la 1° in 


; 1 È MRI i . 3 î 
una serie del tipo: SX A,sen — e l’altra in una serie del tipo : 
L 

1 a ORE ra bian È : 
Pot Z B_ cos A cui coefficienti risulterebbero immedia- 


tamente espressi coi dati del problema per mezzo delle formule 
notissime : 


Me L 
2 nTX 2 na 
— __ ta . — __ 1 
A,=7 f (x) sen TW: B,=7 9 (x) cos x de 


Coll’espressione della funzione % si verifica con tutta facilità 
che se vi sono vertici questi avanzano o retrocedond con velocità 
% stimata secondo l’asse delle x; questo basta per assicurarci 
che l'equazione dinamica relativa ai vertici è soddisfatta, giac- 
chè la % essendo continua senza eccezioni la seconda condizione 
del sig. Christoffel è certamente soddisfatta. Adunque la presenza 
dei vertici non ha alcuna influenza suila formula di D’Alembert. 

Se F(x) o G(x) sono discontinue per 2 ==), da questa di- 
scontinuità iniziale nascono in generale due vertici. Infatti: le 
derivate prime della % sono discontinue per i valori di x e # 
determinate dalle equazioni : 


s—-at=À cq+at=i 


266 G. MORERA 


e si hanno quindi nei primi istanti del movimento due vertici, 
che procedono per versi opposti con velocità x. Quando l’uno o. 
l’altro di essi raggiunge un estremo della corda ne subentra su- 
bito un .altro determinato rispettivamente dalle formule : 


ska, alal 


che si diparte dall’estremo stesso. I due vertici vengono per così 
dire riflessi dagli estremi. Essi si riuniscono di nuovo al tempo : 


I È $ 
minaai cioè, dopo un mezzo periodo nel punto di ascissa’ 
7) 


x=L—), ossia nel punto simmetrico rapporto al centro della 
corda equilibrata di quello da cui inizialmente si sono di- 
partiti. 

L'ulteriore discussione è superflua, giacchè trovate le forme 
che la corda va assumendo nel 1° mezzo periodo, quelle del 2° 
mezzo periodo si deducono immediatamente dalle prime ricorrendo 
al teorema seguente. Dopo un mezzo periodo la forma di una 
corda che vibra trasversalmente è la simmetrica della primitiva 
per rapporto al centro della corda equilibrata, ossia ha luogo 
la relazione : 


v 


Questa relazione si deduce facilmente dalla soluzione di D’Alem- | 
bert, tenendo presenti le proprietà delle funzioni f(x) e 9(@), 
debitamente continuate (*). 

Per studiare comodamente la legge con cui muovono appa- 
rentemente i vertici che traggono origine da una discontinuità 
iniziale, giova figurare coi punti di un piano riferito a due assi 
ortogonali # ed % i valori simultanei, di queste due variabili. 


2L | 
Allora segnato il rettangolo di lati T=-— ed L e sul lato #=0. 
x i 


il punto di discontinuità %, le linee di discontinuità si ottengono — 


{*) Ho stimato conveniente di fermare l’attenzione del lettore su questo 
teorema, giacchè mi consta non essere stato a cognizione di tutti gli Autori, 
che hanno scritto sull'argomento. Per esempio nelle Partielle Differential- 
gleichungen di RieMANN, pubblicate dal sig. HATTENDORF, a questo riguardo 
si trova enunciata una proposizione erronea (Cfr. pag. 201 della 3° ediz.). 


SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 267 


conducendo da ) le parallele alle congiungenti i vertici (0,0), 


sh 14 
(0, L) rispettivamente con (F L) 2: 0), e completando la 


(0,0) LI (0, L) 


figura come se quelle due rette uscenti da % fossero raggi lu- 
minosi, che vengono riflessi dal contorno del nostro rettangolo. 

In particolare si vede subito che havvi un solo caso in cui 
da una discontinuità iniziale nasce un vertice solo, e cioè, il caso 
di \=0. Le traiettorie apparenti dei due vertici, che nascono 
dalla discontinuità di ascissa iniziale ), sono ovviamente composte 
ciascuna di due curve, le cui equazioni si ottengono eliminando 
dall’ espressione di 4 la # per mezzo delle equazioni delle linee 
di discontinuità nel piano #, x. 

Così operando, in corrispondenza dei numeri romani , che 
figurano sulle linee di discontinuità nel nostro diagramma, si trova 
facilmente : 


_f@r-2) 410), 9(22-2)--90) 


Metizpi #0pg sla Farren | 
n 
_f(224+))-f0)_9(22+2)-90) 
Yr= 5 - > \ 
us f(Bd Ag) g:0) 
Ja 9 DÒ I 
20+))- f( DL Ng 
gi pit Gai Pirri Qi | ni 9()) | 


Le curve Je ZI hanno in comune il punto (e =), y=f()), 
ed i due punti fissi, le curve J' ed 7I' hanno in comune il punto 


268 G. MORERA - | 


(=L-),x=— f()) ed i punti fissi. Inoltre si riconosce fa- 
cilmente che : 


yu(L_a=—yn(2) ; vi(L-2)=—Ym(2) , 


cioè, le curve I e II' sono rispettivamente le simmetriche di | 
e JI per rapporto al centro della corda equilibrata. ; 

Nel caso in cui inizialmente la corda abbandona la configu- | 
razione y=f(x) senza velocità preconcepita, si ha: g(x)=0, e. 
le traiettorie dei due vertici sono costituite dalle stesse due curve, 
delle quali l’una è la simmetrica dell’altra per rapporto al centro 
della corda equilibrata. 

Se invece la corda parte dalla posizione di equilibrio si ha: 
f(a)=0, e le 4 curve divengono due a due simmetriche per rap-. 
porto alla corda equilibrata ed alla perpendicolare nel suo centro. 

Nel caso di ) = o si presenta un sol vertice, che percorre 
apparentemente la traiettoria costituita dalle due curve: i 

fa) 9024) fd 99) | 
FE | 


cr Te. 


2 LO 2 ZO 
poste simmetricamente per rapporto al centro della corda equi- 
librata. | 


Se inoltre f (x) = 0, la traiettoria è composta delle due curve: 


__9(22) i____9(22) 
i pi 2a 


2a 


L'una di queste due curve è la AmnetiicA dell'altra per rap- | 
porto alla corda equilibrata e ciascuna di esse ammette per asse 
di simmetria la perpendicolare alla corda equilibrata nel suo 
centro, come avviene per esempio secondo le ricerche del si- 
gnor Helmholtz per la corda del violino. I 


Occupiamoci ora della rappresentazione della nostra soluzione 
con una serie trigonometrica. 

Sieno F (x) e G(x) due funzioni finite, date nell’intervallo 
(0, L), le quali hanno solo discontinuità ordinarie e delle quali 
la seconda soddisfa alla condizione: 


[G&au=o . 


9 


SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 269 


Supponiamo inoltre che le due serie di Fourier: 


L 
{ Ta nq 2 na 
F (x) =\ b,, sen CI, b==\F(a a)sen— 2 da; 
) y L L 
1 GI 
L 


a (e 
te(a).= \ A, COS ei di a,==|G (x) cos 2" da 
l L L 


sieno sempre convergenti. Questo caso si presenterebbe, per 
esempio, quando Y (x) e G (x) fossero generalmente continue e 
con un numero finito di massimi e minimi, oppure avessero le 
derivate destre e sinistre sempre finite e determinate (*). 

D’or innanzi coi simboli (x) e G (x) intenderemo le somme 
delle precedenti serie trigonometriche : e però Za funzione F (2) 
è una funzione periodica impari, di periodo 2L ela G(x) è 
una funzione periodica pari, di periodo 2L . 

Queste funzioni possono presentare delle discontinuità in nu- 
mero qualunque, però tutte di prima specie, ed anche non am- 
mettere mai le derivate. Consideriamo le tre serie trigonome- 
triche : 


(Le) 


na nno na 
= A,cos——t+b, sen en — % ; 
( =) ( L > L ): x 


L 
I 
a RIT ù AGI nno, na 
Tae mi se d. cos - sen— 2% _; 
L amcued f in T 2) 
1 b 
n 
A 
n na na na 
DE n A, COS t+ B,sen — i) cos— Xx 
Vl il L a. L 
1 


delle quali le due ultime si formano derivando termine a ter- 
mine la prima rispettivamente rapporto a # ed a %. Immagi- 
niamo che i coefficienti A,, B, di queste tre serie sieno deter- 
minati in guisa che per #-0 le due ultime serie coincidano 


(*) Cfr. Dini, Serie di Fourier, pag. 100 e seguenti, 


270 G. MORERA 


rispettivamente con quelle che definiscono F'(#) e G(x), e cioè, 
che si abbia : 
L 


2 I 
vidi al Ai o 


na nq 
o 
L 
2 at nn 
bi bi =-— VE (x) sen x Mati 
na na a L 


In altri termini, esaminiamo le tre serie 


LI ali LEA n5 n'Zl e) sen Ta; 
“=— —{a, cos - — x; 
e A 1 Ea E L 


N sla nau, À SENI 
= er n cos — t)sen— x ; 
2% 2a, Se I È I IZ 


? Di naa 44-00 nie nT 
%,= ) a, COS —— = senesi OST X . 
io ( L 5 VE 


Dimostreremo in quanto segue: che queste tre serie sono 
sempre convergenti; che le due ultime rappresentano rispetti— 
vamente le derivate parziali (destre e sinistre) della prima rap- 
porto at ed a x; infine che la somma della prima serie ha Vi- 
stessa forma della funzione x, nella soluzione di D’ Alembert. 

Da formule notissime si ha: 


ut Nelo dr i nq ; Viti i 
Fa io= 3 |costZle- #0) cos (4-20) 
cos 1%, sin led più +at) + t) 
SIE Rai Lo AISETE la HAS x sen ( LT ) i» 
A SE, stia; Paro: na ; ni ; 
FARA pag | cos (e 20) + 0087 (ata ) 

son 2%; Di b ARE Uergter, nq P 
Dese 7 at)—sen (rat) 


SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE DI 


Sostituendo queste espressioni nelle due ultime serie e con- 
frontando colle serie 7 (x) e G (x) si conclude immediatamente: 
_F@a+2t)+F(x—at)+a|G(r+at)- G(—at 


n : 
, 2 


F(r+ at) —F(a—at)\+G(cx+ct)+G(c—at) . 
= A Dee 


2 


La serie 7',, pensata come una serie di Fourier nella x, è 
certamente integrabile termine a termine, e però integrandola fra 
0 ed x si conclude: 


2a 


Ora posto: (x) =(6 (dota gd) == i) Flo) da 


_ si ha ovviamente: 


[Fe+ed de=g(a+2t)—g9(at) ; 
(Pe) da=g9(e— Cd) --9(-24) 


(G (+2) de=f(2+24) uf (4) 


x 
{G&-20) de =f(a—-at)—f(—at) ; 
ed essendo le serie di Fourier sempre convergenti integrabili ter- 
mine a termine, sarà: 


(e) 


e TS na VE 
g(x visi MESS prati] * 


A DI nr 
aaa a 
' 


Dupd G. MORERA 


e però: g(-ct)=g(et); f(-at)=-f(ct). 
Sostituendo nell’espressione di 7 si ha subito: 


Rie "cel 


e si verifica immediatamente che: 


fa. dt=f (2)+% 

Dunque: la serie 7 è convergente e le sue derivate parziali 
sono le serie convergenti x’, 4°, per quei valori di # e x per i 
quali queste sono continue, oppure più generalmente le derivate 
parziali destre e sinistre della % sono i limiti dei valori a destra 
ed a sinistra delle serie %,, 7', rispettivamente (*). Con ciò il no- 
stro teorema è pienamente dimostrato. 

Osserviamo ora che se nell’intervallo (0, L) fosse data una 
funzione finita e continua f(x), soddisfacente alle condizioni : 
f(0)=f(L)=0, e la quale ammettesse una derivata prima 
f (@)=G(x) sviluppabile in serie di Fourier; questo sviluppo si 
potrebbe ottenere, in base ad un noto teorema, derivando ter- 
mine a termine lo sviluppo in serie di seni della funzione f (2) (**). 
Sicchè i coefficienti An della nostra serie x resterebbero gli stessi 
sia identificando 4°, per t=0 collo sviluppo di /'(x) = G(£), 
sia identificando per t= 0 la serie % collo sviluppo in serie di 
seni delle f(x). 

Se adunque le funzioni 7° (x) e G(x)=f (x) hanno proprietà 
compatibili col loro ufficio nel problema della corda vibrante, pos- 
siamo concludere che la serie di Bernoulli (4) è non solo con- 
vergente e derivabile termine a termine una prima volta tanto 
rapporto a # che ad x, ma ancora chesessa è pienamente. equi- 
valente alla soluzione di D'’Alembert. 1 


(*) Trattandosi di funzioni di più variabili le diciture: derivate e valori 
a destra ed a sinistra, divengono imprecise. È per ciò bene notare, che per 
valori e per derivate parziali a destra si intendono quelli rispondenti ad ac- 
crescimenti positivi della relativa variabile indipendente. La cosa analoga 
dicasi per i valori e le derivate parziali a sinistra. 

(**) Cfr. la Memoria del sig. Din: Sopra la serie di Fourier. Pisa, Nistri, 
1882, pag. 6, osserv, 84. 


SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 279 


Se noi avessimo avuto di mira soltanto di dimostrare la con- 
vergenza della serie 7, operando direttamente su queste trasfor- 
mazioni analoghe a quelle fatte sulle serie 7',, 4°, avremmo con- 
cluso facilmente che se 


nax 
n=) An pui 
3 UMISEA 
ela y B,(1- cos z ) 
' 


sono le somme di due serie sempre convergenti; la serie è 
pure convergente e la sua somma è rappresentata dalla for- 
mula (I). Cioè, per la convergenza della serie di Bernoulli basta 


- che sieno convergenti le due serie f(x) e g(x); ma in tal caso 


ci i) 


non si potrebbe più parlare di differenziabilità della x. 

Reciprocamente, ammesso che la serie 7 sia sempre conver- 
gente, lo è pure la serie f(x), che si ottiene dalla 7 ponendovi 
t=0, ed è presto visto che è anche convergente la serie 9 (x). 
Infatti, scritto nella serie % invece di x e di # rispettivamente : 
de cr 


2° 2a 


n dit / 
USA VITI nTT 
ari Te L, A,,C08 molle +) b,sen° I 


, sì ha: 


AD 


MI& 


MI 


i 1 
fat! g(&) . 


L: 
2 

Dunque : quando la serie di Bernoulli è convergente la sua 
somma ha la forma (I) (*). 

Allorquando la serie % rappresenta la soluzione del problema 
della corda vibrante è, come vedemmo, differenziabile termine a 
termine una prima volta per rapporto alla variabile #, cioè posto 
per brevità: 


n DR n 


C.=— za uanle “po , 0087 t 


2 
DE n cn a 


dm svn Vo La 
ppi dee nega fa 


(*) HARNACK, l.c., pag. 493 
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 


st ha: 


do 
(AS) 


274 G. MORERA 


Pensando questa serie come una serie di Fourier nella sola x, 
essa è integrabile termine a termine, anzi la serie degli integrali 
è convergente assolutamente ed in ugual grado, giacchè per teo- 
remi noti 2 swo? coefficienti al crescere indefinito di n divengono 


2 e it- 
infinitesimi almeno dell'ordine di — (*). 
n 
Se si ammette inoltre che le funzioni (x) e G(x) non ab- 
SA o led dr MIRI. > 
biano infiniti massimi e minimi, la funzione rta 7, è costituita 
a 


dalla somma di 4 funzioni, le quali pure non hanno infiniti massimi 
e minimi; e però moltiplicando tutti i termini della serie prece- 


Pa | 
dente per sì avrà una serie ancora integrabile termine a ter- 
Tae. 


mine (**). Notando che qui si ha: 


L 
2 (9 n 2 
si conclude : 
SE: SS "È 2 
dn\? di 2 0g RE 2 2 
_|dx= O,Xx7 |z7sen_a.de=— Cn» 
\(59) iO A 


D'altra parte la forza viva £ della corda è: 


e la forza viva della corda se essa effettuasse solo la n” vibra- 
zione semplice sarebbe: 


p 
be 
n gIL? n 


(*) Cfr. Dini, Memoria citata. 

(**) Cfr.: La teoria delle funzioni di variabili reali dello stesso autore, 
a pag. 392. $ 284, dove propriamente il teorema invocato è provato per il 
prodotto di una serie con una funzione che non fa infinite oscillazioni, ma 
l'estensione al caso nostro non presenta alcuna difficoltà 


SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 275 


e pero: a 
RESSE E, 


ossia ha luogo il teorema seguente. La forza viva posseduta da 
una corda che vibra trasversalmente è ad ogni istante la somma 
delle forze vive, che nello stesso istunte essa possederebbe al- 
lorquando effettuasse separatamente ciascuna delle vibrazioni 
semplici componenti. 

Noi definiremo per intensità del suono la forza viva media du- 
rante una vibrazione completa, cioè, detta I l’intensità del suono, 


porremo: È 
1 
P= Vi VR 8 A 
Tn 144 
1 1 
=— VE di==\ .E,dt 
p si +48 n d Y ps n ( È) 


essendo 7°, il periodo della n°” vibrazione semplice, periodo che 
è uguale ad » volte quello del suono fondamentale. Allora, te- 


(7.2) 
. = N . 
nuto presente che la serie 4. C,° è convergente in ugual grado, 
LI 
giacchè 1 suoi termini al crescere indefinito di » impiccoliscono 
1 
almeno come —-, coll’integrazione termine a termine della serie 
n 


delle forze vive si ha subito: 
c'e \ vd 
rca 


Resta così provato rigorosamente che, colle limitazioni poste 
alle funzioni F (x) e G(2), #1 suono di una corda, che vibra tras- 
versalmente, è qualitativamente e quantitativamente la somma 
di tanti suoni semplici; e se questi sono in numero infinito, 
l'intensità dell'n"° suono semplice componente al crescere inde- 


1 
finito di n è al più dell'ordine di grandezza di pi 


Il Direttore della Classe 
ALFonso Cossa. 


CLASSI UNITE 


Adunanza dell'8 Aprile 1888. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI 
VICEPRESIDENTE 


In questa adunanza l’Accademia rielegge a suo Presidente 
per un altro triennio il Socio Comm. ANGELO GeENoccHI, Sena- 
tore del Regno. 


L’Accademico Segretario 
GASPARE GORRESIO. 


meo — gir —; de) 


| ADUNANZA dell’8 Aprile 1888... 


Morera — Sul problema della corda vibrante 


Classi Unite. 


ADUNANZA dell’8 Aprile 1888 


in ma prossima dispensa. | 


ATTI 


DELLA 


h. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


DI TORINO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vox. XXIII, Disp. 11°, 1887-88 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


TORINO 
ERMANNO LOESOHER 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


RISALE 
ALINA 


dal 


UAZA 
LEA Du î 
“ali 


Am Od 


gr 


277 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 22 Aprile 1888. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI 
PRESIDENTE 


Sono presenti i Soci: Cossa, LESSONA, SALVADORI, BRUNO, 
Basso, D’Ovipio, FERRARIS, NACCARI. 

Vien letto l'atto verbale dell’adunanza precedente che è ap- 
provato. 

Tra i libri presentati in omaggio all'Accademia vien segnalato 
il vol. V, serie 2°, degli Annali del Museo Civico di Storia 
naturale di Genova pubblicato per cura di G. DoRrIA e R. GESTRO, 
presentato dal Socio SALVADORI. 

Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine se- 
guente : 
1° « Sulla compensazione delle poligonali che servono di 
base ai rilievi topografici; Nota del Socio SIAccI, assente per 
ragioni di officio, presentata dal Presidente ; 

2° « Gli azimut reciproci di un arco di geodetica » ; la- 
voro del Prof. P. PizzettI, dell’Università di Genova, presentato 
dal Socio D’'OvIDIO ; 

3° « Sugli eteri nitrobenziletilici »; Nota del Dott. GiorGIo 
ERRERA, presentata dal Socio Cossa. 


Atti R, Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 23 


DI 
NI 
(0 0) 


F. SIACCI 


Sulla compensazione 
delle poligonali che servono di base ai rilievi topografici. 


Nota di F. Stracci 


Quando un rilievo topografico dev'essere collegato coi punti 
di una rete geodetica, questi vengono dapprima riuniti con una 
linea spezzata o poligonale, appoggiata ai punti più salienti del 
terreno della quale si misurano gli angoli e i lati; questi ser- 
vono poi di base al rilievo. Ma per gli errori inevitabili delle 
misure accade che le proiezioni della poligonale sugli assi coor- 
dinati risultano alquanto differenti dalle proiezioni della retta 
che ne riunisce gli estremi geodetici. Da ciò la necessità di una 
correzione. I topografi la fanno consistere nell’aggiungere o to- 
gliere alla proiezione di ogni lato una aliquota dell'errore della 
proiezione totale. Alcuni prendono quest’aliquota comune a tutte 
le proiezioni parziali, altri la prendono proporzionale a queste. 
Il metodo ha il vantaggio della speditezza, e corrisponderebbe 
anche alla combinazione più probabile degli errori, se gli errori 
stimati secondo i due assi si potessero ritenere indipendenti gli 
uni dagli altri. 

Il chiarissimo ingegnere Vincenzo Soldati in una sua Memoria (*) 
osserva che coi metodi in uso mutano non solo le lunghezze dei 
lati, ma anche le loro orientazioni e assai più che non comporti 
il massimo errore temibile dagli strumenti goniometrici. D'altra 
parte la misura delle lunghezze si fa con attrezzi diversi, onde 
nasce l'indipendenza degli errori dei lati dagli errori degli angoli. 
L'ingegnere Soldati propone di compensare i primi indipendente - 
mente dai secondi, e presenta a tale oggetto alcuni metodi grafico - 
numerici: ma essi per quanto ingegnosi sono arbitrari, inquantochè 
non corrispondono alla combinazione più probabile degli errori. 


(*) Sulla composizione degli errori di misura dei lati nelle poligonali che 
servgno di base ai rilevamenti topografici. Torino, tipografia Salesiana, 1888, 


SULLA COMPENSAZIONE DELLE POLIGONALI 279 


Il metodo che segue soddisfa a tale condizione e non mi pare 
riesca più complicato di quelli. Da esso poi emerge un teorema, 
che anche indipendentemente dalle applicazioni mi par degno di 
nota, ed è il seguente: 

Gli errori più probabili dei lati di una poligonale, sono 
le proiezioni su essi di un segmento fisso, divise per i rispet- 
tivi pesi. 

Sia L uno dei lati misurati della poligonale, ZL +0 il suo 
vero valore, e quindi d l’errore commesso nella sua misura, © 
la sua inclinazione (supposta esatta) sull’asse delle x. Siano « 
e d le proiezioni sugli assi coordinati della retta che congiunge 
gli estremi geodetici della poligonale. Dovrà verificarsi 


Z(L+0)cosg=a, Z(L+0)seno=5 
ossia 


(1) . 


x 


Zdcosp=a — X Lcoso= 


| 5dseng=3—XLsno=f. 


Si tratta ora di determinare gli errori d in modo che si ve- 
rifichi la combinazione più probabile di essi. La condizione che 
la rappresenta è 


(2).-... Zpò*=minimo, vossia Xpddd=0, 


p essendo il peso corrispondente al lato L. 
Differenziando le (1) rispetto a 0 e dicendo ) e 1 due mol- 
tiplicatori da determinare, avremo da esse e dalla (2) 


Z(pò—)cose—psen g)dd=0. 
Ne risulta 


Mn. PI =) cosg + p.sen 9 . 


i spiato COS @ I 
Per trovare ) e p si moltiplichi (3) per ——, e si sommino 
Pp 


tutte le analoghe, e si otterrà 


cos' @ ua sen Q COS @ 
pr 


xd cosp=)L 
p P 


4 


280 F. SIACCI —- SULLA COMPENSAZIONE DELLE POLIGONALI 


sen © 


si moltiplichi poi la stessa (3) per np i e sommando si avrà 


aa 


Ponendo mente alle (1) e scrivendo per brevità 


Zoseng=}X 


yo SSL, prete] senecg o 
P p p 
dalle due ultime equazioni si ottiene 
Ba— Cf AB_ Ca 
flo = A agio) wo si Apro 


Se si considerano À e {. come proiezioni sugli assi coordi- 
nati di un segmento A inclinato di e sull’asse delle 7, se poniamo 
cioè : 


(PRE A=VXR+p? , tge=l 
avremo dalla (3) 
CI PA ge Arlen 


p 


equazione che dimostra il teorema enunciato in principio. 
Pertanto colle equazioni (4-7) si potrà calcolare la corre- 
zione 0 che dee subire ogni lato L della diagonale. 
Il minimo di Xpò° è A@+pf, e risulta dalla (3). 


PALE 


Gli azimut reciproci di un arco di geodetica. 


Nota di P. PIZZETTI. 


Il ch."° prof. E. Pucci (*) nel suo recente trattato di Geo- 
desia ha dimostrato il seguente teorema, del quale l’importanza 
non può sfuggire ai Geodeti, specialmente in vista dell’applica- 
zione che il trattatista stesso ne fa alla risoluzione del così detto 
problema inverso delle posizioni geografiche. 

a) La differenza di due azimut geodetici reciproci contati 
da 0° a 360° nel senso Nord-Est-Sud-Ovest, differisce dal suo 
limite sferico di una quantità del 4° ordine. 

b) 11 valor prossimo di questa quantità del 4° ordine è, 
per l’ellissoide, dato da 


e sìsena,.sen2 0, 
(2)... Lr LI 
.a°.sen 1 
dove «,, ©, sono l’azimut e la latitudine in uno degli estremi 
dell’arco di geodetica che si considera, s la lunghezza di questo, 
ed a, e sono, al solito il semigrand’asse e l’eccentricità dell’el- 
lissoide. 

Per limite sferico della differenza d’azimut, di cui è parola 
in questo enunciato, s'intende ciò che diventa questa quantità, 
quando, tenute costanti le coordinate geografiche degli estremi 
dell’arco, si ponga uguale a zero l’eccentricità e. Si considerano 
poi come quantità piccole di 1° ordine, secondo le convenzioni 
in uso nella Geodesia, il quadrato dell’eccentricità ed il rap- 


s , ; 
porto -, che la lunghezza dell'arco ha al semigrand’asse @, 
a 
o ad una linea dello stesso ordine. 
(*) Pucci, Fondamenti di geodesia, cap. VIII, $ 25. L’enunciato del teorema 


è qui un poco diverso, soltanto in causa di un diverso modo di contare gli 
azimut. 


282 P. PIZZETTI 


La dimostrazione che il ch.®° Professore dà di questo teo- 
rema benchè non offra veruna difficoltà, pure può considerarsi 
come un po’ complessa pel fatto che essa si appoggia sia al 
Teorema di Dalby, relativo agli azimut reciproci delle sezioni 
normali, sia alla formola che esprime (a meno di termini del 
quinto ordine) la differenza fra l’azimut di una sezione normale 
e quello della geodetica che ne collega gli estremi. 

Mi permetto di dare qui una dimostrazione, a mio parere, 
alquanto più semplice, del teorema enunciato; questa dimostra- 


zione si appoggerà soltanto all’equazione differenziale delle geo- 


detiche in coordinate astronomiche: 


da=d%w.seng , 


equazione, che, pel caso particolare, di una superficie di rivolu- 
zione, si ottiene, senza difficoltà alcuna, differenziando la formola 
che esprime il notissimo teorema di Clairaut. 

In pari tempo, io estenderò la dimostrazione della 1% paîte 
del teorema al caso in cui la superficie, sulla quale è tracciata 
la geodetica, sia affatto qualunque, purchè poco diversa dalla 
sfera, ammettendo, in tal caso, che si debbano considerare come 


È : 2 AE Ss î 
quantità piccole di 1° ordine, oltrechè il rapporto n anche certi 


numeri che dipendono dagli scostamenti fra la superficie considerata 
e la sfera, numeri che possono sempre considerarsi come quantità 
dello stesso ordine del quadrato e? dell’ellissoide Besseliano. 


$ 1. — Riferiti i punti di una superficie qualunque ad un 
sistema di coordinate astronomiche, diremo al solito, latitudine 
astronomica il complemento dell’angolo che la normale alla su- 
perficie (direzione esterna) fa con una determinata direzione 
dell’asse polare, longitudine l’angolo che -il piano (meridiano 
astronomico), condotto per la normale parallelamente all’asse 
polare, fa con un piano fisso passante per l’asse polare, azimut 
in un punto di una linea tracciata sulla superficie l’angolo che 
la tangente a questa linea in tal punto fa colla linea cardinale 
Nord del punto stesso, intendendo per linea cardinale Nord in 
un punto l’intersezione del piano tangente alla superficie col 
piano del meridiano astronomico, e ammettendo di contare po- 
sitivamente gli azimut da 0° a 360° partendo da Nord nel senso 
Nord-Est-Sud-Ovest. 


è reni IA 


tit 


4 


GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 283 


In queste ipotesi, detta © la latitudine, © la longitudine, 
x l’azimut in un punto di una geodetica qualsiasi tracciata sulla 
superficie, si ha per la geodetica stessa l'equazione differenziale 
di Bessel (*) 


da =d@.seno 


Se M., (9, ,), 14,(2,,) sono gli estremi di un arco di 
geodetica tracciata sulla superficie, detti «,, x, gli azimut geo- 
detici reciproci agli estremi dell’arco stesso si ha 


y nilo do, 
di. 2,-a,=180°+fdx=180°+ fseng. do. 
M, WI 


Lungo l’arco di geodetica M, M,, consideriamo % come 
funzione di © e sviluppiamo sen in serie, collo sviluppo di 
Taylor, secondo le potenze ascendenti di © —,. Ponendo 


dsen v d° sen @ di senw 
( rs )=d ; (Fri) sr : (Fat)=sc ecc. ecc. 


dove le derivate totali vanno prese lungo l’arco di geodetica 
considerato, e l’indice 1 indica che delle derivate stesse si con- 
siderano i valori corrispondenti al punto M,, si avrà 


(2)... senv—seng,=A(o—0)+B(0-0)}+C(0—-0,)+... 


Consideriamo ora una sfera di raggio arbitrario e su questa 
un diametro qualunque che assumeremo come asse polare di un 


| sistema di coordinate polari sferiche. Detti M',M°, i punti della 


sfera, aventi per latitudine sferica ©,, 0, rispettivamente e per 
longitudini sferiche ©,, ©, rispettivamente, chiameremo &,, 2, i 
due azimut reciproci agli estremi dell’arco di cerchio massimo 
M',M',. — Saranno appunto 2, ,, i limiti sferici, dei quali 
è parola in principio di questo lavoro, vale a dire i limiti a cui 
si riducono gli azimut %,, , della geodetica sulla superficie data 


(*) Vedi BesseL, Ueber Einfluss der Unregelmdssigheiten der figur der 
Erde etc. Bessels Abhandlungen herausgegeben von R Engelmann. Abb. 130. 
— Una dimostrazione geometrica elementare di questa equazione venne data 
da me nel Giornale della Soc. di Lett. e Conv. scient. di Genova. Agosto- 
Settembre 1887. 


284 P. PIZZETTI 


quando si trascurano gli scostamenti di questa dalla sfera. E sì 


avrà, analogamente alle (1) (2), queste relazioni: 


():3E a, — a, =180° + fseng'. do 


1A po seno'— seno, =A (0-0) +B' (0-0) + 
+C'(0- 0) +... 


dove o è la latitudine sferica corrispondente alla longitudine © 
sull’ arco di cerchio massimo M',M',. Sottraendo le (1) (3) 


fra loro, la differenza fra le quantità corrispondenti %,— «,, -< 


, ' 
dd, %, 


risulta espressa da 
x Ù o 
Cas po e=(a,—@)--(4,- @,) i (sen o — sen 9') da 


Di 


D'altra parte le (2) (4) sottratte dànno 
(6)... seng—seng =(A4—A4)(0—0)+(B-B)(0—-@)+ 
+(C—C')(a-@)+... 


E poichè per @=%, si ha g=9' =, dovrà aversi, posto 


-WVW= Add: 
0—-A-4'4+(B—B).40+(C-C") A+... 


Ricavando di qui A—A' e sostituendo nella (6) abbiamo 
finalmente 


seng—seng =(B—B')(n-%)-(B—-B)(0-0,). A+ 
Pelo Le 00) a 


Sostituendo questa espressione nell’ultimo membro della (5) ed | 


eseguendo l’ integrazione termine a termine la (5) diverrà pertanto 
n 0 nAw' 
rist alt rai \ 


Ammetteremo, come praticamente si verifica, che l’arco di 
geodetica che si considera sia tanto breve, vale a dire, la diffe - 
renza Ao tanto piccola, che lo sviluppo (6) risulti convergente 
in egual grado e che nel 2° membro della (7) i termini a partire 


GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 285 


dal secondo siano affatto trascurabili di fronte al primo. Abbiamo 
allora nella quantità 


(70)... (B'— B) 


A wi 


un'espressione approssimata della differenza, della quale è parola 
nell’enunciato del teorema, fra la differenza dei due azimut 
reciproci z,, «, e quella dei loro limiti sferici 2',, 2',. — È 
facile vedere che la quantità B'—B è una quantità piccola 
dello stesso ordine degli scostamenti fra la superficie e la sfera. 
Resta pertanto dimostrato che la differenza e è una quantità 
piccola di 4° ordine per qualsivoglia superficie poco diversa 
dalla sfera. Troveremo fra poco l’espressione di B'— B per una 
superficie qualunque: per ora limitiamo le nostre considerazioni 
al caso dell’ellissoide di rotazione pel quale dimostreremo che alla 
quantità e può darsi, a meno di termini del 5° ordine, l’espres- 
sione (x) contenuta nell’enunciato del teorema. 


$ 2. — Se la superficie è di rivoluzione, detto © il raggio 
di curvatura del meridiano, r il raggio del parallelo, si ha, in 
virtù delle notissime formole 


dr È n do SEE DIR: da 
psp, pi mpoea. 


Es no 
do Fade 


(delle quali l’ultima vale soltanto per un arco di geodetica) 


(£ sen :) r cos g, cotg a 
TA == == CS IRSA 
do ), 0 


[i 
d’sen 3 


i 2B=( 


Y Y 
=—-sen29,.cotg°a, — — 
da |. an p,.cotg° 2, Di cosg sen 9, 


i 3 tr, dp 
— —cotg°a,seng, —— coso .cotg* a, { — 
P dp), 
D'altra parte per un arco di azimut iniziale «, e di coor- 
dinate estreme (9, ®,) (©, @,) si ha con uno sviluppo in serie, 
posto 9,9, =49, w—@=4A%: 


do Aw° (d°v 
Ao-Aw.{— ssa picat 
ii i (7) n 3) (2)+ 


i Ao? i d% 
= ht. cotga, +13 ) + 


2 \da 


286 P., PIZZETTI 


Ao 
donde — 1! cotg a, = +4, dove A, è una quantità piccola di 
‘og i rispetto a 4% -— Sostituendo questa espressione di 


di cotg a, nella (8), questa diventa 


di 9? cotg p, (dp 
0). 2B=-seng,(2°) 270089 +14 Gol 


Ao / 


r 
— — coso, seno, + È. 4% 


Lf: 


dove R Aw è una quantità piccola dello stesso ordine di A. 
La quantità E può immaginarsi sviluppata in serie secondo le 
potenze crescenti di e*® e quindi posto sotto la forma 


M4+ e N 


dove M indica il termine indipendente da e, ed e° N tutti i 
rimanenti termini nello sviluppo di £. 

Osserveremo di più che, a meno di termini dell’ordine di e', 
si ha per l’ellissoide : 


1d ; 

7 7 ag = 30 song. cos? È 3 == 0089 (1+e'c08°g) 
o_1_-ec08°p 

SRO, COS 


E quindi la (9) a meno di termini in ef può scriversi 


2 
— cos° 9,. Seng, — 


bis AR, o) 
(eh — seng,(<° 


— e cos'@,seng, +(M+e" N) Aw 


3 +e? cos° 0, 


Ponendo nel 2° membro di questa e=0, si ottiene il coef- 
ficiente 2 B' relativo alla sfera, Si ha quindi 


2(B'— B)=e*seno,cos' 0, 


Ao j 2 2 
(35) + cos r.|+e N.A0. 


GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 287 


E poichè a meno di quantità dell’ordine di A si può porre 
come abbiamo visto , 


Ap\ "#, to? LE 2 to? termini i 2 
"> = — cotg'a,= cos o,.cotg' a, + termini mm e 


I 
si avrà finalmente, a meno di termini in e‘, e in e 4% 


; e? .Sen%, COS 2 
Lp B-_B=-—_TP- 
Ko) 2 sen 2, 

Così l’espressione (7%) della differenza e, che pel caso del- 
l’ellissoide indicheremo con e,, diventa a meno di termini del 
5° ordine: 


e’ seno . cos”. 
(sich e A 


Chiamando s la lunghezza dell'arco di geodetica considerato, 
si ha, a meno di termini di secondo ordine 


12.sen'a 


s A .C08S%, 


a) sen 2, 


Epperò la (() può, colla stessa approssimazione del 4° ordine 
inclusivo, essere scritta 
(73 WERSRE i + 
i | LI ili E, RE 


dove si è posto il divisore sen 1° per ottenere e espresso in 
secondi. Una tale espressione di e altro non è che la (4) che 
si voleva dimostrare. 


$ 3. — Vediamo più generalmente quale espressione assuma 
la quantità 
Aw 
(B'-B) + 
per una superficie qualunque poco diversa dalla sfera. — Per 


una tale superficie le coordinate Cartesiane di un punto qua- 
lunque 2 possono essere date dalle formole 


r=(a+h)cosl.cos) , 
ARR y=(a+h)cosl.sen) , 


| z=(a+/)senl , 


288 P. PIZZETTI 


dove 1 è l'angolo. che il raggio vettore OM fa coll’asse delle 
Z, ) è l’angolo che il piano OZM passante per l’asse 0Z e 
pel punto M fa col piano ZOx, a è una costante, 4% è una 
quantità piccolissima di fronte ad a, e che può considerarsi come 
funzione di / e ). (È chiaro che 4 è la distanza, contata lungo 
il raggio vettore, fra la superficie e la sfera di raggio a). Dette 
@, © le coordinate astronomiche del punto (xy) rispetto all’asse 
0Z come asse polare, e al piano Zox come primo meridiano 
sì potrà porre 


(12). 2% q=14+$ À o=X Kr 

dove £, # saranno, in generale quantità piccole dello stesso ordine 
h sai 

di —. I coseni di direzione della normale alla superficie nel 


1) 
punto (©, ©) saranno 


COS. COS , coso .Sen % , sen? , 


e soddisferanno alle relazioni : 


dx dY dz 
COS d. COS a dote AR ag a 57 30 
n) 


(13) siate 
0 Y 
| COS £ . COS® 33 + cosg Sen © I 4 song or— ; 
da dx 
dove le derivate parziali Ti Do ©» debbono essere dedotte 


dalle (11) considerandovi 7, ) come variabili indipendenti, ed % 
come funzione di /, ). 

Se nelle (13) si sostituiscono, al posto delle derivate, le loro 
espressioni ottenute nel modo ora detto, e al posto di ®, © le 
espressioni (12), trascurando le quantità di ordine superiore al 


È À dh di 
primo rispetto a $, %, ’, Po = si ottiene senza veruna dif- 
do do 


10% vi agibaco Loi dh 
a dl” ‘—  acospdÀ. 


ficoltà 
e 


e quindi, colla stessa approssimazione : 


GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 289 


Sostituendo nelle (11) si ottengono espresse le (x y 2) in 
funzione delle coordinate astronomiche 0, & nel seguente modo 


0h sen 0 
x=(1+4)coso.cosm— — seno. cosm— — — 

Ù © i cos © d4 

14 ‘ +1) se oli fem 'wisenia; i E ca 
x =(4+4))coso.senn— — E ea 
Der. y e: ; d9 i cos € da) 


dh 
A rr cos % 


dove % deve ora considerarsi come funzione di ©, %. 

Sia ds un elemento lineare della superficie compreso fra i 
punti (9, @) (0 +do, 0+dw). — Sia « l’azimut dell’elemento 
stesso e diciamo A, B, C gli angoli che la tangente ad esso 
fa cogli assi coordinati. Si avrà con semplici considerazioni di 
trigonometria sferica (*) 


cos = — sen 9. Cosw. Cos4 — seno) . sen & 
cosB=— seng.sen.cos + coso. sen 
cosC = cosqp.cosa . 
E quindi 

dx % 
— dy+—do=— senv.coso. cosa. ds — seno. sen 2 ds 
dg RIA) + 
dY dY 

(Bo)... x dg+= do=— seng.senw.cos 7. ds + cosw. sen ds 
0 d% 
dz dz î 
—do+— do= coso.cosu. ds . 
dp f d% ? 


Ora dalla (14) posto 


0° h Oh 0h 
CIRO ri È FE raggi 

a SP Rancio, 

(a + ARL E ARTE Pere 


(*) Veggasi p. es. Pucci, Fondamenti di geodesia, cap. XI1, } 1°. Le nostre 
formole (18) possono poi dedursi come casi: particolari dalle formole (23) 
dello stesso capitolo dei Fondamenti di Puccer. 


290 P. PIZZETTI 


si ottiene senza Cifficoltà : 


Ò e n) i 

CSI a EN co © __ Pseno — Nsengcos 

do 1 cos © d9) 

dY coso dy i 
(16) = =— Mseneseno+ N — = Psenw—Nsenp sen 

= dp i cos 9 PIA) 
dz dz ; 
—=M.cosg ria È 


09 


Moltiplichiamo le (15) rispettivamente per — sen 0 cos ®, 
— seng sen@, coso e sommiamo. Tenuto conto delle (16) si 
otterrà 
ds.coov=Mdo+ Nd. 


E similmente moltiplicando la prima delle (15) per — sen w 
la seconda per cos w e sommando : 


ds.sena=Nsecp.do + Pdo . 


Risolvendo queste due ultime equazioni rispetto a dg, do 


otteniamo : 
17) d __Pcosa Nsona I a Ncosa.seco 
( <.° fi MP-— N°secv ; n) = MP — N? sec g 


Sostituendo per M, N, P le loro espressioni, si ottiene, a 
meno di quantità di 2° ordine rispetto ad % e alle sue derivate 


1 Pal \, a pgpaata ch 1, 0°. aa 
MP N?seco a coso | a a do acospd ade 


| 


o 


10% 
a cosp.dy=a 0089 (1 ao )cosa.ds a 
n 


Oh dh 
— (tango — + sen a ds 
0  d0dg; 


h tango 0 lp) 0% 
a 


a’cosydo=al1—— — — ———— —|sena ds 
a a d9 acosgdo 


S arsizio dh \2ra 
— n = a 
ST 0 d0 / coso p 


GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 29% 


Dividendo fra loro queste due equazioni, e tenendo sempre, 
nella divisione dei secondi membri, l’approssimazione del 1° or- 


d 
dine rispetto ad %, otteniamo l’espressione della derivata i 
relativa ad un elemento lineare di azimut «: 
d 
(19)... 7° = cosg cotga (142) 
( 


dove abbiamo posto 


109°h  tangqgol h)x40%k 


a do acosgda 


2cotg 2 a | Jie 94h 
eu 


Fo. 
co = = 


| a cos RIA) 000 


Si avrà allora 
d.seng 


(1)... — 


=cos'v.cotga.(14- 2) 


E, per un arco di geodetica pel quale vale la relazione 


(22)... 7509 1 
sarà 

d° i 5 ea 
(23) 5 AgaE PIATA Q.seng.cotga(142) Da rici angie 


da” sen? a 


° casi A da 
costo .cotga — , 
: 5 do 


deo 4: 

dove = indica la derivata di x rispetto ad © lungo l’elemento di 
geodetica che si considera, ossia 

da dado drda dr 

do dodo dado d6 
da da de. de d 
Ti -PLr si dedurranno dalla (20), e i, = dalle 
(19) (22). Eseguendo le operazioni, riducendo, e ponendo 


Le 


c=cotga , 


(26), 


292 P. PIZZETTI 


si ottiene 
“da c_ 0h 0h ci-4c-1 Se: 
| a—-=—-———+—0@-14 —_ tang'g\— 
dw cos p dp 00 e \ 
SALE i °h ci'-5e—1 
— —, + tango. —— 
c sen ?55 ge dp .d0 = 
tango 024 3 e— 1 dh 
(24) ic SPO ai cosip e 
cosp da cc dp 
} di” 1 dh 2ce-1 
+e stata te 
00°dw —cospdg.dw c 
1. 2% 
\ cos 9 di 


La (23) può scriversi, trascurando i termini in 4°, e ponendo 


1° seno È 
come nel $ 1, 2 B in luogo di (a 
do 4 


2B=— cos°9,seng, — 3 cos° 9, sen g, cotg* @, — 


— x coso, seno (5 cotg°a +1 
(25)... , 608° 9, sen g, (5 cotg ta 


da 
+ cos° 9, . cotg a, (7) 
dw!, 

Dette Ao, Aw le differenze fra le coordinate degli estremi 
dell’arco che si considera, si potrà, analogamente a quanto si è 
fatto nel caso dell’ ellissoide esprimere cotg 4, in funzione di 
queste differenze, per mezzo della relazione : 


A 
L= 0089, cotg a, (1+x) +5, 


dove B, è una piccola quantità dello stesso ordine di Av. 

Ricavando di qui cotg , e sostituendo nel 2° termine del 
2° membro della (25) questa potrà scriversi, a meno di ter- 
mini in 2°: 


Ao\ 
2B=— cos°®,. —3 —_ i 
| COS ©, .Sen@, sen e. (35) + 


> 1 3 
14 #cos*0,sen , (cote*a — 1) + cos’, . cotga, DE; +(M+Na)Aw 
| i p p FE: 


GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 293 


dove M.A@w, N.A% sono quantità «indipendenti da x, e pic- 
cole entrambe dello stesso ordine di A. 

| Per la sfera e per un arco di cerchio massimo del quale 
gli estremi abbiano le coordinate astronomiche (%,,) (0,+ 49, 
+ A), si ottiene l’espressione particolare 2.B' della quantità 
2 B, col porre nel 2° membro della (26)zx = 0. Si ha così 


’ Ap\? 
(27)... 2bB=—cos°9,seno,—3seng, (T) +M.4% 
espressione identica, com’era da aspettarsi, a quella che si ottiene 
ponendo e°—=0 nella (9%): 
Sottraendo la (26) dalle (27), e moltiplicando il risultato per 


2 


A 
na abbiamo finalmente l’espressione della differenza e pel caso 


di una superficie qualunque poco diversa dalla sfera: 


a A 605 
eice=(B pila RI 1) + 
+ cos° ©, coto a (7) cei 
pad do lia ale 


a meno di termini dell’ordine di x°. Aw', ecc. e di x. Aw' e 
ordini superiori. 
I 
Nella (28) x, e (7) indicano i valori speciali che assu- 
©) 19 
mono il secondo membro delle (20) e quello delle (24) diviso 
per a, quando al posto di 9, ©, 4 si pongano @,, ®,, «,. Ese- 
guendo le sostituzioni nelle (28) per mezzo delle (21) (24), ridu- 
cendo, e ponendo : 


cotga,= €, 
sì ottiene: 
| Aw'.cos° 9 397 i Ì | 
a te ha 
SE gii (3142 tang* DEN 
segue 10% 1 g @ , 
0h 0h | 
TIRRIO n D SA i pi a TE 
+ sen © 5a € Cc, ) tango pece (2 €, Ze) 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 24 


Rita 


294 P. PIZZETTI 


tango d°% 05” 
Dr tt 2. COSO — 
COS do: | & (RO IL dg 
sequito 3} PT 
0° h de? — "h 
(29) dc; IRE RA ed) ELMA 
‘rie Fed cosp dp. dw° 
c, 0% 


cos” @ dw° 


Nel 2° membro di questa si è posto il divisore sen 1' per 
ottenere e espresso in secondi d’arco. 


$ 4. — Come esempio, calcoliamo l’espressione che assume & 
pel caso di un ellissoide a tre assi, poco diverso dalla sfera. 
Siano a, aVi—f?, alt—e? i tre semiassi, dei quali l’ultimo 
assumeremo come asse polare del sistema di coordinate astrono- 
miche, prendendo poi come primo meridiano la sezione principale 
i cui semiassi sono a, ai —e. Introducendo nella equazione 


y PRI 
1- ai 
dell’ellissoide le espressioni (11) delle x y 2, si ottiene facilmente 
a meno di quantità di 2° ordine rispetto ad e?, f?: 


La BI 


a 
h= — 3 e” sen? 7 + e° cos? sen? 
L) 


e, colla stessa approssimazione : 


(47 


LES) «i 2 2 2 Ct 2 
lar e° sen° 0 + e°cos° g sen % 


Eseguendo le derivazioni parziali occorrenti, ed introducendo 
i risultati nel 2° membro della (29), si ottiene, senza @&lcuna 
difficoltà : 


Ao così Y, 


e- 4; eseng — f* seno, (seno, seno, + c, 080 
ave 1°) Li (RP 


(c°+1) 


ovvero, restituendo a c, il suo valore 


SOI REL Sg 


Aw cosî (0) 
3 
o e seno, —_ f ? sen G), (sen, sen + COSO), cotg 4) 


— 12.sen°2,.senl 


GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 295 


Se in questa si pone f=-0 si ritrova nuovamente l’espres- 
sione (3) della quantità e, trovata al $ 2 e relativa all’ellissoide 
di rivoluzione. Alla (31) può darsi una forma più semplice. Se 
infatti si chiama ® la latitudine del punto nel quale la geodetica 
che si considera incontra il meridiano di 90° di longitudine, ossia 
la sezione principale che ha per semiassi aV 1—f?, aVi1—@, si 
ha, da un triangolo sferico ; 


tang ®. cosg, = sen g, seno + cotg 2, cos w, + termini in e'È, fi) 


Quindi la (31) colla stessa approssimazione può scriversi : 


Ao'.cos'p,. seno, tang ® 
ee—_— e -f*.seno —— | . 
12.sen°x,.senl tang 9, 
— od anche con uguale approssimazione: 
s° sen 2 9, sen tang® | 
32)... = {e —f°senw 
do) 24.a°sen1 ‘tango, | 


Posto e'=0,0064, f?=0,0005 (quali sono pressapoco i 
valori delle due eccentricità nell’ellissoide terrestre a tre assi di 
Clarke), e considerato un arco di geodetica pel quale s=1,000,000”, 
a,=9,=@,= 45°, si ha nel 2° membro della (32) 


il termine in e = 0,212, 
il termine in f° = — 0",029. 

E in totale e= 00,183. 

Per l’ellissoide di Bessel (e'=0,0067 circa) si avrebbe cogli 
stessi dati e= 0,223. 


Se l’arco s è di soli 100,000" di lunghezza, questi e di- 
ventano : 


per l’ellissoide di Clarke e=0",000212—0",000029—=0",000183 
id di Bessel e — 0",000223 


$ 5. — Crediamo inutile di applicare la formola (29) ad altri 
esempi. La formola stessa, insieme coll’esempio del precedente 
paragrafo, ci sembrano sufficienti a dimostrare come, anche per 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXIII, 24% 


296 P. PIZZETTI - GLI AZIMUT RECIPROCI ECC. 


archi di geodetica estremamente lunghi, e, ogni qualvolta il Geoide_ 
si supponga poco diverso da una sfera, la quantità e possa sempre” 
considerarsi come trascurabile, almeno di fronte agli errori pro- 
venienti dall’osservazione e che affettano gli azimut. calcolati 
geodeticamente. Ne segue che « date le coordinate astronomiche 
degli estremi di un arco di geodetica, la differenza fra gli azimut 
reciproci estremi di un arco può considerarsi come una quantità 
nota indipendentemente da qualunque ipotesi sulla forma e sulle 
dimensioni, della superficie fisica terrestre, purchè soltanto si 
ammetta che gli scostamenti fra questa superficie e una sfera 
siano dello stesso ordine di quelli che l’ellissoide Besseliano pre- 
senta rispetto alla sfera ». Questa quantità nota altro non è che 
il limite sferico della detta differenza d’azimut. Se si chiamano 
©,, 9, le latitudini astronomiche agli estremi dell'arco di geo- 
detica che si considera, A la differenza di longitudine fra gli 
estremi stessi e @, , gli azimut reciproci dell’arco stesso, si ha 
dunque, a meno di quantità in ogni caso trascurabili : 


O4+ 9. 
sen 
cotan pù PR LE Ò tan De 
vas Sar 7 dp PER Ri i BI 
cos "a 


Il teorema ora enunciato può riescire molto utile nella com- 
pensazione di una triangolazione geodetica, agli estremi della 
quale si siano determinate astronomicamente le latitudini e le 
differenze di longitudine. Infatti per una tale compensazione il 
nostro teorema fornisce un’equazione di condizione indipendente 
da qualsiasi ipotesi sulla forma e sulle dimensioni del Geoide. 
Ma sopra quest’argomento che ci trarrebbe affatto fuori dell’ordine 
di idee svolto in questa Nota, intendiamo occuparci in unsaltro 
nostro lavoro. 


Genova, aprile 1888. 


e rr 


297 


Sugli eteri mitrobenziletilici (*) 


del Dott. GIiorGio ERRERA. 


Etere paranitrobenziletilico. 


NO, (4) 
&H< cH..0.C,H, (1). 


Il metodo generale di preparazione degli eteri benziletilici 
sostituiti, l’azione cioè della potassa alcoolica sui derivati cor- 
rispondenti del cloruro di benzile, non si può applicare all’etere 
paranitrobenziletilico. È noto infatti come la potassa alcoolica tra- 
sformi il cloruro di paranitrobenzile in paradinitrostilbene. 

Per ottenere l'etere sopra accennato si deve riscaldare per 
parecchi giorni a bagno d’acqua salata in un pallone chiuso alla 
lampada, il cloruro di paranitrobenzile insieme ad un grande 
eccesso d'alcool ordinario; non si può operare a temperatura più 
elevata perchè la sostanza allora si carbonizza. 

Siccome, anche rinnovando l’alcool, e prolungando di molto 
il riscaldamento, la reazione è difficilmente completa, e siccome 
d’altronde l’etere paranitrobenziletilico non si può distillare e si 
purifica male per cristallizzazione in causa del punto di fusione 
molto basso, per liberare il prodotto dal cloruro di nitrobenzile 
inalterato si può, dopo aver scacciato a bagno maria il cloruro di 
etile formatosi, aggiungere al liquido ancora caldo, qualche goccia 
di potassa alcoolica. Il cloruro di nitrobenzile si trasforma im- 
mediatamente in dinitrostilbene, il quale, essendo quasi insolubile 
nell’alcool, si precipita per la massima parte, e volendo si può 
separare per filtrazione. 


(*) La presente nota fa seguito ad una Memoria pubblicata l’anno scorso 
negli Atti di questa Accademia (vol. XXIl) Intorno all'azione del calore e 
dell'acido nitrico sugli eteri. 


298 GIORGIO ERRERA 


Del resto si può senz'altro aggiungere un po’d’acido clori- 
drico per neutralizzare la potassa, e sottoporre tutto a distilla- 
zione in una corrente di vapor d’acqua; il dinitrostilbene rimane 
nel pallone, e non passa che l’etere paranitrobenziletilico il quale, 
se la temperatura è sufficientemente bassa, cristallizza già lungo 
il refrigerante. Nell’aggiungere la, potassa alcoolica è necessario 
andar cauti, poichè, se questa è concentrata e in eccesso con- 
siderevole, può decomporre anche l’etere. 

L’etere paranitrobenziletilico è una sostanza solida, fusibile da 
24° a 24°,5 di color giallo chiaro, insolubile nell’acqua, solu- 
bilissima nell’alcool e nell’etere, poco solubile negli eteri di pe- 
trolio (punto di ebollizione 35°— 50°) specialmente a freddo; una 
soluzione nell’etere di petrolio satura a temperatura ordinaria 
lascia depositare per raffreddamento a qualche grado sotto lo 
zero, cristalli aghiformi. Per fusione si ottengono cristalli pri- 
smatici che molto probabilmente appartengono al sistema trime- 
trico. All’analisi si ebbero i risultati seguenti : 


Da grammi 0,4500 di sostanza si ottennero grammi 0,2574 
d’acqua e grammi 0,9838 di anidride carbonica. 


Da grammi 0,2414 risultarono 16 cme. di azoto alla tempe- 
ratura di 13° e alla pressione di 735,5 mm. ridotta a zero. 


E in cento parti: 


trovato calcolato per C, H,; NO, 
C 59,62 59,67 
H 6,35 6,08 
N 7,62 7,73 
O 26,41 26,52 
100,00 100,00 


Sottoposto a distillazione l’etere paranitrobenziletilico si decom- 
pone parzialmente mentre una parte passa inalterata. Coll’acido 
nitrico fumante si comporta come gli altri eteri analoghi, si 
decompone cioè dando aldeide paranitrobenzoica. 


SUGLI ETERI NITROBENZILETILICI 299 


Etere metanitrobenziletilico, 


NO, (8) 
Ca < CH,.0 C,H, (1). 


Mentre il cloruro di paranitrobenzile trattato con potassa 
alcoolica dà paradinitrostilbene, il cloruro di metanitrobenzile dà 
nelle medesime condizioni l’etere metanitrobenziletilico. Perciò ad 
una soluzione alcoolica diluita di cloruro di metanitrobenzile 
(ottenuto dall'alcool con pentacloruro di fosforo) si aggiunge un 
leggiero eccesso di potassa alcoolica e si riscalda a bagno maria. 
La reazione avviene tosto completamente e si separa cloruro potas- 
sico ; senza neppur scacciare l’alcool per non lasciare troppo tempo 
l’etere formatosi sotto l’azione .della potassa alcoolica, si allunga 
con acqua, si acidifica leggermente e si distilla con vapor d'acqua. 

L’etere metanitrobenziletilico passa sotto forma di un liquido 
insolubile nell’acqua, solubilissimo nell’alcool e nell’etere, di color 
giallo quando è di fresco preparato, ma che volge al bruno 
coll’andar del tempo. In un miscuglio di neve ed acido clori- 
drico solidifica in una massa cristallina, ma ridiventa liquido 
appena estratto dal miscuglio frigorifero. L'analisi diede i risul- 
tati seguenti : 

Da grammi 0,4410 di sostanza si ebbero grammi 0,2472 
d’acqua e grammi 0,9602 d’anidride carbonica. 

Da grammi 0,3218 di sostanza risultarono 21,5 cme. d’a- 
zoto alla temperatura di 15° e alla pressione di 730,7 mm. 
ridotta a zero. 


E per cento 
trovato calcolato per C, H,j NO, 
C 59,38 59,67 
H 6,23 6,08 
N 7,56 iaia 
O 26,83 26,52 
100,00 100,00 


Coll’acido nitrico si decompone anch’ esso e dà aldeide me- 
tanitrobenzoica. 


300 GIORGIO ERRERA 


Etere ortonitrobenziletilico. 


NO, @) 
CH <cH,.0.6,H, (1). 


Il cloruro di ortonitrobenzile necessario alla preparazione 
dell’etere si ottiene insieme al cloruro di paranitrobenzile nitrando 
il cloruro di benzile. La parte liquida raffreddata con sale e 
neve lascia deporre un miscuglio di cloruro di para- e di orto- 
nitrobenzile, nel quale prevale il secondo e che si possono facil- 
mente separare per cristallizzazione frazionata. La separazione si 
può accelerare di molto nel seguente modo: si preparano solu- 
zioni alcooliche calde non troppo .concentrate, e quando si giu- 
dica che per raffreddamento si sia oltrepassato il punto di sa- 
turazione, si introduce nel liquido un cristallino dell’uno o dell’altro 
cloruro. Si separano subito i cristalli della stessa specie, mentre 
quelli dell’altra non incominciano a depositarsi che più tardi. Se 
si decanta il liquido al momento opportuno, si può raccogliere 
uno dei cloruri quasi del tutto scevro dell’altro e che una se- 
conda cristallizzazione basta a depurare completamente. 

La preparazione dell’etere ortonitrobenziletilico. si fa come’ 
quella del composto para. Si riscalda in recipiente chiuso il 
cloruro con alcool, si decompone con potassa alcoolica il cloruro 
che non ha preso parte alla reazione, e si distilla in una cor- 
rente di vapor d’acqua (*). 

Passa l’etere sotto forma di un liquido giallo che alla luce poco 
a poco si abbruna. È insolubile nell’acqua, solubilissimo nell’alcool 
e nell’etere, non si solidifica neppure in un miscuglio di acido 
cloridrico e ghiaccio. All’analisi diede î risultati seguenti: 


Da grammi 0,3660 di sostanza si ebbero grammi 0,1974 
d’acqua e grammi 0,8030 d’anidride carbonica. 


(*) Si ricorse immediatamente a questo metodo di preparazione senza 
tentare l’azione della potassa alcoolica, poichè ELBs in una Memoria inserita 
nel Journal fiir praltische Chemie, vol. XXXIV, pag. 340, asserisce d’aver 
ottenuto, trattando il cloruro di ortonitrobenzile con potassa alcoolica, l’or- 
todinitrostilbene. 


SUGLI ETERI NIl'ROBENZILETILICI 301 


Da grammi 0,2580 di sostanza si svilupparono 17 cme. 
d'azoto alla temperatura di 13° e alla pressione di 731,5 mm. 
ridotta a zero. 

E in cento parti: 


trovato calcolato per C,H,, NO, 


C 59,83 59,67 
H 5,99 6,08 
N 7,74 va 
o) 26,44 26,52 

100,00 100,00 


L'etere ortonitrobenziletilico si trasforma anch'esso per nitra- 
zione in aldeide ortonitrobenzoica. 


Torino, Laboratorio di Chimica della R. Università. 
Aprile 1888. 


Il Direttore della Classe 
ALFonso Cossa. 


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DELLA 


R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


DE-CORINO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


VoL. XXIII, Disp. 12", 1887-88 


-_— —- 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


TORINO 
ERMANNO LOESOHER 


divinita ddt i 


303 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 6 Maggio 1888. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI 
PRESIDENTE 


Sono presenti i Soci: Cossa, LEssona, Bruno, BERRUTI, 
Basso, D’Ovipio, FERRARIS, NaccarI, Mosso, SPEZIA, GIBELLI. 
- Si legge l’atto verbale dell’ adunanza precedente che viene 
approvato. 
Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine che 
segue : 
1° « Sulla composizione di alcune roccie della riviera 
di Nizza »; Memoria del Dott. Clemente MOoNTEMARTINI, As- 
sistente di Chimica nella R. Scuola d'Applicazione degli Inge- 
gneri in Torino, presentata dal Socio Cossa ; 
2° « Tacnia flavopunctata Wem., Taenia leptocephala 
CREPLIN, Taenia diminuta Run. » ; Nota del Dott. B. Grassi, 
Prof. nell'Università di Catania, presentata dal Socio Mosso, a 
nome del Socio BizzozERo, assente per motivi d'ufficio. 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXIII, x25 


ASIA DELLE RA 


pe). PP MAMAMATLRA "2. 


304 ELEMENTE MONTEMARTINI 


Sulla composizione di alcune roccie della Riviera di Nizza, 


Nota del Dott. CLEMENTE MONTEMARTINI, 


1. Subito dopo il terremoto del 23 febbraio 1887, terre- 
moto che produsse gravissimi danni in quella parte della costa 
settentrionale del Mediterraneo, che si stende tra Genova e Mar- 
siglia, il prof. Torquato Taramelli si recò sui luoghi devastati 
e raccolse una serie interessante di campioni di roccie della ri- 
viera di Nizza che egli inviò al laboratorio di chimica docimastica 
della R. Scuola di Applicazione degli ingegneri di Torino per 
farle oggetto d’uno studio petrografico e chimico. In questa nota 
sono riassunti i risultati di tali ricerche, delle quali volle inca- 
ricarmi il prof. A. Cossa, a cui sento il dovere di rendere le più 
vive grazie. 

Riguardo al giacimento di queste roccie, che, eccetto una, 
appartengono tutte alla famiglia delle andesiti, trascrivo letteral- 
mente le indicazioni seguenti fornitemi cortesemente dal prof. 
T. Taramelli. 

« Le andesiti del Nizzardo si presentano in espandimenti 
coll’aspetto di agglomerati, in causa della subita basaltizzazione 
globulare, sopra un’area di circa quaranta chilometri di lunghezza 
e diciotto di larghezza; tra Porto Jouan, a ponente di Antibo, 
Grasse e Monaco. Il massimo sviluppo è nelle vicinanze di Biot, 
fino poco oltre il torrente Loup, con alcuni affioramenti secon- 
dari, probabilmente di dicchi, tra Rochefort e Le Bar, e presso 
Vence, fino al castello della Gande. 

« Quando le andesiti attraversano i. calcari della Creta e 
del Giura, sembrano avere esercitata su questi una alterazione, 
inducendovi a tenue. distanza una struttura saccaroide, come si 
osserva presso Rochefort e superiormente ai due affioramenti di 
Capo d’Aglio e della strada postale presso Monaco. 

« I conglomerati del pliocene superiore riposano sulle ande- 
siti, im apparente concordanza coi piani di separazione delle varie 


9% 


COMPOSIZIONE DI ALCUNE ROCCIE DELLA RIVIERA DI NIZZA 305 


colate; ma contengono ciottoli della lava e sono quindi poste- 
riori all’emissione, al consolidamento ed alla emersione di essa, 
se, come è molto probabile, l’andesite si espanse sotto al mare. 

« Secondo gli autori della carta geologica francese, com- 
prendono ciottoli di andesite anche le arenarie mioceniche di 
Vence, dell’Elveziano; ma io ho cercato invano di confermare 
questa asserzione. È certo che le roccie eoceniche, molto svilup- 
pate presso Biot e tra Vence e la Gande, mancano assolutamente 
di ciottoli e di arene di andesiti. L’'eruzione di queste lave resta 
circoscritta tra l’eocene superiore ed il pliocene. 

« La roccia si presenta molto varia pel diverso grado di subita 
alterazione; ma vi sono realmente delle zone, a guisa di filoni, 
dove la struttura è più compatta, quasi fonolitica. A ponente di 
Antibo e lungo la postale da Monaco a Capo d’Aglio, si av- 
vertono dei dicchi di caolino, con spostamento evidente delle masse 
laterali. 

« Le varietà con più distinti cristalli anfibolici sono nella 
penisola di Antibo. nella quale le andesiti formano due zone 
di affioramento, dirette da nord a sud attraverso i calcari grigi 
e giallognoli dell’oolite: la più sviluppata verso oriente, contorna 
entro terra il rilievo sul quale è fabbricato il faro. Anche quivi 
un tenue lembo di eocene è indipendente dall’andesite; più a 
ponente questa è ricoperta da una panchina arenacea che mi 
parve identica a quella pliocenica di Biot. 

« La stratificazione delle colate andesitiche mi si offerse più 
che altrove distinta nel paese e nei dintorni di Villeneuve. » 


2. Le roccie studiate si possono dividere nei seguenti gruppi (1): 


1° Andesiti augitiche. — A questo gruppo appartengono 
i campioni 1, 2,3, 4,5, 6, 10, 11, tutti di Capo d’Aglio, 
(Monaco), 1 campioni 15 e 16 raccolti sulla via postale ad ovest 
di Monaco; 

2° Andesiti che oltre all’augite contengono anfibolo. — 
Sono rappresentate dai campioni 8, 9, 12, 13, 14 di Capo di 
Aglio (Monaco); 22, 28 di Antibo (a nord della Ville du Cap); 
27, 28, 29, 30 di Antibo (spiaggia occidentale della penisola); 


(4) Distinguo i varii campioni col numero d’ordine loro dato dal Pro- 
fessore TARAMELLI. 


506 CLEMENTE MONTEMARTINI 


3° Andesiti con aspetto trachitico. — Rappresentate dai 
campioni 24, 25, 26 di Antibo (costa occidentale della pe- 
nisola); 

4° Andesiti con aspetto di agglomerato. — Rappresen- 
tate dai campioni 18 e 19 di Capo d’Aglio (Monaco). 

5° Andesite con aspetto basaltico. — Campione n. 7, di 
Capo d’Aglio (Monaco). 

6° Andesite spalmata di gesso. — Campione n. 17 di - 
Capo d’Aglio (Monaco). 

7° Semiopale compatta retinitica — Campione n. 31 di 


Antibo (spiaggia occidentale della penisola). 


Andesiti augitiche. 


8. Queste roccie hanno tutte una struttura irregolarmente 
granulare, meno i campioni 15 e 16 che sono più compatti. 
Presentano degli alveoli di dimensioni e forme svariate che dànno 
alla roccia una porosità caratteristica di molte andesiti. Tali al- 
veoli, che mancano nei campioni 15 e 16, nei campioni 4 e 11 
sono tappezzati da uno strato sottile di una sostanza bianca 
amorfa, e nei campioni 3, 5, 10 da una materia verdognola 
che molto probabilmente deriva anch’essa, come la prima, da 
prodotti di decomposizione Questa materia non è formata da 
zeoliti; non si decompone coll’acido cloridrico, e nelle sezioni 
sottili si presenta con tutti i caratteri dell’opale colloide, pro- 
dotta per epigenesi di alcuni dei componenti della massa fonda- 
mentale della roccia. 

Esaminando ad occhio nudo queste roccie si scorge che esse 
sono formate da una pasta (massa fondamentale) con colore va- 
riante dal bruno rossiccio al grigiastro*a seconda del grado di 
alterazione della roccia. In questa massa fondamentale micromera 
si trovano disseminati porfiricamente dei cristalli di augite e dei 
cristalli molto più piccoli di feldspato triclino. I cristalli di 
augite sono assai appariscenti nei campioni 1 e 2 e molto meno 
negli altri. 

Sotto al microscopio la massa fondamentale della roccia si 
risolve, osservata con un forte ingrandimento, in una parte cri- 
stallina ed in un magma amorfo. La parte cristallina è formata 
essenzialmente da microliti di feldspato plagioclasio e di augite, 


COMPOSIZIONE DI ALCUNE ROCCIE DELLA RIVIERA DI NIZZA 307 


Il magma amorfo consta di una materia vetrosa a colore bruno, 


‘e di minute granulazioni a vario colore ed opache, tra le quali 


a n LI 


quelle nere possono ritenersi come magnetite. Si è già notato 
che i campioni di queste andesiti macroscopicamente presentano 
una struttura porosa; ora nell'esame di molte sezioni sottili si 
scorgono nella massa fondamentale delle piccole cavità irregolari, 
riempite quasi completamente da una materia amorfa, di colore 
bruno giallognolo, costituita da silice opale. 

I minerali che si trovano disseminati porfiricamente nella 
massa fondamentale sono: un feldspato triclino, l’augite e grani 
cristallini di magnetite. 

Giudicando dalla natura chimica del feldspato dall'angolo 
massimo di estinzione misurato in molte laminette di gemina- 
zione sintetica secondo la legge dell’albite, si può ritenere che 
il feldspato è labradoritico e che si avvicina alla composizione 
teorica Ab, An,,. Anche coi saggi chimici si trovò che i feldspati 
triclini di queste roccie sono intaccati dall’acido nitrico ; la so- 
luzione dà molto distintamente coll’ossalato ammonico la reazione 
della calce. I cristalli di feldspato hanno contorni ben distinti, 
non presentano traccie di alterazione per caolinizzazione, il che 
li distingue dai feldspati delle diabasi, ed alcuni di essi hanno 
anche un aspetto tabulare. In molte sezioni sottili si riscontrano 
dei cristalli di feldspato raggruppati tra loro. In quasi tutti i 
cristalli di feldspato si scorge molto ben sviluppata una strut- 
tura zonare derivante dall’interposizione regolare e simmetrica di 
particelle della massa fondamentale nella pasta del cristallo, 
interposizione che indica le diverse fasi di sviluppo di questo. 

Le augiti incluse nella massa fondamentale presentano un 
lieve dicroismo, e sono per lo più geminate. A differenza dei 
microliti d’augite che costituiscono la massa fondamentale, i 
grossi cristalli di augite inclusì si presentano in queste roccie 
variamente modificati per azioni secondarie. In alcuni cristalli la 
materia dell’augite è in tutto od in parte sostituita da una so- 
stanza verde leggermente dicroica e che accenna ad una tra- 
sformazione del pirosseno in una materia anfibolica (uralite). In 
altri cristalli di augite si nota che il minerale è ricoperto da 
una crosta di magnetite. In una delle sezioni sottili preparate col 
campione segnato dal n. 2, si osserva un cristallo di augite ben 
terminato alle due estremità, e trasformato perifericamente in 
magnetite, e nella parte centrale in biotite. Qualche volta la 


308 CLEMENTE MONTEMARTINI 


trasformazione in magnetite è così completa, che si scorgono delle 
granulazioni di magnetite raggruppate in modo da simulare più . 
o meno perfettamente i contorni di un cristallo di augite. 

La magnetite oltre che in granulazioni finissime, si trova pure 
in grani cristallini associati agli altri minerali della roccia. In 
molti campioni la magnetite è in parte decomposta ed è circon- 
data da uno strato di una materia di colore rosso bruno amorfa 
(idrato ferrico). 

Le andesiti augitiche di Capo d’Aglio hanno un peso spe- 
cifico che oscilla tra 2,64 e 2,83. Contengono poca acqua; la 
quantità di silice determinata nei campioni 1 e 4 venne trovata 
eguale a 55,89 e 54,538 per cento. 


Andesiti che oltre all’augite contengono anfibolo. 


4. I campioni di andesiti anfiboliche si possono distinguere: 


a) in andesiti compatte, inalterate, a struttura omogenea, 
quali i campioni 8 e 9 di Capo d’Aglio (Monaco), i campioni 
27, 29 e 30 di Antibo (spiaggia occidentale della penisola); ed 

b) in andesiti alterate) a struttura poco omogenea, nelle 
quali cioè la struttura porfirica è molto più marcata, rappre- 
sentate dai campioni 12, 18 e 14 di Capo d’Aglio (Monaco), 
22 e 253 di Antibo (nord della Ville du Cap), e 28 di Antibo 


(spiaggia occidentale della penisola). 


a. 


5. Le andesiti comprese sotto questo gruppo hanno un co- 
lore grigio nerastro, una frattura scagliosa a superficie irrego- 
lare. Possono per il loro aspetto esteriore essere confuse colle 
diabasi. 

Dall'esame microscopico risulta che nella massa fondamentale 
di queste roccie predomina la parte microcristallina su quella 
amorfa. Ai minerali disseminati nella massa fondamentale, e già 
notati nelle andesiti augitiche , bisogna aggiungere l’anfibolo. 
Quest'ultimo minerale sì presenta coi caratteri dell’anfibolo detto 
basaltico, tale e quale a cagion d’esempio si riscontra. nella 


COMPOSIZIONE DI ALCUNE ROCCIE DELLA RIVIERA DI NIZZA 309 


maggior parte delle sieniti; esso è poverissimo di inclusioni. — 
I cristalli di augite non presentano l’infiltrazione di materia verde 
caratteristica delle roccie precedentemente descritte. La maggior 
parte dei cristalli di augite sono geminati, ed alcuni presentano 
anche belli esempi di poligeminazione (p. es. in una delle sezioni 
sottili del campione n. 9). Tra le inclusioni dei cristalli di au- 
gite predominano i piccoli cristalli di magnetite, i quali. come 
quelli disseminati nella massa fondamentale, sono affatto inalte- 
rati. e non sono punto circondati da una materia color ruggine 
(idrato ferrico). 

]l peso specifico di queste roccie varia tra 2,65 e 2,70: una 
analisi chimica sommaria eseguita sul campione di roccia n° 8 
diede i risultati seguenti : 


Perdita per calcinazione 2.42 
Anidride silicica 55.50 
Ossido ferrico 7.78 
Allumina . . 19.57 
Calce. 7.67 
enon ani ee no lo oi 2.7.6 
Alcali (per differenza) 4.30 

100.00. 


b. 


6. Fra queste roccie il campione che porta il n° 12 si distingue 
dagli altri pel suo colore ferrigno, per la struttura alveolare più 
marcata e poi perchè non vi sì osservano macroscopicamente ben 
distinti i cristalli inclusi di anfibolo. Coll’ esame microscopico 
delle sezioni sottili si rileva che il colore ferrigno deriva dalla 
sovrossidazione degli elementi ferruginosi della pasta fondamen- 
tale; sovrossidazione che deriva certamente da azioni secondarie ; 
probabilmente esterne, perchè le particelle del magma fondamen- 
tale incluse nei cristalli di augite, di anfibolo e di feldspato 
hanno il loro colore normale. D'altra parte che questa altera- 
zione debba ritenersi proveniente da cause estrinseche, si può 
arguire da ciò che i cristalli di augite non sono compenetrati 
dalla materia verde che si nota nelle andesiti del primo gruppo 
e che devesi senza dubbio a modificazioni endogene indipendenti 
da azioni posteriori. 


310 ‘ CLEMENTE MONTEMARTINI 


L'esame microscopico delle varie roccie appartenenti a questo 
gruppo ha dimostrato che esse sono costituite oltrechè dal solito 
magma fondamentale caratteristico delle altre andesiti, dai mi- 
nerali seguenti : 

1° Cristalli di feldspato con inclusioni centrali e perife- 
riche della massa fondamentale, non coalinizzati. In alcuni di 
questi cristalli non si notano le strie di geminazione polisintetica 
perchè furono incontrati dal taglio parallelamente alla faccia 010. 

2° Cristalli relativamente grandi di anfibolo basaltico. 

3° Cristalli di augite senza traccia di metamorfosi nella 
materia verde. 

4° Granuli di magnetite alcuni dei quali circondati da una 
materia ferruginosa amorfa. 

5° Cristallini ben distinti di apatite, specialmente nel cam- 
pione n° 183, di un colore verde chiaro. (La soluzione nitrica 
della roccia diede col molibdato d’ ammonio molto ben distinta 
la reazione dell’acido fosforico). 

I campioni di roccia provenienti da Antibo e segnati coi 
n' 22 e 23 si distinguono dalle altre andesite anfiboliche perchè 
contengono dei grossi cristalli inclusi di anfibolo basaltico, al- 
cuni dei quali misurano in lunghezza più di due centimetri. 


Andesiti con aspetto trachitico. 


i. Dei tre campioni che pel loro aspetto si rassomigliano 
alle trachiti quello segnato col n° 26 è quello che meglio d’ogni 
altro presenta all’esame macroscopico ben distinti i caratteri 
delle trachiti tipiche. Esso possiede una struttura granulare, è 
ruvidissimo al tatto, ha un colore bianco giallognolo: vi si os- 
servano macroscopicamente i cristalli di*anfibolo basaltico ed in 
molta maggior quantità dei grani cristallini, vetrosi, bianchi di 
feldspato triclino. 

L'esame microscopico delle sezioni sottili di questi tre cam- 
pioni mostra che la roccia è formata da una massa fondamentale 
nella quale predomina la parte amorfa su quella microcristallina. 
In questa pasta fondamentale trovansi moltissimi cristalli di feld- 
spato triclino non caolinizzati, ma infiltrati da essa. Molti di 
questi cristalli esaminati nella luce polarizzata manifestano di- 
stintamente una struttura zonare ; sono frequenti i geminati secondo 


COMPOSIZIONE DI ALCUNE ROCCIE DELLA RIVIERA DI NIZZA 311 


le leggi di Baveno e del periclino. Si notano pure pochissimi cri- 
stalli di feldspato che a motivo della loro estinzione parallela, 
e per il loro aspetto vetroso possono essere ritenuti come formati 
da sanidino. 

I cristalli di augite sono molto meno copiosi di quelli di 
feldspato e contengono, oltre alle inclusioni della massa fonda- 
mentale, dei cristallini di magnetite. I cristalli di anfibolo hanno 
dimensioni maggiori di quelli di augite, e qualcuno di essi pre- 
senta un .nucleo che manifesta i caratteri dell’augite, per cui sì 
sarebbe autorizzati a ritenere che l’anfibolo deriva da modifica- 
zione dell’augite. 

Finalmente è da notarsi che disseminate nella roccia trovansi 
in quantità relativamente grande delle plaghe di una materia 
amorfa di colore bianco giallognolo e che molto probabilmente 
deriva da un’epigenesi degli elementi cristallini della massa fon- 
damentale della roccia. 

Il peso specifico del campione n° 26 è uguale a 2,49, esso 
contiene 2,96 per cento di acqua e 53,98 di silice. 

L'esame chimico de’ cristallini isolati di feldspato triclino di- 
mostrò che essi sono a base di soda e di calce; questi cristalli 
si decompongono per l’azione dell'acido cloridrico. 


Andesiti con aspetto di agglomerato. 


8. A primo aspetto le due roccie di questo gruppo sembrano 
costituite da un conglomerato di frammenti di andesite. Ma nè 
coll’esame chimico, nè coll’osservazione microscopica si potè scor- 
gere la presenza di una materia cementante. Invece sono incli- 
nato a ritenere che l’aspetto particolare di queste roccie derivi 
da alterazioni profonde avvenute per azioni esterne. Infatti il 
campione 19 è pressochè ridotto ad una massa argillosa, e dal- 
l'esame delle sezioni sottili che sonosi potute fare col campione 18 
si è notata iu esso la presenza di tutti i componenti delle an - 
desiti, augitiche di Capo d’Aglio, colla sola differenza che tutti 
i componenti sono profondamente alterati. I cristalli di feldspato 
sono fortemente caolinizzati, il che non mi fu mai dato di os- 
servare nelle andesiti di questa località. 


n fa CL NT i hi SMAR 1 
312 EMENTE MONTEMARTIN 


Andesite con aspetto basaltico. 


9. Questa roccia ha la medesima composizione mineralogica 
delle andesiti augitiche di Capo d’ Aglio, si differenzia però da 
queste per la sua struttura non granulare, ma compatta, per la 
sua frattura scagliosa, e perchè in essa non si distinguono cri- 
stalli inclusi porfiricamente e nemmeno è facile riconoscere ad 
occhio nudo la struttura cristallina. Perciò io credo di poterla 
considerare come un basalto. 

All'esame microscopico si vide che la massa fondamentale da 
cui è costituita questa roccia è composta da un magma amorfo 
formato da granulazioni brune e da microliti di feldspato tri- 
clino e di augite. Nella massa fondamentale trovansi cristalli al- 
lungati di feldspato triclino e di augite che non presentano traccie 
di metamorfosi in anfibolo. Nella magnetite separata da questa 
roccia si riscontrò la presenza del titanio. 


Andesite spalmata di gesso. 


10. La spalmatura di gesso, dal quale è in parte anche in- 
filtrato questo campione di roccia, dipende molto probabilmente 
da un'azione di contatto esterna. 

Nelle sezioni sottili di questa roccia si nota: 1° che nella 
pasta fondamentale la parte amorfa predomina su quella cristal- 
lina; 2° che alcuni cristalli di feldspato presentano un aspetto 
tabulare a contorni esagonali aventi un nucleo perfettamente ia- 
lino nella luce ordinaria e che rimane costantemente oscuro, mo- 
vendo il preparato, quando lo si esamina coi nicol incrociati ; 
3° che molte agglomerazioni di magnetite sono disposte in modo 
da simulare esattamente i contorni di un cristallo di augite, sve- 
lando così la loro origine. 

La roccia ha un peso specifico eguale a 2,52, contiene il 
5,13 per cento di acqua ed il 60,04 di silice. Non so a che 
attribuire il fatto della maggior copia di silice riscontrata in 
questo campione di andesite. La polvere della roccia messa nel- 
l’acqua vi abbandona il 0,42 per cento del proprio peso. La 


soluzione acquosa diede molto manifestamente le reazioni del sol- 
fato di calcio. 


i” 


COMPOSIZIONE DI ALCUNE ROCCE DELLA RIVIERA DI NIZZA 318 


Semiopale compatta retinitica. 


11. Questo campione di roccia è formato da una massa com- 
pattissima afanitica, di colore verde bruno chiaro; è dotata di 
una lucentezza resinosa e di una frattura concoide. Ha una du- 
rezza pressochè eguale a quella del quarzo. Il suo peso specifico 
è 2,22 (media di tre determinazioni eseguite col picnometro alla 
temperatura di 26°); contiene 2,26 per cento di acqua e 91,18 
di silice. Non si fonde al cannello. 

Esaminata in sezioni sottili nella luce polarizzata si presenta 
come formata da una massa trasparente, incolora, nella quale 
sono disseminati irregolarmente globoliti e sferoliti. Nella luce 
polarizzata essa appare formata da una massa amorfa nella quale 
trovansi frammenti di laminette a contorni irregolari che depo- 
larizzano la luce con colori poco vivi. In nessuna di queste lami- 
nette puossi notare traccia di geminazione polisintetica caratteristica 
del feldspato triclino. Perciò è molto probabile che tali fram- 
menti di laminette appartengano a feldspato monoclino. In alcune 
sezioni, e specialmente in quelle non troppo sottili, i globo-sfe- 
roliti presentano chiaramente una struttura zonare e sono così 
accumulati da impartire alla roccia un aspetto perlitico. 

Questa roccia per la sua ricchezza in silice, per la sua in- 
fusibilità e per il peso specifico basso deve essere classificata tra 
le opali compatte retinitiche. Per la sua struttura perlitica però, 
facendo astrazione dalla composizione chimica, rassomiglia assai 
alle resiniti (Pechstein). Sarebbe interessante assai di conoscere 
in quali rapporti essa si trova con le altre roccie. Probabilmente 
essa è un prodotto di modificazione delle roccie andesitiche. 


314 BATTISTA GRASSI 


Taenia flavopunctata Wein., Taenia leptocephala Creplin, 
Taenia diminuta Rad. 


Nota del Prof. BattISsTA GRASSI. 


Queste mie ricerche riguardano una semplice questione di 
sistematica, sistematica ch’io però ritengo non vana in quanto 
si riferisce ad un parassita. dell’ uomo, sul quale nessuno era 
prima di me riuscito a formarsi alcun concetto chiaro. 

La Zaenia leptocephala 0, come più propriamente dovrebbe 
ora denominarsi, la Taenia diminuta Rud. era ancora poco nota 
fino a pochi mesi fa quando uscì una Nota Preliminare del 
Dott. Zschokke, Nota nella quale sono tracciate le linee essen- 
ziali dell’organizzazione di molte tenie tra cui anche la Diminuta 
(Centralblatt f. Bact. u. Paras., 1887, Bd. 1). Quanto prima 
uscirà anche il lavoro esteso dello Zschokke, nel quale, come 
gentilmente mi fece sapere l'Autore stesso, vi saranno parecchie 
figure risguardanti la tenia in discorso. Aggiungasi che per ri- 
schiararmi nel mio confronto tra la Taenza diminuta e la Taenia 
leptocephala, egli mi dovette comunicare dei particolari non ancora 
accennati nella Nota Preliminare. Per tutto ciò, come facilmente 
si capisce, potrebbe avvenire una grave confusione quanto alla 
priorità di quello che ho trovato io e di quello che ha trovato 
lo Zschokke. Appunto, per evitare qualunque malinteso , ‘trat- 
tandosi del resto di osservazioni semplici, dichiaro fin d’ora che 
la seguente descrizione è stata da me fatta indipendentemente 
dallo Zschokke, che però a lui ne spetta la priorità in quei 
punti per cui egli crederà bene di richiamarla. S'io mi son deciso 
a pubblicare questa piccola Memoria, è stato sopratutto affinchè 
i medici possano orientarsi sull'argomento. 

Le dimensioni della Tenia in discorso variano assai a seconda 
dello stato di contrazione dell’animale ; si dànno anche numerose 
variazioni individuali. Le misure qui sotto indicate si riferiscono 


TAENIA FLAVOPUNCTATA, LEPTOCEPHALA, DIMINUTA 315 
ad individui che si trovavano in istato di media contrazione. 
Lungh. massima di circa 60 ctm.: quando sono lunghi 12-15- 
20 ctm., possono aver già numerose proglottidi con uova mature : 
talvolta non se ne trova alcuna in individui che superano i 30 ctm. 
Testa (V. Fig. II e III) di forma molto mutabile, larga v. 205 : 
quattro ventose a margini molto sporgenti. che si presentano 
qualche volta rotonde, ma per lo più di forma ovalare col mas- 
simo diam. di 95-105 uv e col minore di 82-85-90, Esse sono 
molto avvicinate l’una all'altra. Notisi però che se l’animale ancor 
vivo si mette per qualche tempo per es. nell’acqua, si vede che, 
mentre la testa rigonfia e assume forme svariate, le ventose si 
allontanano più o meno l'una dall’altra. Lo stesso verificasi di 
spesso se la tenia si leva dall’oste qualche tempo dopochè è stato 
ucciso (V. Fig. IV, V, VI, VII). Esiste un rostello inerme piuttosto 
debole, non sempre facilmente visibile sugli esemplari conservati 
malamente. L’ estremità anteriore della testa può mutar molto 
di guisa che ora presentasi ottusa, ora sporgente a guisa di punta : 
per questi mutamenti della testa il rostello viene ad essere più 
o meno sporgente. Soprastante al rostello con difficoltà si può 
talvolta vedere il cosidetto poro cefalico. 

Collo lungo circa mezzo centimetro ed in generale alquanto 
più stretto del capo (180 L). Le prime proglottidi si possono 
ritenere larghe . 258 e lunghe 19 p. A 4 ctm. dal capo sono 
larghe 1 mm. e lunghe 140 pf. Massima larghezza delle pro- 
-glottidi 3,5 mm. con una lunghezza di 666 . : ciò verificasi 
vicino all'estremità posteriore. In corrispondenza a questa le 
proglottidi sono alquanto meno larghe e alquanto più lunghe 
(largh. 2 }4 mm., lungh. 750 p.). Del resto le variazioni sono 
innumerevoli: le dimensioni sono relativamente più piccole negli 
esemplari più piccoli. Il numero delle proglottidi può superare 
il migliaio. Corpuscoli calcarei più o meno abbondanti nella parte 
anteriore del verme (capo, collo, proglottidi del primo tratto, 
cioè prima di maturare) talvolta però scarsi, o scarsissimi, 0 
perfino mancanti del tutto: sono di forma e di grandezza varia- 
bili, in complesso ovalari, a massimo diam. di circa 8-13 p., 
a minore di 4-5-6 &. 

Dell’apparato escretore sono facili a rilevarsi quattro canali 
nel capo, nel collo e in gran parte della catena delle proglot- 
tidi: i quattro canali sono di calibro uguale, cioè tutti stretti 
nel capo e nel collo, invece nella catena delle proglottidi due 


316 BATTISTA GRASSI 


diventano grandi e due restano piccoli: i due grandi sono riuniti 
da un anastomosi trasversale corrispondente al margine posteriore 
delle proglottidi. 

Maturano al solito prima gli organi sessuali maschili. Il punto 
in cui compaiono le uova mature è molto variabile, come sopra 
si è già accennato. 

I pori genitali, che corrispondono circa tra il terzo anteriore 
e i due terzi posteriori del margine delle proglottidi, sono unila- 
terali, però raramente qua e là in alcuni individui può notarsi 
qualche eccezione per es. 10-20-30 proglottidi che hanno i ge- 
nitali disposti dal lato opposto. La vagina e il sacco del cirro, 
il tutto collocato nella metà anteriore delle proglottidi, sboccano 
vicinissimi l’uno all’altro: la cloaca sessuale, appena appena ac- 
cennata, non è facile a vedersi. Gli organi genitali maschili e 
femminili non sono disposti in modo che i primi si possano dir 
veramente corrispondenti alla faccia dorsale, ed i secondi alla 
ventrale. 

Tre testicoli (V. Fig. X e XIV) (qua e là sono due o quattro), 
uno è di solito collocato nella metà della proglottide a cui cor- 
risponde il poro genitale: due di solito nell’altra metà: si dà 
anche il viceversa. Condotti efferenti delicatissimi e difficilmente 
visibili. Vaso deferente che presenta una dilatazione (vescicola 
spermatica) e si prolunga nel sacco del cirro in cui sta appunto 
il cirro: cirro più o meno chiaramente a forma di clava capace 
di sporgere fuori dalla cloaca per 57 p. (sporge quando le pro- 
glottidi si presentano lunghe e strette). 

Due ovari (V. Fig. XI) a forma d’ale o di mano, ai lati 
press’a poco della linea mediana longitudinale , di spesso non 
evidentemente separato l’uno dall’altro e assumenti perciò l’aspetto 
di rosetta (V. Fig. XII). 

Una ghiandola dell’albume impari, lobata, collocata sulla linea 
mediana longitudinale dietro gli ovari e quasi formante perciò con 
essi un triangolo. Una ghiandola del guscio collocata tra gli ovari e 
la ghiandola dell’albume, piccola, visibile appena sulle sezioni co - 
lorite. Una vagina dilatata verso la sua parte mediana (ricetta - 
colo del seme) collocata a ridosso del condotto deferente e del 
sacco del cirro: l’unione della vagina cogli ovari e colle ghian- 
dole è difficile a vedersi. La vagina giunta a livello degli ovari 
diventa un canale molto sottile che si ripiega all'indietro e te- 
nendosi vicino alla linea mediana, in direzione più o meno ser- 


TAENIA FLAVOPUNCTATA, LEPTOCEPHALA, DIMINUTA 317 


peggiante, viene a congiungersi colla ghiandola del guscio e colla 
ghiandola dell’albume. Ritengo che ciascun ovaio abbia un ca- 
naletto proprio: come questo canaletto vada poi a riunirsi alla 
vagina non lo so con sicurezza: alle volte mi parve di vedere 
una riunione diretta. Ciò che mi ha colpito si è la mancanza 
dell’utero in forma di un semplice canale, quale si vede in altre 
tenie, prima che le uova si distacchino via dall’ovario (pare che 
un fatto simile si verifichi in altri Cystoidea). La comparsa del- 
l’utero a me sembrò contemporanea alla maturazione e feconda- 
zione delle uova. Come si formi non l'ho veduto (forse per una 
estroflessione della vagina ?). Nelle più giovani proglottidi in cui 
trovai l’utero, esso aveva una forma molto irregolare e già era 
esteso a quasi tutta la proglottide (V. Fig. XIIl): si potrebbe 
dire che era quasi a forma di rete, od altrimenti risultava d’un 
gran numero di cavità o cellette più o meno piccole e comuni- 
canti le une colle altre. L’utero va successivamente ingranden- 
dosi, le cavità vanno allargandosi e a poco a poco le maglie 
della rete vanno serrandosi e qua e là scomparendo, siccl'è viene 
a formarsi un'unica cavità qua e là imperfettamente divisa in 
tasche (V. Fig. XV). Man mano che l’utero va così modifican- 
dosi, l’ovario e i testicoli e la ghiandola dell’albume scompaiono. 
Qua e là si trovano una o parecchie proglottidi steriti. L'uovo 
maturo (V. Fig. XVI) è tondeggiate, misura da 70-78 fino a 
84-86 4: l'embrione è ovale, largo circa 36 p, lungo 28 p. 
Il guscio è complicato e vi si possono distinguere quattro strati. 
Notasi uno strato esterno (primo) striato, più o meno sottile : questo 
strato nelle uova di circa 70 p è sottilissimo e la sua striatura è 
visibile con sicurezza appena colle lenti ad immersione. Sotto a 
questo strato ne stanno due (secondo e terzo) intimamente riu- 
niti, il secondo dei quali si potrebbe anzi dire parte periferica 
ispessita del terzo: quello è poco spesso, irregolare, questo è assai 
più grosso, ialino. È facile distaccare questi due strati dal primo; 
ciò può accadere anche nelle tenie conservate in alcool, perciò si 
forma un vuoto tra essi e lo strato esterno. ll quarto strato è 
meno sottile del primo, è ellittico, qualclie volta appare quasi 
quadrangolare, può presentare due sporgenze quasi ai due poli. 
Il primo strato od è incoloro od ha tinta gialla più o meno in- 
tensa: gli altri sono sempre incolori. Il protoscolice è ellittico 
e coi suoi uncini fa movimenti molto vivaci. Gli uncini di regola 
sono sei, lunghi circa 11 , 


318 BATTISTA GRASSI 


Abita l’intestino tenue del Mus Decumanus, del Mus Ale- 
candrinus, del Mus Rattus e del Mus Musculus (1), quasi 
mai però nel quinto anteriore e nel quinto posteriore. Spesse 
volte nel crasso si trovano tre, quattro proglottidi mature o quasi 
riunite assieme l'una all’altra, evidentemente staccatesi via di re- 
cente dalla catena. Allora si incontrano di regola nelle feccie 
del crasso anche più o meno abbondanti uova. Le feccie elimi- 
nate dai ratti infetti dalle tenie leptocefale possono 0 no con- 
tenerne le uova. Di solito in un ratto sono presenti 1-2-3 esem- 
plari adulti, quasi mai più di tre. Talvolta però ho trovato 50, 
100 esemplari, ma tutti giovani. 

Si incontrano nel 20-30 % dei ratti. In certi mesi sono ra- 
rissime, non capisco perchè. Abitano Catania, Milano, Rovel- 
lasca, Varese, Heidelberg (Grassi), Leipzig (Zschokke), Brasile 
(Rudolphi), Vienna (Bremser). 

Ho sopra indicato che io ritengo sinonimi la 7. Diminuta e 
la 7. Leptocephala: a ciò sono arrivato collo studio di alcuni 
esemplari fornitimi dallo Zschokke e di molti altri raccolti da 
me stesso ad Heidelberg l'autunno scorso. La. descrizione del 
Rudolphi è insufficientissima (Caput pyramidale, oris limbo in- 
terdum prominulo , acetabulis anticis angularibus, longitudo 
6-9", lat. 1°") e perciò il Creplin era autorizzato a fondare e 
Dujardin ad accettare la specie Leptocephala che ora, dopo i 
confronti da me fatti anche con tenie raccolte in Germania e ri- 
ferite dal Linstow e dallo Zschokke (nel laboratorio del Leuckart) 
alla Tuenia Diminuta Rud., mi pare debba cadere. 

La breve descrizione data dal Linstow (Zròschel’s Archiv., 
1878) coincide colla mia, colla sola differenza che quest’ Autore 
descrive il rostello come una quinta ventosa. Il Linstow per questo 
carattere ritiene la 7. Diminuta distinta dalla 7. Leptocephala : 
senonchè a me sembra evidente che nomsi tratti d’una differenza 
sostanziale, ma bensì soltanto di nome; il poro cefalico ha in- 
dotto in errore il Linstow e gli ha fatto pensare ad una ventosa. 

Come ho già altrove sostenuto ( Centralblatt f. Bacter. «. 
Parasitenkunde, 1887) le tenie che il Parona (Giornale R. Accad. 
di Medicina di Torino, Fasc. 2, 1886) descrive come raccolte 
da una bambina per effetto d’un purgante combinato ad un 


(4) CrREPLIN l’ha trovata nel Mus musculus, io però non ebbi ancora la 
fortuna di rivederla in questo oste. 


TAENIA FLAVOPUNCTATA, LEPTOCEPHALA, DIMINUTA 319 


antelmintico e ch’egli classifica come probabile Flavopunctata 
appartengono in realtà alla 7. Leptocephala. Io ho potuto ve- 
rificare l’ identità delle uova con un preparato fornitomi dal 
prof. Perroncito, che lo ebbe dal Parona: vero è che il secondo 
strato era separato dal primo per una lacuna, ciò però si può 
produrre artificialmente anche nella 7. Leptocephala. Parona 
dice che le uova sono 58-68 4, in realtà nel mio preparato 
(in glicerina) sono di 84-86 p. La figura delle uova data dal 
Parona è del tutto erronea, e invece quella data dal Bizzozero 
(Handbuch d. klin. Mikrosc., 1887) e fatta da. questo Autore 
su un preparato della Zaernza del Parona corrisponde a quella 
della Taenia Leptocephala. 

La testa della 7. del Parona pare molto differente, ciò è 
però dovuto ad alterazione come risulta già dal fatto che tra la 
figura del Parona (V. Fig. IX) ed una fornitami dal Perroncito 
e fatta probabilmente sovra un esemplare differente da quello 
figurato dal Parona (V. Fig. VII), esiste enorme differenza per 
le dimensioni della testa e delle ventose e per la distanza d’una 
ventosa dall’altra: io ho poi visto la testa della 7. Leptocephala 
alterarsi in modo da rendersi similissima alla figura del Perron- 
cito e qualche volta anche a quella del Parona. Questi non parla 
del rostello, nè lo figura : esso però esiste come nella 7. Le- 
ptocephala giusta un’osservazione per me gentilmente fatta dal 
prof. Perroncito. Neanche di corpuscoli calcarei parla il Parona: 
essi però non mancano benchè siano scarsi, come mi comunicò 
il Perroncito stesso; anche ciò trova riscontro in certi esemplari 
della 7. Leptocephala. 

Quanto alle dimensioni la Zaenia del Parona non superava 
i 20 ctm., però egli inclina a credere che possa raggiungere di- 
mensioni maggiori, e ciò perchè la bambina pochi giorni prima 
della cura sopradetta aveva eliminato dei pezzi di tenia. 

L'esemplare della Tenia del Parona mostratomi in un vaso 
a Pavia dal prof. Perroncito presentava le proglottidi relativa- 
mente corte e larghe, ma così si presenta non di rado anche la 
T. Leptocephala. Le dimensioni delle proglottidi quali vengono 
date dal Parona, sono in contraddizione colla figura, ma per for- 
tuna queste dimensioni hanno nel nostro caso poca importanza. 

Ripeto che da tutti questi riscontri e da altri che risultano 
evidenti confrontando la mia descrizione con quella del Parona, 
io induco che la 7. di quest’autore non è altro che la 7. Lepto- 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 26 


320 BATTISTA GRASSI 


cephala. La mia asserzione appare assurda se si piglia per ter- 
mine di riscontro appena la Memoria del Parona, la quale è 
purtroppo del tutto erronea in molti punti essenziali, tanto er- 
ronea che io stesso, se per caso il prof. Bizzozero parecchi anni 
fa a Torino non m’avesse mostrato le uova della 7. del Parona, 
non avrei mai pensato all’identità da me ammessa ora senz’ombra 
di dubbio; non ci avrei pensato, come non ci ha pensato il 
Leuckart che pur deve conoscer bene la 7. Diminuta. 

A confermare l'identità da me ammessa concorre anche la 
circostanza che nella provincia a cui si riferisce il caso del Pa- 
rona, caso verificatosi su bambina non mai uscita dal paese natio 
e di povera famiglia, è comunissima la Tenza Leptocephala, e 
invece non si trova alcun’altra Taenia che ad essa possa da 
vicino somigliare: se ciò asserisco, si è perchè ebbi la pazienza 
di fare molte e molte indagini su tutti gli animali vertebrati 
della provincia in discorso. La Zaenia Omphalodes Her. dell’Ar- 
vicola Arvalis (rara in Lombardia) a tutta prima può ricordare 
la Taenia del Parona, ma basta la grossezza del capo e la forma 
degli embrioni (protoscolici) per differenziarla con tutta sicurezza. 
La Taenia Inermis Linstow (1) (io sospetto che sia una semplice 
varietà della 7. Omphalodes) si differenzia per questi stessi ca- 
ratteri. La 7. Dispar Goeze (non rara in Lombardia) è facil- 
mente distinguibile da quella del Parona per le dimensioni minori 
e per le uova. La 7. Pusilla Goeze (probabilmente la 7. Um- 
bonata Molin. ne è sinonimo) si distingue facilmente perchè i suoi 
pori genitali sono irregolarmente alterni, e le proglottidi sono 
lunghe (è rara in Lombardia). 

Infine, a togliere qualunque dubbio venne un nuovo caso di 
due tenie Leptocephale (una colla testa e l’altra senza) caso 
occorso in una ragazza di circa 12 anni da Catania or fanno 
circa otto mesi. Questa ragazza, dietro presa dell’ antelmintico 
mi portò, oltre ad una Taenia solium, le due tenie or dette. 
La sintomatologia nulla presentava di straordinario : nell’anamnesi 
nulla ho potuto trovare che spiegasse il curioso caso. Uno dei 
due esemplari è lungo 30 ctm. circa, l’altro 25. 

Se li dico senz'altro 7. Leptocephalae, si è perchè i caratteri 
vi rispondono esattamente. I corpuscoli calcarei sono scarsi. Le 


(1) Tròschel’s Archiv, 1878, 


TAENIA FLAVOPUNCTATA, LEPTOCEPHALA, DIMINUTA 321 


uova non superano i 65 /. e non presentano all’esame colle lenti 
ordinarie nella membrana esterna la striatura di cui sopra ho 
parlato, soltanto per rilevarla con sicurezza occorre l’uso delle lenti 
ad immersione, ciò che, come ho già accennato, s’incontra non di 
rado, anche in lunghi esemplari di 7. Leptocephala dei ratti. 

Questa circostanza è, secondo me, di grande importanza, 
perchè dimostra che probabilmente anche la T. Flavopunctata 
Wein. è nient'altro che la 7. ZLeptocephala. Se si prendono in 
esame le descrizioni della 7. F/avopunctata fornite dal Weinland e 
dal Leuckart, a tutta prima pare si tratti d'una 7. Leptocephala, 
ma poscia si parano innanzi due difficoltà: la prima è suggerita 
dalla circostanza che la 7. Flavopunctata è stata scoperta negli 
Stati Uniti dell'America, la seconda dalla circostanza che le uova 
della 7. Flavopunctata non presentano la caratteristica striatura 
del guscio (occorre osservare nella Memoria originale del Wein- 
land - Verhandl. d. K. L. C. Akad. - Bd. XXVIII, - tab. IV, 
la figura delle uova) e sono più piccole (54-60 p, secondo Leu- 
ckart e Weinland, 72 fp. secondo Leidy (1)). Ma la prima dif- 
ficoltà svanisce quando riflettiamo che la 7. Leptocephala si 
trova anche in Brasile (Rudolphi) e che il Mus Decumanus è 
comunissimo anche nell'America Settentrionale; la seconda cessa 
d’aver importanza quando si riflette che la striatura nel guscio 
non è stata ricercata nè dal Weinland, nè dal Leuckart col- 
l’aiuto delle lenti ad immersione e perciò dev'essere loro sfuggita. 
La descrizione dell’uoyo e dell’ovario data dal Weinland cor- 
risponde del resto perfettamente a quella della 7. Leptoce- 
phala (1). Anche la descrizione del Leidy, nei Proceed. of the 
Acad. of Nat. Phyladelphia, May-Octob. 1884, s’attaglia alla 
Taenia in discorso. 

Aggiungasi infine che la macchia gialla manca negli esem- 
plari del Leidy, e che essa può presentarsi anche nella 7. Lepto- 
cephala, e pure nella 7. Nana (corrisponde al ricettacolo del 
seme) ed è effetto di alterazione cadaverica. 

Concludendo secondo me i termini: 

Taenia Diminuta (Rudolphi) 
Taenia Leptocephala (Dujardin) 
Taenia Flavopunetata ? o Varesina (Parona) 


(1) In complesso è da notare che le uova possono rigonfiarsi molto fa- 
cilmente. 


322 BATTISTA GRASSI 


sono tutti sinonimi: lo è probabilmente anche la 7. Ylavo- 
punctata Weinland. 

Il nome Diminuta è il più antico e quindi dovrebbe avere 
la preferenza, molti però preferiranno certamente il nome Lepto- 
cephala, perchè venne adottato da Dujardin, a cui spetta ve- 
ramente il merito d’averla fatta conoscere esattamente. 

La 7. Leptocephala dunque è una 7. che può vivere ecce- 
zionalmente anche nell’uomo, 0, come noi evoluzionisti ci espri- 
miamo, tende a diventar un vero parassita anche dell’uomo. Se si 
suppone che il vero depositario della 7. Leptocephala sia l’animale 
in cui è più comune e cioè il Mus Decumanus, da cui sarebbe 
passata anche al Mus attus e all'uomo, si può forse capire 
perchè questo parassita non sia ancora frequente nell'uomo, ed 
infatti il Mus Decumanus è in Europa relativamente molto re- 
cente, in ogni caso non esisteva prima di tre secoli fa. 


AGGIUNTA. 


A conferma della ammessa identità della 7. Leptocephala 
colla 7°. rinvenuta da Parona e da me nell'uomo, posso aggiungere 
che, avendo io col dott. Rovelli trovato parecchi ospiti intermedi 
della 7. Leptocephala (una larva di Microlepidottero, Anéso- 
labis, o Forficula annulipes, Akis spinosa, Scaurus striatus) 
ho potuto far due sperimenti sull'uomo, uno sul sig. Calandruccio 
e l’altro su individuo che desidera di non esser nominato: l’e- 
sperimento su Calandruccio riuscì negativo, mentre invece riuscì 
positivo sul secondo individuo (maschio adulto): quindici giorni 
dopochè aveva inghiottiti i cisticercoidi della 7. Leptocephala 
presentò le uova di questa 7°. nella feccia, ed ha oggi eliminato 
col felce maschio numerose 7. Leptocephalae del tutto identiche 
a quelle precedentemente riscontrate nell’uomo (1). 


(1) La membrana interna del guscio è, in queste uova di 7. leptocephala 
allevata nell'uomo, regolarmente ellittica e non presenta quasi mai le due 
sporgenze sopramentovate (Fig. XVIII ). 


TAENIA FLAVOPUNCTATA, LEPTOCEPHALA, DIMINUTA 323 


SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 


Fig. I. Taenia Leptocephala in grandezza naturale. 


» 


‘» 


» 


II. Testa e parte del collo (veduta di piatto). 

III. Id. id (di lato). 

IV, V, VI e VII, Varie forme che assume la testa prima 
di morire. 

VIII. Estremità anteriore della Zaenza del Parona (schizzo 
del prof. Perroncito). 

IX. Estremità anteriore della Zaenia del Parona (copia della 
figura del Parona). 

X. Organi genitali maschili a quasi perfetto sviluppo. 

XI. Organi genitali femminili prima che si formi l’utero 
(a questo periodo gli organi maschili presentansi 
come nella fig. X) (non è stata disegnata la ghian- 
dola del guscio perchè difficile a rilevarsi; non viene 
precisato il rapporto della vagina coll’ovaio, perchè 
non l'ho esattamente stabilito). 

XII. Proglottide veduta per trasparenza quando l’utero è 
già abbastanza sviluppato e contiene uova. 

XIII. Altra proglottide in periodo di sviluppo più avanzato 
di quello rappresentato dalla fig. XII (è figurata però 
a minor ingrandimento). 

XIV. Alcune proglottidi in un periodo di sviluppo corri- 
spondente a quello delle fig. X e XI. 

XV. Proglottide colle uova mature (resa trasparente colla 
potassa). 

XVI, XVII, XVIII e XIX. Principali forme sotto cui com- 
paiono le uova nelle feccie senza gli obbiettivi ad 
immersione. Le fig. XVIII e XIX sono copiate ad 
ingrandimento più forte. 


Il Direttore della Classe 
ALFronso Cossa. 


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1) ADUNANZA del 6 Maggio 1888. a ds ; 


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DEILA 


R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


DE TORINO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI (SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XXIII, Disp. 13* € 14', 1887-88 


2 ——__—— 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali 


TORINO 
ERMANNO LOESOHER 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


325 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 27 Maggio 1888. 


PRESIDENZA DEL PROF. MICHELE LESSONA 
SOCIO ANZIANO 


Sono presenti i Soci: Bruno, Basso, Bizzozero, FERRARIS, 
NAccARI, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI. 

Si legge l'atto verbale dell’ adunanza precedente che viene 
approvato. 

Il Presidente dà il doloroso annunzio della morte del Pro- 
fessore Ascanio SoBRERO, il quale era Socio dell’Accademia fino 
dall'anno 1844, e dal 1863 copriva l’ufficio di Segretario della 
Classe. Commemora con parole di vivo rimpianto le virtù civili . 
e l'alta benemerenza scientifica dell’illustre collega perduto; ed 
in segno di lutto, annuente la Classe, scioglie l’adunanza. 


Adunanza del 17 Giugno 1888. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI 
VICEPRESIDENTE 


Sono presenti i Soci: Cossa, LEssona, SALvapoRI, BRUNO, 
BERRUTI, Basso, D’Ovipio, Bizzozero, FERRARIS, NACCARI, Mosso, 
SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI. 

Vien letto l’atto verbale dell'adunanza precedente che è 
approvato. 

Tra le pubblicazioni mandate in omaggio all'Accademia ven- 
gono segnalate le seguenti : 

« Ficerche intorno alla anatomia ed istologia dei Gordî », 
del Dott. Lorenzo CaMERANO; presentate dal Socio LESSONA. 

« Contribution à la Meteorologie eleéctrique », del profes- 
sore Giovanni LuvinIi, presentata dal Socio Basso; 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 


(AN) 
= 


326 


« Bollettino dei Musei di Zoologia e di Anatomia com- 
parata dell’Università di Torino »; vol. III, dal n. 40 al 
n. 46. Esso contiene lavori biologici dei signori L. CAMERANO, 
D. Rosa, C. PoLLonERA e M. G. PERACCA. 


Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine seguente: 


« Sugli uccelli raccolti nell’Asia orientale e sulle coste 
della Cina durante il viaggio della Vettor Pisani negli anni 
1879, 1880 e 1881, essendo comandante della nave S. A. R. 
il principe Tommaso duca di Genova Studio del Socio SAL- 
vaDORI in collaborazione col Prof. E. GiGLioLI. » La Classe, 
con votazione unanime, approva la pubblicazione di questo lavoro 
nei volumi delle Memorie accademiche. 

« Sugli ofidii italiani (parte 1°, Viperidi); Monografia del 
Dott. L. CAMmERANO. » Questo lavoro essendo destinato, quando 
la Classe lo approvi, ai volumi delle Memorie, viene affidato ad 
una Commissione incaricata di esaminarlo e riferirne in una 
prossima adunanza. 

« Sopra alcuni movimenti igroscopici nelle Epatiche Mar- 
chantee; Ricerche del Dott. Oreste MatmtIROLO, presentate dal 
Socio GIBELLI; 

« Illustrazione di due Agaricini italiani »; Studio del 
Dott. P. VocLino, presentato dal Socio BIZzozERO; 

« Sugli elementi nervosi dei muscoli di chiusura dei bi- 
valvi »; Ricerche dello Studente Riccardo GALEAZZI, eseguite 
nel laboratorio di patologia dell'Ospedale Umberto I di Torino, 
diretto dal Dott. A. LustIia, presentate dal Socio BizzozERo; 

« Derivati degli alcoli parabromo e paraclorobenzilico »; 
Studio del Dott. Giorgio ERRERA, Assistente di chimica nella 
R. Università di Torino, presentato dal Socio Cossa, 

« Una nuova forma di cannocchiale »; Nota del profes- 
sore Nicodemo JADANZA, presentata dal Socio NACCARI; 

« Influenza della tempera sulle proprietà termoelettriche del 
bismuto » ; Ricerche del Dott. G. P. GrimaLpI, libero docente di 
Fisica nella R. Università di Palermo ; presentate dal Socio NACCARI. 

« Sulle variazioni del calore specifico del mercurio al 
crescere della temperatura »; Nota del Socio NACCARI. 


In quest’adunanza il Socio Comm. Alfonso Cossa è rieletto 
per un altro triennio a Direttore della Classe. 


nn e ee —_ - 


327 


LETTURE 


Sopra alcuni movimenti igroscopici nelle Epatiche Marchantieae, 


Ricerche del Dott. 0. MATTIROLO 


Le osservazioni esposte in questa nota, e che verranno poi 
sviluppate in un lavoro speciale illustrato da disegni, hanno ri- 
guardo allo studio di un fenomeno singolare, che si riscontra in 
alcuni generi di Epatiche Marchantieae. Il fenomeno in discorso 
è intimamente legato alle proprietà igroscopiche inerenti ai tes- 
suti vegetativi di queste Bryophytae; per cui esse chiudono colla 
secchezza e riaprono colla umidità dell’ atmosfera il loro tallo, 
sospendendo in relazione a questi movimenti le funzioni fisiolo- 
giche anche per periodi assai lunghi. 

Le osservazioni vennero fatte sopra numerosi esemplari di 
Grimaldia dichotoma Raddi, provenienti dal Monte di S. Maffeo 
(Rodero — Provincia di Como), estese quindi e controllate sopra 
materiali viventi ed essiccati dei generi compresi da Gottsche, Lin- 
denberg e Neess nella loro classica Synopsis Hepaticarum fra 
le Marchantieae. 

Il tallo della Grimaldia dichotoma Raddi non presenta dal 
punto di vista anatomico notevoli particolarità di struttura. 

La Grimaldia, come tutte le Marchantieae in genere, così uni- 
formi nel complesso dei loro caratteri vegetativi, è dotata di un 
tallo sdraiato orizzontalmente sul terreno, protetto da scaglie di 
color violaceo scuro nella parte ventrale, la quale pure è prov- 
vista delle due sorta di rizoidi; fornito invece nello spessore dei 
tessuti della parte dorsale di cavità aerifere comunicanti coll’aria 
ambiente per numerosi stomi semplici, che attraversano l’epider- 
mide superiore. 

Nello stato normale di vegetazione, quando l’ambiente è suf- 
ficientemente umido, il tallo rimane sdraiato sul suolo, a cui è 
legato dai rizoidi, e le scaglie brune sono rivolte verso il ter- 
reno. Nello stato di secchezza atmosferica invece le parti laterali 


328 O. MATTIROLO 


del tallo si elevano e si ripiegano, i margini liberi di esso ven- 
gono a toccarsi ed a coprirsi in. parte verso la linea assile del 
tallo, e allora le scaglie vengono a coprire e valgono a proteg- 
gere tutta quanta la superficie esterna del tallo. 

Nello stato normale di vegetazione la superficie epidermoidale 
munita di stomi e tutto il sistema assimilatore si trovano di- 
rettamente esposti all’azione della luce, e le funzioni quindi si 
compiono normalmente, come normalmente hanno luogo i movi- 
menti dei granuli clorofillini, gli scambi dei gaz, la formazione di 
elementi nuovi. .... i fenomeni tutti infine di ricambio mate- 
riale proprii al vegetale vivente. 

Nella posizione di secchezza invece i sistemi assimilatori e la 
parete epidermoidale rimangono assolutamente fuori dell’ azione 
dei raggi luminosi, i quali vanno invece a cadere sulla super- 
ficie bruna delle scaglie, e quindi rimangono così sospese le fun- 
zioni fisiologiche normali. 

Colla umidità si ha quindi normale vegetazione, formazione 
di elementi nuovi, immagazzinamento di materiali nutrizii.....; 
colla secchezza invece si ha relativa sospensione di vita, e con- 
seguente sospensione di attività formativa e nutritiva, come lo 
provano numerosi esperimenti eseguiti con materiale appositamente 
conservato negli essiccatori. 

La sospensione di vita finora sperimentalmente provata di 
13 mesi (1), durante i quali rimasero nell’essiccatore le Grimaldie 
coi talli assolutamente chiusi, sta a prova del valore dei mo- 
vimenti igroscopici per la economia funzionale di questi individui, 
sottoposti per le normali condizioni di loro stazione a lunghe 
alternative di secchezza e di umidità. 

I movimenti in discorso sono fenomeni, la cui origine devesi 
naturalmente ricercare in un progressivo adattamento alle condi- 
zioni dei loro abituali luoghi di stazione. 

Le forme delle Marchantieae viventi nei luoghi montuosi, nei 
climi tropicali, sottoposte alle alternative di secchezza e di umi- 
dità, hanno i movimenti igroscopici tipici, che fanno invece asso- 
lutamente difetto in quei rappresentanti di specie, che vivono e 
prosperano in condizioni affatto diverse, sviluppando un tallo al- 
largato fra i muschi in luoghi perennemente umidi. 


(1) La continuazione di queste esperienze dirà in quali limiti di tempo sì — 
conservi la sospensione vitale. 


ii i 


MOVIMENTI IGROSCOPICI NELLE EPATICHE MARCHANTIEAE 329 


Lo stesso modo di comportarsi della Grimaldia dichotoma, 
mantenuta artificialmente in atmosfera continuamente umida, dà 
ampia ragione delle proposizioni sopra enunciate. 

I movimenti delle Marchantieae, oltre al rendere la pianta 
atta a sopportare le alternative di secco e di umido, oltre ad 
impedire gli effetti di una troppo rapida perdita di acqua e fa- 
vorire la durata vitale, servono ancora a fare sì che nello stato 
di secchezza, a tallo rinchiuso, possano resistere alle varie in- 
fluenze nocive degli agenti esterni, e specialmente possano resi- 
stere ai rapidi aumenti di temperatura, come viene pure speri- 
mentalmente provato. 

Ho mantenuto per circa mezz'ora in un recipiente di vetro 
asciutto a sua volta immerso nell’acqua bollente alcune zolle di 
Grimaldia con talli essiccati già da molti mesi. Riportati poi in 
camera umida e bagnati, si riapersero, ripresero a vegetare, e 
pochi giorni dopo diedero origine a nuove fronde; e notisi che 
la temperatura nell’interno del recipiente (nella parte assile) rag- 
giunse 94° ! 

Di quanta utilità sia questa facoltà di resistenza ai repen- 
tini sbalzi di temperatura e a temperature elevate nelle Mar- 
chanticae appare evidente, se si ricercano i luoghi di stazione 
proprii alle specie igrometriche appartenenti ai generi P/agio- 
chasma, Reboulia, Grimaldia, Fimbriaria e Targionia che ho 
potuto sperimentare, servendomi di un ricchissimo materiale do- 
vuto alla cortesia di insigni botanici. 

In questi generi si contano 49 specie, e di queste 9 sole 
sono proprie all'Europa centrale, 5 sono caratteristiche del Sud- 
Europa — 35 invece abitano i paesi caldi (Africa 7 — Ame- 
rica 16 — Asia 10 — Australia 2). Fra le 16 specie Americane 
13 appartengono all'America del Sud, e specialmente vivono nel 
Chili, nel Perù, nel Messico, regioni caratterizzate da lunghi pe- 
riodi di siccità e dalle massime temperature. 

Quanto poi alle intime cause, che motivano questa sospen- 
sione temporanea dei processi vitali, poco oggi di assoluto si può 
dire al riguardo. La vera causa deve ricercarsi nelle proprietà 
inerenti al Plasma, come ho potuto sperimentalmente dimostrare. 

La sede e la causa meccanica del movimento, il quale si ri- 
scontra anche negli individui assolutamente morti e conservati 
alcuni sino dal 1795!, dobbiamo invece ricercarla colla guida 
delle osservazioni anatomiche, che abbiamo estese a tutti i ge- 


3830 O. MATTIROLO 


neri compresi fra le Marchantieae, dopo di averle intimamente 
studiate nella Grimaldia dichotoma Raddi, sola specie di cui 
avevamo a disposizione numerosi talli viventi. 

Nel tallo della Grimaldia possiamo distinguere tre strati prin- 
cipali, che indicheremo coi nomi di : 


Strato epidermoidale 
» assimilatore 
» meccanico. 


1° Lo strato epidermoidale è formato da un solo strato 
di cellule ricoperto da un tenue velo cuticulare. Gli elementi 
epidermoidali hanno figura poliedrica e presentano agli angoli 
inspessimenti particolari, che danno al tessuto dell’ epidermide 
l'apparenza come di un collenchima, e che concedono loro il doppio 
vantaggio di possedere così una grande rigidità degli spigoli, con- 
giunta ad una grande capacità di pieghettatura, essendo normali 
e non inspessite le pareti superiori ed inferiori. Nelle cellule 
epidermoidali sono riconoscibili un nucleo, granulazioni di plasma, 
corpi clorofillini, granuli di amido, e non infrequenti i corpi oleosi 
caratteristici delle Epatiche. 

Le reazioni chimiche dimostrano, che tanto la membrana 
quanto gli inspessimenti sono nelle cellule epidermiche formate 
da cellulosa mucificabile. 

2° Lo strato assimilatore è compreso fra l’epidermide da 
cui nettamente si distingue e lo strato meccanico, col quale in- 
sensibilmente si continua. Mancano in questo strato le camere 
d’aria libere, proprie ad altri generi vicini. Il tessuto assimilatore 
appare invece come irregolarmente attraversato da un sistema di 
concamerazioni di varia ampiezza; perocchè dalle pareti stesse 
delle camere, ancora riconoscibili nei primi stadii di sviluppo; si 
originano delle serie lineari di cellule, che le dividono senza regola 
in numerosissimi scompartimenti incompleti. Le membrane delle 
colonne assimilatrici sono formate da cellulosa mucificabile come 
quelle degli elementi epidermoidali. 

8° Lo strato meccanico è caratterizzato dalla forma dei 
suoi elementi leggermente poliedrici, strettamente uniti fra di loro 
e quindi privi di meati intercellulari. Nuclei, plasma, granuli 
clorofillini poco numerosi, granuli di amido e corpi oleosi sì in- 
contrano normalmente nel lume cellulare. Va notata una diffe- 
renza essenziale fra gli elementi esterni o corticali e gli elementi 


—rrr 


MOVIMENTI IGROSCOPICI NELLE EPATICHE MARCHANTIEAE 331 


interni o meccanici propriamente detti. Mentre i primi, dai quali 
hanno origine le scaglie brune, sono fortemente cuticularizzati, 
quindi poco o nulla fisicamente e chimicamente modificabili, gli 
altri si mostrano invece formati da materiale cellulosico, squi- 
sitamente mucificabile. In questi elementi non sono infrequenti 
colonie parassite di MNostochineae. 

Conosciuta così per sommi capi la struttura anatomica del 
tallo della Grimaldia vegetante, importa studiare la sede ed il 
meccanismo del movimento. 

A questo scopo, operando appropriate eliminazioni degli ele- 
menti costitutivi del tallo in esemplari che venivano quindi tra- 
sportati in un essiccatore, trovai che la sede del movimento del 
tallo nella Grimaldia risiedeva negli elementi dello strato mec- 
canico ; il quale, anche se libero dagli altri strati, operava sempre 
il tipico movimento di chiusura. 

La causa del movimento non è legata ad alcuna delle pro- 
prietà vitali dell’individuo. Essenzialmente, le differenze di tur- 
gescenza attiva, le quali sono funzioni dei tessuti vivi, non en- 
trano a spiegare la ragione di questo movimento, che si 
manifesta tanto negli individui viveuti quanto in quelli morti ed 
essiccati. 

Il fenomeno dipende esclusivamente dalla proprietà delle mem- 
brane cellulari mucificabili, capaci cioè di rigonfiarsi esagerata- 
mente in contatto dell’acqua, come lo mettono fuori dubbio le 
seguenti osservazioni : 

Il movimento ha luogo indifferentemente alla luce come al- 
l'oscurità; 

Il movimento ha luogo in presenza dei liquidi acquosi che 
sì adoperano più comunemente per arrestare le funzioni vitali. 
(Alcohol acquoso — Soluzioni iodiche — Soluzioni dilungate di su- 
blimato corrosivo). 

Lo studio interessantissimo delle modificazioni che subiscono 
gli elementi, quando dallo stato di secchezza passano a quello 
di umidità ; i calcoli, e le percentuali di allungamento, le cu- 
riose disposizioni, le variazioni di volume, ecc. ecc. che con me- 
todi adatti si possono sorprendere e studiare e che verranno 
discusse e registrate, concorrono a dimostrare, che la ragione mec- 
canica del movimento dipende assolutamente dalle proprietà del 
tessuto meccanico accertate da molteplici reazioni chimiche. 

Il movimento del tessuto meccanico composto di due strati 


392 0. MATTIROLO 


di cui l’uno, l’interno, di gran lunga più sviluppato e più rigon- 
fiabile dell'altro, esterno, poco o punto mucificabile, si può sino 
ad un certo punto paragonare a ciò che avviene, considerando 
due lamine metalliche saldate per una loro superficie comune, 
fatte di sostanze diverse, e curvate in modo da rassomigliare 
nel loro contorno a quello della sezione del nostro tallo allo 
stato secco. 

Supponiamo che queste due lamine abbiano uno spessore ini- 
ziale abbastanza piccolo relativamente alla loro lunghezza e sia 
la lamina interna molto più dilatabile della lamina esterna. 

Nel riscaldare il sistema (1), le lamine dilatandosi, e quella 
interna più dell’altra, invariabilmente unite come sono, si disten- 
deranno, si apriranno e prenderanno a poco a poco la forma 
allargata di coppa. 

Il tradurre tale legge in linguaggio assolutamente preciso, 
quale sarebbe il matematico, esigerebbe la conoscenza più com- 
pleta di quello che non si possa avere delle forze collegate alle 
modificazioni di forma, che entrano in funzione nell’atto in cui 
si svolge il fenomeno, e delle quali si dovrebbe tener conto per 
riuscire ad una spiegazione matematica soddisfacente. 


CONCLUSIONE. 


Dalle osservazioni sommariamente ora esposte risulta adunque 
che nelle Epatiche Marchantieae e più precisamente nei generi: 


Plagiochasma L. e Ldbg. 


Reboulia N. ab. KE. 
Grimaldia Raddi 
Fimbriaria N. ab. E. 
Targionia Micheli 


si notano nel loro tallo movimenti dipendenti assolutamente dalle 
proprietà igroscopiche dei tessuti, che lo compongono. La causa 
del movimento (analogamente a quanto si osserva in alcuni mo- 
vimenti delle Muscineae, delle Graminaceae delle Compositae, Ge- 
raniaceae, ecc. ecc.) si riferisce essenzialmente alle proprietà igro- 


(1) Perocchè il riscaldamento si può lontanamente paragonare nel caso at- 
tuale all’operazione di bagnare. 


Beez 


MOVIMENTI IGROSCOPICI NELLE EPATICHE MARCHANTIEAE 3383 


scopiche di quegli elementi, che rappresentano il tessuto cosidetto 
meccanico dei vegetali superiori. 

Il tallo in relazione alla secchezza dell'atmosfera si ripiega 
rialzando i bordi liberi, ricoperti alla superficie ventrale da scaglie 
brune, verso la linea assile, in modo che i margini liberi si riu- 
niscono e si ricoprono, sottraendo così completamente il tessuto 
assimilatore all’influenza dei raggi luminosi, e mantenendo l’in- 
dividuo in uno stato di sospensione funzionale, che può durare 
periodi assai lunghi. 

In questa posizione il tallo acquista nuove proprietà e si 
rivela atto a sopportare variazioni notevoli e repentine di tem- 
peratura senza risentirne danno, continuando poi a vegetare ap- 
pena si ritrovi in condizioni convenienti di umidità. Il fenomeno 
dei movimenti igroscopici nelle Marchantieae è motivato da un 
progressivo adattamento alle condizioni naturali di stazione in 
cui si svolge la vita dell’individuo. 


Torino, R. Orto Botanico, 1888. 


Illustrazione di due Agaricini italiani ; 


Studio del Dott. P. VoGLino 


Quantunque già molto si sia scritto intorno alla sistematica 
degli Imenomiceti, tuttavia da nuove ricerche in diverse località 
italiane ebbi a convincermi come molto resti ancora da fare. In- 
fatti conviene prima di tutto stabilire, quali e quante sieno le 
specie da noi possedute; poi quali sieno i loro caratteri esteriori, 
imperfetta sembrandomi la descrizione stata fatta finora di ta- 
lune di esse; per assorgere da ultimo alle ricerche intorno 
alla biologia dei medesimi, campo vastissimo ed appena ancora 
tentato. 

Ma per raggiungere il primo scopo mi sarebbe indispensabile 
l’aiuto degli intelligenti di tutte le parti d’Italia (naturalisti , 
medici, agricoltori), i quali mi comunicassero quegli esemplari e 
quei fatti, che loro potessero parere più utili all’uopo. 


334 P. VOGLINO 


Per intanto presento al giudizio dei micologi una specie af- 
fatto nuova d’Agaricino, e ne esamino una seconda non stata fino 
ad oggi trovata in Italia. 

Ai chiarissimi micologi Prof. M. C. Cooke ed Ab. G. Bre- 
sadola, ai quali comunicai la specie nuova qui descritta, e che me 
ne agevolarono lo studio, al Prof. G. Gibelli, che mi fu prodigo 
di consigli, rendo qui pubbliche grazie per l’appoggio concessomi. 


PSILOCYBE FrIESs 


Systema micologicum, I, p. 289, Hymenomycetes europaei , 
p. 297. 


Velum manifestum nullum, saltem haud contextum. Stipes 
subcartilagineus, rigidus vel tenax, tubulosus, tubo cavo faretove, 
saepe radicans. Pileus plus minus carnosus, glaber, margine 
primo incurvo. Lamellae fuscescentes vel purpurascentes. 


Psilocybe ferrugineo-lateritia VoGL. sp. nov. 
(Tav. I, fig. 1-2: Tav. II, fig. 1-3). 


Pileus carnosulus in ipso ortu convexus, rarius campanu- 
latus, demum convexo-expansus, in centro leniter umbilicatus, 
ad marginem inacqualiter parumque striatulus , ferrugineo- 
lateritius, glaber, aliquanto hygrophanus, 2 — 234 cm. latus. 

Lamellae 3-4 mm. latae, leniter ventricosae, subconfertae, 
adnato-subdecurrentes, purpureo-atrae. 

Stipes cylindraceus, subcartilagineus, ad basim et ad ver- 
ticem paullo incrassatus, glaber, subferrugineo-lateritius, intus 
pallidior, subcavus 3,4-4,5 cm. altus, 134 mm. latus, albus 
ad basim. 

Caro pallida, odore farinae praedita. 

Sporae fusco-purpureae, ellipticae, rarius ovato-ellipticae ; 
7—-9v4, saepius 8 v 4. 

Basidia clavata, 4-sterigmica, rarius 2-sterigmica, media 
in parte quandoque constricta, 20-24 rarius 26 v 4 — 5. 

Sterigmata acicularia 4v 0,5 in basidia 4- -STAAOORAE 
4xv1-1% in basidia 2-sterigmica. 


ILLUSTRAZIONE DI DUE AGARICINI ITALIANI cod 


Inter plurima basidia sterigmatibus instructa nonnulla ca- 
rent tisdem. 

Cystidia phialaeformia, collo elongato, ad basim attenuata, 
84 — 36 v 9, 21 in collo. 

Basidia et cystidia nascuntur ex stratu subhymeniali, con- 
stanti ex brevibus hyphis celluliformiis, irregulariter bullosis in 
corcuitu, quaeque interius paullatim fiunt cylindrico-oblonga. 


Ad terram muscosam in pinetis prope « S. Giuseppe » (Mas- 
sae), mense martii, leg. P. Pellegrini rei botanicae cultor. 


DESCRIZIONE. 


La Psilocybe ferrugineo-lateritia è un Agaricino, che varia 
in lunghezza dai 3 e mezzo ai 4 cm. e mezzo. Il cappello si 
presenta lungo da 2 a 2 cm. e mezzo e costituito di una so- 
stanza carnosetta, pochissimo sviluppata verso il margine, tantochè 
allo stato umido il fungo vi appare leggermente striato: ha una 
forma di solito convessa, un po’ incavata nel mezzo allo stato 
adulto: non notai che pochissimi esemplari, i quali allo stato 
giovanile comparissero a cappello leggermente campanulato ; l’epi- 
dermide esterna ha colore mattone-ferruginoso quando il fungo 
si raccoglie in tempo secco, bruniccio se in tempo umido; è quindi 
leggermente igrofano. 

Nella parte inferiore del cappello si trovano le lamelle abba- 
stanza numerose di un color porporino-scuro, alcune volte porporino 
ferruginoso, non perfettamente lineari, un po’ ventricose, aderenti 
allo stipite ed anche leggermente decorrenti, con uno sviluppo in 
altezza non superiore ai 8 o 4 mm. 

Lo stipite è cilindrico, alquanto cartilaginoso, non perfetta- 
mente eguale ma nel maggior numero dei casi ingrossato verso 
l’apice e la base; quasi sempre eretto, raramente un po’ sinuoso, 
esternamente di un color bianco-mattone non continuo ma a tratti 
più chiari, bianchiccio alla base; internamente si presenta fisto- 
loso o cavo e colorito in ocraceo-pallido, raramente in bianco - 
ocraceo, e raggiunge una lunghezza che varia dai 3 ai 4 cm. e 
mezzo ed una larghezza di 1 mm. e mezzo o 2. Le spore hanno 
una forma elittica, alcune volte ovale-elittica, un color porpo- 
rino, misurano una lunghezza che varia dai 7 ai 91 comunemente 
8p. ed una larghezza di 4p. 


336 P. VOGLINO 


I basidi sono clavati un po’ ristretti nel mezzo e se ne in- 
contrano di 3 sorta, a 4, a 2 e senza sterigmi; quelli a 4 
solamente portano le spore, quindi si potrebbero chiamare fer- 
tili. Sugli altri a 2, per quante sezioni abbia fatto, non potei 
mai vedere attaccata alcuna spora, sono quindi sterili; quelli 
senza sterigmi non sono altro che basidi a 2 o 4 sterigmi in via 
di formazione (*); i fertili hanno gli sterigmi più lunghi degli 
sterili ma però molto meno larghi. 

I cistidi si trovano abbastanza frequenti lungo tutto il de- 
corso delle lamelle, e si presentano a forma di fiala, colla por- 
zione superiore cilindrico- allungata, coll’inferiore acuta, e sono 
lunghi dai 34 ai 86 p. e larghi 9p nella parte ingrossata, 2 p. nella 
parte ristretta. 

Lo strato sotto-imeniale è formato nella parte mediana delle 
lamelle da ife cilindriche, un po’ sinuose, che s'intrecciano in di- 
versi modi, larghe 12-14p: verso il margine queste ife si fanno 
brevi, celluliformi, a contorno irregolare, bolloso, e da queste na- 
scono i basidi ed i cistidi. 

La Psilocybe ferrugineo-lateritia presenta delle affinità colla 
Psilocybe physaloides di Bulliard ; ma però ne è diversa, in quanto 
non ha mai il cappello viscido, in via eccezionale campanulato, 
lo stipite non fibrilloso e le lamelle non ferruginee, ma bensì 
porporine. Il complesso poi si presenta ben differente dalla de- 
scrizione e dalla figura data dal Bulliard (Champ. de la France, 
t. 336, f. 1), ed anche da quella del Cooke (IWustrations of 
british fungi, t. 609) della P. physaloides. 

Colla Psilocybe foemiseciù di Persoon si potrebbe pure dire 
che ha qualche carattere affine; ma anche da questa si distingue 
chiaramente e per il colore specialmente del cappello, per la 
forma ed inserzione delle lamelle, e per la grandezza e forma 
delle spore che nella specie di Persoon sono granuloso-asperulate 
e misurano 12-17 v 6-8 (test. Bresadola in litt.). 

Un'altra specie colla quale la P. ferrugineo-lateritia potrebbe 
avere qualche parentela, sarebbe la P. sericaca pure di Persoon, 


(*#) Il Dott. J. StHEINHaUS nel suo Analytische Agaricineen-Studien sì me- 
raviglia come io non abbia mai ricordato tali organi, ai quali egli dà il 
nome di parafisi; ma non essendo essi che basidi in via di formazione, come 
ebbi occasione di convincermi in diversi casi, è a mio avviso perfettamente 
inutile il tener conto. 


ILLUSTRAZIONE DI DUE AGARICINI ITALIANI 337 


dalla quale però si deve senz'altro distinguere in quanto allo svi- 
luppo complessivo. 

Non potendola quindi riferire ad alcune delle forme finora 
descritte ho creduto di proporla come una nuova specie. 

Mi spinse a far ciò soprattutto una comunicazione del chia- 
rissimo Prof. M. C. Cooke, il quale appunto ebbe a scrivermi, 
che Berkeley gli disse spesso esservi due specie, le quali hanno 
preso il nome di Agaricus physaloides Bull., che la vera specie 
era quella figurata dal Cooke (IWustr. brit. fungi, t. 609) e 
l’altra quindi potrebbe essere molto probabilmente, anche se- 
condo lo stesso Cooke, la P. ferrugineo-lateritia. 

Questa specie fu riscontrata abbastanza comunemente nelle 
pinete presso S. Giuseppe lungo la marina di Massa (Carrara) 
dallo studiosissimo sig. P. Pellegrini, il quale mi ha già comu- 
nicate un buon numero di specie anche abbastanza rare. 


Eccilia griseo-rubella LaAscH. 
(Tav. I, fig. 13-18 — Tav. IV, fig. 4-5). 


Pileus membranaceus, convexus, profunde umbilicatus, hy- 
grophanus, ferruginco-umbrinus, siccus pallidus, lucidus, 2-5 
em. latus, 2-3 mm. altus . 

Lamellae subdistantes, lincares, subdecurrentes, pallido-car- 
neae, 4-5 mm. altae. 

Stipes cylindricus, interdum in senectute compressus, paulum 
fistulosus, pileo concolor vel pallidior, glaber, 4-6 cm. longus, 
3-5 mm.crassus atque etiam 2 cm. }, longus, 1/, mm. latus. 

Caro pallida, odore farinae recentis praedita. 

Sporae globoso—-irregulares, 4-5 rar. 6-angulatae, 1-gut- 
tulatae, roseolae, 8-9 v 6-8. 

Basidia clavata, 4 rar. 2 sterigmica, 29-32 v 6-8, nonnulla 
sterigmatibus carent. 

Stratus subhymenialis constans, media in parte lamellarum, 
hyphis cylindricis, quae in marginibus carumdem perstringuntur, 
passimque tumescunt, atque hinc emittunt verticaliter basidia. 


Ex terra in populetis aestuariis fluminis Tanari ad Albam 
et Polentium, mense aprilis et maii 1888, frequentissima. 


338 P. VOGLINO 


DESCRIZIONE. 


L’Eccilia grisco-rubella di Lasch si presenta con un cap- 
pello convesso, profondamente ombilicato, a margine leggermente 
ripiegato, di un color ferrugineo-grigio allo stato umido, ferru- 
gineo-chiaro e lucido allo stato secco, raggiunge una larghezza 
di 5, raramente 6 cm., mentre si trovano anche abbastanza fre- 
quenti degli esemplari in cui il cappello non è mai più largo 
di 2 centim. 

Le lamelle sono quasi lineari, leggermente decorrenti, arcuate, 
di un bel color carnicino-roseo ed alte in media 40 5 mm. 

Lo stipite, cilindrico dapprincipio e perfettamente eguale, negli 
esemplari molto sviluppati si presenta alcune volte compresso e 
scanalato nel mezzo: esternamente è dello stesso colore del cap- 
pello, alcune volte un po’ più pallido, bianchiccio alla base; inter- 
namente fistoloso-cavo, bianchiccio ; è sempre glabro, raggiunge in 
certi esemplari una lunghezza di 4 o 6 cm. ed una larghezza di 
4 a 5 mm, mentre in certi altri non si eleva più di 2 cm. e 
mezzo con uno spessore di 1 mm. e mezzo; appena rotto emette 
un odore simile a quello della farina da poco macinata. 

Le spore sono tondeggianti, raramente un po’ allungate, con 
4 a 6 angoli, carnicino-rosee ed hanno costantemente nell’interno 
una gocciolina oleosa, jalina; misurano da 8 a 91 in lunghezza, 
e da 7 ad 8w in larghezza. 

I basidi sono clavati, terminati superiormente in 4 rar. in 2 
sterigmi, variano in lunghezza dai 29 ai 32, ed in larghezza 
dai 6 agli 8L: gli sterigmi, quasi acicolari, leggermente ingros- 
sati alla base, terminano in punta acuta e si prolungano 4 o 6/2 
nei basidi a 4 sterigmi, in quelli a 2 misurano una lunghezza 
di 21. e non terminano in punta acuta. Tra questi basidî già 
completamente sviluppati se ne trovano abbondantemente in via 
di sviluppo. 

Lo strato sotto-imeniale è formato nella parte mediana delle 
lamelle da ife cilindriche, allungate, jaline, larghe 10 o 15p: 
verso i due margini queste ife si raccorciano, si restringono in 
modo da non misurare che una larghezza di 3 o 5, si rigon- 
fiano qua e là e da questi rigonfiamenti nascono i hasidi. 

Trovai i primi esemplari in un boschetto di pioppi lungo la 
riva sinistra del Tanaro ai 28 di aprile; dopo 4 giorni si mo- 


Tav. MI 


Torino-Lit.Salussolia 


i Tisana li 


papa» © 


ILLUSTRAZIONE DI DUE AGARICINI ITALIANI 339 


strava in.abbastanza grande quantità lungo le due rive del Ta- 
naro: ai 6 e 7 di maggio la riscontravo comunissima nei piop- 
peti lungo le due rive del Tanaro presso Alba, presso Pollenzo 
e nei boschetti lungo le rive di quasi tutti i torrenti circostanti 
ad Alba. Si mantenne nel suo pieno sviluppo per 4 o 5 giorni 
tantochè ai 12 incominciò di nuovo a rendersi meno frequente, 
dai 15 ai 17 non ne trovavo più che rarissimi esemplari, che 
scomparvero del tutto verso il 22 dello stesso mese. 

Mi si dirà che di questa specie esistono già alcune figure, 
ma in nessuna di esse trovai bene rappresentati i molti esem- 
plari che potei raccogliere ed è perciò che credei utile, in seguito 
anche all’averla riscontrata comunissima in Italia, di riportare 
qui una descrizione ed una figura quanto più potei completa. 


Dal Laboratorio del R. Orto Botanico, 
Torino, giugno 1888. 


SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE. 


TavoLra I. 
Psilocybe ferrugineo-lateritia Voc. 


Fig. 1-10. Aspetto generale della specie. Grandezza naturale. 
» 11 Sezione longitudinale. Grandezza naturale. 
» 12 Spore. Ingr. circa 400 diam. 


Eccilia grisco-rubella LASCH. 


» 13-16. Aspetto generale della specie. Grandezza naturale. 
BI 47 Sezione longitudinale. Grandezza naturale. 
» 18 Spore. Ingr. circa 400 diam. 


TavoLa II. 
Psilocybe ferrugineo-lateritia VoaL. 


Fig. 1. Aspetto generale dell’imenio. Ingr. circa 400 diametri. 
> 2 Basidi. » » » 
» 8 Cistidi. » » » 


Eccilia griseo-rubella LaAsca. 


» 4. Aspetto generale dell’imenio. Ingr. circa 400 diametri, 
» 5. Basidi. » » » 


340 RICCARDO GALEAZZI 


Sugli elementi nervosi dei muscoli di chiusura dei bivalvi, 
Ricerche dello Studente RiccarRDo GALEAZZI. - 


Gli elementi nervosi e le rispettive terminazioni nelle fibre 
muscolari furono oggetto di ripetute indagini per l’interesse fisio- 
logico che presentano. 

Si conoscono, se anche non in tutti i dettagli, quelle dei 
muscoli striati e lisci, come pure di quei muscoli, che nella strut- 
tura morfologica rivelano il loro successivo sviluppo dalle fibre liscie 
alle striate. Ci sono invece sconosciuti gli elementi nervosi dei 
muscoli degli invertebrati, i quali per la loro struttura devonsi 
chiamare forme muscolari di transizione, come sarebbero quelle 
delle bivalvi, inquantochè non posseggono nè la struttura delle 
fibre striate, nè quella delle fibro-cellule contrattili. Margo (1) che 
si occupò dello studio dei muscoli di chiusura delle bivalvi, usando 
di forti ingrandimenti dimostrò, che queste fibre ritenute general- 
mente per liscie, presentano tuttavia una striatura trasversale. 

Compito prefissomi fu l indagine degli elementi nervosi di 
queste fibre muscolari, per contribuire così alla conoscenza fisio= 
logica di questi elementi, la cui eccitazione nervosa si ritenne 
venisse comunicata da cellula a cellula col mezzo del proto— 
plasma, senza l'intervento del conduttore nervoso. Tale teoria 
sostenne l’Engelmann (2) per la muscolatura liscia, appoggiandosi 
alle sue ricerche istologiche sugli ureteri e sulla vescica urinaria. 

Per materiale delle mie ricerche ho scelto il « mytilus edu- 
lis, » e Il’ « ostrea. » 

Come è noto, il Mytilus edulis (mollusco lamellibranchiato del 
gruppo degli asifonidi) possiede un legamento interno e due po- 
tenti muscoli, l’adduttore anteriore e l’adduttore posteriore, i quali 
sono diretti trasversalmente per rapporto al corpo del mollusco e 
s’attaccano per le due estremità alla faccia interna della conchiglia. 


(4) Marco. — Ueber die Endigung der Nerven in der quergestreiften Mu- 
skelsubstanz — 1862. 

(2) Ta. W. EnGELMANN. — Archiv. f. d. gesammte Physiologie von Pflùger, 
1869. II Jahrg. 


LT RT A REMI LOTTI 


SUGLI ELEMENTI NERVOSI 341 


Le fibre di questi muscoli esaminate a fresco ci appaiono 
sottili, lunghe, giallo-pallide, riunite in fasci divisi da tessuto 
connettivo, ed a forti ingrandimenti ci mostrano una finissima 
striatura longitudinale. 

Per i miei studi usai il seguente metodo di esame: 

Aperte le bivalvi, recisi colle forbici i muscoli ed il legamento, 
che misi interi in un recipiente con un terzo di acido formico 
e due terzi di acqua, allo scopo di rendere più molle il con- 
nettivo che circonda i fasci muscolari. 

Li lasciai in questa soluzione per dieci minuti, e lavatili nel- 
l’acqua distillata, li tagliai in parti sottili lungo l’asse longitu- 
dinale delle fibre muscolari, li immersi in una soluzione di clo- 
ruro d’oro all’ 1% nella quale rimasero finchè il tessuto ebbe 
acquistato un colore giallo citrino. 

Di qui li passai nell’acqua distillata, cui si era aggiunto circa un 
terzo di acido formico, e li tenni per la riduzione in un ambiente 
scuro: dopo 24-36 ore erano divenute di color violetto cupo. 

Questi muscoli così trattati e posti in seguito in una miscela 
di acqua, glicerina ed acido nitrico, dopo 24-36 ore si pote- 
rono isolare nella glicerina con grande facilità, permettendomi 
così di procedere all’esame microscopico. 

Questo metodo di ricerca è più vantaggioso che non lo studio 
in sezioni del tessuto, perchè in queste non si può con certezza 
vedere una reale unione tra elementi muscolari ed elementi nervosi. 

Con questo trattamento le fibre muscolari si presentano quali 
elementi distinti, lunghi, nel loro decorso quasi sempre di egual 
diametro, di color rosso, con nuclei grandi, ovali, forniti di nu- 
cleolo, i quali generalmente sono situati nel mezzo della fibra. 

Alle due estremità del nucleo lungo l’asse della fibra si tro- 
vano dei prolungamenti formati da sostanza protoplasmatica gra- 
nulosa. Le striature si distinguono più facilmente usando lenti di 
immersione. 

Tra i fasci muscolari si trova un ricco tessuto connettivo, 
nel quale corre un numero rilevante di fasci nervosi di varia 
grossezza , colorati dal cloruro d’oro in nero intenso. Le fibre 
nervose più grosse ed isolate si vedono dividersi e suddividersi, 
correre tra le fibre muscolari parallele a queste, mandare rami- 
ficazioni laterali e terminali in gran numero, per cui un solo 
tronco nervoso provvede a parecchie fibrocellule muscolari. 

Le ramificazioni laterali si staccano o perpendicolarmente, o 


Atti R. Accad, - Parte Fisica — Vol. XXIII 28 


842 RICCARDO GALEAZZI 


più o meno obliquamente dalla branca da cui partono: esse sono 
più o meno sinuose, tutte dànno origine a dette branche secon- 
darie, di cui la forma, la lunghezza ed il tragitto sono assai varî, 

Sottili fibre nervose che partono da differenti tronchi si ana- 
stomizzano spesso le une colle altre. 

Orbene, se cade sott'occhio al microscopio un fascio di fibre 
muscolari, una legata all’altra, si vede distintamente come ogni 
fibra abbia nel suo decorso un nervo munito di nuclei nervosi 
che le corre parallelo, e come questo mandi dei sottili filamenti 
in direzione del nucleo della fibrocellula; ed anzi dalle punteg- 
giature nerastre che partono da qualche fibra nervosa e si diri- 
gono ai prolungamenti protoplasmatici del nucleo delle fibrocel- 
lule muscolari, bisogna concludere esista una unione tra nucleo 
e fibra nervosa. 

Nei nostri preparati ci fu possibile una sola volta (come 
lo presenta la Fig. 2) nel « mytilus edulis » di scorgere delle 
sottilissime terminazioni di carattere indiscutibilmente nervoso, 
che si staccavano da un grosso nervo, dirigevansi direttamente 
al nucleo ed erano in unione con questo. Osservai ancora come 
da un nucleo all’altro della fibrocellula vi fossero dei filamenti 
sottilissimi punteggiati che li univano. 

Nei fasci connettivali che uniscono quelli muscolari troviamo 
poi una grande quantità di cellule gangliari nervose di cui al- 
cune unipolari, altre bipolari (Fig. 3, 4, 5). La loro grossezza 
varia assai, come pure la loro forma; alcune si presentano fusi- 
formi, altre ovoidiformi o piriformi. 

Il corpo cellulare ci presenta dei contorni netti, pressochè 
regolari: il protoplasma ci appare col nostro metodo di colora- 
zione finamente granuloso; i granuli non sono uniformemente 
distribuiti nella massa protoplasmatica, ma presentano delle zone 
in cui sono più abbondanti, in modo «da formare delle isole più 
scure, che risaltano dal rimanente protoplasma. In alcune di esse 
è ben visibile un nucleo trasparente, per lo più di forma ovale, 
talora situato al centro del corpo cellulare , talora eccentrico; 
non ho potuto riscontrare l’esistenza di un nucleolo ; uno o più 
vacuoli si riscontrano in ogni cellula nervosa. 

I prolungamenti si staccano dalla cellula con una base ora 
più larga ed ora più stretta, talora procedono mantenendo sempre 
lo stesso diametro in tutto il loro decorso, tal altra van man 
mano assottigliandosi fino a divenire finissimi, e ci presentano 


SUGLI ELEMENTI NERVOSI 343 


spesso delle biforcazioni, come lo dimostra la Fig. 3. Alcune di 
queste cellule gangliari si scorgono incluse tra i fasci muscolari. 
In nessuno dei miei preparati trattati col metodo d’isolamento, 
dove le cellule gangliari sono per lo più isolate, mi fu possibile 
osservare dove questi prolungamenti andassero a finire. 

Le terminazioni nervose nei muscoli che furono oggetto del 
nostro studio, anche per la presenza delle cellule gangliari, si 
avvicinano di più a quelle descritte nella muscolatura liscia, che 
a quelle della striata, ed appunto per questo mi fermerò breve- 
mente a considerare queste terminazioni e le varie osservazioni 
degli autori su questo riguardo: 

Kélliker (1) che esaminò la vescica urinaria e l’esofago delle 
rane, è dell’opinione che i cilindri nervosi si dividono in sotti- 
lissime fibrille che alla lor volta si ramificano e terminano libere. 

Il Klebs (2) ha distinto nella vescica della rana un plesso 
fondamentale munito di cellule gangliari risiedente alla base di 
quest'organo, un plesso intermediario formato di fibre che par- 
tono dal plesso fondamentale e coprono colle loro ramificazioni 
anastomotiche la vescica tutta intera, ed un plesso intramusco- 
lare di cui le fibre estremamente fine, provenienti dal plesso 
intermediario, sono situate tra le fibrocellule medesime; ma non 
potè seguire oltre ii decorso di queste fibrille. 

Egli però crede che vi sia una unione tra fibra nervosa e 
fibrocellula muscolare. 

Il Lòwit (3) avrebbe dimostrato che in questo stesso plesso 
intramuscolare le trabecole sono alquanto più fitte ed aderenti 
agli elementi muscolari in vicinanza al nucleo, e che esiste vera- 
mente una unione intima tra nervo e cellula contrattile. 

Frankenheuser (4), Arnold (5) si occuparono dell’argomento; 
non esaminarono i muscoli freschi, ma induriti nell’ acido cro- 


(1) KoLuiKER. — Ueber die letzte Endig. d. Nerven in den Muskeln des 
Frosches. Wirzburger Naturwiss. Zeitschr. Bd. II. 1862. 

(è) KLEBs. — Die Nerven der organischen Muskelfasern. Virchow”s Archiv. 
Bd. XXXII. 1865. 

(3) Lòwir. — Die nerven der glatten Muskulatur. Sitzungsbericht d. k. 
Akad. d. Wissenschaften in Wien. 1875. 

(4) FRANKENHEUSER. — Die Nerven der Gebàrmutter und ihre Endigung 
in der glatten Muskelfasern. Iena 1867. 

(5). ArNoLD. — Die Gewebe der organischen Muskeln. Handbuch der Lehre 
von den Geweben herausgegeben von Stricker. Leipzig. 


344 RICCARDO GALEAZZI ‘ 


mico, e descrissero nella vescica urinaria della rana un reticolo 
nervoso intramuscolare, videro fibrille penetrare nel nucleo della 
fibrocellula per uscire dalla parte opposta e ritornare nel reticolo 
intramuscolare. 

Krause (1) studiò il muscolo rettococcigeo dei conigli e ri- 
tiene che il reticolo dell’Arnold noù sia altro che tessuto elastico. 

Henocque (2) avendo studiato col metodo del cloruro d’oro 
i muscoli lisci dei diversi organi in differenti animali è arrivato 
alla conclusione che le terminazioni dei nervi nella sostanza con- 
trattile sono libere in forma di ingrossamenti a bottone. 

Da ultimo Lustig (3) esaminò la vescica urinaria del maiale, 
del cavallo, della cavia e la muscolatura intestinale di diversi 
animali e venne alla conclusione che esiste una unione tra fibra 
muscolare e nervo e tra fibra nervosa ed appendici protoplas- 
matiche. Egli toccò inoltre la questione se una fibra nervosa 
provveda a più fibre muscolari, e sul rapporto quantitativo tra 
fibra muscolare e terminazione nervosa. 

Anche Wolf (4) esaminò le terminazioni nervose nella vescica 
della rana, e dice che le fibre nervose non corrispondono per 
numero a quello delle fibre muscolari; e trovò ganglii del sim- 
patico che mandavano prolungamenti ai muscoli. | 

Dalle nostre ricerche noi dobbiamo concludere : 

1° Che i muscoli i quali per la loro struttura si chiamano forme 
di passaggio, come sarebbero i muscoli di chiusura delle bivalvi, 
sono estremamente ricchi di fibre nervose e cellule gangliari. Le 
prime formano nel muscolo un intreccio -minutissimo, ed una fibra 
nervosa provvede con le sue ramificazioni a più fibre muscolari : 
le fibrille terminali nervose sono poi in unione col nucleo della 
fibrocellula, oppure coi rispettivi prolungamenti protoplasmatici 
nucleari. 

2° Dalla quantità straordinaria di fibre nervose trovate col no- 


stro metodo di ricerca tanto tra la muscolatura, che nei fasci — 


(1) Krause. — Die Nervenendigung in den glatten Muskeln. Archiv, f. 
Anatomie und Phisiologie. 1870. 

(2) Henocque. — Du mode de distribution et de terminaison des nerfs 
dans les muscles lisses. Archiv. d. Phisiolog. et Patholog. T. II. 1870. 

(3) A. Lustia. — Ueber die Nervenendigung in den glatten Muskelfasern. 
Sitz d. k. Akademie der Wiss. Wien. 1881. 

(4) WoLr. — Die Innervation der glatten Muskulatur. Archiv. f. mikro- 
scop. Anatom. XX. 


Tav XI 


A.L. dis. Torino-Lib. Salussolia 


SUGLI ELEMENTI NERVOSI 345 


di connettivo, dobbiamo venire alla conclusione che tutte le fibre 
muscolari possono avere una fibra nervosa. Non posso adunque 
esser d’accordo con quelli che ritengono assolutamente impossi- 
bile che ogni fibra muscolare abbia un nervo, tanto più che 
osservai più di una volta una fibra nervosa decorrere verso una 
cellula contrattile, dare a questa ed al rispettivo nucleo alcune 
fibrille, e proseguire la sua via distribuendo altre fibrille ed altre 
fibrocellule. 

3° Il numero considerevole di cellule gangliari nel connettivo 
tra i fasci muscolari ci fa pensare a centri nervei. automatici 
nel muscolo stesso, con che si potrebbe anche spiegare la potenza 
considerevole di chiusura dei muscoli adduttori delle bivalvi. 


SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. 


Fig. 1. Rappresenta un gruppo di fibre muscolari del muscolo 
di chiusura del « mytilus edulis. » La grossa fibra.ner- 
vosa a va in direzione del gruppo muscolare e corre 
parallela a questo. La fibra nervosa d corre pure tra 
due fibrocellule contrattili e manda in ec un ramo alle 
fibre muscolari vicine. Il disegno venne eseguito usando 
dell’oculare II e l’oggettivo V Seibert. 


>» 2. Gruppo di fibre muscolari con un reticolo nervoso. In 4 
si vede l’unione del nucleo muscolare colle fibre termi - 
nali d’un sottile nervo. Disegnato usando dell’oculare II 
1 
e dell’ oggettivo ad immersione omogenea Di Selbert, 
e dell’apparato Abbé. 


» 3. 4. 5. Cellule gangliari che si trovano tra i fasci mu- 
scolari. Nella fig. 3. si vede la biforcazione di uno dei 
prolungamenti. Il disegno venne eseguito coll’oculare II, 


1 
l'oggettivo ad immersione omogenea a Seibert. Apparato 


Abbeé. 


346 GIORGIO ERRERA 


Derivati degli alcoli parabromo e paraclorobenzilico, 


Nota del Dott. Giorio ERRERA 


Come risulta da una memoria pubblicata l’anno scorso negli 
Atti di questa Accademia (Vol. XXII), non riuscii a preparare 
il cloruro di parabromobenzile 


Br (1) 
CA, Scr, CI (4) 


nè bromurando il cloruro di benzile a freddo, nè sottoponendo 
all’azione del cloro il parabromotoluene bollente. Tali metodi che 
servono benissimo alla preparazione del cloruro di paracloroben- 
zile e dei bromuri di parabromo e paraclorobenzile non diedero 
in questo caso risultati soddisfacenti, ottenni sempre il composto 
desiderato allo stato di miscuglio isomorfo col bromuro di pa- 
rabromobenzile senza riuscire a separare l’uno dall’altro. 

Sono arrivato allo scopo partendo invece dall'alcool para- 
bromobenzilico, e oggetto della presente memoria è appunto la 
preparazione del cloruro di parabromobenzile e lo studio di al- 
cuni altri composti che ad esso si riannodano. 


Cloruro di parabromobenzile. 


(1) 
(4) 


La preparazione dell’ alcool parabromobenzilico per azione 
diretta del bromo sull’alcool non riesce, non perchè, come uni- 
versalmente si ritiene, l’alcool si ossidi, ma perchè l’acido bro- 
midrico che si forma, anzichè mettersi in libertà reagisce sul- 
l’ossidrile. Infatti durante la reazione, fatta in presenza di iodio 
e a freddo, non si vede svilupparsi acido bromidrico, e il pro- 
dotto consta in piccola parte di aldeide benzoica, per lo più di 


Br 
CH, 0a C1 
0 


DERIVATI DEGLI ALCOLI PARABROMO E PARACLOROBENZILICO 347 


un miscuglio di bromuro di orto e parabromobenzile facili a ca- 
ratterizzarsi trasformandoli nelle aldeidi e quindi negli acidi cor- 
rispondenti. 

L'’alcool parabromobenzilico fu preparato da Jackson e Lowery (*) 
facendo bollire lungamente con acqua il bromuro di parabromo- 
benzile, o passando per l’acetato corrispondente, ed è al primo 
metodo che mi sono appigliato. Affinchè la reazione sia completa 
è necessario far bollire a ricadere per parecchie ore e precisa- 
mente sinchè'1 vapori del liquido caldo non cagionino più bruciore 
agli occhi; è bene operare su piccole porzioni, di quattro a cinque 
grammi per volta, con un mezzo litro d’acqua circa, poichè i 
palloni danno spesso sussulti violenti e talvolta si rompono. 

Jackson e Lowery non accennano che in questa reazione oltre 
all'alcool si formino altri prodotti, io però ho sempre ottenuto 
insieme ad esso anche l'etere corrispondente, e la quantità di 
quest’ultima sostanza aumenta allorquando si sostituisca all’acqua 
una soluzione diluita di idrato sodico la quale decompone il bro- 
muro di parabromobenzile più rapidamente che l’acqua pura. 

Per evitare l’uso dei palloni di vetro che facilmente si rom- 
pono, tentai sostituire ad essi recipienti di ferro, ma operando in 
tal modo non riuscii ad ottenere che piccolissime quantità del- 
l'alcool, e insieme ad esso dell’etere e delle sostanze quasi in- 
solubili nell’alcool anche caldo, e che non tentai neppure di 
cristallizzare da altri solventi. L’ottenere tali prodotti è dovuto 
probabilmente alla azione delle pareti metalliche del recipiente, 
e tale ipotesi trova una conferma nel fatto che facendo bollire 
con polvere di zinco ed acqua in pallone di vetro il bromuro 
di parabromobenzile, non si forma più affatto nè l’ alcool nè 
l’etere, ma soltanto del parabibromodibenzile p. f. 114° 


(1) CH,. C,H,.Br (4) 
| 
(1) CH,. C,H,.Br (4) 


come risulta dalla analisi seguente; 


Da grammi 0,1809 di sostanza si ebbero grammi 0,1984 
di bromuro d’argento, e su 100 parti 


trovato calcolato per C,,H,, Br, 
Br 46,65 47,05. 


(*) Ber. der deutschen chem. Gesellschaft, X, 1209. È 


348 GIORGIO ERRERA 


Ho poi sperimentato che il cloruro di benzile bollito nelle 
medesime condizioni con polvere di zinco si trasforma in di- 
benzile. 

L’ alcool parabromobenzilico si separa facilmente dall’ etere 
che contemporaneamente si forma, poichè mentre questo è inso- 
lubile nell’acqua anche all’ ebollizione, quello vi si discioglie 
abbastanza e cristallizza per raffreddamento; quindi lo si può 
avere quasi puro decantando il liquido acquoso caldo dalla so- 
stanza oleosa che rimane al fondo del pallone e.che contiene 
tutto l’etere parabromobenzilico. Da questo residuo che si soli- 
difica per raffreddamento si può estrarre l’alcool che vi è ancora 
contenuto, facendo bollire con acqua ovvero cristallizzando dal- 
l’alcool ordinario ; l’etere molto meno solubile si separa per primo 
mentre l’ alcool solubilissimo rimane nelle ultime acque madri. 

L’alcool parabromobenzilico da me ottenuto presenta tutti i 
caratteri assegnatigli da Jackson e Lowery, salvo il punto di 
fusione un po’ più basso, 75° invece che 77°, il che può dipen- 
dere, o da differenza nei termometri, o dalla presenza nell’alcool 
di Jackson e Lowery di un: po’ dell’ etere corrispondente che 
fonde a temperatura più elevata. Cristallizza dall’acqua in lunghi 
aghi appiattiti, dall'alcool acquoso in aghi più piccoli, o in la- 
minette, nell’alcool puro è così solubile che, a meno di averne 
quantità considerevoli, non conviene cristallizzarlo da questo sol- 
vente. All’analisi diede i seguenti risultati : 

Da grammi 0,3162 di sostanza si ottennero grammi 0,3179 
di bromuro d’argento, e in 100 parti 


trovato calcolato per Br. C, H,. CH, 0H 
Br 42,78 42,79. 


La trasformazione dell’ alcool nel cloruro corrispondente sì 
può eseguire mediante il pentacloruro di fosforo che agisce a 
freddo e con molta energia. Però in causa della sua azione di- 
sidratante, insieme al cloruro si forma anche dell’etere bromo- 
benzilico, e accanto a questi, altri prodotti secondarii che è poi 
difficile allontanare per cristallizzazione. La preparazione del clo- 
ruro riesce molto meglio riscaldando l’alcool in tubi chiusi per 
tre o quattro ore verso i 150° con acido cloridrico fumante. La 
trasformazione è completa e per raffreddamento il cloruro si so- 
lidifica in una massa bianca cristallina che poi si cristallizza dal- 
l’alcool. 


DERIVATI DEGLI ALCOLI PARABROMO E PARACLOROBENZILICO 349 


Si ottiene così il cloruro sotto forma di aghi bianchi splen- 
denti, solubilissimi nell’alcool caldo, meno nel freddo, fondenti 
alla temperatura di 38°-39°. All’ analisi si ebbero i risultati 
seguenti : 

Grammi 0,3803 di sostanza diedero grammi 0,5934 di clo- 
ruro e bromuro d’argento, e grammi 0,0120 d’argento. La per- 
dita di peso avuta nel trasformare in cloruro il miscuglio dei 
sali d’argento fu di gr. 0,0802. E in 100 parti 


trovat lcolat C,H LAM 
a ca e a 
rovato colato per C, H, CH, CI 
Br 39,04 38,92 
CI 17,09 17,28 


Il cloruro di parabromobenzile si presenta sotto un aspetto 
identico a quello del cloruro di paraclorobenzile e dei bromuri di 
paracloro e parabromobenzile, ed è con essi perfettamente iso- 
morfo, tanto è vero che le sue soluzioni soprasature cristalliz- 
zano immediatamente per aggiunta d’un cristallo d’una qualunque 
delle suddette sostanze. Ciò spiega la coesistenza del bromuro e 
del cloruro di parabromobenzile nello stesso cristallo, fatto del 
quale mi occupai nella memoria già citata. I vapori di cloruro 
di parabromobenzile irritano gli occhi, molto meno però del bro- 
muro; tra queste sostanze posseggono un'azione molto più irri- 
tante quelle che contengono il bromo nella catena laterale, di 
quelle che lo hanno nel nucleo. 


Etere parabromobenzilico. 


Br (1) 
Cee a e 
>O 
RA a) 
ly (1) 


L’etere parabromobenzilico accompagna l’alcool ottenuto per 
ebollizione con acqua, o con soda diluita del bromuro corrispon- 
dente. La formazione dell’etere deve avvenire contemporaneamente 
e non posteriormente a quella dell’alcool, poichè l’alcool bollito 


350 GIORGIO ERRERA 


a lungo con acqua, o con soda non si trasforma nell’etere. Questo 
si trova nel liquido oleoso che rimane in fondo al pallone nel 
quale si fece bollire il bromuro, liquido che solidifica per raf- 
freddamento. Lo si purifica mediante ripetute cristallizzazioni 
dall'alcool nel quale esso è assai meno solubile dell’alcool cor- 
rispondente; la sua solubilità in questo liquido decresce anzi 
rapidamente col crescere della purezza. 

L’etere si può anche ottenere per azione dei disidratanti (pic- 
cole quantità d’acido solforico, di anidride borica, di cloruro di 
zinco fuso) sull’alcool. L'acido solforico non agisce che concen- 
trato e caldo e in tal caso la reazione è molto violenta, e si 
forma poco etere insieme ad altri prodotti semisolidi che non 
ho studiati; per l’anidride borica è necessario far bollire troppo 
lungamente e allora 1’ etere formatosi va man mano decompo- 
nendosi; il cloruro di zinco invece agisce a temperatura inferiore 
a quella dell’alcool, raggiunta una certa temperatura incomincia 
la reazione che prosegue senza bisogno di ulteriore riscaldamento 
ed è accompagnata da abbondante sviluppo di vapor d’ acqua 
che va a condensarsi salle pareti del palloncino. Con quest’ ul- 
timo metodo il rendimento è quasi teorico. 

L’etere parabromobenzilico si presenta come l’alcool in lunghi 
aghi appiattiti, è insolubile nell’acqua, poco solubile nell’alcool 
caldo, pochissimo nel freddo, fonde a 85°-86°, diede all’analisi 
i risultati seguenti: 

I. Grammi 0,4280 di sostanza diedero grammi 0,4508 
di bromuro d’argento. 

II. Grammi 0,2945 di sostanza diedero grammi 0,3115 
di bromuro d’argento. 

III. Grammi 0,5160 di sostanza diedero grammi 0,5457 
di bromuro d’argento. 

IV. Grammi 0,3850 di sostanza diedero grammi 0,1276 
d'acqua e grammi 0,6688 di anidride carbonica. 

E in 100 parti 


trovato calcolato 
per (Br. CH, CT 
I II IlI IV 
Br 44,82 45,01 45,00 44,94 
C 47,37 47,19 


H i 3,68 3,97 


DERIVATI DEGLI ALCOLI PARABROMO E PARACLOROBENZILICO 351 


Anche su quest’ etere volli confermare il modo generale di 
decomposizione sotto l'influenza del calore nell’aldeide e nell’idro- 
carburo corrispondente, e trovai infatti che facendolo bollire per 
qualche tempo si scinde in parabromotoluene ed aldeide para- 
bromobenzoica secondo l’equazione 


Br 
GAS CH|H 
Br CH, 
sd AR 
| 
CH, 


La decomposizione avviene rapidamente, e i due prodotti 
si separano con facilità distillando le prime porzioni costituite 
da parabromotoluene il quale cristallizza già lungo il tubo del- 
l'apparecchio distillatore, e trattando il residuo con bisolfito so- 
dico il quale si combina all’aldeide. 

Sarebbe stato pure interessante lo studio completo dei pro- 
dotti di nitrazione dell’ etere parabromobenzilico trovandoci in 
presenza di un caso alquanto diverso da quelli precedentemente 
studiati (loco citato). Nel nitrare gli eteri benzilisoamilico e ben- 
zilisobutilico potei constatare accanto alla formazione di aldeide 
benzoica quella dei nitrati di isoamile e di isobutile, nè v' ha 
ragione alcuna per non ammettere che anche quando il radicale 
alcoolico grasso è l’etile non si formi l'analogo nitrato etilico. 
Ma qui trattandosi di un etere contenente ambedue i radicali 
appartenenti alla serie aromatica, e di più identici, era interes- 
sante il vedere se si formasse aldeide parabromobenzoica soltanto, 
comportandosi i due radicali ugualmente di fronte all’acido ni- 
trico, ovvero si ottenesse il nitrato dell’alcool corrispondente, o 
la reazione infine procedesse in modo diverso. E il dubbio che 
non si formi il nitrato di parabromobenzile è reso naturale dal 
fatto che i nitrati corrispondenti ad alcoli aromatici presentano 
serie difficoltà di preparazione, tanto è vero che quello di ben- 
zile si conosce solo imperfettamente e il nitrato di paranitro- 
benzile, ottenuto per nitrazione con acido nitrico concentratissimo 
dell'alcool corrispondente, si decompone già per ebollizione con 
acqua. 


352 GIORGIO ERRERA 


Disgraziatamente la poca quantità di etere parabromobenzi- 
lico che aveva a mia disposizione non mi permise di fare in 
modo completo lo studio desiderato. Che accanto all’'aldeide pa- 
rabromobenzoica si formino prodotti nitrati è certo, ma di qual 
natura essi sieno non potrei dire con sicurezza. Allorquando si 
sottopone a distillazione con vapor d’acqua il prodotto greggio 
della nitrazione, passa aldeide parabromobenzoica con alcuni pro- 
dotti contenenti azoto, rimane nel pallone una sostanza di color 
giallo chiaro, solubile nell’acqua bollente, poco nella fredda, dalla 
quale si deposita cristallizzata in aghi sottili, facilmente solubile 
nell’alcool e che fonde a 168°-164°. 

Una determinazione di azoto ed una di bromo mi diedero 
numeri concordanti con quelli richiesti dal nitrato di parabro- 
mobenzile (N 5,90 % invece di 6,03; Br 34,54 % invece di 
34,48), però i risultati ottenuti meritano una fiducia relativa 
in causa delle quantità troppo piccole di sostanza sulle quali 
dovetti operare. Ciò che poi mi fa dubitare si tratti veramente 
del nitrato di parabromobenzile è la stabilità della suddetta so- 
stanza che non si decompone neppure bollita con carbonato so- 
dico abbastanza concentrato. 


Etere paraclorobenzilico. 


CI (1) 
CH,< CHL. (4) 
c RA o (E), 

gd. (Da 


La formazione dell’etere parabromobenzilico per ebollizione 
con acqua o con soda del bromuro corrispondente è affatto. ec- 
cezionale, poichè in generale i composti simili in condizioni ana- 
loghe danno l’ alcool e non l’etere. Nemmeno il cloruro di pa- 
raclorobenzile, composto tanto analogo al bromuro, si comporta 
com’esso ; facendolo bollire con acqua o con idrato sodico diluito 
sì trasformò completamente in alcool (*) p. f. 71° senza ch'io 
abbia riscontrato traccia dell’etere corrispondente. 


*) C. L. Jackson e A. W. FieLp, American chemical Journal, 2, 88. 


innata anni 


DERIVATI DEGLI ALCOLI PARABROMO E PARACLOROBENZILICO 353 


Ho preparato poi l’etere per azione del cloruro di zinco fuso 
sull’alcool; la reazione procede come nel caso precedente e il 
rendimento è quasi teorico. L’etere paraclorobenzilico è solido e 
cristallizza dall’alcool in aghi o laminette, è molto meno solubile 
nell’alcool dell’alcool paraclorobenzilico, fonde da 54°-55° a tem- 
peratura inferiore a quella di fusione dell’alcool corrispondente 71°, 
mentre avviene l'opposto per l’etere parabromobenzilico che fonde 
a temperatura più elevata dell’alcool da cui deriva. All’analisi 
diede i seguenti risultati : 


I. Da grammi 0,3291 di sostanza si ottennero gr. 0,3576 
di cloruro d’argento. 

II. Da grammi 0,2810 di sostanza risultarono gr. 0,1212 
d’acqua e grammi 0,6525 di anidride carbonica. 


E in 100 parti 


trovato calcolato 
I II per (CZ.C.H,.CH,),, 0 
CI 26,88 i 26,59 
0. 63,22 62,92 
H 4,79 4,50 


L'’etere paraclorobenzilico bollito a ricadere si decompone ra- 
‘pidamente in aldeide paraclorobenzoica e paraclorotoluene. 


Torino — Laboratorio di Chimica della R. Università. 
Giugno 1888. 


354 N.: JADANZA 


Una nuova forma di cannocchiale, 


Nota del Prof. N. JADANZA 


Quando il comune cannocchiale astronomico si adopera a guar- 
dare oggetti situati a piccola distanza (sempre maggiore del doppio 
della distanza focale dell’obbiettivo) le immagini sono sempre mi- 
nori degli oggetti guardati; e quindi non è possibile ottenere forti 
ingrandimenti. 

Lo scopo della presente nota è quello di dare il mezzo di 
costruire un cannocchiale astronomico avente l’obbiettivo composto 
di due lenti tale che possa dare immagini eguali od anche mag - 
giori degli oggetti guardati quando questi si trovino ad una di- 
stanza (dall’obbiettivo) superiore al doppio della distanza focale. 

Indicheremo con @, e 9, le distanze focali delle due lenti di 
cui si comporrà l’obbiettivo composto. 

Dovendo esso avere la stessa distanza focale dell’ obbiettivo 
semplice, la formola 


dà 
A=p, 05 8 


cioè: la seconda lente dev'essere posta nel secondo fuoco prin- 
cipale dell’obbiettivo semplice (della lente che riceve prima la luce). 

Perchè le immagini degli oggetti situati ad una distanza mag- 
giore del doppio della distanza focale 9, possano essere eguali o 
maggiore degli oggetti, il primo fuoco principale del sistema dovrà 
allontanarsi dall’obbiettivo semplice, cioè dovrà avvicinarsi al- 
l'oggetto. 

Sicchè se nella nota formola 


Da 
Pelagie ag 
n Pt o A 


atti 


NUOVA FORMA DI CANNOCCHIALE DOD 


che dà l’ascissa del primo fuoco di un sistema composto in fun- 
zione degli elementi delle due lenti che lo RETI poniamo 


A = 0; ed osserviamo che il secondo torimine sl dev'essere ne- 
n, 


gativo, se ne dedurrà che ©, dev'essere negativa e quindi la se- 
conda lente dovrà essere divergente. 

Le formole che danno i punti cardinali di un tale obbiettivo 
sono le seguenti, che si deducono dalle note formole fondamen- 


tali ponendo A =%, e supponendo ©, negativa. 


I punti d’isometria inversa (*) saranno dati da 


E=F—-6, 9 Ie 31 DPL 1 


ossia dalle altre 


p_cp_® FA dae fa 
e, CA ssRDa SO 


Essi dunque sono situati come nella qui unita figura, nella 
quale 


F* i Di VE 


(*) Piani d’isometria inversa sono quei piani coniugati tali che il rap- 
porto tra oggetto ed immagine m—=—1. Essi incontrano l’asse nei punti 
d’isometria inversa. 


356 N. JADANZA 


M indica la lente convergente, N la lente divergente. Nella parte 
superiore dell'asse sono segnati i punti cardinali delle lente M, 
e nella parte inferiore i punti cardinali del sistema composto. 

I punti E*, Y*, E,* sono fissi ed indipendenti dal valore 
numerico di %,; gli altri E, F, E; si allontaneranno più o meno 


dalla lente M (dalla parte d’onde viene la luce) secondo che il 


rapporto Î1 sarà più o meno grande. 
p 


2 
Ponendo 9, = 9, le (2) e (3) diventano: 


odi 
F=F,-np,=E-(n+1)p,, FEE | 
E=E,-no,=E- nq, ; E* E 20000 
E=LE,no,=E- (n+2)0, ’ E*= Lot 


Per potere avere l’immagine della stessa grandezza dell’og- 
getto guardato, questo dovrà trovarsi nel primo punto d’isometria 
inversa. Se adunque si indica con D la distanza dell’oggetto dal- 
l'obbiettivo del cannocchiale si avrà 


(n + 2) ®, =D 
d’onde 


(5). 


n = 


D 
Pa 


Questa equazione determinerà » e quindi la distanza focale 
della lente divergente sarà data da 


o,= È cop. 


Così p. e. volendo guardare ad una distanza di 2 metri una 
scala divisa e volendo che la immagine data dall’obbiettivo sia 
eguale all’oggetto, se l’obbiettivo del cannocchiale è di 30 cen- 
timetri si avrà 

2 


alna E Resana vai 


TT CETO 


NUOVA FORMA DI CANNOCCHIALE 357 


e quindi la distanza focale della lente divergente dovrà essere 
di circa 6,4 centimetri. 

Il tubo del cannocchiale si farà doppio della distanza focale 
della lente obbiettiva, perchè la immagine verrà a formarsi nel 
secondo punto d’isometria inversa. 

La figura annessa mostra la disposizione che dovrebbe avere 
un cannocchiale come quello ora descritto; costruendolo in modo 


che la lente divergente possa essere tolta esso potrà servire come 
un ordinario cannocchiale astronomico. Se al posto della lente 
divergente si mette una lente convergente di distanza focale eguale e 


v) z $ ? a 3 3 
1 (dove n> 4) si avrà un Plessotelescopio, ossia un cannocchiale 
n 


che può servire a guardare oggetti lontani e vicini (*). Sarà sempre 
utile che la parte anteriore del tubo possa scorrere nella poste- 
riore specialmente quando il cannocchiale sarà adoperato a guar- 
dare oggetti lontani. 


Torino, maggio 1888. 


(*) Cfr. N. Japanza, Nuovo metodo per accorciare i cannocchiali terrestri 
{Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXI). 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 29 


358 GIO. PIETRO GRIMALDI 


Influenza della tempera sulle proprietà termoelettriche 
del Bismuto 


Ricerche del Dott. Gio. PIETRO GRIMALDI, 


Libero Docente di Fisica nella R. Università di Palermo (41) 


1. In un interessante lavoro sulla resistenza elettrica del 
bismuto (2) il Righi viene alla conclusione seguente: « Dall’in- 
sieme dei fenomeni che produce l’aggiunta dello stagno al bismuto 
sembrami risultare fondata una certa analogia fra il bismuto 
puro e quello contenente piccole quantità di stagno da una parte, 
ed il ferro e l'acciaio dall’altra. Il bismuto puro come il ferro 
puro non è suscettibile di tempera, mentre lo sono tanto l’acciaio 
che il dismuto-acciaio, ossia bismuto con traccie di stagno. La 
tempra del bismuto-acciaio ne aumenta la resistenza elettrica 
specifica. La tempera del ferro-acciaio ne aumenta di }4 circa 
la resistenza, come constatò Mousson. » Alcuni però dei fatti spe- 
rimentali ottenuti dal Righi nel detto studio non sono stati con- 
fermati dalle ricerche posteriori di altri sperimentatori. Così, ad 
esempio, il Righi trovò che nel bismuto commerciale non tem- 
perato la resistenza elettrica fra certi limiti di temperatura di- 
minuisce con l’aumentare della medesima, mentre aumenta nel 
bismuto puro come negli altri metalli, e dimostrò con molte ed 
accurate esperienze, che questo diverso comportamento fra il pro- 
dotto commerciale e puro era dovuto alle traccie di stagno che 
il metallo commerciale da lui cimentato conteneva. Ettingshausen 
e Nernst (3) hanno invece trovato che la resistenza del bismuto 


(1) Queste ricerche furono fatte nel laboratorio di Fisica della IR. Uni- 
versità di Palermo, diretto dal Prof. D. Macaluso, che mi fu largo di mezzi 
e di consigli per poterle eseguire. 

(2) Mem, Ace. Lincei, serie 3%, vol. XIX, 1884. 

(3) Wired. Ann., 1888, Band XXXIII, Hef, 3 


PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 359 


puro diminuisce con la temperatura, mentre aumenta quella del 
bismuto contenente stagno in diverse proporzioni; e ciò avviene 
fra gli stessi limiti di temperatura fra i quali il Righi trovò una 
diminuzione. Infine, secondo Van Aubel (1), che ha cimentato 
bismuto di diverse provenienze, la resistenza elettrica aumenta o 
diminuisce con la temperatura, passando da un campione all’altro, 
senza regola alcuna, sia che vi si aggiunga o no dello stagno. 

Questi risultati contraddittorii mi hanno spinto ad esaminare 
con lo studio di altre proprietà fisiche l'analogia sopra accennata 
fra il dDismuto-acciaio e l’acciaio, analogia che a mio credere 
sarebbe interessante sia dal lato fisico, che dal chimico. Ho voluto 
perciò ricorrere allo esame delle proprietà termoelettriche del 
metallo in parola. 

2. Per quel che riguarda il variare di queste proprietà colla 
variazione della struttura molecolare dei corpi si sa dalle espe- 
rienze del Magnus (2) (eseguite sull’ ottone, argento, acciaio, 
cadmio, rame, platino, argentano, zinco, stagno e ferro) che lo 
stesso metallo, incrudito alla filiera 0 ricotto, occupa una diversa 
posizione nella scala termoelettrica. Al contrario, dalle esperienze 
di E. Becquerel, si deduce che una lega di 10 parti di bismuto 
ed una parte di antimonio non presenta alcuna variazione nel 
comportamento termoelettrico quando viene ricotta. Ma, come han 
dimostrato le ricerche del Barus (3), risultati più rimarchevoli si 
hanno per la tempra dell’acciaio. Questo sperimentatore in una 
estesa serie di esperienze cimentò sia delle verghe cilindriche tem- 
perate col metodo che comunemente impiegano i meccanici, sia 
dei fili che venivano tesi dentro un tubo di vetro, arroventati 
dal passaggio di una corrente elettrica, e poscia raffreddati per 
mezzo di una corrente di acqua fredda. Ottenne sempre, nelle 
diverse misure, una corrente termoelettrica che andava dal me- 
tallo temperato al non temperato attraverso alla saldatura calda, 
mentre nelle esperienze del Magnus la corrente andava attra- 
verso alla stessa saldatura dal filo d’acciaio non incrudito all’in- 
erudito. Ciò prova che la tempra incrudisce l’acciaio in modo 
diverso della filiera, malgrado che le proprietà meccaniche dei 
fili incruditi alla filiera o con la tempera abbiano molta analogia. 


(1) Philos. Mag. March., 1888. 
(2) Wied. Elek., Baad II, s. 278. 
(3) Wied. Ann., Band VII, s. 383 (1879). 


360 GIO. PIETRO GRIMALDI 


Dalle ricerche di Barus risulta inoltre che diversi fili di una 
stessa qualità di acciaio, temprati allo stesso modo (a tutta tem- 
pera) sono collocati molto vicini nella serie termoelettrica, e 
rimangono tali anche dopo una seconda tempera. Se le aste sono 
temperate in diverso grado la corrente va attraverso il caldo dal 
filo più temperato al meno temperato. 


. me dE 
Il Barus chiama tempera termoelettrica il rapporto “i per è 


tendente a zero, E essendo la forza elettromotrice della coppia 
acciaio temperato — acciaio ricotto e # la differenza di temperatura 
delle saldature; questa quantità può essere presa come misura 
della tempera dell’acciaio, e la sua variazione per i diversi gradi 
di questa ha un andamento simile alle variazioni di volume (stu- 
diate dal Fromme) che l’acciaio subisce con la tempera. Il Barus 
ritiene nel suo lavoro che nella tempera, oltre al fenomeno fisico, 
avvenga anche un processo chimico , confermando così la teoria 
di Karsten, il quale ammise che, riscaldando l’acciaio, si formi 
un composto chimico che diviene stabile pel raffreddamento re- 
pentino. 

3. Volendo fare per il bismuto una ricerca simile a quella 
di Barus per l'acciaio, cominciai dal procurarmi del bismuto il 
più possibilmente puro ed assolutamente esente da stagno. Ebbi 
dal Trommsdorff un prodotto che sottoposto ad analisi chimica (1) 
dimostrò contenere piccolissime traccie di ferro e di piombo, ma 
essere completamente privo di stagno: credetti dovermene con- 
tentare attesa la grande difficoltà che si ha ad ottenere del bis- 
muto perfettamente puro e visto che, volendo procedere per diffe- 
renza, quello che a me maggiormente interessava era la mancanza 
assoluta dello stagno. 

4. Misurai, rispetto al rame, il potere termoelettrico di questo 
bismuto, ricotto o temperato, sia puro,*sia quando conteneva di- 
verse quantità di stagno. 

Per ciò fare ne costruiva delle spranghette cilindriche di 
7a 9 centimetri di lunghezza e di 4"" circa di diametro, a due 
per volta, versando il metallo fuso dentro un tubo di vetro ad U 
preventivamente riscaldato in un bagno di paraffina ad una tem- 


(1) Quest’analisi, come pure altre che accennerò in seguito, vennero ese- 
guite nel laboratorio di Chimica della R. U. di Palermo dal Dott. Alberto 
Peratoner, al quale esterno qui i miei ringraziamenti. 


PKOPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 361 


peratura superiore a quella di fusione del bismuto e facendo raf- 
freddare il bagno molto lentamente. 

Ad ogni cilindretto tagliava le estremità, la inferiore perchè 
ricurva, la superiore perchè conteneva un po’ di ossido e col ri- 
manente ne faceva una coppia della quale determinavo il potere 
termoelettrico prima e dopo averla temprata. 

La fig. 1 rappresenta la detta coppia. AB è il cilindro di 
bismuto le cui estremità, limate in un piano parallelo alle gene- 
ratrici, sono riunite mediante due morsetti « e % (uno dei quali 
è disegnato separatamente nella fig. 2) alle estremità piatte di 
due fili di rame mm ed nn. Questi fili sono collocati dentro due 
tubi verticali M ed N di 60° di lunghezza e 3°° di diametro 
circa, situati l'uno sull’altro a 4°" di distanza: l'estremità infe- 
riore del tubo N è chiusa per mezzo di un turacciolo di sughero # 
attraverso il quale passa il cilindretto di bismuto che rimane per 
un centimetro od un centimetro e mezzo dentro il tubo. L’estre- 
mità 5 penetra altrettanto dentro il tubo M. In esso circola 
entrando dal tubo rr l’acqua di un grande recipiente (non 
disegnato nella figura) riempito circa 12 ore prima di cominciare 
le esperienze; l’acqua poi eftluisce dal tubo ss la cui estremità 
superiore si regola in modo che il bismuto rimanga sempre un 
centimetro sopra il morsetto B. Un termometro Baudin, diviso 
in quinti di grado serve a determinarne la temperatura. Attra- 
versano il turacciolo #, oltre il bismuto, due tubi di vetro p e q 
il primo dei quali conduce ad un matraccio E pieno di acqua 
che al momento dell’esperienza si fa bollire, il secondo pesca in 
un bicchiere d’acqua e si può sollevare per scacciare quella che 
sì condensa nel tubo al principio dell’esperienza. Il vapor acqueo 
che si svolge da £, dopo esser passato per tutto il tubo N usciva 
dal tubo / del turacciolo 7. Il filo » pure attraversava questo 
turacciolo e poteva scorrere senza troppa difficoltà; similmente il 
filo m poteva scorrere nel turacciolo V (1). 


(4) Avevo dapprima ideato di piegare ad U l’asta di bismuto e di collecare 
i due tubi M ed N uno allato all’altro; in tal caso i fili di rame venivano 
introdotti dentro dei buchi scavati all'estremità del bismuto el una goccia 
di mercurio serviva a stabilire il contatto. Con questo apparecchio eseguii 
molte misure che mi diedero l’idea generale del fenomeno, e delle quali alcune 
sono appresso riportate: ma mi accorsi che nelle serie molto prolungate di 
esperienze il mercurio si diffondeva nell'interno del bismuto, ciò che ne po- 
teva probabilmente alterare la natura chimica. s 


362 GIO. PIETRO GRIMALDI 


5. Il metodo sperimentale seguito nella misura delle f. e. m. 
era un metodo di compensazione, quasi identico a quello adope- 
rato in un precedente lavoro, e che ricorderò qui brevemente. 
La fig. 3 rappresenta schematicamente la disposizione sperimen- 
tale. AA, indica la coppia termoelettrica da cimentare, nel cui 
circuito, fatto di un grosso filo di rame, era inserita una resi- 
stenza conosciuta r, che nelle diverse ricerche variò da 2°" a 5% 
circa, rispetto alla quale era perfettamente trascurabile quella 
interna della coppia e quella dei reofori del circuito LIM N. 
P è la pila compensatrice; C una cassetta di resistenza. In G 
è segnato il galvanoscopio, che era la solita bussola di Wiede- 
mann che ho adoperato nelle altre ricerche elettriche: era asta- 
tizzata. Un doppio interruttore, non disegnato nella fig. 3, per- 
metteva di chiudere simultaneamente i due circuiti NP L ed 
NA, AL: con un commutatore I si poteva sostituire ad MA, AI, 
M B, BI dove B, B è una coppia termoelettrica campione rame- 
ferro la cui resistenza interna, non che quella dei fili MB, e 
BI era anche trascurabile rispetto ad r. 

Una delle due saldature di questa coppia campione era im- 
mersa nel vapor acqueo dentro un pallone con acqua bollente, 
il collo lungo del quale era circondato esternamente da un tubo 
dove circolava anche il vapore per un'altezza di 25°" circa. Attorno 
all'altra saldatura effluiva continuamente dell’acqua del reci- 
piente È. 

Questa coppia era di una costanza perfetta durante una serie 
di esperienze, e si poteva facilmente tener conto delle sue varia- 
zioni da una serie all'altra leggendo un termometro di Golaz 
diviso in quinti di grado collocato presso la saldatura fredda, ed 
un barometro -che permetteva di determinare la temperatura di 
ebollizione dell’acqua. 

Si indichi: 

con £ la f. e. m. della Daniell ; 

con per i poteri termoelettrici delle coppie bismuto rame 
e rame ferro medii fra 100° e la temperatura ambiente; 

con t e $ le differenze fra le temperature delle saldature delle 
coppie bismuto-rame e rame-ferro ; 

. con È ed R, le resistenze della cassetta C' rispettivamente 
necessarie a portare a zero il galvanometro, quando vien chiuso 
o il circuito MA, 41, o quello M B, BI; 

con f e p, i valori di » nei due casi anzidetti. 


ve Cee 


PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 363 


Avremo, come è noto, le due equazioni : 


dro 
E Riv: 
79 pi 
MiB 
e quindi 
Lainate da; 
tm prat Î 
p 


— è la quantità da determinare. 
si 0 
Generalmente 7 era uguale ad 1, ciò che semplificava no- 


tevolmente i calcoli. 

La resistenza interna della Daniell era trascurabile rispetto 
ad E, E; la sua forza elettromotrice non entrava nei calcoli: 
solo si richiedeva fosse costante nell’intervallo di tempo fra le 
due determinazioni, che venivano fatte quasi contemporaneamente. 

Riporto come esempio i particolari di una esperienza scelta 
a caso dal registro 


Misura n° 56. 


Coppia rame-ferro Coppia n° 6 posiz. I 
Term® Golaz corr° 18°. 4 Term° Baudin corr° 18°,2 
ROSSE VIE R—19409% DIG KH VITOTS 


Pressione 757"",0 a 18°,0, 


Temperatura di ebollizione del vapore acqueo 99°, 8 


Q=81°9,4 te=B 130 È — 0,99755 
R p 5 
— =1,70175 L—-_ 
R k Lod E 
Soy gp 
n 


6. Prima di cominciare le ricerche definitive volli esaminare 
se smontando il cilindretto di bismuto e rimettendolo a posto si 
avesse una differenza notevole. 


364 GIO. PIETRO GRIMALDI 


Nella tavola seguente sono riportate sei misure fatte conì una 
coppia contenente l’uno per cento di stagno. Fra una misura e 
l’altra essa veniva spostata e poscia nuovamente rimessa a posto : 
qualche volta anche veniva smontato completamente l’apparecchio 
della fig. 1 e poscia rimontato da capo. 


3) 


1° misura P> 1,562 
TE; 

it SENT) 
n 

bro Bce 
TT 

"ion DA NO 
TT 

p#.106, Eiel1,591 
n 

6° » > ladilà. 
n 


In queste misure la differenza massima è un po’ minore del 
4 % del valore medio: credetti conveniente l’esaminare a che cosa 
dovesse attribuirsi, quantunque lo studio del fenomeno in parola 
non richiedesse una grandissima precisione. 

La bontà dei contatti del bismuto col rame era assicurata 
dalla superficie piuttosto grande dei fili di rame, che veniva volta 
per volta levigata e ripulita e si adattava perfettamente sulla 
superficie del pari piana, levigata e pulita delle estremità del 
bismuto, mediante le viti di pressione che venivano fortemente 
strette. La resistenza del circuito termoelettrico non era mai in- 
feriore a 2°", e rispetto ad essa doveva essere trascurabile quella 
di centatti così bene stabiliti. | 

Esclusa quindi tale causa di errore le differenze sopra notate 
mi pare si debbano attribuire alla mancanza di omogeneità nella 
composizione chimica (1) o nella struttura molecolare delle di- 


(4) Un’ analisi chimica, fatta sopra due pezzi di una stessa asticina di 
bismuto, dimostrò che uno conteneva un terzo di stagno di più dell’altro. 


alata 


PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 365 


verse parti del cilindretto. Se questo è eterogeneo nelle diverse 
sezioni e nel rimetterlo a posto, dopo averlo rimosso, vien col- 
locato in posizione alquanto differente, rispetto a quello del tu- 
racciolo # od al livello dell’acqua nel tubo M, può darsi che la 
caduta di calore avvenga nel suo interno in modo diverso nei due 
casi, e quindi si abbia una variazione nell’intensità della corrente 
termoelettrica. Alcune osservazioni da me fatte confermano tale 
spiegazione; per esempio capovolgendo il cilindretto, e rimetten- 
dolo a. posto la forza elettromotrice varia quasi sempre e spesse 
volte in modo assai rilevante: tale variazione deve molto proba- 
bilmente attribuirsi alla ragione sopra accennata. Ed osservai inoltre 
che le differenze fra le diverse misure erano tanto più notevoli, 
quanto maggiore era la variazione di potere termoelettrico del 
bismuto pel capovolgimento della coppia. 

Per queste ragioni cercai di ottenere delle leghe omogenee, 
agitando lungamente il metallo liquido prima di versarlo dentro 
il tubo ad U, e curai che nelle diverse misure il cilindretto di 
bismuto occupasse sempre la stessa posizione relativamente al tu- 
racciolo del tubo N ed al livello dell’acqua nel tubo M. Con 
queste precauzioni ottenni dei risultati più concordanti : per esempio 
ebbi per la coppia N. 2 

p 


1° misura — =1,980 
n 
29» È 1,989 
n 
{ le'Halec a 
con la differenza di 300 crea Per la coppia N. 3 ottenni: 
1° misura P= 1,329 
n 
2 |» È = .qr895 
n 


con una differenza ancora più piccola; e per la stessa coppia, 
capovolgendo il bismuto 


1° misura D <= 1,300 


n 
Sur he tic 


366 GIO. PIETRO GRIMALDI 


Tale limite di approssimazione è più che sufficiente nel nostro 
caso, anzi in molti casi sarebbero bastate misure assai meno ap- 
prossimate. 

“. Regolato bene l’apparecchio ed accertatomi del suo limite 
di esattezza cominciai con l’eseguire alcune esperienze sopra il hi- 
smuto puro, determinando il potere termoelettrico di diversi cilin- 
dretti, ottenuti col metallo del Trommsdorff, prima e dopo la 
tempera (1). 

Tale operazione veniva eseguita riscaldando il cilindro dentro 
un bagno di paraffina ad una temperatura che oscillava da 230° 
a 255° ed immergendolo poscia rapidamente, qualche volta in un 
bicchiere pieno di acqua alla temperatura ambiente, per lo più 
in un recipiente pieno di un miscuglio frigorifero di neve e sale 
che rendevo liquido con l’aggiunta di un po’ di acqua fredda. 

Nella tempera cercai sempre di procedere allo stesso modo, 
ma non oso affermare che il calore sia stato sottratto dal metallo, 
nelle esperienze simili, sempre con la stessa rapidità. E questa 
è forse una delle ragioni del fatto che i fenomeni variavano quan- 
titativamente da una coppia all’altra. 

8. Riporto qui sotto i risultati di tre serie di esperienze eseguite 
sulle coppie A, B, C, fatte di bismuto puro; è bene avvertire che 
le tre coppie vennero fuse separatamente in tubi diversi e che la 
coppia B venne cimentata con la primitiva disposizione sperimen- 
tale, nella quale i contatti fra il bismuto e rame erano a mercurio. 

Credetti bene fare le misure sia nell’una che nell’altra posi- 
zione dei cilindretti di bismuto, il potere termoelettrico essendo 
generalmente diverso da una posizione all'altra. Per distinguere 
le due posizioni le indicherò coi segni I e II. 


(1) Per temperare il bismuto, il Righi faceva fondere in un bagno ad olio 
i cilindretti di metallo dentro una scanalatura praticata in una lastra di rame; 
un po’ per la poca scorrevolezza del metallo, un po’ per la forma della lastra 
essi non si deformavano, poi venivano raffreddati più o meno rapidamente, 
o immergendo la lastra nell’acqua fredda, o nell'etere, o lasciandola raffred- 
dare lentamente nell’olio. Però si può obbiettare in questo caso, che la va- 
riazione di resistenza elettrica avvenuta sia dovuta a variazione della distri- 
buzione dello stagno nelle diverse parti del cilindretto, o a variazione nella 
disposizione dei cristalli, o ad alterazioni chimiche, che può subire il metallo 
fuso a contatto dell’olio o dell’aria. Quantunque per la regolarità dei risul- 
tati trovati dal Righi sembra siano da escludersi tali obbiezioni, pure ho cre- 
duto nella tempera dover riscaldare il metallo ad una temperatura inferiore 
a quella di fusione dello stesso. 


netntie ttt 


PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 367 


Chiamerò P il valore di a della coppia che dopo la fusione era 


stata raffreddata lentissimamente, P, il valore di A dopo che la 
n 


PERA 


coppia era stata temperata e farò P— P, =ff e p 


Ò. 


Coppia A. 


tempera a 250° e nell’acqua alla temperatura ambiente 


Posizione I. Posizione II. 
ee seed 1390 SAMP 1818 
ud Pd 509 (= E — 40652 
del è—=-0,032 - G=0,1664 ‘022 0ady 

Coppia B. 


tempera a 250° e nell’acqua alla temperatura ambiente 


Posizione I. Posizione II. 
io ,913/P 3.500 dog ARCER — 8 
O] © Pd 95 Pani. P'_530 
B=0,05 ò— 0,01 BES019 d= 0.02, 

Coppia C. 


tempera a 250° e nel miscuglio frigorifero 


Posizione I. Posizione II. 
t=169,9 P=4,350 t=16°,8 P=4,450 
t=17°9,0 P,=4,2950 t=17°,7 P,=4311 
B-0,055 è=0,012 B=0,139 èd=0,08L. 


Come si è visto, i valori di P e /, ci danno i valori del 
potere termoelettrico medio fra 100° e # delle coppie prima e 
dopo la tempera, riferito a quello medio fra 100° e # dalla coppia 
rame-ferro, che secondo il Tait è eguale ad 11,43 microvolta; 
dà il valore del coefficiente che Barus chiamò tempera termo- 
elettrica riferito sempre alla stessa unità di misura, 0 il rapporto 


368 i GIO. PIETRO GRIMALDI 


fra questo coefficiente ed il potere termoelettrico prima della tem- 
pera. Dai valori sopra riportati si vede che ff, abbastanza pic- 
colo in valore assoluto, è piccolissimo e trascurabile rispetto a P, 
i valori di 0 sono molto vicini a zero. 

Si può quindi concludere che la tempera influisce in grado 
piuttosto piccolo sul comportamento termoelettrico del bismuto 
esente da stagno (1). 

9. Passando quindi ai risultati avuti col bismuto contenente 
stagno, esporrò prima le esperienze fatte con le coppie N. 1, N_2, 
N. 3. — Le coppie N. 1 e N. 2, vennero preparate contem- 
poraneamente dalla fusione di gr. 50 di bismuto e gr. 0,50 di 
stagno; la coppia N. 3 fu fusa a parte, impiegando i metalli 
nelle stesse proporzioni. Tutte e tre le coppie contenevano quindi 
in media per cento 99,01 di bismuto e 0,99 di stagno; fon- 
devano a 2483°,5 


CopPiA N° 1. 


tempera a 215° e nell’acqua a temperatura ambiente 
Posizione I. 
t=.1359.. Padgb60&(2) 
bi== 139,8" P.=21,0604 
B=0,199,  è=)0p128 


CoPPIA N° 2. 


tempera a 220° © nell'acqua a temperatura ambiente 


Posizione I. Posizione II. 
è =42°5 PESTO (I) t—+P9978 © PB Se 
DAI Pi D807 i(=T2%0, Pig 
EMIITO, 00,059 RISO, T71, 9 


(4) Se tale piccola influenza sia dovuta ad alterazione di struttura mo- 
lecolare del metallo, od alle traccie di piombo o di ferro che esso conteneva, 
potrà forse essere deciso in avvenire, quando avrò a mia disposizione del 
bismuto perfettamente puro, ciò che è molto difficile ad ottenersi. 

(2) Media di 6 determinazioni. 

(3) Media di 2 determinazioni. 


PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 369 


CopPPIia n° 3. 


tempera a 240° e nel miscuglio frigorifero 


Posizione I. . Posizione II. 
odo; 68, (P31,382(1) t==158,8. iP =14,3005.(2) 
= 153] 50 1P,=20, 706 b=1594 + P:=0, 716 
B_-0, 626,1 010, 470 B=0,989" oO 74518 


Come si vede, i valori di {8 sono notevolmente maggiori di 
quelli avuti col bismuto puro, e quelli di d assai più grandi nella 
coppia N. 3 per esempio, che fu sottoposta ad un’energica tempera, 
il potere termoelettrico si ridusse circa alla metà dopo che venne 
temperata; mentre per la coppia l di bismuto puro, temperata 
a un dipresso nello stesso modo la variazione del potere termo- 
elettrico fu solo del 3 per cento. 

10. È interessante l’osservare che nelle successive misure il 

potere termoelettrico della coppia, che prima della tempera era 
costante, dopo la tempera va continuamente crescendo fino a rag- 
giungere all’incirca il valore primitivo. 
Così per esempio per la coppia N. 1 si ebbero successiva- 
mente i valori di P, che riporto qui in seguito. Fra la prima e 
la seconda misura trascorse un intervallo di tempo di mezz'ora, 
fra la seconda e la terza di 16 ore circa. 


CoPPIA N° 1 TEMPERATA. 


Posizione I. 


1° determinazione #—13°,8. P,=1,364 
2° » v="b4053 © Pot 465 
3° » iii: P__ Lod. 


Per la coppia N. 2 facendo le misure con l’intervallo di tempo 
di mezz'ora (eccetto per la 6° la quale fu fatta 16 ore dopo la 5°) 
si ebbe 


(1) Media di 2 determinazioni. 
(2) Media di 2 determinazioni. 


370 GIO. PIETRO GRIMALDI 


COPPIA N° 2 TEMPERATA. 


Posizione I. 
1° determinazione #=12°9 P,=1,807 


2° » - #13, 121,888 
sa » t=1392 ,0B-4t.355 
ve » t=-Lof 0 081, 9A 


Posizione II. 


4° » t=120%. Pi=1,102 
5° » i==1129 9! (Riga 
6° » i-="10°8. PT, 0%0 


11. Questo successivo variare di potere termoelettrico poteva 
essere dovuto o ad una modificazione di struttura o di compo- 
sizione chimica che avveniva spontaneamente ed in modo piuttosto 
rapido, oppure al ricuocimento che subiva la sbarra di bismuto 
quando, per eseguire le misure, un estremo veniva portato a 100° 
circa. Per vedere a quale delle due cause dovesse attribuirsi la 
variazione in parola, dopo fatta per la coppia N. 3 temperata 
una prima determinazione, e lasciatala in riposo per 24 ore, ne 
eseguii una seconda, quindi ricuocei il bismuto nella paraffina fino 
a 232° facendolo raffreddare nello stesso liquido, e senza far tra- 
scorrere molto tempo feci una nuova determinazione. 

Qui sotto sono esposti i risultati ottenuti : 


Coppia N° 3 TEMPERATA. 
Posizione I. Posizione II 
1° deteim? #=159,5% P-= 0,706 t=15°,4 Pia 
lasciata in riposo per 24 ore 


2° » ito bad 0444 t—15°,8 PP, 200008 


ricotta nella paraffina 
3° » {=:145),8.. P.=4;2b6 t=16%2 Pim 254 


: 


PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 371 


Si vede nettamente da questi risultati che poco o nulla è 
alterato il potere termoelettrico delle coppie temperate se ven- 
gono lasciate in riposo anche per un tempo abbastanza lungo (1) 
mentre invece se si riscaldano e si fanno raffreddare lentamente 
esso ritorna quasi al valore che aveva prima della tempera. In 
sostanza il bismuto contenente stagno rispetto alla tempera, per 
le proprietà termoelettriche si comporta come l’acciaio. Basta a 
ricuocerlo una temperatura di molto inferiore a quella della 
tempera, e questa si conserva inalterata se il metallo non viene 
riscaldato. 

12. Riguardo al senso della variazione del potere termoelettrico 
del bismuto contenente stagno, bisogna osservare che esso riferito 
al rame, diminuisce con la tempera: tale bismuto temprato si 
trova dunque nella serie termoelettrica fra il non temperato e il 
rame. Quindi in una coppia formata di metallo non temperato e 
temperato la corrente andrebbe dal primo al secondo attraverso 
la saldatura calda, mentre per una coppia acciaio non temperato 
e temperato abbiamo visto che la corrente va in senso inverso. 

Però si ha d’altra parte che in una coppia acciaio non tem- 
perato — ferro la corrente attraverso il caldo va dal primo al se- 
condo. Possiamo dunque scrivere la seguente serie termoelettrica : 


Bismuto puro, 

Bismuto contenente stagno, 

Bismuto contenente stagno temperato, 
Acciaio temperato, 

Acciaio non temperato, 

Ferro. 


dalla quale si ricava che l’aggiunta del carbonio produce nel 
ferro uno spostamento nella serie termoelettrica in senso in- 
verso a quello che fa subire lo stagno al bismuto puro. Si ha 
quindi che sì nell’acciaio che nel bismuto contenente stagno il 
metallo non temperato sta nella serie termoelettrica fra il me- 


(1) In queste esperienze la differenza fra i valori di P, della 1° e 2* mi- 
sura è forse quasi interamente dovuta al riscaldamento subìto dal bismuto 
nella 1° determinazione. Per diminuirlo avrei voluto fare le esperienze ad 
una temperatura più bassa, immergendo uno degli estremi del bismuto nel 
vapor d’etere anzichè in quello d’acqua. Però la corrente termoelettrica in 
questo caso era troppo piccola per potere eseguire delle misure precise delle 
sue variazioni, per cui dovetti ritornare alla disposizione primitiva. 


372 GIO. PIETRO GRIMALDI 


tallo temperato ed il puro, e che la tempera produce in entrambi 
l’identico effetto che ha prodotto in essi l’aggiunta della sostanza 
estranea. Ed è da questo lato, parmi, che si debba intendere l’a- 
nalogia fra il bismuto contenente stagno e l'acciaio riguardo alla 
tempera. 

Analogo è il comportamento della resistenza elettrica: si ha 
per il ferro, che mentre la resistenza specifica del metallo puro 
è secondo il Matthiessen di 0,0986 U. S., quella dell’acciaio ri- 
cotto oscillò nelle ricerche di Barus da 0,136 a 0,430 U.S; 
e quella dell’acciaio temperato da 0,144 a 0,724 U. S, mentre 
dalle esperienze del Righi risulta che la resistenza elettrica spe- 
cifica del bismuto puro è 1,1534 U.S. e quella del bismuto 
commerciale contenente piccole quantità di stagno è 2,4122 U. S. 
per il metallo raffreddato lentamente e 3,5095 U.S. per il me- 
tallo temprato. 

13. Poichè le misure termoelettriche confermano l'analogia fra 
il bismuto-acciaio e l'acciaio, riusciva interessante il ricercare se 
l’azoto o gli altri gas esistenti nell’ atmosfera hanno influenza 
nella formazione del bismuto-acciaio. Per l'acciaio vero l’influenza 
dei gas in parola e dell’ammoniaca che si sviluppa nella de- 
composizione delle materie organiche aggiunte nel processo di ce- 
mentazione è stato oggetto di discussioni molto lunghe e com- 
plesse fra Caron e Fremy. Per il bismuto ho tentato la seguente 
esperienza. 

Un tubetto cilindrico ben disseccato veniva riempito di pezzetti 
di stagno e di bismuto nella proporzione di uno di stagno per 
100 di bismuto ed attaccato ad una pompetta a mercurio. Si 
faceva il vuoto spingendo la rarefazione quanto più era possibile, 
poi si chiudeva ermeticamente l’estremità del tubicino e si fon- 
devano i due metalli nel vuoto agitando la lega in modo da avere 
un prodotto il più possibilmente omogeneo. Infine mentre il bis- 
muto era fuso si immergeva il tubo dentro un bagno di paraffina 
scaldato a 270" e si lasciava lentamente raffreddare. 

Ottenuto così il cilindro si rompeva il tubo sott’acqua per 
constatare che non vi fosse penetrata dell’aria durante l’opera- 
zione e si eseguivano col solito metodo le misure termoelettriche 
prima e dopo aver temperato il cilindretto. 

Riporto qui appresso i risultati ottenuti con la coppia N. 9, 
costruita nel modo anzidetto ed impiegando i metalli nelle stesse 
proporzioni delle coppie N. 1, N. 2, N. 3. 


PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 8753 


Coppia N. 9. 


tempera a 230° e nel miscuglio frigorifero. 


Posizione I. Posizione II. 

Se 350 OR o mr 
= o 2 Al pe= — () ; 
p="1/,2 SR ELMO A: ,199 
t= 177;4.P 4,088 (== 0 
= 0,308 o = 0321 &= 0,2abD.. d'=:0,811 


È da osservare anzitutto nella superiore tabella la grandis- 
sima differenza fra il potere termoelettrico della coppia nelle po- 
sizioni I e II, e la differenza piuttosto notevole fra due successive 
determinazioni fatte con la stessa coppia. Poichè fondendo i due 
metalli nel tubetto, che era piuttosto sottile, per quanto lo si scuo- 
tesse era molto difficile che la lega risultasse perfettamente omo- 
genea, questi due fatti confermano le spiegazioni da me date nel 
S 6 sulle divergenze fra le diverse misure fatte con la medesima 
coppia. 

Riguardo poi alla variazione del potere termoelettrico con la 
temperatura è da osservare che i valori di 0 per la coppia N. 9 
sono dello stesso ordine di grandezza di quelli avuti con la coppia 
N. 3 che venne temperata all’incirca nelle stesse condizioni. Quindi 
sebbene le divergenze fra i risultati ottenuti con diversi campioni 
non permettano di venire ad una conclusione rigorosa, sembra , 
dietro l’esperienza fatta, sia da escludersi una grande influenza 
dei gas esistenti nell’atmosfera nella formazione del bismuto-ac- 
ciaio (1). 

14. Credetti opportuno anche di esaminare leghe fatte con 
proporzioni diverse da quelle sin qui studiate. Riporto anzitutto 


(1) Siccome oltre il carbonio, anche altre sostanze possono, come è noto, 
conferire al ferro le proprietà dell’acciaio, restava a vedere se accadesse lo 
stesso per il bismuto: era interessante specialmente studiare l’azione del ti- 
tanio, che ha con lo stagno molta analogia chimica. Però, operando sia in 
un’atmosfera di idrogeno, sia nell’aria atmosferica non riuscii ad ottenere 
aleuna lega di bismuto e titanio. Nell’idrogeno, riscaldando fino al rosso, il 
titanio rimaneva galleggiante alla superficie del bismuto fuso senza unirsi 
affatto allo stesso; nell’aria atmosferica si formava una sostanza pulverulenta 
grigia, contenente forse rilevanti quantità di azoto, e che non aveva alcun 
aspetto metallico. 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 30 


374 GIO. PIETRO GRIMALDI 


i risultati delle determinazioni eseguite su due cilindretti prepa- 
rati e fusi contemporaneamente in un tubo ad V con 50 grammi 
di bismuto e grammi 0,25 di stagno, e che quindi contenevano 
in media per cento 99,50 di bismuto e 0,50 di stagno. 


CoPPIA N° 4. 


tempera a 240° e nel miscuglio frigorifero. 


Posizione I. Posizione II. 
= 10,6 LA a t="17,670,P o 
= 18°01,.P,=15908 t=187,2 P=1,900 
BIZ 307 0d—= 0,189 b= 0,298 dò = 0,136 
Coppia N° 5. 


tempera a 250° e nel miscuglio frigorifero. 


Posizione I. Posizione II 
cat let Le di ini fa Li t — 18.000 Peo 
«= 18th Pr2602 =.182 «Pi 2600 
f=0,499 d= 0,161 pr=0476|, 00184 


Come si vede i valori di { e più specialmente i valori di d 
sono notevolmente più piccoli di quelli avuti con la coppia N. 3 
che era stata temperata allo stesso modo. 

15. Risultati ancora più piccoli ebbi con le coppie N. 6 e 
N. 7 preparate contemporaneamente con 50 gr. di bismuto e 
gr. 0,05 di stagno e che quindi contenevano in media 99,90 
di bismuto e 0,10 di stagno. 


COPPIA N° 6. 


tempera a 250° e nel miscuglio frigorifero. 


Posizione I. Posizione II. 
i 2018, 21510P 4244 = 84: Ap 4) 
iesd Stade: PB. 4,055 t=183600P dl 
B=0,189 d=0,045 G=0,209 d = 0,048 


Dopo aver determinato P, la coppia suddetta venne ricotta 
nella paraffina a 235° e lasciata lentamente raffreddare. 


PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO s79 


Si ebbe allora: 
CoPPIA N° 6 RICOTTA. 


Posizione I. Posizione II. 
EP ='4,398 ECROZIORE — AI 


Per la coppia N. 7 si ebbero i seguenti risultati: 


Coppia N° 7. 
Posizione I. Posizione II. 
io 1 — 4,062 =h8-60 CE — de dla 
ASSE — dl 30 —3:S01 
Bi-p,287 dè =0,071 B=.0,294.,.,d.= 05072 


I valori di f e di 0 vanno decrescendo col diminuire della 
quantità di stagno contenuta nel bismuto, ma pur non di meno 
rimangono, anche per bismuto contenente piccolissime quantità 
di stagno notevolmente superiori a quelli avuti col bismuto puro. 

16. Ho anche sperimentato con bismuto contenente stagno in 
quantità superiore all’1 °/,. Riporto qui sotto i tisultati avuti 
con la coppia N. 8 contenente per cento 95,00 di bismuto e 
5,00 di stagno, e preparata nel solito modo. 


CoPPia N° 8. 


tempera a 220° e nel miscuglio frigorifero. 

Posizione I. Posizione II. 
uo —- 2,981 i = 1V8-,4 Pi, 
t==48°,2 P=— 3,283 i-=18°,2. P==,3:293 
f=0,302 d=-— 0,092 B= 0,282 d=— 0,086 


In questo caso i valori di P e di P, hanno il segno — per 
indicare che con questa coppia la corrente termoelettrica aveva 
una direzione opposta alle altre; andava cioè dal rame alla lega 
bismuto stagno, attraverso la saldatura calda: fu quindi necessario 
scambiare tra loro le estremità del circuito MA, AI. In queste 
misure i valori di P, risultarono più grandi in valore assoluto 
di quelli di P, e quindi i valori di {£ dello stesso segno di prima: 
vale a dire che anche in questo caso il bismuto temperato ri- 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 30% 


376 GIO. PIETRO GRIMALDI 


spetto a quello temperato occupava la stessa posizione nella 
scala termoelettrica che nelle altre esperienze. 

I valori di {} e più specialmente quelli di Ò, a prescindere 
dal segno sono più piccoli di quelli avuti con la coppia N. 3 
contenente l’uno per cento di stagno, e temperata come la cop- 
pia N. 8; pare adunque che l'aggiunta di nuova quantità di 
stagno diminuisca l’effetto della tempera; precisamente come av- 
viene per il carbone aggiunto al ferro. 

17. Per fare meglio vedere la variazione di {? e di 0 con la 
proporzione dello stagno contenuto nel bismuto, riporto nella se- 
guente tabella i valori medii di questi due coefficienti presi fra le 
coppie della stessa composizione, temperate nel miscuglio frigorifero, 


Composizione centesimale 


DR aaa NO 3 
Bismuto Stagno 
100 —» 0,097 0,022 
99,90 | 0,10 |. 0,245 0,059 
9950 | 0,50 | 0,395 0,147 
99,01 0,99 | 0,607 0,461 
95,00 | 5,00 | 0,292 | — 0,089 


18. L’analogia dell’acciaio col bismuto-acciaio viene adunque 
confermata dalle presenti misure termoelettriche in modo piuttosto 
soddisfacente: ove si ammetta come rigorosamente stabilita, essa 
potrà servire a studiare con maggiori particolari il processo della 
tempera in questo caso molto più semplice di quello dell’acciaio, 

Riguardo alla spiegazione dei fatti ottenuti parmi che quella 
data da Karsten per la tempera dell’acciaio si possa applicar 
bene al nostro caso; non è inverosimile che riscaldando il bismuto 
fin presso alla temperatura di fusione si possa formare un com- 
posto che possieda proprietà fisiche notevolmente diverse da quelle 
dei componenti, e che questo composto si dissocii di nuovo se il 
metallo ritorna lentamente alla temperatura primitiva, mentre 
possa invece persistere in tutto o in parte quando il metallo vien 
raffreddato bruscamente. Il fatto che i valori di P, per le coppie 
N. 1 e N. 2 ($ 10) andavano successivamente aumentando con 
i diversi riscaldamenti confermerebbe, parmi, tale spiegazione, che 
però è assai difficile dimostrare con esperienze dirette. 


NIV 


TAV 


2 


RK Lr 
= 
N SS AS 
n = IT 
KH È < [KI ] ito 
TE Guia 
“= 
a 
R 


>| TM 


n 


«a Lit .Doyen, Torino 


PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 377 


19. Per concludere, riassumerò brevemente i risultati ottenuti. 

a) Il potere termoelettrico del bismuto esente da stagno, 
riferito al rame, viene poco alterato dalla tempera: questa non 
fa variare il potere termoelettrico della coppia bismuto puro rame 
di più del 3 °/, del valore primitivo. 

b) Se viceversa il bismuto contiene quantità anche piccole 
di stagno, la tempera altera molto più notevolmente il valore del 
potere termoelettrico. Il p. t. e. della coppia bismuto-rame di- 
minuisce se la corrente termoelettrica prodottasi ha la stessa di- 
rezione di quella che si ha col bismuto puro accoppiato al rame, 
aumenta in caso diverso. Tale variazione è piccola quando la 
quantità di stagno aggiunta al bismuto, è piccolissima, cresce con 
l'aumentare della quantità di stagno fino ad un certo limite, poi 
diminuisce di nuovo. Con una coppia contenente l’uno per cento 
di stagno il potere termoelettrico diminuì del 47 Pet 

c) La differenza fra il potere termoelettrico del bismuto 
contenente stagno non temperato e temperato si conserva inal- 
terata se il metallo rimane abbandonato a se stesso, ma dimi- 
nuisce se viene riscaldato a temperatura anche di molto inferiore 
a quella della tempera; con i successivi riscaldamenti il potere 
termoelettrico va continuamente aumentando fino a raggiungere 
quelle che aveva prima della tempera. 

d) I fatti sopracennati confermano l’analogia trovata dal 
Righi fra il bismuto contenente stagno e il bismuto puro da una 
parte. e l’acciaio e il ferro dall'altra. Tanto per il bismuto-ac- 
ciaio che per il ferro-acciaio si ha che il metallo non temperato 
sta nella serie termoelettrica fra quello temperato e quello puro, 
analogamente a quello che avviene per la resistenza elettrica. 

e) Sembra che la formazione del bismuto-acciaio sia indi- 
pendente dalla presenza dell’azoto, o degli altri gas contenuti 
nell'atmosfera, l'influenza dei quali, nel processo di acciaiazione 
del ferro non è ancora stabilita con precisione. 

f) I fatti sopraccennati si possono spiegare ammettendo che 
nel riscaldare il bismuto contenente stagno, si formi un composto 
poco stabile, il quale possa almeno in parte sussistere, ove il 
metallo venga rapidamente raffreddato. 


Dall’Istituto di Fisica della R. Università di Palermo,. 
Maggio 1888. 


378 A. NACCARI 


Sulla variazione del calore specifico del mercurio 
al crescere della temperatura , 


Nota di A. NACCARI 


Il Dulong e il Petit compresero anche il mercurio nella serie 
de’ metalli, di cui determinarono il calore specifico medio fra 0 
e 100° e fra 0 e 300° (1). Trovarono nel primo caso il va- 
lore 0,0330, nel secondo 0,0350. Un aumento relativamente 
considerevole del calore specifico del mercurio avverrebbe dunque 
secondo questi sperimentatori, al crescere della temperatura. 

1l Regnault eseguì delle esperienze sul mercurio col metodo 
del raffreddamento e per gl’intervalli da 20 a 15°, da 15 a 10, da 
10 a 5 trovò rispettivamente i valori 0,0290, 0,(1283, 0,0282 (2). 
Egli stesso riconosce che questi numeri sono tutti troppo piccoli. Se 
si ammette però che la variazione da essi indicata sia esatta, anche 
queste esperienze mostrerebbero che il calore specifico del mer- 
curio cresce rapidamente con la temperatura. 

Nel 1876 il Winkelmann, studiando la trasmissione del calore 
attraverso i gas, fu condotto a fare come determinazione acces- 
soria la misura delle variazioni del calore specifico del mercurio 
al variare della temperatura (3). Egli trovò che fra 50° e 18° il 
medio calore specifico è maggiore che non fra 144° e 20°. 

Il Pettersson nel 1879 si occupò di tale argomento, volendo 
esaminare le proprietà del mercurio come sostanza calorimetrica (4). 
Dalle sue accurate esperienze egli concluse che fra 0 e 5°, fra 
0 e 16, fra 0 e 36 il calore specifico avea valori così poco di- 
versi, da potersi ritenere costante entro quell’intervallo di tem- 
peratura. 


(1) DuLona. et PeriT, Journ. de l’École Polytechnique, 1820. 

(2) ReGNAULT, Annales de Chimie et de Physique [3], IX, 1843. 

(3) WinKELMANN, Pogg. Annalen, CLIX, 152. 

(4) Pertersson, Ofversigt af kh. Vetenshaps-Ahademiens Fòrhandligar , 
1878. Stockholm, n° 9 p. 3. 


SULLA VARIAZIONE DEL CALORE SPECIFICO DEL MERCURIO 379 


Le conclusioni contraddittorie, che ho riferito, fanno sì che 
nulla si può asserire con sicurezza intorno a questo argomento. 
Cercai di decidere la questione con nuove esperienze. 

Il metodo e l’apparecchio vennero già descritti in una nota 
precedente relativa ai calori specifici di metalli solidi. Indico so- 
lamente alcune particolarità relative al caso presente. 

Lascio da parte buon numero di esperienze fatte con cilindri 
di vetro contenenti mercurio. ()ueste esperienze indicarono una 
piccola diminuzione del calore specifico al crescere della tempera- 
tura, ma appunto perchè tale variazione era piccolissima, stimai che 
convenisse operare diversamente per ottenere maggior precisione. 

Quantunque avessi determinato con ogni cura il calore specifico 
de’ pezzi di vetro appartenenti allo stesso tubo da cui era stato tratto 
il vetro adoperato per costruire il cilindro, pure mi rimaneva sempre 
il sospetto che il calore specifico dei due pezzi di vetro fosse diverso 
o variasse diversamente al crescere della temperatura. Occorre 
inoltre adoperare una massa considerevole di vetro per costruire 
il cilindro che deve contenere il mercurio, e le condizioni delle 
esperienze sono anche tali che occorre molto tempo perchè il mer- 
curio del cilindro, quando immerso nel calorimetro, raggiunga tem- 
peratura eguale a quella del liquido calorimetrico. Per ciò eseguii 
una seconda serie di esperienze in condizioni molto migliori. 

Il recipiente destinato a contenere il mercurio era di lamina 
di ferro, ed era aperto al di sopra. Quando il cilindro col mercurio 
in esso contenuto stava entro l’apparecchio riscaldante, il bulbo 
del termometro si trovava immerso nel mercurio stesso. Quando 
il cilindro si faceva scendere nel calorimetro, il petrolio conte- 
nuto in questo, entrava nel cilindro, sicchè bisognava cambiare 
ad ogni esperienza il mercurio. Questo, ch'era stato prima ac- 
curatamente depurato, veniva preso da una bottiglia che ne con- 
teneva una quantità considerevole. 

Per far le correzioni relative al calore ceduto al calorimetro 
dal cilindro di ferro, mi giovai dello studio fatto dapprima sul 
calore specifico del ferro. Però per pormi al sicuro da ogni causa 
di errore feci anche apposite esperienze di verificazione col detto 
cilindro, nel quale posi la quantità di mercurio appena neces- 
saria perchè il cilindro si aftondasse nel petrolio. Bastavano a 
ciò circa 15 gr. Queste esperienze diedero per il calore specifico 
del ferro del cilindro fra 15 e 100 e fra 15 e 180° dei valori 
concordanti con quelli trovati già per il ferro nello studio pre- 
cedente. Il cilindro pesava gr. 20,8. 


380 A. NACCARI 


Le tabelle seguenti contengono i valori ottenuti per il mer- 
curio. Nella prima colonna sta il peso del mercurio in grammi. 
Nella seconda l’equivalente in acqua A del calorimetro col li- 
quido contenuto e gli accessorî: la terza colonna contiene la tem- 
peratura 7 del mercurio entro l’apparecchio riscaldante nell’i- 
stante che immediatamente precede l'immersione, la quarta la 
temperatura #, del calorimetro nello stesso istante, la quinta la 
temperatura finale corretta t, del calorimetro, la sesta il calore 
specifico C dedotto dalle singole esperienze, la settima il valore 
medio c del calore specifico spettante a’ singoli intervalli. Come 
nello studio precedente questi calori specifici sono riferiti a quello 
dell’acqua interno a 15°. Le esperienze vennero fatte con l'ordine 
seguente. Si confrontò anzi tutto il calore specifico fra la tem- 
peratura ordinaria e 170° circa con quello fra la temperatura 
ordinaria e 100°. 

Poi un simile confronto si fece per i limiti superiori 220 e 100°. 

Infine si confrontarono gl’intervalli, i cui limiti superiori erano 
183° e 100°, 

I numeri relativi a queste tre serie stanno nelle tre tabelle 
seguenti. In ogni serie disponendo di due apparati riscaldanti 
s'ebbe cura di alternare le esperienze spettanti ai due intervalli 
da confrontarsi. 

Le temperature vennero corrette mediante confronto dei ter- 
mometri adoperati con quello ad aria. Il calore specifico del pe- 
trolio venne accuratamente determinato più volte, tenendo conto 
della influenza della temperatura. - 


TABELLA T. 


238, 8|170, 8|99,0|13,362|18,196|0,03304 
223, 6|171,2|99,1|12,860|17,502 3315 
230, 5|170, 5) >». (|18,372|18,110 3316 
212, 8|169,8| » |18,403|17,867 3298 
250, 1298, 6| 99,5] 12,916 | 15, 883 3307 
256,7) » |99,6|13,050|16,078 3307 


e i e TOR RDZ 1  ': ‘ Re‘2111e@ÎiÉiVVO©ÒO]Y} 


146, 9|171, 2|160, 1| 12, 922 | 18, 857 |0, 03283 
138, 4| » |171,38|18,041]|19,163 3285 
144,0] » |172,0| 18,125 | 19,417 3294| 0, 03284 
152, 8| » |1783,9| 12, 764] 19, 566 3273 
156, 1[/298, 6|]175, 7| 12, 780 | 16, 751 3285 


0, 03308 


SULLA VARIAZIONE DEL CALORE SPECIFICO DEL MERCURIO 381 


208, 4|292, 7 


99,7 |13,230 


TARELDA LI. 


99, 4| 13,320 | 15,959 3297|0, 03300 
99, 4|13,910 | 16, 520 3305 
159, 8|/293, 1|228, 0| 18, 161 | 18; 646 |0, 08269 
161, 1298, 2224, 3| 13, 446 | 18, 867 3280] 0, 03274 
162, 3|293, 3|226, 3| 13, 412|18,898| 3268 
TABELLA III. 
P A T t, i, C c 
191, 7|298, 2| 98, 7 | 13, 886 | 16, 317 |0, 03297 
duo >. 198 8/15,.003./17.416 3321 
ID > >» |16,058|18,502 3319 
182.3) » |99,1|14,086|16,437 3294| 0, 03309 
188,4) >» sui AS 497 3305 
194,6] » |98,9|183,239|15,724 3303 
196,9) >» > 190823 16,312 3308 
180, 7|293, 2183, 0| 13,431| 18,137 |0, 03308 
182,5] >» |188,7| 14,007 | 18,719 9277 
184,0)» |182,9| 14,445. [19,151 SORI Ot e 
fear, «183, 214,520. |:19,194 3283] 


La quantità 9g di calore necessaria per riscaldare un gramma 
di mercurio da 17 a # è data nella tabella seguente. 


9 1 du 
3 | 


t q 

99 CI 
Tia 5,258 
226 6,843 


382 A. NACCARI - SULLA VARIAZIONE DEL CALORE ECC. 


Da questi valori si deduce la formula 
q=0,033277 (£-—17)—2,6716 . 107°(£— 17)°+ 
+ 0, 0005559 . 10-°(£— 17). 
Di qui si hanno i valori seguenti del calore specifico medio c 
fra 0 e # e del calore specifico vero dq:dt. Per calcolarli la 


formola venne estesa anche a 0 e 250, vale a dire un po’al 
di là dei limiti delle esperienze eseguite. 


del, 0,0 0,0333537 


50 0,03223 3310 
100 3310 3284 
150 3297 3259 
200 3285 3235 
250 3273 3212 


Le esperienze del Winkelmann danno una variazione un po’ 
maggiore. Quelle eseguite nelle condizioni migliori cioè col vasetto 
di platino possono venir rappresentate con la formula, 


q=0, 083223 (£— 20) — 3, 4717 .10-5(£—20), 


che non differisce molto dalla mia. 

Per gli intervalli 0 —5 e 0 —36 la mia formula dà rispet- 
tivamente i valori 0, 03336 0, 03327 del calore specifico medio, 
e si può quindi ammettere che le mie esperienze s’accordino con 
quelle del Pettersson che non trovò entro quei limiti variazione 
sensibile. 

15 Maggio 1888. 


Il Direttore della Classe 
ALFronso Cossa. 


= > + 


383 


CLASSI UNITE 


Adunanza del 17 Giugno 1888. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI 
VICEPRESIDENTE 


In questa adunanza il Socio Prof. Ariodante FABRETTI è 


rieletto per un altro triennio a Vice-Presidente dell’Accademia. 


L’Accademico Segretario 
(GASPARE GORRESIO. 


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A A 1 FA RELA Vterttgà: ts. Met e POricaze & Dr 


Buitro “qndi Vimigic 


SOMMARIO 


——_—_-- 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


ADUNANZE del 27 Maggio e del 17 Giugno 1888. . . . Pag. 325 


MatTIROLO — Sopra alcuni movimenti igroscopici nelle Fpatiche Mar- 
ChANTIGRO‘ 13% O n RARO Ta PRIORA IE O Aa 


VocLinò — lilustrazione di due Agaricini italiani . ....,... 


GaLEAZZI — Sugli elementi nervosi dei muscoli di chiusura dei bi- 


valdi Si AE A e O LAO e E 
ErrerA — Derivati degli alcoli Parabromo e Paraclorobenzilico . . » 346 
Japanza — Una nuova forma di cannocchiale .. .. ...... a RIO: 
Grimaupi — Influenza della tempera sulle proprietà termoelettriche 

de]: BIBI RI RO E AIR DN » 358 
NaccarI — Sulla variazione del calore specifico del Mercurio al cre- 

seero della: temparatura: 20 GL DIR A IA » 

Classi Unite. 
ADUNANZA del 17 Giugno 18881... 0. Pay. 383. 


De- NB. A questa dispensa va unita la Tavola XI relativa 
alla Memoria del Dott. B. Grassi sulla Taenia, RIU, 5 


blicata nella 12° Dispensa, pag. 314. 


v 
* 


Torino - Tip. Reale-Paravia. 


Fr 


ATTI 


DELLA 


R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


DI TORINO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XXIII, Disr. 15°, 1887-88 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


TORINO 
ERMANNO LOESOHER 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


385 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 1° Luglio 1888. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI 
PRESIDENTE 


Sono presenti i Soci: LEssona, SALVADORI, BERRUTI, BASSO, 
D’Ovipio, Bizzozero, NACCARI, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI. 

Si legge l’atto verbale dell’ adunanza precedente che viene 
approvato. 

- Tra le pubblicazioni presentate in. omaggio all’ Accademia 
vengono segnalate le seguenti : 

«Il Sirratte in Italia nella primavera del 1888; > e « Le 
date della pubblicazione della « Iconografia della Fauna ita- 
lica del Bonaparte, ed Indice delle specie illustrate in detta 
opera ; >» Note del Socio SaLvapori, estratte dal Bollettino dei 
Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Univer- 
sità di Torino, n. 47, 48. 

« Schiarimenti e considerazioni sul Rilievo d’ Italia a su- 
perficie curva, alla scala unica di 1 milionesimo; » del Cav. 
Cesare PomBA, presentati dal Socio Basso. 


Le letture e le comunicazioni si succedono nel modo seguente : 


1° « Relazione intorno alla Memoria del Prof. Lorenzo 
CamerANO « Sugli Ofidi italiani » (parte 1°, Viperidi); del 
Socio SALvaDORI, condeputato col Socio LESSONA. 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXIII 31 


386 T. SALVADORI 


2° « Rivista critica e descrittiva delle specie Trifolium 
comprese nella sezione Lagopus di Koch: » del Socio GIBELLI 
in collaborazione col Dott. Saverio BELLI; approvata dalla Classe 
per la pubblicazione nelle Memorie dell’Accademia. 


3° « Sul calcolo delle freccie elastiche delle travi reti- 
colari; » Nota dell'ing. Elia Ovazza, Assistente nella R. Scuola 
d’Applicazione per gl’ Ingegneri in Torino, presentata dal Socio 
D'OviIpIO. 


4° « Sulla neoproduzione del tessuto muscolare liscio :; 
Esperimenti e ricerche » del Dott. Tommaso BusacHi, presen- 
tati dal Socio Bizzozero. 


5° « Intorno al valore specifico della Pleospora Sarci- 
nulae e della Pleospora Alternariae di Gibelli e Griffini; » 
Ricerche sperimentali del Dott. Oreste MaTTIROLO, presentate dal 
Socio GIBELLI. 


LETTURE 


RELAZIONE sulla Memoria del Dott. Lorenzo CAMERANO, inti- 
tolata : « Monografia degli Ofidi italiani - Parte 1° - 
Viperidi ». 


L’Autore continua in questo lavoro lo studio dell’Erpetologia 
italiana già da lui intrapreso colle monografie degli Anfibi anuri, 
degli Anfibi urodeli e dei Sauri, le quali ebbero l’onore di essere 
stampate nelle Memorie di questa R. Accademia. 

La presente monografia è stata condotta rispetto alla nomen- 
clatura ed al modo di intendere le divisioni tassonomiche colle 
stesse norme osservate nelle monografie precedenti. 

L'Autore ebbe a sua disposizione per fare questo studio, 
un materiale molto abbondante, proveniente dalle raccolte del 
Museo Zoologico di Torino, del Museo Zoologico della R. Uni- 


RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL DOTT. L. CAMERANO 387 


versità di Pavia. del Museo dell’Istituto tecnico pure di Pavia 
e del Museo della Fondazione Galletti di Domodossola. 

Oltre a duecento esemplari di vipere, appartenenti a molte 
località italiane, vennero esaminati dall’Autore. 

Nei Viperidi italiani si ha un esempio bellissimo del variare 
delle forme animali coll’estendersi della loro area di distribu- 
zione e dell'importanza dell’applicazione delle moderne teorie 
evoluzionistiche per la distinzione delle forme animali. 

Le questioni principali che si presentavano all’Autore nello 
studio dei Viperidi erano : 

1° Se le Vipere europee si dovessero considerare come 
appartenenti a due generi, o ad un solo. 

2° Se le Vipere europee fossero da considerarsi divisibili 
in tre sole specie: V. aspis, V. berus, V. ammodytes, oppure in 
cinque specie: V. aspis, V. berus, V. ammodytes, V. Seoanei, 
V. Latastei. 

3° Quali specie di vipere si trovino in Italia e quale sia 
la loro distribuzione tanto verticale, quanto orizzontale. 

L'Autore è giunto alle seguenti conclusioni notevolmente di- 
verse da quelle alle quali erano giunti gli Autori precedenti. 

1° Le Vipere europee appartengono ad un solo genere: il 
gen. Vipera LAUR. 
2° Il genere Vipera LAUR. comprende in Europa due specie : 


V. ammodytes (LINN.) 
V. berus (LinN.) 


3° La Vipera berus (LINN.) presenta una sottospecie aspis 
predominante nelle regioni meridionali d'Europa. 

4° La Vipera Latastei (Boscà) deve essere riferita alla 
Vipera berus, subspec aspis e non alla Vipera ammodytes. 

5° La Vipera Latastei Boscà e la Vipera Seoanci LATASTE 
non sono da cousiderare nè come specie distinte, nè come sotto- 
specie, ma bensì come semplici variazioni della V. derus, o della 
V. berus. subspec. aspis, non sufficientemente stabili per poter 
essere designate con nomi distinti. 

6° In Italia si trovano le seguenti forme di Viperidi : 


Vipera ammodytes (LINN.) 
» berus (LINN.) 
» hberus, subspec. Uspis. 


388 T. SALVADORI - RELAZIONE SULLA MEMORIA ECC. 


La Vipera ammodytes non venne fino ad ora trovata in 
modo sicuro altrochè in alcune località del Friuli e del Tirolo. 

La Vipera berus è stata trovata, in modo da non lasciar 
dubbio, in Piemonte, nel Pavese, nel Veronese, nel Ferrarese e 
al Gran Sasso d’Italia. 

La Vipera berus subspec. aspis è la più comune e manca, 
per quanto se ne sa ora, in poche località italiane (fra queste 
sono la Sardegna, la Corsica e le isole minori, esclusione fatta 
dell'Isola d’Elba e dell’Isola di Montecristo); essa è comunissima 
sulle Alpi, dove si spinge fin quasi ai 3000 metri sul livello del 
mare; si trova anche nelle regioni paludose del piano, in tutta 
la parte peninsulare, e non è rara in Sicilia. 

Due tavole di disegni, rappresentanti i caratteri diagnostici 
più importanti e le loro variazioni, accompagnano questo lavoro. 

La diligenza grandissima colla quale esso è stato condotto, 
e le importanti conclusioni cui l'Autore è giunto, rendono de- 
gnissimo il lavoro del D" Camerano di essere accolto nelle Me- 
morie della nostra Accademia. 


MicHELE LESSONA 
T. SaLvapori, Relatore. 


La Classe approva le conclusioni dei Commissari, e, udita 
la lettura della Memoria del Prof. Camerano, ne approva la 
stampa nei volumi delle Memorie dell’Accademia. 


stri nti rit nat 


Sul calcolo delle freccie elastiche delle travi reticolari, 


dell’ Ingegnere ELIA OvAZza 


Assistente nella R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri 
di Torino 


1. A complemento delle teorie svolte in altra mia nota (*), 
esporrò in questo scritto alcuni metodi di calcolo delle freccie 
elastiche delle travi reticolari caricate ai nodi, aggiungendo esempi 
numerici per guida nell’applicazione pratica di tali metodi. 

È noto che, non bastando l'ispezione oculare per giudicare 
della bontà delle costruzioni metalliche, queste, prima di abban- 
donarle all’uso cui sono destinate , si assoggettano a prove di 
resistenza , consistenti nella misura delle deformazioni che tali 
costruzioni subiscono sotto l’azione di determinati sopraccarichi , 
fissi e mobili: paragonando i risultati dell’esperienza con quelli 
dedotti dalla teoria si ha un criterio razionale per giudicare 
della stabilità della costruzione. Nell’atto delle prove possono 
misurarsi gli spostamenti di determinati punti nello spazio, oppure, 
più razionalmente, le deformazioni delle singole parti della co- 
struzione. Per le travature reticolari caricate ai nodi il calcolo 
delle deformazioni delle singole aste, supposti i collegamenti a 
cerniera senz’attrito, è semplicissimo quando per ogni asta sia 
noto lo sforzo provocatovi; il calcolo degli spostamenti dei nodi 
può invece riuscire alquanto faticoso , onde l'opportunità della 
presente nota. 

2. Carichi fissi. — Stabilita una speciale condizione di carico. 
per una trave reticolare, per determinarne gli spostamenti cor- 
rispondenti dei varî nodi, si calcoli per ogni asta lo sforzo 7 
che vi è provocato e se ne deduca la variazione di lunghezza 
As mediante la nota formola 


As — Vere si 


(*) ELia Ovazza. Sul calcolo delle deformazioni dei sistemi articolati. Atti 
della R. Accademia delle Scienze di Torino, 1888. 


390 ELIA OVAZZA 


ove s ed indicano la lunghezza e l’area della sezione tra- 
sversale ed £ il coefficiente di elasticità del materiale ond’ è 
l'asta. Quando gli sforzi 7° si ottengano per via grafica, può 
essere conveniente di dedurre pure in via grafica le variazioni 
As; basta perciò costrurre graficamente la quarta proporzionale 
dopo le forze EF e 7 e la lunghezza s per ciascun’asta. (Sup- 
posto di rappresentare le forze E e 7 rispettivamente nelle scale 
di » ed x' metri per chilogramma e le lunghezze s nella scala di 


' " 


i TONE : ‘Gu nn 
n':1, le variazioni As risultano nella scala di n" = — : 1). 
n 


Determinati i As, si considerino, avendo riguardo al segno, come 
velocità di dilatazione, e supposto fisso un nodo e fissa la direzione 
d’un’asta uscente da esso, descrivasi il diagramma {8 delle velocità 
pel moto di deformazione che ne risulta ; poscia descrivasi il dia- 
gramma % delle velocità pel moto d’insieme che devesi imprimere 
al sistema per portarlo nella posizione voluta dai vincoli: i segmenti 
che collegano i punti dei due diagrammi corrispondenti ad uno 
stesso nodo del sistema misurano in direzione, verso e grandezza 
(nella scala dei As) gli spostamenti effettivi dei nodi. 

Ordinariamente in pratica un nodo è fisso e bene spesso la 
direzione d’un’asta speciale non varia in seguito alla deformazione, 
quindi sono applicabili le semplificazioni di cui al numero 8 della 
nota succitata (*). 

È notevole che potendosi supporre fisso qualsiasi nodo del 
sistema, la deformazione può determinarsi con diversi diagrammi; 
onde si possono avere buonissimi controlli, oltre a quelli che nei 


(*) Il moto d’insieme è di norma indeterminato quando i vincoli riduconsi 
a due superficie d’appoggio ovvero a più superficie di appoggio tendenti a 
far scorrere altrettanti nodi in una stessa direzione. Se i vincoli riduconsi a 
tre superficie di appoggio tendenti a far scorrere tre nodi in diverse dire- 
zioni, la determinazione del moto d'insieme è problema determinato, ridu- 
cendosi a quello di costrurre un triangolo omotetico ad un altro ed avente i 
vertici su tre rette date non parallele, problema che risolvesi facilmente col 
metodo di falsa posizione. Se i vincoli consistono in un punto fisso F ed in una 
superficie di appoggio di un altro nodo S scorrevole in una direzione ST, e 
per punto fisso nel moto di deformazione sì sceglie un terzo punto C, il dia- 
gramma del moto d’insieme è determinato da ciò che il punto «7 dì questo. 
diagramma corrispondente al nodo F deve coincidere col punto fp del dia- 
gramma di deformazione corrispondente allo stesso nodo, ed inoltre che il 
punto «g deve giacere sulla parallela ad ST per fis. 


SUL CALCOLO DELLE FRECCIE ELASTICHE 391 


casi speciali dipendono dalla particolare conformazione del sistema 
(simmetria p. es.). 

Esempio — La figura 1° rappresenta lo schema d’una trave 
reticolare da ponte sorreggente l’impalcato mediante travi tra- 
sversali attaccate in corrispondenza dei singoli nodi del contorno 
inferiore, rettilineo: i carichi si considerano trasmessi alle travi 
trasversali mediante travi secondarie disposte nel senso longitu- 
dinale, ciascuna delle quali appoggia semplicemente su due travi 
trasversali consecutive. Lungo le aste sono indicate nella metà 
destra della figura le sezioni trasversali in cm°, nella metà sinistra 
le lunghezze in cm delle singole aste. Le figure 32 e 4 sono 
i diagrammi degli spostamenti dei nodi per tale trave rispetti- 
vamente nella ipotesi di carichi eguali ad 1 Cyg applicati ai sin- 
goli nodi del contorno inferiore e nell'ipotesi di un solo carico 
eguale ad 1 Cg applicato al nodo intermedio 10 dello stesso 
contorno, supponendo per semplicità £ == 1g per cm° per tutte 
le aste. Gli sforzi nelle aste, 7° e 7", corrispondenti alle due 
ipotesi si determinarono graficamente mediante diagrammi re- 
ciproci (fig. 2°) (*); i loro valori furono controllati in via 
analitica ed esposti nella tabella in fondo alla nota, insieme ai 
corrispondenti valori delle variazioni di lunghezza A's e A"s per 
le varie aste. Per ragione di simmetria in ambe le ipotesi di 


carico rimane invariata la direzione dell’asta 9,11; supposto 
dunque fisso uno dei due nodi 9 ed 11 e ritenuta fissa la di- 


rezione 9,11, il diagramma pel moto di deformazione dà im- 
mediatamente gli spostamenti effettivi dei nodi. La figura 3° è 
limitata alla metà sinistra, la figura 4* alla metà destra della 
trave; le dilatazioni delle aste sono rappresentate con linee piene 
sottili, con linee piene più sentite si collegarono per chiarezza 
in ambo i diagrammi i punti corrispondenti ai nodi direttamente 
collegati con un’asta nella travatura. Sulle verticali uu e vv si 
proiettarono orizzontalmente i punti dei diagrammi relativi ai 
nodi di contorno inferiore, onde dedurre nella scala indicata in 
disegno le proiezioni verticali degli spostamenti dei nodi medesimi : 
a fianco di dette rette sono scritti fra parentesi i valori degli ab- 
bassamenti dei nodi di contorno inferiore rispetto ai nodi 0 e 20. 

Volendosi supporre P_ed E diversi dall’unità, gli spostamenti 


(*) Le linee piene si riferiscono alla prima ipotesi, le linee a tratti e 
punti alla seconda ipotesi. 


392 ELIA OVAZZA 


gui jiéa. Pod i 
trovati vanno moltiplicati pel rapporto + . Così p. es. supposto 


E 

P=C92250 ed E=Cg2000000 per cm° e volendosi avere le 
proiezioni verticali degli spostamenti dei nodi in vera grandezza, 
poichè gli spostamenti A's in figura 3° sono in iscala di 1:100, 
si proietti la punteggiata «v da un polo P a distanza di cm. 20 
sopra una parallela ad ww posta a distanza di cm. 2,25 dal 
polo: i segmenti 0'1',0'2',0'3',....1"2°,1"3%,....rappresentano - 
le proiezioni cercate (*). Portate le distanze 0'1',0'2',0'3',.... 
al disotto del contorno rettilineo dello schema (fig. 1°) in cor- 
rispondenza dei nodi 1',2,3', ..., nella spezzata 0 III IIl.... 
si ottiene il cosidetto poligono di flessione (fig. 1} ) pel contorno 
inferiore nell’ ipotesi di carichi eguali a Cg 2250 applicati ai 
singoli nodi di detto contorno e di E=2000000 Cyg per cm. 
Analogamente portate a partire dall’orizzontale per il nodo 1 i 
segmenti 1"3",1"5",....in corrispondenza delle verticali pei nodi 
3,5, ...., si ottiene il poligono di flessione I III V.... pel 
contorno superiore (**). 

La punteggiata vv (fig. 4°) dà nella scala di 1:10 gli ab- 
bassamenti dei nodi di contorno inferiore per E£=1 e nell'ipotesi 
di un carico P=1 9g applicato al nodo 10, od anche, com'è 
ovvio, dà gli abbassamenti degli stessi nodi nella scala di 200: 1 
nell’ipotesi di E—=2000000 Cy per cm° e P= Cg 1000. Ri- 
dotta questa punteggiata nel rapporto di 1:5 mediante proiezione 


' ' LI . LU . 1 
da un polo P su una parallela v v distante da P di E della 


distanza di P da vv, si ottengono gli stessi spostamenti nella 
scala di 40:1. In figura 5* la spezzata ACB è appunto il po- 
ligono di flessione pel contorno inferiore nella ipotesi fatta, ottenuto 
portando i segmenti costrutti su vv come ordinate a partire 
dalla fondamentale A B in corrispondenza dei nodi rispettivi. 

3. Quando, com’è di frequente, importi solo costrurre il po- 
ligono di flessione per un contorno di una trave, e questa sia 
un sistema triangolare, conviene operare come segue: 


(*) Per chiarezza i punti della punteggiata uu corrispondenti ai nodi di 
contorno inferiore e quelli corrispondenti ai nodi di contorno superiore si 
proiettarono su due rette diverse ww ed uu”, che distano entrambe da P 
di cm. 2,25. 

(**) In figura è quotato il poligono di flessione del contorno inferiore 
per facilitare i confronti coi risultati degli ulteriori calcoli. 


SUL CALCOLO DELLE FRECCIE ELASTICHE 399 


Per ogni angolo e,, compreso fra due aste s, ed s,, con- 
correnti in un nodo m del contorno e formanti triangolo con una 
terza asta s,,, si calcoli la quantità Ae,,, di cui esso varia in 
seguito alla deformazione, mediante la formola 


Beata Ent Ard Sra gi 15 siantaZa Im ) cot 3 
= n= (7 E 5 “pm (7 Bil 5 ‘nm 


OVE Gm; 02, 9, indicano le tensioni unitarie, E,,, E,, Epi 
moduli di elasticità rispettivamente per le aste s spinte 
Epm> €pn rappresentano gli angoli compresi rispettivamente fra 
le aste s, ed s,,, 5, ed s,. Se ne deduca la variazione A0,, 
subita in seguito alla deformazione di ogni angolo 6,, formato 
da due aste successive di contorno concorrenti in un nodo mm 
di esso, e quindi per ogni nodo si calcoli la quantità w,, data 


dalla formola 


$ 


ù 
mo’ n° 


= 
‘m+a 


Tn 
Wo = tg Im > 
m E 


m 


t8Ymi 40 
4 mit 1 


OVe %» © Ym+ misurano le inclinazioni all'orizzonte delle aste 
Sm @d Sm4. di contorno concorrenti in m. Si applichino ai 
varî nodi dei pesi misurati dai numeri w e si colleghino questi 
pesi con un poligono funicolare di tensione orizzontale 7; questo 
è il poligono di flessione pel contorno considerato e le ordinate 
suè misurano gli abbassamenti dei nodi nel rapporto di 1:MH. 

Quando il contorno sia rettilineo ed orizzontale i numeri w 
riduconsi ai A%,,, misuranti le variazioni degli angoli di contorno. 

Esempio. — Consideriamo ancora la travatura di cui al nu- 
mero 3, e costruiamo il poligono di flessione pel contorno inferiore 
rettilineo, nell’ipotesi di carichi eguali P applicati ai singoli nodi 
dello stesso contorno. Supposto per semplicità P— 1g, le ten- 
sioni unitarie c' corrispondono agli sforzi 7°’ già calcolati, ed 
hanno i valori esposti nella tabella in fondo alla nota. Supposto 
inoltre ÉE=1 ed avuto riguardo ai valori delle cotangenti dei varî 
angoli, scritti fra parentesi nella metà sinistra della fig. 1°, si ha : 


a=%,g= — 0,1762 w,=wo=+0,0284 w,=Ww,3= — 0,3037 

a=wg=+0,0653 w=Ww,5= —0,3091 wy= w,,=+ 0,0323 

3=w,,= — 0,2799 w=w,= +0,0407 w=w,=— 0,3723 
wo + 0,0544 


394 ELIA OVAZZA 


Applicate ai nodi 1',2,3', ecc..... dei pesi misurati rispet- 
tivamente da w,, w,, 43}, ...., collegati questi pesi con un po- 
ligono funicolare di tensione orizzontale = 1, le ordinate di questo 
poligono riferite alla fondamentale pei punti giacenti sulle verticali 
pei nodi 0 e 20, (che non si abbassano durante la deformazione) 
hanno i seguenti valori, calcolati in via analitica e paragonabili, 
avuto riguardo alla differenza di metodo, ai numeri ottenuti in 


da 


via grafica dalla fig. 5°. 


0 ini AT 346,13 Yy,=Yie= —1265,33 Yy,=Y;3= — 1888,49 
ui — iii" 0000, 4d Y5=Y5= — 1530,80 Ys=Y = — 1982,38 
v=y,=— 1008,38 w=y,=—1703,54. y,=y,=— 2085,86) 


y,=— 2077,70 


Di modo che per P-= 2250 Cg ed E= 2000000 Cg. per cmî, 

gli abbassamenti risultano rispettivamente 
pei nodi 
DE 2 9! 4 5° 6 ‘i 8 9' 
IG IEIRe 16 Sisti data 10406 


di millimetri 


9,0. 7,50 11,4, 14;2;. 17,2 19,2. 2142 228/2000 


Questi valori vanno d’accordo con quelli trovati a numero 2 
E anni aa la 4 

4. Allorquando non occorra di conoscere la deformazione di 
tutto un contorno, ma basti calcolare l'abbassamento di un dato 
nodo della travatura, riesce molto conveniente l’applicazione del 
teorema degli spostamenti virtuali. È noto che se un sistema ma- 
teriale qualunque è in equilibrio sotto l’azione di un dato si- 
stema di forze ed al sistema materiale si immagina impartito 
uno spostamento infinitesimo qualunque compatibile con la na- 
tura dei suoi vincoli, è nulla la somma dei prodotti delle forze 
per le proiezioni nelle direzioni delle forze degli spazî virtuali 
dei loro punti di applicazione. Trattandosi di calcolare lo spo- 
stamento d di un nodo N d’una travatura in una determinata 
direzione d prodotto da un dato sistema di forze P°, si calcolino 
le tensioni 7' e le corrispondenti variazioni A's delle lunghezze 


SUL CALCOLO DELLE FRE£CCIE ELASTICHE 395 


s delle varie aste ; poscia, applicata al nodo N nella direzione 
duna forza 1, si calcolino le tensioni 7°" provocate nelle aste 
del sistema da quest'unica forza. Supposti rigidi gli appoggi e 
trattandosi di deformazioni elastiche, a meno di quantità pic- 
colissime di 2° ordine, si ha 


O —L T'As 


estendendo la sommatoria a tutte le aste del sistema; e per la (1) 


è0:8 
e al age Sa ta 
EF ( ) 
Come Esempio calcoliamo l'abbassamento del nodo 10 della 
trave di cui a fig. 1° — freccia d’incurvamento del contorno 
inferiore — nell’ipotesi di carichi uguali P applicati ai sin- 


goli nodi del contorno inferiore. Supposto P = 1 ed E= 1, i 
valori di 7' e 7" sono quelli già calcolati ed esposti nella ta- 
bella in fondo alla nota. Dedotti i valori delle quantità 


s 


ida 
EF 


pure raccolti in detta tabella, risulta 
02107148 


E per P—= 2250 Cg. ed E= 2000000 Cg. per cm. 
di= mm. 297°. 

5. Carichi mobili. — Nelle considerazioni che seguono noi sup- 
porremo che, come nell’esempio fin qui preso a considerare, i 
carichi mobili agiscano indirettamente sulla trave con l’intermezzo 
di travi secondarie appoggiate su travi trasversali attaccate in 
corrispondenza dei nodi di un contorno della trave reticolare che 
considerasi, per modo che ogni carico agente fra due nodi M ed 
N produca lo stesso effetto, per quanto riguarda la deforma- 
zione della trave, che le sue componenti secondo le verticali 
pei nodi M ed N. Inoltre considereremo il solo effetto statico 
dei carichi, prescindendo dalle oscillazioni del sistema per forza 
viva acquistata. Questa seconda ipotesi deve ritenersi approssimata 


(*) Cfr. MiLLeR-BRESLAU, Die neueren Methoden der Festigkeitlehre , 
Leipzig 1886. 


396 ELIA OVAZZA 


pel caso di carichi mobili a piccola velocità: la considerazione 
degli effetti dinamici del resto non è ancora entrata negli usi 
della pratica. 

In tali condizioni il problema della determinazione delle de- 
formazioni delle travature reticolari è grandemente semplificato 
mercè l'applicazione del principio di Maxwell o della recipro- 
cità degli spostamenti. 

Dato un sistema di carichi mobili, trattisi di determinare 
la legge con cui varia lo spostamento d’un nodo -N del sistema 
in una determinata direzione D. Applicata in N in questa di- 
rezione D una forza 1, si determinino gli spostamenti dei nodi 
©, , >, -... in cui possono venire ad agire i carichi mobili nelle 
direzioni d,, d,,... di questi carichi; pel principio di Muzwell, 
questi spostamenti sono eguali a quelli che il nodo N nella di- 
rezione D soffre quando un carico 1 viene successivamente ad 
agire sui nodi N, .%, -.-.. nelle direzioni di, d;..., essi s0n0 
quindi i inerti d influenza sullo E pkiaanto del lia N nella 
direzione D pei carichi sollecitanti i nodi ,, n,,.... Se trat- 
tasi di carichi verticali e vuolsi la legge di variazione dello spo- 
stamento di un nodo N nel senso verticale pel muoversi dei 
carichi, si applichi in N un peso eguale ad 1 e costruiscasi il po- 
ligono di flessione per il contorno sopraccaricato : questo poligono 
è la linea d'influenza sull’abbassamento del nodo N per un ca- 
rico mobile eguale ad 1, per modo che ad una posizione qua- 
lunque dei carichi P,, P,,... corrisponde un abbassamento del 
nodo N eguale alla somma algebrica £ P, y,, indicando generi- 
camente con y; l’ordinata di detto poligono misurata in corrispon- 
denza d’un carico generico P,. Invero (fig. 7°) sieno d,, e my, 
16 ordinate in corrispondenza dei due nodi successivi m ed m+1 : 
O, € Ò,,,, misurano gli spostamenti di N per un carico 1 ap- 
plicato successivamente in m ed m +1. Se ora supponiamo un 
carico 1 agente fra i nodi stessi a distanze x ed x' da essi, 
questo carico, in virtù dell'ipotesi fatta circa la trasmissione dei 
carichi alla trave, produce lo stesso effetto che le sue componenti 


Ù 
x 


c+a° x+x 
provoca del punto N un totale abbassamento eguale a 


, secondo le verticali per 2 ed wm+1, e quindi 


x x 
UG IN 
e pat ie asi Ddr 


SUL CALCOLO DELLE FRECCIE ELASTICHE 397 


che evidentemente è misurato dall’ordinata del poligono letta sulla 
verticale del carico 1 considerato. 

Nota la linea d’influenza, coi metodi della statica grafica si può 
risolvere il problema proposto per qualunque condizione di carico. 

6. Carico uniformemente ripartito mobile. — Se la tra- 
vatura è sollecitata da un carico equabilmente ripartito, descritta 
la linea d'influenza sull’abbassamento di un nodo N per un peso 
concentrato = 1, il prodotto dell’ intensità p del carico per l’area 
della figura compresa fra la detta linea d'influenza, la fondamentale 
e le verticali limitanti il carico, misura l’abbassamento che il nodo 
N soffre in conseguenza di tale carico, come risulta considerando 
questo come una successione di pesi concentrati infinitesimi. Se 
quindi si costruisce il diagramma affine alla linea d'influenza con 
rapporto di affinità =p, e si descrive il diagramma integrale 
di questo, il nuovo diagramma definisce la legge con cui varia 
l'abbassamento del nodo N per l’avanzarsi di un carico unifor- 
memente ripartito d’intensità p e di lunghezza non minore di 
quella della trave: per ogni posizione del carico l'abbassamento 
corrispondente del nodo N è data dall’ordinata letta sulla ver- 
ticale di testa del carico. 

Suppongasi per Esempio che sulla trave rappresentata sche- 
maticamente in fig. 1° scorra un carico uniformemente ripartito 
in ragione di Cg. 750 per metro lineare, di lunghezza non mi- 
nore di quella della trave, e si voglia la legge di variazione della 
freccia elastica misurata in corrispondenza del nodo 10 supposto 
E=2000000 Cg. per cm°. Per quanto si disse al numero 3, 
la spezzata A C Bb, fig. 8°, è la linea d'influenza sull’abbassa- 
mento del nodo 10° pel muoversi d’un carico di 1000 Cg.: le ascisse 
sono in iscala di 1:400, le ordinate nella scala di 40 : 1. In- 
tegrando l’area ACB con base di riduzione = 40 metri (nella 
scala delle ascisse), le ordinate della linea integrale misurereb- 
bero nella scala al vero le freccie prodotte da un carico unifor- 
memente ripartito mobile d’intensità eguale a Cg. 1000 per metro; 


00 Il 
750 (sempre nella 
scala della ascisse), la curva integrale AD dà la legge cercata 
di variazione della freccia. Nell’esempio trattato la linea d’ in- 
fluenza ACB avendo tutte le ordinate dello stesso segno, la 
freccia massima avviene a carico completo; essa risulta di mm. 23,7. 
Il carico equabilmente ripartito di Cg. 750 per metro lineare 


presa invece base di riduzione di metri 40 x< 


398 ELIA OVAZZA 


equivarrebbe ad un sistema di carichi P = 2250 Cs. applicati ai 
singoli nodi del contorno inferiore, quando anche le sbarre estreme 


01° e 19’, 20 del contorno inferiore fossero lunghe cm. 300 come 
le aste intermedie; si comprende quindi la concordanza del va- 
lore ora trovato dalla freccia con quelli trovati precedentemente 
per carichi concentrati ai nodi. 

7. Carichi concentrati mobili. — Suppongasi ora la trave 
percorsa da un sistema di carichi concentrati P,, P,,.., a 
distanze invariabili fra di loro; dalla linea d’ alano sull’ abbas- 
samento d’un nodo N per un carico =1, si ottengono le linee 
d'influenza pei carichi P,, P,, ... moltiplicando le ordinate 
di quella rispettivamente per P,, P,,..., quindi con le regole che 
la statica grafica insegna si può determinare la legge di variazione 
dall’abbassamento del nodo N pel passaggio del sistema consi- 
derato di carichi. Se per es. i carichi percorrono la trave da 
destra a sinistra, si disegnino le linee d’influenza corrispondenti 
ai carichi P,. P,,... per modo che i loro estremi omologhi, 
p. es. quelli di destra, sieno fra di loro alle distanze che cor- 
rono fra i carichi P, ma disposti in senso inverso, da sinistra 
a destra; quindi si sommino graficamente i diagrammi così di- 
sposti; la linea che ne risulta definisce con le sue ordinate la 
legge di variazione dell’abbassamento del nodo N per il moto del 
sistema di carichi nella direzione considerata. 

Riferendoci ancora alla trave presa a studiare come Esempio, 
suppongasi che essa venga percorsa da destra verso sinistra dal 
sistema di carichi concentrati schematicamente indicato in fig. 6*, 
e si voglia determinare la massima freccia in corrispondenza del 
nodo 10. Siccome le ordinate della linea AC vanno continua- 
mente decrescendo dalla mezzeria verso le estremità, il massimo 
cercato non può avvenire che per una posizione dei carichi in- 
termedia a quelle corrispondenti rispettivamente alle coincidenze 
delle verticali del primo carico 1 e dell’ultimo carico 8 con la mez- 
zeria della trave. Costrutte le linee d'influenza AC0yB, AC,B pei 
due tipi di carichi di tonnellate 2 e 0,2 (*), si disegnino le 


è; n ; 1 
(*) Il rapporto d’affinità fra i diagrammi ACyB ed ACB essendo "TA 
4 


1 
quello fra A4C,B e ACB 10° i diagrammi 4C,B, 4C,B dànno gli spostamenti 
del nodo 40 nella scala di 1031. 


SUL CALCOLO DELLE FRECCIE ELASTICHE 399 


linee d’influenza pei carichi 1,2,...,8 per modo che le loro 
mezzerie C,1,, 0,2,,..., 48, formino un fascio simmetrico al 
fascio delle linee d’azione dei carichi concentrati che si conside- 
rano, limitandole alle verticali C, 8,, C, 1,. La massima ordinata 
Y della linea YH7G, che si ottiene sommando le ordinate dei 
diagrammi parziali lette su ciascuna verticale, dà la freccia mas- 
sima cercata. La posizione dei carichi producente questa freccia 
rispetto alla trave supposta proiettata in AB, si ha disponendo 
l’ultimo carico 8 sulla verticale dell’ ordinata Y (*). La lun- 
ghezza di questa ordinata si può pure ottenere sommando le or- 
dinate Y,, %, --- 9g delle linee d'influenza AC, B, AC, B sulle 
verticali dei carichi nella posizione trovata che dà la freccia 
massima. Supposte poi applicate nella direzione di 45 ai punti 
d'incontro 2,, %,,... delle stesse verticali con la linea di influenza 
ACB delle forze proporzionali ai corrispondenti carichi, si misuri 
con un poligono funicolare O I ZI... IX (fig. 5°) il momento statico 
di questo sistema di forze rispetto alla 45; per la proprietà 
della linea d'influenza ACB questo momento statico è pur anco 
proporzionale alla freccia Y cercata (**). In figura avendosi rap- 
presentate le forze (sull’orizzontale LL) nella scala di millimetri 
4 per tonnellata ed essendosi presa distanza polare Ao di cm. 4, 


il segmento JI, /X misura la massima freccia cercata nella scala 
di 4: 1. Questa freccia Y risulta di circa mm. 3,95 (***). 


(*) Anche Y risulta nella scala di 1021. 

(**) Cfr. Monr, Beilrag zur Theorie des Fachwerks. Zeitschrift des Arch- 
und Ingenieur - Vereins zu Hannover 41875. 

{***) I valori ottenuti per questa massima freccia e per la freccia a carico 
fisso del contorno inferiore in corrispondenza del nodo 10 vanno d’accordo 
coi risultati d’un’esperienza istituita dall’Autore per la prova d’un ponte per 
strada carreggiabile, sorretto da due travi eguali a quella studiata come caso 
speciale nella presente nota, fatto costrurre dal Comune di Melazzo (Acqui). 
La freccia elastica per carico mobile risultò di millimetri 4, quella a carico 
totale fisso di millimetri 24 per una delle travi e di mm. 25 per l’altra. Que- 
st’accordo è tanto più degno di nota in quanto che i collegamenti delle aste 
non erano a cerniera ma a chiodature, 


400 


Aste 


Montanti 


Contorno inferiore Contorno superiore 


PT, ie 


Traliccio 


I) 
‘| 0 


Nota — Gli sforzi positivi indicano tensioni. i negativi compressioni. Le va- 
riazioni As positive indicano allungamenti, le negative accorciamenti delle aste. | 


TT = dine lf e —T_ e — nn” — ager 
CIA 
= | dl Sl & 
a 


ELIA OVAZZA - SUL CALCOLO DELLE FRECCIE ELASTICHE 


Lunghezze 


| _ |] _—___ {1 | —— | | ee |-——__k 


> vide ole 


600,0 


603,1, 


601,6 
‘600,5 
600,1 


600:0 


‘277,5 
300.0) 


300,0 
‘300,0 


5372 
548,9 


601,4 
639,7 
‘639,7 
663,0 
‘663,0 
670,8 
670,8 


300,0! 
300,0| 


‘601,4! 


bros Sforzi 

cm | Cg cg 
17,92|+ 4,000) 0 
17,92/+ 1,000) 0 
17,92 + 1,000) 0 
17,92 + 1,000) 0 
17,02/4- 1,000) 0 
134,5 |— 10,628|— 0,592 
174,5 |— 17,881|— 1,087 
2145 |— 21,444|— 1,539 
214,5 |— 23,822|— 1,996 
245 |— 24,644|— 2,481 
124,0 |+ 5,731|+ 0,302 
124,0 (+ 57344 0,302 
124,0 (+ 14,267|4- 0,842 
164,0 + 19,533| + 1,307 
204,0 {+ 22,727|+ 1,757 
204,0 + 24,394] + 2,231 
129,4 |— 11,095|— 0,584 
76,4 |+ 8,864] + 0,526 
834 /.7,405|—- 0,507 
55,5 |+ 6,046|+ 0,486 
71,6 | 4,796|— 0,476 
51,5 |+ 4,098/+ 0,490 
63,5.|— 2,873|— 0,485 
424 (+ 2410|+ 0,528 
515 !— 1,288/— 0,526 
424 |+ 0,559/+ 0,559 


0,086 


Tensioni Variazioni 
unitarie: area 
ol A' s A” s 
Cs. 
per cm? cm, cm. 


+ 0,056|+ 25,67 
+ 0,056 
+ 0,056] + 31,53 
+ 0,056 
+ 0,056] + 33,48 
— 0,079|— 47,64 
— 0,099 — 59,74 
— 0,100|— 60,05 
— 0,111|— 66,67 
— 0,115| — 68,88 
+ 0,046] + 42,83 
+ 0,046] + 13,86 
+ 0,115] + 34,53 
+ 0,119] + 35,73 
+ 0,114|+ 33,42 
+ 0,120] + 35,88 
— 46,04 
+ 63,67 
— 53,40 
+ 65,49 
— 42,86 
+ 50,15 


+ 0,116 
— 0,089 
+ 0,109 
— 0,067 
+ 0,078 
— 0,045) — 29,97 
+ 0,057|+ 37,79 
— 0,025|— 16,77 
4- 0,013) + 8,85 


La tabella è limitata ad una sola metà della travatura. 
Torino, 1° Luglio 1888, 


— 2,65|+ 
— 3,75|+ 
— 481|+ 


— 5,58|+ 133,089 || ' 
— 6,94|+ 170,905 


+ 0,66] + 
— 0.75] + 
+ 2,04| + 
+ 2,39] + 
+2,58|+ 
+ 3,28|+ 
— 2,42|4+ 
+ 3,78|+ 
— 3,66 + 


+ 5,26|+ è 


— 4,25/+ 
+ 6,09) + 


+ 8,20) + 
— 6,86) + 
+ 8,84|+ 


Prodotti || 
ru $ 
E ad P 


58,719 


24,595 || 
_ 5,06|+ Tisazil 


28,191|| 
64,936 || 
92 ,399|| 


3,713]|. 
4,316|| 
29,067 || 
46,747 || 


20,414 


19,942 
8,828 


| 


4,950 


Tav XV. 


ni Ha) 


i io rigato 
; ! | (Scala di 118 


(in) Fig: 5: ! Ì A x 
3e (Scala di de100 ! I | delle ascisse 11409 cre See += 
NE E Sa A È Beal J delle ordinate parla linea ACB 40:1 S VI | 
Fig! t L > (pos) Sca \ n + perle linee AC B.AC,B, FHG i0:1. î 
= ; (Scala lai 1:00) i del diagramma AD fit | Aa 


| 3165 


3.004 3g I20. » 


begla dale: 
crdinale {:1) 


ulcalcolo delle freccre elastiche 


ser lo 


TRAVI RETICOLARI | 


Jug: bla Vvarta. 


pel diagramma a linee piene S5mm=10g. 
cala delle fore i . li atratti e punti sem=4Cg 


401 


Sulla neoproduzione del tessuto muscolare liscio. 


Esperimenti e ricerche 


del Dott. Tommaso BusacHl 


1. Il risultato delle mie ricerche su questo argomento e che 
ora esporrò, è già parzialmente noto per tre note preventive, nella 
prima delle quali (Giornale della R. Accademia di medicina, 
Torino Aprile 1886) comunicavo che dopo le ferite dell’intestino 
del cane si verifica aumento numerico delle fibre liscie per cario- 
cinesi: nella seconda (Centralblatt f. d. med., Wissensch, 1887 
n. 7) esponevo che lo stesso fatto accade nelle ferite della pro- 
stata e vescica (cane), intestino ed utero (coniglio, porcellino d’In- 
dia) ed intorno ai zaffi di un cancro nel prepuzio dell’ uomo: 
infine nella terza (Gazzetta medica di Torino, Aprile 1887) 
constatavo che nelle ipertrofie compensatorie dell’intestino, oltre 
l’ipertrofia si ba pure aumento numerico delle fibre liscie. 

Poco dopo me anche altri osservatori si occuparono dell’ar- 
gomento: così per le ferite STILLING e PrimzneR (Arch. f. milr. 
Anat. Vol. XXVIII) nello stomaco del tritone osservarono rige- 
nerazione del tessuto per scissione indiretta delle fibre muscolari 
preesistenti: RIrscHL ( Arch. di Virchow, Vol. 109) studiò le 
ferite nello stomaco, intestino ed utero del coniglio. ottenendo 
risultati simili a quelli da me prima enunciati, cioè nei margini 
della ferita scissione indiretta di fibre muscolari, che dura per 
un certo tempo e guarigione della ferita per cicatrizzazione con- 
nettiva. Dell’ ipertrofia, già prima di me, si occupò HERCZEL 
(Zeitsch. f. Klin. Medic., Vol. XI) concludendo che non si fa 
iperplasia, ma solo aumento di volume delle fibre liscie, nel che 
più tardi si accordò pure RITScHL (0p. cit.). 

Per vero già prima di noi l'argomento era pure stato stu- 
diato da altri, ma da una parte questi osservatori erano in dis- 
accordo fra di loro e dall’altra l’idea che ciascuno di essi soste- 
neva non poteva ritenersi sufficientemente dimostrata : talchè i più 


Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII, 32 


402 TOMMASO BUSACHI 


recenti autori confessavano ch’ erano necessari nuovi studii su 
questo argomento (FrEv, Das Mikroskop. — Recklinghausen , 
Handbuch der allg. Path. etc.). Ad ogni modo tre opinioni si 
contendevano il campo, cioè quella di K6LLIKER, che ammetteva 
neoproduzione di fibre liscie da elementi connettivi embrionali, 
quella di MorescHort e Piso-Borme dalle cellule preesistenti e 
la terza di ABy ed ARNOID, secondo cui nuovi elementi musco- 
lari potrebbero derivare da elementi connettivi già in completo 
sviluppo. 

%. Gli esperimenti sull’ipertrofia furono da me eseguiti prin- 
cipalmente nel coniglio, in cui seguendo le regole antisettiche feci 
delle stenosi intestinali non complete: uccisi poi gli animali 2, 3, 
4!/,, 5 giorni dopo l'operazione e trovai sempre che oltre le 
conseguenze dirette della stenosi, non era avvenuta alcun’ altra 
complicazione sia nel cavo peritoneale, che nella ferita stessa: i 
pezzi vennero trattati sia col metodo del prof. Bizzozero, che 
con quello di FLEMMING. 

Nel tratto superiore alla stenosi, fino alla distanza di 6 cm., 
ho dimostrato esistere ipertrofia ed iperplasia delle fibre muscolari. 
L’ipertrofia risulta da ciò che mentre normalmente (ARNOID nel 
manuale di StRICKER) i nuclei delle fibre liscie sono lunghi 15-22 {1 
e larghi 2-3, dopo cinque giorni dalla stenosi sono assai nu- 
merosi i nuclei lunghi 27-31 e larghi 7-11p.: fra gli altri un 
nucleo misurava 29. in lunghezza e 13 in larghezza. L’ au- 
mento in lunghezza è proporzionalmente minore di quello nel senso 
della larghezza, perciò il nucleo perde la forma a bastoncino e 
diventa ovale. 

Anche il corpo cellulare s’ipertrofizza: poichè mentre la lun- 
ghezza normale delle fibre muscolari (ARNOLD op. cit.) oscilla fra 
gli estremi di 45-230p, ho soventi osservato delle fibre lunghe 
590 p. 

Il protoplasma intorno al nucleo perde soventi la struttura 
omogenea e diventa granuloso. 

L'aumento numerico delle fibre lo si osserva già due giorni 
dopo la stenosi e più tardi si fa notevole sicchè, come si vede 
dalla fig. 1°, nel campo microscopico si hanno contemporanea- 
mente molte forme nucleari di scissione indiretta. Di più siccome 
la scissione avviene in elementi ipertrofici così ne sono assai evi- 
denti i diversi stadii (Vedi fig. 2-13): infine la si può osservare 
pure nelle sezioni trasversali alla direzione delle fibre (fig. 14). 


NEOPRODUZIONE DEL TESSUTO MUSCOLARE LISCIO 403 


Ho pure constatato lo stesso fatto nel porcellino d'India, invece 
quando nel cane si produce la stenosi con un’ansa di filo, questo 
incide la parte stenosata e mano mano si saldano fra di loro, 
per cicatrice connettiva, le due labbra della ferita, sicchè infine 
si ristabilisce completamente il lume intestinale. Perciò in que- 
st’animale provocai la stenosi completa con la resezione intesti- 
nale ed anche in esso osservai gli stessi fatti, già precedentemente 
constatati nel coniglio. 

8. Per lo studio della rigenerazione feci delle ferite, con 
piccola perdita di sostanza e senza alcuna sutura consecutiva, 
nell'intestino, vescica, utero, prostata, uretere del cane: le espe- 
rienze furono venti e con durata di tempo da 8 ore a 203 giorni. 

Riassumendo in breve il risultato dei miei esperimenti dirò 
che già dopo tre giorni dalla ferita avviene nella sua vicinanza 
ipertrofia e scissione indiretta in elementi connettivi ed in musco- 
lari: il numero degli elementi in scissione aumenta fino al quinto 
giorno e poi comincia a diminuire l’attività di moltiplicazione, 
sicchè al 22"° giorno nelle fibre muscolari non si hanno più segni 
di scissione e la perdita di sostanza è colmata da tessuto con- 
nettivo. Anche nelle ferite che datavano da lungo tempo, cioè 
da 60-87-203 giorni, ho sempre riscontrato il tessuto connet- 
tivo cicatriziale, il che esclude che possa venir sostituito da fibre 
muscolari, come avrebbero osservato STILLING e PrFITZNER nel 
tritone. 

4. Mi parve interessante controllare il risultato di questi 
esperimenti con pezzi patologici tolti dall’ «0mo e conveniente- 
mente fissati. Così in un caso d’ernia cangrenata, guarita colla 
resezione intestinale, sul pezzo afferente dell’ansa intestinale verificai 
esistere elementi muscolari in scissione indiretta: le ferite, come 
dagli esperimenti sugli animali, guariscono pure per cicatrice con- 
nettiva, se ciò si può dedurre da un caso, da me esaminato. 

5. Le meoplasie furono da me studiate in due fibro-miomi 
uterini: in ambedue ho constatato esistere degli elementi musco- 
lari in scissione indiretta : ma il loro numero è assai scarso, sicchè 
in molte sezioni non se ne riscontra affatto, mentre se ne possono 
osservare parecchie in una sola sezione. 

6. Concludendo adunque dalle mie ricerche risulta : 

a) Nell’ipertrofia compensatoria del tessuto muscolare liscio 
oltre l’ipertrofia si ha pure aumento numerico delle fibre mu- 


scolari ; 


404 TOMMASO BUSACHI 


5) Le fibre muscolari neoformate derivano dalle preesistenti 
per scissione indiretta; 

c) Le ferite del tessuto muscolare liscio guariscono per 
cicatrice connettiva: però nei primi giorni dopo le ferite si ha 
pure aumento numerico di fibre liscie ; 

d) I fibro-miomi crescono per moltiplicazione delle fibre 
muscolari preesistenti. 


SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. 


Tutte queste figure furono disegnate colla camera lucida. 


Fic. 1. Stenosi intestinale del coniglio, che data da quattro giorni 
e mezzo: sezione parallela alla direzione delle fibre 
circolari. In mezzo a nuclei ipertrofici se ne vedono 
altri in mitosi: a tre forme di gomitolo: d doppio 
astro : e tre forme di gomitoli figli, distanti più o 
meno fra di loro. (Koristka oc. 3, ob. 8). 


» 2. Stenosi coniglio precedente: forma di gomitolo (lungo 22 p.. 
e largo 11) in una sezione a 3 cm. dalla stenosi. 
(Koristka oc. 3, imm. om. di Zeiss },). 


» 3. Id. id. altra forma di gomitolo (lungo 29p): sezione a 
a 3 cm. dalla stenosi. (Koristka oc. 3, ‘ed imm. 
om. }, di Zeiss). 

» 4. Id. id. Gomitolo in cui è evidente la disposizione peri- 
ferica dei filamenti e la loro direzione perpendicolare 
all’asse longitudinale del nucleo (Koristka oc. 3, imm. 
om. }4,). 

» 5. Id. id. Piastra equatoriale col fuso acromatico e col pro- 
toplasma granuloso (Zeiss oc. 3 : imm. om. }K,). 


» 6. Id. id. Corona (Koristka oc. 3 : imm. om. Zeiss !/,,). 


xv 
“J 


. Id. id. Diastro, in cui le due parti sono poco distanti. 


» 8. Id. id. Diastro, in cui le due parti si sono già allonta- 
nate e nel quale il protoplasma è granuloso. 


Tav. XVI 


PEDALI] iì 

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Fig. 3 


Fig. 


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Fig.4 
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Torino, Lit.Salussolia 


Fio. 9. 


» 


10. 


Li: 


12. 


15. 


14. 


NEOPRODUZIONE DEL TESSUTO MUSCOLARE LISCIO 405 


Intestino di coniglio stenosato da due giorni. Forma di 
diaster, protoplasma granuloso, principio di strozza- 
mento del corpo cellulare. (Zeiss oc. 2, imm. om. ‘/,,). 


Ferita del tenue nel cane, fatta tre giorni prima. Diaster, 
protoplasma granuloso (Zeiss oc. 2: imm. om. ’/,,}. 


Stenosi intestinale nel coniglio, che data da quattro 
giorni e mezzo. Gomitoli figli, protoplasma leggermente 
granuloso, strozzamento del corpo cellulare, più mar- 
cato che nei casi precedenti. (Koristka oc. 3: imm. 
om. Zeiss !/,,). 


Id. id. Divisione completa del corpo cellulare. (Zeiss 
oc. 3: imm. om. !/,,). 


Stenosi intestinale del coniglio, che data da due giorni. 
Gomitoli figli più distanti che nella forma precedente, 
Strozzamento del protoplasma quasi completo. (Ko- 
ristka oc. 3: imm. om. Zeiss !/,3). 


Sezione delle fibre muscolari in direzione trasversa al loro 
nucleo. In a una fibra muscolare col nucleo in mitosi 
ed in cui è evidente l’ingrossamento del corpo cellu- 
lare, per rispetto alle fibre circostanti. 


406 QRESTE MATTIROLO 


Intorno al valore specifico della Pleospora sarcinulae 
e della Pleospora alternariae di Gibelli e Griffini. 


Ricerche sperimentali del Dott. Oreste MATTIROLO. 


Le ricerche sperimentali, i cui risultati riassumo brevemente 
in questa nota preventiva, avevano per scopo di riuscire alla 
decisione di una importante questione micologica controversa (1). 

Trattavasi di verificare con nuove serie di coltivazioni quale 
realmente fosse la causa delle notevolissime differenze ottenute 
successivamente dagli autori nello studio del ciclo evolutivo della 
Pleospora herbarum Tut. 

Coi bellissimi lavori dei fratelli TuLASNE (2) colle favolose 
concezioni di HAlLIER (3), colle affermazioni molte volte gratuite 
di FuckEL (4) e sopratutto colle ricerche sperimentali di GIBELLI 
e GRIFFINI (5), di BaukE (6), DE BaARY (7), KoHL (8), ci tro- 
vavamo in possesso di lavori per molti riguardi importantissimi 
ma che non erano assolutamente concordanti fra loro. 

La questione controversa dipendeva in fondo da ciò, che 
mentre alcuni autori ammettevano nel ciclo evolutivo della 


(1) Il lavoro completo si pubblicherà nei prossimi numeri della Malpighia 
(Messina). 

(2) L. R. TuLasne e C. TuLasne, Selecta Fungorum Carpologia, tom. II, 
pag. 260 e seg. Parigi 1863. 

(3) HaLLier, Unt. der pflanz. Org. welche die unter d. namen Gattine 
bek. Krank. der Seit. erz. Postdam 1868. — Die Muscardine des Kieferspin- 
ners. (Zeit. fur die Parasitenkunde). Vol. I, pag. 18. 

(4) L. FuckeL, Symbolae Mycologycae, pag. 130. Wiesbaden 1869. 

(5) GiseLLi e GRIFFINI, Sul Pleomorfismo della Pleospora herba- 
rum. Archivio trien. del laboratorio di Botanica crittogamica della Università 
di Pavia. Milano 1874, pag. 53 e seg. 

(6) Bauge, Beitrige zur Kenntniss der Pycniden. Dresden 1876. Nov. Act. 
der K. Leop. Car. AK. vol. XXXVIII, N. 5. 

— Zur Entwickelungsgesch. der Ascomyceten. Bot. Zeit. 1877. N. 20. 

(7) A. De Bary, Vergleichende Morph. und Biologie der Pilze. Leipzig 1884. 

(8) F. G. Konc, Ueber den Polymorphismus von Pleospora herba- 
rum. Tur. Botanisches Centrallblatt. Vol. XVI, N. 1. 1883, pag. 26. 


VALORE SPECIFICO DELLA PLEOSPORA SARCINULAE 407 


Pleospora herbarum Tur. un numero più o meno grande di 
forme secondarie, attribuendole tutte alla evoluzione di una sola 
specie; altri invece, consideravano comprese e confuse nella 
Pleospora herbarum TuL. due forme specifiche distinte e carat- 
teristiche, alle quali si dovevano attribuire le forme evolutive 
osservate. 

Come si scorge di leggieri la questione che doveva rimanere 
in un campo prettamente sperimentale, venne portata anche nel 
campo teorico e quindi ne venne, per questo riguardo, aumentata 
l’importanza e differita la soluzione, che era riservata alle sole 
ricerche sperimentali di coltivazione. 

Le osservazioni da me fatte ebbero specialmente riguardo: 

1° A stabilire se nei materiali infettati dal fungo in 
questione si trovasse sempre una unica specie di P/eospora, 0 
se invece non si fosse posto sufficiente attenzione a forme ana- 
loghe concomitanti, come osservarono GIBELLI e GRIFFINI e come 
sospettarono senza incontrarle De Bary e KouL. 

2° A stabilire l'identità e la sinonimia di queste forme. 

3° A coltivare le forme osservate per verificare il valore 
e la posizione naturale delle forme secondarie evolutive descritte 
dagli autori. 

Per gentile compiacenza dell’egregio prof. G. GiBELLI dispo- 
neva per queste ricerche di un materiale abbondantissimo e 
classico. 


i. 


L'osservazione diretta rispose egregiamente al primo quesito. 

Sopra 12 esemplari di P/eospora herbarum TuL. determi- 
nati dai più valenti micologi, mi accadde dopo pazienti ricerche, 
di trovare che in otto di essi tutti i pezzi del materiale erano 
invasi dalla sola P/eospora herbarum tipica (PI. sarcinulae 
GIBELLI et GRIFFINI (1)); ma che per lo contrario in quattro 
differenti esemplari questa forma tipica era accompagnata da 
un’altra forma periteciale analoga, corrispondente a quella de- 
scritta, figurata ed indicata dai signori GIBELLI e GRIFFIN! col 
nome di Pleospora alternariae. La Pleospora alternariae, mentre 


(1) Pleospora herbarum. TuL. (grosse Form - De BaRr, loc. cit. 102. 


408 ORESTE MATTIROLO 


è differentissima dalla Pleospora herbarum per la somma dei 
caratteri principali desunti dall’apparato ascoforo e dalle spore, 
è facilmente con essa confondibile per le caratteristiche morfo- 
logiche esterne. 

Risulta adunque che queste due specie distinte si incontrano 
realmente concomitanti, e che, come vedremo, si deve alla pre- 
senza delle loro spore nelle colture la confusione che malgrado 
le coscienziose e giuste ricerche di GIBELLI e GRIFFINI, seguì e 
segue tuttora a questo riguardo nella scienza. 


II. < 


Le due forme caratterizzate dagli Autori italiani, e delle 
quali pubblicheremo ampia e dettagliata descrizione, non sono 
forme nuove nel senso della parola, ma corrispondono a forme 
già conosciute. Noi crediamo però utile conservare i nomi loro 
imposti dal GiseLLI e dal GRIFFINI perchè ufficialmente adottati 
dal De Bary e perchè danno al micologo un concetto chiaro 
ed esatto della principale forma secondaria che caratterizza il 
loro ciclo evolutivo. 

Come principali sinonimie dei nomi proposti possiamo anno- 
verare le seguenti: 


Pleospora Sarcinulae. — GiseLLi e GRIFFINI (1874). 


Pleospora herbarum (Pers., RaB., D.NTRS., TUL., COOKE, 
SACCARDO... .). 


Pleospora Alternariae. — GiBELLI e GRIFFINI (1874). 


Pleospora herbarum. TuLas. et Aut. ex parte. 
» infectoria. FuckEL (1869). 
» vulgaris. NiessL (1876) (1). 


(1) Vedi più ampio quadro di sinonimia nella Monografia dei Generi 
Pleospora, Clathrospora e Pyrenophora di A. N. BeRLESE. Nuovo giornale 
botanico italiano, Firenze 1888, N. 1 e 2. — NB. Il Berlese in questo suo 
lavoro non si occupò menomamente di questa importante questione di mi- 
cologia sperimentale. 


VALORE SPECIFICO DELLA PLEOSPORA SARCINULAE 409 


HI. 


Riconosciuta così la presenza di queste due specie distinte 
e confuse assieme sopra uno stesso substratum, trattavasi ora di 
osservarne le forme evolutive secondarie e a questo scopo stabilii 
alcune serie di culture, fatte servendomi di spore appartenenti 
alle due specie e ricavate da esemplari classici. 

Le spore di Pleospora sarcinulae le ottenni da materiale 
determinato dall'illustre prof, PASSERINI. 

Le spore della Pleospora infectoria dall’esemplare n. 856 
Mycotheca universalis, del De THimEN raccolto nel 1873 dal 
sig. CH. B. PLOWRIGHT. 

Le semine fatte con materiale d’erbario furono inattive per 
più serie di colture, ma poi finalmente nuovo semine in pochi 
giorni mi condussero a risultati che superarono le mie aspettative 
e che mi lasciano credere di avere così risolto definitivamente 
‘ la questione, e la causa per cui tanto tempo si ritardò a ren- 
dere piena giustizia all’eccellente lavoro di GIBELLI e GRIFFINI. 

I risultati delle mie colture furono assolutamente identici a 
quelli di questi autori. I materiali adoperati, riconosciuti come 
specie distintissime da tutti i micologi, non permettono quindi 
di porre in dubbio le osservazioni dei botanici italiani. 

Dalle spore di Pleospora herbarum tipica, ottenni conidii a 
Sarcinula, identici a quelli descritti da tutti gli autori che si 
occuparono dell'argomento. Dalle spore di Pleospora infectoria 
ottenni invece abbondantissimi i conidii a tipo di Alternaria 
identici a quelli descritti dagli autori e riguardati come forme 
proprie della P/leospora herbarum (meno GIBELLI e GRIFFINI). 
Oltre a conidii ottenni pure una numerosa produzione di forme 
picnidifere. 


CONCLUSIONE. 


Risulta dalle osservazioni sopra riferite concordanti esatta- 
mente con quelle di GrgeLLI e GRIFFINI, che nella Pleospora 
herbarum, quale era descritta anticamente dagli autori, si con- 
fondevano due forme specifiche distinte e che per conseguenza 
le forme evolutive osservate finora non appartengono tutte ad 


410 


ORESTR MATTIROLO - VALORE SPECIFICO ECC. 


una sola specie. Il ciclo evolutivo delle due specie si può rias- 
sumere nel quadro seguente, nel quale noteremo a lato di cia- 
scuna forma metagenetica osservata, i nomi di quegli autori, che 
nelle loro coltivazioni dimostrarono sperimentalmente il nesso 
evolutivo derivato dalla forma ascofora principale. Alle due specie 
già assieme confuse, appartengono adunque e sono finora rico- 


nosciute le forme seguenti : 


PLEOSPORA SARCINULAE 


GIBELLI E GRIFFINI. 


Pleospora herbarum. Tulasne et 
Autorum. 


FORMA ASCOFORA. 


Macrosporium sarcinula (Co- 
nidia didyma, Tulasne. Tu- 
lasne, Gibelli e Griffini, Bauke, 
De Bary, Kohl, Mattirolo. 


FORMA CONIDIALE. 


È 


FORMA PICNIDIFERA (Tulasne, Gi- 
belli e Grìffini, Bauke). 


FoRMA AscoFroRra (Gibelli e Griffini, 
Bauke, Kohl). 


| 


FoRME MICROCONIDICHE (Bauke). 


FORME DI MICELII SCLEROZIATI 


(Bauke). 


Torino, R. Orto Botanico, 
6 Giugno 1888 


PLEOSPORA ALTERNARIAE 


GIBELLI e GRIFFINI. 


Pleospora infectoria, Fuckel. 


Pleospora vulgaris, Niessl. 
FORMA ASCOFORA. 


FORMA CONIDIALE — Alternaria 
tenuis, Neess (Gibelli e Griffini, 
Mattirolo ). 


FoRMA PICNIDIFERA - (Mattirolo). 


Forma Ascorora (Gibelli e Grif- 
fini ). 


Il Direttore della Classe 
ALronso Cossa. 


411 


INDICE 


DEL VOLUME XXIKII 


ADUNANZE della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali . . Pag. 
49, 103, 141, 167, 185, 197, 211, 221, 241, 277, 303, 325, 385. 


NUNANZARO Classi Uapitet (e toe avant ae deu IMECRE e » 
166, 276, 383. 
ConFERIMENTO del V premio BRESSA ......,.....,000. eee » 


Basso (Giuseppe) — Commemorazioni di Gustavo Roberto Kirchhoff Pag. 


BaTTELLI (Angelo) — Sulle variazioni della resistenza elettrica e del 
potere termoelettrico del nichel al variare della temperatura; 
Ernie spor eni e RO a » 


BELLARDI (LUIGI) — Relazione sulla Memoria del Prof. F. Sacco inti- 
tolata « Aggiunta alla Fauna malacologica estramarina fossile 


deliPiomanielezdella Lignano gig cio » 
BusacHi (Tommaso) — Sulla neoproduzione del tessuto muscolare liscio ; 
WARSERREROL E FICOLCHO: Lo narnia nn e » 
CHARRIER (Angelo) — Lavori eseguiti all'Osservatorio astronomico di 
IR AREA A AT Ia pi IRSA Bi tia PP » 
133, 207. 
Cossa (Alfonso) — Relazione della 5° Giunta per il premio BRESSA 
(quadriennio 1883-86) .......... 2. itecar conce RISE, 
—— Rieletto a Direttore per un altro triennio ..................- » 
D’Ovipio (Enrico) — Relazione intorno alla Memoria del Dottore 


C. SeGRE « Sulle varietà cubiche dello spazio a quattro di- 
mensioni e su certi sistemi di rette e certe superficie dello 
spazio. ordinario ..:.....:0.20 100000 renre eee ne ene ni oe » 


ERRERA (Giorgio) — Sugli eteri nitrobenziletilici ................». » 


— Derivati degli alcoli. Parabromo e Paraclorobenzilico ...... suit» 


169 


238 


401 


98 


137 
276 


104 
297 
346 


412 INDICE DEL VOL. XXIII 


FERRARIS (Galileo) — Rotazioni elettrodinamiche prodotte per mezzo 


dr eolrenti alternate... 20 seg apaeaca pope eo ET Pag. 


GaLEAZZI (Riccardo) — Sugli elementi nervosi dei muscoli di chiu- 
“e e LA Lee een pd dc egtre * 


Giacomini (Carlo) — Su alcune anomalie di sviluppo dell'embrione 


Grassi (B.) — Taenia flavopunctata WE1N, Taenia leptocephala CREPLIN, 


Terza: diminalà ‘Rup'2:4. RIA . 


GriMaLpI (Gio. Pietro) — Influenza della tempera sulle proprietà ter- 


ripolettriche-delsbasngato < . ...:3 <.<: SORRISO et SIG 
JADANZA (Nicodemo) — Sul calcolo degli azimuti mediante le coordi- 
nate seetulinenii inietta our vegan 
-—— Una nuova forma di cannocchiale ........- RR e I 


— Sullo spostamento della lente anallatica e sulla verticalità della 
SAGA e RO ae Ie VO So 


Lusrie (Alessandro) — Sulle cellule epiteliali nella regione olfattiva 
deghzembrionif: soa Ma ine ana ap 


MartiROLO (Oreste) — Sopra alcuni movimenti igroscopici nelle Epa- 
nepe, Marcin Se da eg ana I 


—— Intorno al valore specifico della Pleospora Sarcinulac e della 
Pleospora Alternariae di Gibelli e Griffini; — Ricerche speri- 
mentali. ra bo po ia 


MONTEMARTINI (Clemente) — Sulla composizione di alcune roccie della 
mie di; Dizapas Nola uciorinzi -soeRi° tte sissie serbe 


MoRERA (G.) — Sul problema della corda vibrante; Memoria ....... 


NaccarI (Andrea) — Sui calori specifici di alcuni metalli dalla tem- 
peratura ordinaria fino a 320°; Nota .......... Api doge fa 


Naccari (Andrea) — Sulla variazione del calore specifico del mercurio 
al crescere della temperatura; Nota ........... _a1a4 SOS A 


OEHL (E) — Contribuzione allo studio della circolazione del sangue. 
OmopeI (D.) — V. VICENTINI (G.) 


Ovazza (Elia) — Sul calcolo delle deformazioni dei Sistemi artico- 
Fat Mot). SIIGIDI. AME, DEIPIDI VIII. vi ARIE] li 


-— Sul calcolo delle freccie elastiche delle travi reticolari; Nota. 


PioLTI (Giuseppe) — Sulla Cossaite del colle di Bousson (alta valle di 
Susa); Osservazioni .inibjstznsdastir ani Hadid di hei 


PizzETTI (P.) — Gli azimut reciproci di un arco di geodetica; Nota . 


» 


» 


222 


340 


106 


314 


358 


61 
198 


354 


212 


327 


187 
281 


INDICE DEL VOL. XXIII 


413 


Porro (Francesco) — Intorno all’ecclisse totale di Luna del 28 gen- 
MAO SSRO ER E iis Pag. 192 
Sacco (Federico) — Studio geologico dei dintorni di Guarene d’Alba » 116 

SALVADORI (Tommaso) — La Aegialitis asiatica (PALL) trovata per la 
prima” volta indialia .-.-.-.-.+.--.. iene ennio » 44 

—— Relazioni intorno alla Memoria del Dott. Daniele Rosa « Sulla 
struttura dell’Hormogaster Redii. .............0.00.000.... » 186 

I 

—- Relazione sulla Monografia degli Ofidi italiani (parte 1°, Viperidi) 
del Prof. L. CAMERANO.......... SIR RR I 5 I O ALA » 386 

SansonI (Franceseo) — Note di mineralogia italiana — Datolite e Cal- 
cite di Montecatini (valle di Cecina) .....................0- » 1492 

Sracci (F.) — Sulla compensazione delle poligonali che servono di base 
EAT ie TT RA A RT ARRE TA A ST » 278 

Spezia (Giorgio) — Sulla origine del gesso micaceo e anfibolico di val 
Cherasca nell’Ossola ...-........-. LANE CORSA La da Nar »i. da 

VICENTINI (G.) e OmopEI (D.) — Sulla densità di alcuni metalli allo 
stato liquido e sulla loro dilatazione termica. ............. VIS 
VogLINo (P.) — Illustrazione di due Agaricini italiani ............. » 308 

ZANOTTI Bianco (Ottavio) — Alcuni teoremi sui coefficienti di Legendre; 
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SOMMARIO 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


ADUNANZA del 1° Luglio 1888... 0.4 Pag. 385 


SaLvapori — Relazione sulla Memoria del Dott. Lorenzo CaMERANO, 
intitolata: « Monografia degli Ofidi italiani - Parte 1% + Vi- 
VIT, g 1 (38° DIR OE a TU nia TT N a RTRT » 386 


Ovazza — Sul calcolo delle freccie elastiche delle travi reticolari. ., » 389 
BusacHi — Sulla neoproduzione del tessuto muscolare liscio... . » 404 


MatTIROLo — Intorno al valore specifico della Pleospora sarcinulae 
e della Pleospora alternariae di Gibelli e Griffini, ...,... » 406 


Inujor:del: Volume: XLI erica enne Sa e IT » All 


ow- NB. A questa dispensa va unita la Tavola XII relativa 
alla Memoria del Dott. P. VogLino su Due Agaricini 
italiani, pubblicata nella dispensa 13 e 14, pag. 338. 


Torino - Tip. Reale-Faravia. 


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