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Full text of "Atti della Reale Accademia delle scienze di Torino"

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FOR THE ‘PEOPLE 
FOR EDVCATION 
FOR SCIENCE 


OF 
THE AMERICAN MUSEUM 
OF 
NATURAL HISTORY 


BY GIFT OF 


OGDEN MILLS 


ATTI 


DELLA 


R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


DI TORINO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


VOLUME TRENTUNESIMO 
1895-96 


New York Academy of Sciences 


Rec'a.28 vuly--12 Sapt. 1890 


TORINO 
CARLO CLAUSEN 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


1895 


29-113/S2- Ru9/7 


E SIRO TE n ge 


ELENCO 


DEGLI 


ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI 
STRANIERI E CORRISPONDENTI 


aL 17 NoveMBRE Mpcccxcv. 


PRESIDENTE 


CARLE (Giuseppe), Dottore aggregato e Preside della Facoltà 
di Leggi, Professore di Filosofia del Diritto nella R. Università di 
Torino, Membro del Consiglio Superiore della Istruzione Pubblica, 
Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, #, Comm. es. 


VIcE-PRESIDENTE 


Cossa (Alfonso), Dottore in Medicina, Direttore della Regia 
Scuola d’Applicazione degli Ingegneri in Torino, Professore di 
Chimica docimastica nella medesima Scuola, e di Chimica mi- 
nerale presso il R. Museo Industriale Italiano, Socio Nazionale 
della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Ita- 
liana delle Scienze, Corrispondente del R. Istituto Lombardo 
di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere 
ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, 
e della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Socio Corrispondente 
della R. Accademia delle Scienze di Berlino, Socio ordinario non 
residente dell'Istituto d’Incoraggiamento alle Scienze naturali 
di Napoli, Presidente della Reale Accademia di Agricoltura di 
Torino, e Socio dell’Accademia Gioenia di Catania, Socio ef- 
fettivo della Società Imperiale Mineralogica di Pietroburgo, 


— Comm. &, €, e dell'O. d’Is. Catt. di Sp. 


IV 
TESORIERE 


CameRrANO (Lorenzo), Dottore aggregato alla Facoltà di 
Scienze fisiche, matematiche e naturali, Professore di Anatomia. 
comparata e di Zoologia e Direttore dei Musei relativi nella 
R. Università di Torino, Socio della R. Accademia di Agricol- 
tura di Torino, Membro della Società Zoologica di Francia, 
Membro corrispondente della Società Zoologica di Londra. 


CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Direttore 


D’Ovipio (Enrico), Dottore in Matematica, Professore ordi- 
nario di Algebra e Geometria analitica, incaricato di Analisi 
superiore, e Preside della Facoltà di Scienze fisiche, matematiche 
e naturali nella R. Università di Torino, Uno dei XL della Società 
Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei 
Lincei, Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di 
Napoli, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio 
dell’Accademia Pontaniana, delle Società matematiche di Parigi 
e Praga, ecc., Uffiz. &, Comm. es. 


Segretario 


NaccarI (Andrea), Dottore in Matematica, Professore di 
Fisica sperimentale nella R. Università di Torino, Socio Cor- 
rispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 
e della R. Accademia dei Lincei, Uffiz. &, ©. 


ACCADEMICI RESIDENTI 


SaLvapori (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chi- 
rurgia, Vice-Direttore del Museo Zoologico della R. Università 
"di Torino, Professore di Storia naturale nel R. Liceo Cavour di 
Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della 
Società Italiana di Scienze Naturali, dell’Accademia Gioenia di 
Catania, Membro Corrispondente della Società Zoologica di 
Londra, dell’Accademia delle Scienze di Nuova York, della So- 
cietà dei Naturalisti in Modena, della Società Reale delle Scienze 
di Liegi, e della Reale Società delle Scienze Naturali delle Indie 
Neerlandesi, e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed 
Arti, Membro effettivo della Società Imperiale dei Naturalisti 
di Mosca, Socio Straniero della British Ormithological Union, 
Socio Straniero onorario del Nuttall Ornithological Club, Socio 
Straniero dell’ American Ornithologists Union, e Membro onorario 
della Società Ornitologica di Vienna, Membro ordinario della So- 
cietà Ornitologica tedesca, Uffiz. «2, Cav. dell'O. di S. Giacomo 
del merito scientifico, letterario ed artistico (Portogallo). 


Cossa (Alfonso), predetto. 


Berruti (Giacinto), Direttore del R. Museo Industriale Ita- 
liano e dell’Officina governativa delle Carte-Valori, Socio della 
R. Accademia di Agricoltura di Torino, Membro del Consiglio Su- 
periore delle Miniere, Gr. Uffiz. e; Comm. +, dell’O. di Francesco 
Giuseppe d'Austria, della L.‘d’O. di Francia, e della Repubblica 
di S. Marino. 


D'Ovipro (Enrico), predetto. 


Bizzozero (Giulio), Senatore del Regno, Professore e Diret- 
tore del Laboratorio di Patologia generale nella R. Università 
di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei e delle 
RR. Accademie di Medicina e di Agricoltura di Torino, Socio 
Straniero dell’ Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica 
Naturae Curiosorum, Socio Corrispondente del R. Istituto Lom- 


vil 


bardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, 
Lettere ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di 
Bologna, Membro del Consiglio Superiore di Sanità, ecc. Uffiz. * 
e Gr. Uffiz. em. 


FeRrRARIS (Galileo), Ingegnere, Dottore aggregato alla Fa- 
coltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Uni- 
versità di Torino; Professore di Fisica tecnica e Direttore del 
Laboratorio di Elettrotecnica nel R. Museo Industriale Italiano, 
Prof. di Fisica nella R. Scuola di Guerra, Membro del Comitato 
Internazionale dei pesi e delle misure e della Commissione Su- 
periore metrica; Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, 
Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Corrispondente 
del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Socio onorario 
della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, Socio 
della R. Accademia di Agricoltura di Torino; Socio Straniero 
dell’Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae 
Curiosorum, Membro onorario della Società di Fisica di Franco» 
forte sul Meno, e dell’Associazione degli Ingegneri elettricisti 
dell'Istituto Montefiore di Liegi; Uff. &; Comm. e, dell'O. di 
Franc. Gius. d'Austria e dell'O. reale della Corona di Prussia. 


Naccari (Andrea), predetto. 


Mosso (Angelo), Dottore in Medicina e Chirurgia, Profes- 
sore di Fisiologia nella R. Università di Torino, Socio Nazionale 
della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia di Medicina 
di Torino, Socio onorario della R. Accademia medica di Roma, 
dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania, della 
R. Accademia medica di Genova, Socio dell’Accademia delle 
Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio Corrispondente del R. Isti- 
tuto Lombardo di Scienze e Lettere, e del R. Istituto Veneto di 
Scienze, Lettere ed Arti, dell’ Academia Caesarea Leopoldino-Caro- 
lina Germanica Naturae Curiosorum, della Società Reale di Scienze 
mediche e naturali di Bruxelles, della Società fisico-medica di 
Erlangen, ecc. ecc., &, Comm. «s. 


SPEZIA (Giorgio), Ingegnere, Professore di Mineralogia e Di- 
rettore del Museo mineralogico della Regia Università di Torino, =. 


VII 


GiseLLI (Giuseppe), Dottore in Medicina e Chirurgia, Pro- 
fessore di Botanica e Direttore dell’Orto botanico della R. Uni- 
versità di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, 
Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, 
dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, &, €». 


Giacomini (Carlo), Dottore aggregato in Medicina e Chirurgia, 
Professore di Anatomia umana, descrittiva, topografica ed Isto- 
logia, Corrispondente dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto 
di Bologna, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino 
e Direttore dell’Istituto Anatomico della Regia Università di 
Torino, *, es». 


CameRrANO (Lorenzo), predetto. 


Seere (Corrado), Dottore in Matematica, Professore di Geo- 
metria superiore nella R. Università di Torino, Corrispondente 
della R. Accademia dei Lincei e del R. Istituto Lombardo di 
Scienze e Lettere, e. 


Pravo (Giuseppe), Dottore in Matematica, Professore di Cal- 
colo infinitesimale nella R. Università di Torino, Socio della “ So- 
ciedad Cientifica , del Messico, Socio e Membro del Consiglio 
direttivo del Circolo Matematico di Palermo. 


VoLrerra (Vito), Dottore in Fisica, Professore di Meccanica 
razionale nella R. Università di Torino, e. 


JADANZA (Nicodemo), Dottore in Matematica, Professore 
di Geodesia teoretica nella R. Università di Torino e di Geo- 
metria pratica nella R. Scuola d’Applicazione per gl’Ingegneri, 
Socio dell’Accademia Pontaniana di Napoli, e. 


Foà (Pio), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di 
Anatomia Patologica nella R. Università di Torino, Socio Na- 
zionale della R. Accademia dei Lincei, es. 


VIII 


ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI 


MenaBREA (S. E. Luigi Federigo), Marchese di Val Dora, 
Senatore del Regno, Professore emerito di Costruzioni nella 
R. Università di Torino, Tenente Generale, Primo Aiutante 
di campo Generale Onorario di S. M., Uno dei XL della Società 
Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia 
dei Lincei, Corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia 
delle Scienze), Membro Onoraric del R. Istituto Lombardo di 
Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere 
ed Arti, della R. Accademia di Lettere e Scienze di Modena, 
Uffiziale della Pubblica Istruzione di Francia, ecc.; C. O. S. 
SS. N., Gr. Cr. e Cons. *, Cav. e Cons. ©, Gr. Cr. 8, «, 
dec. della Medaglia d’oro al Valor Militare e della Med. d’oro 
Mauriziana; Gr. Cr. dell'O. Supr. del Serafino di Svezia, dell’O. 
di S. Alessandro Newski di Russia, di Danebrog di Danim., Gr. 
Cr. dell'O. di Torre e Spada di Portogallo, dell'O. del Leone 
Neerlandese, di Leop. del Belg. (Categ. Militare), della Probità 
di Sassonia, della Corona di Wurtemberg, e di Carlo II di Sp., 
Gr. Cr. dell'O. di S. Stefano d'Ungheria, dell'O. di Leopoldo 
d'Austria, di quelli della Fedeltà e del Leone di Zihringen di 
Baden, Gr. Cr. dell'Ordine del Salvatore di Grecia, Gr. Cr. del- 
l’Ordine di S. Marino, Gr. Cr. degli Ordini del Nisham Ahid e 
del Nisham Jftigar di Tunisi, Gr. Cr. dell'Ordine della L. d’O. 
di Francia, di Cristo di Portogallo, del Merito di Sassonia, di 
S. Giuseppe di Toscana, Dottore in Leggi, honoris causa, delle 
Università di Cambridge e di Oxford, ecc., ecc. 


BrroscHi (Francesco), Senatore del Regno, Direttore del 
R. Istituto tecnico superiore di Milano, Presidente della R. Acca- 
demia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, 
Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della 
Reale Accademia delle Scienze di Napoli, dell'Istituto di Bo- 
logna, ecc., Corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia 
delle Scienze, Sezione di Geometria), e delle Reali Accademie 
delle Scienze di Berlino, di Gottinga, di Pietroburgo, del Belgio, 
di Praga, di Erlangen, ecc., Dottore ad honorem delle Università 


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di Heidelberg e di Dublino, Membro delle Società Matema- 
tiche di Parigi e di Londra e delle Filosofiche di Cambridge 
e di Manchester, Gr. Cord. &, della Legion d’Onore; es, =, 


Comm. dell'O. di Cr. di Port. 


Cannizzaro (Stanislao), Senatore del Regno, Professore di 
Chimica generale nella R. Università di Roma, Uno dei XL della 
Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Acca- 
demia dei Lincei, Socio Corrispondente dell’Accademia delle 


Scienze di Berlino, di Vienna e di Pietroburgo, Socio Straniero 


della R. Accademia delle Scienze di Baviera e della Società 
Reale di Londra, Comm. «, Gr. Uffiz. ©»; =. 


ScnrapARELLI (Giovanni), Direttore del R. Osservatorio 
astronomico di Milano, Uno dei XL della Società Italiana delle 
Scienze, Socio del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, 
della R. Accademia dei Lincei, dell’Accademia Reale di Napoli 
e dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Socio 
Corrispondente dell’Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, 
Sezione di Astronomia), delle Accademie di Monaco, di Vienna, 
di Berlino, di Pietroburgo, di Stockolma, di Upsala, di Cracovia, 
della Società de’ Naturalisti di Mosca e della Società astrono- 
mica di Londra, Gr. Cord. e; Comm. %; ©. 


Sraccr (Francesco), Senatore del Regno, Colonnello d’Arti- 
glieria nella Riserva, Professore onorario della R. Università di 
Torino, Professore ordinario di Meccanica razionale ed Incaricato 
della Meccanica superiore nella R. Università di Napoli; Uno dei 
XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della 
R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, 
e dell’Accademia Pontaniana; Corrispondente del R. Istituto Lom- 
bardo di Scienze e Lettere, e dell’Accademia delle Scienze del- 
l’Istituto di Bologna; Uff. &, Comm. i, Cav. del Merito Militare 
di Spagna. 


Cremona (Luigi), Senatore del Regno, Professore di Mate- 
matica superiore nella R. Università di Roma, Direttore della 
Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri, Membro del Consiglio 
superiore della Pubblica Istruzione, Presidente della Società 


x 


Italiana delle Scienze (detta dei XL), Socio Nazionale della R. Ac- 


cademia dei Lincei, Socio del R. Istituto Lombardo, del R. Isti- 


tuto d’Incoraggiamento di Napoli, dell’Accademia delle Scienze 
dell'Istituto di Bologna, delle Società Reali di Londra, di Edim- 
burgo, di Gottinga, di Praga, di Liegi e di Copenaghen, delle 
Società matematiche di Londra, di Praga e di Parigi, delle Reali 
Accademie di Napoli, di Amsterdam e di Monaco, Membro 
onorario dell’Insigne Accademia romana di Belle Arti detta di 
San Luca, della Società Filosofica di Cambridge e dell’ Associa- 
zione britannica pel progresso delle Scienze, Membro Straniero 
della Società delle Scienze di Harlem, Socio Corrispondente delle 
Reali Accademie di Berlino e di Lisbona, Dottore (LL. D.) del- 
l’Università di Edimburgo, Dottore (D. Sc.) dell’Università di 
Dublino, Professore emerito nell'Università di Bologna, Gr. 
Uffiz. &, Gr. Cord. «2, Cav. e Cons. ©. 


BeLTRAMI (Eugenio), Professore di Fisica matematica nella 
R. Università di Roma, Socio Nazionale della R. Accademia 
dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, 
Socio effettivo del R. Istituto Lombardo e della R. Accademia 
delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio estero della R. Ac- 
cademia di Gottinga, Socio Corrispondente della R. Accademia. 
di Berlino, della Società Reale di Napoli, dell'Istituto di Francia 
(Accademia delle Scienze, Sezione di Meccanica), della Società 
Matematica di Londra, Comm. %; ee, =. 


ACCADEMICI STRANIERI 


Hermte (Carlo), Professore nella Facoltà di Scienze, Parigi. 
WeierstRass (Carlo), Professore nell'Università di Berlino. 
THomson (Guglielmo), Professore nell'Università di Glasgow. 
GecENBAUR (Carlo), Professore nell'Università di Heidelberg. 
VircHow (Rodolfo), Professore nell’ Università di Berlino. 


KoeLLiKER (Alberto von), Professore nell’ Università di 
Wirzburg. 


CORRISPONDENTI 


SEZIONE 
DI MATEMATICHE PURE 


Tarpy (Placido), Professore emerito della 
R. Università di Genova 


CanroRr (Maurizio), Prof. nell'Università di 


Scnwarz (Ermanno A.), Professore nella 
Università di . 


KLEIN (Felice), Professore nell'Università di 


Dini (Ulisse), Professore di Analisi supe- 
riore nella R. Università di 


Bertini (Eugenio), Professore nella Regia 
Università di . 


Darsoux (G. Gastone), dell’Istit. di Francia 
Porncaré (G. Enrico), dell’Istit. di Francia 


NoerHER (Massimiliano), Professore nell’ Uni- 
versità di 


BrancHi (Luigi), Professore nella R. Uni- 
versità di 


Lie (Sophus), Professore nella R. Univer- 
MR RR + PALIO ATA Mor et 


Firenze 


Heidelberg 


Gottinga 


Gottinga 


Pisa 


Pisa 
Parigi 


Parigi 


Erlangen 


Pisa 


Lipsia. 


XII 


SEZIONE 


DI MATEMATICHE APPLICATE, ASTRONOMIA 
E SCIENZA DELL’INGEGNERE CIVILE E MILITARE 


FergoLAa (Emanuele), Professore di Analisi 
superiore nella R. Università di . . . . . . Napoli 


TaccHINI (Pietro), Direttore dell’Osserva- 
torio del Collegio Romano . . . . . . .. Roma 


FaseLLA (Felice), Direttore della Scuola na- 
vale Superiore di diluvio Ue: er LoiziveniGenona 


HoPpxInson (Giovanni), della Società Reale di Londra 
ZEUNER (Gustavo), Profes. nel Politecnico di Dresda 


Ewine (Giovanni Alfredo), Professore nel- 
lUmwersità| di oa iii E Iene AdereniE 


Lorenzoni (Giuseppe), Prof. nella R. Uni- 


versità di Padova 


SEZIONE 
DI FISICA GENERALE E SPERIMENTALE 


BLAsERNA (Pietro), Professore di Fisica spe- 
rimentale nella R. Università di. . . . . . Roma 


‘ KonLRAUSCH (Federico), Presidente dell’Isti- 
tuto Fisico-Tecnico in . . . . . . . . .. Charlottenburg 


Cornu (Maria Alfredo), dell’Istit. di Francia Parigi 


FeLici (Riccardo), Professore di Fisica spe- 
rimentale nella R. Università di. 


ViLLarI (Emilio), Professore nella R. Uni- 
versità di 


Rorri (Antonio), Professore nell'Istituto di 
Studi superiori pratici e di perfezionamento in 


WieDEMANN (Gustavo), Professore nell’Uni- 
versità di 


Rieni (Augusto), Professore di Fisica spe- 
rimentale nella R. Università di 


LrippmAnN (Gabriele), dell'Istituto di Francia 


BaRroLI (Adolfo), Professore di Fisica nella 
R. Università di . 


RavLEIrH (Lord Giovanni Guglielmo), Pro- 
fessore nella “ Royal Istitution , di 


SEZIONE 


Pisa 


Napoli 


Firenze 


Lipsia 


Bologna 


Parigi 


Pavia 


Londra 


DI CHIMICA GENERALE ED APPLICATA 


Bonsean (Giuseppe) 
PLanraMouR (Filippo), Prof. di Chimica 
WixL (Enrico), Professore di Chimica . 


Bunsen (Roberto Guglielmo), Professore di 
Chimica . 


BerrHELOT (Marcellino), dell’Istit. di Francia 


Chambéry 
Ginevra 


Giessen 


Heidelberg 


Parigi 


XIII 


XIV 


ParEeRNÒ (Emanuele), Professore di Chimica 
nella R. Università di... uo ibidtizioni ti E Palermo 


KorNER (Guglielmo), Professore di Chimica 
organica nella R. Scuola super. d’Agricoltura in. Milano 


FrIepEL (Carlo), dell’Istituto di Francia . Parigi 
FresenIus (Carlo Remigio), Professore a . Wiesbaden 


BaEyER (Adolfo von), Professore nell’Uni- 
WISTS ARTI 


KekuLE (Augusto), Prof. nell'Università di Bonn 


Winuiamson (Alessandro Guglielmo), della 
TIRI SISMI ROMEO RCA RR Pa Si 


THomsen (Giulio), Prof. nell'Università di. Copenaghen 
LieBEn (Adolfo), Professore nell'Università di Vienna 


MenpELEJEFF (Demetrio), Professore nel- 
l'Tmp. Università di... 0.6. Li Rea 


Horr (J. H. van’t), Prof. nell'Università di Amsterdam 


SEZIONE 


DI MINERALOGIA, GEOLOGIA E PALEONTOLOGIA 


Striiver (Giovanni), Professore di Minera- 
logia nella R. Università di . . . . . . . Roma 


RosenBuscH (Enrico), Prof. nell'Università di Heidelberg 


NorpensKI6LD (Adolfo Enrico), della Reale 
Accademia delle Scienze di . 


DauBrfe (Gabriele Augusto), dell’ Istituto 
di Francia, Direttore della Scuola Nazionale 
delle Miniere a 


ZirkeL (Ferdinando), Professore a 


Des CLorzeAux (Alfredo Luigi Oliviero Le- 
aranD), dell'Istituto di Francia . 


CAPELLINI (Giovanni), Professore nella Regia 
Università di . 


TscHERMAK (Gustavo), Prof. nell'Università di 


ArzruNI (Andrea), Professore nell'Istituto 
tecnico sup. (technische Hochschule) 


KLern (Carlo), Professore nell'Università di 


Gerkie (Arcibaldo), Direttore del Museo 
di Geologia pratica . 


Fouqué (Ferdinando Andrea), Professore 
nel Collegio e membro dell'Istituto di Francia 


SEZIONE 


XV 


Stoccolma 
Parigi 
Lipsia 
Parigi 


Bologna 


Vienna 


Aquisgrana 


Berlino 
Londra 


Parigi 


DI BOTANICA E FISIOLOGIA VEGETALE 


Trévisan pe Sarnt-Lfon (Conte Vittore), 


Corrispondente del R. Istituto Lombardo 


GENNARI (Patrizio), Professore di Botanica 
nella R. Università di 


Milano 


Cagliari 


XVI 


CarUEL (Teodoro), Professore di Botanica 
nell'Istituto di Studi superiori pratici e di per- 
fezionamento in 


Arpissone (Francesco), Professore di Bota- 
nica nella R. Scuola superiore d’Agricoltura in 


SaccarDo (Andrea), Professore di Botanica 
nella R. Università di 


Hooxger (Giuseppe DaLton), Direttore del 
Giardino Reale di Kew . 


SacHs (Giulio von), Prof. nell'Università di 


DeLPINo (Federico), Professore nella R. Uni- 
versità di 


PirortA (Romualdo), Professore nella Regia 
Università di 


STRASBURGER (Edoardo), Professore nell’Uni- 
versità di 


MarTIROLO (Oreste), Professore nella R. Uni- 
versità di 


SEZIONE 
DI ZOOLOGIA, ANATOMIA E FISIOLOGIA 


De SeLvs LonecHamPs (Edmondo) 
PaiLipPI (Rodolfo Armando) 


GoLei (Camillo), Professore nella R. Univer- 
sità di 


Firenze 


Milano 


Padova 


Londra 


Wiireburg 


Napoli 


Roma 


Bonn 


Bologna 


COMPARATA 


Liegi 


Santiago (Chili) 


Pavia 


HarcKEL (Ernesto), Prof. nell'Università di 


ScLaTER (Filippo LurLEY), Segretario della 
Società Zoologica di . 


Faro (Vittore), Dottore 


KovaLewskI (Alessandro), Professore nel- 
l’Università di . 


Locarp (Arnould), dell’ Accademia delle 
Scienze di DEA LE LI RE DIET È 


CHauveAU (G. B. Augusto), Membro dell’Isti- 


tuto di Francia Professore alla Scuola di Medi- . 


cina di 
Foster (Michele), Profess. nell'Università di 


HEINDENHAIN (Rodolfo), Professore nell’Uni- 
versità di 


WALDEYER (Guglielmo), Professore nell’Uni- 
versità di 


GuenTHER (Alberto), Direttore del Diparti- 
mento zoologico del Museo Britannico di 


FLoweR (Guglielmo Enrico), Direttore del 
Museo di Storia naturale 


Epwarps (Alfonso ALI Membro del- 
l’Istituto di Francia. PRIULI DL i, 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 


Jena 


Londra 


Ginevra 


Odessa 


Lione 


Parigi 


Cambridge 


Breslavia 


Berlino 


Londra 


Londra 


Parigi 


XVII 


XVIII 


CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE B FILOLOGICHE 


Direttore 


CLARETTA (Barone Gaudenzio), Dottore in Leggi, Socio e 


Segretario della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, 


Presidente della Società di Archeologia e Belle Arti per la 
Provincia di Torino, Membro della Commissione conservatrice 
dei monumenti di antichità e belle arti della Provincia ecc., 
Comm. &, Gr. Uffiz. es. 


Segretario 


FerRERO (Ermanno), Dottore in Giurisprudenza, Dottore ag- 
gregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia e Professore di Archeo- 
logia nella R. Università di Torino, Professore di Storia militare 
nell'Accademia Militare, R. Ispettore per gli scavi e le scoperte 
di antichità nel Circondario di Torino, Consigliere della Giunta 
Superiore per la Storia e l’Archeologia, Membro della Regia De- 
putazione sovra gli studi di Storia patria per le antiche Provincie 
e la Lombardia, Membro e Segretario della Società di Archeo- 
logia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Socio Corrispon- 
dente della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie di 
Romagna, dell’Imp. Instituto Archeologico Germanico e della 
Società Nazionale degli Antiquarii di Francia, fregiato della 
Medaglia del merito civile di 1 cl. della Rep. di S. Marino, ess. 


ACCADEMICI RESIDENTI 


Pryron (Bernardino), Professore di Lettere, Bibliotecario 
Onorario della Biblioteca Nazionale di Torino, Socio Corrispon- 
dente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Gr. 
Uffiz. &, Uffiz. &». 


} 


sai n : ; 
i XIX 


VALLAURI (l'ommaso), Senatore del Regno, Dottore aggregato 
alla Facoltà di Lettere e Filosofia e Professore di Letteratura 
latina nella Regia Università di Torino, Membro della Regia 
— Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Accademico d'onore 
. della Romana Accademia delle Belle Arti di San Luca, Socio 
. Corrispondente della R. Accademia della Crusca, del R. Istituto 
— Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia Romana 
di Archeologia, del Circolo Filologico di Torino, della Società 
. Emulatrice per le Scienze e le Arti in Italia (Napoli), della 
._R. Accademia Palermitana di Scienze, Lettere ed Arti, della 
Società storica di Dallas Texas (America del Nord), Presidente 
. onorario dell’Accademia Dante Allighieri di Catania, Gr. Cord. & 
. e Comm. «=, Cav. dell'Ordine di S. Gregorio Magno. 


CLARETTA (Barone Gaudenzio), predetto. 


Rossi (Francesco), Dottore in Filosofia, Professore d’Egitto- 
logia nella R. Università di Torino, Vice-Direttore del R. Museo 
di Antichità a riposo, Socio Corrispondente della R. Accademia 
dei Lincei e della Società per gli Studi biblici in koma, ss. 


Manno (Barone D. Antonio), Membro e Segretario della 
R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Membro del Con- 
siglio degli Archivi, Commissario di S. M. presso la Consulta 
. araldica, Dottore honoris causa della R. Università di Tibingen, 
Comm. &, Gr. Uffiz. «2, Cav. d’on. e devoz. del S. 0. M. di Malta. 


BoLLati DI SArnT-PrerRE (Barone Federigo Emanuele), Dot- 
tore in Leggi, Soprintendente agli Archivi Piemontesi e Diret- 
tore dell'Archivio di Stato in Torino, Membro del Consiglio 
d'Amministrazione presso il R. Economato generale delle an- 
tiche Provincie, Corrispondente della Consulta araldica, Vice-Pre- 
sidente della Commissione araldica per il Piemonte, Membro della 
. R. Deputazione sopra gli studi di storia patria per le Antiche 
Provincie e la Lombardia e della Società Accademica d'Aosta, 
Socio corrispondente della Società Ligure di Storia patria, del 
R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Acca- 
demia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, della Società 
Colombaria Fiorentina, della R. Deputazione di Storia patria 


XX 


per le Provincie della Romagna, della nuova Società per la 
Storia di Sicilia e della Società di Storia e di Archeologia di 
Ginevra, Membro onorario della Società di Storia della Svizzera 
Romanza, dell’Accademia del Chablais, e della Società Savoina 
di Storia e di Archeologia ecc., Uffiz. &, Comm. ess. 


ScHIAPARELLI (Luigi), Dottore aggregato alle Facoltà di 
Lettere e Filosofia, Professore di Storia antica nella R. Uni- 
versità di Torino, Comm. &, e es, 


Pezzi (Domenico), Dottore aggregato alla Facoltà di Let- 
tere e Filosofia, Professore di Storia comparata delle lingue 
classiche e neo-latine nella R. Università di Torino, es. 


FeRRERO (Ermanno), predetto. 
CARLE (Giuseppe), predetto. 


NANI (Cesare), Dottore aggregato alla Facoltà di Giurispru- 
denza, Professore di Storia del Diritto nella R. Università di 
Torino, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia 
Patria, Uff. &, e». 


Coenerti De MarrIs (Salvatore), Professore di Economia 
politica nella R. Università di Torino, Socio Corrispondente 
della R. Accademia dei Lincei e della R. Accademia dei Geor- 
gofili, #, Comm. es. 


Grar (Arturo), Professore di Letteratura italiana nella 
R. Università di Torino, Membro della Società romana di Storia 
patria, Uffiz. * e «ss. 


BoseLLi (S. E. Paolo), Dottore aggregato alla Facoltà di 
Giurisprudenza della R. Università di Genova, già Professore 
nella R. Università di Roma, Professore Onorario della R. Uni- 
versità di Bologna, Vice-Presidente della R. Deputazione di 
Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio 
Corrispondente dell’Accademia dei Georgofili, Presidente della 
Società di Storia patria di Savona, Socio della R. Accademia 


ila ci apc 


XXI 


di Agricoltura, Deputato al Parlamento nazionale, Ministro delle 
Finanze, Presidente del Consiglio provinciale di Torino, Gr. 


 Uffiz. *, Gr. Cord. «©, Gr. Cord. dell'Aquila Rossa di Prussia, 


dell’Ordine di Alberto di Sassonia e dell’Ord. di Bertoldo I di 
Zàhringen (Baden), Gr. Uffiz. 0. di Leopoldo del Belgio, Uffiz. 
della Cor. di Pr., della L. d’O. di Francia, e C. O. della Con- 
cezione del Portogallo. 


CrpoLLa (Conte Carlo), Dottore in Filosofia, Professore di 
Storia moderna nella R. Università di Torino, Membro della 
R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche 
Provincie e la Lombardia, Socio effettivo della R. Deputazione 
Veneta di Storia patria, Socio Corrispondente della R. Accademia 
dei Lincei, dell’Accademia delle Scienze di Monaco (Baviera), 
e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Uffiz. es». 


Brusa (Emilio), Dottore in Legge, Professore di Diritto e 
Procedura Penale nella R. Università di Torino, Socio Corri- 
spondente dell’Accademia di Legislazione di Tolosa (Francia), 
effettivo dell'Istituto di Diritto internazionale, Onorario della 
Società dei Giuristi Svizzeri e Corrispondente della R. Acca- 
demia di Giurisprudenza e Legislazione di Madrid, di quella di 
Barcellona, della Società Generale delle Prigioni di Francia, di 
quella di Spagna, della R. Accademia Peloritana, della R. Acca- 
demia di Scienze Morali e Politiche di Napoli, del R. Istituto 
Lombardo di Scienze e Lettere e di altre. Comm. dell’Ordine 
di San Stanislao di Russia, Officier d’ Académie della Repubblica 
francese, &, Uffiz. ses. 


PerrERo (Domenico), Dottore in Leggi, Membro della 
R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria per le Antiche 
Provincie e la Lombardia. 


ALLIEvo (Giuseppe), Dottore in Filosofia, Professore di Pe- 
dagogia e Antropologia nella R. Università di Torino, Socio 
Onorario della R. Accademia delle Scienze di Palermo e del- 
l'Accademia cattolica panormitana, Comm. e», +. 


XXI 


ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI 


CaruTTI Di CanToeno (Barone Domenico), Senatore del 
Regno, Presidente della R. Deputazione sovra gli studi di Storia 
patria per le Antiche Provincie e Lombardia, Socio Nazionale 
della R. Accademia dei Lincei, Membro dell'Istituto Storico 
Italiano, Socio Straniero della R. Accademia delle Scienze Neer- 
landese, e della Savoia, Socio Corrispondente della R. Accademia 
delle Scienze di Monaco in Baviera, ecc. ecc. Gr. Uffiz. £ e ess, 
Cav. e Cons. =, Gr. Cord. dell'O. del Leone Neerlandese e 
dell'O. d’Is. la Catt. di Spagna, ecc. 


Revmonp (Gian Giacomo), già Professore di Economia po- 
litica nella Regia Università di Torino, *. 


Riccr (Marchese Matteo), Senatore del Regno, Socio Resi- 
dente della Reale Accademia della Crusca, Uffiz. %. 


Canonico (Tancredi), Senatore del Regno, Professore, Pre- 
sidente di Sezione della Corte di Cassazione di Roma, Socio Cor- 
rispondente della R. Accademia dei Lincei, Socio della R. Accad. 
delle Scienze del Belgio, di quella di Palermo, della Società 
Generale delle Carceri di Parigi, Consigliere del Contenzioso 
Diplomatico, Comm. &, e Gr. Croce ee, Cav. =, Comm. dell’Ord. 
di Carlo III di Spagna, Gr. Uffiz. dell’Ord. di Sant’Olaf di Nor- 
vegia, Gr. Cord. dell’O. di S. Stanislao di Russia. 


Tosti (D. Luigi), Abate Benedettino Cassinese, Vice Archi- 
vista degli Archivi Vaticani. 


Berti (S. E. Domenico), Primo Segretario di S. M. pel 
Gran Magistero dell'Ordine Mauriziano, Cancelliere dell’Ordine 
della Corona d’Italia, Deputato al Parlamento nazionale, Pro- 
fessore emerito delle RR. Università di Torino, di Bologna, e 


XXIII 


di Roma, Socio Nazionale della Regia Accademia dei Lincei, 
Socio Corrispondente della RK. Accademia della Crusca e del 


._R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro delle 


RR. Deputazioni di Storia patria del Piemonte e dell’ Emilia, 


È Gr. Cord. &, e ew; Cav. e Cons. ©, Gr. Cord. della Leg. d’O. 


«di Francia, dell'Ordine di Leopoldo del Belgio, dell'Ordine di 


San Marino, ecc. ecc. 


ViLLariI (Pasquale), Senatore del Regno, Professore di Storia 
moderna e Presidente della Sezione di Filosofia e Lettere nel- 
l’Istituto di Studi superiori, pratici e di perfezionamento in 
Firenze, Membro del Consiglio Superiore di Pubblica Istru- 
zione, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della 
R. Accademia di Napoli, della R. Accademia dei Georgofili, 
Vice-presidente della k. Deputazione di Storia Patria per la 
Toscana, l'Umbria e le Marche, Socio di quella per le pro- 
vincie di Romagna, Socio Straordinario della R. Accademia 
di Baviera, della R. Accademia Ungherese, Dott. in Legge 
della Università di Edimburgo e di Halle, Professore emerito 
della R. Università di Pisa, Gr. Uffiz. & e e, Cav. ©, Cav. del 
Merito di Prussia, ecc., ecc. 


ComparertI (Domenico), Senatore del Regno, Professore 
emerito dell’Università di Pisa e dell'Istituto di Studi superiori, 
pratici e di perfezionamento in Firenze, Socio Nazionale della 
R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente del R. Istituto 
Lombardo, del R. Istituto Veneto, della R. Accademia delle 
Scienze di Napoli e dell’Accademia della Crusca, Membro della 
Società Reale pei testi di lingua, Socio corrispondente dell’Isti- 
tuto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) e 
della R. Accademia delle Scienze di Monaco, Uff. *, Comm. ws, 


Cav. >. 


XXIV 


ACCADEMICI STRANIERI 


Mowmwsen (Teodoro), Professore nella Regia Università di 
Berlino. 


MiiLLer (Massimiliano), Professore nell'Università di Oxford. 


Meyer (Paolo), Professore nel Collegio di Francia, Diret- 
tore dell’Ecoles des Chartes a Parigi. 


Paris (Gastone), Professore nel Collegio di Francia, Parigi. 
BsntLINGK (Ottone), Professore nell'Università di Lipsia. 
TosLer (Adolfo), Professore nell'Università di Berlino. 


ArnETH (Alfredo von), Direttore dell'Archivio imperiale di 
Vienna. i 


Maspero (Gastone), Profess. nel Collegio di Francia, Parigi. 


Currius (Ernesto), Professore nell'Università di Berlino. 


XXV 


; CORRISPONDENTI 
| 
SEZIONE 
DI SCIENZE FILOSOFICHE 
Mese (Eugenio) 200041 SIR pon 1 Brecouri 
BonaTELLI (Francesco), Professore nella Regia 
(  VK Teriseehes ee i Re (11011 
SEZIONE 
DI SCIENZE GIURIDICHE E SOCIALI 
LampertIco (Fedele), Senatore del Regno . Vicenza 
SERAFINI (Filippo), Senatore del Regno, Pro- 
megeorosniella R. Università di 0... . 0. Lisa 
Serpa PimentEL (Antonio di), Consigliere di 
e e Lashona 
Roprieurz pe BerLaNnGA (Manuel) . . . . Malaga 
ScHuPFER (Francesco), Professore nella R. Uni- 
ST I OMO 
1 


Cossa (Luigi), Professore nella R. Università di Pavia 


Gaga (Carlo Francesco), Professore nella 
ee irernità di... 2... . 0. 0... . L664 


XXVI 


Buonawmrci(Francesco), Professore nella R. Uni- 
versità di . 


DARESTE (Rodolfo), dell'Istituto di Francia . 


SEZIONE 
DI SCIENZE STORICHE 


ADRIANI (P. Giambattista), della R. Deputa- 
zione sovra gli studi di Storia Patria 4 


PeRRENS (Francesco), dell'Istituto di Francia . 
HauLLEVILLE (Prospero de) 


De Leva age Professore nella R. Uni- 
versità di . pifi 


WatLON (Alessandro), Segretario perpetuo del- 


l’Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e 
Belle Lettere) . 


WicLews (Pietro), Professore nell’ Università di 


Brrc® (Walter de Gray), del Museo Britan- 


nico di 


Capasso (Bartolomeo), Sovrintendente degli Ar- 
chivi Napoletani . 


WATTENBACH (Guglielmo), Professore nell’Uni- 
versità di 


CHEvALIER (Canonico Ulisse) 


DE Simoni e Direttore del R. Archivio 
di Stato in. Me SR SA ERE 


Pisa 


Parigi 


Cherasco 
Parigi 


Bruxelles 


Padova 


Parigi 


Lovanio 


Londra 


Napoli 


Berlino 


Romans 


Genova 


. DucHesvne (Luigi), Direttore della Scuola Fran- 


cese in . 


SEZIONE 
DI ARCHEOLOGIA 


PaLma di CesnoLa (Conte Luigi), Direttore del 
Museo Metropolitano di Arti a. 


FroRELLI (Giuseppe), Senatore del Regno . 


Lattes (Elia), Membro del R. Istituto Lom- 


. bardo di Scienze e Lettere . 


Poe (Vittorio), Bibliotecario e Archivista ci- 
vico a 


PLeyvre (Guglielmo), Conservatore del Museo 
Egizio a 


Parma pi CesnoLa (Cav. Alessandro), Membro 
della Società degli Antiquarii di 


Mowar (Roberto), Membro della Società degli 
Antiquari di Francia ALTA e 


Naparrrac (Marchese I. F. Alberto de) . 
Brizio (Eduardo), Professore nell'Università di 


BarnaBEI (Felice), Direttore del Museo Na- 


zionale Romano . 


XXVII 


Roma 


New- York 


Napoli 


Milano 


Savona 


Leida 


Londra 


Parigi 
Parigi 


Bologna 


Roma 


XXVIII 


SEZIONE 
DI GEOGRAFIA ED ETNOGRAFIA 


NegRI (Barone Cristoforo), Console generale di 
I° Classe, Consultore legale del Ministero degli 
Affari esteri , 


KiepERT (Enrico), Professore nell'Università di 


PigorINI (Luigi), Professore nella R. Univer- 
sità di 


DeLLA Vepova (Giuseppe), Professore nella 
R. Università di . 


MarinELLI (Giovanni), Professore nel R. Isti- 
tuto di Studi superiori, pratici e di perfeziona- 
mento in 


SEZIONE 


Torino 


Berlino 


Roma 


Roma 


Firenze 


DI LINGUISTICA E FILOLOGIA ORIENTALE 


KreHL (Ludolfo), Professore nell’ Università di 
SourIinDpRo MoHuNn TAGORE . 


Ascori (Graziadio), Senatore del Regno, Pro- 
fessore nella R. Accademia scientifico-letteraria di 


WeBER (Alberto), Professore nell'Università di 


KeRBAKER (Michele), Professore nella R. Uni- 
versità di 


Dresda 


Calcutta 


Milano 


Berlino 


Napoli 


ds Pn he 
È ON 


MARRE (Aristide) . 


OpperT (Giulio), Prof. nel Collegio di Francia 


Gurpi (Ignazio), Professore nella R. Univer- 
sità di 


AweLinaUu (Emilio), Professore nella “ Ecole 
des Hautes Études ORA 


FoerstER (Wandelin), Prof. nell'Università di 


SEZIONE 


XXIX 
Vaucresson 


(Francia) 


Parigi 


Roma 


Parigi 


Bonn 


DI FILOLOGIA, STORIA LETTERARIA E BIBLIOGRAFIA 


Bréar (Michele), Professore nel Collegio di 
Francia . 


Negroni (Carlo), Senatore del Regno . 


D'Ancona (Alessandro), Professore nella R. Uni- 


- versità di 


Nigra (S. E. Conte Costantino), Ambasciatore 
d'Italia a 


Rana (Pio), Professore nell'Istituto di Studi 
superiori pratici e di perfezionamento in 


DeL Lunco (Isidoro), Socio residente della 
R. Accademia della Crusca . 


Parigi 


Novara 
Pisa 
Vienna 
Firenze 


Firenze 


XXX 


MUTAZIONI 


nel Corpo Accademico dal 18 Novembre 1894 
al 17 Novembre 1895. 


ELEZIONI 


SOCI 


Berti (S. E. Domenico). Su dichiarazione della Classe di 
Scienze morali, storiche e filologiche in seduta del 9 Di- 
cembre 1894, passato fra i Soci Nazionali non residenti (art. 22 
dello Statuto). 


Sracci (Francesco). Su dichiarazione della Classe di Scienze 
fisiche, matematiche e naturali in seduta del 16 dicembre 1894, 
passato dalla Categoria dei Soci Nazionali residenti in quella 
dei Nazionali non residenti. 


CarLE (Giuseppe), eletto Presidente dell’Accademia nell’a- 
dunanza a Classi unite del 13 Gennaio, ed fapraralp con R. De- 
creto del 3 Febbraio 1895. 


Brusa (Emilio), Professore di Diritto e Procedura penale 
nella R. Università di Torino, eletto Socio Nazionale residente 
della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche nell’adu- 
nanza del 13 Gennaio, ed approvato con R. Decreto del 3 Feb- 
braio 1895. 


PrerrERO (Domenico), Membro della R. Deputazione sopra 
gli Studi di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lom- 
bardia eletto Socio Nazionale residente della Classe di Scienze 
morali, storiche e filologiche nell'adunanza del 13 Gennaio, ed 
approvato con R. Decreto del 3 Febbraio 1895. 


ade ii iti ri pt enni sè he 


XXNI 
ALLievo (Giuseppe), Professore di Pedagogia e Antropo- 


logia nella R. Università di Torino, eletto Socio Nazionale resi- 
dente della Classe di Scienze morali, storiche e  filologiche 


nell'adunanza del 13 Gennaio, ed approvato con R. Decreto del 


3 Febbraio 1895. 


VoLreRRA (Vito), Professore di Meccanica razionale nella 
R. Università di Torino, eletto Socio Nazionale residente della 
Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza 
del 3 Febbraio, ed approvato con R. Decreto 17 Febbraio 1895. 


JADANZA (Nicodemo), Professore di Geodesia teoretica nella 
R. Università di Torino, eletto Socio Nazionale residente della 
Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali nell’adunanza 


del 3 Febbraio, ed approvato con R. Decreto 17 Febbraio 1895. 


Foà (Pio), Professore di Anatomia patologica nella R. Uni- 
versità di Torino, eletto Socio Nazionale residente della Classe 
di Scienze fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza del 
3 Febbraio ed approvato con R. Decreto 17 Febbraio 1895. 


D’Ovipio (Enrico), rieletto Direttore della Classe di Scienze 
fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza del 8 Febbraio, ed 
approvato con R. Decreto 17 Febbraio 1895. 


Naccari (Andrea), eletto Segretario della Classe di Scienze 
fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza del 3 Febbraio 1895, 
ed approvato con R. Decreto 17 febbraio 1895. 


Lie (Sophus), Professore nell'Università di Lipsia, nominato 


Socio Corrispondente della Classegli Scienze fisiche, matematiche 


e naturali (Sezione di Matematiche pure) nell’ adunanza del 
3 Febbraio 1895. 


Lorenzoni (Giuseppe), Professore nella R. Università di 
Padova, id. id. (Sezione di Matematiche applicate, Astronomia 
e Scienza dell’Ingegnere civile e militare) id. id. 


RayLeicHa (Lord Giovanni Guglielmo Strutt), Professore 
nella “ Royal Institution , e Segretario della Società Reale di 
Londra, id.id. (Sezione di Chimica generale e sperimentale) id. id. 


XXXII 


Fouqué (Ferdinando Andrea), dell'Istituto di Francia, no- 
minato Socio della Classe di Scienze fisiche, matematiche e na- 
turali (Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia) nella 
seduta del 3 Febbraio 1895. 


MartIROLO (Oreste), Professore di Botanica nella R. Uni- 
versità di Bologna, id. id. (Sezione di Botanica e Fisiologia ve- 
getale) id. id. 


Epwarps (Alfonso Milne), dell’Istituto di Francia, id. id. 
(Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata) id. id. 


CLarETTA (Barone Gaudenzio), eletto Direttore della Classe 
di Scienze morali, storiche e filologiche nell'adunanza del 24 Feb- 
braio, ed approvato con R. Decreto 7 Marzo 1895. 


Cossa (Alfonso), eletto Vice-Presidente dell’Accademia nel- 
l'adunanza a Classi unite del 31 Marzo, ed approvato con 
R. Decreto dell’11 Aprile 1895. 


CamerANO (Lorenzo), eletto Tesoriere dell’Accademia nel- 
l'adunanza a Classi unite del 31 Marzo, ed approvato con 
R. Decreto dell’11 Aprile 1895. 


Currius (Ernesto), Professore nell'Università di Berlino, 
eletto Socio Straniero della Classe di Scienze morali, storiche 
e filologiche nell'adunanza del 28 Aprile, ed approvato con 
R. Decreto del 16 Maggio 1895. 


AwmeLINEAU (Emilio), Parigi nella “ Ecole des Hautes 
Etudes de Paris ,, nominato Socio Corrispondente della Classe 
di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Linguistica e 
Filologia orientale) nell'adunanza del 28 Aprile 1895. 


BarNnABEI (Felice), Direttore del Museo Nazionale romano, 
id. id. (Sezione di Archeologia) id. id. 


Dara Vepova (Giuseppe), Professore nella R. Università 
di Roma, id. id. (Sezione di Geografia ed Etnografia) id. id. 


VW Ig) 


Genova, nominato Socio Corrispondente della Classe di Scienze 
morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze storiche) nel- 
l'adunanza del 28 Aprile 1895). 


È 

i XXXII 
i Destmoni (Cornelio), Direttore dell'Archivio di Stato di 
| 

i DucHesne (Direttore della Scuola Francese di Roma, id. id. 
(Sezione di Scienze Storiche) id. id. 

| ForrstER (Wandelin), Professore nell'Università di Bonn, 
id. id. (Sezione di Filologia) id. id. 


MarInELLI (Giovanni), Professore nel R. Istituto di Studii 


superiori pratici, e di perfezionamento in Firenze, id. id. (Sezione 
di Geografia ed Etnografia) id. id. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 3 


IO n O Le n °° _& 


XXXIV 


MORTI 


25 Gennaio 1895. 


CARINI (Mons. Isidoro), Socio Corrispondente della Classe 
di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze 
storiche). 


26 Gennaio 1895. 


CayLey (Arturo), Socio straniero della Classe di Scienze 
fisiche, matematiche e naturali. 
4 Marzo 1895. 


PertILE (Antonio), Socio Corrispondente della Classe di 
Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze giuri- 
diche e sociali). 


11 Marzo 1895. 
Cantù (Cesare), Socio nazionale non residente della Classe 
di Scienze morali, storiche e filologiche. 
16-17 Marzo 1895. 
FeRrI (Luigi), Socio Corrispondente della Classe di Scienze 
morali, storiche e filologiche (Sezione Scienze filosofiche). 
14 Aprile 1895. 


DANA (Giacomo), Socio straniero della Classe di Scienze 
fisiche, matematiche e naturali. 


Di 


— eee, uo o ge pa er T ee - 
È ug * 


XXXV 


24 Aprile 1895. 

Lupwie (Carlo), Socio Corrispondente della Classe di Scienze 
fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Zoologia, Anatomia 
e Fisiologia comparata). 

22 Luglio 1895. 

GxeIst (Enrico Rodolfo), Socio straniero della Classe di 

Scienze morali, storiche e filologiche. 
28 Luglio 1895. 

Basso (Giuseppe), Socio residente della Classe di Scienze 

fisiche, matematiche e naturali. 
1° Agosto 1895. 


SyBeL (Enrico Carlo Ludolfo von), Socio Corrispondente 
della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione 
di Scienze storiche). 


17 Settembre 1895. 


LinatI (Conte Filippo), Socio Corrispondente della Classe 
di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Filologia, 


Storia letteraria e Bibliografia). 


22 Ottobre. 


BoncHI (Ruggero), Socio Corrispondente della Classe di 
Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze filo- 
sofiche). 


erre 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 17 Novembre 1895. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA 
VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: D’Ovipro, Direttore di Classe, FERRARIS, 
Mosso, Spezia, GiseLLI, GrAcOMINI, CAMERANO, SEGRE, PEANO, 
JADANZA, Foà e Naccari Segretario. 

Viene letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza pre- 
cedente (23 giugno 1895). 

Il Socio Segretario partecipa le molte condoglianze giunte 
all'Accademia nella dolorosa circostanza della morte del Socio 
Basso. 

Il Presidente fa l’elogio del compianto collega, e rammenta 
le benemerenze di lui verso l'Accademia. 

Ricorda pure come durante il periodo delle ferie sia man- 
cato ai vivi Luigi Pasteur, illustre scienziato, membro del- 
l’Istituto di Francia, cui l'Accademia assegnò il premio Bressa 
pel quadriennio 1883-86. 

Indi il Socio FerRARIS legge una sua Commemorazione del 
Socio defunto Giuseppe Basso, che sarà inserita negli Atti. 

Il Socio CamerANO legge la Commemorazione del presidente 
Michele Lessona, il Socio GrseLLI quella del Socio DELPONTE e 
il Socio Spezia quella del Socio Straniero James Dwrcnt DANA. 
La prima sarà inserita nei volumi delle Memorie, le altre due 
negli Atti. 


Fra le pubblicazioni inviate in dono all'Accademia il Segre- 
tario segnala le seguenti: “ Faune des vertébrés de la Belgique ,, 
del sig. A. DuBors; “ Anleitung zur qualitativen chemischen Ana- 
lyse », del sig. C. R. FreseNIUS; “ Systematische Phylogenie der 
Wirbelthiere (Vertebrata) ,, del sig. E. HarcKkeL; “ Plantas 
nuevas Chilenas ,, del sig. R. A. Puinippi; “ Ricerche di ana- 
tomia e morfologia intorno allo sviluppo del fiore e del frutto della 
TrAPA NATANS ,, dei sigg. G. GrseLLi e F. FeRRERO; “ Zum 
feineren Baue des Zwischenhirns und der Regio hypotalamica ,, 
del sig. A. von KorLuKER; “ Vorlesungen iiber Geschichte der 
Mathematik ,, del sig. M. Cantor; la “ Commemorazione di 
Arturo Cayley ,, di M. NoETHER, e “ Mikroskopische Physiogra- 
phie der Mineralien und Gesteine ,, del sig. M. RosENBUCH. 

Vengono accolti per l’inserzione negli Atti i seguenti scritti: 

1° “ Sull’inversione degli integrali definiti nel campo reale ,; 
nota del Dr. TuLLio Levi Civita, presentata dal Socio SEGRE 
per incarico del Socio VOLTERRA; 

20 « Sulla compressibilità dell'ossigeno a basse pressioni ,; 
nota del Dr. Adolfo CampeTTI, presentata dal Socio NACCARI; 

3° “ Sulla trasmissione della elettricità da un conduttore 
all'aria nel caso di piccole differenze di potenziale ,; nota del 
Socio NACCcARI. 

Vengono poi presentati per l’inserzione nei volumi delle 
Memorie gli scritti seguenti, ciascuno dei quali viene affidato 
per esame ad una speciale Commissione: 

1° “ Sintesi di composti piridinici dagli eteri chetonici col- 
l’etere cianacetico in presenza dell'ammoniaca e delle amine ,; 
memoria del Prof. Icilio GuaRrESscHI, presentata dal Socio Cossa; 


2° « Sulle leggi del tono muscolare nell'uomo ,; memoria 
del Dr. A. BENEDICENTI, presentata dal Socio Mosso; 
3° “ Sulle equazioni di quinto grado ,; memoria del 


Prof. F. GrupIcE, presentata dal Socio PEANO; 

4° “« Flora della Sardegna in continuazione di quella del 
Moris (Orchidee) ,; memoria del sig. Ugolino MARTELLI, presen- 
tata dal Socio GIBELLI. 


GALILEO FERRARIS — COMMEMORAZIONE DI GIUSEPPE BASSO 3 


LETTURE 


GIUSEPPE BASSO 


Commemorazione letta dal Socio GALILEO FERRARIS. 


COLLEGHI, 


L’ onesta e cara figura di Giuseppe Basso sta in questo 
momento davanti alla mente e nel cuore di tutti noi; e nessuno 
di noi saprebbe in questo giorno accingersi al consueto lavoro 
se prima non sia stato rivolto un pensiero al collega che per 
la prima volta manca alla nostra seduta, e che non rivedremo 
mai più. Ebbene, io vi domando che a me sia concesso di pren- 
dere la parola per dire ciò che ognuno ha nel cuore, per par- 
lare di Lui. Questo privilegio io vi chiedo perchè a me egli, 
assai prima di essere collega, fu amico affettuoso e consigliere 
ne’ primi passi della carriera. Prima ancora che io sapessi di 
essere da lui conosciuto il suo grande cuore palpitava con quello 
de’ miei più cari; e la prima volta che a me giovanetto egli 
strinse la mano, la sua parola sgorgante calma e serena da 
un’ anima profondamente amorosa scendeva nell’ anima mia in- 
dimenticabile balsamo in una grande angoscia. 


Giuseppe Basso nacque il 9 Novembre 1842 in Chivasso 
da onesti ed umili artigiani. Suo padre esercitava il mestiere 
del sarto, e nel modesto laboratorio di lui lavorava tutta la 
povera famiglia. Il piccolo Giuseppe, cresciuto fra le pareti del 
domestico opifizio, partecipava, naturalmente, al lavoro comune, 
dedicando ad apprendere il maneggio dell’ ago tutto il tempo 
a lui concesso dalla scuola. Ma nella scuola il suo profitto era 
straordinario, e fin dai primi anni egli emergeva su tutti i suoi 
— compagni. La tenacia del suo volere e l'affetto de’ suoi maestri 
indussero i genitori ad affrontare i sacrifizi necessari ed a la- 
sciare ch’ egli seguisse la via, a cui lo chiamava il grande 


it 


4 GALILEO FERRARIS 


amore dello studio. Compiuti con straordinaria distinzione i corsi 
ginnasiali nel collegio della nativa Chivasso, venne a Torino, e 
qui, superando con vero e proprio eroismo strettezze incredibili, 
compiè gli studi liceali. Finalmente nel 1857, all’ età di quindici 
anni, vinse il concorso per un posto nel Collegio Carlo Alberto 
per gli studenti delle provincie, e così fu in porto: con quel 
posto egli ebbe il mezzo d’ intraprendere i corsi universitari. 
Però solo per due anni potè godere del benefizio del convitto. 
Questo infatti fu chiuso nell’estate del 1859, ed agli allievi fu 
assegnata, in luogo dell’alloggio e del vitto, 1’ attuale pensione 
mensile. Come con questa pensione, senz'altro sussidio, egli 
riuscisse non solo a campare, ma a soccorrere parenti ed amici, 
come l’arte appresa nell’opifizio paterno lo aiutasse a diminuire 
qualcuna delle sue piccole spese, come a quell’arte egli ritornasse, 
a sollievo del padre, durante le vacanze ch'egli passava in Chi- 
vasso, egli, ancora ne’ suoi ultimi giorni, amava talvolta narrare 
con schietta compiacenza e non senza un legittimo orgoglio. 
Seguì nella nostra Università i corsi della facoltà di Scienze, 
riportando, fra le molte distinzioni, una lode speciale nella fi- 
sica matematica, e conseguì la laurea di Dottore in fisica nel 
luglio del 1862, prima di aver compiuto i venti anni. La dis- 
sertazione “ Sulla luce polarizzata circolarmente e sulle sue ap- 
plicazioni ,, castigata nella forma, bene ordinata, nettamente 
inquadrata e chiarissima, preludeva mirabilmente alla direzione 
ed all’ indole della attività scientifica e didattica del giovane 
Dottore. 

Egli cominciava bene. La riputazione che si era conquistata 
fra gli studenti, l’alta stima e l’affetto che gli portavano i suoi 
professori, alcuni dei quali avevano insegnato, od insegnavano an- 
cora nella Accademia Militare, gli valsero a trovar subito la cosa 
per lui allora più agognata ed urgente: un posto per cominciare a 
guadagnarsi la vita. Poche settimane dopo del giorno della laurea 
egli veniva infatti nominato professore aggiunto nella R. Acca- 
demia Militare. Bastare a sè stesso e preparàrsi a ricompensare 
i parenti de’ sacrifizi per lui sopportati era il supremo obbiettivo. 
Quindi egli accettò e cumulò col modesto impiego, che ho no- 
minato, l’incarico di insegnare in vari istituti privati d’istruzione 
secondaria. La non comune attitudine didattica rese ben presto 
ricercatissima l’opera sua; ed egli ne approfittò così, che in breve 


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GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 5) 


tempo ei divenne uno dei più laboriosi insegnanti della nostra 
città. La sua resistenza alla fatica dell’insegnamento era, a ragione, 
oggetto di ammirazione. Perchè importa notare che in quel 
tempo la sua complessione non era quella, in apparenza così flo- 
rida, colla quale noi da parecchi anni ci eravamo abituati a 
vederlo. Al contrario, egli era gracilissimo, ed a volte aveva 
sofferenze, le quali davano luogo alle più serie apprensioni. Tut- 
tavia le numerose lezioni quotidiane non assorbivano tutta la sua 
attività : nel 1864, due anni dopo la laurea, trascorso appena il 
tempo legale, egli si presentava a quello, che qui allora si soleva 
ancora da molti considerare come il battesimo necessario per avere 
accesso alla carriera dell’insegnamento superiore, al concorso per 
l’Aggregazione. Vinceva la prova con uno splendido esame. La 
sua dissertazione era “ Sul lavoro interno prodotto dal calore 
nei corpi ,, verteva adunque sulla scienza che qui, appunto in 
quei giorni, quando il Matteucci ne discorreva nelle sue memo- 
rabili lezioni popolari, ed il Saint Robert si accingeva a conse- 
gnare alle stampe la prima edizione dei suoi principii di termo- 
dinamica, attraeva a sè la ‘massima attenzione degli studiosi. 
Coll’ aggregazione cominciava pel Basso veramente la car- 
riera scientifica. Entrato infatti nella Facoltà, egli ebbe presto 
l’ occasione di provarsi nello insegnamento universitario sup- 
plendo a più riprese nella scuola di fisica sperimentale il pro- 
fessore Gilberto Govi. E maggiore ventura egli ebbe nella ami- 


cizia affettuosa di quel coltissimo scienziato, mercè la quale 


potè essere ammesso a frequentare il gabinetto di fisica della 
Università, ed avere così, per alcuni anni, qualche mezzo per 
tentare alcune modeste ricerche sperimentali. Laboratorio pro- 
priamente non c’ era in quel tempo, nè il Professore Govi si 
occupava in quei giorni di ricerche quantitative, od aveva i 
mezzi per istradare altrui nella tecnica delle medesime; ma al- 
meno v’ erano strumenti, e v’ era un autorevole amico che po- 


| teva dare qualche consiglio. 


E intanto, proprio in quei giorni, nel 1866, un decreto del 
Ministro della Guerra poneva il giovane professore aggiunto 
dell’Accademia Militare in aspettativa per riduzione d'impiego. 
Questi ebbe così, per qualche mese, maggior agio per valersi 
dei mezzi, che erano messi a sua disposizione, e offrire un 
primo saggio dei suoi studi pubblicando nei volumi della nostra 


è 


6 GALILEO FERRARIS 


Accademia una “ Nota intorno alla determinazione di tempera- 
ture molto elevate mediante un procedimento calorimetrico ana- 
logo a quello seguito da Bystròm ,. In tale nota erano esposti 
i risultati di alcuni esperimenti diretti a determinare col me- 
todo calorimetrico la temperatura nelle varie parti di una fiamma 
ad .alcool a doppia corrente, e quella dell’ acqua nello stato sfe- 
roidale. 

Ma il benefico alleggerimento di lavoro didattico prodotto 
dalla aspettativa nella Accademia Militare veniva tosto eliso da 
un incarico, che per alcuni anni occupò in misura assai mag- 
giore il tempo e la forza del giovane professore. Egli veniva 
incaricato dell’insegnamento della fisica matematica nell’Univer- 
sità. Quell’insegnamento, che fino allora era stato dato dal Pro- 
fessore Felice Chiò, presentava in quel momento, pel nuovo in- 
caricato, una difficoltà affatto speciale, quella di conciliare il 
vecchio col nuovo. Il Chiò, occupando nel 1854 l’antica cattedra 
dell’Avogadro, aveva da principio conservato al suo corso di 
fisica matematica il programma ed il carattere che al medesimo 
era stato dato da quell’ illustre professore. Quel corso non com- 
prendeva le materie che oggi si sogliono comprendere nel nome 
di fisica matematica; era più propriamente fisica, era un corso 
elementare, ma generale, di fisica teoretica come quello classico 
del Mossotti. Quel corso formava per gli studenti di fisica il 
complemento necessario di quello, allora molto modesto, di fisica 
sperimentale. Ma negli ultimi anni il tempo assegnato a quel- 
l'insegnamento, e quindi anche il programma e l’ importanza 
del medesimo, erano stati notevolmente ridotti. Dal 1865 il 
Chiò era stato nominato professore di Analisi e di Geometria 
superiore, ed alternava l’insegnamento di queste scienze con 
quello della fisica matematica. Quest’ ultimo non comprendeva 
ormai più che qualche arido brano di ottica geometrica. Il Basso, 
assumendo l’incarico di tale insegnamento, non poteva, per defe- 
renza al suo vecchio Maestro, tutto mutare d’ un tratto; ma voleva 
nel tempo stesso introdurvi qualche cosa di più vivo, ed iniziare 
una graduale trasformazione, per la quale il corso a lui affi- 
dato potesse col tempo contribuire più efficacemente alla col- 
tura necessaria ai giovani studiosi delle scienze fisiche. E siccome 
egli, per la natura del suo ingegno e de’ suoi studi prediletti, 
e per la tradizione della cattedra, perseverava nello intento di 


GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 7 


completare col suo corso l'insegnamento della Fisica, così con- 
cretava il programma della progettata trasformazione col sosti- 
tuire gradatamente alla esposizione dell’ ottica geometrica, di 
sua natura arida e rinchiusa, quella più feconda e più larga 
dell’ ottica fisica. Daccanto a questa, che doveva formare il 
nucleo principale del corso ed essere insegnata tutti gli anni, 


| egli introduceva poi man mano varie monografie su altri rami 


della fisica, le quali si alternavano di anno in anno. Non è qui 
il luogo di discutere se l’ aver cercato di colmare con un corso 
di fisica complementare una lacuna, che nelle nostre scuole di 
fisica generale, per la strettezza del tempo, è inevitabile, potesse 


| compensare il danno derivante dalla esclusione di quelle disci- 


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pline per le quali propriamente è istituito l’insegnamento della 
fisica matematica. Certo è però che il lavoro per la prepara- 
zione del nuovo insegnamento deve aver distolto per qualche 
tempo il giovane professore dal frequentare coll’ antica assiduità 
il gabinetto di fisica e dal tentare ricerche. E ciò spiega come nel 
corso di alcuni anni le sue pubblicazioni si sieno limitate a tre 
brevissime note. La prima di queste: “ Sulla deviazione massima 
dell’ ago calamitato sotto l’azione della corrente elettrica , pub- 
blicata fra la memorie della nostra Accademia nel 1870, e la 
terza: “ Nuova bussola reometrica ,, pubblicata nel volume del 
1871, dànno la teoria di un semplice apparecchio di misura per 
le correnti elettriche, sul quale il Basso ritornava poi più tardi 
con una speciale predilezione. La .seconda: “ Determinazione 
della velocità del suono nell’ aria per mezzo di un’ eco polifona, 
inserita nel 1870 nei nostri “ Atti ,, contiene la descrizione di 
alcune esperienze eseguite sull’ eco polifona del Ponte Mosca 
con un procedimento suggerito dal Govi e non privo di ele- 
ganza. 

Nel 1871 moriva il professore Chiò, ed alla fine dell’ anno 
successivo Giuseppe Basso veniva elevato al grado di professore 
straordinario di fisica matematica. Ma intanto, appunto nel 1872, 
il Govi era stato nominato membro della commissione interna- 
zionale dei pesi e delle misure, e dovendo per tale carica risie- 
dere quasi di continuo a Parigi, cessava, pur conservando il ti- 
tolo dell’ uffizio, di dare lezioni nella nostra università. La sup- 
plenza veniva allora affidata al professore Basso, il quale per 
tale modo ebbe a dare per una serie di anni, daccanto all’ inse- 


8 GALILEO FERRARIS 


gnamento della fisica matematica, anche quello della fisica ge- 


nerale. L'incarico della supplenza, rinnovato di anno in anno,. 


gli era mantenuto anche quando nel 1876 Gilberto Govi abban- 
donava definitivamente la nostra città per passare alla direzione 
della biblioteca Vittorio Emanuele in Roma. Esso non cessava 
se non alla fine dell’anno scolastico 1877-78, quando l’univer- 
sità torinese faceva l’ invidiato acquisto del chiaro professore 
attuale, del nostro collega Naccari. 

Gli ultimi due anni della cennata supplenza furono pel 
Basso quelli della massima attività didattica. Imperocchè nel 
gennaio 1876 egli era stato richiamato in servizio nell’Acca- 
demia militare e frattanto continuava e raggiungeva il suo colmo 
il lavoro dell’insegnamento privato. E tuttavia, appunto in quel 
tempo, si iniziava anche il periodo della massima sua attività 
scientifica. Ciò derivava principalmente dal fatto che durante la 
vacanza della cattedra di fisica sperimentale egli aveva avuto più 
libero 1 uso del gabinetto. Veramente i mezzi dei quali egli 
disponeva erano di parecchio inferiori a quelli che sarebbero 
occorsi per intraprendere lavori sperimentali di qualche impor- 
tanza; perchè, come ho già detto, vero laboratorio allora non 
c’era, nè il Basso, come semplice supplente, poteva avere com- 
pleta libertà d’azione, o aiuto di assistenti. Quindi era impos- 
sibile che egli intraprendesse ricerche di lunga lena, complesse 
e coordinate, o lavori pei quali fossero necessari appositi im- 
pianti, od anche solo adattamenti speciali di apparecchi richie- 
denti l’opera od il sussidio di meccanici o di coadiutori. Erano 
adunque solamente brevi lavori isolati quelli che egli poteva 
tentare, nei quali la maggiore difficoltà consisteva il più delle 
volte nel trovare disposizioni acconcie per far servire a misure 
apparecchi fatti semplicemente per le esperienze da scuola. Ma 
questi lavori furono parecchi, e comparvero negli atti e nei vo- 
lumi della nostra Accademia nell’ intervallo tra il 1877 ed il 
1880. Io qui ne ricordo principalmente tre, i quali più parti- 
colarmente hanno carattere di ricerca originale. Il primo è un 
lavoro “ Sull’ allungamento dei conduttori filiformi attraversati 
dalla corrente elettrica ,. Edlund dapprima, e poi Streintz, ave- 
vano creduto di poter dedurre da alcune loro esperienze questo 
fatto: che un filo percorso da una corrente elettrica subisce, oltre 
all’allungamento termico dovuto al calore prodotto per l’effetto 


I dn TL Truro 


GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 9 


di Joule, anche un allungamento “ galvanico , dovuto diretta- 
mente alla corrente, indipendentemente dal riscaldamento. Exner 
e Blondot deducevano invece dalle loro esperienze la inesistenza 
del fatto. Il lavoro del Basso descrive i risultati di esperienze 
fatte con metodo diverso, i quali anch’ essi, dimostrano essere 
per lo meno improbabile l’esistenza di una dilatazione puramente 
galvanica. Gli altri due lavori che debbo ricordare sono: una nota 
inserta negli atti dell’Accademia del 1879, col titolo: “ Feno- 
meni che accompagnano l’elettrolisi dei composti metallici ,, 
ed una nota inserta nel volume delle memorie del 1880 col ti- 
tolo: “ Sugli effetti meccanici della elettrolisi ,. In questi due 
lavori il Basso mette in evidenza e studia con due diversi pro- 
cedimenti il fenomeno, già dimostrato dal Signor Mills, dello 
stringimento elettrico, consistente in questo, che, quando uno 
strato metallico si va deponendo per via galvanica su di un 
elettrodo, lo strato manifesta una notevole tensione, per la 
quale, se esso avviluppa completamente l’elettrodo, si esercita 
sulla superficie di questo una pressione considerevole. In en- 
trambi questi lavori, e specialmente nel secondo, si rivela l’at- 
titudine dello sperimentatore nell'impiego di quegli artifici in- 
gegnosi di ricerca qualitativa, che erano caratteristici della 
scuola del Govi. i 

I lavori dei quali ho parlato, benchè pubblicati soltanto 
nel 1879 e nel 1880, si riferiscono a ricerche eseguite nel gabi- 
netto di fisica dell’Università negli ultimi anni nei quali il Basso 
aveva tenuto la supplenza dell’insegnamento della fisica speri- 
mentale. La cessazione di questa segnò l’ inizio di un nuovo 
indirizzo della attività scientifica del nostro compianto collega. 
Ed io soggiungo subito: essa segnò l’inizio di un periodo migliore, 
di ricerche più omogenee, meglio coordinate e più feconde. De- 
dicatosi intieramente, con maggior agio e con maggiore calma, 
alle discipline formanti la principale materia del suo corso di 
fisica matematica, il Basso cominciò a dirigere nel campo di 
esse le sue ricerche; d’allora in poi la maggior parte dei suoi 
lavori ebbero per oggetto questioni di ottica fisica. Dopo di 
avere esordito con una breve “ Contribuzione alla teoria dei 
fenomeni di diffrazione ,, egli dava nello stesso anno 1880 al 
volume delle nostre memorie accademiche una notevole memoria 
intitolata: Fenomeni di polarizzazione cromatica in aggregati 


10 GALILEO FERRARIS 


di corpi birifrangenti ,. Questo lavoro teorico e sperimentale | 
ha un carattere pratico che lo rende singolarmente importante. 
Esso tratta dei fenomeni di polarizzazione cromatica presentati 
da aggregati regolari di piccoli elementi birifrangenti, e pro- 
priamente da una classe speciale di aggregati, ai quali l’ autore 
dà il nome di sistemi raggiati. Aggregazioni di tale classe si. 
trovano in natura, e molte si possono ottenere artificialmente. La 
facoltà posseduta da molte sostanze di assumere, cristallizzando, 
la forma raggiata fu studiata, oltrechè da altri, dallo Scacchi, 
ed alcuni dei fenomeni ottici caratteristici di tale forma furono 
notati e nettamente descritti dal nostro A. Cossa in alcune 
concrezioni da lui avvertite nel suo studio microscopico della 
diorite di Cossato. Il Basso nel suo lavoro studia dapprima teo- 
ricamente i fenomeni di polarizzazione cromatica che si debbono 
presentare quando una sottile lamina di struttura raggiata è 
esaminata fra due Nicol con luce parallela, o con luce conver- 
gente. Studia questi fenomeni, non nella forma più generale, 
ma per una serie di numerosi casi particolari più direttamente 
controllabili coll’esperienza. Descrive poi le esperienze, colle 
quali egli ha verificato in molti aggregati cristallini le più sa- 
lienti proprietà ottiche previste colla teoria. Questa era la ten- 
denza costante del suo ingegno, la quale si manifesta in tutti 
i suoi lavori, questa: di far procedere sempre a lato della ri- 
cerca teorica il controllo sperimentale. E questa tendenza, la 
quale imprime a tutti i suoi lavori un carattere speciale, spiega 
anche e giustifica la scelta del programma dello insegnamento, 
della quale ho dianzi tenuto parola. 

La memoria che ho esaminato fu a breve intervallo seguita 
da una nota contenente la “ Dimostrazione di una proprietà geo- 
metrica (non prima conosciuta) dei raggi rifratti straordinari nei 
mezzi birifrangenti uniassi ,, e poi subito da una nuova memoria 
di considerevole mole intitolata: “ Studi sulla riflessione cristal- 
lina,. Questi “ Studi , furono un ardito tentativo: quello di dare 
una teoria generale della ripartizione della luce fra i raggi ri- 
fratti ed il raggio riflesso alla superficie di un cristallo birifran- 
gente, una teoria, la quale, meglio di quelle già tentate da 
Cauchy, da F. E. Neumann, da Mac-Cullagh e da Cornu, si con- 
ciliasse coi principii ammessi da Fresnel nella sua teoria della 
riflessione sui corpi isotropi. Io non so se l'ipotesi relativa alla 


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I 


GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 11 


| densità dell'etere, posta dal Basso a base della sua teoria si possa 


accettare senza almeno dare alla medesima una interpretazione 
fisica diversa da quella corrispondente all’ enunciato letterale; ma 
certo è che le formole, alle quali la teoria conduce, applicate 
ad alcuni casi speciali accessibili all’ esperienza, si accordano 
approssimativamente colle risultanze sperimentali. Il controllo 
dell'esperienza è anche qui fatto dal Basso medesimo, che alla 
descrizione delle esperienze dedica l’ultimo paragrafo della sua 
memoria. E qui il merito di aver tentato un tale controllo ap- 
parisce anche maggiore che nel lavoro di cui ho parlato poc'anzi, 
se si pensa alle difficoltà che il povero nostro collega deve aver 
superato per riuscire a sperimentare in casa, in una materia 
difficile, con pochissimi mezzi e senza aiuto di sorta. 

Sul problema della riflessione cristallina il Basso ritornò in 
seguito più volte, e nel 1885 ne tentò la trattazione colla teoria 
elettromagnetica della luce. In un lavoro pubblicato in quel- 
l’anno negli “ Atti dell’ Accademia,, col titolo: “ Fenomeni di ri- 
flessione cristallina interpretati secondo la teoria elettromagne- 
tica della luce ,, egli studiò col mezzo della teoria Maxwelliana 
alcuni dei casi speciali, dei quali si era anteriormente occupato 
nella memoria del 1881. Il nuovo metodo ha il merito di non 
richiedere l’ uso di alcuna ipotesi della natura di quella sulla 
densità dell’ etere, sulla quale io ho dovuto or ora esprimere 
delle riserve; perciò il confronto delle sue risultanze con quelle 
del lavoro precedente presentava uno speciale interesse. Il con- 
fronto dimostrò che l’ accordo delle dette risultanze non era 
generale; esso era perfetto in due dei casi trattati, ma non po- 
teva essere altro che approssimativo negli altri casi. Però, te- 
nuto conto dei valori numerici delle costanti de’ cristalli effet- 
tivi sperimentati, l'accordo approssimativo tra l’esperienza e la 
teoria constatato nel lavoro del 1881 risultava sufficientemente 
spiegato. 

Colla teoria elettromagnetica della luce, la quale si presta 
particolarmente bene alla trattazione dei fenomeni che si pre- 
sentano al passaggio della luce da un mezzo all’ altro, il Basso 
studiò ancora la ripartizione della luce fra i due raggi rifratti 
nei cristalli birifrangenti, e pubblicò su questo argomento nel 
1886 e nel 1887 due note: “ Sulla legge di ripartizione dell’ in- 
tensità luminosa fra i raggi birifratti da lamine cristalline , 


12 GALILEO FERRARIS 


e “ Sulla legge ottica di Malus detta del coseno quadrato ,. 
Colla prima di queste egli giustifica in teoria il fatto già af- 
fermato da Haidinger e poi trovato sperimentalmente dal Wild 
e riconfermato dal dottor Simmler, che la legge di Malus sul 
rapporto tra le intensità dei due raggi rifratti non è esatta in 
modo assoluto, ma è semplicemente approssimativa. Colla se- 
conda egli tratta più da vicino il caso pratico che si presenta 
nell'impiego dei prismi polarizzatori di Nicol, e pone in evidenza 
l’ordine di grandezza delle discrepanze tra i valori delle inten- 
sità luminose calcolati colla legge del coseno quadrato e quelli 
previsti dalla teoria elettromagnetica. 

E a questa teoria elettromagnetica, la quale è andata ac- 
quistando di giorno in giorno tanta sicurezza e tanta importanza, 
la mente del Basso rimase costantemente rivolta sino alla fine. 
L’ultimo lavoro scientifico da lui pubblicato tratta ancora di 
quella teoria. Essa è una nota inserta nei nostri “ Atti ,, del 
1893, nella quale egli dimostra per mezzo delle formole stabi- 
lite ne’ suoi lavori precedenti “ un carattere di reciprocità proprio 
della luce riflessa dai mezzi cristallini ,, che il Potier aveva 
segnalato deducendolo dalla teoria di Mac Cullagh. 

La serie dei lavori di ottica fisica, dei quali ho fatto una 
rapida enumerazione, è quella che definisce ed assegna a Giu- 
seppe Basso il suo vero posto nella schiera dei nostri lavora- 
tori della scienza: un posto, la cui importanza apparirà evidente 
a chi pensi al deplorevole abbandono nel quale qui come altrove, 
nelle scuole come nei laboratori, è presentemente lasciato il 
bellissimo ramo della fisica che il Basso prediligeva. Importa 
tuttavia notare come daccanto a questi lavori, i quali assorbi- 
rono la parte migliore della sua attività scientifica, egli abbia 
continuato a produrre anche altre pubblicazioni. Ed io cito fra 
queste: tre nuove note presentate all’ Accademia nel 1882 e nel 1884 
intorno alla teoria ed alla costruzione del suo reometro a mas- 
sima deviazione, un trattato elementare di meccanica ad uso 
dei licei pubblicato nel 1882, due monografie popolari “ Sulla 
polarizzazione della luce diffusa del cielo , e “ Sulle unità di 
misura delle grandezze elettriche , inserite nell’Annuario me- 
teorologico della Società meteorologica italiana, e finalmente 
una lunga serie di cenni biografici e di commemorazioni. 

Frattanto, meno eccessivo che nei primi anni, ma pur sempre 


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GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 13 


intenso e grave, era continuato pel professore Basso il lavoro 
didattico. Nel 1879, ossia nel primo anno in cui egli si trovava 
esonerato dalla supplenza alla cattedra universitaria di fisica 
sperimentale, egli era promosso nell’Accademia militare al grado 
di professore aggiunto di prima classe; e due anni dopo, nel 
1881, vi occupava, come professore titolare di fisica, il posto 
lasciatovi dal professore Luvini, nel quale posto, percorsi man 
mano tutti i gradi, egli rimaneva poi sino alla fine. Nella uni- 
versità, dopo di avere occupato la cattedra di fisica matematica 
per dieci anni come professore straordinario, veniva promosso 
professore ordinario nel 1882. E fu allora, solamente allora, che 
egli potè cominciare a ridurre a più sopportabile misura le sue 
fatiche, rinunziando gradualmente ai vari insegnamenti privati 
che prima era stato costretto a cumulare. La sua carriera come 
professore sarà tutta narrata, se dopo di avere ricordato, come 
ho fatto, queste poche date e con esse i criteri e gli intendi- 
menti che determinarono la scelta dei programmi e l'indole 
dei suoi insegnamenti, io ricorderò ancora con quale cura onesta 
ed amorevole egli si adoperasse a rendere chiara ed accessibile 
a tutti la sua esposizione; con quale arte egli riuscisse ad ac- 
coppiare alla chiarezza la castigatezza, e talora anche l'eleganza 
del discorso; con quale zelo assiduo e scrupoloso egli adempisse 
il suo ministero. 

La bontà dell'animo, l'onestà degli intenti, l'abitudine della 
più assoluta obbedienza al dovere furono, del resto, gli elementi 
direttori di tutti gli atti della sua vita. Della quale la maggior 
parte trascorse fra le fatiche ed i sacrifizi, sorretta unicamente 
dalla coscienza del dovere compiuto. 

Soddisfazioni e premi egli ebbe: ne ebbe nella onorata 
carriera universitaria; ne ebbe nella nostra Accademia, che fin 
dal 1877 lo inscrisse fra i suoi Soci, che due volte, nel 1888 e 
nel 1892, lo elevò alla carica di Segretario della nostra classe, 
che a più riprese lo volle membro della giunta pel premio Bressa 
e che ultimamente lo annoverava fra i suoi consiglieri di am- 
ministrazione. Inoltre nel 1891 egli era stato eletto membro 
della Società degli Spettroscopisti italiani, e nel 1893 era stato 
aseritto come Socio nella Reale Accademia di Agricoltura di 
Torino. Ma il premio direttamente ambito era per lui l’intima 
compiacenza di chi ha fatto del bene. V’ hanno eroismi ignorati 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 4 


14 GALILEO FERRARIS 


fuori delle pareti domestiche, i quali non hanno premio di onori, 
ma fruttano impareggiabili gaudii dell'anima. E tali gaudii egli 
aveva conseguito. Cresciuto fra le più dure strettezze, egli era 
riuscito a restituire ai parenti il frutto dei loro sacrifizi; il padre 
aveva chiuso la vita operosa coll’ onesto riposo di una vecchiaia 
agiata e tranquilla; la madre, contenta nella modesta sufficienza 
di ogni cosa, lo benediceva; i nipoti riconoscenti progredivano 
negli studi con mezzi e con comodi che egli giovanetto aveva 
ignorato. 

Col balsamo di questi pensieri nel cuore, poco altro egli sa- 
peva desiderare. A lui bastava il culto della Scienza, alla quale, 
come alla sua Dea, ricorreva negli intervalli di riposo per ri- 
temprare le forze esauste dalle fatiche del pesante lavoro quo- 
tidiano, e la tranquilla e serena gaiezza della consueta passeggiata 
e del consueto ritrovo, dove fra pochi amici egli portava nei 
geniali colloqui il contributo della larga e varia sua coltura. E 
siccome la giornata faticosa gli faceva naturalmente prediligere 
la forma più tranquilla del riposo, così questa si era fatta uni- 
forme e si alternava con immutabile costanza col lavoro ugual- 
mente monotono de’ suoi uffizi. Quindi la sua vita fu caratte- 
risticamente metodica. Sotto la calma uniformità di quella vita 
pareva si nascondesse l’effetto di una continua violenza volontaria, 
di un perseverante proposito di negare a sè stesso i conforti e 
gli agi non compresi in un angusto programma prestabilito. La 
calda giovialità della sua anima pareva che egli comprimesse 
schivando paurosamente i contatti col mondo; all’ elevato e puro 
sentimento del bello, che pure albergava in lui, egli negava i 
godimenti offerti dai teatri e dalle altre istituzioni artistiche 
cittadine; al cuore, col quale egli aveva dedicato ai suoi cari 
la maggior parte dei frutti del suo lavoro, egli negava il con- 
forto della vita in famiglia. Ma violenza non v'era, v'era solo 
l’ abito del sacrifizio e la modestia dei desideri. Pago delle pure 
gioie dell'intelletto e della coscienza, egli trascorse, sempre 
uguale a se stesso, sempre calmo e sereno, la vita appartata 
e modesta. 

Sempre uguale a sè stesso, sempre calmo e sereno, la sera 
del 27 luglio egli stringeva ancora, rincasando, la mano agli 
amici, e loro diceva il solito: “ a rivederci ,,1' ultimo “ a ri- 
vederci ,. Il giorno dopo egli ci aveva lasciati! 


GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 15 


Da quel giorno la vecchia madre attende invano il saluto 
consueto. E noi, ancora attoniti e dubitosi, oh! quante volte 
sentiamo nel cuore un sussulto e nelle vene un brivido se di 
sera, alla svolta della strada, ci si presenti nell'ombra una figura 
che ci ricordi quella che sempre ci aspettiamo di vedere, la 
figura amica del nostro povero Basso! 


ELENCO delle pubblicazioni del Prof. GiusePPE Basso. 


î 5 > È ” 
1862. Dissertazione sulla luce polarizzata circolarmente e sulle sue appli- 
. cazioni ad alcune questioni di chimica. — Dissertazione di laurea. 


1864. Sul lavoro interno prodotto dal calore nei corpi. — Dissertazione pel 
concorso ad un posto di dottore aggregato alla facoltà di scienze fisiche, 
matematiche e naturali nell'Università di Torino. 


1865. Sull’uffizio della matematica nelle scienze sperimentali. — Discorso 
pel solenne accoglimento nella facoltà. (Rivista italiana delle scienze, 
lettere ed arti, anno 6°, n. 236, 3 aprile). 


1867. Nota intorno alla determinazione di temperature molto elevate me- 
diante un procedimento calorimetrico analogo a quello seguito da 
Bystròm. (Mem. Acc. Sc. di Torino, Serie II, Tom. XXII). 


1870. Sulla deviazione massima dell’ago calamitato sotto l’azione della 
corrente elettrica. (Mem. Ace. Se. di Torino, Serie II, Tom. XXVI). 


— Determinazione della velocità del suono nell’aria per mezzo di un’eco 
polifona. (Atti Ace. delle Sc. di Torino, Vol. VI). 


1871. Nuova bussola reometrica. (Mem. Ace. delle Sc. di Torino, Serie II, 
Tom. XXVI). 


1877. Fenomeni di magnetismo osservati nel radiometro. (Atti dell’ Acc. delle 
Sc. di Torino, Vol. XII). 


1878. Parole di commemorazione di Vittorio Regnault. (Atti dell’Ace. delle 
Se. di Torino. Adunanza 27 gennaio 1878). 


— Sulle correnti elettriche d’induzione generate per mezzo di moti oscil- 
latori. (Atti dell'Acc. Se. di Torino, Vol. XIII). 


— Sulluso delle bussole reometriche per correnti elettriche di breve durata. 
(Atti dell’Acc. delle Sc. di Torino, Vol. XIII). 


16 GALILEO FERRARIS 
1879. Sull’allungamento dei conduttori filiformi attraversati dalla corrente 
elettrica. (Atti Acc. Se. di Torino, Vol. XIV). ) 


— Fenomeni che accompagnano l’elettrolisi dei composti metallici. (Atti 
Acc. delle Sc. di Torino, Vol. XV). 
1880. Silvestro Gherardi. — Cenno biografico. (Atti Acc. Se. di Torino, Vol. XV). 


— Sugli effetti meccanici della elettrolisi. (Memorie dell’ Acc. delle Sc. di 
Torino, Serie II, Tom. XXXII). 

—  Contribuzione alla teoria dei fenomeni di diffrazione. (Atti Ace. Se. 
di Torino, Vol. XV). 

— Fenomeni di polarizzazione cromatica in aggregati di corpi birifran- 
genti. (Memorie Acc. Sc. di Torino, Serie II, Tom. XXXIV). 

— Intorno alla vita ed agli studi di Giambattista Beccaria. Conferenza 
tenuta alla Filotecnica. (Atti della Filotecnica). 

1881. Dimostrazione di una proprietà geometrica dei raggi rifratti straor- 
dinari nei mezzi birifrangenti uniassi. (Atti Ace. Sc. di Torino, Vol. XVI). 


— Riflessione della luce polarizzata sulla superficie dei corpi DirlrangenAl: 
(Atti Acc. Sc. di Torino, Vol. XVI). 


— Il Conte Amedeo Avogadro di Quaregna. Lettura alla Società Filote- 
cnica, 24 aprile 1881. (Atti della Filotecnica, Anno IV, Vol. IV, 121). 

— Studi sulla rifrazione cristallina. (Memorie Acc. Sc. di Torino, Serie II 
Tom. XXXIV). 

1882. Sopra un caso particolare d’equilibrio per un solenoide soggetto al- 
l’azione magnetica terrestre ed a quella d’una corrente elettrica. (Atti 
Ace. Sc. di Torino, Vol. XVII). 

— Apparato reometrico a massima deviazione (Atti Acc. Se. di Torino, 
Vol. XVII). 

— Nozioni di meccanica ad uso specialmente dei licei. (Paravia, Torino). 

1883. Sopra un caso particolare di riflessione cristallina. (Atti Acc. Se. di 
Torino, Vol. XVIII). 

— Sul fenomeno ottico detto “ Nodus Rosi ,, relazione. (Atti Ace. Sc. di 
Torino, Vol. XVIII). 

1884. Sopra un modo di misurare l'intensità delle correnti elettriche. (Atti 
Acc. Sc. di Torino, Vol. XIX). i 

— Appareil rhéométrique à déviation maximum. (Torino, Stamperia Reale- 
Paravia). 

1885. Fenomeni di riflessione cristallina interpretati secondo la teoria 
elettromagnetica della luce. (Atti Ace. Se. di Torino, Vol. XX). 


— Relazione del Socio Giuseppe Basso, Segretario della Giunta per il 
IV premio Bressa. (Atti Acc. Se. di Torino, Vol. XXI). 


I 
| 
| 


AI 
— 1886. Commemorazione di Giulio Jamin. (Atti Ace. Sc. di Torino, Vol. XXI). 


GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 17 


_ — Sulla legge di ripartizione dell'intensità luminosa fra i raggi birifratti 


da lamine cristalline. (Atti Acc. Sc. di Torino, Vol. XXI). 


1887. Sulla legge ottica di Malus detta del coseno quadrato. (Atti Ace. Se. 


di Torino. (Vol. XXII). 


— In commemorazione di Gustavo Roberto Kirchhoff. (Atti Acc. Sc. di 
Torino, Vol. XXIII). 


1888. In commemorazione di Rodolfo Clausius. (Atti Ace. Se. di Torino, 
Vol. XXIII). 


1889. Sulla polarizzazione della luce diffusa dal cielo. (Annuario meteorolo- 


gico pubblicato per cura del comitato direttivo della Società meteorologica 
italiana; anno IV). i 


— In commemorazione del Conte Paolo Ballada di Saint-Robert. (Atti 
Ace. Sc. di Torino, Vol. XXIV). 


— In commemorazione di Gilberto Govi. (Atti Ace. Sc. di Torino, Vol. XXV). 


— Giacomo Prescott Joule, parole di commemorazione. (Atti Acc. Sc. di 
Torino, Vol. XXV). 


1890. Sulle unità di misura delle grandezze elettriche. (Annuario meteoro- 
logico della Società meteorologica italiana, anno V). 


1891. In commemorazione di Guglielmo Weber. (Atti Acc. Se. di Torino, 
Vol. XXVII). 


_ — (Giuseppe Pisati. — Parole commemorative. (Atti Acc. Se. di Torino, 


Vol. XXVII). 


1892. Parole in commemorazione di Enrico Betti. (Atti Acc. Se. di Torino, 
Vol. XXVIII). 


— Di un carattere di reciprocità proprio della luce riflessa dai mezzi 
cristallini. (Atti Acc. Se. di Torino, Vol. XXVIII). 


1893. La ricerca delle leggi fisiche. — Discorso letto nella solenne apertura 
degli studi nella R. Università di Torino. 


18 GIUSEPPE GIBELLI 


G. B. DELPONTE 


Commemorazione letta dal Socio GIUSEPPE GIBELLI. 


Nacque in Monbaruzzo (circondario d’Aqui)il 2 Agosto 1812, 
da G. G. Delponte, medico di vaglia, già direttore delle Terme 
d’Aqui, e da Giovanna Prato, figlia di Alessandro, professore di 
Leggi in questa Università. 

Dopo i soliti corsi classici ed universitarii conseguì la laurea 
dottorale in Medicina nel Maggio 1832. 

Stretto dal bisogno, malgrado l’appassionata tendenza agli 
studi botanici, attese per sette anni all'esercizio pratico della 
Medicina. 

Nel 1839 ottenne finalmente la carica di assistente all’Orto 
Botanico; il che gli permise d’abbandonare la pratica medica, e 
di dedicarsi tutto quanto allo studio della scienza, che fu l’unica 
passione della sua vita. Fino d’allora dovette attendere con fer- 
vore all’insegnamento, sia colle ripetizioni agli scolari, sia colle 
frequenti supplenze al prof. Moris. 

Nel 1841, in seguito alla presentazione di tre tesi (De Pol- 
line plantarum — Varietates humani generis — De Rhabarbaro) 
ottenne l'aggregazione al Collegio medico di questa Università. 

Nel 1848, il celebre prof. Moris, nominato senatore, occu- 
patissimo nei lavori dell’alta sua carica, deferiva l'insegnamento 
della Botanica al dott. Delponte, il quale perciò otteneva il titolo 
di Professore sostituto in questa disciplina. In tale occasione il 
Ministro della Pubblica Istruzione fece sentire al Delponte, che 
l’erario pubblico, in gravi distrette per la guerra dell’Indipen- 
denza, non poteva disporre di alcuna somma in compenso dei 
suoi servigi. Il Delponte rispose, che il pretendere in tali contin- 
genze una ricompensa sarebbe stato indizio di poco amore alla 
Patria. E così per ben venti anni prestò gratuitamente l’opera 
sua all'istruzione: il che basta a designare la nobiltà di carat- 
tere di questo bravo uomo. 


G. B. DELPONTE — COMMEMORAZIONE 19 


Morto nel 1869 il prof. Moris, il Delponte ebbe il regolare 
incarico dell’insegnamento della Botanica nell'Università nostra 
e finalmente anche l'assegno, che gli competeva. 

Nel 1870, in seguito a regolare concorso, conseguì la cat- 
tedra e il titolo di Professore ordinario. Diè quindi opera alle 
lezioni ed alle ricerche scientifiche fino al 1878. 

Nel 1879, travagliato da lenta malattia dei centri nervosi, 
dovette desistere dal lavoro con suo grande dolore; chiese il 
i ben meritato riposo e si ritirò nel villaggio nativo, dove len- 
tamente si spense il 18 Maggio 1884. 


Il Delponte fu nominato Socio residente di questa KR. Ac- 
cademia nel 1867. Fu membro della R. Accademia d’Agricoltura, 
corrispondente della Cesareo-Leopoldina Naturae curiosorum, della 
Società dei Naturalisti di Cherbourg. Per le sue benemerenze 
scientifiche e didattiche fu insignito di alti gradi di più ordini 
cavallereschi. 

Della sua operosità scientifica fanno fede le numerose pub- 

.blicazioni, delle quali aggiungiamo l’elenco in fine. Le principali, 
e che gli dànno fama di vero scienziato, sono pubblicate nelle 
Memorie di questa R. Accademia. 
Aveva il Delponte un ingegno eletto: amava la scienza e 
le ricerche scientifiche per sè stesse, perchè erano le uniche sue 
| gioie intellettuali, senza la minima preoccupazione di notorietà. 
Non sentiva vanità di sorta: invidia, meno che mai. Lavorava 
sempre, deliziandosi nello studio delle forme e delle trasforma- 
zioni vegetali, senza darsi pensiero che le sue scoperte fossero 
divulgate. 

E infatti l’opera sua più importante Specimen Desmidiace- 
arum, che gli dà un titolo perenne di benemerenza scientifica, 
fu pubblicata soltanto per aderire alle prementi insistenze del- 
l'illustre De Notaris, che altamente apprezzava il Delponte. 

In quest'opera sono descritte e nitidamente figurate ben 
175 specie, delle quali 77 nuove. Essa resterà come un capo- 
saldo, al quale dovranno ricorrere tutti coloro, che vorranno 
occuparsi di queste elegantissime alghe microscopiche. 

Il Delponte era estremamente coscienzioso, meticoloso, per 
la manìa di perfezionare il suo lavoro; non sapeva mai stac- 
carsene, nè dargli il tratto finale. — Ecco il perchè giacciono 
inedite due poderose memorie, illustrate da molte tavole, una 


20 GIUSEPPE GIBELLI 


sulle Zygnemacee, l’altra sulle Pediastreae, e perchè di parecchie 
altre restano voluminosi manoscritti, o furono pubblicati soltanto 
frammenti. Certo è che chi volesse accingersi ad uno studio 
sistematico e morfologico delle Alghe d’acqua dolce del Piemonte, 
troverebbe una miniera ricchissima e preziosa di materiali già 
vagliati dal bravo Delponte. 

Per la sistematica delle Fanerogame sono importanti due 
sue memorie col titolo l’una di: Stirpium exroticarum pugillus, 
l’altra Un ricordo botanico del Prof. Defilippi, nelle quali si illu- 
strano 36 specie, e di queste 7 nuove. 

Notiamo anche che insieme al compianto A. Gras aveva 
apprestato una ingente copia di materiali per una nuova Flora 
Piemontese, ai quali potranno attingere con molto profitto i 
volonterosi, che volessero ritentare l’impresa. 

Oltre alla passione eminente per la Botanica, il Delponte 
ebbe gusto finissimo d’artista per ciò che è bello in tutte le 
sue forme. Conosceva a fondo il latino e lo scriveva con ele- 
ganza. Era versatissimo nella letteratura del rinascimento  ita- 
liano e de’ suoi grandi poeti da Dante all’Ariosto. Apprezzava 
assai anche i moderni suoi coetanei, meritamente celebrati. 
Negli ultimi suoi anni, quando dalla mente gli svanivano a poco 
a poco i nomi e i fatti della Botanica, gli restò vivace il ricordo 
dei classici latini e italiani; sicchè, ultimo suo conforto, sapeva 
deliziarsi declamando a memoria i brani più commoventi del- 
l’Eneide, gli eroici canti del Tasso, le sonanti ballate del Prati. 
Delponte nel suo cuore ingenuo non ricettò astio per nessuno; 
non ebbe nemici; amici pochi ma amatissimi. 

Ai genitori fino agli ultimi suoi giorni prestò culto di pro- 
fondo affetto. Nella sua camera da letto aveva raccolto entro 
una nicchia gli oggetti che di loro serbavano più commovente 
ricordo. Morì serenamente contemplando quell’altare del suo 
nobilissimo cuore! 


n n afiene “ 


G. B. DELPONTE — COMMEMORAZIONE gl 


Indice cronologico delle pubblicazioni di G. B. DELPONTE. 


De Polline Plantarum. (Taurini, ex Typis Regiis, 1841). 


Elementi di botanica e fisiologia vegetale. — Trad. di Adr. Jussieu con 
nozioni preliminari e appendice. (Stamperia Pomba, 1846). 


Cenno storico sull’Orto botanico di Torino dalla sua origine sino al 1849. 
(Mondo IMustrato, Tom. I, pag. 811, e suppl., pag. 838, con disegni 
intercalati nel testo). 


Elogio storico di Luigi Colla. (Memorie della R. Accademia delle Scienze di 
Torino, Ser. II, Tom. XII, 1850). 


Saggio di alcuni esperimenti georgici fatti negli anni 1851-52; letto in 
adunanza 16 aprile 1853; stampato negli Annali della R. Accademia 
d’Agricoltura, vol. VI. 


Catalogo delle piante coltivate nel giardino e nel Parco del sig. Marchese 
di Breme. (Torino, 1854). 


Stirpium exoticarum rariorum, vel forte novarum, Pugillus. (Taurini, ex 
Officina Regia, 1854). 


L’Igname Patata coltivata nell’Orto sperimentale della R. Accademia di 
Agricoltura di Torino. (Adunanza del 17 novembre 1855). 


Sulle Muffe di Valdieri. (Torino, Tipografia Nazionale di G. Biancardi, 1857). 


Nuove opere e miglioramenti introdotti nella primavera del 1859. (Estr. 
dagli Annali d’Agricoltura. — "Torino, Stamperia dell’Unione Tip-Edi- 
trice, 1861). 


Sull’Armiscillo della Nuova Granata. (Estr. Reale Accademia di Medicina di 
Torino, N. 17, 1862). 


Cenno intorno alle principali piante economiche poste a prova nel 1862 
nell’Orto sperimentale della R. Accademia d’Agricoltura di ‘Torino. 
(Letto nelle Adunanze 17 dicembre 1862 e 23 febbraio e 4 giugno 1868). 


Cenno intorno alle piante più notevoli poste ad esperimento nell’Orto 
Agrario della R. Accademia d’Agricoltura di Torino l’anno 1856. (Letto 
nell’Adunanza del 18 febbraio 1866). 


Studi intorno alle piante economiche. Memoria prima, sui Frumenti. (Letta 
ed approvata nell’Adunanza del 4 maggio 1867). 


Un ricordo botanico del sig. Prof. Filippo Defilippi. (Stamp. Reale, 1869). 


Cenno intorno ad alcuni saggi di Cereali e Legumi dell'Orto sperimentale 
della Crocetta presentati all'Esposizione Agraria del 1869 in Torino. 
(Torino, Tipografia e Litografia Foa, 1869). 


22 GIORGIO SPEZIA 


Elementi di Botanica. Organografia e fisiologia vegetale colle applicazioni | 
più importanti alle Industrie, alla Medicina ed alle Arti. (Stamperia 
Pomba, 1871). 


Studi intorno alle piante economiche. Memoria seconda: Sui Formentoni. 
(Letta ed approvata nell’Adunanza del 16 giugno 1871). 


Le piante in relazione colla materia e coll’incivilimento. Discorso pel ria- 
primento degli studi nella R. Università di Torino. (Stamperia Reale, 
1873). 


Guida allo studio delle piante coltivate nelle aiuole di piena terra nell’Orto 
botanico di Torino. (Torino, 1874). 


Specimen Desmidiacearum Subalpinarum. (Taurini, 1873-77). 


Giuseppe De Notaris — Commemorazione di G. Delponte e M. Lessona. 
(Torino, Stamperia Reale, 1877). 


NB. — Del Delponte sono tutti gli articoli botanici contenuti nella Enci- 
clopedia popolare italiana del Pomba. 


JAMES DWIGHT DANA 


Commemorazione letta dal Socio GIORGIO SPEZIA. 


James Dwight Dana, socio di questa Accademia, nacque 
in Utica N. Y. il 12 febbraio 1813 e morì a New Haven il 
14 aprile di quest'anno. 

Le scienze naturali perdettero nel Dana uno di quei cultori 
che oggi sono rarissimi, perchè lo sviluppo scientifico, originato 
dalla suddivisione del lavoro, permette soltanto ad un eccezio- 
nale ingegno di potere estendere le sue investigazioni simulta- 
neamente a varii rami della scienza con vantaggio di essa. 

Il Dana nella sua gioventù mostrò speciale predilezione per 
la chimica e nel 1836 fu assistente al laboratorio del prof. Sil- 
liman; ma in pari tempo coltivò lo studio dei minerali e nel 
1837 comparve la prima edizione del suo trattato A system of | 
mineralogy, il quale doveva rendere il suo nome così popolare . 
ed in alta stima fra i mineralogi. 


JAMES DWIGHT DANA — COMMEMORAZIONE 23 


Nel 1838 poi il Dana ebbe l’occasione di dovere applicarsi 
ad altri studi; poichè, chiamato a far parte del viaggio scien- 
tifico di esplorazione dell'Oceano Pacifico ordinato dal governo 
degli Stati Uniti, non potè a meno di essere attratto dalle inte- 
ressantissime osservazioni che in fatto di zoologia e geologia 
offrono simili viaggi. E fu dopo tale viaggio, continuato per 
circa 4 anni, che il Dana, oltre la mineralogia, coltivò anche la 
zoologia e la geologia con risultati così eminenti, che quasi non 
si saprebbe ora dire se le scienze naturali debbano piangere la 
mancanza di un mineralogo o di un zoologo o di un geologo. 

La maggior gratitudine che ogni mineralogo deve al Dana 
emerge dal suo trattato A system of mineralogy col quale egli 
seppe mantenere la mineralogia col progresso scientifico. Ed uno 
dei vantaggi principali di tale opera fu di avere ottenuto che 
nella classificazione dei minerali fosse dato posto essenziale ai 
caratteri chimici, i quali non erano tenuti in gran conto dalla 
generalità dei precedenti mineralisti che seguivano le orme di 
Mohs, 

Però il Dana raggiunse il suo scopo col riconoscere che il 
progresso delle scienze ausiliarie della mineralogia doveva influire 
sul cambiamento d’indirizzo dello studio dei minerali; ed egli 
stesso che colla prima edizione ammetteva ancora in parte il 
sistema di Mohs, riconobbe più tardi che esso non era soddis- 
facente. Perciò l’ abbandonava in base ad un principio fonda- 
mentale per lo sviluppo di ogni scienza, e che egli esprimeva 
nella edizione del 1850 con queste parole: “ Il mutare ha sempre 
l'apparenza d’incostanza. Ma il non mutare col progresso della 
scienza è peggio, è una persistenza nell’errore ,. 

Oltre alla indicata classica opera, la mineralogia deve al 
Dana una serie di lavori e brevi studii, i quali, se provano 
l’alto valore del mineralogo, dimostrano eziandio come egli vo- 
lesse disporre del tempo anche per gli altri studii naturali ai 
quali si era pure dedicato. 

La zoologia infatti deve annoverare il Dana fra i suoi cul- 
tori per una serie di scritti, fra i quali sono dai zoologi ritenute 
classiche e dotate di originalità l’opera sui crostacei e quella 
sui zoofiti. 

Mà se il numero delle pubblicazioni in un dato ramo scien- 
tifico può esprimere il maggiore amore che uno scienziato abbia 


' 


24 GIORGIO SPEZIA — COMMEMORAZIONE DI JAMES DWIGHT DANA 


per una scienza, si deve conchiudere che la geologia fu quella 
che attirò la maggior simpatia del Dana. 

D'altronde chi da giovane era chimico e che poi passò ad 
essere eminente nelle scienze mineralogiche e zoologiche, non 
poteva a meno di possedere tutte le condizioni scientifiche ne- 
cessarie per trattare argomenti geologici di qualsivoglia natura 
e con quella sintesi scientifica alla quale difficilmente arriva uno . 
specialista assoluto. Per un intelletto poi come quello del Dana, 
in cui lo studio delle dette scienze aveva stimolato il pensiero 
filosofico delle origini delle cose, era ovvio che la geologia do- 
vesse apparirgli come il campo più attraente per l’applicazione 
della sua grande sagacia nell’osservare e nel dedurre, massime 
che il suo paese presentava ancora moltissimi problemi geologici 
degni del suo studio. 

Anche per la geologia il Dana credette utile di scrivere un 
Manual of geology il quale, se fra i trattati di geologia forse 
uon ha il primato che possiede il System of mineralogy fra quelli 
di mineralogia, attesta tuttavia come l’autore fosse in magistrale 
possesso della scienza. Di speciale importanza sono poi le opere 
che hanno per titolo: Corals and coral Island, Characteristies of 
volcanoes e The four rocks of the New Haven region. 

Oltre tali opere il Dana fornì la geologia di un numero 
grandissimo, e molto maggiore di quello degli scritti di mine- 
ralogia e zoologia, di studii ed osservazioni, dalle quali risulta 
evidente come gli fossero famigliari gli argomenti di stratigrafia, 
di paleontologia, dell'origine delle montagne, dei fenomeni gla- 
ciali, di oceanografia e del vulcanismo. 

Rispetto a quest’ultimo è degno di nota un breve scritto 
che porta il titolo di: On the condition of Vesuvius in July 1834. 
È un lavoro essenzialmente descrittivo, ma nel quale appare 
già il carattere filosofico, di coordinare gli effetti colle cause, 
al quale il Dana informò generalmente i suoi lavori geologici; 
inoltre ha il pregio, per la geologia italiana, di essere stato il 
primo pubblicato in quella numerosa serie di svariati scritti 
che onorarono la vita scientifica del grande naturalista ame- 
ricano. 


TULLIO LEVI-CIVITA —— SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI, ECC. 25 


Sull’inversione degli integrali definiti nel campo reale; 


Nota di TULLIO LEVI-CIVITA. 


In alcune ricerche di analisi pura e in moltissimi problemi 
di fisica e di meccanica fa d’uopo invertire qualche integrale 


definito. Si può anzi affermare che non v'è ramo della fisica 


matematica, in cui non si incontrino difficoltà di questa natura. 
Con tutto ciò, per quanto almeno è a mia cognizione, non fu 
ancora dedicata a siffatto problema alcuna indagine sistematica; 
se ne considerarono soltanto, in causa del frequente loro appa- 
rire, alcuni casi particolari, per la cui trattazione furono da 
varii autori proposti disparati artifizii. 

A tacere di alcune formule di Cauchy, che pur rientrano 
in quest'ordine di studii, Abel, per il primo, da taluna ricerca 
sul moto brachistocrono venne condotto ad un teorema di in- 
versione, che porta il suo nome e che, come mise in chiara 
luce il Prof. Beltrami (1), è suscettibile di forme svariatissime, 
tanto che ad esso (finchè si resta nel campo reale (2)) quasi 
unicamente possono riportarsi i casi di inversione, che gli altri 
autori hanno ritrovato. 

Molti di questi tuttavia presentano grande interesse per 
la questione, che ne vien risolta e basterà ricordare tra i più 
notevoli il teorema di Schlomilch (sugli sviluppi in serie pro- 
cedenti per funzioni cilindriche di argomenti multipli) e le mol- 
teplici applicazioni dello stesso Prof. Beltrami. 

Se io non mi inganno, eccedono il teorema di.Abel soltanto 
una generalizzazione di esso riportata da Sonine nelle sue “ Re- 


(1) “ Intorno ad un teorema di Abel , (Rend. dell'Istituto Lombardo, 
ser. II, vol. XIII). — “ Sulla teoria della attrazione degli ellissoidi , (Mem. 
dell'Acc. di Bologna, ser. IV, tom. 1). 

(2) Nel campo complesso la questione fu già discussa sotto aspetto più 
generale da Abel e da Riemann; venne poi recentemente ripresa dal 
Prof. Pincherle, dal sig. Hj. Mellin e da me stesso. 


26 TULLIO LEVI-CIVITA 


cherches sur les fonctions cylindriques , (1) e una breve, ma _ 
importantissima nota del Prof. Volterra (2), la quale costituisce 
forse il primo ed unico esempio di un criterio generale di in- 
versione; il risultato è di ricondurre la questione ad altra più 
semplice della stessa natura, sì che talora anche riesce di rag- 
giungere lo scopo definitivo. 

Ciò accade del pari nel presente scritto; esso si informa 
(salvo le necessarie modificazioni, dovute alla maggior genera- . 
lità delle funzioni, con cui si opera) allo stesso concetto fon- 
damentale, che esposi già nella nota “I gruppi di operazioni 
funzionali e l'inversione degli integrali definiti , (8). 

Il primo $ è destinato a dare il profilo generale di un 
metodo, che può condurre alla determinazione di v(y) dalla 
formula: 

b(2) 


u (1) = |f(.y) e) dy, 


0(x) 


dove u(x) e v(y) si intendono funzioni integrabili e 7(x,y) sod- 
disfa ad una equazione lineare a variabili separate del tipo: 


quer ( qm_s 7 
Vip. Sins Val Sie = 0, 


che chiamo equazione caratteristica; i $$ seguenti sono dedicati 
alle applicazioni. Io ho considerato esclusivamente il caso che 
la equazione caratteristica in f sia del primo ordine, nella quale 
ipotesi si può ridursi senza difficoltà alla forma canonica: 


b(x) 


ufe) = [fl — y) v (y) dy. 
a(x) 


Il procedimento accennato riesce completamente per due 
casi particolari molto interessanti, cioè: 


(1) Math. Annalen, B. XVI. 


(2) “ Sopra un problema di elettrostatica , (Ace. dei Lincei, Transunti, 
Ser. 3°, vol. VIII). 


(3) Rend. dell’Ist. Lombardo, ser. II, vol. XXVIII. 


SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 27 


= (fly) v(Yy) dy e u(x) = [f(a—y) 0) dy (a e db costanti). 


Per la prima di queste relazioni, ammessa press’a poco 


_ soltanto l’integrabilità della v e della f, immaginando data «(x) 


in un intervallo qualunque (ad), assegno una espressione ana- 


. litica (cioè formata cogli ordinarii simboli di calcolo) atta a rap- 


presentare v(y) nello stesso intervallo; come casi particolari 
ritrovo il teorema di Abel e la generalizzazione indicata da 
Sonine. Per la seconda formula invece, giungo ad un risultato 
utile, soltanto quando la (x) è nota ed integrabile in tutto 
l’intervallo (— 00 00). 

Quanto alle equazioni caratteristiche d’ordine superiore al 
primo, debbo rimetterne lo studio ad altra comunicazione, per 
non oltrepassare i giusti limiti della presente. 

Spero che nel frattempo mi si offra anche occasione di ap- 
plicare lo stesso metodo a qualche problema di fisica. 


1. — Data l'equazione: 


be) 


(1) u(1) = (f(2,y) v(y) dy, 


a(x) 


dove a(x), b(), f(x, 4), u(x) si suppongono funzioni conosciute 
(le prime tre finite, continue e derivabili quanto occorre e la 
u(x) integrabile in un intervallo pur dato), il problema di in- 
versione consiste nel determinare una funzione v(y) atta all’in- 
tegrazione, per cui la (1) riesca identicamente soddisfatta. 

Ogni qualvolta la funzione f(x,y), che si può chiamare ca- 
ratteristica, soddisfaccia ad una equazione caratteristica a deri- 
vate parziali e variabili separate del tipo: 


©) AM + 0M}f=0 


(40 f= d, », (2) TL , 0m= Va () Lose essendo forme 
0 


differenziali lineari qualunque in «, y dell’ordine rispettivo n, m : 


28 TULLIO LEVI-CIVITA 


si può seguire per l’inversione della (1) un criterio direttivo, 

che permette in qualche caso di andare in fondo. 
Gioverà premettere alcune brevi osservazioni. 
Formiamo l’equazione: 


(3) {AT — x(1)} u@) = 0, 


dove A" è la forma aggiunta a A? e y(t) è una funzione, che 
si può scegliere a piacere, di un parametro t; e poniamo: 


(0) 
(4) ve(y) = |{(2,y) u-(2) de, 


2(Y) 


essendo ur(x) una soluzione determinata della (3). Sarà: 


B(4) 
0 + veM=f 19 + x (7,9). ur (0) de + termini 
(9) 
provenienti dalla derivazione dei limiti. 
Ma, in causa della (2): 0!”f(x,y) = — A?°f(x,4), e, per 
la definizione stessa di forma aggiunta: 


BI) (3(9) 

— | A f(,y) . ur (2) da = + | f(x,y) - A'! pu. (x). de + termini 

a(4) (4) 
ai limiti. 

Chiamando complessivamente 9(y,t) i termini fuori dell’in- 
tegrale, che sono perfettamente conosciuti, e avendo riguardo 
alla (3), si conclude che le funzioni v-(y) definite dalla (4) sod- 
disfanno, qualunque sia il valore di t, ad una equazione diffe- 
renziale del tipo: 


(5) 10 + xMiv= (43, 


la quale le individua completamente, purchè le costanti di in- 
tegrazione si determinino attribuendo ad y nella (4) valori 
particolari. 

Ciò posto, riprendiamo l’equazione (1) e integriamo rispetto 
ad x fra certi limiti c e d, dopo aver moltiplicato ambo i membri 
per una funzione F da determinarsi, dipendente da x e, ove 
convenga, da altre variabili ausiliarie 2,tf, ecc. 


Lu 


e I iii ia 


e 


4 


* 


È; 


« 
E 


x 


bb 
Sd 


Si 


* 


SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 29 
Avremo: 


d d b(2) 


SF.u(de = | Fada . SF) 0) dy. 


e a(x) 


Supponendo di poter in qualche modo invertire le due in- 


tegrazioni rispetto ad x e ad y, la relazione precedente assu- 
merà l’aspetto: 


d d 8) 
(6) SF. u(de= f v(y) dy 1) Fdx. 
c 7 a(Y) 


Si tratta ora (e a ciò s1 trova ricondotta tutta la difficoltà 
della questione) di operare in modo che il secondo membro 
della (6) divenga una rappresentazione integrale della funzione 
©(y); in tale ipotesi infatti, il primo membro, che potrà riguar- 
darsi conosciuto, fornirà l'inversione richiesta. 

In generale è noto (1) che: 


00 di 
fai fYity—2i v(y) dy = v(2) (r<2<d), 
o > 


essendo v(y) generalmente finita e continua, ed integrabile nel- 
l'intervallo (rd) e Y funzione /luttuante. 


Se dunque si giunge a conoscere una funzione Y (x, 2, t) 
tale che: 


B(Y) 
{f(x,y) F(x,2,t) dae = Y(t(y—-2)), 


4(4) 


(1) Hamiron, “ On fluctuating function , (Transaction of the Royal 
Irish Academy, vol. XIX, 1848. — Du Bors-Revmonp, “ Ueber die allge- 
meinen Figenschaften der Klasse von Doppelintegralen, zu welcher das 
Fourier'sche Doppelintegral gehért , (Crelle's Journal, B. LIX, 1868). — 
C. Neumann, “ Ueber die nach Kreis-Kugel- und Cylinder-Funktionen fort- 
schreitenden Entwickelungen ,, Leipzig, 1881; veggasi in particolare, 
cap. 3, $ 6. — Kronrcxer, “ Vorlesungen iber Mathematik ,, Erster Band, 
Leipzig, 1894, pag. 77. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 5 


30 TULLIO LEVI-CIVITA 


basta poi integrare il primo membro della (6) fra 0 e co per 
avere una rappresentazione analitica della funzione v. 

Ciò vale qualunque sia la funzione caratteristica f(x,9); 
l'ipotesi restrittiva da noi introdotta, che essa soddisfaccia ad 
una equazione del tipo (2), permette di fare un passo più avanti 
e di riportare la questione, che ci occupa, ad altra, se non ri- 
soluta, certo più studiata e in qualche caso già nota. 

Infatti, dato il sistema di funzioni vr(y) (t=1,2,...,00) 
definite dalla (5), dico essere sufficiente per lo scopo nostro che 
si sappia sviluppare una funzione assegnata @(y) in serie pro- 
cedente per funzioni vr (y) del sistema (6), si possa cioè, per 
quanto con restrizioni sulla natura di @(y), porre: 


em=Y cv.) 


colle C- indipendenti da y. 


Per provare questo asserto, si scelga una qualunque fun- 
zione fluttuante, che soddisfaccia alle volute restrizioni (ve ne 
ha certamente, perchè anzi le forme più note sono addirittura 
funzioni analitiche) e si avrà per Y (t(y—2)), risguardata come 
funzione della sola y coi due parametri # e 2, una identità 
del tipo: 


(7) Vity—a)}=Y} Ch) ve). 
T 
Se quindi si pone nella (6): 
(0) 
F(a, <, t) Ti le (t, 2) Ur (2), 
I 


tenendo presente la (4) e la (7), si ha: 


_£(0) 
JP) fy)da = Y}ty—-d}, 


aly) 


e per conseguenza, in base a quanto si è osservato a proposito 
della (6) stessa: 


SULL’INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 81 


y e 
(8). (2) = f dt J >. Cr (t,2) ur (2). u(e) de (1<2<d). 
0 e 

| Le condizioni di effettiva validità per il procedimento for- 
[ male qui indicato sono manifestamente pochissimo restrittive; 
Pil discuterle partitamente ci porterebbe molto in lungo con 
È scarso profitto, essendo assai più semplice riconoscerle nei casi 
: singoli. 

Mi pare degna di nota la seguente circostanza: Ogniqual- 
. volta i coefficienti dell’equazione differenziale (5) sono analitici 
— (il che per es. accade certamente, quando lo sieno le 9.(y),0 (4), 
| B(), f(<,y), il problema di invertire la (1) si riduce ad una 
questione concreta nel campo analitico, alla sviluppabilità di 


una data funzione in serie procedente per funzioni del si- 
stema (5) (1). 


lodi. init 


e 2. — Passiamo ora a considerare con qualche dettaglio 
| il caso che l'equazione caratteristica in f sia del primo ordine. 
Avremo: 
(2) 
(9) i UE j f(2,y) v(y4) da 
ax) 
con: 


(10) }A! + OP {f(2,) = po) + ++ Mf=0, 


alle quali, ove si ponga: 


"ad ° fr Pi(®) 7 da + (al NI) 7 
# ; Pol) moi 
n= [x day Sal vi (0) » fi(01,1)= f(2,4).e 0405 Yo Io(Y 
o) 


x pile) 


(1) ni s (2, )= aa u(a) . , Seo) E 


Y NI) 3 
Yo qoly) È 


, vi) =). I 


(1) Veggansi a tale proposito alcune considerazioni generali utili in 


32 TULLIO LEVI-CIVITA 
si attribuisce la forma canonica (1): 


bi(%1) 


u, (23) = ff (211 Y1) v1 (41) dn 


A(£1) 


Bfosotrodia i 
da, si 194 
Scrivendo nuovamente , y,....., al posto di x,, Y1;....., ed 


osservando che l’integrale generale di Ù + ui = 0 è f(a—y), 


le due precedenti equazioni si possono sostituire con: 


b(x) 


(12) ups Sf — y)v(y) dy, 


a(x) 


dove f è simbolo di funzione arbitraria. 

Finchè i limiti di integrazione a(«) e 5(x) rimangono inde- 
terminati, il criterio generale di inversione, indicato nel prece- — 
dente $, non si lascia applicare alla (12) in modo da raggiungere 
un risultato definitivo; sì possono però trattare esaurientemente — 
due casi notevoli (a=cost, 5(x)=x; a,6=cost), che molto spesso 1 
si incontrano nell’analisi applicata. 

A questi due casi limiteremo il nostro studio, occupandoci 
successivamente di determinare (y) dalla equazione; 


x 


(18) (= ff@—y) v(4) dy, 


a 


ovvero dalla: 
b 


(14) ua) = |fle—y) v(v) dy. 


a 


molti casi, contenute nella memoria del Prof. Pincherle: “ Sopra alcuni — 
sviluppi in serie per funzioni analitiche , (Mem. dell’Acc. di Bologna, | 
ser. IV, tom. IIL 
(1) Con ovvie modificazioni delle (11) si perviene a questo stesso risul- 
tato, anche quando py(2) 0 go(y) sieno nulli. è 


È SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 33 


. La ricerca consterà di due parti: 1° Ammessa l’esistenza 
fiera funzione v(y), determinarne una espressione analitica. 
2° assegnare per questa espressione le condizioni di effettiva 
i validità. 


8. — Riferendosi alla (183) (1), suppongasi u(x) atta all’in- 
| tegrazione dell'intervallo (a 00), si moltiplichino ambo i membri 
della (13) per cos tt (r—e) de e si integri fra a ed 00. Verrà: 


feos mi (a—2).u(x) de alora ti (r—-2) da {f(a—y) v(Y) dy, 


i od anche, invertendo le integrazioni colla regola di Dirichlet: 


f cos tt (r—e). u(a) de = fo (4) dy j ie N) cos mi (e—-2) de. 


a a Y 


Se nell’integrale interno del secondo membro si assume, 
—\A=<x —y come variabile di integrazione e si pone: 


(15) Be= fo) cos tt) . di 
(16) LEO = (fa) sen tà). d\, 


si ha immediatamente: 


ei 
{cos mi(e—e) u(a) da = 
(0 0) 


h(t) fcos nt(y—2) v(y) dy — k(0) fsen né (y—2) 07) dy. 


(6) 


x 
(1) Nella (13) si è scritto 5 supponendo, tanto per fissare le idee, a<x; 


i risultati, che stabiliremo in appresso si dovranno senz'altro ritenere estesi 
anche agli integrali del tipo î (e<b). Basterà infatti scambiare x in —, 


yin —y, bin —a, f() in PRI ecc., per essere ricondotti al primo caso. 


hi 


34 TULLIO LEVI-CIVITA 
In modo analogo: 
ce ‘ 


fsen té (e—2) u(x) de = 


k(1) fcosmi (y—a) e() dy +10 fsen mt y—a) (1) dy, 


da cui, purchè /(#) e X(#) non si annullino contemporaneamente: 


514 (eo) 
Jcos né (y—e) c() dy = |) = ero aa coi N dr 


Integrando ambo i membri rispetto a # fra 0 e 00, qualora 
v(y) sia funzione generalmente finita e continua, atta all’ inte- 
grazione fra 0 e co e dotata soltanto di un numero finito di 
massimi e minimi, o più generalmente tale che le si possa ap- 
plicare la rappresentazione integrale di Fourier (1), si riconosce 
‘che dovrà aversi generalmente (ciò che basta per il nostro scopo): 


See ee 
(17) |dt fu (e) 20 SORT 


0 


(ea ) PRO. a —g) 
hO + k(i 


dg — (2) EA 


h(t) cos tt(r—-2) + K(t) sen né(e—e) 
18 di — dei = nc 
SE J s 4 ‘e ) n° + k(0° CEE (e0) 


‘0 a 


Per stabilire queste due formule noi ci siamo appoggiati 
alle relazioni: 
Mesi 
Î f (cy) cosnt(e-2) de =h(t) cosnt(y—2) — k(t) sen nt(y—2), 
Y 
00 
| f(e—y) sen nt(e—2) de =: k(t) cos nt(y—2) + h(t) sen nt(y—2), 


yY 


(1) D'ora innanzi chiamerò brevemente funzioni di Fourier quelle, che 
si possono generalmente rappresentare mediante il noto integral doppio 
scoperto da questo autore. Veggasi in proposito: Du Bors-Rermownp, * Die 


Theorie der Fourier'schen Integrale und Formeln , (Math. Annalen, B. IV). 


+ 


SULL’INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 35 


che si giustificano un semplice cambiamento della variabile di 


integrazione; non è tuttavia fuor di luogo il notare come esse 
si ritrovino, seguendo il concetto direttivo esposto a $ 1. Ab- 


biamo infatti, applicando le notazioni di allora al caso presente 


sii A; ur dv ian 
ed assumendo x(t) = int: 7 — intu = 0 e dl + intv=0, 


ossia v,(y) = g(t)e'7%, la costante g(?) potendosi determinare 
00 
col fare y = 0 nella: vr(y) = Î f(c—y) (x) de, ciò, che, pren- 


Y 
Mendo pu,(x) = e'””, dà: g() = (fl) e'?tdx. Ora, se si pone: 
‘0 
g(t) = At) + ik(t), le funzioni X(t), X(t) coincidono con quelle 
0 


definite dalle (15), (16) e, scindendo la v, (y) = {f(r—y) Wu (@) de 
Y 
nelle sue parti reale ed immaginaria, si ottengono le identità: 


(0°) 
f f(a—y) cos ata. de = h(t) costty — k(t) sen nty 
Ù 


00 

| f(e—y) senta. de = k(t) cos tty +-Hh(t) sen mty, 

y 
donde agevolmente le due riferite sopra. L’artificio, usato pre- 
cedentemente nel dedurle, presenta il vantaggio di non esigere 
la derivabilità della funzione f (x — y), che si presuppone invece 
nel metodo generale. 

Ritenuto ciò, converrà riprendere l’espressione trovata sopra 

per v(y) e verificarla mediante diretta sostituzione nella (13). 
Finora infatti noi abbiamo stabilito che: 


— Se esiste una funzione di Fourier v(y) atta all’integra- 
zione fra « e 00, che rende ;f (c—y) v(y) dy = u(2), essendo 


«(x) pure integrabile nell’intervallo (@ 00); se la f, risguardata 


«come funzione di un argomento ), è generalmente finita e con- 


tinua e integrabile in ogni intervallo finito, e se di più hanno 


00 
significato i due integrali: 4()) = |f cos tE\dX, k(t) = 


00 0 


1) f(A) sen riXdX e non si annullano contemporaneamente per 


() 


\ ile 
a Dà ì 


36 TULLIO LEVI-CIVITA 


alcun valore di # compreso fra 0 e 0, — sussiste la duplice 


relazione (17), (18), ossia, più comodamente, cambiando «x in 2 
e2iny: 


17! v h(t) cos tt(-—y) + £(t) senmt(e—y) rar 
(7) J fato O ernia) iene a — o) >a) 


00 00 
} : h(t) cosnt(e—y) + k(9) pa mi(e—-y) 
18 dt de =0 - 
(181) fat fu teen :=0 y<a) 


Reciprocamente importa di ricercare se, per una f, che 
soddisfaccia alle condizioni sopra dichiarate, data ad arbitrio 
una funzione integrabile « (e ci converrà qui aggiungere di 
Fourier) il primo membro della (17') (di cui prescindendo dal- 
l'ipotesi preventiva dell’esistenza di v, nulla potrebbe dirsi), 
sostituito al posto di nella (13), la renda identicamente ve- 
rificata. 

Sarà per questo necessario, in conformità a quanto si è 
detto sopra, che la (17') definisca una funzione di Fourier e che 
sussista la (18'). D'altra parte però, come ora vedremo, queste 
condizioni sono anche sufficienti. 

Avremo infatti dalle (17’) e (18'). moltiplicandone ambo i 
membri per f(x —y) ed integrando, rispetto ad y fra —00 ed x: 


h(t) cost (e-y) + K(6) seni (2-1) 
fr yy pay=fr e-Maufat fut no + 10 da 


Mec) n (1) (fa—y) cos Tt(e—y)dy + (6) Jey) sen Té(et—y) dy 
= | t fu (2) = da; 
“0 “a h(t)° “E ko 


ponendo nei due integrali interni x —y=", e ricordando le 
(15) e (16) si ha immediatamente: 


{f@—-y) cos tt(e—y) dy = h(t) cos mnt(e—x) — k(t) sen nt (e-2) 


= 90 


SJf@e-v sen tt(e—y) dy = k(t) costt(e—x) + ht) sen nt(e—2), 


SULL’INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 87 


— donde segue: 


ff@—y) v(y) dy = fat fcos mi(-—2) u(2) de, 


0 a 


ossia, applicando alla « il teorema di Fourier: 
(13) u() = ffl—y) v(y) dy. 


In questa dimostrazione, è bene notarlo, non sarebbe ne- 
cessaria per v(y) la restrizione d’essere funzione di Fourier, ma 
basterebbe la integrabilità; tuttavia noi abbiamo aggiunto, come 
faremo anche in seguito, tale restrizione, perchè, ricordando 
quanto si è visto al principio di questo $, siamo così in grado 
di asserire che quando esiste una soluzione della (13), essa è 
necessariamente esprimibile per mezzo della (17) e quindi unica. 

L’inversione della (13) offerta dalla (17’) è suscettibile di 
una modificazione assai notevole, la quale permette di asse- 
gnare la incognita funzione v(y) per valori di y compresi in un 
intervallo prefissato (ab), mediante la sola conoscenza dei valori 
di u(x) relativi allo stesso intervallo. 

Suppongasi infatti data «(x) fra « e 5; si può immaginarne 
una estensione fittizia oltre 3, ponendo per es. u(x) = 0, x>d. 
La funzione «(x) riesce così determinata in tutto l’intervallo 
. (a 00) e vi soddisfa alle condizioni di Fourier: quindi, ogniqual- 

x 


volta esista una funzione v(y), per cui: {fle—y) v(Y) dy = (x), 


(4) 


(a<x<0), è fre y)dy =0, (cr > d), sappiamo già che 


. dovrà essere: 


00 00 
fat fu(2) h(t) cos tt(2—y) + K(é) sen mt (-—y) de = v(Y) (y>a) 


e, he) + k(0° 


) cos mH(e—y) an k(t) sen né(e—-y) 
++ =. È d: =0 
fas Ù TL I NO (y<a) 


‘a 


38 TULLIO LEVI-CIVITA 


cioè, nel caso nostro: 


(e 0) 
È h(t) cos tt(e—y) + Klt) sen mét(e-—y) 
19 dt de = v >a 
(19) | fu Srgmio  G>9 


co d 

> > 0 cos Tt(e—y) + (6) di TE(e—-y) IAC 
(20) {dt fule) 10 1 10° de = 0; (y<a) 
inversamente poi si prova come sopra che, qualora la (20) sia 
soddisfatta e la (19) definisca una funzione di Fourier v(y), essa 
e(y), per x compreso fra a e b, verifica la (13). 

Noi abbiamo così stabilite le condizioni necessarie e suffi- 
cienti affinchè sia invertibile la (13) per una determinata fun- 
rione u nota fra a e b e supposta nulla oltre d. Tuttavia può 
ancora accadere che, per qualche funzione « data fra @ e 5, 
la (19), la quale presuppone l’accennata estensione oltre 6, non 
abbia alcun significato, mentre invece esista una ©(y), che rende 
soddisfatta la (13). Di ciò daremo un effettivo esempio. nel $ 
seguente. 

Sotto le solite ipotesi vi hanno altresì (e queste presentano 
il maggior interesse) funzioni caratteristiche f, per cui la (13) 
è invertibile, comunque si assegni la funzione u nell'intervallo 
(409): Vediamo in qual modo si possa riconoscere codesta in- 
signe proprietà. 

Si osservi che, se vu può essere fissato a piacere, dovrà 
sussistere la (20), anche prendendo «(2)=0 (a<e<c), u2)=1 
(c<2< d), u(2) = 0 (2>d), qualunque sieno c e d. Cid dà: 


È 0 cos Ti na + Kk(4) sen ni(e—y) 
21 de 0 , 
(21) {de f Steno 2=0 (y<0) 


‘0 


o se si vuole, eseguendo l'integrazione rispetto a = e tenendo 
presente la (19): 


O) } sen mi(A—y) — sen mi(c—#}{ — K(£) | costi(A—y)—cos mesi n 
mei hO + E° 


(4<0). 


= 


SULL’INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 39 


Reciprocamente però, come ora vedremo, la (20) si trova 
soddisfatta per ogni funzione « di Fourier, qualora sia verifi- 
cata la (21) per una qualunque coppia di numeri c e d maggiori 
di a: Sarà questo pertanto il criterio cercato. 

Noi ci limiteremo per brevità a considerare nella dimo- 
strazione il caso che « sia generalmente finita e continua, in- 
tegrabile e senza infiniti massimi o minimi; il risultato si in- 
tenderà senz'altro esteso a qualunque funzione di Fourier mediante 
il metodo seguito dal Du Bois-Reymond (1). 

In primo luogo sia « finita in tutto l'intervallo (08); aven- 
dosi ammesso che essa è generalmente continua e dotata di un 
numero infinito di massimi e minimi, si potrà scindere l’inter- 
vallo (ab) in un numero finito di segmenti tali che entro cia- 
scuno di essi sia (=) continua e mai crescente o decrescente. 


Dicasi generalmente (Yò) uno di questi segmenti; potremo 
scrivere: 


fa fue) h(t) cos TH(eT—y) - CRAL sen né (e—-y) d 
ht) iv ke ( DI 


ni 


i 
Y (di fut AO care RA sal, 
‘0 9 n + k(6)} 


In ciascun intervallo (Td), essendo «(2) finita e mai cre- 
scente o decrescente e l’altro fattore (trigonometrico) integra- 
bile, è lecito applicare il secondo teorema della media, dal che 
si trae: 


d 
Vu È) h(t) cos mt (e a + k(6) a ni(eT—-y) d 


vee 
. + 0° 
; 
° h(t) cos né leg) + x(t) sen té(e—-y) i 
x (n) J n(tÈ + K( (dì iù 


ww 


_- G 


u(d) RC cos me(e—y) + E() sen ni(e—+) 
n° + k(0° 


4 \(LZST 


A (1) Loco citato. 


40 "TULLIO LEVI-CIVITA 


e quindi: 


{Ge fue) cone E on a), — 
0 n° + k( 


DS 
a 


Yut (af n(0 cos neu) + (0 senni(@—3) 7, r° 
(0) 


y no + (0° 
Vu) fasi <F0 ) COS pile + 4(#) sen nt(e—y) di 
ho + RO si 


dove il secondo membro è nullo in causa della (21), come si 
era asserito. Allo stesso risultato si giunge poi anche se la fun- 
zione vu, pur mantenendosi integrabile, diviene infinita in qual- 
che punto a dell'intervallo (« 8) : infatti, escludendo questi punti a 
mediante piccoli intorni (a'a') si può fare in modo che la por- 
zione di integrale (20), relativa al complesso di tali intorni, sia 
in valore assoluto minore di una quantità e prefissata arbitra- 
riamente piccola; dividendo poi l'intervallo totale («8), esclusi 
gli intorni (0'a’), in segmenti (rd), si trova, ragionando come 
sopra, che i relativi integrali si annullano, quindi il primo mem- 
bro della (20) può rendersi in valore assoluto minore di €, per 
quanto si scelga piccolo e. Ciò basta per potere, anche nel caso 
presente, concludere giusta l’enunciato. 

Sarà opportuno riassumere quanto si è trovato finora nel 
seguente: 


Teorema. — Sia f(M) funzione dell'argomento X finita e 
continua in tutto l'intervallo (0 00), integrabile in ogni intervallo 


finito e tale che riescano convergenti i due integrali h(t) = 
(0.0) 00 


(FM cos TEHXdN, k(t) = fo) sen TEX\d\ e non si annullino 
‘o ‘0 

contemporaneamente per alcun valore finito di t; sia u(x) funzione 
di Fourier nell'intervallo (ab); è necessario e basta affinchè, ponendo: 


(t) cos ttt ey) + k(t) senmt (e 
n} si x (8) 


(19) c() = fa fu" ) de (a<y<3), 


0 


riesca soddisfatta la (13), che: 


\ SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 4l 


1° Il secondo membro della (19) rappresenti nell'intervallo 
(ab) una funzione di Fourier. 
2° Sì abbia, per y<a: 


(0 0) 


b 
(20) Sas x (2) h(t) cos TH(e— TEO ZIA ia soa di 
hi) + k (0° 


La (20) sì trova verificata identicamente, qualunque sia la 
funzione di Fourier u(2), le quante volte, per ogni coppia c, d com- 
presa fra a e b e per y<a, sussista la relazione: 


(21) (a f 10 cos TE (e—-y) + £( = sui mt(e—y) + UTI 
% O + kl 


Tenuto conto delle ipotesi restrittive da noi introdotte, si ha 
ancora, per b=c0 (pag. 15), oppure, per b qualunque, quando sia 
soddisfatta la (21): Se esiste una funzione v(y), che soddisfaccia 
alla (13), essa è unica e rappresentabile sotto la forma (19). 

In sostanza, prescindendo dalla continuità, integrabilità ecc., 
la (20) può risguardarsi come la condizione necessaria e suffi- 
ciente per l’invertibilità della (13), qualunque sia . 

In modo del tutto analogo (veggasi la nota al principio di 
questo $) si stabilisce che, per soddisfare all’equazione: 


ul) = {f@—y) 0) dy, (A <#<0), 


basta porre: 
0 


hh {fM) cos THXd\, 


[e 
— D 


(0) 
ke (t) = {f) sen T#\d}, 


00 U) 
v(y) = IA Î ne) cos miley) PE Iena) u(e) de, 


no) + LO 


0 a 


purchè si abbia per y > d: 


b 
(a L ha vi (t) cos dicon + x(t) sen né(e—y) dei 'di-a0ei 
no + k(0° 


"0 Fa 


42 TULLIO LEVI-CIVITA 


Come caso particolare si potrà poi fare in queste formule 
o nelle precedenti a= 00, o 85= — 00, o insieme a==00, b= —o. 

Giova osservare altresì che (quando l'intervallo (ad) è finito) 
entrano nella (13) valori della funzione f relativi esclusivamente 
all'intervallo (0,8 —a) e che quindi la f stessa potrà essere o 
risguardarsi data soltanto in questo intervallo; per la applica- 
zione del nostro teorema, basterà poi poterne assegnare una 
qualunque estensione fittizia, che ottemperi alle condizioni sopra 
enumerate. 


4. — Comincio con un esempio, che, se presenta per sè 
scarso o punto interesse, mi sembra nondimeno utile illustra- 
zione delle cose dette. 

Sia f(M) = e> e quindi: 


00 
E n 1A 1 
(15,) h(t) a e cos THXd\ = 1taia: 
290 t 
DN T 
(16,) k(t) #4 CT sen UTANCAN = 1+ ni! 
0 


le quali non si annullano contemporaneamente per alcun valore 
finito di t. 


Secondo il precedente $, posto: 


1) 


00 
(19) (9) = (dt fu (2) { cosné(e—y) + né sen nt(e—y)! de, 


0 a 
(Aa<y< d), 


si dovrà constatare in primo luogo se v(y) è funzione di Fourier; 
dopo ciò, se si avrà: 


SERIO 
(20,) (di [u(a) } cosnt(e—y) + misenmi(e—y){ de=0, (y<a), 
0 a 


la v(y) soddisferà all’equazione: 


(13)) ufo) = felMo(y)dy, (a<e<). 


a 


Perchè le volute condizioni sieno effettivamente verificate, 


SULL’INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 43 


converrà nel caso presente aggiungere l'ipotesi che la funzione 
u(x) si annulli per #=a e per x2=b, sia in tutto l'intervallo 
(25) finita e continua e ammetta in ogni punto derivata prima 
soddisfacente alle condizioni di Fourier. Avremo allora: 


leo) b 
| dt J u'() cos nt(e—y)de = u'(Y), (a<y< 5), 
0 4 
CO) 4 
| dt \u') cos mi(e—-y) de = 0, (y<a). 
0 a 


Integrando per parti rispetto a 2 ed osservando che i ter- 
mini ai limiti svaniscono, verrà: 
nel 9 
j di fu (e). mt. sen mt(e—-y) de = u'(Y)), (a<y< bB), 
(0) a 
- DANINE 
(at u(2).mt.sen ri(e—y)de = 0, (y< a). 
0 


(e) 


Questi valori, portati nella (20,), ove si abbia ancora ri- 
guardo al teorema di Fourier, la verificano identicamente, di 
più la (19,) diviene: 


(19',) o(Y) = u(M) + 


e sotto questa forma è manifesto che v(y) sarà funzione di 
Fourier. 

Alla (19’,) si poteva arrivare più semplicemente in modo 
diretto, partendo dalla (13,). Infatti, moltiplicando per e” e de- 
rivando, si ottiene: i 

d(eu(a) 


PERS Mel 
da = v(x), 


ossia precisamente e(x) = (x) + (x), la quale, come si ve- 
rifica subito, purchè sia «(a) = 0, soddisfa alla (13,). È inte- 
ressante osservare che in questo modo non occorre affatto 
supporre v (5) = 0, mentre prescindendo da tale ipotesi, la 
soluzione espressa dalla (19,) perde ogni significato. Ove infatti 
il secondo membro della (19,) rappresentasse una funzione ge- 
neralmente finita, essendo 


ei 


44 TULLIO LEVI-CIVITA 


b 


v(y) = u(y) + p di fu (2). mt. sen né(e—y). de, 


a 


lo stesso dovrebbe accadere per l’integrale doppio 
fa dt fue u(2).mt. sen ti(e—y) de 


e, siccome si ha: 
00 0) 


SA (A fat t fu '(2) cos né(e—y) de, 


‘0 a 
si dedurrebbe, integrando come sopra per parti, la convergenza di 
ee, 
u (0) j cos mt ((—y) dt, 
0 
ciò che è assurdo. 

Si ha con ciò un esempio della possibile esistenza di una 
funzione di Fourier v(y), che soddisfa alla (13) in un intervallo 
finito (1) (ab) e non è rappresentabile mediante l’espressione (20). 
Questa circostanza può presentarsi, come risulta dal precedente $, 
soltanto per quelle funzioni caratteristiche 7, che non soddis- 
fanno alla (21). Qui infatti il primo membro non soltanto non 
si annulla, ma non ha nemmeno un senso determinato; segue 
in particolare che non si può risolvere la (13;) per una fun- 
zione «(x), che sia 1 in un certo segmento (cd) e nulla al 
di fuori. 


5. — Poniamo, come seconda applicazione, nella (13), 
(die L. p essendo compreso fra 0 e 1. 
La funzione È è integrabile in ogni intervallo positivo 


finito, finita e continua ovunque, eccettuato soltanto il punto 0; 


00 \ (0.0) \ 
cos TÉ sen Ti 
AP dh, f AP 


di più i due integrali ( di sono convergenti 


0 


(1) Per un intervallo infinito (400), sappiamo invece che ciò non può 
accadere. 


SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 45 


e non si annullano contemporaneamente per alcun valore finito 
di t, poichè si ha, come è ben noto: 


0 Di 
(15,) ara, 


AP mi TA Sn 


T 
SIERRA I 
\P La p°? tp 


MS 0 


Cia 
n 
D 
DI 
E | 
- 
> 
Du 
> 


’ t>0, 


T essendo, al solito, simbolo della funzione euleriana di seconda 
specie. 

In questo caso, a differenza dell'esempio precedente, la (21) 
è soddisfatta. 

Il primo membro infatti, svolta la integrazione interna, 
assume qui l’aspetto: 


mp m entt(d—y) — sen tt(c—y) 
rip) sep | me Jr 


T Soa mt(d—y) — cos tt(c—y) 
COSP 3. fe n dt 
0 
e, siccome 
. ti 
f Sen mtld—y| dip E bidet 
i tP eten | re 


0 


00 ca 
( cos tt | d—y | fica Falle) | ARA SA 
4) 


t ri O e Li i 
dovendo essere y<a<c<4d, così le relazioni precedenti val- 


gono anche togliendo il segno di valore assoluto e quindi effet- 
tivamente: 


8 6d 

(219) Ta; | dt fel sen p «È cos tt (e--y) + 
0 c 

COS p = sen tt (ey) i de=0, (y<a). 


Ne viene che, ponendo: 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 6 


46 TULLIO LEVI-CIVITA 


6 


(195) v(y) = == ST dp fa Sua) {tr sen p 5 A cos ni(2-—y) Ei 
cos p + sen tt (e—y) de 


purchè sia v(y) funzione di Fourier, necessariamente soddisfa 
alla: 


(13) u(2) nf dy, (a<x<01). 


Per riconoscere in v(y) le dette proprietà e per attribuirle 
una forma praticamente più utile, giova aggiungere l'ipotesi 
che u(x) ammetta nell'intervallo (ad) derivata integrabile. 

Partendoci dalle identità: 


00 n 
f cos né | :e—-y | a n I 


7 t ola eg 
0 


Tr 
f ‘sen mi le—y | de r(i1—-p). 082 7 
t e e 


‘0 
avremo: 


00 
lp di #( Li i. si 
rap) fas (2) COS P3 cos né(e—y) — sen p > Sen it ly) = 


(2) 
ne peo (e < 9) 


0, (@>y) 


sen pr 


da cui, integrando rispetto a 2 fra @ e 5 ed osservando che nel 
primo membro si possono invertire le integrazioni: 


- —p i cos p Ò cos T#(2—y) — sen p = sen Tt (e—y) 
AN ee 


sen pn f 5 aa de, (a<y<D). 


Pn 
- 


SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 47 


In quest’ultima formula è ancora lecita (a sinistra) una 
integrazione per parti rispetto a 2, ciò, che porge: 


nl-P u(0) ( È) cos p î cos té (b—y) — sen p È sen Tt (b—y) 
F(1-p) 4 7) 
nl? ca (4) a cos p da cos TH(a—-y) — sen p T sen té (a—y) 
r(1—p) tP 
+00 ò 


nl-p 


(ip) vi) dt {u(2) La sen p cos tt(e—-y) + 


cos p 5 sen té (e—-y) de = sen pr f sl de. 


D'altra parte, per essere 5 > y, il coefficiente di (2) è 


nullo, mentre il coefficiente di v(a), essendo @ < y, si riduce 
sen pr 
(ya) 2) 


immediatamente a — quindi : 


0 db 


CALI va ® E i 
reo] ? 3 sen p 9 cos Té (e-y) + 


a 


cos p a sen mt(e—-y) de = sen pr MOLE fa i pu de Ì. 


(ya 


Confrontando colla (20,) si ricava: 


(20) og = RPTI e L tar “e del, (a<y<2), 


(ya)? (ya)? 


o finalmente, come si può stabilire con un facile passaggio al 
limite: 
sen pt d 


vy) = i Ure da, (a<y<b). 


La (20',) costituisce una generalizzazione, del resto già 


48 TULLIO LEVI-CIVITA 


nota, di un celebre teorema di Abel. Il Sonine (1) le attribuisce 
l'aspetto, solo apparentemente diverso, di una rappresentazione 
integrale della funzione «; per ricavarla, basta sostituire la 
precedente espressione di v(y) nella (13), ciò, che dà: 


x x 


_senpt,, sen pt (© dy ° u(a) 
vela afatiat . EA guar 


a 


x 
dy 


a 
(2 —-y)P (y— a)? 


ci l’integrale | diviene 
‘a 


Ponendo *—£ 

Fas 

1 1 
I = = s?_!1(1—s)!-?-! ds, cioè, per definizione B(p,1—p), 
B designando la funzione euleriana di prima specie; ma, per 
una nota ARI di queste trascendenti, B(p,1—p) = 


sen pt ( di -« 
u() — u(a) = all E, 


a 


che è la forma, cui si alludeva sopra e che immediatamente si 
potrebbe ridurre a quella assegnata da Sonine. 


Come caso particolare, per p = +. si hanno le due re- 


lazioni equivalenti: 


cioè il teorema di Abel. 


(1) Loco citato; art. 48. 


SULL’INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 49 


Per stabilirlo, sì ricorre ordinariamente ad artifici, sem- 
plici, finchè si vuole ed eleganti, ma inadatti, per quanto mi 
pare, a metterne in luce la vera natura; a ciò risponde forse 
il nostro procedimento, che permette di presentarlo quale co- 
rollario di una formula generale di inversione, dovuta ad un 
criterio direttivo bene determinato. 


6. — Veniamo ora al secondo problema, di cui a $ 2, pro- 
poniamoci cioè di invertire l'equazione: 


b 


(14) ul) = ff(e—y) v(y) dy. 


a 


Il metodoӏ sostanzialmente identico a quello tenuto pre- 
cedentemente, quindi mi limiterò ad un rapido cenno, tanto più 
che la maggior copia dei dati richiesti lo rendono meno van- 
taggioso. 

Sieno f (1) ed « funzioni integrabili in tutto l'intervallo 
(— 09,00) e si sappia che esiste una funzione di Fourier v(y), 
la quale soddisfa alla (14). 


Avremo, in seguito a simile ipotesi: 


fina ti(e—e)u(a)da = 00) dy fre cos né (a—2) da, 


— 90 a — 00 


fsen mi(e—2) u(e) de = (0) dy ras sen tt(r—2) de, 


— 00 a — 90 


donde, ponendo: 


(22) Bali (FO) cos TEX\dX 
(23) k() = {f() sen nda, 


(1) Più propriamente basta rispetto ad f l'ipotesi che sia integrabile 
in ogni intervallo finito e che renda convergenti i due integrali A (t) e Xi (t). 


50 TULLIO LEVI-CIVITA 


e operando come a $ 3, collo scambio di x in 2 e di 2 in y, 
senza difficoltà si deduce: 


MP a 1(#) cos tt(e—y) + Xi(t) sen nt(e—-y) TOR 
(24) no fa" “SIGISTS gal sprgnog ninni de =0;ik (at 


h,(t) cos asi) )+ Zi(6) sen nét(e—--y) RATE b 
(25) I, fe) ci 2=0(y), (a<y<b) 


t) cos nt(e— MA een srt eg SE 5 
(26) fa fto TO, de=0, (y>d. 


Dunque, se esiste una funzione di Fourier, atta a verificare 
la (14), essa è necessariamente rappresentabile sotto la forma 
(25); oltre a ciò debbono valere le due relazioni identiche (24) 
e (26). Inversamente, se queste relazioni sono soddisfatte e se 
la (25) definisce una funzione di Fourier, portandola nella (14), 
con riduzioni analoghe a quelle indicate per la (13), si ripro- 
duce effettivamente la funzione u(x). 

In questo modo non soltanto si è risoluta l’equazione fun- 
zionale (14), ma si è anche trovato un criterio per decidere 
della sua possibilità. 

Il procedimento presenta però il gravissimo inconveniente 
di esigere la conoscenza e l’integrabilità della funzione «(x) in 
tutto l'intervallo (— 00,00), mentre nelle applicazioni accade il 
più delle volte di conoscere la funzione u(x) unicamente nel- 
l’intervallo di integrazione (@8). 

Si potrebbe bensì ricondursi a questo caso, con una con- 
dizione addizionale, come si è fatto nell’altro problema (for- 
mula (21)), ma la pratica applicabilità di questo espediente sa- 
rebbe ora pressochè nulla. Giova dunque, rispetto alle questioni 
di analisi applicata, riservare il metodo per il caso che l’ in- 
tervallo di integrazione sia (— 00,00), nella quale ipotesi la 
funzione «(x) viene ad essere conosciuta, come è per noi ne- 
cessario, in tutto il campo reale; di più le due condizioni (24) 
e (26) relative alla possibilità del problema vengono a mancare 
e la v(y), definita dalla (25), purchè dotata delle volute pro- 
prietà, soddisfa certamente alla (14). 


SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE Bl 


Quantunque esca dall'ordine di idee, in cui ci siamo posti, 
stimo necessario di accennare ancora ad un importante risultato 
stabilito dal Prof. Volterra (loco citato) relativamente alla de- 
terminazione di v(y) da relazioni del tipo: 


(27) u(e) = (f(2,y) v(y)dy, (a<2<), 


a 


dove i limiti si suppongono costanti e f(x,2) è funzione simme- 
trica rispetto alle due variabili x ed y. Il metodo del Prof. Vol- 
terra non inceppa nell’inconveniente ora lamentato della necessità 
di conoscere «(x) fuori dell’intervallo (a 6), e consiste nel ricon- 
durre tutti gli infiniti problemi di inversione, che, al variare 
di «(x), risultano dalla (29), ad una questione unica, alla ri- 
cerca cioè di una funzione \(x,2) tale che, per a<y<2<5, 


{M(y,2) f(€,y) dy riesca indipendente da 2. 

Il vantaggio di una tale riduzione si palesa specialmente 
in molte questioni elettrostatiche, dove si può a priorì asserire 
(in virtù del principio di Dirichlet) l’esistenza della funzione A 
e in alcuni casi anche determinarla effettivamente. 

Non sarà da ultimo fuor di luogo il notare come, fin dal 
primo $, si è qui pure indicato un mezzo per rendere i pro- 
blemi di inversione indipendenti dalla natura della funzione «, 
supposta nota soltanto nell’intervallo (a6). Basta a tal uopo 


trovare una funzione / (x,2,t) tale che, per una conveniente 
B 


scelta di a,B (a<a<B<5d), [F(,e, t) f(x,y) dx riesca eguale 


a Y(t(y—z)) con Y funzione fluttuante. 


52 ADOLFO CAMPETTI 


Sulla compressibilità dell'ossigeno a basse pressioni; 


Nota del Dott. ADOLFO CAMPETTI. 


1. — La legge con cui varia il volume di una data massa 
gassosa ad una temperatura costante col variare della pressione 
(legge di Boyle-Mariotte) è stata oggetto di molti e noti lavori 
di Regnault, Amagat etc. ed i risultati sperimentali si presen- 
tano come sicuri sino a che la pressione non è molto bassa. 
Ma per pressioni assai inferiori a quella di un'atmosfera, le di- 
vergenze fra i risultati dei varii sperimentatori sono molto no- 
tevoli, di guisa che niente si può affermare con certezza su questo 
punto assai importante per la teoria dei gas. 

Per dare un cenno storico relativo a quest’ argomento, ri- 
corderò che per il primo Siljestròm (*) esaminò il comportamento 
dell’aria (tra la pressione di un’atmosfera e quella di 7 milli- 
metri), dell'ossigeno, dell'idrogeno e dell’anidride carbonica (tra 
un’atmosfera e 18 millimetri), rispetto alla legge di Boyle. Egli 
faceva uso di un apparecchio composto di due recipienti metal- 
lici comunicanti tra loro mediante un tubo munito di robinetto. 
Dopo aver riempiuti i due recipienti di uno stesso gas e misu- 
rata la pressione si chiudeva il robinetto, si produceva in uno 
dei due recipienti una data rarefazione, poi si apriva di nuovo 
il robinetto e si misurava la pressione risultante. Dai dati ot- 
tenuti Siljestròm conchiude come probabile (specie per l’aria) che 
al disotto di un'atmosfera la compressibilità è maggiore di quello 
che porti la legge di Boyle. 

I risultati di Siljestròom furono messi in dubbio da Mende- 
lejeff (**) che, in seguito a numerose esperienze eseguite in col- 


(*) SiusestròM, Pogg. Ann., 151. 
(**) MenpeLEJEFF, Comptes Rendus, LXKXXII. — MenpeLEJere et KirpisT- 
scHorr, MenpeLEJEFF et Hemirian, Ann. de Chimie et de Physique, 1876. 


SULLA COMPRESSIBILITÀ DELL'OSSIGENO A BASSE PRESSIONI 53 


laborazione con Kirpitschoff ed Hemilian giunse a conclusioni 
perfettamente opposte a quelle di Siljestròm. 

L'apparato di Mendelejeff consisteva principalmente di un 

recipiente ovoidale contenente il gas, munito inferiormente di 
un tubo per il quale si poteva introdurre o togliere del mer- 
curio dal recipiente e comunicante con un manometro che ser- 
viva a leggere la pressione: il volume si determinava dal peso 
del mercurio uscito. 

Le esperienze del Mendelejeff però, come anche quelle del 
Siljestròom, lasciano luogo a molti dubbi, come osservò l'Amagat (#), 
specialmente per quel che riguarda la misura delle pressioni: 
sembra infatti impossibile misurare, come si richiede per la va- 
lidità dei risultati del Mendelejeff, delle pressioni molto basse 
con un errore inferiore a 1/10000 del loro valore, per cui l’Ama- 
gat conclude che i risultati così ottenuti debbano considerarsi 
come illusori. 

Egli poi, adoperando la massima cura nella costruzione del 
suo apparecchio (del tipo di quello di Siljestròm) e specialmente 
del manometro e di uno speciale catetometro per la lettura del 
manometro, arriva alla conclusione che per basse pressioni, 
l’aria, l'idrogeno e l’anidride carbonica non si allontanano dalla 
legge di Boyle od almeno le deviazioni sono di ordine inferiore 
a quello degli errori sperimentali. Le sue esperienze vanno per 
l’aria sino a una pressione di 2/10 di millimetro, per l’anidride 
carbonica e l'idrogeno solo fino a 2 e 3 millimetri rispettivamente. 

Posteriormente Krajewitsch (**) esaminò pure l'elasticità del- 
l’aria a pressioni molto basse, cioè fino a circa 3/10 di milli- 
metro con un metodo diverso consistente nel leggere con due 
manometri la differenza di pressione all'estremità superiore e 
inferiore di un lunghissimo tubo verticale contenente il gas ra- 
refatto. Egli arriva ad una conclusione perfettamente diversa 
da quella di Amagat: e cioè che “ a basse pressioni l’elasticità 
“ di un gas si abbassa molto più rapidamente della sua densità ,, 


(*) Amagat, C. R., LXXXII. — Ann. de Chimie et de Physique, VIII, 1876. 
— C. R., XCV, 1882. 

(**) Krasewirsca, J. russ. chem.-phys., XIII e XIV, 1882. — Fortschritte 
der Physil, 1882. 


54 ADOLFO CAMPETTI 


di guisa che il prodotto p. v. della pressione per il volume di- 
minuisce rapidamente colla pressione. 

Per contro Fuchs (*) con una serie di esperienze molto ac- 
curate, trova che l’idrogeno segue sensibilmente le leggi di 
Boyle: l’aria e l’anidride carbonica se ne discostano legger- 
mente: la minima pressione alla quale egli è arrivato è però 
di 250 millimetri. 

Nel 1889 Van der Ven (**) cominciò una lunga serie di 
esperienze relative alla compressibilità dell’aria a bassa pres- 
sione: ed alla fine delle sue ricerche concluse nel senso di 
Amagat, vale a dire nel senso che, entro i limiti di precisione 
compatibili colle condizioni sperimentali, per l’aria a bassa pres- 
sione vale sensibilmente la legge di Mariotte. 

Molto interessanti sono le esperienze di Bohr (***) relative 
all’ossigeno, eseguite con un apparecchio consistente in due 
campanelle graduate rovesciate sopra due vaschette comunicanti 
piene di mercurio e delle quali una conteneva il gas da studiare, 
l’altra serviva da canna barometrica. Egli arriva alla conclu- 
sione che verso la pressione di mill. 0,70 il prodotto della pres- 
sione per il volume subisce un rapido cambiamento, quasi un 
salto (come se nel gas accadesse un qualche fenomeno moleco- 
lare) ed assume un valore minore di quello che aveva prima. 

A questi lavori si collegano quelli diretti a determinare il 
coefficiente di dilatazione termica dei gas a basse pressioni. 

Melander (****) trova che i coefficienti di dilatazione del- 
l’aria, dell'anidride carbonica e dell’idrogeno, tra 0° e 100° de- 
terminati a bassa pressione variano un poco con questa: il senso 
della variazione però non è lo stesso per tutti i gas studiati. 

Infine Ramsay e Baly (*****) in un lavoro apparso di recente 
si sono occupati pure della determinazione dei coefficienti di dila- 
tazione a basse pressioni, e cioè fino a circa un decimo di mil- 
limetro, per l'idrogeno, l'ossigeno, l’azoto e l'anidride carbonica. 
Essi troverebbero differenze nel coefficiente di dilatazione, sia 


(*) Fucas, Wied. Ann., 1888, 3-35. 

(#*) Van per Ven, Archiv Musée Teyler, 1890-1891-1892. 
(***) Bonr, Wied. Ann., 1886, 1-27. 

(****) MeLanpER, Wied. Ann., 1892, XLVII. 

(##**) Bary e Ramsay, Philosophical Magazine, 1894, vol. 38. 


SULLA COMPRESSIBILITÀ DELL'OSSIGENO A BASSE PRESSIONI 5Ò 


tra gas e gas, sia variando la pressione: in particolare il coef- 
ficiente di dilatazione dell’ ossigeno mostrerebbe irregolarità 
verso 0,70 mill. di pressione. 

Riassumendo, si può dire che le esperienze più numerose, 
che sono relative all’aria, conducono a conclusioni molto diverse: 
tenuto conto però delle condizioni in cui le esperienze sono state 
eseguite sembra, almeno per l’aria e per l'idrogeno, che debba 
accordarsi maggior fiducia alle conclusioni dell’Amagat e del 
Van der Ven secondo i quali, se divergenze vi sono dalla legge 
di Mariotte, queste sono dell’ordine di grandezza degli errori di 
osservazione. 

Mancano invece esperienze per l’anidride carbonica e l’os- 
sigeno (se si eccettuino quelle di Bohr) e però mi è sembrato 
opportuno di occuparmi di tale questione, anche nell’ intento di 
verificare se l'anomalia osservata dal Bohr venisse confermata. 

In questo lavoro mi limito alle esperienze relative all’os- 
sigeno: se ne avrò opportunità mi occuperò in altro lavoro della 
compressibilità dell'anidride carbonica. 


2. — A causa delle difficoltà che presentano le esperienze 
di questo genere, specialmente per la misura delle pressioni, mi 
sono limitato a confrontare il comportarsi dell’ossigeno, con 
quello dell'idrogeno facendo uso di due apparecchi gemelli prossi- 
mamente uguali, giacché in tal modo molte cause d’errore possono 
essere eliminate. 

L'apparato adoperato consisteva principalmente di due re- 
cipienti di vetro (Vedi Figura) A, A, di forma cilindrica ter- 
minati inferiormente in un tubo lungo circa 5 centimetri e su- 
periormente da un tubo ripiegato due volte ad angolo retto e 
di diametro interno molto piccolo: la capacità di ciascun reci- 
piente era di circa 200 cent. cubi. 

Ciascuno di questi recipienti era fissato solidamente con 
mastice a perfetta tenuta sopra un tubo di ferro B lungo circa 
80 centimetri e munito alla parte inferiore di un robinetto C. 
I due apparecchi venivano fissati parallelamente sul piatto me- 
tallico DD sostenuto da una mensola ben solida: e per evitare 
ogni scossa i tubi B erano pure fissati ad un’altra mensola più 
bassa. Al disotto dei robinetti C i tubi potevano essere riuniti 
alla parte inferiore G dell’apparecchio, stringendo con due morse 


56 ADOLFO CAMPETTI 


(non indicate nella figura) i piccoli piatti a, è l’uno contro l’altro: 
i due tubi E, E comunicano fra loro mediante il tubo infe- 
riore F e questo alla sua volta mediante un tubo di gomma 
con il recipiente cilindrico H, al quale si poteva fare eseguire 
una corsa verticale di più di un metro. Sui tubi di vetro in m 
ed » erano tracciati varii segni orizzontali per poter misurare 
il volume dell’apparecchio. Per avere una temperatura il più 
possibile costante, i due recipienti A, A erano immersi nell'acqua 
contenuta in un grosso recipiente di vetro e i tubi B fasciati 
con una lista di piombo che andava dall’uno all’altro e difesi dal- 
l’irradiazione con una camicia di cartone: del resto la tempe- 
ratura nell'ambiente variava lentamente e di pochissimo. Il vo- 
lume dei tubi m ed n si determinò calibrandoli con una colon- 
netta di mercurio: per il volume dei recipienti A si è proce- 
duto così: Riunite le due parti dell'apparecchio, si versava una 
quantità sufficiente di mercurio in H e alzando convenientemente 
il corsoio che sostiene H si riempivano i vasi A di mercurio 
sino ad un dato segno tracciato sul tubo m: poi si chiudevano 
1 robinetti C, si staccava la parte inferiore dell’apparecchio. e, 
se si aveva avuto cura di non lasciare bolle d’aria, si avevano 
così i due apparati pieni di mercurio. Allora con un catetometro 
sì prendeva di mira il segno superiore di un recipiente: poi, 
dopo aver lasciata effluire una certa quantità di mercurio, si 
mirava il menisco del mercurio nel recipiente A e si leggeva 
al catetometro la differenza di altezza: ripetendo molte volte 
questa operazione e pesando il mercurio raccolto ogni volta, si 
aveva una tavola che dava per ciascun apparecchio il volume 
interno in funzione della distanza del menisco del mercurio dal 
segno superiore. La lettura corrispondente al menisco del mer- 
curio si faceva con grande esattezza disponendo dietro il vaso 
uno schermo nero superiormente e bianco inferiormente e facendo 
in modo che la linea di separazione (orizzontale) delle due parti 
bianca e nera superasse di poco l’altezza del menisco. Facendo 
in questo modo e ripetendo più volte le esperienze si ebbero 
risultati molto bene concordanti, poichè si aveva cura di tenere 
il catetometro nella stessa posizione rispetto ai due recipienti. 
Questi erano immersi nell'acqua contenuta nel grosso vaso ci- 
lindrico e due termometri confrontati con un campione servivano 
a indicare la temperatura ed a render sicuri che essa fosse uni- 


SULLA COMPRESSIBILITÀ DELL'OSSIGENO A BASSE PRESSIONI 57 


forme in tutto il recipiente. Le letture dei volumi si facevano 
col mercurio in presenza dell’aria: ora è possibile che la forma 
del menisco sia diversa a seconda che il mercurio sì trova in 
presenza dell’aria alla pressione ordinaria o dell’aria o di altro 
‘ gas molto rarefatto: ma si deve osservare nelle esperienze ese- 
guite, che, primo, il diametro dei recipienti cilindrici essendo 
molto grande, la forma del menisco ha poca influenza, e in se- 
condo luogo i due recipienti contenevano gas rarefatti circa alla 
medesima pressione: l'errore dipendente dalla forma del menisco 
sarebbe dunque circa uguale in ambedue e non influirebbe sen- 
sibilmente sui risultati finali. 

Quando i due recipienti contenevano gas rarefatti, la pres- 
sione esterna doveva produrre una diminuzione nel volume loro: 
di questa diminuzione si tenne conto in questo modo. Si riempì 
il recipiente di mercurio sino ad uno dei segni praticati sul 
tubo m, poi chiuso il robinetto C si produsse una rarefazione 
sopra il mercurio: questo saliva allora nel tubetto e siccome 
esso è calibrato, si aveva la diminuzione di volume. 

Si ebbe così per uno dei recipienti che chiamerò primo: 
Diminuzione di volume per 10 centimetri di pressione esterna 
cent. cubi 0,0159 — e per il secondo recipiente 0,0169. 

Quanto ai gas da introdurre nei recipienti si preparavano 
così. L’idrogeno si otteneva colla solita reazione dell’acido sol- 
forico puro su zinco granulato commercialmente puro: il gas 
veniva lavato con idrato sodico, poi attraversava due tubi con 
pietra pomice imbevuta di nitrato d’argento e di potassa cau- 
stica: dopo di che veniva raccolto in una bottiglia sopra acqua 
disareata coll’ebollizione: l'ossigeno si preparava dal clorato di 
potassa e dopo ripetuto lavaggio attraverso soluzione di idrato 
potassico, era raccolto, come l’idrogeno, in una grossa bottiglia. 

Il gas, prima di essere introdotto nei recipienti dell’appa- 
recchio, attraversava una boccia con acido solforico, poi un tubo 
essiccante pure ad acido solforico ed infine entrava in una boccia 
ad anidride fosforica, in contatto della quale il gas si teneva 
sempre un certo tempo prima di essere adoperato. 

Naturalmente si adoperarono tutte le precauzioni necessarie 
perchè il gas fosse puro, e perchè i recipienti fossero, come il 
gas, perfettamente secchi: a tale scopo si introduceva ripetuta- 
mente in ciascuno di essi una piccola quantità del gas secco, 


58 ADOLFO CAMPETTI 


se ne riduceva con una macchina pneumatica la pressione a 
pochi millimetri, poi chiuso il tubo in n si abbassava il livello 
del mercurio nel recipiente, ottenendosi così una grande rare- 
fazione: questa precauzione è indispensabile anche per distac- 
care dalle pareti tutti i gas che possono restare aderenti sino a 
basse pressioni. Dopo aver tenuto per più di un giorno il reci- 
piente in queste condizioni, si faceva salire di nuovo il mercurio 
sino alla parte superiore e allora soltanto si poteva mettere il 
recipiente in comunicazione coll’esterno. 

Ciò posto, le esperienze si eseguivano così. Introdotta in 
uno degli apparecchi una quantità di gas che occupasse solo 
un piccolo volume, se ne riduceva convenientemente la pressione, 
mettendo in comunicazione la parte inferiore del tubo x con una 
macchina pneumatica mediante un tubo di gomma che passava 
attraverso il fondo di un bicchierino pieno di mercurio: quando 
si giudicava che la rarefazione fosse sufficiente, si abbassava 
lentamente il bicchierino; allora si staccava il tubo di gomma 
dalla estremità del tubo », la quale perciò restava immersa nel 
mercurio, che saliva così per una certa altezza nel tubo stesso. 
Si aveva così nell’apparecchio rinchiusa una certa massa gassosa 
in contatto di solo mercurio: lo stesso si faceva per l’altro re- 
cipiente. 

Allora si abbassava il recipiente H fino a che nei vasi A 
il gas avesse un volume dai 20 ai 30 cent. cubi: e siccome si 
tratta qui solo di confrontare l'andamento dell’ossigeno rispetto 
all'idrogeno e non è quindi necessario di avere il valore asso- 
luto della pressione con una grandissima esattezza, così si leg- 
geva la differenza di livello tra il mercurio nel recipiente con- 
tenente l'idrogeno e il vaso H e da questo dato e dalla pressione 
esterna si aveva con sufficiente esattezza la pressione a cui si 
trovava l’idrogeno. 

Leggendo allora la differenza di altezza del mercurio nei 
due vasi A ed abbassando successivamente il livello del mercurio, 
si può avere, conoscendo il volume, la pressione dell'idrogeno 
considerato come normale, da questa dedurre la pressione del- 
l'ossigeno e calcolare per esso i prodotti pv. 

Nella maggior parte delle esperienze si procedeva in senso 
inverso, vale a dire, si abbassava prima il mercurio sino alla 
parte più bassa dei recipienti e poi alzando successivamente il 


SULLA COMPRESSIBILITÀ DELL'OSSIGENO A BASSE PRESSIONI 59 


vaso H si tornava a far salire, eseguendo il numero di osser- 
vazioni opportune. 

La lettura della differenza di livello del mercurio nei reci- 
pienti A poteva essere falsata dalle irregolarità del vetro frap- 
posto; a tale scopo si fece una lunga serie di osservazioni, 
lasciando aperti i tubi in m ed x e quindi il mercurio alla stessa 
pressione, e leggendo il livello nei due recipienti; si costruì così 
una tavola di correzione per le letture delle altezze del mer- 
curio nei due recipienti; lo stesso si fece per la correzione 
delle differenze di livello lette tra il mercurio in H e nei vasi A. 

Le esperienze eseguite sono divise in tre serie: le prime 
tra 20 e 5 millimetri circa, le seconde tra 5 millimetri e 1 mil- 
limetro circa, le ultime fino a qualche decimo di millimetro. In 
ciascuna serie, una parte delle esperienze era eseguita ponendo 
nell’un vaso l’idrogeno, nell’altro l'ossigeno, un’altra parte in- 
vertendo la disposizione. 

Quanto all’esattezza e al valore che si può attribuire ai 
risultati, osserviamo anzitutto che gli errori che potrebbero 
provenire da poca precisa determinazione dei volumi e delle 
temperature sono trascurabili di fronte a quelli che provengono 
dalle osservazioni della pressione. Che infatti un catetometro 
permetta di leggere il millesimo di millimetro, nessuna diffi- 
coltà, ma che effettivamente si possa con questo strumento avere 
una pressione con un errore minore di 1/1000 di millimetro, 
questo non appare probabile; difatti l’Amagat, ponendosi nelle 
migliori condizioni, crede di aver ottenuto un’esattezza sino a 
1/200 di millimetro; per conseguenza un accordo tra le cifre 
ottenute che vada più in là dell’errore di osservazione, a meno 
che si tratti di medie di molte esperienze, può indicare piuttosto 
che un errore costante ricopre le oscillazioni dovute agli errori 
accidentali. 

Nelle esperienze seguenti, come si rilevava dalla concor- 
danza dei dati numerici, si poteva ritenere certamente che le 
differenze di pressione tra i due recipienti fossero misurate a 
meno di un centesimo di millimetro; per conseguenza, in ogni 
singola esperienza, sarebbe inutile tener conto di un numero 
troppo grande di cifre. 

I. Serie. — Riporto per intero i dati della prima esperienza : 
la prima tabella contiene nella prima colonna il volume del- 


60 ADOLFO CAMPETTI 


l’ idrogeno nel secondo recipiente, la seconda le pressioni cal- 
colate dalla prima, considerando l'idrogeno come normale, la 
terza colonna i volumi occupati dall’ossigeno nel primo reci- 
piente e la quarta le pressioni cui è sottoposto dedotte dalla 
differenza di livello del mercurio nei due recipienti letta col 
catetometro, la quinta la temperatura, la sesta i prodotti p ©, 
la settima la media dei valori trovati per pv: 


Slice ff recipiente ossigeno — 2° recipiente idrogeno. 
| 

v p V | P t PV | (PV) 
20,892 | 23,30 | 26,247| 22,71| 20,7 | 596,0 | 596,0 
36,454 | 13,355 | 44,500| 13,39| 20,7 | 595,8 noe 
37,329 | 13,040 | 45,550| 13,08 | 20,6 | 595,9 i 

| cha | 

58,026 | 9,180) 63,116| 9,44| 20,5 | 595,9 Mira 
58,972 | 9,020| 64,199| 9,28| 21,0 | 595,8 1 
85,355 | 5,705 | 99,109| 6,02 | 20,8 | 5965| 060 
87,330 | 5,575 | 101,113| 5,869) 20,8 | 595,5 i 
102,160 | 4,760 | 117,874| 5,08| 20,8 | 596,2 sa 
104,165 | 4,670 | 119,606| 4,98| 20,8 | 595,6 i 
116,928 | 4,160 | 133,882] 4,45 | 20,7 | 5958 | _560 
118,478 | 4,110 | 135,584|. 4,40) 20,7 | 596,5 | 


Per le altre esperienze, per brevità, trascrivo solo la pres- 
sione P e il volume V dell’ossigeno, la temperatura t, i pro- 
dotti P V e le medie (PV). I valori di PV sono riferiti alla 
prima temperatura dell’ esperienza e le temperature sono qui 


SULLA COMPRESSIBILITÀ DELL'OSSIGENO A BASSE PRESSIONI 


indicate solo per mostrarne la piccola variazione; osservando 
che quand’anche a queste pressioni i coefficienti di dilatazione 
dell'idrogeno e dell’ossigeno fossero assai differenti tra loro e 
del valore noto 1/273, i nostri risultati numerici non verrebbero 
a cambiare, poichè le variazioni di temperatura durante l’espe- 


rienza sono soltanto di pochi decimi di grado. 


II. — 1° Recipiente O. — 2° Recipiente H. 


V P 7 PV (PV) 
41,181 14,72 20,0 606,3 
605,9 
42,140 14,37 19,9 605,5 
60,130 10,00 20,0 604,9 
605,6 
61,186 9,91 20,0 606,3 
78,879 7,68 19,9 605,8 e 
605,7 
80, ,020 (RG) 19,9 605,6 
97,665 6,20 | 19,9 605,5 
605,5 
98,765 6,13 19,7 605,5 
116,124 5,22 19,6 605,5 
i 606,1 
117,124 5,18 19,6 606,6 
133,906 4,589 19,4 606,6 
605,9 
134,806 4,49 19,4 605,3 
140,426 4,31 19,9 605, 
606,0 
141,507 4,29 19,3 607, 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. ti; 


62 


ADOLFO CAMPETTI 


Nelle due esperienze che seguono, l'ossigeno era nel secondo 
e l'idrogeno nel primo recipiente: 


IM. 
Dogi il azar e IRA a toto I 
Vv | P | 8 | PV | (PV) 

21,850 | 93.76 20,7 | 519,2 | 519,2 
34,785 14,94 20,7 519,8 du 
36,230 1433 20,7 5192 i 
50,714 10,25 20,7 519,7 Ri 
52980 981 20,7 519,7 
68,218 7,62 20,6 519,8 a 
69595 7.46 20.6 5192 i 
85,125 6,10 20,6 519,2 49% 
85,936 6,04 206 519,0 

102,220 5,08 20,6 519,3 suli 

103,185 5,03 20.6 5190 i 

—i————————————————————————m————————— —— 
IV. 
v | P T | PV | (PW) 

29,893 28,72 20,6 657,4 | 657,4 
34,692 18,93 20,5 656,7 ced 
35.990 18:30 20,5 658.7 
51,780 19,72 20,4 658,6 fi. 
59952 12/54 20 4 655,2 i 
85,630 7,67 20,4 656,8 Ae 
86,612 7,60 20,3 658.2 

101,111 6,51 20,3 658, 

102,285 6,44 203 658,7 i 

114,784 5,73 20,2 657,7 LIRE 

118/420 5/56 202 658.4 


SULLA COMPRESSIBILITÀ DELL'OSSIGENO A BASSE PRESSIONI 63 


II. Serie. — Esperienze al disotto di 5 millimetri. 
Le prime due esperienze sono eseguite ponendo l’ossigeno 
‘ nel primo recipiente e l'idrogeno nel secondo: 


E: LE, 


ul pl eee eni vel pi pubew 


26,755) 4,57 | 24,9) 122,3) 122,3| 26,880| 24,8) 4,50 |121,0| 121,0 


35,155] 3,48 | 24,8| 122,3 34,665) 24,8/3,50 | 121,4 
122,5 121,6 
36,302|3,88 | , |122,6 36,041| 24,7) 3,88 | 121,8 


44,364) 2,77 | 24,7| 122,9 dute 42,459| 24,7| 2,855] 121,2 tas 
45,981| 2,68 | , |122,1 || 44,837] 24,6| 2,705) 121,3 xiv 


61,058| 2,00 | 24,6) 122,1 62,604) 24,5) 1,940) 121,4 


122,2 121,5 


62,998| 1,94 | 24,5 122,2 64,114| 24,4| 1,895| 121,5 
I | 
80,779) 1,515) 24,4| 122,4 80,217|24,3| 1,510| 121,1 
122,4 121,1 
81,879/1,495] , |122,4 81,767| 24,8| 1,480| 121,0 
99,502| 1,230| 24,3| 122,4 99,318|24,2| 1,220| 121,2 
129,71 121,2 
100,716| 1,220| 24,2) 122,9 100,588] 24,2] 1,205/ 121,2} ©’ 
117,816| 1,035 4a 122,6 117,688| 24,2] 1,030) 121,2! 
' 122,4 121,2 
118,524| 1,030| 24,1| 122,1 118,704| 24,1) 1,020| 121,1 


64 ADOLFO CAMPETTI 


Nelle due esperienze seguenti l'ossigeno si trova invece nel 
secondo recipiente e l’idrogeno nel primo: 
II. EVE 


V Ero PV |PV)| V cri PV |(PV) 


25,4| 94,78) 94,78| 21,028] 5,64 |25,2| 118,6] 118,6 


28,130|4,22 |25,1 


118,7 
29,330| 4,05 | 25,0 


118,5 
118,2 


36,232) 2,61 | 25,2] 94,56 36,093| 3,29 | 24,9| 118,7 
94,70 118,6 
37,336/2,54 | , |94,84 37,216/3,18| , |118,4 


52,904| 1,79 | 25,1] 94,69 51,853/2,81 | , |119,7 | 
4 94,74 119,3 
54,165|1,75| , |94,79 52,835|2,25 |, |118,9 


86,124) 1,000) 25,0) 94,74 Sui 86,540 1,38 |24,7| 119,4 1194 
87,340| 1,085] 24,9 94,761 ’ || 87,325|1,37 |24,6|119,3 i 


102,897 0,925] 24,9) 95,18], jg|102:194| 1,16 | 24,5) 118,6) 18% 
103,440] 0,920| 24,8| 95,12/ °°” “|103,880|1,14 | , |118,4| 7° 


III. Serie. — In queste esperienze la pressione discende fino 
a qualche decimo di millimetro; per conseguenza nei numeri che 
dànno il prodotto pv non si può aspettare un andamento così rego- 
lare come nelle esperienze precedenti; tuttavia è manifesto che 
verso la pressione di 0,70 millimetri il prodotto p v presenta 
un salto: nelle tabelle che seguono i valori di p v che presen- 
tano questa discontinuità sono sottolineati: 


pn 


SULLA COMPRESSIBILITÀ DELL'OSSIGENO A BASSE’ PRESSIONI 


I. — 1° recipiente ossigeno. 


65 


II. — 2° recipiente idrogeno. 


viPe|t|Pv]om 


21,22 | 1,67 | 25,0 35,44| 35,44 


28,03 | 1,27 |24,8 
28/94 (1,23 | 24/6 


35,60 


35,60 35,60 


35,90 | 1,02 | 24,6] 36,62 


37.08 | 0,99 | 24/6] 36,66| 30:04 


52,79 | 0,725) 24,5] 38,27 


54.15 | 0,710 24/4| 38 44| 33:96 


85,84 |0,420| 24,1 36,05 


36,73 | 0,410 24,0, 35,54 dali 


ui si 


26,88 | 1,52 


35,79 


44,04 
45,07 


EV 


40,86 


(PV) 


40,86 


1,15 


0,935 
0,915 


41,15 


41,18 
41,25 


41,15 


61,70 
63,64 


80,85 
82,35 


0,630 


0,620|2 


0,475 


0,470) 23, 


38,89 


9 39,46 


38,40 
38,72 


9| 35,59 
,8| 34,89 


102,87 | 0,345 2 35,24 


103,85 | 0,335): 
I 


99,70 
100,82 


0,395 


0,390 


39,18 
39,91 


39,25 


Nelle quattro esperienze seguenti l'idrogeno sta invece nel 
primo recipiente e l'ossigeno di conseguenza nel secondo: 


III. 


Vv Egli PV | (PW) 


Tasti 


22,7| 39,00] 39,00 


28,00 | 0,95 


39,38 


36,89 
30,48 


0,75 
0,78 


46,38 
45,64 


63,92 
62,59 


82,46 
81,08 


ì po | 66 ADOLFO CAMPETTI 


Li Vol pila lp lento vp J 


27,51|1,85 |24,3/87,14|37,14| 44,67|1,025|23,3|45,79/45,86 I 
48,08 |1,065| , |45,87|/777T 


v 43,50 | 0,835) 24,2) 36,16 60,57 | 0,700] 22,2) 42,40 


45,06 0,830), |36,50/35:33| 61/950 /685|22/1|42/49|42-t2 
68/06 [01590] + |37,80,S282 g110 (0520) 7 | 4012 #199 
SURI Dt PAVIA QUA CIO 
100,06 [0,860/ — | 8651 9529 /118.27 (01330) 1098) a 


Dall’esame delle tabelle precedenti risulta: 
1° Tra 25 millimetri di pressione l'ossigeno si comporta 
come l'idrogeno rispetto alla legge di Boyle od almeno le diver- 
genze sono di ordine inferiore a quello degli errori sperimentali. 
2° Al disotto di un millimetro e precisamente ad una 
pressione non molto lontana da 0,70 millimetri il prodotto della 
pressione per il volume presenta un cambiamento rapido: l’an- 
damento appare analogo a quello trovato dal Bohr, da cui ri- 
porto una delle esperienze che meglio pongono in luce il fenomeno: 


Pressronetett. = 182 


1795 179 | 0.8 | 070 | 070 | 062 | 0,48 


| 
= 36.11 34,029 
fe R 


pv rr B0 840 


30,088 so su sm 85,323 


In tutte le esperienze da me eseguite si presenta un cam- 
biamento rapido nel valore del prodotto p v: si confronti per 
esempio questa tabella del Bohr colla esperienza V: siccome le 


5, a 


5) 


# 
dI 


È, E 


(‘?] 
dad 
tei 
Hi, 
(HI 
SG 


aa 


SULLA COMPRESSIBILITÀ DELL'OSSIGENO A BASSE PRESSIONI 67 


osservazioni della pressione sono fatte ad intervalli di qualche 
decimo di millimetro non in tutte appare completamente l’an- 
damento del fenomeno: però in tutte si presenta un anomalia 
verso 0,70. E tenendo conto delle esperienze del Bohr e anche 
di quelle del Ramsay (1. c.) che, alla stessa pressione trovò 
irregolare il coefficiente di dilatazione dell'ossigeno, sembra 
molto probabile che questa anomalia debba piuttosto attribuirsi 
all’ossigeno che all'idrogeno. Se poi questa specie di disconti- 
nuità dipenda da un cambiamento nella costituzione molecolare 
del gas, oppure dalla presenza del mercurio e del vetro del 
recipiente, le esperienze finora eseguite non sono in grado di 
decidere, per quanto la prima ipotesi appaia molto più probabile. 

È mia intenzione di confrontare in avvenire, qualora ne 
abbia opportunità, l'andamento dell’idrogeno con quello del- 
l’azoto e dell’anidride carbonica; giacchè, per il primo le espe- 
rienze mancano, per la seconda se ne hanno alcune dell’Amagat, 
ma poco numerose ed entro limiti di pressione molti ristretti. 

Intanto rendo grazie al ch. Prof. Andrea Naccari che mi 
fornì mezzi e consigli opportuni a compiere queste esperienze. 


Sulla trasmissione della elettricità da un conduttore all'aria 


nel caso di piccola differenza di potenziale ; 


Nota del Socio ANDREA NACCARI. 


1. Per spiegare la trasmissione della elettricità da un con- 
duttore che sia a basso potenziale all’aria circostante si suol 
ricorrere principalmente a due ipotesi, che hanno l’una e l’altra 
molta verosimiglianza. Secondo una di queste ipotesi servirebbero 
alla trasmissione le minutissime particelle solide natanti nel- 
l’aria: secondo l’altra, che fu sostenuta specialmente dal Giese (1), 
gli atomi dissociati che stanno nel gas, da cui è circondato il 
conduttore, hanno parte principale nella scarica del conduttore. 


(1) Grese, Wied. Ann., XVII, 1, 236, 519; XXXVIII, 403. 


68 ANDREA NACCARI 


Finalmente v'è chi ammette che anche le molecole del gas 
possano elettrizzarsi. L’esperienze, che descrivo, vennero eseguite 
con l'intento di contribuire alla ricerca della vera causa del 
fenomeno. 


2. Molte indagini vennero fatte sulla dispersione della elet- 
tricità. Il Coulomb dedusse dalle sue esperienze che se d è la 
densità elettrica superficiale di un conduttore sferico al tempo #, 
la quantità 


È. dò 


7 


rimane costante coll’andare del tempo, purchè non mutino le 
condizioni igrometriche e la temperatura dell’aria. 


Se ne deduce la legge 
lo) — do presi 


dove è, è la densità superficiale all'origine del tempo. Il coef- 
ficiente m di dispersione non dipenderebbe, secondo il Coulomb, 
nè dalla natura del conduttore, nè dalla forma, nè dalla grandezza. 

Da un giorno all’altro il valore di m fu trovato dal Cou- 
lomb molto diverso, il che fu da lui attribuito ad ignoti ele- 
menti che esisterebbero nell’aria e sarebbero diversamente atti 
a trasmettere la elettricità. Sperimentarono sull’argomento il 
Matteucci, il Riess, il Warburg ed altri. Sono particolarmente 
notevoli l’esperienze del Warburg (1). 

Egli dimostrò che non si possono ottenere risultati con- 
cordanti, se non si ha cura che i fili di sospensione, i sostegni 
e in generale tutti gli isolanti che sono a contatto con i con- 
duttori, sui quali si sperimenta, siano mantenuti a lungo in 
comunicazione con corpi elettrizzati in modo che si saturino di 
quella stessa elettricità di cui son carichi quei conduttori. Il 
Warburg verificò l'esattezza della legge del Coulomb, l’egua- 
glianza della dispersione delle due elettricità e il fatto che la 


(1) Warsure, Pogg. Ann., CXLV, 578 (1872). 


SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 69 


dispersione diminuisce quando diminuisce la pressione. Egli 
osservò che l’umidità non esercita influenza e che ne esercita 
la natura del gas. Nell’idrogeno la dispersione è più lenta che 
non nell’aria e nell’acido carbonico. 


8. Apparecchi adoperati. — Per avere qualche indicazione 
intorno alla causa della dispersione, stimai opportuno verificare 
anzi tutto la legge del Coulomb e poi esaminare come la forma, 
la grandezza e la natura del conduttore e le condizioni speciali, 
in cui esso si trova, influiscono sul valore del coefficiente nume- 
rico contenuto nella formula che rappresenta il fenomeno. Nelle 
esperienze citate dianzi il conduttore elettrizzato, del quale si 
esaminava la perdita di elettricità, era la palla mobile o disco 
mobile di una bilancia di torsione. Gli spostamenti dell’asta mobile 
della bilancia indicavano le variazioni di stato elettrico. Anzichè 
seguir questo metodo tenni sempre distinto il conduttore elet- 
trizzato dall’elettrometro e ciò per poter meglio variare la forma, 
la grandezza e la capacità del conduttore, per poter avere mag- 
giore sensibilità in certi casi e in generale misure più esatte. 
Anche altri sperimentatori seguirono questo sistema, ma, du- 
rante la trasmissione della elettricità dal conduttore all’aria, 
non staccarono l’elettrometro dal conduttore, il che mi parve 
necessario per il fine che io m’avevo proposto. 

Il potenziale del conduttore veniva misurato con un elet- 
trometro a quadranti del modello del Mascart costruito dal Car- 
pentier. La pila applicata all’elettrometro era una pila a colonna 
del Volta con dischi di carta asciutti in luogo dei panni ba- 
gnati. Dopo lunghi tentativi preferii questa pila ad ogni altra, 
e ne fui sempre soddisfatto nel corso dell’esperienze. Essa è di 
facile costruzione, occupa pochissimo spazio, dura inalterata per 
mesi e mesi e si presta anche bene, quando sia opportunamente 
costruita, per poter prendere un numero diverso di coppie a 
seconda del grado di sensibilità che si vuole. 

Per verificare se le deviazionî dell’elettrometro fossero pro- 
porzionali alle differenze di potenziale e per caricare i conduttori 
mi servii di una pila Daniell di 200 coppie. Ciascuna coppia di 
questa era composta di due piccole bottiglie congiunte con un 
sifone di vetro molto sottile. Quando gli orli delle bottiglie sieno 
rivestiti con paraffina e si aggiunga di tratto in tratto del- 


spie 
Pi 4 U Ù 5A 


70 ANDREA NACCARI 


l’acqua nelle bottiglie dove sta lo zinco, la pila si mantiene a 
lungo nelle stesse condizioni. 


4. Precauzioni relative ai sostegni. — I conduttori adoperati 
furono sfere e dischi di ottone: in qualche caso usai un cilindro 
di latta. Il solo modo opportuno di sostenere i conduttori mi 
parve l’uso di fili di seta quanto più sottili e meno numerosi 
era possibile. Verificai che anche con questa disposizione la per- 
dita di elettricità per i sostegni non era affatto soppressa. Ad 
ottener ciò non trovai altro partito veramente efficace se non 
quello che ora descriverò. 

Il capo superiore del filo di sospensione venne attaccato 
mediante un uncino di rame ad un sostegno di vetro verniciato. 
Valendomi d’un’apposita pila io mantenni prima di ogni espe- 
rienza e nel corso di questa il detto uncino ad un potenziale, 
il cui valore era prossimamente il medio aritmetico fra il po- 
tenziale iniziale e il finale del conduttore sospeso. Parecchie 
ore prima di cominciare l’esperienze io sospendevo il conduttore 
e lo ponevo e mantenevo al potenziale medio sopra indicato, 
il cui valore veniva determinato con qualche speciale esperienza 
per approssimazioni successive. 

Essendo nulla la media differenza di potenziale fra i due 
capi del filo nel corso di un’ esperienza, essendo pessimo con- 
duttore il filo stesso, e per di più essendo rimasto a lungo prima 
dell'esperienza anche il capo inferiore al medio potenziale che 
aveva il conduttore durante la esperienza stessa, si può esser 
sicuri di eliminare così la perdita di elettricità attraverso il 
filo, che è la precipua causa di errore in tali esperienze. 


5. Modo di osservare la dispersione. — Il conduttore, su cui 
sì sperimentava, veniva portato prima dell’esperienza ad un 
potenziale V,. Essendo esso congiunto con l’elettrometro me- 
diante un filo metallico isolato, che se ne poteva allontanare 
col far girare un sostegno, osservavo quel potenziale, indi sepa- 
ravo dall’elettrometro il conduttore e cominciavo da quell’istante 
a contare il tempo. Alla fine dell’esperienza osservavo l’elettro- 
metro per conoscere il potenziale di questo, poi stabilivo la co- 
municazione fra l’elettrometro e il conduttore e osservavo dopo 
il contatto il potenziale comune. Conoscendo il rapporto fra la 


SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 71 


capacità dell’elettrometro e quella del conduttore avevo quanto 
occorreva per calcolare il potenziale del conduttore prima del 
contatto. La perdita di elettricità avvenuta durante l’esperienza 
va interamente attribuita alla trasmissione all'aria, perchè la 
perdita attraverso il filo si può ritenere affatto soppressa. 


6. Esperienze sulla legge del Coulomb. — Feci molte espe- 
rienze per verificare questa legge. Tengo conto soltanto delle 
ultime fatte con una sfera collocata entro una campana di vetro 
tutta rivestita di stagnola nell’interno. La campana aveva alla 
sua sommità un foro del diametro di 5 cm., attraverso al quale 
passava un grosso filo di ottone ripiegato ad uncino con una 
pallina d’ottone all'estremità. Questa era sostenuta da un filo 
di seta. Esaminai in tre serie d’esperienze a qual potenziale si 
riducesse il conduttore elettrizzato inizialmente al potenziale 
di 43,7 Volta, dopo 30 minuti, dopo 60 e dopo 90. Nelle tabelle 
che seguono sono indicati quei potenziali con P39, Peo, Poo- 


Po medio Peo medio Poo medio 
32,0 23,3 17,9 
32,2 23,9 17,5 

32,1 23,8 17,6 
32,9 24,3 17,9 
32,0 23,8 18,5 


I rapporti fra i valori Po, Pso Peo, Poo presi ordinatamente 
a due a due, dovrebbero per la legge del Coulomb essere eguali 
fra loro. Dalle esperienze si hanno per i tre rapporti questi 
valori : 
1,361 1,345 1,358 


Possiamo dunque dire che la legge si verifica con sufficiente 
approssimazione almeno per deboli potenziali, come quelli usati 
in queste esperienze. 

Per potenziali molto più alti (250 Volta circa), mi parve 
che i risultati si scostassero alquanto dalla legge nel senso che 
le variazioni di potenziale fossero meno rapide di quel che la 
legge richiederebbe, ma le difficoltà di misure precise in quelle 
condizioni erano tali che non posso asserire la cosa con sicurezza. 


o ANDREA NACCARI 


Per un dato conduttore possiamo scrivere la legge del Cou- 
lomb così: 


V = Vo pre 


dove V, è il potenziale iniziale e V il potenziale al tempo #. 

Se si vuol estendere la formula ad un conduttore qualunque, 

il coefficiente a dovrà essere diverso a seconda della capacità 

del conduttore e della grandezza della superficie. 
Nell’equazione 


IN, UAN AL, 


da cui la precedente è dedotta, la variazione di potenziale dovrà 
essere, a parità di tutte l’altre condizioni, in ragione inversa 
della capacità e dipenderà dalla grandezza della superficie poichè 
la perdita di elettricità non avviene per altra via. Potranno 
influire la forma, lo stato della superficie, la diversa distribu- 
zione della elettricità per l’induzione dei corpi vicini ed altre 
condizioni ancora, ma potremo assumere come formula da veri- 
ficarsi la seguente 


dV=— k-g Vdt, 


dove % dovrebbe essere un coefficiente costante qualora sul feno- 
meno non si esercitasse alcuna delle secondarie influenze testè 
accennate, ed S e C sono la superficie esterna e la capacità del 
conduttore. 


Y. Determinazioni del coefficiente di dispersione per diversi 
valori della capacità e della superficie. -- Se si fanno l’esperienze 
tenendo il conduttore elettrizzato nell’aria libera, benchè nelle 
varie esperienze le condizioni sembrino le stesse, si hanno spesso 
dei risultati molto discordanti. 

Ecco quelli di alcune esperienze fatte in sei giorni succes- 
sivi con una sfera d’ottone del raggio di 10 cm. In ciascuna 
esperienza il potenziale iniziale fu 44,7 Volta. Dopo una mezz'ora 
il potenziale aveva il valore indicato qui sotto : 


-Proe-r "c—go- —m 


SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 73 
27 Giugno 29,5 29 Giugno 25,3 31 Giugno 25,8 
vi Li 27,6 1 5 31,0 7 È 28,9 
i, ; 31,2 3 > 23,8 i n 31,4 
n È 32,0 3 Ù 24,0 F , 31,8 
28 A 30,4 30 da 26,3 1 Luglio 27,6 
3 } 81,9 P — 26,2 à È 25,9 
È ; 32,4 5 L 27,2 , " 24,0 
I 3 34,3 È di 25,8 A £ 28,2 


Quando il conduttore stia in un recipiente chiuso o almeno 
comunicante con l’aria per una piccola apertura, le discordanze 
si attenuano. 

L’esperienze delle quali do più innanzi i risultati, vennero 
fatte quasi tutte con l’una o con l’altra delle due disposizioni 
seguenti : 

1° Un cilindro di latta alte 20 cm. circa e del diametro 
di 25 cm., posto in comunicazione col suolo, conteneva il con- 
duttore da studiarsi. Il cilindro veniva chiuso superiormente con 
un coperchio, nel quale erano un foro circolare ed un taglio nel 
piano verticale di un raggio del coperchio stesso che permetteva 
di applicare il coperchio anche quando il conduttore stava dentro 
il cilindro sostenuto dal filo di seta. 

2° Una campana di vetro quasi cilindrica con un foro di 
5 cm. di diametro alla sommità, del diametro interno di 19 cm. 
nella parte cilindrica inferiore, tutta rivestita di stagnola inter- 
namente, veniva appoggiata sopra una lastra metallica posta 
in comunicazione col suolo. Nello spazio interno doveva collo- 
carsi il conduttore attaccato ad un grosso filo metallico, che 


| passava attraverso il foro della campana ed era sostenuto da 


un filo di seta. Per difendere con maggior sicurezza il condut- 
tore dall’influenza della elettrizzazione del vetro, posi entro la 
campana un cilindro di ottone del diametro di 17 cm. e del- 
l'altezza di 29 cm. aperto superiormente e chiuso al disotto. 
Nelle tabelle che seguono indico con C la capacità del condut- 
tore entro l’inviluppo, con $ la superficie esterna del conduttore, 
con V, il potenziale finale d’ogni esperienza, vale a dire dopo 


14 ANDREA NACCARI 


trenta minuti dacchè il conduttore fu isolato. Il potenziale ini- 
ziale V, fu sempre di 47,0 Volta. Il valore di % venne sempre 
calcolato dai dati dell’esperienze con la formula 


C logV, — log Vi 
80 S log C ; 


I valori di C sono espressi in unità elettrostatiche, quelli dei 
potenziali in Volta, quelli di S in cm?. 

Per ogni determinazione di & riferisco i valori di Vj, dei 
quali s’introdusse il medio aritmetico nella formula. Le prime 
undici esperienze furono fatte ponendo i conduttori entro il 
cilindro di latta testè descritto al n. 1: le altre con la cam- 
pana di vetro. 


I. 29 V 1893. Disco A di zinco: diam. 21 em.; grossezza 1 cm.; 
orlo arrotondato; manico cilindrico metallico del diametro 
di 1 cm., lungo 17,5: 


C= 17,56 S=825 V,= 36,0; 37,1;38,0  %&=170.1075 
II. 30 V. Disco A, sospeso a lungo, filo di rame: 

C.19,16,1,9=842, V,. 96,2;85,b5; 99, = 2000008 
III. 31 V. Disco A, senza filo di rame: 

C= 17,25 S=825 Vi= 35,7; 94,4; 35,5 X=197.107° 
IV. 31 V. Disco A più prossimo al fondo: 

C.—23% S.= 825 Vi,.= 988,5;..98,8 k= 190207 
V. 1 VI. Disco A ancor più prossimo al fondo: 

290,4 Si=825:, Va 4325 49,5:/435. | ke 103400 


VI. 2 VI. Disco B di zinco; diam. 11,7; altezza 02; manico 
lungo 30,5; diam. 0,3: 


C= 11,06 S=251 V,= 37,3; 39,1;37,7:39,7 %X=293.1075 


VII. 2 VI. Disco di rame €, eguale per dimensioni a B: 
C= 10,93 S=251 Vi=37,7; 38,8; 38,6; 39,3. X=283.10-° 


SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 75 


VII. 3 VI. Due dischi di rame eguali a C infilati sullo stesso 
asse, a 1 cm. di distanza: 


O— 10,26 S=466: V,=34,8;35,1;87,0;36,2 X=—197.107 
IX. 2 VI. Gli stessi dischi a contatto: 

i=10,;92 __S=258 .V,==37,5:89,0: 40,0;.39.6. 4—261.107° 
X. 5 VI. Disco d’ottone, eguale per dimensioni ad A: 

2 920 Via 40/91 09,0: 40,4. kE 10:10" 
XI. 5 VI. Disco A, novamente pulito e levigato: 

280825 Ve 47049) 049,9 42.074,00 E 19510 
XII. 14 VI. Due dischi di rame eguali a €, a contatto, infilati 

sullo stesso asse: 

C=10,31 S=258 V, = 39,7; 39,5;39,7 k= 22410 
XII. 14 VI. Gli stessi dischi alla distanza di 6,5 cent.: 

Gi 13/900S SSAUGHOVi=40/£43 38% 40740 "pi 15210? 
XIV. 15 VI. Gli stessi dischi a 3 cm. di distanza: 

Ge 11,8 S== 4661 Vj:=139;1;/40,43139,8, | L—013h40078 
XV. 15 VI. Gli stessi dischi a 1 cm. di distanza: 

C= 10,2 S=466 V, = 388,6; 38,6; 38,8. X= 145.107 
XVI. 16 VI. Gli stessi dischi alla distanza di 3 mill.: 

SANA 
XVII. 19 VI. Gli stessi dischi a contatto: 

U=12,0 S=258. V;=35,5; 38,6; 37,1; 38,0; 37,9 &=297.107° 
XVIII. 22 VI. Disco B: 

U*=210,59° S ==" 201" VI ='99,97 198,07 48,0% E = 265.107 
XIX. 24 VI. Palla A di ottone; raggio 5 cm.: 

U=12,2 S=914" V,=43,5; 40,4; 43,9; 42,0" k =IST.10- 
XX. 24 VI. Due palle eguali alla A: 

©21  S=638/ 007, 40,64 41/77 41/7" 00p—-149:109 


76 ANDREA NACCARI 


XXI. 24 VI. Palla d’ottone B; raggio 4,3: 
C=11,1 S=252,5 V,=22:438;4330 #W= 438940000 

XXII. 28 VI. Cilindro di latta, diam. 6,3, altezza 18: 
C—=19,59 S=569 V,=42,2; 41,5; 40,8; 42,0. &=138.107° 


Esaminando questi risultati si vede che sono particolar- 
mente grandi i valori di 4 dati dalle esperienze VI, VII, IX, 
XII, XVII e XVIII. In esse si adoperarono dei dischi che non 
avevano gli orli arrotondati ed aveano piccola grossezza. Forse 
è dovuto a ciò il maggior valore di %, che si ebbe tanto con 
l’inviluppo di latta quanto con la campana. 

È vero che quei dischi furono adoperati anche in altre 
esperienze che diedero valori di X non molto alti, ma è da 
osservarsi che in queste altre esperienze i due dischi non erano 
a contatto e che nell'intervallo fra questi lo scarso movimento 
dell’aria e forse anche l'andamento delle superficie equipoten- 
ziali dovevano contribuire a diminuire la dispersione e a com- 
pensare almeno in parte l'influenza degli orli. 

Anche il grande valore di % trovato nella II esperienza 
può spiegarsi con l’înfluenza del filo di rame usato per la so- 
spensione. Fra gli altri risultati merita attenzione quello della V 
esperienza ottenuta con un disco di zinco vicinissimo al fondo. 
Pare che la difficoltà a rinnovarsi che incontra l’aria tra la 
superficie inferiore del disco ed il fondo spieghi questo risultato, 
che fu confermato da molte altre esperienze che non ho riferite. 
I valori rimanenti di % variano da 115 a 197.10-% e certamente 
questa differenza dei limiti è molto grande, ma se si tien conto 
della natura del fenomeno e delle varietà delle condizioni, quella 
differenza apparirà forse più piccola di quanto si poteva pre- 
vedere. 

La formula può dirsi verificata entro i limiti di queste espe- 
rienze, benchè applicata a conduttori di diversa capacità e su- 
perficie. 


8. Effetto del pulviscolo dell’aria. — Feci parecchie esperienze 
comparative determinando nel modo descritto il valore del coef- 
ficiente X con un conduttore circondato da aria libera, ora nelle 
condizioni ordinarie, ora mentre dei corpi polverosi venivano 


SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 77 


derit e battuti in vicinanza. Non osservai alcuna influenza che 
si potesse attribuire alla polvere. 

Cercai di liberare l’aria dalla polvere per esaminare se poi 
avveniva egualmente la perdita di elettricità. Il conduttore stava 
dentro un cilindro di lamina d’ottone e sotto la campana di 
vetro già menzionata. Spalmai con glicerina secondo il sugge- 
rimento del Tyndall le pareti ed il fondo del cilindro perchè la 
polvere precipitandosi lentamente vi rimanesse attaccata. Posi 
l’uncino di rame, a cui il capo superiore del filo di seta, che 
sosteneva il conduttore, era appeso ad un potenziale costante 
eguale al potenziale iniziale del conduttore. Così per la via dei 
sostegni poteva forse venire qualche minima quantità di elet- 
tricità al conduttore, ma questo non poteva perderne. Tenendo 
a lungo l’apparecchio nelle condizioni descritte io non mi avvidi 
mai che col tempo la dispersione si rallentasse. Parrebbe quindi 
che si potesse concludere che il pulviscolo atmosferico non ha 
gran parte nella trasmissione della elettricità. 


9. Influenza della temperatura del conduttore — Preso un 
cilindro di latta con coperchio, lo empii di acqua calda, lo so- 
spesi con fili di seta e determinai successivamente il valor di 
& con parecchie esperienze alternate quando l’ acqua aveva la 
media temperatura di 90° e quando aveva la temperatura ordi- 
naria. Non riscontrai differenza sensibile, il che è conforme a 
quanto trovarono il Narr (1) e il Giese (2). 


10. Influenza dei prodotti della combustione. — Questi, come è 
noto, affrettano molto la perdita di elettricità. La sola fiamma 
dell’elettrometro produce grandissimo effetto, quando si opera 
con un conduttore posto nell’aria libera. Così mentre in tre 
esperienze fatte senza alcuna fiamma il potenziale di una palla 
sospesa nell’ aria libera da 47,9 Volta scese in 30" a 35,4, 
quando invece la fiamma dell’elettrometro rimase accesa, scese 
‘in pari tempo a 14,5. 

Non si può avere regolarità nell’ esperienze fatte con la 


(1) Narr, Wied. Ann., XLIV, 133. 
(2) Grese, Wied. Ann., XVII, 529. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 8 


1 
2 


78 ANDREA NACCARI 


fiamma accesa, perchè l’azione dei prodotti varia con le correnti. 
d’aria che li trasportano a contatto del conduttore. 

Ancorchè raffreddati i prodotti agiscono egualmente, purchè 
non sia trascorso troppo tempo dacchè la combustione è avve- 
nuta. Se si pone una fiamma al di sotto della bocca inferiore 
di un serpentino circondato da acqua fredda e si fa che l’estre- 
mità superiore stia sotto il conduttore elettrizzato, la perdita di 
elettricità viene fortemente accelerata, ancorchè il serpentino 
abbia la lunghezza di 2 m. e i prodotti escano affatto raffred- 
dati. Ma se si raccolgono in una campana i prodotti della com- 
bustione di una fiamma e poi si mandano contro il conduttore, 
non si ha effetto alcuno. L’ attitudine ad accelerare la disper- 
sione è dunque temporanea e pare legata allo stato particolare 
delle molecole e degli atomi, che accompagna la combustione o 
le tiene dietro. L'anidride carbonica, appositamente sviluppata, 
non produce effetto alcuno; del vapore acqueo si dirà poi. 

Fu notato da R. Helmholtz che mentre i prodotti della 
combustione agiscono in generale sopra un getto di vapore con- 
densandolo e facendone mutare l’aspetto e togliendone la tras- 
parenza, una fiamma d’alcool puro, non luminosa, non, produce 
tale effetto. Io esaminai se alcun che di simile si verificasse 
rispetto alla dispersione della elettricità, ma ebbi un forte au- 
mento di questa anche con la fiamma d’alcool, puro non. lu- 
minosa. 

Esaminai se qualche altro fenomeno chimico producesse un 
effetto simile a quello della combustione. Non ne ebbi alcuno 
da un getto di ozono e da uno di gaz ammoniaco, che s’incon- 
travano un po’ al di sotto del conduttore elettrizzato. Nessun 
effetto produce l'ozono solo, nè l'idrogeno appena sviluppato. 
Dell’azione del fosforo dissi già prima d’ora (1). 


11. Influenza delle punte. -— Una punta metallica applicata 
a un conduttore nelle condizioni delle descritte esperienze non 


accelera la dispersione. 


12. Influenza del movimento dell’aria — Una corrente d’aria, 
che vada a batter contro il conduttore, non accelera la disper- 


(1) Atti dell’Accademia di Torino, XXIV, 195; XXV, 884. 


\ 


SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 79 


sione; anzi talvolta produce un aumento di carica. Che però un. 
movimento d’aria. continua e lento agisca accelerando la disper- 
sione, è cosa. che risulta. manifesto da un gran numerò delle 
mie esperienze, e specialmente da. quelle ch’eseguii nel modo 
seguente. 

Il disco A già menzionato sopra era sospeso entro un ci- 
lindro di latta. Le due basi di questo avevano un foro centrale, 
quello di sopra rimaneva sempre aperto, l’altro veniva ora te- 
nuto aperto ora chiuso con una lamina di latta. In ciaschedun 
caso il valore di V, è dedotto da quattro esperienze fatte nelle 
‘stesse condizioni e alternate con quelle fatte nell'altra. 


Foro aperto C= 36,9 Vi = 37,7 k =3B2L107 


s Chiuso 40,4 42,2 Eg100° 
Foro aperto 2228) 2,006V 90) 1 pe SERIO 
s Chiuso I 40,3 168.107° 
Porofanperio  £ —,35,1° Vi. 97,6, ka 9200.107° 
s Chiuso ° 4259 LAL1:0;3° 


Quest’esperienze dimostrano come il coefficiente di disper- 
sione fosse notevolmente più grande nei casi in cui, essendo 
aperto il foro del fondo del cilindro, l’aria che toccava la .su- 
perficie inferiore del disco, poteva più facilmente moversi e rin- 
novarsi. 


13. Influenza dei vapori — In una serie di esperienze in- 
torno all’influenza delle piccole scintille sulla dispersione (1) io 
avevo osservato che i vapori di trementina, di etere e di alcool 
attenuavano grandemente l’effetto delle scintille. Esaminai se i 
vapori attenuassero anche l’effetto dei prodotti della combustione 
e riscontrai che avviene così. Descrivo qui alcune fra l’ espe- 
rienze eseguite. 

Una piccola fiamma a gas stava al di sotto d’ un imbuto 
metallico capovolto, al quale era applicato un tubo verticale di 
80 cm. circa. All'estremità superiore di questo era applicato me- 
diante un tappo un altro tubo ripiegato orizzontalmente che 


(1) Atti dell’Accademia di Torino, XXV, 1890. 


80 { ANDREA NACCARI 


conduceva i prodotti della combustione ad una piccola bottiglia. 
In questa si poneva la sostanza liquida, con i vapori della 
quale si voleva che i prodotti della combustione si mescolassero. 
Il liquido occupava una piccola parte della bottiglia. Il tubo, di 
cui si è detto, entrava, attraversando il tappo, nella bottiglia, 
ma non s'immergeva nel liquido. Un altro tubo attraversava il 
tappo, diritto, verticale, aperto ai due capi; non s’immergeva 
nemmeno esso nel liquido. I prodotti della combustione mesco- 
lati con i vapori salivano per esso ed entravano nello spazio 
dove stava il conduttore, la cui perdita di elettricità si studiava. 

Quando sì voleva che i prodotti giungessero a quello spazio ‘ 
e non si mescolassero con vapori, si sostituiva a quella bottiglia 
un’ altra eguale che invece del liquido volatile conteneva un 
egual volume di mercurio e ciò perchè tutte le altre condizioni 
dell’esperienze che si confrontavano, fossero eguali. 

L’esperienze vennero fatte con una sfera di ottone di 10 
cm. di diametro, sospesa mediante un filo di seta lungo 80 cm. 
ad un sostegno di vetro e congiunta stabilmente all’elettrometro. 
La sfera stava entro un cilindro metallico col fondo forato. Una 
campana di vetro rivestita internamente di stagnola circondava 
il cilindro. Essa aveva un foro alla sommità, per la quale pas- 
sava il filo di seta e il filo di rame che congiungeva la sfera 
all’elettrometro. Si portava il potenziale della sfera ad un va- 
lore corrispondente a circa 350 divisioni, poi lo si faceva di- 
scendere fino a 225, il che nelle condizioni in cui si trovava 
allora l’elettrometro corrispondeva a circa 32 Volta. Si comin- 
ciava a contare il tempo e dopo 15 minuti si osservava la po- 
sizione della striscia luminosa sulla scala dell’elettrometro. Nelle 
due figure son posti nella stessa colonna verticale, e nell’inter- 
vallo tra due linee orizzontali i numeri spettanti all’esperienze 
che si possono comparare direttamente fra loro. Quei numeri 
rappresentano il medio spostamento della striscia luminosa per 
un minuto. Nell'ultima colonna verticale stanno i valori medi. 
La lettera P indica i prodotti della combustione. Così ad esempio 
nella prima esperienza con i prodotti soli s'ebbe uno sposta- 
mento medio di 3, 4 parti, nell'esperienza successiva fatta con 
i prodotti misti a vapori d’alcool 2, 7: la terza fu fatta con i 
soli prodotti e diede 3,05, la quarta con Dod misti a vapori 
d'alcool diede 2,55: 


SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 


P 3,40 
3,05 
P + Ale. 2,70 
2,55 
P 4,00 
3,70 


P + Etere 3,70 


3,50 
P 4,81 
4,59 
P+ Aq. 4,26 
4,26 
P 
P + Clorof. 
P 
P + Ammon.* 


3,90 
4,29 
3,10 
2,90 


4,26 


3,60 


4,46 
3,45 
3,47 
2,95 
3,25 
2,85 


81 


medio 
3,10 4,01 
4,00 Suobi 
2,70 4,00 9.99 
medio 
3,39 3,60 AI ILA 
3,33 2,87 3,20 3,45 
2,93 
2,70 2,60 2,38 
2,83 2,40 2,46 2,87 
3 medio 
5:91 5,27 Iotti 
5,76 5,14 
5,60 4,98 r 
5,31 4,87 
| medio 
4,47 
440 4,26 
Si 3,30 
medio 
5,46 
5:53 5,09 
Ea: 
4,74 
4,40 4,44 
5,00 


È da notarsi che l’acqua usata nell’esperienze aveva la 
temperatura di 50° circa. Con l’acqua alla temperatura ordinaria 
non si notò alcun effetto. Se si dispongono i medii risultati ot- 
tenuti in ordine decrescente, si trova che la massima attenua- 
zione dell’ attitudine che hanno i prodotti della combustione 


82 ANDREA NACCARI 


d’accelerare la dispersione fu prodotta dall’etere, poi vengono 
il cloroformio, l'alcool, l’ammoniaca e l’acqua. Ho anche esa- 
minato se nell’aria imista ai vapori medesimi ‘(la dispersione 
avvenisse più lentamente che non nell'aria atmosferica ordi- 
naria. Ho determinato il valore del coefficiente '‘% alternativa- 
mente nelle due condizioni, ma non son riuscito a riconoscere 
alcun ceffetto costante e sicuro dei vapori. 


14. Esperienze nell'aria rarefatta. — Tentai di studiare la 
dispersione nell’aria rarefatta. La necessità di chiudere lo spazio 
in cui sta il conduttore, rendeva molto difficile l’ottener preci- 
sione. Circondai il filo che doveva servire a congiungere il con- 
duttore con l’elettrometro e passava attraverso le pareti dello 
spazio chiuso, con una sostanza coibente ‘e poi con una guaina 
metallica che mediante una apposita pila cercavo di tenere allo 
stesso potenziale del conduttore. Speravo così di sopprimere le 
perdite di elettricità che non avvenissero per l’aria, ma la so- 
stanza coibente posta a contatto di quel conduttore si carica di 
elettricità e si comporta in modo da togliere ogni precisione. 

Studiai invece qual fosse nell’aria rarefatta l'influenza delle 
scintille elettriche. In un tubo di vetro di circa 5 cm. di dia- 
metro introdussi due elettrodi di ottone che terminavano in due 
dischi piani affacciati l’uno all’altro. Le aste che portavano i 
dischi passavano attraverso due tappi di sovero applicati agli 
estremi del tubo. Attraverso uno di questi passavano pure due 
elettrodi, le cui estremità nell'interno del tubo stavano alla di- 
stanza di pochi mill. Dei primi due elettrodi l’uno era destinato 
ad essere congiunto con l’elettrometro, l’altro con un polo d'una 
pila, l’altro polo della quale era in comunicazione col suolo. 
Gli altri due dovevano congiungersi ai poli d’ un piccolo roc- 
chetto d’induzione. Un tubo di vetro attraversava pure uno dei 
tappi e metteva alla macchina pneumatica. Mediante ceralacca 
si chiuse ogni altra comunicazione fra l'interno e l’esterno. Un 
disco di rete metallica congiunto al suolo stava fra i secondi 
elettrodi e i primi in modo da difendere questi da ogni azione 
elettrostatica quando le scintille scorrevano fra gli altri due. 

La pila che era in comunicazione con uno dei dischi era atta 
a produrre una deviazione di 240 parti circa. Se non scoccavano 
scintille, la elettricità non passava da un disco all’altro, se le 


SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 83 


scintille scoccavano e l’aria era rarefatta, il passaggio avve- 
niva, tanto nel caso in cui il disco congiunto alla pila era 
positivo, quanto nel caso opposto. 

Con la distanza di 1 cm. fra i dischi occorreva ridurre la 
pressione a meno di 20 cm. per aver effetti considerevoli. S'aveva 
un massimo effetto alla pressione di circa 1 mm.; a pressioni 
inferiori l’effetto diminuiva. 

Quando vennero posti nel tubo due dischi di cartone che 
stessero fra le scintille e i dischi, e fossero alla distanza di 1 
cem. circa l’ uno dall’ altro, il passaggio della elettricità fra i 
dischi nell’aria rarefatta venne grandemente attenuato, ma anche 
in queste condizioni l'influenza delle scintille sulla dispersione 
della elettricità tanto positiva quanto negativa apparve manifesta. 


15. — Se esaminiamo i risultati delle esperienze descritte 
per trarne qualche conclusione in favore dell’ una o dell’ altra 
ipotesi, vediamo che in favore di quella che attribuisce la di- 
spersione della elettricità agli atomi dissociati sta il fatto che 
l’aria resa ad arte polverosa non produce effetto maggiore. Lo 
stesso va detto dell’altro fatto che spalmando le pareti con gli- 
cerina, e lasciando tranquilla l’aria non si osserva che la di- 
spersione si rallenti. 

L'azione dei prodotti della combustione, del fosforo, delle 
scintille elettriche e dei corpi incandescenti può spiegarsi nei 
due modi perchè secondo l’Aitken in tutti questi casi si pro- 
duce una gran quantità di pulviscolo e d’altra parte è probabile 
che nei casi stessi le molecole dei gas possano venir dissociati. 

I vapori attenuano la dispersione prodotta dalle scintille 
elettriche e dai prodotti della combustione. Questo fatto mi pare 
favorevole all'ipotesi che la dispersione sia dovuta agli atomi 
liberi anzichè al pulviscolo, essendo più probabile che la pre- 
senza dei vapori diminuisca il numero di questi atomi o li renda 
inattivi, anzichè faccia un consimile effetto sopra il pulviscolo. 
Dall’insieme di queste esperienze risulta adunque che l'ipotesi 
del pulviscolo ha minore verosimiglianza dell'altra. 


L’Accademico Segretario 
ANDREA NACCARI. 


84 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 24 Novembre 1895. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 
PRESIDENTE DELL ACCADEMIA 


Sono presenti i Socii: CLarEeTtTA, Direttore della Classe, 
Peyron, Rossi, BoLLati DI SAIN-PreERRE, NANI, CrpoLLa, BRUSA, 
PerrERO, ALLiEvo e FERRERO Segretario. 

Il Presidente commemora il defunto Socio Basso, ricordan- 
done i servigii resi alla scienza ed all'insegnamento e le parti- 
colari benemerenze verso l'Accademia, della cui Classe di scienze 
fisiche, matematiche e naturali fu Segretario. Ricorda le perdite 
di Socii fatte dalla Classe durante le ferie accademiche, cioè 
del Socio Straniero Enrico Rodolfo GweIsT, dei Socii Corrispon- 
denti Enrico von SyBrr, Filippo Linati. Accenna all'opera 
scientifica di essi ed annuncia che per suo incarico, il Socio 
CrpoLLa nell'adunanza stessa commemorerà il Socio Corrispon- 
dente SyBEL, ed affida rispettivamente ai Socii BrusA e CLARETTA 
l’incarico di commemorare i Socii Gwersr e Limati in prossime 
adunanze. Da ultimo annuncia alla Classe la morte del Socio 
Corrispondente Ruggero BoneHI, avvenuta il 22 ottobre scorso, 
e nell’impossibilità di rieordarne anche solo in parte gli scritti 
e le opere, si limita a commemorare con brevi parole la vasta 


85 
e mirabile operosità di lui dimostrata negli studii storici, poli- 
tici, filologici e filosofici, che di esso ha fatto una delle figure 
più spiccate e più geniali nella storia politica e letteraria del 
nostro risorgimento. 
Fra le pubblicazioni pervenute alla Classe durante le ferie 
il Socio FERRERO segnala le seguenti: “ Francesco Bacone alla 
Corte d'Inghilterra ,, del Socio Giuseppe ALLievo (Torino, 1896); 
“ La moneta ed il rapporto dell'oro all’argento ,, del Socio Cor- 
rispondente Cornelio DestmonI (Roma, 1895); “ Friedrich Diez ,, 
del Socio Corrispondente Wendelin ForRrstER (Berlin, 1895); 
“ La passione în Canavese ,, pubblicata e commentata dal Socio 
Corrispondente Costantino NierA in unione col sig. Delfino Orsi 
(Torino, 1895); “ Vocabulaire francais-malgache ,, del Socio 
Corrispondente Aristide MarRE (Paris, 1895); “ Historia e civi- 
lisacao ,, del Socio Corrispondente Antonio pe SERPA PIMENTEL 
(Lisbona, 1895); “ Pope's Universal Prayer ,, del Socio Corri- 
spondente Sourindro Monun Tasore (Calcutta, 1894). 
Il Presidente, a nome dell’autore, prof. Giuseppe ZUccAnTE, 
offre le opere: “ Saggi filosofici , (Torino, 1892); “ La dottrina 
della coscienza morale nello Spencer , (Lonigo, 1895). 


Il Direttore della Classe CLARETTA presenta in omaggio il 
volume VI degli “ Atti della Società di archeologia e belle arti - 
per la provincia di Torino ,. 

Il Socio Segretario presenta una fotografia, donata dal 
Prefetto della biblioteca nazionale di Torino, del busto di Gaspare 
GoRRESIO, riprodotto in marmo dall'originale posseduto dall’Ac- 
cademia e collocato in una delle sale di studio della biblioteca, 
riservata, fra altre persone, ai membri dell’Accademia. 

Presenta poi l’opera postuma di Enrico BrancH®erTI: “ / 
sepolereti di Ornavasso , (Torino, 1895), di cui fa dono la vedova 
dell’autore signora Clara BIANCHETTI-SELLA. 

Il Socio Segretario informa che l'Accademia è stata rap- 
presentata dal Socio BoseLLi al VI Congresso storico italiano, 


86 


riunitosi in Roma nel passato settembre, e presenta gli ordini 
del giorno approvati dal Congresso e mandati dalla Presidenza 
di esso. Comunica pure l’invito diretto all'Accademia di farsi 
rappresentare all'XI Congresso degli americanisti a Messico. 

Il Socio CreoLLa legge una commemorazione del Socio non 
residente Cesare Cantù e del Socio Corrispondente Enrico von 
SyBEL, che è pubblicata negli Attì accademici. 

È presentato un lavoro manoscritto inviato per la stampa 
dal signor Giovanni FrIGERI ed intitolato : “ La filosofia di Gio- 
vanni Pico della Mirandola ,. A riferire intorno ad esso in una 
prossima adunanza sono delegati dal Presidente i Socii PeyRoN, 
Brusa ed ALtLievo. 

Il Socio Segretario legge una nota del Socio Corrispondente 
prof. Elia LamttES: “ Il vino di Naxos in un'iscrizione preromana 
dei Leponzii in Val d’Ossola ,, ed un’altra del prof. Carlo PascaL: 
«“ L'iscrizione sabellica di Castignano ,. Queste note sono inse- 
rite negli Atti. 

Il Socio CipoLLa presenta un lavoro manoscritto del Dot- 
tore Luigi ScHIAPARELLI: “ Le origini del comune di Biella ,, 
di cui l’autore desidera la pubblicazione nelle Memorie acca- 
demiche. 

Il Presidente delega il Socio presentante ed i Socii BoLLATI 
pI Saint-Pierre e PerRERO a riferire intorno a questo lavoro. 


—————C—_TC_“—— ((TT---_- 


CARLO CIPOLLA — CENNI COMMEMORATIVI, ECC. 87 


LETTURE 


CESARE CANTÙ ed ENRICO von SYBEL 


Cenni commemorativi del Socio CARLO CIPOLLA. 


La morte ci tolse nell'ultimo anno accademico e nelle ferie 
testè trascorse due dei nostri soci più illustri, Cesare Cantù ed 
Enrico von Sybel. Morì il primo, addì 11 marzo 1895 a Milano. 
Tl 1° d'agosto mancò ai vivi il secondo. L’uno e l’altro furono 
scrittori fecondissimi, ma solo delle principali loro pubblicazioni 
mi sarà dato di far cenno, commemorando oggi brevemente la 
memoria venerata dei due grandi storici. 

Il Cantù morì vecchissimo. Nato addì 8 dicembre 1804 a 
Brivio, nella provincia di Como, aveva celebrato pochi mesi 
prima di morire, il suo novantesimo anniversario; in quel dì di 
festa era contornato non solo dai suoi ammiratori, ma da uno 
stuolo di fanciulli, suoi piccoli amici. Il Cantù amò sempre la 
compagnia ingenua dei fanciulli, quantunque nel suo spirito ci 
fosse qualche cosa di sdegnoso; ma il suo sguardo si rassere- 
nava, quando egli lo posava sui fanciulli o sui fiori. 

Festeggiavasi l’ultimo suo anniversario, quando la N. An- 
tologia pubblicò un articolo del Cantù sul viaggio del Montes- 
quieu in Italia. Quel vecchio vigoroso volle morire colla penna 
in mano, volle eseguire fino all’ ultimo il programma di lavoro 
ch'egli stesso si era tracciato nel 1874, commemorando nell’ Ar- 
chivio Storico Lombardo il Guizot. Egli vi lodò il grande storico 
francese per molti rispetti, ma un encomio speciale gli tributò 
per la tenacità nel lavoro, continuato senza riposo sino all’ul- 
tima vecchiaia. E additò ai giovani nel Guizot un alto esempio 
da imitare. Non minore esempio lasciò a noi il Cantù in sè 
medesimo. 

Il Cantù dovette tutto a se stesso. Rimasto orfano in gio- 
vanissima età, assunse l’educazione dei fratelli, tra’ quali Ignazio 
levò di sè bella fama, come scrittore. Cesare Cantù insegnò 
dapprima a Sondrio, poi a Como, poi a Milano. Lasciò quindi 


88 CARLO CIPOLLA 


i pubblici officîù per dedicarsi tutt’intero alla storia, e per con- 
servare integra la libertà della parola. Ai primi suoi anni risale 
il poemetto Algiso e la Lega Lombarda, che poi ristampò nel- 
l'età più tarda (1880). In quel poema, abbellì la storia colla 
veste della poesia, e quale letterato si schierò tra .i romantici. 
Non fu nemico alle rime anche nell’età inoltrata, quantunque 
questo non fosse il suo campo: scrisse un inno alla Croce, che 
recitò pur sul letto di morte. 
La sua vera strada la trovò peraltro assai presto e nel 1829 
pubblicò il primo volume della Storia di Como, di cui il secondo 
vide la luce nel 1831. Con questa monografia, il Cantù tentò 
un metodo nuovo, svincolandosi dal legame annalistico al quale 
avevano obbedito gli imitatori dell’incomparabile Muratori. La 
tela su cui si svolge la storia, lo si capisce, è sempre la cro- 
nologia; nè è possibile fare diversamente, che seguirla con di- 
ligenza. Ma non per questo è in tutti i casi necessario di ri- 
durre la storia ad annali. Il Cantù raggruppa i fatti della 
storia Comasca secondo l’ordine logico, e alla narrazione delle 
battaglie e delle vicende politiche, annoda la esposizione di 
quello che riguarda il costume, la letteratura, le arti, il com- 
mercio, l'industria, la legislazione. Di tutto ciò egli si giova 
per costituire un complesso saggiamente ordinato, e per com- 
porre un libro vivo, scritto con efficacia e calore. Nella prefa- 
zione al secondo volume, dice che egli si era deciso a dedicarsi alla 
storia quando giunsero a lui le memorande parole del Foscolo: 
“0 Italiani, io vi esorto alla storia. , Se trasse l'ispirazione 
dal brano di Foscolo, che comincia con queste parole, si com- 
prende come per lui la storia non potesse essere una fredda 
narrazione di ciò che è avvenuto, ma dovesse essere uno studio 
psicologico e politico dell’uomo in genere, e in particolare del- 
l'italiano. I tempi nei quali il Cantù viveva, non chiedevano di 
meno. Nella Storia di Como il Cantù manifestò i più bei pregi 
della sua mente. Egli vi espose le vicende della sua città sopra 
lo sfondo della storia italiana, e questo sfondo è tutto origi- 
nale, e dimostra nell’autore, ancora così giovane, una erudizione 
incredibilmente vasta. A lui non isfuggono le più disparate 
questioni, ed è bello il vedere (vol. I, p. 167) com’egli additi 
lo studio delle lingue, quale una disciplina promettitrice di larghi 
risultati scientifici. Eppure correva il 1829 e Federico Diez non 


CESARE CANTU’ ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 89 


aveva allora che 16 anni! Il Cantù si rivolge al popolo, e nega 
che la Storia debba ridursi a celebrare la gloria di chi comanda, 
ma vuole che essa cerchi “ quanto fossero felici i popoli, quanto 
ai godimenti ed alle speranze del cittadino giovasse la gloria 
dei capi , (vol. I, p. 18). Dichiara (I, 19): “ L’imparzialità, la 
verità poi furono sempre la mia mira ,. Sdegna le opinioni cor- 
renti, quando le trova destituite di prove; lo dice e lo fa, 
siccome avviene, p. e., dove (I, 296-7) combatte il Sismondi nello 
assegnare le cause dell'origine dei Comuni. In materia così grave, 
il Cantù, sottrattosi completamente alle influenze della scuola, 
precorre, con felice intuizione, alcune moderne ricerche, e al- 
l'iniziativa popolare attribuisce direttamente l’origine dei nostri 
Comuni. 

Quantunque appena pochi anni fossero passati dal trattato 
di Vienna, già romoreggiava la burrasca, che poneva in peri- 
colo il governo Austriaco in Lombardia. Il Cantù agognava 
l'indipendenza, e il governo Austriaco non s’ingannò del tutto 
sospettando di lui. Nella Storia di Como (I, p. 292) avea ac- 
cennato alla “ libertà d'Italia ,; i suoi scritti, che si segui- 
vano con foga incredibile in quegli anni, accrescevano fama alla 
persona e autorità alle sue parole. Il Cantù poteva essere pe- 
ricoloso al governo, e quindi fu chiuso in carcere, dove restò 
dal novembre del 1833 all’ottobre dell’anno seguente. I carce- 
rieri gli sottraevano i mezzi di scrivere, ma egli — si narra — 
usando di uno stuzzicadenti per penna, e del fumo per inchio- 
| stro, compose in prigione il suo celebre romanzo storico (mo- 
dellato quanto alla materia storica sul Marco Visconti, quanto 
alla individualizzazione dei caratteri, sui Promessi Sposi) Marghe- 
rita Pusterla. Egli si rivolgeva dunque ancora una volta al po- 
polo, nè a far ciò aveva uno scopo puramente letterario. 
Stigmatizzando le crudeli azioni dei Visconti, velatamente par- 
lava dello stato delle cose nei tempi suoi (1). Liberato dal car- 


(1) Mio fratello Francesco richiamava di questi giorni la mia atten- 
zione su questo passo della Conclusione. Il Cantù dopo avere accennato 
l’alternarsi delle dominazioni passate sopra Milano, scrive così: “ Nessuno 
ignora le vicende che da quel punto (da quando cioè l’imperatore donò 
Milano ai Visconti) corse il ducato, ora preda degl’ingordi, or rapina dei 
prepotenti, ora trastullo degli scaltriti, ora dote di donne, come i mobili 


90 CARLO. CIPOLLA 


cere, si sottopose ad un lavoro così immane da spaventare ogni. 
cuore meno gagliardo del suo. Il Pomba, che allora dava. vita. 
a Torino. ad una potente propaganda letteraria, a mezzo della. 


tipografia da lui fondata, offerse al giovane Cantù l’incarico di 
scrivere una Storia Universale. Oggidì questo nome di. Storia 
Universale non giunge a fare sopra di noi quella impressione, 
che doveva produrre sessant'anni or sono. Di Storie di tal fatta 
abbondiamo, fatte più o meno bene. Ma allora la. preparazione 
era scarsa. 

La Storia Universale del Bianchini fu una intuizione. ge- 
niale, ma non fu quello che il titolo poteva far. supporre. La 
Storia universale scritta da una compagnia di letterati inglesi 
ebbe diffusione anche in Italia, mercè la versione, che se ne 
cominciò a Venezia sino dal 1765. È un’opera colossale, abbon- 
dante di erudizione, straricca di notizie. Ma è inorganica. (Gli 
autori cercarono piuttosto di accontentare la curiosità del lettore, 
che di nutrirlo di cibo sostanzioso. Troppa parte vi si dà alla 
storia malsicura di certi periodi vetustissimi, e di nazioni lontane. 
Il medioevo e il rinascimento sono periodi quasi affatto tras- 
curati. Nella storia moderna, predominano quelle parti che 
hanno interesse diretto per l'Inghilterra. Bisognava adunque che 
il Cantù si formasse egli un concetto nuovo, e che lo colorisse. 
Era un'impresa da spaventare chiunque. Eppure ‘egli non. esitò, 
e la pubblicazione principiata nel 1838 ebbe il suo compimento 
nel 1846. La Storia Universale, in prima edizione, consta di 35 
volumi. 

In un’opera di così immensa comprensione sarebbe ingiu- 
stizia l’andar discutendo sopra alcuni particolari. Bisogna consi 
derarla nel suo insieme grandioso. Infinite questioni egli propone 
e discute; non tutte le scioglie. Egli nè voleva, nè poteva pro- 
nunciare l’ultima parola su tutte le questioni storiche. Ma volle 
e potè scrivere un’opera immensa, che diede una potente scossa 
al pensiero italiano; fu tradotta nelle lingue più dotte, e non una 
volta soltanto, e così lasciò profonda traccia di sè anche presso gli 
stranieri. Il Cantù non si limitò in questo libro alla nuda nar- 


e le mandre, finchè traverso a lunghi e indecorosi dolori, potè arrivare a 
quel riposo e a quella felicità che ciascuno vede ,. Comincia col rimpro- 
vero, termina coll’ironia. 


CESARE CANTU’ ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 91 


razione dei fatti vincolati l’uno all’altro dalla sola ragione cro- 
nologica. Egli si propose di scrivere la storia dell'umanità, 
considerata nella sua unità e come una sola famiglia. Nè ri- 
guardò la storia coll’occhio di Democrito, che il mondo a caso pose, 
ma la considerò siccome la realizzazione del pensiero divino. 
Così tale Storia assunse un carattere tutto suo proprio, e risultò 
un’opera filosofica e letteraria ad un tempo. Quelle non furono 
pagine morte, pregevoli solamente per l'abbondanza dell’erudi- 
zione. Sono invece pagine animate sempre da un pensiero supe- 
riore, che mantiene sollevata in alto la mente di chi legge, e che 
di continuo ne conforta l’animo. Non è il nulla, ma è per contro 
un santo ideale, lo scopo a raggiungere il quale l'umanità lavora, 
e per il quale patisce. Di qui il valore morale di. quest'opera, di 
qui eziandio la ragione precipua della efficacia che essa esercitò. 
Dissi ragione precipua, non unica; perchè la Storia Universale, 
considerata anche soltanto sotto il rispetto dell’erudizione, ebbe 
una grande azione sull'indirizzo intellettuale italiano, e ridestò 
tra noi l’amore agli studi storici. Una sintesi, così larga, così 
potente, destava il desiderio di nuove analisi, apriva nuovi oriz- 
zonti agli studi, svelava i punti più interessanti e fino allora 
meno chiariti. 

Il Cantù associò la storia politica alla religiosa, alla lette- 
raria, alla scientifica, anzi non solo avvicinò queste materie tra 
loro, ma in certa guisa le fuse assieme, coll’intento di mostrare 
come una agisca sull’altra. Colla prova del fatto, egli dimostrò 
ingannarsi coloro i quali intendevano la storia nel puro e sem- 
plice significato politico o militare. Mantenne pertanto anche 
in questo lavoro quel sistema che aveva adottato per la Storia 
di Como. A ciò fare lo induceva un concetto, che gli fu diret- 
tivo in ogni suo libro storico, e che egli ripete di sovente con 
vera compiacenza. Per lui la storia non si riduce alla biografia 
dei grandi, ma deve tener conto anche del popolo. Educato, 
com’ egli scrive, ad una scuola che disprezzava, per opinione 
preconcetta, l’età media, egli “ si svincolò delle false opinioni 
che aveva imbevute nella sua giovinezza ,, poichè dinanzi al 
duomo di Milano, a S. Marco, a S. Maria del Fiore, comprese 
che degna di studio e di rispetto era stata l'epoca delle “ munici- 
pali libertà ,. Restituì il medioevo all’onore dovutogli, ma peraltro 
senza costituirlo come un punto, verso il quale l’umanità debba 


92 CARLO CIPOLLA 


retrocedere. Anzi egli disse: “ il nostro non sarà mai un culto 
d’idoli quatriduani ,. L'effetto che egli si propose, l’ottenne con 
maggior efficacia introducendo a grandi intervalli alcuni discorsi 
nei quali scolpisce il carattere della storia dell'umanità in ge- 
nerale o quello di alcuni dei suoi periodi. Il discorso sul medioevo 
mi sembra il migliore, per densità di pensiero, per varietà di 
argomenti trattati, per schiettezza di forma. 

Il Cantù non abbandonò il massimo prodotto del suo in- 
gegno, ma andò ritoccandolo mano mano che di esso si rendevano 
necessarie nuove edizioni. Nel 1884 ne imprese l’ultima, alla 
quale attese, con giovanile perseveranza, nell’ultimo decennio 
della sua vita, e potè godere il compiacimento di vederla finita. 

Dopo di lui, Giorgio Weber pubblicò la sua Storia del mondo 
il cui primo volume uscì nel 1857, e l’ultimo nel 1880. La co- 
ordinazione della materia, non dico nei particolari, ma nel su-. 
premo principio direttivo, è abbastanza simile a quella del 
Cantù. Naturalmente il Weber fa poca parte alla storia italiana. 
Leopoldo Ranke ebbe un pensiero affatto diverso, e non mantenne 
la dovuta proporzione tra le diverse parti dell'immensa sua 
opera. Non posso paragonare alla Storia del Cantù le enciclo- 
pedie storiche di Onken, e di altri: sono monografie avvicinate 
l’une alle altre, non sono la storia dell’umanità. 

Attorno alla Storia Universale si aggirano e con essa si 
connettono molti fra gli altri: scritti del Cantù. La Storia dei 
cent'anni, e Gli ultimi trent'anni, sono da annoverarsi in questo 
gruppo, e così pure le storie di alcune letterature, sia dell'età 
antica, che della moderna. Tra il 1892 e il 1894 rifuse la sua 
Storia della letteratura italiana (Firenze, 1865), componendone due 
volumi, che aggiunse come appendice alla Storia Universale, e 
che intitolò Della letteratura ituliana esempi e giudizi. Nessuno 
dirà che tutti questi scritti siano egualmente studiati e appro- 
fonditi; eppure in tutti più o meno si fa palese la straordinaria 
potenza sintetica del loro autore. 

Ben maggiore importanza ha la Storia degli italiani, in 
quattro volumi, ch'egli forse aveva meditato prima ancora di 
accingersi alla Storia Universale. Infatti nella prefazione egli 
dice che sino da giovinetto conobbe la necessità di una storia 
siffatta, che fosse “ un preparare alla nazione un altro pegno 
d’unità e di fiducia ,. Si propone di chiarire nelle sue varie 


CESARE CANTU ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 93 


manifestazioni il “ progresso cristiano ,, e dichiara (vol. II, 
p. 153, dell’ed. II): “ noi veneriamo la libertà dovunque un 
lampo ce n’appaia ,. Scrisse questa Storia quando vide che 
il Balbo, dopo avervi posto mano, se ne ritrasse sfiduciato 
per l’incuria del pubblico. L’epoca più recente dal 1795 al 
1870, più ampiamente narrò in un’opera separata, col titolo 
Cronistoria dell’ indipendenza italiana, che uscì in tre grossi 
volumi dal 1872 al 1877. Narrando la storia nostra dalla prima 
spedizione italica di Bonaparte alla unione di Roma al regno 
d'Italia, entra nelle questioni più agitate e più scottanti dei 
nostri giorni. A lui non era certo abituale una forma condita 
col miele. Non è a meravigliare quindi che l’opera abbia susci- 
tato polemiche. 

Scrisse di cose attinenti alla politica, ma alla vita politica 
della nazione egli partecipò pochissimo ne’ suoi anni maturi. Fu 
per una legislatura deputato, quando il parlamento sedeva a 
Torino, e in quel breve tempo vi prese parte attiva alle discus- 
sioni. Poscia, volente o nolente, si ritrasse sull’Aventino. Ma 
l’inazione come uomo pubblico, pareggiò la sua azione quale 
scrittore. Visse gli ultimi vent'anni di sua vita nell’archivio di 
stato di Milano, romitaggio tranquillo, che lo sottraeva alla vista 
del mondo, e gli facilitava i suoi studi. 

Quantunque il suo genio sintetico lo chiamasse ai lavori 
d’insieme, non isfuggì anche le monografie, alcune delle quali per 
altro riuscirono così vaste, che quasi si possono annoverare tra i 
lavori sintetici, piuttosto che fra gli analitici. Tra le maggiori 
monografie annovero la Storia di Venezia e quella di Milano, che 
egli scrisse per la Grande illustrazione del Lombardo-Veneto. Sotto 
questo titolo si pubblicarono a Milano negli anni 1857 e se- 
guenti, le monografie delle provincie componenti il così detto 
regno Lombardo-Veneto. Il suo sentimento religioso e popolare 
egli scolpisce nella storia di Venezia, lè dove scrive: “ un comune 
e un santo; ecco gli elementi di cui gli Italiani componevano 
la loro libertà ,. Discorrendo della difesa dell’ultima repubblica 
veneziana nel 1848, egli osserva che “ diciassette mesi di resi- 
stenza ben redensero l’obbrobrio dell’altra caduta senza ostacolo ,. 
Di minore importanza è la storia compendiata della Brianza. 

Sta tra il lavoro storico ed il romanzo la monografia “ Eze- 
lino da Romano, storia d'un ghibellino esumata da un guelfo ,, 
che fu stampata per la prima volta a Milano nel 1854. 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 9 


94 CARLO CIPOLLA 


Contemporaneamente all’ Ezelino comparve La Lombardia 
nel secolo XVII, commento storico ai Promessi Sposi. Non è un 
libro saldamente organato, ma è una preziosa raccolta di studì, 
condotti su documenti nuovi, intorno ad argomenti toccati dal 
Manzoni. Sugli untori al tempo della peste, sui costumi, sul go- 
verno spagnuolo, debole e spavaldo ad un tempo, il Cantù fornisce 
notizie larghe, precise, documentate. Più profittevoli ancora sono 
le contribuzioni date dal Cantù alla storia della Lombardia durante 
il secolo scorso nelle due monografie, che tolgono il titolo dal 
Beccaria e dall’abate Parini. Nel Beccaria studiò il Cantù la 
società lombarda nei primi decenni della dominazione austriaca, 
mentre di mezzo ad essa si desta lo spirito delle riforme, non 
senza che vi avessero azione le teorie degli enciclopedisti fran- 
cesi. Il Beccaria fu tra coloro, che, pur tenendo lo sguardo fisso 
a Parigi, seppero guardarsi da certe esagerazioni giacobine, che 
potevano compromettere anche le riforme più razionali e più 
oneste. Il Cantù sviluppa a lungo le teorie economiche e filoso- 
fiche del Beccaria, e, senza tutto encomiare, assegna all’illustre 
statista il posto che gli spetta nella storia lombarda. D'’ altra 
indole è il libro sul Parini, nel quale la parte biografica è po- 
vera di fatti posta in confronto colla descrizione minuta e pe- 
netrante della società tra cui visse il poeta. Lo sfondo su cui 
si stacca, forse non sempre rigidamente modellata, la figura del 
poeta, è colorito con vera potenza di erudizione e di stile. Nel 
carattere del Parini, pare che il Cantù voglia disegnare il proprio 
ideale; poichè ce lo mette innanzi sdegnoso, inflessibile; un sor- 
riso, fieramente sarcastico, sfiora talvolta le sue labbra. Egli è 
un “ austero contradditore ,, “ tenace amatore del bene pub- 
blico ,, odiato dalla “ bordaglia tumultuante ,, dagli “ ambi- 
ziosi colleghi ,, dai “ despoti mascherati ,. Al libro sul Beccaria 
serve di appendice l'edizione critica dell’opuscolo Dei delitti e 
deile pene; l'edizione critica del Giorno chiude lo studio sul- 
l’abate Parini. 

Può considerarsi quale un seguito a questi due scritti, il 
libro sopra Vincenzo Monti e l'età che fu sua. La vita del prota- 
gonista si intreccia col racconto dei fatti politici e letterari, 
ch’ebbero luogo al tempo della Rivoluzione, del dominio Napo- 
leonico, della Restaurazione. Anche qui la storia della Lombardia 
è trattata più largamente, che la vita del protagonista. Nel vo- 


CESARE CANTU’ ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 95 


lume Il Conciliatore ed i carbonari la storia della Lombardia è 
ricercata nei tentativi rivoluzionari, al tempo del primo periodo 
austriaco, dopo il trattato di Vienna. Anche questo libro è più 
che altro un complesso di quadri, non dico indipendenti l’ uno 
dall’ altro, ma pur tali che potrebbero in qualche modo stare 
da sè. Commovente è la descrizione dei casi di Federico e di 
Teresa Confalonieri. 

In quasi tutte queste monografie storiche, e in ispecie in 
quelle sul Monti e sul Conciliatore, che furono compilate quando 
gli archivi non erano più ermeticamente chiusi, il Cantù fece 
largo uso di fonti inedite. Non voglio significare con ciò, 
che egli esaurisse i sussidì archivistici; anzi debbo dire che 
non era questo il suo intento. Specie di codice diplomatico per 
lo studio dell’età francese, è il libro della Corrispondenza di 
diplomatici della Repubblica e del Regno d' Italia 1796-1814 (Milano, 
Agnelli, 1884). Ma il pubblico non favorì la pubblicazione. 
All’età susseguente spetta lo scritto sull’arciduca Massimiliano. 

Visitando nel 1856 e nel 1860 i grandi archivi di Venezia e 
di Firenze, notò in ambidue — in quelli di Venezia specialmente 
— alcune serie di documenti, che servivano per l’illustrazione 
della storia lombarda. Pubblicò i suoi risultati in un volume 
dal titolo Scorsa di un lombardo negli archivi di Venezia (Mi- 
lano-Verona, 1856), e in una nota, Notizie sopra Milano spigolate 
negli archivi di Firenze, letta il 12 luglio 1860 all’Istituto Lom- 
bardo. Sono appunti di viaggio, presi in fretta, ma con sagacia. 

Un numeroso gruppo di lavori dedicò il Cantù alla storia 
religiosa. Fermo nelle credenze cattoliche, volle nella esposizione 
di questa storia, per natura sua delicatissima, mantenersi equa- 
nime verso tutti, amici e nemici. La sua Storia degli eretici d’I- 
talia (3 vol., Torino, 1865), è fra noi il primo, e finora il solo 
lavoro di tal genere. Non è un libro di polemica, poichè l’au- 
tore mira all'esposizione oggettiva dei fatti. Ma i fatti non sono 
naturalmente messi innanzi così che il lettore possa sospettare 
nello storico l'indifferenza propria soltanto di chi non comprende 
la gravità degli argomenti che tratta. Comincia il racconto colle 
età più antiche, ma per esse è magro assai. La narrazione si 
allarga col secolo XIII e col seguente, quando comprende il 
nascere e lo scomparire dei Patareni, dei Fraticelli, ecc. Assume 
proporzioni maggiori, appena si tocca l’età della Riforma pro- 


Pi 


96 CARLO CIPOLLA 


testante e della Controriforma cattolica. Il Cantù vi discorre 


non solo della religione in senso stretto, ma anche di ogni mo- 


vimento intellettuale, che abbia attinenza colla religione e colla 


morale: sicchè la sua opera dà assai più che non prometta. 
Prepararono e contornarono quest'opera, varie monografie: Erasmo 
e la Riforma in Italia, Il card. Giovanni Morone, La Guglielmina 
Boema e su Pietro Tamburini. Questi tre titoli denotano altret- 
tante comunicazioni fatte, in diversi tempi, all'Istituto Lombardo. 
Ai primi anni del suo lavoro intellettuale appartiene l’opuscolo 
Rivoluzione della Valtellina nel sec. XVII (Como, 1831), nel quale 
si sviluppano alcuni punti diggià toccati nel II volume della 
Storia di Como e a lungo si discorre delle fiere lotte religiose, 
che in quella piccola valle vennero allora combattute tra cat- 
tolici e protestanti. 

Alla storia letteraria contemporanea il Cantù dedicò due 
volumi di Reminiscenze manzoniane, che non parvero scevri di 
inesattezze, ma che pur furono giudicati utili ai biografi del 
Manzoni. 

Assai stimata dai filologi è la dissertazione Sull’origine della 
lingua italiana, colla quale il Cantù rispose ad un quesito pro- 
posto dall'Accademia Pontaniana di Napoli. La dissertazione fu 
approvata dall'Accademia, ed uscì per la stampa a Napoli nel 
1865. Il Cantù, che nei giovani anni aveva fermata la sua atten- 
zione al problema linguistico, non ne allontanò lo sguardo nell’età 
provetta; e in questo libro, piccolo di mole, ma importante per 
condensata sostanza, egli dà un lunghissimo spoglio (pp. 79 segg.) 
delle forme volgari, che si incontrano in documenti italiani ante- 
riori al Mille, studia lo sfasciarsi del latino, il costituirsi della 
nuova lingua, negando che sopra di questa, pur nelle sue ori- 
gini, abbiano avuta gagliarda azione le parlate tedesche. 

Fu sdegnoso verso i potenti, fossero signori o demagoghi, 
e mai scevro di sospetto verso di essi, quasi sempre temesse 
che essi abusassero di loro forza. Quindi alle opinioni correnti 
si opponeva volontieri e bruscamente. Tale era il suo carat- 
tere. Invece si compiaceva di parlare benevolo al popolo e 
alla gioventù. Questa nota caratteristica della sua mente si 
fa palese in tutte, per così dire, le sue opere; ma non in 
tutte si manifesta ad un modo, nè il popolo al quale parlava 
il Cantù era sempre il medesimo. Talvolta è il popolo colto, 


Rn ee e 


CESARE CANTU ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 97 


talvolta è il popolo che, senza esser colto, desidera di dive- 
nirlo. Ma anche per l'operaio egli scrive, e una lunga serie 
di scritti educativi egli ci ha lasciato: “ Il giovinetto drizzato 
alla bontà, al sapere, all'industria ,, “ Carlambrogio di Monte- 


vecchio ,, “ Il galantuomo, libro di morale popolare ,, “ Il 
buon fanciullo, racconto ,, “ Buon senso e buon cuore, confe- 
renze popolari ,, “ Portafoglio d’un operaio ,. Questi libri si 


ristamparono più e più volte, e ciò dimostra che lo scopo 
prefissosi dal Cantù era stato raggiunto. Egli sapeva parlare il 
linguaggio del cuore. 

Diverso fu il carattere, diverse le convinzioni religiose, 
non identiche le opinioni politiche, differente la vita di Enrico 
von Sybel. Nato il 2 dicembre 1817, morì il 1° agosto 1895, 
nell’età di 78 anni; era adunque di dodici anni meno vecchio 
del Cantù. Il Sybel visse lungamente fra le lotte politiche, e 
per molti anni frequentò le sale delle assemblee legislative. 
Sin da giovane desiderò la sua Germania rinnovata, unificata 
e potente; uomo provetto, vide con compiacenza realizzato il 
suo ideale. Nell’ultimo periodo di sua vita si trovò accanto agli 
uomini di Stato, che ressero il nuovo impero germanico. 

Siccome nei suoi libri poco si occupò dell’Italia, così di lui 
dirò brevemente, accontentandomi di notare quanto egli abbia 
contribuito, coll’opera costante di tutta la vita, a fortificare in 
Germania l’ardore per gli studi storici, ardore destatosi subito 
dopo l'espulsione dei francesi, quando si volle rialzare lo spirito 
nazionale dei tedeschi, ad essi ricordando il loro glorioso passato. 

Il giovane Sybel si recò a Berlino, dove sotto la disciplina 
del Ranke studiò le materie storiche fra il 1834 e il 1838. 
Leopoldo Ranke viene meritamente riguardato come il maestro 
dei moderni storici tedeschi, poichè i numerosi e valentissimi 
allievi, che uscirono dalla sua scuola, in ogni parte della Ger- 
mania portarono, insieme col nome del maestro, anche il suo 
severo metodo di indagine critica. Il Sybel ricopiò il Ranke 
anche in ciò che egli preferì l'esposizione spigliata e distesa, 
alla raccolta dei documenti. Nei suoi ultimi anni egli fu chia- 
mato a far parte della direzione dei Monumenta Germaniae Histo- 
rica. Meritamente senza dubbio, quantunque forse non armoniz- 
zasse colle disposizioni della sua mente il noioso compito della 
restituzione dei testi antichi, e la lenta e fredda compilazione 
dei codici diplomatici medioevali. 


98 CARLO CIPOLLA 


Il Sybel si presentò ai dotti nel 1841 con un lavoro di 
importanza capitale, la Storia della prima crociata (2 ediz. 1881); 
vi dimostrò sicurezza di giudizio e ardimento, poichè non dubitò 
di andar contro all’opinione diffusa, diminuendo l’importanza sto- 
rica di Pier l’Eremita, e ponendo sotto nuova e meno splendente 
luce Guglielmo di Buglione. Fece invece risaltare l’opera di Rai- 
mondo da Taranto. Nel 1844 si recò all’università di Bonna, e vi 
cominciò il suo insegnamento: subito dopo (1845) pubblicò l’altra 
sua opera Formazione della monarchia tedesca (2% ediz., 1881), 
capolavoro di finissima analisi, dove non dimostrò minore sagacia 
critica, o erudizione men vasta. L'argomento interessa lontana- 
mente anche l’Italia, poichè la nostra storia si congiunge con 
vincoli strettissimi a quella delle antiche schiatte germaniche. 
Secondo il Sybel, l'origine della monarchia germanica va cercata 
non nella intimità dello spirito germanico, ma nell’ influenza 
romana, quantunque sia vero che i germani nel loro dux pos- 
sedevano in qualche modo un embrione del monarca. Questa è 
l'opinione del Sybel, cui si contrappone quella di altri dotti, se- 
condo i quali la monarchia fu anche presso i germani una isti- 
tuzione di origine indigena. Infatti Giorgio Waitz gli si oppose, 
ma il Sybel non mutò opinione. Tuttavia trattò con singolare 
cortesia di modi il suo contradditore, al quale dedicò la seconda 
edizione del suo libro, con una lettera squisitamente gentile. 
Teodoro Mommsen, non è molto, parlando di questo libro del 
Sybel, con una frase incisiva disse che esso è un'oasi nell’arso 
deserto delle pubblicazioni su tale argomento. Di qui apparisce 
quale distanza egli ponga tra il Sybel e gli altri critici che 
tentarono l’ardua questione. 


Da Bonna il Sybel passò poi (1845) professore a Marburgo. 


Ma ben presto mescolò le cure della scuola e dello studio, alle 
preoccupazioni politiche, ed entrò nella vita pubblica. Il nuovo 
indirizzo che egli diede alla sua vita, si rispecchia anche nella 
qualità degli studi, cui dedicossi in allora. Rivolto lo sguardo 
dal medioevo e dall'antichità, lo fissò sulla storia della Rivo- 
luzione di Francia, cioè sull’avvenimento da cui deriva, per 
non piccola parte, l'atteggiamento assunto dai popoli Europei 
nel secolo nostro. Il Sybel visitò gli archivi di Parigi, di Ber- 
lino, di Vienna, di Londra, di Monaco, dell’Aja, di Bruxelles, di 
Napoli, e nella sua Storia dell’ epoca rivoluzionaria 1789-1800 


CESARE CANTU’ ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 99 


considerò la Rivoluzione nelle sue cagioni profonde, nelle con- 
dizioni economiche e sociali del popolo, piuttosto che nelle este- 
riori apparenze. Mirò a disfare la leggenda rivoluzionaria, e 
richiamò l’attenzione del lettore sulla storia delle altre nazioni 
e sopratutto della germanica. Poichè al racconto dei fatti della 
Rivoluzione connesse la esposizione di quanto avveniva negli altri 
Stati; anzi a questa egli pose attenzione maggiore, così che per 
lui la nazione francese ebbe, a così dire, importanza secondaria. 
Il Thiers aveva fatto l'opposto, poichè egli aveva lumeggiata 
assai la storia della Francia, ed aveva curato molto la parte 
drammatica delle lotte parlamentari, non a sufficienza studiando 
le ragioni profonde della Rivoluzione. Oltre a questo aveva 
lasciato in penombra la storia degli altri Stati europei. A com- 
plemento della Storia di cui parliamo, il Sybel pubblicò anche 
una monografia speciale col titolo Austria e Germania nella 
querra della Rivoluzione; uscì a Diisseldorf nel 1868. Il Sybel 
precedette quindi le ricerche del Taine e del Sorel, che negli 
ultimi anni, come ognuno sa, approfondirono cotali questioni, 
con largo sussidio di documenti nuovi. Il Sybel cominciò la pub- 
blicazione di questa sua opera nel 1853. Tre anni dopo egli era 
a Monaco, dove lo aveva chiamato Massimiliano II, re protettore 
delle lettere e delle arti. 

A Monaco il Sybel attese con raddoppiato calore all’inse- 
gnamento, e vi fondò il primo seminario storico, che fu poi 
imitato nelle altre università tedesche ed austriache. Vi ebbe 
parte viva nella Commissione storica promossa da Massimiliano II. 
Ma dopo alcuni anni, nel 1861, lasciò quella città per ritornare 
a Bonna. Egli era divenuto un uomo politico di battaglia, e 
nella capitale della Baviera questo non poteva piacere. È ben 
vero che a Monaco si usava molta larghezza per tutte le opi- 
nioni, e al Giesebrecht, p. e., nessuno recava molestia, anzi 
professavano tutti stima e rispetto. Ma il Sybel era uomo di 
pensiero insieme e d’azione, e perciò finì per lasciare la Germania 
meridionale. Della sua dimora a Monaco rimane, durevole ri- 
cordo, la Historische Zeitschrift, che egli fondò nel 1856, con 
intenti scientifici ad un tempo e politici. 

Così adunque si trovò di nuovo ingolfato nella vita politica, 
anzi vi si dedicò allora di maniera da lasciare per qualche mo- 
mento diminuita la sua attività scientifica. All’assemblea della 


_ ” tal "dl ” A TAO D) né* PASTA 
She - Ara É - AVE T Sl DI 


100 CARLO CIPOLLA 


Confederazione Germanica, nel 1867, combattè nelle file del par- 
tito denominato dei liberali-nazionali. L'unione della Germania 
era stato il suo voto, fino dagli anni giovanili; tant'è che ne 
trattò nell’opuscolo £ partiti politici nella regione Renana pubbli- 
cato nel 1847. Salutò con giubilo nel 1871 la realizzazione del 
suo ideale. Anzi dopo d’allora seguì così dappresso la politica del 
nuovo impero, che in certo modo ne divenne lo scrittore aulico. 
Fra gli uomini di lettere che circondarono il governo impe- 
riale, il Sybel fu senza dubbio uno dei più dotti. D’allora in 
poi egli mira sopra tutto a difendere coi suoi scritti la gloria 
della Prussia, rendendo grandi servigi al governo. 

Nel 1875 Ottone di Bismarck affidò a lui, siccome ad amico 
fedele e sicuro, la direzione dell'Archivio Regio di Prussia. 
Proprio intorno a quel tempo l'Accademia di Berlino, che alcuni 
decenni prima aveva curata la splendida edizione delle opere 
letterarie di Federico II il Grande, determinò di metterne in 
luce i dispacci e gli altri documenti di natura strettamente 
politica e militare. Del nuovo lavoro affidò la direzione a 
G. G. Droysen, a M. Duncker e al Sybel. Il primo volume della 
nuova opera comparve nel 1879, e comincia con una lettera del 
re, datata dal 3 giugno 1740. Finora uscirono venti volumi di 
questa raccolta, con oltre 13 mila documenti, che abbracciano 
un periodo di più che vent’anni. 

Il Sybel diresse anche un’altra collezione, della quale, sotto 
il titolo Pubblicazioni del r. Archivio di Stato Prussiano, uscirono 
ormai numerosi volumi, contenenti ciascuno una serie di docu- 
menti sopra un oggetto o un periodo attinente alla storia Prus- 
siana. Più che il Medioevo e la Rinascenza, sono naturalmente 
gli ultimi secoli quelli che ricevono lume da queste collezioni 
di documenti. i 

Sotto il titolo Kleine historische Schriften raccolse parecchi 
brevi articoli, alcuni dei quali hanno riferimento alla storia 
d’Italia, come sono quelli in cui si tratta di Eugenio di Savoia, 
di Giuseppe De Maistre, di Napoleone IH. La sua estesa biografia 
di Guglielmo I, considerato come fondatore del nuovo impero 
germanico, non ha per noi interesse diretto. A proposito di 
questo lavoro narrasi un aneddoto, che non è senza significato. 
Il principe di Bismarck gli permise l’uso delle carte più segrete 
della recente storia prussiana, perchè egli potesse compilare 


Mer e) y Tx 


CESARE CANTU’ ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 101 


quest'opera; ma dopo i primi volumi non trovando che essa 
corrispondesse pienamente a tutte le sue viste politiche, gli tolse 
il permesso concessogli. Tuttavia l’opera non si interruppe. 

L'indirizzo nuovo che Sybel diede ai suoi studi, non lo distolse 
peraltro interamente dalle sue indagini sulla storia medioevale, 
colle quali egli si era aperta la via della gloria. Nel 1880 
(Histor. Zeitschrift, vol. XLIV) e di nuovo nel 1893, in occasione 
di un articolo da Paolo Kehr inserto nella Historische Zeitschrift 
egli si occupò delle donazioni Carolingiche ai papi, e più di una 
volta discorse della storiografia Carolingica (Histor. Zeitschrift, 
vol. XLII, XLII). 

Quale direttore degli archivi, diresse insieme con Teodoro 
von Sickel la monumentale pubblicazione Kuiserurkunden in 
Abbildungen, la quale in numerosissime tavole, eseguite con 
una meravigliosa diligenza, riproduce una serie completa di 
diplomi imperiali, in servizio della storia, della paleografia, 
e della diplomatica. È un’opera arditamente concepita, e con- 
dotta a termine in modo ammirabile, mercè l’aiuto di dottis- 
simi collaboratori. In quest'opera gigantesca, ogni imperatore 
tedesco viene rappresentato da parecchi dei suoi diplomi o delle 
sue lettere, con diffuse e profonde spiegazioni paleografiche. 
Vuolsi avvertire che vi si pubblicano soltanto documenti usciti 
dalla cancelleria germanica di ciascuno di quegli antichi mo- 
narchi; questi ebbero, è vero, anche la loro cancelleria italiana, 
ma delle carte pubblicate da quest’ultima il Sybel e il Sickel 
non credettero di occuparsi nell'opera di cui parliamo. In ogni 
modo, questa riesce oltremodo utile anche per i cultori della 
storia italiana, giacchè tra le cancellerie non c’è distacco as- 
soluto. 

Enrico von Sybel forse era ormai l’unico superstite della 
scuola gloriosa del Ranke, cui la Germania deve gratitudine 
veramente grande per il progresso degli studi storici. Se parteci- 
pando vivamente alla vita politica egli non imitò il suo maestro, 
se pur nei suoi libri lasciò trasparire la forma assunta dal suo 
animo e dal suo pensiero, nel metodo storico egli fu illustre 
seguace del suo grande maestro, e in molte cose riuscì anche 
ad essere originale. 

La fisonomia del Cantù, come storico, si disegna diversa- 
mente; egli non appartiene a una scuola. Fu sotto ogni riguardo 


102 ELIA LATTES 


figlio di sè medesimo. Non uscì da una scuola, non fondò una. 
scuola. Alla vita politica di rado partecipò. Preferì vivere a 
sè medesimo, sdegnoso di amicizie potenti, quasi facesse suo il 
verso foscoliano: “ avverso al mondo, avversi a me gli eventi ,. 


Il ‘vino di Naxos’ in un'iscrizione preromana 


dei Leponzii in Val d’Ossola; 


Nota del Socio Corrispondente ELIA LATTES. 


La splendida pubblicazione dei ‘sepolereti di Ornavasso ° (1), 
dovuta in molta parte, causa la morte immatura del tanto bene- 
merito scopritore e descrittore Enrico Bianchetti, alla diligenza 
erudita del collega Ferrero, torna di non piccolo interesse anche 
per l’epigrafia e le parlate dell’Italia superiore preromana, come 
quella che ci fa conoscere alquante nuove epigrafi, diverse nella 
scrittura e nella lingua dalle latine. La più lunga fra esse, graf- 
fita da destra a sinistra in un vaso a trottola del sepolereto 
(tomba n. 84) di S. Bernardo (n. 7), — vaso nel corpo del quale in 
tre diversi luoghi leggonsi anche altre parole staccate (n. 16) —, 
suona (p. 69): 


MOXAM i MOMIV: 2U1AXV$AA2 i IVGAMAVXAN 


latumarui : sapsutaipe i uinom : nas'om 


La lettura non fa difficoltà e non ne fece già al Bianchetti, 
salvo quanto all’elemento fra A e 0, da lui trascritto, qui ed 
altrove (n. 16), con lieve inesattezza (2), S anzichè S'. Non valse 
però probabilmente per l’autore dell’epigrafe a puntino nè s, 


(1) Alla esimia gentildonna sig. Clara Sella ved. Bianchetti, che con in- 
signe liberalità la regalò agli studiosi delle antichità paleoitaliche, sia lecito 
quia me, per la mia parte, rinnovare l’espressione della mia gratitudine. 

(2) Trattasi dell'elemento | o X e sue varietà, pel M, ossia s, dei 
testi euganeo-veneti, dei reto-etruschi, degli etruschi e dei campano-etruschi: 
elemento caratteristico (cfr. n. 5 con n. 8) di quello stesso alfabeto nord- 


IL ‘ VINO DI NAXOS” IN UN'ISCRIZIONE PREROMANA, ECC. 103 


nè s': giacchè, se in winom riconosceremo, come senz'esitazione 
parmi doversi, il lat. vinum (3), subito forse per nas'om penseremo 
all’isola di Nasso (4), famosissima, come ognun sa, pel suo vino, 
e all’etnico Ndz10g -ov, bene rappresentato dal gall. Nas'om per 
Naxom, come lo sas'- di Sas'adis nell’isc. di Voltino (Fab. 13) (5) 


etrusco, al quale mancò il V, in esso rappresentato dall’U, come appunto 
accade nei cimelii letterati di Ornavasso. Fra’ documenti di quel segno, 
raccolti diligentemente dal PauLi (Venet. 157-160), ricordo la voce Kos, 
circa il quale gli sfuggì, come già nelle Iscr. paleol. 111 si fosse proposto 
di riconoscervi l’ebr. Xos' © bicchiere ”. 

(3) Per Y s'ha costantemente U, come nei cimelii testè detti (n. 2) di 
Ornavasso, così in tutti quelli dell’alfabeto nord-etrusco di Sondrio e di 
Lugano (cfr. n. 5), oltrecchè poi nelle iscrizioni falische; a quello spettano 
così le epigrafi preromane di Milano e Novara, come le leggende mone- 
tali anteromane della Provenza e della Svizzera. V. Pauri, Die Inschr. 
nordetr. Alphabets p. 56-59; e cfr. il Ualaunal della posteriore iscrizione 
di Mesocco (Boll. Stor. della Svizz. ital. XV 1893 p. 106-108), di base non 
diversa dal nome del re bretone Cussi-velaunus e della fortezza Vellauno- 
dunum. 

(4) V.itesti allegati dal Bursran (Geogr. II 489, n. 5), dal BLiimner (Griech. 
Privatalt. 231 n. 1) e dal Marquarpr (Réòm. Privatl. II 488). Fu anzi Nasso 
sede principale del culto di Dionysos; ed ivi anzi di solito costui, catturato 
da’ pirati Etruschi-Enotri, ossia dai Tirreno-Pelasgi (Due iser. prer. 117 sg.), 
desiderò essere condotto (MiirLer-Dercke, Etr. I 73). — Se a Nasom non 
precedesse uin0m, il pensiero prima che a Ndzog, trattandosi d’epigrafe, 
come si vedrà, gallica, si volgerebbe forse a Nasium (Naix) di Lorena, città 
dei Leuci, nota per copiosi trovamenti monetali appunto gallici (V. Duan 
e Ferrero, Mon. gall. 43 sg.). 

(5) Questa bilingue, ancora parzialmente indecifrata sia presso il PauLI 
(Nordetr. 15. 30 e 86-90), sia presso lo Srokrs (Bezzenberger’s Beitr. XI 
118-120), deve leggersi (Due iscr. prer. 90 n. 51): Tetumus Seati, Du- 
giava Sas'adis, S'romezeclai (cfr. etr. Oufldicla Laiscla), Obalzana (cfr. 
etr. Caialzna e Uqalesa), S'ina (cfr. Saggi e App. isc. d. Mumm. 218-241 etr. 
Zina Tina, insieme col Mars Toutatis Sinatis della n. 11, Due iscr. prer. p. 75 sg. 
Pitiave Rupinu Velganu, e Iscr. di Narce, Riv. di filol. XXIV 1895-96, p. 83 n. 77 
con Rendic. Ist. Lomb. 1894 p. 642 n. 20). Risulta quindi sempre più mani- 
festo, che a torto il Pauri (Nordetr. 56-58), da me non meno a torto altrove 
seguito (Due iscr. prer. 10), omise nell’alfabeto di Sondrio il segno |[q, e 
lo riservò a quello di Lugano: esso trovasi infatti non solo nella parte 
latino-gallica dell’epigrafe (il che già basterebbe perchè si dovesse asse- 
gnare all'alfabeto di questa), ma sì occorre due volte punteggiato nella 
parte gallica, epicoria. Sola differenza fra l’alfabeto di Sondrio e quello di 
Lugano resta adunque la forma del L (S. V, L. A); e così si conferma che 
i quattro alfabeti dell’Italia superiore preromana, anzichè di provenienza 


104 - ELIA LATTES 


ridanno le isc. latino-galliche ora con sax-, ora con saxs-, ora 
con sass-, ora con sas-, in Saro Saxsio Sassius Sasius (6). 

Nessun dubbio pertanto che codesto nas'om sia, se mai, 
quanto alla base, d'origine greca, e nuovo documento de’ commerci 
italo-ellenici; ma di certo non è greco il suo -m, nè quello di vi20m, 
nè anzi questo per intero. Tutto ciò per contro bene sta, qualora 
si porti nel quadro delle parlate galliche, secondo che ci con- 
sigliano le tradizioni istoriche del luogo di origine, confortate 
per giunta da ciò che in esso, e precisamente nello stesso sepol- 
creto di S. Bernardo, ed anzi nella medesima tomba (p. 145), 
si rinvennero monete galliche, quali s'incontrano « anche presso 
Berna, Basilea, Soleure e al Gran S. Bernardo », e più raramente 
nell’alta Italia (7). 

In effetto a winom Nas'om fa riscontro per l’uscita wuseilom 
o usellom (8) della bilingue incisa sopra uno dei tre altari gallo- 


diversa, sono mere varietà locali, comunque originate, dell’unico alfabeto 
greco-etrusco (Due iscr. prer. 70-72 n. 48). Il segno di cui sì tratta occorre 
una volta anche nei testi veneti (Pa. 1. cfr. p. 182), simultaneamente con 
M= s; e sarà caso analogo a quello dei due S° o dei due © delle tavole 
di Gubbio, o dei due © nell’Hur9u0iv d’un’iser. umbro-etrusca d’Ameria 
(cfr. Panta, Gr. d. osk. umbr. Dial. I 47): de’ due S" umbri, uno occorre in 
parola (s'eritu) ivi seritta ben 81 volte con S puro e semplice. — In una 
fra le epigrafi d'Ornavasso (Branca. 69-19 Ues'ama, cfr. n. 15 qui appresso), 
la figura <q mostra le asticine laterali prolungate inferiormente; siechè sì 


conferma l’antica conghiettura (Corss. I 12), prima approvata, poi combat- 
tuta dal Pavri (Ven. 154), che il M-s' fu mera variazione grafica di quella. 

(6) Pauri, Ven. 158, cfr. 179, Corsinus Cossus, Dora Dosso, Trexa Tresus, 
Azxillus Assenio ecc., e cfr. sopratutto Alixie nell’is. di Bourges per Alistia 
in quella di Alise; s'ha persino (Brcgzer in Kuhn e Schl. Beitr. II, 211) 
Alanux Atimetux all. ad Alanus Atimetus. 

(7) Brancaerti 84 con 108. 129. 145 (cfr. 217. 228), e v. Von Duax e 
Ferrero, Mon. Galliche, p. 84. — Il sepolereto di S. Bernardo sta « alla 
distanza di poco più di un chilometro dalle ultime case di Ornavasso 
(all'estremità meridionale della Valle dell’Ossola, nell’Alto Novarese), presso 
la ferrovia Novara-Domodossola » (BrancHETtI, p. 1 e 3). Siamo adunque 
fra” Leponzii; circa i quali, e nel Ticino e nell’Ossola, cfr. D'ArBors DE 
JusArmviLLe, Revue Celtique XI 1890, p. 163, con Pauri, Nordetr. 75, 90-95; 
e v. in generale De Vir, la prov. rom. dell’Ossola (Firenze, 1892). 

(8) Sroxrs, Bezzenberger’s Beitr. XI 138, probabilmente *uzrelom ‘ altare ” 
uzellos © alto °. Cfr. anche urdum nell’is. di Todi, secondo Strokes ib. 113 sg., 
dove però il Pauri, Nordetr. 84 legge sepulcrum; e cfr. altresì Pauri, Ven. 
153 as'oum. 


L ‘ VINO DI NAXOS IN UNISCRIZIONE PREROMANA, ECC. 105 


romani di Notre Dame dai © nautae Parisiaci ° in onore di Tiberio 
Cesare Augusto: o come poi « irl. fell ° horse ° points to a 
protoceltic villos » e irl. faith a protoc. vati-s 1. vates, così irl. 
fin finn ‘ vino’ (9) ci riporta a wvinom, quale appunto offre il 
nostro cimelio. Qualsiasi esitanza toglie poi la prima delle due 
precedenti parole, cioè Latumarui, come quella che quasi com- 
bacia col Aitovuapeos di St-Remy (Nîmes) (10); e ci richiama 
al Viridomarus di Cesare e a’ cento e cento nnpr. gallici com- 
posti con -maro © grande ° (11): fra’ quali ricordo l’epiteto di 
Giove Ottimo Massimo Bus.su-maro, in un’epigrafe dalmata 
(C. 1. L. III 1033), perchè così esso, come, non molto lontano, la 
Saplia Belatumara del Norico (ib. 5589), giovano forse a chiarire 
il seguente Sapsutaipe. Come Latumarui, sarà cioè pur questo 
sicuramente npr. di persona, foggiato appunto al modo del pre- 
detto Bus-su-maro (cfr. Bussu Busu Bussulus) e del Catu-su-alis, 
letto sopra terracotta olandese, trovata a Voorburg, presso la 
Haye (12). 

Ma quale si stimerà la relazione sintattica delle due prime 
voci colle due ultime, da cui vedonsi divise, come inciso a sè, 
mediante quattro punti in colonna (n. 14), laddove fra le due 
parole di ciascun inciso stanno tre soli punti? Sono cioè quelle 


(9) Sroges ib. 74. 123 e Zruss-Eser 58. 

(10) Sroxes ib. 127. 10; cfr. C. I. L. III 4724 Lutumarus con Lutarius 
duce dei Galati in Liv. XXXVIII 16 (non però XXII 6, insieme da altri al- 
legato, perchè ivi ora si legge Ducario), ecc. (n. 16). 

(11) D’Arsors pe JusarnviLLE, Les noms Gaulois dans César, p. 24. 188. 
Quanto a Latu-, primo membro del composto, gl’indici del C. Inss. Latin. 
ci offrono Lattius e Latto nella Gallia Narbonese, e Laztio (fem.) con una dea 
Lati nella Britannia, dove occorre menzione altresì di un Mars Toutatis, che 
nel Norico più compiutamente si addimanda ‘ Mars Latobius Harmogius 
Toutatis Sinatis Mogennius’, mentre poi la Dalmazia dà nuovamente una 
dea Latra. 

(12) D'Arsors pe JusArnviLLE, Op. cit. p. 25 ‘ dans le combàt - bien- 
agréable *. — Per Sap- ricordo anche sapo Saponius, Sapidius Sapalo Sapula 
Sappo; per -taipe, non so pensare se non a Ta(m)pios Tampius, Tappius 
Tapponius. Cfr. del resto le raccolte onomastiche latino-galliche del CreuLY 
e del Taépewar nei vol. III, VIII, XII-XIV della Revue Celtique, dove però 
mancano Lutumarus (n. 10) e Lati (n. 11), si cita inesattamente (XIII 316) 
un Litumarus che non trovo, e forse per errore di stampa s'ha L. Tioutati 
per (n. 11) L. Toutati, quale risulta dal confronto del C. I. L. III 5320 
con VII 84. 


+3 


106 ELIA LATTES 


in caso nominativo o genitivo o dativo, i tre soli cui permette 
pensare l’interpretazione qui sopra documentata di vinom Nas'om? 
Risposta sodisfacente mi pare suggerita dal confronto della 
nostra epigrafe colle seguenti, tutte scritte, com’essa, coll’alfa- 
beto di Lugano: 


Pivonei : Tekialui: lala (Pa. 14 Sorengo-Lugano); 
Tisiui: Pivotialui : pala (Pa 11° ib); 
Slaniaii Verkalai: pala (Pa 11° Davesco-Lugano); 


pit ia CEDE [St]aniui : pala] ) HORO: I 
cai [Ma ]tionei : pala] $ (Pa. 13° Arano-Lugano); 


nelle quali le voci in -wi (13) -@ì -ei si reputano genitivi, da 
nominativi in -0s -es (14). Conghietturo quindi in Sapsutaipe (15) 
aversi -e per -ei; e interpreto: 


Latumarui Sapsutaipe uinom Nas'om 
con 
Latumari Sapsutapii vinum Naxium. 


Resta ancora il quesito, che cosa al postutto siasi voluto 
dire con una siffatta epigrafe (16). 


(13) PauLi, Nordetr. p. 70. 73. Cfr. ib. p. 5, 7. anche Kusi/oi (su moneta 
d’oro di Port Valais, lago di Ginevra) e 6,9 Pirakoi (su monete d'argento 
dei Grigioni, Burwein); cfr. inoltre il mucoî ‘ nepotis ° (?) di tre iscrizioni 
ogamiche (Sroges 146. 6, 149. 13. 14). 

(14) Pauri, Nordetr. 70-73, in parte conforme a Corssen, Etr. I 947; 
quanto a pala, verisimilmente ‘ sepolcro °, v. ib. 74 sg. — I quattro punti 
dell’isc. di Ornavasso trovano riscontro, anche rispetto all’ufficio, due volte 
in una delle isc. di Narce (Riv. di filol. XXIII 508 sg. con 493 = estr. 66 sg. 
con 51); disposti come qui a colonna, occorrono nel titoletto F. 2614 quat. 
di Moncalieri e altrove; a due a due in quadrato, s’hanno essi quattro punti 
in Pa. 27 = F.!12 (Tresivio-Sondrio). 

(15) Forse torna lecito ricordare per esso anche l’ant. irl. tuaithe © po- 
puli’ dal nom. tuath. 

(16) Nessuna precisa risposta a tale quesito sembrami potersi sperare, 
dalle parole staccate che in tre diversi luoghi dello stesso vaso s’incon- 
trano (BrancaeTTI p. 69 sg.): 


tuni * inovea luto: iu 


Salvo l’ultima, iu, che s'ha forse anche nella già citata iscrizione di Me- 


IL ‘VINO DI NAXOS” IN UN'ISCRIZIONE PREROMANA, ECC. 107 


Ora, ben sapendosi che gli antichi usarono libare col vino 
ai defunti (17), e, almeno in Italia, agli dei inferi (18), sembra 
probabile che una cotale libazione contenne il vaso di Ornavasso 
e che a ricordo di essa le riferite parole vennero in quello 
graffite; allo stesso modo che, a parer mio, per simili cause, 


socco (Bollett. stor. della Svizzera italiana, XV 1893 p. 108, iocui utono-iu : 
ris adi), e per la quale oso io ricordare etr. îue iui diu-laBi eu-lat eu-s' cu (Saggi 
e App. 114. 126 con C. I. Etr. 144, Due iscr. prer. 44-47, Oss. crit. Rendic. Ist. 
Lomb. 1894 p. 640-642 e Isc. di Narce p. 85), non so vedervi che dei nomi 
propri, forse delle persone che posero il vaso e parentarono con esso il defunto, 
o forse meglio di dei (cfr. le triadi registrate nelle Oss. crit. 1. cit. n. 20 
e nella Riv. di filol. XXIII 1895 p. 525. 527 e sup. n. 5 quanto a Voltino e 
alla Rezia). Per tuni, cfr. lat. Tunnius, etr. Tuna Tunial, tuna Quna (lat. duonus) 
con Oupl0a (la dea © Doppietta” o Cemna lat. Gemna gemina); per Inovea, 
cfr. gall. Anarevis eos Condilleos dugeonteo Villoneos Iliukeos (però ErwaUL®, 
Revue Celt., VII, 106 -aXos) Litumareos Senoneus (Sroges 123. 182 con 
Becker 187) e lat. Inuus; per lutou, cfr. prikou (su mon. aurea di Colombey 
nel cantone di Vaud, che forse c’insegna a leggere il AIKOA di parecchie 
mon. gall. di bronzo [v. Duan e Ferrero p. 12. 54])) e lat. gall. Lutumarus 
Luttius Lut[t]o Luttacus Lutarius (n.10) Lutonia Lutevus, insieme con etr. 
lut pl. lultler. — Quanto alle altre epigrafi preromane di Ornavasso, noto: 
Branca. 69. 17 Uasamus e 19 (cfr. sup. n. 5) Uesama (non Vesama), che ri- 
chiamano gall. Vitamu (F. 24= Pa. 36, Vadena-Bolzano) Aramo Trigisamo 
(Pa. Nordetr. 107) Cunatami Cunotami Uddami (Sroxes 145. 146), e, men 
da vicino, il Tetumus di Voltino; inoltre 69. 18 Uasekia, 69. 9 Fia (cfr. Iscr. 
pal. 92 prenest. Cio), 68. 12 po (cfr. sup. prikou), 68. 10 Xri (cfr. Iscr. pal. 92 
n. 124 etr. cri, corretto però dal C. I. Etr. 1564 in crei per Creicial). — 
V. del resto, in generale, circa i documenti epigrafici etruschi delle rela- 
zioni fra gli Etruschi e i Galli, la mia dichiarazione dell’isc. etrusco-gal- 
lica incisa sopra un semisse romano di Arezzo (Riv. Ital. di Numism. V, 
1892, p. 42-44): Criuepene *Areuizies. 

(17) Marquarpr, rim. Sacralalt. tr. fr. II 374: Srencet, griech. Sakralalt. 
101 ecc. — Io penso pur sempre che inferium vinum, malgrado di solito 
con buon fondamento si rannodi a ferre, siasi in origine denominato così 
dagl'inferi: nè credo poi destituita senz'altro di ragione la etimologia di 
Pa. Fest. 113 M. = 80 Th. ‘quod in sacrificando infra labrum ponebatur ?. 
Perchè non ammetteremmo anche in questo caso, secondo i tempi, concetti 
diversi e diverse interpretazioni, popolarmente compenetrate nello stesso 
vocabolo? 

(18) Cfr. Saggi e App. 88-92 (Maris ossia “ Marte ’), 109 num. 160 (dea 
Vesia fiesolana); ib. 154 con 63 n. 91 (Zilî Mlax); Isc. di Narce perda 
Riv. di filol. 1895 XXIII p. 504 (dea Oanra); St. ital. di filol. IV p. 323 (Ava); 
Due isc. prer. 87 sg. con Isc. Narce 33 = Riv. cit. 475 (‘ dea salutare Retia ’, 
cfr. qui n. 20). In tutt’i quali testi insieme col nome della deità occorre rena-s 


i 


108 ELIA LATTES — IL ‘© VINO DI NAXOS”, ECC. 


sopra cimelii etruschi si scrissero epigrafi in cui occorrono le 
parole vin ven vena vena-s vene-s mul-vene-ke (19) (‘ melle et vino 
fecit’) mul-ven-i (letter. © mellivinia ’); così pure in due veneti, veno 
e vino] (20). 


(( vini ’) o mulu-vani-ke o mul-vanni-ce 0 mul-ven-i o mulu (n. 19); ed altri 
parecchi si potrebbero aggiungere, offerti dalla Mummia, dove nomi di 
deità occorrono associati a vinum, etnam, vinum trinum (cfr. etr. ret. vinu- 
talina trinaxe), lena ecc. — Per la Grecia, nega le libazioni vinarie quanto 
agli dei inferi, lo Srencer (Festschrift per L. Friedlinder, p. 419) con fatti 
e argomenti di molto riguardo, ma forse non decisivi per tutt’i luoghi e 
tempi, secondochè del resto risulta dalla sua stessa conclusione (p. 482) 
della originaria identità fra il culto degli dei inferi e quello dei defunti. 

(19) Cfr. Saggi e App. 34. 52. 63 n. 91 e È Vinum’ 4-10 = Atti Ace. di 
Torino XXVIII 1892-93 p. 244-250. Vuolsi però correggere quanto negli Atti 
cit. notai intorno a mul-ven-e-ke e sue varianti, riguardo agli oggetti sui 
quali esse voci leggono: i quali sono (cfr. già PauLi, Etr. St. III 58-61, e 
prima Dercke, Bezzenb. Beitr. I 102-104 e MiiLLer-Deecke Il 425) di due 
maniere, cioè vasi cinerarii e patere e tazze libatorie; alla prima classe 
spetta, oltre alle già classificate, la nuova iscrizione delle Not. 1895 p. 26 
(muluvanike); alla seconda, quella (mul) pubblicata e commentata dal Pocei 
(Mus. It. I 363) e quella del vasetto di Vetulonia (Saggi 126). — La parola 
vin in lettere etrusche leggesi in mezzo ad una tazza trovata a Talamone 
(Gam. 68); la parola ver sta scritta da sola per tutto epitafio in F. 2000, come 
per tutto epitafio abbiamo altrove (Saggi 51 n. 71) an far0r(a) e an farOnaxye 
‘en parentavit ’, sottinteso il nome della persona defunta e, se mai, del pa- 
rentatore, abbastanza indicati dal luogo del sepolcro e dalla sua normale 
destinazione gentilizia; così (Saggi 127) nax ‘ denicalis ’ e si0v ‘ situs ’ da 
soli e per tutto epitafio. Quanto a vera, sta esso in fine dell’epitafio F. 830 
Ar(n8) Eip(ine) vena (cfr. F.} 119 E:ipine e Pavri, Nordetr. 103 Ipianus). 
Naturalmente, chi preferisca, può vedere in vin e vena dei nomi propri, e 
mandare vin con Vinal e ven con Veni (Gam. 758). 

(20) Due isc. prer. 87 sg. Batte altra strada il Torp, Indog. Forsch. V 206 
(ven. veno e messap. veinan È suo ’, cfr. got. meina " mio ° ecc., base ve-Fe); ma nè 
tocca egli dei testi etruschi, nè meno ancora naturalmente dell’ornavassese, 
venuto d'improvviso a rincalzarne l’interpretazione: anche per mess. veinar, 
penserei io oggi piuttosto ‘a lat. vinea. Accetto invece la bella spiegazione 
del Thorp circa ven. op voltiio © libenter ’ (base vel-), premesso in ambo i testi 
a veno vi[no]; e mi rallegro che anch’egli consenta con G. Meyer e con me 
circa il valore metrico dell’% veneto, valore su cui poggia la dichiarazione di 
ven. s'ahnateh Rehtiiah con ° sanatis Retiae ’ (n. 18). — Torna infine assai no- 
tevole a proposito di etr. vena ven. vero ecc. anche il venavtun di un epitafio 
frigio, se, come il Pauri (Altit. Forsch. II 2 [Isc. tirr. di Lemn.] 64) interpreta, 
significa ‘ rallegrare (il defunto) con libazioni vinarie ‘. 


— nn T_T 


CARLO PASCAL — L'ISCRIZIONE SABELLICA DI CASTIGNANO 109 


L'iscrizione sabellica di Castignano; 
2 


Nota di CARLO PASCAL. 


Il fac-simile della iscrizione di Castignano fu pubblicato la 
prima volta dal chiaro Cav. G. Gabrielli, nelle Notizie degli 
Scavi di antichità, 1890, p. 183. Ma il primo che cominciò a 
disvelarne il mistero fu il Comm. Elia Lattes, che da tanti anni 
tenta la Sfinge etrusca, e le strappa a quando a quando qualche 
segreto. Egli pubblicò sulla nostra iscrizione sabellica, una dotta 
memoria nei Rendiconti dell'Istituto Lombardo, 1891, p. 155 segg. 
Il Lattes ha il merito di aver fissato la lettura dell’iscrizione ; 
ma i risultati ermeneutici furono sfortunatamente bene scarsi, 
come può vedersi dalla conclusione sua, che qui riportiamo (p. 182): 

“ Nulla adunque di certo so io dire quanto al concetto della 
iscrizione di Castignano ; nè, per quel che m’è dato vedere, pos- 
siamo, per ora, intenderne gran fatto più, che delle altre sabel- 
liche; pure, volendo e dovendo tuttavia sommare in una sola 
le precedenti incertezze, oserei conghietturare che essa contenga 
una prescrizione religiosa gentilizia dei Pomponii, conforme alla 
quale chi certa cosa facesse o dicesse o disdicesse all’ara do- 
mestica con le proprie mani, doveva esser poi di cert’altra cosa 
o persona, come della madre o del padre. 

Vale a dire, letteralmente, all’incirca : 


Pomponiorum sacra haec — 
ad aram suis manibus 
esto —ris — — — ut 


matris patris — — ,. 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 10 


110 CARLO PASCAL 


Diamo ora il testo dell’epigrafe, secondo la lettura nostra, 
che è identica a quella del Lattes, quasi in tutto : 


Piupuinum i esi : k : apaiis : 
ads : asih : suas's : manus : 
meitimim 
s'tid : haps'rs'h : ars'tih : s'mih : pus'h 
materesh : pateresh i h. 1 


Al rigo 3° il Lattes legge meilimum. Il che oltre all’accop- 
piamento strano dei tre i, parmi non confermato dalla scrittura. 
Noi interpretiamo come t il segno 7, e come i il segno $. Il 
Lattes stesso del resto interpreta come t il primo segno leg- 
gendo al quarto rigo s'tud. 

Col Lattes poi, e per le buone ragioni da lui addotte (p. 163) 
interpretiamo come % il segno W, cui si dette vario valore (A, 
E, 0). L’A e lE sono rappresentati nella nostra epigrafe dai 
soliti segni; l’o sarebbe appunto l'equivalente del nostro %. 
È noto che l’osco ha per l’u due segni V ed V, che convenzio- 
nalmente si indicano v ed 4; ed è ormai ammesso che il se- 
condo segno sia l’equivalente dell’o, o almeno indichi una pro- 
nunzia che si dilarghi dall’u verso l’o. Mi pare ovvio che il 
segno osco V debba ritenersi una riduzione del sabellico YV. — 
L'assegnazione del valore di e ebbe origine dal paragone di due 
parole. Infatti, accanto all’esmen delle epigrafi di Bellante e di 
Grecchio, abbiamo esmWn di Cupra Marittima (secondo il Deecke 
esmus'). Ma, anche fermandoci all’esmun, non sappiamo come 
questo sia escluso dall’esmen ; il paragone anzi tra hkom-in-(is) 
ed hom-0n-, dovrà condurci ad altro avviso. — Interpretiamo 
poi come È il segno [ ], che occorre anche nell’epigrafe di 
S. Oméro presso Nereto, e ciò conformemente all’idea del 
Deecke e del Lattes (p. 172). — Secondo la lettura sopra esposta 
poi, la nostra epigrafe presenta doppia forma di s; e cioè IX e €, 
che indichiamo con s' e s. La differenza fonica tra i due s non 


L'ISCRIZIONE SABELLICA DI CASTIGNANO b: 491 


è ben chiara. Nelle tavole eugubine accanto al segno è (s') com- 
pare due volte (II a 18, Il a 28) il segno detto sàdé, M. Così 
il frammento minore di Novilara ha nelle tre parole di cui si 
compone (lupes' m. reseert) tutti e due gli s, e cioè 2 (s) ed M (s') 
(cfr. Lattes, Due iscrizioni preromane, p. 5). Nelle iscrizioni 
venete il sàdé è rarissimo (Pauli, Ven. 170 seg.); ma è frequente 
nelle etrusche, ove si trova anche accoppiato in gruppo con l’s 
comune: Fabr. 1558 VelQunas'sl, 1488 S'sedu, ecc. (come nella 
nostra epigrafe suas's). Nella lapide di Castignano il segno è 
propriamente |<. Ma il valore di tal segno ci è assicurato dal- 
l'alfabeto etrusco campano (Fabr. XLIX 2766), dov'è tra il P e 
lR e cioè al posto del sadé. Le altre iscrizioni tutte dove il 
segno occorre, vedi bellamente notate in Lattes, Rend. Ist. Lomb. 
1891, p. 171. — Notiamo intanto che dal trovare in un unico 
gruppo i due s (s's), mal si argomenta (Rend. cit. p. 180) alla 
parità fonetica tra essi. Sarebbe, ad esempio, illecita tale indu- 
zione per Zampw e Bdkyog e “At@ig, ecc. Se il segno [| dell’e- 
pigrafe di Bellante è anche equivalente al sàdé, e se ben ve- 
demmo, supponendo che quando si abbandonarono gli antichi 
alfabeti locali, e si adottò l'alfabeto latino, quel segno [XX fu 
sostituito da C' nell’epigrafe sulmonese delle Notizie Scavi, 1895, 
p. 253, si potrà supporre che il valore fonico di s’ sia stato di 
un s che iotizzandosi, molto dappresso si sia avvicinato ad un € 
assibilato. Per dare una idea di questo trapasso fonico, ram- 
menteremo nella serie neolatina il passaggio dasium, tosc. dascio, 
ital. bacio. Il bascio tosc. sarà stato immediatamente preceduto 
da un *bassjo, con l’s jotizzato ; indi la pronunzia col e assibi- 
lato bascio, e di là lo schietto c palatale dacio. 


Venendo ora alla interpretazione, diremo che per le due 
prime parole non abbiamo se non a confermare quella del Lattes: 


. 
Pipiunum : esiti 


‘ Pomponiorum sacrum ”. 


ENTI 
Pai, 


112 CARLO PASCAL 


Per Pipunum sono opportuni i suoi raffronti sia col Pupun 
di S. Oméro, sia colle forme fal. Puponio (Deecke Fal. 33), 
etrusca Pupuni, veneta Puponeh (Pauli Ven. IV-13), sia infine 
colle Poponiae delle epigrafi meridionali. Quanto alla desinenza 
dei genitivi plurali maschili, essa è la normale in -um, cfr. osco 
Nuvkirinum © Nucerinorum ’, Abellanum ° Abellanorum ’ ecc. — 
Per esi il Lattes giustamente richiama la nota famiglia : osco 
ao- ‘ sacrum È, umbro eesono ‘ sacrificium ’, eesona ° divinas ’, 
marruc. aisos ‘ dis ’, volsco esaristrom ° sacrificium ’; famiglia che 
ha pure larghe propaggini nell’etrusco, ov'è documentato da passi 
di scrittori antichi. Il nostro esi sta ad aiso- (eso-) come ‘Eotia 
sta a Vesta. Circa la forma, crediamo si tratti di un neutro 
singolare, e rammentiamo fal. sacru, osco cakopo = sacrum. 

Segue % : apaivis :. Il Lattes interpreta % = eko. A noi 
pare possa aversi qui regolarmente un prenome con un nome 
proprio : C. Apaius. Ci spiegheremmo allora il nominativo apaits, 
per quel che innanzi abbiamo detto di % = 0 (*apaio-). Nelle 
epigrafi latine troviamo Appaeus ; cfr. ad es. C. I. L. V, 798 as, 
2564, 2565, 2566. Circa il doppio p si confronti Appulejus (Mon. 
Ancyr. 2, 9) di fronte ad Apulejus (C. I. L. I 1539). 


Secondo rigo : ads. Ben raffrontato dal Lattes con latino ad, 
osco az. Il Prellwitz, Bezz. Beitraege, 15, p. 159, osservò come 
sia l’ao- del greco do-maZouar (cfr. éu-maZopar) sia l’osco ae ri- 


salgano ad ads, della cui esistenza il nostro monumento ci offre. 


dunque la riprova storica. Ads è ad + s. Il semplice ad com- 
parisce, oltrechè nel latino, nel got. at, nell’ant. alto ted. ae, 
nel lit. at, nello sl. otà. Sopra l’-s, vedi Bechtel, Bezz. Beitr. 
X, 287 e Prellwitz stesso, Got. gel. anz. 1887, 440 seg. 


as'ih. Già raffrontato dal Lattes (p. 179) con l’asum del 
bronzo di Rapino (Zvet. 1. I. J. 8) e con l’aso delle Tavole 
Eugubine (VI, B, 50). Aggiungerò l’asif volsco ‘© incendens, ado- 
lens flammis ’, e il germ. Asche ‘ cenere °. Il Corssen (K. Z. XI, 
p. 149) fè di asum l'equivalente di ara, osco qasa. Si può stare 
col Bréal (Tab. Eug. 168) e col Lattes (p. 179) al significato 
di ‘ foculus ”. Quanto all’% finale, si può col Lattes richiamare 
quella di osco suluh e puh; ma è pur certo che anche in queste 
due parole addotte il valore fonico e morfologico dell’h non è 


> 


Pal 


L'ISCRIZIONE SABELLICA DI CASTIGNANO 113 


ben chiaro ; e che nell’as'44 neppur mi è chiara la designazione 
del caso. Vedi del resto sull’ Lattes, Rend. Ist. Lomb. 1871, 
p. 762, Mem. Ist. Lomb. 1872-73, p. 10. 


suas's manus. ‘suis manibus ’. L’interpretazione ‘ suas 
manus ° è impossibile per il doppio s's di sas's. Abbiamo qui 
l'esempio del dittongo lungo a = di. Cfr. le mie Tre questioni 
di fonologia, p. 7. — Vedi peligno Anaceta Ceria per Anacetai 
Ceriai, e i dativi delle iscrizioni pisauriche Feronia, Marica, ecc., 
e il Vesta pocolom di un poculo votivo (Notizie Scavi 1895, p. 45) 
e forse anche il devas Corniscas lat. arc. = divis Corniscis. — 
Manus è poi per manuis; giusto il raffronto del Lattes : umbro 
berus = beruis ° verubus °. 


meitimim. È ben documentato nel volsco, nell'umbro e 
nel peligno un fenomeno, e che cioè il gruppo -ct- perda la sua 
gutturale, e si riduca allo scempio t. Il medix aticus di un’epi- 
grafe peligna (Zv. I. I. I. 33) fu dal Deecke ricondotto ad 
*qgcticus (Rh. Mus. 41, 200), quasi ‘ magister ludiarius °. Il volsco 
atahus- corrisponde ad una formazione latina quale *actaverit. 
Dell’umbro petenata generalmente si ammette la rispondenza al 
latino ‘ pectinatam ’, e così di umbro speture, speturie al latino 
‘ spectori’ (Huschke, Iguv. Taf. 346 segg., Buecheler, Umbrica, 
123, 125. V. anche Lattes, Rend. Ist. Lomb. 1891, p. 359). Del 
pari si ha umbro fato = ‘ factum °, umbro satam, sate = ‘© sanct-” e 
così pel. sato (Rend. Accad. Napoli, 1894, 20 Marzo). V'ha ancora 
di più. Appunto in corrispondenza con tale fenomeno, vi ha 
quello di un « radicale che si oscuri in e, per affinità elettiva 
con un è che le faccia seguito. L'esempio tipico è dell’impera- 
tivo umbro feitu, fetu, feetu, corrispondente al latino facito, ar- 
caico facitud. Da facitu la prima tappa del cammino verso feitu 
sarà faitu, tappa documentata nell’umbro stesso da aitu ‘* agito ’; 
indi feitu per influenza dell’; processo fonico riprodottosi in 
tempi moderni sul suolo francese, come ci mostra la grafia del 
participio fait rispetto alla sua pronunzia (fè). Or dunque non 
v'ha bisogno di ricercare al feitu umbro altra radice (idg. dhe, 
Planta, Gramm. d. osk.-umbr. Spr. p. 359). — Poste le due os- 
servazioni foniche, che abbiamo fatto precedere, non parrà strano 
che il nostro meitim4m riserbi nella parte tematica il mact- 


114 CARLO PASCAL 


(mac(i)t-; cfr. mac-ellum) di macte,mactare, ecc. — Circa la de- 
sinenza, crediamo vi si abbia il suffisso imperativo medio del- 
l’umbro. Abbiamo ivi: 


persni-mu, persnihmu, persnihimu ‘ precator ° 
etudstamu, eheturstahamu ‘ exterminato ’. 

(Buecheler, Umbrica, p. 94 e 1883) 
spahmu, spahamu ° graditor ‘. 


Porremo quindi meitimim = ° mactato ’. 


s'tud. — Secondo una buona intuizione del Lattes (p. 180), 
vi si potrà vedere il latino estod ; e l’aferesi dell'e secondo lo 
stesso, si potrà mettere a riscontro con quella di smil, che di 
poco gli segue, se è lecito raffrontare quest’ultima parola al- 
l’esmen di due altre iscrizioni sabelliche (Deecke, Rh. Mus. XLI, 
p. 191 e segg.). Cfr. del resto lat. ed osco sum = esum, lat. e 
fal. sunt = esunt; osco set, umbro sent = sunt (esunt), tutti dal 
medesimo tema es- * esse °. 


haps'rs'h. In questo che il Lattes giustamente chiamò 
“ strano cumulo di consonanti ,, noi vediamo all’incirca un la- 
tino *hapsarius, fatta ragione della mancanza delle lettere me- 
diane, secondo il modo di scrittura etrusco ed anche sabellico 
(vedi, ad esempio, Zvet. I. I. I. 10 Atrno = Aterno, Buecheler, 
presso Zvet. I. I. M. p. 14 o = A(M)(e)rno, Amiterno, Deecke, 
Rh. M. 41, p. 197). Hapsarius intendiamo come un sostantivo 
derivato di hapsum, della qual parola apportiamo le testimo- 
nianze seguenti : 


Gloss. Scal. (Corp. Gloss. Lat. ed. Goetz, V): hapsum 
vellus lanae. 

Cod. Vat. 1468 (ibid.): habsum vellus lanae. 

Gloss. Abavus (ibid.): apsum vellus lanae. 

De verb. dubiis: hapsum vellera lanae, non hapsus. 

Gloss. Isid. hapsum vellus lanae. 

Cels. 4, 6. Circumdare oportet latus hapso lanae sul- 
phuratae. 

Cels. 7, 26. Inducendus hapsus lanae mollis. 


L'ISCRIZIONE SABELLICA DI CASTIGNANO 115. 


*Hapsarius, e cioè il nostro haps'rs'%h interpretiamo : ‘ vel- 
lere lanae indutus’, ed intendiamo ‘coperto della lana sacrifi- 
cale’, e cioè della pelle dell'animale sagrificato. Prezioso riscontro 
italico con festività latine, quale, ad esempio, quella dei Lu- 
percali. I Luperci, e cioè gli adoratori del Dis Lupercus e della 
Dea Lupa o Luperca, coppia infera di divinità originariamente 
etrusche (cfr. Le divinità infere e i Lupercali, Rend. Lincei, 1895) 
erano caprina pelle induti, e perciò Varrone li chiamò ‘umane 
greggi’ (L. L. VI, 34 ‘oppidum Palatinum gregibus humanis 
cinctum °). Hapsarius sarà dunque il sagrificante che si copre 
dell’hapsum dell'animale sagrificato, e cioè si copre della lana 
sagrificale. Sarà qui forse anche opportuno il richiamo al vilatos' 
di Novilara, e al capite velato del rituale latino. 


ars'tih. Nulla anche qui saprei dire sul valore fonetico e 
morfologico dell’% finale. Se in haps'rs'h, che pur termina in %, 
vedemmo un nominativo, non è escluso che possa esserlo anche 
ars'tih; nella qual parola noi vediamo una formazione col suf- 
fisso -t7 = lat. -tio-, di parecchi nomi proprii e comuni. Circa 
la parte radicale, ne torna ovvio il riscontro con l’etrusco arse 
verse, che in Festo, p. 18 M. viene spiegato come ‘ignem ver- 
tito’. Festo veramente spiega arse quale ‘vertito ? e verse quale 
‘ignem’, ma lo scambio evidente dei due vocaboli fu già rico- 
nosciuto da lunghi anni (cfr. gli autori citati in Fabretti, Gloss. 
Ital. s. voce). Comunque sia, torna qui opportuno anche il ram- 
mentare l’arsier gen. singolare ‘sancti’ delle Tavole Eugubine 
(VI. b. 27; VI. a. 24); e dal raffronto delle due parole etrusca 
ed umbra, par che si legittimi al nostro ars'tit un significato 
quale di sacerdos, e cioè di colui che sta ad foculum a compiervi 
i sacra. 


smih. È la parola per noi più oscura. Pur non sapremmo 
rinunziare allo spiraglio apertone dal Lattes, quando sospettò 
(p. 180) che lo smi stesse al noto esmen come lo s't0d al- 
l’estod. Sol dovremmo porre scritta abbreviatamente la parola 
e taciutane la desinenza. Non per ipotesi dunque, ma a guisa 
di semplice interrogazione, chiederemo se convenga allo smi il 
significato che il Deecke (Rh. Mus. 41, p. 192) dette all’es-mex, 
di ‘ sacellum, sepulerum ’, e cioè, al locativo, ‘in sacello”. 


. 116 CARLO PASCAL — L'ISCRIZIONE SABELLICA DI CASTIGNANO 


pus'h. Umbro puze, puse, pusei, pusi; Oosco povs, puus, 
puz; = ut. 


materes'h : pateres'h : ‘matris patris’, vedi Lattes, 
p. 181. O © matres patres’? 


H. L. Che sia formola rituale ci mostra l’epigrafe di Crecchio, 
che pur finisce %. r. 2. Sol per additare uno dei significati pos- 
sibili, porremo che vi si celi un senso quale ‘ossa luantur ? o 
‘ corpora luantur°, pur confessando che le rispondenze delle 
parole locali ci sono, anche ponendo tal senso, ignote. Ma un. 
senso a un dipresso simile a quello detto, ci verrebbe consigliato 
dal contesto dell’epigrafe intera; nè all’! puntato disconverrebbe 
vedervi l’inizio della parola corrispondente al latino luantur. 
Potrebbe forse anche nell’h. vedersi l’inizio di fal. e lat. hara 
‘exta’ (cfr. harispex). Bisognerebbe allora vedere in materes'% : 
pateres'h due nominativi plurali, e tradurre: ‘ ut matres patres 
extis lustrentur°; vedendovi la lustrazione di tutti gli antenati. 

Riassumendo le cose discorse, direbbe l’epigrafe nostra : 


Pomponiorum sacrum. C. Appaeus 
ad foculum suis manibus 
mactato 
esto *hapsarius sacerdos . . . .. ut 
matres patres h. 1. (extis lustrentur ?). 


Si tratterebbe cioè di una prescrizione rituale ad uno della 
famiglia Pomponia, chiamato ad essere egli stesso il sacerdote 
familiare e a compiere i sacra domestica. Ciò ne conduce a un 
altro punto importante del diritto sacrale romano, a quello cioè 
dei culti domestici ereditari nelle famiglie, e dei quali ciascun 
paterfamilias doveva essere il sacerdote (v. il mio Culto di Apollo 
a Roma, p. 8 segg.). 


L’ Accademico Segretario 
Ermanno FERRERO. 


117 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 
Dal 1° Luglio al 17 Novembre 1895. 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali 


NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; 
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. 


** Abhandlungen der k. Preussischen geologischen Landesanstalt. N. F., 
Heft 16, Atlas. Berlin, 1895; 8° e 4°. 

* Abhandlangen (Wissenschaftliche) der physikalisch-technischen Reichs- 
anstalt. Berlin, 1895; 4°. 

* Abhandlangeu der k. Akademie der Wissenschaften zu Berlin, 1894; 4°. 

* Abhandlungen herausg. von der Senckenbergischen Naturforschenden 
Gesellschaft. Bd. XIX, Heft. I. Frankfurt a. M., 1895; 4°. 

* Abhandiungen der Naturhistorischen Gesellschaft zu Niirnberg. X Bd., 
III Heft. 1895; 8°. 

* Aceta Societatis scientiarum Fennicae. T. XX. Helsingforsiae, 1895; 4°. 

* American Journal of Science. Editors James D. and Edward S. Dana. 
Vol. L, n. 295-299. New-Haven, 1895; 8°. 

* Analele Institutului Meteorologic al Romaniei. Tomul IX, Anul 1893. 
Bucuresci, 1895; 4°. 

* Amales de la Sociedad Cientifica Argentina. Entrega I-VI, t. XXXIX; I, 
III, t. XL. Buenos Aires, 1895; 8°. 

Anales del Museo Nacional de Montevideo, III. 1895; 4°. 

* Annales de la Société géologique de Belgique. T. XX, 3° livr.; XXI, 
8° livr.; XXII, l'e livr. Liège, 1892-1895; 8°. 

* Annales de la Société belge de Microscopie. T. XVII, 2° fasc.; XIX, 
le fasc. Bruxelles, 1894-95; 8°. 

* Annales des Mines. 9"© série, t. VII, livr. 4°-6°. Paris, 1895. 

* Annals of the New York Academy of Science late Lyceum of Natural 
history. Vol. VII (Index); VIII, 5. New York, 1885; 8°. 

* Archives du Musée Teyler, serie II, vol. IV, fasc. 3, 4. Haarlem, 1894-95; 8°. 

* Archives Néerlandaises des sciences exactes et naturelles publiées par 
la Société hollandaise des sciences è Harlem; tome XXIX, livr. 2, 3. 
Harlem, 1895; 8°. 

Archives (Nouvelles) du Muséum d'’histoire naturelle. III° sér., t. 6° et 7°. 
Paris, 1894, 1895; 4°. 


118 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Astronomische Beobachtungen und Vergleichung der astronomischen und 
geoditischen Resultate. (Publication der Norwegischen Commission der 
Europiischen Gradmessung). Christiania, 1895; 8°. 
* Atti della fondazione scientifica Cagnola dalla sua istituzione in poi. 
Vol. 12°, 13°. Milano, 1894; 8° (dal R. Istituto Lombardo). 

Atti della Società Italiana di Scienze naturali. Vol. XXXV, fasc. 1°-2°. 
Milano, 1895; 8°. 

Atti della R. Accademia economico-agraria dei Georgofili di Firenze. 
4* serie, vol. XVIII, disp. 2*, 1895; 8°. 

Atti della Reale Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli. 
Serie II, vol. VII. Napoli, 1895; 4°. 

Atti della R. Accademia medico-chirurgica di Napoli. Anno XLIX, 
N. s., n. II, HILL Napoli, 1895; 8% 

Atti del Collegio degli ingegneri e degli architetti in Palermo. Anno XVII, 
1894, settembre-dicembre. 1894; 8°. 

* Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Anno XLVII, sess. V-VII; 
XLVIII, sess. I-VI. Roma, 1894; 4°. 

* Atti della R. Accademia dei Lincei, serie IV. Memorie della Classe di 
Scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. VII. Roma, 1894; 49. 

* Atti della R. Accademia dei Fisiocritici in Siena. Serie IV, vol. VII, fasc. 4-6. 
1895; 8°. 

* Atti del Museo Civico di Storia natur. di Trieste. Vol. IX. Trieste, 1895; 8°. 

* Atti del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. T. LIII, disp. 74-9*. 
Venezia, 1895; 8°. 

Australian Museum. Report of Trustees for the year 1894. Sydney, 1895; 4°. 

Beobachtungen der Temperatur des Erdbodens im Tiflisser physikalischen 
Observatorium in den Jahren 1888 und 1889. Tiflis, 1895; 8°. 

Beobachtungeu des Tiflisser physikalischen Observatoriums im Jahre 18983. 
Tiflis, 1895; 4°. 

Bericht iber die Ergebnisse der Beobachtungen an den Regenstationen 
der Kais. livlandischen gemeinniitzigen und ékonomischen Societàt fir 
das Jahr 1884. Dorpat; 4°. 

* Bericht iber die Senckenbergische naturforschende Gesellschaft in 
Frankfurt am Mein, 1895; 8°. 

# Berichte iber die Verhandlungen der k. stess Gesellschaft der 
Wissenschaften zu Leipzig. Mathem.-Physische Classe, 1895, IL-IV. 
Leipzig, 1895; 8°. 

* Bidrag till Kinnedom af Finlands Natur och Folck. Utgifina Finska 
Vetenskaps- Societeten, n. 54-56. Helsingfors, 1894-95; 8°. 

Boletin de la Academia Nacional de Ciencias en Cordoba. T. XIV, Entr. 28. 
Buenos-Aires, 1894; 8°. 

Boletin de la Comision Geolégica de México. N. 1. Mexico, 1895; 4°. 

Boletin del Observatorio Astronémico Nacional de Tacubaya. Tom. I, 
n. 22. Mexico, 1895; 4°. 

Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia comparata della R. Univer- 
sità di Genova. N. 27-30. Genova, 1894; 8°. 


* 


* 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 119 


* Bollettino della Società di naturalisti in Napoli. Ser. I, vol. IX, fasc. I, 
1895; 8°. 

* Bollettino del R. Comitato Geolog. d’Italia. Anno1895, n.2. Roma, 1895; 8°. 

* Bollettino della Società generale dei Viticoltori italiani. Anno X, n. 11-21. 
Roma, 1895; 8°. 

Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia comparata della R. Università 
di Torino, n.i 192-207. Torino, 1894-95; 8°. 

* Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2°, v. XV, 
n. 1-8. Torino, 1895. 

* Bollettino del Club Alpino italiano per l’anno 1893. Vol. XXVIII, n. 61. 
Torino, 1895; 8°. 

* Buletinul Observatiunilor Meteorologice din Romania. Anul III, 1894. 
Bucuresti, 1895; 4° (dall’Istituto Meteorologico). 

* Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico- 
chirurgica, ecc. Serie VII, vol. VI, fasc. 5-9. Bologna, 1895; 8°. 

* Bulletin de la Société belge de microscopie. XXI" année, 1894-95, 
n. VII-IX. Bruxelles, 1895; 8°. 

* Bulletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College. 
Vol. XXVI, 1; XXVII, 2-5; XXVIII, 1. Cambridge, 1895; 8°. 

* Bulletin of the Scientific Laboratories of Denison University. Vol. VIII, 
1, 2. Granville, Ohio, 1893-94; 8°. 
* Bulletin de la Société impériale des Naturalistes de Moscou. Ann. 1829, 
n. 4-11; 1880, n. 2; 1832, n. 1-3; 1894, n. 2, 3. Moscou, 1894; 8°. 
Balletin des séances de la Société des sciences de Nancy. N. 1-3, 6° année, 
1894; 8°. 

Bulletin de la Société des sciences de Nancy. Ser. II, t. XII, fasc. XXIX, 
1894. Nancy, 1895; 8°. 

Bulletin of the Agricultural Experiment Station of Nebraska. N. 6 e 
vol. VIII; 8°. 

* Bulletin du Muséum d'’histoire naturelle. An. 1895, n. 4, 6. Paris, 1895; 8°. 

* Bulletin de la Société géologique de France. 3° série, t. XXII, n. 9 
(1894); t. XXIII, n. 1-3 (1895). Paris, 1895; 8°. 

Balletin de la Société Philomatique de Paris, 1894-95, n. 1, 2; 8°. 

* Bulletin de la Société des Sciences naturelles de l’Quest de la France. T. V, 
1° trimestre 1895. Paris; 8°. 

* Bulletin de l’Académie Imp. des Sciences de St-Pétersbourg. V° sér., T. II, 
n. 3, 4. 1895; 4°. 

Bulletin N° 34. Washington, 1895; 8° (dall’United States Coast and Geodetie 
Surver). 

* Bulletins du Comité Géologique de St-Pétersbourg, 1893, t. XII, n. 8-9; 
1894, XIII, n. 1-3, 189; 8°. 

* Catalogue of the Fishes in the British Museum. Second edition. Vol. 
First. London, 1895; 8° (dal British Museum). 

Clinica Dermosifilopatica della R. Università di Roma. Prof. R. Cam- 
PANA, Direttore. Anno 1895, fasc. II, III. Roma, 1895; 8°. 

Colorado College Studies, Fifth annual publication Colorado Springs. 1894; 8°. 


120 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Compte-Rendu des Travaux présentés è la 77% session de la Société 
Helvétique des sciences naturelles réunie à Schaffhouse. Genève, 1894; 8°. 

* Compte-Rendu sommaire des séances de la Société Philomatique de 
Paris, 22 juin, 13 et 27 juillet, 26 oct. 1895. Paris; 8°. 

* Comptes-rendus des séances de l’Académie des Sciences de Cracovie. 
Juin-juillet 1895; 8°. 

* Descriptive Catalogue of the Spiders of Burma based upon the Collection 
made by Eugene W. Oates and preserved in the British Museum. 
London, 1895; 8° (dal British Museum). 

** Erliaterungen zur geologischen Specialkarte von Preussen und den 
Thiringischen Staaten. LX, LXXII Liefer. Gradabth. 70; n. 88, 39, 
44-48, 52. Berlin, 1894; 8°. 

** Fortschritte der Physik im Jahre 1893, Bd. XLIX, II, III Abt. Braun- 
schweig, 1895; 8°. 

* Geological Survey of Canada; Report 1887-88; N. S., vol. 2-3. Maps. 
Ottawa, 1895; fol. 

Giornale Scientifico di Palermo. A. II, n. 6-9. Palermo, 1895; 4°. 

* Giornale del Genio civile. Anno XXXIII, fasc. 5°-6°. Roma, 1895. 

* Giornale della R. Accademia di medicina. A. LVIII, n.5-10. Torino, 1895; 8°. 

Institute of Chemistry of Great Britain and Ireland Regulations for ad- 
mission to Membership and Register, 1895-1896; 8°. 

* Jahrbueh iber die Fortschritte der Mathematik. Bd. XXIV, Heft 2-3. 
Berlin, 1895; 89. 

* Jahrbuch der k. k. geologischen Reichsanstalt zu Wien. Jahrg. 1895. 
XLV Bd., 1 Heft. Wien; 8°. 

* Jahreshefte des Vereins fiir vaterlindische Naturkunde in Wiirttemberg. 
I-XXX, 51 Jahrgang. Stuttgart, 1894; 8°. 

* Jenaische Zeitschrift fiir Medicin und Naturwissenschaft, herausg. von 
der medicinisch-naturwissenschaftlichen Gesellschaft zu Jena. N. F., 
Bd. XXII, Heft III u. IV. Leipzig, 1895; 8°. 

* Journal of the Asiatie Society of Bengal. Vol. LXIII, Title page and 
Index. Vol. LXIV, part II, Natural Science, n. 2. Calcutta, 1895; 8°. 

* Journal of Comparative Neurology; Vol. V, pp. 71-138, XXVII-XLII. 
Cincinnati, Granville, Ohio, 1895; 8°. 

* Journal of Linnean Society. Botany, vol. XXX, n. 209-210. Zoology, 
vol. XXV, n. 158-160. London, 1894-95; 8°. 

* Journal of the R. Microscopical Society, 1895, part 3-5. London, 1895; 8°. 

* Jowrnal of the Academy of Natural sciences of Philadelphia. Second series, 
vol. IX, p. 4. Philadelphia, 1895; 4°. 

* Journal and Proceedings of the R. Society ofNew South Wales.Vol. XXVIII, 
1894. Sydney, 1895; 8°. 

* Journal of the College of Science Imperial University Japan. Vol. VII, 
part V. Tokio, 1895; 4°. 

* Kongliga-Srenska Vetenskaps-Akademiens. Handlingar Ny Fòljd. Bd. 26. 
Stockholm, 1894-95; 4°. 

* List of Linnean Society of London, 1894-95. London, 1895; 8°. 


PU) BLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 121 


* Mémoires de la Société de Physique et d’Histoire naturelle de (Genève. 
Tom. XXXII, 1° partie, 1894-95; 4°. 

* Mémoires de la Société Impériale des naturalistes de Moscou. T. I, 2° éd. 
1811; III, IV 1812-1813, V 1817; et Nouveaux Mémoires, t. I, 1829, 
XV, livr. 5, 1888. Moscou, 1811-1888; 4°. 

* Mémoires du Comité Géologique de Russie. T. VIII, n. 2, 3; IX, n. 3. 
St-Pétersbourg, 1894; 4°. 

* Memorias y Revista de la Sociedad Cientifica © Antonio Alzate ,. T. VII, 
(1894-95). N. 3 y 4. Mexico, 1895; 8°. 

* Memorie della R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna. 
Serie V, tomo III. 1892; 4°. 

* Memorie del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Classe di scienze 
matematiche e naturali. Vol. XVII, fasc. 5. Milano, 1895; 4°. 

* Memorie della Pontificia Accad. dei Nuovi Lincei. Vol. X. Roma, 1894; 4°. 
* Memorie descrittive della carta geologica d’Italia. Vol. IX. Descrizione 
geologica della Calabria. Roma, 1895; 8° (dal R. Ufficio Geologico). 
Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXIV, disp. 6, 7. 

Roma, 1895; 4°. 

* Mitteilungen der Naturforschenden Gesellschaft in Bern aus dem 
Jahre 1894, n. 1385-1372. 

* Mitteilungen des Vereins fiir Erdkunde zu Leipzig,:1894. Leipzig, 1895; 8°. 

* Mittheilungen aus der Zoologischen Station zu Neapel. 12 Bd., 1 Heft. 
Berlin, 1895; 8°. 

* Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LV, n. 7-9. 
London, 1895; 8°. 

*«* Morphologische Arbeiten. Herausg. von D" G. Schwalbe. 5 Bd., 2 Heft. 
Jena, 1895; 8°. 

* Nachrichten von der Kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen. 
Mathematisch-physik. Klasse, 1895, n. 2. Gòttingen; 8°. 

# Nieuwe Opgaven. (Deel VII, n. 1-25); 8°. 

North American Fauna. N° 8. Monographie revision of the Pocket Gophers. 
Family Geomyidae, by Dr. C. H. Merriam. Washington, 1895 (dal! U. S. 
Department of Agriculture). 

* Notizie sui terremoti avvenuti in Italia durante l’anno 1895. Roma, 
1895; 8° (dal R. Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica). 

* Nouveaux Mémoires de la Société Helvétique des Sciences naturelles. 
Vol. XXXIV. Genève, 1895; 4°. 

* Nova Acta Regiae Societatis Scientiarum Upsaliensis. Seriei tertiae, 
vol. XV, fas. II. 1895; 4°. 

* Observations made at the Magnetical and meteorological Observatory 
at Batavia. Vol. XVI, 1893. Batavia, 1894; f°. 

* Qbseryations météorologiques publiées par l’Institut météorologique central 
de la Société des Sciences de Finlande, 1889-90. Knopio, 1895. 

* Observations publiées par l’Institut météorologique central de la Société 
des Sciences de Finlande, vol. douzième, 1° livr. Observ. météorologiques 
faites è Helsingfors en 1893. Helsingfors, 1894; 4°. 


122 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Ofversigt af Finska Vetenskaps-Societetens Forhandlingar, XXXVI, 1893- 
1894. Helsingfors, 1894; 8°. 

* Ofversigt of Kongl. Vetenskaps Akademiens Fòrhandlingar. Vol. 51, 1894. 
Stockholm, 1895; 8°. 

* Proceedings of the Asiatic Society of Bengal. N°IV-VI, 1895. Calcutta; 8°. 

* Proceedings of the Royal Society. Vol. LVII, n. 346; LVIII, n. 847-351. 
London, 1894; 8°. 

* Proceedings of the Linnean Society of London. From November 1893 
to June 1894. London, 1895; 8°. 

* Proceedings of the Zoological Society of London for the year 1895. 
Part II. London; 8°. 

* Proceedings and Transactions of the Royal Society of Canada for the 
year 1894. Vol. XII. Ottawa, 1895; 4°. 

* Proceedings of the Academy. of Natural history of Thiladelphia, 1394. 
Part III. Philadelphia, 1894; 8°. 

* Proceedings of the American Philosophical Society held at Philadelphia. 
Vol. XXXII, 143; XXXIII, n. 146. Philadelphia, 1893-1894; 8°. 

* Procès-Verbaux des séances de la Société Malacologique de Belgique. 
Tom. I-VII, t. XXI, pp. LXVII et suiv.; t. XXII et XXIII: 1872-1877; 
1893-1894. Bruxelles; 8°. 

* Processi verbali delle adunanze. Anno accademico 204, n. 5 (Asian dei 
Fisiocritici). Siena, 1895; 8°. 

* Publications de l’Institut R. Grand-Ducal de Luxembourg (Sect. des 
sciences naturelles et mathématiques). Tome III, XIV, XXI et AE 
Luxembourg, 1855-1894; 8°. 

* Quarterly Journal of Geolog. Society. Vol. LI, n. 208-204. London, 1895; 8°. 

* Records of the Geological Survey of India. Vol. XXVIII, part 3. Calcutta, 
1895; 8°. 

* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXVIII, 
fasc. XIV, XVI. Milano, 1895; 8°. 

* Rendiconti del Circolo matematico di Palermo. Tom. IX, fasc. II-V. 
Palermo, 1895; 8°. 

* Rendiconto delle Sessioni della R. Accademia delle Scienze dell’Istituto 
di Bologna. Anno Accademico 1892-93 e 1893-94. 1894; 8°. 

* Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche. Ser. 3*, 
vol. I, fasc. 5°-7°. Napoli, 1895; 8°. 

* Rendiconto dell’Ufficio d’igiene della Città di Torino per l’anno 1895; 4°. 

Report of the sixty-third Meeting of the Britsh Association for the advan- 
cement of Science held at Oxford in august 1894. London, 1895; 8°. 

Report for the Year 1894-95, presented by the Board of Managers of the 
Observatory ofYale Univers.to the President and Fellows. New-Hawen; 8°. 

* Report (Eleventh; Twelfth Annual) of the Bureau of Ethnology to the 
Secretary of the Smithsonian Institution 1889-90; 1890-°91. Washington, 
1895; 8°. 

Résultats des Campagnes scientifiques accomplies sur son yacht par Al- 
bert I, Prince de Monaco; fasc. VIII et IX. Monaco, 1895; 4° (dono di 
S. A. Me il Principe Alberto I di Monaco). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 423 


* Rivista mensile del Club alpino italiano. Vol. XIV, n. 6-10. Torino, 1895; 8°. 

* Sehriften der Physikalisch-Oekonomischen Gesellschaft zu Kénigsberg in 
Pr., XXXV Jahrg., 1894. Kònigsberg, 1895; 4°. 

* Sitzungsberichte der Kéòn. Preuss. Akademie der Wissenschaften zu 
Berlin (10 Januar) I- (25 Juli 1895) XXXVIII. Berlin, 1895; 8°. 

* Sitzungsberichte der physikalisch-medicinischen Societàt in Erlangen; 
26 Heft, 1894. Erlangen, 1895; 8°. 

* Sitzungsberichte der mathematisch-physikalischen Classe der k. b. Aka- 
demie der Wissenschaften zu Miinchen. 1895, Heft II. Miinchen, 1895; 8°. 

* Smithsonian Miscellaneoas Collections; N° 854, 969, 970. Washington, 
1894; 8° (dalla Smithsonian Institution). 

* Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXVII, fasc. 5-6, XXVIII, 
fasc. 6-9. Modena, 1895; 8°. 

* Studi e ricerche istituite nel laboratorio di chimica agraria della R. Uni- 
versità di Pisa. Fasc. 12°, anni 1893 e 1894. Pisa, 1895; 8°. 

Sveriges Zoologiska hafsstation Kristineberg af hjalmar théel. Stockholm, 
1895; 8°. 

* Thiitigkeit der Physikalisch-Technischen Reichsanstalt in der Zeit vom 
1 Mirz 1894 bis 1 April 1895. Berlin, 1895; 4° (dall’Istituto Fisico- 
Tecnico in Charlottenburg). 

* Transactions of the Royal Society of South Australia. Vol. XIX, Part L 
Adelaide, 1895; 8°. 

* Transactions of the Linnean Society of London. Botany, vol. IV, p. 2; 
vol. V, p. 1. — Zoology, vol. VI, p. 8. London, 1895; 4°. 

* Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXIII, p. vi-1x. 

Transacetions of the Connecticut Academy of Arts and Sciences. Vol. IX, 

part 2. New-Haven, 1895; 8°. 

* Travaux & Mémoires des Facultés de Lille. T. III, n. 10-14. Lille, 1893-94; 8°. 

#* Verhandlungen der physikalischen Gesellschaft zu Berlin. Jahrg. 14, 
ni2: 1895; 8°. 

* Verhandlungen der Schweizerischen Naturforschenden Gesellschaft bei 
ihrer Versammlung zu Schaffhausen 1894. 77 Jahresversammlung; 8°. 

* Verhaudlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Sitzung. N. 8-9, 
1895. Wien; 8°. 

Viskundige Opgaven met de Oplossingen, door de leden van het Wiskundig 
Genootschap, Zesde Deel. 6%e stuk. Amsterdam, 1895; 8°. 

* Zoologischer Anzeiger, herausg. von Prof. J. Vicror Carus in Leipzig, etc.; 
XVIII Jahrgang, n. 478-488. 1895. 

* KRypHaxp pyccraro ®0NI81r0o-xmMugeckaro O6mecrBa npu Hmmeparoperonb 
C. MIerep6ypreroms VYangepenterb; t. XXVII, n. 4-6. 1895. 


* 


* Dall Università di Basilea : 


Bachmann (J.). Einfluss der iiusseren Bedingungen auf die Sporenbildung 
von Thamnidium elegans Link. Leipzig, 1895; 4°. 
Boecking (0.). Zur Kenntnis des B-Diazo-Naphtalins. Zirick, 1894; 8°. 


124 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Bòhm (E.). Beitràge zur Kenntnis der komplexen anorganischen Skiuren. 
Basel, 1895; 8°. 

Bòhm (G.). Ueber Derivate des Anilacetessigesters. Miinchen, 1894; 8°. 

Braunschweig (E.). I. Ueber das Einwirkungsproduckt von Alkali auf 
substituirte Hydrazine der aromatischen Reihe. II. Ueber die Bildung 
von Diphenylderivaten bei Einwirkung von Kupferchlortir auf o-Nitro- 
diazobenzolparasulfosiure. Basel, 1895; 8°. 

Biihler (K.). Ueber die Finwirkung von Kaliumsulfidlésung u. Schwefel- 
kohlenstoff auf Resorcin und a- Naphtol bei Wasserbadwarme, sowie 
ùber die Benzoylierung des Schall- u. Dralle’schen Oxydations—produktes 
des Brasilins C° H?(0H)(0H)(C3*0?H)..... Farth, 1895; 8°. 

Burckhardt (0.). Beitrag zur Lehre von den Grenztumoren von Conjunctiva 
und Cornea. Basel, 1894; 8°. 

Capeder (Ch. J.). Zur Casuistik der Diplacusis Binauralis. Basel, 1895; 8°. 

Clairmont (W. C.). Zum Studium der Ketone. Basel, 1894; 8°. 

Dinesmann (M.). Ueber die Ortho-Derivate des Mono- und Dialkylanilins. 
Karlsruhe, 1894; 8°. 

Gassmann (Ch.). Recherches sur la Diphényléthylènediamine et ses dérivés 
et sur quelques dérivés de l’Amidocamphre. Strasbourg, 1895; 8°. 
Gloor (A.). Pathologisch-anatomischer Beitrag zur Kentniss der Orbital- 

phlegmone. Jena, 1895; 8°. 

Goebbels (W.). Zur Kenntnis der Bleidoppelsalze mit organische Basen. 
Aachen, 1895; 8°. 

Goldbeck (P.). Die Nematoden in den Respirationsorganen und dem Schlunde 
des Schafes. Miilhausen i. E., 1894; 8°. 

Graber (Th.). Die Arten der Gattung “ Sarcina ,. Emmendingen, 1895; 8°, 

Hegglin (C.). Experimentelle Untersuchungen iiber die Wirkung der Douche. 
Solothurn, 1894; 8°. 

Hey (F.). Ueber Driisen, Papillen, Epithel und Blutgefaàsse der Harnblase. 
Tibingen, 1894; 8°. 

Hoffmann (B.). Zur Geschichte des Furfurylamins Neue Amidinsynthese. 
Berlin, 1895; 8°. 

Hiisler (F.). Ueber die Regelmiissigkeit des Pulsrhythmus bei gesunden 
und kranken Menschen. Leipzig, 1895; 8°. 

Jelkmann (F.). Ueber den feineren Bau von Strongylus pulmonalis apri 
Ebel. Leipzig, 1895; 8°. 

Kampmann (K.). Ueber das Vorkommen von Klappenapparaten in den 
Excretionsorganen der Trematoden. Genf, 1894; 8°. 

Kiermayer (J.). Ueber ein Furfurolderivate aus Làvulose. Miinchen, 1895; 8° 

Kohn (K.). Untersuchungen iber Zersetzungsprodukte Ortho-nitrirter Ben- 
zoldiazimide. Zirich, 1895; 8°. 

Kiindig (A.). Ueber die Wirkung des Ferratin bei der Behandlung der 
Blutarmuth. Leipzig, 1894; 8°. 

Kiister (W. von). Die Oelkòrper der Lebermoose und ihr Verhiltnis zu den 
Elaioplasten. Basel, 1894; 8°. 

Leent (F. H. van). Einige Untersuchungen iber Milchzucker, Galactose und 
Maltose und ihre Ammoniakverbindungen. Haag, 1894; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 125 


Lendle (A.). Zur Kenntnis der Thiazone. Basel, 1895; 8°. 

Mangold (G. A.). Ueber die Infection der Ovarialkystome. Basel, 1895; 8°. 

Marti (A.), Ueber subconjunctivale Kochsalzinjectionen und ihre thera- 
peutische Wirkung bei destructiven Hornhautprocessen. Basel, 1894; 8°. 

Meyer (Ad. A.). Contribution è la connaissance des: 1. Dérivés homologues 
du Benzène; 2. Naphtylamines nitrées; 3. Diazonaphtaléneimides. Ge- 
nève, 1894; 8°. 

Meyer (C. A.). Contribution è la connaissance: I. “ Des Dérivés oxyazoiques ,; 
IT. “ De la Transposition de l’Hydrazobenzène ,; III “ Des Oxycétones 
aromatiques ,. Strassburg, 1895; 8°. 

Meyer (H.). Beitràge zur Frage des rheumatisch-infectiésen Ursprungs der 
Chorea minor. Leipzig, 1894; 8°. 

Minassian (M.). Untersuchungen iber den Einfluss der Kérperlage auf die 
Herzthitigkeit. Basel, 1895; 8°. 

Niebergall (E.). Ueber den Einfluss lingerer Chloroformnarcose auf Blut 
und Harn. Basel, 1894; 8°. 

Plòtze (H.). Beitrige zur Kenntnis der chronischen Bleivergiftung. Basel, 
1895; 8°. 

Rikli (M.). Beitrige zur vergleichenden Anatomie der Cyperaceen mit be- 
sonderer Beriicksichtigung der inneren Parenchymscheide. Berlin, 
1895; 8°. 

Rosenzweig (J.). Ueber die Finwirkung des Glyoxalnatriumbisulfits auf 
aromatische und aliphatische Aminbasen. Berlin, 1894; 8°. 

Sehlein (L.). Ueber das Verhalten des a-Diazo-Naphtalins gegen Alkalische 
Ferrid-Cyankalium-Lòsung. Leipzig, 1894; 8°. 

Schmidt (C.). Ueber das Phenyl-Butin-Acetophenon und das Phenyl-Butin- 
a-Acetopyridon. Karlsruhe, 1895; 8°. 

Serra (F.). Zur Kenntniss einiger Diphenylnaphtylmethanderivate. Basel, 
1895; 8°. 

Strobel (C.). Ueber Halogenderivate des Pseudocumols. Leipzig, 1894; 8°. 

Suter (F.).. Ueber Schwefelhaltige abkòmmlinge der Eiweisskòrper. Strass- 
burg, 1895; 8°. 

Thumm (K.). Beitrige zur Biologie der fluorescierenden Bakterien. Emmen- 
dingen, 1895; 8°. 

Wilensky (L.). Beitrige zur Kenntnis des 1, 2, 4-Triamidonaphtalins und 
seiner Abkémmlinge. Berlin, 1894; 8°. 

Wirkner von Torda (C. G.). Studien iber Dampfspannkraftsmessungen am 
Benzol, an Derivaten des Benzols und am Aethylalkohol. Basel, 1894; 8°. 

Wormser (S.). Ueber einige Condensationsprodukte von Paratoluidin mit 
Acet- und Propionaldehyd. Munchen, 1895; 8°. 

Wurgaft (J.). Condensation von Aldehyden mit a-Naphtohydrochinon. 
Dresden, 1895; 8°. 

Zakrzewski (S. von). Ueber 2, 3 Naphtalinderivate. Posen, 1894; 8°. 

Zeitlin (M.). Ueber die Zersetzung einiger substituirter Diazobenzolimide. 
Karlsruhe, 1894; 8°. 


Atti della R. A ecodenia IVO LPAZINITI 11 


126 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Tesi dottorati dell’ Università di Erlangen 
(dono della Società Fisico-Medica): 


Apetz (H.). Ueber die Einwirkung der Salpetersiure auf Aldehyde und 
Ketone, insbesondere auf Dimethylketon. Leipzig, 1894; 8°. 

Arai (Kobo). Ein Beitrag zur Kenntnis der Chorea gravidarum. Erlangen, 
1895; 8°. 

Arens (C.). Ueber das Verhalten der Choleraspirillen im Wasser bei An- 
wesenheit fiulnisfàhiger Stoffe und hòherer Temperatur (37°). Erlangen, 
1895; 8°. 

Ascherl (W.). Zwei Falle von recidivierender Augenmuskellàhmung bei 
Tabes dorsalis. Erlangen, 1895; 8°. 

Baaden (Ph. H.). Ein Fall von Paramyoclonus multiplex. Erlangen, 1895; 8°. 
Bade (E.). Klinische und pathologisch-anatomische Beitràge zur Kenntnis 
von mit Ulcus kompliziertem Magencarcinom. Erlangen, 1894; 8°. 
Baur (K.). Fin Beitrag zur Casuistik der Coxa Vara. Freiburg I. B., 1895; 8°. 
Becker (C.). Beitrag zur vergleichenden Anatomie der Portulacaceen. 

Miinchen, 1895; 8°. 

Behm (M.). Beitrige zur anatomischen Characteristik der Santalaceen. Cassel, 
1895; 8°. 

Berlin (0.). Ueber die Finwirkung von Benzoin und Cuminoîn auf einige 
Diamine. Erlangen, 1895; 8°. 

Beyer (G.). Die Operationen zur Freilegung der oberen Rectumteile. Augs- 
burg, 1894; 8°. 

Boehm (A.). Ueber die Resorption des Jodkalium im normalen menschlichen 
Magen unter verschiedenen Einflussen. Erlangen, 1895; 8°. 

Breunlin (H.). Einwirkung von Phenylisocyanat auf Stickstoff-Benzylani- 
saldoxim. Erlangen, 1894; 8°. 

Butters (W.). Ueber einen Fall von Uterus bicornis rudimentarius mit 
rudimentàrer Scheide. Dirkheim a H. & Kaiserslautern; 8°. 

Caro (L.). Ueber die pathogenen Figenschaften des Proteus Hauser. Berlin, 
1893; 8°. 

Coester (C.). Ueber die anatomischen Charaktere der Mimoseen. Miinchen, 
1894; 8°. 

Daniel (K.). Ueber eine Anwendung des Baryumbicarbonats als Fallungs- 
und Trennungsreagens in der chemischen Analyse. Miinchen, 1894; 8°. 

Deleré (V.). Beitràge zur Kenntnis des Proterobas. Erlangen, 1895; 8°. 

Denckmaun (F.). Zur Kenntnis der Rosinduline. Erlangen, 1895; 8°. 

Diepolder (E.). Zur Kenntnis einiger, Nitrosamine und Nitrosobasen. Augs- 
burg, 1895; 8°. 

Dingfelder (J.). Beitrag zur Lehre von der Sehsphàre. Wiirzburg, 1895; 8°. 

Drescher (0.). Ueber p-Amido-o-Nitro-a-Naphtol. Erlangen, 1894; 8°. 

Diitschke (R.). Zur Kenntnis der Umlagerung von Stickstoffithern der 
Aldoxime. Erlangen, 1894; 8°. 

Ehrlich (W.). Ein Fall von kompleter Lateralluxation beider Vorderarm- 
knochen nach aussen. Prenzlau, 1895; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 127 


Elfert (W.). Morphologie und Anatomie der Limosella aquatica. Berlin, 8°. 


Fewson (N. v.). Zur Aetiologie der Myome des Uterus. Erlangen, 1895; 8°. 


_Fraas (E.). Ueber Elasticitàt von Gelatine-Lòsungen. Leipzig, 1894; 8°. 


Francis (F. E.). Ueber 0-Amidobenzyl-o-Toluidin, 0-Amidobenzyl-m-Chlora- 
nilin und ihre Derivate. Erlangen, 1895; 8°. 

Fuchs (G.). Bestimmungen latenter Verdampfungswîrmen beziehungsweise 
molekularer Siedepunktserhòhungen aus Aenderungen des Druckes und 
der Siedetemperatur. Erlangen, 1894; 8°. 

Ganz (0.). Ein Fiitterungsversuch mit C. Paal’schem Glutinpepton. Erlangen, 
1894; 8°. 

Girtner (C.). Beobachtungen iber die physiologische Wirkung eines neuen 
Pfeilgiftes, dessen sich die Negritos auf der Insel Luzon (Philippen) 
bedienen. Erlangen, 1895; 8°. n 

Gatermann (H.). Kritische Studien iber den Nachweis und die Bestimmung 
der Borsiure. Miinster, 1892; 8°. 

Giebe (P.). Uebersicht der Mineralien des Fichtelgebirgs und der angren- 
zenden frinkischen Gebiete. Cassel, 1895; 8°. 

Gissler (M.). Ueber Geburt compliziert mit Cervixcarcinom. Pforzheim, 
1895; 8°. 

‘Glasser (H.). Ueber die Pridisposition des Alters fiir Krebs im Anschluss 
an einen Fall von Mastdarmearcinom bei einem 23 jihr. Mann. Erlangen, 
1895; 8°. 

Goetze (B.). Untersuchung von Oximstickstoffithern und deren Umlagerung. 
Erlangen, 1894; 8°. 

Grassmiiller (L.). Ueber die Petrefacten Nordbayerns vom Cambrium bis 
zum Keuper in der geologischen Sammlung der Universitàt Erlangen. 
Erlangen, 1894; 8°. 

Gross (R.). Ueber die nach Influenza beobachteten Lihmungserscheinungen. 
Erlangen, 1894; 8°. 

Gundlach (J.). Ueber die Verwendung von Hihnereiweiss zu Nahrbòden 
fiir bacteriologische Untersuchungen. Erlangen, 1894; 8°. 

Haberkant (H.). Die Erfolge der Resectio pylori. Berlin, 1895; 8°. 

Hartleb (R.). Versuche iber Ernihrung griiner Pflanzen mit Methylalkohol, 
Weinsiure, Aepfelsàure und Citronensàure. Miinchen, 1895; 8°. 

Hasenmayer (M.). Ein Fall von Papillom der Harnblase mit einseitiger 
Hydronephrose. Pforzheim, 1895; 8°. 

Heinze (H.). Beitrag zur Kenntniss der Dextrine. Erlangen, 1895; 8°. 

Hering (F.). Drei Fille von Atrophie und ein Fall von Atrophie verbynden 
mit Entwicklungshemmung einer Extremitit nach Trauma. Wiirzburg, 
1895; 8°. 

Hetzel (K.). Ein Fall von Melanosarcom der Leber. Erlangen, 1894; 8°. 

Hintze (G.). Klinische Beitrige zur Kenntnis der tonischen Krampfformen. 
Erlangen, 1894; 8°. 

Hof (H.). Beitrige zur Beurtheilung von Moleculargewichts-Bestimmungen 
in Lòsungen. Erlangen, 1895; 8°. 

Hofmann (J.). Beitràge zur Kenntnis der Eisen- und Mangansaccharate 


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128 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


sowie zur Charakteristik der Verbindungen mit alkoholischen Hydroxyle. 
Erlangen, 1894; 8°. 

Kalle (W.). Ueber die Umwandlung von Naphtalinderivaten in 0-Oxy-0-To- 
luylsiure und in p-Oxy-o-Toluylstiure und tiber einige Derivate dieser 
Saàauren. Erlangen, 1895; 8°. i 

Kasparbauer (A.). Ueber Arthritis urica und Schrumpfniere im Zusammen- 
hang mit chronischer Bleiintoxication. Viechtach, 1893; 8°. 

Kerler (A.). Molekulargewichtsbestimmungen von Salzen in Methyl- und 
Aethylalkohol nach der Siedemethode neben Bestimmungen der moleku- 
laren Leitfàhigkeit derselben Salze in obigen Lòsungsmitteln und in 
Wasser. Erlangen, 1894; 8°. 

Kipp (H.). Die Basalte des Reichsforst. Erlangen, 1895; 8°. 

Kirchner (G.). Der Schîdele des Hylobates concolor, sein Variationskreis 
und Zahnbau. Berlin, 1895; 8°. 

Koch (E.). Ueber die systematische Bedeutung der anatomischen Charaktere 
der Scrophulariaceen. Frankenthal, 1895; 8°. 

Kéòhler (R.). Zwei Fille von Cysticercus cellulosae im IV Ventrikel. Erlangen, 
1893; 8°. 

Kretschmer (F.). I Zur Kenntnis der untersalpetrigen Siure. II Ueber 
einige Derivate der Amidosulfonsiiure. Erlangen, 1895; 8°. 

Kiihns (C.). Untersuchungen tber die chemische Zusammensetzung der harten 
Zahnsubstanzen des Menschen in verschiedenen Altersstufen. Leipzig, 
1895; 8°. 

Kiimnemann (0.). Ueber die Morphologie des Kleinhirnes bei Siugetieren. 
Berlin; 8°. 

Lihr (M. FE.) Ein Fall seltener Missbildung. Neuwied, 1895; 8°. 

Lakemeyer (W.). Zur Kenntnis der substituierten Oxime des Benzils und 
der Phenylsulfoderivate der Benziloxime. Erlangen, 1894; 8°. 

Lauterwein (C.). Beitrag zur Kenntnis der Hydroxylaminderivate des 
a-Naphtylphenylketons. Erlangen, 1895; 8°. a 

Lax (E.). Ein Beitrag zur Lehre von der Haematomyelie unter spezieller 
Berticksichtigung eines von mir im Jahre 1894/95 beobachteten Krank- 
heitsfalles. Zirndorf, 1895; 8°. 

Lewinski (L.). Ueber den Zuckergehalt der vorwiegend zur Brodfabrikation 
verwendeten Mehle sowie der aus ihnen dargestellten Backwaren mit 
besonderer Beriicksichtigung derselben fir ihre Auswahl beim Diabetes 
mellitus. Erlangen, 1895; 8°. 

_ Lichter (Ph.). Beitrag zur Statistik der Chloroform-Narcosen. Berlin, 1894; 8°. 

Lindner (M.). Ueber die Einwirkung von Chlor auf Dimethylkohlensàureester 
und Untersuchung von vier Chlorsubstitutionsproducten desselben. 
Heidelberg, 1894; 8°. 

Lissack (A.). Die geognostischen VerhAltnisse der Umgegend von Kalchreuth 
und Eschenau bei Erlangen. Berlin, 1894; 8°. 

Maerz (A.). Décollement traumatique de la peau et des couches sous-jacentes. 
Erlangen, 1894; 8°. 

Maal (R.). Ueber Sclerotinienbildang in Alnus-Friichten. Dresden, 1894; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 129 


Mayer (H.). Ueber die Einwirkung des Alkohols auf das Blut beim lebenden 
Organismus. Wiirzburg, 1895; 8°. 

Meister (F.). Ueber die Monoxime des Anisils. Erlangen, 1895; 8°. 

Melzer (A.). Ueber die Wirksamkeit des diastatischen und tryptischen 
Fermentes unter verschiedenen Einfliissen. Berlin, 1895; 8°. 

Moch (J.). Ueber den Einfluss von Fisenpriparaten auf die Magenverdauung. 
Niirnberg; 8°. 

Mozdzynski (G.). Ueber das einfache und bimoleculare Aethyliden-as-m- 
Xylidin iiber die Condensationsproducte von zwei Molekel Acetaldehyd 
mit einem Molekel m-Xylidin. Minchen, 1895; 8°. 

Miiller (C.). Ueber den plastischen Ersatz der Schleimhaut durch zussere 
Haut. Schotten, 1895; 8°. 

Naumann (0.). Ueber den Gerbstoff der Pilze. Dresden, 1895; 8°. 

Nemnich (H.). Ueber den anatomischen Bau der Achse und die Entwick- 
lungsgeschichte der Gefàssbiindel bei den Amarantaceen. Erlangen, 
1894; 8°. i 

Neumaier (H.). Zur Kenntnis des Zwergwuchses nebst Beschreibung eines 
neuen Falles von Zwergwuchs beim Menschen. Erlangen, 1894; 8°. 

Neumaun (R.). Ueber die Entwickelungsgeschichte der Aecidien und Sper- 
mogonien der Uredineen. Dresden, 1894; 8°. 

Niirmberger (F.). Ein Fall von beiderseitiger Làhmung der Schulterblatt- 
muskeln im Anschluss an acute Gonorrhée. Erlangen, 1894; 8°. 

Philipp (G.). Ueber die Desinfektion von Wohnràumen durch Formaldehyd. 
Erlangen, 1895; 8°. 

Poller (H.). Ueber a. p-Amidophenyldihydrochinazolin. b. Einige Derivate 
des Bis-o-nitrobenzylhydroxylamins. Zirndorf, 1894; 8°. 

Prosinger (A.). Klinische Beitràge zur Pathologie der Polyarthritis rheu- 
matica acuta und der verwandten Affektionen. Erlangen, 1895; 8°. 
Rabus (H.). Zur Kenntnis der sogenannten Seelenblindheit. Erlangen, 1895; 8°. 
Rauch (F.). Beitrag zur Keimung von Uredineen- und Erysipheen-Sporen 

in verschiedenen Nihrmedien. Gottingen, 1895; 8°. 

Reckleben (H.). Ueber das Allylanilin und einige Derivate desselben und 
Beitrige zur Kenntnis der Azoverbindungen und ibrer Umlagerungs- 
produkte bei der Reduktion. Erlangen, 1893; 8°. 

Roegglen (H.). Ueber Derivate des Benzyl-0-amidobenzylanilins. Hannover, 
1894; 8°. 

Réòss (G.). Beitrige zur Bestimmung von Molekulargròssen. Erlangen, 1894; 8°. 

Roth (J. H.).. Ueber einen Fall von Chondrodystrophia fitalis. Bamberg, 
1894; 8°. 

Ròottger (H.). Zur Kenntnis der Neubildungen an der Dura mater spinalis. 
Erlangen, 1895; 8°. 

Sandel (C.). Ueber Umlagerung des a-Benzilmonoxims. Fiirth, 1894; 8°. 

Sandmann (0.). Ueber Stickstoff-Benzylcuminaldoxim und Stickstoff-Cumi- 
nylbenzaldoxim. Erlangen, 1894; 8°. 

Saulmann (W.). Ueber Athyliden und Propylidenamidoazobenzol und einige 
Abkimmlinge desselben. Miinchen, 1895; 8°. 


130 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Schifer (G.). Einige interessante Mineral-Vorkommen in Braunkohlen- 
gruben der Provinz Sachsen. Saarbriicken, 1895; 8°. 

Scheja (S.). Ueber eine Hernia duodeno-jejunalis. Jena, 1895; 8°. 

Schenek (R.). Botanisch-pharmacognostische Untersuchungen der Qumacaî 
cipòd. Erlangen, 1894; 8°. 

Sehlitt (L.). Ueber Herpes Zoster. Cassel, 1895; 8°. 

Schmid (0.). Statistik der Totalexstirpationen per vag. bei Uteruscarcinom. 
(1887-1893). Erlangen, 1894; 8°. 

Schmidt (A.). Beobachtungen iiber das Vorkommen von Gesteinen und 
Mineralien in der Centralgruppe des Fichtelgebirges nebst einem Ver- 
zeichnisse der dort auftretenden Mineralien und deren Fundstàtten. 
Nirnberg, 1895; 8°. 

Schmidt (H.). Beitrige zur Kenntnis des o-Amidodiphenylmethans. Erlangen, 
1895; 8°. 

Schònbrod (K.). Ueber den gegenw?irtigen Stand der Beurteilung der eosi- 
nophilen Zellen im Blute und im Sputum. Miinchen, 1895; 8°. 

Schreiber (W.). Ueber einige Derivate des Anthranils. Karlsruhe, 1895; 8°. 

Schaulze (C.). Ueber den anatomischen Bau des Blattes und der Achse in 
der Familie der Phytolaccaceen und deren Bedeutung fur die Systematik. 
Danzig, 1895; 8°. 

Schwalm (J.). Ueber Derivate des Fenchons. Gòttingen, 1895; 8°. 

Schwarzhaupt (0.). Ueber einige synthetische Versuche mit 0-Amidobenzyl- 
alkohol. Erlangen, 1894; 8°. 

Sechwiesau (F.). Beitrag zur Einwirkung von Phenylisocyanat auf substi- 
tuierte Stickstoffàther. Erlangen, 1894; 8°. 

Senninger (H.). Ueber Derivate des o-Amidobenzylalkohols und o-Oxyben- 
zylalkohols. Erlangen, 1894; 8°. 

Sonntag (G.). Ueber einige neue Morphinderivate. Gottingen, 1895; 8°. 

Spicker (L.). Ein Beitrag zur Aetiologie und Therapie der Haematocele 
retro-uterina. Elbing, 1894; 8°. 

Springer (H.). Beitrag zur den Reaktionen der Saurechloride. Erlangen, 
1894; 8°. 

Staa (E. von). Ueber ein in die Scheide eingewachsenes Pessar und ein in 
die Scheide geborenes und mit derselben verlòthetes Uterusmyom.' 
Rubrort, 1895; 8°. 

Steffens (P.). Die Amputation bei Extremitàtentuberkulose. Freiburg I. B., 
1894; 8°. 

Thiesing (H.). Zur Kenntnis des Methylendibenzamids und seiner Homologen. 
Augsburg, 1894; 8°. 

Trilling (H.). Beitràge zur Praxis der Siedepunktsmethode Bestimmungen 
in Amylalkohol, sowie Versuche zur Abschitzung des Kohlensàurege- 
haltes der Luft. Erlangen, 1895; 8°. 

Vanvolxem (L.). Ueber Isomerieverhiltnisse in der Chinazolinreihe. Ér- 
langen, 1895; 8°. 

Vogtherr (M.). Ueber die Friichte der Randia dumetorum Lam. Berlin, 1894; 8°. 

Wacker (C.). Einwirkung von Phtalylchlorid und Phtalsàureanhydrid auf 
Basen. Erlangen, 1894; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA” 131 


Walte (H.). Ist bei Perityphlitis die Abtragung des processus vermiformis 
nithig oder nicht ? Erlangen, 1895; 8°. 

Weinschenk (P.). Beitrige zur Kenntnis der Amidine. Erlangen, 1894; 8°. 

Wezler (W.). Zur Statistik und Klinik des Erysipelas faciei. Erlangen, 
1895; 8°. 

Winheim (L.). Umlagerung von Stickstoff-Benzylithern der Aldoxime. Er- 
langen, 1894; 8°. 

Wintermantel (0.). Zwei Faelle von primaerem Gehirnsarkom. Viirzburg, 
1894; 8°. 

Wunderlich (J.). Beitrige zur anatomischen Charakteristik der Cirsium- 
Bastarde. Altenburg, 1895; 8°. 

Ziingerle (A.). Ueber Induline und Safranine. Kempten, 1894; 8°. 


* Dall’ Università di Giessen: 


Bayer (J.). Zur Casuistik der Defecte im Septum ventriculorum bei scheinbar 
weiter Lungenarterienbahn und compensatorischer Hypertrophie der 
Lungenarterieniiste. Giessen, 1895; 8°. 

Breslauer (M.). Ueber die Frage der sogenannten dynamischen Hysteresis. 
Berlin, 1895; 8°. 

Bruchhîuser (J. F.).. Ueber Pneumonie im Puerperium. Giessen, 1894; 8°. 

Clasen (F.). Ein Fall von Pneumopericardium nebst einem Beitrag zur 
Pathogenese der Pericarditis. Giessen, 1895; 8°. 

Ebel (L.). Zur Kenntnis amidierter Benzenyl-amido-phenole. Giessen, 1895; 8°. 

Emrich (E.). Ein Fall von tidtlicher Haemoglobinurie bei einem Neuge- 
borenen. Giessen, 1894; 8°, 

Flatten (W.). Untersuchung tber die Haut des Schweines. Berlin, 1894; 8°. 

Florschiitz (H.). Kritik der Versuche, durch eine bestimmte Diîit der Mutter 
die Gefahren der Beckenenge zu umgehen. Wiesbaden, 1895. 

Garth (W.). Zwei Falle von Hermaphroditismus verus bei Schweinen. Beitrag 
zur Lehre von der Zwitterbildung bei Siìugethieren. Giessen, 1894; 8°. 

Gengnagel (F.). Beitrag zu den Schussverletzungen des Auges. Giessen, 
1894; 8°. 

Groskurth (E.). Ueber die Embolie der Arteria Meseraica superior. Giessen, 
1895; 8°. 

Haag (G.). Ueber den Finfluss von subconjunctivalen Sublimatinjectionen 
auf Erkrankungen des Auges. Giessen, 1894; 8°. 

Heubel (H.). Ueber ein mit dent Ductus wirsungianus communicirendes 
Tractionsdivertikel des Magens. Leipzig, 1895; 8°. 

Hof (J.). Mikroscopische Untersuchung einiger Eruptivgesteine von den 
canarischen Inseln. Giessen, 1894; 8°. 

Hofmann (A.). Sechs Fille von wiederholter Laparatomie bei derselben 
Person. Giessen, 1894; 8°. 

Hiinten (J.). Die operative Behandlung der gynaekologischen Beckenexsu- 
date. Saargemiind, 1891. 


132 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Ilig (W.). Die Myome des Oesophagus. Giessen, 1894; 8°. 

Kayser (J... Ueber die Beziehungen der Thymus zum plotzlichen Tod. 
Giessen, 1895; 8°. 

Kissner (A.). Ueber die Strictur der Pulmonalarterieniiste. Giessen, 1895; 8°. 

Klett (R.). Beitràge zur Morphologie des Milzbrandbacillus. Karlsruhe, 1894; 8°. 

Krug (A.). Ueber die Einwirkung des Phosgens aus monoacgylierte primire 
Amine. Berlin, 1894; 8°. 

Lahr (F.). Ueber den Blutsturz nach der Tracheotomie. Giessen, 1894; 8°. 

Lungershausen (H.). Ueber Hypotrichosis localis cystica. Leipzig, 1894; 8°. 

Marks (P.). Untersuchung iber die Entwicklung der Haut insbesondere 
der Haar- und Driisenanlagen bei den Haussiiugetieren. Berlin, 1895; 8°. 

Meyerhoff (J.).. Ueber Krebs und Tuberculose der Speisershre. Giessen, 
1894; 8°. 

Noll (K.). Thermoelectricitàt chemisch reiner Metalle. Leipzig, 1894; 8°. 

Oss (S. L. van). Die Bewegungsgruppen der Regelmissigen Gebilde von 
vier Dimensionen. Utrecht, 1894; 8°. 

Pfannmiiller (F.). Beitrag zu den Colobomen des Auges. Giessen, 1894; 8°. 

Pfeiffer (0.). Untersuchungen iiber die Lage, Ausdehnung und Figenschaften 
des cerebralen regulatorischen Herznervencentrums. Darmstadt, 1894; 8°, 

Raiser (K. Ph. Th.). Beitràge zur Kenntniss der Darmbewegungen. Worms 
a. Rh.; 1895; 8°. 

Reinewald (Th.). Zur Casuistik der Blitzschlagverletzungen des Auges. 
Giessen, 1895; 8°. 

Rosenbaum (E.). Zur Casuistik der angeborenen Halskiemenfisteln des 
Menschen. Giessen, 1895; 8°. 

Rumpf (H.). Ueber die Zuckergussleber. Leipzig, 1895; 8°. 

Schiffer (F.). Ein Fall von Sarkom der Thriînendriise. Giessen, 1895; 8°... 

Schaub (P.). Ueber das primire Extremititencarcinom. Giessen, 1894; 8°. 

Scheibel (A.). Der Bau der Tinia magna Abildgaard (Tinia plicata Zeder.). 
Frankfurt a. M., 1895; 8°. 

Schmidt (E.). Ueber die Verletzungen des Auges mit besonderer Beriick- 
sichtigung der Kuhhornverletzungen. Giessen, 1895; 8°. 


Schénberg (A.). Ueber elektrolytische Zersetzung quaternirer Ammonium- : 


jodide. Berlin, 1895; 8°. 

Schònherr (0.). Studien iber die Bildung von Ueberschwefelsiure. Halle a. $., 
1895; 8°. 

Schulz (K.). Das elastische Gewebe des Periosts und der Knochen. Wies- 
baden, 1895; 8°. 

Seipp (L.). Das elastische Gewebe des Herzens. Wiesbaden, 1895; 8°. 

Sell (F.). Ein Fall von jauchig-eitriger Pleuritis nach Perforation eines 
Tractionsdivertikels des Oesophagus. Giessen, 1895; 8°. 

Textor (C.). Ein Fall von Lungengangrin im Anschluss an ein Tractions- 
divertikel der Speiserohre. Giessen, 1894; 8°. 

Walther (H.). Beitrige zur Kenntnis des trichterformig engen Beckens. 
Giessen, 1894; 8°. 

Wentzel (E.). Ueber die Bildung von Azokòrpern vermittelst der drei iso- 
meren Diazobenzoésiuren. Berlin, 1895; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 133 


Wetzel (H.). Zur Casuistik der Teratome des Halses. Wetzlar, 1895; 8°. 

Wickmann (H.). Die Entstehung der Farbung der Vogeleier. Miinster, 
1893; 8°. 

Wieber (G.). Zur Casuistik der Darmdivertikel und persistirenden Dotter- 
gefiisse als Ursache von Darmincarcerationen. Giessen, 1894; 8°. 


* Dall Università di Heidelberg : 


Barthels (Ph.). Beitrag zur Histologie des Oesophagus der Vigel. Leipzig, 
1895; 8°. 

Beger (C.). Anwendung der Friedel-Crafts’schen Reaktion auf Triophenol- 
îther. Heidelberg, 1895; 8°. 

Benfey (H.). Ueber die Esterbildung aromatischer Siuren. Heidelberg, 
1895; 8°. 

Best (F.). Korektopie. Leipzig, 1894; 8°. 

Bettmann (S.).. Ueber die Beeinflussung einfacher psychischer Vorgiinge 
durch kérperliche und geistige Arbeit. Leipzig, 1894; 8°. 

Biedermann (R.). Zur Kenntnis der m-Diketo-hexamethylene. Heidelberg, 
1895; 8°. 

Braden (P.). Bromithyl- und Bromòthyl-Aethernarkosen. Jena, 1894; 8°. 

Bredt (T. V.). I. Beitrîge zur Kenntnis der Ketopentamethylendicarbon- 
sure und der bciden stereoisomeren Butantetracarbonsàuren. II. Ueber 
isomere Dithienyle. Heidelberg, 1895; 8°. 

Clayton (G. C.). Ueber die Synthese der Dihydroglyoxaline. Heidelberg, . 
1894; 8°. 

Friedrichs (F.). Beitrige zur electrolytischen Reduction aromatischer Ni- 
trokòrper. Heidelberg, 1895; 8°. 

Goldsehmidt (F.). Ueber die Einwirkung aromatischer Sulfochloride auf 
Kohlenwasserstoffe und Phenolaether. Berlin, 1894; 8°. 

Grahl (A.). Ueber jodierte und jodosierte Isophtalsiiuren und p-Jod-m-To- 
luylsiure. Berlin, 1894; 8°. 

Grohmann (C. J.).. Ueber Deglutitionshindernisse bei hochgradiger Kypho- 
scoliose. Heidelberg, 1895; 8°. 

Gross (0.). Ueber die Trepanation des sg bei traumatischer Epilepsie. 
Frankfurt a. M., 1895; 8°. 

Grosse(R.). Ueber Reduktionsprodukte des p-Brom- und p-Methyl-Azobenzols. 
Heidelberg, 1895; 8°. 

Haller (B.). Betrachtungen iiber die Nieren von Oncidium celticum, Cuvier. 
Heidelberg, 1894; 8°. 

Harris (W.). I. Ueber den Molekularzustand des Calomeldampfes. II. Ueber 
die Dampfdichte des Quecksilberchlorides und des Phosphortrichlorides 
bei Temperaturen iiber 1000° C. Heidelberg, 1894; 8°. 

Haymann (K.). Ueber das Verhalten der Natriumsalze von Phenolen gegen 
Mono- und Dichloressigester. Heidelberg, 1895; 8°. 

Heddaeus (A.). Beitrige zur Pathologie und Chirurgie der Gallenblasen- 
Geschwiilste. Tiibingen, 1894; 8°. 


134 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Hedderich (L.). Ueber Leberatrophie bei acuter Phosphorvergiftung. Miin- 
chen, 1895; 8°. 

Heeren (F.). Beitràge zur Kenntnis der 1, 5-Diketone. Hannover, 1894; 8°. 

Heidenreich (A.). Ueber Indoxazene. Breslau, 1895; 8°. 

Heidrich (H.). Beitràge zur Kenntnis der 1-5-Diketone. Heidelberg, 1895; 8°. 

Helbing (Ed.). Ueber das Rhinhàmatom. Heidelberg, 1895; 8°. 

Heyder (F.). Ueber die elektrolytische Reduktion aromatischer Nitrokéòrper. 
Heidelberg, 1895; 8°. 

Heyl (G.). Ueber die elektrolytische Reduktion von Nitrokòrpern der Chi- 
nolinreihe. Heidelberg, 1894; 8°. 

Hugershoff (A.). Ueber die Einwirkung von Schwefelkohlenstoff auf einige 
Hydrazoverbindungen, sowie iber einige Schwefelkohlenstoff-Derivate 
des p-Phenetidins. Hannover, 1894; 8°. 

Jacob (A.). Ueber zwei stereochemisch isomere Butantetracarbonsiuren 
und Derivate derselben. Heidelberg, 1894; 8°. 

Imhiaser (A.). I. Beitrige zur Kenntnis aliphatischer Stiuren. II. Ueber 
einige Synthesen von Polycarbonsiuren. Heidelberg, 1895; 8°. 

Kimmel (A.). Zur Aetiologie des Scheiden-Gebàrmuttervorfalls. Heidelberg, 
1895; 8°. 

Kinscherf (F.). Farbungsversuche an Sporen mit Hilfe der Maceration. 
Heidelberg, 1894; 8°. 

Kirpal (A.). I Zur Kenntnis der ersten Reductionsproducte von Nitrokòrpern 
durch Zinnchloriir. II. Ueber die Fliichtigkeit von Metallsalzen. Zurich, 
1894; 8°. 

Lamb (T. Ch.). Die Schmelzpunkte anorganischer Salze. Heidelberg, 1895; 8°. 

Lilienthal (W.). Bedeutung des Hackfruchtbaus namentlich des Zuckerrii- 
benbaus fiir die Steigerung der Getreide- und Viehproduktion in 
Deutschland. Jena, 1895; 8°. 

Linck (L.). Beitriìge zur Kenntniss der 1, 5-Diketone. Berlin, 1895; 8°. 

Lobstein (E.). Zur Casuistik des Gallenstein-Ileus.Tibingen, 1895; 8°. 

Lyons (R. Ed.). Ueber die Phenylverbindungen von Schwefel, Selen und 
Tellur. Heidelberg, 1894; 8°. 

Meyer (F.). Untersuchungen iiber Aether der Dioxyazobenzole, nebst einigen 
Versuchen iber die Schwefelkohlenstoffderivate der drei isomeren Phe- 
netidine. Heidelberg, 1895; 8°. 

Mohr (W.). Ein Beitrag zur Casuistik der Rhinitis crouposa. Zweibriicken, 
1895; 8°. 

Neufeld (F.). Beitrige zur Kasuistik der angeborenen Schidelgeschwiilste. 
Tiibingen, 1895; 8°. 

Neuhaus (E.). Ueber intranasale Synechien. Heidelberg, 1894; 8°, 

Neurath (F.). Synthese campherartiger Verbindungen. Berlin, 1895; 8°. 

Ortmann (A.). Beitrige zur Kenntnis der 1:5-Diketone. Heidelberg, 1895; 8° 

Paweck (H.). Ueber Condensationen von Malonsiureester mit Aldehyden. 
Heidelberg, 1895; 8°. 

Piepenbrink (P.). I. Beitrag zur Kenntnis der Behenoxyl]siure. II. Ueber 
die Reduktion von meta-Toluolazo-p-Kresetol und para-Toluolazo-p-kre- 
setol. Heidelberg, 1895; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 135 


Raum (W.). I. Ueber die andauernde Einwirkurg mîissiger Erhitzung auf 
Knallgas. II. Ueber eine neue Klasse cyklischer Jodverbindungen der 
Jodosogruppe aus Jodphenylessigsiure. Heidelberg, 1895; 8°. 

Recklinghausen (M. von). I. Ueber das neue Quecksilberthermometer fiir 
Temperaturen bis 550° C. — II. Methoden und Apparate zur Verfol- 
gung von Gasreaktionen bei gewòhnlicher Temperatur durch Beobach- 
tung der Voluminderungen. Heidelberg, 1895; 8°. 

Riddle (W.). Ueber die Schmelzpunkte anorganischer Salze. Heidelberg, 
1895; 8°. 

Roemheld (L.). Ueber Ursachen und Behandlung der habituellen Friih- und 
Fehlgeburten. Mainz, 1895; 8°. 

Riidt (H.). Ueber die Kondensation aromatischer Alkohole mit Nitrokoh- 
lenwasserstoffen. Heidelberg, 1895; 8°. 

Schmidt (H.). Beitràge zur Kenntnis der 1, 5-Diketone. Hannover, 1894; 8°. 

Sehwalbe (E.). Ueber die Varietiten der menschlichen Arteria mediana in 
ihrer atavistichen Bedeutung. Heidelberg, 1895; 8°. 

Schwan (W.). Ovariotomie bei Graviditàt. Heidelberg, 1895; 8°. 

Stoffregen (0.). Ueber einige Derivate des Phenylindoxazens. Ueber die 
Halogen-Entziehung aromatischer Substanzen. Braunschweig, 1894; 8°. 

Strabe (G.). Ueber congenitale Lage- und Bildungsanomalien der Nieren. 
Berlin, 1894; 8°. ; 

Thiele (P.). Die Klimakreise Deutschlands vom landwirtschaftlichen Gesichts- 
punkte. Leipzig, 1895; 8°. 

Veis (J.). Aneurysma der Carotis interna ohne das Symptom des pulsie- 
renden Exophthalmus. Frankfurt a. M., 1895. 

Weil (M.). Ein Fall von Tabes incipiens. Berlin, 1894; 8°. 

Weiler (M.). I. Ueber das Isodurol. II. Ueber die bei der Darstellung des 
Isodurols entstehenden Nebenprodukte. Heidelberg, 1895; 8°. 

Weinlig (C.). I. Zur Kenntnis der Siliciumverbindungen. II. Elektrolytische 
Reduktion aromatischer Nitrokòrper. Heidelberg, 1894; 8°. 

Werner (R.). Beitrige zur Kenntnis der 1-5-Diketone. Heidelberg, 1894; 8°. 

Wohulich (W.). Ueber das Empyema antri Highmori mit besonderer Be- 
riicksichtigung der bis zum Jahre 1895 in der ambulatorischen Klinik 
fiir Nasen, Rachen- und Kehlkopfkranke des Herrn Prof. Dr. Jurasz in 
Heidelberg beobachteten Fille. Jena, 1895; 8°. 


Dall’ Istituto Tecnico di Karlsruhe: 


Goldstein (J.). Ueber die Darstellung, das Verhalfen und die Constitution 
einiger Amido-, Nitro- und Oxyazofarbstoffe. Mannheim, 1893; 8°. 
Haid (M.). Ueber Gestalt und Bewegung der Erde. Festrede bei dem feier- 
lichen Akte des Direktorats-Wechsels an der Grossh. Badischen Tech- 
nischen Hochschule zu Karlsruhe. 1894; 8°. 

Halperin (J.). Zur Kenntniss der Thrane- und des Walrathòles. Karlsruhe, 
1895; 8°. 


136 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Lektionsplan der Technischen Hochschule zu Karlsruhe fir das Winterse- 
mester 1895/96; fol.°. 

Programm der Grossh. Badischen Technischen Hochschule zu Karlsruhe fiir 
das Studienjahr 1895/96. Karlsruhe, 1895; 8°. 

Spielvogel(M.). Ueber einige Nitronaphtonitrile, -Amide und -Siuren, sowie 
tiber die Darstellungen und Nitrirungen von einigen Naphtylaminde- 
rivaten. Karlsruhe, 1895; 8°. 

Zakrzewski (S. von). Ueber 2. 3 Naphtalinderivate. Posen, 1894; 8°. 


* Dall’ Università di Strasburgo: 


Althausse (0.). Ueber erworbene Trachealfisteln. Strassburg, 1893; 8°. 

Beckmann (W.). Ueber die typhusihnlichen Bacterien des Strassburger 
Wasserleitungswassers aus dem Laboratorium der medizinischen Klinik. 
Strassburg, 1894; 8°. 

Belin (C.). Vergleichende Beurtheilung der verschiedenen Schnittmethoden 
und Nachbehandlung bei der Sectio alta. Strassburg i. Els., 1894; 8°. 

Benedikt (M.). Ueber Fremdkérper im Ohr. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Boettcher (H.). Ueber die prognostische Bedeutung der Grosse des Infil- 
trates bei der crupòsen Pneumonie mit besonderer Bertcksichtigung 
des Infiltrationsmaximums. Stuttgart, 1893; 8°. 

Boller (W.). Untersuchungen iber die Bodentemperaturen an den forst- 
lich-meteorologischen Stationen in Elsass-Lothringen. Stuttgart, 1894; 8°. 

Brinkmann (H.). Ueber Nierenentziindung bei Schwangeren. Strassburg i. E., 
1894; 8°. 3 

Bronnert (E.). Ueber die Condensation von ]sovaleraldehyd mit Glutarsàure. 
Strassburg, 1894; 8°. 

Brooke (A.). Ueber Phenyl-Itaconsiure, -Citraconsiure, -Mesaconsàure und 
-Aticonsàure. Strassburg, 1894; 8°. 

Buchheister (A.). Geschichte der Aetiologie der Spondylolisthesis. Strass- 
burg i. E., 1894; 8°. 

Buhecker (A.). Ein Beitrag zur Pathologie und Physiologie der HypophySis 
cerebri. Strassburg i. E., 1893; 8°. 

Cohn (H.). Ueber Cacao als Nahrungsmittel. Strassburg, 1894; 8°. 

Dannenberg (A.). Studien an Finschliissen in den vulcanischen Gesteinen 
des Siebengebirges. Wien, 1894; 8°. 

Day (A. W.). Zur Constitution imidierter Abkòmmlinge der o-Phtalsàure. 
Strassburg, 1895; 8°. 

Dreyfus (R.). Ueber die Schwankungen in der Virulenz des Bacterium coli 
commune. Gebweiler, 1894; 8°, 

Dreyfuss (J.). Ueber das vorkommen von Cellulose in Bacillen, Schimmel- 
und anderen Pilzen. Strassburg, 1893; 8°. 

Ehret (H.). Ueber die Localisationen der Diphtherie im Anschluss an einen 
Fall von diphtherischer Laryngo-tracheitis. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Erichson (G. A.). Beitrag zur Pathologie der Hernia funicularis congenita. 
Strassburg, 1893; 8°. 


Msn 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 19° 


Extermann (E.). Ueber Castration bei Myomen. Strassburg i. E., 1893; 8°. 

Fiehter (F.). Ueber Propyl-Itaconsiure, -Citraconsiiure und -Mesaconsiure. 
Strassburg, 1894; 8°. 

Fischer (Ch.). Ueber die quantitative Bestimmung des Glycocolls in den 
Zersetzungsproducten der Gelatine. Strassburg, 1894; 8°. 

Frank (Th.). Ueber syphilitische Tumoren der Nase. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Frantz (E.). Beitrag zur Lehre von der Dermatitis herpetiformis. Bisch- 
weiler, 1894; 8°. 

Friedenheim (B.). Ueber eine Geburt bei fotal-rachitischem Zwerghecken. 
Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Fuchs (0.). Beitrag zur Technik und Indicationsstellung der Freund’schen 
Totalexstirpation des Uterus. Breslau, 1894; 8°. 

Georgii (H.). Die Wechselbeziehungen der ceroupisen Pneumonie zu den 
Generationsvorgingen. Tibingen, 1893; 8°. 

Gimurto (N. J.). Ueber Ver:inderungen des Augenhintergrundes bei kranken 
Wéochnerinnen. Strassburg i. E., 1893; 8°. 

Gross (F.). Ueber isolierte, nicht complicierte Luxation des Talus. Landau, 
1894; 8°. 

Gross (H.). Ein Fall von Anus praeternaturalis vaginalis. Strassburg i. E., 
1894; 8°. 

Gugenheim (J.).. Ueber puerperale Eklampsie. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Haerter (F. F.). Ueber einseitige Vaginalatresie bei doppietta dept 
Genitalkanal. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Hausmann (F.). Ueber Genu varum adolescentium im Anschluss an einen 
infolge von Rachitis tarda entstandenen Fall. Strassburg i. E., 1893; 8°. 

Hensler (0. H.). Die heutigen Dammschutzverfahren im Anschluss an die 
aetiologischen Momente der Dammrisse. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Hoeffken (W. D.). Ueber die Darstellung und das Verhalten der Hexgylita- 
Citra- und -Mesaconsiure. Strassburg, 1893; 8°. 

Holtzmann (H.). Die Entstehung der congenitalen Luxationen der Hiifte 
und des Knies und die Umbildung der luxirten Gelenktheile. Berlin, 
1895; 8°. 

Jaup (Ad.).. Ein Beitrag zur Casuistik und Prognose der perforierenden 
Skleralwunden. Freiburg i. B., 1893; 8°. 

Jebens (R.). Ueber papillomatise Tumoren in den ableitenden Harnwegen. 
Berlin, 1894; 8°. 

Jouck (P.). Ueber die verschiedenen Methoden der Schieloperation. Strass- 
burg i. E., 1894; 8°. 

Kliihn (G.). Hydrographische Studien im Sundgauer Hiigellande. Strassburg, 
1893; 8°, 

Kleefeld (M.). Ueber die bei Punktion, Operation und Section der Gallen- 
blase constatirten pathologischen Veriinderungen des Inhalts derselben 
und die daraus resultirenden diagnostischen Momente. Strassburg i. E., 
1894; 8°. 

Klingenberg (W.). Ueber die klinische Bedeutung des Digitalinum verum. 
Strassburg i. E., 1893; 8°. 


138 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Knox (W. F.). Ueber das Leitungs-Vermògen wiissriger Loòsungen der 
Kohlensiure. Strassburg i. E., 1894; 8°. 
Krall (W.). Ueber einen Fall von myxomatésen Hypertrophieen der Decidua. 

Strassburg i. E., 1895; 8°. 

Kriiutle (R.). Ueber Augenerkrankungen bei tabes dorsalis. Strassburg i. E., 
1894; 8°. 

Kuhlmann (C.). Hysterie und Frauenkrankheiten. Strassburg, 1894; 8°. 

Laas (R.). Ueber den Einfluss der Fette auf die Ausniitzung der Eiweissstoffe. 
Strassburg, 1894; 8°. 

Lehmann (M.). Beitrag zur Pathologie des Processus vermiformis. Strass- 
burg i. E., 1895; 8°. 

Levinger (F.). Ueber Dickdarmperforation im Typhus Abdominalis unter 
Mitteilung eines in der med. Klinik des Herrn Prof. Dr. Naunyn zu 
Strassburg beobachteten Falles. Strassburg i. E., 1893; 8°. 

Levy (H.). Ueber die Verbiegungen der Nasenscheidewand. Zabern, 1894; 8°. 

Levy (M.). Chemische Untersuchungen iiber osteomalacische Knochen. 
Strassburg, 1894; 8°. 

Levy (M.). Ueber rechtsseitige Stimmbandlihmung bei Aortenaneurysmen. 
Strassburg i. E., 1895; 8°. 

Lindegger (G.). Ein Fall von Nephrectomie einer multiloculiren Cysten- 
niere. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Lobstein (K.). Ueber multiple Eitermetastasen in den Muskeln bei puer- 
peraler Pyàmie. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Lilbbesmeyer (A.). Ueber Therapie und Prognose bei Parametritis chro- 
nica atrophicans. Strassburg i. E., 1893; 8°. 

Lucas (H.), Ueber epileptische Anfàlle bei Arteriosklerose. Strassburg i. E., 
1894; 8°. 

Luce (H.). Ueber die fiir die operative Behandlung der Pyosalpinx maass- 
gebenden Gesichtspunkte nebst casuistischen Beitrigen. Strassburg 1. E., 
1893; 8°. 

Luxenburger (H.). Ein Fall von Hernia inguino-properitonealis mit rechts- 
seitigem Kryptorchismus. Strassburg i. E., 1893; 8°. 

Mac Gregory (A. C.). Beobachtungen iiber die elektrische Leitfàhigkeit 
von Salzen. Strassburg, 1893; 8°. 

Mackenzie (J. Ed.) Ueber die aR- und fy-Pentensàure. Strassburg i. E., 
1894; 8°. 

Marzolf (G.). Ueber Kieferklemme. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Maurer (H.). Graphische Tafeln fir meteorologische und physikalische 
Zwecke. Theorie und Anwendungen. Altona, 1894; 4° 

Meer (A. von). Ueber die Beziehungen von Augenerkrankungen zu Affec- 
tionen der weiblichen Genitalien. Strassburg i. E., 1895; 8°. 

Mettenheimer (H.). Ein Beitrag zur topographischen Anatomie der Brust-, 
Bauch- und Beckenhòhle des neugeborenen Kindes. Jena, 1893; 8°. 

Mischlich (Ph.). Ueber Thrombose des Sinus transversus nach Mittelohrei- 
terungen und ihre chirurgische Behandlung. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Moch (H.). Die Nasenrachenpolypen und ihre operative Behandlung. Strass- 
burg, 1893; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 139 


Myers (J. E.). Ueber das Silber-Voltameter und ueber das Faraday'sche 
Gesetz bei Stròmen von Reibungselectricitàt. Strassburg i. E., 1895; 8°. 

Nahm (J.). Aetiologie und Genese der Ruptura perinei centralis. Strass- 
burg i. E., 1895; 8°. 

Nenffer (F.). Ueber den Einfluss der Hereditiàt und der Consanguinitàt der 
Eltern in der Aetiologie der Retinitis pigmentosa. Strassburg i. E., 
1893; 8°. 

Neumark (A.). Ueber Misch- und Sekundirinfektionen bei Typhus abdomi- 
nalis. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Néòldeke (B.). Die Metamorphose des Sisswasserschwammes. Jena, 1894; 8°. 

Oppenheimer (R.). Zur Lehre von der “physiol. Bedeutung der Querstrei- 
fung des Muskelgewebes. Mannheim, 1894; 8°. 

Ott (E.). Ueber Metastasenbildung und maligne Degeneration bei Ovarial- 
kystomen. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Perrin (H.). Ueber Gebromte Phenylvaleriansàuren. Rixheim, 1894; 8°. 

Picard (H.). Die Lumbalpunction des Duralsackes. Strassburg i. E., 1895; 8°. 

Régnier (L. H.). Operative Behandlung der Myome des Uterus durch die 
Laparotomie. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Resch (F.). Die Verinderungen der Kérperschleimhaut bei Carcinom der 
Portio und der Cervix. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Rohmer (B.). Untersuchungen iber die Wirkung des Trionals. Strassburg 
d0.,1894;,.80. 

Roos (J.). Ueber Kochsalzinfusion bei acuter Anfmie. Strassburg i. E., 
1894; 8°. 

Roth (K.). Zur bacteriologischen und klinischen Diagnose und Therapie der 
Diphtherie. Leipzig, 1894; 8°. 

Sawall (0.). Ein Beitrag zur Laparatomie bei acuter diffuser Peritonitis. 
Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Schlesinger (E.).. Ueber die Nachbehandlung der Amputationen. Strass- 
burg i. E., 1893; 8°. 

Schloemann (R.). Beitrag zur Lehre von der Pityriasis rubra pilaris De- 
vergie. Strassburg i. E., 1895; 8°. 

Schreher (G.). Ueber die Complikation von Uterusmyom mit sekundirer 
sarkomatòser Degeneration. Jena, 1894; 8°. 

Seelig (A.). Pathologisch-anatomische Untersuchungen iiber die Ausbrei- 
tungswege des Gebirmutterkrebses. Strassburg i. E., 1894; 8°, 

Servé (M.). Die Ptosis und ihre chirurgische Behandlung. Strassburg i. E., 
1894; 8°. 

Sigmundt (R.). Ueber Porencephalie mit besonderer Beriicksichtigung der 
klinischen Symptome. Strassburg i. E., 1893; 8°, 

Silberstein (A.). Ueber die Oxydation der BY- und der aB- Isoheptensinre 
mit Kaliumpermanganat. Strassburg, 1894; 8°. 

Socin (C. A.). Wie verhalten sich Diabetiker Liivulose und Milchzuckerzu- 
fuhr gegentber? Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Spenzer (J. G.). Ueber das Verhalten der Allylmalonsiure, Allylessigsiure 
und Aethylidenpropionsiure beim Kochen mit Natronlauge. Beitri,ge 
zur Kenntniss der Propylidenessigsiure. Strassburg i. E., 1893; 8°. 


140 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Steiner (P.). Ueber die Absorption des Wasserstoffs im Wasser und in 
wasserigen Lòsungen. Leipzig, 1894; 8°. 

Stern (J.). Ueber Chorea Minor bei Erwachsenen mit letalem Ausgang. 
Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Strauss (L.). Ein Beitrag zur Kenntnis der Fettresorption im Diabetes 
mellitus. Strassburg, 1893; 8°. 

Suren (G.). Von der Anwendung der Tarnier’schen Achsenzugzange mit 
besonderer Beriicksichtigung der Lagerung der Kreissenden. Strassburg 
i. E., 1894; 8°. 

Timerding (E.). Ueber die Kugeln welche eine cubische Raumcurve Mehr- 
fach oder Mehrpunktig berihrten. Strassburg, 1894; 8°. 

Urhy (Ed.). Beitrag zur Casuistik der Blaugelbblindheit. Saargemiind, 1894; 8°. 
Ury (J.). Ueber die Schwankungen des Bacterium coli commune in mor- 
phologischer und cultureller Beziehung. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Vilmar (P.). Ueber Carcinoma corporis uteri. Cassel, 1894; 8°. 

Wellstein (J.). Ueber das Lindemannsche Uebertragungsprincip. Strassburg 
i. E., 1894; 8°. 

Welvert (Th.). Casuistischer Beitrag zur der Lehre von der Hautatrophie 
im speziellen der idiopatischen. Strassburg i. E., 1893; 8°. 

Wendt (H.). Ueber einen Fall von Vorderscheitelbeineinstellung bedingt 
durch einseitige Struma congenita. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Wertheimer (J.). Vorkommen, Symptomalogie und Prognose des jugendli- 
chen Glaucom. Kaiserslautern, 1893; 8°. 

Wolff (Ad.). Ueber die Isopropylglutolactonsîiure. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Zenetti (P.). Das Leitungssystem im Stamm von Osmunda regalis L. und 
dessen Uebergang in den Blattstiel. Leipzig, 1895; 4°. 


Aguilera (J. G.) y Urdofiez (E.). Expedicion Cientifica al Popocatepel. 
Mexico, 1895; 8° (dalla Commissione Geologica Messicana). 

** Baillen (H.). Histoire des Plantes. Monographie de Pandanacées, Cyclan- 
thacées et Aracées. Paris, 1895; 8°. 

Bombicci (L.). Descrizione degli esemplari di Solfo nativo cristallizzato 
delle Solfare di Romagna. Bologna, 1895; 4° (dall’A.). 

Cantor (M.). Vorlesungen iber Geschichte der Mathematik. Leipzig, 1896; 
8° (Zd.). 

** Cayley (A.) The collected mathematical Papers. Vol. VIII. Cambridge, 
1895; 4°. 

Cobelli (G. de). Alcune lettere inedite dirette a Giovanni Antonio Scopoli. 
Rovereto, 1895 (dall’A.). 

De Agostini (G.). Le torbiere dell’anfiteatro morenico d'Ivrea. Firenze, 
1895; 8° (Id.). 

De Amicis (G. A.). I foraminiferi del pliocene inferiore di Bonfornello 
presso Termini-Imerese in Sicilia. Palermo, 1895; 8° (I4.). 

De Boer (F.). Transformatie van elliptische functien, bijzondere elliptische 
functien en modulairfunctien (24 Novembre 1894); 8° (Id.). 


SRI) 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 141 


Dubois (A.). Faune des vertébrés de la Belgique. T. I et JI (1876-1894). 
Bruxelles, 1887-94; 8° (dall’A.). 

Fresenius (C. R.). Anleitung zur qualitativen chemischen Analyse (Sech- 
zehnte neu bearbeitete und verbesserte Auflage). Braunschweig, 11895; 
8° (Id.). 

‘Gibelli (G.) e Ferrero (F.). Ricerche di anatomia e morfologia intorno allo 
sviluppo del fiore e del frutto della Trapa Natans. Genova, 1895; 8° 
(dagli A.). 

Guecia (G.-B.). Sur une expression du genre des courbes gauches algébriques 
douées de singularités quelconques. Paris, 1895: 8° (dall'A.). 

— Sur une question concernant les points singuliers des courbes gauches 
algébriques. Paris, 1895; 4° (/d.). 

Haeckel (E.). Systematische Phylogenie der Wirbelthiere (Vertebrata). 
Dritter Theil. Berlin, 1895; 8" (Z4.). 

Harlé (Ed.). Daim quaternaire de Bagnères-de-Bigorre (Hautes-Pyrénées). 
Paris, 1885; 8° (Z4.). 

Helmholtz (H. von). Handbuch der physiologischen Optik. Zweite Auflage; 
12° Liefo. Hamburg u. Leipzig, 1895; 8° (dall’Editore). 

‘Hering (C. A.). Das Entwickelungsgesetz der Erde und der Erzlagerstàtten. 
Dresden, 1895; 8° (dall’A.). 

* Hodge (F. W.). List of the publications of the Bureau of Ethnology with 
index to authors and subjects. Washington, 1894; 8° (dalla Smithsonian 
Institution. Bureau of Ethnology). 

* Holmes (W. H.). An ancient Quarry in indian territory. Washington, 
1894; 8° (Id.). i 

Huygens (Chr.). Euvres complètes publiées par la Société hollandaise des 
sciences. Tome sixième, Correspondance 1666-1669. La Haye, 1895; 4° 
(dalla Società Olandese delle Scienze di Harlem). 

Janet (Ch.). Études sur les Fourmis, les Guèpes et les Abeilles. Neuvième 
Note. Sur Vespa'crabro L. Histoire d’un nid depuis son origine. —Dixième 
Note. Sur Vespa media, V. silvestris et V. sazonica. — Onzième Note. Sur 
Vespa germanica et V. vulgaris. «Paris, ‘Beauvais, Limoges, ‘1895; .8° 
(dall’A.). 

Kammermann (A.). Résumé météorologique de l'année 1894 pour Genève 
et le Grand Saint-Bernard, Genève, 1895; 8° (I4.). 

— Sur quelques particularités de l’hiver 1894-1895. Genève, 1895; 8°. 

Koelliker (A. von). Zum feineren Baue des Zwischenhirns und der Regio 
hypothalamica. Jena, 1895; 8° (Id.). 

Kuntze (0.). Geogenetische Beitrige. Leipzig, 1895; 8° (Id.). 

Lesska (F.). Integral Aufgaben; fol.° (Id.). 

Leyst (E.). Ueber den Magnetismus der Planeten. St-Petersburg, 1894; 4° (Zd.). 

Luini (B.). Del moto dell’acqua nelle svolte dei fiumi. Milano, 1895; 8° (Z4.). 

Lussana (S.). Sul calore specifico dei gas. Pisa, 1895; 8° (I4.). 

— Anomalia della resistenza elettrica delle soluzioni in corrispondenza alla 
temperatura del massimo di densità. Siena, 1895; 8° (Zd.). 

— Osservazioni sismiche fatte col microsismografo Vicentini nell'’Osserva- 
torio geodinamico di Siena. Siena, 1895; 8° (Zd.). 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 12 


142 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Maggiora (A.) e Levi (C.). Ricerche sopra l’azione fisiologica del fango 
termale d’Acqui. Torino; 8° (dall’A.). 

Minucci (F.). Catalogo descrittivo illustrato del materiale scientifico e sup- 
pellettile tecnica del Gabinetto Chimico della farmacia del manicomio 
di S. Niccolò in Siena. Siena, 1895; 8° (Zd.). 

Mullins (G. L.). Notes on Hydatid Disease in New South Wales. Sydney, 
1895; 4° (Id.). 

Noether (M.). Arthur Cayley. Leipzig, 1895; 8° (Zd.). 

Oudemans (J. A. C.). Die Triangulation von Java ausgefiihrt von Personal 
des geographischen Dienstes in Niederlandisch Ost-Indien; 4° Abth. 
Haag, 1895; 4° (dal Governo Olandese). 

Philippi (R. A.). Plantas nuevas Chilenas. Santiago de Chile, 1893-95; 8° 
(dall’A.). 

Pomba (C.). L’aspect physique de l’Italie, relief è surface convexe. Turin, 
1895; 8° (Id.). 

Riccò (A.). Il Sole. Discorso. Catania, 1895; 8° (Jd.). 

— Fotografie della grande nebulosa di Orione e della minore presso la 
Stella 42 Orionis. Roma, 1895; 8° (Id.). 

— Eclisse di luna del 14-15 settembre 1894, osservato nel R. Osservatorio 
di Catania. Palermo, 1895; 4° (I4d.). 

Rosenbusch (H.). Mikroskopische Physiographie der Mineralien und Gesteine. 
Bd. II. Stuttgart, 1895; 8° (Zd.). 

Schiétz (0. E.). Resultate der im Sommer 1894 in dem siidlichsten Theile 
Norwegens ausgefiihrten Pendelbeobachtungen. Kristiania, 1895 (Die 
norwegische Commission der Europiischen Gradmessung). 

Schiaparelli (G.). Sopra alcune nuove apparenze nel pianeta Venere. Mi- 
lano, 1895; 8° (dall’A.). 

Usiglio (G.). Sui Tumori della Tiroide e loro cura. Trieste, 1895; 8° (I4.). 

** Vinei (Leonardo da). Il Codice Atlantico; fasc. VI. Milano, 1895; f.°. 

Whiteaves (J. F.). Palaeozoic fossils. Vol. III, part II; 8° (dal Geological 
Survey of Canada). 

Zona (T.). Osservazioni sulla latitudine di Catania. Catania, 1895; 8° (dall'A.). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 143 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. 


Dal 1° Luglio al 24 Novembre 1895. 


* Abhandlungen der philologisch.-historischen Classe d. k. Sachsischen 
Gesellschaft der Wissenschaft. Bd. XV, n. 3. Leipzig, 1895; 8°. 

* Abhandlungen der historischen Classe der k. bayerischen Akademie der 
Wissenschaften. Bd. XXI, 1 Abth. Miinchen, 1895; 4°. 

* Accessions-Katalog. 9. Stockholm, 1895; 8° (dall’Accad. R. delle Scienze), 

** Allgemeine Deutsche Biographie. Lief. 193-196. Leipzig, 1895; 8°. 

* Anales de la Universidad (Republica Oriental del Uruguay). Tomo VI, 
Entr. 6*; VII, Entr. 12-3*. Montevideo, 1895; 8°. 

* Annales de la Société d’Archéologie de Bruxelles. T. IX, liv. I-II. 
Bruxelles, 1895; 8°. 

* Annali dell’Università di Perugia. Pubblicazioni periodiche della Facoltà 
di Giurisprudenza. N. s., vol. V, fasc. 1. Perugia, 1895; 8°. 

Annali di Statistica. — Statistica industriale. Fasc. LVII. Notizie sulle 
condizioni industriali della provincia di Siracusa. Roma, 1895; 8° (dal 
Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio). 

Anno (L’) Accademico 1894-95 nella R. Università di Padova — Relazione. 
Padova, 1895; 8° (dalla R. Università). 

* Anuuaire de la Société d’Archéologie de Bruxelles, 1895, tome sixième. 
Bruxelles, 1895; 8°. 

Anuario Estadistico de la ciudad de Buenos-Aires. Aîio IV, 1894. Buenos- 
Aires, 1895; 8°. 

* Archivio storico pugliese. Vol. I, fasc. 1, 2. Bari, 1894-95; 8°. 

* Ateneo Veneto. — Rivista mensile di scienze, lettere ed arti. Serie XIX, 
vol. I, fasc. 4-6. Venezia, 1895; 8°. 

Atti e Rendiconti dell’Accademia di Scienze, Lettere e Arti dei Zelanti di 
Acireale. Nuova serie, vol. VI. Acireale, 1895; 8°. 

* Atti della R. Accademia Lucchese di scienze, lettere ed arti. Tomo XXVIII. 
Lucca, 1895; 8°. 

* Atti della Reale Accademia di Scienze morali e politiche. Reale Società 
di Napoli; vol. 27°, 1894-95. Napoli, 1895; 8°. 


144 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Atti della R. Accademia dei Lincei. Serie V. Classe di Scienze morali, 
storiche e filologiche; vol. I: Memorie. Roma, 1893; 4°. 

* Atti della R. Accademia dei Lincei. Notizie degli scavi: aprile-agosto 
1895. Roma, 1895; 4°. 

* Atti della R. Accademia dei Lincei. Rendiconto dell’Adunanza solenne 
del 9 giugno 1895; 4°. 

* Berichte iber die Verhandlungen der k. Sachsischen Gesellschaft der 
Wissenschaften zu Leipzig (Philolog.-hist. Classe), 1895, I-II. Leipzig, 
1895; 8°. 

* Bibliotheca Indica: A Collection of Oriental Works published by the 
Asiatic Society of Bengal. New series. Index of the Maàsir-ul-Umara; 
vol. III, fasc. XI, XII; n. 850-859. Calcutta, 1895; 8°. 

** Bibliotheca philologica classica. 1895. Zweites Quartal. Berlin; 8°. 

* Boletin de la Real Academia de la historia; t. XXVII, cuad. I-IV. Madrid, 
1895; 8°. 

* Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa; 
n. 228-237, 1895; 8° (dalla Biblioteca Nazionale centrale di Firenze). 
Bollettino della Società Umbra di Storia Patria. Vol. I, fasc. III. Perugia, 

1895; 8° (dalla Società). 

Bollettino di notizie sul credito e la previdenza. Anno XIII, n. 3-7. Roma, 
1895; 8° (Ministero di Agric., Indus. e Comm.). 

Bollettino di Legislazione e Statistica doganale e commerciale. Anno XII 
aprile-giugno 1895. Roma, 1895; 8° (Ministero delle Finanze). 

Bulletin de la Société de Géographie Commerciale de Bordeaux, 1894, 
n. i13-22; 8°. 

Balletin Mensuel de Statistique Municipale de la ville de Buenos-Aires. 
Année IX° (1895), n. 5-8. 

* Bulletin de la Société d’Études des Hautes-Alpes. II° série, n. 13, 14, 
1895. Gap, 1895; 8°. 

* Bulletin de l’Institut national Genevois. Travaux des cinq sections, 
t. XXXIII. Genève, 1895; 8°. 

* Bulletin de la Société de Géographie. 7° série, 1°-3° trimestre 1895. 
1895; 8°. 

Bulletin de l’Institut International de Statistique. Tom. VIII; IX, 1"° lîvr. 
Rome, 1895; 8°. 

Bulletin de la Société pour la conservation des monuments historiques 
d’Alsace. II sér., t. XVII. Strassburg, 1895; 8°. 

* Bullettino dell'Istituto di Diritto Romano. Anno VIII, fasc. I-III. Roma, 
1895; 8°. 

* Catalogo metodico degli scritti contenuti nelle pubblicazioni periodiche 
italiane e straniere della Biblioteca della Camera dei Deputati. Par. I. 
Scritti biografici e critici, III Suppl. Roma, 1895; 8°. 

* Comercio exterior y movimento de navegacion de la Republica Oriental 
del Uruguay y varios otros datos correspondientes al aîio 1894 com- 
parado con 1893. Montevideo, -1895; 8° (dal Governo della ‘Repubblica 
dell'Uruguay). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 145 


* Comptes-rendus de l’Athénée Louisianais, 5"° série. Tom. 2°, livr. 4®© 
et 5°, Nouvelle-Orléans, 1895; 8°. 

* Comptes-rendus des séances de la Société de Géographie ; n. 11-12. Paris, 
1895; 8°. 

Contributions to North American Ethnology. Vol. IX. Dakota Grammar, 
Texts, and Ethnography by S. R. Riggs. Washington, 1893; 4° (dal 
Department of the Interior; U. S. Geographical and Geological Survey). 

* Cosmos. Vol. XII, n. 2. Torino, 1895; 8°. 

* Giornale della Società di letture e conversazioni scientifiche di Genova. 
Anno XVII, fase. III. Genova, 1895; 8°. | 

* Historiae patriae Monumenta. Serie II, t. XXI. Codex Diplomaticus Cre- 
monae. Aug. Taurinorum, 1895; 8° (dalla R. Deputazione sovra gli Studi 
di Storia patria). 

* Indices chronologici ad Antiquit. Ital. M. /. et ad opera minora Lud. 
Ant. Muratorii; fasc. VI. Aug. Taurinorum, 1895; 4° (dalla R. Deputa- 
zione sovra gli Studi di Storia patria). 

Informe presentado al sefior Secretario de Estado en el despacho de Fo- 
mento. San José, 1895; 8° (dal Museo Nazionale di Costa Rica). 

Inventaire sommaire des Archives Départementales. 

Ariège: Archives Civiles, t. I, sér. B. 

Hautes-Alpes: t. 8%, Clergé séculier; Évèchés de Gap. 

Pas de Calais: Archives Ecclésiastjques, sér. G, t. 1°. 

Charente-Inférieure: Archives Communales; Ville de Saint-Jean d’Angély. 

Nord: Archives Communales; Ville de Saint-Aimand. 

Dròme: Archives Hospitalières; Ville de Verdun. 

Meuse: n 5) Ville de Romans; 4° (Dono del Governo 
francese). 

** Inventarii dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, vol. V, pp. 97-144. 
Forlì, 1895; 8°. 

Istituto di Scienze sociali “ Cesare Alfieri , in Firenze. Anno XXI, 1895-96; 8°. 

* Johns Hopkins University Circulars. Vol. XIV, n. 119-120. Baltimore, 
1895; 4°. 

* Journal of the Asiatic Society of Bengal. Vol. LXIV, Part I, History 
Literature, n. 1. Calcutta, 1895; 8°. 

Languages an International Journal for Linguists, Philologers, Students, etc. 
July, October 1895. London; 4° (dall’Editore). 

* Mémoires de l’Académie des Sciences, Belles-Lettres et Arts de Savoie. 
4° série, t. V. Chambéry, 1895; 8°. 

* Mémoires de l’Acad, Roy. des Sciences et des Lettres de Danemark, 
Copenhague. 6° sér., sect. des Lettres, t. VII, n. 10. Copenhague, 1894; 4°. 

Mémoires publiés par les Membres de la Mission Archéologique frangaise 
au Caire. T. IV, 2ème fase.; XVII, 19 fase. Paris, 1895; 4° (dal Ministero 
dell'Istruzione Pubblica e di Belle Arti di Francia). 

* Memorie del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Classe di lettere 
e scienze storiche e morali. Vol. XX, XI della ser. III, fase. 1°. Milano, 
1895; 4°, 


146 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


“i VOTE 
UA 


* Memorie dell’Accademia d'Agricoltura, Arti e Commercio di Verona. 


Serie III, vol. LXX, fasc. unico. Verona, 1893; 8°. 

* Memorie dell’Accademia di Verona. Vol. LXXI, serie III, fasc. 1. 1895; 8°. 

* Miscellanea di Storia italiana, terza serie, t. I e II. Torino, 1895; 8° 
(dalla R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria). 

** Mittheilungen der k. k. geographischen Gesellschaft in Wien. 1894. 
XXXVII Bd.; 8°. 

** Monumenta Germaniae historica. Auetorum antiquissimorum tomus XIII, 
pars II. Chronica minora saec. IV, V, VI, VII. Berolini, 1895; 4°. 


Movimento della navigazione nei porti del Regno nell’anno 1894. Roma, _ 


1895; 4° (dal Ministero delle Finanze, Direz. gener. delle Gabelle). 

Movimento commerciale del Regno d’Italia nell’anno 1894. Roma, 1895; 4° 
(dal Ministero delle Finanze, Direzione generale delle Gabelle). 

* Nachrichten von der kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gottingen, 
Philologisch-historische Klasse. 1895, n.3. Gòottingen; 8°. 

* Nederlandsch-Indisch Plakaatboek, Deel XIII, 1800-1803. Batavia, 1895; 8°. 

* Notulen van de Algemeene en Bestuurs vergaderingen van het Bataviaasch 
Genootschap van Kunsten en Wetenschappen. Deel XXXII, Afl. 4; 
XXXIII, 1. Batavia, 1895; 8°. 

* Qpera Academiae Scientiarum et Artium Slavorum Meridionalium. 
Ljetopis... Godina 1894; Djela... knjiga XIII, XIV; Monumenta Storico- 
Turidica Slavorum Meridionalium, vol. V. Monumenta spectantia histo- 
riam Slav. Merid., vol. XXVI. Rad, knjiga CXVIII, CXIX, CXXI. 
Zagubu, 1894-95; 8°. 

Peabody Institute, of the city of Baltimore. Twenty-Seventh Annual 
Report. June 1, 1895. Baltimore, 1895; 8°. 

** Petermanns Mitteilungen aus Justus Perthes' Geographischer Anstalt. 
Ergaànzungsheft N" 115. Gotha, 1895; 8°. i 

Popolazione. Movimento dello Stato civile. Anno 1893. Roma, 1895; 8° 
(dal Ministero di Agric., Ind. e Comm.). 

Prospectus of elective Studies. Michigan Mining School. Houghton Mi- 
chigan, 1895; 8°. 

** Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia. 1895, 
dal fol. 1-76; 8°. 

Resoconto della Cassa di Risparmio di Torino per l’Esercizio 1894. Torino, 
1895; 4°. 

* Revue de l’histoire des religions. XV° année, t. XXX, n. 3; XVI° année, 
t. XXXI, n, 1, 2. Paris, 1894-95; 8°. 

Rosario (I1) e la Nuova Pompei. Anno XII, quad. IV-X. Valle di Pompei, 
1895; 8°. 

Sanskrit Critical Journal of the Oriental Nobility Institute, Woking; 
England, n. 5-8, 1895; 8°. 

* Sitzungsberichte der philosophisch-philologischen und der historischen 
Classe der k. b. Akademie der Wissens. zu Miinchen. 1895, Heft II. 
Mtiinchen, 1895; 8°. 

Statistica del Commercio speciale di importazione e di esportazione dal 
luglio al 30 settembre 1895. Roma, 1895; 8°(dal Ministero delle Finanze). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 147 


' Statistica giudiziaria civile e commerciale per l’anno 1893. Roma, 1895; 
8° (dal Ministero delle Finanze). il 

* Studi e Documenti di storia e diritto. Anno XVI, fasc. 2°-3°, Roma, 1895; 4° 
(dall'Accademia di Conferenze Storico-giuridiche). 

* Tijdsehrift voor Indische Taal-, Land- en Volkenkunde, uitgegeven door 
het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen etc.; 
Deel XXXVIII, 4. Batavia, 1895; 8°. 

Transactions of the American Philological Association, 1894. Vol. XXV. 
Boston, Mass.; 8°. 

Valle di Pompei; An. V, n. 3-7. 1895; fol. 

* Verhandelingen van Teyler godeleerd Genootschap. N. S. Vijftiende Deel. 
Haarlem, 1895; 8°. 

* Verhandelingen van Teylers tweede Genootschap. Nieuwe Reeks. Vijfde 
Deel, 1° Stuck. Haarlem, 1895; 8° fol. 

Verhandelingen uitgegeven door Teyler's Tweede Genootschap. N. R. Eerste 
Deel. Haarlem, 1873; 8°. 

* Verhandelingen van het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Weten- 
schappen. Deel XLVIII, 2 Stuck. Batavia, 1894; 8°. 

* Vocabolario degli Accademici della Crusca. 5* impressione. Vol. VIII, 
fase. 2°. Firenze, 1895; 4°. 

Vorlese-Ordnung an der k. k. Leopold-Franzens-Universitàt zu Innsbruck 
im Winter-Semester 1895/96. Innsbruck, 1895; 4° (dall’Università di 
Innsbruck). 


* Dall Università di Basilea: 


Bruckner (W.). Studien zur Geschichte der langobardischen Sprache. Strass- 
burg, 1895; 8°. 

Huber (A.). Geschichte Hiiningens von 1679-1698. Basel, 1894; 8°. 

Personal-Verzeichnis der Universitàt Basel fiir das Wintersemester 1894/5; 
1895; 8°. 

Verzeichnis der Vorlesungen an der Universitit Basel im Winter-Semester 
u. Sommer-Semester 1895/96. Basel, 1895; 4°. 

Weisengriin (P.). Die socialwissenschaftlichen Ideen Saint-Simon’s. Basel, 
1895; 8°. 


* Dall’ Università di Erlangen: 


Alken (C.). Kann der juristiche Besitzer einer unbeweglichen Sache den 
Inhaber aus dem Besitz vertreiben ? Wiesbaden, 1895; 8°. 

"ArmootoX6rovAog (M.). Mevavdpoc TTpotéktwp. Ev ’A@nvaîs, 1894. 

Bechmann (A.). Die Haftung des Beneficialerben fiir die Schulden der 
Erbschaft nach rémischem und gemeinen Recht. Niirnberg, 1895; 8°. 

Bintz (H.). Das Vergehen gegen $ 288 R.-Str. G.-B. (Vereitelung der Zwangs- 
vollstreckung) dargestellt in Vergleichung mit den Vergehen gegen 
die $$ 289, 263, 137 R.-Str.-G.-B. Hamburg, 1895; 8°. 


148 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Bruek (W.). Die Verteilung des periculum bei partiellem Untergang einer 
Quantitit, von der ein nach Maass, Zahl oder Gewicht bestimmter 
Teil verkauft, aber noch nicht ausgeschieden war. Berlin, 1895; 8°. 

Christl (F.). Die rechtliche Natur der Dotationen der Bischòfe und Dom- 
kapitel nach bayerischem Reclit. Regensburg, 1895; 8°. 

Cohen  (A.). Die Vorbereitung von strafbaren Handlungen nach den Straf- 
gesetzen des deutschen lieichs. Kòln, 1894; 8°. 

Collard (E.). Die Staatsangehòrigkeit der Ehefrau nach deutschem Staats- 
recht. Erlangen, 1895; 8°. 

Conze (E.). Bedarf es zum Erwerb des Vermichtnisses der Annahme? Bonn, 
1895; 8°. 

AdvimA (A.). ’Iwdvvov Tod Xpuodotopov 1) fevua) 8. "Ev Bapwn, 1894. 

Eissenléffel (L.). Franz Kolb ein Reformator Wertheims, Niirnbergs und 
.Berns. Sein Leben und Wirken. Zell; 8°. 

Fischer (P.). Die Religionsphilosophie des John Locke aus seinen simmtli- 
chen Werken im Zusammenhang dargestellt. Berlin, 1893; 8°. 

Fritz (0.). Der Check nach dem Entwurfe des Bundesrates vom Jahre 1892. 
Erlangen, 1894; 8°. 

Gutmann (A.). Interpretation des Art. 306 H. G. B. Erlangen, 1894; 8°. 

Hifner (E.). Ueber die Sprache der lateinischen Hexametriker. I. Teil. 
Mtiinchen, 1895; 8°. 

Heeren (A. v.). Die Durchstreichung des Accepts. Minchen, 1895; 8°, 

Hofmann (F.). Kritische Untersuchungen zu Lucian. Nirnberg, 1894; 8°. 


Hofmann (H.). Die Erbfolge in das Vermògen fiir tot erklirter Personen. 


Passau, 1894; 8°. 

Holz (F.). Zur Lehre von der Bigamie. Mannheim; 8°. 

Jerschke (K.). Der Liquidator der offenen Handelsgesellschaft. Strassburg, 
1895; 8°. 

Iwanowitsck (G.). Opiniones Homeri et tragicorum graecorum de inferis 
per comparationem excussae. Berolini, 1894; 8°. 

Krapf (Fr.). Die rechtliche Stellung der Notare nach bayerischem Staats- 
recht. Lindau i. B., 1894; 8°. 

Krieghoff (H.). Die Ministerverantwortlichkeit in Theorie und Praxis. 
Gotha; 8°. 

Kiihlewein (H.). Entstehung von Bundesstaat und Aktiengesellschaft in 
rechtlichen Vergleich. Nirnberg, 1894; 8°. 

Langheinrich (C.). Allgemeine Giitergemeinschaft nach Bayreuther Recht. 
Bayreuth, 1894; 8°. 

Leiden (R.). Voraussetzungen und Wirkung der Schuldhinterlegung. Leipzig, 
1895; 8°. 

Aeovdpdog (B. 1.) Kpitikè kaì épunveutixà eîc TÒòv TThouTdpyou Èpwrixév, 
’Aonvno 1894. 

Lewin (M.). Aramaische Sprichwòrter und Volksspriiche. Berlin, 1895; 8°. 

Lipstein (L.). Ueber das Pfandrecht an Forderungen, die in einen kauf- 
minnischen Kontokorrent eingetragen sind. Kénigsberg in Pr., 1895; 8°. 

Mathieu (C.). In welchen Fallen und in welcher Weise ist die Not civil- 
rechtlich von Bedeutung ? Saarlouis, 1894; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 149) 


Mayer (A. F. A.). Die Professio religiosa im kanonischen, gemeinen und 
geltenden deutschen Reichsrechte. Minchen, 1895; 3°. 

Mayr (W.). Die Falle der Naturalobligation und ihre rechtliche Natur nach 
neuestem gemeinen Recht. Regensburg, 1895; 8°. 

Meents (E.). Die Majestitsbeleidigung in geschichtlicher und dogmatischer 
Beziehung. Berlin, 1894; 8°. 

Meiners (H.). Ist die Zahlung einer Geldstrafe fiir den Verurteilten als 
Begiinstigung strafbar? Erlangen, 1895; 8°. 

Meyer (R.). Bedeutung und Charakter der Kompensationserklirung. Wies- 
baden, 1895; 8°. 

Miiller (G.). Das Causalitàtsproblem im Strafrecht. Miinchen, 1894; 8°. 

Miiller (0.). Wesen, Geschichte und pidagogischer Wert der erotematischen 
Lehrform. Berlin, 1895; 8°. 

Nîeklas (R.). Die Geltendmachung des Placet gegentiber der Kirche nach 
bayerischem Verfassungsrecht. Freiburg I. B., 1895; 8°. 

Pedretti (C.). Zur Lehre von der Amortisation der Inhaberpapiere. Amberg, 
1895; 8°. 

Putsck (W.). Ueber die Zulissigkeit der einseitigen Abiinderung gemein- 
schaftlicher Testamente. Leipzig, 1895; 8°. 

Reach (J.). Die Sebirin der Massoreten von Tiberias. Breslau, 1895; 8°. 

Schlesinger (M.). Vermigensschàdigung bei Betrug. Miinchen, 1894; 8°. 

Schneider (F.). Beitrag zur Lehre von der Prokura. Erlangen, 1895; 8°. 

Sehréòder (L.). Die grosse Havarie. Berlin, 1894; 8°. 

Schultze (H.). Die Gelegenheitsgesellschaft. Berlin, 1895; 8°. 

Silberstein (H.). Die Stellung der Gesellschafter im Prozesse der offenen 
Handelsgesellschaft. Wirzburg, 1894; 8°. 

Sochaczewer (L.). Zur Lehre von der Transportfunetion des Wechselindos- 
saments. Berlin, 1894; 8°. 

Speidel (R.). Der Heimatvorbehalt nach bayerischem Recht. Ansbach, 1895; 8°. 

Stettner (E.). Das Recht des Aufenthalts und der Niederlassung. Erlangen, 
1894; 8°. 

Stoelzle (G.). Verfassungsînderung wiahrend der Regentschaft nach bayeri- 
schem Staatsrechte unter Beriicksichtigung des in den ibrigen deut- 
schen Staaten geltenden Rechts. Freiburg I. B., 1894; 8°. 

Strobl (Ch.). Das Etablissement. Miinchen, 1894. 

Then (J. B.). Die Wechselfihigkeit der Minderjiihrigen. Wiirzburg, 1895; 8°. 

Uebersicht des Personal-Standes bei der K. Bayerischen Friedrich-Alexan- 
ders-Universitàt Erlangen nebst dem Verzeichnisse der Studierunden 
im Winter-Semester 1894-95; Sommer-Semester 1895; 8°. 

Varnhagen (H.). Poéma italicam de Lautreco Marescallo et de Bello in 
Italia Superiori A. D. 1522 gesto. Erlangen, 1894; 8°. 

Verzeichnis der Vorlesungen, welche an der K. Bayerischen Friedrich- 
Alexanders-Universitàt Erlangen im Winter-Semester 1894/95; Sommer- 
Semester 1895; 8°, 

Vogel (G.). Die Oekonomik des Xenophon. Erlangen, 1895; 8°. 

Wartensleben (C. v.). Die Veriiusserung der Hausgiiter des Hohen Adels. 
Berlin, 1895; 8°. 


150 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Westermayer (H.). Die Brandenburgisch-Niirnbergische Kirchenvisitation 
1528. Erlangen, 1894; 8°. 

Wiesenthal (M.). Quaestiones de nominibus propriis quae graecis hominibus 
in proverbio fuerunt. Barmen, 1895; 8°. 

Zahn (Th.). Der Stoiker Epiktet und sein Verhiltnis zum Christentum. 
Erlangen, 1894; 4°. 

Zingerle (0.). Die Rechtsverhiltnisse der Standesherren in Bayern. Kempten, 
1895; 8°. 


* Dall’ Università di Giessen: 


Eberkard (W.). Ludwig II Kurfiirst von der Pfalz und das Reich 1410-1427. 
I Teil: 1410-1414. Giessen, 1895; 8°. 

Ferber (0.). Der philosophische Streit zwischen I. Kant und Johann Aug. 
Eberhard. Berlin, 1894; 8°. 

Glaser (0.). De ratione quae intercedit inter Sermonem Polybii et eum, 
qui in titulis saeculi III, II I apparet. Gissae, 1894; 8°. 

Gugenheimer (R.). Die Scholien des Gregorius Abulfaragius Bar Hebraeus 
zum Buche FEzechiel nach vier Handschriften des Horreum mysteriorum 
mit Einleitung und Anmerkungen herausgegeben. Berlin, 1894; 8°. 

Koehler (W.). Hessische Kirchenverfassung im Zeitalter der Reformation. 
Giessen, 1894; 8°. 

Kranzbiihler (E.). Die Aftermiete. Worms, 1894; 8°. 

Krug (L.). Die Urheberbenennung (nominatio auctoris) eine historisch-dog- 
matische Studie. Berlin, 1894; 8°. 

Lehr (J.).. An welchen Sachen kann kein gemeiner Diebstahl begangen 
werden? Heppenheim a. d. B., 1894; 8°. 

Lohr (E. E.). Die Vorgeschichte zur Schleswig-holsteinischen Frage bis zum 
Jahre 1810. Leipzig, 1894; 8°. 

Personal-Bestand der Grossherzoglich Hessischen Ludwigs-Universitàt zu 
Giessen. Winterhalbjahr 1894-95; Sommerhalbjahr 1895; 8°. 

Preuschen (E.). Die Bedeutung von M72W 200 im Alten Testamente. Fine 
Alte Controverse. Giessen, 1894; 80, 

Programm Sr. kònig. Hoheit dem Grossherzoge von Hessen und bei Rhein 
Ernst Ludwig zum 25 August 1894 gewidmet von Rector und Senat 
des Landesuniversitàt. Giessen, 1894; 4°. 

Rosenmann (M.). Studien zum Buche Tobit. Berlin, 1894; 8°. 

Sommerlad (F.). Darstellung und Kritik der sthetischen Grundanschauungen 
Schopenhauers. Offenbach a. M., 1895; 8°. 

Valckenberg (J.). Die Denuntiation bei der Cession der Forderungsrechte. 
Mainz, 1895; 8°. 

Vorlesungsverzeichniss der Grossherzoglich Hessischen Ludwigs-Universitàt 
zu Giessen. Sommerhalbjahr 1895; Winterhalbjahr 1895-96; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 151 


* Dal Università di Heidelberg : 


Anzeige der Vorlesungen welche im Sommer und Winter Halbjahr 1895; 
1895/96 auf der Grossh. Badischen Ruprecht-Karls Universitàt zu Hei- 
delberg. 1895; 8°. 

Barlovac(C.R.). Das serbische Parlament (Skupschtina). Heidelberg, 1895; 8°. 

Braun (E.). Ein Trierer Sacramentar vom Ende des X. Jahrhunderts. Trier, 
1895; 8°. 

Corwin (R. N.). Entwicklung und Vergleichung der Erziehungslehren von 
John Locke und Jean-Jacques Rousseau. Heidelberg, 1894; 8°. 

Coste (E.). Die Weissagungen des Propheten Jeremias wider die fremden 
Volker. Eine kritische Studie iber das Verhiiltnis des griechischen 
Textes der LXX zum masorethischen Texte. Leipzig, 1895; 4°. 

Eckart (R. Graf Du Moulin). Bayern unter dem Ministerium Montgelas. 
Nòrdlingen; 8°. 

Helm (K.). Zur Rhythmik der kurzen Reimpaare des XVI. Jahrhunderts. 
Karlsruhe, 1895; 8°. 

Hopfen (0. H.). Kaiser Maximilian II. und der Kompromiskatholizismus. 
Miinchen, 1895;. 8°. 

Hiibsch (G.). Das Hochstift Bamberg und seine Politik unmittelbar vor 
dem ersten Finfalle der Schweden 1631. Bayreuth, 1894; 8°. 

Jones (R.). The Growth of the Idylls of the King. Philadelphia, 1895; 8°. 

Joseph (D.). Die Paliste des homerischen Epos mit Riicksicht auf die Aus- 
grabungen Heinrich Schliemanns. Berlin, 1894; 8°. 

Kaull (A. v.). Die preussische Rentengutsgesetzgebung und das Heimstit- 
tenrecht. Heidelberg, 1895; 8°. 

Malter (H.). Die Abhandlung des Abu Haàmîd Al-Gazzàli. Antworten auf 
Fragen, die an ihn gerichtet wurden. Berlin, 1894; 8°. 

Milezewsky (P.). Ueber die Entstehung und das Alter des Pactus und der 
Lex Alamannorum und das Verhiiltnis beider zu einander. Stuttgart, 
1894; 8°. 

Ohlenburg (S.). Die biblischen Asyle im talmudischem Gewande. Miinchen, 
1895; 8°. 

Poznanski (S.). Mose B. Samuel Hakkohen Ibn Chiquitilla nebst den erhal- 
tenen Fragmenten seiner Schriften. Berlin, 1895; 8°. 

Rohde (E.). Die Religion der Griechen. Heidelberg, 1895; 4°. 

Rosenberg (G. J.).. Zur Arbeiterschutzgesetzgebung in Russland. Leipzig, 
1895; 8°. 

Schaefer (K.). Die aelteste Bauperiode des Muensters zu Freiburg im 
Breisgau. Freiburg I. B' gau, 1894; 8°. 

Toews (P.). Ueber das Verbum in Géothe’s Tasso. Heidelberg, 1894; 8°. 

Treumann (R.). Die Monarchomachen. Leipzig, 1895; 8°, 

Tuckerman (F.). Upon the royal prerogative in England especially since 
the accession of the House of Brunswick. Heidelberg, 1894; 8°. 

Windscheid (K.). Die englische Hirtendichtung von 1579-1625. Halle a. $., 
1895; 8°. 


5.1, AATO 


152 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA © 


Yoshida (Tetsutaro). Entwickelung des Seidenhandels und der Seidenindu- 
strie vom Alterthum bis zum Ausgang des Mittelalters. Heidelberg, 
1894; 8°. 

Zimmermann (FE. R.). Die Geschichte des lateinischen Suffixes -arius in den 
romanischen Sprachen. Darmstadt, 1895; 8°. 


* Dall’ Università di Strasburgo: 


Abegg (D.). Zur Entwicklung der historischen Dichtung bei den Angel- 
sachsen. Strassburg, 1894; 8°. 

Anrieh (G.). Grosskirche und Gnosticismus in ihrem Zusammenhang mit; 
dem Mysterienwesen in den 3 ersten Jahrhunderten. Gùttingen, 1894; 8°. 

Becker (J.).. Die Landvéogte des Elsass und ihre Wirksamkeit von Hein- 
rich VII, 1308 bis zur Verpfàndung der Reichslandsvogtei an die Kur- 
fiirsten der Rheinpflalz 1408. Strassburg, 1894; 8°. 

Boer (T. de). Die Ewigkeit der Welt bei Algazzali und Ibn Rosd. Strass- 
burg, 1894; 8°. 

Cahn (J.). Minz- und Geldgeschichte der Stadt Strassburg im Mittelalter. 
Strassburg, 1895; 8°. 

Candrea (G.). Der Begriff des Frhabenen bei Burke und Kant. Strassburg 
i. E. 1894; 8°. 

Dreyfus (J.). Adam und Eva nach Auffassung des Midrasch mit erliuternden 
Anmerkungen und Nachweisungen. Strassburg, 1894; 8°. 

Ehrhardt (E.). Das ethische Problem im Schosse des Judenthums zur Zeit 
Jesu. Freiburg i. B. und Leipzig, 1894; 8°. 

— Godau (W.). Die englischen Gutsbauern oder Sokemannen und Villanen. 
Berlin, 1894; 8°. 

Gottschalk (J.).. Die Geschaftshedingungen der wichtigsten deutschen Pro- 
duktenbòrsen. Aachen, 1894; 8°, 

Haendeke (E.). Die mundartlichen Elemente in den elsissischen Urkunden 
des Strassburger Urkundenbuches 1261-1332. Strassburg, 1894; 8°. 
Helfferich (K.). Der deutsche Miinzverein von 1857 bis 1871. Strassburg, 

1894; 8°. 

Hoelper (F.). Die englische Schriftsprache in Tottel’s “ Miscellany , (1557) 
und in Tottel’s Ausgabe von Brooke's “ Romeus and Juliet , (1562). 
Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Hoffmann (W.). Der Finfluss des Reims auf die Sprache Wolframs von 
Eschenbach. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Jordan (S. A.). Rabbi Jochanan bar Nappacha Lebensbild eine talmudi- 
schen Weisen des dritten Jahrhunderts nach den Quellen dargestellt. 
Budapest, 1895;.8°. 

Joris (M.). Untersuchungen iber die Werken van Zuster Hadewijch. Strass- 
burg, 1894; 8°. 

Késter (H.). Huchown's Pistel of swete Susan. Strassburg, 1895; 8°. 

Kriele (M.). Die Elbschiffahrt vor der ersten Conferenz zu Dresden 1819- 
1821. Strassburg, 1894; 8°. 


PUBBLICAZIONI "RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 153 


Lenel (W.). Studien zur Geschichte Paduas und Veronas im dreizehnten 
Jahrhundert. Strassburg, 1893; 8°. 

Leumann (J.). Etymologisches Worterbuch der Sanskrit-Sprache. I Theil: 
Finleitung und Vocale. Strassburg, 1893; 8°. 

Lewinski (L.). Die brandenburgische Kanzlei und das Urkundenwesen 
wihrend der Regierung der beiden ersten Hohenzollerschen Markgrafen 
1411-1470. Strassburg, 1893; 8°. 

Ludwig (Th.). Die Konstanzer Geschichtschreibung bis zum 18. Jahrhundert. 
Strassburg, 1894; 8°. 

Marckwald (E.). Beitrige zu Servatus Lupus Abt von Ferrières. Strassburg, 
1894; 8°. 

Meyer (B.). Sepher Sechel Tob Grammatik der hebràischen Sprache nach 
der Karlsruher Handschrift zum ersten Male herausgegeben und mit 
Einleitung & Anmerkungen versehen. Krakau, 1894; 8°. 

Meyer-Altona (E... Die Sculpturen des Strassburger Miinsters bis 1789. 
Strassburg, 1894; 8°. 

Nowack(W.). Die Entstehung der israelitischen Religion. Strassburg, 1895; 8°. 

Polaczek (E.). Der Uebergangsstil im Elsass ein Beitrag zur Baugeschichte 
des Mittelalters. Strassburg, 1894; 8°. 

Rosenthaler (S.). Gesetz und Gewohnheit. Strassburg i. E., 1893; 8°. 

Schorbach (K.). Entstehung, Ueberlieferung und Quellen des deutschen 
Volksbuches Lucidarius. Strassburg, 1894; 83°. 

Schreiber (I... Die Vaganten-Strophe der mittellateinischen Dichtung und 
das Verhiiltnis derselben zu mittelhochdeutschen Strophenformen, ein 
Beitrag zur Carmina-Burana-Frage. Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Schulthess (F.). Probe eine syrischen Version der Vita St. Antonii. Leipzig, 
1894; 8°. 

Schutiakoff (P.). Die Bauern-Gesetzgebung unter Friedrich dem Grossen. 
Darmstadt, 1895; 8°. 

Sounefeld (G.). Stilistisches und Wortschatz im Be6wulf, ein Beitrag zur 
Kritik des Epos. Wiirzburg, 1892; 8°. 

Spiecker (W.). Beitrige zur Lehre von der Beleidigung. Strassburg, 1895; 8°. 

Stettiner (R.). Die illustrierten Prudentiushandschriften. Berlin, 1895; 8°. 

Stiftungsfest (Das) der Kaiser-Wilhelms-Universitit Strassburg am 1. Mai 
1894; 8°, 

Swaine (A.). Die Arbeits- und Wirtschaftsverhiltnisse der Einzelsticker in 
der Nordostschweiz und Vorarlberg. Strassburg, 1895; 8°. 

Varrèrntrapp (C.). Der Grosse Kurfirst und die Universitàten. Strassburg, 
1894; 8°. 

Voigt (G.). Bischof Bertram von Metz. 1180-1212. Metz, 1893; 8°. 

Wannenmacher (F. X.). Die Griseldissage auf der iberischen Halbinsel. 
Strassburg i. E., 1894; 8°. 

Weinmann (K.). Bischof Georg von Baden und der Metzer Kapitelstreit. 
Metz, 1894; 8°. 

Weithase (H.). Die internationalen Postbeziehungen bis zum Zusammentritt 
des berner Postkongresses. Strassburg, 1894; 8°. 

Woell (W.). Ueber die regula Catoniana. Strassburg i. E., 1894; 8°. 


LO PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Allievo (G.). Francesco Bacone alla corte d’Inghilterra. Torino, 1896; 8° 
(dall A.). 

Bellino (A.). Inscripedes e Lettreiros da Cidade de Braga e algumas fre- 
guezias ruraes. Porto, 1895; 8° (Id.). 

Chevalier (U.). Repertorium Hymnologicum. Catalogue des chants, hymnes, 
proses, séquences, tropes en usage dans l’Église Latine. 3®e fasc. L-Q 
(N. 9936-16091). Louvain, 1894; 8° (Id.). 

— Espagne-Tipo-Bibliographic. Montéllard, 1895; 8° (Zd.). 

Cosentino (G.). Le nozze del re Federico III con la principessa Antonia 
del Balzo. Palermo, 1895; 8° (Zd.). 

** Croiset (A.). Histoire de la littérature grecque, t. IV. Paris, 1895; 8°. 

Dionisotti (C.). Il Comune di Desana e la famiglia patrizia dei Tizzoni. 
Torino, 1895; 8° (dall’A.). 

Foerster (W.). Fédéric Diez et la philologie des langues romanes. Discours. 
Montpellier, 1894; 8° (Id.). 

Franchi (E.). Per la rivendicazione di un diritto naturale. Torino, 1895; 
16° (Id.). 

** Hodgkin (T.). Italy and her Invaders. Vol. I, II, V, VI. Oxford, 1892-95; 8°. 

** Lindsay (W. M.). The language an historical account of latin sounds, 
stems, and flexions. Oxford, 1894; 8°. 

** Massaja (G.). I miei trentacinque anni di missione nell’Alta Etiopia. 
Vol. 12°. Roma, Milano, 1895; 4°. 

Nadaillac (de). Foi et science. Paris, 1895; 8° (dall’A.). 

Ponti (L.). Di una Federazione fra le Società Cooperative di consumo ita- 
liane. Roma, 1895; 8° (Id.). 

** Revillout (E.). Lettres sur les monnaies égyptiennes. Paris, 1895; 8°. 

Rolla (P.). Toponimia calabrese con una appendice lessicale. Casale, 1895; 
8° (dall’A.). 

— Fauna popolare sarda. Miscellanea di Dialettologia e Toponimia italiana. 
Casale, 1895; 8° (Zd.). 

** Sanuto (M.). Diari. Fasc. 188-190. Venezia, 1895; 4°. 

Sforza (G.). Tre episodi del Risorgimento italiano. Ricordi. Firenze, 1895; 
8° (dall’A.). 

— Notizie de’ letterati di Massa di Lunigiana del conte Jacopo Giuseppe 
Luciani carrarese. Modena, 1895; 8° (Zd.). 

Tempio (Il) crematorio di Torino. Torino, 1895; 8°. 

Trivero (C.). La Storia nell'educazione. Torino, 1896; 8° (dall'A.). 

** Vivaldi (V.).. Le controversie intorno alla nostra lingua dal 1500 ai 
nostri giorni. Catanzaro, 1894-95; 8°. 

Weber (A.). Vedische Beitrige. Berlin, 1895; 8° (dall’A.). 

Zaccaria (A.). Uomini politici di Romagna. Bologna, 1895; 8° (Za.). 


Torino — Vixcexzo Bona, Tipografo di S. M. e de' RR. Principi. 


PRO 1 


. 1896 


\uly--12 Sopt 


N.,Y.AcadeRy 
Of Sciences 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 1° Dicembre 1895. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: Cossa, Vice-Presidente, D’OvipIo, 
Direttore di Classe, Bizzozero, FERRARIS, SPEZIA, GIACOMINI, 
CAMERANO, SEGRE, PrANO, JADANZA, Foà e NaAccari Segretario. 

Viene letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza pre- 
cedente. 

Il Socio D’Ovipro fa omaggio all'Accademia di una Com- 
memorazione stampata scritta da lui medesimo del compianto 
Socio nazionale Giuseppe BATTAGLINI. 

Il Socio Segretario segnala fra le pubblicazioni pervenute 
in dono all'Accademia: “ La Rivista di Topografia e Catasto ,, 
diretta dal Socio JApANZA, Vol. VIII, fasc. I-IV, e gli “ Atti 
della Società Piemontese d’Igiene ,, fasc. I. 

Vengono poscia accolti per essere inserti negli Atti i se- 
guenti scritti: 

“ Trasformazioni lineari dei vettori di un piano ,, nota 
del Socio PEANO; 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 13 


156 

“ Diaspri permiani a radiolarie di Montenotte ,, nota del 
Prof. PARONA e del Dott. RoveRETO, presentata dal Socio SPEZIA; 

«“ Sette lettere inedite di Lagrange ,, nota del Prof. Antonio 
Favaro, presentata dal Socio NACCARI; 

« Sulle variazioni di densità di un liquido presso alla 
superficie ,, nota del Dott. V. Monti, presentata dal Socio NaAccarI. 

Dietro relazione favorevole delle apposite commissioni ven- 

gono accolti nei volumi delle Memorie gli scritti seguenti: 

« Sintesi di composti piridinici dagli eteri chetonici coll’etere 
cianacetico în presenza dell'ammoniaca e delle amine ,, memoria 
del Prof. Icilio GUARESCHI; 


“ Sull’equazione di 5° grado ,, memoria del Prof. F. GIUDICE. 


GIUSEPPE PEANO — TRASFORMAZIONI LINEARI, ECC. Told 


LETTURE 


Trasformazioni lineari dei vettori di un piano; 


Nota del Socio GIUSEPPE PEANO. 


Le trasformazioni lineari dei vettori compaiono in più rami 
della matematica; sono studiate in geometria proiettiva come 
omografie dei punti all'infinito, ma dal solo punto di vista del 
loro prodotto. In geometria infinitesimale rappresentano le de- 
formazioni delle figure infinitesime; in fisica matematica deter- 
minano le forze prodotte da queste deformazioni, ecc. 

Nella presente nota si espongono alcune formule sulle tra- 
sformazioni dei vettori contenuti in un piano fisso. Dapprima 
sono rapidamente richiamate alcune definizioni, onde ben fissare 
la nomenclatura di cui ci serviremo, essendo essa ancora un 
po’ varia nei diversi autori. Per uno sviluppo più ampio di 
queste definizioni rimando al cap. IX del mio libro Calcolo geo- 
metrico. Il lettore può pure utilmente consultare lo scritto del 
sig. CarvaLLo, Sur les systèmes linétaires, le caleul des symboles 
différentiels et leur application à la physique mathématique (Mo- 
natshefte fiir Mathematik und Physik, 1891, pag. 1, 225, 311). 

Queste formule presentano analogia con quelle dei quater- 
nioni, da cui differiscono per qualche segno. 


$ 1. — Sistemi lineari e loro trasformazioni. 


Un sistema di enti dicesi lineare, se gli enti di esso si pos- 
sono sommare, e moltiplicare per numeri reali, e se la somma 
e questa moltiplicazione conservano le ordinarie proprietà. Quindi 
Se di, 49, ..., 4, sono enti del sistema, e #}, ..., 7, sono numeri 
reali, anche mj0, + my, + ... + m,a, rappresenta un ente 
del sistema. 

Gli enti 4,45 ... @, diconsi (linearmente) indipendenti, se fra 
essi non passa alcuna equazione lineare. Il sistema dicesi ad n 


158 GIUSEPPE PEANO 


dimensioni, se sonvi » enti indipendenti, e non ve ne sono n+- 1. 
Se il sistema è ad » dimensioni, e 4}; ... @, sono » enti indi- 
pendenti, ogni ente del sistema si può ridurre alla forma 
mia, + ... + Man, OVE My mg ... Mm, sono numeri reali. 

Una corrispondenza fra gli enti di due sistemi lineari di- 
cesì una trasformazione lineare, od operazione distributiva, se, 
essendo ax l’ente corrispondente all'ente x del sistema dato, 
si ha a(e-+4+y) = 0€+ 0y, qualunque siano gli enti x e y del 
sistema dato; e a(mx) = max, qualunque si sia il numero 
reale m. 


$ 2. — Vettori. 


Useremo la lettera V invece della frase “ vettore contenuto 
in un piano dato ,. Essendo a, è due V, è definita la loro somma, 
che è pure un vettore, ed essa ha la proprietà commutativa e 
associativa: 


L a beV.h.a+beV.a+b0=5b+a. 
2. a,b,ceV.g.at+(0+e=(a+3) +c=a+db+%4e. 


Essendo a un V, ed un m numero reale (q), ma rappresenta. 
pure un vettore: 


3. aeV.meq.9.maevV. 


4. a,beV.m,neq.9.m(a+0)= ma + mb .(m4t+na= 


ma + na . m(na) = (mn) a = mna. 


Fisseremo ad arbitrio un vettore î, la cui lunghezza assu- 
meremo come unità di misura; e chiameremo j un vettore eguale 
in lunghezza ad i, e normale ad i; l’angolo retto (î,j) si dirà 
positivo. Allora ogni vettore « del piano si può ridurre alla 
forma xi +4 yj, e ciò in un sol modo. Ne risulta che V è un 
sistema lineare a due dimensioni. 

Qualche volta useremo il prodotto esterno dei due vettori 
a e b, indicato con ad. Potremo in questa nota intendere con ab 
il numero che misura l’area del parallelogrammo costrutto sui 


TRASFORMAZIONI LINEARI DEI VETTORI DI UN PIANO 159 


due vettori « e 5, essendo l’unità di misura in grandezza e 
in verso il quadrato ij. Si ha quindi: 


5. a, beV.).abeq. 
6. a,b,ceV.g.ab= — ba. (a4d)c =ac+ de. 
4 - a,b,ceV.9.(b)a +- (ca) db + (ad)e=0. 


8. cyeyeq.9.(it+yj)(c'i ty) = ay — cy. 


La condizione di parallelismo dei due vettori a e 3 è ab=0. 


$ 3. — Sostituzioni. 


Una trasformazione lineare dei V in V dicesi una sostitu- 
zione. Useremo la lettera S invece della parola sostituzione. 
Le S sono quindi definite dalle seguenti proprietà: 


"i aeS.aeV.gQ.aaeV. 
2. aeS.a,beV.5.0(a +8) — 0a + ad. 
3. aeS.aeV.meq.g.oama =maa. 


Ne risulta che: 
4. aeb.ai=i.aj=].x,yeg.9.a(xi + yj) = + y). 


Quindi per conoscere la sostituzione a, basta conoscere i 
vettori i' e j' corrispondenti ad i e ad j. Indicheremo con ({'% 
la sostituzione che ad i e ad j fa corrispondere è’ e j'. Invece 
di dare i vettori #' e j', possiamo darne le coordinate i' = pi + g/, 
Î = pi + gj; indicheremo con [ p, g; p',9] la sostituzione 
(2% P*#4). 1 numeri p, g, p', g! diconsi i coefficienti della 
sostituzione. 


160 GIUSEPPE PEANO 


$ 4. — Operazioni sulle sostituzioni. 


Se a, BeS.aeV, si scrive (a+ B)a invece di aa + Ba. 
L'operazione a + f è pure una sostituzione: 


I a,BeS.g.a + BeS. 


su nr 


Dt RL 04 i Le Ga 
3. P%P'9P1%P'191€9-09 -[2,9;P':91+ [pn 012191] 
=p+ Pr 14 P4+D1hdV 44 


Nelle stesse ipotesi Baa sta per indicare B(aa); l'operazione 
Ba è pure una sostituzione: 


4. a, BeS.9.. Baes. 


O veglia a a (14) na e i Di 


La moltiplicazione delle sostituzioni ha la proprietà asso- 
ciativa, e la distributiva rispetto all’addizione; ma non è in 
generale commutativa. Quindi, p. e., si avrà ancora: 


(a + 8) = a? | ap + Ba +- B°, 


ma il secondo e terzo termine non si possono più ridurre fra 
loro. 

La moltiplicazione d’un vettore per un numero reale m è 
una sostituzione: 


m= (#7) = [m,0; 0, m]. 


Quindi, se a, 8, ... sono sostituzioni, m, »,... sono numeri 
reali, ma + n + ... rappresenta pure una sostituzione. Essendo 
D, 9, p',q" delle q, si ha: 


[og p,1=pG +0 C+ CA +9 69. 


TRASFORMAZIONI LINEARI DEI VETTORI DI UN PIANO 161 


Ne risulta che le S formano un sistema lineare a quattro 
dimensioni. 

Senza difficoltà si definiscono le altre operazioni sulle S; 
ci limiteremo alla definizione dell’esponenziale : 


6. aes ipa l'Pa to +e + LAT 


La dimostrazione della convergenza di questa serie, qua- 
lunque si sia la sostituzione a (anche in sistemi lineari a più 
dimensioni), trovasi, p. e., nel mio articolo Intégration par séries 
des équations différentielles linéaires (“ Mathematische Ann. ,, 
XXIII, p. 450). 


$ 5. — Forma canonica delle S. 


Essendo « un vettore, con ‘x intenderemo ciò che diventa «, 
dopo aver rotato dell'angolo retto positivo. Sicchè: 


L i=j.j=— i =.= L 


Quindi la sostituzione 1 ha la proprietà caratteristica del- 
l’unità immaginaria. Se x, yeq, allora € + w rappresenta una 
sostituzione ; e questa interpretazione degli immaginarii, alquanto 
diversa da quella comune di Gauss, è affatto elementare, e si 
può introdurre nell’insegnamento, utilizzando così in ricerche di 
geometria, la teoria algebrica dei numeri immaginarii. 


Essendo x un vettore, con ku intenderemo il simmetrico 
(o coniugato) di « rispetto al vettore è. Quindi: 


2. dra Lg 
Mediante le due sostituzioni 1 e k si possono esprimere 


tutte le sostituzioni; e precisamente ogni sostituzione a si può 
ridurre alla forma : 


a=m + z1+ yk + 21, 


162 GIUSEPPE PEANO 


ove m, x, y, 2 sono numeri determinati. Questa forma cui sì 
possono ridurre le S si dirà loro forma canonica. Si ha: 


3 [nap9al=5(P+M+4@-ph+ 
+5 0-Mx +5 @+2)x 
4. mt+a+yr+teax=[m+y, x+2e;a—-a,m—- y] 
Data una seconda sostituzione: 
o'= mm +ao14 y'x + sk, 
ove m', x', y', 2' sono q, si avrà: 
5. a+o'=(m+m)+(r+2)1+(y4+#)x + (+ 21). 


Per moltiplicare due sostituzioni date sotto forma canonica, 
basta osservare le regole: 


ves ckbe=1a=— x, 
donde 
Kw = — K, KK=— 1, kKK= 1. 


Quindi: 

6. a'a=(mm' — x2' + yy +22) + (m'a+e'm —y'e+ yi 
(m'yt+ym—-a'z+2'e)x + (me + me' + 2'y — y'a)ax. 
Come caso particolare: 

da o = mî — e + y° + e? + 2mar + 2myx + 2maxx. 

Si deduce l'identità: 
8. a? — 2ma + (mM + a — y — 2) =0, 


che permette di esprimere il quadrato di a, e quindi le sue 
successive potenze, mediante a. 


TRASFORMAZIONI LINEARI DEI VETTORI DI UN PIANO 163 


Sono ancora a notarsi le formule: 


9. 5 (a + 10) = (m+ z1)1 
10. + (a — 10) = (y+ 21)x 
E MR RE 
1 ' Er , Cn) 
di. 9 (aa a a'a) = L Y © | 
| BAM 
$ 6. — Invariante e determinante d’una sostituzione. 


Sia a una S. Presi ad arbitrio due vettori è e }, il rapporto 
dell’area (ai) (aj) all’area ij è indipendente dalla scelta dei 
vettori è e j. A questo rapporto daremo il nome di determinante 
di a, e lo indicheremo con det a. Si ha: 


pit: aeS.i,jeV.9. (ai) (0) = ij det a. 

2. det [p, g; 2, 9] = pa — pd. 

3. det (m + 21 + yx + eu) = mM 4a — $ — 2°. 
4. det (aa') = det a X det a”. 


Mettendo a ed a' sotto forma canonica, e applicando le 
formule 3 e 4 si ottiene l’identità: 


m? + a — y° — 2°) (m'° + a? — y°? — 22) = 

( y Y 

= (mm' — xx 4 yy' + 2ee'YP+ (ma + om — ye + 2")? — 
— (n'y+t+ym—&'2 + 2'a? — (Mm + me' + 2'y — ya)? 


analoga a quella di Eulero, e che si può anche dedurre da quella 
di Lagrange. Un numero m rappresenta una sostituzione parti- 
colare, e si ha: 


164 GIUSEPPE PEANO 
5. meq.d).detm = m?. 


6. det 1 = 1, detx =— 1. 


Se a è una $S, e # un numero, a + # è una $, ed il suo 
determinante si può sviluppare sotto la forma det (a 4- t) = 
A + 2Bt + #, ove A e B sono dei numeri. A vale evidente- 
mente det a; il coefficiente B di 2? lo diremo l’invariante di a, 
e lo indicheremo con inv a. Si ha pertanto: 


7. aeS.teq.9.det(a+1) = deta + 2t inva + #?. 


L’invariante, espresso mediante i coefficienti della sostitu- 
zione, vale: 


. r 1 , 
8. inv [pg p,d]=5 +9). 
Se la sostituzione è data sotto forma canonica, si ha: 
9. inv (m+ 14 gx + 21K) = m. 


Se la sostituzione è data mediante le coppie i, j, è, j", di 
vettori corrispondenti, si ha: 


10. inv (29) = NITRATI) 

TE) 2ij 
IL. inv (a + o') = inva + inv a. 
12. aes.meq.9.inv(m0a) = minva. 
13. a, a'eS.g.inv (ca) = inv (aa). 
14. ces. dee. 


15. aeS.g.0=inva— 1inv (wa) + x inv ke + 1x inv (1a). 


La formula (8) del $ 5, tenendo conto delle (3) e (9), si 
può leggere: 


16. a? — 2(invo) a + deta= 0. 


TRASFORMAZIONI LINEARI DEI VETTORI DI UN PIANO 165 


$ 7. — Sostituzioni particolari. 


Fra le sostituzioni alcune meritano menzione speciale. 


1. Involuzione. — Si chiamano involuzioni le sostituzioni 
il cui invariante è nullo. Ogni involuzione è della forma x1 +4 
yx + ex. La somma di due involuzioni è un’involuzione. Le 
involuzioni formano quindi un sistema lineare a tre dimensioni. 
Ogni sostituzione è la somma d’un numero reale mm, suo inva- 


riante, e d’una involuzione. 


2. Rotazione. — Essendo « un V e t una q, eu rappre- 
senta il vettore che si ottiene facendo rotare « dell’angolo #. 
Quindi et = cost + 1sent rappresenta la rotazione dell’an- 
golo #. Il prodotto di due rotazioni è una rotazione. 


x 


3. Una similitudine diretta è rappresentata dal prodotto di 
un numero r per una rotazione et, quindi è della forma rett; 
essa si può pure ridurre alla forma m + 1. Esse corrispondono 
ai numeri complessi dell’algebra; formano quindi un sistema 
lineare a due dimensioni. 


4. Simmetria. — Il vettore simmetrico di « rispetto al vet- 
tore fisso è fu indicato con x; quindi x rappresenta una sim- 
metria rispetto al vettore i. Per avere il simmetrico di v rispetto 
ad un asse che faccia con è l’angolo #, basta far rotare « del- 
l'angolo —t, e si ha e—ttw, poi se ne fa il simmetrico rispetto 
ad è, e si ha ke-tw, e infine lo si fa rotare di nuovo dell’an- 
golo #, e si ha etge—i x. Dunque la simmetria rispetto all’asse 
che fa l'angolo # con 1 è rappresentata da et xe—w = extk = ke?U, 
Dunque ogni simmetria è il prodotto d’una rotazione per la 
simmetria particolare x. 

5. Similitudine inversa. — Essa è il prodotto d’una sim- 
metria per un numero r; quindi ha la forma re tx; si può pure 
rappresentare con yk + 21x. Ogni sostituzione m + 21 + yk + au 
è la somma di una similitudine diretta m + z1 e d’una inversa 
yx + 21x. 

6. Dilatazione. — Chiamasi dilatazione ogni sostituzione 


au bu 


riduttibile alla forma (© È" 


vo ove « è un vettore e « e d sono 


166 GIUSEPPE PEANO — TRASFORMAZIONI LINEARI, ECC. 


numeri reali. Esso fa corrispondere ai due vettori ortogonali 


u e w altri due vettori aventi le stesse direzioni di essi. Questa 
a-blu_—-w 

2 U lu 
il primo termine è un numero ed il secondo è una similitudine 


inversa. Perciò ogni dilatazione è riduttibile alla forma: 


dilatazione si può trasformare in E + } in cui 


m + yx + z1x, ovvero m + re2tx. 


Se a è una involuzione, 1a è una dilatazione, e se a è una 
dilatazione, 1a è una involuzione. Dire che a è una dilatazione 
equivale a dire che inv (1a) = 0. 

7. Ogni sostituzione è il prodotto d’una rotazione per una 
dilatazione. Infatti, ridotta la sostituzione alla forma ret + r'ew' x 
essa sì può pure scrivere: 


et(r 4 r'elt'—t)k), 
ovvero 


(r + r'erlt+1) x) att, 


e quindi è decomposta nel prodotto d’una rotazione per una 
dilatazione, ovvero d’una dilatazione e d’una rotazione. 


8. Sono ancora a notarsi le sostituzioni il cui determinante 
è nullo. 


Si hanno le formule: 7, r", t, t#'eq.9. 
det at —= 1, inv et = cosf, inv etr1 = — sent, 
det rat — r?, inv ret = r così 
det r'et'x = — #2, inv r et'x= 0. 


det (ret + r'et'g) = 7° — #02, 


C. F. PARONA E 6. ROVERETO — DIASPRI PERMIANI, ECC. 167 


Diaspri permiani a radiolarie di Montenotte 
(Liguria Occidentale); 


Nota di C. F. PARONA e di G. ROVERETO. 


Nel mezzo del massiccio arcaico ligure, lungo la storica 
valle di Montenotte, trovasi una zona di roccie diasprigne col- 
legata a quarziti, ad anageniti, a scisti sericitici di aspetto per- 
miano. Per avere trovato radiolarie nei diaspri, e perchè il 
giacimento collegasi ad altri non meno notevoli delle Alpi, 
abbiamo atteso alla compilazione di questa nota. 


Bibliografia. — La valle di Montenotte è parecchie volte 
ricordata dagli autori, che hanno trattato di geologia ligure. 
Ricordiamo precipuamente che il Taramelli (1) ha osservato, 
percorrendo la strada fra le due frazioni di Montenotte, scisti 
talcosi di colore vinato e alternati con eufotide a minuti ele- 
menti. L’Issel (2) cita eufotide fra Montenotte inferiore e supe- 
riore, a M. S. Giorgio, a M. Greppino, a M. Negino. Al Passo 
del Bonomo ancora l’Issel ricorda vene di calcedonio. 

Nella carta geologica del d’Halloy (3) è segnato nei dintorni 
di Montenotte il terreno emilisiano (paleozoico); in quella del 
Pareto (4) il verrucano. Il Sismonda (5) nota invece nella sua 
carta, a cominciare dal M. S. Giorgio, scisti del giura-metamorfico, 
e distingue in modo assai esatto il massiccio gneissico. Nelle 
carte più recenti. l’Issel, il Mazzuoli e lo Zaccagna (6) hanno 


(1) Taramerri T., Osservazioni geologiche fatte nel raccogliere alcuni cam- 
pioni di serpentini (Boll. Soc. Geol. Ital, pag. 123, 1882). 

(2) IsseL A., Liguria geologica, ecc., vol. I, pag. 428. Genova, 1872. 

(3) D'OxmaLius D’HarLoy, Carte Géognostique de la France et des quelques 
contrées voisines. Paris, 1839. 

(4) Parero L., Carta geologica della Liguria Marittima. Genova, 1846. 

(5) Sismonpa A., Carta geologica di Savoia, Piemonte e Liguria. Torino, 
1862. 

(6) Mazzuori L., Isser A., Zaccagna D., Carta geologica delle Riviere 
Liguri e delle Alpi Marittime. Genova, 1887. 


168 C. F. PARONA E G. ROVERETO 


riferito tutta la formazione arcaica al trias; il Taramelli (1) al 
permiano; nuovamente l’Issel con lo Squinabol (2), pubblicando 
maggiori dettagli di rilievo, l’hanno lasciata incerta in quanto 
all’età. In ultimo uno di noi (3), in una carta pubblicata dopo 
la scoperta dei diaspri, fra estese zone di arcaico e di miocene, 
ha segnato un piccolo lembo di permiano. 


Serie dei terreni dai gneiss ai diaspri. — Per la strada che 
dal Santuario di Savona sale a Cà di Ferrè, scende a Monte- 
notte e segue il rio omonimo sino presso Pontinvrea, dove il 
rivo si immette nell’Erro, si attraversa quasi normalmente la 
serie arcaica, col passaggio dalla parte inferiore, rappresentata 
da gneiss con intercalazioni di anfiboliti e di micascisti, alla 
superiore, costituita da scisti lucidi, da “calcescisti, da eufotide, 
da serpentina, con una notevole massa di granito, prossima a 
levante e intrusa fra le due serie. 

Fra tutte queste roccie sono a darsi alcuni ragguagli di 
quelle, che si collegano alla formazione diasprigna. 

Sui gneiss scistosi, quando non sia interposto il granito, 
che, oltre essere in grande massa, presenta affioramenti di apofisi 
filoniane di contorno, riposano degli scisti sericitici o lucidi 
di cui alcuni di colore violaceo già notati dal Chabrol (4). 

In questi scisti cominciansi a trovare, al disopra di Palazzo 
Doria, ammassi di eufotide, facilmente riconoscibili perchè bene 
caratterizzati e a grossi elementi. Quivi, collegate alle eufotidi, 
sono anfiboliti con elemento bianco albitico-quarzoso, attinoto, 
calcite, magnetite, con l'aggregazione delle anfiboliti della serie 
superiore; ossia con i cristalli bacillari che tendono a definirsi 
nettamente, e la pasta bianca che non presenta orientamento 
molto evidente. 

Salendo ancora, si presenta un calcare cristallino bigio- 


(1) Taramerri T. e G. MarcaLti, Il terremoto ligure del 23 febbr. 1887 
(Ann. Uff. Centr. di Met. e Geodin., VIII, 1880). 

(2) IsseL A., Squinasor S., Carta geologica della Liguria e dei territori 
confinanti. Genova, 1890. 

(3) Rovereto G., Rilievo geologico del Massiccio arcaico ligure (Boll. Soc. 
Geol. Ital., tav. V, 1895). 

(4) CaasroL DE Vorvic, Statistigque des provinces de Savone, ecc., vol. I, 


pag. 33, 1824. 


è 


DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 169 


ceruleo, con lettini di scisti argillosi, in banchi regolari, a frat- 
ture normali e angolari, che dividono la roccia in parallelepipedi. 

Dopo il calcare si ripetono gli scisti argillosi e lenti di eu- 
fotide, sino prima di giungere a C. Naso di Gatto. Sopra di 
questa riposa sugli scisti, con trasgressione non bene evidente, 
l'isola di calcare dolomitico triassico di M. Pra. 

Oltre Naso di Gatto, nei dintorni di Cà di Ferrè e di C. Le 
Meuje, i conglomerati miocenici tongriani coprono la serie arcaica. 
Dove terminano, presso €. Sorie, si ritrovano gli scisti fissili, 
continuantisi con nulla di notevole sino a Cravone, di poco a 
mezzogiorno di Montenotte superiore. Qui di nuovo la cotica 
miocenica impedisce osservazioni sullo svolgimento seriale del- 
l’arcaico, sino che al rivo prima della C. delle Isole, scendente 
dalla quota m. 814 della carta topografica militare, compare una 
grossa zona di eufotide e poi, alla C. delle Isole, la formazione 
diasprigna, con i seguenti rapporti in dettaglio: 


Zona diasprigna di C. delle Isole. — La roccia diasprigna, 
sita immediatamente a settentrione della cascina citata, è costi- 
tuita da letti diasproidi, alternanti con letti ftanitici e quarzosi; 
si estende orizzontalmente per oltre 150 m., sino a che viene 
ricoperta dal miocene. 

Nello sporgere come amigdala di roccia dura dalla cotica 
terrosa è rivestita dietro la C. delle Isole da una fascia di 
marmo bianco; succedono, apparentemente sottostanti, quarziti 
e anageniti (1), quindi, potente a 100 m., un calcare cristallino 
ceruleo, con scisti sericitici plumbei, identico a quello ricordato 
sopra a S. Bartolomeo. Gli scisti sericitici plumbei sono eguali 
a quelli, che si osservano alla Piazza d’Armi di Savona e alla 
Madonna del Monte di Zinola, alla base del verrucano e diret- 
tamente posanti sui gneiss. 

La direzione di questo calcare è la E.-O., ossia è quella 
della serie arcaica, come pure della serie arcaica è la sua im- 
mersione a N. con la forte inclinazione di 60°. 


(1) L’Havy disse anagenite una roccia conglomeratica a base di frammenti 
feldispatici; per noi, come per gli altri geologi italiani, il vocabolo ha però 
un significato affatto diverso, perchè si riferisce al livello conglomeratico, 
in gran parte quarzoso, che sta tra i calcari del trias medio e la serie del 
verrucano. 


170 C. F. PARONA E G. ROVERETO 


Dove i calcari terminano succede, con rapporti non bene 
visibili, un ammasso di eufotide, potente oltre 250 m. Non in 
posto, ma con ogni probabilità collegati a queste roccie dia- 
sprigne, sonvi delle anfiboliti (prasiniti) in grandi massi, a lettini 
bianchi di quarzo granoso e di albite, con clorite e epidoto. In 
massi sparsi trovasi pure altra roccia verde a chiazze nere, che 
risulta al microscopio uno scisto glaucofanitico di contatto del- 
l’eufotide. 

Il motivo tettonico di questo complesso è una pila di strati, 
con l'inclinazione ricordata, che posa sull’eufotide e sorregge la 
roccia diasprigna. Questa non asseconda intieramente l’inclina- 
zione di 60°; ma tende a ripiegarsi, quasi fosse compresa in un 
sinclinale piuttosto ampio; sinclinale del quale mancherebbe una 
gamba, perchè coperta dal miocene (vedi fig.). 


1. Conglomerato miocenico; 2. Roccia diasprigna ; 3. Quarzite; 4. Anagenite; 
5. Calcare ceruleo con scisti plumbei; 6. Eufotide, 


Proseguendo verso Montenotte inferiore, dovunque il mio- 
cene è squarciato, appare l’eufotide; sicchè questa roccia anche 
da questo altro lato è presumibilmente a contatto della zona 
diasprigna. 


Zona diasprigna di Montenotte inferiore. — Lungo la salita 
da Montenotte inferiore alla C. Crocetta e Bric del Bonomo, 
esiste un altro giacimento di roccie ftanitico-diasprigne, di cui 
ha già fatto cenno uno di noi, ritenendolo in rapporto con 
l'eruzione granitica. Si osservano, senza poterne stabilire i col- 
legamenti, ammassi di anfibolite e di eufotide, come quelli 
descritti; poi, e precisamente in una piccola trincea della strada, 
due sottili banchi di anfibolite, che è costituita in grande parte 
da attinoto, il resto è alterato atmosfericamente. Fra essi è 
interposto uno strato di ftanite frammentaria, che è più tenera e 
meno silicifera delle roccie diasproidi osservate a C. delle Isole. 

Un vero diaspro si trova invece più in alto; ma la sua 
massa è isolata completamente dalla cotica terrosa e dal miocene. 
Le roccie più vicine sono: calcescisti e anfiboliti, decisamente 


DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. Pel 


arcaiche, del Rio Balbi; eufotide, granito e scisti di aspetto 
dubbio delle falde di Cima la Biscia. 


Petrografia dei diaspri. — Alla C. delle Isole la roccia, più 
che un diaspro, nei lettini che hanno tale l’aspetto, è una quar- 
zite a quarzo interamente rifatto in microcristalli fittamente 
associati, senza radiolarie e con rara sostanza pigmentare fer- 
ruginosa. Nella salita alla C. Crocetta si hanno invece dei veri 
diaspri, con quarzo di origine organica e con minerali accessori 
e strutture piuttosto interessanti. 

Nella struttura normale sul fondo ematitico di colore da 
rosso-vinato a rosso-bruno spiccano, salvate in gran parte dalla 
invasione pigmentare, le radiolarie, irregolarmente sparse, qua 
e là più copiose, quasi raccolte in nidi; quelle a loro volta 
colorate risaltano sempre sul fondo per offrire una maggiore 
opacità. 

Nei campioni con la struttura laminata i vacuoli sempre 
rotondeggianti delle radiolarie restano allungati ellitticamente 
tutti in un senso, e passano col loro guscio siliceo a quarzo 
rigenerato di aspetto fresco, microcristallino, alcuna volta quasi 
calcedonioso, e che dalle radiolarie, quasi in mesostasi, si parte 
ad attraversare, in minute vene reticolate, tutto il campo di 
sezione; gli elementi coloranti rimangono addensati tra le ra- 
diolarie. 

Abbiamo potuto anche osservare la struttura zonata, in cui 
secondo i livelli si ha maggiore o minore pigmentazione, e zone 
di quarzo rigenerato con sfeno in granuli allungati. 

In complesso però, a paragone dei diaspri di altre località, 
questi si sono mostrati poveri di minerali. Oltre lo sfeno non 
si sono potuti riscontrare che magnetite, oligisto e clorite. Note- 
voli alcune sbavature collegate alla magnetite, di un azzurro 
intenso a luce naturale, senza pleocroismo, estinte alla polariz- 
zazione, che rappresentano una particolare alterazione della ma- 
gnetite è con ogni probabilità vivianite amorfa; se si trattasse 
di una roccia vulcanica il minerale sarebbe di certo stato de- 
terminato per hauyna. L’oligisto in lamelle cristalline fu riscon- 
trato in un solo caso in aureola attorno ad una radiolaria; la 
clorite, questa pure rara, fu osservata in aureole o nell’interno 
dei fossili, che ne guadagnarono per la loro conservazione. 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 14 


172 C. F. PARONA E G. ROVERETO 


Tra le altre osservazioni generali ricorderemo, che la poro- 
sità della silice dei fossili favorisce l’inquinazione delle aureole 
sino, come in altri casi, alla completa sostituzione molecolare (1). 
La rigenerazione quarzosa, che avviene per cause ancora ignote, 
si agglutina attorno alle radiolarie dando loro, come quando il 
quarzo diventa calcedonioso, un aspetto straordinario di robu- 
stezza, finora diversamente spiegato. In fine, comunque fissino 
le radiolarie la silice, è certo che la grande quantità di silice 
endogena favorisce lo sviluppo degli organismi silicei. 


Studio paleontologico. — Le radiolarie sono nella massima 
parte indeterminabili per incertezza nei contorni e per insuffi- 
cienza di caratteri ornamentali; però numerose sezioni ci occor- 
sero per raccogliere le forme riprodotte nella unita tavola, le 
quali pure in gran numero non sono conservate quanto sarebbe 
necessario per procedere con sicurezza alla determinazione ge- 
nerica e specifica. Probabilmente fu per questo stato di imper- 
fetta conservazione, che di rado ci fu possibile di intravedere, 
ma in nessun caso di distinguere con sicurezza, qualche rappre- 
sentante di buon numero di famiglie (Cubosphaerida, Callosphaerida, 
Cyphinida, Panartida, Phacodiscida, Coccodiscida, Spongodiscida, 
Pylonida, Lithelida, Phorticida, Coronida, Tympanida, Phaeno- 
calpida, Tripocyrtida, Podocyrtida) sebbene già note, anche con 
ricchezza di forme, allo stato fossile ed i cui generi, in gran 
parte se non tutti, sono caratterizzati dalla particolare scoltura 
anzichè dal contorno. Per lo stesso motivo, solo per eccezione 
abbiamo creduto di poter riferire con certezza le forme riscon- 
trate a specie già note: nella maggior parte dei casi abbiamo 
dovuto limitarci a confronti ed avvicinamenti. 

I generi riconosciuti sono 88, dei quali soltanto 3 non furono 
prima d’ora riconosciuti in terreni più antichi del Giura. Le 
forme riferibili a questi generi sono 57: di esse 20 all’incirca 
si prestano a confronti più o meno vicini con specie triasiche 


(1) Il Riist (Palaeontographica, vol. 388, pag. 123) e il Cayeux (Bull. Soc. 
Géol. de France, 1894, pag. 215) hanno segnalato scheletri di radiolarie 
cambiati in prodotti carboniosi; così l’Hinde (Ann. and Magaz. Natur. Hist., 
1890, pag. 40) in particelle ferruginose e in calcite. La conversione in opale 
e in calcedonio è nota per il Cayeux (l. cit.) e per il Traverso (Boll. Soc. 
Geol. Ital., 1893, pag. 38). 


DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 173 


o paleozoiche, 10 con specie del Giura e della Creta, 9 si pos- 
sono ritenere nuove e le altre sono genericamente o specifica- 
mente di dubbia determinazione. I confronti più numerosi si 
hanno con radiolarie carbonifere e triasiche. Ora, pur tenendo 
calcolo delle difficoltà di una rigorosa determinazione per radio- 
larie fossili studiate in sezioni sottili di roccie silicee e della 
scarsa importanza che, per riguardo alla stratigrafia, hanno le 
numerose forme, che ricompaiono in tutti i depositi a radiolarie 
dai più antichi ai più recenti, è tuttavia significante il fatto 
dei rapporti, che riscontriamo fra la nostra fauna a radiolarie 
e quelle triasiche e carbonifere. La mancanza di rapporto con 
quella del permiano si spiega agevolmente colla circostanza che, 
secondo le monografie del dott. Riist, finora si conoscono solo 
2 specie permiane. 

È interessante anche il confronto colle faune a radiolarie 
del Monte Cruzeau, fatto in base ai risultati dello studio pub- 
blicato da uno di noi e più ancora in base a ricerche sopra 
saggi più compatti di diaspri raccolti più tardi sul posto. Ne 
risulta una spiccata comunanza di forme a conferma del paral- 
lelismo, che noi siamo indotti ad ammettere fra le due forma- 


zioni diasproidi di Montenotte e di Cesana. Questa comunanza 


è ancora più evidente se il confronto si stabilisce colla fauna 
dei diaspri di Baldissero e di altre località del Canavese, perchè 
quivi trovansi facilmente delle varietà di diaspri, nei quali i 
rizopodi si presentano meglio conservati. Degno di nota è pure 
il carattere di affinità che, per parecchie forme, la nostra fauna 
offre con quella a radiolarie (coralli, brachiopodi e trilobiti) del 
culm nel Devonshire e regioni attigue, recentemente illustrata 
dal dott. Hinde (1). 
Ciò premesso, ecco l’elenco delle forme riscontrate (2). 


(1) G. J. Hixpe a. Howarp Fox, On a Well-Marked Horizon of Radiol. 
Rocks in the Lower Culm Measures of Devon, Cornwall, and West Somerset 
(Quart. Journ. of the Geol. Society, nov. 1895). 

(2) Ci siamo limitati all’ingrandimento di 100 d., quando un ingran- 
dimento maggiore riusciva inutile e, cioè, nel maggior numero dei casi; 
nei cenni descrittivi sono avvertiti i casi di ingrandimenti superiori ai 100. 
Le figure, ottenute colla camera lucida, sono ridotte nella tavola a poco 
più della metà della grandezza originaria. — Le opere consultate, non ci- 


174 C. F. PARONA E G. ROVERETO 


SpHaEROZOUM, fig. 1, spicole molto comuni. — SpPmaEROzouw (?) (X 305), 
fig. 2. 

CenospHAaERA GREGARIA Riist, forma comune, che si ripete dal paleozoico 
alla creta (Riist, 1885, 1888, 1892. Parona, 1890, 1892). — C. PAcHYDERMA 
Riist, comune come la precedente (Rist, 1885, 1892. Parona, 1890, 1892), 
la fig. 3 rappresenta un esemplare di grandi dimensioni — diam. 0,200, 
spess. del guscio 0.030. — C. f. n., fig. 4, affine alla precedente ma picco- 
lissima — diam. 0.065. — C. minura Pant., fig. 5, forma finora conosciuta 
soltanto nella creta e nell’eocene (Pantanelli (Ethmosphaera), 1880, Riist, 
1888) — diam. 0.090. ì j 


CarpospHaera cfr. JesUNA Rist (1892, pag. 136, Taf. VII, fig. 1), fig. 6 
(X 305); differisce dalla specie carbonifera solo per le minori dimensioni — 
diam. 0.122, diam. della sfera interna 0.025. 


Raoposp®aERA (?), fig. 7 — diam. 0.146, sfera int. 0.048, spess. del 
guscio 0.010; presenta affinità colla specie triasica e carbonifera È. idonea 
Riist (1892, pag. 137, Taf. VII, fig. 9). 

CaryosPHAERA (?), fig. 8 — diam. 0.160, spess. del ciclo esterno 0.015; 
è affine alla C. groddeckii Riist (1892, pag. 139, T. IX, fig. 1) del devoniano. 


XipHosryLus (?), fig. 9 — diam. 0.160 (?), lungh. della spina 0.304. 


SrAuROSPHAERA, fig. 10 — diam. 0.075; è affine alla S. quadrangularis 
Riist (1892, pag. 143, Taf. X, fig. 5) del siluriano, ma più piccola. — $. f. n., 
fig. 11, diam. 0.224. —‘ 

SraurostyLUSs f. n., fig. 12 — diam. 0.134, diam. dei fori 0.016; affine 
allo S. tenuispinus Riist (1892, pag. 143, Taf. XI, fig. 2) del carbonifero. — 
S. crisrum n. f., fig. 18 (X 220), diam. del corpo e della spina 0.120. 


SrauroLoncHIDIUM (?) sp., fig. 14 — diam. 0.154, 0.117, spess. del guscio 
0.012. 


tate nei lavori sulle radiolarie fossili già pubblicati da uno di noi (0. F. 
Parona, Rad. nei nod. sele. d. cale. giur. di Cittiglio, Boll. Soc. geol. ital., 
IX, 1890; Scist. silic. di Cesana, 1892) sono: RoranpLETz, Radiolarien, Dia- 
tomaceen und Sphirosomatiten im Silurischen Kieselschiefer von Langenstriegis 
in Sachsen, Zeischr. d. Deut. geol. Gesellsch., 1880. — T. WiswIowsKI, Beitrag 
zur Kenntn. d. Mikrofauna aus den oberjurass. Feuersteinknollen der Umgeg. 
von Krakau, Jahrb. d. k. k. geol. Reichs., 1888. — G. J. Hinpe, Notes an 
Radiol. from the Lower Palaeozoie Rochs (Llandeilo-Caradoc) of the South 
of Scotland, Ann. and Mag. of Nat. Hist., 1890. — J. PernER, 0 radiolariich 
2 Ceského ditvaru kridového, Zitzungsb. d. Kònigl. bihm. Gesell. d. Wiss. 1891. 
— Riisr, Beitr. 2. Kennt. d. foss. Radiol. a. Gest. d. Trias und d. palaeozoisch. 
Schichten, Palaeontograph., Bd. 38, 1892. — Rist, Contributions to Canadian 
micropalaeontology, Geol. a. Nat.-Hist. Survey of Canada, 1892. — G J. HIDE, 
Note on a Radiolarian Rock from Fanny Bay, Port Darwin, Australia, Quart. 
Journ. Geol. Soc. 1893. — Hinpe, Note on the Radiol. in the Mullion Island 
Chert, ibid., 1893. — L. Caveuvx, Première note sur les Radiolaires précam- 
briens, Bull. d, 1. Soc. géol. d. France, XXII, 1894. 


STI 


DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 175 


Doryprcrrux f. n., fig. 15 — diam. della sfera 0.134, lunghezza dell’ap- 
pendice 0.160; differisce, per la maggior robustezza della spina, del D. 
simplex, tipo del nuovo genere di Hinde (1890, pag. 54, PI. III, fig. 7). 


CeneLLIPsis cfr. saspipeA Rist, fig. 16 — diam. 0.197-0,134, spess. del 
guscio 0.015; differisce dalla forma tipica (Rist, 1885, pag. 16, Taf. 27, 
fig. 5. Parona, 1892, fig. 7) perchè più piccola. Le figg. 17, 18 probabil- 
mente rappresentano altre sezioni, della stessa forma, diversamente dirette. 
— C. armata n. f., figg. 19, 20, diam. dell'esemplare più grande 0.287- 
0.224, spess. del guscio 0.018. — C. f. n., fig. 21, diam. minore 0.224, spes- 
sore del guscio 0.030; per i caratteri del margine ricorda talune C. sp. 
figurate da Hinde (1893, Mullion Island, PI. 4, fig. 4, 5, 6). — C. cfr. rETI- 
cucosa Riist, fig. 22, largh. 0.197, lungh. 0.340 (?); differisce dal tipo (Riist., 
1892, pag. 152, Taf. 16, fig. 2) del carbonifero per le maggiori dimensioni. 


ELLipsosryLus cfr. osLiquus Riist, fig. 23 — diam. 0.144-0.074, lungh. 
delle spine 0.090, largh. 0.030; differisce per le minori dimensioni e per 
minore sviluppo della spina dal tipo triasico (Rist, 1892, pag. 153, Taf. XVI, 
fig. 11). 

Lirmapium (?) f. ind., fig. 24 — diam. mass., compresa l’appendice, 0.290, 
diam. min. 0.106, figg. 25 e 26, diam. del corpo 0.100 (?). 

LirmarRActUS f. ind., figg. 27 e 28; la forma 27 è assai vicina al L. 
perforatus Riist (1892, pag. 158, Taf. 18, fig. 8) del Trias. 

SryLatractus PRAECURSOR n. f., fig. 29 (X 305) — diam. 0.134-0.096 
fig. 30 (X 305) — diam. 0.106, 0.080. Le altre specie di questo genere, 
finora note, non sono più antiche della creta. 

Spoxcurus FusirorMIs n. f., fig. 31 — diam. 0.275-0.134. 


. Zoxopiscus f. ind., fig. 32 — diam. 0.195, spess. del guscio 0.015; af- 
fine allo Z. macrozona Riist (1892, pag. 162, Taf. 19, fig. 12) del cardonifero. 


Taropiscus f., ind., fig. 33 — diam. 0.150; affine al T%. converus Riist 
(1892, pag. 163, Taf. 20, fig. 3) del carbonifero. — Tra. (vel Triactiscus) 
cinctus n. f., fig. 34, diam. 0.155, spess. del guscio 0.018, lungh. della spina 
0.134. — Ta. (?) f. ind., fig. 35 (X 305). 

Poropiscus f. ind., fig. 36 (X 305) — diam. 0.096; forma intermedia 
fra il P. lawus Riist (1888, pag. 198, Taf. 24, fig. 9) della creta ed il P. 
Paronae Riist (1892, pag. 167, Taf. 23, fig. 2) del trias, ma assai più pic- 
colo di ambedue. — P. f. ind., fig. 37, diam. 0.190-0,160. — Poropiscus 
f. ind., fig. 88, diam. 0.122; ha caratteri di affinità col P. glauconitarum 
Perner (1891, pag. 269, Tab. X, fig. 11) della creta e col P. clathratus Hinde 
(1895, pag. 640, PI. 27, fig. 12) del culm. 

Xipwoprerya f. ind., fig. 39 — diam. del corpo 0.213-0.120, lungh. della 
spina 0.180; ha qualche affinità colla X. acuta Riist del giura (1885, pag. 25, 
Taf. 6, fig. 11). Questo genere finora non si conosceva per piani più antichi 
del giura. 

SryrLopicryAa ARANEA n. f., fig. 40 (X 220) — diam. 0.290-0.160. 


Rmaopmorastrum: i rappresentanti di questo genere sono abbastanza 


176 C. F. PARONA E G. ROVERETO 


comuni, ma sempre male conservati ed incompleti; essi si possono riferire 
alle forme già riconosciute nei diaspri di Cesana (Parona, 1892) ed anche 
a quelle riscontrate da Hinde (1895, pag. 641, PI. 27) nel culm. 

HacrastroM AvuM n. f., fig. 41, lungh. massima delle braccia 0.224, 
diam. delle capocchie 0.109; appartiene al tipo del H. egregium Riist (1885, 
pag. 29, Taf. 9, fig. 5) del giura, ma se ne distingue per dimensioni diverse 
delle varie parti e per la minor grandezza. — H. f. ind., fig. 42. — Questo 
genere finora non fu riscontrato in terreni più antichi dei giuresi, sono 
del resto comuni i suoi rappresentanti anche nei diaspri di Cesana. 


SraurALASTRUM cfr. AcuLEATUM Riist, fig. 43, lungh. del braccio 0.275, sua. 
largh. 0.042; differisce dal tipo triasico (Riist, 1892, pag. 171, Taf. 24, fig. 7) 
per la minor grandezza. 


ZxGocircus simpLicissimus Riist (1892, pag. 176, Taf. X, fig. 7), fig. 44, 
diam. 0.090, spess. medio del cerchio 0.012. 


CannoBoTRYs sTRrUMOSA n. f., fig. 45 — diam. 0144-0.190; è affine, ma 
assai più piccola, alla C. (Lithobotrys) uva Riist (1885, pag. 31, Taf. X, fig. 2) 
del giura. Questo genere per la prima volta viene citato per terreni più 
antichi del giura. 


TripiLIDIVM f. ind., fig. 46, diam. mass. 0.096. — Tripopiscium (?) f. ind., 
fig. 47, diam. mass. 0.122. 


ArcHicapsa f. ind., fig. 48 — diam. 0.160-0.117; affine, ma assai più 
piccola, alla A. rotundata Riist (1885, pag. 34, Taf. XI, fig. 2) del giura. 


SerHocaPsE MIcROPORA n. f., fig. 49 — diam. 0.294-0.180. — S.(?) f. ind., 
fig. 50, diam. 0.290, 0.186. — S. (?) f. ind., fig. 51, diam. 0.197-0.186. 


CryProcarsa (?) f. ind., fig. 52 — diam. 0.074-0.053. , 
CecryPe. rum (?) f, ind., fig. 53 — diam. 0.144-0.134. 


TarosyrincioM Hinper n. f., fig. 54 — diam. 0.661-0.290, affine al TA. 
precox Riist (1892, pag. 184, Taf. 28, fig. 1) del zrias, ne differisce special- 
mente perchè assai più stretto. — Tn. f. ind., fig. 55, diam. 0.350-0.138; 
per la forma somiglia al 7%. proboscideum Riist (1885, pag. 39, Taf. 12, 
fig. 12) del giura, ma ne è più piccolo. — T4. f. ind., fig.56 — diam. 0.290- 
0.144; ripete la forma del T%. Amaliae Pantan. (Rist, 1885, pag. 39, Taf. 12, 
fig. 13) comune nel giura, nella creta e nell’eocene, ma le dimensioni sue 
sono assai minori. 


TricoLocaPsa PHIALA n. f., figg. 57, 58 — diam. 0.290-0.140. — Tx. 
ArEoLATA, n. f., fig. 59 (X 220) — diam. 0.149-0.085; nei. caratteri della 
forma e del margine è affine alla Tr. abdominalis Riist (1892, pag. 186, 
Taf. 28, fig, 4) del trias. — Tr. f. ind., fig. 60 — diam. 0.076-0.053. — 
Tr. cfr. osesA Riist, fig. 61 — diam. trasv. 0.144, spess. del guscio 0.030; 
Rist riscontrò questo tipo nel devoniano, nel titonico e nel neocomiano 
(1885, pag. 310 (Theocapsa), Taf. 37, fig. 17 — 1892, pag. 185, Taf. 28, fig. 2). 
— Tr. f. ind., fig. 62 — diam. 0.094-0.042. 

Dicrromitra: traccie indeterminabili. 


Lirnocampe f. ind., fig. 63 — diam. 0.238-0.144; forma affine alla 


DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 177 


L. exaltata Rist (1885, pag. 45, Taf. VI, fig. 1) del giura. — Lirx. f. ind., 
fio. 64 — diam. 0.144, 0.050. — Lirx. cf. orensurGENSIS Riist (1892, pag. 188, 
Taf. 29, fig. 5), fig. 65 — diam. 0.240-0.070, fig. 66, diam. 0.195-0.088; il 
è devoniano. 

SricHocapsa f. ind., fig. 67 (X 305) — diam. 0.134 (?)-0.090; affine, 
ma assai più piccola, alla St. citriformis Rist del trias (1892, pag. 191, 
Taf. 30, fig. 8). — Sr. f. ind., fig. 68 — diam. 0.088-0.050. 


tipo 


Considerazioni. — È il caso di esporre alcuni dubbi che 
sorgono dallo studio complessivo della regione. Innanzi tutto ci 
siamo chiesti parecchie volte se i diaspri non avessero rapporto 
coll’eruzione granitica (1); il granito è superficialmente distante 
poco più di 1350 m., poichè presso Cima la Biscia vi ha l’af- 
fioramento di una apofisi filoniana. Ma se non mancano gli indizi, 
mancano le prove, e non ci arrischiamo ad una conclusione, 
da uno di noi forse prematuramente già data (2), che, fissando 
l’età di eruzione del granito, sarebbe di non poco interesse. 
Per chi volesse continuare lo studio della regione aggiungeremo, 
che fanno corona al granito, certo per un qualche movente tet- 
tonico, numerose isole di calcare dolomitico (3), e che alcune 
vengono quasi a suo contatto. È interposto fra questi, come 
alla C. Giberto, uno scisto violaceo rossastro, visto anche dal 
Franchi (4), da ritenersi del verrucano, e molto somigliante a 
quello osservato a Palazzo Doria. Alla Madonna degli Angeli 
presso Savona si osserva, in mezzo al verrucano, una roccia 
molto alterata, che ha aspetto di granito. 


CRT i deli prib. 


(1) Se ciò fosse, si avrebbe un nuovo esempio della resistenza dei gusci 
delle radiolarie a cause di metamorfismo molto pronunciate. Di certo però 
non mancano le eccezioni. I diaspri a radiolarie dell’orizzonte di Arenig 
in Scozia, studiati da Peach, e che sono, secondo Horne, prodotto di meta- 
morfismo del granito, non presentano fossili riconoscibili se non a due 
miglia dalla roccia eruttiva. (Cfr. DoLrus in Ann. Géolog. Univ., pag. 931, 
1892). . 

(2) Rovereto G., Arcaico e Paleozoico nel Savonese (Boll. Soc. Geol. Ital., 
pag. 55, 1895). 

(3) Il Chabrol accenna probabilmente a questo trias quando ricorda 
che ad est del Santuario, a M. Tremo (?) e a M. Cutre (?) esistono lembi 
di calcare compatto (1. cit., vol. I, pag. 35). 

(4) Francni S., Formazione gneissica e roccie granitiche del massiccio 
cristallino ligure (Boll. R. Comit. Geol., pag. 43, 1893). 


178 C. F. PARONA E G. ROVERETO 


Altra roccia eruttiva, collegata ai diaspri ovunque ne sono 
giacimenti, è la eufotide; una eufotide di aspetto eocenico, e di 
deciso comportamento eruttivo, come d’altra parte lo sono le 
rimanenti della serie arcaica. Solo differenzierebbe per essere 
intrusa negli scisti e nei calcari di aspetto permo-triassico e non 
nelle serpentine, per includere frammenti di eufotide laminata, per 
alcuni sviluppi epigenici verso il contatto (contorno qglaucofanitico 
ai cristalli di diallagio, conversione in epidoto della labradorite 
e riproduzione ortosica) (1). 

Le anfiboliti che vi si collegano è ben vero che hanno 
caratteri arcaici; ma si notino gli stretti rapporti osservati fra 
queste e i diaspri alla salita da Montenotte inferiore alla Cl. 
Crocetta. 

Gli scisti, che con i calcari formano come lo sfondo della 
regione, furono da uno di noi già posti nel trias inferiore, ulti- 
mamente poi lasciati nell’arcaico; perchè aventi la direzione e 
l'immersione della serie arcaica, come d’altra parte l'hanno i 
diaspri; perchè nelle Alpi è già stata segnalata fra le due serie 
arcaiche una zona di calcari e di scisti di aspetto più recente. 

Però alcuni stacchi tettonici dall’ arcaico esisterebbero. A 
Bossarino i calcari e gli scisti di aspetto recente sono, con ogni 
probabilità, troncati normalmente alla loro direzione; poichè 
sulla costa soprastante di M. Priocco non esistono che gneiss. 
Il confine poi fra gneiss e scisti sarebbe nella valle del Letimbro 
portato molto più a sud che non in quella della Bormida; è 
frapposto un esteso lembo di miocene che impedisce altre osser- 
vazioni. A Traversine lo scisto con aspetto permiano forma una 
piccola piega con direzione N. 40° E. 

All’intorno di questa zona, che contornia il granito a po- 


(1) Uno di noi fu il primo a segnalare la conversione in glaucofane 
del diallaggio anche per le eufotidi arcaiche (Roverero, La serie degli 
scisti, ecc., II, pag. 28 e tav. IV, fig. 5). L’ortose in plaghe microgranulari 
è certamente riprodotto e non protogenitico; quindi è apparente il legame 
che potrebbe intravvedersi fra questa roccia e le sieniti. Non può sussistere 
il dubbio, avanzato da D’Achiardi (Guida al Corso, ecc., pag. 338) per altri 
casi, che non si tratti di eufotide; ma è una nuova accidentalità di meta- 
morfosi, essenzialmente acida ed alcalina, da aggiungere a quelle segnalate 
da uno di noi (l. cit.) e recentemente dal Franchi (Notizie sopra alcune 
metamorfosi, ecc. Boll. R. Comit. Geol., pag. 181, 1895). 


DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 179 


nente, a settentrione ed alquanto a levante, con un’ estensione 
laterale di più di due chilometri, comparisce la serie arcaica 
nei suoi tipici caratteri; e già ad ovest lungo la strada da Bric 
Castlàs alla collina di Dego, a settentrione, lungo il rio Balbi, 
esistono micascisti arcaici. A levante del contatto granitico si 
ha la zona di eufotide di Corona, identica litologicamente a 
quella di Montenotte; da un lato viene a diretto contatto con 
il granito, dagli altri con l’arcaico. Su di questa posano i cal- 
cari del trias (Bric del Giogo), ed a Contrada, alla C. Figiu de 
Peu, esistono gessi triassici stranamente collegati a serpentina. 
Anche la massa granitica, di ragguardevole potenza, che trovasi 
tra le C. Vascellotta e Cercera, sul versante di ponente del 
Bric Ormè, e notata sulla carta geologica pubblicata da uno di 
noi, è accompagnata da eufotide. 

Se non ad altro, queste incertezze, valgono a far compren- 
dere come siano possibili tante discussioni sull’ordinamento da 
darsi a roccie simili a queste nostre; roccie che esistono nelle 
Alpi sul bordo occidentale dell’arcaico. Se seguissimo il Lory 
che, come è noto, voleva triassica gran parte della zona delle 
pietre verdi nelle Alpi Occidentali, noi avremmo di certo tanto 
di che da potere risolvere la questione nel senso di considerare 
triassiche o permiane tutte le roccie eruttive e gli scisti ri- 
cordati. 

Pare invece che esistano solo dei piccoli lembi permo-trias- 
sici, con roccie eruttive, in mezzo all’arcaico. Infatti lo Zac- 
cagna (1), che dal Lory ha preso ben poco, ha però osservato, 
presso M. Salza, pietre verdi con ftaniti di aspetto recente, e 
giustamente inclina a ritenerle tali; benchè i caratteri che 
ricorda dell’eufotide, compresa fra queste pietre verdi, di pre- 
sentarsi in masse ovoidali, di avere croste variolitiche e di essere 
collegata ad una serpentina con aspetto eocenico, si verifichino 
in Liguria anche per le roccie corrispondenti decisamente antiche. 

Fa più al caso nostro ciò che hanno segnalato l’Issel e il 
Traverso (2) a Baldissero; dove con rapporti di liquazione si 


(1) Zaccagna D., Sulla geologia delle Alpi Occidentali (Boll. Comit. Geol., 
pag. 387, 1887). 

(2) IsseL A., Appunti geologici sui colli di Baldissero, con Appendice 
Petrogr. di S. "Traverso (Boll. Soc. Geol. Ital., pag. 255, 1893). 


180 C. F. PARONA E G. ROVERETO 


hanno peridotite, granito e tufo porfirico, a prodotto di contatto 
i diaspri; dove, a determinare l’ età dell’eruzione, più che le 
radiolarie dei diaspri, vale, a vece dell’anagenite, una arenaria 
con la facies del Fothliegende. 

A Cesana uno di noi (1) segnalava il collegamento fra i 
diaspri a radiolarie e zone di serpentina e di scisti verdi, 
e notava come non potessero considerarsi più recenti del trias 
inferiore (2). 

Degli argilloscisti rossi, sottostanti al trias, affatto simili 
a quelli che a Rivara Canavese fanno graduato passaggio ai 
diaspri , si incontrano anche nelle Alpi Marittime, a giudicare 
dai saggi dei dintorni di Mondovì (avuti dal prof. Bruno); della 
valle Vermegnana, presso il ponte sotto Vernante (collez. Sis- 
monda nel Museo Geologico di Torino); e della valle Gordolasca 
(comunicati dall’ing. Franchi). 

Pare quindi evidente, che gli scisti silicei a radiolarie di 
Baldissero, di Cesana, di Montenotte, si colleghino cronologicamente 
e sieno un particolare livello o una facies del permiano alpino. 
Così sembra che a Baldissero e a Cesana, oltre le già da tempo 
note eruzioni porfiriche del permiano, altre se ne siano avute di 
granito, di peridotite, di eufotide, di diabase. 

Se vi fossero riserve da esporre intorno all’età permiana 
di questi diaspri, ciò sarebbe per le considerazioni già da uno 
di noi fatte (3), relativamente alle difficoltà di ammettere Ja 


(1) Parona C. F., Sugli schisti silicei a radiolarie di Cesana (Atti R. Acc. 
d. Scienze di Torino, vol. XXVII, 1892). 

(2) L'ing. Zaccagna non accettò questo riferimento delle roccie dia- 
sprigne con radiolarie del M. Cruzeau e le ritenne invece arcaiche (Riass. 
di Osservaz. geolog. fatte sul versante occident. delle Alpi Graie (Boll. R. Comit. 
Geolog., 1893, pag. 19). Nuove ricerche fatte sul posto riconfermarono il 
Parona nelle sue idee, confortate anche dall'opinione dell’ing. Mattirolo, 
che più recentemente scrisse: “ Le ftaniti credute arcaiche che sono al 
M. Cruzeau a S. E. di Cesana..... credo appartengano ancora alle roccie 
ritenute permiane, impigliate qui nella serpentina , (Sui lavori eseguiti 
durante la campagna geologica del 1893 nelle Alpi Occidentali (Boll. d. R. 
Comit. Geolog., 1894, pag. 214). — M. Bertrand poi accennò a questa sco- 
perta come a nuovo argomento in sostegno delle sue idee sulla età triasica 
degli scisti lucidi (Éf. d. les Alpes frang., Bull. Soc. Géol., T. 22, pag. 153, 
1894). 

(3) Parona, Nota cit., 1892, pag. 12. 


(CI 


UA 


de Mi PS 


DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 181 


formazione contemporanea, sopra una stessa area, di queste roccie 
con radiolarie e quindi schiettamente marine, e di quelle cla- 
stiche littorali (anageniti, arenarie rosse, ecc.), che costituiscono 
in prevalenza il membro della nostra serie alpina riferita al 
permiano. D'altra parte dobbiamo notare, che fanno parte dello 
stesso membro anche le quarziti, e non è improbabile, che si 
arrivi a scoprirvi traccie di radiolarie, analogamente a quanto 


avvenne per gli scisti quarzitici triassici di Lagonegro (1). 


CONCLUSIONI, 


1° È accertato che nei dintorni di Montenotte esistono 
in mezzo all’arcaico delle roccie diasprigne a radiolarie, accom- 
pagnate da anageniti permiane. 

2° La fauna a radiolarie dei diaspri di Montenotte è quella 
stessa, che si riscontra nelle roccie simili di Cesana e di Bal- 
dissero e presenta rapporti specialmente colle faune del carbo- 
nifero e del trias. 

3° È dubbio se siano permiane la eufotide e le anfiboliti 
prossime alle roccie diasprigne; se il granito, il quale di certo 
non è arcaico, abbia con le eufotidi contribuito metamorficamente 
alla genesi di tali roccie silicee. Questi dubbi non mancano di 
un certo fondamento, e nel caso si riuscisse a risolverli in modo 
positivo, una zona alquanto estesa di permiano, data da scisti 
sericitici, da calcari e dalle roccie eruttive citate, vorrebbe essere 
segnata sulle carte geologiche lungo la valle del rio Montenotte 
e sul versante della valle del Letimbro, dietro il Santuario. 


(1) Lorenzo (DE) G., Le montagne mesozoiche di Lagonegro (Mem. R. Acc. 
di Napoli, 1894, pag. 25). 


182 ANTONIO FAVARO 


Sette lettere inedite di Giuseppe Luigi Lagrange 
al P. Paolo Frisi 


tratte dagli autografi nella Biblioteca Ambrosiana di Milano 


e pubblicate per cura di Antonio Favaro. 


Con così assidua e diligente cura sì sono venuti in questi 
ultimi tempi raccogliendo e pubblicando anche i minimi docu- 
menti relativi alla corrispondenza epistolare del Lagrange (1), 
che io reputo doveroso da parte mia il mettere alla luce alcune 
sue lettere fin qui rimaste inedite e che ho avuta la ventura 
di rinvenire fra le carte del P. Paolo Frisi, presentemente pos- 
sedute dalla Biblioteca Ambrosiana di Milano (2). E questo io 
sono indotto a fare tanto più volentieri, perchè con la presente 
pubblicazione vengono ad aversi quattro nuove lettere del La- 
grange stese in lingua italiana, e nuove affermazioni della sua 
italianità vengono ad aggiungersi al cumulo di prove contenute 
negli altri documenti del suo carteggio (3) ed a quelle già rac- 
colte da Geminiano Riccardi e da Angelo Genocchi (4), dalle 


(1) Tutti gli editi documenti del carteggio del LacrancE trovansi rac- 
colti nei tomi XIII e XIV delle “ @uvres de Lacrance publiées par les 
soins de M. J. A. SerRET, sous les auspices de M. le Ministre de l’Instruction 
Publique; Paris, Gauthier-Villars, imprimeur-libraire, MDCCCLXXXII- 
MDCCCXCII ,. — Ma forse non è a cognizione di tutti gli studiosi che 
il compianto Principe D. BaLpassarre Boncompagni ne aveva raccolte in 
gran numero, sia autografe, sia facsimilate, sia in copia, e che egli di- 
visava di pubblicarle; e certamente si troveranno in bozze di stampa 
della sua privata tipografia; quando, definite le questioni relative alla sua 
biblioteca, il materiale scientifico da lui abbandonato sarà reso accessibile 
agli studiosi. 

(2) Cod. Y. 154. Par. Sup., car. 38-50. 

(3) Euvres de Lacrance, ecc. Tome quatorzième et dernier. Paris, 
Gauthier-Villars et fils, MDCCCXCII, pp. 256, 260, 264, 271, 282. 

(4) Continuazione delle Memorie di religione, di morale e di letteratura. 
Tomo XV. Modena, pp. 160-162. — “ Memorie della Reale Accademia di 


SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, Ecc. 183 


quali risulta come, non solo egli sia italiano, cosa questa che, 
non ostante gli sforzi dell’ Arago (1), non può entrare in discus- 
sione, ma come ancora egli amasse l’Italia e la ritenesse sua 
patria, ripetutamente affermandola come tale e dimostrando in 
parecchie congiunture il suo attaccamento per essa. 

Sarebbe stato mio desiderio di completare tale pubbli- 
cazione mediante le lettere del Frisi al Lagrange; ma, fattane 
ricerca appresso il sig. Lodovico Lalanne, il bibliotecario del- 
l’Istituto che aveva curata l'edizione del carteggio del Lagrange, 
n’'ebbi in risposta che “ nessuna lettera del Frisi si trova fra 
le carte del Lagrange, il quale del resto faceva così poco conto 
di questo suo corrispondente da doversi credere che non avesse 
stimato di conservarne le lettere ,. Questo così severo giudizio, 
il quale, è pur mestieri confessarlo, si troverebbe giustificato 
dalle opinioni manifestate sul conto del Frisi nel carteggio fra 
il D’Alembert ed il Lagrange, si troverà singolarmente contrad- 
detto dalle lettere che noi ora qui pubblichiamo. E se la cosa 
non ci sorprende da parte del D’Alembert, distributore di 
“ billets de grand homme ,, come lo qualificava Federico II (2), 
e bene spesso soverchiamente aspro nei giudizii intorno ai cul- 
tori delle discipline nelle quali con così grande fortuna egli 
stesso sì esercitava, ci reca non poca maraviglia da parte del 
Lagrange, costantemente tanto equanime e sempre rifuggente 
dalle opinioni estreme. 

Che se la posterità non confermò pienamente il giudizio 
che intorno al Frisi avevano dato i contemporanei, è certo ad 
ogni modo ch'egli fu uomo di valore altissimo e meritevole del- 


scienze, lettere ed arti di Modena ,. Tomo I, parte III e IV, pp. xvim-x1x. 
— “ Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, ecc. ,. Vol. IX, 1873-74, 
pp. 752-753. — Cfr. anche: Sopra una lettera inedita di Giuseppe Luigi 
Lagrange pubblicata da D. B. Boncompagni. Comunicazione letta alla R. Ac- 
cademia di scienze, lettere ed arti in Padova nell’adun. del 20 luglio 1879 
dal prof. Anronio Favaro. Padova, tip. G. B. Randi, 1879, pp. 10-12. 

(1) Chambre des Deputés, séance du 16 mai 1842. Rapport fait au nom 
de la Commission chargée d’eraminer le projet de loi tendant à ouvrir au 
Ministre de l’Instruction Publique un credit de 40,000 frs. pour la réimpression 
des euvres de mathématiques de Laplace; par M. Araco, ecc. Paris, 1852, p. 19. 

(2) Quvres de Frépéric II, t. XXIV, p. 568. 


184 ANTONIO FAVARO 


l'amicizia e della stima di quanti al suo tempo andavano per - 
la maggiore nell’arringo matematico. 

Di famiglia alsaziana, stabilita in Italia da due generazioni, 
nacque Paolo Frisi in Milano addì 13 aprile 1728: quindicenne 
appena entrò nella Congregazione dei Chierici Regolari di 
San Paolo, o sia dei Barnabiti, ed allo studio delle matema- 
tiche veniva avviato dal P. Rampinelli, Olivetano, lo stesso che 
era stato maestro alla Agnesi. Il suo primo lavoro, intitolato: 
“ Disquisitio mathematica in causam physicam figurae et magni- 
tudinis telluris nostrae , dato alla luce nel 1751 gli valeva poco 
dopo, cioè quando egli aveva appena raggiunto il venticinquesimo 
anno di età, la nomina a socio corrispondente dell’Accademia 
delle Scienze di Parigi e lo faceva entrare in relazione con i 
più dotti uomini del suo tempo. 

All’ineominciare della sua corrispondenza col Lagrange, 
dalle scuole di S. Alessandro in Milano egli era stato chiamato 
alla cattedra universitaria di Pisa, ed in questo stesso anno 1756 
una sua dissertazione sul moto annuo della terra veniva pre- 
miata dall'Accademia delle Scienze di Berlino; ed il non aver 
osservate le discipline d’un concorso aperto dall'Accademia di 
Pietroburgo tolse ad un suo lavoro sull’elettricità di conseguire 
un altro premio: quell’insigne corpo scientifico ne lo rimeritava 
tuttavia aggregandolo fra i suoi corrispondenti. Un altro premio 
veniva nel 1758 conferito dall'Accademia delle scienze di Parigi 
ad un lavoro del Frisi sull’atmosfera dei corpi celesti, ed intorno 
al medesimo tempo veniva pur compreso fra i soci corrispon- 
denti dell’Accademia di Berlino; e, poichè già per lo innanzi 
egli era stato aggregato alla Società Reale di Londra, può dirsi 
che a trent'anni il suo nome fosse ormai inscritto nell’albo delle 
più illustri Accademie d'Europa. 

Questo abbiamo voluto ricordare, per temperare alquanto 
l'impressione che, dalla lettura dei giudizii privatamente espressi 
sul conto del Frisi nel carteggio fra il Lagrange ed il D'Alem- 
bert (1), potrebbe ritrarre chi non abbia cognizione dei rapporti 
che intorno ai lavori del Frisi medesimo pronunziava pubblica- 


(1) @uvres de Lacrance, ecc. Tome treizième. Paris, Gauthier-Villars, 
MDCCCLXXXII, pp. 66, 152, 239, 242, 246, 252, 291, 293, 296. 


SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, Ecc. 185 


mente il D’'Alembert stesso e che trovansi consegnati in rela- 
zioni che si hanno alle stampe. 

L'ultimo lavoro del Frisi, da lui compiuto in mezzo a soffe- 
renze fisiche atrocissime, fu appunto l'elogio del D’Alembert. 

Ciò premesso, ecco senz'altro le lettere del Lagrange, nella 
riproduzione delle quali ci siamo scrupolosamente attenuti al- 
l’autografo, senza permetterci da parte nostra correzioni di sorte 
alcuna. 


E 


Molto Reverendo Padre, Padron mio Colendissimo. 


Ho ricevuto appunto questa mattina il prezioso regallo che 
V. R. sè degnata di farmi delle due opere contenenti, una la 
celebre dissertazione sopra il moto della Terra che le apportò 
il premio dell’Academia di Berlino (1), e l’altra le tre disser- 
tazioni sull’Eletricismo inviate all’Academia di S. Pietroburgo (2). 
Non mancherò di leggerle con tutta la più possibile attenzione, 
sia per la nobiltà ed eccelenza delle materie che ivi si trattano, 
sia anche principalmente perchè sono parto di un sì sublime 
ingegno, quale è quel di V. KR. , come ne hanno già fatto fede 
le altre Opere da lei con tanto applauso publicate. Io posso 
assicurare V. R. che il maggior piacere che io provi ne’ miei 
piccoli studi si è il trovare ed il leggere delle materie interes- 
santi per sè medesime e trattate con quella certa finezza e 
precizione, che è propria veramente delle Matematiche, ma che, 
per non so qual disgrazia, da pochi Autori si trova praticata. 
Ringrazio adunque V. R. di questo dono col più vivo cuore 
ch'io posso e la prego a voler accetar in contraccambio il buon 
desiderio che io tengo tuttavia di potermi in qualche maniera 
impiegare nel di lei servizio. 


(1) De motu diurno terrae dissertatio, quae a regia Berolinensi scien- 
tiarum Academia praemium philosophis ac mathematicis, primum anno 1754, 
tum rursus anno 1756, propositum, obtinuit. Pisis, ex typ. Jo. Paulli Giova- 
nelli, MDCCLVI. 

(2) Dissertationes selectae lo. ALserti Eureri, PauLLI Frisim et LAURENTII 
Beraup, quae ad imperialem scientiarum Petropolitanam Academiam an. 1755 
missae sunt, cum Electricitatis caussa et theoria, praemio proposito quaereretur. 
Petropoli et Lucae, apud Vincentium Junctinum, MDCLVII. 


186 ANTONIO FAVARO 


Il Sig” De Maupertuis (1) nell’ultima lettera che mi scrissi 
mi fece sapere che si sarebbero negl’atti della Academia di 
Berlino stampate alcune piccole cose da me inviatele sopra il 
principio della minima quantità d’azione: può essere che siano 
in quelli di quest'anno, ma io non li ho ancor potuto vedere: 
egli è già dopo l’anno passato che non ho più avuta alcuna 
lettera dal Sig. Euler (2) col quale io avea qualche commercio 
di lettere; ma non lo attribuisco ad altro che alla presente 
guerra, che può aver impediti i passaggi (3). 

Se non fossi stato s'în ora occupato in lavorare alcuni scritti 
di Mecanica per il mio impiego (4), avrei forze stampate già 
due dissertazioni che ho quasi del tutto in ordine: una sopra 
il metodo dei massimi e minimi applicato alle curve, sopra di 
cui vi è un bellissimo trattato dato fuori dal Sig. Euler, nel 
quale egli risolve il problema per via di un metodo quasi geo- 
metrico ed assai intricato, laddove io ho ridutto tutto a pura 
Analisi; l’altra poi consiste nell’applicazione del Principio Mau- 
pertuisiano a tutti i casi più complicati della dinamiqua ed 
Idrodinamica, ricavando da esso delle formole generalissime per 
cui dato un sistema qualunque di corpi, colle leggi delle forze 
sollecitanti si vengono a dirittura e con facilità grandissima a 
ritrovare tutte le equazioni necessarie per la determinazion del 
moto di ciascun corpo. Tosto che queste mie coserelle vedranno 
la luce non mancherò di adempiere il mio obbligo con V. R. 
Intanto mi rallegro sempre più con lei che sia di tanto onore 
alla nostra Italia, la quale pare quasi comunemente che in 
codeste scienze sia inferiore ad alcune altre Nazioni. 

È passato qui a Torino due giorni fa il dottissimo P. Wal- 
mesley (5) col quale ho avuto piacere di parlar spesso di V. R. 


(1) PrerLuiei Moreau pe MavpeRTUIS, Presidente dell’Accad. di Berlino. 

(2) Nel carteggio fra l’Eurer ed il Lagrange vi è infatti una lacuna 
che va dal 6 settembre 1755 al 24 aprile 1756. 

(3) In questi tempi appunto incominciava la guerra dei sette anni. 

(4) Allude qui al suo ufficio di professore alla Scuola d'artiglieria di 
Torino. A questi suoi Eléments de Mécanique, accenna ancora il Lacrance 
in una sua lettera all’Eurer sotto il dì 24 novembre 1759. Cfr. Euvres, ecc. 
Tome quartorzième, ecc., p. 173. 

(5) Era questi un vescovo inglese al quale il Frisi dedicò il 2° volume 
della sua Cosmographia. 


SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, Ecc. 187 


e de’ suoi rarissimi pregi. Ma egli s'è appena fermato due dì, 
onde non ho avuto tempo di goder: più a lungo la conversazione 
di un sì celebre Matematico, come avrei desiderato. 
Mi conservi intanto ella la sua buona grazia e si accerti 
che io vivo 
Di V. R. 
Torino, li 4 Maggio 1756. 


Devotissimo ed Obbligatissimo servitore 
LuIci DE LA GRANGE. 


P. S. Non ho mancato di inviare a Berlino la lettera di 
V. R. per M. Formei (1). 


II. 
IMustrissimo Signor Padron Colendissimo, 


Il Segretario della Real Academia di Berlino M. Formei, 
nell’inviarmi il diploma di associazione da essa li 2 del mese 
passato speditomi, mi notificò eziandio che la dissertazione (2) 
che riportò il premio di quest'anno fu quella di V. S. Ill.®® e 
mi soggiunse insieme che le avrei fatto piacer sommo a farne 
consapevole V. S. Ill. con pregarla a volerli mandare il più 
presto che fosse possibile una ricevuta della medaglia d’esso 
premio ed indicarle anche una via sicura per cui esso possa a 
lei farla speditamente tenere, dicendo sè non aver mai avuto 
alcun riscontro della lettera che già da qualche tempo a 
V. S. Ill.» scrisse. 

Io provo un piacer sommo nell’ aver questa così bella 
occasione di poter trattare e dedicare la mia servitù ad una 
persona di così gran merito qual'è quella di V. S. Ill.®® e che 
per tale è stata conosciuta e distinta da una sì celebre Academia; 


(1) Grovanni Enrico SamueLe Former, figlio di un esule francese, nato 
a Berlino il 81 maggio 1711 e mortovi l’8 maggio 1797. Fin dal 1748 fu 
segretario dell’Accademia di Berlino. 

(2) È questa la dissertazione De motu terrae, il titolo della quale ab- 
biamo superiormente riprodotto. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 15 


188 ANTONIO FAVARO 


e massimamente ora che ho avuto l’onore di entrar ancor io ad 
esserne parte, sono in obbligo di congratularmi con lei del più 
vivo ‘cuore che io possa, pregandola a non volermi risparmiare 
in cosa alcuna in cui, sia in qualità di Membro di essa, sia in 
qualità di suo devotissimo servitore ed amico vero, potessi esserle 
di qualunque utilità. Mi onori adunque V. S. Ill." de’ suoi coman- 
damenti, e si accerti che io avrò sempre non ordinaria ambi- 
zione di potermele mostrare con l’opere quale ora mi protesto 


DEE 
Torino, li 4 8.bre 1756. 


Devotissimo ed Obbligatissimo servitore 
Luier DE LA GRANGE TOURNIER 
Proff. nella scuola d’Artiglieria di Torino. 


A Monsieur 
Monsieur PauL FRISIUS 
Professeur dans l’Université 

de 
Pise. 


II. 


Molto Reverendo Padre, Padron Colendissimo, 


Con grandissima soddisfazione ho ricevuta la lettera di V. R. 
insieme coll’Operetta sul rotamento de’ corpi che le è piaciuto 
d’inviarmi (1). lo le rendo vive grazie primieramente per la 
buona memoria che ella mantiene di me, e in secondo luogo 
perchè mi ha dato occasione di conoscere e di ammirare le 
sublimi e ingegnose produzioni di cotesto Sig. Cavaliere, a cui 
io prego la sua gentilezza a voler presentare i miei ossequio- 
sissimi ringraziamenti. Egli non è impossibile che io possa ancora 


(1) Autore di quest'opera dal titolo: Discorso matematico sopra il rota- 
mento momentaneo dei corpi ecc. e data alla luce in Napoli nel 1768 coi 
tipi di Donato Campo, fu il cavaliere Giuro Mozzi, patrizio fiorentino, che 
la dedicò al Frisr. 


te dhe 


«ur _—_ ©“, > 


Pe 


SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, ECC. 189 


aver l’onore di riverirla in persona prima del fine di quest’au- 
tunno e di profittare per qualche giorno della sua dottissima 
compagnia. Intanto la supplico a conservarmi nella sua buona 
grazia, e sono con infinita stima e rispetto 


Div BD 
Torino, 14 settembre 1763. 


Umilissimo, Devotissimo, Obligatissimo servitore 
LUIGI DE LA GRANGE. 


EX: 
à Berlin, ce 3 Avril 1767. 
Monsieur, 


Jai été bien faché de n’avoir pu avoir l’honneur de vous 
voir dans mon voyage (1), comme je m’en étois flatté. J'ai 
beaucoup entendu parler de vous è Paris et è Londres, et J'ai 
eu le plaisir d’étre témoin de la justice que l’on vous y rend. 
Comme vous étes membre de notre Académie, elle recevra tou- 
jours avec beaucoup de satisfaction les mémoires que vous 
voudrez bien lui envoyer; vous n’avez qu’'è les adresser è 
M. Formey qui en qualité de secrétaire regoit tous les paquets 
francs de port. Vous aurez peut-étre vu è Paris le 3.%° volume 
de la Société de Turin; n’ayant pas eu le plaisir de vous en 
presenter un exemplaire, je vous prie de vouloir bien vous en 
faire remettre un de ma part de M. Rabbi libraire de l’impri- 
merie Royale è Turin, et vous pouvez pour plus de sureté vous 
adresser pour cela a mon ami, M. le Médecin Cigna (2), è qui 
jen écrirai deux mots au premier jour. Vous me ferez un sen- 
sible plaisir de me continuer votre correspondance: jJen sens 


x 


d’autant plus le prix qu'elle me mettra à portée d’étre instruit 


(1) Intorno a questo viaggio contemporaneo del Lagrange e del Frisr, 
cfr. Euvres de Lagrange, ecc. Tome treizième, ecc., pp. 65, 85, 90, 92. 

(2) Granrrancesco Crema, anatomico, nato a Mondovì li 2 luglio 1734, 
morto a Torino nel 1790. Fu segretario della Società, che divenne poi la 
R. Accademia delle Scienze di Torino, e diresse la pubblicazione dei 4 volumi 
delle memorie di essa. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 154 


190 ANTONIO FAVARO 


des travaux de mes anciens compatriotes parmi lesquels vous 
tenez le premier rang. Si je vous suis bon à quelque chose dans 
ce pais, vous pouvez compter sur moi; je regarderai toujours 
comme une marque flatteuse d’amitié de votre part de me pro- 
curer des occasions de vous servir. Permettez moi de vous prier 
d’assurer M. le Comte de Coconat (1) de mon estime et du 
regret que j'ai d’avoir quitté l’Italie sans avoir eu l’honneur de 
le connoitre. J'ai celui d’étre avec la plus parfaite consideration 
Monsieur, 


Votre très humble et très obeissant serviteur 
DE LA GRANGE. 


Monsieur, 


J'ai été bien charmé de regevoir une marque de votre 
precieux souvenir par la lettre dont vous m'avez honoré. J'ai 
recu l’Essai sur la théorie de la Lune (2) que M. d’Alembert m'a 
fait parvenir de votre part; je vous en remercie de tout mon 
coeur ainsi que du traité sur les canaux navigables (3) et de 
l’ouvrage sur l’Économie pubblique que j'ai recus depuis peu par 
la voie du Ministre de Vienne. Je voudrois bien pouvoir vous 
offrir quelque chose de mon coté, pour répondre en quelque fagon 
aux temoignages d’estime et d’amitié que vous voulez bien me 
donner et auxquels je suis très sensible, mais je ne suis pas 


(1) Il conte Rapicari DI Coconaro, matematico, lo stesso la cui ami- 
cizia col Frisi fu causa a quest’ultimo di gravissimi dissapori coi frati del 
suo ordine. 

(2) Non ci è ben chiaro se sì intenda qui d’accennare alla Memoria: 
De inaequalitatibus motus terrae et lunae circa axem ex astronomorum hypo- 
thesibus, inserita nella parte II del tomo V dei Commentarii dell’Accademia 
delle scienze di Bologna, oppure alla pubblicazione intitolata: DaAnreLIS 
MeLanpri et Pavrri Frismu alterius ad alterum de theoria lunae commentarii. 
Parmae, ex typ. regia, 1769. 

(3) Del modo di regolare î fiumi e i torrenti, principalmente del Bolognese 
e della Romagna, libri tre, ecc. Edizione terza accresciuta, aggiuntovi il 
trattato dei canali navigabili. In Firenze, per Gaetano Cambiagi, MDCCLXX. 


SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, Ecc. 191 


assez riche pour cela, n’ayant jusqu'è present rien publié que 
ce que j'ai donné dans les Mémoires de Turin et de Berlin. Il 
est vrai que l’on doit imprimer à Lion une traduction de l’Al- 
gèbre allemande d’Euler (1), è laquelle j'ai fait des additions 
considérables, mais comme ces additions ne regardent que la 
théorie des problèmes indéterminés, je doute fort qu’elles puis- 
sent vous intéresser: quoiqu’il en soit, je tàcherai de vous en 
faire parvenir un exemplaire dès que l’ouvrage paroitra, et je 
vous prie d’avance de l’accepter au moins comme une faible 
marque du desir que j'ai de mériter les sentiments dont vous 
m'’honorez. 

Un de nos confrères, l’Abbé Pernetti (2), a refuté fort. au 
long les Recherches sur les Américains (3) dont vous me parlez: 
si vous ne connoissez pas cette refutation, et que vous ayez 
quelque envie de la lire, je pourrai vous la faire parvenir par 
la première occasion qui pourra se trouver. 

En général je vous offre mes services dans ce pais, si vous 
croyez que je puisse vous étre bon à quelque chose. Je suis 
sùr que si vous veniez faire un tour ici, vous n’auriez pas regret 
à votre voyage; vous seriez regu tant à la Cour qu’à la ville 
d'une manière convenable à votre mérite ; et pour mon parti- 
culier vous jugez bien que je ne négligerois rien pour vous 
donner les plus fortes preuves de la haute estime et du parfait 
dévouement avec lesquels j'ai l’honneur d’étre 

Monsieur, 
A Berlin, ce I Septembre 1771. 


Votre très-humble et très obéissant serviteur 


DE LA GRANGE. 
Au P. FriIsi. 


(1) Dev'essere questa l'edizione di Lione, 1774, che il Riccarpi (Biblio- 
teca matematica italiana, ecc., parte prima, vol. II. Modena, MDCCCLXXIII- 
MDCCCLXXVI, col. 2) scrive d'aver trovata citata. 

(2) Anronio Gruserre Pernery, nato il 18 febbraio 1716 a Roanne, 
morto a Valence nel 1801. 

(3) Ne abbiamo sott'occhio una edizione alla quale va unita la disser- 
tazione del Pernerty: è in tre volumi ed ha il titolo seguente: Recherches 
philosophiques sur les américains ou mémoires intéressants pour servir è 
l’istoire de l’espèce humaine, par M. de P.***, Avec une dissertation sur 


192 ANTONIO FAVARO 


VL 


à Berlin, ce I Jenvier 1774. 


Monsieur, 


Je suis charmé que le libraire Bruiset se soit acquitté de 
la commission que je lui avois donnée de vous faire parvenir 
de ma part un exemplaire de la traduction de l’Algèbre d’Euler, 
et je suis infiniment sensible è la manière dont vous avez bien 
voulu regevoir cette legère marque de mon amitié et de mon 
estime pour vous. 

J'ai presenté àè l’Académie le prospectus de votre nouvel 
ouvrage sur la théorie des mouvemens celestes ; elle applaudit 
à vos travaux et vous regarde comme un des membres qui lui 
font le plus d’honneur. Je vous remercie de tout mon coeur de 
la bonté que vous avez de me promettre un exemplaire de cet 
ouvrage ; Je l’attends avec beaucoup d’impatience, persuadé qu'il 
sera également digne de son auteur et de la matière dont il 
traite. Lorsque je regevrai le 6° tome de Bologne je ne man- 
querai pas de lire les solutions (1) dont vous me parlez, et 
dont j'ai d’avance une grande idée. 

M*s Formey et Bernoulli (2) me chargent de vous faire 
agréer leurs compliments: différentes raisons empéchent ce 
dernier de continuer son recueil pour les Astronomes (3), mais 
l’Académie lui a permis d’employer les matériaux qu'il y des- 
tinoit è enrichir les ephémérides qu'elle veut faire paroitre 
annuellement et dont le premier volume contenant l’année 1776 
vient d’étre publié. 


lAmérique et les Américains, par Don Pernety. A Londres, MDCC.LXX. — 
L’autore pe Paw, attaccato dal Pernery, gli rispose, dando motivo ad una 
replica. 

(1) Probabilissimamente allude alle due note: De rotatione corporum e 
De aequatione quadam differentiali, a pp. 45-74 dei De bononiensi scientiarum 
et artium instituto atque academia Commentarii. Tomus sextus. Bononiae, 
ex typographia Laelii a Vulpe, MDCCLXXXIII. 

(2) Grovanni BerNoULLI. 

(3) Il terzo tomo porta tuttavia la data dell’anno 1776. 


SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, Ecc. 193 


Je ne crois pas que les circonstances me permettent si tòt 
d’aller en Italie, mais un des principaux motifs qui pourroient 
m’engager è en faire naître l’occasion seroit  certainement le 
desir de lier une connoissance plus intime avec différentes per- 
sonnes de mérite que ce pais-là possède, et à la téte desquelles 
vous étes depuis longtems. 

Jai l’honneur d’étre avec la plus forte estime et la con- 
sidération la plus distinguée, 

Monsieur, 


Votre très-humble et très-obéissant serviteur 
DE LA GRANGE. 


Au Révérend 
Révérend Père FrISI, 
Professeur de Mathématiques à Milan, 
des Académies de Berlin, Peters- 
bourg, Londres, ete., etc., etc. à 


(fr. Augsburg (?) Milan. 


VII. 


Signore ed Amico stimatissimo, 


Io le sono da lungo tempo debitore di una risposta e in- 
sieme di molti ringraziamenti per il regalo da lei fattomi del 
suo bel Elogio di Newton accompagnato dalla erudita prefazione 
della sua Algebra. Desiderando renderlene in qualche parte il 
cambio, ho dovuto aspettare prima che uscisse dalla stampa 
l’opusculo qui annesso, di poi che si presentasse una buona con- 
giuntura per poterglielo trasmettere. Questa mi viene offerta 
ora dal Sig. Bernulli, ed io l'abbraccio tanto più volontieri quanto 
che credo potermi lusingare che queste mie ricerche sieno per 
meritar l’attenzione di un Geometra par suo, trattandosi in essa 
di un punto della teoria lunare (1), il quale non era stato ancora 


(1) Assai probabilmente la: TAéorie de la libration de la lune. 


194 VIRGILIO MONTI 


bastantemente sviluppato. Vorrei che questo debol testimonio 
che le invio della mia stima e riconoscenza verso di lei servisse 
a conservar viva nella sua memoria la servitù che le professo, 
e a procurarmi la continuazione de’ suoi favori di cui sono am- 
biziosissimo. 

E supplicandola dell'onore de’ suoi comandi, pieno d’obli- 
gazioni e d’ossequio mi protesto 


Berlino, 25 Luglio 1782. 


Suo Devotissimo ed Obbligatissimo servitore ed amico 


DE LA (RANGE. 


Sulla variazione di densità di un liquido 


presso alla superficie; 


Nota del Dott. VIRGILIO MONTI. 


È noto come la superficie di un liquido si trovi in uno 
stato particolare di tensione. In virtù di questa alcune costanti 
fisiche possono mutare di valore, quando, invece di considerare 
la massa del liquido, si limitino le considerazioni ad uno strato 
superficiale il cui spessore è uguale al raggio di attività mo- 
lecolare. 

La misura di queste costanti, per quanto riguarda lo strato 
superficiale, è sottoposta a difficoltà enormi, forse insormonta- 
bili: il che spiega come le nostre cognizioni in questa parte 
della fisica siano così poco avanzate. 

Se però non siamo in grado di misurare una di queste 
costanti nella pellicola superficiale di un liquido, possiamo 
qualche volta e con una certa approssimazione, certamente gros- 
solana, farci un criterio del modo con cui quella costante varia 
dall'interno del liquido alla pellicola superficiale. 


SULLA VARIAZIONE DI DENSITÀ DI UN LIQUIDO, ECC. 195 


Io citerò come uno dei tentativi più felici, in quest'ordine 
di idee, il bel lavoro di Reynolds e Riicker (Proc. of the Roy. 
Soc., 1893), dal quale si può congetturare che la conducibilità 
elettrolitica prova delle variazioni presso allo strato superficiale. 

Anche la densità nello strato superficiale è stata oggetto 
di congetture e di studii sperimentali dall’epoca dei lavori di 
Poisson sulla capillarità fino ai giorni nostri. 

To non farò che citare di passata gli studii di Wilhelmy, 
di Rontgen e di Schleiermacher che lasciarono la questione in- 
soluta. 

Intanto è certamente molto probabile che al forte cambia- 
mento di pressione che si ha nel liquido presso allo strato su- 
perficiale corrisponda un cambiamento nella densità ; ed alcuni 
fenomeni, come la condensazione dei gas contro la superficie di 
un solido o di un liquido, hanno indotto alcuni fisici a credere 
che questo cambiamento di densità abbia luogo effettivamente. 

Chi serive ha pensato che, invece di ricercare questo cam- 
biamento di densità nello strato di separazione fra un liquido 
e un solido di densità poco diverse, come si è fatto general- 
mente finora e senza frutto, converrebbe meglio accoppiare due 
corpi di densità molto diverse, come olio e mercurio. 

Non è assurdo supporre che, presso alla superficie di divi- 
sione fra olio e mercurio, la densità di quest’ultimo vada sce- 
mando gradatamente, in modo da accostarsi più o meno a quella 
dell’olio: cosicchè, aumentando l’estensione della superficie divi- 
dente, debba crescere il volume del mercurio. 

Posto che la densità media del mercurio nello strato super- 
ficiale abbia un valore intermedio tra quella normale del liquido 
stesso, e quella normale dell'olio; e partendo dal valore che, 
per il raggio dell’attività molecolare, forniscono le esperienze 
di Plateau e di Quincke, si trova, con un calcolo grossolano, 
che, se si scompongono due centimetri cubici di mercurio in 
sferule del diametro di un decimo di millimetro, si dovrebbe 
avere un aumento di volume sensibile. 

Con olio e mercurio contenuti in un recipiente chiuso è 
possibile fare un’emulsione, in cui si vede un pulviscolo mercu- 
rico grigio, formato di globuli estremamente piccoli. E questa 
emulsione si mantiene per un tempo sufficiente a compiere delle 
misure. 


196 VIRGILIO MONTI 


L'effetto della diminuzione di volume presso alla superficie 
del mercurio è probabilmente contrariato da un effetto opposto 
relativo all'olio; e spetta all’esperienza decidere se i due effetti 
opposti si controbilancino, o se prevalga uno di essi, in modo 
che ciò che ne risulta possa, non dico essere misurato, ma per- 
cepito in qualche modo. 

È però necessario che l’atto dell’emulsione non sia accom- 
pagnato da cambiamenti di temperatura. 

Guidato dalle considerazioni esposte, ho cercato di realiz- 
zare, nel miglior modo possibile, questa mescolanza d’olio e 
mercurio. Dall’apparecchio che descriverò ho ottenuto qualche 
risultato positivo. 

A è un tubo di vetro della sezione di circa un centimetro 
quadrato, lungo venti centimetri. A metà della sua altezza è 
saldato un tubo di vetro capillare, finissimo e graduato (il can- 
nello d’un termometro rotto). La lunghezza di ciascuna divisione 
del capillare è di 3 mm. circa. La sua sezione è di mm? 0,02 circa. 

Si versa mercurio nel tubo A 
fino in a, e poi olio fino ind. Si 
aspira, colla macchina pneumatica, 
l’olio nel capillare fino a una certa 
divisione d. Quindi si chiude l’estre- 
mità del capillare con una goccia di 
ceralacca fusa, e poi si versa pa- 
raffina fusa sulla superficie dell’olio 
in 5. Quando la paraffina è solidifi- 
cata, l'apparecchio è perfettamente 
chiuso. 

Il tubo A si sospende allora 
per la parte capillare ad un so- 
stegno, e vien disposto orizzontalmente in un bagno d’acqua; 
mentre l'estremità del capillare ne emerge verticalmente ; si 
lascia immobile nel bagno per un tempo variabile da un’ora 
a tre. 

Il bagno è di forma particolare. È identico a quello usato 
da Louguinine e Khanikoff nel loro studio sull’assorbimento dei 
gas da parte dei liquidi. È una vasca parallelepipeda metallica 
capace di circa 120 litri. È attraversato nella parte centrale 
da un asse metallico girevole, munito di due grandi alette di 


SULLA VARIAZIONE DI DENSITÀ DI UN LIQUIDO, ECC. 197 


ferro: la rotazione dell'asse si ha mediante una manovella 
esterna alla vasca. Così l’acqua può agitarsi molto bene. 

Durante il periodo in cui il tubo resta, come si è detto, 
immobile, si agita regolarmente l’acqua del bagno; e in fine 
di questo periodo, quando l’altezza dell’olio nel capillare è co- 
stante da molto tempo, si rileva tale altezza con un cannocchiale. 

Esperienze apposite mi hanno mostrato che il moto delle 
alette non modifica minimamente la temperatura del bagno. 

Letta l’altezza dell'olio nel capillare, si introduce il tubo A 
in un tappo di sughero fissato all’asse che porta le alette : senza 
che in questa operazione vi sia bisogno di toccare, colle mani 
sott'acqua, altro che la parte capillare. In questa nuova posi- 
zione il tubo partecipa al movimento di rotazione dell’asse, senza 
mai uscire dal bagno. L’olio e il mercurio formano in capo a 
un certo tempo (un quarto d’ora all’incirca) un’emulsione fina- 
mente divisa. 

Si ritira allora il tubo dal tappo, colle precauzioni con cui 
vi si è introdotto ; si rimette nella posizione primitiva e si ri- 
legge l'altezza dell'olio nel capillare. 

Si trova sempre, in tutti i casiì, che essa è superiore all’al- 
tezza primitiva di due o tre decimi di divisione. 

Al formarsi dell’emulsione corrisponde dunque un aumento 
leggerissimo di volume. 

Ritengo che, col metodo dell’emulsionare il mercurio nel- 
l’olio, si possa giungere ad altri risultati interessanti sulle pro- 
prietà superficiali dei liquidi; e mi riservo di proseguire un 
tale studio. 

Chiudo ringraziando il chiarissimo Professor A. Naccari, da 


cui ebbi a disposizione i mezzi per condurre a termine questo 
lavoro. 


198 


Relazione sulla Memoria del Prof. Iciio GuarEscHI, 
presentata nell'adunanza del 17 novembre 1895, 
e che ha per titolo: 


“ Sintesi di composti piridinici dagli eteri chetomici coll’etere 


cianacetico in presenza dell’ammoniaca e delle ammine ,. 


L’egregio professore Guareschi, con precedenti lavori pub- 
blicati negli Atti di questa Accademia, ha dimostrato che l’etere 
cianacetico, agendo sopra le ammine chetoniche e gli ammidi 
chetonici, produce dei composti idropiridinici ed idrochinoleici. 

Nella Memoria ora presentata l’autore, proseguendo in tali 
ricerche, studia l’azione che l’etere cianacetico esercita anche 
sugli eteri chetonici quando sono in presenza di ammoniaca o 
di ammine alchiliche. — Così la reazione precedentemente sco- 
perta acquista un carattere di maggiore generalità, ottenendosi 
con essa una serie numerosa di nuove combinazioni che hanno 
uno stretto rapporto coi composti citrazinici. 

L’indole stessa del lavoro del prof. Guareschi non ci con- 
sente di darne un riassunto anche compendioso. Infatti questo 
lavoro consta della descrizione dei modi di preparazione, delle 
proprietà fisiche e chimiche e della discussione della costituzione 
chimica probabile delle sostanze ottenute colla reazione sovra- 
indicata. 

Il principio sul quale si fondano le ricerche accuratamente 
descritte dal prof. Guareschi è nuovo ed è molto importante per 
il carattere di grande generalità che esso può assumere. 

Pertanto i sottoscritti propongono che il lavoro del 
prof. Guareschi sia ammesso alla lettura e venga poi accolto 
per la pubblicazione nei volumi delle Memorie della nostra 
Accademia. 


G. SPEZIA. 
A. Cossa, Relatore. 


199 


Relazione sulla Memoria del Prof. Francesco GIUDICE, 


intitolata: “ Sull’equazione del 5° grado ,. 


L'Autore in questa Memoria, che in certo modo fa seguito 
ad un altro suo lavoro precedente, studia i varii metodi di ri- 
soluzione delle equazioni del 5° grado. 

Premette una rappresentazione geometrica dell’equazione 
generale, che, con semplici considerazioni, permette di ridurla 
alla forma (di Bring a. 1786) 


(32) y + 5ay+-B=0. 


In seguito si occupa delle equazioni risolubili algebrica- 
mente; dandone prima l’espressione generale (35'), poi casi par- 
ticolari, fra cui la (39), che si riferisce alla forma di Bring. 

Sviluppa i molti calcoli occorrenti per la risoluzione, e 
mette sotto varie forme l’irrazionalità trascendente (così la 
chiama l’A.) che, aggiunta, permette di risolvere ogni equazione 
di 5° grado. 

Questa irrazionalità è espressa dapprima mediante un’equa- 
zione algebrica fra due sole variabili (formula 51), poi cogli 
integrali ellittici, ed in seguito con un’equazione differenziale 
lineare del 2° ordine. 

L’A. ritrova alcuni risultati già noti (e che trovansi in gran 
parte nelle “ Vorlesungen iiber das Ikosaeder , del Klein), sotto 
forma più facile e piana; ed altri ne aggiunge relativamente 
all'importante argomento. È nostro avviso che questo lavoro 
del prof. Giudice possa essere ammesso alla lettura innanzi alla 
Classe di Scienze matematiche. 


Torino, 28 novembre 1895. 
E. D’'OvIpro. 


G. PrANO, Lelatore. 


L’ Accademico Segretario 
AnpRrEA NACcARrI. 


200 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza dell’8 Dicembre 1895. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Socii: CLarEetTA, Direttore della Classe, 
Peyron, VALLAURI, BoLLATI DI SAINT-PIERRE, SCHIAPARELLI, 
Pezzi, NANI, Ciporra, Brusa, PerrRERO, ALLIEvo e FERRERO 
Segretario. 

Il Presidente annuncia la morte del Socio Corrispondente 
Giuseppe De Leva, Professore nell’Università di Padova ed 
affida al Socio CrpoLra l’incarico di commemorarlo in una pros- 
sima adunanza. 

Il Socio Segretario presenta, a nome degli autori, le seguenti 
pubblicazioni» “ Notice sur la vie et les travaux du commandeur 
Jean-Baptiste De Rossi ,, del Socio Corrispondente H. WaALLON, 
Segretario perpetuo dell’Accademia delle iscrizioni e belle lettere 
dell'Istituto di Francia (Paris, 1895); “ Delle scoperte di antichità 
nel lago di Nemi ,, Relazione a S. E. il Ministro della Pubblica 
Istruzione, del Socio Corrispondente Felice BernABFI. Brevemente 
egli ragguaglia la Classe sopra queste importanti scoperte 
archeologiche. 


L’ Accademico Segretario 


Ermanno FERRERO. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 
Dal 17 Novembre al 1° Dicembre 1895. 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio ; 
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono, 


* Anales de la Sociedad Cientifica Argentina. Entregas IV, tom. XL. 
Buenos Aires, 1895; 8°. 

Astronomische Arbeiten der ésterreichischen Gradmessungs-Commission. 
Bestimmung der Polhihe und Azimutes auf den Stationen: Spieglitzer 
Schneeberg, Hoher Schneeberg und Vétrnik. Wien, 1895; 4°. 

Atti della Società Piemontese d'Igiene; Anno I, fasc. 1. Torino, 1895; 8°. 

* Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2*, v. XV, 
n. 9-10. Torino, 1895. 

* Bulletin de l’Académie impériale des Sciences de St-Pétersbourg. V° Sér., 
RI 7 1895; 40, 

* Compte-Rendu sommaire de la séance de la Société philomatique de 
Paris. N. 2, 9 novembre 1895. Paris, 1895; 8°. 

* Foldtani Kòzliny kiadja a Magyarhoni Fòldtani Tarsulat. Vol. XXV, 
n. 1-5. Budapest, 1895; 8°. 

* Jenaische Zeitschrift fir Medicin und Naturwissenschaft, herausg. von 
der medicinisch-naturwissenschaftlichen Gesellschaft zu Jena. N. F., 
Bd. XXIII, Heft I. Leipzig, 1895; 8°. 

* Johns Hopkins Univ. Circulars. Vol. XV, n. 121. Baltimore, 1895; 4°. 

Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXIV, disp. 8. 
Roma, 1895; 4°. 

* Mittheilungen aus dem Jahrbuche der kòn. ungar. geologischen Anstalt. 
Bd. IX, n. 7. Budapest, 1895; 8°. 

* Philosophical Transactions of the Royal Society of London, 1894. Vol. 185, 
A, part 1* e 2*; B, part 1* e 2*. London, 1895; 4°. 

* Proceedings of the Cambridge philosophical Society; vol. VI, p. 5°, 1895. 

* Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli. 
Serie 3%, vol. I, fasc. 8 a 10. Napoli, 1895; 8°. 

Rivista di Topografia e Catasto pubblicata per cura di N. Jadanza. Vol. VIII, 
n. 1-4. Torino, 1895-96 (dono del socio Jadanza). 

* Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXVIII, fasc. 10. Modena, 
1895; 8°. 

* The Royal Society. 30th. November 1894; 4° (Elenco dei Soci). 


202 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Zoologischer Anzeiger, herausg. von Prof. J. Vicror Carus in Leipzig, ete.; 
XVIII Jahrgang, n. 489. 1895. 

* 3KypHaxp pyccraro +187r0-xmMNtecgaro O6mecrBa ipa MMmnepaTopcrRoMe 
C. IIerep6ypreroms YHusepenrerb; t. XXVII, n. 7. 1895. 


Barrows (W. B.) and Schwarz (E. A.). The Common Crow of the United 
States. Washington, 1895; 8°. 

#* Lehmann (0.). Molekularphysik mit besonderer Beriicksichtigung mikro- 
skopischer Untersuchungen und Anleitung zu solchen sowie einem 
Anhang iber mikroskopische Analyse. Leipzig, 1888-89; 8°. 

Mullins (G. L.). Notes on Phthisis in New South Wales and other austra- 
lasian colonies. Sydney, 1895; 8°. 

Rajna (M.). Sull’apparato esaminatore di livelle costruito dal sig. Leo- 
nardo Milani nel 1889 per il R. Osservatorio Astronomico di Milano. 
Milano, 1895; 8°. 

Sandrucci (A.). Le teorie su l’efflusso del Gas e gli esperimenti di G. A. 
Hirn. Firenze, 1895; 8° (dall’A.). 

Valentini (C.). Sulle acque del sottosuolo a nod-est di Milano. Milano, 
1895; 8° (dall'A. 

** Vinci (Leonardo da). Il Codice Atlantico; fasc. VII. Milano, 1895; fe. 

*#* Westwood (J. O.). Catalogue of Orthopterous insects in the collection 
of the British Museum. Part I. Phasmidae. London, 1859; 4°. 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologicne. 


Dal 24 Novembre all’8 Dicembre 1895. 


* Atti della R. Accademia dei Lincei. Serie V. Classe di Sc. mor., stor. e 
filol., vol. III, p. 2*. Notizie degli Scavi. Settembre 1895. Roma, 1895; 4°. 

* Boletin de la R. Acad. de la historia. T. XXVII, cuad. V. Madrid, 1895; 8°. 

* Bollettino delle Pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa; 
1895, n. 238; 8° (Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze). 

Bollettino di Legislazione e Statistica doganale e commerciale. Anno XII, 
Luglio, Agosto e Settembre 1895. Roma, 1895; 8° (Minist. delle Finanze). 

Bollettino di notizie sul credito e la previdenza. Anno XII, n. 8. Roma, 
1895; 8° (Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio). 

Bulletin de la Société de Géographie Commerciale de Bordeaux, 1895, 
n. 22;((8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 203 


* Comptes-rendas des séances de la Société de Géographie; n. 13. Paris, 
1895; 8°. 

Institut International de bibliographie. Bulletin, 1895, n. 1. Bruxelles, 3°. 

* Publications de l’École des Lettres d’Alger. XV: Étude sur la Zenatia 
de l’Ouarsenis et du Maghreb Central par René Basset. Paris, 1895; 8°. 

** Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia. Vol. II; 
pp. 1217-2016; 8°. 

* Sitzungsberichte der philosophisch-philologischen und der historischen 
Classe der k. b. Akad. der Wissenschaften zu Miinchen, 1895, Heft III; 8°. 

Statistica del commercio speciale di importazione e di esportazione dal 
1° gennaio al 31 ottobre. Roma, 1895; 8° (dal Ministero delle Finanze). 


Desimoni (C.). La moneta e il rapporto dell’oro all’argento. Roma, 1895; 4° 
(dall’A.). 

Foerster (W.). Friedrich Diez. Berlin, 1895; 8° (Id.). 

Gerini (G. B.). I principali episodi della “ Gerusalemme liberata ,. Torino, 
1896; 8° (Id.). 

Laura (G. B.). Giovanni Flechia. Commemorazione. Ivrea, 1895; 4° (dono 
del Socio D. Pezzi). 

Marre (A.), Vocabulaire frangais-malgache. Paris, 1895; 4° (dall’A.). 

Mohun Tagore (S.). List of Titles, Distinetions and Works of Raja 
sir Sourindro Mohun Tagore, Kt. Calcutta, 1895; 16° (Id.). 

— Pope’s “ Universal Prayer ,. Calcutta, 1894; 4° (Id.). 

Nigra (C.) e Orsi (D.). La Passione in Canavese. Torino, 1895; 8° (Id.). 

Schuchardt (H.). Sind unsere Personennamen ibersetzbar? Graz, 1895; 8° (Id.). 

Serpa Pimentel (A. de). Historia e Civilisacào-Napoleào III, ecc. Lisboa, 
1895; 8° (Id.). 

Weber (A.). Vedische Beitrige. Berlin, 1895; 8° (Id.). 

Zaccante (G.). Saggi filosofici. Torino, 1892; 8° (Id.). 

— La dottrina della coscienza morale nello Spencer. Torino, 1895; 8° (Z4.). 


== a 


Torino — Vincenzo BoxaA, Tipografo di S. M. e de' RR. Principi. 


Pei ate Leg ki x 
SINO] 
us ®vÈ ta ELI d nt i 


XI A Att si 
DA. ra YORYLA. la naztiogi #3 
asa dati n dada 


9, vt. A 
IO00tU 100 DD. IL 


Rec’d.28 July--12 Sapt. 1896 


PT. 


_ 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 15 Dicembre 1895. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


—_ _ —° 


Sono presenti i Socii: D'Ovipro, Direttore della Classe, 
BerrutTI, FERRARIS, Mosso, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE, VOLTERRA, 
JADANZA, Foà e Naccari Segretario. 

Viene letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza pre- 
cedente. 

Vengono accolti per l'inserzione negli Atti gli scritti seguenti: 

a) “ Sul metodo di falsa posizione pel calcolo degli archi 
elastici ,; nota dell’ingegnere Elia Ovazza, presentata dal Socio 
JADANZA; 

5) “ Di alcuni corallari pliocenici del Piemonte e della 
Liguria ,; nota della signora Elodia Osasco, presentata dal 
Socio CAMERANO. 

Il Socio VoLterRAa presenta una Memoria del Professore 
Giuseppe LauriceLLa: “ Sull'equazione delle vibrazioni delle 
placche elastiche incastrate ,. Ne viene affidato l'esame ad ap- 
posita commissione. 


MSN 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI, 16 


206 ELIA OVAZZA 


LETTURE 


Sul metodo di falsa posizione pel calcolo degli archi elastici; 


Nota dell'Ing. ELIA OVAZZA. 


1. Il metodo ideato dall’Eddy e perfezionato dal prof. Guidi 
pel calcolo degli archi elastici e delle volte considerate come 
archi elastici (1), metodo che può dirsi di falsa posizione, è 
suscettibile di più ampia applicazione al calcolo degli archi ela- 
stici in generale, qualunque sieno le condizioni di posa e di ca- 
rico. Di questa applicazione più ampia vogliamo qui occuparci, 
valendoci dei più recenti progressi della teoria delle travature 
elastiche. 


2. Premettiamo un teorema di cinematica, di cui faremo 
uso sovente in seguito, e che già abbiamo dimostrato in una 
precedente nota (2). 

Più sistemi piani invariabili 0}, @9,... 0;,... a, muovansi nel 
loro piano comune t ruotando di quantità piccolissime attorno 
a, punti del piano m. A ciascun centro di rotazione (a, 0; 1) pel 
moto relativo di due successivi o; ed 0;,, di quei sistemi in- 
variabili si applichi, in data direzione X qualunque, nel piano.tr 
una forza ideale misurata dall’ampiezza w;;,, della rotazione 
di 0;+3 rispetto ad a;, e queste forze ideali si colleghino con 
un poligono funicolare i cui lati sieno rispettivamente l, 1, la,... 


(1) Cfr. Eppy H. T., Researches in graphical statics. New-York, Van No- 
strand, 1878. — C. Guipi, Lezioni di scienza delle Costruzioni — Teoria dei 
Ponti. Torino, Lit. Salussolia, 1894. — Sugli archi elastici (Memorie della 
R. Accademia delle Scienze di Torino, Anno 1884). — Sulla curva delle 
pressioni negli archi e nelle volte (Memorie della R. Accademia delle Scienze 
di Torino, Anno 1886). 

(2) Cfr. Ovazza, Il poligono funicolare in cinematica (Atti della R. Accad. 
delle Scienze di Torino, Anno 1890). — R. Lanp, Kinematische Theorie der 
statisch bestimmten Tréiger (Zeits. des dsterr Ing.-und Arch. Vereins, 1888). 


SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 207 


l;,... I, Lo spostamento che nella direzione ) soffre un punto 
qualunque P di uno dei sistemi, a,, nel suo moto relativo ad 
un altro sistema, a,, (cioè la proiezione ortogonale nella dire- 
zione \ dello spostamento del punto P), è proporzionale, astra- 
endo da quantità piccolissime di ordine superiore al primo, al 
segmento intercetto sulla retta condotta per P in direzione X 
fra i lati /; ed 7, del poligono funicolare. Come caso speciale il 
segmento intercetto sulla retta condotta per P nella direzione 
fra i lati / ed /; misura lo spostamento di P nel suo moto re- 
lativo al piano m, sostegno dei sistemi mobili a. Quindi con due 
poligoni funicolari, colleganti quelle forze ideali applicate in di- 
verse direzioni, si ottengono gli spostamenti effettivi dei punti 
P in grandezza e direzione. 


8. Ciò posto cominciamo dallo studiare la deformazione 
delle travi ad arco cariche da forze nel piano (che supporremo 
verticale e di simmetria) del loro asse se a parete piena, e da 
forze nel piano (che pur supporremo in seguito verticale e di 
simmetria) degli assi delle aste che lo costituiscono, se reti- 
colare. 


Archi a parete piena. 


4. Riferiremo l’asse dell’arco AB all’orizzontale ed alla ver- 
ticale per l’estremo A di sinistra come assi delle x e delle y. 
Di un punto qualunque O dell’asse, alle coordinate x ed y, di- 
remo s la distanza da A misurata lungo l’asse dell’arco; di- 
remo ® l’angolo che la tangente in O all’asse dell’arco fa con 
la direzione positiva dell’asse x, contato positivamente a partire 
da x nel senso opposto al moto delle lancette dell’orologio. 
Diremo E il modulo di elasticità, F l’area, I il momento di 
inerzia della sezione trasversale S condotta per O rispetto al- 
l’asse baricentrico orizzontale di questa sezione. 

Trascurando la deformazione dovuta allo sforzo di taglio 
e la curvatura dell'elemento di trave (come con sufficiente 
approssimazione per la pratica si può per archi da ponti o 
da tettoie), considerate due sezioni S, ed $S, infinitamente 
prossime, i cui baricentri 0, ed O, distano di ds, ed i cui 


208 ELIA OVAZZA 


piani fanno angolo — d@, per l’azione complessa dello sforzo 
normale N e del momento flettente M, la sezione S, si muo- 
verà rispetto alla Sj come se ruotasse attorno all’asse x, anti- 
polare del centro X di sollecitazione, per la sezione S media 
del tratto di trave S,S,, rispetto all’ellisse centrale di questa 
sezione medesima. 


5. Detta e l’eccentricità XO dello sforzo normale, assunta 
positiva quando N abbia momento positivo rispetto ad O (nel 
verso del moto delle lancette dell’orologio), e detto p il raggio 
d’inerzia della sezione S rispetto al proprio asse di flessione 
(asse baricentrico orizzontale), si ha 


2 


(1) 0a, = » 


e l'ampiezza della rotazione di S, rispetto ad S, vale 


"Meet Neg 
(2) dda = pptesonigp. 


6. Come verifica, si secomponga lo sforzo normale N ap- 
plicato in X nella forza equipollente N applicata in O e nella 
coppia flettente di momento M= Ne. 

Lo sforzo normale baricentrico provoca una traslazione 


ITIANas 
(3) fsde:i= EF 


di S, rispetto ad $S, nella direzione 0;0,; la coppia M produce 


una rotazione Ad@ = Me attorno all'asse di flessione della 


sezione media S. I due movimenti elementari insieme equival- 
gono ad una unica rotazione Adp attorno all'asse giacente nel 
piano della sezione S, parallelo a quello di flessione e da esso 
distante di i 


(4) Ads : Ado = p°:e = Oz; 


7. Presi sull’asse di sollecitazione s della sezione S due 
punti U, ed U, equidistanti dal baricentro O di una quantità 


SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 209 


arbitraria è, e condotte per U, ed U, le parallele v, ed wu, al- 
l’asse di flessione, scomponiamo la rotazione Adg attorno ad x, 
in due rotazioni Ad@; e Adg, attorno ad wu; ed ws. 


Sarà 
SI aggio: (6 Nda;) Alogt 
(5) Ado, = Ad i (è si 
ed analogamente 
ai e ao i 0 ARR 
(6) Ado, = Ado 7° = Sul (è +). 


Detti V, e V, gli antipoli di «, ed w, rispetto all’ellisse 
centrale della sezione S, potremo pure scrivere 


a Mads 


ll; Mds 
(7) Ado, sa 2EI? 


Ad®s = Sri 


indicando con M, ed M, i momenti della sollecitazione esterna 
della sezione S rispetto ai punti V, e V, rispettivamente. 


8. Come caso speciale scelti i punti U, ed U, agli estremi 
del diametro del nocciolo centrale disteso sull’asse di sollecita- 
zione (supposta la sezione simmetrica rispetto all’asse di fles- 
sione), i punti V, e V, coincidono con gli estremi ? ed e all’in- 
tradosso ed all’estradosso della sezione S. 


9. Se invece i punti U, ed U, scelgonsi, come faremo 
sempre in seguito, agli estremi del diametro dell’ellisse cen- 
trale della sezione ch'è disteso sull’asse di sollecitazione, i punti 
V, e V; coincidono con U, ed U, rispettivamente, onde sarà 


__ Mds _—_ ads 
(8) Ado, 251° Ad®y TRNconI 


indicando con pu, e yy i momenti della sollecitazione esterna per 
la sezione S rispetto agli assi u, ed vw, attorno a cui suppon- 
gonsi le due rotazioni componenti. 


10. La deformazione della trave si può quindi concepire 
come il complesso degli spostamenti delle singole sezioni rispetto 


210 ELIA OVAZZA 


alle infinitamente prossime rotando attorno ‘agli assi x, corri- 
spondenti e per le corrispondenti ampiezze Ad@; ovvero anche 
come il complesso degli spostamenti delle singole sezioni rispetto 
alle infinitamente prossime ruotando contemporaneamente at- 
torno agli assi u, ed «, per le ampiezze corrispondenti Adg; 
e Ads. 

Se quindi ai punti X, tracce degli assi x,, nel piano del- 
l’asse dell’arco, applicansi in data direzione \ forze ideali mi- 
surate dalle corrispondenti quantità angolari Adg, e si colle- 
gano queste forze ordinatamente con un poligono funicolare 
avente per distanza polare l’unità di lunghezza, ovvero ai punti 
U, ed U, nel piano dell’asse dell’arco applicansi in direzione X 
forze ideali misurate dalle corrispondenti quantità angolari Ad, 
e Ad®;, e si collegano ordinatamente con poligono funicolare 
avente distanza polare eguale all'unità di lunghezza, le ordinate 
del poligono funicolare, lette da opportuna retta fondamentale 
sulle rette condotte in direzione \ dai punti S dell’asse dell’arco, 
misurano gli spostamenti di questi stessi punti nella direzione A, 
cioè le proiezioni ortogonali sulla direzione X degli effettivi spo- 
stamenti di detti punti nel piano dell’asse. 


11. Dette ed n le coordinate di X,, x ed y quelle del 
baricentro 0, di S., per la rotazione elementare Ad attorno 
ad x, le coordinate x ed y varieranno di 


(y— n). Adg e (E — 2). Adp, 
e queste variazioni coincidono con le variazioni delle proiezioni 


dx e dy dell'elemento ds di asse dell'arco sugli assi coordinati 
x ed y; onde potrà porsi 


(9) Ade = (y— n).Ade = (y— n) n 
(10) Ady.= (E — 2). Ado.=—(e- Ate 


12. Analogamente se con xu,, Yu, e con Xu, ed yu, indicansi le 
coordinate di U, ed U,, tenendo conto d’ambo le rotazioni Adg; 
e Ad, sarà 


SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 211 


(11) Ade = (Yy — Yu) Ad®, + (4 — Yu) Adog =y . Ado — 


M2Yu + Mi Yu 
sa 2EI ds 


(12) Ady=— (— tu) Ad®; — (Y — Yu) Ad, = — cAdo + 


NO Ma sati Mi Lug ds. 


E se i punti U, ed U, scelgonsi sull’ellisse centrale della 
corrispondente sezione trasversale 


(11’) Ada = y.Adp — MMM bye gg, 
(12°) Ady =— x.4d9 + ble pote de 


13. Integrando le precedenti, si hanno le equazioni degli 
spostamenti sotto le forme seguenti, che meglio si prestano ai 
calcoli pratici degli archi elastici: 


| 


(13) Ax = y.A49 — CE OR (ES UAN Que ds 


Md d 
Ap = 400 + |A (A9= Am + [dî 


FISTDETOLO | Ar=— 89 + | bf ds 


nelle quali s’indica con Ag, la variazione, dovuta alle forze 
esterne, dell'angolo @ = © all'origine A dell'arco, e gl’integrali 
contenenti i momenti u s'intendono estesi simultaneamente ai 
punti U, ed U, di tutte le sezioni dell'arco AS. 


14. Diviso l’asse dell'arco in tratti ds abbastanza piccoli 
perchè si possa ritenere caduno di essi di sezione costante e 
costante per ogni loro sezione la sollecitazione ed eguale a 
quella relativa alla corrispondente sezione media, detto I, un 
momento d’inerzia qualunque scelto come termine di paragone, 
e posto genericamente 


212 ELIA OVAZZA 
dre eg LG 


le equazioni degli spostamenti per la sezione distante dall’ori- 
gine A di x tronchi ès si riducono alle seguenti: 


n M n 
Aq = Ao, + 2K,35 Ap = Ap + K3 è 
(15)) Ax = yAg — 2K= gn (16))/Ar = yAp — KE -$W 
Ay=— cAp+2K3 Ay=—xAp+K,3 sa 


15. Le equazioni (13) e (15) riescono più comode pel cal- 
colo delle deformazioni di archi staticamente determinati, od 
almeno, nel caso opposto, già determinati precedentemente 
per riguardo alle sollecitazioni esterne delle singole sezioni; 
poichè in tali casi sono determinabili i punti X,. Per il calcolo 
delle sollecitazioni esterne per archi staticamente indeterminati, 
i punti X, e le relative coordinate £ ed n non sono noti a priori, 
chè dipendono dalle sollecitazioni medesime; tornano in tale 
calcolo più comode le equazioni (14) e (16). 

Queste medesime equazioni (14), le quali permettono di 
tener conto in modo semplice della deformazione dell’arco do- 
vuto allo sforzo normale insieme con quella prodotta dal mo- 
mento flettente, furono per altra via ottenute dal sig. M. Ber- 
trand de Fontviolant (1). 

Come vedremo, la considerazione dei punti U fa rientrare 
la teoria degli archi a parete piena in quella degli archi reti- 
colari, con che sintetizzando si semplifica notevolmente la teoria 
degli archi elastici. 


Archi reticolari. 


16. Supporremo gli archi costituiti da sbarre rettilinee fra 
loro articolate agli estremi — nodi — in modo che i loro assì 


(1) Cfr. Bertrannp DE FonrvioLAnT, Mémoire sur la statique graphyque 
des arcs élastiques, 1890. — C. Guipi, 7. c., Lezioni, ecc. 


SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 213 
# 
giacciano in uno stesso piano e formino tanti successivi trian- 


goli, ciascuno dei quali abbia comune col precedente e col se- 
guente una sola sbarra — sbarra di parete — costituendo la 
terza asta del triangolo parte del contorno dell’arco. 

Supporremo inoltre le forze esterne, carichi e reazioni di 
appoggio, applicate a nodi ed agenti nel piano degli assi delle 
sbarre, e faremo astrazione dalle deformazioni, trascurabili pra- 
ticamente, dovute alle variazioni di lunghezza delle aste di 
parete, ciò che può considerarsi corrisponda al trascurare la 
deformazione prodotta dallo sforzo di taglio per le travi a pa- 
rete piena. 

Indicheremo in generale con I° un nodo del contorno supe- 
riore, con I” un nodo del contorno inferiore, e con I uno qua- 
lunque dei nodi, con /’, /”, 2 rispettivamente l’asta di contorno 
inferiore opposta ad I’, quella di contorno superiore opposta ad 
I” e quella di contorno opposta al nodo I. 


17. Fatta una sezione S' secante un’asta / e due aste con- 
correnti in I, che diremo polo di /', in modo da dividere in 
due parti distinte la trave ad arco, sia u' il momento rispetto 


U 


- lo 
L= 


ad I° della sollecitazione esterna per la sezione S'. Sarà 


sforzo di tensione nell’asta 7 dovuto a quella sollecitazione, se 
indicasi con r' la distanza di I’ da /'"; onde l'allungamento A/' 
della lunghezza /' sarà 


(17) INA 


indicando con l' la lunghezza, F' l’area della sezione trasversale 
ed E' il modulo di elasticità per la sbarra /. 

Per l'aumento Al della lunghezza l', la parte di trave a 
sinistra di S' ruota attorno ad I°, nel senso opposto a quello 
del moto delle lancette dell’orologio, della quantità (1) 


(1) Invero se « e è sono le lunghezze (qui supposte invariabili) delle 


aste di parete formanti triangolo con /’, si ha 7? = a? + 5° — 2ab cos a, 
LA . , Al' 
se a= ad; onde ZA = ab senaAa= /r'Aa, e perciò Ap = Aa = Pa 


214 ELIA OVAZZA 


7 Al (i 
(18) Ag=+5= + arr 


DO 
18. Analogamente se M" è il momento rispetto al nodo I” 
della sollecitazione esterna per la sezione S"” segante /" e due 
sbarre concorrenti in I", in modo da dividere in due parti la 
travatura, detta 7” la distanza di I” da ?" in valore assoluto, 
l'allungamento di /" sarà 


(19) IN EESA 
adottando notazioni analoghe a quelle di cui a numero prece- 
dente. 

Onde una rotazione attorno ad I" della parte di trave ch'è 
a destra di S"”, ancora nel senso opposto a quello del moto 
delle lancette dell’orologio, 


Te ul 
(20) Aqui Ap 


19. Le due formole (18) e (20) si possono rappresentare 
colla sola 


LETT. 
(21) Ap ara r: EF? 


toltine gli accenti ed estendendola alla rotazione attorno ad un 
nodo qualunque I di contorno dell’arco. 


20. Adunque la deformazione d’un arco reticolare può con- 
cepirsi come il complesso di rotazioni Ag delle aste di parete, 
qui ritenute di lunghezza invariabile, attorno ai corrispondenti 
nodi di contorno I. Se quindi ai punti I applicansi in data di- 
rezione ) forze ideali misurate dalle corrispondenti quantità 
angolari Ag, e queste forze ideali collegansi con un poligono 
funicolare di distanza polare l’unità di lunghezza, le ordinate 
intercette sulle rette condotte in direzione \ pei punti I fra 
detto poligono funicolare ed una fondamentale rettilinea, da 
determinarsi, misurano gli spostamenti di detti nodi nella dire- 


SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 215 


zione ), cioè le proiezioni ortogonali dei loro effettivi sposta- 
menti su tale direzione. 

Con due poligoni funicolari colleganti dette forze ideali 
applicate in direzione di due assi coordinati x ed y, per es. 
orizzontale e verticale, deduconsi gli spostamenti effettivi dei 
singoli nodi, onde la deformazione di tutta la travatura. 


21. Dette x ed y le coordinate d’un punto qualunque ap- 
partenente ad un’asta di parete, £ ed n le coordinate di un 
punto qualunque I, per la rotazione Ag attorno ad I, le varia- 
zioni delle coordinate x ed y saranno: 


(22) Aar=—(y—n) 49, Ay=(x— È) Ap. 


Onde pel complesso della deformazione, detta Ag la varia- 
zione che subisce l'angolo @ che con l’asse x fa l’asse dell’asta 
di parete considerata, contato positivamente da x nel senso 
opposto a quello del moto delle lancette dell’orologio, sarà 


1 pl 
Aq = Ag 1 3 GFP 


n a 
(23) Ax = yA9Q — =n TE 


La ul 
Ay = — shop ar 25 73 EF 


estendendo la sommatoria a partire dalla 1* asta (che conside- 
rasi di parete) che passa per l’estremo sinistro A. 


Dette %, ro Eo Fo valori fissi di 7, r, E, F, e posto 
lo o. 
9) Polito 0 


e fatto genericamente 


l I 
è —— = 3 
(25) r EF ro Eo Fo 


le trovate equazioni degli spostamenti assumono la forma 


216 ELIA OVAZZA 
Aq = 49 + K2 7 
(26) Ax = y4qg — K= Lan 


Ay=—exApg+K=3 
0 


«| 
n 


22. L’analogia fra le equazioni (16) e queste (26) or trovate 
permette appunto di trattare gli archi a parete piena a quel 
modo in cui trattansi gli archi reticolari, bastando sostituire i 
punti U, ed U, ai nodi I’ ed I”. 


23. Ciò posto, passiamo al compito impostoci al principio 
di questa nota. 


Archi a cerniere d'imposta. 


Archi a parete piena. 


24. Supporremo anzitutto di livello i centri A e B delle 
cerniere d’imposta, ed assumeremo il centro A d’appoggio si- 
nistro come origine delle coordinate, l’asse x e l’asse y coinci- 
denti con la orizzontale e con la verticale per A. 

Applicati all’arco carichi (verticali) P, il poligono funico- 
lare che li collega, e che ha per lati estremi le reazioni delle 
cerniere d’imposta, costituisce il così detto poligono delle pres- 
sioni e, riferito all'asse dell’arco, funziona da diagramma dei 
momenti flettenti per le singole sezioni dell'arco quando assu- 
masi a base di riduzione la componente orizzontale comune H 
delle reazioni di appoggio — spinta orizzontale dell’arco — e 
si misurino le ordinate del diagramma verticalmente. Con suf- 
ficiente approssimazione nei casi pratici si potrà quindi POR 
per uno dei punti U qualunque, 


(27) hb_ = HZ 


essendo Z la distanza verticale di U dal poligono delle pres- 
sioni, contata positiva per punti situati al disotto di tale po- 
ligono. 


| SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 217 


25. Se l’ordinata Z considerasi qual differenza fra l’ordinata 
Z' del poligono delle pressioni e l’ordinata Z” del punto U a 
partire dall’asse x, sarà 


(28) u=H(@—-72") 


e la equazione che dà Ax, applicata al centro B della cerniera 
destra, di cui supponesi un cedimento A2/ sull’orizzontale (va- 
riazione della lunghezza 2/ della corda AB dell’arco) diventa 


9) Lenna TOSI RL 
1 


essendo » il numero totale dei tronchi ds in cui si divise l’arco. 

Se ora pei centri A e B di appoggio si fa passare il po- 
ligono funicolare collegante i carichi P_ed avente distanza po- 
lare arbitraria H,, cioè si disegna il diagramma dei momenti 
flettenti, con base di riduzione H,, per una trave rettilinea ap- 
poggiata semplicemente in A e B e gravata dai medesimi ca- 
richi P, le ordinate Z', di questo diagramma contate dall’asse x 
soddisfano alla relazione 


(30) Hj 40 —_- ee 
Onde la (29) diventa 
nz n | 
GI) 40--K[Hh3%y Hi y 


e fornisce la vera spinta orizzontale 


ni 421 
(82) poli sth his 
= ni 

> S Yu 


1 


26. Le sommatorie che compariscono in questa formola 
possono calcolarsi come momenti statici rispetto all'asse x delle 


forze ideali na e a applicate orizzontalmente ai rispettivi centri U. 


218 ELIA OVAZZA 


Collegate le forze ideali = applicate orizzontalmente ai punti U 
con un poligono funicolare p', di distanza polare ), ed analo- 
gamente le forze ideali — con poligono funicolare p'' di uguale 


distanza polare, detti m', ed m'" i segmenti intercetti sull'asse x 
dai lati estremi dei poligoni p', e p', sarà 


(33) 3 gum, = yum". 


Quindi la formola che dà H riducesi ad 


4 AB 
Hi Ma + XK, 


, 
m 


(34) H= 


27. Per appoggi perfetti, A2Z = 0, onde 


(34') Rae: 


28. Rifatto il poligono funicolare collegante i carichi P, e 
passante pei centri d’appoggio A e B, con distanza polare H, 
Hi 
H' 
l'effettivo poligono delle pressioni, in base al quale calcolasi la 
stabilità dell’arco. 


ovvero moltiplicate le ordinate Z',, pel rapporto sì ottiene 


29. Una variazione di temperatura di +4#°, eguale per tutto 
l’arco, supposto eguale per tutto l’arco il coefficiente a di dila- 
tazione termica, ha lo stesso effetto d’un aumento 42! = at. 20 
negativo o positivo della corda 2) dell’arco. 


30. Supponiamo ora il caso più generale in cui gli appoggi 
non sieno di livello, e sia c l’ordinata del centro B della cer- 
niera destra. Supponiamo cedevole, per generalità, il punto B 
di A2! orizzontalmente verso le x positive e di —Ac vertical- 
mente verso l’alto (y positive). 

Detta Ag; la rotazione della tangente in B all’asse del- 
l'arco, le equazioni degli spostamenti applicate al punto B 
dànno : 


SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 219 
(35) A2I = cAg, — Ki z L Va 
(36) —A=— 2149, + K; =} Du. 


Eliminando la rotazione Ag, che non ci occorre, ottiensi 
la equazione 


(87) 21.422—c.Ac=K,; |e=pa-3Ew] 


81. Colleghiamo i carichi P_ con un poligono funicolare p' 
passante pei centri d'appoggio A, B, e sia H, la distanza del 
polo P, corrispondente dalla retta dei carichi P, letta nella 
direzione della corda AB dell’arco. L’effettivo poligono delle 
pressioni sarà poligono funicolare dei carichi P con polo un 
punto P da determinarsi sulla parallela per P, alla AB, di cui 
diremo H la distanza in direzione AB dalla retta dei carichi. 
Se indicansi con a l'angolo della AB con l’asse della x, con Z 
l’ordinata verticale compresa fra un punto U ed il poligono 
delle pressioni, con Z' e Z" le ordinate sulla verticale di U a 
partire dalla AB del poligono delle pressioni e del punto U, e 
finalmente con 2’, l’ordinata sulla verticale di U del poligono 
funicolare p' a partire dalla retta AB, sarà 


(38) u=:H cosa .(7 — 2") 
ed HZ' — H,Z',. Onde la (37) diventa 


__ 2 .A21 — che 
K, cos a 


(39) H= 


sN 


n Do n 


e dà perciò il polo P del vero poligono delle pressioni, onde 
questo poligono da prendersi a base del calcolo della stabilità 
dell'arco. 


220 ELIA OVAZZA 


È LRETÀ DOSCA I i 
82. Le sommatorie 3 "I Pa © T 3 Tu calcolansi come mo- 
1 ha 


x 3 Td î 5 é c 
menti delle forze ideali = e a applicate verticalmente ai cor-. 


rispondenti punti U, rispetto alla verticale dell'appoggio A. 
Collegati questi carichi con 2 poligoni funicolari g', e g' di 
distanza polare \ e detti n', ed n" i segmenti intercetti dai loro 
lati estremi sulla verticale A, sarà 


(40) =-oa=M, =i n=" 
lo plat 


e ricordando quanto fu detto a n° 26, la formola che dà H 
riducesi alla 
21.A21 — che 
KA cosa 
en' — dm 


Hj (cn'i — 2imi) — 


(41) ui 
38. Per appoggi perfetti, 42 = Ac = 0. Onde 

sata eni 2lm'i * 

($2) H oa en' — 2Im" 


e perc=0 


(34') Hiie=Bk HA; come a n° 27. 


Archi reticolari. 


34. Stanno per questi le cose dette per gli archi a parete 
piena, sostituendo ai punti U, ed U, i nodi I’ ed I” di con- 
torno. Ed anzi per gli archi reticolari stanno esattamente, 
mentre per archi a parete piena stanno per approssimazione, 
tanto maggiore quanto minore è la lunghezza ds dei tronchi in 
cui dividesi l’arco. 


Archi incastrati agli estremi. 
Archi a parete piena. 


35. Anche qui cominceremo dal supporre di livello i bari- 
centri A e B delle sezioni d’incastro, ed assumeremo come assi 


1 


SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 221 


delle x e delle y l’orizzontale e Ja verticale pel centro A della 
sezione d’incastro sinistra. 

Supposte invariabili le direzioni delle sezioni d’incastro ed 
il livello dei loro baricentri, ammettiamo un cedimento A2/ 
orizzontale del centro B rispetto al centro A d’appoggio. 

Analogamente a quanto fu detto a n. 26 per gli archi ad 
estremità girevoli, detta H la spinta orizzontale dell’arco, e Z 
la distanza verticale di uno dei punti U dal poligono delle 
pressioni (contata positiva per punti al disotto di tale poligono), 
il momento pw relativo al punto U può, con sufficiente appros- 
simazione, porsi 


(43) u==Hî 


e le equazioni alla superficie, che tengono conto della natura 
degli appoggi, coincidenti con le equazioni degli spostamenti 
applicate al punto B dell’asse dell’arco, riduconsi alle: 


(4) 3 =0 2jn=0, 4/=-— G3Hi 


36. Sieno Z” e Z' le ordinate verticali del punto U e del 
punto del poligono delle pressioni giacente sulla verticale di U, 
a partire da una retta % da determinarsi. 

Poichè si ha 


t=V' e, URI 


se la retta % tracciasi per modo che sia 


(45) TL Poeta i 
RU» 


dovrà essere 


uo) =t=o0, =-A=0, e AN=KEHT5® Yu 


37. Collegati i carichi P_con un poligono funicolare p', di 
distanza polare arbitraria H,, poligono che risulterà affine alla 
linea delle pressioni, vi si tracci su tale retta £', che sia 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 17 


222 ELIA OVAZZA 


Zi 


3 da= 0 


-M= 


ri A 
(47) = e 


indicando con Z', l’ordinata verticale per un punto U qualunque 
compresa fra la %', e la funicolare p',. Ridotta la funicolare p', 
nel rapporto di affinità Ti e trasportatane la fondamentale #', 
sulla retta % già determinata, il nuovo poligono funicolare sarà 
la linea delle pressioni cercata. Il rapporto H, : H è dato dalla 
3» delle (44), la quale, per essere H,Z', = HZ', trasformasi nella 


seguente: 


(48) 4X=—K|Hh=t%n-H35%] 
. a 1 


già trovata a n° 25, e con le notazioni di cui a n° 26 dà 


A 
Him, + DE 
(49) ppuetplii ci Su 


m 


38. Valgono anche pel caso qui considerato le osservazioni 
a numeri 27 e 29. 


39. Supporremo ora il caso più generale in cuii centri di 
appoggio non sieno di livello, ed indicheremo ancora con e l’or- 
dinata del centro B di appoggio destro. Supporremo, per gene- 
ralità, il punto B cedevole orizzontalmente di A2/ nel verso 
delle x positive, e di —Ac nel verso delle y positive. Ammet- 
teremo rotazioni piccolissime note Ag, e Ag; delle tangenti 
all'asse dell’arco in A e B. 


40. Conservate le denominazioni di cui ai numeri 35, 36 
e 37, le equazioni degli spostamenti applicate alla sezione B, 
che funzionano da equazioni alla superficie o di elasticità, trac- 
ciata tale retta % che sia 


n ra n 
(50) SARE NAT 


riduconsi alle seguenti: 


SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 223 


" Z, rigido Aq = Ap ba Lo: ciba Ae + 2149, 
(51) Da us a K,H; , 2 3 Lu o ia H, , e 
n n La 
(52) 22.422 —c.Ac=K | ci l'a UTD Yu) — 


41. Tracciata quindi sul poligono funicolare p', di distanza 
polare H; arbitraria, collegante i carichi P, tal retta #', che 
soddisfi alle (51), il valore della vera spinta H e perciò il rap- 


porto di affinità Di fra l'effettivo poligono delle pressioni e la p', 


viene dato dalla (52). Le sommatorie che in quest’equazione 
compariscono si calcoleranno secondo che fu detto a n° 32. 


42. Per la determinazione delle rette %” e %', soddisfa- 
centi alle condizioni imposte si può procedere come ora indi- 
cheremo. 

Vogliasi tracciare la retta £', per cui si abbia 


__ _A4c+ 21A4q 
E. Hi ni 


Sieno 8, 8} e B le ordinate della 7’, dall'asse « in corri- 
spondenza dei centri d'appoggio A e B e di uno qualunque dei 
punti U; ed indichisi genericamente con y', l’ordinata sulla 
verticale di U compresa fra l’asse x e la funicolare p',. Avremo 


(69) = Be =bR+Sota 


Onde le (51) trasformansi nelle seguenti, da cui ricavansi 
le ordinate Bo e B} determinanti la #',: 


biz —2 )—R pra ro 
l 1 DI) 1 3 


menta. 85 E K,H 
(54) 
Ra Tu le _AcT- 249, et 
Matera) Spi nai pa 


224 ELIA OVAZZA — SUL METODO DI FALSA POSIZIONE, ECC. 


Le sommatorie possono calcolarsi graficamente come mo- 
menti statici rispetto alla verticale A dei pesi ideali = ed LI 


applicati ai punti U corrispondenti. 


43. In modo analogo determinasi la %"" soddisfacente alle 
condizioni imposte a n° 49, ovvero la &', soddisfacente alle 
condizioni di cui a n° 37. 


Archi reticolari. 


44. Sta quanto fu esposto per gli archi a parete piena, 
sostituendo ai punti U, ed U, i nodi di contorno I' ed I”, ed 
anzi a tale proposito va ripetuto quanto fu detto a numero 34. 


45. Vuolsi osservare che l’incastro di un arco reticolare 
consiste nel vincolo imposto ad un nodo A di rimanere fisso 
ovvero di cedere di quantità dipendenti dal sistema di appoggio, 
insieme col vincolo imposto ad una sbarra d’estremità di pas- 
sare costantemente per un punto A, che si mantiene a distanza 
costante da A, potendosi del resto muovere attorno a questo 
dipendentemente dalla cedevolezza dell'appoggio. Converrà perciò 
immaginare aggiunta alla travatura un'asta invariabile A A,, 
la cui rotazione per l’azione dei carichi e dipendente dalla im- 
perfezione di appoggio corrisponde alla quantità Ag, delle for- 
mule precedenti. Analogamente dicasi per l’altro appoggio B 
e per la quantità angolare Ag, che comparisce nelle precedenti 
formule. 


Atti RAccad.delle Sc.di Torino -VoLXIX/ 


E.OVAZZA-Sul metodo di falsa posizione pel calcolo degli archi elastici. 


Lit_Salussolia - Torino 


ELODIA OSASCO — DI ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI, ECC. 225 


Di alcuni Corallari pliocenici del Piemonte e della Liguria; 


Nota di ELODIA OSASCO. 


Nel riordinare i Coralli fossili terziari del Museo geologico 

della R. Università di Torino ebbi campo di fare alcune osser- 
vazioni sopra i Coralli pliocenici del Piemonte e della Liguria, 
che credo non inutile di pubblicare. 

Alcune delle forme studiate sono nuove per la scienza; per 
molte altre viene ad essere notevolmente allargata l’area della 
loro distribuzione geografica. 

Risulta da questo studio anche un qualche contributo alla 
conoscenza del rapporto numerico delle specie plioceniche con 
quelle del periodo tortoniano e con quelle del mare Mediter- 
raneo. 

Cercai di distinguere colla maggior cura possibile le va- 
rietà propriamente dette dalle anomalie, procedendo molto cau- 
tamente nell’introdurre nuovi nomi specifici. 

Nella tavola unita a questo lavoro riprodussi colla foto- 
grafia alcuni esemplari di specie diverse dimostranti casi ano- 
mali di gemmazione calicinale e di fissiparità, perchè sempre 
più confermano ciò che il D’Achiardi indicò: “ Potersi incon- 
trare le diverse forme di riproduzione in tutte le specie di 
coralli, salvo a predominare l’una o l’altra in gruppi distinti ,. 


Eupsammia porosissima, n. sp. (fig. 3). 

“ Poliparium magnum, laeviter compressum et curvatum ad 
maiorem axem, theca subtili, laxe porosa, multis costis ver- 
micularibus, porosis, incerte granulatis; septis granulatis in 
“ quinque cyclis, quatuor aequalibus, quinto ad quartum coa- 
“ lescente: viginti quatuor apparentia systemata. Columella 
“ magna, laxe porosa, fere rhomboidalis. 

“ Altitudo exemplaris imperfecti 40 mm., axis maior ca- 
“ licis 20 mm. ,. 


“ 


“ 


226 ELODIA OSASCO 


Astiano. — Astigiano (rara). 

Osserv.— Questa specie s’avvicina all’ E. contorta De Ang. (1), 
ma quest’ultima, come posso arguire dagli esemplari da me 
esaminati, presenta quattro cicli di setti con dodici apparenti 
sistemi, mentre la mia specie presenta cinque cicli con 24 si- 
stemi apparenti. 


Balanophyllia italica (MicHm.). 

1840-47. — Michelin, Iconog. zooph., pag. 46, tav. 9, fig. 15. 
(Caryophyllia). 

B. italica (Micun.) Var. gigantea, n. (fig. 2). 

Distinguunt hane varietatem a specie typica so qU 
notae: i 

“ Polyparium magnum, epitheca reductissima, columella 
“ reducta fere ut lamina spongiosa. 

“ Altitudo exemplaris imperfecti 30 mm., axis maior calicis 
“20 mm., minor 15 mm. ,. 

Astiano. — Astigiano (rara). 

Osserv. — Le maggiori dimensioni del polipieride non alte- 
rano il rapporto fra i varì diametri. Il calice appare molto com- 
presso, ma ciò in parte dipende dal grande sviluppo dei setti 
che comprimono la columella. L’epiteca è ridotta a leggero 
strato bianchiccio sopra alcuni punti presso la base. Alcune 
coste si ramificano a diversa altezza irregolarmente. 


Dendrophyllia digitalis BLarnv. 

1840-47. — Michelin, Iconog. zooph., pag. 52, tav. 10, fig. 10. 

D. digitalis. Var. crassa, n. (fig. 27). 

Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes 
notae: 

“ Polyparium crassum, magnis polypieridibus in tribus or- 
«“ dinibus, axis maior calicis 20 mm., minor 15 mm. 

Piacenziano. — Albenga (rara). 

Astiano. — Valle Andona, Pavone (Alessandria) (rara). 

Ossero. — I grossi polipieridi sono disposti, come nella 
Dendrophyllia digitalis, su linee spirali brevi, non continue, ma 
in soli tre ordini verticali. 


(1) De Aneenis, Corallari terz. Ital. sett., 1894, pag. 33, tav. 1, fig. 10. 


ac cdi dele 


ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 227 


Dendrophyllia ramea (Linw.) (fig. 1). 

1860. — Milne Edwards, Hist. nat. Corall., t. III, pag. 115. 

Atlas du regne animal de Cuvier (Zoophites), pl. 83, fig. 12, 1°. 

Piacenziano. — Zinola (non rara). 

Osservo. — Questa specie, vivente nel Mediterraneo, non fu 
ancora rinvenuta fossile. Berkeley Cotter (1), tra i fossili ter- 
ziarî dell'arcipelago di Madera, nomina la Dendrophyllia ramea 
BLAINv., ma riporta come tale la fig. del Michelin (2), la quale 
deve riferirsi alla D. taurinensis E. H. (3). 


. Trochocyathus arenulatus Ponzi (fig. 14). 

1876. — Ponzi, / fossili del monte Vaticano, pag. 28, 
tav. 3*, fig. 14 a, bd. 

Piacenziano. — Zinola (raro). 

Il De Angelis (Boll. Soc. geolog. it., 1893, tom. XII, pag. 5) 
non accettò questa specie e la riunì al 7. mitratus (GoLDpr.) (4), 
ma gli esemplari da me studiati non lasciano dubbio sulla bontà 
della specie del Ponzi, e lo stesso De Angelis, in seguito allo 
esame degli esemplari da me comunicatigli, giudicò la specie 
ben caratterizzata. In vero, il mio esemplare differisce da quello 
del Ponzi per avere il peduncolo più fragile, e tutte le coste 
prolungate sino alla base; ma tali differenze probabilmente di- 
pendono dalla difettosa esecuzione dei disegni e dal grado di 
conservazione del fossile. Differisce questo polipieride dal 7. mi- 
tratus (GoLDe.) per i seguenti caratteri: calice quasi circolare; 
peduncolo gracile con cicatrice, piegato verso il piano del grande 
asse; coste disuguali, carenate, che si elevano in punta al di- 
sopra del calice; granuli più evidenti sulla teca; teca, setti e 
paluli molto più sottili, questi ultimi però alquanto più larghi, 
con margine superiore retto e non arcato, granuli dei setti e 
dei paluli più grossi, senza regolare disposizione. Le ora indi- 
cate differenze scompaiono in parte nelle forme di passaggio, 


(1) Comm. da comm. dos trab. geolog. du Portug., Tom. II, fase. II, 
pag. 234, 1892. 

(2) MicrELIN, Iconog. zooph., pag. 52, tav. 10, fig. 8, 1840-47. 

(3) Mrirne Epwarps et J. Hare, Ann. Sc. Nat., ser. 3*, tom. 10, pag. 99. 

(4) GoLpruss, Petref. German., pag. 52, pl. XV, fig. 5, 1826 (Z’urbinolia 
mitrata). 


228 ELODIA OSASCO 


e quindi, pur tenendo separate le due specie, credo poter con- 
chiudere col De Angelis essere il 7. arenulatus Ponzi ùn derivato 
evolutivo del 7. mitratus (GoLpr.) o del 7. crassus (Micamt.) (1). 

Il 7. arenulatus Ponzi si avvicina al 7. affinis Reuss (2), 
ma se ne distingue per il peduncolo curvato verso il piano del 
grande asse e per la columella serialare; per questo carattere, 
e per avere il quarto ciclo di setti completo si distingue pure 
dal 7. Sismondae E. H. (3). 


Trochocyathus arenulatus Ponzi Var. turbinata, n. 
(fig. 15). 

Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes 
notae: 

“ Polyparium turbinatum, costis maioribus minus promi- 
nentibus, atque minus elatis super calicem, ad calicem fortiter 
crispatis, quinto cyclo imperfecto, granulis septorum et palu- 
lorum maioribus. 

“ Altitudo 12 mm., axis maior calicis 17 mm., minor 
15 mm. ,. 


K 
“ 


“ 


Piacenziano. — Zinola (rara). 


Trochocyatus arenulatus Ponzi Var. laevis, n. (fig. 16). 
Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes 
notae: 
“ Polyparium nonnullis costis dilatis usque ad basem valde 
granulatam. 
“ Altitudo 11 mm., axis maior calicis 12 mm., minor 
S 1bammnioa: 


“ 


Piacenziano. — Zinola (rara). 


Paracyathus pedemontanus (Micam). 


1840-47. — Michelin, /conog. zooph., pag. 47, t. IX, fig. 16 
(Turbinolia). 


(1) MicazLotTI, Specim. zonph. diluv., pag. 69, t. III, fig. 1 (Turbinolia 
plicata). 

(2) Reuss, Korallen Miocins (Akad. zu Wien, XXXI, 1872, tav. II, 
fio. 12, 13). 

(3) Mine Epwarps et J. Hare, Annales des Se. Nat., 3* ser., tom. 9°, 
pag. 307, pl. 10, fig. 4. 


ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 229 


Par. pedemontanus (Mican.) Var. alternicostata, n. 
(fig. 12). 

Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes 
notae: 

“ Polyparium costis conspicuis alternis aequalibus. 

“ Altitudo 6-16 mm. ,. 

Piacenziano. — Viale (rara). 

Astiano. — Astigiano (non rara). 

Par. pedemontanus (Mican.) Var. Michelottii, n. (fig. 13). 

1838. — Michelotti, Specim. 2ooph., t. III, fig. 3 (Turbdi- 
nolia cyathus). 

Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes 
notae: 

_ « Polyparium costis conspicuis ad marginem calicis; costae 

“ad basem substituuntur a granis ,. 

Astiano. — Astigiano (non rara). 

Oss. — Questa varietà corrisponde alla figura del Miche- 


lotti attribuita con dubbio al Paracyathus pedemontanus (Micun.) 
da M. Edwards e J. Haime. i 


Ceratotrochus duodecimcostatus (GoLpr.) (fig. 4). 

1826. — Goldfuss, Petref. Germ., pag. 52, t. XV, fig. 6° 
(Turbinolia). | 

Piacenziano. — Castelnuovo d’Asti, Rocca d’Arazzo, Cor- 
tanzone, Viale; T. Torsero (Ceriale), Zinola, Albenga (abbon- 
dante). 

Astiano. — Astigiano (non raro). 


Osserv. — Molti autori diedero la figura di esemplari di questa 
specie e li descrissero; ma la sola figura 6° del Goldfuss si 
deve ritenere tipica, mentre la 6°, ed in generale tutti gli esem- 
plari di cui i vari autori diedero la figura, formano, se non una 
nuova specie, almeno una buona varietà (forma tipica fig. 4 
della mia tavola; var. producta fig. 5 della stessa tavola). 

Gli esemplari veramente tipici sono tutti piacenziani; tutti 
astiani quelli ben caratterizzati della var. producta. 

Gli esemplari astiani che ho riferiti al tipo, ed i piacen- 
ziani che ho riferiti alla var. producta, sono forme di passaggio. 
Tale passaggio è meravigliosamente illustrato da due esemplari 
di Valenza, che dapprima si svilupparono tipicamente, e, dopo 


230 ELODIA OSASCO 


un arresto di sviluppo, assunsero la forma della varietà; i gio- 
vani adunque, si direbbe per atavismo, riprodussero la forma 
tipica dalla quale deviarono col successivo sviluppo, assumendo 
i caratteri della varietà. 

Questo fatto può spiegare come certi autori abbiano potuto 
considerare la forma tipica come forma giovane. Che l'esemplare 
di cui do la figura sia adulto, è provato dall'aver il quinto 
ciclo di setti completo, con rudimenti del sesto; mentre tutti 
gli esemplari della varietà hanno solo il quinto ciclo completo. 


C. duodecimcostatus (GoLpr.) Var. producta n. (fig. 5). 

1826. — Goldfuss, Petref. Germ., t. XV, fig. 6°. 

1841. - Michelin, Iconog. zooph., t. IX, fig. 7. 

Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes 
notae: 

“ Polyparium productum, costis non cristatis, raris et 
“ laevibus asperitatibus ornatis; septis laxe sed incerte granu- 
“ latis; calice compresso. 

«“ Altitudo 45-60 mm., axis maior calicis 25 mm., minor 
pali 6 10 110 AGO 

Piacenziano. — Viale, Valenza, Rivarone (Aless.) (non rara). 

Astiano. — Astigiano (abbondante), Chieri (non rara). 

Osserv. — Degno di nota è l'esemplare (fig. 6) con gemma 
calicinale. L'individuo gemmante è normalmente sviluppato, 
mentre la gemma, che per metà oblitera il calice del primo, 
presenta forma quasi cilindrica, calice circolare, sviluppo in- 
completo. 

I due polipieridi però non sono individualizzati che da un 
lato. 


C. duodecimcostatus (GoLpr.) Var. floriformis n. (fig. 7-8). 

Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes 
notae: 

“ Polyparium parvum, floriforme, saepe rectum, peduncu- 
“ latum, vulnere basilari, calice rotundo vel tenuiter compresso, 
“ laevissime expanso; septis ornatis granis prominentissimis 
“ sine lege dispositis, septis minoribus faciem dentatam prae- 
“ bentibus. 

«“ Altitudo 11-12 mm., axis maior calicis 4 mm., minor 
*.12 mm. ; 


ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 231 


Piacenziano. — Zinola, Albenga (non rara). 


Osservo. — Uno degli esemplari (fig. 8) ha sole nove coste 
principali e corrispondentemente nove setti più sviluppati. Però 
si possono rinvenire le tre coste ed i tre setti che si sono ar- 
restati nello sviluppo; essi dividono i mezzi sistemi di setti in 
due parti disuguali, l’una tipicamente sviluppata, l’altra con 
solo tre setti e tre coste. Il passaggio dalla specie alla varietà 
è graduale. 


C. duodecimcostatus (GoLpr.) Var. expansa, n. (fig. 9). 

Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes 
notae: 

“ Polyparium parvum, pedunculatum, vulnere basilari; co- 
“ stis subaequalibus, non cristatis, valde conspicuis ad marginem 
“ calicis, paullum ad basem; calice expanso. 

« Altitudo 10-15 mm., axis maior calicis 14 mm., minor 
"Pb amm. ;. 

Piacenziano. — Viale, Rivarone (Alessandria) (non rara). 

Osservo. — La piaga basilare, la grandezza e la disposizione 
dei granuli sui setti avvicinano questa varietà alla varietà /lor?- 
formis, ma le coste subeguali ne la distinguono. Queste coste, 
che verso il calice formano un collare frastagliato, distinguono 
la varietà dal C. anceps. MrceETT. (1). 


Ceratotrochus multispina (MicatT.). 

1838. — Michelotti, Spec. zooph. dil., pag. 71, t. II, fig. 6 
(Turbinolia multispina). 

C. multispina (Micamt.) Var. laevis, n. (fig. 10). 

Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes 
notae: 

“ Polyparium costis aliquantum rugosis non spinosis. 

“ Altitudo 10-11 mm., axis 7-8 mm. ,. 

Piacenziano. — Zinola (non rara). 


Osserv. — Questa varietà differisce dal C. typus (Sec.) (2) per 


(1) Siswonpa, Mat. paleont., Mem. R. Acc. delle Sc. di Torino, 1871, 
Serie II, tom. XXV, pag. 343, tav. VII, fig. 20-21. 
(2) 1864. Secuenza, Disquisiz. paleont., pag. 85, t. X, fig. 1, a, db, c, d. 


232 ELODIA OSASCO 


aver le coste rilevate e disuguali (tra 2 maggiori alternano 
3 minori), per aver sei setti maggiormente elevati sul bordo del 
calice, piaga basilare minore e non concava. 


Ceratotrochus multiserialis (Micam.). 
1838. — Michelotti, Spec. zooph. dil., pag. 70, t. II, fig. 7 
(Turbinolia). 


C. multiserialis (MrcamT.) Var. miopliocenica n. (fig. 11). 

Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes 
notae: 

“ Polyparium costis paullum undulatis, non tuberosis ,. 

Piacenziano. — Bussana (rara). 

Osserv. — Si distingue dal C. typus (SEc.) per avere le coste 
più rilevate ed alternate una piccola con una grande. 

Si distingue poi dal C. multispina (MrcntT.) Var. laevis Osc. 
per avere le coste alternativamente uguali, ed i setti maggiori ‘ 
non elevati sul calice. 


Flabellum Peolae n. sp. (fig. 23 a-b, 24). 


“ Polyparium pedunculatum, compressum; lateribus com- 
“ pressionis inaequalibus, altero latere instar semicycli, convexo, 
altero multum minore, concavo; rugis transversis, costis nu- 
“ merosis, nodosis atque elatioribus in tribus cyclis prioribus, 
“ aliquantum in quarto ; exterioribus dispositis ad angulum 160°; 
“ fossula valde compressa, arcuata; septis subtilibus, auctis in 
“ interna parte, paullum granulatis, malthatis; sex cyclis, se- 
ptimo rudimentali, septis trium cyclorum priorum aequalibus, 
vigintis quatuor systematibus apparentibus; sine columella 
vel columella rudimentali ,. 


PS 
[ai 


ES 


Piacenziano. — Monte Castello (Alessandria) (non raro). 


Osserv. — Distinguono questo Flabellum dal F. vaticani Ponzi 
(1891, De Angelis, Boll. Soc. geolog. ital., vol. XII, pag. 8) la 
minor concavità della faccia minore, la convessità della grande 
faccia di compressione, il numero minore delle coste principali, 
la diversa direzione delle coste esterne, i setti del 4° ciclo 
minori, la maggior compressione, la minor ampiezza dell’arco 
formato dal margine del calice. 


ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 233 


Flabellum avicula (MricamT.). 
1838. — Michelotti, Spec. zooph. dil., pag. 58, tav. III, fig. 2 
(Turbinolia). 


Fl. avicula (MicamT.) Var. ornata n. (fig. 19-20). 

Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes 
notae: 

“ Polyparium costis planis, numerosissimis, paullum appa- 
“ rentibus, nonnullis maioribus; costis exterioribus cristatis, 
“ nullis ad calicem, formantibus angulum 70°-90°; epithecio 
“ multum striato; calice compressiore. 

“ Altitudo exemplaris imperfecti 27 mm., axis maior ca- 
“ licis 34 mm., minor 14 mm. ,. 


Piacenziano. — Albenga (non rara). 
Astiano. — Astigiano (rara). 


Osservo. — Differisce dal Fl. Hohei E. H. (1) per forma ed 
ornamentazione delle coste, per l’angolo formato dalle coste 
esterne. Si potrebbe forse identificare col Fl. australe Mosel. (2), 
ma non potendo osservare individui di detta specie, mi trattengo 
dal riferire la forma fossile alla vivente, e tendo a credere sia 
forma di passaggio tra l’avicula e l’australe. 


Fl. avicula (MicHmT.) Var. erecta n. (fig. 24). 
Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae : 
“ Polyparium elatum, costis lateralibus una crista ornatis 
iuxta basem, formantibus angulum 70°; calice restricto, extre- 
“ mitatibus axis maioris rotundatis. 
“ Altitudo 30 mm., axis maior calicis 30 mm., minor 
SNO NIN... 


“K 


Piacenziano. — Torrente Pogliola (Mondovì) (rara). 


Osservo. — Differisce dalla var. ornata (fig. 19-20) per essere 
più allungata e ristretta, per aver le coste meno numerose, più 
spiccate e non pianeggianti, per aver le coste laterali ornate 
da una sola cresta verso la base. La specie e le due varietà 
nello stato giovanile si distinguono difficilmente. 


(1) 1826. GoLpruss, Petref. Germ., t. 37, fig. 17 (Turbinolia). 
(2) 1881. CnaLrenaer, Zoology, vol. II, part. VII; Coral., Moseley, pag. 173, 
pl. VII, fig. 4-5. 


234 ELODIA OSASCO 


Flabellum avicula (Micamt.) Var. subroissyana n. (fig. 22). 
Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes 
notae : 

“ Polyparium elatum, restrictum, paullum compressum ad 
calicem, duodecim costis tuberculatis, externis tuberculatis 
non alatis, extremitatibus axis maioris rotundis; fossula magna 
profunda, columella rudimentali. 

“ Altitudo 30-35 mm., axis maior calicis 35 mm., minor 
20 IATA. ga 


Piacenziano. — Monte Castello (Alessandria), Rivarone 
(Alessandria) (non rara). 


Osserv. — Distinguono questo Fladellum dalla var. erecta 
la minore compressione del calice, le coste più spiccatamente 
tubercolate, e quelle esterne tubercolate e non alate. 

Lo distinguono dal Fladellum roissyanum E. H. (1) la mi- 
nore compressione, gli estremi del grande asse arrotondati, la 
columella rudimentale. 

Malgrado questo Flabellum sia più vicino al Y. roissyanum 
E.H. che all’avicula (MicatT.) e malgrado sia forse identico al- 
l'esemplare dal Reuss riferito al Y. roissyanum E. H. (2), persisto 
a considerarlo come varietà di Y. avicula (MrcHTT), perchè tendo a 
credere che il f. roissyanum E. H. non sia esso stesso che una 
varietà di F.avicula; ciò arguisco dal confronto di queste due 
specie (3), dalle quali risulta non trovarsi fra esse altro carat- 
tere distintivo che quello della ornamentazione delle coste, ca- 
rattere che è ben lungi dall'essere in esse costante. Però la 
pessima conservazione degli esemplari di /. roîssyanum E. H. 
che m'è dato osservare, non mi permettono di definire la que- 
stione. 


Flabellum trapezoidale n. sp. (fig. 25 a-d). 


“ Polyparium pedunculatum, specie trapetii, paullum com- 
“ pressum, epithecio laxe plicato, nonnullis rugis elatioribus; 


(1) Mrcne Epwarps et J. Hare, An. S. Nat., 3* ser., tom. 9, pag. 268. 

(2) Reuss, Koral. Miocdns, tav. IV, fig. 11 (Akad. zu Wien, XXXI, 1872). 

(8) Micne Epwarps et J. Hare, Ann. S. Nat., 1848-49, 3° serie, t. 9, 
pag. 263 e 268. 


| ALCUNI CORALLARI PI.IOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 235 


“ costis numerosis, teriuibus, planis, exornatis; exterioribus ad 
“ basem cristatis; calice elissoidali, axe maiore paullum subter 
“ minorem, extremis rotundis; fossula magna, profunda; septis 
“in quinque cyclis perfectis et rudimentis sexti, tenuibus, ela- 
“ tioribus et spinosis in media parte, exornatis seriebus gra- 
“ nulorum parallelis lateri libero; viginti quatuor systematibus 
“ apparentibus; columella exigua. 

“ Altitudo 36 mm., axis maior calicis 50 mm., minor 
ESS Nin, ,. 


Piacenziano. — Monte Capriolo (raro). 

Osservo. — Gl’individui giovani, come si può argomentare 
dalla base del polipaio, devono aver forma d’un ventaglio con 
l'apertura eguale a mezza circonferenza, mentre l’arco formato 
dal margine libero del calice, non misura che un terzo di cir- 
conferenza. 


Fl. trapezoidale Osc. Var. semiovoidalis n. (fig. 26). 

Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes 
notae: 

“ Polyparium semi-ovoidale, costis lateralibus tuberculatis, 
“ fossula magna, expansa, paullum profunda; septis validis, 
elatis in media parte supra calicem, seriebus granulorum con- 
“ fusis, quinto cyclo imperfecto. 

“ Altitudo 36 mm., axis maior calicis 45 mm., minor 

Ji nm.,. 


Piacenziano. — Monte Capriolo (rara). 


236 


DD TWD 


. Dendrophyllia ramea (Linn) 


] Cladocora Michelottii E. H. 


. Ulangia foecunda Michtt. . . 
. Astrocoenia ornata (Michtt.) (2) 


. Caryophyllia clavus Scacch. 


. Coenocyathus affinis De Ang. (3). 
. Trochocyathus crassus (Michtt.) to” 
. T. arenulatus Ponzi, 


Rel 7, nucopia (Michtt.) 
. T. obesus (Michtt.). 


. Stephanocyathus elegans Segu.? 
. Paracyathus pedemontanus (Michn.) 


. P. pedemontanus ( Michn.), 


. Ceratotrochus 


ELODIA OSASCO 


ELENCO 


DEI 


CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE 


E DELLA LIGURIA 


. Corallium rubrum Costa 
. Eupsammia contorta De Ang. . 


porosissima Osc. 


: Balanophyllia italica (Michn.). 


E » Var. gigantea Osc. 


. Stephanophyllia imperialis Michn. 


5 elegans Michn (1) 


. Dendrophyllia cent Blainv. var. 


crassa Osc. 


È Michelini Michtt. . 
3 cornigera (Esper.) 
amica (Michtt.). 


5 granulosa (Goldf.) 
È prevostana E. H. 


, calix Michtt. . 


a cilindricus E. H. 
bi arenulatus Ponzi . 


» n 
var. turbinata Osc. ea, 
var. laevis 


Ose. 


var. al- 
ter sicostatia Osc. 0) ter 
var. 
Michelottii Osc. . h 3] 
INTE 
(Goldf.)..cartk 
(Re: duodecimeostatus (Goldf. ), var: 
producta Osc. 


? 

IT 
? 

ii 


.\? 


Tortoniano 


? 


+ 


‘eg 


? 


. C. duodecimcostatus (Goldf. ) var. 
floriformis Osc.. i, 


PIACENZIANO 


Viale, Zinola 
Zinola 
Viale, T. Tor- 
sero, Zinola 
\ Castelnuovo, 
;Zinola, Savona, 
Albenga 
Albenga, 
Zinola, 
Valle Andona 
Zinola 
Zinola, Savona 
Zinola 
Zinola 
Zinola, Savona 


Zinola ? 
Zinola? 
Zinola 
\ Zinola, Alben- 
! ga, R. Torsero 
( Chieri, Zinola, 
. R. Torsero, 
Albenga 
Zinola 
Zinola 
Viale, Bussana 
Zinola 


Zinola 


Zinola 
Bussana 
Bussana 

Montecastello, 

Zinola. 

Zinola 


} 


Viale 


+ ‘abbondante 


ovunque 
{ Viale, Valenza, 


it Rivarone 


Zinola, Albenga 


ASTIANO 


Astigiana 


n 
» 
n 
» 


n 


Pavone (Aless.) 


Astigiana 
n 
»n 
n 


n 


n» 


n 


Astig., Chieri 


Mediterraneo 


+ 


- 


FE 


LL 


ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 237 


Ù (©) 
ELENCO a El 
DEI da a 
CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE 8 PrAcENZIANO AstIANO 53, 
È » 
E DELLA LIGURIA i E 
35. C. duodecimcostatus (Goldf.), var. 
expansa Ose. . . . + | |Viale, Rivarone | 
Rocca d’Arazzo, 
36. Ceratotrochus anceps Michtt. . i giince Cornaré (Astig.) 
. Torsero 
37. È multispina (Michtt.)+-| Zinola, Savona 
38. L s var.laevis Osc.| + Zinola 
39. Ceratotrochus multiserialis(Micht.)|4 Bussana 
40. = ; var. mioplio- 
Lonica O86, EST TT, .|+ Bussana 
41. Ceratotrochus typus (Seg.) . .I+ Zinola 
42. Desmophyllum elatum De Ang. . Zinola | 
43. Flabellum pavonium Lesson.?. . Montecastello 
44, > vaticani Ponzi? e Montecastello 
45. di Peolae Osc. PES. Montecastello 
46. 3 extensum Michn. var. 
distincta B.H. . . . . ; R.Arazzo, Zinola Astigiana 
47. ‘ intermedium E. H. .-+| Viale, Zinola + 
O, 
48. È avicula (Micht.) .|-+|/Viale, Albenga, n 
Bussana 
49. n s var ornata Osc.| + Albenga n 
50. bi È , erecta Osc. .| |Torr.t® Pogliola 
51. » È » Subroissyana a 
n A, ivarone 
52. Flabellum Hohei E. H. . .|+| Viale, Albenga 
Rivarone, 
58. È roissyanum E. H. .|t gna 
ontecastello 
Zinola, Pigna 
li ; majus E. H. d’Andora, 
| Albenga 
55. £ trapezoidale Osc. Monte Capriolo 
56. È È var. | 
semiovoidalis Osc. . Monte Capriolo 
Castelnuovo 
57. Flabellum Woodii E. E. deg ViliAmiio; Vial, 
| Zinola 
58. 3 siciliense E. H. ; Rivarone Aa [cachi 
i A acutum E. H. . .+| Mov 
60. È. Michelini E. H. . Viale, Zinola 


(1) Alcuni esemplari raggiungono un diametro di 20 mm., la teca si 
presenta talora piatta od anche concava, e piccole costicine appaiono tal- 
volta sui setti. Onde la S. elegans Michn. qualche volta difficilmente si 
distingue dalla S. imperialis Michn. 


(2) Gli esemplari che ho esaminati hanno i setti maggiori in numero 
di 10. Il M. Edwards e J. Haime ed il De Angelis notano nell’A. ornata 


Atti dela R. Accademia — Vol. XXXI. 18 


238 


ELODIA OSASCO — ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI, ECC. 


(Micht.) soli 8 setti principali, ma essi riportano nella specie la fig. del 
Michn. ed in questa, come in quelle del Sismonda e del Reuss i setti 
principali appaiono in numero di 10. 


(3) In generale gli esemplari da me esaminati hanno le coste meno 


evidenti e le pieghe dell’epiteca più pronunciate che non quelli dei quali 
il De Angelis dà la figura. 


Do new 


10. 
11. 
12. 
13. 


14. 
15. 
16. 
IN. 
18. 
19. 
20. 
21. 
22. 


23 a. 
23 d. 


24. 


DIE) 
25 db. 


26. 
27. 


4 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 


. Dendrophyllia ramea (L.). 
. Balanophyllia italica (Michn.) var. gigantea Osc. 


Eupsammia porosissima Osc. 


. Ceratotrochus duodecimcostatus (Goldf.). 


* i I ù var. producta Osc. 
”» ” ” ”» ” ” n (esemplare 
con gemmazione calicinale). 


. Ceratotrochus duodecimcostatus (Goldf.), var. floriformis Osc. XK 2. 


A n 4 = » (calice) X2. 
d 3 Brranais Ose. X 2. 
RATA (Micht. là var. laevis Osc. X 2. 

4 multiserialis (Micht.), var. miopliocenica Osc. XK 2. 
Paracyathus pedemontanus (Michn.), var. alterni-costata Osc. XK 2. 
x var. Michelottii Osc. (esemplare con 


n 


gemma calicinale) X 2. 
Trococyathus arenulatus Ponzi (calice) X 2. 
È n var. turbinata Osc. X 2. 
s var. laevis Osc. XK 2. 
Cargophillia sia Scacchi (esemplare con gemmazione calicinale) X 2. 
Desmophyllum elatum De Ang. (esemplare con scissione) X 2. 
Flabellum avicula (Micht.), var. ornata Osc. 


n 


È A ; a z » (esemplare giovane). 
A } 4 » erecta (Osc.). 
Ò x » subroissyana Osc. 


Pelo Osc. (lato maggiore convesso). 


”» 


A A s (interno). 

2 è »s (giovane mostrante il lato minore concavo). 
= trapezoidale Osc. 

Ù A s (calice). 

S n var. semiovoidale Osc. 


Dendrophyllia digitalis Blainv., var. crassa Osc. 


L’ Accademico Segretario 


ANDREA NACCARI. 


MI 


OSASCO ELODIA z LZ 44 , o, 7 i Qui della R. Ace: delle Scienze, di Gorino. Vol XXXI. 


E.FORMA- FOT. CHA aotaiAsarizAiano 


239 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 22 Dicembre 1895. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Socii: CLarETTA, Direttore della Classe, 
Preyron, Rossi, BoLLati pi Sarnt-PIERRE, Prezzi, NANI, GRAF, 
CrpoLLa, Brusa, PeRRERO, ALLIEvo e FerRERO Segretario. 

Il Socio Segretario presenta, da parte degli autori, i se- 
guenti opuscoli: “ Malais et Siamois: De l’esclavage dans la 
presqu'île malaise au XIX° siècle , (Paris, 1874); “ Madjapaht 
et Tchampa , (Paris, 1895) del Socio Corrispondente Prof. Ari- 
stide MarRE; “ Vittoria Colonna in Orvieto durante la guerra 
del Sale ,, del sig. Domenico ToRpi. 

Il Socio CreoLra legge un suo lavoro intitolato: “ Brevi 
appunti di storia movaliciense ,, di cui la Classe approva la 
stampa nelle Memorie accademiche. 


240 


LETTURE 


._—_—— 


Sunto della Memoria: 
Brevi appunti di storia novaliciense; 


del Socio CARLO CIPOLLA. 


Sotto questo titolo raccolgonsi dieci paragrafi, di piccola 
estensione, destinati a completare in qualche modo le quattro 
Memorie pubblicate dall’autore nel vol. XLIV delle Memorie sul- 
l’antica storia letteraria dell'abbazia della Novalesa. Nel primo 
paragrafo, mentre si appongono le regioni per le quali i Franchi 
cooperarono ad accrescere la potenza dell'abbazia, si parla pure 
degli ultimi giorni di, essa. Della visita fatta alla medesima dal 
Mabillon è parola nel $ II. Nel III, che è il più lungo, si discorre 
del frammento Novaliciense di un diffuso Commento alla Regula 
monachorum di S. Benedetto, e lo si pone in correlazione con 
quello compilato nel sec. VIII da Paolo Diacono, e con quello 
di Ildemaro, monaco del IX secolo. Di quest’ultimo Commento 
esiste una edizione preparata dal P. Ruperto Mittelmiiller nel 
1880 sopra vari codici tedeschi. Qui si prende in esame parti- 
colarmente il codice Parigino, già usufruito in parte dal Mabillon 
e dal Martène. L'Autore giunge alla conclusione che il frammento 
Novaliciense non si può identificare nè col Commento Paolino, 
nè coll’Ildemariano, ma appartiene ad un Commento, che non 
è rappresentato da nessun codice finora conosciuto. 

Nel $ IV si ricorda che parecchie istituzioni ecclesiastiche 
ebbero in uso di tenere un libro de computo, quale ebbe anche la 
Novalesa. Si discorre nel $ V di un inventario di documenti Nova- 
liciensi, compilato sul cadere del secolo scorso dall’abate Sineo. 
Nel $ VI si fa cenno di due nuovi inventari di reliquie. Fassi pa- 
rola nel VII di due iscrizioni dipinte nella cappella di S. Eldrado 
alla Novalesa. Sotto il $ VIII si raccolgono varie notizie di 


241 


storia Novaliciense, e particolarmente si espongono le varie 
opinioni emesse sulla patria di S. Eldrado. Degli studi fatti 
sull’abazia dall'abate Fabrizio Malaspina, al principio del secolo 
attuale, vien fatto breve ricordo nel $ IX. Nel $ X vengono raccolti 
i regesti di parecchi documenti, appartenenti all'antico archivio 
dei Provana di Leynì, in servizio degli studi per determinare 
la cronologia degli abati della Novalesa. Detto archivio trovasi 
attualmente in Pianezza, ed è proprietà dei signori Fontana, i 
quali, con squisita gentilezza, permisero che le carte di quel- 
l'archivio venissero compulsate in vantaggio degli studi. 


L’ Accademico Segretario 


Ermanno FERRERO. 


—__ ——————>»—>——_>Nnh\ 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 


Dal 1° al 15 Dicembre 1895. 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali 


NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; 
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. 


* Abhandlungen der mathem.-physischen Classe der k. S&chsischen Gesell- 
schaft der Wissenschaften. Bd. XXII, n.° 2, 3. Leipzig, 1895; 8°. 

* Annales des Mines. 9° série, t. VIII, livr. 8-9. Paris, 1895. 

* Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. T. LIII, disp. 108. 
Venezia, 1894-95; 8°. 

Bollettino della Società generale dei Viticoltori italiani. Anno X, n. 22, 23. 
Roma, 1895; 8°. 

* Comptes-Rendus sommaires des séances de la Société philomatique de 
Paris, 23 novembre 1893, n. 3. Paris; 8°. 

** Erlinterungen zur geologischen Specialkarte von Preussen und den 
Thiiringischen Staaten. 59, 65 Liefer. Gradabth. 31, 33; n. 1-3, 7-9, 
13-15; 11, 12, 17, 18. Berlin, 1895; 8° e fo. 

* Johns Hopkins University Circulars. Vol. XV, n. 122. Baltimore, 1895; 4°. 

* Memorie del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Vol. XXV, n. 4. 
Venezia, 1894; 4°. 

* Observations faites à l’observatoire météorologique de l’Université Impé- 
riale de Moscou; janvier 1894-mars 1895; 8°. 

* Proceedings of the Asiatic Society of Bengal. N. VII, VIII, July, August 
1895. Calcutta, 1895; 8°. 

* Proceedings of the Royal Society. Vol. LVIII, n. 352. London, 1895; 8°. 

* Rendiconti del Circolo matematico di Palermo. Tom. IX, fasc. VI. Pa- 
lermo, 1895; 8°. 

* Rivista mensile del Club alpino italiano. Vol. XIV, n. 11. Torino, 1895; 8°. 

* Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXVIII, fasc. 11. Modena, 
1895; 8°. 

* Verhandlungen Physikalisch-Medicinischen Gesellschaft zu Wiirzburg, 1895, 
N. F., XXIX Bd., n. 2-5. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 243 


* Dall’ Università di California in Berkeley: 


Fairbanks (H. W.). On Analcite Diabase from San Louis Obispo Co., Ca- 
lifornia. Berkeley, 1895; 8°. 

Hesse (F. G.). Hydraulic Step. Berkeley, 1887; 8°. 

— An address on industrial mechanics. Berkeley, 1875; 8°. 

— Results of Tests for tensile strength, etc., of crucible basic, and gal- 
vanized basic Steel Wire Ropes, ecc.; 8°. 

Hilgard (E. W.). Lecture of the phylloxera or grape vine louse. S. Fran- 
cisco, 1875; 8°. 

— Alkali Lands, irrigation and drainage in their mutual relations. Sacra- 
mento, 1892; 8°. 

Holden (E.). A brief account of the Lick Observatory of the University 
of California (2 edit.). Sacramento, 1895; 8°. 

Jackson (A. W.). On the building Stones of California. Berkeley, 1888; 8°. 

Lawson (A. C.). The Geomorphogeny of the Coast of Northern California. 
Berkeley, 1894; 8°. 

Report of the Viticultural Work during the seasons 1887-89, with data 
regarding the vintage of 1890. Part I. Red-Wine Grapes. Sacramento, 
1892; 8°. 

Report of Work of the agricultural experiment Stations of the University 
of California, for the year 1892-93 and part of 1894. Sacramento, 
1894; 8°. 

Shinn (M. W.). Notes on the Development of a Child. Part II. Berkeley, 
1894; 8°. 

Stringham (J.). Class-Room notes on uniplanar kinematics; 8°, 


Galilei (Galileo). Le opere. Ediz. naz.!*, vol. V. Firenze, 1895 (Dono del 
Ministero dell’Istr. Pubb.). 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. 
Dall’8 al 22 Dicembre 1895. 


_ * Bulletin de la Société de Géographie Commerciale de Bordeaux, 1895, 
n. 23; 8°. 

* Boletin de la Real Academia de la historia; t. XXVII, cuad. VI. Madrid, 
1895; 8°. 

* Bollettino delle Pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa 
(Bibl. Naz. Centr. di Firenze); 1895, n. 239; 8°. 

* Calendar (The) 2554-5 (1894-95). Tokyo, 2555 (1895); 8° (dall’Imperiale 
Università di Tokio). 


244 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Journal of the Asiatic Society of Bengal. Vol. LXIII. Part I, History 
Literature, n. 2. Calcutta, 1895; 8°. 

* Nachrichten von der K. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòottingen. 
Philologisch-historische Klasse, 1895, Heft 4; Geschiftliche Mitthei- 
lungen, 1895, Heft 2; 8°. 

* Notulen van de Algemeene en Bestuurs-Vergaderingen van het Bataviaasch 
Genootschap van Kunsten en Wetenschappen. Deel XXXIII, Afelv. 2, 
1895. Batavia; 8°. 

* Rendiconto delle Tornate e dei Lavori dell’Accademia di Archeologia, 
Lettere e Belle Arti della Società Reale di Napoli. N. S., Anno IX, 
Aprile a Giugno 1895. Napoli, 1895; 8°. 

* Tijdschrift voor Indische Taal-, Land- en Volkenkunde, uitgegeven door 
het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen, etc.; 
Deel XXXVIII, Afelv. 6. Batavia, 1895; 8°. 

* Verhandelingen van het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Weten- 
schappen. Deel L, 1 Stuck. Batavia, 1895; 8°. 


* Dall’ Università di California in Berkeley: 


Academic Senate of the University of California — Memorial of professor 
J. Le Conte. Berkeley, 1892; 4°. 

Addresses Commencement Day. May 17, 1893. Berkeley; 8°. 

Blue (The) and Gold hand book of the University of California. San Fran- 
cisco, 1886; 8°. 

Bulletin (Library) N° 9, 12. Berkeley, 1887, 1394; 8°. 

Library of the University of California. Contents-Index. Vol. I. Berkeley, 
1889-90; 8°. 

Register of the University of California. Berkeley, 1893-94; 8°. 

Report (Annual) of the Secretary to the Board of Regents of the Univer- 
sity of California, for the year ending june 30, 1894. Sacramento, 
1894; 8°. 

Report (Biennal) of the President of the University on behalf of the board 
of Regents, to his Excelleney the Governor of the State, 1893. Sacra- 
mento, 1894; 8°. 


Allievo (G.). Lo Stato educatore ed il Ministro Boselli. Torino, 1889; 8° 
(dall’A.). 

— Un educato anonimo. Torino, 1890; 8° (Id.). 

— Il Ministro Boselli e la legge. Torino, 1890; 8° (Zd.). 

Barnabei (F.). Delle scoperte di antichità nel lago di Nemi; Relazione. 
Roma, 1895; 4° (Id.). 

Meerens (Ch.). A propos de la Mélopée antique dans le chant de l’Église 
latine par F. A. Gevaert; Commentaires. Bruxelles, 1896; 8° (Id). 
Wallon (H.). Notice sur la vie et les travaux du commandeur Jean Bap- 

tiste De Rossi. Paris, 1895; 4° (Id.). 


Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi. 


Rec°d.28 Ju:y--12 Sapt. 1896 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 29 Dicembre 1895. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA 
VICE-PRESIDENTE DELL ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: D’Ovipio, Direttore della Classe, 


Bizzozero, FERRARIS, Mosso, GIBELLI, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE, 


VoLteRRA, JADANZA, Foà e Naccari Segretario. 

Viene letto ed approvato l'Atto Verbale dell’Adunanza 
precedente. 

Il Socio Mosso, anche a nome del Socio Bizzozero, legge 
la Relazione sulla Memoria del Dott. Alberico BENEDICENTI 
“ Sulla tonicità dei muscoli studiata nell’uomo ,. Approvata 
questa Relazione, che è favorevole, si ammette alla lettura e 
si accoglie nei volumi delle Memorie lo scritto anzidetto. 

Parimenti viene accolto nei volumi delle Memorie in seguito 
a Relazione favorevole letta dal Socio GrBELLI, anche a nome 
del Socio CamerANO, la Memoria del Conte Ugolino MARTELLI: 
«“ Flora della Sardegna in continuazione di quella del Moris 
(Orchidee) ,. 

Le note seguenti vengono poi accolte per l'inserzione negli 
Atti : 

1° “ La pressione nell'azione dell’acqua sul quarzo ,; nota 
del Socio SPezIA, presentata dal Socio CAMERANO; 

2° “« Sull’origine dei corpi grassi negli Anfibi ,; nota del 
Dott. E. GiaLio-Tos, presentata dal Socio CAMERANO. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 19 


246 GIORGIO SPEZIA 


LETTURE 


La pressione nell’azione dell’acqua sul quarzo; 


Nota del Socio GIORGIO SPEZIA. 


L’osservazione se la solubilità del quarzo nell’acqua sia 
dipendente più dalla temperatura o più dalla pressione non può 
a meno d’interessare la geologia per la grande diffusione in 
natura e per l’importanza litologica del detto minerale. Perciò 
ho intrapreso alcune esperienze in proposito; ma essendo ne- 
cessario parecchio tempo per ultimarle, credo utile di porgere 
con questa prima nota i risultati di quelle esperienze, le quali 
‘ si riferiscono all’influenza della pressione nella soluzione del 
quarzo a temperatura ordinaria. 

Da quanto mi consta, per ricerche bibliografiche, l’unica 
esperienza eseguita, sull’influenza della pressione nella solubilità 
del quarzo a temperatura ordinaria, fu quella di Pfaff (1), il 
quale avrebbe trovato che, alla temperatura di 18°, colla pres- 
sione di 290 atm. e col tempo di 4 giorni, 1 parte di quarzo 
si scioglierebbe in 4700 parti d’acqua. 

Ora detta solubilità alla sola temperatura di 18° è troppo 
grande in confronto della silice disciolta in molte acque mine- 
rali. Infatti per detta solubilità un’acqua dovrebbe contenere 
su 1000 parti 0,213 di Si O?, la quale quantità sarebbe di molto 
maggiore ‘a quella che le analisi assegnano alle acque minerali, 
anche termali assolute, sia solforose, sia ricche di carbonati 
alcalini o ricche di acido solforico e cloridrico liberi. Soltanto 
le acque prettamente geiseriane, che sono anche le più calde, 
conterrebbero maggior quantità di silice di quella fornita dal- 
l’esperienza di Pfaff. 

Per tale considerazione bisognerebbe conchiudere che le 
acque minerali, con minore quantità di silice di quella indicata 


(1) Allgemeine Geologie als eracte Wissenschaft, 1873, pag. 311. 


e e 


LA PRESSIONE NELL'AZIONE DELL'ACQUA SUL QUARZO 247 


dall'esperienza di Pfaff, l'avessero perduta prima di giungere 
alla scaturigine per la diminuzione e scomparsa della forte 
pressione la quale, secondo l’esperienza, era causa della solu- 
bilità della silice. 

Ma tale conclusione renderebbe difficile lo spiegare come 
le acque geiseriane contengano maggiore quantità di silice di 
quella trovata nell’esperienza, sebbene anch’esse abbiano perduto 
alla loro scaturigine la pressione che dovrebbe essere necessaria 
per la solubilità della silice. 

D'altronde per altre mie esperienze, p. es. quelle pubblicate 
a riguardo dell’Apofillite, dalle quali risultava che la solubilità 
dipendeva essenzialmente dalla temperatura e non dalla pres- 
sione, io era indotto a credere che anche per la solubilità del 
quarzo dovesse accadere lo stesso, considerando che in natura 
le acque minerali più ricche di silice sono quelle che hanno 
maggior temperatura. 

Per le anzidette ragioni mi venne un dubbio sul valore 
dell'esperienza di Pfaff, e la descrizione del modo con cui fu 
eseguita l’esperienza mi persuase, che il risultato di essa po- 
tesse essere erroneo per cause dipendenti dal processo speri- 
mentale. 

Pfaff per la sua esperienza ridusse in polvere grossolana 
il quarzo, quindi pose 140 milligrammi di essa in un piccolis- 
simo imbuto di carta da filtro il quale fu legato e mantenuto 
chiuso con filo di rame inargentato. Detto imbuto fu messo 
nella cavità di un cilindro di ferro, contenente 20 grammi 
d’acqua, sospendendolo con un sottile filo appena sotto alla 
superficie dell’acqua. La cavità del cilindro, contenente l’acqua 


e l’imbuto colla polvere, fu chiusa con una lastra di ferro so- 


praccaricata di un peso corrispondente alla pressione di 290 
atmosfere; poi l'apparecchio così combinato fu riscaldato in 
modo che la temperatura sua salisse da 8° che aveva, a 18°. 
Quindi Pfaff calcolò la pressione dovuta all'aumento di volume 
dell’acqua per i 10° di maggior temperatura, tenendo conto 
anche dell'aumento di volume del ferro; la quale pressione aveva 
naturalmente per limite il peso che serviva alla chiusura del 
cilindro. 

L’autore nel descrivere il modo di esperienza non indica i 
dettagli relativi alla pesatura dell’imbuto di carta. Ad ogni modo 


248 GIORGIO SPEZIA 


mi parve che il procedimento dell'esperienza non fosse scevro 
di cause di errore, massime perchè si trattava di sostanza ri- 
dotta in polvere e di carta da filtro la quale rimanendo per 
4 giorni, che tale fu la durata dell’esperienza, sotto forte pres- 
sione poteva per sola azione fisica spappolarsi leggermente ed 
anche diventare porosa in modo da perdere qualche grano di 
| polvere. i 

Perciò io credetti opportuno di ripetere l’esperienza, sulla 
solubilità del quarzo nell'acqua con grande pressione e con 
temperatura ordinaria, adottando un altro procedimento che 
escludesse le supposte cause di errore. 

Invece di adoperare il quarzo ridotto in polvere ho fatto 
uso di una lamina di quarzo; perchè se un corpo è insolubile, 
, la riduzione in polvere non può renderlo solubile; se per contro 
è solubile, la polverizzazione serve soltanto per aumentare la 
velocità di soluzione; ossia, aumentando la superficie di contatto 
del corpo col liquido solvente, la soluzione si farà in minor 
tempo, sempre inteso che il liquido sia in quantità tale che 
non venga, per saturazione, impedita la continua azione solvente. 
Perciò gli effetti finali di soluzione che si ottengono col trattare 
il corpo ridotto in polvere, si debbono anche ottenere con una 
lamina a larga superficie ed impiegando maggior tempo. 

Con tale criterio feci due esperienze, impiegando materiale 
tolto da un cristallo di quarzo, del Delfinato, perfettamente 
limpido. 

Nella prima esperienza la lastra di forma rettangolare fu 
lavorata in modo, che le superfici non fossero levigate ma ru- 
gose mediante una fina smerigliatura; ciò feci per rendere più 
facile il contatto dell’acqua col quarzo. 

La lastra così preparata aveva il peso di grammi 11,6641 
e la superficie complessiva di 2206 millimetri quadrati; essa 
fu posta in un tubo d’argento contenente l’acqua distillata e 
con lo stesso modo di sospensione e cogli stessi apparecchi di 
pressione già descritti nell'esperienza sulla solubilità dell’Apo- 
fillite (1). 

La lastra fu mantenuta alla pressione di 1750 atmosfere 
dall’11 luglio al 14 dicembre 1894, ossia per 5 mesi e 3 giorni 


(1) Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXX, pag. 455. 


LA PRESSIONE NELL’AZIONE DELL'ACQUA SUL QUARZO 249 


e la temperatura massima, che era quella dell'ambiente, fu 
di 25°. 

Terminata l’esperienza e pesata nuovamente la lastra di 
«quarzo, non trovai assolutamente alcuna differenza di peso, 
questo fu ancora di gr. 11,6641. Oltre a ciò, per questa prima 
esperienza versai l’acqua, contenuta nel tubo d’argento e la 
cui quantità era di 45 grammi, in una capsula di platino pre- 
_viamente pesata; feci evaporare l’acqua e non ebbi residuo 
alcuno. 

Perciò da questa prima esperienza mi risultò che alla tem- 
peratura di 25°, alla pressione di 1750 atmosfere ed in 5 mesi 
e 3 giorni di tempo il quarzo rimase perfettamente insolubile 
nell’acqua. 

Una seconda analoga esperienza fu da me eseguita non più 
con una lastra a superfici rugose, ma perfettamente levigate; 
onde approfittare della proprietà che hanno i corpi, sotto l’a- 
zione di solventi, di presentare figure di corrosione, le quali 
anche minime dovevano, osservate al microscopio, palesarmi 
qualunque piccolissima traccia di soluzione. A ciò fui indotto 
dal fatto di avere osservato, facendo alcune esperienze prelimi- 
nari sulla solubilità del quarzo con alta temperatura, che le 
lastre, oltre alla perdita in peso presentavano distinte figure di 
corrosione. La figura annessa allo scritto rappresenta appunto, 
ingrandita, l'apparenza di una lastra di quarzo, la quale, previa- 
mente levigata, fu tenuta nell’acqua per 15 giorni alla tempe- 
ratura da 230° a 240° e soltanto colla pressione corrispondente 
alla tensione del vapore acqueo per detta temperatura. La su- 
perficie della lastra rappresentata è parallela all’asse principale 
e la maggior lunghezza delle singole figure di corrosione è 
normale ad esso. 

La lastra della seconda esperienza era parimenti tagliata 
parallelamente all'asse principale ed a superfici, come ho detto, 
levigate; essa aveva il peso di grammi 1,5545 con una super- 
ficie totale di 994 mill. q. La lastra fu mantenuta nell’acqua 
sotto la pressione di 1850 atmosfere dal 10 luglio al 14 di- 
cembre 1895, ossia per 5 mesi e 4 giorni e la temperatura 
dell'ambiente non superò i 27°. 

Noto poi che ebbi l'avvertenza di rendere le superfici della 
lastra tali, che l’acqua vi aderisse perfettamente. Perchè si sa 


f 


250 GIORGIO SPEZIA — LA PRESSIONE NELL’AZIONE, ECC. 


che sovente sopra le superfici levigate l’acqua si comporta come 
se la superficie fosse ‘unta, ossia si contrae e non aderisce. 

Anche in questa seconda esperienza trovai che la lastra 
nè aveva perduto di peso, nè l'osservazione microscopica accen- 
nava menomamente a traccie di figure di corrosione. La man- 
canza di queste costituendo già un controllo della pesatura mi 
indusse a tralasciare in questa esperienza di fare evaporare 
l’acqua per vedere se essa lasciasse residui. 

Nelle mie esperienze, in paragone di quella di Pfaff, io 
aumentai d’intensità la causa, supponendo che la pressione fosse 
la causa della solubilità del quarzo nell'acqua, e procurai di 
raccogliere un effetto più grande colla più lunga durata del- 
l’esperienza, per la funzione che ha il tempo di accumulare 
maggiore quantità di effetto in modo, che un effetto stabile, se 
realmente è prodotto da una causa continua, diventa, per mi- 
nimo che esso sia, visibile e ponderabile per la sua quantità 
accumulata. Non pertanto le mie esperienze diedero un risultato 
contrario a quella di Pfaff; ma ritengo che il diverso risultato 
ottenuto da Pfaff debba attribuirsi al modo tenuto nell’espe- 
rienza, il quale, massime per l’impiego della carta, poteva dare 
luogo ad errori, che furono invece evitati col procedimento da 
me usato. 

Nè credo si possa addurre come causa di differenza di ri- 
sultato, fra l’esperienza di Pfaff e le mie due, il fatto d’avere 
io sperimentato sul quarzo in lastra invece di ridurlo in polvere. 
È vero che i granuli, costituenti la polvere di quarzo del peso 
di 140 milligrammi impiegata da Pfaff, potevano, supponendoli 


del volume di un cubo di 0,1 di millimetro di lato, rappresen- | 


tare la superficie di 3170 millimetri quadrati e perciò maggiore 
di quella delle lastre per le quali le superfici totali erano nelle 
due esperienze rispettivamente di 2206 e 994 mm.g. Ma è pure 
evidente, che detta minore superficie di contatto del quarzo 
coll’acqua fu largamente compensata col maggior tempo e colla 
maggior pressione, che io usai nelle mie esperienze. 

Del resto sono convinto, che colle altre esperienze in corso 
potrò confermare il risultato di quelle ora descritte, che cioè: 
anche per la solubilità del quarzo nell'acqua, la causa essenziale 
non deve essere la pressione, ma la temperatura. 


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ERMANNO GIGLIO-TOS — SULL'ORIGINE DEI CORPI, ECC. 25] 


Sull’origine dei corpi grassi negli Anfibi; 


Nota del Dott. ERMANNO GIGLIO-TOS. 


In un precedente lavoro sui corpi grassi degli Anfibi — , 
che ebbe l’onore di essere stampato negli Atti di questa Acca- 
demia (1) — io trattai puramente della struttura istologica di 
essi e della loro probabile funzione fisiologica, riservandomi di 
esporre in seguito le mie ricerche sulla loro origine. I risultamenti 
di queste mi propongo ora di render qui noti. 

Sebbene sieno solamente quattro gli anatomi che si occupa- 
rono di questo argomento; cioè von Wirrica, GrLes, BLES e 
MaRsHALL, a cui è forse da aggiungere RATHKE, che, assai prima 
di questi, ma affatto incidentalmente, toccò la presente que- 
stione, tuttavia le loro opinioni in proposito sono due e ambedue 
ben disparate. 

La prima fu emessa da WirTIcH e sostenuta più recente- 
mente da BLes e MARSHALL. Secondo questa i corpi grassi de- 
rivano dallo estremo anteriore delle creste genitali per degene- 
razione grassa di un certo numero di cellule germinative. 

La seconda invece, emessa e sostenuta dal solo GrLEs, 
ammette che i corpi grassi non sieno altro che derivati da tra- 
sformazione del pronefros o rene cefalico per degenerazione 
grassa delle sue cellule. 

Il primo che trattò questo argomento in modo speciale fu 
dunque il von Wrrtica. Questi, in un suo lavoro sullo sviluppo 
degli organi urogenitali degli Anfibi (2), dedica a questo soggetto 
una parte di un capitolo. Egli dice dunque chiaramente che, 
assai precocemente, quando le creste genitali appena si sono 


(1) Vol. XXX, 1895. 

(2) von Wirrica, Beitràge zur morpholog. und histolog. Entwickelung der 
Harn- und Geschlechtswerkzeuge der nakten Amphibien, in: Zeitschr. fur wis- 
sensch. Zool., IV Bd., 1853, p. 148. 


252 ERMANNO GIGLIO-TOS 


formate, la parte anteriore di queste dà origine ai corpi grassi, 
mentre la parte posteriore si sviluppa nei veri organi genitali. 
Nota intanto, — cosa che anch'io ho potuto quasi in ogni caso 
confermare, — che lo sviluppo del corpo grasso sinistro si fa più 
presto del destro, così che quello presenta già le sue appendici 
digitiformi, quando questo appare appena. Descrive quindi il 
modo con cui avviene la deposizione del grasso nelle singole 
cellule, che presentasi d’altronde affatto identica a quella che 
sì osserva in qualsiasi cellula grassa. 

Più tardi assai, Gres (1) ritornò su questo argomento, so-- 
stenendo che si può seguire nei girini di rana la graduale 
trasformazione delle cellule che formano i glomeruli ed i tu- 
betti del rene cefalico e la loro degenerazione grassa. I margini 
di esse, dapprima ben definiti si fanno confusi, i nuclei diven- 
tano meno distinti, ed i granuli di grasso incominciano ad ap- 
parire nelle cellule, finchè queste vengono quasi totalmente 
occupate dal grasso. 

La degenerazione grassa è già quasi totalmente avvenuta, 
quando ancora i due pronefros, così modificati, rimangono ade- 
renti al rene definitivo o mesonefros nella sua parte anteriore. 
A poco a poco poi si stabilisce una relazione tra i corpi grassi 
già formati e l'estremità anteriore degli organi genitali. Così 
che vi sarebbe un breve periodo nella metamorfosi di questi 
girini, in cui il corpo grasso è aderente ai reni ed agli organi 
genitali. Più tardi poi, il corpo grasso si distacca dai reni per 
rimanere aderente solo agli organi genitali, secondo la disposi- 
zione che si osserva nelle rane adulte. 

L’anno successivo ripresero la questione MarsHALL e BLES(2), 
i quali ritennero giusta ed anzi confermarono l’opinione espressa 
già prima dal von WITTICH. 


Io non mi fermerò a discutere qui il parere del GrLes. Dal 


(1) Grces A. E., Development of the Fat-bodies in “ Rana temporaria ,. 
Contribution to the History of the Pronephros, in: Quarterly Journ. of Microse. 
Sc., vol. XXIX, new series. London, 1889, p. 133. 

(2) Marsmarr A. e BLes E., The development of the Kidneys and Fat- 
bodies in the Frog, in: Studies from the Biolog. Laboratories of the Owens 
College, vol. II. Manchester, 1890. 


4 
b 
| 
; 


Ki A TITO 


SULL'ORIGINE DEI CORPI GRASSI NEGLI ANFIBI 253 


suo lavoro sopra citato appare troppo evidente che egli cadde 


in errore sulla posizione che egli attribuisce al rene cefalico. 
Come gli stessi MarsHALL e BLEs credono, tale errore fu cau- 
sato probabilmente dall'avere egli nelle manipolazioni spostato 
e forse asportato i reni cefalici e dall’avere scambiato con essi 
la parte anteriore del condotto di Wolff. È facile d’altronde 
vedere, come i reni cefalici, nel girino, abbiano una posizione più 
laterale e assai più in avanti nel corpo, di quella dell’estremità 
anteriore dei corpi di Wolff o reni persistenti negli Anfibi; per 
cui, se anche fosse vera la loro degenerazione grassa, non do- 
vrebbero ad ogni modo presentare, nè la posizione, nè la rela- 
zione coi reni che ad essi attribuisce il Gres e che figura anche 
nei suoi disegni. 

Ma se è facile spiegare, mediante un errore materiale di 
osservazione, l'opinione del GrLes, non è più così, quando si 
voglia ricercare, in qual modo abbia potuto vedere quello che 
egli chiaramente rappresenta nella figura 7 della tavola unita 
al suo lavoro: l’unione cioè dei corpi grassi coi reni e cogli 
organi genitali contemporaneamente. Dirò più avanti come pre- 
sumibilmente ciò abbia potuto avvenire. 

Il GrLes porta in appoggio della sua opinione altri fatti 
consimili di degenerazione dei reni cefalici osservati in altri 
animali, come nei Ganoidi e nei Teleostei. Anzitutto tali fatti 
non furono ancora assolutamente dimostrati veri, ma sono al 
contrario molto discutibili; in secondo luogo per varie ragioni 
non può avere importanza in questo caso un ragionamento per 
analogia. 

Messa così fuor di questione l’ipotesi del GrLes, non rimane 
che quella del von Wirrric®a, di BLes e MARSHALL, che ora 
discuterò. 

Le due ipotesi hanno questo di comune: che ambedue am- 
mettono come fatto fondamentale dell’origine di questi corpi la 
degenerazione grassa: l’una dei reni cefalici; l’altra della parte 
anteriore degli organi genitali primitivi. 

Ed è qui dove io non sono d’accordo con questi autori. La 
degenerazione grassa di una cellula è sempre un fenomeno pa- 
tologico: nei due casi si verrebbe dunque ad ammettere, che un 
fenomeno patologico abbia potuto dar origine ad un corpo, che 
ha certamente una funzione fisiologica, per quanto questa possa 


254 ERMANNO GIGLIO-TOS 


essere di poca importanza. Ora questo io non posso ammettere, 
nè so che vi sieno altri fatti certi che lo provino indubbiamente. 

La degenerazione grassa è sempre un fenomeno patologico 
perchè, come nella parola stessa è espresso, è sempre dovuta 
alla perdita di funzione di una cellula, a cagione del trasfor- 
marsi del suo protoplasma in grasso. E se ne hanno molti 
esempi. Ma si sa che non tutti gli ammassi di grasso sono 
dovuti a degenerazione. Chè anzi la maggior parte delle cellule 
grasse sono cellule, in cui la vitalità si estrinseca appunto nella 
deposizione grassa; ed ho espresso anche nel mio precedente 
lavoro l’opinione, che questa formazione grassa sia dovuta ad 
una proprietà metabolica del protoplasma stesso delle cellule 
grasse, che è d'altronde anche l’opinione prevalente di quei 
biologi che in questi ultimi tempi si occuparono di questo ar- 
gomento. 

Che non si tratti di degenerazione grassa lo dimostra pure 
il fatto che il grasso viene assorbito da queste cellule per la 
nutrizione degli organi genitali e che, dopo l’assorbimento; di 
nuovo le cellule medesime ne possono produrre dell’altro. 

Se a questo poi ancora aggiungiamo la struttura di queste 
cellule, identica a quella delle cellule grasse fisiologiche e per 
nulla a quella delle cellule in degenerazione grassa patologica, 
abbiamo prove sufficienti per credere, già a priori, non trat- 
tarsi qui, come sostengono gli anatomi suddetti, di degenera- 
zione grassa, sì bene di una vera produzione di grasso. 

È un fatto, che nella ricerca dell’origine di questi corpi si 
può facilmente credere a tutta prima, che essi derivino dagli 
organi genitali, perchè la unione con questi si fa, appena inco- 
mincia la loro formazione. Ma questo non è che una apparenza. 
In realtà, come ho potuto vedere, le cellule germinative delle 
creste genitali primitive non hanno nessuna parte nella formazione 
dei corpi grassi. 

L’origine di questi corpi negli Anfibi non è assolutamente 
diversa da quella degli ammassi di grasso che si osservano 
negli altri animali in diverse parti del corpo. La loro forma- 
zione avviene nel seguente modo. 

Appena incominciata la formazione degli organi genitali, il 
connettivo si insinua tra le cellule germinative formando lo 
stroma di quegli organi. È facile vedere in sezioni trasverse 


x SULL'ORIGINE DEI CORPI GRASSI NEGLI ANFIBI 255 


come il connettivo fibrillare, che penetra in tal modo tra le 
cellule germinative, sia quel medesimo che costituisce l’avven- 
tizia della vena cava posteriore, dalla quale la cresta genitale 
rimane in diretta dipendenza e nella quale sbocca la sua rela- 
tiva vena. 

Quasi contemporaneamente, il medesimo connettivo della 
avventizia della vena cava posteriore, presso all'estremità an- 
teriore della cresta genitale, mentre per una parte si infiltra 
tra le sue cellule, prolifera anche all’esterno di essa, formando 
una specie di piccolo tubercolo. Questo è il primo rudimento 
del futuro corpo grasso, ed esso pertanto è già, fin dalla sua 
prima origine, in connessione colla vena cava e colla cresta 
germinativa. 

Ecco il perchè gli anatomi suddetti, ingannati da questa 
strettissima e precoce relazione, credettero che si trattasse di 
una degenerazione grassa dell’estremità anteriore degli organi 
genitali. È da notarsi pure che, se fosse vera questa ipotesi, la 
posizione dei corpi grassi dovrebbe essere quella medesima delle 
creste genitali, e non dovrebbe avvenire di trovare in una me- 
desima sezione trasversa gli organi genitali ed i corpi grassi. 
Ora così non è: di fatto in ogni sezione trasversa il corpo 
grasso si può vedere contemporaneamente all’organo genitale, 
ed ha sempre una posizione laterale esterna, intermedia tra 
questo ed il rene. Inoltre la connessione tra la vena ed il corpo 
grasso alla sua base è totale, anche nell’adulto, mentre quella 
tra il corpo grasso e l’ovario od il testicolo non si ha che per 
quel breve tratto di superficie, per cui si fece dal primo mo- 
mento della sua origine. 

Mentre per migrazione di cellule connettivali va aumen- 
tando lo stroma delle creste genitali, aumenta pure nello stesso 
modo il connettivo del primitivo rudimento del corpo grasso, 
ed il tubercolo va crescendo di volume. Intanto, questa prolife- 
razione di connettivo e la formazione di altri tubercoli consi- 
mili si va estendendo lungo la vena ed intorno ad essa, così 
che, quando questi hanno raggiunto una certa lunghezza, attor- 
niano la vena nella sua parte latero-ventrale esterna, compresa 
tra le creste genitali ed i reni. Avviene allora, specialmente in 
sezioni longitudinali, che anche i reni appaiano in connessione 
con questi corpi grassi; ed in questo modo forse si possono 


256 ERMANNO GIGLIO-TOS 


spiegare le figure date dal GrLes nel suo citato lavoro, dove è 
rappresentata chiaramente la connessione contemporanea dei 
corpi grassi coi reni e cogli organi genitali. 

In sul principio della sua formazione il tubercolo non è 
formato che di solo connettivo fibrillare e il primitivo corpo 
grasso non ha nè vasi, nè cellule grasse. Ben presto però delle 
cellule migrano dal connettivo dell’avventizia e si vanno accu- 
mulando in quello del tubercolo. Sono queste le future cellule 
grasse. 
Come il von WirTIcH aveva giustamente notato, la com- 
parsa e lo sviluppo del corpo grasso sinistro precede quasi 
sempre quello del destro. 

Io sono d'accordo col ToLpr e col BorpEN (1) nel ritenere 
che tali cellule non sieno cellule comuni de] connettivo, le quali 
assumano la proprietà di produrre grasso; bensì speciali cel- 
lule con questa funzione metabolica loro propria. Per quanto 
abbia tentato di riconoscere in esse dei caratteri che servissero 
a distinguerle, in verità non potei riuscirvi. Ma mi parve di 
notare che, prima della produzione del grasso, il nucleo sia 
prevalentemente globoso .ed assai grande, colla cromatina sparsa 
in granulazioni minori ed accentrata anche in una massa al- 
quanto maggiore che quasi sempre sta nel mezzo del nucleo, 
e che avrei facilmente creduta un nucleolo, se non avessi sempre 
notato una certa irregolarità nel contorno ed un collegamento 
costante colle altre minori granulazioni di cromatina. Per contro 
i nuclei delle cellule connettivali sono prevalentemente alquanto 
più piccoli e più o meno deformati per allungamento e com- 
pressione. Il protoplasma delle cellule grasse appare anche re- 
lativamente più denso e più abbondante. Io non riuscii a di- 
stinguere in queste cellule una vera membrana prima che esse 
abbiano incominciato a produrre del grasso; mentre essa poi 
risulta ben evidente, quando la cavità cellulare contiene grasso, 
o quando le cellule, già avendone prodotto, lo hanno perduto. 
Nel mio citato lavoro rappresentai appunto in un disegno (fig. 3) 
l'aspetto e la struttura di alcune cellule simili, in cui il grasso 
è stato assorbito. Queste mie osservazioni confermano d'altronde 


(1) Borpen W. C., The fat Cell.: Its origin. development, and Histological 
Position, in: New York Medical Journal, 1894. 


| 


SULL'ORIGINE DEI CORPI GRASSI NEGLI ANFIBI 257 


le opinioni espresse già da tempo da ToLpr intorno a questo 
argomento. 

L'aumento in numero delle cellule grasse non avviene, se- 
condo me, per moltiplicazione di queste, perchè non ho mai 
potuto trovarne alcuna, in cui il nucleo fosse in via di segmen- 
tazione amitotica o mitotica; bensì per vera migrazione di 
queste cellule, le quali probabilmente provengono da uno spe- 
ciale centro di formazione che sta forse nell’avventizia stessa 
della vena. 

La produzione di grasso non incomincia in tutte contem- 
poraneamente: le cellule più interne sono già discretamente 
ricche di grasso, mentre quelle più periferiche e più presso al- 
l'apice non ne presentano ancora traccia. L'inizio del processo 
metabolico della cellula, non si ha che al comparire della cir- 
colazione; prima di questa non avviene alcuna formazione di 
grasso. Questo spiega perchè il tessuto adiposo sia costante- 
mente caratterizzato da una rete di vasi sua propria. 

La formazione dei capillari sanguigni e linfatici fra le cellule 
grasse non incomincia che quando queste sono già numerose 
ed il tubercolo grasso ha già poco più di un mezzo millimetro 
di lunghezza. 

Non oserei asserirlo recisamente, ma parmi di avere notato 
come la formazione di un sistema circolatorio arterioso non sia 
che secondario, mentre primo a formarsi è invece il venoso. 
La prima comparsa di vasi sanguigni nel corpo grasso si ha 
di fatto quando la vena cava posteriore, sulla quale il corpo 
grasso giace, emette un piccolo ramo che si insinua tra il con- 
nettivo e le cellule grasse e, dapprima capillare, va ingran- 
dendosi ed allungandosi, mentre le sue pareti si differenziano 
sempre più e diventano quelle di una vera vena, della vena 
assile del corpo grasso. Ai lati di questa, nello stesso modo, 
hanno poi origine a poco a poco gli altri capillari. Un po’ più 
tardi, formasi poi l'arteria assile del corpo grasso, i cui capil- 
lari si anastomosano con quelli venosi. 

Negli anfibi anuri, dove questi corpi grassi hanno forma di- 
gitata o frangiata, il tratto loro di connessione colla vena cava 
è assai breve: negli urodeli invece, dove hanno forma di lamine, 
è assai lungo e qualche volta si estende per una buona parte 
della vena stessa. Il che prova ancora una volta che l’origine 


258 ERMANNO GIGLIO-TOS 


loro non è dagli organi genitali ma dalle pareti della vena cava 
posteriore. 

I corpi grassi negli Anfibi vengono dunque ricondotti ad 
avere un'origine analoga a quella degli ammassi di grasso nel 
corpo degli altri vertebrati, come analoga è d’altronde anche 
la loro struttura. 

L'origine dal mesoderma, che si attribuiva per necessaria 
conseguenza a questi corpi grassi, sia coll’ipotesi del Grurs, sia 
con quella del von WIrtIca, BLes e MARSHALL, — origine abba- 
stanza strana, data la loro natura istologica, — cade pertanto e 
colle mie osservazioni viene ricondotta puramente al connettivo 
del mesoderna, cioè al mesenchima. 


Riassumendo pertanto concludo: 


1° I corpi grassi negli anfibi non derivano da degenera- 
zione grassa, nè del pronefros, nè della parte anteriore delle 
creste germinative. 

2° Essi derivano invece da proliferazione del connettivo 
dell’avventizia della vena cava posteriore, in connessione colla 
parte anteriore delle creste genitali. 

3° Le cellule grasse non sono dovute a degenerazione di 
altre cellule, ma sono invece cellule colla speciale funzione 
metabolica di produrre grasso. 

4° L'aumento in volume del corpo grasso non proviene 
da moltiplicazione diretta o indiretta di cellule primitive, ma 
da migrazione di queste cellule da uno speciale centro di 
produzione. 

5° L'origine di questi corpi negli anfibi è analoga a quella 
degli altri vertebrati. 

6° L'origine dei corpi grassi è interamente mesenchimatica. 


SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 


Fig. 1°. — Sezione trasversa del corpo grasso e dell’ovario primitivo di 
Rana esculenta, nella regione in cui il corpo grasso è solo unito alla 
vena cava. Vi si vede il connettivo dell’avventizia (@v) proliferare ed i 
corpuscoli del connettivo e le cellule grasse (cm) migrare promiscua- 
mente dall'avventizia verso il corpo grasso (cgr). 


l'origine dei corpi grassi negli anfibi. Atti RAccad.delle Sc.di Torino -To/ XY 


Lit. Salussolia, Torino 


SULL'ORIGINE DEI CORPI GRASSI NEGLI ANFIBI 259 


Fig. 2°. — Id. id. nella regione in cui il corpo grasso è contemporanea- 
mente unito alla vena cava ed all’ovario primitivo, per mostrare il 
passaggio del connettivo dal corpo grasso nell’ovario primitivo per 
formarne lo stroma (st). 

Fig. 3°. — Sezione longitudinale nella regione in cui il corpo grasso è 
unito alla vena ed all’ovario, in un rospo comune (Bufo vulgaris). Vi 
si scorge bene quello che è indicato nella sezione trasversale in fig. 2. 


Fig. 4*. — Sezione trasversale del corpo grasso di Rana esculenta nel punto 
in cuì la vena assile del corpo grasso sbocca nella vena cava po- 
steriore. 


Tutte queste figure sono ingrandite 250 volte, disegnate alla camera 
lucida di Abbe: oculare 2, obbiet. C. Zeiss. 

av: avventizia — cg: cellule grasse — cgr: corpo grasso — cm: cellule 
ulgranti del connettivo e cellule grasse — gs: corpuscoli rossi del sangue 
— in: intima della vena cava — m: tunica media — o: uova primitive 
— st: stroma ovarico — ve: lume della vena cava posteriore. 


Relazione sulla Memoria del Dott. Alberico BENEDICENTI, 
presentata nell'adunanza del 17 novembre 1895, 
che ha per titolo: 


“ Sulla tonicità dei muscoli studiata nell'uomo. ,. 


I sottoscritti G. Bizzozero e A. Mosso incaficati dall’ Ac- 
cademia delle Scienze di esaminare la Memoria del Dott. BEeNE- 
DICENTI “ Sulla tonicità dei muscoli studiata nell'uomo , si pregiano 
di riferire all'Accademia stessa che il loro voto è favorevole. 
Le ricerche fatte dal Dott. BeNEDICENTI intorno alla tonicità 
dei muscoli nell'uomo sono importanti perchè trattano di un 
argomento il quale fino ad ora era stato pochissimo studiato. 

La Memoria è corredata di figure, ed i sottoscritti propon- 
gono che essa venga stampata nei volumi delle Memorie secondo 
le prescrizioni del regolamento. 


G. BizzozERo. 
A. Mosso. 


260 


Monocotyledones Sardoe 
Joseph Hyacinthi Moris “ Flore Sardo@ , 
per H. MARTELLI 
Continuatio. 


Relazione dei Socii Gruseppe GiseLLi e LorENZO CAMERANO. 


Come è noto l’illustre Prof. Moris non ha potuto condurre 
a termine la sua classica opera, stampata nelle Memorie di 
questa R. Accademia sulla Flora della Sardegna. Di essa le 
Dicotiledoni soltanto, costituenti circa tre quarti del lavoro, 
furono pubblicate tra il 1837 ed il 1859. 

Delle Monocotiledoni il Moris aveva però già raccolto ab- 
bondantissimo materiale, e pubblicato il catalogo; di più lasciava 
anche molte note staccate e diagnosi abbozzate. 

Dopo la morte del Moris parecchi botanici esplorarono la 
Sardegna, raccolsero messe più o meno abbondanti di specie 
nuove per il paese, e vi fecero osservazioni importanti. Citiamo 
Lisa e Masala, che già avevano raccolto per conto del Moris 
stesso, Ascherson, Forsita-Mayor, Arcangeli, Macchiati, Lovisato, 
Nicotra ed altri. 

Con questi materiali nuovi W. Barbey pubblicava nel 1884 
un catalogo ragionato (1) delle specie vascolari spontanee del- 
l'Isola, già di molto arricchito in confronto di quello del Moris. 

Di recente il prof. 0. Mattirolo, rovistando nell’erbario Moris, 
trovò trenta specie, che non erano state per anco registrate 
nelle precedenti pubblicazioni, e alcune di queste nuove per la 
flora italiana, che egli illustrò in una nota (2) letta al Congresso 
internazionale tenuto in Genova nel settembre 1892. 


(1) Florae Sardoe compendium. Lausanne, 1884. 
(2) O. MarrIRroLo, Reliquie Morisiane (Atti del Congresso botanico 
internazionale). Genova, 1893, p. 374. 


caseina n ninni nti rit rree = . cesti 


AL} ve 


apt 


26£ 

In questi ultimi anni il conte Ugolino Martelli di Firenze, 
appassionato cultore della Botanica geografica e sistematica, sez 
dotto dall’abbondante copia di materiali da lui raccolti nell'Isola, 
venne nella determinazione di completare l’opera lasciata dp 
sospeso dal Moris. ai 

A tale scopo egli erasi già preparato con lunghe e parecchie 
escursioni, principalmente in località poco note dell'Isola, e con 
speciale riguardo alle Monocotiledoni, scopo principale del- 
l’opera sua. 

Primo frutto de’ suoi studii è la monografia descrittiva delle 
Orchidee di Sardegna, che fu affidata al nostro esame. 

Nello studio di questo interessantissimo gruppo l'A. si è 
giovato dell’Erbario e delle note del Moris innanzi tutto; poi 
del grande Erbario centrale di Firenze, delle proprie raccolte 
speciali, di quelle degli erbarii di Cagliari e di Sassari, dei 
materiali avuti in comunicazione dal Gennari, dal Nicotra, dal 


 Macchiati, dal Sommier, dal Biondi, dal Forsitz-Mayor, dal Barbey, 


dai Bornemann, ecc. 

L'A. inoltre ha tenuto conto di tutti gli studii sistematici 
dei più recenti autori intorno alle Orchidee europee, seguendo 
in generale i criterii tassinomici adoperati dal Reichendach, che 
era il più dotto conoscitore della materia; ma apprezzando anche 
quelli fatti valere dal Purlatore nella Flora italiana. 

L'A. consultò inoltre le opere floristiche più moderne delle 
regioni circummediterranee: BARLA, Iconographie des Orchidées; 
Bossier, Flora orientalis; WiLLkomm et LANGE, Flora hispa- 
nica; BALL, Spicilegium florae Maroccanae, non che tutte le piccole 
flore locali dell’Italia continentale ed insulare del Tirreno e delle 
Baleari. 

Senza mantenersi pedissequo di nessuno l'A. mediante nuove 
osservazioni e comparazioni ha saputo pesare il valore dei cri- 
terii sistematici di ciascun trattatista, ed applicarli con sana 
critica al gruppo di piante da lui studiate e descritte nella 
presente memoria. 

Le specie e varietà che l’A. ha trovato nuove per la Flora 
Sarda sono le seguenti: Orchis insularis; O. mascula var. Olliensis; 
Ophrys apifera; O. aranifera var. Morisii. Ne ha escluse invece 
l’Orchis ustulata, lO. sambucina, VO. pseudo-sambucina, V Ophrys 


lunulata, VO. muscifera e 1l°O. Bertolonii, da lui riconosciute er- 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 20 


262 


rate negli esemplari forniti dagli Autori stessi, che le raccolsero 
e le avevano registrate come indigene dell’Isola. 

L’A. accompagna la sua Memoria con tre tavole, nelle 
quali sono illustrate le seguenti specie: Gennaria diphylla, Orchis 
saccata, O. lactea, O. tridentata, O. mascula var. Olliensis, O. in- 
sularis, Loroglossum longibracteatum, Epipactis microphylla. 

Di queste specie qualcuna (Orchis insularis) non è mai stata 
prima figurata, le altre lo furono male o in opere costosissime. 

Tutte le parti del lavoro sono distribuite coll’economia 
adottata dal Moris. Le descrizioni sono accurate ed arricchite 
da copiosa bibliografia. 

Noi crediamo quindi che questa Memoria costituisca un 
buon principio al compimento da lungo tempo desiderato del- 
l’opera dell’illustre Moris, e però ve ne proponiamo l'inserzione 
nelle Memorie della nostra Accademia. 


La Commissione 


L. CAMERANO. 
G. GrseLLI, Relatore. 


L’ Accademico Segretario 


ANDREA NACCcARI. 


263 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 5 Gennaio 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Socii: CLarETTA, Direttore della Classe, 
Peyvron, VaLLAURI, Rossi, Manno, BoLLatI DI SAINT-PIERRE, 
SCHIAPARELLI, Pezzi, NANI, CoeneTtI DE MARTIS, GRAF, CIPOLLA, 
Brusa, PerRrERO, ALLIEVO e FeRRERO Segretario. 

Il Socio Segretario, fra i libri pervenuti in dono alla Classe, 
segnala due opuscoli del Socio Corrispondente Marchese pi NA- 
DAILLAC: “ Foi et science; Un diplomate francais au début du 
siècle , (Paris, 1895). 

Il Socio Manno offre “ Le dict des jardiniers. Farce morale 
du XVI siècle ,, pubblicata ed annotata dal signor: Francesco 
Mugnier (Paris, 1896), che ne fa omaggio alla Classe. 

Il Socio CrpoLLa legge un lavoro del Prof. Giuseppe CALLI- 
cARIS: “ San Gregorio Magno e le paure del prossimo finimondo 
nel medio evo ,, che è pubblicato negli Atti accademici. 

Il Socio ALtievo legge un suo lavoro: “ Studii psicofisio- 
logici ,, di cui la Classe approva la stampa nei volumi delle 
Memorie. 


264 GIUSEPPE CALLIGARIS 


LETTURE 


A 


San Gregorio Magno e le paure del prossimo finimondo 
nel Medio-Evo ; 


Nota del Prof. GIUSEPPE CALLIGARIS. 


È oramai notissimo che dalle pretese paure dell’anno mille (1) 
bisogna distinguere i terrori del finimondo, che per tutto il 
medio evo, e più tardi ancora, si paventava siccome evento 
vicino. 

*Non fu ancora tentata la storia di questi terrori e delle 
fantasie con cui l'immaginazione dei popoli volle interpretare la 
solenne profezia di Cristo sulla fine del mondo. È anzi difficile 
il dire fino a qual punto la paura del prossimo finimondo abbia 
avuta influenza sulla storia dell'umanità. L'argomento è grave 
e importante. Tentiamone la trattazione, almeno in piccola parte. 

È fuori di dubbio che su queste paure poterono assai gli 
‘avvenimenti storici: esse, anzi, il più delle volte, non sono che 
l’eco di quelli. In tempi di profondo avvilimento materiale e 
intellettuale, gli uomini dovettero provare uno sconforto doloroso 
nel ripensare ad altri tempi, che si presentavano alla loro imma- 
ginazione come belli e felici, e certamente fu loro un sollievo 
lo sperare che una simile condizione di cose non sarebbe du- 
rata a lungo. Le offese degli uomini e della natura apparivano 
come segni dell’ira divina, come indizio del prossimo sfacelo 
del mondo (2). 


(1) Cfr. il dotto lavoro del prof. Pietro Orsi, L’anno mille (Riv. st. ital., 
IV, 1887, fasc. 1, e spec. p. 78). Vedi pure: Studi storici, I, 1892, fasc. IV, 
535, dove sono citate altre opere di argomento consimile. 

(2) Abbiamo parecchi saggi di questi studi: cfr. G. Borssier, La fin du 
paganisme (Paris, Hachette, 1891, II, 448 e sg.) là dove studia la impres- 
sione che sui cristiani produceva il dissolversi dell’antico impero; Ges®marm E., 
L’état d’àme d’un moine de l’an 1000 (in Revue des deux mondes, CVII, 606 sg.), 
e, a proposito della Città di Dio di S. Agostino, G. Borssier, Études d’histoire 
religieuse — le christianisme et l’invasion des barbares — (in Revue des deux 


ali 


b 
F 


SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 265 


Mi limiterò ai tempi in cui visse il pontefice Gregorio I, 
i quali egli illuminò col suo genio e colla sua santità, illustrò 
coi suoi scritti; anzi col mezzo di questi raccoglieremo le im- 
pressioni che le turbinose vicende alle quali dovette assistere, 
hanno prodotto sul suo animo. 

A me non tocca riassumere qui le vicende della vita di 
S. Gregorio e prima del suo pontificato e dopo che fu innalzato 
a quella dignità (1). Mi basta il dire che di queste vicende 
nelle opere di S. Gregorio si risente una eco profonda, e che 
il terrore del prossimo finimondo, che lo occupa, risponde alle 
dolorose vicende dei suoi tempi. Però nelle espressioni che egli 
adopera non manca una certa qual tinta indecisa, che ci lascia 
qualche volta esitanti nel darne l’interpretazione. Poichè talvolta 


.Il finimondo sembra che gli apparisse prossimo, talvolta rimane 


alquanto lontano, nell’oscurità in cui lo aveva lasciato la 
profezia evangelica. Cercheremo con questo studio di risolvere 
la difficoltà. 

E ben gravi furono i tempi in cui visse Gregorio. — In 
tutto l'Occidente erano sorti regni barbarici nelle antiche pro- 
vincie romane e i nuovi conquistatori avevano ovunque fatto 
sentire il peso delle loro vittorie, malgrado il rispetto che 
il nome romano imponeva loro. La loro fierezza, le loro lotte, 
i loro delitti atrocissimi atterrivano il molle romano, quasi 
sempre combattuto anche nella sua fede. Il Cattolicismo romano 
non era sempre vittorioso contro l’Arianesimo nazionale e ger- 
manico, ed anche là dove il Cattolicismo si era affermato, non 
poteva essere compreso nella sua alta significazione morale. 

In Italia la gens Gothorum che aveva brillato con Teoderico, 


mondes, 15 gennaio 1890, 345-72 e specialmente pp. 346 e 349); CreoLra C., 
Appunti storici tratti dalle epistole di S. Pier Damiani (in Atti della R. Acca- 
demia delle Scienze di Torino, vol. XXVII, nel cap. “ la paura del finimondo ,), 
dove si afferma che anche in Italia (nel sec. XI) era vivo questo terrore. 

(1) Per tutto ciò mi limito a rimandare il lettore al recente e dotto 
studio biografico del Grisar, Il pontificato di Gregorio Magno nella storia 
della civiltà cristiana, Roma, tip. Befani, 1894, V-X (la prima ediz. uscì 
nel periodico “ Civiltà Cattolica ,, serie XIV, vol. V, e ser. XV, vol. I-V). 
Per quel che riguarda le relazioni politiche fra Gregorio e i Longobardi, 
efr. CriveLLucci, Chiesa ed impero al tempo di Pelagio 1I e di Gregorio I 
nella politica verso î Longobardi in Studi storici, I, fasc. II e III, 


266 GIUSEPPE CALLIGARIS 


era caduta quando l’impero con Giustiniano aveva cercato di 
riaffermare sull’Occidente l'antica supremazia, e l’Italia, solo 
dopo una guerra lunga di circa venti anni, era ritornata provincia 
dell'impero Orientale. Ma nuovi e più fieri travagli l’avevano 
colpita quando una gente germanica, non più a nome dell’impero 
romano, ma come libera conquistatrice l'aveva occupata, lot- 
tando a lungo contro il padrone di prima (1). 

L'antico mondo romano pareva giunto all'estrema vec- 
chiezza, anzi alla morte, e la nuova gente che si sedeva come 
vincitrice su quelle gloriose ruine, credevasi ribelle ad ogni 
legge divina ed umana. La gloria di Roma era caduta, i suoi 


(1) Le opere di Gregorio ci parlano spesso delle tristissime condizioni , 
di quei tempi. Lo ScauPrer (Delle istituzioni politiche longobardiche, Firenze, 
Le Monnier, 1863, p. 47) ha, da vari luoghi di Gregorio, messa insieme 
questa descrizione paurosa: “ Razza inumana codesta de’ Longobardi! La- 
sciati i covi natali, ci piombò addosso e le popolazioni che crescevano qui 
a modo di spesse biade, furono recise ed arse. Le città sono oggimai 
spopolate, rovesciati i castelli, bruciate le chiese, distrutti i cenobi di 
maschi e di femmine, vedovata di uomini la campagna, non più abbellita 
di nessun sorriso di coltura, nè trovi possessore che voglia abitarvi: i luoghi 
già lieti per una moltitudine di popolo, or fatti pascolo di armenti (Dial., 
II, 38; Ep., III, 29; V, 8; Hom,, VI, lib. II in Ezech.). Il barbaro non 
cerca di tener alta la spada (Hom., 10, lib. II in Ezech.); tutto è sangue, 
incendio, ruina, acerbissimo duolo (Hom., 6, lib. II in Ezech.). Poi nella 
ruina di tutte le cose, credeva vicino il dì del supremo giudizio , (Ep., 
II, 29). — Vedi pure: MarrattI B., Imperatori e papi ai tempi della Signoria 
dei Franchi in Italia, Milano, Hoepli, 1876, I, 262 sg.; Tamassra G., Lango- 
bardi, Franchi e Chiesa Romana fino ai tempi di Re Liutprando, Bologna, 
Zanichelli, 1888, p. 37 e sg., e in generale i capitoli II, III, IV. — In un 
suo recentissimo articolo il CriveLLucci vorrebbe attenuare le tradizionali 
crudeltà langobarde, in specie per quel che riguarda la religione dei vinti, 
e, a proposito delle terribili descrizioni che Gregorio fa del suo tempo, 
scrive: © certi lamenti, certi sfoghi, siano pure sinceri, di animi esulcerati 
ed offesi nel loro patriottismo e nella loro religione e nei loro interessi, 
hanno molto valore per conoscere la condizione degli animi di chi li fa, ne 
hanno poco o nessuno per determinare la verità storica e obiettiva dei 
fatti, (CriveLLuccI, Le chiese cattoliche e i longobardi ariani in Italia in Studi 
storici, vol. IV, fasc. III, 1895). Si pensi su ciò nell’una o nell’altra maniera 
(chè questo non è il luogo opportuno alla discussione di tale argomento) 
vedesi che lo stesso Crivellucci ammette che le parole di Gregorio rispec- 
chiano esattamente la condizione degli animi in quei tempi, e perciò sono 
per noi preziose. 


SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 267 


tempi floridi erano omai lontani, e la mente che non cessava 
di vagheggiarli, li rimpiangeva perchè i più prosperi nel mondo, 
e a quella ruina annetteva la morte del mondo stesso. 

Si direbbe (come bene fu osservato) che S. Gregorio non 
prevedesse, e non lo poteva, che dalle rovine di quel mondo 
sarebbero sorti nuovi popoli e nuove civiltà, che quei terribili 
invasori delle terre romane non avrebbero tutto distrutto, ma 
avrebbero preparati nuovi tempi e nuove condizioni di cose, 
e che quella Chiesa, alla quale stava a capo, era chiamata a 
nuovi destini e a gloriose vittorie. 

Egli non vagheggiava che l’antica civiltà romana rappre- 
sentata dall’ Impero, perciò i suoi sguardi non cessavano dal 
rivolgersi a Costantinopoli, senza sospettare che l'Oriente e 
l'Occidente, i quali per l'avvenire non si sarebbero più confusi, 
si avviavano oramai a nuovi e diversi destini (1). 


(1) La preoccupazione per la prossima fine di ogni cosa fu già notata 
molte volte in S. Gregorio, dagli antichi biografi sino a noi, e le furono 
assegnate varie ragioni. Giovanni Diacono, antico biografo, avvertiva che 
“ in omnibus suis dictis vel operibus, Gregorius imminentem futurae retri- 
butionis diem ultimum perpendebat, tantoque cautius cuneta cunctorum 
negotia perpendebat, quanto propinquius finem mundi insistere, rwinis 
eius crebrescentibus, advertebat. (nelle Opere di Gregorio, ediz. PP. MavuRINI, 
IV, 162). Lo stesso notavano i Padri Maurini editori delle opere gregoriane: 
“ S. Gregorii sententia de die iudicii, quem proximum praenuntiavit, 
nunc expendenda. Sane communis fuit veterum christianorum persuasio, 
mundi finem imminere ,. E ricordate qui le testimonianze di Tertulliano, 
di Sulpizio Severo, di S. Leone, che concordano con S. Gregorio, le parole 
dei quali non furono che la eco della voce degli Apostoli, così spiegano 
questa concorde opinione: “ Fortasse ita loquentes viri sancti, et illud at- 
tendebat: Mille anni ante oculos tuos tamquam dies hesterna quae praeteriit 
(Ps., 89, 4). — Si vero, ut docet S. Gregorius (Dia?., III, 35): videnti crea- 
torem, qui immensitate gaudet, angusta est omnis creatura, unde non 
mirum orbem universum in uno solis radio S. Benedicti oculis ‘subiectum 
fuisse, cur non eadem ratione dicamus, contemplantibus Dei aeternitatem, 
breve esse omne tempus etsi multa etiam annorum millia complectantur? 
(Opera Gregorii, ediz. Maur., I, XIII, nella praefatio generalis). Il qual ra- 
gionamento, disgiungendo i terrori del finimondo dalle circostanze che li 
producevano, non arreca nessuna luce alla questione. — Venendo a tempi 
a noi più vicini, vediamo il GreGorovius (Sf. della città di Roma nel M. E., 
trad. it., Venezia, Antonelli, 1872, II, 46) contentarsi di accennare allo stato 
degli animi nel VI secolo “ nel buio profondo di quell’età, in cui Roma andava 


368 GIUSEPPE CALLIGARIS 


* 
* * 


Emilio Gebhart nel descrivere, in uno studio su Hédolta 


precipitando alla sua fine , e di ricordare che mentre il mondo chiudeva 
insè “ tanti germi di vita nuova, l'umanità altro non vedeva che i ruderi 
accumulati dell'impero ,. Il Ges®mart (L’Italie Mystique, Paris, Hachette, 
1890) accenna pure al triste periodo nel quale si svolse il pontificato di 
S. Gregorio, aggiungendo che egli “ pressentait que l’Église, jetée dans la 
mélée du siècle, s’éloignerait bientòt de sa mission primitive , (p. 3). — 
Il che mi pare non esatto. Gregorio si doleva bene spesso che uomini re- 
ligiosi dovessero occuparsi in negozi secolareschi, e attribuiva questa ne- 
cessità dolorosa a tristizia di tempi; si lagnava bene che il sacerdozio di 
allora non fosse più quello dei tempi primitivi, ma in ciò egli vedeva solo 
uno dei segni della vecchiezza del mondo. Se ai venturi profetizza tempi 
peggiori dei suoi, è perchè tutti i mali si aggraveranno quanto saranno più 
vicini a compiersi gli ultimi destini del mondo. 

Questa costante e forte preoccupazione di S. Gregorio per il. prossimo 
fine delle cose fu studiata, e assai più largamente, quantunque non in 
modo completo, dal GrisAr, nella sua citata monografia. Egli nota dapprima 
che oltre la peste famosa che spopolò Roma al fine del papato di Pelagio II, 
e i pericoli della guerra “ molti castighi di Dio si riversarono in quei tempi 
sopra l’Italia e gli altri paesi dell'Impero ,, una eco dei quali flagelli è 
quel senso di tristezza che occupava allora l’anino di tutti. Gli spiriti più 
eletti si distaccavano sempre più dal mondo “ molto più che la ferma idea 
della prossima fine di ogni cosa si faceva sempre più largo e guadagnava 
certezza ,.É qui aggiunge in breve un cenno su quelle calamità che desola- 
vano quei tempi, parla della famosa inondazione dell'Adige descritta da Paolo 
Diacono, ricorda la nota profezia di S. Benedetto su Roma, la quale, non 
sarebbe stata distrutta dalle genti, ma si sarebbe sfasciata “ affievolita e stanca, 
dalle tempeste e saette, dai turbini e terremoti, profezia che Gregorio 
credeva stesse per avverarsi ai suoi tempi. Ma specialmente si vale della 
1* Omelia sugli Evangeli per illustrare il suo concetto, nella quale Gregorio 
“ conformemente all’errata opinione dei suoi contemporanei, designa senza più 
le calamità di quegli anni come annunzio della prossima venuta di Cristo , 
(p. 552). Ma, oltre che nella citata Omelia, il © pensiero della fine non 
lontana del mondo preoccupa la mente di Gregorio durante tutto il suo 
pontificato , (p. 553-4), ed il Grisar ne adduce a prova tutti gli scritti del 
pontefice. Ricorda che una simile idea appare di quando in quando nella 
storia, al succedersi di calamità straordinarie o particolari commovimenti 
di popoli, che l’aspettazione di una prossima fine del mondo si fè sentire 
con maggior forza nel periodo dal quinto al settimo secolo “ e ciò perchè, 
stimandosi comunemente per opinione tradizionale che l’impero romano 
dovesse durare sino alla fine dei secoli, e vacillando questo sotto i colpi 


a 
/ 


SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, Ecc. 269 


Glabro, la condizione dello spirito di un monaco verso il Mille (1), 
osserva che sebbene quegli non avesse letto la Città di Dio di 
S. Agostino, pure glie ne era arrivata una eco, colla divisione 
della storia del mondo in sei epoche, a cominciar da Adamo, colle 
sei giornate di lavoro della storia, mentre la settima, quella 
del riposo eterno, sarebbe venuta quando fosse piaciuto a Dio. 
“ La notion des sept époques symboliques était restée dans la 
tradition du moyen àge ,. 

Ora noi troviamo pure in S. Gregorio frequenti tentativi di 
dividere con simile criterio la storia dell'umanità. “ Omne prae- 
sentis vitae tempus septem diebus evolvitur, et ideo aeterna dies 
quae, expleta horum dierum vicissitudine, futura est, octava 
vocatur (2) ,, e più chiaramente poco dopo (loc. cit. 467) “ vel, 


delle immigrazioni, anzi oramai rovinando in Occidente, si teneva fermo 
che anche la fine del mondo fosse veramente vicina ,. Ma Gregorio non 
vide che “ un nuovo ordine di cose, che nessun occhio umano avrebbe 
potuto prevedere, andava sorgendo fra le angosce e le sventure del genere 
umano, quasi fossero altrettanti dolori di un nuovo parto ,. 

Il nostro studio ha per iscopo l'esame più minuto di questo lato del 
pensiero gregoriano. — Noi potremo così raccogliere le impressioni che 
in un animo romano, come quello del discendente di nobile famiglia del- 
l'impero, producevano i gravi avvenimenti del sesto secolo, noi potremo 
studiare quello che il vecchio elemento romano provava all'urto dei nuovi 
popoli, che con sè portavano una nuova vita, in quel mondo cadente. 

Siamo nel periodo più vivo della lotta fra romanesimo e germanesimo, 
e assistiamo come al grido disperato di quella vecchia civiltà che vede 
tutto sfasciarsi attorno a sè, senza accorgersi che essa, quando si crede 
più conculcata,è più viva che mai e destinata a risorgere, ma rinnovellata. 

È questa condizione di cose che ci spiega quel sentimento pauroso di 
angoscia il quale si traduce nel terrore del finimondo; ma nè Gregorio nè 
altri del sesto secolo potevano pensare alla caduta di quella istituzione 
divina che era l’impero, florido e potente in Costantinopoli. — La divisione 
fra occidente ed oriente che par ora così netta agli occhi nostri, non ba- 
lenava allora neppure alla mente di quegli uomini, gli sguardi dei quali 
erano rivolti tutti alla nuova Roma del Bosforo, e il passaggio dei barbari 
sulle terre di occidente non era che una sventura, di cui neppur potevano 
immaginare l’importanza. 

(1) Gesnart E., L’état d’àame d'un moine de Van 1000 in Revue des deux 
mondes, CVII, 1891, pp. 600 e sg. 

(2) Exposit. in VII Psalmos poenitentiales; proemium in primum psalmum 
poenitentialem, vol. III, parte 2*,467. L'edizione delle opere di Gregorio che 
citeremo sempre è la seguente: “ Sancti Gregorii papae I cognomento Magni, 


270 GIUSEPPE CALLIGARIS 


secundum quosdam, octava dicitur quia sequitur sex aetates in 
hoc saeculo viventium, et septimam dormientium iustorum (1) ,. 
Nel concetto Gregoriano sono dunque sei le età storiche in cui 
sì svolgono i destini del mondo, “ sex enim diebus mundus 
conditus est, sex aetatibus consummatur (2) ,, la settima è 
quella del riposo della morte, a cui segue l’ottava cioè la ri- 
surrezione ed il giudizio (3). 

Parlando poi della parabola del padre di famiglia che invita 
gli operai a lavorare alla sua vigna a diverse ore del giorno, 
paragona le parti in cui il giorno si divide alle seguenti grandi 
divisioni storiche: “ Mane etenim mundi fuit ab Adam usque 
ad Noe. Hora vero tertia a Noe usque ad Abraham. Sexta 
quoque ab Abraham usque ad Moysen. Nona vero a Moyse 
usque ad adventum Domini. Undecima vero (e perciò l’ultima) 
ab adventu Domini usque ad finem mundi (4) ,. — Noi ci tro- 
viamo quindi nell’ultima delle età storiche, in quella che è co- 
minciata dalla venuta di Cristo e che finirà col mondo stesso, la 
cui durata è incerta, della quale ci e noto il solo principio, ma 
ignoto il fine (5). 


Opera omnia... Studio et labore Monachorum ordinis Sancti Benedicti e 
congregatione Saneti Mauri. Venetiis, 1744 (in 4 volumi). 

(1) Nell’OmiZia, VIII, lib. II, super Ezechielem, I, 1392-83, si ripete: “ Per 
octavum vero numerum et dies aeterni iudicii et carnis resurrectio desi- 
gnatur... in quo videlicet die, omne hoc tempus finitur, quod septem 
diebus evolvitur ,. 

(2) Lib. IV, c. IV in Primum Regum, III, p. 2*, 201 B-C. 

(3) A proposito del giorno ottavo, come simbolo della risurrezione, nota 
nell’Omal., IV, lib. II, sup. Ezechielem (I, 1341-2): “ praesens... vita nobis 
adhuc sexta est feria quia in doloribus ducitur et in angustiis cruciatur. 
Sed sabbato quasi in sepulchro quiescimus, quia requiem animae post corpus 
invenimus. Dominico vero die, videlicet a passione tertio, a conditione 
(del mondo) ut diximus octavo, iam corpore a morte resurgemus, et in 
gloria animae etiam cum carne gaudebimus ,. La nostra vita è come la 
sesta feria, il giorno della morte di Cristo, il sabbato rappresenta la quiete 
del sepolcro, l’ottavo giorno, la domenica, la risurrezione. 

(4) Omil. XIX, lib. I, in Evangelia, I, 1510. 

(5) La storia del popolo eletto e quella del cristiano era per S. Gregorio 
come il centro di tutta la storia dell'umanità, e l’unico criterio di par- 
tizione storica. Con questo criterio, troviamo nelle opere gregoriane 
nuova divisione storica, nella quale i Profeti, gli Apostoli, i Martiri, i 


- Rel E 


SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 271 


E che siamo nell’ultima delle età del mondo Gregorio lo 
attesta più volte; anzi in lui ci appare spesso evidente la pre- 
occupazione, che anche quest’ultima volga oramai al tramonto. 
Spiegando la parabola evangelica dell’uomo, che aveva invitati 
molti a cena egli osserva con molta tristezza: “ Che cosa è 
mai l’ora della cena, se non la fine del mondo? Alla quale 
oramai noi siam giunti, secondo attesta l’apostolo Paolo: noi 
siam quelli i quali furono sopraggiunti dalla fine dei secoli. 
« Idcirco autem hoc convivium Dei non prandium sed coena 
vocatur, quia post prandium coena extat, post coenam vero 
convivium nullum restat (1) ,. 

Questo tristo ed angoscioso pensiero predomina in tutte le 
opere di Gregorio, e produce nel lettore un senso profondo di 
dolore e scoramento, che assai bene ci fa comprendere lo stato 
d’animo di un romano di quei tempi. L'uomo ha naufragato del 
tutto nell'’immenso mare dell’eternità, e guarda con timore quel 
mondo che oramai gli sfugge (2). 

Noi scorgiamo il cielo fosco del VI secolo, non rallegrato 
da luce alcuna, su cui l’alba non doveva più spuntare, e neppur 
la speranza faceva balenare i suoi fugaci bagliori. 


Vescovi e Dottori, porgono i tratti caratteristici di quattro grandi pe- 
riodi storici. Nel lib. IV, c. IV, in primum Regum (III, p. 2°, 206-7) a 
proposito del passo: “ ecce inventa est în manu mea quarta pars stateris 
argenti ,, ecc., così Gregorio commenta: “ Quarta vero pars stateris argenti 
dicitur pro qualitate temporis. Nam ut alias partes huius stateris videamus, 
Prophetae, Apostoli, Martyres intuendi sunt. Quia enim pro qualitate tem- 
poris, singulis ordinibus distributa est sonoritas praedicationis, velut sin- 
guli quartam partem stateris habuere. Quartam ergo partem stateris illi 
(i Profeti) exhibuerunt cum Synagogae adventum Redemptoris promitterent. 
Apostoli partem suam dederunt eum Iudaeis, Eum qui promissus fuerat, 
iam venisse praedicarent. Martyres vero etiam partem suam tribuerunt 
cum infideles ad filem Redemptoris adducerent. Quarta vero pars stateris 
remansisse cognoscitur, quia per episcopos et doctores sanctae ecclesiae 
verbum fidei usque ad mundi finem electis fidelibus exhibetur ,. 

(1) Omil. XXXVI, in Evang., lib. II, I, 1619-20. 

(2) Così lo stesso Gregorio esprime questo sentimento: “ Mens humana... 
quia malorum tantorum in se remedium non invenit, tristitiae intolerabilis 
pondere praegravata tabescit, et tanto se durius in cogitatione dilaniat, 
quanto terribilius esse, quod imminet, iudicium pensat , (Expos. in tertium 
psalmum poenit., III, parte II, 484). 


272 GIUSEPPE CALLIGARIS 


“ Quanto più si avvicina al fine il presente secolo altrettanto 
il secolo futuro “ ipsa iam quasi propinquitate tangitur et signis 
manifestioribus aperitur ,. Siamo come in quel punto nel quale 
sta per ispuntare il giorno, e la luce e le tenebre sono quasi 
mescolate fra loro. “ Quemadmodum cum nox finiri et dies in- 
cipit oriri, ante solis ortum simul aliquo modo tenebrae cum 
luce commixtae sunt, quousque discedentis noctis reliquiae in 
luce diei subsequentis perfectae vertantur, ita hutus mundi 
finis iam cum futuri seculi exordio permiscetur, atque ipsae re- 
liquiarum eius tenebrae quadam iam rerum spiritualium per- 
mixtione translucent (1) ,. 

Il concetto che qui abbiamo raccolto, non solo ci appare 
nelle meditazioni preparate per i. fedeli, o nei devoti con- 
versari fra Gregorio e il diacono Pietro, ma tiene un posto 
notevole in documenti non privati e della più alta importanza, 
e diviene uno dei più validi argomenti con cui il pontefice in- 
calza il suo avversario. 

Questo conferma che per Gregorio il terrore del finimondo 
non era un timore retorico, che prestasse argomento a un bel 
ragionare, ma era invece il soggetto della meditazione di ogni 
giorno, verità su cui non poteva per lui cader dubbio, e do- 
veva essere accettata da tutti senza discussione. 

L'imperatore Maurizio aveva proibito ai soldati ed ai cu- 
riali di entrare nei monasteri, spinto dalle gravi condizioni 
politiche del momento. San Gregorio, sebbene in massima non 
rigettasse tutto il pensiero imperiale a questo riguardo, si ma- 
raviglia e si addolora che allora appunto si proibisse ad alcuno 
di abbandonare il mondo “ quo (tempore) appropinquavit finis 
ipse seculorum ,. Ecco che non v'è più indugio e ardendo il. 
cielo e la terra, fra il corruscare degli elementi, il giudice tre- 
mendo sta per apparire cogli angeli ed arcangeli, coi troni e 
le dominazioni, coi principati e le potestà (2). 


(1) Dial., IV, 41 (II, 445). 
(2) Jarrè, 1266 (903), aug. 593, ind. 11, Reg., III, 61. 


SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 273 


Ed in altre gravi e solenni circostanze il pontefice ricorse 
pure a questo argomento. Sono ben note le lotte che Gregorio 
ebbe a sostenere coi patriarchi di Costantinopoli Giovanni e 
Ciriaco per il titolo di vescovo universale, al quale questi pre- 
tendevano. A noi, che non abbiamo il dovere di riassumerle, 
basterà rimandare a quanto ne ha detto il Grisar nella mono- 
grafia tante volte citata, dove egli sviluppa questo argomento 
con molta larghezza. 

Gregorio si opponeva a tutt'uomo a quelle pretese, diceva 
ravvisare in quella “ superbia , “ propinqua iam Antichristi 
esse tempora (1) , e scrivendo nel 597 al vescovo Ciriaco, suc- 
cesso a Giovanni anche nelle pretese a vescovo universale, lo 
esortava a deporre quel titolo poichè, fra le altre cose, essendo 
vicino già l’Anticristo, egli desiderava che questi nulla trovasse di 
sua appartenenza non solo nei costumi, ma neppur nelle parole 
riferentisi ai sacerdoti: “ Quia hostis omnipotentis Dei Antichri- 
stus iuxta est, studiose cupio ne proprium quid inveniat non 
solum in moribus, sed etiam nec in vocabulo sacerdotum (2) ,. 

Due anni più tardi, nel 599, era ancora questa riflessione 
che ripeteva a parecchi vescovi dell’Oriente, invitati ad una 
sinodo da radunarsi in Costantinopoli, esortandoli a non conce- 
dere in niun modo il titolo di vescovo universale a Ciriaco (3). 

E questo ripetersi dello stesso argomento, con tanta insi- 
stenza, e assegnandogli tanta importanza, in lettere scritte col- 
l’intervallo di anni, a personaggi altissimi, e con carattere 
ufficiale, ci conferma quanto abbiam detto più sopra, che il 
ricordo del finimondo è per Gregorio l’espressione di un senti- 
mento profondamente sentito. 

E che tale fosse basterebbe a provarlo il fatto anda è questo 


(1) Jarrè, 1352 (973), iun. 1, 595, ind. 13, Reg. V, 39. È in questa 
lettera scritta all’'imperatrice Costantina che Gregorio esprime il suo pro- 
fondo cordoglio per i lunghi 27 anni da cui in Roma si viveva fra le spade 
dei langobardi. 

(2) Jarrè, 1474 (1109), iun. 597, ind. 15, Reg., VII, 28. 

(3) Jarrè, 1683 (1222), mai. 599, ind. 2*, Reg., IX, 156. “ Sed quia hoe 
iam, ut vidimus, mundi huius termine propinquante, in praecursione sua 
apparuit humani generis inimicus, ut ipsos qui ei contradicere bene atque 
humiliter vivendo debuerunt, per hoc superbiae vocabulum praecursores 
habeat sacerdotes ,. 


274 GIUSEPPE CALLIGARIS 


sempre l'argomento a cui Gregorio ricorre nei casi che gli oc- 
corrono: con questo salutare pensiero scuote l’indifferenza del 
peccatore, richiama al suo dovere il magistrato, distacca dalle 
cose del mondo quelli che vi hanno affetto, eccita gli ostinati 
a penitenza. Colle quali considerazioni vogliamo solo provare 
che il pensiero del finimondo è continuo in S. Gregorio: a suo 
luogo vedremo di lumeggiar meglio il pensiero gregoriano a 
questo proposito. 

Un Andrea desidera che Gregorio gli ottenga una carica 
dall'imperatore, ma il santo pontefice si adopera tutto per di- 
stoglierlo da simile pensiero e indurlo a consacrarsi alla salute 
dell'anima. “ Cur.... magnifice fili, non consideras quia mundus 
in fine est? Omnia urgentur quotidie, ad reddendas rationes 
aeterno et tremendo iudici ducimur ,. A che dunque dobbiamo 
pensare, se non alla venuta di Lui? Poi, con magnifica simili- 
tudine, descrive il rapido fuggir della vita, senza che possiamo 
arrestarlo. “ La vita nostra, egli dice, si può paragonare a colui 
che naviga. Infatti costui, o stia in piedi, o segga, o giaccia, 
cammina sempre, trasportato dall’impeto della nave. Così siam 
noi; o siam desti, o dormenti, tacciamo, o parliamo, o cammi- 
niamo, vogliamo o non vogliamo, continuamente, ogni giorno 
veniamo trascinati al fine ,. Il terribile pensiero, profonda- 
mente mesto, non poteva essere espresso con maggior forza (1). 

La patrizia Rusticiana è ritornata troppo presto a Costan- 
tinopoli dal suo viaggio al monte Sina. Ciò spiace a Gregorio, 
che in questa fretta scorge soverchio amore ai proprii agi, e 
ne fa alla nobil donna aspro rimprovero, esortandola a distac- 
carsi dal mondo, le cose del quale sono caduche e ‘fuggitive 
«“ quia, dum haec loquimur, et tempus currit, et iudex super- 
venit et mundum quem sponte nolumus, esse iam prope est ut 
inviti relinquamus (2) ,. 

E se altri volesse trovare in queste parole un’allusione alla 
morte, che ci distacca, anche contro voglia, dalle cose del 
mondo, legga quelle ben più chiare che rivolse ad Eusebia pa- 
trizia esortandola a distogliere l’anima dal tumulto della regia 
città e a considerare la vanità del tutto. “ Excellentia vestra.... 


(1) Jarrè, 1472 (1107), iun. 597, ind. 15, Reg., VII, 26. 
(2) Jarrè, 1316 (951), aug. 594, ind. 12, Reg., IV, 44. 


SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 275 


venturi iudicis examen tremendum cum metu et lacrymis quo- 
tidie sine cessatione consideret, illumque diem, in quo pertur- 
banda sunt omnia, cum timore ad animum reducat, ut iram 
iudicis in ipso iam die non timeat (1) ,. 

Col ricordare il giudizio supremo egli esorta il pretore della 
Sicilia Giustino a concordia, giustizia e onestà (2), ammonisce 
Venanzio cancelliere d’Italia, ex-monacho (8), richiama al do- 
vere il diacono Pietro (4), dà saggi consigli al vescovo Gio- 
vanni della Chiesa Scillacina (5), e scrivendo a tutti i vescovi 
Numidi di essere solleciti dell'anima dei loro prossimi, consiglia 
loro a valersi di questo fortissimo argomento “ ad fidem, quos 
valetis, praedicatione charitatis praetenso terrore futuri iudicii 
suadete (6) ,. 


* 
* * 


Ma è possibile stabilire, dalle opere di S. Gregorio, quando 
avverrà questa dissoluzione di ogni cosa ? 

Sebbene fosse venuta l’ultima età del mondo, Gregorio 
sperava che la sua generazione non avrebbe assistito all’ultimo 
giorno delle cose. 

I mali, che travagliavano l'umanità, dovevano aggravarsi 
ancora, e allora solo il mondo, sotto sì grave peso, si sarebbe 
sfasciato. 

Questa la fosca previsione che uno dei maggiori fra i 
Romani traeva dagli avvenimenti dei suoi tempi. 

Nella 1% Omelia (lib. II) su Ezechiele, egli paragona la 
Chiesa ad un edifizio che si va lentamente costruendo nei secoli, 
il quale sarà finito solo alla consumazione di questi, e i fedeli 


(1) Jarrè, 1900 (1517), iun. 603, ind. 6, Reg. XIII, 35. 

(2) Jarrè, 1068 (705), sept. 590, ind. 9, Reg., I, 2. 

(3) Jarrè, 1103 (737), mart. 591, ind. 9, Reg., I, 33. 

(4) Jarrè, 1112 (748), mai. 591, ind. 9, Reg., I, 42. 

(5) Jarrè, 1191 (826), iul. 592, ind. 10, Reg., II, 37. 

(6) Jarrè, 1144 (781), aug. 591, ind. 11, Reg., I, 75. Sarebbe del resto 
troppo lungo e di scarso profitto il riferire tutti i passi nei quali Gregorio 
attesta l'avvicinarsi del giudizio. È un concetto che appare spessissimo, 
come già avvertimmo, e dal saggio dato si può comprendere qual parte 
abbia nelle opere di Gregorio. 


276 GIUSEPPE CALLIGARIS ( 


che fan parte della Chiesa sono le pietre che lo compongono. 
Ora negli edifizi noi vediamo che le pietre si sostengono l’una 
coll’altra, salvo quelle poste all'estremità dell’edifizio stesso, 
che son portate da altre, senza che esse altre ne sostengano. 
Traendo a significazione allegorica e morale questo concetto 
osserva che anche nell’edifizio della chiesa “ vicissim se pro- 
ximi tolerant, ut per eos aedificium charitatis surgat...; si vos 
portare negligo in moribus vestris, et vos me tolerare contem- 
nitis in moribus meis, charitatis aedificium inter nos unde 
surget?.... ,. Dunque in questo mistico edifizio “ lapis qui portat, 
portatur ,. 

Ma come le pietre che si pongono sulla sommità dell’edi- 
fizio son portate ma non portano, così “ hi qui in fine Ecclesiae, 
id est in extremitate mundi nascituri sunt, tolerantur quidem 
a maioribus.... sed cum non eos sequuntur qui per illos per- 
ficiant, nullos super se fideles fabricae lapides portant , 

Ciò sarà alla fine dell’edifizio, ma ora “ altri sono portati 
da noi, e noi siamo portati da altri ,. 

Ora dunque l’edifizio è ancora incompiuto, nè si son poste 
ad esso le ultime pietre (1). 

Ma, anche fuori di figura, S. Gregorio attesta che non è 
per anco giunto il colmo dei mali, e che i dolori ben maggiori 
aspettano quelli che verranno. 

Il vescovo di Salona, Massimo, si era leoni con lui di 
quanto soffriva per le invasioni degli Slavi nell’Istria, e il 
pontefice, travagliato da mali corporali assai gravi, oppresso 
dalle calamità che vedeva aggravarsi sulla terra, non sa dargli 
altra parola di conforto se non predirgli che sarebbero venuti 
tempi ben peggiori. “ Ubique video quia nobis peccata nostra 
respondeant, ut et foris a gentibus et intus a iudicibus (greci) 
conturbemur. Sed nolite de talibus omnino contristari, quia qui 
post nos vixerint, deteriora tempora videbunt, ita ut in com- 
paratione sui temporis, felices nos aestiment dies habuisse (2) , 

Questo stesso argomento di consolazione egli porgeva ad 
uno dei re degli Angli venuto alla luce della fede, Etelberto, 
al quale, come sprone per procedere nella via intrapresa, ri- 


(1) Omal., I, lib. II, in Ezech., I, 1311-13. 
(2) Jarrè, 1784 (1320), iul. 600, ind. 3, Reg., X, 15. 


SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 277 


cordava il terribile giudizio. “ Vogliamo che la gloria vostra 
sappia che il fine di questo mondo è vicino.... e sta per venire 
il regno dei santi che non avrà mai fine ,. Avvicinandosi questo 
fine del mondo, stanno per sopraggiungere molte cose che prima 
non accadevano cioè “ immutationes aeris, terroresque de coelo, 
et contra ordinem temporum tempestates, bella, fames, pesti- 
lentiae, terrae motus per loca. Quae tamen non omnia nostris 
diebus ventura sunt, sed post nostros dies omnia subsequentur ,. 
Voi dunque, se vedete nel vostro paese accadere alcun che 
di questo, non dovete turbarvi, perchè questi segni della fine 
del mondo sono mandati avanti per farci solleciti delle anime 
nostre, attenti sull’incertezza dell’ora della morte, e pronti, con 
buone azioni, al giudice che sta per venire (1) ,. 

Dalle quali parole noi apprendiamo che cosa significhino i 
segni del giudizio, secondo il concetto di Gregorio. Essi sono’ 
una prova della bontà di Dio, il quale con questo mezzo avvisa 
gli uomini a prepararsi ad un passo così grave. Questi terribili 
araldi appaiono molto prima di quel tempo nel quale comparirà 
lo stesso tremendo giudice, affinchè l’uomo rientri in sè stesso, 
e si volga tutto a Dio, lasciata ogni altra cosa; essi saranno 
degna punizione al malvagio che, ostinandosi nel mal fare, non 
solo si fa degno di queste sventure, ma di altre ben peggiori 
che l’attendono. Su questo concetto avremo ancora occasione 
di ritornare. 


* 
* * 


È dunque certo per S. Gregorio Magno che i segni del 
giudizio sono già cominciati ad apparire: non è per anco la 
morte, ma già vi sono i segni spaventevoli che la annunziano. 

Questa impressione terribile di un mondo che cammina 
fatalmente verso una morte prossima, è prodotta su Gregorio 
dalle calamità del suo tempo, diremo meglio, dall’ intera storia 
del suo tempo, che addolorava profondamente quell’anima di 
Romano. Le ingiurie del cielo, dell’aria, della terra, quelle degli 
uomini, sono da lui confuse insieme; per lui hanno lo stesso 
significato il terremoto che scuote la città, il fiume che la inonda, 

(1) Jarrè, 1827 (1416), iun. 22, 601, ind. 4, Reg. XI, 37. 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 21 


278 GIUSEPPE CALLIGARIS 


la bufera che la desola, ed il barbaro che la scorre e la sac- 
cheggia: son tutti segni di prossimi avvenimenti più terribili 
ancora, dei quali Dio pietoso ci avvisa; lo stesso fatto delle 
invasioni barbariche, per lui non rappresenta che uno dei segni 
dell’ira divina. . 

Nell'Omelia I e nella XXXV sopra gli Evangeli, parlasi 
dei segni che precederanno il giudizio, a proposito delle parole 
evangeliche che qui riferisco per maggior chiarezza: “ Cum.... 
audieritis praelia, et seditiones nolite terreri: oportet primum 
haec fieri, sed nondum statim finis.... Surget gens contra 
gentem, et regnum adversus regnum. Et terrae motus magni 
erunt per loca, et pestilentiae, et fames, terroresque de caelo, 
et signa magna erunt.... Et erunt signa in sole, et luna, et 
stellis, et in terris pressura gentium prae confusione sonitus 
maris, et fluctuum.... Videte ficulneam, et omnes arbores: cum 
producunt iam ex se fructum, scitis quoniam prope est aestas. 
Ita et vos cum videritis haec ferri, scitote quoniam prope est 
regnum Dei ,. (Luc. XXI, 9, 10, 11, 25, 29, 30, 31). 

S. Gregorio comincia dallo spiegarci la ragione per cui era 
bene che Iddio ci avvisasse di questi mali, prima che accades- 
sero. “ Dominus ac Redemtor noster perituri mundi praecur- 
rentia mala denuntiat, ut eo minus perturbent venientia, quo 
fuerint praescita , (1), ed ancora perchè “ paratos nos invenire 
desiderans, senescentem mundum quae mala sequantur denuntiat; 
ut nos ab elus amore compescat ,, così che “ si Deum metuere 
in tranquillitate non volumus, vicinum eius judicium vel percus- 
sionibus attriti timeamus (2). 

Passa quindi in rassegna questi varìî segni “ Bella..... ad 
hostes pertinent, seditiones ad cives ,, così che noi saremo fla- 
gellati e dai nemici e dai fratelli. Ma dopo le guerre o le sedi- 
zioni non vi sarà tosto la fine; altri segni avverranno e noi 
soffriremo “ alia e celo, alia e terra, alia ab elementis, alia ab 
hominibus ,. La frase surget gens contra gentem indica le per- 
turbazioni degli uomini, erunt terrae motus magni per loca, l'ira 
superiore; erunt pestilentiae, l’ineguaglianza dei corpi; erit fames, 
la sterilità della terra; terroresque de caelo et tempestates (lezione 


(1) Hom., XXXV, lib. II, in Evang., I, 1612. 
(2) Hom., I, lib. I, in Evang., I, 1436. 


SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 279 


che Gregorio qui accetta invece della su riferita), l’ineguaglianza 
dell’aria (1). Ma di questi segni alcuni sono già apparsi, altri 
temiamo che in breve abbiano a comparire. “ Che gente sorga 
contro gente, e che del loro peso gravino la terra, vediamo nei 
nostri tempi più di quello che leggiamo nei libri. Sapete con 
quanta frequenza ci giunga notizia da altre parti del mondo che 
il terremoto sconvolge innumerevoli città, e noi soffriamo senza 
riposo la pestilenza. — Finora non sono per anco apparsi segni 
nel sole, nella luna, nelle stelle, ma dalla stessa mutazione 
dell’aere possiamo supporre che non sono lontani. Sebbene ab- 
biamo veduto in cielo delle ignee schiere, e corruscar quel sangue 
che poi fu sparso, prima che l’Italia fosse abbandonata “ gentili 
gladio ferienda ,, cioè ai Langobardi. — Neppur è sorta nuova 
confusione del mare e dei flutti, ma, essendosi già compiute 
molte delle cose annunziate, non v'è dubbio che seguiranno anche 
quelle poche che restano; giacchè le prime ce ne fanno fede (2). 

Appare quindi evidente che Gregorio considerava le cala- 
mità del suo tempo come segni della prossima fine delle cose: 
su questo concetto egli insiste assai frequentemente, e credo 
che non sarà inutile che noi pure ci fermiamo alquanto. Redento, 
vescovo Ferentino (3), parlava talora a Gregorio, ancora nel 
monastero, della fine del mondo e gli narrava una visione da 
lui avuta nella chiesa del martire Eutichio, presso la tomba 
del quale aveva voluto riposare la notte. Mentre il vescovo stava 
fra il sonno e la veglia, gli si era fermato avanti il martire 
stesso che per tre volte gli aveva detto: “ Finis venit universae 
carnis , e poi era sparito. 

E ben presto erano apparsi i segni che provavano vere le 
parole udite da Redento, e questi segni che Gregorio riferisce 


(1) Hom., XXXV, lib. II, in Evang., I, 1612. 

(2) Hom., I, lib. I, in Evang,, I, 1436. Si potrebbe aggiungere che nel- 
l’Om. XXXV (loc. cit., I, 1613), parlando delle tempestates, osserva doversi 
intendere di quelle solo che avvengono contro l'ordine dei tempi. “ Quod 
nos quoque nuper experti sumus, quia aestivum tempus omne conversum în 
pluvias hyemales vidimus ,. Ecco adempiuto altro dei segni. Nell'Om., II, 
lib. I, sup. Ezech., Gregorio ricorda pure i segni del giudizio colle parole 
di MartEo, XXIV, 29. 

(3) Dial., III, 38 (t. II). 


280 GIUSEPPE CALLIGARIS 


al diacono Pietro, non sono che una paurosa descrizione di quei 
tempi. 

Tosto, egli dice, apparvero in cielo quei segni terribili (forse 
allora nella memoria di tutti) di aste e di schiere ignee viste 
dalla parte di Aquilone. Tosto la feroce gente dei Langobardi, 
uscita dalla vagina delle sue stanze, colpì le nostre cervici e la 
popolazione che prima qui abbondava come messe, giacque recisa 
ed inaridita. Furono saccheggiate le città, distrutti i castelli, 
bruciate le chiese, abbattuti i monasteri di uomini e di donne, 
abbandonati i campi, dove prima eranvi i cultori ora è deserto, 
e dove prima abbondava la moltitudine degli uomini, ora è copia 
di fiere. — Che cosa si faccia nelle altre parti del mondo, non 
lo so, ma qui dove noi siamo, il mondo non solo annunzia, ma 
mostra che è giunta la sua fine. 

La quale frase ci toglierebbe ogni dubbio se ancora fossimo 
incerti su quanto dicevamo: le calamità dei suoi tempi sono per 
Gregorio prova sicura che il mondo è ai suoi ultimi giorni, e 
che i mali che lo affliggono, sono i segni precursori della ruina 
totale. 

Questo stesso concetto è ripetuto tante volte che noi cor- 
reremo rischio di spendere parole inutili se volessimo riferire 
tutti i passi che trattano di questo argomento. 

Ne riporto alcuni più importanti. 

“ Ecco già rovinate tutte le cose di questo mondo, che noi 
avevamo sentito dalle sacre carte dover perire, scrive egli ai 
preti, diaconi e clero della chiesa Milanese. Distrutte le città, 
abbattuti i castelli, rovinate le chiese, spopolata la nostra terra. 
In noi stessi rimasti così pochi, coi flagelli del cielo, incrudelisce 
senza tregua la spada degli uomini. Ecco che noi vediamo già 
i mali del mondo, che sentivamo dover accadere; le piaghe che 
hanno colpite le terre son fatte per noi quasi pagine di libro. 
Pensiamo quindi, nel morire di tutte le cose, che è nulla ciò 
che amammo; considerate l'avvicinarsi del giorno dell’ eterno 
giudice, e col pentirvi, prevenitene il terrore..... (1). Che i destini 
umani stiano per compirsi, e che sotto gli occhi spaventati 
degli uomini d’allora si avveri quanto predivano le sacre carte, 
Gregorio lo ricorda pure al patriarca di Costantinopoli: “ omnia 


(1) Jarrè, 1233 (869), apr. 593, ind. 11, Reg., III, 29. 


SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 281 


quae praedicta sunt, fiunt. Rex superbiae (l’Anticristo) prope 
est... La pestilenza e la spada che incrudeliscono per il mondo, 
le genti che insorgono contro le genti, il mondo scosso dai ter- 
remoti, la terra che perisce coi suoi abitatori, ne sono i segni 
funesti , (1). 

Le quali parole meglio serviranno a manifestarci l’animo di 
chi scriveva, se ricorderemo che poco dopo aggiungeva: “ sub 
tantis tribulationibus circumfusus barbarorum gladiis premor, 
ut non dico multa tractare, sed mihi respirare vix liceat ,. 
Queste sventure non sono però inaspettate per il cristiano, il 
quale vede in esse l’avverarsi della divina parola. “ Abbiamo 
sentito, scrive al vescovo di Cartagine, con qual violenza la 
peste sia scoppiata nella parte dell’Africa, e perchè neppur 
l’Italia è libera da tale flagello, si raddoppiano in noi i gemiti 
di dolore. Ma fra questi mali e altre calamità innumerabili, il 
cuor nostro verrebbe meno per disperato dolore, se la voce del 
Signore non avesse rafforzata la nostra fragilità, col predire questi 
mali che doveano accadere all’avvicinarsi della fine del mondo. 
Non dobbiamo dunque dolerci di ciò che soffriamo, come di cose 
giunte all’improvviso. Il modo della morte è spesso di conso- 
lazione nel pensare alla morte di alcuno! ,. Ed egli, volgendo 


(1) Jarrè, 1357 (970), 1 iun. 595, ind. 13, Reg., V, 44. Le parole colle 
quali si descrivono le calamità del mondo sono ad un di presso quelle 
della lezione evangelica su citata, e le calamità stesse sono raggruppate 
in modo che rispondano a quelle. Perciò a questo riguardo nelle lettere 
gregoriane vi sono molte ripetizioni. Nella lettera all'imperatore Maurizio, 
contrapponendo alla desolante condizione dell'Europa il brutto esempio 
della superbia sacerdotale (e ciò sempre a proposito delle contese col pa- 
triarca di Costantinopoli), scrive: “ Ecce cuncta in Europae partibus Bar- 
barorum iuri sunt tradita ,. Questi sono i ministri dell’ira divina, poichè 
aggiunge: “ destructae urbes, eversa castra, depopulatae provinciae, nullus 
terram cultor inhabitat: saeviunt et dominantur quotidie in necem fidelium 
cultores idolorum, et tamen sacerdotes, qui in pavimento et cinere flentes 
iacere debuerunt, vanitatis sibi nomina expetunt , (JArrè, 1360 (972), iun. 
595, ind. 13, Reg., V, 37). — Rimproverando i nobiles e i possessores della 
Sardegna perchè lasciavano vivere nel paganesimo i rustici delle loro 
possessioni, rammenta loro la prossima fine del mondo, annunziata dai so- 
liti segni: “ Quam vicinus finis urget (il mondo) aspicitis, quod modo hu- 
manus in nos, modo divinus saeviat gladius videtis ,, eppur voi “ a com- 
missis vobis lapides adorari conspicitis et tacetis , (JArrè, 1295 (930), mai. 
594, ind. 12, Reg., IV, 23). 


282 GIUSEPPE CALLIGARIS 


attorno lo sguardo, vedeva che spesso la morte era il solo rimedio 
a tanti mali, e la vita un tormento (1). 

Queste stesse riflessioni mette avanti nel consolare Italica 
e Venanzio per i loro mali privati. Nelle calamità che desolano 
il mondo come tristo annunzio di futuro danno, si spiegano i 
dolori particolari. 

“ Son già undici mesi che assai di rado posso sorgere dal 
letto; sono afflitto da sì gravi dolori di podagra e da tanti altri 
incomodi, che la vita mi è un supplizio gravissimo. Ogni giorno 
vengo meno nel dolore, e sospiro la morte come un rimedio. 
Nel clero e nel popolo di questa città (Roma) irruppero sì gravi 
languori di febbri, che nessuno rimase capace a far qualcosa. 
Dalle vicine città mi si annunziano ogni giorno stragi e morti. 
Voi che siete più vicini (in Sicilia), sapete meglio di me quali 
stragi semini morte in Africa, e cose più gravi annunziano quelli 
che vengono dall’Oriente. — Voi perciò non dovete troppo acco- 
rarvi delle vostre molestie, fra tutti questi mali, perchè vedete 
che il flagello è per tutti, avvicinandosi la fine del mondo. Ma 
come saggi volgete tutto il cuor vostro alla salute dell’anima, 
e più temete lo stesso giudizio, quanto più è vicino , (2). 

Alla desolazione del mondo, si deve aggiungere quella di 
Roma, le cui miserande condizioni si rilevano tristamente dalle 
pagine di Gregorio. “ Noi vediamo quale sia rimasta Roma, che 
una volta pareva signora del mondo, per i suoi immensi dolori, 
per la desolazione dei cittadini, per gli assalti dei nemici, per 
la frequenza dei pericoli... essa ha perduto i potenti del secolo; 
e dove è ora il suo popolo, dove il Senato? e noi, pochi super- 
stiti, le spade e le tribolazioni opprimono..... Roma brucia 
vuota..... , (3). 

Le quali parole tristamente lugubri, recitate avanti agli 
atterriti Romani, mentre la bufera langobarda minacciava la 
città (4), compiono il tristo quadro delle infelicità del mondo. — 


(1) Jarrè, 1789 (1326), aug. 600, ind. 3, Reg., X, 20. 

(2) Jarrè, 1759 (1280), aug. 599, ind. 2, Reg., IX, 232. 

(3) Hom., VI, lib. II, in Ezech., I, 1374-5. 

(4) È noto che la recita di queste Omelie fu interrotta nel 593 a ca- 
gione dell’assedio di Roma al tempo di Agilulfo. Otto anni più tardi il papa 
le fè raccogliere e spedire all’arcivescovo di Ravenna, Mariniano. Siccome di 
ciò parla il GrIsar, così non mi soffermo a discorrerne più largamente. 


SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 283 


E a conclusione di quanto dicemmo, si potrebbero riferire pa- 
recchi passi nei quali son riassunte quelle serie infinite di sven- 
ture (1): noi ci contenteremo di ricordarli in nota, e di osser- 
vare con Gregorio che il mondo stesso pieno di piaghe ora 
rivolgeva gli uomini a Dio (2) mentre un giorno era stato virtù 
il disprezzarlo quando era fiorente, quando “ erat vita longa, 
salus continua, opulentia in rebus, foecunditas in propagine, 
tranquillitas in diuturna pace ,. 

Il mondo ebbe esso pure i suoi giorni splendidi, la sua gio- 
vinezza, e la vita allora era men dura: e il Romano pensava 
con rammarico a quei tempi lontani, egli obbligato a vivere nella 
vecchiezza del mondo stesso. 

“ Come nella gioventù è vigoroso il corpo, forte ed incolume 
il petto, torosa la cervice, piene e salde le braccia, e negli anni 
senili si curva la statura, si piega la cervice, il petto è affan- 
noso, vien meno la forza, e l’anelito impedisce la parola, giacchè, 
anche non vi sia languore, ai vecchi è malattia la stessa salute; 
così il mondo, negli anni passati, ebbe quasi il vigore della gio- 
ventù, robusto per propagare la stirpe umana, florido per salute 
di corpi, ricco per opulenza di beni. Ora lo abbatte la sua 


(1) Cfr. Hom., VI, lib. II, super. Ezech., I, 1376; Hom., IV, lib. I, in 
Evang., I, 1448, dove scrive: “ Hoc (la fine delle cose)... etiam si Evangelium 
taceat, mundus clamat. Ruinae namque illius voces eius sunt... ,. Cadde 
dalla sua gloria... ed è amaro a quelli stessi da cui era amato. È facile, 
ora che vediamo la rovina di ogni cosa, allontanare il nostro cuore dal- 
l’amore del mondo; era invece difficile allora quando “ longe lateque omnes 
cernerent florere regna terrarum ,. Ciò era al tempo della predicazione 
apostolica e nei primi tempi della chiesa “ unde adiuneta sunt praedica- 
toribus sanctis miracula , (I, 1450); “ quando si appicca il fuoco ad una casa, 
il padrone prende ciò che ha più caro e fugge; ora ecco che le fiamme 
delle tribolazioni bruciano il mondo, e che la prossima fine, come fuoco, 
guasta tutto ciò che in esso sembrava bello ,. Consiglia quindi, in senso 
spirituale di imitare, nel fuggire, il padrone della casa incendiata. Ricordo 
per ultimo che fra i segnali della fine del mondo, Gregorio pone la con- 
versione delle genti, che si era già compiuta: “ in coelo iam sedet qui 
de conversione nos admonet: iam iugo fidei colla gentium subdidit, iam 
mundi gloriam stravit, iam, ruinis eius crebrescentibus, districti sui iudicii 
diem propinquantem denunciat , (Hom., V, lib. I, in Evang., I, 1450), nel 
quale passo, oltre all’accenno delle solite sventure e ruine del mondo, è 
indicato un segno che finora hon avevamo visto ricordato. 

(2) Hom., XXVIII, lib. II, in Evang., I, 1569. 


294 GIUSEPPE CALLIGARIS 


stessa vecchiezza ed è spinto a morte non lontana da molestie 
che sempre si accrescono , (1). 


Alle ruine materiali del mondo è da aggiungere lo sfacelo 
morale. Gregorio, mentre scorgeva i dolori che sopportavano gli 
uomini del suo tempo, doveva pure attristarsi per la visibile 
decadenza della loro fede e dei loro costumi: segnale ancor 
questo dei terribili avvenimenti che si aspettavano. 

“ Prima i cuori degli uomini si sconvolgono e poi gli ele- 
menti (2); nella fine dei secoli lo spirito maligno col freddo del 
suo torpore occuperà più gravemente le menti degli uomini , (3). 
Abbondano i malvagi perchè giustamente siano oppressi dalle 
ruine del mondo (4), e già l’apostolo Paolo prediceva che “ in 
novissimis temporibus instabunt tempora periculosa, et erunt, 
homines se ipsos amantes, cupidi, elati , e Gregorio ben lo sapeva 
egli che, per non affliggere altrui, taceva quello che soffriva per 


(1) Hom. I, lib. I, in Evang., I, 1438-39. Cfr. pure: Hom. XXVIII, lib. II, 
in Evang., I, 1568-69. Mi sia lecito ricordare ancora un luogo assai noto 
dei Dialoghi (IV, 35), che può interessarci. Si parla quivi della condizione 
dell'anima che, mentre sta per uscire dal corpo, conosce quelli coi quali 
dovrà avere comune il premio o il castigo. A conferma di ciò si parla di Eu- 
morfio che, morente, aveva mandato il suo servo ad un conoscente, che pure 
era per morire, dicendogli che era giunta la nave per traghettarli in Sicilia. 
Il diacono Pietro chiede a Gregorio perchè a quel moribondo fosse apparsa 
una nave e perchè avesse predetto di dover essere trasportato in Sicilia. 
Gregorio, risposto alla prima delle due domande, osserva, rispetto alla seconda, 
che “ in eius terrae insulis eructante igne, tormentorum ollae patuerunt ,. 
“Quae, ut solent narrare qui noverunt, laxatis quotidie sinibus, excrescunt, 
ut, mundi termino appropinquante, quanto certum est illuc amplius exu- 
rendos collegi, tanto et eadem tormentorum loca amplius videntur aperiri ,, 
Il che Dio permise si mostrasse in questo mondo a correzione dei viventi, 
affinchè le menti degl’infedeli, che non credono ai tormenti dell’inferno 
vedano î luoghi dei tormenti, essi che non vogliono credere a ciò che hanno 
udito. Cfr., su questa leggenda, Grar, Miti, leggende e superstizioni del M. E. 
II, 316; e II, 86 (Torino, Loescher, 1898). 

(2) Hom. XXXV, lib. II, in Evang., I, 1613. 

(3) Hom. II, lib. I, in Ezech., I, 1187-A. 

(4) Hom. XXXV, lib. II, in Evang., I, 1614. 


SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 285 


le spade dei barbari, e per la perversità dei giudici (1). E quasi 
a togliere ogni consolazione quaggiù, sparivano dal mondo gli 
uomini migliori (2) perchè non vedessero i mali di questa terra, 
e si compisse con essi l’edifizio celeste, all'avvicinarsi della fine 
del mondo (8). 

La fede stessa scadeva nel cuore degli uomini: “ ora è 
scarsezza di uomini perfetti e mentre vediamo come la religione 
fiorisse negli antichi tempi, ora ne piangiamo la mancanza. 
Addolorati dalla miseria del tempo presente, sospiriamo che siasi 
sfrondato il fiore del tempo che passò, colla bellezza della san- 
tità. Gli stessi pastori delle anime si sono corrotti e guastati; 
essi pure attendono alle cose della terra, cercano le cose fug- 


| gitive, non mostrano neppure gli indizi della vita spirituale, nè 


spargono luce alcuna su di noi (4) ,. 

Anche il clero è giunto alla sua vecchiezza; la vecchiezza 
e la giovinezza di Samuele, indicano per Gregorio la vecchiezza 
e la giovinezza del sacerdozio. Era giovane Samuele quando il 


‘sacerdozio, nulla curando la terra, solo aspirava alle cose celesti, 


per poter più efficacemente predicarle; perciò e colle parole e 
cogli esempi accendeva gli animi dei sudditi all'amore di quelle. 
Forte e raggiante di bellezza giovanile, nello splendore della 
santa conversazione mostrava la forza della celeste parola, e 
colla sua vita confermava quanto predicava..... Ma è già gran 
tempo che Samuele invecchiò. È già gran tempo che molti se- 
guono l’amore del secolo, di quelli che colla loro virtù avreb- 
bero dovuto allontanare le gioie del mondo dal cuore degli 
altri , (5). Pur troppo, “ vespere... pastores lupi fiunt , poichè 
nell’oscurarsi e nel mancare di questo mondo, non si peritano 
di rapire i doni dei loro soggetti, cosichè, agognando alle cose 
temporali, all’alba dell'ultimo dei giorni, si privano di quei premi 
che loro sarebbero toccati (6). 


(1) Jarrè, 1489 (1124), sept. 597, ind. I, Reg., VIII, 2. 

(2) Jarrè, 1078 (713), dec. 590, ind. IX, Reg., I, 11. 

(3) Dial., III, 37. 

(4) Lib. IV, c. IV, in Primum Regum, III, pars 2°, 207-8. 

(5) Lib. IV, c. IV, in Primum Regum, II, pars 2°, 190. 

(6) Lib. I, c. I, in Primum Regum, III, pars 2°, 17 C. — Hom. XXXV, 
in Evang. 


286 GIUSEPPE CALLIGARIS — SAN GREGORIO MAGNO, ECC. 


Volendo riassumere quanto abbiamo detto fin qui, noi pos- 
siamo concludere: è evidente nelle opere di Gregorio una vera 
preoccupazione incessante per la prossima fine del mondo, che sta 
sospesa sugli uomini come una minaccia. — Forse la genera- 
zione di S. Gregorio Magno non l’avrebbe veduta, ma il terribile 
avvenimento non poteva tardare a compiersi, perchè troppi segni 
lo annunziavano vicino, quei segni stessi che, secondo le sacre 
carte, precederanno l’ultimo dei giorni. 

Questi segni, araldi dell'ultima sventura, che Gregorio re- 
gistra con dolore, altro non sono che le calamità che allora 
affliggevano il mondo romano, quello sfacelo materiale e morale 
a cui ogni animo romano assisteva con dolore. S. Gregorio è 
Romano, e coll’occhio del romano considera tutte le cose. Egli ha 
sempre presenti i tempi floridi del mondo, che son quelli della 
gloria di Roma; la decadenza di questa gloria, lo squallore di 
quella città, una volta regina, il periodo tumultuoso successo a un 
periodo così profondamente pacifico, indicano per lui la fine delle 
cose, ed i gravi avvenimenti che in quei secoli si compivano; 
l’urto fra il Romanesimo ed il Germanesimo non potevano da 
lui considerarsi che come una sventura, un segno dell’ira divina. 
Ma che tramonti quell’antico ordine di cose infino a tanto 
che durerà il mondo, egli non crede: l'impero è saldo e forte 
in Costantinopoli e le aggressioni barbariche sono un accidente 
e nulla più. Non è la civiltà romana che crolla; è il mondo 
stesso che si sfascia. Egli non avrebbe mai potuto prevedere 
da quel disordine un nuovo ordine di cose. 

Perchè poi S. Gregorio credesse quelle sventure così gravi 
e non passeggere, perchè non mantenesse intatta la fede sul 
trionfo definitivo di Roma, ce lo dice in parte almeno l’opi- 
nione allora diffusa, che si vivesse nell’ultima delle età del 
mondo, e con simili convinzioni uno sconvolgimento così grave 
come quello a cui si assisteva nel secolo VI, non poteva che parere 
un segnale del termine di ogni cosa. 


287 


“ 


Sunto della Memoria: “ Studi psicofisiologici , ; 


del Socio GIUSEPPE ALLIEVO. 


Nello sviluppo storico dell'umano pensiero la scienza della 
natura fisica esteriore ha preceduto la scienza dell’uomo, e lo 
spirito speculativo trapassò dall’una all'altra di queste due 
scienze mosso sia dalle contraddizioni delle primitive dottrine 
filosofiche intorno l’origine e la natura del cosmo, sia dal bisogno 
di rispondere al problema riguardante l'origine, la natura, il fine 
supremo dell’uomo, problema che s'impone da sè alla mente 
del filosofo. 

L’antropologia, malgrado la sua pressochè sterminata am- 
piezza, si distingue da tutte e singole le scienze particolari della 
natura, essendochè l’uomo possiede una natura specifica sua 
propria, per cui non va confuso con le specie di esseri corporei 
ed irragionevoli del cosmo esteriore. Essa va altresì distinta 
da quelle altre scienze affini, che contemplano l’uomo soltanto 
sotto tale o tal’altra delle sue manifestazioni particolari (quali 
sono ad esempio la morale, la politica, la pedagogia, la socio- 
logia), mentre essa medita la natura umana in tutta la sua 
integrità ed ampiezza. 

L’antropologia si trova di fronte a due sistemi, che la 
snaturano trascorrendo a due estremi opposti, lo scetticismo ed 
il razionalismo assoluto. Secondo lo scetticismo, niente si sa di 
vero intorno l’uomo, tutto è incerto e controverso; secondo il 
razionalismo assoluto tutto si può comprendere in riguardo al- 
l'essere umano, niente vi ha di inaccessibile alla ragione spe- 
culativa. Ma lo scetticismo contraddice a sè medesimo, perchè 
adopera la ragione per combattere la ragione, e non avverte 
che tra il conoscere tutto ed il conoscere nulla ci sta di mezzo 
quella parte di conoscenza, che si addice all’intelligenza umana. 
Il razionalismo assoluto poi si chiarisce insussistente sia dalla 
limitazione delle singole ragioni umane individuali, sia dai mi- 


288 


steri indicifrabili, in cui ci sì presenta una parte dell’essere 
umano. L’antropologia possiede il vero frammisto coll’incerto 
e coll’ignoto, epperò riposa sicura tra i due estremi-dello scet- 
ticismo e del razionalismo assoluto. i 

Tra il mondo esteriore della natura ed il mondo interiore 
dell'anima corrono analogie e corrispondenze molteplici e di- 
verse. Fuori di noi si riscontrano sostanze corporee coi loro 
fenomeni fisici e colle forze, che li producono, dentro di noi una. 
sostanza spirituale, l’anima, colle sue potenze, da cui derivano 
i fenomeni psichici. Fra i punti speciali di analogia tra il cosmo 
e lo spirito sono notevoli i seguenti. I primi vocaboli formati 
dall'uomo esprimevano l’esistenza delle sostanze corporee, le loro 
qualità ed azioni, poi furono adoperati metaforicamente ad espri- 
mere la natura e le operazioni dell'anima, e ciò appunto in 
virtù dell’analogia intima e profonda, che corre fra i due mondi. 
Similmente nel mondo animato e vivente della natura troviamo: 
1° che la vita è dapprima tutta inviluppata in una unità ger- 
minale omogenea ed indistinta, dalla quale si svolge poi una 
moltiplicità di elementi, di tessuti, di organi, di funzioni; 
2° che l’individuo vivente possiede una forza organogenetica o 
potere formatore, che plasma l'organismo, ed una virtù assimi- 
latrice, che lo conserva mediante il nutrimento. L’Io umano 
presenta sotto questo riguardo una perfetta analogia (non però 
identità) cogli organismi viventi della natura. Anche nell'anima 
del neonato la vita spirituale è originariamente chiusa in una 
semplicissima unità, anch'essa è fornita di un potere formatore, 
per cui dal suo stato rudimentale semplicissimo ed uno procede 
ad una moltiplicità di potenze e di operazioni, e di una virtù 
assimilatrice, per cui conforma al proprio stampo individuale 
il nutrimento proprio dello spirito. 

Tra l’anima ed il corpo dell’uomo corrono analogie e cor- 
rispondenze assai più intime e naturali, che non quelle, che 
abbiamo riscontrate tra il mondo corporeo esterno ed il mondo 
psicologico interno. Un primo e notevole punto di corrispon- 
denza sta nel parallelismo di sviluppo della mente e dell’orga- 
nismo traverso le successive età della vita; parallelismo però, 
che non è nè assoluto, nè continuato, tanto meno poi una iden- 
tità. Altra corrispondenza è quella che intercede tra la mente 
sana ed il corpo sano, tra le malattie dell'anima e le malattie 


289 


del corpo; il che ci porta a distinguere una duplice specie di 
igiene, di patologia e di terapeutica, corrispondenti alle due 
sostanze componenti l’essere umano. Anche i due stati della 
veglia e del sonno si corrispondono fra di loro, essendochè in 
ciascuno di essi le potenze dell'anima e le funzioni dell’orga- 
nismo si mostrano sotto forme speciali ed analoghe. Infine lo 
spirito ed il corpo in tutto il corso ascensivo del loro perfe- 
zionamento si prestano vicendevoli uffici, essendochè lo spirito 
deve ai sensi esterni le prime conoscenze del mondo sensibile 
corporeo, alla parola lo sviluppo del suo pensiero, alla mano 
lo strumento della sua attività artistica e morale, ed alla sua 
volta ricambia il corpo de’ ricevuti servizi, conferendogli virtù 
ed attitudini superiori alla sua costitutiva essenza. 

L’anima ed il corpo nei loro fenomeni presentano una cor- 
rispondenza, la quale per la sua grande ampiezza e somma 
importanza dà luogo a gravissime e serie considerazioni e for- 
nisce argomento di una scienza speciale, la psicofisiologia. 
A’ tempi nostri troviamo traccie di questa scienza nel Saggio 
sui principi ed i limiti della scienza dei rapporti del fisico e del 
morale del Cerise, e più ancora nei Principi generali di psico- 
logia fisiologica di Ermanno Lotze. 

Ricercare il supremo principio generatore di tutti i feno- 
meni della vita umana, tale è il problema fondamentale della 
scienza psicofisiologica. Il problema può ricevere due prin- 
cipali soluzioni, secondochè si ripone il principio generatore di 
tutti i fenomeni in una sostanza, o nei fenomeni stessi. Nella 
prima supposizione abbiamo il sistema del dinamismo, nella se- 
conda il fenomenismo. Ciascuna di queste due grandi categorie 
di sistemi psicofisiologici ha le sue suddivisioni, che sono riguardo 
alla prima il monodinamismo da un lato, il duodinamismo dall’altro. 
Il monodinamismo riconduce tutti i fenomeni umani ad una sola 
sostanza, come a loro principio generatore, la quale potendo essere 
o l’anima od il corpo, bipartisce il monodinamismo in animismo 
ed in materialismo. Il duodinamismo pone una essenziale diffe- 
renza tra i due ordini di fenomeni, mentali e fisiologici, e quindi 
fa derivare gli uni dalla sostanza spirituale, che è l’anima ra- 
zionale, gli altri dalla forza vitale intrinseca all'organismo. Il 
fenomenismo sta diametralmente opposto al dinamismo, e si 
bipartisce in dualistico ed evoluzionistico, secondochè riconosce 


290 


una linea di distinzione tra i due ordini di fenomeni, oppure 
sostiene che si trasformano gli uni negli altri. Secondo il si- 
stema del fenomenismo, i fenomeni hanno in sè medesimi la 
loro ragione spiegativa, essendochè sono tra loro congiunti dal 
doppio vincolo di successione e di causalità per guisa che av- 
vengono gli uni dopo gli altri, ed i precedenti sono causa dei 
susseguenti. Nel corso ascensivo della loro serie essi si mo- 
strano da prima più o meno semplici, e diventano sempre più 
composti. a mano a mano che vanno intrecciandosi e compli- 
candosi. 

L'autore della Memoria chiama ad esame critico queste 
diverse classi di sistemi psicofisiologici considerati nei loro 
rappresentanti più noti, fermandosi segnatamente sull’animismo 
di Stahl, di Francesco Bouillier, di Francesco Bonucci e di 
Antonio Rosmini. Venendo allo scioglimento del problema, vuolsi 
distinguere il duodinamismo esclusivo dal duodinamismo coor- 
dinato. Il duodinamismo esclusivo non risolve il problema, perchè 
separa l’uno dall’altro i due principî costitutivi dell’uomo. In- 
vece il duodinamismo coordinato è conciliabile coll’ unità dell’ Io 
umano, poichè l’anima razionale non essendo uno spirito puro, 
è essa che informa ed avviva il corpo. Così il principio organico 
corporeo produce i fenomeni della vita fisica ed animale, ma 
in grazia della forza vitale ricevuta dall’anima, la quale perciò 
produce direttamente e per sè stessa i fenomeni della vita men- 
tale, ed indirettamente ossia per mezzo del corpo i fenomeni 
della vita corporea. 


L’ Accademico Segretario 


Ermanno FERRERO. 


291 


CLASSI UNITE 


Adunanza del 29 Dicembre 1895. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA 
VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Il Socio Naccari, Segretario della Giunta per l’aggiudica- 
zione del nono premio Bressa, legge la seguente relazione: 


La prima Giunta per il nono premio Bressa presentò alle 
Classi unite dell’Accademia nella seduta del 31 marzo 1895 la 
relazione degli studi da essa fatti per scegliere fra le opere 
inviate dai concorrenti o proposte dai Soci, quelle che meritas- 
sero d’essere prese in considerazione per il premio. 

Fra le opere di 42 autori, che vennero esaminate dalla 
prima Giunta, vennero scelte le seguenti, che qui nomino in 
ordine alfabetico: 


1. Maurizio Cantor, Storia delle matematiche. 

2. Teodoro Curtius, Studi sui composti idrogenati dell'azoto. 

3. Adolfo Imbeaux, Studio idraulico sulla Durance. 

4. Sophus Lie, Teoria dei gruppi di trasformazione ed altri 
scritti matematici. 

5. Alessandro Macfarlane, Memorie di fisica matematica. 

6. W. Ostwald, Trattato di Chimica generale e memorie di 
Fisico-chimica. 

7. Lord Rayleigh e W. Ramsay, Scoperta dell’argon. 


Per proposte fatte da Soci nella detta seduta s’aggiunsero 
le opere seguenti: 

1. T. Behring, Scoperta del siero antidifterico. 

2. R. Caverni, Storia del metodo sperimentale in Italia. 

3. H. C. Vogel, Lavori di astronomia fisica. 


292 


La seconda Giunta, prese in esame tutte queste opere, stimò 
che ciascuna di esse avesse pregi tali da renderla degna del 
premio. Tenuto conto però del numero notevole delle opere 
proposte, decise di dividerle in tre gruppi. La Giunta giudicò 
che le opere del primo gruppo abbiano qualche grado di pre- 
minenza sopra quelle degli altri due, e così quelle del secondo 
gruppo sopra quelle del terzo. 


Nel primo gruppo vennero poste le opere 


1° di SopHus LIE; 

2° di lord RayLeItcH e W. RAMSAY; 
38° di Ermanno CaRrLO VOGEL; 

4° del D" BrgRING. 


Rispetto a quest’ultimo va notato che la Giunta non fu 
così concorde come per gli altri tre autori nell’assegnargli un 
posto nel primo gruppo. 


1. L’opera del Lie intitolata: “ Theorie der Transformations- 
gruppen , contiene una delle teorie più vaste e feconde della 
matematica moderna. Il Lie le diede completo sviluppo e ne 
fece importantissime applicazioni. 

Non tutti i volumi dell’opera del Lie vennero pubblicati 
nel quadriennio 1891-1894, ma a questo appartiene il terzo ed 
ultimo volume pubblicato nel 1893, che è il più ampio ed im- 
portante dell’opera. 

S'aggiunga che altre opere e memorie di molto valore fu- 
rono pubblicate in questo quadriennio dal Lie. 


2. La scoperta dell’argon fatta da lord Rayleigh e da W. 
Ramsay, pubblicata nell'autunno del 1894, è forse il più impor- 
tante avvenimento scientifico degli ultimi tempi. Generalmente 
credevasi che la composizione dell’aria fosse perfettamente co- 
nosciuta, sicchè la scoperta di un nuovo gas contenuto in essa 
eccitò lo stupore generale. A merito singolare degli scopritori, 
e specialmente di lord Rayleigh, va notato che la scoperta non 
fu accidentale, come avvenne per la massima parte delle sostanze 
elementari. Lord Rayleigh avendo osservato delle minime ma 
costanti differenze di densità fra l’azoto tratto dall’aria e quello 


tennisti ni ii sint iti 


293 
e 


ottenuto da composti azotati pensò che ciò potea provenire 
dall'esistenza di una sostanza ancora ignota nell’aria e diresse 
i suoi studi a chiarire la cosa, prendendo a suo collaboratore 
il Ramsay, che per le indagini chimiche aveva competenza 
speciale. L’ottenere l’argon libero e puro richiese una lunga 
serie di svariate e minuziose operazioni. Gli autori accompa- 
gnarono la pubblicazione della loro scoperta con tutte quelle 
determinazioni di costanti fisiche, che nello stato presente della 
scienza valgono a definire un gas. 

Quanto alla scoperta dell’argon potendo venir fatta l’obbie- 
zione che questo premio non può assegnarsi a due persone, la 
Giunta è di parere che la votazione debba farsi sul nome del 
solo Lord Rayleigh, il quale nella scoperta ebbe il merito 
maggiore ed è uno scienziato di valore grandissimo. 


3. È merito di H. C. Vogel l'aver dato un grande impulso 
agli studi di astronomia fisica e l’aver creato intorno a sè in 
Potsdam una scuola dedicata a quella scienza. In particolare 
è suo vanto l’aver ottenuto delle misure di precisione della 
velocità degli astri nel senso della visuale con l’applicazione 
della fotografia allo spettroscopio e l’aver tratto da tali osser- 
vazioni delle conclusioni di somma importanza. 

È noto che quando un corpo celeste si avvicina a noi le 
linee del suo spettro si spostano verso l’estremo più rifrangi- 
bile, che il fatto contrario avviene nel caso opposto e che gli 
spostamenti sono proporzionali alla velocità con cui l’astro si 
avvicina o si allontana. Da questo principio conosciuto sotto il 
nome di principio del Doppler venne un metodo di misurare la 
velocità degli astri nella direzione della visuale, metodo che fu 
applicato a molti astri dall’Huggins e da altri. Spetta al Vogel 
il merito di aver introdotto e perfezionato il sistema di misu- 
rare i minimi spostamenti delle linee spettrali, anzichè diretta- 
mente, sulle fotografie degli spettri stessi. Egli così ottenne 
un grado di precisione che prima non si credeva possibile. 

Se un astro lontanissimo si move in un’orbita chiusa, può 
darsi che a cagione della grandissima distanza nessuno sposta- 
mento di quell’astro sulla volta celeste venga avvertito. Ma lo 
spettroscopio usato nel modo ora detto ci dice che l’astro ora 
sì va avvicinando a noi, ora allontanando da noi, salvo il caso 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 22 


294 
(| 


che l'orbita giaccia in un piano perpendicolare alla visuale. Il 
Vogel osservò questo fatto nella stella variabile Algol e riuscì 
a porre fuori di dubbio ciò che prima era ipotesi, cioè che in- 
vece di un’unica stella Algol è un sistema di due astri, l’uno 
luminoso, l’altro oscuro, che si aggirano intorno al comune centro 
di gravità. Discutendo abilissimamente le osservazioni il Vogel 
riuscì a determinare i diametri, le masse, la distanza e la ve- 
locità di rotazione di questi astri, che non fu mai possibile 
distinguere con l'osservazione diretta. 

Per dare una prova decisiva del grado di precisione del 
suo metodo il Vogel osservò Venere in diverse fasi del suo moto 
rispetto alla terra e mostrò come le velocità calcolate col suo 
metodo si accordino bene con quelle date dalle tavole astro- 
nomiche. 

La memoria relativa ad Algol fu pubblicata nel 1890, 
quindi fuori del quadriennio, ma nella memoria intitolata: 
Untersuchung iiber die Eigenbewegung der Sterne im Visionsradius 
auf spektroscopischem Wege, pubblicata nel 1892 sono raccolte, 
oltre alle conclusioni definitive sul sistema di Algol altre con- 
simili su a Virginis, 8 Aurigae, £ Ursae minoris, 8 Orionis, ecc. 
Così il Vogel rivelò l’esistenza di una nuova classe di stelle 
doppie costituite ciascuna da due astri così vicini che i telescopi 
di più forte ingrandimento non ci dànno nessun indizio che la 
luce ci venga da due astri anzichè da un solo, o da un astro 
luminoso congiunto in sistema con uno oscuro. 


4. Il D. Behring fu tra i primi che notarono l’azione eser- 
citata dal sangue nei processi d’immunizzazione acquisita. Nel 
1891 egli dimostrò per primo la virtù preventiva e curativa 
del siero di sangue di animali resi immuni da infezioni, che 
originariamente erano atti a ricevere. Egli suggerì dei metodi, 
che vengono tuttora seguìti da tutti coloro che si dànno a tali 
studi. 

Posta fuori di dubbio con prove sperimentali la sua sco- 
perta, il D.r Behring si adoperò per vari anni a perfezionarla 
in modo da renderla applicabile all’uomo, e vi riuscì per l’infe- 
zione difterica, la quale, come è noto, si combatte oggidì vit- 
toriosamente, seguendo appunto gli ammaestramenti del D." Beh- 
ring, col siero di animali resi immuni da quella infezione. 


295 


Nel secondo gruppo la Giunta pose le opere degli autori 
seguenti: 


1° M. CANTOR; 
2° R. CAVERNI; 
8° T. CurtIUSs; 
4° W. OstwALD. 


1. L’opera del Cantor intitolata: Vorlesungen iiber Geschichte 
der Mathematik, è frutto di lunghi e pazienti studi, ed è ricca 
di nuovi fatti. È un’opera storica di grandissimo valore. 

Non tutte le parti dell’opera furono pubblicate entro il 
quadriennio, ma il secondo volume pubblicato nel 1892 ed il 
terzo pubblicato nel 1894, vale a dire entro il quadriennio, 
abbracciano un periodo importantissimo per la storia della 
matematica, che va dal 1200 al 1699. 


2. L’opera del Caverni intitolata: Storia del metodo speri- 
mentale in Italia, ebbe il premio dall'Istituto Veneto nel con- 
corso indetto per il lascito Tomasoni. Dell’opera, che si com- 
porrà di sette volumi, vennero pubblicati finora tre volumi. Il 
primo, pubblicato nel 1891, è occupato per metà da un di- 
scorso preliminare. Nel resto del volume si narra l’invenzione 
dei principali strumenti fisici. Il secondo volume pubblicato 
nel 1892 comprende le applicazioni del metodo sperimentale 
all’ottica geometrica e fisica, all’acustica, all’elettricità, al ma- 
gnetismo, alla meteorologia, alla geografia ed all’astronomia. 
Nel terzo volume pubblicato nel 1893 si ha la storia del metodo 
sperimentale applicato all’anatomia, alla meccanica dei moti 
animali, allo studio degli organi dei sensi, alla fisiologia vege- 
tale, alla medicina ed alla geologia. 

Il valore dell’opera fu stimato grandissimo e dai giudici del 
concorso dell'Istituto Veneto e da altri scienziati, fra i quali 
basti citare lo Schiaparelli. La varietà delle materie, l'ampiezza 
della orditura dell’opera richiesero un ricchissimo corredo di 
cognizioni e un enorme lavoro. V’è raccolto il frutto di molte 
pazienti letture di libri mal noti e dimenticati, e quello di ri- 
cerche diligentissime sui manoscritti e negli archivî. 


296 


3. Il prof. Curtius dell’Università di Kiel compì recente- 
mente degli studi di grande importanza sui composti d’azoto e 
d’idrogeno. Egli riuscì prima ad ottenere una nuova combina- 
zione d’azoto e d’idrogeno, la diammide o idrazina e poi l’acido 
azotidrico, composto che ha proprietà molto singolari. Le sco- 
perte del Curtius sono tra le più importanti che si sien fatte 
in Chimica negli ultimi anni. Esse, oltre all’aver arricchito di 
due nuovi termini la serie delle combinazioni dell’idrogeno col- 
l’azoto, esercitarono un'influenza grandissima sullo sviluppo di 
varie parti della Chimica organica. Recentemente il Curtius 
studiando le combinazioni dell’idrazina con le aldeidi e con 
gli acetoni riuscì a compire la serie dei derivati idrogenati del 
pirazolo con la scoperta della pirazolidina. 

La prima notizia delle scoperte del Curtius è anteriore al 
1891, ma nel quadriennio 1891-94 l’autore pubblicò continuamente 
memorie, che ampliano e completano quelle scoperte prima 
appena accennate. Queste memorie del Curtius furono pubblicate 
nel Journal fiir praktische Chemie del 1891 e 1892 e nei Berichte 
der deutschen chemischen Gesellschaft degli anni successivi. 


4. Il prof. Ostwald dell’Università di Lipsia è uno dei più 
illustri cultori della Fisico-Chimica. La pubblicazione del suo 
trattato di Chimica generale contribuì in modo eminente allo 
sviluppo di questo nuovo ramo delle scienze fisiche, perchè l’au- 
tore vi coordinò per primo e ridusse come a corpo di dottrina 
le varie teorie sorte in questi ultimi anni, le quali costituiscono 
il fondamento della Fisico-Chimica. Fra i molti suoi lavori ori- 
ginali, tutti pregevoli, hanno un gran valore quelli intitolati: 
“ Considerazioni sull’ energetica; la termochimica degli ioni; la 
dissociazione dell’acqua; la colorazione degli ioni ,, ecc. 

Le ingegnose teorie dell’autore che si appoggiano sopra 
numerose e faticose indagini sperimentali, hanno promosso 
molti lavori di capitale importanza. 

A questi meriti dell’Ostwald s’aggiunge quello d’aver creato 
nel suo laboratorio una scuola, dove si compiono svariati e 
numerosi studì sperimentali di Fisico-Chimica. 


La Giunta pose nel terzo gruppo le opere dei seguenti 
autori: 


297 


1° Ing. ApoLro IMBEAUX; 
2° Prof. ALess. MACFARLANE. 


1. L’opera dell'ing. Imbeaux è intitolata: “ La Durance, 
régime, crues et inondations », fu pubblicata negli Ammales des 
mines del 1892. È un pregevole studio della idrologia del bacino 
della Durance dedotto da sette anni d’osservazioni. Il problema 
complicatissimo del corso di questo fiume, che reca con le sue 
piene gravissimi danni, fu studiato con largo corredo di cogni- 
zioni scientifiche. 


2. Le memorie del Macfarlane, pubblicate nel quadriennio 
1891-94, riguardano specialmente l'applicazione del calcolo geo- 
metrico alla Fisica matematica. In questo campo di studî le 
memorie del dotto professore americano hanno una notevole 
importanza. 


Dopo aver sommariamente indicato i pregi delle opere che 
la Giunta stimò meritevoli del premio e che essa vi pone innanzi 
affinchè scegliate tra esse quella che credete più degna, ripeterò 
i nomi degli autori divisi, come ho detto, in tre gruppi. 


Primo gruppo: 


1° Lig; 

2° RAYLEIGH; 
3° VOGEL; 

4° BEHRING. 


Secondo: 


1° CANTOR; 
2° CAVERNI; 
3° CURTIUS; 
4° OsTWALD. 


Terzo: 


1° IMBEAUX; 
2° MACFARLANE. 


298 


Benchè la Giunta abbia creduto opportuno di fare una tale 
distinzione fra le opere proposte, essa stima che qualunque sia 
tra gli autori indicati quello che raccoglierà la maggioranza 
dei vostri voti, il vostro giudizio varrà ad onorare le fatiche 
ed i meriti d’un valoroso scienziato. 


Nella stessa adunanza il ff. di Presidente annunciò che con 
Decreto 15 settembre 1895 S. M. rr Re ha approvato il disegno 
di Statuto organico per la fondazione Gautieri, deliberato dal- 
l'Accademia nell'adunanza delle Classi Unite del 31 marzo 1895, 
nella quale essa approvò pure il regolamento interno per il 
conferimento di detto premio. 


UMBERTO I 
PER GRAZIA DI Dro E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE 


RE D'ITALIA 


Veduto il R. Decreto 9 giugno 1892, col quale il Ministero 
della Pubblica Istruzione fu autorizzato ad accettare il legato 
di L. 4000 di rendita italiana disposto a suo favore dal 
cavaliere avvocato Cesare Gautieri, con testamento olografo del 
31 luglio 1888, cogli oneri ivi stabiliti; 

Veduta la deliberazione in data 18 novembre 1894, colla 
quale la R. Accademia delle Scienze di Torino si dichiarò disposta 
ad accettare l’amministrazione del legato offertale dal Ministero ; 

Veduta la domanda di erezione in ente morale del legato e 
il relativo progetto di statuto organico presentato dall’ Accademia; 

Sentito il Consiglio di Stato; 

Sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per 
la Pubblica Istruzione; 

Abbiamo decretato e decretiamo: 


299 
Articolo unico. 


La fondazione istituita dal cav. avv. Cesare Gautieri, con 
testamento olografo del 31 luglio 1888, è eretta in ente morale, 
e sarà amministrata dalla Regia Accademia delle Scienze di 
Torino. 

È approvato lo Statuto organico di detta fondazione an- 
nesso al presente decreto e firmato, d’ordine Nostro, dal Ministro 
Segretario di Stato per la pubblica Istruzione. 

Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello 
Stato, sia inserto nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei de- 
creti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osser- 
varlo e di farlo osservare. 


Dato a Monza, addì 15 settembre 1895. 
UMBERTO 


G. BACCELLI. 


Visto, IZ Guardasigilli: V. CaLeNDA DI TAVANI. 


STATUTO ORGANICO DELLA FONDAZIONE GAUTIERI 


AP Ea 


È eretta in ente morale presso la Reale Accademia delle 
Scienze di Torino, col nome di Fondazione Gautieri, la rendita. 
legata dall’avv. cav. Cesare Gautieri al Ministero della Pubblica 
Istruzione in vantaggio dell’istruzione. 


Ark; 


Questa rendita sarà convertita in titoli del Consolidato ita- 
liano intestati alla Fondazione Gautieri amministrata dall’ Acca- 
demia delle Scienze di Torino. 


Art.9; 


Tre quarti di questa rendita, dedotte le tasse e le spese 
d’amministrazione, sono destinati a premiare la migliore pub- 
blicazione in filosofia, storia e letteratura. 


300 


Art. 4. 


Un quarto della rendita, depurata come sopra, sarà tenuto 
a disposizione del Ministero della Pubblica Istruzione per com- 
pensi a professori, docenti od anche a studenti; e sarà, a cura 
dell’Accademia, erogato in conformità delle indicazioni che dallo 
stesso Ministero le verranno fornite. 

Al termine però d’ogni triennio, risultando un qualche re- 
siduo attivo sulle somme stanziate a tale scopo, quello sarà 
devoluto al fondo dei premii, e verrà ripartito nel modo indi- 
cato all'art. 8. 


Art. 


Il premio sarà conferito ogni anno dall'Accademia Reale 
delle Scienze di Torino, la quale nell’assegnarlo, seguirà in ogni 
triennio, il seguente ordine: 

1° anno: filosofia, inclusa la storia della filosofia; 

2° anno: storia politica e civile in senso lato; 

3° anno: letteratura, storia letteraria, critica letteraria. 


Art. 6. 


Il premio sarà dato a soli autori italiani e per opere scritte 
in italiano, Sono esclusi i Membri Nazionali residenti e non re- 
sidenti dell’Accademia. 


ATDyUe 


Le opere, che la Commissione proporrà per il premio, de- 
vono essere state stampate nei tre anni antecedenti a quello, 
in cui il premio si conferisce. 


Art. 8. 


Nel caso in cui il premio non sia conferito, perchè niuna 


opera ne è stata giudicata degna, la somma destinata al premio 
andrà in parti uguali ad aumento dei tre premii successivi. 


301 


Disposizione transitoria. 


Per i premii che si conferiranno nel primo trennio si pren- 
deranno in considerazione le opere pubblicate dal 1° gennaio 1891. 


Visto, d'ordine di S. M. 
Il Ministro della Pubblica Istruzione 


G. BACCELLI. 


REGOLAMENTO INTERNO 


PER IL CONFERIMENTO DEL PREMIO GAUTIERI 


Approvato dall’ Accademia Reale delle Scienze 
nell'adunanza del 31 marzo 1895. 


Art. IL 


Nel primo semestre d’ogni triennio la Classe di Scienze 
morali, storiche e filologiche nomina una Commissione di sei 
membri con l’incarico di ricercare ed esaminare le pubblicazioni 
da proporre per l’aggiudicazione del premio Gautieri. Questa 
Commissione sarà composta di Accademici nazionali residenti, 
e sarà presieduta dal Presidente dell’Accademia o da chi ne 
farà le veci. 


Art:!93: 


La Commissione dura in ufficio sino a che non sia stato 
deliberato sul terzo premio del triennio. Per ciascun premio 
elegge, nel suo seno, un segretario relatore. 


Art. 8. 


Nel primo semestre dopo ciascun anno essa riferirà al- 
l'Accademia, in un’adunanza delle Classi unite, intorno all’ag- 


302 


giudicazione del premio, seguendo nei tre anni l’ordine enunciato 
nell'art. 5 dello Statuto. 


Ab: 


I Soci nazionali residenti e non residenti hanno facoltà di 
fare proposte di lavori da esaminare alla Commissione. Al prin- 
cipio d'ogni anno la Commissione li inviterà a presentare, entro 
il termine di un mese, proposte di opere per il premio da con- 
ferirsi nell’anno. 


Art.5. 


La relazione della Commissione all'Accademia potrà conte- 
nere la proposta di una sola pubblicazione da premiarsi ovvero 
presentare la proposta di più pubblicazioni, fra cui l'Accademia 
dovrà scegliere quella, a cui assegnare il premio. 


Art. 6. 


La Commissione, ove riconosca in due pubblicazioni merito 
uguale, potrà proporre che il premio sia diviso fra esse per 
metà. Qualora la proposta non sia accettata l'Accademia voterà 
sull’aggiudicazione del premio fra le due opere proposte. 


ATTI, 


L'Accademia non restituirà le opere, state inviate dagli 
Autori per richiamare su di esse l’attenzione della Commissione. 


Gli Accademici Segretarii Il Presidente 
FERRERO. G.. CARLE. 
A. NACCARI. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 


Dal 15 al 29 Dicembre 1895. 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali 


NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; 
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. 


** Abhandlungen der k. Preussischen geologischen Landesanstalt. N. F., 
Heft 19. Berlin, 1895; 8°. 

* American Journal of Science. Editors James D. and Edward S. Dana. 
Vol. L, n. 300. New-Haven, 1895; 8°. 

* Atti e Rendiconti dell’Acc. Medico-chir. di Perugia; vol. VII, f. 2-3. 1895. 

Atti della Società Piemontese d’Igiene; Anno I, fase. 2. Torino, 1895; 8°. 

Atti del terzo Congresso Nazionale di bacologia e sericoltura. Torino, 1895. 

* Bollettino del R. Comitato Geolog. d’Italia. Anno 1895, n.3. Roma, 1895; 8°. 

* Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2°, vol. XV, 
n. 11. Torino, 1894. : 

Bulletin de la Société Philomatique de Paris, 1894-95, n. 3; 8°. 

* Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico- 
chirurgica ecc. Serie VII, vol. VII, fasc. 10. Bologna, 1895; 8°. 

* Catalogo della biblioteca dell'Ufficio Geologico del R. Corpo delle Mi- 
niere, 1° gennaio 1894. Roma, 1895; 8°. 

* Comptes-Rendas de l’Académie des Sciences de Cracovie. Octobre-No- 
vembre. Cracovie, 1895; 8°. 

Compte-Rendu sommaire de la séance de la Société Philomatique de 
Paris, n. 4; 14 décembre 1895. Paris; 8°. 

** Erliuterungen zur geologischen Specialkarte von Preussen und den 
Thiiringischen Staaten. 71 Liefer. Gradabth. 55; n. 11, 16, 17, 22 e 23. 
Berlin, 1895; 8° e f°. ; 

** Fortschritte der Physik. Bd. XLV,3 Abt.; Bd. L, 1 Abt. Braunschweig, 
1895; 8°. 

* Giornale del Genio Civile. Anno XXXIII, fasc. 8-9. Roma, 1895; 8°. 

* Giornale della R. Accademia di medicina. A. LVIII, n. 11. Torino, 1895; 8°. 

* John Hopkins Hospital Report. Report in Pathology, IV; vol. IV, 9. 
Baltimore, 1895; 8°. 

Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXIV, disp. 9, 10. 
Roma, 1895; 4°. 


304 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVI, n. 1. 
London, 1895; 8°. 

* Nachrichten von der Kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen. 
Mathematisch-physik. Klasse, 1895, n. 3. Gòttingen, 1895; 8°. 

** Petermanns Mitteilungen aus Justus Perthes’ Geographischer Anstalt. 
Ergànzungsheft N. 116. Gotha, 1895; 8°. 

* Records of the Geological Survey of India. Vol. XXVIII, p. 4. Calcutta, 
1895; 8°. ; 

* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXVIII, 
fasc. XVII. Milano, 1895; 8°. 

* Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli. 
Serie 3*, vol. I, fasc. 11. Napoli, 1895; 8°. 

* Transactions of the Texas Academy of Science. Vol. I, n. 4, 1895. Austin, 
1895; 8°. 

* Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXIV, n. 1-1, 
1895; 8°. 

* Verhandlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Sitzung. N. 10-13, 
1895. Wien, 1895; 8°. 

* Zoologischer Anzeiger, herausg. von Prof. J. Vicror Carus in Leipzig. 
1895, n. 491; 8°. 

* }RypHaxb pyCcKaro sI8HK0o-xuMMtecgaro O6mecrsa pa HmrepaToperome 
C. IIerep6yprerome VamBepenters; t. XXVII, n. 8. 1895. 


* Dall Università di Upsala : 


Borge (0.). Ueber die Rhizoidenbildung bei einigen fadenfòrmigen Chloro- 
phyceen. Upsala, 1894; 8°. 

Borgstròm (E.). Ueber Echinorhynchus turbinella, brevicollis und porrigens. 
Stockholm, 1895; 8°. 

Brun (F. de). Bidrag till Weierstrass' teori for algebraiska funktioner. 
Upsala, 1895; 4°. 

Carlgren (0.). Studien iiber nordische Actinien. I. Stockholm, 1894; 4°. 

Cassel (G.). Kritiska studier éfver teorin for de automorfa funktionerna 
jamte deras anvindning fér integration af linjàra differentialegvationer. 
Upsala, 1894; 4°. 

Elfstrand (M.). Studier éfver alkaloidernas lokalisation, foretràdesvis inom 
familjen Loganiacee. Upsala, 1895; 8°. 

Forsling (S. E.), Om sulfonering af R-naftylamin. Upsala, 1895; 8°. 

Fredrikson (T.). Anatomiskt-systematiska studier òfver lòkstammiga Oxa- 
lisarter. Upsala, 1895; 8°. 

Fries (Th. M.). Bidrag till en lefnadsteckning éfver Carl von Linné. II 
Upsala, 1894; 8°. 

— Naturalhistorien i Sverige intill medlet af 1600-talet. Upsala, 1894; 8°. 

Hallgren (E.). Om beraàkningen af Abelska integralers omvindning. Gote» 
borg, 1894; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 305 


Nordenmark (N. V. E.). Sur le moyen mouvement dans l’anneau des asté- 
roîdes. Upsala, 1894; 4°. 

Palmer (K. V.). Om Iridiums ammoniakaliska fòreningar. Upsala, 1895; 8°. 

Sernander (R.). Studier éfver den Gotlindska vegetationens utvecklingshi- 
storia. Upsala, 1894; 8°. 


Cocco-Licciardello (F.).. Elementi di Geogenia. Catania, 1896; 8° (da47 A.). 

#* Dippel (L.). Das Mikroskop und seine Anwendung. Zweiter Theil. Erste 
Abtheilung. Braunschweig, 1896; 8°. 

Valenti (G.). Sopra alcune generalità che riguardano la evoluzione della 
cellula. Perugia, 1895; 8° (dall’A.). 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche 


Dal 22 Dicembre 1895 al 5 Gennaio 1896. 


* Abhandlungen der philologisch.-historischen Classe d. k. Stchsischen 
Gesellschaft der Wissenschaft. Bd. XV, n. 4. Leipzig, 1894; 8°. 

** Allgemeine Deutsche Biographie. Bd. XL, Lfg. 197-198. Leipzig, 1895; 8°. 

** Archivio storico italiano fondato da G. P. Virussevx e continuato a cura 
della R. Deputazione di Storia patria per le provincie della Toscana 
e dell'Umbria. Firenze, 1895. 

* Archivio storico pugliese. Periodico trimestrale della Società di studi 
storici pugliesi. An. II, vol. I, fasc. III-IV, 1895. Bari; 8°. 

* Archivio storico lombardo. Milano, 1895. 

** Berliner philologische Wochenschrift. 1895. 

** Bibliothèque de l’École des Chartes; Revue d’érudition consacrée spé- 
cialement è l’étude du moyen àge, etc. Paris, 1895. 

** Bollettino ufficiale del Ministero dell’Istr. pubbl. Roma, 1895. 

_ * Bulletin de l’Académie Imp. des Sciences de St-Pétersbourg. V° sér., T. III, 
n. l. 1895; 4°. 

* Bullettiuo di Archeologia e Storia dalmata. Spalato, 1895. 

* Consiglio Comunale di Torino; Sess. straordinaria 1895, n. XVI; Sess. 
ordinaria di autunno, 1895, n. XVII-XXIV. 

* Controversia. Vol. XVIII. Madrid, 1895; 8°. 

** ’Eeuepìg dpxaroXoyix}. “Ev A0nvaîc, 1895. 

* Foòrelisningar och éfningar. hi. t. 1894 och v. t. 1895. Upsala, 1894-95; 8°. 

Gazzetta delle Campagne, ecc. Direttore Enrico Bassero. Torino, 1895. 

#* Giornale di Erudizione; Corrispondenza letteraria, ecc., raccolta da 
F. Orranpo. Firenze, 1895. 


306 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Giornale scientifico di Palermo. Anno II, 1895, n. 11, 12. Palermo; 4°. 

** Giornale storico della Letteratura italiana, diretto e redatto da F. NovatI 
e R. Renier. Torino, 1895. 

** Heidelberger Jahrbiicher (Neue). Heidelberg, 1895. 

** Historische Zeitschrift. Miinchen, 1895. 

* Indices Chronologici ad Antiquit. Ital. M. &. et ad Opera minora Lud. 
Ant. Muratorii. Fasc. VII-VIII. Aug. Taurinorum, 1896; 4°. 

*#* Journal Asiatique, ou Recueil de Mémoires, d’Extraits et de Notices 
relatifs è l’histoire, è la philosophie, aux langues et à la littérature 
des peuples orientaux. Paris, 1895. 

** Journal des Savants. Paris, 1895. 

** Le Moyeu Age; Bulletin mensuel d’histoire et de philologie. Paris, 1895. 

** Nuova Antologia; Rivista di Scienze, Lettere ed Arti. Roma, 1895. 

** Nord und Sud; eine deutsche Monatschrift. Breslau, 1895. 

** Petermanns Mitteilungen aus Justus Perthes' Geographischer Anstalt. 
Erginzungsheft N" 117. Gotha, 1895; 8°. 

* Rendiconti della R. Accademia dei Lincei — Classe di Scienze morali, 
storiche e filologiche. Serie V, vol. IV. Roma, 1895. 

** Revue archéologique, publiée sous la direction de MM. A. BertRANp et 
G. Perror. Paris, 1895. 

** Revue de Linguistique et de Philologie comparée. Paris, 1895. 

#* Revue des deux Mondes. Paris, 1895. 

* Revue géographique internationale. Paris, 1895; 4°. 

** Revue numismatique. Paris, 1895. 

* Rivista di Sociologia. Anno II, 1895. Roma; 8°. 

* Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie. Anno II, 
vol. VII-IX. Roma, 1895; 8°. 

** Rivista storica italiana; pubblicazione trimestrale diretta dal Prof. C. 
RinAupo. Torino, 1895. 

Rosario (Il) e la Nuova Pompei. Anno XII, quad. XI-XII. Valle di Pompei, 
1895; 8°. 

#* Séances et Travaux de l’Académie des Sciences morales et politiques. 
Compte rendu. Paris, 1895. 

Statistica dei Brefotrofi. Anni 1893 e 1894. Roma, 1895; 8° (dal Ministero 
di Agricolt., Ind. e Comm... 

* Upsala Universitets Arsskrift for 1894. Upsala, 1894; 8°. 


* Dall Università di Upsala : 


Ahlenius (K.). Olaus Magnus och hans framstallning af Nordens geografi. 
Studier i geografiens historia. Upsala, 1895; 8°. 

Almquist (J. A.). Riksdagen i Gefle 1792. Upsala, 1895; 8°. 

Beckman (N.). Bidrag till kinnedomen om 1700-talets svenska, huvudsa- 
kligen efter Sven Hofs arbeten. Lund, 1895; 8°. 

Blomgren (L.), Th. Mommsens teori om romerska principatet granskad i 
dess visentliga punkter. Upsala, 1895; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 307 


Carlson (J. S.). Om filosofien i Amerika. Upsala, 1895; 8°. 

Clason (S.). Till reduktionens féòrhistoria. Gods- och rinteafsòndringarna 
och de férbudna orterna. Stockholm, 1895; 8°. 

Florén (J.). Jesu lira om Guds rike enligt de synoptiska evangelierna fràn 
bibelteologisk synpunkt. Goteborg, 1895; 8°. 

Jacobsson (A. J.). In Necyiam Virgilianam studia nonnulla. Upsala, 1895; 8°. 

Fries (S. A.). Den israelitiska kultens centralisation. Upsala, 1895; 8°. 

Nordin (H.). De ecklesiastika deputationerna under Fredrik I:s regering. 
Strengn., 1895; 8°. 

Nylander (K. U.). Inledning till Psaltaren. Isagogiskt-exegetisk afhanddling. 
Upsala, 1894; 8°. 

Wicksell (K.). Zur Lehre von der Steuerincidenz. Jena, 1895; 8°. 

Zetterstéen (K. V.) Ur Jahjà bin ‘Abd-el-Mu'ti ez-Zawàwî's dikt Ed-Durra 
el-Alfije fì ‘Ilm el-'Arabîje. Leipzig, 1895; 8°. 


Marre (A.). Malais et Siamois. De l’esclavage dans la presqu’'île Malaise 
au XIX® siècle. Paris, 1894; 8° (dall’A.). 

— Madjapahit & Tchampa. Louvain, 1895; 8° (Id.). 

*#* Sanuto (M.). I Diari. Tomo XLIV, fasc. 191, 192. Venezia, 1895; 4°. 

Tordi (D.). Vittoria Colonna in Orvieto durante la guerra del Sale. Perugia, 
1895; 8° (dallA.). 

** Wilkinson (J. G.). The manners and customs of the ancient Egyptians. 
London, 1878, 3 vol.; 8°. 


Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi. 


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CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 12 Gennaio 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: Cossa, Vice-Presidente, D’OvipIo, 
Direttore di Classe, BerruTI, Bizzozero, FERRARIS, Mosso, SPEZIA, 
GracoMINnI, CAMERANO, SEGRE, VoLTERRA, JADANZA e NACCARI 


2 Sapt. 1896 


ei Segretario. 

Si legge e si approva l’atto verbale dell’adunanza pre- 
cedente. 

Il Segretario presenta una memoria stampata del Profes- 
sore Pietro GamBERA intitolata: “ Delle proprietà dei miscugli 
N di gaz perfetti ,, e una fotografia %el ritratto dell’illustre bota- 
o nico Arzioni, inviata in dono all'Accademia dal signor BURNAT 
© di Vevey. 

È Viene accolta nei volumi accademici una memoria del Socio 


8 July-- 


Mosso intitolata: “ Descrizione di un miotonometro per studiare 
la tonicità dei muscoli dell’uomo ,. 

Viene pure approvata l’inserzione nei volumi accademici 
della memoria del Prof. LauRIcELLA: “ Sull’equazione delle vibra- 
zioni delle placche elastiche incastrate ,, in seguito a relazione 
favorevole della commissione esaminatrice. 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 23 


310 


Viene accolta per l'inserzione negli Atti una nota del Socio 
VoLterRA: “ Sull’inversione degli integrali definiti ,. 

Viene affidato ad apposita Commissione l'esame d’una me- 
moria del Prof. BertAZZI, presentata dal Socio D'Ovipro e inti- 
tolata: “ Fondamenti per una teoria generale dei gruppi ,. 

In seduta privata la Classe elegge, salvo l’approvazione 
Sovrana, a Socio residente il Prof. Icilio GuaArEscHI, a Soci 
Nazionali non residenti i Signori Emanuele FeRGoLA e Riccardo 
FeLici, a Soci Stranieri i Signori Giacomo Giuseppe SYyLVESTER 
e Giuseppe Luigi BERTRAND. 

Elegge pure a Soci Corrispondenti nella Sezione di Mate- 
matiche pure i Signori Camillo JorpAN e Gustavo MirtAG-LEFFLER; 
nella Sezione di Matematiche applicate i Signori Giovanni Ce- 
LorIA e F. Roberto HeLMmERT; nella Sezione di Fisica i Signori 
Giuseppe Giovanni THomson e Luigi BOLTZMANN. 


VITO VOLTERRA — SULLA INVERSIONE, ECC. 811 


LETTURE 


Sulla inversione degli integrali definiti; 


Nota I del Prof. VITO VOLTERRA. 


1. Sebbene spesso accada nelle applicazioni di esser con- 
dotti a delle inversioni di integrali definiti nel campo reale, 
pure, che io sappia, non si ha alcun mezzo sistematico per ef- 
fettuare tali inversioni (che si sanno eseguire solo in casi par- 
ticolari) e nemmeno si ha un indizio per riconoscere in generale 
quando questioni di tale natura sono suscettibili di soluzione, 
e, allorchè questo avviene, se ve ne è una sola o se ve ne 
sono più. Sotto questo aspetto la questione appare molto meno 
avanzata di altre di analisi in cui esistono criterì ben definiti 
per giudicare sulla esistenza e sulla univocità delle soluzioni (*). 

In ciò che segue mi propongo di portare un piccolo con- 
tributo allo studio suddetto, comunicando alcuni risultati di 
cui sono in possesso già da qualche tempo, e limitandomi a 
considerare per ora il caso più semplice in cui può rispondersi 
in modo completo a tutte le parti sopra ricordate della questione. 

Sulla forma delle funzioni che compariscono nel problema 
non pongo alcuna restrizione: alcune condizioni pongo relative 
all’esser esse finite ed alla loro continuità e derivabilità. Una 
condizione però si aggiunge relativa al non annullarsi di certi 
valori, che è essenziale, e sulla discussione della quale mi trat- 
tengo alquanto mostrandone la ragione d’essere e l’intima sua 
connessione con notissime teorie elementari. 


(*) Il Dott. Levi-Crvirà in una Nota letta in questa Accademia nella 
seduta del 17 novembre u. s., prendendo occasione dalla risoluzione di al- 
cuni casi interessanti, lamenta egli pure la mancanza di uno studio siste- 
matico sulla questione. I lavori a mia cognizione sull’argomento, oltre 
questo ora citato, sono i seguenti: 


Aset, Solution de quelques problèmes à l’aide d’intégrales définies (Euvres, p.11). 
— Résolution d'un problème de mécanique (Ruvres, p. 97). 
BeLrrAMmI, Intorno ad un teorema d' Abel (Rend. Ist. Lombardo, S. II, vol. XIII). 


312 VITO VOLTERRA 


2. Per maggior chiarezza riassumo i risultati nel seguente 


TroREMA. — Se si ha (nel campo reale) la equazione fun- 
zionale 


(1) fi) — fa) = [lo Hr, y) da 


in cui £(y) e f' (y) si mantengono finite e continue per y compreso 
fra a e a + A; e H(x,y) e a = Hy (x,y), sono pure finite 


e continue per tutti i valori di x e y compresi entro i limiti a e 
a + A, mentre è maggiore di zero il limite inferiore dei valori 
assoluti di h(y)=H (y,y) per y compreso nello stesso intervallo, 
esisterà una ed una sola funzione finita e continua ® che soddisfa 
l'equazione funzionale per y compreso fra a e a + A, la quale 
sarà data da 


©) oM= To. (PES (0,9) de 


in cui 


S; (e, 9) = f/80€,9) Sa (0,5) && 


(3) ty 
So (€, y) = tO . 
DimosTRAZIONE. — 1° Cominciamo dal dimostrare che la serie 
00 
(4) Zi S; (7,9) 


è convergente in egual grado per tutti i valori di x, y compresi 
fra aea + A. 


— Sulla teoria dell’attrazione degli ellissoidi (Mem. Acc. di Bologna, 
S. IV, T. I) — Sulle funzioni associate e specialmente su quelle della 
calotta sferica (Ibid., S. IV, T. IV). 

Dini, Sulla rappresentazione analitica delle funzioni di una variabile reale date 
arbitrariamente în certi intervalli (Cap. VII. Annali delle Università 
Toscane, T. XVII). 

Sonine, Sur la généralisation d'une formule d’ Abel (Acta Mathematica, T. IV). 
— Recherches sur les fonctions cylindriques (Math. Ann., Bd. XVI). 
VoLrerra, Sopra un problema di elettrostatica (Transunti Acc. Lincei. S. III, 

vol. VIII). 
Nel campo complesso cito fra gli altri i lavori del Prof. Pincherle. 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 313 


Se M, è il limite superiore dei valori assoluti di H) (x, y) 
per x, y compresi fra a e a + A, e m il limite inferiore dei 
valori assoluti di /(y), dico che 


© 1SIs(e) L(1y—el)s(P)ULIAI. 


m 


Abbiamo infatti 


e se la (5) è soddisfatta per un valore è, lo sarà anche per î + 1. 
La serie è dunque convergente in egual grado. 

2° Proviamo che ® (y) dato dalla (2) verifica l’equazione 
funzionale (1). 

Infatti dalla (2) segue 


fio Hey) de = (EA H (6,9) de — 


SEG AC] L de {È P@)ZS.(0,8) da 


e, applicando il principio di Dirichlet, avremo 
LA da d i È | 
(1) ,/P@MH (2,9) dx = ((f (2) fico 
vH (&y) 2 
nn h (£) > È; (@ ME) do AT: 


Si consideri ora la funzione 


H (2,9) Page (9) $ 2 S, (1,8) de = G(2,7) 


h (2) x h (E) 
avremo 
dG __Ha(2,9) _£q __ ((Y Hal,y) 
ly "ko 2 $; (0,9) TNA n È S;(0,8) de = 


= 8, (0,9) — ÈS. (0,9) + JETS (0,6) & 


e a cagione della convergenza in egual grado della serie (4) 


314 VITO VOLTERRA 
= 8) — ES (2,9) + È. iS (£,9) S: (0,3) de = 0. 


Ma se in G noi facciamo y= 2, otteniamo l’unità, quindi 
possiamo concludere che si avrà sempre 


= 


e perciò ritornando alla equazione (1’), otterremo 


1”) fo@Hey)d=|[f@=fM-f@. 


La @(y) ricavata dalla (2) soddisfa dunque la (1). 

3° Dimostriamo finalmente che non vi può essere che una 
sola funzione finita e continua @ che soddisfi l’equazione fun- 
zionale. 

Ammettiamo che ne esistano due @, e ®y, ciascuna delie 
quali sia in valore assoluto inferiore a P. 

Posto 

y (2) = 91 (2) — 92 (2) 

avremo 


0= f.v()H (7,9) da 


e derivando rapporto a y 


0=w(4) (9) + (24 (2) Ho(,9) da 
onde 


(6) vO=- ig JV © H(,9) de 


e per conseguenza 


H3 ( 
v0= GS det dx. {"4(2) Hs (20) da, 


H € H 1 
— — n fa nia dx ci Sa) ni; f ld Ei a) 


e così di seguito si potrà procedere indefinitamente sostituendo 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 315 


successivamente per w la espressione che resulta dalla (6). Ora 
Iu@)|< 2P, 


quindi dalle equazioni precedenti si deduce 


lu@|< ap(ta)” {de fran. [fe =2p(l (1A |) 


m 


in cui n può prendersi tanto grande quanto si vuole. Ne segue 
che | w(y) | è inferiore ad ogni valore assegnabile, perciò deve 
essere 


w(e) =0 
e quindi 
P1 (2) = Ps(2) 


il che dimostra la univocità della soluzione. 
Il teorema resta così dimostrato. 


3. Il resultato a cui siamo giunti è molto semplice ed ot- 
tenuto senza artifici di calcolo. Possiamo facilmente compren- 
derne la ragione. Se si prescinde infatti dalle condizioni di con- 
tinuità e derivabilità poste per le funzioni e da quella di esser 
finite, si trova come condizione essenziale che H (y,y) = 4(y4) 
non si annulli per y compreso nell'intervallo a, a + A. Ora 
questa condizione può paragonarsi facilmente a quella che un 
determinante, i cui elementi a destra della diagonale sono nulli, 
è diverso da zero, allorchè i termini in diagonale sono tutti 
diversi da zero. Infatti si consideri il sistema di equazioni 


di = 4% 
db = @,9%, + 499.49 
bg = @dj3 %, + daga + 43343 


bn = dint, + Gon%o + Gan t®g +... + dun %ns 


316 VITO VOLTERRA 


il concetto di integrale ci porta facilmente a riguardare la que- 
stione di analisi funzionale rappresentata dalla (1) come un 
caso limite della risoluzione di un sistema d’equazioni analogo 
al precedente. In esso le a; e le a,, sarebbero le analoghe delle 
H(x,y) e delle H(y,7) = 4h(y). 

Ora il determinante dei coefficienti nelle precedenti equa- 
zioni ha nulli tutti gli elementi situati alla destra della diago- 
nale ed è quindi diverso da zero quando nessuna delle a,; si 
annulla, e quando ciò si verifica la soluzione del sistema è 
possibile ed univoca. 

L’analogia però si arresta qui, perchè mentre la condizione 
che le a; siano tutte diverse da zero non solo è sufficiente, ma 
è anche necessaria per la risolubilità e la univocità delle solu- 
zioni, lo stesso non può dirsi del non annullarsi di % (y). Si 
osservi infatti, per esempio, che, ammesso %(y) = 0 per tutti 
i valori di y compresi fra a e a + A, la equazione funzionale (1) 
può scriversi mediante una integrazione per parti 


fn) — f(a) = ("0 H; (7,9) de 


in cui 
20; ce __dH 
O) =— f 9(09de, H= 
Quindi se H,(x,y) avrà le stesse proprietà che prima ave- 
vamo posto per H(x,y), e sarà f' (ad = 0, si potrà determinare 
univocamente la ®(x) e quindi con una derivazione successiva 
®(x) quando questa derivazione può effettuarsi. 


4.I termini della serie (4) godono di una notevole pro- 
prietà che può esprimersi col teorema seguente: 


Comunque si scelga j compreso fra 1 e i, avremo: 
(7) Si = f Si (8) S;1 E, y) de. 


Questa proprietà è evidente per i = 1. Mostriamo che se 
è vera per è vale anche per è + 1. Infatti 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 317 


Sia = 780 (£,4) S; (2,7) dé = 
={S (£,4) dé fi (e, E) Si (E, E) di, == 
= f,84; (e, E) di dba So (E, Y) Si (E, E) dE == 


= (8; (0,5) SE) & 
il teorema è quindi dimostrato. 


Ne possiamo concludere: 


La formula di inversione della 


f) — f (a) = fo H(2,9) de 


pi) =D i ff" (2) K 9) da 


in cui 
I hg) =H(y,7) 


% 
K (e, y) _= 2 Ò, (x, y) 


(8) | 
So (2,9) = ka dy 


S; (2, 9) = {Si (, 8) Sn E y) de 
5. Come esempio consideriamo il caso in cui si abbia 
H (2,9) = FA@)_—-A(M)) 


e supponiamo F (0) = 1, al qual caso si ridurrà sempre quello 
in cui F (0) ha un valore finito diverso da zero. 


318 VITO VOLTERRA 


Poniamo 
so (2) = F' (2) 
s = fu — 4) sa (0) du 
avremo 
Si (2,9) = (DT s (M@) — AM). N (4. 


Infatti questa relazione è vera per î = 0; se è vera per è, 
sarà 


Sa (0,9) = (1° ("ME — MM NYA MN de. 


Pongasi 
(x) — ME) = «, 
avremo 


»(Y) 


8,1 (9) = (DNV) fl) — VM — 1) sd 


= (-1'sul@@a) — MM)) N. 
Perciò se 
0 () = Z(-1's.(@) 
otterremo 
K (2,9) = — 0M@M_-A(M) N) 

da cui segue: 

La formula di inversione della 
9) f@=f(@= flo FAM — AY))de, E0=1 
10) eM=fM+NVYff @ 0A) — My) de 


in cui 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 319 
(o) ° 
0 (2) = Z(-1)'s. (2) 
0 
so (e) = F'(2) 


8 (2) = fis; (e — ) s;-1 (u) du. 


6. Le (7) ci forniscono una espressione notevole del resto 
della serie K (x, y). Abbiamo infatti 


n 00 x 
K (x,y) = 2;8; (2,9) +2: (/8. (2,8) 8.E,y) E — 


n 


=, 82,9) +2. f” S, (£, 7) S; (2, 3) de, 


I 


onde a cagione della convergenza in egual grado 
(11) Ko) =3S(y)+fSGIKLE)K= 
= x S. (2,9) + SR. (E, y) K (2,8) de. 
Perciò il resto della serie sarà 
(12). B.=[ mC (2,8) K (£,9) de +8 (£,9) K (2, È) de. 


7. La formula di inversione della (1) può mettersi anche 
sotto un’altra forma diversa dalla (2), e precisamente può scri- 
versi 


__ 4D(y) 


in cui 


(14) pg = TSO L fifa © £8,6,1) de 


320 VITO VOLTERRA 


<= SS" (£,9) S'_1 (2,8) de 


dH 
DES 

Si dimostra facilmente che se H, (x,y) si conserva finita e 
continua per x,y comprese fra a e a + A, la serie 


essendo H, = 


(15) x 8". (0,9) 


è al pari della serie (4) convergente in egual grado per tutti 
1 valori di x, y compresi fra gli stessi limiti, e perciò ®(y) ha 
un significato. Se ammettiamo poi che anche Hg = Na sia 
finita e continua per x,y compresi fra gli stessi limiti, anche 
S'; 
dy 
grado, e perciò, supposto f' (x) finita e continua per x compresa 
fra a e a+ A, tale resulterà © (y) data dalla (13). Dimostriamo 
ora che questa funzione verifica la (1). Infatti dalle (13) e (14) 


segue, mediante una integrazione per parti 


(e ©) 
la serie delle derivate X sarà pure convergente in egual 
0 


Sio@) Hey) de =fM) —f@+ JA) —fZ8S: (ey) de 


‘v f(x) — f(a) — f(0) H; (£, ) 34 00 ; 
E ole. 9) g 1(c,y) da — a To de | \fA-AZS' (eda 


e applicando il principio di Dirichlet, avremo 
fo H(w,9) de = fl) — FA + (2}f) — F(X S' (0, 9) da 


— fifa — ft + (PS METE de | de. 


Ora per la convergenza in egual grado della serie (15) 
abbiamo 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 321 


#2 B ,9) Sila, 8) gr _ E (VEGAS) e __ Lg 
SE ne dn de = E 81 (9) 


quindi 
fed =fY) — fd + [1 f — fa {ES dr 


H 


— fair re ( + Fosa] 10 - rl 


Come dovevasi dimostrare. 

Anche i termini S'; della serie (15) godono di una proprietà 
analoga alla (7) per le S;, cioè, qualunque sia j, compreso fra 
1 ei, si ha 


se fis (2,8) S';-1 (€, 7) de 
‘e perciò: La formula di inversione della 


fy) — f(a) = f"o(2) H (1,9) da 


può scriversi 


(e) = TT 4A [0/09 de | 


in cui 


h(y) = H(4,9) 


K'(z,9) = 8 (0,9) 


(16) 
Hog 


x 
È ib. Jtan r 
S'. (7,9) = f'8. 9) SE) de 


Anche il resto della serie K'(x,y) può mettersi sotto una 
forma analoga a quello della (4) e cioè 


R=/MCILE)= (SENECA 


322 v VITO VOLTERRA 


8. Applicando le formule (14’) e (16) alla inversione della 
(9) si ottiene 


oM=i|fM+f1}/@M-/@{00 MM) N © de | 


ed è facile riconoscere che essa coincide colla (10). 


9. Per la esistenza della funzione ® da cui poi dipende 
la @, basta che f sia finita e continua e sia finita e continua 
la H, (x, y), mentre il limite inferiore dei valori assoluti di 4.(y) 
sia maggiore di zero. 

Proviamo che queste condizioni sono pure sufficienti per 
riconoscere la univocità di ©. Infatti se esistono due funzioni 
finite e continue ®, e ®, che verificano la (1), posto 


vl) = (1) — dl), 0 = ff (da 
con una integrazione per parti si ha 


0—= n° (€) H (2,4) de = Ù H(x,y) de = 


— 0(M) 7) — f"0 (2) Hi (0,9) do 
onde 


N) 
0) = 7 JL0 ©) Hi (2,9) de. 


Con un ragionamento analogo a quello contenuto nella 
3* parte del $ 2 si ricava da questa formula che 0 (y) è infe- 
riore a qualsiasi quantità assegnabile, quindi è nulla e per 
conseguenza @] = Po. 


10. Passando dal campo reale a quello complesso facciamo 
per ultimo osservare che se f(x) è una funzione olomorfa per 
tutti i valori della variabile complessa x tali che | x — a | <A, 
e H(x,y) è pure olomorfa per tutti i valori delle variabili com- 
plesse x,y per cu |x — a|<A,]|y_-a|< A, mentre 
h(y) = H(y, y) non ha nessuno zero per valori di y tali che 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 323 


|y—-@|< A, le formule di inversione trovate (2) e (14') conti- 
nuano a sussistere e definiscono una funzione olomorfa ® (y) per 
tutti i valori di y per cui |y — a |< A. I diversi integrali che 
vengono a comparire nelle formule non dipendono che dagli 
estremi, sono cioè indipendenti dai cammini d’integrazione, 
purchè li supponiamo tali che lungo essi le variabili di inte- 
grazione differiscano da a di valori il cui modulo è inferiore 
ad A. 
In una prossima Nota svolgerò il caso in cui H (x,y) possa 
divenire infinita. 


Relazione sulla Memoria del Prof. LAURICELLA : 


Sull’equazione delle vibrazioni delle placche elastiche 


incastrate. 


La Memoria del Prof. Lauricella è divisa in due parti, 
nella prima delle quali tratta della integrazione della equazione 
differenziale (1) A?(A°v) = f(,y), e nella seconda della inte- 
grazione dell'equazione (2) A°(A2u) = ku. Nella prima V’A., 
dopo avere stabilito una formula analoga a quella di Green, ed 
avere dimostrato che per determinare una funzione che soddisfa 
alla equazione differenziale (1) basta dare al contorno i suoi 
valori e quelli della sua derivata normale, passa a mostrare 
come la costruzione dell’integrale che verifica alle date condi- 
zioni al contorno possa farsi dipendere da quelle di una funzione 
analoga alla funzione di Green, che egli come esempio determina 
effettivamente nel caso in cui il contorno sia costituito da una 
retta indefinita, applicando perciò un procedimento analogo a 
quello ben noto delle immagini. 

Sarebbe stato desiderabile che l’A. avesse svolto la que- 
stione relativa all'essere o meno caratteristici gli elementi dati 
al contorno, ma questo punto che forse in generale, e certa- 
mente nel caso particolare trattato dall'A. non deve essere 


324 


difficile ad esaminare, è sperabile ch'egli riesca ad approfondire, 
completando la trattazione della prima parte della Memoria. 

Nella seconda parte l’A. si vale dei risultati conseguiti 
nella prima, e di un procedimento analogo a quello che egli 
stesso ha impiegato in un’altra memoria, sul moto dei corpi 
elastici che venne stampato nello scorso anno accademico nei 
volumi delle Memorie di questa Accademia, 

Egli si fonda sulla determinazione di una serie indefinita 
di soluzioni eccezionali corrispondenti ai valori eccezionali del 
parametro % che comparisce nelle equazioni (2). 

La commissione ritiene che i resultati ottenuti dal Profes- 
sore Lauricella nella sua Memoria siano meritevoli di conside- 
razione tanto che propone la lettura della Memoria stessa e la 
sua inserzione negli Affi accademici. 


G. FERRARIS. 


V. VoLTERRA, Relatore. 


L’ Accademico Segretario 


AnpRrEA NACCARI. 


325 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 19 Gennaio 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Socii: CLarETTA, Direttore della Classe, 
Peyron, Manno, Nani, Coenertti pe MartIS, CipoLLa, BRUSA, 


PerRrERO, ALLIEVO e. FERRERO Segretario. 

Il Presidente annunzia alla Classe la morte del Socio 
Corrispondente Senatore Carlo NeeRronI. Ricorda le benemerenze 
dell’estinto, ed affida al Socio Manno l’incarico di commemo- 
rarlo in una prossima adunanza della Classe. 

Il Socio Segretario a nome dell’autore il Socio Corrispon- 
dente Aristide MarRE presenta il “ Vocabulaire des principales 
racines malaises et javanaises de la langue malgache , (Paris, 1896). 

Il Presidente presenta un opuscolo intitolato: “ Di un pre- 
cursore sconosciuto di Antonio Rosmini , (Napoli, 1895), di cui 
l’autore, Prof. Vincenzo LirLa, fa omaggio. 

È comunicata una lettera di Lord J. W. StrUTT RAYLFIGH, 
che ringrazia l'Accademia per avergli conferito il nono premio 
Bressa. 

Il Socio Brusa legge la seconda parte di un suo lavoro: 
« Di una sanzione penale alla convenzione ginevrina per i feriti 
in guerra ,. 

Il Socio Coenetti DE Martis legge un lavoro del Dott. 
Leonardo Coenerti pe MartuSs: “ Glinfortunii del lavoro ,. 
Questi due lavori sono pubblicati negli Atti accademici. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 24 


326 i EMILIO BRUSA 


LETTURE 


Di una sanzione penale alla convenzione ginevrina 
per i feriti in guerra; 
Nota del Socio EMILIO BRUSA. 


Fra le innumerevoli testimonianze dell'umano incivilimento, 
niuna più sublime della mitezza del costume e delle ingegnose 
discipline volte ad accrescerne e perpetuarne i benefizi immensi. 
Questa verità spicca manifestissima, specialmente in quelle 
regole e quei freni, che l’opera della ragione calma e serena 
riesce, incessantemente lottando contro le passioni irrompenti, 
a imporre alla furia delle armi nelle singolari tenzoni e negli 
spaventevoli combattimenti dei popoli o degli stati. 

Alla cavalleria, e alle virtù virili e nobili cui essa ha edu- 
cato, non piccola è la parte che di cotanto progresso va attri- 
buita nell'odierno diritto della guerra. Le leggi e i costumi bel- 
lici dei dì nostri trovarono nelle norme della cavalleria duellare, 
esempio e stimolo efficace alla moderazione e alla pietà. 

Quell’immane procedimento, nel quale le nazioni fra di loro 
nemiche gettano le proprie sorti esponendo ogni bene alla mag- 
giore rovina e se medesime ai tormenti e pericoli della vendetta 
e della gelosia, che il trattato di pace lascia poi sussistere o 
anzi inasprisce, di tutti i mali ond’è afflitta la povera umanità, 
è il male più indomabile, il male, che tutt'al più può alquanto 
ritardarsi o prevenirsi, quando la tregua all’impeto delle pas- 
sioni vien generata dal calcolo delle conseguenze inseparabili 
anche dalle più splendide vittorie. Onde, pur riconoscendo il fine 
buono cui tendono certe dottrine, tolleranti persino gli eccessi 
nella infondata lusinga di rendere meno tollerabile la guerra, 
sommamente lodato va qualunque tentativo serio di mitigarne 
i flagelli. 

In quest'ordine di fatti prende un posto eminente la con- 
venzione stipulata il 22 agosto 1864 a Ginevra per proteggere 
i feriti e malati in guerra senza distinzione di parti combat- 


DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 327 


tenti. Come il rifiutare quartiere ai prigionieri di guerra sarebbe 
un'infrazione del diritto delle genti, così, e a più forte ragione, 
a quegl’infelici dovevano accordarsi le immunità maggiori, che 
la misera loro condizione richiedeva. Belligeranti, in senso pro- 
prio, sono gli stati, e non gl’individui; e oltrechè la qualità di 
belligerante non dura più di quanto bisogna per giungere alla 
pace, fiaccando la volontà dell'avversario, gl’individui cessano 
di essere stromenti nella contesa dal momento medesimo che 
lo stato di loro salute li rende innocui. Una differenza vi ha 
pure tra gli uni e gli altri in questo, che il dovere di umanità 
estende la protezione dei feriti e malati nel campo stesso ne- 
mico, in cui essi fossero, anche prima che siansi arresi come 
prigionieri. È in questo senso, che la citata convenzione obbliga 
i belligeranti a rispettare e proteggere egualmente e tutto 
il materiale e i convogli sanitari con le persone addette ai loro 
servizi, e le ambulanze e gli ospedali militari, fino a che vi 
siano malati e feriti e che manchi la custodia di una forza 
militare (art. 1, 2, 3, 5). 

La convenzione ginevrina, figlia di quei sentimenti e di 
quel moto, che condussero in breve alla fondazione della società 
della Croce rossa e de’ suoi comitati, internazionale sedente a 
Ginevra, nazionali nei singoli stati inciviliti, per quanto sotto 
vari riguardi tuttora imperfetta, rappresenta pur sempre uno 
dei maggiori, forse il più grande sforzo per diminuire gli orrori 
della guerra. L’inviolabilità attribuita ai malati e feriti e a ogni 
ogni persona o cosa legittimamente destinata al loro servizio 
sanitario, sembra fare il paio con le regole generose della ca- 
valleria nelle tenzoni singolari. Or chi non vorrebbe augurare 
alla famiglia delle nazioni, che, come a prevenire i duelli sono 
giustamente reputati efficacissimi i tribunali d’onore, ancorchè 
poi alla legge penale non appartenga di prescriverne il giudizio, 
così parimenti, svolgendosi la salutare influenza della procedura 
cavalleresca nei conflitti delle nazioni, abbiano quest’ultimi a 
subordinarsi, in ogni caso e sempre, al previo assentimento di 
un arbitrato? Sarà questo il progresso più ardito e magnifico, 
che onorerà l’umana schiatta. Intanto però giova rattenere le 
pericolose impazienze e figgere addentro lo sguardo in una più 
modesta cerchia. Senza disperare di un futuro di tanto migliore 
del presente, oppure fidare troppo nella virtù del timore davanti 


328 EMILIO BRUSA 


al cataclisma in cui verrebbe inevitabilmente travolta la società 
moderna, fanno opera savia frattanto coloro, che intendono a 
chiarire e fissare le leggi direttive e limitatrici della condotta 
della guerra, e a colmare le lacune dei costumi e delle leggi o 
convenzioni esistenti, correggendole dove occorra. 

Sotto l’ispirazione di questi e somiglianti pensieri, vennero 
alla luce, da alcuni anni in qua, studi, discussioni, proposte e 
opere importanti. Tra essi meritano particolare menzione, oltre 
le “ Istruzioni americane per il governo delle armate federali 
in campagna ,, che di un solo anno precedettero la convenzione 
ginevrina, il progetto di una “ convenzione internazionale con- 
‘cernente le leggi e i costumi della guerra , elaborato per ordine 
dello czar Alessandro II e che, approvato con modificazioni dalla 
conferenza di Bruxelles nel 1874, disgraziatamente non venne 
in seguito ratificato dalle potenze, nonchè l’opera pur col- 
lettiva, ma privata del “ Manuale delle leggi della guerra ter- 
restre ,, compilato nel seno dell'Istituto di diritto internazionale, 
che lo votò nella sua riunione di Oxford nel 1880. Al quale 
novero sia lecito aggiungere il saggio di un regolamento com- 
pleto, con ammirabile concisione e chiarezza raccolto in 93 ar- 
ticoli da Geffcken, e pubblicato nel tomo XXVI, p. 586-604 
della Revue de droit international di Bruxelles del 1894. Il pru- 
dentissimo editore del celebre trattato di Heffter vi ha a bella 
posta intralasciate le regole desiderabili per garantire l’immu- 
nità della proprietà privata nemica in mare, ben persuaso 
com’egli è, che nelle presenti circostanze non avrebbero molta 
probabilità di essere accettate. 

Poco innanzi che quest’ultimo scritto venisse fuori, un altro 
valoroso, il filantropo, che, presidente del comitato internazio- 
nale della Croce rossa, a buon titolo può dirsene il padre, Gu- 
stavo Moynier di Ginevra, aveva concepito il divisamento di 
provocare un accordo fra gli stati soscrittori e aderenti alla 
convenzione ginevrina del 1864, per dare alla medesima una 
sanzione penale intesa a garantire l'esecuzione deplorevolmente 
negletta de’ suoi provvedimenti per la protezione dei feriti e 
malati in guerra. 

L'esame di questo notevole tentativo e dell’esito che ottenne 
presso i dotti dell'Istituto di diritto internazionale congregati a 
Cambridge nell'agosto del 1895, è grandemente atto a istruire. 


DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 329 


Il patto ginevrino del 1864, e le società di soccorso costi- 
tuitesi col simbolo eccelso della croce rossa in campo bianco, 
traggono la loro origine dal sentimento di commiserazione sa- 
lito in grande autorità nell’evo nostro. Figlio a sua volta di 
tante e tante cause, onde si è venuto a ingentilire il costume, 
questo sentimento si ricongiunge in precipua misura a quel 
domma cristiano dell'uguaglianza e fratellanza morale, che con- 
sacrato insiem con quello della legalità primamente come di//s 
of rights nella costituzione dello stato di Virginia del 12 giugno 
1776, e indi in sei altre americane tutte anteriori alla francese 
déclaration des droits de l'homme et du citoyen, passò in quest’ul- 
tima il 26 agosto 1789 per propagarsi più tardi nella maggior 
parte delle costituzioni dell'Europa continentale. Il diritto di 
natura e delle genti erasi, per tale maniera, rinnovellato secondo 
lo spirito classico arditamente generalizzatore e semplificatore. 
Or vengano pure i metodi positivi a chiarirne la insufficienza 
o anche la inconsistenza teorica e pratica. Nei grandi come nei 
piccoli particolari, le varietà indefinite della coltura e dei bi- 
sogni individuali e sociali presso i diversi popoli, non si rile- 
vano dall’indistinto piano in cui più o meno da lunge si scor- 
gono, se non col mezzo d’indagini pazienti, indefesse e ognora 
suscettibili di emendamenti. L’essenziale è oramai divenuto un 
patrimonio non meno della scienza che della morale applicata, 
ed egli è la coscienza di diritti e doveri, che sussistono nono- 
stante l’imperversare della tempesta bellica, nonostante il furore 
della mischia quando più semina le sue stragi. 

Se non che la coscienza dei doveri umanitari, ancorchè 
molto diffusa, non sempre basta da sola a imprimere ai fatti 
quel moto, dal quale soltanto essa potrebbe ricevere piena so- 
disfazione. Solleciti bensì a manifestare la propria simpatia per 
la causa degl’infelici che la violenza dell’armi ha ridotto innocui, 
gli stati legati alla convenzione di Ginevra parvero poi trascu- 
rati, indolenti, quanto al provvedere affinchè non rimanesse 
sterile sentimento. Impegno d’onore o giuridico che sia, essi lo 
hanno volontariamente e con vero slancio assunto, e serio do- 
vevano averlo reputato, come seria ha sempre da essere ogni 
promessa di tal natura per parte degli stati. 

Per verità, ben difficile, a quanti vi avessero riflettuto, 
bisognava che apparisse un’azione corrispondente al rapido, ge- 


330 EMILIO BRUSA 


neroso, straordinario commuoversi della pubblica opinione in 
favore dei feriti e malati in guerra. Dei governi impegnati, 
pochi si diedero qualche cura nei propri ordinamenti militari, 
i più nessuna o giù di lì. Naturalmente, ne vennero errori molti 
sui propri diritti e doveri, ne vennero anche accuse reciproche 
intorno alla condotta respettiva, mentre la stessa deficienza o 
imperfezione dei provvedimenti fa pur mancare il modo di ac- 
certare errori e torti, dove ce ne fossero. 

Giustamente geloso dei meriti e benefizi altissimi, onde va 
tanto esaltato il patto di Ginevra, l’ottimo Moynier si è addo- 
lorato dinanzi all’inatteso spettacolo di una trascuranza così 
grande e rattristante davvero. Il patto non è certamente per- 
fetto. Le immunità ch’esso accorda ai feriti e malati in guerra, 
le qualifica inesattamente di neutralità; anzi, le stabilisce solo 
per la guerra terrestre, onde il 28 ottobre 1868 furono proposti, 
pure a Ginevra, articoli addizionali per estenderle anche a quella 
marittima, nonchè per chiarire il senso di alcune disposizioni 
del patto medesimo, articoli, peraltro, rimasti tuttora allo stato 
di semplice progetto. Ma lacuna ancora più deplorevole, che 
viemeglio rende manifesta e urgente la necessità di rivedere il 
patto, esso non ha neppur saputo prevedere l’importanza, cui 
d’un tratto doveva salire la istituzione, già nata nel 1863, della 
Croce rossa; le cui libere associazioni si sono propagate con 
ammirabile emulazione nei paesi inciviliti, sotto ordinamenti e 
con mezzi tali da promettere, esse da sole, quel sicuro, pronto 
e delicato servizio di soccorsi, che il numero ingente dei feriti 
nelle guerre odierne richiede in grado sempre maggiore. Per 
buona sorte, i governi non ebbero bisogno di attendere impulso 
e norma da un patto internazionale. Tanto di per sè grande e 
meravigliosa era ed è l’opera della Croce rossa, che il loro zelo 
non poteva mancare; ed essi l’hanno raccomandata e sostenuta 
infatti con la loro autorità, con la loro materiale assistenza, 
facendovi per conto proprio un assegnamento ben naturale, che 
li dispensa dal prendere, in via diretta, altri provvedimenti. 

Intanto le imperfezioni sussistono in quel documento diplo- 
matico, e una revisione che vi ripari, rimane tuttora un desi- 
derio. Ora a codeste si è venuta aggiungendo quell'altra, 
donde trarrebbe origine l’incuria, come sopra lamentata, di por 
mano alle disposizioni della convenzione ginevrina per assicurarle 


DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 331 


effettiva esecuzione. Nel periodo di tempo corso dalla data della 
sua stipulazione nulla o quasi nulla essendosi a tal fine prov- 
veduto dai singoli sottoscrittori, fa mestieri ormai che questi 
vengano eccitati a compiere il dover loro. Gustavo Moynier, 
incoraggiato da uomini eminenti, ha preso sopra di sè questo 
ufficio, invocando alla propria iniziativa il patrocinio dell’Isti- 
tuto di diritto internazionale, di cui egli è un grande ornamento. 
Di tanti difetti, il maggiore o il meno tollerabile è, a suo av- 
viso, la mancanza di una garanzia esecutiva per i casi di vio- 
lazione della convenzione. Il perchè, attese le difficoltà e len- 
tezze, che in pratica aumenterebbero di certo ove si riunisse 
questo provvedimento agli altri in una revisione generale, ha 
risoluto di spingerlo innanzi senz'altro da solo, come provve- 
dimento che non ammette ulteriori indugi. 

La proposta di Moynier si riassume in un disegno di con- 
venzione complementare, preceduto dai motivi e formulato in 
otto articoli, sotto il titolo di “ Considérations sur la sanction 
pénale è donner àè la convention de Genève , (Lausanne, 1893, 
pp. 33). 

Si tratta dunque di un provvedimento di carattere penale. 
Perchè non altresì di altra natura, per esempio, amministrativo 
militare o anche civile? In fondo, oltrechè già quando si di- 
scuteva la convenzione, se di una sanzione penale non vi si è 
fatto cenno, l’omissione erasi voluta solo perchè il cenno riu- 
sciva almeno superfluo al cospetto di quell’atto spontaneo e no- 
bilissimo, la inclinazione ai dì nostri prevalente nella scelta 
degli istituti giuridici e politici portava a preferire quelli propri 
del magistero punitivo. Il che segnatamente accade allora, che 
trovisi in bisogno, non tanto un diritto positivo e storicamente 
fondato, quanto piuttosto un principio, principio morale e ra- 
zionale, sia pure d’incomparabile grandezza, com'è, nel presente 
caso, quello dell'umanità. D'altronde, poichè le solenni dichia- 
razioni di Ginevra obbligano, se non direttamenle gl’individui, 
gli stati di certo, così questi, ove non l'abbiano peranco fatto, 
debbono affrettarsi a emanare leggi, che obblighino costoro, 
onde, avvenendo che alle medesime contravvengano, i contrav- 
ventori cadano inesorabilmente sotto le penalità incorse. 

Partendo da questi concetti, il disegno di Moynier com- 
prende, anzitutto l’obbligo per gli stati stipulanti di emanare 


332 EMILIO BRUSA 


una legge punitiva estesa a tutte quante le possibili infrazioni 
alla convenzione del 1864, nonchè l'obbligo di notificare le leggi 
e loro modificazioni all’ufficio internazionale di pubblicità da 
crearsi per i trattati internazionali, e anzi, secondo la formula 
definitiva del progetto presentato all'Istituto, e da questo adot- 
tata su tal punto nella sessione di Cambdridge, al consiglio fe- 
derale svizzero, che dalla convenzione ginevrina è già incari- 
cato di ricevere le accessioni alla medesima. In secondo luogo, 
affine di ottenere ogni garanzia d’imparzialità nel giudizio degli 
imputati, il disegno, poco e quasi punto fiducioso nell’ abnega- 
zione degli stati allorquando debba giudicarsi della condotta 
dei propri funzionari e di loro medesimi, s’inalza nientemeno 
che al concetto di un tribunale arbitrale. Così, non solamente 
si costringerebbero gli stati per via internazionale a introdurre 
le sanzioni penali; ma li si assoggetterebbero a una giurisdi- 
zione, per la condotta de’ propri sudditi e per la propria non 
meno, la cui origine consensuale niente varrebbe a toglierle il 
carattere supernazionale, che inevitabilmente inchiudesi in ogni 
parte di sovranità riguardata in atto di fronte al consorzio 
degli stati. 

Tale il sistema ideato dal valentuomo, e accolto pure da 
Kngelhardt secondo relatore per la proposta dinanzi all'Istituto. 
Del medesimo si è da taluno creduto di trovare un indizio pre- 
cursore nell’art. 84 del su citato “ Manuale delle leggi della 
guerra ,, ma a torto. In quella disposizione è prescritto, infatti, 
che i violatori di queste leggi vadano soggetti ai castighi mi- 
nacciati; ma non è poi detto che la minaccia debba stabilirsi 
in leggi o con sanzioni internazionali, sibbene vi si parla sol- 
tanto di “ chaàtiments spécifiés dans la loi pénale ,. Eviden- 
temente vi s'intende la legge nazionale, come risulta esplicita- 
mente chiarito, sia dal carattere del “ Manuale , stesso, di 
offrirsi semplicemente quale “ base per una legislazione nazio- 
nale ,, e non già come “ un trattato internazionale ,, sia ancora 
dalla dichiarazione più speciale al citato art. 84, secondo cui i 
colpevoli “ doivent étre punis, après jugement contradictoire, 
par celui des belligérants au pouvoir duquel ils se trouvent , 
(Annuaire de l’Institut de droit international, 1881-82, Bruxelles 
1882, p. 158 e p. 174). Il principio della sovranità, territoriale 
o nazionale che dir si voglia, non poteva essere più aperta- 


- DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 333 


mente conservato intatto rispetto alla potestà legislativa. Na- 
turalmente, « fortiori esso rimane inviolato e intero parimenti 
quanto alla potestà giudiziaria, l’esercizio della quale presup- 
porrebbe del resto, se di giustizia internazionale fosse caso, una 
legge o convenzione pure internazionale. 

Or dunque un precedente non si potrebbe scorgere in co- 
desto documento. Si cercherebbe forse, con migliore fortuna, in 
altre proposte serie di pubblicisti singoli o anche collettive? 
Non par probabile, e quindi ancor meno è da sperare che si 
trovi in alcun atto diplomatico. Sinora la sovranità è una no- 
zione di puro diritto interno, e altrimenti non è possibile che 
sia mai per divenire. Il diritto positivo si ricollega indissolu- 
bilmente allo stato. Un diritto umanitario non sarebbe tuttavia, 
per ciò solo, una semplice chimera, un assurdo; ma appunto, 
se ed in quanto sì costituisse, esso distruggerebbe addirittura 
‘la sovranità degli stati. Resta il concetto di federazione, che 
è il solo applicabile a una famiglia di stati sovrani, i quali 
per il comun bene si spogliassero di una parte della propria 
sovranità creandone una federale a tutti superiore. Più in là 
non è possibile di giungere in un ordinamento giuridico; e la 
impossibilità deriva da ciò, che gli stati, a differenza degli in- 
dividui, o sono sovrani, o non appartengono più al novero delle 
personalità del diritto delle genti. Per gl’ individui, la qualità 
di sudditi non è incompatibile con quella di persone capaci di 
diritto; per gli stati, la qualità di sudditi è contradittoria in- 
trinsecamente. Quanto al caso di una costituzione federativa, è 
chiaro che la sovranità o il solo suo esercizio non vi sono che 
delegati. 

La proposta Moynier non si direbbe concepita in base a 
una retta distinzione. La sovranità degli stati nei vari riguardi, 
e nel diritto penale in ispecie, è bene una dottrina, ma al pub- 
blicista ginevrino non par fondata in una verità inconcussa, su 
di un assioma giuridico. Niente impedisce quindi, che, maturati 
com'ei li crede ora i tempi, altra cosa possa sostituirla, senza 
che per ciò il meccanismo sociale abbia a correre pericolo. 
Tanti cangiamenti sono accaduti e accadono nel mondo, come 
mai resterebbe inflessibile quella sola dottrina? E, a dir vero, 
non differente sembra che sia stato il punto di vista, dal quale 
si sono collocati in generale coloro, che a Cambridge presero 


394 EMILIO BRUSA 


parte alle discussioni della di lui proposta nel seno dell’Istituto 
di diritto internazionale. A qual titolo mai si dovrebbe, allora, 
rinunciare a dar sanzione penale a impegni divenuti legge per 
la volontà stessa delle nazioni contraenti? All’infuori dei prin- 
cipii, non vi sono che semplici considerazioni di opportunità e 
«li prudenza pratica; sempre è necessario infatti di procedere 
soltanto per gradi. La convenzione ginevrina è un testo di legge 
precisa e formalmente accettata; difficilmente il progresso po- 
trebbe giungere oltre; non più semplici costumanze, tradizioni 
od usi più o meno vaghi e contestabili; il terreno sicuro e ben 
determinato ne’ suoi confini, quale abbisogna per la costituzione 
di un tribunale internazionale, non manca più. 

A questo modo di ragionare, non una parola di opposizione 
o di dubbio per parte dei dotti congregati di Cambridge; le 
loro divergenze si sono limitate a questioni d’ordine puramente 
pratico. Ed è stato un effetto di ciò, se nel risolvere le mede- 
sime l’Istituto fu poi tratto a conclusioni per avventura savia- 
mente moderate, come si conviene infatti a un tale punto di 
vista. Comunque sia, della proposta primitiva di una legge inter- 
nazionale e di un tribunale egualmente internazionale più nulla 
vi è in fine rimasto. 

Or senza entrare qui in una troppo lunga discussione, è 
lecito dubitare assai se, trattandosi di un principio umanitario 0 
di pietà, possano gli stati, senza perdere in tutto o in parte la 
propria sovranità, provocare una dichiarazione d’ incapacità ad 
esercitare da sè il proprio ufficio repressivo, e delegarlo quindi 
a un'autorità federativa di origine convenzionale? Già da sola 
l'ipotesi della incapacità implica il difetto di una condizione 
essenziale alla personalità giuridico-politica dello stato: vi è 
dunque contradictio in adiecto. Un unico argomento potrebbe 
addursi a sostegno di codesta delegazione, ed è questo: che di 
fronte a un diritto, il quale avvince gli stati in un vincolo 
comune a tutti loro, manca necessariamente in essi l’attitudine 
a esercitare la sovranità, sia giudiziaria soltanto, o anche legis- 
lativa, perchè gli atti loro nei rapporti giuridici internazionali 
sono o possono essere sospetti di parzialità. Tale appunto è 
l'argomento fatto valere da Gustavo Moynier, ma esso non regge 
all'esame. 

Di quanti mai usi, costumi, patti e diritti interni degli 


DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 335 


stati in tema di relazioni giuridiche internazionali, apparten- 
gano esse, queste relazioni, al diritto privato o al pubblico, 
all’amministrativo o al penale, non pure i legislatori, ma i giu- 
dici stessi, non sono legislatori, non sono giudici nazionali? Per 
lo stesso giudizio delle prede marittime ancora non esistono 
quelli internazionali. E tuttavia se, come anche l’Istituto di 
diritto internazionale ha proposto per il giudizio medesimo, 
riusciremo qui ad avere arbitri d’origine neutrale, o almeno 
mista con preponderanza neutrale, codesta non sarà una dele- 
gazione fondata in una presunzione arbitraria d’incapacità e di 
parzialità, ma sibbene giustificata dalla natura stessa della re- 
lazione donde nasce la controversia da risolversi. Nel giudizio 
delle prede belliche si contende per un interesse giuridico tra il 
privato e il belligerante, il quale ultimo avendo operato la cat- 
tura, deve, quale giudice necessariamente sospetto, ritenersi in- 
compatibile. Affermare, invece, che siansi commesse infrazioni alla 
convenzione ginevrina o a un altro patto d’indole umanitaria 
consimile, e che l'imputato ne sia colpevole, infliggendogli poi, 
in caso affermativo, la pena dovuta, questo giudizio non implica 
un preciso interesse giuridico dello stato, da parte dei sudditi 
del quale, siano pur questi suoi funzionari, e anzi d’ordine ele- 
vato, sarebbesi perpetrata la violazione. L'interesse della com- 
miserazione per i feriti e i malati, a qualunque delle parti 
belligeranti appartengano, è un interesse umanitario, e perciò 
troppo superiore a quelli determinabili nella cerchia positiva 
del diritto, perchè le norme stesse del diritto possano davvero 
convenirgli. 

Allorquando le autorità militari, che già per la natura dei 
propri gelosi uffici sono tutt'altro che inchinevoli ad adattarsi 
alle incomode prescrizioni del patto ginevrino, durante il com- 
battimento procedono verso di queste senza sufficienti riguardi 
e cautele, la mala fede appare un'ipotesi inammessibile, la tra- 
scuranza un'ipotesi, se avvalorata da indizi, difficilissima da 
provarsi. Ma, ritenuto pure che fosse dimostrata la colpa di 
quelle autorità, il diritto di farne il rimprovero a titolo di de- 
litto positivo, e di fondarvi l’applicazione di una pena, resta 
ancora da dimostrarsi, perocchè non basta allegare l'obbligo 
convenzionale degli stati per esimersi questi dal debito di giu- 
stificare quel preteso diritto. Una convenzione fra stati, che 


336 EMILIO BRUSA 


obblighi direttamente i sudditi, sarebbe una singolarità. Ognora- 
chè gli stati abbiano impartiti ai propri funzionari o sudditi in 
generale gli ordini e le istruzioni opportune, e, ove questi ven- 
gano trasgrediti, abbiano provveduto a richiamare costoro al- 
l'adempimento de’ loro doveri e abbiano loro applicato le sanzioni 
penali incorse, niente più rimane da pretendersi in nome del 
patto che a tutto ciò obbligasse gli stati contraenti. Estendere 
il patto a maggiori obbligazioni trarrebbe di necessità alla 
creazione di un rapporto federativo, che implicherebbe, come 
s'è visto, la presunzione d’incapacità o parzialità nell’esercizio 
di funzioni proprie della sovranità e inalienabili, presunzione 
contradittoria per ciò, se già non fosse gratuita e insostenibile, 
quante volte lo stato non giudichi veramente della causa propria, 
ma di quella piuttosto dell'umanità, com’è nel caso presente. 

La preda bellica è un diritto o un abuso di potere, e ri- 
cade sempre a danno di un terzo, al quale, se vi fu abuso, 
spetta un positivo diritto alla riparazione del torto recatogli : 
di questo torto non può evidentemente essere giudice lo stato 
catturante. Basta, invece, e sarebbe in verità strano che non 
avesse a bastare, la sovranità giudiziaria dello stato nelle cui 
acque territoriali fu sorpresa la nave negriera, o anche di un 
altro stato diverso, per giudicare e punire i colpevoli del delitto 
di tratta, come pure, nei casi di pirateria, per perseguitare e 
punire i pirati. E se pur a tanto sono reputati sufficienti i 
poteri sovrani degli stati, non si vede perchè mai debba, a 
riguardo delle infrazioni alla convenzione sui feriti e ma- 
lati in guerra, richiedersi altrimenti la delegazione del potere 
giudiziario a un tribunale inter- 0, meglio, supernazionale. La 
pirateria e la tratta, oltrechè offendere diritti nazionali, in- 
teressano pure, per i bisogni speciali della repressione, il di- 
ritto delle genti, l'umanità. Ma qui l'umanità vien posta in 
causa senza necessità di una lotta di due belligeranti, e non- 
dimeno quel tribunale estranazionale non s'è mai richiesto per 
la punizione. Trattandosi poi della umanità verso .i feriti nella 
lotta fra due belligeranti, manca anche più manifestamente il 
fatto arbitrario e principale di un solo; la lesione che si pre- 
duce, avverasi quindi per mode incidente o conseguenziale sol- 
tanto; onde la cura di perseguitarne e punirne l’autore rientra 
tutta quanta nella sovranità principale o nazionale. 


DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 337 


Gli è delle delegazioni convenzionali della sovranità, in 
un certo senso, come dei plebisciti. Quelle, come questi, espri- 
mono un sentimento: sentimento rispettabile, anzi, se vuolsi, 
generalmente molto nobile ed elevato, qual è appunto quello 
della fratellanza, della carità o della commiserazione per gl’in- 
felici feriti e malati nelle battaglie; ma non esprimono altresì 
necessariamente un diritto. Il plebiscito, che applicato al giure 
internazionale implicherebbe l’assurdo di un diritto, anzi del 
massimo diritto di sovranità, cioè quello di modificare i com- 
ponenti dello stato, che sono il territorio e il popolo, diritto 
accordato alle frazioni dello stato, e può invece unicamente 
spettare all'intero, il plebiscito ben può tuttavia acquistare nella 
politica nazionale, e forse nella stessa politica internazionale, 
un carattere simpatico, che può rendervelo accetto. Anche le 
delegazioni di sovranità, assurde sempre che vi faccia difetto 
quell’unico motivo giustificatore, che è l'insufficienza, incapacità 
o parzialità degli stati a compiere da sè il proprio ufficio; al- 
lorchè invece tale motivo esista, ben si comprendono e coone- 
stano nel diritto internazionale. Qui il disporre di sè è, o non 
è, diritto secondo che la natura del rapporto inchiuda, o no, 
la necessità di rimediare a tale difetto; là il voto popolare va 
pregiato soltanto se contenuto nella cerchia della politica, na- 
zionale o internazionale. 

Conchiudendo insomma, alla insufficienza degli stati singoli 
in argomento di vero diritto supplisca pure un anfizionato a 
base consensuale; ma questa base non varrebbe più a reggere 
un sindacato giuridico, dove l’interesse, per quanto sia umani- 
tario, giuridico di sua natura non è, nè mai la nozione di so- 
vranità tollererebbe che fosse. Il caso della convenzione di 
Ginevra appartiene a questa seconda ipotesi. Per essa i sotto- 
scrittori hanno assunto l'impegno di provvedere, in una ragio- 
nevole misura, s'intende, a rendere immuni nella guerra i feriti 
e malati, le persone e le cose addette al loro servizio sanitario. 
Ma tale impegno non implica affatto una sanzione penale inter- 
nazionale, che in questo tema contradirebbe alla nozione di 
sovranità. L'umanità, il sentimento umanitario, è un principio 
astratto, non mai un cessionario possibile, a favore del quale 
gli stati abbiano modo di rinunziare o delegare una parte della 
propria sovranità. Il patto ginevrino estende gli obblighi della 


338 EMILIO BRUSA 


sovranità nazionale, non diminuisce, per una pretesa ingerenza 
legislativa e giudiziaria superiore, questa medesima sovranità. 
Le trascuranze da parte degli stati a dar opera efficace per 
adempiere il’ patto, provochino pure le doglianze degli uomini 
di cuore, e queste trascinino pure con sè la pubblica opinione: 
ciò è quanto di meglio può desiderarsi e, avverato che sia, non 
vi sarà più da temere che quelle si ripeteranno in avvenire. 
Tutt’al più, i pubblicisti e i filantropi, come sono riusciti a creare 
quell’ammirabile istituzione della Croce rossa, che dovunque 
risponde sempre a un tipo comune, pur svolgendosi diversa- 
mente a norma delle circostanze diverse nei vari paesi, pro- 
muovano e favoriscano quanto meglio potranno la formazione 
di una legge tipica, per servire di guida, possibilmente uniforme, 
nei provvedimenti nazionali da prendersi. Sarà molto, e nondi- 
meno poco ancora, perchè l’azione legislativa sta notevolmente 
al disotto di quella amministrativa e preventiva. 

In ultima analisi, una giurisdizione internazionale presume 
l’indegnità degli stati, li presume capaci di venir meno a un 
dovere semplicemente umanitario, benchè da loro medesimi con- 
tratto spontaneamente, come suolsi in condizioni di pace e 
amicizia. Presunzione odiosa, per quanto sia resa seria dai pre- 
cedenti, mentre che quello che importa davvero, sarebbe di 
spingere gli obbligati a fare in modo, da non essere colti mai 
alla sprovvista dallo scoppio di una guerra, affinchè dell'impegno 
da essi assunto non abbia a dirsi poi, come da taluno fu so- 
stenuto, che si riduce a una semplice manifestazione di plauso 
ai sentimenti umanitari, di cui fa prova la convenzione di 
Ginevra. Sono ordini, istruzioni da impartire, mezzi da mettere 
a disposizione delle autorità militari, sono minacce di sanzioni 
per ottenere l’esecuzione: questo e altro richiede tempo, richiede 
una certa stabilità di discipline, che soltanto una certa educa- 
zione potrebbe dare, e che durante la guerra, o poco prima, 
non si potrebbe. 

Codeste e somiglianti considerazioni bene indussero l’ Isti- 
tuto di diritto internazionale al maggiore riserbo, com'è, del 
resto, suv costume e suo speciale vanto. Ammessa l’idea della 
convenzione complementare recante l'obbligo per i sottoscrittori 
di “ elaborare una legge penale comprensiva di tutte le infrazioni 
possibili , a quella di Ginevra (art. 1), e di notificare entro tre 


DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 339 


anni, per via diplomatica, al consiglio federale svizzero, tali 
leggi e le successive modificazioni (art. 2), l’Istituto ha deli- 
berato di accordare allo stato belligerante che si lagni di qualche 
violazione della convenzione ginevrina per opera di appartenenti 
dell’altro stato belligerante, “ il diritto di domandare, con l’in- 
terposizione di uno stato neutro, che sia fatta una inchiesta. 
Lo stato chiamato in giudizio è obbligato di fare l’inchiesta 
col mezzo delle proprie autorità, di parteciparne l’esito allo 
stato neutro, che ha servito come intermediario, e di provocare, 
ove occorra, la punizione dei colpevoli in conformità delle leggi 
penali , (art. 3). Questa la sostanza della convenzione comple- 
mentare votata a Cambridge, e davvero sembra assai: perchè 
impegni maggiori non solo sarebbero stati inopportuni prati- 
camente, ma inoltre eccessivi sotto l’aspetto dei principii ra- 
zionali che governano la sovranità. In garanzia della inviolabilità 
stessa dei diplomatici una obbligazione convenzionale fra gli 
stati per prevenirne le violazioni, non fu mai creduta neces- 
saria, rimettendosene piuttosto ai costumi, e questi hanno ba- 
stato e bastano tuttora insieme con le leggi e i giudici nazionali, 
che pur bastano nella tanto gelosa materia della estradizione, 
in materia di delitti commessi all’estero contro la sicurezza 
dello stato o contro altri importanti beni giuridici aventi atti- 
nenza con lo stato, e via dicendo, nonchè, come s'è già ricor- 
dato, in tema di pirateria e di tratta. 

Tutti gli esempi che potrebbero dunque invocarsi, insegnano 
a rispettare la legislazione e la giustizia nazionale, nessuno a 
introdurre un nuovo diritto, che sarebbe veramente eccezionale 
in odio agli stati. E veggasi: tanta è la forza delle cose, che 
anche la proposta Moynier offriva già alcuni punti pieni di cir- 
cospezione, punti che fanno presentire il senso della prudenza 
e moderazione nel proponente. Ma ei sono sforzi vani, perchè 
spesi in argomenti secondari, dove invece il concetto fonda- 
mentale vi era sbagliato. Giova tuttavia il ricordarli. Presentasi 
dapprima la libertà lasciata agli stati stipulanti di designare 
le istituzioni giudiziarie neutre superiori, cui dovrà competere, 
al rompersi di una guerra, l’ufficio di arbitri inappellabili nelle 
proprie controversie concernenti le infrazioni alla convenzione 
di Ginevra. Segue poi la distinzione fra i prigionieri di guerra 
e gli altri imputati, perocchè la giurisdizione neutrale è, per i 


340. EMILIO BRUSA 


primi, ammessa soltanto come seconda istanza, e anche allora 
sol dietro richiesta del governo interessato, mentre in primo 
grado i giudici nazionali del belligerante rimangono. La pro- 
posta circoscrive, in fine, ogni giudizio arbitrale o neutro ai 
soli verdetti di colpabilità, chiamando di nuovo in ufficio il 
tribunale nazionale, quante volte, affermata la colpabilità, si 
tratti di applicare la pena, e persino rinunziando addirittura 
ad applicarla nei casi, in cui la responsabilità risalga a un fun- 
zionario d’ordine superiore e, perciò, non sia da attendersene 
un utile rinvio dinanzi al suo giudice nazionale; in tali casi la 
condanna rimarrebbe efficace per la sola eloquenza della giu- 
stizia del suo verdetto, come designazione del colpevole all’ob- 
brobrio pubblico. 

Senza discutere tutti questi temperamenti, non sarà tuttavia 
superfluo rilevare il ripetuto, benchè diverso, dualismo della 
giurisdizione, e particolarmente quello che più stride per la 
differenza di trattamento fra i semplici privati o° anche fun- 
zionari bassi, e d’altro canto i funzionari superiori. La confes- 
sione d’impotenza del sistema giudiziario proposto non potrebbe 
essere più manifesta e più significativa. A chi ci rifletta al- 
quanto per ricollegarne la spiegazione con le cause efficienti, 
apparirà chiaro, come il sistema stesso fallisca per tal modo 
là dove la sua virtù meglio dovrebbe dimostrarsi, cioè di fronte 
precisamente a codesti governi trascurati, nella cui condotta 
riprovevole sta infatti riposta l’origine stessa del progetto 
Moynier. E se quel pubblico marchio di vitupero tiene luogo 
di pena, se anzi è la sola pena che agli alti funzionari si ad- 
dica, non v'è egli da inferirne appunto, che qui veramente sì 
sostituirebbe a un atto di vera giurisdizione un semplice giu- 
dizio morale, pari in tutto a quello che può pronunciare e pro- 
nuncia la pubblica opinione, sicchè del giudice morale medesimo 
ragion voglia che ci teniamo paghi senza domandare altro? 

In ogni cosa nuova, anche buona, moderare lo zelo costituisce 
sempre una difficoltà. La linea, ideale o positiva che si voglia, 
col mezzo della quale debbano tenersi separati gli sforzi diretti 
a incivilire la guerra senza impugnare di questa il principio, 
somiglia al taglio netto fra la verità e l’errore, e non si trova; 
ciò che troviamo è una linea in qualche grado approssimativa, 
e nulla più. Il divieto, stipulato a Pietroburgo nel 1868, di 


DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, Ecc. 841 


usare proiettili esplosivi di un peso inferiore ai 400 grammi, 
a parecchi è parso già passare il segno, e non tutti costoro 
sono neppure di quelli che invocano la barbarie della guerra 
per rendere la guerra più presto intollerabile per le genti pro- 
gredite. 

L’ esperienza insegna a misurare egualmente la propria 
fiducia, tanto agli uomini rapiti nella contemplazione dell’ideale, 
quanto a quelli che non sollevano da terra i propri occhi. Si 
è in tal senso, che deve recar meraviglia a un modo stesso, 
sia l'aspirazione a tradur oggi in atto un'umanità giuridica 
consacrata dalla legislazione e dalla giustizia inter- o superna- 
zionali, sia la repugnanza ai mezzi modesti, e pur potenti, della 
carità e della pietà, cui già sin d’ora il diritto odierno non 
nega un posto capace di sodisfare alti sentimenti. In questo 
senso operasi più e meglio per il fine stesso, quanto più e me- 
glio si usufruiscano i mezzi e gl’istituti esistenti, e, nel presente 
caso della convenzione di Ginevra, si usufruisca l’influenza he- 
nefica della Croce rossa, oltre quella pur molto importante, che 
possono esercitare le autorità militari. L'uno e l’altro concetto 
ebbero valenti fautori nel seno dell’Istituto riunito a Cambridge, 
e sono entrambi savi e prudenti concetti. Di essi, però, un solo 
riuscì a farsi accogliere, e neppure nel contesto della conven- 
zione complementare come sopra adottata dall’Istituto, ma so- 
lamente in qualità di voto dal medesimo emesso. Il voto, pro- 
posto dal valente professore F. de Martens di Pietroburgo, fu 
da lui medesimo così formulato: 

“ Afin de donner à l’État belligérant dont les ressortissants 
“ sont accusés d’avoir violé la convention de Genève, tous les 
“ moyens de prouver son impartialité et la non-culpabilité des 
“ accusés, l’Institut de droit international émet le vou que 
“les puissances signataires de la convention de Genève re- 
“ connaissent l’existence et l’autorité d’un comité international 
“ de la Croix-Rouge, dont les membres pourraient, sur la de- 
«“ mande de l’Etat belligérant accusé, étre délégués par celui-ci 
“ afin de prendre part à une enquéte sur le théatre de la guerre, 
“ sous les auspices des autorités nationales compétentes ,. 

Quanta riservatezza anche in questo voto, quale accurato 
studio di scansare del pari i disegni ambiziosi e le confessioni 
d’impotenza! L'intervento della benemeritissima istituzione di 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 25 


342 EMILIO BRUSA 


beneficenza per contribuire dal canto proprio al conseguimento 
di un giudizio sereno e imparziale, è naturalmente subordinato 
alla richiesta dello stato accusato, il cui onore è posto qui in 
gioco, appunto perchè servirebbe a tal fine di potente stimolo. 
Ma una volta ch’esso risolvasi alla richiesta, è giusto che spetti 
a lui medesimo la facoltà di delegare i membri del comitato 
internazionale della Croce rossa per fare l'istruttoria del pro- 
cesso. L'istruttoria poi sarà fatta col concorso delle autorità 
nazionali, perchè vane risulterebbero altrimenti le investiga- 
zioni, che le autorità medesime volessero impedire. Nè va di- 
menticato mai, che se è facile esporsi a un’inchiesta, della quale 
l'esito tornar debba evidentemente a discolpa dell’accusato che 
la provoca, assai scarsa fiducia può, nel caso contrario, aversi 
in un'istruttoria ben condotta. Presso le autorità militari, donde 
pure può tutto o quasi tutto dipendere in tali contingenze, noi 
lo vedemmo, la Croce rossa non gode molte simpatie, perocchè 
l'intervento di questa menoma a quelle la libertà e crea anzi 
impacci. Comunque sia, il merito maggiore del voto, di che si 
parla, sta nell'avere saputo resistere alla tentazione, che era 
nata sotto forma di proposta, di addossare al detto comitato 
internazionale le funzioni di giudice, funzioni, che cumulate con 
le sue proprie d’istituto di beneficenza, ne avrebbero alterato 
la natura. È già molto che i suoi membri possano dall’accusato 
essere delegati all'inchiesta imparziale; ma a pericoli seri ver- 
rebbe indubbiamente esposta l’umanitaria istituzione, se a ca- 
gione dei verdetti di condanna, ancorchè giustamente da lei 
pronunciati, il suo credito e prestigio dovessero offuscarsi e 
declinare. 

Resta a ricordare come non abbia trovato grazia nell’ Isti- 
tuto la proposta di L. von Bar, dottissimo professore di Got- 
tinga, secondo la quale, ritenuta la necessità di non urtare le 
suscettibilità nazionali e militari dello stato accusato e, in ge- 
nerale, di escludere intromissioni intollerabili per le potenze, i 
governi avrebbero dovuto obbligarsi “ a istituire, in caso di 
guerra, autorità militari speciali con incarico di vegliare all’os- 
servanza della convenzione di Ginevra ,. Il motivo è semplice: 
bastare a tal fine le autorità militari ordinarie; che se il fine 
fosse di fare senz'altro inchieste sul modo col quale viene ap- 
plicata dalle proprie truppe la convenzione di Ginevra, le spe- 


DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 343 


ciali funzioni inquirenti implicherebbero già @ priori per il bel- 
ligerante il sospetto di trasgressioni per parte delle truppe 
medesime, donde in quelle il difetto di senso pratico. Veramente 
i comandanti han già cure molte e difficili, le quali da sole 
assorbono tutta quanta la loro attenzione e operosità, e quindi 
non riescirebbe del tutto superflua, almeno sembra, la creazione 
di un’autorità speciale, quasi pubblico ministero, com’ ebbe a 
qualificarla G. Rolin-Jaequemyns, quell’eminente pubblicista e 
uomo di stato cui l’Istituto deve la sua fondazione. L’ unico 
obietto di qualche valore, si potrebbe forse desumere dal timore 
. di introdurre un organo ingombrante per l’azione militare, azione 
cui non soverchiano mai i mezzi e le disposizioni per la propria 
rapidità ed energia. Questo è bene che venga qui osservato, 
perchè altri nella discussione di Cambridge si è lasciato trat- 
tenere dalla difficoltà di costituire la commissione allo scoppiare 
della guerra, mentre, se difficoltà vi sia da temersi, questa sor- 
gerebbe piuttosto durante il fervore delle battaglie e non prima 
o nell’imminenza della guerra. Ma la perfezione non è degli 
uomini o delle cose loro, e in questo genere di provvedimenti 
nuovi l’esperienza sola potrà dimostrare la convenienza di questo 
o quell’istituto. Intanto però i governi darebbero prova della 
loro buona volontà, sulla quale in definitiva si deve pur sempre 
contare perchè la verità possa venire in luce. 

Così i governi volessero por mano fin d’ora, ove già non 
l'avessero fatto, almeno a quelle disposizioni, che nel duplice 
intento, disciplinare e penale, valgano a garantire, in via nor- 
male e nella previsione di ogni guerra futura, l'esecuzione dei 
patti ginevrini! L'Italia nostra non è certo seconda in ciò a 
nessuna potenza, tanto col determinare chiaramente nel suo 
Regolamento del 26 novembre 1881 per il servizio dell’esercito 
in guerra, i doveri derivanti da quei patti, quanto col predi- 
sporre nel progetto del .1893 del nuovo codice penale militare 
le sanzioni per i casi di che nei patti medesimi. È pregio del- 
l’opera fare menzione di quest’ ultime, non solo come chiusa 
opportuna alla presente relazione, ma altresì quale saggio di 
ciò che uno stato può fare da sè antivenendo in tale punto 
ogni patto internazionale. 

Nel terzo libro del progetto, che tratta del tempo di guerra 
e nel suo titolo secondo sui delitti in ispecie, un capitolo ap- 


344 EMILIO BRUSA 


posito, il quinto, in cinque distinti articoli contempla e punisce 
ogni violazione di doveri verso persone inferme, ferite o morte 
sul campo di battaglia, e cioè: l’omessa assistenza ad infermi 
o feriti durante e dopo il combattimento ; l’uso delle armi contro 
ambulanze, ospedali, convogli o navi-ospedali o contro il per- 
sonale addettovi; lo spoglio d’infermi o feriti e la sottrazione 
di danari od oggetti di dosso alle loro persone, aggravando 
proporzionatamente la pena secondo che il fatto sia commesso 
con violenza, o il colpevole sia incaricato del trasporto dell’in- 
fermo o ferito, o ambedue queste circostanze concorrano insieme; 
l'arresto o la violenza contro persone addette al servizio sani- 
tario; la violazione di cadaveri umani mutilandoli o commet- 
tendo sopra di essi atti di vilipendio, ovvero sottraendoli per 
intero o in parte; lo spoglio dei morti sul campo di battaglia. 
A codesto novero s'aggiunge una disposizione del quarto capo, 
che tratta dell'abuso delle armi negli strattagemmi di guerra 
e nelle prede belliche, la quale prevede e punisce il fatto del 
militare, che, fuori del caso di necessità, omette di provvedere 
ai modi necessari per tutelare dal bombardamento gli ospedali 
e 1 luoghi in cui siano riuniti infermi o feriti, quando essi non 
siano adoperati contemporaneamente a scopi militari, e siano 
distinti mediante segni visibili indicati all’assediante. Anche 
questa testuale disposizione risponde al voto della convenzione 
ginevrina, in quanto proclama quella immunità, ch’essa, e con 
lei il progetto, a torto denominano neutralità delle ambulanze 
e degli ospedali militari non guardati da forza militare. Di co- 
desta protezione potendosi però abusare, una disposizione suc- 
cessiva minaccia adeguata pena a chiunque falsamente usa dei 
segni, che in occasione di bombardamento distinguono gli ospe- 
dali e i luoghi dove sono ricoverati infermi o feriti, oppure 
della bandiera parlamentare, o dei distintivi internazionali detti, 
come sopra, di neutralità. 

Tutto il secondo titolo del terzo libro è degno veramente 
di grande encomio per la molta cura adoperatavi nel definire 
e punire i vari delitti commessi nello stato di guerra e le cir- 
costanze modificative della loro gravità. Oltre i capitoli IV e V 
citati, esso ne. comprende pure uno sulla resistenza e la vio- 
lenza all’autorità (I), un altro sulla busca e saccheggio (II), 
un terzo sull’abuso nelle requisizioni, contribuzioni e prestazioni 


DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 345 


forzate (III), un altro intorno ai delitti dei prigionieri di 
guerra (VI), e un ultimo concernente i delitti verso i prigio- 
nieri di guerra (VII), che sono la violenza, il vilipendo, lo spoglio, 
l'evasione procurata. 

Giunto al termine delle sue considerazioni su questo titolo 
dei delitti speciali nello stato di guerra, ha avuto bene ragione 
il relatore senator Costa sul progetto di codice militare, di 
compiacersi di cotali disposizioni sue e di sentirsene tratto 
“a far voti perchè il codice penale militare italiano, abbia il 
vanto della priorità nel comprendere queste disposizioni che 
fanno solenne testimonianza dell’alto grado della sua civiltà ,. 


Gli infortuni del lavoro 1) 
(Appunti d’Igiene sociale); 
Nota del Dott. LEONARDO COGNETTI DE MARTIIS. 


L'infortunio del lavoro, tolto nel suo significato più ampio, 
è elemento biologico dell’esistenza, come del resto la morte 
stessa: è coefficiente della lotta per la vita. Quindi comparsa 
dell'infortunio fin dalle prime origini dell'umanità, e poscia il 
moltiplicarsi del fenomeno per l’uomo, troppo spesso vinto nella 
lotta combattente per strappare alla terra la materia ed ela- 
borarsela a seconda dei suoi bisogni. 

Riesce vertiginoso immaginare quale ammasso di vittime 
l'umanità ha dovuto sacrificare alle opere ciclopiche, onde essa 
ha nelle varie epoche affermata la propria grandezza. E non il 
solo sudore della fatica, ma anche il sangue delle vittime ce- 
menta i macigni soprapposti nelle mura dell’antichità remota o 
nelle piramidi d'Egitto, e stringe le spranghe dei ponti colossali 
attraversanti i fiumi e le lamiere delle corazzate poderose sol- 
canti i mari: detriti di ossa umane commiste alla terra ratten- 
gono le sponde del canale di Suez, e pavimentano le gallerie 
squarciate dalla vaporiera trionfante. 

Nella storia degli infortunii del lavoro, i quali sono tanta 
parte delle sciagure umane, si possono considerare tre periodi 
distinti. 

(1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Economia Politica della Uni- 
versità di Torino. 


346 LEONARDO COGNETTI DE MARTIIS 


Il primo è quello della barbarie. Abbraccia tutto il passato 
fin quasi a mezzo il secolo volgente. Sul campo di battaglia del 
lavoro cadevano senza numero morti e feriti; ma l'umanità per- 
maneva inconscia spettatrice del lugubre dramma. 

Il secondo periodo è della statistica. È sorto da poco più 
di mezzo secolo. Venivano raccolti i casi d’infortunio, e dalle 
cifre spaventosamente crescenti esplodeva il grido d’allarme. 

Il terzo è il periodo della previdenza, tutto contemporaneo, 
perchè non per anco decennale. Schiude la via alla terapeutica 
sociale del lavoro. 

Al secolo morente non i soli progressi della scienza, ma le 
associazioni di mutuo soccorso, le casse di risparmio, le assi- 
curazioni contro gli infortunii, i congressi per gli accidenti del 
lavoro, mezzi tutti atti a dare base solida alla previdenza, ri- 
medii non fallaci alle sventure della fatica. Al secolo morente 
il merito grandissimo di aver levato alto il vessillo della pre- 
videnza, dietro cui ora l’umanità si accalca sulla via aprica del 
benessere sociale. 

Alla 2* Sessione del Congresso Internazionale degli acci- 
denti del lavoro, tenutasi a Berna, dal 21 al 26 settembre 1891, 
l'ingegnere capo delle miniere francesi Sig. Ottavio KeLLER, in 
un rapporto sulle condizioni di una statistica razionale degli 
accidenti del lavoro, ebbe accuratamente a notare come la sta- 
tistica degli accidenti comprenda tre ordini di idee: 

1°. 1cfattie 
2° le loro cause; 
3° le loro conseguenze. 

E aggiunse: “ La statistica, che noi diciamo generale, dà 
il quadro dei fatti: la statistica tecnica e la statistica morale 
ricercano quali ne sono le cause nell'ordine materiale e in quello 
del pensiero; la statistica medica e la statistica di assicurazione 
esaminano le loro conseguenze, fisiche o finanziarie, dal punto 
di vista delle vittime , (1). 

Tra irisultati ottenuti con le diverse indagini statistiche sugli 
infortunii del lavoro ve ne sono che interessano l’igienista ed il 
demografo. Ho cercato raccoglierli in brevi appunti d’igiene sociale. 

E primieramente è da considerare l’intensità del fenomeno 
infortunio del lavoro. Le cifre più copiose al riguardo si hanno 


(1) Congrès international des accidents du travail. Berne, 1891, p. 195. 


GLI INFORTUNII DEL LAVORO 347 


per l'Inghilterra, esposte nei rapporti degli ispettori capi delle 
fabbriche e officine (1). Avendo fatto lo spoglio di tale interessante 
pubblicazione per il quarantacinquennio 1849-1894, ho raccolto 
807.373 infortunii, con 11.212 morti. In media 6.830.51 infor- 
tunii l’anno, e 249 morti. 

In Germania durante il settennio 1886-1892 furono denun- 
ziati 1.174.531 infortunii, dei quali 226.372 con diritto ad in- 
dennità, e 22.985 morti. In media 32.358 infortunii gravi l’anno, 
e 4.602 morti (2). 

In Austria durante il triennio 1890-92 vennero registrati 
62.103 infortunii, dei quali 23.823 con diritto ad indennità, e 1.616 
morti. In media 8.315 infortunii gravi l’anno, e 562 morti (83). 

Per gli altri Stati i dati raccolti finora sono puramente 
frammentarii. Così per l’Italia nel triennio 1879-1881 si ebbe 
una media annuale di 8.800 infortunii con 700 morti e 350 
inabilitati al lavoro (4). 

Anche di alcune grandi città del Regno si hanno dati raccolti. 
Così a Milano nel 1884 si ebbero a causa di infortunii del la- 
voro 1267 operai invalidi temporaneamente, 80 invalidi perma- 
nenti, 43 morti (5). Per Torino si ha la seguente tabella: 


VITTIME DEGLI INFORTUNII DEL LAVORO 


Anni morti feriti 
1884 5 102 
1885 10 112 
1886 14 175 
1887 20 304 
1888 32 205 (6) 


(1) Report of the chief inspector of factories and workshops. London, 
1849..... 1894. 

(2) Etude sur les derniers résultats des assurances sociales en Allemagne 
et en Autriche. Paris, M DCCC XCIV, p. 10, 23, 28. 

(3) Idem, p. 81. 

(4) Moisè SinigagLia, La responsabilità civile dei padroni per gli infor- 
tunii del lavoro. Torino, 1885. 

(5) Gli infortunii del lavoro nel 1883-84 e la responsabilità degli impren- 
ditori. Milano, 1885. 

(6) Relazione sull'opera del patronato di soccorso per gli operai colpiti 
da infortunio sul lavoro nell’anno 1888. Torino, 1889. 


348 LEONARDO COGNETTI DE MARTIIS 


Prendendo di mira la mortalità causata dagli infortunii in 
diversi anni ed in varii Stati si ha la seguente tabella: 


Proporzione dei morti negli accidenti del lavoro per 1000 assicurati 


1886 | 1887 | 1888 | 1889 | 1890 | 1891 | 1892 


Germania .| 0.71] 0.77] 0.68] 0.71] 0.73] 0.71) 0.65) (1) 


Austria . . 0.67| 0.66| 0.64| (2) 


Italia. ...... 1.35 | 0.76| 0.98| 0.97| 0.75 (8) 


Meglio però vale fermarsi sui dati inglesi, dai quali sì ri- 
cava il diagramma della mortalità indicata per il lungo periodo 
1850-1894. Si ha così l'andamento del fenomeno per circa mezzo 
secolo. Risulta da tale diagramma che nel 1867 la mortalità 
cominciò ad elevarsi, raggiungendo finora due massimi, nel 1877 
e nel 1890. 

Mentre la espressione infortunio escluderebbe qualsiasi re- 
golarità nella produzione del fenomeno, pure le indagini stati- 
stiche fatte finora, sebbene incomplete, lasciano trasparire la 
costanza di alcune influenze. 

Così la distribuzione degli infortunii nelle varie ore della 
giornata di lavoro non è retta dal solo caso. L'Ufficio imperiale 
delle Assicurazioni in Germania ha potuto compilare al riguardo 
la seguente tabella (4): 


(1) Étude sur les derniers résultats des assurances sociales en Allemagne 
et en Autriche. Paris, M DCCC XCIV, p. 12. 

(2) Idem, p. 83. 

(3) Etude statistique des accidents du travail d’après les rapports officiels 
sur l’assurance obligatoire en Allemagne et en Autriche. Paris, M DCCC XCII, 
p. 120. 

(4) Etude sur les derniers résultats des assurances sociales en Allemagne 
et en Autriche. Paris, M DCCC XCIV, p. 148. 


GLI INFORTUNII DEL LAVORO 


349 


Ore in cui avvennero gli infortunii 


Dalle 24 
Dalle 3 
Dalle 6 
Dalle 9 
Dalle 12 
Dalle 15 
Dalle 18 
Dalle 21 


alle 
alle 
alle 
alle 
alle 
alle 
alle 
alle 


12 
15 
18 
21 
24 


Proporzione 
p. 100 


0.2 
2.4 
12.7 
26.2 
16.6 
29.4 
11.3 
1.2 


Il massimo degli infortunii risultante da tale tabella tra 
le ore 15 e le 18 di sera, quando cioè la giornata di lavoro è 
sul finire, indica che la stanchezza dell’operaio è coefficiente 
d’infortunio. E siffatta deduzione è confermata dalla distribu- 
zione degli accidenti nei giorni della settimana, tra i quali il 
sabato coincide con la cifra massima proporzionale, come dalla 
seguente tabella, stata compilata dallo stesso Ufficio imperiale 
delle Assicurazioni in Germania (1): 


Giorni in cui avvennero gli infortunii 


Domenica . 


Lunedì . 
Martedì 


Mercoledì . 


Giovedì 
Venerdì 
Sabato 


Proporzione 
p. 100 


3.9 
16.6 
16.5 
15.6 
15.5 
15.4 
16.7 


(1) Etude sur les derniers résultats des assurances sociales en Allemagne 
et en Autriche. Paris, M DCCC XCIV, p. 147. 


350 7 LEONARDO COGNETTI DE MARTIIS 


Altro coefficiente agli infortunii è dato dalle stagioni. Os- 
servazioni, fatte al riguardo in Germania, farebbero assegnare 
il massimo degli infortunii al mese di dicembre ed il minimo 
a quello di maggio, come dalla seguente tabella (1): 


Mesi néi quali avvennero gli infortuni ua 
RIE ici DARA O PRI A CARTE CE LE 8.9 
Webb 0 o e VELE Di 
LTT 2 SMR CEERESRI (ROSSA NICO PERO de TA 7.9 
Arles 6.5 
Migicizio> Bisviory di Son OTInmrp, @iae 10, SI 6.3 
His lisi -riemenisoo: è onvissbel adluile 7.8 
A TE Gal I, SIRO Abin SOUL RA LO 19903 
iieggo OI9ft) Opasta Quan piauCHiog BISIa 9.6 
SOrEora bi e i 9.4 
UkLobre oa. re) tot cip porta ro en) Pal 
Noypembreskemiataza 1a ee aa 7.9 
VETTA RE AE 10.0 


Ma i dati raccolti in Italia a Milano per gli infortunii oc- 
corsi durante l’anno 1884 nella capitale lombarda, fanno coin- 
cidere il massimo in giugno e il minimo in febbraio, come dalla 
seguente tabella (2): 


(1) EÉtude sur les derniers résultats des assurances sociales en AUlemagne 
et en Autriche. Paris, M DCCC XCIV, p. 147. 
(2) Gli infortunii del lavoro nel 1883-1884. Milano, 1885, p. VII. 


GLI INFORTUNII DEL LAVORO 851 


too, vi : Numero 
Mesi in cui avvennero gli infortunii del 1884 a Milano 


degl’infortunii 


2 L10710 E 65 
enalotto rin iù ole ione 41 
rivi A e NAS E 99 
RO AO (DUI SIOE LO VIZEIIO 104 
MpO CE n padiszeno re db sipospovziab 165 
07 Tren eee PARI 145 
Ip een ee dti ec 146 
BERO IR pi Ponte 122 
a TRA RO ARBEIT i rideod 149 
L'Area Ta» rsa 142 
uno ene 126 
mirare ndono Mogli. Lara ca 86 


Tale disparità di risultati accenna ad altre influenze ancora 
ignote controbilancianti o superanti quella delle stagioni: forse 
topografiche, forse etniche. 

Anche l’età ed il sesso operano il loro influsso sulla pro- 
duzione degli infortunii. 

Circa l’età è interessante il crescere della mortalità negli 
infortunii parallelamente all'aumento degli anni delle vittime, 
come provano le cifre dedotte dalle mentovate relazioni degli 
ispettori capi delle fabbriche e officine in Inghilterra dal 1849 
al 1894. 


852 LEONARDO COGNETTI DE MARTIIS 


Periodo statistico 1849-94 | Adulti | Giovani Fanciulli 
intorno Poi eta 171010 1 AA 21.289 
Morti . 8.607 2.216 389 
Morti su 100 infortunii. . | 5.01 | 1.93 | 1.82 


Ma tralasciando la mortalità, cui certo è più esposto l’adulto, 
poichè a lui incombe lavoro più faticoso, e prendendo in esame 
il fenomeno infortunio nel suo complesso, si osserva il fatto 
che il crescere degli anni fa diminuire il rischio dell’infortunio, 
come traspare dai seguenti dati proporzionali su 1390 infortunii 
stati raccolti in Italia a Milano durante l’anno 1884 (1): 


Età in cui avvennero gli infortunii È “o. on 
Basa 10 ani e IAT 1.79 
li I BI RE RE RA e Ve I o 15.92 
STRO ATI) a LITTA St AO 17.91 
PATRIA RIEN SMP SAMI E 12.66 
ZO SRI e, TRO I TI 10.64 
Dal Baia e TUT 
da SO RAEE AMIR DÈ 7.05 
SRI: RCA STAR RE I ARI PENE E de 8.20 
ME 4.74 
alza ztza: eiahAa sands dibblantt 3.88 
VIS SG 0A atlioù rbrdelnià li a 3.66 
ela n at SA 2.08 
via cri ii e ristoro cada it Li 0.57 
rape iii dia, 0.50 
si iaia nni ti alianti è. RO 
Bue 160 Sine da icrrinita atasntalo! 0.07 


(1) Gli infortunii del lavoro nel 1883-1884. Milano, 1885, p. VIII e IX. 


GLI INFORTUNII DEL LAVORO dog 


Si ha una progressione crescente dai 5 ai 20 anni, e poi 
una progressione costantemente decrescente, interrotta solo da 
una lieve sosta con debole rialzo tra i 41 e 45 anni. Onde 
segue non potersi disconoscere nel carattere inerente ad ogni 
età l’esistenza di un elemento modificatore degli infortunii, nel 
senso che con il crescere dell’età in genere oltre la gioventù 
diminuisce la probabilità del disgraziato accidente sul lavoro. 

Circa l'influenza esercitata dal sesso, preziosi dati si pos- 
sono raccogliere nelle relazioni più volte mentovate degli ispet- 
tori capi delle fabbriche e officine in Inghilterra durante il 
quarantacinquennio statistico 1849-1894. 

Su 230.094 infortunii occorsi nei maschi si ebbero 10.420 
morti, cioè 4.52 °/, e sopra 76.165 infortunii nelle femmine si 
deplorarono 792 morti, cioè 1.03 °/. In Germania è stata tro- 
vata la seguente proporzione: su 100 vittime d’infortunii 78.3 
uomini, 21.7 donne (1). 

Ne segue più intensa la mortalità per il sesso maschile, 
adoperato in lavori di maggior forza e pericolo. 

Costanza anche si verifica nei danni degli infortunii, nel 
senso che le regioni del corpo umano soggette ai maltratta- 
menti dei traumi serbano proporzioni quasi invariabili. La se- 
guente tabella è improntata ai dati raccolti in Austria durante 
il triennio 1890-92 (2): 


Natura degli accidenti e proporzione ANNI 
centesimale delle lesioni 1890 | 1891 | 1892 
Ferite. Testa e faccia. . . . 9.0 3.9 3.7 
> WICCA ee get n CA 4.5 4.4 4.5 
; Braccia e mani . . . 17.3 179 EF 
i Dita. St a 18191 32.7 30.8 SL: 
" Gambe e piedi 4 SOS 22.3 23.0 23.0 
Altre parti del SREDA «Lil ASL 14.4 13.8 
Lesioni interne È 3 4.1 2.9 2.9 
LR Ae 0.4 0.4 0.5 
Annegamento . DOA 0.4 0.4 0.2 
Ferite diverse 1.2 2.5 2.3 


(1) Etude sur les derniers résultats des assurances sociales en Allemagne 
et en Autriche. Paris, M DCCC XCIV, p. 149. 
(2) Idem, p. 90. 


354 LEONARDO COGNETTI DE MARTIIS 


L'esame comparativo del trienno mostra una regolarità 
quasi matematica nel ripetersi delle lesioni traumatiche per gli 
infortunii del lavoro. Le dita delle mani pagano il maggior 
tributo; seguono poi le gambe e i piedi, le braccia e le mani, 
le altre parti del corpo, gli occhi, la testa e la faccia. 

Preziose indagini sul complesso delle cause produttrici degli 
infortunii sono state fatte principalmente in Germania, poten- 
dosi con i dati raccolti compilare la seguente tabella (1): 


Colpa | Colpa WI Colpa | Gaso Altre | Cause 
RA dei | dell’ [padronel di | forza 
Età delle vittime | ANSA T . | ma cause | deter 
padroni|operaio elio terzi | giore minate 
°lo °lo °lo °lo °/o °lo °lo 


Meno di 16 anni) 34.4 | 25.9 | 14.6 | 3.8 | 15 | 174 | 2.4 


Da 16 a 20 anni) 25.8 | 27.0 | 16.3 | 3.7. | 2.1 | 23.8 | 18 
Più di 20 anni] 16.7 | 24.1 | 20.8 | 2.6 | 2.2 | 314] 2.3 


Totali . .| 76.4 517 PTOSP98.8° P720600) 5 


Medie . | es 25.6 | 17.2 | 3.3 | 19 | 242 | 2.1 


Ne segue che in genere gli infortunii avvengono prima- 
mente per colpa dell’operaio, e poi, in proporzione decrescente, 
per colpa del padrone e dell’operaio, per colpa di terzi, per 
cause non determinate, e in ultimo per caso e forza maggiore. 

Interessanti anche sono le deduzioni che si ricavano dalla 
stessa tabella circa l’età delle vittime. Sotto i 16 anni il mas- 
simo degli infortunii è prodotto dalla colpa dei padroni, il mi- 
nimo dal caso e forza maggiore. Dai 16 ai 20 anni massimo 
per colpa dell’operaio, minimo per cause non determinate. Oltre 


(1) Etude sur les derniers résultats des assurances sociales en Allemagne 
et en Autriche. Paris, M DCCC XCIV, p. 148. 


GLI INFORTUNII DEL LAVORO 355 


il 200° anno massimo da altre cause, minimo dal caso e forza 
maggiore. Dal che risulta evidente nella produzione degli in- 
fortunii la presenza del fattore psichico, cioè l'inesperienza del 
fanciullo, l’avventatezza del giovine, la distrazione dell’adulto. 
E si noti soprattutto come per le cause produttrici degli infor- 
tunii il caso e la forza maggiore occupino gli infimi gradini 
della scala. 

Quali deduzioni possono ricavarsi dai dati statistici finora 
raccolti sugli infortunii del lavoro, specialmente dal punto di 
vista dell'igiene sociale? Benchè essi dati permangano ancora 
frammentarii, pure ci fanno intravvedere l’esistenza di leggi 
regolatrici imperanti sul fenomeno doloroso; e fra le importanti 
deduzioni ricavate da KEeLLER (1) nel suo pregevole rapporto 
sulla statistica degli accidenti, presentato al 1° congresso inter- 
nazionale sugli accidenti del lavoro, ricordiamo le seguenti: 

1° Dato un gran numero di operai dedicati allo stesso 
lavoro, vi ha costante regolarità annuale negli accidenti e nelle 
vittime (morti e feriti), ond’ è che alla parola caso bisogna dare 
il significato di leggi misteriose. 

2° Tali leggi si lasciano modificare dai mezzi che si ado- 
perano per prevenire gli accidenti e proteggere i lavoranti. 

3° Molte professioni non hanno rischi speciali; ma lo 
spostamento di masse numerose, e la lotta contro le forze ener- 
giche e gli elementi ribelli della natura, espongono a ferite ed 
anche alla morte. 

4° Il maggior numero delle industrie ha un rischio d’ac- 
cidente professionale. 

5° Il danno degli accidenti varia secondo l’industria, per 
frequenza di accidenti, per gravità, o per entrambe le condi- 
zioni riunite, come nei mestieri più pericolosi. 

6° Donne e fanciulli dànno morti e feriti in proporzione 
minore che gli uomini, essendo addetti a lavori meno faticosi. 

7° La probabilità di scampare alla morte od alla inca- 
pacità permanente aumenta con l’età delle vittime. 

8° Le cause degli accidenti sono imputabili agli operai, 
ai padroni e loro impiegati, al così detto caso fortuito. 


(1) Congrès international des accidents du travail. Tome premier, Paris, 
1889, p. 189 et suiv. 


356 LEONARDO COGNETTI DE MARTIIS 


Ma quando la statistica internazionale degli accidenti sarà 
divenuta adulta, quando ogni fattore ancora ignoto avrà la sua 
cifra comparata, quando infine l’analisi dei fatti permetterà di 
assurgere senza trepidazione alla sintesi scientifica, allora sarà 
squarciato il velo misterioso che ancora avvolge le leggi degli 
infortunti, allora si affermerà vitale la scienza degli infortunii, 
cui KeLLER porse lieto augurio nel 2° congresso internazionale 
degli accidenti del lavoro. 

Alle vittime del lavoro mano pietosa porge l'igiene sociale, 
specialmente con i soccorsi d’urgenza. Le istituzioni filantropiche 
dei soccorsi immediati, sorte nel secolo primieramente per i 
bisogni della guerra, sonsi poi estese ai danneggiati dagli in- 
fortunii; e le città manifatturiere o specialmente industriali 
vantano oggi le compagnie di assistenza pubblica, come i grandi 
opifici del lavoro contano nel loro personale anche il medico, 
pronto a soccorrere i feriti. Oggi più che mai è veramente 
giusto il paragone che si fa del campo di lavoro con il campo 
di battaglia; ma sventuratamente i soldati del lavoro devono 
affrontare nemici invincibili, quali sono le forze poderose della 
natura. 

Tale il presente. Quale l'avvenire? Si è già accennato al 
sorgere della scienza degli infortunii, e bisogna aver fede in 
questa branca novella della sociologia, perchè, come osserva 
acutamente KeLLER (1), “ i fenomeni più capricciosi in appa- 
renza nelle loro prime manifestazioni presentano al contrario 
una regolarità notevole, come han mostrato i matematici più 
eminenti, quando hanno reiterate le loro osservazioni per un 
tempo prolungato. Le cause perturbatrici sono alternativamente 
favorevoli e contrarie al cammino regolare degli avvenimenti; 
ond’è che i loro effetti si distruggono mutualmente nell'insieme 
di un gran numero di prove, e questo grande numero permette 
alle vere leggi dei fenomeni di manifestarsi chiaramente ,. 

Disperato ma vero il grido dell’illustre fisiologo torinese, 
affermante che noi non conosceremo mai la cornice che inquadra 
l'universo; ma anche la psiche umana è sconfinata, e il mate- 


(1) Congrès international des accidents du travail. 2° session. Berne, 
1891, p. 212. i 


GLI INFORTUNII DEL LAVORO 357 


matico non si arresta ad aggiungere cifre ai suoi logaritmi per 
approssimarsi sempre più a quel vero, che pur sa di non poter 
raggiungere. 

E la chiave degli infortunii è nella statistica, “ scienza che 
illumina il mondo, che contribuirà viemmaggiormente a sta- 
bilire una precisione ammirabile, dove non credevasi scorgere 
che l’effetto del caso , (1). 


(1) A. QuereLET, Fisica Sociale nella Biblioteca dell’Economista. Serie 82, 
vol. 2°. Torino, 1878, p. 317. 


L’ Accademico Segretario 


Ermanno FERRERO. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 26 


358 


CLASSI UNITE 


Adunanza del 12 Gennaio 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


In questa adunanza fu conferito il nono Premio Bressa a 
Lord Joann WiLLiam StrUTT RaAyYLEIGH, Segretario della Società 
Reale di Londra. 


Gli Accademici Segretari 


AnpREA NAccari. 


ErmANnNO FERRERO. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 
Dal 29 Dicembre 1895 al 12 Gennaio 1896. 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali 


NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; 
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. 


* Abhandlungen der mathem.-physischen Classe der k. Sichsischen Gesell- 
schaft der Wissenschaften. Bd. XXII, n° 4, 5. Leipzig, 1895; 8°. 

* Anales de la Sociedad Cientifica Argentina. Entregas V, t. XL. Buenos Aires, 
1895; 8°. 

** Annalen der Physik und Chemie. Leipzig, 1895. 

** Annales de Chimie et de Physique. Paris, 1895. 

* Annals and Magazine of Natural History. London, 1895. 

** Annals of Mathematics. Charlottesville, 1895. 

** Annuaire pour l’an 1896, publié par le Bureau des Longitudes. Paris; 12°. 

Annuario del Observatorio astronémico nacional de Tacubaya para el aîio 
de 1896. Mexico, 1895; 8°. 

** Archiv fiir Entwickelungsmechanik der Organismen. Leipzig, 1895. 

** Archives des Sciences physiques et naturelles, etc. Genève, 1895. 

** Archives italiennes de Biologie... sous la direction de A. Mosso. Turin, 
1895. 

** Archivio per le Scienze mediche, diretto da G. Bizzozero. Torino, 1895. 

* Atti dell’Accademia Gioenia di scienze naturali in Catania. Ser. 4°, 
vol. VIII, 1895; 4°. 

Atti della R. Accademia Peloritana; anno X, 1895-96. Messina, 1895; 8°. 

* Atti della R. Accademia medico-chirurgica di Napoli. Anno XLIX, 
N. s., n. IV. Napoli, 1895; 8°. 

** Beiblitter zu den Annalen der Physik und Chemie. Leipzig, 1895. 

** Bibliotheca mathematica; Zeitschrift fir Geschichte der Mathematik 
herausg. von G. Enesrròm. Stockholm, 1895. 

* Balletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College. 
Vol. XXVII, n. 6. Cambridge U. S. A., 1895; 8°. 

* Bulletin de l’Académie Royale des sciences et des lettres de Danemark. 
Copenhague, 1895, n. 2. Copenhague, 1895; 8°. 


360. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


** Bulletin de la Société anatomique de Paris, etc. Paris, 1895. 

# Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico- 
chirurgica ecc. Serie VII, vol. VI, fasc. 11. Bologna, 1895; 8°. 

* Cimento (Il nuovo). Pisa, 1895. 

* Comptes-rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences. 
Paris, 1895. 

* Éclairage (L’) électrique. Revue hebdomadaire. Paris, 1895. 

* Électricien (L’). Revue internationale de l’électricité. Paris, 1895. 

* Elettricista (L’). Rivista mensile di elettrotecnica. Roma, 1895. 

** Fortschritte der Physik im Jahre 1889, Bd. XLV, 2 Abt. Braunschweig, 
1895; 8°. 

* Gazzetta chimica italiana. Roma, 1895. 

* Giornale della R. Accademia di medicina. A. LVIII, n. 12. Torino, 1895; 8°. 

* Jornal de sciencias Mathematicas e Astronomicas. Publicado pelo Dr. F. 
Gomes Teixeira. Vol. XII, n. 2-3. Coimbra, 1894; 8°. 

** Journal de Mathématiques pures et appliquées. Paris, 1895. 

** Journal fiir die reine u. angewandte Mathematik. Berlin, 1895. 

* Journal of the R. Microscopical Society, 1895, part 6. London, 1895; 8°. 

* Mémoires de l’Académie des Sciences et Lettres de Danemark. 6° série, 
section des sciences, t. VIII, n. 1. Copenhague, 1895; 4°. 

* Monatshefte fiir Mathematik und Physik. Wien, 1895. 

* Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVI, n. 2. 
London, 1895; 8°. 

Morphologisches Jahrbuch. Herausg. v. C. GecensAUr. Leipzig, 1895. 

** Nature, a Weekly illustrated Journal of Science. Loridon, 1895. 

** Neues Jahrbuch fiir Mineralogie, Geologie und Palaeontologie, etc. 
Jahrg. 1895. Stuttgart. 

** Philosophische Studien. Leipzig, 1895. 

* Physical (The) Review. A Journal of experimental and theorical physics. 
Vol. III, n. 3. New-York, 1895; 8°. 

* Quarterly Journal of pure and applied Mathematics. London, 1895. 

* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXVIII, 
fasc. XVIII, XIX. Milano, 1895; 8°. 

* Rendiconti della R. Accademia dei Lincei — Classe di Scienze fisiche, ecc. 
Roma, 1895. 

** Revue générale des sciences pures et appliquées. Paris, 1895. 

* Revue sémestrielle des publications mathématiques. Amsterdam, 1895. 

Ritratto di Carlo Allioni. Fotografia da un dipinto (dono del sig. Emilio 
Burnat). 

* Rivista di Artiglieria e Genio. Anno 1895. Roma. 

Rivista di Matematica edita da G. Peano, vol. V, fasc. 1-2, Gennaio-Febbraio 
1895; 8°. 

Rivista di Topografia e Catasto pubblicata per cura di N. Jadanza. Vol. VIII, 
n. 5-6. Torino, 1895-96 (dono del socio Jadanza). 

* Transactions of the Royal Scottish Society of Arts. Vol. XIV, p. 1*. 
Edinburgh, 1895; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 361 


* Zeitschrift fir mathematischen und naturwissenschaftl. Unterricht. 
Leipzig, 1895. 


** Caverni (R.). Storia del metodo sperimentale in Italia. Tomo I-III. 
Firenze, 1891-93; 8°. 

** Kirchner (0.) u. Blochmann (F.). Die Mikroskopische Pflanzen- und 
Thierwelt des Siisswassers. 2 Theil: 1 Abth. Hamburg, 1895; 4°. 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche 


Dai 5 al 19 Gennaio 1896. 


* Annales de la Société d’Archéologie de Bruxelles. T. IX, liv. IIIL 
Bruxelles, 1895; 8°. 

* Annali dell’Università di Perugia. Pubblicazioni periodiche della Facoltà 
di Giurisprudenza. N. S. Vol. V, fasc. 2°. Perugia, 1895; 8". 

* Annuaire de l’Académie des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de 
Belgique 1894, 1895. Bruxelles, 1894-95; 8°. 

* Annuario estadistico de la Repriblica Oriental del Uruguay, Aîio 1894. 
Montevideo, 1895; 8°. 

* Ateneo Veneto. — Rivista mensile di scienze, lettere ed arti. Serie XX, 
vol. II, fasc. 7-10. Venezia, 1895; 8°. 

* Atti della R. Accademia della Crusca. Adunanza pubblica del 24 di no- 
vembre 1895. Firenze, 1895; 8°. 

* Atti della R. Accademia dei Lincei. Serie V. Classe di Scienze morali, 
storiche e filologiche; vol. III, p. 2*. Notizie degli Scavi. Ottobre 1895. 
Roma, 1895; 4°. 

* Biographie Nationale publiée par l’Académie Royale des Sciences, des 

. Lettres et des Beaux-Arts de Belgique. T. XII, fasc. 2; XIII, 1° fasc. 
Bruxelles, 1892-94; 8°. 

* Bulletins de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux- 
Arts de Belgique. 3° série, t. XXVI à XXIX. Bruxelles, 1893-95; 8°. 

* Documents & Rapports de la Société Paléontologique et Archéologique 
de l’Arrondissement judiciaire de Charleroi. T. XX. Maline, 1894; 8°. 

* Mémoires de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts 
de Belgique. T. L, fasc. II, LI et LII. Bruxelles, 1893-95; 4°. 

* Mémoires Couronnés et mémoires des savants étrangers publiés par 
l’Académie Royale des Sciences, des. Lettres et des Beaux-Arts de 
Belgique. T. LIII. Bruxelles, 1894; 4°. 


362 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Mémoires Couronnés et autres mémoires publiés par l’Académie Royale 
des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique. Collection in-8°, 
t. XLVII, L. Lettres, vol. I, LI, LII. Bruxelles, 1892-1895; 8°. 

# Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et des Lettres de Danemark. 
6° sér. Section des Lettres, t. IV, n. 2. Copenhague, 1895; 4°. 

Sanskrit Critical Journal of the Oriental Nobility Institute, Woking; 
England, vol. XXV, n. 9-11, 1895; 8°. 


* Boas (F.). Chinook Texts. Washington, 1894; 8° (dalla Smithsonian Insti- 
tution — Bureau of Ethnology; J. W. Powell Director). 

* Fowke (G.). Archeologic Investigations in James and Potomac Valleys. 
Washington, 1894; 8° (Id.). 

* Mooney (J.). The Siouan Tribes of the East. Washington, 1894; 8° (I4.). 

Mugnier (F.). Le dict des Jardiniers. Paris, 1896; 8° (dall’A.). 

Nadaillac (de). Foi et science. Paris, 1895; 8° (Id.). 

— Un diplomate anglais au début de siècle. Paris, 1895; 8° (Zd.). 

** Sanuto (M.). I Diarii, t. XLV, fasc. 193. Venezia, 1895; 4°. 

Stasi (P.). Introduzione alle mie Linee di Protosofia. Lecce, 1895; 8° (dall’A.). 


Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi. 


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DIAGRAMMA RAPPRESENTANTE LA MORTALITÀ DEGLI INFORTUNI! NELLE FABBRICHE E OFFICINE INGLESI DURANTE IL PERIODO STATISTICO 1850-1894 


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Rec’d.£8 July--12 Sapt. 1896 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 26 Gennaio 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Socii: Cossa, Vice-Presidente, D’OvIpro, 
Direttore della Classe, BerRUTI, FERRARIS, SPEZIA, GIBELLI, 
Gracomini, CamerANO, SEGRE, PEANO, VOLTERRA, JADANZA e 
Naccarr Segretario. 

Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza pre- 
cedente. 

Il Segretario comunica le lettere di ringraziamento di 
Lord RAyLEIGH, cui l'Accademia assegnò il premio Bressa, e 
dei Signori JorpAN, CeLoRIA, HELMERT, BoLTZMANN e TuHomson 
recentemente nominati Soci Corrispondenti. 

Il Segretario legge quindi una lettera dei Segretarii della 
Società Reale di Londra con cui invitasi l'Accademia a pregare 
il governo italiano di nominare i proprii rappresentanti per 
una conferenza internazionale che stabilisca le norme per la 
pubblicazione di un catalogo universale di bibliografia scientifica. 
Il governo fu già invitato alla conferenza dal governo inglese 
dietro sollecitazioni della Società Reale di Londra. La Classe 
delibera di pregare S. E. il Ministro della Pubblica Istruzione 
di prendere in seria considerazione quell’invito. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 27 


364 


Il Socio GrseLLI presenta in omaggio all'Accademia, a 
nome dell’autore Dott. Luigi BuscALIonI, una memoria stampata 
intitolata: “ Studi sui cristalli di ossalato di calcio ,. 

Fra le pubblicazioni inviate in dono il Segretario segnala 
una memoria del Socio Corrispondente J. KLrin intitolata: 
“ Universaldrehapparat zur Untersuchung von Diinnschliffen in 
Fliissigkeiten ,. 

Vengono accolti per l'inserzione negli Atti i seguenti scritti: 

1° “ Sullo sviluppo della Stropharia (Agaricus) merdaria. 
FrIes ,; nota del Dott. Pietro VoaLino, presentata dal Socio 
GIBELLI; 

20 “« Influenza dell'errore di verticalità della stadia nella 
misura delle distanze e delle altezze ,; nota del Socio JADANZA; 

3° “ Sui principî che reggono la geometria di posizione ; 
seconda nota del Prof. Mario Preri, presentata dal Socio PEANO; 

4° “ Sull’inversione degli integrali definiti ,; seconda nota 
del Socio VOLTERRA. 


PIETRO VOGLINO — SULLO SVILUPPO, ECC. 365 


LETTURE 


Sullo sviluppo della “ Stropharia merdaria , Frs; 


Ricerche del Dott. PIETRO VOGLINO. 


Mentre facevo fin dal 1889 alcune prove intorno alla colti- 
vazione artificiale dell’ Agaricus campester, notavo, sopra un 
mucchio di letame equino frammisto a paglia di grano (che te- 
nevo a mia disposizione per poter gradatamente trasportare nei 
letti caldi), molto abbondante la Stropharia merdaria Fries, 
nonchè (sulla paglia), dei filamenti bianchicci, con numerosi 
ciuffi bianchi che, esaminati al microscopio, riscontrai formati 
da numerosi organi di riproduzione o conidii di forma ellittica, 
lunghi 8-9u, larghi 7 pu, incolori e disposti a catenella, ch'io 
ritenni dapprima come una forma del genere Oospora. 

La presenza di questi due miceti, mi decise allo studio del 
loro sviluppo per sorprendere quelle relazioni che potessero esi- 
stere fra di essi. 
artificiali colle spore della Stropharia e coi conidii dell’ifomicete, 
le ripetei ad intervalli nel periodo di 5 anni ed i tentativi fu- 
rono coronati in questi ultimi tempi da lieto successo. Potei non 
solo stabilire il nesso genetico fra le due forme ma anche ri- 
produrre individui completi di Stropharia merdaria Fries. 

Tentai le coltivazioni nell'acqua ed in parecchi liquidi, quali 
decozioni di fimo equino, di erba, di paglia, di uva, in parecchie 
gelatine ed anche in mezzi solidi, come terra vegetale ricchis- 
sima di sostanze nutritizie e pezzi di fimo equino. I risul- 
tati migliori li ottenni colla decozione di fimo e coi pezzi di 
sterco equino e sopratutto quando mantenni l’ambiente delle 
colture molto umido e con una temperatura di 18° a 20° C. 

Preparai le colture col metodo di frazionamento, cioè col 
ridurre le spore in numero di 2, 3 o 4 al più per ciascuna pre- 
parazione. 

Molte furono le colture che fui costretto ad abbandonare e 


366 i PIETRO VOGLINO 


ciò specialmente per l’infiltrazione di muffe; solo quando curai 
di sterilizzare con tutti i metodi possibili e con sterilizzatrici a 
secco ed a vapore e con lavature in sublimato corrosivo, i de- 
cotti, i mezzi solidi ed i diversi utensili adoperati, potei avere 
risultati ottimi. Per le colture con decotti usai le camere umide 
a goccia pendente e per quelle sopra mezzi solidi le camere 
umide formate da due vetrini copri-oggetti esilissimi, molto av- 
vicinati fra loro e chiusi da tre lati con lastrine di vetro e nel 
quarto con uno strato di bombage (1). 


La forma conidiale negli Agaricini è certo ormai che debba 
presentarsi per quasi tutti gli individui. Gli studi specialmente 
del Brefeld, del De-Seynes, ecc., la misero in evidenza per nu- 
merose specie del gen. Coprinus, Panaeolus, ecc., per la Stro- 
pharia semiglobata, S. stercoraria, S. melanosperma ed io stesso 
potei già riscontrarla nello studio dello sviluppo del Tricholoma 
terreum Schaeffer (2). 

Per nessuna delle specie studiate fin ora era però ricordata 
una forma conidiale che si fosse manifestata anche senza le col- 
tivazioni artificiali e così abbondante come riscontrai sulla paglia 
di alcuni letamai. Questo nuovo fatto serve così a dimostrare 
sempre più come molte forme imperfette classificate nel gruppo 
degli /fomiceti dovranno essere ritenute come stadîì di sviluppo 
oltrechè degli Ascomiceti anche di alcuni Basidiomiceti e spe- 
cialmente Agaricini. 


Descrizione del fungo perfetto. 


La Stropharia merdaria Fries (fig. 37 e 38) ha un micelio 
formato da filamenti esilissimi, bianchicci, che si intrecciano in 
vario modo, formano dei cordoni e sono dotati di numerosi organi 
succhiatori che si attaccano alle particelle di sterco. 


DS 


Lo stipite è cilindrico, tenace, formato di minutissimi fili 


(1) Queste camere umide già da me adoperate per la coltura di altri 
Agaricini, offrono il grande vantaggio che lo sviluppo del fungillo può 
essere seguito da tutti i lati senza quasi mai asportare e quindi smuovere 
gli organi in germinazione. 

(2) Morfologia e sviluppo di un fungo Agaricino (Nuovo giornale bota- 
nico, vol. II, n. 3, 1895). 


SULLO SVILUPPO DELLA « STROPHARIA MERDARIA » FRIES 367 


bianchicci o di color giallo-grigiastro, leggermente cavo inter- 
namente e flessuoso, lungo da 2 a 3 cm. e largo 5-6 mm.; verso 
la parte superiore è coperto da un velo leggerissimo che forma 
un anello però molto fugace e bianchiccio. 

Il pileo è convesso-piano, ottuso, glabro, leggermente vi- 
schioso quando è umido, striato al margine, e di color ocraceo 
quando è secco, cervino quando è bagnato, largo da 3 a 5 cm.: 
ha la polpa interna bianchiccia, e porta inferiormente un imenio 
formato da lamelle adnate o decorrenti per un sottilissimo 
dente, orizzontali, molli, piuttosto larghe, dapprima gialliccie 
poi bruno-porporine e munite nella parte inferiore di una esi- 
lissima frangia bianchiccia. 

Sulle lamelle si notano basidii cilindrico-clavati, legger- 
mente ristretti alla base e nella parte mediana, lunghi 24-28 p., 
larghi 8p (fig. 34 e 36) con 4 sterigmi, dai quali hanno ori- 
gine spore violacee, ellittiche o amigdaliformi, lunghe in media 
10. e larghe 6u. (fig. 1 a, 5, ce). L'orlo bianchiccio delle lamelle 
risulta costituito da un gran numero di cistidiî fusoidei, legger- 
mente ristretti e tondeggianti verso la parte superiore, incolori, 
lunghi 22-24-26, larghi nella parte mediana 5 o 6 y (fig. 35). 
La Stropharia merdaria Fries cresce comunemente sullo sterco 
equino specialmente nei letamai e nella stagione estiva, io l’ho 
trovata in diverse regioni del Piemonte, del Veneto e delle 
Marche. 

Sulla paglia, in vicinanza di questo fungillo, si trovano fre- 
quentemente dei filamenti bianchicci che dànno origine a ce- 
spuglietti di conidii catenulati, incolori, ellittici, lunghi 8-9. e 
larghi 7 u. che potrebbero essere riferiti ad una forma di Oospora. 

La Stropharia merdaria è già stata figurata da varii autori, 
le figure che più corrispondono però agli esemplari da me ri- 
scontrati sono quelle date dal Cooke, Illustration of british fungi, 
tav. 597. 


Sviluppo del fungo. 


Forma conidiale. 


Se si prendono le spore mature della Stropharia merdaria 
e si collocano col metodo di frazionamento in numero di 2 0 3 
in una goccia di decotto di sterco equino, piuttosto concentrato, 


368 PIETRO VOGLINO 


ed opportunamente sterilizzato, si noterà nello spazio di qualche 
ora che le spore si gonfiano leggermente. Dopo un periodo di 
tempo, che può variare dalle 6 alle 12 ore (1), se le spore 
provengono da esemplari freschi e fino alle 26 o 30 ore se gli 
esemplari adoperati sono già essiccati (2), si nota ad una estre- 
mità della spora stessa, un forellino nell’episporio. Da questo 
ne esce in breve una piccola protuberanza incolore (fig. 1 d), 
la quale o si allunga direttamente formando il primo filamento 
del promicelio, largo da 3 a 4y., oppure, nel maggior numero 
dei casi, si rigonfia, ed alcune volte tanto da formare un organo 
ellissoidale, rifrangente, della stessa od anche di grandezza su- 
periore a quella della spora (fig. 1 f e 4 a). Quest'organo, 
nello spazio di poche ore, o si allunga direttamente in un 
filamento con diametro di 3, 5 a 4, 5 p., il quale può scor- 
rere in senso rettilineo (fig. 2) ed anche ripiegarsi ad arco 
(fig. 1 d), oppure dà origine ai lati o nella parte superiore 
a filamenti larghi circa 2 pu. (fig. 4) che si accrescono in lun- 
ghezza e larghezza fino a raggiungere un diametro di 3 a 4, Sp. 
e formano così i primi filamenti del promicelio (fig. 5). Questo 
sviluppo avviene abbastanza rapidamente. Si può calcolare 
che ogni ora si ha un accrescimento in lunghezza di circa 10 
a 15 pu. Citerò ad esempio la germinazione che ho verificato 
in una spora (fig. 4) che raggiunse lo sviluppo dato dalla 
fig. 5 dopo nove ore. Dalla spora escono anche direttamente 


(1) Ho potuto tenere un calcolo esatto delle ore perchè feci le osser- 
vazioni, nelle diverse prove, e specialmente nei primi giorni anche di notte, 
alle 10 di sera, alle 12, alle 5 ed alle 6 del mattino. Inoltre le medie sono 
dedotte dal diario di 5 tentativi, riusciti felicemente e sempre con 10 ca- 
mere.umide per seminagione. Avverto però che di 10 camere umide potei 
riuscire, la prima volta, a tenerne libera dalle muffe una sola fino a com- 
pleto sviluppo e nelle successive sempre due. L'ambiente nel quale tenevo 
le camere umide aveva una temperatura media di 20° C. Nel termostato 
a 18° C. ottenni buonissimi risultati. 

(2) Fra le diverse coltivazioni fatte nelle prime prove (giugno-luglio 
1889) adoperai, in 4 camere umide, spore di esemplari da me raccolti nei 
dintorni di Massa nell'agosto 1887 ed osservai, dopo 30 ore, un aumento 
di volume in due spore e quindi la produzione del tubo germinativo. Del 
resto adoperai sempre o esemplari freschi oppure essiccati da quindici 
giorni a 2 mesi al più. 


SULLO SVILUPPO DELLA <« STROPHARIA MERDARIA » FRIES 369 


due o tre (fig. 3), raramente quattro filamenti che si ingrossano 
alle estremità e da tali ingrossamenti hanno origine nuovi fili 
variamente ramificati. 

In alcune spore che avevano prodotto dapprima un rigon- 
fiamento molto marcato, lo sviluppo del primo ramo si mani- 
festò per alcuni giorni specialmente in grossezza, in modo da 
dare origine dopo 5 o 6 giorni ad una massa allungata con 
diametro da 12 a 14p. (fig. 8-9), che ad intervalli di 12 a 14 
ore formava rami con disposizione quasi raggiata (fig. 8) e con 
diametro da 8 a 10 u. Solo dopo una diecina di giorni si era 
costituito una specie di promicelio (fig. 8) che misurava dal 
lato più lungo 500 p. circa e dal lato più breve 120 a 130. 
Questo stadio di quiescenza dura in media undici o dodici 
giorni, in seguito i rami si allungano in filamenti con diam. 
di 2,5 a 3 p., i quali si ramificano in vario modo e formano un 
vero promicelio. 

In altre colture invece notai dopo 22 ore (1) un filamento 
lungo circa 200. e con alcune ramificazioni laterali (fig. 7). 

La media di una ventina di colture mi diede dopo 24 ore 
un filamento lungo da 40-60-90 e 100pu. e con 2 o 3 ramifi- 
cazioni laterali, con un accrescimento successivo di 10-20-30 y. 
ogni 24 ore, nel ramo principale e di 4-6-10 u. nei rami secon- 
darii. I filamenti contengono minute granulazioni e vacuoli ma 
nessuna traccia di setti, e presentano in generale lo stesso dia- 
metro nello sviluppo, solo raramente si rigonfiano in alcuni 
punti (fig. 6 @) e da questi rigonfiamenti emettono nuovi rami. 

Dalla spora adunque sia per mezzo del rigonfiamento ini- 
ziale che può o protendersi direttamente in filamenti ristretti (fig. 
1 e 2) o dare origine ad un ramo molto ingrossato con rami- 
ficazioni raggiate (fig. 8-9), oppure anche formare, o all’estre- 
mità od ai lati parecchi rami del promicelio, sia infine per pro- 
duzione diretta di uno (fig. 7) o più filamenti (fig. 3), si formano 
in uno spazio di tempo che può variare da 5-10 a 15 giorni 
dei filamenti con diametro di 2 a 3u, e variamente ramificati 
ma privi di setti. 

I filamenti mantengono per qualche tempo lo stesso dia- 


(1) Sempre calcolando dal principio dello sviluppo. 


370 PIETRO VOGLINO 


metro nello sviluppo, solo in alcuni punti presentano degli in- 
grossamenti (fig. 6 a) dai quali partono nuove ramificazioni 
con alcune anastomosi (fig. 6 c); quando poi hanno rag- 
giunto quasi il massimo del loro sviluppo in lunghezza, e ciò 
in generale succede dopo 15 o 20 giorni, allora diminuisce 
di molto lo sviluppo in quel senso ed i rami incominciano ad 
ingrossarsi verso la periferia, tanto da misurare 6 o 7u. di 
diametro. Quindi si dividono per mezzo di setti trasversali in 
varie cellule, quasi tutte con nuclei ben distinti di forma ellit- 
tica ed addossati alle pareti (fig. 10, 11, 12, 14, 15), presen- 
tano ramificazioni laterali in vario modo e frequenti anastomosi 
fra cellule contigue dello stesso ramo (fig. 13). 

Nei punti ove avviene la formazione dei setti i rami pre- 
sentano generalmente degli ingrossamenti (fig. 10 @), dai quali 
poi hanno origine altri rami (fig. 10 5), che alla lor volta si 
ramificano ancora (fig. 10 c). In molti rami sopra e sotto al 
setto si osserva un piccolo nucleo (fig. 15 a, 3), il che lasce- 
rebbe dubitare che la formazione delle cellule sia dovuta alla 
divisione dei nuclei. 

Il promicelio ha così raggiunto il suo completo sviluppo, 
tanto in lunghezza che in larghezza. 

Da tale momento i rami terminali e laterali si portano 
perpendicolari alla superficie di coltura, l’apice di questi rami 
in 10 o 12 ore si ingrossa e presenta un primo segmento 
(fig. 16 @) che separa la parte ingrossata. Dopo qualche ora la 
parte sottostante si ingrossa ancora e presenta un nuovo setto 
che va gradatamente restringendosi verso la parte interna in 
modo da dividere la porzione apicale in varii segmenti. Nello 
spazio di 20 a 30 ore al più si formano all'apice dei rami da 4 
a 6 setti, i quali dividono i filamenti in altrettante porzioni 
(fig. 17, 18, 19, 21) o conidii, di forma ellittica che dopo una 
ventina di ore si staccano (fig. 20) e cadono sul substrato. 

Tali conidii misurano da 8 a 9 pu. di lunghezza per 7 p. 
di larghezza, sono incolori. Giunti a completa maturità presen- 
tano nell'interno alcune goccioline di natura oleosa e sono ri- 
vestiti da una esilissima membrana. Alcune volte nel mezzo 
dei filamenti conidiali si notano delle porzioni maggiormente 
allungate (fig. 21 a). Per tali caratteri, questi conidii, devono 
essere ritenuti come una forma riferita dal De-Bary per altri 


iii pi “cdi. imc n nn 


SULLO SVILUPPO DELLA « STROPHARIA MERDARIA » FRIES 371 


funghi al genere Oidium, ma che siccome si sviluppa anche 


sulle sostanze in via di decomposizione parmi sarebbe meglio 
riferirla al gen. Oospora. 

I conidii sono capaci di germinare e coltivati in camere 
umide con decotto di fimo emettono dopo poche ore, da un 
lato, un filamento (fig. 22) che in breve si ramifica e produce 
una forma di promicelio con rami muniti d’organi succhiatori 
(fig. 24 a e 8). Feci numerose colture ma non potei mai otte- 
nere un ulteriore sviluppo. Quando invece collocai i conidii 
in una goccia d’acqua con detriti di humus e pezzetti di 
paglia di letamaio, notai uno sviluppo di gran lunga supe- 
riore, cioè la formazione lungo i rami di organi succhiatori e 
dopo alcuni giorni la produzione di abbondanti conidii. Ottenni 
lo stesso risultato sostituendo i conidii ricavati direttamente 
dalla forma che aveva trovato nella paglia. 

I conidii si sviluppano prontamente, quando sieno collocati 
in liquidi nutritizi con particelle solide, in ambienti molto umidi 
e con 20° C. circa di temperatura, perdono però anche molto 
presto la facoltà germinativa. 

To potei ottenere tre generazioni di conidii, tutti della stessa 
forma: feci anche le coltivazioni di conidii ottenuti dalle col- 
ture artificiali entro a vasi contenenti terra, sterco di cavallo 
e paglia opportunamente sterilizzati e collocati sotto campane 
circondate di carta bibula inbevuta d’acqua: potei dopo varii 
tentativi riuscire ad avere i pezzetti di paglia coperti da ab- 
bondante promicelio con conidii della stessa forma e grandezza 
di quelli seminati. Sulle patate e sulle carote questi conidii 
dànno uno sviluppo incompleto. 


Formazione del micelio. 


La produzione dei conidii, nelle coltivazioni delle spore, 
dura 2 o 3 giorni, cessata questa, sui rami del promicelio e 


. specialmente in quelli che si avvicinano al margine della goccia 


di coltura si mostrano degli ingrossamenti dai quali nascono 
nuovi filamenti a raggi (fig. 25), che per quanto abbia tentato 


372 PIETRO VOGLINO 


nei mezzi di coltura liquidi non potei farli ulteriormente svi- 
luppare. 

Asportai allora, colle dovute cautele, dette colture sopra 
piccole porzioni di letame equino sterilizzato e collocato nelle 
camere umide formate dai due vetrini copri-oggetti. Feci nu- 
merose prove e controprove perchè le muffe cercavano sempre 
di far capolino, alfine potei isolarne una diecina. Sopra queste 
osservai che in alcuni filamenti del promicelio si erano svilup- 
pati parecchi rami (fig. 25), i quali in breve si ramificavano 
in modo straordinario formando un vero micelio con rami fra 
loro riuniti in modo da costituire dei cordoni e frequenti ana- 
stomosi (fig. 27) con numerosi setti, nuclei (fig. 26) ed organi 
succhiatori (1) (fig. 28, a, b, c). 

Anche i conidii germinanti dopo due o tre generazioni di 
organi di riproduzione, dànno origine a rami maggiormente in- 
grossati, che si avvicinano in vario modo fra loro in modo da 
formare dei veri cordoni miceliari. 

I filamenti ed i cordoni sia nell’un caso che nell’altro sono 
perfettamente simili a quelli del micelio che si nota alla base 
di un esemplare di Stropharia merdaria. Presentano le medesime 
forme di anastomosi, lo stesso diametro di 4 o 5 p. e sopra- 
tutto organi succhiatori formati da rami ingrossati all’apice e 
finamente dentellati (fig. 28, a, 5, c). 

Servendomi dei vapori di acido osmico e quindi del piero 
carminio notai anche dei filamenti con alcuni nuclei in cario- 
cinesi della stessa forma di quelli già osservati nei filamenti 
della Clitocybe odora. 


Formazione dell'apparecchio sporifero. 


Continuando l’osservazione sopra le colture provenienti o 
dalle spore primitive o dalla germinazione dei conidii, notai 
che alcuni rami si ingrossavano in certi punti molto più degli 


(1) Questi diversi stadî potei osservarli dapprima direttamente nelle 
camere umide, ma poscia fui costretto a smuoverne la parte interna di 
modo che non potevano più essere adoperate. 


SULLO SVILUPPO DELLA « STROPHARIA MERDARIA » FRIES 373 


altri e da questi ingrossamenti avevano poi origine i primi ru- 
dimenti dell'apparecchio sporifero della Stropharia. 

È difficilissimo il poter seguire lo sviluppo di quest’organo, 
il mezzo stesso in cui si deve fare l’osservazione, costituisce 
uno dei fattori per cui la ricerca riesce così faticosa. 

Bisogna disporre di un gran numero di colture per soppri- 
merle a tempo oppurtuno. La formazione dei filamenti dell’ap- 
parecchio sporifero avviene in modo quasi analogo a quello già 
descritto per altre specie e generi affini, per cui non ripetendo 
più fatti già noti e troppo ben descritti, mi limiterò ad accen- 
nare quanto ho potuto osservare sommariamente. 

L'apparecchio sporifero è formato dapprima da rami esi- 
lissimi che presentano anche anastomosi (fig. 29). Sono per- 
pendicolari al filamento dal quale hanno origine, ingrossati 
all’apice, ricchissimi di granuli protoplasmatici ed estremamente 
teneri o gelatinosi nella parte superiore, per cui ho dovuto per 
metalli bene in evidenza ricorrere ai metodi diversi di colora- 
zione, fra i quali mi diede sempre ottimi risultati l’alcool e la 
soluzione acquosa di eosina. 

I rami esilissimi si allungano, si ramificano e si dispongono 
parallelamente fra loro presentando sempre, all’apice, un in- 
grossamento (fig. 30). Verso la parte superiore tali filamenti 
si ripiegano ad arco, in modo da formare, contorcendosi, un 
reticolato molto irregolare (fig. 33), che, per mezzo di uno o 
due esilissimi strati ‘orizzontali di cellule ellittiche (fig. 31 a), 
resta gradatamente separato dalla parte inferiore. Hanno così 
origine lo stipite (fig. 31 2) ed il pileo (fig. 31c). 

Le cellule orizzontali dopo aver segnato il limite fra sti- 
pite e pileo, si protendono anche verso l'esterno, si allungano, 
si ramificano e formano l’anello molto fugace, che si nota nella 
parte superiore dello stipite. 

La massa del pileo va poi gradatamente dividendosi in 
parecchie parti, cioè in un pigmento colorato esterno, in una 
polpa interna e verso la parte inferiore si protende in filamenti 
perpendicolari alla superficie, i quali costituiscono lo strato 
imeniale che si divide poscia in linee radiali (fig. 32) dando 
origine alle lamelle sulle quali lo strato esterno dei filamenti 
si raccorcia e forma i basidii e le spore; lo strato inferiore 
si protende nei cistidii. 


PARTITA LR È n° PLATE E 


374 PIETRO VOGLINO 


Tanto i filamenti del pileo che dello stipite si colorano 
verso la parte esterna, al primo loro formarsi, in giallo-bruno. 


Riassumendo abbiamo nel ciclo di sviluppo della Stropharia 
merdaria le forme seguenti : 
I. Le spore germinando producono promicelio con conidii 
(Oospora) ; 
II. I conidii possono germinare prontamente e produrre 
nuove generazioni di conidii ed infine anche rami miceliari con 
organi di fruttificazione della Stropharia ; 


III. Cessata la produzione dei conidii, da alcuni rami del 
promicelio partono parecchie ramificazioni, le quali si allungano 
in modo straordinario, vivono solo su mezzi solidi, formano 
austori, si riuniscono in gruppi e costituiscono quindi un vero 
micelio ; 

IV. Da alcuni rami di questo micelio hanno origine gli 
organi di fruttificazione con spore della Stropharia merdaria ; 


V. I conidii dell’Oospora che vive sulla paglia dei le- 
tamai germinando possono produrre nuovi conidii e micelio di 
Stropharia merdaria con organi di fruttificazione. 

Siccome ho in generale osservato che la formazione del- 
l’organo di fruttificazione non ha luogo che dopo molto tempo 
e d’altra parte si nota sempre sotto agli esemplari di Stropharia 
abbondante micelio, così io credo che valga a diffondere il fungo 
da una all’altra annata ed il micelio ed anche le spore che pos- 
sono germinare dopo alcuni mesi. 


SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 


Fig. 1, a, db, c, spore di Stropharia merdaria (Microscopio Koristka, oc. 4, 
ob. 9*), d, spora in germinazione, e, tubo di germinazione ripiegato 
ad arco, f, rigonfiamento iniziale (oc. 3, ob. 9%). 
» 2. Tubo di germinazione formatosi in senso rettilineo (oc. 3, ob. 9*). 
» 3. Spora che germinando produce tre filamenti ingrossati all'apice 
(oc. 3, ob. 9*). 
» ‘4 Spora con rigonfiamento (a) che forma rami laterali (oc. 4, ob. 9%). 


4 
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DI 


sviluppo 


‘Atti RAccad. delle Sc. di Torino - VOLI 


della Stropharia merdaria. 


Lit.Salussolia-Torino 


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: SULLO SVILUPPO DELLA <« STROPHARIA MERDARIA » FRIES 375 


Fig. 5. Spora coi primi filamenti del promicelio formatisi dal rigonfia- 


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addi. 
praz8. 
PIRLA 
pi 90. 
a 81 

» 832 
1.99. 


mento iniziale (oc. 3, ob. 9*). 
Spora (a) con filamenti ramificati sui quali si notano anastomosi (e) 
e rigonfiamenti (0) (oc. 3, ob. 7). 


. Spora che forma i primi filamenti del promicelio senza alcun rigon- 


fimmento iniziale (oc. 3, ob. 9*). 


. Spora (a) che dà origine ad un filamento molto ingrossato dal quale 


partono rami con disposizione raggiata (oc. 3, ob. 5). 


. Promicelio a rami molto ingrossati che in a e d si protendono in 


filamenti molto più ristretti (oc. 3, ob. 5). 


. Filamento del promicelio diviso da setti in varie cellule, con in- 


grossamenti (a) nei punti ove avviene la formazione dei setti e 
col principio di un ramo (5) (oc. 3, ob. 9*). 


. Porzioni di filamento con nucleo e setto (2) col principio di una 


ramificazione (a) (oc. 3, ob. 9*). 
Filamento del promicelio con setto e ramificazioni (oc. 4, ob. 9*). 


L con anastomosi fra cellule contigue (ce) (oc. 4, ob. 9*). 

u con ramificazione e nucleo (a) (oc. 4, ob. 9*). 

% con due ramificazioni e nuclei a e d in vicinanze del 
setto. 


Apice di un filamento con un primo setto « (oc. 3, ob. 7). 
Rami terminali con anastomosi e setti trasversali che formano i 
conidii (oc. 3, ob. 7). 
Rami terminali con setti che dànno origine a conidii (oc. 3, ob. 7). 
Porzione di ramo apicale con 3 conidii in via di formazione (oc. 4, 
ob. 9*). 
Ramo apicale con conidii che si staccano (oc. 3, ob. 7). 
Porzione di ramo apicale con 7 conidii dei quali quello centrale (a) 
molto più sviluppato in lunghezza. 
Conidio in via di germinazione (oc. 3, ob. 9*). 

È con filamento maggiormente sviluppato (oc. 3, ob. 9*). 

s germinante con filamento ramificato e munito di organi 
succhiatori (a e 5) (oc. 3, ob. 9). 


. Filamento del promicelio che dà origine a filamenti miceliari 


(oc. 3, ob. 9*). 
Filamento del micelio ramificato e con nucleo (a) (oc. 3, ob. 9%). 
5 pi con anastomosi (oc. 8, ob. ha 
si con organi succhiatori (a, d, c) (oc. 3, ob. 9*). 
Bani che dànno origine ad un apparecchio sporifero (oc. 3, ob. 9*). 
Filamenti che si dispongono parallellamente e formano poi lo sti- 
pite ed il pileo (oc. 3, ob. 9*). 


. Sezione longitudinale d’un giovane organo sporifero; d, stipite; 


a, cellule divisionali; c, pileo (oc. 3, ob. 9*). 


. Filamenti di pileo che tendono verso il basso e dànno origine 


all’imenio (oc. 3, ob. 9*). 
Tessuto interno del pileo (oc. 3, ob. 9*). 


376 NICODEMO JADANZA 


Fig. 34. Filamenti dell’imenio che si restringono e formano i basidii (oc. 3, 
ob. 9*). 
TB, = È & s z i cistidii (oc. 3, 
ob. 9*). 
» 86. 2 basidii isolati (oc. 3, ob. 9*). 
» 87. Esemplari di Stropharia merdaria (grandezza naturale). 
» 88. Sezione longitudinale di un frutto di Stropharia. 


Influenza dell'errore di verticalità della stadia 
sulla misura delle distanze e sulle altezze ©; 
Nota del Socio NICODEMO JADANZA. 


x Sia da misurarsi la distanza orizzontale tra i punti A e B. 


Il punto da cui si contano le distanze sia o sulla verticale 
di A ed onn', occ', omm' sieno le visuali che passano pei tre 
fili del reticolo dei quali il medio divida in due parti eguali il 
segmento che unisce i punti d’intersezione degli altri due col 


z 5 tileno - 1 
filo verticale, sicchè si abbia noc = com = 3 Wi W essendo 


l'angolo diastimometrico. 


| 


Sia Bmn la posizione della stadia quando essa è situata 
verticalmente in B e Bm'n' quella che essa occupa quando devia 
dalla verticale di un angolo yw. Nel primo caso la parte com- 
presa tra i fili estremi del reticolo è mn = S, e nel secondo 
caso è m'n' = S'. Se a è l’angolo di altezza dell’asse ottico occ', 
gli angoli onB, omB sono rispettivamente eguali a 


(*) Questo scritto è come un complemento dell'altro pubblicato nel 
volume XXIII (1888) col medesimo titolo. 


INFLUENZA DELL'ERRORE DI VERTICALITÀ DELLA STADIA 377 


90° — (a ++ w); 90° — (a- +4 w) 
e gli angoli 0n'B, om'B sono eguali a: 
90° — (a + + w) — y; 90° — (a mi w)— y. 


Dai due triangoli Bnn' e Bmm' si ottiene: 


Ma cos (a + ->- ») e 1 
157. cos (a+ W+v) | cosw— senytg(a +-+ w) 
Bm _ cos (a — > w) ari 1 
Bm cos (a —-2w+y) cos y — senytg(a — + è) 


donde si deduce: 


Bn' cosy — Bn = Bw'.senytg. (a Lt 5 w) 


Bm' cosy — Bm = Bwm'.senytg. (a — + w). 


Sottraendo membro a membro le due eguaglianze prece- 
denti, ed osservando che è Bn' = Bm' + S' si ha: 


S'cosyp— S= S'senytg (a++ w) A 


+ Bm' sen y | tg (a +3 v) — tg (a - + w) |, 
ovvero 
S' cosy — S=S'senytg(a +4 w) + 


2to — w 


uo Waldo, qa grata Jirvto inlz.i soa. gens) 


378 NICODEMO JADANZA 


Gli angoli y ed w sono angoli piccolissimi, trascurando le 
terze potenze di essi negli sviluppi in serie di cos y, sen y, 


1 
tg > “ ece., avremo: 


ar , 1 S' 1 ’ 
S—_ S=uy.StgaLw.y. + Wes 


così a 


+ wy Dee: re) 


così. a 


nella quale w e yw s'intendono espressi in parti del raggio. 
La formola precedente esprime l'errore che si commette 
in causa dell’inclinazione w della stadia. 
Se si moltiplica il primo membro della (2) per il rapporto 
diastimometrico, che può ritenersi eguale ad —, e per il fattore 


cos?. a, si otterrà l'errore commesso nella misura della distanza 
tra A e B. 
Indicando con è D tale errore, sarà: 


oD= "= cost.a= 148) sen a cos a + — 94 4 Br + 


2 g' 
Sa CORR 
Il caso più sfavorevole è quando la visuale 0nn' passa per 
l'estremo superiore della stadia; allora Bm' diventa L — S', 
essendo L la lunghezza della stadia. In tal caso la (3) diventa: 


S' 


È Wug #4 2a 
dD:== .8' sena cosa + yL—- FS + 7-5 008°. @ 


w 

Come vedesi, l'errore nella distanza cresce coll’angolo di 

altezza a ed è quasi sempre trascurabile per a = 0. È quindi 

conveniente nella pratica evitare le misure di distanza colla 
stadia quando il cannocchiale è molto inclinato all’orizzonte. 

L’errore nella distanza cambia segno al cambiare del segno 

di y e di a; ciò spiega il fatto accertato da molti operatori 

che, cioè, si ottengono risultamenti differenti sulla misura di 

una distanza nei terreni a forti pendenze a seconda che l’istru- 

mento si trova nel basso o pure in alto rispetto alla stadia, e 


INFLUENZA DELL'’ERRORE DI VERTICALITÀ DELLA STADIA 379 


ciò anche per distanze tali per le quali una tale differenza non 
può attribuirsi alla rifrazione. 

A verificare il fatto ora accennato abbiamo fatto delle espe- 
rienze su due punti A e B la cui distanza D = 64",60 e la 
cui differenza di livello è di circa 11 metri. In ciascuno di essi 
si è prima posta la stadia in posizione verticale, indi inclinata 


alla verticale di un angolo y = "6 = 0,0175 (in parte del 


raggio). Il tacheometro adoperato è di Traugton e Simms avente 
il reticolo composto di 5 fili orizzontali, con due rapporti dia- 
stimometrici di valore 50 (coppia dei fili estremi) e 100 (secondo 
e quarto). Ecco i risultamenti ottenuti: 


1° Tacheometro nel punto più basso A — Stadia nel 
punto più alto B. 


Letture fatte ai 5 fili del reticolo: 


Stadia verticale Stadia inclinata alla verticale 
di y= 0,0175 
3,896 Sn, 844 
3 ,500 Angolo di elevazione 3 ,506 
9,105 ASSE 8,168 
2 ,830 2 ,832 
2,497 2,498 —= Bw' 


I due valori di S' sono 1”,346 e 0,674. Calcolando i di- 
versi termini della (3) si ottiene per valore di èD 


èD = 0%,23 + 02,01 +4 02,04 


ossia 
05 02.28. 


Calcolando la distanza colle due serie di osservazioni si 
ottiene 


D = 64,60 D'Es=t042:97 


essendo D' la distanza ottenuta colle letture fatte sulla stadia 
inclinata. 
2° Tacheometro nel punto più alto B — Stadia nel punto 
più basso A. 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 28 


380 NICODEMO JADANZA — INFLUENZA DELL’ERRORE, ECC. 


Letture fatte ai 5 fili del reticolo: 


Stadia verticale Stadia inclinata alla verticale 
di y = 0,0175 
Sn, 882 3,876 
3 ,552 Angolo di depressione 3 ,548 
3,223 a'i=9912 3,220 
2,892 2,889 
2,962 D5600, = Ba 


I due valori di S' sono 12,316 e 0,659. Calcolando i di- 
versi termini della (3) col valore più grande di S' si ottiene 


è9D = — 09,16 + 02,012 + 02,045 
ossia 
De AMET: 


Calcolando direttamente la distanza si ha: 
D'=%4565; DI — bd 


I due valori di D' mostrano ad evidenza quali differenze 
si possono ottenere quando non si bada molto alla verticalità 
della stadia. Si è ottenuta una differenza di 0”,46 su di una 
distanza di circa 65 metri con angoli d’inclinazione di 12° e 9°! 
È facile vedere quali differenze si otterranno su distanze più 
grandi e con angoli d’inclinazione maggiori. 

Moltiplicando dèD per tg a si ha l'errore commesso nella 
differenza di livello tra il punto e' ed il punto o. Indicando 
con èH tale errore si ottiene: 

oH= -®.S' sen? a | ->- . S' tga + y.Bmw' .tga+ 


W 


+. È sena cosa A 
e questa nel caso di èD = 0,28 dà èH = 02,05. 

Le formole (3) e (4) indicano da sè le precauzioni che bi- 
sogna avere nella pratica dei rilevamenti di precisione. Esse 
si riducono in sostanza ad evitare, per quanto è possibile, le 
forti pendenze e a provvedere affinchè la stadia sia mantenuta 
in posizione verticale. 

È sempre conveniente fare in modo che uno dei fili estremi 
del reticolo si proietti sulla stadia in vicinanza del suolo. 


MARIO PIERI — SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO, ECC. 881 


Sui principî che reggono la Geometria di Posizione; 


Nota 2* di MARIO PIERI. 


La presente Nota e quella che le fa seguito versano in- 
torno alcune conseguenze dei principî logico-geometrici, proposti 
ed analizzati assai distesamente in altro lavoro pubblicato al- 
cuni mesi addietro sotto lo stesso titolo (*) — conseguenze 
molto importanti agli scopi della Geometria Projettiva. Gli ar- 
gomenti trattati in queste due Note pajono sufficienti a mo- 
strare come dai nostri Postulati circa gli enti primitivi punto, 
retta e segmento (projettivi) sia possibile svolgere tutta quanta 
la pura Geometria di Posizione, e quindi anche le Geometrie 
metriche astratte che ne derivano. 

Si è stimato opportuno di riprender la numerazione dei $$ 
al punto ove si arresta la Nota precedente. Tanto più che i 
risultati di quella non si potrebber riassumere in breve: sicchè 
non è possibil supporre che chi vorrà leggere o consultar la 
presente non abbia anche quella sott'occhio. 


Triangoli projettivi. 


$ 11. — Tra i vantaggi, che il segmento projettivo ($ 7) 
palesa come idea primitiva, va segnalato anche questo: che nel 
passaggio a forme di maggior dimensione il segmento projettivo 
(individuato dagli estremi ed un punto) conduce naturalmente 
al triangolo projettivo e al tetraedro (individuati mediante i 
vertici e un punto), per via non dissimile a quella, con cui 
dalla retta si giunge al piano e allo spazio. Ad una estensione 
consimile mal si presterebbe l’idea di successione ordinata. 


(*) © Sui principî che reggono la Geometria di Posizione ,: Nota di 
M. Pieri, negli “ Atti d. R. Acc. d. Sc. di Torino ,; vol. XXX (maggio 1895). 


382 MARIO PIERI 


La considerazione di queste figure “ triangolo e tetraedro pro- 
Jjettivo , riesce utilissima in molte questioni, eziandio elementari, 
di Geometria projettiva; però che in esse s’imperniano i più 
semplici fatti inerenti alla connessione del piano e dello spazio 
ordinario. G. C. von SrAupT le introdusse e ne usò (v.i p. e. i 
nn. 172-75 e 188-91 della G. d. L.) mettendone in vista alcune 
proprietà, derivanti (principalmente) dai suoi postulati circa le 
superficie coniche d’ordine pari e d’ordine dispari; ma non sap- 
piamo che altri abbia trattato quest’argomento con più diffu- 
sione e maggior semplicità di premesse. — In questo $ e nel 
susseguente, previa dimostrazione di alcuni fatti che occorrono 
assai di frequente, si studia appunto il triangolo, quale porzione 
di piano atta a projettarsi in un’altra della stessa natura; mo- 
strandosi come le sue proprietà maggiormente intuitive e più 
spesso invocate discendano senz'altro dai Postulati I-VII, XI- 
XVII e XIX (*) 


P.1. a,b,ce[0].(a,d,c) -eCl.a'ebe-1b>10.b'eca-ic-ia:9: 

: aa', bb'eKabc n [1] - de —1ca — 1ab . aa' — = db. 

.[ua' n bb']e[0]n abc > bce > ca ab (**) Teor. 

| @ Hp . P8,5$3.P9,3852.P3$4:p:a-=b.b-=ce. 

‘ea lab -=bce.be-=cq.ca--ab.a., 0 e 
igima di da, be [1] 


(8) Hp.(a).P482.P58$3:9:a0' —=bdc. bb'-=ca 


(*) Si osservi che, mentre i $$ 7-10 (eccezion fatta di P8 $10) corrono 
al tutto indipendenti dai $$ 1-6 (tanto che nell’ipotesi di ogni proposizione 
dei $$ 7-10 è permesso di leggere reK invece di re[1]), nelle proposizioni 
dei $$ 11, 12 si collegano i principî relativi a tutti e tre gli enti non 
definiti. — Circa alle nostre dimostrazioni simboliche è da avvertire che 
d’ordinario (qui, come addietro) nel corso di una singola deduzione o ca- 
tena di deduzioni non si cita più d’una volta una stessa proposizione, 
quantunque usata più volte. E col citare una catena di deduzioni si vuole 
soltanto allegare quella proposizione che nasce guardando al primo e al- 
l’ultimo membro di essa, e astraendo dagli altri. 

(*#*) Qui ed appresso la scrittura [un 0], dove v e ® siano classi, sta 
in vece di î(um è); cioè la classe um» si concepisce come l'insieme degli 
individui eguali ad [un v]). 


(to) 


(0) 


(£) 


(n) 


(1) 


(1) 


(v) 


SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE | 383 

Hp. (Gr agriatansa ra. P782: 09 secca PLIL$2 #0 
ica=c0.P582:910ca =do 519 000 Ca 

Mps tane di PR SIIT 706. 5.82: 
sii" 0 Bilbao val 

pole 000 IS) | ded PLL SZ, 
con Ud) Aa a db 

Hp .(a).P583.P485:n:a,a'ca(be). 6, d'eb(ca). 
.P14;15 85:94, 0,06,bd'eabe .P22,2185.P38219: 
‘aan bb'—-= N. aa', bbd'eKabe 


Hp.(a).P382..9-.2,ye00 n bb'ix-=y. P1582:ey: 
taa=bb': (E). ir ya dd ey MM 0 
. [aa' n 55']e[0] n ade 

Ep (0) EAT). n = di PI den. 
BEER! gian (0) VOTA = a 


(0). (2) 0.09 .. [aa' o B8']ead .(M).P582:9: 
REITe. gg P1182:9.a0=0':(MIe0)(0). 
.P6$2..09.[aa' n b9']- ad 

DSS O DOOR (9 ISTAT VERBA N77 Io CITATA CT API 9 OI ZIA RSI O 
.be=b[aa' n bb] = bd: (CIT). P682..0 
. [aa' n bb']- e de 


- (4). (8). (7). (0). (£).(M).(0).(4).M). GICDMO : 0 - Th | 


a,b,ce[0].(a,b,c) -eCl:9:[0]nade-bce>-ca-ab.-=N 
Teor. 


| Hp .Pl:i:d::ra'ede—1d-1c0.d'ecanicnia:—=agh 7.9: 


: [aa' n bb'|e[0] n ade — de — ca- ab. > =agN.° 
.P1082::0. Th ] 


384 MARIO PIERI 
P.3. a,b,ce[0].(a,d,c) »eCl.deabe>-be-ca-ab:9:de[0]. 
.iavibuicoideRKadennum 4.148 1ed vide viado 
vica-15deK[1]n KKade n num 6 Teor. 
In altri termini “ essendo a, è, c tre punti non collineari e d 
un punto del piano abc non giacente in alcuna delle rette 
be, ca, ab (ipotesi non assurda in virtù della prop.° prec.°) sa- 


ranno a, bd, c,d quattro punti distinti, e ab, cd, be, ad, ca, bd sei 
rette distinte, del piano abc ,. 


| (@) Hp. P8$8.P2,1465. P4$2:9:a-=b.b-=c. 
.c-=a.de|0]-1d8-1c-10 

(B)° ip 0) - P5$3,,P1485. P7 8250, CEDE 

(Y) Hp.(a).P583.P982:9:ab-=bdc.be-=ca.ca-=ad. 
.bc>-=cd.ca-=ad.ab-=bd 

(0) Hp.(a).P12$82:09:d3e-=bdd.ca-=cd.ab-=ad 

(£) Hp.(a).P14$2:9:c-edd.a-ecd.b-ead.P9$2:9: 
:bd-=dc.cda-=da.ad-=4db 

n)... Hp. (o)... ab ='d P782:9)degb  Pi5 Soa 
abe=cd'ibe-‘ad.ca-= hd 

() Hp(e).(8)-P3°84.P21/85.P3 82:09. ad, cd 000 
ca, bde [1] n Kade 

Hp . (0). (8). .(0).@).P6$2.(m.@:0.Th| 


P. 4. HpP3.9.[bden ad], [can dd], [adoned]e[0]n abe-1a+ 
- 18-16-14 Teor. 


Cioè “ nelle stesse ipotesi della P3, le rette de e ad hanno a 
comune un punto ed uno solo, il quale è diverso da ciascuno 
dei punti a, d, c, d: e il simile è da dire circa le coppie di rette 
ca e bd, ab e cd. 


| Hp.P8.P8$2..0-.a,yedenad.P1582:0,,.0=y: 
:P22,21$5..09:denad -=N.[bdenad]e[0]n ade 


(8) 


(1) 


(è) 


SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 385 

Hp . P3. P14,1382.P5$83:09:5,c -—ead.a,d—ebe. 
.P3$2:09.[benad]- ea vwWvievid 

Hp . (0). (8) .P1585:0. Th | 


HpP3.a'= [den ad].5' = [canbdd] . c'=[aboed]:9: 
sg-=b'. bd =. c'-=a' [adr ad], [de n d'e' |, [can 
nc'a']e[0]n ade - 1a > 16-16-14. (*) Teor. 

Hp .P4,3,1.P3,582:9:aa0'-=ca.ca=abd'.P882:0- 
AA 

Hp. P4,3.(a)..0.tab=a'8.P482:9:0' cad. P1182:9. 
na PELI) ga 40 ao. 
.P15$2..9:adna'8 —-=A.[abdea'd']e[0]o ade 

Hp Pars Map. [dna] =. PS92: pad. 
Pia nego P ELIA: 90 a 0 Pod: 
.aa'=ca:P1.P6$2.P15$5..09.[adbna'd']-era vid 

Hp.P5$3:9:cd-eab.P3$2:9.[adbna'8']- 16014 

Hp . (0). (8)-().@).P1585:0 . Th | 


Questi teoremi posson servire d’introduzione allo studio del 
quadrangolo completo (o rete del Mòsrus) e delle forme armoniche. 
Nella proposizione che segue è già rilevato il separarsi delle 
coppie armoniche. 


Po6. 


HpP5.09.[adn a'd']e[0] > (ac'8) > 1a — 18 Teor. 


|@ Hp .P3.P488:0:(0,0,d) - 01. P15,18$5.P583. 


(*) Essendo A un aggregato di simboli avente senso già noto, ed « 
un segno, o gruppo di segni, scriveremo x = A per denotare che x è per 
sostituirsi ad A; ossia che A è la definizione (nominale) di x: come è si- 
gnificato in 


{x=A.=.x=A Def! ‘Def 


386 MARIO PIERI 


b,c,d,a,c',a' 


. P14,1382:9:aeded- dbe-cd > db. (eta) P5 19: 
:bd'-=a'.[cdobd'a']e[0]-1c-1d 

(8) Hp.(a).P3,4.P3,782.P8,9,28,2,4$8:09:cd= (eleda 
nb'a']d)-1e-1d-1c.-=A 

(1), Hp.zecd -1c.P3,4.P3,11,5$2:9:. ze[0]- 10° — 18" 

(ò) Hp. zecd= 10 — ad. P3,4,1.P 6,83. P18, 1585. 
.P5,11,6,382:9.:(0,c,9')-—eCl.2ebeb'- bo cb'- bb. 
(a) P4:09.. [ben d'a]e[0] > 10-10 

(E) Hp.eecd-1d=10".P3,4,1.P3$3.P3,5,11$2.P18$5:0:: 
: (a,b,0')- €01. ceabb'— ab — bb'-—b'a.(CAPA.M. 
. P4,6$2:09.:[ab on d'a]e[0] ia 18-10" 

(n) Hp.cecd-ic-1d> 10. (7770) (E). P6 82. P15 85. 
.P3:9::[cana'z]e[0])-1c-10. [adoa'2]e[0] 1a + 
18-10 

(2) Hp.zecd-(c[cd n d'a'|]d)-1c-1d-10".(0) . (1).(0).(2).(n). 
.P8,4. P7,882.P2,7$3.P8 $10:09.:[be n d'e]= 
-e(ca'b5) . [cana'z] — e(cd'a) . P3$10:09.:[abod'z]=- 
-e(c'[abna'z]d).[abna'z]-— e(c'[adb o d'a]a).P1,7,19, 
3,5,16 $8:0.:[abBna':]-=[@bnBd'z]. a,be([aba 
nb'al[aboa'z]c'). P27$8:9:.c'e(a[lad o d'2]5) 

(A) Hp.zecd-(c[cdod'a']d)-1c-1d-—1c'.(a). P3.P7,3$2. 
.P1888: 9.: [ed n d'a']-e(c2d). P4,5. (1). P2,783. 
.P3 $10:9::[ad n d'a'|-e(a[ad n d'a]5) . (2). (£).P14$8: 
:9:. [ad e d'a']- e(ac'd) 

Hp . (A). (6).P5.P6$2:0.Th] 
Questo teorema è, in fondo, una relazione tra i quattro 


punti a, 5, c, d che si deduce da altre relazioni inerenti alla 
figura dei cinque punti a, è, c, d, 2 mediante eliminazione di 2. 


% 


Tale è il principio che informa l’ingegnosa dimostrazione do- 
vuta all’EnrIques (*), da noi qui parzialmente imitata. 
Il simbolo (abcd) leggasi “ triangolo projettivo abed ,. 


SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 387 


P. 7. a,b,ce[0].(a,d,c) — Cl. deabe—bc>ca-ab:9 .(abed)= 
= [0] -1a-1d n ze) [benax]e(d[benad]c) . [can 
nbae]e(e[ca n bd]a)} Def. 


P. 8. HpP7.09.(aded)=a(b[denad]e)nb(c[canbd]a) Teor. 


Le P7,8 voglion dire in sostanza. che “ essendo a, bd, c tre 
punti non allineati e d un punto del piano ade non apparte- 
nente a nessuna delle rette dc, ca, ad, se con da’, d' indichiamo 
le projezioni del punto d dai punti «a, 6 sulle rette bc, ca, la 
figura (adcd) sarà l'insieme dei punti x, diversi da a e 5, che 
projettati come il punto d mandano le loro imagini dentro i 
segmenti projettivi (da'c), (cd'a) — ovvero, che è lo stesso, 


(*) Loc. cit., $ 8: la quale si può forse imputare di poca simmetria 
nelle parti e dell'uso non necessario d’una proposizione (il teor.* sui triang.! 
omologici) dipendente da postulati spaziali. Con le modificazioni da noi 
portate essa è ridotta, in sostanza, al ragionamento che segue. Sia @'d'ed 
un quadrangolo costruttore del gruppo armonico «dec; e per a passino 
i lati db'e e ad, perdilati a'c e dd, per c'ecirisp.ilati cd e a d. Detto 
c' il punto comune alle linee cd e ad, prendasi nella cd un punto 2 di- 
verso da c' e separato da c' per mezzo dei punti c e d. Allora le coppie 
c, b ed a', x, projezioni delle coppie e, d e ec’, 2 dal punto d' sulla retta be, 
dovranno eziandio separarsi a vicenda; e similmente le coppie c, a e 2, y’, 
projezioni dal punto @' sulla retta ca. Ne viene che anche le coppie c,b e 
y, x, projezioni delle c, è e a’, dal punto 2 sulla retta da, si separano; 
e nello stesso modo le coppie c',a e x, y, projezioni delle c, a e d',y". Da 
ciò segue che il punto e giace dentro il segmento axd. Ma le coppie se- 
parate c, d e a', x' dànno, per projezione da d su ad, le coppie a, d e ci, x: 
quindi il punto cy non appartiene al segmento axd. Dunque i punti c' e c1 
son separati dai punti a e d. Con ciò resta altresì dimostrato che i punti 
c' e ci non posson coincidere. — La dimostrazione che si suol dare a questo 
teorema (V. p. e., Reyer, Pasca, SANNIA) è per ciò appunto in difetto, che 
presuppone distinti l’uno dall’altro quei punti e’ e ci. Veramente il Pasca 
(loc. cit., pag. 83) afferma che essi sono diversi; per altro senza addurne 
ragioni. 


388 MARIO PIERI 


(P8=PY7) l'insieme dei punti comuni alle visuali di questi 
segmenti prese dai centri a e d, (*). 


Pat9: HpP7.09.(abced)g abc—bce-ca-— ab Teor. 
[Hp:: 9 :2e(abed). P8,3,4.P7,3 $2. P1,2,4$8.P5$3. 
A SPILSTI DELANO. bee nlie=aa Pa 

— dai barale Th | 


P.510. HpP7.09.de(aded) Teor. 
[P7,9024 2P7,9 828 ‘PA, 788: P109 


ECT. HpP7.9.(ad[bdenad]) 9 (adced) Teor. 
| @) Hp. se(ad[bc n ad]) . P3,4.P7,3 $2. P1,288:0:: 
:read-ra0.P11,4$2.P5$3:9,:readbc-1b.be—-=ca. 
.P22 $5.P15$2:9.: ce[0]n ad -1a-18.[ca n bx]e[0] 

(BP) Hp. xe(ad[bcenad]). (a). P8,4. P7,3 82. P7,2 83. 
.P3$10.P3$8:9:.. [candx]e(c[ca n dd] a) 

(r) Hp.xe(ad[benad]).(a).P3.P1182:0,.[benex]= 
= [den ad|].P4.P7,3$2.P7$8:9..[denax]e(b[ben 
nad]c) 

Hp . (0). (8). (1). P7:0. Th | 


P.12. HpP7.xe[0]-1a4-15.[ben ax]e(d[benad]c).[ca n 


nbrje(e[ca n bd]a):9.:e-=c.[abncex]e(a[ad n cd]b) 
Teor. 


| (0) Hp . P3,4. P3,7$2 . P5$3.P1,2,4$8:0.. [ben az], 
[can be]e[0] > 10-18-10 

(8) Hp.(a).P3,4.P3,1182..09.:a[benax]= ax. blcan 
nbdj= bd. (9 “5"P1..0.:[arnbd]e[0]o 


(*) Cfr. SrAupr, loc. cit., n. 175. 


SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 989 


nabe-be<-ca — ab. P482.(€7 "PA. 0.0.0, = 
=[axnbd].9:2,e[0] 10. ax, =ax. [benax]>=2;. 
. [ad n cai]e [0] > 10 — 18 

(r) Hp.(a). P3,11$2:0::a[denar].=ax.blcan ba] =bda. 
ty IPO PTER O ae 100-180, 
. [ax n bx]e[0] n ade — be — ca- ad. [ax n ba] =. 
.()P3,4:09.:are[1] -10a-10b.x -=c.[adncx]e[0] 

(9) Hp.x,=[axnbdd]. (a). (8). P3,4.P7,3862.P7,283. 
.P3.$10 : 95: z;e(0d[ca n dd]) . P3 $10: px :[adn 
ncexi]e(0[ad n cd]a) . P14,3°$88: 0... (b[aboca,]a) = 
= (a|ab o cd]d) 

(E) Hp.x,=[axnbd].(0).(8). (1). P3,4. P7,382. P2,7 83. 
.P3$10:0x5: re([de n ax] a; a) . P3 $10 :0:: [ado 
nex]e(b[ad o cx;]a). (0) : 9: . [ad ex]e(a[ad n cd]b) 


Hp (o(ED.(1) ®)npa Th | 


Per la prop.° ora dimostrata, che è fra le principali intorno 
al triangolo, si potrebbe sostituire alla definiz.® contenuta in P7 
quest'altra (da aversi qui come teorema): 


P.13. HpP7.9.(aded)=[0]-1a-18-10n ce} [ben ar]e(b[de e 
nad]c).[canbx]e(e[ca n dd]a). [ad n ca]e(a[ad n cd]d)} 


la quale, tuttochè sovrabbondante, ha il pregio d’una maggior 
simmetria. Essa viene a dire in sostanza che “ essendo a, b, c, d 
come sopra (P3,7;...), se con a', d', c' indichiamo ordinatam® le 
projezioni del punto d dai punti «a, d, c sulle rette de, ca, ad, il 
triangolo (abcd) sarà l'insieme dei punti, che projettati da «, 
b, c mandano le loro immagini dentro i segmenti (da'c), (c d'a), 
(ac'5) ,. La P12 afferma che se le due prime immagini cadono 
sopra i segmenti (da'c), (cda), l’ultima cadrà per forza nel 
segmento (ac'8). — Conseguenza immediata della P13 è: 


390... MARIO PIERI 
P.14. HpP7.9.(abed)= (bcad) = (cabd) = (chbad) = (acbd) = 
= (dacd) Teor. 

[P.13,3,;4. P.6;7,982. R165:S85, RIOLO 
Onde saranno vere altresì le propos.i che nascono dalle P7,8 
permutando nei secondi membri soltanto le lettere a, 5, c fra 
loro; p. e.: 
P.15. HpP7.0.(abed) = b(e[ca o Bd]a vc e(a[abo cd] è) = 
= c(a[aboced]b)na(b[benad]e) = a(b[benad]c)n 
nbl(e[ca n bd|]a)n c(a[abdncd]d) Teor. 
[PS SEL] 


Chiamando vertici del triangolo i punti a, d, c e lati i seg- 
menti (da'c), (cd'a), ac'b), la P15, insieme con la P8, dice che 
“ ogni punto, nel quale si taglino i raggi che projettan due 
punti comunque presi in due lati dai vertici opposti ai mede- 
simi, sta sempre in un raggio projettante dal terzo vertice un 
punto del terzo lato — ed appartiene al triangolo ,. Si chiamerà 
poi contorno del triangolo (abcd) la figura (da'e) v(ed'a) v(ac'b) ù 
viauiduice, somma logica dei lati e dei vertici. Il segmento 
(P1989) ad- (ac'89) — 14-15 sarà il complemento del lato (ac'3). 
— I punti del contorno sono esclusi dal triangolo in virtù di 
P9; cioè: 

P.16. HpP7.xe(aded):9,.. e -e(b[benad]e)v(e[can bd]a)v 
v(alabocd]b) vira viduie Teor. 


[FRO(S, 4 By.3:82PTR6 0-16, 
Pitt, HpP7 . d'e(adcd) : da . (abed) = (abed') Teor. 
| (a) Hp.P9:9#.d'eabe>-be>-ca> ab 
(8) Hp.P7:94z:[benad']e(b[benad]c) . [can bdd']el(e[can 
n bd|ja). P3,4.P7,3$2.P14$8:09#:(0[ben ad]e)= 
= (b[de n ad']c).(c[canbd]a) = (e[canbdd']a) 
Hp . (0). (8). (@)P7:02. Th | 


SUI PRINCIPÌ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 891 


Pertanto “ all'oggetto di determinare un triangolo projettivo 
(abcd) si può sempre sostituire il punto d con altro punto 
qualsivoglia della stessa figura ,. Come corollario si ha: 


P.18. a,b,ce[0]. (a,db,c) — 01. d,d'eabc—bc-ca-ab :9 .. 
. (abed) n (abed').-=N:9.(abed)= (abed') Teor. 
| Hp 2.0 +. pe(abed) a (abed') -P.17 : 0; . (abed) = (abep) = 

= (abed') .-.0 . Th | 


ossia “ due triangoli projettivi coincidono, se hanno gli stessi 
vertici e un punto a comune ,,. 


bio: HpP7.zeadb: i... 2 e(alabrncd|b) viavib. =: 
: [ben dz]e(b[de n ad]c) . [can dz]e(e[ca n dd]a) Teor. 
IC Hp . P3.. P3,4,15 82. P2285:9.:2ze[0]-1d . [de n de], 


[ca n da]e[0] 
Hp .. P3,4.. P7,3 82 Li dia 2 e(a[abocd]b) ora vw . 
.P13 $8:=:2ze([ad o cd]ba) n (ba[adb n cd]). (0). 


.P2,783.P3810:=:[candez]e(c|can dd]a) . [den 
n dz]e([de n ade) «. 0... Th | 


Atteso che il triangolo (adced) non muta per lo scambio dei 
vertici (P14), nè se al posto del punto d si metta un altro 
punto qualsivoglia del triangolo stesso (P17), la P19 potrà es- 
sere enunciata in questa forma: “ Se una retta contenente un 
punto interno al triangolo incontra il complemento di un lato, 
dovrà incontrare gli altri due lati — e viceversa ,. 


P.20. HpP7.a'=[benad].d'=[canbd].c'=[abncd].x,yeabde. 
.0-=y .dexy. a, b,c-€%Y: Iggy. [do axy]=- 
= e(ac'b). = :[denay]e(da'c) . [canxy]e(cd'a) Teor. 

| Hp .P8.P3,7,1582.P2285:09,y:[adoay]ead=ra- 
215 .dlabney)=%y.(*7)P19%:rg: Th | 


392 MARIO PIERI 
P.21. HpP20.9xy.. [ben ay]e(da'c). [ca n zy]e(cd'a) [ad n xy] 
-elac'b8):v:[benxy|e(ba'c) . [can ay] <e(cd'a) . [aba 
naey]e(ac'd): v:[benxy] — e(da'c) . [canay]e(cd'a) . 
. [ab n ay]e(ac'd) Teor. 


|@ Hp . [ad o xy]e(ac'd8) . P20 .. Day. [benaxy]-e(ba'c). è. 
.v. [ca ny] e(cd'a) : P20 .. Dxy [ben ay] — e(ba'c). 
. [canay]e(cd'a).[ab n xy]e(ac'd): v:[canay]-e(cd'a). 
. [ab n ay]e(ac'd) . [be mn xy]e(da'c) 
(8) Hp.[ado ay] e(ac'8) . P20:9xy: [ad n xy] — e(ac'8) . 
. [ben ay] e(da'c) . [ca n xy]e(cd'a) 
Hiba: 09 «ABI da Th | 


La P21 (dacchè ogni punto di (adcd) può tener luogo del 
punto d) viene a dire in sostanza che “ ogni retta giacente nel 
piano abc, la quale contenga un punto, ma non un vertice, del 
triangolo projettivo (adcd), taglia necessariamente due lati del 
triangolo stesso e non incontra il rimanente ,. D'altra parte 
ogni retta (P12), la quale unisca un punto interno al triangolo 
con uno dei vertici, taglia sempre il lato opposto al medesimo. 


P.22. HpP7.zeab > (a[abned]b)>- 1a -10:9::([ben de]d[ca n 
o dz])o (abcd).([be n de] [can dz]) n (abcd)=A Teor. 

|@ Hp.P.3,4,19 .P3,7,15 82. P3$4.P21,22 85. P2,488:0.: 
:26[0] n abe-1d.dze|1] o Kabe-1abB=1ca . [de n da]e[0]> 
-id-idb-r0-12.[ca n de]e[0]-1d — 1ec1a 12. [bem 
nde]-= [ca n de] 

(8) Hp.(a).P3,4.P3,7$82.P7,2$3.P3$810:0.:2-e([can 
nde)d[be n de]).P21$8:0..([cand:]d[ben de]) 9 
I([ca n de] de) 

(7). Hp te([bcn del'alcandz]) (0) PS :P3;,,15$ 2000008 
.P2285.P1$88:09,:te[0] n denabe-tre-10. [ben 


, SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE . 393 
nat], [ad n ct] e[0] . (B). P4.P3$8.P7,2$3.P3$10: 
‘Ig te[0]ic-1a>.|bdenat]e(d[de n ad]e).[ad n ct]e 
e(a[ab o cd]b5) . P7,14:9.:. te(aded) 
(5) Hp.te([bcn de]a[can de]). (0a). P3 . P3,7,1582.P5$3. 
.P22 85. P1$8:09,::t6[0] o denade-1c.[ab a ct]e[0]. 
. P7,2$3. P3$10:9.::[ad aci] e(d2a) .P4.P28,3 $8: 
‘Oz: [adoct]- e(a[ad n cd]b) . P13 : 9. .t- e(aded) 


Hp. (1). (0):0.. Th | 


La P22, se si tien conto delle precedenti, dice che “ ogni 
retta non passante per alcun vertice del triangolo, ma conte- 
nente un punto interno al medesimo, resta divisa dai punti ove 
essa taglia il contorno in due parti, una interna e l’altra esterna 
al triangolo ,. Che lo stesso fatto succeda, se quella retta ap- 
partiene ad un vertice, s'è già parzialmente affermato in P11: 
il resto al lettore. 


$ 12. — Nel presente $ noteremo alcune proprietà del 
triangolo, per la dimostrazione delle quali ci occorre general- 
mente la P6 del preced.° $, di cui finora non s'è fatto alcun uso. 


P.1. a,5,ce[0].(a,b,c) —eCl. deabe — be- ca— ab . re(b[be n 
nad]e).ye(e[canbd]a) : Iay. [eb xy] e[0] > (a[ado 
ned|b)-1a-— 15 Teor. 
| @ Hp .P3$11.P7,3$2.P5$8. P1,2,4$8.(£H)P1811: 
‘Fay: re[0]nde- 18 -ic-10.ye[0]nca-1c-1a > 18. 
.[ax n by] e[0|]nabe>bc-ca > ab 

(8) Hp.t=[axn8y].(0).P3,4811.P3,782.P5$3. P11$4. 
.P1$88:9xy: fea(b[de nm ad]e) n b(e[ca e bd]a) . P8$11: 
:Oxy te(aded) . P7,12$11:9,y:[adoct]e(a[ad o cd]d). 

. P14$8 :9xy: (a[ad n cd]B) = (a[ado ct]3). te(abded) 


(Y) Hp.t=[axndy]. (a). P3,4,1432 : Day: reat. yebt. 


394 MARIO PIERI 
MMP£SIT:D,, 1 [bena)= 2 can] =yP.8928 
(Ga #)P6$11:0xy:[a0n2y]e[0] = (a[ado ct] B) > ia 
15. (8) : Day - [dd 2y]e[0] = (a[ado cd]b) — 1a — 18 


HPA 9 Th | 


La P1 esprime che “ la retta congiungente due punti presi a 
piacere sopra due lati del triangolo non incontra mai il terzo 
lato ,. Nell’opera di StAUDT ciò risulta immediatamente da certi 
principî generali di analysis situs circa le superficie coniche (*): 
ond’è che la (nostra) P6$11, conseguenza immediata della pre- 
sente, vi si dimostra (**) in modo tanto più semplice. Ma non 
è men notevole il fatto, che i fondamenti della Geometria Pro- 
jettiva siano resi indipendenti da quei postulati di StAuDT sulla 
connessione del piano (stella). 

La prop.® prec.° si può a questo modo invertire: “ Se una 
retta incontra il complemento d’un lato ed uno qualsiasi degli 


altri due lati, dovrà tagliare eziandio il rimanente ,. Ciò è. 


significato dalla : 


P.2. a,b,ce[0]. (a,d,c) - 01. deabce — be -—ca- ab . zeab— 
- (alada cd]b) -1a-10. ce(b[bc n ad]c): ds. [canzx]e 
e(c[ca n dd]a) Teor. 
| @) Hp . P3,4 $11. P3,7,1582 . P22 $5. P1,2,488:0%: 
: 2,c6[0]n ade. cede - 18-10-12. [canex]e[0] n ca + 
-le-ia 
(8) Hp.y=[canez].(0).(2WM)P1$811:9,5- [arnby]e[0]o 
nabe be -ca— ab 
(r) Hp.y=[can2zx].t=[axnby]. (a). (8). P3,7,14 82. 
.P583:9,,: seat. yedbt.. (4) P4,5,6 SL1.PS9S20008 
: [Ben at] = x. [canbt]= y.[aboci]e[0] 1a 18. 
.x-=yY.[abnxy|e[0] = (a|adoct]5) — 1a — 18 


(*) Loc. cit., nn. 15,16, 17, 18, 20. 
(**) Ibidem, n. 93. 


» de 


SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 395 
(9) Hp.y=[canex].t={[axnby]. (0). (1). P3,13 82 :0:s: 
zexy .[aboxy] = 2.ze[0] > (a[adbaci]06) > 1a — 18. 
.P3,4$11.P782.P18$8:9.: [ad cd], [ad eci]eab- 
> (1205) 1a — 18. P1889:9,5:(a[ad n cd]5) = (a[ado 
n ct]6). P7 $8: 0.5: [adoci]e(a[ad n ed]3). P7,14 $11: 

Oa: te(aded) .P13 $ 11:95. [ca nbdi]e(e[ca n dd]a) 


Hp . (5). (r)-(B):0- Th | 


Dalla P2 deriva subito quest’altra: “ Ogni retta, la quale 
unisca due punti situati nei complementi di due dei tre lati, 
taglia ancora il complemento del terzo ,; vale a dire: 

P.3. @a,b,ce[0].(a,b,c)-el.deabe > be-ca—ab.zeab- 
- (a[abocd]b) 1a — 16. rebe-(b[be n ad]c)>1b-1c: 
: Oz - [can 2x]e[0]- (e[ca n bBd]a) rc 1a Teor. 


E dall’insieme delle P1,2,3 si raccoglie che “ una retta gia- 

cente nel piano del triangolo, ma non contenente alcun ver- 

tice, o non incontra affatto il contorno, o lo taglia [in due 

punti ,, cioè: 

P.4. a,b,ce[0]. (a,b,c) >eCl. deabe — bc -ca-—ab . a' = [ben 
nad|.b'=[canbd].c'=[abncd].uveabe.u-=v. 
. a,b, c > EUO : Fu." . [ben uvn]e(da'c) . [can uv]e(cd'a) . 
. [abn uv] — e(ac'b): v:[de n w]e(da'c). [ca nu]- 
-e(cd'a).[abnuv]e(ac'd) :v:[bBenuv]- e(ba'c) . [can 
nuv]e(cd'a) . [abnuv]e(ac'b) :v:[denuv]- e(ba'c). 

. [can uv] -e(cd'a).[abn uv] = e(ac'd) Teor. 

La dimostrazione simbolica di queste ultime due propos. è 

rimessa al lettore. 

P. 5. HpP1.9xy. [cdnxy]e (aded) Teor. 


| @ Hp . P3,4811 . P8,5,7,11 82. P3 84. P1,2,3,4,14 88 :0xy: 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 29 


396 MARIO PIERI 
:rebe-1b>1c.yeca-ra-12.xrye[1]-10b-1bc-10d. 
. (ced) = (c[de n ad]d) 

(8) (Hp (a) P83'$11..P3;7,1582° P2285 .Pl:0a: 040 
nxy]e[0] > 1a . [odo xy]e[0] — (a[ad o cd]b) > 1a 18 + 
10-17 

©) Hp.(p).P3,4811.P7,382. P18,5,388:0xy:[abned]e 
e(ab[abnxy]. (a). P2,7$3.P3$10:9xy. [ed nay]e 
e (y: [ad © ay) “0 

(0) Hp.t=[cd 0 xy].(8). P3 $11. P3,7,15 $2 . P5 83. 
.P22 85: 0xy: [den at]e[0]. (1). (a). P£$11.P2,783. 
.P3 $10: pay: [den at]e(c[bcn ad] B) . P3 $10: Qay 
.[ed n xy]e(cd[ad o cd]) 

Hp . (è). (28%)P11811. P15$5.P14811:0s- Th | 


Così resta provato che “ la retta congiungente due punti, 
presi a piacere sopra due lati, penetra dentro il triangolo ,; e 
di qui tosto risulta, grazie alle P22,17$11, che “ i segmenti in 
cui la retta è divisa da que’ due punti sono l’uno interno e 
l’altro esterno al triangolo , — ossia che: 


P.6. HpPl.9x,y:(e[cd o ey] y)p(abced).(e[ad o xy]y) o (abced)=A 
Teor. 


Più generalmente si può anche concludere che “ penetra 
nel triangolo (adced) qualsivoglia retta del piano abc, la quale 
tagli uno dei lati ,; però che essa, in virtù di P4, dovrà ta- 
gliare eziandio un altro lato, o passar per un vertice: onde si 
ritorna alla P5, od alla P11$11. 


P.7. a,b,ce[0]. (a,5,c) -e01. deabe-be-ca-ab.ee[0]+ 
-(abed)=bc-1a.[bc n ae]e(b[de n ad]c):9:[ca o deJe[0]> 
= (c[ca n bBd|]a) — 16 — 1a. [abace]e [0] — (a [ad n cd]9) — 


-1a-1d Teor. 


SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 397 


Cioè “ se la retta che unisce un punto esterno al triangolo 

con uno dei vertici taglia il lato opposto al medesimo, le rette 

che uniscon quel punto con gli altri due vertici taglieranno i 

complementi degli altri due lati ,. Deriva immediatamente dalla 
definizione di triangolo (P7 $11). 

P.8. a,b,ce[0].(a,b,c) —eC1. deabe > be-ca— ab .ee[0]- de- 

1a. [ben ae]e(b[de n ad]e).[ca n de] -e(e[ca n dd]a):9. 

. [ade ce]e[0] = (a[ad n cd]6) — 1a — 18 Teor. 

[Hp .P7$11:09:e-e(aded).P7:09.Th] 


P.9. a,b,ce[0].(a,5,c) -eCl.dieeabe-be-ca—ab.[bcn ae] > 
- e(b[de n ad]c). [can de]-e(c[ca n dd]a):9.[abece]e 
e(a[ab n cd]d) Teor. 

[| @ Hp.x=[bcnae].y=|[cande].2= [adoce]. (9P3,4, 
6$11.P3$2:9:2eab-14-10.[adnxy]ead > (azb)— 
-—1a —15.P7$2.P18$8:9:2645- (a[ado xy]9) > 1a 
-—18.[adnxy]eab>-1a —18 

(8) Hp (a). (;)P3,4$11.P3$82:09:%rebe-1d-1c.yeca— 
-ie> ia .(27024)P3 . P15$5:0:[abdon2y]ead - (a[ado 
ncd]b) - 1a —1.P3,4$811.P782.P18$8:9:[adn 
ned]jeab > (a[abn xy]9) — 1a — 18. (a) . PI8 $9. P7 $8: 
:9.ze(a[adeced]d) 

Hp . (8). (a):0 . Th | ! 
Da queste due P8,9 e dalla P12$11 si raccoglie: 

P.10. a,b,ce[0].(a,b,c) e Cl. dieeabe-bc>-ca—ab.a'=|bcn 
o ad).b'=|[canbd].c' =[abned|. a'= [benae]. 
.b'=|[canbe].c'=|[abnce]:9.. ae(da'c). d'e(cd'a). 
.c'elac'b) : via'e(ba'e). d'-e(cd'a). c''-el(ac'8) : L: 
sv:ra'-e(ba'c). dD'eleb'a).c''-elac'by:v:a''- e(ba'c). 


. bd'-e(cb'a).c''e(ac'd) Teor. 


398 MARIO PIERI 


Vale a dire, in somma “ Se un punto e del piano abc, non 
giacente in alcuna delle rette dc, ca, ab, sia projettato dai punti 
a, b, c su queste rette, le imagini cadranno tutte e tre sul con- 
torno del triangolo abed, oppure una sola di esse cadrà sul 
contorno (e ciò secondo che il punto è interno od esterno al 
triangolo) ,. 


P.11. a,b,ce[0].(a,b,c) —eCl. d,e,f,geabc— bc-ca— ad . e,f,g>- 
-e(abed).[be n ae]e(d|be n ad]c).[ca n bf]e(c[ca n bd]a). 
.[abeceg]le(a|ab o cd]b):p9 .abe=bcvcavabo(abed)v 

v(abee)  (abef) + (abeg) Teor. 


|@ Hp.9:0'=[benad].d'=[canbd].c' =|[abocd|. a"= 
= [ben ae]. bd'=|[canbde|.c'= [aboce|.a'""=[bcn 
naf].0"=[canbf).c'=|[abocf}.a"= [ben ag]. 
.b"=|[can bg]. c"=[abocg] 


(8) Hp.(a).P7.P3,14$811.P1585:5: 0”, 0" elcb'a) el 


c'''=e(ac'b) . a'',a"= e(ba'c) 


(r) Hp.peabce-be-ca-—ab.(a).P10..9,.. [den ap]e(ba'c) . 
[can bp|e(cb'a) .[abancep]e(ac'd): v:[benap|e(ba'c). 
.[canbp|- e(cb'a) . [abncp] — e(ac'd) :v:[benap| — 
-— e(da'c). [can bp|e(cd'a). [abocep|]-e(ac'b):v: [ben 
nap|-e(ba'c).[can bp|-e(cd'a). [ab cp|e(ac'd) : (8). 
-P3,4811.P7,3 $2.P7,14$8.P1889 0, . [be n aple 
e(ba'c) .[canbp]e(edb'a). [abncep]e(ac'db): v:[benap]e 
e(ba'c).[canbp]|e(eb'a).[abocep|e(ac"d):v:|[ben 
naple(da"'c).[canbp]e(cd'"'a).[abocep]e(ac'"b):v: 
:v:[dbenap]e(ba"c). [can bp]e(cb'a).[abo cp|le(ac'"b): 
:P13$11..09,:pe(adbed) .L. pe(abcee).v. pe(abef).L. 
.v. pe(abeg) 


SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 399 
(5) Hp.P9,3$11:09.(abed) v(abce) v (abef) v(abeg) v be vea 
vabi ade 
Hp. (n.@):0. Th | 


Pertanto: “ Le rette ad, dc, ca spezzano il piano adc nei 
quattro triangoli (aded), (adce), (adef), (abeg) per modo che, 
tolte esse rette, il piano è la somma logica dei quattro trian- 
goli ,. Due qualunque dei quali non hanno punti comuni: 


P.12. HpPl1.9.(abced)o}(abcg) v(abef) v(abeg))} =A Teor. 


| Hp n.9 (abed) n} (abce) è (abef) è (abeg)t "=. P18 811: 
:9:(aded)= (abcee).v.(abed) = (abef).v.(abed) = 
= (abeg) : PIOSI1 N: eelabedf. Lv. felabed) .L. 
.v.gelabed) . 9. Th | 


Nè sarà superfluo il mostrare come “ sotto le stesse ipo- 
tesi, una retta arbitraria » del piano abc, sempre che non passi 
per alcuno dei punti a, 5, c, penetra sempre in tre dei quattro 
triangoli (adcd), (adce), (abcf), (abcg), anzi in tre solamente ,. 
Invero, preso un punto p sulla r, il quale non appartenga a 
nessuna delle ad, dc, ca (come è lecito per le P7,8$8); questo, 
per la P11, giacerà in uno dei quattro triangoli, p. e. in (adcd). 
Allora, in forza di P21$11, la r dovrà tagliare due volte il con- 
torno di (adcd): p. e. nei punti «, v situati rispettiv.° sui lati 
(5a'e), (cd'a). Quindi (P1) il punto w=rnad giacerà fuori del 
segmento (ac'd), al pari dei punti c'’ e e" (P7); vale a dire 
(P19$9) starà nei segmenti (ac'’d) o (ac'’'8) che non differiscon 
tra loro. Ma neppure differiscon tra loro (P14$8) i segmenti 
(ba'c), (ba''c), o i segmenti (cda), (cda): cosicchè la retta 7 
taglia eziandio doppiamente il contorno di ognuno dei triangoli 
(abce), (abcf), ossia (P5) penetra in essi. Infine, poichè nessuno 
dei punti «, v, w appartiene al contorno (da!Ve) v (cda) v (ac!‘d) è 
viaviduie del rimanente triangolo [dal momento (P14 $8) che 
(ac'b) = (ac!‘b), laddove (P28 $8) i segmenti (da'c) e (da!Ve), 
come pure (cd'a) e (cB!Va), non hanno punti comuni], la r sarà 
tutta esterna (P21$11) al triangolo (abcg). 


400 VITO VOLTERRA 


Sulla inversione degli integrali definiti ; 


Nota II del Socio VITO VOLTERRA. 


1. In una Nota presentata nella scorsa seduta esposi un 
teorema sulla inversione degli integrali definiti per la cui vali- 
dità basta soltanto che le funzioni che compariscono nel pro- 
blema siano continue, derivabili e finite. È da osservare ora 
che in alcuni casi importanti che si presentano effettivamente 
in pratica quest’ultima condizione non è soddisfatta. | 

Si ricordi l’importanza che riconoscemmo avere quella fun- 
zione che nella nota precedente chiamammo % (y) e che fu sup- 
posta finita e diversa da zero. È appunto questa quantità che 
nei casi a cui ora abbiamo accennato diviene infinita. 

Mi propongo quindi di svolgerli (come già annunziai nella 
nota citata) togliendo così una limitazione alle funzioni date 
nel problema. 


2. Supponiamo perciò che nella formula da invertire 
(1) f(y) — f(0) = f"® (2) H (2, y) de 


H (x, y) divenga infinita per x = y di ordine inferiore all’unità, 
in modo che si possa porre 


Ge, y) 
@) E (o,g) = pet 


in cui \< 1. Questa ipotesi corrisponde evidentemente a quella 
in cui si abbia 


ha) = 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 401 


Ammettiamo f(y) e f' (y) finite e continue per y compreso 
fra dea PFA(A>0); G(2,9), Go(0,9) = do pure finite e 


continue per tutti i valori di x,y compresi fra a e a + A, e 
si supponga maggiore di zero il limite inferiore dei valori as- 
soluti di G (x, 2). 

Cerchiamo di ricondurre questo caso a quello trattato nella 
Nota precedente. 


3. A tal fine supponiamo che la funzione finita e continua 
® (x) soddisfi la (1). 

Moltiplicando ambo i membri di questa equazione per 
dy 
nni 
si otterrà 


fifa -f@r*a=f tp fe EL a 


x)x 


in cua +- A> 2>a e integrando fra i limiti a e 2, 


onde applicando il principio di Dirichlet 


© fifa fall ie 


(y—2) 
Poniamo 
(4) SIf+-f@ai n= 
(8) APART 


allora l'equazione precedente diverrà 


(6) v(e) = f/9(1) L(a, è) de. 


Possiamo dunque concludere che, se la funzione finita e 
continua ® (x) soddisfa la (1), verificherà la (6). 


. 4. Dalla (4) segue, mediante una integrazione per parti, 


va =i JIfMe—y dy 


402 VITO VOLTERRA 


quindi derivando 
r pe d 
(7) va=ff ge 


Ne segue che y'(2) si mantiene finita e continua per i va- 
lori di 2 compresi fra a e a + A. Inoltre dalla (4) si deduce 


y (a) = 0. 
Si ponga nella (5) 
y=(-oguta 


allora si avrà 


# 


1 d 

6 eda Lain 

perciò indicando con 2, un valore compreso fra x e 2 resulterà 
(5) L (€; oy= sl, (x, 2) fo na ='G (€, zi) —— cà ma, 


Se ne conchiude che L (x,) è una funzione sempre finita 
pei valori di x, 2 compresi fra'a e a + A. Avremo poi 


L'e,3) =.= \06G2) 


sen RT 
onde, posto 
G (2,2) = 9(2) 
si otterrà 
(5) TOSO) 


Dalla (5) resulta pure la continuità di L (x,). Derivando 
a (5') rapporto a 2 si ha 


dL 1 1 
© LGa= 22 (Ge guta(7i) = 


CL: dy 
2z—- x 


= fi G, (€, 4) (= 


e 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 403 
È Ne segue che 


T(IAIT-A) 
sen ÀT 


@) La(c,2) = Gs (0,2) f. (4) =) 


in cui 2, è un valore compreso fra x e 2. 
Possiamo dunque concludere che L, (x, 2) è finita per x e 2 
compresi fra a e a + A; oltre a ciò essa è anche continua. 


5. La questione dunque di invertire la formula (6) rientra 
nella classe di problemi esaminati nella precedente Nota e si 
potrà concludere che vi è una ed una sola funzione finita e con- 
tinua ®© (x) che soddisfa la (6) la quale sarà data da 


nio ee 
eM= TI — 7) J9 W8: (0,9) de 


in cui 


mA Si (x, £) S;1 (E, y) de. 
Applicando dunque le (5'), (7), otterremo 


ant A io done 


tg (e) 


sen XT_ (0 "Y or dr Da 
ZIONE Pr diri 2: 5; (Y, 2) dy 


ovvero, mediante il principio di Dirichlet, 


sen La 82 Sly.) 
p (2) = DI MAO) ti dra fi dazi y— a)_* dy ( dx 


e finalmente, a cagione della convergenza in egual grado della 
serie, 


(9) o() = I ar paio + 


my (2) 


+ = =:S"G ei dy { dx. 


404 VITO VOLTERRA 


6. Bisognerà ora provare che questa funzione verifica l'e- 
quazione data (1). 

A tal fine basterà dimostrare inversamente a quanto si è 
fatto nel $ 3 che, se la funzione finita e continua ® (z) soddisfa 
la (6) essa verificherà la (1). 

Infatti osserviamo che se è verificata la (6), ossia la (8) 
derivando rapporto a 2 ambo i membri avremo (tenendo pre- 
sente la (7)) 


NS ba —= = (fo (a) de {* ri dy 


e moltiplicando ambo i membri per in cuua+-A>v>@ 


de 
(o_-a)a 


e integrando fra a e ®, si otterrà 


u de °E pl dy “” 
(10) f (— 2) "a (4) TEEN TRS Pag 
ATO agi G (2,9) CL 
pente .90def ptc = 
G (x, y) 
pl (0-2 “i do 9 (2) de vo Di (y— 2) dy. 


Ora per il principio di Dirichlet 


Sefalir® 2ga=/f0v fra 


if) — f(0)f; 


"sen Dr 
"ue Age £ “e G (2, y) a 
E O— 2) S0 (0) da f, già ya 


pu: v v de 5 G (2, 9) il 
fd; So) da f (o — 2) n (ay) (ya dy li 


= (ode ° G(2,y) dy (° de 


y_ a Sy = = 


= fio: (TESI g 


sen Mm. y— x) 


| 
x 
| 
Y 


n 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 405 


Quindi la (10) diventerà 


if@)—f()t= = — Li lol) da o Fond = 


sen 


pr 


© sen TR fi 


G (2, 0) 
PA pg 


e per la (2) 
FO — f(a) = f9 (2) H (2,0) da 


come volevasi dimostrare. 


#7. Avremo dunque il teorema seguente: 


Se si ha la equazione funzionale 


A f@-f@= fe el de A<1 


in cui £(y) e f'(y) si mantengono finite e continue per y compreso 
fraaea +-A (A> 0); e G(x,y) e da = Go (x,y) sono pure 


finite e continue per tutti è valori di x, y compresi entro i limiti 
ae a-| A, mentre è maggiore di zero il limite inferiore dei va- 
lori assoluti dì g (y) = G(y,y) per y compreso nello stesso in- 
tervallo, esisterà una ed una sola funzione finita e continua ® che 
soddisfa l'equazione funzionale per y compreso fra a e a 4- A, 
la quale sarà data da 


\ 1 Pi (co) 
Bi c@a= plz id 
in cui 
Mm 1 SS 
sa famo (EE 
O Te=— 


Ti(o, ep= SS0 (E, 2) Ti. (e, E) de. 


406 VITO VOLTERRA 
Infatti dalla (9) segue 
“e Si1(y, % 
Tila = SPS y=( AYA Ty 


quindi 


T; (2,2) = {To (1,9) dy fe = 


== Se (E, 2) d& 1° : To (2, 4) Sia (4, 8) dy I 
e per conseguenza 
T;(0,3)= Ja (E, 2) Ti; (2, © de 
onde facendo j = 1 


Ti (e, 2) = ("81 (€,4) Ti 8) de. 


8. Possiamo facilmente vedere in quale relazione sta questo 
risultato con la nota formula di Abel. 

Questa formula risolve il caso in cui si supponga costante 
ed eguale ad 1 la funzione G (x, y). Allora le T; (i > 0) della (B) 
divengono zero e la quantità sotto il segno d’integrazione si 
riduce al suo primo termine. Dunque la formula data da Abel 
corrisponde al primo termine dello sviluppo col quale abbiamo 
dato la soluzione del problema nel caso generale. 


9. Esaminiamo il caso particolare in cui sia G(x,9) =F(y—2), 
e F(0) = 1. Avremo allora 


ùe (eg 


T z—_ E PR 


a E u 1-A 
= n [Po ( ) du 


onde, posto 


so(0) = SAI SE (u) | u = du, 


qm Vee, 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 407 
sarà 
So (4,2) = sole — 9). 
Si ponga 
1 
tb) == 
dI 7) 
t:(0) = So80 (0 — u) ti (0) du 
avremo 


Tie, a) =(-1'tile—2) 


Infatti per i = 0 questa formula è vera. Supponiamola vera 
per i, allora 


Tu=(-1' (oi -da= 
= (1) ff _-a—- ut()du= 


ss i(1)f! [se —tkt_- ut(Mdu=(-1)"ttu(—- 3. 


Si ponga 
O) =Z(-1)t() 
ne seguirà 


00 
2 T, (4, 2) = Q(e— 2) 


e per conseguenza 


La formula di inversione della relazione funzionale 


“q F pre 
‘9 (2) TESS, de (A <1, F(0) = 1) 


fy) — f(a = | 


p (2) = sii [faQe—-d da 


T (S 


in cui 


408 VITO VOLTERRA — SULLA INVERSIONE, ECC. 


e cor fr (4) | - ne du 


Tv vVv_-U 


1 
tb) = 


t; ().= g. —80 (o — u) ti, (0) du 
di > (1) t; (0). 


Questo resultato è evidentemente più generale di quello 
di Sonine (*), giacchè lo si ottiene senza ricorrere allo sviluppo 
di F in serie del Taylor. 


(*) Acta Mathematica, T. 4, page 171. 


L’Accademico Segretario 


ANDREA NACCARI. 


E E e TE I 


better 


409 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 2 Febbraio 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Socii: CLARETTA, Direttore della Classe, 
Peyron, Rossi, Pezzi, NANI, CrpoLLa, Brusa, PERRERO, ALLIEVO 
e FerRrERO Segretario. 

Egli annuncia alla Classe la morte del Socio Corrispondente 
il Senatore Giuseppe FroreLLI, ed affida al Socio Segretario 
l’incarico di commemorarlo in una prossima adunanza. 

Presenta poi, a nome dell'Autore, il Prof. LAnpo LAnpUCCI 
dell’ Università di Padova, la parte 1? del vol. I dell’opera: 
“ Storia del diritto romano dalle origini fino alla morte di Giu- 
stiniano , (Padova, 1895), e brevemente ne discorre. 

‘ Il Direttore della Classe offre un opuscolo: “ Le navire de 
bonheur de l’avocat Bernardi, publié par Lfon-G. PéLISSIER , 
(Toulouse, 1896), di cui l’editore fa omaggio a tale pubblicazione. 

Il Socio ALLievo legge la relazione della Commissione, di 
cui ha fatto parte coi Socii PevrRon e Brusa per esaminare il 
lavoro manoscritto presentato per l'inserzione nelle pubblica- 
zioni accademiche dal Dottore Francesco FrieERI ed intitolato: 


410 


“ La filosofia e Pico della Mirandola ,. La relazione è contraria 
all’ammessione del lavoro alla lettura. 

La Classe approva la conclusione della relazione. 

Il Socio CrpoLLa, delegato coi Socii BOLLATI DI SAINT-PIERRE 
e PerRERO ad esaminare il lavoro del Dott. Luigi SCHIAPARELLI: 
“ Origini del Comune di Biella ,, presentato per l’inserzione 
nelle Memorie accademiche, legge una relazione conchiudente 
per la lettura del lavoro. La Classe approva tale conclusione, 
e dopo lettura del lavoro, ne approva la stampa nelle Memorie. 

Il Socio PerrERo legge un suo lavoro: “ I regali di pro- 
dotti nazionali invalsi nella diplomazia piemontese dei secoli XVII 
e XVIII ,, che è pubblicato negli Atti. 


nn 


DOMENICO PERRERO — I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 411 


LETTURE 


I regali di prodotti nazionali invalsi nella diplomazia 
piemontese dei secoli XVII e XVII; 
Nota del Socio DOMENICO PERRERO. 


Chi si faccia a svolgere le corrispondenze de’nostri ministri, 
residenti all’estero, dei due ultimi secoli, non può non arrestare 
la sua attenzione sopra certi spedienti, che faranno non poco 
sorridere i diplomatici del nostro tempo, ma che pure, a quei 
giorni, erano dai nostri generalmente adottati come agevolanti 
il disimpegno delle commissioni loro affidate, non già perchè 
avessero alcunchè di comune cogli affari, ma perchè, in date 
circostanze, avevano per effetto di disporre favorevolmente gli 
animi di coloro, che avevano a trattarli, a quel modo, press’a 
poco, che, ne meccanismi, le sostanze oleose, pur non communi- 
cando ai roteggi il movimento, lo accelerano e lo accrescono, 
diminuendone gli attriti. 

Fra questi spedienti, atti a scemare gli attriti nelle rela- 
zioni internazionali, ed anche a prevenirli, all’uopo, fu dai vecchi 
nostri ministri ritenuto come il più acconcio, e quindi più spesso 
usitato, quello de’regali, proclamati dal Poeta gli ammansatori 
universali: “ Munera, crede mihi, placant hominesque Deosque ,,. 
Un po’ di storia a tale riguardo non mi parve fuor di proposito, 
non tanto per chiarire, in sul fatto, la parte, in addietro, dai 
nostri uomini di Stato assegnata a questo seducente interme- 
diario politico, quanto per rinfrescare la memoria di alcuni spe- 
ciali prodotti naturali e industriali, che già furono vanto e de- 
lizia de’nostri antenati, e che non saranno forse fuori di posto 
nella storia economica del Piemonte, quando piacerà a qualche 
benemerito studioso delle cose patrie di darcene una. 

I regali, di cui qui si tratta, nulla hanno di comune colla 
sfacciata corruzione che, colla borsa alla mano, assalta le per- 
sone, che si vogliono guadagnare, patteggiandone l’opera ad un 
determinato fine, ed il prezzo a cosa compiuta, secondo la for- 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 30 


412 DOMENICO PERRERO 


mola usitata, corruzione, che i Latini molto acconciamente desi- 
gnavano colla frase appunto: “ aggredi aliquem donis ,. Di essa 
non mancano, certo, anche nella nostra storia diplomatica, gli 
esempi, specialmente sotto i regni di Carlo Emanuele I e di 
Vittorio Amedeo II, ma, per l'onore de’corrotti non meno de’cor- 
ruttori, il tacerne è bello. Il mio argomento si restringe a quei 
piccoli regali, i quali, giusta il noto adagio francese, mirano e 
servono a conservare le amicizie e, qualche volta, anche a crearle, 


disponendo gli animi alla simpatia e alla confidenza, senza punto: 


inquietare le coscienze. E di tal fatta appunto erano quelli, 
che, più generalmente, i nostri principi, a suggerimento de’loro 
ambasciatori, spedivano ad ora ad ora alle principali corti d’Eu- 
ropa, per esservi distribuiti ai ministri ed ai personaggi alto- 
locati, e talora anche offerti ai Sovrani medesimi; regali con- 
sistenti in alcuni prodotti speciali del suolo e della industria 
piemontese, che, in quegli esteri paesi, o difettavano, o non si 
trovavano che di qualità inferiore. Felice usanza era questa, sic- 
come quella, che, oltre all’ottenere, il più delle volte, lo scopo 
diretto, a cui come sopra mirava, produceva ancora indiretta- 
mente un altro non men benefico effetto, qual era quello di far 
conoscere ed apprezzare le nostre produzioni nelle primarie corti 
d'Europa, vale a dire là dove il gusto e la moda avevano il 
principale loro seggio, e dettavano le autorevoli loro leggi. 
Nè si creda, che siffatti regali si avessero in conto di troppo 
volgari, e che, come tali, venissero freddamente ricevuti; il fatto 
si è che avveniva precisamente tutto il contrario, come bentosto 
verrà dimostrato, e come già, d'altra parte, avvertiva un nostro 
ambasciatore a questo proposito appunto: “ Quelquefois (scriveva 
il marchese di Dogliani da Parigi al San Tomaso nel 1688) 
une bagatelle donnée de bonne grace, fait plus d’effet qu’un 
présent considerable n’en ferait... ces choses là l’on les regoit et 
dix mille écus on le refuse... Si V. E. sgavait le bruit qu'’a fait 
un peu de vin de Piémont, qui était excellent, Elle en serait 
étonnée: il m'a fait avoir la plus noble compagnie du monde è 
diner avec moi, et bien de personnes, que je ne puis nommer, 
m’en ont demandé et fait demander... (1687) ,. Quei regali, per- 
tanto, non solo ricevevano le più liete accoglienze, ma venivano 
anche arditamente domandati quando non giungevano così pronti 
e frequenti, come il gusto impaziente de’regalati avrebbe desi- 


i I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 4153 


derato. Ond’era continuo il reclamare, non pure del Dogliani, 
ma anche degli altri ambasciatori generalmente, perchè da To- 
rino si spesseggiassero le relative spedizioni: “ Je profitterai 
(rescriveva quegli al San Tomaso) de tous les bons avis qu'Elle 
me donne, mais la supplierais de vouloir en donner un bon à 
S. A. R. de se resoudre à envoyer du vin et du rosoly, qu’assu- 
rément il ne sgait pas la bréche qu'il fait..... Je ferai des amis 
et des amies avec du rosoly et du vin claret du Piémont... et 
Elle n'y perdra rien et sera très bien employé... Ces sortes de 
générosité produisent quelquefois de si bons effets qu'on peut 
aisément par leur moyen faire des ouvertures qui ne sont pas 
inutiles (1687) , (1). 

Tal era l’attrattiva, che il vino e il rosolio del Piemonte 
esercitavano alla corte di Francia; tali gl’innocenti seduttori, 
che i nostri ministri, per agevolarsi il felice esito delle loro 
missioni, vi mettevano in opera. E lo stesso re Luigi XIV non 
isfuggì a quell’attrattiva, come dirò a suo tempo ritornando 
sulla sua corte, dopo aver messo in chiaro, che il nostro vino 
in ispecie aveva già prima ottenuto il medesimo favore anche 
nella corte d'Inghilterra, e presso il re Stuardo Carlo IL 

Nel 1675, il marchese di San Maurizio, figlio, era stato da 
Mad? Reale Gioanna Battista di Nemours inviato a Londra per 
significare a quel re la morte del duca Carlo Emanuele II. Lo 
Stuardo, alle condoglianze espresse per la perdita del duca, 
trovò modo ed ebbe il coraggio di frammettere un rimprovero 
alla memoria del defunto, perchè avesse, negli ultimi anni, al- 
quanto negletta la solita spedizione de’vini, e, ad un tempo, un 
eccitamento alla duchessa vedova di ripigliare l'antica buona 
usanza, come esso inviato le scriveva l’11 di settembre del detto 
anno: “... Jai encore vu le roi d’Angleterre. Il m’avait déjà dit 
plusieurs fois de lui faire envoyer du vin de Piémont, mais il 
m’en chargea encore très particulierement, me disant que feu 
S. A. R. avait perdu la coutume de lui en envoyer ,. 

Non occorre nemmeno soggiungere, che la duchessa, tutta 
intenta a disporre le cose per ottenere in quel regno il trat- 
tamento regio, non fu lenta a riparare alla passata negligenza, 


(1) Queste e le seguenti citazioni tutte sono estratte dall'Archivio di 
Stato in Torino, Categ. Lettere Ministri. 


414 DOMENICO PERRERO 


riprendendo le solite spedizioni del vino; ed anzi, a modo di 
onorevole ammenda, vi aggiunse anche il rosolio, vanto speciale 
della città di Torino. Per amore di brevità, mi restringo a quelle 
fatte in dicembre del 1679 e nel gennaio successivo, come quelle, 
che abbracciano anche le spedizioni contemporaneamente fatte 
al re di Francia, agli Svizzeri ed al Governatore di Milano, 
riferendone, in termini precisi, la relativa menzione fattane nei 
conti camerali, dove si legge: “ Sotto li 21 dicembre 1679, e 
sotto li 24 gennajo 1680, si sono fatti partire, per comando di 
Madama Reale, li due regali di vini e rosolio mandati alle due 
corone di Francia e d'Inghilterra, insieme a quelli de’ Svizzeri 
al sig. marchese di Gresy (ambasciatore ducale ivi) e a Milano 
al sig. conte Porro (Agente ducale) per le spese de’ quali... si è 
pagata la somma di lire 15 mila ,. 

Si comprende da ciò quale estensione andassero pigliando 
siffatte spedizioni, e quale voga acquistando ovunque i nostri 
vini e rosolj. Alla corte di Francia in ispecie questa voga pi- 
gliava piede ogni giorno più, grazie sopratutto alle relazioni 
nella più alta società a grande studio coltivate dal marchese 
di San Maurizio, padre, ambasciatore ducale a Parigi, come pure 
grazie all’insistenza, colla quale ne sollecitava le spedizioni da 
Torino: “ Si V. A. R. (scriveva egli al duca il 5 ottobre 1668) 
envoyait quelques cantines de vin de Piémont, dont ils sont ici 
fort friands, aussi bien que du rosoly, pourvu qu'il ne sente pas 
l’anis, cela ferait un bon effet, particulierment auprès de M. de 
Lionne: on pourrait lui en donner un couple de charges, comme 
aussi aux autres ministres ,. E che non s’ingannasse nel giu- 
dicare del gusto de’signori francesi, ben lo provò l’assalto, che 
questi, poco tempo dopo, gli diedero riguardo al vino appunto: 
“Je dinai hier avec M. de Lionne chez M. de Bellefond (rescri- 
veva egli)... Quoiqu'il y eùt grande compagnie, M. de Beaufort, 
D. Francisco de Mello, M. de Pomponne, le duc de Chaulne, le 
comte de S'-Alban, M. de Laon et le marquis de Coeuvres, ils 
m'y donnerent bien des attaques pour du vin de Piémont ,. 

Arriva, alfine, il sospirato nettare, e l'imbarazzo dell’amba- 
sciatore, importunato da tante domande, tutte rispettabili, cresce 
a dismisura, trovandosi alle prese coll’arduo problema di dover 
contentare molti con poco. Pure, non si perdette d'animo, e 
procedè arditamente alla distribuzione, da lui specificata in let- 


x 
I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 415 


. tera dell’11 febbraio 1669, e abbastanza caratteristica, perchè 
meriti di venir qui riprodotta, tanto più che vi figura un nuovo 
prodotto della Savoia, che in seguito ritornerà spesso. La distri- 
buzione comincia, come di ragione, dal gran Colbert: “ Je lui ai 
envoyé (ivi si legge) six barils de vin de Piémont, une caisse 
de fromage (i rinomati wacherins savoiardi) et une caisse de 
rosoly; il fit quelque difficulté de l’accepter ,, ma finì coll’ac- 
cettare. “ J'ai fait un pareil présent (continua il San Maurizio) 
à MM. de Lionne, Le Tellier et Bellefond, à mesdames de Chev- 
reuse et d’Arquien, à MM. les maréchaux d’Estrées et Duplessis, 
et è MM. de Laon et marquis de Coeuvres; tout ensemble j'ai 
fait aussi remettre les essences è madame de Laon. — Quand 
les barils ont été remplis, il ne s’en est trouvé que 51; j'en ai 
déjà fait distribuer 38: j'en ai encore 13 que je donnerai dans 
des bouteilles aux Nonce et ambassadeur de Venise, au Grand 
Prieur, au maréchal de Grancé, au marquis de Pienne, au duc 
de Navaille, au sieur de Bonceuil ,; e chi più ne ha, più ne 
metta; “ parceque (egli conchiude) j'ai toujours besoin d’eux. , 
Argomento non dubbio della già sperimentata virtù di que’re- 
gali nelle occorrenze del suo ministero. 

Il fatto si è che il successo e il gradimento, per parte dei 
regalati, non potevano essere maggiori, e non è a dire quanto 
l'ambasciatore se ne compiacesse: “ J'ai quasi fait tous les pré- 
sents (egli scriveva): on ne parle d’autre chose: le roi a bu du 
vin et mangé du fromage; il a trouvé excellents l’un et l’autre. , 
Figurarsi l'entusiasmo eccitato da quella straordinaria degna- 
zione per parte del Re — Sole! Il male si era, che i regali non 
crescessero all’avvenante delle mani, che, da tutte le parti, gli 
si stendevano per ottenerne: “ Il faudrait (soggiungeva) bien 
avoir ici de ce vin: tout le monde en demande effrontément; 
le chevalier de Lorraine en a envoyé prendre: monsieur le Duc, 
au nom de sa maîtresse, la belle vene du comte de Marey et 
jusqu’aux filles de la Reine: il a fallu leur donner du fromage (!). , 
Qual mortificazione pel povero ambasciatore nel dover rimandare 
tante sì belle ed influenti dame con qualche prosaica forma di 
cacio! Fortuna, che gli fu poi dato di meglio trattarle nelle 
successive distribuzioni, che continuarono di mano in mano du- 
rante la sua lunga ambasciata. 

L'esempio dato dal marchese di San Maurizio era stato 


416 | —DOMENICO PERRERO 


tale, che doveva animare i suoi successori nella legazione di 
Parigi a non lasciarlo cadere; ed, infatti, le spedizioni di quei 
regali furono da essi continuate sin verso lo scorcio di quel se- 
colo, vale a dire sino alla rottura delle relazioni fra Luigi XIV 
ed il duca Vittorio Amedeo II. Ancora negli anni 1687-88, 
quando le corrispondenze fra i due paesi cominciavano già ad 
inasprirsi, la confidenza del marchese di Dogliani nell’efficacia 
dei regali in discorso, come più innanzi si è detto, perseverava 
viva più che mai. Infatti, il marchese di Louvois (nome uggioso 
al Piemonte) essendosi, col nostro ambasciatore, lasciate sfug- 
gire minacce tali, le quali potevano far presentire, che qualche 
cosa di grave si stava disponendo a danno del Piemonte, e di- 
ventando indi urgente di penetrarne i disegni, — mentre il Duca 
non vedeva altro mezzo da ciò, che il guadagnare col denaro 
qualche influente personaggio della corte, il Dogliani invece,, pur 
non osando scartare siffatto spediente, cercava, come meno ar- 
rischiato, e tuttavia non meno efficace, di farvi concorrere l’an- 


tico sistema de’ piccoli regali, come appunto spiegavasi nel suo - 


dispaccio del 27 settembre 1688: “ Pour découvrir (ivi si legge) 
les desseins que le roi pourrait avoir... il est bien certain, 
comme V. A. R. le remarque, que l’argent en est un bon moyen... 
Mais il faudrait pour cela qu'il y eùt ici un fond entre les mains 
de M. Planque (Agente ducale a Parigi) cu de quelque autre 
personne, comme d’un banquier, du quel je pusse disposer sans 
étre obligé d’en rendre compte qu’à V. A. R. — Quelque pré- 
sents aussi de bouteilles de vin ou de resoly de Piémont à des 
certaines personnes qui aiment fort ces bagatelles, serviraient 
beaucoup è les gagner, et V. A. R. ne saurait croire combien 
je me suis fait d’amis par ce moyen. , 

Ma le cose precipitarono, e ne susseguì bentosto la guerra, 
che obbligò le due corti a pensare a tutt’altro che a regali; e 
così le vecchie tradizioni a tale riguardo restarono interrotte, 
non sì però, che non venissero poi riprese nel secolo seguente, 
sebbene col mezzo di altri prodotti, come vedremo. 

Nel fratempo, la stessa usanza era anche passata, facendovi 
ottime prove, nella nostra ambasciata di Roma, dove pure mi 
propongo di tenerle dietro. Se non che, trovandomi, sul cam- 
mino, la città di Firenze, vi farò una breve sosta per prender 
atto dell’autorevole testimonianza dal Gran Duca, Ferdinando II, 


I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 417 


fino conoscitore quant’altri mai, renduta alla bontà del nostro 
rosolio. Venutogli a notizia, che Luigi XIV faceva frequente uso 
di questo liquore, fu preso dal desiderio di assaggiarlo, e, per 
mezzo della contessa Fabroni, intrinseca colle due corti, ne fece 
richiesta a Mad® Reale Cristina di Francia, con lettera del 2 
aprile 1654: “ J'ai recue (ivi diceva la contessa) une petite com- 
mission de Madame la Grande Duchesse ... LL. AA. voulurent 
savoir de moi si j'avais sgu, du tems que j'ai eu l’honneur de 
voir V. A. R., qu'elle envoyàt au roi son neveu, une chose ap- 
pelée Rosolie, de la quelle, on a dit au Gran Duc que le roi boit 
au lieu de vin... Le Grand Duc me parla aussi de certaines 
eaux de vie que l’on fait en Piémont, et aurait curiosité d’avoir 
un peu de l’un et de l’autre... , i 

In quegli anni le relazioni tra le due corti erano, ben più 
che in altri tempi, amichevoli e quasi cordiali, giacchè qualche 
mezza trattativa di matrimonio erasi iniziata e si andava col- 
tivando per mezzo appunto della Fabroni. Onde Madama Reale 
non fu lenta ad appagare il Gran Duca facendogli pervenire 
tutte le varie specie di rosolio in voga; nè Ferdinando fu meno 
sollecito a fargli giungere, in un co’suoi ringraziamenti, il risul- 
tato, al tutto soddisfacente, del fattone assaggio: “ M. le Grand 
Duc (rescriveva la contessa il 30 stesso aprile)... a trouvé le ro- 
solie excellent; il en boit quelquefois les après-dînée avec de 
l’eau glacée; je crois que ce n'est pas la fagon que l’on le boit 
en Piémont. Le Grand Duc, dans ces choses-là, invente tous les 
jours quelque chose de nouveau... Je ne saurais dire è V. A. R. 
laquelle sorte de ces rosolis a été trouvée la meilleur... je sais 
seulement qu’elles ont été trouvées très bonnes. , 

A questa autorevole sanzione data ai nostri rosolj da un 
giudice così competente, vedremo ora far coro l’applauso del- 
l’alta società Romana, che pur era, di lunga mano, assuefatta a 
ben altri regali e di ben altro pregio. A differenza però di 
quanto aveva luogo a Parigi, a Roma, il rosolio veniva sovente 
accompagnato colle confetture del Mondovì; perciocchè, egli è 
da sapere, che l’arte di manipolare lo zucchero e di candire 
abilmente i frutti, vantava i suoi più celebri maestri, non già 
nella capitale del Piemonte, ma sì bene a Mondovì, dove la 
stessa famiglia reale era obbligata di mandare ad istruirsi e 
a praticarsi le persone, che, in qualità di confettieri, chiamava 


418 DOMENICO PERRERO 


al servizio della corte, come appunto avvenne nel 1682, a pro- 
posito di un giovane colà mandato a perfezionarsi in quell’arte 
da Madama Reale Giovanna Battista, e sul conto del quale così 
scriveva, il 2 ottobre, il marchese della Chiesa di Cinzano, go- 
vernatore del Mondovì: “ Oggi è qui giunto il giovane, che 


V. A. R. desidera che impari a far le confetture bianche, e da | 


V.A.R. mi viene imposto collocarlo con uno de’ più periti di 
quest'arte. Il che ho subito eseguito e con il confettiere di 
questa città, che è riputato il più intendente di tutti gli altri 
che vi siano ,. 

Si comprende, quindi, che trattandosi d’inviare regali di con- 
fetture a personaggi cospicui, quelle di Mondovì dovessero ot- 
tenere il posto d’onore, come, tra altre volte, ebbe luogo nel 
1676, in occasione della solenne offerta fatta allo stesso ponte- 
fice Innocenzo XI, nelle seguenti circostanze: Madama Reale, il 
23 dicembre, scriveva al conte Orazio Provana, suo ambascia- 
tore a Roma, come infra: “ Sono giunte dal Mondovì le confet- 
ture e s’invieranno costì... Voi ne farete quel miglior uso con 
cotesti signori cardinali e prelati, che si conviene al fine, che 
si ha, di dare un’annuale ricognizione a qualche numero di car- 
dinali e di prelati, che si procurerà da voi di rendere ben pro- 
pensi, per tutte le occorrenze di questa rea] Casa. , — Il 23 
febbraio 1677, il Provana rispondeva, che le confetture erangli 
giunte ben condizionate, e che il primo regalo di esse e di ro- 
solio l’aveva fatto al Card. Pio; indi soggiungeva: “ Stavo pen- 
sando se dovevo mandarne altrettanto ad ognuno dei tre mi- 
nistri di palazzo, ma dubitai che forse potrebbero essere ricusati. , 

Chi mai avrebbe creduto, che quegli, il quale tanto dubitava 
dell’accettazione dei ministri, quegli stesso osasse poi ripromet- 
tersela dal Pontefice? Eppure così fu; ed il fondamento di tale 
sua presunzione stava tutto nello Scalco del papa, piemontese, 
che il conte Provana diceva molto suo amico. Sull’assicurazione 
da questo avuta, che il regalo avrebbe incontrato il gradimento 
del suo padrone, il Provana diede l’incarico all’Agente ducale, 
Paolo Negri, di farne la presentazione, che ebbe effettivamente 
luogo nel mattino del 23 detto febbraio, nel modo, che esso 
Agente ebbe a riferire il giorno stesso ne’ seguenti termini : 
“ Questa mattina, sono stato da S. Santità con dodici bacili di 
confetture, e due casse di rosolio, le quali monsignor Scalco 


w rà É LÌ 
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I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 419 


i (che è suddito di S. A. R.) ha fatto porre sopra di una gran 

. tavola nella stanza dove il papa doveva mangiare, le quali per 
la quantità facevano una superbissima comparsa. In questo re- 
galo la Santità S. ci ha fatto un grandissimo onore, mentre si 
è partito dalle proprie stanze dell’udienza, per venire a ricevere 
il regalo suddetto. E stando io nella detta camera, è venuto il 
papa, al quale ho fatto il complimento: la Santità Sua è rimasta 
attonita in rimirare così gran numero di bacili carichi di con- 
fetture e le due casse de’ rosolj, e mi ha domandato di che 
luoghi erano, e volsutele vedere, mi ha ordinato di aprirne e, 
scopertene di molte, ha S. Santità gustato un poco di agresto 
col fiore di melangolo dentro. Mi ha poi detto che il signor 
Residente gli aveva mandata una bottega intiera, e che era 
troppo generoso. Rivoltosi verso le casse de’ rosolj, mi ha chiesto 
a che serviva quel liquore, ed io le ho risposto, che conferisce 
molto alla sanità, la quale tutto il mondo cristiano desidera 
infinitamente alla Santità Sua, che supplicavo, in nome del signor 
Residente, di dargli la consolazione, che lo potessi assicurare, 
che S* Santità gli perdonava l’ardire, che aveva preso in man- 
darle queste bagattelle. Mi replicò, ch’era un superbissimo re- 
galo, e che ringraziava molto il signor Residente. , — E per 
non lasciar dubbio sulla sincerità di quel gradimento, soggiunse, 
in ultimo, avergli poi lo Scalco detto, che il papa ne aveva di- 
scorso un pezzo a tavola. 

Il 3 marzo seguente lo stesso Negri scriveva al marchese 
di San Tomaso, che si era quindi fatta la distribuzione delle 
confetture e de’rosolj ai cardinali e prelati specificati in una nota 
annessa, nella quale si leggono inscritti i cardinali Pio, Carlo 
Barberino, Altieri, Azzolino, Massimi, Spada, Litta, Vidone, Al- 
bizi, Vuard, D’Estrées, ambasciatore di Francia, monsignor Alto- 
viti, segretario della Congregazione dell’immunità ed altri, vale 
a dire quanto di più cospicuo noverava il Sacro Collegio e la 
prelatura romana. 

Ben poteva quindi dirsi, avere il Provana condotta a buon 
fine un’ardua impresa; onde, immaginandosi d’averne acquistato 
un titolo di benemerenza verso la Casa reale, stava attenden- 
done i complimenti per parte della duchessa. Quale pertanto fu 
il suo disinganno nel ricevere la lettera del ministro, nella 
quale, invece di rallegrarsene, faceva intendere, essere stata la 


420 DOMENICO PERRERO 


duchessa poco meno che mortificata dello sfarzo con cui erasi 
fatta la presentazione al papa di un regalo in sè stesso di un 
pregio così poco proporzionato alla dignità del donatario, non 
meno che alla propria. — “ Non vedo (scriveva il desolato am- 
basciatore, difendendosi alla meglio), che costì si sia fatto un 
gran applauso all’onore, che mi fece S* Santità, di ricevere il 
regalo, che presi l’ardire di mandargli, anzi mi pare, che sia 
convenuto all’E. V. di scusare quest’atto. Eppure, è stato uno 
de’ maggiori vantaggi, che abbia ricevuto il mio carattere, perchè 
il papa non ammette alla sua presenza, se non i presenti degli 
ambasciatori regj e delle principesse di prima riga, ricevendosi 
gli altri dal maggiordomo o dallo Scalco. Onde, essendo S* San- 
tità partita dalla sua camera dell'udienza, e venuta in altra 
stanza a ricevere il regalo, ed avendolo eziandio assaggiato alla 
presenza del mio mastro di camera, non poteva farmi un onore 
più singolare. , 

Che il povero ambasciatore abbia o non convinto Madama 
Reale della convenienza del suo operato, poco importa al mio 
soggetto, bastandomi di aver chiarito, che i nostri confetti e ro- 
solj erano dai cardinali e prelati romani gustati ed apprezzati 
per modo da essere ritenuti come “ buon mezzo per renderli 
propensi a tutte le occorrenze della real Casa , giusta l’espres- 
sione, con cui la duchessa ne accompagnava la spedizione al 
Provana. 

E questo favore, riguardo al rosolio in ispecie, perdurò lun- 
gamente, come ne fanno fede le ulteriori spedizioni ogni poco 
fattesene. Mi arresterò ad una sola di esse, che ebbe luogo 50 
anni dopo, notabile specialmente per la persona dell’ambascia- 
tore, che se ne servì; intendo parlare del marchese Ferrero 
d’Ormea. — È noto, che egli, nel 1725, risiedeva in Roma, in-. 
viatovi da Vittorio Amedeo II per l’aggiustamento delle intri- 
cate controversie ecclesiastiche da più anni vertenti fra la corte 
di Torino e la Santa Sede; come pure sono note le acri oppo- 
sizioni, che molti membri del sacro Collegio sollevavano contro 
le buone intenzioni verso il re, del pontefice Benedetto XIII. 

L’Ormea sapeva benissimo quanti e quali erano i suoi av- 
versari, ma sapeva pure, ad un tempo, quanta fosse, in quel 
paese in ispecie, la potenza dell’auri sacra fames, e perciò, prima 
di avviarvisi si era ampiamente fornito di tutto l'occorrente per 


I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 421 


espugnare certe fortezze, che, per arrendersi, altro non aspet- 
tavano, che di venire attaccate. Fedele al mio proposito di non 
addentrarmi nei misteri delle corruzioni diplomatiche propria- 
mente dette, malgrado la tentazione, che il personaggio me ne 
offre, mi restringerò a dire, che, pur avendo a sue mani i grossi 
regali, a cui lo abilitavano le ragguardevoli somme lasciate a 
piena sua disposizione, non credette tuttavia di poter dispen- 
sarsi dal mettere in opera anche i piccoli regali soliti distribuirsi 
dai suoi predecessori, giacchè questi, nel suo concetto, dovevano 
servire come di tasto e di avviamento per quelli. Si è con questo 
intendimento, che egli ne faceva espressa domanda al re Vittorio 
con sua lettera del 14 aprile, nel modo che segue: “ Crederei 
opportuno, che S. M. mi facesse avere una mezza dozzina di 
casse di rosolio, con due di tabacco, per farne alcuni regali a 
misura che anderò prevedendone il buon uso; e già, sino da 
ieri, il signor cardinale Alessandro Albani dimostrò di gustare 
il tabacco di Piemonte, ed, il giorno avanti, il Merlini, e con 
essi feci divisione di quello, che mi ero portato meco ,. 

La voga del rosolio, come si vede, continuava tuttora, ed 
intanto un’altra cominciava a farsi strada a favore del tabacco 
del Piemonte, e vuolsi intendere del tabacco in polvere da an- 
nasare. Vittorio Amedeo II, vista la consumazione straordinaria, 
invalsa e sempre più crescente di detto tabacco sì in Piemonte, 
come negli altri paesi finitimi e massime in Francia, pensò di 
crearsene una rendita per le sue Finanze, rendendone indigene 
la produzione. e la fabbricazione. Fece, a tal effetto, a cura e 
per conto del governo, mettere in punto, giusta le migliori 
regole, diverse estese piantagioni di tabacco nei territorj di 
Stupinigi, di Mirafiori, della Crocetta, della Venaria ed in altri 
dello Stato, e chiamati da riputate fabbriche estere, i più esperti 
dell’arte, pervenne, mediante il segreto di squisite concie, con 
grandi artifizi e dispendi procuratosi, a far manipolare la pre- 
giata foglia in modo da incontrare il genio de’ buongustai. Se 
non che le guerre, che desolarono il Piemonte durante una buona 
parte della metà del secolo scorso, interruppero sgraziatamente 
in sul più bello questa industria, che prometteva non pochi nè 
lievi vantaggi al nostro paese. 

Ho accennato all’uso smodato, nel tempo, di cui si tratta, 
invalso del tabacco da fiuto; aggiungo ora (cosa appena credi- 


422 DOMENICO PERRERO 


bile), che le grandi dame erano quelle, che specialmente si se- 
gnalavano in questa moda, venutaci dalla grande legislatrice 
delle mode, la Francia. La duchessa d’Orleans (la palatina) n’era 
indegnata: “ C'est une chose affreuse “ (scriveva essa, nel 1713, 
in termini che ben improntano il suo naturale); “ C'est une chose 
affreuse que.ce tabac... Cela me met hors de moi de voir ar- 
river toutes les femmes d’ici (scriveva da Parigi) avec leur nez 
sale, comme si elles l’avaient, sauf votre respect, frotté dans 
la boue, et fourrer leurs doigts dans les tabatières des hommes; 
il faut que je crache de dégout , (1). 

Questa moda non poteva a meno di passare anche in Pie- 
monte, ed a farvela signoreggiare bastava l’esempio di una 
dama, che della moda ben poteva dirsi regina nel nostro paese, 
voglio dire la celebre contessa di Verrua. A costo di sfrondare 
di qualche raggio l’aureola di questa seduttrice Sirena, devo 
produrre alcune cifre estratte dai conti de’ Tesorieri ducali, le 
quali fanno fede della sfrenata manìa di lei per la polvere Ni- 
coziana. Nel volume del Controllo Camerale, 1697-98, fra le molte 
svariate spese, inscritte a servizio della medesima, si legge 
anche la seguente, che trascrivo letteralmente: “ Tabacs expédiés 
l'année courante 1697 pour service de madame la comtesse de 
Verrua, livres 5822 , (!); e nell’annessavi nota, sottoscritta dalla 
Verrua, si portano in una sola volta, sotto il 20 9bre, livres 400 
tabac supérieur à la fleur d’orange; e queste eran libbre di peso, 
che importarono, in un solo mese, una somma di L. 2400 in 
denaro. Ben so, che tutto ciò non era a solo uso della Verrua, 
ma anche de’ suoi amici, a cui ne faceva regalo, ma ciò, oltre 
alla quantità de’ suoi amici, prova pure un andazzo straordi- 
nario di stabaccare nella più alta e più gentile parte della so- 
cietà d’allora. Non è quindi a stupire se, nell'inventario del- 
l'eredità della Contessa si trovino registrati nientemeno che 60 
vasi da tabacco, e 228 tabacchiere d’ogni forma e d’ogni ma- 
teria. 

Si comprende benissimo, ciò stante, come un regalo di ta- 
bacco del Piemonte, offerto da un regio ambasciatore, potesse 
venire gradito, come una dimostrazione di stima e di preferenza, 


(1) Corresp. de Mad. duchesse d'Orléans, par E. Jacglé, 1880, vol. II, 
p. 131. 


pr ET 7, PS n: Set 


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STIA EVA I I TI One 


I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 423 


da cardinali e prelati, e come l’Ormea, pur disponendo di altri 
mezzi d'influenza ben più potenti, abbia stimato di dover gio- 
varsi anche di questo. 

In quel mentre, un altro nostro prodotto andava acqui- 
stando, nelle corti straniere, riputazione e favore, minacciando 
di cacciare ogni altro di nido; ed era il tartufo. Questo vege- 
tale, quasi trascurato in addietro, aveva, verso il principio del 
secolo scorso, cominciato ad attirare, in particolar modo, l’at- 
tenzione e le cure degli agronomi e de’ gastronomi. Il Piemonte, 
a tale riguardo, specialmente dalla natura favorito, anzichè at- 
tendere dagli altri paesi l'impulso e l’esempio per trarre da 
questo favore di natura, tutti i vantaggi possibili, era in obbligo 
di precederli e di farsi loro duce e maestro, ed invero non fallì 
punto a tale suo obbligo. 

Un nostro latinista e poeta di vaglia, Bernardo Vigo, nel 
1776, stampò in Torino, ad onore de’ tartufi, un poemetto in- 
titolato: Tubera terre, il quale, anche oggi, può leggersi con 
gusto dagli amatori delle elegartze virgiliane e dei tartufi. Nella 
prefazione, in buona prosa latina premessavi, l’A., rendendo ra- 
gione del prescelto argomento, dice, aver, con esso, inteso d’illu- 
strare una gloria ed una fonte di ricchezza specialmente propria 
di alcune regioni subalpine, singolarmente privilegiate di siffatta 
produzione. “ Ed a comprovare siffatto privilegio (egli soggiunge) 
ciò solo basta, che essendosi sovente, presso parecchie nazioni, 
eccitato il desiderio di farne ricerca nelle proprie terre, tornò 
sempre vana ogni diligenza usatavi dagli indigeni, vana ogni 
opera. Ma che dico: dagli indigeni? Mandati dai re Vittorio 
Amedeo II e Carlo Emanuele III andarono altre volte in Ger- 
mania, in Francia ed in Inghilterra, coi più eletti cani, i nostri 
più esperti cacciatori... e, sebbene allettati con grandi premi, 
e dallo stesso loro amor proprio vivamente stimolati, nulla omet- 
tessero d’industria nè di fatica, tuttavia non ispuntarono mai 
di far paghi que’ principi forestieri (che, dicesi, avessero più 
d’una volta spettatori e quasi cooperatori nelle loro ricerche) 
nel giustissimo desiderio, pel quale erano stati ad essi mandati... 
non essendo mai riusciti a scoprirne di tali, che e pel colore e 
per la squisitezza del profumo e del sapore, non fossero di gran 
lunga inferiori ai nostrani ,. 

Non credasi, che il Vigo, trascinato dall’entusiasmo poetico, 


424 DOMENICO PERRERO 


o dall’ambizione di accrescere importanza al proprio soggetto, 
abbia inventati i fatti da lui accennati, od esageratili, coloran- 
doli più del dovere colla sua immaginazione. Il poeta ha, in 
questa parte, rigorosamente adempiti i doveri di storico, inspi- 
randosi alla pura realtà delle cose, confermata dai più espliciti 
documenti. — La Francia si vanta de’ suoi tartufi del Périgord: 
non discuto siffatto vanto, perchè ne sarei giudice affatto in- 
competente, e quindi mi attengo unicamente alla questione di 
fatto, ed è che i loro Sovrani, nel secolo scorso, e ancora nel 
principio di questo, hanno, sempre quando l'occasione se ne pre- 
sentava, data la preferenza ai tartufi del Piemonte, come ben 
mostrano le spedizioni, che di questi si andavan facendo alla 
corte di Francia dai nostri principi, alle volte spontaneamente e 
spesso anche in conseguenza delle richieste della corte stessa, 
trasmesse dai nostri ministri colà residenti. 

Per non dilungarmi di soverchio in citazioni, toccherò di 
una sola, che le varie precedenti, in certo modo, riassume e 
comprova. 

Correva il mese di dicembre del 1814, e perciò erano ap- 
pena trascorsi pochi mesi dacchè il re Luigi XVIII aveva fatto 
il suo ingresso in Parigi dopo restaurata la monarchia. Egli è 
quindi facile immaginarsi da quali e quante cure dovesse tro- 
varsi assediato in que’ primordj di un regno ancora vacillante. 
Eppure (chi lo crederebbe?), in mezzo a tante e sì gravi cure, 
e dopo 25 anni di rivoluzione e d’esiglio, la memoria dei tar- 
tufi piemontesi sotto l’antica monarchia assaporati, trovò modo 
di farsi strada nel suo animo e di farglieli sospirare per modo, 
che il conte di Jaucourt, suo ministro, dovette ricorrere al mar- 
chese Alfieri, ambasciatore nostro a Parigi, perchè glie ne pro- 
curasse al più presto una spedizione, come questi appunto fece 
scrivendo il seguente dispaccio al conte di Vallesa: “ Le comte 
de Jaucourt m’avait dit, il y a quelques jours, que S. M. lui 
avait parlé de son désir de réavoir des truffes de Piémont, 
comme avant la révolution, et qu'il allait en écrire au marquis 
d’Osmond (ambasciatore francese a Torino). Je lui ai répondu 
que j'en attendai un envoi qui était en route, et que s’il voulait 
se charger d’offrir celles-ci, en attendant, à S. M., je me croyais 
trop heureux de pouvoir lui en faire hommage. Il m’a dit que, 
certes, il s'en ferait un plaisir et qu’elles seraient fort agrées. 


I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 425 


Mais, malheureusement, grace au tems syrocal, et celui qu’elles 
restent en route, je les ai regues toutes pourries. Jugez, Monsieur 
le Comte, comme cela m’a contrarié, d’autant plus qu’elles vont 
finir... autrefois la cour en faisait d’envois considérables ici... ,. 
Questo desiderio di Luigi XVIII, che si rinnovassero le antiche 
spedizioni dei nostri tartufi alla sua corte, mentre aveva a sua 
disposizione quelli indigeni del Perigord, non prova certo la 
precellenza di questi sopra quelli, massime trattandosi di un 
giudice di quella competenza ch'era il re. 

Nè minore era il gradimento, che a Vienna incontrava il 
prezioso nostro vegetale. Malgrado la pace del 1736, le rela- 
zioni fra la nostra corte e quella di Vienna erano fredde an- 
zichè non: Maria Teresa era non poco amareggiata dalle cessioni, 
a cui aveva dovuto acconsentire a favore della Casa di Savoia; 
il che fastidiva non poco il conte di Canale, che doveva andarvi 
ambasciatore. Si fu allora, che il marchese di Breglio, il quale 
molto onorevolmente l’aveva preceduto in quell’ambasciata, gli 
suggerì, che, lasciata alquanto sbollire quella irritazione, avesse 
ricorso al solito rimedio de’ piccoli regali, da lui stesso già spe- 
rimentata efficace. Il fatto giustificò il suggerimento, chè, grazie, 
un poco, all'influenza del rimedio, e, molto, all’abilità di chi 
ebbe ad applicarlo, dopo qualche anno, le relazioni tra le due 
corti si fecero più cordiali, e la stessa Maria Teresa prese a ri- 
cambiare con prelibato vino di tokai, i regali dai nostri principi, 
per mezzo dell’ambasciatore, offertile. 

Fra questi regali, al tartufo veniva sempre attribuito il 
posto d’onore, velunt inter ignes — Luna minores. Qualche estratto 
della corrispondenza diplomatica metterà meglio sott’occhio la 
cosa. — “ L’Intendant de la maison du Roi (scriveva al Canale 
il Segretario Cav. Raiberti) vous expedie par la Poste deux 
caisses è votre adresse, dont l’une contient net 42 livres de 
truffes, et l’autre six vacherins, que S. M. fait envoyer à 
LL. MM. Impériales , (20 xbre 1766). Il conte di Canale accu- 
sando la ricevuta della spedizione, scriveva: “ S. M. l’impéra- 
trice de mème que l’Empereur ont été sensibles è cette attention. 
Les truffes étaient fort bien conservées, quoique gélées, et pourvu 
qu’on les garde dans une chambre froide jusqu'au moment qu'on 
les sert, elles ne perdent rien de leur bonté , (1° del 1767). 
— Ed infatti il Canale rescriveva pochi giorni dopo: “ L’Im- 


426 DOMENICO PERRERO 


pératrice reine fait bien des remercimens è S. M. pour les 
truffes et les vacherins, dont elle a fait garder trois parts pour 
sa table ,. Il che prova, meglio delle parole, il reale suo gra- 
dimento. 

Il Canale, che aveva suggerito di aggiungere ai futuri re- 
gali, anche le pernici rosse denominate in Piemonte bdertavele, 
con lettera del 14 xbre 1769, così facevasi ad acquetare gli 
scrupoli del Raiberti, a cui erasi supposto, che le dette pernici 
fossero comuni anche a Vienna: “ J'ai regu (scrivevagli) la cas- 
sette avec les truffes et les 18 perdrix rouges, qui ont été pré- 
sentées à LL. MM. Impériales par M. le Comte de St. Julien 
Grand-Maitre de cuisine... Tout est arrivé bien conditionné et 
a été fort agrée, LL. MM. m’ayant fait recommander de beau- 
coup remercier le Roi de son souvenir et de son obligeante 
attention... Je vous assure qu'on a ici un soin particulier des 
truffes, qu'on les pèse è la cour et que l’impératrice en fait la 
distribution. — Pour ce qui est des perdrix rouges, je ne sgais 
pas comment on peut dire qu’elles sont communes à Vienne; 
il en vient très rarement du Tyrol et elles sont d’une espèce 
différente et très inferieures aux dertavelles. Feu le marquis de 
Breil, qui le sgavait bien, m’en donna douze pour le chancelier 
de Zinzendorf, très entendu en bonne chère, lorsque je vins à 
Vienne pour la première fois: le chancelier en fit grand bruit, 
comme d’un régal. Ainsi, ce fut là un trait d’erudition que 
jappris dans les premiers instants de mon séjour è Vienne ,. 

Si è poco dianzi accennato ai regali di vino Tokai soliti 
farsi dalla corte di Vienna alla nostra. Di questi regali, che, 
molto frequenti fin da principio, finirono col diventare quasi 
annuali (1). Non farò menzione che di uno solo, perchè si con- 
nette con un avvenimento, il quale, a que’ giorni, menò gran 
rumore e avrebbe forse potuto dar luogo ad importanti conse- 
guenze, se coi desideri di Maria Teresa e colle speranze di 
Carlo Emanuele III, avesse potuto andar d’accordo il genio del- 


(1) Il conte di Scarnafigi, succeduto al Canale nell’ambasciata di Vienna, 
il 3 dicembre 1774, scriveva al suo ministro a Torino: “ M. le comte de 
St-Julien m’a "annoncé ces jours passés, qu'il avait déjà regu les ordres 
pour me remettre le vin de Tokai que l’impératrice est dans l’usage d'envoyer 
à S. M. TOUS LES ANS ,. 


I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECO. 427 


l’imperatore Giuseppe Il; intendo parlare della visita, che questi 
fece. nel 1769, alla nostra corte, visita, alla quale si annetteva 
generalmente il disegno di matrimonio con una delle principesse 
reali, nè senza fondamento. E a tale visita appunto alludeva 
il conte di Canale nel suo dispaccio del 9 9bre del detto anno, 
nell'occasione dell’invio, per parte dell’imperatore di due fusti 
di Tokai: “...Le comte de St. Julien, qui en avait la commission, 
m'a dit que c’était l’empereur et non l’impératrice, qui avait 
destiné le vin pour le Roi... L’Empereur (aggiungeva l’ambascia- 
tore) m’ayant fait l’honneur hier de m’adresser la parole m'a 
encore parlé beaucoup de Turin, se servant des termes les plus 
expressifs pour marquer le plaisir qu'il avait eu de s’entretenir 
avec S. M. et la famille royale, et combien il desirerait d’étre 
à portée de se procurer cette satisfaction et apprendre du Roi 
l’art de gouverner , (1). 

Quale assegnamento era da farsi sulla sincerità di siffatta 
dichiarazione? Nulla osando affermare, ritorno ai nostri tartufi, 
riguardo ai quali almeno si può essere certi della sincerità sì 
dell’imperatore come della imperatrice nella espressione del loro 
gradimento, autenticata, com'era, dal fatto. Perciocchè, mentre 
altre volte, come si è veduto, degl’inviati tuberi riservate tre 
parti per la famiglia imperiale, la residua quarta parte veniva 
da essi distribuita ai ministri e principali personaggi della corte, 
ultimamente, omessa ogni distribuzione, tutti se li riservavano 
per la sola famiglia imperiale. Ciò non metteva conto al nuovo 
ambasciatore conte di Scarnafigi, succeduto in quel mentre al 
conte di Canale, perchè avendo sempre bisogno di que’ ministri 
e personaggi, avrebbe voluto vederli gratificati almeno di quel 
poco, come per l’innanzi. Ond’è che, con dispaccio 3 8bre 1774, 
ricordando a Torino la solita spedizione de’ tartufi, soggiungeva: 
“ Si dans la susdite expédition, V. E. trouve à propos d’en faire 
ajouter une petite quantité pour distribuer à deux ou trois des 
principales personnes de cette ville, Elle me mettra è meme de 
continuer une attention pratiquée par le feu comte de Canal, 
et pour laquelle on lui ètait très reconnaissant ,. 


(1) Sull’eccellenza di quel Tokai così scriveva il Canale: “ Il faut que 
le Roi conserve ce vin pour sa bouche et sa famille, car, pour de l’argent, 
je ne pourrai pas en trouver de semblable , (25 ottobre 1764). 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 31 


428 DOMENICO PERRERO 


L’avvertenza fu riconosciuta giusta, e allora e poi sempre 
la piccola aggiunta mai non mancò a simili spedizioni, e l’esito 
fu quale era previsto, come lo stesso Scarnafigi, soddisfatto, si- 
gnificava anche l’anno successivo 1755: “ Samedi, 23 de ce mois 
(décembre), j'ai recu par une estafette, quatre caisses, savoir: 


deux de truffes, une de vacherins, et l’autre de dertavelles. Le 


tout étant arrivé dans le meilleur ètat possible, je me suis em- 
pressé de le faire remettre tout de suite à S. M. l’imperatrice. 
Jai gardé è ma disposition la plus petite des caisses, conte- 
nant des truffes pour les distribuer aux principaux ministres de 
cette cour qui m’en sgavent un gré infini ,. 

In questo stato di cose, era naturale, che i principi delle 
corti estere, i quali avevano mostrato di gustare ed apprezzare, 
come si è veduto, i tartufi del Piemonte, sentissero il desiderio 
d’indagare se ne’ propri Stati allignasse l’ambito vegetale. Giusta 
il metodo primitivo, più generalmente allora praticato, la cerca 
o caccia se ne faceva col concorso di un ausiliario dall’odorato 
infallibile, è vero, ma dal grugnito inamabile. Gli Inglesi, in 
ispecie, così esigenti in fatto di pulizia, ne rifuggivano assolu- 
tamente, preferendo di abbandonare alla terra il prezioso suo 
tesoro, al doverlo all’abilità di un siffatto collaboratore. Ed essi 
infatti, furono a giorni nostri i creatori della miglior razza di 
cani per la caccia de’ tartufi. — Nel tempo, però, del quale si 
tratta, questo vanto spettava al Piemonte. Presso di noi, era 
di buon’ora invalso l’uso di tale caccia per mezzo de’ cani; 
ond’è che i ragguardevoli esteri viaggiatori, che, nelle loro pe- 
regrinazioni per l’Italia, facevano qui, d’ordinario, una prima 
sosta, vi pigliavano, volentieri, parte, come ad un passatempo 
nuovo per essi, il quale alle emozioni della caccia della selvag- 
gina, univa il vantaggio, prezioso agli amici degli animali, di 
non costare pure una goccia di sangue. Il perchè, rimpatriati, 
tanto que’ gentiluomini si lodavano e del vegetale e del modo 
di cacciarlo, che fecero più d’una volta sorgere in qualche estera 
corte amica la vaghezza di avere dai nostri principi e uomini 
e cani abili e addestrati a tale caccia per poter goderne ed ac- 
certarsi, ad un tempo, della esistenza o non, ne’ loro paesi, del 
pregiato vegetale. 

Due di siffatte richieste vennero a mia notizia e credo bene 
di qui ricordare. La prima rimonta al 1723, e venne dalla 


| LT O RE TA LTT 


a 


I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 429 


Francia per parte del giovane re Luigi XV, come il conte An- 
nibale Maffei, ambasciatore Sardo a Parigi, ne informava il 
marchese Delborgo, ministro sopra gli affari esteri, con dispaccio 
del 27 7bre: “ M. le Comte Merville (ministro sopra gli affari 
esteri francese) m’a fait entendre que le Roi souhaitait d’avoir 
trois ou quatre bons chiens élevés è la chasse des truffes avec 
un homme entendu è celà et propre à les diriger et à les 
nourrir... n’osant pas les demander au Roi, son grand père (Vit- 
torio Amedeo Il) ,. 

Da Torino fu bensì, d'ordine di Vittorio Amedeo, spedito. 
l’uomo con quattro cani al nipote (piccato forse nei rimproveri, 
che spesso ne riceveva per la vita troppo molle ed oziosa che 
menava), ma dell’esito di quella spedizione tace la corrispon- 
denza del Maffei. 

Molto più complete e specifiche sono le notizie lasciateci 
sull’altra consimile spedizione fattasi ventotto anni dappoi sotto 
Carlo Emanuele II, in occasione di altra richiesta pervenu- 
tagli, per mezzo della legazione britannica in Torino, da parte 
del vincitore di Culloden, il duca Guglielmo di Cumberland, se- 
condo genito del re Giorgio II d'Inghilterra. Piacque al nostro 
re, in quella occasione, non solo di soddisfare il duca, ma di 
dare anche a tale soddisfazione una specie di solennità, affine 
di fare spiccare agli occhi del pubblico, non meno che della 
corte stessa di Londra il suo studio di coltivare l’antica ami- 
cizia tra la sua dinastia ed il governo britannico. Gli è in 
questo senso che il Cav. Ossorio, ministro sopra gli affari esteri, 
così scriveva, con dispaccio del 4 7mbre 1751, al conte di Per- 
rone, nostro ambasciatore a Londra: 

“ Le Roi ayant su que M. le duc de Cumberland souhaite 
d’avoir des chiens dressés è la chasse des truffes, et un homme 
entendu à les mener et à en dresser d'autres en Angleterre, 
S. M. a saisi avec plaisir cette occasion de satisfaire le désir 
de S. A. R., et en conséquence des ordres qui avaient été donnés 
pour trouver ces chiens, l’on en a fait partir huit, ces jours 
passés, sous la conduite de deux chasseurs entendus è cette 
sorte de chasse; lesquels sont adressés è M. le marquis de St. 
Germain (ambasciatore sardo a Parigi), qui est chargé de 
donner les dispositions pour la continuation de leur voyage 
Jusqu'à Londres, et pour l’envoi d’une caisse àè votre adresse, 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 31* 


430 DOMENICO PERRERO 


contenant l’habillement dont le bureau de la maison du Roi les 
a fait pourvoir. — Vous les présenterez avec les chiens à S.A R 
en lui témoignant le plaisir que S. M. se fait de les lui pro- 
curer. Le nom des deux chasseurs est Vachina frères, et quant 
aux chiens, àges et marques se trouvent détaillés dans la note 
ci-jointe. — Il faudra que vous preniez le soin de faire pourvoir 
les deux hommes d’un chapeau bordé à l’anglaise ou d’un bonnet 
à l’anglaise, selon que vous jugerez plus à propos. Je suis bien- 
aise de vous ajouter, au sujet des susdits chasseurs, que celui 
qui est marié, ne doit point se laisser engager à demeurer en 
Angleterre; pour l’autre, qui est gargon, il y peut demeurer y 
trouvant ses convenances ,. 

Tutto andò a seconda de’ presi concerti; ad eccezione di 
un cane perdutosi in cammino, tutti, uomini e bestie, giunsero 
alla loro destinazione, ed il conte di Perrone potè, al giorno ap- 
puntato, che fu il 26 di ottobre, farne la solenne presentazione 
a Windsor, coll’esito, che, due giorni dopo, significava al re 
stesso ne’ seguenti termini: “ J'ai été avant hier è Windsor, et 
jai'eu l’honneur de présenter è Monseigneur le duc de Cum- 
berland les chiens qu’Elle lui a envoyés. Il en a été extréme- 
ment content, et m’a très fort recommandé d’en témoigner sa 
vive reconnaissance à V. M. et de l’assurer que l’on ne saurait 
étre plus sensible qu'il l’est, de la facon dont Elle a cherché 
à lui faire plaisir dans cette occasion. Il a voulu aller tout de 
suite è la chasse des truffes; j'ai eu l’honneur de l’accompagner, 
mais il n'a pas été possible d’en trouver, et j'ai grande peur 
qu'il n'y en aye aucune dans les environs. — Quoiqu'il en soit, 
il est certain que ce présent lui a été très agréable, surtout 
parce qu'il vient de la part de V. M., ce qu'il n'a cessé de 
me répéter ,. Ed in lettera a parte all’Ossorio, aggiugneva: 
“ Le tout ensemble avait bonne mine, et Monseigneur en a été 
extrémement content ,. 

Il duca però non si lasciò scoraggiare da quel primo vano 
tentativo, e la sua perseveranza venne ben presto coronata da 
felice successo, che il Perrone sollecito notificava a Torino, colla 
soddisfazione, quasi, con cui avrebbe annunziata una vittoria 
diplomatica: “ Hier, enfin (scriveva li 11 9bre) les chasseurs ont 
trouvé, prés de Windsor, les truffes qui ont la méme odeur que 
les notres. Le duc de Cumberland en a été enchanté ,. — Che 


I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 431 


ne fu del cacciatore scapolo, che aveva la licenza di rimanere 
al servizio del Duca? Riuscì egli a fondare quella scuola di am- 
maestramento dei cani indigeni, per cui sopratutto era stato 
chiamato? E la prima trovata del vegetale fu ella una ecce- 
zione, od il principio di un raccolto continuato? Fu realtà o 
non piuttosto mera compiacenza pel duca l’allegata somiglianza, 
quanto all’odore, del tubero allora trovato, col nostrano? Le 
carte tacciono affatto a tale riguardo, ma la tradizione contem- 
poranea, trasmessa dal Vigo, affermava, come vedemmo, che i 
tartufi, allora trovati “ e pel colore e per la squisitezza del- 
l'odore e del sapore, erano di gran lunga inferiori ai nostri , 
a detta dei cacciatori reduci dall'Inghilterra. 

Quanto ai cacciatori, tutto induce a credere, che quegli dei 
due fratelli, il quale era autorizzato a starsene in Inghilterra, 
vi sia realmente rimasto più o meno lungamente sino a com- 
piuto raggiugnimento dello scopo, per cui eravi stato chiamato, 
tanto più che il primo sperimento felicemente riuscito dovette 
incoraggiare sempre più il duca nel suo proposito. Questo è 
certo, in ogni modo, che deve aversi in conto di una mera leg- 
genda ed anzi di favola, il racconto, che un giornale francese 


| spaccia a questo riguardo, riportandolo però da una Rivista in- 


glese, in questi termini: “ Par un curieux caprice de l’ histoire, 
c'est un Espagnol, qui a enseigné aux Anglais l’art de chercher 
les truffes... Etait-ce un matelot echappé au désastre de l’Ar- 
mada, qui au lieu de poursuivre une légitime vengeance, appor- 
tait un immense bienfait aux ennemis de sa patrie? Est-ce un 
aventurier? Un vagabond? Ce problème historique n'est pas en- 
core élucidé, mais il n’en est pas moins hors de doute que 
l’Angleterre doit è un Espagnol le seul progrés sérieux qu'elle 
ait réalisé depuis trois cent ans dans l’art culinaire , (1). 
Lasciando, senz’altro, agl’Inglesi, quando così stimino, la 
cura di difendersi dalla taccia di essere in ritardo di qualche 
secolo nel progresso dell’arte culinaria, ritengo, che il problema 
storico sopra accennato debba oramai dirsi risolto, e risolto a 
favore del Piemonte, a fronte dei documenti dianzi prodotti, 
dai quali risulta, che, prima del 1751, in Inghilterra non era 


(1) Figaro, Supplém., Longmans Magazine, 1895. 


432 DOMENICO PERRERO — I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 


ancora accertata l’esistenza dei tartufi, come prodotto indigeno, 
e tanto meno n’era in uso la caccia, giacchè in quell’anno ap- 
punto, risulta, aver avuto luogo, come spettacolo straordinario 
e nuovo, il primo esperimento di siffatta caccia, e questo per 
mezzo d’uomini e di cani fatti, a tale scopo appunto, venire 
dal Piemonte. Infino a che, pertanto, con documenti di eguale 
chiarezza ed autorità di quelli sopra addotti, non si verrà a 
provare, che un altro anteriore consimile esperimento siasi fatto 
o dal supposto marinaio Spagnuolo, o dal preteso avventuriere 
e vagabondo o da chiechessia altro, si può e si deve senza più 
affermare, che tutte le ipotesi come sopra affastellate dallo scrit- 
tore francese, non sono che “ sogni d’infermi e fole di romanzi , 
ed i piemontesi sono in diritto di rivendicare per sè l’ onore 
d'essere stati i primi scopritori del prezioso tubero in Inghil- 
terra, ed i maestri agl'Inglesi del modo di farne la caccia e di 
addestrarvi i cani. Ho detto: l’onore; qualcuno osserverà: Dove 
mai l’onore va a cacciarsi! Per rispondere a questo scrupoloso 
mi affido ai gastronomi, che sanno apprezzare al suo giusto va- 
lore questa perla del regno vegetale, e alla estensione ed im- 
portanza, che la sua coltivazione e il suo commercio vanno di 
giorno in giorno acquistando. 


Relazione sul lavoro del Dott. Lurei ScaraParELLI, intitolato: 


“ Origini del Comune di Biella ,. 


I sottoscritti presero in esame il lavoro del D' Luigi 
Schiaparelli, che si intitola: Origini del Comune di Biella. 

Ecco, in riassunto, gli argomenti trattati in questo lavoro. 

Principia l'Autore dal raccogliere le notizie riflettenti l’età 
classica, quando il territorio biellese faceva parte dell’ager Ver- 
cellensis. Le notizie per quest'epoca sono assai poche, sicchè l’A., 
dopo brevi pagine, entra nell’età media e discute il diploma di 
Lodovico il Pio dell’anno 826, nel quale per la prima volta si 
ricorda espressamente la villa detta Bugella. La discussione 


RESO CT e n A CE 1 O 


E e 


MITI, È Lea ———__— CITE: TO 


433 


intorno a questo diploma offre campo ad indagini sulla persona 
di Bosone, che in esso è menzionato, sulla geografia del sito in 
relazione a Biella e ad Ivrea (del cui celebre marchesato l'A. 
parla con qualche larghezza), e sopra questioni secondarie. 

Partendo dai risultati storico-geografici ottenuti dall'esame 
del diploma dell’anno 826, l'A. si inoltra a considerare le carte 
posteriori, fra le quali abbondano relativamente i diplomi impe- 
riali, venendo sino all’età di Federico I Barbarossa, e giunge a 
stabilire con piena certezza che cosa era il territorio Biellese, 
ossia — secondo la terminologia antica — il “ totum Bugellense ,. 

Fino dal secolo IX cadente i vescovi di Vercelli esercita- 
rono, per quanto pare, giurisdizione civile sul territorio di Biella; 
questo fatto che trova la sua lontana radice nella condizione 
territoriale dell’età romana, viene accuratamente studiato dall’A., 
dopo esaurita la parte geografica. Confrontando tra loro i non 
pochi documenti che direttamente o indirettamente riguardano 
questo argomento, siano essi diplomi o carte pagensi, lA. riesce 
a' determinare l’estensione giuridica dei diritti episcopali ver- 
cellesi, e neltempo stesso incontra i primi indizi della vita popo- 
lare e comunale. Questi primi indizi egli li trova anzitutto stu- 
diando la condizione della proprietà, la quale era o ecclesiastica, 
o della pars publica, o dei consortes, o dei vicini, o dei privati. 
Naturalmente per l’A. ha sopratutto importanza la proprietà 
dei vicini. Così la questione riflettente l’autorità episcopale si 
collega alla questione economica, e questa si coordina alle ri- 
cerche sull'origine del comune. È quasi inutile avvertire che 
anche per Biella, come per tante altre località, la eliminazione 
degli ordini pubblici carolingici, a mezzo dell’autorità episco- 
pale, servì indirettamente, ma efficacemente allo sviluppo del 
comune. Per Biella poi ci fu da parte dei vescovi vercellesi 
anche una prossima cooperazione alla mutazione avvenuta negli 
ordini antichi. 

Dovendo l’A. determinare esattamente le relazioni dei ve- 
scovi di Vercelli con Biella, espone con minutissimi particolari, 
in gran parte basandosi su documenti inediti, l’amministrazione 
della Chiesa di Biella, i diritti dei canonici e del loro prepo- 
sito, ecc., e studia la supremazia della Chiesa di Vercelli, spie- 
gandone con molta precisione i diritti e i doveri. 

Pare che l’assestamento definitivo dei Biellesi in forma di 


434 


associazione comunale si debba ad alcune concessioni fatte loro 
dal vescovo Uguccione, che visse ai tempi di Federico I. L'A. 
chiarisce questo punto per quanto gli è possibile; tuttavia, per 
mancanza di documenti, forse non riesce a metterlo in tutta 
quella luce, che la nostra curiosità desidererebbe. Ma egli fa 
quanto gli è possibile, senza omettere di illuminare anche le 
questioni di contorno, tra le quali ricordo la discussione sui 
boni homines; a Biella si principia a incontrarli appunto a questo 
tempo, ed essi accennano agli ordinamenti comunali ormai in- 
trodotti o prossimo ad attuarsi. I consoli compariscono soltanto 
più tardi. 

Non trascura l’A. la ricerca etnografica, basandosi sulle pro- 
fessioni di legge. Egli non ignora le obbiezioni che in qualche 
caso si possono fare sul significato di una professione di legge, 
ma pur sa che, nella considerazione di molte professioni, gli 
errori mutuamente si elidono, così che per questa via si può pur 
sperare di giungere ad un buon risultato. I documenti che egli 
esamina, sono abbastanza numerosi e vanno dal 988 al 1197, 
ed essi provano che l'elemento etnografico preponderante era il 
romano, ma erano abbastanza forti anche gli elementi longo- 
bardo e salico. Assai per tempo si trovano nelle carte alcune 
parole che accennano al volgare, che si andava costituendo e 
svolgendo. 

Così termina il nucleo del lavoro. Fa seguito una lunga 
nota dedicata a ricerche diplomatiche sulla composizione delle 
carte pagensi a Biella. Sono queste indagini importanti, in 
ispecie per la soluzione dei gravi quesiti che possono sorgere 
sull’autenticità dei documenti. 

Viene poi una scelta di documenti inediti (dal secolo XI 
alla fine del XIII), tolti e trascritti con cura dalle pergamene 
esistenti negli Archivi di Biella. 

A tutto questo segue un’Appendice, nella quale l'Autore 
tratta alcune questioni riflettenti i Vittimuli, la storia dei quali 
si collega intimamente colle origini di Biella. Quest’appendice 
si divide in vari paragrafi. Nel primo l’A. riassume in breve la 
discussione fatta intorno al passo di Strabone, dove è parola 
della aurifodina Vittimulense. Più importanti sono i paragrafi 
II, III e IV, nei quali l’A., seguendo il filo raccolto nel $ I, e 
facendo uso di fonti edite e inedite, nonchè dei risultati della 


PETE e E e —__ Co —r———m————m——————m——@—@—@ 


rr —_— 


435 


ispezione locale da lui stesso fatta, e mettendo fra loro a riscontro 
notizie archeologiche e diplomatiche, rifà la storia del pago e 
del castello dei Vittimuli tra l’età classica e l’età medioevale. 

A parere dei sottoscritti il lavoro del D." Schiaparelli reca 
veramente nuova luce sulle origini del Comune Biellese, sia per 
i documenti inediti da lui studiati, sia per il metodo scientifico 
con cui esaminò gli atti già conosciuti. Essi ritengono quindi 
che il lavoro del D" Schiaparelli possa venir letto alla Classe. 


Torino, 2 febbraio 1896. 


BoLLaTI DI ST-PIERRE 
DomENICO PERRERO 


C. CrpoLLa, Relatore. 


L’ Accademico Segretario 


Ermanno FERRERO. 


_AVINA__— 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 
Dal 12 al 26 Gennaio 1896. 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; 
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. 


** Abhandlungen der k. Preussischen geologischen Landesanstalt. N. F., 
Heft 17, Atlas. Berlin, 1895; 8° e 4°. 

* Abhandlungen herausg. von der Senckenbergischen Naturforschenden 
Gesellschaft. Bd. XIX, Heft. II. Frankfurt a. M., 1895; 4°. 

* Almanach der k. Akademie der Wissenschaften. 1894. Wien, 1894; 8°. 

* American Journal of Science. Editors James D. and Edward S. Dana. 
4* ser., Vol. I, n. 1. New-Haven, 1896; 8°. 

* Anales de la Universidad (Republica Oriental del Uruguay). Tomo VII, 
Entr. 4%. Montevideo, 1895; 8°. 

* Annales de la Société Royale Malacologique de Belgique. T. XXVII, 
Ann. 1892. Bruxelles; 8°. 

Annuario publicado pelo Observatorio do Rio de Janeiro para o anno de 
1895. Rio de Janeiro, 1894; 8°. 

* Atti della Società toscana di Scienze naturali residente in Pisa. Memorie, 
vol. XIV, 1895; Processi verbali, vol. IX, pp. 243-310. 

* Berichte der Naturforschenden Gesellschaft zu Freiburg I. B., IX Bd., 
1894-95; 8°. 

* Bulletin de la Société impériale des Naturalistes de Moscou. Ann. 1894, 
n. 4. Moscou, 1895; 8°. 

* Bulletin du Muséum d'’histoire naturelle, année 1895, n. 7. Paris, 1895; 8°. 

Bulletin of the United States Geological Survey, n. 118-122. Washington, 
1894; 8° (dal dipartimento dell'Interno, U. S. geological survey). 

* Bulletins du Comité Géologique de St-Pétersbourg, 1894, t. XII, n. 4-6; 
suppl. au T. XI Bibliothèque Géologique de la Russie, 1893. St-Péters- 
bourg, 1894; 8°. 

Calendario del Santuario di Pompei per l’anno 1896. Valle di Pompei; 16°. 

* Denkschriften der k. Akademie der Wissenschaften. Mathem.-natur- 
wissenschaftliche Classe. Bd. 61. Wien, 1894; 4°. 

Geologic Atlas of the United States. Fol. 1-6, 8-12. Washington, 1894; f° 
(dono del Governo degli Stati Uniti d’ America). 

* Journal of Comparative Neurology; Vol. VI, pp. 139-214 + XLIII-CII. 
Cincinnati, Granville, Ohio, 1895; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 437 


* List of the Members of the R. Irish Academy, 1895. Dublin; 8°. 

* Mémoires de l’Académie Imp. des Sciences de St.-Pétersbourg. Classe 
physico-mathématique. 7° série, t. XLII, n. 7-12; 8° série, t. I, n. 1-8. 
St.-Petersbourg, 1894; 4°. 

* Mémoires du Comité Géologique de Russie. T. XIV, n. 1. St-Pétersbourg, 
1895; 4°. 

* Memoirs of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College. 
Vol. XVIII. Cambridge U. S. A., 1895; 4°. 

* Memoirs of the California Academy of Sciences. Vol. II, n. 4. San Fran- 
cisco, 1895; 4°. 

Monographs of the United States geological Survey, vol. XXIII, XXIV. 
Washington, 1894; 4° (Department of Interior). 

* Proceedings of the Royal Irish Academy. Third series, vol. III, n° 4. 
Dublin, 1895; 8°. 

* Proceedings of the Royal Society. Vol. LIX, n. 353. London, 1896; 8°. 

* Proceedings of the Zoological Society of London for the year 1395. 
Part III. London; 8°. 

* Proceedings of the Academy of natural Science of Philadelphia. Part ], 
1895; 8°. 

* Proceedings of the American Philosophical Society held at Philadelphia. 
Vol. XXXIV, n. 147. Philadelphia, 1895; 8°. 

* Proceedings of the California Academy of Sciences. 29 Ser., vol. IV, 
part 2. San Francisco, 1895; 8°. 

* Procès-Verbaux des séances de la Société Malacologique de Belgique. 
T. XXIV, 1895, pp. I-LXXXIV. Bruxelles; 8°. 

Report (14 Annual) of the United States Geological Survey 1892-93. 
Washington, 1893-94, 2 vol. in-4°. 

Scuola di Agricoltura presso la R. Università di Torino. A. II, 1395-96; 8° 
(dal Comizio Agrario di Torino). 

* Sitzungsberichte der K. Akademie der Wissenschaften. Mathem.-natur- 
wissenschaftliche Classe. CITI Bd., Abth. I, n. 4-10; II a, 6-10; II b, 4-10, 
III, 5-10. Wien, 1894; 8°. 

* Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXVIII, fasc. 12. Modena. 
1895; 8°. 

* Transactions of the R. Irish Acad. Vol. XXX, part XV-XVII. Dublin, 
1895; 4°. 

* Transactions of the Zoological Society of London. Vol. XII, par. 11. 1895; 4°. 

* Transactions ofthe American Philosophical Society, held at Philadelphia. 
Vol. XVIII, N. 5, Part. II, 1895; 4°. 

* Transactions of the Wagner Free Institute of Science of Philadelphia. 
Vol. 3, p. III. 1895; 4°. 

* Transactions of the Academy of Science of St-Louis. Vol. VI, n. 18; 
VII, n. 1-3. 1895; 8°. 


Gambera (P.). Delle proprietà dei miscugli dei gas perfetti. Salerno, 1895 
(dall’A.). 


438 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologicne. 


Dal 19 Gennaio al 2 Febbraio 1896 


* Abhandlungen der philologisch.-historischen Classe d. k. Sàchsischen 
Gesellschaft der Wissenschaft. Bd. XVII, n. 1. Leipzig, 1895; 8°. 

* Annuario della R. Accademia dei Lincei, 1896. Roma; 16°. 

Annuario della R. Università degli studi di Torino per l’anno accademico 
1895-96. Torino, 1896; 8°. 

* Archiv fir òsterreichische Geschichte. Herausg. von der zur Pflege vater- 
lindischer Geschichte aufgestellten Commission der k. Akad. der Wis- 
senschaften, B. 81, 2 Halfte. Wien, 1895; 8°. 

Atti dell’Accademia Pontaniana. Vol. XXV. Annuario pel 1896. Napoli, 
1895; 4° e 16°. 

* Atti del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. T. LIII, Appendice. 
Venezia, 1895; 8°. 

* Bibliotheca Indica: A Collection of Oriental Works published by the 
Asiatic Society of Bengal. New series, n. 860-865, 867; Catalogue of 
the Persian Books and Manuscripts. Fasc. III. Calcutta, 1895; 8° e 4°. 

* Boletin de la Real Academia de la Historia; t. XXVII, cuad. I. Madrid, — 
1896; 8°. 

* Foutes rerum aastriacarum. Esterreichische Geschichts-Quellen. Herausg. 
von der Historischen Commission der k. Akad. der Wissenschaften in 
Wien. XLVII Bd., 2 Halfte 1894; 8°. 

Monumenta Conciliorum generalium seculi decimi quinti. Concilium Basi- 
leense. Scriptorum, t. III, pars III. Vindobonae, 1895; 4°. 

* Sitzungsherichte der k. Akademie der Wissenschaften. Philosophisch- 
Historische Classe. CXXXI Bd., Jahr. 1894. Register zu den Banden 
121 bis 130. Wien, 1894; 8°. 

* Studi e Documenti di storia e diritto. Anno XVI, fasc. 4°. Roma, 1895; 4° 
(dall’ Accademia di Conferenze Storico-giuridiche). 


Lilla (V.). Di un precursore sconosciuto di Antonio Rosmini. Napoli, 1895; 4°. 

Marre (A.). Vocabulaire des principales racines Malaises et Javanaises de 
la langue Malgache. Paris, 1896; 3°. 

Piette (Ed.). Hiatus & lacune. Vestiges de la période de transition dans 
la grotte du Mas-d’Azil. Beaugency, 1895; 8° (dall’A.). 


Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi. 


Rec’d.£8 July--12 Sapt. 1896 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 9 Febbraio 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’OVIDIO 
DIRETTORE DELLA CLASSE 


Sono presenti i Soci: Berruti, FeRRARIS, Mosso, SPEZIA, 
Giacomini, Segre, VoLtERRA, JADANZA e NaccarI Segretario. 

Viene letto ed approvato il verbale della precedente adu- 
nanza. 

Il Segretario comunica la lettera di ringraziamento inviata 
dal Prof. MrrrA6-LEFFLER recentemente eletto Socio Corrispon- 
dente. 

Il Socio D’Ovipio presenta una nota del Socio nazionale 
non residente BrroscHI intitolata: “ Il risultante di due forme 
binarie biquadratiche e la relazione fra gli invarianti simultanei 
di esse ,, e ne parla. La nota ha forma di lettera diretta al 
Socio D’OvipIo; sarà inserita negli Atti. 

Il Socio SeGrE, membro della Commissione incaricata di 
esaminare una memoria del Prof. Rodolfo BerTAZZI intitolata: 
“ Fondamenti per una teoria generale dei gruppi ,, annunzia che 
l’autore ha ritirato quella memoria. Lo stesso Socio presenta 
quindi una nota del medesimo autore la quale porta il titolo: 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 32 


440 


«“ Sulla catena di un ente in un gruppo ,, ed è estratta dalla 
memoria anzidetta. 
Sarà inserta negli Atti. 
Vengono pure accolti per l'inserzione negli Atti le note 
seguenti: 
“ Sui principî che reggono la geometria di posizione », 
nota del Prof. Mario Pieri, presentata dal Socio NAccARI a 
nome del Socio Peano. 
“ Osservazioni meteorologiche fatte durante l’anno 1895 
all'Osservatorio della R. Università di Torino , calcolate dal 
Dott. G. B. Rizzo, presentate dal Socio NaAccarI. 


FRANCESCO BRIOSCHI — IL RISULTANTE DI DUE FORME, ECC. 441 


LETTURE 


IMrisultante di due forme binarie biquadratiche e la relazione 
fra gl’invarianti simultanei di esse. 


(Lettera di F. BRIOSCHI ad E. D’OVIDIO) (*). 


Preg."° Collega, 


Il prof. Bertini nel 1877, Ella nel 1880, si occuparono del 
sistema simultaneo di due forme binarie biquadratiche, e delle 
relazioni o sigizie esistenti fra gli invarianti ed i covarianti 
simultanei delle forme stesse. Nel volume XV degli Atti di 
codesta Accademia, Ella ha fatto conoscere la relazione esi- 
stente fra gli otto invarianti simultanei delle due forme, rela- 
zione di sesto grado rispetto ai coefficienti dell’una e dell'altra 
forma. Il Bertini, iniziatore di queste ricerche, aveva già dimo- 
strato che una sola relazione poteva esistere fra quegli inva- 
rianti; ma, rispetto al grado di essa, i risultati non coincidevano, 
mentre pel Bertini saliva al dodicesimo, per Lei, come già dissi 


{#) Mi tengo onorato di comunicare all'Accademia, da parte dell’autore, 
la seguente lettera direttami dal socio Sen. F. Brioschi, nella quale l’illustre 
scienziato, applicando un suo recente ed importante teorema, perviene con 
rapidità ed eleganza a trovare simultaneamente il risultante di due forme 
binarie biquadratiche, espresse mediante i loro invarianti fondamentali e la 
relazione esistente fra gl’'invarianti medesimi. Altre notizie circa quest’ul- 
tima relazione, oltre quelle accennate dall’autore, si trovano nella mia nota 
“ Sopra alcune classi di sigizie binarie , (Atti Acc. Torino, v. 28). Ivi os- 
servai che la relazione, nella forma datale dall’egregio sig. B"° v. Gall, cer- 
tamente conteneva un fattore superfluo, e sospettai che questo fosse D (se- 
condo la notazione, da lui e da me adottata); e così credette poscia anche 


il v. Gall. Ma qui il Prof. Brioschi trova che il fattore superfluo è D I 


(secondo la mia notazione), ossia D — È AA (secondo la notazione del v. Gal). 


E. D'0. 


442 FRANCESCO BRIOSCHI 


al sesto, e più tardi, cioè nel 1888 (“ Mathematische Annalen ,, 
Bd. XXXIV, pag. 335) il sig. v. Gall la dichiarava dell’ ottavo 
grado. 

, Un teorema che ho di recente comunicato alla Società 
Scientifica di Erlangen, sulle soluzioni comuni a due equazioni, 
potendo trovare opportuna applicazione anche a ricerche di 
questa specie, mi indusse a ritornare sull'argomento, nello scopo 
altresì di chiarire con un esempio il nuovo metodo. 

Come si vedrà più avanti questo metodo conduce diretta- 
mente all’unica relazione esistente fra gli otto invarianti simul- 
tanei, e questa relazione è del sesto grado. Ma prima parmi 
opportuno dimostrare che la relazione del sig. v. Gall non è 
che apparentemente del grado ottavo, ma che essa riducesi al 
sesto, e precisamente a quella già da Lei calcolata (*). 

Sieno g, w le due forme binarie biquadratiche, ed a, c i 
due covarianti di esse: 


1 1 
a= (99 _e=3 (Yy: 
Definisco gli otto invarianti simultanei come segue: 
1 1 
A= > (pp), C= 9 (yy), E= (yi, K= (ac), 
D= (pe), A=(ya,, G=(ga,, H= (yo); 


e pongo: 
6KT—-.AC= P, E° — 4AC=Q 
2HA—D)=U DA—GH=V 2(6D—A)=W 


inoltre: 
1=P_1Q m=—DE+CA+AH, n=4E—AD_—06 


1 Ng > DX 
x=—10P+U, u=xEP+V, v=—gAP+W. 


(*) Con analoga calcolazione, ma più complicata, può ottenersi il me- 
desimo risultato per la relazione del prof. Bertini. 


IL RISULTANTE DI DUE FORME BINARIE BIQUADRATICHE, Ecc. 443 


Indico infine con L e con M i due determinanti: 


ACHE O 
VER LATE EV 
IST, 
Ome, 1 
MO # mi w 
ee 
ed osservo che: 
= 1 
ma 9 mn 
Ro 
2 m DA 
n VW 


eguale cioè al determinante M nel quale siasi posto P= 0. 
Ora la espressione denominata R nella citata memoria del 


sig. v. Gall, è la seguente: 


risulta quindi che nella sua relazione: 
2R° —M=0 


i termini indipendenti da P spariscono, e la relazione stessa 
divisa per P diviene del sesto grado. Essa prende così la sem- 


plice forma: 


8P° — 3QP° — 3.4(3P — QQL'— 3°.4.(UW — V°) — 
— 3.4(Am° + Emn + On°)= 0. 


, 
A A questa relazione si giunge direttamente nel seguente 


444 FRANCESCO BRIOSCHI 
modo. Supponiamo che le equazioni p(x)= 0, y(a)=0 am- 
mettano una soluzione comune y, e sia: 


pla=((e-ya), ya =e—- NB. 


Pel teorema che ho sopra citato un invariante simultaneo 
delle forme ®, w, invariante (p, 9, 0) si esprime in funzione di 
invarianti e covarianti simultanei delle forme a, $, funzione 


(2,9% Pt 9. 
Infatti, fra le 26 forme le quali costituiscono il sistema 


completo di due simultanee forme cubiche, considerando le undici: 
1 
a,B, h= 3 (ac), g= (a, k= (B8:, 5=(08) 
t=2(ch), t=2(B%), «== 2(0%), ve=2(B4), J= (08) 


cioè dieci covarianti ed un invariante: trovasi che i valori degli 
otto invarianti simultanei delle forme biquadratiche ®, yw, sono: 


5) 


1 1 
D= E (IR8_-34), A=— <&(Jd +30) 
3 b) 1 3 (c 


nei quali covarianti, alla x intendesi sostituita la soluzione co- 
mune y. 

Ora il sig. v. Gall ha dimostrato (“ Mathem. Annalen ,, 
Bd. XXXI, pag. 438) che fra quelle undici forme sussistono le 
quattro relazioni: 


tB- va — 2h3=0 ta —- uB+ 2ks=0 
st= ga — ka° — hp°, ua — oB=JaB — g3 


e non altre. 
Sostituendo nelle medesime pei sette covarianti È, g, £, 
u, v, t,t, i valori dedotti dalle equazioni superiori si deducono 


@ 


Mai" dele 


IL RISULTANTE DI DUE FORME BINARIE BIQUADRATICHE, ECC. 445 


quattro relazioni fra gli otto invarianti A, E, C..... ele Ja, JB; 


e quindi dalla eliminazione di queste ultime, due relazioni fra 
gli otto invarianti. L’una di esse è del quarto grado (4, 4, 0), 
ed è il valore del risultante delle due forme @, w, da Lei pub- 
blicate negli Atti di codesta Accademia nel gennaio del 1880, 
risultante che nel caso attuale deve annullarsi. L'altra è la 
relazione (6, 6, 0) fra gli otto invarianti simultanei, della quale 
già dissi sopra. 
Posto: 


Ja=4p, Jg=54g,  /T=pP.Q 


nell'ultima delle quali le P, Q, hanno i valori indicati sopra, le 
quattro relazioni sono: 


p+ 4A4p—4Gg=AT 
g—4Dq+4Hp=CT 


3 9 il 
Cp° — Epg + Ag=- T°, pag = ET + 4(A4g—Dp). 


Sostituendo nella terza i valori di p°, pg, 9° dati dalle 
altre tre si ottiene la: 


mp + nq = — 5 TBT+ 8Q) 
e dalla eliminazione delle pa, p9° le altre due relazioni lineari 
ITm=|£U+ ro]p+[e#.v_-t TE ]q 
ITn=|£V-1 TE |p so) [#w+TA] q 


Moltiplicando la prima di queste per p, la seconda per 9, 
osservando essere: 


Up' + 2Vpg + Wg*== TL 


446 RODOLFO BETTAZZI 


si giunge per la precedente alla: 
3T?-+ 4TQ+ 2.4L= 0 


o sostituendo il valore di T, alla: 
5 1 3_ 
P Ae A sie e + 6L=0 


risultante delle due forme ©®, y. 

La eliminazione delle p, g, riconduce alla relazione (6, 6, 0), 
quando si tenga conto della precedente. 

Aggradisca, caro Collega, i miei affettuosi saluti. 


Sulla catena di un ente in un gruppo; 


Nota di RODOLFO BETTAZZI. 


Per la brevità e chiarezza del linguaggio premettiamo alcuni 
schiarimenti e definizioni. 

a) In tutto quello che segue la parola gruppo indicherà 
un gruppo di enti di natura qualunque. 

Useremo in generale pei gruppi le denominazioni proposte 
dal Dedekind nel suo opuscolo: “ Was sind und was sollen die 
Zahlen ,; dove dovremo aggiungerne o modificarne qualcuna, 
sarà detto esplicitamente. 

5) Diremo legame di più gruppi (Gemeinheit del Dede- 
kind (1)) il gruppo di tutti e soli gli enti ad essi comuni. 

c) Diremo che due gruppi G, e G, sono in corrispondenza, 
quando sia data una rappresentazione simile (2) di G, su una 
parte, propria o no, di G,, o di G, su una parte di G,. In tale 
rappresentazione un ente e la sua immagine si diranno corri- 


(1) DepekInp, Was sind und was sollen die Zahlen (Braunschweig, 1888), 
N. 17: 
(2) DepEKIND, /. c., N. 21, 26. 


| ; SULLA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO 447 


‘spondenti: gli enti di un gruppo che non hanno corrispondenti, 
si diranno isolati. 

Î d) Se in una corrispondenza di un gruppo G con sè stesso 
l’immagine di una parte G' di G (che può constare anche di un 
‘solo ente) è lo stesso G', diremo che in tale corrispondenza G' è 
un ciclo, che sarà parziale se G' è parte propria di G. 

Se nessuna parte propria di un ciclo è ciclo essa stessa, 

| diremo semplice il ciclo. 
e) Diremo sviluppabile il gruppo che il Dedekind dice in- 
finito (unendlich (1)), cioè quello che è simile ad una sua parte 


propria. 


1. — Sia una parte G, di un gruppo G simile ad un’altra 
G, dello stesso gruppo (distinta o no da essa) in una corrispon- 
denza a di G (o di una sua parte) con sè stesso. Se a è un 
ente di G,, si indichi con ca il suo corrispondente in G,, e se d 
è di G,, sia td il suo corrispondente in G,. Possono esistere in 
G enti privi di ente 0, o di ente , o di entrambi. 

Si indichi con (@)c ogni gruppo parte di G, che contenga un 
ente a di G, e che, se contiene un ente di G, contenga anche il 
suo ente 0 (quando questo esiste). 

Def. 1°. — Diremo catena di a in G rispetto al criterio 0 
il legame di tutti i gruppi (a)c (2). 

La catena di un ente a esiste sempre, e si riduce ad « 
quando non esiste ca. — Essa pure è un gruppo (a)c, e nessun 
altro gruppo (a)c è sua parte propria. 

Definizione analoga può darsi rispetto al criterio q. 

Def. 22. — Diremo opposti i due criteri 0 e , ed opposte le 
due catene di un medesimo ente rispetto a due criteri opposti. 


2. Trorema. — Se bh è un ente della catena di a fatta in G 
rispetto al criterio 0, la catena di b pure rispetto a 0 è parte di 
quella di a. 


(1) DepegINp, 2. c., N. 64. La ragione di questo cambiamento di nome 
sta in ciò, che, come conto di mostrare in un’altra nota, è da modificare, 
ampliandola, la definizione che il Dedekind dà del gruppo infinito. 

(2) Il Depexinp (!. c., N. 44) parla di catene anche nelle corrispondenze 
non simili; ma si restringe a quelle che diremo illimitate (cfr. $ 3 di questa 
Nota). 


448 RODOLFO BETTAZZI 


. Altrimenti il gruppo legame delle due catene sarebbe un 
gruppo (0) che non conterrebbe come parte l’intera catena di 5. 


3. TEOREMA. — In una catena può esistere al più un ente, 
del quale non vi sia in essa lente 0, ed al più uno privo in 
essa di ente ©. 

1° Se T è catena di « rispetto al criterio 0, e d è di 
e non è a, qualora in T non esistesse tb, sopprimendo è in 


resterebbe un gruppo (a)c di cui l non sarebbe parte ($ 1). 


Dunque il solo ente @ può esser privo di ente rm. 

2° Se b è un ente che in l è privo di ente o, si costruisca 
la catena l' di è in l rispetto al criterio m. Essa, se contiene 
un ente di F ne contiene il m, e quindi se non contiene un ente 
non ne contiene il 0: perciò, se non contenesse a, non conter- 
rebbe intera la catena f di a, e in conseguenza neppure d. 
Dunque l’ contiene a. Ma per la 1% parte già dimostrata nel- 
l’attuale teorema un solo ente di [" può esser privo di o (es- 
sendo t il criterio di M) e questo è 5, dunque l’ contiene « 
e il o di ogni ente che contiene, quando esiste, e in conseguenza 
($ 1) contiene l, con cui dovrà perciò coincidere. È dunque vero 


per T ciò che si è detto ora per l, ossia che il solo ente privo 


di ente 0 è 5. 

Osservazione. — In una catena di « rispetto al criterio 0, 
il solo ente che può esser privo di t è a: nella catena rispetto 
a t, a è il solo ente che può essere privo di o. 

Def. — Una catena fatta rispetto al criterio o si dirà limi- 
tata od illimitata, secondochè esiste in essa o no un ente privo 
di ente 0; aperta o chiusa secondochè esiste in essa o no un 
ente privo di ente T. 


CoroLLaRIO. — Una catena aperta illimitata è un gruppo 
sviluppabile (e). 


4. Trorema. — Se la catena F di un ente a presa in G ri- 
spetto al criterio 0 non consta di un solo ente ed è chiusa, è ca- 
tena chiusa anche rispetto al criterio mi, ed in entrambi gli aspetti 
è illimitata. | 

Essendo F chiusa ($ 3, Def.), essa contiene l’ente mt di ogni 
proprio ente. Costruendo in G la catena l” di a rispetto al criterio 
t, essa dovrà dunque far parte di T. 


ieri A dint 


rr e 


SULLA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO 449 


Inversamente deve T essere parte di MT". Ed invero [” con- 
tiene a. Inoltre contiene l’ente o di ogni ente, eccetto al più a 
($ 3. Teor.), essendo fatta rispetto al criterio t; ma contiene 
anche ca, altrimenti se mancasse in essa ca, mancherebbe l’ente 
o di 0a (di cui ca è ente T) ed in generale mancherebbe il 0 
di ogni ente che in essa manca, e quindi mancherebbe tutta la 
catena T, eccetto a, il che è assurdo, poichè ma che è di T (es- 
sendo F chiusa e non constando di un solo ente a), è anche 
di [". Si conclude che F' contiene a e l’ente o di ogni ente che 
contiene, e quindi tutto T. 

I gruppi el’ sono ciascuno parte dell’altro, e quindi sono 
identici, come si doveva provare. 

Inoltre F', e quindi anche T, contiene l’ente o di ogni suo 
ente: così [, e quindi [', contiene l’ente t di ogni suo ente; 
perciò T el’ sono entrambi illimitate, c. d. d. 


Cor. 1°. — Ogni catena chiusa non di un solo ente coincide 
colla propria opposta. 


Cor. 2°. — Ogni catena limitata è aperta. 


Cor. 3°. — Una catena chiusa è un ciclo (d) nella corrispon- 
denza da cui essa nasce. 


5. TroREMA. — Nella corrispondenza da cui nasce una catena, 
nessuna parte propria della catena è un ciclo. 


Invero, se T è catena di a ed è T' un suo ciclo, l” non deve 
contenere a, altrimenti conterrebbe l’intero T, di cui invece è 
parte propria. Inoltre F' non può contenere l’ente o di nessuno 
degli enti che esso non contiene, cioè non contiene nessun ente 
di T, mentre al contrario dev’essere costituito con enti di T. 
Un tale ciclo dunque non esiste. 

Cor. 1°. — Ogni catena chiusa è un ciclo semplice nella cor- 
rispondenza che l’ha prodotta ($ 4, Cor. 3°). 

Cor. 2°. — Il gruppo composto di due catene opposte di un 
medesimo ente a ($ 1. Def. 2?), che siano entrambe illimitate, è un 
ciclo semplice nella corrispondenza da cui nascono le catene. 


6. Trorema. — Una catena chiusa T di un ente a in un 
gruppo G è in esso catena di uno qualunque dei propri enti rispetto 
allo stesso criterio ed all'opposto. 


450 RODOLFO BETTAZZI 


Infatti, se è catena di a rispetto al criterio o e d è ente 
di F, si ha che l contiene la catena T' di 5 rispetto a o ($ 2. 
Teor.). Ma se l’ contiene un ente, contiene il suo ente 0, e quindi 
se manca di un ente, manca anche del suo ente t, dato anche 
che questo esista; e siccome se non contenesse a, dovrebbe per 
tal ragione mancare di tutta la catena di a rispetto a m, che 
è T stessa ($ 4. Teor.), e quindi anche di 5, il che è assurdo, 
così si conclude che contiene l’ente @ e quindi ($ 2. Teor.) la 
catena [ di a. Dunque T e l' si contengono a vicenda, cioè 
coincidono c. d. d. 

Così dicasi della catena di d rispetto a m. 


7. Trorema. — Se in una corrispondenza priva di ciclì un 
gruppo G ha per immagine una sua parte propria, esso si può 
spezzare in un gruppo di catene aperte ed illimitate di enti di G. 

Sia G' la parte propria di G, sua immagine nella corrispon- 
denza a, e G, il gruppo degli enti di G, che non sono enti di G”. 
Diciamo o di un ente di G la sua immagine: ogni ente di G 
ammette l’ente 0, ogni ente di G' l’ente t, gli enti di G, sono 
privi di n. 

Si costruisca la catena, rispetto a 0, di ciascuno degli enti 
di Gy: tali catene sono chiaramente aperte ed illimitate. Allora 

1° “Due catene F, e T, di due enti distinti a e è di Gy 
non possono avere enti comuni ,. 

Altrimenti 5 non essendo di F, nè « di T,, giacchè a e d 
non hanno ente  ($ 3. Oss.), il legame di F, e T, se esistesse, 
sarebbe composto di enti aventi ciascuno l’ente t e l’ente 0, e 
quindi costituirebbe un ciclo nella corrispondenza contro l’ipotesi. 

2° “ Ogni ente di G deve trovarsi in qualcuna delle ca- 
tene ora costruite ,. 

Infatti gli enti di G, vi si trovano per costruzione. Gli altri 
sono quelli che ammettono in G il proprio o ed il proprio n: 
talchè se un ente mancasse in tutte quelle catene, mancherebbe 
pure il suo 0 ed il suo m. Il gruppo degli enti mancanti in tutte 
quelle catene, se esistesse, costituirebbe un ciclo nella corrispon- 
denza, contro l'ipotesi, e quindi non esiste. 

Cor. 1°. — Se p è un ente di G, e G ha per immagine il 
gruppo degli enti di G distinti da p in una corrispondenza priva 
di cicli, sarà G catena aperta illimitata di p in tale corrispondenza. 


n POI I I n TO 


SULLA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO 451 


Cor. 2°. — Se in una corrispondenza un gruppo ha per im- 
magine una sua parte propria, esso, rispetto a quella corrispon- 
denza, si spezza în un gruppo di catene aperte illimitate e di cieli. 


8. TrorEMA. — Se in una corrispondenza a un gruppo G è 
un ciclo semplice (d), esso in questa corrispondenza 0 è una catena 
chiusa, 0 sì spezza in due catene aperte illimitate di criteri opposti. 


L'immagine di un ente di G si dica suo ente 0; di ogni 
ente di G esisterà allora l’ente o e l’ente m. Si costruisca la 
catena l rispetto al criterio o di un ente qualunque a di G. Se 
essa è chiusa, dev'essere identica all’intero gruppo G, altrimenti 
($ 4. Cor. 3°) sarebbe un ciclo parziale nella corrispondenza, che 
non esiste per ipotesi, essendo G un ciclo semplice. Il teorema 
allora è provato. 

Se l è aperta, è anche illimitata, non essendovi ente privo 
di o. Essa allora non è identica a G, mancando almeno di ta 
($ 3. Def.). In essa manca l’ente mr di ogni ente che vi manca, 
perchè se un ente vi comparisce, vi comparisce anche il suo o: 
dunque fra gli enti di G, che mancano in esso, vi è ta ed il t 
di ogni ente che manca, talchè il gruppo l’ degli enti di G man- 
canti in l è un gruppo (ma)z ($ 1). ET è precisamente catena 
di ta rispetto al criterio t, giacchè altrimenti una tale catena 
sarebbe illimitata e parte propria di [", ed il gruppo composto 
di essa e di l costituirebbe un ciclo parziale, contro l’ipotesi. 

Dunque l’intero gruppo è composto di T e di l', catene 
illimitate rispetto a criteri opposti c. d. d. 


Cor. — Se rispetto ad una corrispondenza in cui è ciclo sem- 
plice, un gruppo non è catena chiusa di nessun suo ente, il gruppo 
è sviluppabile ($ 3. Cor.). 


Passiamo ora ad occuparci della ordinabilità delle catene. 


f) Per le definizioni relative ai gruppi ordinati e bene 
ordinati prenderemo quelle del Cantor, rese complete dal 
prof. Burali-Forti, nella sua Nota: “ Sulle classi ordinate ed i 
numeri transfiniti , (1) colle leggiere modificazioni che accen- 
neremo. 


(1) Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, tomo VIII. 


452 RODOLFO BETTAZZI 


g) In un gruppo ordinato ammetteremo che possano 
esistere un ente senza precedenti ed uno senza seguenti. Cre- 
diamo conveniente adottare quindi la seguente distinzione: 

Diremo limitati i gruppi ordinati, in cui esiste un ente senza 
precedenti ed uno senza seguenti: illimitati gli altri. 

h) Per i gruppi bene ordinati renderemo un poco più 
generale la definizione del prof. Burali-Forti, e così: 

Un gruppo si dirà dene ordinato rispetto a 0 (0 a T) quando 
sia ordinato, e di ogni ente, che ammette seguenti, esista l’im- 
mediatamente seguente (o di ogni ente, che ammette precedenti, 
esista l’immediatamente precedente). 

i) I gruppi bene ordinati illimitati, in cui esiste un ente 
privo di precedenti, e quindi (9) nessuno privo di seguenti, ed 
ogni ente abbia l’immediatamente seguente, — e analogamente 
quelli in cui esiste un ente privo di seguenti e non ve n’è nes- 
suno privo di immediatamente precedente, si diranno ad un 
senso (risp.: rispetto a 0 od a q). 

Quelli in cui non vi sono enti privi di precedenti, nè enti 
privi di seguenti, e, perchè bene ordinati, ammettono l’immedia- 
tamente seguente o l’immediatamente precedente di ogni ente, 
si diranno @ due sensi (risp.: rispetto a 6 od a n). 

j) Nei gruppi bene ordinati, in cui ogni ente, tranne al 
più uno, ha l’immediatamente seguente, diremo (quando esi- 
stono) originario l’ente senza precedenti, finale quello senza 
seguenti: in quelli in cui al più uno è privo di immediatamente 
precedente, diremo invece inversamente originario l'ente senza 
seguenti e finale quello senza precedenti, quando esistono. 


9. Lemma 1°. — Dato un gruppo G, di cui p è un ente, se 
G ha per immagine G-p (gruppo degli enti di G distinti da p) 
in una corrispondenza a priva di cieli, esso è bene ordinabile e può 
dare origine ad un gruppo bene ordinato illimitato ad un senso (1). 


Se a è un ente di G, si indichi con 0 a il suo corrispondente 
a' in G-p, ed allora a si indichi con ta’. Esisterà il o di ogni 
ente di G, ed il tr di ogni ente di G, eccetto di p. 


(1) Di questo lemma e del seguente non si riporta per disteso la lunga 
ma non difficile dimostrazione, che si troverà completa in una nostra ulte- 
riore pubblicazione: Fondamenti per una teoria generale dei gruppi. 


SULLA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO 458 


Si definisca allora il gruppo dei seguenti di un ente qua- 
lunque a di G come il gruppo composto di tutti i gruppi pos- 
sibili, formati con enti di G,in modo che: 

1° non contengano da; 

2° contengano 0 4; 

3° se contengono un ente di G, contengano anche il suo 
ente 0 (quando esiste). 


Si vede senza difficoltà che tali gruppi esistono, e che obbe- 
discono a quelle condizioni che sono richieste nel concetto di se- 
guente affinchè il gruppo si dica ordinato; inoltre che di ogni ente 
esiste l’immediatamente seguente e di p non esistono precedenti. 
Il gruppo apparisce quindi bene ordinato, illimitato ad un senso. 


Lemma 2°. — Dato un gruppo G, che sia ciclo semplice in una 
corrispondenza @, esso è bene ordinabile e dà origine sempre ad un 
gruppo bene ordinato limitato, ed in alcuni casi anche ad un gruppo 
bene ordinato, illimitato a due sensi. 


Sia p un ente di G e 9g l’ente di cui p è immagine, che è 
distinto da p in causa della mancanza di cicli parziali. Essendo 
G immagine di sè stesso nella corrispondenza a, per ipotesi, G-q 
avrà per immagine G-p. 

Indico, come nel caso precedente, con ca l'immagine d' di 
un ente di G-g, e con ta' l'ente a. Esisterà il 0 di ogni ente 
di G tranne di g, e il n di ogni ente di & tranne p. 

Il gruppo dei seguenti di un ente si definisca come nel 
lemma precedente: il gruppo sarà così ordinato. Inoltre, di ogni 
ente diverso da g esiste l’immediatamente seguente, e di ogni 
ente che non è p l’immediatamente precedente: il gruppo dato 
sarà così bene ordinato e limitato, con p ente originario e 9 
ente finale. 

Si costruisca la catena G, di p rispetto al criterio o. Se 
essa non è identica all’intero gruppo, il gruppo G, degli enti 
restanti è catena di gq rispetto al criterio m. Dicendo tutti gli 
enti di G, seguenti a tutti quelli di G,, il gruppo resta ancora 
bene ordinato, ma illimitato ed a due sensi, tanto rispetto al 
criterio 0, quanto rispetto a T. 


Osservazione. — I casi dei due lemmi precedenti non si esclu- 
dono a vicenda necessariamente. 


454 — RODOLFO BETTAZZI 


10. TroreMmA 1°. — Una catena chiusa è bene ordinabile e dà 
un gruppo limitato. 


Infatti una catena chiusa è un ciclo semplice nella corri- 
spondenza che l’ha prodotta ($ 5. Cor. 1°): quindi potrà ordi- 
narsi producendo un gruppo bene ordinato, limitato, avente per 
originario un ente qualunque di essa, e per finale l’ente m di 
tale ente ($ 9. Lemma 29). 


Osservazione 1°. — Non è possibile il secondo ordinamento 
in gruppo illimitato, a cui si accenna nel Lemma 2° del $ 7, 
giacchè la catena di un ente qualunque di una catena chiusa è di 
nuovo la catena stessa ($ 6. Teor.) e quindi non ne è parte propria. 


TroreMA 2°. — Una catena aperta limitata è bene ordinabile 
e dà origine ad un gruppo limitato. 


CS 


Infatti se « è l’ente di cui T è catena rispetto al criterio 0 
e 5 quello privo di ente 0, dicendo a immagine di 5, si ottiene 
una corrispondenza in cui T è immagine di sè stesso, che non 
ammette cicli parziali, non esistendo tali cicli in M rispetto alla 
corrispondenza che produce la catena ($ 5. Teor.). Allora in tale 
corrispondenza è un ciclo semplice, e quindi ($ 9. Lemma 2%) 
è bene ordinabile in un gruppo limitato, avente per originario @ 
e per finale d, o per originario un altro ente qualunque diverso 
da a e per finale l’ente tra. 

Osservazione 2°. — È facile vedere come neppure in questo 


caso è possibile l'ordinamento in gruppo illimitato, di cui parla 
il Lemma 2° del $ 9. 


TroreMA 3°. — Una catena aperta illimitata è bene ordinabile 
e dà un gruppo illimitato ad un senso. 


Infatti se T è la catena in questione ed è catena di a ri- 
spetto p. es.: al criterio 0, di ogni ente esiste l’ente o e l’ente 
, eccetto per a, che è privo di t; fra e F-a vi è quindi una 
corrispondenza, nella quale T-a è l’immagine di T. Tale corri- 
spondenza è quella che produce la catena, e quindi è priva di 
cicli ($ 5. Teor.). Dunque ($ 9. Lemma 1°) la catena è ordina- 
bile e produce un gruppo illimitato e ad un senso, avente per 
originario a. 
Osservazione 32. — Non si esclude la possibilità di altri 
ordinamenti in questo caso. 


OTO e e 


vati ii ite rità entro iii vi i 


SULLA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO 455 


11. — Dato un gruppo G bene ordinato rispetto a o (cioè 
tale che in esso ogni ente ammette l’immediatamente seguente 
tranne al più uno, il finale 8), e se il o di un ente si dice sua 
immagine, chiaramente si stabilisce una corrispondenza fra G e 
sè stesso, nella quale l’immagine di G o di G-5 è quella parte 
propria, che è costituita dagli enti di G, i quali ammettono un 
ente immediatamente precedente. 

Rispetto a tale corrispondenza si può costruire la catena 
di un ente a. Le catene di cui si parlerà nei teoremi seguenti 
s'intenderanno prese rispetto alla corrispondenza citata. 


Trorema 1°. — La catena di un ente a în un gruppo bene 
ordinato rispetto a 0 contiene soltanto enti seguenti di a. 


Infatti il gruppo degli enti non precedenti di a, che sono 
in T, contiene a, e, se contiene un ente, contiene anche i suo 
immediatamente seguente, e quindi l’intera catena. 


Cor. 1° — La catena di un ente a in un gruppo bene ordi- 
nato è aperta. 


Trorema 2°. — Se nella catena di un ente a in un gruppo 
bene ordinato manca un ente b seguente di a, mancano tutti i 
seguenti di b. 


Infatti, se nella catena l vi fossero anche enti seguenti di 5, 
sopprimendoli, resterebbe un gruppo contenente a, l’ente 0 di 
ogni ente che contiene (giacchè 5, unico ente immediatamente 
precedente a qualcuno degli enti soppressi che non sia fra essi, 
non esiste in l) e quindi un gruppo contenente intera la catena 
di a, il che è assurdo. 


Cor. 2°. — Se la catena di a in un gruppo bene ordinato 
contiene un ente c, che dev essere seguente di a ($ 11. Teor. 19) 
contiene tutti gli enti compresi fra a e c (seguenti di a e prece- 
denti di c). 

Cor. 3°. — Se la catena dell'ente originario di un gruppo bene 
ordinato limitato contiene lente finale del gruppo, essa coincide col 
gruppo; e quindi se essa non coincide col gruppo intero, non 
contiene l'ente finale, ed è quindi illimitata. 


12. Trorema 1°. — In un gruppo G bene ordinato rispetto 
a 0, se si dimostra una proprietà per un suo ente a, e si prova 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 33 


456 RODOLFO BETTAZZI — SULA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO 


che se essa è vera per un ente, lo è anche per il suo ente 6, tale 
proprietà resta provata per tutti gli enti della catena di a. 

Ed invero il gruppo degli enti di g che godono la data 
proprietà contiene a ed il o di ogni ente che contiene, e quindi 
contiene tutta la catena di a. 


Cor. 1° — Se un gruppo bene ordinato illimitato ad un senso 
o limitato è catena del suo ente originario, una proprietà dimo- 
strata per l’ente originario e che, supposta vera per un ente, si 
dimostri vera per il suo ente 0, è provata per qualunque ente del 
gruppo. 

Osservazione. — Il fatto indicato nel Corollario precedente 
non è che il principio d’induzione matematica (1). 


E vero il reciproco del Corollario precedente, cioè: 


TrorEMA 2°. — Se in un gruppo bene ordinato, limitato od 
illimitato ad un senso (rispetto a 0), vale il principio d’induzione, 
esso è catena del suo ente originario rispetto a 0. 

Infatti se un gruppo contiene l’originario a del gruppo in 
questione & e l’ente o di ogni ente di G che contiene, per il 
principio d’induzione supposto conterrà tutto G, e quindi G sarà 
comune a tutti i gruppi (a)c dei quali sarà il legame, e sarà 
perciò ($ 1. Def. 1?) catena di a. 


Cor. 2°. — La condizione necessaria e sufficiente che deve 
verificarsi in un gruppo bene ordinato avente un ente originario, 
affinchè valga in esso il principio d’induzione, è che esso sia ca- 
tena del proprio ente originario. 


(1) DepeKIND, /. c., N: 59, 60. 


MARIO PIERI — SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO, ECC. 457 


Sui principî che reggono la Geometria di Posizione; 


Nota 3* di MARIO PIERI. 


Trasformazioni segmentarie (*). 


$ 13. Essendo r,r' due rette projettive, col simbolo T,,w 
— da leggersi “ trasformazione segmentaria di r in r', — si rap- 
presenta ogni trasformazione Simile di r in r', la quale muti i 
punti d'un segmento in punti d’un segmento; conforme alla 
seguente definizione: 


P.1. r,r'e[1].9.T.r=(r"fm)Simote} a,b,cer.a-=D. 


.b-=c.c-=a.de(abc): Dazga. TdE (TATb TC) | (**). 


Alle trasformazioni segmentarie si collegano da una parte le 
affinità del PrANo (***), e da un’altra le corrispondenze ordi- 
nate di F. EnRrIQUES (****). 


(*#) Ved. le Note 1% e 2* già pubblicate in questi Atti (voli XXX e 
XXXI) con lo stesso titolo, e contenenti i $$ 1, 2,... 12. 

(#*) Il simbolo #'fr denota “ rappresentazione univoca di r su + ,. 
Simile è detta ogni trasformazione o rappresentazione “ che conserva i 
diversi ,, cioè che non può subordinare due individui fra loro eguali 


in r' a due fra loro diversi in 7: 
uveK.tevfu:dD::TeSim.=..z,yeu.a-=%:Igy.TE£-=Ty Def. 


(Ved. Prano, Not. de Log. Math., $ 26). Una relazione siffatta è alquanto più 
generale di quella che suol chiamarsi corrispondenza bdi-univoca, univoca 
în ambi i sensi, univoca e reciproca, cioè : 


uveK.09..telofu)Rec.=:Tevfu.Teufo Def. 


(Ved. Formul. de Math., I, $5P 22, dove è usato il segno “ sim , in vece 
del nostro “ Rec ,). 
(#**) “ Sui fondamenti della Geometria , nella “ Rivista di Matematica ,, 


vol. IV, pag. 77. 
(****) Loc. cit., $ 10. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. S8r 


458 MARIO PIERI 


P.2 rirell).tel,e  a;bjcer.ia= =, be = 


.der- (abc) ra —16:9.Tder'-(tatbIc)-11a 176 Teor. 
| Hp .P10$8:9:de(bea)o(cab).P1:9:tde(tbteTA) n 
n (teta td) . P1188:9. Th | 


P. Bi r,vt'el1).telpecceTa,zip.- 10,6T,5o Teor. 


ossia “ Il prodotto di due trasformazioni segmentarie è una 
trasformazione segmentaria ,. 


P/4 rePip. tel, l'a;sbicer a - ==» =, 3A 
=ta.b'=tb.c'=te.(a'd'e')uvra' vic'O(abe).c'elaca'): 
:p:h=(abc)nxe}a'=tr.e'e(aca) .. cie(abe). 


. ce (az). x) =T%:Ia, 1 e(acx,)} . K=(abc)-h Def. 


In altri termini “ Essendo r una retta projettiva, t una tras- 
formazione segmentaria di » in sè stessa, a,d,c tre punti di- 
stinti su r e a',b',c' i loro trasformati per t; e supposto inoltre 
che il segmento (a'd'c') stia con ambo gli estremi nel segmento 
(abc), e il punto c' nel segmento (aca'’): allora con h indiche- 
remo l’insieme di tutti i punti x di (a dc) soddisfacenti a queste 
condizioni: 1° che l’omologo ' di x giaccia sempre in (ac); 
2° che se x, è un punto di (abc) tale che « giaccia in (aczi;), 
sempre il suo trasformato x," appartenga ad (acx;): di poi rap- 
presenteremo con k l'insieme di tutti quegli (abc) che non 
sono h,. 

Da questa definizione (e dai principî svolti nei $$ 8, 9, 10) 
trarremo alcune conseguenze, che fanno da introduzione allo 
studio dei gruppi armonici e delle omografie. 


Ps. HpP4:py;:h-=Adk>=A Teor. 
| © Hp PIP1,2,489::0,0,cer ‘al = iS 
.cl-=a'.a',c'elabe) 1a 10 


(B) Hp.xer-(aca')-1a.a'=tx.(a).P5$8:09.: ce(ca'a). 


O O n 


SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 459 
.-P3,14$8:09,:re(abce).P1:09,:2'e(a'd'e’). P14$8: 
:Iri(a'c'e') o (abe).(2°%)P1389:09,:2'e(aca'). x,x'e (ade) 

(1), Hp.xer-(aca')-10'. (a). P6,3$8:0:ce(caa’). P25$8: 
‘9x5. 2'e(aca) 
(©) Hp.xer-(aca')-1a-10'. (a) . (8). (M.(77)P989:0. 
. c'e (aca) 
(2) Hp(d). 2, =T2;. zie(abe). we(acz:) . (8). (1) .P1,2,4$8. 
. (00) P9 89: Mercia nic. d'e(aca:). (a). 
« (C9)P2 8910 ere (aca’) ra nno. (0) è Daa - 
. ee (acxi) 
(n) Hp.(B).(è).(z).P4:9:r-(aca')-1a —1u'9h.(0). PS $8: 
Fa LT 
(2) Hp.yer= (ca) ie nio. y'=ry. (ELET) )(0) . (a) . P3, 
95 $8:0,:y,y'e(cba) . y'e(cay) .(Ct4)P2 $9 . P1,2,4$8: 
:diy = e(cay).y'er ciccia. (74) P22 88:09:49 = 
-— e(acy).P4:9,.ye(abe)— h 
(A) Hp.(2).P4:9:r-(cac')-1c-1c'ok.(a).P8$8:9.Kk-=A 
Hp .(n.(1):09. Th | 
In secondo luogo si proverà che “ sotto le stesse ipotesi 
della P4, un punto « di h e un punto y di k, comecchè presi 
ad arbitrio, soddisfano la relazione ye (ac) ,; ossia che: 
Pb HpP4.09..xeh.yek:09,y.ye(aca) Teor. 
|(@) Hp.x,,23e(abc).z,](acxo).ce(acx,) .PI SI: Or,znz - CE(ACV9) 
(B) Hp.<eh::0;::x,e(abe). re(acx;) x =tr,.P4::9n:: 


ss elace,) . 26 (abc) e, e(acx,) . 2, ="Tt%,.(0) . (PA: 


‘On 2 e (acco). (EA) 1: 2, eh 


460 MARIO PIERI 
(r) Hp.xeh..0x..yelabe). ce(acy) . (6): 9, vel... 0, 
.yek.P4:9,.e-e(acy) 
Hp ..9.:xeh.yek.(Y).P4:09xy:%,ye(abe) a -=y. 
z-<e(acy) : PI0S9 -.9. Th | 


Pertanto le due figure h e k definite in P4 verificano tutte 
le condizioni domandate nell’ipotesi del Postulato XVIII (P1$10); 
quindi è: 

P.7. ‘HpP4.9.{ze(abc) .-. ue(abe) . se(acu): 97. vet. 
‘. ve(abe) . ve(acz) : 0, .vekt-=.A Teor. 
[Hp . P4,5,6. PP18S10:0. Th]. 

Infine proveremo che un punto 2, qual'è quello di cui si 
afferma l’esistenza in P7, è necessariamente unito (tautologo) 
per la trasformazione data t; laddove ogni altro punto « di 
(abc), tale che 2 appartenga al segmento (ac), non può essere 
unito. Con ciò verremo in somma alla conseguenza che più ci 
interessa; per altro giova spezzare il lavoro in più propo- 
sizioni. 

P.8. HpP4.09:zelabe). e'=t2.2-=2'..ue(abc). ze(acu): 
:0u. veh ::9..4-€e(acz') Teor. 
|) Hp .ze(abc).2'=t2.ze(acz').P1.P1,248$8:9,-. cero 
- (eaz') > 12-12". (23)P12$9.(#7)P16$9:0;:e(abe). 
.re(acz') . ze(aca) 

(B) Hp(a). (a). PL. P1,2,48$8:0..°. cer -(zaz’) 12-12. 
.e=t%.(FP2$9:0,:rzer- (ace) >1a-18.P2:9a: 
:2'er-(a'c'a')-12.(0)P5.(©)P17$9:09,:2'er-(acz')- 

e. (£#)P10S9:0,:2'7(acr'). (£-7:)P9 SI: I: Ze(aca'). 
.- (#7)P2 89 :09,:2'—e(acx). P4 :9..2-eh 


AO 1 TO _—_———— —'——_@ eni 


SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 461 
(r) Hp(a).. ue(abe) . ze(acu): p,. eh ::9:. ver (202) — 
12-12. (0) :0-. ceh 
(9) Hp.ze(abc). e =t2:9...rer- (02) >>. xeh.(p): 
:9,.8-€(acz') 
(£) Hp(d).'. ve(abde) . ze(acu) : 9, .veh::9... cer (202) — 


-izoiz.e-eh.(1):9,:-4-€e(ac2') 


Sommando membro a membro le deduzioni (è) e (£) dopo aver 
moltiplicato a sinistra l'una per la proposizione (condizionale 
ine)ae-=2'..ue(abc). ze(acu): 9. veh, e l’altra pere-=2/; 
si ottiene: 

(n) Hp(d).2-=2"..wve(abc).ze(acu): pu. veh 19... ger- 


= (2az') = 1-12". (d) (E): 0.2 -E(ace'). 
D'altra parte: 


(2) Hp(d).2-=2". P1. P1,2,88$8 : 0.: qer-(zaz’) -182- 


-iz'.-=,A 
Onde si può eliminare x dalla (n): 


(N) Hp(d).e-=2"..ue(abc) . ze(acu): 9, .vueh..(n).(2):: 


::9:.4- €(acz) 
Hp.().(6):0.Th] 


P.9. HpP4.p9:ze(abe) .2'=t2.2-=2'..ue(abc). ze(acu) : 
: Ou. veh..velabe) . ve(lace) : Dv. veL ::9:. 8 — e(ace) 
Teor. 
| (0) Hp .ze(abe).e'=t2.2'e(acz) . PD1:09..'.yer-(e'az)— 

mad ae. (CEE (MPE: 0: yelabe) . ye (acz) . £'e (acy) 
(8) Hp(a). (a). PI. P1,2,4$8:9..°. yer (e'az-1z or. 
.y'=ty:d,iy'e(a'e'2') (a) P5.(E4)P17 $9:0,:y'e(ac2) . 

- (Et)P9 SI : py . Y'e(acy) 


462 MARIO PIERI 
(r) Hp. ze(abe) : 9: ye (abe). GHPIO SI: 9,9 =2.0. 
.v. Ye(ace) . L. ze (AcY) 
(6) Hp.a'=t4. #'e(ace): 0. .y=7.Y1=TYP1:9%- 
-Y1 (9041) 
(&)* Hp) ; RI P172,488908/ yer= (az) -izciz. yo 
v.ye(abe) . ye(acy,).yie(acz) YI =TY:90n: Ye (08). 
« (0)P5. GY )P17 89: 0n i e(ac2). (0). CEL)PI SI: 
‘Om : Y1 € (009) . (4)P9 89 : On - Y1'€(00Y,) 
(n) Hp..wue(abe).zelacu):9,.veh::9...ye(ade) .ze(acyi): 
= Own È y,eh . vi = TY] . P4 "i On . Yy e(acy,). 
Dall’insieme delle propos.i (), (è), (E), (n) si raccoglie: 
(Z) Hp(a).". ue(ade) . zelacu) : o, .veh . (MM. (0). (A). (me: 
sO. iiyero (az) -12'-12.9y.0.ye(abe) . ye(acyi) . 
Yi = TY: On - Y'E(00Y1). 
Pertanto: 
(N) Hp(a)..ve(abe) . ze(acu) :9,.veh .. (a) . (8). (2). P4:: 
sp iyero (az) -128-18.0,.yeh 
(u) Hp(a).'. ve(ade). ve(aca): 9, .vek::9..0. yer (d'az)- 
-12'<12. (0) :9y:yek.P4:09,.y-eh 
(v) Hp.zel(abc).2'=t2.. ue(abe). ze(acu) : 9, .vueh :: dx. 
‘yer- (az =-128'-12.y-eh.()):9y.2"-e(ace) 
(p) Hp.ze(ade). e =tT2.. ve(abe) . velace) : Do. vek ::92 
v.yer=(z'azj-az>;aiz.yeh. (4) :9y. 4 e(ace). 
Infine, moltiplicando rispettiv.° le ipotesi di (v), (p) per le 
proposiz.i (condizionali in 2): 2z- = 2'.°. ve(abdc). velace) : 


:D.veh, e e-= 2". ue(abc) . ze(acu) : 9. veb; indi som- 
mando membro a membro; 


SUI PRINCIPÎ CHE REGGONU LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 463 
(0) Hp.zelabe) 8 =t28.2-=2'.0.ue(adc) . ze(acu) : du. 
.ueh .. ve(adbe) ve(acz): 9, . vek::9... yer- (2'az)— 


12-12. (Vv). (P): 9. 2 — (ace). 
Il teorema proposto risulta di qui mediante eliminazione di y: 
Hp . (c).P1.P1,2,888:0. Th ] 


P.10. HpP4.9.}ze(a'd'e). a'=t2.2=2 .ue(ade). ze(acu). 


UE=TU: 9 U-=W{-=.A Teor. 


Ossia “ Nelle predette ipotesi, vi sarà sempre nel segmento 
(a'b'c') un punto 2 mutato in sè stesso da Tt, e di più tale che 
ogni punto « di (adc) soddisfacente alla condizione 2 € (ac) 


(vale a dire ($ 10) precedente 2 nell'ordine naturale abc) non 
può essere unito ,. 


|@ Hp. ze(abe) . 2'=t2 .°. ue(abe). ze(acu) : O, .vueh .°. 
. ve(abe) . ve(acz) : 9, . ver. P8,9 ::9... a - (ac). 
.8e'-e(ace):v:2-— e(ac').a=d 10:24 -elac).ae = 
A porse PI (E)PI0SIi 0 Bo 
0.1 2e(a'd'e).a= è. 


La prima delle tre deduzioni rispetto a = proviene dal molti- 
plicare insieme le due P8 e P9 dopo avere in ognuna di esse 
trasferito il fattore 2--=2' dall'ipotesi nella tesi, conforme alla 
regola :P.Q:09.R.°.09.0.P.0:R.v.-Q.D'altra parte si ha: 

(B) Hp..ue(adbc). zelacu): 9,. ueh . P£:: 9... velade). 


.ze(acu).u'= tu: 9): v'e(acu). P1,2,488: 9, U-=. 


Ora moltiplicando fra loro (a) e (B): 


(1r), Hp.ze(abe).2'=t2.(0).(B)..ve(abe). ze(acu): Qu. ueh.. 


464 MARIO PIERI 


.. velabe) velace) : 0 vek::p.i: ela) .e=e 


. ue(abe) . zelacu) .u'=TU:QL.U-=U 
Hp. (r).P7:0. Th | 
Accanto a questo teorema è da mettersi l’altro: 


P.11. re[i].teT, .ab.,cer.a-=b.h-_0.6- 060 
=ta.b'=tb.e'=tc.(a'd'e')uvira' vie'9 (ade). a'e(acc'): 
:9.|ze(a'de).e'=t2.2=2' 0. ue(abc).ze(acu). u= 


=TIU: UU =, Teor. 


che si potrebbe dimostrar similmente: ma, in ciò che segue, 
non ci bisogna adoperarlo. 

Quanto al contenuto essenziale, le P10,11 sono modificazioni 
d’un teorema sulle corrispondenze ordinate dovuto all’EnrIQUES (*). 


Corrispondenze armoniche e teorema di Staudt. 


$ 14. — Il soggetto di questo $ sarà sviscerato altrove: 
qui si vuol solamente indicare una via per dedurre il teorema 
fondamentale di SrtAUDT da ciò che precede; onde si espongono 
appena i fatti più rilevanti senza dimostrazioni simboliche. 


P.l... re[1]...a,b,cer.a-=b.b-=t.c-=0:9. Armes 
—roqge}u,ve[0]-r.u-=v.(cuo)eC1. ([aua do], 

[av o du], Je Cl: —=u0 | Def. 

Il simbolo “ Arm, € , si può leggere “ armonico di e rispetto 
ad a,b ,; esso denota una certa classe, non illusoria, di punti 


esterni al segmento (acb) (P6 $ 11), vale a dire: 


Pas HpP1.09.Arm,,ceKr-(acb)- a-1b-N Teor. 


(*) Loc. cit., $ 10. 


dentali 


atriale incntinna 


PA » PA % 
ATI LTT 


SUI PRINCIPÎÌ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 465 


Dalla P1 seguono immediatamente queste altre due: 
PES, HpPl.o.Arm,;c = Arm;,c Teor. 


Pi. HpP1.deArm,,€:9. ceArm,;d Teor. 


Che poi la figura Arm,;c consti di un unico punto, ossia 
che: 


Pro HpP1.09.num Arm,;e= 1 Teor. 


si dimostra al modo ordinario per via di triangoli omologici (*), 
la qual cosa implica l’uso del IX° Postulato (P5 $ 6); al con- 
trario dei fatti studiati ai precedenti $$ 7,8,...13, che sono 
indipendenti dall’esistenza di punti fuori del piano. — Dopo ciò 
si può altresì dimostrare che: 


P.6. HpPl.u,ve[0]-r.u-=%v.(c,u,0)€C2: 9». (au n do], 
[av e bu], Arm,,c) e 07 Teor. 
d'onde la permutabilità delle coppie armoniche, ossia: 
i. HpP1.d=Arm,,6:94.0= Arm,;a Teor. 
Gioverà introdurre anche la definizione seguente: 
. P.8. a,be[0].a-=bdb:9:Arm;;a=a. Arm,,b=b Def. 
e così accanto alla P3 si potrà scrivere: 
Pig a,be[0].a-=d:9. Arm, a= Arm, @ Teor. 


ecc., ecc. Con ciò il simbolo Arm,,« risulta definito per qual- 
sivoglia punto « della r (purchè a e d siano distinti) e rappre- 
senta un certo punto di r variabile con x. Il segno “ Arm,, , 
per sè solo ha dunque il valore di trasformazione della retta r 
in sè stessa — anzi, per ciò che precede, di trasformazione reci- 


(*) Ved. p. e. SraupT, loc. cit., n° 93. 


466 MARIO PIERI 


proca, segmentaria e involutoria; qualmente è espresso dalle due 
proposizioni seguenti: 


P.10. re[1].a,ber.a-=b:09.Arm,;e(rfr)RecnT,, Teor. 


P..11.. HpPlO.zer:),: Arm,; Arm, =«. Arméa 


ATE Teor. 


La biunivocità involutoria segue specialmente dalle P5, 4,8; 
dalle P3 $ 10, P1,3 $ 13 e PI risulta poi che la trasforma- 
zione è segmentaria. Essa può costruirsi notoriamente così. 
Preso un punto « fuori di r e un punto a' sulla du diverso 
da de da «, si projetti un punto variabile x della r dal centro 
u sopra la aa', e dicasi v l’immagine; poi il punto v si projetti 
da d in d' sopra la au, e il punto d' da a' sopra la r in a': 
sarà x' il trasformato di x (e viceversa). — Una proprietà note- 
vole si è che due coppie di punti corrispondenti non possono 
mai separarsi; e cioè che: 


P.12. HpPl0.x,yer-1a-1b.x-=y.0' = Arm,t.y'= 
= Arm,,Y:9xy-YE(242') Teor. 


Invero, dal fatto che i punti a, d, €, y, x,y" sono tutti di- 
stinti (P4, 5) e dall'ipotesi (P2, 5) x'- e(axd) si deduce (P24 
$8) b-e (xax'); onde (P19$8 9) il dilemma ye (xaz').v.ye 
(xbx'). Ora (P8, 10) la trasformazione segmentaria Arm, cangia 
ordinatamente i punti a, d, €, x,y nei punti a, d, x’, €, y'; quindi 
da ye (rax') si deduce y'e (2'a x) (P1813), e p. c. (P3, 1488) 
y'e(xya'): e il medesimo si trae dalla supposizione y € (rd 2°). 


P.13. re[1].a,b,cera-=b.b-=ce.c-=a.de(acb) ic: 


Mede. ATA, ATA, ;.X —Mo=- N Teor. 


o, in termini comuni, “ Se due coppie di punti distinti a, d e c, d 
non si separano, esiste almeno una coppia di punti che le 
separa entrambe armonicamente ,. Per ciò si osservi dapprima, 
che il prodotto Arm, Arm,; è una trasformazione segmentaria 
della r in sè stessa (P3$13 e P10); e che supposto: 


SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 467 


a"= Arm, Arm,, a, 0"= Arm, Arm,; 6, c= Arm,c, c'= 


= Arm, e’, e quindi (P8): 


a'= Arm.,;a, 0"= Arm.;b, c'= Arm,; Arm,;c, 
i punti a, d, c,d, a", 6", c'',c' saranno tutti distinti fra loro. Se 
proveremo che il segmento (a"e"d') giace con ambo gli estremi 
nel segmento (acb) e che di più d''e (ada"), allora il teorema 
predetto sarà vero in virtù di P10$13. Che d''e (aba”) si ha 
subito dalla proposizione precedente; perocchè 5,0” ed a, a" 
separano armonicamente la coppia c,d. Ora, da ciò che (P2) 
a'-e (cad) si deduce (P11$9) a”e(acd), e nello stesso modo 
b''e(acb). E da a''e(acb), prendendo gli armonici rispetto a 
c, d, si deduce (P1 $ 13, P4, 8, 10) ae (ac d'): per conseguenza 
(P14$8) sarà (a”cd”)= (aa d'). Similmente da c'- e (ac d) si 
deduce (P2$13) c'e (ac bd”); per la qual cosa c'e (a''a 8"). 
Di qui si trae (P 12, 1689) c'’e(acd), c'e (ada), d''e (abc"), e 
però anche (P1489) (ac d")0 (acb). — 


Essendo r,r' due rette arbitrarie diremo “ trasformazione 
armonica di r in r' , — e indicheremo con'TT,,\, — ogni tra- 
sformazione univoca e reciproca di r in r', che a quattro punti 
armonici sempre coordini quattro punti armonici: 


P.14. r,re[1].0.T,m = (fr) Reca teta,b,cer .a-=d: 


:Oaze - (Arm, 0) = Arm, TC} Def. 


L'inversa di ogni trasformazione armonica TT,,y è una trasfor- 
mazione di »' in r della stessa natura, cioè: 


Piib. r,relllitell.w 1097 Tellé; Teor. 
Inoltre: 
È; 16. r,r'e|1] . 0 . TT, a Tre — A Teor. 


vale a dire “ Ogni trasformazione armonica è altresì segmen- 
taria ,. Invero, essendo a, d,c tre diversi punti in r, dalla ipotesi 
de(abce)-16 si deduce (P13) l’esistenza di almeno due punti x,y 


468 MARIO PIERI 


conjugati armonici rispetto ad entrambe le coppie a,c e d,d. 
Ora, se fosse Td-e (ta tb tc), non potrebbero esistere (P12) 
due punti armonici tanto rispetto a ta, tc, quanto a td, td. Ma 
due punti sì fatti esistono al certo, e sono (P14) i trasformati 
di x, y: quindi è forza concludere td e (ta Td tc). 


P.17. #reldl. tele. 0.96.03. =0 47 


elsvelf fi) = Tg: Peer vid) PNT 


cioè: “ Ogni trasformazione armonica la quale ammetta tre 
punti uniti distinti è l'identità ,. Questo il teorema di STAUDT. 

Invero siano a, a' due punti distinti, ed a'= ta: mostreremo 
che da ciò si deduce l’assurdo. I punti e, f, 9, a, a' saranno di- 
stinti fra loro, e gli ultimi due non potranno esser separati dai 
rimanenti (P16). Sarà lecito supporre a-—e (egf), e per conseg.* 
a'-e(egf) ed (caf)=(ea'f)(P18 $9). 

Ciò posto siano c e e' gli armonici di a ed a' rispetto 
ad e,f: onde (P14) c'= tc. I punti c e c' saranno diversi fra 
loro e dai precedenti: inoltre (P2, 12) si avrà c > e(eaf), c'> 
-elea'f), c'elaa'c); e delle ipotesi (P19$ 9) a'e(aec), a'e(afe) 
basterà considerarne una sola, p. e. la prima, dacchè l’altra si 
deduce da questa con lo scambio delle lettere e, f tra loro, che 
non ha influenza di sorta nè sulle ipotesi, nè sui risultati. Ora 
da a'e(aec) e c'e (aa'c) si deduce (P1488) (aec) = (aa'c), c'e 
e(aec) e p. c. (P2588) cel(eac'): e di qui, poichè c, c'— e (eaf), 
si deduce (P4$9) c'- e (eac), quindi (P5$8) c'e(ace). Simil- 
mente, poichè da a'e(aec) si deduce (P25,3$8) ae(eca'), e 
d'altra parte a, a'-e (ecf); ne inferiamo altresì che a'-e (eca), 
quindi che a'e(cae), vale a dire che ee(aca'). Da tutto ciò 
segue (P14$ 9) (a'ec')via' vie'9 (aec), oltre che (P9 $ 9) c'e 
e(aca'). Sono dunque verificate le ipotesi della P10 $ 13 in ordine 
alla trasformazione t ed ai punti a, e, c,a', e' (= e), c'; e pertanto 
sarà: 


zela'ec').a=Tt2..ue(aec) . ze(acu) : O, u-=tU::>=;N. 
Insomma esisterà nel segmento (a'ec') un punto unito 2 sì fatto, 


che se uer-(ac2)-t1a-12 [quindi we (cea), ve (aec), ed inoltre 
(P19$ 8) ze (acu)] il punto u non è unito. 


SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 469 


Si osservi ancora che dalle relazioni c-e (eaf), c'> e (ea'f), 
(a'ec') 9 (aec) segue (P2488, P19$9) (afe) viaviepl(a' fe); 
sicchè la stessa P10$13 si può anche invocare per la trasfor- 
mazione 7 inversa di t (P 15) e pei punti a’, f,c',a,f(=f),c: 
dunque esisterà nel segmento (afc) un punto unito y sì fatto, 
che se uer> (a'c'7 tl des il punto « non è unito. E poichè 
da (afc) O (a'fce'), c'e (ac a') ; ye (afc) si deduce [(n)P 17 $ 9] 
che da u-e€ (acy) segue u- e (a'c'y), a fortiori non potrà essere 
unito alcun punto della figura r> (acy)-1ta'> 17. Questo fatto, 
e il somigliante già trovato per 2, ove si guardi che niuno dei 
punti a, a' è, per ipotesi, unito, permettono di asserire qualmente: 


uer> (ace) —1z.u.uer> (ay) > 1Y Qu. UE TU 


Non è detto che debba essere 2 diverso da e, o y daf: mai punti 
y, 2 sono per certo distinti fra loro e dai punti a, c, a', c'; nè può 
essere 2 = f, o y==e (P2888). Ora da ze(aec) si deduce 
zer-(afc), e d’altra parte ye (fc); dunque sarà 2 €r> (ayC), 
vale a dire cer-(ya2z), e p.c. ce (azy), (azy) = (acy), come 
pure ce(ay2), (ay2)=(ac2). Ma si sa (P11, 2,488) che: 


ue(yaz) . Qui uer= (ay) —wy.v.uer-(2ya)— 12; 
pertanto: u e(yaz) CA UU =TU. 


Infine dall’essere 2—e(a c e) (chè se no risulterebbe e —= te); 
mentre y € (a fc), quindi y>e (a ec), ye (eca), (eca)=(ey a); si 
deduce 2-—e(eya), per conseguenza (P23 $ 8) e-e (ya), e quindi 
(P21$8) (ya2 9 (yae), 0(yaz)=(yae), secondochè «== e, 0 
z=e. Similmente dall’essere y-e (a'c'f) (chè se no risulterebbe 
f-=="tf) e però anche (P16) y-e (acf); mentre c- e (eaf), quindi 
ce(aef), (aef) = (acf); si deduce y-€ (a ef), per conseguenza 
f-e(eay) ed (eayp(caf), 0 (eay)= (eaf), secondo che y>-=f, 
o y=f. Ne viene che il segmento (yaz) è contenuto nel seg- 
mento (ea f); sicchè dall'ipotesi a—e (e gf), ossia g— € (caf), am- 
messa fin dal principio, si deduce g—€(ya2)viyviz, e p. c. 
Arm,.ge(yaz) (P2). Tale è l’assurdo a cui si perviene; che, 
mentre si è visto come niun punto del segmento (ya) possa es- 
sere unito, qui trovasi invece che l’armonico di 9 rispetto ad 
y, 2, il quale (P14, 5) è per certo tautologo, giace in detto 
segmento. 


470 MARIO PIERI — SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO, ECC. 


ERRATA CORRIGE 
$ 1 (Nota 1°), pag. 3, linea 9 Che poi... Se poi... 
$4 n » 12 , 4(dalbasso) I,$5, prop.8 I1,$5 P3e V,$1P10 
x : 0° aL PRRATO) alk=1a) v'alk>10) 
$ 5 % Bit PRI I È yede v fg yede n fg 
$ 6 + it E tg Si apponga a diritta il segno: Def. 
$ 8 è spe o 2 be (acb) b-e(acb) 
$9 3 6 RS 1) y'er yer 
a " BR N 1a la 
SA La » 84 , 5(dalbasso) (Kr)fr (Kr)fr 
È 5 72800 A 0° 130 19 Si apponga a destra il segno: Def. 
Li g è lb silice 26 Lo la 


L’ Accademico Segretario 


ANDREA NACccARI. 


471 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 16 Febbraio 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO BARONE GAUDENZIO CLARETTA 


DIRETTORE DELLA CLASSE 


Sono presenti i Socii: PryRon, Rossi, BOLLATI DI SAINT- 
Prèrre, Pezzi, Brusa, PerRERO e FERRERO Segretario. 

Il Direttore della Classe annuncia la morte del Socio na- 
zionale non residente, già Socio residente, Marchese Matteo 
Ricci, ed affida al Socio PeyRron l’incarico di commemorarlo 


in una prossima adunanza. 


L’ Accademico Segretario 


Ermanno FERRERO. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 
Dal 26 Gennaio al 9 Febbraio 1896. 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali 


NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; 
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. 


* Annuario per l’anno scolastico 1895-96 della R. Scuola d’Applicazione 
per gli Ingegneri di Torino. Torino, 1896; 8°. 

Atti del Collegio degli Architetti ed Ingegneri in Firenzo Anno XX, fasc. 1°. 
Firenze, 1895; 8°. 

Atti della Società Piemontese d’Igiene; Anno I, fasc. 3. Torino, 1895; 8°. 

* Bihang till Kongl. Svenska- Vetenskaps- Akademiens Handlingar. Bd. 20. 
Afdelning I, II, II, IV. Stockholm, 1895; 8°. 

* Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2°, v. XV, 
n. 12. Torino, 1895. 

* Bollettino medico-statistico dell'Ufficio d’igiene della città di Torino. 
Anno XXIV, n. 16-36 e Rendiconto del mese di maggio a novembre 
1895, n. 5-12. 

* Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico- 
chirurgica, ecc. Serie VII, vol. VI, fasc. 12. Bologna, 1895; 8°. 

** Fortschritte der Physik im Jahre 1894, Bd. L, III Abt. Braunschweig, 
1895; 8°. 

* Giornale del Genio civile. Anno XXXIII, fasc. 10-11. Roma, 1895; 8°. 

* Memoirs of the Royal Astronomical Society. Vol. LI, 1892-95. London, 
1895; 4°. 

Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXIV, disp. 11, 12. 
Roma, 1895; 4°. 

* Memorie del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Vol. XXV, n. 5. 
Venezia, 1895; 4°. 

* Mitteilungen aus der medicinischen Facultàt der Kaiser.-Japanischen Univ. 
Bd. III, n. 2. Tokyo, Japan, 1895; 4°. 

* Proceedings of the American Academy of Arts and Sciences. New Series, 
vol. I e II. Boston, 1848-1852; 8°. 

* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Vol. XXVIII, 
fasc. XX. Milano, 1895; 8°. 


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FRI 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 473 


* Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli. 
Serie 8, vol. I, fasc. 12. Napoli, 1895; 8°. 

* Sitzungsberichte der physikalisch-medicinischen Gesellschaft zu Wiirzburg, 
1895, n. 3-6; 8°. 

Spelunca. Bulletin de la Société de Spéléologie. 1"° année, n. 1 à 8. Paris, 
1895; 8°. 

* Transactions of the Royal Society of South Australia. Vol. XIX, Part II 
Adelaide, 1895; 8°. 

Transaetions of the Edinburgh Geological Society. Vol. VII, pt. II. Edin- 
burgh, 1895; 8°. 

* Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXIV, p. 1n-1v. 
1895. 


- Verhandlungen der ésterreichischen Gradmessungs-Commission. Protokoll 


tiber die am 9 April u. 18 Juni 1895 abgehaltenen Sitzungen. Wien, 
1894 (Dono della Commissione). 

* Verhandlungen physikalisch-medicinischen Gesellschaft zu Wiirzburg, 1895, 
DUE XXIX Bd nnp6; 7,8 


Buscalioni (L.). Studi sui cristalli di ossalato di calcio. Genova, 1895; 8° 
(dall A.). 

#* Cayley (A.). The collected Mathematical Papers. Vol. IX. Cambridge, 
1896; 4°. 

Klein (C.). Ein Universaldrehapparat zur Untersuchung von Diinnschliften 
in Fliissigkeiten, Berlin, 1895; 8° (dall’A.). 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche 


Dal 2 al 16 Febbraio 1896. 


* American Journal of Philology. Vol. XV, 2-4; XVI, 1. Baltimore, 1894-95; 8° 
(dall’ Università John Hopkins di Baltimora). 
* Annales de l’Université de Lyon: 
Histoire de la compensation en droit romain par C. ApPLETON. 
La République des Provinces-Unies, la France & les Pays-Bas Espagnols 
de 1630 è 1650 par A. Wappineron. T. 1° (1630-42). 
Phonétique historique et comparée du Sanscrit et du Zend par P. RegnauD. 
Saint Ambroise et la Morale Chrétienne au IV° siècle... par R. Tram. 
Paris, 1895; 4 vol. 8°. 
Athenaeum (L’). Rivista per l'Istruzione Superiore Catanese. Vol. II, fasc. I. 
Catania, 1896; 8° (Omaggio della Direzione). 


474 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Atti della R. Accademia dei Lincei. Notizie si Scavi: novembre 1895. 
Roma, 1895; 4°. 

* Atti e Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova. 
Anno CCXCVI, 1894-95, N. S., vol. XI. Padova, 1895; 8°. 

* Consiglio Comunale di Torino; Sessione straordinaria, 1896. N. I-IV. 

* Johns Hopkins University Studies in Historical and Political Science. 
12* Serie, VIII-XII; 13* Serie, I-VIII. Baltimora, 1894-95; 8°. 


* Dall Università Cattolica ai Louvain: 


Anmuaire; 1896. 
Halleux (J.). Les principes du positivisme contemporain. Dissertation pour | 
doctorat en Philosophie selon Saint Thomas. Louvain, 1895; 89. 
Knoch (A.). De Libertate in societate civili. Dissertatio. Lovanio, 1895; 8°. 
Marlière (H.). Études sur l’hérédité. Dissertation pour le doctorat en Phi- 
losophie selon St-Thomas. Louvain, 1895; 8°. 
Programme des cours de l’année académique 1895-96. 

Thèses de la Faculté de Théologie: 671-688. 


Casanova (E.). Bandi piemontesi acquistati dalla Biblioteca Nazionale 
Centrale di Firenze. Firenze, 1895; 8° (dall’A.). 

Frigeri (F.). Giovanni Pico della Mirandola. IV*® Centenario MDCCCXCIV. 
Mirandola, 1894; 8° (Zd.). 

Landueci (L.). Storia del Diritto Romano dalle origini fino alla morte di 
Giustiniano. 2* ediz., vol. I, p. I. Padova, 1895; 8° (Zd.). 

Pélissier (L. G.). Le navire .de bonheur de l’avocat Bernardi. Toulouse, 
1896; 8° (Zd.). 

Pico (G.). Introduzione dell’Apologia tradotta da un notaro mirandolese. 
Mirandola. 1894; 8° (dono del Dott. F. Frigerì). 


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Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. 


Cn n 


Rec’d.£8 vuiy STO Sapt. 1896 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 23 Febbraio 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA 
VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: D’Ovipio, Direttore della Classe, 
Berruti, FERRARIS, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE, VOLTERRA, 
JADANZA, Foà e Naccari Segretario. 

Viene letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza pre- 
cedente. 

Il Presidente dà notizia che il Sig. U. MARTELLI, autore 
di una memoria che venne approvata per la stampa nella se- 
duta del 29 dicembre 1895, ritirò poi la memoria stessa. 

Vengono accolte per l'inserzione negli Atti le seguenti note: 

1° “ Sulle curve piane che in due dati fasci hanno un 
semplice o doppio contatto oppure sì osculano ,; nota del Profes- 
sore Luigi BerzoLARI, presentata dal Socio SEGRE; 

2° “ Intorno ad un carattere delle superficie e delle varietà 
superiori algebriche ,; nota del Socio SEGRE; 

3° “ Sulle singolarità della jacobiana di quattro superficie ,; 
nota del Dott. Alberto Levi, presentata dal Socio SEGRE; 

4° “ Gruppi finiti ed infiniti di enti ,; nota del Profes- 
sore Rodolfo BerTAZZI, presentata dal Socio SEGRE; 

50 “« Nuove ricerche intorno ai Salamandridi normalmente 
apneumoni e intorno alla respirazione degli anfibi urodeli ,; nota 
del Socio CAMERANO. 


ASI 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI, 34 


476 LUIGI BERZOLARI 


LETTURE 


Sulle curve piane che in due dati fasci hanno un semplice 


o un doppio contatto, oppure sî osculano; 


Nota di LUIGI BERZOLARI. 


Verso la fine dell'importante lavoro che ha per titolo 
Allgemeine Eigenschaften der algebraischen Curven (*) lo STEINER 
ha enunciato, senza dimostrazione, che il luogo dei punti in 
cui si toccano due curve appartenenti a due dati fasci di or- 
dini m ed m' è dell'ordine 


(1) 2m + 2m' — 8, 


e che il numero dei punti in cui due curve di tali fasci si 
osculano è 


(2) 3[(m4 m') (m + m' — 6) + 2mm' + 5). 


La prima di queste formole è stata in seguito dimostrata 
(ed anche notevolmente estesa) in più modi da vari autori (**), 
mentre, per quanto so, non si ha ancora una dimostrazione 
della seconda. 

In questa Nota faccio vedere come si possa pervenire a 
quei due teoremi, per via puramente geometrica, ricorrendo & 
semplici considerazioni di geometria dello spazio; collo stesso 
metodo trovo anche il numero (che non credo noto) delle coppie 
di curve che, appartenendo ai fasci proposti, hanno fra loro un 


(*) Giornale di CreLLe, Bd. XLVII, pag. 6; questo lavoro era stato già 
presentato sei anni prima (nell'agosto del 1848) all'Accademia delle Scienze 
di Berlino. 

(**) V., ad es., Scausert, Kalkiil der abzihlenden Geometrie, $ 14; e 
Sarmon, Courbes planes, Paris, 1884, pag. 500, dove, in nota, è riportato 
anche il secondo enunciato dello STEINER. 


Le, ope er - 


i ine nt i ici tinte 


SULLE CURVE PIANE CHE IN DUE DATI FASCI, ECC. 477 


doppio contatto, ed assegno inoltre i rimanenti caratteri pliic- 
keriani del luogo sopra nominato, e quelli del luogo dei punti 
in cui si tagliano le curve fra loro tangenti dei due fasci. 


1. — Siano ® e ®' i due dati fasci degli ordini m ed m', 
e per semplicità supponiamo che essi siano generali e non ab- 
biano punti base comuni (*); per fissar le idee, sia m > m. 
Nel piano TT, in cui giacciono i fasci, scelgasi in modo del tutto 
arbitrario una curva R' di ordine m — m', e si indichi con D' R' 
il fascio d’ordine wm che si ottiene da ®' aggiungendo ad ogni 
sua curva la curva R'. Allora i due fasci ® e ®' R' individuano 
un sistema lineare tre volte infinito (9) di curve @ d’ordine m, 
che, com'è noto (**), si possono considerare come le imagini 
(su TT) delle sezioni piane di una superficie algebrica F. Le 
curve del fascio ® sono le imagini delle curve che s’ottengono 
tagliando F coi piani di un determinato fascio avente per asse 
una retta generica L dello spazio. La superficie F è dell’ordine 
m?, e possiede una retta multipla R, che è rappresentata in TT 
dalla curva R': le sezioni residue di F coi piani passanti per R 
hanno per imagini le curve del fascio ®', sicchè la multiplicità 
di R per F è m° — mm', cioè m(m—m'). 

Gli m? punti base di ® sono le imagini dei punti in cui L 
incontra F; gli m'? punti base di ®' sono le imagini di altret- 
tanti punti, in cui R incontra una [m (m — m')+1]"? falda di F, 
oltre a quelle che passano per la R stessa: in questo senso 
tali punti, in quanto appartengono ad F, sono da considerarsi 
come non situati sopra RK. 


2. — Ciò posto, per risolvere le questioni indicate in prin- 
cipio, occorre conoscere i caratteri plickeriani della residua 
intersezione di F con un piano generico passante per R, e 
quelli del cono residuo (come inviluppo di piani) £ circoscritto 
ad F da un punto generico 0 della stessa R. 


(#) Il metodo che indicherò si applica del resto anche ai casi che 
qui voglio escludere, per attenermi agli enunciati di SreINER. 

(**) Veggasi, ad es., CaPoraLI, Sopra i sistemi lineari triplamente infiniti 
di curve algebriche piane (Collectanea Math. in mem. D. CaeLIni), $ 2. 


478 LUIGI BERZOLARI 


I primi si trovano senz'altro colle formole di PLiicKER, 
poichè di quella sezione si conoscono l’ordine, che è m m', il 
genere, che è quello di una curva generica del fascio ®', cioè 


3 (n — 1) (Mm — 2), e il numero delle cuspidi, che è zero. Si 


trova così che la classe è 

(3) m'(2m + m' — 3), 
che i flessi sono in numero di 

(4) 3m' (mm — 3), 


e che le tangenti doppie sono in numero di 


(5) 3 m'?(m'? — 1) + 2mm'3 + 2m?m'? — 6mm'? 


— 3m'3 — 6mm' 4- 15m'. 


E si noti che la sezione considerata non è certamente tan- 
gente ad R, poichè una curva generica di ®' non è tangente 
ad R'. 

Per ciò che riguarda il cono ®, osserviamo che la linea 
di contatto del cono totale circoscritto da 0 ad F ha per ima- 
gine la jacobiana della rete di curve @ imagini delle sezioni 
fatte in F dai piani passanti per 0 (*). Ora, se chiamiamo A 
una curva generica del sistema (@), e B', C' due curve gene- 
riche di ®', la rete precedente può ritenersi individuata dalle 
tre curve A, B' R', C'R'’, e si riconosce facilmente che la sua 
jacobiana si spezza nella curva R' ed in una curva Y' di ordine 


3(m_-1) — M_—m')= 22m + m — 3, 
priva di punti multipli, e passante per tutti i punti comuni 
ad A ed R'. La curva Y di F che ha per imagine Y, ossia la 


curva di contatto di F col cono residuo £, è dunque dell’ordine 
m (2 m +m' — 3). Per vedere quale sia la sua multiplicità in 0, 


(*) Caporati, Z. c., n. 18. 


SULLE CURVE PIANE CHE IN DUE DATI FASCI, ECC. 479 


basta cercare le sue ulteriori intersezioni con un piano generico 
passante per 0, ad es. con quello la cui sezione con F ha per 
imagine la curva A, cioè basta cercare le intersezioni di YW' e 
di A non appartenenti ad R', e queste sono in numero di 


m(2m + m' — 3) — m(m — m'). 


Si conclude che Y ha in 0 la multiplicità m (m — m'); il 
cono £ è quindi dell’ordine 


(6) m(m + 2m' — 3). 


In virtù della (3), un piano qualunque per R contiene, oltre 
ad R, m' (2m+m' — 3) generatrici di questo cono, epperò R 
è multipla per £ secondo 


m(m — 3) — m'(m' — 3). 
Il genere di 2 uguaglia quello di Y', ossia è 
3 @m+m_- dm mi 5). 


Infine la classe di 2 equivale al numero dei punti doppi 
di un fascio di curve, che sia determinato da una © generica 
e da una @ del fascio ®' R'. Un tal fascio contiene 3 (m — 1)? 
curve dotate di punto doppio; ma di questi punti m'(m — m') 
cadono su R', quindi la classe di £ risulta 


3(m —- 1° — m'(m— m). 


Dalle formole di PriùcgeR si trae allora che le generatrici 
stazionarie di Q sono in numero di 


(7) 3 (m? + 3mm' — 6m — 3m' 4- 5), 


e che le sue generatrici doppie (esclusa la R, contata tante 
volte quante risultano come conseguenza della sua multiplicità 
per £) sono in numero di 


480 LUIGI BERZOLARI 3 


(8) 3m?m'? — n m' (m'? — 1) + 2m3m' — 9m®m' — 3mm'? 


+ 3m'3 — 6m? — 6m'? — 5mm' + 30m +4 15m' — 24. 

3. — La deduzione dei teoremi di cui si è parlato non 
presenta ormai nessuna difficoltà. In primo luogo, la curva l”, 
luogo dei punti in cui si toccano due curve dei fasci ® e ®', 
è l’imagine della curva T, luogo dei punti di contatto delle 
tangenti di F appoggiate alle rette L, R. Per avere l’ordine di 
T, si osservi anzitutto che essa incontra L negli m? punti che 
questa ha in comune con F: basta quindi cercare le ulteriori 
intersezioni di T con un piano generico o passante per L, e 
queste sono tante, quante le tangenti condotte dal punto o KR 
alla sezione di F con o, cioè, per la (6), sono in numero di 
mm (m + 2m' — 8). La curva F è dunque dell’ordine 


m(m + 2m' — 3) + m° =m(2m + 2m' — 3), 


epperò l'ordine di l' è appunto quello dato dall'espressione (1). 

In secondo luogo, i punti in cui si osculano due curve di 
© e ®' sono le imagini dei punti di contatto delle tangenti 
principali di F appoggiate ad L ed R: pertanto il loro numero 
è la somma delle espressioni (4) e (7), cioè quello dato dalla (2). 

Infine le coppie di curve di ® e ®' che hanno fra loro un 
doppio contatto sono tante, quante le tangenti doppie di F 
appoggiate ad L ed R, cioè tante quant'è espresso dalla somma 
delle (5) e (8): il loro numero è dunque 


(9) mm' [2 (m + m')} + mm' — 9(m+4+m')+ 1] 
— 6(m+m' —1) M+m — 4). 


4. — Considerando ancora Ja curva [’, si potrebbe ritenere 
come evidente che essa non possiede punti multipli: ma si può 
giungere a questa stessa conclusione determinando direttamente 
il genere della curva, che uguaglia quello della curva obbiettiva [. 
A tal fine si consideri la corrispondenza [1, m' (2.m + m' — 3)] 
che, per la (3), viene stabilita fra i punti di L e di l' dalle 
tangenti di F appoggiate alle rette L ed R. I punti di L, tali 


E TTT RSI 


it rn pnt 


het isso dei Dini sn 


rea pren. pre per 


SULLE CURVE PIANE CHE IN DUE DATI FASCI, ECC. 481 


che due dei loro corrispondenti coincidano, sono .di tre specie: 

1) i punti d’incontro di L colle tangenti principali di F 
che tagliano anche R, ed il loro numero è espresso dalla (2); 

2) le m? intersezioni di L con F; 

3) i punti nei quali L viene incontrata dai piani pas- 
santi per R e tangenti ad F in un punto non situato sopra R: 
questi punti sono tanti, quante le curve del fascio ®' dotate 
di punto doppio, cioè 3 (m' — 1)?. 

Se dunque diciamo p il genere di (M cioè di) [”, la nota 

formola di ZreuTHEN (*) dà: 


2(p—1)+ 2m'(2m+m' —3)=3[(m4m')(m+m' — 6) 
+ 2mm' +5] + m+3(m—- 1), 
da cui 


p=(m+m —2)[2(m+m)_- Sl 


Dalle formole di PLiicgzer si deduce allora che T' non ha 
punti multipli, il che permette di assegnare gli altri caratteri 
pluckeriani della curva. 


5. — La rigata T, che ha per generatrici le tangenti di F 
appoggiate ad L ed R, ha in queste rette le multiplicità 


_m' (2m+m' —3) ed m(m+2m'— 3) risp., ed è di grado 


m' (2m + m' — 3) + m(m + 2m' — 3) 
= (m+tm') + 2mm' — 3(m+ m'). 


Essa tocca F lungo F, e la taglia, ulteriormente ed all’in- 
fuori di R, in una curva X di ordine 


m|3mm'(m + m') — 6mm' — 4(m+ m') + 6]. 


Questa ha per imagine la curva 2’, luogo dei punti dove 


(*) Nouvelle démonstration de théorèmes sur des séries de points corres- 
pondants sur deux courbes (Math. Ann., Bd. III, pag. 150). 


482 LUIGI BERZOLARI 


si tagliano le curve fra loro tangenti dei fasci ®© e ®': l'ordine 
di Z' è dunque 


Smm'(m + m') — 6mm' — 4(m+m') + 6. 


Le curve [ e X passano entrambe per ciascuna delle m? 
intersezioni di F con L, e per ciascuno degli m'? punti di cui 
si è detto alla fine del n. 1: la passa semplicemente per 
tutti i punti nominati, mentre X, per le (3) e (6), ha in ognuno 
dei primi la multiplicità wm'(2.m + m' — 3) — 2, ed in ognuno 
degli altri la multiplicità m (m +2wm'— 3) — 2. Pertanto 
passa semplicemente per tutti i punti base dei fasci ® e D', mentre 
Z' ha in essi risp. le multiplicità ora indicate (*). 

Per la rigata T, le tangenti doppie e le tangenti princi- 
pali di F appoggiate ad L ed R sono generatrici risp. doppie 
e stazionarie: oltre ad esse ed alle rette L, R, la rigata non 
possiede altre linee multiple, com'è facile riconoscere uguagliando 
il genere di una sezione piana generica di T a quello della 
stessa T, il quale, manifestamente, è uguale a quello della 
curva T, che si è determinato nel n. precedente. 

Ne segue, passando senz'altro al piano TT, che la curva X' 
ha un nodo in ogni punto di secamento di due curve dei fasci 
dati che abbiano fra loro un doppio contatto, ed ha una cuspide 
in ogni punto di secamento di due curve fra loro osculatrici dei 
fasci stessi. — Inoltre le curve V' e X' si tagliano, oltre che nei 
punti base dei due fasci, nei punti in cui si toccano due curve di 
tali fasci che abbiano fra loro un doppio contatto, e sì toccano în 
ciascuno dei punti in cui si osculano due curve dei fasci stessi. 

Si può dimostrare rigorosamente che Z' non ha, all’infuori 
di quelli ora enumerati, altri punti multipli, con metodo ana- 
logo a quello del n. precedente: basta per questo considerare 
la corrispondenza [1,m'(2m + wm' — 3) (m m' — 2)] che, per 
la (3), viene stabilita fra i punti di L e di X dalle tangenti 


(*) Tutto questo si può vedere anche colla considerazione diretta dei 
fasci ® e ®', ricorrendo al noto teorema, che una curva d’ordine p è toc- 
cata da p(p+ 29 — 3) curve di un fascio d’ordine g (v. STEINER, l. c., 
pag. 6, e gli altri autori citati in principio). 


oe 


——_ oe <_re . " 


SULLE. CURVE PIANE CHE IN DUE DATI FASCI, ECC. 483 


di F appoggiate a L ed R, cioè dalle generatrici di T. I punti 
di L, tali che due dei loro corrispondenti coincidano, sono: 

1) i punti d’incontro di L colle tangenti doppie di F 
appoggiate ad L ed R: il loro numero è espresso dalla (9), e 


| ciascuno di essi deve contarsi due volte; 


2) i punti d'incontro di L colle tangenti principali di F 
appoggiate ad L ed R, ciascuno contato mm’ — 2 volte; 

3) le m? intersezioni di L con F, ciascuna contata 
mm' — 2 volte; 

4)i3(m' —1) punti d'incontro di L coi piani passanti 
per R e tangenti ad F in un punto esterno ad R, ciascuno con- 
tato m m' —2 volte. 

Chiamando quindi p; il genere di (X cioè di) 2’, la formola 

già usata di ZeuTHEN dà: 


2(p, — 1) + 2w' (m' + 2m — 3) (mm' — 2) 
= 2{mm' [2(m+4+m') — 9m+ m') + mm' + 1] 
— 6(m+m —1)(m+m — 4)} 
+ 3 [(m + 10°) (o + n° — 6) + 2o + 5] (n — 2) 
+ m?(mm' — 2) + 3(m' — 1)° (mm' — 2), 


da cui si deduce: 


Pi 2(m + m' — 4){(m + m') (2mm' — 5) — mm' 14} 
+ mm' (mm' + 2) — 9, 


come appunto si ricava dalle formole di PLiicgzeR quando si 
attribuiscano alla curva 2’, come luogo, i soli caratteri sopra 
indicati. 


6. — Non è senza interesse riavvicinare i nostri risultati 
a quelli stabiliti in generale dallo ZEUTHEN (*) per una qualunque 


(*) Recherche des singularités qui ont rapport à une droite multiple d’une 
surface (Math. Ann., Bd. IV, pag. 1). — V. anche le osservazioni dello 
stesso A. nella Note sur la théorie de surfaces réciproques, a pag. 633 dello 
stesso volume dei Math. Ann. 


484 LUIGI BERZOLARI — SULLE CURVE PIANE, ‘ECC. 


superficie algebrica dotata di una retta multipla. Si trova senza 
difficoltà (in parte direttamente, come implicitamente si è fatto 
nel corso di questa Nota, ed in parte adoperando le relazioni 
che trovansi a pag. 16 di quel lavoro) che i simboli di ZEUTHEN 
hanno, per la nostra superficie F, i seguenti valori: 


i=0, 
a=3m(m — 1), 


b=Im(m—1)(m°+m—3), B=3(m— 1) (m— 2) Gm 


— 3m — 11), 
cb, c=12(m_-1)(m—2), 
n=, n'=83(m 1), 
n=m(m—-m'), n=m' (mm), 
x=3(m —-1)(4m— 5), x'—= 3m(2m — 3), 
o= (m_—1) [(m_1) (83m? d'=3m[(m_2) (0m?13) +4], 

20) POT 
B=0, P=m(m — 3) — m'(m' — 3), 
j=3m(m—-1) + m'(m' $=0, 

— 4m +3), 
tam", =3(m — 1), 


f=(m—-m')[mm' (m—m') — 3 (mt+m_-1)-mt+ 1]. 


Introducendo queste espressioni nelle formole date dallo 
ZeuTtHEN a pag. 15 del Il. c., si possono avere conferme di al- 
cune delle proprietà precedenti. 


CORRADO SEGRE — INTORNO AD UN CARATTERE, ECC. 485 


Intorno ad un carattere delle superficie e delle varietà 
superiori algebriche ; 


Nota del Socio CORRADO SEGRE. 


1. Fra le definizioni note del genere di una curva algebrica 
ve n'è una, di speciale importanza, che qui conviene ricordare (*). 

Sia y la curva (irriducibile), e su essa consideriamo le serie 
lineari (co') di gruppi di punti, chiamando così ogni serie di 
gruppi di punti variabili che possa esser segata su y da un fascio 
di superficie algebriche (se si è nello spazio ordinario; se no, 
da un fascio di M,_, in S,). Per una tal serie diciamo n l’or- 
dine, cioè il numero dei punti di un gruppo generico, e v il nu- 
mero dei punti doppi, cioè delle coincidenze di due punti di uno 
stesso gruppo (in un sol elemento o punto dell'ente algebrico 
rappresentato da Y). Diciamo »' e v' i caratteri analoghi per 
un’altra serie lineare. Si dimostra allora (applicando il principio 
di corrispondenza a quella corrispondenza fra i gruppi di una 
stessa serie, in cui si corrispondono due gruppi, quando conten- 
gono rispettivamente due punti di uno stesso gruppo dell’altra 
serie; e poi scrivendo l’equazione analoga, e confrontando) che 


VIRALI 


Il numero 


v 
glia pr; 


che così risulta indipendente dalla serie lineare a cui si riferisce, 


(*) Cfr., per l'ordine d’idee a cui essa si riferisce e per alcure appli- 
cazioni a cui essa si presta facilmente la mia Introduzione alla Geometria 
sopra un ente algebrico semplicemente infinito (Annali di matematica (2) 22, 
1894). 


486 CORRADO SEGRE 


può definirsi come genere della curva y. Chiamandolo p si avrà 
v= 2n+2p—- 2 


pel numero dei punti doppi di una serie lineare qualunque, il 
cui ordine sia 7, sulla Y. 

Ricordiamo pure che se un punto di y è s—plo per un 
gruppo di una serie lineare (s>2), esso va considerato come 
equivalente ad s—1 punti doppi. 


2. Sopra una superficie algebrica F consideriamo un fascio 
di curve (irriducibili), cioè l'insieme delle curve Y intersezioni 
variabili di F con un fascio di superficie algebriche (o di M,_, 
se si è in S,). Diciamo p il genere del fascio, cioè di una Y ge- 
nerica; c il numero dei punti dase (a tangenti variabili (*)) del 
fascio; è il numero dei punti doppi di curve del fascio che cadono 
fuori dei punti base e fuori dei luoghi (eventuali) di punti mul- 
tipli delle curve generiche del fascio (**). Ci proponiamo di cer- 
care una funzione di p, 0, è, che non muti al mutare del fascio 
y su F, cioè che non muti sostituendo a quei tre numeri gli 
analoghi p', o', è’ relativi ad un altro fascio di curve, 1', della 
stessa superficie. A tal fine è chiaro che, per semplificare, si può 
supporre che i due fasci y, y' siano indipendenti fra loro, e quindi 
senza punti base comuni, ecc. Inoltre si può supporre che le y 
e le Y' si taglino in un numero di punti m=2. Si potrà quindi 
considerare la curva T luogo dei punti di contatto delle y con 
le y. Noi determineremo il genere t di T ricorrendo alle due 


(*) Si vedrà dal seguito fino a qual punto questa restrizione e quella 
dell’irriducibilità delle curve, non che altre che supporremo relative alle 
superficie e varietà da considerare, sian necessarie. 

Non sarà forse inutile avvertire che le cose contenute in questa Nota 
hanno un’origine didattica (mentre d'altra parte si collegano alla mia ci- 
tata Introduzione): esse datano dal 1893, e furono esposte, per quel che 
riguarda le superficie e tolto solo qualche particolare secondario, nelle 
mie Lezioni del 1893-94, con speciali applicazioni alle superficie razionali 
ed ai sistemi lineari di curve piane. 

(**) È un luogo sì fatto la linea multipla di F, se il fascio di superficie 
che stacca le Y non l’ha per linea base. Il numero è si riferisce a punti 
situati fuori di quella linea (almeno in generale; cfr. il seguito). 


|| TESO PT, SL nnn__— oo = Io ET SALTO 


DOD 


TIT TT enon pa 


ur e PI 


INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 487 


serie lineari che su T sono staccate dai due fasci , {; e con- 
frontando le due determinazioni otterremo la relazione cercata. 

Su una y generica il fascio Y' sega una serie lineare d’or- 
dine m, che avrà (n. 1) 


N=2m + 2p—2 


punti doppi: tanti saranno dunque i punti variabili del luogo 
T, che stanno sulla Y generica. Al variare della Y quel gruppo 
di punti descriverà su T una serie lineare, che indicherò con g, 
d'ordine N. Similmente su una y' generica si hanno 


N = 2m + 2p"— 2 


punti variabili di T: e ne deriva su questa curva una seconda 
serie lineare, che dirò g', il cui ordine sarà N'. — Cerchiamo i 
punti doppi di queste serie, ad esempio della g. 


8. Anzitutto se su una y coincidono due degli N punti 
suddetti in un punto che non sia nè singolare per la Y, nè punto 
base per le y', nel punto stesso dovrà (v. la fine del n. 1) es- 
servi un contatto tripunto della Y con una y'. Diciamo t il nu- 
mero dei punti di F, in cui vi è contatto tripunto fra una y ed 
una Y': essi daranno altrettanti punti doppi della 9. Si vede 
che se una Y ha un contatto s— punto con una Yy', coincidono 
s—1 suoi punti d'incontro con T, e quindi coincidono s — 2 
punti doppi della g: il contatto s — punto influirà per s — 2 
unità nel numero t dei contatti tripunti. 

In secondo luogo se una Y ha un punto doppio A, che non sia 
nè in un punto base, nè su un luogo di punti doppi del fascio, 
vale a dire se la r ha uno dei è punti doppi su nominati, il 
suo genere si ridurrà a p— 1; e quindi pel n. 1 le Y' propria- 
mente tangenti alla y si ridurranno a sole N — 2, cioè la Y' 
che passa per A assorbirà due delle N y' tangenti a v. Segue 
che i è punti doppi di curve y sono punti doppi per la serie 
lineare g di T. — Si osservi però che se A fosse in particolare 
una cuspide (ordinaria) per la y; allora la y' per A sarebbe da 
contare fra le dette N — 2 curve y' tangenti alla 1; e quindi A 
sarebbe non solo doppio, ma triplo per la serie 9g di T, ossia 


488 CORRADO SEGRE 


influirebbe per 2 unità nel numero dè. — Se poi A è per la y un 


punto s — plo ordinario, che diminuisce il genere p di Pare 1) 


unità, segue ancora dal n. 1 che fuori di A cadono N — s (s— 1) 
punti variabili del luogo T, sicchè A equivale ad s(s — 1) in- 
tersezioni della y e di T. Ora poichè la y ha s rami distinti 
passanti per A, si può concludere che A sarà (s —1)— plo per 
T e con tangenti diverse da quelle della 1. Ammesso poi che 
i rami completi di T passanti per quel punto sian tutti distinti, 
essi saranno s—1 e su ognuno di essi la y sega A come punto 
s— plo della serie lineare g. Onde in A cadono s— 1 punti 
s— pli di questa serie, il che equivale ad (s—1)? punti doppi. 
Il punto A influisce dunque per (s—1)? unità sul numero è. 
In terzo luogo consideriamo un punto B' che sia punto base 
s'—plo (s'=1) pel fascio y'. Sulla Y che passa per esso la serie 
staccata dalle y' avrà solo più m —s' punti variabili, e quindi 
fuori di B' avrà solo N — 2s' punti doppi: in B' cadranno 25" 
intersezioni della Y col luogo T. Per determinare la multipli- 
cità di B' per questo luogo, osserviamo che nel fascio Y' vi sono 
in generale 2s"— 2 curve, per le quali coincidono due delle s' 
tangenti in B', ossia per le quali B' diventa un punto di dira- 
mazione (su un ciclo o ramo completo di 2° ordine). Se su una 
di queste particolari y' si considera la serie segata dal fascio Y, 
sì vede che essa avrà B' per punto doppio; sicchè quando una 
y' generica viene a cadere in quella, delle N’ sue intersezioni 
variabili con T una viene in B'. Dunque ognuna delle 2s'— 2 
curve y' nominate è tangente in B' a T. L’unica curva ulteriore 
del fascio y' che riesca tangente a T in B' si vede similmente 
esser quella che tocca in B' la y passante per questo punto. 
Siccome poi, come dicemmo, questa Y ha con T un incontro 
(2s') — punto in B', così concludiamo che B' è multiplo secondo 
258' — 1 per T, e che dei 2s5'— 1 rami completi di questa curva 
i quali passano per B' uno solo è tangente (semplicemente) alla Y. 
Dunque in B' cade un solo punto doppio della serie 9g segata su T 
dal fascio y(*#). — Da questo ragionamento risulta pure che, 


(*) Ciò non varrebbe più se il fascio y' avesse in B' tutte le s' tangenti 
fisse, cioè se nel detto fascio vi fosse una yY' che avesse in B' multiplicità 
s + 1. Allora facendo le necessarie modificazioni al ragionamento prece- 


ne n i 


INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 489 


mentre i o’ punti base del fascio y' dànno altrettanti punti 
doppi della serie g su T, i punti base del fascio Y mon sono 
punti doppi di questa serie. 


4. Applicando ora la formola del n. 1 ai punti doppi che 
abbiamo enumerati della serie 9g d'ordine N, sulla curva T di 
genere t, abbiamo 


tdi N + 1275-13; 


ossia 

(1) tt+tò+o=4m+2n+4+4p_- 6. 
Similmente dalla serie g' d’ordine N' si avrà: 

(2) t+d+o—=4m+2n44p— 6. 


Sottraendo membro a membro queste due formole si ha 
(3) dò - 0 — 4p=d' —  — 4p, 


che è la relazione cercata. Essa dice che su una data superficie 
il numero dei punti doppi staccati di curve di un fascio diminuito 
del numero dei punti base di questo fascio e di 4 volte il genere 
di questo dà un numero che non muta se si cambia il fascio di 
curve, e costituisce quindi un carattere proprio della superficie (*). 


dente si vede che T verrebbe ad avere in generale in B' multiplicità 2 s' 
senza alcun contatto (proprio od improprio) con la Y passante per quel 
punto: sicchè B' non sarebbe più punto doppio per la serie 9 di T. 

(*) La proposizione si estende anche a casi che non abbiamo conside- 
rati. Così se il fascio Y ammette un punto base semplice B' con la tangente 
fissa, questo dovrebb’essere sottratto dal numero complessivo 0' nella re- 
lazione (1): v. la nota preced°. D'altra parte tenendo conto che B' viene 
ad essere punto doppio per una Y ed anche per T, si scorge tosto che 
esso dovrebb’esser tolto dal numero dei punti doppi della serie g' di T 
cioè dal 1° membro della (2), ossia da d'. Segue, passando alla (3), che 
questa rimane valida tal quale, purchè il punto B' non si computi nè nel 
numero 0' dei punti base, nè nel numero è’ dei punti doppi del fascio Y, 
oppure purchè si conti una volta in ciascuno di quei due numeri (od anche 
per 2 unità in entrambi i numeri, come da ragioni di limite si sarebbe 
indotti a fare). 


490 CORRADO SEGRE 


Chiamando P questo carattere della superficie, potremo dire 
che un fascio di curve tracciato su questa, del genere p, con 0 
punti base, ha un numero di punti doppi staccati espresso da 


(4) d=0+4p+P: 


in altre parole questo sarà il numero delle superficie tangenti 
alla superficie data, in un fascio di superficie la cui intersezione 
variabile con questa abbia il genere p ed abbia 0 punti fissi (sem- 
plici o multipli). 

Dal precedente n. 3 risulta pure che un punto il quale sia 
s—plo (staccato) per una curva del fascio va contato come 
equivalente ad (s—1)? punti doppi. — Se la superficie F ha un 
punto s—plo staccato A e si applicano le cose esposte nei ni 
2,3 a due fasci di curve y, y' ottenuti con fasci di superficie 
non passanti per À, questo punto sarà s— plo tanto per una Y 
quanto per una y': e l’influenza che esso avrà sui numeri è, è’ 
delle relazioni (1), (2) scomparirà nella sottrazione, cioè nel pas- 
saggio alla relazione (3). Si può quindi fissarla, in questo caso, 
anche diversa da (s—1)?. Conviene assumere (*) che nella de- 
finizione del carattere P di una superficie un punto s — plo 
staccato ordinario di questa conti come s—1 punti di contatto 
ordinario con le superficie di un fascio, del quale il punto 
stesso non sia punto base. 


5. Se della superficie F_si chiamano » l’ordine, v la classe, 
p il genere delle sue sezioni piane, e si applica la definizione 
del carattere P ad un fascio generico di sezioni piane, si ha 


(5) Pa=v_-n—- 4p. 


Se si chiama r il rango della superficie, e c l'ordine della sua 
linea cuspidale, sicchè r+c=2n+2p — 2, si avrà, elimi- 
nando p: 


(6) Pa=vT_- 2r + 3a — 2e — 4. 
Tanto in questa formola, quanto nella (5), secondo la conven- 


(*) Cfr., ad esempio, la nota seguente. 


INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 491 


zione fatta, si aggiungerà (s—1) al 2° membro per ogni punto 
s—plo staccato ordinario che la superficie avesse (*). 

Nella (6) si riconosce un’espressione già incontrata dal 
signor ZeutHEN nella ricerca fondamentale di caratteri della 
superficie invariabili per trasformazioni birazionali (**). La stessa 
espressione fu poi considerata di nuovo dal signor NoETHER (***); 
indicando con p e p‘ rispettivamente quei numeri che egli 
chiama Flichengeschlecht e Curvengeschlecht della superficie F, 
quest’ultimo scienziato trova che l’espressione (6) di P equi- 
vale a 


12p — PUT9, 


almeno se si fanno opportune riserve relativamente alle singo- 
larità di F. Su ciò, e su qualche raffronto che si potrebbe fare 
tra il ragionamento che ci ha condotti al carattere P ed i ra- 
gionamenti di quei due illustri scienziati, per brevità non mi 
trattengo. 

Osserverò invece come dalla (5) risulti che per una super- 
ficie generale d’ordine n è 


P=(n_-2)(e_-2n+2); 
per una rigata sghemba di qualunque ordine e di genere p è 


Lai lo 


(*) Qui si può già vedere l’opportunità della detta convenzione in ciò 
che essa permette di applicare la definizione del carattere P anche ricor- 
rendo ad un fascio di curve di cui quel punto s—plo sia punto base. 


Consideriamo in fatti un fascio di sezioni piane passanti per questo: il suo 


; s(s_1l) . 4 z È b 
genere sarà p — © , il numero dei suoi punti base n — s + 1, il numero 


dei suoi punti doppi fuori di questi v—2s(s—1); per conseguenza l’e- 
spressione è — 0 —4p del n° preced.° diventa pel fascio attuale v—n—4p 
+ (s-1) 

(**) V. ad esempio il n. 24 delle Etudes géométriques de quelques-unes 
des propriétés de deux surfaces dont les points se correspondent un-à-un. Math. 
Annalen, t. IV (1871). 

(***) Zur Theorie des eindeutigen Entsprechens algebraischer Gebilde 
(2° Aufsatz). Math. Ann., t. VIII (1874). 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 35 


492 CORRADO SEGRE 


ecc., ecc. — Applicando questi risultati al problema dei con- 
tatti della superficie data con superficie di un fascio si ha ad 
esempio: in un fascio di superficie d'ordine u vi sono in generale 
nu° + 4(t — p) superficie tangenti ad una data rigata sghemba 
d’ordine n e genere p, se © è il genere della curva d’intersezione 
della superficie generica del fascio con la rigata; ecc., ecc. 

Nel caso che la superficie data sia un piano, si vede che 
il suo carattere sarà P=—1. Si ritrova così la nota proposi» 
zione: in un fascio di curve piane di genere p, con 0 punti base, 
vi sono în generale 


o-|4p— l 


curve dotate di punti doppi fuori dei punti base (*). 


6. Quando di una superficie si sia calcolato il carattere P, 
introducendolo mediante la formola (4) del n. 4 nella (1), questa 
diventa 


(7) t_-2n=4m — ((+0) —6—- PD. 


Questa relazione permette di calcolare t, cioè il numero delle 
coppie di curve dei due fasci con contatto tripunto, quando si 
sappia determinare il genere m della curva T. — Ad esempio, 
se si è nel piano, e se si conoscono anche gli ordini n, n' dei 
due fasci di curve Y e 1", t si può avere subito. Dal ragionamento 


(*) Il sig. Cremona nello scritto Sopra alcune questioni nella teoria delle 
curve piane (Annali di mat., t. VI, 1864) determinò il numero dei punti 
doppi di un fascio di curve piane, fuori dei punti base, in molti casi; tra 
cui quello nel quale i punti base siano di multiplicità qualunque, con le 
tangenti variabili. Introducendo nella formola del Cremona il genere, il 
Caporari la mise nella forma sopra scritta: v. il n. 13 della Memoria 
Sopra i sistemi lineari triplamente infiniti di curve algebriche piane (Collect. 
mathem. in mem. Caeuini, 1881). — Il sig. Guccra ha poi trattato la stessa 
questione nelle sue Lezioni di Geometria superiore (litogr., Palermo, 1890), 
e per singolarità superiori del fascio di curve piane nel $ 8 delle sue 
Ricerche sui sistemi lineari di curve algebriche piane, dotati di singolarità 
ordinarie, Mem. II (Rendiconti del Circolo mat.° di Palermo, t. IX, 1895). 


«” ani 


I RR PT, On 


iter ect 


INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 493 


del n. 3 segue infatti che le sole multiplicità di T si hanno in 
generale nei punti base dei due fasci, e precisamente in un 
punto base s — plo la multiplicità 2s — 1: contando gl’incontri 
di T con una curva generica di un fascio si trae che l’ ordine 
di Tè 2n + 2x'—3; e poi basandosi su questo e sulle dette 
multiplicità di T si calcola subito: 


mq = 4nn + 6(p+tp)—- (040) — 2. 
Sostituendo nella (7) in cui si ponga P= —1 ed m= nw', si ha 
t= 12(nn' +p+p)— 3(0+0)— 9 


come numero dei contatti tripunti tra curve di ordini n, n' e ge- 
neri p, p di due fasci di curve piane con 0, 0' punti base or- 
dinari (*). 

Si può aggiungere a queste formole un’altra relativa al 
numero d delle coppie di curve dei due fasci che hanno fra loro doppio 
contatto. Una coppia di punti di contatto fra una Y ed una v' 
costituisce sulla curva ausiliaria T una coppia comune alle due 
serie lineari d’ ordini N, N' considerate al n. 2. Però fra le 
coppie comuni a queste due serie vi sono anche quelle costituite 
da due punti coincidenti, provenienti dalle coppie di curve v, y' 
aventi contatto tripunto. Quindi, applicando la nota formola (#*) 
relativa alle coppie comuni a due serie lineari (co!) sopra un 
ente di genere t, avremo 


d+T1=(N-1)(N-1)— n, 


ossia 


(*) Nel caso di due fasci generali degli ordini n, x quella formola si 
riduce ad una data da Sremer alla fine della sua Nota AWgemeine Eigen- 
schaften der algebraischen Curven (Berliner Berichte 1848; Werke II p. 495). 
Cfr. anche la Nota del sig. BerzoLari Sulle curve piane che in due dati fasci 
hanno un semplice o un doppio contatto, oppure si osculano: Nota che pre- 
sento all'Accademia con questa mia, e che mi ha eccitato a riprendere, 
per pubblicarle, le cose qui esposte, e preparate, come dissi (v. nota al 
n. 2), alcuni anni addietro. 

(**) Cfr., ad esempio, la mia citata Introduzione, n. 85. 


494 CORRADO SEGRE 


8) dtbrit+qa=(2m+2p—3) Qm4 2p — 3). 


Questa formola si può unire con la (7); e si può, ad esempio, 
eliminare da esse t oppure t. — Se si è nel piano si può sen- 
z'altro porre nella (8) per m e per t i valori dianzi calcolati, 
e così si ottiene pel numero dei doppi contatti tra curve di or- 
dini n, n' e generi p, p' di due fasci di curve piane con 0, 0' punti 
base ordinari l’espressione (*) 


d=4[n?n° | (nn — 6)(p+p)+ pp'— Inn +0+0' +5]. 


7. Nel n. 5 abbiamo citato le ricerche dei sigi NoETHER e 
ZeurHEN relative a caratteri di una superficie invariabili per 
trasformazioni birazionali di questa. Considerando il carattere P 
da questo punto di vista facciamo alcune brevi osservazioni (**). 

Se fra i punti di due superficie algebriche ha luogo una 
corrispondenza birazionale priva di punti fondamentali su en- 
trambe le superficie, cioè di punti a cui corrispondano linee, 
allora ad un fascio di curve dell’una corrisponderà sull’altra un 
fascio di curve, dello stesso genere, con lo stesso numero di 
punti base, con lo stesso numero di punti doppi staccati. Quindi 
le due superficie avranno lo stesso carattere P. — Si sa che il 
CLeBscH (***) ha proposto di distinguere le superficie algebriche 
in tipi, chiamando “ di uno stesso tipo , flue superficie quando 
si possono riferire tra loro biunivocamente nel modo detto. 
Adottando quella distinzione potremo dire che: per le superficie 
di uno stesso tipo il carattere P_ha lo stesso valore. 

Abbiasi ora, più in generale, una corrispondenza birazio- 


(*) V. pel caso di due fasci generali di ordini n, »' la citata Nota del 
sig. BERZOLARI. 

(**) Per maggior semplicità considero superficie che non abbiano punti 
multipli staccati: sebbene l’esistenza di tali punti non produrrebbe difficoltà 
essenziali; ed inoltre, applicando le osservazioni che faremo a superficie 
dotate di punti multipli staccati si avrebbe una nuova prova dell’opportu- 
nità della convenzione fatta su quei punti alla fine del n. 4. 

(***) Ueber die geradlinigen Fliichen vom Geschlechte p= 0 (Math. Ann., 
t. V). V.il 88. 


INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 495 


nale tra due superficie F, F,, tale che su queste vi siano ri- 
spettivamente è, î, punti fondamentali; sicchè su F,, F_ avremo 
rispettivamente i, î, linee fondamentali corrispondenti a quei 
punti. Consideriamo in F un fascio di curve, staccato mediante 
un fascio di superficie in posizione generale rispetto ai punti 
e linee fondamentali di F: sia p il suo genere, o il numero dei 
suoi punti base, è il numero dei suoi punti doppi (staccati) fuori 
di questi. Gli corrisponderà su F, un fascio di curve dello stesso 
genere p, del quale dirò 0, il numero dei punti base e è; il nu- 
mero dei punti doppi staccati. Al fatto che le linee del 1° fascio 
incontrano ogni linea fondamentale di F corrisponderà il passare 
di tutte le linee del 2° fascio per ciascun punto fondamentale di 
F,; onde 0:=0-+i,. Quanto ai è, punti doppi del 2° fascio, parte 
corrisponderanno ai è punti doppi del 1° fascio; e gli altri agli è 
punti fondamentali di F, giacchè una curva del 1° fascio che 
passi per uno di questi punti fondamentali ha per corrispondente 
su F, una curva che contiene come parte la linea fondamentale 
omologa, e precisamente in modo che l’altra componente incontra 
questa linea fondamentale, fuori dei punti fondamentali, in un sol 
punto, corrispondente ad una direzione uscente dal punto fonda- 
mentale di F (*). Si ha dunque: è, =ò + i. Chiamando ora P 
e P, i caratteri di F, F,, e calcolandoli (n. 4) rispettivamente 
coi due fasci considerati, abbiamo 
Li 


(9) PP, Be=sio=lHix 


Dunque: quando tra due superficie algebriche ha luogo una cor- 
rispondenza birazionale con soli punti fondamentali ordinari, la 
differenza fra il numero dei punti fondamentali che stanno sulle 
due superficie è uguale e opposta alla differenza tra i caratteri di 
queste. In particolare se la corrispondenza ha luogo tra i punti 
di due superficie coincidenti, il numero dei punti fondamentali sarà 
lo stesso per entrambe (**). 


(*) È facile vedere che l’esistenza, in questo caso, di curve riducibili 
non toglie di applicare le cose esposte prima, sebbene le curve siffatte 
fossero escluse. 

(*#*) Merita di esser ricordato che questa proposizione, pel caso di due 


496 CORRADO SEGRE 


Possiamo enunciare queste proposizioni anche in altro modo, 
riferendole ai sistemi lineari di curve che sull’una superficie cor- 
rispondono alle sezioni piane (od iperpiane) dell’altra. Avremo: 
un sistema lineare di curve tracciato su una superficie F e rap- 
presentativo di un’altra superficie F, dà come eccesso del numero 
dei suoi punti fondamentali (supposti ordinari) sul numero delle 
sue linee fondamentali la differenza P, — P tra i caratteri delle . 
due superficie. Per conseguenza se la superficie F si trasforma 
birazionalmente in se stessa, verrà trasformato il sistema lineare 
di curve in un altro sistema, il quale potrà avere altri numeri 
di punti e di linee fondamentali, ma conserverà invariato l’ec- 
cesso dell’un numero sull’ altro, giacchè non muteranno i due 
caratteri P, P,. In particolare se si tratta di un sistema lineare 
di curve piane, vediamo che il detto eccesso è invariabile per 
trasformazioni birazionali del piano e ne troviamo una spiega- 
zione nel fatto che esso diminuito di 1 dà il carattere P, della 
superficie che è rappresentata da quel sistema lineare. — 

Le cose ora esposte si potevano anche derivare dalle Mem® 
citate, e più specialmente da quella del sig. NoeTHER (cfr. ad 
es° il $ 6 della detta Mem?). Si osservi, a questo riguardo, che 
il numero P+i, somma del carattere della superficie F col 
numero dei suoi punti fondamentali, è uguale al numero analogo 
relativo alla superficie F,. E si noti pure che l’esistenza su Fi, 
ad esempio, di punti fondamentali non sarà possibile se su F 
non esistono di quelle linee che il sig. NoETtHER medesimo ha 
chiamato “ ausgezeichnete ,. — D’ altra parte è ben noto che 
dell’ eccesso su nominato, per un sistema lineare qualunque di 
curve piane, si occupò molto estesamente, specialmente per la 
sua invariantività, il sig. June nei suoi lavori sui sistemi lineari 
di curve piane (*). 


piani, fu dimostrata dal Cremona appunto con la considerazione del numero 
dei punti doppi delle curve del fascio che sopra l’un piano corrisponde ad 
un fascio di rette dell’altro (Sulle trasformazioni geometriche delle figure 
piane, Mem. 2*, $ 5: Mem. Accad. Bologna (2) V, 1865). 

(*) Ricerche sui sistemi lineari di curve piane algebriche, ecc. (Annali di 
mat. (2), 15 e 16 (1888, 1889)). — Sull'eccesso degli elementi fondamentali 
di un sistema lineare (Rend. Ist. Lomb. (2), 21 (1888)). — V. anche: Sul 
numero delle curve degeneri contenute in un fascio (ibid.). 


arr nte —e + 


| a 


INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 497 


8. Passiamo ora a fare, brevemente, in modo pienamente 
analogo a quello tenuto ai ni 1, 2, ecc. pei caratteri p e P delle 
curve e superficie, la ricerca di un analogo carattere relativo 
alle varietà algebriche a tre dimensioni. 

Sopra una M, abbiansi due fasci (tra loro indipendenti) di 
superficie F, F'. Diciamo P e P' i caratteri delle superficie ge- 
neriche dei due fasci; p il genere della curva d’ intersezione; 
p e p' i generi delle curve y e y' basi dei due fasci (semplici 
o multiple); c e 0' i numeri dei punti d’intersezione di y' con 
una F, e di y con una F". Consideriamo poi la curva T, di genere r, 
luogo dei punti di contatto delle F con le F'. Su una F gene- 
rica le superficie F' segano un fascio di curve di genere p, 
con o punti base: il numero dei punti doppi che vi saranno 
fuori di questi, cioè il numero N dei punti d’incontro variabili 
della F col luogo T sarà (n. 4) 


N=0+4p+P. 


Ciò per altro esige modificazioni, se fra i punti di y vi sono 
dei punti eccezionali, che influiscano in un modo speciale sul 
valore di P. Ci limiteremo, fra questi casi, a quello in cui Y sia 
una curva base semplice del fascio F, nella quale però vi sian 
punti base multipli ordinari. Se uno di questi punti è s — plo pel 
fascio F, la determinazione assunta per P è tale (v. la fine del 
n. 4) che il numero delle F' propriamente tangenti ad una F 
non è più 6 + 4p + P, ma questo numero diminuito di s — 1. 
Estendendo la cosa a tutti i punti base multipli del fascio F, 
avremo in questo caso pel numero N il valore: 


N=0+4p+P_ E(s-1) 


Così il fascio F sega su T una serie lineare semplicemente in- 
finita 9g il cui ordine N, a seconda dei casi detti, sarà dato 
dalla 1? o dalla 2* espressione. Similmente il fascio F' sega su T 
una serie lineare g' il cui ordine N’ sarà dato da 


N=0 +40 + P' 


in generale, cioè se sulla curva y' non vi sono punti eccezionali; 


498 CORRADO SEGRE 


nel caso che il fascio F' abbia la curva base y' semplice, ma 
abbia pure su y' dei punti base multipli ordinari, la cui multi- 
plicità in genere indichiamo con s', sarà invece: 


N=o0 +4p+P_ (8-1). 


Cerchiamo ora i punti doppi delle due serie lineari, ad 
esempio di g. 

Anche qui, le coincidenze di due degli N punti doppi del 
fascio di curve che abbiam considerato sulla F potranno GONO 
mente avvenire in tre modi diversi. 

1° Senza abbassamento del carattere P o del numero dei 
punti base del detto fascio, pel fatto che in questo vi è una 
curva dotata di cuspide, fuori dei punti base (veggasi nel n. 3 
l'osservazione relativa alle cuspidi). Diremo t il numero dei con- 
tatti stazionari tra superficie Fed F', cioè dei punti (non base) 
che sono cuspidi per curve comuni ad F ed F'. 

2° Perchè la superficie F ha carattere minore di quello P 
delle F generiche. Noi ammettiamo che ciò avvenga solo per 
l'acquisto che la F faccia di un punto doppio. Allora su F il 
fascio di curve considerato ammetterà solo N — 2 punti doppi 
(staccati) fuori di quello: cioè in quello vi sarà una coincidenza 
di due degli N punti considerati su una F generica. Diremo è 
il numero dei punti doppi di superficie del fascio F (staccati, 
cioè all'infuori dei punti base multipli e all’infuori dei luoghi di 
punti multipli della M;). 

3° Perchè s’abbassa il numero dei punti base del fascio 
di curve della F. In generale ciò accadrà per quelle F che son 
tangenti alla curva y' base del fascio F': il loro numero è (n. 1) 
20 + 2p' — 2. Se Y' non ha punti multipli — sia poi essa curva 
base semplice oppure multipla pel fascio F', — questo caso non 
potrà accadere in altro modo. Ma se y' ha punti multipli, anche 
le superficie F che passano per questi dovranno esser conside- 
rate. Non stiamo ad esaminare completamente la cosa: limitia- 
moci al caso di cui già abbiam tenuto conto precedentemente 
che le F' abbiano una linea base semplice e, su questa, dei 
punti base multipli; e consideriamo uno, B', di questi punti e 
sia s' la sua multiplicità per le F', sicchè i coni tangenti in 
esso a queste superficie formino un fascio generale d’ordine s'. 


ATA TEO 


INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 499 


Si vede allora (analogamente al ragionamento fatto al n. 3, 
pel 8° caso) che la curva ‘T passa in generale per B' con 
8(s'— 1)? rami tangenti alle generatrici doppie di coni del detto 
fascio e con altri 2s' — 2 rami tangenti alle generatrici di con- 
tatto di coni del fascio medesimo col piano tangente in B' alla F 
che vi passa. D'altronde su questa F, pel fascio di curve d’in- 
tersezione con le F', il numero o dei punti base sarà diminuito 
s(s'— 1) 
2 
contro variabili di T con la F il punto B' ne assorbirà (s'? — 1) + 


di s'? — 1 ed il genere p di ; sicchè degli N punti d’in- 


+ 28'(s' — 1) ossia 3(s" — 1)? + 2 (2s' — 2). Segue che i rami 


nominati di T sono tutti lineari, e che gli ultimi 2s' — 2 sono 
semplicemente toccati in B' da quella F: sicchè in B' cadranno 
2s' — 2 punti doppi della serie g di T. 


9. Applicando ora alla curva T di genere q, ed alla sua serie 
lineare 9g, della quale abbiamo enumerato i punti doppi, la for- 
mola del n. 1, avremo, nel detto caso speciale 


t+òd+ (20429 — 2) +4 22/(s — 1)=2N+2n-2, 


formola che rimarrà valida anche nel caso generale, se vi si 
sopprime il simbolo sommatorio che vi compare. — Con questa 
convenzione, e ponendovi per N il corrispondente valore, essa 
diventa 


(10) t—-2n—-8p+òd —2P+2p'+2Z2(s—1) + 22'(s'—1)=0. 
Analogamente sarà: 


(11) t—2m—8p+d'—2P'+2p +22'(s—1)+2Z(s—1)=0. 
p 


Sottraendo membro a membro avremo, tanto nel caso ge- 
nerale, quanto nel detto caso speciale: 


(12) d — 2p—2P=d — 29 — 2P. 


Ossia: su una data varietà a tre dimensioni il numero dei punti 
doppi staccati di superficie di un fascio, diminuito del doppio ge- 
nere della curva base (semplice o multipla) e del doppio carattere 


500 CORRADO SEGRE 


delle superficie generiche dà un numero che non muta se si cambia 
il fascio di superficie, e costituisce quindi un carattere proprio della 
varietà a tre dimensioni (*). 

Indicando con TT il carattere della M; che così abbiamo de- 
finito, sarà poi 


(13) d=2p+2P+T; 


questa formola determinerà il numero delle superficie dotate dî 
punti doppî staccati, in un fascio dato della Mz, quando si conosca 
il genere p della curva base ed il carattere P della superficie 
generica del fascio. 


10. Ad esempio, per lo spazio ordinario possiamo determi- 
nare il carattere TT mediante un fascio di piani: si ha così TT=2. 
Ne segue che nello spazio ordinario un fascio di superficie, di 
carattere P, con la curva base del genere p, ha in generale, fuori 
di questa curva 


(14) 2P+p+1) 


punti doppi. — La curva base può esser semplice o multipla; e 
se è semplice può aver dei nodi, ed anche contenere dei punti 
base multipli pel fascio. — Se si tratta di un fascio generale 
di superficie d’ordine x, sicchè (n. 5) P=(n— 2)(n° — 2n+-2), 
e p=n?— 2n2+1, viene come numero di punti doppi 4 (n—1)?: 
com'è ben noto. Se il fascio di superficie d'ordine n ha un punto 
base s— plo, questo abbassa il valore di P ora scritto di 


(*) Oltre che nei casi esposti, questo teorema vale anche se la curva 
base del fascio di superficie è semplice ma possiede (oltre ai punti base mul- 
tipli già considerati del fascio di superficie) dei nodi suoi proprî, purchè però 
in tal caso si escludano dal computo dei punti doppi di superficie del fascio 
quelli precisamente che cadono in quei nodi della linea base. Invero se nel 
ragionamento fatto (n. 8) si ammette che Y e Y' possano avere punti doppi, 
indicando con B' un punto doppio di y', sulla F che lo contiene si avrà 
una coincidenza di due delle N curve con punto doppio, in quella che è 
intersezione di F con la F' avente punto doppio in B'. Ne viene poi che 
nella formola (10) si dovrà aggiungere al 1° membro il numero dei nodi 
di Y': e così nella (11) il numero dei nodi di y. Quindi passando alla (12) 
questa rimarrà vera, purchè è e è' si diminuiscano rispettivamente dei 
punti doppi di y e Y. 


” TERE arri ” 


ee Ve nno. ng 


INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 501 


s(s — 1)? — (s— 1), e quello di p di s*(s — 1) (*); quindi l’espres- 


sione (14) ci fa vedere che l'abbassamento nel numero 4(n — 1)8 
dei punti doppi del fascio sarà di 2(s — 1)? (2s + 1): risultato 
pure noto (**). 


11. Si può domandare quale sia per una varietà qualunque 
M, il carattere analogo a quelli che abbiamo introdotto per le 
superficie e per le varietà M;. Chiameremo TT, questo carattere: 
e lo supporremo definito per indici minori di ». Allora si con- 
sideri sulla M, un fascio di varietà M,_,, il cui carattere indi- 
chiamo con TT,_,, e sia TT,_s il carattere della M,_, base e è il 
numero dei punti doppi staccati di varietà del fascio: sarà, 
indipendentemente dal fascio considerato: 


(15) FIS = d — ANI == LI pira 


Conviene porre TT, uguale al numero dei punti a cui esso si ri- 
ferisce, diminuito di 1; poi TT, uguale al doppio del genere della 
curva (ossia porre TT_ ,=0). Dopo ciò risulta dalla (15) TT, 
uguale al carattere P della superficie aumentato di 1; e TT, uguale 
al carattere che avevamo chiamato TT della M, diminuito di 2. 
La determinazione così scelta è tale che, qualunque sia r, il 
carattere TT, s'annulla per la M, lineare, cioè per uno spazio S.. — 

Accenniamo ancora, terminando, che sarebbe utile in questo 
argomento considerare anche le varietà riducibdili. Per quel che 
riguarda le curve si sa già come la nozione del genere si possa 
applicare alle curve riducibili: e non vi è difficoltà a determi- 
nare quali modificazioni occorrano in tutte le cose esposte 
quando per le curve che abbiamo incontrato si tolga la restri- 
zione di essere irriducibili. Converrà fare la stessa determina- 
zione per le superficie, ecc. 


(*) Cremona, Grundziige einer allgem. Theorie der Oberfliichen, n. 119. 

(**) Preri, Sopra alcuni problemi riguardanti i fasci di curve e di super- 
ficie algebriche (Giornale di matem., t. 24 (1884)). — Cfr. anche, per questo 
e per un risultato più generale : Guccra, Sur les points doubles d’un faisceau 
de surfaces algébriques (Comptes rendus, avril 1895). 


502 ALBERTO LEVI 


Sulle singolarità della jacobiana di quattro superficie; 


Nota del Dott. ALBERTO LEVI. 


Il prof. GerBALDI in un suo lavoro (1) ha risolto la que- 
stione di determinare quando la jacobiana di tre curve piane 
abbia in un punto dato una multiplicità maggiore di una o due 
unità di quella generale. Nella mia dissertazione di laurea 
(luglio 1895), che sarà pubblicata per esteso altrove, mi sono 
proposto il problema analogo per la jacobiana di quattro super- 
ficie, cioè, date quattro superficie F, Fo F3 Fi, è cui ordini siano 
n, Ny N3 Ny, e le cui multiplicità in un punto 0 siano ri rg rg Fry 
determinare in quali casi la jacobiana invece di avere in 0 la mul- 
tiplicità generale r=r1 4 ra» +r83 +r, — 3 ha ivi la multiplicità 
r+1odr+2(2). 

Rendo qui noti i principali risultati da me trovati in questa 
ricerca. 

Suppongo che si abbia 


Mir ia Sta LA 

Ty I ra r3 pri r4 
e considero i numeri 

My = Mr — MT, 


P1=YaT3T4, Po =Y173T4, P9=V1T9T4, Pa=TT9Y3. 


(1) Sulle singolarità della jacobiana di tre curve piane. (Rendiconti del 
Circolo matematico di Palermo, 1894). 

(2) La questione fu già in parte trattata, nel caso di una curva comune, 
dal De Paotis in un lavoro non pubblicato. I risultati, esatti, ma, a quanto 
pare, ottenuti con metodo non troppo sicuro, furono pubblicati dal Pro- 
fessore Secre nei Rendiconti Lincei, 1894, t. III, fasc. 7. 


SULLE SINGOLARITÀ DELLA JACOBIANA DI QUATTRO SUPERFICIE 503 


Occorre distinguere poi varîì casi: se m,9 > 0 considero le 
superficie dello stesso ordine ed aventi in 0 la stessa multi- 


plicità: , 
M, i, Fu, M, —_ Fam Egr, My = Fas FMoms (1); 
se #9 = 0, ma mg4 > 0 considero invece le superficie 


N; = Fama, No — Frasu Fo msemu, Ns MN pit, FMsma,; 
Se mg = Mg4y = 0, considero le superficie 
P,= Faro, Po= FF, Po = FRF? 
infine se le m,, sono tutte nulle, considero le superficie 
pa BioSaia LSp=Re/e 


Ciò posto la jacobiana delle superficie F, F, Fs F4 avrà in 0 

la multiplicità "+ 1 nei seguenti casi: 

1° Se le multiplicità di 0 per le quattro superficie sono 
proporzionali ai loro ordini; 

2° Se per 0 passano solo due delle quattro superficie ; 

3° Se mig > 0, 0d m34 > 0, 0 myg=Mmg4=0, edil jaco- 
biano dei tre coni tangenti alle superficie M, M, M;, od N, No Ng, 
o P, PP, secondo i casi, è identicamente nullo. 

Il problema è quindi ridotto in questo caso a determinare 
quando si annulla identicamente il jacobiano di tre coni dello 
stesso ordine. Ora, valendosi di un noto teorema del prof. BERTINI 
sui sistemi lineari di varietà riduttibili, si dimostra che, perchè 
ciò avvenga, è necessario e sufficiente che i tre coni si compon- 
gano di una parte comune (che può anche mancare) e di coni di 
un fascio. 

Quindi nel 3° caso la condizione affinchè 0 sia (r + 1) — plo 
per la jacobiana potrà esprimersi più geometricamente, dicendo 
che i coni tangenti alle superficie M, od alle superficie N, od 


(1) Indico con F" la superficie F contata m volte, 


504 ALBERTO LEVI 


alle P, secondo i casi, devono risultare di una parte comune e 


di coni di un fascio. Questo avverrà in particolare se i coni 


tangenti alle superficie F, F, F3 F, sono composti mediante coni 
di un fascio, ed infine anche nel caso che questo fascio sia un 
fascio di piani. Questo, per esempio, è il caso che 0 sia un 
punto generico di una curva comune alle quattro superficie; 
poichè allora i coni tangenti a queste si spezzano in piani pas- 
santi tutti per la tangente in 0 alla curva: sicchè la multiplicità 
di ogni punto di questa curva per la jacobiana, come già aveva 
trovato il De Paolis, sarà r+-1=r1+ rag. +rg + rs 2. 

Supposta soddisfatta una delle precedenti condizioni, vi sa- 
rebbe luogo a determinare quando la multiplicità di 0 per la 
jacobiana sia almeno r +2. 

Ho risolto la questione in due casi: 

a) Quando i coni tangenti alle superficie F, F, F; F, si 
spezzino in piani di un fascio (caso di una curva comune). In 
questo caso la multiplicità di 0 per la jacobiana è in generale 
r+1: se mm, > 0 sarà r+2 nei seguenti casi. 

1° I gruppi di piani tangenti alla superficie M, M, M, 
coincidono. 

2° Questi gruppi di piani fanno parte di un’involuzione 
semplicemente infinita, e quella superficie della rete M, M, Mg, 
che ha in 0 punto almeno (R+1)— plo (R essendo la mul- 
tiplicità comune in 0 delle M, M, M;) ha in 0 un punto 
(R+ 2) — plo, oppure ha in 0 un punto (R+4-1)— plo, tale 
che il cono tangente ad essa si spezza esso pure in piani del 
fascio, a cui appartengono i coni tangenti alle quattro super- 
ficie date. 

3° I gruppi di piani tangenti alle superficie della rete 
M, My M; determinano un’involuzione doppiamente infinita, e 
l'insieme di tutte le rette passanti per 0, che incontrino in 0 
almeno R + 2 volte una superficie della rete ed appartengano 
ad un piano doppio per il gruppo di piani tangente a questa, 
o diventa indeterminato, o si riduce a 3R —1 piani passanti 
per l’asse del fascio dei piani tangenti. 

Se si avesse mj> = 0, ma #34 > 0, oppure m39 = #34 = 0, 
basterebbe in quanto si è detto sostituire alle superficie M, M, My 
le superficie N, Ns N3 nel primo caso e le superficie P, Ps P3 nel 
secondo. 


e E, CET TTT OE 


SULLE SINGOLARITÀ DELLA JACOBIANA DI QUATTRO SUPERFICIE 505 


Nel caso poi che per 0 passino solo due delle superficie, 
ad es. F; ed F,, perchè la multiplicità di 0 per la jacobiana 
sia r42=r3 +r4— 1, dovrà essere soddisfatta una di queste 
due condizioni. 

1° La retta intersezione dei piani polari di 0 rispetto alle 
superficie F, ed F, incontra la retta asse dei gruppi di piani 
tangenti in 0 alle superficie F; ed F,. 

2° I gruppi di piani tangenti alle superficie F3"' ed Fs 
coincidono. 

5) Quando le multiplicità di 0 per le quattro superficie sono 
proporzionali agli ordini. In questo caso pure (che comprende 
sotto di sè il caso che si tratti del comportarsi della jacobiana 
di un sistema lineare 003 di superficie in un punto base), la 
multiplicità di 0 per la jacobiana è in generale r + 1; sarà r +2 
nei seguenti casi. 

1° Quando i coni tangenti alle superficie S, Ss S3 Sy sono 
composti di una parte comune e di coni di un fascio (e quindi 
o appartengono ad un fascio o determinano un sistema lineare 
di coni riduttibili): questo avviene in particolare se si tratta 
di una curva comune alle quattro superficie; sicchè si ha questo 
teorema: Una curva base s — pla di un sistema lineare 00° di 
superficie ha almeno la multiplicità 4s — 1 per la jacobiana. 

2° Quando i coni tangenti alle superficie S, Sa S3 Sy de- 
terminano una rete di coni che non si spezzano in parti varia- 
bili, e quella superficie del sistema lineare 003 determinato da 
S, Sa Sg S4, che ha in 0 punto più che s — plo, ha in 0 un punto 
almeno s 4-2 — plo. 

In particolare, in un punto base semplice di un sistema 
lineare 0035 di superficie, in cui i piani tangenti non formano 
fascio, essi determinano una rete, e quindi il punto sarà triplo 
per la jacobiana del dato sistema solo quando in questo esiste 
una superficie che abbia in 0 punto triplo. 

3° Quando i coni tangenti alle superficie S, Sa S3 Sy de- 
terminano un sistema 00° di coni che non si spezzino in parti 
variabili, ed ogni superficie del sistema, il cui cono tangente 
in 0 ammette una retta doppia, è incontrata da questa retta 
almeno s +2 volte. 

Da questi risultati si possono facilmente dedurre tutti i casi 
in cui la jacobiana di un sistema lineare ha punto doppio o 


506 Î RODOLFO BETTAZZI 


© punto triplo, senza che occorra determinare in generale quando 
la multiplicità di 0 per la jacobiana sia r + 2, valendosi solo 
dei casi (a) e (2) da me considerati. 


Gruppi finiti ed infiniti di enti® ; 
Nota di RODOLFO BETTAZZI. 


Dell’argomento di questa Nota (1) già altri, anche recente- 
mente, sì sono occupati. 

Il Cantor ne parla nel suo opuscolo “ Zur Lehre von Trans- 
finiten , (Halle 1890), dove, nelle annotazioni apposte alla pag. 60, 
definisce il gruppo finito sostanzialmente come da noi verrà 
fatto al $ 1, ma non forse con tutta precisione, e dimenti- 
cando di richiedere la proprietà espressa dal principio d’indu- 
zione, sebbene poi la usi nelle dimostrazioni. 

Il Veronese (“ Fondamenti di Geometria , Padova 1891 — 
Introduzione, N. 35) nella sua serie limitata di 1° specie definisce 
appunto un gruppo finito simile al nostro: solo ci sembra che 
il concetto di ordine, al quale si appoggia, sia alquanto ristretto, 
fondandosi sull’idea di tempo (inclusa nel pensare gli enti prima 
o poi), o almeno su quella di successione di pensieri, che in ge- 
nerale non ci sembrano necessarie. L'ordinamento, che da noi 
si suppone nel nostro gruppo, è invece tutt’affatto generale ed 
è quello del quale si parla nella N. C., $ 9. 

Il Dedekind nel suo opuscolo “ Was sind und was sollen 
die Zahlen , (Braunschweig, 1888) dopo aver parlato dei gruppi 
infiniti, studia esso pure quelli finiti, indicando egli con tal 
nome i gruppi non infiniti; ma a causa di un’obiezione, che 
ci sembra potersi fare ad una sua dimostrazione (Cfr. più oltre, 
$ 10), resta il dubbio che veramente i suoi gruppi finiti si pos- 
sano tutti ricondurre a quel tipo di gruppo ordinato, nel quale 
in sostanza ordinariamente (ed anche nel grossolano uso comune) 
si suol vedere il gruppo finito. 


(1) Questa Nota dipende dall'altra da noi pubblicata in questi stessi 
“ Atti, (1896) col titolo: Su/la catena di un ente in un gruppo. Si citerà 
questa ultima Nota scrivendo semplicemente N. C. (cioè Nota sulla Catena). 


GRUPPI FINITI ED INFINITI DI ENTI 507 


Nella presente Nota si darà la definizione del gruppo finito 
basata sul suo ordinamento, e alcune proprietà fondamentali di 
esso. 


1. Definizione. — Diremo finito un gruppo che possa rendersi 
bene ordinato limitato, e catena del suo ente originario (N. C., 
f), 9), j), SD. 

Un gruppo finito che sia effettivamente bene ordinato li- 
mitato, e catena del proprio ente originario, si dirà per brevità 
semplicemente ordinato. 


CoroLLaRrIo 1°. — Un gruppo finito semplicemente ordinato 
soddisfa al principio d’induzione. 


Cor. 2°. — Un gruppo simile ad un gruppo finito è finito 
esso pure. 


2. Def. — In un gruppo finito semplicemente ordinato 
chiameremo parte Z (1) un gruppo composto di un ente del 
gruppo e dei precedenti di quell’ente, il quale si dirà finale della 
Z: indicheremo con Za la Z che ha per finale a. 


Cor. 1°. — Se in una Z comparisce un ente, vi comparisce 
anche il suo immediatamente seguente (suo ente 0), tranne per il finale. 

Cor. 2°. — Se b è un ente non finale di Z., la Z; è parte 
propria di La. 

Cor. 3°. — Di due distinte Z di un medesimo gruppo, l'una 
è parte propria dell’altra. 

Cor. 4°. — Ogni Z è catena del proprio ente originario nella 
corrispondenza che fa corrispondere ad ogni ente il proprio 6 
(N. C., $ 1). 

Cor. 5°. — Ogni Z è un gruppo finito. 


3. — Il gruppo di tutte le Z di un gruppo finito sempli- 
cemente ordinato è simile al gruppo stesso, e ne è immagine 
facendo corrispondere, p. es., ad ogni Z il proprio ente finale. 


Def. — Diremo gruppo ordinato delle Z il gruppo di esse, 


(1) La notazione è presa dal DepEKIND, che l’usa peri numeri (V. Was 
sind und was sollen die Zahlen, N. 98). 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 36 


508 RODOLFO BETTAZZI 


quando di due Z qualunque si dice seguente quella il cui ente 
finale è seguente dell’ente finale dell’altra. 

Cor. — Il gruppo ordinato delle Z di un gruppo finito è un 
gruppo finito semplicemente ordinato. 


4. TroreMma. — In un gruppo finito nessuna parte propria 
può essere simile all'intero gruppo (1). 

Sia G un gruppo finito, e si consideri il gruppo ordinato 
delle Z, prese in G quando esso è semplicemente ordinato. Il teo- 
rema è vero per l'ente originario di un tale gruppo, il quale è 
una Z che consta di un ente solo. — Se è vero per una Z, lo è 
per la immediatamente seguente; giacchè se fosse possibile che in 
una Z una parte fosse simile all’intero gruppo, potremmo, sop- 
primendo un ente in Z e nella sua parte, avere un'analoga 
corrispondenza per la Z immediatamente precedente, per la quale 
invece è supposto ciò impossibile. Dunque, per il principio di 
induzione, il teorema è vero anche per la Z finale, che è il gruppo 
stesso G. 

Cor. 1°. — Un gruppo sviluppabile (N. C., e)) non è finito. 


Cor. 2°. — Nessuna parte di un gruppo finito può essere svi- 
luppabile (Cor. 1°). 


Cor. 3°. — Non può un gruppo finito essere in una corrispon- 
denza l’immagine di un gruppo, ed in un’altra l’immagine 0 di una 
parte propria dello stesso, o di un gruppo di cui questo è parte 
propria. 

Cor. 4°. — Per giudicare la relazione di potenza che lega un 
gruppo finito ad un altro gruppo qualunque, basta esaminare che 


cosa accada in una sola corrispondenza stabilita fra i due gruppi 
(Cor. 3°). 


Cor. 5°. — Le parti proprie di un gruppo finito sono di po- 
tenza minore a quella del gruppo (Cor. 4°). 

Cor. 6°. — Di due distinte Z di un medesimo gruppo finito 
semplicemente ordinato, una è di potenza minore dell’ altra (S 2, 
Cor. 3° e Cor. 5° — $ 4, Cor. 5°). 


(1) Cfr. CantoR, /. cit., pag. 61. — Veronese, /. c. Introd., N. 48, f). 


det a 


GRUPPI FINITI ED INFINITI DI ENTI 509 


5. Teorema. — Un gruppo finito è necessariamente di po- 
tenza 0 maggiore, 0 uguale, 0 minore a quella di un dato gruppo 
qualunque. 


Infatti noi possiamo associare all'ente originario di un 
gruppo G finito e semplicemente ordinato uno arbitrario del 
gruppo dato K, all'ente o dell’originario di G uno qualunque 
di quelli restanti in K, e, in generale, se ad un ente d di G 
si è associato un ente di K, si può associare all’ente cd di G 
un ente qualunque del gruppo K', che si ottiene da K soppri- 
mendovi gli enti di esso già associati ai precedenti di 6 ed a b, 
se un tal gruppo K' esiste. Questa associazione, per il principio 
d’induzione valido in G, è una corrispondenza fra G e K, nella 
quale o G ha per immagine una parte propria di K, o K stesso, 
oppure una parte propria di G ha per immagine K. Lo stesso 
accadrà quindi in qualunque altra corrispondenza possibile fra 
G e K ($ 4, Cor. 3°) e sarà perciò G necessariamente di po- 
tenza maggiore, o uguale, o minore a quella di K. 


Cor. — Di due gruppi finiti qualunque che non abbiano po- 
tenza uguale, uno ha necessariamente potenza maggiore dell'altro (1). 


Osservazione. — Dalla dimostrazione del Teorema precedente 
si deduce che ogni gruppo di potenza minore di quella di un 
gruppo finito è di potenza uguale a quella di una sua conve- 
niente parte Z. 


6. TrorEeMA. — Le parti proprie di un gruppo finito sono 
finite (2). 

Infatti essendo esse ($ 4, Cor. 5°) di potenza minore a quella 
del gruppo, e quindi ($ 5, Osservazione) simili ad una parte Z 
del gruppo, la quale ($ 2, Cor. 5°) è finita, sono finite esse pure 
($ 1, Cor. 2°). 


(1) Di qui discendono pei gruppi finiti le seguenti proprietà che il 
Cantor nella sua Nota 1%: Beitrége zur Begriindung der transfiniten Menge 
(Math. Ann., Bd. 46) enuncia pei gruppi qualunque, sebbene nè egli ivi le 
dimostri, nè appariscano evidenti: 

— Se dei gruppi M ed N il gruppo N non è equivalente nè ad M, nè ad 
una sua parte propria, dovrà una parte propria di N essere equivalente ad M. 

— Se M ed N non sono equivalenti, ed una parte propria di N è equi- 
valente ad M, nessuna parte propria di M sarà equivalente ad N. 

(2) Cfr. VERONESE, /. c., Introd., N. 39, e). 


510 RODOLFO BETTAZZI 


7. TEOREMA. — Ogni gruppo che non sia di potenza maggiore 
a tutte quelle di qualunque gruppo finito, è finito esso pure. 

Ed infatti ($ 5) se il gruppo K non è di potenza maggiore 
a quella di un conveniente gruppo finito G, dovrà essere o di 
potenza uguale ad esso, o di potenza minore di esso e quindi di 
potenza uguale ad una sua parte propria, e perciò in ogni caso 
simile ad un gruppo finito ($ 6) e finito esso pure. 

Cor. 1°. — Un gruppo 0 è finito, 0 è di potenza maggiore a 
quelle di tutti è gruppi finiti. 

Cor. 2°. — Ogni gruppo finito è di potenza minore a quella 
di un gruppo sviluppabile qualunque (S 4, Cor. 1° — $ 7, Cor. 1°). 


8. TrorEMA 1°. — In qualunque modo si renda bene ordinato 
un gruppo finito, esso dovrà sempre essere semplicemente ordi- 
nato ($ 1). 

Ed infatti, se fosse illimitato, la catena di un suo ente qua- 
lunque sarebbe aperta e illimitata, e quindi costituirebbe un 
gruppo sviluppabile (N. C., $ 3, Cor.), ed il gruppo di cui essa 
è parte non sarebbe finito. Se poi il gruppo non coincidesse 
colla catena del proprio ente originario, tale catena sarebbe 
anche allora illimitata, e il gruppo dato sarebbe ancora svilup- 
pabile. 

TroreMA 2°. — Un gruppo finito, se è ordinato, è sempre bene 
ordinato. 

Sia infatti il gruppo finito G, e si renda bene ordinato, il 
che è sempre possibile, per lo meno in quel modo per il quale 
si definisce finito ($ 1). Si consideri il gruppo ordinato delle 
sue Z: esso ($ 3, Cor., e $ 1, Cor. 1°) soddisfa al principio d’in- 
duzione, e di esso fa parte G come ente finale. 

Il teorema che ci si propone di dimostrare, è vero per l’ente 
Z originario di tale gruppo, che consta di un ente solo. Se si 
suppone vero per una delle Z, è vero, come facilmente si vede, 
anche per la Z immediatamente seguente. Dunque, per il prin- 
cipio d’induzione, è vero per tutti gli enti Z, e perciò anche per 
il finale, che è G. 

Cor. 1°. — Un gruppo finito, comunque sia ordinato, è sempre 
semplicemente ordinato. 

Cor. 2°. — Un gruppo finito semplicemente ordinato resta tale 


re Ape 


GRUPPI FINITI ED INFINITI DI ENTI 5I1 


anche scambiando in esso le parole precedente e seguente, e quelle 
finale ed originario; 0, brevemente, rovesciando il gruppo (1). 


Cor. 3°. — Un gruppo ordinato, nel quale qualche ente non 
abbia l’immediatamente seguente (fatta eccezione per il finale), non 
è finito. 


9. TroreMa. — La condizione necessaria e sufficiente, affinchè 
un gruppo non sviluppabile sia finito, è che possa stabilirsi una 
corrispondenza priva di cicli parziali (N. C. d)), nella quale il 
gruppo sia immagine di sè stesso. 

Se in una corrispondenza priva di cicli parziali il gruppo G 
è immagine di sè stesso, si può rendere G bene ordinato (N. C., 
$ 9, Lemma 2°) dando origine ad un gruppo limitato. Se G non 
è sviluppabile, dev'essere esso la catena del suo ente originario, 
altrimenti tale catena sarebbe illimitata e perciò sviluppabile, 
e tale quindi sarebbe G. 

Reciprocamente se un gruppo è finito e si rende sempli- 
cemente ordinato, prendendo per immagine di ogni ente non 
finale il suo ente o e del finale l’originario, sì ottiene una cor- 
rispondenza nella quale il gruppo è immagine di sè stesso, 
che è priva di cicli (Cfr. N. C., $ 5, Teor.). 


10. Def. — Diremo infinito ogni gruppo che non sia finito (2). 
Cor. 1°. — Sono infiniti tutti e soli ($ 7, Teor.) è gruppi di 
potenza maggiore a quella di qualunque gruppo finito. 


Cor. 2°. — Ogni gruppo sviluppabile è infinito ($ 7, Cor. 2°). 


(1) Cfr. Veronese, /. c., Introd., N. 39, c). 

(2) Il DepEKINnD che si occupa (!. c., N. 64) dei gruppi infiniti, dà questo 
nome ai gruppi che noi (N. C., e)) abbiamo detto sviluppabili. Tali gruppi 
sono infiniti anche nel nostro attuale concetto; ma (v. Osserv. al Cor. 2° 
di questo paragrafo) la reciproca non essendo stata provata, si è creduto 
bene di distinguere le due qualità dei gruppi con diverso nome. E si è 
cambiato quello già usato dal Dedekind, parendoci che il nome di infinito 
meglio si adattasse ai gruppi più generali (o almeno non certamente più 
speciali) da noi detti così, anche secondo il concetto grossolano che ci si 
fa, nell'uso volgare, del gruppo infinito. Il Canror, sebbene non lo defi- 
nisca esplicitamente, tuttavia ci pare che nel suo citato opuscolo (Zur 
Lehre, ecc.) mostri accostarsi al concetto di infinito qui da noi dato. 


512 LORENZO CAMERANO . 


Osservazione. — Non è provata vera la reciproca del Co- 
rollario 2° (1) e quindi non si può asserire che in ogni gruppo 
infinito debba una parte propria essere simile all’intero gruppo. 


(1) Il DepekiInp (!. c., N. 159) tenta di dimostrare questa reciproca. La 
sua dimostrazione esige che si stabiliscano corrispondenze fra tutte le pos- 
sibili Z di un gruppo qualunque finito ed il gruppo X proposto (di potenza 
maggiore di qualunque gruppo finito) e che si costruisca un gruppo pren- 
dendo una corrispondenza fra ogni Z e XZ. Ma siccome di tali corrispon- 
denze ve n'è più di una fra ogni Z e Z, e il Dedekind non determina una 
speciale fra esse, così devesene prendere una qualunque ad arbitrio, e ciò 
fare per ciascun gruppo di corrispondenze fra ogni Z e X, cioè si deve 
scegliere ad arbitrio un ente (corrispondenza) in ciascuno di infiniti gruppi, 
il che non pare rigoroso; a meno che non si voglia ammettere per postu- 
lato che tale scelta possa farsi, la qual cosa peraltro ci sembrerebbe inop- 
portuna. 


Nuove ricerche intorno ai Salamandridi 
normalmente apneumoni 


e intorno alla respirazione negli Anfibì Urodeli; 


Nota del Socio LORENZO CAMERANO. 


In un lavoro che ebbe l’onore di essere stampato negli Atti 
di questa Accademia per l’anno 1894 (1) io dimostravo che, 
analogamente a quanto aveva poco prima osservato il Wilder (2) 
per alcune specie di Plethodontinae e di Desmognathinae dell'Ame- 
rica settentrionale, lo Spelerpes fuscus, specie italiana, è privo 
totalmente di polmoni, di trachea, di laringe e di aditus ad 
laringem e che la Salamandrina perspicillata, specie pure carat- 


(1) Ricerche anatomo-fisiologiche intorno ai Salumandridi normalmente 
apneumoni, vol. XXIX. 
(2) Anatomischer Anzeiger, vol. IX, n. 7, 1894. 


tnenite _S 


Pia 


i «een 


NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 513 


teristica della fauna erpetologica italiana, ha l'apparato polmo- 
nare e tracheo laringeo al tutto rudimentale e non funzionante. 

Nello stesso lavoro io rendeva conto delle esperienze fatte 
sopra animali vivi delle due sopradette specie per determinare 
in che modo venisse sostituita la funzione respiratoria dei pol- 
moni assenti. La conclusione a cui giunsi fu: che la respirazione 
polmonare viene sostituita dalla respirazione della cavità bocco-fa- 
ringea, risultando essere di assai scarso aiuto la respirazione 
cutanea. 

Io non credetti di fare allora nessuna ipotesi intorno alla 
causa che può aver determinato l’atrofia dell'apparato polmonare 
o la sua totale scomparsa. Nuove ricerche fatte in proposito, 
che verrò ora esponendo, mi concedono di ritornare sull’argo- 
mento e mi inducono a fare alcune considerazioni sul fenomeno 
in questione. 

Recentemente al tutto (1) il dott. Einar Lònnberg di Upsala 
ha osservato pure la mancanza o la riduzione notevolissima 
dell'apparato polmonare nelle seguenti specie: 


Desmognathus auriculatus Cope. di Savannah (Georgia) e della 
Florida. 


Plethodon qglutinosus (Green) Id. Id. 
Manculus quadridigitatus (Holbrook) della Florida. 
Amblystoma opacum (Gravenh.) di Savannah (Georgia). 


A queste specie io posso oggi aggiungere lo Spelerpes va- 
riegatus (Gray) (Oedipus variegatus Gray). Questa specie, di cui 
ho esaminato due esemplari provenienti dal Messico, è total- 
mente priva di polmoni, di trachea e di aditus ad laringem. 

Gli Anfibi Urodeli quindi, nei quali venne fino ad ora os- 
servato o la mancanza totale dell'apparato tracheo-polmonare 
o la riduzione di esso allo stato rudimentale, sono i seguenti 
disposti secondo il catalogo del Boulanger (2). 


(1) Notes on tailed Batrachians without lungs (Zoologischer Anzeiger, 
vol. XIX, n. 494 — Gennaio 1896). 
(2) Catal. of Batrac. Graden. British Museum. Londra, 1882. 


514 


Subfam. 


Subfam. 


Subfam. 


Subfam. 


' 


LORENZO CAMERANO 


Fam. I. — Salamandridae. 
Apparato 
tracheo-polmonare 

Salamandrinae 
Salamandrina perspicillata Savi — Rudimentale (Came- 

rano) 
Amblystomatinae 
Amblystoma opacum Gravh. — —Rudimentale (Lénn- 

berg) 
Plethodontinae ‘ 
Plethodon glutinosus Green — Manca (Loònnberg) 
Plethodon erythronotus Green — Manca (Wilder) 


Batrachoseps attenuatus Eschsch. — Manca(?)  (Esch- 
scholtz-Camerano) (1) 


Spelerpes porphyriticus Green — Manca (Wilder) 
Spelerpes fuscus Bp. — Manca (Camerano) 
Spelerpes variegatus Gray — Manca (Camerano) 


Manculus quadridigitatus Holbr. — Mancano i polmoni: 
vi è un rudimento di aditus ad laringem — 


(Lonnberg) 
Desmognathinae 
Desmognatus ochrophoeus Cope — Manca (Wilder) 
Desmognatus fuscus Raf. — Manca (Wilder) 
Desmognatus fuscus var. auriculatus Cope — Manca 
(Lonnberg) 


Risulta da questo specchietto che tutte quattro le sotto- 
famiglie in cui si divide la famiglia dei Salamandridi (che com- 
prende la quasi totalità delle specie di Batraci Urodeli, vale a 
dire un centinaio circa, poichè le altre famiglie, Anfisbenidi, 
Proteidi, Sirenidi ne comprendono fra tutte solo otto) presen- 
tano il fatto della mancanza completa dell'apparato polmonare 
o della sua riduzione ad organo rudimentale non funzionante. 


(1) Atti Acc. Se., XXIX, 1894. 


NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 515 


Dallo specchietto sopra riferito si può pure arguire che molto 
probabilmente il fatto in questione è generale per le specie 
delle sottofamiglie, Plethodontinae e Desmognathinae, vale a dire 
per la metà circa di tutte le specie fino ad oggi conosciute 
dell’intiera famiglia dei Salamandridi. 

Di fronte a questo risultato nasce spontanea la supposizione 
che negli Anfibi Urodeli la respirazione polmonare non assuma 
quella importanza funzionale che ha negli altri gruppi di Ver- 
tebrati respiranti per polmoni, e che per ciò essa possa venir 
facilmente sostituita in massima parte dalla respirazione hbocco- 
faringea (1) e forse in piccola parte dalla respirazione cutanea. 

Per chiarire ciò è necessario anzitutto studiare compara- 
tivamente lo sviluppo dell’ apparato polmonare in tutti gli 
Anfibi Urodeli, la qual cosa non è agevole per la difficoltà 
di procurarsi non poche delle specie di questo gruppo di 
Anfibi. 

Valendomi delle collezioni del Museo Zoologico di Torino, 
ho potuto fare questo studio in un certo numero di specie ap- 
partenenti a generi diversi e precisamente ai seguenti: Sala- 
mandra, Chioglossa, Molge, Tylototriton, Amblystoma che appar- 
tengono alla serie di quei Salamandridi che sono provvisti di 
polmoni. Colle precedenti osservazioni e con queste vengono ad 
essere esaminati tutti i generi della sottofamiglia Salamandrinae 
(salvo il genere Pachytriton che comprende una specie assai rara 
della China) e il genere più ricco di specie della sottofamiglia 
Amblystomatinae. 

Non potendosi pensare pel meccanismo stesso col quale si 
compie la respirazione polmonare in questi animali, come age- 
volmente si comprende, ad una misura diretta della capacità 
polmonare e dovendosi, d’ altra parte, operare per la maggior 
parte delle specie su materiale conservato in alcool, è bene, per 
avere dati comparabili, servirsi di materiale conservato nel- 
l’aleool comune da collezione per tutte le specie. 

La forma generale dei polmoni degli A. Urodeli è riduci- 
bile all’ ingrosso a due sacchi cilindrici per un certo tratto e 
più o meno bruscamente appuntiti verso la loro estremità in- 
feriore. Essi variano notevolmente in lunghezza da specie a 


(1) CameRANO, 0p. cit. 


516 LORENZO CAMERANO 


specie: mentre il loro diametro trasversale varia in un rapporto 
quasi costante col diametro longitudinale, il che facilmente si 
comprende tenendo conto della forma generale del corpo che 
negli A. Urodeli tende ad allungarsi anzi che ad allargarsi. 
Nella Salamandra maculosa in cui il corpo è proporzionata- 
mente più largo i polmoni sono anche in proporzione della 
loro lunghezza un po’ più larghi che non nelle altre specie di 
A. Urodeli. 

Per la questione che ci occupa basta tener conto del solo 
diametro longitudinale del polmone poichè da esso si può arguire 
in modo sufficientemente approssimativo lo sviluppo generale del 
polmone stesso e i risultati riescono quindi comparabili fra loro. 

Ho misurato in tutte le specie studiate la lunghezza dei 
polmoni a cominciare dall’aditus ad laringem. Nei Salamandridi 
per lo più i due polmoni sono lunghi egualmente o la differenza 
fra essi è piccola. 

Ho misurato poi l’animale dall’estremità del muso all’a- 
pertura cloacale e da questa all'estremità della coda. Trattan- 
dosi di animali dal corpo generalmente allungato e molto simile 
nelle varie forme, le rispettive lunghezze del tronco e della 
coda possono bastare per indicare lo sviluppo generale dell’a- 
nimale senza ricorrere ai diametri trasversali i quali variano 
troppo facilmente per le condizioni temporanee in cui possono 
trovarsi i diversi individui (canal digerente pieno o vuoto, svi- 
luppo variabile degli ovarii e dei testicoli ecc.). 

Per le stesse ragioni non ho considerato il peso degli ani- 
mali poichè sopra di esso oltre alle cause sopra dette influisce 
pure il tempo più o meno lungo da che gli individui sono usciti 
dal letargo, tempo che nella maggior parte dei casi non è de- 
terminabile con certezza. 

Ho fatto in seguito il rapporto della lunghezza del polmone 
con quella del capo e del tronco riuniti insieme ed il rapporto 
della lunghezza del polmone colla lunghezza totale dell'animale. 

Per maggior comodità ho riferito le due serie di valori 
così ottenuti ad una lunghezza unica di 100 millimetri in modo 
da avere per ciascuna specie il rapporto centesimale fra la lun- 
ghezza dei polmoni e la lunghezza del capo e del tronco riuniti 
insieme e fra la lunghezza dei polmoni e la lunghezza totale 
dell'animale. 


NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 


RISULTATI OTTENUTI 
disposti secondo l'ordine tassonomico delle specie esaminate. 


517 


Fam. SALAMANDRINAE 
Salamandra maculosa Laur. 


. atra Laur. . 
Chioglossa lusitanica Boc. 
Molge cristata Laur. s. sp. Karelinii 
s  marmorata Latr. 


s  @pestris Laur.: 
Forma A — branchiata . 


s B— abranchiata . 

Molge vulgaris Linn. . 

s  torosa Eschsch. 

n viridescens Raf. 

s Rusconii Gené . 

ss aspera Dugès 

s Hagenmiilleri Lataste 

s Waltlii Michah. 


Tylototriton verrucosus Anders. 


Fam. AMBLYSTOMATIDAE 


Amblystoma tigrinum Green.: 
a) indiv. provenienti direttamente 
dal Messico . "SIR DI 
b) indiv. nati negli acquari dei 
Musei d'Europa e conservati 
a lungo vivi nel Museo di 
Torino . 


del capo e del 
tronco = 100, 
la lunghezza del 
polmone è egua- 
le al valore me- 
dio approssima- 
tivo di: 


30 


100 
45 


100 
31 


100 
67 


100 
71 


100 


93 


100 
50 


100 
55 
100 
n 
100 
6 
100 
bi 
100 
30 
100 
50 
100 
52 


100 
28 


100 
43 
100 


58 
100 


Fatta la lunghezza |Fatta la lunghezza 


totale dell’ ani- 

male = 100, la 

lunghezza del 

polmone è eguale 

al valore medio 

(RnS 
L: 


15 
100 
23 
100 
Tin 


100 
88 
100 
35. 
100 
23 


100 
23 


100 
28 
100 
28 
100 
28 


100 
14 


100 
16 


100 
18 


100 
26 


100 
15 


100 


sor 
100 
se 
100 


518 


LORENZO CAMERANO 


Nella Salamandra perspicillata Savi i polmoni sono al tutto 
rudimentali e non misurano che 120 micromillimetri circa (1). 

Le specie studiate si possono disporre ne’ gruppi seguenti 
tenendo conto della lunghezza dei polmoni paragonata: 


Alla lunghezza del capo e del tronco fatta = 100 


Alla lunghezza totale dell'animale fatta = 100 


1 Molge torosa . . . .{T71 

sn  marmorata . .Y100 

2 “istat na 

sn cristata 100 

ua 62 

3 sn viridescens 100 

; DÒ 

4 sn vulgaris 100 
s  @lpestris branch. È 

ò ) Amblystoma tigrinum . n 

individui nati in Europa 

92 

6 Mol 7altlii = 

olge Waltlii 100 


alpestris abranch.) 50 


L » Hagenmilleri . (100 
, 45 
8 Sal dra atr === 

alamandra atra 100 
9 Amblystoma tigrinum. 43 


individ. prov. dal Messico 100 


( Chioglossa lusitanica 


481 
( Molge Rusconii . 


100 


12 Tylototriton verrucosus —- 


301 
100( 


-@Gfaspera. bar. 


Salamandra maculosa. 


_ 
DD 

(©) 

S| 


I polmoni misurano la metà od oltre alla metà della 


della lunghezza del capo e del 


I polmoni misurano meno di 1/ 
tronco presi insieme 


lunghezza del capo e del tronco presi insieme 


38 E 
1 Molge cristata . —_| #55 0 
100, FREE 
de da 
2 s marmorata. 35| saez 
100 E Ficje 
» viridescens . . \ 
5) toro CA 
Î a rosa 100 
sn vulgaris . 
4 Amblystoma tigrinum 27 
individui nati in Europa 100 
x 26 
5 Molge Waltlii . 100, 


Salamandra atra . 


Molge alpestris brane. 
e abranch. 
Amblystoma tigrinum 


6 


1 polmoni misurano poco meno o poco più 
di un quarto della lunghezza dell'animale 


individui prov. dal 


Messico. 
n'a idea; VI 535° 
nmiilleri. A E8 38 
olge Hagenmii 100 RE 
16 (852 
8 aspera —|3 gf" 
( Salamandra maculosa 15 
( Tylototriton verrucosus 100 
10 Molge Rusconii 16 
e Rusconii == 
Molg sc 100 
NERE 
11[FAS8 
11 Chioglossa lusitanica. 1001 È SICA 
Eiacp> 
af ee 


Si possano riunire i gruppi ora indicati nei diagrammi 
seguenti in guisa che a colpo d’occhio si possa scorgere il va- 


(1) CamerANO, 0p. cit. 


NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 519 


riare dello sviluppo dei polmoni in rapporto colla lunghezza del 
capo e del tronco, presi insieme, e colla lunghezza totale del- 


l’animale. 


1208 


r 
LI 

100 | 
Ì 


Ja ——_+---- nt 


1 


“arno 


n_umn--- —__———-- 


i 


iui ee 


A — Diagramma che fa vedere il variare dello sviluppo dei polmoni negli Anfibî Urodeli delle sotto- 
famiglie Salamandrinae e Amblystomatinae riferito alla lunghezza del capo e del tronco, presi 
insieme, fatta eguale a 100 mill. — La parte nera indica il polmone. 

N. 1. Molge torosa, M. marmorati. — N, 2. M. cristata. — N. 3. M. viridescens. — N. 4. M. 
vulgaris. — N. 5. Amblystoma tigrinum, individui nati in Europa — M. alpestris branchiata. 
N. 6. Molge Wultlii. — N. 7. MU. alpestris abranchiata — M. Hagennvilleri. — N. 8. Sala- 
mandra atra. — N. 9. Amblystoma tigrinum, indiv. prov. dal Messico. — N. 10. Chioglossa 
lusitanica — Molge Rusconii. — N. 11. Molge aspera — Salamundra maculosa. — N. 12. 
Tylototriton verrucosus — A, valore medio per l'Amblystoma tigrinum. 

B — Diagramma che fa vedere il variare dello sviluppo dei polmoni ecc. come in A ma riferito alla 
lunghezza totale dell'animale fatta eguale a 100 mill. — La parte nera indica il polmone, 

N. 1. Molge cristata. — N. 2. MH. marmorata. — N. 3, M. viridescens, M. torosa, M. vulgaris. 
N. 4, Amb. tigrin,, indiv. nati in Europa. — N. 5. M. Waltllii, — N. 6. Salamandra atra, 
Amb. tigr., indiv. prov. dal Messico — Molge alpestris branch. e abranch. — N. 7. M. Hagen- 
milleri. — N. 8. M. aspera. — N. 9. Salamandra maculosa, Tylototriton verrucosus. — 
N. 10. M. Rusconii. — N, 11. Chioglossa lusitanica. 


520 LORENZO CAMERANO 


Dai diagrammi precedenti risulta: 


1° che nella famiglia dei Salamandridi lo sviluppo dei 
polmoni è molto variabile, da un terzo cioè ad un decimo circa 
della lunghezza dell'animale. Da questo grado di sviluppo si 
passa bruscamente ai rudimenti di polmoni, come nella Sala- 
drina perspicillata ; 

2° che tenendo conto del genere di vita delle specie si 
osserva, in generale, uno sviluppo maggiore dei polmoni in quelle 
nelle quali è prevalente la vita acquatica anzichè in quelle nelle 
quali prevale la vita terragnola; 

3° che presumibilmente nelle specie (ad es.: Molge Ha- 
genmiilleri, aspera, Tylototriton verrucosus, ecc.) in cui i polmoni 
sono meno lunghi della quinta parte dell’intero animale, il fe- 
nomeno di regressione nello sviluppo di questo organo si deve 
ritenere come già inoltrato e che a più forte ragione ciò si 
deve dire per quelle specie (esemp.: Molge Rusconii, Chioglossa 
lusitanica) in cui i polmoni giungono a misurare poco più della 
decima parte di tutto l’animale. In queste specie la respirazione 
bocco-faringea ha certamente assunto di già importanza notevole, 
importanza che raggiunge il suo massimo grado nella Salaman- 
drina perspicillata e nelle altre specie di A. Urodeli prive di 
polmoni (Pletodontini, Desmognatini). 

Esaminando ora tutto il gruppo degli Anfibi Urodeli per ciò 

che riguarda la mancanza, e lo sviluppo vario dei polmoni si 
giunge ai risultati seguenti: 


A — Anfibi Urodeli con branchie esterne ben sviluppate e nor- 
malmente persistenti nello stato adulto — Proteidi — 
Sirenidi — Vita esclusivamente acquatica — Polmoni re- 
lativamente lunghi. 


B — Anfibi Urodeli con branchie esterne ben sviluppate nello 
stato adulto in seguito a fenomeni di mneotenia che in 
certe località agiscono sopra numerose serie di individui 
dando luogo ad un vero dismorfismo nella specie (esemp. 
Amblystoma tigrinum, Molge alpestris ecc.) — Vita esclu- 
sivamente acquatica — Polmoni relativamente lunghi e 
ben sviluppati. 


C — Anfibi Urodeli senza branchie esterne nello stato adulto 


e dra pre 


NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 521 


con o senza spiraculum — Anfiumidi — Vita acquatica — 
Polmonari sviluppati. 


D — Anfibi Urodeli senza branchie allo stato adulto — A. Vita 
prevalentemente acquatica (1) (esemp.: Molge cristata, 
marmorata, vulgaris, alpestris abranch., Waltlii, ecc.) — 
Polmoni relativamente ben sviluppati — B. Vita preva- 
lentemente terragnola (esemp.: Molge Hagenmiilleri, aspera, 
Rusconti, Chioglossa lusitanica, ecc.) — Polmoni relativa- 
mente poco sviluppati o al tutto rudimentali come nella 
Salamandrina perspicillata. 

E — Anfibi Urodeli senza branchie allo stato adulto con vita 
più o meno terragnola od acquatica con prevalenza tut- 
tavia della vita terragnola — Pletodontini, Desmognatini 
— I polmoni mancano. 


Ciò premesso, è ora necessario vedere in quale misura i 
polmoni concorrano nei varî gruppi di Anfibi Urodeli alla fun- 
zione generale della respirazione che in questi animali si può 
compiere nei modi principali seguenti: 

1. Respirazione cutanea; 

2. Respirazione branchiale; 

3. Respirazione polmonare; 

4. Respirazione bocco-faringea. 


Lascio in disparte qui la respirazione cutanea la quale cer- 
tamente si compie in tutti gli A. Urodeli ma, secondo le ultime 
ricerche, in misura non sufficiente a sostituire nessuna delle altre 
maniere di respirazione. 

Nel primo gruppo (A — Proteidi, Sirenidi) tenuto conto 
della struttura stessa dei polmoni e delle esperienze fatte già 
dal Configliacchi e dal Rusconi e stampate nella loro celebre 
“ Monografia del Proteo anguino , (2) si può credere che la 
respirazione polmonare sia nulla. 

I due autori ora citati dicono (pag. 28): “ Il Proteo anguino 
non campa quando sia cavato fuori dell’acqua..... Ma se il Proteo 
sì muore quando è in secco, nell'acqua per lo contrario vive 


(1) Cfr. CamerANO, 0p. cit. 
(2) Pavia, 1819. 


522 LORENZO CAMERANO 


meglio dei pesci, poichè, coeteris paribus, non ha tanto bisogno 
del rinnovamento dell’acqua quanto ne hanno i pesci; noi ci 
siamo assicurati di queste verità per mezzo di varì sperimenti, 
l’esito dei quali verremo qui brevemente esponendo. In un vaso 
pieno d’acqua della tenuta di tre pinte alla temperatura di 14 
gradi, il Proteo ha di bisogno non altrimenti che un pesce di 
venire a quando a quando alla superficie per prendere in bocca 
dell’aria; le rane e le salamandre fanno pure lo stesso, ma 
queste quando pigliano fiato, tengono la bocca chiusa, e con un 
loro particolare artificio, che ci fu descritto molto bene dal 
sig. Towson, dal sig. Cuvier, e da altri, attraggono l’aria per 
le narici, e poscia fanno sì che l’aria medesima si insinui entro 
i polmoni; il Proteo per lo contrario spalanca quanto più può 
la sua bocca e rigetta l’aria subito subito per i fori branchiali... 

“ Il suo bisogno di prendere a tempo a tempo qualche 
boccata d’aria è più o meno grande, secondo che l’acqua in cui 
si trova è più o meno stantìa ed è in ragione diretta della sua 
temperatura, nonchè in ragione inversa della sua quantità; se 
è tratto all’asciutto, questo bisogno è in lui grandissimo, quindi 
poco dopo d’essere stato cavato fuori dell’acqua, vedesi pren- 
dere in bocca dell’aria, e spesseggiare questa operazione, poscia 
questo suo prender fiato si rallenta, e finalmente in capo a due 
o tre ore cessa affatto affatto, indi il Proteo si muore. Ma se 
l’acqua del vaso alla temperatura come abbiamo detto di 14 
gradi od anche più venga di frequente rinnovata, come sarebbe 
ogni mezz'ora od anche ogn’ora, il Proteo in questo caso, con- 
forme è stato osservato anche nei pesci, non ha punto bisogno di 
venire a tempo a tempo alla superficie, molto meno poi se desso 
trovasi in un’acqua che sia in gran copia, ovvero che corra 
dolcemente; noi abbiamo rinchiuso un Proteo in un’ampia sca- 
tola tutta traforata, ed abbiamo di poi tenuta la scatola mede- 
sima per lo spazio di tre mesi e mezzo sotto la superficie 
dell’acqua di un vasto lago; passato questo tempo, andando a 
riconoscere la scatola, trovammo che l’animale era vivissimo, e 
tanto vispo da farci comprendere chiaramente, che l’esser stato 
per sì gran tempo sott’acqua, non fu cosa che avesse recato il 
menomo danno alla sua azienda vitale ,. 

Il Rusconi ammette pure che nella Siren lacertina i polmoni 
non funzionino: come organi respiratorii. 


ne _ —x © 


NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 523 


Nei Proteidi e nei Sirenidi la respirazione è essenzialmente 
branchiale con un accenno tuttavia alla respirazione bocco-fa- 
ringea. I polmoni non hanno qui probabilmente che la funzione 
di organi idrostatici. 

Il Rusconi stesso (1) paragona i polmoni dei protei alle 
doppie vesciche natatorie di certi pesci. Parlando poi della 
Siren lacertina dice espressamente (2): “ Au reste quelle que soit 
la cause, qui empéche la sirène de se métamorphoser, ses pou- 
mons doivent lui étre fort utiles; car, selon moi, ils doivent 
servir è balancer la ‘partie postérieure de son corps, la tenir 
presque suspendue, et donner ainsi à l’animal la facilité de 
marcher sur la vase, sans étre obligé de faire usage, dans sa 
progression, d'un double mécanisme, de celui, qui est propre des 
animaux bipèdes, et de celui des serpents ,. 

Nel secondo gruppo di Anfibi Urodeli (B. forme branchiate 
neoteniche), la respirazione è in massima parte branchiale: ma 
sussidiata in un certo periodo della vita dalla respirazione 
bocco-faringea e polmonare (3). Anche in questi A. Urodeli la 
funzione dei polmoni come organi idrostatici è certamente no- 
tevole. 

Configliacchi e Rusconi (4) parlando del modo col quale si 
muovono nell'acqua le Salamandre, dicono: “ Questi rettili in 
notando, sono meno agili dei protei, e noi pensiamo che ciò 
nasca da varie cause, ma particolarmente dalla forma della loro 
coda, la quale essendo men larga di quella dei protei è perciò 
meno opportuna al nuotare; anche le larve delle Salamandre 
sono nel nuoto meno agili de’ protei, esse però, in questo stato 
di larva, nuotano con maggiore facilità, che quando sono finite 
di crescere; e noi siamo di parere che ciò dipenda dall’essere 
la loro coda, data la proporzione, più larga e più estesa che 
non è quella delle Salamandre di già ridotte alla perfezione, ed 
anche dall'essere la loro gravità specifica molto minore di quella 


(1) Observations anatomiques sur la sirène, etc., pag. 32. Pavia, 1837. 

(2) Op. cit., pag. 31. 

(3) Confr. a questo proposito: L. Camerano, Nuove osservazioni intorno 
alla Neotenia ed allo sviluppo degli Anfibì (Atti Acc. Sc. di Torino, vol. XX, 
1884). 

(4) Op. cit., pag. 54. 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXI, 37 


524 LORENZO CAMERANO 


che è propria delle Salamandre adulte, quando non siano di 
fresco uscite dal loro torpore jemale. — Noi argomentiamo che 
siano specificamente men gravi, da ciò che le larve hanno i pol- 
moni, quantunque inattivi, sempre gonfi d’aria e più lunghi 
della cavità addominale: che elleno siano di fatto meno pesanti 
delle Salamandre perfette, ne fa prova non dubbia il vedere, 
che possono reggersi nell'acqua a quell’altezza che ad esse piace 
e tenersi sospese, e diremo quasi librate sopra le quattro zampe 
a guisa di un uccello librato su l’ale, e poscia percuotere ad 
un tratto l’acqua all'indietro, e così con questa semplice opera- 
zione e qualche lieve movimento della coda trasferirsi da un 
luogo all’altro ,. 

La respirazione polmonare va facendosi più intensa ed im- 
portante nel gruppo D. degli Anfibi Urodeli in cui i polmoni 
raggiungono il loro maggior sviluppo. 

Si è probabilmente nelle specie schiettamente acquaiuole 
del genere Molge che i polmoni hanno la maggior attività re- 
spiratoria. In queste specie è tuttavia spiccatissima la funzione 
di organo idrostatico dei polmoni è chiunque abbia osservato 
i movimenti dei comuni nostri tritoni (Molge cristata, M. vul- 
garis, ecc.), non potrà a meno di ritenere come esattamente 
applicabili a queste specie le osservazioni sopra riferite del 
Configliacchi e del Rusconi. 

Anche nelle forme acquaiole di questo gruppo è tuttavia 
spiccata la respirazione bocco-faringea. 

Nelle forme schiettamente terragnole si direbbe che il di- 
ventare meno importante la funzione dei polmoni come organi 
idrostatici induca una progressiva riduzione di sviluppo dei pol- 
moni stessi: mentre contemporaneamente va crescendo d’impor- 
tanza la respirazione bocco-faringea. 

È d’uopo tener conto tuttavia per parecchie specie con 
polmoni rudimentali o mancanti del loro genere di vita che è 
caratteristico; queste specie, vale a dire, vivono quasi sempre 
fuori dell’azione della luce viva, in ambienti umidi e a tem- 
peratura relativamente costante. È d’uopo pure tener conto 
della lentezza dei loro movimenti e in generale della loro scarsa 
vita di relazione. 

Tutto ciò tende evidentemente a rendere meno attivo ed 
ampio il ricambio respiratorio, e fa sì che la respirazione bocco- 


NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 925 


faringea, aiutata in piccola misura dalla respirazione cutanea, 
diviene sufficiente per l’animale. 

L’allungarsi del tronco e il restringersi della cavità del 
corpo, unitamente allo: sviluppo talvolta notevole degli or- 
gani riproduttori interni concorrono pure certamente insieme 
colle cause sopra dette a favorire la riduzione progressiva dei 
polmoni. 

Nell'ultimo gruppo E. in cui i polmoni mancano, la respi- 
razione bocco-faringea assume importanza massima. 

Il fatto citato dal Lònnberg (1) che lo Spelerpes porphyriticus, 
privo di polmoni, ha vita precipuamente acquaiola, si può spie- 
gare come un adattamento secondario o cenogenetico di una 
forma derivata da altra a costumi prevalentemente terragnoli 
(come sono in genere le specie dello stesso genere Spelerpes) e 
priva di polmoni. 

D'altra parte, la mancanza di un organo idrostatico nelle 
forme acquatiche può essere compensata per gli effetti della 
locomozione da una leggera modificazione nella forma del corpo 
e in particolar modo della coda e delle estremità posteriori e 
dallo spostamento del centro di gravità dell'animale stesso. 

D'altra parte pure, la cavità bocca-faringea degli Spelerpes 
che nell’evoluzione delle forme schiettamente terragnole è andata 
assumendo uno speciale sviluppo, tanto da essersi notevolmente 
estesa allo indietro, può in una specie di questo genere che 
ritorni a fare vita prevalentemente acquaiola, quando l’animale 
la riempie d’aria, sostituire in parte anche i polmoni nella loro 
funzione di organi idrostatici. 

Risulta da quanto precede che in nessun altro gruppo di 
vertebrati il ricambio respiratorio può essere ottenuto con organi 
così diversi come negli Anfibi Urodeli nei quali si può ritenere che 
esso si compia nelle principali maniere seguenti allo stato adulto. 


1° Il ricambio respiratorio si ottiene mediante: 


Pose la respirazione branchiale, la respirazione 
bocco-faringea, la respirazione cutanea. 
I polmoni funzionano da organi idrosta- 
tici — (Esemp.: gen. Proteus Siren). 


526 
2%cTdi 


3 Ha: 


4° Id. 


5° Id. 


LORENZO CAMERANO — NUOVE RICERCHE, ECC. 


otesrenoe,® 


la respirazione branchiale, la respirazione 
bocco-faringea, la respirazione polmonare, la re- 
spirazione cutanea. 

I polmoni funzionano pure da organi idrosta- 
tici — (Esemp.: Amblystoma tigrinum branch., 
Molge alpestris branch., ecc.). 
la respirazione polmonare, la respirazione 
bocco-faringea, la respirazione cutanea. 

I polmoni funzionano attivamente anche da 
organi idrostatici — (Esemp.: Molge cristata, 
vulgaris, ecc.). 
la respirazione bocco-faringea, la respirazione 
polmonare, la respirazione cutanea. 

I polmoni perdono in gran parte la loro 
importanza come organi respiratori e come 
organi idrostatici — (Esemp.: Chioglossa lusi- 
tanica, ecc.). 
la respirazione bocco-faringea, la respirazione 
cutanea. 

I polmoni mancano intieramente — Esemp. 
gen.: Spelerpes, Desmognathus, ecc.). 

La cavità bocco-faringea può funzionare da 
organo idrostatico in qualche specie a costumi 
acquaiuoli. 


L’ Accademico Segretario 


ANDREA NACCARI. 


ATTI E no 


927 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 1° Marzo 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Socii: CLaRETTA, Direttore della Classe, 
Pryron, Rossi, NANI, CrpoLra, PeRRERO, Brusa, ALLIEVO e 
FerRERO Segretario. 

Il Presidente annuncia alla Classe la morte del Socio 
Corrispondente Barone Cristoforo NEGRI, e notifica di aver dato 
incarico al Socio Corrispondente il Prof. Giovanni MARINELLI 
di dettarne una breve commemorazione da leggersi in una 
prossima adunanza della Classe. 

Il Socio Segretario presenta alla Classe una serie di 39 vo- 
lumi contenenti la collezione del Tripitaka o libri sacri dei 
Buddisti meridionali in lingua pali, trascritti in caratteri sia- 
mesi, pubblicata, in occasione del 25° anniversario della sua 
venuta al trono, per ordine di S. M. in RE DEL Sraw, che ne fa 
dono all'Accademia. 

Presenta inoltre la “ Vita Za-Mîk@ él ’Aragàui , (Roma, 
1896), testo etiopico pubblicato dal Socio Corrispondente Pro- 
fessore Ignazio Gurpi, e la “ Relazione statistica dei lavori com- 
piuti nel distretto della Corte d’ Appello di Torino nell’anno 1895 , 


528 


(Torino, 1896), di cui fa dono l’autore, il Comm. Tullio PINELLI, 
procuratore generale presso la detta Corte d’Appello. 

Il Socio ALLievo offre da parte dell’autore, Prof. Romualdo 
BoBBA, preside della Facoltà di lettere e filosofia della R. Uni- 
versità di Torino, l’opera: “ La dottrina dell'intelletto in Aristotile 
e nei suoi più illustri interpreti , (Torino, 1896). 

Il Socio Peyron legge una commemorazione del Socio 
Nazionale non residente, già Socio residente, Marchese Matteo 
Riccr. 

Il Socio NANI legge una commemorazione del Socio Corri- 
spondente Antonio PERTILE. 

Il Socio CipoLLa legge una nota del Dott. Luigi ScHIAPA- 
RELLI sopra un “ Diploma inedito di Berengario I (a. 888) in 
favore del monastero di Bobbio ,. 

Questa nota e le dette commemorazioni sono pubblicate 
negli Atti accademici. 


B. PEYRON — COMMEMORAZIONE DI MATTEO RICCI 529 


LETTURE 


MATTEO RICCI 


Commemorazione del Socio BERNARDINO PEYRON. 


Quel tributo di lodi e di rimpianto, che Matteo Ricci con 
nobili e affettuose parole ha reso ad insigni Colleghi di questa 
Classe particolarmente suoi amici, se io debbo oggi, come saprò’ 
meglio, rendere a lui, il farò ricordando io pure le nostre rela- 
zioni giovanili in comunanza di studî, e le prove di stima, che 
mi diede poi sempre, talchè parrà a me pure di adempiere non 
meno un pietoso incarico della Classe, che un debito mio par- 
ticolare per antica conoscenza. 

Nacque a Macerata il dì 6 dicembre 1826 da Domenico e 
da Graziani Elisa; il suo titolo gentilizio fu Ricci Petrocchini 
marchese di Campobasso. 

Perduta in tenera età la madre, andò a convivere con l’ava 
ed uno zio paterno, direttore dell’Accademia di Belle Arti in 
Bologna. Ivi fece gli studî nel Collegio di San Luigi. 

Venne a Torino col padre, poco più che ventenne, nell’anno 
memorabile delle Riforme e delle aspirazioni italiane 1847. Il 
motivo della venuta era continuare liberamente gli studî in 
Lettere ed in Leggi nella Università nostra. Ma poichè egli era 
portato specialmente agli studì ellenici, e poichè a quei tempi 
mancavano nelle pubbliche scuole quei validi sussidì a cosifatti 
studî, che oggidì si hanno, il più forte motivo era di perfezio- 
narsi nel greco sotto la direzione dell'abate Amedeo Peyron. È 
ben poteva essere certo del suo favore, però che non è a dire, 
quanto quell’insigne fosse inclinato a proteggere, aiutare i gio- 
vani, che mostrassero volontà di studì serii. Fu allora, che potei 
conoscere il Ricci, non ricusando egli di farsi qualche volta mio 
condiscepolo. 

D’ingegno svegliatissimo, di modi amabili, parlatore facile 


530 BERNARDINO PEYRON 


e modesto, colto più che l’età sua potesse far credere, il giovane 
letterato, come era accetto al suo maestro, così era desidera- 
tissimo in quelle sale, che la sera a privilegiati convegni apri- 
vano e Federico Sclopis, e Cesare Alfieri, e Cesare Balbo, e i 
Promis, e i D'Azeglio. Anzi fu il Balbo, che nell’inverno del 1851 
in una di quelle serate prese il giovane a parte, e lo consigliò 
e lo persuase a tradurre la Politica di Aristotele, mostrandosi 
offeso, che mentre egli stava leggendo quell’opera con tanta sua 
soddisfazione nella traduzione di Barthélemy-Saint-Hilaire man- 
casse agli studiosi italiani una recente traduzione italiana. Col 
Ricotti poi confessò il Ricci d’avere contratto intima amicizia 
dalla prima volta, che lo vide, d’avere conosciuto Carlo Promis, 
e d’averlo amato come fratello; e così il Vesme. 

Kra allora presidente del Consiglio dei ministri Massimo 
D'Azeglio. Egli aveva sposato in prime nozze Luisa di Ales- 
sandro Manzoni, e n’ebbe una figlia, che dal nome del nonno 
si chiamò Alessandrina. A lei diede il Ricci la mano di sposo 
nel 1852, e ne ebbe due figlie. 

La Politica d’ Aristotele da lui tradotta con note e discorso 
preliminare uscì l’anno 1853, l’anno stesso, in cui mancava al 
Piemonte ed all’Italia chi l’aveva consigliata, Cesare Balbo; ma 
uscì portando in fronte il nome di Alessandro Manzoni; al qual 
nome fu glorioso (e si comprende) il traduttore di dedicarlo per 
la sua nuova parentela, potendo inscrivere: Caro Signore, e se- 
gnarsi Devotissimo nipote. 

Per decreto del Commissario Regio straordinario Gioachino 
Valerio, il Ricci fu nominato Professore di filosofia del diritto 
nell'Università di Macerata sua patria; e per un anno ne fu 
anche il Rettore. Il che avveniva, quando egli era eletto a rap- 
presentare il Collegio di Tolentino nella Camera dei Deputati. 
Tale elezione fu annullata per l’impiego che il Ricci aveva nel- 
l'insegnamento governativo. Ma, tolto l’impedimento, fu rieletto 
dallo stesso Collegio e sedette in Parlamento nell’ottava le- 
gislatura. 

Fu nominato socio nazionale residente dell’Accademia delle 
Scienze di Torino nella seduta dell’8 gennaio 1865. E ben puossi 
dire, che egli entrava in famiglia; chè in ogni collega trovava 
o un suo amico, o una conoscenza. Intraprese allora una serie 
di dotte letture, che stanno raccolte nei nostri Atti, e sono 


Ar — en 


COMMEMORAZIONE DI MATTEO RICCI 531 


illustrazioni ad alcuni paragrafi delle Storie di Erodoto, al cui 
volgarizzamento stava allora lavorando. Egli trattò in più sedute 
delle Origini Elleniche; e quelle sue memorie formano oggi la 
prefazione al suo Erodoto. Le altre son note illustrative dei 
passi più difficili e controversi del primo e secondo libro di 
quelle istorie, e anch'esse furono inserte nell'edizione. 

Ma quell’anno della sua nomina fu per lui anche lutto do- 
mestico, e fu lutto nazionale; la morte di Massimo D'Azeglio! 
Si sa, che negli ultimi suoi giorni il D'Azeglio diede espresso 
incarico alla sua figlia di pubblicare lo scritto, che intitolò 
I miei ricordi, quello, che tanto è letto da tutti gl’'Italiani e 
prescritto persino negli studî delle scuole elementari, e rimarrà 
insigne monumento nella letteratura nostra. Adempì la figlia 
il mandato e I miei ricordi uscirono nel 1867. Ma il nome di 
Matteo Ricci non poteva disgiungersi dal nome della sua sposa 
in quella patria edizione. Chè egli vi aggiunse una nota bio- 
grafica, e una preziosa particola di testamento politico e reli- 
gioso, che aveva tratto da una carta autografa dell’illustre suo- 
cero. Poscia il Ricci fece argomento di una sua memoria: Gli 
scritti postumi del D’ Azeglio. 

Nel dicembre del 1873 il nostro socio passò nella categoria 
dei non residenti, avendo egli deciso di trasportare la sua sta- 
bile dimora a Firenze. Ma non potè dipartirsi dall'antica capi- 
tale senza pagare un mesto tributo ad un suo caro collega, 
caro a lui e non meno a noi. Carlo Promis mancava il 20 
maggio di quell’anno. La bella commemorazione fu stampata 
coi tipi del Favale. Non passò un anno, Domenico Promis se- 
guiva il fratello, e due lutti accademici dopo lui successero a 
breve intervallo: Carlo Baudi di Vesme, e il venerato presidente 
Federico Sclopis. Della loro perdita il Rieci, lontano, prese la 
viva parte che noi tutti prendemmo, e li commemorò onorandoli 
come li aveva sempre onorati (v. Archivio storico), ed è mio 
dovere aggiungere, che all’animo suo riconoscente non mai si 
offerse occasione, che ei non cogliesse per ricordare o a voce 0 
cogli scritti l'abate Amedeo Peyron, che soleva chiamare suo 
caro maestro. 

Intanto col tomo III, dai tipi del Bona, essendo editore il 
Loescher, era uscita nel 1881, la intiera opera: Delle Istorie di 
Erodoto, volgarizzamento con note di Matteo Ricci, che con la 


532 BERNARDINO PEYRON 


x 


Politica di Aristotele è l’altra delle sue due principali opere e 
la più importante. 

Quanto alla Politica i pregi stanno nelle ragioni stesse, 
per cui il Balbo gliel’aveva suggerita. Chè dal cinquecento in 
poi, come osserva lo stesso traduttore, non ha l’Italia traduzione 
nè buona nè cattiva; e quelle fatte dai cinquecentisti sono po- 
verissime di sana critica, e spesse volte inintelligibili, laddove 
la Francia e l'Inghilterra ne possedono di ottime e recentissime. 
Ora l'Italia ha la sua. 

Bensì l’Italia ha traduzioni piuttosto recenti dell’ Erodoto; 
tuttavia tra loro è degna di ottenere un bel posto quella del 
Ricci per molte ragioni. Anzitutto facile e disinvolto lo stile, 
fiorentina la lingua, e quanto al merito della traduzione fu, se 
non altro, troppo severo il giudicio di qualche critico. La fedeltà 
non poteva venir meno al dotto Ellenista, diligentissimo nel 
consultare i varii testi, e i precedenti lavori e commenti, come 
ne fanno fede le note apposte a ciascun libro. Certo non è sempre 
facile assunto il mettere d’accordo alcune affermazioni dello 
storico greco con le deduzioni critiche della scienza moderna; 
il che cerca egli di far sempre. Ora venendo egli l’ultimo potè 
introdurre elementi nuovi, ignoti ai precedenti autori, e dare in 
realtà nuovo valore alla sua traduzione. Comunque è opera di 
lunga lena, a cui il Ricci può sperare di avere raccomandato 
il suo nome. 

Non è dunque meraviglia, se il Circolo Filologico di Firenze, 
appena l’esimio letterato vi si stabilì, siasi affrettato ad eleg- 
gerlo suo Presidente. Ei diede nuova vita a quell’ Istituto; vi 
introdusse le letture e le conferenze, porgendo egli il primo 
l'esempio di una grande operosità. Non passò anno, in cui egli 
non abbia o letto una Memoria o tenuta una conferenza. Le 
Memorie stanno nella Rassegna Nazionale, che esce dall’ufficio 
di quel Circolo. 

L'Accademia della Crusca lo nominò suo socio residente nel 
gennaio del 1883, ed egli l’anno dopo esordì le sue letture in 
una solenne adunanza recitando l’Elogio di Giovanni Prati. 

Fu operaio, come dicesi, del Conservatorio femminile di Ri- 
poli, e segretario della Società di educazione liberale, che fondò 
la scuola di scienze sociali. 

All’anno 1891 eragli serbata un’altra nomina, che doveva 


COMMEMORAZIONE DI MATTEO RICCI 533 


coronare splendidamente le precedenti, quella di Senatore del 
Regno. Se ne rallegrò per l'onore di sedere accanto ad illustri 
conoscenti, fra cui illustre e cara gli era la conoscenza del mar- 
chese Carlo Alfieri. Nè però egli desistette mai dal lavoro, ed 
ancora l’anno scorso scrisse l’intima vita di Enrico Heine secondo 
nuovi documenti; e seppi, che sul principio dello scorso feb- 
braio ei rivedeva le bozze della sua traduzione di un libro di 
Tucidide. 

Tra le molte sue monografie non è da passare sotto silenzio 
il Saggio sugli ordini politici dell'antica Roma paragonati colle 
libere istituzioni moderne (Firenze, Le Monnier, in-8°); nè la Rac- 
colta di ritratti politici e letterarii con una Collezione d’iscrizioni 
edite ed inedite (Firenze, 1888, in-8°); nè Gino Capponi, impres- 
sioni e ricordi di due anni di consuetudine (Firenze, 1876, in-8°); 
nè per delicati pensieri il Discorso su Caterina Franceschi 
Ferucci; nè la Commemorazione della marchesa Alfieri di Sostegno 
nata Benso di Cavour, notevole per affetto ed alta venerazione. 

Ma il Ricci era così; era buono, era vero gentiluomo; colti- 
vava così gli studî, come le amicizie, e di queste serbava indelebile 
memoria. Aveva una vera inclinazione, e, convien dire, un'abilità 
singolare a ritrarre il carattere morale delle persone. Per lui 
l'architetto, l'archeologo, il filosofo, il poeta erano sempre l’uomo, 
e cercava di farli conoscere ed amare, più che dalle loro opere, 
nelle intime scene di lor vita, negli aneddoti, di cui per ciò sono 
piene le sue biografie, drammatizzandole spesso con brevi dia- 
loghi, talchè se le molte Vite da lui narrate si riunissero in un 
volume, formerebbero, credo, una raccolta originale per il modo 
tutto suo di rappresentare. Qualunque poi fosse il soggetto, egli 
seriveva signorilmente, con sprazzi d’ingegno e d’acume, che fan 
sempre dilettevole la lettura delle opere sue. 

Fra le intime amicizie era oggidì intimissima quella di 
Ernesto Masi, letterato e filosofo, provveditore agli studi in 
Firenze, il quale ad istanza e per mezzo d’una gentile e nobile 
signora si compiacque fornirmi di alcune notizie. Han queste il 
pregio adunque di essere state attinte ad ottima fonte. Alcune 
debbo alla cortesia del Segretario del Consiglio direttivo della 
Scuola di scienze sociali, egregio signor Atto Corsi. 

Ora, essendo collocate in matrimonio le due sue figliuole, 
il Ricci viveva solo in Firenze nel villino Altoviti, e per l’ami- 


534 CESARE NANI 


cizia, che lo legava al marchese Alfieri, frequentava le sale, ove 
attorno a questo illustre Piemontese sogliono convenire perso- 
naggi illustri per scienza, politica, casato. Questo poi hassi a 
notare, che sin dal 1852 teneva un Diario di tutto quanto gli 
avvenisse di memorabile, diario non mai interrotto neppur un 
giorno solo finchè gli durò la vita. Fu interrotto la prima volta 
e per sempre il dì 10 dello scorso febbraio. Niun l’avrebbe detto 
in quel dì. Pareva in ottima salute; sentì un istante bisogno 
di riposo, e adagiatosi sul suo seggiolone spirò. 

A tanto uomo non mancheranno dotte biografie. Questi 
pochi miei cenni intanto, se non abbiano la vivezza del suo stile, 
mi basterà, che ritraggano un pensiero: Onorare la virtù ope- 
rosa, che è bella in tutti, ed è cara in quelli, che hanno avuto 
con noi società d’opera e d’intendimenti. 


ANTONIO PERTILE 


Cenno necrologico del Socio CESARE NANI. 


Chi scrive la biografia di Antonio Pertile non molti fatti 
degni di nota ha da narrare, perchè la sua esistenza trascorse 
semplice e modesta, schiva d'ogni mondan rumore. 

Nacque in Agordo (Provincia di Belluno) il 10 novembre 
del 1830, di famiglia però originaria di Gallio vicentino. Fre- 
quentò i corsi di diritto nelle Università di Gratz, di Vienna e 
di Padova e qui conseguì nel 1855 la laurea dottorale. A Vienna 
coprì per breve tempo l’uffizio di aggiunto di concetto presso il 
Ministero del culto e della pubblica istruzione; ma già nel 1857, 
essendo stata fondata nell'Università di Padova la cattedra di 
Storia del Diritto, il Pertile venne chiamato ad occuparla in 
qualità di professore straordinario e pochi anni dopo, nel 1861, 
era promosso ad ordinario. In questo modo si avviò all’insegna- 
mento ed alla scienza, a cui volle dedicate tutte le energie del 
volere e dell'ingegno. Non sì però che una parte della propria 
operosità non spendesse volentieri anche in pubblico servigio, 
giacchè fu sindaco per qualche tempo di Strà (dove soleva vil- 
leggiare), consigliere comunale in cinque comuni contempora- 


| "TIT ea 


ANTONIO PERTILE, CENNO NECROLOGICO 535 


neamente, fondatore e presidente onorario di una cassa rurale. 
Questi parranno a molti troppo umili ufficii; ma egli non mirò 
più in alto, nè forse glielo avrebbero consentito le sue tendenze 
spiccatamente conservative che egli non dissimulò mai, neppure, 
quando se ne presentò l'occasione, nei suoi scritti. Di sè stesso 
egli scrisse: “ io sono contento del modesto mio ufficio , e 
scrisse il vero perchè egli fu sopratutto insegnante e scienziato. 

Insegnante tenne, infino quasi all'ultimo giorno della sua 
vita, la cattedra di Storia del diritto italiano ed un corso libero 
di Esegesi delle fonti del diritto medievale, oltre all’incarico di 
Enciclopedia giuridica, mutato poi nell’altro di Introduzione en- 
ciclopedica ed Istituzioni di Diritto civile che abbandonò in ultimo 
per quello di Diritto canonico. Non per l’arte del dire, nè pei 
lenocinii della forma rifulse il suo insegnamento; bensì attinse 
efficacia dalla profonda conoscenza della materia, giusta l’ora- 
ziano: 


Là cui lecta potenter erit res 


nec facundia deseret hunc, nec lucidus ordo ,. 


Scrittore, pubblicò varie monografie, riguardanti tutte la 
Storia del diritto e più o meno ampie. La maggior parte com- 
parvero negli Atti del I. Istituto veneto; altre negli Atti della 
R. Accademia di Padova, nell'Archivio veneto e nell’ Archivio giu- 
ridico. Nel Digesto italiano ne vide la luce una, intitolata “ Gli 
Statuti municipali e la loro influenza sul diritto privato ,, ed è 
particolarmente da ricordare il discorso “ Degli ordini politici 
ed amministrativi della città di Padova nel sec. XIII , pronun- 
ciato nel 1882, in occasione della solenne riapertura degli studi 
in quella Università. 

Ma l’opera a cui principalmente è raccomandata la fama 
del Pertile è la sua Storia del Diritto italiano. Incominciò a rac- 
coglierne, con assidua cura, i materiali fin dal giorno in cui 
prese ad insegnare questa disciplina, cioè dal ‘57, come si è 
veduto, e ne pubblicò “ non senza molta difficoltà e trepida- 
zione , come egli diceva nella prefazione, il 1° volume nel ‘73; 
la seconda parte dell'ultimo volume non uscì che nell’87. L’o- 
pera, composta di sei poderosi volumi, gli era dunque costata 
trent'anni di non interrotte fatiche. Di questo lavoro furono dati, 


536 CESARE NANI 


mentre ancora era in corso di pubblicazione, giudizii, come so- 
vente accade, assai disparati. Ebbe lodi, maggiori forse fuori 
che in patria, ma non gli furono risparmiate nè critiche, nè 
acerbe censure che il Pertile respinse con linguaggio insolita- 
mente concitato e sdegnoso. Sarebbe ozioso il soffermarsi su 
queste polemiche ora che perfino l’eco se n’è dileguato, e per 
comune consentimento nella Storia del Diritto italiuno si ravvisa, 


insieme con alcuni difetti, il pregio di un altro valore scien- 


tifico. E per verità quei difetti sono dovuti parte alla difficoltà 
somma dell’impresa, parte al temperamento stesso dell’ingegno 
del suo autore. 

Lo scrivere infatti una storia completa del nostro diritto 
era, quando il Pertile vi si accinse (ed è tuttora, sebbene in 
grado minore), tale assunto da sgomentare anche i più valenti 
edi più audaci. Ben poco, in confronto d’altre, era stato fatto in 
tempo più antico per questa scienza che rimase poi, per lunghi 
anni, quasi del tutto negletta, dopo che l'influenza del diritto 
francese ebbe spezzato il filo delle nostre tradizioni giuridiche. 
Appena erano valse a ravvivarle alquanto le opere, benchè in 
diversa misura, ragguardevoli dello Sclopis e del Forti, incom- 
plete però, sotto l’uno o l’altro aspetto, amendue. Mancava 
quindi quel serio lavoro di preparazione senza cui niuna opera 
generale è possibile, lavoro che ha da essere necessariamente 
il risultato degli sforzi di molti e proseguito per un non breve 
periodo di tempo; troppo imperfetta era la nozione dei varii 
diritti, per quanto ciascuno d’essi aveva di particolare, che, nei 
diversi Stati in cui si divideva l’Italia, erano stati in vigore; 
delle stesse fonti solo una parte era stata pubblicata, nè sempre 
con tutti i sussidii della critica, l’altra, certo non esigua, celata 
ancora negli archivii, occultavasi alle indagini degli studiosi. 
Queste le difficoltà principali che contrastavano ogni tentativo 
di ricostruire per intiero la storia del nostro diritto. Nè d’altra 
parte aveva la natura conceduto all’ingegno del Pertile la ge- 
nialità dell'artista che riesce a colorire e dare vita e rilievo 
all'esposizione anche là dove la materia pare che sia più sorda 
al magistero dell’arte; nè tanta potenza di sintesi da saper 
sempre condensare con brevità efficace i risultati del lavoro lento 
e diffuso dell’analisi, e scolpire con pochi tratti vigorosi la figura 
di ogni istituto giuridico. 


ANTONIO PERTILE, CENNO NECROLOGICO 037 


Insigni, per contro, furono in lui le doti di ricercatore eru- 
dito, accurato, indefesso, non timido nell’affrontare gli ostacoli 
che si affacciavano sul suo cammino; vasta la dottrina congiunta 
a sobrietà e temperanza somma di giudizio. Con queste qualità 
non brillanti ma solide egli potè scrivere un’opera che è, mal- 
grado ogni sua menda, per più rispetti ammirabile; un’opera di 
cui poche migliori può vantare, fra le congeneri, la Germania, 
niuna la Francia; un’opera che ha schiuso la via all’elaborazione 
progressiva della nostra storia giuridica. 

Ben a ragione nell’accingersi alla seconda edizione della 
sua Storia egli poteva dire: “ ho compito con molto studio e 
con molte fatiche, non senza la divina assistenza, l'assunto che 
mi era proposto, di formare il disegno e di porre le basi della 
storia del diritto italiano ,. E, se più altamente avesse sentito 
di se stesso, avrebbe potuto aggiungere, applicando a se mede- 
simo le parole di Goethe: “ A noi vecchi il perdono degli errori 
“ poichè non trovammo la via già bella e tracciata; ma da chi 
più tardi è venuto al mondo si pretende di più, già che egli 
non ha più da ricercare e da errare, ma deve giovarsi del 
consiglio dei vecchi e sollecitamente incamminarsi per la 
diritta via ,. 

Quella seconda edizione riveduta a cui il Pertile già aveva 
posto mano nel ’91, egli non ebbe la ventura di poter condurre 
a termine. Glielo impedì lo stato della sua salute, fatta ogni 
giorno più cagionevole, e la morte lo colse allorquando tre volumi 
e parte del quarto erano stati pubblicati. Si spense serenamente 
in Padova il dì 4 marzo del ‘95, nell’anno sessagesimoquinto 
dell’età sua, confortato dall’affetto e dalle cure della gentildonna 
che gli fu consorte e dei figli, confortato dalle supreme speranze 
di quella fede che mai l’aveva abbandonato. La dipartita del- 
l’uomo modesto quanto valente, insigne per la illibatezza della 
vita e la integrità del carattere, fu luttuosa ai discepoli, ai 
colleghi, agli amici, a noi che ci onorammo di averlo a socio 
corrispondente di quest’Accademia, a quanti coltivano la scienza 
dove egli stampò un’orma profonda. Questi sapranno serbare 
degnamente il prezioso retaggio d’opere e d’esempi che il Maestro 
loro ha lasciato! 


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538 LUIGI SCHIAPARELLI 


Diploma inedito di Berengario I (a. 888) 


in favore del monastero di Bobbio 


pubblicato dal Dott. LUIGI SCHIAPARELLI. 


Pubblico un precetto di Berengario I in favore di S. Colom- 
bano di Bobbio. Questo documento se a rigore non può dirsi 
del tutto sconosciuto, è ad ogni modo inedito, e rimase dimen- 
ticato dopo un brevissimo cenno fattone dal Muratori. 


a. 888 (agosto?), Cortalta (Verona). 


| perenniter et im[mutabiliter] ///////// conseruandum (?) fieri 
1I11/////}///////]] et secundum augmentum dignissime re- 
cordationis domni Karoli im|peratoris senioris et consobrini 
nostra regali auctoritate sancimus ut in quibuslibet pagis uel 
territoriis de rebus supradicti cenobii aliqua orta fuerit | con- 
tentio (1) cui uero (sic) sit inquisitio necessaria ex nostra fiat aucto- 
ritate per idoneos homines quorum testimonium probabiles (sîc) 
sit ne aliqua interueniente in|curia uel occasione eadem ecclesia 
de facultatibus suis aliquid cogatur amittere quod ei iuste com- 
petit habere. Omnia quoque que inferius notantur inrefra|gabi- 
liter absque cuiusquam inquietudine seu immutatione concedimus 
habenda et ordinanda per abbatem qui pro tempore fuerit nostra 
largitione et eorum | electione ipsi sancto loco substitutus se- 
cundum dei uoluntatem eorumque in omnibus competentem uti- 
litatem. Id est monasterium cum cellulis infra uallem in qua 
situm est consistentibus . | turrem . boco . salonianam . montana 
et maritima cum cellulis carice et turio . carelio . comorga et 
castellione . ranci cum casasco . et caniano atque brioni ac | uico- 
pontio uirdim cum ecclesia sancti pauli in niza et sancti albani 
in candubrio montem longum cum memoriola et omnibus appen- 
ditiis suis. touatiam cum ecclesia | sancti pauli in sartoriano . 
prato siluano cum ecclesia sancti antonini et sancti seueri peco- 


(1) La “o, è ricalcata su rasura. 


DIPLOMA INEDITO DI BERENGARIO I 539 


rari cum palantas et proprio guntelmi et paderno . trauano cum 
alfiano et anca|riano et ecclesia sancti saluatoris in clauzano. 
rouaclas et ecclesia in honore sancte resurrectionis cum his 
que ad eam pertinent . aulianum cum proprio defulcario | et 
teutrude cassianum ac casellas sorlascum luliatica. garda cum 
adarbassio . fraxinetum et portum mantuanum propriumque quod 
sabatinus ueneticus in | quomaclo sancto columbano tradidit . 
proprium quoque quod teudaldus et teupaldus episcopi ipsi 
monasterio tradiderunt .scenodochium aetiam in papia cum ad 
eum pertinentibus | perledum medei farinariam cerucem atque 
genuam. Omnia igitur hec superius que inserta sunt sicut ad 
eundem sanctum et uenerabilem locum delegata et tradita 
noscuntur ita cum omni | integritate cum omnibus ad eum per- 
tinentibus cum massariciis uel familiis seu cunctis adiacentiis 
sub omni integritate absque ulla diminutione subtrac|tione . et 
queque deinceps ipsi sana industria uel quorumlibet christia- 
norum legitima collatione acquirere potuerint in conuulsa et 
perpetua sta|bilitate concedimus haberi. possideri et ad uotum 
ipsorum religiose rationabiliter et deo placite ordinari . sed et 
priuilegia apostolica auctoritate eidem | saneto loco largita per 
hoc pragmaticum confirmamus et ut nullus episcoporum uel ex 
quolibet ecclesiastico ordinare (sic) uiolare uel irrumpere at- 
tentet omnino | interdicimus. Igitur quia pro summa reipublice 
necessitate pacisque tranquillitate quandam diuisionem de rebus 
iam fati cenobii ad oram. fieri permisimus iubemus | atque 
omnimodis statuimus ut de illa parte quam in usus monachorum 
delegauimus interim dum domino auxiliante ad pristinum reuo- 
cetur statum nullus (1) iudex | publicus nullus missus discurrens 
aliquam sepe fatis monachis eorumque familiis uiolentiam uel 
inquietudinem inferre presumat . quos cum omnibus rebus et | 
familiis sub nostra nos constat recipisse emunitate et munde- 
burdo. Si quis uero hominum ipsius monasterii utilitatis famu- 
lantium ingenuus commendatus siue seruus | aliquid commiserit 
unde fiscus noster quippiam sperare possit totum hoc parti 
ipsius loci sancti concedimus et ne a quoquam exigatur penitus 
abnegamus. Quicumque uero ali|quid horum uiolare presum- 
pserit sciat se pene persoluendarum Lx libras auri optimi eidem 


(1) Correzione di prima mano per “ nullum ,. 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 38 


540 LUIGI SCHIAPARELLI 


loco esse multandum et insuper nostram offensionem plecten- 
dum. Nullas quoque | redibitiones aut publicas excubias nullas 
paradas uel angarias facere siue persoluere cogantur. nullas 
pontium nouas uel ueteres structiones seu re|structiones agere 
uel renouare conpellantur que nos uniuersa idcirco concessimus 
et perdonauimus ut omnipotenti domino pro nostra totiusque 
regni nostri augmento et stabi|limento deuotius placidius ac 
delectabilius omnia exclusa necessitatis occasione ualeant sup- 
plicare. Ut autem hec nostre cessionis perceptio rata ac stabilis 
per futura | tempora maneat manum nostra (1) subter firmauimus 
et anulo subter iussimus sigillari. 


Signum (M. F.) domni Berengarii gloriosissimi regis : 


AAKK 


ARR RAR 


Petrus notarius iussione regis recognoui .. i 


Data /////1///111///}{/}/}|/ Lxxxvix Anno uero domni 
berengarii gloriosissimi regis .1. Indictione . vi. Actum 
c[ur]te alta curte regia 


Rinvenni questo diploma nei mazzi da ordinare dell’ Abbazia 
di S. Colombano di Bobbio, conservati nell'Archivio di Stato in 
Torino: venne in seguito collocato nel mazzo 1 di detta Abbazia (2). 

La pergamena è mal conservata: recisa superiormente, cor- 
rosa in altri punti, guasta nell’estremità inferiore. 

Misura: altezza massima 0,465, minima 0,417, largh. 0,50. 

Le righe furono tracciate con punta a secco nella faccia verso: 
le distanze furono misurate col compasso, di cui scorgonsi a si- 
nistra le impressioni delle punte; tuttavia lo scritto non segue 
sempre la rigatura, e si trova ora al disopra ora al disotto. 

Mancano della rigatura le ultime tre linee del testo e quelle 
dell’escatocollo. 

Il diploma è originale e inedito. L’Ughelli non ne fa ac- 
cenno, e neppure il Mabillon, che pure nel giugno del 1686 fu a 
visitare il monastero di Bobbio e ne descrisse, nel suo Iter ita- 


(1) Il ms. ha: “ manu nra,, che potrebbe anche sciogliersi: “ manum 
nostram ,. Comunque sia, l’amanuense volea dire: “ manu nostra ,. 

(2) Sono assai grato al ch. Barone E. Bollati di St-Pierre, direttore 
dell'Archivio di Stato, e al Cav. D’Agliano, archivista, per aver gentilmente 
favorito le mie ricerche. 


DIPLOMA INEDITO DI BERENGARIO I 541 


licum, i codici e le pergamene (1). Un breve ricordo ci viene 
dato invece nel II Scriptores del Muratori al capitolo: “ Palatini 
Socii. In Synodum Ticinensem ab Episcopis Regnique proce- 
ribus celebratam pro electione, seu confirmatione Widonis in 
Regem Italiae ,, dove leggiamo: “ Alterum Autographum 
(sottintendi: vidi in Bobiensi Tabulario), quo confirmantur omnia 
priuilegia Monasterii Bobiensis, sed mutilum in principio, et circa 
finem, in eo tamen sequentia clare leguntur. “ Anno uero Domini 
Berengarii Gloriosissimi Regis I Indictione VI. Actum ..... alia, 
Curte Regia ,. Indictio itaque VI, quae in cursu erat anno Do- 
mini pcccLxxxvmi copulatur cum anno primo Regni, prout in 
praedictis , (2). Il Rossetti (3) non ebbe cognizione di questo 
diploma, che Diimmler confuse con quello del 19 ott. 903. 

Manca affatto il protocollo: del testo mancano l’inscriptio 0 
salutatio, l’arenga o proemium. L’atto incomincia colle parole: 
« perenniter et im[mutabiliter]..... ,, che, pare, chiudono l’expo- 
sitio; a ciò fa seguito intera la dispositio colle rimanenti parti del 
testo. Vi è infine l’escatocollo, che però ha la datazione mutila. 
Destinatario fu l'abate Aginulfo, come ci fa sapere il breve 
regesto scritto sul erso, in minuscolo perfezionato, da mano 
del sec. XII: “ domni Berengarii regis aginulfo abbati nostro ,; 
probabilmente, allora la pergamena era ancora intatta. 

Berengario fa una donazione al monastero di Bobbio “ se- 
cundum augmentum dignissime recordationis domini Karoli impe- 
ratoris senioris et consobrini ,; non è il solito accenno alla sua 
parentela (4) coll’imperatore Carlo Magno, ricordata in varii 
diplomi colla frase consueta consobrinus noster, ma un ricordo, 
una dichiarazione, che, considerata la data del diploma, la con- 
dizione politica di Berengario, la “ renovatio Regni Fran- 
corum , (5) del rivale Guido, acquista speciale importanza 
storica. 

Di Berengario I conoscevamo finora due soli diplomi concessi 


(1) MasiLLon, Museum Italicum (Lutetiae Parisiorum, 1724), I, p. 217. 

(2) Muratori, ,SS., II, pars I, 416 (III). Cfr. Indices Muratoriani, Aug. 
Taurinor. 1885, p. 36, n. 1160. 

(3) RossertI, Bobbio illustrato. Torino, 1795. 

(4) Dimmer, Gesta Berengarii imperatoris, Halle, 1871, pag. 13. 

(5) Dimmuer, Geschichte des ost. Reiches, 2 Aufl., III, pag. 370. 


542 LUIGI SCHIAPARELLI 


al monastero di Bobbio. Uno di essi, colla data 11 sett. 903 (1), 
è la conferma fatta, dietro intercessione della moglie Bertila, 
all'abate Teodelasio delle donazioni dei re Longobardi, di Carlo 
Magno, di Lodovico il Pio, di Lotario, di Lodovico II e di 
Arnolfo. Le terre confermate corrispondono, fatte poche ecce- 
zioni, a quelle ricordate nel presente diploma, del quale peraltro 
ivi non vien fatto cenno alcuno. Il secondo, del 19 ottobre 903 (2), 
è una riconferma dei diritti spettanti a Bobbio sulle terre pre- 
cedentemente donate. Si ricorda in modo esplicito il diploma 
dell’11 settembre: “ Confirmamus etiam mundeburdium sicut a 
nobis iam alia uice ipso uenerabili abbati (cioè Teodelasio) 
suisque fratribus seu sancto coenobio per preceptum pro mer- 
cedem animae nostrae concessum habemus ,. 

All’abate Aginulfo (3), destinatario del nostro diploma, 
furono concesse due donazioni di re italiani, una di Guido (4), 
di Lamberto (5) l’altra. Guido, ricordate genericamente le do- 
nazioni “ felicium decessorum nostrorum augustorum ,, aggiunge: 
“ Et quia minus quedam in eisdem preceptionibus habentur 
quae fratribus praescripti sancti coenobii con[sist]ere noscun- 
ture. s. Le terre confermate e le formule corrispondono, salvo . 
poche varianti puramente di forma, a quelle del diploma di 
Berengario dell’888, diploma che Guido non ricorda, ma che 
certo dovette servirgli di modello (6). Solo motivi politici pos- 


(1) Copia sec. XI. Archivio di Stato in Torino (Abbazia di S. Colombano 
di Bobbio, mazzo I); Bònmer, Reg., 1320; Dimmer, Reg., 35. 

(2) Originale. Archivio di Stato in Torino (Museo storico, sala I); Re- 
gesti: B., 1321; D., 86. 

Le seguenti citazioni di passi dei diplomi dei Re d’Italia sono fatte 
secondo il testo originale o la copia più antica dell’Archivio di Stato in 
Torino. 

(8) Cfr. UezELLI, Italia sacra, ed. Coleti, IV, 964; RossertI, Op. cit., III, 62. 

(4) Orig., Archivio di Stato in Torino (Museo storico, sala I), Regesti: B., 
1280; D., 17. 

(5) Orig., Arch. cit., Regesto: D., 6. 

(6) A maggiore prova trascrivo una parte del testo di questo diploma: - 
TARE Omnia quoque quae inferius adnotantur inrefragabiliter absque cuius- 
quam inquietudine seu immotatione concedimus | habenda riordinanda per 
abbatem qui pro tempore fuerit nostra largitione & eorum electione ipsi 
sancto loco substitutus secundum dei uoluntatem eorumque in omnibus 
com[peten]tem utilitatem. Id est monasterium cum cellulis infra uallem | 
in qua situm est consistentibus turrem. bocco. salonianum. montana. et 


DIPLOMA INEDITO DI BERENGARIO I 543 


sono spiegarci le parole ora citate di Guido e il suo silenzio 
sulla donazione del rivale Berengario. Lo stesso silenzio nel 
diploma di Lamberto: “ iuxta felicium predecessorum nostrorum 
augustorum lotharii scilicet ac ludouici Karlomanni et fratris 
eius Karoli nec non et domni uidonis diue memorie genitoris 
nostri innouare sanciremus ,. 

Alcune osservazioni diplomatiche. Anzi tutto, si distin- 
guono due caratteri, quello del testo, il ben conosciuto carattere 
librario del secolo IX, e quello dell’escatocollo, che, tanto nel 
carattere allungato della segnatura e della ricognizione, quanto 
nelle aste prolungate della datazione, presenta sicuri segni 
distintivi della scrittura bollatica. Pare che la pergamena sia 
stata scritta da un solo ingrossator; è però estremamente dif- 
ficile emettere un giudizio preciso per l’escatocollo, corroso assai, 
e che ha caratteri paleografici diversi. La datazione presenta 
lettere più piccole, meno rotondeggianti, più unite; ma se si 
ricorda che ordinariamente essa veniva scritta dopo le altre parti 
del diploma, e in tempo diverso, non si può dare gran peso a 
queste varietà tenui di scrittura; d’altra parte l’inchiostro ado- 
perato pare il medesimo che per il testo. 


maritima cum cellulis. carice cum turio. et carelio. comorga. & castellione. 
rancicum casasco & caniano atque brioni ac uicopontio. uirdim cum ec- 
clesia | sancti pauli in niza & sanceti albtani (sic) in candubrio. monte longum. 
cum memoriola et omnibus appendiciis suis. Touacia cum ecclesia sancti 
pauli in sarturiano. prato siluano cum ecclesia sancti antonini & sancti 
seueri. pecorari cum palantas. & proprio guntelmi | Et paderno. trauano 
cum alfiano. & ancuriano. et ecclesia sancti saluatoris in clauzano. rouaclas. 
et ecclesia in honore sanctae resurrectionis cum his que adeam pertinent. 
auliano cum proprio defultario & teudrude. perlascum romariascu proprio 
de al | biniano. sorlascum. luliaticam. garda cum adarbassio. fraxenetum. & 
portum mantuanum. propriumque quod sabatinus ueneticus in comaclo 
sancto columb[ano] tradidit. propriumque quoque quod teodaldus & teut- 
baldus ipsi monasterio tradiderunt | cum insula teplense. Xenodochium cum 
ecclesia in papia cum om[ni a]d eam pertinentibus perledum. farinariam 
crucem atque genuam. Omnia igitur [qua]e superius inserta sunt sicut 
ad eundem sanctum et uenerabilem locum | delegata et tradita noscuntur. 
Ita cum omni integritate cum [omni]bus ad se pertinentibus cum massa- 
ritiis uel familiis seu cunctis adiacenciis sub om[ni inte]gritate absque 
ulla diminutione seu substratione ,, ecc. ecc.: le rimanenti parti del testo 
corrispondono perfettamente al diploma di Berengario dell’888. Lo stesso 
dicasi del citato diploma di Lamberto. 


544 LUIGI SCHIAPARELLI 


Il monogramma è firmato. Sembra infatti che si possa at- 
tribuire a Berengario il tratto che unisce l’asta diagonale 
della N all’asta verticale di sinistra: l’intiero monogramma fu 
seritto in diverso tempo ed anche, come pare, con inchiostro diffe- 
rente dalla segnatura. La base non è in linea colle altre parti 
della medesima riga, si appoggia a destra lasciando a sinistra 
un notevole spazio; ciò, parmi, significherebbe essere stato 
tracciato dopo la segnatura nello spazio voluto tra Signum e 
domni. Il foro della pergamena, in alto a destra di Signum, 
impedì di eseguire il monogramma nel centro dello spazio de- 
terminato; l’ingrossator fu costretto avvicinarlo più a destra 
presso domni; se al contrario quello fosse stato tracciato ante- 
riormente, non si spiegherebbe come mai la parola Signum sia 
stato scritta così distante dal monogramma, mentre il foro della 
pergamena non presentava impedimento. 

La ricognizione è del notaio Pietro: “ Petrus notarius ius- 
sione regis recognoui ,. 

Pietro fu cancellario dall’888 all’890; arcicancelliere dal- 
1’896 all’899 (1). Nei diplomi dell’anno 888 (Bònmer, Reg., 1289; 
DimmLER, Reg., 1, 2, 8) si firma: “ Petrus cancellarius ad vicem 
Adollardi episcopi et archicancellarii ,, così in altro del 
12 maggio 890 (B. 1294; D., 8). Dal 29 luglio 896 (B., 1302; 
D., 15) all’11 marzo 899 (B., 1313; D., 27) funziona da arci- 
cancelliere; solo in due diplomi dell’896 (B., 1303, 1304; D., 16,17) 
troviamo: “ Vitalis cancellarius iussu regis ,; in uno dell’898 
(B., 1306, D., 20) lo stesso arcicancelliere Pietro si firma: 
“ Petrus cancellarius iussu regis ,. Questa formula è comune 
nella cancelleria di Berengario I. Troviamo; “ Restaldus no- 
tarius iussione regia ad vicem Adelardi episcopi et archican- 
cellarii , (B., 1295, 1296, 1298; D., 9, 10, 12), “ Petrus notarius 
iussione regia , (B., 1318; D., 33), “ Petrus cancellarius iussu 
regis , (B., 1339; D., 54), “ Johannes notarius iussu regis , 
(B., 1343-1346; D., 62-65), “ Johannes notarius iussu regio , 
(B., 1348; D., 67), “ Hermenfredus domini imperatoris capellani 
ipsius imperiali iussione , (B., 1358, 1359; D., 86, 87, 90), 
“ Johannes episcopus et archicancellarius imperiali iussione , 


(1) DimmrER, op. cit., pag. 56, nota 1. 


DIPLOMA INEDITO DI BERENGARIO I 545 


(B., 1370; D., 104), “ Hermenfridus cancellarius imperiali ius- 
sione , (B., 1371; D., 105) (1). 

Ne risulta che le formule iussu regis, iussu regio, imperiali 
iussione, iussione regia erano adoperate da un mnotarius, da un 
cancellarius e da un archicancellarius come da un capellanus 
domni imperatoris; insomma da tutti gli ufficiali della cancelleria. 

Notevole è il fatto, che cancellieri come Pietro e Giovanni (2) 
si firmano semplicemente col titolo di motarius. Pietro, essendo 
archicancelliere, si sottoscrive anche cancellarius (B., 1306; 
D., 20). Però in questi casi, sia che il cancelliere preferisca 
chiamarsi notarius, sia l’arcicancelliere cancellarius, la loro rico- 
gnizione non viene mai fatta ad vicem di altri ufficiali della 
cancelleria. 

Simile esempio ci offre la cancelleria di Lodovico IL: 
Dructemiro si firma archinotarius, archicancellarius, ed una volta 
semplicemente notarius (3). Dopo l’a. 865, nota il Bresslau, la 
cancelleria di Lodovico II è in pieno disfacimento: non è più ricor- 
dato un cancelliere capo, i diplomi vengono firmati da persone 
ecclesiastiche, per lo più ministri di Cappella, che si sottoscri- 
vono anche notai (per es. presbyter et notarius), dichiarando però 
sempre che la loro ricognizione avviene dietro comando del- 
l’imperatore. “ Diese Berufung ersetzt die frither iibliche Angabe 
“ des Verbretungsverhiltnisses , (4). Evidentemente la cancel- 
leria di Berengario I si appoggia a quella dei Carolingi italiani; 
il fatto ha importanza e dal lato diplomatico e dal lato storico. 

Nei diplomi di Berengario la formula iussu regis è usata 
estesamente da tutti gli ufficiali della cancelleria, i quali non 
sempre si chiamano col loro proprio titolo e preferiscono talora 
quello di notarivs. Sarà questo conseguenza di una maggiore 
libertà o minore fissità dell'uso cancelleresco? segnerà questo 
un passo indietro nello sviluppo della cancelleria, come disse il 
Bresslau (5) a proposito di quella dei figli. di Lotario? Allo 


(1) Cfr. MinLsacner, Un diplòme faux de Saint-Martin de Tours (nel- 
l’opera miscellanea: Mélanges Julien Havet. Paris, 1895, pag. 137, nota 2). 

(2) Cancelliere dal 24 aprile 908, dal 28 luglio 922 arcicancelliere; 
cfr. DimmLER, op. cit., pag. 56, nota 1. 

(3) Bressrau, Handbuch der Urkundenlehre. Leipzig, 1889,I, pag.290, nota 4. 

(4) BressLAU, op. cit., pag. 291. 

(5) Op. cit., pag. 294. 


546 LUIGI SCHIAPARELLI 


stato attuale degli studi sulla cancelleria del primo re d’Italia 
è impossibile rispondere a questi e ad altri quesiti; si noti solo 
l’importanza di tali ricerche e il vantaggio che ne ricaverebbe 
la storia. 

La datazione ha una parte recisa, corrosa l’altra. Si legge: 
Data....., scorgesi in alto un breve tratto di abbreviazione, pro- 
babilmente di nonas (nòn), più a destra un altro tratto corri- 
spondente al posto del nome del mese (agosto?); rimane parte 
dell’estremità superiore dell’asta di destra della A di ammo, 
parte dell’asta della d di dominicae, un lungo tratto della è di 
Incarnationis. 

L’anno può ricostruirsi con sicurezza: è visibile una parte 
del numero L, l’estremità superiore dei tre xxx, della v, 
indi 1 (DoccLxxxvm). Il rimanente: “ Anno uer[o] domi beren- 
garii gloriosissimi regis .1. Indic. vi. Actum c[ur]te alta curte 
regia ,. L’anno primo di regno e l’indizione sesta corrispondono 
appunto all’a. 888. È l’unico diploma, finora conosciuto, di Beren- 
gario I datato da Curte alta curte regia. 

La pergamena non presenta, a destra della segnatura e 
della ricognizione, il solito taglio, fatto a croce, e la traccia 
lasciata dal sigillo cereo; d’altra parte la formula di corrobo- 
razione et anulo nostro subter iussimus sigillari, parla evidente- 
mente di un sigillo. Questo può far nascere il dubbio della 
esistenza di un sigillo pendente (1). Sappiamo che i verbi sigil- 
lare e bullare, come le espressioni dullae nostrae impressione e 
de anulo nostro subter sigillari furono adoperate confusamente, 
senza riguardo alla composizione del sigillo. Si scrisse sigillum 
plumbeum od aureum e bulla cerea (2). Si potrebbe forse dire, 


(O)b° £3g In praeceptis enim magnorum imperatorum Caroli, Lodoyci, 
Pipini, Carlomanni, Lodoyci, Ugonis Lotharii, Berengarii, Alberti, trium 
Ottonum, quinque Henricorum ac Conradi sic invenitur “ Statuimus, ut 
monachi ad sacramentum non compellantur ,. Et haec dicens, praecepta 
supradictorum imperatorum cera, plumbo, aureisque sigillis signata quae 
Casinensi Monasterio fecerant, imperatori caeterisque omnibus demonstravit ,. 
Chron. Mon. Casinensis, Lib. III, auctore Petro (Mon. Germ. hist. SS., VII, 
pag. 823, ed. in f°). — L'uso dei sigilli di piombo è sorto in Italia sotto 
Lodovico II e continuò nella cancelleria dei Re d’Italia (BressLaAU, op. cit., 
pag. 936). 

(2) Stumpr, Die Reichskanzler, pp. 94-95; Ficger, Beitrige zur Urkun- 
denlehre, Innsbruck, 1878, II, n. 302; BressLau, op. cit., I, 939-940. 


DIPLOMA INEDITO DI BERENGARIO I 547 


che, essendo la pergamena recisa nella sua parte inferiore, è 
impossibile scorgere il luogo d’applicazione; di certo un piccolo 
tratto, risparmiato nel taglio, ci fa conoscere che la perga- 
mena si prolungava sotto alla datazione. Ma in fin dei conti 
all'ipotesi di un sigillo pendente non voglio attribuire importanza, 
e non saprei che cosa opporre a chi dubitasse che il sigillo 
mancasse, nonostante la formola ora citata. Peraltro non posso 
tralasciare di avvertire, che, siccome tosto vedremo, Ugo e 
Lotario nel 940 concessero a Bobbio un diploma col sigillo 
aureo pendente. 

Sul verso della pergamena sta scritto in minuscolo carolino 
del XII-XHI secolo: “ alibi est cum bulla ,; qui forse dulla 
usasi in significato opposto a sigillum, e lo scrivano ha voluto 
notare, che altrove vi è un diploma con sigillo pendente. È 
logico ammettere che lo scrivano fosse un monaco di Bobbio, 
ed alludesse, colle parole citate, a documenti conservati nel- 
l'Archivio dell'Abbazia. Abbiamo visto che due sono i diplomi 
di Berengario concessi a Bobbio ed esistenti un tempo in quel- 
l'archivio: l’uno, quello originale, presenta il solito taglio della 
pergamena e conserva traccia del sigillo cereo; dell’altro, la 
copia che conosciamo nota a destra della signatura e della 
ricognizione il luogo del sigillo. 

Possediamo un diploma di Ugo e Lotario del 20 marzo 940 
(B., 1403), concesso a Bobbio, che, secondo la copia autenticata 
del XIV secolo, sarebbe stato munito di sigillo aureo. La for- 
mula di corroborazione dice: “ et maiestatis nostrae sigillo 
aureo iussimus communiri , (1). Non sarebbe possibile che 


(1) StumPF, op. cit., pag. 96, nota 158. 

Riporto il passo dell’autenticazione in cui viene descritto il sigillo: 

“ Anno dominice incarnationis millesimo centesimo septuagesimo se- 
cundo die sabbati quardecimo kl. decembr. Indicione sexta in ciuitate 
placentia in palatio episcopi in presencia...... Venerabilis pater et dominus 
dominus Manfredus dei gratia saneti georgii ad uelum aureum diaconus 
cardinalis apostolice sedis legatus uidit et una cum dictis episcopo et eius 
Vicario diligenter inspecxit. Vnum priuilegium dominorum hugonis et lo- 
tharii romanorum regum cuius exemplum superius continetur et dixit idem 
dominus legatus et pronunciauit ipsum priuilegium autenticum et originale 
esse sine ulla reprehensione carte bulle uel littere non uiciatum nec can- 
zellatum in aliqua sui parte cum uera bulla cesarea aurea pendente ad 
ipsum que bulla exprimit ex una parte duas ymagines ipsorum regum in 


548 LUIGI SCHIAPARELLI 


colle parole alidî e ca bulla il monaco di Bobbio alludesse & 
questo precetto, e notasse sul verso del diploma di Berengario, 
munito, o no, di un qualsiasi sigillo, l’esistenza, nell'Archivio 
dell'Abbazia, di un altro diploma cum dulla? Ad ogni modo di 
qui non si può dedurre nulla, per la soluzione del quesito 
sulla apparente contraddizione che riguardo al sigillo presenta 
il nostro diploma, che dovrebbe avere il sigillo e non ne pre- 
senta traccia (1). 

Passiamo ad alcune osservazioni paleografiche. 

Il testo del diploma non presenta alcun carattere della scrit- 
tura detta dollatica o diplomatica: è invece un esempio molto 
bello della scrittura libraria del sec. IX, della minuscola carolina 
primitiva (2). È semplice, elegante, ma senza ricercatezza, e ad 
un tempo severa; le lettere rotondeggianti e proporzionate in 
altezza e larghezza; le parole quasi sempre separate, le lettere 
avvicinate senza i legami del periodo anteriore; una “ sempli- 
cità che rasenta la rusticità , (3). Alla ricercatezza, allo studio 
nel presentare una scrittura elegante, chiara, proporzionata, 
tanto proporzionata che può parere alle volte alquanto rigida, 
va unita un’influenza corsiva che si palesa nelle lettere a aperte, 
nella 9 aperta, nella r, nella #, e nel nesso di ct (in auctoritate). 

La a chiusa derivata dalla onciale è predominante: tut- 
tavia si hanno parecchi esempi della @ corsiva od aperta. 
La a di “ ecclesia , è sempre, eccettuato un solo caso, corsiva. 

La e ha il tratto mediano che si prolunga a destra a 
guisa di un apice e le dà l'apparenza di una e visigota. 


trono sedentium facie ad faciem et uterque ipsorum regum tenet in manu 
ramum lilii sine sceptrum regale et ex altera parte ipsius bulle legebatur 
in litteris. hugo et lotharius gratia dei piissimi reges aug. quod exemplum 
per me leonem infrascriptum notarium, etc..... , (Copia sec. XIV, Archivio 
di Stato in Torino). 

(1) Che il sigillo non di rado manchi nei diplomi lo avvertì il Fic€ER, 
op. cit., n. 301. 

(2) Per le distinzioni e per i caratteri del minuscolo uscito dalla scuola 
di Tours, cfr. C. Ciporra, L'antica biblioteca Novaliciense. Torino, 1894, 
pp. 16-17. Estr. dalle Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, 
serie II, tom. XLIV. 

(3) PaoLi, Programma scolastico di paleografia latina e di diplomatica. 
Firenze, 1888, I, pag. 23. 


DIPLOMA INEDITO DI BERENGARIO I 549 


La r non si prolunga mai inferiormente: la s e la f qualche 
volta accennano ad un leggiero prolungamento. 

L’ultima asta della m e della n è piegata a sinistra: in 
alto fa un arco abbastanza pronunciato come nella scrittura 
onciale, alla base ha un apice verso destra, ma quasi sempre 
parallelo alla riga. Quest’apice si ritrova alla base delle aste 
di altre lettere, e prende l’aspetto di un tratto d’unione. 

La g sempre aperta e con un apice all’estremità superiore 
di destra. 

La sigla corsiva esprimente et (£) non è affatto rappre- 
sentata. 

Le aste delle lettere 5, d, 4, 2, terminano con un ingrossa- 
mento limitato da un tratto verticale inclinante a sinistra. 

Tra le maiuscole noto la N e la U di forma onciale. 

Per l’ortografia è da notarsi: il dittongo @ una sola volta 
rappresentato dalle due lettere distinte in aetiam; tre volte in- 
dicato colla e cediliata (e); nel rimanente dei casi la semplice e. 

La segnatura e la ricognizione terminano colla puntuazione 
detta periodus dai dictatores. La lineetta verticale sulla è di 
fuerit (lin. 2?) è di mano posteriore. 


Le abbreviature sono abbastanza numerose. Per tronca- 
mento: è (= est); mon (= monasterio); s (= sunt); sic (= sicut); 
uen (= uenerabilem); tradider (= tradiderunt). 


Per contrazione: nra (= nostra); ul (= uel); ecda (= ec- 
clesia); oma (= omnia); sco (= sancto); scdm (= secundum); 
di (= dei); omib. (= omnibus); mons (= monasterium); qd 
(= quod); do (= deo); epoy (= episcoporum); dno (= domino); 
comedat’ (= commendatus); nr(= noster); mos (= monasterium). 


Il solito tratto orizzontale per la m, i segni’ per us 
e y per rum: il punto che rappresenta la us: q.= que: il 
tratto - per l’ultima lettera dei verbi al passivo e degli av- 
verbi per tur e ter: le sillabe per, pro colla conosciuta lineetta 
che taglia la p. Il tratto orizzontale termina spesso con una 
lineetta che sale a destra. 

L’unico segno di interpunzione qui adoperato è il punto, 
che talvolta trovasi allineato alla base delle lettere, talvolta è 


550 LUIGI SCHIAPARELLI — DIPLOMA INEDITO, ECC. 


in alto, talvolta a metà. Nella stampa, il punto ‘si collocò 
sempre all'uso moderno. 

Il carattere paleografico del testo di questo diploma trova 
perfetto riscontro con quello dei codici del sec. IX; ma non 
è questo un esempio unico del suo uso nei diplomi. Mi piace 
ricordare in particolar modo un documento uscito dalla cancel- 
leria di Lodovico II, il mandato dell’a. 853, con cui l’imperatore 
ordina ai vescovi, ai conti, ed a tutti i pubblici ufficiali di 
procurare la restituzione dei beni usurpati al monastero del 
monte Amiata (1). Non avendo il documento importanza grande 
come quella di un diploma, non ha la solennità di questo nè 
nelle formule nè nel carattere. Il mandato è scritto in carat- 
tere librario, in bel minuscolo carolingico. Ora questo mandato 
ha col precetto di Berengario dell’888 una rassomiglianza paleo- 
grafica che colpisce: il confronto dei due documenti usciti da 
cancellerie diverse, ma unite da un legame di continuità, è 
appropriato ed espressivo (2). 

Al ch. Prof. Carlo CrpoLLA, che mi indirizzò in questi studi 
e mi sorresse con suggerimenti e consigli, attesto profonda 
riconoscenza e sincero affetto di discepolo. 


(1) Diplomi imperiali e reali delle cancellerie d’Italia pubblicati in fac- 
simile dalla R. Società Romana di Storia patria. Roma, 1892, I, col. 22, 
tavola n. XI. 

(2) La tavola riproduce le ultime linee del testo e l’escatocollo del 
diploma. La fotografia è dovuta alla gentilezza e perizia del ch. Cav. Luigi 
Cantù: glie ne sono grato assai. 


L’ Accademico Segretario 


Ermanno FERRERO. 


L., SCHIAPARIPL RR Accdelle Îcienze, di Oorino. Vol. XXXI. 


AU € 


L.CANTÙ fot. 


4 IAA beletate 0 Arcari. Miane 


O 


E / À 7 360 5 È 
L., SCHIAPARELLI- Lplon RA VA ZZANA Atti della R. Accidello Scienze; di Gorino, Vol.XXXI 


L.CANTÙ fot 


È se - 
ada eleotarie Arzerin Milano 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 
Dal 9 al 23 Febbraio 1896. 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; 
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. 


* American Chemical Journal. Vol. XVI, n. 7-8; XVII, n. 1-7. Baltimore, 
1894-95; 8° (dall'Università John Hopkins di Baltimora). 

* American Journal of Mathem. Vol. XVI, n. 4; XVII, n. 1-3. Baltimore, 
1894-95; 4° (Id.). i 

* American Journal of Science. Editors James D. and Edward S. Dana. 
4* ser., vol. I, n. 2. New-Haven, 1896; 8°. 

* Annales de l’Université de Lyon: 

Essai critique sur l’hypothèse des atomes dans la science contemporaine 
par A. HANNEQUIN. 

Étude sur le Bilharzia Haematobia et la Bilharziose par Lorter et 
VIALLETON. 

Recherches sur quelques dérivés surchlorés du phénol et du benzène 
par E. Barrar. 

Sur la représentation des courbes gauches algébriques... par L. AuroNNE. 
Paris, 1895-96; 4 vol. 8°. 

* Annual Report of the Curator of the Museum of Comparative Zoòlogy 
at Harvard College,... for 1894-95. Cambridge, 1895; 8°. 

* Archives Néerlandaises des sciences exactes et naturelles publiées par 
la Société hollandaise des sciences è Harlem, tome XXVIII, livr. 4, 5. 
Harlem, 1896; 8°. 

* Atti della R. Accad. dei Fisiocritici in Siena. Serie IV, v. VIII, fasc. 9-10; 
Processi verbali delle adunanze, n. 6. Siena, 1896; 8°. 

* Atti della Società Veneto-Trentina di scienze naturali. Ser. II, vol. II, 
fasc. 2°. Padova, 1896; 8°. 

* Bergens Museums Aarbog for 1894-95 Afhandlinger og Aarsberetning 
udgivne af Bergens Museum. Bergen, 1896; 8°. 

* Bulletin de la Société belge de Microscopie. XXI®® année, 1894-95, 
n. X. Bruxelles, 1895; 8°. 

* Bulletin de la Société Physico-Mathématique de Kasan; tome V, n. 1-2, 
1895; 8°. 


552 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Balletin de la Société impériale des Naturalistes de Moscou. Ann. 1895, 
n. 1-2. Moscou, 1895; 8°. 

* Bulletin du Muséum d’histoire naturelle. An. 1895, n. 1, 8. Paris, 1895; 8°. 

* Bulletins du Comité Géologique de St-Pétersbourg, 1894; t. XIII, n. 8-9; 
XIV, n. 1-5. St-Pétersbourg, 1895; 8°. 

Catalogue of Scientific Papers (1874-1883). Compiled by R. Soc. of London. 
Vol. XI. London, 1896; 4°. 

* Comptes-rendus des séances de l’Académie des Sciences de Cracovie. 
Décembre 1895; 8°. 

* Contributions to Canadian Palaeontology. Vol. II, Part. I. Ottawa, 1895; 8° 
(dal Geological Survey of Canada). 

* Katalog der Bibliothek der k. Leopoldinisch-Carolinischen Deutschen 
Akad. der Naturforscher. Bd. II, 6. Halle, 1895; 8°. 

* Memoirs of the Museum of Comparative Zoology at Harward College. 
Vol. XIX, n. 1. Cambridge U. S. A., 1895; 4°. 

* Mémoires du Comité Géologique de Russie. T. IX, n. 4; X, n. 8; XIV, 
n. 3. St-Pétersbourg, 1896; 4°. 

* Memorie del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Vol, XXV, n. 6. 
Venezia, 1895; 4°. 

* Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVI, n. 3. 
London, 1896; 8°. 

* Natuurkundig Tijdschrift voor Nederlandsch-Indié Uitgegeven door de 
konin. Natuurkundige Vereeniging in Nederlandsch-Indié. Deel LIV 
(Negende Serie, Deel III). Batavia, 1895; 8°. 

* Nova Acta Academiae Caesareae Leopoldino-Carolinae Germanicae Na- 
turae curiosorum. Tomus LXIII, LXIV. Halle, 1895; 4°. 

* Physical Review; A journal of experimental and theoretical Physics. 
Vol. I, II, III, n. 1-4. Ithaca N. Y., 1893-95; 8°. 

Proceedings of the Portland Society of Natural history. Vol. II, P. 3. 
Portland, Maine, U. S. A., 1895; 8°. 

* Quarterly Journal of Geolog. Society. Vol. LII, n. 205; Geological literature 
added to the Geological Society's Library during the Year ended De- 
cember 31st. 1895. London, 1895; 8°. 

* Rivista mensile del Club alpino italiano. Vol. XIV, n. 12. Torino, 1895; 8°. 

* Smithsonian Contributions to Knowledge; vol. XXIX, n. 980. Wa- 
shington, 1895; 4°. 

* Smithsonian Miscellaneous Collections; N° 971, 972. Washington, 
1894-95; 8° (dalla Smithsonian Institution). 


Cruls (L.). Le climat de Rio de Janeiro. Rio de Janeiro, 1892; 4° (dono 
dell’ A.). 

— Determinagio das Posicdes Geographicas de Rodeio, Entre-Rios, Juiz 
de Féra, Joùo Gomes e Barbacena. Rio de Janeiro, 1894; 4° (Id.). 

— Méthode graphique pour la détermination des heures approchées des 
éclipses du soleil et des occultations. Rio de Janeiro, 1894; 8° (I4.). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 553 


Lussana (S.). Contributo allo studio della resistenza elettrica delle solu- 
zioni considerata come funzione della pressione e della temperatura. 
Pisa, 1895; 8° (dall’A.). 

— Influenza della pressione sulla temperatura del massimo di densità 
dell’acqua e delle soluzioni acquose. Pisa, 1895; 8° (Zd.). 

** Mez (C.). Monographiae Phanerogamarum Prodromi nunc continuatio 
nunc revisio editore et pro parte auctore C. de Candolle. Vol. IX, 
Bromeliaceae. Parisiis, 1896; 8°. 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. 


Dal 16 Febbraio al 1° Marzo 1896. 


* Abhandlungen der kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen, 
Historisch.-Philologische Klasse, XL. Gòottingen, 1895; 4°. 

* Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. T. LIV, disp. 1* 
e 2*. Venezia, 1895-96; 8°. 

* Berichte iber die Verhandlungen der k. Sàchsischen Gesellschaft, etc., 
philolog.-hist. Classe, 1895, III, IV. Leipzig, 1896; 8°. 

* Boletin de la Real Academia de la historia; t. XXVIII, cuad. II. Madrid, 
1896; 8°. 

* Bollettino della Società Umbra di Storia Patria. Vol. II, fasc. I. Perugia, 
1896; 8°. 

* Institut de France: 

Annuaire pour 1893-1895. 3 vol. 16°. 

Notices et Extraits des manuscrits de la Bibliothèque nationale et 
autres bibliothèques... Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, 
t. 30°, I° partie ; 34°, II° partie; 4°. 

Mémoires présentés par divers savants è l’Académie des Inscriptions 
et Belles-Lettres, t. X, 1"° partie. Paris, 1893-95; 4°. 

** Inventarii dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, vol. V, pp. 145-297. 
Forlì, 1895; 8°. 

** Monumenta Germaniae historica. Scriptorum qui vernacula lingua usi 
sunt T. I, Pars IL Hannoverae, 1895; 4°. 

* Publications de l’École des Lettres d’Alger. Légendes et Contes merveil- 
leux de la Grande Kabylie recueillis par A. Mouliéras. Texte Kabyle, 
8° fasc. Paris, 1895; 8°. 

* Rendiconto delle Tornate e dei Lavori dell’Accademia di Scienze morali 
e politiche della Società R. di Napoli. Anno 34°. Napoli, 1895; 8°. 
Statistica delle Società Cooperative. Società cooperative di lavoro fra 
braccianti, muratori ed affini al 31 dicembre 1894. Roma, 1895; 8° 

(dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio). 


554 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Yorlese-Ordnung an der k. k. Leopold-Franzens-Universitàt zu Innsbruck 
im Sommer-Semester 1896; 8°. 


Croabbon (A.). La science du point d’honneur. Commentaire raisonné 
Paris, 1894; 8° (dall’A.). 
** Sanuto (M.). I Diarii, t. XLV, fasc. 194. Venezia, 1896; 4°. 


oseso 


rutto ci urca lit i ce 


Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi. 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza dell’8 Marzo 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Socii: Cossa, Vice-Presidente, D’OviIpIo, 
Direttore della Classe, Berruti, FERRARIS, Mosso, SPEZIA, 
Giacomini, CamerANO, PrANO, VoLreRRA, Foà, GUARESCHI e 


) 
| © NaccaRI Segretario. 
, 
; Viene letto ed approvato il verbale della seduta precedente. 


= Il Presidente dà il benvenuto a nome di tutti i Colleghi 
tar) al Socio GuarEscHI, che per la prima volta interviene alle 
00 sedute. Il Socio GuaRESscHI risponde ringraziando. 
* Il Socio SeerE presenta, a nome della famiglia del de- 
 funto Socio Basso, una memoria stampata dell’astronomo russo 
3 DE GLASENAPP, intitolata: “ Mesures micrométriques d’étoiles 
a doubles ,. La memoria era stata recentemente inviata dall’autore 
al Socio Basso. 
Il Segretario presenta, a nome dei direttori, i numeri 208-228 
del “ Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia comparata della 
R. Università di Torino ,. 
Il Segretario comunica le lettere con cui il Socio residente 
GuarescHI ed il Socio nazionale non residente E. FeRGOLA rin- 
graziano per la loro nomina. Legge quindi una lettera, con cui 


9 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 39 


596 


S. E. il Ministro della Pubblica Istruzione partecipa di avere 
proposto al suo collega degli Affari Esteri la nomina del Gene- 
rale Annibale FerRERO nostro Ambasciatore a Londra, a rap- 
presentante del Governo italiano nella Conferenza che devesi 
tenere in Londra nel luglio di quest'anno per stabilire le norme 
relative alla pubblicazione di un catalogo universale di biblio- 
grafia scientifica. 


Vengono accolte per l’inserzione negli Atti le seguenti note: 


1° “ Sulla inversione degli integrali definiti ,; nota del 
Socio VOLTERRA; 


2° “ Sulle equazioni a derivate parziali del secondo ordine ,; 
nota del Prof. Mineo CHINI presentata dal Socio PEANO. 


Vengono affidate all'esame di speciali commissioni le memorie 
seguenti: 


1. “ Sulle varietà algebriche con un gruppo continuo non 
integrabile di trasformazioni proiettive in sè ,; memoria del 
Dott. Gino Fano, presentata dal Socio SEGRE; 


2.“ 1 Linfociti degli Oligocheti, ricerche istologiche ,; 
memoria del Dott. Daniele Rosa, presentata dal Socio CAMERANO. 


È) 


V. VOLTERRA — SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 557 


LETTURE 


Sulla inversione degli integrali definiti ; 


Nota III del Socio VITO VOLTERRA. 


1. In due Note precedenti (*) ebbi l’onore di comunicare 
all'Accademia alcune ricerche sulla inversione degli integrali 
definiti nelle quali supponevo che una funzione denotata con 
h(y) non si annullasse entro i limiti dell’intervallo di integra- 
zione (a, a + A). La discussione dei casi nei quali la detta 
condizione non sia verificata costituisce una parte molto delicata 
della ricerca, giacchè quando /(y) si annulla il problema del- 
l'inversione può in taluni casi riescire determinato, in altri no. 
La discriminazione di essi può in generale farsi dipendere dal- 
l'esame di una certa equazione algebrica. Nella presente Nota 
però mi limito a trattare il caso più semplice nel quale la di- 
stinzione dei casi si eseguisce in maniera diretta. In questo 
studio mi riferirò ad alcuni risultati che ho presentati recente- 
mente all'Accademia dei Lincei (**) che possono prendersi anche 
a fondamento delle due Note precedentemente citate. 


2. La questione da risolversi sia quella di determinare @ (x) 
dalla relazione funzionale 


FO) — f(0) = ['o(MH(ry)de B>y>a 
e supponiamo che nell’intervallo (a, 8) l'equazione 
h()=Hy)=0 
abbia un numero finito di radici a,, @; ... 0, 


(*) Sedute del 12 e del 26 gennaio 1896. 
(**) Seduta del 1° marzo 1896. 


558 VITO VOLTERRA 


La determinazione di @(x) per a, > «= rientra nella 
classe di problemi che ho precedentemente risoluti. La difficoltà 
incomincia dal determinare @ (x) per valori a partire dalla 
prima radice a,. Possiamo quindi procedere ad esaminare la 
questione seguente : 


Invertire l’integrale 
Yy 
fo) = fo@MH@,g)de a>y>0 


in cui } (y) = H(y,y) si annulla per y=0 e non per altri 
valori di y compresi fra 0 ed a. Noi tratteremo qui il caso 
semplice in cui H (x,y) possa svilupparsi secondo la formula 
del Taylor abbreviata, in modo che possa scriversi 


H (2,9) = ax + By + 3 (22Hy; (2,9) + 2c0y Ho (1,9) + 2 Hop (1,4) 


in cui le H,, sono funzioni finite e continue per x,y compresi 
fra 0 e a, e a e BP non sono ambedue nulli. In tale ipotesi f (y) 
dovrà essere infinitesima del 2° ordine per y = 0. 


8. I resultati che in questo caso si hanno possono riassu- 
mersi nel seguente teorema: 


Abbiasi la equazione funzionale 
(A) a fo H{(#,y) ut, a>y > 
in cui £(y)= y°f;(y), e 
Il 
H(,9) — 0° sia BY nn 2 (x°2H,1 (4,9) iù 2y% H9 (2,9) +y°Hos(x,9)) = 
= ax + 84 + H'(2,9). 
Se f,(y), Hi e le loro derivate rapporto ad y sono finite e 
continue per x, y comprese fra 0 ed a, mentre h(y) = H (y,y) 


si annulla solo per y = 0, esisterà una ed una sola funzione finita 
e continua ® che soddisfa l'equazione funzionale (A) quando 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 559 


(1) esi oppure $ < — 2 (2) 


la quale si otterrà risolvendo la equazione funzionale 


a+ 28 


Seiya Jef (en de= Lp) + 


‘y 1 dH di 4426 (Urp; ansa 
sie] p(a)ft Si — AL pl a! Y +68 fin (2,5) E «18 de {dx 


mentre se —1> È > — 2 il problema funzionale (A) non sarà 


determinato. 
1° Cominciamo dal provare che allorquando è soddisfatta 

la (1) o la (2) la questione funzionale (A) rientra nella classe 
di questioni esaminate nella mia Nota dell’Accademia dei Lincei 
precedentemente citata. A tal fine basterà osservare che, per y 
compreso fra 0 ed a, il primo membro della (B) è finito e con- 
h (9) 
y 


tinuo, mentre sì conserva finita, continua e diversa da zero 


e finalmente 
(3) CI rei anali. E° aa 


+28 


— ti 


y Melina 
fn@en: a & 


è una funzione continua avente il limite superiore dei suoi 
valori assoluti finito per tutti i valori di x, y che verificano le 
condizioni 


I USO: 


Se ne conclude che vi è una ed una sola funzione finita 
e continua @(x) che verifica la (B) per a> x=>0. 

2° Dimostriamo che se la funzione finita e continua (x) 
soddisfa la (A), essa verifica la (B). 

Infatti derivando la (A) e scrivendo H) (€, y) = 


terremo 


dH (ey) 5a 
dy 


560 
(A') 


e perciò 


(4) "2 og + fre 


+ fo (| Gy) — 


VITO VOLTERRA 


f'() = 10) + fo) Hx(7,y) de 


(2) G(e,9) do = 12 + 


na e.4) y) a 


Ora, ponendo 


si ha 
(5) 


quindi 


(6) G(e,9) — 


ImaP 6 4} 
— (+7 


—_L_H'(ra)y- 


= — pa 


af 


ei 
at-B 


| 


2 dy 


Hp (©) =B+ H', (2,9) 


Ha (2,4) 8) B B 


y y 


3428 Ù 2 
8 |H'GDE aci 


d+26 SE 
ai 


+28 Rogi. 3° 
Ya H' E eda 
Le, e ARA s +28 4 

GA A! NT See a-LR H (x, 2) Y 448% 44BT 


da+28 


EB 1 (B + H'3 (2,5) ET “o & = 


8 2 hi | ae 
Y +8 X a+ h(x) = atp == gh “H s (5 E) sal d&. 


Per conseguenza tenendo presente la (A') 


H, (x; 4+26 
Pale eni ye + 
2428 a_ CE 
+ yo ste | sea (Po He de — 


— pf (est di | 


Pr e “e 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 561 


Ma pel principio di Dirichlet, osservando che E <2 
1) Si |amzia (fo © 2,2) de — 


— (2) f/Hs (0,8) Esta de | da 20 


onde 


y H ) ) Ber 4+28 (cy VA CIE 
fio | Glen hay Jola da 
da cui finalmente segue, in virtù della (4), 


"0 (+ fol Ge) de = PO _ 


+28 


°Y a 
ina eil price da 


come volevasi dimostrare. 

8° Proviamo ora inversamente che, se la funzione finita e 
continua @(x) soddisfa la (B), essa verifica la (A), o ciò che è 
lo stesso la (A’). 

Infatti dalla (B) segue, a cagione della (3) 

o) + fo Hey) de = Pf () — 

— fiala vena + 90) 409) — Holz,y)]} de 

Perciò valendosi delle identità (6) 

è) = 911) + fo Bag) de — PM) = 


= ira fiero) + 


+ ge) (Hola, 8) Em zia de — e staf (2) } da 


562 VITO VOLTERRA 


e applicando la (7) 
em= rr fe) 0) + 
+fe0LEMa-Mfdae= "i a SO ezia da, 
vale a dire 
O) ye — a fe de = 0; 
e derivando rapporto ad y 
L'{g=3}08 


Ma pery=0 ® si annulla, dunque si avrà sempre d(y) = 0 
e per conseguenza 


P(Y)h) + (TP) Hp (7,9) de = f"(M) 


come volevasi dimostrare. 


4° Per provare finalmente che se —1> 4 > —2 il 


B 
problema funzionale è indeterminato, osserviamo dapprima che 
in questo caso sì ha — Ne > 0, onde la equazione funzionale 


SASSO B_H(7,2) e) 


@ 1=*L 0g) + fre {EE (2) RE 


x 


B __2+26 
anno E, 


(e Ea de i dir; 


in cui 0(x) è la funzione incognita, si risolve applicando i me- 
todi dati nella mia citata Nota dell’Accademia dei Lincei. 
Si verifica poi che, presa 


(9) o.() = 0) ya, 


 T.-1 re up gr 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 563 


| questa soddisfa la relazione funzionale 


0= | 9: (1)H(7,9) de 
ovvero l’altra equivalente 
(10) 0 = (9) h(y) + | ‘91 (1) Ha (7,9) de. 


Infatti, posto 


+26 28 ? 
(11) L(ey)= Da leg) (2)- HB i ersal, H's(c,8)E- 203 de, 


dalle (8) e (9) si ricava 


AR H'(y,4) 


(a + 8) 91 (4) =" re a 
d+28 
cr Yi +6. ( o) ar: 0(x) dx 
e quindi 
(a+ 8) y01 (4) + 801 (0) do = — H'(y,9) 019) — 
È -138 "y 8 He, 
yi cpe+ Liay)| 0a 
B ‘v[ H'(2,2) __ 2428 (ce B Hl(Z,5) 
Feto, fee P1 (0) + a axg ue a4f ® Hi 


+ L(E,2) | 0(8) de | da 
Ma, applicando il principio di Dirichlet, abbiamo 


P,(2) de + 


B_ (y H'(x, H' 
o=-y oa fia ET ode E fee 


+28 ped 


+ (ia) Sa +8 da E: 


564 VITO VOLTERRA 


perciò il secondo membro della formula precedente si sempli- 


cizza e diventa 


= — H'(4,9) 91 (4) — y7 ata {! L(0,9) 0(0) de — 


È sei TL(E,2) 0(£) de, 
ovvero, sostituendo per L (x,y) la espressione (11), 
= N'Yy) 0) — fo H',(0,9) do + 
+A raf o@fH@8)  d — 
= CAN — ®1 (2) de + 


"y Aa+23 “x ” o 
vi ni dai da {@1€) de ({H', (En) n7 45 an | 


Ma pel principio di Dirichlet 


B Ge an "® Ri, NIE 
Faso (ele da  P1(£) de | H 2 (E,m)nTa+a dn = 
(ea "I ’ BO (yo 2428 

= af dn | P1(£) H'> (En) de pa ANO +8 da = 


B x Cc “y 
= — ya Jona dn f, 91 (A Ha (Em) de + 
6 “» ©, (£) H'3 (E, 
age ff dn { i (€) = n) de. 


Perciò nella formula precedente tutti i termini che seguono 
i primi due si annullano e quindi avremo 


(a +8) y901() + (BO: (de = — H'(4,9) (4) — 


— {791 (2) H'3 (7,7) da, 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 565 
cioè 
“Y 
h (4) ®1 (4) + | 1 (0) Ha (7,9) = 0 
che è appunto la (10) che si trattava di dimostrare. 
di 


B 
zione ® (x) soddisfa la (A), anche la funzione 


Si avrà dunque, quando 1 — > + > — 2, che se la fun- 


P(2) + Co: (2) 


in cui C è una costante arbitraria, la verificherà pure, il che 
prova che la questione è indeterminata. 


4. Per dimostrare la equivalenza delle due equazioni fun- 
zionali (A) e (B), allorchè è soddisfatta la (1) oppure la (2), si 
può procedere nel seguente modo, anzichè ricorrere alla verifica 
diretta come abbiamo fatto nel paragrafo precedente. 

Moltiplichiamo ambo i membri della (A') per va dy. 
Osservando che, così la (1) come la (2) provano che 


(04 
pei Top 


potremo integrare fra 0 e 2, e avremo, applicando il principio 
di Dirichlet, 


Sy dy= {/®(y) 1 (y)y- are + fi, (y,E)E- 3a dé È 


Moltiplicando ambo i membri per emata sì trova 


ve C. BR ve a fp 
ST Myra ea dy = a + 


"5 e 6 
+ SH ET #48 2 #8 de | dy, 


ovvero, ponendo 


566 VITO VOLTERRA 
BAER rei °y dato dl 
M{x,y)= Ale) <=-s8y 34 Ha (2,7) E 2+4 y “+8 di, 
si ha 
ic) » 

19) fraz yz de = foP (2) My) de. 
Questa equazione resulta così equivalente alla (A). 
Abbiamo ora 

h 

(18) My) = 

e poichè 


h(x) = (1+ 8) x + H' (2,2), 


Hy (1,8) = BE + H'.(e, Sh 
sarà 


, 101go8 lol an 
M (2,9) = 0+B +H'(,9) x axay a + 
“y LO sei s'EPR 
+ |.H'2 (0,5) È z+6 y #+A de, 


onde, con una integrazione per parti, 


M (eg) =o ++ OD 4 ay JE e de 


da cui segue 


dM dla 


dy 


(14) Ms (2,9) = —0e y). 


Si derivi la (12) rispetto ad y tenendo presenti le (13) e 
(14), si troverà 


aaa 1°Y ary Si h 
PO i ya faz de = gp (4) + 


+ f 01) G(7,9) de 


—y E È n rc —_ e ee en nn e_N 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITì 567 


cioè si otterrà la (B). Resta così dimostrata la equivalenza delle 
equazioni (A) e (B). 

Potremo anche enunciare, in virtù delle precedenti consi- 
derazioni, il teorema seguente: 


(0) 


ppi 1, la equazione funzionale 


Se x > — 1, oppure 


I 


(A) fW = fio H(0,9) de 


è equivalente all’altra 
. Ci 8 se ; n 8 
(0) fera ya do = So} hem yzaxa + 
"y RARA. 610 
+ {Ha (0,8) Z 48 Y +8 di j da, 


la quale può risolversi con i metodi esposti nella Nota I. 
L'analisi svolta vale, come abbiamo veduto, quando sia 
soddisfatta una delle condizioni 


a 


B’ 


(04 


B 


ma se si ha 


(04 


>—1, -1>j 


> — 2, -25> 


(0) 
esa 1, oppure 3 = — 2, 
allora essa non è più applicabile, e sì riconosce facilmente che 
non bastano più le condizioni che abbiamo supposto conosciute 
per esaminare la questione in questi casi. 


568 MINEO CHINI 


Sulle equazioni a derivate parziali del 2° ordine. 


Nota di MINEO CHINI. 


$1 
Consideriamo l’equazione a derivate parziali: 
dZ Pak d?Z 
(1) forio + b de Ud dr dy , 


essendo a, 5, c funzioni assegnate di x e y, fra le quali non 
passi la relazione: ab — cè =0. Allora è noto che se a(x,y) e 
8(x,y) sono due integrali distinti (cioè tali che non risulti: 
da... da.) niogR mid 
de “© dy — dae dy 


(2) a(@\'+35($)= Do su 


dell'equazione: 


assumendoli come nuove variabili, la (1) si trasforma nell’altra: 


fidi dZ CLARA 
(3) è ner Pro niro 
con 
1 da dB da dB | dB da Ja dB 
a ee en 
ata 0a d? a da stia "08 d?B dB 
Beda 0g 0 gi 06 207 


E la (1) si ridurrà alla (83) soltanto quando a e 8 soddisfano 
la (2) (*). 

Ciò posto, cominciamo col determinare a quali condizioni 
debbono soddisfare i coefficienti a, 5, c affinchè risulti nullo 


(*) Veggasi, p. es., JorpAn, Cours d’Analyse, parte III, pag. 352. 


SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI DEL 2° orDINE 569 


B o C. Intanto è chiaro che B si annullerà solamente quando a 
sia soluzione comune all’equazione (1) ed all’altra: 


dZ__ c+Ve—-ab. dZ 


dr a dy ” 


prendendo il radicale col segno superiore oppure coll’inferiore. 
In modo analogo, sarà nullo C quando B soddisfi nel medesimo 
tempo la (1) e la precedente. 

Occupiamoci quindi di vedere in quali casi le due equazioni: 


d?Z DZ =la) IZ 
\ Te 


ammettono una soluzione comune. 
; x | NOA - 93% d?Z d°Z 
Ricavando dalla seconda di esse i valori di —;, =—-, {3} 
dx dx dy ” dy 


e sostituendoli nella prima, otterremo: 


d?7 dI b dI dA \ az __ 
na nr 


db Òd*Z 


Semplificando, col tener presente il valore di \ e quello 
d° 7 


di dx dy 


tratto dalla seconda delle (4), rimarrà: 


SERI ARS 
(ada \ dy ani 


Segue facilmente che affinchè le (4) abbiano una soluzione 
comune (diversa da una costante) dovranno i coefficienti a, d, e 
soddisfare alla condizione: 


5) ae a) 


de a a dy a 


dove il radicale deve esser preso coi segni superiori o cogli 

inferiori, secondo che in ) esso è preceduto dal + oppure dal —. 
Reciprocamente, se questa condizione è verificata, ogni so- 

luzione della seconda delle (4) soddisfarà pure la prima. 


570 MINEO CHINI 


Possiamo perciò concludere che l'equazione (1) sarà tras- 
formabile in una della forma: 
dz sh 
À dad + B DE a 
oppure dell'altra: 


dz Da 
A da dh |+ € sa =.) 


soltanto nei casi in cui risulti verificata la (5). Se ciò avviene, 
per ridurla ad una di tali forme, basterà determinare gli inte- 
grali generali f(x, 4) = cost. @(x, y) = cost. delle due equazioni 
differenziali del primo ordine: 

a sù ici = Ut CE La 
ed assumere poi come nuove variabili a, Rf le funzioni f(x, y) e 
© («, y). Allora l'integrale generale della (1) sarà: 


z, = F(8) + [ie 0 (a)da, 


oppure: 
ss i da 
Z=F(o) + Je . D(B) dB 
indicando F e ®© delle funzioni arbitrarie. 


È interessante di vedere per quali forme di coefficienti 4, 


SI = 0, cioè in quali casi 
il suo integrale generale sia Z = F(a) + ®(f). 

Questo accadrà soltanto quando la (5) rimane verificata sia 
che si prendano pel radicale i segni superiori, come anche gli 


inferiori; cioè quando si abbia contemporaneamente: 


b, c la (1) possa ridursi all'altra: 


| ò (otra __ ce-l-ab d (cale 


da a a dy a 


Î ò fs _ c+V®—-ab è fre 


dx a a dy a 


SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI DEL 2° ORDINE 5II 


Tali condizioni equivalgono alle altre: 
d(e) Hellog a 24 n) 
CDA O NS RE ET RATTO a dy a 

Î LA ei MESERO (za) Ve — ab 2 (4) 
dx a Cale add) a A a dy\al 
La prima di queste ci dà subito: 


reirà 


mentre la seconda può scriversi: 


a a, 
de f a ale dela dy.t ca a a a dy SIE 


e sviluppando le derivate, essa viene ridotta all’altra: 


\ D) 
|< è TER \ (ec opatistarà ecu) fauads(D) imc od (d); 


Tenendo conto della prima uguaglianza, concludiamo che 
dovrà risultare contemporaneamente : 


Dr, asd I 
\ idol pb) 
(4) ia sd (46) 
De i 
Reciprocamente, se queste due condizioni sono soddisfatte, 
la (5) sussisterà prendendo i segni superiori del radicale, ed 
anche gli inferiori. 


Dunque, la condizione necessaria e sufficiente affinchè la (1) 
ammetta l'integrale generale: 


Z = F(a) + (8) 


co 
ene — 


(6) 


e 
glo 


è che siano verificate le (6); cioè che = risulti un fattore in- 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 40 


572 MINEO CHINI 


tegrante dell’espressione differenziale: bdx + 2cdy, e da lo 
sia dell'altra: 2cdx + ady. 


$2. . 
Un'equazione molto notevole della forma (1) si ha nel caso 


in cui a, db, c sono le derivate parziali del 2° ordine di una 
stessa funzione 2 = 0(x, y), e precisamente quando sia: 


de PA LIBIA Mer gi 
(42 dy? ’ de? ’ Tal dx dy S ’ 
con s° — rt==0. 
Allora la (1) diviene: 
d?Z dlzale d? 7 
(7) È de? i r dy? Ger D) dx dy ’ 


e si sa che ogni soluzione di questa equazione è la coordinata Z 
(cioè la distanza dal piano xy) espressa in funzione di x e y, 
dei punti (X, Y, Z) di una superficie che corrisponde alla data 
2 = @(, y) con ortogonalità degli elementi lineari. Le altre 
coordinate X, Y dei punti corrispondenti si deducono poi dal 
valore di Z con sole quadrature (*). 

Ora è evidente che nel caso dell'equazione (7) le nuove 
variabili a e B non sono altro che i parametri delle linee assin- 
totiche della superficie 2 = 0(%, y); e poichè le proiezioni di 
queste sopra un piano qualunque è noto che debbono formare 
un sistema coniugato ad invarianti uguali (**), si deduce che le 
coordinate x,y dei punti di qualsivoglia superficie, quando siano 
espresse in funzione dei parametri delle assintotiche, dovranno 
soddisfare ad un'equazione di LapLAcE cogli invarianti uguali. 
Ma la (1) ammette evidentemente x,y come soluzioni partico- 


(*) DarBoux, Legons sur la Théorie générale des Surfaces, parte IV, p. 10. 

(**) KoenIes, Sur les réseaux plans à invariants égaua et les lignes asym- 
ptotiques, “ Comptes rendus des séances de l’Académie des Sciences ,, 
t. CXIV, p. 55, 1892. 


= 20 
diet 


RO SE nn 


SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI DEL 2° ORDINE 573 


lari, e perciò la (3) ammetterà come integrali le espressioni di 
tali coordinate in funzione di a e 8. Allora è facile dedurre 
che nel caso dell'equazione (7), la (3), in cui essa viene a tras- 
formarsi, è necessariamente ad invarianti uguali; cioè risulta: 


aunzrrlagle 


Ne segue che, in questo caso, se la (3) si riduce alla 
forma: 


d°Z 
A 3a |> csi — 0 od all'altra: ipa d + pe = 


sarà na funzione della sola a e A della sola 8; e perciò l’in- 


tegrale generale della (7) risulterà della forma: 
(8) Z = u[F(a) + ®(8)] 

-( 0 da È (ae 
essendo u = e oppure u= e 3 


Applicando i resultati ottenuti nel $ 1, possiamo concludere 
che l'integrale generale della (7) avrà quest’ultima forma sol- 
tanto quando la funzione 2 = @(x,y) soddisfi alla equazione: 


(9) ci s-Vs=rt dò fee 


da t t dy t 
oppure all’altra: 


(10) — = d i 


de t RE t 


È molto facile interpretare geometricamente questa condi- 
zione. Infatti la (9) p. e. ci dice che dovrà risultare: 


EAT = vB), 


essendo B = cost. l’integrale generale dell'equazione: 


574 MINEO CHINI 


dy rt it pid 
dx LE t set 


Ora se a = cost. è quello dell'equazione: 


dy s+ Vert Pa 
Sin 


indicando con t l’angolo che forma coll’asse delle x la tangente 
alla proiezione sul piano xy dell’assintotica a = cost., avremo: 


ve st Vert 
tangt = — epr nd 
Dunque la (9) equivale all’altra: 


tangt = — (8); 


e sotto questa forma essa ci dice che lungo ogni assintotica 
8 = cost. le tangenti a tutte le a = cost. debbono risultare 
parallele ad uno stesso piano, che varierà a seconda della 
che si considera, ma che passerà costantemente per una retta 
fissa (scelta come asse delle 2). 

Concludiamo che le superficie 2 = 6(x,y) per le quali l’in- 
tegrale generale della (7) è della forma (8) coincidono con 
quelle su cui esiste un sistema di assintotiche tali che lungo 
ciascuna assintotica dell’altro sistema, le prime hanno le tan- 
genti parallele ad uno stesso piano, che passa costantemente 
per una retta fissa. E se per una qualunque di tali superficie 
si saprà integrare l'equazione complessiva delle assintotiche: 


rdao° + 2sdaxdy + tdj =0, 


la determinazione della superficie più generale, che corrisponde 
alla data con ortogonalità degli elementi lineari, dipenderà da 
sole quadrature. 

Una classe di superficie di siffatta specie è data evidente- 
mente dalle rigate a piano direttore. Scegliendo l’asse delle @ 
su detto piano, la loro equazione è della forma: 


SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI DEL 2° ORDINE 575 


(11) z=f(ax + by) + (cr + 9) 9p(ax + by), 


essendo a, d, c,, c° delle costanti arbitrarie, ma tali che non 
risulti ac, = de, altrimenti queste superficie sarebbero delle 
sviluppabili; cioè si avrebbe s° — rt = 0, perchè: 


V— rt = (be, — ac) (ax + 89). 


Ora posto: ax + 5y = t, c1x + cy = , l'equazione com- 
plessiva delle assintotiche si riduce, nel caso attuale, all'altra: 


[fdt + uo" ()dt + 29'0)adu]dt = 0, 
la quale si spezza in due: 
t= cost. fdt +2V9'd(uVo)=0, 


e quest’ultima ha per integrale generale: 


2uVp' + | wi dt = cost. 


Dunque i parametri delle assintotiche sono attualmente: 


da. 


a=ax + by, p=2(02 + cy) Ve) + [Fa 


Inoltre per le superficie (11) risulta: 


Lan 0 a 7 
bal. 7 99 


e quindi l’integrale generale della (7) sarà in questo caso: 


)+ ®(9)]. 


Passiamo ora a vedere per quali forme della funzione 
z = (x, y) l'integrale generale della (7) è: 


(12) Z=F(o)+®(8). 


576 MINEO CHINI 


Affinchè questo accada sarà necessario e sufficiente che 
risultino verificate contemporaneamente le equazioni (9) e (10); 
o ciò che è lo stesso, che si abbia: 


ia 


Dalla prima di queste condizioni si deduce che dovrà essere: 
s°— rt = X, con X funzione della sola x; e dalla seconda: 
s—rt= Y, con Y funzione della sola y. Quindi bisognerà che 
risulti: s° — rt = cost. 

Reciprocamente, se 2 = 0(x,y) soddisfa a quest’ ultima 
equazione, risulteranno verificate le due condizioni precedenti; 
e perciò possiamo concludere che l’integrale generale della (7) 
sarà della forma (12) soltanto quando la funzione = soddisfa 
all’equazione: 


(13) sac 


con % costante arbitraria diversa da zero. E per le superficie 
che risultano integrali di questa equazione i parametri delle 
assintotiche sono: 


Appartengono evidentemente alla suddetta classe le rigate a 
piano direttore: 


az=(axr +by+0(r + cy) + f(ar + by), 


giacchè per tali superficie si ha: Vs — rt = ber — ac, Fra 
queste vi è anche il paraboloide iperbolico. 

Le superficie integrali della (13) sono caratterizzate dalla 
proprietà che lungo ciascuna assintotica, dell'uno o dell'altro 
sistema, le tangenti a tutte quelle del sistema rimanente risul- 


tano parallele ad uno stesso piano, che passa costantemente 


SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI DEL 2° ORDINE 577 


per una retta fissa. Ora il DArBoux ha determinato le espres- 
sioni delle coordinate x, y, 2 dei punti di una classe completa 
di superficie (che può dimostrarsi essere la più generale possi- 
bile) le cui assintotiche a = cost., B = cost. godono della pro- 
prietà che lungo ogni a = cost. le tangenti a tutte le R = cost. 
risultano parallele ad uno stesso piano, la cui normale ha i 
coseni di direzione proporzionali alle derivate f'(a), ®'(a), y'(a) 
di tre funzioni qualunque di a; e che inoltre, lungo ogni B= cost. 
le tangenti a tutte le a = cost. sono parallele al piano la cui 
normale ha i coseni di direzione proporzionali alle derivate 
f:(8), ®':(8), w'(8) di tre funzioni arbitrarie di B. Tali espres- 
sioni sono: 


4kex=(Qy — yo) + {@dy — y.d9.) — {(pdy — ydo9) 
4ky=(Wf — fw) + {idf — fidy) — {(waf — fay) 
bke = (fo — of) + {(fido — vidf) — [(fdo — 9df) 


essendo % una costante qualunque (*). 

Quindi se vogliamo che quei piani, nelle loro varie po- 
sizioni, passino costantemente per la medesima retta fissa, che 
sceglieremo come asse delle 2, dovremo prendere y(a) = w, 
y,.(8) =, essendo w, » costanti arbitrarie. Dunque le equazioni: 


x = 01(0) + 0 (8) 
(14) | y = 0x(a) + 0:(8) 
pi = (030, — 010%) — {(e.d0,—9,40;) + {(0:d0, — 0140,) 


con 03, 03, 0,, 0, funzioni arbitrarie, ci dànno le coordinate dei 
punti di tutte le superficie che sono integrali della (13). 

Se le funzioni (01, 02), (0, 6,) in luogo d’essere indipendenti, 
sono legate dalle relazioni: 


0î (a) + o;(a) = N — W 
6?(8) + 05(B) = 8" — 4" 


(*) DarBoux, Op. cit., parte 3*, pag. 368. 


578 MINEO CHINI — SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI ECC. 


con h', h'", h'"' costanti qualunque, ogni superficie (14) costituirà 
una falda dell’evoluta di una superficie W di WEINGARTEN, 
avente i raggi principali di curvatura legati dalla relazione: 


2(R — R')= sen2(R + R'), 


quando però ’' sia diversa da zero. Mentre se 4%" = 0, si avrà 
una falda dell’evoluta di una superficie ad area minima. 


L’ Accademico Segretario 


AnpREA NACccARI. 


CLASSE 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 15 Marzo 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Socii: CLarettA, Direttore della Classe, 
Rossi, BorLati pi SAINT-PrerRE, Pezzi, NANI, CrpoLLA, BRUSA, 
Perrero, ALLIEvo e FeRRERO Segretario. 

Il Presidente presenta, a nome dell’autore, Prof. Emilio 
Cosra dell’Università di Bologna, l’opera: “ Papiniano, Studio 
di Storia interna del diritto romano , (Bologna, 1896, 3 volumi) 
e brevemente ragguaglia la Classe intorno ad essa. 

Il Socio Segretario presenta un opuscolo del Direttore della 
Classe: “ Il deposito delle reliquie di S. Agostino a Pavia e il 
Re di Sardegna Carlo Emanuele III ,. 

La Classe procede alla nomina di sette Soci Corrispondenti. 
Riescono eletti i signori Giacomo Bryce (Londra), Prof. Fede- 
rico PateTtA dell’Università di Siena, Prof. Antonio PinLocHE 
dell’ Università di Lilla, Avvocato Giuseppe GATTI (Roma), 
Prof. Felice Tocco dell’Istituto di Studii superiori di Firenze, 
Prof. Carlo CantoNI dell’Università di Pavia, Prof. Alessandro 
CarappeLLI dell'Università di Napoli. 


L’ Accademico Segretario 


Ermanno FERRERO. 


980 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 


Dal 28 Febbraio all’8 Marzo 1896. 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio ; 
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono, 


* Abhandlungen der Kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen, 
Mathematisch-Physikalische Klasse, XL, 1. Gottingen, 1895; 4°. 

* Account (An) of the Smithsonian Institution: its origin, history, objects 
and Achievements. City of Washington, 1895; 8°. 

Boletin de la Comision Geolégica de México. N. 2. Mexico, 1895; 4°. 

* Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia comparata della R. Univer- 
sità di Genova. N. 16, 34-39. Genova, 1895; 8°. 

*# Comptes-Rendas de l’Académie des Sciences de Cracovie. Janvier 1896; 8°. 

* Giornale della R. Accademia di medicina. A. LIX, n. 1. Torino, 1896; 8°. 

* Journal of the College of Science Imperial University Japan. Vol. VIII, 
p.. HI; “LX, p. L. Tokio, 1895;,.4°. 

* Mémoires présentés par divers savants è l’Académie des Sciences de 
l’Institut de France; t. XXXI°, 2° série. Paris, 1894; 4°. 

* Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVI, n. 4. 
London, 1896; 8°. 

* Nachrichten von der Kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen. 
Mathematisch-physik. Klasse, 1895, n. 4. Gòttingen, 1895; 8°. 

* Proceedings of the Cambridge philosophical Society; vol. IX, p.1*, 1895. 

* Proceedings of the R. Society. Vol. LIX, n. 854. London, 1896; 8°. 

* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXIX, 
fasc. 1-4. Milano, 1896; 8°. 

* Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche. Ser. 3, 
vol. II, fasc. 1°. Napoli, 1896; 8°. 

Report of the sixty-fifth Meeting of the Britsh Association for the advan- 
cement of Science held at Ipswich in september 1895. London, 1895; 8°. 


oo. , (E reo = 


| NT, n 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 581 


Report of the Superintendent of the U. S. Coast and Geodetic Survey for 


the fiscal year ending, June 30, 1893; Part II. Washington, 1895; 8°. 

Spelunca. Bulletin de la Société de Spéléologie. 1"° année, n. 4. Paris, 
1895; 8°. 

* Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXIX, fasc. 1°. Modena, 
1896; 8°. 

* }RypHalb pyCcKaro ®I8HK0-xMMNJecKaro O6mecrBa npu IMnepaTopcromb 
C. Ierep6yprerows VYauBepenterb; t. XXVII, n. 9. 1895. 


Bardelli (G.). Sull’uso delle coordinate obliquangole nella meccanica ra- 
zionale. Milano, 1896; 8° (dall’A.). 

Espiro (E. F.). Memoria presentada è S. E. el sefior Presidente de la Re- 
publica don Juan Idiarte Borda. Montevideo, 1895; 8° (dal Governo 
della Repubblica dell’ Uruguay). 

Marini (A.). Annotazioni riassuntive sulla campagna serica italiana nel 1895. 
Torino, 1895; 8° (dall’A.). 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. 


Dal 1° al 15 Marzo 1896. 


* Acta Borussica: Die Getreidehandelspolitit der Europiischen Staaten 
vom 13. bis zum 18. Jahrhundert. Berlin, 1896; 8°. 

Annuario Accademico 1895-96. Siena, 1896; 8° (dalla R. Università degli 
Studi di Siena). 

Annuario statistico italiano 1895. Roma, 1896; 8° (dono del Ministero di 
Agricoltura, Industria e Commercio). 

* Bulletin de l’Académie Royale des sciences et des lettres de Danemark. 
Copenhague, 1895, n. 3, 4. Copenhague, 1895; 8°. 

* Commentari dell'Ateneo di Brescia per l’anno 1895. Brescia, 1895; 8°. 

* Dictionarul limbei istorice si poporane a Romînilor lucrat dupà dorinta 
si cu cheltuiéla M. S. Regelui Carol I sub auspiciele Academiei romane. 
Tom. III, Fasc. III, Baz-Bal. Bucuresci, 1896; 4°. 

* Giornale della Società di letture e conversazioni scientifiche di Genova. 
Anno XVII, fasc. IV. Genova, 1895; 8°. 

** Jahresberichte der Geschichtswissenschaft. XVII Jahrg. 1894. Berlin, 
1896; 8°. 

* Mémoires et Documents publiés par la Société Savoisienne d’Histoire 
et d’Archéologie, t. XXXIV. Chambéry, 1895; 8°. 


582 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et des Lettres de Danemark. 
6° sér. Section des Lettres, t. III, n. 4. Copenhague, 1895; 4°. 

** Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia. 1895, 
fol. 127-226; 8°. 

* Rozprawy Akademii Umiejetnosci wydziat Historyczno-Filozoficzny. Ser. II, 
t. VI. Krakowie, 1895; 8°. 

Tabella. indicante i valori delle merci nell’anno 1895 per le statistiche 
commerciali. Roma, 1896; 8° (dal Ministero delle Finanze). 


Pinelli (T.). Relazione statistica dei lavori compiuti nel distretto della 
Corte d'Appello di Torino nell’anno 1895. Torino, 1896; 8° (dall'A.). 

Guidi (I... Vita Za-Mîkà'él ’Aragàwî. Romae, 1896; 12°. 

Magnier (F.). Rapport présenté au Congrès d'Aiguebelle le 6 aoùt 1894. 
Chambéry, 1895; 8° (dall’A.). 

Bobba (R.). La dottrina dell'intelletto in Aristotele e nei suoi più illustri 
interpreti. Torino, 1896; 8° (Zd.). 

Strada (E.) e Martinetti (M.). Piazza d'Armi o Valentino ? Considerazioni 
sulla scelta della sede dell’Esposizione del 1898. Torino, 1896; 8° 
(dagli A.). 


) 583 


CLASSE 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 22 Marzo 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: D’Ovipio, Direttore della Classe, 
Berruti, Bizzozero, FERRARIS, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE, 
Prano, JADANZA, GuarEscHI e NaAccaRI Segretario. 

Viene letto ed approvato il verbale della seduta precedente. 

Il Segretario segnala, fra le pubblicazioni inviate in dono, 
alcuni opuscoli spediti dal Socio corrispondente WALDEYER. 

Il Segretario comunica la lettera di ringraziamento del 
Prof. FeLIcI eletto recentemente Socio Nazionale e quelle dei 
Prof. BertrAND e SyLvester eletti Soci Stranieri. Comunica 
inoltre una lettera, con cui l’Università e il Municipio di 
Glasgow invitano l'Accademia ad eleggere un proprio rappre- 
sentante per le feste che si celebreranno il 15 e 16 giugno 
prossimo venturo in onore di Lord Kelvin, che nel prossimo 
autunno compie il cinquantesimo anno di insegnamento. La 
Classe delibera di pregare il Socio corrispondente Prof. J. J. 
Thomson professore a Cambridge di rappresentarla in quella 
solennità. 

Il Segretario dà notizia che sono giunti dal Ministero i 
decreti di nomina del Socio Nazionale residente Prof. Icilio Gua- 
RESCHI, dei Soci Nazionali non residenti Professori Emanuele FeR- 
Goa e Riccardo FeLIci e dei Soci Stranieri Professori Giuseppe 
Luigi BertRAND e Giacomo Giuseppe SyLvESTER. 

Il Socio CAMERANO anche a nome del Socio SALVADORI legge 
la relazione sulla memoria del Dott. Daniele Rosa intitolata: 
“I Linfociti degli Oligocheti ,. Conforme alle conclusioni del 
relatore la Classe ne approva la lettura e quindi l’inserzione 
nei volumi accademici. 


984 È 


Relazione intorno alla Memoria del Dott. Daniele Rosa, 
intitolata : 
“ I Linfociti deglu Oligocheti — icerche istologiche ,. 


Il Dott. D. Rosa nelle sue ricerche intorno ai linfociti degli 
Invertebrati, oggetto della Memoria affidata al nostro esame, 
ha molto opportunamente scelto come materiale di studio quelle 
forme animali in cui il sistema circolatorio è chiuso e in cui 
perciò gli elementi morfologici proprii della linfa non si trovano 
frammisti con quelli proprii del sangue come avviene nella 
massima parte degli invertebrati che vennero fino ad ora stu- 
diati dal punto di vista dei linfociti stessi. Egli ha studiato gli 
Anellidi Oligocheti e più specialmente i lombrici i quali hanno 
la proprietà, in questo caso assai preziosa, di emettere dai pori 
dorsali il liquido celomico senza che per ottenerlo sia necessario 
incidere l’animale. 

L’A. ha osservato quattro differenti sorta di linfociti nei 
Lombrichi: gli uni ameboidi e gli altri non ameboidi e di tutti 
ha descritto la forma normale fino ad ora al tutto ignorata e 
le modificazioni che essa presenta quando i linfociti sono portati 
fuori dell'organismo. 

Il Dott. D. Rosa ha fatto uno studio minuto e diligente 
di tutte le singole forme di linfociti descrivendo la struttura 
della sostanza cellulare, del nucleo, delle centrospere, ecc. 

Il lavoro del Dott. Rosa è pertanto un contributo assai 
importante per la conoscenza non solo dei linfociti delle specie 
di Oligocheti particolarmente studiate, ma in genere per la 
conoscenza dei linfociti degli Invertebrati e per la biologia 
cellulare. 

I vostri commissari sono lieti quindi di proporre che il 
lavoro del Dott. D. Rosa venga ammesso alla lettura e venga 
stampato nelle Memorie accademiche. 

Torino, 18 marzo 1896. 

T. SALVADORI. 
L. CAMERANO, Relatore. 


L’ Accademico Segretario 
ANDREA NACCARI. 


i 
: 
| 
| 
d 
| 


985 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 29 Marzo 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO BARONE GAUDENZIO CLARETTA 
DIRETTORE DELLA CLASSE 


Sono presenti i Socii: PeyRon, CrpoLLa, Brusa, PERRERO, 
ArLievo e-FERRERO Segretario. 

Il Socio Segretario fra le pubblicazioni pervenute in dono 
alla Classe, segnala un nuovo opuscolo di “ Vedische Beitrége , 
(Berlino, 1896) del Socio Corrispondente prof. Alberto WEBER, 
ed il volume in memoria di CesARE CANTÙ, pubblicato per cura 
della famiglia dell’illustre scrittore in occasione del primo anni- 
versario della sua morte. 

Offre poi, a nome dell'Autore, il professore Emilio TEZA, 
un opuscolo: “ I Tipitakam dei Buddiani stampato nel Siam , 


(Venezia, 1896), concernente la collezione di volumi stampati 


per ordine di S. M. il Re del Siam, che ne donò un esemplare 
all'Accademia (presentato nell'adunanza del 1° marzo) e ad altri 
Istituti scientifici del Regno. 

Sono comunicate le lettere, con cui i professori Tocco, 
GarTI, CANTONI e PatETTA ringraziano per la loro nomina a 
Soci Corrispondenti. 

Il Socio ALLievo legge un suo lavoro intitolato: “ Federico 
Herbart e la sua dottrina pedagogica ,, di cui la Classe approva 
la stampa nelle Memorie accademiche. 

Lo stesso Socio legge una sua nota: “ La divisione del la- 
voro applicato nelle Università ,, che è pubblicata negli Atti. 

Il Socio PeRRERO dà lettura di un suo lavoro: “ Un segreto 
episodio della vita ministeriale del marchese d’Ormea e del cava- 
liere Ossorio (1740-1750) ,, parimente stampata negli Atti. 


NILE n 


586 GIUSEPPE ALLIEVO 


LETTURE 


La divisione del lavoro applicato alle Università; 


Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO. 


L'Università è la grande Scuola, dove s’insegnano le scienze 
umane tutte quante in tutto il loro progressivo sviluppo, e dove 
si formano i cultori delle professioni liberali. Quindi essa riu- 
nisce in sè un duplice carattere, scientifico cioè e professionale; 
e la Laurea, che conferisce, fu sempre Laurea di dottore e di 
professionista ad un tempo. Questo duplice carattere si mani- 
festa nell'organismo medesimo dell’Università. Infatti essa si 
compone di poche Facoltà, ciascuna delle quali comprende un 
gruppo di scienze omogenee; ecco il carattere scientifico : queste 
scienze poi sono coltivate da giovani avviati all'esercizio delle 
professioni liberali (l’Imgegneria, la Medicina, l'Avvocatura, il 
Magistero educativo ecc.), ecco il carattere professionale. Questo 
organismo delle Facoltà incominciato coll’origine stessa della 
Università si mantenne attraverso i secoli, ma da qualche tempo 
va via via scompaginandosi in mezzo alla lotta, che ferve tra 
il culto puro e disinteressato della scienza e l’esercizio utili- 
tario della professione. Volgiamo un rapido sguardo alle vicende 
storiche, per cui è passata l’Università attraverso i secoli, a 
fine di rinvenire la cagione della lotta, che di presente la tra- 
vaglia. 

Ne’ secoli scorsi le discipline, che formavano l’oggetto del- 
l'insegnamento universitario, erano poche di numero, e ciascuna 
poco sviluppata, come pure ciascuna professione liberale era 
semplice nel suo organismo. Quindi ne avveniva, che la scienza 
poteva essere studiata tutta quanta nella sua idealità specula- 


4 
; 
I 


LA DIVISIONE DEL LAVORO APPLICATO ALLE UNIVERSITÀ 587 


| tiva senza venire sacrificata in veruna sua parte, e la specu- 


lazione teorica poteva mantenersi in perfetta armonia coll’indi- 
rizzo pratico ed interessato della professione liberale. L'Università 
conservava l’unità de’ suoi due caratteri, scientifico e professio- 
nale. Ma da due secoli in qua lo scibile umano prese uno svi- 
luppo ed un incremento straordinario. Certi punti di studio, che 
prima erano compresi dentro una determinata scienza siccome 
parti nel loro tutto, vennero studiati in se stessi, staccati dalla 
disciplina, a cui appartenevano, e crebbero a poco a poco sino 
a pigliare forma e corpo di scienza speciale, come ce ne porge 
esempio la scienza filologica, la quale venne diramandosi in 
moltissime altre. Similmente quella, che da prima era una pro- 
fessione unica, si disvolse in una varietà di professioni speciali, 
ciascuna delle quali viene esercitata da cultori suoi proprii. 
Così la Medicina conta oggidì pressochè tanti rami distinti, 
quante sono le malattie particolari dell'umano organismo: l’In- 
gegneria si è bipartita in industriale e civile, e l’industriale si 
suddivide in Ingegneria delle miniere, delle macchine ferroviarie, 
delle manifatture, dei ponti e delle strade e va discorrendo. 
Il moltiplicarsi delle scienze e delle professioni liberali fu 
cagione, per cui i giovani inscritti ad una Facoltà più non po- 
tendo abbracciare colla loro mente le tante e nuove discipline 
appartenenti alla medesima, consacrarono i loro studi ad una 
o poche soltanto di esse, e diventarono specialisti, aspirando 
ad una laurea dottorale speciale: ma intanto ristringendo esclu- 
sivamente la loro meditazione ad un solo ramo del sapere per 
meglio approfondirlo, perdettero di vista l’unità della scienza. 
Similmente un giovane aspirante ad una professione liberale, 
non venendogli fatto di impratichirsi per bene in tutti i rami 
speciali della medesima ed esercitarli con felice successo, di- 
ventò specialista anch'esso; ma raccogliendo tutte le forze del 
suo ingegno intorno al culto di un ramo speciale professionale, 
diede a’ suoi studi un indirizzo esclusivamente pratico ed uti- 
litaristico, attingendo dalla scienza solo quel tanto, e non più, 
che potesse giovargli all'esercizio della sua professione speciale, 
ed abbandonando come inutile tutto ciò, che sa di pura teoria, 
di mera speculazione. Così sorsero le scuole speciali superiori 
fuori dell’Università, anzi contro l’Università, nelle quali la 
scienza non si coltiva più per se stessa, per puro e disinteres- 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 41 


588 GIUSEPPE ALLIEVO 


sato amore della verità, ma nelle sue applicazioni pratiche ed 
utili alla vita (1). 

Di tal modo siamo giunti a La che dicesi con nuovo 
vocabolo Specialisno degli studi e delle professioni, ossia alla 
divisione del lavora applicata all’Università. Per lo passato nel 
seno dell’Università il culto della scienza speculativa ed il ti- 
rocinio dell’arte professionale facevano una cosa sola, ed i gio- 
vani passavano senza più dagli studi teorici alla pratica della 
professione. Ora la gioventù studiosa si è diviso il lavoro men- 
tale: da un lato i dotti col loro amore della scienza puro e di- 
sintéressato, dall'altro i professionisti col sapere praticamente 
applicato alla loro arte: ai primi rimase l’Università, pei se- 
condi sorsero le scuole superiori speciali isolate. 

Così l'antico organismo universitario venne a sfasciarsi. La 
grande Scuola dell’Enciclopedia universale, spostata dal suo 
centro di gravità, sì è sperperata in una minutaglia di scuole 
speciali da essa disgiunte. 

Noi assistiamo ad un duplice antagonismo. L'Università è 
in lotta con se stessa, dacchè vede la sua unità ideale cader 
in frantumi sotto i colpi di uno specialismo, che non riconosce 
più limiti nel suo processo. Essa è altresì in lotta colle scuole 
superiori, che disdegnando la scienza pura si chiudono ciascuna 
nell’idolatria della propria arte. Nel campo del pensiero il lavoro 
analitico ha diviso e suddiviso lo scibile in minutissime disci- 
pline, tantochè chi si consacra di proposito allo studio esclusivo 
di una sola, perde di vista i vincoli, che la consertano con tutte 
le altre in una potente unità ideale. Nel campo dell’azione le 
professioni liberali si specializzano anch'esse a dismisura, ed i 
loro giovani cultori trattando la scienza come la semplice an- 
cella della loro arte attingono dallo studio di essa quel po’ di 
sapere teorico, che torna assolutamente necessario al culto della 
loro professione e non guardano più in là. Quindi da una parte 
la meditazione de’ dotti si rimpicciolisce in vedute ristrette ed 


(1) Tale fu l'origine della nostra scuola del Valentino per gli allievi 
ingegneri, i quali muovon lamento, che nei due anni, che loro tocca di 
frequentare l’Università per essere poi licenziati a quella scuola, sono 
tenuti a frequentare il corso di Meccanica razionale, reputando tale inse- 
gnamento come affatto teorico ed inutile all'esercizio della loro professione. 


LA DIVISIONE DEL LAVORO APPLICATO ALLE UNIVERSITÀ 589 


esclusive, e vengono a mancare quelle larghe intuizioni, quelle 
sintetiche comprensioni del pensiero, che scopre nuovi orizzonti 
nel mondo ideale; dall’altra la pratica dei professionisti non 
illuminata da una compiuta teorica, non animata dallo spirito 
dell’idea, degenera in mestierume e travia in empirismo. 

È questo uno stato di cose gravissimo, che minaccia le 
sorti dell’alta coltura sociale e richiama a sè l’attenzione di 
quanti hanno a cuore l'interesse de’ pubblici studi per avvisare 
al modo di venire al riparo di conseguenze tanto deplorabili. 
Meditando intorno al gravissimo argomento, occorre anzi tutto 
convenire su questi tre punti: 1° Dividere il lavoro universi- 
tario specializzando le discipline scientifiche e le scuole supe- 
riori è una necessità richiesta dal crescente sviluppo dello scibile 
e dal progresso delle arti. 2° È altresì giuocoforza conservare 
all’Università l’unità del suo organismo ideale, sicchè essa ri- 
manga per gli alunni la Scuola universale dello scibile umano 
preso nella sua armonica e sintetica integrità. 3° È pur neces- 
sario mantenere la conveniente armonia tra gli studi speculativi 
e le applicazioni pratiche, tra la scienza e l’arte, sicchè l’amore 
disinteressato e puro della verità non sia soffocato dall’utilita- 
rismo della vita. Tutti e tre questi punti vanno posti fuori di 
ogni discussione. Ma qui appunto sorge il duplice problema. 
Come conciliare la necessità della divisione del lavoro coll’unità 
dell'organismo ideale universitario? Come mantenere la dovuta 
armonia tra la scienza pura e l’arte professionale nelle scuole 
speciali superiori? 

In riguardo alla prima parte di questo problema giova ri- 
cordare, che l’Università è il tempio della scienza universale, 
la Scuola dell’Enciclopedia umana, ossia delle discipline tutte 
quante, composte insieme a sistematica unità. Questo concetto 
ci porta logicamente a proporre due insegnamenti, a cui an- 
drebbero tenuti tutti gli alunni a qualunque facoltà apparten- 
gano. Il primo di essi avrebbe per oggetto la classificazione 
delle scienze condotta in guisa che il giovane studioso possa 
scorgere le intime colleganze, per cui tutte armonizzano ad 
unità, il posto, che spetta a ciascuna, e segnatamente alla sua, 
in mezzo a tutte le altre. Così egli non perderebbe di vista 
l'organismo ideale del sapere, pur mentre tiene raccolto il pen- 
siero sulla propria disciplina. Un bellissimo saggio di classi- 


590 GIUSEPPE ALLIEVO 


ficazione enciclopedica porse Andrea Maria Ampère nel suo 
Essai sur la philosophie des sciences, dove tutto lo scibile umano 
viene distribuito in due grandi branche, l’una cosmologica ri- 
guardante le cose corporee, l’altra noologica relativa alle cose 
incorporee. Il secondo dei due proposti insegnamenti avrebbe 
per oggetto suo proprio la protologia, ossia lo studio dei su- 
premi ed universali principii di tutte le scienze. Ciascuna di 
esse, mentre possiede un principio suo peculiare, per cui si di- 
stingue da ogni altra, ha tuttavia comuni con tutte le altre 
alcuni principii universali, il cui studio solleva la mente del 
giovane al concetto del sintesismo dello scibile. 

Venendo alla seconda parte del problema, guidato dallo 
stesso concetto universitario io proporrei due altri insegnamenti, 
obbligatorii per gli alunni di ciascuna scuola speciale. Come vi 
ha la filosofia universale, che spazia per tutte le regioni del 
pensiero, così evvi per ciascun gruppo di scienze particolari una 
filosofia speciale, che le conserta e le solleva alla loro più alta 
idealità, ricercando le ragioni supreme del loro comune oggetto 
e scrutando quei problemi più elevati, a cui non s’innalza cia- 
scuna di esse. Così evvi la filosofia delle matematiche, la filosofia 
della giurisprudenza, la filosofia della medicina, delle scienze 
naturali, della storia e via via. Ciò posto, verrebbe opportuna 
la instituzione di una cattedra di filosofia speciale propria di 
quel gruppo di discipline, che avvia il giovane nell’esercizio di 
una professione liberale. Con questo provvedimento verrebbe a 
conciliarsi il culto speculativo della scienza coll’indirizzo pratico 
. professionale. A questo io aggiungerei un secondo insegnamento, 
cioè una cattedra di Logica, considerata come scienza sovrana 
legislatrice del pensiero, il quale, così avvalorato, contribuisce 
al culto medesimo dell’arte. 

Queste proposte, mentre intendono a riparare le funeste con- 
seguenze generate da uno smodato specialismo, non urtano per 
nulla col progresso continuo dell’umano sapere, il quale non ri- 
conosce confini, a cui debba arrestarsi. Poichè occorre far di- 
stinzione tra l'insegnamento della scienza universale e lo svi- 
luppo continuo della medesima. L'insegnamento ha la sede sua 
propria nell'Università, dove viene impartito entro i limiti con- 
sentiti da giovanili intelligenze; ma il suo crescente sviluppo 
varca di assai la cerchia delle aule universitarie. La scienza si 


E N È ST UO E e. 


LA DIVISIONE DEL LAVORO APPLICATO ALLE UNIVERSITÀ 591 


arricchisce del lavoro di tutte le intelligenze, che siansi con- 
sacrate alla ricerca della verità: non circoscrive le sue conquiste 
ideali ad un tempo e luogo determinato, ma le estende da per 
tutto, dovunque incontra una dotta accademia, che discuta 
qualche grave problema, od un pensatore solitario, che mediti 
nel silenzio della sua camera. Essa non vede limite di tempo e 
di spazio, che la arresti nel suo trionfale cammino, e sempre 
avanza per le regioni dell’infinito. I limiti invece sono segnati 
intorno la cattedra dell'insegnante: gli è qui che lo specialismo 
si arresta nel suo processo. 

Io riconosco adunque la necessità di specializzare gli studi 
con tale criterio, che i giovani alunni, pur mentre raccolgono 
tutta l’attività del loro pensiero sopra quel determinato ramo 
del sapere, a cui si sentono per natura chiamati, non perdano 
di vista l’unità della scienza, nè sacrifichino l’amore della ve- 
rità pura all’utilità della loro professione. Questo bisogno di 
dividere il lavoro mentale è universalmente sentito, e da per 
tutto si tenta di appagarlo con opportune riforme scolastiche, 
segnatamente negli Stati Uniti d'America, dove lo specialismo 
universitario è promosso con grande ardore. Ma qui in Italia 
si tira avanti sulla vecchia pésta come se il nostro mondo sco- 
lastico fosse il migliore de’ mondi possibili. Da parecchi anni 
in qua (nessuno il nega) non poche cattedre vennero aggiunte 
alle antiche anche nelle nostre Università, e specialmente in 
questa facoltà di filosofia e lettere: sebbene, a dire il vero, fra 
i nuovi insegnamenti se ne siano intrusi anche degli inutili od 
inopportuni, dettati più da secondi fini, che dai veri bisogni 
della scienza. Questo aumento di cattedre doveva ragionevol- 
mente portare ad una corrispondente divisione nelle materie di 
studio; ma così non fu. I giovani aspiranti ad una professione 
liberale, a conseguire la loro laurea dottorale sono pur sempre 
tenuti a frequentare tutte le discipline, e antiche e recenti che 
appartengono alla loro facoltà, salvo poche eccezioni, sicchè esse 
vennero ad aggravare e rendere pressochè insopportabile il far- 
dello dei loro studi. E bene sel sanno i giovani laureandi in 
lettere, forzati a frequentare dodici insegnamenti diversi, pas- 
sando senza posa da una lezione all’altra a farvi incetta di 
svariato sapere, il quale mal potendo penetrare sino al cervello, 
se ne rimane per lo più affastellato dentro i quaderni, ricor- 


5992 DOMENICO PERRERO 


dando i doctores chartacei del medio evo. Il fardello riesce an- 
cora più incomportabile, quando si consideri che in mezzo a 
tale caterva di materie alcune sono affatto eterogenee nel gruppo 
delle discipline letterarie, quali la filosofia teoretica e la storia 
della filosofia. Io non dico, che queste due materie filosofiche, 


quando siano insegnate per bene, non abbiano la loro propria 


importanza; bensì intendo di sostenere, che a giovani laureandi 
in lettere, già sopraccarichi di materie loro proprie, non tornano 
del tutto necessarie, tenendo io per fermo, che il tempo im- 
piegato nel frequentarle assai meglio verrebbe adoperato ad 
approfondirsi nelle altre, che appartengono al ramo letterario. 

Quindi si fa manifesta la necessità di una riforma, che in- 
troduca negli studi della Facoltà di filosofia e lettere un nuovo 
ordinamento conforme alle giuste esigenze della moderna coltura. 
Applicando a tale intento la divisione del lavoro, pare a me, 
che tutti gli insegnamenti di essa facoltà abbiano a dividersi 
in quattro gruppi distinti, i quali mettano capo a quattro lauree 
speciali, e sono il filosofico, il letterario classico, il filologico, 
lo storico geografico. 


Un segreto episodio della vita ministeriale 
del Marchese D’Ormea e del Cav. Ossorio (1740-1750); 


Nota del Socio DOMENICO PERRERO. 


È sentenza comunemente invalsa presso i patrii storici, 
adottata e sostenuta dall’illustre autore della Diplomazia della 
Corte di Savoia, che il marchese d’Ormea fosse per modo geloso 
del suo ministero sopra gli affari esteri, che mai non si sarebbe 
volontariamente indotto ad abbandonarlo se non colla propria 
vita. E, per verità, a favore di siffatta sentenza parrebbe stare, 
come effettivamente si mette innanzi, il fatto dello avere il 
marchese voluto morire in possesso della carica, anzichè chie- 


VT n 


UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 593 


dere la sospensione d’applicazione agli affari amichevolmente 
consigliatagli dal pontefice Benedetto XIV (1). 

i; Non è a stupire, dico, che questo fatto, in se stesso uni- 
| camente considerato, abbia prodotto una certa impressione sui 
nostri storiografi e trattili a conseguenze poco favorevoli al carat- 
tere del nostro grande statista. Vuolsi però notare, che a questo un 
‘ altro fatto essenzialissimo già aveva preceduto, e fu che l’Ormea, 
nientemeno che cinque anni prima della sua morte, aveva già 
data la sua dimissione da ministro al re Carlo Emanuele III, 
e che questi, accettatala, aveva già persino designato il mini- 
stro chiamato a succedergli, come senza dubbio sarebbegli suc- 
ceduto, se, mentre se ne attendeva il consenso, per una specie 
di fatalità, una imprevista circostanza, sorvenuta ad un tratto, 
non avesse sconcertato gli adottati segreti accordi, protraendone 
la effettiva esecuzione a dieci anni dappoi. 


(1) Nella Storia della Diplomazia della Corte di Savoia, a proposito della 
morte del marchese Ferrero d’Ormea, occorsa il 24 maggio 1745, si legge: 
“ La malattia recavagli fiere doglie, l'animo aveva perturbato dal sopram- 
montare degli emuli; pure fuggiva il riposo, che gli era necessario ,. Bene- 
detto XIV gli scriveva: “ Abbiamo sempre creduto che il riposo del corpo 
e la quiete dell’animo dovessero essere l’unico e vero rimedio pel suo male... 
Una sospensione d’applicazione, accordata dal Sovrano per il ristabilimento 
del suo principale ministro, a prima vista, può sembrare un buon mezzo 
termine per vedere in appresso che cosa debba farsi; si apre il campo a 
ritornare alla testa degli affari; se poi non siegue, è d’uopo conformarsi 
alla volontà di Dio, e prendere un tenore di vita lontano dallo strepito, 
e dato agli affari domestici e, quello che più importa, ai pensieri dell’e- 
ternità. 

“ Il buon papa (nota qui l’illustre storico) conosceva il male e additava 
il rimedio; ma il farmaco era ostico all’infermo più del morbo istesso; chè 
volea quello “ strepito , delle faccende, e la “ sospensione d’applicazione , 
che il re gli dava in effetto, non era da lui richiesta, e non l'avrebbe ri- 
chiesta mai. Onde rispondeva: “ Sono persuasissimo che il consiglio che, 
V. Santità si degna darmi di non applicare, mi è necessario... La costitu- 
zione di questo governo (conchiudeva l’Ormea) vuole che io sacrifichi quel 
poco di vita che mi rimane, per far tacere gli emuli della mia carica, che 
non sono pochi, e per fare che nello spirito del Sovrano non nascano certe 
impressioni, alle quali cercherebbero poi di dar pascolo ,. 

Debbo però io pure qui notare, che tre soli giorni prima della surri- 
ferita risposta dell’Ormea, e così il 3 febbraio 1745, egli stesso già un’altra 
ne aveva spedita al papa, nella quale, meglio spiegando il suo concetto, 


594 DOMENICO PERRERO 


Gli è questo episodio, rimasto sinora inavvertito, che mi 
propongo di trarre alla luce mediante i relativi documenti, 
troppo importanti perchè debbano più oltre lasciarsi nell’oblio, 
in cui giacciono da oltre un secolo e mezzo (1). 

Quando l’Ormea, il 3 febbraio 1745, scriveva a Bene- 
detto XIV: “ È già da qualche tempo che vo seriamente pen- 
sando all’eternità ,, diceva del miglior senno ed enunciava un 
fatto, che, per quanto enigmaticamente espresso, non lasciava 
di essere una verità. — Verso il 1740, dopo percorsa una lunga 
carriera, non meno luminosa che agitata e faticosa, il marchese, 
uomo essenzialmente religioso, non potendo dissimularsi, che la 
sua salute andava declinando, sentiva il bisogno d’interporre 
fra i pensieri di Stato, e l’eternità, che si approssimava, un 
intervallo di riposo e di raccoglimento. Tanto più che, a fronte 
della pace di Vienna del 1738, che accresceva il regno di due 


così gli scriveva: “ È già da qualche tempo che vo seriamente pensando 
all’eternità... Pocurerò dunque di andar trattenendomi alla meglio che potrò 
nella presente dura mia situazione, sino a che mi veda ridotto al segno 
di non poter più assolutamente applicare, o che qualche fondata speranza 
di prossima pace mi dia plausibile motivo di ritirarmi dagli affari... ,. 

Questa prima risposta, trascurata dallo storico, restringe ciò che di 
troppo ampio e generico parevano accennare le espressioni della seconda, 
isolatamente presa, in quantochè, in quella, l’Ormea prestabiliva un ter- 
mine, entro il quale prendeva verso il papa l’impegno di ritirarsi dagli 
affari, e sarebbe stato quando la pace coi Franco-ispani gli avesse pòrto 
un plausibile motivo di ritirarsi onoratamente a fronte de’ suoi emuli. — 
Nè questa era già una mera scappatoia campata in aria; giacchè, verso 
quei giorni appunto, qualche segreto passo per una trattativa di pace, 
erasi indirettamente fatto per parte del marchese d’Argenson, ministro 
sopra gli affari esteri di Francia. Onde non è a stupire se l’Ormea pro- 
vasse una estrema ripugnanza ad abbandonare la direzione degli affari, 
per lasciar forse a’ suoi rivali i frutti e la gloria di una pace, divenuta 
ormai probabile, e dovuta principalmente al senno e all’opera sua, e se, 
quindi, sino all’ultimo, tanto cercasse di illudersi sul vero stato della sua 
salute. 

Si alterano, adunque, scindendole, le dichiarazioni fatte dall’Ormea a 
Benedetto XIV, dando un senso assoluto al diniego di chiedere la sospen- 
sione d’applicazione agli affari, che era soltanto relativo alle circostanze, 
in cui il marchese versava e quindi condizionale, come già lo aveva pro- 
vato col fatto, secondochè viene esposto nel testo. 

CaruTI, vol. 4, p. 231. — Curiosità e Ricerche, vol. 3, p. 535. 

(1) Archivi di Stato, Lettere ministri, Inghilterra. 


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A E a TI 


UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 595 


province; della fine delle controversie ecclesiastiche per mezzo 
dei concordati di Benedetto XIV; e dal ristabilimento delle 
relazioni diplomatiche con Venezia, ben poteva, senza troppo 
orgoglio, dire a se stesso di avere oramai abbastanza faticato 


‘per la sua gloria e per il bene del paese. 


Se non che, lo teneva tuttavia irresoluto il pensiero di 
aprire, col suo ritirarsi dagli affari, l’adito agli emuli di sot- 
tentrargli nella carica, e di procurar loro, così, facile il mezzo 
di denigrarlo, con insidiose insinuazioni, presso il principe e 
farlo fors'anche cadere in disgrazia. Si avvisò quindi di ricor- 
rere ad un ripiego, e fu di far gradire al re, in anticipazione, 
un successore nel ministero, di sua scelta e confidenza, da no- 
minarsi nell’atto stesso, in cui verrebbe accettata la sua dimis- 
sione, per modo che i di lui emuli, venendo in cognizione di 
questa, trovassero, nel tempo stesso, l'ambito suo posto già 
irrevocabilmente preoccupato. 

Ho parlato di emuli in numero plurale, come faceva l’Ormea; 
ma sono d’avviso, che, in sostanza, la persona da lui presa di 
mira, se non unicamente, certo principalmente, era senza dubbio 
il marchese Leopoldo del Carretto di Gorzegno, come quegli, 
in cui concorrevano maggiori titoli per aspirare a quel mini- 
stero, e contro il quale più vivi e più antichi covavano nel 
marchese i rancori. 

Egli, infatti, come primo uffiziale della segreteria degli 
affari esteri fin dal 1732, si trovava il più prossimo, e quindi 
il più naturalmente chiamato al posto vacante, egli, inoltre, in 
detta qualità, possedeva già da lunga mano, non solo la neces- 
saria notizia dei più importanti affari dello Stato, ma ancora 
la pratica esperienza nel maneggio loro, come quegli, che già 
da tempo, per causa della lunga malattia dell’Ormea, riceveva 
le istruzioni direttamente dal re, e presentava i dispacci alla 
firma reale, egli, infine, posto, pel suo uffizio, a fianchi del re, 
e quindi in condizione di potere, meglio di ogni altro, far sor- 
gere ed alimentare nello spirito del Sovrano quelle insidiose 
impressioni tanto dall’Ormea paventate. 

Nè i motivi di reciproci rancori personali mancavano. 
L’Ormea era, notoriamente, altiero e duro ne’ suoi portamenti 
co’ subalterni; d’altra parte, il Gorzegno e per nascita e pel 
lungo servizio e per carattere, non era un subalterno ordinario 


596 DOMENICO PERRERO 


da subire facilmente le opinioni altrui, e men che meno da tol- 
lerare umiliazioni. Indi ne’ consigli e ne’ maneggi degli affari 
del loro dicastero, non infrequenti fra essi gli urti, indi le ge- 
losie e le esacerbazioni tanto più ostinate, quanto più profonde. 
Come mai dubitarne quando si vede il Gorzegno, poco dopo la 
morte dell’Ormea, accusarlo a dirittura, presso il conte di Rivera, 
nostro ambasciatore a Roma, d’avere carpita l'eredità del cardi- 
nale Ferrero, suo congiunto, per mezzo dell’abate Giussano? (1). 

Un torto soprattutto aveva il Gorzegno agli occhi del 
marchese d’Ormea, ed era quello di essere stato da una voce 
pubblica, allora corsa, ritenuto quale autore del famoso patto 
provvisionale sottoscrittosi fra la Sardegna e l’Austria il 1° feb- 
braio 1742, patto considerato a quei giorni e anche dappoi, 
come un capolavoro di sagacità politica. Era quindi naturale, 
che l’Ormea, il quale tutta se ne attribuiva la gloria (e a buon 
diritto, come è generale opinione) riguardasse il suo emulo, 
innocente forse di quella voce, come invidioso usurpatore dei 
suoi meriti. Della detta voce fa fede una nota apposta all’ Elogio 
storico di Carlo Emanuele ITI, del conte Orsini, nella quale si 
dichiara alla recisa il marchese di Gorzegno, autore del patto 
anzidetto (2). 

Del resto, se incerto e discutibile è rimasto il nome del- 
l’emulo, contro il quale l’Ormea credette doversi premunire nel 
modo sopra indicato, tutt'altro è da dirsi di quello del succes- 
sore oppostogli, nome chiaro nella storia della nostra diplomazia 
quant'altro mai; intendo parlare del cav. Ossorio, in quel tempo, 
vale a dire nel 1740, da più anni ambasciatore a Londra, e sul 
quale appunto, come sull’uomo fatto secondo il cuor suo, cadde 
la scelta dell’Ormea. 


(1) Questo Abate, intimo del marchese d’Ormea, che l’aveva posto al 
fianco del cardinale Ferrero, specialmente nel Conclave, come l’angelo suo 
custode, conforme allora dicevasi, — avendo brigato a Roma, presso il 
conte di Rivera, per qualche benefizio, diede occasione al Gorzegno, succe- 
duto all’Ormea nel ministero, di farne il seguente, poco lusinghiero, ritratto, 
in lettera del 10 maggio 1747: “ Si l’abbé Giussan a été si protégé par 
feu le marquis d’Ormea, il n'y a pas de quoi s’étonner, puisque c’était 
celui è qui il avait confiée la garde du cardinal Ferré, et qui lui a fait 
faire le testament en faveur de ce ministre. Mais ne croyez pas que le roi 
soit entéèté d’un si mauvais sujet ,. 

(2) Torino, 1793, Fea, p. 17. 


Pelia e iii _._élo@mi ib li tti e trae 


UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 597 


Questa scelta, in se stessa, non poteva a meno di dirsi 
utile per lo Stato e soprattutto opportuna per l’Ormea, che 
l'aveva fatta. In lui il Governo acquistava un ministro abile e 
probo, uno statista versatissimo in tutti i rami del diritto pub- 
blico e un politico formatosi di lunga mano alla scuola dei 
migliori centri diplomatici d'Europa. L’Ormea poi lasciava dietro 
di sè un successore, che, vissuto quasi sempre lontano dal Pie- 
monte, e senza attinenze di sorta alcuna, era al tutto estraneo 
ai partiti ed agli intrighi della corte e dell’alta società della 
capitale: un successore, inoltre, che da lui riconoscendo la sua 
elevazione, doveva credersi, che e per gratitudine e per lo stesso 
suo interesse, non avrebbe mai fatto causa comune coi di lui 
avversari. 

Come il re siasi prestato a questo giuoco dell’Ormea non 
è facile spiegare, salvochè vogliasi supporre, non senza buon 
fondamento, che esso, stanco omai del sopravvento presogli 
dal troppo imperante ministro, abbia colto il destro, che se gli 
offeriva, qualunque esso fosse, di liberarsene. 

Cheechè ne sia, certo è che il re vi diede il suo assenso; 
e l’Ormea con lettera segreta delli 8 ottobre 1740, ne dava 
l’inatteso annunzio al cav. Ossorio a Londra nei seguenti ter- 
mini: “ Sa Majesté, se trouvant dans le cas de devoir faire 
quelque variation dans sa secrétairerie, s'est proposé à vous des- 
tiner è celle d’État pour les affaires étrangères en qualité de 
ministre et premier secrétaire d’État, ainsi qu'elle m’a ordonné 
de vous instruire par la présente qui vous sera rendue par le 
correspondant de M. Moris. Ce ne sera pourtant qu’après que 
Jaurai recue votre réponse, que S. M. publiera votre destina- 
tion, parce que com’elle compte de se servir de vous dans le 
dit emploi pendant longtems, elle souhaite que vous me mar- 
quiez auparavant, avec toute la franchise et toute l’ingénuité 
dont vous avez toujours fait profession, si vous croyez que 
votre santé soit dans un état è pouvoir fournir aux fatigues 
de l’emploi, dont il s'agit, et si vous ne vous sentez pas quelque 
répugnance à une certaine géne qu’y est attachée, laquelle n'est 
pourtant pas extraordinaire; en quoi je m’'attens que vous me 
direz naturellement ce que vous en pensez; d’autant que, si 
vous eussiez quelque raison pour ne pas l’accepter, il ne man- 
querait point è S. M., comme vous n’en devez pas douter, 


598 DOMENICU PERRERO 


d’autre moyen pour recompenser le zèle avec lequel vous la 
servez si utilement depuis un assez longtems. 

“ Si vous vous déterminez è l’accepter, il faudra que vous 
n'en disiez ni fassiez encor rien connaître, et que vous attendiez 
qu'on l’ait publié ici après qu'on aura eu votre réponse, mais, 
en attendant, vous pourriez commencer à faire dans votre maison 
les arrangemens que vous jugeriez convenables, pour vous mettre 
en état de partir au premier avis qu'on vous en ferait parvenir. 

«“ Kn exécutant ces ordres du roi, je ne puis me refuser 
de vous assurer, monsieur, que c'est du meilleur de mon coeur 
que je désire que vous y trouviez vos satisfactions et vos 
avantages auxquels je prens et prendrai toujours un intérét 
distingué. Je vous prie de vouloir en étre bien persuadé et de 
croire qu'on ne peut rien ajouter au très partait attachement 
avec lequel j'ai l’honneur d’étre votre très humble, très obéis- 
sant serviteur, etc. ,. 

Stando a questa lettera, il cambiamento nel ministero po- 
teva oramai dirsi vicino a diventare un fatto compiuto. L'ordine, 
a tale riguardo, del sovrano, era positivo e preciso; il consenso, 
anzi il gradimento, del ministro uscente era esso pure, non solo 
positivo, ma anche espresso in termini tali di benevolenza e 
persino di una specie di cordialità, che, certo, non era solita 
nell’Ormea co’ suoi subalterni e rara ben anche co’ suoi stessi 
amici. Cosicchè null'altro più mancava al perfezionamento della 
cosa, se non il consenso dell’Ossorio, il quale, del resto, veniva 
già senz'altro presupposto, dappoichè lo s’invitava già a fare 
nella sua casa gli apprestamenti convenienti alla nuova sua 
posizione. i 

È facile immaginarsi l'impressione dalla lettera dell’Ormea 
prodotta nell'animo dell’Ossorio. La seguente sua risposta al- 
l’Ormea del 24 ottobre 1740, colla quale gli significava la sua 
accettazione, ben meglio di tutti ritratti tracciatine dagli sto- 
rici, ci rappresenta, a mio avviso, la figura ed il carattere di 
questo quanto insigne altrettanto modesto ministro: “ V. E. 
peut aisément se figurer l’effet qu'a produit en moi, la lettre 
qu'elle m’a fait l’honneur de m'écrire le 8 de ce mois et de 
m’adresser par la voie du correspondant de M. Moris, pour 
m’apprendre que S. M. a daigné porter sa clémence à mon 
égard jusqu’au point de se proposer de me destiner à un emploi 


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sità a 


UN SEGRETO EPISODIO DELLA VILA MINISTERIALE, ECC. 599 


aussi délicat et aussi important que celui dont V. E. m'a fait 
mention: c'est une gràce si fort au-dessus de toutes les paroles 
que j'en chercherais envain pour exprimer ma reconnaissance; 
je sens que quoique je puisse dire, ce ne serait pas seulement 
la moité de ce que je penserais. 

“ Mais, si, par cette nouvelle gràce aussi bien que par 
toutes celles que S. M. m’a déjà faites, j'ai la consolation de 
ne pouvoir pas douter qu'elle ne rende justice è mes sentimens, 
n’ai-je pas tout lieu de craindre en revanche que ma trop 
longue absence du pays pourrait m’avoir été trop favorable 
pour y laisser concevoir une idée plus avantageuse que je ne 
mérite par rapport è mes talens? Bien des défauts se rendent 
imperceptibles è une certaine distance; le zèle que je sens que 
Jai, et qui est véritablement infini pour ce qui regarde le par- 
faite accomplissement de mon devoir, autant qu’il est en moi, 
parce que j’ose dire hardiment qu'il va méme jusqu’au scrupule, — 
peut, è ce que j'ai sujet d’appréhender, avoir contribuer à faire 
juger plus prompts et plus à la main que je ne les ai, les 
talens qu'il faut pour le mettre en ceuvre; dans le loisir que 
Jai toujours eu jusqu'ici, de n’avoir, pour ainsi dire, qu’un seul 
et unique ordre à exécuter, mon zèle peut avoir eu toute la 
facilité et tout le tems de suppléer au manque de promptitude 
dans les talens, mais peut-étre que plus d’ordres et plus d’af- 
faires découvriront mon insuffisance. Je supplie V. E. d'étre 
persuadée que ce n’est pas pour montrer de la modestie que 
je parle de la sorte, comme croieraient devoir faire, en pareil cas, 
bien des gens, qui n’auraient ou ne penseraient pas d’avoir 
tant de sujet que moi, de se méfier d’eux-mémes, — mais parce 
que réellement je sens ce que je dis ,. 

Dopo questo preambolo, passando senz'altro, alla sostanza 
delle domande indirizzategli, così proseguiva: “ Ayant exposé 
naturellement toute la crainte dont je suis saisi è l’égard de 
ma capacité, jaurai l’honneur de répondre à présent aux deux 
questions de la lettre de V. E. touchant l’état de ma santé et 
touchant l’assujettisment è une certaine géne. 

«“ Ma santé qui était dans un très mauvais état il y a 
deux ans, s'est un peu remise depuis ce tems-là, mais elle en 
est restée là et n'a pu encore se rétablir entièrement; un voyage, 
un changement d’air pourraient me faire un grand bien et il 


600 DOMENICO PERRERO 


pourrait aussi en arriver autrement: dans l’état où je suis 
maintenant, il n'y a que des abattemens de tems en tems qui 
m’incommodent le plus. — Quant è la répugnance pour un as- 
sujettisment, je n’en sens aucune; je me suis proposé, dès le 
premier jour que j'ai été assez heureux pour étre admis au 
service du roi, d’y consumer le restant de mes jours, et tant 
que mes forces me le permetteront et que l'on me jugerait 
capable d’etre employé, de ne vouloir jamais étre un serviteur 
inutile. 

“ Après avoir rendu compte avec toute la franchise et toute 
l’ingénuité que je dois et dont je ne me départirai jamais, de 
tout ce que je puis dire et penser sur mon sujet, il ne me reste 
qu'à attendre, avec un coeur tranquille, que S. M. daigne décider 
ce qu'elle jugera plus convenable è son royal service, prét è 
exécuter ses ordres quels qu’ils puissent étre non seulement avec 
toute la soummission et promptitude requises, mais aussi avec 
la joye la plus parfaite, ne me sentant d’autre volonté que 
celle d’obéir è ce qu'il lui plaira ordonner, et de lui montrer, 
toute ma vie, mon zèle, ma reconnaissance et l’amour avec 
lequelle j'ai l’honneur de la servir. 

“ Dans l’incertitude de la résolution que S. M. prendrà, 
je ne fais nul arrangement pour le départ; je ne pourrais d'ail- 
leurs en faire presque aucun de considérable qu'il ne donnàt 
d’abord occasion è bien de bruits et è m'’entendre faire mille 
questions, cette grande ville ayant, sur certaines choses de 
cette nature, le méme défaut que les plus petites; mais, de 
quelque manière que S. M. daigne disposer de moi, cela ne 
saurait apporter beaucoup de retardement à l’exécution de ses 
ordres ,. 

Se non che, anche all’Ossorio accadeva, malgrado tutta la 
sua modestia e delicatezza, ciò che a tutti generalmente i nostri 
ambasciatori residenti nelle principali capitali europee, d’aver 
ad incontrare più o meno debiti, per cagione soprattutto della 
grande sproporzione tra le spese d’ogni genere, a cui la loro 
qualità li obbligava, e le provvigioni loro dal governo assegnate, 
e, spesse volte, anche del ritardo nel farle loro pervenire. La 
possibilità di una improvvisa partenza da Londra doveva non 
poco impensierire e mettere alle strette il povero ambasciatore 
nella necessità, in cui era, per conservare il debito decoro al- 


e e -_ 


UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 601 


l’alto posto, a cui era chiamato, di liberarsi onorevolmente dagli 
impegni incontrativi; ed a questo appunto mirava coll’ultima 
parte della sua risposta: “ Je supplie V. E. (ivi diceva), en cas 
qu'il s’agisse d’effectuer mon départ, de vouloir me faire la 
gràce de se rappeler le long séjour que j'ai fait ici, et les 
humbles rémontrances que j'ai pris la liberté de lui faire en 
plusieurs occasions, sur les dépenses auxquelles j'ai été obligé 
et qui ont excédé les moyens que j'ai eu d’y fournir: la bonté 
et la clémence de S. M. me donnent tout lieu de me flatter 
que jaurai sur ce sujet la consolation que je désire tant pour 
mon repos que pour ma réputation. 

“ Je ne saurais assez témoigner à V. E. combien je suis 
sensible et reconnaissant è la bonté avec laquelle Elle veut 
bien prendre intérét è ce qui me regarde; j'ambitionne rien 
tant que d’en mériter la continuation, ayant l’honneur d’étre 
avec une reconnaissance infinie et la plus parfaite vénération, 
Monsieur, de V. E. très humble, obéissant et très devoué ser- 
viteur, etc. ,. 

In quella che la pratica, sì bene avviata, ne faceva sperare 
omai prossima la definitiva conclusione, un grave avvenimento, 
inopinatamente sorvenuto nel breve intervallo corso fra la let- 
tera del marchese d’Ormea e la risposta dell’Ossorio, gettando 
lo scompiglio fra le principali potenze d'Europa, sconcertò, ad 
un tratto, le prese intelligenze e ne rimandò l’esecuzione a 
tempo indeterminato; voglio dire la morte, occorsa il 20 8bre 
1740, dell’imperatore Carlo VI d’Austria, autore della famosa 
prammatica Sanzione, per mezzo della quale erasi ripromesso 
di conservare nella sua interezza la monarchia e farla passare 
sul capo a Maria Teresa, sposa a Francesco di Lorena. A que- 
st'opera buona parte della sua vita egli aveva dedicato, trava- 
gliandosi, con tutte le più fine arti della diplomazia imperiale, 
presso le varie corti d'Europa, per ispuntare, che da esse ve- 
nisse accettato e guarentito l’ordine di successione da lui sta- 
bilito. Ed ottenne, infatti, che quasi tutte vi prestassero il loro 
consentimento; ma quanta e quale ne fosse la sincerità, il fatto 
ben lo rese manifesto. Perciocchè, non appena egli mancò di 
vita, 1 pretendenti alla successione austriaca sorsero da ogni 
parte, e fra essi era ben naturale, che dovesse altresì figurare, 
per le sue ragioni sul ducato di Milano, in ispecie, Carlo Ema- 


602 DOMENICO PERRERO 


nuele, e tanto più naturale, quantochè egli era forse il solo fra 
tutti que’ concorrenti, che si era sempre recisamente dichiarato 
contrario alla prammatica sanzione. 

In questo stato di cose, era inevitabile una grande pertur- 
bazione negl’interessi e nelle relazioni delle diverse potenze 
europee, e quindi anche un cambiamento più o meno radicale 
nelle reciproche loro alleanze. Gli è nelle previsioni di questo 
nuovo ordine di cose, e sotto l'impressione degl’importanti av- 
venimenti, che dovevano bentosto tenergli dietro, che il mar- 
chese d’Ormea, il 19 9bre seguente, rescriveva quest'altra let- 
tera, in replica a quella surriferita del cav. Ossorio: 

«“ Monsieur, j'ai regu par l’estaffette, qui arriva ici, il y a 
eu hier huit jours, votre lettre du 24 du mois passé, et, en 
ayant rendu compte au roi, Jai une véritable satisfaction de 
vous apprendre, Monsieur, que S. M. a vu avec tout l’agrément 
que vous sauriez vous imaginer, les sentiments pleins de zèle 
et l’attachement que vous avez témoigné sur ce que je vous 
écrivis de sa part le 8 du susdit mois. S. M. ne peut attribuer 
qu'à un effet de votre modestie la crainte que vous laissez 
entrevoir de n’avoir point les qualités requises pour l’emploi 
en question, et elle y envisage méme avec plaisir une nouvelle 
preuve de votre capacité et de votre mérite, qui la confirme de 
plus en plus dans sa fagon de penser à votre égard. Pour ce qui 
est de votre santé, S. M. est aussi persuadé que le voyage ou 
le changement d’air seraient tout è fait propres è la rétablir 
entièrement; ainsi Elle ne peut qu’avoir lieu de persister dans 
la résolution dont vous étes instruit, comptant toujours en effet 
de vous faire remplir l’emploi auquel vous a destiné. 

“ Cependant (soggiungeva l’Ormea), depuis le grand évène- 
ment qui est arrivé, S. M. croit de devoir suspendre, pour quelque 
tems, ses déterminations, voulant voir auparavant la nouvelle 
face qu'il semble que les affaires d'Europe vont prendre, et cela 
d’autant plus qu'il se pourrait que l’on se trouvàt dans des 
conjonctures que votre personne lui devint encore plus néces- 
saire dans le pays où vous étes: en attendant, il faudra que 
vous continuiez è garder le plus grand secret sur cette affaire, 
et si vous aurez encore quelque chose è me répliquer, vous 
pourrez le faire en mettant sur votre lettre l’inscription à 
M. Raiberti. 


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UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 603 


“ Il me reste (conchiudeva in ultimo) è vous ajouter que 
le roi ayant pris en considération les représentations, que vous 
m’avez insinué de lui faire dans cette conjoneture, s'est déter- 
minée de vous accorder une gratification de quattre mille livres, 
ainsi que je vous en donne avis aujourdhui par la voie accou- 
tumée. 

«“ Je vous prie d’étre bien persuadé, Monsieur, que rien ne 
saurait égaler l’estime et la considération distinguées, avec 
lesquelles je serai toute ma vie, Monsieur, votre très humble, etc. ,,. 

Per tal modo, il povero Ossorio, scaduto, tutto ad un tratto, 
dall’eminente carica su cui stava per essere elevato, si trovò 
inopinatamente ridotto a dover starsene contento ad una magra 
gratificazione di lire quattro mila e ad una speranza a meta 
indefinita (e che doveva prolungarsi per oltre a dieci anni) di 
ottenere quello che gli si era per un momento fatto intravedere. 

La lettera dell’Ormea non esigeva, essenzialmente, una re- 
plica per parte dell’Ossorio, giacchè la risoluzione annunziatagli 
era in se stessa definitiva, e quindi all’ambasciatore non era 
lasciata altra parte, che quella di rassegnarvisi, e su questa 
rassegnazione il carattere e i precedenti del personaggio non 
permettevano il benchè menomo dubbio. E che così infatti in- 
tendesse la cosa anche lo stesso marchese, ben si vede dalla 
particella condizionale, con cui, prevedendo la possibilità di una 
replica, gli tracciava la via di fargliela pervenire, scrivendogli 
come sopra: “ Si vous avez encore quelque chose à me repli- 
quer, etc. ,. 

L’Ossorio, usando della libertà, a tale riguardo lasciatagli, 
stimò di potersi dispensare da una risposta, immaginandosi, 
come il segretario Raiberti ben osservava all’Ormea, che un 
rispettoso silenzio dal suo canto fosse ciò che meglio gli si 
addicesse in quella condizione di cose. Ma il marchese, che 
ovunque vedeva intrighi e pericoli, non si arrendeva a questa 
ragione, sospettando che, sotto quel silenzio non covasse per 
avventura qualche germe di malcontento e di dispetto, che, 
penetrato e abilmente coltivato da’ suoi emuli, potesse, col 
tempo, voltargli contro il solo ministro, sul quale faceva asse- 
gnamento per colorire i suoi disegni a danno del marchese di 
Gorzegno. Ond’era continuo ad instare presso il cav. Raiberti 
(unico consapevole di quella sotterranea evoluzione ministeriale), 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 42 


604 DOMENICO PERRERO 


perchè eccitasse l’Ossorio a rispondergli, come appunto egli fece 
con lettera del 21 gennaio 1741, nella quale, dopo esposta la 
penosa impressione prodotta da quel silenzio sull’animo del 
marchese, così conchiudeva: “ M’étant donc apergu de l’incer- 
titude où M. le marquis d’Ormea se trouve là-dessus, j'ai cru 
que je pouvais prendre la liberté de vous en avertir et de vous 
prier, Monsieur, de vouloir me mettre en état de le tranquil- 
liser, si vous n’aimez mieux, comme il serait plus naturel, écrire 
à lui-méme ce qui en est dans une lettre à part ,. 

A tranquillare il marchese d’Ormea, giunse finalmente la 
risposta dell’Ossorio, poco tranquillo esso stesso, nella sua mo- 
destia, sul vero significato, che dovesse attribuire a quel repen- 
tino cambiamento. A farglielo quindi portare in pace, il cav. 
Raiberti stimò bene, con altra sua lettera cifrata del febbraio 
seguente, di rassicurarlo, che la persona di lui vi era assolu- 
tamente estranea: “ Il est certain (così diceva in essa) que les 
dispositions que l’on vous a signifiées, subsistent toujours, et 
que ce n'est que la mort de l’empereur qui est cause qu'on ne 
les a pas exécutées d’abord, le marquis d’Ormea ayant consi- 
déré que son honneur et son zèle qu'il a par le service du roi, 
ne lui permettaient point de laisser les affaires étrangères dans 
un tems où elles devenaient fort sérieuses et ayant cru d’étre 
obligé de continuer è les diriger jusqu'à ce que l’on voye un 
peu plus clair dans celles de l'Europe; de sorte que je ne doute 
point du tout que d’ici è quelque tems l’on n’y revienne. Il n°y 
a que moi jusqu'à présent dans la secrétairerie qui soit instruit 
de votre destination, et je ne crois pas qu’aucun autre en ait 
connaissance, quoique le public auquel votre mérite est fort 
bien connu, lorsqu’on parle de promotions, vous destine toujours 
à la direction des affaires étrangères. 

«“ Je sens que je ne vous devrais point écrire tout ceci... 
mais l’intérét que je prends à tout ce qui vous concerne, et les 
sentimens de considération et d’amitié que j'ai pour vous, l’em- 
portent sur toutes autres raisons pour me déterminer à vous 
donner les éclaircissemens que je sais, sur une chose qui ne 
peut naturellement que vous avoir fait faire bien des réflexions, 
eloigné comme vous étes de connaître l’intérieur de ce pays ,. 

Tutto ciò era esattamente vero: ad ogni modo poi, era 
chiaro, che, nella previsione delle prossime e gravi conseguenze, 


UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 605 


che l'apertura della successione austriaca doveva trarre con sè 
rispetto al nostro paese, il marchese d’Ormea e per patriottismo, 
e per riguardo al suo passato e pel decoro proprio, non poteva 
assolutamente abbandonare ad altri, non, certo, più di lui ca- 
paci, il suo posto per ridursi a condizione di semplice spetta- 
tore degli avvenimenti. D'altra parte, il re sarebbe stato ben 
lontano dall’acconsentirvi, troppo apprezzando il vantaggio di 
conservarsi, in quelle difficili circostanze, alla testa del ministero 
un uomo della sua capacità ed esperienza diplomatica, che, da 
oltre dieci anni erane investito, colla riputazione già di lunga 
mano stabilita, presso i principali gabinetti d'Europa, di poli- 
tico e d'uomo di stato d’incontestabile merito. 

Non fu, ciò stante, difficile il persuadere l’Ossorio, che non 
già un cambiamento qualsiasi verso la sua persona, ma sì bene 
la sola necessità delle cose, vale a dire le più ovvie ragioni 
del ben pubblico rettamente inteso, erano causa, che, sospesa 
temporariamente la nuova sua destinazione, sì egli, come il 
marchese d’Ormea dovessero intanto continuare nelle rispettive 
loro cariche, come quelle che, nella condizione di cose allora 
esistente, da nessun altro ministro potevano venir disimpegnate, 
non che con maggiore, con eguale vantaggio dello Stato. E il 
fatto giustificò appieno la saviezza dell’adottate deliberazioni, 
essendo notori per le storie i molti eminenti servigi, che amendue 
hanno reso alla monarchia non meno che al paese nelle difficili 
circostanze che susseguirono. L’Ossorio, sopravvissuto, per molti 
anni, all’Ormea, ebbe la fortuna di veder coronati di felice suc- 
cesso i comuni loro sforzi, e di conseguire in ultimo (non però 
senza una nuova sosta ancora di più anni) l’alta destinazione, 
a cui, fin dal 1740, era stato chiamato per la dimissione dal 
suo ministero spontaneamente offerta dal marchese. Se non che, 
il rigoroso silenzio altamente convenuto fra le parti intinte nel- 
l’affare, avendo impedito al pubblico di penetrare ciò che avve- 
niva dietro le scene, l'opinione generale. invalse, che l’Ormea 
fosse indissolubilmente attaccato al suo ‘ministero, in modo da 
non risolversi mai ad abbandonarlo se non per forza. 

Giusta il concertato, d’ordine del re, fra il marchese d’Ormea 
ed il cav. Ossorio, al più tardi, la pace colla Francia e colla 
Spagna doveva segnare la fine del ministero del primo, ed il 
principio di quello del secondo, predestinatogli a successore. 


606 DOMENICO PERRERO 


L’Ormea mancò ai vivi il 24 maggio del 1745, quando la 
pace era ancora ben lontana, e tuttavia l’Ossorio, che, senza la 
morte dell’imperatore Carlo VI, avrebbe già ben prima dovuto 
succedergli, non succedettegli neanche alla morte di lui. La 
stessa necessità delle cose, che già aveva mandato a monte 
i primi concerti, attraversò anche insuperabilmente i secondi, 
in modo da dover subire, nel suo cammino verso il ministero, 
una nuova sosta di cinque anni circa, durante i quali, ebbe a 
sottostare a quel ministro appunto, per escludere il quale l’Ormea 
aveva rinunziato al suo posto a favore dell’Ossorio stesso. 

Questa necessità veniva dal re medesimo Carlo Emanuele 
spiegata e inculcata al cav. Ossorio, con apposito dispaccio 
particolare e segreto del 30 giugno 1745, tutto rivolto a ren- 
derlo capace delle ragioni, per cui stimava di dovere, una volta 
ancora, protrarre l'adempimento della fattagli promessa, a tempo 
indeterminato: 

“ La perte (scriveva il re all’Ossorio) que nous avons faite 
du marquis d’Orméa, nous mettant dans le cas de devoir lui 
nommer un successeur dans la charge, qu'il avait, de notre 
premier secrétaire d’État pour les affaires étrangères, sans que 
nous puissions, comme vous le jugez assez, différer longtems 
cette nomination, nous nous sommes rappelé les dispositions que 
nous avons eiles et que nous vous avons fait connaître avant 
la présente guerre par le feu marquis d’Orméa. — Si nous 
eussions tant seulement considéré qu'il ne vous manque aucune 
des qualités nécessaires pour bien remplir la dite charge, et que 
vous la méritez, qui plus est, par le sincère attachement que 
nous vous connaissons pour notre personne, de méme, que pour 
le zèle dont nous vous savons animé pour l’avancement de nos 
intéréts, auxquels vous avez de tout tems contribué beaucoup, — 
nous vous aurions fait venir dès à présent et nous vous l’aurions 
conféré; mais nous avons dù faire attention que si la continua- 
tion de votre séjour è la cour d’Angleterre a jamais été très 
importante pour notre service, c'est dans les circonstances sé- 
rieuses et critiques où l’on est aujourd’hui d’une guerre fort 
avancée, que nous avons principalement entreprise sur l’assu- 
rance d’étre soutenus et secourus de toute fagon par l’Angle- 
terre, et d'une grande apparence qu'on peut connaître, que les 
puissances belligérantes et sur tout les puissances maritimes, 


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Ù) 


lA std 


UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 607 


jouissent, ne peut tarder à se préter è des arrangemens pour 
la pacification générale. La confiance particulière que vous vous 
étes attirée, du roi d’Angleterre et de tous ses ministres, de 
méme que les connaissances et les liaisons que vous avez squ 
vous ménager auprès des personnes les plus accréditées de toute 
la nation anglaise, vous mettent dans une situation è pouvoir 
nous rendre des services qui ne nous seraient point rendus par 
quoi que se soit d’autres que nous enverrions pour vous rem- 
placer ,. 

La necessità, in cui era, di mantenere al suo posto in Londra 
l’Ossorio, malgrado i precedenti impegni, non poteva venir espressa 
in termini più onorifici e persuasivi, e, devesi anche aggiungere, 
più meritati, come i fatti ben posero in chiaro, avendo, durante 
i tre anni, che colà ancora risiedette, e in mezzo alle più sca- 
brose circostanze in cui mai siasi trovato il Piemonte, massime 
nell'occasione delle trattative segrete col ministro francese 
Champeaux, saputo mantener salda, efficace ed operosa l’ami- 
cizia del re e del gabinetto britannico a sostegno del nostro 
paese. 

Questa necessità ne traeva seco un’altra, ed era quella di 
costituire anche di diritto capo del ministero sopra gli affari 
esteri quello, che, da qualche anno, tale poteva già dirsi di 
fatto per la lunga malattia dell’Ormea, vale a dire il marchese 
di Gorzegno. Gli è a questa necessità, che il re Carlo Emanuele 
alludeva, continuando, nel suo dispaccio segreto, a scrivere al- 
l’Ossorio ne’ seguenti termini: 

“ D’autre part, nous avons réfléchi que les dites circons- 
tances fort délicates exigent que la charge de premier secré- 
taire d'Etat soit occupée présentement par quelqu'un qu'à la 
parfaite connaissance des affaires principales, joigne aussi celle 
de plusieurs autres particulières lesquelles ne sont pas moins 
essentielles pour notre service, s'agissant, entr’autres, des affaires 
relatives aux opérations de la campagne, qui vont commencer 
d’un jour è l’autre; de sorte que, comme le marquis de Gor- 
zegno est précisément celui qui se trouve avoir aujourd’hui 
cette double connaissance par le long tems depuis lequel il 
travaille aux affaires étrangères, qu'il a méme eu occasion de 
diriger pendant la longue maladie du marquis d’Ormea, nous 
avons cru qu'il convenait essentiellement è notre service de le 


608 DOMENICO PERRERO 


nommer à la dite charge, ainsi que nous venons de faire (1), 
évitant ainsi de nous mettre dans l’embarras où nous ne pour- 
rions que nous trouver, si outre de la conférer è un auquel, 
non obstant sa grande capacité et toute l’étendue de ses lu- 
mières, il faudrait un tems pour prendre le fil et la routine de 
toutes les affaires courantes, nous dussions envoyer un nouveau 
ministre è la cour où vous étes, dans les conjonctures où il n’y 
a que vous qui puissiez conduire nos intéréts à notre plus grand 
avantage, et d’une manière propre è remplir notre attente. 

“ Cependant (soggiungeva il re), comme cette nécessité où 
nous sommes de vous préférer aujourd’hui le marquis de Gor- 
zegne dans un emploi que nous n’aurions point hésité à vous 
conférer dans d’autres circonstances, n'est produite principale- 
ment que par le plus grand bien qui doit résulter à notre ser- 
vice de la continuation de votre séjour à la cour d’Angleterre, 
où nous sommes persuadés que vous ne cesserez point de prouver 
votre zèle pour nos intéréts avec le méme empressement et le 
méme succès que vous avez fait jusqu'ici, — nous sommes bien 
aises de vous dire que les bonnes dispositions où nous avons 
toujours été à votre égard, et la sincère envie que nous avons 
de vous en faire ressentir les effets, n'en deviennent que beau- 
coup plus fortes, ayant pour cela à vous prévenir que dès aus- 
sitot que les affaires plus essentielles que vous avez par les 
mains, seront terminées ou auront prise une tournure un peu 
solide, nous comptons de vous faire venir d’Angleterre et de 
vous donner auprès de nous une destination dans laquelle vous 
trouverez vos convenances tant pour ce qui est de l'utile qu'à 
l’égard de l’honorifique, et qui en répondant è l’entière con- 
fiance que nous avons dans votre fidélité et vos lumières, vous 
mettra aussi à portée de continuer è nous donner des preuves 
du zèle empressé que vous avez toujours eu pour notre service ,. 

Lo stile troppo diffuso, contorto e un po’ pesante di questo 
dispaccio, accusa chiaramente, non solo la penna tuttora titu- 
bante del nuovo primo uffiziale, il Raiberti (2), ma ancora, e 
soprattutto, l'imbarazzo di chi si trova nella incresciosa neces- 


(1) La patente di nomina del marchese di Gorzegno, concepita in ter- 
mini molto per lui onorifici, porta la data del 2 luglio 1745. 
(2) Nominato con patente del 3 luglio 1745. 


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| 


UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 609 


sità di ritirarsi da un impegno contratto e di dover quindi 
coonestare agli occhi della persona verso cui si era preso, la 
disdetta, e di rendergliela al più possibile tollerabile. Di qui 
quel troppo frequente ritornare sui meriti e sui passati servigi 
dell’Ossorio, che vi fa per poco la figura di una vittima, che 
s'incorona per essere sacrificata; di qui pure quel soverchio 
insistere nella fiducia espressa, che egli non avrebbe cessato 
dal mostrarsi sempre egualmente zelante e premuroso pel regio 
servizio, ecc.; insistenza, che poteva far arguire nell'animo del 
re un dubbio a tale riguardo, che non esisteva punto. — Quello 
però che preoccupava soprattutto, e a buon diritto, il re, si 
era, che il segreto su tutta questa pratica, fosse col maggiore 
scrupolo possibile mantenuto per molti rispetti e massime per 
un delicato riguardo, che naturalmente s’imponeva, verso il 
marchese di Gorzegno. Quindi è che il re così conchiudeva il 
suo dispaccio : 

“ Nous avons jugé à propos de vous faire confidemment 
cette dépèéche pour pouvoir vous marquer à coeur ouvert nos 
sentimens, et quoique nous ‘ayons lieu de nous promettre de 
votre prudence et de votre sagesse, que vous les garderez pour 
vous seul et ne les laisserez jamais transpirer, nous ne laissons 
point de vous le recommander, ayant plusieurs raisons que vous 
pouvez aisément vous imaginer, pour souhaiter qu’ils n’en soient 
connus par qui que se soit d’autres. Nous vous assurons vo- 
lontiers, à cette occasion, de l’estime particulière que nous faisons 
de votre personne, aussi bien que du plaisir que nous nous 
ferons toujours, de vous accorder notre protection la plus spé- 
ciale. Sur quoi nous prions Dieu qu'il vous ait en sa sainte 
garde. A Turin, le 30 juin 1745. OC. EMANUEL ,. 

Difficilmente negli annali del principato assoluto si troverà 
un altro esempio di un principe, che, come qui Carlo Emanuele, 
siasi degnato, mettendosi, per così dire, al pari con un suo 
suddito, di giustificare presso di lui l’elezione fatta di un fun- 
zionario, e di scusarsi quasi di averglielo preferito. Il certo si 
è che la cosa non può non tornare a grande onore del re, che 
non temette d’abbassarsi rendendo omaggio al merito e alla 
data parola, e del ministro, che. nè invanito di quella insolita 
dimostrazione di stima, nè irritato pel subìto disinganno, seppe 
mantenersi uguale e consentaneo a se stesso con una semplicità 


610 DOMENICO PERRERO 


tutta propria del suo carattere, della quale visibilmente s’im- 
pronta ogni linea della seguente risposta del 21 luglio 1745, 
ch'egli da Londra fece al dispaccio reale anzidetto: 

“ Sire, ce serait envain que je chercherais des termes pour 
exprimer tout ce que j'ai senti à la vue d’une si grande bonté 
et clémence que V. M. n'a pas dédaigné de me montrer par 
la dépéche secrète qu’Elle m’a fait la grace de m’écrire du 
80 du passé, e dont je n’aurai garde de ne laisser jamais trans- 
pirer une seule sillabe. Il ne me reste donc d’autre parti è 
prendre, en me donnant l’honneur de répondre sur le contenu 
d'une si gracieuse dépéche, que d’avouer naturellement toute 
la confusion où je suis de ce que je ne pourrai jamais étre 
capable, ni par mes paroles ni par mes actions, de témoigner 
suffisamment tout le zèle et tout l'amour que j'ai et que jJ'aurai 
toute ma vie pour le service de V. M. Comme je n'ai que cet 
objet qui me tienne au coeur, l'amour propre ne m’a point 
aveuglé, et j'ai toujours pensé, Sire, à l’égard de l’emploi pour 
lequel V. M. avait bien une fois voulu jeter les yeux sur moi, 
tout comme je pris la liberté de le protester lorsqu'on m'’en 
informa par son ordre; de sorte que la disposition que V. M. 
en a fait en faveur du digne ministre qui l’exerce présentement, 
m'a causé la joie la plus pure. : 

“ Toute mon ambition, tous mes voeux sont remplis, Sire, 
si je puis mériter que V. M. daigne continuer è agréer avec 
la méme clémence, qu’Elle a eu jusqu’ici, l’ardent désir que 
Jai, de bien faire et de lui prouver, par toutes les actions 
de ma vie, autant que mes faibles forces et mon peu de lumières 
le permetteront, que l’on ne saurait étre avec plus de zèle ni 
avec plus de passion que je le suis, Sire, de V. S. et R. M. 
très humble et très obéissant, etc. ,. 

Ed in conformità appunto dello stabilito in questo dispaccio, 
susseguirono gli effetti. Il marchese di Gorzegno ebbe il mini- 
stero degli affari esteri, e vi si comportò in modo, in mezzo 
alle più scabrose circostanze, nei cinque anni circa del suo 
esercizio, che ben si può dire, essere stato l'avvenuto scambio 
appena avvertito. E il cav. Ossorio continuò a risiedere a Londra, 
coadiuvando il ministro nel disbrigo degli ardui affari a lui 
commessi, con lo stesso zelo e la stessa attività, che per l’ad- 
dietro, sin dopo la sottoscrizione del trattato di pace d’ Aquisgrana; 


| 


e —_ _-——_— Vv. —_—_v un 


e inni cà iis ditte 


UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 611 


nel qual tempo, cioè nel 1749, essendosi stabilito il matrimonio 
del duca di Savoia, principe ereditario, coll’infanta Maria Anto- 
nietta di Spagna, sorella del re Ferdinando VI, il cav. Ossorio 
fu mandato ambasciatore straordinario a Madrid per chiederne 
la mano ed accompagnare la sposa alla volta del Piemonte. 

Il 30 maggio 1750, avendo il re conferito al marchese di 
Gorzegno la carica di gran Ciambellano, quattro giorni dopo, 
nominava a suo successore in quella di primo segretario di Stato 
per gli affari esteri il cav. Ossorio, il quale, per tal modo, ot- 
tenne finalmente, dopo dieci anni d’aspettativa, il posto promes- 
sogli, un po’ tardi, è vero, ma colla coscienza almeno di non 
aver concorso, anche solo involontariamente, ad una ingiustizia 
e ad una vendetta, che avrebbero poco felicemente inaugurato 
il suo ministero. 

Il Gorzegno poco godette della nuova sua carica, essendo 
mancato ai vivi appena 25 giorni dopo ottenutala, e mancato 
povero al segno, che le quattro sue figlie ebbero per grazia di 
ricevere dal re una dote di lire sei mila caduna! 


612 


Sunto della Memoria: 


Federico Herbart e la sua dottrina pedagogica; 


del Socio GIUSEPPE ALLIEVO. 


L’autore esordisce con brevi cenni intorno la vita, le opere, 
le idee filosofiche di Federico Herbart, poi passa a delineare il 
disegno generale della pedagogia herbartiana, con alcune con- 
siderazioni preliminari riguardanti la scienza e l’arte dell’edu- 
care, l’unità scientifica della pedagogia ed il fine dell'educazione, 
l’individualità dell'alunno e la coltura molteplice ed egualmente 
distribuita. 

La Pedagogia generale di Herbart viene divisa in tre parti, 
che riguardano successivamente il governo dei fanciulli, l’istru- 
zione e la coltura morale. 

Il governo dei fanciulli apparisce necessario a fine di pre- 
venire il male, che conseguirebbe dalla intemperanza dei loro 
desiderii ed impedire lo stato di conflitto e di collisione nei 
rapporti sociali. La minaccia e la sorveglianza, l'autorità e l’a- 
more, la corrispondenza degli animi dell’educatore e dell’alunno 
sono i precipui mezzi, coi quali vuolsi procedere nel governo 
dei fanciulli. 

La teorica dell’istruzione tiene un gran campo nella peda- 
gogia herbartiana, tantochè sopra di essa ha il suo fondamento 
la stessa coltura morale. Il filosofo tedesco ripone il supremo 
principio direttivo dell'istruzione nell’interesse didattico: qui sta 
la nota originale della sua teorica. Essa non va ideata e distesa 
sulle facoltà dell'anima, che secondo lui non esistono punto, 
nè sulle scienze, le quali sono semplici materiali bisognevoli di 
essere trasformati secondo l’occorrenza, bensì sulle diverse guise 
di interessi, che si vogliono svegliare nell’alunno ammaestran- 
dolo; ma la sua dottrina su questo punto non regge, sia perchè 


li le 


613 


importerebbe l’esistenza delle potenze umane da lui negata, sia 
perchè l’interesse non è nè la sola, nè la suprema dote della 
istruzione. 

Discendendo dall’ istruzione in generale a’ suoi particolari, 
si passa ad esaminare l’insegnamento nella sua materia ossia 
negli oggetti di studio, nel suo processo metodico, nel suo ordi- 
namento scolastico, nel suo risultato finale. Riguardo all’ inse- 
gnamento religioso in particolare, il pedagogista tedesco opina 


- che “ la filosofia, come tale, non è nè ortodossa, nè eterodossa 
, bi , , 


come la fede non è, nè può essere con ragione la filosofia ,; 
ma egli non ha avvertito che la filosofia può diventare orto- 
dossa od eterodossa secondochè propugna principii, che svolti 
nelle loro conseguenze riescono ad avvalorare od infirmare le 
credenze religiose, quali lo spiritualismo ed il teismo da una 
parte, il naturalismo, il materialismo, lo scetticismo dall’altra. 

L'istruzione è mezzo, che ha per fine la coltura morale, la 
quale viene riposta “ nell'azione immediata esercitata sull’anima 
del fanciullo collo scopo di formarla ,. Definizione, che non tiene 
conto della corrispondente attività dell'alunno e che per la sua 
troppa estensione porta a confondere la coltura morale con 
l'educazione umana tutta quanta. Formare il carattere del fan- 
ciullo mediante l'istruzione, tale è il còmpito della coltura mo- 
rale. La teorica di Herbart intorno questa rilevantissima parte 
dell'educazione umana non regge alla critica ed è colpita da 
una intrinseca contraddizione. Egli ripone il carattere morale 
nella volontà, che si risolve tra due cose opposte, scegliendo 
l’una, l’altra rigettando. Ora il carattere morale veramente in- 
teso importa che la risoluzione della volontà sia fatta con li- 
bertà, con coscienza di sè, con forza ed energia, con costanza e 
fermezza ed abbia per oggetto l'adempimento del giusto e del- 
l’onesto; e tutti questi elementi mancano nella proposta defi- 
nizione. Poichè Herbart avendo posto per principio psicologico 
che l’anima umana non ha nè attitudine, nè facoltà di ricevere 
o produrre alcunchè, non può più logicamente ammettere la 
volontà siccome facoltà attiva, per cui l’anima si risolve sce- 
gliendo e rigettando. Oltre di che egli esagerando l’efficacia 
dell'istruzione sull'educazione morale ha riposto la forza mo- 
trice e determinante dell'anima non già nella volontà, ma nei 
gruppi delle idee dominanti. 


614 


Alla esposizione critica della pedagogia generale di Herbart 
succede un esame delle sue idee intorno l'educazione propria 
delle differenti età ed il diverso còmpito della famiglia e dello 
Stato rispetto alla medesima. 

La Memoria si chiude ricercando se nella pedagogia her- 
bartiana il concetto dell’individualità personale dell’alunno tenga 
quel posto eminente che gli spetta nell’àmbito della scienza 
pedagogica. La libera attività personale dell’educando è rico- 
nosciuta dal pedagogista tedesco, ma non è conciliabile nè colla 
sua definizione della coltura morale, nè col suo concetto psico- 
logico, che considera l'io non come una causa realmente e so- 
stanzialmente sussistente, bensì come un effetto, cioè come il 
punto di riunione delle molteplici rappresentazioni, sicchè l’il- 
lusione di un io indipendente origina da che le leggi del com- 
posto non coincidono con le leggi delle forze componenti. 

Federico Herbart concepì il problema pedagogico sotto un 
aspetto affatto nuovo, come ha tentato una trasformazione ra- 
dicale della psicologia; ma la stessa sua teoria psicologica nocque 
non poco alla sua dottrina pedagogica. 


L’ Accademico Segretario 


Ermanno FERRERO. 


615 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 
Dall’8 al 22 Marzo 1896. 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali 


NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; 
uelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. 
, 


* Abhandlungen der mathem.-physischen Classe der k. Sichsischen Gesell- 
schaft der Wissenschaften. Bd. XXIII, n. 1. Leipzig, 1896; 8°. 

+ Anales de la Sociedad Cientifica Argentina. Entrega VI, tom. XL; 
I-II, tom. XLI. Buenos Aires, 1895-6; 8°. 

* Annales des Mines. 9° série, t. VIII, livr. 10-11. Paris, 1895. 

Atti della Società Italiana di Scienze naturali. Vol. XXXV, fasc. 3°-4°, 

Milano, 1896; 8°. 

* Atti del Reale Istituto d’Incoragg. di Napoli. 4* serie, vol. VIII. 1895; 4°. 

* Atti e Rendiconti dell’Acce. Medico-chir. di Perugia; vol. VII, f. 4. 1895. 

Atti della Società Piemontese d’Igiene; Anno II, fase. 1°. Torino, 1896; 8°. 

* Bollettino del R. Comitato Geolog. d’Italia. Anno 1895, n.4. Roma, 1895; 8°. 

Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia comparata della R. Università 
di Torino, n.i 208-220 del vol. X; Indice decennale; n. 221-228 del 
vol. XI. Torino, 1894-95; 8°. 

* Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2*, v. XVI, 
n. 1. Torino, 1896. 

* Bulletin de la Société belge de microscopie. XXII° année, 1895-96, n. I-IV. 
Bruxelles, 1896; 8°. 

* Bulletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College. 
Vol. XXVII, n. 7. Cambridge U. S. A., 1896; 8°. 

* Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico- 
chirurgica ecc. Serie VII, vol. VII, fasc. 1-2. Bologna, 1896; 8°. 

Clinica Dermosifilopatica della R. Università di Roma. Prof. R. Cam- 
PANA, Direttore. Anno 1896, fasc. I. Roma; 8°. 

* Giornale della R. Accademia di medicina. A. LIX, n. 2. Torino, 1896; 8°. 

* Journal of the R. Microscopical Society, 1896, part 1. London; 8°. 

* Memorie dell’Accademia di Verona. Vol. LXXI, serie III, fasc. 2. 1895; 8°. 

** Morphologische Arbeiten. Herausg. von D" G. Schwalbe. 5 Bd., 3 Heft. 
Jena, 1896; 8°. 

* Observations publiées par l’Institut météorologique central de la Société 
des Sciences de Finlande, vol. treizième, 1" livr. Observ. météorologiques 
faites è Helsingfors en 1894. Helsingfors, 1895; 4°. 


* 


616 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Osservazioni meteorologiche eseguite nell’anno 1895 (dal R. Osservo. Astron. 
di Brera in Milano). 

* Pamietnik Akademii Umiejetno$ci w Krakowie. Wydziat matematyezno- 
przyrodniczy. T. XVIII, 3. Krakowie, 1894; 4°. 

* Proceedings of the Royal Physical Society. Session 1894-95. Edinburgh, 

1895; 8°. 

* Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, Tom. X, fasc. I-II, e 
Annuario per l’anno 1896. Palermo, 1896; 8°. 

* Sitzungsberichte der Kén. Preuss. Akademie der Wissenschaften zu 
Berlin. Jahrgang 1895; n. XXXIX (17 Oct.)-LIII (19 Dec. 1895). Berlin; 8°. 

* Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXIX, 2. Modena; 1896; 8°. 


Arcidiacono (S.). Sul terremoto del 13 aprile 1895 avvenuto in provincia 
di Siracusa. Roma, 1895; 4° (dall’A.). 

Die XXVI. allgemeine Versammlung der deutschen Gesellschaft fir An- 
thropologie, Ethnologie und Urgeschichte in Cassel, 1895. Miinchen; 4° 
(dal sig. Waldeyer). f) 

Gerota(D.). Die Lymphgefàsse des Rectums und des Anus. Berlin, 1895; 8° (Z4.). 

Glasenapp (S. de). Mesures micrométriques d’étoiles doubles faites è 
St-Pétersbourg et è Domkino. St-Pétersbourg, 1895; 4° (dalla famiglia 
Basso). 

Mascari (A.). Sulla frequenza delle macchie solari osservate nel Regio 
Osservatorio di Catania durante l’anno 1893, 1894. 

— Protuberanze solari osservate nel Regio Osservatorio di Catania nel- 
l’anno 1893, 1894. Roma, 1894-95; 4° (dall’A.). 

-— Osservazioni del pianeta Venere fatte negli anni 1892-93-94-95 all’Os- 
servatorio di Catania e sull'Etna. Leipzig, 1896; 4° (Zd.). 

Riccò (A.). All’Osservatorio Etneo. Catania, 1895; 8° (I4.). 

— Photograph of the nebula near 42 Orionis, made at the Astrophysical 
Observatory of Catania. Catania, 1895; 8° (Id.). 

— e Mascari (A.). Eclisse di Luna del 5 settembre 1895 osservata all’Os- 
servatorio Etneo ed in quello di Catania. Roma, 1895; 4° (Id.). 

Waldeyer (W.). Ueber Bindegewebszellen, insbesondere iber Plasmazellen. 
Berlin, 1895; 8° (Zd.). 

— Bemerkungen zur Anatomie der Art. obturatoria. Jena, 1895; 8° (Z4.). 

— Die neueren Ansichten iber den Bau und das Wesen der Zelle. Leipzig, 
1895; 8° (Zd.). 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche 
Dal 15 al 29 Marzo 1896. 


** Allgemeine Deutsche Biographie. Lief. 199-200. Leipzig, 1896; 8°. 


* Annali dell’Università di Perugia. Pubblicazioni periodiche della Facoltà 


i Giurisprudenza. N. S. Vol. V, fasc. 8° e 4°. Perugia, 1896; 8". 


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PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 617 


.* Annuario della R. Università di Pisa per l’anno accademico 1895-96. 


Pisa, 1896; 8°. 


| * Atti della Società Ligure di Storia patria, Vol. XXVII. Genova, 1895; 8°. 


* Bulletin de la Société d’Études des Hautes-Alpes. II° série, n. 15, 1895. 
Gap, 1895; 8°. 
Cause di morte. Statistica degli anni 1893 e 1894. Roma, 1896; 8° (dal 
Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio). 
* Cosmos. Vol. XII, n. 3. Torino, 1896; 8°. 
* Die Kongelige. Norske Frederiks Universitets Aarsberetning for Aaret 
1871-1873, 1875, 1878, 1883/84-1893/94. Christiania, 1872-1895; 16 vol. 8°. 
Inventaire sommaire des Archives Départementales antérieures à 1790. 
Doubs: Archives civiles. Sér. B. Chambre des Comptes de Franche- 
Comté, n° 1711-3228, t. III. 
Nord: Archives civiles. Sér. B. Chambre des Comptes de Lille, n°* 3390 
à 3665, t. VIII. 
Seine-et-Oise: Archives Ecclésiastiques. Sér. G. Clergé séculier. 
Alpes-Maritimes: Inventaire sommaire des Archives Hospitalières, anté- 
rieures à 1792. Série H. Supplément. 
Ardenne: Inventaire sommaire des Archives historiques de Charleville 
(Ville & Hospice). 
Bésangon, Lille, Versailles, Nice, Charleville, 1394-95 (dal Governo francese). 
* Mémoires de l’Académie de Stanislas. 5ème série, t. XII. Nancy, 1895; 8°. 
Mémoires publiés par les Membres de la Mission Archéologique frangaise 
au Caire. T. X, 3ème fasc. Paris, 1895; 4° (dal Ministero dell’Istruzione 
Pubblica e di Belle Arti di Francia). 
* Mensaje del Presidente de la Repiblica al abrir las sesiones de la hono- 
rable Asamblea en el tercer periodo de la XVIII legislatura. Febrero 
15 de 1896. Montevideo; 8° (dal Governo della Repubblica dell’ Uruguay). 
* Revue de l’histoire des religions. XVI° année, t. XXXI, n. 3; XXXII, n. 1. 
Paris, 1895; 8°. 
Rosario (11) e la Nuova Pompei. Anno XII, quad. I-1II. Valle di Pompei, 
1896; 8°. 
Sanskrit Critical Journal of the Oriental Nobility Institute. Woking, 
England, vol. XXV, n. 12, 1895; 8°. 


Claretta (G.). Il deposito delle reliquie di S. Agostino a Pavia e il re di 
Sardegna Carlo Emanuele II. Pavia, 1894; 8° (dall’A.). 

Costa (E.). Papiniano. Studio di storia interna del diritto romano. Bologna, 
1894-96; 3 vol. 8° (Id.). 

*#* Sanuto (M.). Diari. Fasc. 195. Venezia, 1896; 4°. 


Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. 


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CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 12 Aprile 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO 
DIRETTORE DELLA CLASSE 


Sono presenti i Socii: Brzzozero, Mosso, Spezia, Graco- 
MINI, CAMERANO, SEGRE, VoLTERRA, JADANZA, Foà, GUARESCHI 
e Naccari Segretario. 


Viene letto ed approvato l’atto verbale della seduta pre- 
cedente. 

Il Presidente scusa l’assenza del Socio Cossa. 

Il Segretario comunica alla Classe una lettera del Socio 
corrispondente J. J. THowson colla quale questi accetta, ringra- 
ziando, l’incarico di rappresentare l'Accademia nelle feste che 
si faranno nel prossimo giugno a ‘Glasgow in onore di Lord 
Kelvin. 

Il Socio CAMERANO presenta una memoria del Dott. Ermanno 
GiLro-Tos intitolata: “ Sulle cellule del sangue della Lampreda ,,. 
Sarà esaminata da speciale commissione. 

In seguito a relazione favorevole della commissione inca- 
ricata dell'esame della memoria del Dott. Gino Fano intitolata: 
“ Sulle varietà algebriche con un gruppo continuo non integrabile 
di trasformazioni projettive in sè ,, si approva la lettura e quindi 
la stampa della memoria stessa. 

Il Socio NaccarI a nome del Socio FERRARIS presenta una 
nota dell’Ing. Riccardo Arnò intitolata: “ La radiazione Rontgen 
con tubi di Hittorf ad idrogeno rarefatto ,. Sarà inserita negli Atti. 

Lo stesso Socio NAccARI presenta una memoria del Profes- 
sore Antonio GaARrBASSO: “ Sopra alcuni fenomeni luminosi pre- 
sentati dalle scaglie di certi insetti ,, la quale verrà esaminata 
da apposita commissione. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 43 


620 RICCARDO ARNÒ 


LETTURE 


La radiazione di Rointgen con tubi di Hittorf 
ad idrogeno rarefatto (1) ; 


Nota di RICCARDO ARNÒ. 


È noto che l'intensità della radiazione di Réntgen emanante 
da un tubo di Hittorf varia col variare delle condizioni in cui 
si produce la radiazione catodica nell'interno del tubo; ed è pure 
noto che le condizioni più favorevoli vengono raggiunte dopo 
parecchie ore di funzionamento del tubo stesso. 

Partendo dall'ipotesi, emessa da vari sperimentatori, che la 
causa di tale fatto abbia ad essere attribuita ad un assorbimento 
del gas rinchiuso nel tubo, per parte degli elettrodi metallici, 
durante la scarica, mi sono proposto di sperimentare sopra un 
tubo di Hittorf ad elettrodi di platino, stato riempito di gas 
idrogeno prima di venire sottoposto alle operazioni di rarefa- 
zione e di essiccazione (2). Essendo in tale tubo, per la natura 
del gas ivi contenuto, reso massimo l'assorbimento di questo per 
parte del metallo onde sono costituiti gli elettrodi, dovrà acca- 


dere, se effettivamente l'intensità della radiazione di Ròntgen è | 


funzione della rarefazione del gas, che le condizioni più favo- 
revoli potranno essere raggiunte in un tempo assai breve, rela- 
tivamente a quello che occorre per l’attivazione dei tubi ordinari. 


(1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Elettrotecnica del R. Museo indu- 
striale italiano. 

(2) Il tubo ha la forma a pera ed una distanza fra gli elettrodi di circa 
7 cm. Le operazioni di rarefazione e di essiccazione del gas idrogeno sono 
state eseguite dalla Società Italiana di Elettricità sistema Cruto, con un 
suo metodo speciale. 


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LA RADIAZIONE DI RONTGEN CON TUBI DI HITTORF ECC. 621 


Per attivazione intendo l’acquistare che fa il tubo, mediante l’uso, 
la proprietà di produrre con la massima intensità gli effetti di 
Rontgen. 

L'esperienza ha confermato tale previsione. Con una cor- 
rente dell’intensità di 5 ampère nella spirale primaria del roc- 
chetto di induzione e dopo pochi minuti di funzionamento del 
tubo ad idrogeno rarefatto, questo incominciava a rendere fluo- 
rescente uno schermo al platinocianuro di bario ed a impres- 
sionare delle lastre fotografiche. Dopo circa mezz’ora di attiva- 
zione ho ricavato sopra una lastra fotografica, alla distanza 
di 30 cm. dal tubo, coll’interposizione di una lastra di piombo 
dello spessore di 0,2 mm. e con la posa di trenta minuti, l’ombra 
delle ossa della mia mano. Dopo circa un'ora di attivazione ho 
ottenuto sopra un’altra lastra, alla distanza di cinque metri dal 
tubo e con la posa di sessanta minuti, l'ombra di una croce di 
piombo applicata sulla scatola di cartone nero in cui era rac- 
chiusa la lastra. 

Per contro però i tubi ad idrogeno rarefatto hanno, a pa- 
rità delle altre condizioni, una vita notevolmente più breve di 
quella dei tubi ordinari: in essi, con l’uso prolungato, la rare- 
fazione e quindi la resistenza del gas diviene troppo grande 
perchè possa ancora aver luogo, con l’ordinaria corrente nella 
spirale primaria del rocchetto, la scarica attraverso al gas rin- 
chiuso nel tubo. 

Ho inoltre sperimentato sopra tubi ad idrogeno rarefatto 
di maggiori dimensioni ed ho verificato che, col crescere delle 
dimensioni del tubo, aumenta in proporzione tanto il tempo ne- 
cessario alla sua attivazione, quanto la vita del tubo stesso. 

Finalmente ho sottoposto ad esperimento un tubo ad idro- 
geno rarefatto con elettrodi di carbone. In tal caso non ho po- 
tuto constatare, anche dopo parecchie ore di eccitazione, nè la 
generazione di raggi catodici nell'interno, nè la conseguente 
produzione degli effetti di Ròntgen all’esterno del tubo. 

Ammessa la teoria del Crookes, secondo la quale la radia- 
« zione catodica è una proiezione di materia elettrizzata, lanciata 
dal catodo sulla parete del tubo, risulta che l’intensità della 
radiazione di Rintgen dipende, oltre che dal grado di rarefa- 
zione, anche dalla natura del gas rinchiuso nel tubo. 

Il Lodge, prendendo a considerare un atomo di massa m 


622 RICCARDO ARNÒ 


carico di una quantità di elettricità 9g ed attraversante con una 

velocità v un campo magnetico di intensità H, ha dimostrato (1) 

che la curvatura magnetica p della traiettoria è espressa dalla 
relazione 

ci 

Rim iance È 


Ma il fattore n è, per una data sostanza, una costante, poichè 


esso rappresenta il reciproco dell’equivalente elettrochimico della 
sostanza medesima: onde la curvatura p della traiettoria è in- 
versamente proporzionale alla velocità v, con cui l'atomo con- 
siderato attraversa il campo magnetico di intensità H. 

Ritenendo dunque vera l’ipotesi del Crookes, ne consegue 
che la velocità dei raggi catodici nell’interno del tubo è tanto 
maggiore quanto minore è la loro deviazione sotto l’azione di 
un campo magnetico di intensità data. Ora Lenard, sperimen- 
tando all’esterno di un tubo di Hittorf sui raggi catodici fatti 
uscire dal vuoto all’aria libera attraverso ad un diaframma di 
alluminio, ha trovato che un aumento della rarefazione del gas 
rinchiuso nel tubo apporta come conseguenza una diminuzione 
della deviazione impressa a quei raggi da un campo magnetico 
di intensità data. Potremo quindi dire che la velocità dei raggi 
catodici aumenta col grado di rarefazione del gas nell’interno 
del tubo. E poichè dal grado di rarefazione del gas dipende 
l'intensità con cui sono prodotti gli effetti di Rontgen, ne segue 
ancora che questa cresce col crescere della velocità dei raggi 
catodici, che di quegli effetti sono indirettamente la causa. 

Ma, continuando a basare il nostro ragionamento sull’ipo- 
tesi del Crookes e sulle considerazioni del Lodge, possiamo os- 
servare che la velocità dei raggi catodici è, per un dato grado 
di rarefazione del gas contenuto nel tubo generatore, inversa- 
mente proporzionale all’equivalente elettrochimico del gas me- 
desimo. Dunque sperimentando con un gas rarefatto, il cui equi- 
valente elettrochimico sia minore di quello dell’aria, per esempio 
con gas idrogeno, ne dovrebbe conseguire una velocità dei raggi 


(1) On the rays of Lenard amd Rbòntgen (* The Electrician ,, 31 gen- 
naio 1896). 


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R. ARNÒ — LA RADIAZIONE DI RONTGEN CON TUBI DI HITTORF ECC. 623 


catodici, e quindi un’intensità della radiazione di Rontgen, mag- 
giore che per l’aria; e ciò in corrispondenza del medesimo grado 
di rarefazione. 

Ora se gli effetti di Rontgen fossero dovuti ad un movi- 
mento periodico dell’etere, generato da uno stato vibratorio della 
parete del tubo sottoposta agli urti degli atomi carichi, la fre- 
quenza della vibrazione dovrebbe dipendere dalla velocità dei 
raggi catodici, che producono, incontrando il vetro, la vibrazione 
stessa. La massima intensità della radiazione di Roòntgen sa- 
rebbe allora la conseguenza di quella frequenza del movimento 
periodico, che corrisponde alla massima velocità dei raggi ca- 
todici; e tale frequenza si dovrebbe poter raggiungere o por- 
tando il gas ad un alto grado di rarefazione, o sperimentando 
con un gas, per cui sia relativamente piccolo l’equivalente elettro- 
chimico. 


Relazione sulla Memoria del Dott. Gino Fawxo, intitolata: 
“ Sulle varietà algebriche con un gruppo continuo 


non integrabile di trasformazioni protettive in sè ,. 


La determinazione di tutti i possibili gruppi continui di 
trasformazioni projettive e delle varietà che son trasformate in 
sè da tali gruppi è un problema di somma importanza, non solo 
per se stesso e per l'immediata applicazione geometrica ed ana- 
litica, ma anche ad esempio per la moderna teoria delle equa- 
zioni differenziali lineari, nella quale è ben noto come sia fon- 
damentale la considerazione dei gruppi di sostituzioni lineari. 
L’illustre autore della teoria generale dei gruppi di trasforma- 
zioni, il nostro Corrispondente Prof. Lie, ha risolto quel problema 
pei primi casi che si presentano, facendo vedere come i suoi 
metodi si possano applicare ai gruppi projettivi di qualunque 
spazio superiore. Però se quei metodi, che già per lo spazio 
ordinario hanno richiesto dal Lie una ricerca un po’ minuta, si 
dovessero applicare agli spazi di quattro o più dimensioni, essi 
porterebbero a calcoli di una lunghezza eccessiva. Opportune 
considerazioni geometriche possono abbreviare la ricerca ed anche 


624 


illuminarla meglio. A questo concetto s’ispirano alcuni recenti 
lavori di giovani geometri italiani, e in particolare la Memoria 
attuale del D" Fano. 

Basandosi su un teorema del sig. EncEL secondo cui un 
gruppo continuo non integrabile è caratterizzato dal contenere 
un sottogruppo semplice 005, la determinazione delle varietà con 
gruppi continui non integrabili di trasformazioni projettive si 
riduce al caso che il gruppo sia 008. Ora i gruppi projettivi 00° 
di uno spazio qualunque S, sono suscettibili di semplici defini- 
zioni geometriche. Invero essi trasformano sempre in sè delle 
curve razionali normali di spazi subordinati, i quali sono fra 
loro indipendenti e formano una figura che appartiene all'S,. Ne 
deriva che non solo riesce facile enumerare tutti quei gruppi 
per un dato valore di r, ma anche si presenta in modo assai 
notevole la questione di determinare le varietà invariabili per 
quei gruppi. Se cioè sulle dette curve razionali normali si rap- 
presentano in modo acconcio delle forme binarie dei loro rispet- 
tivi ordini, ogni varietà algebrica M,_, di S, che ammetta il 
gruppo considerato di trasformazioni projettive sarà rappresen- 
tata analiticamente da un invariante simultaneo delle dette forme 
binarie. Applicando queste considerazioni allo spazio ordinario 
si ritrovano per questo le note curve e superficie con gruppi 
projettivi non integrabili di trasformazioni in sè. Applicandole 
invece all’S, si trovano le diverse curve, superficie e varietà My 
con gruppi siffatti di trasformazioni. A vero dire, di varietà 
nuove se ne incontrano poche: ma anche per le varietà note si 
ha così un nuovo punto di vista, da cui esse posson essere util- 
mente considerate. 

Tale è, in brevi tratti, il contenuto della Memoria del D' Faro. 
A nostro avviso, essa merita pienamente di esser letta e di venir 
pubblicata nei volumi accademici. 

E. D’OvrIpro. 
V. VOLTERRA. 
C. SEGRE, relatore. 


L’ Accademico Segretario 


ANDREA NACCARI. 


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625 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 19 Aprile 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Socii: CLarettA, Direttore della Classe, 
Peyron, BoLLati DI Sarnt-Prerre, Pezzi, NANI, COGNETTI DE 
Martns, CrporLa, Brusa, ALLIEvo e FERRERO Segretario. 

Il Socio Segretario offre, a nome del Socio Corrispondente 
Prof. Felice BArnABEI, la relazione da questo pubblicata in 
unione col Conte A. Cozza: “ Di un antico tempio scoperto presso 
le Ferriere, nella tenuta di Conca, ove si pone la sede dell'antica 
città di Satricum , (Roma, 1896), e a nome pure dell’autore, 
avv. Giovanni MiwoeLio, un opuscolo: “ Brevi cenni storici sulla 
chiesa di S. Domenico in Casale Monferrato , (Torino, 1896). 

Il Socio CrpoLLa, a nome dell'Autore, Ing. Agostino AGo- 
STINI, presenta l’opera: “ Castiglione delle Stiviere dalle sue ori- 
gini sino ai giorni nostri , (Castiglione-Stiviere, 1892; Brescia, 
1895, 2 fascicoli). 

Sono comunicate le lettere, con cui i signori Augusto 
PinLocÒe, Giacomo Bryce ed Alessandro CHIAPPELLI ringraziano 
per la loro nomina a Socii Corrispondenti dell’Accademia. 


626 


Il Direttore della Classe legge una sua Commemorazione 
del Socio Corrispondente conte Filippo LINATI. 

Il Socio ALLievo legge una sua nota: “ La libera attività del- 
l’educando secondo Enrico Pestalozzi e Gian Giacomo Rousseau ,. 

Il Socio Crrorra legge una nota del Dott. Giovanni Mercati: 
“ Di un palimpsesto Ambrosiano contenente i Salmi esapli e di 
un'antica versione latina del Commentario perduto di Teodoro di 
Mopsuestia ,, ed una nota del Dott. Serafino Rrccer: “ Di una 
stele con iscrizione trilingue rinvenuta a File in Egitto ,. 

La commemorazione e le note anzidette sono pubblicate 
negli Atti. 

Il Socio CrpoLLa presenta pure un lavoro manoscritto del 
Prof. Carlo MERKEL: “ Nicolò Scillacio e le relazioni intorno al 
secondo viaggio di Cristoforo Colombo in America ,, di cui l’au- 
tore desidera l’inserzione nelle Memorie. 

Ad esaminarlo ed a riferirne in una prossima adunanza il 
Presidente delega il Direttore della Classe CLARETTA, il Socio 
Segretario FerRERO ed il Socio presentante. 


G. CLARETTA — FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 627 


LETTURE 


FILIPPO LINATI 


Commemorazione del socio GAUDENZIO CLARETTA. 


Se i casi speciali della sua vita non hanno troppo di note- 
vole, il complesso di essa è pur tale da non dover rimanere 
involto in quella ingiusta obblivione che colpisce talora molti 
che sarebbero invece degni di essere ricordati, e per le doti 
loro intellettuali, e per quell’operosità di studii serbata mode- 
stamente in mezzo al raccoglimento sino all’ultimo. Tanto più 
sono poi meritevoli di elogio coloro che seppero durarla negli 
studii lottando contro i seducenti svagamenti della vita signo- 
rile, virtù che ben di rado s'incontra in quanti non nacquero 
sotto l’austera disciplina del bisogno. Imperocchè costoro il più 
delle volte, dopo aver menato vita scioperata ed inerte, godente 
in bruta indifferenza, col crescer degli anni divenuti campioni 
emeriti dell’ozio, cadono facilmente in invettive derisorie contro 
ogni cosa che rimproveri la loro spenta esistenza, e specialmente 
contro il vivere disciplinato e lo studio assiduo di quanti sep- 
pero uscire dalle schiere del volgo titolato. 

lo qui non mi farò a ricordar troppo le glorie avite dei 
Linati: questo còmpito già fu raggiunto dal giornale che in- 
tende specialmente a tal fatta d’indagini (1). Anzi chi avesse 
vaghezza di saperne qualche cosa, ivi troverebbe una breve 
scrittura postuma dello stesso conte Filippo che s°’intertiene 
delle particolarità della gente sua. 

Ne basterà qui ricordare che la famiglia Linati o Lunati 
originaria di Genova, ove sul finir del secolo XV attendeva alla 
mercatura, stabilivasi a Parma sul principio del seguente. Alla 


(1) V. il N. 9 del “ Giornale araldico-genealogico diplomatico dell’Ac- 
cademia araldica italiana ,. Bari, 1895. 


628 GAUDENZIO CLARETTA 


corte dei Farnesi essa non tardò a rendersi ragguardevole, co- 
sicchè, già nell’iniziarsi del secolo XVII, Giovanni diveniva ve- 
scovo di Borgo S. Donnino, poi di Piacenza, e suo fratello 
Orazio segretario del duca Ranuccio. 

Ma omettendo reminiscenze che non si possono ascrivere a 
merito alcuno dell’estinto, ne basta conchiudere che l’avo del 
conte Linati, anche Filippo di nome, seguìta la fortuna napo- 
leonica, fu nel 1808 deputato del dipartimento del Taro al corpo 
legislativo di Francia, poi nel 1831, alla partenza di Maria 
Luigia, fuggita di Parma per la rivoluzione ivi scoppiata, pre- 
sidente di quel Governo provvisorio; quindi al ristorarsi del 
Governo legittimo, coi due capi Barbarini e Melegari, processato, 
ma più tardi assolto. 

Claudio suo figlio trovossi avvolto in tutti i commovimenti 
politici che agitarono l’età sua. Fu ascritto ai carbonari, ben 
sapendosi come coloro che in quei tempi volevano partecipare 
all’azione politica passavano per le sètte. Ed i carbonari appunto, 
precursori della Giovine Italia, furon quelli che produssero i 
moti del 1821 in Piemonte ed in Napoli. Aiutò l'insurrezione 
spagnuola ; diè appoggio ai moti insurrezionali or citati del 1821 
nel Piemonte, ed in premio ebbe per qualche tempo la relega- 
zione nel noto carcere di Santa Margherita di Milano; favorì 
una seconda volta l'insurrezione di Spagna, migrò poscia in 
Francia, nel Belgio e nel Messico e morì a Tampico nel 1832. 

Il nostro Filippo che raccolse il retaggio di questi due suoi 
ascendenti, i quali avevano favoreggiata la causa liberale, nacque 
a Barcellona, il nove gennaio del 1816, dal matrimonio dell’or 
nominato Claudio con Isabella dei Bacardi. Egli iniziò la sua 
vita sul calle dell’esiglio e temperò l'animo suo alle durezze ed 
ai disagi, sofferti dall’avo e dal padre. Non poteva egli essere 
insensibile alle nuove forme di governo che sorsero in Italia nei 
rivolgimenti degli anni 1847 e 1848, ed in questi ultimi appunto 
visitò il Piemonte. E da quell’epoca sino al fine egli serbò il 
più schietto affetto al nostro paese in cui veniva spesso, facen- 
dovi lunghe mansioni. Io il conobbi appunto un trent'anni fa 
incirca, in mezzo a quel geniale ritrovo della più eletta società 
torinese e straniera, che sapevano così bene, seguendo l’usanza 
paterna, accogliere nelle ore vespertine di ciascun giorno del- 
l’anno Federigo Sclopis e la sua degna compagna (la quale aveva 


FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 629 


—ammirabil tatto per metter tutti in buona luce e toccar quei 


tasti che specialmente rispondessero alla capacità ed alle ten- 
denze dei conversanti), che solevano in seno ad amici provati 
rinfrancare le forze dello spirito dai lavori giornalieri; ed ai 
quali convegni per essere ammessi non si teneva conto dei 
quarti del blasone, sibbene dei pregi personali (1). E qui mi si 
conceda una parentesi per ricordare lo Sclopis, il cui nome io 
commosso ho il bene di pronunziare in quest'aula che fu per 
mezzo secolo testimone della sua dottrina profonda, delle rette 
e virtuose sue aspirazioni, de’ suoi ammaestramenti e degli auto- 
revoli consigli che uscirono dal suo labbro, facondo sempre, sino 
al giorno in cui, confortato dalla fede benefica che lo sostenne 
in tutto il lungo e laborioso cammino percorso, discese nella 
tomba gloriosa, sulla quale questa fortuita occasione mi con- 
sente di deporre un modesto fiorellino oggi, dopo sedici anni 
dalla sua dipartita. 

Ma per ritornar al Linati, l’opera sua palese in favore 
della redenzione della sua patria comincia nel 1859, in cui dal 
nuovo governatore degli Stati parmensi, il piemontese Diodato 
Pallieri, consigliere di Stato, fu eletto podestà di Parma. Fu 
allora ch’egli si offrì di recarsi a Parigi per presentare a Na- 
poleone III un indirizzo cittadino, in cui veniva espresso il voto 
della decadenza della dinastia Borbonica, e l’offerta della sovra- 
nità al re Vittorio Emanuele II. 

Ne basti questo cenno senza venire a particolari che ci 


(1) Il Bersezio nel suo Regno di V. Emanuele II, lib. 6, p. 8, scrisse 
che ‘“..... l’ospitale accoglienza di uomini illustri in conversazione abituale 
era in uso nella casa Sclopis fin dai tempi della gioventù e anzi dell’in- 
fanzia del conte Federico ..... così che era un attestato di merito, deside- 
rato e ricercato come un premio, il venire ammesso nelle conversazioni di 
casa Sclopis ..... s: Ed invero ben si può oggi rimpiangere siffatta mancanza 
di convegni così scelti fra noi, non potendosi tentar paragoni della Torino 
d'oggi a quella del 1852 al 1865, alla quale faceva capo tutta la vita pubblica 
italiana. Cadute le barriere che tenevano prima disgiunte le classi varie dei 
cittadini, i salotti dei Balbo, degli Alfieri e degli Sclopis, come prima 
quello più riservato della marchesa di Barolo, fornivano il più eletto ri- 
trovo di alcuni degli ambasciatori residenti presso la Corte, de’ ministri e 
de’ profughi più scelti e riservati che col gomito toccavano lo scrittore e 
l'artista, le cui opere avevano ben meritato presso il pubblico, amalgaman- 
dosi così a poco a poco vari e disparati elementi ben disgregati per l’innanzi. 


630 GAUDENZIO CLARETTA 


farebbero uscire dai limiti che deve avere la presente notizia 
sommaria. Ma invece è pregio dell’opera di sapere, come il 
27 luglio dello stesso anno il Cantelli, a nome del governatore, 
accogliesse la domanda che il Linati, in un con Leonzio Arme- 
longhi, Carlo Nandini, Angelo Garbarini, Enrico Pontoli, Salva- 
tore Riva e Clemente Asperti, aveva sporta per poter pubbli- 
care in Parma un giornale che si avesse a denominare la Gazzetta 
dell’elettore. 

Nel successivo agosto il Linati fece parte del primo ufficio 
provvisorio dell’Assemblea Costituente. Il nove.settembre veniva 
da questa, essendo dittatore degli Stati parmensi Luigi Farini, 
convalidata l'elezione di fra Filippo Linati a deputato dei col- 
legi V e VI di Parma e del collegio di Colorno. Nè faccia specie 
ai meno pratici l’appellazione di fra data al neo deputato, poichè 
egli apparteneva in qualità di cavalier professo di giustizia al- 
l'Ordine di Malta sino dal 1840. Ma non devesi celare che ap- 
punto in considerazione di questa qualità nasceva nel seno di 
quell’assemblea una controversia abbastanza vivace. Alcuni non 
intendevano di convalidare quella nomina, notando che il Linati, 
come cavaliere di Malta, era tenuto ai voti frateschi di povertà, 
di castità e di obbedienza. Dei due primi si teneva poco conto, 
sapendosi ch’erano sempre stati illusorii ed un mero sottinteso, 
come lo dimostravano i fasti dell'Ordine, e com'era facile d’al- 
tronde il supporre in gentiluomini che vivevano fra l’eletta della 
società europea in mezzo alle corti e con abito militare al ser- 
vizio dei principi. Ma in quanto al terzo voto, si temeva in forza 
di esso una certa dipendenza dal superior diretto, che fosse ca- 
pace a far vacillare la fede del deputato. Era dunque nato un 
dibattito abbastanza vivo in mezzo all’assembiea : si misero in 
campo gli statuti dell'Ordine del 1676, ed il suono loro non era 
favorevole ; si scartabellò il noto dizionario di erudizione eccle- 
siastica del Moroni, e il responso non quietava troppo. Si volle 
consultare persino l’Andrée nel suo Cours aiphabétique et métho- 
dique de droit canon, ed ivi si trovò, i cavalieri di Malta non 
essere religiosi se non in largo modo, perchè les v@eux des uns 
et des autres ne sont pas entièrement semblables. Nemmeno questa 
definizione si tenne appagante: ma tolse le dubbiezze e tagliò 
il nodo lo stesso interessato fra Filippo con questa dichiarazione: 

“ Io dichiaro sull’onor mio che i voti che mi legano all’Or- 


MI 


FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 631 


dine Gerosolimitano non m’impediscono punto di emettere un 
voto libero e coscienzioso nell'assemblea nazionale al pari di 
qualunque altro deputato ,. 

Fra Firippo LINATI. 


A fronte di questa dichiarazione, e considerando che pa- 
recchi di quei cavalieri tenevano impieghi civili e militari presso 
varii potentati d'Europa, e tenendo conto delle esimie qualità 
personali del Linati, il terzo ufficio rimuovevasi dalla rigorosa 
decisione, e convalidava la triplice elezione di lui. Ma egli optava 
poi pel collegio di Colorno, siccome quello che primo avevagli 
offerto la deputazione. Nè quella dichiarazione punto ebbe a 
nuocergli nei rapporti coll’Ordine, poichè il suo nome continuò 
a comparire nell’albo di quei cavalieri, e, meglio ancora, egli 
sempre fruì dei redditi della commenda che aveva ottenuta. Ma 
che un vincolo l’avesse, sebbene non nocevole al fatto che 
aveva sollevato quella controversia, il vedremo sul finire di 
questa commemorazione. 

Il Farini offrì pure al Linati l'ufficio di provveditore degli 
studii di Parma, ufficio delicato, se vuoi, ma ricusato da lui. 
Meritamente però egli fu compreso poco dopo, nella prima ele- 
zione dei membri della Camera vitalizia seguìta nell’ Emilia 
agli 8 di marzo del 1860. D’indi in poi egli prese qualche parte 
alla politica militante, ma sol nella misura consentitagli dalla 
sua salute e dalle cure alle quali era intento (1). 

Del resto, a proposito della parte avuta dal Linati alle 
discussioni politiche, addurrò le parole stesse pronunziate da 
lui in Senato in un discorso del quale parleremo fra breve... 
«“ Di rado, egli nota, di rado io prendo la parola in quest’aula 
perchè ebbi sempre la coscienza che nelle ordinarie questioni 
amministrative e finanziarie la debole mia voce poco potesse 
aggiungere al vostro senno ed alla vostra prudenza... ,. 


(1) Vi fu un momento credo, tra il 1868 e il 1870, che il Linati ebbe 
qualche maggiore relazione col governo e forse può essere allora, come 
scrisse il suo amico ch.®° prof. Michelangelo Billia (° Gazzetta di Torino , 
del 28 settembre 1895), che il Linati fu una volta designato ministro della 
pubblica istruzione; ma non ho dati positivi che mi consentano, nè di affer- 
marlo, nè di negarlo. 


632 GAUDENZIO CLARETTA 


E giacchè percorriamo quest’arringo non indugiamo, a saggio 
della parte presa da lui nella vita parlamentare, accennare ad 
una delle più importanti discussioni, nelle quali egli stimò di 
manifestare il suo modo di pensare. Ma per aver conoscenza 
esatta dell’uomo, della sua fede e de’ suoi principii non ineresca 
di avvertire prima, come il Linati, tuttochè non avesse dottrine 
profonde in un ramo piuttosto che in un altro del sapere, si 
dimostrò non digiuno degli studii storico-filosofici, letterarii e 
sociali, coltivati negli anni giovanili. Fondato sull'esperienza che 
potè avere dell'avviamento della cosa pubblica, e consentaneo 
con quanti stimano non potersi far a meno della morale e del 
presidio religioso, s'astenne sempre dal blandire il secolo, a cui 
non lasciò risparmiare gli insegnamenti che andavano contro la 
corrente, capace qual era del resto di resistere alle turbe, civium 
prava iubentium. 

Le sue credenze furono rigidamente cattoliche, e fermati i 
dubbii del pensiero in una formula di fede liberamente accet- 
tata, questa pose al di sopra di ogni convenienza transitoria 
di fatto, senz'abbassare nè impicciolire il suo ingegno. 

Il suo amor del vero non era come in parecchi un plato- 
nismo annacquato che si tien pago di fiacche affermazioni. Egli 
non rifuggiva dalla controversia, e difendeva la sua tesi con 
quella insistente fermezza che poggia sul profondo convinci- 
mento ; e ben dissimile da quei tali che cercano in ogni nobile 
atto il tarlo dei secondi fini. Di codesti principii diè prova in 
tutta la sua vita, e negli scritti, e nelle parole e nel tentativo 
fatto di promuovere una fazione conservatrice. E nel Nuovo 
Risorgimento, pubblicazione letterario-filosofica sorta nel 1890 
grazie alle cure del memorato professore Billia, inserì pure il 
Linati un suo programma pei conservatori italiani. Ma è bene 
avvertire che i canoni fondamentali del suo programma non 
erano punto basati su principii retrivi ed intransigenti, dichia- 
rando apertamente che... “ conservare non vuol dire dietreggiare 
e rifare il passato, non vuol dire scemare la libertà, volere la 
uguaglianza col dispotismo e col privilegio. Conservare vuol dire 
nè più nè meno ciò che suona la parola, propugnando l'integrità 
della nazione, della monarchia, dello statuto, ossequio al diritto 
naturale, alla religione, la protezione dei veri e legittimi inte- 
ressi della popolazione. Io non escludo gli acquisti coloniali, ma 


tenia. 


UR a Teor veg e o 


FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 633 


penso che prima di attendere ai medesimi convenga colonizzare 
la parte abbandonata del nostro territorio... ,. 

Dello stesso stampo sono altri suoi opuscoli e sui conser- 
vatori e le elezioni, e sugli astensionisti ; e come la conciliazione 
sia possibile, ecc. 

Ed ecco ora il discorso sovraccennato, pronunziato da lui 
in Senato nel 1876, sul quale credo bene d’intrattenermi a prova 
di queste mie preliminari asserzioni. 

Come nissuno ignora, il ministro di grazia e giustizia 
Pasquale Stanislao Mancini aveva in quell’ anno presentato 
alla Camera il disegno di legge sovra gli abusi dei ministri 
dei culti nell'esercizio del loro ministero, approvato dalla 
Camera il 24 gennaio con 150 voti favorevoli su ben cento 
contrari. 

Presentato quel disegno al Senato nella tornata del 5 feb- 
braio, essendone presidente Sebastiano Tecchio, la discussione 
cominciata il ventotto aprile veniva chiusa il quattro maggio. 

Fra i vari oratori che salirono la tribuna per impugnare 
la legge uno fu, come dicemmo, il nostro Linati, che fece sen- 
tire le sue osservazioni a quel Consesso nella tornata del primo 
maggio. Consentaneo ai suoi principii, egli combattè quel disegno 
di legge, giudicato da lui pernicioso, siccome quello che si allon- 
tanava da quei principii di giustizia, di moderazione, di prudenza 
e di ordine che deve professare un governo al quale stiano a 
cuore i retti intendimenti di equità e di imparzialità verso ogni 
classe di cittadini. Nè sia discaro ai leggitori che io riferisca 
qui alcuni brevi periodi del suo discorso, siccome quelli che 
meglio ci fanno conoscere com’egli la pensasse : 

“ Io accolsi con plauso , egli esordiva “ il programma del- 
l’attuale gabinetto, perchè ci vidi la promessa di un'éra di 
eguaglianza e libertà vera per tutti, ma appunto perchè accolsi 
quel programma sento il debito di essere ministeriale contro lo 
stesso ministero e di difendere contro la presente legge i larghi 
e generosi principi in quel programma racchiusi... ,. Egli oppu- 
gnava quella legge come eccezionale; “... e le leggi eccezionali 
sono sempre ingiuste, perchè puniscono in un individuo ciò che 
tollerano in un altro; sono sempre immorali, perchè affermano 
in principio che sia proibito ad un individuo, ad un ceto di fare 
quello che è lecito ad un altro; sono sempre impolitiche, perchè 


694 GAUDENZIO CLARETTA 


tolgono alla giustizia quel prestigio d’imparzialità che solo può 
renderla autorevole e rispettata ,. 

Siccome talune delle colpe che s’intendevano punire con 
quella legge già erano represse dalla legge comune, così ne sa- 
rebbe venuto che essa si riduceva a colpire i fatti o positivi o 
negativi, e che, e nell’uno e nell’altro caso, la legge diveniva 
ineseguibile ed odiosa (1). 

Questo discorso fruttava all’autore un bravo e un bene, de’ 
quali echeggiò l’aula del Senato. Ma quel che qui può essere 
ancora avvertito si è che altro de’ nostri colleghi, Carlo Bon- 
compagni, prendeva egualmente la parola per sostenere, ma con 
ben maggior fondo ed apparato di dottrina e di erudizione, la 
tesi propugnata dal Linati. 

Nè ciò basta ancora: senza che allora se lo sapesse, si 
associava tacitamente a questi due nostri colleghi il già sovra 
memorato conte Sclopis, il quale, fautore sincero di libertà, es- 


(1) “I preti nascono in Italia e checchè si faccia, dovranno tardi o tosto 
diventare italiani, se noi con improvvide leggi non impediremo loro di 
sentirsi cittadini, di partecipare ai benefici della libertà. Ma se ciò non 
dovesse avvenire, che potete voi temere dal clero? Il clero ebbe per lunghi 
secoli il privilegio esclusivo di dare alla società il morale ed intellettuale 
indirizzo, e ciò non valse a ritardare di mezz’ ora il trionfo delle idee 
nuove. Noi tutti siamo nati quando il clero era arbitro delle scuole e della 
stampa, e non perciò riuscì a spegnere e ad indebolire le nostre aspirazioni 
verso l'indipendenza e la libertà nazionale. E vorreste temerlo oggi che è 
povero, inerme, perseguitato? Ciò sarebbe un porre in dubbio la santità e 
la giustizia e la forza irresistibile del nostro provvidenziale risorgimento. 
I preti non diverranno temibili che il giorno in cui li abbiate trasformati 
in martiri, il giorno in cui abbiate cambiata l'indifferenza dei più in com- 
passione ed interessamento ... ,. 

Egli conchiudeva così: “ Io deploro quanto voi che una parte del clero 
disconosca quanto vi ha di bello e di grande nel nostro nazionale risorgi- 
mento, ma siccome cattolico non voglio che la religione sia posta a ser- 
vigio delle passioni politiche, come liberale non voglio che i beneficii della 
libertà siano posti a servigio delle passioni settarie. Se vorremo un’egua- 
glianza solo a vantaggio dei vincitori dell’oggi; se vorremo la giustizia solo . 
a profitto dei nostri interessi; se vorremo la tolleranza solo per le nostre 
opinioni, noi scalzeremo la base del vivere libero, perchè daremo con i 
fatti una smentita a quanto proclamiamo in principio, perchè insegneremo 
al mondo una volta di più, che oggi, come sempre, chi vince, opprime, sia 
‘dai gradini di un trono, sia dall’albero della libertà ,. 


© |A O n 


FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 635 


sendo devotissimo alla dinastia, ma amatore del progresso ret- 
tamente inteso e graduato, se non prese parte a quella discus- 
sione, tenne da Torino commercio epistolare col suo illustre 
collega il senatore Fedele Lampertico, al quale scrisse alcune 
lettere, che questi dava poi alla luce nella Rassegna Nazionale 
col titolo: Le leggi sugli abusi dei ministri dei culti e il conte 
Sclopis. 

Siccome è noto, quella legge veniva poi dal Senato repulsa 
nella tornata del sette maggio di quell’anno con voti contrari 
105 su 92 favorevoli. 

Anche per un’altra controversia scottante volle il Linati 
rompere una lancia, voglio dire pel divorzio nell’occasione che 
il ministro Villa avevane riproposta la legge al Parlamento 
nel 1881. E così egli accrebbe la lunga schiera di oppugnatori 
che col Passaglia (1), col domenicano Didon (2) noverava il San- 
tini ed il Cenni, i quali, nella stessa rassegna Nazionale del 1881, 
nella quale il Linati aveva pubblicato il suo scritto, manifesta- 
rono nello stesso senso, ma con maggior copia di dottrina, le loro 
idee, e ciò con buona venia del biografo del Linati che scrisse 
essere stata la sua memoria la più succosa comparsa (3). 

Certo però è che impegnatosi in quell’argomento, ne trattò 
altra volta, scrivendo nel citato Nuovo Risorgimento una protesta 
ed inneggiando all’iniziativa presa dal professor Gabba a difesa 
dell’indissolubilità delle nozze. 

Del resto, ogniqualvolta o proponevansi disegni di leggi 
un poco eccezionali, o l'opinione pubblica manifestava colla 
stampa teorie non comuni, egli non lasciava di dichiarare il suo 
modo di pensare. Quindi sin dal 1848 aveva pubblicato a To- 
rino, coi tipi del Pomba, una nuova teoria sul sistema rappre- 
sentativo, propugnando il principio che i municipii avessero ad 
essere costituiti per una metà di possidenti e per l’altra di lavo- 
ratori, classe questa che, secondo lui, doveva comprendere gli 
avvocati e i professori di arti liberali, in un cogli artigiani, coi 
contadini, ecc. Nel 1865 dava alla luce in Napoli un opuscolo 
sul diritto di associazione in Italia, minacciato dalla legge Vacca, 


(1) Conferenza dell’aprile 1880. 
(2) Conférences de S. Philippe du Roule. Paris, Dentu, 1880. 
(3) Il sovracitato prof. M. Billia. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. Al 


636 GAUDENZIO CLARETTA 


e nel 1867 un’operetta di 97 pagine sul razionalismo e sulla 
religione, confutando i nuovi favoreggiatori della Dea Ragione. 

Ma omettendo di accennare a varii suoi opuscoli, ad arti- 
coletti sui giornali, compilati in fretta, e, come è della sorte 
loro, destinati a vivere breve vita, alla guisa degli apparati di 
una festa che il giorno dopo si buttan via, non bisogna negare 
ch'egli erasi applicato a varii generi di studii ; fatto non istraor- 
dinario, poichè nei varii rami dello scibile avvi un’affinità, un 
vincolo che collega le scienze figlie, dirò così, della stessa fa- 
miglia letteraria, rampolli dello stesso tronco. Ma è anco vero, 
che a pochissimi riesce di poter esser versati in più di una di 
esse. Comunque ne sia, il Linati prese a trattare soggetti di 
storia, di filosofia, di economia sociale e di politica, che se non 
riuscirono tutti accetti, non si può negare che alcuni di essi 
non sieno privi di qualche valore, per quanto alcuni non abbiano 
potuto sopravvivere al loro autore. Sin dagli anni giovanili fu 
il Linati discepolo delle Muse : ed i suoi versi, la maggior parte 
come dicesi di occasione, senz’avere singolarità seducente di si- 
militudini e di imaginose descrizioni, non si possono nemmeno 
dir privi di certo brio e snellezza. 

E poichè cade in acconcio vuolsi notare che non tutti gli 
autori dei versi di occasione devono essere posti in fascio con 
quei volgari facitori di versi che un secolo fa rigogliosamente 
nutriva l’Arcadia nei suoi poveri orti, e che nemmen oggi sono 
pienamente scomparsi, tuttochè siane cangiata la natura. Impe- 
rocchè se scarsi sono ai tempi che corrono i festaioli che v'im- 
pongano il balzello di un sonetto pel loro santo, o gli amici o 
i congiunti che vogliano la poesia per le sacre loro vestali, bru- 
licano invece i feroci tormentatori che pretendono il verso od 
il brindisi per l’amico o pel superiore in ufficio od in amministra- 
zione, neo-decorati. E sì che parecchie volte costoro sono, anche 
nelle città e d’ordinario ne’ villaggi, null’altro che grottesche 
figure di sindaci o speziali o mercantuzzi, fedeli, e talor esecu- 
tori inconscii di mandati che lasciano ben poca edificazione nei 
retti pensatori, o che non ebbero altro scopo che l’utile dei loro 
protettori. Ecco il perchè conviene talora vedere premiati in 
ogni grado persino omiciattoli, non solo privi del menomo va- 
lore, ma macchiati pur di atti che in tempi normali ed in paesi 
diversamente retti sarebbero puniti coll’ergastolo. 


FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 637 


Ma passiamo oltre, poichè queste miserie non tangono il 
Linati, che non fu mai blanditore di simili turpi sconcezze, 
e facciamoci invece senz'altro a considerare una monografia sto- 
rica pubblicata da lui negli “ Atti della R. Deputazione di Storia 
patria per le province dell’Emilia ,, nel 1879. 

Essa versa intorno al parmigiano Claudio Cogorani, inge- 
gnere, ch'era fiorito nel secolo XVII. Questa dissertazione, sulla 
quale egli manifestò divergenza d’opinioni da un illustre nostro 
collega, serve anco a provare quanto il Linati possedesse una 
intelligenza storica, se forse non molto larga, sicura al certo. 
Egli non apparteneva a coloro, che dal condannar tutto il pas- 
sato vorrebbero trarre argomento della necessità di rifare a 
nuovo il mondo, od a quegli altri che vorrebbero trovare nel 
passato il solo esemplare su cui rifondere la società. E se il 
Linati, nè conviene dimenticarlo, si fosse applicato a minor nu- 
mero di materie, talora disparate, forse i suoi lavori storici 
avrebbero potuto avere lettori, più di coloro le cui opere mol- 
teplici e voluminose rimarranno piuttosto patrimonio esclusivo 
degli eruditi e dei dotti. Ciò premesso, vuolsi avvertire che 
l'ingegnere Cogorani, di cui s'intrattenne il Linati, aveva ser- 
vito molti padroni, l’imperatore Rodolfo II, gli Estensi, i gran- 
duchi di Toscana, ecc., fatto per nulla straordinario, e che va 
ed andrà/sempre rinovellandosi in qualunque professore di arti 
liberali. Nel 1614 poi aveva avuto dal marchese Incisa, gover- 
natore di Milano per la Spagna, mentre ferveva la guerra col 
duca di Savoia Carlo Emanuele I per la nota successione di 
quella potenza, l’incarico di costrurre in riva della Sesia il forte 
chiamato poi di Sandoval, demolito nel 1638 allorchè il mar- 
chese di Leganes ebbe ad impadronirsi di Vercelli. 

In quell'occasione l'ingegnere Muzio Oddi, visto il forte co- 
strutto dal Cogorani, aveva scritto a Pier Mattia ed al colonnello 
Giordani, in una lettera che si conserva nell’Oliveriana di Parma, 
queste parole: “ Il Cogorano sa di architettura quanto le mie 
scarpe : è stato aiutato et portato avanti dal signor Duca di 
Parma suo padrone e benchè si vedano e si conoscano da tutti 
manifestamente i suoi errori, l'autorità nondimeno di chi lo porta 
può tanto che si battezzano per cosa considerevolissima e fatta 
con somma prudenza... ,. Questo brano di lettera dell’emulo del 
Cogorani veniva riportato dal Promis nella sua importante ed 


638 GAUDENZIO CLARETTA 


erudita biografia di ingegneri militari italiani dal secolo XV alla 
metà del XVIII, edita dal suo nipote avvocato Vincenzo (1), ma 
col rincarir la dose degli appunti del Muzio Oddi. Infatti egli 
avendo potuto ritrovare un autografo del Cogorani, pieno zeppo 
di solecismi e di madornali errori d’ortografia, volle con questo 
mezzo distruggere affatto la fama di quell’ingegnere, e spal- 
leggiare invece l’emulo nelle sue poco benevoli insinuazioni. 
Notisi poi ancora che il Promis faceva un appunto ancor più 
grave al Cogorano, come quello che veniva a ledere il suo ca- 
rattere, osservando essere stati insomma ingegneri italiani che 
ebbero a costrurre un fortilizio destinato a ribadire il servizio 
della patria. 

Il Linati adunque non seppe menar buone al Promis queste 
osservazioni, oppugnate da lui quali inopportune e premature ; 
non quella sull’incapacità poggiata sulla scorrettezza sola di una 
sua lettera, ben sapendosi quanto a quei giorni pochissimi fa- 
cevano studii letterari, e non si credevano nemmeno in debito 
di farli. A ragione si meraviglia il Linati che il Promis, a fronte 
di parecchie altre testimonianze, accettasse come buona moneta 
il giudizio dell’Oddi, ingegnere anco lui e che poteva aver ge- 
losia di altro pari suo chiamato di fuori, e per soprappiù giunto 
ad essersi procacciato credito nell’esercito (2). 


(1) “ Miscellanea di storia italiana ,, XIV. 

(2) Del resto è bene sapere che il Promis stesso non mantenne in mas- 
sima sempre lo stesso sentimento. Per convincersene basta leggere il suo 
carteggio col cavaliere Amadio Ronchini, di cui ora pure parleremo. Ivi sin dal 
1864, a proposito dell’architetto Gerolamo Genga, egli aveva scritto : “...Delle 
mie noterelle accidentali sulla ignoranza degli artisti ed ingegneri nel XVI 
secolo, ne faccia ella quanto vuole. Chi avesse tempo a ciò le potrebbe 
aggrandire di molto, essendo allora il saper leggere e scrivere, da avvocati, 
medici, negozianti, insomma da chi ne traeva speciale vantaggio. Il Cellini 
che scrive così meravigliosamente bene, non lo sa, e va dal Varchi a farsi 
correggere. Ora gli artisti sanno leggere e scrivere, ma non sono mica più dotti 
di quanto lo fossero allora... ,. Memorie e lettere di Carlo Promis ecc., raccolte 
dal dott. Gracomo Lumsroso, Torino, 1877, pag. 247. E pochi giorni prima 
lo stesso Promis aveva scritto anche al Ronchini: “ Non mi fa specie che il 
Marchi a 32 anni non sapesse scrivere; era questo il caso di non pochi tra i suoi 
coetanei. Così il capitano Frate da Modena (del quale ella conosce la bella 
vita scritta dal marchese Campori), quantunque di nobil casato ed autore di 
un trattato, in età di quasi 80 anni affermava in pubblico atto di non saper 
nè poter scrivere. Il valente biografo cerca di coonestare la cosa, ma le pa- 


FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 639 


In quanto poi all’aver voluto il Promis far carico al Cogo- 
rani di aver prestato servizio ai dominatori d’Italia, così il 
Linati prende a confutarlo, cominciando ad osservare che era 
questo un voler dimenticare affatto le idee, i costumi e il diritto 
pubblico del tempo nel quale egli era vissuto: “ ...Ci sono voluti 
secoli di oppressioni e di servitù, trasformazioni politiche straor- 
dinarie, slancio unanime di filosofi e di poeti, congiure fallite e 
soffocate nel sangue, perchè i sentimenti di un'Italia libera ed 
indipendente entrassero nel cuore di ogni classe di cittadini. Sul 
principio di questo secolo gli uomini più cospicui avevano a 
gloria ed a fortuna il seguire il vessillo straniero che Napoleone I 
spingeva sui campi della vittoria. Ed il signor Promis vorrebbe 
far colpa al Cogorani di non aver di tre secoli precorso i suoi 
tempi! Via, è uno spingere troppo oltre i blandimenti verso 
il nostro ,. Credo che nessuno dissentirà dal retto e spregiu- 
dicato ragionare del Linati, poichè ad ogni modo si potrebbe 
sempre dire che gli errori dei padri deggiono far rinsavire i 
figli, e costoro devono valersi della saviezza loro per migliorare 
se stessi e il loro tempo, e non per maledire i padri e rappre- 
sentarli anche più colpevoli di quel che furono. Nella stessa 
raccolta delle memorie succitate il Linati pubblicò altresì la 
commemorazione del socio effettivo di quella Deputazione di 
storia or citata, Amadio Ronchini, autore di varie pregevoli me- 
morie storiche e direttore dell'Archivio di Stato parmense dal 
1840 al 1890, cioè per un. mezzo secolo, e che era succeduto 
a sua volta all’illustre Angelo Pezzana, corrispondente pure di 
quest’Accademia, e Nestore ai suoi dì dei letterati e dei biblio- 
grafi italiani. 

Queste notizie sommarie sembrami che saranno sufficienti 
per lo scopo di questa nota necrologica. Per amor del vero ci 


role sono troppo formali. Il grande Bramante, che era poeta e dirigeva fab- 
briche importantissime non meno per numero che per qualità, Bramante 
non sapeva scrivere per attestato di Sabba Castiglione che lo doveva sa- 
pere vivendo a Milano alla stessa età. Non so più dove abbia letto che il 
duca Cosimo, principe di svegliatissimo ingegno, aveva bisogno di veder 
modelli di fortezze, perchè le piante non le intendeva: chi dice questo è 
un contemporaneo, e non ne fa caso alcuno come di cosa frequente... ni 
Ib., pag. 246. Ho addotto questi periodi perchè convalidano l'opinione del 
Linati; forse il Promis non credeva di contraddirsi di tal guisa quando 
scrisse quegli accenti sul conto dell'ingegnere Cogorani. 


640 GAUDENZIO CLARETTA 


si permetta soltanto di aggiungere, che se non tutti gli scritti 
del Linati potranno essere accettati dalla scienza severa, come la 
fisiologia trascendentale e il pensiero sulla generazione, lavori che 
dimostrano come molti studii furono sciupati per errore di me- 
todo, egli è fuori dubbio che l’operosità sua fu più che comune. 
Infatti ei lavorò sino all’ultimo, e cadde sull'opera sua come il 
lavoratore instancabile al cader del sole. Pochi giorni prima della 
sua morte egli pubblicò ancora nel Nuovo Risorgimento una lettera 
aperta sul socialismo, e un’operetta, La famiglia e lo Stato, conden- 
sando in un centinaio di pagine una dottrina vasta e collegata 
nelle sue parti, più che non appaia al considerarla superficialmente. 

Abbiam accennato nell’esordio all’affetto e alla predilezione 
che sulle altre parti d’Italia egli ebbe inverso il Piemonte. Ed 
allorquando scioltosi dai legami che lo tenevano vincolato all’Or- 
dine di Malta (1), si unì in matrimonio seguendo gli impulsi del 
cuore, che sebben talor inganni non ingannò lui, dal Piemonte 
tolse quella che doveva essergli compagna nel resto dei suoi 
giorni (2). E l’unigenito Pier Maria Claudio, natogli a Genova 
nel 1867, volle affidare al principale istituto educativo che sotto 
gli auspicii del magnanimo re Carlo Alberto fiorisce da mezzo 
secolo in una amena cittadella a poche leghe da Torino. E com- 
piuti egli i suoi studii, laureavasi in leggi a Genova nel 1892, 
sostenendo per tesi di laurea l'argomento Matrimonio e Divorzio, 
che pietosamente volle dedicato a sua madre, allor defunta, 
come nesso che congiugnesse l’estinta ai superstiti e desolati 
padre e figlio. 

Ma i giorni propizii della sua vita erano numerati; e la 
perdita della consorte ed i malanni inseparabili dalla vecchiaia 
davano da qualche tempo in lui segni di deperimento, cosichè 
il 17 del settembre scorso egli cedeva al comun fato nella sua 
patria, dove i suoi funerali ebbero numeroso concorso di amici 
e di estimatori. 


(1) Io aveva in quei tempi udito raccontare l’aneddoto, del quale non 
mi assumo però alcuna mallevaria, ed è che portatosi il Linati a Roma per 
ottenere dal sommo pontefice Pio IX l’esenzione dal voto di castità, e come 
losco d’occhi egli essendo, incespicò; il che fece dire a quel papa, inclinato 
ad arguzia di motti: “ Andate, andate pure; vedo che una compagnia vi è 
proprio necessaria ,. 

(2) Angela Chiaudano da Vercelli, colta insegnante. 


G. CLARETTA — FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 641 


Non mancarono al Linati e dal governo e dal pubblico molti 
attestati di stima (1) ed onorifiche distinzioni, e senz’occuparci 
troppo di queste per esserne da lunga età scemato il valore a 
cagione della sventata profusione e della partigianeria che il più 
delle volte ne regola le elargizioni, diremo ch’egli appartenne 
alla nostra Accademia come socio corrispondente dal 26 no- 
vembre del 1857: e fu aggregato agli Atenei di Venezia e di 
Milano, alla Società ligure di Storia; e parecchi anni tenne la 
presidenza della Deputazione parmense di storia patria. 

Tale pertanto fu la vita di questo patriota che militò sempre 
nel campo della moderazione ; vita piena di pensiero, di azione 
e di studii, e che voglio lusingarmi di aver rappresentato senza 
sforzar nulla, nè col disegno, nè coi colori. È vero che la mode- 
razione, per quanto essa sia già una virtù dell’animo, oggi pare 
venuta in uggia; ed in grazia delle ire di parte tanto degli uni 
quanto degli altri militanti ne’ campi diversi, anzi opposti, ed 
in grazia dell’audacia delle fazioni spalleggiate dai sofismi dei 
giornali, la si vuol confondere colla codardia o con un freddo 
sentimento di patriottismo. Ma forse, e ciò affermiamo senz’es- 
sere vincolati da idee di un pessimismo partigiano, non sarà 
troppo lontana l’epoca in cui si potrà vedere dove ci avranno 
fatto giungere certe avventatezze, e che cosa avrà giovato esserci 
scostati dalla temperanza, e che cosa saranno per partorire gli 
eccessi. 

Intanto non dubitiamo di proporre ad esempio la modera- 
zione e la operosità del conte Linati: e sarebbe al certo ad 
augurarsi che in quanto a queste doti il patriziato italiano 
producesse uomini frequenti della sua stampa: e che molti dei 
moderni Sardanapali, i quali si adagiano in molli ed infingardi 
ozi, invece di predicar agli altri lavorate, dicessero invece una 
buona volta lavoriamo, e concorriamo ad apportar materiali per 
ricostituire su basi ben più morali l'odierno edifizio sociale. É 
non vi par fors’egli che in questi momenti, al retorico excelsior 
debba invece sostituirsi il men poetico, ma praticamente più 
utile laboremus ? 


(1) Il Sarmi, nel suo Parlamento subalpino e nazionale, lo disse Consi- 
gliere di Stato; ma è un errore; il Linati non appartenne mai a quel- 
l’illustre Consesso. 


642 GIUSEPPE ALLIEVO 


La libera attività dell’educando 


secondo Enrico Pestalozzi e Gian Giacomo Rousseau; 


Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO. 


L'interiore attività dello spirito e la dignità personale della 
natura umana, è questo, a mio avviso, il sommo principio di 
tutta la scienza ed arte dell’educare. Questo principio parmi di 
ravvisare tratteggiato sia nella persona, sia nella dottrina pe- 
dagogica di Enrico Pestalozzi. Il suo carattere franco, onesto, 
incrollabile, la sua vivace e brillante immaginazione, il suo sen- 
timento profondamente religioso, il suo cuore ardente di gene- 
roso amore verso i fanciulli ed i poveri abbandonati, la sua 
instancabile operosità illuminata da una splendida intelligenza, 
ed in mezzo a tutte queste magnifiche doti la rara modestia 
del suo animo fanno di lui una di quelle nature elette e pri- 
vilegiate, che hanno pochi pari nella storia dell'educazione. Egli 
concepiva il nobilissimo proposito di rigenerare le classi popo- 
lari mercè di una educazione elementare, che le elevasse al sen- 
timento della dignità umana, e vi lavorò intorno tutta la vita 
come chi sente la santità del magistero educativo, attingendo 
la forza necessaria a tanta opera dagli intimi penetrali della 
coscienza e dalla interiore potenza del suo spirito. Il suo ideale 
era certamente troppo sublime, perchè la vita di un uomo an- 
che fornito di validi sussidii potesse giungere fin là; ed egli 
stesso nella modestia e lealtà dell'animo suo ebbe a confessare 
candidamente, che nel corso delle sue esperienze incorse in 
isbagli gravi e non pochi, nè i risultati sempre risposero al suo 
concetto. Coll’agonia in cuore vide cadere l’un dopo l’altro gli 
istituti educativi da lui fondati, a cui aveva consacrato gli averi, 
l'ingegno, le forze, la vita, e per giunta fu colpito dalle atroci 
calunnie de’ suoi medesimi amici, che lavoravano a’suoi fianchi 
entro il medesimo recinto scolastico; ma sempre si mantenne 


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LA LIBERA ATTIVITÀ DELL'EDUCANDO ECC. 643 


calmo, rassegnato, fidente in Dio e nel trionfo finale della sua 
idea. Tale fu la persona di Enrico Pestalozzi. 

Alla persona fa bella corrispondenza la dottrina pedagogica. 
Egli esordì nel suo magistero educativo con un atto di protesta 
contro il meccanismo scolastico dominante, che soffocava lo svi- 
luppo spontaneo della mente, e che gli suggerì l’idea di fondare 
l'educazione elementare sull’attività interiore dello spirito e sulla 
dignità della persona umana. “ L’ Europa col suo sistema d’in- 
segnamento popolare doveva per necessità piombare nell’errore, 
o piuttosto nel traviamento, che la perde..... In Europa la col- 
tura del popolo è riuscita ad un vano cianciume, funesto del 
pari alla vera fede ed al vero sapere; una specie d'istruzione 
di mere parole... È cosa incontestabile, che la manìa delle pa- 
role e de’libri, la quale ha tutto assorbito nella nostra educa- 
zione popolare, ci ha condotti a tale punto, che riesce impossi- 
bile rimanere più a lungo quali siamo di presente , (1). “ Da per 
tutto un processo contrario a quello della natura, da per tutto 
la predominanza della carne sullo spirito, e l'elemento divino 
relegato nell'ombra; l'egoismo e le passioni prese per moventi; 
abitudini macchinali invece di una spontaneità intelligente , (2). 
Così il Pestalozzi nel primo esordire della sua carriera aveva 
riconosciuto che l’educazione elementare era viziata da un pro- 
cesso artificiato, epperò compressivo, e che occorreva sostituire 
il processo della natura, siccome quello, che si fonda sulla libera 
e spontanea attività dello spirito. Ma qual è il processo pro- 
prio della natura? Ecco il problema, che egli propose alla sua 
meditazione. È cosa per sè manifesta, che a scoprire la legge, 
che governa la natura nel suo procedimento, occorre prima co- 
noscere in che consista essenzialmente essa natura umana. Ve- 
diamo come l’autore abbia derivato dal concetto psicologico della 
natura umana la legge universale del suo sviluppo, e come su 
questa legge abbia fondato il suo concetto pedagogico. 

Il Pestalozzi non ci ha lasciato un sistema di filosofia psi- 
cologica, elaborato nelle sue parti ed armonicamente composto 
a scientifica unità, ma il suo concetto dell’uomo traspare quale 


(1) Come Geltrude istruisce i suoi fanciulli, lettera X. 
(2) IZ Canto del Cigno, V. 


614 GIUSEPPE ALLIEVO 


là siccome una splendida intuizione sia da alcune pagine de’ suoi 
scritti, sia dal tutt'insieme della sua opera educativa. L'uomo, 
quanto alla sua origine, non è figlio del cieco caso, nè una trasfor- 
mazione della materia bruta, bensì una creatura di Dio fornita 
delle virtù necessarie per compiere la sublime destinazione, a 
cui lo chiama il suo Creatore. Riguardato poi nella sua essenza, 
è un organismo vivente: gli organi, che lo compongono, sono le 
tre distinte forze, fisiche, intellettuali e morali, di cui è per na- 
tura fornito. Queste forze da principio preesistono in lui invi- 
luppate sotto forma di germe, ma in quel germe giace una 
energia, una attività radicale, che lo trae ad uno sviluppo spon- 
taneo, attività, che vi fu posta da natura e come tale è indi- 
pendente dalle circostanze esteriori. “ Osservate un albero pian- 
tato in riva delle acque correnti. Donde mai è uscito colle sue 
radici, col suo tronco, colle sue branche, co’ suoi rami, co’ suoi 
frutti? Vedete! Voi deponete nella terra un piccolo nocciolo. 
In esso evvi lo spirito dell’albero, l'essenza dell’albero: esso è 
il grano dell’albero: Dio è il padre, il creatore del nocciolo e 
della terra feconda; Dio è grande nel nocciolo dell’albero... 
Come io vedo crescere l’albero, così vedo crescere l’uomo. Prima 
ancora che il bimbo sia nato, sonvi in lui i germi invisibili delle 
disposizioni, che la sua vita trarrà allo sviluppo. Le forze di- 
verse del suo essere e della sua vita si formano, come nell’al- 
bero, restando unite, ma distinte, durante tutto il corso della 
sua esistenza..... Tutte le facoltà del sapere, del potere e del 
volere, distinte ma unite dallo spirito invisibile dell'organismo 
umano, lavorano nell’armonia divina della fede e dell’amore, 
concorrono tutte insieme a formare l’essere interiore, distinte 
dalla carne e dal sangue, l’essere eterno di giustizia e di santità, 
l’uomo creato all'immagine di Dio, per divenire perfetto, come 
il suo Padre celeste è perfetto , (1). 

L'uomo è un vivente organismo fornito di potere operativo, 
di cuore e di intelligenza, ecco il concetto psicologico di Pesta- 
lozzi. L'organismo umano si svolge dal proprio germe e si va 
perfezionando in virtù di una energia intrinseca al germe stesso, 
ecco la legge suprema, che governa il processo naturale dello 


(1) Discorso pronunciato il 12 gennaio 1818. 


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LA LIBERA ATTIVITÀ DELL’EDUCANDO ECC. 645 


spirito umano, e che può essere appellata legge di organismo. 
Su questa legge posa il principio fondamentale di tutta Ia sua 
pedagogia. Il significato di questa legge applicata alla educa- 
zione ci porta a riconoscere, che: 1° lo sviluppo educativo non 
deve comporsi di elementi meccanicamente sovrapposti dal di 
fuori alla persona del fanciullo, bensì deve sgorgare dall’attività 
interiore del suo spirito secondata dall'opera dell’educatore; 
2° che ciascuna delle tre forze supreme costitutive dell’essere 
umano avendo natura sua propria, che dalle altre la distingue, 
va educata con mezzi speciali e secondo leggi particolari con- 
formi alla sua natura; 3° che siccome tutte e tre stanno insieme 
unite tanto da formare un organismo concorde e vivente, così 
vanno educate l’una congiuntamente con l’altra in un perfetto 
ed armonico equilibrio. 

Così il nostro autore ha fondato sul concetto dell'organismo 
tutta la natura dell'essere umano e la sua educazione ed ha 
idoleggiato la sua idea sotto l’immagine dell’organismo, quale 
si osserva nelle piante e negli animali. Per certo vuolsi ricono- 
scere, che dovunque vi è organismo, si manifesta la vita, e che 
la vita importa un principio di attività insito nell'essere stesso 
vivente, il quale perciò ci porta ad ammettere anche nel fan- 
ciullo una energia interiore, suscettiva di uno sviluppo spon- 
taneo e libero; ma a scansare ogni equivoco fa d’uopo porre 
mente, che tra l'organismo fisiologico proprio delle piante e degli 
animali e l’organismo mentale proprio dello spirito umano vi 
corre non già identità di natura, ma una mera analogia, come 
ho cercato di chiarire nel mio opuscolo Studi psicofisiologici, 
pag. 13. Vero è, che egli riconosce, che l'organismo umano dif- 
ferisce dall'organismo vegetale e dall’organismo animale, perchè 
esso va fornito di libertà e coscienza; pur tuttavia io porto 
ferma opinione, che più razionalmente e più agevolmente si riu- 
scirebbe a stabilire la libera attività dello spirito, se invece di 
prendere le mosse dal concetto dell'organismo, si muovesse dal 
concetto di persona, la quale è per se stessa fornita di coscienza 
e di libera attività volontaria, concetto, su cui io ho posato tutta 
la mia dottrina antropologica e pedagogica. 

È la vita, che educa (Canto del cigno, V). Con questa frase 
felicissima e veramente scultoria il Pestalozzi formolò il con- 
cetto supremo, che domina ed informa tutta la sua dottrina. È 


646 GIUSEPPE ALLIEVO 


veramente, osservo io, che è mai la vita, se non un principio 
intimo, un centro di attività, da cui fluisce spontaneo tutto lo 
sviluppo di un essere? Perchè adunque la vita sia educatrice, 
occorre che l’intelligenza ed il cuore del fanciullo siano com- 
penetrati dallo spirito della vita, e che di là questo spirito vi- 
tale si espanda in tutte le azioni esterne di lui, ed allora sol- 
tanto queste azioni saranno educative. 

Scoperta la legge. dell'organismo direttiva dello sviluppo 
naturale dello spirito umano, e quindi riposto il principio fon- 
damentale dell’educazione nell'attività propria del fanciullo, l’au- 
tore fonda su questo concetto tutto il disegno della educazione 
elementare. “ La mia idea dell’educazione elementare risiede 
nello sviluppare, secondo la legge naturale, le diverse forze del 
fanciullo, morali, intellettuali e fisiche, colla subordinazione ne- 
cessaria al loro vero equilibrio (Canto, ecc., V) ,. Ora tutte e tre 
queste forze, il cuore, l'intelligenza, l’arte si sviluppano mediante 
l’uso, la pratica, l'esercizio; e siccome questo esercizio deve pro- 
venire ed essere accompagnato dallo spirito interiore, così è 
sempre la vita, che educa il fanciullo sotto i tre grandi aspetti 
della natura umana. “ Ciascuna delle nostre forze, morali, intel- 
lettuali, industriose, non può trovare che in se stessa, e non già 
nelle influenze esteriori artificiali, la ragione ed il mezzo del 
suo aumento. Fa di mestieri, che la fede (del cuore) proceda 
dalla fede, e non dalla conoscenza e dalla intelligenza di ciò, 
che vuol essere creduto. Bisogna che il pensiero proceda dal 
pensiero, e non dalla conoscenza e dalla intelligenza di ciò, 
che vuol essere pensato o dalle leggi del pensiero. Fa d’uopo, 
che l’amore proceda dall'amore, e non dalla conoscenza e dal- 
l'intelligenza di ciò, che è l’amore, e di ciò, che merita di essere 
amato. Occorre che l’arte anch’essa proceda dall'arte, dal saper 
fare, e non da discorsi interminabili intorno l’arte ed il saper 
fare (Discorso del 12 gennajo 1818) ,. Queste considerazioni 
dell'autore sono fondate in verità, quando siano intese a chia- 
rire, che ciascuna delle nostre fondamentali potenze ha natura 
siffattamente propria e sua, che non può pigliare il suo punto 
di mossa dall’altra, e che da prima si crede, si ama, si pensa, 
si opera senza conoscenza di sorta, poi si conosce quel, che si 
crede, si ama, si pensa e si opera. Il credere e l’amare non 
origina dal conoscere, ma dalla stessa virtù del cuore. 


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LA LIBERA ATTIVITÀ DELL’EDUCANDO ECC. 647 


Discendendo ai particolari, vediamo come ciascuna parte 
dell'educazione sia compenetrata ed avvivata dallo spirito in- 
teriore dell'alunno. Per coltivare il cuore ed informarlo alla 
moralità vuolsi fare assegnamento non tanto sui discorsi e 
sulle esortazioni al bene operare, quanto sulle azioni stesse 
trasformate a poco a poco in buone abitudini. Occorre avvez- 
zare sin dai primi anni il fanciullo alla pratica delle virtù mo- 
rali e cristiane cominciando da menome cose anche le più in- 
significanti, per guisa che egli si assimili colla sua attività, e 
non già col solo mezzo delle parole la moralità del costume. 
Rispetto all'educazione intellettuale, il maestro deve proporsi 
più di formare e fortificare il pensiero, che non di fornirlo di 
cognizioni, più di far preparare il vaso, che di riempierlo, sicchè 
il discente sia egli l'artefice del suo sapere ed acquisti il gusto 
e la facilità di imparare da sè. Quindi il fanciullo imparando 
sia sempre attivo; impari cioè col mezzo delle proprie impres- 
sioni intuendo ed osservando co’proprii sensi, e non già col 
mezzo delle parole. Le parole devono bensì venir compagne 
delle idee per fissarle e renderle stabili dentro il pensiero, ma 
non le dànno; e le parole senza le idee, che esse rappresen- 
tano, valgono un bel niente. “ L'idea dell'educazione elementare 
si applica altresì all'arte, come al cuore ed all'intelligenza: essa 
rende il fanciullo attivo sin dal cominciamento, lo abilita a pro- 
durre colle sue proprie forze dei risultati, che sono veramente 
per lui, e gli dà ad un tempo il potere e la volontà di innal- 
zarsi più su senza copiare servilmente gli altri. Gli è nelle con- 
dizioni e ne’ bisogni della vita reale, nel recinto della sua fa- 
miglia, che egli deve cominciare ad apprendere l’impiego ed il 
perfezionamento delle sue forze sotto il rapporto dell’arte e 
dell'industria (I! canto del cigno, V) ,. 

Che se il Pestalozzi tiene in altissimo pregio la libera in- 
dividualità dell'alunno e la vuole rispettata dall’educatore come 
cosa sacra, sarebbe un frantendere il suo pensiero il credere 
che egli propugni con ciò una indipendenza assoluta, sfrenata, 
fuor d’ogni modo e misura. Anzi tutto egli voleva la libera 
attività del fanciullo conciliata colla dignità propria della na- 
tura umana, subordinando la coltura della vita fisica e l’impero 
de’ sensi alla legge morale e spirituale. L'uomo non acquista 
il libero dominio di sè per altra via se non mediante la vita 


648 GIUSEPPE ALLIEVO 


interiore dello spirito, che sente la sublimità della sua desti- 
nazione; epperò l'istruzione e l’arte non erano l’unico e supremo 
scopo, a cui egli intendeva, ma e l’una e l’altra voleva rivolte 
all'educazione morale, coltivando il cuore, e nel cuore la fede, 
l’amore, la giustizia. Nè si fermava a questo punto di una mo- 
rale esclusivamente umana, o come oggidì la chiamano, indi- 
pendente. Egli riconosceva l’esistenza originale del male nel 
cuore dell’uomo, e quindi la sua naturale fiacchezza e la neces- 
sità della grazia divina, che lo sorregga nel raggiungimento del 
suo ideale. Quindi è che egli additava la religiosità siccome la 
corona ed il compimento dell’opera educativa. “ Se l'elemento 
religioso non penetra l’educazione tutta quanta, esso ben poco 
influisce sulla vita, ma rimane isolato o ridotto a mera forma. 
La religione non è un effetto dell’opera dell’uomo, bensì ele- 
mento divino, che è nell'uomo, e della grazia di Dio. L’educa- 
zione elementare sviluppando tutte le forze poste da natura 
nell'uomo, sviluppa altresì e fin dalle prime l'elemento religioso 
secondo la sua vera natura: e per ciò stesso l'educazione ele- 
mentare è perfettamente conforme collo stato del Cristianesimo 
(op. cit.);;- 

Raffrontando fra di loro il Pestalozzi ed il Rousseau sia 
in riguardo alla loro individualità personale, sia rispetto alle 
loro dottrine pedagogiche, vi si scorgono vaghe e remote con- 
sonanze in mezzo a profondi e spiccati contrasti. Ancor giovane, 
il pedagogista di Zurigo lesse l’Emilio di Gian Giacomo, e quella 
lettura lo scosse nelle più intime fibre dell’anima. Lo spirito 
di libertà, che anima le pagine di quel libro, la straordinaria 
potenza dell’immaginazione, che colorisce e ritrae al vivo le 
idee, le attrattive incantevoli dello stile, la nobiltà e l'eccellenza 
dell'educazione, trovano un’eco nel suo cuore e rispondono ai 
sentimenti proprii dell'animo suo. Per qualche tempo egli rimase 
soggiogato dall'autore dell’Emilio; ma quando il sacro dovere 
di padre lo chiamò ad educare il proprio bimbo, allora sentì 
svegliarsi in lui la coscienza della sua individualità personale, 
e fatto accorto dalla propria esperienza, corresse gli errori 
enormi, che si nascondono in quell’incantevole libro, e circo- 
scrisse entro i confini della ragione i principii esorbitanti, che 
rasentano il paradosso. 

L'educazione debb’essere una libera espansione dello spirito 


LA LIBERA ATTIVITÀ DELL’EDUCANDO ECC. 649 


dell'alunno e non già un costringimento, una compressione, una 
servitù: ecco un solenne principio pedagogico profondamente vero, 
intorno al quale convengono i nostri due pensatori. Ma la libertà 
dell’educando ha essa dei limiti, che la circoscrivano? Ecco il 
punto, in cui stanno fra di loro in profondo dissidio. Rousseau 
concepisce la natura umana siccome essenzialmente libera ed 
assolutamente indipendente da ogni vincolo esteriore e sociale ; 
concepisce la società .siccome oppressione e schiavitù. La natura 
ci ha creati per la libertà; la società è la tiranna della natura, 
ci disumana: obbedire ai doveri sociali è un rinnegare la libertà, 
a cui abbiam diritto per natura. Per conseguente il fanciullo 
non può essere ad un tempo educato in parte per sè, in parte 
per la convivenza sociale, essendochè natura e società sono in- 
conciliabili, ma va educato tutto per sè, nient'altro che per sè, 
nella più assoluta indipendenza di se medesimo. Ecco in breve 
il concetto di Rousseau intorno la libertà dell’educando. Ben 
altrimenti la pensa il Pestalozzi. “ Maestro (egli scrive nel suo 
giornale, 19 febbraio 1774)! Sii persuaso dell’eccellenza della 
libertà!! Non ti lasciar punto trascinare dalla vanità ad otte- 
nere a forza delle tue cure frutti prematuri; che il tuo fanciullo 
sia libero quanto lo può essere. Tutto, assolutamente tutto ciò, 
che puoi insegnargli, mediante gli effetti della natura medesima 
delle cose, non glie lo insegnare colle parole! Lascia che egli 
stesso veda, intenda, trovi, cada, si rialzi e si inganni. Ciò, che 
può fare da sè, lo faccia! Che sia sempre occupato, sempre at- 
tivo. Ma quando vedrai la necessità di abituarlo all’obbedienza, 
preparalo con la massima cura a questo dovere difficile da 
adempiere in una educazione libera... Senza obbedienza non v'è 
educazione possibile. Sonvi casi urgenti, in cui la libertà del 
fanciullo farebbe la sua perdita... La libertà è un bene; l’oh- 
bedienza lo è del pari. Noi dobbiam riunire ciò, che Rousseau 
ha separato: colpito dai vizi di un pazzo costringimento diso- 
norevole per l'umanità, non ha trovato limiti alla libertà ,. 
Entrambi prendono le mosse dal concetto della natura 
umana, la quale pone il fondamento della vita e dell'educazione ; 
ma quanto diversamente è interpretata dall'uno e dall'altro! 
Rousseau non solo concepisce la natura siccome essenzialmente 
libera e la società siccome assolutamente oppressiva e tiranna, 
ma la ripone nelle ingenite tendenze a tutto ciò, che è piacevole, 


650 GIUSEPPE ALLIEVO 


a tutto ciò, che ci torna utile, a tutto ciò, che è ragionevole ed 
onesto, e proclama che tutte e tre queste tendenze costitutive 
della natura umana sono buone per se stesse, tutte pure da 
qualsiasi pervertimento primordiale, sicchè non avvi punto per- 
versità originale nel cuore umano. Il fanciullo esce di mano 
della natura buono, integro, incorrotto; l’arte e la società lo 
corrompono. Da questo concetto della natura egli ne inferiva, 
che il fanciullo va educato dalla natura stessa, e non dall'uomo, 
il quale appartenendo ad una società corrotta, non può non cor- 
romperlo, che cioè l'educazione di lui debb'essere negativa per 
parte nostra, positiva per parte sua. “ Non date al vostro alunno 
veruna guisa di lezione verbale; egli non ne deve ricevere che 
dall'esperienza. Non infliggetegli veruna specie di castigo, perchè 
egli non sa quel, che significa essere in colpa. Non fategli 
giammai dimandare perdono, perchè non saprebbe offendervi. 
Sprovveduto di ogni moralità nelle sue azioni, non può far nulla, 
che sia moralmente male e meriti castigo o riprensione (Emilio, 
t. I, pag. 136, ediz. Parigi, 1831) ,. Il Pestalozzi muove anch'egli 
dal concetto della natura umana, che emerge da forze fisiche, 
intellettuali e morali insieme riunite, ma la riconosce origina- 
riamente infetta da un germe di male, e per conseguente egli 
giustamente ne argomenta, che il fanciullo abbisogna dell’opera 
positiva di chi corregga le sue malnate tendenze educandolo al 
bene, e della forza sovrannaturale divina, che rinfranchi la sua 
fiacchezza e gli rassicuri il trionfo nella lotta contro le passioni. 

L'educazione non è soltanto opera dell’intelligenza e del 
pensiero, ma altresì del cuore, ed il cuore sarà sempre per l’e- 
ducatore un saggio e sicuro consigliere segnatamente in certi 
casi ardui, gravissimi e singolari, in cui vien meno la parola 
medesima della scienza. Sotto questo riguardo l’Emilio ci porge 
sott'occhio pagine ben poco confortanti. Il cuore di Rousseau 
ha le sue simpatie e le sue antipatie verso gli alunni e sceglie 
tra i suoi eletti ed i reprobi. “ Io non mi incaricherò punto 
(scrive l’autore dell’Emilio) di un fanciullo malaticcio e tisicuzzo, 
dovesse egli pur vivere ottant'anni. Non voglio un alunno sempre 
inutile a sè ed agli altri, tutto quanto intento alla propria con- 
servazione, ed il cui corpo nuoce all'educazione dell'anima... Il 
povero non abbisogna di educazione... Scegliamo dunque un ricco; 
così siam sicuri di aver fatto un uomo di più ,. Il pedagogista 


han lodi a ione dida 


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LA LIBERA ATTIVITÀ DELL'EDUCANDO ECC. 651 


ginevrino non solo non aveva cuore educatore per tutti i fan- 
ciulli, ma nemmeno per i figli, a cui egli stesso aveva data la 
vita, essendochè i cinque bimbi, che ebbe dalla sua concubina, 
l’un dopo l’altro appena nati li espose alla cieca ventura disper- 
dendoli fra i trovatelli. Chi non ha cuore di padre, non può 
aver cuore di educatore. Il Pestalozzi invece fu ad un tempo 
una potente intelligenza, ed un grande e nobile cuore, che fece 
di lui un vero apostolo dell'educazione popolare. Egli raccolse 
intorno la sua persona uno stuolo di piccoli mendicanti, che 
giacevano vittima dell’indigenza e dell'ignoranza, e con essi iniziò 
la sua carriera educativa, aprendo una scuola ed un convito, 
dove prese a nutrirli col pane del corpo e dello spirito, e tutta 
la sua vita fu un generoso sacrificio intento ad educare con 
intelletto d'amore le classi popolari. 

Scomparso Gian Giacomo Rousseau, rimase il suo Emilio, 
il quale contò pur sempre buon numero di lettori entusiasti e 
di critici più o meno profondi, ma non giunse a creare intorno a sè 
una schiera di intelligenti interpreti e seguaci, che lavorassero 
concordi nell’intendimento di elaborarne le idee, arricchirne la 
scienza pedagogica, incarnarle nella privata e pubblica edu- 
cazione, In nessuna parte d’ Europa sorse un istituto scolastico, 
che portasse l'impronta del sistema educativo dell’autore; e la 
scienza dell’istruire e dell’educare non ne uscì rigenerata in 
veruna sua parte. E se ne intende agevolmente il perchè. Molte 
e splendide verità, nè tutte nuove ed originali, giacciono qua e 
là disseminate nel suo libro, ma il principio supremo, che tutto 
lo domina, è una enorme contraddizione, una stranissima utopia; 
e le contraddizioni, le utopie non discenderanno mai nel campo 
dei fatti. Egli volle ritrarci nel suo Emilio l’ideale tipico del- 
l’educando, mentre non ci porse che una figura tutta fantastica, 
la quale non piglierà mai corpo e vita nel mondo della realtà. 
Se l’idea originale di lui giungesse a dominare la pubblica edu- 
cazione, la società cadrebbe disfatta e l'umanità sarebbe cacciata 
a vivere dispersa fra le selve. 

Il Compayrè nella sua Histoire critique des doctrines de 
l’éducation en France trasmoda fuor di ragione nel giudicare 
l’influenza esercitata dall’ autore dell’Emilio nel dominio della 
scienza pedagogica. Basti il dire che egli scorge le traccie di 
questa influenza in tutti quegli scrittori di educazione, che ci- 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI, 45 


652 GIUSEPPE ALLIEVO 


tano in qualche modo una sentenza qualsiasi di Rousseau, e 
giunge perfino ad annoverare fra i suoi discepoli Emanuele Kant. 
Che il filosofo di Koenisberg abbia letto l’Emilio con avidità ed 
interesse, come già lo aveva letto con certo qual entusiasmo il 
Pestalozzi, s'intende da sè, segnatamente se si ha riguardo al- 
l’attrattiva irresistibile dello stile, con cui è dettato; ma che 
quella lettura abbia fatto di lui un discepolo di Rousseau, è 
questa una asserzione insussistente, che il Compayrè invano si 
argomenta di confermare adducendo alcuni passi del trattatello 
di Pedagogia del filosofo tedesco. Se egli avesse davvero dimo- 
strato, che Kant ha seguito la dottrina pedagogica dello serit- 
tore ginevrino almeno ne’ suoi principii sostanziali, allora avrebbe 
avuto ragione di proclamarlo discepolo di Rousseau; ma la cosa 
corre ben altrimenti. Infatti insegna l’autore dell’ Emilio, che il 
fanciullo va educato per se stesso, e non per la società, la quale 
è contro natura; che va cresciuto in una libertà assoluta, sciolta 
da ogni vincolo di obbedienza; che si tenga in un’assoluta igno- 
ranza intorno a Dio ed alla religione insino a che sia uscito 
di puerizia: questi sono i punti sostanziali ed originali della . 
sua dottrina. Per lo contrario Kant insegna, che bisogna for- 
mare i fanciulli anche per la società, e biasima Rousseau, che 
proclama ed esalta la nativa rozzezza delle nazioni; che l'alunno 
va cresciuto libero ed obbediente ad un tempo, sicchè al carat- 
tere di lui appartiene sopratutto l'obbedienza; che assai per 
tempo e sino dagli anni primi vanno date alcune nozioni di 
religione, e che “ il fanciullo deve imparare a sentire una ve- 
nerazione davanti a Dio come davanti il Signore della vita e 
di tutto il mondo ,. Quanto ai pensieri, in cui ambidue conven- 
gono fra di loro, essi non sono originali e siffattamente proprii 
di Rousseau, che gli possano valere il titolo di maestro, bensì 
trattasi generalmente di sentenze, che o furono già professate 
da altri scrittori, o discendono a filo di logica dal sistema filo- 
sofico di Kant. 

Ben altra fu l’influenza esercitata da Enrico Pestalozzi nel 
campo dell'educazione e della sua scienza. Poichè a lui sopra- 
visse la sua idea pedagogica e passò ad informare di se mede- 
sima innumerevoli scuole, che sorsero in Svizzera, in Germania, 
in Francia, attestando la sua fecondità e potenza. La dottrina 
di lui conta numerosi e chiari ingegni, che la discussero, la in- 


LA LIBERA ATTIVITÀ DELL'EDUCANDO ECC. 653 


terpretarono, la propagarono con ardore ed illuminato intendi- 
mento, ed è memorabile la discussione fatta sul suo metodo 
intuitivo all’ Esposizione universale di Parigi del 1878. A dire 
il vero, il Pestalozzi aveva bensì intuito il supremo principio 
pedagogico, lo andava sempre meditando e ne aveva coscienza; 
ma quel principio rimase ne’ numerosi suoi scritti vago, indefinito 
e pressochè allo stato informe di germe. Occorreva una mente, 
che esplicandone il contenuto lo traducesse in forma di un si- 
stema rigoroso e logico, ne cercasse il fondamento razionale e 
ne mostrasse l’intrinseca fecondità applicandolo a tutte le parti 
dell'educazione umana. Questo còmpito venne maestrevolmente 
adempiuto dal suo più illustre discepolo ed ammiratore il ba- 
rone Roggero de Guimps, che dall'età di sei anni prese a fre- 
quentare l’istituto pestalozziano di Yverdun, e seguendo passo” 
passo col pensiero il successivo esplicarsi dell’idea pedagogica 
del suo maestro, ne pubblicava or son pochi anni la storia. Già 
nel 1860 usciva alla luce a Parigi la sua opera: La philosophie 
et la pratique de l’éducation, nella quale egli ricerca il principio 
fondamentale dell’educazione in quella legge suprema, che pre- 
siede allo sviluppo naturale dell’uomo; ma mentre questa legge 
naturale era stata pel Pestalozzi una vaga e mera intuizione, 
egli si studiò di dimostrarne la verità deducendola da una pa- 
ziente ed esatta osservazione de’fatti. Lo studio del successivo 
sviluppo fisico, intellettuale e morale dell’uomo lo condusse a 
riporre la legge suprema e quindi il principio fondamentale del- 
l'educazione nell’organismo de’ tre poteri, che costituiscono la 
natura umana, cioè il corpo, lo spirito od intelligenza, il cuore, 
poteri differenti l’uno dall’altro nella loro natura e nelle loro 
manifestazioni, ma armonicamente congiunti in un solo tutto 
organico. Nella prima parte della sua opera egli dimostra, che 
lo sviluppo dell’uomo fisico, intellettuale e morale è governato 
dalla legge dell'organismo; nella seconda parte applica questa 
legge, principio fondamentale pedagogico, a tutte le parti del- 
l'educazione umana, formolandola in questi termini: 

1. L'organismo si appropria quel tanto e non più, che 
gli è stato assimilato mediante un lavoro de’ suoi organi. 

2. L'organo si accresce e si fortifica mediante l'esercizio 
ed in ragione della sua attività, scema e si affievolisce nella 
inazione. 


654 G. ALLIEVO — LA LIBERA ATTIVITÀ DELL’EDUCANDO ECC. 


8. L'azione di un organo contribuisce più o meno al pro- 
gresso degli altri organi ed allo sviluppo dell’intiero organismo. 

4. Ogni progresso compiuto dall'organismo divien causa 
e mezzo di un nuovo progresso. 

5. Questi progressi formano un intreccio continuato, i 
cui gradi sono insensibili, e che non comporta nè salto, nè lacuna. 

6. Lo sviluppo dell'organismo non si arresta mai del 
tutto ad un tempo determinato; dove non evvi più progresso, 
là vi ha decadenza. 

I diversi articoli di questa legge costituiscono i principii 
universali ed immutabili più essenziali della scienza pedagogica, 
e sono applicabili sia all'educazione in generale, sia alle singole 
sue parti. 
| Io convengo coll’autore nel riguardare l’educazione siccome 
essenzialmente organica nel senso, che lo sviluppo educativo del 
fanciullo deve germogliare da quel principio attivo, che sta dentro 
di lui e che per virtù sua si espande al di fuori continuo, pro- 
gressivo, distinto nelle sue parti, armonico ed uno nel suo in- 
sieme. Ma, se io ben veggo, parmi che il concetto di organismo 
sia troppo astratto e generico tanto da abbracciare non l’uomo 
soltanto, ma tutti i viventi anche irragionevoli, e che superiore 
ad esso avvene un altro più elevato e più comprensivo ad un 
tempo, il quale esprime tutta e sola la natura umana, voglio 
dire il concetto di persona. Poichè chi dice organismo senza più, 
afferma bensì un vivente, che si svolge per sua virtù interiore, 
ma non distingue ancora se il suo sviluppo sia cieco o consa- 
pevole, fatale o libero. Per contro la persona umana possiede 
e comprende nell’unità del suo Io un corpo, che si muove ed 
opera, uno spirito, che pensa e conosce, un cuore, che sente e 
vuole, e tutti e tre li sviluppa scientemente e liberamente e 
concepisce Dio, siccome essere personale infinito, e quindi sic- 
come l’eterno ideale, dove va a mettere capo lo sviluppo inde- 
finito di tutta la sua vita. 


j 


N | I o o N N N a Aaa i 


© G. MERCATI — UN PALIMPSESTO AMBROSIANO ECC. 655 


D'un palimpsesto Ambrosiano contenente i Salmi esapli e 
di un’antica versione latina del commentario perduto 
di Teodoro di Mopsuestia al Salterio. 


Nota del sac. GIOVANNI MERCATI 


Dottore della Biblioteca Ambrosiana. 


Tra le innumerevoli opere di Origene la più laboriosa, la 
più solida, la più opportuna ed utile fu senza dubbio la colle- 
zione del testo originale e delle antiche versioni greche del 
Vecchio Testamento conosciuta sotto il nome di Esaple. Essa 
rispondeva ad un bisogno reale dei dotti cristiani, che si tro- 
vavano nella disagiata condizione di avere la massima parte 
dei loro libri sacri originariamente scritta in una lingua igno- 
rata da quasi tutti. La versione attribuita ai LXX, di sommo 
valore critico senza dubbio, ma insieme non immune da difetti 
d’interpretazione nè pochi nè lievi, e riproduzione d’un testo 
alquanto diverso dall'ebraico allora corrente, non era in grado 
di soddisfare pienamente a tutti i bisogni dell’esegesi e della 
polemica specialmente contro i Giudei, i quali più d’una volta, 
eccependo contro i passi recati o come non esistenti nell’origi- 
nale o come malamente tradotti, mettevano in serio imbarazzo 
chi non poteva di per sè verificare in fonte ed era ridotto o 
ad una risposta evasiva o a sospettare alterati di proposito i 
testi ebraici, là dove realmente non lo erano. 

Origene ben vide l'inconveniente, e, per ripararvi e fornire 
a se stesso ed a tutti una base sicura ed un aiuto potente d’in- 
terpretazione, concepì ed eseguì uno dei più grandiosi ed allora 
specialmente difficili disegni, che non aveva precedenti nell’an- 
tichità. Anzi tutto per rendere accessibile alla comune il testo 
originale del V. T., che tra i cristiani doveva allora essere raro 


656 GIOVANNI MERCATI 


anzi che no, lo inserì al primo luogo nella sua collezione, e 
ne divise e distribuì quasi in altrettante linee le sue parole, 
facilitando i riscontri, di cui diremo tosto, ed anche la lettura 
scabrosa ai meno pratici per la continuità della scrittura. Im- 
mediatamente appresso trascrisse le stesse parole ebraiche in 
lettere greche, insegnando agli antichi la lettura dell’ebraico ed 
ai moderni la pronuncia usata dai Giudei d’allora, alquanto di- 
versa dall'attuale. Affinchè poi potessero tutti agevolmente co- 
noscere il vero valore tanto delle singole parole quanto dell’intero 
costrutto, e rilevare a colpo d’occhio le aggiunte e le lacune e le 
inversioni del testo usitato nella Chiesa rispetto all’Ebraico, 
egli dispose di fronte alle singole parole ebraiche le diverse 
versioni in greco fattene da uomini delle più diverse confessioni 
religiose e pratici del testo originale. 

Dell’intera Bibbia ebraica quattro versioni esistevano, l’Ales- 
sandrina, quella d’Aquila, di Simmaco e di Teodozione: per al- 
cuni libri inoltre una quinta, una sesta e perfino una settima, 
anonime, di cui due furono scoperte da Origene stesso. Figu- 
rarsi la mole di queste Esaple, in cui il V. T. era costantemente 
ripetuto 6 volte almeno, e talvolta 7, 8 e sino 9 volte! 

Aggiungasi, che Origene l’aveva arricchita di prolegomeni 
e di scolii, per non dire degli obeli e degli asterischi, coi quali 
s'ingegnò di rendere anche più visibili le singole parole e par- 
ticelle crescenti o mancanti nei LXX rispetto all’Ebraico, se 
pure questa operazione non fu ristretta alle Tetraple od al testo 
dei LXX estratto dall'una delle due collezioni mentovate, se- 
condo che altri ha voluto (1). 

La complessa e sterminata opera, così ingegnosamente ar- 
chitettata e pazientemente ed abilmente eseguita, per la somma 


(1) E veramente distribuito il testo, come lo è nel palimpsesto Ambro- 
siano delle Esaple, non rimane più tanto necessaria questa aggiunta d’obeli 
e di asterischi. — Per quanto riguarda l’Esaple, cfr. i prolegomeni del Fietp, 
Origenis Hexapla quae supersunt, I (1875), 1v-ct, che sono ancora quanto di 
meglio è stato scritto in proposito. Avvertiamo solo, che il primo racco- 
glitore dei frammenti esaplari non è stato P. Morin (ib., p. iv), ma il 
famoso Giovanni Driesca 0 Drusius belga, in Psalmos Davidis vett. Inter- 
pretum Quae extant fragmenta. Antuerpiae ex officina Christophori Plantini, 


x 


M.D.LXXXI., di cui è copia nella biblioteca Ambrosiana. 


UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 657 


utilità, anzi indispensabilità sua rimasta unica nel genere (1), 
e per l'immunità dagli errori, che resero odiate altre opere di 
Origene, avrebbe dovuto secondo ogni apparenza essere l’ultima 
a perire: ma purtroppo non fu così. 

Accolte a braccia aperte ed usitatissime perfino nel centro 
più ostile ad Origene, Antiochia, le Esaple erano destinate a 


| perire per la loro stessa mole. Si fanno salire a 50 i volumi, 


in cui quest'opera doveva essere distribuita, e si dubita eziandio, 
se sia stata ricopiata per intero anche una sola volta (2). Ori- 
gene stesso (o prima o poi, questo non c’interessa al presente) 
ne diede il meglio in una collezione più accessibile — le Tetraple, 
ora anch’esse perdute —, dove furono riprodotte solo le 4 ver- 
sioni celebri. Indi si fu paghi d’estrarre dalle Esaple o dalle 
Tetraple il solo testo dei LXX, detto per ciò esaplare, cogli 
asterischi e cogli obeli (a poco a poco naturalmente spostatisi), 
e di aggiungere in margine lezioni scelte dagli altri interpreti; 
infine si arrivò a fare altrettanto sopra testi punto esaplari 
come quello del Marchaliano, secondo che dimostrò il Ceriani. 
Così i compendii a poco a poco soppiantarono l’opera, e 
questa per vicende ignote finì miseramente per perdersi, e in- 
sieme con essa perirono 6 o 7 versioni greche anteriori al sec. III 
di tutto o parte del V. T., una copia di un codice ebraico del 
sec. III almeno, ed un vivo testimonio della pronuncia dell’ebraico 
in quel torno. È escluso, s'intende, il Daniele di Teodozione. 
Quando ciò avvenisse, non è definito. Recentemente si as- 
serì, che l’Esaple fino dalla metà del sec. IV erano perite colla 


(1) È significantissimo il passo di Leonzio Nrap., Vit. S. Symeonis, c. 40, 
Patrol. Gr., XCIII, 1720 A, dove riferisce di due monaci emeseni del pari 
convinti dell’eresia d’Origene, che disputavano, se questi avesse o no colle 
sole forze naturali potuto comporre tanti bei scritti, specialmente 
l’Esaple, accettate fino ad oggi (quindi alla 2* metà del sec. VI al- 
meno) come necessarie dalla Chiesa cattolica .....t0d dé ma 
Gvmtéfovtog, GTI où duvaTtai TIg AaXfoar èk Puoikod mieovexrtmuatog AdYoug, 
og ézéBero, udiIO TA TOÙG TUÙv ‘Efamribv aùtod © diò Kai puéxpt 
onuepov déxeTar aùTtà Wwg davarkaîa 7 xa@o0Aikm ’EkkAnoia. Il 
passo è da aggiungere all’Ueberlieferungsgesch. ete., p. 342, che siamo per 
citare. 

(2) FreLDp, p. xcix. 


653 GIOVANNI MERCATI 


biblioteca di Origene e di Pamfilo (1): nè si ritrattò questo er- 
rore, quando si ammise poi come verisimile, che la biblioteca 
danneggiata alla metà del IV durasse ancora al VI secolo (2). 
L’asserzione avrebbe meritato una severa disamina, in quanto 
che veniva a ridurre a testimonii di seconda e terza mano per 
i frammenti esaplari tutti i commentatori e compilatori di ca- 
tene da Eusebio in poi, compreso Girolamo, che pure formal- 
mente attesta d’averle adoperate e copiate: in altre parole, 
veniva a presentare quali residui esaplari tutto e solo quanto 
ne citò Eusebio o ne apposero Pamfilo e lo stesso Eusebio al 
margine di qualche mss. dei LXX uscito dall’officina libraria di 
Cesarea. 

Felicemente però nel frattempo a risparmiare il penoso e 
lungo esame si presentavano i salmi Esapli. La biblioteca Am- 
brosiana, dai cui tesori negli ultimi decenni il Ceriani oltre 
molte altre rarità traeva per i nostri studii la Siro-Esaplare, e 
donde non ha guari C. Ferrini esumava non poche parti perdute 
dei Basilici, ora ci ridona in un palimpsesto l’unica serie con- 
tinua del testo delle Esaple nell'ordine e nello stato originale. 
Finora tutto quanto restava di esse era frammentario e disgre- 
gato, pigliato dal margine di qualche codice o catena biblica, 
oppure dal testo di qualche commentatore, che di quando in 
quando credette bene valersene, e nell’uno e nell’altro caso di- 
sposti nell'ordine e nella forma sembrata più comoda e concisa, 
quale certo non era l'originaria. Negli stessi più lunghi fram- 
menti del codice Barberiniano, che in certa maniera conserva 
le colonne, le lezioni comuni sono date una sola volta sotto le 
sigle dei singoli traduttori e non già ripetute nella rispettiva 
colonna, come certamente fu nell’originale (3). Nè è a soffermarsi 
agli esempi, che si sogliono dare delle Esaple, essendo essi una 
riproduzione del Barberino ovvero una restituzione più o meno 


(1) Harnacx-PreuscHEN, Geschichte d. altchristl. Litteratur bis Eusebius, 
I, 340. A 
(2) Harnacx, Zur Ueberlieferungsgesch. d. altchristl. Litter., p. 17 in Texte 
u. Untersuch., XII, 1. Sulle sorti della Biblioteca aveva già prima nel 1891 
accuratamente trattato l’EnrnarDT nel Rimische Quartalschrift, V, 221-43. 

(3) Cfr. il facsimile d’Osea, XI, 2 in BrancHuIni, Euangeliarium Quadruplex, 
I, 2, p. pxxx1, tab. 1, num. 3. 


tica inni è 


e led dee lecite 


PE AT e e. 


UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 659 


felice degli editori. Onde i raccoglitori di queste sparse membra, 
disperati di restituire l'ordine primitivo, si videro costretti a 
distribuirle in un altro, che è sembrato loro più conveniente ed 
utile (1). 

Del palimpsesto Ambrosiano e del suo contenuto diamo per 
ora solamente una notizia sommaria, riserbando il resto all’edi- 
zione, che colla penosa lentezza di simili lavori si va preparando. 


II. 


Il codice Ambrosiano 0,39, membranaceo 0,19 X 0,15, di 
fogli 110, sec. XIII-XIV, contiene nella superiore scrittura “ Zo- 
annis Damasceni versus in ecclesiis graecorum pro temporum va- 
rietate cantari solitos ,, come faceva notare a principio l’Olgiati. 
Il codice era già in biblioteca nel 1603: donde vi fosse portato, 
è ignoto. 

Sotto la nera e grossolana scrittura dell’Octoéehos, che con- 
servato in moltissimi manoscritti non ha per noi grande inte- 
resse, biondeggia ovunque sebbene più o meno diluita un'elegante 
minuscola del sec. X: è quella delle Esaple. Il volume primitivo, 
sciupato per dar luogo ad una delle più comuni collezioni di 
poesia sacra bizantina, doveva essere a dirittura splendido, come 
lo sono parecchi altri del sec. X. Di ciascun foglio d’esso si fe- 
cero quattro del nuovo manoscritto, ritagliando margini e linee 
di maniera, che le sue dimensioni non potevano essere inferiori 
di 0,38 X 0,28. I centodieci fogli pertanto dell’Octoéchos ci sal- 
vano appena ventisette fogli e mezzo del 1° manoscritto natu- 
ralmente più danneggiati, più dispersi e confusi tra loro, che 
negli altri palimpsesti sfuggiti a simile sezione. 

Dal contenuto dei pochi fogli rimasti appare, che il codice 
primitivo doveva essere voluminoso assai, se anche conteneva 
metà soltanto del Salterio, come si sa di alcune catene sui salmi 
divise in due tomi. A principio senza dubbio erano gl’'imman- 
cabili prolegomeni verisimilmente proporzionati al resto del- 
l’opera (2). Nel corpo poi al primo luogo davasi in altrettante 


(1) Frelp, p. 11. 
(2) Cfr. sotto $ III. 


660 GIOVANNI MERCATI 


colonnette il testo ebraico in lettere greche, e le versioni di 
Aquila, Simmaco, dei LXX, e di Teodozione colle varianti delle 
due ultime tra le linee od al margine. Separato da un piccolo 
ed elegante fregio a penna seguiva ripetuto in tutta la lun- 
ghezza della linea il salmo intero nel testo dei LXX, secondo 
quale recensione non ho ancora determinato: i singoli ver- 
setti sono separati e distinti da uno spazio alquanto mag- 
giore, che non tra parola e parola. Dopo un nuovo fregio ve- 
niva un'abbondante catena di passi dei Padri a commento dei 
singoli versetti o parti di versetti ripetuti una terza volta in 
rosso e però svaniti più facilmente del resto. Tra i PP. sono 
recati più di frequente Origene, Eusebio, Didimo e Teodoreto, e 
poi s. Basilio, s. Giovanni Grisostomo e s. Cirillo. 

La mancanza del testo ebraico in lettere ebraiche nelle 
Esaple, dovuta certamente alla difficoltà somma di trovare uno 
scriba greco pratico dell’ebraico e all’impossibilità d’una lun- 
ghissima trascrizione per chi l’ignorava affatto, potrebbe far 
dubitare ad alcuno, che noi avessimo di fronte non l’Esaple, sì 
bene per così dire le Pentaple o un TTevtacéMidov, come è pro- 
priamente detto un codice simile al nostro dallo scoliaste del 
Marchaliano ad Esa. III, 24 (1). Ma fortunatamente tra le re- 
liquie altrove conservate abbiamo tanto nel conosciutissimo Bar- 
beriniano, quanto in altro codice Ambrosiano, di cui più avanti, 
frammenti di sole cinque colonne tutt’affatto come nel palim- 
psesto: eppure sono detti espressamente tolti dall’Esaple: èx T@èv 
‘Ezam\bv (2). E naturalmente la cosa doveva finire così. La col- 
lezione continuò ad essere chiamata col titolo primitivo anche, 
quando uno dei sei elementi necessarii per verificarlo fu dovuto 
lasciare da canto; e fu ben tosto, come appare dal Marchaliano. 
Nè so se debbasi lamentare molto la mancanza della prima co- 
lonna, sia perchè è supplita sufficientemente dalla seconda, che 
per la sua facilità relativa di trascrizione era molto più sicura 
dagli abbagli dei copisti, sia perchè nella copia in caratteri 


(1) Pag. 182 della fototipia. La lezione del codice èv t® TTevtaceridòw 
è chiarissima, nè è a dubitare col Field della sua giustezza. Si vede benis- 
simo, che lo scoliaste aveva in Esaia un codice esaplare perfettamente 
come il nostro dei Salmi. 

(2) Fretp, t. II, pp. 957-8; I, p. x1, n. 2: cfr. più avanti, p. 665. 


UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 661 


‘ebraici fatta da uno, che li ignorava affatto, avremmo avuto un 
rompicapo di gran lunga maggiore, che nelle trascrizioni o piut- 
tosto sfiguramenti di lettere latine fatti da scribi greci igno- 
ranti di latino, e viceversa. 

Il palimpsesto non presenta alcun obelo ed asterisco, che 
tanto abbondano nel Salterio così detto Gallicano di s. Girolamo, 
riveduto poi da Floro (1). Ma, senza inculcare l'opinione ricordata 
di sopra ed il fatto, che la disposizione stessa dei testi li rende 
meno che necessarii, è da notare, che nel Salterio la stessa Siro- 
Esaplare li pone con troppa parsimonia, a dire del Field che ve li 
attendeva in maggior copia, e che s. Girolamo ha in questo 
abbondato di troppo, più che non fece a quanto sembra Ori- 
gene (2). 

I frammenti esaplari dei Salmi restituiti dall’Ambrosiano 
sono: Salm. XVII (secondo i LXX), 26-48; XXVII, 6-9; XXVIII, 
1-3; XXIX intiero; XXX, 1-10, 20-25 (fine); XXXI, 6-11 (fine); 
XXXIV, 1-2, 13-28 (fine); XXXV, 1-5; XLV intiero; XLVII, 
1-6, 11-15; LXXXVIII, 26-53 (fine). — Se quest’ultimo salmo 
facesse parte dello stesso tomo che i precedenti, non so dire, 
non avendo finora ritrovata alcuna traccia della numerazione 
dei quaderni. 

I frammenti, benchè pochi relativamente al testo perduto, 
sono d’un valore incalcolabile fornendoci la pietra di paragone 
per tutti gli espilatori delle Esaple, ai quali unicamente dove- 
vamo finora affidarci. Là dove avevamo appena qualche inciso, 
ora si hanno dei tratti continui: e si sa quanto infinitamente 


(1) V. la sua lettera a S. Eldrado abbate della Novalesa in Mar, Script. 
Vett. Nova Coll., t. III, 2, pp. 252-5, da non perdere mai di vista nella storia 
del Salterio Gallicano. I versi, che colla lettera accompagnavano il salterio 
riveduto, nel nostro correttissimo esemplare Ambrosiano F, 36 sup., sec. XV, 
sfuggito all’ultimo editore, MG., Poetae Latini Medii Aevi, t. II, pp. 549-50, 
sono detti essere scripti in fine antiquissimi Psalterii Taurini in ecclesia 
s. Andreae, £.° ult. r. Sarebbe questo Salterio di S. Andrea stato della 
Novalesa pur esso? e lo stesso inviato da Floro ovvero una copia? Dove è 
ora? Speriamo, che lo rintracci l’infaticabile ricercatore di tutte le cose 
novaliciensi, il chiar.®° Cipolla. — La corrispondenza di Floro ed Eldrado 
era pure nella parte perduta del Chronicon Novaliciense, 1. IV, capp. 4-6: 
cfr. l'indice in MG., Scriptores, t. VII, p. 407. 

(2) FieLp, p. Lxn. 


662 GIOVANNI MERCATI 


più facili sono le corruzioni in frammenti staccati, che frammisti 
ad elementi eterogenei ci ha per molteplici rigiri portato il lan- 
guido corso di una tradizione indiretta. Ancora abbiamo fortu- 
natamente questi lunghi tratti dei singoli interpreti ben distinti 
tra loro in alcuni salmi, per i quali il Crisostomo ci forniva 
abbondanti lezioni senza sigle d’interpreti in quasi tutti i codici, 
oppure colle sigle (del resto facilmente alterabili) al margine, 
senza che risultasse chiaramente a quale delle varie lezioni si 
riferivano (1). Coi nuovi passi si tolgono questi dubbi nelle parti 
comuni, e s'impara a risolverli anche nelle parti non ‘comuni. 

E siamo lieti di poter assicurare fin d’ora, che la tradizione 
indiretta del Salterio esaplare è di gran lunga migliore, che 
non si credeva. Meravigliosa è l'esattezza del codice più abbon- 
dante di frammenti, ossia il 264 d’Holmes-Parsons, l’Ottobo- 
niano 398 del sec. X. Inoltre, assicurata omai la conservazione 
del testo fino al sec. XII almeno, a cui tutt'al più risale la 
seconda scrittura dell’Octoéchos, diventa probabile, che anche 
i più tardivi ma diligenti commentatori della S. Scrittura, come 
ad esempio Teofilatto ed Eutimio Zigabeno, siano testimonii di 
prima mano, almeno relativamente alla parte delle Esaple senza 
dubbio conservata ancora al loro tempo. 

Oramai s'impone la ricerca dell’attendibilità dei singoli te- 
stimonii delle lezioni esaplari, ricerca che necessariamente do- 
veva premettersi dagli editori delle Esaple, eppure non fu mai 
nemmeno cominciata sul serio. Forse che ci possono acquietare 
farraginose e confuse citazioni di manoscritti in minima parte 
e superficialmente spogliati, quando non se ne conosce non che 
le famiglie, nemmeno il contenuto ? in altri termini, quando 
signora, se gli scolii contenenti lezioni esaplari e quasi mai 
riprodotti nelle stampe siano o no estratti d’autori conosciuti, 
uniti ai quali contano per uno; e s’ignora, se questi stessi 
autori da ultimo si riducano direttamente all’ Esaple o solo 
mediante le citazioni d’Eusebio o d’Origene ? 

I punti oscuri non si potranno forse dilucidare tutti, nem- 
meno coll’aiuto dei nuovi frammenti e coll’inevitabile studio 


(1) Di questi codici, di cui abbiamo intrapresa una speciale ricerca, 
parleremo a suo tempo. 


UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 663 


comparativo di tutte le famiglie delle catene superstiti; ma mol- 
tissimo senza dubbio si otterrà. E durante la ricerca, come 
sì presenteranno con sorpresa certi fatti finora non sospettati, 
— ad esempio, che certe lezioni attribuite alla quinta ed alla sesta 
edizione paiono dal nostro palimpsesto essere nient'altro, che 
lezioni di Teodozione occupanti in un TTevtacé\idov la 5* colonna 
o le varianti marginali (6* colonna) o interlineari dei LXX e di 
Teodozione —; così chi sa che non possano ritrovarsi, usando 
maggiore attenzione ai palimpsesti, novelle parti del codice per- 
duto o di altri consimili, che vedremo esistiti dopo il sec. X_? 
La speranza arride sempre, ma nel caso nostro non senza mo- 
tivo. Ancora al sec. XVI troviamo segnalati nella biblioteca di 
Costantino Varino a Costantinopoli i due codici certo non pa- 
limpsesti : 


SymmacHI HeBrari Interpretatio in Psalterium David. 
Eruspem Interpretatio in omnia volumina Veteris divinae 
| Scripturae (1). 


Forse il compilatore qui pigliava un grave abbaglio, ma forse 
anche leggeva e registrava giusto. Oh Dio lo volesse e ci ren- 
desse i preziosi manoscritti! 


II. 


Già prima che nel cod. O, 39, avevo trovato nel cod. Am- 
brosiano B, 106 superiore, dell’a. 966-967 (2), una testimonianza 
abbastanza sicura dell’esistenza di un Salterio esaplare colle 
5 colonne almeno, come nel palimpsesto. La riferiamo qui, perchè 
prima di tutto è certo, che essa si riporta a codice esaplare 
formalmente detto antichissimo ùrepoarav àpyaiw, e però prezio- 
sissimo e diverso dal nostro; poi perchè vi si conserva il titolo 
perduto del Salterio esaplare, e perchè dimostra che parti proe- 
miali tuttora correnti hanno appartenuto ai prolegomeni delle 
Esaple; ed infine perchè attestano formalmente, quale larghissimo 


(1) Cod. Ambros. 0, 245, f. 6. M’è inaccessibile l'edizione dei cataloghi 
delle biblioteche constantinopolitane curata dal Fòrster. 
(2) V. A. Cerrani nella Palaeographical Society, t. I, plat. 52. 


664 GIOVANNI MERCATI 


uso, per non dire plagio, siasi fatto da tutti dell’opera monumen- 
tale d’Origene. 

Le note sono d’una scrittura posteriore, fitta, compendio- 
sissima ed irregolare quanto mai, d’un dotto senza dubbio. È 
difficile determinarne più d’appresso l’età, ma oltre il sec. XII 
non può discendere. Una tavola pasquale, che si restringe tra 
gli spazii lasciati vuoti dalle note per rispettarle, e che è d'una 
scrittura manifestamente assai posteriore rispetto a quella d'esse, 
è dell'a. 1223-4 (f. 7). 

Il primo estratto è così introdotto: Eùpov èv BIBMw 
éxovti tà ‘EzamX& Qpirévoug eig toÙg YaXluoùg Tade 
Kato Méziv *’Eyù puèv dunv — ’Iwoiag Ovopa aùtd. È nel t. II, 
p.514-5 dell'edizione Maurina e nella Patrologia greca t. XII, 
col. 1056 B-1057. — Segue immediatamente (f. 7) il passo im- 
portantissimo intorno al dibyalua con simile introduzione, dove 
di più è per fortuna indicata la somma antichità del codice 
adoperato dall’anonimo: [po(getar) kai toÙTO ÈK TO btepdrav(1) 
àpy(aiov BI)BMIov ToÒ ‘Ezamiod imò ’LQpir(évovo Ne)Y6- 
uevov * TToMdkig Zntm(cag) — emomoeg= Opp. t. II, p. 515-6; 
P. Gr. t. XII, coll. 1057 C-1060 C. Qui, come poi, suppliamo le 
lettere tagliate col margine oppure rose colla pergamena. 

Al f. 7' succede uno scolio, più grossolanamente scritto, ma 
della stessa mano, sembra, divenuta più pesante e meno sicura, 
si direbbe d’un vecchio (2). ’Iotéov, ws (è)v ToîÎg èmò ’Qpi 


(1) Parola di lettura difficilissima. ùrep è nella nota tachigrafica del 
cod. Regio 1886, del sec. X, riprodotta dal Montfaucon e dal Lehmann, Die 
tachygraph. Abkirzungen d. griech. Handschriften, p. 88, e Taf.9, $ 48, n. 1. 
dy(av) a prima vista sembrerebbe un UuY o un a: ma a quella lettura si 
oppone la forma abituale del u, mentre l’a superiormente aperto ricorre 
altrove, ed a questa la brevità dell’asta orizzontale, che comincia esatta- 
mente sul prolungamento superiore della verticale (M = MM). La lettura quindi 
è certa, e mi si perdonerà, se per l’importanza somma della lezione e per 
la rarità dell’abbreviazione ho dovuto soffermarmi su di essa. Con ciò resta 
escluso per apx il supplemento etùmov (dapyetùtou), al quale aveva prima 
pensato, e diventa necessaria la lezione dpxaiov. — Nell’ edizione daremo 
una fotografia di questa pagina del codice. 

(2) Precede una croce, dal cui centro pende un cerchio, che viene ad 
essere attraversato per diametro dal piede d’essa. Probabilissimamente non 
è che una semplice croce, colla quale si trova cominciare molti atti: non 


e e pe CT a 1 à. 


UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 665 


TÉvOUO (é)ktederuevors ‘EzZa(m)\oîg oùtwSg ebpo(u)ev kai 
éuddopev (é)myrerpapoar TV (BIBXOV) TUvV yaludv éBpai(otì) 
GeEMPp, Orep ÉoTì Rip\og * dvtì dè TOÒ waludòyv Èkelto Kai été 
parto d0eXXiu. oUTWw dÈ ÈTÉTAKTO Î) fpagùà TÙV Nerouévwy' 


(1) cepp —* BiBNog © BiBNog  * BIBNOg * BIBX0g (2) 
adeMiu © woaluòv * yoaluòyv © yarXuod (3) © yaludv * 


TOUTEOTIV OTI oi EZEMINV(IO)AvTEG TÒò CÉpp* d0eMMu (4), mavteg 
oUtwS fMpunvevo(avto).....kov (5), BIBX0g waruwùv, kai oUTE TOÒ 
Aaveid oùTe TO Aavetò. 

L'anonimo parla proprio de visu, e riferendo il titolo pre- 
ciso dei salmi secondo tutti gli interpreti dice formalmente, che 
così si trovava ed era disposto nelle Esaple, e certo lo riferisce, 
quale appare doveva essere nel palimpsesto Ambrosiano. In 
quelle due linee si può avere una mostra della disposizione delle 
Esaple (6). 

È rilevante l’ultima osservazione, che nel titolo non era il 
nome di Davidde: la fa anche Origene in un frammento pub- 
blicato dal Pitra, /. c.: 6voua dè (Aaueid) èv tf èmirpagfì Toù Bi- 
BMiou où Keîta1 ÈvtadAa. 

AI f. 18' ricompare la stessa mano per dichiarare, che un 
passo intorno al èi&ya)pa dato nel testo sotto il nome d’Eusebio 
non è che un frammento dei prolegomeni di Origene all’Esaple 
(quale lo è diffatti: moMNdkig Znmimoao — étazav TÒ didyarpa, 


ripugnerebbe però, che fosse anche una sigla del nome d’Origene, benchè, 
a dir vero, nei manoscritti non ne abbia finora trovato un’eguale. 

(1) Questi punti sarebbero mai stati posti in vece delle lettere ebraiche 
non sapute trascrivere ? 

(2) 1 supplito sopra la linea. 

(3) Così secondo il compendio di scrittura: ma forse il segno dell’wv fu 
omesso per isbaglio dal copista. 

(4) Prrra, Analecta Sacra, t.II, p. 428, legge ceppà dereiu. 

(5) xov(x°) è certo: sembra preceda immediatamente un 1 e prima an- 
cora un u. La pergamena, già rinforzata con una striscia di pergamena 
incollatavi sopra, è lacera. La parola scomparsa, che sembra terminasse 
în uuxòv, doveva significare a un dipresso, propriamente, concordemente, 0 
semplicemente. Non oso proporre una congettura, non parendomi correre 
yvwwikòv, vouikòv e simili. Ù 

(6) Più ampio esempio v.in Cerrani, “ Rendiconti dell'Istituto Lom- 
bardo ,, serie II, t. XXIX, pp. 406-8. 


666 GIOVANNI MERCATI 


P. Gr. t. XII, col. 1057 C D), già dall’anonimo stesso copiato al 
f. 7. La nota risponde alla verità, ora da tutti riconosciuta fino 
al punto da accusare Eusebio di plagio (1), che Origene fu la gran 
miniera di quasi tutti i commentatori venuti dopo. L’anonimo, 
che aveva in mano non dei soli frammenti come noi, se ne potè 
accorgere meglio di noi. Ecco il passo: Tà évtadda, Us mapà Tod 
Eùcefiov Nerdueva, où Ttoò EùceRiov eioìv dii ’Lpirévouo, où 
Toîg currpaupaoiv émueréotata mpocéoyev EùoéBIOg TE Kai oi tpò 
EùceRiov kai per” Eùcépiov PoXbror Te Kai tepì TÙùg driag Pa@dg 
qudrtovor, kai fueîg edpovteg év TÙ ‘SEZaTtiù TO eig TOÙG 
Yaiuoùg metovnuéevw TÙò kai ’Adauavtiw NMeyouévw 
°Qpiréver pererpiyauev tg ‘Qprrévous Tod TO6° (2) oùTwWw Kai ZnTi- 
Gavtog Kai eitovtog Kai Ypadwavtog TOÙ ZyTnAévtog TV eUpeonv. 

Questo anonimo pur troppo termina i suoi estratti con 
quei pochi, che egli fornisce al salmo XXXX, senza indicare 
donde gli ha presi, in buona parte inediti, e che qui si dànno 
occasionalmente, affinchè si confermi ciò, di cui, tutto conside- 
rato, non ci pare esser dubbio; che cioè le note date sopra 
non sono una trascrizione di note apposte ad altro codice, ma 
estratti direttamente fatti dal dotto anonimo sopra un codice, 
antichissimo a suo dire, del Salterio esaplo. Del resto, se per 
improbabile questo anche non fosse, perirebbe una testimonianza 
or non più necessaria dell’esistenza del Salterio esaplare dopo 
il sec. X, ma tutto il rimanente conserva il suo sommo pregio 
intrinseco, che non fa d’uopo nè qui è tempo di rilevare d’av- 
vantaggio. 


f. 78 ’Qpirévoug eis TÒ ‘uakdipiog Ò GuviWww. Ò Guyviv 
èTTì mTIWwYXÒY Kai mévnta (3) TAvTWwO TÙùYV OXÎw1v TOÙ TTIWXOÒ Kai 
tévntog ijtor mV a(Ùtod ?) (4) teviav kai miwyeiav mepì tà Biw- 
TIKÀ. Î) Ti)V copiao kai Yyvwoewg kai dperfig kai Toò d\NBodg 
drago) évvowyv kai kata\auRavwyv ÈM(E0g?). uaxdpiotog ÉoTIv oÙX 
Ò mIWYÒg udvov TV Kovmyv TTWXEIAV (5) Èv TI TOMMd Ypagf] kai 
TO Cert edayteriw, kai dAlàd kai 6 è aù(tòv) Cuviv Kai dià 


(1) Prrra, Anal. S., III, 365 sgg. 

(2) Così ci pare vada letto. La scrittura però non è del tutto chiara. 

(3) Psalm., XL, 2. 

(4) Supplemento incertissimo: pare segua un f, onde si potrebbe pen- 
sare ad dppwotiav. i 

(5) Cfr. Patrol. Graec., XII, 1412, D, dove c'è appena qualche parola. 


—_ cm 


UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 667 


TÒ Cuvieîv éiewy aùtòv kai katà duvauw Wpe\bv. tig è’ dv ein 
uGiov uaxdpios î 6 miWy(d0) di... T... 0... w... Kai ar(?)... 
va... OUO... TÀ EG (TTW)XOÙS Koi m(évnTAG) nivé(ueva) (1). 

9 pirévovo (2) ‘“ év Nuépa movnpà , Tron wo ma Muépa oUon 
TOVNPA din TÀ TOÙ EVECTÒTOG aidvos n tà (3) Ts xpioews. EOTÌ 
Tàp aùtn OKOTOG (4) kai où gwg kata TÒv TPOPNTNV. kai è ’Atò- 


« oToNdg gno: “Ti ai nuépar tovnpai eio1”* kai év Ti) tpòg Ta- 


fg ————— ————r_r"ro—— eo 
. 


li È saint mitica di rt e’ "Ln SO I 


\dTag (5)° * OTWwO éEenTal nudg ÈKk TOÙ EVECTÙTOS aiùvoc Tovnpoù É 
kai law uikpoi Kai TOVNpPai ai nuépor Hou tì Tg YO. (6). 

Eis*tò ‘kai uarxapicar aùtòv Èv Ti) 1° gnoiv ’LQprrévng: Tò 
éTI OvTO Èv Ti) Capkì uaxapiZesdan tapdadozov xo uéfra, Otep Cvu- 
Baiver Toîs SUVIODOLV ÈTTÀ TTTWYXÒV Kai TEVNTA. 

Eis TÒ “EoTpepe Èv Ti appwotig aùtod ” Wo TAvTWwOo Èv (Ti?) 
dppwoTIA TOTÈ YEVOPEVOU TOÙ vùv uaxapiZopévou, TadTar \éfetar * 
mtavTw6g (7) Tàp Èv Kkaxia moté eiouv. 


Lo scolio a f° 99’, sul salm. LVII, 8, pure attribuito ad 
Origene nè ricorrente a detto luogo nell'edizione, ci sembra di 
mano affatto diversa. Per ogni riguardo lo diamo anch’ esso, 
come brevissimo : 


Lpirévovo. Ttò Beîov Yàp TÙP DITTIÙ]V éxov Tv duvapiv pu- 
TLOTIKTV TE Kai KAUOTIKTV, wo nov uèv KATÀ TÒ QUWTIOTIKÒV OÙK 
Ervwpioay, òg TÙPp dÉ KaTÀ TÒ KauoTIKOY. 


IV. 


I nuovi frammenti esaplari necessariamente ci riportarono 
ai commenti patristici del Salterio contenenti lezioni esaplari, 
e specialmente a quelli usciti alla luce dopo l'edizione ultima 
del Field. Accenno ai Commentarioli di s. Girolamo editi non ha 
guari dal chiarissimo d. Morin (8) ed al commentario contenuto 


(1) Essendo stato tagliato il margine, molte lettere sono scomparse. 

(2) fjtor wo ud — movnpoò anche il Mione, ib. colle varianti seguenti. 

(3) om. M. 

(4) toîg duaptw\oîg aggiunge M. 

(5) (&v — Fa.) mah M. Cfr. Amos, V, 18, 20: Ephes., V, 16: Gal., I, 4. 

(6) Genes., XLVII, 9, con parecchie omissioni notate altrove da Holmes, 
meno l’aggiunta èrì tig yÎg, che ivi non è attestata da alcuno. 

(7) Così nel codice: corr. màvtes? 

(8) Anecdota Maredsolana, INI, 1 (1895). 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 46 


668 GIOVANNI MERCATI 


nel celebre codice Irlandese C, 301 inf. dell’Ambrosiana edito 
dall’Ascoli colla cura e competenza d’un maestro consummato (1). 

Se il confronto dei due commenti, che per essere corsi en- 
trambi sotto il nome di Girolamo doveva premettersi ad una 
franca attribuzione dei Commentarioli al Santo, esclude qualunque 
communione e competizione tra di loro; l’esame interno del 
lungo commentario ambrosiano mostra affatto erroneo il titolo 
Hyeronimi presbiteri expositio super Psalterium etc. prefisso sola- 
mente nel sec. XV da'colui, che numerò il codice e ne in- 
dicò il contenuto (2), e manifestamente ne svela il vero autore. 
In una parola: il commentario di Teodoro Mopsuesteno ai Salmi, 
di cui finora erano noti soltanto pochi frammenti greci (3) e 
siriaci, ci sta dinanzi per buona parte in un’eccellente versione 
latina del sec. V. 

Che il commentario edito dall’Ascoli non fosse punto una 
catena od una compilazione volgare, ma bensì l’opera originale 
di un autore unico e singolarissimo, di sentimenti assai liberi, 
anzi eterodossi, acuto ed accuratissimo nella esposizione storica 
e letterale del testo, aborrente non solo dall’allegorismo degli 
Alessandrini, ma anche da parecchie interpretazioni communi 
nella Chiesa, bastava a mostrarlo una semplice lettura. — Che 
poi questo commentatore sia Teodoro di Mospuestia, evidente- 
mente lo mostrano (pur tacendo dei frequenti raffronti fra i testi 
biblici, siro, ebraico e greco, che non tutti ricorrono nella 
grande miniera dei Latini, Girolamo) la dottrina ivi aperta- 
mente professata a) sulla persona del Cristo, 5) sulla messianità 
di soli pochi salmi [4], c) sui salmi Maccabaici (4) ed altrettali 


(1) “ Archivio Glottolog. ital. ,, t. V, pp. xvi, 649, ed anche a parte, 
Torino, 1878-1889. 

(2) Uguale al n. 89 del Catalogo dell’a. 1461 in Perron, M. 7. Cicer. 
Oration. (1824), pp. 26, 188-90: RerrrerscHEm, Biblioth. Lat. PP. Ital., II, 43. 

(3) L’errore dell’Allacci, che in un codice vaticano esistesse l’intero com- 
mentario greco di Teodoro, fu già corretto dal Mar, Script. Vett. Nova 
Collect., t.I (1* ediz.), p. xx. Nè certo esistevano se non dei frammenti 
all’Escuriale, come appare dall’eccellente catalogo del Colvill, invano cer- 
cato dal Graux, e finalmente ritrovato dal Ceriani. Ne parleremo altra volta. 

(4) Cfr. BarrHacen, Siebenzehn Makkabiische Psalmen, in “ Zeitschr. f. 
Alttest. Wiss. ,, t. VI, 261-88; VII, 1-60. I salmi sono il 43, 46, 54-59, 61, 
68, 73, 78, 79, 82, 107, 108. Solo il 144 nel compendio latino, p. 599, par- 


ssi be 


UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 669 


opinioni notorie di Teodoro sopra i sensi dei salmi, ma più che 
tutto d) il riscontrarvisi alla lettera gli stessissimi passi di lui 
condannati nel Costituto di Vigilio ce. 20, 23, 24, 25, e nel 
V Concilio ecumenico, ed altri frammenti sparsi nelle più dispa- 
rate catene greche usate dal Barbaro (1), dal Corderio e dal 
Mai, ed il fondo degli estratti siriaci pubblicati dal Bathgen (2). 

Diamone qualche esempio tolto anzitutto dal Costituto e dal 


Concilio V ecumenico, di cui citiamo la versione antica latina, 


"e ee 


perchè il confronto sia più istruttivo, e premettiamo il passo 
greco salvatoci da Leonzio di Bizanzio (3): 


rebbe riferito al ritorno dalla cattività di Babilonia, anzichè alla vittoria 
dei Maccabei. Sulle dottrine di Teodoro e sopra il suo sistema d’interpre- 
tare la Scrittura Sacra, cfr. Kiran, Theodor von Mops. u. Junilius Africanus, 
pp. 61-197, e Swere, Theodori ep. Mopsuest. in Epistolas b. Pauli Commen- 
tarii, t.I, Introduction, p. LXV-LXXI, LXXVI-LXXXVII. 

(1) Non mai adoperato per Teodoro di M. 

(2) Der Psalmencommentar d. Theodor von Mopsuestia in Syrischer Bear- 
beitung in “ Zeitschr. f. alttestam. Wissensch. ,, V (1895), 53-101. Questo 
commentario, benchè porti il nome di Teodoro, contiene solo parti di lui 
frammiste a molti elementi eterogenei, come bene dimostra il Bathgen 
p. 56-60. 

(3) Contra Nestor. et Eutych., 1. III, in GaLranpi, XII, 696 (omesso in 
Mar, Spicil. Rom., X, 2, 87, e Patrol. Graec., LKXXVI, 1, 1385). Il testo 
greco fu dato dal Mai (traendolo dall'opera citata di Leonzio) in Script. 
Vett. Nova Coll., VI, 311-2, donde passò affatto fuori di posto in Micmg, 
LXVI, 1004 C. 


GIOVANNI MERCATI 


670 


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UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 671 
Sospendo le citazioni, perchè i due passi se ne vanno così di 
conserva sino alla fine (1). 

Mansi, IX, 78 D, 213 A. AscoLI, 347. 


Eiusdem (Theod.) de interpre- sicut in diebus letitiae cibus et 
tatione sexagesimi octavi psalmi potus de tempore quodammodo 


(tit. om. Vig.). trachunt saporem, sie ad omnem 


Quoniam cibi et potus suaves amaritudinem convertitur quic- 


quidem fiunt in tempore gaudii, quid animus tristis acciperit. 


insuavia autem et amara in tri- 
stitia etc. 


Qui vien meno il commentario epitomato (come bene avvertì 
l'Ascoli) (2) del codice Irlandese, che poi riporta una chiusa troppo 
concisamente riferita, ma prettamente mopsuestina e dello stesso 
tono, che il passo condannato nel Concilio V: probatur ergo 
magis similibus aptata esse negotiis quam propria singulorum 
le parole Dederunt in escam meam fel ete. del salmo LXVIII, 21, 
applicate dall’evangelista a Cristo. Cfr. il passo intero in Mansi 
78 E, 213 B: et certe diversis constitutis rebus, non quasi psalmo 
modo quidem pro his dicto, iterum autem de illo, et iterum de 
alio, etc. 

Or diasi un altro esempio molto istruttivo dalla parte di 
commentario non provvista di chiose irlandesi nel codice Am- 
brosiano, e però pretermessa dall’Ascoli come non attenentesi 
al suo scopo (f. 4-13). Anch’essa è di Teodoro, e non so se sia 
un supplemento o un previo estratto, e fortunatamente eziandio 
ricorre dove più piena e dove no e molto più corretta nel codice 
Bobbiese dell’Università di Torino F. IV, 1, n. 5-6 (8). In essa 


(1) È inesatta adunque l’asserzione di Kihn, p. 54 nota 3, e Bathgen, 
p. 77, che questi passi siano non già del Commentario ai Salmi, come indica 
il titolo, ma da quello sui Profeti minori. 

(2) P. XI, nota 1. L'intero commentario, secondo il catalogo delle opere 
di Teodoro datoci da Esepyesu, sarebbe stato compreso in 5 volumi; cfr. 
Kiax, ib. 

(3) Cfr. Perrox, op. c., pp. 191-2: ReirrerscHEm, Biblioth. Patrum Ital., 
II, 122-3: OrrIno, I Codici Bobb. nella Bibliot. Naz. di Torino, p. 23. La 
doppia serie dell'’Ambrosiano è sufficientemente segnalata dall’indice citato 


672 GIOVANNI MERCATI 


sono conservate parecchie cose compromettenti, sostituite con 
altre innocue e non genuine nel corpo del Commentario edito, 
come ad es. nel Sal. 21, dove nell’ed. p. 154-8 ricorrono spie- 
gazioni contrarie a quelle di Teodoro e frammiste ad altre ge- 


nuine e talvolta communi tanto all’edito che all’inedito. 


Mansi, IX, 78 A, 212 C-D. 


Eiusdem in psalmo vigesimo primo 
(de memorato vigesimo primo psal - 
mo Vig.). 


‘ Foderunt manus measet pedes”: 
et omnia perscrutabantur et quae 
agebam et quae conabar. Nam 
foderunt ex translatione dixit (di- 
cit V.) eorum, qui per effossionem 
(fossionem V.) scrutari quae in 
profundo sunt tentant. 


‘Dinumeraverunt omnia ossa mea”: 
totius meae fortitudinis et totius 
meae substantiae detentores facti 
sunt..... 

Et evangelista quidem in Domino 
verba ex rebus assumens eis usus 
est(om. Conc.), sicut (ut sic Conc.) 
et in aliis diximus. Nam quod non 
pertineat ad Dominum psalmus, in 
superioribus evidenter ostendimus. 


Cod. Ambros. f. 5 c: Torin. f. 8 db. 


‘ Foderunt manus meas ’ re- 
liqua. Omnia scrutati sunt opera 
mea, et quibus rebus confiderem 
vel inniterer, sollicite quaesierunt 
(= Ascoli 159, 2-4). Foderunt au- 
tem (ergo foderunt aut. A) dixit a 
similitudine eorum, qui fodiendo 
ea, quae sunt in abdito vel de- 
praesso (dipraehenso A) terrae loco, 
conantur eruere. 


AscoLi, p. 159. 
‘ Denumeraverunt omnia’ usque 
‘mea’. Pro divitiis, quae firmitates 
sunt possedenti, ossa possuit, qui- 
bus corpus solidatum est..... 
Euangelista autem in Deo pro 
rerum similitudine hoc testimonio 
usus est, sicut et in aliis (idest 
psalmis chiosa) ostendimus. 


E di fatto nel commento inedito al v. 2, per 24 linee intere 
vi si combatte l’opinione che il salmo sia messianico. 
Ometto di indicare i riscontri coi frammenti greci solo in 


del sec. XV: Expositio... non tamen a primo psalmo prius, sed quosdam alios 
indirecte prius exponere videtur; deinde ad psalmorum ordinem idest a primo 
incipiens et demum subsequenter procedens usque ad finem psalterii. 


UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 673 


parte raccolti nella Patrologia Greca, e per i salmi Maccabaici 
più compitamente dal Bithgen : essi sono numerosi, e ognuno 
può persuadersene di per sè con un facile confronto. Amo 
piuttosto di recare un chiaro esempio dal nostro codice Ambro- 
siano H, 257 inf., del sec. XIII, contenente a principio un trat- 
tatello mutilo sul destino, dove di Teodoro Eracleota (così per 
facile e forse volontario scambio) è citata l’esposizione del 


salmo XXXVIII, 6. 


Cod. H, 257 inf., f. 4. 
Oeodwpouv ‘HpakXewrou 

eig TÒ iIdOÙ TaXoa1otàg é00u 
TÀàg Nuépag uou. 

Toùto érer oÙx We TAVTWS 
TOÙ Oeod uetpoùvtog TÒv Xpovov 
Tg Zwifg ÉxdoTov, Us TIVEG 
kakùg Uro\auBavouoi, GAN we 
EIDOTOG Ti) TPOYVWOEI ÒV ÉKAOTOG 
ZMoerar. dep, PNnoiv, citò pa- 
deîv: étioTaNal YÀP, GTI 0ÙK Eig 
GiIdIOV ue Zwimv KaTeoKevacag , 
GN WOTEP uéTpors TIOÌÙV UTE- 
Baréc uouv tTÒv fiov. ei Tàp Kai 
ÉEKGOTW TÙV GvOpwrmwv oÙk Èpé- 
Tpnoe TiV Zunv, dAN° oùv Ye 
Kovwùo kai xadoMikùòg EueTpnoe 
Toîg dvApwrtoIg, oiov Eiteîv OÙK 
émiTpemwy dvapwrw ùrtepRaiverv 
éTn pv’, ws Èv Ti) Yeved Kka@° fv 
TaUTta Aauìd épeérreto, kàv TÒv 
uèv érrì mieîoy TÒV dè è ÈNaTTOV 
Tv cvupaivn. xté. 


Cod. Ambros. f. 12 d: Torin. 14 a. 


Hoc dicit non quo omni modo 
Deus tempora vivendi singulis sit 
dimensus, sed quia virtute prae- 
scientiae suae novit quantum sit 
hominum quisque victurus. ...Scire 
desidero, inquit, quantum mihi tem- 
poris deest: siquidem novi quo- 
niam non me inmortalem feceris, 
sed vitam meam quasi quibusdam 
mensuris incluseris..... Nam etsi 
(et A) singulis viventibus non sit 
velut (uelud A) ad mensuram prae- 
finitum vitae spatium, tamen in 
commune omnibus certum est vi- 
vendi tempus impositum ; ut puta 
quantum ad illam generationem 
pertinebat, in qua haec beatus 
David loquebatur, non permisit 
ulli c (1) annos vivendo transcen- 
dere, etiamsi eveniret ut alius ab 
alio plus minusve viveret. etc. 


Non può adunque restare dubbio, che il Commentario ascritto 
falsamente a Girolamo e sospettato essere di Colombano (2), ap- 
partenga realmente a Teodoro di Mopsuestia. Benchè composto 


(1) Centum B: forse cl? 


(2) VaLcarsi, HereLe (Kirchenlex., III, 2% ed., 682), Zeuss e Nicra. 
L'argomento dell’ultimo, tratto dal Catalogo di Bobbio del sec. X (“ Revue 
celtique ,, I, 59-61) non prova punto, essendo incerto se il codice di Torino 


674 GIOVANNI MERCATI 


in età giovanile e però anche più intaccato dai difetti e dalle 
audacie, onde Teodoro stesso ebbe a dolersi (1), pure è note- 
volissimo sempre per i solidi pregi esegetici, ond’è adorno, e per 
l’aiuto che presta nella critica delle lezioni esaplari, di cui pa- 
recchie solo da lui ci sono conservate. 

Il Commentario latino non è completo; mentre nella prima 
cinquantina dei Salmi è piuttosto abbondante, indi in poi gli 
estratti sono assai più compendiosi e talvolta divengono sem- 
plici scolii. Questo è chiaramente dimostrato dal contesto, ed 
inoltre dal confronto con taluni dei frammenti greci meglio con- 
servati e coi passi sopra il salmo 44 riportati da Facondo d’Ér- 
miana. Ciò non ostante, se ne può dire conservata assai bene l’in- 
tera trama colle vere parole di Teodoro; ed inoltre in non pochi 
salmi, combinando insieme i 2 ordini d’estratti dati dall’Am- 
brosiano e il terzo del codice Torinese, il testo si può ristabilire 
per intero. Questa triplice serie deriva direttamente da un co- 
dice unico integro. Una ricerca accurata delle biblioteche ne potrà 
forse fruttare il sussidio di qualche altro manoscritto, che ve- 
ramente occorrerebbe a sanare le piaghe e a colmare le lacune 
dell’Ambrosiano. 

Ora una parola sulla versione latina. Quando e da chi sia 
stata eseguita, non è facile divinare. Se si confronta colla ver- 
sione latina antica degli atti del Concilio V ecumenico fatta, 
sembra, in quel tempo e già usata da Pelagio II (2), e che con- 


e l’Ambrosiano siano indicati ai nn. 216-7 anzichè ai nn. 57, 283-8, ecc. del 
catalogo in G. Becker, Catalogi biblioth. antiqui, p. 67 sgg. — La somiglianza 
di stile notata dal Vallarsi tra il Commentario e le opere di S. Colombano, 
è da mettere a paio con quella notata dal Peyron tra esso e i due fogli del 
commentario originario latino su S. Marco, pubblicato dal Nicra, Glossae 
hibern. vett., pp. 2-16 e xxv, che gratuitamente si attribuisce a Girolamo. 
La somiglianza del testo biblico, se mai esiste, proverebbe solo un adatta- 
mento naturale, ed inconscio forse, al testo, che lo scriba irlandese sapeva 
a memoria, parendomi inverisimile, che la versione di Teodoro sia stata 
fatta in Irlanda nei sec. V-VI. 

(1) Appresso Facondo d’Ermiana, Pro defens. III Capitt., 1.3, c. 6, e 
1. 10, c. 5, Patrol. Lat., LXVII, 602, 786. 

(2) In Mansi, IX, 433 sgg. cfr. Baruze, ib., 164 A-B. Altra versione è 
quella dei passi citati da Innocenzo di Maronia nell’opuscolo De his qui 
unum ex Trinitate ecc., tradotto nella Nova Collectio attribuita a Dionigi 


” 
UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 675 


corda con quella del Costituto di Vigilio, non v’ha dubbio, che 
la nostra è meno servile e d’una latinità di gran lunga migliore, 
tanto che forse per essa non si subodorò, che avevasi per mano 
una versione anzichè un originale latino. Onde credo non si 
vada lungi dal vero congetturando, che essa piuttosto che al 
tempo della lotta dei Tre Capitoli, a cui si assegna la versione 
del commento delle lettere di s. Paolo pubblicato dallo Swete (1), 
risalga al sec. V e debbasi a qualcuno di quei Pelagiani, che 
per affinità vera o presunta di dottrine si diedero a tradurre 
in latino opere di scrittori greci della scuola Antiochena spe- 
cialmente: come Aniano, che tradusse con assai eleganza l’ Elo- 
gium Pauli di s. Giovanni Grisostomo. Ma non è bene antici- 
pare conclusioni, che possono essere modificate. A quanto finora 
si sapeva (2), in certe parti almeno dell’Occidente gli scritti 
di Teodoro prima della lotta dei Tre Capitoli erano poco o 
punto conosciuti. 

Altra ricerca da fare è, come quel commentario sia trasmi- 
grato in Irlanda ed ivi sia stato replicatamente trascritto, non 
ostanti le eresie che esso conteneva(3), ed inoltre se e quali traccie 
ne siano rimase appresso ai commentatori e compilatori latini 
di catene. 

L’Ascoli, che colle sue vastissime cognizioni linguistiche ha 
dilucidate le difficoltà delle chiose irlandesi, terminava il suo 
lavoro dicendo: ‘ Avrei ancora voluto ristudiare le chiose am- 
brosiane alla luce delle antiche fonti di esegesi biblica, le quali 
concorsero di certo alla loro formazione, persuaso come io era 
che da tal confronto dovesse riuscire agevolata di non poco, o 


il Piccolo: Spicilegium Casinense, I, 148-156: qui però non v'è nulla del 
Commento ai Salmi. Del resto tutti questi passi latini non suppongono 
già una seconda versione latina preesistente, ma furono estratti e tradotti 
direttamente dal testo greco. Cfr. HereELE, Conciliengesch., II, 2* ed., 855 sgg., 
870 sgg., 882. 

(1) I, pp. vi-Lvu. 

(2) Cfr. Swere, l. c. 

(3) Anche per il commentario di Teodoro s’avvera ciò, che in altro senso 
esagerando asseriva il Traube delle parole greche nei latini scrittori : ‘ Wo 
Graeca in lateinischen Schriftstellern sich erhalten haben, dies auf irischen 
Einfluss zuriickzufiihren ist’: O Roma nobilis, c. VII, $ 3, in ‘ Abhandl. d. 
philos.-philol. Classe d. k. Bayer. Akad. d. Wissensch.', t. XIX, p. 365. 


676 G. MERCATI — UN PALIMPSESTO AMBROSIANO ECC. 


rassodata, la interpretazione di un certo numero di esse chiose. 
Ma questo studio non mi ha la sorte conceduto di farlo, e altri 
forse lo tenterà’ (p. 613). Io certo non ho la temerità di 
raccogliere il suggerimento nel senso indicato: ma mi sarà per- 
donato, se costretto a studiare per se stesso il Commentario in 
tutte le sue reliquie greche, latine e siriache, oserò ripigliarlo 
per ciò che riguarda la Bibbia e la storia letteraria cristiana e 
dei dogmi. Anzi tutto sarà necessario prepararne per la com- 
mune un testo meno difficile a leggersi e ad intendersi, che non 
uno diplomaticamente riprodotto con tutti gli spostamenti ed 
errori del codice, come si dovette per necessità fare nell’edizione 
principe. ‘Quanto al testo latino, il proposito di ottenere una 
lezione comunque castigata avrebbe importata una rimutazione 
continua dî quello che il codice offriva’: così giustamente l'Ascoli 
p. x: e il codice di Torino mi ha fatto toccare con mano le 
gravi corruzioni dell’Ambrosiano. 

La futura edizione arrecherà inoltre le 1400 linee inedite 
dei codici Ambrosiano e Torinese, che dànno una chiara dimo- 
strazione della maniera, con cui fu compendiato il testo: ed in- 
sieme presenterà riuniti di fronte ai passi latini i passi siriaci e 
greci editi ed anche inediti già riconosciuti. 


d 


S. RICCI — DI UNA STELE CON ISCRIZIONE TRILINGUE ECC. 677 


Di una stele con iscrizione trilinque rinvenuta 
a File in Egitto; 
Nota del Dott. SERAFINO RICCI. 


- 


Il ch. prof. Ernesto Schiaparelli ebbe privata informazione 
che il capitano Lyons, incaricato dal Governo Egiziano di una 
ricognizione archeologica nell’isola di File, aveva rinvenuta una 
stele di sienite, divisa in due lastre, che serviva di pavimento 
ad un altare del tempio di Augusto in File, dalla parte di Nord- 
Est, e che recava scolpita un'iscrizione trilingue (geroglifica, 
greca, latina) di non comune importanza storica ed appartenente 
all’età romana. 

Mandò il Lyons una riproduzione fotografica della stele e una 
copia fatta a mano dell'iscrizione latina (1). Data la piccolezza 
dei caratteri delle altre due iscrizioni ed il cattivo stato di con- 
servazione della stele, la fotografia non riuscì tale da permet- 
tere la decifrazione delle iscrizioni geroglifica e greca, e, d’altra 
parte, della stele medesima sarà fatta pubblicazione completa; 
cosicchè io mi limito per ora, col gentile consenso del predetto 
prof. Schiaparelli, cui ringrazio pubblicamente, a dare breve no- 
tizia della parte latina. 

L’iscrizione manca di una sezione centrale, segata via dalla 
grande stele, che riuscì così divisa, come ho accennato, in due 
parti, quasi eguali fra loro e nel senso verticale. Ecco il testo 
dell’iscrizione, quale risulta dall’accurato esame della riprodu- 
zione fotografica: 


(1) La copia fu fatta su luogo l’11 febbraio scorso, la notizia fu data 
con lettera del 25 febbraio da File. Un breve cenno sul rinvenimento fu 
inserito nell’Akademy del 7 marzo scorso (n. 1244, p. 206) e da me nella 
Rassegna Nazionale di Firenze dell’aprile scorso (1896, p. 829-830). — Per 
altre iscrizioni in latino rinvenute recentemente ad Assuan, e pubblicate 
dal prof. Sayce, vedi Proceed. of the Soc. of bibl. Archaeology, XVIII (1896), 
n. 3, p. 107-109. 


SERAFINO RICCI 


678 


‘oquauta]ddns 10 2 0puo] 2.427 ADI UL 
274nd D) ‘a1Qqup 2.407)9] 2] 0JUISINTADI 0018109 0739)00SNIDW UL 
apUnA 0] ‘07499 07897 12 2 0LLOUIPAO 0739]008SNIWW UL 2ZANA DT — “EN 


-C-( [70U04] SOYENHS LU/ILVA 

TICO LALILSNOO VIA OIHIITVSHNYU OZOEp9 20b9e INNVUALO LATO HUNVIHLALNITO NY 
MOO0ITSITICAVSVIIHAAVNAdOIHLHVS/99 e0bsgeogTVIOVIASINICINYO AINADHUNA 
INNWOINANNOITIIVI HI VIVIOUd LD] PAS0ITI LTA AND HVSATIQUUTAD ANONYNOY 
OTATOT HAD INNAODO THIAONIOZIAP wesumu U7zIVHUVILIVOLTINVI LTAALIOUUXUSIL 
JUILNINANO [LO HI TO NA UVISAZIZOAG-A 479%////1/1///]/[O HNSOTTOASOTITASHOINVAHOILATOOSO 
TIOLTOLVNDATKXIWAITYA-A-YOLOIA-HIO® FPABIOdIS WA LSOHSATIADAXSHIOVILNISICIVATHI 


NOI LO HINHOSANIUAILA AD HVIUUVIUONYFSXV SOLO UAHVYASOLOIAHO-JH-IAITTOHIVSHVOV 


STO HYLSOASANVNOYUSHbo SATTVOSAITINYUOIO9-:9 


Tn n Se 


| 


DI UNA STELE CON ISCRIZIONE TRILINGUE ECC. 679 


Risulta dunque che l’epigrafe fu scolpita in onore di C. (1) 
Cornelio Gallo (2), primo governatore generale dell’Egitto (3), 
in memoria delle gesta militari e politiche da lui compiute 
durante la sua prefettura sotto Augusto. 

L’epigrafe fu composta certo non prima del 29 a. C., quando 
fu ridotto l'Egitto a provincia romana (4), e certo non dopo 
del 27: a. C., non avendo qui Cesare Ottaviano il titolo di Au- 
gusto. 


(1) Il prenome C(aius) finora dubbio (v. Becker-GòLL: Gallus, ediz. del 
1882, I, p. 19, not. 1), viene ora per la prima volta accertato dalla nostra 
epigrafe, che è la prima conosciuta intorno a Cornelio Gallo. 

(2) Cornelio Gallo è di grado equestre (eques romanus), come era pre- 
scritto pel praefectus Aegypti, che non poteva essere senatore, nè di Roma, 
nè di Egitto (Tacir., Ann. III, 60; Histor. I, 11; Dione Cassro, LIII, 13; 
Arrran., Anab. III, 5, 10). 

(3) Il titolo della carica di praefectus Alexandriae et Aegypti non è costante 
sulle epigrafi e negli scrittori latini, trovandosi anche soltanto quello di 
praefectus Aegypti, e in tempi seriori, com’è noto, di praefectus Augusti od 
Augustalis Aegypti. Come ufficiale della domus augusta, di cui l'Egitto, pur 
essendo provincia dei Romani, ritenevasi una specie di res privata come 
la Gallia e la Siria, Gallo era un procurator, un Eritportog "AXezavdpeiac 
kai Tic XUpac, come scrivon gli autori greci (vedi C. I. G., III, p. 309; cfr. 
MarquarpT, Staatsverfassung, trad. francese, IX vol., p. 406, not. 1). Era 
stata necessaria una legge imperiale, perchè egli avesse quei poteri, che, 
come cavaliere, non avrebbe potuto avere (cfr. Momwmsen, Rim. Gesch., V, 
554; De Rveerero, Le provincie, p. b44). 

Sulla nomina di Gallo dopo le calende del sestile nel 30 av. Cr., v. 
S. Gerolamo nel Chronicon d’ Eusebio, ediz. Schoene, Berlino, 1866, p. 141 
(Syne. 569); cfr. Res Gestae, ediz. 2° (1883), p. 10; cfr. pp. 106-107. 

(4) Vedi Drone Cassro, LI, 4; cfr. 17, 19; Sveron., Aug., c. 66; Zonara, 
X, 31; Res Gestae, ediz. 2*, V, 24, p. 109 (Aegyptum imperio populi romani 
adiecit); cfr. le monete d'Augusto, dal 29 av. Cr. in poi, con la leggenda 
Aegypto capta (ved. Conn, I°, pp. 62-63, nn. 1-3). — Sulla costituzione spe- 
ciale dell'Egitto sotto i Romani, cfr. MarquaRDI, Staatsverwaltung, 1°, p. 438 
e segg.; cfr. trad. francese, op. cit., cap. XI, p. 399 e segg.; Mommsen, Rim. 
Gesch., V*, p. 553 e segg. = trad. franc., l. c., pp. 158-250; Staatsrecht, 
III, I, pp. 751-754 = trad. frane., vol. VI, p. 891 e segg. — Cfr. Kunx, 
Verfassung des ròm. Reichs, II, p. 80 e segg., 454 e segg.; Momwmsen-De Rue- 
GIERO, Op. cit. nella trad. ital., p. 555 e segg. — Wira. Wircxken, Observa- 
tiones ad historiam Aegypti prov. rom. depromptae e papyris graecis beroli- 
nensibus ineditis. Berlin, Haack, 1885, in-8°; A. Stmarra, Essai sur la province 
romaine d’Egypte. Paris, Thorin, 1892. 


680 SERAFINO RICCI 


L’epigrafe anzi deve essere stata composta probabilmente sul 
principio del 27 a. C., cioè sul finire del reggimento di Gallo, 
che terminò appunto nel 27 av. C. (1). Dione Cassio, p. es. (LIII, 
23), stabilisce un confronto fra Agrippa e Gallo, mentre questi 
era prefetto d’Egitto ed Agrippa all’apogeo della gloria e collega 
di consolato con Ottaviano, e ci rappresenta Agrippa il braccio 
destro dell’imperatore, il donus militia e victoriae socius d’Au- 
gusto, come dice Tacito (Ann., I, 3), Gallo invece superbo e 
smodato nella lingua, fors’anco per abuso del vino, come sap- 
piamo da varia fonte (Drone Cassro, LIMI, 23; Ovipio, Tristium, 
II, 445), il quale, od ingratum et malevolum animum, come ag- 
giunge Svetonio (A4ug., 66), incorse nell’ira dell’imperatore. Ora, 
siccome si sa che Agrippa fu inalzato geminatis consulatibus 
(Tac., 1. c.) negli anni 28 e 27 av. C., per lo meno alla fine 
del 28, o in principio del 27, dobbiamo riferire il confronto di 
Dione, cioè al periodo medesimo o immediatamente precedente 
a quello della composizione dell’epigrafe nostra onoraria. 

Le gesta militari e politiche di Cornelio Gallo furono, come 
risulta dall’epigrafe, la repressione in quindici giorni della ri- 
bellione della Tebaide con l’espugnazione di cinque città. Di 
queste sono note Coptos e Diospolis (verosimilmente Magna piut- 
tosto che Parva, quantunque non sia espresso quale delle due). — 
Di Ceramices vi sarebbe indizio in un nome egizio di un papiro 
greco-egiziano, la cui trascrizione greca darebbe il nome Kepdpera 
come un quartiere di Tebe d’Egitto (2). Nell’epigrafe ne è data 
la traduzione latina con la forma Ceramice, es. Le iniziali delle 
altre due città non offrono identificazione con nomi noti di quella 
regione. 

Per una ho supplito Bore|os] secondo la forma Diospoleos, 
vista l’esiguità della lacuna; ma non vi faccio assegnamento, 
come nulla concludo per l'iniziale Meg, poichè, esclusa l’ipotesi 
dell'errore per M[a]gr[ae], riferibile a Diospoleos (chè in tal caso 
mancherebbe il nome della quinta città), non trovo altro luogo 


(1) Momxsen, Res Gestae, ediz. 2*, pp. 106-107. 

(2) Hernr. Brueasca, Die Geographie des alten Aegyptus nach den altà- 
gyptischen Denkmiiler. Leipzig, 1857, vol. I, p. 190. Per l’etimologia e il 
confronto coi monti testacci d'Alessandria, vedi LumBroso, L'Egitto dei Greci 
e dei Romani. Roma, Loescher, 1895, ediz. 2*, vedi cap. XXI, pp. 216-224. 


E A TO TI n LE 


DI UNA STELE CON ISCRIZIONE TRILINGUE ECC. 681 


noto che vi possa corrispondere, eccetto Megatichos, o gran 
muro, tra Siene e File, di cui si vedono ancora le vestigia (1). 
Ma questo gran muro non può essere considerato centro abitato, 
essendovi colà, dove il muro ha origine, la sola Siene, che non 
mutò mai il suo nome (2). 

Un altro fatto rilevato dall’epigrafe è l’avanzarsi di Cor- 
nelio Gallo con l’esercito oltre una cateratta del Nilo, ma è 
lacunosa la parte che dovrebbe determinarla. Io ho supplito 
_minorem (quella di Assuan), poichè è inverosimile che il prefetto 
«non solo sia giunto alla maggiore (quella di Hannek e di 
— Caibar(3)), ma l'abbia anche oltrepassata. Il quartier generale 
delle sue truppe era Siene, ove di solito stavano tre delle nove 
| coorti ausiliarie, e parte delle tre alae, e Cornelio Gallo vi sarà 

venuto con parte della legione stanziata ad Alessandria e forse 

delle altre due nell’interno della provincia (4). 

Ora l’epigrafe ricorda un ingrandimento di territorio (v. 6: 
prolata Thebaide) con una specie di sottomissione dei varî reguli 
finitimi (v. 6-7: communi omn|i]||um regum formidine subacta) 

. ed un trattato di pace stipulato col re degli Etiopi, con la clau- 
sola dell’accettazione del protettorato imperiale e del bando ai 
confini del suo regno etiopico, — se però i supplementi non risul- 
teranno errati col confronto dell’epigrafe geroglifica e greca 
(v. 7-8: coque|| rege in tutelam recepto tyran[ni atque reda]cto 
[in fi]|nes Aethiopiae) —; per la qual cosa si sarebbe indotti a 
credere che il prefetto si sia inoltrato nella Nubia e spinto 
da Siene oltre File, per lo meno a Talmis o a Pselsis, o in altro 
luogo più interno. In ogni modo Gallo spostò innanzitutto il suo 
quartier militare da Siene a File, ove udì, a quanto pare, l’am- 
basceria nemica (v. 7: leg|atisque re|gis Aethiopum ad Philas 


(1) Vedi Lancrer in Panckovore, Description de V'Égypte, I, 1, p.4 e segg. 

(2) Seguo in ciò il giudizio autorevolissimo del ch. prof. Schiaparelli. 

(3) Sulle varie cataratte vedi GorrBERG, Des Cataractes du Nil. Paris, 
Ragon, 1867. La Cutaracta major è la quarta di Hannek e di Caibar, oltre 
quella di Uadi-Alfa, per chi considera separatamente dopo Assuan quella 
di Calabscheh, come mi fa notare il prelodato prof. Schiaparelli; chi invece 
pone la major a Uadi-Alfa comprende sotto tal nome il tratto delle tre ca- 
taratte Uadi-Alfa, Caibar ed Hannek. 

(4) Intorno l'ordinamento militare, vedi De Ruaerero, Die. epigr. alla 
voce Aegyptus, p.277; cfr. MarquaRDT, op. cit. in francese, p. 406, nota 5. 


682 SERAFINO RICCI 


auditis), poi dal quartiere di File si sarebbe spinto nell’interno 
in un luogo non ben determinabile, ma certamente oltre i con- 
fini fino allora assegnati alla provincia imperiale d’ Egitto (1). 

Si vede pertanto che l’importanza della spedizione di Gallo 
sta più nella precedenza storica del fatto che non nell’estensione 
del territorio occupato. Chè, se Gallo intende di riferire la frase 
in quem locum neque populo romano neque regibus Aegypti p|ro- 
gredi licu]it (vers. 6), come mi pare si possa supplire, ad Augusto 
e ai precedenti reges a Caesare devictos (v. 2), ha ragione di cre- 
dersi il primo che oltrepassi File ; se invece intende di alludere 
anche ai predecessori Tolomei, egli cade in errore storico grave, 
poichè già al tempo dei Tolomei erano state compiute spedizioni 
in Etiopia da Siene per lo meno sino a Meroe, come citano Aga- 
tarchide e Marciano Capella (2). 

È degno di nota il titolo di rex Aethiopum citato nell’epi- 
grafe (v. 7), mentre finora non avevamo notizia che di regine 
etiopiche, ricordate col nome frequente di Candake sotto Augusto, 
sotto Nerone e sotto Adriano (3). 

A giudicar dalla forma, l’epigrafe, che non manca di pre- 
sentare difficoltà ed incertezza d’interpretazione (4), si direbbe 
inalzata per ordine dello stesso C. Cornelio Gallo, la qual cosa 
confermerebbe la notizia data da Dione Cassio (LIII, 23), che 
ce lo presenta tanto pieno di sè che eik6vag éautod èv 6h, ug 
eiteîv, tf) Aîrumtw EoTnoe Kai tà Epra boa Emeromzer Èg TÙùg mu- 
pauidag ECErpawe. 

Perciò sono stato cauto nel giudicare delle operazioni mi- 


(1) Vedi Marquarpr, op. cit., pp. 401-402. 

(2) Vedi LumBroso, op. cit., 2* ediz., pp. 50-5Ì. 

(3) Vedi WiLken in Hermes, XXVIII, p. 154; cfr. Mommsen-De RueGIeRO, 
op. cit. sulle Provincie romane, pp. 580-581. L'Etiopia in guerra coi Romani 
e sottomessa non figura nella storia dell'Impero romano che sotto il pre- 
fetto C. o P. Petronio, dal quale fu vinta la regina Candake. Lo Schwartz 
nel suo lavoro sull’Etiopia non cita nemmeno Cornelio Gallo (v. Rhein. Mus., 
N.F., XLIX, pp. 358-361). — Circa il titolo di rex barbaro fu contestato fino 
ad ieri anche per tempi seriori quello di rex Thebaceorum, come principe 
etiopico-meroitico della Tebaide (vedi Lumroso, op. cit., p. 50). 

(4) La restituzione delle linee 8 e 9 dell’epigrafe è molto dubbia e la 
presento con tutto il riserbo, astenendomi dal farvi assegnamento fin dopo 
i confronti col testo geroglifico e greco. 


È 


Cona ——_ er 


re, 


DI UNA STELE CON ISCRIZIONE TRILINGUE ECC. 683 


litari di Gallo, poichè le notizie sfavorevoli dateci dagli scrit- 
tori intorno a lui fanno rilevare la temerità usata in faccia ad 
Augusto, di cui l’epigrafe sarebbe un’altra prova, nel semplice 
titolo di signore dato all'imperatore (ver. 8: in tutelam recepto 
tyranni), se pure si può legger così, nonchè nella pomposa enun- 
ciazione delle sue imprese guerresche e politiche. Non nego che 
quel suo operare era favorito dalla condizione eccezionale in cui 
lo stesso imperatore l'aveva posto (1), poichè in sè era un vi- 
cerè, rivestito del potere giudiziario con legge speciale dell’im- 
peratore, avente cioè un imperium ad similitudinem proconsulis, 
cioè coi pieni poteri d’un governatore capo di provincia, senza 
però le insegne esteriori del grado e senza i fasci. La sua ca- 
rica di praefectus Aegypti era superiore a tutte le altre, e solo 
in tempo più tardo fu inferiore a quella del praefectus praetorii ; 
inoltre Cornelio Gallo, aiutato dai prefetti di campo per la parte 
militare (2) e dall’idiologus ad Aegyptum per quella finanziaria, 
aveva giurisdizione tanto ampia da riunire in sè troppe respon- 
sabilità e attirarsi gli odì di molti, specie per la esazione dei 
tributi in tutta la regione conquistata (3). 

Cornelio Gallo (4) era nato a Forum Julii (Fréjus, fra To- 


(1) Vedi De Rueeiero, Dizionario epigraf., voce Aegyptus, p. 277; cfr. 
Taciro, Annali, XII, 60; cfr. Digesto, I, 17, 1; cfr. note a p. 679; MarquaRDr, 
op. cit., p. 406. 

(2) Il prof. Sayce, a proposito delle iscrizioni latine precitate, rinvenute 
ad Assuan (vedi p. 677, nota 1) e contenenti nomi in parte finora ignoti di 
prefetti militari, rileva il fatto che questi fossero tre sotto Augusto, uno 
per ogni legione, e da Tiberio in poi, tolta una legione, rimanesse uno solo 
per le altre due, col titolo di praefectus castrorum. 

(3) La riscossione dei tributi era il fine più diretto di simili spedizioni 
nel territorio egiziano, e Cornelio Gallo, per ordine d'Augusto, aveva reso 
tributaria tutta la regione sottomessa (Drone Cassio, LI, 17: ék dé ToùTov 
tiv te Alfumtov ùmoteN émoinoe). Per il che ebbero luogo defezioni prima 
represse (Srras., XVII, 53, OTdOv TE fevnoeîcav Èv Ti) Onfaidi did TOÙC PHpouvg 
èv Bpaxeî xatérvoe. — Eusesio, Chron. FdXXog KopwhMoc, dc Tèv dTooTAvTWwY 
Aîrumtiwv Kkageîle tdg TOXIC, ediz. Schoene (1866), p. 140), poi rinnovatesi 
con tale audacia sotto C. Petronio, che Augusto si rifiutò di rendere tribu- 
tarî i vinti, anzi, rinunziò una volta per sempre all'occupazione delle re- 
gioni dell'Alto Nilo, limitandosi al protettorato da Siene a Hiera Sicaminos 
(vedi Mowwsex-De RueGreRro, op. cit., p. 581). 

(4) Vedi per Cornelio Gallo gli autori Srrasone, XVII, 53; PLurarco, 
Anton., LXXIX, 1; Sveron., Aug., c. 66; Drone Cassro, LI, 17, 1; Zonara, 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 47 


684 SERAFINO RICCI 


lone e Nizza) nel 69 av. C.; è identificato da Ammiano Marcel- 
lino e da S. Girolamo con il noto poeta lirico, amico di Properzio 
ed intimo di Vergilio, che lo cantò nelle Bucoliche (Egl. VI e X) 
e nella prima edizione delle Georgiche (lib. IV; 29/28 a.C.) (1). 
Combattè contro Sesto Pompeo; secondo Strabone, fece una 
spedizione contro Heroonpolis e Tebe, anteriormente alla spedi- 
zione ricordata dalla nostra epigrafe. 

Pare che la condotta di Gallo con l’imperatore e con le 
città soggette abbia dato ad Augusto occasione di biasimo (2) ; 
il collega Valerio Largo, già suo amico, lo accusò di estorsione (8). 

Caduto in disgrazia d'Augusto e allontanato dall’ufficio, 
Cornelio Gallo fu colpito dalla sentenza del Senato, che in questo 
sostituì con tanto zelo l’imperatore nella parte di giudice e di 
accusatore da dispiacere allo stesso Augusto (4). 

Cornelio Gallo fu esiliato e i suoi beni, confiscati, ingros- 
sarono il fisco imperiale. Egli si uccise; aveva soli quarantatre 
anni d’età (5). 

Ed ora, ritornando all’epigrafe, essa è il primo e il solo 
documento epigrafico contenente intorno al primo governatore 


X, 31; Eusesio, Chronicon, ediz. Schoene (1866), II, p. 140; S. GrroLamo, ib., 
p. 141; Awmrano Marcettino, XVII, 4, 5; EurroPro, VII, 7. — Confronta i 
lavori moderni di VoòLker, De C. Cornelii Galli vita et scriptis, I, Bonn, 
1840; parte II, Elberfeld, 1844. — Wira. Becker, Gallus, 1882 (nevarbeitet 
von Herm. GéoLL.), I vol., p. 19, nota 11. 

(1) Caduto Gallo in disgrazia d'Augusto, Vergilio nella seconda edizione 
delle Georgiche (26 a. C.) sostituì alle lodi dell'amico l'episodio del pastore 
Aristeo. — Il prof. Chatelaine impugnò in un suo scritto (Revue de philologie, 
1880, pp. 69-79) l'autenticità dei carmi attribuiti a Cornelio Gallo nella 
Anthologia latina, edita dal Riese, dei quali non parrebbe genuino che il 
breve frammento presso Vibius Sequester (vedi Becker, op. cit., III, p. 548). 

(2) Drone Cassro, LIII, 23. Già Augusto si era risentito della condotta 
di Cornelio Gallo col dotto QQ. Cecilio Epirota (Sveron., Gr. #4., 16; cfr. 
Becker, I, p. 22), e finì coll’interdirgli l’accesso alla Corte e nelle sue pro- 
vincie (domo et provinciis suis interdixit; Sveron., Aug., 66). 

(3) Awmran. MarceLtino, XVII, 4. Si dice che avesse impiegata parte 
dei capitali nell'industria della carta che porta il suo nome, la Corneliana 
(Istnoro, VI, 7; cfr. BeckER, op. cit., I, 21). 

(4) Vedi Sveronro, Aug., l. cit. 

(5) La data della morte vien fissata nel 26 av. Cr. dal seguente passo 
di S. Gerolamo (1. c.): XLIII aetatis suae anno propria se manu interfecit. 


nre a 


DI UNA STELE CON ISCRIZIONE TRILINGUE ECC. 685 


imperiale in Egitto fatti particolari, che lumeggiano le poche 
notizie finora date dagli storici. Queste nuove cognizioni richia- 
meranno l’attenzione sopra le imprese di Gallo, finora rimaste 
offuscate dai fatti più clamorosi dei suoi successori, C. Petronio 
ed Elio Gallo, che sono i soli registrati dai dotti odierni prima 
delle tarde imprese in Egitto di Pescennio Nigro e di Diocle- 
ziano (1). 


(1) Vedi Vivien Saint MartIN, Le Nord de l’Afrique. Paris, 1883, p. 111 
e segg., 160 e segg.; E. ScHIAPARELLI, La catena orientale dell'Egitto. To- 
rino, 1890 (Studî sull’antico Egitto, vol. I), p. 124 e segg.; G. LumBroso, 
L’Egitto dei Greci e dei Romani. Torino, 1895 (2* ediz.), p.50 e segg. 


L’ Accademico Segretario 


Ermanno FERRERO. 


686 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 


Dal 22 Marzo al 12 Aprile 1896. 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; 
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono, 


* Abhandlungen herausg. von der Senckenbergischen Naturforschenden 
Gesellschaft. Bd. XIX, Heft. III-IV. Frankfurt a. M., 1896; 4°. 

* Annales de la Faculté des sciences de Marseille. T. IV, fasc. 4%; T. V, 
fasc. 1-3. Marseille, 1895; 4°. 

* Annales des Mines. 9° série, t. VIII, livr. 7”. Paris, 1895. 

Atti del Collegio degli ingegneri e degli architetti in Palermo. Anno XVIII, 
1895, gennaio-aprile; 8°. 

* Atti della R. Accademia dei Fisiocritici in Siena. Serie IV, suppl. al fasc. X 
del vol. VI; vol. VII, fasc. 7-8; vol. VIII, fasc. 1. 1895; 8°. 

* Berichte iiber die Verhandlungen der k. Sachsischen Gesellschaft der 
Wissenschaften zu Leipzig (Mathem.-Phys. Classe), 1895, V-VI. Leipzig; 8°. 

* Bollettino della Società di naturalisti in Napoli. Ser. I, vol. IX, fasc. IL, 
1896; 8°. 

* British-Museum (Natural History) of London: 
Catalogue of Birds, vol. XXV, XXVII. 
Catalogue of Fossil Fishes, Part III 
Catalogue of Mesozoic Plants, Part II. 
Guide to the British Mycetozoa. 
Introduction to the Study of Rocks. — London, 1895-96; 8°. 

* Bulletin de l’Académie Royale des sciences et des lettres de Danemark, 

1896, n. 1. Copenhague, 1896; 8°. 
Bulletin de la Société géologique de France. 3° série, t. XXII, n. 10; 
t. XXIII, n. 4-7. Paris, 1894-95; 8°. 

* Bulletin de la Société des Sciences naturelles de l’Ouest de la France. T.V, 
2° et 3° trimestre 1895. Nantes; 8°. 

* Bulletin du Muséum d'’histoire naturelle. An. 1896, n. 1. Paris, 1896; 8°. 

* Communicacoes da Direcgao dos Trabalhos geologicos de Portugal. 
T. III, fasc. I. Lisboa, 1895-96; 8°. 


* 


il 


I © 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 687 


* Compte-Rendu des séances de la Société géologique de France. 3° série, 


t. XXIII. Lille, 1895; 8°. 


* Foldtani Kozlòny kiadja a Magyarhoni Foldtani Tarsulat. Vol. XXV, 


n. 6-12. Budapest, 1895; 8°. 

* Jahrbuch des Norwegischen Meteorologischen Instituts fir 1892. Christiania, 
1894; f° (dalla R. Università di Norvegia). 

* Jahresbericht der Kgl. Ung. geologischen Anstalt fiir 1893. Budapest, 
1895; 8°. 

* Johns Hopkins Univ. Circulars. Vol. XIV, n. 123. Baltimore, 1895; 4°. 

* Mémoires de la Société des sciences physiques et naturelles de Bordeaux. 
4° série, t. V. Bordeaux, 1895; 8°. 

* Mémoires de la Société nationale des sciences naturelles et mathéma- 
tiques de Cherbourg, t. XXIX. 1892-1895; 8°. 

Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXV, disp. 1° e 2*. 
Roma, 1896; 4°. 

* Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVI, n. 5. 
London, 1896; 8°. 

* Observations pluviométriques et thermométriques faites dans le Départ. 
de la Gironde de Juin 1893 è Mai 1894. Bordeaux, 1894; 8° (Acad. des 
sciences phys. et naturelles de Bordeaux). 

* Proceedings of the Royal Society. Vol. LIX, n. 355. London, 1896; 8°. 

* Processi verbali delle adunanze. Anno accademico 205, n. 1 (Accad. dei 
Fisiocritici). Siena, 1895; 8°. 

* Records of the Geological Survey of India. Vol. XXIX, part 1. Calcutta, 

1896; 8°. 

Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Vol. XXIX, 

fasc. V. Milano, 1896; 8°. 

* Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli. 
Serie 3*, vol. II, fasc. 2°. Napoli, 1896; 8°. 

* Sitzungsberichte der mathematisch-physikalischen Classe der k. b. Aka- 
demie der Wissenschaften zu Miinchen. 1895, Heft III. Miinchen, 1896; 8°. 

Travaux et Mémoires du Bureau International des Poids et Mesures. T. XI. 
Paris, 1895; 4° (dono del Governo Francese). 

* Verhaudlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Jahrgang 1895. 

Wien; 8°. 

* 7KypHalp pyCcgaro 8 mro-xnMNTeckaro O6mectsa ipu MMmepaTopcroMme 

C. IIerep6ypreronxs Vangepenterb; t. XXVIII, n. 1. 1896. 


* 


Albert Ie, Prince de Monaco. Sur la deuxième campagne scientifique de 
la “ Princesse Alice ,. Paris, 1896; 4° (dall’A.). 

Cauchy (A.). Fuvres complètes. Publiées sous la direction scientifique de 
l’Académie des sciences et sous les auspices de M. le Ministre de 
l’Instruction Publique. II sér., t. X. Paris, 1895; 8° (dono del Governo 
francese). 


688 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Deniker (J.). Bibliographie des travaux scientifiques (sciences mathéma- 
tiques, physiques et naturelles) publiés par les Sociétés savantes de la 
France dressée sous les auspices du Ministère de l’Instruction publique. 
Paris, 1895; 4° (Id.). 

Graf (H.). Ludwig Schlàfli (1814 bis 1895). Bern, 1896; 8°. 

** Reichenbach (L.) et (H. G.). Icones Florae Germanicae et Helveticae 
simul terrarum adjacentium ergo Mediae Europae, t. XXIII, Decus I. 
Lipsiae, 1896; 4°. 

Ruffini (F. P.). Delle accelerazioni che nel moto di un sistema rigido con 
un punto fisso sono dirette ad uno stesso punto qualsivoglia dato. 
Bologna, 1896; 8° (dall’A.). 

Vecchi (S.). Per la diffusione dei disegni axonometrici. Parma, 1893; 8° (74.). 

** Vinci (L.). Codice atlantico, Fasc. VIII Milano; fol°. 


Classe di Scienze Morali, Storiche e  Filologiche 


Dal 29 Marzo al 19 Aprile 1896. 


* 


Abhandlungen der philosophisch-philologischen Classe der k. bayerischen 
Akademie der Wissenschaften. XX Bd., II Abth. Miinchen, 1895; 4°. 
Abhandlungen der k. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen. 
Philologisch-historische Klasse. Neue Folge, Bd. 1, N° 1, 2. Berlin, 
1896; 4°. 
* Anales de la Universidad (Republica Oriental del Uruguay). Tomo VII, 
Entr. V. Montevideo, 1895; 8°. 
* Annales du Musée Guimet, Bibliothèque d’études, t. V®©. Paris, 1895; 8°. 
Atti del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Ser. VII*, T. VII, 
disp. II e III. Venezia, 1895-96; 8°. 
** Bibliotheca philologica classica. 1895. Viertes Quartal. Berlin; 8°. 
* Boletin de la Real Academia de la Historia; t. XXVIII, cuad. III. Madrid, 
1896; 8°. 
* Comptes-rendus de l’Athénée Louisianais. 5® série. Tom. 83°, livr. 2me, 
Nouvelle-Orléans, 1895; 8°. 
** Mittheilungen der k. k. geographischen (Gesellschaft in Wien. 1895. 
XXXVII Bd.; 8°, 
** Monumenta Germaniae historica. Epistolaram t. IV. Karolini aevi II 
Berolini, 1895; 4°. 


* 


* 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 689 


Sanskrit Critical Journal of the Oriental Nobility Institute, Woking; 
England, vol. XXVI, n. 1, 2. 1896; 8°. 

* Sitzungsberichte der philosophisch-philologischen und der historischen 
Classe der k. b. Akademie der Wissens. zu Miinchen. 1895, Heft IV. 
Miinchen, 1896; 8°. 

* Viestnik hrvatskoga Arheoloskoga Drustva. Nove Serije Godina I. 1895. 
Zagrebu, 1895-1896; 4°. 


* Bahr (J. von) och Th. Brandberg. Upsal Universitets Matrikel. Upsala, 
1896; 8° (dall Università). 

Colombo (G.). Il testamento di maestro Syon Dottore in Grammatica, ver- 
cellese. Torino, 1896; 8° (dall’A.). 

** Hodgkin (T.). Italy and her Invaders. Vol. III and IV; Second edition. 
2 vol. Oxford, 1896; 8°. 

In morte di Cesare Cantù. Milano, 1896; 8° (dalla famiglia). 

Ricciotti (G.). La chiesa e la confraternita denominata “ La Donna , isti- 
tuita nell’anno 1450. Notizie storiche. Alatri, 1894; 8° (dall’A.). 

Teza (E.). Il Tipitaram dei Buddiani. Venezia, 1896; 8° (Zd.). 

Tipitakam (Collezione dei libri sacri dei Buddisti meridionali in lingua 
pali trascritti in caratteri siamesi). Bangkok, 1894, 39 vol.; 8° (dono di 
S. M. il Re del Siam). 

Weber (von A.). Vedische Beitrige. Berlin, 1896; 8° (dall’A.). 


ms — Di 


Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. 


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CLASSE 


DI 


°. SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 26 Aprile 1896£ » 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA” Pi 


S 
n°) 
e] 
(da) 
CV 

3 VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: D’Ovipro, Direttore della Classe, 
Berruti, Bizzozero, FERRARIS, Mosso, SPEZIA, GracomINnI, Ca- 
MERANO, SEGRE, VoLTERRA, JADANZA, Foà, GuaAREscHI e Nac- 
carI Segretario. 

Viene letto ed approvato l’atto verbale della seduta pre- 
cedente. 

Il Socio D’OvipIo fa omaggio all’ Accademia, a nome dell’Au- 
tore, di tre opere pubblicate dal Prof. Fr. CALDARERA intitolate: 
«“ Primi fondamenti della geometria del piano ,, “ Introduzione 
allo studio della geometria superiore ,, “ Trattato di trigonometria 


rettilinea e sferica ,. Il Socio D’Ovipro parla di queste opere 
| esponendo i caratteri che le distinguono da altre che trattano 


gli stessi argomenti. 
Il Segretario segnala fra le opere inviate in dono quelle 
dei Soci corrispondenti CAaruEL, RIGHI e VILLARI. 
Vengono accolte per l’inserzione negli Atti le note seguenti: 
1° “ Sull’inversione degli integrali definiti , , nota del Socio 


VOLTERRA; 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 48 


692 


2° “ Sulle congruenze di rette del terzo ordine prive di linea 
singolare ,, nota del Dott. Gino Fano, presentata dal Socio SEGRE; 

8° “ Ricerche sui pesci fossili del Paranà ,, nota del Pro- 
fessore Giulio De ALEssANDRI presentata dal Socio CAMERANO. 

Vengono accolti nei volumi delle Memorie dietro favorevole 

giudizio delle rispettive commissioni esaminatrici gli scritti 
seguenti: 

1° “ Sulle cellule del sangue della Lampreda ,, memoria 
del Dott. Ermanno GieLio-Tos; 

2° “ Sopra alcuni fenomeni luminosi presentati dalle scaglie 
di certi insetti ,, memoria del Prof. Antonio GARBASSO. 


_—<T€<TTyT_FPPt— 


V. VOLTERRA — SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 693 


LETTURE 


Sulla inversione degli integrali definiti ; 


Nota IV del Socio VITO VOLTERRA. 


1. Mi permetto di presentare la continuazione di alcuni 
studii sulla inversione degli integrali definiti, recentemente co- 
municati all'Accademia. Nell'ultima Nota (*) ho esaminato il 
caso in cui, avendosi l'equazione funzionale 


fi) = ig) H(a,y) de, 


la espressione di H(x,y) sviluppata secondo la formula di 
Maclaurin cominciasse dai termini di primo grado nelle varia- 
bili; darò ora alcuni teoremi fondamentali relativi al caso in 
cui la detta espressione cominci dai termini di grado w. 

Il primo di essi stabilisce una condizione sufficiente perchè 
il problema dell’inversione sia determinato, la quale si verifica 
allorchè le parti reali delle radici di una equazione algebrica 
di grado » a coefficienti reali sono tutte positive. 

Ora la questione di riconoscere se le parti reali delle ra- 
dici di una equazione algebrica a coefficienti reali hanno tutte 
lo stesso segno è stata recentemente trattata e risoluta in 
maniera completa ed elegante dal Prof. Hurwitz (**). Applicando 
il criterio di Hurwitz al nostro caso si può giudicare a priori 
che la questione d’inversione è determinata, eseguendo solo ope- 
razioni razionali sui coefficienti dei termini di grado » dello 
sviluppo di H (x,y). 


(*) Seduta dell'8 marzo 1896. 
(*#*) Ueber die Bedingungen, unter welchen eine Gleichung nur Wurzeln 
mit negativen reellen Theilen besitzt von A. Hurwrrz, “ Math. Annalen ,, 


Bd. 46, S. 273. 


694 VITO VOLTERRA 


I teoremi 2° e 3° danno la effettiva risoluzione del pro- 
blema dell’inversione allorchè è ‘soddisfatta la condizione di cui 
ora si è parlato. Essi stabiliscono che l’equazione funzionale 
primitiva è equivalente ad un’altra avente la stessa forma, 
ma tale che la corrispondente funzione H(y;y) non si annulla 
più nell'intervallo d’integrazione, e che perciò è suscettibile di 
risolversi col metodo che ho dato fino dal principio delle at- 
tuali ricerche. i 

Finalmente i teoremi 4° e 5° provano che la questione 
funzionale non è determinata se le radici della equazione alge- 
brica a cui si riferisce la detta condizione, anzichè avere le 
parti reali positive, sono tali che una o più di esse hanno le 
parti reali negative, giacchè allora se esiste una soluzione ve 
ne sono infinite. 


2. TroreMA I. — Abbdiasi la equazione funzionale 


(A) fg) = fo@HW,y) de va: 
in cui 


fly) = fi) 


H(x,y) = Zaia y* 190 9) 
n+1 : I 

H' (e.g) agg Llay) 
0 


essendo le a, quantità costanti. 
Se f.(y) e L;(x,y) e le loro derivate rapporto ad y sono finite 
e continue per y compreso fra 0 ed a, mentre in questo intervallo 


h(y) = H(4,9) 


non si. annulla che per y = 0, esisterà una ed una sola funzione 
finita e continua ® che soddisfa la (A) quando tutte le radici del- 
l’equazione algebrica di grado n 


(B) aa sesso cr 


essendo finite e differenti fra loro, avranno le parti reali positive. 
Divideremo la dimostrazione di questo teorema in due parti. 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 695 


3. Supponiamo dapprima che la funzione © (x) soddisfi la (A). 
Derivando questa equazione rapporto ad y otterremo 


(A) f@=oMh() + frP)H(2, 9) da 
; In cui 


1 r1@=Zay + #4) 


dò H } ù 2) VP. eni Seni ' 
© Hey = EE day + Hl0,9) 
essendo 
ld ’ ò 4 ’ 
Wy=H yy), Bilo) = Ser. 


Sia ora \, una radice dell’equazione (B). 
Moltiplicando ambo i membri della (A') per y*—"-! avremo 


PP = PM + 91 (1) (0,9) de. 


Poichè la parte reale di \, deve essere positiva, così ambo 
i membri della precedente equazione saranno finiti o al più, 
per y= 0, diverranno infiniti d’ordine inferiore ad un numero 
minore dell’unità. Quindi sarà. lecito integrare fra 0 e 2 e si 


otterrà: 


a fr@eerdy= filoni + 
+ pet [lp (2) (c,)de i dy 
e, applicando il principio di Dirichlet 
frog = Si) e + 


T SEay, sata! da P(Y) dy. 


696 VITO VOLTERRA 


Abbiamo ora, in virtù della (2), 


da Hs(y,2)* str-lda i Si 34; a: PO id i CÈ 
0 s 


aa ii ur atea 
ne: 2; pie el diY 8 JEYaa dx 


0 


e, mediante una integrazione per parti applicata all’ultimo in- 
tegrale, 


"x n | . 
[ Ha (y, 2) at de = S dope fi a; giersi- TR 
. Yy — 


0 vs 


n 


px - ti af + H'(y,e)n1 — N (yy — 


— (A, —n— 1) if H'(y;a)a\tt7? da. 


Ne segue, tenendo conto della (1), 
hg + f Hyde = 
«/ y 
ya 2 4; (1 ra i) — h' (gle! AL n i 
+ H'(y,e)a*1_ WN'(y)y3-A—n—-1) [H'Yy,madere da. 
»' y 
Ma siccome 4), è radice della (B), così 
zolle eu 
onde il secondo membro della precedente equazione diverrà 


mi perio) — 


0 ds — i 


— (—-na—-1) pa H'(Ya)g\ent? dx. 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 697 


In conseguenza la (3) si scriverà 


J Agati [a ester Qi + 
o 0 


+ HYS An 1) (MY, MA} PAy 


e moltiplicando ambo i membri per 27>*!, 


= fsi tini, 
=. gl ET 


) ia Pu dy = [ 


de CELS 3 (n 12! SH dot da | ® (4) dy. 
Y, 


x 


Si ponga ora 


_ (—-m0—-n+1)...(A: — 2) LA 
k, n (A5—M) (Asa)... (Ad) (s "DA 19 2, see n) 


in cui il denominatore contiene tutte le differenze ), — ), 


per h=s. 
Per noti teoremi algebrici (*) avremo 
>. K, = 1 
2 K sa, ni; nZigi 
Di ds M dg see din > Ai 
o +1 
1 IE ORE aio (i De 
TS, RESA ARERIRREY(] UE TT FRASE DEL UAIOR n e 
# Mr ane dd 
2: =g = 0) (0 =<2, 3... n). 
(n—1)! pag 


y n K,y 
Vita I Mtb). (i Ma) 


(*) Vedi Jacosi, Disquisitiones analyticae de fractionibus simplicibus. Dis- 
sertatio inauguralis. Berolini 1825 (“ Ges. Werke ,, Bd. III). 


698 VITO VOLTERRA 


Moltiplichiamo ambo i membri della (4) per K, e som- 
miamo per tutti i valori dell'indice s da 1 ad ». Si avrà 


=, K, Ot (Py yy = 


î n—l n 
i H' , 
- [{E0 sas >. au ste = z. K, 
0 


— 3, K.(A,—n—1)2 | H'(Y,0)m da | 9(y) dy 
at: | 


1 


ossia, in virtù delle (5), 


(6) 4 K, et | P(M)ypady = 


n ni di 


in cui sì è posto 


(An —-1)(A — n)... (Xx — 2) 
(As — AM) (As — Aa)... (As — In) 


E. a 
Si scriva per semplicità 
©) Ke Py Ad = ve) 
@ zati 2 Ed) H'yaastd= Ga) 
la (6) allora assumerà la forma 
(0) ve)= f GP: 


ossia potremo concludere che se (y) soddisfa la (A) dovrà ve- 
rificare la equazione precedente. 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 699 


Abbiamo ora 
1° y(2) è una funzione finita e continua in tutto l’inter- 
vallo (0 a), e per 2==0 si annulla. 
w'() è una funzione finita e continua nello stesso inter- 
vallo, e 


"n K n(n+1) Zi qa 
lim A = +03 = + f0. 
3=0 1 s x; Mi 
o i+1 
d G(Y, 2) Bet È 
2° G(y,2) e Gr(y,2) = —;7-- sono funzioni continue 


ed i limiti superiori dei loro valori assoluti sono finiti per tutti 
i valori di x,y che verificano le condizioni 


(RO a le SNA 


8° La funzione 


GGA=Za + FO 
è finita continua e diversa da zero per tutti i valori di 2 com- 
presi fra 0 ed a. 

La questione funzionale (C) rientra dunque in quella classe, 
che ho esaminata in Note precedenti, la quale non ammette 
che una sola soluzione @(%). 

Dunque non può esservi più di una funzione che soddisfi 
la (A). 


4. Mostriamo ora che ogni funzione finita e continua @(y) che 
verifica la (C) deve soddisfare la (A') e per conseguenza la (A). 

Supponiamo infatti che @(y) soddisfi la (C); in tal caso, 
posto 


Oy) =f"Y) — PMLY) — f MH, y) de, 


questa funzione resulterà finita e continua per a >y>= 0 e di- 
verrà infinitesima d'ordine n per y="0. 


700 VITO VOLTERRA 


Seguendo l’analisi che ci ha condotti alla (C), si riconosce 
facilmente che questa equazione potrà scriversi 


(0) SK f'OM)yi tag = 0. 
250 


Moltiplichiamo ambo i membri della precedente equazione 
per 2?*de; avremo 


3, K.etlde. ( Oy) dy = 0. 
1 DIA!) 


Ammettendo di dare a 9g uno dei valori 2,...n, potremo 
integrare fra 0 ed u (A >> 0), e applicando il principio di 
Dirichlet si otterrà: 


HA n w NAS, nU EE SI 
o== K, { ®(y)y dy. f 2 de 


ca n u adi ulds yI*s lea 
=2.K | My da a =x]= 


Ks 
q_ ds 


K; 
q_ds 


ud: ( dp ya ey 


A cagione della penultima delle (5), l’ultimo termine della 
espressione precedente si annullerà, onde avremo 


n K wu 
© yî>» ul gy — 
Ze | PM dy=0 
o anche 
: K; —stl n \sen—1 = == 
3. den Ri Soy dy=0 (g=2,3...n. 
Poniamo 


Kt fO()y*1dy=v; 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 701 


le equazioni precedenti unitamente alla (0’) potranno scriversi 


vtwot... + o,=0 


iratyzi et + =0 


Pa an È Vi i oa +... + se Lo VU, = 0) 
e poichè il determinante 
1, np igni 2 1 
1 1 1 
DIA, J95prL N03 RES 
1 1 1 
UATET di de da (4) vana dn 
così avremo 
Va, ==)0 
da cui segue 
® (4) = 


che non è altro che la (A’). Abbiamo quindi provato che dalla (0) 
segue la (A'’) e perciò la (A). 

Osserviamo ora che la questione funzionale (C) ammette 
sempre una soluzione, quindi se saranno verificate le condizioni 
poste nell’enunciato del teorema 1° esisterà sempre una funzione 
@ (x) che verifica l'equazione (A) e perciò il teorema stesso re 
sulterà dimostrato. 


5. La identità riscontrata nel corso della precedente dimo- 
strazione fra i due problemi funzionali (A) e (C) conduce al 

TEOREMA 2°. — Quando sono verificate le condizioni poste 
nel teorema 1°, per risolvere la questione funzionale 


702 VITO VOLTERRA 
(A) fa =fo@H,y)dr (>y>0) 


basterà trovare la funzione @(x) che soddisfa l'equazione 


(o) 3 Ke (pd = 


-| Sa; - SL 1 AD | H'(y,a)a*»-"-? da \o(y) dy 
0 1 


0 Yy 


la quale potrà ottenersi coì metodi esposti nella Nota I. 

Infatti le proprietà trovate per il primo membro della (0) 
e per la funzione che moltiplica @(y) nel secondo membro di 
essa (Cfr. le proprietà. 1°, 2*, 3° trovate nel $ 3) lo provano, 
quando si tenga conto dei resultati che ho stabiliti nei $$ 3, 4 
della mia Nota dell’Accademia dei Lincei, Sulla inversione degli 
integrali definiti (*). 

6. Il teorema del $ precedente mostra che la (A) si potrà 
risolvere determinando le radici dell'equazione algebrica (B), 
quindi ricorrendo ai procedimenti della suddetta Nota. 

Ma possiamo trasformare la (C) in modo che non vi com- 


pariscano più esplicitamente le radici \,. Essa potrà scriversi 
infatti 


(0) LI te ia Cora 
e | (Za 4 EL _ | rg d (e) atea 
0 y 


Avremo ora se 1=>u> 00 


se 


3.K, we=3K, FEEL = 3.K, \.(A-1)...(A,-m-1 


iti 


>. K'u-—3K(1+u-1) ini 31). Om E 


(*) Seduta del 15 Marzo 1896. 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 703 


Tenendo conto che ’ 
KA. — ari ne SI (fi) 
1 


sono funzioni razionali simmetriche delle radici della (B), esse 
potranno esprimersi razionalmente mediante @, @ ... 4», e quindi 


n (esi U — 


Rue — Xn dz Aido, Ga. an) = Y(A0 0... dn |) 
0 


1 m! 


(u — 1)T 


ml! 


e = È Aliagal a = VW (Gad da 0) 
in cui A_, e A',, denotano funzioni razionali di 4, @,... n: 
Mediante queste formule la (C,) si trasformerà in modo che 
le \, resulteranno eliminate, ed avremo: 
TEOREMA 3°. — Quando sono soddisfatte le condizioni poste 
nel teorema 1° la equazione funzionale 


(A) fa)= fo@He,y)de  (a>y>0) 


è equivalente all’altra 


(C')) f ÙA0 (4) get Y(@, A, +00 Un | L dy = 


-| Za; + È H'(y, a LL (0,1... 2 )dw{ p()dy. 
i 


Y 


7. Esaminiamo ora il caso in cui alcune radici dell’equa- 
zione (B) abbiano la parte reale negativa. Sia \ quella o una 
di quelle per cui la detta parte reale è minima, e poniamo 


\= — 4; quindi si consideri l'equazione funzionale 
3 
) 1="0 ey) + fem SEEL (ele (a>y>0) 


in cui G(x,y) è data dalla espressione (8). 


704 VITO VOLTERRA 


E facile riconoscere che, applicando il procedimento esposto 
nella mia Nota dell’Accademia dei Lincei, Sulla inversione degli 
integrali definiti, precedentemente citata, si può trovare la fun- 
zione finita e continua 9 che soddisfa la precedente equazione. 

(4) 


DA È h Si . 5 5E 
Perciò basta verificare che i finita e non si annulla nell’in- 


tervallo (0, a), e il limite superiore del modulo di 


(9) lE Y) (£)° 


è finito per 


«> ya 


Si osservi che se u è un numero complesso, la (9) resulta 
una funzione complessa degli argomenti reali x,y; ma il pro- 
cedimento a cui ci siamo riferiti è evidentemente estensibile 
senz'altro al caso in cui si tratti di funzioni complesse di va- 
riabili reali, purchè le condizioni relative ai valori assoluti si 
trasportino ai moduli. 

Ciò premesso si ponga 


(E) Pix) = 0(2)24, 


avremo 


} “y G È 
ye=10 pm + fo) SEEL wa 
e osservando che 


h (4) 
y" 


G(y, y) Te ? 
sarà 
LARE 
ye=3; J, POE: 7) da; 


onde integrando 


"STE vo = nora pyt= | LOC, 


da cui segue 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 705 


n SI] n SZ gen 
& . 121 

e" Z;a; Ei iaz” ‘| y 

0 n 


CESELÌ Vera Biagio Me 


Tad ns i ve 7 Ta mi comi P° il % ; 
= 2 Za, J P(2)G(2,2)da Zia? Ju JPG, ya. 


Ora, eseguendo le integrazioni, il primo membro diviene 


1 3 n_A Ae ia m_X41) — 
10) IA (a ROME "a 
ot di 
ire O 


e, applicando al secondo membro il principio di Dirichlet, esso 
si trasforma in 


o (2) o Za;G(a, 2) — Zia,z"' fa (x,y) y' dy dx 
#0 | LU) Lat. 
quindi, ponendo 
blia;o) = za; (1,2) = Zia; {Ga y)yTdy, 
otterremo l’equazione 
(11) l'o()L(0,2)dx = 0. 
Con facili calcoli si ha dalla (8) 
n Yy ) 
G(x,4) = z, (ET gala i f H;(x,z) "1 dé + H(x, 2) an 


quindi L(x,z) si potrà decomporre in due parti, e scrivere 


L(x,2)=M4+N 
ove 


n - ci 
M=H(%,2) 2, K,a% #12, (agata — iz f yi» 
1 0 : c 


N=ZK. 3, (at [He Per de — 
0 Jr 


— 1a;e"T' Sag dy {E (2, E) Dig 1g - 


706 VITO VOLTERRA 
Semplicizzando come nella formula (10) si trova, tenendo 
conto delle (5), 


Col n n iaintiarti Ha 
M=:‘H(x,) 2; K, I ATI, cs 


K; 


n n 
= H(x,2)Zjia;e"'a ix, ——— 
( , E 1 mi i-\s+1 


e mediante il principio di Dirichlet 


N= z, K, | e (0, E) en de z, (a; gho>t1 — iq; tf ati dy) = 


n z n i di m_iz-nti 
if Ha ET 
1 v/ 2 0 


i-N-FI 
= ("H (2,E) Zia,g-iE-HX na 
dia 2\4%3 Fr; î di i -K-F1 == 


nate; Fi ke H;(x, a) de=Z,a, (H (2,2) H(0,9) ) 


onde 
L(x,2)=M4+N= Z a;H (4,2). 
0 
Perciò l'equazione (11) diverrà 


(12) fo (x) H(x,e)de =0 


quando si ammetta che tutte le radici della equazione (B) di 


n 
grado n siano finite, e per conseguenza sia Za; 210) 


8. Se u fosse un numero complesso e @(x) ottenuto dalla (E) 
resultasse complesso ed eguale a @, + î@», allora separando la 
parte reale @, dalla immaginaria si otterrebbero due funzioni 
reali diverse da zero ®; e ®, che ambedue verificherebbero la (12). 


SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 707 


Si avrà dunque: 
Trorema 4°. — Se l'equazione 


(B) i I a | 


di grado n ha le radici finite e diverse fra loro, e una 0 più di 
esse hanno la parte reale negativa, allora l'equazione funzionale 


fo (2) H(x,g)de = 0 


sarà soddisfatta da funzioni reali e diverse da zero. 

Se le condizioni di questo teorema sono soddisfatte, si avrà 
dunque che l’equazione (A), allorchè ammette una soluzione ne 
ammetterà infinite che si otterranno dalla prima aggiungendovi 
una soluzione della (12) moltiplicata per una costante arbitraria. 
Quindi 

Trorema VI. — Il problema di dedurre ® (x) dalla equazione 
funzionale 


(A) f(@) = | 9 (MH (7,9) da 


non è determinato quando la equazione 


(B) eee LEI) 


di grado n ha le radici finite diverse fra loro e una 0 più di esse 
hanno la parte reale negativa. 


9. Se supponiamo n= 1, e chiamiamo 
Udo > B, a,= 


allora l’equazione (B) diverrà 


B (ig ARANCE 
pipi t MESS mb 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 49 


708 GINO FANO 


d’onde 
ge a+ 28 
a+ B 


quindi \ sarà finito e positivo se 


rai oppure Wire è 


e sarà finito e negativo se 


(04 


i Voir 


> — 2; 


quindi i teoremi della Nota precedente si potranno ottenere 
subito come casi particolari di quelli ora stabiliti. 


Aggiunta alla Nota: 


Sulle congruenze di rette del terzo ordine 


prive di linea singolare; 


di GINO FANO. 


1. Nella mia Nota: Sulle congruenze di rette del terzo 
ordine prive di linea singolare (“ Atti della R. Accademia di 
Torino ,, vol. XXIX; adunanza del 1° aprile 1894) avevo lasciato 
ancora in dubbio se potesse o no esistere una certa congruenza 
di 3° ordine, 7? classe e genere 6 (l. c., n° 7, p. 16); come pure, 
nel caso in cui questa congruenza esistesse effettivamente, se 
fosse possibile o meno di rappresentarla biunivocamente sul 
piano. — Poichè le congruenze di rette dello spazio ordinario si 
possono considerare come particolari rappresentazioni sensibili 
delle superficie contenute in una quadrica (Mî) non degenere 
dello spazio a cinque dimensioni, così la questione si può ricon- 
durre a quella dell’esistenza, e, eventualmente, della razionalità, 


à dint Dec ela 


SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL TERZO ORDINE ECC. 709 


di una superficie di ordine 3 -+7=10 dello spazio S;, conte- 
nuta sempre in una Mj non degenere, e soddisfacente alle par- 
ticolari condizioni in cui si traducono le proprietà di quella 
certa congruenza (3, 7), supposta esistente, che già si trovano 
enunciate nella mia Nota citata. I nuovi risultati acquisiti in 
questi due anni alla teoria delle superficie algebriche, per opera 
specialmente dei signori CasreLNUOvo e Enriques ('), mi per- 
mettono di rispondere ora completamente a quella questione, e 
precisamente di mostrare che non esistono congruenze di rette 
(3,7) di genere 6 (?). 


2. Ricordiamo anzitutto che la congruenza (3, 7) di genere 6, 
supposta esistente, non deve contenere raggi multipli, nè fasci 
di rette (1. c., n° 7, p. 15); ma deve invece contenere venti comi 
cubici di genere uno, i cui vertici sono punti singolari di essa, 
e tali ancora che ogni raggio di essa uscente da uno di questi 
punti appartiene sempre al cono corrispondente. La congruenza 
non ammette altri punti singolari, ed è affatto priva di piani sin- 
golari. Le terne di generatrici secondo cui quei vari coni cubici 
sono segati dai piani passanti pei rispettivi vertici sono le sole 
terne di rette della congruenza che appartengono ad un mede- 
simo fascio (n° 4, p. 8, 9). 


(!) CasreLnuovo, Alcuni risultati sui sistemi lineari di curve appartenenti 
a una superficie algebrica; Sulle superficie di genere zero; Enriques, Intro- 
duzione alla geometria sopra le superficie algebriche; “ Mem. della Soc. Ital. 
delle Scienze (detta dei XL) ,, ser. III, t. X, 1896. In questa Nota dovrò 
valermi soprattutto dei risultati ottenuti dal sig. CAsreLNUOovo nella seconda 
delle sue Mem. cit. 

(*) Più particolarmente, faremo vedere che da alcune proprietà della 
superficie immagine F'° di $;, supposta esistente, segue che questa non po- 
trebbe essere razionale, e che, dal non esser questa razionale, segue poi 
l’esistenza su di essa di alcune rette che invece non vi sono contenute; 
da ciò l’assurdo, e quindi l'impossibilità dell’esistenza effettiva di quella 
superficie, nonchè della congruenza (3, 7) di cui essa sarebbe immagine. 
Questa via è alquanto indiretta, e non è certo escludibile che allo stesso 
risultato si possa anche giungere in modo più semplice; ma, poichè alcuni 
caratteri della superficie F'°, che qui si ammettono per ipotesi, sono stati 
dedotti soltanto da equazioni indeterminate, di cui si sono trovate, e resta- 
vano in parte a discutersi, le soluzioni intere e positive, potrebbe anche darsi 
che vi sia effettivamente implicita una contraddizione, ma soltanto remota. 


710 GINO FANO 


Questa congruenza (3, 7) si potrà rappresentare con una 
superficie F!° dello spazio S;, contenuta in una (sola) quadrica (M}) 
non degenere, che indicheremo con Q; le sezioni (iper)piane di 
questa superficie saranno curve non speciali (cfr. la nota ultima 
al n° 4, p. 9, del mio lav. cit.) di genere 6, appartenenti a spazi 
S,, e quindi normali; sicchè sarà normale anche la superficie P!0, 
Essa sarà priva di punti multipli; non conterrà rette, ma, cor- 
rispondentemente ai venti coni cubici della congruenza, conterrà 
un egual numero di curve piane di 3° ordine, poste in piani a 
due a due incidenti (perchè tutti appartenenti alla quadrica Q, e 
precisamente allo stesso sistema di piani sopra questa), benchè 
le curve stesse possano a due a due non incontrarsi ('). Saranno 
questi i soli piani della quadrica Q che contengono infiniti punti 
(ossia tutta una curva) della superficie F!°. L’intersezione ulte- 
riore di questa superficie con un S, generico passante per uno 
di quei 20 piani sarà una curva normale di 7° ordine e genere 3, 
che avrà comuni tre punti con questo piano (ossia colla rela- 
tiva cubica). 


8. Proiettiamo la superficie F!° su di uno spazio S3 (da una 
sua trisecante, e quindi) da una retta generica r del piano a di 
una sua cubica y?. (Si può dunque supporre in particolare che 
r non incontri i piani delle rimanenti cubiche). Avremo una 
superficie F° di S,, con un punto triplo A immagine della cu- 
bica y8; e con una curva doppia di 9° ordine, perchè le sezioni 
piane della stessa F° devono essere curve di genere 6. Questa 
curva doppia non passerà tuttavia per A, perchè le sezioni piane 
per questo punto devono essere di genere 3, e quindi appunto di 
genere inferiore di tre unità a quello della sezione generica. — 
Per la retta » passerà anche un secondo piano 8 della quadrica Q, 
che incontrerà la superficie F!° in sette punti; di questi, tre 
stanno già sulla curva yY? (ossia sopra r); gli altri quattro da- 
ranno in proiezione un unico punto B, quadruplo per la super- 
ficie F° (col cono tangente spezzato in quattro piani) e sestuplo 


(') Si può dimostrare che ciascuna di queste cubiche dovrebbe incon- 
trare tutte le altre, meno una (cfr. la nota (*) a p. 711, n° 3); ma ciò non 
ha per noi alcuna importanza. 


SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL TERZO ORDINE ECC. 711 


per la curva doppia C° (le sei tangenti a questa essendo date 
dalle intersezioni di quei quattro piani a due a due). La retta 
A B non appartiene però alla superficie F° (e non l’incontra 
quindi che nei due punti A e B, triplo il primo e quadruplo il 
secondo), perchè lo spazio Sz che la proietta da r ha la sua 
intersezione con F!° completamente ripartita fra i due piani a 
e B, dei quali A e B sono appunto le traccie sopra F°. Simil- 
mente si vede che quest’ultima superficie non contiene nemmeno 
altre rette uscenti da uno qualunque dei punti A e B. Infatti 
una tal retta, ove esistesse, dovrebbe esser proiettata da r se- 
condo un S, contenente uno dei due piani a e f, e incontrante 
perciò ancora Q in un secondo piano, che avrebbe certo un 
punto a comune con r; sicchè quella stessa retta non potrebbe 
esser proiezione che di una curva di F!° contenuta in quest’ul- 
timo piano, che (come si è detto) si appoggia ad r. E noi abbiamo 
già visto che le sole curve della superficie F!° che sono conte- 
nute in piani della quadrica Q sono le 20 cubiche, i cui piani 
(a escluso) si sono invece già supposti non incidenti alla retta ». 

La curva doppia (0°) della superficie F?, avendo in B un 
punto sestuplo, ne è proiettata secondo un cono cubico. Questo 
cono sarà privo di generatrici doppie, perchè da un lato la curva (0° 
non può avere punti doppi apparenti (se no si avrebbero 
raggi proiettanti uscenti da B e incontranti la superficie F° in 
otto punti, dunque contenuti in questa), e dall’altro ogni punto 
multiplo effettivo della stessa curva C° non potrebbe che esser 
proiezione di tre o più punti distinti di F!°; sicchè questi ultimi 
punti dovrebbero stare in un piano per r, e non sopra una retta ('); 
dunque in un piano di Q, e diverso da a e f, il che non è pos- 
sibile. La curva C°, e il cono che la proietta da B, saranno 
dunque di genere uno. Questo cono incontrerà ancora la super- 
ficie F° secondo una curva di 3° ordine d8, avente un punto a 
comune con ogni sua generatrice; quindi anche di genere uno, 
e perciò piana. Sarà questa la proiezione di un’altra delle 20 
cubiche della superficie F!° (*). 


(') Ricordiamo che la superficie F!° non ammette altre trisecanti, all’in- 
fuori di quelle contenute nei piani delle sue cubiche. 
(*) Questa curva non passerà per A, perchè non vi°passa il cono cubico 


712 GINO FANO 


4. Si può verificare ora facilmente che per la superficie F°, 
ovvero (il che fa lo stesso) per la F!° di cui essa è proiezione, 
sono nulli tanto il genere geometrico, quanto il genere numerico. 
— Il genere geometrico infatti è certamente nullo, perchè la su- 
perficie F!° di S; ha le sezioni non speciali (e su di essa non 
esistono quindi curve canoniche) (Exnriques: Mem. cit., n° 88, 
p. 64-65). — D'altra parte, ogni superficie aggiunta alla F° deve 
contenere la curva C°, e ha quindi in B un punto (almeno) triplo 
(perchè le sei tangenti a quella curva in B stesso non stanno su 
di un cono di ordine inferiore al terzo (')). Inoltre, perchè una. 
superficie di ordine n avente già in B un punto triplo contenga 
tutta la curva C°(che è di genere uno) occorrono (al più) altre 
9n — 18 condizioni (tante appunto essendo le intersezioni residue, 
fuori di B, di questa curva con una F" avente in B un punto 
triplo). A queste aggiungendo le 10 del punto triplo, e quella 
del passaggio per A (che è punto triplo isolato di F°), si trova 
che le F” aggiunte a F° e linearmente indipendenti sono in nu- 
mero di ("3") — 9n + 7. E poichè quest’espressione sì annulla 
per n=3 (ossia =7 — 4), si conclude che è nullo anche il ge- 
nere numerico di F°. 


5. Sulla superficie F!° di S,, di genere (geom. = num.) zero, 
il sistema lineare 005 ( | C | ) delle sezioni iperpiane è irreducibile, 
semplice (*), privo di curve fondamentali proprie (8), e @ serie carat- 
teristica non speciale (CasteLNUOvo: Mem. cit., Sulle superficie di 
genere zero; n° 1, p. 8). E poichè la curva generica di questo 
sistema | C | non è iperellittica, e (come si vede facilmente) in 
i C|] stesso non è nemmeno contenuto un sistema lineare 00* dî 


che la proietta da B; e perciò la cubica di F'° di cui è° è proiezione non 
incontrerà Y?. Di qui segue appunto che î 20 coni cubici della congruenza 
(3, 7), supposta esistente, non dovrebbero avere, a coppie, nessuna genera- 
trice comune. 

(') Esse sono infatti le intersezioni di quattro piani di una stella a due 
a due; e, se la retta 7 è stata presa in modo generale, questi piani sono 
tutti distinti, e tre qualunque di essi non passano per una stessa retta. 

(2) Tale cioè che le curve di esso passanti per un punto generico della 
superficie non hanno a comune altri punti variabili col primo. 

(*) Perchè la superficie F!° non ha punti multipli. 


dn n Vi nn alt 


SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL TERZO ORDINE ECC. 7183 


curve iperellittiche, così quelle stesse proprietà sopra enunciate 
spetteranno tutte anche al sistema |C"| aggiunto di | C] 
(CasreLnuovo: Mem. cit., n° 7, p. 183); sistema che avrà la stessa 
dimensione 5, perchè | C | è di genere 6 (= 5 + 1), e si com- 
porrà di curve di ordine 2 (6 — 1) = 10. Sulla superficie proie- 
zione F° il sistema | C' | verrà segato dalle aggiunte di 4° or- 
dine, che sono appunto in numero di 00°; di queste, 00? si 
spezzeranno nel cono cubico che da B proietta la curva doppia 
di F° e in un piano variabile per A. Per avere il grado di 
questo sistema, basterà cercare in quanti punti una curva ge- 
nerica (0"°) di esso incontra una delle curve spezzate nella 
cubica è? e in una sezione piana passante per A. Ora, la cu- 
bica d° è incontrata da una F* aggiunta generica in 12 punti, 
dei quali però 9 stanno sulla curva doppia di F°; ne rimangono 
quindi tre sulla €'° intersezione residua delle due superficie. E 
una sezione piana di F° passante per A incontra una tale 0"° 
in 10 punti, dei quali però 3 cadono sempre in A stesso (dove 
ogni C2° ha un punto triplo) e vanno quindi esclusi; ne riman- 
gono sette, che, aggiunti alle tre intersezioni con è?, dànno ancora 
dieci. Il sistema | C' | è dunque anch’esso di grado 10, e quindi 
— dovendo avere la serie caratteristica completa (') e non spe- 
ciale — di genere 6 (°); esso ha perciò gli stessi caratteri (ge- 
nere, grado, dimensione) del sistema primitivo | C | (*). Segue da 
ciò che non solo | C' | segherà sulla curva generica di | C | la 
serie canonica 9, ma, viceversa, anche | C | segherà sulla curva 
generica di | C' | la relativa serie canonica, che è pure una gi. 
Infatti questa serie segata sopra una C' generica dal sistema 
lineare | C | (ossia dagli iperpiani di S,) ha ancora l’ordine 10 e la 
dimensione 5; e di serie così fatte sopra una curva di genere 6 
non vi è appunto che la sola serie canonica. Il sistema | C | deve 


(') Perchè si tratta di sistema normale, sopra una superficie avente il 
genere geometrico eguale al genere numerico (CasteLnuOvo, Alcuni risul- 
tati..., n° 7, p. 18). 

(*) D'altronde 6 è pure il genere della curva riducibile d° + Cl” testè 
considerata. 

(*) Sulla superficie F!° di S; la curva C' generica sarebbe dunque una 
curva canonica di genere 6 (CI° di S;). 


714 GINO FANO 


dunque coincidere col sistema | C' | aggiunto a | C' | (CasrELNUOVO: 


Mem. cit., nota (') a p. 9; cfr. anche p. 18) ('), e perciò' la serie 
dei successivi aggiunti di | C | risulta illimitata (coincidendo 
questi sistemi alternativamente con | C' | e con | © | stesso). La 
superficie di cui si tratta non può dunque essere razionale 
(CasteLNUOvo: Mem. cit., n° 7, p. 14), e avrebbe anzi precisamente 
il bigenere P= 1. 

Più generalmente, per asserire che una superficie non è 
razionale, basta il fatto che un sistema lineare | C | avente le 
proprietà di cui sopra e il suo (primo) aggiunto | C’ | hanno la 
stessa dimensione »=r' e lo stesso genere p =p'. Si osservi 
infatti che ciò è possibile soltanto per r= p — 1 (come è appunto 
nel nostro caso); e allora il sistema | C” | aggiunto a | C' | , qua- 
lunque esso sia, ha ancora la stessa dimensione p—1l=r=r; 
sicchè le tre dimensioni r, »', r", essendo eguali fra loro, non 
soddisfanno a nessuna delle due diseguaglianze: 


r 
PR < r 
, 


vg — ip 


una almeno delle quali deve verificarsi sopra ogni superficie 
razionale (CAstTELNUOVO: 1. c., n° 12, p. 18). 


6. Non essendo dunque razionale la superficie F!°, e quindi 
la F° sua proiezione in $,, quest’ultima dovrà necessariamente 
ammettere almeno una superficie diaggiunta di ordine (2 jan — 4| 
per n= 7, ossia) sei; se no appunto, avendo già il genere (geom. 
= num.) zero, essa sarebbe razionale (CASTELNUOVO: l. c., n° 14, 
p. 20). Ora, una superficie biaggiunta a F° (1. c., n° 11, p. 17) 
deve contenere la curva doppia C° anche come curva doppia, e 


avere ancora in A un punto doppio. E poichè l’intersezione . 


(!) Infatti, se | C"| non coincidesse con | C |, vi sarebbero, fuori di [C| 
stesso, altre curve subaggiunte (di rango zero) a | C'|, seganti cioè gruppi 
canonici sopra una C' generica (Enrrques, Mem. cit., n° 19, p. 34). Il sistema 
subaggiunto a | C'| sarebbe dunque almeno 00° (più ampio cioè del sistema 
aggiunto), e non potrebbe perciò segare sopra una C' generica una serie 
solo 00° senza contenere questa C', il che non può avvenire, avendo il 
sistema |C'| la serie caratteristica non speciale. 


SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL TERZO ORDINE ECC. 715 


complessiva di una F° e di una F$ deve essere una curva di 
42° ordine, così, all'infuori della €? che è doppia per entrambe 
e non passa per À, non vi potrà essere che una curva di 6° 
ordine avente in A un punto sestuplo, e che dovrà perciò spez- 
zarsi in sei rette uscenti da A stesso. Ma abbiamo detto fin 
da principio (n° 3) che F° non può contenere rette passanti per A; 
vi è dunque incompatibilità fra i vari caratteri che abbiamo 
attribuiti alla nostra superficie F!° di S;, ossia fra le proprietà 
di cui avevamo trovato che una congruenza (3, 7) di genere 6, 
supposta esistente, avrebbe dovuto godere. Non esisteranno 
dunque congruenze così fatte, come appunto si voleva dimostrare. 

Concludiamo perciò: Tutte le congruenze di rette del terzo 
ordine prive di linea singolare e non contenute in un complesso 
lineare (') sono rappresentabili sul piano; e, ad eccezione di una 
sola congruenza (3, 6) di genere 5, il genere di esse (ossia delle 
sezioni delle superficie immagini) è = 4. 


Ricerche sui Pesci Fossili di Paranà 
(Repubblica Argentina); 


Nota del Dottor GIULIO DE ALESSANDRI. 


Capitale della Provincia di Entre-Rios nell’alta Argentina, 
la città di Paranà è posta sul fiume omonimo quasi in faccia 
al suo confluente col Rio-Salado. Si trova nella parte inferiore 
del grande bacino paranense in mezzo alla vasta pianura limi- 
tata dalla Sierra del Mare e del Brasile ad Oriente e dalle 
ande di Bolivia a Ponente. 

La natura geologica dei dintorni della città è uniforme; al 


(') Rimane dunque esclusa la congruenza (3, 3) intersezione di un com- 
plesso lineare con un complesso di 3° grado (Cfr. anche la nota (?) a p. 9 
del mio lavoro citato). 


716 GIULIO DE ALESSANDRI 


disopra per tutto l'immenso piano si riscontrano le alluvioni 
recenti, formate in gran parte da una sabbia rossa, e solo le 
grandi erosioni dei fiumi, mettono in qualche posto in evidenza 
gli strati sottostanti più antichi. Essi sono formati da una 
sabbia finissima, talora leggermente cementata da calcare, di 
colorazione bianca, raramente gialliccia per la presenza di so- 
stanze organiche decomposte, la quale nelle vicinanze della città 
è sostituita da una marna arenacea di color verdognolo. 

Gli studii paleontologici e stratigrafici su questo bacino 
cominciarono verso la metà di questo secolo e furono quasi 
sempre estesi ai terreni della Repubblica Argentina. 

Alcide D’Orbigny nell’anno 1842 (Paléontologie du Voyage 
dans Vl Amérique méridionale, Paris), dallo studio dei numerosi 
fossili rinvenuti considerò i terreni dell’ Argentina come spettanti 
al periodo Terziario e Quaternario; egli riassunse questi strati 
in quattro formazioni. 


Guaranitica. — Formazione priva di fossili. — EKocene su- 
periore. 

Patagonica. — Formazione a molluschi marini. — Eocene 
sup. ed Oligocene. 

Pampeana. — Formazione continentale a mammiferi ter- 
restri. — Terziario sup. 

Diluviana. — Formazione recente. — Quaternario. 


Successivamente Carlo Darwin nel suo memorabile viaggio 
attorno al mondo, avendo avuto occasione di visitare le coste 
dell'Argentina, si occupò della geologia del Paranà e nella sua 
Memoria: Geological observation on south America, tom. III, 
pag. 89-133, publicata in Londra nel 1891, riferì la formazione 
Patagonica al piano Eocenico. 

Nel 1859, Augusto Bravard, direttore del Museo Nazionale 
di Cordova, in una sua Monografia: Terrenos marinos Tercianos 
de las Cercanias del Paranà, trattò a lungo la posizione geolo- 
gica degli strati paranensi. Egli, premessi alcuni cenni storici 
riguardanti gli studi geologici dell'Argentina, esaminata la costi- 
tuzione stratigrafica del paese, e studiati i fossili raccolti nel 
Museo Nazionale, stabili due formazioni: una più antica con 
resti di Anoploterion e Paleoterion e rieca di fossili, fra cui 
quattro specie di mammiferi, tre di rettili, dieci di pesci e cinque 
di molluschi, che corrisponderebbe al periodo Éocerico del Lyell, 


RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ 717 


l’altra più recente con resti di Balaena corrisponderebbe al pe- 
riodo Miocenico del Lyell. 

Pochi anni dopo il Dott. Burmeister (Description  physique 
de la République Argentine. Paris, 1876) illustrò i mammiferi 
dell'Argentina, considerando però erroneamente la formazione 
Patagonica come Pliocenica, e più tardi Fiorentino Ameghino 
(Formazione Pampeana. Paris y Buenos-Ayres, 1881), occupan- 
dosi incidentalmente della formazione Patagonica, conchiuse do- 
versi essa ritenere almeno come Miocenica. 

Fu solo verso l’anno 1884 che la geologia di quel paese 
veniva largamente illustrata per opera del Dott. A. Doering. 
Egli nella sua importante Memoria: Informe oficial de la Comision 
cientifica al Rio Negro (Patagonia) (Newes Jahrbuch fiir Min. 
Geol. und Pal. Jahrg., 1884, Stuttgart), così divise i terreni 
Argentini. 


Formazioni Eogene. 


18 Formazione: 


Geni A NI) OMOIOS IQ (PIL 1 pt, UICretaeno tape 
Piano Paranense (Ostrea Ferrarisi) . Eocene sup. 
2* Formazione: s Mesopotamico (Megamys Ano- ) 
PATAGONICA plotherium) Oligocene 
» Patagonico (Ostrea patagonica) \ 


Formazioni Neogene. 


1* Formazione: 
ARAUCANA RIA LE di IE I TRITO 1e'TMHoehe 


Piano Pampeano inf. (7’ypotherium) 


2% Formazione: »  Eolitino (Equus) PIA 
PAMPEANA » Pampeano lacustre (Palude 
strina Ameghinii) 
3* Formazione: 
TEHUELCHE dini nia) nile nie rie Glaciale 
4% Formazione: 
QUERANDINA D e indetti o anbrieditilareni - Ran aid) azioni 


5* Formazione: 
ARIANA im obnevà dtvoiet) ib mond 60. Alluivam 


718 GIULIO DE ALESSANDRI 


Un anno dopo, il Dott. Alfredo Stelner (Beitrige zur Geol. 
der Argentinischen Republick auf Anordnung der Argent Nat. 
Regierung herausgegeben. Cassel et Berlin, 1886), in uno studio 
stratigrafico dei terreni della Republica, divise il terziario in 
due orizzonti; uno inferiore (Guaranitico D’Orb.) comprendente 
sedimenti detritici, che nelle Cordigliere sono direttamente so- 
vrapposti agli schisti cristallini, paleozoici; l’altro superiore 
(Patagonico D’Orb.), comprendente formazioni recenti con avanzi 
di animali terrestri, corrispondente al Miocene e Pliocene. Più 
tardi il sig. Larrazet (Des pièces de la peau de quelques Sélaciens 
fossiles. “ Bull. Soc. Géol. de France ,. Serie III, Vol. XIV, 
pag. 255. Paris, 1886), descrisse fra altre tre specie di Raijdae 
raccolte lungo il Paranà presso Villa Unquiza, riferendo gene- 
ricamente al terziario i terreni in cui vennero raccolte. 

Recentemente in una sua importante monografia sui Mam- 
miferi fossili della Repubblica Argentina (“ Actas de la Aca- 
demia Nacional de Cencias de la Republica Argentina in Còr- 
doba ,, Tom. VI, 1889), Fiorentino Ameghino, riprendendo lo 
studio geologico e paleontologico di alcuni anni prima, divide 
la formazione Cenezoica in tre periodi: Eogeno con resti di mol- 
luschi estinti; Neogeno con resti di molluschi estinti ed altri 
viventi; Plionogeno con avanzi di molluschi tuttora viventi. 

L’Eogeno comprende il Paleoceno, l’Eoceno e l’Oligoceno; il 
Piano Paranense spetterebbe precisamente all’ Eoceno superiore. 

L’opera pregevole dell’ Ameghino mentre illustra minuta- 
mente i mammiferi fossili del paese, porge pure sicuri contributi 
alla sua conoscenza stratigrafica, ed è quanto di più completo 
può vantare la geologia della Republica. 

I vertebrati inferiori però e tutti gli invertebrati del paese 
furono finora assai negletti, non potendo considerarsi come 
scientificamente importante, il catalogo dei fossili del Museo 
Nazionale del Paranà, compilato dal Bravard molti anni or 
sono e senza l’aiuto delle più interessanti memorie fin allora 
publicate. 

Una ricca collezione di fossili paranensi determinata in 
parte dal Bravard e composta di resti di Mammiferi, Pesci, Cro- 
stacei, Gasteropodi, Lamellibranchi, Echini e Stelleredi, conser- 
vasi nel R. Museo Geologico di Torino, al quale fu donata nel 
1861 dal sig. De Luchi di Genova. Avendo ultimamente avuto 


RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANA 719 


occasione di esaminarla, gli avanzi di Pesci pel loro numero e 
pel buon stato di conservazione, m’invogliarono a farne studio 
speciale. 

Frutto di esso sono le considerazioni che qui presento. 

Questi Pesci appartengono a tre sotto classi: Elasmobranchi, 
Ganoidi, Teleostei; rappresentati, i primi da cinque generi e 
sette specie; i secondi da un genere ed una specie; i terzi da 
tre generi -e tre specie. Questa ittiofauna pare Eocenica; infatti 
l’Odontaspis elegans raccolta finora solo nell’eocene è una delle 
specie più caratteristiche delle formazioni terziarie; di più il 
Carcharias (Aprionodon) gibbesiù è pure una specie essenzial- 
mente eocenica; il genere Lepidosteus fu finora raccolto sola- 
mente nelle formazioni eoceniche di acqua dolce del Messico 
e l’Od. Hopei è specie comparsa nell’eocene e che persistette 
anche nel miocene. 

Restano i due generi Acrodus e Corax, dalla maggior 
parte degli ittiologi considerati come spettanti al secondario 
superiore. Tuttavia per lo speciale modo di fossilizzazione (1) essi 
evidentemente appartengono allo stesso giacimento degli altri 
fossili paranensi quì descritti e sarebbero così parte dei raris- 
simi esemplari raccolti finora nel terziario. 

Lo studio di questi avanzi fossili di Pesci, sembra quindi 
confermare il concetto del D’Orbigny, del Bravard, del Doering 
e dell’Ameghino, secondo il quale, il piano Paranense (ad Ostrea 
Ferrarisi) facente parte della formazione Patagonica d’Orb. cor- 
risponderebbe al nostro Eocene. 


(1) I fossili di Paranà sono completamente silicizzati e per la colora- 
zione e consistenza loro, rassomigliano agli avanzi della Foresta di marmo 
dell’Egitto. 


720 GIULIO DE ALESSANDRI 


Sottoc.. ELASMOBRANCHI. 
Ord. SELACHII. 


Sottord. Asterospondyfli. 
Fam. LAMNIDAE. 
Gen. Odontaspis Agassiz. 


Odontaspis elegans Agass. sp. 
Tav. I, fig. 1, 1b. 


1843. Lamna elegans. — Acassiz L., Poiss. foss., vol. III, pag. 289, tav. 35, 
fig. 1-5, tav. 37a, fig. 59. — 1849. Gisses R. W., A Monog. foss. 
Squal. U. S., pag. 196, tav. 25, fig. 98-102. — 1858. Bravarp A., 
Monog. terr. mar. terc. Paranà, pag. 52. 

1891. Odontaspis elegans (e sinonimia). — Woopwarn, Catal. of foss. fish. in 
the Brit. Mus., pag. 36. 


L’Od. elegans per la forma slanciata dei suoi denti colla 
radice rigonfia e le branche sviluppatissime, colle strie sulla 
superficie interna del cono dentario, diritte non estese oltre la 
metà di esso è una delle specie più facilmente e nettamente 
riconoscibili. 

Gli esemplari raccolti a Paranà non sono molto numerosi, 
presentano però sempre la forma caratteristica colle strie evi- 
dentissime. 

In Europa questa specie fu riscontrata nell’ eocene della 
Francia, del Belgio, della Germania, d'Inghilterra e d’Italia; in 
America, il Gibbes la raccolse nell’eocene dell’Alabama e della 
Carolina del Sud. 


Odontaspis Hopei Agass. sp. 
Tav.il;ffio. 2,2 d: 


1843. Lamna (Odontaspis) Hopei. — Aeassiz L., Poiss. foss., vol. III, pag. 2983, 
tav. 37 a, fig. 27-30. | 

1858. Lamna amplibasidens. — Bravarp A., Momog. terr. mar. tere. Paranà, 
pag. 53. 

1858. Lamna unicuspidens. — Bravarp A., Op. cit., pag. 52. 

1871. Lamna (0d.) Hopei. — Le-Hox H., Prélim. Mém. Poiss. Tert. Belg., p. 12. 

1885. Odontaspis Hopei. — NoerLine F., Die Fauna des Sanslinds. Tert., 
vol. VI, pag. 71, tav. V, fig. 1,3. 


RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ Ti 


Tuttora discordi sono i pareri dei palittiologi riguardo al- 
lOd. Hopei. L’Agassiz, il Le Hon, il Sauvage (1) ed il Bassani (2), 
ritengono essere l’Od. Hopei specie ben distinta dall’Od. cuspi- 
data mentre il Woodward (3) e dapprima anche il Bassani (4) 
non credevano potersi considerare distinte le due specie. 

Numerosi sono gli esemplari di Od. Hopei provenienti da 
Paranà i quali per la corona sottile e slanciata, in quelli ante- 
riori ricurva verso la parte esterna, colla radice rigonfia e le 
branche lunghe profondamente divaricate, coi conetti laterali, 
sporgenti ed acuti, talora con tubercoli e denticini secondarii, 
corrispondono per bene a quelli figurati dall’ Agassiz e dal 
Noetling. A questa specie vanno riferite la Lamna unicuspidens 
e la Lamna amplibasidens del Bravard, quest’ultima fu distinta 
dalle altre specie per la base alquanto sviluppata che talora 
raggiunge un terzo dell’intiera lunghezza del dente. 

In Europa questa specie fu rinvenuta nelle argille di Londra 
e nelle Bernsteinformation (Prussia) e nel miocene del Belgio; 
in America il Gibbes la cita erroneamente nell’ eocene della 
Carolina del Sud. 


Fam. CARCHARIDAE 
Gen. Carcharias Cuvier. 
Sottogen. Aprionodon Gill. 


Carcharias (Aprionodon) gibbesii Wood. 
Tav. I, fig. 3-3 a. 


1849. Galeocerdo minor. — Gisses R. W. (non Agassiz), Monog. of the foss. 
Squal. of U.S., pag. 192, tav. 25, fig. 63-65. 

1849. Oxyrhina minuta. — Gigses R. W. (non Agassiz), Op. cit., pag. 202, 
tav. 27, fig. 164. 

1858. Lamna serridens. — Bravarp A., Monog. terr. mar. tere. Paranà, p. 53. 

1889. Carcharias (Aprionodon) gibbesi. — Woopwarp A. S., Catal. of foss. 
fish. in Brit. Mus., pag. 437, 446, 452. 


Il Carcharias (Aprionodon) gibbesiù è una delle specie più 
numerose dell’ittiofauna paranense. 


(1) Sauvage H. E., Etude sur les poissons des faluns de Bretagne, pag. 13. 
(2) Bassani F., /ttioliti miocenici della Sardegna, pag. 36. 

(3) Woonwarp A. S., Catalog of foss. fish. Brit. Mus., pag. 368. 

(4) Bassani F., Ricerche sui Pesci foss. del Gahard (Miocene medio), p. 57. 


722 GIULIO DE ALESSANDRI 


Gli esemplari raccolti hanno generalmente le piccole dimen- 
sioni di quelli tipici del Gibbes, la forma della loro corona è 
conica depressa colla superficie interna curva e quella esterna 
quasi piana; la radice è robusta, ha le due branche sviluppate 
poste quasi in linea retta fra di loro e separate da una larga 
scanalatura in mezzo della quale trovasi il foro del canale nu- 
tritivo; internamente i denti sono cavi. 

Questa specie ha grande analogia col Carch. (Aprionodon) 
basisulcatus del Sismonda (1) e coll’ Aprionodon frequens del 
Dames (2); si distingue però da essi per la radice più robusta 
e per la corona più tozza. Il Carch. (Aprionoden) gibbesii venne 
dal Gibbes raccolto nell’eocene della Carolina e dell’ Alabama. 


Gen. Corax Agassiz. 


Corax aff. falcatus Agass. 
Tav. I, fig. 4-4a. 


Io riferisco a Corax aff. falcatus una cinquantina di denti 
di perfetta conservazione i quali per la forma triangolare schiac- 
ciata, per la mancanza di cavità interna, per la corona larga 
appiattita a margini finamente seghettati, colla superficie in- 
terna alquanto convessa, e quella esterna piana con piccole 
pieghe alla base dello smalto, per la radice larga e piatta colle 
branche poco sviluppate e separate dalla parte interna da una 
larga scanalatura, corrispondono abbastanza alle descrizioni del 
C. falcatus dell’Agassiz (Poîss. foss., vol. III, pag. 226, tav. 26%, 
fig. 14, tav. 26?, fig. 1-15) del Sauvage (“ Bibl. École Hautes 
Etudes ,, vol. V, pag. 40, tav. 11, fig. 84-85); ne differiscono 
per le dimensioni minori e per la radice relativamente meno 
sviluppata. 

Il Bravard nella sua Monografia cita questa specie sotto 
il nome di Squalus obliquidens; in Europa il C. falcatus si trova 
in tutta la serie cretacea e fu raccolto in Inghilterra, in Francia, 
in Germania ed in Russia; nell'America del Nord il Roemer (3) 


(1) Sismonpa E., Pesci fossili del Piemonte, “ Mem. della R. Acc. delle 
Scienze di Torino ,, serie 2*, vol. X, 1846, pag. 45. 

(2) Dames W., Ueber eine tertiùire Wirbelth. v. d. westlichen insel. des 
Birked-el-Qurun (Aegypten), © Sitzungsb. k. preuss. Akad. Wiss.,, 1883, p. 143. 

(3) Roemer F., Kreidebildungen von Texas, 1852, pag. 36. 


RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANA 723 


sotto il nome di Corax heteroton lo cita fra i fossili cretacei del 
Texas ed il Leidy (1) sotto il nome di Galeocerdo falcatus lo 
descrive fra i fossili pure cretacei del Kansas, del Mississipi e 
del Texas. 


Fam. GESTRACIONIDAE. 
Gen. Acrodus Agassiz. 
Acrodus paranense n. sp. 
Tav. I, fig. 5, dc. 

Il genere Acrodus viene dalla maggior parte degli ittiologi 
considerato come unicamente secondario; lo Schafhiutl (K. E.) (2) 
però raccolse nell’eocene superiore di Baviera, alcuni esemplari 
che distinse col nome di A. fleruosus; Oronzio Gabriele Costa (3) 
cita fra i fossili del calcare eocenico di Gassino (Piemonte) un 
Acrodus (A. Gastaldi) che il prof. Bassani dalla descrizione e 
dalla figura crede non spettante assolutamente a tale genere, 
infine il prof. Emmons (4) descrive un Acrodus raccolto sul 
Miocene della Carolina del Nord, che il Leidy (5) dubitativa- 
mente distingue col nome di A. Emmonsi. 

Quantunque da quanto ho esposto, ancora molto dubbiosi 
siano gli esemplari di questo genere raccolti nel terziario, ad 
ogni modo, quelli provenienti dall’eocene di Paranà vanno senza 
dubbio riferiti ad Acrodus, e per la facies speciale, che i fossili 
di detta località presentano, vanno ritenuti come certamente 
raccolti cogli altri avanzi, descritti in questa nota. 

Alcuni di questi denti appartenenti alla parte centrale della 
mascella hanno la forma romboidale ricurva alle due estremità, 
colla superficie triturante rigonfia nella parte centrale e per- 
corsa in tutta la sua lunghezza da una costola mediana, la 
quale è intersecata da numerose e ben distinte strie trasversali. 
La parte corrispondente alla corona, ha lo spessore di circa un 


(1) Lemy J., Contrib. Ext. Vert. fauna West. Terr., © Report of U. S. 
Geol. Survey of the terr. ,, 1873, vol. I, pag. 301 e 351. 

(2) Scnarnaurt K. E., Stid-Bayerns Leth. Geog., 1863, pag. 224, t. 64, fig. 2. 

(3) Cosra 0. G., Sopra alcuni foss. di Gassino in Piemonte, © Ann. Ace. 
Asp. Nat. Napoli, vol. III, 1864, pag. 30, tav. V, fig. 1. 

(4) Emmons, North Carolina Geol. Sur., 1858, pag. 244, fig. 97. 

(5) Lemy J., “ Proc. Ac. Nat. Sc. ,, 1872, pag. 163. — Id., Contrid. to 
the eat. Vert. Fauna, 1873, pag. 801. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 50 


724 GIULIO DE ALESSANDRI 


millimetro e mezzo, è alquanto più sviluppata nella parte cen- 
trale ed alle due estremità; essa ha colorazione rossiccia, la 
superficie radicale è quasi piana con una leggera prominenza 
verso la metà della sua lunghezza. 

| Altri esemplari più piccoli appartenenti alla parte poste- 
riore della mascella sono meno accuminati e meno ricurvi alle 
due estremità, hanno però sempre la superficie triturante per- 
corsa longitudinalmente da una grossa costola e trasversalmente 
sono solcati da numerosissime strie le quali sono più distinte 
nella parte mediana. 

Le dimensioni dei grossi pena sono: 

lungh. millim. 14; largh. millim. 5 
quella dei piccoli esemplari è: 
lungh. millim. 10; largh. millim. 4. 

Per le piccole dimensioni l'A. paranense ha qualche ana- 
Togia coll’A. acutus Agassiz delle arenarie di Tubingen (Wur- 
temberg), per la forma e l’ornamentazione della superficie tri- 
‘turante si approssima all’ A. rugosus Agassiz della Creta di 
Maestricht. 


Sottord. Tectospondyli. 
Fam. MYLIOBATIDAFE. 
Gen. Myliobates Cuvier, 


Myliobates americanus Brav. 
Tav. I, fig. 6,6. 


1858. Myliobates americanus. — Bravarp A., Monog. terr. mar. tere. del 
Paranà, pag. 53. — 1877. IsseL A., Cenni sui Myliobates terz. 
ital., pag. 5. — 1889. Woonwarp A. S., Catal. of foss. fish. în 
the Brit. Mus., pag. 121. 


Il Bravard nella sua monografia sul Paranà cita senza. 
descrivere una ventina e più di piastre dentali di questa specie, 
che si trovano nel Museo Nazionale della Confederazione Ar- 
gentina, credo quindi utile di darne ora la descrizione. 

Gli avanzi di M. americanus, che si conservano nel Museo 
geologico di Torino, sono numerosissimi, le piastre dentali sono 
generalmente sempre disgiunte le une dalle altre, con dimen- 
sioni variabilissime, solo una placca presenta i suoi elementi al 
loro posto. 


RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ 725 


Consta essa di quattro denti mediani e di quattro denti 
laterali per parte, ha una lunghezza di 21 millim., una larghezza 
di 26 millim., ed uno spessore di 4 millim.; la superficie tritu- 
rante è alquanto convessa nella parte posteriore, è pianeggiante 
in quella anteriore; la superficie radicale è concava nel senso 
della lunghezza. 

La superficie triturante ha una colorazione bruno-cupa, in 
alcuni denti distaccati essa appare tutta coperta da numerosis- 
sime macchie bianche, generalmente è striata nel senso della 
lunghezza da grosse fenditure irregolari. 

La forma degli scaglioni centrali è esagonale, colla lar- 
ghezza circa quattro volte maggiore della lunghezza, la quale 
in tutti è di circa 6 millim.; essi combaciano fra loro esatta- 
mente, dimodochè a tuttaprima si può scorgere le suture, le 
quali sono alquanto curve verso la parte posteriore. 

I denti laterali hanno la forma irregolarmente romboidale, 
con una lunghezza di circa 5 millim. ed una larghezza di 3 
millimetri. 

La faccia radicale è irta di rilievi longitudinali equidistanti, 
i quali misurano circa 3 millim. di lunghezza e circa 0,5 millim. 
di larghezza, su ciascun scaglione mediano se ne contano circa 
22, in quelli laterali generalmente 3. 

La corona dei denti posteriori è sviluppata, essa ha la forma 
di un segmento sferico, la saetta del quale ha circa 3 millim. 
di lunghezza, quella dei denti posti nella parte anteriore si 
assottiglia considerevolmente con uno spessore non mai mag- 
giore di 1 millim. i 

Il M. americanus presenta grandissima analogia col M. Di- 
roni dell'’Agassiz (che è identico a quello da lui figurato, vol. III, 
tav. 47, fig. 6-7 sotto il nome di M. heteropleurus), dell’eocene di 
Francia e d'Inghilterra; infatti le dimensioni della placca, quelle 
dei denti mediani e laterali, la loro forma, e quella dei rilievi 
della parte radicale della piastra sono identici. Il numero di 
questi ultimi nella placca, che io ho disegnato, è alquanto mag- 
giore, noto però che in parecchi scaglioni disgiunti i rilievi 
sono meno numerosi e colle stesse dimensioni della specie del- 
l’Agassiz. 

Nella raccolta dei fossili di Paranà vi sono pure moltissime 
spine di Myliobates, talune delle quali corrispondono lontana- 


726 GIULIO DE ALESSANDRI 


mente a quelle raccolte dal Leidy (1) nel Miocene della Virginia, 
le quali per essere raccolte assieme al M. americanus, e per 
presentare quella stessa facies tipica di questa specie, forse de- 
vono ad essa riferirsi. 


Myliobates sp. ind. 
Tav.I, fig. 7,70. 

Riferisco a Myliobates alcune grosse spine, raccolte esse 
pure nelle sabbie di Paranà, le quali per loro dimensioni, per 
la forma loro, tozza e schiacciata, corrispondono alquanto alle 
figure di Ptychacanthus dell’Agassiz (Poiss. foss., vol. III, pag. 67, 
tav. 45, fig. 1-23) ed a quelle di Myliobates sp. (GERVAIS P., 
Zoolog. et Paleont. frane., 1852, pag. 519, tav. 80, fig. 5); ne dif- 
feriscono però per l’ornamentazione alquanto più fina per la 
forma dei denti laterali e per la sezione, la quale negli esem- 
plari di Paranà ha i due lati maggiori quasi retti ed un largo 
foro, ovale nel centro. Altri esemplari piu piccoli presentano 
la stessa forma ed ornamentazione; i denti laterali però sono 
più rari, più accuminati e disposti irregolarmente gli uni rispetto 
agli altri; essi presentano grande analogia col vivente M. no- 
ctula del Bonaparte. | 


SottocL. GANOIDI. 
Ord. LEPIDOSTEIDAE. 
Fam. GINGLYMODI. 

Gen. Lepidosteus Lacepède. 


Lepidosteus sp. ind. 
Tav.I, fig.8,8 a. 


Riferisco dubitativamente a questo genere un piccolo dente, 
il quale, ove si eccettui le dimensioni un po’ minori, per la forma 
e per l’ornamentazione, corrisponde perfettamente a quelli delle 
ligniti eoceniche di Soissons, descritti e figurati dal Gervais (2). 
Altri esemplari di denti assai prossimi a quello di Paranà 
furono raccolti, con avanzi di vertebre e di squame, durante la 


(1) Lerpy J., Contributions to the extinct vertebrate fauna of the West. 
Terr., pag. 354. Washington, 1893. 
(2) Gervars P.. Zool. et Pal. frang., Paris, 1859, pag. 517, tav. 58, fig. 3-5. 


RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ 727 


spedizione del prof. Hayden nei depositi eocenici di acqua dolce 
del Wyoming e del Nuovo Messico e furono dal Leidy (1) de- 
scritti e figurati sotto il nome di Lepidosteus, più tardi però il 
Cope (2) riferì questi stessi esemplari al nuovo genere Clastes. 

La lunghezza del dente è di circa 11 millimetri, la sua 
larghezza presso la base è di 5 millimetri; la corona è nera 
lucente, di forma conica, alquanto curva presso l’apice, essa è 
lunga pressapoco i tre quarti dell’intiera lunghezza del dente. 
Inferiormente essa è solcata da grosse scanalature longitudinali, 
larghe circa 1 millimetro, separate fra loro da rilievi tondeg- 
gianti che dalla base della corona si estendono lungo il cono 
dentario fino ai due terzi della sua lunghezza. 

La radice è breve, cilindrica, tronca nella sua parte inferiore. 


SottocL. TELEOSTEI. 
Ord. ACANTHOPTERI. 


Fam. SPARIDAE. 
Gen. Chrysophrys Cuvier. 


Chrysophrys sp. 
Tavrt fp.9, 9e 


Riferisco al genere Chrysophrys alcuni denti laterali interni 
ed altri posteriori, i quali raggiungono le medie dimensioni di 
quelle del continente europeo. 

La corona dei denti laterali interni è semisferica con un 
diametro di circa 9 millimetri, in quelli posteriori è irregolar- 
mente ovale con i due diametri rispettivamente di 8 e 6 mil- 
limetri; tutti hanno una colorazione bruno-rossiccia, colla radice 
conica, pochissimo sviluppata, percorsa da numerose strie pa- 
rallele alla base. 

Il Gibbes, il Leydy ed il Bravard non annoverano questo 
genere fra i fossili del continente americano; in Europa è ab- 
bondante ovunque con numerose specie. 


(1) Ley J., Contrib. of the extinct. Vert. Fauna West. Terr., Washington, 
1873, pag. 189. 
(2) Cope Epw., © Proced. Amer. Phil. Soc. ,, 1877-1883. 


728 GIULIO DE ALESSANDRI 


Fam. SPARIDAE? 


Gen. ind. 
Tav. I, fig. 10, 10 n. 


Due frammenti di mascella, e molti denti da essi distaccati, 
appartengono senza dubbio alla famiglia degli Sparidi, quan- 
tunque a nessuno dei generi più conosciuti (Chrysophrys, Sargus, 
Pagrus e Pagellus) si possa riferire. 

La fig. 8 rappresenta parte di una mascella, che pare la 
superiore; in essa i denti sono disposti irregolarmente su più 
fila, quelli posteriori sono depressi, arrotondati nella parte su- 
periore, poligonali nella parte radicale, cavi all’interno, la corona 
ha colorazione olivastra, la radice è bruno-pallida, quelli ante- 
riori sono piccoli cilindrici a sezione ovale, inferiormente rigonfi 
con un piccolo foro nutritivo centrale. 


Le dimensioni dei grossi denti posteriori sono: 


diametro! in. seo PIO millimietr®* == 
altezza della corona . . . ; 0,8 
altezza della radice . . . ; = 


Quelle dei denti posteriori sono: 


diametro maggiore . . . . millimetri 8, — 
" imnore 99 AAlse e 1,8 
altezza della corona. . . , Da 
È na iadi@e:ign ino 3 1, 


Nell’altra mascella, forse inferiore, i denti anteriori sono 
più sviluppati, hanno sezione poligonale cogli angoli smussati; 
in entrambe si osservano (come nel famoso esemplare di Chry- 
sophrys del Pliocene di Volterra (LAawLEY R., Osservazioni sopra 
ad una mascella fossile del genere Sphaerodus, Pisa, 1875, pag. 9) 
alcuni denti in via di accrescimento nell’interno dell’osso man- 
dibolare, i quali sono destinati col crescere a spingere fuori i 
denti vecchi ed a sostituirli. 

Confrontando questi resti con quelli dei generi affini, ne 
consegue che le dimensioni di questi Sparidi dovevano essere 
rilevanti, certo pressapoco uguali a quelli delle Chrysophrys. 


RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ 729 


Fam. LABRIDAE. 
Gen. Protautoga Leidy. 


Protautoga longidens n. sp. 
Tavo, fe 110. 


Il genere Protautoga fu fondato nel 1873 dal Leidy (1) sopra 
alcuni esemplari poco prima (2) riferiti al genere Tautoga, i 
quali per molti caratteri si avvicinavano alla vivente Tautoga 
americana. Di esso finora si conosce una sola specie il P. conidens, 
delle quali il Leidy raccolse due frammenti di mascelle e molti 
denti, in alcuni strati a diatomee da lui riferiti al Terziario 
Superiore, presso la città di Richmond (Virginia). 

Alcuni denti riferibili a questo genere fanno parte dei fos- 
sili di Paranà, i quali per avere una forma più esile, più slan- 
ciata e più irregolare di quelli del P. coridens, io ho creduto 
doversi ritenere come nuova specie. 

La corona dei denti incisivi è circa un terzo dell’intiera 
lunghezza del dente, ha la forma ovalare alquanto più acumi- 
nata verso l'estremità libera, la sua superficie esterna è assai 
ricurva, quella interna leggermente concava, la sua colorazione 
è bruno-rossiccia; essa è separata dalla radice da una larga 
strozzatura. 

La radice è sviluppata, ha il margine esterno curvo, e 
quello interno, come la corona, alquanto concavo; inferiormente 
essa è divisa in due punte ugualmente sviluppate. 

I denti laterali hanno una forma più tozza, la corona è più 
sviluppata e più turgida, la radice è assai più ristretta della 
corona, ed ha la forma regolarmente tronco-conica, essa ha una 
lunghezza pressapoco uguale alla metà dell’intiera lunghezza del 
dente, inferiormente non presenta prominenze. 


(1) Lerpy J., Contrib. to the ext. Verteb. fauna, pag. 346, tav. 32, fig. 56-57. 
(2) Lemy J., “ Proc. Ac. Nat. Se. ,, 1878, pag. 15. — Id., “ Ann. Journ. 
Sciences ,, 1873, pag. 312. 


730 


Meil.La, lb 


Dia, 20. 
8,9. 


4,4a. 


9,94, 9b, dc. 


6, 6a, 60. 
6c. 
T,T7a,Tb. 
8, 8a. 


9,9a, 95, 9c. 


10, 10 a. 


105, 106, 10d. 
10, 109, 101. 


10m, 10n. 


11, 11 a, 115. 


G. DE ALESSANDRI — RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ 


SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 


Odontaspis elegans Agass. — Grandezza naturale. 
Id. Hopei Agass. — Id. id. 
Carcharias (Aprionodon) gibbesiiù Wood. — (Grandezza 
doppia del vero). 
Corax aff. falcatus Agass. — Grandezza naturale. 
Acrodus paranense De Al. — Id. id. 
Myliobates americanus Brav. — Id. id. 
Spina (Myliobates americanus ?). — Id. id. 
Myliobates sp.? — Id. id. 


Lepidosteus sp.? — Id. id. : 
Chrysophrys sp.? — Id. id. 
Sparidae? gen. ind. Frammenti di mascella. — Id. id. 
Id. Dente posteriore. — Id. id. 
Id. Dente mediano. — Id. id. 
Id. Dente anteriore (capovolto). — Id. id. 


Protautoga longidens De Al. — Id. id. 


Atti RAccad. delle Sc. di Torio -VoL XA 


Lit. Salussolia - Torino 


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731 


Relazione intorno alla Memoria 
del Dott. Ermanno GieLio-Tos intitolata: 


«“ Sulle cellule del sangue della Lampreda ,. 


Mentre lo studio degli elementi cellulari del sangue è stato 
oggetto di numerosi lavori per ciò che riguarda i mammiferi, 
gli uccelli e gli anfibi, i pesci invece, e in particolar modo le 
forme più basse, vennero quasi totalmente lasciati in disparte. 
Così intorno alla struttura delle cellule del sangue dei Ciclostomi 
la scienza non possiede che le ricerche relativamente antiche del 
Miller, del Gulliver, del Wagner, del Renaut e del Thompson 
d’Arcy, ecc., ricerche poco estese, poco minute e sopratutto non 
condotte con tecnica istologica sufficientemente delicata. 

L’Autore ha ripreso lo studio della struttura delle cellule 
del sangue della Lampreda mettendo in opera i migliori metodi 
di ricerca. I risultati ottenuti costituiscono indubbiamente un 
notevole progresso per la conoscenza degli elementi cellulari 
del sangue dei Ciclostomi e forniscono pure dati importanti per 
spiegare la struttura di quelli che si trovano nel sangue dei 
Vertebrati più elevati. 

I vostri commissarii quindi propongono che la memoria del 
dottor E. Giglio-Tos venga ammessa alla lettura e venga stam- 
pata nei volumi delle Memorie accademiche. 


T. SALVADORI. 
L. CAMERANO, relatore. 


Relazione sulla Memoria del Prof. A. Garsasso intitolata: 


“ Sopra alcuni fenomeni luminosi 
presentati dalle scaglie di certi insetti ,. 


Le farfalle ed alcuni coleotteri presentano sulla loro super- 
ficie dei fenomeni luminosi degni di studio. Le indagini fatte 
su questo argomento erano scarsissime fino a poco tempo fa e 
il Prof. Garbasso ne aveva iniziato lo studio, quando una recente 
opera del signor B. Walter, che tratta diffusamente tali questioni, 
l’indusse a ristringere le sue ricerche alle scaglie di alcuni 
Curculionidi e in particolare a quelle dell’Entimus imperialis. 
La struttura di queste scaglie è diversa da quella delle farfalle 
ed anche la causa che produce i colori è diversa nei due casi. 

Premessa la descrizione delle scaglie osservate col micro- 
scopio, l'Autore fa notare come i colori osservati con luce riflessa 
o con luce trasmessa sieno complementari. A seconda dell’in- 
clinazione della squama ne varia il colore. Il carattere dei fe- 
nomeni è tale che i colori vanno attribuiti ad interferenze. Le 
scaglie devono aver la struttura d’un diaframma piano, formato 
da due pellicole sottili, trasparenti, parallele e vicinissime, le 
quali racchiudono uno strato d’aria. L’esperienze dell'A. confer- 
mano tale ipotesi. 

Infine l’A. riferisce le osservazioni fatte col disporre le sca- 
glie fra due Nicol incrociati. La luce dopo avere oltrepassato il 
primo Nicol cessa d’essere polarizzata in causa delle minute 
irregolarità della superficie delle scaglie e si osservano in tali 
condizioni certi fenomeni ottici che vengono studiati e spiegati 
dall’ Autore. 

A nostro parere la memoria del D" Garbasso merita d’es- 
sere ammessa alla lettura ed inserita nei volumi accademici. 


L. CAMERANO. 
A. NACCARI. 


L’ Accademico Segretario 
AnpREA NACCARI. 


739 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 3 Maggio 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO BARONE GAUDENZIO CLARETTA 
DIRETTORE DELLA CLASSE 


Sono presenti i Socii: Pevron, Rossi, BOLLATI DI SAINT- 
Pierre, Pezzi, NANI, CrporLa, Brusa, PERRERO, ALLIEVO e 
FERRERO Segretario. 


Il Socio CrroLLa legge una commemorazione del Socio cor- 
rispondente Giuseppe De Leva. 


Lo stesso Socio dà lettura di un suo lavoro intitolato: 
“ Nuovi appunti di storia novaliciense ,. 


Il Socio segretario FeRRERO legge una sua nota sopra “ Un 
ripostiglio di monete della repubblica romana scoperto a Roma- 
gnano Sesia ,. 

Il Direttore della Classe legge una sua nota: “ Lo stato 
di alcuni archivi comunali della provincia di Susa ai tempi di 
Re Vittorio Amedeo III ,. 

I detti lavori sono pubblicati negli Atti. 


Il Socio CrpoLLa condeputato coi Socii CLARETTA e FERRERO 
ad esaminare il lavoro manoscritto presentato dal prof. Carlo 


734 


MeRKEL ed intitolato: “ Niccolò Scillacio e le relazioni intorno al 
secondo viaggio di Cristoforo Colombo in America , legge la Re- 
lazione della Commissione conchiudente per l’ammessione del 
lavoro alla lettura. 

Udita lettura del lavoro, la Classe procede alla votazione 
intorno ad esso, nella quale si hanno otto voti favorevoli e tre 
contrarii. Il lavoro, non avendo ottenuto i tre quarti dei voti, 
richiesti dallo Statuto accademico, non è approvato. 


PE O Ce 7 


LETTURE 


GIUSEPPE DE LEVA 


Commemorazione del Socio CARLO CIPOLLA. 


Invitato dalla nostra Presidenza a ricordare in quest’aula 
il nome di Colui verso del quale ebbi e sempre conserverò il 
più rispettoso affetto, quasi di figliuolo a padre, mi sento rin- 
novarsi oggi quella stretta al cuore, che provai acutissima, 
allorchè mi giunse inattesa la notizia della sua morte. 

La veneranda e soave figura del mio Maestro mi ritompa- 
risce adesso dinanzi alla mente, quale la vidi l’ultima volta, 
che con lui m'incontrai pochi giorni prima che Iddio ce lo to- 
gliesse, quando ebbi da Lui l’ultimo bacio, che io ora considero 
come il sigillo e il compendio dei lunghi anni, nei quali, con 
affetto paterno, egli curò in varie guise la mia educazione scien- 
tifica. Pensando a tutto questo, le lagrime ritornano ai miei 
occhi, e non è certo per amore di vana retorica, che applico 
adesso a me medesimo il verso del poeta: “ farò come colui, 
che piange e dice ,,. 


Dalla ricordanza personale, ritorno alla nostra Accademia, 
la quale nell'ultimo anno vide mancarsi parecchi tra i suoi più 
illustri e più benemeriti degli studi. 

Commemorai il 25 novembre p. p. Cesare Cantù e Enrico 
von Sybel. Nè mentre parlava di loro, pensava che un’altra 
dolorosa perdita stava per avere il nostro sodalizio e con esso 
la letteratura storica italiana nella morte di Giuseppe De Leva. 
L'avevo veduto appena tre settimane innanzi, e l’avevo tro- 
vato stanco assai, e anzi quasi consunto. Ma non avrei creduto 
che le sue forze dovessero estinguersi in sì poco tempo. 


736 CARLO CIPOLLA 


Nel prof. De Leva l’Italia perdette uno dei suoi figli più 
degni di rispetto e di onore; chè quanti l’hanno conosciuto 
dappresso, quanti hanno potuto sapere quale uomo egli era, 
comprendono che con lui non è scomparso solamente uno sto- 
rico insigne, ma un professore impareggiabile, ma un uomo 
ricco di virtù veramente solide e rare. 

Quanti gli fummo discepoli, ammiriamo in lui il Maestro 
più ancora che lo Scienziato. L’ansia affettuosa che egli aveva 
per i suoi discepoli, non era l’ultima delle sue preziose qualità 
didattiche. A noi, ogni particolarità del suo insegnamento sembra 
degna di nota. 

Sulla cattedra, a seconda delle circostanze, a seconda del 
pubblico cui rivolgeva la sua parola, egli era eloquente e vi- 
brato nel dire, ovvero freddo, apparentemente senz'anima e senza 
vita. Quando voleva, a noi suoi discepoli, insegnare la critica 
storica, ogni ombra di facondia sfuggiva dal suo labbro. Egli 
passava in esame i passi degli antichi scrittori, le testimonianze 
dei documenti, senza che nè la parola, nè l’intonazione della 
voce accennasse ad altro, che alla sua preoccupazione di rag- 
giungere il vero. In quei corsi (1) invece nei quali parlava ad 
un numero grande di ascoltatori e non più solamente a coloro 
che si dedicano allo studio delle lettere, egli rialzava la nota 
del suo ragionare; e, con parola immaginosa e calda, faceva 
sentire anche ai profani quante bellezze racchiude in sè la 
narrazione storica. In quelle lezioni, come pur anco nei discorsi 
che spesso e volentieri tenne dinanzi a diverse radunanze scien- 
tifiche, egli cercava di accattivarsi i suoi uditori, non trascu- 
rando nè i lenocinii della forma letteraria, nè la modulazione 
della voce. 

Non egli di certo limitava il suo insegnamento alla scuola. 
Quasi vorrei dire che la parte più viva della sua azione didat- 
tica egli la esercitava fuori della scuola; poichè egli era sempre 
pronto a dar consigli e incoraggiamenti. Egli era tutto per i 
suoi scolari, e i suoi scolari erano tutti per lui. Noi sentivamo 
di avere in lui un amico, veramente sincero, disinteressato e 


(1) Per molti anni, sia sotto il governo austriaco, sia sotto il governo 


nazionale, il prof. De Leva tenne un corso agli studenti di legge, ed era 


un corso frequentatissimo. 


COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA Ma 


leale, cui potevamo aprire con franchezza l’animo nostro. Nè 
questo legame si spezzava terminando il corso universitario, 
poichè il De Leva non perdeva mai d’occhio i suoi discepoli. 

Nei corsi destinati a noi, allievi della facoltà filosofica, egli 
era un erudito, ponderava ogni frase, usava il linguaggio della 
scienza. Ma in quei discorsi, nei quali, come dicemmo, aspirava 
ad apparire oratore eloquente, egli di sovente riusciva ad entu- 
siasmare l’uditorio, perchè si lasciava entusiasmare egli stesso 
dal proprio argomento. Tuttavia il suo valore di scienziato risplen- 
deva precipuamente nelle lezioni dirette al circolo ristretto dei 
suoi allievi consueti. 

Cresceva efficacia alle sue lezioni la sua tenace memoria, 
per la quale gli era dato di parlare senza l’aiuto di note scritte. 
Egli ci schierava innanzi nomi e date; egli riferiva testualmente 
lunghe citazioni, e tutto questo a memoria. 

Parte integrante del suo insegnamento era l’esame dei la- 
vori che i giovani facevano per suo consiglio e sotto la sua 
direzione. 

Singolare poi era la sua abilità, così nelle lodi concesse per 
dar coraggio ai giovani studiosi, come nell’ammonizione, fatta 
con dolcezza di forme, e con piena rettitudine di intenzione. 

Nulla di severo c’era nella sua scuola, ma l’amabilità sua 
conservava integra la disciplina, basata sul rispetto affettuoso 
che egli sapeva destare in noi. Di qui avveniva che quanti 
fummo discepoli del De Leva, sia pure a lunga distanza di anni, 
trovammo e troviamo in questa consuetudine scolastica un for- 
tissimo vincolo di fraternità. Dovunque uno scolaro del De Leva 
s'incontra con un suo condiscepolo, gli sia pure ignoto anche di 
nome, sente in un lui un amico; quasi a dire un membro di sua 
famiglia. 

La fisionomia del Maestro sta impressa nell’animo di quanti 
ebbero l’onore di essere suoi discepoli. Noi lo vediamo sempre 
vivo dinanzi a noi, e sempre ci ritorna alle orecchie la cara 
sua voce. 

Il prof. De Leva ebbe molto spaziosa la fronte, l'occhio 
mobile e vivace, dolce lo sguardo, la bocca spesso disposta al 
sorriso. L'aspetto era quello di uomo pensoso, cui l’abitudine 
della meditazione non tolse la piacevolezza del ragionare, nè 
diminuì l’affabilità del tratto. 


738 CARLO CIPOLLA 


Aveva grave l’incesso, e specialmente nei suoi ultimi anni 
traspariva da tutta la sua persona una certa aura di bontà e 
di serenità, che chiedeva affetto e incuteva venerazione. 

Quanto volentieri ritorno oggi col pensiero agli anni della 
mia giovinezza! Quanto volentieri richiamo alla mia memoria 
quegli uomini, che mi furono maestri dotti, amorosi, indulgenti, 
nella compagnia dei quali così rapidamente e così dolcemente 
fuggirono gli anni accademici! Di quella schiera, parecchi ri- 
mangono ancora, e ricordo in segno di onore e in testimonianza 
di gratitudine, i nomi di Francesco Bonatelli, di Giuseppe Dalla 
Vedova, di Eugenio Ferrai, di Andrea Gloria. Tra i morti, non 
tacerò i nomi di Pietro Canal e di Giacomo Zanella. 


II. 


Giuseppe De Leva, di nobile famiglia, nacque a Zara da 
Cesare e da Angela Nachich-Woinowich il 18 aprile 1821. 
Morì a Padova il 29 novembre 1895. S’egli nacque in Dal- 
mazia, la sua famiglia proveniva peraltro da Padova; da lungi, 
discendeva da quella di Antonio de Leyva, grande di Spagna, 
e famoso condottiero di Carlo V. Questa lontana parentela 
suggerì poscia al giovane De Leva il concetto di quell’opera, 
alla quale dedicò la sua vita tutt’intera. 

Frequentò le università di Padova e di Vienna. Adottorato 
dapprima in filosofia, ottenne la laurea in leggi nel 1850 (1). 
Le sue prime pubblicazioni furono di argomento filosofico (2), 
e il primo quesito che assaggiò su questo campo, fu uno dei più 
gravi che presenti la filosofia, cioè la questione della conoscenza 
umana (2). Parlando dei fondamenti della nostra conoscenza, 


(1) Tesi di dottorato in leggi. Padova, 1850. Molti dei suoi opuscoli, 
difficili ormai a trovarsi, conservansi presso la famiglia dell’estinto, ed io 
debbo essere gratissimo alla Vedova ed alla Figlia, che con squisita cor- 
tesia mi misero sott'occhio tutte quelle sue pubblicazioni che esse possie- 
dono. Da esse, e dal gentilissimo prof. E. Callegari ebbi parecchie notizie 
biografiche, che mi mancavano. 

(2) Primo studio filosofico. Padova, 1848: © Sulla questione principale 
della filosofia ,. 


COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 739 


egli combatte un’opinione allora molto diffusa, particolarmente 
in Francia; nelle quistioni filosofico-religiose non è possibile, 
dicevasi, la certezza individuale. A questo primo lavoro un 
altro (1) ne fece presto seguire, nel quale condannò il panteismo, 
da cui vedeva annientata non solo la morale cristiana, ma la 
stessa morale naturale. Dalla filosofia in generale, passò presto 
allo studio speciale della filosofia della storia. E in un opuscolo (2) 
pubblicato intorno a quegli anni, cercò il legame che congiunge 
“ l’istoria dell'Umanità coll’istoria della Provvidenza ,, e questo 
legame egli trova nel vincolo che unisce “ la libertà umana , 
colla “ legge suprema del perfezionamento ,. Talvolta si fermò 
a considerare la geografia, chiedendole aiuto alla soluzione di 
qualche quesito appartenente alla filosofia della storia (1855), 
o indagando quali effetti abbiano avuto le scoperte geografiche 
sui progressi della civiltà (1858). 

Negli anni successivi, voltosi decisamente alla storia, non 
abbandonò tuttavia l'abitudine del filosofare; e il tesoro di cogni- 
zioni che gli studi della sua giovinezza aveva deposto nel fondo del 
suo animo, impresse alle sue pubblicazioni storiche un carattere 
speciale. In parte almeno, dobbiamo a questi studi dei suoi anni 
fiorenti, se nella maturità della vita egli seppe poi sempre te- 
nersi lontano da quella falsa scuola, che fa della erudizione il 
fine, non il mezzo del nostro lavoro scientifico. Questo non 
significa che egli amasse spaziare, senza timone e senza vela, 
nel campo, non dirò delle meditazioni filosofiche, ma delle fan- 
tastiche imaginazioni, come accade a molti tra coloro che ca- 
dono in un eccesso, per fuggire dall’altro, per fuggire cioè dal 
gelo di una erudizione, senza ideali e senza scopo. Non mai; 
egli non amava filosofare sopra i fatti, senza che questi avesse 
prima assodato e studiato a dovere. Ma ben comprendeva come 
non ha proprio alcuna ragione di esistere quella erudizione, la 
quale si accontenta di studiare i fatti, senza che da questi si 
possa sperare alcuna conseguenza di ordine più elevato. Egli, 
con ragione, non sapeva che farne dell’erudizione per l’erudi- 
zione. Com'egli la pensasse su tale argomento, lo si può vedere 


(1) Il Panteismo e la Morale, senza data. 
(2) Idee sulla filosofia della storia. Padova, 1852, 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 51 


740 CARLO CIPOLLA 


in qualche modo da lui stesso esposto nel discorso che ora sto 
per citare. 

Il 9 dicembre 1867 inaugurando l’anno accademico presso 
l’Università di Padova, egli (1) parlò della critica storica, e ne 
rivendicò l'origine all'Italia, piuttosto che alla Germania, affer- 
mando che dal Muratori e dal Vico discende la scuola storica, 
la quale è nient'altro che la scuola “ de’ fatti sincerati nella 
indagine e nello esame de’ documenti ,. Quindi assorgendo a 
serutare che cosa debba essere la storia d’Italia, egli molto giu- 
stamente osservò che essa non può essere il complesso delle 
storie municipali; essa è piuttosto ciò che in tutte le storie 
municipali trovasi fornito di carattere universale. 

Per affinità di argomento, collego questo discorso con un 
altro che egli tenne nel 1874 dinanzi all'Istituto Veneto (2). In 
questo discute Sulle leggi del sapere storico e sulle leggi che go- 
vernano la storia. Ne traggo qualche linea. “ Comparar detti e 
fatti, uomini e tempi; far parlare oltre ai testimoni pronti e 
facondi, i reticenti e restii; cercare l’occulto; decifrare ciò che 
a prima giunta sembra inintelligibile; mettere in luce e a suo 
posto lo svisato; arguire dall’avvenuto ciò che non appare, ma 
senza darlo per vero, finchè riscontri inaspettati, che pur non 
mancano, non vengano a confermarlo: ecco l’arte, e da questa 
la somiglianza dell’indagine storica col processo chimico ,. Belle 
parole sono queste, le quali contengono, dichiarato in modo 
chiaro e insieme conciso, uno dei canoni più sicuri della critica 
storica. Sotto altro rispetto, ma non meno di questo brano, è 
degna di nota la parte che nello scritto, di cui parliamo, viene 
dedicata a combattere quella scuola che pronuncia l’ostracismo 
contro ogni elevato sentimento nello studio dell’uomo. Egli 


(1) Degli uffici e degli intendimenti della storia d’Italia. Padova, 1867. 
Questo scritto, senza dubbio, a lungo pensato, io non vidi mai mentr’egli era 
in vita, e solo n’ebbi contezza il 81 dic. 1895, quando la Famiglia dell’il- 
lustre estinto pose a mia disposizione i libri stampati che di lui essa con- 
serva. Se l’avessi letto antecedentemente, non avrei tralasciato di ricordarlo 
nel mio discorso: Del metodo e dei fini nella esposizione della storia italiana. 
Torino, 1883 (riprodotto nel volume Per la Storia d’Italia, Bologna, Zani- 
chelli, 1895). 

(2) Serie IV, vol. 3. 


COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 741 


scrive: “ Nella legge dell’Umile Figliuolo del legnaiuolo di Na- 
zaret, nella legge che ricrea il cuore in novità di vita, è tutta 
una pioggia di affetti, che versò dall’alto sulle menti a incivilire 
il mondo ,. 

Non è questo il più bello fra i risultati cui possa giun- 
gere la filosofia della storia? 


II. 


Nutrita la mente di studi filosofici, egli volle spendere la 
sua vita intorno ad un lavoro nel quale potesse trarre van- 
taggio dall’impressione che sopra di lui avevano lasciato le oc- 
cupazioni della sua giovinezza. Carlo V e i grandi avvenimenti 
del suo tempo, ecco un bel tema per lui. Senza dubbio, la sua 
lontana parentela con Antonio de Leyva deve essergli stata di 
stimolo nella scelta; ma la ragione precipua di questa, vuolsi 
trovare nella congruenza tra le sue disposizioni intellettuali, e 
la natura stessa dell'argomento. 

Come dicemmo, egli era assai giovane ancora quando formò 
il proposito di narrare la storia di Carlo V, considerandola 
specialmente in correlazione all’Italia. 

Dapprima raccolse i materiali che gli potevano offrire le fonti 
stampate, e ben presto diede alla luce qualche saggio dei suoi 
studi (1). Erano studi molto eruditi, che dimostravano in lui lo 


(1) Raccolgo qui insieme varî dei primi saggi, che sono brevi studi sopra 
di questo campo. Uno si intitola: L'assedio di Firenze, per le nozze Braida- 
Plattis, Padova, 1857; pubblicando questa monografia, egli dice che essa 
fa parte dei materiali per la vita di Carlo V, alla quale stava lavorando 
da molto tempo. Per le faustissime nozze Plattis-Cavriani, Padova, 1859, 
stampò una lettera, 1° ottobre 1529, di Carlo V ai suoi ambasciatori in 
Roma. Il saccheggio di Roma del 1527, è il titolo di un altro breve scritto 
(Nozze Salvadego-Plattis, Padova, 1857), nel quale egli, pur lodando per varî 
rispetti Carlo V, dice che la sua politica era machiavellica, ed osserva che 
il “ machiavellismo , è anteriore all’ “ autore, ond’ebbe il nome ,, e da cui 
fu elevato a “ teoria ,. Intorno a questo tempo il De Leva pubblicò anche 
il suo Saggio critico sulle ragioni della quarta guerra tra Carlo V e Fran- 
cesco I, uscito senza note tipografiche; qui fa uso di alcuni documenti da 
lui trovati nell'Archivio di Corte a Vienna; loda Carlo V e accusa Fran- 
cesco I di avere nutrito aspirazioni alla monarchia universale. 


142 CARLO CIPOLLA 


storico futuro. Ma erano ancora splendide promesse, piuttosto 
. che frutti maturi. Egli comprese che senza lunghe ricerche negli 
archivi non avrebbe potuto fare opera veramente nuova, im- 
portante e duratura. Nel 1854 e nel 1855 fu a Vienna, per 
istudiare in quell’Archivio di Corte. Verso l’anno 1857 egli pe- 
regrinò a Parigi, a Madrid e a Simancas, e negli archivi di 
queste città raccolse a dovizia nuovi documenti sull’argomento, 
se altro mai vasto e intricato, che egli avevasi proposto ad 
oggetto dei suoi nobili studi. Dobbiamo risalire col pensiero a 
quegli anni, e pensare a quante difficoltà andavano allora in- 
contro gli studiosi. Il De Leva non era in condizione da darsi, 
neppure riguardo agli studi, gli agi, di cui possono essere pro- 


dighi verso se stessi gli uomini doviziosi. Debolissima poi era 


la sua fibbra. Mi ricordo di avere udito dalla sua bocca che, 
mentre studiava a Simancas, egli si trovava così male in sa- 
lute, che non potè cibarsi mai che di uva. Ma forte era in lui 
la volontà, invincibile il proposito di far qualche cosa di buono. 
Ritornato in Italia, attese ad ordinare il materiale raccolto, 
e a completarlo con quanto gli potevano fornire le opere a 
stampa che andavansi pubblicando di continuo in Europa, e 
sopratutto in Germania, sulla storia della Riforma in generale 
e di Carlo V in particolare. Nè attese a questo soltanto, ma 
anche all’insegnamento. Anzi, la esecuzione dei suoi doveri pro- 
fessionali costituiva il massimo dei suoi impegni scientifici. 
Abbiamo già visto con quanto studio, con quanta coscienza di 
scienziato, egli disimpegnasse il suo officio di professore. 


LV; 


Il 26 aprile 1848 egli era stato nominato assistente di 
Baldassare Poli, che allora professava filosofia all’Università di 
Padova. Durò in quel posto per tre anni. Più tardi, quando la 
sua attenzione si diresse particolarmente alla storia, egli divenne 
assistente dell'abate Lodovico Menin, che insegnava storia uni- 
versale e storia austriaca in quella università. Il De Leva as- 
sunse quell’officio sul cadere del 1852. Nell'ottobre del 1853 
fu nominato professore al ginnasio-liceale di Padova. Ritornò 
all'università nell'ottobre del 1855, quale professore ordinario 


e 


COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 743 


di storia universale. Succeduto al governo austriaco il governo 
nazionale, egli divenne ordinario di storia moderna, ed incari- 
cato di storia antica. Non abbandonò più la cattedra, di cui 
egli fu onore sino alla morte; invitato a recarsi in altre uni- 
versità, egli preferì la sua sede antica, dove era circondato 
dall’affetto e dalla reverenza dei colleghi, dei concittadini e 
degli studenti. Laddove aveva cominciata la sua carriera, quivi 
la terminò. L'ultimo suo pensiero, quello che lo preoccupava pei 
giorni nei quali le forze gli venivano mancando, era quello di 
prepararsi alle lezioni per il corrente anno scolastico. Poichè 
egli, indubitatamente uno dei più dotti storici de’ nostri tempi, 
egli fornito di memoria meravigliosamente pronta e tenace, 
dopo oltre a quarant’ anni d’ insegnamento universitario, sen- 
tiva il bisogno di prepararsi lezione per lezione, quasi fosse un 
professore novello. 

Più volte tenne il delicato officio di rettore magnifico, e lo 
tenne in momenti difficili. Ne patì. La sua salute, scossa già dagli 
studi, si risentì vivamente dal contrasto tra la forza dello spirito 
e la debolezza dell’organismo. 

Dalla fiducia ben meritata dei colleghi fu per lunghissimi 
anni invitato a presiedere la Facoltà cui apparteneva. 

In ogni officio recò il tesoro della sua coscienza sicura, 
del suo animo buono e mite, e del suo ingegno penetrante. 


V. 


Dalla preparazione remota alla storia di Carlo V, passò ben 
presto il De Leva alla preparazione prossima. 

Fra le pubblicazioni di questo periodo tiene senza dubbio uno 
dei primi posti, la monografia intitolata Delle trattative tra Carlo V 
e Clemente VII per la convocazione di un concilio ecumenico (1) 
nella quale diede bella prova delle fatiche da lui impiegate a 
scovare nuovi documenti dagli archivi di Simancas, di Parigi e 
di Vienna. Un lavoro di simil genere, basato su ricerche di 


(1) Padova, 1859 (Nozze Pupafava-Cittadella). Riguarda questo lavoro il 
periodo 1529-39. 


144 "CARLO CIPOLLA 


tanta vastità, faceva comprendere che l’Italia acquistava in luî 
uno storico. 

Può a questo scritto accompagnarsi un discorso da lui tenuto 
all'Accademia di Padova, che tratta Della vita e delle opere del 
card. Gaspare Contarini (1). Il Contarini divenne l’ideale del 
De Leva; egli non fu soltanto l’oggetto della sua costante venera- 
zione, ma quasi a dire il simbolo del suo pensiero in ordine alle con- 
troversie religiose nel sec. XVI. Ammirava in lui l’uomo integro, 
di ingegno acuto e solido, temperato nei modi, mite nelle azioni, 
ricco di dottrina classica, patristica e scolastica, disdegnoso di 
tutto quanto fosse depravazione o slealtà. Il De Leva pensa che 
niuno meglio di lui avrebbe potuto impedire, se ciò fosse stato 
possibile, che il “ grande movimento religioso ,, il quale si deter- 
minava allora nella Cristianità, fosse “ falsato e condotto a mal 
termine da Lutero ,, poichè il Contarini voleva bensì la riforma 
della Chiesa, ma una riforma che la consolidasse, non che la 
disfacesse. 

Non voglio asserire che in ogni giudizio politico-religioso il 
De Leva siasi sempre realmente incontrato coi concetti del Con- 
tarini. Questo voglio significare che del cardinale veneziano, il 
nostro storico faceva altissima stima, che lo tolse a sua guida, 
e che lungamente e amorosamente ne studiò i libri. 

Nel 1863, quando credette di esservisi abbastanza prepa- 
rato, pubblicò in Padova il primo volume della sua Storia do- 
cumentata di Carlo V in correlazione all’Italia. Il V volume fu 
stampato a Bologna dai Zanichelli, nel 1894, e con esso rimane 
tronca l’opera. Precede al I volume una introduzione, nella quale 
tratteggia i caratteri dell’età media e della nuova, le quali si 
incontrano, e tra loro cozzano al tempo di Carlo V. Il volume 
narra una gran parte della storia d’Italia all’esordire dell’età 
nuova, poichè abbracciando esso il lungo periodo che va dalla ca- 
lata di Carlo VIII fino alla elezione di Carlo V ad imperatore, com- 
prende in sè la prima spedizione francese, la guerra di Cambray, 
le invasioni di Luigi XII. Il De Leva per prepararsi a narrare 
le origini della riforma luterana, discorre delle condizioni mo- 
rali della Chiesa, parla dei pontificati di Sisto IV e di Ales- 


(1) Padova, 1860. 


COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 745 


sandro VI, delle prediche del Savonarola, dei filosofi del Rina- 
scimento. Molta era l’erudizione di cui il De Leva dava prova 
in questo primo volume, che rimase per altro alquanto inferiore 
ai successivi, in ciascuno dei quali agevolmente si scorge la 
sempre crescente maturità di pensiero; lo stile stesso migliora 
di volume in volume. 

Il secondo volume, uscito non molto dopo, conduce il lettore 
alla coronazione di Bologna, e comprende, tra l’altro, la narrazione 
del sacco di Roma e della impresa napoletana del Lannoy. Già 
in questo volume gli avvenimenti politici, sebbene trattafi con 
sufficiente ampiezza, abbandonano in qualche modo il campo ai 
fatti dello spirito. Im maggiori proporzioni, questo si verifica 
nel terzo volume, il quale si arresta al trattato di Crespy. Qui 
ormai la questione religiosa la vince, nell’animo dello storico, 
sulle preoccupazioni della politica. Il De Leva non parteggiò 
mai per la riforma protestante; poichè egli giudicò sempre che 
se una riforma ecclesiastica, nell'epoca del Rinascimento, era 
necessaria, questa dovea essere interna, non esterna alla Chiesa. 
Meno che mai fece suo, il pensiero dei nostri filosofi, e dei 
nostri politici d'allora. Anzi nel terzo volume della sua opera 
vediamo com’egli giudica dello scetticismo teorico del Pomponazzi 
e dello scetticismo pratico del Machiavalli e del Guicciardini. Il 
vizio che il De Leva sopra tutto combatte in costoro è la man- 
canza di Fede religiosa, il “ vuoto della coscienza ,. Minore 
relazione hanno colla storia d’Italia il volume IV e il V, dedi- 
cati alla narrazione delle trattative corse tra Carlo V e il Pa- 
pato, per l'apertura del Concilio e per la riforma della Chiesa. 
Il volume IV si ferma alla promulgazione dell’interim religioso 
in Germania, ed il V prende le mosse dalle incertezze sulla sua 
interpretazione e più ancora dalle difficoltà cui si andava in- 
contro nel dare esecuzione al medesimo. Quest’ ultimo volume 
adunque, dalla contestazione di Passau, conduce la narrazione fin 
quasi alla fine dell’impero di Carlo V. Ancora un volume ci voleva 
perchè l’opera fosse completa, e a scriverlo egli intendeva di 
consacrare gli anni della sua vecchiaia. E così pure desiderava 
di riscrivere i primi volumi, apportando alla materia in discorso 
la dovizia dei documenti ultimamente pubblicati, o da lui stesso 
scoperti, e la luce del suo giudizio storico meglio maturato. 
Ma gli anni della vecchiaia non gli furono conceduti. 


746 CARLO CIPOLLA 


Anche la forma si era raffinata; e se forse nei primi volumi 
sì poteva sentire alcun che di artificiale e di men che limpido, 
negli ultimi volumi invece, colla larghezza degli studi, prese 
maggior evidenza anche lo stile, fattosi eziandio, più freddo 
forse, ma più pacato e più persuasivo. Bene spesso avviene dello 
stile storico, che quanto esso perde di calore; spesso acquista 
in lucidità. 

Egli avrebbe forse condotto innanzi con maggior celerità 
la sua opera, se di anno in anno non fosse cresciuta in lui la 
coscienza dell’altissima responsabilità dello storico. A provare 
quanto questa coscienza fosse viva e ben radicata nel suo animo, 
giovi notare che egli aveva già composto, e pronto quasi alla 
pubblicazione il V volume della sua opera, quando l’attuale pon- 
tefice volle rendersi altamente benemerito degli studiosi, loro 
dischiudendo gli Archivi Vaticani. Il De Leva ritornò sopra i 
suoi passi, annullò quanto aveva scritto, rifece completamente 
il suo lavoro, giovandosi delle nuove e preziose fonti, alle quali 
largamente attinse. 

La Storia di Carlo V sotto la sua penna cambia adunque 
di volume in volume carattere, e assume a poco a poco quasi 
l'aspetto di una storia ecclesiastica, per chiarire l’origine della 
riforma luterana e dilucidare le vicissitudini del concilio triden- 
tino. Colui che ha coscienza della importanza somma delle qui- 
stioni religiose, delle difficoltà intricatissime che esse includono, 
chiunque vede i molteplici aspetti che esse assumono, e i rife- 
rimenti che tengono con tutte le manifestazioni della vita di 
un popolo, quegli può apprezzare convenientemente l’opera del 
De Leva, la quale dovrebbe essere stimolo potente a nuove in- 
dagini da parte degli eruditi, a nuove meditazioni da parte dei 
pensatori. 

Il De Leva non iscrisse una storia teologica, e quindi non 
era còmpito suo lo addentrarsi nel profondo delle questioni, 
considerate in se stesse. Preferì invece di esaminarle sopratutto 
nelle loro relazioni colla vita civile e letteraria. A_ questo deve 
pensare chi legge i suoi libri, se vuol intenderne il significato. 

Se scrutiamo nella loro sostanza le sue opinioni su questo 
campo, può dirsi che egli, nel ritrarre le controversie d'allora, 
e nel farsi narratore delle trattazioni diplomatiche, si studiasse 
di seguire la via per la quale, a suo giudizio, procedettero il 


ser pe» 


COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 747 


card. Contarini, il card. Polo e quanti altri si erano studiati di 
impedire una rottura finale, favorendo, nel modo che per cia- 
scuno riusciva più proprio, la riforma dei costumi nel seno stesso 
della Chiesa, colla speranza, che, preparato per tal modo il ter- 
reno, fosse possibile anche nelle controversie dommatiche esco- 
gitare mezzi adatti ad indurre i Protestanti al ritorno verso 
l’unità religiosa. Il tentativo di conciliazione fatto a Ratisbona 
dal Contarini, che si recò in quella città quale legato pontificio, 
negli anni precedenti al Concilio, attirò la particolare attenzione 
e la viva simpatia del De Leva, il quale poi guarda con dolore 
tutto quello che nell’uno e nell'altro campo accenna a precisare 
di più in più la delimitazione vicendevole, e quindi a segnare 
con maggiore rigidezza la divisione. L’animo del De Leva si 
trova sempre più angustiato, di mano in mano che col processo 
degli avvenimenti egli vede sfumare ogni possibilità di accordo 
tra Cattolici e Protestanti, e scorge che la scissura diventa irre- 
conciliabile. Quando dalle sessioni del Concilio di Trento uscì 
meglio precisato il dogma, ma nel tempo stesso la spezzata 
unità apparve ormai senza rimedio, il De Leva non si duole 
certamente che nuova luce siasi portata alle questioni teolo- 
giche, allora dibattute, ma si rattrista guardando alla effettiva 
divisione della Cristianità. 

Ben egli può avere esposto il pensiero, narrando le origini 
della rivoluzione luterana, che da parte dei Cattolici, per impe- 
dire quella divisione, non siasi allora fatto tutto quello che sa- 
rebbe stato del caso; ben egli può aver addebitato in larga 
misura anche ai Cattolici, se la conciliazione religiosa non si 
effettuò. Questo egli disse bensì, ma ben si astenne dal par- 
teggiare menomamente per gli autori dello scisma. Questo è il 
pensiero intimo, che, se ben veggo, domina sempre nel pensiero 
del De Leva, e che si rivela dovunque chiaro a chi scruta ben 
addentro qualsiasi tra i suoi libri. 

Per la morte del De Leva rimase troncata l’opera, così che 
ci vien tolto il compiacimento di poter assistere all'ultima età 
dell'impero di Carlo V. Egli morì mentre con vivo ardore rac- 
coglieva e vagliava il materiale, che doveva trovar posto nel- 
l’ultimo volume della sua opera. 

La salute malferma, che lo costringeva a proceder nel la- 
voro con relativa lentezza, e la vita troncata quando egli poteva 


748 Ì CARLO CIPOLLA 


ancora attendersi parecchi anni di fecondo lavoro, gli contesero 
questa suprema aspirazione della sua età canuta. Egli non potè 
dar l’ultima mano all'opera cui aveva dedicata la vita. 

La r. Accademia dei Lincei decretò a quest'opera il mas- 
simo onore di cui può disporre, il premio reale. 

Auguro all’opera del De Leva un premio ancora più grande, 
e da lui ancora più vivamente desiderato. Possa sorgere fra 
noi una scuola storica, che, assumendo la sua eredità, e allar- 
gando sempre più il campo amplissimo delle ricerche erudite, 
dia perfezione e compimento all'opera del grande Maestro, e 
innalzi alla storia complessa della vita religiosa in Italia du- 
rante il secolo XVI, un monumento degno di essa, e del nome 
di colui, che presentò ai suoi connazionali un argomento troppo 
trascurato, eppure di tanta gravità e di tanta eccellenza. 

Niuno certo fu più del De Leva meritevole di tanto onore. 


IV. 


Il De Leva ebbe ingegno sintetico piuttosto che analitico; 
mirò alle ardue questioni che travagliavano l'umanità, e ne chiese 
la soluzione alla storia; studiò negli antichi tempi le cause delle 
nostre presenti convulsioni morali e intellettuali. Dei fatti par- 
ticolari, che formano oggetto alle monografie, egli di solito non 
sì preoccupò, se non in quanto immediatamente legansi ai 
grandi avvenimenti, che stavano di continuo davanti alla sua 
mente, e che formavano lo scopo supremo della sua vita scien- 
tifica. 

Quindi egli non disperse quasi mai le sue forze, locchè di 
ben pochi storici può ripetersi. Non chiese alle circostanze l’oc- 
casione ai propri lavori, ma dominò le circostanze coordinan- 
dole a un fine prestabilito. Tuttavia non si astenne totalmente 
dallo scrivere anche brevi saggi ed articoli. Ed amò di quando 
in quando trattare a parte alcuni punti riflettenti il suo argomento 
principale; spesso poi avveniva che queste speciali dissertazioni 
fossero poi da lui rifuse ed inserte nell’opera principale. Lo ve- 
demmo in parte parlando delle sue pubblicazioni giovanili. 

Come aveva fatto avanti di pubblicare il primo volume del 
Carlo V, così pure usò far precedere a ciascuno dei volumi suc- 


nie Dn i nnt citi n è 


COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 749 


cessivi qualche monografia riflettente il campo che poi doveva 
percorrere. 

Nell’articolo sopra La concordia religiosa di Ratisbona (1), 
ebbe opportunità di encomiare il Contarini, lodandone i tenta- 
tivi fatti l’anno 1541 nel convegno di Ratisbona, per giungere 
ad una conciliazione tra Cattolici e Protestanti, prima che il 
dissidio divenisse formale e, a così dire, irreconciliabile. Preziosi 
documenti per la storia della introduzione della riforma lute- 
rana in Italia egli pubblicò nel suo libro Degli eretici di Citta- 
della (2), mettendo in chiaro che la piccola terra di Cittadella, 
situata tra Padova e Treviso, era un centro infetto di eresia 
luterana. Egli discoprì le teorie degli eretici di Cittadella, e 
mostrò quanto avessero di comune, e quanto di diverso, in con- 
fronto sia alle dottrine luterane, sia a quelle professate in Italia 
da quelle pie e dotte persone, che mentre parlavano della giu- 
stificazione della Fede, non intendevano tuttavia di disgiungere 
questa dalla obbligatorietà delle Opere. Processato per eresia fu 
anche Giulio da Milano, della cui vita e della cui dottrina parlò 
il De Leva in separato lavoro (8). In altre monografie (4) diede 
alla luce alcuni documenti inediti concernenti il patriarca Gio- 
vanni Grimani, nelle sue relazioni coi Protestanti e col concilio 
Tridentino. 

In due Memorie presentate all'Istituto Veneto (5), nel 1877 
l’una, e l’altra nel 1878, affrontò l’arduo problema della storia 
del concilio Tridentino, di cui poscia più largamente si occupò 
negli ultimi volumi della sua Storia. Rientrano pure nel ciclo 
dei lavori preparatori ai volumi della Storia due monografie sulla 
guerra Smalcaldica, pubblicate in occasioni nuziali (6). A questa 


(1) Archivio Veneto, IV, parte 1%; a. 1872. 

(2) Atti dell’Istit. Veneto, serie IV, vol. 2°, p. 679, a. 1873. 

(3) Giulio da Romano, appendice alla storia del movimento religioso in 
Italia nel sec. XVI, nell’ “ Arch. Veneto ,, VII, parte I. 

(4) Giovanni Grimani, patriarca d’ Aquileja, in “ Atti Ist. Ven. ,, serie V, 
vol. 7°, p.407, a. 1881: Su due lettere del Card. di Trani al patriarca di Aquileja 
Giovanni Grimani, ivi, serie V, vol. 7°, p. 647, a. 1881. — Qui ricordo ancora 
un articolo dal De Leva inserto nella “ Rivista storica italiana , sulla politica 
pontificia nella controversia sull’ “ interim , di Augusta (vol. V, fasc. 2, a. 1882). 

(5) Le prime sessioni del Concilio Tridentino, nelle “ Memorie dell’Isti- 
tuto Veneto ,, XX, 227 sgg., e 367 sgg. 

(6) I primi fatti della guerra Smalcaldica, Padova, 1879 (nozze Trieste- 


750 CARLO CIPOLLA 


serie di lavori può forse associarsi anche un discorso tenuto da 
lui nel 1880 dinanzi all'Accademia di Padova, quando egli la 
intrattenne sulle opere moderne che rivendicano a Michele Ser- 
veto la scoperta della circolazione del sangue nei polmoni (1); 
spiegando pure il legame che tale argomento aveva colle contro- 
versie teologiche del XVI secolo. 


né 


Il De Leva scrisse pochi lavori di critica storica, che ri- 
manessero estranei al suo tema (2). Tra questi due mi sembrano 
di maggior rilievo. Nell’eloquente discorso sopra il movimento 
intellettuale d’Italia nei primi secoli del medio evo (3), tenuto in 
Padova, in una solenne adunanza della r. Deputazione Veneta 
di storia patria, egli studia la persistenza della tradizione clas- 
sica durante il medioevo; di questa tradizione egli mette in 
evidenza i meriti, e lo fa con tinte senza dubbio molto vivaci; 
ma pur restando lontanissimo dal misconoscere le cattive con- 
seguenze, che si manifestarono nella decadenza dei costumi pa- 
ganeggianti. Anzi, il precipuo pregio della presente disserta- 
zione consiste appunto in questo, che egli volle collegare lo 
svolgimento intellettuale col miglioramento o col deterioramento 
dei costumi. Guardando addentro nel pensiero del De Leva, si 
vede che egli coordinava il primo al progresso del principio 
cristiano, e il secondo al trionfo, sia pure momentaneo, del 
principio pagano. i 
Treves); La prigionia del langravio Filippo d'Assia, Padova, 1881 (nozze 
Treves-Del Valle). 

(1) Sopra Michele Serveto, nella © Rivista periodica dei lavori della 
R. Accad. di Padova ,, XXX, 78 sgg.; anno 1880. 

(2) Nel breve articolo La chiesa abaziale di Scardona (nella “ Miscel- 
lanea di prose e poesie dedicata a Giovanni Zaffron vescovo di Sebenico ,,, 
pp. 107-110, Zara, 1868) diede alcuni cenni commemorativi sopra Nicolò De 
Leva, arciprete-parroco di Scardona; visse ai tempi Napoleonici, e fu amante 
dello studio, e tutto infocato di carità. Pubblicò per le nobiliss. nozze del 
conte Carlo D’Ayla con la contess. P. Giusti (Padova, 1887) alcuni documenti, 
1462-83, sulla regolazione del Mincio e sulle fortificazioni di Mantova, la- 


vori eseguiti da Giovanni da Padova, insigne architetto del sec. XV. 
(3) Atti della R. Deputaz. Veneta di Storia patria, anno II, Venezia, 1877. 


COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 751 


Se teniamo fisso la nostra mente sopra questo punto, che 
costituisce davvero uno dei pernii intorno a cui specialmente si 
aggira il discorso del prof. De Leva, possiamo comprenderne il 
valore, poichè a questo non mirò di certo il Giesebrecht, che, 
precedendo il De Leva, aperse questa strada agli studi. Il 
Dresdner più tardi collegò insieme la storia del costume colla 
storia delle lettere, ma egli non riassunse le notizie in un quadro 
così vivo e così colorito come il De Leva. Il Grupp, in questi 
ultimi anni, riuscì poco efficace e dilavato, quantunque egli co- 
nosca ampiamente la materia, e la tratti da un punto di vista 
elevatissimo. Nelle questioni particolari, in alcuni fatti e in 
alcune loro interpretazioni, si potrà trovare nel Dresdner e nel 
Grupp maggiore precisione di profili e maggiore sicurezza di 
coloritura; nel Giesebrecht — fatta ragione del tempo in cui 
comparve il suo opuscolo De litterarum studiis apud Italos — 
vedrà taluno una copia larga di fatti nuovi, che pescati a dovizia 
nei documenti inediti, vengono pòrti agli studiosi. Ma l'opuscolo 
del De Leva, considerato nel suo insieme, e specialmente sotto il 
riguardo predetto, va considerato come ben altro che un sem- 
plice discorso d’occasione. i 

È la sola monografia di qualche estensione che il De Leva 
abbia dedicato alla storia medioevale, e doveva quindi venire 
da me riguardata con speciale attenzione. Il De Leva pensò anche 
a scrivere una vita di S. Francesco, attratto dal grande valore 
morale sociale del Poveretto di Assisi; ma non so se abbia, 
neppure in piccola parte, realizzato questo suo disegno. 

Molte cose nuove e veramente di peso egli espose nella 
dissertazione, cui diede occasione la raccolta dei dispacci della 
legazione romana (1592-5, 1598) di Paolo Paruta, e che ad essa 
va anzi preposta (1). Con questi dispacci il nostro pensiero 
viene portato alla fine del secolo XVI. Il De Leva, giovandosi 
non solo dei dispacci e degli altri documenti stampati nella 


(1) I tre volumi comprendenti l’edizione di questi dispacci comparvero 
a Venezia nel 1887, col titolo: Paolo Paruta e la sua legazione a Roma, e 
a spese della R. Deputaz. Veneta di storia patria. I dispacci furono per la 
massima parte trascritti e annotati dall’ab. prof. RinaLno Furin. Siccome 
il Fulin fu colpito da morte precoce, poco prima che desse termine al suo 
lavoro, questo venne terminato dal comm. FepeRICO STEFANI. 


152 CARLO CIPOLLA 


raccolta, ma ancora di altre carte da lui trovate a Firenze ed 
a Roma, illustra le principali questioni di politica internazio- 
nale trattate dal Paruta durante la sua legazione, e sopratutto 
mette in sodo quante abbia fatto quel famoso diplomatico e 
letterato veneziano per isventare i disegni di Filippo II sopra 
l’Italia. Anzi è in quest’ultimo punto, che consiste sopratutto 
il pregio del presente lavoro. 

Se facciamo astrazione dalla Storia, parmi che questo sia 
il lavoro più pensato, più solido, più ricco di novità storiche, 
che sia uscito dalla penna del De Leva. 

Favorì la pubblicazione dei Diarî di Marin Sanudo (1), e 
ammirò la incredibile attività di quest'uomo, il quale raccolse 
nei cinquanta volumi che costituiscono la sua opera principale, 
tanta ricchezza di materiali da restarne illustrata non solo la 
storia di Venezia, ma quella ancora d’Italia, anzi, a dir meglio, 
la storia di Europa per il mezzo secolo, che segue alla calata 
di Carlo VIII. 

Non voglio passare sotto silenzio due dotti compendî sto- 
rici, indirizzati alla scuola (2). Li scrisse al principio della sua 
carriera, e se badiamo al materiale scientifico in essi contenuto, 
potranno sembrare invecchiati. Ma se consideriamo in essi il 
pensiero dominante, e il lucidus ordo che li caratterizza, dob- 
biamo riconoscere che essi hanno pregi che non si perdono. 


VI. 


Alla memoria degli amici, tributò spesso il De Leva l’o- 
maggio di una commemorazione, dotta non meno che affettuosa. 
In queste sue commemorazioni riconosciamo, per l’acuta inda- 
gine psicologica, l’antico filosofo, e per la cura posta a mettere 
in bella vista il valore morale degli elogiati, l’uomo informato 
ad elette virtù. 


(1) Marin Sanudo il Giovine e le opere sue, Venezia, 1888. 
(2) Sommario della Storia antica, Padova, 1852; Sommario della Storia 
di popoli antichi, Padova, 1356. 


iii 


COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA fi 


Con profondo rispetto parlò di Samuel David Luzzato (1), 
dottissimo rabbino di Padova, che validamente promosse tra i 
suoi correligionari, e non fra essi soltanto, gli studi sul Vecchio 


Testamento. Addì 3 giugno 1874 nella grande aula dell’univer- 


sità di Padova parlò di Niccolò Tommaseo (2). Il Tommaseo era 
nato a Sebenico, e il De Leva, che sempre amò la Dalmazia, 
gode di dirsi suo “ compatriota ,, e “ per antica affettuosa ri- 
verenza quasi figlio ,. Riassume ciò che il Tommaseo fece nel 
1848 per l’indipendenza della nazione, ne pone in luce i meriti 
come letterato, e come educatore, e ne encomia le virtù re- 
ligiose, morali e civili. Altro suo intimo amico fu l’abate Giuseppe 
Valentinelli, prefetto della biblioteca Marciana: le parole (8) che 
egli dedicò alla memoria di quell’esimio bibliografo, sono la 
manifestazione del suo cuore, sanguinante per una perdita irre- 
parabile. Discorrendo di Francesco Miniscalchi (4) non si ricorda 
soltanto dei suoi meriti come orientalista, ma anche dei suoi 
pregi morali, tra i quali non vuole dimenticata la cura affettuosa 
che il Mimiscalchi aveva avuto verso il suo “ vecchio padre ,. 
Quando Padova dedicò una lapide ad Andrea Cittadella, egli 
encomiò in lui quegli, che sotto il dominio straniero aveva spe- 
rato giorni migliori (5). Nel 1878 (6) dinanzi all’Istituto Veneto 
commemorò in Vittorio Emanuele II il restauratore della na- 
zione. Ricordò Lodovico Menin (7) all'Accademia di Padova, con 
parole ispirate a reverenza. Il Menin era stato suo professore 
di storia, ed egli ritrae al vivo il suo “ illustre e benemerito 
maestro ,, e ne delinea il metodo didattico. Le lezioni del Menin 
erano eloquenti, piuttosto che profonde. Il De Leva dichiara di 


(1) Della vita e delle opere del prof. S. D. Luzzato, Padova, 1856. 

(2) In morte di Niccolò Tommaseo, in “ Arch. Veneto ,, VII, parte 2*, 1874. 

(3) Arch. Veneto, X, parte 2°, 1875. 

(4) Della vita e delle opere del conte Francesco Miniscalchi Erizzo, negli 
‘ Atti dell'Istituto Veneto ,, serie V, vol. 2°, p. 645 sgg., a. 1876. 

(5) Ricordo del VI anniversario dalla morte dell’illustre conte Andrea 
Cittadella Vigodarzere, Padova, 1876. A questo benemerito patrizio pado- 
vano, il De Leva aveva intitolato nel 1863 la sua Storia di Carlo V. 

(6) Negli Atti dell’Istit. Veneto, serie V, vol. 4°, p. 335 sgg. 

(7) Commemorazione del socio L. Menin, segretario dell’ Accademia, Pa- 
dova, 1875. Il Menin morì nel 1874. 


754 CARLO CIPOLLA 


preferire il metodo “ a freddo ,, ma riconosce che, secondo le 
esigenze didattiche di quei tempi, in cui dovevasi nel volger di 
un anno esporre tutta la storia universale, il Menin non poteva 
fare diversamente. 

In Rinaldo Fulin (1) ritrae l’uomo, cui “ il lungo studio e 
le intense meditazioni , hanno logorata anzi tempo la vita. 
Loda in lui il critico acuto, che aperse nuove vie nella storia 
inesauribile di Venezia, ma più ancora lo segna a modello per 
le rarissime qualità del suo animo. Il Fulin, osserva il De Leva, 
fu “ largo sempre , coi suoi discepoli “ di consigli e di aiuti ,, 
e quindi strinse con molti tra essi “ amicizie piene, forti, dure- 
voli per tutta la vita ,. Amico affezionato e rispettoso a Gio- 
vanni Cittadella, lo storico della dinastia Carrarese, il De Leva (2) 
apprezzò in lui il valore nella erudizione, e l’amore alla patria. 
Ma anche questa volta non dimenticò le virtù private: “ e quanta 
la bontà dell'animo suo! Figlio devoto, marito amoroso, tenero 
padre, fece della sua casa un tempio per sè, un modello, per gli 
altri, d’ogni virtù ,. 

Nel commemorare Giacomo Zanella (3), istituì un esame 
psicologico delle sue poesie, e le pose a riscontro colla sua vita, 
per dimostrare che in lui il pensiero si conformava all’azione. 
Pose in bella vista quanto il poeta vicentino sentisse gli affetti 
più delicati e sapesse squisitamente esprimerli. Esaminandone le 
versioni poetiche, mostrò quanto abile fosse lo Zanella nello 
assimilarsi il pensiero altrui. La vita dello Zanella, piena di 
Fede e di Carità, dà occasione al De Leva di accennare ad ar- 
gomenti religiosi. Egli trova che nell'animo dello Zanella con- 
ciliavansi la Chiesa e la Patria, la Fede e la Scienza. Bellis- 
sime poi sono le parole che chiudono la commemorazione: 
“ Auguriamo alla patria nostra ch’egli rimanga l’ideale della 
gioventù che sorge, a persuaderla che solo il perfetto accordo 


(1) Della vita e delle opere del prof. ab. Rinaldo Fulin, in È Atti dell’Ist. 
Veneto ,, serie VI, vol. 5°, p. 71 seg., a. 1886. 

(2) Della vita e delle opere del co. Giov. Cittadella, Padova, 1887 (Estr. 
dagli “ Atti dell’Accademia di Padova ,). 

(3) Commemorazione di Giacomo Zanella, negli “ Atti dell’Istit. Veneto ,, 
serie VI, vol. 7°, p. 1235 sgg., a. 1889. 


COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 755 


fra l’uomo e lo scrittore crea le opere veramente insigni e la 
vera e durevole grandezza , (1). 

Insistetti forse più a lungo che non si potesse credere 
necessario sopra gli elogi funebri del De Leva, ma lo feci per 
questo, ch’essi ritraggono al vivo le sue elette qualità morali. 

E così, dopo aver percorso, sia pure molto rapidamente, 
tutte le vicende della sua carriera scientifica, ritorniamo a con- 
siderare in lui l’uomo, ricco di virtù religiose, civili e dome- 
stiche, fedele nelle amicizie fino al sacrificio di sè medesimo, 
modesto, affabile, generosissimo. Le traversie della vita, che per 
lui furono gravi e dolorose, egli le sopportò con animo cri- 
stianamente rassegnato. 

Come abbiamo veduto, nelle sue commemorazioni funebri 
più volte ricorda gli affetti domestici delle persone, che egli 


(1) Cito qui alcune delle più importanti sue relazioni bibliografiche, 
le quali giovano a conoscere sia la vastità delle sue cognizioni, sia l’inte- 
resse, che egli, delicato negli affetti, portava alle opere degli amici. Del 
libro di Benrara su Bernardino Ochino, fece cenno nell’ È Arch. Veneto ,, 
vol. X, parte 2°. Lodò Il primo Rinascimento di Grusepre Guerzoni (Padova, 
1878), perchè egli non pose alcun vero distacco tra il Medioevo e il Rina- 
scimento ; l’unico distacco sta fra l’Antichità e il Medioevo, ed è segnato 
dalla “ trasmigrazione dei popoli ,, e del Cristianesimo. Dell’opera di C. Gropa 
sul Guicciardini, parlò nell’ Arch. Veneto, vol. XX, parte 2* (1880); del lavori 
storici di B. Morsotin, negli Atti dell’Istit. Veneto, V, vol. 5°, p. 161, a. 1879; 
dei meriti della Storia del diritto italiano di A. PermiLE, nell'Arch. Veneto, XXI, 
parte 1°, 1881; della cronologia greca antichissima di E. BerrANzA, negli Atti 
Istit. Veneto, V, vol. 6°, p. 607, a. 1880; della dissertazione del DéLLINGER sopra 
Dante considerato qual profeta, ivi. VI, vol. 6, 1888; della Geschichte Karls V 
di H. Baumearten, nella Riv. st. ital., vol. VI, fase. 4, 1889; del Diario del- 
l’Infessura, pubblicato da O. Tommasini, negli Atti dell’ Istit. Veneto, VII, 
vol. 2; del libro di M. Biipracer, sui casi di Don Carlos, negli Atti del- 
l'Accademia dei Lincei, ottobre e nov. 1892. Negli Atti dell’Istit. Veneto (VII, 
vol. 4, 1893) giudicò che il volume di F. Nirri sulla politica di Leone X 
è “ un’opera di singolare valore ,, ma avanzò alcuni dubbi sulle opinioni 
dell’autore rispetto all’atteggiamento assunto da quel pontefice di fronte a 
Carlo V. Questo discorso riapparve, in forma di recensione, nella Riv. stor. 
ital., 1893, p. 448 sgg. — Ricordo di avere udito dalla bocca del prof. De 
Leva che nella sua giovinezza egli aveva scritto, in lingua inglese, e per 
un periodico inglese, alcune relazioni sopra i libri di materia storica, che 


| di mano in mano si pubblicavano fra noi. Sopra di ciò, null'altro mi fu 


dato conoscere. — Aveva piena conoscenza della lingua tedesca. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 


Ur 
DO 


756 CARLO CIPOLLA 


loda. Non parrà indiscrezione se chiudo i cenni presenti, ricon- 
ducendomi col pensiero alla Vedova e alla Figlia, che egli tanto 
amò e dalle quali tanto fu riamato; e se, risalendo di molti 
anni addietro, evoco nella mia mente il ricordo dell’ affetto 
grande che egli ebbe verso la vecchia sua Madre. 

L'ho sempre dinanzi agli occhi la vecchia madre del De Leva. 
Stava seduta, lavorando, accanto al tavolo su cui il figlio scri- 
veva i dotti volumi, intorno ai quali ci siamo intrattenuti. La 
madre non poteva staccarsi dal figlio, il figlio non abbandonava 
la madre, se non per recarsi dove i suoi doveri lo chiamassero. 
Ma non la lasciava mai, senza darle un bacio e riceverne un 
bacio. 

Noi suoi discepoli, frequentando la sua casa ospitale, tro- 
vavamo in quella famiglia una scuola di alte e delicate virtù. 


Nuovi appunti di storia Novaliciense ; 


del Socio CARLO CIPOLLA. 


Un Codice Novaliciense 
posseduto dalla biblioteca Ambrosiana. 


Nuove spigolature Novaliciensi aggiungo alle comunicazioni 
fatte oramai più volte a questa Accademia. Venga in primo 
posto un codice, che secondo ogni verisimiglianza fece parte 
della biblioteca di quella Abbazia fino al principio del sec. XVII. 
Ne debbo la conoscenza alla cortesia del Collegio dei dottori 
della biblioteca Ambrosiana, e specialmente al sac. dott. Gio- 
vanni Mercati, e volentieri colgo questa occasione per dimo- 
strare la mia gratitudine per le molte gentilezze che sempre ho 
trovato, quando mi recai a studiare in quella celebre biblioteca. 

Nella biblioteca Ambrosiana, colla segnatura A. 49. Inf. 


Ml. ie pen 


i Pia 


a 


NUOVI APPUNTI DI STORIA NOVALICIENSE Vi] 


trovasi un ben manoscritto pergamenaceo, legato in epoca rela- 

tivamente moderna. Sul verso della copertura, di mano del se- 

colo XVII, si legge il contenuto del libro : 
“ Hec in isto codice continentur: 

“ Alcuinus, de virtutibus. Nota Alcuinum, quem — 

“ D. Prosperi Aquitanici de uita actiua et contemplatiua libri 
tres, qui sunt impressi. Nota hunc Prosperum fuisse — 

«“ Felicibus auspiciis ill. card. Federici Borrhomaei Mediol. 
Archiep., Olgiatus scripsit anno 1605 ,. 

Segue d’altra mano, presso a poco contemporanea, questa 
dichiarazione : 

“ Hunc codicem praepositus Platea Mediolanum Taurino trans- 
misit, eumque extraxit ex quodam coenobio, quod est 
Oscelae, vulgo dicitur Susa di Savoia ,. 

Questa notizia forse avrebbe trovato la sua spiegazione in 
un’altra, che, dalla prima mano, venne apposta al margine in- 
feriore della pagina. Pur troppo ne andò stracciata la fine. Ecco 
quel poco che se ne può rilevare : 

“ Questo codice è stato mandato d..... DN 

Che cosa siasi voluto significare con Oscela non è del tutto 
chiaro, quantunque con fondata congettura vi possiamo vedere 
una allusione alla Novalesa. Nel sec. XVII l’ab. Luigi Rochex (1), 
istoriografo della Novalesa, identifica Ocelum dell’antichità clas- 
sica colla Novalesa. Non importa qui vedere se tale identifica- 
zione sia giusta, ma basta avvertire che essa si faceva, e pre- 
cisamente nel secolo stesso al quale appartiene la notizia, che 
stiamo considerando. 

Della vera posizione di Ocelum discorre colla consueta sua 
dottrina il prof. E. Ferrero (2), il quale lo colloca a mezza via 
incirca tra Susa e Torino. 


(1) La gloire de l’abbaye et vallée de la Novalèse. Chambéry, 1670, libro I, 
cap. 3, p. 1-2. 

(2) La strada romana da Torino al Monginevro, in “È Mem. Accad. d. 
Scienze di Torino ,, XXXVIII, Scienze morali, p. 427. Veggasi pure la carta 
geografica annessa a questa Memoria. — CarLo Prom1s, Storia dell’antico To- 
rino. Torino, 1869, pp. 56, 129, 288, tratta della posizione dell’antica Ocelum, 
ma non si occupa della storia di questa quistione. Monsignor Francesco 
Agostino DeLLa CHiesa, che nella Descrizione del Piemonte, vol. IV, p. 473 


758 CARLO CIPOLLA 


Interpretando alla lettera le parole surriferite, dovrebbesi 
credere che Ocelum fosse nient'altro che Susa. Ma non essendo 
probabile che egli sia caduto in tanto errore, resta adito a du- 
bitare che abbia fatta sua quella opinione, che più tardi venne, 
come certa, difesa dal Rochex. 

Potremmo pensare ad Oulx, ma ivi non c’è un cenobio, sib- 
hene una prepositura di canonici regolari. Saranno, se vuolsi, due 
istituzioni simili; ma pur l’una non è l’altra. Quindi, fino a 


prova contraria, puossi ritenere che il nostro codice provenga 


dalla Novalesa. 
Accresce la probabilità in favore della Novalesa, la consi- 


derazione che la terra di Oulx rimase unita al Delfinato fino al 
1713. Sembra quindi supposizione poco probabile, che al prin- 
cipio del sec. XVII si confondesse una prevostura del Delfinato 
con un cenobio di Susa. 

Il ms. è apertamente di due mani. Alla prima appartiene 
l’opera di Alcuino, e ad essa mancano i primi fogli. Alla se- 
conda mano dobbiamo l’opera attribuita a Prospero. 

Il fol. 1r comincia: “ sicut |nihil proficiunt] opera bona 
sine [fide recta] unde & — ,, parole che spettano al cap. II 
dell’opera Alcuiniana (cf. Miene, Patrol. latina, vol. CI, col. 615, 
dove in luogo di “ sicut , leggesi “ ita ,). Termina l’opera al 
f.15v: “ — perpetua coronabitur gloria. | Gratias Deo agentes 
per omnia secula. amen. | Explicit liber alcuini ,. 

Le didascalie sono in rosso, e in rosso sono anche le grandi 
iniziali dei capitoli, grandi così da abbracciare lo spazio di 
due righi. Qualcuna fra queste iniziali grandi è illuminata in 
verde. i I 

Il carattere con cui fu scritto il testo dell’opera di Alcuino 
è il semionciale, bello, elegante, regolare, ma con alcune par- 
ticolarità che denotano un’epoca non molto antica. Le lettere 
5, d, h, l sono cuneate. La g ha l’occhiello chiuso, ma la coda 
è aperta. Chiusa è la a. La ripiegatura dell’asta ultima a destra, 


(ms. in copia nella Biblioteca di Sua Maestà in Torino), non parla di 
Ocelum a proposito della Novalesa, nella Corona reale di Savoia (Cuneo, 


1655, p. 372) dice che “ alcuni , identificano Ocelum con Exilles. Ma questa , 


identificazione non è applicabile al caso nostro, in forza del cenobio men- 
zionato dalla annotazione, che stiamo considerando. 


ill en Pip ati ni iuza 


} 
| 
: 
j 
| 
i 


NUOVI APPUNTI DI STORIA NOVALICIENSE 759 


x 


nella m e nella n, se non è perfettamente carolina, denota 
tuttavia ancora un’età abbastanza antica. L’asta orizzontale 
della # non è mai oltrepassata dall’asta verticale. L’illustre 
abate Antonio Ceriani, prefetto della biblioteca Ambrosiana, 
il quale, come ognuno sa, è maestro dottissimo in questi studi, 
mi suggerì di attribuire al X secolo questo manoscritto. 

Al fol. 9 7 leggesi una postilla. di mano franco-piemontese 
del sec. XIV, che dice: “ nota contra auaros ,. 

Di altra e più tarda mano segue l’opera attribuita a San 
Prospero. 

Fol. 16 v. Didascalia, in rosso : “ Incipiunt capitula de uita 
actiua et contemplatiua reliosi (sic) Prosperi libri tertius (sic). | 
Quid inter vitam contemplatiuam & actiuam distat — ,. 

L’opuscolo termina al fol. 75 v in questa maniera : 

explicit liber tertius feliciter cum gratia . pax . fides. ca- 
ritas precium non habent . deum time & mandata eius cu- 
stodies (1). 

Alla voce “ tertius , un richiamo introduce nella dizione 
le parole, aggiunte in fine, ma non dalla stessa mano : RELIGIOSI 
PROSPERI. Queste parole sembrano posteriori di parecchi anni 


al resto. 


L’opuscolo, che qui viene attribuito a S. Prospero, più co- 
munemente corre sotto il nome di Giuliano Pomerio, prete, che 
insegnò ad Arles e contò tra i suoi discepoli S. Cesario (2). 
I suoi libri de vita contemplativa furono dal Migne inseriti nel 
vol. LIX della sua Patrologia latina. 

L’opuscolo di Prospero, o di Pomerio, che voglia dirsi, fu 
scritto da mano alquanto posteriore a quella cui si deve l’ope- 
retta di Alcuino. Il testo è in minuscolo postcarolino, a carat- 
tere alquanto angoloso, in cui si sente l’influenza straniera. Il 
Piemonte potrebbe essere benissimo la patria di questo libro, 
scritto in un tempo in cui il distacco tra la scrittura italiana 
e l’oltremontana cominciava appena a delinearsi. 

Il carattere è abbastanza regolare, ma non è molto ele- 
gante. Ogni residuo del corsivo, che spesso si mescola nell’an- 


(1) Im “ explicit ,,, le dune I sono rispettivamente incluse nella L e 
nella C. La I di “ liber , è chiusa nella L, e così la prima I di “ feliciter ,. 
(2) BarpennewER, Patrologie. Freiburg i/B, 1894, p. 570. 


760 CARLO CIPOLLA 


tico minuscolo, qui si può dire scomparso. L'ultima asta della m e 
della n» ricorda ancora il carattere carolino, sebbene preannunci 
oramai il minuscolo dell'ultima maniera. L'asta verticale della # 
non sorpassa mai l'asta orizzontale. Rarissime sono le traccie 
di cuneazione nelle solite lettere, che nel sec. X presentano 
questa forma particolare ; tuttavia queste traccie totalmente non 
mancano. 

Le iniziali minori, interposte nel testo, sono in nero, con 
illuminazione in rosso. 

Le didascalie sono in lettere grandi, di color nero, con 
illuminazione in rosso. Le lettere delle didascalie sono di varie 
specie : alcune sono vere maiuscole, mentre altre sono soltanto 
lettere minuscole ingrandite. Qualche lettera è di forma capitale; 
alcune altre lettere sono onciali. Queste particolarità paleogra- 
fiche sono comuni nelle didascalie degli antichi manoscritti, ma 
pur non si dovevano qui passare sotto silenzio. 

Le iniziali maggiori, al principio dei capitoli, sono in nero, 
internamente colorite in rosso. Quanto alla loro forma, alcune 
sono in capitale ed altre in onciale. Di alcune lettere figurano 
qui le due forme. Così, p. e., avviene della D. Nel Messale No- 
valiciense del XII secolo (cf. Ricerche, tavola a p. 97) incon- 
triamo la Q maiuscola con due rientri laterali interni, tali, che 
ciascuno dà origine ad una forma somigliante ad un triangolo. 
Anche questa forma della Q trovasi nel Codice Ambrosiano, 
colla differenza per altro, che la Q del ms. Ambrosiano è chiusa, 
ed è aperta per contro la Q del Messale, che si vede riprodotta 
nel mio facsimile. 

Sono numerosi e di prima mano i segni di interpunzione, 
dei quali compariscono qui tre specie, vale a dire il punto fermo, 
il punto e virgola, e il punto interrogativo: / ? 

La g ha chiuso l’occhio, e aperta la coda. La a è sempre 
chiusa. 

Non è facile segnare l’epoca di questo ms. Non c’ingan- 
niamo tuttavia di molto assegnandolo alla fine del secolo X, 
ovvero al principio del seguente. Forse lo assegneremmo con 
maggiore franchezza al principio del sec. XI, se alcune notazioni 
o prove di penna che si leggono in fine all’opera attribuita a 
Prospero, non presentassero alcuni caratteri arcaici, nella forma 
di qualche lettera. 


NUOVI APPUNTI DI STORIA NOVALICIENSE 761 


Vengono anzitutto due notazioni, di cui la prima passa 
sopra la seconda, nascondendone le ultime parole; esse sono di 
argomento sacro. 

“ Beatissimus Petrus chathenis in carcere ti ///// 
Deus ///{/ centies £///[I/ ». 

La terza notazione sta da sè, e dice così : 

“ celitus ennormen michael euerberat ostem ,. 

In queste tre notazioni la forma della m e della » richiama 
molto dappresso il carattere carolino. Anzi una delle m della 
terza notazione ha la terza asta a destra, priva affatto di apice, 
e l’asta stessa è concava internamente e convessa all’ esterno, 
così che ha proprio l’aspetto di una lettera m della età carolina. 

A titolo di saggio, riporto qui le varianti che trovai raf- 
frontando un capitolo di Alcuino, e un breve brano di Prospero, 
nel codice Ambrosiano, coi rispettivi testi, secondo la edizione 
del Migne. 

Per Alcuino scelsi il capitolo VI “ de pace , (fol. 2 7). 
Ms. Ambrosiano : relinquo nobis (Mrene: dimitto vobis) — iam 
me cepit (M.: iam coepit vocari) — pacem esse noluerit (M.: pacem 
noluerit) — contempnit (M.: contemnit) — pervenit (M.. pervenit, 
ma colla var.: ducit) — viciis (M.: vitiis) — habendum est (M.: 
habenda est) — mali sint (M.: mali sunt) — in bonis (M.: in 
nobis, colla variante : in bonis) — caritatem (M.: charitatem) — 
Pax sanctum (voce aggiunta nell’interlinea da mano del sec. X) 
spiritum specialius (M.: Pax spiritum Dei specialiter) — de qua 
dominus per (M.: de qua Deus per) — plebis (M.: plebis est) — 
leticia (M.: letitia) — manet (M.: Dei manet) — ammonere (M. 
admonere) — faciat, colla prima a di correzione e le lettere ci 
aggiunte interlinearmente da un correttore del sec. X (M.: fiat). 

Quanto a Prospero (o a Pomerio) mi accontentai di un brano 
del cap. V (fol. 34 v) che nel ms., come pure nella edizione del 
Migne (LIX, 447) si intitola: “ Obiectio quam sacerdotes sancti 
quorum cura est perdite uiventes arguere. simulatores religionis 
equanimiter ferant ,. Solo è ad avvertire che nel Migne costi- 
tuisce il capo IV. 

Qui le varianti sono assai poche, e di poco conto. Ms. re- 
citare (Mrene: recitari) — quid, corr. da quare (M.: et quid) — 
abitiunt (M.: abjiciunt) — melioris, colla s finale raschiata (M.: 
melioris). 

Giunsi col raffronto sino a: “ — pro virtute suscipiunt ,. 


762 CARLO CIPOLLA 


II. 


Nuove pagine della trascrizione del codice Phillips. 


Nelle mie Ricerche (p. 63) sull’antica biblioteca della Nova- 
lesa ebbi occasione di parlare di alcuni fogli, scritti da un 
amanuense del XVIII secolo, i quali si trovano nella biblioteca 
nazionale-universitaria di Torino, busta LXXI. Essi ci danno 
la trascrizione di una buona parte di un codice Novaliciense, 
miscellaneo, già studiato sul cadere del secolo scorso da Eu- 
genio De Levis, ed ora esistente nella biblioteca Phillips in 
Inghilterra, alla quale pervenne non si sa per qual via. 

Ora nella biblioteca di Sua Maestà in Torino (Miscellanea 
patria, vol. CIX, fasc. 2) riconobbi alcuni altri fogli di quella 
medesima trascrizione. Ne do qui la tavola: 


a) Fol. 1 r. De translatione S. Benedicti abbatis, ex cod. ms. mo- 
nasterii Novaliciensis incerti authoris, caractere antiquis- 
simo in pergam. exarato. 

Cum diu gens Longobardorum infedelitatis suae — |cfr. 
Ricerche, p. 69, n° 23]. 

6) Fol. 5 v. De Ceroma. Brevis incerti authoris dissertatio, ex 
ms. Mon. Noval. Questiunculam mihi datam — [cfr. Ri- 
cerche, p. 66, n° 9]. 

c) Fol. 6 v. Acta S. Catherinae V. et M., ex ms. Novaliciensi 

 authore Petro monacho eiusdem, ut creditur, coenobii, qui 
circa annum 1400 eiusdem asceterii prior claustralis erat 
ex urbe Cherii et ex nobili familia. —Regnante Maxentio 
Cesare Maximiani Augusti filio cum Diocletiano moltos — 
|efr. Ricerche, p. 69, n° 21. Si noti che qui, per isvista, sì 
danno come iniziali dell’opuscolo alcune parole, che, a ri- 
gore, De Levis riferisce solamente a dimostrare che autore 
del libro originale greco era “ Athanasius ,, essendone 
Pietro il traduttore]. 


Vuolsi osservare, che se il nostro amanuense avesse ra- 
gione, si dovrebbe credere che questa vita di S. Caterina sia 


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NUOVI APPUNTI DI STORIA NOVALICIENSE 763 


stata aggiunta in età molto tarda al volume (1). Ma di ciò è 
lecito dubitare, chè l'avrebbe avvertito lo Schenkl, Bibl. patr. 
latin, V, p. 22 (Wiener S. B., CXXVII.. 


d) Fol. 13 v. Aliud ms. incerti authoris de Hungris Galliam de- 
vastantibus ad episcopum Virdunensem. Domino beatissimo 
et vere apostolico —. L’opuscolo rimane tronco alle parole: 
“ — quae cum eis venturae dicuntur ,, mancando nel nostro 
ms. le pagine seguenti |cfr. Ric., p. 65, n° 4]. 


Colle parole aliud ms. qui non si vuol accennare ad un altro 
codice, diverso da quello contenente gli aneddoti sopra ricordati. 
Ciò sarebbe in contraddizione col vero. Intendansi adunque quelle 
parole nel senso, che l’ ppi de Hungris è altra cosa da 
quanto precede. 


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Fabrizio Malaspina. 


Ebbi occasione (2) di parlare dell’abate Fabrizio Malaspima 
e dei suoi studi eruditi, e ricordai che nel ms. Prospetto d’al- 
cuni lavori letterari di F. M. (biblioteca di Sua Maestà a Torino, 
Miscell. patria, vol. CXLVIII) si ricordano le sue Memorie sto- 
riche delli monasteri di S. Pietro della Novalesa e di S. Pietro di 
Breme, ece., donde fu estratta la breve Dissertazione sulla patria 
e sulla età del Cronografo Novaliciense (Tortona, 1816). 

Della sorte toccata a questo ms. nulla potei conoscere. Invece 
il dottor Eugenio Casanova (3), dell'Archivio di Stato di Firenze. 
mi avvertì gentilmente del destino avuto dai volumi che il Ma- 
laspina aveva scritto intorno alla storia di sua famiglia; negli 
ultimi anni pervennero all'Archivio di Stato di Firenze, per la- 
scito fatto dall'ultimo marchese Malaspina di Fordinovo. Quel 
ms. si compone oggidì di 4 volumi; il volume quinto, che do- 


(1) Il f. 8 è bianco al reeto ed al verso. 

(2) Nuovi appunti, p. 27 (@ Mem. dell’Accad. ,, XLV, Scienze morali, 
p. 173). 

(3) Cfr. Arch. st. ital., V serie, vol. XVII, 232 (anno 1896). 


764 CARLO CIPOLLA 


veva contenere il codice diplomatico, o non fu mai terminato, 
o almeno non fece parte dell’eredità abbandonata dal predetto 
marchese. Insieme con questi volumi l'Archivio di Firenze ebbe 
anche un migliaio di pergamene incirca, riguardanti la storia 
dei Malaspina e della regione Lunense, fino al 1799. Nulla vi 
si trova che abbia attinenza colla Novalesa o con Breme. 

Non sarà estraneo al nostro scopo far seguire qui qualche 
notizia biografica sull’abate Fabrizio Malaspina, che deduco da 
una lettera indirizzata da Edoardo Odetti all’ab. G. B. Adriani, . 
in data 12 aprile 1863. L'originale di questa lettera viene tut- 
tora custodito dall’Adriani, il quale con gentilezza squisita me lo 
prestò, affinchè potessi servirmene. Rendo al ch. comm. Adriani 
le dovute grazie. 

La lettera dell’Odetti non serve soltanto a chiarire, con 
qualche dato di fatto, la vita semplicissima del Malaspina, ma 
ci dà qualche utile schiarimento sulla fine dell'abbazia Bremense. 
Tanto più volentieri la riassumo quindi in questo luogo. 

Nacque il march. Fabrizio Malaspina il 19 genn. 1772 in 
Varzì, circondario di Bobbio, nella provincia di Pavia. Il 21 gen- 
naio 1787 entrò nella Congregazione Olivetana di S. Benedetto, 
vestendone l’abito in S. Michele in Bosco di Bologna ; professò 
il 13 luglio 1788 nel monastero di S. Maria delle Grazie in 
Novara. Fu ordinato sacerdote il 20 dicembre 1794. Dal 1794 
al 1798 insegnò logica e metafisica nel monastero di Monte 
Morcino di Perugia. Ma in quest'anno dovette allontanarsi da 
quella città, poichè il governo francese emanò un ordine, che 
ne escludeva i forestieri. Allora si ritirò nel monastero di 
S. Maria delle Grazie di Novara, del quale fu superiore dal 
settembre 1802 all’aprile 1803, allorchè fu dalla congregazione 
eletto abate. 

Il monastero delle Grazie presso Novara era succeduto a 
quello di Breme, ed è per questo motivo che il Malaspina 
prese amore allo studio delle antichità Novaliciensi. 

Riferisce poscia l’Odetti nella citata sua lettera, che nel 
giugno 1803, in causa dell’incameramento dei beni monastici 
ordinato da Napoleone per il regno d’Italia, il Malaspina, insieme 
coi suoi monaci, dovette trasferirsi a Milano. Venne intanto la 
legge del 1810, che sopprimeva gli Ordini religiosi. Il Malaspina 
ne restò colpito, tanto più che, in Lombardia essendo conside- 


NUOVI APPUNTI DI STORIA NOYALICIENSE 765 


rato quale forestiere, non gli si volle dapprima neppur concedere 
la tenue pensione, stabilita dalla legge di soppressione. Ebbe 
più tardi una meschina pensione, e si recò a stabilirsi a Varzì, 
sua terra nativa. Nel 1816 pubblicò la sua dissertazione sul 
Cronografo Novaliciense, in fine alla quale aggiunse tre docu- 
menti (1), dei quali possedeva gli originali. Poco appresso il 
prefetto di Tortona lo avvertì per lettera che quei tre docu- 
menti erano desiderati dalla direzione degli “ Archivi di Corte ,, 
di Torino. Il Malaspina annuì ; anzi si recò egli stesso a Torino, 
e consegnò le tre pergamene al conte Galeani Napione, presi- 
dente capo dei predetti Archivi (2). Il Napione usò al Malaspina 
ogni maniera di cortesie; anzi nel 1825 al donatore fu asse- 
gnato, sulla cassa del R. Economato, l’annuo reddito di lire 250, 
fino a che egli avesse ottenuto qualche impiego. Nel 1827 il 
Malaspina fu nominato membro del Magistrato della Riforma. 
Nel 1833 fu chiamato a far parte della R. Deputazione di Storia 
patria, poco prima fondata da re Carlo Alberto. Stante la sua 
tarda età, nel dicembre 1844 venne esonerato dall’officio di 
Riformatore. Sopravvisse ancora lunghissimi anni, e morì in 
Torino il 2 aprile 1863, nell’età di oltre 91 anno. 

Il comm. Adriani, nella sua preziosa biblioteca, che egli 
tiene in Cherasco, possiede ms. il “ Catalogo delle opere, opu- 
scoli e documenti da’ quali in unione a moltissimi istromenti 
d’archivi pubblici e privati sono state estratte le memorie sto- 
riche diplomatiche per servire alla storia della famiglia Mala- 
spina raccolte d(all’) a(bate) d(on) F(abrizio) d(ei) m(archesi) 
M(alaspina) d(i) V(arzi) 1844 ,. 


(1) Bolla di Giovanni XIII, a. 972; diploma di Ottone I, 972; diploma 
di Ottone III, 998. Questi tre documenti riguardano tutti l’abbazia di Breme, 
e indubitatamente appartennero all'Archivio della medesima. 

(2) Si conservano anche oggidì nell'Archivio di Stato di Torino, che, 
mutato nome, non è altro che l’antico Archivio di Corte. 


766 ERMANNO FERRERO 


LI, 


Il codice delle Omelie di S. Cesario. 


Il dotto benedetto p. GERMAIN Morin (L’homéliaire du Burchard 
de Wiirzburg, in: “ Revue bénédictine ,, (Abbaye de Maredsous, 
1896, n° 3 (marzo), p. 102, nota) identificò il frammento di 
Omelia, che pubblicai nelle Ricerche, p. 13-4, nota. L’omelia è 
veramente di S. Cesario di Arles e appartiene al numero XI 
della raccolta delle XI/Z Admonitiones. Il Morin mi rinvia, per 
questo riguardo, anche al volume di C. F. ArnoLp, Caesarius 
von Arelate und die gallische Kirche seiner Zeit, Lipsia, 1894, 
pp. 485-90. Ringrazio il ch. p. Morin di questo utile comple- 
mento, che egli si compiacque di dare alle mie ricerche. 


Un ripostiglio di monete della repubblica romana 


scoperto a Romagnano Sesia; 


Nota del Socio ERMANNO FERRERO. 


Da qualche tempo io era informato della scoperta, av- 
venuta nello scorso anno presso Romagnano Sesia (1), di un 


(1) A circa mezzo chilometro a sud partendo dalla piazza di Romagnano 
e ad un centinaio di metri dal cimitero, nella regione Figàro; alla profondità 
di mezzo metro, nel ripiantare una vigna (informazione del dott. Donetti, 
medico a Romagnano, procuratami dalla cortesia del dott. G. Carbonelli)- 

Basta il nome ad indicare l’antica origine di Romagnano (fundus Roma- 
nianusì, che trovavasi, come pare, nel pago Agaminus, i cui abitanti (pagani 
Agamini) sono ricordati da lapide di Sizzano (C. I. L., V, n. 6587), ed il cui 
nome sopravvisse nella moderna Ghemme. Si osservano presso Romagnano 
‘ ruderi di un ponte sopra l’antico letto della Sesia; da Romagnano furono 


UN RIPOSTIGLIO DI MONETE DELLA REPUBBLICA ROMANA 767 


tesoretto di monete di argento della repubblica romana, portate 
poi a Torino per essere vendute. Ultimamente ho veduto anch'io 
queste monete: trecento denarii, non uno di più, non uno di 
meno. Ignoro se ve ne fosse maggior numero; so che ben di 
rado i ripostigli monetarii giungono intatti all’illustratore. Ho 
veduto pure i frantumi del vaso, che conteneva il tesoretto; rozza 
urnetta di terra grossolana con una rete di graffiti tracciati 
sul ventre: potevano starvi dentro ancora altre monete oltre 
alle trecento, non però molte. 

Do l'elenco di queste monete, riferendomi all'opera del 
Babelon (1) e al primo catalogo della serie repubblicana del 
medagliere torinese compiuto dal Fabretti (2), che tenne conto 
di ogni più leggera differenza, non solo di simboli e di cifre, 
ma anche di forme grafiche: noto le varietà, che mancano a 
questo catalogo, e indico quelle monete, che sono nuove di 
zecca o quasi, osservando che anche le altre in generale sono 
in buono stato di conservazione. 


portate a Novara le iscrizioni C. I. L., V, n. 6592 e Suppl. It., I, n. 886. Le 
memorie storiche di Romagnano sono state raccolte dal ch. Carlo Dionisotti, 
La Vallesesia ed il comune di Romagnano (Torino, 1871). 

(1) Descr. hist. et chron. des monn. de la rép. romaine, Paris, 1885-86, 2 vol. 

(2) Raccolta numismatica del R. Museo di antichità di Torino — Monete 
consolari, Torino, 1876. L'ho preferito, come più in mano degli studiosi, al 
catalogo della stessa raccolta, accresciuto dai nuovi acquisti, inserito nel 
vol. IV (Monete consolari e imperiali, 1881) della descrizione del museo tori- 
nese, che fa parte del Catalogo generale dei musei di antichità e degli oggetti 
d’arte raccolti nelle gallerie e biblioteche del Regno. 


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UN RIPOSTIGLIO DI MONETE DELLA REPUBBLICA ROMANA 


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UN RIPOSTIGLIO DI MONETE DELLA REPUBBLICA ROMANA 


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UN RIPOSTIGLIO DI MONETE DELLA REPUBBLICA ROMANA 


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14 ERMANNO FERRERO 


Riunendo le date probabili di emissione di queste monete 
si ha: 


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(1) Sono i denarii di M. Vargunteius, da ascrivere pure a qualcuno 
degli ultimi anni precedenti. 


UN RIPOSTIGLIO DI MONETE DELLA REPUBBLICA ROMANA 775 


x 


La moneta più recente è adunque dell’82 av. Cr.: nuovi 
o quasi sono i nummi degli ultimi anni; il ripostiglio ha do- 
vuto essere sotterrato nell’82 o ben poco dopo (1). 


Lo stato di alcuni archivi comunali 


della provincia di Susa ai tempi di Re Vittorio Amedeo III; 


Nota del socio GAUDENZIO CLARETTA. 


Il progresso singolare raggiunto oggi giorno dagli studii 
storici, e la cura lodevole nei loro cultori di rivolgersi alle 
fonti originali, affine di poter meglio appurare il vero dal falso, 
ed essere così a poco a poco in grado di costituire su basi in- 
crollabili l’edifizio della nostra storia nazionale, hanno fatto sì 
che si sentisse ognor più il bisogno di vedere agevolati i mezzi 
di poter procurarsi i necessari materiali. Quindi non è a far le 
meraviglie, se alcuni, animati da spiriti generosi e d’imparzia- 
lità, abbiano in questi ultimi anni cooperato a tale scopo e 


(1) AI dott. S. Ricci, che diede un cenno di questo ripostiglio nella 
Rivista di numismatica italiana, 1895, p. 494, annunciando più ampia rela- 
zione per le Notizie degli scavi, fa mostrato un gran bronzo logoro, che gli 
fu detto essere stato trovato con le monete di argento, e che “ quantunque 
“ indecifrabile, non presenta alcuno dei caratteri degli assi repubblicani ,: 
onde egli pensò che il nascondimento potrebbe discendere anche al principio 
dell'impero. Io non ho più potuto vedere questa moneta, che mi sì disse 
andò perduta. Ammesso che non fosse un asse repubblicano, come si può 
spiegare nel ripostiglio la mancanza assoluta di monete dopo il principio 
del secolo I av. C. sino al principio dell'impero cioè per almeno sessanta anni, 
e l’ottima conservazione dei denarii più recenti, che hanno dovuto circolare 
ben poco prima di essere sepolti? Più volte mi furono fatti vedere nummi 
od altri oggetti antichi, che mi si assicurava essere stati trovati insieme; 
solo dopo paziente interrogatorio giungeva a sapere che insieme voleva 
dire palmi di distanza. 


776 GAUDENZIO CLARETTA 


rotta, allorchè lo ravvisarono necessario, una lancia in favore 
della causa degli studiosi. 

Altri poi tuttochè limitatisi agli archivi dei comuni concor- 
sero pure nella stessa opera, procurando di additare alcune delle 
fonti, a cui potessero i ricercatori ricorrere con successo. E fra 
costoro vuol essere annoverato il professore Demetrio Marzi, che 
man mano venne pubblicando nell’archivio storico italiano suc- 
cose e particolareggiate monografie specialmente sugli archivi 
comunali della Toscana e della Romagna Toscana. 

Nel VI congresso storico italiano poi, tenutosi nello scorso 
autunno a Roma, veniva ampiamente discusso il tema della 
necessità di agevolare ognor più l’accesso agli studiosi in pa- 
recchi archivi di speciali associazioni e di provvedere ad un 
riordinamento generale degli archivi dei comuni dello Stato. E 
per sola informazione di coloro che non coltivando questa ra- 
gione di studii fossero per ignorarlo, basterà qui avvertire che 
questo tema proposto dalla torinese società di archeologia e 
belle arti trovava un’eco profonda nella società storica della 
Val d’Elsa, e mercè il valido concorso dell’erudito suo rappre- 
sentante, il professore Guido Bacci riceveva ampio svolgimento 
in seno a quel dotto Consesso. E frutto di quelle discussioni fu 
la manifestazione di un voto, che per l'avvenire, e gli archivi 
dei comuni, e quelli di confrerie e di altri enti morali doves- 
sero essere resi più accessibili agli studiosi; e con ordini severi 
e d’ordine dovesse venir meglio tutelato il patrimonio scienti- 
fico ch'essi contengono. 

Auguriamoci che per pubblico beneficio l’espressione di così 
giusti desiderii non abbia, come pel passato avvenne di altres 
consimili manifestazioni, non abbia, dico, a rimanere un solo voto 
sterile ed infecondo. 

Intanto non torna disacconcio il dichiarare, come in riguardo 
appunto di un tema che ricevette testè ampio svolgimento e 
che viene così ad avere un carattere di opportunità del giorno, 
io mi fo lecito d’intrattenermene in queste pagine, facendo co- 
noscere alcune prescrizioni nostre in fatto appunto di archivi 
comunali. Il che mi fu fornito dall’ aver dovuto fortuitamente 
consultare un documento che mi pone altresì in grado di ricor- 
dare con elogio i principi di Savoia. Infatti essi, nelle tenui 
proporzioni loro consentite (e se non al certo nello scopo di fa- 


LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. TU 


vorire gli studii storici e studiosi, de’quali i primi erano fra noi 
nell’ infanzia; e i secondi scarsi, isolati e negletti vivevano in 
perfetto obblio, nè mai avrebbero osato innalzare tant’ alto le 
loro aspirazioni), pur concorsero indirettamente a conservare 
intatti sino a certo punto i monumenti, di cui dovevano valersi 
poi coloro che la sorte benigna loro consentiva di vivere in 
età più propizia. 

Come a preludio del documento che somministrò materia a 
questa monografia, mi sia consentito di ricordare almeno som- 
mariamente (per non far troppo lunga ripetizione di cose note 
ai cultori delle storiche discipline fra noi) le cure ch’ebbero i 
nostri principi per la tutela dei documenti dei comuni. Per non 
ricordare età troppo remote basterà avvertire che sin dal 1584 
sotto Carlo Emanuele I, fra gli ordini impartiti ai delegati per 
l’amministrazione del comune di Bene, o Bene-Vagienna, eravi 
quello che si dovesse compilare un inventario dei documenti 
esistenti in quell’archivio, il quale doveva essere chiuso a tre 
chiavi, da ritenersi dai sindaci e dal cancelliere (1). Nel 1621 
il consigliere di Stato Prospero Galeani, delegato alla generale 
revisione dei conti pubblici, deliberava, che in quanto al comune 
di Lagnasco quei sindaci infra il termine di tre mesi dovessero 
far compilare dal segretario un libro legato in cartapecora con- 
tenente l’inventario di tutti 1 documenti che esistessero dentro 
e fuori del cosidetto cofano pubblico (2). 

Anche le note regie costituzioni provvedevano alla regolare 
amministrazione comunale. E Carlo Emanuele III nel 1767 dava 
pur norme certe per la tutela delle carte dei comuni. 

E vuolsi anco notare che all'esempio del Governo parecchie 
amministrazioni municipali provvidero allo stesso oggetto. Ma 
sarebbe un divagar di troppo ed eccedere i limiti di questa 
memoria il voler annoverare qui le varie disposizioni statutarie 
a tale proposito; e ne basti, a cagion d’onore, additare la città 
di Cuneo, che ne’ suoi statuti del 1555 aveva un capitolo inti- 
tolato De archivio communis. 

Chi fra noi in tempi recenti ebbe cura d’informarci dello 
stato degli archivi comunali e del loro contenuto sia nei tempi 


(1) Dusorn, Raccolta leggi, editt. e manifesti ecc. 


@) Ib. 


778 GAUDENZIO CLARETTA 


antichi che nei moderni, conformemente ben inteso alle notizie 
trasmessegli, fu il commendatore Nicomede Bianchi, il quale sin 
dal 1881 pubblicava nell’utile suo libro Le carte degli archivii 
piemontesi una notevole parte concernente i detti archivi, la 
quale dalla pagina 106 a quella 480 contiene un sommario delle 
categorie dei documenti conservatisi in essi sino ai tempi odierni. 
Ma nella prefazione egli comincia a dolersi che i registri con- 
tenenti le inchieste su quegli archivi ai tempi di Vittorio 
Amedeo II e di Carlo Emanuele III sieno andati smarriti in 
gran parte, e persino quelli delle più recenti avvenute ed ordi- 
nate dal Re Carlo Alberto (1). Sembra poi anco che il Bianchi 
oltre ciò non abbia avuto conoscenza del documento che qui 
pubblicheremo, e che somministrandoci lo stato degli archivi di 
parecchi comuni della Val di Susa, serve altresì a fornirci una 
idea dell’ampio ed utile lavoro che il governo aveva ordinato 
per tutto lo Stato. Imperocchè con tutta verosimiglianza puossi 
ritenere che, oltre alla relazione capitatami casualmente alle 
mani, altre consimili dovevano essersi compilate per le altre 
province, e che sembra fossero state affidate agli intendenti di 
queste. 

La relazione è dell’anno 1777; e per comprendere qual 
motivo abbia dato occasione alla missione di uno speciale uffi- 
ciale che visitò i comuni in essa ricordati, bisogna che ci rife- 
riamo a tre anni antecedenti ad essa. 

È saputo, come salito nel 1773 al trono Vittorio Amedeo III, 
aveva egli sul principio lasciato presagire assai bene della sua 
amministrazione; ed infatti avevano contribuito a creargli una 
aureola di gloria fra le altre, le cure poste poco dopo a met- 
tere in assetto le comunali amministrazioni. 

Frutto delle veglie e delle profonde cognizioni amministra- 
tive che vi dedicarono per ordine suo ragguardevoli magistrati 
e personaggi esperti nelle cose di finanza, si fu il celebrato 
editto e regolamento detto de’ pubblici, vocabolo invalso per de- 
signare le comunità, uscito il sei di giugno dell’anno 1775. Non 
devesi peraltro dissimulare ch’esso abbiasi a ritenere piuttosto 
il risultamento finale degli studii che il D’ Ormea e il conte 


(1) Opera citata, pag. 36 della prefazione. 


LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 779 


Bogino avevano fatto sotto il regno precedente sul rimaneg- 
giamento generale delle amministrazioni comunali dello Stato. 
Comunque ne sia, e prendendo le cose pel loro verso, in omaggio 
al noto verso del poeta Sic vos non vobis, ecc., avvertiremo che 
con quell’editto erano tracciati i principii del riorganamento del- 
l’amministrazione dei comuni, e veniva studiato il modo di prov- 
vedere al più esatto ed imparziale ripartimento dei pesi, ed av- 
viare il pubblico al miglior sostenimento dei tributi, conciliato 
col minor aggravio possibile. Avendo quella legge per iscopo 
di promuovere coi migliori mezzi la pubblica e privata felicità 
dello Stato, essa insinuavasi minuziosamente nelle competenze, 
nelle prerogative e negli uffici delle amministrazioni comunali. 
Quindi venivano stabilite le regole concernenti le elezioni, i 
requisiti per conseguire l’uffizio di consigliere, l’esercizio della 
carica di segretario. E noterò che i segretari, oltre alla probità 
conosciuta, non dovevano essere avvinti ai privati ed ai corpi 
morali per causa di liti, rendimento di conti, ecc., e faceva 
d’uopo ch’avessero il grado di notaio. 

I consiglieri “ dovevano tutti possedere un competente re- 
gistro: essere di conosciuta probità e buon giudizio, zelanti del 
pubblico bene, non minori di anni 23, non aventi contabilità o 
lite col comune, o verso gli spedali e le congregazioni di carità 
locali, ecc. ». Ne veniva quindi che il capo, il quale doveva pre- 
siedere a quelle congreghe, essendo scelto fra persone fornite 
di quei requisiti, non poteva di meno, di regola generale, che 
presentare quella garanzia morale e materiale, delle quali con 
tutto l'apparato delle assicurazioni delle leggi odierne, fanno 
difetto oggi molti di essi, a danno del pubblico ed a disdoro del 
governo stesso, che per ragioni partigiane talora li favorisce. 

‘Ottimo provvedimento era pur quello di chiedere il con- 
corso de’ cosidetti maggiori registranti per illuminare il Con- 
siglio col loro voto interessato, allorchè trattavasi di affari della 
massima rilevanza e spettanti ad imposizione di maggiori gra- 
vezze, che invano ebbero a desiderare nei tempi odierni quanti 
sui loro omeri sostengono la soma principale dei pesi comunali. 

Ma ne bastino queste osservazioni, non dovendo qui fare 
l’apologia di questa legge, nè scendere ad inutili geremiadi. 
Chiunque peraltro sia fornito di una certa dose di buon senso 
pratico, nè vincolato a passioni di parte, non potrà tacciare di 


780 GAUDENZIO CLARETTA 


eccessivi laudatores temporis acti quanti spregiudicatamente vo- 
lessero ammettere, essere alquanto da rimpiangersi che i prin- 
cipii, sui quali poggia la società odierna, più non possano con- 
sentire che si abbiano a far risuscitare non tutti al certo, ma 
anche qualcuno dei provvedimenti, coi quali era regolata l’an- 
tica amministrazione nostra comunale, praticamente più utile 
all’avviamento della cosa pubblica tuttochè parto di un governo 
assoluto. E limitandoci a quanto si riferisce al nostro tema, 
convien sapere, che il capo quarto delle lettere patenti in di- 
scorso provvedeva appunto agli archivi dei comuni ed alla cu- 
stodia delle scritture loro. Esso adunque prescriveva che “ ogni 
città e comunità terrà riposte, ordinate e custodite le proprie 
scritture, non meno che quelle dei tenimenti aggregati nell’ar- 
chivio, già dalle costituzioni generali prescritto tenersi nella 
casa del comune quando vi sia, altrimenti in luogo sicuro, e 
potendosi in una camera a volta e rimota da pericolo di fuoco, 
con avvertenza di riporre le seconde separatamente per Hotenre 
all'uopo avere più facile e pronto ricorso ,. 

Parimente si prescriveva il modo, col quale le carte dove- 
vano essere disposte; come se ne, dovesse fare il catalogo, non 
generico, nella guisa che viene talora compilato dagli inesperti 
o dai fuggi-fatica, ma particolareggiato e razionale; e che una 
copia dovesse esserne trasmessa al segretario civile del Senato. 

Gli archivi comunali dovevano essere custoditi con doppia 
chiave, e l’una differente dall’altra, le quali si sarebbero tenute 
dal segretario o dall’archivista e dal sindaco. Si provvedeva 
anche alle cautele da osservarsi nei casi ne’ quali si dovessero 
comunicare altrui i documenti, il che poteva avvenire per ra- 
gioni di contestazioni, non al certo poi per istudio, ma comunque, 
si provvedeva a non lasciare disperdere quei documenti. In- 
somma l’ingegno dei compilatori di quelle leggi erasi aguzzato 
quanto era possibile per riparare i temuti inconvenienti della 
perdita delle carte, patrimonio dei comuni. Senonchè ancor fra 
noi devesi deplorare che le leggi son, ma chi pon mano ad esse; 
quindi, anche ad onta del buon volere del governo e dei prov- 
vedimenti suoi, non tutti i comuni si dimostrarono solleciti a 
compiere le prescrizioni determinate. E il sunto stesso che del 
contenuto di molte di esse, anche di città notevoli, ci ha dato 
il Bianchi nell’indicato lavoro, denota quanto asseriamo. 


LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 781 


Sequela della legge dei pubblici fu la creazione d’ispezioni 
di visita, non affidate a giunte (che avrebbero, come d’ordinario 
avviene, e si vede giornalmente fra noi, complicato il lavoro, 
protrattone il compimento ad epoca indefinita, e creato un 
dispendio che in quei tempi si aveva scrupolo di evitare), ma 
ad ufficiali capaci, di buon volere e coscienziosi, neanco allet- 
tati dagli elogi di una stampa, manifestazione dell’opinione pub- 
blica che non esisteva, paghi di compiere nel silenzio al loro 
dovere. E prova di questo ce la fornisce appunto l’inedita re- 
lazione dell’intendente di Susa Alessandro Rossi, che verrà così 
resa di pubblica ragione, se non integralmente affatto, salve 
alcune eccezioni, nella parte più specialmente concernente gli 
archivi comunali. 

La relazione non limitata alle notizie sui soli archivi co- 
munati è ricca di ragguagli relativi alla statistica, e poteva 
avere allora considerevole utilità. E sarebbe ad augurarsi che, 
senza ciaramellare cotanto qua e là, vi fossero oggi uffiziali 
simili all’intendente di Susa del 1777, volenterosi e capaci, ed 
usando la parsimonia in tutto, com’egli fece, ma certo maggior 
correttezza nello scrivere (sola parte in cui non deve essere 
imitato), proseguissero pure l’opera sua, che non sarebbe men 
necessaria di quel che essa era stata cento e vent'anni or sono. 

Il lieve còmpito che mi sono proposto, sarebbe già raggiunto, 
ma prima di tòr congedo dai benigni lettori non potrà essere 
tenuto inopportuno l’osservare fatti che devono ritenersi una 
vera anomalia, considerando i tempi in cui avvennero, e sotto 
l’impero dei principii in essi professati, nè molto remoti da quelli 
di cui ci siamo or intrattenuti. 

Se adunque ai tempi del dominio assoluto dei reali di Sa- 
voia, per quanto, come dicemmo, non guari propensi a favorire 
gli studii storici e le lettere, da Vittorio Amedeo II in qua, gli 
archivi, sia di Stato che dei comuni, furono serbati incolumi, e 
sla pure in parte, in considerazione della gelosa avversione 
che si aveva di aprirli agli studiosi, ma anco, grazie alla 
coscienziosa sorveglianza di coloro, alla cui custodia erano 
preposti, non così avvenne in tempi retti con altre idee. E par 
proprio strano, che, come gli archivi di stato ebbero a soffrire 
il maggior detrimento all’aurora dei tempi che si vantavano 
propensi ai principii liberali, cioè all’apparire della rivoluzione 


782 GAUDENZIO CLARETTA 


francese (1); così anche quei dei comuni abbiano dovuto su per 
giù ricevere non poche jatture ed essere tenuti nella massima 


(1) Quantunque, e nell’opera del BrancHI, Storia della Monarchia piemon- 
tese, III, pag. 134, e qua e là in altri libri si trovi qualche cenno dell’inva- 
sione popolare negli archivi di Corte avvenuta la sera del 15 dicembre 
1798, nondimeno non sarà inutile qualche maggiore schiarimento ed aggiunta 
che servirà anco a ricordare nomi di ufficiali di quell’archivio che meritano 
un elogio per la prontezza con cui seppero eludere la turba famelica che 
pretendeva l’immediata distruzione degli infami titoli aristocratici. 

In una relazione manoscritta di quei fatti, avuta anni sono alle mani, 
si legge che la Segreteria di Stato per gli interni il 17 dicembre dell’anno 
citato aveva trasmesso ordine al presidente capo degli archivi che era il 
letterato conte Gian Francesco Galleani Napione, di separare prontamente 
le carte risguardanti la nobiltà, cioè diplomi, stemmi, infeudazioni, inve- 
stiture, patenti di nobiltà e rimetterle infra il termine perentorio di 24 
ore al Comitato di sicurezza pubblica per abbruciarle senza riguardo ai 
piedi dell’albero di libertà. Ma per fortuna che il collegio degli archivisti 
sentendo pietà per un parto, direi così, delle proprie viscere, seppe elu- 
dere l’insana richiesta col mezzo di questo spediente...: lasciare a parte 
e ritenere li suddetti già separati documenti e surrogarvi in cambio molte 
altre scritture state sempre considerate di poca o nessuna conseguenza, 
anzi inutili, per essere le medesime minute di lettere oppure consegne di 
bocche umane e di granaglie, fattesi dal 1500 al 1600 nel ducato di Monfer- 
rato, cosicchè di questa qualità di scritture insieme ad alcune carte di affi- 
gliazioni agli ordini religiosi e di stemmi gentilizi spiegati e varie altre 
scritture in pergamena risguardanti solamente interessi fra particolari e 


per conseguenza non risguardanti il regio servizio se ne sono riempiute 


casse numero 25 le quali essendosi fra il prescritto termine di 24 ore tras- 
messe al Comitato di sicurezza pubblica sono state quindi nel 21 gennaio 
1799 abbruciate ai piedi dell’albero della libertà... ,. 

I nomi degli archivisti di quei giorni, degni di essere rammentati con 
elogio agli studiosi odierni, sono, oltre al presidente capo come chiamavasi, 
conte Napione, Francesco Masino, archivista regio, Carlo Francesco Franchi, 
sotto archivista, ed avvocato Vincenzo Grella primo segretario. 

Anche nella notte del 22 dicembre (1798) alcuni, creduti sul principio 
democratici, col mezzo di pali di ferro avevano potuto scassinare la porta 
prospiciente lo scalone a levante degli archivi, e rompere alcuni armadii, 
ma lasciati intatti i documenti, per loro innocui, eransi contentati di ap- 
propriarsi arredi di poco valore. Si suppose che gli autori del furto fos- 
sero stati granatieri francesi stanzionati presso la paggeria e l'accademia 
militare. Ma l’avvocato Grella suddetto avendone recata la notizia al go- 
verno provvisorio, questo, colta la palla al balzo, diè ordine che per mag- 
giore sicurezza si dovessero presentare tutti i documenti muniti o di sigillo 
d’oro o di custodia d’argento o di argento dorato. Il presidente degli ar- 


LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 783 


noncuranza sotto i governi che si vantano di professare idee 
più larghe. Ben è noto, come e nelle città e nei nostri comuni 


chivi credette di non potervisi rifiutare; e non senza rammarico, nella 
susseguente sera i suddetti archivisti Franchi e Grella consegnarono al 
Governo provvisorio cento e tre documenti muniti di suggelli d'oro e di 
argento, e che contenevano diplomi imperiali, bolle pontificie, ratificanze 
di trattati con potenze estere, contratti di matrimoni, ecc. Il governo prov- 
visorio dopo avere alleggerito quei documenti del loro peso inutile, cioè 
dei suggelli, restituilli, in numero però solamente di ottantadue, il 16 gen- 
naio; e i ventun documenti ritenuti consegnò al rogo presso l’albero della 
libertà in piazza castello a breve distanza della sede di quei poveri docu- 
menti rapiti, annuenti coloro che paventavano le ire civium prava iubentium. 

Il governo provvisorio era composto, per chi nol sapesse, dei seguenti: 
barone Francesco Favrat, Felice Clemente Fasella di Giaveno intendente 
generale delle gabelle, Gian Battista Bertolotti senatore, Giuseppe Fava 
intendente dell’ufficio del Controllo, Pier Gaetano Galli della Loggia (l’au- 
tore monarchico delle Cariche del Piemonte) reggente la Camera dei conti, 
Francesco Braida avvocato dei poveri, Stefano Giovanni Rocci segretario 
degli interni, Vincenzo Bottone di Castellamonte giureconsulto, Giuseppe 
Cavalli già magistrato, Innocenzo Baudisson, Agostino Bono professori al- 
l’Università, il primo di istituzioni canoniche, il secondo di diritto canonico, 
Giuseppe Sartoris chimico, Luigi Colla avvocato, Carlo Bossi conte di 
S. Agata, ambasciatore. A costoro che non avevano contentato molto i 
patrioti nelle loro aspirazioni erano stati poc'anzi dal generale Joubert 
aggiunti, Gian Battista Balbis medico, Pietro Avogadro di Valdengo, Carlo 
Botta, Guglielmo Cerise, Alessio Antonio Simian, Filippo Benedetto Bunico 
giureconsulti, Antoni Bellini grecista, Pietro Geymet valdese, moderatore 
delle Valli, Secondo Enrico Chiabrera, sostituito avvocato fiscale generale 
e Domenico Capriata, intendente generale di guerra. Sono nomi che con- 
viene rinfrescare quando ne viene l’opportunità, poichè ogni età può pre- 
sentare casi consimili; erano dunque nove nobili, tre medici, tre sacerdoti, 
un valdese, quattro rivestiti di uffizi sotto il governo regio, diciassette av- 
vocati, numero esorbitante. 

Ma non basta: per depredare l'archivio, ai Piemontesi si univano i Fran- 
cesi : il controllore delle entrate e delle spese della così detta commissione 
civile in Piemonte Pampaloni, il 80 dicembre antecedente, chiamato a sè 
l’archivista Franchi rimettevagli ordine del direttorio esecutivo di conse- 
gnargli subito il manoscritto originale del noto napoletano Pirro Ligorio, 
consistente in trenta volumi che trattano materia d’archeologia ed adorni 
di molti disegni; e che avevano costato a Carlo Emanuele I una somma 
che corrisponderebbe oggi ad un 393.660 lire. — Vedi Vayra, IZ Museo sto- 
rico della Casa di Savoia nelle curiosità e ricerche di storia subalpina, passim. 
— Questa collezione, che fa onore alla Casa di Savoia, la quale in mezzo 
ad angustie di ogni specie fu abbastanza larga protettrice delle scienze e 


784 GAUDENZIO CLARETTA 


in quei primi giorni del mutato governo molti, per fini d’in- 
teresse tutto particolare e talora per soddisfare soltanto a mera 


delle arti, fatta rispettare dalla reggente Cristina di Francia, che aveva 
saputo eludere le avide mire di averla, nientemeno che del Richelieu, e 
fu negata con belle scuse alla famosa regina Cristina di Svezia, questa col- 
lezione, per la cui conservazione i nostri principi avevano persino chiesto le 
bolle papali di scomunica contro coloro che avessero voluto toglierla dall'ar- 
chivio (a), dovette essere invece consegnata ai Francesi che comandavano in 
quel momento a casa nostra. Peraltro, sebbene l’archivio fosse stato precet- 
tato di consegnare quell’Opera pel giorno seguente dopo il mezzogiorno al 
Commissario civile Eymar, nondimeno il presidente Bertolotti volle prima 
comunicare ogni cosa al governo provvisorio. Senonchè questo con lettera 
firmata dal presidente Bottone e dal segretario generale Gambini ordinò 
agli ufficiali dell'Archivio di rimettere senz'altro il Pirro Ligorio al con- 
trollore Pampaloni. E così il quattro gennaio l’archivista Franchi lo con- 
segnava al commissario Eymar. È quasi ciò non fosse sufficiente ancora, 
l’inesorabile Eymar il ventisette gennaio chiedeva pure il manoscritto 
del Gioffredo contenente la storia delle Alpi marittime, la corografia di 
quelle alpi, compilata dallo stesso, e un codice del Lattanzio già spettante 
all'abbazia di Bobbio. 

Devesi peraltro avvertire che il governo provvisorio il 15 febbraio faceva 
rimettere all'Archivio quarantanove volumi di cerimoniali della Corte, parte 
originali e parte copie, compresa la chiave del feretro contenente le ceneri 
del maresciallo Di Villars, dal 1784 giacente nei sotterranei della cattedrale! 
Che se trascorsa quell’infausta bufera, i manoscritti del Pirro Ligorio e del 
Gioffredo ripigliavano la primitiva sede, non era ancora quasi insediato grazie 
all’armi russe l’antico governo, che già il noto conte Cerruti, reggente la 
segreteria di Stato per gli interni gongolava di gioia, nell’autorizzare da 
parte del marchese Thaon di S' Andrea luogotenente generale regio, il pre- 
sidente capo degli archivi a far rimettere la collezione dei cerimoniali al 
corte Salmatoris, mastro in secondo delle cerimonie, che abbiam detto 
testè rimessa all'Archivio di Corte dal governo provvisorio. 

La stessa premura si ebbe di riconsegnare al padre Vincenzo Maria Carras 
vicario del Sant'Ufficio a Torino tutto l’incartamento relativo all’inquisi- 
zione, che era stato depositato la notte del quattro febbraio 1799 all’An 
chivio e messo alla rinfusa in varie sacca; e che fra le altre carte conte- 
neva i processi dell’Inquisizione di Torino dal 1300 al 1799 e tutto il 
carteggio con Roma e cogli altri inquisitori del Piemonte. Ma lascio altre 


(a) Ad onta di questo, Teodoro Mommsen potè esaminarne 18 volumi a 
Berlino ove li tenne non poco tempo presso di sè. Varra, p. 110, v. IV, 
Curiosità ecc. 


teatri 


LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 785 


curiosità, ebbero mezzo di appropriarsi molti dei documenti -ivi 
conservati; e si fu da quell’epoca che da molti archivi comu- 
nali furono sottratti non pochi volumi degli ordinati delle am- 
ministrazioni municipali, che non più furono restituiti, e levati 
cimelii d’arte in qualche codice miniato posseduto, trovandosene 
ancor vestigia nelle iniziali che contenevano ornamenti, e peggio 
poi se la figura rappresentava stemmi gentilizi. 

Ma senza ricorrere ai tempi della libertà regalata ai nostri 
avoli dai Francesi, e senza voler rivelare molti e molti aned- 
doti abbastanza curiosi di anni non troppo remoti, ben inteso 
anche senza voler uscire dalla cerchia degli archivi comunali, non 
sappiamo noi forse che archivi di comuni, e persino di città, si 
trovano a questi giorni in uno stato disordinatissimo, servendo 
in alcuni la camera, ove stanno accatastati i documenti dei se- 
coli passati, di deposito di legna, ove accedono i famigli di qual- 
cuno degli ufficiali del comune per il servizio giornaliero, con 
pericolo continuo d'incendio; che in altri (se pur di ‘archivi 
possono aver nome i ripostigli ove si trovano accumulati i do- 
cumenti) i telai delle finestre sono senza vetri per dar libero 
passaggio a lodole, pipistrelli, ecc., a nidificare pacificamente fra 
le cartelle logore dei documenti, ed affinchè l’intemperie possa 
meglio compiere l’opera distruggitrice, che nessuno si cura d’im- 
pedire? In un archivio comunale, che possiede una collezione 
di pergamene dei secoli XIV e XV, già spettanza dei suoi an- 
tichi feudatari estinti, queste furono riposte in casse e confinate 
nella stanza del messo comunale a disposizione di sua famiglia. 

E che cosa dire di archivi, ne’ quali un giorno si alleva- 
vano allegramente i filugelli; e da quanto è palese di alcuni 
di essi, qual giudizio si potrà fare di quel che è ignorato? E se 
non. bastasse ancora: qual fatto più eloquente a conferma di 
questo lusinghiero quadro, di quello che fu strombazzato su 
pei giornali di ogni colore, ed in quella stessa Roma, dove due 


particolarità, perchè il darle ci farebbe uscir dal confine entro cui deve 
trattenersi questo scrittarello. 

Questi fatti avvennero all'Archivio di Corte che aveva sede ove oggi l’ha 
l'Archivio di Stato. Ma anche all'Archivio detto della Camera dei Conti, e 
che conteneva, come oggi, la serie delle investiture feudali, i conti della 
Casa reale e dello Stato, ecc. i demagogi fecero la loro apparizione. 


786 GAUDENZIO CLARETTA 


mesi prima solamente erasi rotta più di una lancia per tute- 
lare i documenti degli archivi dei comuni! 

Coloro adunque che hanno interesse per queste cose, non 
si dimenticheranno di aver letto che nel novembre scorso ad una 
parte dell’archivio comunale di Roma era capitata una triste 
sorte... “ Un cumulo di carte che rappresentano la storia di 
Roma e del suo stato per un periodo di otto o nove secoli, è 
stato messo entro grandi cassoni: cacciato nelle cantine sotto- 
stanti all'archivio notarile di via del Campidoglio... Un forte 
acquazzone fu la causa felice di por riparo a quello sconcio, 
poichè chi sovrintende a quell’archivio, recatosi a visitare quel 
deposito di carte e ritrovate le casse che le contenevano at- 
torniate da 25 centimetri d’acqua, diè le disposizioni opportune, 
perchè fossero di là rimosse ,,. 

Non evochiamo per carità lo spirito del Gregorovius, che 
attorno a quegli archivi aveva cotanto faticato, e quelle carte 
cosperso de’ nobili suoi sudori! 

E con questi aneddoti pongo termine a questa breve mo- 
nografia, la quale se non avrà altro resultamento all’infuori di 
quello di aver segnalate e deplorate cose poco lodevoli, anche 
senza la menoma speranza di vederle a cessare, servirà almeno 
ad aggiungere su questa parte una pagina di elogio al governo 
del Re di Sardegna Vittorio Amedeo III, facendo dimenticare 
un momento errori che possono venirgli ascritti relativamente 
a parecchi altri fatti del travaglioso e non lungo suo regno, 
povero di vita pubblica e privo di quelle felici ispirazioni che 
sarebbero state necessarie in quei tempi procellosi. 


LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 787 


Relazione di quanto si è osservato nelle terre della Pro- 
vincia di Susa, dove si è dato il causato sovra il 
luogo in ordine al prodotto dei terreni, censuario, 
diritti di vassalli e parrochi, o pedagio, con alcune 
provvidenze particolari, date in tale occasione (1). 


Archivio di Stato — Provincia di Susa — Mazzo IL. 


Almese. — Essendosi osservato che l’archivio, tuttochè for- 
mato non è gran tempo ed assai proprio per la conservazione 
delle scritture, manca però del necessario inventario, essendo 
tutte le scritture in confuso, se ne è ordinata la formazione 
sotto le cautele da prescriversi sulla presentazione che seguirà 
dell'atto consolare, con essersi anche ordinate delle indispensa- 
bili riparazioni attorno la camera delle congreghe, il di cui so- 
laro è interamente marcio..... 

Avigliana. — Questa comunità trovandosi sprovvista di casa 
per le congreghe, dimodochè era in obbligo di congregarsi a 
casa del signor segretaro! e così pure di tenere l’archivio colla 
guardarobba in una stanza o sia bottega al pian terreno, dove 
l’umido guasta non solo la detta guardarobba, ma anche le 
scritture! si è ora provveduta di una casa di comunità, che ha 
acquistata mediante la somma di L. 1500, in attiguità all’altra 
che inserve per la scuola e che già era propria della medesima 
comunità, con quale acquisto non solo resta in caso di avere 
una stanza comoda per le congreghe ed altra attigua con volto 
per l'archivio al primo piano, ma viene anche in caso di tirar 
partito dall’affittamento di tre botteghe al pian terreno esistenti 
sulla piazza, cosichè verrà a percevere l’interesse del suo de- 
naro oltre ai membri che abbisognano per l’uso della comunità... 

Buttigliera. — Questa comunità essendo sprovvista d’archivio 
colle guardarobe e scritture mal in ordine e senza inventario, 
vi si è opportunamente provveduto, onde abilitarla con ben poca 


(1) Pel limite dello spazio, in alcuni Comuni si intralasciano alcune 
delle descrizioni fatte dall’autore del documento. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 54 


788 GAUDENZIO CLARETTA n 


spesa a riaddatare la casa comunitativa e procedere alla for- 


mazione dell’inventario. 

Bruino. — Questa comunità ha il suo archivio in disordine 
mancante d’inventaro, ed in cattivo stato si è pure la camera 
che inserve alle congreghe, all’archivio ed alle scuole, epperò 
si è ordinato la formazione dell’inventaro ed il raccomodo della 
guardaroba, sintantochè la comunità possa abilitarsi di una ca- 
mera a vuolto per l’archivio..... 

Coazze. — Questa comunità aveva un corpo di fabbrica stato 
formato per suo uso e per la scuola. Ma essendosi lasciato im- 
perfetto, in una parte diveniva il ricovero delle immondizie, 
essendo intanto priva d’archivio, onde si è indilatamente prov- 
veduto per l’espurgazione e compimento nell’interno di essa fab- 
brica per ridurla come ora si trova in buono stato con poca 
spesa. Si è mandato rettificarsi l'inventario vecchio ed imper- 
fetto, che si trovava, col raggiustamento e divisione delle guar- 
darobbe colle sue caselle (1), e col raggiustamento di detta casa 
si è anche venuto a risparmiare l’annuo fitto di L. 12, che si 
pagava per l’abitazione del serviente. Essendosi anni sono fatta 
dalla comunità costrurre una nuova casa per comodo del signor 
prevosto, si è osservato che la casa vecchia, che si trova tra- 
mediante la strada, resta ora affatto inutile e rovinosa con ag- 
gravio della comunità per la spesa, quando si volesse la me- 
desima riparare, onde si è mandato procurarsene la vendita 0 
tirarsene quell’altro profitto che sarà possibile in altra guisa. 

Questo territorio nulla fornisce di vino, bensì quantità di 


fieno, quasi nulla di grano, e molta segala, avena, castagne e. 


barbariato, e non si coltivano moroni. 
Il commercio consiste in carbone e frutta, che si conduce 
settimanalmente alla città di Torino singolarmente nell’inverno. 
Vi è un battitore da canapa proprio del signor conte Trotti, 
e si contano fino a ducento cinquanta li telari per la fabbrica 
delle tele ordinarie tessute di filo di rista (2), che si vendono 


(1) Nell'opera del Brancni, Le carte degli Archivi Piemontesi, p. 208 si 
legge non essersi mai fatto il catalogo, ed essere i documenti in massima 
parte rosì dai topi. 

(2) Ciocchetta di canapa. 


O I E O PRO 97 


LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 789 


settimanalmente sul mercato di Giaveno, calcolandosene il nu- 
mero a cinquanta pezze per ogni mercato in tempo d’inverno, 
e quando li terrieri non sono distratti dai lavori della campagna. 

La giurisdizione di questo luogo spetta per sei punti al 
signor conte e comm. D. Vittorio Amedeo Trotti e degli altri 
due punti ne spetta uno all’abbazia di S. Michele della Chiusa 
e l’altro al signor vassallo Feyditi, corrispondendosi dalla co- 
munità a favore del primo lire settecento sessanta per le de- 
cime così convenute, avuto però riguardo al maggiore o minore 
valore delle vettovaglie in ogni anno. All’abbazia di S. Michele 
lire centosei annue per la quarta parte del reddito dei molini, 
ed al signor vassallo Feyditi di lire due annue per la decima 
di un capretto....... 

Giaveno. — Questa comurità ha la sua casa ed archivio 
in buon ordine, non mancandovi altro che la formazione dell’in- 
ventario, a cui si sta attualmente travagliando dal figlio del 
signor segretaro sulle direzioni e cautelle che si sono stabilite 
all’occasione del causato (1). E siccome si sta avanzando la mi- 
sura generale del territorio che si spera riuscirà assai bene, si 
è mandato che all’occasione seguirà la misura dei siti comuni, 
si abbia l’occhio ad osservare se convenga variare i loti (2) per 
il nuovo affittamento da farseli in luglio dell’anno venturo e 
si sono date le altre provvidenze interinali per accertamento 
del registro sino compita la misura. 

Si è mandato unirsi l’imposizione disgiunta dai servienti 
e campari, e devenirsi con essi a capitolazione con le due qua- 
lità unita e con obbligo di presentare ogni trimestre al consi- 
glio la nota delle accuse, acciò si possa poi presentare a que- 
st uffizio all’occasione dei causati e si sono date moltissime altre 
provvidenze relative al disposto del regolamento che sarebbe 
troppo lungo l’enumerarle, in sostanza però si è una delle co- 
munità della provincia, la di cui amministrazione si possa più 
lodare (3). 


(1) Nell'opera del BrancHIi Le carte degli Archivi Piemontesi, pag. 119, è 
invece detto che manca l'inventario generale. 

(2) Porzione di terreno, dal francese /ot. 

(3) Cfr. la mia Cronistoria del Municipio di Giaveno, ecc., passim. 


790 GAUDENZIO CLARETTA 


La raccolta principale consiste in fieno, castagne e frutta, 
essendo assai mediocre quella del fromento, barbariato e segala, 
e molto più della meliga, contandosi a nulla i marzaschi (1). 
E sebbene si facciano circa mille rubi di cocchetti (2), la foglia 
però si leva per la maggior parte dai vicini luoghi di Avigliana, 
S. Ambrogio, Buttigliera, Sangano, Bruino, Orbassano e Piossasco, 
essendo troppo ristretto il piano del territorio e freddo per le 
montagne che lo circondano. 

Il principale commercio si fa colla città di Torino, e con- 
siste in ferro, corami, carbone e tele; vi sono nove affaitarie (3) 
per l’acconcia dei corami, dieci martinetti o sia fucine, nelle quali 
si fonde il ferro che si porta da Torino in ghisa e rottame e 
si riduce in lastre di ferro purgato per uso delle ruote dei 
carri, barre e bacchette per ringhiere di ferro, ferrate, chiavi 
da fabbrica ed in utili di campagna ed utensili di cucina. Vi 
sono poi anche altre manifatture di scarpe, tele e bindelli (4), 
opere da falegname e da serragliere, fornaci per mattoni, coppi e 
vasi di creta, fabriche di capelli! e simili, non però di partico- 
lare riguardo. 

Corami se ne acconciano da 25 in 28 mila, che a L. 6,5 il 
rubo fanno rilevare la negoziazione di questo genere a L. 155/m., 
e per tale acconciamento si richiedono per l’ordinario rubi due 
milla di rusca (5) per ogni mille rubi di corami, del valore detta 
rusca di lire quaranta ogni cento rubi, cosichè: supposti rubi 
25/m di pelli di corami da acconciarsi, si richieggono rubi 50 
mila di rusca, e così alle L. 155/m devono aggiungersi altre 
L. 20/m per essa e la spesa di L. 5, per cadun cento rubi di 
battitura, ossia riduzione in polvere di detta rusca, che si fila 
in quattordici edificii a ciò destinati, e detta rusca ossia scorza 
di rovere proviene la maggior parte da Piossasco, Sangano, 


(1) Marzatico, marzaiuolo chiamansi presso di noi le civaie o i legumi 
che si sogliono seminare generalmente in marzo, e non come dice il S. Ar- 
sino nel suo Dizionario Piemontese-Italiano, qualunque grano che si semina 
o che nasce in marzo. 

(2) Bozzoli. 

(3) Conce delle pelli. 

(4) Nastri. 

(5) Corteccia di quercia o cerro, macinata ad uso della concia. 


Pe A 


lin 


LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 791 


Bruino, Trana, Avigliana, Valgioie e dai boschi del territorio di 
Giaveno. 

Nelle dieci fucine da ferro si lavorano, fatta una comune, 
rubi 160/m ferro in ghisa, che si compra in L. 1,10 per rubo 
dai mercanti di Torino e porta nel corso dell’anno la negozia- 
zione di L. 240/m oltre L. 60/m per compra carbone di castagno 
che si consuma in dette fucine e che si provvede parte sul 
luogo medesimo, e parte da Cumiana, Avigliana, Trana, Valgioie 
e S. Ambrogio, Chiusa, Vayes e S. Antonino. 

Vi sono altresì otto edificii o sieno piste da canapa, sia 
per quella che si consuma e lavora nel luogo, che negli altri 
di Coazze, Valgioie, Trana e parte di Cumiana. Per la pista della 
canapa si paga soldi quattro il rubo, cosichè appena sia li pro- 
prietari di questi edifizi, come anche quelli della macina della 
rusca per le affaiterie ricavano li loro giornali. 

Tuttochè non si raccolga canapa su questo territorio, sul 
mercato però si fa uno smercio di sei in sette mila rubi di detto 
genere infra l’anno tra li negozianti del luogo e quattro o cinque 
di Carignano, che settimanalmente da colà, da Carmagnola e da 
altre terre del Piemonte la conducono su questo mercato, e la 
negoziazione in questo genere rileva alla somma di L. 25 in 30/m. 
Ben vero però che non si smaltisce più del terzo ai locali, ed 
il sovrapiù ai particolari delle vicine terre, la maggior parte 
però a quelli di Coazze. 

La canapa ridotta in tela si vende nuovamente sul mer- 
cato di questo luogo ai negozianti di tal genere, dedotta quella 
quantità che può essere necessaria per i particolari del luogo 
ed altri delle vicine terre. Il numero delle spese che se ne ven- 
dono rileva a otto mila circa infra l’anno e si fabrica la mag- 
gior parte e fila in Coazze, dove specialmente d’inverno anche 
dagli uomini si fila e fabbrica detta tela, non essendovi nel ter- 
ritorio di Giaveno che cento circa telari, li quali non travagliano 
continuamente, ed alcuni solo per proprio uso, e questo com- 
mercio di tele può rilevare a L. 30/m circa. 

Vi sono anche otto filature tra tutte di cento sessanta- 
cinque forneletti giranti, tenute in affitto da alcuni negozianti 
di Torino, e si calcola la negoziazione ragguagliata a cinquanta 
doppie per ogni fornelletto a L. 130/m, provvedendosi però li 
cochetti da Cumiana, Piossasco, Piscina, Airasca, Scalenghe, 
Vigone ed altre terre della provincia di Torino e Pinerolo. 


792 GAUDENZIO CLARETTA 


Vi sono anche tre negozianti in granaglie nel luogo che 
comprano e vendono settimanalmente, e si calcola il loro com- 
mercio a sacchi 400 circa caduno tra grano, segala, meliga, e 
ciò oltre le granaglie che si conducono sul mercato dalle terre 
della provincia di Pinerolo e Torino dai cavallanti. 

Venticinque sono i negozianti in carbone, la cui negozia- 
zione può rilevare tra tutti a L. 30/m. Questi lo cumulano ed 
accomprano d’estate dai particolari del luogo e da quelli di 
Perosa, Cumiana, Trana, Coazze ed Avigliana, e settimanalmente 
poi ne conducono a Torino, giacchè poco o nulla di questa 
qualità se ne consuma nel luogo. 

Li negozianti in calce sono sei e ne smaltiscono in comune 
rubi 50/m, che tirano per lo più da Valgioie e dai confini di 
Avigliana, calcolandosi questa negoziazione unita a quella dei 
mattoni e coppi a L. 15/m, che si vende detta calce e materiali 
nella vicina terra della provincia di Pinerolo. 

La negoziazione in bestie bovine, che si comprano sulle 
fiere di Susa, Bussoleno ed Avigliana, rileva a L. 15/m e si 
rivendono per lo più a credito ai particolari di Coazze, Volvera, 
Scalenghe, Piscina ed altre..... 

Vi sono in questo luogo due mercati in ogni settimana, 
uno il martedì e l’altro il sabato, essendo però questo di mag- 
gior concorso; vi sono inoltre due fiere, una li vent’otto aprile 
e l’altra li 30 settembre. Questo luogo è feudo dell'abbazia di 
S. Michele della Chiusa, che oltre al diritto di nomina degli 
uffiziali di giustizia ha quattro ruote da molino giranti, spet- 
tando la quinta al Capitolo, ma non ha la ragione di annualità. 

Vi è uno spedale, in cui si mantengono venticinque poveri 
orfani, figli e figlie, col reddito di lire mille ducento, dedotti i 
pesi. Le figlie si applicano a filare, ed i figlioli ad imparare le 
arti. Vi sono inoltre due lascite, una del reddito di L. 92, soldi 
2, danari 8, l’altra di L. 100, che si convertono nel pagamento 
di doti a povere figlie a misura del fondo..... 

Reano. — L'archivio di questa comunità e sala è in pes- 
simo stato e pare propriamente una crotta, tenendosi le scritture 
in un armario nella cucina ed a canto del fornello (1) della cucina 


(1) Qui voleva alludere al camino, così chiamato in vernacolo, anzichè 
al fornello. 


LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 793 


del maestro senz’alcun inventario! Epperò si è ordinata la ripa- 
razione ed alzamento del sternito (1) della camera delle congreghe, 
riforma delle finestre e provvista di una guardaroba da collo- 
carsi con successiva formazione dell’inventaro onde riparare me- 
glio senza grave spesa al pericolo in cui sono le scritture ed 
al disordine delle cose. 

La chiesa parrocchiale pare poco meno che una stalla! e 
minaccia rovina da tutte le parti e se il signor prevosto fosse 
stato meno restio a secondare le intenzioni di S. E. il signor 
Principe della Cisterna (2) feudatario di detto luogo, si sarebbe 
potuto avere dalla comunità un considerevole sollievo nelle spese 
che si va rendendo indispensabile, dacchè era detto signor Prin- 
cipe disposto di accordare un sito in vicinanza dell’abitato, in- 
vece che ora si trova la chiesa molto discosta e di concorrere 
nella somministranza de’ materiali, ma il signor Parroco ama di 
starsene in libertà più lontano, e così rimane il progetto arenato. 

Rivera. — L'archivio di comunità è in un colombaro! dove 
si ascende per una scala di bosco (3) da una brutta camera sita 
al pian terreno, dove si lascia per cucina ad un misuratore che 
si è colà stabilito! E siccome ha per altra parte la stessa co- 
munità una casa piuttosto civile che tutta si occupa per la scuola 
e per l'abitazione del maestro, si è pensato che quivi più sicu- 
ramente e convenientemente si potesse stabilire detto archivio 
e destinare la camera delle congreghe con ridurre il pian ter- 
reno di detta casa che ora serve a niun uso che per magaz- 
zeno da boscami, adattata a tenervi la scuola; come si è ordi- 
nato di far eseguire per poscia a suo tempo far trasportare nel 
luogo destinato l'archivio attiguo alla nuova camera delle con- 
greghe con poca spesa. 

Rosta. — Il catasto de’libri di mutazioni et altri di questa 


(1) Pavimento. 

(2) Giuseppe Alfonso Dalpozzo, principe della Cisterna, ece., marito 1° 
di Beatrice Barbiano di Belgioioso, 2° di Teodora Carlotta Bertone-Balbis di 
Sambuy; ma quel che non potè fare quel principe, lo compiè largamente 
il principe Carlo Emanuele suo figlio, padre della rimpianta duchessa 
d'Aosta Maria Vittoria, il quale innalzò senz’altro una nuova chiesa di stile 
normanno. 

(3) Legno. 


794 GAUDENZIO CLARETTA 


comunità si ritenevano presso il segretario di questa comunità 
in Rivoli, onde si è opportunamente provvisto e fatto riporre 
ogni cosa nell’archivio o sia in un piccol camerino a vòlta, at- 
tiguo alla camera delle congreghe, con essersi provvisto per 
riparare la finestra e porta; si è ordinata la formazione di una 
guardaroba e successivamente quella dell’inventario. 

Rubiana. — La casa di comunità che inserve alle congreghe 
è molto umida per causa d’un terrapieno che si trova al di dietro, 
sì è ciò nonostante formato un camerino a volto assai compe- 
tente per la custodia delle scritture, ma resta necessaria la ri- 
forma e prosecuzione del vecchio inventario come si è ordinato (1). 

S. Ambrogio. — L’archivio trovandosi per l’addietro in una 
camera al disotto del campanile assai oscura (dunque in una 
cantina o sotterraneo!), il signor segretario era costretto di te- 
nere le scritture disperse e parte anche in sua casa, non avendo 
il comodo di poterle mettere in ordine ed applicare in un luogo 
fisso ai lavori di comunità; e dice aver fatto riadattare due 
camere e assegnatane una a volta ben sicura per l’archivio. 

Sangano. — Nella casa di comunità lateralmente alla ca- 
mera che inserve alle scuole ed alle congreghe vi sono le mu- 
raglie rustiche di una camera che potrebbe servire per formarsi 
l'archivio, il quale siccome si trova senza inventario in una cat- 
tivissima guardaroba, si è disposto per farlo seguire onde cau- 
telare la custodia delle scritture, sulla notizia avuta che dopo 
seguita la misura del territorio anni sono, non fosse stata pub- 
blicata la mappa, e che molti particolari si lamentassero di errori 
corsi, si è mandato verificarsi e supplire ad un così necessario 
incombente. 

Trana (2). — L'archivio di comunità consiste in una camera 
al disotto delle stanze del maestro di scuola collo sternito molto 
umido ed inserve anco alle congreghe; epperò si sono date le 
necessarie provvidenze per rendere la camera più ariosa e sa- 
lubre ed atta alla conservazione delle scritture, delle quali si è 
ordinata la formazione dell'inventario. 


(1) Mi venne assicurato possedere questo Comune una quantità di do- 
cumenti del basso Medioevo, de’ quali parecchi in pergamena. 
(2) Il BrancHI, op. cit., pag. 216, dice non averne avuto notizia alcuna. 


LO STATU DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 795 


Valgioie (1). — L'archivio di questa comunità consiste in 
un’angusta vecchia guardaroba posta nella camera del maestro 
di scuola, senza che vi sia alcun inventaro, ed il signor segre- 
tario di comunità riteneva presso di sè in Giaveno il catasto, 
libri di mutazioni e le altre carte, delle quali gli occorre di 
far uso, epperò si è provvisto, affinchè tutte le suddette scrit- 
ture e libri si restituissero all’archivio, come prescrive il rego- 
lamento, con essersi ad un tal fine provveduto per la costruzione 
d'una più ampia guardaroba e coll’acquisto d’una camera attigua; 
affinchè debba servire per le congreghe e per la custodia delle 
scritture nel miglior modo possibile..... 

. Questo territorio molto alpestre abbonda specialmente di 
fieno e di castagne, facendosi anche un competente raccolto di 
segala ed avena, e pochissimo del resto; anzi quasi nulla di vino 
e cochetti, non essendo il territorio proprio per il piantamento 
dei moroni. L'unico commercio che si fa da questi abitanti, si 
è di calce, che da essi si conduce a vendere nei luoghi di Rivoli, 
Beinasco, Grugliasco, Orbassano, Piossasco, Volvera, Avigliana, 
Almese e S. Ambrogio, e l’altro ramo consiste nel carbone di 
fago (2) e rovere, che si conduce a Torino, e quello di castagno 
alle fucine di Giaveno. i 

La giurisdizione si è del signor abbate di S. Michele della 
Chiusa, da cui si esige la decima del pane e vino divisibile col 
signor parroco d’esso luogo, che fatta una comune rileva per il 
grano ad emine ottanta e per il vino a carre una, essendo anche 
tutto il territorio soggetto verso l’abbazia ai laudemi e terze 
vendite, pei quali si paga lire otto, soldi sei, denari 5 per 100. 

Il parrocho esigge dalla comunità L. 120 per supplemento 
di compera in seguito ad istromento di transazione delli 22 
febbraio 1733 e L. 130 per la manutenzione dell’oglio come por- 
tato da instromento 26 ottobre 1775. Esigge inoltre li soliti 
diritti di sepoltura ragguagliati per li capi di casa a L. 12 e 
per gli altri a L. 10 e per li cadaveri di stola bianca L. 3. 

Fa inoltre la colletta del butiro e tome (3) ed uova all’oc- 


(1) Lo stesso fa qui uguale ripetizione, ib., ib. 
(2) Faggio. 
(3) Cacio fresco, disposto in forma circolare. 


796 @. CLARETTA — LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 


casione che porta l’acqua benedetta e raccoglie i biglietti della 
Pasqua, e così pure la colletta delle castagne per la benedizione 
del tempo e finalmente esigge come sovra la metà della decima 
del pane e vino col peso della manutenzione delle supelletili 
per la chiesa. 

Villar Almese (1). — L’archivio è in stato passabile mediante 
l'apertura della finestra con chiasile (2) che si è ordinata, come 
pure la formazione di una guardaroba, per essere l’attuale fuori 
di uso, e senza inventaro, a che si è pure provvisto convenien- 
temente. 

Villar di Basse. — Questa comunità dopo di aver impiegato 
anni sono riguardevole somma nella costruzione di una casa per 
servire alle congreghe e per l’archivio con volto lasciava tut- 
tora le sue scritture e catastro in un armario sopra di un 
solaro morto (3), che esiste sopra la scuola, e lasciava abitare 
il maestro di essa nella casa costrutta per la comunità ed ar- 
chivio, e quindi immediatamente provvisto per la translazione 
delle scritture e formazione del necessario inventaro nel sito 
per esso destinato, e così pure per la formazione di una guar- 
daroba, con essersi destinata altrove l'abitazione del maestro..... 
Susa li 26 febbraio 1777. 

Rossi. 


(1) Ora Villar Dora, ribattezzato così parecchi anni sono per mero ca- 
priccio, mentre più logica era la sua denominazione originaria, essendo 
quel villaggio intersecato dal torrente Messa, donde tolse il suo nome, lad- 
dove la Dora Riparia scorre a notevole distanza. Il BrancHI, op. cit., p. 217, 
scrisse anche qui non averne notizia alcuna. 

(2) Invetriata. 

(3) Il noto solaio morto così in uso presso i nostri vecchi notari per in- 
dicare l’ultimo palco immediatamente sotto il tetto. 


797 


Relazione sul lavoro del prof. Carlo MEerkeL: 


“ Niccolò Scillacio e le relazioni sul secondo viaggio 


di Cristoforo Colombo in America ,. 


Fra le fonti che possono servire alla storia del quarto 
viaggio colombiano, non era stata finora sufficientemente apprez- 
zata la breve scrittura di Nicolò Scillacio, professore a Pavia, 
la quale porta per titolo “ de insulis nuper inventis ,. Essa 
non era stata accolta negli splendidi volumi della Raccolta Co- 
lombiana. 

A questo opuscolo, di cui si conoscono soltanto pochi esem- 
plari, volse la sua attenzione l’autore della presente Memoria, 
il quale giunse a dimostrare, che esso è d’assai più importante 
di quello che sembri a prima vista. Lo Scillacio, dedicando a 
Lodovico il Moro, duca di Milano, il suo lavoro, cade nel 
grosso errore di supporre che Colombo, dirigendosi verso l’ignoto 
Occidente, abbia fatta la circumnavigazione dell’Africa. Questo 
ed altri errori, che deturpano sia la predetta lettera dedicatoria, 
sia la scrittura medesima, non devono tuttavia farci credere che 
lo Scillacio non abbia fatto altro che accatastare errori sopra 
errori. 

Il Merkel sottopose a minutissimo e diligentissimo esame lo 
scritto dello Scillacio, paragonandolo colle numerose relazioni 
che si hanno intorno al medesimo viaggio Colombiano, e che 
vennero comprese nella Raccolta. Così che il suo scritto, quan- 
tunque rivolto particolarmente allo studio di una fonte sola, 
abbraccia tuttavia tutte le fonti, che ci sono pervenute intorno 
a quel viaggio. 


798 


Egli giunse a queste conseguenze: il fondo del raccolto 
dello Scillacio consiste in una Relazione, di carattere officiale 
od officioso, scritta in America, e di là inviata in Spagna. Era 
scritta in lingua spagnuola, e rappresentava gli avvenimenti 
sotto il punto di vista dal quale essi erano guardati dalla Corte 
di Madrid. In quella Relazione si parlava assai più degli spa- 
gnuoli, che non di Colombo; tuttavia neppure può dirsi che Co- 
lombo vi fosse giudicato sfavorevolmente. 

Alcuni punti della Relazione originaria sono di grande im- 
portanza, e tra essi annoverasi la storia delle spedizioni di esplo- 
razione fatta dallo Hojeda e dal Gorvolan. 

L’autore della Relazione spagnuola non era uomo colto, ma, 
trascurando la parte scientifica, si dilettava sopratutto di aned- 
doti. E qui il Merkel osserva come questo carattere anedottico 
sia quello pure di tutte le relazioni sulle scoperte americane, 
fatta eccezione solamente per i Giornali di bordo del grande Li- 
gure, e per le scritture che da esso più o meno direttamente 
dipendono. Dalla quale considerazione si può trarre un nuovo 
motivo di elogio in favore di Colombo, egli solo essendo stato 
capace, fra i suoi contemporanei, di raccontare ciò che aveva 
veduto, in modo adeguato alla sua importanza. 

Oltre al fondo della sua narrazione, che Scillacio desunse 
da questa Relazione spagnuola, egli forse usufruì ancora di 
qualche comunicazione proveniente da altra fonte. 

Ma lo Scillacio era un umanista, e non poteva acconten- 
tarsi di una relazione, sia pùre immaginosa, ma ispirata a 
concetti affatto alieni dall’antichità classica. Egli quindi volle 
adornare il racconto dell’ignoto viaggiatore spagnuolo, interse- 
cando in esso, qui molte fioriture retoriche, colà alcuni passi di 
Plinio, che potevano accordarsi più o meno colla Relazione, che 
gli stava dinanzi. 


Così l’opera originaria, ricca di molti pregi, ma coi difetti 


provenienti dalla scarsa coltura del suo autore, perdette alquanto 
della sua importanza, per le alterazioni introdottevi dall’uma- 
nista calabro, professore nello studio pavese. Tuttavia, anche 
nello stato attuale, questa Relazione che risorge inaspettata sotto 
a frasi manierate, ha molta importanza, e per alcune partico- 
larità del quarto viaggio Colombiano va collocata adirittura tra 
le fonti di maggiore entità. 


: 


799 


La critica delle fonti della storia Colombiana, a parere dei 
sottoscritti, si avvantaggiò per la approfondita ricerca del Merkel. 
Essi credono quindi che la sua monografia possa venir letta alla 
Classe. 


Torino, 29 aprile 1896. 


G. CLARETTA. 
E. FERRERO. 
CARLO CIPOLLA, relatore. 


L’ Accademico Segretario 


Ermanno FERRERO. 


800 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 


Dal 12 al 26 Aprile 1896. 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; 
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. 


» 


* Anales del Museo Publico de Buenos Aires,... Tomo IV (Ser. 22, t. I). 
Buenos Aires, 1895; 4°. 

* Auales de la Sociedad Cientifica Argentina. Entrega III, t. XLI. Buenos 
Aires, 1896; 8°. 

* Annalen des Physikalischen Central-Observatoriums, herausg. von der 
k. Akad. der Wissenschaften. Jahrgang 1894, Theil I, II. St-Petersburg, 
1895; 4°. 

* Annales des Mines. 9"® série, t. VIII, livr. 12%, t.IX, liv. 1re-2®e, Paris, 
1895-96; 8°. 

* Annuario per l’anno scolastico 1895-96 del Regio Museo Industriale ita- 
liano di Torino. Torino, 1896; 8°. 

Astronomische Arbeiten des k. k. Gradmessungs-Bureaù. VII Bd. L'ngen- 
bestimmungen. Wien, 1895; 4°. 

* Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Anno XLIX, sess. I-II. 
Roma, 1896; 4°. 

* Bulletin de l’Académie Royale des sciences et des lettres de Danemark, 
Copenhague, 1896, n. 2; 8°. 

* Bulletin mensuel de l’Observatoire météorologique de l’Université d'Upsal. 
Vol. XXVII, anno 1895. Upsal, 1895-96; 4°. 

Ballettino della Associazione scientifica ligure di Porto Maurizio: Anno I 
(1895); 8°. 

* Giornale del Genio Civile. Anno XXXIII, fasc. 12; XXXIV, fasc. 1. Roma, 
1895; 8°. 

* Giornale della R. Accademia di medicina. A. LIX, n. 3. Torino, 1896; 8°. 

Memorie della R. Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna; t. II, 
III; 5* Serie, 1890-92; 4°.- 

* Memorie del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Vol. XXV, n. 7. 
Venezia, 1895-96; 4°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 801 


Relazione sull’Amministrazione delle Gabelle per l’ esercizio 1895-96. 
Roma, 1896; 4° (dal Ministero delle Finanze). 

* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXIX, 
fasc. VI-VII. Milano, 1896; 8°. 

* Rendiconti del Circolo matematico di Palermo. Tom. X, fasc. III. 1896; 8°. 

* Rendiconto dell’Accademia di Scienze fisiche e matematiche. Serie 3°, 
vol. II, fase. 3°. Napoli, 1896; 8°. 

Report (Annual) of the Director of the Michigan Mining School, August 
16th., 1895. Houghton, Mich.; 8°. 

* Revue de l’Université de Bruxelles. 1" Année, 1895-1896, n. 1-4; 8°. 

* Sitzungsberichte der physikalisch-medicinischen Gesellschaft zu Wiirzburg, 
n. 7-9, 1895; 8°, 

* Sperimentale (Lo), giornale medico, organo dell’Accademia medico-fisica 
fiorentina. An. XLIX. Firenze, 1895; 8°. 

Società Anonima Canavese per la strada ferrata Torino-Ciriè-Lanzo. As- 
semblea generale ordinaria 1896. Torino, 1896; 8°. 

Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXIX, fasc. III. Modena, 1896; 8°. 

U. S. Department of Agriculture, Division of Ornithology and Mammology. 
Bulletin No 8. Washington, 1896; 8°. 

* Verhandlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Sitzung. N. 1-3, 
1896. Wien, 1896; 8°. 


Caruel (T.). Indice generale dei dieci volumi della Flora Italiana. Firenze, 
1896; 8° (Dall'A.). 

Righi (A.). Sull’influenza della pressione e natura del gas ambiente nella 
dispersione elettrica prodotta dai raggi di Rintgen. Bologna, 1896; 4°(I4.). 

Villari (E.). Di una bussola a torsione a sensibilità variabile e nuove mi- 
sure fatte con la medesima. Bologna, 1895; 4° (Id.). 

— Sui raggi Rontgen, ricerche. Napoli, 1896; 8° (I4.). 

— Intorno ad alcune modificazioni dell’elettrometro a quadrante del Thomson. 
Napoli, 1892; 4° (Id.). 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche 


Dal 19 Aprile al 3 Maggio 1896. 


* Abhandlungen der philologisch.-historischen Classe d. k. Sàchsischen 
Gesellschaft der Wissenschaft. Bd. XVII, n. 2, 8. Leipzig, 1896; 8°. 

* Ateneo Veneto. — Rivista mensile di scienze, lettere ed arti. Serie XX, 
vol. II, fasc. 11-12. Venezia, 1895; 8°. 


802 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Boletin de la Real Academia de la historia; t. XXVIII, cuad. IV. Madrid, 
1896; 8°. 

* Giornale della Società di letture e conversazioni scientifiche di Genova. 
Anno XVIII, fasc. I. Genova, 1896; 8°. 

* Journal of the Asiatie Society of Bengal. Vol. LXIV. Part I, History 
Literature, n. 3. Calcutta, 1895; 8°. 

** Monumenta Germaniae historica: Epistolarum T. II Pars II, Gregorii I 
Registri L. X-XIV. Berolini, 1895; 4°. 

** Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia. Vol. IV, 
pp. 8617-4416; 8°. 


Agostini (A.). Storia di Castiglione delle Stiviere. Castiglione delle Sti- 
viere, Brescia, 1892, 1895; 8° (Dall A.). 

Barnabei (F.) e Cozza (A.). Di un antico tempio scoperto presso le Fer- 
riere nella tenuta di Conca dove si pone la sede della città di Pabvsnnne 
Roma, 1896; 4° (Id.). 

Isola (I. G.). Commemorazione di Cesare Cantù nel primo anniversario della 
sua morte, con un’Appendice d’alcune sue lettere. Firenze, 1896; 8° (Id.). 

Minoglio (G.). Brevi cenni storici sulla chiesa di S. Domenico in Casale 
Monferrato. Torino, 1896; 8° (Id.). 

** Sanuto (M.). Diari. Fasc. 196. Venezia, 1896; 4°. 

Sylvester (J.J.). Nullus honor sine cruce. London, 1894; 4° (Dal/’A.). 


Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. 


CLASSE ib! 04 


Tito FA 
dl —" e e 
DI » FEHIE: regate 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


D+ 
D3 La 


Adunanza del 10 Maggio 1896. Ò 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: Cossa Vice presidente dell’Accademia, 
D’Ovipio Direttore della Classe, Mosso, SPEZIA, GIACOMINI, 
CAMERANO, SEGRE, PeANO, VoLTERRA, JADANZA, Foà, GUARESCHI 
e Naccari Segretario. 


Viene letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza pre- 
cedente. 


Il Socio D’Ovipro presenta una nota del Dott. Gerolamo 
Corpone intitolata: “ Intorno ad un gruppo di sostituzioni razio- 
nali e lineari ,. 


Il Socio VoLTERRA presenta una nota del Prof. Tullio Levi- 
Crvira: “ Sugli integrali algebrici delle equazioni dinamiche ,. 


Le due note verranno inserite negli Atti. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 55 


804 3 GIROLAMO CORDONE 


LETTURE 


Intorno al gruppo di sostituzioni razionali e lineari; 


Nota di GIROLAMO CORDONE. 


$ 1 


1. È noto che la serie di composizione del gruppo G di 
grado p+1 e d'ordine (p 4 1) p (p — 1) formato dalle sosti- 
tuzioni . 


\202|=|2 de), | (mod. p) |p primo > 83], 


è costituita dal gruppo G' dell'equazione modulare per p, e dal- 


(Pt 1)p(p_-1) 
2 


Non sappiamo se sia stato osservato che non esiste alcun 
gruppo H di p+4-1 elementi più generale di G e permutabile 
alle sue sostituzioni. Ad ogni modo nelle linee che seguono 
se ne darà una dimostrazione fondata su considerazioni affatto 
semplici ed elementari; vi si troveranno dimostrate inoltre 
alcune nuove proprietà del gruppo in parola. 


l’unità; quindi i suoi fattori di composizione sono 2 e 


2. Una sostituzione qualunque 082 di G equivale (*) al pro- 
dotto di tre determinate potenze di 3 sostituzioni lineari, di cui 
due, 0,2 e 0,-12, non ispostino uno stesso indice e siano d’or- 
dine p e p—1 rispettivamente, e la terza, 0, sia d’ordine p + 1. 

Si potrebbero assumere come sostituzioni generatrici del 
gruppo G le sostituzioni 0,2, 0,_12, 0,4.2 più semplici possibili, 
cioè le sostituzioni 


02-21 1g dae =: 


(*#) Serret, Algèbre Supérieure, vol. II, Cap. IV, n. 481 e seg. 


INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 805 


[le quali non ispostano l’indice 00, i essendo una radice primi- 
tiva della congruenza | 


7 =1 (mod. p)]; 


(+1 
lett 


i 


+1 
zt ce 


Opue = 


[dove i indica una radice primitiva della congruenza 
+ = 1 (mod. p) 


e t#? un non residuo quadratico mod. pl]. 

Ma poichè la nostra ricerca non ne diventa punto più dif- 
ficile, e d’altronde ciò ci permetterà di svolgere alcune altre 
considerazioni, prenderemo le sostituzioni generatrici del gruppo 
sotto la loro forma più generale. 


8. Trovare tutte le sostituzioni permutabili col gruppo G, 
equivale a trovare tutte le sostituzioni la cui espressione ana- 
litica (2) soddisfa alla congruenza 


PI = 0" (mod. p), 


0/= essendo una sostituzione di & simile alla sostituzione @ 2. 
Quest'ultimo problema può ridursi a sua volta a trovare le fun- 
zioni @(2) che soddisfano contemporaneamente alle 3 relazioni: 


(1) 


| pope = 0,2 
| POP" 2 = Upi 


PI, po = 81 


dove 0,2, 0,12, 0,42 rappresentano sostituzioni simili a 0,2, 
0,-12, 0,41? rispettivamente. 

Sia 9,2 una sostituzione il cui ordine r sia uno dei numeri 
p,p—-1,p + 1; 0,2 una sostituzione dello stesso ordine r. Si 
faccia successivamente 


n= 01, — lar a, 0a 


806 GIROLAMO CORDONE 


(a essendo una costante arbitraria reale, distinta dalle radici 
della congruenza 0,2 = 2); nella relazione: 


909,2 = 8,92. 
Si avrà: 
po,a = 8a 


po a = 0,p0,a = diga 
(a) 


pora = 0a 


L’ordine r di 0,2 essendo uno dei numeri p, p — 1,p+1, 
facendo variare n tra 0 e r — 1, 07a assume tutti i valori pos- 
sibili. 

Si può dunque porre 
(3) ta=% 

e determinare x in modo che la (3) sia identicamente soddisfatta. 

Se si ha 


n= n(2) (mod. p), 
l’ultima delle (2) può scriversi 
P(2) = 8 pa; 


la costante g(a) = a non essendo assoggettata ad altra condi- 
zione che quella di dare per ©(2) una forma analitica atta a 
rappresentare effettivamente una sostituzione. 

Vediamo qual sia questa condizione. 

Se la 0,”a rappresenta effettivamente una sostituzione, la 
congruenza in 2 


ora = 2 
deve ammettere una ed una sola radice. 


Ora conviene distinguere due casi, secondochè a sia o no 
radice reale della congruenza 


0,2 = 2. 


INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 807 


Nel 1° caso si ha qualunque sia p: 
oa .=@ 


e quindi la funzione 0,"a non può rappresentare una sostitu- 
zione. 

Nel 2° caso invece, se r è l’ordine di 0,2, i termini della 
serie 


ap'050; diag.... da @ 


sono tutti distinti e rappresentano i valori di cui è suscettibile 
l’indice 2. Se dunque è p; quello dei numeri 0,1,..... rl, 
che fa assumere a 0fa il valore 2 = 2;, la congruenza 


n(2) = Pi 


dovrà ammettere una ed una sola radice. 

Se ne conclude: 

“ Affinchè @(2) = 60," rappresenti effettivamente una so- 
stituzione, è necessario e sufficiente che a sia una costante reale 
distinta dalle radici della congruenza 


0,6 = 2. 
e n(2) rappresenti essa stessa una sostituzione , (*). 


4. Indichiamo generalmente con 20, 21; 20; 21; le radici 
delle congruenze 0,2 = 2, 0,2 = 2 rispettivamente, o, se si vuole, 
gli indici che queste sostituzioni lasciano immobili. 

a) Ciò posto consideriamo dapprima le sostituzioni intere 
d’ord. p. 
Allora 


(*) Si osserverà che le considerazioni precedenti, con leggiere modifi- 
cazioni, sono applicabili a molti altri gruppi, le cui sostituzioni siano defi- 
nite analiticamente. 


808 " GIROLAMO CORDONE 


Se si ha 
0o2z=2+8 0e=<+7 
si trova 
P(e) = 0/a = 0% a = get onpit + a; 


(a =#=.00; a = 00) 
sostituzione riducibile alla forma 


p() =f+ 92. 


È questo un risultato ben noto. 
3) 0,2 sostituzione intera d'ordine p; 0,2 sostituzione fra- 
zionaria d’ordine p. 
— Qui si trova che le sostituzioni che soddisfano alla con- 
gruenza 
PO = 09 


sono riducibili alla forma 
e=f+ 


Nel caso precedente si è ricaduti nelle sostituzioni razionali 
intere; in questo nelle sostituzioni razionali frazionarie; dunque 
si può concludere che: 

“Il gruppo costituito dalle sostituzioni permutabili col 


gruppo G delle sostituzioni razionali e lineari, è il gruppo G 
stesso ,. 


5. Non sarà tuttavia senza interesse applicare le conside- 
razioni di cui all’art. 3 per determinare i gruppi costituiti dalle 
sostituzioni © (2) soddisfacenti alla condizione 1 


POp = 0°, 


0: essendo una sostituzione d’ordine r = p + 1; ed e un nu- 
mero primo con r. 
Sia dapprima 


r=p_1 02=iz+B; 


INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 809 


i essendo una radice primitiva della congruenza 


? = 1 (mod. p). 


Ne segue 
, e-1 
0°2 ask Barca 
donde 
zs+ 8 
e ind; Lin 


OS I 


(0) er e 
(Ra 


.@ e a essendo costanti arbitrarie, rimànendo però esclusi i va- 


iride e DP_. 
i—1 


Dunque: “ Le sostituzioni soddisfacenti alla relazione 
POP ni 05-12 


(0,1 = îe + P) 


sono della forma 


(4) o2=v[e+ sg fe i 


(T'= 192015! SV) 


e costituiscono quindi un gruppo semplicemente transitivo di 
grado p — 1 e d’ordine (p—1)g(p—1) , (*). 


Diciamo di grado p — 1; infatti è evidente che tutte le 
sostituzioni del gruppo lasciano inalterato l’indice 


(*) Qui il simbolo @ (t) indica generalmente, come in Aritmetica, il nu- 
mero degli interi minori di # e primi con t. 


810 GIROLAMO CORDONE 
6. Esaminiamo un po’ più minutamente le sostituzioni (4). 


Affinchè la sostituzione (4') pe =Y (2 + aa i) —_ i 1 


lasci un elemento inalterato si deve avere: 


r(2+ = P. + (mod. p); 


Ù 


congruenza che può scriversi: 


a+ (+) —1|=0 (mod. p). 
Dunque essa non ammette che la radice 


catitrbi 
i-1 
se 
peo 
vr #1 (mod. p), 
d essendo il massimo comun divisore tra p— 1 ed e— 1; 
ammette invece altre d radici se 


p-l 


d 


T° =1 (mod. p). 


Adunque la sostituzione (4') sposta \ = p — 1 elementi nel 
1° caso; A\=p—1—d nel2°. 
D'altra parte si trova facilmente 


e-1 e” 


a pura e B 10. B 


da cui si deduce che l'ordine di @2 è il più piccolo numero # 
tale che sia 


e" = 1 (mod. p). 


n è dunque un divisore di p(p — 1) e la sostituzione p2 è com- 


posta di > cicli di n elementi ciascuno. 


INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 81 


Da questi risultati emerge pure che i gruppi corrispondenti 
ai p valori di f sono tutti simili fra loro. 
Invero la sostituzione 


1 
e (Bi fo B») 


= 


ye = 2+ 


trasforma la sostituzione 


nell’altra 


/ 


@,2 = Y (2+ _Ba MOSELLA 
qualunque siano e e Y. 


7. Se la sostituzione 02 d'ordine p — 1 è frazionaria, se 
cioè 


(rt+9):+#-9 


{1 
Go = —' 
+1 
i TESI b=-:@ 


(i essendo radice primitiva della #7! = 1 (mod. p), t uno dei nu- 
meri 1,2,...273, g uno dei numeri 0,1,... p — 1); alle so- 


stituzioni @2 si può dare la forma 


z+bi—g 
9 Mede paio dn dt 
Piziopa, 0 ce li e TT 
ERE IVA 


(ati Zonp 7 1) 


Se, infine, 92 è d’ordine p + 1, le sostituzioni che soddis- 
fano alla congruenza 


PI = 0° 


hanno la stessa forma di (5); dove per i si prenda una radice 
primitiva della congruenza 


#11 = 1 (mod. p), 


812 GIROLAMO CORDONE 


. p_l ROTTO : 
per t? uno dei vi non residui, per e un numero primo con 


p + 1; infine y essendo suscettibile dei valori 0,1 ...p —1,00. 


8. Si può domandare qual sia l’ordine del gruppo minimo, 
derivato dalle sostituzioni 


az + b 


da Geuggo x(2) = 2°; (e primo con p— 1), 


gruppo che contiene le sostituzioni da noi considerate prece- 
dentemente. 

Il suo ordine è (p + 1)!; cioè coincide col gruppo simme- 
trico di p+ 1 elementi. Invero esso è almeno tre volte transi- 
tivo; inoltre contiene una trasposizione 


1 
lai] PESO [E (0189) 


dunque, ecc. (*). 


82. 


Sulle sostituzioni d’un gruppo 
che soddisfano alla equazione X" = 1. 


9. Siano s,, s9,....5. le sostituzioni d’un gruppo che sod- 
disfano all’equazione 


DE — di 


n essendo un divisore dell’ordine del gruppo. 
Affinchè il prodotto t = s} s$ di due qualunque di esse 


(*) E. Nerro, Teoria delle Sostituzioni. Trad. di G. Battaglini, pag. 74. 


INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 813 


faccia parte della serie, basta evidentemente che s, e s, siano 
permutabili. Questa condizione non è tuttavia necessaria che 
son = 2. 

Separiamo dalla serie sj, 83, S3; ... st quelle sostituzioni 
(53) 83... 5», che sono permutabili con una qualunque delle so- 
stituzioni della serie, ad es. sj; dall’insieme sg, 53, ... sr,, le 
sostituzioni s3, 84, ... Sr, permutabili con una qualunque dell’in- 
sieme, ss; e così di seguito. Ripetiamo la stessa operazione par- 
tendo da tutte le altre sostituzioni sg, s3,...s, della 1° serie 
successivamente. Otterremo così un certo numero di gruppi 
composti di sostituzioni permutabili e aventi la proprietà di 
essere tutte radici dell'equazione X" = 1. 

È facile d’altronde riconoscere che prendendo per » suc- 
cessivamente tutti i divisori dell'ordine del gruppo dato, si ot- 
tengono nel modo suindicato tutti i sottogruppi di sostituzioni 
permutabili del gruppo stesso. 

Infatti in ogni gruppo di sostituzioni permutabili si può 
determinare un sistema di sostituzioni generatrici s1, 83, $3... 
degli ordini t,, to, tz3,... rispettivamente e tali che il prodotto 


SON pia elica (Or È; seat 


rappresenta tutte le sostituzioni del gruppo. 

Inoltre ciascuno dei numeri t;, ta, t3,... è divisibile pel. 
seguente; il numero t, è il minimo comune multiplo delle sosti- 
tuzioni del gruppo; e l’ordine del gruppo è t="t1 ta #3... (*). 

Adunque tutte le sostituzioni del gruppo soddisfano alla 
equazione 


NETTI NE 


dunque, ecc. 


10. Consideriamo in particolare il gruppo G. 
Due sostituzioni permutabili che non sono potenze di una 
stessa sostituzione, sono, com'è noto, di 2° ordine. 


(*) Netto, Op. citata, n. 133. 


814 GIROLAMO CORDONE 


Le sostituzioni dei gruppi di sostituzioni permutabili con- 
tenuti in G sono dunque tutte radici dell'equazione 


=. 


Sia 02 una sostituzione qualunque di 2° ordine. Se si pon- 
gono in evidenza gli indici reali o imaginarii, 2), 2;, ch’essa 
lascia immobili, avrà la forma 


— e(20t-2) +22 
—2z+zat% ; 


04. 


Tutte le sostituzioni permutabili con 62 si avranno dalla 


formola 


6, (e, )) = Na — Mzo + 21) + 20% 


IIZIN 


attribuendo a \ i valori 0,1,...p — 1, 00; esclusi tuttavia i 
valori 20, 21, se questi sono reali. 

Si riconosce poi facilmente che esiste una ed una sola so- 
stituzione permutabile con 02 e 0,2, cioè la sostituzione 


0, (2, )) pds Sla al Tan i 


per ogni dato valore di \. 
Le sostituzioni (92, 9, (2, Xo); 92(£, Xx), 1) costituiscono dunque 
un gruppo K di 4° ordine, composto di sostituzioni permutabili. 


5 LI i gruppi di- 


Bisogna tuttavia osservare che sono soltanto 


stinti corrispondenti ai varii valori di \; perchè sono identici i 

gruppi corrispondenti ai valori ), e 0(A,) di X. 

p£EI 
2 


Partendo da un’altra sostituzione 0'= appartenente ai 
PESI 
2 
dine, K', di cui uno però coincide con quello dei gruppi prece- 

denti, che contiene 0'2. 


gruppi già considerati, si avranno altri gruppi di 4° or- 


-<3 
3 

4 

È 

4 

ì 


INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 815 


Ciascuna delle sostituzioni appartenenti ai gruppi K' darà 


luogo a sua volta a due — 1 gruppi K” distinti dai gruppi K 


e K'; e così di seguito, finchè non si siano esaurite tutte le p? 
sostituzioni di 2° ordine del gruppo di sostituzioni razionali e 
lineari. 

Riepilogando: 

“I sottogruppi di sostituzioni permutabili (*) del gruppo 
di sostituzioni razionali e lineari, si ottengono dalle sostituzioni, 
due a due permutabili, che soddisfano all’equazione 


Ni i, 
Ogni tal gruppo K è di 4° ordine, e contiene le sostituzioni 


pus È 2(20 + 21) — 22021 i 0,(2, \) a Me-Mzo + 2) + 204 7 


2a —zo— 21 ICSÀ 


0, (2, \) ssa 0(A) ne POR z4) + 202 1 


02 essendo una sostituzione qualunque di 2° ordine. Ogni gruppo 
K' si ottiene dal precedente K, cercando tutte le sostituzioni 
permutabili con una delle sostituzioni 0, (2,1), 03 (2,)) ,. 


(*) Occorre appena avvertire che si sottintende sostituzioni permuta- 
bili non potenze d’una stessa sostituzione. 


816 TULLIO LEVI-CIVITA 


aa 
LI 
ot } 
= ig = -«-“-- ai -&r“fÉ{{{{““”{É{i“ 


Sugli integrali algebrici delle equazioni dinamiche; 


Nota di TULLIO LEVI-CIVITA. 


1.— Alcuni anni or sono il signor Koenigs ha dimostrato (*) 
che, se un sistema materiale, soggetto a forze derivanti da un 
potenziale, ammette un integrale algebrico (rispetto alle velocità), 
esso ammette altresì almeno un integrale razionale. 

La bella nota del signor Koenigs mi ha suggerito alcune 
osservazioni assai semplici, che volli raccolte nel presente scritto, 
quantunque non abbiano carattere di novità, per potermene (del- 
l’ultima in particolar modo) valere con maggior sicurezza in un 
prossimo lavoro sulle trasformazioni delle equazioni dinamiche. 

Io mi propongo di mostrare in primo luogo: 

a) che la proposizione del signor Koenigs vale anche se 
le forze non provengono da un potenziale. 

3) che, per un sistema materiale a legami indipendenti 
dal tempo e non soggetto a forze, se esiste un integrale razio- 
nale indipendente dal tempo, esiste anche almeno un integrale 
omogeneo. 

c) che, qualora un sistema materiale a legami indipen- 
denti dal tempo, ammetta, per un sistema di forze indipendenti 
dalle velocità, un integrale = cost, razionale rispetto alle ve- 
locità, il sistema materiale stesso, libero da forze, ammette come 
integrale - = cost; (designando A' e B' il complesso dei ter- 


mini di grado massimo nei polinomii A e B rispettivamente). 
Fatta avvertenza che le osservazioni 5) e c) discendono 


(*) Sur les intégrales algébriques des problèmes de la dynamique, “© Comptes 
Rendus ,, agosto 1886. 


9 


rt delicati 6. L. 


SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI DELLE EQUAZIONI DINAMICHE 817 


come caso particolare da un notevole teorema del sig. Painlévé (*), 
rilevo che esse servono, insieme ad a), a riportare la classifica- 
zione dei problemi dinamici, dal punto di vista degli integrali 
| algebrici, che essi posseggono, al solo caso, in cui non agiscono 
forze esterne e pel solo tipo degli integrali omogenei. Il campo 
di ricerca si trova così naturalmente ristretto; io prescinderò 
tuttavia anche dagli integrali fratti, limitandomi ad esporre, 
nell’ultimo paragrafo, sotto forma invariantiva, la condizione ne- 
cessaria e sufficiente, affinchè un sistema materiale a legami 
indipendenti dal tempo e non soggetto a forze ammetta un in- 
tegrale intero, omogeneo rispetto alle velocità. La forma di co- 
desta condizione, che mi apparve assai importante per lo studio 
delle trasformazioni in meccanica, generalizza ovviamente quella 
assegnata dal Prof. Ricci (**), affinchè esistano integrali primi 
omogenei delle linee geodetiche in una varietà a due dimen- 
sioni: Per il caso particolare degli integrali di primo grado, 
essa riproduce, salvo la diversità dei simboli, un risultato sta- 
bilito, collo stesso nostro procedimento, dal Prof. Cerruti (***) e 
da lui interpretato geometricamente in modo assai elegante. 


2. — Sia T la forza viva di un sistema materiale S e si 
ponga in coordinate lagrangiane: 


IS 3 Vea qs na Vu: ata te 


le 4,;,@, e T essendo in generale funzioni delle 9 e del tempo. 

Le equazioni del moto, se si dica @, (che supporremo di- 
pendere dalle coordinate e dal tempo in modo qualunque, e 
razionalmente dalle velocità) la componente della forza secondo 
la coordinata q,, saranno: 


OT 
d 

dg'h OT 
gere g OE PANTIO 


(*) Sur les intégrales de la dynamique, “ Comptes Rendus ,, maggio 1892. 
(*#*) Sulla teoria delle linee geodetiche, ecc. “ Atti del R. Ist. Veneto ,, 1894. 
(#**) Sopra una proprietà degli integrali di un problema di meccanica, che 
sono lineari rispetto alle componenti della velocità, È Rendiconti dei Lincei ,,1895. 


818 TULLIO LEVI-CIVITA 


ovvero, con note riduzioni, ponendo al solito: 


1 darh dans dars i al) ca ò loga 


Ars == — LAT 
da 2 d4 dgr dgr dan 


Rq29 (#4) er! (ne) $ dan dar __ dar 
Ars dai Urshy Ur da di n dgr dan È” 


Of= =- da ak) Qi tt = = DI (hk) E Poe: Soa $ 


dgn 


n» 


= U 
O g,=V+#- Vas Yao, @=1,2,,0) 
L i 


Se F= cost è un integrale primo delle (1), si avrà È =0 


cioè: 


ò n 
A pote LE q'r the siria) d'}=0, 


dti da 


nella quale, sostituendo, al posto delle 9g", le espressioni (1), 
siccome i valori iniziali delle 9 e delle g' sono affatto arbi- 
trarii, il primo membro dovrà annullarsi identicamente. Ponendo 
pertanto: 


O =g+ Zitti Lane 


abbiamo che il primo membro F di ogni integrale delle (1), 
risguardato come funzione dei 2n + 1 argomenti %, 9" e t, sod- 
disfa all’equazione a derivate parziali lineare ed omogenea 
dd. 


O, VET CR AI O OTTONE LI n ___—, o 


SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI DELLE EQUAZIONI DINAMICHE 819 


Ritenuto ciò, si supponga F funzione algebrica delle 9’ e 
quindi definibile mediante un’equazione del tipo: 


(3) ese La 0, 


a coefficienti razionali interi nelle g' stesse. La (3) si può sempre 
considerare irriducibile nel campo di razionalità delle g'. Ap- 
plicando ad essa l’operazione 9, siccome QF = 0, verrà: 


E VER RAT O i i 0 A IRR o RA 


e, per l’irreducibilità della (3), siccome, avuto riguardo alla forma 
di 9, per le ipotesi ammesse circa le @,, i coefficienti della (4) 
sono ancora razionali nelle 9g’, seguirà necessariamente: 


Q So Q SI Q Sm 


So Sq Sm 


e quindi per esempio so. 2s, — s..L2s= 0, od anche 


So» Ls, TRONO Lso 


== 0 
8% 2 
. . . Sq Sa Sm 
da cui apparisce che ciascun rapporto Bilbo: Gasovdnioz pan9YE 
0 20 0 


non si riduca ad una pura costante, è integrale primo delle (1). 

In generale questi integrali potranno non essere tutti di- 
stinti, nè si può escludere che alcuno sia di per sè una costante; 
uno almeno deve però contenere effettivamente le g' e sarà 
l'integrale razionale, di cui volevamo stabilire l’esistenza (*). 
Se mai la (4) si riduce ad una identità, il sistema possiede al- 
meno un integrale razionale intero. 


8. — Quando i legami imposti al sistema materiale S sono 


(*) Come già il sig. Koenigs, pel caso di forze provenienti da un po- 
tenziale, notiamo che, anche nel caso generale, l’esistenza di un integrale F, 
algebrico rispetto ad alcune soltanto delle g' trae necessariamente l’esistenza 
di almeno un integrale razionale rispetto alle stesse quantità. La dimostra- 
zione sarebbe identica a quella sopra accennata. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 56 


820 TULLIO LEVI-CIVITA 


indipendenti dal tempo e non agiscono forze, le equazioni (1) si 
riducono a: 


(1’) bere argine (£=1,2,..., n) 
l 


la condizione perchè F = cost (con F indipendente dal tempo) 
sia un integrale, è data da: 


 \ èF IF |, 
DU IR — de — ad Ego = 
(2°) Q'EF= ) pura PA nd q | 


Suppongasi che F sia razionale nelle g'; si potrà porre F= Sa 


A e B essendo funzioni intere, di cui chiameremo A' e B' l’in- 
sieme dei termini di grado più elevato. Applicando ad F l’ope- 
razione Q', avremo: 


B.9'A-A.Q B 


oc'Pe = 


Si vede immediatamente che la <', applicata ad un poli- 
nomio omogeneo nelle 9’, dà per risultato ancora un polinomio 
omogeneo col grado aumentato di una unità: Perciò nel prodotto 
B.Q'A, itermini di grado più elevato si avranno moltiplicando 
B' per N'A' e analogamente A”. £'B' sarà il gruppo di termini, 
aventi lo stesso massimo grado in A .Q'B, talchè l’identico an- 
nullarsi della differenza B.Q'A —A.Q'B esigerà che sia: 


BOCA" eil. LB 


A È a ae 
p= cost è un integrale omogeneo delle equazioni (1'). 


cioè 
4. — Si supponga che un sistema $ a legami indipendenti 
dal tempo ammetta, per date forze (, indipendenti dalle velocità, 


un integrale razionale (indipendente dal tempo) È = cost. La 


condizione (2) diviene nel caso presente: 


nile. -, 


SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI DELLE EQUAZIONI DINAMICHE 821 


n 


nr " —z 1a”. %; k ’ Li prat 
(2) Q ARIE +22 (0 Lts:s.){= 


-2r+), dE = 0, 


ed avremo Q" È IL 

Se, come poc'anzi, si designano con A' e B'i termini di 
grado più elevato in A e in B, si riconosce senza difficoltà che, 
nella differenza B.Q'"A — A. Q"B, l'insieme dei termini di grado 
massimo è dato da B'. Q'A'— A'. Q'B'; dunque: 


B'. Q'A'— A'. Q'B'= 0, 


| : RI | A 
il che dimostra come da ogni integrale razionale E = cost,re- 


lativo a un sistema S e a forze Q, comunque date, purchè in- 
dipendenti dalle velocità, si deduce un integrale razionale ed 
omogeneo per lo stesso sistema libero da forze. 

Come caso particolare, supponendo nulle le Q,, si ritrova 
il contenuto del precedente $. 


5..— Proponiamoci da ultimo di assegnare esplicitamente 
le condizioni, affinchè un polinomio del tipo: 


pe Vin PARC PRO RTRT 4h 


Ul USTEZLETT 


sia integrale primo per un sistema S a legami indipendenti 


dal tempo e non soggetto a forze. Essendo T =), Uni Polls 
ni rs 


la forza viva del sistema, pongasi ds°=2T dt = DE ds dg, dg, 
1 rs 
e si consideri la varietà g a » dimensioni, di cui ds° rappre- 
senta il quadrato dell’elemento lineare: 
Ricordo che, dato un sistema di funzioni (delle variabili 


822. TULLIO LEVI-CIVITA 


indipendenti g;) d’ ordine m, cioè del tipo A,,r,...r, (17. 
fm =1,2,..,), simmetrico o no rispetto ai suoi m indici, se- 
condo una denominazione introdotta nella scienza dal Prof. Ricci, 
il sistema d’ordine m + 1, definito da: 


m 

(6) P.° Sed, lì) Ariro..tm 5 p A 

tira: Tmfm41 TT dd'm4i STE Na sMejrzipi TqT]_” Tam) 
1 


chiamasi derivato covariante del proposto rispetto alla forma 
fondamentale ©. 

La proprietà essenziale delle derivazioni covarianti risiede 
nel loro carattere invariantivo, per cui, ogniqualvolta, passando 
dalle variabili 9g a certe nuove variabili (9), il sistema (A) tras- 
formato delle A,.,,,... ,,, si esprima secondo la legge: | 


n 


dqs dqgss dISm 
DO (Armee) = Y'Aeno t e. 
( ) ( Us U) tm) Lo” d(qr) d(gqrs) AUgrm) o) 


sia cioè covariante al primitivo, lo stesso accade dei rispettivi 
derivati. In particolare, siccome evidentemente i coefficienti di 
un integrale primo costituiscono un sistema covariante, sarà 
pure covariante il sistema derivato. 

Ciò posto, se A = cost è integrale delle (1°), la Q'A=0, 
scrivendo rn. al posto di %, porge nel caso presente: 


n 
D) Ariatm r ' r 
dgr Lridra Irma 
1 m+l 


1 Ta.e-TmYm+1 


Ed taet 17741" mA1 ik 


od anche, ove si scambino nel secondo termine gli indici r ed 
Tmy1; SÌ scriva r, al posto di s e poi si riuniscano le due som- 
matorie: 


r ’ r , PIE SETA 
4 ) } Big) m41"41""m CAS le AR ERA ; rs dr ae 0, 


Re e I 


tt Latini 


SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI DELLE EQUAZIONI DINAMICHE 8293 


Ò Arira.. Tm 


PASS. Ù , 
Va rad ra Drm@ Tm41 dda 


ddrira..taf'mi1 


m 
n 
È 
== ) 2 A... a uil 
ta TI mar ta "1 Tm 
1 


In virtù delle (6), si ha: 


, ’ ‘ LU == 
A rsrs..ata mt q ri4 ra Yrm q ei 0 L 
1 Tata. TnYmt1 


la quale, avuto riguardo alla simmetria del sistema A,,,,... +, 
che si conserva pei primi m indici delle A,,,,...wmrm+1, esige 
che il sistema A,,r3.rmrnti SIA, come si dice, emisimmetrico, 
‘che cioè sieno nulle le somme degli elementi, che si ottengono 
da ogni generico coefficiente À,,,,... rmrn41; eseguendo sopra i 
suoi indici m + 1 potenze consecutive della sostituzione circo- 
lare (1172... Tn Tm): 
Concludiamo pertanto: 


n 


Affinchè S Arrs.rmQridrs Lr =" COS sia integrale primo 
n Tala. Tm 
per un sistema S, su cui non agiscono forze, 0, ciò che è lo stesso, 


per le equazioni delle linee geodetiche in una varietà ® di ele- 


mento lineare ds = V2T4t?, è necessario e basta che il sistema 
A sia emisimmetrico. 


U5 UCTO Tm m41 


Esprimendo così le condizioni per l’esistenza di un inte- 
grale omogeneo di grado m, si mette in evidenza colla massima 
semplicità il loro carattere invariantivo di fronte ad ogni pos- 
sibile trasformazione di coordinate. 


L’ Accademico Segretario 
ANDREA NACCARI. 


824 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 17 Maggio 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Socii: CLareTTA, Direttore della Classe, 
Peyron, Rossi, BoLLAaTI Di SAINT-PriERRE, Pezzi, NANI, COGNETTI 
pe Martus, Brusa, PerRERO, ALLiEvo e FERRERO Segretario. 


Il Socio segretario fra le pubblicazioni pervenute in dono 
alla Classe segnala il vol. VIII della 1° serie delle: “ Campagne 
del Principe Eugenio di Savoia ,, e gli Allegati grafici dei vo- 
lumi VII e VIII di detta opera inviati per ordine di S. M. 1L Re. 
Offre poi a nome dell'Autore, il Socio corrispondente marchese 
di Nadaillac, un opuscolo: “ Expéditions polaires , (Parigi, 1896). 

Il Presidente, a nome dell’autore, il prof. Lando LANDUCCI, 
offre un opuscolo: “ La pubblicazione delle leggi nell'antica Roma , 
(Padova, 1896). 

Il Socio ArLievo legge due suoi lavori intitolati: “ Studio 
storico critico di pedagogia femminile , e “ Dell’educazione della 
donna secondo i pensatori francesi del secolo XVIII ,. 

Essi sono pubblicati negli Atti Accademici. 


_—_—_____—__n__——_rtnooo*°_ 


LETTURE 


Studio storico critico di pedagogia femminile; 


Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO. 


Che l'educazione della donna sia necessaria siccome uno 
degli elementi integrali di quella civiltà perfetta, che è l’aspi- 
razione incessante dell’umana società, è cosa universalmente sen- 
tita e concordemente ammessa. Ne fanno fede le scuole fem- 
minili di ogni guisa, che nel nostro secolo vanno moltiplicandosi 
in tutte le parti della colta Europa. Educhiamo la donna! fu il 
grido, che or fa un mezzo secolo proruppe unanime da ogni punto 
della terra subalpina, ed a quel grido sorsero a centinaia le 
scuole elementari femminili per concorde operosità di privati 
cittadini e di municipî. Nè qui si arrestò quel potente impulso, 
ma suscitò l’istituzione di scuole superiori di perfezionamento 
e di istituti normali femminili; ed ora la coltura della donna 
non solo ha preso un incremento ancora più ampio, ma va ra- 
dicalmente trasformandosi in un ordine di idee affatto insolito. 
Noi assistiamo ad una vera rivoluzione pedagogica. Oggidì fan- 
ciulle di civil condizione dànno opera agli studi non più per 
portare in seno della famiglia una più ricca e svariata coltura, 
o per consacrarsi al magistero educativo, bensì per secondare 
nuove aspirazioni sociali e correre il pubblico arringo. Noi le 
vediamo disertare le scuole superiori di perfezionamento e pic- 
chiare alle porte dei ginnasii, dei licei, delle università per do- 
mandarvi quel tanto di scienza, che occorre all’esercizio di una 
pubblica professione liberale. Da prima le giovani studiose, 
che facevano timida mostra di sè in mezzo alla falange di gio- 


826 GIUSEPPE ALLIEVO 


vani alunni, sì contavano sulle dita; ora quelle poche stanno 
diventando legioni. Chiuderemo noi loro in faccia le porte degli 
istituti scolastici consacrati all’istruzione maschile? Ricacciare 
entro le scaturigini della terra un'ampia fiumana, che prorompe 
impetuosa da ogni lato, è dissennata impresa; arginarne le rive 
ed inalveare la corrente sì che scorra a fecondare i campi, non 
a devastarli, e salutare provvedimento. Ormai non evvi più ra- 
gione di ripetere il grido: Educhiamo la donna. Educhiamola 
bene: questo è di presente il gran pensiero, che occupa quanti 
hanno a cuore le prospere sorti della famiglia, della patria, della 
società; è il nuovo problema, che s'impone alla mente dei pe- 
dagogisti e degli educatori di buon volere e di retto intendi- 
mento. 

La storia della rinascenza letteraria ricorda i gloriosi nomi 
di donne letterate e colte, quali ad esempio : Laura Ceretti di 
Brescia, che nel 1487 sostenne pubbliche tesi e professò filosofia 
per sette anni; Paola Malatesta, allieva di Vittorino da Feltre, 
versatissima nel latino, nella filosofia, nella rettorica e nella 
musica; Modesta di Pozzo Zorzi nobile veneziana, che scriveva 
egualmente bene nelle tre lingue di Omero, di Virgilio, di Dante, 
sia in verso, sia in prosa; Olimpia Fulvia Morata (1526-1555), 
che a quattordici anni scriveva in latino un elogio di Cicerone, 
in greco un elogio di Muzio Scevola, teneva pubbliche confe- 
renze, a sedici anni componeva poesie in greco, morta nella gio- 
vane età di ventinove anni. Ma tutta quella vaghissima fioritura 
di sapienza femminile faceva uno spiccato contrasto colla igno- 
ranza pressochè universale della donna di que’tempi, e quel, che 
è più, si coltivavan le lettere e le scienze siccome gentile or- 
namento dell'animo e per certo qual amor della gloria, mentre 
a’ giorni nostri le giovani studiose frequentano in folla gli isti- 
tuti scolastici ed aspirano all’esercizio delle professioni liberali. 
In faccia a questa condizione di cose affatto nuova e rilevante 
il problema  dell’educazion femminile ci si presenta sotto un 
aspetto nuovo e grave assai. Che l'educazione della donna debba 
essere diffusa il più ed il meglio, che si può, non è più que- 


stione controversa, ma dogma indiscutibile. Però si ricerca, se . 


essa educazione abbia natura tutta sua propria, che la distingua 
da quella dell’uomo, e quindi un fine speciale, a cui sia rivolta, 
limiti determinati, che la circoscrivano, uno spirito peculiare, 


PE TO e 


STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 827 


che la informi. In una parola, il tipo ideale, su cui va esemplata 
l'educazione femminile, è esso essenzialmente identico con quello 
dell'educazione maschile, o diverso? Ecco il punto del problema, 
che richiama a sè la meditazione de’ pensatori e costituisce un 
oggetto di gravissima discussione. Per poco che si rifletta, ben 
tosto si scorge, che questo problema pedagogico presuppone già 
risolto un problema psicologico, da cui logicamente dipende; se 
cioè la donna abbia dalla natura sortito la stessa tempra di 
corpo e di mente, le stesse attitudini, la stessa vigoria di pen- 
siero e di volontà dell’uomo (1); giacchè solo in tal caso essa 
sarebbe chiamata alla stessa missione sociale; epperciò l’edu- 
cazione femminile dovrebbe procedere in tutto e per tutto iden- 
tica con la maschile. 

Noi ci troviamo adunque di fronte a due problemi, uno 
psicologico, l’altro pedagogico, logicamente subordinati in guisa, 
che quello contiene in sè la ragione e la spiegazione di questo. 
Quale rapporto intercede tra la natura propria della donna e 
quella dell’uomo? Ecco il problema psicologico. In che rapporto 
stanno fra di loro l'educazione femminile e la maschile? Ecco 
il problema pedagogico. Questo duplice problema venne intra- 
veduto ed a più riprese discusso vagamente e con criterii non 
bene definiti nei passati secoli da Platone sino ai tempi nostri; 
ma oggidì acquista un significato del tutto speciale per cagione 
del profondo mutamento avvenuto nello stato sociale. Torna 
quindi assai conveniente uno studio storico critico intorno ai 
diversi pensamenti di coloro, che meditarono sul presente argo- 
mento: e qui ci restringiamo alle principali dottrine francesi 
dei secoli XVII e XVIII. 

Durante il periodo della rinascenza letteraria vediamo di- 
segnarsi due contrarie correnti. Lo spagnuolo Vives (1492-1540) 


(1) Cosa singolare! Nel concilio tenutosi a Màcon nel sesto secolo, sì 
agitò per più settimane ed assai vivamente la questione, se la donna pos- 
segga un’anima tale, che le valga il titolo di creatura umana. Questo fatto ci 
ricorda per la ragion de’ contrarii l'omaggio decretato nel 1551 a voti una- 
nimi dall'Accademia dei Dubbiosi di Venezia a Giovanna d'Aragona e quindi 
il volume pubblicato in quella città nel 1555 da Pietro Pietrasanta col titolo: 
“ Tempio alla divina Signora Giovanna d'Aragona fabbricato da tutti i più 
gentili spiriti e in tutte le lingue principali del mondo ,. 


828 GIUSEPPE ALLIEVO 


e l'olandese Erasmo (1467-1536) caldeggiavano entrambi l’istru- 
zione della donna ampliando oltre ogni limite i suoi studi e 
giudicandola adatta quanto l’uomo alla conoscenza del greco e 
del latino; mentre il Rabelais (1483-1568) teneva in poco conto 
la sua coltura, e più tardi il Montaigne ed il suo amico Charron 
la giudicarono inferiore all'uomo. Il tedesco Enrico Cornelio 
Agrippa (1486-1535) pubblicava nel 1529 la sua Declamazione 
sulla nobiltà e precellenza del sesso femminile, dove sostiene che 
le donne sortirono da natura doti migliori di quelle dell’uomo (1), 
sicchè anche ignoranti vedono sovente assai più in là degli 
astrologi, dei filosofi e dei matematici. 


Poullain de la Barre. 


Venendo al secolo decimosettimo, la de Gournay (1556-1645), 
figlia adottiva di Montaigne, sostenne l'eguaglianza degli uomini 
e delle donne. La Bruyère (1646-1696) reputa la donna supe- 
riore all'uomo nel genere epistolare, ed avvisa che ad essa manca 
non già l’attitudine all’istruzione, ma piuttosto il buon volere. 
Ma nessuno finqui aveva portato la questione sul terreno della 
scienza, siccome fece Poullain de la Barre. La sua opera De 
l’égalité des deux sexes (2) pubblicata nel 1673 non è un lavoro 
d’indole meramente letteraria, ma porta l'impronta della medi- 
tazione filosofica, sebbene la critica abbia da riconoscere, che 
in mezzo al vero vi giace frammisto l’erroneo e l’esagerato. 
Egli muove dal fatto, che le donne non appartengono al mondo 
dei dotti, e che esse stesse credono che per natura non vi deb- 
bano appartenere, mentre il' vero si è che i due sessi sono as- 
solutamente eguali. Il ragionamento, con cui egli cercò di dimo- 


(1) Questo concetto fu svolto da Girolamo Ruscelli nella sua opera 
stampata a Venezia nel 1552, e dalla illustre veneziana Modesta di Pozzo 
Zorzi (1555—1592), la quale pubblicava nel 1593 la sua opera in difesa 
della superiorità della donna. 

(2) L'autore pubblicò un altro opuscolo inscritto: Dell’eccellenza degli 
uomini contro l'eguaglianza de’ sessi, col solo scopo di proporre e confutare 
le obbiezioni contrarie all’eguaglianza de’ sessi. 


inn nile 


STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 829 


strare la sua tesi, posa tutto quanto su questo concetto, che il 
cervello, organo essenziale delle funzioni dello spirito, è affatto 
simile nell'uomo e nella donna. “ La più esatta anatomia non 
rileva differenza di sorta in questa parte: il cervello delle donne 
è del tutto simile al nostro, le impressioni dei sensi vi sono 
ricevute e raccolte ad un modo, e vi si conservano altresì per 
l'immaginazione e la memoria... Chi adunque le impedirà di 
applicarsi a considerare se stesse, ad esaminare in che dimori 
la natura dello spirito, quante guise vi siano di pensieri e come 
vengano eccitati all’occasione di certi movimenti corporei, ad 
avvertire dopo ciò le idee naturali, che hanno di Dio, e muo- 
vendo dalle cose spirituali disporre con ordine i loro pensieri e 
costrursi la scienza, che appellasi metafisica? Dacchè hanno 
anch'esse occhi e mani, perchè non potranno fare esse stesse, o 
veder fare da altri, la dissezione di un corpo umano, conside- 
rarne la simmetria e la struttura, notare la diversità, la diffe- 
renza, il rapporto delle sue parti, le loro figure, i movimenti, le 
funzioni, le alterazioni e di là inferire il mezzo di conservarli 
ben disposti e di ristabilirvi il turbato ordine? Basterebbe a 
tal uopo conoscere la natura de’ corpi esterni, che hanno rap- 
porto col nostro, scoprirne le proprietà e quanto li rende capaci 
di produrre impressioni buone o cattive. Ciò si conosce col mi- 
nistero de’sensi e le varie esperienze; e le donne essendo del 
pari idonee all'una ed all’altra cosa, possono apprendere quanto 
noi la fisica e la medicina (pag. 116 e seg.) ,. Osservate le 
scienze sia in se stesse, sia nell’organo, con cui si acquistano e 
vedrete che i due sessi vi sono egualmente disposti, essendochè 
un solo è il metodo e la via per insinuare la verità nello spirito, 
epperò le donne hanno attitudine a tutte le scienze, alla logica, 
alla meccanica, all’astronomia, alla letteratura, all’eloquenza, nella 
quale fanno miglior prova degli uomini, alla morale, alla giurispru- 
denza, alla politica, alla storia ed alla geografia. Che più? Ei 
vorrebbe vedere la donna insegnare dalla cattedra l’eloquenza o la 
medicina, arringare davanti ai giudici, rendere giustizia dal tribu- 
nale, condurre un’ armata, aprire battaglia, parlamentare nelle 
ambasciate, pontificare nelle chiese. Dall’altezza del suo ideale 
pedagogico egli rivolge lo sguardo sul mondo della realtà e de- 
plora l'educazione, che universalmente si dà alla donna, educa- 
zione frivola ed indegna di persone ragionevoli, tutta intesa a 


830 GIUSEPPE ALLIEVO 


deprimere il loro coraggio, ad oscurare il loro spirito, a spegnervi 
ogni germe di verità e di virtù, a soffocare ogni aspirazione alle 
grandi cose; ma se tale è di fatto la loro educazione, tale non 
deve essere, tale non la vuole natura. 

L'autore ha dato alla proposta questione un indirizzo ve- 
ramente scientifico, poichè ha saputo vedere, che a fine di risol- 
vere il problema dell’educazione della donna e della sua mis- 
sione sociale occorre risalire allo studio psicologico della natura 
propria di essa, e quindi ha interrogato la scienza anatomica 
su questo punto. Però se il suo procedimento è logico e razio- 
nale, vuolsi tuttavia riconoscere che è affatto incompiuto, par- 
ziale ed esclusivo. Poichè la scienza anatomica ci saprà bensì 
dire, se vi corra differenza tra l'organismo corporeo dell’uomo 
e quello della donna, ma non già tra la mente e lo spirito del- 
l'uno e dell'altra: su questo secondo punto vuolsi interrogare 
la scienza psicologica strettamente presa. Colla sola scorta del- 
l'anatomia e della fisiologia non si giungerà mai, come egli pre- 
tende, a capire nè la natura dello spirito, nè le differenti specie 
di idee, nè la natura di Dio ed il mondo soprasensibile, che è 
oggetto della metafisica. Per altra parte non basta, come asse- 
risce l’autore, possedere occhi, e mani, e sensi fisici per inferirne 
che la donna può nella stessa misura dell’uomo raggiungere e 
professare la fisica e la medicina, e per sostenere che possa con 
ragione essere educata alla faticosa ed agitata vita della milizia, 
del foro o della tribuna parlamentare. Il concetto dell'anatomia 
confusa colla psicologia, da cui egli prese le mosse, lo condusse 
a quell’assoluta eguaglianza di uffici sociali e di educazione 
dell’uomo e della donna, che già aveva ideato e propugnato 
Platone nel suo dialogo La repubblica. 


Nicola Malebranche (1637-1715). 


Nell'anno medesimo 1673, in cui il Poullain faceva di pub- 
blica ragione la sua opera, usciva alla luce in Parigi la Ricerca 
della verità del padre Nicola Malebranche (1637-1715). Sebbene 
egli non abbia discusso il problema pedagogico dell’educazione 
femminile, è tuttavia meritevole di considerazione il suo raffronto 


Udi Da citi 


STUDIO SIORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 831 


psicologico tra l’intelligenza della donna e quella dell’uomo. È 
dottrina professata da questo illustre filosofo, che il cervello è 
sempre segnato da alcune traccie, e che queste stanno sempre 
in rapporto colle idee, ossia colle cose, che noi pensiamo, sicchè 
ad ogni nuova idea ricevuta dall’anima s'imprime nel cervello 
una nuova traccia, e ad ogni nuova traccia prodotta dagli 0g- 
getti l’anima riceve una nuova idea, e quanto più profonde e 
durevoli sono le traccie, più strettamente si legano con esse le 
idee (Lib. 2°, parte 1%, cap. V). Ciò posto, egli pronuncia che 
nella donna le fibre cerebrali sono assai più delicate e molli 
che nell'uomo, epperò assai più mobili e cedevoli alle impres- 
sioni sensibili, e di qui argomenta, che generalmente parlando 
le donne posseggono più che gli uomini scienza, abilità, finezza, 
discernimento in tutto ciò, che colpisce i sensi e riguarda il 
buon gusto; ma per lo contrario la tanta mobilità delle loro 
fibre cerebrali le rende impotenti a cogliere quel, che sa di 
astratto, a penetrare le verità un po’ difficili a scoprirsi, a scio- 
gliere questioni alquanto intricate, sicchè rimangono sempre alla 
superficie delle cose senza mai penetrarne il fondo. Ma l’autore 
quasi si fosse accorto di essere trascorso troppo oltre, si affretta 
a temperare la severità del suo giudizio avvertendo che così 
non incontra generalmente in tutte le donne. “ La forza dello 
spirito dimora in un certo temperamento della grossezza e del- 
l’agitazione degli spiriti animali con le fibre del cervello, ed alle 
donne non manca talvolta questo giusto temperamento. Sonvi 
donne forti e costanti, e uomini deboli ed iIncostanti; donne 
dotte, coraggiose, capaci di tutto, e uomini molli, effeminati, inetti 
a penetrare ed eseguire alcunchè... Uomini, donne, fanciulli dif- 
feriscono soltanto fra di loro nel più e nel meno riguardo alla 
delicatezza delle loro fibre cerebrali (Lib. 2°, parte 2°, cap. 4) ,. 
Quest'ultima proposizione formolata in modo assoluto attenua 
di molto la gran differenza, che l’autore aveva interposto tra 
l’intelligenza femminile e la maschile, essendochè ci porta a 
riconoscere, che anche la donna possiede la virtù della scienza, 
sebbene in grado minore dell’uomo. Ma quello, che più importa 
di avvertire, si è, che tutto questo ragionamento dell’ autore 
muove da un principio da lui supposto vero, ma punto dimo- 
strato, che cioè il cervello è improntato di traccie, le quali stanno 
in rapporto colle idee, che si acquistano, e che le sue fibre sono 


832 GIUSEPPE ALLIEVO 


agitate e percorse differentemente da spiriti animali. Queste 
traccie cerebrali vincolate colle idee nessuno le ha vedute, e 
l’esistenza degli spiriti animali è tuttora una ipotesi, che attende 
la sua conferma dalla ragione. Malebranche e Poullain partirono 
entrambi dal concetto fisiologico del cervello, eppure riuscirono 
a conclusioni opposte. 


Claudio Fleury (1640-1723). 


In questo medesimo secolo decimosettimo intorno l’educa- 
zione femminile raffrontata colla maschile scrisse poche, ma pen- 
sate pagine l’abate Carlo Fleury nel capitolo XXXVII, parte 1?, 
delsuo Trattato della scelta e del metodo degli studi pubblicato nel 
1686. Censurando la frivola e scarsa educazione, che comune- 
mente si dà alla donna, egli avverte che anche ad essa conven- 
gono gli studi, essendochè ha un'anima specificamente identica 
con quella dell’uomo, e quindi una ragione da seguire, una vo- 
lontà da regolare, passioni da combattere, beni da amministrare. 
Così egli riconosce che l’uomo e la donna sono eguali, in quanto 
appartengono alla medesima specie umana, ma poi nota che 
differiscono l’uno dall’altra in ciò, che le donne hanno meno 
applicatezza e pazienza per un ragionare continuato, meno co- 
raggio e fermezza degli uomini, ma in compenso li sorpassano 
per vivacità di spirito e di penetrazione, per soavità e modestia, 
e non essendo chiamate alle grandi cariche. sociali dell’uomo, 
possono consacrare allo studio il tempo di libero svago. 

Guidato da questo concetto psicologico, egli si fa a segnare 
la cerchia degli studi, che si confanno all’indole della donna. Si 
educhi il cuore delle fanciulle mediante un insegnamento reli- 
gioso, sodo e preservativo da superstizione, dogmatico, ma non 
teologico, e mercè la pratica delle virtù femminili, quali la dol- 
cezza, la modestia, la sommessione, l’umiltà, armonizzate con 
l'energia, la fermezza, la pazienza. Se ne coltivi l’intelligenza, 
addestrandole ad un pensare continuato, a ragionar sodamente 
intorno argomenti alla loro portata ed ammaestrandole intorno 
i precetti più essenziali ed elementari della logica. Se ne rinvi- 
gorisca l'organismo mediante esercizi fisici convenienti, accom- 


STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 833 


pagnati dalla conoscenza de’ più facili rimedii ai mali più or- 
dinarii. Quanto all’istruzione propriamente detta, di grammatica, 
di aritmetica, di economia domestica ne sappiano quel tanto e 
non più, che occorre per il buon reggimento della casa e per 
le esigenze della vita di famiglia. Bando agli studi del latino, 
delle lingue, della poesia, della storia, della matematica e di 
altrettali curiosità, che fomentano la vanità femminile. Invece 
di questi studi assai meglio è che apprendano le massime fon- 
damentali della giurisprudenza, perchè sappiano poi prender con- 
siglio nella trattazione degli affari, che le riguardano. In verità 
che il nostro autore ristringe a proporzioni ben meschine la col- 
tura della donna fino a passarsene della storia e della poesia, 
egli che da principio voleva rialzati i suoi studi, perchè ha 
un'anima ragionevole al pari dell’uomo. 


Fénélon (1651-1715). 


Il concetto scientifico dell'educazione della donna possiam 
dire che fece la sua prima mostra di sè nel trattatello Dell'e- 
ducazione delle figlie di Fénélon. Anima soavissima e generosa 
ad un tempo, intelligenza grande ed elevata, pensatore serio e 
vivace, Fénélon è una delle figure più splendide e simpatiche, 
che campeggino nella storia della Francia letteraria del secolo 
decimosettimo. Fu alla corte di Luigi XIV precettore del duca 
di Borgogna nipote del re, scrisse egregiamente di filosofia e di 
teologia, di morale e di politica, di storia e di letteratura, ed 
è l’autore immortale del classico e popolare poema Le avventure 
di Telemaco. Una mente così eletta e tanto studiosa della na- 
tura umana sentivasi per natura portata a meditare intorno la 
grand’opera dell’educare, e ben giunse l’occasione a darle l’im- 
pulso. Egli era stato chiamato a dirigere l’Istituto delle Nuove 
cattoliche, e fu là, in mezzo a quel suo oscuro ministero sacer- 
dotale, che prese a meditare e scrivere intorno l'educazione delle 
figlie. Con questo titolo egli fece poi di pubblica ragione a Pa- 
rigi nel 1687 il suo trattato. Fu quello il primo de’ tanti suoi 
lavori, che uscirono dalla sua penna, e mostra come la nobiltà 


894 GIUSEPPE ALLIEVU 


e la delicatezza del sentire andassero in lui di pari passo colla 


serietà e saviezza del ragionare. 

“ Non havvi cosa tanto negletta quanto l’educazione delle 
fanciulle ,: con queste parole l’autore esordisce ed avverte che 
mentre all'educazione maschile si consacrano cure di ogni sorta 
e si provvede in tutte guise, si va dicendo che le fanciulle non 
è bene siano sapienti, e che la curiosità del sapere le trae a 
vanità e superbia. E qui egli non istituisce un raffronto tra 
l’uomo e la donna rispetto alla loro diversa potenza mentale, 
ma si sta pago di osservare, che non bisogna fare delle scien- 
ziate ridicole, che le donne hanno d’ordinario lo spirito ancor 
più debole e più curioso degli uomini, e che non essendo chia- 
mate a reggere lo stato, a fare la guerra, ad amministrare le 
cose sacre, per ciò stesso non vi è ragione che si applichino 
alla scienza politica, all’arte militare, alla. filosofia ed alla teo- 
logia. Pur tuttavia egli propugna con calore e fermezza la col- 
tura scientifica della donna; ed a metterne in chiaro la somma 
importanza egli non muove dalla fisiologia e dalla psicologia 
comparata, bensì dal concetto fondamentale della famiglia. Il 
mondo sociale posa tutto quanto sulla famiglia: in essa si rac- 
coglie tutta la sua realtà, da essa pendono le sue sorti; e sic- 
come le sorti della famiglia stanno in gran parte in mano della 
donna, quindi consegue la necessità della sua coltura scientifica, 
morale e religiosa, feconda di ogni bene per tutta la convivenza 
sociale. Tale è in sostanza il suo ragionamento. Se la fanciulla 
non è seriamente educata e nutrita di sodo sapere, crescerà 
leggiera, molle, sregolata, amante dell’ozio, e cercherà di riem- 
piere con frivoli divertimenti e sciupati romanzi quel vuoto, che 
sente in fondo al cuore. 

L'autore mostra una soda e fina conoscenza, sia dell’età 
infantile, sia dell'anima della donna, e sopra di essa fonda tutta 
la sua pedagogica dottrina; ma questa conoscenza non è deri- 
vata per mezzo di una serie di logici ragionamenti da un prin- 
cipio proprio della scienza fisiologica e psicologica, bensì è frutto 
di una schietta osservazione della realtà. Egli non parte, come 
Poullain e Malebranche, da una teoria fisiologica del cervello 
per inferirne l'eguaglianza o la differenza delle attitudini men- 
tali dell’uomo e della donna, ma ha contemplata la natura in- 
fantile e la femminile quali si mostrano in realtà coi loro pregi 


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STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 835 


e difetti, e nei dieci anni che resse l'istituto delle Nuove Cat- 
toliche ha potuto contemplare con occhio sicuro ed intelligente 
i penetrali di quelle anime giovanili. 

Le pagine, che egli ha scritto intorno l'educazione degli 
anni primi, sono ammirabili per delicatezza e ragione, ed egual- 
mente convengono ai fanciulli ed alle fanciulle, che nel periodo 
dell'infanzia non mostrano ancora gran fatto la differenza della 
loro indole. Le prime impressioni sono le più profonde (1) e de- 
terminano in gran parte il carattere del nostro essere per tutta 
la vita; dunque (egli ne argomenta) gli è fin dalla prima età, 
che vuolsi cominciare l'educazione delle fanciulle: L'infanzia os- 
serva molto e parla poco; non avvezziamola adunque a parlar 
molto, a dire tutto ciò, che si presenta alla mente, creando così 
l'abitudine di giudicare con precipitazione e parlar di cose non 
bene intese: osservazione assennata è questa dell’autore, essen- 
dochè il pensare ed il parlare devono mantenersi fra di loro in 
armonica corrispondenza. I fanciulli sono naturalmente ed oltre 
modo curiosi: facciamo tesoro di questa innata curiosità, foriera 
dell’istruzione, per ammaestrarli, secondochè se ne presenta l’oc- 
casione, intorno a cose, che importano a sapersi. Sono assai 
corrivi ad imitare le azioni altrui; facciamo adunque in guisa 
che abbiano presenti buoni esempi, e siccome torna impossibile 
impedire che anche il male cada sotto i loro occhi, adoperia- 
moci di premunirli contro le tristi conseguenze con opportune 
e caute osservazioni. 

Si va disputando tra i pedagogisti, se lo studio intrapreso 
dai fanciulli voglia piuttosto essere un diletto o qualche cosa 
di serio. Il nostro autore consiglia di unire l'utile col dolce, di 
attemperare l'istruzione col sollazzo, di non istancare lo spirito 
con una esattezza indiscreta, con una regolarità troppo spinta. 
la quale fallisce al suo scopo, di rendere gradevole lo studio 


(1) Fénélon avvisa che le prime imagini sono le più profonde, perchè 
il cervello de’ fanciulli, in cui vengono stampate, è ancora molle, e riguardi 
il cervello stesso siccome il serbatoio delle immagini. Questa opinione, che 
pure era ancora comunissima a’ suoi tempi, non regge alla critica, sin 
perchè le innumerevoli immagini non possono capire nel piccolo spazio cr 
rebrale senza distruggersi successivamente, sia perchè le immagini delle 
cose visibili si formano e si imprimono nell’occhio e non nel cervello. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. DIÙ 


LI 


t=1310) GIUSEPPE ALLIEVO 


sotto l'apparenza della libertà e del piacere, lasciando le lezioni 
cattedratiche, quando si possono dare ammaestramenti in forma 
di piacevoli conversazioni e sopportando che qualche volta in- 
terrompansi le lezioni con brevi motti piacevoli. 

Filosofo e pensatore quale egli è, Fénélon intende che nel- 
l’ammaestrare i fanciulli si rispetti in essi la ragione, a mano 
a mano che la loro intelligenza progredisce. Checchè loro in- 
segnate, mostratene l'utilità e l’uso relativamente alla vita pra- 
tica e sociale. Rendete ad essi ragione di tutto ciò, in cui li 
istruite: ed additate loro uno scopo vero e gradevole, che li 
sorregga nelle fatiche dello studio: ragionate con essi sui bi- 
sogni della loro educazione (1). Insieme colla ragione rispettate 
anche la libertà dei fanciulli. Non chiudete loro il cuore con 
un’ autorità rigida, austera, inflessibile; ma fatevi amare, e 
siano liberi con voi sicchè lascino scorgere senza timore i loro 
difetti. Non aggravateli di correzioni e di minaccie : esse vi to- 
glierebbero la loro sincerità e confidenza, che sono la prima 
guarentigia di una efficace educazione. Punite leggermente, il 
men che si può, e di tal guisa, che il fanciullo provi il senti- 
mento della vergogna e del rimorso e soffra paziente il castigo; 
e quanto ai piaceri proprii di questa età fanciullesca, siano sem- 
plici sì, che generino una gioia moderata, eguale e durevole, 
non già tali da far scattare la molla delle passioni. 

Le indoli infantili sono svariatissime e disparate. Sonvi 
nature vivaci e sensitive, e sonvene delle indolenti, apatiche, 
fredde e pressochè insensibili: quelle possono lasciarsi trascinare 
a deplorabili traviamenti, ma corrette a tempo, rinsaviscono, 
queste rimangono pressochè indifferenti e nulle all’opera edu- 
cativa. Similmente si dànno indoli, che nella prima età appa- 
riscono esteriormente graziose, amabili, promettenti, mentre lo 
spirito interiore è destituito di forza e di energia ed abbisogna 
perciò di essere eccitato ed educato con molta cautela ed ac- 
corgimento. Il nostro autore crede alla corruzione originaria 
della natura umana, ed avverte esservi fanciulli, che nascono 


(1) Cosa singolare! Fénélon teologo e credente sostiene doversi ai fan- 
ciulli render ragione di ciò, che loro s’insegna; Rousseau libero pensatore 
e miscredente sentenzia che con essi non vuolsi ragionare. 


lee ai nea di dn 


Birre aio 2 


STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 837 


infinti, chiusi in se stessi, indifferenti a tutto tranne al loro 
proprio tornaconto, verso i parenti fingono un amore, che non 
hanno, e con una simulata arrendevolezza ai loro voleri fanno 
credere di avere un animo mite e buono. Contro quest’indole 
dissimulatrice ed infinta l'educazione ha ben ardua prova da so- 
stenere. Il meglio si è lasciarle una grande libertà di manife- 
starsi, e non imprendere di correggerla se prima non è cono- 
sciuta a fondo. 

Un altro notevole tratto dell’indole infantile è il suo amore 
appassionato pei racconti ameni ed attraenti. Facciamo tesoro 
di questa tendenza narrando favolette istruttive e dilettevoli, 
avventure immaginarie e reali, in modo vivo ed animato sì da 
tenere sempre desta la curiosità dei fanciulli, ed avvezziamoli 
a raccontare essi stessi così che imparino il miglior modo di 
fare una narrazione. L'autore addita nella storia sacra la fonte 
più pura, più ampia e più svariata, da cui vanno attinti i rac- 
conti per la puerizia segnatamente in servizio dell'istruzione re- 
ligiosa, essendochè l'origine e lo sviluppo della religione giudaica 
e cristiana hanno il loro fondamento nei fatti storici. 

Venendo all’istruzione della mente, l’autore esordisce dal- 
l’istruzione religiosa ed afferma doversi volgere con dolcezza il 
primo uso della ragione infantile a conoscere Dio. Trattando 
questo argomento, egli si mostra ad un tempo filosofo e cre- 
dente, affermando che questo insegnamento deve abbracciare ad 
un tempo ed in bell’armonia la conoscenza di Dio e la cono- 
scenza dell'anima umana. È questo un concetto nuovo ed origi- 
nale, come ha originalità e novità il metodo da lui proposto per 
tale ammaestramento. Come è manifesto, è una specie di studio 
psicologico quello, che qui si consiglia: però non si tratta punto 
di una psicologia scientifica ed astratta. “ Nulla di peggio, che 
il lanciare una fanciulla nelle sottigliezze della filosofia: bisogna 
ristringersi a rendere chiaro e sensibile ciò, che ella prova e 
dice tutti i giorni ,. Una certa qual vaga intuizione della di- 
stinzione che corre tra l’anima ed il corpo ella già la possiede 
per natura e senza sforzo di mente: si tratta di chiarire questa 
confusa intuizione, di convertirla in una vera persuasione, av- 
vezzando la fanciulla ad attribuire al corpo quello, che gli ap- 
partiene, all'anima quello, che le è proprio, e giovandosi a tal 
uopo di imagini sensibili, di osservazioni e di raffronti fra cose 


838 GIUSEPPE ALLIEVO 


notissime, di conversazioni semplici e piane, senza ombra di sot- 
tigliezze. Così essa a poco a poco giungerà a conoscere, che 
l’anima è assai più nobile e preziosa del corpo, in cui alberga, 
già find’ora intravedendo che non può finire come finisce la ma- 
teria, e dall'anima umana, che è spirito, s'innalzerà ad un giusto 
concetto di Dio, che è spirito infinito. A me sembra giustissimo 
questo pensiero di Fénélon, che vuole insieme accoppiata la co- 
noscenza di Dio colla conoscenza dell’anima umana, essendochè 
la religione essenzialmente dimora in un rapporto di intelligenza 
e di amore tra l’anima e Dio. Quindi si renderebbe alla scienza 
ed all'arte dell’educare un segnalato servigio, se, seguendo il 
concetto dell'autore, si studiasse in tutti i suoi particolari il 
metodo conveniente a tale scopo. 

In che va riposta la coltura scientifica. propria della donna? 
S'intende da sè, che essa va istruita corrispondentemente alla 
missione, che deve adempiere secondo l’intendimento della na- 
tura, giusta l’antico adagio: Non scholae, sed vitae discendum. 
Quindi l’autore scrive, che “ la scienza delle donne, come quella 
degli uomini, deve ristringersi a renderle istrutte di quanto 
richiedono i loro doveri: la differenza delle loro occupazioni deve 
essere pur quella del loro studi , (cap. 11). Ciò posto, egli ri- 
pone i doveri e la missione della donna, nell’educazione de’ suoi 
figli, nel governo dei domestici, nel reggimento economico della 
casa e nella buona amministrazione degli affari domestici: per 
conseguente la cerchia de’ suoi studi deve abbracciare tutte 
quelle conoscenze, che sono richieste all'adempimento di quel 
suo triplice compito. La donna è fatta per la famiglia, non per 
la vita pubblica; sappia adunque quanto occorre per rispondere 
all’ideale della famiglia. 

L'educazione de’ proprii figli importa, che la madre studii 
e conosca per bene l’indole e l'ingegno di ciascuno de’ suoi 
bimbi, le inclinazioni, le attitudini per prevenire e reprimere le 
passioncelle nascenti ed informarli al retto ed all’onesto. Stu- 
diare i proprii fanciulli è, per Fénélon e per ogni assennato 
pedagogista, sacro dovere di madre. Per me, lo studio della na- 
tura infantile mi è sempre parso bello, attraente, fecondo di 
considerazioni sempre nuove ed interessanti. Il bimbo desta in 
chi attentamente lo contempla una folla di care impressioni 
frammiste a gravi pensieri. La sna innocenza, l’amabilità, la 


PL POE E 


E II VE PE CO 


STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 839 


grazia, l’ingenuità, il sorriso ci commuovono soavemente, mentre 
non possiamo reprimere un certo qual sentimento di pena e di 
mestizia osservando in esso certi scatti di gelosia e di iracondia, 
certe passioncelle, che mostrano come in fondo alla sua anima 
innocente stia appiattato un germe corrompitore. Nel bimbo ci 
sì presentano le prime traccie di una vita umana, che va via 
via dispiegandosi e che forse col tempo stamperà nella storia 
una gloriosa impronta; ma quella vita si mostra velata da una 
certa quale ombra di mistero. Poichè egli è ignaro della sua 
destinazione, inconsapevole delle miserie della vita; e quando 
passerà un giorno dalle angustie delle pareti domestiche nel gran 
mondo sociale, che ne sarà di lui? Noi non lo sappiamo; noi 
ignoriamo quanto lui il suo avvenire, e chi sa che la sua esi- 
stenza venga troncata nel suo sbocciare ! 

Anche nella conoscenza dell’economia domestica vuol essere 
ammaestrata la fanciulla, la quale assai per tempo debbe impa- 
rare ad essere buona massaia senza trascorrere sino all’avarizia, 
a mantenere la pulitezza, il buon gusto, l’ordine nell’interno della 
casa, a preferire la conveniente semplicità alla ricercatezza ed 
agli ornamenti superflui. Giova pur anco che sappia alcunchè 
delle principali disposizioni del codice per condurre a buon esito 
e secondo legalità l’amministrazione de’ proprii interessi. Quanto 
alle altre materie di studio, la fanciulla impari a leggere e scri- 
vere correttamente, conosca l’ortografia e la grammatica, ap- 
prenda praticamente e senza regole la lingua patria, sappia le 
quattro regole dell’aritmetica e le loro pratiche applicazioni. 

A questo punto l’autore ferma la coltura mentale essen- 
senzialmente necessaria alla donna. Forza è riconoscere che è 
ben poco, è oltre modo modesto il sapere scientifico, che egli 
esige -da una fanciulla educata a dovere. Sono all'incirca gli 
stessi confini segnati dal Fleury agli studi delle donne. Però vi 
corre tra i due pedagogisti un notevole divario sotto un altro 
punto di vista. Il Fleury ha tracciato al sapere della fanciulla 
un cerchio inflessibile, e non vuole che si spinga più in là: egli 
imperiosamente bandisce siccome vana curiosità, siccome stru- 
mento di superbia gli studi della letteratura e della poesia, del 
latino, della storia e geografia. Fénélon invece, mentre è irre- 
movibile nell’esigere siccome assolutamente necessario alla donna 
senza eccezione le poche materie di studio testè divisate, ab- 


840 GIUSEPPE ALLIEVO 


bandona poi alla libera scelta ed al genio delle giovani, che 
si sentono da ciò, gli studi della letteratura, della poesia, della 
storia, del latino, della musica e della pittura. Però egli si af- 
fretta ad avvertire, che in ciò vuolsi procedere con sommo ac- 
corgimento e cautela. Fénélon era grande scrittore, innamorato 
del bello letterario, fervido cultore dell’antico classicismo, ep- 
però non poteva non fare buon viso al culto della letteratura 
e dell’arte anche per l'educazione della donna; ma ad un tempo 
era zelante ministro del Cristianesimo e la sua pura coscienza 
di sacerdote sentiva aleggiare in quell’ambiente certo qual spi- 
rito di profana mondanità, che offende l’anima delicata di una 
fanciulla, e cerca di scongiurarne i pericoli. Concede la lettura 
di libri profani, ma di quelli soltanto, che non hanno alcunchè 
di nocivo per le passioni. La storia della Grecia, di Roma, della 
Francia eleva l’anima a concetti sublimi, purchè si scansi la 
vanità e l’affettazione. Si impari il latino, perchè è lingua della 
Chiesa e schiude il senso delle parole dell’ufficio divino, a cui 
si assiste; ma bando allo studio dell’italiano e dello spagnuolo : 
“ queste due lingue non servono che a leggere libri pericolosi 
e capaci di accrescere i difetti delle donne , (cap. 12). Libri di 
eloquenza se ne leggano, ma con sobrietà, e tali che non per- 
vertano il sentimento dell'amore. Si coltivi la poesia e la mu- 
sica, se così piace; ma sia musica e poesia cristiana. Così da 
per tutto egli scorge un pericolo, e ne addita il provvedimento. 
Ad ogni modo è lodevole il suo intendimento, il quale mira a 
tutelare il sentimento morale e religioso, che egli pone in cima 
ad ogni coltura. Ed è pure giustissima ed assennata la distin- 
zione, che egli ha fatto, tra gli studi necessarii ed assoluta- 
mente essenziali alla coltura della donna, e gli studi liberi e 
geniali, rispondenti alle attitudini particolari delle fanciulle. 
Sempre rispettando la libertà personale, egli consiglia che la 
educazione di una giovinetta risponda alla sua condizione so- 
ciale, ai luoghi, dove le toccherà passare la vita, alla professione, 
che abbraccierà probabilmente, ed espone assennate riflessioni 
secondochè essa sarà col tempo o madre di famiglia, o religiosa, 
giacchè pur troppo a’ suoi tempi non era riservata alla fanciulla 
altra scelta, che o il matrimonio od il convento. 

L’autore consacra due capitoli, il nono ed il decimo, a met- 
tere in rilievo i molti difetti consueti al sesso femminile, quali 


STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 841 


sono la timidità e la mollezza, le piccole gelosie e le troppo te- 
nere amicizie, le adulazioni e la loquacità, l’astuzia e la scaltrezza, 
la vanità della bellezza, degli ornamenti e delle acconciature 
alla moda. Egli spiega una finissima osservazione nel descriverli 
e molto accorgimento nel proporne i rimedii, ponendo in chiaro 
segnatamente le tristi conseguenze; ma si può muover que- 
stione, se tali difetti siano per necessità di natura insiti nel 
sesso femminile; poichè in tal caso ogni provvedimento rivolto. 
a distruggerli tornerebbe vano, e solo si dovrebbe dar opera 
nel rivolgerli a buon fine. Egli stesso per correggere la vanità 
degli ornamenti consiglia un rimedio, che rivela il suo grande 
amore per la classica antichità, ma che potrebbe riuscire ad uno 
scopo affatto opposto. “ Vorrei far conoscere alle giovinette la 
nobile semplicità, che scorgesi nelle statue e nelle altre imagini, 
che ci rimangono delle donne greche e romane. Vedrebbero come 
i capelli annodati semplicemente dietro la fronte e i panneg- 
giamenti ondeggianti a lunghe pieghe riescano belli e maestosi , 
(cap. 10). Una semplicità descritta e contemplata con tanta com- 
piacenza diventa molto pericolosa e può fomentare quel senti- 
mento di vanità, che si vorrebbe comprimere. 

L'autore chiude il suo libro muovendo a se medesimo la 
dimanda se il sistema educativo da lui proposto possa essere 
praticato dalle madri di famiglia e dalle istitutrici private, o 
non sia forse un ideale impossibile ad essere tradotto in atto; 
e giudicando egli medesimo il suo libro risponde, che la via da 
lui tracciata, per lunga che appaia, è la più breve, perchè con- 
duce diritto ove si vuole andare, e che le sue proposte non 
esigono un discernimento ed un ingegno straordinario per ese- 
guirle. Ed ha perfettamente ragione. Il suo libro non è invi- 
luppato in sottili astrattezze e disquisizioni scientifiche, ma porta 
l'impronta di una profonda saggezza naturale, di una osserva- 
zione verace, di una schietta naturalezza, di un ragionare serio 
e misurato, e quel che è più, è concepito e dettato con una 
squisita bontà di animo, la quale ben risponde al cuore della 
donna. I fatti vennero a confermare col suggello dell’esperienza 
il suo giudizio. La illustre educatrice Maintenon modellava sulla 
pedagogia di Fénélon l'istituto femminile di Saint-Cyr da essa 
fondato, ed il felice successo mostrò di avere scelta la giusta 
via; ed un’altra celebre pedagogista di quel secolo, la marchesa di 


842 GIUSEPPE ALLIEVO 


Lambert, scriveva a Fénélon: “ Io ho trovato in Telemaco i pre- 
cetti, che ho dati a mio figlio; e nell’Educazione delle figlie i con- 
sigli, che ho dati alla mia , (Opere morali, Parigi, 1843, pag. 311). 

Fénélon scrisse il suo libro segnatamente in servigio delle 
famiglie più o meno facoltose ed agiate, giacchè in riguardo 
alla educazione delle figlie egli preferiva la famiglia agli istituti 
ed ai collegi; ma deplorava la grande difficoltà di trovare buone 

'istitutrici e la trascuratezza dei parenti nell'adempimento di un 
compito sacrosanto. Nella maggior parte delle case egli non 
vede che confusione, cangiamenti, madri che trascorrono la vita 
in divertimenti e disdicevoli conversazioni, parenti, che fanno 
assaporare ai loro fanciulli il piacere delle passioni sinchè tor- 
nino insipidi quelli dell'innocenza. “ Quale formidabile scuola per 
la tenera età! ,. L'autore parlava della società de’ suoi tempi; 
ma oggidì, io dimando, la donna è essa universalmente e sag- 
giamente educata in guisa, che apparisca la vera educatrice e 
maestra delle sue figlie? 

L’opuscolo dell'autore non contiene certamente dell’educa- 
zione femminile una teoria ampliata e compiuta in ogni sua 
parte, ma egli ne sbozzò con mano maestra il disegno generale; 
e sebbene in alcune pagine si riscontri un colorito locale do- 
vuto alle condizioni sociali del suo tempo, tuttavia mostra la 
salda impronta della scienza, siccome quella, che posa su cono- 
scenze psicologiche, le quali hanno un carattere universale. Ber- 
nardino di Saint-Pierre lo teneva in tanta estimazione, che di- 
chiarò “ di avere commesso uno sbaglio nello imprendere a 
serivere sull'educazione della donna, dopochè Fénélon aveva 
dettato un buonissimo libro intorno l’educazione delle figlie ,. 
Degna appendice dell’opuscolo di Fénélon sono i suoi “ Avver- 
timenti ad una ragguardevole donna (la duchessa di Beauvilliers) 
per l'educazione di sua figlia ,. Essi sono informati dai mede- 
simi concetti e ripieni di saggi consigli. “ Non la impaurite (la 
figlia) della pietà mostrandola a torto troppo severa. Lasciatele 
una libertà onesta ed una gioia innocente: avvezzatela a star 
lieta eccetto che nella colpa, ed a riporre il piacere lungi dai 
divertimenti pericolosi. Procurate farle amar Dio. — Fatele 
vedere quanto sia dolce, quanto accondiscenda ai nostri bisogni, 
quanta pietà egli abbia delle debolezze nostre, e addimesticatela 
a lui siccome a Padre tenero e compassionevole ,. Di proposito 


STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 843 


ho riferito questo passo di Fénélon per dimostrare quanto sia 
falso su questo punto il concetto dell’autore dell’ Emilio intorno 
il Cristianesimo. “ A forza di spingere all'eccesso tutti i doveri, 
il Cristianesimo li rende impraticabili e vani; a forza di vietare 
alle donne il canto, la danza e tutti i trastulli del mondo, le 
rende sgarbate, brontolone, insopportabili nelle loro case , (1). 


(1) Rousseau, Émile, Paris, 1881, tom. IV, pag. 45. 


L’ Accademico Segretario 


ErmanNoO FERRERO. 


844 


CLASSI UNITE 


Adunanza del 17 Maggio 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 
PRESIDENTE DELL ACCADEMIA 


Il Presidente annuncia la morte del prof. Luigi Cossa, Socio 
corrispondente della Classe di scienze morali, storiche e filolo- 
giche, colle seguenti parole: 


Egregi Colleghi, 


Debbo annunziarvi la perdita gravissima fatta dalla Classe 
di scienze morali, storiche e filologiche per la morte del nostro 
Corrispondente comm. nobile Lurei Cossa, professore di Eco- 
nomia politica nella R. Università di Pavia. 

Questa volta il dolore per la perdita dell’uomo di scienza 
viene da noi ad essere anche più vivamente sentito, in quanto 
che esso trovasi associato al dolore ed al lutto di famiglia del 
nostro Vice-Presidente Alfonso Cossa, il quale ha perduto nel 
Lursi il suo fratello primogenito e lo ha perduto in modo pres- 
sochè improvviso, senza aver neppure la possibilità di dargli 
l’ultimo saluto. 

Il collega CoexnertI, che fu stretto al Lurer Cossa da vin- 
coli di amicizia e da comunanza di studii, dirà a suo tempo 
della vita e delle opere di lui. 

Io mi limiterò unicamente a ricordare che il Cossa fu 
senza alcun dubbio uno dei più illustri cultori degli studii eco- 
nomici e sociali in Italia e uno dei più benemeriti per il pro- 
gresso e la diffusione dei medesimi. Egli visse unicamente per 
la scienza e per l'insegnamento e non si lasciò distrarre da cure 


845 


politiche ed amministrative. Egli accoppiò due qualità, che di 
rado si incontrano insieme riunite. Da una parte conobbe tutta 
la letteratura antica e contemporanea negli studi economici e 
sociali ed ebbe una larghissima erudizione, come lo comprova 
la sua “ Introduzione allo studio dell'Economia politica ,, in cui 
si dimostra informato di tutti gli autori, che scrissero di cose 
economiche dal tempo in cui si iniziò quella scienza fino a 
questi ultimi anni. Dall’altra egli riuscì a sintetizzare e a coor- 
dinare in brevi volumi, mirabili per ordine, chiarezza, conci- 
sione ed esattezza, i principii fondamentali dell’ Economia po- 
litica e sociale e della scienza della finanza. 

L'importanza e il merito dei suoi lavori è dimostrato dal 
numero delle edizioni che se ne fecero, dalla traduzione di al- 
cuni di essi in pressochè tutte le lingue di Europa, e dall'alta 
fama a cui egli pervenne, in Italia ed all’ estero, come lo di- 
mostra il fatto che fu ascritto a un numero grande di Acca- 
demie nazionali ed estere. 

Egli poi non si limitò a diffondere cogli scritti la scienza 
da lui professata, ma ne aiutò il progresso colla istituzione di 
premi, ed attese con grande amore a formare e ad educare 
degli allievi e dei discepoli, che concorrevano per perfezionarsi 
negli studi economici e sociali alla Università di Pavia, dove 
trovavano presso il prof. Lurer Cossa il sussidio di una ricchis- 
sima biblioteca, e potevano da lui apprendere quel metodo ri- 
gorosamente scientifico, a cui egli sempre si attenne nelle pro- 
prie investigazioni. Infatti buon numero di professori di Economia 
politica delle nostre Università si considerano come allievi di 
Lui; ed egli ebbe anche il conforto per Lui grandissimo di la- 
sciare avviato allo stesso ordine di studii il suo figlio Emilio, 
il quale già ebbe occasione di dare buon saggio di sè e di dimo- 
strare attitudine a seguire e a continuare le tradizioni e l'esempio 
del padre. 

Il prof. Lurer Cossa fu nominato Socio corrispondente del- 
l’Accademia per la Classe di scienze morali, storiche e filolo- 
giche il 14 Marzo 1886 e decedette in Pavia il 10 Maggio 1896 
nell'età di anni 65. 

La Presidenza ha pregato il prof. GoLeI, nostro Corrispon- 
dente, Rettore della R. Università di Pavia, di presentare a 
nome dell’Accademia le condoglianze alla famiglia di lui, ed ora, 


846 


in occasione di questa Adunanza dell’Accademia a Classi unite, 
propone di inviare il seguente telegramma alla famiglia Cossa: 
“ L'Accademia delle Scienze di Torino, riunita oggi in 
seduta plenaria, commemorando il Socio corrispondente nobile 
Lurer Cossa, mentre deplora la gravissima perdita fatta dalla 
scienza e dall’insegnamento, associasi al dolore ed al lutto del 
suo Vice-Presidente e di tutta la famiglia Cossa ,,. 
L'Accademia approva. 


Gli Accademici Segretari 


ANDREA NACCARI. 


Ermanno FERRERO. 


847 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 


Dal 26 Aprile al 10 Maggio 1896. 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; 
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. 


* Atti della R. Accademia medico-chirurgica di Napoli. Anno XLIX, 
N. s., n. V. Napoli, 1895; 8°. 

* Atti della R. Accademia dei Lincei, serie V. Memorie della Classe di 
Scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. Roma, 1896; 4°. 

* Beitrige zur geologischen Karte der Schweiz. N. F. 5 Lief. Bern, 1896; 4° 
(dalla Commiss. Geologica Svizzera). 

Bollettino della R. Scuola Superiore d’Agricoltura in Portici; N.1, 3-8, 
10-12, 15, 17, 21, 24-27. 

* Bulletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College. 
Vol. XXIX, 1. Cambridge, 1896; 8°. 

* Comptes-rendus des séances de l’Académie des Sciences de Cracovie. 
Février, Mars, 1896; 8°. 

* Jahrbuch iiber die Fortschritte der Mathematik. Bd. XXV, Heft 1. 
Berlin, 1896; 8°. 

* Journal of the Asiatie Society of Bengal. Vol. LIV, Part II, Natural 
Science, n. 5. Calcutta, 1896; 8°. 

* Proceedings of the Royal Society. Vol. LIX, n. 356. London, 1896; 8°. 

* Proceedings of the Zoological Society of London for the year 1895. 
Part IV. London, 1896; 8°. 

* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Vol. XXIX, 
fasc. VIII. Milano, 1896; 8°. 

Resoconto della Cassa di Risparmio di Torino per l’Esercizio 1895. Torino, 
1896; 4°. 

* Transactions of the Zoological Society of London. Vol. XIV, par. 1. 1896;4°. 

* Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXIV, p. v-vir. 
1896. 

* #ypHaJb pyCckaro sI8mro-xnuMMuecgaro 060mecrBa npu ImmepaTopcroMB 
C. Ilerep6ypreroms VanBepenterb; t. XXVIII, n. 2. 1896. 


848 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Caldarera (F.). Primi fondamenti della geometria del piano. Palermo- 
Torino, 1891; 8° (dall’A.). 

— Introduzione allo studio della geometria superiore. Palermo, 1892; 8° (Id.). 

— Trattato di trigonometria rettilinea e sferica. Palermo, 1896; 8° (Id.). 

Folgheraiter (G.) e Keller (F.). Frammenti concernenti la (Geofisica dei 
pressi di Roma, 1895-96, ni 1-3; 8° (Id.). 

Staggemeier (A.). Le millionième de la surface terrestre représenté comme 
unité convenable pour l’estimation des étendues géographiques. Co- 
penhague, 1896; 8° (/4.). 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche 


Dal 3 al 17 Maggio 1896. 


* Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. T. LIV, disp. 5*. 
Venezia, 1895-96: 8°. 
* Atti della R. Accademia economico-agraria dei (Georgofili. 4* serie; 
vol. XVIII, disp. 3-4; XIX, 1. Firenze, 1895-96; 8°. 
* Bibliotheca Indica: A Collection of Oriental Works published by the 
Asiatic Society of Bengal. New series, n. 866, 868-871. Calcutta, 1896; 8°. 
** Biograplfie (Allgemeine deutsche). Lfg. 201. Leipzig, 1896; 8°. 
* Ceské Akademie Cisare Frantiska Josefa pro védy, Slovesnost a Uméni. 
Almanach. Rotnik VI. 
Historicky Archiv. Cislo 7. 
Rozpravy. Trida I (Pro védy filosofické, pravni a historické). Rotnik IV. 
— Trida III (Filologickà). Rocnik IV. n 
Sbirka Pramentiv ku Ponznani literirniho Zivota v Céchach, na Mo- 
rave a v Slezku. e È - 
, Skupina I. Rada 2, Cislo 2; Skupina Druhà, Cislo 2; Skupina Treti 
Cislo 1. 
Vestnik. Roénik IV. Cislo 4-9. 
Celakovsky (J.). Privilegia krilovskych Mést Venkovskych z let 
WS O: die 
Winter (Z.). Zivot Cirkevni v Céchich. Kulturné-historicky obraz z 
XV a XVI. Stoleti svajek prvni. Praze, 1895; 8°. 
* Eranos. Acta philologica suecana. Vol. I, fasc. 1. Upsaliae, 1896; 8° (Dat- 
V Università d' Upsala). i 
* Nederlandsch-Indisch Plakaatboek, Deel XIV,1804-1808. Batavia, 1895; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 849 


* Preisschriften gekrònt und her. von der fiirstlich Jablonowskischen Ge- 
sellschaft. XXX. Leipzig, 1895; 8°. 

** Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia. Vol. IV; 
pp. 4417-4859. Parte suppl. vol. I; 8°. 

* Tijdschrift voor Indische Taal-, Land- en Volkenkunde, uitgegeven door 
het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen, ete.; 
Deel XXXVIII, 6; XXXIX, 1. Batavia, 1895; 8°. 


* Chroust (A.). Abraham von Dohna. Minchen, 1896; 8° (dall’Accad. delle 
scienze). 

Cipolla (C.). Verona e la guerra contro Federico Barbarossa. Venezia, 1895; 8°. 

— Frammento di un codice perduto degli Armmnales veronenses di Parisio da 
Cerea. Verona, 1896; 8°. 

* Dagh-Register gehouden int Casteel-Batavia vant passerende daer ter 
plaetse als over geheel Nederlandts-India. Anno 1666-67. Batavia, 1895; 
8° (dalla Società di Arti e Scienze di Batavia). 

* Lege statute regulamente si decisiuni ale Academiei romane. Bucuresci, 
1896; 16°. 

Nota (A.). Giuseppe Mazzini e il risorgimento italiano. Sanremo, 1896; 16°. 
* Petricelcu-Hasdeu (B.). Dictionarul limbei istorice si poporane a Ro- 
manilor. T. III, fasc. IV. Bucuresci, 1896 (dall’Accademia Rumena). 

* Pirkheimers (W.). Schweizerkrieg. Miinchen, 1895; 8° (dall’Accademia di 
Monaco). 

** Sanuto (M.). I Diarii, t. XLVI, fasc. 197. Venezia, 1896; 4°. 


Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. 


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CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Pd 


Sono presenti i Soci: Cossa, Vice-Presidente dell’Accademia, 
D’Ovipro, Direttore della Classe, Brzzozero, FERRARIS, SPEZIA, 
GrBeLLI, Giacomini, CAMERANO, SEGRE, VoLTERRA, JADANZA, Foà, 
GuarescHI e Naccari Segretario. 

Il Presidente partecipata alla Classe la morte del Socio Na- 
zionale non residente Luigi Federico MeNABREA marchese di 
Val Dora, pronuncia le seguenti parole: 


Nato a Chambéry il 4 settembre 1809, Luigi Federico 
MrexABREA marchese di Val Dora fu eletto Socio nazionale re- 
sidente di questa Accademia, per la Classe di scienze fisiche, 
matematiche e naturali, il 17 febbraio 1839, prima ancora di 
aver compiuto i trent'anni. Alla fine del 1867 chiamato fuori da 
Torino dalla sua carriera politica e diplomatica, passò nella ca- 
tegoria dei Socii non residenti e continuò sempre ad essere 
tale. Morì nella sua città nativa di Chambéry in età di anni 87, 
il 25 corrente maggio. 

Della vita e delle opere di lui parlerà con competenza il 
collega Volterra. A me basterà il ricordare che il nome del 
marchese Luigi Federico Menabrea ebbe una parte importante 
nella storia delle varie fasi del Risorgimento nazionale: che 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 58 


852 


egli ebbe la fiducia di tre sovrani, cioè di Carlo Alberto, Vittorio 
Emanuele II e Umberto I; che egli continuò a servire la patria 
sua fino a questi ultimi anni, e la servì come scienziato, come 
uomo di guerra, come uomo di stato e come diplomatico. Egli 
fu una di quelle tempre eccezionali, a cui può esser dato di es- 
sere uomini di scienza e di azione ad un tempo, e che conser- 
vano fino all’ultimo il vigore del corpo e la lucidezza della mente. 

L'Accademia deve chiamarsi onorata di averlo avuto a suo 
Socio fin dai suoi giovani anni, e vuolsi anche aggiungere che 
egli si ricordò sempre con riconoscenza di questa Accademia, che 
accogliendolo giovane ancora nel suo seno contribuì a rendere 
celebre il suo nome. In questi ultimi anni, allorchè cominciò 
a sentire bisogno di riposo, egli si recò più volte alla nostra 
Accademia, si informò e si interessò dello stato presente di 
essa, e mandò perfino un manoscritto del compianto suo fratello 
Leone, acciò se ne iniziasse la pubblicazione dall’altra Classe, 
incaricandosi egli stesso di premettervi una prefazione. 

La Presidenza incaricò il Presidente dell’Accademia delle 
Scienze di Chambéry di rappresentare l'Accademia ai funerali, 
ed ora si riserva di esprimere a nome della Classe i sensi della 
più profonda condoglianza alla vedova S. E. marchesa Menabrea 
e alla famiglia. 


Fra le pubblicazioni inviate in dono il Segretario segnala 
una Memoria del Socio Corrispondente J. HoPKINson scritta in 
collaborazione col sig. E. WiLson, “ Sulle macchine dinamo-elet- 
triche a correnti alternate ,. 

Il Segretario legge la lettera diretta dal Vice-presidente 
Cossa, per ringraziare la Classe delle condoglianze fattegli in 
occasione della morte del fratello suo Lureir Socio Corrispon- 
dente dell’altra Classe, e il Presidente delle parole di commemo- 
razione dette nella seduta delle Classi Unite del 17 maggio 1896. 


Vengono accolte per gli Atti le seguenti Note: 


1° “ Alcune osservazioni sulla difenilurea e sulle ditolil- 
uree »s, nota del Socio Icilio GUARESCHI. 

2° “« Intorno alla determinazione teorica della gravità alla 
superficie terrestre ,, nota del Prof. Paolo Pizzetti, presentata 
dal Socio D’Ovipro. 


853 


3° “ Sulla rigenerazione dell’ epitelio muciparo del tubo 
gastro-enterico degli anfibi ,, nota del Dott. Cesare SAcERDOTTI 
presentata dal Socio Brzzozero. 


? 


4° “ Sull’integrazione dell'equazione differenziale A*A*= 0 ,, 
nota dell'Ing. Emilio ArLmansI, presentata. dal Socio VoLTERRA. 


Viene accolta per l’inserzione nei volumi accademici la 
memoria del Socio Nicodemo JADANZA intitolata: “ Per la storia 
del cannocchiale ,. 


Vengono affidate all’ esame di speciali commissioni le 
Memorie seguenti: 


1° “ Endoderma e periciclo nel genere T'rifolium in rap- 
porto colla teoria della Stelia di V. Thieghem e Douliot ,, memoria 
del Dott. Saverio BeLLI, presentata dal Socio GIBELLI. 


2° “ Ricerche batometriche e fisiche sul lago d’Orta ,, me- 
moria del Dott. Giovanni De Agostini, presentata dal Socio 
SPEZIA, 


3° “ Osservazioni di stelle variabili eseguite a Torino e a 
Soperga », memoria del Prof. Francesco Porro, presentata dal 
Socio NAccARI. 


Radunatasi in seduta privata, la Classe elegge a Soci re- 
sidenti, salvo l'approvazione sovrana, i professori Camillo GuipI 
e Michele FiLETI. 


—P ATER 


854 ICILIO GUARESCHI 


LETTURE 


Alcune osservazioni sulla difenilurea e sulle ditoliluree; 


Nota del Socio ICILIO GUARESCHI. 


In una nota pubblicata nei “ Comptes rendus , (1) i signori 
Cazeneuve e Moreau descrivono la difenilurea, la diparatolilurea 
e la diortotolilurea, che ottengono dal cosidetto carbonato di 

6TT4 3 
guajacolo co p0ri ORE per l’azione, rispettivamente, dell’a- 


nilina, paratoluidina ed ortotoluidina. 

Questo metodo non è nuovo perchè, ad esempio, Ecken- 
roth (2) ottenne la difenilurea, la diorto e diparatolilurea e la 
dinaftilurea per l’azione rispettiva dell’anilina, delle toluidine e 
della naftilamina sul carbonato di fenile CO(0C*H?). 

Ma ciò, in fondo, poco importa, è sempre una reazione che 
se ben studiata può avere qualche interesse. Ciò che invece io 
credo utile far notare si è che alcuni dati sulle proprietà di 
questi tre corpi descritti dai signori Cazeneuve e Moreau, non 
sono esatti. 

Ma vi ha di più; reca meraviglia l’asserzione esplicita che 
leggesi in un’ altra nota del Sig. Cazeneuve (3) secondo la quale 
le uree aromatiche simmetriche che egli, insieme col Sig. Moreau, 
ottiene colla para ed ortotoluidina, cioè la dipara e la diorto- 
tolilurea, siano composti nuovi, non mai descritti da nessun chi- 
mico. Egli invero così si esprime: Le carbonate de gaiacol m'a 


(1) © Comptes rendus ,, 1896, t. 122, pag. 1130. 

(2) “ Berichte d. deut. chem. Gesell. ,, t. XVIII, pag. 516 e “ Bull. Soc. 
Chim. de Paris ,, (2) 1886, T. 45, pag. 618. 

(3) “ Comptes rendus ,, t. 122, pag. 999; “ Journ. de Pharm. et de 
Chim. ,, 1896 (6), t. III, pag. 482; e “ Bull. Soc. Chim. ,, (3) 1896, t. XV, pag. 714 
(fasc. del 5 giugno). 


ALCUNE OSSERVAZIONI SULLA DIFENILUREA, ECC. 855 


permis de préparer très facilement la diphénylurée, en le chauffant 
avec l’aniline, puis des urées aromatiques symétriques non décrites, 
dérivées de l’orthotoluidine et de la paratoluidine. Da quanto rife- 
rirò più innanzi si vedrà invece che sono composti, conosciuti da 
oltre trenta anni e furono ottenuti e studiati da molti chimici. 

Questi tre corpi: difenilurea, diortotolilurea e diparatolil- 
urea si formano in un gran numero di reazioni, capitano spesso 
per le mani dei chimici ed è bene che le loro proprietà siano 
descritte con esattezza. 

Essendochè anch'io, come molti altri chimici, ho avuto 
occasione di avere sotto mano queste sostanze, credo utile ret- 
| tificare alcuni dati di fatto che trovansi nel lavoro sovraccen- 
nato dei due chimici francesi. 

Di tutti i numerosi lavori riguardanti queste tre sostanze, 
io non accennerò qui che quelli che hanno importanza pel mio 
scopo. 

La diorto e la diparatolilurea, insieme alla difenilurea, sono 
descritte anche nella “ Enciclopedia di Chimica , di Selmi, 1877, 
Nol, pp. 755. 


Difenilurea. — I signori Cazeneuve e Moreau trovano che 
la difenilurea pura fonde a 234°—235° ed a questo riguardo 
fanno specialmente notare che il punto di fusione da essi tro- 
vato è esatto e che l'antico di Hofmann, 205°, e l’altro 225° 
di Wilm e Wischin: Sont absolument erronées; elles doivent s'ap- 
pliquer à un corps impur. E a questo scopo citano il Wurtz, 
“ Dictionnaire ,, t. II, pp. 880, quasi che non si conoscesse 
sulla difenilurea altri lavori all'infuori di quelli citati in que- 
st'opera. Avrebbero, parmi, dovuto ricordare che già Buff (1) e 
Weith (2) (nel 1869 e 1874) avevano da lungo tempo trovato 
il punto di fusione esatto, 285°; punto di fusione confermato da 


(1) L. Burr, © Berichte d. deut. hem. Gesell. ,, 1869, t. 2, pag. 499 e 
“ Bulletin de la Soc. chim. de Paris ,, 1870, t. XIII, pag. 246. In questo 
lavoro Buff fa notare che il punto di fusione 205° dato da Hofmann può 
essere dovuto ad errore di stampa. i 

(2) W. Weiru, “ Berichte ,, 1874, t. VII, pag. 14; e inoltre ivi, t. IX, 
pag. 821. 


856 ICILIO GUARESCHI 


tutti i chimici che hanno avuto per le mani questo composto, 
ed anch'io nelle mie ricerche sulle yidantoine sostituite trovai 
sempre 235° (1). Rotermund (2) che ottenne nel 1875 la difenil- 
urea dall’acido di benzidrossamico e trovò che fonde a 232°—2339, 
fece notare appunto che i prodotti ottenuti da Hofmann (8), 
e da Wilm e Wischin (4), dovevano essere impuri e cita Buff e 
Weith come quelli che trovarono un punto di fusione vicino 
a quello ch'egli aveva trovato: Nietzki nel 1877 (5) trovò 233°. 
Michler (6) che preparò la difenilurea non simmetrica fusibile 
189° e la confrontò colla difenilurea simmetrica, osservò anche 
egli, per questa, 235°. 

Hentschel (7) trovò il punto di fusione 235°; questo lavoro 
di Hentschel è anch’esso riassunto in un giornale francese (8) 
ove è dato precisamente il punto di fusione 235°. In alcuni Trat- 
tati è assegnato 260° come punto di fusione dato da Hentschel, 
mentre invece 260° è il punto di ebollizione. 

A. Barr (9) confermò anch'egli il punto di fusione 235°; 
così pure molto prima anche G. Bender (10) che preparò la di- 
fenilurea dall’etere ortocarbonico coll’anilina. 

Nell’ “ Enciclopedia Chimica , di Selmi 1877, vol. X, p. 734, 
sono riportati i punti di fusione 205°, 225°, 235° e 233° e Pietro 
Spica viste queste numerose differenze volle anch'egli determi- 
nare il punto di fusione della difenilurea e trovò 233°—234°. 

Infine, senza volere sovrabbondare in citazioni bibliografiche, 
dirò che tutti i migliori trattatisti, anche elementari, quali il 
Richter, l’Erlenmeyer e le tre edizioni del Beilstein, dànno il 
punto di fusione 235°. 


(1) R. Accademia di Medicina di Torino, luglio 1891; “ Chem. Centralbl. ,, 
1891, II e “ Berichte d. deut. chem. Gesell. ,, 1892, Ref., pag. 327. 

(2) “ Ann. d. Chem. ,, 1875, t. 175, pag. 261. 

(3) “ Ann. d. Chem. ,, t. 70, pag. 188. 

(4) “ Ann. d. Chem. ,, t. 147, pag. 161. 

(5) “ Berichte ,, X, pag. 274 e “ Bull. Soc. chim. ,, 1877, t. 28, pag. 396. 

(6) Mrcarer, “ Berichte ,, 1876, t.IX, pag. 396 e “ Bull. Soc. chim. ,, 
1876, t. 26, pag. 455. 

(7) “ Journ. f. prakt. Chem. ,, 1883, t. 27, pag. 498. 

(8) “ Bull. Soc. chim. de Paris ,, 1884, t. 41, pag. 41. 

(9) “ Berichte ,, 1886, pag. 1766. 

(10) “ Berichte ,, 1880, pag. 699. 


ALCUNE OSSERVAZIONI SULLA DIFENILUREA, ECC. 857 


Diortotolilurea. — La diortotolilurea fu scoperta nel 1873 
da G. Girard (1) che l’ottenne dalla ortotoluidina (allora deno- 
minata anche pseudotoluidina) per l’ azione dell’ossicloruro di 
. carbonio e per fusione con urea. 

I signori Cazeneuve e Moreau (2) dànno il punto di fusione 
219°—220° e eredono di avere essi scoperta la dtiortotolilurea. 
Ma tutti i chimici che hanno studiato questa sostanza dopo il 
1873, trovareno un punto di fusione più elevato. G. Lach- 
mann (3) trovò 250°; Berger (4) confermò 250° e Neville e 
Winther (5) trovarono 243°; poi A. Barr (6) 256°; E. Quenda (7), 
che nel mio laboratorio ottenne la diortotolilurea come pro- 
dotto secondario nella reazione fra la glicocolla e la ortotolilurea 
fusibile a 185°, trovò sempre il punto di fusione 250°. 

Si può notare che i lavori di Lachmann, Neville, Winther 
e Berger, sono riassunti anche nel “ Wurtz, Dictionnaire ,, 
1e° Suppl., pag. 1632, ove appunto per la diortotolilurea (od 
ortodicresilurea) si dà il punto di fusione 250° e pel composto 
meta (o metadicresilurea) 217°. 


Diparatolilurea. — La diparatolilurea fu scoperta nel 
1863 (8) da E. Sell che l’ottenne in due modi: dissolforando la 
diparatoliltiourea coll’ ossido di mercurio oppure scaldando la 
monoparatolilurea. 

I signori Cazeneuve e Moreau (9) trovarono il punto di 
fusione 244°—245° e considerano il loro composto come nuovo. 


(1) “ Berichte ,, 1873, t. VI, pag. 444. 

(2) Loc. cit. 

(3) “£ Berichte ,, 1879, XII, pag. 1350. 

(4) “ Berichte ,, 1879, XII, pag. 1859. 

(5) “ Berichte ,, 1879, XII, pag. 2325 e “ Bull. Soc. Chim. ,, 1880, 
t. 34, pag. 588. 

(6) “ Berichte ,, 1886, XIX, pag. 1766 e “ Bull. Soc. chim. ,, 1887, t. 47, 
pag. 331. 

(7) E. Quenpa, Su alcune idantoine Y sostituite, “ Giorn. della R. Acc. di 
Medicina di Torino ,, 1891. 

(8) Eva. Ser, “ Ann. d. Chem. ,, t. 126, pag. 153 e “ Bull. Soc. chim. ,. 
1863, pag. 416. 

(9) Loc. cit. 


858 I. GUARESCHI — OSSERVAZIONI SULLA DIFENILUREA, ECC. 


Michler (1) già nel 1876 trovò il punto di fusione 256° e 
Weith. (2) 255°. 

Il lavoro di Michler oltrechè riassunto nel “ Bull. Soc. 
chim. , è anche riassunto nel “ Dictionnaire , di Wurtz, t. III, 
pag. 569 e 571. 

Maly (3) avrebbe trovato un punto di fusione più ele- 
vato, 263°. Ma i migliori trattatisti ammettono 255°—256° come 
punto di fusione più esatto. Anche nel mio laboratorio, ove 
Quenda ottenne questa sostanza come prodotto secondario nella 
reazione tra la glicocolla e la monoparatolilurea, si trovò sempre 
il punto di fusione 255°—256° oppure 255°—257°. La monopa- 
ratolilurea da cui si partì fondeva a 180°. 

Mi sembra quindi più che probabile che il prodotto descritto 
da Cazeneuve e Moreau, fosse impuro. Come mi pare non meno 
probabile che il composto fusibile a 219°—220°, e da essi de- 
scritto come diortotolilurea, non sia che, o un corpo impuro 0 
la dimetatolilurea fusibile, pare, a 217°. Dico pare, perchè se- 
condo Guttermann e Cantzler (4) la m. ditolilurea fonde a 203°. 

Io ho fiducia che i signori Cazeneuve e Moreau vorranno 
ritenere giuste queste mie osservazioni fatte in omaggio alla 
verità e con tutti i riguardi che si debbono a colleghi, e che 
ripetendo essi le esperienze riguardo la diortotolilurea e la di- 
paratolilurea, troveranno proprietà concordanti con quelîie am- 
messe da tutti i chimici sino ad ora. Tra le proprietà fisiche 
di queste sostanze il punto di fusione è il più importante. Vor- 
ranno pure riconoscere che le sostanze da essi descritte come 
nuove, sono invece conosciute da lungo tempo dai chimici. 


Torino, Laboratorio di Chimica farm. e tossicologica della 
R. Università, 28 maggio 1896. 


(1) “ Berichte ,, IX, pag. 710 e “ Bull. Soc. chim. ,, 1877, t. 27, pag. 18. 
(2) “ Berichte ,, IX, pag. 821 e “ Jahresb. f. Chem. ,, 1876, pag. 754. 
(3) “ Jahresb. f. Chem. ,, 1869, p. 638. i 

(4) “ Berichte ,, t. 25, pag. 1089. 


PAOLO PIZZETTI — INTORNO ALLA DETERMINAZIONE, ECC. 859 


Intorno alla determinazione teorica della gravità 


alla superficie terrestre; 


Nota del Prof. PAOLO PIZZETTI. 


Le formole approssimate che si riferiscono al modo di va- 
riare della gravità alla superficie del Geoide, supposto poco dif- 
ferente da una sfera, vengono di solito dimostrate, ammettendo 
che la funzione potenziale dell’attrazione terrestre sopra un 
punto qualsiasi fuori o sopra la superficie d’equilibrio che si 
studia, sia esprimibile con uno sviluppo procedente secondo le 
potenze negative del raggio vettore. Ora, la superficie non es- 
sendo esattamente sferica, l’uso di un tale sviluppo non è giu- 
stificato, epperò la legittimità delle formule che se ne deducono 
è soggetta a qualche dubbio. 

Vogliamo qui indicare come, senza ricorrere a quello svi- 
luppo, ma valendosi invece di una nota formola che si deduce 
da quella di Green, si possano dimostrare le formole sopra men- 
zionate. 


.1. — Sia S una superficie d’equilibrio, ossia una superficie 
la cui normale in ogni punto segni la direzione della gravità pel 
punto stesso; supporremo la S esteriore alla massa attraente e 
chiameremo V la funzione potenziale dell’attrazione di questa 
massa sopra un punto P, e D la distanza di questo punto dal- 
l’asse di rotazione diurna. Avremo, sulla S: 


(1) fV+ 3 ui D° = costante = w, 


indicando, al solito con f la costante dell’attrazione, e con w 
la velocità angolare. 

Sia poi S, una sfera di raggio @ avente il centro C sul- 
l’asse, e ammettiamo, come d’uso, che le distanze dei punti 


860 PAOLO PIZZETTI 


della S, dalla S siano tanto piccole che si possano trascurare 
i termini contenenti i quadrati di queste distanze, ovvero i pro- 
dotti di esse per w°. Poniamo: 


(2) V= + al, 


dove M è la massa totale terrestre, R la distanza del punto 
potenziato dal centro C; U è una funzione potenziale di spazio 
che fuori della S soddisfa alla 


ed a è una costante piccolissima. 
Sia dn un elemento di normale interna alla S, 4S un ele- 
mento superficiale. Derivando la (2) rispetto ad x, moltipli- 


cando per 4 $, ed integrando sopra tutta la S, avremo: 


d0 R 
Tasti dS +a [ils 


E poichè, per noti teoremi 


Ia 
far asma, I s dS = 4n 
n 
sarà 
> dU 
(4) Ca dS$= 0. 


SI 


Il valore della gravità g nel punto Q della S sarà 
(5) g=— ft cos(Rm) + a fog erre i 
Ra Î dn 


dove per semplicità è indicata con @ l’espressione a DE 


Sia ora 


(6) += (1-0 


INTORNO ALLA DETERMINAZIONE TEORICA DELLA GRAVITÀ, ECC. 861 


l'equazione della superficie S in coordinate polari: # è una fun- 
zione della latitudine e della longitudine geocentriche di Q. 
Le (1) (2) (6) dànno allora, per ogni punto della $: 


() fa cm_fagt+ofUto=0. 


Se la superficie S è conosciuta, questa relazione determina i 
valori superficiali della funzione U a meno di una costante 2 
E poichè la U deve soddisfare alla (4) e, fuori della $, alla 
A.V=0, e a distanza infinita deve godere della nota proprietà 
delle funzioni potenziali, sarebbe facilissimo dimostrare che il 
valore della U è perfettamente determinato per ogni punto fuori 
e sopra la S. Così il valore della gravità resta perfettamente 
determinato fuori e sopra una superficie d’equilibrio, appena 
questa superficie sia conosciuta e purchè si conosca la massa 
totale (teorema dovuto a Stokes). 

2. — Cerchiamo di dedurre dalle formole (5) e (7) una re- 
lazione approssimata fra la forma della superficie d’equilibrio e 
il modo di variare della gravità. Per una nota formola, che si 
deduce da quella di Green, il valore della funzione U nel punto 
Q della S può esprimersi così: 


1 


; dee 
bi baro da Ivi Palaia 


2r dar dn 2T 


dove i primi due integrali sono estesi alla superficie S, l’ultimo 
allo spazio 0 esteriore ad S; » è la distanza del punto @ dal 
centro dell'elemento 48, do risp.*; con un accento sono indicati 


i valori delle funzioni U, COR A4,U nei centri dei rispettivi 


elementi di integrazione. L'ultimo integrale è nullo in virtù 
della (3). 


Ora, poichè le espressioni di U e dl figurano nelle (5) (7) 


moltiplicate pel fattore a, è chiaro che, nel nostro ordine di ap- 
prossimazione, volendo dalla (8) dedurre una relazione fra U 


e Cui , potremo ivi supporre la superficie S confusa colla sfera $,. 


862 PAOLO PIZZETTI 


Avremo allora: 


dre 1 
FDL 01 OLA 4 
rt CA ET SA 


dove 42 è un elemento angolare di spazio attorno al centro C, 
e quindi la (8) diverrà 


0) pl enpar (d'a. 


(Vedremo di dimostrare, con precisione, al termine di questa 
Nota, come effettivamente, le quantità trascurate nel 2° membro 
della (8) con questo procedimento, siano piccole dell'ordine di 
a ew). 

dU 
Ò n 
di funzioni sferiche delle latit®. e long*. geocentriche, ponendo 


Esprimiamo i valori superficiali di U e mediante serie 


(10) Um sort 
0 n 0 
Osservando che 
- — 1 P,, 
r CHAT 


dove i P, sono i soliti coefficienti di Laplace, la (9) dà, ese- 
guendo le integrazioni mediante note formule: 


bi Na 


fia 20Z II LC deb 


Raccogliendo ed eguagliando le funzioni sferiche di egual 
grado, si ha: 


(RETI, = Zi 


La (4) dimostra che Z, dev'essere nulla; e quindi tale sarà 
pure Y, sicchè le (10) potranno scriversi: 


dU Le 


U=zkh ds = 7IMTt1L 


INTORNO ALLA DETERMINAZIONE TEORICA DELLA GRAVITÀ, ECC. 863 

3. — Sostituiamo queste espressioni nelle (5) (7), dove, nel 
nostro ordine d’approssimazione, possiamo anche porre, indicando 
con 9 la colatitudine geocentrica del punto Q: 


pg= — w. a. sen'0, 3, TV a. sen 8, cos(Ra) = —1 


v|— 


1 
R® =* a (1 — 20t). 


Avremo: 


pi (1 — 2at) + af (n + 1)Y, — w°a°sen'?0 — ag = 0 
Li 
(11) 
ri (1 — at) +afXY,+ + w°a° sen 0 — w = 0. 
1 
Sviluppiamo anche # e g in serie di funzioni sferiche ponendo 


(12) BEE Tir gel (WEA) 


dove G, è una costante (gravità media alla superficie). Osser- 


2 = 1 x . . . 
vando che l’espressione ale sen°8 è funzione sferica di 2° grado, 


sarà facile in ciascuna delle (11) uguagliare a zero la somma 
delle fi. sfe. di egual grado. Si otterranno così, per ogni valore 
di n, due equazioni fra G,, Y,, T, fra le quali eliminando Y, si 
ottiene, per valori di » diversi da zero e da 2: 


(13) Ga Di 
Per n= 2 si ha invece: 

(14) aGH, = af MT, + 3 ud (4 == sen'0 ). 
Per n= 0 la prima della (11) dà poi: 


(15) G=fA (1-2aT) — + ua. 


864 PAOLO PIZZETTI 


Posto: 


la (14) può anche scriversi, nel nostro ordine d’approssimazione 


Ho at, +-> clk sen*0). 


(Se, in particolare, la superficie S è un ellissoide di rivo- 
luzione si può, colla nostra approssimazione, porre 


T,=-< sen?0 
(0) 
dove e è lo schiacciamento, e T,=0 per n>2. Allora si ha (*): 


g= Go(1 + aB)=051+gc—(70—e)sen'0) 


e da queste relazioni si deduce tosto il notissimo teorema di 
Clairaut). 


Sostituendo nella seconda delle (12) le espressioni trovate 
per le H abbiamo 


g= | 1 +7 0(1—8sen°0) | +of1Z@_1)T,; 


e dalle (15), colla stessa approssimazione: 


(16) G=f7 (1-20). 
Ora dalla prima delle (12) pei noti teoremi sulle fi. sf°., 


TI SEC [eli 


(*) Nel caso in cui la superficie d’equilibrio sia un ellissoide si conosce, 
del resto, anche l’espressione esatta di g. Vedi “ Rendiconti R. Accademia 
dei Lincei ,, fasc. 4° e 5° del 1° semestre 1894. 


INTORNO ALLA DETERMINAZIONE TEORICA DELLA GRAVITÀ, ECc. 865 


Quindi 


MES 5 \ 
g=f-<|1 ALTI i 


; 


dea fe(E@n+D@—1.P,) d9 


formola la quale esprime il valore della gravità, in funzione dei 
valori di #. 


4. — Più interessante è la operazione inversa; determi- 
nare cioè # data che sia 9 in ogni punto della superficie. Os- 


serviamo prima di tutto che nella espressione di t = T, pos- 
1 


siamo sempre supporre T,=0. Questo esige che sia Y, = 0, e 
sarebbe facile dimostrare che il porre Y\=0 equivale a far 
coincidere il centro della sfera S, col centro di gravità della 
massa. 

Avremo allora, tenendo conto delle (13) (14) 


Ri igeni BUI a 2 < 
9 w'a|3 — sen 0) +a GE 


M M n 
(17) afzt=afzT,— _ 


1 


n 


e dalla seconda delle (12): 


2 Leto 
eGiHio== sone J gP,dQ. 


Il valore T, si deduce dalla (15). Si ha colla solita appros- 
simazione 


(18) of=5 (1-7 f902) so 


866 PAOLO PIZZETTI 


Questa formola risolve il problema di determinare la su- 
perficie di livello, dati i valori della gravità sulla superficie 
stessa. 


5. — Si consideri ora una superficie S' prossima alla S 
e sia 
1 


D_sIE 
+ =<+(1_-at—@.A)) 


l'equazione di essa; A? è una nuova funzione delle coordinate 
geocentriche. La distanza normale delle due superficie $, S' in 
un punto qualsiasi sarà, nel nostro ordine d’approssimazione: 


(19) n= a.a.At 


(positiva laddove la S' è esterna alla S). Se la superficie S' si 
considera come novella superficie d’equilibrio, e, in questa ipo- 
tesi, si chiama g + Ag il valore della gravità in un punto qua- 
lunque della S', la relazione (18) sarà ancora verificata, ove si 
mutino g et in g+ Ag e t+4+- At. Sottraendo si avrà pertanto, 
tenuto conto della (19), 


ny |-1fa9.004 [a(Eartte,] 20}, 


od anche colla stessa approssimazione :. 


BI a Ì a 241 p | 
C0)'N= 74 |Ag.90+ 77 fAG(x mE Tp, ) dQ. 
Ora si ha: 
? 2Qn+1 aa Pn 
(21) ni p=2P, +31. 


Chiamiamo d la distanza di un punto A situato sopra una 
sfera di raggio 1 da un punto B intorno alla sfera alla distanza 
x dal centro, e diciamo Y l'angolo fra i raggi che vanno ai punti 
A e B. Avremo: 


INTORNO ALLA DETERMINAZIONE TEORICA DELLA GRAVITÀ, ECC. 867 


d=V1+x° — 2xcost, D=1+zcost+®s"P, 


a Î 1 da ala vo gel 
ug (ip —1— ecosv) E figli ip lt 
e ponendo a = 1: 
9d0 
i era hi —1— cost 
2 2sen5- 
CS Tita bce f 1 \ da 
z “eriinga) | (a —1_-xecosy) E° 


Eseguita l'integrazione a destra e tenuto conto della (21) 
si ha 


5 2n+1 


2 n_-1 


P, = cosec 3 +1-5cost — 6cos 2 a 


\ 


— log [sent Ren al. 


DI 

\ 2 

Sostituendo nella (20), si ha la formola di Stokes per cal- 
colare le deviazioni lineari N del Geoide rispetto ad una super- 
ficie nota di riferimento (S), quando siano conosciute le anomalie 
(A 9g) che la gravità osservata alla superficie del Geoide presenta 
rispetto ai valori teorici (9) che competono alla S. Stokes dedusse 
la detta formola nell'ipotesi che il valore medio delle anomalie Ag 
fosse nullo; per modo che manca, nel risultato dato da lui, il 
primo termine del 2° membro della (20). Egli suppone che la su- 
perficie S di riferimento sia un ellissoide e fa uso dello sviluppo 
della funzione potenziale per potenze negative del raggio vettore. 


6. Al n° 3 abbiamo, in via d’approssimazione, trasformata 
la relazione (8) che lega la funzione U alla sua derivata nor- 
male, sostituendo alla vera espressione della distanza r di due 
punti della superficie S, quella della distanza di due punti della 
sfera di raggio a. È bene dimostrare che effettivamente, come 
abbiamo affermato, le quantità così trascurate sono piccole del- 
l'ordine di a e w°. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 59 


868 PAOLO PIZZETTI 


Osserviamo innanzi tutto che, il raggio a essendo arbitrario, 
possiamo supporlo tale che i valori della # siano tutti negativi, 
vale a dire che la sfera $, sia tutta esterna alla S. Indichiamo 
con Q' il punto qualunque della S, intorno al quale è preso 
l'elemento dS nella formola (8) e siano 9, g' i punti in cui la $, 


è incontrata dai raggi CQ, CQ' prolungati e chiamiamo U,, ni 
nie U4 ; valori della U e della sua derivata secondo il raggio 


ly dR 
vettore, nei punti 9g, 9g' rispettivamente. Indicando con r, la di- 
stanza gg’ ed applicando la formola (8) alla superficie S, avremo 
esattamente: 


Se gt U 
(22) vu=- Jo t 3) d2 
poichè per la sfera si ha È = — NOI ed esternamente A, U=0. 
Di più, U essendo il valore della funzione nel punto Q e 
la distanza Qg essendo = — a at, abbiamo 
c dU 
(23) U=U, + cai (3). 
dove (TT). è il valore che assume la derivata ha in un 


punto compreso fra Q e 9g. D'altra parte, colle notazioni ora adot- 
tate, il 2° membro della (9) va scritto così: 


LALA 


Naet 21 òn 2a , 


Quindi, tenuto conto delle (22) (23), l'errore commesso col 
sostituire il 2° membro della (9) a quello della (18) è 


(24) U— U*= vai (SE). da 


a’ 1 dU, dU' U,—U' 
sm ip ge gg )42. 


Si ha poi, indicando con #' il valore della # punto nel Q': 


E Ù 


INTORNO ALLA DETERMINAZIONE TEORICA DELLA GRAVITÀ, ECC 


869 
U=U+aot (7), 
La lai dE dU' | 
1 LÀ . 
| DET dB + aat (S| 


e se dp, do sono due elementi lineari ortogonali tracciati sulla 
S pel punto qualunque Q, si ha 


(26) de = = cos (Rn) + d cos (Rp) + Mu cos(R0). 


In particolare supponendo, il che è sempre lecito, che l’ele- 
mento do sia ortogonale al raggio R 


cos(Ro)=0 cos (Rp) = + sen(Rn). 


Ora derivando rispetto a p le (6) e (7) abbiamo: 


VENA 
cos(Rp) = Ba ana 
M ò ) 
fa a +9 3 + WD cos(Dp)=0 
quindi posto 


(Rn) = 180 — e 
(27) 


dove e è una quantità piccola dell'ordine di a, data da 


2 
sene= + a È dé 


dic di 


2 
Tenuto conto che le derivate VENTO 


dU di: 
)R aRI? de e quindi 


870 CESARE SACERDOTTI 


anche la 3 hanno dovunque valori finiti, le formole (25) e (27) 


dimostrano che la quantità dentro parentesi sotto il segno in- 
tegrale del 2° membro della (24) è in ogni caso minore, in va- 
lore assoluto, di una quantità esprimibile con 


aoH + w°K, 


dove H e K sono quantità finite indipendenti da a e da w°. 
Quindi la (24) ci dà 


(U—-U*|<2aaH+2u?aK+aa, e( dl 


il che dimostra quanto volevamo provare. 


Sulla rigenerazione dell'epitelio muciparo 


del tubo gastro-enterico degli anfibi; 


Nota del Dott. CESARE SACERDOTTI. 


In un mio lavoro pubblicato nel 1894 (1) ho studiato lo 
sviluppo delle cellule mucipare del tubo gastro-enterico dei mam- 
miferi durante la vita endouterina. Ho eseguito tali ricerche 
nei feti di bue ed ho potuto dimostrare che la differenziazione 
delle cellule mucipare nella vita embrionaria ha luogo molto 
presto (già nel feto di bue lungo cm. 3,5 si ha un primo ac- 
cenno alla produzione di muco) ed inoltre ho verificato che, come 
Bizzozero (2) aveva dimostrato per gli animali adulti, anche nel 


(1) C. SacerporTI, Ueber die Entwickelung der Schleimzellen des Magen- 
darmkanales; “ Int. Monatschrift f. Anat. u. Phys. ,, 1894, Bd. XI, Heft 12 
e “ Archives italiennes de Biologie ,, tome XXIII, f. I-II. 

(2) G. Bizzozero, Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico..... 
Note 1 a 7. “ Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, 1888, 
1892 e 1893, vol. XXIV, XXVII e XXVIII e “ Arch. f. Mikr. Anat. ,, 
Bd. XXXIII, XL, XLII. 


incatenato 


SULLA RIGENERAZIONE DELL'EPITELIO MUCIPARO, ECC. 871 


feto, gli elementi mucipari si presentano in via di scissione 
cariocinetica quando già contengono muco. Era questo un altro 
contributo da aggiungersi ai numerosi di Bizzozero tendenti a 
dimostrare la specificità delle cellule mucipare del tubo gastro- 
enterico. 

Ma appunto nelle ricerche di Bizzozero è fatto cenno ad 
una questione ancora non risolta, se, cioè, negli anfibî le cel- 
lule mucipare derivino da elementi già specificati o da cellule 
indifferenti. Infatti, nella descrizione che Bizzozero dà dell’ in- 
testino del tritone si esprime così: “ non mi venne fatto di de- 
“ terminare se esistessero due specie di mitosi, l'una per l’epi- 
“ telio protoplasmatico, l’altra per le cellule mucose. Su questo 
« punto, però, non mi sono gran fatto soffermato ,, (1). — Scopo 
delle ricerche di cui qui espongo i risultati era appunto di col- 
mare questa lacuna. 

Anche in questo lavoro, come nell’altro suaccennato, quale 
metodo di ricerca, mi servî della fissazione dei pezzi freschis- 
simi in liquido di Hermann e della colorazione con ematossi- 
lina e safranina, seguita da lavatura in alcool acidulato con 
acido cloridrico. Con questo metodo si mettono in piena evi- 
denza le mitosi, colorate in rosso dalla safranina e si ha co- 
stantemente ed esclusivamente colorata in violetto-azzurro, dalla 
ematossilina, la sostanza mucosa. I preparati che in tal modo si 
ottengono sono così chiari e dimostrativi da rendere perfetta- 
mente inutile il ricorrere ad altri espedienti, i quali, special- 
mente in questi ultimi tempi, numerosi furono suggeriti per la 
colorazione specifica del muco. 

Eseguî questo mio studio sull’esofago e sullo stomaco della 
rana e sull’intestino posteriore del tritone. 


Esofago e stomaco della rana. 


Nella rana la faringe conduce, senza linea di demarcazione 
apprezzabile, nell’esofago, che è molto breve; nè demarcazione 


(1) G. Brzzozero, Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico... Nota 3*, 
pag. 25. “ Atti della R. Acc. delle scienze di Torino ,, 1892, vol. XXVII. 


872 CESARE SACERDOTTI 


netta esiste tra questo e il sacco stomacale. Accenna al prin- 
cipio dello stomaco un leggero strozzamento e una inflessione 
del tubo sul lato sinistro. All'esame microscopico si vede che 
limiti recisi tra esofago e stomaco non esistono nemmeno per 
quanto riguarda la disposizione ed i rapporti dei singoli elementi. 

È noto che nella mucosa dell’esofago esistono numerose e 
grosse ghiandole acinose che per struttura sono simili alle sa- 
livali dei vertebrati superiori. Queste ghiandole sono costituite 
da elementi di varia natura, cioè, in parte da cellule a proto- 
plasma granuloso, nel quale tra delicati granuli ne esistono di 
grossi che si colorano in nero con l’acido osmico, in parte da 
cellule che hanno un contenuto chiaro che si colora leggermente 
in azzurro-Violetto nei pezzi fissati in liquido di Hermann e co- 
lorati con ematossilina, che hanno, cioè, un contenuto mucoso. 
Non è mio compito addentrarmi nelle particolarità di struttura 
e di funzione di tali ghiandole, ho dovuto solo farne cenno 
perchè le cellule mucipare che contengono, come si vedrà, non 
sono da confondersi con gli elementi mucipari dell’ epitelio di 
rivestimento, dei quali ora specialmente devo interessarmi. 

L’epitelio di rivestimento dell’esofago appartiene alla classe 
degli epitelî cilindrici ed è noto che consta di due specie di 
cellule, le une a ciglia vibratili, le altre mucipare caliciformi;: 
queste ultime hanno, di regola, il prodotto di secrezione che 
occupa quasi tutto il corpo cellulare, di guisa che il nucleo 
resta schiacciato alla base dell’elemento sotto forma di ciotola 
o di cono. 

Man mano che procediamo verso lo stomaco vediamo in- 
tervenire graduali modificazioni tanto nelle ghiandole quanto 
nell’epitelio di rivestimento. Le ghiandole si fanno più numerose 
e contemporaneamente più piccole, pur conservando sempre le 
due specie di epitelio, quello muciparo occupa sempre la por- 
zione più vicina allo sbocco della ghiandola. Queste ghiandole, 
ridotte a pochi tubuli confluenti in una specie di dotto escre- 
tore, sono così numerose da costituire, nel limite tra stomaco 
ed esofago, uno strato continuo. In questa regione l’epitelio di 
rivestimento consta tuttavia di elementi vibratili e mucipari, 
ma questi ultimi, in generale, hanno aspetto differente da quello 
delle cellule della porzione anteriore dell'esofago, il loro secreto 
non distende la teca in modo da schiacciare il nucleo alla base 


CO 


- n r__— To 


SULLA RIGENERAZIONE DELL'EPITELIO MUCIPARO, ECC. 873 


della cellula, per cui il nucleo in questi elementi appare ovale 
e queste cellule sono di tal modo simili a quelle dell’ epitelio 
muciparo dell'intestino delle rane e dei tritoni, ne differiscono 
solo perchè, di norma, tra la teca e il nucleo manca quel tratto 
di corpo cellulare che non contiene muco e che Bizzozero (1) 
chiama tratto intercalare (fig. 1a). L’epitelio di rivestimento 
non costituisce più uno strato così continuo come nella regione 
anteriore, perchè rimane interrotto molto di frequente dagli 
sbocchi delle ghiandole, col cui epitelio insensibilmente si 
continua. 

Procedendo ancora verso lo stomaco, vediamo che le ghian- 
dole si sono fatte ancora più piccole e semplici in modo da 
costituire dei tubuli la cui porzione profonda consta di cellule 
granulose e quella vicina allo sbocco di cellule mucipare. Con- 
temporaneamente nell’ epitelio di rivestimento è andato man 
mano diminuendo il numero degli elementi a ciglia vibratili, 
che restano rappresentati da qualche rara cellula sparsa qua e 
là; l’epitelio muciparo ha pure mutato aspetto e la configura- 
zione d'insieme di una sezione di mucosa è pure modificata in 
relazione alla modificazione che hanno subìto le ghiandole. 

Se si studiano porzioni successive, si vede, in fine, che le 
ghiandole diventano schiettamente tubulari semplici, di queste solo 
qualcuna ha, verso le sbocco, epitelio muciparo, e nell’epitelio di 
rivestimento non si trovano più assolutamente cellule vibratili, 
ma esclusivamente cellule mucipare, che costituiscono un unico 
strato molto regolare che riveste la superficie libera della ca- 
vità gastrica e le fossette entro le quali sboccano, o isolate o 
a gruppi di due o tre, le ghiandole. 

Questa disposizione, poi, si continua per tutta la cavità 
gastrica fino al piloro. A 

Veniamo ora alla descrizione della rigenerazione degli ele- 
menti, incominciando da quello dell’esofago. 

Per l’epitelio di rivestimento dell’esofago ho potuto stabi- 
lire che nell’animale a perfetto sviluppo, per quanto non adulto, 
la rigenerazione deve essere molto lenta, perchè in questa re- 


+ 


(1) G. Bizzozero, Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico... Nota 38 
e 4*. “ Atti della R. Ace. delle Scienze di Torino ,, 1892, vol. XXVII. 


874 CESARE SACERDOTTI 


gione vidi poche cellule in scissione cariocinetica anche in esem- 
plari che presentavano numerosissime mitosi in altre regioni 
del tubo gastro-enterico. Tuttavia ho potuto vedere che la rin- 
novazione degli elementi avviene per scissione di cellule che 
stanno tra elementi adulti e che non raggiungono, in generale, 
colla loro estremità la superficie libera; in oltre, e questo è 
quanto maggiormente interessa per l'argomento che mi ero pre- 
fisso di studiare, ho veduto che esistono due classi di mitosi, una 
di cellule chiare, dalle quali si svolgeranno le cellule a ciglia vi- 
bratili ed una di cellule contenenti muco che si svilupperanno in 
elementi caliciformi. A questo riguardo riuscirono specialmente 
interessanti dei preparati allestiti dal punto intermedio tra eso- 
fago e stomaco propriamente detto, nei quali rimase perfetta- 
mente conservata la struttura granulare del muco e i granuli 
di muco di qualche elemento in mitosi apparvero intimamente 
frammisti ai fili cromatici, come si vede nella fig. 1 d. 

Quanto allo stomaco, l’epitelio delle fossette e quello che 
con questo si continua e riveste la superficie libera assomiglia 
molto all’epitelio cilindrico muciparo che riveste la superficie 
libera dello stomaco dei mammiferi; la sostanza mucosa che 
contiene si colora intensamente con l’ematossilina nei pezzi fis- 
sati dal liquido di Hermann e non ha quell’aspetto spiccata- 
mente granuloso del muco delle cellule della porzione più vicina 
all’esofago. Le cellule in discorso hanno forma diversa a se- 
conda che si considerano al fondo della fossetta o sulla super- 
ficie libera, ma è facile persuadersi che queste modificazioni 
sono essenzialmente da riferirsi ad un adattamento topografico. 
Infatti, nel fondo delle fossette hanno forma di piramidi tronche 
con la base rivolta verso il connettivo, un po’ più in alto assu- 
mono aspetto prismatico, sulla superficie libera, infine, hanno 
forma di piramide con l’apice rivolto al connettivo e procedendo 
dal fondo della fossetta questi elementi vanno man mano facen- 
dosi più lunghi; per tutti gli altri caratteri devono considerarsi 
cellule affatto simili tra loro. Queste cellule contengono un nucleo 
ovale che occupa circa il centro della cellula, il corpo cellulare, 
poi, presenta la porzione che sta tra il nucleo e il connettivo 
della mucosa costituita da un protoplasma omogeneo, la por- 
zione che sta tra il nucleo e la superficie libera occupato dal 
blocco di muco di cui ho già tenuto parola; la teca che con- 


SULLA RIGENERAZIONE DELL'EPITELIO MUCIPARO, ECC. 875 


tiene il muco ha forma molto regolare, presso a poco semisfe- 
rica ed il muco sembra faccia alquanto procidenza verso l’esterno 
tanto che in sezione, come appare dalla fig. 2, il profilo della 
serie di cellule assume aspetto regolarmente a dentello. 

Relativamente alla rigenerazione di questi elementi sono 
due i quesiti che si presentano: le cellule di ricambio sono cel- 
lule indifferenti o sono già funzionanti? dove si trovano le forme 
di sviluppo? — In risposta al primo quesito ho verificato che 
le cellule nuove derivano sempre da scissione cariocinetica di cel- 
lule che già contengono muco. Queste cellule in mitosi, in qualche 
esemplare si trovano numerosissime, come, per esempio, in 
quello del quale allestii il preparato che è fedelmente copiato 
nella fig. 2a. In questi casi, nei quali è possibile in un campo 
microscopico a medio ingrandimento vedere 6—7 e più cellule 
epiteliali cilindriche in mitosi, non mi avvenne mai di vedere 
una di tali cellule in cui non esistesse muco. — In risposta al 
secondo quesito, che riguarda la posizione di queste forme di 
sviluppo, ho potuto persuadermi, come appare già dall’ esame 
della fig. 2, che anche nella rana, come nel cane ha descritto 
Bizzozero (1), il numero maggiore di mitosi dell'epitelio cilin- 
drico si trova veramente nel fondo delle fossette. Per altro, spe- 
cialmente in quegli animali, nei quali la rigenerazione appare 
molto attiva, non è del tutto raro trovare elementi mucipari in 
via di scissione anche tra l’epitelio superficiale. Questi elementi 
si presentano globosi ed innicchiati tra due cellule adulte. Si 
deve quindi ammettere che tra l’epitelio adulto esistano anche 
degli elementi giovani, delle vere cellule di ricambio, che tuttavia 
contengono sempre muco. 

Nell’esemplare di rana che mi fornì i preparati più ricchi 
di mitosi mucipare, esistevano pure, per quanto molto più scarse, 
mitosi nell’epitelio granuloso delle ghiandole gastriche (fig. 2 c). 
Queste mitosi apparivano, di norma, verso il fondo della ghian- 
dola, ma alcune anche più in alto, non posso quindi dire se 
nella ghiandola stessa esista una posizione fissa quale centro 
formativo, tanto più considerando che certe ghiandole non con- 


(1) G. Bizzozero, Sulle ghiandole tubulari... Nota 3*. “ Atti della R. Ace. 
delle Scienze di Torino ,, 1895, vol. XXVII. 


876 CESARE SACERDOTTI 


stano che di pochi elementi. Nè io mi sono poi molto soffer- 
mato a studiare se nell’animale adulto gli elementi ghiandolari 
continuino a riprodursi, giacchè questo mi avrebbe trascinato 
in un altro campo di ricerche. Comunque ho creduto opportuno 
di riferire questo reperto, non essendo privo d'interesse dimo- 
strare come, a lato di elementi mucipari in via di scissione, 
esistano pure elementi non mucipari che stanno moltiplicandosi. 

Nella rapida descrizione che ho fatto dell’ epitelio delle 
ghiandole esofagee e gastriche ho accennato alla presenza di 
cellule contenenti una secrezione che, per la caratteristica co- 
lorazione che assume dalla ematossilina, previa fissazione in li- 
quido di Hermann, si appalesa di natura mucosa; mi preme ora 
far notare che credo di poter escludere che esista alcun rap- 
porto genetico tra questi elementi e quelli, pure mucipari, che 
rivestono le fossette gastriche e la superficie libera, rapporto 
che si potrebbe sospettare per la posizione reciproca che questi 
elementi hanno tra di loro. Le ragioni che mi inducono a questa 
esclusione sono parecchie: innanzi tutto il volume delle cellule 
mucipare ghiandolari è maggiore di quello delle cellule cilin- 
driche più superficiali e mal si comprenderebbe che forme gio- 
vani di sviluppo fossero più voluminose di forme adulte; inoltre, 
nell’epitelio ghiandolare il prodotto di secrezione occupa tutta 
la cellula, e nell’epitelio di rivestimento, invece, la sostanza 
mucosa è ridotta al solo terzo esterno del corpo cellulare; dif- 
feriscono ancora notevolmente tra loro per la natura di questo 
prodotto di secrezione, giacchè, il muco dell’epitelio di rivesti- 
mento assume intensamente il colore dell’ematossilina, coloran- 
dosi in una tinta violaceo-grigia, quello delle ghiandole, invece, 
assume, trattato con l'ematossilina una tinta violetta molto 
chiara (1). In fine mi sembra argomento decisivo il fatto che 
nelle cellule mucipare delle ghiandole non vidi mai mitosi e 
che invece trovai numerosissime le mitosi nelle cellule del fondo 
delle fossette, che, per la forma e per la natura del prodotto 
di secrezione, mi apparvero affatto simili alle cellule rivestenti 
la superficie libera. 


SULLA RIGENERAZIONE DELL'EPITELIO MUCIPARO, ECC. 877 


Intestino del tritone. 


Per estendere le mie ricerche anche al tritone, ho dato la 
preferenza all’intestino, e più specialmente alla porzione poste- 
riore vicina alla cloaca, perchè nell'intestino di questo anfibio 
i rapporti tra le diverse specie di epitelio furono con speciale 
cura descritti da Bizzozero (1). Per questo motivo, appunto, io 
sarò molto breve nella descrizione de’ miei reperti. 

Ho potuto pienamente confermare le particolarità di forma 
e di disposizione dell’ epitelio protoplasmatico e del muciparo 
descritte da Bizzozero ed ho visto che precisamente nei ger- 
mogli di cellule epiteliali che si spingono nel connettivo della 
mucosa intestinale si trovano frequentissime le scissioni cario- 
cinetiche, così come quelle forme cellulari che, contenendo un 
piccolo blocco di sostanza mucosa, erano state giustamente in- 
terpretate da Bizzozero come forme mucipare giovani. Scopo 
precipuo delle mie ricerche era appunto di stabilire se questi 
elementi giovani si fornivano di muco dopo aver perduta la at- 
tività produttiva o pure se continuavano a riprodursi anche 
quando erano diventati elementi funzionanti. Quindi fissai la 
mia attenzione specialmente in questi germogli e vidi che ef- 
fettivamente è frequente trovare delle bellissime forme cariocine- 
tiche di cellule già contenenti dei granuli di muco, specialmente 
se si studia l'intestino di un animale giovane e che sia appena 
stato raccolto, di primavera. In queste condizioni le scissioni 
nucleari sono molto abbondanti tanto nelle cellule protoplasma- 
tiche come nelle mucipare. Il muco delle cellule intestinali del 
tritone ha struttura spiccatamente granulosa, come già descrisse 
Bizzozero, e in modo molto evidente nelle forme di sviluppo 
che si trovano nei germogli di cui è qui parola, or bene, questa 
struttura granulare, che si conserva molto chiara anche nei pezzi 
fissati in liquido di Hermann, è molto utile per assicurarsi che 
la cellula in scissione è realmente mucipara, potendosi in via 


(1) È noto che col nome di muco si descrivono delle sostanze non ben 
definite chimicamente e che hanno solo certi caratteri tra loro comuni. 


878 CESARE SACERDOTTI 


assoluta escludere che il blocco di muco appartenga ad altra 
cellula, per ciò che, come ho già descritto anche nell’ epitelio 
gastro-esofageo della rana, anche qui si veggono i granuli di 
muco frammisti alle anse cromatiniche del nucleo (fig. 3 a). 


Ma dallo studio di Bizzozero sull’intestino del tritone ri- 


sulta che non tutte le forme di sviluppo delle cellule epiteliali 
si trovano raggruppate negli speciali nidi cellulari su accennati. 
In molte regioni dell’intestino, nei fornici che stanno tra le 
pliche che fa la mucosa, l’epitelio è stratificato, in modo che 
tra le estremità profonde delle cellule cilindriche che coll’altra 
estremità raggiungono la superficie libera, stanno innicchiate 
altre cellule che sono veri elementi di ricambio, elementi ta- 
lora così numerosi da costituire un vero strato continuo. Tra 
questi elementi Bizzozero descrive delle cellule che contengono 
un piccolo blocchetto di muco, che quindi sono mucipare in via 
di sviluppo, e descrive pure numerose le mitosi in cellule pro- 
toplasmatiche. Or bene, io ho riscontrato anche tra questi ele- 
menti parecchie figure cariocinetiche contenenti muco. La cel- 
lula che ho disegnato nella fig. 4a appartiene ad un preparato 
nel quale, avendo io fatto delle sezioni seriate dello spessore 
di circa 5—7 u, ho potuto seguire in tre sezioni l’elemento in 
scissione ed ho visto che in tutte tre le sezioni, vicino al nucleo, 
stava il blocchetto di muco; quindi, anche in questo caso, si 
aveva la certezza che il muco apparteneva alla cellula in esame. 

Adunque, il modo normale di sviluppo degli elementi mu- 
cipariì. dell’intestino del tritone è da moltiplicazione di elementi 
giovani che già secernono muco e che si trovano 0 tra le cellule 
di ricambio dello strato profondo dell'epitelio 0 in speciali germogli 
epiteliali che sì spingono nel connettivo della mucosa. Ma, in via 
eccezionale gli elementi mucipari possono avere origine anche 
da cellule che hanno già raggiunto l’aspetto di elementi adulti 
e che si sono già spostate verso il lume intestinale. Nella fig. 5 
ho disegnato appunto un elemento, nel quale il nucleo si trova 
in mitosi e immerso in un grosso blocco di muco. Ho detto che 
questa è però una cosa affatto eccezionale, infatti, nei miei nu- 
merosissimi preparati, nei quali erano assai frequenti le cario- 
cinesi mucipare nei germogli e negli strati profondi dell'epitelio, 
una sola volta trovai mitosi mucipara dell'epitelio superficiale, ap- 
punto in quella cellula che ho fedelmente riprodotta. Questa, che 


SULLA RIGENERAZIONE DELL EPITELIO MUCIPARO, ECC. 879 


potremo dire, anomalia, si spiega, a mio credere, col fatto che, 
trattandosi di un animale in cui l’attività proliferativa dell’epi- 
telio intestinale era grandissima, avessero già raggiunto la su- 
perficie, perchè spinte dalle altre cellule formatesi nei germogli, 
delle cellule che, pure avendo uno sviluppo individuale rag- 
guardevole, non avevano perduta ancora l’attività rigenerativa. 
Questa eccezione, del resto, trova riscontro nelle rare mitosi 
‘di cellule superficiali protoplasmatiche descritte, pure nel tritone, 
da Bizzozero. 


Mi sembra che le ricerche di cui ho qui esposto brevemente 
il risultato dimostrino che anche negli anfibî, almeno nelle parti 
studiate (esofago e stomaco della rana, intestino del tritone), 
le cellule mucipare del tubo gastro-enterico si riproducono da 
elementi che già hanno acquistata la funzione secretoria del 
muco, e che il loro centro di formazione, come per l’epitelio 
non muciparo, è negli strati profondi, dai quali poi gli elementi 
neoformati subiscono uno spostamento verso la superficie libera, 
spostamento dovuto, da un lato, alla desquamazione dell’epitelio 
superficiale vecchio, dall’altro, alla spinta che agli elementi gio- 
vani dànno quelli ancor più giovani che man mano si produ- 
cono al di sotto di essi. 

Queste mie ricerche, adunque, sono una nuova conferma 
dei due principî fondamentali di Bizzozero, da me già ricono- 
sciuti esatti nel succitato mio lavoro sull’intestino dell'embrione, 
che le cellule mucipare del tubo gastro-enterico sono elementi ve- 
ramente specifici e che gli epitelî intestinali non si riproducono, di 
norma, nel luogo dove noi li troviamo quando sono a sviluppo 
perfetto. 


880 


CESARE SACERDOTTI — SULLA RIGENERAZIONE, ECC. 


SPIEGAZIONE DELLE FIGURE 


(I disegni furono eseguiti con la camera lucida di Abbe. Microscopio di Zeiss). 


Fig. 


Fig. 


Fig. 


Fig. 


1. Epitelio di rivestimento di porzione intermedia tra esofago e sto- 
maco di rana — a, cellule mucipare adulte — , cellula mucipara in 
mitosi — c, cellula chiara il cui nucleo si presenta molto ricco in cro- 
matina (primo stadio di mitosi) — ob. E, oc. II, ingr. 390 diam. 


2. Mucosa dello stomaco di rana molto lontano dall’esofago — a, mitosi 
in cellule dell’epitelio cilindrico muciparo — d, mitosi in cellula gra- 
nulosa di ghiandola — ob. D, oc. II, ingr. 240 diam. 


3. Mucosa di intestino posteriore di tritone — a, mitosi in cellula 
mucipara di un germoglio epiteliale — d, cellula mucipara adulta 
— ob. D, oc. II, ingr. 240 diam. 


.-4. Mucosa di intestino posteriore di tritone — @, mitosi in cellula 


mucipara degli strati profondi dell’epitelio — d, cellule mucipare 
adulte — ob. D, oc. II, ingr, 240 diam. 


ò. Mucosa di intestino posteriore di tritone — a, mitosi in cellula 
mucipara dell'epitelio superficiale — d, germoglio epiteliale — c, mitosi 
in cellula chiara del germoglio — ob. D, oc. II, ingr. 240 diam. 


IC ERDOTTI DESARE- Sul rigenerazione dell'epitelio 
€ — muciparo del tubo gastro-enterico degli anfibi. 


A 
tl 


Mili RAccad. delle Sc. di Torino - 6% XXX7 


C. Sacerdotti dis Lit.Salussolia-Torino 


E. ALMANSI — SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE ECC. 881 


Sull'integrazione dell'equazione differenziale A° A° = 0). 


Nota dell'Ing. EMILIO ALMANSI. 


1. — Una funzione uniforme delle variabili x, y, che debba 
soddisfare all’equazione: 


(1) A = 0, 


ossia: 
d? d? 
dae ce dl #0, 


è determinata in tutti i punti di un’area piana quando ne sia 
dato il valore nei punti del contorno. 
Una funzione uniforme che debba soddisfare all’equazione: 


(2) AA? = 0, 


è invece determinata in un’area piana quando, in tutti i punti 
del contorno, sieno dati i valori della funzione stessa, e della 
sua derivata rispetto alla normale (*). 

Ora si può, in diversi modi, come vedremo, esprimere una 


(4) Il prof. G. Lauricella, nel suo lavoro “ Sull’equazione delle vibrazioni 
delle placche elastiche incastrate ,, pubblicato quest'anno nelle Memorie 
della R. Accademia delle Scienze di Torino (s. II, vol. XLVI), risolve la que- 
stione nel caso di un contorno rettilineo, valendosi di una formula ana- 
loga a quella di Green per l'equazione di Laplace. 

Il Picard, nell’ “ Intermédiaire des Mathématiciens , (Febbraio 1894), 
propone di studiare la questione per il rettangolo. Il Mathieu (“ Journal 
de Mathématiques ,, s. II, t. XIV, 1869) la risolve per il cerchio, rappre- 
sentando però la funzione mediante una serie. 


882 EMILIO ALMANSI 


funzione TT», che soddisfi alla equazione (2), mediante due fun- 
zioni @, w,, che soddisfino all’equazione (1). E, per alcuni con- 
torni particolari, sui quali sieno dati i valori della funzione 
uniforme TT,, e della sua derivata rispetto alla normale, la de- 
terminazione della funzione TT,, così espressa, si riduce a cal- 
colare successivamente le due funzioni @,, w, conoscendosene i 
valori al contorno. 


2. — Supponiamo da prima che l’area piana o in cui deve 
determinarsi TT, sia racchiusa da una circonferenza, rappresen- 
tata dall’equazione: 


CRE E SONO NI 1 


sulla quale si abbia: 


TT, = Gi; 
dtt 
"dn A H, 


essendo G, H, funzioni note in tutti i punti della circonferenza 
stessa. Con n si è denotata la normale a questa linea diretta 
verso l’interno di 0. 

Poniamo: 


(3) T,= (£° sà y° pre R?) Wi + Pi 


essendo ®,, w, due funzioni uniformi che nell’area o soddisfano 
all’equazione (1). 
L'equazione (2) è soddisfatta. Si ha infatti: 


A°T, — 44, +4 X de + y DI. 
e quindi: 


A° AT —_ 0. 


SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE DIFFERENZIALE, ECC. 883 


Nei punti del contorno sarà: 
T.= gp. 
Per conseguenza dovrà essere 
p = G; 
e questa condizione, insieme all’equazione (1), a cui la @, ab- 


biamo supposto che soddisfi, determina la funzione @, in tutti 


i punti del cerchio 0. 
Si ha poi al contorno, quando esiste Ra 


OTla _ d(e2+y°—R?) O 
Opi an War, 


Essendo la direzione positiva della normale, quella che va 
ò (a°-+y° — R?) ni 


n 


dall’esterno all’interno, sarà: —2 R: quindi ri- 


caveremo: 


(4) var (A). 


osì abbiamo, al contorno, anche il valore della funzione w,. 
Potremo dunque determinarlo in tutti i punti dell’area o. E so- 
stituendo nella formula (3) le funzioni @,, w,, così ottenute, 
avremo determinata la funzione TT, che soddisfa a tutte le con- 
dizioni richieste. 

Vediamo ora come viene effettivamente espressa. 

Quanto alla funzione @;,, si ha in un punto qualunque A 
interno all’area 0: 


DE 
a i re (R°— r2)G 
(5) bai | R?°+,°— 2Rr cosw du, 
0 


nella quale » rappresenta la distanza del punto A, dal centro 
O del cerchio, w l'angolo AOM, se con M s’indica il punto del 
contorno in cui 9, assume il valore G. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 60 


884 EMILIO ALMANSI 


do 
dn” 
derivando direttamente sotto il segno. Per ovviare a questo in- 
conveniente, consideriamo una funzione À,, che soddisfi all’equa- 
zione A? 0. Assunta la retta OA, e la retta OB, ad essa 
normale, come assi delle coordinate X, Y, sia: 


Da questa formula non può ricavarsi il valore di 


h= Gt dey, 


indicando con G,, G', due costanti finite, di cui daremo dopo 
il valore. 
Al contorno si ha: 


i, = Go + Gsenw. 


In un punto qualunque del piano, sarà: 


Ri Da Re cos 15) 


27 

L= 1 | (R° — r2)(G+ G, sen w) 

== 
0 


e, in particolare, sulla retta OA: 


97 
G DI di (R? a r3)(Go _ Go senW) 
iQ R°?+,2T—2Rrcosw 
0 


Sottraendo questa identità dall’equazione (5) e portando 
G, nel secondo membro, si ottiene la formula: 


27 


Lot 1 (R? — r3)(G— Go Gosenw) 
Pi = Got 2 | R° + ,° — 2Rr cosw du. 
0 


Se ora deriviamo rispetto ad r, poi poniamo r=R e mu- 
tiamo il segno, avremo il valore della derivata di ®, rispetto 
alla normale, nel punto P, in cui la retta OA incontra il cerchio, 


SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE DIFFERENZIALE, ECc. 885 


ogni qual volta potremo assicurarci che la quantità sotto il 
segno si mantiene finita. Si ottiene così 


. 27 
(6) 1 | GT-G— Gosenw da 


2rTR 1-—- cosw 
0 


La quantità sotto il segno d’integrazione potrà diventare 
infinita soltanto per w= 0, ossia nel punto P: a meno che ivi 
il numeratore, e il denominatore, non diventino infinitesimi dello 
stesso ordine. Ora in P si annulla 1 — cosw, e la sua derivata 
prima. Lo stesso avverrà per G — G, — G”, senw, se supponiamo 
che sia: 


n [ÒG Atto 

messi, \ dw fd 
E per potere stabilire queste equazioni basterà supporre 
che la funzione G ammetta una derivata finita e atta all’inte- 
grazione. Attribuiti questi valori alle costanti G,, G', la formula 


trovata (6) sarà atta a darci il valore di a nel punto P. 
In un punto qualunque P' del contorno, il valore di Sui, 


se indichiamo con o l'angolo POP', sarà: 


27 
1 G— G, — Gausen(w— a) 
2TR i 1— cos(w— a) dw, 


nel 


ove s'intende che G. e G'. sono i valori di G e di sa 
punto P'. 
Sostituendo nella formula (4), otterremo, al contorno: 


kt d 
sth 1 GT_-G,—Gasen(w—a) 9 
MRO (14h | 1— cos(w— a) tu): 


e in un punto qualunque dell’area 0: 


27 


27 
R°- 2 1 G-Ga— G'asen(0—2) 
A EI 2R a [ 1 — cos(@ — 2) tu) da 
"re ga R° | ,°.-2Rr cosa Pa 


886 EMILIO ALMANSI 


Si aveva poi, indicando ora con a l'angolo che nella for- 
mula (5) è indicato con w: 


9a 
RIRI (R° — r3)G 
PT ar | R° 47? — 2Rr cosa Dr 
0 
Dunque, sostituendo nell'equazione (3), che scriveremo: 


T,= (1° EI R°)w, + Pi, 


si avrà, per un punto qualunque del piano: 


2 27 
R3 —r? 1 GT Ga —G'a sen (@— 2) 
Rea R? —r? (pesE (14 27R | 1— cos(@ — a) au)+-6 


Ta 27 : R° + ,° — 2Rr cosa da. 
Il problema, nel caso del cerchio, è dunque risoluto. 
3. — Il problema si risolve, con metodo analogo, anche 


se l’area piana in cui deve determinarsi TT, è limitata da una 
retta. Se 


axr+by+e=0, 
è la sua equazione, porremo: 
T=(axr+0y+09)yw+ 


in cui ©, e w, verificano l’equazione A° = 0. 
Si ricava: 


217. DIA dy, 
A#TII Sd [GRES 


e quindi: 
RAMA. 


Inoltre, nei punti della retta dovrà essere: 


pr = G 


ILA gd cp 


SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE DIFFERENZIALE, ECC. 887 


Se consideriamo come direzione positiva della normale alla 

De AE È SaR 

retta, quella che ha per coseni di direzione i rapporti = " 
essendo r il valore positivo del radicale Va + 8, sarà: 


d(art byte) 
dn Ge 


ùt, 


e quindi al contorno: 


vet (H-%). 


da 


Così potremo calcolare prima la funzione ®,, poi la y,, come 
nel caso precedente. 


4. — Si può risolvere il problema analogo nello spazio, 
quando cioè sia dato: 


dTT, 


T =, Òn 


= H_, 

in tutti i punti delle superficie di una sfera, entro la quale TT, 

soddisfi l'equazione A* A? — 0, essendo A° — = 5 È SR 

n la normale diretta verso l’interno. Sia 
dg ae Ri 0; 

l'equazione della superficie sferica. Basterà porre: 


M=(e+y +2 R)y+4t 9 


in cui w, e @; verificano l'equazione A* =0 perchè TT., così 
espressa, soddisfi alla equazione A* A°= 0. Al contorno dovrà 
essere come nel caso precedente: 


quindi le due funzioni @; e w, potranno ottenersi facilmente 
sotto certe condizioni per i valori dati al contorno. 


888 E. ALMANSI — SULL’INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE, ECC. 


Finalmente, se il contorno del campo in cui deve deter- 
minarsi TT, è il piano: 


axr+by+ce+4d=0, 


il problema si risolve ponendo analogamente 
mM= (ar +04y+ce2+dyvn+, 


in cui w;, e ©: soddisfano l'equazione A° = 0. 


L’ Accademico Segretario 
AnpREA NACCARI. 


889 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 14 Giugno 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Socii: CLarETTA, Direttore della Classe, 
Pevron, Manno, Pezzi, NANI, PeRRERO e FERRERO Segretario. 


Il Socio Segretario, fra le pubblicazioni pervenute in dono 
alla Classe, segnala “ Il trattato de vulgari eloquio , di 
Dante pubblicato per cura del Socio corrispondente profes- 
sore Pio RAJNA (Firenze, 1896) in edizione critica, che fa parte 
della raccolta delle opere minori dell’Allighieri, edita dalla 
Società Dantesca italiana. Offre pure, a nome del Socio corri- 
spondente prof. Wendelin FoeRSsTER, l'edizione da questo curata: 
«“ Kristian von Troyes Erec und Enide , (Halle a S., 1896). 


Il Socio Manno, a nome dell'autore, prof. Antonio FAvARO 
dell’Università di Padova, offre le due pubblicazioni: “ Intorno 
alla vita ed ai lavori di Tito Livio Burattini fisico Agordino del 
secolo XVII , (Venezia, 1896) e “ Amici e corrispondenti di 
Galileo Galilei. II. Ottavio Pisani , (Venezia, 1896), ed a nome 
pure dello stesso i fac-simili di lettere di G. L. Lagrange con- 


890 


servate nel carteggio di Paolo Frisi presso la biblioteca Ambro- 
siana di Milano. 


Il Socio Segretario legge una nota del Socio Rossi, assente 
dall’adunanza: “ Di un coccio copto del museo egizio di Torino 
con caratteri crittografici ,, ed una nota del prof. Luigi VALMAGGI: 
“ Del luogo della così detta prima battaglia di Bedriaco ,. 


Entrambe queste note sono pubblicate negli Atti accademici. 


G. ALLIEVO — DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA, ECC. 891 


Dell’educazione della donna 


secondo i pensatori francesi del secolo AVIII. 


Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO (*). 


La Marchesa di Lambert (1647—1733). 


Nella storia della pedagogia femminile il nome di Fénélon 
si riscontra accanto a quello della Marchesa di Lambert, la 
quale lo venerò come suo maestro e dal libro di lui -attinse in 
gran parte i suoi pensieri sull'educazione della donna. Essa in- 
fatti in una delle sue lettere a lui dirette gli scrive: “ Se mai 
havvi in me alcunchè di buono, qualche destrezza di spirito, 
qualche sentimento in cuore, a voi lo dovrei, a voi, che mi avete 
mostrata amabile la virtù e mi avete insegnato ad amarla, pe- 
netrata delle vostre bontà e di imitazione per le vostre virtù ,. 
E Fénélon in una sua lettera al Sacy parla della Lambert in 
questi termini: “ Oggi stesso ho letto con gran piacere il ma- 
noscritto di M. Lambert. Tutto in esso mi parve espresso nobil- 
mente e con molta delicatezza. Vi si trovano ad un tempo sen- 
timento e principii. Io vi scorgo cuor di madre senza debolezza. 
L’onore, la probità più pura, la conoscenza del cuor degli uo- 
mini dominano in questo discorso ,. Intelligenza elevata, spirito 
colto e riflessivo, nobile cuore, la M. di Lambert tiene un posto 
luminoso nella storia delle donne letterate francesi del sec. XVII. 
Già Fénélon lamentava la decadenza morale delle famiglie dei 
tempi suoi e propugnava la necessità dell'educazione della donna. 
A questo pensiero si inspirò la Lambert, e vi consacrò l’opera 
e la penna. Della sua casa aveva fatto un convegno di sapienza, 
dove accoglieva due volte alla settimana accademici, letterati, 
personaggi cospicui, e si teneva onorato chi vi pigliava parte. 
Colpita dallo spettacolo della vita molle, vana, voluttuosa, che 
presentavano in generale le famiglie signorili, ne ricercò le ca- 


(*) Letta nell'adunanza del 17 maggio 1896. 


892 GIUSEPPE ALLIEVO 


gioni e ne propose i rimedii. Le sue Fiflessioni sulla donna sono 
uno splendido saggio di critica psicologica e sociale, una viva 
e vera pittura della corruttela dominante, una robusta ed elo- 
quente difesa dei diritti e della dignità della donna, un nobile 
appello ad una educazione femminile soda ed elevata. Gli uo- 
mini, essa osserva, hanno sparso il ridicolo sulle donne colte, 
dileggiandole col titolo di pedanti, ed il ridicolo è diventato 
cotanto formidabile, che se ne ha paura più che dell’onta e del 
disonore. Dacchè le donne si videro assalite rispetto agli inno- 
centi diletti, che provavano nel culto degli studîì, qual mera- 
viglia, se dovendo scegliere fra onta ed onta si sono abbando- 
nate alla voluttà ed alla licenza? Le donne hanno cangiato gusto, 
ma la società che cosa vi ha guadagnato? Sono opera degli 
uomini i costumi del tempo, ed io assalirò gli uomini. 

Come sono tiranni gli uomini (essa prosegue nella sua critica)! 
Vogliono che noi non facciamo uso del nostro spirito e della 
nostra intelligenza. Quasi che loro non bastasse di dominare sul 
nostro cuore, si impadroniscono anche della nostra intelligenza. 
Qual diritto essi hanno di vietarci lo studio delle scienze e delle 
belle arti? Le donne, che vi si sono applicate, forsechè non 
hanno fatto buona prova? Da assai tempo si vitupera la con- 
dotta delle donne, le quali mai non furono tanto sregolate, come 
al presente; ma gli uomini hanno essi tanta purezza di costumi 
da acquistare il diritto di censurare quelli delle donne? E qui 
prende a difenderle ed a dimostrare che per virtù di mente non 
la cedono punto agli uomini, e ricorda la sentenza di Male- 
branche, che la natura ha largito ad esse le grazie dell’imma- 
ginazione, la quale le rende arbitre assolute del buon gusto; ed 
è l'immaginazione che crea i poeti e gli oratori. Ma essa va più 
in là di Malebranche, e sostiene che l’attenzione mentale nelle 
donne non è punto distratta ed affievolita dal sentimento in 
esse dominante, come si pretende comunemente; che anzi sotto 
questo riguardo la donna sovrasta all’ uomo. “ L'attenzione fa 
spuntare per così dire la luce, avvicina le idee allo spirito e le 
pone alla sua portata; ma nelle donne le idee si presentano da 
sè e si dispongono in ordine piuttosto per opera del sentimento, 
che della riflessione: è la natura, che ragiona per esse e ne 
porta il peso. Perciò io non sono di avviso, che il sentimento 
nuoccia all’intelletto, ma invece fornisce nuovi spiriti, che illu- 


DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 893 


minano le idee per guisa che si presentino più vive, più lim- 
pide, più sceverate. Alla verità si giunge tanto sicuramente 
mediante la forza ed il calore de’ sentimenti, quanto mediante 
l'ampiezza e la giustezza de’ ragionamenti: essi più presto che 
non le conoscenze ci conducono sempre allo scopo , (op. cit.). 
Sono acute e belle queste riflessioni psicologiche della autrice, 
e non mancano di valore, siccome quelle, che chiariscono le at- 
tinenze tra le due facoltà del sentimento e del pensiero; e pro- 
seguendo nell’ argomento essa sostiene che la persuasione, la 
quale vien dal cuore, sopravanza quella che vien dallo spirito, 
e che la natura ha affidata al cuore e non alla riflessione la 
condotta delle nostre azioni. Anche questo punto, se la più si- 
cura norma direttiva della nostra vita pratica sia il cuore od 
il pensiero, è un grave problema, che spetta alla psicologia di 
risolvere (1). Ad ogni modo l’autrice mostra potenza di mente 
ed acutezza di spirito nel propugnare i diritti della donna di 
fronte all’ uomo, e nobiltà di intendimento nel richiamarla al 
sentimento della sua dignità personale. 

La M. di Lambert non si tenne paga di difendere l’eguaglianza 
della donna e dell’uomo rispetto alla potenza mentale, ma si 
adoperò a dar corpo e vita alla sua idea e scrisse il suo opu- 
scolo: Avvisi di una madre a sua figlia, che fa degno riscontro 
all’altro: iflessioni sulla donna. Questo lavoro è inspirato da 
nobilissimi sentimenti, condotto con vigoroso e stringato ragiona- 
mento, dettato con energia e limpidezza di linguaggio. Essa 
esordisce, come Fénélon nel suo opuscolo, col deplorare la trascu- 
ranza della educazione femminile. Si abbandonano le fanciulle 
alla mollezza, al mondo, ai pregiudizi ed alle false opinioni, e 
non si pensa che le donne fanno la felicità o la sventura degli 
uomini, che per esse le famiglie si elevano o si distruggono. 
Le destiniamo al piacere senza mai una lezione di virtù e di 
forza, ed è una follia il credere che una educazione siffatta non 
sì rivolga contro di esse. 

Sono veramente improntati da una elevata sapienza morale 
e fondati sopra una profonda conoscenza del cuore umano gli 
avvertimenti ed i consigli che essa porge per educare il cuore 


(1) Vedi il mio opuscolo: Le armonie del soggetto umano, pag. 16 e seg. 


894 GIUSEPPE ALLIEVO 


di una giovane fanciulla. Ai sentimenti essa attribuisce la virtù 
di formare il carattere, di guidare lo spirito, di governare la 
volontà, ma addita la sorgente di siffatti sentimenti nella reli- 
gione. Il dovere non basta imporlo coll’ autorità del comando, 
ma bisogna farlo amare, mostrarne la ragionevolezza ed i mo- 
tivi. Le virtù brillanti non sono il retaggio della donna, bensì 
le semplici ed amabili: le virtù proprie di lei sono difficili, 
poichè la gloria non aiuta a praticarle, sono penose, perchè 
oscure. La fanciulla entrerà nel gran mondo: vi porti tutta la 
sua religione, sappia sostenerla nel suo spirito per via di rifles- 
sione e di letture convenienti; tenga per fermo, che la vera 
felicità sta nella pace dell'anima, nella retta ragione, nell’adem- 
pimento del dovere; non dimentichi, che vi sono due tribunali 
inevitabili, davanti ai quali deve passare, la coscienza ed il 
mondo; al mondo potrà sfuggire, alla coscienza non mai. 

È un dovere impiegare il tempo; e siccome i primi anni sono 
preziosi ed i caratteri si imprimono facilmente (1), così vuolsi 
ornare la memoria di cose preziose, non ispegnere il sentimento 
della curiosità, ma dargli buon nutrimento, perchè la curiosità 
è principio di conoscenza, e più lungi e più presto ci fa avan- 
zare nel cammino della verità. E qui l'autrice si fa a proporre 
gli studî più convenienti alle fanciulle, ed il suo disegno non 
si discosta gran fatto da quello di Fénélon. Poichè riguardo alla 
storia ed alle lingue ripete il pensiero di lui quasi colle stesse 
parole. Quanto alla poesia, essa va un po’ più in là sino a con- 
cedere la lettura delle tragedie di Corneille, sebbene sia di av- 
viso, che i lavori poetici anche migliori dànno lezioni di virtù, 
ma lasciano le impressioni del vizio. Assai più dannosa reputa 
la lettura dei romanzi. Un po’ di filosofia per chi ne è capace, 
e sovratutto la nuova, non è biasimevole, meglio ancora la 
scienza morale; chè a forza di leggere Cicerone, Plinio ed altri 
moralisti si piglia gusto per la virtù. Bando alle scienze su- 
blimi e straordinarie. In conclusione la Lambert allarga assai 
più del Fleury e di Fénélon la cerchia degli studi femminili. 

Proseguendo il corso delle sue riflessioni l’autrice passa ad 
altri avvertimenti e consigli, che a mio avviso riguardano non 


(1) Questo medesimo pensiero già sì riscontra nell’Educazione delle figlie 
di Fénélon, cap. V. 


DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 895 


più l'educazione propriamente detta della puerizia e dell’ ado- 
lescenza, bensì quell’altra specie di educazione, che si continua 
per tutto il corso della vita ed appellasi educazione di se stesso. 
Sebbene nell’opuscolo non sia segnata nessuna divisione, pare 
a me, che di essi gli uni possano essere più propriamente rife- 
riti alla coltura del pensiero, gli altri alla coltura del senti- 
mento e del cuore. 

Quanto al primo di questi due punti, vi si scorge qua e là 
lo spirito della nuova filosofia di Cartesio, che allora dominava. 
Là dove parla la religione e la fede, siate docile e cedete al- 
l'autorità, ma in ogni altro punto serbate indipendente la vostra 
ragione e non ristringete le vostre idee dentro a quelle degli 
altri; non cedete alla forza dell’opinione, ma giudicate le cose 
per quel che valgono in se stesse. La verità anzi tutto: essa 
sta al di sopra dei tempi e delle persone. Però non attribuite 
alla ragione una potenza illimitata: cercate la verità, ma mi- 
surate prima le vostre forze fin dove vi possano condurre e 
formatevi un criterio, che determini la vostra persuasione. Là, 
dove non vedete chiaro, abbiate il coraggio di dubitare, e se 
alcunchè sorpassa la vostra apprensiva, dite francamente: questo 
io non lo so. Quando il vostro pensiero presume troppo di sè 
e si leva a smodata arditezza, riflettete, che la ragione ed i 
sensi, le due supreme sorgenti di tutto il nostro sapere, talvolta 
s'ingannano a vicenda. 

Più che la memoria, esercitiamo il pensiero. Bisogna av- 
vezzarsi a pensare e non riempiere la testa di idee straniere 
senza trar nulla dal proprio fondo. Rimpinzare la memoria di 
storie e di fatti non è un perfezionare la mente, un avanzare 
nella via del sapere. È la vostra ragione, che vi sorreggerà 
nelle. gravi strettezze, non la ragione stoica di Seneca e di 
Epitteto. 

Ognun vede la saggezza di questi avvertimenti della Lam- 
bert: sono un giusto omaggio al culto del pensiero senza essere 
una idolatria della ragione. Ma fra tutti i suoi consigli uno ve 
ne ha, che vale esso solo un tesoro, perchè a mio avviso sor- 
regge e rassicura tutta la coltura del nostro spirito. “ La più 
grande scienza, essa avverte, sta nel saper essere in sè ,. È 
una sentenza veramente aurea; perchè a me è sempre parso, 
che chi non sa raccogliersi di quando in quando nella solitu- 


896 GIUSEPPE ALLIEVO 


dine del suo spirito e rendersi ragione di quello, che pensa. e 
di quanto sa od ignora, perde il sentimento della sua indivi- 
dualità personale e finisce col naufragare nell’ immenso mare 
dell'essere. Quindi giustamente essa consiglia di assicurarsi un 
ritiro, un asilo in noi stessi. Nella nostra solitudine il mondo, 
da cui ci teniamo appartati, peserà meno sopra di noi e ci sen- 
tiremo più liberi dalle impressioni, che fanno sopra di noi gli 
oggetti sensibili e dalla tirannia dell’opinione. Però essa avrebbe 
potuto con egual sentimento di verità consigliare di non trascor- 
rere nell’ estremo opposto, di non rinchiuderci nella solitudine 
dell'anima tanto da disconoscere e rinnegare la realtà esterna. 
Saper vivere in noi e fuori di noi, questa è, io penso, vera e 
somma sapienza. 

Il sapere non è tutto. “ L’anima ha ben più di che godere, 
che di conoscere ,. Ed anche questo mi pare profondamente 
vero, che non è la scienza, che possa darci la felicità. Per vi- 
vere felice bisogna pensar sanamente; ma abbiamo lumi proprii 
e necessarii al nostro buon essere, senza correre dietro a verità, 
che non sono fatte per noi. Gli è dal cuore, che dovete atten- 
dere una virtù durevole e sicura; è desso che vi caratterizza. 
Perfezionare il cuore ed i suoi sentimenti, ecco quel, che pri- 
mamente importa. Quando vi sentirete agitata da qualche viva 
e forte passione, domandate una tregua al vostro sentimento. 
L’immaginazione può molto nelle donne, ed illude coi fantasmi 
del piacere, ma coloro, che non la sottomettono alla verità ed 
alla ragione, ben sanno ciò, che essa fa soffrire. 

Della Lambert abbiamo un altro lavoro, che fa giusta cor- 
rispondenza a quello or ora ricordato, e che è inscritto: Avver- 
timenti di una madre a suo figlio. La madre è lei stessa, che dà 
consigli al proprio figlio. “ Voi non potete, gli dice, aspirare a 
nulla di più degno, nè di più conveniente della gloria. Ogni 
uomo, che non aspiri a farsi un gran nome, non opererà mai 
grandi cose. Ma di gloria ve ne sono varie specie: ciascuna 
professione ha la propria; nella vostra s'intende la gloria, che 
vien dal valore, la gloria degli eroi ,. E qui essa ritrae l'ideale 
del prode guerriero ed ammaestra suo figlio intorno le virtù e 
gli studi che gli occorrono per giungere alla gloria militare. 
L’indole della materia, che ci siamo proposti di discorrere, non 
ci consente di esaminare le sue idee intorno a questo argomento, 


DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 897 


che riguarda l’educazione maschile; questo solo mi si consenta 
di osservare, che non è buon consiglio pedagogico proporre 
all’alunno come ideale l’aspirazione alla gloria, la quale invece 
deve venire da sè come spontanea conseguenza di un onesto e 
nobile operare, e che la gloria militare non è vera gloria, perchè 
macchiata di sangue umano. 


Antonio Conti (1677—1748). 


La Marchesa di Lambert fiorì tra il secolo decimosettimo ed 
il decimottavo; e nel 1721 usciva alla luce in Parigi un breve 
lavoro di Antonio Conti intorno il presente argomento del nostro 
studio, che merita di essere ricordato. Il Conti (1677—1748) 
nobile veneto, fu letterato e pensatore insigne, che illustrò il 
Parmenide di Platone e la dottrina filosofica di Cartesio. Nel 
lavoro, che qui ricordiamo, diretto in forma di lettera al Signor 
Perel (1), egli prende a discutere la questione se le donne sieno 
atte così come gli uomini al governo, alle scienze ed alla guerra, 
ed avverte che non si trova autore, il quale la abbia ridotta 
al suo genuino aspetto e l’abbia trattata partendo da principii, 
che il solo Malebranche l’ ha riguardata fisicamente, ma l’ ha 
toccata soltanto alla sfuggita. Il Conti pone per principio, che 
il governo, le scienze e la guerra sono occupazioni, che dipen- 
dono dal vigore dello spirito e del corpo, e che perciò il punto 
della questione sta nel paragonare il vigore del corpo e dello 
spirito nell'uomo e nella donna. Ciò posto, egli si fa a dimo- 
strare, che le donne non hanno lo stesso vigore di corpo degli 
uomini, perchè le fibre corporee sono in esse assai meno solide 
ed elastiche, e ne inferisce per conseguente, che i legislatori 
fecero ottimamente escludendole dalla guerra e dagli altri me- 
stieri aspri e penosi: ecco risolta la prima parte della questione; 
e finqui la critica non ha di che opporre al suo ragionamento. 
Passando alla seconda parte della questione, in cui si cerca se 
le donne abbiano lo stesso vigore di spirito degli uomini, parte 
dal principio che l’anima ha la sua sede nel centro ovale del 


(1) Questa Lettera trovasi nel tomo secondo e postumo delle sue Prose 
e Poesie alla pag. LXV. 


898 GIUSEPPE ALLIEVO 


cervello, dove è l’origine de’ nervi, e ne inferisce che siccome 
le fibre degli uomini sono assai solide ed elastiche e quindi 
suscettibili di vibrazioni lunghe e veementi, porgono allo spi- 
rito ed all’immaginazione occasione di que’ grandi fenomeni, che 
si chiamano scienze ed arti. Per contro siccome nelle donne le 
fibre del cervello non sono capaci di pulsazioni forti, il loro 
spirito viene a mancare degli strumenti necessari per formare, 
meditando, idee astratte, analizzarle, precisarle, e quindi per 
iscoprire verità speculative, per costruire un sistema di crono- 
logia, di critica, di metafisica, di matematica. Per conseguente 
le donne non sono atte al governo ed alle scienze. Però se le 
vibrazioni delle fibre cerebrali sono nelle donne meno gagliarde, 
sono tuttavia più frequenti; quindi ne viene che esse superano 
gli uomini nelle grazie dell’immaginazione, nella naturalezza del 
discorso, nella facilità e squisitezza, con cui giudicano delle 
questioni riguardanti la lingua, lo stile, il buon gusto di ogni 
maniera, i gradi più impercettibili di una passione. 

L'autore nel giudicare se le donne abbiano la stessa vigoria 
del corpo che gli uomini, è partito dall’osservazione delle fibre 
dell'organismo corporeo, e bene sta; ma trattandosi di parago- 
nare il vigore dello spirito, poteva egli mantenersi egualmente 
nel campo della fisiologia e rimanersi alla sola osservazione 
delle vibrazioni delle fibre cerebrali? Io non credo che colla 
sola scorta della fisiologia si giunga mai a spiegare i fenomeni 
proprii dello spirito e rilevarne le differenze nell'uomo e nella 
donna. Egli non ha punto dimostrato, che la maggior veemenza 
di vibrazione delle fibre cerebrali sia proprio essa la condizione 
necessaria allo spirito, perchè possa lavorare le idee astratte 
ed elevarsi alla formazione di un sistema scientifico; come pure 
gli riuscirebbe impossibile il determinare qual grado di energia 
delle vibrazioni delle fibre cerebrali si richiegga per esercitare 
la facoltà dell’astrazione e della speculazione scientifica. Eppure 
tutto il suo ragionamento presuppone la dimostrazione di questi 
due punti (1). 


(1) Insieme col Conti va pure ricordato in quello stesso secolo Antonio 
Leonardo Thomas dell’Accademia francese (1732—1785), che pubblicò nel 
1772 un Saggio sopra il carattere, i costumi e lo spirito delle donne. In so- 
stanza anch'egli conviene col Conti nel sostenere, che le donne non sono 


DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 899 


Gian Giacomo Rousseau (1712—1778). 


Il Dio del Genesi disse: “ Non è bene, che l’uomo sia solo: 
facciamogli un aiuto simile a lui ,; e diede Eva per compagna 
ad Adamo. Rousseau nel quinto libro dell’Emilio così esordisce: 
“ Non è bene che l’uomo sia solo (1). Emilio è uomo; noi gli 
abbiamo promessa una compagna, conviene dargliela. Questa 
compagna è Sofia ,. Per conseguente “ dopo di avere procac- 
ciato a formare l’uomo della natura, per non lasciare imperfetta 
l’opera nostra, vediamo come vuolsi formare altresì la donna, 
che conviene a tal uomo ,. 

Giustamente egli piglia le mosse da una disamina compa- 
rativa delle conformità e delle differenze de’ due sessi, la quale 
riesce a questi pronunciati. In ciò, che hanno di comune, essi 
sono eguali, in ciò, che hanno di diverso, non possono parago- 
narsi, perchè la perfezione propria dell'uomo è di altra specie 
da quella della donna. Tutte le facoltà comuni non sono egual- 
mente ripartite; ma nel loro insieme si compensano. In sostanza 
questo concetto dell’ autore mi sembra conforme a verità, ma 
forse poteva essere enunciato in forma più semplice e chiara 
dicendo che l’uomo e la donna sono eguali in quanto apparten- 
gono amendue alla specie umana ossia posseggono le facoltà 
essenziali costitutive dell’ umanità, sono differenti, in quanto 
ciascuno è fornito di un'individualità sua propria, riposta nella 
diversa tempra delle facoltà comuni. Intanto teniamo ben fermo, 
che secondo l’autore, tra i due sessi non corre un rapporto nè 
di inferiorità nè di superiorità, ma di eguaglianza e differenza. 

Posto questo principio psicologico, Rousseau ne inferisce, 
che l’uomo e la donna non debbono avere la medesima educa- 
zione. Questa conseguenza è giusta solo in parte. Egli ha di- 


atte così come gli uomini ad una lunga e rigorosa deduzione e ad una 
data sublimità di idee; ma il suo lavoro è piuttosto dettato in forma 
letteraria, che condotta con rigore scientifico di ragionamento, è piuttosto 
una rapida scorsa attraverso la storia de’ diversi secoli, che una serie con- 
tinuata di osservazioni e di riflessioni psicologiche. 

(1) Rousseau, il banditore della silvestre natura, l’implacabile avver- 


sario della società, proclama, che non è bene che l’uomo sia solo! 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 61 


900 GIUSEPPE ALLIEVO 


menticato, che l’uomo e la donna in quanto hanno facoltà co- 
muni, per cui appartengono alla medesima specie, sono eguali, 
e quindi sotto questo riguardo l’educazione di entrambi vuol 
essere la medesima: la diversità dell'educazione debbe solo ri- 
guardare il sesso, ossia l’individualità propria della donna. 

Non è intendimento della natura, che la donna sia allevata 
nell’ignoranza assoluta di ogni cosa e rinchiusa nelle cure do- 
mestiche, bensì che coltivi il suo spirito pensando, giudicando, 
conoscendo. Ciò posto, Rousseau deriva la forma della sua edu- 
cazione dalla distinzione particolare propria del suo sesso, e qui 
ripete il concetto di Fénélon e della Lambert, che le sorti degli 
uomini e della società dipendono dalla famiglia, e quindi stanno 
in mano della donna, la quale perciò va educata all’ adempi- 
mento de’ suoi doveri domestici; ma il suo grave abbaglio sta 
in ciò, che ei vuole educata la donna niente per sè, tutta in 
servizio dell’uomo e della famiglia e segnatamente per piacere 
al marito. Tralascio di notare, che non tutte le fanciulle sono 
destinate ad essere spose e madri: questo solo giova avvertire, 
che qui l’autore non si mantiene coerente al principio da lui 
stabilito intorno al rapporto tra i due sessi. Infatti egli aveva 
negato ogni rapporto di inferiorità della donna rispetto all’uomo, 
sostenendo che le facoltà comuni ad amendue sono in ciascuno 
differentemente distribuite, ma che nel loro insieme si compen- 
sano. Ora invece sentenzia che la donna va educata in servigio 
dell’uomo. Inoltre egli ha dimenticato l'eguaglianza di natura 
ossia la comunanza della specie, per cui la donna essendo anche 
essa rivestita della dignità propria della persona umana va edu- 
cata anche per sè, e non semplicemente in servigio altrui. Essa 
ha doveri da adempiere non solo verso la famiglia, ma anche 
verso di se stessa e verso Dio; ha dei diritti alla verità, alla 
virtù, che non sono meno sacrosanti di quelli dell’uomo. 

“ Sottoposta al giudizio degli uomini, la donna deve meri- 
tare la loro stima, e sopratutto ottenere quella del suo sposo... 
deve giustificare davanti al pubblico la scelta che egli ha fatto 
di lei, e far onorare il marito dell’ onore, che si tributa alla 
donna. Or come potrà fare tutto ciò, se essa ignora le nostre 
istituzioni, i nostri usi, la sorgente de’ giudizi umani, le pas- 
sioni che li determinano? Dacchè essa dipende ad un tempo 
dalla sua coscienza e dalle opinioni altrui, occorre che essa im- 


DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 901 


pari a paragonare queste due norme, a conciliarle e preferire 
la prima soltanto allora che sono in opposizione fra di loro... 
Niente di tutto ciò può essere fatto a dovere senza coltivare 
il suo spirito, la sua ragione (1) ,. Anche qui l’autore disco- 
nosce il principio psicologico, da cui aveva pigliato le mosse, 
ed invece di collocare l’educazione della donna alla pari con 
quella dell’uomo, la subordina alle esigenze di lui, sostenendo 
che essa deve coltivare la ragione a fine di conoscere le isti- 
tuzioni, i costumi, le passioni dell'uomo e meritarne la stima 
e l’onore in faccia alla pubblica opinione ed alla propria co- 
scienza. À me non pare che i dettati della coscienza, per essere 
autorevoli e veraci, abbisognino di essere ratificati dal tribu- 
nale della ragione, come se la ragione fosse essa sola l’infallibil 
maestra della verità; io inclinerei anzi verso la proposizione 
contraria. Oltre di che questa sentenza di Rousseau, che qui 
tanto innalza la ragione, si mostra inconciliabile col sentimen- 
talismo, che informa la sua dottrina sull'educazione morale, e 
di tutto punto contraddice all’altro suo concetto, che sacrifica 
la ragione della figlia e della moglie all’ autorità della madre 
e del marito. 

Rousseau nega alla donna la virtù speculativa del pensiero, 
che ricerca le verità astratte, i principi e gli assiomi delle 
scienze, le ricusa la facoltà di generalizzare le idee, di compren- 
dere i capolavori del genio, l’attitudine alle scienze fisiche ed 
alle scienze esatte, perchè mancano della giustezza e dell’atten- 
zione sufficiente all'uopo. Egli le concede una ragione non già 
speculativa, ma meramente pratica, alla quale assegna per 0g- 
getto lo studio non già dell’uomo preso nella sua astratta ge- 
neralità, bensì degli uomini individui e viventi, delle persone 
singolari, che la circondano e con cui convive (V. Emilio, t. 4, 
pag. 74, 75, ediz. Parigi). 

Anzi tutto l’autore ha asserito, ma non ha punto dimo- 
strato, che la ragione della donna sia impotente a quelle gene- 
ralizzazioni astratte, che costituiscono il sapere scientifico, e non 
ha avvertito, che neanco tutti gli uomini sono forniti di tale 
attitudine. Il niegarle ogni virtù speculativa del pensiero, è sen- 
tenza troppo esclusiva, epperò insussistente. Ma egli è trascorso 


(1) Op. cit., t. 4, pag. 65, 66. 


902 GIUSEPPE ALLIEVO 


più in là: non si tenne pago di concedere alla donna una ra- 
gione meramente pratica, ma la volle circoscritta tutta quanta 
allo studio degli uomini e della famiglia. Ecco un altro punto 
del suo esclusivismo. Non aveva forse stabilito il principio, che 
la donna deve pensare, coltivare il suo spirito, e che è da na- 
tura chiamata ad una perfezione propria del suo sesso e diversa 
da quella dell’uomo? Come adunque potrà essa raggiungere 
questa sua propria perfezione, se prima ancora e più ancora 
degli uomini non istudierà attentamente e profondamente se 
stessa ? Rousseau vuole che la coltura della ragione femminile 
abbia per unico oggetto lo studio degli uomini: il vero si è, 
che l'educazione della donna deve avere il suo primo e principal 
fondamento nello studio e nella conoscenza di se medesima. 
Fanciulla, sposa, madre, la donna attingerà sempre dalla osser- 
vazione interiore di se medesima un raggio di luce, che la il- 
lumini in mezzo alle tortuose vicende della vita, e senza la psi- 
cologia femminile una psicologia umana veramente compiuta non 
si avrà mai. 

Forza è confessare, che Rousseau non vede di buon occhio 
la donna istrutta. Non gli basta avere sentenziato che la ma- 
tematica, la fisica, il sapere speculativo qualunque esso sia non 
sono fatti per lei; ma egli non fa tampoco parola nè di lette- 
ratura, nè di lingua, nè di storia, nè di igiene, nè di morale 
teorica, come se questi studi fossero disdicevoli a fanciulla ben 
educata. Che anzi, non gli saprebbe male, che “ la donna fosse 
limitata ai soli lavori del suo sesso e venisse lasciata in una 
profonda ignoranza su tutto il resto, quando i pubblici costumi 
fossero semplicissimi, integri, o si menasse una vita ritirata , 
(ediz. cit., t. 4, pag. 65). Ma alla fin fine a che più applicarsi 
allo studio, meditare sui libri, sentire la parola del maestro ? 
“ Lo spirito di Sofia non si è punto formato mediante la let- 
tura, bensì soltanto mediante le conversazioni col suo padre, 
colla madre, mediante le sue proprie riflessioni e le osservazioni 
da essa fatte in quel po’ di mondo, che ha veduto , (ib., pag. 95). 
In conclusione, nessun insegnamento scientifico, un sapere ran- 
nicchiato dentro la meschina cerchia della vita quotidiana, ecco 
la coltura mentale della donna, quale ei la intende. 

Mentre Rousseau vuole differita sino all’età dell'adolescenza 
l'istruzione religiosa ai fanciulli, per le fanciulle intende che 


DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 903 


esordisca sin dagli anni primi. “ Se i fanciulli maschi non sono 
in condizione di formarsi veruna idea vera di religione, tanto 
più essa idea trascende il concepimento delle figlie: gli è perciò, 
che io vorrei parlarne a queste assai per tempo; perchè se fosse 
giuocoforza attendere, che esse fossero in grado di discutere 
metodicamente queste profonde questioni, si correrebbe rischio 
di non parlarne loro giammai , (ibid., pag. 52). Ma se, in sen- 
tenza dell’autore, la ragione della donna non giunge a quelle 
conoscenze ideali ed astratte, a cui s'innalza la ragione del- 
l’uomo, vorrebbe la buona logica che l’istruzione religiosa assai 
più presto cominciasse per i fanciulli che per le fanciulle; per 
contro il nostro autore ragiona tutt’al rovescio. Inoltre insegna 
l'esperienza medesima che il pensiero dell’educando progredisce 
col progredire dell’età, sicchè va via via comprendendo sempre 
meglio quel, che da prima aveva imperfettamente inteso ; invece 
l’autore stranamente sentenzia, che se la fanciulla non viene 
fin dai primi anni ammaestrata nella religione, la cui idea è 
tuttavia superiore alla sua apprensiva, non ne capirà nulla per 
tutta la vita. Egli avverte, che invano ci attenderemmo che 
essa sia da tanto da discutere metodicamente queste profonde que- 
stioni. Ma la sua avvertenza è fuori di proposito, essendochè 
l’insegnamento della religione non esige punto che si trascini 
l'alunno in mezzo alle ardue ed astratte disquisizioni di scienza 
teologica, bensì basta che si espongano piuttosto per via di au- 
torità che di ragione le verità religiose; il che è riconosciuto 
da Rousseau medesimo, il quale scrive più sotto: “ Poichè l’auto- 
rità deve regolare la religione delle donne, non si tratta di 
spiegare loro le ragioni, che si hanno di credere, quanto di 
esporre ad esse chiaramente ciò, che si crede ,; e prima di lui 
la Marchesa di Lambert aveva consigliato che l'insegnamento 
religioso sia bensì dogmatico, ma non teologico. Egli ricisamente 
afferma, che “ siccome la condotta della donna è sottomessa 
alla pubblica opinione, così la sua credenza è assoggettata al- 
l'autorità. Ogni figlia debbe avere la religione di sua madre, 
ogni donna quella di suo marito... La madre e la figlia non es- 
sendo in grado di giudicare da sè, debbono ricevere la decisione 
dei padri e de’ mariti come quella della chiesa , (ibid., pag. 53). 
Rispettare l’autorità della madre e del marito è bella e santa 
cosa; ma l’autorità non deve distruggere il diritto, che ha ogni 


904 GIUSEPPE ALLIEVO 


anima umana alla verità. Se una figlia od una moglie fossero 
venute nell’intimo e sincero convincimento, che esiste una reli- 
gione, la quale mostra l'impronta della divinità più viva e più 
sicura che non quella da esse professata, dovranno esse rinun- 
ciarvi per non venir meno al rispetto verso l’autorità della 
madre o del marito ? E se mai o la madre od il marito non 
professassero religione di sorta, o calpestassero quella, in cui 
sono nati, la figlia o la moglie dovranno seguirne il non auto- 
revole esempio ? È cosa davvero singolare, che un libero pen- 
satore e riciso razionalista, qual è il Rousseau, sacrifichi la 
ragione all’autorità in una questione cotanto delicata, quale è 
quella, che riguarda la coscienza religiosa! 

Ognuno ben sa qual potente strumento di coltura mentale 
sia l’arte del leggere e dello scrivere; ma anche su questo 
punto l’autore la pensa in modo tutt’altro che largo e compren- 
sivo. “ Se io non voglio che si affretti un figlio ad apprendere 
la lettura, per più forte ragione non voglio che vi si costrin- 
gano le giovanette prima che loro si faccia ben sentire a che 
giova la lettura... Anzi tutto dov'è la necessità che una figlia 
sappia leggere e scrivere così presto ? Avrà torse da reggere 
così presto le faccende domestiche? Ben poche ve ne sono, che 
di questa scienza fatale non facciano più abuso, che uso, e 
tutte sono un po’ troppo curiose per non apprenderla senza 
costringimento, quando ne avranno agio ed occasione , (id., 
pag. 32). Che l'insegnamento del leggere e dello scrivere debba 
essere alquanto ritardato, è questa un'opinione, che si può so- 
stenere come la sua opposta, sebbene non si possa convenire 
coll’autore, che la giovinetta non ne abbisogni punto per il 
disbrigo di faccende domestiche. Ma egli appellando fatale ad- 
dirittura questa scienza, pronuncia contro di essa una inesorabil 
condanna; tanto varrebbe chiudere senza riguardo le scuole fem- 
minili senza sbracciarsi più che tanto a scemare la folla degli 
analfabeti. Egli addita Sofia, che “ mai non ha letto verun libro 
se non Barrem e Telemaco, che per caso le capitò fra le mani, 
(pag. 128); e sentenzia che in generale le fanciulle abusano di 
questa scienza, adoperandola forse in corrispondenze amorose 
o nella lettura di libri immorali; ma e di che non si può abu- 
sare? Anche delle più nobili e sante cose del mondo. L’abuso 
non è una ragione, per cui anche l’uso debba essere condannato. 


DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, Ecc. 905 


Certamente la coltura del pensiero non si fonda tutta quanta 
sui libri, ma non può farne senza: si legga bene e si leggano 
buone cose, ed il pensiero ne attingerà un sostanzial nutrimento. 

Dalle cose sinquì discorse consegue, che Rousseau non sa 
fare buon viso alla coltura scientifica della donna, misurando 
a dosi omeopatiche il sapere a Sofia. Quali ne sono le ra- 
gioni? Anzi tutto egli seguiva l’opinione dominante dei filo- 
sofi ed enciclopedisti del suo secolo, i quali avversavano in ge- 
nerale l'istruzione della donna, che ne aveva abusato per fare 
del bello spirito e calpestare i doveri della famiglia. Poi le figlie 
e le madri, segnatamente nelle grandi città, porgevano a’ suoi 
tempi il tristo spettacolo di un vivere licenzioso e dissoluto, 
ed a riparo di tanto male voleva che l’educazione formasse una 
donna onesta e buona massaia e niente più. Infine era uno dei 
suoi concetti dominanti questo, che le lettere e le scienze cor- 
rompono i costumi e pervertono la natura, sicchè per lui l’uomo, 
che pensa, è un animal depravato. Non è quindi da meravigliare, 
se non gli andava a genio la coltura scientifica della donna. 

Egli era partito dal giusto principio, che la donna avendo 
un carattere, un temperamento, una perfezione tutta sua propria, 
non debbe avere la medesima educazione dell’uomo. Poi sra- 
gionando trasse da quel principio una conseguenza, la quale 
rivela nell’educazione della donna l'egoismo dell’uomo. Infatti 
è sua teoria questa, che la donna va educata per piacere al- 
l’uomo ed adempiere i suoi doveri verso gli uomini, che il suo 
spirito va coltivato affinchè conosca le istituzioni, i costumi, i 
giudizii degli uomini, che la cerchia de’ suoi studi va ristretta 
alla conoscenza degli uomini, con cui convive. 

Giunto pressochè a metà del libro, l’autore non ragiona 
più intorno l'educazione femminile, ma lavora coll’immaginazione 
e scrive un grazioso romanzo. Egli ci ritrae in Sofia l'ideale 
della fanciulla perfettamente educata, la quale si stringe in vin- 
colo coniugale con Emilio, ed accompagna co’ suoi auguri e coi 
suoi consigli quell’imeneo, ma fu un matrimonio infelice. Ep- 
pure egli li aveva educati l’uno per l’altra! Decisamente Rous- 
sean è un grande scrittore e letterato, ma un ragionatore in- 
felicissimo ed un pensatore niente serio, e tale si mostra nel 
quinto libro della sua opera. Ad ogni piè sospinto smarrisce il 
filo del ragionamento: da una pagina all’altra le idee non che 


906 GIUSEPPE ALLIEVO 


chiarirsi si intorbidano e si alterano tanto che non si sa più 
che cosa egli pensi in modo fermo e sicuro: scambia asserzioni 
gratuite per solide dimostrazioni; pone un principio e ne tira 
conseguenze contraddittorie. Stabilisce che i due sessi sono 
eguali e che le loro facoltà, sebbene diversamente compartite, 
sì compensano, e poi vuole la donna fatta segnatamente per 
piacere al marito, ed alla autorità di lui sacrifica la ragione 
della moglie in fatto di credenze religiose. Scaglia contro le 
donne i più spietati vituperi, tacciandole di frivole, incostanti, 
civette, grandi fanciulli, caparbie, corrive agli estremi, facili a 
soccombere; poi tutte queste magagne scompaiono nella sua 
immaginaria Sofia, come se l'educazione potesse distruggere la 
natura. Inveisce contro le donne del suo tempo corrotte c cor- 
rompitrici delle loro figlie slanciate anzi tempo in mezzo al 
gran mondo, poi consiglia di licenziarle nella danza, ai festini, 
ai giuochi, al teatro. Meglio esse vedranno questi fragorosi 
piaceri, più presto ne saranno disgustate , (op. cit., pag. 76). 
Egli ragiona sempre coll’immaginazione: ecco tutto. 

Di Rousseau uno scrittore suo contemporaneo ed amico, 
Bernardino di Saint-Pierre, pronunciava questo giudizio: “ A” dì 
nostri un celebre scrittore pare, che abbia, al pari di Platone, 
sperato dall’educazione delle donne una rivoluzione ne’ costumi; 
ma avendo trattato nel suo Emilio dell'educazione de’ due sessi 
ad un tempo, ben lontano dall'avere rivolto quella della donna 
all’utile pubblico, egli ha separato dalla società quella dell’uomo 
medesimo, la quale sembra per tanti riguardi dover essere na- 
zionale , (1). Nulla di più giusto di questo giudizio, il quale 
pone in chiaro il punto erroneo, che tocca l’intima sostanza 
della dottrina pedagogica di Rousseau. Egli vuole che Emilio 
sia educato qual uomo, che vive nella selvaggia indipendenza 
della solitaria natura, non qual cittadino stretto in convivenza 
co’ proprii simili; che Sofia sia educata quale una compagna, 
che piaccia e convenga a lui. Così dalla sua opera educativa 
sorge una famiglia umana chiusa nel proprio egoismo, isolata 
dal consorzio sociale. 


(1) Discorso sull'educazione delle donne: 1% parte. 


CTZ LET 


seni 


DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 907 


Bernardino di Saint-Pierre (1737-1814). 


Ben altro è il concetto pedagogico di Bernardino Saint-Pierre. 
Nel suo Discorso sull'educazione delle donne da lui dettato nel 
1777 per rispondere ad una questione proposta dall’ Accademia 
di Besanzone (1), egli pone a principio, che la donna è chiamata 
ad esercitare una profonda influenza sui pubblici costumi, ad 
adempiere una missione educatrice, la quale dal santuario della 
famiglia s'irraggia su tutto il gran mondo sociale, e svolge e 
lumeggia questo concetto col mezzo di considerazioni razionali 
confortate dalle testimonianze della storia. “ Non vi ha persona, 
cui stia più a cuore la riforma degli uomini, quanto le donne. 
Dovunque i popoli furono costumati, lèù hanno signoreggiato le 
donne; dovunque esse sono piombate nell’imo della corruzione, 
esse furono schiave ,. Tratteggiando l'infanzia umana con quella 
mano maestra, che aveva scritto Paolo e Virginia, egli rileva 
come fin dalla puerizia il fanciullo e la fanciulla si rivelano 
ciascuno sotto una forma sua propria: l’uno fa mostra di ardi- 
tezza, di forza, l’altra di timidità, di delicatezza; ma le anime 
sono eguali. Il carattere attivo proprio dell’uomo ed il carattere 
passivo proprio della donna sono entrambi perfetti e compon- 
gono la più bella delle armonie, sicchè l’uno non va anteposto 
all’altro nella grand’opera della vita; epperciò il confondere 
l'educazione de’ due sessi è un disconoscere il loro carattere 
distintivo. 

L'autore contempla l’educazione femminile, secondochè è 
data in casa, nei conventi, in mezzo al mondo. Conviene con 
Fénélon, che la fanciulla va educata entro il santuario dome- 
stico, dove il suo cuore può liberamente aprirsi all’amore della 
famiglia, della patria, dell’ umanità, di Dio, e deplora siccome 
una grande sventura domestica e sociale lo strapparla dal seno 
della famiglia per tradurla in educatorii, dove “ nessun bacio 
paterno, nessuna mano cara asciugherà le sue lacrime, dove 
costretta a cercare conforti in un’amicizia straniera, finirà per 


(1) La questione era così formolata: “ Come l’educazione delle donne 
possa contribuire a migliorare gli uomini ,. 


908 GIUSEPPE ALLIEVO 


rompere quelle catene naturali, di cul i loro parenti hanno spez- 
zato le prime anella ,. Passando poi agli usi del mondo, egli 
riguarda la lettura dei libri e la frequenza dei teatri, siccome 
fonti di pervertimenti e di corruzione per le fanciulle. Libri, 
che loro veramente approdino, in sua sentenza sono ben pochi. 
I romanzi, che tratteggiano il vizio, le trascinano giù per la china 
delle sbrigliate passioni; quelli, che parlano di virtù, le slanciano 
in un mondo immaginario e loro inspirano l’odio per il mondo 
reale, in cui sono poste a vivere. Quanto poi ai libri scientifici 
e speculativi, offrono un campo di lotta fra seguaci di sistemi 
i più disparati ed opposti, dove tante verità sono messe in pro- 
blema, tanti paradossi sono scambiati per massime, sicchè la. 
loro lettura porta come a risultato finale alla distruzione dei 
principii e del carattere. La storia medesima non inspira gran 
benevolenza verso gli uomini, siccome quella, che tratteggia i 
furori dei popoli. Con questo concetto direttivo davanti al pen- 
siero egli passa a tratteggiare l’educazione femminile discor- 
rendo delle virtù speciali, a cui vuol essere informato l’animo 
della fanciulla e delle arti domestiche, in cui va ammaestrata, 
sempre intento all’epigrafe da lui posta in fronte al suo discorso: 
“ Per rendere buoni gli uomini, occorre renderli felici ,. 

La madre apprenda alla sua figlia la virtù anzi ogni cosa, 
e la virtù, egli scrive, è uno sforzo fatto sopra noi stesse per 
il bene degli uomini coll’intendimento di piacere a Dio solo, nè 
è punto una scienza fondata sopra un principio astratto, essen- 
dochè l’esistenza di un Essere supremo è di una splendida ed 
universale evidenza. Ma a tal uopo non basta parlare di virtù; 
occorre avvezzare la fanciulla alla pratica della medesima, chè 
di tal modo essa imparerà a commisurare il volere al potere. 
Compagne della virtù debbono venire le arti domestiche dai 
Greci appellate piccole virtù, giacchè le occupazioni di casa con- 
vengono alla varietà del carattere della donna, la rendono più 
felice, più bella, Je conciliano amore, confidenza, rispetto per il 
buon ordine ed il prospero assetto, che essa mantiene nella 
famiglia. Fra le arti gentili poi “la danza sviluppa le abitudini 
del corpo e dà a’ suoi movimenti un’armonia divina; la musica 
poi ha un potere sublime, che eleva l’anima ,. 

Dotato di squisito sentimento morale, l’autore teme che 
l’anima delicata di una fanciulla patisca offesa non solo dalle 


DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 909 


rappresentazioni teatrali, ma ben anco dalla lettura dei libri. 
Io rispetto il nobile intendimento, che gli ha consigliata la sua 
opinione, ma non ispingerei i miei riguardi sino a vietare sic- 
come pericolosi i romanzi anche migliori, in cui la virtù fa bella 
mostra di sè ed inspira vaghezza ed amore di se medesima, 
parendo a me, che anche a questa forma della letteratura, quando 
risponda al suo fine, non si possa negare un carattere educativo. 
L’asserire poi, che la lettura di libri, in cui si agitano i pro- 
blemi della scienza, porta alla distruzione de’ principii e del ca- 
rattere nell'anima di chi legge, sembrami una sentenza eccessiva, 
che mena difilato allo scetticismo. 


La Contessa di Genlis (1746-1830). 


La Contessa di Genlis lasciò scritto di se medesima nelle 
sue Memorie di avere sortito da natura un istinto al magistero 
educativo, e si tenne bene avventarata, quando il duca e la 
duchessa di Chartres le affidarono l’educazione dei loro figli e 
figlie, il maggiore de’ quali salì poi sul trono di Francia col 
nome di Luigi Filippo. I principii pedagogici, che la diressero 
nell'adempimento di quella missione, stanno esposti nel suo libro 
Adele e Teodoro, o Lettere sull’educazione (1782), dove è tratteg- 
giata l'educazione qual si conviene ad un principe, all'uomo ed 
alla donna. 

Adele, intorno a cui si raccolgono tutti i suoi concetti ri- 
guardanti l’educazione femminile, non è un’alunna immaginaria, 
quale la Sofia di Rousseau, bensì una persona viva, la princi- 
pessa Adelaide d’Orléans. Di questa particolarità occorre tener 
conto affine di giudicare secondo verità il valore delle sue idee. 
Poichè la Genlis consacrò il senno e l’opera sua in servigio esclusivo 
di un’alunna affatto singolare,che apparteneva ad una determinata 
famiglia principesca, e quindi ebbe ogni agio e modo di formare 
intorno ad essa quell'ambiente, che era ne’ suoi desiderii; epperò 
gran parte de’ suoi consigli non hanno quel carattere universale, 
che si richiede, perchè possano valere per la coltura delle fan- 
ciulle in generale. Saggiamente essa avvisa, non doversi trala- 
sciare occasione di sorta per insegnare in via indiretta ai fan- 
ciulli ciò, che non sorpassa la loro facoltà apprensiva; ma in 


910 GIUSEPPE ALLIEVO 


Adele le occasioni sono preparate e suscitate a bella posta e 
studiatamente coordinate ad un fine prestabilito, sicchè corrono 
pericolo di perdere quel carattere di naturalezza, che tien desta 
l’attenzione dell'alunno. Similmente essa consiglia, e con ragione, 
di non essere troppo corrivi nell'’ammaestrare, ma di acconciare 
il tenore ed il grado dell'istruzione all’età del discente; e gui- 
data da questo concetto, detta per la sua alunna una serie di 
letture scientifiche e letterarie, che vanno via via progredendo 
dall'età di sette anni sino oltre il ventennio, ma non tutti gli 
autori assegnati a ciascun periodo di età rispondono al suo con- 
cetto. A sussidio dell’intelletto, a rinforzo della memoria essa 
fece grande assegnamento sulle intuizioni sensibili. A tal uopo 
non solo si giovò di libri illustrati, di globi e carte geogra- 
fiche, di bassorilievi, di gabinetti di fisica, di collezioni natu- 
rali, ma perfino le pareti delle sale volle istoriate di fatti e 
personaggi celebri, di figure mitologiche, e da un pittore polacco 
fece disegnare una lanterna magica, i cui vetri portavano di- 
pinti i fatti della storia sacra, della romana, della chinese e 
della giapponese. 

Per quel, che riguarda l'educazione morale e la religiosa, 
i suoi concetti oscillano mal fermi tra la dottrina pedagogica 
di Fénélon e quella di Rousseau: l'autorità e la libertà, il sen- 
timento e la ragione ad ogni piè sospinto vi si urtano e si 
confondono. 

La Genlis fece di pubblica ragione una sterminata serie di 
lavori i più svariati, e fu da’suoi critici giudicata con una se- 
verità, che potrebbe parere eccessiva, se non fosse che anch'essa 
nel giudicare uomini e libri non sempre si contenne entro i 
confini della temperanza e della convenienza, forse per cagione 
delle aspre vicende, per cui è trascorsa la lunga sua vita di 
ottantaquattro anni. 


L’educazione della donna e la rivoluzione francese. 


Undici anni dacchè Rousseau era morto, scoppiò la rivolu- 
zione francese. In mezzo a quella profonda crisi sociale anche 
l'educazione della donna fu agitata da due opposte correnti. La 
donna rimanga dov'è, nell’ambito della famiglia, dove non oc- 


DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 911 


corre gran fatto l'istruzione, ripetono da un lato Mirabeau, 
Danton, Robespierre, Saint-Juste, Talleyrand. La donna corra in- 
sieme coll’uomo il pubblico arringo della vita sociale, e sia come 
lui, e quanto lui educata, ripetono dall'altro lato Condorcet e 
Lepellettier di Saint-Fargeau. 

Talleyrand presentava all'Assemblea Costituente un disegno 
di legge sulla pubblica istruzione, preceduto da una relazione, 
in cui esponeva le sue idee sull’educazione femminile. Egli vuole 
la donna istruita in ordine alla sua destinazione, la quale risiede 
nella prosperità domestica e nei doveri della vita interiore. A 
lui pare incontestabile, che la prosperità di entrambi i sessi e 
segnatamente delle donne esige, che esse non aspirino punto 
all'esercizio dei diritti e delle funzioni politiche. La loro costi- 
tuzione delicata, le pacifiche inclinazioni, i numerosi doveri della 
maternità le allontanano costantemente dalle abitudini forti, dai 
doveri penosi, e le chiamano ad occupazioni dolci, a cure inte- 
riori. “ Non convertite le compagne della vostra vita in vostre 
rivali ,. 

Condorcet fu il ristauratore delle idee pedagogiche di Poullain 
de la Barre ed il precursore dei moderni promotori dell’eman- 
cipazione assoluta della donna. Egli proclamò arditamente da- 
vanti all'Assemblea francese l'eguaglianza de’ due sessi, ricono- 
scendo eguali in essi le attitudini intellettuali, eguali i diritti 
ed i doveri, e quindi comune l’istruzione dell’uomo e della donna. 
Essendochè l'istruzione sta tutta nell’esporre delle verità e svi- 
lupparne le prove, per ciò stesso egli non sapeva scorgere come 
la differenza de’'due sessi porti con sè altresì una differenza nella 
scelta di queste verità e nella maniera di provarle. Dalla co- 
munanza poi dell'istruzione egli ne arguiva che essa debb'essere 
data in comune ai fanciulli ed alle fanciulle nelle medesime 
scuole, e che le donne non vanno escluse dall’insegnamento. 
Torna necessaria alle donne quest’ eguaglianza d’ istruzione: 
1° perchè esse hanno i medesimi diritti dell’uomo; 2° perchè 
possano sorvegliare l'istruzione dei loro fanciulli in casa; 3° perchè 
in seno della famiglia non incorrano in una disuguaglianza con- 
traria alla prosperità domestica; 4° perchè così istrutte sono in 
grado di conservare agli uomini le cognizioni da essi acquistate 
nella loro giovinezza. 

Forse accortosi di essere trascorso tropp’ oltre, Condorcet 


912 GIUSEPPE ALLIEVO 


esce in una riserva. “ Se il compiuto sistema di istruzione co- 
mune sembrasse troppo esteso per quelle donne, che non sono 
chiamate a veruna funzione pubblica, si può restringere a’ suoi 
primi gradi senza però vietare gli altri a quelle, che avranno 
disposizioni più felici, ed in cui la loro famiglia vorrà coltivarle. 
Se vi ha qualche professione riservata esclusivamente agli uo- 
mini, le donne non saranno ammesse all'istruzione particolare 
corrispondente, ma sarebbe assurdo escluderle da quella istru- 
zione, che ha per oggetto le professioni, che esse devono eser- 
citare in concorrenza cogli uomini , (1). Questa non è punto 
un'eccezione, che, come suol dirsi, confermi la regola, bensì è una 
riserva, che contraddice al principio stabilito. Giacchè il ricono- 
scere professioni sociali esclusivamente proprie dell’uomo, val 
quanto niegare la presupposta eguaglianza de’sessi e la comu- 
nanza d'istruzione, che ne consegue. 

Questa teoria di Condorcet pecca di esclusivismo, siccome 
quella, che guarda soltanto alle facoltà comuni, per cui l’uomo 
e la donna appartengono amendue alla specie umana, eguali in 
ciò per natura, e non tiene conto delle doti caratteristiche di esse 
facoltà in ciascuno de'due sessi. Egli pronuncia, chehanno amendue 
eguali diritti ed eguali doveri, ma non ha avvertita la differenza 
grande, che intercede fra i diritti ed i doveri assoluti, i quali 
sono comuni all'uomo ed alla donna, perchè fondati sulla natura 
umana, ed i diritti e doveri relativi, i quali variano secondo il 
sesso, l’età, le condizioni sociali. Similmente dacchè l’istruzione 
sta tutta nello esporre verità e svilupparne le prove, erronea- 
mente egli ne arguisce che debba essere la medesima pe’ due 
sessi malgrado la loro differenza, poichè l'istruzione non va solo 
riguardata, come egli fece, oggettivamente, ossia in se stessa, 
bensì anche soggettivamente, ossia rispetto agli alunni, a cui 
viene amministrata, epperò se sotto il primo aspetto è la me- 
desima, sotto il secondo si differenzia. 


(1) Euvres de Condorcet, Paris, 1847, tom. 7, pag. 215 e seg. 


DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, Ecc. 913 


Classificazione delle dottrine relative 
all'educazione femminile. 


A conforto di questo breve studio storico critico torna 
opportuno un accenno ad una classificazione razionale delle di- 
verse dottrine dei pedagogisti intorno l'educazione della donna, 
raffrontata con quella dell’uomo. L'uomo e la donna sono due 
individualità differenti, che appartengono alla medesima specie: 
su questo principio psicologico abbiamo ragione di fondare una 
classificazione logica di tutte le dottrine pedagogiche in due 
grandi categorie; alla prima appartengono tutte quelle teorie, 
che disconoscono il giusto rapporto psicologico tra l’uomo e la 
donna; la seconda comprende tutte quelle altre, che più o meno 
lo riconoscono. Ma il proposto principio può essere disconosciuto 
in due guise opposte, secondochè 1° si ammette l'eguaglianza 
assoluta della specie umana sino a negare le differenze indivi- 
duali proprie di ciascun sesso, oppure si tiene la sentenza af- 
fatto opposta. Di qui le dottrine della prima categoria vengono 
a suddividersi in due altre corrispondenti, entrambe estreme ed 
opposte, la prima delle quali niega alla donna ogni coltura e 
la rinchiude nel recinto domestico quale una schiava, non una 
compagna dell’uomo; la seconda la vuole educata come e quanto 
l’uomo senza divario di sorta. L'altra categoria abbraccia tutte 
le dottrine intermedie fra queste due estreme, e sebbene tutte 
concordi nell’ammettere una differenza tra l'educazione maschile 
e la femminile, non disgiunta da una ragionevole comunanza, 
tuttavia diversano di grado nel segnare i limiti proprii della 
coltura della donna. Tenendo l’occhio rivolto a questo prospetto 
sinottico, riesce agevole il riscontrarvi le molteplici dottrine pe- 
dagogiche registrate nella storia, segnando a ciascuna il posto 
suo proprio. Sistemare in ordine logico tutte le teorie riguar- 
danti l'educazione della donna non basta; occorre pur anco un 
criterio direttivo per giudicarle e trarne una conclusione defi- 
nitiva, il quale distinguesi in assoluto od universale, ed in rela- 
tivo o particolare. Il criterio assoluto è dato dalla scienza, la 
quale stabilisce che ogni teoria pedagogica è vera, se riconosce 


914 FRANCESCO ROSSI 


tra l’uomo e la donna l'eguaglianza della specie umana, la dif- 
ferenza dell’individualità personale; falsa nel caso contrario (1). 
Il criterio relativo è ammannito dalla conoscenza storica delle 
condizioni sociali de’ tempi e luoghi, in cui versa l’educazione 
della donna, tantochè ragion vuole che si riconosca e si apprezzi 
convenientemente nelle teorie de’ pedagogisti di ciascun secolo 
il colorito rispondente alle condizioni ed alle esigenze sociali 
del loro tempo. 


Di un coccio copto del Museo Egizio di Torino 
con caratteri crittografici ; 
Nota del Socio FRANCESCO ROSSI. 


Errare humanum est. 


Fra 1 cocci copti del Museo egizio di Torino da me pub- 
blicati negli Atti della nostra Accademia delle Scienze dello 
scorso anno (2), io segnalava specialmente quello, che portava 
nel rovescio una breve lettera contenente varii gruppi, che mi 
parevano nella forma ricordare le invocazioni dei testi gnostici, 
e furono allora per me indecifrabili. 

Ma ritornando oggi su questo coccio, mi venne in mente, 
che i Copti, come gli antichi Egiziani, possedessero una scrit- 
tura enigmatica o crittografica, che adoperassero talvolta nei 
loro scritti, e di cui si avrebbe così un esempio nel nostro 
coccio. E a confermarmi in questa opinione sta anche il fatto, 
che questi gruppi sono nella lettera seguìti dalle parole: 


dpi TAUAITIH prreraceere on merupobo (3), fa, di grazia, 
ricordo di essi nelle tue preghiere (4). Ora dicendo di far ricordo 


(1) Vedi i miei Studi pedagogici, pag. 306-311. 

(2) Vol. XXX, pag. 799, con tavola. 

(3) upobo, come mostrerò più sotto, non è altro che la forma critto- 
grafica della radice UAHA, preces, oratio. 

(4) Nella mia prima pubblicazione di questo coccio credetti di dover 
correggere la forma (non troppo chiara nell'originale) MTETRLEETE, eorum 
recordatio in TIWMAXLEETE, mea recordatio, perchè io non leggeva in questo 


testo altro nome che ‘quello di Azaria, l’autore della lettera. 


DI UN COCCIO COPTO DEL MUSEO EGIZIO DI TORINO 915 


di essi, doveva l’autore naturalmente alludere alle persone, che 
egli menzionava nella lettera, ed i cui nomi dovevano natural- 
mente in essa trovarsi. Mi parve quindi giusto conchiudere, 
che questi gruppi contenessero i nomi di queste persone, che 
egli nella sua lettera ricordava al padre in caratteri critto- 
grafici. 

Un attento esame di tutti questi gruppi mi convinse, che 
essi non potevano rappresentare più di quattro nomi espressi 
coi seguenti segni: 


1° gexofw (1). 2° WweHquaAw. 3° empeoez. 
4 RORMAN... YAN. 


Ora primo lavoro a fare era di confrontare fra loro tutti 
questi gruppi, e segnalare i segni che in essi si ripetevano. 
Prendendo perciò ad esame il primo gruppo (zexWbw) com- 
posto di sei lettere, ho trovato, che esso ha per prima lettera 
un segno (3) che forma la finale del terzo gruppo; la terza 


x 


lettera è rappresentata da un segno (x) che si trova come 
sesta e decima lettera del quarto gruppo; il segno (w), che 
forma la quarta e la sesta od ultima lettera del gruppo, rap- 
presenta anche la lettera iniziale e la finale del secondo gruppo. 

Il secondo e quinto segno infine sono proprii solo a questo 
gruppo, e non trovansi negli altri, ma dell’ultimo abbiamo già 
fin d’ora il valore in modo irrefragabile nella parola usoho, 
con cui termina il testo del coccio, e vedemmo nella sovra 
citata nota essere la forma crittografica della radice ugAmA. 
Infatti l’autore della lettera aveva cominciato a scrivere i primi 
segni. di questo vocabolo con le usuali Jettere dell’alfabeto 
copto uA; ma tosto si corresse, e soprappose alla lettera 
una o, che ripetuta, com'è, dopo il segno è, dimostra che la 
voce ujobo è la trascrizione in caratteri crittografici della ra- 


(1) Il segno € del gruppo Zexwbo è nell’originale smozzato della 
parte superiore, onde io nella mia prima pubblicazione lo trascrissi per 
una dota (1). 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 62 


916 FRANCESCO ROSSI 


dice uAmA, e perciò il segno è, identico a quello che occupa 
il quinto posto del nostro gruppo, deve necessariamente essere 
un'eta (KR). 

Il secondo gruppo (wWeHnAw) si compone di sette segni, 
che si riscontrano tutti negli altri gruppi. Omettendo il segno w 
che già notammo nel primo gruppo come rappresentante la 
quarta e sesta lettera di quel nome; abbiamo per la seconda e 
terza lettera due segni (@ e H), che trovansi anche nel terzo 
gruppo, ove la prima (©), che vi è ripetuta tre volte, occupa 
il primo, quarto e sesto posto; la seconda invece (H) trovasi 
solo nel secondo posto. Gli altri tre segni (emA) cioè il quarto, 
il quinto ed il sesto, sono tutti riprodotti nel quarto gruppo, 
ove il primo rappresenterebbe l'ottava lettera, il secondo la 
quarta, ed il terzo, che vi è due volte riprodotto, la quinta e 
nona lettera. 

Dei sette segni, che compongono il terzo gruppo (oHpeg ez), 
cinque sono già stati notati negli altri gruppi, ed i due, che 
ci rimangono ad esaminare, sono proprii solo di questo gruppo, 
in cui occupano il terzo e quinto posto, e rappresentano, nella 
forma, le due lettere dell’alfabeto copto ro (p) ed hori (9). 

Riguardo infine al quarto gruppo debbo innanzi tutto far 
osservare, come questo nel nostro coccio sia diviso in due parti; 
la prima, con cui termina la sesta linea del testo, porta ben 
distinti i seguenti segni: RORMAX. La seconda parte invece, 
che formava il principio della settima linea, è ora coperta da 
una larga macchia, onde a stento si distinguono le lettere Ax. 
Ma prima di queste doveva esservi ancora una lettera, che 
nello stato attuale del coccio non è più possibile scoprirne le 
traccie. Riunendo quindi queste due parti noi ricomponiamo il 
quarto gruppo con dieci segni (R@RMAX :<4AX :), i quali, 
ad eccezione del primo e terzo fra loro identici, e del settimo, 
che più non si scorge nel coccio, si riscontrano tutti negli 
altri gruppi. 

Ciò fatto e posto fuori di dubbio, che questi gruppi con- 
tengono nomi di persone, mi feci a ricercare fra i nomi copti 
quelli, che per numero e disposizione delle lettere meglio si 
potessero coi nostri conciliare. In questa ricerca il gruppo, che 


DI UN COCCIO COPTO DEL MUSEO EGIZIO DI TORINO 917 


più di tutti doveva facilitarmi la via è il terzo, perchè, come 
notammo, ha il carattere speciale di ripetere tre volte lo stesso 
segno, rappresentando esso la prima, la quarta e la sesta let- 
tera del gruppo; e perciò da questo cominciai i confronti. Ora 
fra i nomi di persona, che incontransi frequentemente nelle 
antiche iscrizioni copte, vi è quello di aftpagaree, che come 
il nostro gruppo, si compone di sette segni, ed ha per prima, 
quarta e sesta lettera la vocale a. Se di più si aggiunga che 
i due segni rappresentanti le lettere ro (p) ed hori (9), che 
vedemmo essere proprii solo a questo gruppo, vi occupano lo 
stesso posto, che queste due lettere hanno nel nome di 
abpaoase, possiamo senza alcuna esitanza affermare, che il 
nostro gruppo è la forma crittografica del nome di Abramo. 

La presenza poi delle lettere p e o col loro valore reale 
in questo gruppo dimostra, che era lecito agli scribi copti di 
intercalare nei testi crittografici alcune lettere del loro alfabeto 
senza cangiarne il valore. 

Dallo studio quindi del terzo gruppo noi veniamo già a 
stabilire con certezza il valore dei tre segni crittografici @ = a, 
H = f, 3 = ae, ai quali dobbiamo aggiungere il segno è = K, 
datoci dalla radice usAXHA, che dimostrammo essere la trascri- 
zione del gruppo crittografico usobo. Ora di questi segni così 
decifrati, due si trovano nel primo gruppo (zexwWbw), ove 
occupano il primo ed il quinto posto, e rappresentano quello 
la lettera ee, questo la lettera KH; e siccome quest’ultima è 
posta fra due segni perfettamente identici, ne viene, che il 
nome a cui ha da corrispondere il nostro gruppo, deve avere 
per quarto e sesto segno la stessa lettera. 

Ora il nome, che trovasi appunto in. queste condizioni è 
quello di Mosè, che nel copto componesi, come questo gruppo 
di sei lettere (aewrcHe), nome che comincia colla lettera so, 
e termina colla gw rinchiusa fra due c. Epperò, se ci siamo 
bene apposti, avremo pel secondo segno del gruppo la vocale w, 
pel terzo la vocale +, e pel quarto e sesto la consonante ec, 
Ma mentre il segno ec = + trovasi solamente in questo gruppo, 
i segni x = © W=c si riscontrano pure negli altri, e se 


918 FRANCESCO ROSSI 


anche in questi conservano lo stesso valore, noi avremo una 
nuova prova per asserire che il primo gruppo è la forma crit- 
tografica del nome di Mosè. 

Venendo perciò a studiare il secondo gruppo, troviamo, 
che questo (WmeHquàw), composto di sette lettere, comincia 
e termina con lo stesso segno che identificammo testè colla 
lettera e. Conoscendo già dal nome afpaoase che il secondo 
e terzo segno rappresentano le lettere a e f, noi dobbiamo 
cercare il nome che gli corrisponda fra quelli, che composti di 
sette lettere, comincino colla sillaba caf ed abbiano per let- 
tera finale una c. Ora mi corse tosto alla mente il nome di 
Sabino (cabittoc), menzionato nei miei papiri copti (1) come 
autore di una Esegesi sulla nascita del nostro Divin Salvatore, 
e vescovo di Schmin, la Panopoli dei Greci. Dall’identificazione 
quindi del secondo gruppo con questo nome noi veniamo a ri- 
conoscere, che il quinto segno (m) non ha un valore crittogra- 
fico, ma rappresenta la semplice lettera dell’alfabeto w, mesco- 
lata qui con segni crittografici, fra i quali sono invece a porsi il 
quarto ed il sesto, ove il primo sta per la lettera (y) cioè tota, 
ed il secondo per la lettera omicron (0), e tutti e tre questi 
segni si trovano con lo stesso valore nel quarto gruppo. 

In quest’ ultimo gruppo poi (ReRmAXx...j4AXx) abbiamo 
veduto che sette dei suoi segni si trovavano nei precedenti 
gruppi, onde ne conosciamo adesso il valore; ma per gli altri, 
che sono proprii solamente a questo gruppo, esso ci sfugge, e 
solo sappiamo che il primo e terzo segno devono rappresentare 
la medesima lettera. Ora l’ignoranza del valore del segno, con 
cui cominciava il gruppo, avrebbemi resa ben difficile la ricerca 
del nome copto che gli corrispondesse, se non mi fosse venuta 
in aiuto la bella raccolta dei nomi di persone egiziani fatta dal 
Parthey. In questo lavoro avendo io trovato alla pag. 74 il 
nome copto nammorte (ò toÙ 0eod) a lato alla forma greca 
Ttagvoutiog, ne conchiusi tosto, che il segno, che ora manca 
nel coccio, doveva rappresentare la lettera tav (T) e non poter 
essere altro che la forma crittografica della lettera pi (m) i 
due segni identici, che occupano il primo e terzo posto del 


(1) I papiri copti del Museo Egizio di Torino, vol. II, fasc. IV ed ultimo, 
pag. 4. 


DI UN COCCIO COPTO DEL MUSEO EGIZIO DI TORINO 919 


gruppo, cosicchè avremo colla sua trascrizione il nome copto 
MATTMOTTIOT. 

Raccogliendo quindi insieme tutti i segni crittografici del 
testo, noi avremo la seguente tavola di paragone: 


Onde il nostro testo dovrà essere così trascritto: 


TAAC ALHAIWT YPance oImit agaprac mMeuApe, 
seoTcHE, cabitoc, afpaoase, MAIMOTTIO®, Api TAUANH 


prrerareere OM MEeRWAHA; 


e la sua traduzione letterale sarà: date questo (la lettera) al 
padre mio, Frange da parte di Azaria suo figlio. Mosè, Sabino, 
Abramo, Papnouzio. Fa, di grazia, ricordo di essi nelle tue 
preghiere. 

La prima parte di questo nostro testo contiene l’indirizzo 
della lettera scritta nel diritto del coccio, e viene in conferma 
dell'opinione espressa dal Prof. L. Stern (1) che la parola Taac 
fosse usata nelle lettere a segnarne l'indirizzo. 

L'autore poi della lettera aggiunse ancora nel suo indirizzo 
i nomi, in caratteri crittografici, di quattro persone, amiche 
probabilmente del padre, raccomandandole alle sue preghiere. 

Il testo infine è chiuso da un segno (JE), che ho più volte 


trovato nei miei papiri copti, ora in testa, ora al piede delle 
pagine, come segno di benedizione, e che io opino essere la 
sigla della voce greca otavpés, formata dalla riunione di tutte 
le sue consonanti nel seguente ordine ete. 

Ora questa sigla, posta dall’autore in principio del primo 
testo, nel diritto del coccio, e ripetuta, nel rovescio, alla fine 
del secondo testo, dimostra che essi devono riferirsi ad una 
sola e stessa lettera. 


(1) V. € Zeitschrift fiirr Aegyptische Sprache und Alterthumskunde ,, 
XVI Jahrgang, 1878, Seite 9. Sahidische Inschriften von Ludw. Stern. 


——--— sore) 


920 LUIGI. VALMAGGI 


Del luogo della così detta prima battaglia di Bedriaco; 


Nota del prof. LUIGI VALMAGGI. 


È ammesso generalmente che la grande battaglia combat- 
tuta nell’aprile del 69 tra gli Otoniani e i Vitelliani, ossia quella 
che si suol chiamare, benchè non in tutto propriamente, la 
prima battaglia di Bedriaco, sia seguìta a sei miglia romane a 
occidente di Cremona, sul confluente dell’ Adda col Po, quindi 
non lungi dall'attuale Castelnuovo Bocca d’Adda. Ma poi che 
nè in Plutarco, nè in Svetonio, nè in alcun’altra parte è accen- 
nato il punto preciso in cui avvenne la battaglia, siffatta opi- 
nione si fonda esclusivamente sull’ attestazione di Tacito, nel 
passo del capitolo 40 del II libro delle Historiae, che nel codice 
Mediceo e in tutte le edizioni (prescindendo dalla correzione 
Adduae per Aduae provosta dal Puteolano e accolta da parecchi 
editori fra i men recenti) suona così: “ Non ut ad pugnam sed 
ad bellandum profecti , (lo scrittore parla dell’esercito Oto- 
niano) “ confluentes Padi et Aduae fluminum sedecim inde milium 
spatio distantes petebant ,. E come con queste parole appunto 
è designato da Tacito il teatro del combattimento, così parve 
doversene desumere che la battaglia accadde, secondo dicemmo, 
sul confluente dei due fiumi. Qualche dubbio tuttavia il passo 
citato delle Historiae l’ha sollevato già in addietro (1); e invero 


(1) Il ManvneRT ad esempio aveva sostituito Ollii ad Aduae, leggendo Padi 
et Ollii, e il Nrererpey espunse addirittura l’inciso, notando che “ flumina 
praeter Padum sunt amnis Caneta et rivi complures prope Cremonam Orien- 
tem versus in Padum influentes ,. Ma non a torto osservò il Meiser nella 
nuova edizione Orelliana non essere probabile “ Tacitum confluentes flumi- 
num scripsisse neque nominasse flumina ,. Del resto le incertezze e difficoltà 
varie del passo, anche rispetto alla quistione delle distanze di cui noi ci 
occuperemo più innanzi, hanno dato luogo già a più discussioni e indagini 
erudite, come quelle del Krauss (De vitarum imper. Oth. fide quaestiones, 


DEL LUOGO DELLA COSÌ DETTA PRIMA BATTAGLIA DI BEDRIACO 921 


che non abbia potuto essere quello il teatro del combattimento 
è dimostrato irrefragabilmente da due ordini di ragioni, da ra- 
gioni strategiche cioè e ad un tempo da ragioni storiche e filo- 
logiche. 

Vediamo anzitutto le prime, e cominciamo a ricordare, per 
maggior chiarezza e per intenderci, le posizioni rispettivamente 
occupate dai due eserciti. Fallito il disegno di chiudere ai Vi- 
telliani gli sbocchi delle Alpi (1), Otone ha portato la base 
della difesa sulla linea del Po (2), lungo la quale nel mo- 
mento che immediatamente precede la battaglia (di altre mosse 
e dislocazioni anteriori qui non accade ci occupiamo) il suo eser- 
cito si trova scaglionato in una specie di semicerchio, che da 
Piacenza, tenuta fortemente da Vestricio Spurinna con un buon 
nerbo di truppe (3), si svolge sulla destra del fiume sino a 
Brescello (4), per risalire poi sulla sinistra a Bedriaco, ov'è con 
Annio Gallo, con Svetonio Paolino e con Mario Celso il grosso 
delle forze Otoniane (5), comandate in titolo dal fratello stesso 


Zweibriicken, 1880, p. 46 sgg.), del Punt (De Oth. et Vit. imper. quaestiones, 
Halle, 1883, p. 16 sgg.), del Lezius (De Plut. in Galba et Othone fontt., 
Dorpat, 1884, p. 138 sgg.), del KuntzE (Beitr. zur Gesch. des Otho-Vitellius- 
Krieges, Karlsruhe, 1885, p. 13 sgg.), e principalmente del Momwmsen (Die 
zwei Schlachten von Betriacum in I. 69 in Herm., V, 161 sgg.) e del Ger- 
STENECKER (Der Krieg des Otho u. Vitellius in Italien im I. 69, Miinchen, 1882, 
p. 30 sgg.), senza tuttavia venire a una conchiusione definitiva. 

(1) Tac., Hist., II, 11. Non cito, sempre quando non ci sia luogo a 
discrepanze che importi avvertire, i passi corrispondenti di Plutarco, poi 
che entrambi gli scrittori rappresentano la medesima fonte comune; e 
d’altra parte chi voglia i riscontri può trovarli allegati minutamente nel 
recente libro del Fasra su Les sources de Tac. dans les Hist. et les Ann., 
Parigi, 1893, pp. 49 sgg. 

(2) Tac., Hist., II, 11: cfr. in II, 32 il passo del discorso di Svetonio 
Paolino relativo appunto all'importanza strategica della linea del Po: 
“ obiacere flumen Padum, tutas viris murisque urbes, e quibus nullam hosti 
cessuram Placentiae defensione exploratum ,. 

(3) Tac., Hist., II, i8; 86. 

(4) Conforme alla decisione presa nel consiglio di guerra che precedette 
di poco la battaglia (Tac., Mist., II, 32-33; PLur., Otà., 5 e 8), a Brescello si 
ritirò Otone stesso con una “ praetoriarum cohortium et speculatorum equi- 
tumque valida manus , affinchè “ dubiis proeliorum exemptus summae 
rerum et imperii se ipsum reservaret , (Hist., II, 33). 

(5) Tac., Hist., II, 23; 39. 


922 LUIGI VALMAGGI 


di Otone L. Tiziano (1), di fatto dal prefetto del pretorio Li- 
cinio Procolo (2). Ancora sulla destra del Po (importa avver- 
tirlo, perchè, come vedremo, è particolare di grande valore per 
ricostruire il teatro della battaglia), ancora, dico, sulla destra 
del Po, ad oriente di Cremona e a poca distanza da essa (3), 
si trovano i 2000 gladiatori Otoniani (4) agli ordini di M. Marcio 
Macro (5) e in seguito di T. Flavio Sabino (6). Dei Vitelliani, 
il corpo di Cecina, assalita senza frutto Piacenza (7), ha ripas- 
sato il Po occupando Cremona (8), dove è stato raggiunto dal 
corpo di Valente (9); e l’azione dei due corpi riuniti a Cremona 
s'è cominciata a spiegare con la costruzione di un ponte di 
barche sul Po “ adversus oppositam gladiatorum manum (10) ,, 
accennando a puntare sulla riva destra (11), la quale è, come 
dicemmo, la direttrice strategica della difesa Otoniana. 

Queste sono le posizioni rispettive degli eserciti nemici, al- 
lorchè si inizia per parte degli Otoniani l’azione risolutiva che 
mette capo alla battaglia di Bedriaco, o piuttosto, con mag- 
giore esattezza, di Cremona. Il corpo Otoniano concentrato a 
Bedriaco e costituito (a giudicarne almeno dalle foùze che si 


(1) Tac., Hist., II, 23 in fine; 39. 
(2) Ib., 39. 

(3) Tac., ‘Hist., II, 23; 34; 35. 
(4) TacoHist, I, 1 

(5), Tao., (Hist.,_ II, 23; 35;._36. 

(6) Tac., Hist., II, 36. 

(7) Tac., Hist., II, 20-22. 

(8) Ib., 22. Come fu avvertito dal TruLemonr (Mist. des emper., I, 621, 
n. 4), dal Momwsen (Herm., V, 162) e più recentemente dal Fara (op. cit., 
p. 55, n. 2) non si tratta di una marcia offensiva su Cremona, secondo par- 
rebbe dal racconto di Plutarco (Otà., 7), ma bensì di una ritirata, perchè 
Cremona era già in potere dei Vitelliani. 

(9) Tac., Hist., II, 31. 

(10) Tac., Hist., II, 34. 

(11) “ Quieti intentique Caecina ac Valens, quando hostis imprudentia 
rueret, quod loco sapientiae est, alienam stultitiam opperiebantur, inchoato 
ponte transitum Padi simulantes , (Tac., Hist., II, 34). Questa operazione 
anzi provocò un combattimento sul Po tra i Vitelliani e i gladiatori, nel 
quale i gladiatori ebbero la peggio (MHist., II, 35); ma nè di esso nè dello 
scontro di Castoro (Hist., II, 24 sgg.) anteriore alla congiunzione dei due 
corpi di Valente e di Cecina a noi non occorre occuparci. 


DEL LUOGO DELLA COSÌ DETTA PRIMA BATTAGLIA DI BEDRIACO 923 


trovarono al combattimento) dalla legione I Adiutrix, dalla XII 
Gemina, da un distaccamento della XIV Gemina Martia Victrix 
e da una parte dei pretoriani (1), muove il campo contro il 
nemico (2) e per la via Postumia in due tappe (3) viene a dar 
battaglia, secondo il racconto tradizionale, a occidente di Cre- 
mona sul confluente dell'Adda col Po. Per raggiungere il qual 
punto all'esercito Otoniano sarebbe stato mestieri sfilare di fianco 
sulla sottile striscia di terra che separa Cremona dal Po; il 
che è strategicamente un assurdo. È un assurdo anzitutto, perchè 
cacciarsi tra il Po e Cremona, base d’operazione dei Vitelliani, 
equivaleva ad esporsi scientemente a un macello disastroso e 
irreparabile; è un assurdo ancora perchè in ogni caso con una 
mossa siffatta gli Otoniani si sarebbero chiusi da sè le retrovie, 
e tagliata la ritirata, che per contro si fece appunto a Be- 
driaco (4); è un assurdo infine perchè la stretta tra Cremona 
e il Po era occupata già dai Vitelliani (n'è prova a tacer d’altro 
la costruzione del ponte sul Po di sopra ricordata) e non si 
poteva tentare di oltrepassarla senza dar di cozzo nelle schiere 
di Cecina e di Valente, ch'è quanto dire che l’urto doveva ac- 
cadere davanti a Cremona e non mai alle sue spalle sul con- 
fluente dell'Adda col Po. 

Alla stessa conchiusione si giunge considerando la quistione 
dal lato puramente storico e filologico. E valga il vero. La di- 
stanza tra Bedriaco e Cremona era di 20 miglia romane se- 
condo Pompeo Planta (5), di 22 miglia secondo la Tavola Peu- 
tingeriana (6). Tra Cremona e il confluente dell’ Adda col Po 


(1) Tac.., Hist., II, 43. 

(2) È l’espressione di Plutarco, Ot4., 11: Mevouévwyv dè TodTWwY KaÌ Tv èv 
BnTtpiak® oTpatiwWTÒWV TOÒ "O0wyvog èk@epouévwyv ueT’ òpyfig ÈTì tùv udyxnv 
Tponyayev aùdtoùg 6 TTpok\og ék Tod BnTprakod. 

(3) Entrambe sono accennate esplicitamente da Tacrro(Hist., II, 39-40) 
e da PLurarco (Otà., 11), benchè, come vedremo or ora, con qualche variante 
rispetto alla lunghezza relativa dell’una e dell’altra. 

(4) Tao., Hist; IL 44: 

(5) Scol. di Grov., 2, 99: “ Horum bellum scripsit Cornelius, scripsit et 
Pompeius Planta, qui ait Bebriacum vicum esse a Cremona vicesimo lapide ,. 

(6) “ Cremona — M. P. xxrr — Bedriaco — M. P. xL — Hostilia , secondo 
la felice emendazione del Momwmsen (Herm., V, 163, n. 3). Plutarco pone 


924 LUIGI VALMAGGI 


intercedeva a sua volta, come s'è già notato in principio, uno 
spazio di altre sei miglia; sicchè da Bedriaco alla foce dell'Adda 
gli Otoniani avrebbero dovuto percorrere in tutto 28 o 26 miglia 
almeno. Orbene Tacito non ne fa percorrer loro che quattro 
nella prima tappa (1), e sedici nella seconda (2), che dànno un 
totale di venti miglia: il qual percorso si accorcia ancora di 
qualche po’ in Plutarco (3), assegnando egli cinquanta stadi alla 
prima tappa e alla seconda cento, e la somma che ne risulta 
di cencinquanta stadì non corrisponde che a diciotto miglia ro- 
mane. Anche il computo delle distanze conferma adunque che 
il teatro della battaglia non potè essere a occidente di Cremona 
presso l’Adda, ma sì fu tra Bedriaco e Cremona a qualche di- 
stanza da questa città. 

A quale distanza più precisamente? Non è difficile deter- 
minarlo se si pon mente a un particolare, già avvertito da altri 
in proposito (4), pur senza trarne il partito che si poteva. Nel 
consiglio dei generali Otoniani che precedette immediatamente 
il combattimento Celso e Paolino fanno osservare non essere 
opportuno “ militem itinere fessum, sarcinis gravem obicere 
hosti non omissuro quo minus expeditus et vix quattuor milia 
passuum progressus aut incompositos in agmine aut dispersos 
et vallum molientes adgrederetur (5) ,. Gli Otoniani si arrestarono 
dunque a quattro miglia da Cremona, e come il combattimento 
s'impegnò precisamente in questo punto (ciò risulta da tutto 
il contesto della narrazione tanto di Tacito quanto di Plutarco), 


semplicemente Bedriaco mAnciov Kpeubvns (0th., 8): del resto intorno alla 
precisa ubicazione del luogo, a non parlare delle fantasie dell’Aporti (Mem. 
di st. eccles. Cremon., Cremona, 1835, p. 19), di G. B. FerrarI (Bebriaco an- 
tico villaggio traspadano restituito alla geografia, Brescia, 1876), di L. Lucca 
(Bedriaco illustrato dai suoi scavi archeologici, Casalmaggiore, 1878), e di più 
altri men recenti, v. le osservazioni del Momvwsen stesso in CIL. V, p. 411. 

(1) Hist., II, 39: “ Promoveri ad quartum a Bedriaco castra placuit ,. 

(2) Hist., II, 40: “ confluentes Padi et *Aduae fluminum sedecim inde 
milium spatio distantes petebant ,. 

(3) Oth., 11: èrrì TÙàv udxnv mponrarev aùtode 6 TTpokXoc èk Tod Bntpia- 
Koù, Kai KaTECTpatoTEdevoEv dò TmevitMmKovta oTAadiwv... Tf dÈé dotepaig Bou- 
Abuevov Tpodyerv èmì ToÙùs moXeuiouc édòv oùk éidTtova oTadiwv ÉKatòv oi 
Tepì tòv TlavXîvov oÙK elwv k. T. À. 

(4) Fazia, op. cit., p. 69, n. 1. 

(5) Tac., Hist., II, 40. 


DEL LUOGO DELLA COSÌ DETTA PRIMA BATTAGLIA DI BEDRIACO 925 


così ne segue che il terreno della battaglia fu a quattro miglia 
romane a levante di Cremona, le quali sommate con le diciotto 
che Plutarco ha fatto percorrere agli Otoniani nella loro marcia 
étì Ttoùg moXepioug, dànno il totale di ventidue miglia: quante 
n'erano appunto tra Bedriaco e Cremona secondo le indicazioni 
della Tavola Peutingeriana. 

Ciò posto vediamo se non ci riesce di venire a qualche con- 
chiusione definitiva rispetto al passo di Tacito allegato in prin- 
cipio, è più particolarmente rispetto alle parole confluentes Padi 
et Aduae fluminum... petebant, che sole furono la fonte, come 
notammo, di tutti i dubbi e di tutti gli errori relativi alla così 
detta prima battaglia di Bedriaco. Indizì e dati sufficienti da 
riconoscere e ricostruire il teatro della battaglia non mancano in 
Plutarco e soprattutto in Tacito. Da entrambi sappiamo intanto 
‘che essa si svolse su un terreno poco propizio all’azione tat- 
tica, perchè disuguale e tutto intralciato qua d’alberi e vi- 
gneti (1), là di fossi e canali (2), sicchè venne anche a man- 
care il necessario contatto tra i varì reparti combattenti (3). 
Siffatte condizioni quadrerebbero già per loro stesse assai bene 
alla natura del terreno giacente tra il Po e il percorso dell’an- 
tica via Postumia; ma che la linea di battaglia siasi precisa- 
mente sviluppata tra questi due estremi è detto esplicitamente 
da Tacito con l’accennare alle legioni “ inter Padum viamque 
patenti campo congressae , (4), e d’altra parte appare mani- 
festo da tutti i particolari del combattimento. Importante è in 
proposito specialmente la descrizione di Tacito, e più piena e 
compiuta che quella di Plutarco (5), seguendo per ordine lo 
svolgersi dell’azione dall’estrema destra Otoniana sulla via Po- 
stumia sino all'estrema sinistra sul Po (6). Tacito infatti, ap- 


(1) Tac., Hist., II, 41; 42: cfr. anche 24 e 25. 

(2) Prur., Oth., 12: cfr. Tac., Hist., II, 41 e Fasra, op. cit., p. 71. 

(3) Tac., Hist., II, 42: “ Othoniani, quamquam. dispersi... proelium 
acriter sumpsere ,; e Prur., Oth., 12: MvarkdaZovto qupdnv kai xatà puépn 
mo\\àù cuumtiékeodai Toîc èvavtiore. 

(4) Hist., II, 43. 

(5) V. il raffronto particolareggiato delle due narrazioni in FABIA, op. 
cit., p. 70 sgg. 

(6) Questo contraddice alla comune opinione, che pone il centro della 
linea di combattimento sulla via Postumia. Ma d’altra parte se tra il Po 


926 LUIGI VALMAGGI . 


pena finiti di discorrere gli antecedenti immediati della bat- 
taglia (1), comincia con esporre in breve le condizioni e vicende 
della mischia sulla via Postumia e intorno ad essa (2), poi 
passa alle legioni combattenti in campo aperto tra la via e il 
Po (inter Padum viamque patenti campo: son le parole testuali 
di Tacito, già citate dianzi), cioè di Otone la I Adiutrix che 
ha di fronte la XXI Rapax Vitelliana e “ a parte alia , la 
XIII Gemina e un distaccamento della XIV Gemina Martia 
Victrix Otoniane alle prese con la V Alaudae dei Vitelliani (3); 
e infine scende presso al Po, dove i gladiatori Otoniani, che 
hanno passato il fiume, sono tagliati a pezzi dai Batavi di Al- 
feno Varo e da altre coorti ausiliari (4). Ciascun di questi par- 
ticolari è confermato, benchè in breve, dal racconto di Plu- 
tarco (5); e tutti mostrano chiaramente che la battaglia non è 
avvenuta punto sulla via Postumia, secondo si crede comune- 
mente, ma bensì s'è sviluppata sur una linea assai estesa e per 
la natura del terreno frastagliata e spezzata da varî intervalli 
tra la via e il Po. 

Ora la distanza che separa questa linea da Cremona ci è 
nota per uno dei suoi estremi: essa è, come vedemmo, di quattro 
miglia romane ossia di sei chilometri circa a levante di Cre- 
mona sulla via Postumia. Resta perciò a determinare l’estremo 
opposto sul Po; e movendo verso il fiume dal punto testè detto 
della via Postumia ci veniamo a trovare, secondo si scorge dallo 


e la via erano due legioni e il distaccamento d’una terza, cioè il maggior 
nerbo delle forze Otoniane, non s'intende quali altre truppe avrebbero do- 
vuto formare oltre al supposto centro ancora l’ala destra. Dei pretoriani 
la forza effettiva normale era a un dipresso quella di una legione soltanto 
(Momxsen-GirArRD, Dr. publ. rom., p. 139), di poco accresciuta nel tempo cui 
si riferiscono gli avvenimenti dei quali discorriamo dall’aggiunta di tre 
nuove coorti instituite da Claudio o da Caligola (Mowmxsen, Herm., XIV, 34; 
Marquarpt-BrissauD, Organ. milit., p. 201, n. 4); e non si dimentichi che di 
essi una buona parte si trovava come vedemmo in riserva a Brescello con 
Otone. 

(1) II, 41-42. 

(2) II, 42. 

(3) II, 43. 

(4) II, 43. 

(5) Oth., 12. 


DEL LUOGO DELLA COSÌ DETTA PRIMA BATTAGLIA DI BEDRIACO 927 


schizzo qui unito, rimpetto alla foce dell’Arda, che è in quel 
tratto uno dei principali affluenti di destra del Po (1), sicchè 


Cremona 


Via Postumia 


di 1 a 150000 


è lecito conchiudere che uno scrittore il quale avesse voluto 
designare il luogo della battaglia rispetto al Po, avrebbe do- 


(1) Veramente l’Arda non mette foce da solo nel Po, ma sì nell'ultimo 
brevissimo tratto confonde le sue acque con quelle del torrentello Ongina, 
come appar dallo schizzo. Sennonchè questo è particolare insignificante; ed 
è ovvio anzi che volendo indicare quel punto preciso del Po lo scrittore 
adducesse il nome dell’affuente maggiore, non d’un torrentello a tutti sco- 
nosciuto. Più grave difficoltà contro le nostre deduzioni potrebb'essere il 
dubbio, manifestato da parecchi (vedine l’enumerazione in A. ParazzI, Origini 
e vicende di Viadana e suo distretto, Viadana, 1893, p. 10), che il corso an- 
tico del Po fosse diverso dal presente, e propriamente più a monte di 
questo. Ma è dubbio infondato, come con ragioni idrauliche e storiche ha 
provato il Parazzi nell’opera testè citata, dimostrando che se qualche mu- 
tamento d’alveo ci fosse potuto essere, esso sarebbe stato in ogni caso 
nella direzione opposta a quella che altri hanno creduto, cioè non verso 
mezzogiorno ma verso settentrione. 


928 LUIGI VALMAGGI 


vuto dire ch’'essa accadde sulla riva del fiume dinanzi o presso 
al confluente dell’ Arda col Po. Ed è appunto ciò che Tacito 
dice nel passo controverso del capitolo quarantesimo del se- 
condo libro, quando all’ Aduae del codice Mediceo e delle edi- 
zioni, che non ha senso, si sostituisca nel testo il nome Arda (1), 
leggendo: confluentes Padi et Ardae fluminum sedecim inde milium 
spatio distantes petebant. Appena occorre avvertire che l'affinità 
grafica delle parole Arda e Adua è tale da legittimar piena- 
mente pur dal lato diplomatico la correzione, 0, meglio, resti- 
tuzione. Giacchè escluso (come pare da escludere alla prima per 
il troppo grossolano errore che ne deriva) che la confusione dei 
due nomi possa risalire a Tacito stesso o, tanto meno, alla sua 
fonte, massime se questa è, come sembra, Plinio il vecchio (2), 
resta che nel codice Mediceo la falsa lezione è forse nata non 
da uno sbaglio materiale del copista, ma dal suo desiderio di 
emendare un nome, che nella copia che aveva dinanzi gli riusciva 
probabilmente incomprensibile, e di cui potrebb'essere una traccia 
la variante Agde (con essa siamo proprio vicinissimi al nostro 
Ardae) dell'edizione principe e l’Agele (corretto d’ altra mano 
con Adduae) del codice Vaticano allegato da Giusto Lipsio (8). 

Checchè sia di ciò, ancora è d’uopo notare che con la nostra 
correzione si spiega assai plausibilmente quella divergenza nel 
computo delle distanze che sopra abbiamo avvertito fra Tacito 
e Plutarco, e che pur per parte sua è stata cagione d’incer- 
tezze e controversie non poche (4). . Infatti lo ‘spazio di venti , 


(1) È il nome attuale dell’affluente; e non essendocene altro documento 
che il presente di Tacito (l'’Arda dell’Hist. Aug., Heliog. 7 è un fiume della 
Tracia), potrebbe sorgere il sospetto, poco ragionevole del resto, che la 
forma latina del nome fosse diversa. Certo, ripeto, documenti antichi non 
v’hanno; ma in mancanza di questi debbono pure aver qualche. valore i do- ; 
cumenti basso-latini e medievali, quali ci sono offerti ad esempio in cronache 
Piacentine del sec. XIII, contenenti in più luoghi il nome Arda (Chron. 
tria Placent. a I. Codagnello, ab anonymo et a Guerino conscripta, Parma, 
1859, pp. 45; 104; 383; 392). 

(2) È la tesi appunto sostenuta dal Fabia col corredo di molte e buone 
prove nell'opera da noi citata più volte. 

(3) Anche il Lipsio s’acconciava alla lezione già divenuta tradizionale 
al suo tempo appunto per riuscirgli © Agela ignotum flumen ,, onde gli . 
pareva da conchiudere “ vulgatam esse veram ,. 

(4) V. principalmente il Momxsen, Herm., V, 166 sgg.; il GERSTENECKER, 


SUL LUOGO DELLA COSÌ DETTA PRIMA BATTAGLIA DI BEDRIACO 929 


miglia romane (quattro nella prima tappa e sedici nella seconda) 
che Tacito fa percorrere agli Otoniani da Bedriaco al campo 
di battaglia supera di due miglia quello di diciotto ch'è indi- 
cato da Plutarco (sei nella prima tappa e dodici nella seconda), 
e che sommato con le quattro miglia intercedenti sulla via Po- 
stumia tra Cremona e il luogo dove si fermarono gli Otoniani 
concorda esattamente, come s’è veduto, con la distanza posta 
tra Bedriaco e Cremona dalla Tavola Peutingeriana. Sulla qual 
distanza ancora crescerebbero le due miglia offerte in più da 
Tacito. Sennonchè mentre Plutarco accenna semplicemente alla 
marcia che si doveva compiere lungo la via Postumia verso 
Cremona (1), Tacito per contro dà la misura rispetto al punto 
ov'è il confluente dell’Arda col Po (confluentes... fluminum se- 
decim inde milium spatio distantes), che dista da Cremona di 
circa nove chilometri, ossia di sei miglia romane, ch'è quanto 
dire di due miglia più che il punto corrispondente della via 
Postumia, al quale si riferisce invece l’indicazione di Plutarco. 
Sicchè, prescindendo dalla lieve discrepanza relativa al luogo 
della prima tappa, le misure complessive offerte dai due autori 
tornano in sostanza ad un medesimo. 
- E per ridurre ai loro capisaldi le osservazioni sin qui fatte, 

parmi Ie conchiusioni ne debbano essere queste: 

1) In Tacito Hist. II, 40 in luogo della lezione Aduae 
del cod. Mediceo e delle edd. è d’uopo restituire il nome Ardae. 

2) La battaglia di Cremona, o prima . battaglia di Be- 
driaco, come comunemente si suol chiamare, seguì non a occi- 
dente ma a oriente di Cremona lungo una linea compresa tra 
la via Postumia e il Po rimpetto alla foce dell’Arda; la qual 
linea distava da Cremona di quattro miglia romane sulla via 
Postumia e di sei all'estremo opposto sul Po. 

3) Nella fonte comune di Tacito e di Plutarco l’indica- 
zione delle varie distanze era verosimilmente più particolareg- 


op. cit., p. 80 sgg., e altri allegati dal Fara, l. cit., p. 68, n. 1. Dei com- 
mentatori di Tacito nessuno se n’è occupato; neanche il Merser nella nuova 
edizione Orelliana [1886], ch'è pure il più ricco d’osservazioni sulle diffi- 
coltà di tutto il passo di Tacito, tuttavia non tocca di questo particolare. 

(1) Ti dé dotepaia BovAibuevov mpodyerv Èmi ToÙg Toreuioug 6dòv oùk 
é\drtova oTadiwv ÉKatòv oi mepì tòv TTauXîvov oùk eiwv k. T. À. 


930. L. VALMAGGI — SUL LUOGO DELLA BATTAGLIA DI BEDRIACO 


giata e compiuta che in entrambi questi autori, i quali non la 
riprodussero che parzialmente desumendone l’uno una misura e 
l’altro una misura diversa, se pure non vuol credersi che la 
fonte desse esclusivamente la distanza tra Bedriaco e il Po, e 
che Plutarco abbia ricavato la sua più breve sottraendo sem- 
plicemente lo spazio di quattro miglia accennato nel consiglio 
dei generali prima della battaglia da quello totale intercedente 
tra Bedriaco e Cremona. 

4) Gli Otoniani puntarono sul Po per congiungersi even- 
tualmente con le forze della riva destra (1); il che in parte 
avvenne col passaggio dei gladiatori che formarono l’estrema 
sinistra della linea Otoniana di combattimento. 


(1) Cfr. Tac., Hist., II, 39: “ plerique copias trans Padum agentes ac- 
ciri postulabant ,. 


L’ Accademico Segretario 


Ermanno FERRERO. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 


Dal 10 al 31 Maggio 1896. 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali 


NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; 
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono, 


* Annales de l’Université de Lyon. La botanique è Lyon avant la révo- 
lution..... par M. Gérard. Paris, 1896; 8°. 

* Annales des Mines. 9° série, t. IX, livr. 8®©, Paris, 1896. 

* Annali della R. Accad. d’Agricoltura di Torino, vol. 38°. Torino, 1896; 8°. 

Annual Report of the Trustees of the Association. New York, 1896; 8°. 

* Atti della Società Italiana di Scienze naturali. Vol. XXXVI, fasc. 1°. 
Milano, 1896; 8°. 

* Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Anno XLVIII, sess. VII 

del 23 giugno 1895. Roma, 1895; 4°. 
Atti della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino. A. XXIX, 
1895. Torino, 1895; 4°. 

* Atti e Rendiconti dell’Acc. Medico-chir. di Perugia; vol. VIII, f. 1° e 2°. 
1896; 8°. 

* Berichte iber die Verhandlungen der k. Sachsischen Gesellschaft der 
Wissenschaften zu Leipzig. Mathem.-Phys. Classe. 1896, I. Leipzig; 8°. 

* Bulletin de la Société belge de microscopie. XXII° année, 1895-96, n. V-VII. 
Bruxelles, 1896; 8°. 

* Bulletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College. 
Vol. XXIX, n. 2. Cambridge, 1896; 8°. 

* Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico- 
chirurgica ecc. Serie VII, vol. VII, fasc. 4. Bologna, 1896; 8°. 


* Ceské Akademie Cisare Frantiska Josefa pro védy, slovesnost a Umòni. 
Bulletin international. Résumé des travaux présentés. Classe des sciences 
mathématiques et naturelles. 
Rozpravy. Trida II (Mathematiko-Prirodnicka). Rotnik IV. Praze, 1895; 8°. 
** Fortschritte der Physik im Jahre 1894, Bd. L, 2 Abth. Braunschweig, 
1896; 8°. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 63 


* 


932 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Journal of the R. Microscopical Society, 1896, part 2. London, 1896; 8°. 

Magnetische und Meteorologische Beobachtungen an der k. k. Sternwarte 
zu Prag im Jahre 1895. Prag, 1896; 4°. 

* Memorias y Revista de la Sociedad Cientifica “ Antonio Alzate ,. T. IX 
(1895-96). N. 1-6. Mexico, 1896; 8°. 

* Nachrichten von der Kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen. 
Mathematisch-physik. Klasse, 1896, Heft 1. Geschiftliche Mittheilungen, 
Heft 1. Gottingen, 1896; 8°. 

Observations méridiennes de la planète Mars pendant l’opposition de 1892. 
Lisbonne, 1895 (dal R. Osservatorio astronomico di Lisbona). 

* Ofversigt of Kongl. Vetenskaps Akademiens Fòrhandlingar. Vol. 52, 1895. 
Stockholm, 1896; 8°. 

Preisschriften gekrint und herausgegeben von der Fiirstlich Jablonow- 
ski’schen Gesellschaft zu Leipzig. Nr. XII der mathematisch-naturwissen- 
schaftlichen Section. Leipzig, 1895; 8°. 

* Proceedings of the Cambridge philosophical Society; vol. IX, p. 2, 1896. 

* Quarterly Journal of Geolog. Society. LII, Part 2, n. 206. London, 1896; 8°. 

* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Vol. XXIX, 
fasc. IX. Milano, 1896; 8°. 

* Rendiconto dell’Accademia di Scienze fisiche e matematiche. Serie 32, 
vol. II, fasc. 4°. Napoli, 1896; 8°. 

* Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXIX, fasc. IV. Modena, 
1896; 8°. 

* Verhaudlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Sitzung. N. 4, 5, 
1896. Wien, 1896; 8°. 


** Carraro (A.). Indice generale dei lavori pubblicati dall’anno accademico 
1840-41 di fondazione, al 1893-94 nei volumi del R. Istituto Veneto di 
Scienze, lettere ed arti. Venezia, 1896, 2 vol.; 8°. 

** Caverni (R.). Storia del metodo sperimentale in Italia. Tomo IV. Firenze, 
1895; 8°. 

Cinelli (M.). Sopra la diffrazione della luce per aperture praticate sopra 
superfici curve. Pisa, 1895; 8° (dall’A.). 

— Sul massimo di densità di alcune soluzioni acquose e sull’azione del 
corpo disciolto sulle proprietà del solvente. Pisa, 1896; 8° (Id.). 

Hopkinson (J.) and Wilson (E.). Alternate current dynamo-electric machines. 
London, 1896; 4° (dall’A. sig. Hopkinson). 

Lassana (S.). Sul calore specifico dei gas. Pisa, 1896; 8° (dall’A.). 

Lussana (S.) e Cinelli (M.). Comunicazione sulla propagazione dei raggi 
Réontgen. Siena, 1896; 8° (Id.). 

Smith (C. M.). Madras Observatory daily Meteorological Means. Madras, 
1896; 4° (Id.). 

** Weierstrass (K.). Mathematische Werke. II Bd. Abth. II. Berlin, 1895; 4°. 


A _ 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 933 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologicne. 


Dal 17 Maggio al 14 Giugno 1896. 


* Abhandlungen der kònigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gottingen, 
Historisch.-Philologische Klasse, N. F. Bd. I, n. 3. Gottingen, 1895; 4°. 
* Abhandlungen der philologisch.-historischen Classe d. k. Sàchsischen 
Gesellschaft der Wissenschaft. Bd. XVII, n. 4. Leipzig, 1896; 8°. 
*"Annales de l’Université de Lyon. XXII. Paris, 1896; 8°. 
* Annales de la Société d’Archéologie de Bruxelles. T. IX, liv. IV; 
X, liv. I. Bruxelles, 1895; 8°. 
Atti del Consiglio Provinciale di Torino. Anno 1895. Torino, 1896; 8°. 
* Atti del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. T. LIV, disp. 6. 
Venezia, 1895-96; 8°. 
* Atti della R. Accademia dei Lincei. Notizie degli scavi: febbraio e 
marzo 1896. Roma, 1896; 4°. 
* Bibliotheca Nacional do Rio de Janeiro: 
A Constituigào do Brazil. Noticia historica, texto, e commentario por 
A. A. Milton; 8°. 
Annaes da Bibliotheca Nacional. 1891-1892, vol. XVII. 1895; 8°. 
Balango Provisorio da receita e despeza da Republica dos Estados 
Unidos do Brazil no Exercicio de 1893. 
Catalogo da Exposigào de Trabalhos Juridicos realizada pelo Instituto 
da ordem dos advogados brazileiros. 1894; 8°. 
Direitos de Exportacào e sua Cobranga; 8°. 
Orgamento da receita e despeza da Republica dos Estados Unidos do 
Brazil para o Exercicio de 1896; 4°. 
Recenseamento do Distriecto Federal (Cidade do Rio de Janeiro) em 
81 de Dezembre de 1890; 4°. 
Relatorio apresentado ao Presidente da Republica dos Estados Unidos 
do Brazil pelo Ministro de Estado dos Negocios da Fazenda de 
Paula Rodriguez Alves no anno de 1895. Rio de Janeiro, 1891. 
2 vol.; 8°. 
Relatorio e Synopse dos Trabalhos da Camara dos SRS. Deputados 
relativos ao anno de 1894. 2 vol.; 4°. 
Relatorio da :Alfandega do Rio de Janeiro apresentado ao Exm. SR. 
Ministro da Fazenda pelo Inspector H. A. B. Franco; 8°. 
Relatorio do Presidente da Caixa economica e Monte de Soccorso 
em 1895; 8°. 


934 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Synopse da receita e despeza da Republica dos Estados Unidos do 
Brazil no Exercicio de 1894; 4°. 

* Bollettino dell’Istituto di Diritto Romano. Anno VIII, fasc. IV-V. Roma, 
1896; 8°. 

* Boletin de la Real Academia de la historia; t. XXVIII, cuad. V. Madrid, 
1896; 8°. 

Commission centrale de bibliographie brésilienne sous la direction de 
l’Institut Historique et Géographique Brésilien. 1° année, fasc. 1°. 
Rio de Janeiro, 1895 (dal Governo della Repubblica del Brasile). 

* Comptes-rendus de l’Athénée Louisianais. 5"° série. Tom. 3®©, livr. 3me, 
Nouvelle-Orléans, 1896; 8°. 

Field Columbian Museum. 

The authentics lettres of Columbus by W. E. Curtis. Vol. I, No 2. 
Archeological Studies among the ancient Cities of Mexico by W. H. 
Holmes. Anthropological Series. Vol. I, No 1. Chicago, 1895; 8°. 

Homenagen do Istituto Historico Geographico Brazileiro à Memoria de 
sua Magestade o Senhor D. Pedro II. Rio de Janeiro, 1894; 8°. 

* John Hopkins University, Baltimore Meryland: 

Annual Report: 1879, 1883-1885, 1887-1894. 

Historical and Political Science; 4* serie, n. II-III; 5* ser. I-II; 1886-87. 

Essays in the Constitutional history of the United States in the for- 
mative period 1775-1789..... edited by J. F. Jameson. 1889. 

The Constitution of the Empire of Japan with the speches addressed 
to Students of political Science in the Johns Hopkins Univer- 
sity, 1889. 

Register for 1894-95. 

* Memorie del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Vol. XXV, n. 8. 
Venezia, 1896; 4°. 

* Nachrichten von der kònigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen, 

Philologisch-historische Klasse. 1896, Heft 1. Gòttingen; 8°. 

Proceedings of the American Philosophical Society held at Philadelphia. 

Vol. XXXIV, 148. 1895; 8°. 

* Proceedings and Transactious of the Meriden Scientific Association. 
Vol. VI. Meriden, Conn., 1895; 8°. 

* Publications de l’École des Lettres d’Alger. Légendes et Contes merveil- 
leux de la Grande Kabylie recueillis par A. Mouliéras. Texte Kabyle, 
4° fasc. Paris, 1896; 8°. 

* Revista trimensal do Instituto Historico e Geographico brazileiro. T. LVI, 
parte II, LYII, p. I-II. Rio de Janeiro, 1894-95; 8°. 

* Rendiconto delle Tornate e dei Lavori dell’Accademia di Archeologia, 
Lettere e Belle Arti della Società Reale di Napoli. N. S., Anno IX. 
Napoli, 1895; 8°. 

* Report of the R. Society of Literature and List of Fellows 1896; 8°. 

* Sitzungsberichte der philosophisch-philologischen und der historischen 
Classe der k. b. Akademie der Wissens. zu Miinchen. 1896, Heft II. 


* 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 935 


** Angelucci (A.). Documenti inediti per la storia delle armi da fuoco ita- 
liane. Vol. I, p. II. Torino, 1870; 8°. 

Campagne del Principe Eugenio di Savoia. Serie I, vol. VIII; Allegati gra- 
fici del vol. VII e VIII. Torino, 1895; 8° (dono di S. M. rr Re D'ITALIA). 

Cora (G.). Il territorio contestato tra la Venezuela e la Guiana inglese. 
Torino, 1896; 8° (dall’A.). 

Landucci (L.). La pubblicazione delle leggi nell'antica Roma. Padova, 
1896; 8° (Zd.). 

Maltese (F.). Il problema morale. Vittoria (Sicilia). 1896; 8° (Id.). 

Miscellanea per le nozze Biadego-Bernardinelli. Verona, 1896; 8° (dal 
Prof. Biadego). 

Nadaillac (M" de). Expéditions polaires. Paris, 1896; 8° (dall’A.). 


Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. 


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S Adunanza del 21 Giugno 189 


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x PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO CO 
K@) VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 

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Sono presenti i Socii: D’OvIpio, Direttore della Classe, 
BerruTI, Bizzozero, FERRARIS, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, GIACcO- 
MINI, CAMERANO, SEGRE, PEANO, VoLTERRA, JADANZA, Foà, Gua- 
REScHI e NAccaARI Segretario. 

Viene letto ed approvato il verbale dell'adunanza. pre- 
cedente. 

Il Segretario dà notizia della nomina fatta da S. M. il Re 
dei prof. Camillo Gurr e Michele FrLeti ad Accademici resi- 
denti. Il Presidente dà il benvenuto ai due nuovi Soci che ven- 
gono introdotti nella sala delle adunanze. 

Il Presidente partecipa la morte del Socio Corrispondente 
G. A. DAuBRÉE; s'invieranno condoglianze alla famiglia. 

In seguito a voto favorevole delle commissioni esaminatrici, 
vengono accolte per l’inserzione nei volumi accademici le se- 
guenti memorie: 

1° “ Endoderma e pericîclo nel genere Trifolium in rap- 
porto colla teoria della Stelia di V. Thieghem e Douliot ,, memoria 
del Dott. Saverio BELLI; | 

2° “ Osservazioni di stelle variabili eseguite a Torino e a 
Soperga », memoria del Prof. Francesco Porro; 

3° “ ficerche batometriche e fisiche sul lago d'Orta ,, me- 
moria del Dott. Giovanni De AeostinI. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 64 


938 


Il Socio Cossa presenta dei cristalli dimetrici di cloruro 
mercuroso ottenuti mediante l’idrolisi di una soluzione di clo- 
ruro mercurico protratta per due mesi lasciando nella soluzione 
un pezzo di calcite. Egli annuncia che ha in corso un’esperienza 
diretta ad ottenere con metodo simile l’atacamite. 


Vengono accolte le seguenti note per l’inserzione negli Atti: 
1° “ Sul metamorfismo delle roccie ,, nota del Socio SPEZIA; 
2° “ Saggio di calcolo geometrico ,, nota del Socio PEANO; 
3° “ Sull a-aminoetilidensuccinimide e sull’ acetilsuccini- 
mide ,, nota del Socio GUARESCHI; 

4° “ Sulla trasformazione dei chetoni in a-dichetoni ,, nota 
del Socio FiLeti e del Dott. Giacomo Ponzio; 

5° “ Di una nuova interpretazione dell’architettonica florale 
delle crocifere e generi affini ,; nota del prof. Edoardo MARTEL, 
presentata dal Socio GIBELLI; 

6° “ Osservazioni mineralogiche su alcune sabbie della col- 
lina di Torino ,; nota del Dott. Luigi CoLomBa, presentata dal 
Socio SPEZIA; 

7° « Integrazione dell'equazione A*(A°u)=0 in un campo 
di forma circolare ,, nota del Prof. Giuseppe LAURICELLA, pre- 
sentata dal Socio VOLTERRA; 

8° “« Osservazioni sulla nota precedente del Prof. Lauri- 
cella e sopra una nota di analogo argomento dell'Ing. Almansi ,; 
nota del Socio VOLTERRA; 


9° “ Per la storia della teoria delle superficie geoidiche ,, - 


nota dell’Ing. Ottavio Zanorti Bianco, presentata dal Socio 
JADANZA; 

10° “ Ricerche sperimentali sul lavoro muscolare nell'aria 
compressa », nota del, Dott. Costanzo ZENONI, presentata dal 
Socio Mosso (*); 

11° “ La durata dello splendere del Sole sull’orizzonte di 
Torino ,, nota del Dott. Gio. Batt. Rizzo, presentata dal Socio 
NACCARI; 

12° “ Effemeridi astronomiche calcolate per l’anno 1897 e 
per l'orizzonte di Torino , del Dott. Vittorio BALBI e presentate 
dallo stesso Socio NACCARI. 


(*) Questa Nota verrà pubblicata nel volume XXXII degli Atti. 


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G. SPEZIA — SUL METAMORFISMO DELLE ROCCIE 939 


LETTURE 


Sul metamorfismo delle roccie; 


Nota del Socio GIORGIO SPEZIA. 


In un mio lavoro (1) io espressi un’ opinione a proposito 
del metamorfismo delle roccie, considerando specialmente l’ipo- 
tesi di coloro, alludendo fra i recenti scrittori a Milch (2), che 
vorrebbero rendere fattore, di qualunque reazione chimica avve- 
nuta in uno strato di roccie, la pressione esercitata soltanto 
dal peso delle altre roccie le quali, in quiete, soprastanno allo 
strato. 

Siccome tale pressione non potrebbe, a mio avviso, che 
costituire un’energia potenziale, io dovevo per la diversità di 
effetto distinguerla dalla pressione, la quale, essendo prodotta 
dal peso della roccia associato ad un brusco movimento della 
stessa massa rocciosa, darebbe luogo ad un’energia cinetica. 

Perciò adoperai per brevità di dizione le due espressioni: 
di pressione statica per quella che darebbe luogo ad un’energia 
potenziale e di pressione dinamica per quella che produrrebbe 
l'energia cinetica la quale si trasformerebbe in calore. 

Tale distinzione trovò un avversario nel Viola che in un 
suo lavoro (3) pubblicò al mio indirizzo la seguente sentenza: 
“ ogni pressione esercitata su corpi, che noi conosciamo, siano 
essi roccie, metalli, ecc., ha per effetto una deformazione, 
“ quindi è causa di lavoro e calore. E poichè non si conoscono 
“ corpi rigidi facenti parte della crosta terrestre, così viene da 


« 


(1) La pressione nell'azione dell’acqua sull’apofillite e sul vetro, “ Atti 
R. Acc. di Torino ,, vol. XXX, pag. 455. 

(2) Beitriige zur Lehre von der Regionalmetamorphose, “ Neues Jahr. f. 
Min. Geo. Pal. ,, IX Beilage-Band, 1894, pag. 101. 

(3) Osservazioni geologiche fatte nella valle del Sacco, “ Boll. R. Com. 
geol. d’Italia ,, 1896, pag. 4. 


940 GIURGIO SPEZIA 


“ sè che in geologia è inutile, ed anzi è dannosa la distinzione 
“ tra pressione statica e pressione dinamica ,. 

A me pare che le seguenti considerazioni potranno dimo- 
strare che il giudizio suespresso poteva essere meno conciso e 
più ragionato. 

Supponiamo uno strato di roccie sottoposto alla pressione 
data semplicemente dal peso di una massa rocciosa in quiete, 
ossia con posizione invariabile rispetto allo strato, il quale a 
sua volta trovi resistenza al moto in altri strati o masse roc- 
ciose. 

Io credo che, in tal caso, la pressione pur dando luogo ad 
una deformazione molecolare non produrrà lavoro e calore come 
ritiene il Viola, ma produrrà invece un lavoro potenziale in 
causa dell’elasticità, della quale nessun minerale è privo, pre- 
cisamente perchè, come disse il Viola, non si conosce nessun 
corpo rigido facente parte della crosta terrestre. Producendosi 
tale lavoro potenziale non vi sarà calore libero che possa ser- 
vire ad iniziare reazioni chimiche nello strato sottoposto alla 
pressione puramente statica. 

Ma voglio considerare anche il principio su cui si fonda il 
Viola, che cioè ogniqualvolta vi sia deformazione si debba pro- 
durre lavoro e calore. 

In tal caso il calore sarà dato da una forza viva, nella 
quale dovrà entrare come fattore la velocità, alla cui grandezza 
sarà corrispondente la rapidità di deformazione. 

Nella supposizione fatta è naturale che la pressione data 
dalla massa rocciosa avrà dovuto crescere colla stessa lentezza 
con cui nel tempo geologico si sovrappongono i materiali mi- 
nerali; oltre a ciò la pressione, propagandosi ovunque in causa 
dell’elasticità di compressione, dovrà agire in ogni senso in- 
torno ai minerali costituenti lo strato; perciò la deformazione 
molecolare non potrà essere che lentissima. 

Quindi la velocità inerente alla forza viva che dovrebbe 
produrre calore sarà piccolissima; e siccome non si conoscono 
corpi non conduttori del calore (nel senso assoluto o relativo 
dato alla parola rigido dal Viola) facenti parte della crosta ter- 
restre, così la piccolissima quantità di calore, corrispondente alla 
lentissima deformazione, dovrà diffondersi man mano che si 
produce e non giungere mai alla temperatura necessaria ad una 
reazione chimica. 


SUL METAMORFISMO DELLE ROCCIE 941 


Laddove, supponendo che sullo strato agisca la pressione 
della massa rocciosa associata con rapido movimento di questa, 
il calore prodotto ed inerente a rapida deformazione, sarà tale 
da fornire la temperatura necessaria per le reazioni chimiche, 
anche ammettendo che una parte si perda per diffusione. 

Quindi trovo opportuno per la geologia la distinzione fra 
pressione statica e pressione dinamica. Se poi le mie espressioni 
sono difettose, accetterò volentieri altre più peculiari che mi 
sieno proposte, ma non posso essere del parere del Viola che 
non debba farsi e che sia dannosa la distinzione. La distinzione 
sarà forse dannosa per coloro i quali non saprebbero più da 
quale parte appoggiare quelle loro ipotesi, che si fondano sulla 
confusione delle due specie di pressione. 

La mia distinzione, che si riferisce alla causa, corrisponde- 
rebbe a quella, che si riferisce all’effetto, data da Milch (1) colle 
espressioni di metamorfismo di carico (Belastungs- Metamor- 
phismus) e metamorfismo di dislocazione (Dislocations - Metamor- 
phismus); e la distinzione è necessaria anche per fissare l’argo- 
mento di discussione, che sarebbe per me soltanto quello del 
metamorfismo di carico causato dalla pressione che io chiamo 
statica. 

Ora che mi fu data l'occasione di avere ancora per argo- 
mento di scritto il metamorfismo, non posso a meno di occu- 
parmi a considerare un'ipotesi, colla quale il Viola nel suo 
lavoro vorrebbe spiegare la presenza di un plagioclasio secon- 
dario trovato in alcune roccie vulcaniche degli Ernici da lui 
studiate, nelle quali roccie il plagioclasio è associato con leu- 
cite e pirosseno. 

Per la formazione di detto plagioclasio, l’autore rifiuta il 
concorso di soluzioni mineralizzate, come fu da altri supposto 
per casi analoghi, asserendo (2): “ che sarebbe un ripiego ab- 
“ bastanza artificioso, poichè non è probabile che acque cir- 
“ colino entro roccie fresche e compatte ,. Poi espone il suo 
pensiero dicendo: “ Io perciò ritengo che sia semplicemente 
< l’azione del pirosseno sulla leucite la causa fondamentale del 


(1) Loc. cit., pag. 121. 
(2) Loc. cit., pag. 25. 


942 GIORGIO SPEZIA 


“ fenomeno ,. Infine conchiude che la metamorfosi è prodotta 
da lavoro dinamico e che: “ è la pressione la quale è sempre 
“ unita ad una diminuzione di volume della roccia sottopostavi 
“ che ha determinato questo lavoro ,. 

Appare quindi che il Viola sostenga una nuova specie di 
metamorfismo, che io sono obbligato pure a distinguere col nome 
di metamorfismo di carico per via secca, per differenziarlo da 
quello che sostengono altri e nel quale fanno intervenire il con- 
corso dell’acqua, che essi suppongono riscaldata e soprariscal- 
data dalla pressione statica degli strati, per agevolare il movi- 
mento degli elementi chimici. 

Esaminerò l’effetto di tale specie di metamorfismo sia nelle 
conseguenze della causa, sia nelle conseguenze che derivano dalle 
reazioni chimiche stabilite dal Viola. 

Bisogna anzitutto ammettere che la leucite ed il pirosseno 
non potranno dar luogo a plagioclasio senza reazioni chimiche. 

Ora le numerosissime esperienze eseguite da Raoul Pictet 
hanno dimostrato come legge, che senza calore non havvi rea- 
zione chimica e che questa comincia soltanto ad apparire ad 
una temperatura limite, la quale dipende naturalmente dalla 
natura dei corpi posti in contatto fra loro. 

E basta, per indicare una delle tante interessantissime 
esperienze, quella per cui Pictet (1) ponendo dell’acido solforico 
concentrato e congelato colla temperatura di —125° a contatto 
con della soda caustica ridotta in polvere e parimente avente la 
temperatura di —125°, trovò che, anche comprimendo forte- 
mente l'acido solforico congelato nella polvere di soda, non 
appariva reazione alcuna, la quale invece diventava vivissima 
quando lasciando aumentare la temperatura questa arrivava 
a —80°. 

Quindi per la legge di Pictet affinchè la leucite ed il pi- 
rosseno entrino per contatto in mutua reazione chimica per 
mezzo della pressione prodotta dagli strati sovrapposti, bisogna 
che detta pressione produca un calore tale da raggiungere la 


temperatura limite necessaria alla reazione chimica fra i due 
minerali. 


(1) “ Comp. Rendus Ac. Paris ,, 1892, 2° sem., pag. 814. 


SUL METAMORFISMO DELLE ROCCIE 943 


Non vi sono esperienze le quali indichino la quantità di 
pressione per avere la temperatura limite, alla quale possono 
reagire fra loro la leucite ed il pirosseno; ma io credo che si 
possa prendere norma da quelle eseguite per studiare se la 
pressione abbia diretta azione nelle reazioni chimiche. 

A Spring si debbono molte esperienze eseguite per detto 
scopo, anzi i sostenitori del metamorfismo di carico credettero di 
trovare appoggio in alcune di esse, p. es.: in quelle che si ri- 
feriscono alla formazione del biioduro di mercurio e del solfuro 
di rame, ottenuta sottoponendo alla pressione di 2000 atm. pel 
primo composto e di 5000 atm. pel secondo rispettivamente una 
miscela di ioduro potassico e bicloruro di mercurio ed una mi- 
scela di solfo e di rame. 

Ma io non credo che il risultato di dette esperienze debba 
ascriversi alla pressione, bensì al fatto che la temperatura or- 
dinaria dell'ambiente, in cui furono eseguite le esperienze, era 
già per sè sufficiente ad iniziare la reazione chimica. 

In appoggio di tale mia credenza indicherò alcune esperienze 
da me fatte in proposito e che ora trovano l’occasione di essere 
pubblicate. 

Presi due vetrini d’orologio, io posi in uno del ioduro po- 
tassico e nell’altro del bicloruro di mercurio; entrambi i sali 
erano ridotti in fina polvere. Quindi i due vetrini con le rispet- 
tive sostanze vennero messi in uno stesso recipiente di vetro 
di piccola profondità e mantenni il tutto alla temperatura di 
130° per un’ora, poi chiusi il recipiente col coperchio pure di 
vetro che era rimasto alla stessa temperatura, e ponendo il 
recipiente in un essiccatore lasciai che si raffreddasse. Detta 
operazione fu fatta per escludere ogni traccia di umidità. 

Avvenuto il raffreddamento, con un movimento oscillatorio 
feci sì che le polveri dei due vetrini escissero da essi e si me- 
scolassero nel recipiente senza che questo venisse aperto. Allora 
vidi che tosto apparve una leggera tinta rosea ed alcune ore dopo 
tutta la massa della polvere aveva il colore rosso del biioduro 
di mercurio. 

Un'altra esperienza per eguale reazione chimica fu pure da 
me eseguita. 

Io suddivisi in tre tubi di vetro, chiusi da un capo, del 
ioduro potassico ridotto in polvere ed in ognuno di essi posi 


944 GIORGIO SPEZIA 


un tubetto di vetro contenente bicloruro di mercurio pure in 
polvere. I sali erano stati essiccati a 120° prima di porli nei 
rispettivi tubi, poi riscaldai nuovamente questi col contenuto, 
producendo contemporaneamente una rarefazione d’aria sino alla 
pressione di 16 centimetri di mercurio e saldai alla lampada 
l’altro capo di ogni tubo. 

Dei tre tubi così preparati uno fu lasciato alla tempera- 
tura dell'ambiente, che era di 22°, e gli altri due vennero messi 
in un refrigerante. Quando la temperatura di questo fu di —7° 
capovolsi uno dei due tubi agitandolo in modo che le polveri 
dei sali si mescolassero e lo rimisi immediatamente nel refri- 
gerante. Parimenti capovolsi l’altro tubo che era alla tempera- 
tura a 22° per mescolare le polveri. 

L'effetto di dette operazioni fu che la miscela del tubo a 
22° divenne leggermente rosea sul principio e poi man mano 
prese il colore rosso del biioduro di mercurio, invece la miscela 
del tubo del refrigerante rimaneva di color bianco. 

Quindi estrassi dal refrigerante detto tubo e poi mescolai 
le polveri del secondo tubo che era nel refrigerante, lascian- 
dolo in questo. 

Il tubo estratto fu posto vicino a quello la cui miscela 
aveva già il colore rosso e vidi che, per effetto della tempera- 
tura dell'ambiente, anche la sua miscela prese a poco a poco 
il colore rosso. 

Dopo due ore osservai il terzo tubo che avevo lasciato nel 
refrigerante in cui la temperatura era nel frattempo scesa a 
—13°; la miscela dei sali era sempre bianca. Tolto tale tubo 
dal refrigerante e lasciatolo alla temperatura dell’ ambiente, 
dopo venti minuti la sua miscela prese il colore rosso come 
negli altri due tubi. 

In un’altra esperienza presi della limatura di rame e del 
solfo in polvere e dopo avere riscaldato le sostanze e lasciatele 
raffreddare in un essiccatore, le versai rapidamente in un tubo 
di vetro che saldai alla lampada; quindi movendo il tubo pro- 
curai che la limatura di rame si mescolasse colla polvere di 
solfo, poi diedi alcune leggere scosse al tubo in direzione della 
sua lunghezza affinchè i granuli dei due corpi andassero a 
maggior contatto fra loro. Dopo alcune ore mi parve che il 
rame, pur mantenendo ancora lo splendore metallico, fosse mu- 


SUL METAMORFISMO DELLE ROCCIE 945 


tato di colore. Dopo alcuni giorni vidi che i granuli metallici 
di rame avevano preso un colore nero. Dopo 15 mesi tagliato 
il tubo, ne estrassi un poco di sostanza per esaminare al mi- 
croscopio i granuli nerastri. Essi si presentavano con un colore 
nero azzurro e con superficie come di concrezione e con aspetto 
vellutato. Compressi tali granuli fra due vetri, mi accorsi che si 
staccava un involucro lasciando nei granuli più grossi un nucleo 
di rame metallico. Detto involucro presentava nella rottura 
ancora il colore azzurrognolo, ma con aspetto metallico come la 
calcosina e lo spessore dell’involucro era di 18 micromillimetri. 

I risultati da me ottenuti possono quindi lasciarmi credere, 
che nelle due citate esperienze di Spring la causa essenziale 
della reazione chimica non poteva essere la pressione. 

La pressione avrà favorito la reazione aumentando il con- 
tatto dei corpi che dovevano fra loro reagire; avrà favorito la 
reazione se il volume molecolare del composto risultante era 
minore della somma dei volumi molecolari delle singole sostanze 
separate; avrà infine anche favorita Ja reazione di massa, che 
segue la fase chiamata di reazione lenta dal Pictet, per iniziare 
la quale è indispensabile la temperatura limite. 

Ma non si ha, per le due esperienze, ragione di asserire, 
che in esse la pressione abbia fornito calore per raggiungere 
la temperatura limite, dal momento che il grado di questa po- 
teva già esistere nel calore dell’ apparecchio e dell’ ambiente 
dove si eseguiva l’esperienza. 

Ed a prova di ciò stanno le altre esperienze pure di Spring 
eseguite sopra altre sostanze, la cui mutua reazione chimica 
necessitava una temperatura limite di molto maggiore della 
temperatura così detta ordinaria. 

Per es. Spring trovò che sottoponendo alla pressione di 
7000 atm. la polvere pirica, ossia la miscela meccanica di 
nitrato potassico, solfo e carbone, non avvenne alcuna reazione 
chimica, mentre questa succede ad una temperatura vicina ai 
300°. Parimenti la segatura di pioppo asciutta portata alla pres- 
sione di 20000 atm., costituiva una massa più coerente e di 
maggior densità del pioppo, ma non mutò colore, nè mostrò 
traccia alcuna di reazione chimica. E lo stesso Spring (1) per 


(1) “ Bull. de la Soc. chim. de Paris ,, 1884, pag. 497. 


946 GIORGIO SPEZIA 


tali esperienze dichiarò: che non bisogna perdere di vista che 
la pressione non è un agente chimico dello stesso titolo che è 
il calore. 

Mi fermo un momento sui predetti due risultati delle espe- 
rienze di Spring per dimostrare meglio la risposta da me data 
sul principio di questo scritto alla sentenza del Viola. 

La pressione negli esperimenti di Spring era lentamente 
trasmessa da una forza applicata ad una vite, perciò è certo 
che si era prodotto una forza viva. Ma siccome la velocità, uno 
dei fattori della forza viva, era piccolissima, ne avveniva che 
la trasformazione della forza viva in energia termica era len- 
tissima, e perciò il calore che man mano si produceva si dif- 
fondeva attraverso l'apparecchio od in altri termini la forza viva 
si disseminava. Mentre se l'apparecchio fosse stato assolutamente 
coibente del calore, questo si sarebbe accumulato elevando la 
temperatura al grado necessario per la reazione chimica. 

Ora io ritengo che per quanto sia stata piccola la velocità 
impiegata nell’esperienza di Spring, sarà sempre stata maggiore 
di quella che si vuole attribuire alla pressione di una roccia in 
quiete in causa del non essere i minerali assolutamente rigidi. 
Perciò il calore prodotto dalla massa rocciosa con movimento 
così piccolo si disseminerà man mano che si produce, perchè se 
i minerali non sono perfettamente rigidi non sono anche per- 
fettamente coibenti del calore. 

Rimane poi da sè evidente che per coloro i quali, come il 
Viola, vogliono porre come causa di reazione chimica, non il 
calore, ma la diminuzione di volume molecolare prodotto dalla 
pressione, servono di risposta anche le esperienze di Pictet e 
di Spring. Perchè le une dimostrano che riducendo il volume 
con bassissime temperature la reazione chimica non avviene; 
le altre fanno palese che le pressioni di 7000 e di 20000 atmo- 
sfere non furono sufficienti a diminuire il volume molecolare 
in modo che la reazione chimica avesse luogo fra i componenti 
sia della polvere pirica, sia del legno. 

Mi pare che ora, in base di dette esperienze, si possa esa- 
minare la reazione fra la leucite ed il pirosseno, la quale do- 
vrebbe, secondo Viola, succedere per la pressione fornita dagli 
strati di roccia in quiete che soprastavano a quello, in cui l’au- 
tore trovò il prodotto metamorfico dei due minerali. 


SUL METAMORFISMO DELLE ROCCIE 947 


Come già dissi non si sa, nè il Viola suppone, quale pres- 
sione potrà essere necessaria per la suindicata reazione fra la 
leucite ed il pirosseno; ma io credo che, in base delle esperienze 
sulla polvere pirica e sul pioppo si possa, trattandosi di due si- 
licati, ritenere che la pressione, supponendo possibile l’effetto 
chimico di essa, non sarà inferiore alle 9000 atmosfere. 

Capisco che mi si potrà rispondere che se la reazione non 
avviene a 9000 atm. avverrà a 100000 atm.; ma ad ogni modo 
esaminiamo le conseguenze anche col supporre semplicemente 
che la reazione fra leucite ed il pirosseno avvenga a 9000 atm. 
È evidente che per tale supposizione, ponendo che le leucititi 
e leucotefriti degli Ernici abbiano un peso specifico di 3, lo 
strato di roccia che doveva, soprastando allo strato della me- 
tamorfosi, esercitare semplicemente col suo peso la pressione di 
9000 atm., non poteva avere una potenza minore di 30000 m.; 
perchè sarebbe ben maggiore se invece di supporre come faccio 
io ora, la pressione data alla base da una massa rocciosa li- 
bera, si dovesse tener conto dell’ attrito laterale cui sarebbe 
soggetta tale massa nella crosta terrestre. 

In questo caso a me pare che sarebbe stato di grande in- 
teresse geologico, un cenno del Viola sulla scomparsa del ma- 
teriale roccioso, vulcanico o non, il quale doveva con una po- 
tenza di 30000 metri soprastare allo strato lavico esaminato e 
appartenente soltanto all’epoca terziaria. Notando poi che se 
‘la supposta pressione di 9000 atm. non fosse sufficiente e bi- 
sognasse supporla maggiore, sarebbe naturalmente necessario di 
aumentare in proporzione la potenza dello strato di roccia, il 
quale, stando in quiete e colla pressione esercitata dal solo 
peso ossia dalla sola pressione che io chiamo statica, dovrebbe 
fornire la temperatura limite per iniziare la reazione chimica 
fra la leucite ed il pirosseno. 

Le esperienze, i cui risultati si possono applicare allo studio 
degli effetti chimici, che si vogliono attribuire alla semplice 
pressione degli strati rocciosi in quiete, pur troppo hanno un 
limite di esecuzione. Ma tuttavia tali esperienze hanno il van- 
taggio che, se non si ritengono valevoli per risolvere il pro- 
blema geologico per oltre il confine cui può giungere l’ espe- 
rienza, stabiliscono dei limiti alle ipotesi; perchè la potenza 
degli strati, che bisogna supporre per la pressione, dà luogo 


948 GIORGIO SPEZIA 


ad altro più difficile problema quando si debba spiegare la 
scomparsa di essi o la loro relativa posizione nella crosta ter- 
restre. 

Esaminerò ora altre conseguenze del metamorfismo che io 
chiamai per via secca, inerenti al processo chimico indicato dal 
Viola per spiegare la formazione del plagioclasio per mezzo della 
leucite e del pirosseno. 

L'autore (1) per dar ragione della reazione chimica assume, 
come egli dichiara, soltanto la molecola di leucite che con- 
tiene la soda e soltanto quelle molecole del pirosseno, che si 
possono utilizzare per la cessione della calce e dell’allumina e 
scrive l'equazione chimica: 


z Na AI Si. 0; + y [Ca Fe Si. 06 + Ca Al Si 0;] + y 003 = 


lencite pirosseno 


— 7 Na AI Si,03-+y Ca AI,Si,03-+y CaC0;+ (y — 2) Si 0-1 yFe0 


n 4 
plagioclasio calcite quarzo 


Non mi permetto di fare osservazioni sulle formole chi- 
miche, le quali oggigiorno da alcuni mineralogi si costruiscono 
a scopo speculativo e non per rappresentare la composizione 
data dall'analisi dei minerali. Nè indagherò p. es. la ragione 
per cui il Viola (2) in un’altra equazione costituì una molecola 
di pirosseno colla formola Ca Al, Six 0; ossia mancante di due 
atomi di ossigeno; forse sarà stato per la soddisfazione di porre 
nella stessa equazione la quantità x0.. 

Ma io credo che quando si premettono condizioni sotto le 
quali sia stabilita un'ipotesi, la probabilità di questa scompare 
se non viene dimostrato che le conseguenze dell’ipotesi concor- 
dano con le condizioni fissate; o in più brevi parole: le con- 
traddizioni non sostengono un’ipotesi. 

Il Viola pose per condizione della sua ipotesi che le acque 
non potevano circolare nelle roccie fresche e compatte, asse- 
rendo che l’ammettere la circolazione delle acque fosse un ri- 
piego artificioso. In pari tempo a riguardo del quarzo scrive (3): 


(1) Loc. cit., pag. 26. 
(2) Loc. cit., pag. 24. 
(3) Loc. cit., pag. 27. 


SUL METAMORFISMO DELLE ROCCIE 949 


“in quanto al quarzo secondario che comparisce nella reazione, 
“ questo si può osservare nelle fenditure delle lave ,. 

Ma in che modo tale quarzo, resto di reazione avvenuta 
nell'interno delle roccia fresca e compatta, potè andare nelle 
fenditure? Per soluzione non certamente, perchè l’autore ritenne 
la roccia permeabile bensì ai gas, come risulta dalla quantità 
yCO;: introdotta nell'equazione, ma la suppose invece imper- 
meabile all’acqua. 

D'altronde se il quarzo avesse potuto per soluzione, e s’in- 
tende anche per diffusione nell’acqua così detta di roccia o di 
cava, portarsi nelle fenditure, è naturale che l’autore non avrebbe 
considerato come ripiego artificioso il fare entrare nella roccia 
dalla fenditura, e in modo analogo, anche soluzioni di altri 
composti chimici contenenti, p. es., l’allumina e la calce neces- 
sarie per il plagioclasio. 

Quindi se per la condizione premessa, il quarzo non poteva 
andare nelle fenditure per mezzo di soluzioni, rimane, a mio 
avviso, assai difficile trovare qualche altro più probabile modo; 
perciò l’autore per avvalorare la sua ipotesi doveva dimostrarlo. 

Parimenti nel lavoro di Viola sta scritto (1): “ Il piros- 
“seno che risulta con l’uscita della calce e del ferro, sarà 
“ quindi più ricco di magnesia, e questo pirosseno dà luogo 
“ alla formazione della clorite e anche della mica ,. 

È bene anzitutto ricordare che l’autore adoperò nell’equa- 
zione chimica le molecole di pirosseno che si potevano utiliz- 
zare per la cessione della calce e dell’allumina, vale a dire che 
l’allumina del pirosseno passò al plagioclasio; allora si com- 
prenderà come appaiano ovvie due domande. Prima: dove la 
clorite e la mica abbiano preso l’allumina, che è parte costan- 
temente integrante ed abbondante della loro composizione. Se- 
conda: come ha potuto entrare l’allumina nella roccia per co- 
stituire la clorite e la mica in essa esistenti. Per questa seconda 
domanda è evidente che l’allumina non poteva penetrare nella 
roccia in soluzione per la premessa che la roccia era imper- 
meabile all’acqua; d’altronde l’autore stesso avrebbe ritenuto 
come ripiego ancora più artificioso di farvi entrare l’allumina 


(1) Loc. cit., pag. 26. 


950 GIORGIO SPEZIA 


soltanto per la clorite e la mica e non anche l’allumina neces- 
saria al plagioclasio. 

A me pare che le due conseguenze dell'ipotesi, l'uscita del 
quarzo e l’entrata dell’allumina dovevano essere in qualche modo 
dimostrate dall’autore per sostenere la probabilità dell’ ipotesi 
ammessa sotto la condizione che l’acqua non concorresse nel 
processo chimico. 

A mio avviso, quando si vogliono emettere ipotesi sopra 
un processo di metamorfismo chimico avvenuto in una roccia, 
è necessario, per dare probabilità all’ ipotesi, che si stabilisca 
con analisi chimica la composizione dei minerali, s° intende di 
quelli che possono avere variabile composizione, sia preesistenti 
nella roccia, sia susseguenti al processo metamorfico. E ciò è 
anche indispensabile per arguire se determinati elementi chi- 
mici preesistevano nei minerali della roccia, ovvero se vi fu- 
rono condotti durante la metamorfosi. 

Ogni caso di speciale metamorfismo deve essere studiato 
da sè e non si può ammettere senza prova, che i minerali di 
una roccia abbiano la stessa composizione di quelli esistenti in 
altra roccia di diversa località. Il supporre, p. es., che una leu- 
cite sia eccezionalmente sodica, mentre potrebbe avere appena 
4 o 5 millesimi di soda, o che un pirosseno sia molto sodico 
mentre potrebbe essere privo di soda, sarà comodo per una 
dimostrazione grafica dell’ipotesi, ma non può rendere questa 
probabile. 

I processi chimici inerenti al metamorfismo sono già per 
sè così difficili a spiegarsi, che le ipotesi loro possono acqui- 
stare probabilità soltanto dai dati positivi forniti dalla chimica 
analitica e dalle induzioni autorizzate dalle esperienze, e mai 
da una semplice dimostrazione grafica basata sopra ipotetiche 
composizioni dei minerali inerenti al caso di metamorfismo che 
sì considera. 

Confesso che non riesco a comprendere come una reazione 
chimica possa avvenire per mezzo soltanto della pressione eser- 
citata da strati di roccia in quiete, e che io continuo a chia- 
mare, in attesa di altro nome, pressione statica; ma confesso 
pure che trovo più incomprensibile, come possano accadere me- 
tamorfosi chimiche, con separazione e trasporto di composti 
chimici, escludendo il concorso dell’acqua così importante per 
l'evoluzione della materia minerale. 


SUL METAMORFISMO DELLE ROCCIE 951 


L’ammettere come sorgente di calore, necessario alle rea- 
zioni chimiche, la pressione statica degli strati di roccia in 
quiete è un'ipotesi che abbisogna una conferma dalla fisica; 
come pure richiede una conferma dalla chimica l'ipotesi, alla 
quale aderisce il Viola, che le sostanze debbano reagire chimi- 
camente fra loro senza l'intervento del calore e soltanto dimi- 
nuendo il loro volume molecolare mediante la pressione. 

La geologia non può essere indipendente dalla fisica e dalla 
chimica. 

Il volere poi con le suddette ipotesi spiegare le reazioni 
chimiche avvenute in una lava, come quella studiata dal Viola, 
mi pare perfettamente inutile. 

Io credo che se si considerasse meglio quello stadio, che 
presenta una lava dal suo efflusso al completo raffreddamento, 
si potrebbe trovare una causa prima di metamorfosi e di for- 
mazioni secondarie di minerali nel calore della lava stessa. 
Questa, quando sia in massa di grande potenza, può, massime 
negli strati più profondi, mantenere per tempo sufficiente la 
temperatura necessaria a molte reazioni chimiche; le quali tro- 
verebbero aiuto per l'evoluzione della materia minerale nel- 
l’acqua inchiusa nella lava. 

E la pressione statica, dovuta allo spessore della lava, per 
quegli effetti che ad essa spettano, p. es.: mantenere liquida 
l’acqua soprariscaldata del calore della lava, porgerebbe il suo 
concorso pel metamorfismo al calore indispensabile per le rea- 
zioni chimiche e già esistente nella lava. 

Se nei laboratorii con la temperatura di 150° a 250° e 
soltanto 2 mesi di tempo si ottiene la decomposizione del vetro 
coll’acqua, non si potranno forse supporre numerose metamor- 
fosi in una lava che fosse stata analoga a quella eruttata nel 
1759 dal Iorullo, la quale possedeva (1) 21 anni dopo l’eru- 
zione ancora la temperatura di accendere un sigaro nelle fen- 
diture? 


(1) De Lapparent, Traité de Géologie, 1893, I, pag. 390. 


952 GIUSEPPE PEANO 


Saggio di calcolo geometrico; 


Nota del Socio G. PEANO. 


v 


Il Calcolo geometrico differisce dalla Geometria cartesiana 
in ciò che questa opera analiticamente sulle coordinate, mentre 
quello opera direttamente sugli enti geometrici. 

Un primo tentativo di Calcolo geometrico spetta a LEIBNIZ, 
la cui vasta mente aprì varie nuove vie alla Matematica. 

L’analisi infinitesimale si sviluppò per la prima, per cura 
dei suoi coetanei e discepoli. Il calcolo geometrico, di cui qui ci 
occupiamo, si è sviluppato nel corrente secolo, quantunque non 
ancora sufficientemente diffuso. La logica matematica, i cui prin- 
cipii furono chiaramente esposti dal Leibniz, solo ora va rapi- 
damente sviluppandosi, e risolvendo le varie difficoltà che si 
presentano sul suo cammino. 

Su questi varii punti Leibniz si limitò a scrivere dei cenni. 
Del calcolo geometrico parlò con enfasi nella sua lettera a HuyENs 
(8 sett. 1769) spiegandone i grandi vantaggi. 


Dopo Leibniz, sorvolando sull’ interpretazione geometrica 
degli immaginarii di Arcanp, troviamo MéBrus ad occuparsi 
assai felicemente della stessa questione col Calcolo daricentrico 
(1827), che applicò a più questioni, e di cui fece uso costante 
nella sua Meccanica celeste (1842). 

Contemporaneamente, e per via affatto indipendente, BeL- 
LAvITIS espose il Metodo delle equipollenze (1854), le cui origini 
trovansi già in suoi lavori del 1832, facendone numerose ap- 
plicazioni. 

Nel 1844 H. Grassmann pubblicò l’ Ausdehnungslehre, opera 
poco letta e non apprezzata dai suoi contemporanei, trovata 
poi ammirabile da numerosi scienziati, e di cui ci occuperemo 
specialmente in questo scritto. 

E, per finire questi sommarii cenni storici, HAMILTON creò 


SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 955 


per via affatto indipendente la teoria dei quaternioni, che è un 
nuovo metodo di calcolo geometrico; un cenno di questa teoria 
fu pubblicato nel 1843: l’esposizione completa fu fatta nel 1853. 
L’opera di Hamilton ebbe fortuna presso i contemporanei; for- 
tuna dovuta in parte alla chiarezza dell’esposizione, ed alla fe- 
lice nomenclatura introdotta. I quaternioni furono usati in molti 
lavori e trattati sia di matematica pura che applicata, fra cui 
ad esempio il Trattato di elettricità e di magnetismo di Max- 
weLL. Ma ai nostri giorni si cerca da molti di semplificare la 
teoria dei quaternioni (MAcrARLANE), e da altri di ritornare alle 
idee di Grassmann, o di combinare fra loro i varii metodi di 
calcolo geometrico. | 

Ed invero questi varit metodi di calcolo geometrico non 
si contraddicono punto fra loro. Essi sono le varie parti di una 
stessa scienza, ovvero i varii modi sotto cui si presenta lo stesso 
soggetto a più autori, ciascuno dei quali lo studia indipenden- 
temente dagli altri. 

Poichè il calcolo geometrico, come ogni altro metodo, non 
è già un sistema di convenzioni, ma un sistema di verità. Così 
il metodo degli indivisibili (Cavalieri), degli infinitesimi (Leibniz), 
delle flussioni (Newton) sono la stessa scienza, più o meno per- 
fetta, ed esposta sotto forme diverse. 

La teoria di Grassmann è oggigiorno, dai varii autori che 
l’hanno riesposta ed applicata, giudicata coi più grandi elogi. 
Il lettore può consultare l’Elenco bibliografico sull’ Ausdelnungs- 
lehre di H. Grassmann, pubblicato nella Rivista di Matem., 
a. 1895, p. 179; e specialmente il recente ed importantissimo 
opuscolo Die Grassmann'sche Ausdehnungslehre di V. Schlegel. 

Pure, se tanto tardò quest'opera a farsi conoscere, e se 
tanta difficoltà presenta tuttora nel diffondersi, la ragione ci 
dev'essere; e, secondo me, essa sta nella forma dell’esposizione, 
forma metafisica e nebulosa, lontana dal linguaggio solito dei 
matematici, e che fin da principio, invece di attirare i lettori, 
li stanca ed allontana. Ed anch'io, nello studio di quest'opera, 
rilevai la potenza del nuovo metodo solo nell'esame delle ap- 
plicazioni, specialmente quelle pubblicate nel 1845 nell’‘Archiv’ 

di Grunert (H. Grassmann’s Werke, I, p. 297). 
Partendo da queste applicazioni mi fu possibile il rico- 
strurne la teoria, e dare le definizioni degli enti introdotti, fa- 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 65 


954 GIUSEPPE PEANO 


cendo uso della sola geometria elementare. Pubblicai questa 
teoria, facendone numerose applicazioni, nel mio “ Calcolo geo- 
metrico, secondo l’ Ausdehnungslehre di H. Grassmann, Torino, 
1888 ,. Le stesse definizioni furono subito adottate dal signor 
Carvallo (Nouvelles Annales de Mathématiques, 1892, p. 8-37) 
in uno scritto, La méthode de Grassmann, notevole per chiarezza 
e semplicità d'esposizione. In seguito (Lezioni di analisi infini- 
tesimale, 1893) espressi coi simboli della logica matematica le 
proposizioni di questa teoria. Sicchè, per opera di varii autori, 
da una parte si è resa semplicissima l’esposizione del metodo 
di Grassmann, dall’altra si sono sempre estese le sue applica- 
zioni alle varie parti della matematica. 

Le esposizioni complete del calcolo geometrico, in cui si 
presuppone nota la sola matematica elementare, sono necessa- 
riamente alquanto voluminose. D'altra parte molti procedimenti 
di questo calcolo sono affini a processi introdotti, spesso poste- 
riormente, in geometria analitico-proiettiva, in analisi, in mecca- 
nica, e parecchi teoremi sono noti da queste scienze sotto forma 
alquanto diversa. Quindi, indirizzandomi non ad allievi, ma a 
colleghi, credo di soddisfare ad un desiderio da più manifestato, 
coll’esporre in breve le definizioni e le proprietà fondamentali 
degli enti su cui opera il calcolo geometrico, confrontandoli 
cogli enti analoghi che sono considerati in varie parti della ma- 
tematica. 

Saranno qui definiti gli enti introdotti, cioè le forme geo- 
metriche di 1°, 2°, 3° e 4° grado, di cui sono casi particolari 
i vettori, bivettori e trivettori; la relazione d’eguaglianza, unica 
relazione che qui figuri; le operazioni di addizione e moltipli- 
cazione, e le due operazioni indicate coi segni w ed | . Questo 
sistema completo di operazioni permette di trattare tutte le que- 
stioni di geometria. In un insegnamento particolare si possono 
considerare solo alcuni di questi enti e di queste operazioni. 


$ 1. — Tetraedri. 


Essendo A, B, C, D dei punti, ABCD indica il tetraedro 
di vertici i punti dati. 

ABCD=0 significa che i quattro punti giacciono in un 
piano. 


SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 955 


In un tetraedro non nullo considereremo, seguendo Mébius, 
il senso. Il tetraedro ABCD si dice destrorso, se una persona 
col capo in A, coi piedi in B e rivolta verso CD ha alla sua 
sinistra C e alla sua destra D. Si dirà sinistrorso nel caso 
contrario. 

Il concetto di senso d’un tetraedro, quantunque assai sem- 
plice, riducendosi a quello di destra e sinistra, non trovasi nei 
libri di Euclide; lo si deve spiegare immaginando una persona 
disposta nel modo indicato. Una volta introdotto il concetto 
fisico di senso d’un tetraedro, si potrà definire il senso degli 
altri enti che introdurremo. 

Due tetraedri diconsi eguali se hanno la stessa grandezza 
e lo stesso senso. I tetraedri si possono sommare e moltiplicare 
per numeri reali, positivi o negativi, e si ha sempre un te- 
traedro. Sicchè, essendo t,,...t, dei tetraedri, x,... x, dei nu- 
meri reali, xt +... + xt, è un tetraedro, e questo polinomio 
ha tutte le proprietà dei polinomii algebrici; cioè si può inver- 
tire l’ordine dei termini; e la moltiplicazione d’un numero per 
un tetraedro ha la proprietà distributiva rispetto ad ambi i 
fattori. 

Il tetraedro ABCD cambia segno se si invertono fra loro 
due vertici, cioò (M6bius, Werke, p. 41): 


ABCD=— BACD=— ACBD=— ABDC. 


Per rapporto si di due tetraedri # ed «, di cui il secondo 


non nullo, si intende il numero reale per cui moltiplicando « 
si ottiene #. Questo rapporto dicesi anche il numero che misura # 
essendo « l’unità di misura. In più questioni invece di tetraedri 
si può parlare dei numeri che li misurano. 

Il tetraedro ABCD si dirà anche il prodotto dei quattro 
punti A, B, C, D, ovvero del punto A pel triangolo BCD, ov- 
vero della linea AB per la linea CD, ovvero del triangolo ABC 
pel punto D. Questo prodotto non ha la proprietà commutativa, 
ma invertendo due vertici si produce un cambiamento di segno, 
proprietà che fu detta alternata. Vedremo però delle ragioni che 
giustificano il nome di prodotto. 


956 GIUSEPPE PEANO 


$ 2. — Forme geometriche. 


Siano %,, %,... x, numeri reali; e indichiamo con lettere 
maiuscole dei punti. Porremo per definizione: 


(Ap E po) BEDA ROD Jp, 
GiuBiti e a Bed ai Ra i 
(2A B, C+... +x,A,B, C.)D = Xi Ai B, C,D +... +x, A, B, G. Di 


I primi membri di queste eguaglianze non hanno finora 
significato; noi attribuiremo loro il valore rappresentato dai 
secondi membri, che sono somme di tetraedri. 

Dicesi forma di primo grado ogni espressione della forma: 


cA, + PO + x, A,, 


cioè l’insieme dei punti A, ... A, coi coefficienti, o masse, 2, ... %;; 
dicesi forma di secondo grado ogni espressione della forma: 


Xi À, B, -. ceo - Lr À, B,; 
dicesi forma di terzo grado ogni espressione della forma: 


Xi À; Bi C, t 0° —- Lr A, B, OA 


Potremo chiamare forma di quarto grado ogni somma di 
tetraedri, la quale è poi riduttibile ad un tetraedro unico. 

Moltiplicando adunque una forma di primo grado per tre 
punti, o una forma di secondo per due punti, o una forma di 
terzo per un punto, si hanno tetraedri. 


. ( primo ì 2 . . 
Una forma s di $ sendo | grado si dice nulla, e si scrive 
erzo 


tre punt 


s= 0, quando moltiplicandola per } e pati} presi ad arbitrio 


n 


si ha per prodotto zero. 


SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 957 

1 3. ( primo Mat } È 

Due forme s ed s' di sli grado si dicono eguali, e si 
erZzo 


: Fota tre 3 alata 
scrive s = s’, quando moltiplicandole per due punti arbitrarii, 
un 


si ottengano prodotti eguali. 

Queste definizioni dell’annullarsi d’una forma, e dell’egua- 
glianza di due forme, sono fondamentali nella nostra teoria; ad 
esse si deve sempre ricorrere quando sorga qualche dubbio sul- 
l’interpretazione d’una formula. 

Il prodotto d’una forma geometrica di primo grado per un 
triangolo BCD è proporzionale, col variare della forma, al mo- 
mento di quella forma rispetto al piano del triangolo, cioè alla 
somma delle distanze dei punti di quella forma dal piano, mol- 
tiplicate per le rispettive masse. Quindi due forme di primo 
grado si dicono eguali quando hanno lo stesso momento rispetto 
ad ogni piano. 

Se una linea AB rappresenta una forza, il prodotto ABCD 
è proporzionale a ciò che si chiama momento di quella forza 
rispetto all'asse CD; quindi due forme di secondo grado diconsi 
eguali quando hanno lo stesso momento rispetto ad ogni asse. 

Si vede così l'analogia delle forme di primo grado colla 
teoria dei baricentri, e delle forme di secondo colla riduzione 
delle forze applicate ad un corpo rigido. 


$ 3. — Operazioni sulle forme. 


Già dicemmo linea il prodotto AB di due punti, e triangolo 
il prodotto ABC di tre punti. Però qui queste parole hanno un 
significato affatto speciale, e sono casi particolari di forme di 
secondo e terzo grado. Quindi l'eguaglianza ABC = A'B'C' si- 
gnifica, per la definizione data, che comunque si prenda il 
punto D si ha sempre ABCD = A'B'C'"D' il che equivale a dire 
che i due triangoli giacciono in un medesimo piano, hanno la 
stessa grandezza e lo stesso senso. Analogamente AB = A' B' 
significa che i due segmenti stanno sulla stessa retta, hanno la 
stessa grandezza, e lo stesso senso; e ciò non per definizione, 
ma come conseguenza immediata della definizione. 

Daremo ora della somma e del prodotto di forme geome- 
triche le seguenti definizioni intuitive : 


958 GIUSEPPE PEANO 


Somma di due forme dello stesso grado è la forma che 
si ottiene scrivendo dopo i termini della prima quelli della 
seconda. 

Prodotto d'una forma di grado i per una di grado j, sup- 
posto i 4-j < 4, è la somma dei prodotti d’ogni termine della 
prima per ogni termine della seconda. 

Conseguenza immediata di queste definizioni, si è che il 
calcolo geometrico che ne risulta differisce dal calcolo algebrico 
in ciò che 

1° Possiamo moltiplicare solo due, o tre, o quattro punti: 
non si hanno forme di grado superiore al quarto. 
2° Si ha AB—=—- BA, e quindi AA=0. 

In tutto il resto il calcolo geometrico ha tutte le proprietà 
del calcolo algebrico sui polinomi. 

L’addizione è commutativa ed associativa, la moltiplicazione 
è associativa, e distributiva rispetto ad ambi i fattori. Dovunque 
ad una forma possiamo sostituirne una eguale. 

Questa coincidenza dei due calcoli costituisce l’ immenso 
vantaggio del metodo di Grassmann. Esso permette di operare 
e ragionare con un grande risparmio di sforzo e di memoria; 
poichè in questo nuovo calcolo si opera come in un calcolo già 
conosciuto. Questo metodo risponde quindi al principio del mi- 
nimo sforzo, il quale sussiste non solo in meccanica, ma anche 
in didattica. 

Reciprocamente, attribuendo ad ABCD il significato già detto, 
e volendo che sussistano le dette regole algebriche, si ottiene 
di necessità il calcolo di Grassmann, che risulta così definito. 
Però siffatta definizione sarebbe sovrabbondante; essa equivale 
ad un gruppo di proposizioni, alcune delle quali sono vere defi- 
nizioni, e le altre ne sono conseguenza. 


$ 4. — Vettori. 


Fra le forme di primo grado merita menzione speciale la 
differenza B—A di due punti, cioè l’insieme di due punti A e B 
coi coefficienti —1 e +1. Siffatta differenza dicesi vettore. 

Due vettori B—A e B'—A' sono eguali quando, per la de- 
finizione data, comunque si prendano i punti PQR, si ha 


BPQR—APQR=B'PQR—A'PQR. 


SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 959 


Ma questa condizione si trasforma facilmente nell’altra: “ i 
due vettori sono eguali quando hanno la stessa lunghezza, sono 
paralleli, e diretti nello stesso verso ,. 

A e B diconsi l'origine e il termine del vettore B—A. 

L'origine d’un vettore si può prendere ad arbitrio. 

Per sommare un punto A con un vettore I, si determini 
il punto B tale che B—A=I. Trasportando si ha B=A-+I. 

Per sommare due vettori I ed J, preso ad arbitrio il punto À, 
si costruisca il punto A+I, poi il punto A+1+-J; il vettore 
(A+1+J)—A vale I+J. Sicchè la somma di due vettori è un 
vettore. 

Moltiplicando un vettore per un numero reale si ha un vet- 
tore parallelo al primo. 

Data una forma di primo grado 


cAhtb.. +, A, 


ed un punto O, si ha l’identità: 


vAt+.. + an A+... +e) 0+ 
+ a (A1- 0) +... + (A, — 0), 


cioè “ ogni forma di primo grado è riduttibile ad un punto ar- 
bitrario 0 con coefficiente la somma dei coefficienti della forma 
data, più un vettore ,. 

“ Ogni forma di primo grado, in cui la somma dei coeffi- 
cienti sia nulla, è riduttibile ad un vettore ,. 

“ Ogni forma di primo grado, in cui la somma dei coef- 
ficienti non è nulla, divisa per questa somma stessa, dà un 
punto ,. 

Questo punto è il daricentro dei punti dati colle rispettive 
masse. Così ne vien fuori il calcolo baricentrico; e precisamente 
la teoria delle forme di primo grado coincide sia nella sostanza 
che nelle notazioni col calcolo di Mòbius. 

Però il Mébius si limitò a pochi cenni del caso in cui la 
forma si riduce ad un vettore, non rilevando l’importanza gran- 
dissima di questo caso. 

Il termine vettore fu introdotto dall’ Hamilton; esso corri- 


960 GIUSEPPE PEANO 


sponde esattamente al segmento di Bellavitis; ma il primo nome, 
che esclude ogni equivoco, è quello il cui uso va sempre più 
generalizzandosi. 

Però questi A. considerarono direttamente il vettore, senza 
farlo dipendere dalle forme di primo grado, assumendo come 
definizioni dell’eguaglianza e della somma, quelle proprietà che 
abbiamo testè esposte. Del resto il concetto dei vettori, e della 
loro somma, 0 composizione, è assai più antico, poichè già esso 
comparisce nelle velocità e forze; però spetta sempre a questi A. 
il merito di aver fatto vedere come, sulla loro composizione, si 
possa fondare un calcolo geometrico. 

Tanto Bellavitis quanto Hamilton indicano con AB il vet- 
tore di origine A e di termine B, e che noi indichiamo, secondo 
Grassmann, con B—A. Anche Hamilton notò il vantaggio di 
indicarlo con B—A, ma senza poi far uso di questa notazione. 

Secondo le nostre notazioni, B—A ed AB sono enti affatto 
distinti. Indipendentemente da ciò, le formule di Hamilton 
(A, B, C sono punti) 


BA=_—- AB,  AB+BC+CA=0 


esprimono quanto quelle di Grassmann 
AT-B=_—(B— A) (B_-A)+ (C-B)+(A-0=0; 


e si vede che queste ultime hanno la forma di identità alge- 
briche; mentre le prime hanno forma diversa, e bisogna fare 
un nuovo sforzo per ricordarle. Si vede così come il calcolo di 
Grassmann presenti su quello di Hamilton maggiore economia. 

Il Bellavitis introduce un segno per indicare l’equipollenza 
di due segmenti; sicchè per i segmenti si ha a considerare l’e- 
guaglianza e l’equipollenza. Due segmenti equipollenti si possono 
sostituire l’uno all’altro in certe formule, che bisogna ricordare. 
Invece, avendo noi un sol segno d’eguaglianza, possiamo sempre 
in ogni formula, ad ogni ente, sostituire un suo eguale; regola 
questa che non potrebbe essere più semplice. 


SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 961 


$ 5. — Forme di 2° e 83° grado. 


La teoria delle forme di secondo grado coincide colla teoria 
dei sistemi di forze applicate ad un corpo rigido; però nella 
prima compaiono puri concetti geometrici, e le operazioni si 
fanno coll’algoritmo algebrico. 

Eccone qualche saggio. Si ha A(B—A)=AB, ossia ogni 
linea è il prodotto d’un punto per un vettore; e viceversa. Per 
vettore d’una linea AB si intende il vettore B—A. Per vettore 
d’una forma di secondo grado si intende la somma dei vettori 
dei suoi termini. 

Si ha identicamente 


AB, + AB:+... + AB,=A[A+(B/— A4)+..+(B,— A)], 


cioè la somma di più linee aventi la stessa origine è una linea 
avente ancora la stessa origine, e il cui termine è il punto 
racchiuso entro parentesi. 

Il prodotto di due vettori dicesi divettore. È questa una 
forma di secondo grado, che corrisponde alla coppia della mec- 
canica. La somma di due bivettori è un bivettore. Ogni forma 
di secondo grado è riduttibile in infiniti modi alla somma d’una 
linea e d’un bivettore. 

Le forme di terzo grado non hanno interpretazione mecca- 


nica. Si ha il teorema: 


“ Ogni somma di triangoli è riduttibile o ad un triangolo 
unico, ovvero al prodotto di tre vettori ,. 


Il prodotto di tre vettori dicesi trivettore. 

Se sì aggiunge un trivettore ad un triangolo, si trasporta 
questo parallelamente a sè stesso. 

Un breve esercizio può bastare ad impratichirci di questo 
calcolo, che differisce dal calcolo algebrico per ciò solo che la 
moltiplicazione è alternata. 

Non saranno forse inutili le seguenti osservazioni: 

Il vettore B—A è una forma di primo grado; la linea AB 
è una forma di secondo grado. 


962 GIUSEPPE PEANO 


Due vettori B—A e B'—A' sono eguali quando moltipli- 
cati per tre punti arbitrarii dànno volumi eguali; due linee AB 
e A'B' sono eguali quando moltiplicate per due punti arbitrarii 
dànno volumi eguali. 

Da AB=A'B' si deduce B—A=B'—A', ma non vi- 
ceversa. 

Il bivettore {(B—A) (C-A)=BC+CA+AB è una forma 
di secondo grado, il triangolo ABC è una forma di terzo grado. 
Moltiplicando quel bivettore pel punto A si ha il triangolo ABC. 

Due bivettori AB + BC + CA e A'B' + B'0'+ C'A' sono 
eguali quando moltiplicati per due punti arbitrarii dànno pro- 
dotti eguali; due triangoli ABC e A'B'C' sono eguali se mol- 
tiplicati per uno stesso punto arbitrario dànno prodotti eguali. 
L’eguaglianza ABC=A'B'C' dice che i due triangoli giacciono 
in un medesimo piano, hanno aree eguali, e dello stesso senso. 
L’eguaglianza AB+BC+CA = A'B'4+B'C'4-C'A' dice che i 
due triangoli giacciono in piani paralleli, hanno aree eguali e 
dello stesso senso. 

Da ABC=A'B'C' si deduce AB+BC+CA=A'B'+B'C'+C"A', 
ma non viceversa. 

Un trivettore è riduttibile alla forma (B—A)(C—A)(D-A), 
o sviluppando, 


BCD — ACD + ABD — ABC, 


cioè alla superficie del tetraedro ABCD. Moltiplicando quel tri- 
vettore per un punto arbitrario si ha questo tetraedro. Se due 
tetraedri sono eguali, sono pure eguali i loro trivettori, e vi- 
ceversa. 

Abbiasi in un piano fisso una forma di secondo grado, cioè 
un sistema di linee 


SORIA it 


Supposto, ad esempio, che il vettore di questa forma non 
sia nullo, essa è riduttibile ad una linea sola CD, sicchè, co- 
munque si prenda, nel piano, il punto P, si avrà 


PA, B, + PA, B: + .. + PA,B,= PCD. 


| 


SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 963 


La costruzione della linea CD che risulta dalla nostra 
teoria è identica alla costruzione della risultante delle forze 
AB, + A,B:+..., e della trasformazione d’una somma di trian- 
goli in un triangolo, e come caso particolare, della trasforma- 
zione d’un poligono in un triangolo, che si insegna in statica 
grafica. Però noi abbiamo ammesso il concetto di aree eguali 
senza analizzarlo. Ora è facile il vedere che questa trasforma- 
zione basa sulla identità fra tre vettori IJK: 


CILE =IR+ JK; 


che costituisce il teorema di Varignon. 

I bivettori, o aree dei due membri, si possono scomporre 
in parti sovrapponibili. Quindi il poligono dato si può effetti- 
vamente scomporre in parti che diversamente disposte formino 
il triangolo che dicemmo suo eguale. Si ha così una via per 
risolvere la questione, in questi anni assai dibattuta, che poli- 
goni eguali secondo Euclide, si possono scomporre in parti so- 
vrapponibili; e questa dimostrazione coincide in sostanza con 
quella del sig. L. Gérard, Sur la mesure des polygones (Bull. de 
Math. élém., 1896, p. 102). 


$ 6. — Coordinate. 


Siano A, As Az A; quattro forme di primo grado, il cui 
prodotto non sia nullo. Le diremo forme di riferimento. Allora 
ogni forma di primo grado si può ridurre alla forma: 


cr Ar + wr Ao + o3A3 +24 A, 


ove x; ... x sono numeri, detti coordinate di quella forma. 

Ogni forma di secondo grado è una funzione lineare dei 
sei prodotti a due a due delle forme di riferimento, cioè si può 
scrivere: 


Yi Ai Ag t Y13 Ai Ag + IE) + Ys4 Az À,. 


I sei numeri y,3 ... 34 diconsi le coordinate della forma di 
secondo grado. 


964 GIUSEPPE PEANO 


DS 


Ogni forma di terzo grado è una funzione lineare dei pro- 
dotti a tre a tre delle forme di riferimento, cioè si può egua- 
gliare a: 


21 Ag Az Ai — 22 An As AL eg AL AS AL — 24 A As Ag 


I quattro numeri 2, ... 2, sono le coordinate della forma. 
Le coordinate d’una forma si esprimono facilmente come 
rapporti di tetraedri. Invero, pongasi 


Sa=mA +e A+ 3A + de. 


Si moltiplichi per A. A3 A4; nel secondo membro rimarrà 
solo il primo termine, onde, ricavando x, 


a SAsA3ÀA, 

177 As Aa AzA, 

e analogamente si hanno le altre coordinate. 
Consideriamo una forma di secondo grado. 


ST Ya A, do + Y13 A, Az + "e 
Moltiplico per A3 A,, e ricavo: 


A ae. sSAz3 Ax 
clap Ve PA. ab 


Analogamente per le forme di terzo grado. 

Sulle cordinate si risolvono con grande semplicità varii pro- 
blemi, quali quelli di trovare le coordinate di somme o prodotti 
di forme di date coordinate; basta invero eseguire le operazioni 
indicate. 

Ad esempio, vogliasi calcolare il volume del tetraedro pro- 
dotto di quattro forme di prima specie di date coordinate 


(21; so ci), (Y/1; ce. Ya), (21; DSG Za); (1, DOG ta). 
Le forme date hanno adunque per espressione: 


ci Al + e° Ap +23 A3 +4 Aa 
YA + yo Ar 4 UA + vd 
z: Ar + ee An + 23 43 + Ai 
RARI, AIR 


SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO l 965 


Moltiplichiamo questi polinomii. Il prodotto consterà di 
più termini; ora quando si moltiplicano due termini apparte- 
nenti alla stessa verticale si ha per prodotto zero. Bisognerà 
adunque moltiplicare i termini presi in orizzontali e verticali 
diverse. Un termine del prodotto sarà x, y» 23 ti Ai As Ag Au; 
ogni altro termine si otterrà da questo permutando gli indici 
1, 2, 3, 4; e se vogliamo far comparire fattor comune A, A A; Au, 
bisognerà dare al coefficiente il segno + o — secondochè il 
numero delle inversioni è pari o dispari. Si ha così per prodotto 


Xr X%a %3 Ma 


Yi Y. YU Ya 
ALA: A3 A; ’ 


Zi Za 23 2% 
HD BITIgUOg, 


e ciò per la definizione di determinante. 

Si vede qui comparire il concetto di determinante, la cui 
teoria si può tutta sviluppare coi metodi generali del Grass- 
mann, ma'su cui basti questo cenno, poichè qui intendiamo 
parlare delle applicazioni geometriche. 

Gli elementi di riferimento A, As A; A4 possono essere qua- 
lunque. Merita menzione speciale il caso in cui si prendano per 
elementi di riferimento un punto O e tre vettori, non compla- 
nari, I, J, K. Il sistema di coordinate si dirà cartesiano. Ogni 
forma di primo grado è riduttibile alla forma 


mO+axI+yJ+K, 
ogni punto alla forma 

O+xI+yJ+%K, 
ogni vettore alla forma 


c1+yJ+ K. 


Ogni forma di secondo grado è riduttibile a 


L10I+m0J+n0K+pJK+ gKI+ rIJ. 


966 GIUSEPPE PEANO 


Se la forma rappresenta un sistema di forze, le sei coor- 
dinate della forma diconsi in meccanica le caratteristiche del 
sistema. 

Il prodotto della forma per sè stessa vale 


(Cp+ mq + nr) 0IJK; 


l’annullarsi di questa quantità è la condizione affinchè la forma 
si riduca ad una linea o ad un bivettore. 
Ogni bivettore è riduttibile alla forma: 


pIKÀ gKI+ rIJ. 
Ecc. 


$ 7. — Applicazione alla Geometria analitico-proiettiva. 


Le forme geometriche finora considerate sono in stretta 
relazione con enti noti. Una forma di primo grado, non nulla, 
è riduttibile ad un punto con massa, o ad un vettore. Se la si 
moltiplica per un numero, non nullo, la posizione del punto, o 
la direzione del vettore non viene alterata. Quindi una forma 
di primo grado determina un punto o una direzione, cioè de- 
termina in ogni caso un punto proiettivo. Le quattro coordi- 
nate della forma di primo grado diconsi le coordinate omogenee 
di questo punto. Se si moltiplicano le coordinate per uno stesso 
numero, la forma risulta moltiplicata per questo numero, ma 
il punto proiettivo non varia. 

Se gli elementi di riferimento A, A: A3 A, sono quattro forme 
qualunque, le coordinate furono dette proiettive; se essi sono 
quattro punti, si hanno le coordinate bdaricentriche; se un punto 
e tre vettori, le cartesiane. 

Una forma di secondo grado, non nulla, ma tale che sia 
nullo il prodotto della forma per sè stessa, è riduttibile ad una 
linea o ad un bivettore; determina quindi una retta o una gia- 
citura; cioè determina in ogni caso una retta al finito o all’in- 
finito. 

Le sei coordinate della forma diconsi le sei coordinate omo- 
genee della retta. 


SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 967 


Una forma di secondo grado, tale che il prodotto di essa 
per sè stessa non sia nullo, determina un complesso lineare. 

Una forma di terzo grado non nulla, è riduttibile o ad un 
triangolo o ad un trivettore; nel primo caso determina un 
piano al finito; il trivettore corrisponde al piano all’ infinito. 
Le quattro coordinate della forma sono le coordinate omogenee 
del piano (*). 


$ 8. — Prodotti regressivi. 


Abbiansi due forme di primo grado (o punti) A e B; ed 
un triangolo (o piano) t. Vogliamo trovare il punto d’incontro 
della retta AB col piano n. Perciò ogni punto della retta avrà 
un'espressione della forma xA +gB; e dovendo esso giacere 
in t, dovrà essere 


(CA + yB)m =" 0, 
cioè 
cAmt+yBna=0. 


Quest’ equazione è soddisfatta se prendo x ed y proporzionali 
ai volumi Bt e —Ar. Quindi indicando con [t] il numero che 
misura il tetraedro # rispetto ad un tetraedro fisso, la forma: 


€ |Br]A — [An]B 
giace sulla retta AB e sul piano t; il punto che determina è 
l'intersezione di quella retta con questo piano. 

Ora si può dimostrare che questa forma, che si presenta 
come funzione di A e di B, è in realtà funzione del solo pro- 
dotto AB, cioè che essa non varia ponendo al posto di A e B 
altre forme A' e B' tali che AB= A'B'. Perciò chiameremo 
l’espressione trovata il prodotto di AB per t, e scriveremo 


AB.tn=[Br]A — [Ar]B. 
(*) Un più ampio sviluppo delle coordinate projettive, dedotte dal 


calcolo geometrico, trovasi in C. Burari-Forti, Il metodo del Grassmann 
nella Geom. proj. (‘ Rend. circ. Palermo ,, a. 1896, p. 177). 


968 GIUSEPPE PEANO 


Il prodotto d’una forma di secondo grado per una di terzo 
è quindi una forma di primo grado, pienamente determinata. 
Il punto che questa determina è l’intersezione della retta e del 
piano determinati dalle forme date. 

Analogamente si definisce il prodotto di due forme di terzo 
grado (piani), che è una forma di grado 3+3—4=2 (una retta); 
e il prodotto di tre forme di terzo grado che è una forma di 
grado 3+3+3—8. 

Questi prodotti, che diconsi regressivi, hanno ancora la 
proprietà distributiva rispetto ad ambi i fattori; passano note- 
voli relazioni fra questi prodotti ed i prodotti progressivi prima 
considerati. Siffatto studio è interessante per la Geometria su- 
periore, poichè il metodo di Grassmann permette di indicare in 
simboli ogni costruzione ottenuta proiettando e segando, di 
poter ragionare sopra queste formule, onde ad es. trasformare 
una costruzione in un’altra, e riconoscere il grado d’un luogo 
così definito. Molti autori, che trovansi menzionati nel mio Cal- 
colo geometrico, proseguirono per questa via, arrivando a note- 
voli risultati. Ma, essendo questi prodotti regressivi un po’ meno 
semplici delle altre operazioni, basti su loro questo cenno. 


$ 9. — Operazione w sulle forme. 


Importante è il caso del prodotto regressivo, in cui un 
fattore sia un trivettore fisso w, assunto come unità. Ma non 
volendo parlare di prodotti regressivi, daremo le definizioni 
seguenti: 

Se s è una forma di primo grado, con ws ne indichiamo 
la massa, cioè la somma dei coefficienti. 

Se s è una forma di secondo grado, con ws indichiamo il 
vettore di s, cioè la somma dei vettori dei suoi termini: sicchè, 
se A e B sono punti, w(AB)=B—+A. 

Se s è una forma di terzo grado, con ws indichiamo il bdi- 
vettore di s; sicchè, essendo A, B, C dei punti, sarà 


w(ABC)=(B—A)(C—A)=BC+CA+AB. 


E VR SL EE JE 


SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 969 


E analogamente w(ABCD) indicherà il trivettore del te- 
traedro ABCD, cioè 


BCD — ACD+ABD— ABC. 


L'operazione w è distributiva, cioè w(s+s')=ws+ws'; 
vale a dire in tutti i calcoli il segno w si comporta come un 
fattore costante. L’operazione w, eseguita su d’un vettore, o 
un bivettore, o un trivettore, dà per risultato 0. 


$ 10. — Operazione Indice sui vettori e bivettori. 


Dicasi metro l’unità di misura delle lunghezze. 

Per modulo d’un vettore I si intende la sua lunghezza mi- 
surata in metri. 

Per modulo d’un bivettore IJ si intende l’area del paralle- 
logrammo di lati i vettori I e J, misurata in metri quadrati. 

Il modulo d’un vettore, o d’un bivettore, è perciò un nu- 
mero positivo o nullo. 

Dato un trivettore IJK, oltre alla sua grandezza, cioè al 
volume del parallelepipedo costrutto sui tre vettori dati, misu- 
rato in metri cubi, si ha pure a considerarne il senso. Il tri- 
vettore si dirà positivo, se ad es. il tetraedro 0IJK è destrorso. 

Per comodità di scrittura identificheremo un trivettore col 
numero che lo misura, preceduto dal segno conveniente. 

In altri termini, sia w il trivettore prodotto di tre vettori, 
di lunghezza il metro, a due a due ortogonali, e tali che il te- 


traedro 0w sia destrorso. Allora nel rapporto dl noi soppri- 


meremo (quando non siavi pericolo d’ambiguità) il denominatore, 
e scriveremo semplicemente IJK. 

Dicesi indice d’un bivettore IJ, e si indica con |(I1J) quel 
vettore K che è normale ad IJ, nel verso che rende IJK=KIJ 
positivo, e il cui modulo è eguale a quello di IJ. 

Se K= |(1J), si dice anche che IJ è l'indice di K, e si 
scrive IJ=|K. 

Adunque l’ indice d’un bivettore è un vettore, e viceversa. 

Se il bivettore rappresenta una coppia di forze, l’ indice 
dicesi in Meccanica l’asse momento della coppia. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 66 


970 GIUSEPPE PEANO 


L'operazione | è distributiva, e nei calcoli questo segno si 
comporta come un fattore costante. 

L'operazione | determina quella polarità che da alcuni au- 
tori chiamasi l'assoluto. Essa permette di studiare le proprietà 
metriche delle figure. Eccone alcune conseguenze: 


T.| F'=mod1}? (1) 


cioè il prodotto d’un vettore per l'indice di sè stesso vale il 
quadrato del suo modulo. Grassmann abbrevia I|I in I°. Po- 
tremo scrivere senza ambiguità I°, e leggerlo il quadrato di I, 
col che si intende I|I e non I=0. Dall’equazione precedente 
si può ricavare mod I. Le stesse cose sussistono se invece di I 
si legge un bivettore. 


ci rappresenta un vettore di lunghezza l’unità, e che ha 
la direzione e il verso di I. 

Siano I e J due vettori di lunghezza l’unità. IJ è un bi- 
vettore, e mod(IJ) è un numero, che dicesi seno dell'angolo dei 
due vettori. Se I, J non sono eguali all’unità di misura, prima 
li sì ridurranno, e si avrà 


mod (1J 
sen (I, J) ni oi , 
Il seno dell'angolo di due vettori è un numero sempre com- 
preso fra 0 e 1. 
Sia I un vettore, j un bivettore, i cui moduli siano l’unità. 
Il numero Ij si dirà seno del loro angolo. Se i moduli di I e j 
sono qualunque, si avrà 


pe TS Ij 
sen (1,j) = modI modj ‘ 

Il seno dell'angolo d’un vettore con un bivettore è un nu- 
mero compreso fra —1 e +1. 

Per coseno dell’angolo di due vettori I e J si intende il 
seno di I e |J, cioè 
ife 


CP (I, d) modI modJ ‘ 


SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 971 


Il coseno dell’angolo di due vettori è compreso fra —1 e +1. 

Questa formula, fatti sparire i denominatori, dice che il 
prodotto d’un vettore per l’indice d’un altro vale il PRE 
dei moduli pel coseno dell’angolo compreso. 

Il prodotto 1|J fu dal Grassmann chiamato prodotto interno 
dei due vettori. Egli disse loro prodotto esterno il bivettore IJ. 
‘Questo prodotto interno comparisce in Meccanica, poichè è il 
lavoro fatto dalla forza I ove il punto d’applicazione abbia ri- 
cevuto lo spostamento J; e in più trattati di Meccanica si è 
proposto per questo prodotto un segno speciale. 

Così le operazioni della matematica elementare: distanza 
di due punti, area d’un triangolo, seno, coseno d’un angolo, le 
quali operazioni non sono distributive, ma hanno proprietà com- 
plesse, si esprimono mediante prodotti esterni ed interni di 
Grassmann, sui quali si opera con regole pressochè identiche 
alle regole algebriche. 


$ 11. — Applicazioni alla Geometria cartesiana. 


Siano I, J, K tre vettori, di lunghezza l’unità, a due a due 
ortogonali, e tali che IJK=+1. Sarà 


I]I=J|J=K|K=1, I|J=I|K=J|K=0, 
|(JK)=1, |(KD=J, [KI =K. (1) 


Un vettore U di coordinate x, y, 2 ha per espressione 


U=«I+4yJ+ eK. (2) 


Moltiplico U per | U, cioè ne faccio il quadrato. Esso vale 
(mod U)?; nel secondo membro sviluppo il quadrato colle regole 
algebriche, tenendo conto delle identità (1), ed ho: 


(mod U) = a + + 2. (8) 


Se i vettori I, J, K non fossero ortogonali, si presentano 
ancora i termini 2xyI|J+...; ove I|J= cos(I, J). 


972 GIUSEPPE PEANO 


La condizione affinchè il punto 
P=0+4z<xI+yJ+%K (4) 


giaccia nel piano del triangolo di coordinate 4, d, c, d, cioè 
t=a0JK — 50IK + c0IJ — dIJK (5) 


è che il loro prodotto Pt = 0; sviluppando e sopprimendo il 
fattor comune O0IJK, si ha: 


ar + by t+eez+d=0 (6) 


equazione del piano di date coordinate. 
L’area del triangolo mt è la metà del modulo del suo bi- 
vettore wWT 


wr = aJK + BKI + cIJ, 
onde 


pron == 1a Va+e +e (7) 
Vogliasi la distanza è del punto P dal piano n. 


Si ha Pr=- dj mod (um), 


ove per omogeneità s'è scritto il fattore m° (metro cubo). 


Osservo che OIJK=- mÈ, onde: 


e sostituendo a Pt, wr i loro valori, si ha la formula cercata. 
Come ultimo esempio, abbiasi una forma di secondo grado s, 
di coordinate !, m, », p, g, 7, cioè 


s=10I1+m0J+n0K+ pJK+ qKI+ rIJ. 


SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 973 


Dice questa formula che s è la somma della linea O(I1+mJ+xK) 
di origine il punto O, e il cui vettore ha per coordinate /, m, n, 
e del bivettore di coordinate p, 9g, r. Si vuol trasformare s nella 
somma d’una linea è e d’un bivettore « fra loro ortogonali 


s=itu 


Deduco ws = wiî, poichè wu = 0. Quindi v, che deve essere 
normale ad wi = ws, sarà della forma u=x|ws, ove x è un 
numero (reale). 

Deduco s—x|ws=?î; moltiplico questa equazione per sè 
stessa, osservando che (|ws) (|ws)=0, e #i=0; ricavo 


ss— 2axs|ws=0, 


onde 


e infine 


ss 


2s|ws |ws. 


Uu = 


Si ha così il bivettore «, detto in Meccanica “ il momento 
principale del sistema di forze ,, espresso mediante la sola 
forma s. Introdotte le coordinate si ricava: 


I \ 
a La neve (IK + mEI+ n1J). 


La linea i si può ottenere per differenza: i=s—w. 

Questi esempi elementari provano che il metodo di Grass- 
mann non esclude punto la Geometria analitica ordinaria; ma 
anzi indica vie semplicissime per trovare le formule in ogni si- 
stema di coordinate. Inoltre per questa via si ha il significato 
geometrico separato del numeratore, del denominatore, di ogni 
fattore e di ogni termine delle formule di geometria analitica. 


974 GIUSEPPE PEANO 


$ 12. — Geometria infinitesimale. 


Dicesi che la forma variabile di primo grado $ ha per li- 
mite la forma fissa S,, se, comunque si prenda il triangolo PQR, 
si ha 

lim SPQR=5SPQR. 


Analogamente per le forme di grado superiore. 
Se una forma S(t) è funzione d’una variabile numerica #, 
sì pone 


dS(é) __:_ SE+A)- Sd 
ra lim SI 


h=0 


ove, nel secondo membro, tutti i segni introdotti già furono 
definiti. 

Sussistono per le somme e per i prodotti di forme le re- 
gole comuni di derivazione; i simboli w ed | si comportano 
come fattori costanti. Si baderà però selo a non invertire l’or- 
dine dei fattori. 

Le definizioni di derivate successive e di integrali sono qui 
applicabili. La formula di Taylor sussiste sotto la forma ad es. 

“ Se S(t) è una forma geometrica, funzione di #, avente 
per t=t, le derivate prima e seconda, si ha: 


S(h+ 4) =S +49) +T 9" +R, 


ove R_ è una forma infinitesima con % d'ordine superiore al 
secondo ,. 

Non si ha bisogno di ammettere p. es. la continuità di 
S"(t), come provai nei miei trattati. 

L'espressione del resto, sotto forma d’ integrale, sussiste 
senza variazione alcuna. 

Quella di Lagrange ha bisogno di leggera modificazione: 
e siccome nel mio Calcolo geometrico (Cap. VIII) enunciai il ri- 
sultato, senza scriverne la dimostrazione, non sarà inutile di 
qui esporla: 


SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 975 


DEFINIZIONE: “ Dicesi che una forma geometrica S è media 
fra più altre A, B,... dello stesso grado, p. e. del 1° grado, se, 
comunque si prendano i punti PQR, si ha che SPQR è medio 
fra APQR, BPQR,... , 


Teorema: “ Data la forma S(t) funzione della variabile reale t, 
avente le successive derivate fino all’ n°, nell'intervallo da t a 
t+h, si ha: 


SC+M=SO+IS +. +7 80 +4 K, 


ove K è una forma geometrica media fra i valori di S(t+-04), 
ove 0 varii fra 0 ed 1,. 

Vale a dire, mentre per le funzioni numeriche, K è uno 
dei valori della derivata n?, qui per le forme geometriche, K è 
solo un valor medio fra quelli che assume la derivata n?. 

Infatti, la formula è vera se S(t) è un numero funzione 
di #, poichè K è allora uno dei valori assunti dalla derivata n?, 
e quindi è medio fra quelli che può assumere. Essa è anche 
vera se S(t) è un tetraedro, o forma di quarto grado, poichè i 
tetraedri sono misurati da numeri reali. 

Se S(t) è una forma di primo grado, si moltiplichi la for- 
mula scritta per un triangolo arbitrario. PQR; siamo ridotti a 
tetraedri; si deduce che KPQR è medio fra i valori di S®'(t)PQR, 
onde K è medio fra i valori di St). 

Se P è un punto funzione della variabile reale t, le sue 
derivate sono vettori. La tangente alla curva descritta da P 
è la retta PP” e il piano osculatore è il piano PP'P" Si sup- 
pone che quella linea e questo triangolo non siano nulli; altri- 
menti si presentano singolarità studiate ad es. nelle mie Appli- 
cazioni geometriche. 

Se il punto P è funzione delle due variabili # e v, il piano 


pi È è tangente alla superficie descritta da P. 


976 ICILIO GUARESCHI 


Sull aaminoetilidensuccinimide e sull’acetilsuccinimide; 


Nota del Socio ICILIO GUARESCHI. 


In seguito allo studio della reazione generale da me tro- 
vata, e che ha luogo tra gli eteri chetonici e l’etere cianacetico 
in presenza di ammoniaca, sono stato condotto ad esaminare 
anche l’azione dell’ammoniaca in soluzione acquosa sull’ etere 
acetosuccinico: 


CH°CO ; CH . CO... OC°ES 
CH°. CO . OC*H° 


Conrad ed Epstein (1) per l’azione dell'’ammonica gasosa 
sulla soluzione eterea dell’etere acetosuccinico ottennero l'etere 
a aminoetilidensuccinico : 


CH°.C=C.C0.0C°H5 
ist | 
NH? CH?. CO . OC°B* 


in prismi splendenti fusibili a 72°. 

William 0. Emery (2) studiò poi l’azione dell’ ammoniaca 
alcolica, satura a 0°, sullo stesso etere acetosuccinico, ed ot- 
tenne anche in questo caso l’etere a aminoetilidensuccinico di 
Conrad ed Epstein; pel quale però dà il punto di fusione 62°. 
L’etere a aminoetilidensuccinico scaldato per qualche tempo a 
145°—150° fornisce il lattam: 


Slo. C00E 
| | 
INELCO.è CH? 


che cristallizza dall’etere in aghi fusibili a 133°—1340. 


(1) “ Berichte d. deut. Chem. Gesell. ,, 1887, XX, pag. 3058. 
(2) “ Ann. d. Chem. ,, 1890, t. 260, pag. 137 e “ Berichte ,, 1891, 
Ref. pag. 27. 


SULL’ O AMINOETILIDENSUCCINIMIDE E SULL'ACETILSUCCINIMIDE 977 


Composti analoghi 0. Emery ottenne colla metilamina. 

Io ho avuto risultati diversi adoperando l’ammoniaca acquosa 
concentrata. Quando si mescola l’etere acetosuccinico con poco 
più di tre volte il suo peso d’ammoniaca acquosa, a 0.914, e 
si dibatte per poco tempo, tutto l’etere si discioglie e si ottiene 
un liquido giallognolo che poi inverdisce per passare ad un co- 
lore rossastro stabile. 

La soluzione completa alle volte avviene dopo una mezza 
ora, alle volte occorrono anche due ore. Poco dopo scioltosi 
l’etere acetosuccinico, incomincia a depositarsi dei bei cristalli 
che vanno mano a mano aumentando. Dopo circa 6—8 giorni, 
ed alle volte anche prima, non si formano più cristalli. Rac- 
colti questi su filtro, furono lavati più volte con poca acqua e 
poi ricristallizzati dall'acqua bollente. Si possono cristallizzare 
anche dall’alcool diluito e bollente. 

Il liquido limpido ammoniacale dal quale furono separati 
i cristalli accennati, trattato con etere cianacetico, fornisce dei 
prodotti che descriverò in altra nota. 

In questa breve nota non mi occupo che dei cristalli otte- 
nuti nel modo che ho descritto. 

Dopo alcune cristallizzazioni si ha il nuovo composto per- 
fettamente puro. Questo prodotto si forma piuttosto in piccola 
quantità; circa 4—5 p. 100 dell’etere acetosuccinico impiegato. 

Questi cristalli diedero all’analisi i risultati seguenti: 


I. Gr. 0,1366 di sostanza secca a 100°—105° fornirono 0,2564 
di CO* e 0,0711 di H°O. 


II. Gr. 0,1345 fornirono 24,7 cm° di N a 189,5 e 742 mm.; vo- 
lume corr. = 22 emì. 


Da cui la composizione centesimale: 


z KR 
ri | 
Ul 
IRINA 
00 
DO 
S al 
a 
Ul 


978 ICILIO GUARESCHI 


Numeri che conducono alla formola C°H*N°0® per la quale 
si calcola: 


51.42 
5.71 
20.00 


I 


| 


C 
H 
N 


| 


Le proprietà ed i derivati, che descriverò, di questo com- 
posto dimostrano, mi pare, che esso deve essere considerato 
come a aminoetilidensuccinimide: 


CH°.C=C . CO 
IRE 


| | 
NH? CH?. C07 


H 


Poco probabile, mi sembra, possa essere un lattam della 
forma: 


CH®:G===>s/(200NH” 
| 
NH— CO —CH? 


L’aaminoetilidensuccinimide cristallizza dall’ acqua in bei 
prismi aghiformi, incolori, pesanti; fonde a 274°—275° scom- 
ponendosi e dando un liquido quasi nero; già a 235°—240° 
imbrunisce alquanto. È poco solubile nell'acqua fredda, 1 p. in 
circa 195 p. di acqua a 15°, solubile nell’ acqua bollente; poco 
solubile nell’alcol, quasi insolubile nell’etere. Solubilissima nella 
potassa anche diluita. Per ebollizione prolungata con acqua 
sviluppa ammoniaca; sviluppa ammoniaca anche quando si scalda 
con potassa. Non sviluppa ammoniaca a freddo coll’ idrato di 
magnesio. Nell’ acido cloridrico si scioglie e quasi subito for- 
nisce del cloruro di ammonio che precipita col cloruro plati- 
nico. La soluzione acquosa si colora in rosso-violetto col clo- 
ruro ferrico, ma probabilmente questa colorazione è dovuta ad 
un prodotto di decomposizione perchè la soluzione appena trat- 
tata col cloruro ferrico si colora pochissimo e la colorazione 
aumenta molto lasciando al liquido a sè alcuni minuti; colla 


SULL’ AMINOETILIDENSUCCINIMIDE E SULL’ACETILSUCCINIMIDE 979 


soluzione di acetato ferrico non si colora; inoltre il liquido pro- 
veniente dalla prolungata ebollizione di questo composto o le 
acque madri evaporate si colorano subito ed intensamente col 
cloruro ferrico. 

Col solfato di rame inverdisce ma non precipita. ( 

La soluzione acquosa ha reazione neutra e precipita col 
nitrato d’argento quando si alcalinizza lievemente il liquido con 
ammoniaca. 

Nè col nitrito potassico nè coll’acqua di bromo fornisce le 
reazioni colorate da me indicate pei composti cianpiridinici de- 
rivanti dall’etere cianacetico. 

Esposta ai vapori rossi che si sviluppano dal nitrito po- 
tassico coll’acido solforico diluito si colora in rosso-bruno. 


Derivato argentico. Sciogliendo a caldo 0,5 gr. di sostanza 
in acqua cui s’aggiunge alcune goccie di ammoniaca si ha un 
liquido incoloro che per aggiunta di un lieve eccesso di solu- 
zione al 5°/, di nitrato d’argento, dà, a poco a poco, un bel 
precipitato bianco cristallino di un composto argentico. Questi 
cristalli sono costituiti di lunghe laminette prismatiche, incolore, 
setacee, quasi affatto insolubili nell’acqua fredda ed anche nel- 
l’acqua bollente; dopo prolungata ebollizione imbruniscono. 

All’analisi questo derivato argentico diede i risultati se- 
guenti: 


I. Gr. 0,4525 di sostanza secca prima nel vuoto e poi a 100°—105° 
fornirono 0,1987 di Ag. 


II. Gr. 0,1822 di sale disseccato a 180°, proveniente da una 
seconda preparazione, e meno bene cristallizzato del pre- 
cedente, fornirono 0,0799 di Ag. 


III. Gr. 0,1737 di sale secco, fornirono 17,5 cm? di N a 25° e 
745 mm! Vol. corr. = 15.1, cm. 


Da cui: 
trovato calcolato per C°H°AgN"0? 
I I III 
Ag ‘= 48.88 43.85 _ 43.72 
N ese —_ 10.90 11.3 


980 ICILIO GUARESCHI 


Ho voluto dosare in questo derivato anche l’azoto perchè 
per il composto argentico CH° CO CH . CO 
Î / NAgsicalcolerebbe 
CH?. CO 
43.54 °/o di argento. 
Per 0,5 gr. di a aminoetilidensuccinimide ho ottenuto 
0.9 gr. di derivato argentico che è appunto la quantità teorica. 


Azione dell’ acido cloridrico. — Dosamento dell’ ammoniaca 
prodotta. — Acetilsuccinimide. Ho già detto che la a aminoetili- 
densuccinimide fatta bollire con acqua sviluppa ammoniaca. Col- 
l’acido cloridrico la decomposizione è pronta, avviene già a 
freddo e si mette in libertà esattamente una molecola di am- 
moniaca. Infatti: 


I. Gr. 0.3081 di sostanza in sottile polvere furono trattati a 
freddo con 10 cm? di acido cloridrico di 1,06 densità; già 
a freddo la sostanza si scioglie ed aggiungendo del clo- 
ruro di platino in lieve eccesso incomincia subito a deposi- 
tarsi del cloroplatinato di ammonio; dopo poco tempo ag- 
giungo al liquido una miscela di alcol ed etere e raccolgo 
il precipitato. Il cloroplatinato ottenuto pesava 0.4738, 
corrispondente a 0.0365 di NH?. Il liquido alcolico-etereo 
essendo molto acido lasciò col tempo depositare ancora un 
poco di cloroplatinato di ammonio. 


II. Gr. 0.3699 di sostanza secca sul cloruro di calcio poi a 
110°, sciolti in poco acido cloridrico a 1.06 e dopo mez- 
zora trattati con cloruro platinico, dànno un precipitato 
giallo di cloroplatinato di ammonio; aggiungo al liquido 
4—5 vol. di alcol assoluto e un poco di etere, lascio a sè 
per 16 ore poi raccolgo il cloroplatinato che lavo con mi- 
scela alcolico-eterea. Il cloroplatinato pesava 0.5844 cor- 
rispondente a 0.0450 di NH?, 


Da cui: 
trovato 


I II 
NH? % 11.84 12.16 


SULLO AMINOETILIDENSUCCINIMIDE FE SULL'ACETILSUCCINIMIDE 981 


Per l’eliminazione di una sola molecola di ammoniaca dal 
composto: 


gu: Gio, 
al AH 
NH? CH?. CO 


si calcola: 


di laid an ra 
Probabilmente si è formata l’acetilsuccinimide; 


CH°. CO. CH. CO 


NH 

CH?, CO 

È noto che anche gli aminoeteri derivanti dagli eteri che- 
tonici si decompongono in modo simile coll’acido cloridrico. 

Ho trattato la a aminoetilidensuccinimide con la quantità 
teorica di acido cloridrico diluito, per trasformare una molecola 
di ammoniaca in cloruro di ammonio; evaporai la soluzione nel 
vuoto sopra calce viva ed il residuo bianco cristallino fu ripe- 
tutamente estratto con etere. Rimase insolubile nell’etere il 
cloruro di ammonio, in quantità teorica. La soluzione eterea 
filtrata, lasciata evaporare spontaneamente, fornì una sostanza 
in bei cristalli incolori, trasparenti, solubili nell'acqua e la cui 
soluzione si colora sudito in violetto intenso col cloruro ferrico; 
la soluzione acquosa ha reazione acida, non precipita col nitrato 
d’argento, ma bensì dopo reso alcalino il liquido con poca am- 
moniaca. A caldo riduce il nitrato d’argento ammoniacale. 

Il composto così ottenuto fonde a 84°—87°, e diede all’ana- 
lisi i risultati seguenti: 


I. Gr. 0.1478 di sostanza secca nel vuoto fornirono 14,3 cmî 
di N a 27° e 744 mm. Vol. corr. = 12.2. 


II. Gr. 0,1177 di sostanza secca nel vuoto fornirono 0.2208 di 
CO? e 0.0542 di H°O. 


982 ICILIO GUARESCHI 


Da cui la composizione centesimale: 


I 
| 
(OL 
— 
uh 
DI 


| 


C 
H 
N 10.32 _ 


Numeri che concordano sufficientemente colla formola del- 
l’acetilsuccinimide C°H'NO?, per la quale si calcola: 


Cc — 51.06 
aa = 4.92 
INC E= 9.93 


I limiti un po’ larghi nel punto di fusione, mi lasciano il 
dubbio che il composto ottenuto non fosse assolutamente puro, 
non avendo potuto, stante la piccola quantità, farlo ricristal- 
lizzare. 

L’acetilsuccinimide si sarebbe formata nel modo seguente: 


CH°.C=C— C0\ CH°.CO.CH.C0x\ 

LT ANH+E°0= | ABTNE. 
NH° CH°. CO CH°.CO 

Derivato etilico. Il composto argentico dell'a aminoetiliden- 
succinimide in presenza di etere e di joduro di etile reagisce 
assai lentamente anche scaldando a b. m. in apparecchio a ri- 
cadere. Dopo alcuni giorni, a temperatura ordinaria ed ag- 
giunto dell’alcol, il precipitato che prima era bianco si fa giallo, 
Evaporato l’etere e l’alcol per scacciare anche l'eccesso di joduro 
di etile si ha un residuo da cui non mi fu possibile avere un 
prodotto analizzabile. 


a Acetilaminoetilidensuccinimide. Scaldando l’a aminoetiliden- 
succinimide con circa 10 volte il suo peso di anidride acetica, 
si scioglie dopo alcuni minuti di ebollizione; dopo raffredda- 
mento la massa cristallizza. Riprendendo il tutto con acqua, 
rimane un poco di derivato acetilico, bruno, impuro. Il liquido 


SULL’ 0 AMINOETILIDENSUCCINIMIDE E SULL’ACETILSUCCINIMIDE 983 


acquoso-acetico filtrato lasciato a sè deposita dei bei cristalli 
incolori che ricristallizzati dall'acqua si hanno purissimi. All’a- 
nalisi diedero il risultato seguente: 


Gr. 0.1221 di composto secco fornirono 17.3 cm? di N a 20° e 


743 mm.; volume corr. = 15.3 cm'. 
Da cui: 
calcolato per 
CHIC === CO 
trovato | | NH 
NHC?H?0 CH?.C0 
N:% 15.66 15.98 


Questo derivato acetilico è pochissimo solubile nell’ acqua 
fredda, ma si scioglie bene nell’acqua bollente da cui si ha in 
lunghissimi aghi brillanti, pesanti; fonde a 233°—234°, im- 
brunendo. 

La sua soluzione acquosa non si colora col cloruro ferrico 
o solo lievemente e dopo lunghissimo tempo. La soluzione 
acquosa calda di questo composto trattata con alcune goccie di 
ammoniaca e poi con nitrato d’argento dà un precipitato bianco 
di un sale d’argento che fatto bollire con acqua imbrunisce; non 
l’ho potuto ottenere puro perchè è sempre mescolato con qualche 
cristallo dell’acetilderivato inalterato. In una analisi trovai più 
dell’1 °/, in meno di Ag. della quantità calcolata per la formola: 


CH C=== €. CO 


| | 7NA 8. 
NHC°H*0 CH?, C07 


Queste esperienze mi pare non lascino alcun dubbio che il 
composto ch'io ottengo per l’azione dell’ ammoniaca sull’etere 
monoacetosuccinico sia veramente l’a aminoetilidensuccinimide. 
La sua formazione si spiega ammettendo che per l’azione del- 
l’ammoniaca acquosa sull’ etere monoacetosuccinico si produca 
prima l’a aminoetilidensuccinimide, dalla quale poi per elimi- 
nazione di ammoniaca trarrebbe origine il mio composto imidico : 


CH. CONH° CES eE=03 COL 
ei = NH°+ MIRO AT 
NH? CH°. CONH° NH? CH°. CO 


984 MICHELE FILETI — GIACOMO PONZIO © 


Secondo Weltner (1) per l’azione dell’ ammoniaca alcolica, 
in tubi chiusi, sull’etere fenilacetosuccinico si formerebbe diret- 
tamente il lattam: 


CH ==0- CONE 
| | 
NH .. GOGH ; PH? 


Se nelle esperienze di W. O. Emery è molto probabile si 
sia formato il lattam indicato, non è niente affatto provato che 
ciò sia pel composto di Weltner; a me anzi sembra molto più 
probabile, benchè le condizioni dell'esperienza siano diverse, che 
il corpo ottenuto da Weltner sia analogo al mio, cioè debba 
considerarsi come a aminoetilidenfenilsuccinimide: 


Coi 
| AH 
NH° CH.Co 


cme 


Beilstein nel suo Hand. d. org. Chem. Ed. 3*, II, pag. 1965, 
descrive il composto C'*H'°N°0°, ma non ne dà la. formola di 
costituzione, come invece dà quella del lattam di Emery. 

Non avendo però esperienze mie proprie su questo argo- 
mento non voglio ora entrare in maggiori particolari. 


Sulla trasformazione dei chetoni in a-dichetoni; 


Nota del Socio M. FILETI e G. PONZIO. 


Continuando le ricerche sulla trasformazione dei chetoni in 
a-dichetoni, abbiamo fatto agire l’acido nitrico sopra il dietil-, 
dipropil-, etilpropil-, etilisopropil-, etilisobutilchetone e sul pal- 
mitone. 


(1) “ Berichte ,, t. XVIII, pag. 793. 


IT n n —__r ài 


O i REIT, TETTE 


SULLA TRASFORMAZIONE DEI CHETONI IN Q-DICHETONI - 985 


Le nostre precedenti esperienze riguardavano chetoni della 
formola generale CH; . CO .CH;.R, contenenti cioè un radicale 
metile unito col carbonile; da tali esperienze abbiamo concluso 
che si ossida il gruppo metilene legato al carbonile e non il 
metile, che si forma quindi un a- dichetone e mai una cheto- 
aldeide, e che infine si produce il dinitroderivato del radicale 
alcoolico più ricco in carbonio. 

Se però col gruppo CO si trovano legati due gruppi me- 
tilenici, se si hanno cioè, come nel caso del quale ora ci occu- 
piamo, chetoni della formola R . CH, . CO. CH, . R', allora alcune 
volte si forma il miscuglio dei due dichetoni R.CO.CO.CH,.R' 
e R.CH,.CO.CO.R' e dei dinitroderivati corrispondenti ai 
due radicali alcoolici R.CH, e R'. CH,, ma in altri casi non 
abbiamo ottenuto che un dichetone ed un dinitroidrocarburo. 

Il dietilechetone CH; . CH, . CO. CH; . CH; dà l’acetilpropio- 
nile CH;. CO. CO. CH;. CH; e il dinitroetano, nè si può preve- 
dere la formazione di altro a-dichetone o di un diverso dini- 
troidrocarburo. Egualmente dal dipropilchetone CH... CO . C,H, 
si ottengono gli unici prodotti prevedibili, cioè propionilbutirile 
CH, . CH, . CO. CO. CH, . CH; . CH; e dinitropropano. Il palmi- 
tone non dà nè dichetoni nè dinitroidrocarburi. 

Dall’etilpropilchetone CH; . CH.. CO . CH, . CH, . CH, si for- 
mano i due dichetoni CH, . CO .CO . CH; . CH; .CH, e CH;.CH,. 
CO. CO .CH,. CH;, il dinitroetano e il dinitropropano. 


Dall’etilisopropilchetone CH;.CH; .CO.CH( GI» che con- 
3 


tiene un solo gruppo metilene, non si può prevedere che la for- 


mazione di un solo e- dichetone CH; . CO. CO. cu Ha , ep 
\CHz 


pure noi abbiamo ottenuto, assieme a dinitroetano, un miscuglio 
di due a- dichetoni isomeri (allo stato di diossima) senza che 
ci sia stato sin’ ora possibile di trovare una spiegazione di 
questo fatto. 


Finalmente l’etilisobutilechetone CH,.CH,.CO.CH,;. cu? CHs 


\CHy 
diede dinitroetano ed un a-dichetone la cui diossima si fonde 
a 171°—72° come quella dell’ acetilisovalerile CH;.CO.CO. 


/CH 
CH;. CH CE, 5 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 67 


986 M. FILETI E G. PONZIO — SULLA TRASFORMAZIONE DEI CHETONI ECC. 


Dai prodotti dell’azione dell'acido nitrico sull’etilisopropil- 
chetone abbiamo potuto inoltre separare una sostanza di odore 
canforato, fondente a 58° essa ha la formola GsHwoNs0; e per 
idratazione si decompone facilmente in dinitroetano ed acido 
isobutirrico. 

Egualmente dall’etilisobutilchetone si ottiene una sostanza 
fusibile a 64°—65° della formola CH, N; 0; che cogli alcali si 
decompone analogamente alla prima. 

Nella letteratura chimica non abbiamo trovato nessun corpo 
che abbia il comportamento di questi ora accennati. Probabil- 
mente uno dei cinque atomi di ossigeno in essi contenuti sarà 
allo stato di carbonile CO, ed inoltre la facilità colla quale da 
queste sostanze si ottengono quelle dette, forse impropriamente, 
dinitroidrocarburi e la cui costituzione non è ancora nota, fa 
pensare che nelle due serie di composti i due atomi di azoto 
e quattro di ossigeno si trovino legati nello stesso modo; anzi, 
considerata appunto la netta decomposizione per idratazione in 
acidi grassi e dinitroidrocarburi, non crediamo improbabile di 
aver per le mani acilderivati di questi ultimi, e siamo ora 
occupati colla preparazione sintetica di tali composti. 

D'altra parte il D" Ponzio ha cominciato lo studio del- 
l’azione dell’ ipoazotide sugli isonitrosochetoni ed ha ottenuto 
corpi della stessa natura di quelli sopra accennati, ai quali con 
molta probabilità spetteranno formole di struttura come: 


R' R' 
| | 
7N0 na 
CCO. NO, i CENSO UNO; 
| ovvero | 
co CO 
| | 
R R 


ma naturalmente noi non siamo per ora in grado di pronun- 
ciarci in favore di una di esse o di altre possibili. 


EDOARDO MARTEL — NUOVA INTERPRETAZIONE, ECC. 987 


Di una nuova interpretazione 
dell’architettonica florale delle Crocifere e generi affini; 
Nota del Dott. EDOARDO MARTEL. 


Quantunque studì numerosi e serissimi sieno, dai più va- 
lenti botanici, stati fatti allo scopo d’indagare le cause che 
rendono irregolare la simmetria florale nelle Crocifere e generi 
affini, pure la discussione intorno a queste cause è, ancora adesso, 
lontana di essere chiusa per la ragione che le varie teorie si- 
nora escogitate non possono reggersi se non puntellate da ipo- 
tesi più o meno giustificate. 

Le lacune che rimangono da colmarsi mi spinsero ad oc- 
cuparmi di quella spinosa questione, persuaso che anche i più 
umili cultori della scienza possono, coi loro sforzi, contribuire 
efficacemente alla ricerca del vero. 

L'intenzione mia nel presentare all'Accademia queste poche 
linee è quella, semplicemente, di consegnare i risultati finali 
sinora ottenuti. 

A tempo opportuno presenterò la memoria particolareggiata 
delle mie osservazioni. 

Rammento che pel massimo numero dei botanici il fiore 
delle Crocifere comprende 6 Verticilli con foglie così disposte: 


1° verticillo 2 sepali ant. p. 


2° ' 2 » trasversi. 
3° 4 4 petali diagonali. 
40 x 2 stami trasversi. 
Bo È 4, diagonali. 
6° ne 2 carpelli. 


I due carpelli sarebbero finalmente fra loro legati da un 
replo ant. posto ai lati dei quali sono inseriti gli ovoli. 

La irregolarità, com'è facile vederlo, consiste nell’assenza 
di un verticillo di due stami a. p. da alternare cogli stami 
trasversi. 

Il tema da svolgersi consta non solo nello stabilire un 
diagramma razionale per le Crocifere, ma siccome questa fa- 


988 EDOARDO MARTEL 


miglia è strettamente legata a quella delle Cleomacee e delle 
Fumariacee da molti caratteri affini, occorre ancora cercare le 
cause delle differenze che separano un gruppo dall’altro. 

La questione essendo posta in questi termini, è chiaro che 
gli altri quesiti, quali il significato morfologico da darsi al replo 
ed alla tetradimia per quello che si riferisce alle Crocifere, il 
significato da darsi alle falange tristaminali per quello che sì 
riferisce alle Fumariacee, vanno inclusi nella prima. 

Nel corso delle mie osservazioni passai in rassegna un gran 
numero di generi per le Crocifere, mi fermai specialmente sulla 
Cleome spinosa per le Cleomacee e per quanto riguarda le Fuma- 
riacee, esaminai pure varì generi ma in special modo, la Dicentra. 
spectabilis e l’Hypecoum procumbens. 

Vengo senz'altro alla esposizione dei risultati ottenuti: 


Crocifere. 


1° L’innervazione generale del fiore ha origine da 4 
tronchi vascolari di cui due posti nel piano di simmetria a. p. 
e due in quello trasverso. 

Dai primi ha origine la sola costola principale dei sepali 
a. p. e indi i tronchi s'incurvano ambedue verso il centro per 
rialzarsi dopo breve tratto e proseguire fra le due valve della 
siliqua sino nello stigma. Giunti a questo punto si biforcano e 
si ramificano. È al dissopra di questi tronchi e nel tratto di essi, 
compreso fra il punto in cui danno origine al sepalo a. p. e quello 
in cui si rialzano per disporsi fra le due valve, che spicca ge- 
neralmente quella ghiandola alla quale varì autori diedero il 
significato di organo abortito. 

Dai 2 tronchi vascolari trasversi ha origine l’ armatura 
degli altri organi florali e cioè per ciascuno dei due tronchi: 


1 sepalo trasverso 
petali 

stame corto 
stami lunghi 
carpello. 


ai ME N 


Questi organi formano in conseguenza due sistemi opposti 
di cinque verticilli ognuno, fra loro separati dai sepali a. p. e dai 
tronchi vascolari corrispondenti. 


NUOVA INTERPRETAZIONE DELL'ARCHITETTONICA FLORALE, ECC. 989 


2° Dal fatto verificato in tutti i generi da me esami- 
nati, che cioè l'armatura vascolare dei sepali trasversi si porta 
all'infuori assai prima di quella dei sepali a. p., concludo, con- 
:trariamente all'opinione generale, che i sepali trasversi appar- 
tengono ad un verticillo inferiore, a quello di cui fanno parte 
i sepali a. p. 

3° Il fiore è collocato alla estremità di un ramo nudo 
raccorciato, ma però distintissimo in alcuni casi (Sysimbrium 
alliaria). Ramo siffatto occupa spessissimo il posto d’un ramo 
ordinario, all’ascella di una foglia regolarmente sviluppata. 

4° Gli stami lunghi, nella loro parte libera possono fra 
loro venire a contatto in seguito ad una incurvatura dei fasci 
che le innervano, ma questi nel ricettacolo rimangono netta- 
mente separati l’un dall'altro dal tronco vascolare a. p. 

5° Le valve sono indipendenti dal replo e ciò facilmente 
può mettersi in rilievo per mezzo di sezioni trasversali e lon- 
gitudinali. Ciò è spiccatissimo in varî generi, specialmente nel- 
l’ Hesperis triste e nel Nasturtium off. 

6° Il replo risulta dall’ unione nel piano di simmetria 
trasverso di due parti distinte. Ciascuna di queste è regolar- 
mente innervata e l’orientazione che assumono i fasci nello 
spostarsi, dalla base dell’ ovario all’insù, onde prendere posi- 
zione definitiva è quella che si verifica in una gemma in via di 
formazione. Da notarsi inoltre che i fasci che concorrono a 
questa innervazione sono propriamente quelli del tronco a. p. 

7° Il cosidetto becco che si osserva in un gran numero 
di Crocifere (Brassica, Sinapis, Eruca Vella, ecc.), si deve al 
differenziarsi delle gemme a. p. che formano il replo al dissopra 
delle valve. 

8° La differenza in lunghezza che si nota generalmente 
fra gli stami laterali e quelli diagonali (tetradinamia) è di poca 
entità, morfologicamente parlando, e si deve alla presenza di un 
apparato ghiandolare sviluppatissimo in questa famiglia. 

9° In tutti i rami ordinari la 1° foglia alterna sempre 
colla foglia ascellante e ciò induce ancora a credere che la 1 
foglia del ramo florale, di posizione analoga a quella del ramo 
ordinario, debba presentare disposizione di foglie analoghe. Sic- 
come i sepali a. p. sono sovraposti alla foglia ascellante mentre 
i sepali trasversi alternano con essa, si deve ammettere che la 


990 EDOARDO MARTEL 


prima foglia del ramo fiorale, ossia di tutte la più inferiore, 
sia rappresentata da un sepalo trasverso. 

Dalle osservazioni che precedono e da altre che non è il 
caso di presentare in una semplice nota preventiva, del genere 
di questa, nonchè dalle analogie indiscutibili che legano i rami 
ordinari ai florali, credo di dovere concludere che ogni fiore ha. 
nelle Crocifere il significato di ramo ascellare e ch’esso è mu- 
nito di 4 foglie (sepali) apparentemente disposte su due verti- 
cilli ma teoricamente alterne. Di queste 4 foglie, le due inferiori 
o trasverse (alterne colla foglia ascellante) portano alla loro 
ascella un ramo le cui foglie sono rappresentate dai varì or- 
gani florali (petali, stami, carpelli), mentre le due superiori 
(sovrapposte alla foglia ascellante) portano una gemma che si 
differenzia nei suoi elementi (2 foglie) solo dopo di avere rag- 
giunto il livello superiore delle valve e cioè nel becco o nello 
stigma. Come già ebbi a dirlo, le due gemme non ancora dif- 
ferenziate e fra loro a contatto, in tutta la lunghezza dell’ovario, 
formano il replo. 

La teoria del fiore delle Crocifere si troverebbe pel fatto 
di queste osservazioni alquanto diversa da quella professata sin 
qui. L'architettura del fiore quale l’ho concepita per le Crocifere 
differisce singolarmente da quella professata comunemente , 
dapoichè, secondo me, a costituire quel fiore contribuirebbero . 
assi di varî ordini, e non più un solo. 


Cleoma spinosa. 


Benchè il fiore di questa pianta per l'allargamento straor- 
dinario del ricettacolo e per la presenza del ginoforo, nei suoi 
caratteri superficiali, si allontani da quello delle Crocifere, pure 
i legami di struttura fra l’uno e l’altro rimangono strettissimi. 

Il piano generale del fiore infatti è esattamente quello 
delle Crocifere e aggiungerò anzi che l’ interpretazione che 
poc'anzi diedi del replo per le Crocifere, si trova convalidata 
dalle osservazioni fatte sulla Cleoma. Le due gemme a. p. es- 
sendo in questo genere relativamente enormi, è assai più fa- 
cile studiarne la struttura anatomica. Le due parti del replo, 
nelle Crocifere rimanendo a contatto in tutta la lunghezza del- 
l’ovario, contribuirono a indurre in errore gli autori che riten- 


NUOVA INTERPRETAZIONE DELL'ARCHITETTONICA FLORALE, ECC. 991 


nero il replo di un pezzo solo, mentre nelle Cleome le due parti 
rimangono a contatto per solo un piccolo tratto e indi si se- 
parano nettamente. La maggior mole che le due gemme a. p. 
acquistano nella Cleome fa sì che maggiore debba essere lo 
spazio interposto ai due sistemi trasversi, epperciò maggiore lo 
spazio che separa le paia di stami lunghi sul piano di sim- 
metria a. p. A quest’allontanamento degli stami lunghi l’un dal- 
l’altro si deve la conformazione esagonale che nella sezione 
assume il tubo staminifero che avvolge il ginoforo. 

Osservo inoltre che se nel maggior numero delle Crocifere 
le valve concorrono all’ armatura vascolare dello stigma per 
mezzo del prolungamento della costola media delle valve; nel 
Cleome, lo stigma è innervato solo dalle biforcazioni vascolari 
delle due gemme a. p. 


Dicentra spectabilis. 


I due tronchi vascolari trasversi assumono tale direzione 
obliqua dall’alto in basso e dall’infuori all’indentro da stringere 
fortemente fra loro la gemma a. p., la quale perciò non acquista 
più lo sviluppo ch’essa raggiunge nelle Crocifere e nella Cleome. 
I due petali situati da una stessa parte del piano di simmetria 
trasverso in seguito a quella semiattrofizzazione delle gemme 
a. p. si avvicinano al punto da saldarsi fra loro nella parte li- 
bera. Ciò fa sì che i 4 petali delle Crocifere, nella Dicentra e 
nella Fumaria si riducono apparentemente a due, di posizione 
a. p. Questi due petali poi nella loro parte superiore, cioè al 
dissopra dello stigma, fra loro si saldano così da formare una 
specie di volta che ripara sotto di sè, androceo e gineceo. Gli 
stami lunghi rimangono ancora fra loro separati come nei due 
gruppi precedenti, ma per causa dell’ostacolo che il loro allun- 
gamento nel senso verticale incontra nella vòlta che risulta 
dalla saldatura di due petali a. p., essi s'incurvano a destra ed 
a sinistra e vanno adagiarsi ai lati degli stami trasversi, coi 
quali contraggono aderenza parziale. Da questa disposizione 
traggono origine le due falange tristaminali delle Fumariacee. 

È poi probabile che l’intoppo che gli stami lunghi incon- 
trano nel loro sviluppo verticale, contribuisca non poco ad affie- 
volirne la robustezza. Ciò spiegherebbe la gracilità della loro 


992 EDOARDO MARTEL — NUOVA INTERPRETAZIONE, ECC. 


armatura vascolare nonchè la riduzione delle logge anteriche. 
Alla stessa causa bisogna poi attribuire lo sviluppo straordi- 
nario che il fiore acquista nel senso trasversale e la forma a 
cuore che va graduatamente assumendo. 


Hypecoum procumbens. 


Questo genere ci offre una semplice esagerazione di quanto 
abbiamo osservato nel genere precedente. 

I due tronchi vascolari trasversi si fanno così obliqui da 
trasmettere al ricettacolo fiorale la forma conica. Le due gemme 
a. p. abortiscono completamente, epperciò i due sistemi trasversi 
di organi florali vengono fra loro a contatto. Per causa di questo 
ravvicinamento dei due sistemi, non solo fra loro si saldano a 
paia i petali come ciò già si verificò nella Dicentra, ma bensì 
ancora gli stami lunghi, cosicchè se i petali si riducono da 4 
a 2, gli stami si riducono da 6 a 4; il replo manca comple- 
tamente e le due valve della siliqua nella parte superiore si 
separano completamente. Il piano del fiore in seguito alle salda- 
ture di cui è parola sopra, si trova nel fatto modificato sensibil- 
mente ed assume una regolarità apparente assai superiore a 
quella che aveva nei gruppi precedenti. Si deve osservare però 
che la saldatura fra gli stami è lontana di essere così generale 
come quella che si verifica fra i petali e non mancano casi in 
cui gli stami lunghi conservano la loro indipendenza come mi fu 
dato di constatarlo per un certo numero di esemplari che il 
professore Gibelli si compiacque di porre a mia disposizione. 

Riassumerò dicendo che il fiore delle Crocifere, delle Cleo- 
macee e delle Fumariacee appartiene secondo me ad un tipo unico 
che risulta da un ramo munito di 4 gemme ascellari. Di queste, 
due si differenziano completamente nelle loro foglie, mentre le 
due altre si differenziano incompletamente come nelle Crocifere 
e nelle Cleomacee, o si atrofizzano come nelle Fumariacee o 
ancora abortiscono completamente come nell’ Hypecoum. 

Al vario sviluppo che le gemme a. p. acquistano, vanno, 
credo, attribuite le differenze essenziali che si osservano fra i 
generi esaminati. 


LUIGI COLOMBA — OSSERVAZIONI MINERALOGICHE, ECC. 995 


Osservazioni mineralogiche su alcune sabbie 


della collina di Torino; 


Nota del Dottor LUIGI COLOMBA 


(Assistente presso il Museo di Mineralogia dell’Università di Torino). 


Un ordine di studì che, per quanto sia finora completamente 
o quasi lasciato in disparte dai geologi, tuttavia, a parer mio, 
presenta una grande importanza per la geologia stratigrafica è 
quello che riguarda i caratteri litologici, mineralogici e strut- 
turali dei depositi sedimentarî, in quanto che può sempre, in 
modo più o meno completo, concorrere a fornirci delle indica- 
zioni sulla origine e sulla provenienza dei varì depositi. 

Credo quindi non prive d’interesse le osservazioni da me 
fatte su alcune sabbie caratteristiche per la loro composizione 
mineralogica e per la loro struttura; tanto più che, provenendo 
esse dalla Collina di Torino, appartengono ad un complesso di 
formazioni le cui origini sono tutt'ora molto discusse. 

Provengono queste sabbie da Marentino e le ebbi dalla 
cortesia del signor Lodovico Audenino, dottore in scienze na- 
turali. Per quanto riguarda la loro giacitura, la loro posizione 
ed i loro caratteri paleontologici, riferisco qui le sue parole: 
“I banchi sabbiosi che si hanno sulle colline di Marentino e 
“ che si possono osservare fino a Montaldo ad ovest e fino a 
“ Moncucco ad est, al contrario di quanto ordinariamente si 
“ nota nelle altre formazioni del Tortoniano in cui i fossili 
“ sono sempre irregolarmente disposti nella roccia, sono carat- 
terizzati da un aspetto zonato derivante dall’ alternarsi di 
“ strati fossiliferi e non fossiliferi. I primi, ricchissimi in fos- 
“ sili, hanno un’altezza variabile da 5 a 50 centimetri, con 
“ inclinazione di 20 o 25 gradi, e si differenziano molto bene 
dal resto della formazione che è invece dotata di una tinta 


“ 


“U 


994 LUIGI COLOMBA 


verdognola uniforme; fra queste sabbie sono intercalati alcuni 
strati di un’ arenaria poco compatta, di poco spessore, con 
lenti ghiaiose e ciottolose (porzione orientale). Talora in- 
vece le dette sabbie affiorano fra le consuete marne cineree. 
Presentano una facies litologica che molto si avvicina a 
quella Elveziana o di litorale o di deposizione tumultuosa, 
caratteristica appunto di quest’orizzonte, mentre il Tortoniano 
è essenzialmente costituito da marne che ci indicano un de- 
posito di mari più profondi. Al contrario i fossili (d’ordinario 
rappresentati da giovani individui di lamellibranchi o di ga- 
steropodi) ci dànno in complesso una fauna tortoniana per 
l'abbondanza delle Pleurotome, della Turritella vermicularis, del- 
l’Ervilia pusilla, della Mactra triangula, della Loeda minuta e 
specialmente poi per la presenza del Solen subfragilis, della 
Ringiculella auriculata e del Pectunculus nummarius ,. 

“ Si possono considerare, al pari delle analoghe formazioni 
di Varga Stazzano nel Tortonese, come rappresentanti un pe- 
riodo di transizione fra l’Elveziano superiore ed il Tortoniano 
inferiore ,. 


n 


II. 


Queste sabbie sono ricchissime in minerali e fra questi ve 
ne sono alcuni interessanti per i loro caratteri e perchè la loro 
presenza può servire, come cercherò di dimostrare, ad indicarne 
la provenienza. 

Per quanto riguarda la loro struttura sono queste sabbie 
costituite oltre che da una quantità non grande di granuli non 
completamente rotolati, da proporzioni variabili di grani poco 
o nulla arrotondati e di frammenti a spigoli vivi appartenenti 
a determinate specie minerali, essendo abbastanza comuni in 
questa porzione e specialmente nella parte più fine delle sabbie, 
i cristalli senza traccia di fluitazione; essi talvolta presentano 
delle faccie dotate ancora di una vera lucentezza speculare, 
spesso sono completi e terminati alle estremità; quando sono 
rotti non presentano vere traccie di corrosione ed al mas- 
simo si ha sugli spigoli una leggera smussatura che si mani- 
festa generalmente in una sola direzione. Altri minerali sono 
quasi sempre rotolati; altri infine lo sono talvolta e talvolta no. 


OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, ECC. 995 


Fra gli strati fossiliferi e quelli non fossiliferi si nota una 
sola differenza e si è che gli elementi a spigoli vivi ed i cri- 
stalli sono più abbondanti nei secondi che non nei primi. Gli 
interstrati di arenaria poi sono a cemento calcareo molto scarso, 
si rompono e si disaggregano con la massima facilità; per quanto 
riguarda la loro composizione mineralogica non differiscono per 
nulla dagli strati sabbiosi. 

I minerali contenuti sono i seguenti: quarzo, feldispato, 
talco, clorite, serpentino, pirosseno, muscovite, biotite, epidoto, gra- 
nato, glaucofane, anfibolo, tormalina, magnetite, pirite, cromite, 
spinello, zircone, rutilo, ottaedrite, baritina e menaccanite. 

Non tutti questi minerali hanno però, per quanto riguarda 
lo scopo del presente studio, uguale interesse poichè se alcuni 
(quarzo, feldispati, talco, clorite, serpentino, pirosseno, miche, 
epidoto, granato, magnetite) appartengono a specie assai comuni 
per modo che la loro presenza in una sabbia non può aver 
nulla di notevole, non così avviene per gli altri i quali sono 
relativamente più rari. 


III. 


Il quarzo si presenta in granuli trasparenti o bianchicci, 
generalmente a spigoli vivi o poco arrotondati, raramente in 
cristalli definiti. 

Il feldispato si presenta in grani fusibili, più o meno arro- 
tondati; sono solo degni di nota alcuni cristalli di albite in cui 
si mantiene ancora parzialmente la forma primitiva, poichè, pur 
essendo rotti secondo le direzioni di sfaldatura, per modo da 
presentare quasi solo più l’aspetto di frammenti a spigoli vivi, 
è ancora in essi visibile talvolta la geminazione secondo la 
legge dell’albite e talvolta la geminazione caratteristica dell’al- 
bite dei calcari albitiferi. 

Il talco, la clorite, il serpentino ed il pirosseno non presen- 
tano nessun carattere interessante; il primo è in piccole mas- 
serelle verdi o grigiastre, con colori di polarizzazione poco alti 
e con estinzione d’aggregato; la clorite è in rare laminette verdi 
con pleocroismo poco sensibile e che si comportano come unias- 
siche; il serpentino, in granuli gialli o verdognoli, è ricco in 
inclusioni di magnetite. Il pirosseno si presenta in granuli più 


996 LUIGI COLOMBA 


o meno rotolati, appena colorati in verde od in brunastro, con 
evidente sfaldatura; essi presentano vivi colori di polarizzazione 
ed un elevato angolo di estinzione. 

Fra le miche la muscovite è la più comune e si presenta 
in laminette incolori o verdognole, sfaldabilissime, biassiche e 
poco ricche in inclusioni di rutilo; la biotite è più rara, è in 
lamine verdi brune o giallo-brune e si comporta come uniassica. 

L'epidoto, da giallo a giallo verdiccio, può essere sia in 
cristalli, sia in grani più o meno rotolati; il suo colore è più o 
meno intenso a seconda dei casi; ha un pleocroismo debolis- 
simo ed i frammenti allungati presentano vivi colori di polariz- 
zazione ed estinzione retta. 

Il granato poco comune, sebbene non scarso, si presenta per 
lo più in cristalli rombododecaedrici che solo talvolta hanno gli 
spigoli smussati; anche in granuli più o meno rotolati. 

Il suo colore rosso chiaro ed anche un po’ tendente al gial- 
liccio mi fa credere che sia da considerarsi come grossularia. 

La glaucofane si presenta sempre in frammenti di cristalli 
generalmente a spigoli vivi ed eccezionalmente a contorni, meno 
che rotolati, appena smussati. 

A luce naturale è sempre azzurra; però questa colorazione 
può essere più o meno intensa indipendentemente dallo spessore 
dei frammenti; mentre in certi frammenti essa si presenta molto 
marcata, in altri invece assume una tinta pallidissima. 

Ciò mi fa supporre che nelle dette sabbie si trovi della 
glaucofane di due provenienze diverse, il che è anche appoggiato 
dal fatto che la glaucofane a tinta intensa è sempre in fram- 
menti più voluminosi ed in prismi quasi completi, mentre l’altra 
si presenta sempre in minute scheggie, come se la separazione 
della prima dalle roccie che la contenevano sia stata molto più 
facile che non per la seconda. 

Mantiene la glaucofane di queste sabbie il suo caratteri- 
stico pleocroismo ed esso è più o meno intenso a seconda del 
grado della colorazione primitiva; i colori che più comunemente 
si osservano sono l’azzurro ed il violetto; potei però anche ve- 
dere nettamente in alcuni casi dei frammenti disposti in modo 
da presentare i colori verde-giallo ed azzurro e più raramente 
delle sezioni grossolanamente rombiche dicroiche sui toni del 
verde giallo e del violetto e dotate della caratteristica strut- 
tura reticolata proveniente dalle sfaldature secondo le faccie 110. 


OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, ECC. 997 


In quella a colorazione intensa che, come dissi si presenta 
in frammenti di cristalli più voluminosi e più definiti, notai le 
faccie del prisma 110, le quali sono sempre striate parallela- 
mente all’allungamento; più raramente quelle del pinakoide 010. 

Ho pure trovato, sebbene molto di rado, fra i grani delle 
sabbie, dei prismetti verdi, spezzati, aventi una forma determi- 
nata analoga a quella della glaucofane e costituiti da un finis- 
simo intreccio di sostanza cloritosa; riferisco questi aghetti ad 
una alterazione della glaucofane analoga a quella notata nei 
calcari glaucofanitici della Beaume (1). 

La presenza, nelle dette sabbie, di questa glaucofane inal- 
terata potrà servire, come cercherò di dimostrare, ad indicare 
la provenienza delle sabbie in cui è contenuta, ma ha pure, se- 
condo me, un’altra importanza assai grande. 

Nel mio già citato lavoro sulla glaucofane della Beaume, 
ho notato a proposito di un lavoro di Bundjiro Koto (2) in cui 
descriveva una glaucofane secondaria di una instabilità vera- 
mente eccezionale, come la sua ipotesi di considerare detta 
glaucofane come uno stadio effimero di equilibrio instabile in 
un processo di alterazione, difficilmente potesse applicarsi al 
solo caso speciale da lui considerato, ma piuttosto venisse ad 
infirmare completamente la stabilità chimica e mineralogica 
della glaucofane in generale. 

E ciò perchè come dissi allora, se si eccettuano alcuni mi- 
nerali che sebbene indicati dagli autori che li studiarono col 
nome di glaucofane, non hanno chimicamente nulla di comune 
con essa (3), in generale la sua composizione mineralogica è 
relativamente poco variabile (4) per modo che non è possibile, 
a parer mio, dare ad una glaucofane dei caratteri chimici straor- 
dinariamente differenti da quelli di un’ altra. 


(1) L. Coroma, Sulla glaucofane della Beaume; * Atti Acc. delle Scienze 
di Torino ,, vol. XXIX, Seduta 11 marzo 1894. 

(2) B. Korò, A note on Glaucophane; “ Journ. of the Coll. of Scien. Imp. 
Univ. Japan ,, vol. 1°, parte 1° (1886), pag. 85. 

(3) Tali sono i minerali studiati da Barrois ed Offret, da Liversidge e da 
Foullon, le cui analisi ho citato nel mio lavoro sulla glaucofane della Beaume. 

(4) Ciò risulta dalle analisi di glaucofane riportate dal Dana (The System 
of Mineralogy, 1892, pag. 399) e dal Lacrorx (Minéralogie de la France et 
de ses colonies; Tome 1", 2° partie, 1895, pag. 699). 


998 LUIGI COLOMBA 


Avevo pure allora indicato alcune prove dirette ad appog- 
giare la stabilità di detta specie mineralogica e ad esse dovevo 
pure aggiungere la presenza di glaucofane inalterata negli schisti, 
con le linee di schistosità che attraversano i cristalli, il che 
mentre per un lato indica che la schistosità deve considerarsi 
come un fenomeno posteriore alla formazione del minerale, indica 
pure che le azioni a cui i detti schisti debbono la loro struttura, 
non ebbero nessuna azione decomponente sulla glaucofane. 

Ma fra tutte le prove possibili questa dell’esistenza di glau- 
cofane inalterata in una sabbia miocenica, contenente fossili di 
mare profondo, è tale che dinota in essa una stabilità assai 
grande per modo che riesce difficile il supporre che ve ne sia 
di quella che possa alterarsi completamente in poche settimane 
come il detto autore asserisce. 

Escludendo però che la glaucofane sia da considerarsi come 
un minerale poco stabile, non voglio però escludere che in de- 
terminate condizioni possa alterarsi; io stesso ho allora segna- 
lato varì casi di alterazione ed anche in queste sabbie ho no- 
tato dei prodotti di alterazione proveniente da essa; credo solo 
sì possa ammettere che la sua stabilità non è inferiore a quella 
delle altre specie del gruppo dell’anfibolo. 

L'anfibolo, abbondantissimo, si presenta sotto vario aspetto. 
Di tremolite è specialmente ricca la parte minuta della sabbia; 
si presenta sempre sotto forma di cristalli allungati, incolori ed 
intatti, con le faccie lucentissime; in essi si notano le faccie 
del prisma 110 e quelle del pinakoide 010 per modo che assu- 
mono l'apparenza di prismi esagonali; quando i cristalli sono 
un po’ voluminosi, appaiono rotti e spezzati e le faccie del prisma 
presentano delle striature parallele all’allungamento, cosa co- 
mune nell’anfibolo. Raramente i contorni sono smussati e raris- 
simi sono i frammenti aventi gli spigoli un poco arrotondati, 
sebbene anche in questo caso si manifesti ancora la forma pri- 
mitiva dei cristalli. 

L'estinzione misurata sulle faccie 010 dà un angolo di 15°, 
corrispondente precisamente a quello della tremolite. 

Oltre a questo anfibolo incoloro sonvi pure degli altri cri- 
stalli, abbondanti pure nella sabbia minuta, che sono certo di 
anfibolo, ma che differiscono dalla sopradescritta tremolite per 
il colore un po’ verdognolo; credo debbansi considerare come 


OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU AI.CUNE SABBIE, ECC. 999 


tremolite ferrifera poichè il loro angolo di estinzione sulle faccie 
010 supera di poco i 15° e raramente giunge a 17° o 18°; pre- 
sentano un pleocroismo poco sensibile sui toni del verde e del 
verde gialliccio. 

Meno comune è una terza varietà di anfibolo che differisce 
dalle altre due per il colore e per l'angolo di estinzione. 

È essa colorata in verde erba od in verde smeraldo e la 
colorazione può alle volte assumere una notevole intensità ed 
anche avere delle sfumature azzurre avendosi in tale caso una 
tinta fra il verde ed il bleu; il suo pleocroismo poco marcato 
varia sui toni del verde più o meno intenso e raramente giunge 
ad un colore verde bruno. L'angolo di estinzione varia da 18° 
a 22° a seconda della intensità della colorazione. 

Credo sia da considerarsi come actinolite e si presenta in 
frammenti di cristalli un po' voluminosi, striati, ma raramente 
arrotondati. 

La tormalina, abbondante assai e facilmente separabile dalle 
sabbie con altri minerali, per l’azione dell’acido fluoridrico, si 
presenta sempre in cristalli od in frammenti di cristalli; quando 
essi sono intatti non mancano le faccie terminali e si rende 
manifesto il suo caratteristico emimorfismo non solo nelle faccie 
dei romboedri ma anche in quelle dei prismi; quando sono rotti 
si presentano sotto forma di prismi e solo raramente sotto forma 
di scheggie dotate di frattura quasi concoidale. 

Questa tormalina si può trovare sotto varì aspetti. 

La più comune è una tormalina verdognola a luce natu- 
rale e dicroica sui toni del giallo bruno (o giallo rossiccio) e 
del bruno schietto con leggere sfumature verso il verde bruno 
ed il bruno azzurro. 

È sempre in cristalli le cui faccie conservano completa- 
mente la loro lucentezza. 

Un'altra tormalina, più rara, è in cristalli minutissimi, al- 
lungati, costituiti dal prisma esagono e da romboedri terminali; 
differisce da quella sopra descritta per il suo colore e per le 
sue tinte di dicroismo, poichè a luce naturale è quasi incolora, 
con leggere sfumature sul giallo ed il suo dicroismo va dall’in- 
coloro al giallo bruno, mantenendosi in questo caso la tinta di 
una intensità media. 


In parte analoga a questa è una terza varietà che si pre- 


1000 LUIGI COLOMBA 


senta in cristalli piuttosto grossi, con le faccie del prisma 
striate secondo l’asse di allungamento e che differisce perchè 
il suo dicroismo va dall’incoloro al verde bruno. 

Un ultimo modo di presentarsi della tormalina è in fram- 
menti, raramente aventi ancora la forma di cristalli, a frattura 
subconcoidale; quest’ultima tormalina è dicroica sui toni del bruno 
chiaro un po’ verdognolo e del bruno violetto intenso. È poco 
abbondante, e come dissi, raramente conserva la forma prisma- 
tica ed in tal caso le faccie sono sempre striate parallelamente 
all’asse d’allungamento. 

La magnetite si presenta in granuli per lo più a spigoli vivi, 
sebbene ve ne siano anche di quelli rotolati; inoltre sono pure 
comuni gli ottaedri completi e senza traccia alcuna di fluita- 
zione; spesso è inclusa nel serpentino. 

Trattata con acido cloridrico concentrato a caldo si scioglie 
incompletamente lasciando un residuo bianco quasi gelatinoso 
e che diviene pulverulento in seguito a disseccamento. Questo 
residuo volatilizza completamente quando viene trattato con 
acido fluoridrico; il che indica che è costituito da silice. Credo 
che la presenza di questa silice nella magnetite possa spiegarsi 
secondo quanto il Cossa disse per la magnetite del serpentino 
di Verrayes (1); cioè ammettendo che si tratti di olivina in- 
clusa nella magnetite. 

La pirite, rarissima, è in piccoli pentagonododecaedri su- 
perficialmente alterati in limonite. 

La cromite in granuli senza forma determinata, che col 
sal di fosforo dànno la perla caratteristica, si può separare me- 
diante la calamita, contemporaneamente alla magnetite; e si 
distingue facilmente da essa, poichè trattando il complesso dei 
grani separati con la calamita con acido cloridrico concentrato 
a caldo, rimane completamente inalterata. 

Lo spinello è assai comune e si trova in frammenti a spi- 
goli vivi leggermente colorati in rosa od in ottaedri piccolissimi, 
isotropi e quasi incolori; al pari della cromite e di altri mine- 
rali rimane inalterato trattando le sabbie con acido fluoridrico; 
così pure fondendo i suoi cristalli con carbonato sodico potas- 


(1) Cossa A., Ricerche chimiche e microscopiche su roccie e minerali 
d’Italia; Torino, 1881, pag. 114. 


OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, Ecc. 1001 


sico. È invece facilmente decomposto per fusione con bisolfato 
potassico. 

Lo zircone è pure comunissimo e si presenta in piccoli 
cristalli allungati, incolori od appena colorati in bruno; questi 
cristalli sono terminati alle estremità e raramente sono roto- 
lati; credo però, visto che lo zircone è molto raro nella sabbia 
prima del trattamento con acido fluoridrico, che esso sia per la 
. massima parte incluso in qualche altro minerale e che solo in 
seguito alla detta azione i cristalli vengano ad essere liberati. 

Questo zircone è ricchissimo in inclusioni; alle volte queste 
assumono la forma di cristalli negativi disposti sull’asse di al- 
lungamento del cristallo includente; alle volte sono globulari e 
presentano una colorazione bruno-rossa e sono dicroiche. 

Non mancano, sebbene rari, dei cristalli di zircone incolori 
i quali hanno nel loro interno una fascia colorata in giallo, pleo- 
croica, coincidente perfettamente col loro asse di allungamento. 

Il rutilo si presenta per lo più in cristalli bacillari, allun- 
gati, fibrosi, colorati in giallo od in giallo rossastro; sono ab- 
bondantissimi i geminati e per il complesso dei caratteri questo 
rutilo credo si possa riferire alla sagenite, ed anzi credo inte- 
ressante il segnalare come nel residuo del trattamento delle 
sabbie con acido fluoridrico, abbia trovato alcuni finissimi ag- 
gregati di cristallini fibrosi di rutilo poligeminati, perfettamente 
paragonabili per l’aspetto agli aggregati di sagenite della Sa- 
voia e che io pure ho trovato ad Oulx nell’alta valle della 
Dora Riparia. 

In generale questi cristallini mancano di traccie di fluita- 
zione ed al massimo presentano talvolta una forma affusolata 
e delle striature parallele all’allungamento. 

Riferisco anche al rutilo dei cristalli e dei frammenti rosso- 
scuri, un po’ gialli, che presentano pure tutti i caratteri distin- 
tivi di tale minerale. 

Nè credo che tutto l’ossido di titanio si presenti nelle dette 
sabbie sotto forma di rutilo, poichè ho notato talvolta, sebbene 
raramente, dei piccoli frammenti a spigoli vivi, gialli, un po’ 
grigiastri, tabulari, mancanti completamente dell’aspetto affu- 
solato del rutilo e che tuttavia sono costituiti da ossido di ti- 
tanio, poichè sono infusibili, inattaccabili dall’acido fluoridrico 
e col sal di fosforo dànno la perla caratteristica. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 68 


1002 LUIGI COLOMBA 


Credo che si possano i detti frammenti considerare come 
ottaedrite, sebbene il loro colore non sia quello presentato dal 
detto minerale; e ciò perchè ho potuto in alcuni casi consta- 
tare la forma dei cristalli e le caratteristiche striature sulle 
faccie 111; in quanto al colore esso è identico a quello d’ una 
ottaedrite della Valle di Susa che sto attualmente studiando. 

Rara è la daritina, sotto forma di minuti frammenti striati, 
incolori, ad estinzione retta; essi si presentano nel residuo del 
trattamento delle sabbie con acido fluoridrico, sotto forma cor- 
rosa ed arrotondata e credo che tale modificazione alla loro 
forma (che prima di tale trattamento è a spigoli vivi) dipenda 
da una parziale loro soluzione nell’acido solforico concentrato 
usato per scomporre i fluoruri provenienti dal sopraindicato trat- 
tamento. 

Diffatti essi presentano delle superficie ondulate e come 
costituite da piccole cavità disposte in serie e parallelamente 
alle direzioni di estinzione; fenomeno perfettamente analogo a 
quello osservato facendo agire l’acido solforico concentrato su 
frammenti di baritina. Stante la rarità del detto minerale, nelle 
sabbie, ho dovuto limitarmi a determinare il bario mediante 
l’analisi spettrale, decomponendo il residuo, inattaccabile dal- 
l’acido fluoridrico, mediante fusione con carbonato sodico po- 
tassico. 

Alla baritina credo pure si possano riferire delle sottilis- 
sime laminette incolori o bianchiccie, ad estinzione retta, che 
si trovano nel detto residuo, e che presentano delle caratteri- 
stiche figure di erosione, aventi l’aspetto di esagoni a simmetria 
rombica e disposti in serie e cogli assi di simmetria paralleli 
alle direzioni di estinzione. Queste figure di erosione si avvici- 
nano diffatti molto a quelle prima notate nella baritina e solo 
ne differiscono perchè sono più marcate e regolari. 

La menaccanite è anche piuttosto rara e si presenta in mi- 
nuti granuli, senza forma determinata, ma a spigoli vivi, poco 
o nulla magnetici. Essi sono in parte solubili nell’acido clori- 
drico concentrato a caldo lasciando un residuo bianco che dà 
la perla del titanio. 


OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, ECC. 1003 


LV 


Sulla scorta delle precedenti osservazioni credo si possa 
indicare con grande probabilità la provenienza di un certo nu- 
mero di detti minerali e precisamente di quelli più caratteristici 
per la loro struttura e per il loro modo di presentarsi. 

E ciò perchè si tratta di un’associazione perfettamente ana- 
loga ad una che io ho osservato sulle Alpi, nell’alta valle della 
Dora Riparia; questa analogia non esiste solo per quanto ri- 
guarda la natura dei minerali che entrano a formare la detta 
associazione, ma anche per ciò che si riferisce ai loro caratteri 
esterni, il che è necessario perchè realmente si possa stabilire 
una corrispondenza fra due giacimenti; diffatti il solo fatto di 
trovare in una sabbia determinate specie minerali che pure si 
riscontrano, in posto, in qualche località, non è sufficiente per 
stabilire che i minerali delle sabbie provengono dal detto gia- 
cimento; è necessario anche di stabilire, mediante un accurato 
confronto, che i minerali delle due località presentino ugua- 
glianza per il complesso dei loro caratteri morfologici e strut- 
turali come sarebbero il colore, le dimensioni, l'aspetto, ecc. 

Ora questo è appunto il caso dei minerali componenti le 
sabbie che formano oggetto del presente studio; i minerali ca- 
ratteristici di cui intendo parlare specialmente, sone la glauco- 
fane, il rutilo, l’ottaedrite, la menaccanite, la baritina, la tor- 
malina ed in parte anche il feldispato; mi sarà facile anche in 
seguito di far vedere come altri minerali si prestino pure ad 
appoggiare le mie idee sulla provenienza dei materiali compo- 
nenti queste sabbie; ed in quanto a quelli di cui non mi occu- 
però sono in generale dei minerali non caratteristici e comuni 
a qualunque sabbia di qualsiasi provenienza. Tali sono il quarzo, 
il feldispato, le miche, la clorite, il talco, il serpentino, il pi- 
rosseno, ecc. 

Nel già citato mio lavoro sulla glaucofane della Beaume 
ho segnalato come caratteristici delle roccie glaucofanitiche di 
detta località, la glaucofane, la tormalina, la ematite e l’albite; 
di più secondo studîì che ho attualmente in corso e riguardanti 
dei minerali contenuti entro ad alcune litoclasi che tagliano la 


1004: LUIGI COLOMBA 


parete quarzitica della Beaume, ho constatato la presenza di 
altre specie interessanti fra cui l’albite, il rutilo (sagenite), l’ot- 
taedrite, l’ematite titanifera, la menaccanite, la baritina, la pi- 
rite, accompagnati da dolomite, siderite, calcite, rodocrosite e 
da alcune zeoliti. Ora è facile il vedere come tutti i minerali 
stabili del giacimento della Beaume abbiano i loro corrispon- - 
denti nelle sabbie di Marentino; e non solo ciò ma con carat- 
teri di somiglianza perfetta. 

Difatti nel mio lavoro è detto che la glaucofane dei cal- 
cari è intensamente colorata e pure intenso è il suo pleocroismo; 
e la stessa cosa avviene per la massima parte della glaucofane 
trovata nelle sabbie; ed in quanto a quella poco colorata si 
potrebbe anche paragonare a quella che alla Beaume è conte- 
nuta negli schisti. Ma non credo che sia necessario questo, 
poichè qualunque e per quanto speciale sia stata la causa che 
determinò il trasporto dei detti minerali dall’ alta valle della 
Dora Riparia alla collina di Torino, non dovette certo agire 
solo su una zona tanto ristretta quanto è la parete della Beaume ; 
certo fu tale da agire per lo meno su tutta l’alta valle in cui 
sono abbondanti le anfiboliti glaucofanitiche e le glaucofaniti 
in cui la glaucofane ha un colore poco intenso. 

Lo stesso dicasi per la tormalina della Beaume, che risulta 
affatto simile a quella più comune delle sabbie in questione; 
anch'essa, come dissi quando ebbi occasione di studiarla, è co- 
lorata in verdognolo, con sfumature azzurrognole ed è dicroica 
sui toni del giallo bruno o rosso bruno e del bruno schietto; 
ed anche per le dimensioni dei cristalli e per i varì altri ca- 
ratteri esterni, l'analogia, anzi l'uguaglianza è completa. 

Ad uguali conclusioni conduce il confronto per quanto ri- 
guarda il rutilo (sagenite), l’ottaedrite, la baritina e la menac- 
canite; i caratteri che questi minerali presentano alla Beaume 
(e di essi mi occuperò quando avrò finito gli studî che attual- 
mente ho incominciato) sono perfettamente simili a quelli dei 
minerali corrispondenti contenuti nelle sabbie. Il rutilo è colo- 
rato in giallo miele od in giallo rosso ed ha struttura fibrosa 
tanto in un caso che nell’altro ed i gruppi di cristalli di sage- 
nite comuni nel feldispato delle dette litoclasi sono perfettamente 
simili a quelli trovati nelle sabbie; l’ottaedrite della Beaume 
ha lo stesso colore giallo grigiastro che ha nelle sabbie ed i 


OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, ECC. 1005 


cristalli hanno pure lo stesso abito appiattito che così bene serve 
a distinguerla da quella del Delfinato; la menaccanite nera, a 
lucentezza metallica, pochissimo o punto magnetica, conserva 
inalterati tali caratteri nelle sabbie; la baritina in lamine striate 
è pure simile a quella delle sabbie. 

Per quanto riguarda l’albite così comune alla Beaume sia 
nei calcari sia nelle litoclasi e così raramente determinabile 
nelle sabbie, mi limiterò qui a ricordare i frammenti già segna- 
lati che ancora conservano traccie di geminazione; e se questi 
si trovano in piccolo numero, ciò dipende, credo, essenzialmente 
dalla facile sfaldatura del detto minerale. 

Tali fatti sono sufficienti a stabilire, secondo il mio modo 
di vedere, una intima corrispondenza fra i minerali delle due 
località; corrispondenza che solo si può spiegare ammettendo 
che i minerali delle sabbie provengano dal già indicato giaci- 
mento della Beaume. Nè la mancanza nelle sabbie degli altri 
minerali proprii del detto giacimento può contrastare a quanto 
ho detto poichè per lo più si tratta di minerali dotati di poca 
stabilità oppure facilmente asportabili; diffatti è difficile che in 
una sabbia marina si possano mantenere i carbonati, l’ ematite 
(che anche quando è titanifera, da quanto ho visto, ha pure 
tendenza a decomporsi dando della limonite), la pirite e le 
zeoliti. 

Posso però citare ancora fra i minerali dell’alta valle della 
Dora Riparia e quelli delle sabbie, altre corrispondenze, le quali 
servono pure a confermare quanto dissi ed indicano, fino ad un 
certo punto, che il fenomeno fu comune a tutta l'alta zona al- 
pina di detta valle. 

Piolti ha trovato al Monte Tabor ed alla Téte Pierre Muret 
dei calcari che fra gli altri minerali contengono della tormalina 
la quale si presenta in cristalli minutissimi, quasi incolori a 
luce naturale, e pleocroici dall’incoloro al giallo bruno; un altro 
modo di presentarsi della tormalina nei detti calcari è in cri- 
stalli più voluminosi e che solo differiscono da quelli piccoli, 
oltre che per le dimensioni, per il dicroismo che varia dall’in- 
coloro al verde bruno. 

Ora basta confrontare queste tormaline con la seconda e 
la terza varietà che ho segnalato nelle sabbie di Marentino per 
vedere la esatta rassomiglianza. In quanto alla quarta varietà 


1006 LUIGI COLOMBA 


trovata nelle sabbie per tutti i suoi caratteri corrisponde per- 
fettamente alla tormalina di Borgone e Villarfocchiardo. 

Parimenti Piolti ha pure trovato al Truc Castelletto, 
sopra a Mocchie, un’anfibolite che contiene un anfibolo colorato 
in verde smeraldo intenso con sfumature azzurre ed il cui pleo- 
croismo, come il colore e gli altri caratteri, sono perfettamente 
uguali a quelli dell’anfibolo verde intenso trovato nelle sabbie. 

La magnetite è abbondantissima nella zona serpentinosa 
della bassa valle e nell’alta valle nei serpentini che da Oulx 
vanno al colle di Sestrières, formando la base del Monte Frai- 
teve; così pure la cromite che oltre ad essere abbondante nel 
distretto del G. Gimont, è pure comune in tutti i serpentini e 
le Iherzoliti della valle. 

Analogamente la tremolite e l’asbesto sono comunissimi 
nell’alta valle, nella già citata zona serpentinosa, dove si pre- 
sentano comunemente sotto forma di fibre bianche o verdognole. 
Anche il granato è comune specialmente nella bassa valle. 

Fra i minerali caratteristici soli rimangono senza che sia 
possibile trovare alcuna corrispondenza lo zircone e lo spinello; 
ciò non deve far stupire quando si pensi che moltissime fra le 
roccie della valle della Dora Riparia sono ancora da studiare. 


V. 


Se alle osservazioni mineralogiche da me fatte si aggiun- 
gono quelle che riguardano i caratteri paleontologici e di posi- 
zione delle sabbie studiate, credo che si possa giungere a delle 
conclusioni assai interessanti specialmente per quanto riguarda 
il loro modo di formazione. 

Diffatti mentre per un lato queste sabbie contengono una 
fauna di mare profonda, pur presentando una facies di litorale 
o di deposizione tumultuosa, per altro lato contengono una 
grande quantità di minerali che non presentano quasi traccia 
di fluitazione; questi minerali provengono dall’ alta valle della 
Dora Riparia per la massima parte e solo si può spiegare la 
loro presenza ammettendo che per qualche causa speciale siano 
stati sottratti all’ azione erodente delle acque superficiali e 
marine. 


OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, Ecc. 1007 


Ora questi fatti credo siano difficili a spiegarsi mediante 
un fenomeno normale di sedimentazione, sia ammettendo che 
si tratti di formazioni che già inizialmente fossero allo stato 
di sabbie, sia ammettendo che esse provengano da frammenti 
disgregatisi in seguito. 

Poichè nel primo caso non si potrebbe spiegare la man- 
canza di fluitazione negli elementi dell’alta valle i quali invece 
dovrebbero essere quelli più rotolati; nel secondo caso non si 
potrebbe spiegare la presenza di grossi frammenti in un mare 
profondo; e notiamo che sarebbe necessario di ammettere che 
la loro disgregazione, con successiva formazione delle sabbie, 
sia avvenuta in fondo al mare poichè i fossili sono intimamente 
mescolati ad esse senza che si scorgano traccie di rimesco- 
lamento. 

Al complesso dei caratteri mineralogici, paleontologici e 
strutturali osservati in queste sabbie meglio corrisponderebbe 
un’origine derivante da un fenomeno glaciale; ammettendo che 
all’epoca in cui esse si depositarono, dei ghiacciai occupassero 
le valli alpine, giungendo fino al mare, essi dovevano avere 
maggior sviluppo in alto che non in basso, per modo che mentre 
in basso i materiali disgregatisi per azione della degradazione 
meteorica subivano i soliti fenomeni di fluitazione, in alto invece 
erano i detti fenomeni molto più limitati perchè i frammenti 
ed i detriti appena staccati venivano ad incorporarsi nel ghiac- 
ciaio e quindi ad esser per la massima parte sottratti ad ogni 
azione erosiva; è naturale quindi che alla base dei detti ghiac- 
ciai venissero a trovarsi mescolati materiali rotolati e non ro- 
tolati e fra questi ultimi in modo speciale quelli provenienti 
dall’alta zona alpina. 

E se dalle fronti di questi ghiacciai, sboccanti in mare, si 
staccavano, analogamente a quanto ora avviene nei ghiacciai 
nordici, delle zattere di ghiaccio, queste, cariche di detriti, ve- 
nendo a contatto con delle correnti calde, dovevano fondere 
facilmente depositando in posto tutti i materiali che tenevano 
sospesi. 

Con tale origine concorderebbero pure altri fatti osservati 
nelle dette sabbie; così concorderebbe il carattere tumultuoso 
della deposizione, proveniente dalla rapida sedimentazione; così 
l'alternarsi di strati fossiliferi e non fossiliferi, corrispondenti i 


1008 LUIGI COLOMBA 


primi a dei periodi di ritiro dei ghiacciai ed i secondi a dei 
periodi di avanzata; il che sarebbe anche confermato dalla mi- 
nore quantità di elementi a spigoli vivi (cioè di elementi di 
origine glaciale) negli strati più ricchi in fossili. 

L'ipotesi di un periodo glaciale miocenico e la possibilità 
di spiegare con esso varî fatti attinenti alla collina di Torino 
fu emessa dal Gastaldi, sostenuta dal Baretti e dal Portis e 
combattuta da vari geologi fra cui Sacco e Virgilio (1). È però 
degno di nota l’osservare che il Sacco stesso (2) riconosce come 
sianvi sulla collina di Torino dei fenomeni che la appoggiano 
singolarmente, prestandosi difficilmente ad una spiegazione dif- 
ferente. 

Tali sono i massi a spigoli vivi sparsi sulla collina e che 
da alcuni si vorrebbero considerare come ultimi residui di con- 
glomerati erosi e come provenienti dalle piene dei torrenti al- 
pini miocenici (3). Tali sono pure a parer mio le sabbie che 
ho studiato; e se da sole non possono considerarsi come argo- 
mento decisivo, è fuori d'ogni dubbio che per lo meno ci per- 
mettono, unitamente agli altri fatti osservati, di stabilire come 
nell’Elveziano e nei terreni di transizione fra l’Elveziano ed il 
Tortoniano sianvi delle formazioni la cui origine richiede una 
causa speciale. E questa a parer mio potrebbe, con grande pro- 
babilità dipendere da un fenomeno glaciale; tanto più che gli 


(1) Un’accurata e completa bibliografia dei lavori riguardanti l’origine 
della collina di Torino è data dal VireiLio nel suo lavoro: La collina di 
Torino in rapporto alle Alpi, all’Appennino ed alla pianura del Po, 
Torino, 1895. 

(2) Sacco, Il bacino terziario del Piemonte, 1889. 

(8) Sebbene il SureLr (Etudes sur les torrents des Hautes Alpes, +. II, 
1872) ammetta che i torrenti alpini possano trasportare dei grandi massi 
senza che essi perdano i loro spigoli vivi, tuttavia è lecito di dubitare che 
questo trasporto. possa farsi per un tragitto molto lungo, ed ammessa 
anche tale possibilità è dubbio che questi massi non finiscano per arro- 
tondarsi. Nè occorre dimenticare che secondo i detti autori questi massi 
derivano dalla bassa valle in cui certo era minore l’impeto dei torrenti e 
tanto più in quanto che la catena alpina era meno elevata. 

Di più, ammessa questa origine per i detti massi, come mai si spie- 
gherebbe che le potenti piene dei torrenti pliocenici, i quali hanno con i 
loro coni di dejezione determinata la formazione della pianura padana, non 
abbiano trasportato uno solo di tali massi? 


OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, ECC. 1009 


argomenti addotti dal Sacco (1) contro all’ipotesi del Gastaldi, 
non sono, secondo me, tali da togliere ogni verosimiglianza 
all'ipotesi stessa, poichè mentre per un lato anche attualmente 
abbiamo delle prove di immediato contatto fra ghiacciai e terre 
a vegetazione tropicale (2), per altra parte solo con accurate 
indagini petrografiche e con un esatto studio di confronto si 
potrà stabilire se realmente le eufotidi, le anfiboliti ed i ser- 
pentini della Collina di Torino siano originarie della parte bassa 
della valle, oppure della parte alta dove pure abbondano tali 
roccie specialmente nel massiccio diabasico del Gran Gimont. 

E quand’anche si potesse provare la prima opinione, nessuna 
migliore confutazione potrebbe farsi all’obbiezione di Sacco, di 
quella fatta da Virgilio (3), certo non sospetto in tale questione. 

Per quanto riguarda l'argomento contrario che l'ipotesi gla- 
ciale non serve a spiegare tutti i fatti osservati sulla collina 
di Torino, secondo me, esso non prova nulla, poichè dall’ am- 
mettere che nel miocene sia esistito un periodo glaciale e che 
esso abbia contribuito alle tanto discusse formazioni, ad am- 
mettere che esso ne sia stata l’unica causa, passa una note- 
vole differenza. E non bisogna scordare che un fenomeno così 
complesso come è quello della formazione della collina di To- 
rino, solo può dipendere da un complesso di cause, come del 
resto deve accadere per tutti i fenomeni geologici, date le cir- 
costanze in cui si svolgono e date pure la loro natura e la 
loro durata. 


(1) Sacco, Les rapports géo-tectoniques entre les Alpes et les Apennins; 
“ Bull. de la Soc. Belge de Géol., Paléont. et d'Hydr. ,, t. IX, Bruxelles, 1895. 

(2) Il ghiacciaio di Wajau nella Nuova Zelanda scende fino a 212 m. 
sul livello del mare, in mezzo ad una vera vegetazione tropicale, da cui 
solo è separato da una stretta zona di poche centinaia di metri di lar- 
ghezza, occupata da una flora speciale essenzialmente costituita da conifere 
(De LapparenT, Traité de Géologie, 1893, pag. 270). Qui, come si vede, si 
tratta di un contatto immediato, cosa ben differente dal caso considerato 
dall'ipotesi di Gastaldi, in cui invece fra i ghiacciai e le terre a vegetazione 
tropicale esisteva un mare la cui funzione regolatrice in fatto di tempe- 
rature doveva rendere molto minore il contrasto. 

(3) Vireizio, Sulla origine della collina di Torino; “ Boll. Soc. Geol. 
Italiana ,, XV (1896), 1°, pag. 49. 


1010 GIUSEPPE LAURICELLA 


Integrazione dell'equazione A°(A°u)=0 in un campo 
di forma circolare; 


Nota del Prof. GIUSEPPE LAURICELLA. 


Il MarHIEU nella sua Mémoire sur l’équation aua diffé- 
rences... (4) ha integrata l'equazione: 


(1) A°(A?u) = 0, 


nel caso che il campo che si considera fosse circolare e che al 
contorno fossero dati i valori della funzione incognita e quelli 
della sua derivata normale, esprimendone la soluzione mediante 
serie. In questa Nota io risolvo la medesima quistione, appli- 
cando il metodo generale che ho indicato nell’art. I della mia 
Memoria: Sull’equazione delle vibrazioni delle placche elastiche in- 
castrate (*). La soluzione che io trovo è formata di soli integrali 
definiti e si presta bene alla verifica delle condizioni che devono 
essere soddisfatte nei punti del contorno. 


1. Sia 0 un campo piano circolare di raggio R, s il suo 
contorno, P = (x, y.) un punto nel suo interno, P' un punto 
preso sul prolungamento di OP e tale che, posto: 


OP = p, OPu—"p", 


sia: 


Se indichiamo con 7, r;, p le distanze dei punti P, P', O ad 
un altro punto qualsiasi M = (x, y) e se poniamo: 


(') “ Journal de Mathématiques pures et appliquées ,, 2° série, t. XIV, 
année 1869. 

(?) “ Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino ,, serie II, 
t. XLVI. 


AT E Pen 


INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A?(A?2u)=0, Ecc. 1011 
fa p T,, 
avremo che la funzione: 
H = rilogr, 


è regolare in tutti i punti M del campo o insieme alle sue de- 
rivate dei varii ordini, soddisfa in questi punti all’equazione: 


AMATE): =0 
e nei punti di s alle altre: 
Hi=-#dosr, 


dò H dî (0 
dn ni + 2logr{ (FP), 


dove n indica la direzione positiva della normale nei punti del 
contorno s. 


Detti 9 e 0' gli angoli che i raggi vettori p e p' fanno 
coll’asse x che parte dal centro O, sarà: 


TAR LI ZELL ELI D) R' R? r 
ri =N0F+9—2pp"eos6—0) = |o°+- — 29-+7 cos (0 — 0), 


PIT SEAN e ORFANO DC OA CUD e A Cra, 
en Vi al dipen LL 7 
pipp'— R°cos(0 — 0)} 
PR) li gii) PECORE STRA) 4 PLZIRONE 
(ge) —— _p'ip'— Reosto —0){ 
dn Js : ROL ’ 
dH _  (1+2logr)}p"—Rp'cos(0—0)l 
da TT R . 


2. La funzione: 


y — (1-+2logrs) (p'° — R3) 
tai 2R? 


1012 GIUSEPPE LAURICELLA 


è regolare in tutti i punti M del campo o e soddisfa all’equa- 
zione indefinita: 


ACW = De 
allora, posto: 
K= (R° — p)Y, 


si avrà che la funzione K è regolare essa pure in tutto il 
campo 0 e soddisfa nei punti di questo campo all’equazione: 


A°(A°R) —:0, 
nei punti di s alle altre due: 


E 0, 


= ed {odi (1+2logr) (p'? — R?) i 
n R 


8. Ciò posto, si consideri l’espressione: 


g=+ +6) 


Da quanto precede risulta che 9 è una funzione regolare 
in tutto il campo 0, che nei punti di questo campo soddisfa 
all’equazione: 


A°(A°g)=0 


e nei punti del contorno s alle altre due: 


= sa r°logr, 
dg 1 (—(1+2logr)p?—Rp'cos(0—@)}+(1+2logr)(p*?—R9)) __ 
dì SIA kR j= 


1 òd(re° log?) 


1 Ù f 
= — + (14+2logr)[R— p'costo — )f= <= 


Secondo i risultati della mia cit. Mem. la 9 è quella fun- 


INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A?(A?w)=0, Ecc. 1013 
zione che serve a darci l'integrale dell’equazione (1), corrispon- 
dente a dati valori di v e di Se nei punti di s, mediante la 


formola: 


a, Pf du d logr dA°9 ] 
ORTA E n LIL 


4. Andiamo ora a verificare se nei punti di s la fun- 
zione v' e la sua derivata normale coincidono rispettivamente 


coi valori dati di « e di Lo ; 
Anzitutto osserviamo che si ha: 


Ag=1AH+44 AK=47 (logre +1) — v__xndt_ 


e pi—R? ni dlogra 
paga: + logr: + p onda di - ’ 


dA°9g __ dlogr. 21) pri ="Rz — + p p°î — R° 0d°logra 


dan © da R R? dn? 
__ dlogra p? — R? —. p' i. 1 
raga on R? + p R? + 
1 (R°= p?) ) 


T pippi 2Rpeos0= 8) — 2RRTp*_2Rp cos). 


sicchè nei punti di s sarà: 


p?+ R? — R? dlogr 
Ng Llogr + PE CL 


so. par Ripe Resp dlogre __ 
madonie grani Rene 
R? — p°? a 
=14 logr 2R° * R°|p" —2Rp'cosl0—60) ’ 
d Ag a dlogra i fi pro” dlog ra peo pi + 
TAGGIA 7) R? dn DR 
p?— R (p'? — RI? 


i R}Rî|p? — 2Rpcos0— 9) — 2R*{R}+ p?—2Rpcost0—0)}? — 


1014 GIUSEPPE LAURICELLA 


MISTE dlogra dlogr MIDI (TI SIOE Oro SE 
= —2R8° Po (1428088 + dn — 2R*} R*4-p?— 2Rp'cos (0-0) 


i Si (R?— p?}R— p'cos(6—0)| 
R°) R*+ p' — 2Rp' cos (0—0){? ; 


La (2) diviene allora: 


Ferro: | (R? — p'?° du sr 
AGIRE, 2R°{R°+-p?—2Rp'cos(0—0){ dn 


p)°} R — p'cos(0— all det: 
+ — 2 Rp'cos(9 —0') {? u} = 

(2°) 

R—p? 1 ( du Ri-op? 

TREE TA ETRO e I Ca 


i; (R°— p')°}R— p'cos(0—9): 
+ agli R°}R?+-p?—2Rp'cos(0—0){? d 


5. La formola precedente serve a rappresentare nel campo 
circolare © un qualunque integrale dell’equazione (1), regolare 
insieme alle sue derivate dei primi quattro ordini in tutto 0 
ed s, per mezzo dei valori al contorno s di questo integrale e 
della sua derivata normale. In particolare la funzione: 


u= 1 


deve potersi esprimere per mezzo della formola (2'); e poichè 
si ha allora: 


avremo dalla (2°): 


__1 (_(R°p?{R—pcost0—®) 
(3) be 2 È R?} R°-+p?—2Rp'cos(0— 6)}? ds 


Ciò posto, si indichi con w il valore della funzione data w 
in un punto @ del contorno s. La (2') e la (8) ci dànno: 


INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A?(A?°u)=0, Ecc. 1015 


Wp, 


; Rî-p%, 01 f du Rip? 
BR 2kc 


a s Òn R} R°+p"?—2Rp'cos(0—0){ ds ur 


TIME (R*— p'2)°} R— p'cos(0— 0)! 
tot i (u— 0) R°}R?{ p?—2Rp'cos@— 0){° ds, 


donde, supponendo continua la funzione data u, risulta con con- 
siderazioni note: 


(4) limu = w. 
P—Q 
6. Per dimostrare ora che la derivata normale della fun- 
È Ae 7 Ta " Ò & 
zione v' coincide nei punti di s con la funzione data n sarà 


utile trasformare la (2'). 
Osserviamo anzitutto che, posto: 


cos(0 — 0')=#, 


risulta: 
dt 
do= — —— 
pig 
f (R°— p'2)}R— p'cos(0—0)! PIA fu (R°—p?)(R—p'7) di. 
J* RiRt+p3—2Rpcoste—9)® © — JRE 2Rpò | ie! 


e quindi, se si fa la sostituzione: 


V=-#=A1-da 
e si pone: 


abbiamo: 


de = 


} (R?— p'9°}R — p'costo — 0) 
3" R}R?+-pî—2Rp'cos(6— 0) 


a ° (R°— p?F} R—-p)e®+(R+9) 3. 
=—+2Je RIR—pFe+®tpe 3 


ser B(R+p") x dae B(R+p") (" da 
=_—_2 R fu +? da R fu si ’ 


1016 GIUSEPPE LAURICELLA 


donde, ammesso che esista e sia sempre finita la derivata prima 
di u(0), segue: 


fu (R°— p'32}R — pcosl—0)! A 


R }R°+- p?— 2Rp'cos(9—0') î 2 


00 10 ateneo A pasto ® 
2u| R aa gg aretang 7) + 


(R+p'" di 
+ affito). da (7 TE EST) + DR r arctang 7 da + 


| 
aa et Me4R + ah pg areteng 5) dej= 


(___—p'(R?—p’)sen(0—6) 
2u ì 2R|R?+p?—2Rp' cos(0—0)| si 


(R—p')sen(0—68') Ì 
+ arctang | (R+p)(1—cos(0—0')) | Sn 


"du —p'(R°— p°)sen(0— @) 
+213) è 2R}R?-|p?—2Rp' cos(0—@'){ t 


(R—p’)sen(0—0) 
+ arctang | (R+p)(1—cos(0—0)) ja. 


Da questa formola si trae indicando con w il valore della 
funzione u per 0= 0": 


de = 


27 
uu _(R°—PP}R—p'cos(0 9) 
R) R°-|-p'? —2Rp'cos(0—0) {? 


27 
u —p e sen(0—0') 
= 2% 1-2 [4 de È 2R} R?-{-p?— 2Rp'cos(0— 0) { $i: 
+ arctang (Eh Dn root d , (0 E 0)) {0 


e quindi: 


INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A?(A2u)= 0, Ecc. 1017 


eno l' (du R?— p? 
u=ut cai «dn * R{R?+p?— 2Rp'cos(0—0) ds + 


27 


1 du — p'(R°— p'?)sen(9—0') 
n T de 2R}R°-+-p'?—2Rp'cos(0—0'){ vw 
0 


+ arctang (1 RIp Pcot 1 (0—0))| do (1). 


7. La formola ottenuta ci dà: 


dui du eopriSt- (Ada R? — p°? 
de a i) du R} R°+p?— 2Rp'cos(0—0)} ds + 
Re==p® NETTA O 0 Rafsna 
ch SR ra ue dn R}Rî4-p? dui; cosl0—0)} ds | 
27 
2__n2 __ e 
ESIR (R°— p°)sen(0 — 0’) de È d0 fo 


T : R Ria p'î — 2Rp cos(0—0){ 


> 
1 (R°— p'?)°sen(0— 0") du 
e. , BIRI+p?— 2Rp costo—0){" * 40 d0 


Ora, se la funzione u(0) ammette anche la derivata seconda 
sempre finita, si ha integrando per parti: 


° (R°—p?)sen(0—0) du 
A J R}R?{-p?_ 2Rp'cos(0—0)} d0 dI + 


ee a) du Se 
i f R}R°+ — 2Rp'cos(0 — —0)} de ds 
— R®_p? ("dlog)R?4p®_2Rp'cost0—0){ du 79 
_- p@R? d0 a d9 4 A 
1 
to (R2— p'3f? d R°+ p'"—2Rp'cos(0—0’) du do = 
p R? do ° 40 Ra 


(') Questa formola può servire a dedurre un’altra volta la (4). 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 69 


1018 VITO VOLTERRA 


E -{log]R*+ p'—2Rp'cos(0—0'){ — ra ranti ue 


R?|p?— 2Rp'cos(0— 0) | d0 


CRE i R°— p°? 
Ri )—log}R®{-p"—2Rp cos(6—0'){ + iisi 


per cui, ammessa la continuità della avremo: 


du 
da’ 


dep R°— p du 
da Ra dr li R } R°4- p'?_2Rp'cos(0—0){ * da ds + 


n sifii du Rip"? 
ua ‘ 2n da PSE ‘ R{R°H-p'"—2Rp'cos(0—0){ ds + 


don A f.j_lo }R°+ p''—2Rp'cos(0—0')} + 
21 p R? 8Ì p p 


Ri pe d°u 


FERME a 
DO R?*-+ p'"— 2Rp'cos(0 — 0') | de? ds. 


Questa ci dà finalmente, supponendo continua la funzione Si 


e indicando con | di il valore di questa funzione nel punto Q: 
È du __ (du 
Lia DIP (3); 


Osservazioni sulla Nota precedente del Prof. Lauricella 
e sopra una Nota di analogo argomento dell'Ing. Almansi. 


Nota del Socio VITO VOLTERRA. 


Nella precedente seduta ho presentato una Nota dell’Inge- 
gnere Almansi, nella quale è trattato lo stesso problema che 
il Prof. Lauricella ora risolve. Questa soluzione è stata otte- 
nuta dal Lauricella indipendentemente dall’altra, che a lui era 
ignota, ed egli vi giunse applicando il procedimento da lui 


esposto nella prima parte della sua Memoria: Sulle vibrazioni 


+ 


d°u 
de? 


di 


OSSERVAZIONI SULLA NOTA PRECEDENTE, ECC. 1019 


delle placche elastiche incastrate. La formula definitiva che egli 
trova è più simmetrica di quella corrispondente a cui pervenne 
l’Almansi e non contiene, come questa, le derivate della fun- 
zione G data al contorno. Però si può trasformare quest’ultima 
formola riducendola a quella del Lauricella. A tal fine, valendosi 
di una doppia integrazione per parti, si può ridurre l’espressione: 


27 
= Co 


1T— cos(u— a) 
0 


all’altra 


dw? 
=) 


n pa 
-2| 2 log sen -5 (VW — a) dw, 


quindi invertire la doppia integrazione che comparisce nella 
formula definitiva in modo da sostituire a 


27 27 

da GT Ga — Ga sen (W— a) 
R°+,?—2Rr cosa ; 1— cos(W— a) 
0 


la espressione 


27 O) 
9 d2G d log sen na (u— a)da 
du? e R° + 7° — 2Rr cosa 


0 _-27 


e trasformarla finalmente con una nuova doppia integrazione 
per parti. 

Ma si può evitare questo calcolo, e le relative derivazioni 
applicate alla funzione G, partendo direttamente dalla for- 
mula (4) dell’ing. Almansi. 

Essa infatti può scriversi: 


o anche 


1020 VITO VOLTERRA 


Posto 


(a) Wi cianabi ciano SUL 


questa funzione, per un noto teorema, soddisferà la equazione 
A° =0, e poichè 


(0) = — 2R' 
avremo 
27 o 
ea: 1 (R° — -)H 
ba) 4TR lagicotge dw, 


onde, a cagione della (a) e della (5) della Nota dell’Inge- 
gnere Almansi, 


27 
vs 1 (R? — »)H 
MI (aftat du — 
27 i 
da AR Sei 54 Pei Gw 
R? 2 ( R°+r°— 2Rrcosw (R?-+ 72 — 2Rrcosw)? 


e per conseguenza 


27 
sea: 2__,2 Mi 1 (R*= r°) H 
T=_-® i Tia 4TR [at 2Rrcosw dw+ 
27 
da R°—, da 73 (R°— 79) ba 
2r ; R°+,°—2Rrcosw R°(R°?-4+,°—2Rrcosw) 


(R°—r*)°r(r—Rcosw) gra 
© R3(R24+,*— 2Rr cosw)? i Gatto 


27 


2r 

= Ape lee 1 | R°_r}B—-rc05w) 

_ 4mR fr r?—2Rrcosw Hdw+t 2rR det 7°—2 Rr cos w)? Gao 
0 


che è la elegante formola stabilita dal Prof. Lauricella. 
Essa può quindi ottenersi direttamente anche senza ricor- 
rere alla seconda funzione di Green. Il ricavarla dallo sviluppo 


OSSERVAZIONI SULLA NOTA PRECEDENTE, ECC. 1021 


dato da O. Venske, giovandosi delle note formule della serie 
di Fourier, avrebbe condotto a calcoli complicati (*). 

In modo analogo, valendosi del metodo dato dall’Inge- 
gnere Almansi nel $ 4 della sua Nota, si può risolvere il pro- 
blema simile nel caso dello spazio limitato da una sfera 0 di 
raggio R. 

Preso un sistema di coordinate polari coll’origine nel centro 
della sfera in modo che sia 


XxX =#YSenw cosp, y=#+7 Senw senp, 2 =7 C0SW 


e posto 


TRR0SI7, dp 
Mie align 


avremo 
1 

()r:=R == 3 (0.)-=R = 5 92R H 
quindi nel punto A di coordinate r, wo, po, i valori di @; e 0, 
saranno 

que 1 (R°— #°) Gdo 
reef ont 0 tr 
4TR Metri 


0o,= — 


1 (R° — :3)Hdo 
8tR° ene 
essendo 

COST = cosw cosw, + senw senwo cos(p — po), 


da cui segue 


1 (R° — 7°)? 
FT SIE ea ario) PARTPIRE 
Li 8rR° RUI di 


3 
2 


me a)2 DI SEGR] 
pis Sh fa r®)? (2R°—r salici Gdo, 
(R? 4+- »° — 2Rrcosy)? 


che può prestarsi ad una verifica diretta, come ha fatto 
il Prof. Lauricella nella sua Nota. 


(*) Vedi Nachrichten von der K. Ges. der Wiss. zu Gòttingen aus dem 
Jahre 1891, S. 27. 


1022 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


Per la storia della teoria delle superficie geordiche ; 


Nota dell'Ing. OTTAVIO ZANOTTI BIANCO. 


Fino ai tempi di Newton, tranne rare eccezioni, s'insegnava 
che la Figura della Terra era quella di una sfera perfetta: 
astraendo dalle irregolarità che la superficie fisica del nostro 
globo presenta, si assurgeva ad una superficie ideale e questa 
si cercava di conoscere e determinare. I lavori di Huygens e 
Newton fecero vedere, che la Terra animata come è da un moto 
di rotazione sopra se stessa, supposta omogenea e fluida, deve 
avere una figura ellissoidica di rivoluzione schiacciata ai poli. 

Le ricerche posteriori (Clairant, Laplace) dimostrarono che 
la Terra, non essendo nè omogenea, nè interamente fluida, non 
poteva avere quella forma, cui conducevano solo approssimati- 
vamente certe ipotesi sulla sua costituzione fisica. Si riconobbe 
di più che, data la Terra quale è in realtà, non era possibile 
ammettere sotto l’azione delle forze naturali, che avesse potuto 
assumere in complesso una qualsiasi figura geometrica, e che 
quindi non era lecito anche per astrazione, accettare per essa 
una superficie geometricamente definita. Fatti di ciò certi, si 
pensò a stabilire qual cosa si dovesse intendere per figura della 
Terra ed a cercare se, pur non geometricamente, essa fosse 
rappresentabile con simboli matematici e come definibile. 

Non trovando, per la forza delle cose, modo di valersi della. 
geometria per rappresentare matematicamente la figura della 
Terra, si ricorse alla meccanica dei fluidi: a ciò indotti dal- 
l’essere la Terra in gran parte coperta da liquido, e dalle idee 
cosmogoniche che le assegnano una condizione iniziale fluida. 

Dalla meccanica dei fluidi si prese ad imprestito la defi- 
nizione di superficie di livello di un liquido, e la si applicò al 
mare che, per occupare tanta parte dello strato superficiale del 
globo terracqueo, si assunse come valevole a rappresentare, con 


PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1028 


date condizioni, il tutto: seguendo in ciò fare le idee di Gauss (1) 
e Bessel (2). 

Superficie di livello è quella secondo la quale si dispone un 
liquido in equilibrio sotto l’azione di date forze, la cui risul- 
tante è in ogni punto poi normale ad essa. 

Sul mare agiscono molte forze. Le attrazioni delle parti 
componenti tutta la massa terrestre; l’attrazione dei corpi ce- 
lesti; la forza centrifuga proveniente dal moto di rotazione 
della Terra intorno al proprio asse; poi l’azione dell’atmosfera, 
statica e dinamica (pressione, venti). Sulla massa d’acqua ma- 
rina opera poi il Sole come fattore termico, cagionando coll’e- 
vaporazione, col congelamento e collo squagliamento dei ghiacciai 
marini, moti e correnti, e variazioni di salsedine, generanti a 
loro volta altre correnti. Perturbano poi in vario modo la sta- 
bilità del mare i movimenti del suo fondo e delle sue coste, e 
delle isole, le eruzioni dei vulcani sottomarini; i depositi orga- 
nici e minerali che pei molluschi e pei fiumi vi si producono, 
pur astraendo da quelli irregolari ed a petto degli altri trascu- 
rabili, che avvengono per opera dell’ uomo. Tutte queste forze 
sono diversamente variabili col tempo: il mare pertanto avrà 
esso pure una forma variabile col tempo, e non potrà mai 
disporsi secondo una superficie di livello fissa corrispondente a 
quelle forze. Pure per arrivare a qualche cosa di concreto si è 
di una superficie che si ha bisogno, la quale, pur accostandosi 
il più che è possibile alla natura, sia almeno per una prima 
approssimazione fissa e determinata. Si esaminò pertanto se 
non fosse possibile lo scartare talune delle accennate forze, 
come molto piccole rispetto alle altre, e tenendo conto solo 
delle preponderanti, tentare di accostarsi alla figura ideale vo- 
luta, per poi studiare colla teoria e coll’osservazione le defor- 
mazioni che in quella producono le forze da prima messe in 
disparte, ed acquistare così qualche cognizione circa la figura 
vera del mare. 

Si suppose a tal fine nulla l'influenza di tutti i corpi ce- 
lesti; così si trascurarono le maree non solo, ma anche quelle 


(1) Gauss, Ueder den Breitenunterschied der Sternwarten Gottingen und 
Altona, 1828. 
(2) Besser und Baryer, Gradmessung in Ost Preussen, 1838. 


1024 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


deformazioni che le masse da esse spostate causano, alterando 
nel muoversi le vicendevoli attrazioni delle parti della massa 
terrestre; si lasciarono poi anche da parte le azioni dell’atmo- 
sfera, quella termica del Sole, e delle forze molecolari. Con ciò 
le forze operanti sulla massa terrestre vengono ridotte a due: 
la mutua attrazione delle sue parti e la così detta forza cen- 
trifuga, originata dal suo moto di rotazione. La risultante di 
queste due forze è quella che può chiamarsi gravità teorica, che, 
naturalmente, l’uomo non potrà mai determinare coll’esperienza. 
La gravità pratica, che sola possiamo misurare col pendolo, e 
che perciò può chiamarsi pendolare, quella che si verifica in 
realtà, dipende a tutto rigore da tutte le forze attive. sulla 
Terra, è quindi variabile con queste d’intensità e direzione; 
però queste variazioni nel tempo sono sommamente piccole, e 
certo per ora non avvertibili sperimentalmente. Circa le varia- 
zioni della gravità in direzione, se ne hanno prove nelle con- 
statate oscillazioni di livelli a bolla d’aria, posti in condizioni 
opportune (Plantamour, D’Abbadie). Su questo argomento non 
debbono essere passate sotto silenzio le ricerche col pendolo 
orizzontale di Hengler e von Rebeur-Paschwitz e quelle di Pfaff 
con una specie di bilancia a molle: così van ricordati gli appa- 
recchi immaginati e gli esperimenti istituiti per lo studio delle 
variazioni della gravità da Bohnenberger, Darwin C. H., Gruit- 
huisen, Mascart, Perrot, Zollner. La variazione secolare delle 
latitudini, se, come si spera, fra una cinquantina d’anni, col- 
l'attuazione ora in corso del programma del Prof. Emanuele 
Fergola, sarà constatata oppure non; quella a corto periodo 
oramai confermata dalle osservazioni, ne additano pure varia- 
zioni della direzione della gravità. Esse dimostreranno, quando 
saranno ben conosciute, come ed in qual ragione varii la dire- 
zione della gravità col tempo. Le deviazioni della verticale fi- 
sica, rispetto alla geodetica di un dato ellissoide di riferimento, 
dipendono troppo e dalle costanti di esso, e dalle triangolazioni 
che ne forniscono la latitudine geodetica, per poter nello stato 
attuale della scienza darci mezzo di investigare le variazioni 
della direzione della gravità. È però ammissibile che la gravità 
reale e la teorica differiscono di poco sia per l’intensità che per 
la direzione. 

Bessel definisce come segue la figura matematica della Terra: 


e PI 


PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1025 


“ Quella superficie, in cui verrebbe a giacere la superficie del- 
l’acqua di una rete di canali comunicanti col mare; cioè una 
delle superficie, alle quali è ovunque normale la risultante di 
tutte le forze d’attrazione e della forza centrifuga , (1). 

Listing (1872) chiamò geoide la figura matematica della 
Terra così definita. Taluni chiamano il geoide, forma fisica, e 
denotano la naturale coll’ appellativo di forma vera, e dicono 
forma matematica quella dedotta colle misure geodetiche. 

Come si vede facilmente, il geoîde non è che una delle 
superficie di livello della gravità teorica. Di queste, quelle che 
passano per punti situati così da essere accessibili all'uomo, si 
dicono superficie geoidiche. Bruns (2) ed Helmert (3) hanno stu- 
diato le proprietà delle superficie geoidiche. 

Poichè la Terra non è un corpo assolutamente rigido, ma 
soggetto, nella disposizione e distribuzione delle parti della sua 
massa a variazioni lente e rapide, periodiche e non, così a 
tutto rigore il geoide è anch'esso variabile col tempo. È ap- 
pena necessario avvertire, che le deformazioni del geoide col 
tempo possono venir trascurate per lo scopo complessivo della 
determinazione geodetica della forma e grandezza della Terra: 
esse debbono venir studiate per scopi geologici e geofisici, ed 
a completare le nostre cognizioni intorno a quella forma stessa. 

Il geoide è quello che fu sempre chiamato il livello del 
mare, anche quando questo non era nettamente definito: si sa 
ora che il geoide non molto si scosta da un’ellissoide di rivo- 
luzione schiacciata ai poli. 

In certe operazioni di geodesia (riduzioni delle basi al li- 
vello del mare, livellazioni) si era fino a pochi anni or sono 
ritenuto che la sfera potesse bastare quale forma del geoide, 
servendosi per le altre di un’ellissoide di rivoluzione. Helmert 


(1) Gradmessung in Ost Preussen, p. 427. 

(2) Ueber einen Sata aus der Potentialtheorie.. BorcnarDr, “ Journal fiir 
Mathematik ,, LXXXI, 1876, p. 349 e nella sua classica memoria, Die Figur 
der Erde, 1873. 

(3) HeLmert, Die mathematischen und physikalischen  Theorieen der 
Hòheren Geodtisie, vol. II, 1885. — Vedasi anche Zanotti Branco OrTAVIO, 
Le livellazioni di precisione ed il livello del mare, nell’ “ Ingegneria civile e 
le arti industriali ,, Torino, 1892. 


1026 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


ha introdotto anche nella livellazione i più moderni ed esatti 
concetti. 

Nello stato attuale della geodesia e delle misure della 
gravità, siamo lontani dal conoscere la forma del geoide quale 
fu definito, oggidì noi non ne conosciamo che una forma appros- 
simata. Per poter imparare qualche cosa di più occorre avere 
qualche proprietà che colleghi quella forma approssimata alla 
reale, e più che altro importa il conoscere i sollevamenti e le 
depressioni che il geoide presenta rispetto a quella forma ap- 
prossimata, o sferoide normale (sferoide di livello di egual po- 
tenziale del geoide) (1) in causa delle irregolarità della super- 
ficie terrestre, delle quali in quella forma approssimata non si 
tenne rigorosamente conto. 

D'altra parte ancora il geoide essendo deformabile, in di- 
pendenza dello spostarsi delle parti della massa terrestre, viene 
a rendersi necessaria la ricerca di un metodo per calcolare tali 
deformazioni, affine di potere, in qualche modo sia pur gros- 
solano, dai fatti naturali che l'osservazione e la natura ci di- 
mostrano, procedere verso la figura teorica che ad essi meglio 
s’attaglia (2). 

Vale a dire occorre imparare a calcolare l’effetto che può 
produrre un’alterazione nella disposizione delle parti della massa 
terrestre sopra il geoide od una superficie geoidica qualunque 
ben individuata, e che per corrispondere ad una data o sup- 
posta distribuzione di massa che si assume come regolare, di- 
cesì normale (sferoidi di livello, sferoidi normali di Helmert). 

Sulla Terra (astraendo dai bolidi e stelle cadenti) non av- 
vengono aggiunte di massa. I fenomeni geofisici non dànno 
luogo che a trasporti di massa od a cambiamenti di densità 


(1) Vedi HeLmert, Op. cit., vol. II, p. 89. 

(2) Il geoide cambia di forma anche col variare della velocità di rota- 
zione della Terra, velocità che l’attrito delle maree ed il raffreddamento 
terrestre vanno lentissimamente, ma sicuramente, alterando: pur non te- 
nendo conto dell’aggiunta di massa per la caduta dei meteoriti e dell’azione 
del mezzo cosmico (siane qualsivuole la natura e non nulla la resistenza) 
nel quale la Terra si muove col sistema solare. Ma di queste cause, d’al- 
tronde oggidì ancora mal note, ora non si tien conto, certi che esse ope- 
rano in modo estremamente lento e debole. 


PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1027 


(alluvioni, frane, depositi fluviali, erosione, moto dei ghiacciai 
polari ed alpini, depositi organici, congelamento, squagliamento 
di nevi e ghiacciai, evaporazioni, fenomeni vulcanici, trasporti 
di sabbia, dune, ecc.). 

Un cambiamento di densità equivale per l’effetto mecca- 
nico all’ aggiunta od alla sottrazione di una certa porzione 
di massa. 

E poichè lo sferoide normale, il quale quasi intieramente 
coincide con una ellissoide di rivoluzione (1), non è che una 
superficie geoidica normale, così lo studio dei distacchi del 
geoide dallo sferoide normale diviene quello delle deformazioni 
che le irregolarità dello strato superficiale terrestre producono 
nello sferoide normale; il geoide venendo così ad essere per 
queste ricerche considerato come la superficie geoidica dalle 
dette irregolarità perturbata rispetto alla sua corrispondente 
normale, che è lo sferoide normale. 

Pertanto lo studio delle deformazioni delle superficie geoi- 
diche normali, e, coll’avvertenza fatta poc’ anzi, quella impor- 
tantissima per la geodesia dei distacchi del geoide dallo sferoide 
normale, si riduce alla ricerca dell’effetto che vien prodotto da 
un’aggiunta od una sottrazione di massa, la combinazione dei 
due effetti darà poi la deformazione totale. — Diremo defor- 
mata la superficie geoidica che corrisponde alla nuova distri- 
buzione di massa. — Per la ricerca della deformazione delle 
superficie geoidiche, vale il seguente teorema. 

In un dato punto del geoide (superficie geoidica normale), 
l'elevazione della superficie deformata si ottiene dividendo il 
potenziale della massa perturbante su quel punto per la gravità 
alla superficie della Terra (sferoide normale o superficie geoi- 
dica normale secondo i casi, gravità normale). 

Questo teorema si trova a pag. 20 della memoria di Ex- 
rIco Bruns, intitolata Die Figur der Erde, nella quale non so 
se più ammirare la profondità dei concetti, o l'eleganza e con- 
cisione dell’analisi matematica. Helmert, che chiama il prece- 
dente enunciato feorema di Bruns, ne dà un’altra dimostrazione 
a pag. 147 del volume secondo del suo magnifico trattato Die 


(1) HeLmert, Op. cit., vol. II, p. 244. 


1028 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


Mathematischen und Physikalischen Theorieen der hoheren Geo- 
déisie. La dimostrazione di Helmert è riprodotta da H. Hergesell 
nel suo lavoro Ueber die Aenderung der Gleichgewichtsflichen der 
Erde durch die Bildung polarer Eismassen im die dadurch verur- 
sachten Schwankungen des Meeresniveaus (1). Egli dice pure che 
Enrico Bruns fu il primo a dare quel teorema: i brani che qui 
sotto riportiamo testualmente, ci sembra invece provino, se non 
prendiamo abbaglio, che quel teorema sia stato scoperto da 
Pratt, e che da questo insigne geodeta inglese debba quindi 
prendere il nome. Enrico Bruns ha troppo meritata fama di 
matematico ed astronomo valoroso, perchè l’attribuire a Pratt, 
come deve farsi, un teorema, del quale egli ha pur dato ele- 
gante dimostrazione, possa nuocergli menomamente. D'altronde 
Bruns non accenna neppur lontanamente a voler essere lo sco- 
pritore dell’ enunciato teorema, del quale per altro non indica 
neppure l’autore, che egli sicuramente ignorava, e giunse al 
teorema stesso portatovi, per felice intuito del suo ingegno, dal 
corso naturale della ricerca. 

Il primo lavoro del S" J. H. Pratt, arcidiacono di Calcutta, 
trovasi nel volume 149 delle “ Philosophical Transactions of 
the Royal Society of London ,, che è per l’anno 1859, e ne 
occupa le pagine 779-796. Fu comunicato alla Società Reale 
di Londra da Stokes, segretario allora della Società medesima, 
nella seduta del 6 gennaio 1859: il teorema del quale si tratta 
ne occupa il capo 20, pp. 794-95. Esso serve a Pratt a calco- 
lare, come ne dice il titolo del paragrafo 5, del quale il capo 20 
fa parte, il Change of the Sea-level produced by the Mountains 
and the Ocean, e precisamente la sopraelevazione del mare a 
Karachi sopra il livello del mare al Capo Comorin (India in- 
glese). 


“ 20. The equation to the surface of a fluid mass acted 
“ on by forces XYZ at the point xy2 is, 


constant = | (Xdx+Ydy+-Zdz). 


(1) Beitréige zur Geophysik. Abhandlungen aus dem geographischen Seminar 
der Universitit Strassburg. Stuttgart, 1887. 


PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1029 


“ In the case of the Ocean the forces are the centrifugal 

“ force, the attraction of the general mass of the Earth, and 

“ these three disturbing forces W, M, and M; which I have 
“ been calculating (1). 

“ Let w be the angular velocity of the earth round its 

“ axis, 0 the latitude of any point of the surface, r its distance 

“ from the earth's centre, a the semiaxis major of the mean 

“ meridian. Then w?x and w?y is the centrifugal force parallel 


“ to x and y, 2 beeing the earth's axis, and + w®acos®0 is the 


“ corresponding part of the above equation. Let V be the po- 
“ tential for the earth’s mass, supposed a perfect spheroid of 
“ equilibrium differing little from a sphere; E the earth’s mass. 


“ Then V differs from i only by a small variable quantity 
“ depending upon the ellipticity: let it equal Z(1+U). Substi- 


“ tuting these and the three disturbing forces the equation of 
“ the surface now becomes 


const = È (1 (1+ 0) +4 w a” cos 9 + 


+ [Wa finds fase © 


- 
n 


between the several limits, as already explained, or 
E Et tot o 
const =-—— (14 U) +-+ w°a°cos°o + Lg; 


‘. cons=£ (1+U+ i cre 0) LL 9. (8). 


%: 


(1) Le forze W, M,, My, calcolate in paragrafi precedenti, rappresentano 
l’azione del mare, e delle due parti in cui l’autore divide la regione 
montuosa. 

(2) X ed « sono quantità che valgono a determinare la posizione del 
punto considerato. 

(3) g è la gravità. 


1030 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


“ But 


1 ed (1 — esen*0) = (1—e-+ ecos°0) 


PO 


“ is the equation to the surface, e being the ellipticity, when 
“ there is no disturbing force. 
“ Hence the equation in the present case is 


1=-=(1— esen'0) + Lf; 


Rs 
2 


a 


r=a(1—esen°0) + L, as g= 


ti 


Let w be the angle through which the normal to the surface 
“ is thrown backwards. Now the tangent of the angle between + 
“ and the normal 


pol Afedenga DE Mr @lplicag Leda 
= — = esen20 +7 WET 


» 


and ds = rd8 = ad@ being an element of the are of the sur- 
face, the Elevation of the surface of the sea in passing north- 
wards = f yds=L, between the limits \=0 and \X=17 , (1). 
Quindi, servendosi di calcoli precedenti, ottiene il valore 
numerico di L, e finalmente quello dell’elevazione del livello 
del mare a Karachi sopra quello del capo Comorin. 
Nel 1860 apparve la prima edizione del libro di Pratt 
A treatise on attractions, Laplace’s functions, and the Figure of 
the Earth; a pagine 108-109 troviamo il passo seguente, più 
generale : 


Pai 


n 


“ Prop. To find the effect of a small disturbing force pa- 
“ rallel to the meridian in changing the Level of the Sea. 
“ 106. Let U be the disturbing force and du an element 


(1) Dipendenti dalle condizioni geografiche del problema. 


PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1081 


“ of the line « along vhich it acts. Then { Udu must be added 
“ to the potential in the equation of fluid equilibrium of Art. 73. 
Me CA af ia È dr, 

lore bre u°) + {Udu=-const. at the surface (1). 


“Putting w =. i and substituting for V from Art. 91; 


(A) const =-2 + ( =. (gh Dai DE 
ST 


“ Now when the small force U is neglected 


Uri 2 


Hence, neglecting small quantities of the second order and 
dividing by E, and multiplying by a, 


«“ 


a 1 @ (* 
pe e lE (È -- n) —_  JUd: 
ph = = constant. + e p° — i (Udu. 


Comparing this with the value of S when U is neglected, 


“ 


we have 


—=14 ep — 4 /Udu. 


“ Now D2 is the tangent of the angle between r and 


“ the normal = tang. yw suppose. 


(1) w è la velocità angolare della Terra; U= così, è l'angolo che r 
fa coll’asse 2 di rotazione. 


1032 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


“ Hence è w, or the angle through which the normal is 
“ thrown back by the force U, being small, 


iù tango = dr = 


“ Hence the element ds of the undisturbed meridian line 
“ on the surface of the sea is elevated, on the side towards 
“ which U acts, by the space, 


de.by='g UG de=-G Udu= du; 


*. whole elevation of the sea-level "> {Ud U, 


“ integrated from the point where U begins up to the point 
“ in question ,. 

Non potei consultare la seconda e la terza edizione del 
libro di Pratt, ma nella quarta (1871) il brano precedente è 
riprodotto con poca o punta alterazione, ma coll’ aggiunta : 

“ This will be true of any small force acting in any di- 
“ rection ,, ed anche coll’omissione del fattore: 7? al terzo ter- 
mine del secondo membro dell’equazione che abbiamo chiamata(A), 
che è comune alle due edizioni. 

Nella quarta edizione poi al denominatore del secondo 
termine del secondo membro vi è r? invece di r* come sta nella 
prima e come deve essere. 

Nella medesima quarta edizione a pag. 212 leggesi il brano 
seguente: 


“ Prop. To prove that the effect of a mass at the earth's 
« surface, whether above or below is to make the sea level rise 
at any place through a space V/g, vhere V is the potential of 
the mass for a point on the disturbed sea level which is in the 
“ same vertical line with the place. 

“ 200. Suppose a line drawn from the given place to the 
“ earth’s centre, and 9 the angle which a radius vector r to 


- 
ai 


- 
n 


PS 
x 


PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1033 


any point in the curve of the disturbed sea level makes with 
that line. Then — + di is the tangent of the angle between 
the radius r and the normal to the curve. This angle is the 
deflection caused by the horizontal attraction of the mass; 


and its tangent equals the ratio of that attraction to gra- 


vity = — 2 di V being the potential of the mass for that 
point 

ciali pi Pod EV 

iuebk in desto 


% r + cos. 


“ Let r=a (1), where V=0 or the horizontal attraction 
of the mass first becomes appreciable, and let V be the value 
of V at the place in question: 


“ .°. rise of sea level =r—a+V:g ,. 


Pratt applica quindi il teorema agli Himalaya. 
Il passo seguente che trascriviamo da Helmert (l. c.) ci farà 


vedere che il precedente risultato di Pratt è precisamente quello 
che ivi è chiamato Teorema di Bruns. Per la spiegazione dei 
simboli rimandiamo il cortese lettore al libro stesso di Helmert. 


“ 


“ ABSTAND VON NIVEAUSPHAEROID UND NIVEAUFLAECHE GLEI- 
CHEN POTENTIALWERTES. 


“ Im vorigen Kapitel ist firr einen Niherungsausdruck U: 
des Potentials W der Schwerkraft gezeigt worden, wie sich 
mit Hilfe von Schweremessungen die Gestalt der zugehérigen 
Niveausphéroide ausserhalb der mathematischen Erdoherflziche 
bestimmen làisst. Wir denken uns jetzt ganz allgemein unter U 
eine Funktion, welche einen Niherungsausdruck von W vor- 
stellt. Wir denken uns ferner zu den Gleichungen W=Wo 
und U=W,, unter W, eine Konstante verstanden, die zu- 


(1) a è il raggio del livello del mare non perturbato. 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI, 70 


10834 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


«“ gehòrigen Flichen aufgesucht. Dann gilt es eine Beziehung 
“ zu ermitteln fiir den Abstand QP= N, um welchen sich, die 
«“ Niveaufliche W=W, iber das Niveausphàroid U=W, in der 


My 


“ Normalen PQ des letzteren erhebt. Diese Beziehung kann 
«“ dann selbstredend auch fir die besonderen Formen von U 
“ Anwendung finden, die im vorigen Kapitel firr Niveausphà- 
“ roide ausserhalb benutzt worden sind. 

“ Im allgemeinen wird nun in einem beliebigen Punkte 
“ der Wert der Funktion U von W abweichen um eine Grosse T: 


W=U+T. (1) 


“ Ist in dem Punkte insbesondere W=U=W,, so hat T den 
“ Wert null. Wir sehen also zunzchst, dass Niveaufliche und 
“ Niveausphéàroid sich da schneiden, wo T= null ist. Ist T fiùr 
“ einen Punkt Q der Niveaufliche W=W, nicht null, so hat U 
“ einerseits nach (1) den Wert W,—T. Andrerseits kann mann 
“ von P ausgehend U fiir Q nach Taylor's Satz herleiten und 
«“ zwar fiir kleine N in erster Anniherung wenn beliebige 
“ Hoòhen ilber P_mit % bezeichnet werden: 


U=W+(G),N+ R 


“ Da aber auch U=W,—T gefunden war, so folgt sufort 
“ aus der Gleichsetzung beider Ausdriicke 


N=— 


PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1035 


<« oder mit Festsetzung, dass N nach aussen wie in Fig. I, 
«“ gezahlt wird: 


N=1 + TORO, 2) 


« worin Y die der Funktion U in P entsprechende Beschleuni- 
“ gung der Schwere bedeutet. 

«“ In den Fallen des vorigen Kapitels bezeichnet y die nor- 
“ male Schwerkraft. 

“ Die Relation (2) hat H. Bruns in seiner Figur der Erde 
« S. 20 angegeben und zwar in der Gestalt A=—T:Ycose. 
« Hierbei bedeutet % die Tiefe des Sphiroids U=W, unter der 
“ Niveaufliche W=W,, gemessen in der Lotrichtung von Q, 
“ wenn in Q die normale Schwerebeschleunigung gleich Y ist 
“ und die Lotrichtung, daselbst mit der Richtung der normalen 
“ Schwerkraft den Winkel e einschliesst. Praktisch genommen 
« laufen beide Formeln, die Brunssche und (2), auf dasselbe- 
“ hinaus. Doch ist bei Bruns die Entwiklung eine etwas andere. 

“ Da man die Werte von T im Niveau der Meeresfliche, 
“ welche einem wie in vorigen Kapitel auf grund der Schwe- 
“ remessungen zu bestimmenden Niveausphéroid U entsprechen, 
“ nicht kennt, so kann man von der Formel (2) allerdings kei- 
“ nen Gebrauch machen, um die Undulationen der Meeresflîiche 
“ gegen ein Niveausphéroid gleichen Potentialwertes zu ermit- 
“ teln. Nichtsdestoweniger ist die Formel von hoher Bedeutung, 
wie aus den zahlreichen Anwendungen derselben in diesem 
Kapitel hervorgehen wird. 

“ Wir werden sie als das Theorem von Bruns bezeichnen ,. 

La magnifica e feconda teoria della condensazione, esposta 
in seguito da Helmert, si giova continuamente del teorema di 
Pratt-Bruns. 

Di questa teoria l’astronomo francese Tisserand ha fatto 
una succinta esposizione nel volume secondo del suo grande 
trattato di meccanica celeste, nel quale, a pagine 354-355, 
espone egli pure il teorema che ci occupa, che anch'egli attri- 
buisce a Bruns. 

Ed ora ci si consenta di riprodurre la dimostrazione di 
Bruns (1. c.): anche qui per la spiegazione dei termini siamo 
costretti a rimandare alla memoria originale : 


n 


[AI 


1036 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


n 


R 


“ Wir betrachten jetzt die Werthe der Function U als die 
eigentlich normalen Werthe und demgemiss die Differenzen 
T=W_0 als Stérungen oder Anomalien, welche durch die 
Unregelmissigkeiten in der Massenwertheilung der Erde her- 
vorgerufen werden. Die Gròssen 


9U dU dU dW dW dW dT òdT èdT 


dae dy' de de dy de de 0 de 


stellen dann in jodem Punkte der Erdrinde die Componenten 
der theoretischen Schwere y, der wirklichen Schwere 9 und 
der Stòrung dar. 

“ Y-g ist die Stòrung der Intensitàt der Schwere; der Win- 
kel e zwischen 1 und 9 oder die Lothablenkung ist durch 
die gleichung 


__ QU dW | dU dIW ) du dW 
ALe e ce pe 


bestimmt. e ist ebenso wie 9 eine stetige Function des Ortes 
oder der Coordinaten; aher die ersten Ableitungen von e în- 
dern sich ebenso wie die von g sprungweise, wenn sich die 
Dichtigheit sprungweise fndert ,. 

Qui seguono alcune considerazioni non necessarie al teo- 


rema, la cui dimostrazione si trova nelle linee seguenti a pa- 
gina 20: 


PSI 


“ Die Hebungen und Senkungen eines Geoids relativ gegen 
ein Sphàroid ermittelt man am kiirzesten auf folgende Weise. 
Es sei P(xy2), auf ein beliebiges Axensystem bezogen, ein 
Punkt des Geoids W=U,, die Verticale in P_treffe das Sphé- 
roid U=U; inQ, und es sei PQ=}, positiv gerechnet wenn 
die Streche von P. nach Q nach aussen gerichtet ist. Die 
Coordinaten von Q sind dann, 


Hieraus folgt, da U in A gleich U, ist, unter Vernachlis- 
sigung der hòheren Potenzen von % 


PER LA STORIA DELLA TEURIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1037 


u=t_-i($ +7 dW dU dla 


gd de cd de de 


“ oder da in P 
U=W_-T=U0,—- T ist, 
(1) 


E 
Y cose 


h=+ 


“ Der Werth der Function T misst also, abgesehen von den 
nahezu constanten Factor Y cos e, unmittelbar die Hebungen 
und Senkungen des Geoids, und zwar bezogen auf dasjenige 
Sphéroid, welches mit dem Geoids den gleichen Potential- 
« verth U, besitzt. Positiven Werthen von T entspricht eine 
Hebung, negativen eine Senkung ,. 

Colla scorta di questi documenti, giudichi il cortese lettore, 
se sia giusta ed accettabile la nostra proposta di denominare 
da Pratt, o per lo meno da Pratt e Bruns il teorema la cui 
storia forma l'oggetto della presente nota. 

Per la deformazione delle superficie geoidiche, di uno sfe- 
‘roide di livello o della sferoide normale, sono importanti i la- 
vori seguenti : 


Sarcev, Petite Physique du globe. Raro e poco noto libretto, 
pieno di vedute originali e di idee profonde. In due capitoli di 
esso si dànno, senza dimostrazione, formole per calcolare la 
sopraelevazione del livello del mare prodotte da masse pertur- 
batrici: questi due capitoli sono il CXIX e CXX del volume 
secondo (1842), pp. 247 e 252; 


Fiscner Puiripp, Untersuchungen iiber die Gestalt der Erde 
(1868), che, pur tenendo conto dei giusti appunti di Bruns ed 
Helmert, merita ancora oggidì di essere studiato. 


StoKEs, On the variation of gravity at the surface of the Earth 
(“ Cambridge Philosophical Transactions ,, VIII, 1849, pp. 672-95; 
“ Philosophical Magazine ,, XXXV, 1849, p. 228, e “ Mathema- 
tical Papers ,, vol. II). 


(1) Si vedrà facilmente che l’Uy di Bruns è il W, di Helmert. 


1038 0. ZANOTTI BIANCO — PER LA STORIA DELLA TEORIA, ECC. 


Su questa memoria di Stokes vedasi HELMERT, T'heorieen 
der Hoheren Geodtisie, vol. II, e Bruns, Die Figur der Erde. 
Sulla teoria di Stokes, ha pubblicato un lavoro il signor W. HER- 
ceseLL. Quel lavoro pubblicato nel 1890 a Buchsweiler in Ger- 
mania, come aggiunta ai programmi ginnasiali, come suolsi 
fare in quel dotto paese, ha per titolo: Ueder die Formel von 
G. G. Stokes zur Berechnung regionaler Abweichungen des Geoids 
vom Normalsphdiroid. Ci sembrano, circa questo lavoro, più che 
giustificate le osservazioni che vi fa il D'*° Bòrsch in una re- 
censione stampata nel “ Jahrbuch iiber die Fortschritte der Ma- 
thematik , pel 1890 (Berlin, 1893). Sulla formola di Stokes, ne 
piace qui menzionare due pregevoli scritti del chiar.®° profes- 
sore Pizzetti: Sulla espressione della gravità alla superficie del 
geoide supposto ellissoidico, Note due; “ Rendiconti R. Accademia 
dei Lincei ,, 1894; Intorno alla determinazione teorica della gra- 
vità alla superficie terrestre; “ Atti dell’Accademia delle Scienze 
di Torino ,, 1896. 


Hann, Ueber gewisse betrichtliche Unregelmissigkeiten des 
Meeres-Niveaus, Gaea, 1876. 


THowson and Tarr, Natural Philosophy (1883), vol. II, p. 351 
e seguenti. 

Il teorema di cui si trattò più sopra è dato anche da Guyx- 
THER, a p. 203 del volume primo del suo Lehrbuch der Geophysik 
und Physikalischen Geographie; nonchè a p. 444 del suo Hand- 
buch der Mathematischen Geographie (1890). 


G. B. RIZZO — LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, Ecc. 1039 


La durata dello splendere del Sole sull’orizzonte di Torino; 


Nota del Dott. GIOVANNI BATTISTA RIZZO 


Assistente all’Osservatorio della R. Università di Torino. 


La radiazione solare è la prima cagione dei fenomeni me- 
teorologici, perciò questi diventano più chiari e se ne possono 
più razionalmente studiare le variazioni quando si studiano in 
relazione colla radiazione medesima. 

Per la conoscenza esatta della quantità di energia che il 
sole irradia sopra una regione, in un determinato periodo di 
tempo, sarebbe necessario uno strumento che di istante in 
istante, senza interruzione, registrasse la quantità di calore 
raccolto da una superficie assorbente: tuttavia si possono già 
ottenere dei risultati importanti per la spiegazione dei fenomeni 
meteorologici più comuni determinando per quanto tempo il 
sole risplende sull’orizzonte nelle diverse ore del giorno e nei 
varî periodi dell’anno. 

Per registrare lo splendere del sole si adopera uno stru- 
mento chiamato eliofanometro. Questo è formato da una lente 
sferica, dietro la quale si dispone, perpendicolarmente al meri- 
diano, una striscia di carta in tale posizione che, cadendovi sopra 
l’immagine del sole, la faccia annerire o la bruci nel punto 
colpito. Se il sole risplendesse senza interruzione, l’immagine 
descriverebbe un arco di circonferenza (trascurando la piccola 
variazione del sole in declinazione) con una velocità di 15° al- 
l’ora. Resta perciò molto facile determinare per quanto tempo 
risplende il sole esaminando la porzione di carta annerita che 
corrisponde alle diverse ore della giornata. 

I risultati contenuti in questa nota sono dedotti dalle de- 
terminazioni fatte dall'anno 1890 al 1895 e sono raccolti nelle 
tavole seguenti, che dànno per ogni decade il numero medio dei 
minuti in cui il sole risplende nelle diverse ore del giorno e poi 
la durata totale A dello splendere del sole nella giornata. A 
questi numeri è aggiunto il rapporto fra la durata dello splendere 
del sole e quella del tempo B in cui il sole rimane sull’orizzonte. 


GIOVANNI BATTISTA RIZZO 


(Tempo vero locale) 


1040 


| 
| 
| 
| 
! 
| 
| 


A 
) ì 
Ud Ì 
Gi 


n PILE + chi < <H ui de 
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2 | A 
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D 
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vini mirella mr NGI GIN NIN NAM mMmnn mnomnmn 
E __—_— —— __, —— ——— 6 —————66—6—_—————<———— ———— 1_1[( —— _ _——— "  _——— __ 
[S) S; . . . . . . D . D 
D 
« a) n & ; 3 a as Fi S 
>) .9 FE © o) e) E e E i 
A o) pe © ì ari Si © + S 
= 2 N i DO 50 uni D © —' © di 
A 3 n Ra a) O) Si Ro >) # E > Sa 
(0) D R Da cd de [2] (eo) D is ©) «2 
ld») I = <| = 5 mu; < N o Zi (n 


LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE SULL’ORIZZONTE, ECC. 1041 


Ì | Ora 
-13.|13-14|14-15°%)15-16%|16-175) 17.18. 18-192) 19-20) rela A B $ 
del Sole 

1.3|14.0|14.5| 9.7) 04 162 262/12 18m|gh 59m 0,146 
9.8|11.9|10.9| 5.2| 0.2 16 84 (0 54| 9 7|0.097 
0.8\23.0 243/174] 5.2 16 45 |2 21 | 9 300.247 
4.0 |25.3|25.8|26.7|13.3 16 57 2 47 | 9 540.281 
3.8|27.5/30.8|32.8|21.9| 1.7 17 10 |3 43 [10 21|0.359 
0.9|20.7|19.2/19.3|17.7| 5.2 17 25 |2 49 {10 51|0.259 
5.9 | 38.0|39.0 | 36.3 | 34.1 | 10.8 17 42 |5 21 [11 23|0.470 
5.7 |25.8 26.6/25.4|21.2] 8.0 17 57 {3 58 [11 53|0.3383 
1.4|40.6/395|38.3/32.8|10.2| 0.1 18 13 |6 9 [12 26/0.501 
7.6|41.5|40.0|38.0|27.4| 7.2] O.1 18 29 |5 42 [12 58|0.440 
7.8|28.3|31.6|30.6|22.0| 9.6| 0.2 18 45 |4 45 |13 29] 0.352] 
18.5 |29.7|27.3|26.3/23.2/14.9| 12 19 00 |4 58 |13 590.355 
7.2|25.3|23.8|24.6|/22.2/11.0| 0.5 19 13 |4 8 |14 26|0.286 
#7.1|38.8|32.7|33.3|26.3|13.2| 1.0 19 26 |6 9 [14 51|0.414 
7.3 25.9|249|24.9|22.7 12.2) 1.2 19 36 |4 40 |15 11|0.307 
16.8|28.7|27.1|24.9|24.6|20.0' 4.1 19 43 |5 26 [15 26|0.352 
33.0 | 33.8|29.7|31.3|291|27.3| 7.1 19 46 |6 18 [15 3310.405 
}7.7|844|31,3|30.2|31.5|26.3| 5.6 19 46 |6 57 |15 83|0.447 
59.2 \37.4|33.9|29.7/28.1|25.3| 2.2 19 43 [6 56-|15 270.449 
33.0|29.0|29.7|29.2|26.7|23.8| 5.9 19 37 |6 24 |15 14|0.420 
9.3|41.0|833.:9|38.6|29.8|24.2| 2.3 19 26 |6 57 [14 53/0.466| 
39.5 | 38.5|34.7|85.9|82.5|219| 3.2 19 13 [6 49 [14 28|0.471 
L6.3|41.8|40.1|39.7|35.1|23.0| 2.6 18 59 |7 27 14 00.532 
5.1 42.1|41.8/39.3|38.2|22.2| 10 18 45 |7 18 [13 30|0.540 
13.6 |41.8|89.2|42.7|836.4|16.1 18 28 [6 54 [12 58|0.532 
D.0|32.3|29.5|29.1|26.2| 7.8 18 14.|4 48 |12 29|0.390 
}7.5|344|30.7|33.2|25.7| 2.2 17 58 |4 45 |11 57|0.397] 
D8.5 |26.4|23.8|19.6|17.7| 0.5 17 42 |3 14 11 26|0.282 
30.9 |32.6|32.8/32.6|19.1| 0.9 17 26 |4 15 |10 54/0.390| 
22.3 |26.2|23.2|18.8| 8.2 17 11 (2 35 [10 23| 0.248 
#8.2/20.7|19.9|17.2| 3.7 16 56 /2 4 | 9 540.209] 
W4.717.3/15.7/10.8| 1.2 16 43 |1 26 | 9 28/0.151 
Mi 147 15.6) 7.705). 16 84 115|9 80.137 
20.4|23.9/20.1| 7.6) 0.5 16 26 |2 3 | 8 52/0.231 
Mi (22.7 21.1|102 16 22 2 1|8 44|0.281 
Me 18.6162" "72! 0.1 16 21 |1 30 | 8 42/0.172 


1042 GIOVANNI BATTISTA RIZZO 


Di qui si vede primieramente che nel periodo di un anno 
le ore di Sole non sono sempre ugualmente distribuite prima 
e dopo il mezzogiorno vero. E siccome queste variazioni si col- 
legano colle più notevoli proprietà climatologiche di Torino, così, 
perchè riescano più evidenti, nella tavola I sono rappresentate 
le variazioni giornaliere dello splendere del Sole in alcuni mesi 
scelti ad esempio. 

Nell'inverno il Sole risplende poco nelle ore mattutine, 
sopratutto a cagione della nebbia, e poi il cielo si va rassere- 
nando nel pomeriggio. Nell’estate invece il cielo è più sereno 
nel mattino e il Sole raggiunge una massima durata di splen- 
dore fra le 8° e le 9°, per diminuire un poco in seguito e per 
raggiungere poi il massimo fra le 10° e le 11°. 

La durata dello splendere del Sole in un giorno dipende 
naturalmente dalla stagione, ossia dalla declinazione solare che 
determina il tempo in cui il Sole rimane sull’orizzonte (1). Ma le 
particolari condizioni meteorologiche di una regione, le quali 
mutano in modo molto vario, fanno sì che il cielo sia talora 
coperto di nubi e perciò la massima e la minima durata del- 
l'effettivo risplendere del sole non coincide con la massima e 
con la minima durata del sole medesimo sull’orizzonte. Anzi lo 
studio di queste variazioni dello splendere del Sole può servire 
a determinare la legge colla quale variano parecchie altre con- 
dizioni climatologiche, come sarebbero l'umidità dell’aria, la 
nebulosità, ecc. 

La tavola seguente riassume quella che precede e indica 
per ogni decade dell’anno (a) la media durata del Sole sull’oriz- 
zonte di Torino in un giorno; (b) il numero medio delle ore in 
cui il Sole risplende, secondo le osservazioni fatte dal 1890 
al 1895; (c) questo numero medesimo, quale risulterebbe per 
ciascuna decade calcolandolo con la formola periodica di cui dirò 
in seguito, e per ultimo (d) il rapporto fra il tempo in cui splende 
il Sole in un giorno e la durata di esso sull’orizzonte, rapporto 
che si può chiamare durata relativa dello splendere del Sole. 


(1) Vi sono delle formole semplici, date dall’Astronomia sferica, che 
permettono di calcolare la durata giornaliera del sole sull’orizzonte ad ogni 
latitudine e per ogni valore della declinazione solare: i dati contenuti in 
questa nota sono estratti dalle Effemeridi calcolate dal Dott. V. Balbi. 


ut, rr Ere nr Te 


LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE SULL'ORIZZONTE, ECO. 


DECADE 


Gennaio. . . 


Febbraio . . 


Marzo. ... 


Aprile. . .. 


Maggio . . . 


Giugno . .. 


Luglio 


Agosto . . . 
Settembre . 
via td 
Novembre . 


Dicembre . . 


Du HH HWHWW WWE 
© © 0041 Si Uta DI DMI Oo DOO DU VID 


DID NNIN N 
Dì Ut KAa_W0IN 


DD 
<J 


INN 
© O D0 


dI DO 
Mr 


VI LO DI _W 
Si Ot H> 09 


Durata del Sole 
sull’orizzonte 


(a) 


gr 52m 
9 DE 
9 30 


9 54 
21 
ol 


11 23 
11 58 
26 


58 
29 
59 


26 
51 
folli 


26 
39 
33 
27 
14 
53 


28 
00 
30 


58 
29 
57 


26 
54 
23 


54 
28 
8 


52 
dl 
42 


00 00 00 DS DO 


Ore di Sole 
osservate 


(8) 
19188 
o 
21 


47 
48 
49 


21 
58 
9 


42 
45 
58 


H NN PF_IN NbabWvo PpaPPOS9 QUNUNO SMD) DU Dr Pei PW NW NL 
(Od 
(ep) 


Ore calcolate 
(c) 


TOTO 
E AC 
33.8 


56.1 
18.1 
39.6 


H> DO 
io o n oto ot uo OX 


ut o UtH> VW WIN NIN 


HH HY NHWr NWS pura DSAAHJ DA UWUUuWi UUuu UU Pda WIND DIN 
uo uu 


WNH Hnè> NH 
JP O URA Suo 05209 JO%o SSUT nodi NNO OH o DAT 


vuo nat dn d0 do 40 do do 00 


1043 


Durata relativa 
ello 
splender del Sole 


(d) 


0.216 
.241 
.270 


.296 
.319 
.397 


904 
.972 
.399 


.597 
.598 
.399 


.377 
874 
.365 


.362 
.368 
10004 


.405 
494 
.466 


494 
.512 
515 


.500 
474 
.418 


.360 
.298 
.235 


.176 
.149 
41 


144 
.161 
.187 


1044 GIOVANNI BATTISTA RIZZO 


I numeri della colonna (2) che esprimono il tempo per cui 
splende effettivamente il Sole in un giorno sono dedotti dalle 
osservazioni fatte in una breve serie di anni e perciò serbano 
le tracce di variazioni dovute a cause puramente accidentali e 
non possono esprimere la vera legge colle quali varia la durata 
dello splendere del Sole. Tuttavia questi numeri servono a de- 
terminare una formola periodica che rappresenta la legge me- 
desima con sufficiente esattezza: e si trova così che la durata 
S dello splendere del Sole in un giorno determinato dall’arco e, 
nel periodo di un anno, si può esprimere con la formola: 


S= 42 219,81 — 2% 802,39 cose + 0%, 102,59 sen a 
— 0. 24,13co822+ 0. 51,65 sen2e 
— 0. 5,94cos32 — 0. 18,84sen32 


oppure: 


S = 402]m81 + 230,77 sen (274° 01' + 2) 
+ 0 57,01sen (334 58 + 22) 
+ 0 19,75 sen (107 30 + 32). 


Con queste formole sono calcolati i numeri della colonna 
(c) nella tavola precedente. 

Per rendere più evidenti le variazioni dello splendere del 
Sole nel periodo annuo si sono costruiti i diagrammi della 
tavola II coi numeri contenuti nella tavola precedente. 

La durata totale dello splendere del Sole in un giorno 
sull’orizzonte di Torino è minima tra la fine di novembre e il 
principio di dicembre, e aumenta rapidamente nei mesi di feb- 
braio e di marzo. Sul finire di aprile e nel mese di maggio vi 
ha una nuova diminuzione che coincide col nostro periodo prin- 
cipale delle pioggie: e cresce poscia rapidamente fino a rag- 
giungere il suo massimo annuale nel mese di agosto. 

Il minimo della durata relativa dello splendere del Sole 
cade anch’esso fra il novembre e il dicembre in coincidenza col 
periodo delle maggiori nebbie; in maggio vi ha un altro minimo 
notevole e il massimo principale si ha sul finire di agosto. 

È utile di confrontare la durata relativa dello splendere 
del Sole a Torino con quello di alcune altre città il clima delle 


PE E IZ LEO TP TE TOPO 


PA OSIEZZRA 
EA 


G.B.RIZZ0-La durata dello splendere del sole sull’orizzonte di Torino 


Andamento giornaliero dello splendere del sole 
Febbraio 
Ore 4 5 6 7 8 digit. 1a 18 1645161 RISI 
| sssssssSàza = ss 


| 


ore 4 ò 6 7 8 9 I ERO SAS 15-10: 17 MB 
! | | 
| | 


UN ORE 


intervallo di 


073 SRI NEI PO IDO O E OOO DIS O O N A A 
| | | | 
i 
| 
| 


in ciascun 


sole 


di 


Minuti 


Novembre 
ore 4 3) 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15-16 17 18 19 20 


Atti R.Accad. delle Sc. di Torino - POLAT 


A). Durata del sole sull'orizzonte in un giorno 
GENNAIO FEBBRAIO MARZO APRILE MAGGIO GIUGNO LUGLIO AGOSTO SETTEMBRE OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE 
PMI | | DUAL | | ide 


Ore 16 


| 


Ei 


8 i 


B). Media durata dello splendere del sole in un giorno 
8 GENNAIO FEBBRAIO MARZO APRILE MAGGIO GIUGNO LUGLIO AGOSTO SETTEMBRE OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE 


valori osservati 


A valori calcolati 


C). Durata relativa dello splendere del sole 
GENNAIO FEBBRAIO MARZO APRILE MAGGIO GIUGNO LUGLIO AGOSTO SEITEMBRE OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE 


: 
Î 
Ì 


il 
| 
i 


0,70 


0,60 


i se To sla 


0,50 


0,40 

0,30 

020 ! 
ISROMA | I 

pesssss2=2== BUKARÉST 
RIESZIORINOE | = | | 


0,00 i 1 Ì i | 


044 
i 


* 
i, fl 
SOIN, 

Van 

SL » ; ? 
ha i 

A n 


LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE SULL’ORIZZONTE, ECC. 1045 


quali è ben noto; e la tabella seguente contiene questi dati per 
Torino, Roma (1), Pietroburgo (2) e Bukarest (3). 


Torino Roma Pietroburgo| Bukarest 
Gennaio 1001, 0.242 0.40 0.16 0.26 
Febbraio. .... 0.317 0.48 0.28 0.31 
Marzo... 0.373 0.42 0.36 0:36%+:7) 
prio... n 0.396 0.47 0.45 0.45 
Maserot: 0 0372 0.52 0.46 0.55 
Giuonens 48 4) 0.369 0.63 0:52 0.56 
Baalto: ontereo 0.435 0.75 0.49 0.69 
MISOSHO 1g 0.507 0.75 0.48 0.72 
DSektembre". 0.464 0.61 0.37 0.61 
Oktobre-;. 34 0.298 0.52 0.23 0.48 
Novembre . ... 0.155 0.46 0.11 0.35 
Mirembre + 0.164 0.39 0.10 0.22 

j 


Di qui si vede che la durata dello splendere del Sole a 
Torino è molto breve, specialmente nell’estate, rispetto a quella 
che si ha altrove. E questo fatto che è dovuto alle nubi le 
quali occupano con grande insistenza la valle superiore del Po, 
dimostra quanto sia abbondante il vapor acqueo che quivi si 
raccoglie e spiega una delle più notevoli particolarità del clima 
di Torino, che è quella di avere la massima temperatura gior- 


naliera notevolmente dopo l’ora ordinaria del massimo. 


(1) P. TaccHini, “ Rend. della R. Accademia dei Lincei ,, vol. V, fasc. 5°, 
pp. 139, 1896. 

(2) J. Scnurewrrsca, “ Rep. fiir Meteorologie ,, XVII, 1894. 

(3) S*-H. Hepires, “ Meteorologische Zeitschrift ,, XII, pag. 116, 1896. 


1046 VITTORIO BALBI 


EFFEMERIDI 


del Sole e della Luna per l'orizzonte di Torino e per l'anno 1897 
calcolate dal Dott. VITTORIO BALBI 


Assistente all'Osservatorio della R. Università. 


PRINCIPALI ARTICOLI DEL CALENDARIO 
PER L'ANNO 1897. 


Anno 6610 del periodo Giuliano. 

Anno 2650 della fondazione di Roma (secondo Varrone). 

Anno 1897 del Calendario Gregoriano stabilito nell’Ottobre 1582; 
comincia il Venerdì 1° Gennaio. 

Anno 1897 del Calendario Giuliano o Russo; comincia 12 giorni 
più tardi, il Mercoledì 13 Gennaio. 

Anno 5657 dell'Era degli Ebrei; comincia il Martedì 8 Set- 
tembre 1895 e l’anno 5658 comincia il Lunedì 
27 Settembre 1897. 

Anno 1314 dell’Egira, calendario Turco; comincia il Venerdì 
12 Giugno 1896 e l’anno 1315 comincia il Mercoledì 
2 Giugno 1897, seguendo l’uso di Costantinopoli. 


Computo Ecclesiastico. Quattro Tempora. 
Nuamero Dro N GAI Marzo e...» 10, 4260, 
PINA 9 IENE e O Graeno-:. 0. 9555 
Giclo<Bolare 04 AR Settembre . . 15, 17 e 18 
Indizione Romana. . . 10 Dicembre: ..  15,-176368 


Lettera Domenicale . . 0 


EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 


Settuagesima 
Ceneri. 
Pasqua 
Rogazioni 
Ascensione . 
Pentecoste 
SS. Trinità . 
Corpus Domini . 


I Domenica dell’ ta 


Principio delle Quattro Stagioni. 


Primavera . 
Estate . 
Autunno 
Inverno . 


Feste Mobili. 


14 Febbraio 


8 Marzo 
18 Aprile 


24, 25 e 26 Maggio 
27 Maggio 


6 Giugno 


13 Giugno 


17 Giugno 


20 Marzo 


21 
22 
21 


Giugno 


ore 


” 


Settembre , 


Dicembre 


” 


28 Novembre 


9, min. 


5) 
19 
14 


” 


” 


” 


16 
23 
49 


13. 


1047 


1048 VITTORIO BALBI 


Gennaio 1897. 


Fasì della Luna. 


3 Luna nuova alle 7h 3 
10 Primo quarto , 22h 46m 
18 Luna piena s 212170 
25 Ultimo quarto , 21h 9m 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL’EUROPA CENTRALE 
2 O) S Il SOLE La LUNA 
s O |afl- lil SIR 
<|3|F8 te 
> DE passa Z passa 
© ra * [nasce al E nasce al tramonta 
iS, Ue) DN meridiano E meridiano 
hm hm Ss hm h m h m h m 
1 1 V |8 10|12 33 12,95 |16 56 6 42 10 44,9 14 47 
2 2 S 10 38 41,06 57 745 11 48,1 15. 58 
3 5) D 10 33 spo 58 8 26 12 48,8 LISTS 
4 4 L 9 84 36,16 59 9 13 13 45,4 18 25 
5) 5) M 9 SO LiACO) 9 43 14 36,7 19 40 
6 6 M 9 89 29,51 T|l'* 404 6 15 23,4 20 52 
7 t G 9 35 55,45 DO 16 6,9 220 
8 8 V 9 36 20,87 3 10 45 16 48,1 29 9 
909 S 9 86 49,72 4| 11 0 17 28,4 —— 
10 | 10 D 8 37. 10,00 6. CLI A 18 9,0 0.9 
Jil AioE L 8 dd, 33,67 || 11 896 18 51,0 114 
12 |:12 M 7 87 56,71 812 0 19 35,3 2 18 
13 | 13 M 7 SSLL9:110 9.227 20 22.5 sò 24 
14| 14 G 6 38 40,83 10; || ©2132 21 12,9 4 29 
I15ajtlo V 6 SI 1599 12) 13 47 22 6,8 5 80 
16 | 16 S 5 39 22,22 13|| 14 41 23 0,7 6 27 
I Er ag D 5 39 42,86 14) 15 46 23 55,4 715 
18 | 18 L 4 4001077 16) 16 57 = 7 55 
19 | 19 M d 40 18,95 17] 18 12 0 48,9 Be21 
20.| 20 M 3 40 36,38 18|| 19 28 1 40,2 8 54 
210021 G 2 40 58,05 20] 20 43 2 29,4 9 16 
22 | 22 V 1 41 8,97 21 ||. 21 59 317,9 9 37 
230/23 S 0 41 24,12 22] 22 25 4 4,1 9 57 
24 | 24 D |7 59 41 38,50 24 == 4 53,0 10 19 
25 | 25 L 58 41 52,11 25 0 33 5 48,2 10 43 
26 | 26 M 57 49. 4,93 27 152 6 36,6 11:12 
27| 27 M 57 42 16,95 28 3 12 7 33,5 11 50 
28 | 28 G 56 42 28,19 29 4 28 8 33,7 120301 
29 | 29 V 54 42 38,62 81 5 34 9 35,2 1337 
580 | 30 S 58 42 48,24 82 6 28 10 35,5 14 47 
sl | 81 D 52 42 57,05 84 TELO 11 32,7 16002 


Età della Luna 


Il giorno nel mese cresce di 0% 56m 


11 La Luna è in Apogeo alle 21% 


25 


Id. 


Perigeo , 


15h 


Il Sole entra nel segno Acquario 


il giorno 19 alle ore 19 min. 7. 


EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 1049 


Febbraio 1897. 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È 
Mori 393 dae i E 

dc ll SOLE La LUNA È 
ARE n x» © 
< |a DE passa È passa E 
| [nasce al = nasce al tramonta | -£ 
o o DN meridiano £ meridiano E 

hm hm 8 hm hesm h m h m 
32 1 Ties 2049t8 1505081735 742 12 25,6 17 18 80 
33 2 M 50 AS AZ: 87 SA 13 14,2 18 S1 1 
94 3 M 49 43 18,58 98 8 28 15 59,3 19 42 2 
35 4 G 47 43. 24,12 39 8 47 14 41,7 20 48 DI 
36 5 V 46 43 28,83 41 9 4 1512238 21 54 4 
37 6 S 45 43 32,71 42 9 22 16455% 22 58 15) 
38 n D 44 43 35,77 44 9 40 16 45,3 e gal 6 
99 8 L 42 43 838,03 45 10 1 17 28,5 0 4 7 
40 9 M 41 43 39,48 47| 10 27 18 14,3 TS) 8 
41 | 10 M 39 43. 40,12 48| 10 58 19 2,8 lo 9 
42 | 11 G 98 43 39,98 49| 11 37 19 54,3 sullo 10 
450/012 V 87 43 89,06 51 1227 20 47,7 4 15 al 
44 | 13 S 35 43‘ 37,36 52] 13 26 21 42,1 5 6 12 
45 | 14 D 38 43 34,91 54|| 14 45 22,'36,2 5 49 13 
46 | 15 L 32 43 31,73 55 || 15 48 23 28,8 6 25 14 
47 | 16 M 80 43 27,81 DI 17 5 008. 6 54 15 
48 | 17 M 29 45 23,19 58 || 18 23 0 19,8 719 16 
49 | 18 G 27 43 17,86 59] 19 40 1 94 741 17 
50 | 19 V 26 43 11,87 |18 1) 20 59 1 58,9 83 18 
bl | 20 S 24 43: A AbiOl Zi 2 Zi9 2 47,6 8 24 19 
52. 21 D 22 49 57,92 4| 23 40 9 35,6 8 47 20 
59.22 L 21 42 50,01 5 dA 432,2 915 Dil 
54 | 28 M 19 42 41,49 7 ilgai 5 28,9 9 50 22 
55 | 24 M 17 42 32,39 8 ZAl9 6 28,2 10 35 29 
56 | 25 G 15 4922,72 10 DIAZ 7 28,9 N50 24 
57 | 26 V 14 49° 12,50 11 4 25 8 28,8 12 36 25 
58 | 27 S 12 42€ 01/5 12 SM, 9 26,0 13 46 26 
59 | 28 D 10 41 50,47 14 5 44 9 19,2 loi Zi 
| 


Fasi della Luna. 


1 Luna nuova alle 21h 18m 
9 Primo quarto , 20% 25m 
17 Luna piena ps 1b1lm 
24 Ultimo quarto , 4h 44m 


Il giorno nel mese cresce di 1h 22m 


8 La Luna è in Apogeo alle 19% 
20 Id. Perigeo , 14h 


Il Sole entra nel segno Pesci il 
giorno 18 alle ore 9 min. 37. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 71 


1050 VITTORIO BALBI 


Marzo 1897. 
GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È 
HH 
2 | o È II SOLE La LUNA a 
sa passa = passa = 
licet a [nasce al s nasce al tramonta| £ 
3 ro) ND meridiano pa meridiano [cal 
hmjhm s hm ice: h m h m 
60 1 L |7 9|12 41 38,69 (1815 6 11 11 ;,8:3 16 16 28 
Gl 2| M 7 41 26,41 17 6 32 11 53,9 17 26 29 
62 3 M 5) 41 15,66 18 6 52 12 36,9 18 34 30 
63 4 G 3 41 0,45 19 79 13 18,3 19.39 1 
64| 5) V 1 40. 46,79 21 726 13 59,2 20 45 2 
65!| +68 |0eS 0 40 32,70 22 745 14 40,6 21 49 3 
66 7 D |6 58 40. 18,19 23 85 15 23,8 22 55 4 
67 8 L 56 40. 3,29 24 8 29 16 8,0 23 59 5) 
68 9: (paM D4 89. 48,01 26 8 58 16 55,2 nu 6 
69 | 10 M 52 89. 32,38 27 9 33 17 448 To? 106, 
7 11 G 51 39 16,40 28 || 10 18 18 36,7 22 8 
pia V 49 9910:09 380| 11 12 19 29,7 2 56 D 
Maulvie: as 47 38. 43,50 81 12 15 20 22,8 3 4l 10 
73 | 14 D 45 38 26,61 32] 13 24 Qlilo,1 4 20 ll 
74 | 15 L 43 38 9,48 354| 14 39 22 6,2 4 52 12 
75 | 16 M 41 87 52,10 35 || 15 55 22 56,2 5 18 13 
768 0le seiM 39 87 34,52 36] 17 13 | 23 45,7 5 44 14 
77048 G 37 37 16,74 38 || 18 33 _— 6 4 15 
78 Y49: | 36 36 58,80 59|| 19 54 0 35,8 6 25 16 
79|20| S 34 36 40,72 40.21 17 127,5 6 49 17 
80 | 21 D 32 86 22,52 41| 22 42 2 21,8 TI1D 18 
i 81)|22 L 30 36 4.23 43 —— 3 19,3 7 49 19 
82|23| M 29 35 45,87 44 0 4 4 19,9 8 32 20 
83 | 24 M 26 35 27,47 45 1 18 5 22,0 9 24 21 
84 | 25 G 24 35. 9,05 46 220 6 23,0 10 29 22 
85126) V 22 384 50,63 48 OT 9 1 24,9 11 40 23 
86 | 27 S 21 384 32,23 49) 8 46 8 16,1 12 54 24 
87 | 28 D 19 84 13,87 50] 414 900,9 14 6 29 
88 | 29 L 17 83 55,96 52] 4 88 9 51,9 15 16 26 
89|30| M 15 33 37,33 53) 4 58 10 35,0 16 23 27 
90 | 31 M 13 38 19,18 D4 5 16 11 16,4 17 28 28 
Fasi della Luna. Il giorno nel mese cresce di 1h 37m 
3 Luna nuova — alle 12h 560 8 La Luna è in Apogeo alle 14h 
11 Primo quarto =, 16h 28m 20 Id. Perigeo , 13% 
Luna piena n 22% 280 Il Sole entra nel segno Artete il 
25 Ultimo quarto , 13% 0m giorno 20 alle ore 9 min. 16. 


EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA i 1051 


Aprile 1897. 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È 
3 
Diu ll SOLE La LUNA 3 
E |\S|sf "I n 3 
i FL passa È passa bi: 
F |a | È (nasce al È nasce al tramonta| £ 
= S D meridiano E meridiano [cal 
h m hm Ss hm him h m h m 
91 1 G |6.11|12.33.. 1,13 |/18 55 5 93 11 57,1 18 32 29 
92 2 V 9 32. 43,21 97 5. Dl 12 38,0 19 38 1 
98 3 S t 32 25,42 58 6 11 13 20,2 20 47 2 
94 4 D 6 OZ I aT9 59 6 33 14 4,1 21 48 6) 
95 5) L 4 sl. 50,92 [19 0 6 59 14 50,4 22 52 4 
96 6 M 2 81. 83,04 2 Mit98 15 39,0 23 52 5) 
97 7 M 0 S1 15,94 3 813 16 29,6 = 6 
98 8 G |5 58 80. 59,07 4 9 4 17 21,4 0 48 “ 
99 9 V 56 30. 42,43 6 10 1 18 13,3 1 86 8 
100 | 10 S 55 80. 26,04 A GALLO 7 19 4,5 2 16 9 
TORO D 93 90. 9/91 Sil BAl20 9 19 54,6 2 49 10 
102 | 12 L |) bl 29 54,07 9 13 41 20 43,7 SLY 11 
103 | 13 M 49 29. 88,51 11) 14 46 21 32,2 9.158 12 
104 | 14 M 47 29 23,27 10) RALBe3 ZQMZIA1 4 4 18 
105 | 15 G 46 29% 8996 13. 17023 23/1057 4 25 14 
106 | 16 V 44 28. 58,80 14| 18 46 —— 4 48 15 
HOT IT: S 42 28 39,61 16) 20 11 015,0 o 13 16 
108 | 18 D 4l 28. 25,81 17/2137 1° 82/3 5 44 17 
109 | 19 L 39 28 12,41 18.)| 22 59 2095 6 24 18 
110 | 20 M 37 27. 59,44 19 = 97,5 14 19 
REI «| 21 M 85 27 46,92 21 0 8 4 11,5 8 17 20 
Jai2 (022 G 94 27 34,86 22 14 5 13,6 9 28 21 
IS |-28 V 92 ZI 2827 23 146 6 10,9 10 45 22 
114 | 24 S S1 ALT 24 2 18 713,0 11 57 23 
LI | 25 D 29 Trie-4159 26 2 42 7 50,4 13 8 24 
116 | 26 L 27 26 51,48 27 8 4 8 34,5 14 16 25 
diri | 27 M 26 26 41,90 28 8 22 9) 16,2 15 21 26 
118 | 28 M 24 26 32,85 29 9 39 9 56,6 16 26 27 
119 | 29 G 25 26 24,33 30 3_D7 TON9732 17 30 28 
120 | 30 V 21 26. 16,33 82 dl 11 18;7 18 34 29 
Fasi della Luna. Il giorno nel mese cresce di 1h 30m 
2 Luna nuova alle 5% 24m 5 La Luna è in Apogeo alle 8h 
10 Primo quarto , 9h 27m 17 Id. Perigeo , 22h 
17 Luna piena ua Il Sole entra nel segno Toro il 
23 Ultimo quarto , 22% 48m giorno 19 alle ore 21 min. 7. 


1052 VITTORIO BALBI 


Maggio 1897. 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È 
| 
e e ll SOLE La LUNA a 
[=| n [=| e] 
A |Ss3 "N e ——— | 8 
Ss | |SL passa = passa ® 
= |a | nasce al E | nasce al tramonta| £ 
Dio) n=] D meridiano £ meridiano [cal 
hmjhm Ss hm hem h m h m 
121 1 S |5 20|12 26 8,87 [198383 4 38 12 11,9 19 39 30 | 
122 95 D 18 26 1,96 84 o 8 12 47,4 20 43 LR 
123 3 L 17 25 55,60 35 5 94 13 35,3 21 45 2 
124 | 4 M 15 25 49,79 37 6 13 14 25,4 22 42 3 | 
125 5) M 14 25 44,54 88 T{eed(0) 15 16,7 23 32 4 | 
126 6 G 12 25 39,82 39 750 16 8,2 a d | 
127 7 V 11 25 35,67 40 8 57 16 58,9 0 15 6! 
128 8 S 10 25 31,97 42 10 5 17 48,8 0 50 Vo 
129 9 D 9 25. 29,02 43| 11 15 18 36,2 118 8 
130 | 10| L 7 25 26,53 44 12 27 19 23,2 143 9 
t51 |-10 M 6 25 24,59 45| 183 41 20 10,1 2.5 10 | 
132 | 12| M 6) 25 23,22 46) 14 56 | 20 58,1 2 26 11 
133.| 13 G 5) 25 21,98 48| 16 15 21 48,8 2 47 12 | 
134 |14| V 2 25 22,12 49| 17 88 22 43,2 8 11 13 
135 | 15 S 1 25 22,41 50|| 19 3 | 23 42,3 8 39 14 | 
136 | 16| D 0 25 23,26 51| 20 29 ia 4 13 154 
137 | 17 L |4 59 25 24,66 52|| 21 46 0 45,8 4 58 16 
138 | 18 M 58 25 26,64 53 22 50 1 51,9 5 07 17 
139 | 19 M 57 25 29,18 54|| 23 40 2 57,2 106 18 
140 | 20 G 56 25 32,28 55 = 8 58,7 8 24 19 
141 | 21 V 55) 25 35,93 56 0 16 4 54,9 9 41 20 | 
142 | 22 S 54 25 40,13 58 0 45 5 45,6 10 55 21 
143 | 23 D 58 25 44,79 59 USL 6 31,7 12 6 22 | 
144 | 24| L 52 25 50,18 [20 0 127 714,7 13 13 23 | 
145 | 25 M 51 25 55,90 1 145 7 55,9 14 18 24 
146 | 26| M 51 26 2,31 2 2 3 8 36,5 15 22 25 | 
147 | 27 G 50 26. 9,13 3 2 22 9 17,6 16 26 26 | 
148| 28| V 49 26 16,43 3 2 43 10 0,2 17 31 27 
149 | 29 S 49 26 24,20 4 SII 10 44,9 18 35 28 | 
150 | 30| D 48 26 32,41 b) 8 96 11 32,2 19 38 29 È 
151% 81 L 47 26 41,06 6 413 12 21,7 20 37 80 | 
Fasi della Luna. Il giorno nel mese cresce di 1° 8m 
1 Luna nuova alle 21% 46% 2 La Luna è in Apogeo alle 8h 
9 Primo quarto , 22% 37 16 Id. Perigeo , 8 
16 Luna piena n, 14 55m 29 Id. Apogeo 12h 
23 Ultimo quarto , 10% 35% Il Sole entra nel segno Gemelli il 
81 Luna nuova —, 18% 26 giorno 20 ad ore 21 min. 0. 


EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 


Giugno 1897. 


1053 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL’EUROPA CENTRALE È 
ER aa ai 
9 |o È II SOLE La LUNA 8 
ds || na © 
s = DEE passa 5 passa | i 
Cc Go 3 nasce dini i nasce INR, tramonta £ 
hm|hm 8 hm h m h m h m 
152 1 M |447]|12 26 50,11 20 7 4 57 13 13,0 21 29 1 
153 | 2|] M 46 26 59,56 8 5 50 14 4,8 22 14 2 
154 | 8| G 46 20 929 9 6 5l 14 55,9 22 ol 3 
155 | 4 V 45 27 19,50 9 757 15 45,5 23 21 4 
debe bal-:S 45 27 30,04 10 9aL6 16 33,3 23 47 5) 
157 | 6| D 44 27 40,84 11] 10 17 17 19,6 —— 6 
158| 7| L 44 27 51,92 LI: DE 27 18 5,2 De49 7 
159 | 8| M 44 28 3,26 12| 12 40 18 51, 0 30 8 
160 | 9 M 43 23 14,84 13|| 13 54 19 38,8 0 49 9 
161 | 10| G 43 28 26,64 13] 15 12 | 20 29,7 Log e 10 
162 | 11 V 43 23 38,64 14] 16 34 | 21 24,8 1 36 11 
163 | 12 S 43 28. 50,82 14 17 58 22 24,9 2 6 12 
164 | 13| D 43 29 3,16 15| 19 19 23 29,2 2 46 13 
165 | 14| L 483 29 15,63 15) 20 30 —— 8 36 14 
166 | 15 | M 43 29 28,25 16 21 28 0 35,4 4 42 15 
167 | 16| M 43 29 40,98 16] 22 11 1 40,0 5 57 16 
168 | 17 G 43 29 58,80 17) 22 43 2 40,1 a UA 17 
169.18) V 43 30 6,68 17 23 9 3 34,8 8 35 18 
170 | 19 S 43 30 19,63 17| 23 81 4 24,3 9 49 19 
171 | 20 D 43 80 32,61 18] 23 50 5 9,7 10 59 20 
172 | 21 L 43 50 45,60 8| —- dò 52,9 12.7 21 
173|22| M 44 30 58,57 18 0 8 6 33,9 13 12 22 
174|23| M 44 sl 11,51 18 0 27 7 15,2 14 16 23 
175|24| G 44 S1 24,39 18 0 47 7 57,9 15 21 24 
176/25) V db 81 87,17 18 109 8 41,5 16 26 25 
Md 268) 45 51 49,84 18 137 9 28,0 17 30 26 
178.| 27x| D 45 322,87 13 211 10 16,9 18 29 27 
179 | 28 L 46 32 14,74 18 2 58 1b214,9 19 25 28 
180 | 29| M 46 32 26,91 18 3 44 11 59,9 20 12 29 
181 |30| M 47 32 38,88 18 443 | 12 51,8 20 52 1 
Fasi della Luna. Il giorno nel mese cresce di Ob 12m 
8 Primo quarto alle 8h 3m 13 La Luna è in Perigeo alle 170 
14 Luna piena n 220 2m 25 Id. Apogeo , 28h 
22 Ultimo quarto , Lia Sa Il Sole entra nel segno Cancro il 
30 Luna nuova —, 8h 55m giorno 21 ad ore 5 min. 23. 


1054 


VITTORIO BALBI 


Luglio 1897. 


Fasi della Luna. 


7 Primo quarto alle 14% 32m 


14 Luna piena s dì 52m 
21 Ultimo quarto , 16h 8m 
29 Luna nuova n 162 58m 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE 

° 5 a lf SOLE La LUNA 

Ss n =. 

S © | g È i "a 

ta; = cn passa È passa 

a | gd nasce al È | nasce al tramonta 
Ue) n=] DN meridiano £ meridiano 

hm hm s hm h m h m h m 

182 1 G |4 47/12 32 50,59 [2018 5 49 13 42,4 21 24 
183 2 V 48 33 2,05 13 6 58 14 31,3 21 52 
184 Bb) S 48 33 13,21 IL7 8_ 8 15 18,2 22 17 
185 4| D 49 33 24,04 17 9 19 16 3,9 22 35 
186 5) L 50 33 34,54 17) 10 30 14 49,2 22 55 
187 6 M 50 993 44,66 16] 1144 17 35,4 23 16 
188 7 M 51 83 54,42 16| 12 58 18 23,6 23) 197 
189 8 G 52 84 3,75 16| 14 16 19 15,8 == 
190 9 V 52 34 12,67 15] 15 36 20 11,4 0 5 
191 | 10 S 53 84 21,15 15|| 16 56 | 21 12,2 0 39 
192 | 11 D 54 84 29,18 14| 18 11 22 16,0 1 24 
193 | 12 L 55 84 36,75 13] 19.13 23 20,5 2 21 
194 | 13 | M 56 34 43,85 13:I1-20658 LL 8 91 
195 | 14| M 57 84 50,46 12) 20 40 0 22,6 4 49 
196 | 15 GA 58 34 58,58 11 21 9 112041 6 9 
197 | 16 V 59 35. 2,21 11) 21.33 2 12,7 ZL 
198 | 17 S 59 35. 7,84 10| 21 53 3 0,8 8 40 
199 | 18 D 50 85 11,95 9 22012 3 45,7 9 49 
200 | 19 L 1 35 ‘16,03 8 22 30 4 28,5 10 57 
201 | 20 M 2 35 19,58 7) 22 ol 5 10,6 12 4 
202 | 21 M 3 35 22,58 fill ‘230È2 5 53,0 13 8 
203 | 22 G 4 85 25,04 5 23-98 6 36,6 14 14 
204 | 23 V 5) 85 26,95 di ee 7 22,9 15 18 
205 | 24 S 6 35 28,29 8 09 8 10,4 16 20 
206 | 25 D 8 85 29,06 2 0 48 9 0,6 NON 
207 | 26 L 9 35 29,25 1 1 36 9 52,4 18 8 
208 | 27 M 10 35 28,85 0 2 32 10 44,7 18 50 
209 | 28 M 11 35 27,87 [1959 8 36 11 36,8 19 26 
210 | 29 G 12 35 26,29 58 4 45 12 26,5 19 54 
211 | 30 V 13 85, 24,10 57 5 56 13 14,8 20 19 
212 | 31 S 14 85 21,31 55 48 14 1,6 20 41 


Il giorno nel mese diminuisce di 
oh 50m, 


11 La Luna è in Perigeo alle 19h 
DA Id. Apogeo , 168 


Il Sole entra nel segno Leone il 
giorno 22 alle ore 16 min. 17. 


Età della Luna 


O 00 1 Dì Ut Ha CO DD 


EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 


Agosto 1897. 


1055 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È 
HI 
E ll SOLE La LUNA E 
d n d — 
3|5|sî ; sE 
S das passa È passa x 
eni =] +» o 
mi la $ |nasce al E nasce al tramonta| 
=) Ue] N meridiano a meridiano E 
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213 1 D | 515 112 35‘ ‘17,89 |19 54 8 21 14 47,6 21: È 8 
214 2 L 16 85 13,86 53 9.383 15 33,9 21 22 4 
215 3 M 17 35 9,22 520855 16 21,6 21 44 5 
216 4 M 18 OIAN3:96 50|| 12 4 17 11,8 22:19 6 
217 6) G 20 54 58,07 49) 13 23 18. 5,6 22 40 7 
218 6 V 21 84 51,58 48] 14 42 196805 23 20 8 
219 7 S 29 94 44,46 46| 15 57 20 4,5 n 9 
220 8 D 23 84 36,74 45 MAETS AT 0 ll 10 
221 9 L 25 84 28,43 43|| 17 56 22 8,7 114 del 
299 10 M 26 84 19,54 42] 18 87 2306701 2 27 12 
923. | IL M 27 84 10,06 40| 19 9 = 3 45 13 
294 | 12 G 28 84 0,01 89|| 19 34 QU Da 14 
2250 13 V 29 93 49,42 87|| 19 56 0 50,9 6 18 15 
226 | 14 S 81 88 38,29 86|| 20 16 137,2 730 16 
BOL iò D 82 93° 20069 54| 20 35 2 21,4 8 39 IZ; 
228 | 16 L Bh 83 14,46 32| 20 54 di r4;2 9 47 18 
229 | 17 M 34 De 79 ol: t2% 15 3 47,0 10 53 19 
230 | 18 M 85 92 48,62 29] 21 39 4 30,3 11159 20 
231 | 19 G 97 82 34,98 28)| 22 8 5 15,7 13 4 21 
292, 1-20 V 38 32 20,87 26) 22 44 62,9 147 22 
233 | 21 S 39 92. 6,92 24|| 23 27 6 52,2 15 6 23 
254 | 22 D 40 81 51,32 22 I 7 43,2 16 0 24 
235 | 28 L 41 S1 35,88 21 019 8 35,0 16 45 Ps) 
236 | 24 M 43 31 20,04 19 1 20 9 26,8 (7625 26 
297 | 25 M 44 31 3,80 7 DDT 10 17,5 17 55 27 
258 | 26 G 45 80 47,17 16 3 38 LIO: 18 21 28 
239 | 27 V 46 80 30,16 14 ZII 11 55,0 18 45 29 
240 | 28 S 47 80 12,79 12 6 4 12 42,2 TEA 1 
241 | 29 D 49 29 55,05 10 7 18 13 29,4 19 27 2 
242 | 30 L 50 29 36,97 8 8 34 14 17,5 19 49 Di 
245. | el M 51 29 18,57 6 9 51 15 8,0 20 14 4 


Fasì della Luna. 


5 Primo quarto alle 19% 25m 
12 Luna piena ,, 150 28m 
20 Ultimo quarto , 9° 29m 
28 Luna nuova n, 4 29m 


Il giorno nel mese diminuisce di 
1h 26m, 


7 La Luna è in Perigeo alle 22h 
20 Id. Apogeo , 10 


Il Sole entra nel segno Vergine il 
giorno 22 alle ore 22 min. 54. 


1056 


VITTORIO BALBI 


Settembre 1897. 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È 
= 
° DI È Il SOLE La LUNA a 
Ss n [=] =’ 
d (c») E È ” n mi 
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244 1 M |5 52|12 28. 59,83 (19 5| 11 Il 16 1,5 20 43 5 
245 2 G 58 28. 40,80 Si gd2 91 16 58,4 21 20 6 
246 S V BH) 28 21,48 1| 13 47 17 58,6 22 6 “ 
247 4 S 56 28. 1,88 (1859) 14 55 19 0,2 23 6 8 
248 5 D 57 27. 42,03 57| 15 5l 20 .1,0 = 9 
249 6 L 58 27 21,94 55 || 16 36 20 59.2 0 15 10 
250 7 M 59 ye 1,64 54|| 17.9 21 53,4 130 11 
251 8 Mi 60401 26 41,14 52 LT 22 43,7 2 46 12 
252 9 G 2 26 20,48 50] 18 0 23 30,5 4,10 13 
253 | 10 V 3 Db ro9L6d 48|| 18 20 ai 5 13 14 
243 CSO INI S 4 25 33,73 46| 18 39 0 15,0 6 22 15 
209 || 12 D 5 25 17,68 44| 18 58 0 58,3 730 16 
256 | 13 L 6 24 56,55 42|| 19 18 141,1 8 37 Di 
257 | 14 M 8 24 35,42 40| 19 42 2 24,6 9 44 18 
258 | 15 M 9 24 14,14 89] 20 9 Si 10 49 19 
259 | 16 G 10 23. 52,90 87) 20 42 8 55,9 11 53 20 
260 | 17 NV VI 23. 31,67 sb ||. 21 22 4 44,3 12 55 21 
261 | 18 S 12 23 10,47 33 || 22 10 5 34,4 13 50 22 
262 | 19 D 14 22 49,31 obi a2326 6 25,4 14 38 23 
263 | 20 L 15 22 28,23 29 ie 7 16,5 15 18 24 
264 | 21 M 16 DO TOSTI2A 27 0 10 8 0 15 58 25 
265 | 22 M 17 21 46,36 25 118 8 56,4 16 21 26 
266 | 23 G 19 21. 125,60 23 229 9 44,6 16 45 27 
267 | 24 V 20 21 5,00 21 3 42 10 32,0 17 MS 28 
268 | 25 S 21 20. 44,56 19 4 56 11 19,6 17 130 29 
269 | 26 D 22 20. 24,30 18 6 12 IO FRS 17 51 30 
270 | 27 L 23 20 4,24 16 7:80 12 58,9 18 15 1 
271 | 28 M 25 19 44,38 14 8 52 13 52,7 18 44 2 
272 | 29 M 26 19 24,77 12| 10 14 14 50,2 19 19 3 
273 || 80 G 27 19 10,41 10) 11 34 15 ol,l 20 4 4 


Fasi della Luna. 


4 Primo quarto alle 0h 13m 


11 Luna piena 
19 Ultimo quarto 


26 Luna nuova 


n 


n 


n 


3h 12m 
8h 51m 
14h 46m 


Il giorno nel mese diminuisce di 
1h 32m. 


1 La Luna è in Perigeo alle 28% 
17 Id. Apogeo , 6h 
29 Id. Perigeo , 1h 


Il Sole entra nel segno Libra il 
giorno 22 alle ore 19 min. 49. 


EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 1057 


Ottobre 1897. 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È 
[ne | 
e a ll SOLE La LUNA - 
8E| 2/8 È = © 
È; |a dA passa È passa È 
E È sà È RABOA diana E BARRE meta ea 5 
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274 1 V |6 28/12 18. 46,28 [18 8|| 12 46 16 53,7 210 5 
275 2 S 30 18. 27,46 6 RSAATZ 17 55,6 ZA 6 
276 8 D 31 18. 8,93 4| 14 835 18 54,7 23.20) 77 
Ml 4 L 932 17. 50,72 2 15 ll 19 49,7 — 8 
278 5 M 83 17 32,86 1| 15 40 20 40,4 0 35 9 
279 6 M 85 17 15,36 |1759|| 16 4 21 27,4 150 10 
280| 7) G| 36] 16 58,25| 57 1625 | 22 119 SO (ST 
281 8 V 37 16 41,54 55 || 16 44 22 54,8 4 10 12 
282 9 S 38 16 25,26 baile: 3 23 37,2 5 18 13 
283 | 10 D 40 16 9,44 52: el29; ni 62 14 
284 | 11 L 41 15. 54,09 50] 17 45 0 20,2 1030 15 
285 | 12 M 42 15. 39,24 48] 18 11 1. 43 8 36 16 
286 | 13 M | 44 15 24,91 46| 18 41 1 50,3 9 41 17 
287 | 14 G 45 15 11,12 44| 19 19 2 28,1 10 43 18 
288 | 15 V 46 14. 57,89 43] 20 4 327,5 11 40 19 
289 | 16 S 47 14 45,24 41 20 57 4 17,9 12 31 20 
290 | 17 D 49 14 33,19 39 || 21 56 5. 8,4 13 14 21 
291 | 18 L 50 14. 21,77 38|| 23 1 5 58,3 13 50 22 
292 | 19 M 52 14. 10,97 86 == 6 47,0 14 20 23 
293 | 20 M 58 14. 0,83 94 09 7 34,5 14 46 24 
294 | 21 G 54 13 51,36 2 120 8 21,0 15 8 25 
295. | 22 V 56 13. 42,57 sl De 9 7,9 15 80 26 
296 | 23 S 97 13. 34,48 29 3 45 9 54,9 15 dl 27 
297 | 24 D 58 135 2511 27 52 10 44,4 16 14 28 
298 | 25 Tu 7040 13. 20,04 26 6 22 11 37,2 16 41 29 
299 | 26 M 1 13. 14,53 24 7 46 12 34,3 17 14 1 
300 | 27 M 2 13 934 23 9 10 13 35,7 17 56 2 
301 | 28 G 4 13. 4,90 21 10 29 14 40,1 18 49 3 
302 | 29 Ve lg 9 l3eels20 20) eLlC37 15 44,9 19 55 4 
3803 | 30 S 7 12 58,25 18|| 12 30 16 47,1 21 09 5 
804 | 31:| D 8 12 56,08 17 13° 12 17 44,8 29023 6 


Fasì della Luna. 
3 Primo quarto alle 6h 32m 
10 Luna piena » 170 49m 
18 Ultimo quarto , 22h 9m 


26 Luna nuova, 0h 28m 


Il giorno nel mese diminuisce di 


1h 34m, 
14 La Luna è in Apogeo alle 28% 
27 Id. Perigeo , 4h 


Il Sole entra nel segno Scorpione 
il giorno 23 alle ore 4 min. 21. 


1058 


VITTORIO BALBI 


Novembre 1897. 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE 

° Di d Il SOLE La LUNA 

[e 7) d ss 3 
(Si O | | _ n > 
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L=] mu D meridiano £ meridiano 

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305 1 È |NISON T2 42568717 16 13 43 18 37,5 23 40 
306 2 M dig 12 54,06 14° || 19 25,8 ni on 
307 3 M 12 19 V5E24 13|| 14 30 20 10,9 0 53 
308 4 G 13 12. 55,22 11 14 50 20 53,8 27% 
309 5) V 15 12 SSOIZOL 10) Sdo099 21 35,8 3 39 
910 6 S 16 12 59,63 Gili SISHZ9 22 VSS 4 24 
811 7 D 18 13° 3,06 il 15 50 DIRO 5 20 
12 8 L 19 le 92 6 16 14 23 46,6 6 26 
313 9 M 20 13° 12,43 5 16 43 e TSI 
314 | 10 M 22 13 18,39 417 19 0 33,8 8 34 
Lo LE G 23 I3V29,19 Sl SIE 1 22,6 9.39 
816 | 12 V 25 13 32,86 1 18 51 2 12,8 10 25 
al || 19 S 26 13 41,38 0; 19 49 3 83,2 LABRILT 
318 | 14 D 27 13. 50,76 [1659] 20 51 ROL 11 49 
319 | 15 L 29 14. 1,00 10%) MRAZ BIZ 4 41,4 12 20 
320 | 16 M 80 14 192,10 57 23° 4 5 28,2 12 47 
DAI |AIT M el 14 24,06 56 —— 61199 13 10 
3822 | 18 G 98 14 36,86 56 0 12 6 58,6 13. 4 
323 | 19 V 84 14 50,51 55 123 7 43,8 13 52 
324 | 20 S 35 155,00 54 2 36 8 30,1 14 13 
d25 | QI D 3 Lo 231 58 8 58 9 20,5 14 38 
926 | 22 L 88 15 36,44 52 a 5) 10 14,6 15.7 
027 | 29 M 39 15° ‘53,86 52 6 36 11 13,7 15 44 
328 | 24 M 41 16- 11,05 51 80 12 17,6 16 BZ 
929 | 25 G 42 16 29,52 50 9 16 13 24,3 17 19% 
330 | 26 V 43 16 48,72 50| 10 18 14 30,3 18 47 
SIL 27 S 44 17. 8,64 49 DST 15 32,5 19 Ra 
832 | 28 D 46 d7 29/25 49| 11 48 16 29,3 %1. 25 
398 || 129 L 47 17! 50,58 48| 12 11 17 20,9 22,5 
334 | 30 M 48 18. 12,48 48] 12 34 18 8,1 2359 


Fasì della Luna. 


1 Primo quarto alle 15° 37m 
9 Luna piena s 10. 50m 
17 Ultimo quarto , 15. 2m 


24 Luna nuova n 10h 20m 


Il giorno nel mese diminuisce di 


1h gn. 
11 La Luna è in Apogeo alle 11h 
24 Id. Perigeo , 16h 


Il Sole entra nel segno Sagittario 
il giorno 22 ad ore 1 min. 15. 


Età della Luna 


EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 1059 


Dicembre 189". 


Fasi della Luna. 


1 Primo quarto alle 4h 15m 
9 Luna piena ,s, Dì 54m 
17 Ultimo quarto , 51 22m 
23 Luna nuova s 208 55m 
80 Primo quarto , 20h 27m 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È 
TTM ai 
SICA ll SOLE La LUNA P 
di È 2 È ® —— w0000O e i 
SAS passa È passa 15 
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985 1 M |749]|12 18 835,06 [1647] 12 55 18 52,9 ca 8 
336 2 G 50 18 58,25 47| 13 15 19 34,9 i basti 9 
997 8 V 51 19. 22,03 47| 13 34 20:.17,1 ZANT 10 
838 4 S 92 19 46,36 46| 13 54 21 0,0 3,3 11 
3889 5) D 58 20 11,25 46| 14 18 21 44,2 4 18 12 
840 6 L 99 20. 36,66 46| 14 45 22 30,5 5 23 13 
941 7 M 96 ZI 46| 15 18 23 18,8 6 26 14 
942 8 M 97 21 28,96 46| 15 59 —- 7 26 15 
943 9 G 7 21 55,80 46) 16 47 ORTSN 821 16 
944 | 10 V 59 92) 123/06 46| 17 42 0 59,9 CÒ NET, 
Sd S 59 22 50,72 46| 18 44 1 49,5 9 49 18 
946 | 12 D |8 0 23 18,76 46] 19 48 2 38,5 10 23 19 
947, 13 L 1 23. 47,183 46|| 20 50 8 25,6 10 50 20 
348 | 14 M 2 24 15,88 46) 22 2 4 11,0 11 14 ZA 
849 | 15 M 3 24 44,82 46) 23 10 4. 55,2 11.35 22 
350 | 16 G 8 25. 14,05 46 —— 5.89,0 11 56 29 
ST V 4 25 43,51 47 0 19 6 23,4 12 15 24 
852 | 18 S ò 26 12,16 47 T 31 710,0 12 38 25 
958. | 19 D 5 26 42,97 47 2 47 759,9 13 13 26 
354 | 20 L 6 27. 12,90 48 4 6 8 54,5 13 35 2 
355|21| M 6| 27 4291| 48| 527 | 9544 | 1416 | 28 
956 | 22 M 7 28 12,98 49 6 47 10 50,0 15.9 29 
357 | 28 G 7 28. 43,05 49 57 12 5,7 16 17 50 
358 | 24 V 8 29 13,08 50 BADO 312 17 35 1 
359 | 25 S 8 29 43,03 50 9 36 14 12,9 18_ 57 2 
60 | 26 D 9 80 12,87 bl 109 15 8,9 20 18 3 
861 | 27 L 9 80 42,57 51| 10 35 15 59,5 21 34 4 
862 | 28 M 9 Sl 12507 52 10 58 16 46,4 22 46 5) 
863 | 2943 M 9 81 31,35 99. ito 17 30,9 23 56 6 
864 | 30 G 9 92 10,87 54| 11 38 18 14,1 = 7 
865 | 81 V 9 32 38,09 55. 11 59 18 57,9 2 8 


Il giorno nel mese diminuisce di 
Qh 14m, 


8 La Luna è in Apogeo alle 12h 
28 Id. Perigeo , 4 
Il Sole entra nel segno Capricorno 
il giorno 21 alle ore 14 min. 13. 


1060 VITTORIO BALBI — EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 


ECCLISSI 
1897 


(Tempo medio dell'Europa centrale). 


Nell’ anno 1897 avverranno due Ecclissi di Sole. 


I. Ecclisse anulare di SoLe il 1° Febbraio; invisibile a Torino. 


Quest’Ecclisse è visibile nell'America centrale e meridio- 
nale, nella parte meridionale del Grand’Oceano e nel Sud-Est 
delle coste Australiane. 


II. Ecclisse anulare di SoLe il 29 Luglio; invisibile a Torino. 


Quest’Ecclisse è visibile nell’Ovest dell’Africa, nell'Oceano 
Atlantico, nella parte meridionale del Nord-America, nell’Ame- 
rica Centrale e a Nord del Sud-America. i 


1061 


Relazione intorno alla Memoria del Dott. Saverio BeLti, 
intitolata : 
“ Sull’Endoderma e Periciclo nel Gen. Trifolium ,. 


Questo lavoro è diviso in tre parti: Nella 1° si fa la storia 
bibliografica e critica dei lavori antecedenti intorno a questo 
argomento. Nella 2° viene esposta la serie delle ricerche origi- 
nali dell'A. sui tessuti in quistione. Nella 3? si discute la teoria 
sulla Stelia in generale e l'applicazione di essa al Gen. Trifolium. 

Dal complesso di questo lavoro emergono principalmente 
le seguenti conclusioni generali: 

1° Non esiste nel caule delle specie del Gen. Trifolium 
un periciclo nel senso di Van Trecuem, DouLior, Moror, ecc., 
cioè una regione caratterizzata istogeneticamente e funzionalmente 
come tale. 

2° Le produzioni da questi Autori assegnate al periciclo 
(sempre nel Gen. 7rifolium) appartengono invece al sistema 
libroso. 

8° Le radici avventizie nascono nel fusto del 7. repens 
dagli archi cambiali interfascicolari e dal tessuto parenchima- 
toso esterno ai tubi cribrosi. Manca la così detta saccoccia di- 
gerente, che da Van TreneMm e Dourior vien detta originarsi 
nell’endoderma. Manca altresì un endoderma caratteristico; esiste 
invece una guaina parziale. 

4° Nel 7. repens (e in molte altre specie di Trifolium) 
il fusto non può ascriversi a nessuna delle tre maniere di strut- 
tura, astelica, stelica o polistelica ammesse come definite da VAN 
Trecnem. Poichè se si vuole interpretare la guaina, che sta a 
ridosso dei fasci vascolari delle foglie, come un Endoderma 
(VurLLemx), si andrebbe incontro all’assurdo, che da una strut- 
tura astelica possa originarsene un’altra pure astelica, e ciò in 
opposizione al dogma prestabilito da VAN TregHEM, che una 
struttura astelica procede sempre da una stelia precedente. 

5° La cosiddetta zona perimedullare di FLoT, parallela al 
periciclo, e che questo A. ascrive a tutte le Dicotiledoni, non è 


1062 


geneticamente dimostrabile in tutti i fasci vascolari iniziali 
delle specie del G. Trifolium. 

6° I fasci caulinari interfascicolari sì originano non dal 
periciclo, ma dagli archi cambiali interfascicolari. 

7° Il fellogeno nel Gen. Trifolium non ha origine, come 
vuole VAN TrecHEm, nell’endoderma, bensì nell’epidermide stessa. 

8° Nello sviluppo iniziale dei fasci vascolari non si in- 
contra nel Gen. Trifolium uno stadio corrispondente al Verdi- 
ckungsring di Sanrio, o al Mesistema di Russow (inteso questo 
stadio come un supermeristema distinto dal cambio di NAEGELI 
= Cordoni procambiali). E cioè, anche allorquando gli inizii dei 
fasci vascolari si presentano sotto forma di anello chiuso, si deve 
soltanto alla vicinanza delle iniziali dei cordoni stessi, già dif- 
ferenziati in cellule allungate nel senso dell’asse, la illusione di 
un anello chiuso; mentre in realtà ogni fascio è un centro di 
formazione isolato, e non si dà un mesistema di secondo ordine, 
continuo, in sè e per sè. 

9° I cristalli di ossalato calcico sono localizzati nella 
guaina dei fasci, e sono avvolti in una sacca di cellulosi, che ben 
presto si inquina di lignina. 

10° I cristalli di ossalato calcico si trovano già nella 
guaina parziale dei fasci (endoderma di Van TrecHem, Moror, ecc.) 
dell’asse ipocotile, cioè al disopra del colletto anatomico esterno. 

11° Nel tratto, che corre tra l’apice vegetativo ed il 
primo internodio evoluto del caule, non si trovano cristalli. La 
zona, corrispondente al cosidetto endoderma parziale degli A., 
contiene amido, ma non in quantità superiore agli altri strati. 

12° È impossibile riconoscere una alternanza fra le cel- 
lule della così detta zona endodermica, o fleoterma parziale dei 
fasci vascolari (guaina parziale dei fasci), e le cellule della prima 
fila di cellule sottostanti, appartenenti al tessuto da interpre- 
tarsi come periciclo, come vorrebbero gli autori francesi VAN 
TrecHeMm, Moro, ecc. 

13° A proposito di periciclo nel caule parrebbe ormai 
tempo, che si abbandonasse una nomenclatura dogmatica, che 
in molti casi non ha per sè nè il suffragio dell’osservazione 
diretta, nè la dimostrata funzionalità, che manca insomma del 
consensus omnium peritorum. 

L. CAMERANO. 
G. GiseLLI, Relatore. 


testi 


1063 


Relazione sulla Memoria del Dott. De AcostINi, 
avente per titolo : 


“ Iicerche batometriche e fisiche sul lago d'Orta ,. 


La Memoria presentata dal D" G. De Agostini ha per ti- 
tolo: Ricerche batometriche e fisiche sul lago d'Orta. 

Alcune ricerche sulla profondità del lago d’Orta erano già 
state eseguite dal Prof. Pavesi, il quale nel pubblicarle ne ag- 
giunse altre, che erano rimaste inedite, del Conte Morozzo della 
Rocca. Mancava tuttavia una conoscenza esatta del fondo del 
lago, ed il De Agostini potè ora determinarla con una nume- 
rosa serie di scandagli, ed una carta diligentemente eseguita ed 
unita alla memoria, rappresenta colle curve di livello la forma 
del fondo del lago. 

Anche sulla temperatura delle acque del lago il C° Morozzo 
aveva nel 1788 rese pubbliche, colle Memorie della nostra Ac- 
cademia, alcune osservazioni. Esse tuttavia, specialmente quelle 
degli strati profondi, potevano ritenersi difettose, perchè eseguite 
semplicemente con un termometro ordinario rivestito di sostanze 
isolanti. Il De Agostini invece eseguì molte osservazioni facendo 
uso di uno strumento speciale per tali ricerche, quale è il ter- 
mometro a rovesciamento di Negretti-Zamba. Alcune tavole ed 
un diagramma indicano le varie temperature a seconda delle 
profondità osservate in diversi mesi negli anni 1894 e 1895. 

Anche la trasparenza e la colorazione delle acque del lago 
d'Orta furono oggetto di studio adottando per le ricerche i 
metodi più moderni. 

In complesso il De Agostini presenta col suo lavoro una 
serie di svariate osservazioni, le quali rendono la memoria in- 
teressante, sia per lo studio generale dei laghi, come per un 
confronto con altri laghi italiani. Perciò noi riteniamo che lo 
scritto del De Agostini sia meritevole della pubblicazione nelle 
Memorie dell’Accademia. 

G. FERRARIS. 
Giorgio SPEZIA, Relatore. 


1064 


Relazione sulla Memoria del Prof. F. Porro, intitolata: 


“ Osservazioni di stelle variabili eseguite a Torino 


ed a Soperga ,. 


Vi è nel cielo una classe di stelle, la cui intensità lumi- 
nosa varia gradatamente col tempo. Si chiamano perciò varia- 
bili e ve ne ha di' differenti specie. 

Lo studio di tali stelle può dirsi del tutto moderno, poichè 
fino all'anno 1844 gli astronomi non fecero altro che ammirare 
le fasi generali di alcune di esse e notare le loro diverse gran- 
dezze nelle diverse epoche. 

Dal 1866 in poi lo spettroscopio ha aperto agli astronomi 
un campo più vasto di ricerche. 

Furono immaginate diverse teorie per poter spiegare la 
grande varietà di fenomeni che presentano le stelle variabili, 
però finora nulla intorno ad esse si è stabilito con quel rigore 
che è proprio delle Osservazioni astronomiche, eccetto che per 
le variabili del tipo di Algol. Bisogna continuare le osservazioni 
con metodo scientifico seguendo i classici precetti indicati dal- 
l’Argelander. 

Il Prof. Porro presenta tre serie di osservazioni di stelle 
variabili, due fatte all'Osservatorio di Torino, l’ultima fatta a 
Soperga in condizioni eccellenti. Esse sono un importante con- 
tributo per lo studio delle stelle variabili, ed è utile che sieno 
rese di pubblica ragione. I sottoscritti perciò propongono che 
la Memoria del Prof. Porro sia ammessa alla lettura e venga 
stampata nei volumi delle Memorie Accademiche. 


A. NACCARI. 
N. JADANZA, Relatore. 


L’ Accademico Segretario 
ANDREA NACCARI. 


1065 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 28 Giugno 1896. 


PRESIDENZA DEL SOCIO BARONE GAUDENZIO CLARETTA 
DIRETTORE DELLA CLASSE 


Sono presenti i Socii: PevRon, BoLLATI DI SAINT-PIERRE, 
NANI, Brusa, Aruievo e FERRERO Segretario. 

Il Direttore della Classe, a nome dell’autore, sig. Demetrio 
Marzi, offre le pubblicazioni: “ Notizie storiche di Monsummano 
e Montevettolini , (Firenze, 1896); “ Una questione libraria fra i 
Giunti ed Aldo Manuzio il Vecchio , (Milano, 1896). 

Il Socio NANI, a nome del Presidente Prof. CARLE, assente 
dall’adunanza, presenta la parte 2* del vol. I(2? ediz.) della 
Storia del diritto romano (Padova, 1896), di cui fa omaggio 
l’autore prof. Lando LANDUCCI. 

Il Socio Brusa legge una commemorazione del Socio stra- 
niero Adolfo GwEIST. 

Il Socio Segretario FerRERO legge parole commemorative 
sul Socio corrispondente Giuseppe FIORELLI. 

Queste commemorazioni sono pubblicate negli Atti. 


_—_ T_T << _’”rY-_ 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 72 


1066 EMILIO BRUSA 


RODOLFO DI GNEIST 


Commemorazione del Socio EMILIO BRUSA. 


Nato a Berlino il 13 agosto 1816, peregrinò giovanetto 
col padre nelle varie sedi cui questo venne trasferito nella sua 
qualità di magistrato. Assolse gli studi classici ad Eisleben, la 
città di Lutero; quelli giuridici intraprese però a Berlino, quando 
nel 1833 vi fu restituito, e donde poi il neo giureconsulto non 
si dipartirà più, se non per quei viaggi scientifici, nei quali ha 
cercato ritrarre dal vivo la verità genuina, i pregi e difetti del 
diritto pubblico straniero. 

Ebbe a maestri i più solenni giurisperiti della scuola sto- 
rica allora regnante in quelle Università, fra i quali Riidorff, 
Dirksen, e lo stesso Savigny che ne era il capo vivente. Di 
Gans, unico rappresentante della scuola filosofica, Gneist, pur 
tanto avido di sapere, non seguì i corsi. Da due anni appena 
Hegel, il fondatore della filosofia politica prussiana, era sceso 
nel sepolcro, l’eco della sua fatidica parola vibrava ancora negli 
animi giovanili, ma allora Gneist si sentiva poco attratto dalle 
pure astrazioni speculative, per quanto capaci di esercitare alla 
fine un influsso potente nella pratica. 

Dedicatosi con tutta l'energia delle sue facoltà alle scienze 
giuridiche, sì grande alacrità egli vi ha adoperato, da meritarsi, 
un anno dopo l’altro, due premi accademici, il primo in diritto 
romano, il secondo in diritto penale sugli Specchi sassonico e 
svevico. Aveva allora appunto vent'anni, e subito dovette pen- 
sare a procurarsi un posto nella magistratura. Nelle nuove oc- 
cupazioni di ascoltante e di referendario egli non perdette però 
di vista nemmeno per poco i suoi amati studi, e si diede a 
tutt’ uomo a rifondere il primo di quegli scritti, De recentiore 
literarum obligatione, col quale si è poi guadagnato, il 20 no- 


COMMEMORAZIONE —- RODOLFO DI GNEIST 1067 


vembre 1838, l’onore del dottorato, e l’anno seguente la venia 
docendi. 

Lunga, operosissima e luminosa è stata la carriera profes- 
sorale di Gneist: cominciata nel 1889, essa non si è chiusa che 
con la vita. Il 22 luglio 1895 fu l’ultimo giorno dell’eminente 
maestro, di questo insigne uomo di bene. 

Di ricco materiale, di pensieri profondi fu in ogni parte 
intessuto il vasto ordito delle sue lezioni al berlinese Ateneo. 
Egli vi ha dettato con eguale perizia diritto privato e diritto 
pubblico, e prima il privato prussiano, poscia il diritto e il pro- 
cesso penale ad una col processo civile, indi, dacchè nel 1842 
Savigny venne assunto al Ministero di giustizia, precipuamente 
il romano diritto. Per cotal modo egli si vide anche una volta 
ricondotto a quel suo tema diletto dei contratti formali, che 
tanto ardore di critica doveva più tardi ispirare ad altri valo- 
rosi, ma nel quale nessuno aveva ancor saputo profondere una 
così grande dovizia di dottrina, di acume e di originalità. Me- 
ritata ricompensa a siffatto lavoro, il quale doveva assicurargli 
un nome duraturo fra i pandettisti alemanni, si fu la promo- 
zione a straordinario in Berlino e la vocazione al posto di or- 
dinario in Kiel: vocazione, questa, che egli, benchè conscio del 
lungo periodo di attesa inevitabile per poter salire a uguale 
grado nella capitale prussiana, rifiutava per amore del luogo 
natio. E quando nel 1858 gli fu alla perfine concesso di toc- 
care l’altissima meta, egli vi inaugurava il proprio corso con 
una orazione, De causae probatione stipulatoris, in difesa ancora 
dei concetti medesimi già sostenuti negli scritti precedenti. 
Dopo di allora nessun'altra sua pubblicazione è venuta fuori in 
diritto romano, tranne il parallelo sinottico intitolato Institu- 
tionum, et reqularum iuris romani syntagma, di cui nel 1880 uscì 
alla luce una seconda edizione. 

Della rinunzia al posto di Kiel Gneist non ebbe poi a pen- 
tirsi. In codesto centro berlinese di studi, allora come adesso 
incomparabilmente più frequentato, al giovane professore non 
poteva mancare il sorriso della propizia fortuna. Coltura eccel- 
lente, inesauribile energia di lavoratore, ve lo avevano egregia- 
mente predisposto. Ma, sopratutto, sì grande attrattiva seppe 
egli sin dal bel principio infondere alle proprie lezioni, che ben 
presto gliene venne alta fama di maestro altrettanto efficace 


1068 EMILIO BRUSA 


quant’egli era dotto, e nella facoltà giuridica furono quelle d’ora 
innanzi le lezioni le più ricercate. Alle medesime accennando, 
un eminente biografo, il Loening, ne ricorda la giovanile fre- 
schezza e vivacità, l'esposizione ingegnosa, la varietà dei punti 
di vista, il tutto animato dallo sforzo incessante di avviare i 
discepoli alla pratica, preparando i magistrati e patroni futuri 
a ricercare e a dirigersi da sè nel vastissimo campo delle fonti. 
Puchta, invece, il sapiente successore di Savigny, ne continuava 
il riserbo inverso gli alunni, quel riserbo che a pochi eletti sol- 
tanto doveva offrire modo di entrare in prezioso commercio 
scientifico col maestro. L’espositore rigorosamente logico e pro- 
fondamente acuto dei dommi del giure romano, al calore e alla 
vita preferiva le finezze delicate, accessibili ai soli discepoli 
maturi. 

Si è veramente con Gneist e dietro la sua potente inizia- 
tiva, che nelle facoltà germaniche ebbero principio e salirono 
in fiore quegli utilissimi esercizi pratici, che ognora più si ri- 
conoscono ai dì nostri come il naturale e necessario comple- 
mento delle lezioni teoretiche. Nè giuristi soltanto erano coloro 
che con la loro affluenza attestavano la virtù espansiva e quasi 
incoercibile di quei corsi universitarii. I più vari e importanti 
soggetti del diritto pubblico, ch'egli prendeva a trattare nel sa- 


gace intento di promuovere e preparare le riforme legislative. 


richieste dai tempi nuovi, richiamavano l’attenzione presso ogni 
cerchia di persone colte e bramose di scienza praticamente effi- 
cace all’attuazione delle medesime. Frutto di meditazioni inde- 
fesse sui libri e, più ancora, sui fatti osservati da vicino nelle 
sue frequenti visite all’ Inghilterra, alla Francia, al Belgio, al- 
l’Italia, le sue lezioni pubbliche sul giurì, sulla procedura pub- 
blica e orale, intorno all’ istituto del pubblico accusatore, in- 
torno all'ordinamento giudiziario inglese e francese, segnano 
al pari, e più forse, di quegli esercizi, un’epoca nuova nell’in- 
segnamento superiore prussiano, un’epoca luminosa che fa pen- 
sare a quella che in questa ospitale Torino fu inaugurata con 
la dotta e convinta parola del Mancini, del Ferrara, dello Scia- 
loja e di altri che illustrarono la scienza moderna in Italia. 
Lucida e sicura ebbe Gneist la visione della realtà. Il 
latente e grave contrasto fra la libertà tedesca e il costituzio- 
nalismo francese non era mai stato più nettamente e profon- 


Cc _——_—— 


COMMEMORAZIONE — RODOLFO GNEIST 1069 


damente dimostrato prima di lui. Un nesso indissolubile ricol- 
lega infatti tra di loro la libera costituzione comunale e il giurì, 
la giustizia e l’autoreggimento. Cresciuti uniti, essi debbono 
uniti del pari costituire il granitico fondamento dell’edificio co- 
stituzionale germanico. Così egli ragionava. E poichè le idee 
francesi tenevano il campo a cagione della influenza allora pre- 
valente dei giuristi renani, i suoi sforzi furono dapprima rivolti 
a combatterle adoperandovi quel vigore che nasce da profondo 
e saldo convincimento. La libertà non si può tradurre in atto, 
se non in uno Stato forte per elementi monarchici e aristocra- 
tici egualmente forti ed elevati su di una base democratica, 
costituita mercè l’autoreggimento da ottenersi nell'ordinamento 
per circoli e per comuni. Questo il fine, questi i mezzi. 

Gneist appartenne alla politica militante, però tenendosi 
sempre al disopra dei partiti; onde non gli accadde mai, che, 
per la comunanza d'idee avuta con questi, dovesse rinunziare 
alla propria indipendenza e libertà di azione. Compagni e av- 
versari poterono, così, trovarsi concordi talora nel riscontrare 
incoerenze nella sua condotta politica; ma nobili e pure erano 
sempre le sue vittorie come le sue sconfitte. Il trionfo finale 
de’ suoi alti disegni apparve quindi quel che doveva, il premio 
migliore di una incrollabile fede nella verità dei principii pro- 
fessati. Convinto che l’autoreggimento inglese altro in sè non 
fosse che un prodotto naturale delle tradizioni anglo-sassoni, 
un prodotto domestico anzichè straniero alla sua patria, egli 
si diede a tutt'uomo a dimostrarlo adatto qual è veramente 
alla Germania, a farsene banditore instancabile, come, più tardi, 
penetrato che fu nella legislazione prussiana, a prestargli, nel- 
l'applicazione, opera efficace e autorevole. 

Meravigliosa, benefica opera fu questa davvero; grazie alla 
medesima, la Prussia dapprima, gli altri Stati tedeschi di poi, 
si assicurarono un ordinamento dello Stato e dell’amministra- 
zione pubblica in conformità alle inviolabili norme del diritto, 
quell’ordinamento, dal quale esimii uomini di Stato italiani, fra 
i. quali primeggia Silvio Spaventa, trassero poi le loro ispira- 
zioni per riforme più o meno consimili nel nostro paese, dove 
pochi anni or sono queste vennero infatti iniziandosi sulla base 
d’un principio distinto, quello della separazione dell’ interesse 
dal diritto. Si è in cotale separazione che, com'è noto, il nuovo 


1070 EMILIO BRUSA 


regno ha cercato la soluzione del problema fondamentale in- 
torno alle garanzie della giustizia nell'’amministrazione pubblica. 
Non è questo il luogo di indagare le affinità e le divergenze 
fra il modello prussiano e il sistema italico, nè tampoco sembra. 
che sia suonata l’ora, dopo la breve esperienza fatta, di affer- 
mare quale di essi meglio risponda al fine di attuare, tenuto 
conto delle diverse condizioni e tradizioni paesane, la giustizia. 
nell’esercizio del pubblico potere amministrativo. Solo mi sia 
concesso qui esprimere la mia ammirazione per codesto ordi- 
namento anglo-germanico: nel quale l’idea della legalità tocca. 
l'apice della perfezione pratica, escludendo persino qualsiasi di- 
stinzione fra “ diritto , e “ interesse legale ,, e ad ogni inte- 
resse protetto dalla legge riconoscendo dignità giuridica; nel 
quale non trova posto neppur l'ombra di quel sedicente “ po- 
tere politico ,, che, chiamato da noi a correggere la stessa co- 
stituzione dei tre poteri pubblici mediante una responsabilità 
ministeriale sproporzionata oltre ogni misura ai mezzi, insidia la 
garanzia stessa dei rimedi di legge offerti agl’interessi soggettivi 
meritevoli di protezione, ne fa mancare l’intervento e le virtù 
nei casi più gravi, e genera la sfiducia e il malcontento dei 
cittadini verso l’opera dei pubblici amministratori; nel quale 
ordinamento anglo-germanico tu trovi, infine, riconosciuta al 
diritto soggettivo pubblico quella posizione che veramente gli 
spetta in un governo costituzionale, ponendola al coperto dalle 
estranee e sinistre ingerenze dei partiti, delle passioni, delle 
clientele politiche. 

Oltre all’influenza assidua esercitata nella scuola e nei Par- 
lamenti prussiano e germanico, Gneist ne spiegò una non mi- 
nore con gli scritti numerosi e densi di pensiero e di realtà. 
Dagli studi suoi sull’autoreggimento inglese è scaturita quella 
sua opera grandiosa sull’odierno diritto costituzionale e ammi- 
strativo dell’ Inghilterra, la cui eccellenza è dovunque ricono- 
sciuta e celebrata. La dottrina ch'egli erasi formata sullo Stato, 
non è una dottrina unilaterale: storica e razionalistica a un 
tempo, essa fa capo alle tradizioni per orientarsi praticamente, 
ma si muove, si agita e addentra senza posa nei fenomeni so- 
ciali che la vivificano, ond’essa ben a ragione ha potuto quali- 
ficarsi una dottrina sociale dello Stato. Tratta com’essa è dal 
diritto pubblico inglese, si presenta quale un sistema di politica 


COMMEMORAZIONE — RODOLFO GNEIST 1071 


interna intesa a dirimere, secondo leggi determinate, i conflitti 
dei vari interessi sociali fra di loro. È il concetto geniale svolto 
dallo Stein nella storia del moto sociale in Francia, e che ap- 
plicato da Gneist al proprio soggetto, gli ha permesso di assur- 
gere allo studio della missione che spetta allo Stato moderno 
di fronte agl’ interessi unilaterali di classe e alla ricerca dei 
mezzi per adempierla. 

Per cotale guisa Gneist si vide condotto a collocare il suo 
autoreggimento sul terreno di uno Stato verso il quale i citta- 
dini amministratori, penetrati dal sentimento del proprio dovere 
pubblico, si professano obbligati operando nel pubblico interesse. 
E quei cittadini dovevano, secondo il suo modo di vedere, ap- 
partenere alle classi possidenti, le sole consapevoli dei doveri 
civici nelle funzioni onorarie, le sole capaci di formare un nucleo 
di governo analogo alla gentry inglese. 

Che questa bella concezione umana e previdente dello Stato 
abbia superate tutte quante le grandi difficoltà di una conciliazione 
degl’interessi politici con gl’interessi sociali, sarebbe soverchio 
affermare. Gneist ebbe però l’alta sodisfazione di cooperare al- 
l'attuazione dei propri pensamenti e di parteciparvi di poi fino 
alla morte mercè l’illuminato suo consiglio nel supremo tribu- 
nale amministrativo prussiano, come ebbe quella ancor più in- 
tima di vedere, da un canto, sorgere e fiorire sotto i suoi 
auspicii quei Congressi giuridici annui, che prepararono e fecon- 
darono le riforme legislative della nuova Germania, e, dal- 
l’altro canto, le classi operaie, nel sodalizio centrale cui fu 
chiamato a presiedere per lunghi anni, avviarsi a quelle graduali 
migliorie intellettuali e morali donde più che mai deve dipendere 
l’accordo finale delle classi in una comune cooperazione agli 
uffici di pubblico interesse. 

La memoria di Rodolfo di Gneist rimarrà perennemente 
scolpita nelle menti e nei cuori di quanti in Germania e fuori 
amano e ameranno, professano e professeranno con alto e no- 
bile sentire il culto della giustizia nel diritto privato e pub- 
blico, nella vita sociale e individuale, nella scienza, nella le- 
gislazione e nella pratica giurisprudenza e amministrazione. 


1072 ERMANNO FERRERO 


GIUSEPPE FIORELLI 


Parole commemorative del Socio ERMANNO FERRERO 


Giuseppe FroreLLI, che noi iscrivemmo fra i nostri Socii 
corrispondenti il 20 di marzo 1880, fu uno di quegli uomini 
fortunati, che hanno legato il proprio nome ad una grande im- 
presa della scienza. 

Il Fiorelli legò il suo agli scavi di Pompei. Prima che, 
caduta la monarchia borbonica, egli fosse assunto alla loro di- 
rezione, si poteva dire che in generale la sepolta città era stata 
rovistata: con lui principiò ad essere scavata metodicamente, 
accuratamente, in modo che niun avanzo scompaia e che non 
si perda il più piccolo insegnamento utile per la scienza. 

Questo è il titolo principale, che assicura al Fiorelli un 
posto onorato nella storia dell’ archeologia in questo secolo: 
non è il solo. Insieme con la direzione degli scavi pompeiani 
egli ebbe quella del museo di Napoli, da lui riordinato, am- 
pliato, dotato di cataloghi per certe collezioni, principali l’epi- 
grafica e la numismatica. 

Il Fiorelli fu pure esperto conoscitore delle antiche monete, 
sulle quali pubblicò negli anni giovanili (1) scritti pregiati (2). 
Al tempo della direzione degli scavi di Pompei spettano lavori 


(1) Era nato a Napoli 1’8 di giugno 1823. Nel 1846 prese parte al 
Congresso degli scienziati italiani a Genova, e vi fu nominato vice-presi- 
dente della sezione di geografia e di archeologia. 

(2) Osservazioni sopra talune monete rare di città greche, Napoli, 1843; 
Monete inedite dell’Italia antica, Napoli, 1845; Annali di numismatica, 
Roma, 1846-Napoli, 1851, 2 vol. 


COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE FIORELLI 1073 


sulla storia di questi, una descrizione della morta città (1) e 
l'educazione di discepoli, che abilmente lo coadiuvarono, e di 
cui quelli, che gli succedettero negli scavi e nel museo, affet- 
tuosamente ne ricordarono le benemerenze dinanzi all’ Accademia 
napolitana di archeologia (2). 

Fin da giovane il Fiorelli nutrì sentimenti liberali, che, nei 
tristi tempi succeduti al 48, gli procurarono carcere e poi per- 
dita dell’ ufficio, che già allora aveva nelle escavazioni pom- 
peiane, e, come conseguenza, anni di povertà e di duro lavoro. 
Un membro della famiglia reale, il conte di Siracusa, che mo- 
strava amore per gli studii e le ricerche archeologiche, lo pre- 
pose all'esplorazione della necropoli di Cuma (3), poscia lo ebbe 
suo segretario. Sono celebri le due lettere calde di sentimento 
italiano, che nell’agosto del 1860, il conte mandava al nipote 
Francesco II ed a Vittorio Emanuele IL È noto che esse furono 
scritte dal Fiorelli, il quale allora aveva parte d’intermediario 
fra il conte e chi rappresentava a Napoli la politica del Pie- 
monte (4). Gl’'imparziali non esitano nell’apprezzare al suo vero 
valore l’atto di facile coraggio del principe borbonico: niuno 
negherà però al Fiorelli il vanto di non aver atteso, per mostrare 
amore per la libertà e per l'indipendenza nazionale, il momento, 
in cui il trono dei Borboni si sfasciava, si moltiplicavano da 
ogni parte le diserzioni, nelle acque di Napoli erano ancorate 
le navi sarde, e dalla Calabria accorreva trionfante il vincitore 
di Calatafimi e di Milazzo. 


(1) Pompeianarum antiquitatum historia, Neapoli, 1860-62, 2 vol.; Gli 
scavi di Pompei dal 1861 al 1872, Napoli, 1873; Descrizione di Pompei, 
Napoli, 1873; Guida di Pompei, Roma, 1877. Aveva già pubblicato: Monu- 
menta epigraphica Pompeiana, pars prima: Inscriptionum Oscarum apographa, 
Neapoli, 1856, ed una grande pianta della città: Tabula coloniae Veneriae 
Corneliae Pompeis. 

(2) Società reale di Napoli. Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’ Ac- 
cademia di archeologia, lettere e belle arti. Nuova serie, anno X, pag. 14-23 
(tornata del 4 febbraio 1896), discorsi dei professori Sogliano e De Petra. 

(3) Monumenti antichi posseduti da S. A. R. il conte di Siracusa, Napoli, 
1353; Notizia dei vasi dipinti rinvenuti a Cuma nel MDCCCLVI, Napoli, 1857. 

(4) Cfr. Persano, Diario privato-politico-militare nella campagna navale 
degli anni 1860 e 1861, 2* parte, Torino, 1870, pag. 20, 40, 53; Nisco, 
Francesco II re, Napoli, 1887, pag. 126-129; Memor, La fine di un regno, 
Città di Castello, 1894, p. 423-425. 


1074 E. FERRERO — COMMEMORAZIONE GIUSEPPE FIORELLI 


Nel 1860 il Fiorelli tornò alla sua Pompei: nel 63 ebbe anche 
la direzione del museo napolitano: tenne entrambi gli ufficii 
sino al 1875, in cui un ministro dell’istruzione pubblica, suo com- 
paesano, Ruggero Bonghi, lo chiamò a presedere al servizio ar- 
cheologico ed artistico del regno. Rimase fino al 1892 in tale im- 
portantissimo ufficio, del quale opere buone furono l'impulso agli 
scavi di Roma e di altri luoghi, l'ordinamento di collezioni, la 
creazione di una periodica raccolta d’informazione archeologica, 
le Notizie degli scavi. Nè mancò di cercare i mezzi per istabi- 
lire vigilanza sui monumenti venerandi del nostro passato e 
della nostra arte; problema gravissimo, che diede e darà ancora 
molto da studiare (1). 

Lasciato nel 92 l’ufficio di direttore generale al Ministero, 
sl ritrasse a vita privata: le condizioni cattive della sua salute 
peggiorarono ancora: cieco, infermo, trascinò vita miserabile 
sino al dì 29 del gennaio di quest'anno. Due giorni dopo, mentre 
a Napoli si tributavano solenni onoranze alla sua salma, nel 
Foro di Pompei s'inaugurava un busto del Fiorelli, che alle più 
lontane generazioni rappresenterà le sembianze dell’archeologo, 
la cui memoria non potrà essere mai scompagnata dalla vittima 
del Vesuvio. 


(1) Per sua cura furono raccolti i Documenti inediti per servire alla 
storia dei musei d’Italia, Roma, 1878-80, 4 vol. Aveva stampato prima una 
relazione Sulle scoverte archeologiche fatte in Italia dal 1846 al 1866, 
Napoli, 1867. 


1075 


PREMII DI FONDAZIONE GAUTIERI © 


L'Accademia Reale delle Scienze ha stabilito di conferire 
nel 1897 due premii per le opere di filosofia e di storia della 
filosofia pubblicate negli anni 1891-96; nel 1898 due premii per 
le opere di storia politica e civile in senso lato pubblicate negli 
anni 1891-97, nel 1899 due premii per le opere di letteratura, 
storia letteraria e critica letteraria pubblicate negli anni 1891-98. 

I premii saranno di circa L. 3000 caduno, dedotte le tasse 
e le spese di amministrazione. 

A partire poi dal 1900 si conferirà ogni anno un premio 
della somma indicata nel seguente ordine per ciascun triennio: 
1° anno Filosofia, 2° anno Storia, 3° anno Letteratura. 


(1) Vedi R. decreto 15 settembre 1895 e il regolamento interno pub- 
blicati a pag. 298 e segg. 


L’ Accademico Segretario 


ErmanNO FERRERO. 


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—=< i _ 


1076 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 


Dal 31 Maggio al 21 Giugno. 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; 
quelle notate con “* si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono, 


* Analele Institutului Meteorologic al RomAaniei. Tomul X, Anul 1894. 
Bucuresci, 1895; 4°. 

* Awales dela Sociedad Cientifica Argentina. Entrega IV, V, t. XLI. Buenos 
Aires, 1896; 8°. 

Anales del Museo Nacional de Montevideo, IV. 1896; 4°. 

* Annales de la Société belge de Microscopie. T. XIX. Bruxelles, 1895; 8°. 

* Annales de la Société géologique de Belgique. T. XX, 4° livr.; XXII, 
2° livr. Liège, 1892-1895; 8°. 

* Annals of the New York Academy of Science late Lyceum of Natural 
history. VIII, 6-12. New York, 1885; 8°. 

* Archives Néerlandaises des sciences exactes et naturelles publiées par 
la Société hollandaise des sciences è Harlem; tome XXX, livr. 1. 
Harlem, 1896; 8°. 

* Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Anno XLIX, sess. III. 
Roma, 1896; 4°. 

Atti della Società Piemontese d’Igiene; Anno II, fasc. 2-4. Torino, 1896; 8°. 

* Atti della Società toscana di Scienze naturali residente in Pisa. Processi 
verbali, vol. X, pp. 1-107; 1895-97. 

* Berichte der Bayer. Botanischen Gesellsch. Bd. IV. Miinchen, 1896; 8°. 

Boletin mensual del Observatorio Meteorolégico Central de Mexico. Enero, 
Febrero, 1896; 4°. 

Boletin mensual demografico de Montevideo. Aîio II, April 1894, n. 82, 
83, 35-40. Montevideo, 1895-96. 

Boletin del Observatorio Astronémico Nacional de Tacubaya. Tom. I, 
n. 23, 24. Mexico, 1895; 4°. 

* Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia comparata della R. Univer- 
sità di Genova. N. 40-48. Genova, 1896; 8°. 


TT. e— e Cc _—_raeer ee, ——-u 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 1077 


* Bollettino del R. Comitato Geolog. d’Italia. Anno 1896, n. 1; e Catalogo 
della Biblioteca, 1° Suppl°. Roma, 1896; 8°. 

Bollettino della Società generale dei Viticoltori italiani. Anno X, n. 24; XI, 
n. 1-12. Roma, 1895-96; 8°. 

* Bollettino medico-statistico dell’Ufficio d’igiene della città di Torino. 
Anno XXV, n. 1-17 e Rendiconto dei mesi di gennaio, maggio 1896. 

* Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2, v. XVI, 
n. 2-6. Torino, 1896. 

* Buletinul Observatiunilor Meteorologice din Romania. Anul IV, 1895. 
Bucuresti, 1896; 4° (dall'Istituto Meteorologico). 

Bulletin Mensuel de Statistique Municipale de la ville de Buenos-Aires. 
Année IX© (1895), n. 9-12; X° (1896), 1-4. 

* Bulletin de la Société impériale des Naturalistes de Moscou. Ann. 1895, 
n. 3. Moscou, 1896; 8°. 

Bulletin de la Société Philomatique de Paris, 1894-95, n. 4; 8°. 

* Bulletins du Comité Géologique de St-Pétersbourg, 1895. Supplément au 
T. XIV. St-Pétersbourg, 1895; 8°. 

* Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico- 
chirurgica ecc. Serie VII, vol. VII, fasc. 3,5. Bologna, 1896; 8°. 

* Bullettino delle sedute dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali in 
Catania, fasc. XLI-XLIII. Catania, 1896; 8°. 

* Bullettino della Società Veneto-Trentina di scienze naturali. T. VI, n. 2. 
Padova, 1896; 8°. 

* Compte-Rendu sommaire de la séance de la Société philomatique de 
Paris. N. 5-16 février 1896. Paris; 8°. 

* Comptes-Rendas de l’Académie des Sciences de Cracovie. Avril. Cracovie, 
1896; 8°. 

Comptes-Rendus des séances de la Commission permanente de l’Association 
Géodésique internationale. Berlin, 1895; 4°. 

Field Columbian Museum: 
Botanical series. Vol. I, n. 1. Geological series. Vol. I, n. 1. Zoolo- 

gical series. Vol. I, n. 1-2. Chicago, 1895; 8°. 

* Giornale della R. Accademia di medicina. A. LIX, n, 4. Torino, 1896; 8°. 

* Johns Hopkins University: 
American Chemical Journal. N. 1 del vol. 7. 
American Journal of Mathematics. Vol. III, 1880. 
Bulletin of the Johns Hopkins Hospital. Vol. VII, n. 58-61. 
Circulars. Vol. VI, n. 55; XIII, n. 108; XV, n. 124. 
Geological Map of Baltimore and Vicinity. 

* Mémoires du Comité Géologique de St-Pétersbourg. Vol. X, n. 4. 1895; 4°. 

* Memoirs of the Boston Society of Natural history. Vol. V, n. 1, 2. 
Boston, 1895; 4°. 

Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXV, disp. 182-152. 
Roma, 1896; 4°. 

* Mittheilungen aus der Zoologischen Station zu Neapel. 12 Bd. 2 Heft. 
Berlin, 1896; 8°. 


1078 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVI, n. 6-8. 
London, 1896; 8°. 

* Ofversigt af Finska Vetenskaps-Societetens Fòrhandlingar, XXXVII, 1894- 
1895. Helsingfors, 1895; 8°. 

* Proceedings of the Boston Society of Natural history. Vol. XXVI, 

part IV. Boston, 1895; 8°. 

* Proceedings of the American Academy of Arts and Sciences. New Series, 

vol. XXII. Boston, 1895; 8°. 

Proceedings and Transactions of the Nova Scotian Institute of Science. 
Session of 1893-94, 2° series, vol. I, part 4. Halifax N. S., 1895; 8°. 
Proceedings of the Royal Institution of Great Britain. Vol. XIV, Part III, 

n° 89. London, 1896; 8°. 

* Proceedings of the Academy of Natural Science of Philadelphia. Parts II, 

TIT, 1895; 82, 
* Proceedings of the Rochester Academy of Science. Broch. 3, 4, vol. II. 
Rochester, N. Y., 1893; 8°. 

* Proceedings of the California Academy of Sciences. 29 Ser., vol. V, 

part I. San Francisco, 1895; 8°. 

* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXIX, 

fasc. X. Milano, 1896; 8°. 

* Rivista mensile del Club alpino italiano. Vol. XV, n. 1-5. Torino, 1896; 8°. 

Spelunca. Bulletin de la Société de Spéléologie. 17° année, n. 5. Paris, 

1896; 8°. 

* Smithsonian Institation: The Composition of Expired Air and its Ef- 
fects upon Animal Life. By J. S. Billings, S. W. Mitchell, and D. H. Bergey. 
Washington, 1895; 4°. 

Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXIX, fasc. V. Modena, 
1896; 8°, 

* Transactions of the Wisconsin Academy of Sciences, arts, and lettres. 

Vol. IV, VI, IX, X. Madison, Wis., 1878-1895; 8°. 

* Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXIV, Part VIII. 

Transactions of the New York Academy of Science. Vol. XIV. New York 
1894-95; 8°. 

Tufts College Studies. N.1V. Tufts College, Mass., 1895; 8°, 

* Verhandlungen des naturhistorisch-medicinischen Vereins zu Heidelberg. 

N. F., Bd. V, 4. 1896; 8°. 
* }RypHaxp pycckaro ®I87rR0-xMMMTecKaro O6mecrBa ipa IMmneparopecroMme 
C. IHerep6yprerome YAamBepenterb; t. XXVIII, n. 8. 1896. 


* 


* 


LI 


Rizzardi (U.). Contributo alla fauna tripolitana. Firenze, 1896; 8° (dall’A.). 
Weingarteu (J.). Sur la déformation des surfaces. Stockholm, 1896; 4° (Z4.). 


| € ORTI, , RI TO" CITTA NI 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 1079 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologicne. 


Dal 14 al 28 Giugno 1896. 


Annali di Statistica. — Statistica industriale. Fasc. LVIII-LX. Roma, 
1895-96; 8° (dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio). 

** Bibliotheca philologica classica. 1896. Erstes Quartal. Berlin; 8°. 

* Boletin de la Real Academia de la historia; t. XXVIII, cuad. IV. Madrid, 
1896; 8°. 

* Bollettino delle Pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa 
(Bibl. Naz. Centr. di Firenze); 1896, n. 240-251; 8°. 

Bollettino di notizie sul credito e la previdenza. Anno XIII, n. 9-12 e in- 
dice; XIV, n. 1-4. Roma, 1895-96; 8° (Ministero di Agricoltura, Industria 
e Commercio). 

Bollettino di Legislazione e Statistica doganale e commerciale. Anno XII, 
ottobre-dicembre 1895 e indice; XIII, gennaio-marzo 1896. Roma, 
1895-96; 8° (Ministero delle Finanze). 

Bulletin de la Société de Géographie Commerciale de Bordeaux, n. 24, 
1895; 1-5, 1896; 8°. 

* Bulletin de l’Académie Royale des sciences et des lettres de Danemark. 
Copenhague, 1896, n. 3; 8°. 

* Comptes-rendus des séances de la Société de Géographie; 1895, n. 14-16; 
n. 1-12, 1896. Paris, 1896; 8°. 

* Consiglio Comunale di Torino; Sessione ordinaria di primavera 1896, 
n° V-XVII. 

* Leopoldina. Amtliches Organ der k. Leopoldino-Carolinischen Deutschen 
Akad. der Naturforscher. XXXI Heft, 13895. Halle; 4°. 

* Monumenta spectantia historiam slavorum meridionalium. Vol. XXVII. 
Tom. III. Zagabriae, 1895; 8°. 

* Rad Jugoslavenske Akademije Znanosti i Umjetnosti. Knjiga CXXIV. 
Zagubu, 1895; 8°. 

Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXIX, 
fasc. 11-12. Milano, 1896; 8°. 

* Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di Archeologia, 
Lettere e Belle Arti della Società Reale di Napoli. N. S., An. X. Gen- 
naio a Marzo 1896; 8°. 


* Rjecnik hrvatskoga ili srpskoga jezika na svijet izdaje Jugoslavenska 


Akad. Znanosti i Umjetnosti obraduje P. Budmani. Svezak 15, 3 Cetvr- 
toga Dijela Zagrebu, 1895; 8°. 


1080 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Rosario (Il) e la Nuova Pompei. Anno XIII, quad. IV-V. Valle di Pompei, 
1896; 8°. 

Sanskrit Critical Journal of the Oriental Nobility Institute. Woking, 
England, n. 3-4, 1896; 8°. 

* Starine na sviet izdaje Jugoslavenska Akademija Zanosti i Umjenosti. 
Knjiga XXVIII. Zagrebu, 1895; 8°. 

Statistica del Commercio speciale di importazione e di esportazione dal 
1° gennaio-31 dicembre 1895; 1° gennaio-31 maggio 1896, 6 fasc. 
Roma, 1895-96; 8° (dal Ministero delle Finanze). 

* Studi e Documenti di storia e diritto. Anno XVII, fasc. 1-2°. Roma, 1896; 4° 
(dall’Accademia di Conferenze Storico-giuridiche). 


Valle di Pompei; An. V, n. 1-3. 1896; fol. 


Colombo (G.). Ancora del Maestro Syon. Torino, 1896; 8° (dall’A.). 

Dante Allighieri. Il Trattato “ De vulgari eloquentia ,, per cura di Pio 
Rayna. Firenze, 1896; 8° (dal Prof. Pio Rajna). 

Favaro (A.). Intorno alla vita ed ai lavori di Tito Livio Burattini, fisico 
agordino del secolo XVII. Venezia, 1896; 4° (dall’A.). 

— Amici e corrispondenti di Galileo Galilei. II. Ottavio Pisani. Venezia, 
1896; 8° (Zd.). 

Foerster (W.). Kristian von Troyes Erec und Enide. Halle a. S., 1896; 8° (Zd.). 

Lagrange (G. L.). Fac-simili di lettere di G. L. Lagrange, le quali si con- 
servano nel carteggio di Paolo Frisi posseduto dalla Biblioteca Ambro- 
siana di Milano (dal prof. A. Favaro). 

Pagani (G.). Mario Nizzoli umanista e filosofo del secolo XVI. Roma, 1893; 
8° (dall’A.). 

** Sanuto (M.). Diari. Fasc. 198. Venezia, 1896; 4°. 


INDICE 


DEL VOLUME XXXl 


ELenco degli Accademici residenti, Nazionali non residenti, Stranieri 


e Corrispondenti ; ‘ ‘ « , x 3 SIFAG: De 
Erezioni di Soci della Classe di scienze fisiche, matematiche e na- 

turali . ; È i - E 9 5 3 3 n 910, 853. 
ELezioni di Soci della Classe di scienze morali, storiche e filologiche , 579 
Errata-Corrige . 7 È } 2 , È ; i 7 » 1090 


FonDAZIONE GAUTIERI. 


Regio Decreto del dì 15 di settembre 1895, col quale S. M. il Re 


ha approvato il disegno di Statuto organico . - . n. 496 
Statuto organico della Fondazione Gautieri È non 299 
Regolamento interno per il conferimento del premio ne, DA III 
Premi di fondazione Gautieri ; i , . È J pULOTO 

Premio BreEssA. 
Relazione sui lavori presentati per il IX premio Bressa . n :291 
Conferimento del IX premio Bressa . ; È È * » 358 
Sunti degli Atti verbali delle adunanze a Classi Unite . ; x (200, 

358, 844. 

Sunti degli Atti verbali delle Adunanze della Classe di Scienze fisiche, 

matematiche e naturali . È Li 


155, 205, 245, 309, 363, 439, 475, 559, 583, 619, 691, 803, 851, 937. 


Sunti degli Atti verbali delle Adunanze della Classe di Scienze mo- 
rali, storiche e filologiche . ; 84, 
200, 239, 263, 325, 409, 471, 527, 579, 585, 625, 733, 894, 889, 1065. 

PuesLicazioniI ricevute dalla R. Accademia delle Scienze di Torino 
(Classe dì Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali) . } 117, 
201, 242, 303, 359, 436, 472, 551, 580, 615, 686, 800, 847, 931, 1076. 

Pussiicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze di Torino 
(Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche) . ? 143, 
202, 243, 305, 361, 438, 473, 553, 581, 616, 688, 801, 848, 933, 1079. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 73 


1082 INDICE DEL VOL. XXXI 


Arzievo (Giuseppe) — Sunto della Memoria: Studi psicofisiologici Pag. 


— Peyron (Bernardino) e Brusa (Emilio) — Relazione sul lavoro 
manoscritto del Dott. Francesco FrieERI intitolato: La filosofia 
e Pico della Mirandola 


— La divisione del lavoro applicata alle Università . 


n 


— Sunto della Memoria: Federico Herbart e la sua dottrina pe- 
dagogica : 5 ; ; : s ; 
— La libera attività de liicando secondo Enrico Pestalozzi e 


Gian Giacomo Rousseau Li 


— Studio storico critico di pedagogia femminile >; 
— Della educazione della donna secondo i pensatori francesi del 
secolo XVIII - : ; : : : 
Armansi (Emilio) — Sull’ integrazione dell’ equazione differenziale 
AZA3—0) : È ; ; % X 
Arnò (Riccardo) — La radiazione di Réòntgen con tubi di Hittorf 
ad idrogeno rarefatto 


n» 
n 


Batsi (Vittorio) — Effemeridi astronomiche calcolate per Pai 1897 


e per l’orizzonte di Torino z 


Basso (Giuseppe) — V. CarLE (Giuseppe), dh (Alfonso), e FERRARIS 
(Galileo). 


Berrranp (Giuseppe Luigi) — Eletto Socio straniero è 


BerzoLarI (Luigi) — Sulle curve piane che in due dati fasci hanno 
un semplice o un doppio contatto, oppure si osculano . 


» 


Berrazzi (Rodolfo) — Sulla catena di un ente in un gruppo . È 


— Gruppi finiti ed infiniti di enti 


n 


Bizzozero (Giulio) — V. Mosso (Angelo) e Bizzozero (Giulio). 


BoLLati pi SAINT-PIERRE (Emanuele) — V. Cieorra (Carlo), BoLnati 
pi Sarnt-Prerre (Emanuele) e Perrero (Domenico). 


BoLrzmann (Luigi) — Eletto Socio Corrispondente 
Boncni (Ruggero) — V. Carre (Giuseppe). 


BrroscHi (Francesco) — Il risultante di due forme binarie biquadratiche 


e la relazione fra gli invarianti simultanei di esse x 


Brusa (Emilio) — Di una sanzione penale alla convenzione gine- 
vrina per i feriti in guerra . ; 


— V.Artrevo (Giuseppe), Peyron (Bernardino) e Brusa (Emilio). 


— (Commemorazione del Socio straniero Adolfo GwxeIsT Li 


Bryce (Giacomo) — Eletto Socio Corrispondente . 3 È S 


CaLLiGARIS (Giuseppe) — San Gregorio Magno e le paure del prossimo 
finimondo nel Medio-evo . ; E 5 à i : a 


287 


410 


586 


612 


642 
825 


891 


881 


620 


1046 


310 


476 


446 
506 


310 


INDICE DEL VOL. XXXI 


Camerano (Lorenzo) — Legge la commemorazione del defunto Pre- 
sidente Michele Lessona, che sarà stampata nei volumi delle 


Memorie . 2 È 3 i N : , 4 «1 Pag. 


— Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro 
del Dott. Daniele Rosa, intitolato: I Linfociti degli Oligocheti, 
ricerche istologiche . > : . : i i J 

— Nuove ricerche intorno ai Salamandridi Tan apneu- 
moni e intorno alla respirazione negli Anfibi urodeli . È 

— e Sarvapori (Tomaso) — Relazione intorno alla Memoria del 
Dott. Daniele Rosa, intitolata: I Linfociti degli Oligocheti, 
ricerche istologiche . p x 3 " ? 5 i 

— Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un Tavoto 
del Dott. Ermanno GiaLio-Tos, intitolato: Sulle cellule del sangue 


della Lampreda . $ ° } 3 : Î , : 2 
— e Sarvapori (Tomaso) — Relazione intorno alla Memoria del 
Dott. Ermanno Gietio-Tos, intitolata: Sulle cellule del sangue 
della Lampreda . 3 è , : ; Z . È i 


— V.Grseni (Giuseppe) e Camerano (Lorenzo). 
— VV. Naccari (Andrea) e Camerano (Lorenzo). 


Camperti (Adolfo) — Sulla compressibilità dell’ ossigeno a basse 

pressioni . È ì ( : 2 3 3 : 1 a 
Cantoni (Carlo) — Eletto Socio Corrispondente . È L 1 È 
Cantù (Cesare) — V. Crporra (Carlo). 


Carre (Giuseppe) — Annunzia la morte del Socio residente G. Basso, 
dei Soci stranieri Enrico Rodolfo GwreIst, dei Soci corrispon- 
denti Enrico von SyBet, Filippo Linati e Ruggero BonenI , 

— Annunzia la morte del Socio Corrispondente Giuseppe De Leva , 
— Annunzia la morte del Socio Corrispondente Senatore Carlo 
NeGronI . o : c ; ; F È 5 È 
— Annunzia la morte del Socio Corrispondente barone Cristoforo 
NEGRI . A : A È . 3 S ì " : Li 
— Parole di commemorazione del Socio Corrispondente Luigi 
Cossa . 7 3 : i : È 3 ; ; : î 
— Annunzio della morte del Socio nazionale non residente Luigi 
Federico MenARREA, marchese di Val Dora . \ : D 


Catalogo Universale di bibliografia scientifica ecc. V. Naccari (Andrea). 


CeLorIA (Giovanni) — Eletto Socio Corrispondente . o i L 
CriapreLLi (Alessandro) — Eletto Socio Corrispondente . - S 
Cain: (Mineo) — Sulle equazioni a derivate parziali del 2° ordine , 
CiroLra (Carlo) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie 
un lavoro del Dott. Luigi ScniaparELLI: Le origini del Comune 
di Biella . 5 : ; ; } 3 È ; : ì, 


1083 


512 


584 


619 


731 


52 
579 


84 
200 


325 


527 


844 


851 


310 
979 
568 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. TRS 


1084 INDICE DEL VOL. XXXI 


CipoLLa (Carlo) — Cesare Cantù ed Enrico von SyseL; Cenni comme- 
morativi . f ; È : 4 ò : ; «SPREA 
— Sunto della Memoria: Brevi appunti di Storia Novaliciense , 240 
— Borrarti pi Saint-Pierre (Emanuele) e Perrero (Domenico) — 
Relazione sul lavoro del Dott. Luigi ScarAPARELLI, intitolato: 
Origini del Comune di Biella n 482 
— Presenta per l’inserzione nei volumi dote Monia un avan 
del Prof. Carlo MerkeEL, intitolato: Nicolò Scillacio e la relazione 
intorno al secondo viaggio di Cristoforo Colombo in America , 626 
— Giuseppe De Leva. Commemorazione n 735 
— Nuovi appunti di storia Novaliciense ‘ 756 
— Crarerta (Gaudenzio) e Ferrero (Ermanno) — han sir 
lavoro del Prof. Carlo MergeEL: Niccolò Scillacio e le relazioni 
sul secondo viaggio di Cristoforo Colombo in America PA) 
CLarerta (Gaudenzio) — Annunzia la morte del Socio Nazionale non 
residente marchese Matteo Ricci ali Ad 
— Filippo Linari. Commemorazione io SISI 
— Lo stato di alcuni archivi comunali della provincia di Susa 
ai tempi di Re Vittorio Amedeo III : tie 
—  V. Cirotra (Carlo), CLarerTA (Gaudenzio) e Ferrero (Ermanno). 
Coanerti pe Martus (Leonardo) — Gli infortunii sul lavoro, Appunti 
d’igiene sociale . n 845 
CoLomsa (Luigi) — Osservazioni mineralogiche su alcune sabbie della 
collina di Torino n 998 
Congresso Storico. V. Ferrero (Ermanno). 
Corpone (Girolamo) — Intorno al gruppo di sostituzioni razionali e 
lineari : x sn 804 
Cossa (Alfonso) — Annunzia la morte del Socio Giuseppe Basso e 
di Luigi Pasteur avvenute durante le ferie dell’Accademia , 1 
— Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro 
del Prof. Icilio GuarescHI, intitolato: Sintesi di composti piri- 
dinici degli eteri chetonici coll’etere cianacetico in presenza del- 
l’ammoniaca e delle amine . . : 5 3 2 
— e Spezia (Giorgio) — Relazione sulla Memoria del Prof. Icilio 
GuarescHI, presentata nell'adunanza del 17 Novembre 1895, 
intitolata: Sintesi di composti piridinici dagli eteri chetonici 
coll’etere cianacetico in presenza dell’ammoniaca e delle amine , 198 
— Annunzia la morte del Socio Corrispondente Gabriele Augusto 
DAUBREÈE . , È ; - È a È - > è < REI 
— Comunicazione . 3 ; £ i : ; ni 998 


Cossa (Luigi) — V. CarLE i 
Dana (James Dwigt) — V. Spezia (Giorgio). 
Dausrée (Gabriele Augusto) — Vedi Cossa (Alfonso). 


INDICE DEL VOL. XXXI 


De-ArrssanpriI (Giulio) — Ricerche sui pesci fossili del Paranà, £e- 


pubblica Argentina . Pag. 


De Leva (Giuseppe) — V. Care (Giuseppe); V. TEMA (Carlo). 
Derponte (Giovanni Battista) — V. GrseLri (Giuseppe). 


D’Ovipio (Enrico) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle 
Memorie un lavoro del Prof. Rodolfo BertAzzi, intitolato: 
Fondamenti per una teoria generale dei gruppi 


Fano (Gino) — Aggiunta alla Nota: “ Sulle congruenze di rette del 
terzo ordine prive di linea singolare , 


Favaro (Antonio) — Sette lettere inedite di TOI Luigi Lagrange 
al P. Paolo Frisi, tratte dagli autografi nella Biblioteca Ambro- 
siana di Milano . 


tu) 


Fetici (Riccardo) — Eletto Socio Nazionale non residente 


»” 


FergoLa (Emanuele) — Eletto Socio Nazionale non residente . 


Ferraris (Galileo) — Giuseppe Basso. Commemorazione . 
— V. Serzia (Giorgio) e FerrarIs (Galileo). 


Ferrero (Ermanno) — Presenta una fotografia, donata dal Prefetto 
‘della biblioteca Nazionale di Torino, del busto di Gaspare 


GorRESIO n 


— Informa sulla rappresentanza dell’Accademia al VI Congresso 
Storico tenutosi in Roma . 


— Presenta un manoscritto inviato per la stampa nelle pubbli- 
cazioni accademiche dal sig. Giovanni FricerI, intitolato: La 
filosofia di Giovanni Pico della Mirandola 5 


— Presenta la collezione del Tripitaka dei Buddisti meridionali, 
dono di S. M. il Re del Siam . 


— Un ripostiglio di monete della. repubblica romana scoperto 
a Romagnano Sesia . 


” 


— V.Crrorza (Carlo), CLarettA (Gaudenzio) e FerRERO (Ermanno). 


— Parole commemorative sul Socio Corrispondente Giuseppe 


FIORELLI : ; ; " È ì : È 
Frrerr (Michele) — Eletto Socio Nazionale residente . e 
— e Ponzio (Giacomo) — Sulla trasformazione dei chetoni in 
a-dichetoni . È | A 5 
FroreLLi (Giuseppe) — V. Ferrero (Ermanno). 
GanrrI (Giuseppe) — Eletto Socio Corrispondente s 
GreeLti (Giuseppe) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle 


Memorie un lavoro del sig. Ugolino MartELLI, intitolato: Flora 
della Sardegna in continuazione di quella del Moris (Orchidee) , 
— G. B. DeLponte. Commemorazione : ” 
— e Camrrano (Lorenzo) — Relazione sulla Menna ie signor 
Enrico MarreLLI, intitolata: Monocotyledones Sardoa@ Josephi 
Hyacinthi Moris “ Florae Sardoe. Continuatio , 


” 


1085 


715 


310 


708 


527 


260 


1086 INDICE DEL VOL. XXXI 


GiseLLi (Giuseppe) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle 
Memorie un lavoro del Dott. Saverio BeLLi, intitolato: Endo- 
derma e periciclo nel genere Trifolium in rapporto colla teoria 


della Stelia di V. Tieghem e Douliot . x ) ; 3) <a 


— e Camerano (Lorenzo) — Relazione sulla Memoria del Dottor 
Saverio BeLLi, intitolata: Endoderma e periciclo nel genere 
Trifolium in rapporto alla teoria della Stelia di V. Thieghem 


e Douliot  . , î ; . - 3 } - > “ 
GieLio-Tos (Ermanno) — Sull’origine dei corpi grassi negli anfibi , 
Gwerst (Enrico Rodolfo) — V. Carre (Giuseppe), e Brusa (Emilio). 
GuarescHi (Icilio) — Eletto Socio residente È 4 7 ; A 

— Alcune osservazioni sulla difenilurea e sulle ditoliluree . > 
— Sull’a-aminoetilidensuccinimide e sull’acetilsuccinimide . i 
Gurpi (Camillo) — Eletto Socio Nazionale residente ; È 3 
HeLmert (F. Roberto) — Eletto Socio Corrispondente i ; n 


JApANZA (Nicodemo) — Influenza dell’errore di verticalità della stadia 
sulla misura delle distanze e sulle altezze s ; c a 


— Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un suo 
lavoro intitolato: Per la storia del cannocchiale . ; È 


— e Naccari (Andrea) — Relazione sulla memoria del Prof. Fran- 
cesco Porro, intitolata: Osservazioni di stelle variabili eseguite 
a Torino e a Soperga . ; : ; ) È - s 


Jorpan (Camillo) — Eletto Socio Corrispondente ; 4 : s 

Lartes (Elia) — I1 € vino di Naxos , in un'iscrizione preromana dei 
Leponzii in Val d’Ossola . ò . . $ : 4 3 

LauriceLLA (Giuseppe) — Integrazione dell'equazione A°(A?u)= 0 in 
un campo di forma circolare . : . » È : ; 

Lessona (Michele) — V. Camerano (Lorenzo). 

Levi (Alberto) — Sulle singolarità della jacobiana di quattro superficie , 


Levi-Crvira (Tullio) — Sull’inversione degli integrali definiti nel 
campo reale È ; : a ; ; ; 3 : 3 
— Sugli integrali algebrici delle equazioni dinamiche . » 


Linati (Filippo) — V. Carre (Giuseppe). 


MarreL (Edoardo) — Di una nuova interpretazione dell’architettonica 
florale delle crocifere e generi affini ‘ i é i , 


MarteLLI (Ugolino) — Ritira la sua Memoria: Monocotyledones Sardo 
Josephi Hyacinthi Moris Flora Sardo@ Continuatio È A 


— V. Gisetti (Giuseppe). 


MenaBreA marchese di Val Dora(Luigi Federico) — V. CArLE(Giuseppe). 


858 


987 


475 


INDICE DEL VOL. XXXI 


Mercati (Giovanni) — D'un palimpsesto Ambrosiano contenente i 


Salmi esapli e di un'antica versione latina del commentario 


perduto di Teodoro di Mopsuestia al Salterio . i . Pag. 


Mrirrag-LerrLErR (Gustavo) — Eletto Socio Corrispondente P L 


Monti (Virgilio) — Sulla variazione di densità di un liquido presso 


alla superficie . ; , È ; : ; ; È È 


Mosso (Angelo) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie 


un lavoro del Dott. A. BenepIcENTI, intitolato: Sulle leggi del 
tono muscolare nell'uomo . . : - . i 5 ° 
e Brzzozero (Giulio) — Relazione sulla Memoria del Dottor 
Alberico BenEDICENTI, intitolata: Sulla tonicità dei muscoli stu- 
diata nell'uomo . È E î } : , ; ; la 
Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un suo la- 
voro intitolato: Descrizione di un miotonometro per studiare la 
tonicità dei muscoli dell’uomo . £ È ° 3 ) n 


Naccari (Andrea) — Sulla trasmissione della elettricità da un con- 


duttore all’aria nel caso di piccola differenza di potenziale , 
Relazione sui lavori presentati per il IX premio Bressa b 


Comunica una lettera dei Segretarii della Società Reale di 
Londra circa la pubblicazione di un catalogo universale di 
bibliografia scientifica 3 L 7 7 i A S ù 


Presenta per l’inserzione le Osservazioni meteorologiche fatte 
durante l’anno 1895 all'Osservatorio della Regia Università di 
Torino, calcolate dal Dott. G. B. Rizzo . : 7 i n 


Comunica la lettera del Ministero della Pubblica Istruzione 
in cui annunzia di aver proposto il delegato italiano alla Con- 
ferenza di Londra per un catalogo universale di bibliografia , 
Comunica un invito dell’Università e del Municipio di Glasgow 
all'Accademia perchè elegga un suo rappresentante alle feste 
che si celebreranno in onore di Lord KeLvin . i A # 
Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro 
del Prof. Antonio GarBAsso, intitolato: Sopra alcuni fenomeni 
luminosi presentati dalle scaglie di certi insetti È > È 
e Camerano (Lorenzo) — Relazione sulla Memoria del Profes- 
sore Antonio Garbasso intitolata: Sopra alcuni fenomeni lumi- 
nosiî presentati dalle scaglie di certi insetti ; È È n 
Presenta per l’inserzione nelle Memorie un lavoro del Profes- 
sore Francesco Porro, intitolato: Osservazioni di stelle variabili 
eseguite a Torino e a Soperga . 3 : 5 7 2 A 
V. JapANzA (Nicodemo) e Naccari (Andrea). 


Nani (Cesare) — Antonio PerriLE. Cenno necrologico 9 . S 


NeerI (Cristoforo) — V. CarLe (Giuseppe). 


1087 


655 
310 


194 


259 


809 


67 
291 


364 


440 


905 


583 


619 


732 


858 


534 


1088 INDICE DEL VOL. XXXI 


Negroni (Carlo) — V. CarLe (Giuseppe). 
Osasco (Elodia) — Di alcuni corallari pliocenici del Piemonte e della 


Liguria : { I i, : i 5 È i . Pag. 225 
Ovazza (Elia) — Sul metodo di falsa posizione pel calcolo degli 
archi elastici. 4 x - g } 3 3 È i 206 


Parona (Carlo Felice) e RovereETo (6) — Diaspri permiani a radio- 


larie di Montenotte, Liguria occidentale . O 
Pascar (Carlo) — L'iscrizione sabellica di Castignano . 3 s TOO 
Pasteur (Luigi) — V. Cossa (Alfonso). 

Parerta (Federico) — Eletto Socio Corrispondente . d 1 1 Cabuo 
Priano (Giuseppe) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle 


Memorie un lavoro del Prof. Francesco Grupice, intitolato : 
Sulle equazioni di quinto grado . y 2 
2 I, 

— e D’Ovipio (Enrico) — Relazione sulla Memoria del Profes- 
sore Francesco Giupice, intitolata: Sull’equazione del 5° grado , 199 
n 952 

Perrero (Domenico) — I regali di prodotti nazionali invalsi nella 
diplomazia piemontese dei secoli XVII e XVIII n —— AI 

— Un segreto episodio della vita ministeriale del Marchese 
D’Ormea e del Cav. Ossorio (1740-1750) . n CADOG 


— V. Crrorza (Carlo), BorLari pr Sarmr-Prerre (Emanuele) e 
Perrero (Domenico). 


— Trasformazioni lineari dei vettori di un piano 


— Saggio di calcolo geometrico 


PertILE (Antonio) — V. Nani (Cesare). 

Peyron (Bernardino) — Matteo Ricci. Commemorazione . : 5 “000 
— V. Arzrevo (Giuseppe), Perron (Bernardino) e Brusa (Emilio). 

Preri (Marro) — Sui principii che reggono la geometria di posi- 


zione. Nota 2* e 3* . ! 3 È ‘ ; : s 9881, 457 
PinLocne (Augusto) — Eletto Socio Corrispondente . 1 
Pizzetti (Paolo) — Intorno alla determinazione teorica della gra- 

vità alla superficie terrestre . È ; ; ; x 3 BOB 


Ponzio (Giacomo) — V. Fireri (Michele) e Ponzio (Giacomo). 


RayLeica (Lord J. W. Strutt) — Gli è conferito il IX premio Bressa, 358 
Ringrazia ‘ : 11825, 963 


Ricci (Matteo) — V. CrLarertAa (Gaudenzio); e V. Perron (Bernardino). 


Ricci (Serafino) — Di una stele con iscrizione trilingue rinvenuta 


a File in Egitto . : : 7, 
Rizzo (Gio. Battista) — La durata dello TERE del Sole sul- 
l'orizzonte di Torino . 7 ; 9 y : : x 1039 


Rossi (Francesco) — Di un coccio eopto del Museo egizio di Torino 
con caratteri crittografici . x . i : i } n 914 


INDICE DEL VOL. XXXI 


Rovereto (G.) — V. Parona (Carlo Felice) e Rovereto (G.). 


Sacerporti (Cesare) — Sulla rigenerazione dell’ epitelio muciparo 


del tubo gastro-enterico degli anfibi ; 3 | si Pag: 


SaLvapori (Tomaso) — V. CamrrANo (Lorenzo) e SaLvapori (Tomaso). 


Scuapareri (Luigi) — Diploma inedito di Berengario I (a. 888) 
in favore del monastero di Bobbio . 


Secre (Corrado) — Annunzia che il Prof. Rodolfo Berrazzi ha riti- 
rata la Memoria intitolata: Fondamenti per una teoria generale 
dei gruppi, presentata per essere inserita nei volumi delle 
Memorie . TA, 3 . ; : $ , ; E 


— Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro 
del Dott. Gino Fano, intitolato: Sulle varietà algebriche con un 
gruppo continuo non integrabile di trasformazioni protettive in sè , 


— Intorno ad un carattere delle superficie e delle varietà su- 
periori algebriche . ; È i: ? : È P E: 


— D’Ovipro (Enrico) e Vorrerra (Vito) — Relazione sulla Memoria 
del Dott. Gino Fano, intitolata: Sulle varietà algebriche con un 
gruppo continuo non integrabile di trasformazioni protettive in sè , 


Spezia (Giorgio) — James Dwraar Dana. Commemorazione . 
— La pressione nell’azione dell’acqua sul quarzo È " i 
— V. Cossa (Alfonso) e Spezia (Giorgio). 


— Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro 
del Dott. Giovanni De Agostini, intitolato: Ricerche batome- 
triche e fisiche sul lago d'Orta . È 5 . ; 3 2 

— Sul metamorfismo delle roccie . 3 È È , ; s 


— e Ferraris (Galileo) — Relazione sulla Memoria del Dottor 
Giovanni De AcostINI, intitolata: Ricerche batometriche e fisiche 


sul lago d’Orta . i | : È ; 3 : : tr 
Syrser (Enrico von) — V. Carre (Giuseppe) e CrpoLra (Carlo). 
SyrLvesrer (Giacomo Giuseppe) — Eletto Socio straniero . : e 
THomsoN (Giuseppe Giovanni) — Eletto Socio Corrispondente . si 
Tocco (Felice) — Eletto Socio Corrispondente . ; 3 3 à 


Vanmacci (Luigi) — Del luogo della così detta prima battaglia di 
Bedriaco . - ; È o A : 4 \ È n 


Voeino (Pietro) — Sullo sviluppo della “ Stropharia merdaria , 
Fries . i ; 3 È : ? $ 3 ; 3 7 


VoLrerra (Vito) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie 
un lavoro del Prof. Giuseppe LauriceLLA, intitolato: Sull’equa- 
zione delle vibrazioni delle placche elastiche incastrate . È 


1089 


870 


538 


439 


556 


485 


1090 INDICE DEL VOL. XXXI 


VoLrerra Viro — Sulla inversione degli integrali definiti; Nota I, 
TL gt E RS pra i; ; s : : . Pag. 311, 400, 557, 693 
— e Ferraris (Galileo) — Relazione sulla Memoria del Prof. Giu- 
seppe LauriceLLA, intitolata: Sul!’ equazione delle vibrazioni 
delle placche elastiche incastrate . Mi.) 


— Osservazioni sulla Nota precedente del Prof. LauriceLLA e 
sopra una nota di analogo argomento dell'Ing. ALmansI n 1018 


ZanortI-Branco (Ottavio) — Per la storia della teoria delle super- 
ficie geoidiche n 1022 


ERRATA-CORRIGE 


A pagina 579, invece di Antonio PinLocHE 


leggasi Augusto PixLocHE. 


Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S, M. e Reali Principi. 


TTI 
RA AOOADENTA DELLE SCIENZE 
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DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vot. XXXI, Disp. f*, 1895-96 


TORINO 
CARLO CLAUSEN . 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


1895 


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ADUNANZA del 24 Novembre 1895. 5: è 


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POR in Val d’Ossola ; È ; ‘ È aa 
SOT PR Pascar —_ SAI Sabelli di Calinano CLI AE 


sal 17 Novembre 1895 ( Classe di Soienzo Fisiche, Matemi ti, 
SARE Nata rali) 3 3 i = E è È aa 
SER Pubblicazioni ricevute "dalla R. Accademia delle Scienze dal SD i 
RE SSIZIANE: Ddr Novembre 1895 ( Classe di Scienze Meran Stor iche. e 
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Favaro — — Sette lettere inedite di GEERD Luigi Lala: al 3 


a nell’adunanza del 17 Novembre 1895, e che ba per o 
* Sintesi di composti piridinici dagli. ‘eteri chetonici n 


Priano — Relazione sulla Memoria del Prof. Gupproe, 
& SUCHSPRIORE del 5° grado , . . RE 


ADUNANZA dell’8 Dicembre 1895. x A 


Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Buienze: dal 7 No-. 
vembre al 1° Dicembre 1895 (Classe di Scienze Fisiche, Mate. 


matiche è Naturali) i ; È ; «DS di iaia ” 


Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze dal 24 No- 
vembre all'8 Dicembre 1895 (Classe di Scienze Mato Storiche 
Filologiche) . î ; ; E 5 


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Tip. Vineenzo Bona — Torina I 248: e: 


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ADUNANZA del 15 Dicembre 1895. . e o 


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— ADUNANZA del 22 Dicembre 1895 LS si E = 
ci — SI della Memoria: * Brevi. appunti di Storia Nor 
ciense , i 


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Pabbheazioni ricevute dalla ‘R. Aegis delle d 
15 Dicembre 1895 (| Classe di Scienze Fisiche, Mati ma 
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22 Dicembre 1895 (e Classe di Scienze Morali, Storiche Ch 
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Tip. Vincenzo Bona — Torine ne fa 


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Classe di Scienze Morali S | 
ADUNANZA del 5 Gennaio 1896 — 


nel Medio. -evo. Esse 5 RISO 
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Classi unite. E 
ADUNANZA del 29 Dicembre 1895. una 


Naccari — Relazione sul nono premio Bressa 
Gavrmeni Fonts — Decreto e > Regolamento 


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Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze dal 2 


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- Pubblicazioni ricevute dalla R “Accademia delle Scienze dal 29 D : 


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Pitoiiaisioni ricevute - 
19 “Gennaio 1896 | 
gie) dortrao 


ACCADEMIA DELLE SCIENZE — 


DI TORINO 


PUBBLICATI 


Vor. XXXI, Disp. 6*, 1895-96 


TORINO 
CARLO CLAUSEN 


Libraio della R: Accademia delle Scienze 


1896 


RSS — Sullo sviluppo della * ne) 
JADANZA — Influenza dell’errore di E S la 
iene distanze n sulle altezze. s 


Vourerra — Sulla i inversione degli n 


Classe di Scienze Morali, Storiche e F 
ADUNANZA del 2 Febbraio 1896 


Perrero — I regali di prodotti siasionali invalsi nella. dir 
piemontese dei secoli XVII e XVIII . a Vani 
‘ Cirorra — Relazione sul lavoro del Dott. Luigi. Scnrararetti “ ) 
del Comune di Biella ,. . . STAI: "A 


naio al 2 Febbraio 1896 ( Classe di Scienze Mer dana | 
Filologiche) . : : ; MORINI: 


Tip. Vincenzo Bona — Torine 


IA DELLE SCIENZE 


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© DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


PUBBLICATI 


‘Libraio della R. Accademia delle Scienze | 
1896 


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Patio ricevute dalla. R Ascea delle Sci 


Pubblicazioni. ricevute dalla R dai mi a delle Sonar. 


INETERO RENO 


PUBBLICATI 


— DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


TORINO 
CARLO CLAUSEN 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


1896 ; 


ADUNANZA del 23 Febbraio 1896... di : È. 


ee o un doppio contatto oppure sì a ii 
Sere — Intorno ad un carattere delle superficie e delle 
superiori algebriche 5 i si i 


BertAZZI: — fn finiti ed infiniti di enti RI LI RIO 
CAMERANO — Sulle ricerche patorho ai Salamandridi normali 


ADUNANZA del 1° Marzo 1896. î Ù Di 


Prerron — Commemorazione di Matteo Riccr . 
Du — Cenno necrologico di Antonio PermLe. A 


del Lira di Banbioaere È n : 1a, 


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Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze dal | 9 È EE 
38 Febbraio 1896 (Classe di Scienze sorta Matematiche e ha 
100, È È È cd 


braio al 1° Marzo 1896 Ù Classe di Scienze Morali, Storiche al] 
MO LIRhe) O DE e IR E CAI RI 


Tip. Vincenzo Bina — Torine. i 4A ALOE 


PUBBLICATI 


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TORINO 
CARLO CLAUSEN 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


| 1896 


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Classe di Scienze Fisiche, Matematiche D; 


ADUNANZA dell’8 Mao 1896 . one 


Vorterra — Sulla inversione degli ATI ii 
Cani — Sulle equazioni a derivate (DEI del Di ordine | 


ADUNANZA del 15 Marzo 1896 sar ; E. TEoSoE 
Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle SE dal | 23 Feb 


braio all’8 Marzo 1896, Ia Classe di Bcicazne Five, Aoen 
e Saga È ; A È ; Dr se 


ADUNANZA del 29 Marzo 1896 Vor # : si 


Artievo — La divisione del lavoro applicato alle Università |. | 

ce Perrero — Un segreto episodio della vita ministeriale del Ma 
D'Ormea e del Cav. Ossorio (1740- LTS lo Le 
ALuevo — Sunto della Memoria: dECRODCO Herbart e la sua dote asd 

pedagogica , è : 3 : 5 : E K; 7 


Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze dall'8 ‘ 
22 Marzo 1896 (Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e st 


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Tip. Vincenzo Bona — Torine 


ACCADEMIA DELLE SOTENZE — 


“DI PORINO 


PUBBLICATI 


- DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


TORINO 
SL COARLO OLAUSEN 
e Libraio della R. Accademia delle Scienze 


VP 1896 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e 
ADUNANZA del 12 Aprile 1896 i: 
Arxò — La radiazione di Ròntgen con tubi di Hittorf ad 


rarefatto . È : é È ù È A cat: 
me sulla Memoria del Dott. Gino Fano, intitolata: * 


ADUNANZA del 19 Aprile 18960000 Ne 


Crarerra — Commemorazione di Filippo Limatt. _. + 
Arievo -— La libera attività dell’educando secondo Enrico Pe 
e Gian Giacomo Rousseau . 3 ; Ò pe “ 3 


Mercati — ui un RARE Ambrosiano contenente i Salmi 


al 12 Aprile 1896 ( me di Scienze Fisiche, Matematiche €: È 
turali) 


Tip. Vincenzo Bona — Torino, 


PUBBLICATI 


“ 


Von. XXXI, Disp. 12*, 1895-96 


(0 TORINO. 
| CARLO CLAUSEN 


|Libraiodella R. Accademia delle Scienze 


sin) 


| — ADUNANZA del 26 Aprile 1896 è : ui 
. VoLrerza — Sulla: inversione degli integrali definiti. Nota 1 


Ciao oa tati . prsaa PYALISNE, i : 
Relazione sulla Memoria. del Dott. Giglio. T'os intitolata: * ho © Sulle 

lule del sangue della Lampreda ENTITÀ RR 
Relazione sulla Memoria del Prof. A Garbasso intitolata: “ ea 


ADUNANZA del 3 Maggio 1896... 


Cirorta — Commemorazione di Giuseppe De Leva È SR 
— Nuovi appunti di storia Novaliciense. ON NESTA 


perto a Romagnano Sesia. ; ; i <A 
CLarerta — Lo stato di alcuni archivi cola della. prov 
Susa ai tempi di Re Vittorio Amedeo a 7 25 de 


Relazione sul lavoro del Prof. Carlo Merkel: 


Tip. Vincenzo Bona — Torine 


AADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI = 


| Vor. XXXI, Disp. 138%, 1895-96 


ca TORINO | 
| CARLO CLAUSEN 


Pe Libraio della R. Accademia delle Scienze — ; 


ADUNANZA del 17 Maggio 1896... oa E 


SOT — Studio storico critico di pedagogia femminile . 6; | 


‘Classi unite. 


ADUNANZA del 17 Maggio 1896... /. . 


>. Carre — Commemorazione di Lurer Cossa. . |. 


DEF) 


turali) : ; ; 5 + 2 3 ; i 5 
Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze dal 8 i 
17 Maggio 1896 (Classe di Scienze Moruli, Storiche e Filologiche) 


Tip. Vincenzo Bona — Torino 


VEMIA DELLE SCIENZE 


«DI TORINO . 


PUBBLICATI 


, 


(LI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI. 


| Von. XXXI, Disp. 14*, 1895-96 


dia 


MORENO 
CARLO CLAUSEN 
Libraio della R. Accademia delle Scienze 


| Classe di Scienze Fisiche, Matematiche x 


ADUNANZA del 31 Maggio 1896. 


superficie terrestre . 3 : A : 
Sacerporri — Sulla rigenerazione litio muciparo | 
gastro- o degli anfibi 


Classe di Scienze Morali, 


- ADUNANZA del 14 Giugno 1896... 


AvLievo — Della educazione della Se secondo i rest 
del secolo XVHI i 


teri crittografici .. —. 
Varmaggi — Del HHoGa della così Ried prima tattaglia di B 


31 Maggio 1896 (Classe di Scienze Fisiche, Matematiche ica 
turali) . ; 1 : . ; 3 i 7 Ren 


Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze dal 171 \ 


Tip: Vincenzo Bona — Torino 


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PUBBLICATI 


Vor. XXXI, Disr. 15*, 1895-96 


CARLO OLAUSEN 


Accademia delle Scienze | 


| Libraiodella R. 


icone di can © O RR RIE 
Greettr. — - Relazione intorno alla Memoria intitolata: 


tolata: “ Osservazioni di stelle’ variabili aRBETtO a: i Torin 
Soperga , nà £ SER s 


ADUNANZA del 28 Giugno 1896... —. 


Brusa — Commemorazione di Rodolfo Gwersr . . i 
Ferrero -— Parole commemorative su Giuseppe FroreLti 
Premii di Fondazione GaurIERI. . : . ; È i 
Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze dal 31 Maggio a 
al 21 Giugno 1896 (Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e “Naro 
turali) ) : ; ; 5 7 ; 
Pubblicazioni ricevute dalla R. ale i delle Scienze dal pre È 
28 Giugno 1896 (Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche) 


Indice del volume XXXI - x x ; } ; : =" 


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Tip. Vincenzo Bona — Torino ; 9A Ca 


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