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FOR THE ‘PEOPLE
FOR EDVCATION
FOR SCIENCE
OF
THE AMERICAN MUSEUM
OF
NATURAL HISTORY
BY GIFT OF
OGDEN MILLS
ATTI
DELLA
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE
DI TORINO
PUBBLICATI
DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI
VOLUME TRENTUNESIMO
1895-96
New York Academy of Sciences
Rec'a.28 vuly--12 Sapt. 1890
TORINO
CARLO CLAUSEN
Libraio della R. Accademia delle Scienze
1895
29-113/S2- Ru9/7
E SIRO TE n ge
ELENCO
DEGLI
ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI
STRANIERI E CORRISPONDENTI
aL 17 NoveMBRE Mpcccxcv.
PRESIDENTE
CARLE (Giuseppe), Dottore aggregato e Preside della Facoltà
di Leggi, Professore di Filosofia del Diritto nella R. Università di
Torino, Membro del Consiglio Superiore della Istruzione Pubblica,
Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, #, Comm. es.
VIcE-PRESIDENTE
Cossa (Alfonso), Dottore in Medicina, Direttore della Regia
Scuola d’Applicazione degli Ingegneri in Torino, Professore di
Chimica docimastica nella medesima Scuola, e di Chimica mi-
nerale presso il R. Museo Industriale Italiano, Socio Nazionale
della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Ita-
liana delle Scienze, Corrispondente del R. Istituto Lombardo
di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere
ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna,
e della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Socio Corrispondente
della R. Accademia delle Scienze di Berlino, Socio ordinario non
residente dell'Istituto d’Incoraggiamento alle Scienze naturali
di Napoli, Presidente della Reale Accademia di Agricoltura di
Torino, e Socio dell’Accademia Gioenia di Catania, Socio ef-
fettivo della Società Imperiale Mineralogica di Pietroburgo,
— Comm. &, €, e dell'O. d’Is. Catt. di Sp.
IV
TESORIERE
CameRrANO (Lorenzo), Dottore aggregato alla Facoltà di
Scienze fisiche, matematiche e naturali, Professore di Anatomia.
comparata e di Zoologia e Direttore dei Musei relativi nella
R. Università di Torino, Socio della R. Accademia di Agricol-
tura di Torino, Membro della Società Zoologica di Francia,
Membro corrispondente della Società Zoologica di Londra.
CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Direttore
D’Ovipio (Enrico), Dottore in Matematica, Professore ordi-
nario di Algebra e Geometria analitica, incaricato di Analisi
superiore, e Preside della Facoltà di Scienze fisiche, matematiche
e naturali nella R. Università di Torino, Uno dei XL della Società
Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei
Lincei, Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di
Napoli, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio
dell’Accademia Pontaniana, delle Società matematiche di Parigi
e Praga, ecc., Uffiz. &, Comm. es.
Segretario
NaccarI (Andrea), Dottore in Matematica, Professore di
Fisica sperimentale nella R. Università di Torino, Socio Cor-
rispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti,
e della R. Accademia dei Lincei, Uffiz. &, ©.
ACCADEMICI RESIDENTI
SaLvapori (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chi-
rurgia, Vice-Direttore del Museo Zoologico della R. Università
"di Torino, Professore di Storia naturale nel R. Liceo Cavour di
Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della
Società Italiana di Scienze Naturali, dell’Accademia Gioenia di
Catania, Membro Corrispondente della Società Zoologica di
Londra, dell’Accademia delle Scienze di Nuova York, della So-
cietà dei Naturalisti in Modena, della Società Reale delle Scienze
di Liegi, e della Reale Società delle Scienze Naturali delle Indie
Neerlandesi, e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed
Arti, Membro effettivo della Società Imperiale dei Naturalisti
di Mosca, Socio Straniero della British Ormithological Union,
Socio Straniero onorario del Nuttall Ornithological Club, Socio
Straniero dell’ American Ornithologists Union, e Membro onorario
della Società Ornitologica di Vienna, Membro ordinario della So-
cietà Ornitologica tedesca, Uffiz. «2, Cav. dell'O. di S. Giacomo
del merito scientifico, letterario ed artistico (Portogallo).
Cossa (Alfonso), predetto.
Berruti (Giacinto), Direttore del R. Museo Industriale Ita-
liano e dell’Officina governativa delle Carte-Valori, Socio della
R. Accademia di Agricoltura di Torino, Membro del Consiglio Su-
periore delle Miniere, Gr. Uffiz. e; Comm. +, dell’O. di Francesco
Giuseppe d'Austria, della L.‘d’O. di Francia, e della Repubblica
di S. Marino.
D'Ovipro (Enrico), predetto.
Bizzozero (Giulio), Senatore del Regno, Professore e Diret-
tore del Laboratorio di Patologia generale nella R. Università
di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei e delle
RR. Accademie di Medicina e di Agricoltura di Torino, Socio
Straniero dell’ Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica
Naturae Curiosorum, Socio Corrispondente del R. Istituto Lom-
vil
bardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze,
Lettere ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di
Bologna, Membro del Consiglio Superiore di Sanità, ecc. Uffiz. *
e Gr. Uffiz. em.
FeRrRARIS (Galileo), Ingegnere, Dottore aggregato alla Fa-
coltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Uni-
versità di Torino; Professore di Fisica tecnica e Direttore del
Laboratorio di Elettrotecnica nel R. Museo Industriale Italiano,
Prof. di Fisica nella R. Scuola di Guerra, Membro del Comitato
Internazionale dei pesi e delle misure e della Commissione Su-
periore metrica; Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei,
Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Corrispondente
del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Socio onorario
della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, Socio
della R. Accademia di Agricoltura di Torino; Socio Straniero
dell’Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae
Curiosorum, Membro onorario della Società di Fisica di Franco»
forte sul Meno, e dell’Associazione degli Ingegneri elettricisti
dell'Istituto Montefiore di Liegi; Uff. &; Comm. e, dell'O. di
Franc. Gius. d'Austria e dell'O. reale della Corona di Prussia.
Naccari (Andrea), predetto.
Mosso (Angelo), Dottore in Medicina e Chirurgia, Profes-
sore di Fisiologia nella R. Università di Torino, Socio Nazionale
della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia di Medicina
di Torino, Socio onorario della R. Accademia medica di Roma,
dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania, della
R. Accademia medica di Genova, Socio dell’Accademia delle
Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio Corrispondente del R. Isti-
tuto Lombardo di Scienze e Lettere, e del R. Istituto Veneto di
Scienze, Lettere ed Arti, dell’ Academia Caesarea Leopoldino-Caro-
lina Germanica Naturae Curiosorum, della Società Reale di Scienze
mediche e naturali di Bruxelles, della Società fisico-medica di
Erlangen, ecc. ecc., &, Comm. «s.
SPEZIA (Giorgio), Ingegnere, Professore di Mineralogia e Di-
rettore del Museo mineralogico della Regia Università di Torino, =.
VII
GiseLLI (Giuseppe), Dottore in Medicina e Chirurgia, Pro-
fessore di Botanica e Direttore dell’Orto botanico della R. Uni-
versità di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei,
Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere,
dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, &, €».
Giacomini (Carlo), Dottore aggregato in Medicina e Chirurgia,
Professore di Anatomia umana, descrittiva, topografica ed Isto-
logia, Corrispondente dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto
di Bologna, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino
e Direttore dell’Istituto Anatomico della Regia Università di
Torino, *, es».
CameRrANO (Lorenzo), predetto.
Seere (Corrado), Dottore in Matematica, Professore di Geo-
metria superiore nella R. Università di Torino, Corrispondente
della R. Accademia dei Lincei e del R. Istituto Lombardo di
Scienze e Lettere, e.
Pravo (Giuseppe), Dottore in Matematica, Professore di Cal-
colo infinitesimale nella R. Università di Torino, Socio della “ So-
ciedad Cientifica , del Messico, Socio e Membro del Consiglio
direttivo del Circolo Matematico di Palermo.
VoLrerra (Vito), Dottore in Fisica, Professore di Meccanica
razionale nella R. Università di Torino, e.
JADANZA (Nicodemo), Dottore in Matematica, Professore
di Geodesia teoretica nella R. Università di Torino e di Geo-
metria pratica nella R. Scuola d’Applicazione per gl’Ingegneri,
Socio dell’Accademia Pontaniana di Napoli, e.
Foà (Pio), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di
Anatomia Patologica nella R. Università di Torino, Socio Na-
zionale della R. Accademia dei Lincei, es.
VIII
ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI
MenaBREA (S. E. Luigi Federigo), Marchese di Val Dora,
Senatore del Regno, Professore emerito di Costruzioni nella
R. Università di Torino, Tenente Generale, Primo Aiutante
di campo Generale Onorario di S. M., Uno dei XL della Società
Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia
dei Lincei, Corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia
delle Scienze), Membro Onoraric del R. Istituto Lombardo di
Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere
ed Arti, della R. Accademia di Lettere e Scienze di Modena,
Uffiziale della Pubblica Istruzione di Francia, ecc.; C. O. S.
SS. N., Gr. Cr. e Cons. *, Cav. e Cons. ©, Gr. Cr. 8, «,
dec. della Medaglia d’oro al Valor Militare e della Med. d’oro
Mauriziana; Gr. Cr. dell'O. Supr. del Serafino di Svezia, dell’O.
di S. Alessandro Newski di Russia, di Danebrog di Danim., Gr.
Cr. dell'O. di Torre e Spada di Portogallo, dell'O. del Leone
Neerlandese, di Leop. del Belg. (Categ. Militare), della Probità
di Sassonia, della Corona di Wurtemberg, e di Carlo II di Sp.,
Gr. Cr. dell'O. di S. Stefano d'Ungheria, dell'O. di Leopoldo
d'Austria, di quelli della Fedeltà e del Leone di Zihringen di
Baden, Gr. Cr. dell'Ordine del Salvatore di Grecia, Gr. Cr. del-
l’Ordine di S. Marino, Gr. Cr. degli Ordini del Nisham Ahid e
del Nisham Jftigar di Tunisi, Gr. Cr. dell'Ordine della L. d’O.
di Francia, di Cristo di Portogallo, del Merito di Sassonia, di
S. Giuseppe di Toscana, Dottore in Leggi, honoris causa, delle
Università di Cambridge e di Oxford, ecc., ecc.
BrroscHi (Francesco), Senatore del Regno, Direttore del
R. Istituto tecnico superiore di Milano, Presidente della R. Acca-
demia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze,
Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della
Reale Accademia delle Scienze di Napoli, dell'Istituto di Bo-
logna, ecc., Corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia
delle Scienze, Sezione di Geometria), e delle Reali Accademie
delle Scienze di Berlino, di Gottinga, di Pietroburgo, del Belgio,
di Praga, di Erlangen, ecc., Dottore ad honorem delle Università
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di Heidelberg e di Dublino, Membro delle Società Matema-
tiche di Parigi e di Londra e delle Filosofiche di Cambridge
e di Manchester, Gr. Cord. &, della Legion d’Onore; es, =,
Comm. dell'O. di Cr. di Port.
Cannizzaro (Stanislao), Senatore del Regno, Professore di
Chimica generale nella R. Università di Roma, Uno dei XL della
Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Acca-
demia dei Lincei, Socio Corrispondente dell’Accademia delle
Scienze di Berlino, di Vienna e di Pietroburgo, Socio Straniero
della R. Accademia delle Scienze di Baviera e della Società
Reale di Londra, Comm. «, Gr. Uffiz. ©»; =.
ScnrapARELLI (Giovanni), Direttore del R. Osservatorio
astronomico di Milano, Uno dei XL della Società Italiana delle
Scienze, Socio del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere,
della R. Accademia dei Lincei, dell’Accademia Reale di Napoli
e dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Socio
Corrispondente dell’Istituto di Francia (Accademia delle Scienze,
Sezione di Astronomia), delle Accademie di Monaco, di Vienna,
di Berlino, di Pietroburgo, di Stockolma, di Upsala, di Cracovia,
della Società de’ Naturalisti di Mosca e della Società astrono-
mica di Londra, Gr. Cord. e; Comm. %; ©.
Sraccr (Francesco), Senatore del Regno, Colonnello d’Arti-
glieria nella Riserva, Professore onorario della R. Università di
Torino, Professore ordinario di Meccanica razionale ed Incaricato
della Meccanica superiore nella R. Università di Napoli; Uno dei
XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della
R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli,
e dell’Accademia Pontaniana; Corrispondente del R. Istituto Lom-
bardo di Scienze e Lettere, e dell’Accademia delle Scienze del-
l’Istituto di Bologna; Uff. &, Comm. i, Cav. del Merito Militare
di Spagna.
Cremona (Luigi), Senatore del Regno, Professore di Mate-
matica superiore nella R. Università di Roma, Direttore della
Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri, Membro del Consiglio
superiore della Pubblica Istruzione, Presidente della Società
x
Italiana delle Scienze (detta dei XL), Socio Nazionale della R. Ac-
cademia dei Lincei, Socio del R. Istituto Lombardo, del R. Isti-
tuto d’Incoraggiamento di Napoli, dell’Accademia delle Scienze
dell'Istituto di Bologna, delle Società Reali di Londra, di Edim-
burgo, di Gottinga, di Praga, di Liegi e di Copenaghen, delle
Società matematiche di Londra, di Praga e di Parigi, delle Reali
Accademie di Napoli, di Amsterdam e di Monaco, Membro
onorario dell’Insigne Accademia romana di Belle Arti detta di
San Luca, della Società Filosofica di Cambridge e dell’ Associa-
zione britannica pel progresso delle Scienze, Membro Straniero
della Società delle Scienze di Harlem, Socio Corrispondente delle
Reali Accademie di Berlino e di Lisbona, Dottore (LL. D.) del-
l’Università di Edimburgo, Dottore (D. Sc.) dell’Università di
Dublino, Professore emerito nell'Università di Bologna, Gr.
Uffiz. &, Gr. Cord. «2, Cav. e Cons. ©.
BeLTRAMI (Eugenio), Professore di Fisica matematica nella
R. Università di Roma, Socio Nazionale della R. Accademia
dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze,
Socio effettivo del R. Istituto Lombardo e della R. Accademia
delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio estero della R. Ac-
cademia di Gottinga, Socio Corrispondente della R. Accademia.
di Berlino, della Società Reale di Napoli, dell'Istituto di Francia
(Accademia delle Scienze, Sezione di Meccanica), della Società
Matematica di Londra, Comm. %; ee, =.
ACCADEMICI STRANIERI
Hermte (Carlo), Professore nella Facoltà di Scienze, Parigi.
WeierstRass (Carlo), Professore nell'Università di Berlino.
THomson (Guglielmo), Professore nell'Università di Glasgow.
GecENBAUR (Carlo), Professore nell'Università di Heidelberg.
VircHow (Rodolfo), Professore nell’ Università di Berlino.
KoeLLiKER (Alberto von), Professore nell’ Università di
Wirzburg.
CORRISPONDENTI
SEZIONE
DI MATEMATICHE PURE
Tarpy (Placido), Professore emerito della
R. Università di Genova
CanroRr (Maurizio), Prof. nell'Università di
Scnwarz (Ermanno A.), Professore nella
Università di .
KLEIN (Felice), Professore nell'Università di
Dini (Ulisse), Professore di Analisi supe-
riore nella R. Università di
Bertini (Eugenio), Professore nella Regia
Università di .
Darsoux (G. Gastone), dell’Istit. di Francia
Porncaré (G. Enrico), dell’Istit. di Francia
NoerHER (Massimiliano), Professore nell’ Uni-
versità di
BrancHi (Luigi), Professore nella R. Uni-
versità di
Lie (Sophus), Professore nella R. Univer-
MR RR + PALIO ATA Mor et
Firenze
Heidelberg
Gottinga
Gottinga
Pisa
Pisa
Parigi
Parigi
Erlangen
Pisa
Lipsia.
XII
SEZIONE
DI MATEMATICHE APPLICATE, ASTRONOMIA
E SCIENZA DELL’INGEGNERE CIVILE E MILITARE
FergoLAa (Emanuele), Professore di Analisi
superiore nella R. Università di . . . . . . Napoli
TaccHINI (Pietro), Direttore dell’Osserva-
torio del Collegio Romano . . . . . . .. Roma
FaseLLA (Felice), Direttore della Scuola na-
vale Superiore di diluvio Ue: er LoiziveniGenona
HoPpxInson (Giovanni), della Società Reale di Londra
ZEUNER (Gustavo), Profes. nel Politecnico di Dresda
Ewine (Giovanni Alfredo), Professore nel-
lUmwersità| di oa iii E Iene AdereniE
Lorenzoni (Giuseppe), Prof. nella R. Uni-
versità di Padova
SEZIONE
DI FISICA GENERALE E SPERIMENTALE
BLAsERNA (Pietro), Professore di Fisica spe-
rimentale nella R. Università di. . . . . . Roma
‘ KonLRAUSCH (Federico), Presidente dell’Isti-
tuto Fisico-Tecnico in . . . . . . . . .. Charlottenburg
Cornu (Maria Alfredo), dell’Istit. di Francia Parigi
FeLici (Riccardo), Professore di Fisica spe-
rimentale nella R. Università di.
ViLLarI (Emilio), Professore nella R. Uni-
versità di
Rorri (Antonio), Professore nell'Istituto di
Studi superiori pratici e di perfezionamento in
WieDEMANN (Gustavo), Professore nell’Uni-
versità di
Rieni (Augusto), Professore di Fisica spe-
rimentale nella R. Università di
LrippmAnN (Gabriele), dell'Istituto di Francia
BaRroLI (Adolfo), Professore di Fisica nella
R. Università di .
RavLEIrH (Lord Giovanni Guglielmo), Pro-
fessore nella “ Royal Istitution , di
SEZIONE
Pisa
Napoli
Firenze
Lipsia
Bologna
Parigi
Pavia
Londra
DI CHIMICA GENERALE ED APPLICATA
Bonsean (Giuseppe)
PLanraMouR (Filippo), Prof. di Chimica
WixL (Enrico), Professore di Chimica .
Bunsen (Roberto Guglielmo), Professore di
Chimica .
BerrHELOT (Marcellino), dell’Istit. di Francia
Chambéry
Ginevra
Giessen
Heidelberg
Parigi
XIII
XIV
ParEeRNÒ (Emanuele), Professore di Chimica
nella R. Università di... uo ibidtizioni ti E Palermo
KorNER (Guglielmo), Professore di Chimica
organica nella R. Scuola super. d’Agricoltura in. Milano
FrIepEL (Carlo), dell’Istituto di Francia . Parigi
FresenIus (Carlo Remigio), Professore a . Wiesbaden
BaEyER (Adolfo von), Professore nell’Uni-
WISTS ARTI
KekuLE (Augusto), Prof. nell'Università di Bonn
Winuiamson (Alessandro Guglielmo), della
TIRI SISMI ROMEO RCA RR Pa Si
THomsen (Giulio), Prof. nell'Università di. Copenaghen
LieBEn (Adolfo), Professore nell'Università di Vienna
MenpELEJEFF (Demetrio), Professore nel-
l'Tmp. Università di... 0.6. Li Rea
Horr (J. H. van’t), Prof. nell'Università di Amsterdam
SEZIONE
DI MINERALOGIA, GEOLOGIA E PALEONTOLOGIA
Striiver (Giovanni), Professore di Minera-
logia nella R. Università di . . . . . . . Roma
RosenBuscH (Enrico), Prof. nell'Università di Heidelberg
NorpensKI6LD (Adolfo Enrico), della Reale
Accademia delle Scienze di .
DauBrfe (Gabriele Augusto), dell’ Istituto
di Francia, Direttore della Scuola Nazionale
delle Miniere a
ZirkeL (Ferdinando), Professore a
Des CLorzeAux (Alfredo Luigi Oliviero Le-
aranD), dell'Istituto di Francia .
CAPELLINI (Giovanni), Professore nella Regia
Università di .
TscHERMAK (Gustavo), Prof. nell'Università di
ArzruNI (Andrea), Professore nell'Istituto
tecnico sup. (technische Hochschule)
KLern (Carlo), Professore nell'Università di
Gerkie (Arcibaldo), Direttore del Museo
di Geologia pratica .
Fouqué (Ferdinando Andrea), Professore
nel Collegio e membro dell'Istituto di Francia
SEZIONE
XV
Stoccolma
Parigi
Lipsia
Parigi
Bologna
Vienna
Aquisgrana
Berlino
Londra
Parigi
DI BOTANICA E FISIOLOGIA VEGETALE
Trévisan pe Sarnt-Lfon (Conte Vittore),
Corrispondente del R. Istituto Lombardo
GENNARI (Patrizio), Professore di Botanica
nella R. Università di
Milano
Cagliari
XVI
CarUEL (Teodoro), Professore di Botanica
nell'Istituto di Studi superiori pratici e di per-
fezionamento in
Arpissone (Francesco), Professore di Bota-
nica nella R. Scuola superiore d’Agricoltura in
SaccarDo (Andrea), Professore di Botanica
nella R. Università di
Hooxger (Giuseppe DaLton), Direttore del
Giardino Reale di Kew .
SacHs (Giulio von), Prof. nell'Università di
DeLPINo (Federico), Professore nella R. Uni-
versità di
PirortA (Romualdo), Professore nella Regia
Università di
STRASBURGER (Edoardo), Professore nell’Uni-
versità di
MarTIROLO (Oreste), Professore nella R. Uni-
versità di
SEZIONE
DI ZOOLOGIA, ANATOMIA E FISIOLOGIA
De SeLvs LonecHamPs (Edmondo)
PaiLipPI (Rodolfo Armando)
GoLei (Camillo), Professore nella R. Univer-
sità di
Firenze
Milano
Padova
Londra
Wiireburg
Napoli
Roma
Bonn
Bologna
COMPARATA
Liegi
Santiago (Chili)
Pavia
HarcKEL (Ernesto), Prof. nell'Università di
ScLaTER (Filippo LurLEY), Segretario della
Società Zoologica di .
Faro (Vittore), Dottore
KovaLewskI (Alessandro), Professore nel-
l’Università di .
Locarp (Arnould), dell’ Accademia delle
Scienze di DEA LE LI RE DIET È
CHauveAU (G. B. Augusto), Membro dell’Isti-
tuto di Francia Professore alla Scuola di Medi- .
cina di
Foster (Michele), Profess. nell'Università di
HEINDENHAIN (Rodolfo), Professore nell’Uni-
versità di
WALDEYER (Guglielmo), Professore nell’Uni-
versità di
GuenTHER (Alberto), Direttore del Diparti-
mento zoologico del Museo Britannico di
FLoweR (Guglielmo Enrico), Direttore del
Museo di Storia naturale
Epwarps (Alfonso ALI Membro del-
l’Istituto di Francia. PRIULI DL i,
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI.
Jena
Londra
Ginevra
Odessa
Lione
Parigi
Cambridge
Breslavia
Berlino
Londra
Londra
Parigi
XVII
XVIII
CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE B FILOLOGICHE
Direttore
CLARETTA (Barone Gaudenzio), Dottore in Leggi, Socio e
Segretario della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria,
Presidente della Società di Archeologia e Belle Arti per la
Provincia di Torino, Membro della Commissione conservatrice
dei monumenti di antichità e belle arti della Provincia ecc.,
Comm. &, Gr. Uffiz. es.
Segretario
FerRERO (Ermanno), Dottore in Giurisprudenza, Dottore ag-
gregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia e Professore di Archeo-
logia nella R. Università di Torino, Professore di Storia militare
nell'Accademia Militare, R. Ispettore per gli scavi e le scoperte
di antichità nel Circondario di Torino, Consigliere della Giunta
Superiore per la Storia e l’Archeologia, Membro della Regia De-
putazione sovra gli studi di Storia patria per le antiche Provincie
e la Lombardia, Membro e Segretario della Società di Archeo-
logia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Socio Corrispon-
dente della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie di
Romagna, dell’Imp. Instituto Archeologico Germanico e della
Società Nazionale degli Antiquarii di Francia, fregiato della
Medaglia del merito civile di 1 cl. della Rep. di S. Marino, ess.
ACCADEMICI RESIDENTI
Pryron (Bernardino), Professore di Lettere, Bibliotecario
Onorario della Biblioteca Nazionale di Torino, Socio Corrispon-
dente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Gr.
Uffiz. &, Uffiz. &».
}
sai n : ;
i XIX
VALLAURI (l'ommaso), Senatore del Regno, Dottore aggregato
alla Facoltà di Lettere e Filosofia e Professore di Letteratura
latina nella Regia Università di Torino, Membro della Regia
— Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Accademico d'onore
. della Romana Accademia delle Belle Arti di San Luca, Socio
. Corrispondente della R. Accademia della Crusca, del R. Istituto
— Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia Romana
di Archeologia, del Circolo Filologico di Torino, della Società
. Emulatrice per le Scienze e le Arti in Italia (Napoli), della
._R. Accademia Palermitana di Scienze, Lettere ed Arti, della
Società storica di Dallas Texas (America del Nord), Presidente
. onorario dell’Accademia Dante Allighieri di Catania, Gr. Cord. &
. e Comm. «=, Cav. dell'Ordine di S. Gregorio Magno.
CLARETTA (Barone Gaudenzio), predetto.
Rossi (Francesco), Dottore in Filosofia, Professore d’Egitto-
logia nella R. Università di Torino, Vice-Direttore del R. Museo
di Antichità a riposo, Socio Corrispondente della R. Accademia
dei Lincei e della Società per gli Studi biblici in koma, ss.
Manno (Barone D. Antonio), Membro e Segretario della
R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Membro del Con-
siglio degli Archivi, Commissario di S. M. presso la Consulta
. araldica, Dottore honoris causa della R. Università di Tibingen,
Comm. &, Gr. Uffiz. «2, Cav. d’on. e devoz. del S. 0. M. di Malta.
BoLLati DI SArnT-PrerRE (Barone Federigo Emanuele), Dot-
tore in Leggi, Soprintendente agli Archivi Piemontesi e Diret-
tore dell'Archivio di Stato in Torino, Membro del Consiglio
d'Amministrazione presso il R. Economato generale delle an-
tiche Provincie, Corrispondente della Consulta araldica, Vice-Pre-
sidente della Commissione araldica per il Piemonte, Membro della
. R. Deputazione sopra gli studi di storia patria per le Antiche
Provincie e la Lombardia e della Società Accademica d'Aosta,
Socio corrispondente della Società Ligure di Storia patria, del
R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Acca-
demia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, della Società
Colombaria Fiorentina, della R. Deputazione di Storia patria
XX
per le Provincie della Romagna, della nuova Società per la
Storia di Sicilia e della Società di Storia e di Archeologia di
Ginevra, Membro onorario della Società di Storia della Svizzera
Romanza, dell’Accademia del Chablais, e della Società Savoina
di Storia e di Archeologia ecc., Uffiz. &, Comm. ess.
ScHIAPARELLI (Luigi), Dottore aggregato alle Facoltà di
Lettere e Filosofia, Professore di Storia antica nella R. Uni-
versità di Torino, Comm. &, e es,
Pezzi (Domenico), Dottore aggregato alla Facoltà di Let-
tere e Filosofia, Professore di Storia comparata delle lingue
classiche e neo-latine nella R. Università di Torino, es.
FeRRERO (Ermanno), predetto.
CARLE (Giuseppe), predetto.
NANI (Cesare), Dottore aggregato alla Facoltà di Giurispru-
denza, Professore di Storia del Diritto nella R. Università di
Torino, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia
Patria, Uff. &, e».
Coenerti De MarrIs (Salvatore), Professore di Economia
politica nella R. Università di Torino, Socio Corrispondente
della R. Accademia dei Lincei e della R. Accademia dei Geor-
gofili, #, Comm. es.
Grar (Arturo), Professore di Letteratura italiana nella
R. Università di Torino, Membro della Società romana di Storia
patria, Uffiz. * e «ss.
BoseLLi (S. E. Paolo), Dottore aggregato alla Facoltà di
Giurisprudenza della R. Università di Genova, già Professore
nella R. Università di Roma, Professore Onorario della R. Uni-
versità di Bologna, Vice-Presidente della R. Deputazione di
Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio
Corrispondente dell’Accademia dei Georgofili, Presidente della
Società di Storia patria di Savona, Socio della R. Accademia
ila ci apc
XXI
di Agricoltura, Deputato al Parlamento nazionale, Ministro delle
Finanze, Presidente del Consiglio provinciale di Torino, Gr.
Uffiz. *, Gr. Cord. «©, Gr. Cord. dell'Aquila Rossa di Prussia,
dell’Ordine di Alberto di Sassonia e dell’Ord. di Bertoldo I di
Zàhringen (Baden), Gr. Uffiz. 0. di Leopoldo del Belgio, Uffiz.
della Cor. di Pr., della L. d’O. di Francia, e C. O. della Con-
cezione del Portogallo.
CrpoLLa (Conte Carlo), Dottore in Filosofia, Professore di
Storia moderna nella R. Università di Torino, Membro della
R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche
Provincie e la Lombardia, Socio effettivo della R. Deputazione
Veneta di Storia patria, Socio Corrispondente della R. Accademia
dei Lincei, dell’Accademia delle Scienze di Monaco (Baviera),
e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Uffiz. es».
Brusa (Emilio), Dottore in Legge, Professore di Diritto e
Procedura Penale nella R. Università di Torino, Socio Corri-
spondente dell’Accademia di Legislazione di Tolosa (Francia),
effettivo dell'Istituto di Diritto internazionale, Onorario della
Società dei Giuristi Svizzeri e Corrispondente della R. Acca-
demia di Giurisprudenza e Legislazione di Madrid, di quella di
Barcellona, della Società Generale delle Prigioni di Francia, di
quella di Spagna, della R. Accademia Peloritana, della R. Acca-
demia di Scienze Morali e Politiche di Napoli, del R. Istituto
Lombardo di Scienze e Lettere e di altre. Comm. dell’Ordine
di San Stanislao di Russia, Officier d’ Académie della Repubblica
francese, &, Uffiz. ses.
PerrERo (Domenico), Dottore in Leggi, Membro della
R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria per le Antiche
Provincie e la Lombardia.
ALLIEvo (Giuseppe), Dottore in Filosofia, Professore di Pe-
dagogia e Antropologia nella R. Università di Torino, Socio
Onorario della R. Accademia delle Scienze di Palermo e del-
l'Accademia cattolica panormitana, Comm. e», +.
XXI
ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI
CaruTTI Di CanToeno (Barone Domenico), Senatore del
Regno, Presidente della R. Deputazione sovra gli studi di Storia
patria per le Antiche Provincie e Lombardia, Socio Nazionale
della R. Accademia dei Lincei, Membro dell'Istituto Storico
Italiano, Socio Straniero della R. Accademia delle Scienze Neer-
landese, e della Savoia, Socio Corrispondente della R. Accademia
delle Scienze di Monaco in Baviera, ecc. ecc. Gr. Uffiz. £ e ess,
Cav. e Cons. =, Gr. Cord. dell'O. del Leone Neerlandese e
dell'O. d’Is. la Catt. di Spagna, ecc.
Revmonp (Gian Giacomo), già Professore di Economia po-
litica nella Regia Università di Torino, *.
Riccr (Marchese Matteo), Senatore del Regno, Socio Resi-
dente della Reale Accademia della Crusca, Uffiz. %.
Canonico (Tancredi), Senatore del Regno, Professore, Pre-
sidente di Sezione della Corte di Cassazione di Roma, Socio Cor-
rispondente della R. Accademia dei Lincei, Socio della R. Accad.
delle Scienze del Belgio, di quella di Palermo, della Società
Generale delle Carceri di Parigi, Consigliere del Contenzioso
Diplomatico, Comm. &, e Gr. Croce ee, Cav. =, Comm. dell’Ord.
di Carlo III di Spagna, Gr. Uffiz. dell’Ord. di Sant’Olaf di Nor-
vegia, Gr. Cord. dell’O. di S. Stanislao di Russia.
Tosti (D. Luigi), Abate Benedettino Cassinese, Vice Archi-
vista degli Archivi Vaticani.
Berti (S. E. Domenico), Primo Segretario di S. M. pel
Gran Magistero dell'Ordine Mauriziano, Cancelliere dell’Ordine
della Corona d’Italia, Deputato al Parlamento nazionale, Pro-
fessore emerito delle RR. Università di Torino, di Bologna, e
XXIII
di Roma, Socio Nazionale della Regia Accademia dei Lincei,
Socio Corrispondente della RK. Accademia della Crusca e del
._R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro delle
RR. Deputazioni di Storia patria del Piemonte e dell’ Emilia,
È Gr. Cord. &, e ew; Cav. e Cons. ©, Gr. Cord. della Leg. d’O.
«di Francia, dell'Ordine di Leopoldo del Belgio, dell'Ordine di
San Marino, ecc. ecc.
ViLLariI (Pasquale), Senatore del Regno, Professore di Storia
moderna e Presidente della Sezione di Filosofia e Lettere nel-
l’Istituto di Studi superiori, pratici e di perfezionamento in
Firenze, Membro del Consiglio Superiore di Pubblica Istru-
zione, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della
R. Accademia di Napoli, della R. Accademia dei Georgofili,
Vice-presidente della k. Deputazione di Storia Patria per la
Toscana, l'Umbria e le Marche, Socio di quella per le pro-
vincie di Romagna, Socio Straordinario della R. Accademia
di Baviera, della R. Accademia Ungherese, Dott. in Legge
della Università di Edimburgo e di Halle, Professore emerito
della R. Università di Pisa, Gr. Uffiz. & e e, Cav. ©, Cav. del
Merito di Prussia, ecc., ecc.
ComparertI (Domenico), Senatore del Regno, Professore
emerito dell’Università di Pisa e dell'Istituto di Studi superiori,
pratici e di perfezionamento in Firenze, Socio Nazionale della
R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente del R. Istituto
Lombardo, del R. Istituto Veneto, della R. Accademia delle
Scienze di Napoli e dell’Accademia della Crusca, Membro della
Società Reale pei testi di lingua, Socio corrispondente dell’Isti-
tuto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) e
della R. Accademia delle Scienze di Monaco, Uff. *, Comm. ws,
Cav. >.
XXIV
ACCADEMICI STRANIERI
Mowmwsen (Teodoro), Professore nella Regia Università di
Berlino.
MiiLLer (Massimiliano), Professore nell'Università di Oxford.
Meyer (Paolo), Professore nel Collegio di Francia, Diret-
tore dell’Ecoles des Chartes a Parigi.
Paris (Gastone), Professore nel Collegio di Francia, Parigi.
BsntLINGK (Ottone), Professore nell'Università di Lipsia.
TosLer (Adolfo), Professore nell'Università di Berlino.
ArnETH (Alfredo von), Direttore dell'Archivio imperiale di
Vienna. i
Maspero (Gastone), Profess. nel Collegio di Francia, Parigi.
Currius (Ernesto), Professore nell'Università di Berlino.
XXV
; CORRISPONDENTI
|
SEZIONE
DI SCIENZE FILOSOFICHE
Mese (Eugenio) 200041 SIR pon 1 Brecouri
BonaTELLI (Francesco), Professore nella Regia
( VK Teriseehes ee i Re (11011
SEZIONE
DI SCIENZE GIURIDICHE E SOCIALI
LampertIco (Fedele), Senatore del Regno . Vicenza
SERAFINI (Filippo), Senatore del Regno, Pro-
megeorosniella R. Università di 0... . 0. Lisa
Serpa PimentEL (Antonio di), Consigliere di
e e Lashona
Roprieurz pe BerLaNnGA (Manuel) . . . . Malaga
ScHuPFER (Francesco), Professore nella R. Uni-
ST I OMO
1
Cossa (Luigi), Professore nella R. Università di Pavia
Gaga (Carlo Francesco), Professore nella
ee irernità di... 2... . 0. 0... . L664
XXVI
Buonawmrci(Francesco), Professore nella R. Uni-
versità di .
DARESTE (Rodolfo), dell'Istituto di Francia .
SEZIONE
DI SCIENZE STORICHE
ADRIANI (P. Giambattista), della R. Deputa-
zione sovra gli studi di Storia Patria 4
PeRRENS (Francesco), dell'Istituto di Francia .
HauLLEVILLE (Prospero de)
De Leva age Professore nella R. Uni-
versità di . pifi
WatLON (Alessandro), Segretario perpetuo del-
l’Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e
Belle Lettere) .
WicLews (Pietro), Professore nell’ Università di
Brrc® (Walter de Gray), del Museo Britan-
nico di
Capasso (Bartolomeo), Sovrintendente degli Ar-
chivi Napoletani .
WATTENBACH (Guglielmo), Professore nell’Uni-
versità di
CHEvALIER (Canonico Ulisse)
DE Simoni e Direttore del R. Archivio
di Stato in. Me SR SA ERE
Pisa
Parigi
Cherasco
Parigi
Bruxelles
Padova
Parigi
Lovanio
Londra
Napoli
Berlino
Romans
Genova
. DucHesvne (Luigi), Direttore della Scuola Fran-
cese in .
SEZIONE
DI ARCHEOLOGIA
PaLma di CesnoLa (Conte Luigi), Direttore del
Museo Metropolitano di Arti a.
FroRELLI (Giuseppe), Senatore del Regno .
Lattes (Elia), Membro del R. Istituto Lom-
. bardo di Scienze e Lettere .
Poe (Vittorio), Bibliotecario e Archivista ci-
vico a
PLeyvre (Guglielmo), Conservatore del Museo
Egizio a
Parma pi CesnoLa (Cav. Alessandro), Membro
della Società degli Antiquarii di
Mowar (Roberto), Membro della Società degli
Antiquari di Francia ALTA e
Naparrrac (Marchese I. F. Alberto de) .
Brizio (Eduardo), Professore nell'Università di
BarnaBEI (Felice), Direttore del Museo Na-
zionale Romano .
XXVII
Roma
New- York
Napoli
Milano
Savona
Leida
Londra
Parigi
Parigi
Bologna
Roma
XXVIII
SEZIONE
DI GEOGRAFIA ED ETNOGRAFIA
NegRI (Barone Cristoforo), Console generale di
I° Classe, Consultore legale del Ministero degli
Affari esteri ,
KiepERT (Enrico), Professore nell'Università di
PigorINI (Luigi), Professore nella R. Univer-
sità di
DeLLA Vepova (Giuseppe), Professore nella
R. Università di .
MarinELLI (Giovanni), Professore nel R. Isti-
tuto di Studi superiori, pratici e di perfeziona-
mento in
SEZIONE
Torino
Berlino
Roma
Roma
Firenze
DI LINGUISTICA E FILOLOGIA ORIENTALE
KreHL (Ludolfo), Professore nell’ Università di
SourIinDpRo MoHuNn TAGORE .
Ascori (Graziadio), Senatore del Regno, Pro-
fessore nella R. Accademia scientifico-letteraria di
WeBER (Alberto), Professore nell'Università di
KeRBAKER (Michele), Professore nella R. Uni-
versità di
Dresda
Calcutta
Milano
Berlino
Napoli
ds Pn he
È ON
MARRE (Aristide) .
OpperT (Giulio), Prof. nel Collegio di Francia
Gurpi (Ignazio), Professore nella R. Univer-
sità di
AweLinaUu (Emilio), Professore nella “ Ecole
des Hautes Études ORA
FoerstER (Wandelin), Prof. nell'Università di
SEZIONE
XXIX
Vaucresson
(Francia)
Parigi
Roma
Parigi
Bonn
DI FILOLOGIA, STORIA LETTERARIA E BIBLIOGRAFIA
Bréar (Michele), Professore nel Collegio di
Francia .
Negroni (Carlo), Senatore del Regno .
D'Ancona (Alessandro), Professore nella R. Uni-
- versità di
Nigra (S. E. Conte Costantino), Ambasciatore
d'Italia a
Rana (Pio), Professore nell'Istituto di Studi
superiori pratici e di perfezionamento in
DeL Lunco (Isidoro), Socio residente della
R. Accademia della Crusca .
Parigi
Novara
Pisa
Vienna
Firenze
Firenze
XXX
MUTAZIONI
nel Corpo Accademico dal 18 Novembre 1894
al 17 Novembre 1895.
ELEZIONI
SOCI
Berti (S. E. Domenico). Su dichiarazione della Classe di
Scienze morali, storiche e filologiche in seduta del 9 Di-
cembre 1894, passato fra i Soci Nazionali non residenti (art. 22
dello Statuto).
Sracci (Francesco). Su dichiarazione della Classe di Scienze
fisiche, matematiche e naturali in seduta del 16 dicembre 1894,
passato dalla Categoria dei Soci Nazionali residenti in quella
dei Nazionali non residenti.
CarLE (Giuseppe), eletto Presidente dell’Accademia nell’a-
dunanza a Classi unite del 13 Gennaio, ed fapraralp con R. De-
creto del 3 Febbraio 1895.
Brusa (Emilio), Professore di Diritto e Procedura penale
nella R. Università di Torino, eletto Socio Nazionale residente
della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche nell’adu-
nanza del 13 Gennaio, ed approvato con R. Decreto del 3 Feb-
braio 1895.
PrerrERO (Domenico), Membro della R. Deputazione sopra
gli Studi di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lom-
bardia eletto Socio Nazionale residente della Classe di Scienze
morali, storiche e filologiche nell'adunanza del 13 Gennaio, ed
approvato con R. Decreto del 3 Febbraio 1895.
ade ii iti ri pt enni sè he
XXNI
ALLievo (Giuseppe), Professore di Pedagogia e Antropo-
logia nella R. Università di Torino, eletto Socio Nazionale resi-
dente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche
nell'adunanza del 13 Gennaio, ed approvato con R. Decreto del
3 Febbraio 1895.
VoLreRRA (Vito), Professore di Meccanica razionale nella
R. Università di Torino, eletto Socio Nazionale residente della
Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza
del 3 Febbraio, ed approvato con R. Decreto 17 Febbraio 1895.
JADANZA (Nicodemo), Professore di Geodesia teoretica nella
R. Università di Torino, eletto Socio Nazionale residente della
Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali nell’adunanza
del 3 Febbraio, ed approvato con R. Decreto 17 Febbraio 1895.
Foà (Pio), Professore di Anatomia patologica nella R. Uni-
versità di Torino, eletto Socio Nazionale residente della Classe
di Scienze fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza del
3 Febbraio ed approvato con R. Decreto 17 Febbraio 1895.
D’Ovipio (Enrico), rieletto Direttore della Classe di Scienze
fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza del 8 Febbraio, ed
approvato con R. Decreto 17 Febbraio 1895.
Naccari (Andrea), eletto Segretario della Classe di Scienze
fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza del 3 Febbraio 1895,
ed approvato con R. Decreto 17 febbraio 1895.
Lie (Sophus), Professore nell'Università di Lipsia, nominato
Socio Corrispondente della Classegli Scienze fisiche, matematiche
e naturali (Sezione di Matematiche pure) nell’ adunanza del
3 Febbraio 1895.
Lorenzoni (Giuseppe), Professore nella R. Università di
Padova, id. id. (Sezione di Matematiche applicate, Astronomia
e Scienza dell’Ingegnere civile e militare) id. id.
RayLeicHa (Lord Giovanni Guglielmo Strutt), Professore
nella “ Royal Institution , e Segretario della Società Reale di
Londra, id.id. (Sezione di Chimica generale e sperimentale) id. id.
XXXII
Fouqué (Ferdinando Andrea), dell'Istituto di Francia, no-
minato Socio della Classe di Scienze fisiche, matematiche e na-
turali (Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia) nella
seduta del 3 Febbraio 1895.
MartIROLO (Oreste), Professore di Botanica nella R. Uni-
versità di Bologna, id. id. (Sezione di Botanica e Fisiologia ve-
getale) id. id.
Epwarps (Alfonso Milne), dell’Istituto di Francia, id. id.
(Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata) id. id.
CLarETTA (Barone Gaudenzio), eletto Direttore della Classe
di Scienze morali, storiche e filologiche nell'adunanza del 24 Feb-
braio, ed approvato con R. Decreto 7 Marzo 1895.
Cossa (Alfonso), eletto Vice-Presidente dell’Accademia nel-
l'adunanza a Classi unite del 31 Marzo, ed approvato con
R. Decreto dell’11 Aprile 1895.
CamerANO (Lorenzo), eletto Tesoriere dell’Accademia nel-
l'adunanza a Classi unite del 31 Marzo, ed approvato con
R. Decreto dell’11 Aprile 1895.
Currius (Ernesto), Professore nell'Università di Berlino,
eletto Socio Straniero della Classe di Scienze morali, storiche
e filologiche nell'adunanza del 28 Aprile, ed approvato con
R. Decreto del 16 Maggio 1895.
AwmeLINEAU (Emilio), Parigi nella “ Ecole des Hautes
Etudes de Paris ,, nominato Socio Corrispondente della Classe
di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Linguistica e
Filologia orientale) nell'adunanza del 28 Aprile 1895.
BarNnABEI (Felice), Direttore del Museo Nazionale romano,
id. id. (Sezione di Archeologia) id. id.
Dara Vepova (Giuseppe), Professore nella R. Università
di Roma, id. id. (Sezione di Geografia ed Etnografia) id. id.
VW Ig)
Genova, nominato Socio Corrispondente della Classe di Scienze
morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze storiche) nel-
l'adunanza del 28 Aprile 1895).
È
i XXXII
i Destmoni (Cornelio), Direttore dell'Archivio di Stato di
|
i DucHesne (Direttore della Scuola Francese di Roma, id. id.
(Sezione di Scienze Storiche) id. id.
| ForrstER (Wandelin), Professore nell'Università di Bonn,
id. id. (Sezione di Filologia) id. id.
MarInELLI (Giovanni), Professore nel R. Istituto di Studii
superiori pratici, e di perfezionamento in Firenze, id. id. (Sezione
di Geografia ed Etnografia) id. id.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 3
IO n O Le n °° _&
XXXIV
MORTI
25 Gennaio 1895.
CARINI (Mons. Isidoro), Socio Corrispondente della Classe
di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze
storiche).
26 Gennaio 1895.
CayLey (Arturo), Socio straniero della Classe di Scienze
fisiche, matematiche e naturali.
4 Marzo 1895.
PertILE (Antonio), Socio Corrispondente della Classe di
Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze giuri-
diche e sociali).
11 Marzo 1895.
Cantù (Cesare), Socio nazionale non residente della Classe
di Scienze morali, storiche e filologiche.
16-17 Marzo 1895.
FeRrI (Luigi), Socio Corrispondente della Classe di Scienze
morali, storiche e filologiche (Sezione Scienze filosofiche).
14 Aprile 1895.
DANA (Giacomo), Socio straniero della Classe di Scienze
fisiche, matematiche e naturali.
Di
— eee, uo o ge pa er T ee -
È ug *
XXXV
24 Aprile 1895.
Lupwie (Carlo), Socio Corrispondente della Classe di Scienze
fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Zoologia, Anatomia
e Fisiologia comparata).
22 Luglio 1895.
GxeIst (Enrico Rodolfo), Socio straniero della Classe di
Scienze morali, storiche e filologiche.
28 Luglio 1895.
Basso (Giuseppe), Socio residente della Classe di Scienze
fisiche, matematiche e naturali.
1° Agosto 1895.
SyBeL (Enrico Carlo Ludolfo von), Socio Corrispondente
della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione
di Scienze storiche).
17 Settembre 1895.
LinatI (Conte Filippo), Socio Corrispondente della Classe
di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Filologia,
Storia letteraria e Bibliografia).
22 Ottobre.
BoncHI (Ruggero), Socio Corrispondente della Classe di
Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze filo-
sofiche).
erre
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 17 Novembre 1895.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA
VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci: D’Ovipro, Direttore di Classe, FERRARIS,
Mosso, Spezia, GiseLLI, GrAcOMINI, CAMERANO, SEGRE, PEANO,
JADANZA, Foà e Naccari Segretario.
Viene letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza pre-
cedente (23 giugno 1895).
Il Socio Segretario partecipa le molte condoglianze giunte
all'Accademia nella dolorosa circostanza della morte del Socio
Basso.
Il Presidente fa l’elogio del compianto collega, e rammenta
le benemerenze di lui verso l'Accademia.
Ricorda pure come durante il periodo delle ferie sia man-
cato ai vivi Luigi Pasteur, illustre scienziato, membro del-
l’Istituto di Francia, cui l'Accademia assegnò il premio Bressa
pel quadriennio 1883-86.
Indi il Socio FerRARIS legge una sua Commemorazione del
Socio defunto Giuseppe Basso, che sarà inserita negli Atti.
Il Socio CamerANO legge la Commemorazione del presidente
Michele Lessona, il Socio GrseLLI quella del Socio DELPONTE e
il Socio Spezia quella del Socio Straniero James Dwrcnt DANA.
La prima sarà inserita nei volumi delle Memorie, le altre due
negli Atti.
Fra le pubblicazioni inviate in dono all'Accademia il Segre-
tario segnala le seguenti: “ Faune des vertébrés de la Belgique ,,
del sig. A. DuBors; “ Anleitung zur qualitativen chemischen Ana-
lyse », del sig. C. R. FreseNIUS; “ Systematische Phylogenie der
Wirbelthiere (Vertebrata) ,, del sig. E. HarcKkeL; “ Plantas
nuevas Chilenas ,, del sig. R. A. Puinippi; “ Ricerche di ana-
tomia e morfologia intorno allo sviluppo del fiore e del frutto della
TrAPA NATANS ,, dei sigg. G. GrseLLi e F. FeRRERO; “ Zum
feineren Baue des Zwischenhirns und der Regio hypotalamica ,,
del sig. A. von KorLuKER; “ Vorlesungen iiber Geschichte der
Mathematik ,, del sig. M. Cantor; la “ Commemorazione di
Arturo Cayley ,, di M. NoETHER, e “ Mikroskopische Physiogra-
phie der Mineralien und Gesteine ,, del sig. M. RosENBUCH.
Vengono accolti per l’inserzione negli Atti i seguenti scritti:
1° “ Sull’inversione degli integrali definiti nel campo reale ,;
nota del Dr. TuLLio Levi Civita, presentata dal Socio SEGRE
per incarico del Socio VOLTERRA;
20 « Sulla compressibilità dell'ossigeno a basse pressioni ,;
nota del Dr. Adolfo CampeTTI, presentata dal Socio NACCARI;
3° “ Sulla trasmissione della elettricità da un conduttore
all'aria nel caso di piccole differenze di potenziale ,; nota del
Socio NACCcARI.
Vengono poi presentati per l’inserzione nei volumi delle
Memorie gli scritti seguenti, ciascuno dei quali viene affidato
per esame ad una speciale Commissione:
1° “ Sintesi di composti piridinici dagli eteri chetonici col-
l’etere cianacetico in presenza dell'ammoniaca e delle amine ,;
memoria del Prof. Icilio GuaRrESscHI, presentata dal Socio Cossa;
2° « Sulle leggi del tono muscolare nell'uomo ,; memoria
del Dr. A. BENEDICENTI, presentata dal Socio Mosso;
3° “ Sulle equazioni di quinto grado ,; memoria del
Prof. F. GrupIcE, presentata dal Socio PEANO;
4° “« Flora della Sardegna in continuazione di quella del
Moris (Orchidee) ,; memoria del sig. Ugolino MARTELLI, presen-
tata dal Socio GIBELLI.
GALILEO FERRARIS — COMMEMORAZIONE DI GIUSEPPE BASSO 3
LETTURE
GIUSEPPE BASSO
Commemorazione letta dal Socio GALILEO FERRARIS.
COLLEGHI,
L’ onesta e cara figura di Giuseppe Basso sta in questo
momento davanti alla mente e nel cuore di tutti noi; e nessuno
di noi saprebbe in questo giorno accingersi al consueto lavoro
se prima non sia stato rivolto un pensiero al collega che per
la prima volta manca alla nostra seduta, e che non rivedremo
mai più. Ebbene, io vi domando che a me sia concesso di pren-
dere la parola per dire ciò che ognuno ha nel cuore, per par-
lare di Lui. Questo privilegio io vi chiedo perchè a me egli,
assai prima di essere collega, fu amico affettuoso e consigliere
ne’ primi passi della carriera. Prima ancora che io sapessi di
essere da lui conosciuto il suo grande cuore palpitava con quello
de’ miei più cari; e la prima volta che a me giovanetto egli
strinse la mano, la sua parola sgorgante calma e serena da
un’ anima profondamente amorosa scendeva nell’ anima mia in-
dimenticabile balsamo in una grande angoscia.
Giuseppe Basso nacque il 9 Novembre 1842 in Chivasso
da onesti ed umili artigiani. Suo padre esercitava il mestiere
del sarto, e nel modesto laboratorio di lui lavorava tutta la
povera famiglia. Il piccolo Giuseppe, cresciuto fra le pareti del
domestico opifizio, partecipava, naturalmente, al lavoro comune,
dedicando ad apprendere il maneggio dell’ ago tutto il tempo
a lui concesso dalla scuola. Ma nella scuola il suo profitto era
straordinario, e fin dai primi anni egli emergeva su tutti i suoi
— compagni. La tenacia del suo volere e l'affetto de’ suoi maestri
indussero i genitori ad affrontare i sacrifizi necessari ed a la-
sciare ch’ egli seguisse la via, a cui lo chiamava il grande
it
4 GALILEO FERRARIS
amore dello studio. Compiuti con straordinaria distinzione i corsi
ginnasiali nel collegio della nativa Chivasso, venne a Torino, e
qui, superando con vero e proprio eroismo strettezze incredibili,
compiè gli studi liceali. Finalmente nel 1857, all’ età di quindici
anni, vinse il concorso per un posto nel Collegio Carlo Alberto
per gli studenti delle provincie, e così fu in porto: con quel
posto egli ebbe il mezzo d’ intraprendere i corsi universitari.
Però solo per due anni potè godere del benefizio del convitto.
Questo infatti fu chiuso nell’estate del 1859, ed agli allievi fu
assegnata, in luogo dell’alloggio e del vitto, 1’ attuale pensione
mensile. Come con questa pensione, senz'altro sussidio, egli
riuscisse non solo a campare, ma a soccorrere parenti ed amici,
come l’arte appresa nell’opifizio paterno lo aiutasse a diminuire
qualcuna delle sue piccole spese, come a quell’arte egli ritornasse,
a sollievo del padre, durante le vacanze ch'egli passava in Chi-
vasso, egli, ancora ne’ suoi ultimi giorni, amava talvolta narrare
con schietta compiacenza e non senza un legittimo orgoglio.
Seguì nella nostra Università i corsi della facoltà di Scienze,
riportando, fra le molte distinzioni, una lode speciale nella fi-
sica matematica, e conseguì la laurea di Dottore in fisica nel
luglio del 1862, prima di aver compiuto i venti anni. La dis-
sertazione “ Sulla luce polarizzata circolarmente e sulle sue ap-
plicazioni ,, castigata nella forma, bene ordinata, nettamente
inquadrata e chiarissima, preludeva mirabilmente alla direzione
ed all’ indole della attività scientifica e didattica del giovane
Dottore.
Egli cominciava bene. La riputazione che si era conquistata
fra gli studenti, l’alta stima e l’affetto che gli portavano i suoi
professori, alcuni dei quali avevano insegnato, od insegnavano an-
cora nella Accademia Militare, gli valsero a trovar subito la cosa
per lui allora più agognata ed urgente: un posto per cominciare a
guadagnarsi la vita. Poche settimane dopo del giorno della laurea
egli veniva infatti nominato professore aggiunto nella R. Acca-
demia Militare. Bastare a sè stesso e preparàrsi a ricompensare
i parenti de’ sacrifizi per lui sopportati era il supremo obbiettivo.
Quindi egli accettò e cumulò col modesto impiego, che ho no-
minato, l’incarico di insegnare in vari istituti privati d’istruzione
secondaria. La non comune attitudine didattica rese ben presto
ricercatissima l’opera sua; ed egli ne approfittò così, che in breve
:
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|
GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 5)
tempo ei divenne uno dei più laboriosi insegnanti della nostra
città. La sua resistenza alla fatica dell’insegnamento era, a ragione,
oggetto di ammirazione. Perchè importa notare che in quel
tempo la sua complessione non era quella, in apparenza così flo-
rida, colla quale noi da parecchi anni ci eravamo abituati a
vederlo. Al contrario, egli era gracilissimo, ed a volte aveva
sofferenze, le quali davano luogo alle più serie apprensioni. Tut-
tavia le numerose lezioni quotidiane non assorbivano tutta la sua
attività : nel 1864, due anni dopo la laurea, trascorso appena il
tempo legale, egli si presentava a quello, che qui allora si soleva
ancora da molti considerare come il battesimo necessario per avere
accesso alla carriera dell’insegnamento superiore, al concorso per
l’Aggregazione. Vinceva la prova con uno splendido esame. La
sua dissertazione era “ Sul lavoro interno prodotto dal calore
nei corpi ,, verteva adunque sulla scienza che qui, appunto in
quei giorni, quando il Matteucci ne discorreva nelle sue memo-
rabili lezioni popolari, ed il Saint Robert si accingeva a conse-
gnare alle stampe la prima edizione dei suoi principii di termo-
dinamica, attraeva a sè la ‘massima attenzione degli studiosi.
Coll’ aggregazione cominciava pel Basso veramente la car-
riera scientifica. Entrato infatti nella Facoltà, egli ebbe presto
l’ occasione di provarsi nello insegnamento universitario sup-
plendo a più riprese nella scuola di fisica sperimentale il pro-
fessore Gilberto Govi. E maggiore ventura egli ebbe nella ami-
cizia affettuosa di quel coltissimo scienziato, mercè la quale
potè essere ammesso a frequentare il gabinetto di fisica della
Università, ed avere così, per alcuni anni, qualche mezzo per
tentare alcune modeste ricerche sperimentali. Laboratorio pro-
priamente non c’ era in quel tempo, nè il Professore Govi si
occupava in quei giorni di ricerche quantitative, od aveva i
mezzi per istradare altrui nella tecnica delle medesime; ma al-
meno v’ erano strumenti, e v’ era un autorevole amico che po-
| teva dare qualche consiglio.
E intanto, proprio in quei giorni, nel 1866, un decreto del
Ministro della Guerra poneva il giovane professore aggiunto
dell’Accademia Militare in aspettativa per riduzione d'impiego.
Questi ebbe così, per qualche mese, maggior agio per valersi
dei mezzi, che erano messi a sua disposizione, e offrire un
primo saggio dei suoi studi pubblicando nei volumi della nostra
è
6 GALILEO FERRARIS
Accademia una “ Nota intorno alla determinazione di tempera-
ture molto elevate mediante un procedimento calorimetrico ana-
logo a quello seguito da Bystròm ,. In tale nota erano esposti
i risultati di alcuni esperimenti diretti a determinare col me-
todo calorimetrico la temperatura nelle varie parti di una fiamma
ad .alcool a doppia corrente, e quella dell’ acqua nello stato sfe-
roidale.
Ma il benefico alleggerimento di lavoro didattico prodotto
dalla aspettativa nella Accademia Militare veniva tosto eliso da
un incarico, che per alcuni anni occupò in misura assai mag-
giore il tempo e la forza del giovane professore. Egli veniva
incaricato dell’insegnamento della fisica matematica nell’Univer-
sità. Quell’insegnamento, che fino allora era stato dato dal Pro-
fessore Felice Chiò, presentava in quel momento, pel nuovo in-
caricato, una difficoltà affatto speciale, quella di conciliare il
vecchio col nuovo. Il Chiò, occupando nel 1854 l’antica cattedra
dell’Avogadro, aveva da principio conservato al suo corso di
fisica matematica il programma ed il carattere che al medesimo
era stato dato da quell’ illustre professore. Quel corso non com-
prendeva le materie che oggi si sogliono comprendere nel nome
di fisica matematica; era più propriamente fisica, era un corso
elementare, ma generale, di fisica teoretica come quello classico
del Mossotti. Quel corso formava per gli studenti di fisica il
complemento necessario di quello, allora molto modesto, di fisica
sperimentale. Ma negli ultimi anni il tempo assegnato a quel-
l'insegnamento, e quindi anche il programma e l’ importanza
del medesimo, erano stati notevolmente ridotti. Dal 1865 il
Chiò era stato nominato professore di Analisi e di Geometria
superiore, ed alternava l’insegnamento di queste scienze con
quello della fisica matematica. Quest’ ultimo non comprendeva
ormai più che qualche arido brano di ottica geometrica. Il Basso,
assumendo l’incarico di tale insegnamento, non poteva, per defe-
renza al suo vecchio Maestro, tutto mutare d’ un tratto; ma voleva
nel tempo stesso introdurvi qualche cosa di più vivo, ed iniziare
una graduale trasformazione, per la quale il corso a lui affi-
dato potesse col tempo contribuire più efficacemente alla col-
tura necessaria ai giovani studiosi delle scienze fisiche. E siccome
egli, per la natura del suo ingegno e de’ suoi studi prediletti,
e per la tradizione della cattedra, perseverava nello intento di
GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 7
completare col suo corso l'insegnamento della Fisica, così con-
cretava il programma della progettata trasformazione col sosti-
tuire gradatamente alla esposizione dell’ ottica geometrica, di
sua natura arida e rinchiusa, quella più feconda e più larga
dell’ ottica fisica. Daccanto a questa, che doveva formare il
nucleo principale del corso ed essere insegnata tutti gli anni,
| egli introduceva poi man mano varie monografie su altri rami
della fisica, le quali si alternavano di anno in anno. Non è qui
il luogo di discutere se l’ aver cercato di colmare con un corso
di fisica complementare una lacuna, che nelle nostre scuole di
fisica generale, per la strettezza del tempo, è inevitabile, potesse
| compensare il danno derivante dalla esclusione di quelle disci-
A ng
pline per le quali propriamente è istituito l’insegnamento della
fisica matematica. Certo è però che il lavoro per la prepara-
zione del nuovo insegnamento deve aver distolto per qualche
tempo il giovane professore dal frequentare coll’ antica assiduità
il gabinetto di fisica e dal tentare ricerche. E ciò spiega come nel
corso di alcuni anni le sue pubblicazioni si sieno limitate a tre
brevissime note. La prima di queste: “ Sulla deviazione massima
dell’ ago calamitato sotto l’azione della corrente elettrica , pub-
blicata fra la memorie della nostra Accademia nel 1870, e la
terza: “ Nuova bussola reometrica ,, pubblicata nel volume del
1871, dànno la teoria di un semplice apparecchio di misura per
le correnti elettriche, sul quale il Basso ritornava poi più tardi
con una speciale predilezione. La .seconda: “ Determinazione
della velocità del suono nell’ aria per mezzo di un’ eco polifona,
inserita nel 1870 nei nostri “ Atti ,, contiene la descrizione di
alcune esperienze eseguite sull’ eco polifona del Ponte Mosca
con un procedimento suggerito dal Govi e non privo di ele-
ganza.
Nel 1871 moriva il professore Chiò, ed alla fine dell’ anno
successivo Giuseppe Basso veniva elevato al grado di professore
straordinario di fisica matematica. Ma intanto, appunto nel 1872,
il Govi era stato nominato membro della commissione interna-
zionale dei pesi e delle misure, e dovendo per tale carica risie-
dere quasi di continuo a Parigi, cessava, pur conservando il ti-
tolo dell’ uffizio, di dare lezioni nella nostra università. La sup-
plenza veniva allora affidata al professore Basso, il quale per
tale modo ebbe a dare per una serie di anni, daccanto all’ inse-
8 GALILEO FERRARIS
gnamento della fisica matematica, anche quello della fisica ge-
nerale. L'incarico della supplenza, rinnovato di anno in anno,.
gli era mantenuto anche quando nel 1876 Gilberto Govi abban-
donava definitivamente la nostra città per passare alla direzione
della biblioteca Vittorio Emanuele in Roma. Esso non cessava
se non alla fine dell’anno scolastico 1877-78, quando l’univer-
sità torinese faceva l’ invidiato acquisto del chiaro professore
attuale, del nostro collega Naccari.
Gli ultimi due anni della cennata supplenza furono pel
Basso quelli della massima attività didattica. Imperocchè nel
gennaio 1876 egli era stato richiamato in servizio nell’Acca-
demia militare e frattanto continuava e raggiungeva il suo colmo
il lavoro dell’insegnamento privato. E tuttavia, appunto in quel
tempo, si iniziava anche il periodo della massima sua attività
scientifica. Ciò derivava principalmente dal fatto che durante la
vacanza della cattedra di fisica sperimentale egli aveva avuto più
libero 1 uso del gabinetto. Veramente i mezzi dei quali egli
disponeva erano di parecchio inferiori a quelli che sarebbero
occorsi per intraprendere lavori sperimentali di qualche impor-
tanza; perchè, come ho già detto, vero laboratorio allora non
c’era, nè il Basso, come semplice supplente, poteva avere com-
pleta libertà d’azione, o aiuto di assistenti. Quindi era impos-
sibile che egli intraprendesse ricerche di lunga lena, complesse
e coordinate, o lavori pei quali fossero necessari appositi im-
pianti, od anche solo adattamenti speciali di apparecchi richie-
denti l’opera od il sussidio di meccanici o di coadiutori. Erano
adunque solamente brevi lavori isolati quelli che egli poteva
tentare, nei quali la maggiore difficoltà consisteva il più delle
volte nel trovare disposizioni acconcie per far servire a misure
apparecchi fatti semplicemente per le esperienze da scuola. Ma
questi lavori furono parecchi, e comparvero negli atti e nei vo-
lumi della nostra Accademia nell’ intervallo tra il 1877 ed il
1880. Io qui ne ricordo principalmente tre, i quali più parti-
colarmente hanno carattere di ricerca originale. Il primo è un
lavoro “ Sull’ allungamento dei conduttori filiformi attraversati
dalla corrente elettrica ,. Edlund dapprima, e poi Streintz, ave-
vano creduto di poter dedurre da alcune loro esperienze questo
fatto: che un filo percorso da una corrente elettrica subisce, oltre
all’allungamento termico dovuto al calore prodotto per l’effetto
I dn TL Truro
GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 9
di Joule, anche un allungamento “ galvanico , dovuto diretta-
mente alla corrente, indipendentemente dal riscaldamento. Exner
e Blondot deducevano invece dalle loro esperienze la inesistenza
del fatto. Il lavoro del Basso descrive i risultati di esperienze
fatte con metodo diverso, i quali anch’ essi, dimostrano essere
per lo meno improbabile l’esistenza di una dilatazione puramente
galvanica. Gli altri due lavori che debbo ricordare sono: una nota
inserta negli atti dell’Accademia del 1879, col titolo: “ Feno-
meni che accompagnano l’elettrolisi dei composti metallici ,,
ed una nota inserta nel volume delle memorie del 1880 col ti-
tolo: “ Sugli effetti meccanici della elettrolisi ,. In questi due
lavori il Basso mette in evidenza e studia con due diversi pro-
cedimenti il fenomeno, già dimostrato dal Signor Mills, dello
stringimento elettrico, consistente in questo, che, quando uno
strato metallico si va deponendo per via galvanica su di un
elettrodo, lo strato manifesta una notevole tensione, per la
quale, se esso avviluppa completamente l’elettrodo, si esercita
sulla superficie di questo una pressione considerevole. In en-
trambi questi lavori, e specialmente nel secondo, si rivela l’at-
titudine dello sperimentatore nell'impiego di quegli artifici in-
gegnosi di ricerca qualitativa, che erano caratteristici della
scuola del Govi. i
I lavori dei quali ho parlato, benchè pubblicati soltanto
nel 1879 e nel 1880, si riferiscono a ricerche eseguite nel gabi-
netto di fisica dell’Università negli ultimi anni nei quali il Basso
aveva tenuto la supplenza dell’insegnamento della fisica speri-
mentale. La cessazione di questa segnò l’ inizio di un nuovo
indirizzo della attività scientifica del nostro compianto collega.
Ed io soggiungo subito: essa segnò l’inizio di un periodo migliore,
di ricerche più omogenee, meglio coordinate e più feconde. De-
dicatosi intieramente, con maggior agio e con maggiore calma,
alle discipline formanti la principale materia del suo corso di
fisica matematica, il Basso cominciò a dirigere nel campo di
esse le sue ricerche; d’allora in poi la maggior parte dei suoi
lavori ebbero per oggetto questioni di ottica fisica. Dopo di
avere esordito con una breve “ Contribuzione alla teoria dei
fenomeni di diffrazione ,, egli dava nello stesso anno 1880 al
volume delle nostre memorie accademiche una notevole memoria
intitolata: Fenomeni di polarizzazione cromatica in aggregati
10 GALILEO FERRARIS
di corpi birifrangenti ,. Questo lavoro teorico e sperimentale |
ha un carattere pratico che lo rende singolarmente importante.
Esso tratta dei fenomeni di polarizzazione cromatica presentati
da aggregati regolari di piccoli elementi birifrangenti, e pro-
priamente da una classe speciale di aggregati, ai quali l’ autore
dà il nome di sistemi raggiati. Aggregazioni di tale classe si.
trovano in natura, e molte si possono ottenere artificialmente. La
facoltà posseduta da molte sostanze di assumere, cristallizzando,
la forma raggiata fu studiata, oltrechè da altri, dallo Scacchi,
ed alcuni dei fenomeni ottici caratteristici di tale forma furono
notati e nettamente descritti dal nostro A. Cossa in alcune
concrezioni da lui avvertite nel suo studio microscopico della
diorite di Cossato. Il Basso nel suo lavoro studia dapprima teo-
ricamente i fenomeni di polarizzazione cromatica che si debbono
presentare quando una sottile lamina di struttura raggiata è
esaminata fra due Nicol con luce parallela, o con luce conver-
gente. Studia questi fenomeni, non nella forma più generale,
ma per una serie di numerosi casi particolari più direttamente
controllabili coll’esperienza. Descrive poi le esperienze, colle
quali egli ha verificato in molti aggregati cristallini le più sa-
lienti proprietà ottiche previste colla teoria. Questa era la ten-
denza costante del suo ingegno, la quale si manifesta in tutti
i suoi lavori, questa: di far procedere sempre a lato della ri-
cerca teorica il controllo sperimentale. E questa tendenza, la
quale imprime a tutti i suoi lavori un carattere speciale, spiega
anche e giustifica la scelta del programma dello insegnamento,
della quale ho dianzi tenuto parola.
La memoria che ho esaminato fu a breve intervallo seguita
da una nota contenente la “ Dimostrazione di una proprietà geo-
metrica (non prima conosciuta) dei raggi rifratti straordinari nei
mezzi birifrangenti uniassi ,, e poi subito da una nuova memoria
di considerevole mole intitolata: “ Studi sulla riflessione cristal-
lina,. Questi “ Studi , furono un ardito tentativo: quello di dare
una teoria generale della ripartizione della luce fra i raggi ri-
fratti ed il raggio riflesso alla superficie di un cristallo birifran-
gente, una teoria, la quale, meglio di quelle già tentate da
Cauchy, da F. E. Neumann, da Mac-Cullagh e da Cornu, si con-
ciliasse coi principii ammessi da Fresnel nella sua teoria della
riflessione sui corpi isotropi. Io non so se l'ipotesi relativa alla
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I
GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 11
| densità dell'etere, posta dal Basso a base della sua teoria si possa
accettare senza almeno dare alla medesima una interpretazione
fisica diversa da quella corrispondente all’ enunciato letterale; ma
certo è che le formole, alle quali la teoria conduce, applicate
ad alcuni casi speciali accessibili all’ esperienza, si accordano
approssimativamente colle risultanze sperimentali. Il controllo
dell'esperienza è anche qui fatto dal Basso medesimo, che alla
descrizione delle esperienze dedica l’ultimo paragrafo della sua
memoria. E qui il merito di aver tentato un tale controllo ap-
parisce anche maggiore che nel lavoro di cui ho parlato poc'anzi,
se si pensa alle difficoltà che il povero nostro collega deve aver
superato per riuscire a sperimentare in casa, in una materia
difficile, con pochissimi mezzi e senza aiuto di sorta.
Sul problema della riflessione cristallina il Basso ritornò in
seguito più volte, e nel 1885 ne tentò la trattazione colla teoria
elettromagnetica della luce. In un lavoro pubblicato in quel-
l’anno negli “ Atti dell’ Accademia,, col titolo: “ Fenomeni di ri-
flessione cristallina interpretati secondo la teoria elettromagne-
tica della luce ,, egli studiò col mezzo della teoria Maxwelliana
alcuni dei casi speciali, dei quali si era anteriormente occupato
nella memoria del 1881. Il nuovo metodo ha il merito di non
richiedere l’ uso di alcuna ipotesi della natura di quella sulla
densità dell’ etere, sulla quale io ho dovuto or ora esprimere
delle riserve; perciò il confronto delle sue risultanze con quelle
del lavoro precedente presentava uno speciale interesse. Il con-
fronto dimostrò che l’ accordo delle dette risultanze non era
generale; esso era perfetto in due dei casi trattati, ma non po-
teva essere altro che approssimativo negli altri casi. Però, te-
nuto conto dei valori numerici delle costanti de’ cristalli effet-
tivi sperimentati, l'accordo approssimativo tra l’esperienza e la
teoria constatato nel lavoro del 1881 risultava sufficientemente
spiegato.
Colla teoria elettromagnetica della luce, la quale si presta
particolarmente bene alla trattazione dei fenomeni che si pre-
sentano al passaggio della luce da un mezzo all’ altro, il Basso
studiò ancora la ripartizione della luce fra i due raggi rifratti
nei cristalli birifrangenti, e pubblicò su questo argomento nel
1886 e nel 1887 due note: “ Sulla legge di ripartizione dell’ in-
tensità luminosa fra i raggi birifratti da lamine cristalline ,
12 GALILEO FERRARIS
e “ Sulla legge ottica di Malus detta del coseno quadrato ,.
Colla prima di queste egli giustifica in teoria il fatto già af-
fermato da Haidinger e poi trovato sperimentalmente dal Wild
e riconfermato dal dottor Simmler, che la legge di Malus sul
rapporto tra le intensità dei due raggi rifratti non è esatta in
modo assoluto, ma è semplicemente approssimativa. Colla se-
conda egli tratta più da vicino il caso pratico che si presenta
nell'impiego dei prismi polarizzatori di Nicol, e pone in evidenza
l’ordine di grandezza delle discrepanze tra i valori delle inten-
sità luminose calcolati colla legge del coseno quadrato e quelli
previsti dalla teoria elettromagnetica.
E a questa teoria elettromagnetica, la quale è andata ac-
quistando di giorno in giorno tanta sicurezza e tanta importanza,
la mente del Basso rimase costantemente rivolta sino alla fine.
L’ultimo lavoro scientifico da lui pubblicato tratta ancora di
quella teoria. Essa è una nota inserta nei nostri “ Atti ,, del
1893, nella quale egli dimostra per mezzo delle formole stabi-
lite ne’ suoi lavori precedenti “ un carattere di reciprocità proprio
della luce riflessa dai mezzi cristallini ,, che il Potier aveva
segnalato deducendolo dalla teoria di Mac Cullagh.
La serie dei lavori di ottica fisica, dei quali ho fatto una
rapida enumerazione, è quella che definisce ed assegna a Giu-
seppe Basso il suo vero posto nella schiera dei nostri lavora-
tori della scienza: un posto, la cui importanza apparirà evidente
a chi pensi al deplorevole abbandono nel quale qui come altrove,
nelle scuole come nei laboratori, è presentemente lasciato il
bellissimo ramo della fisica che il Basso prediligeva. Importa
tuttavia notare come daccanto a questi lavori, i quali assorbi-
rono la parte migliore della sua attività scientifica, egli abbia
continuato a produrre anche altre pubblicazioni. Ed io cito fra
queste: tre nuove note presentate all’ Accademia nel 1882 e nel 1884
intorno alla teoria ed alla costruzione del suo reometro a mas-
sima deviazione, un trattato elementare di meccanica ad uso
dei licei pubblicato nel 1882, due monografie popolari “ Sulla
polarizzazione della luce diffusa del cielo , e “ Sulle unità di
misura delle grandezze elettriche , inserite nell’Annuario me-
teorologico della Società meteorologica italiana, e finalmente
una lunga serie di cenni biografici e di commemorazioni.
Frattanto, meno eccessivo che nei primi anni, ma pur sempre
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GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 13
intenso e grave, era continuato pel professore Basso il lavoro
didattico. Nel 1879, ossia nel primo anno in cui egli si trovava
esonerato dalla supplenza alla cattedra universitaria di fisica
sperimentale, egli era promosso nell’Accademia militare al grado
di professore aggiunto di prima classe; e due anni dopo, nel
1881, vi occupava, come professore titolare di fisica, il posto
lasciatovi dal professore Luvini, nel quale posto, percorsi man
mano tutti i gradi, egli rimaneva poi sino alla fine. Nella uni-
versità, dopo di avere occupato la cattedra di fisica matematica
per dieci anni come professore straordinario, veniva promosso
professore ordinario nel 1882. E fu allora, solamente allora, che
egli potè cominciare a ridurre a più sopportabile misura le sue
fatiche, rinunziando gradualmente ai vari insegnamenti privati
che prima era stato costretto a cumulare. La sua carriera come
professore sarà tutta narrata, se dopo di avere ricordato, come
ho fatto, queste poche date e con esse i criteri e gli intendi-
menti che determinarono la scelta dei programmi e l'indole
dei suoi insegnamenti, io ricorderò ancora con quale cura onesta
ed amorevole egli si adoperasse a rendere chiara ed accessibile
a tutti la sua esposizione; con quale arte egli riuscisse ad ac-
coppiare alla chiarezza la castigatezza, e talora anche l'eleganza
del discorso; con quale zelo assiduo e scrupoloso egli adempisse
il suo ministero.
La bontà dell'animo, l'onestà degli intenti, l'abitudine della
più assoluta obbedienza al dovere furono, del resto, gli elementi
direttori di tutti gli atti della sua vita. Della quale la maggior
parte trascorse fra le fatiche ed i sacrifizi, sorretta unicamente
dalla coscienza del dovere compiuto.
Soddisfazioni e premi egli ebbe: ne ebbe nella onorata
carriera universitaria; ne ebbe nella nostra Accademia, che fin
dal 1877 lo inscrisse fra i suoi Soci, che due volte, nel 1888 e
nel 1892, lo elevò alla carica di Segretario della nostra classe,
che a più riprese lo volle membro della giunta pel premio Bressa
e che ultimamente lo annoverava fra i suoi consiglieri di am-
ministrazione. Inoltre nel 1891 egli era stato eletto membro
della Società degli Spettroscopisti italiani, e nel 1893 era stato
aseritto come Socio nella Reale Accademia di Agricoltura di
Torino. Ma il premio direttamente ambito era per lui l’intima
compiacenza di chi ha fatto del bene. V’ hanno eroismi ignorati
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 4
14 GALILEO FERRARIS
fuori delle pareti domestiche, i quali non hanno premio di onori,
ma fruttano impareggiabili gaudii dell'anima. E tali gaudii egli
aveva conseguito. Cresciuto fra le più dure strettezze, egli era
riuscito a restituire ai parenti il frutto dei loro sacrifizi; il padre
aveva chiuso la vita operosa coll’ onesto riposo di una vecchiaia
agiata e tranquilla; la madre, contenta nella modesta sufficienza
di ogni cosa, lo benediceva; i nipoti riconoscenti progredivano
negli studi con mezzi e con comodi che egli giovanetto aveva
ignorato.
Col balsamo di questi pensieri nel cuore, poco altro egli sa-
peva desiderare. A lui bastava il culto della Scienza, alla quale,
come alla sua Dea, ricorreva negli intervalli di riposo per ri-
temprare le forze esauste dalle fatiche del pesante lavoro quo-
tidiano, e la tranquilla e serena gaiezza della consueta passeggiata
e del consueto ritrovo, dove fra pochi amici egli portava nei
geniali colloqui il contributo della larga e varia sua coltura. E
siccome la giornata faticosa gli faceva naturalmente prediligere
la forma più tranquilla del riposo, così questa si era fatta uni-
forme e si alternava con immutabile costanza col lavoro ugual-
mente monotono de’ suoi uffizi. Quindi la sua vita fu caratte-
risticamente metodica. Sotto la calma uniformità di quella vita
pareva si nascondesse l’effetto di una continua violenza volontaria,
di un perseverante proposito di negare a sè stesso i conforti e
gli agi non compresi in un angusto programma prestabilito. La
calda giovialità della sua anima pareva che egli comprimesse
schivando paurosamente i contatti col mondo; all’ elevato e puro
sentimento del bello, che pure albergava in lui, egli negava i
godimenti offerti dai teatri e dalle altre istituzioni artistiche
cittadine; al cuore, col quale egli aveva dedicato ai suoi cari
la maggior parte dei frutti del suo lavoro, egli negava il con-
forto della vita in famiglia. Ma violenza non v'era, v'era solo
l’ abito del sacrifizio e la modestia dei desideri. Pago delle pure
gioie dell'intelletto e della coscienza, egli trascorse, sempre
uguale a se stesso, sempre calmo e sereno, la vita appartata
e modesta.
Sempre uguale a sè stesso, sempre calmo e sereno, la sera
del 27 luglio egli stringeva ancora, rincasando, la mano agli
amici, e loro diceva il solito: “ a rivederci ,,1' ultimo “ a ri-
vederci ,. Il giorno dopo egli ci aveva lasciati!
GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 15
Da quel giorno la vecchia madre attende invano il saluto
consueto. E noi, ancora attoniti e dubitosi, oh! quante volte
sentiamo nel cuore un sussulto e nelle vene un brivido se di
sera, alla svolta della strada, ci si presenti nell'ombra una figura
che ci ricordi quella che sempre ci aspettiamo di vedere, la
figura amica del nostro povero Basso!
ELENCO delle pubblicazioni del Prof. GiusePPE Basso.
î 5 > È ”
1862. Dissertazione sulla luce polarizzata circolarmente e sulle sue appli-
. cazioni ad alcune questioni di chimica. — Dissertazione di laurea.
1864. Sul lavoro interno prodotto dal calore nei corpi. — Dissertazione pel
concorso ad un posto di dottore aggregato alla facoltà di scienze fisiche,
matematiche e naturali nell'Università di Torino.
1865. Sull’uffizio della matematica nelle scienze sperimentali. — Discorso
pel solenne accoglimento nella facoltà. (Rivista italiana delle scienze,
lettere ed arti, anno 6°, n. 236, 3 aprile).
1867. Nota intorno alla determinazione di temperature molto elevate me-
diante un procedimento calorimetrico analogo a quello seguito da
Bystròm. (Mem. Acc. Sc. di Torino, Serie II, Tom. XXII).
1870. Sulla deviazione massima dell’ago calamitato sotto l’azione della
corrente elettrica. (Mem. Ace. Se. di Torino, Serie II, Tom. XXVI).
— Determinazione della velocità del suono nell’aria per mezzo di un’eco
polifona. (Atti Ace. delle Sc. di Torino, Vol. VI).
1871. Nuova bussola reometrica. (Mem. Ace. delle Sc. di Torino, Serie II,
Tom. XXVI).
1877. Fenomeni di magnetismo osservati nel radiometro. (Atti dell’ Acc. delle
Sc. di Torino, Vol. XII).
1878. Parole di commemorazione di Vittorio Regnault. (Atti dell’Ace. delle
Se. di Torino. Adunanza 27 gennaio 1878).
— Sulle correnti elettriche d’induzione generate per mezzo di moti oscil-
latori. (Atti dell'Acc. Se. di Torino, Vol. XIII).
— Sulluso delle bussole reometriche per correnti elettriche di breve durata.
(Atti dell’Acc. delle Sc. di Torino, Vol. XIII).
16 GALILEO FERRARIS
1879. Sull’allungamento dei conduttori filiformi attraversati dalla corrente
elettrica. (Atti Acc. Se. di Torino, Vol. XIV). )
— Fenomeni che accompagnano l’elettrolisi dei composti metallici. (Atti
Acc. delle Sc. di Torino, Vol. XV).
1880. Silvestro Gherardi. — Cenno biografico. (Atti Acc. Se. di Torino, Vol. XV).
— Sugli effetti meccanici della elettrolisi. (Memorie dell’ Acc. delle Sc. di
Torino, Serie II, Tom. XXXII).
— Contribuzione alla teoria dei fenomeni di diffrazione. (Atti Ace. Se.
di Torino, Vol. XV).
— Fenomeni di polarizzazione cromatica in aggregati di corpi birifran-
genti. (Memorie Acc. Sc. di Torino, Serie II, Tom. XXXIV).
— Intorno alla vita ed agli studi di Giambattista Beccaria. Conferenza
tenuta alla Filotecnica. (Atti della Filotecnica).
1881. Dimostrazione di una proprietà geometrica dei raggi rifratti straor-
dinari nei mezzi birifrangenti uniassi. (Atti Ace. Sc. di Torino, Vol. XVI).
— Riflessione della luce polarizzata sulla superficie dei corpi DirlrangenAl:
(Atti Acc. Sc. di Torino, Vol. XVI).
— Il Conte Amedeo Avogadro di Quaregna. Lettura alla Società Filote-
cnica, 24 aprile 1881. (Atti della Filotecnica, Anno IV, Vol. IV, 121).
— Studi sulla rifrazione cristallina. (Memorie Acc. Sc. di Torino, Serie II
Tom. XXXIV).
1882. Sopra un caso particolare d’equilibrio per un solenoide soggetto al-
l’azione magnetica terrestre ed a quella d’una corrente elettrica. (Atti
Ace. Sc. di Torino, Vol. XVII).
— Apparato reometrico a massima deviazione (Atti Acc. Se. di Torino,
Vol. XVII).
— Nozioni di meccanica ad uso specialmente dei licei. (Paravia, Torino).
1883. Sopra un caso particolare di riflessione cristallina. (Atti Acc. Se. di
Torino, Vol. XVIII).
— Sul fenomeno ottico detto “ Nodus Rosi ,, relazione. (Atti Ace. Sc. di
Torino, Vol. XVIII).
1884. Sopra un modo di misurare l'intensità delle correnti elettriche. (Atti
Acc. Sc. di Torino, Vol. XIX). i
— Appareil rhéométrique à déviation maximum. (Torino, Stamperia Reale-
Paravia).
1885. Fenomeni di riflessione cristallina interpretati secondo la teoria
elettromagnetica della luce. (Atti Ace. Se. di Torino, Vol. XX).
— Relazione del Socio Giuseppe Basso, Segretario della Giunta per il
IV premio Bressa. (Atti Acc. Se. di Torino, Vol. XXI).
I
|
|
AI
— 1886. Commemorazione di Giulio Jamin. (Atti Ace. Sc. di Torino, Vol. XXI).
GIUSEPPE BASSO — COMMEMORAZIONE 17
_ — Sulla legge di ripartizione dell'intensità luminosa fra i raggi birifratti
da lamine cristalline. (Atti Acc. Sc. di Torino, Vol. XXI).
1887. Sulla legge ottica di Malus detta del coseno quadrato. (Atti Ace. Se.
di Torino. (Vol. XXII).
— In commemorazione di Gustavo Roberto Kirchhoff. (Atti Acc. Sc. di
Torino, Vol. XXIII).
1888. In commemorazione di Rodolfo Clausius. (Atti Ace. Se. di Torino,
Vol. XXIII).
1889. Sulla polarizzazione della luce diffusa dal cielo. (Annuario meteorolo-
gico pubblicato per cura del comitato direttivo della Società meteorologica
italiana; anno IV). i
— In commemorazione del Conte Paolo Ballada di Saint-Robert. (Atti
Ace. Sc. di Torino, Vol. XXIV).
— In commemorazione di Gilberto Govi. (Atti Ace. Sc. di Torino, Vol. XXV).
— Giacomo Prescott Joule, parole di commemorazione. (Atti Acc. Sc. di
Torino, Vol. XXV).
1890. Sulle unità di misura delle grandezze elettriche. (Annuario meteoro-
logico della Società meteorologica italiana, anno V).
1891. In commemorazione di Guglielmo Weber. (Atti Acc. Se. di Torino,
Vol. XXVII).
_ — (Giuseppe Pisati. — Parole commemorative. (Atti Acc. Se. di Torino,
Vol. XXVII).
1892. Parole in commemorazione di Enrico Betti. (Atti Acc. Se. di Torino,
Vol. XXVIII).
— Di un carattere di reciprocità proprio della luce riflessa dai mezzi
cristallini. (Atti Acc. Se. di Torino, Vol. XXVIII).
1893. La ricerca delle leggi fisiche. — Discorso letto nella solenne apertura
degli studi nella R. Università di Torino.
18 GIUSEPPE GIBELLI
G. B. DELPONTE
Commemorazione letta dal Socio GIUSEPPE GIBELLI.
Nacque in Monbaruzzo (circondario d’Aqui)il 2 Agosto 1812,
da G. G. Delponte, medico di vaglia, già direttore delle Terme
d’Aqui, e da Giovanna Prato, figlia di Alessandro, professore di
Leggi in questa Università.
Dopo i soliti corsi classici ed universitarii conseguì la laurea
dottorale in Medicina nel Maggio 1832.
Stretto dal bisogno, malgrado l’appassionata tendenza agli
studi botanici, attese per sette anni all'esercizio pratico della
Medicina.
Nel 1839 ottenne finalmente la carica di assistente all’Orto
Botanico; il che gli permise d’abbandonare la pratica medica, e
di dedicarsi tutto quanto allo studio della scienza, che fu l’unica
passione della sua vita. Fino d’allora dovette attendere con fer-
vore all’insegnamento, sia colle ripetizioni agli scolari, sia colle
frequenti supplenze al prof. Moris.
Nel 1841, in seguito alla presentazione di tre tesi (De Pol-
line plantarum — Varietates humani generis — De Rhabarbaro)
ottenne l'aggregazione al Collegio medico di questa Università.
Nel 1848, il celebre prof. Moris, nominato senatore, occu-
patissimo nei lavori dell’alta sua carica, deferiva l'insegnamento
della Botanica al dott. Delponte, il quale perciò otteneva il titolo
di Professore sostituto in questa disciplina. In tale occasione il
Ministro della Pubblica Istruzione fece sentire al Delponte, che
l’erario pubblico, in gravi distrette per la guerra dell’Indipen-
denza, non poteva disporre di alcuna somma in compenso dei
suoi servigi. Il Delponte rispose, che il pretendere in tali contin-
genze una ricompensa sarebbe stato indizio di poco amore alla
Patria. E così per ben venti anni prestò gratuitamente l’opera
sua all'istruzione: il che basta a designare la nobiltà di carat-
tere di questo bravo uomo.
G. B. DELPONTE — COMMEMORAZIONE 19
Morto nel 1869 il prof. Moris, il Delponte ebbe il regolare
incarico dell’insegnamento della Botanica nell'Università nostra
e finalmente anche l'assegno, che gli competeva.
Nel 1870, in seguito a regolare concorso, conseguì la cat-
tedra e il titolo di Professore ordinario. Diè quindi opera alle
lezioni ed alle ricerche scientifiche fino al 1878.
Nel 1879, travagliato da lenta malattia dei centri nervosi,
dovette desistere dal lavoro con suo grande dolore; chiese il
i ben meritato riposo e si ritirò nel villaggio nativo, dove len-
tamente si spense il 18 Maggio 1884.
Il Delponte fu nominato Socio residente di questa KR. Ac-
cademia nel 1867. Fu membro della R. Accademia d’Agricoltura,
corrispondente della Cesareo-Leopoldina Naturae curiosorum, della
Società dei Naturalisti di Cherbourg. Per le sue benemerenze
scientifiche e didattiche fu insignito di alti gradi di più ordini
cavallereschi.
Della sua operosità scientifica fanno fede le numerose pub-
.blicazioni, delle quali aggiungiamo l’elenco in fine. Le principali,
e che gli dànno fama di vero scienziato, sono pubblicate nelle
Memorie di questa R. Accademia.
Aveva il Delponte un ingegno eletto: amava la scienza e
le ricerche scientifiche per sè stesse, perchè erano le uniche sue
| gioie intellettuali, senza la minima preoccupazione di notorietà.
Non sentiva vanità di sorta: invidia, meno che mai. Lavorava
sempre, deliziandosi nello studio delle forme e delle trasforma-
zioni vegetali, senza darsi pensiero che le sue scoperte fossero
divulgate.
E infatti l’opera sua più importante Specimen Desmidiace-
arum, che gli dà un titolo perenne di benemerenza scientifica,
fu pubblicata soltanto per aderire alle prementi insistenze del-
l'illustre De Notaris, che altamente apprezzava il Delponte.
In quest'opera sono descritte e nitidamente figurate ben
175 specie, delle quali 77 nuove. Essa resterà come un capo-
saldo, al quale dovranno ricorrere tutti coloro, che vorranno
occuparsi di queste elegantissime alghe microscopiche.
Il Delponte era estremamente coscienzioso, meticoloso, per
la manìa di perfezionare il suo lavoro; non sapeva mai stac-
carsene, nè dargli il tratto finale. — Ecco il perchè giacciono
inedite due poderose memorie, illustrate da molte tavole, una
20 GIUSEPPE GIBELLI
sulle Zygnemacee, l’altra sulle Pediastreae, e perchè di parecchie
altre restano voluminosi manoscritti, o furono pubblicati soltanto
frammenti. Certo è che chi volesse accingersi ad uno studio
sistematico e morfologico delle Alghe d’acqua dolce del Piemonte,
troverebbe una miniera ricchissima e preziosa di materiali già
vagliati dal bravo Delponte.
Per la sistematica delle Fanerogame sono importanti due
sue memorie col titolo l’una di: Stirpium exroticarum pugillus,
l’altra Un ricordo botanico del Prof. Defilippi, nelle quali si illu-
strano 36 specie, e di queste 7 nuove.
Notiamo anche che insieme al compianto A. Gras aveva
apprestato una ingente copia di materiali per una nuova Flora
Piemontese, ai quali potranno attingere con molto profitto i
volonterosi, che volessero ritentare l’impresa.
Oltre alla passione eminente per la Botanica, il Delponte
ebbe gusto finissimo d’artista per ciò che è bello in tutte le
sue forme. Conosceva a fondo il latino e lo scriveva con ele-
ganza. Era versatissimo nella letteratura del rinascimento ita-
liano e de’ suoi grandi poeti da Dante all’Ariosto. Apprezzava
assai anche i moderni suoi coetanei, meritamente celebrati.
Negli ultimi suoi anni, quando dalla mente gli svanivano a poco
a poco i nomi e i fatti della Botanica, gli restò vivace il ricordo
dei classici latini e italiani; sicchè, ultimo suo conforto, sapeva
deliziarsi declamando a memoria i brani più commoventi del-
l’Eneide, gli eroici canti del Tasso, le sonanti ballate del Prati.
Delponte nel suo cuore ingenuo non ricettò astio per nessuno;
non ebbe nemici; amici pochi ma amatissimi.
Ai genitori fino agli ultimi suoi giorni prestò culto di pro-
fondo affetto. Nella sua camera da letto aveva raccolto entro
una nicchia gli oggetti che di loro serbavano più commovente
ricordo. Morì serenamente contemplando quell’altare del suo
nobilissimo cuore!
n n afiene “
G. B. DELPONTE — COMMEMORAZIONE gl
Indice cronologico delle pubblicazioni di G. B. DELPONTE.
De Polline Plantarum. (Taurini, ex Typis Regiis, 1841).
Elementi di botanica e fisiologia vegetale. — Trad. di Adr. Jussieu con
nozioni preliminari e appendice. (Stamperia Pomba, 1846).
Cenno storico sull’Orto botanico di Torino dalla sua origine sino al 1849.
(Mondo IMustrato, Tom. I, pag. 811, e suppl., pag. 838, con disegni
intercalati nel testo).
Elogio storico di Luigi Colla. (Memorie della R. Accademia delle Scienze di
Torino, Ser. II, Tom. XII, 1850).
Saggio di alcuni esperimenti georgici fatti negli anni 1851-52; letto in
adunanza 16 aprile 1853; stampato negli Annali della R. Accademia
d’Agricoltura, vol. VI.
Catalogo delle piante coltivate nel giardino e nel Parco del sig. Marchese
di Breme. (Torino, 1854).
Stirpium exoticarum rariorum, vel forte novarum, Pugillus. (Taurini, ex
Officina Regia, 1854).
L’Igname Patata coltivata nell’Orto sperimentale della R. Accademia di
Agricoltura di Torino. (Adunanza del 17 novembre 1855).
Sulle Muffe di Valdieri. (Torino, Tipografia Nazionale di G. Biancardi, 1857).
Nuove opere e miglioramenti introdotti nella primavera del 1859. (Estr.
dagli Annali d’Agricoltura. — "Torino, Stamperia dell’Unione Tip-Edi-
trice, 1861).
Sull’Armiscillo della Nuova Granata. (Estr. Reale Accademia di Medicina di
Torino, N. 17, 1862).
Cenno intorno alle principali piante economiche poste a prova nel 1862
nell’Orto sperimentale della R. Accademia d’Agricoltura di ‘Torino.
(Letto nelle Adunanze 17 dicembre 1862 e 23 febbraio e 4 giugno 1868).
Cenno intorno alle piante più notevoli poste ad esperimento nell’Orto
Agrario della R. Accademia d’Agricoltura di Torino l’anno 1856. (Letto
nell’Adunanza del 18 febbraio 1866).
Studi intorno alle piante economiche. Memoria prima, sui Frumenti. (Letta
ed approvata nell’Adunanza del 4 maggio 1867).
Un ricordo botanico del sig. Prof. Filippo Defilippi. (Stamp. Reale, 1869).
Cenno intorno ad alcuni saggi di Cereali e Legumi dell'Orto sperimentale
della Crocetta presentati all'Esposizione Agraria del 1869 in Torino.
(Torino, Tipografia e Litografia Foa, 1869).
22 GIORGIO SPEZIA
Elementi di Botanica. Organografia e fisiologia vegetale colle applicazioni |
più importanti alle Industrie, alla Medicina ed alle Arti. (Stamperia
Pomba, 1871).
Studi intorno alle piante economiche. Memoria seconda: Sui Formentoni.
(Letta ed approvata nell’Adunanza del 16 giugno 1871).
Le piante in relazione colla materia e coll’incivilimento. Discorso pel ria-
primento degli studi nella R. Università di Torino. (Stamperia Reale,
1873).
Guida allo studio delle piante coltivate nelle aiuole di piena terra nell’Orto
botanico di Torino. (Torino, 1874).
Specimen Desmidiacearum Subalpinarum. (Taurini, 1873-77).
Giuseppe De Notaris — Commemorazione di G. Delponte e M. Lessona.
(Torino, Stamperia Reale, 1877).
NB. — Del Delponte sono tutti gli articoli botanici contenuti nella Enci-
clopedia popolare italiana del Pomba.
JAMES DWIGHT DANA
Commemorazione letta dal Socio GIORGIO SPEZIA.
James Dwight Dana, socio di questa Accademia, nacque
in Utica N. Y. il 12 febbraio 1813 e morì a New Haven il
14 aprile di quest'anno.
Le scienze naturali perdettero nel Dana uno di quei cultori
che oggi sono rarissimi, perchè lo sviluppo scientifico, originato
dalla suddivisione del lavoro, permette soltanto ad un eccezio-
nale ingegno di potere estendere le sue investigazioni simulta-
neamente a varii rami della scienza con vantaggio di essa.
Il Dana nella sua gioventù mostrò speciale predilezione per
la chimica e nel 1836 fu assistente al laboratorio del prof. Sil-
liman; ma in pari tempo coltivò lo studio dei minerali e nel
1837 comparve la prima edizione del suo trattato A system of |
mineralogy, il quale doveva rendere il suo nome così popolare .
ed in alta stima fra i mineralogi.
JAMES DWIGHT DANA — COMMEMORAZIONE 23
Nel 1838 poi il Dana ebbe l’occasione di dovere applicarsi
ad altri studi; poichè, chiamato a far parte del viaggio scien-
tifico di esplorazione dell'Oceano Pacifico ordinato dal governo
degli Stati Uniti, non potè a meno di essere attratto dalle inte-
ressantissime osservazioni che in fatto di zoologia e geologia
offrono simili viaggi. E fu dopo tale viaggio, continuato per
circa 4 anni, che il Dana, oltre la mineralogia, coltivò anche la
zoologia e la geologia con risultati così eminenti, che quasi non
si saprebbe ora dire se le scienze naturali debbano piangere la
mancanza di un mineralogo o di un zoologo o di un geologo.
La maggior gratitudine che ogni mineralogo deve al Dana
emerge dal suo trattato A system of mineralogy col quale egli
seppe mantenere la mineralogia col progresso scientifico. Ed uno
dei vantaggi principali di tale opera fu di avere ottenuto che
nella classificazione dei minerali fosse dato posto essenziale ai
caratteri chimici, i quali non erano tenuti in gran conto dalla
generalità dei precedenti mineralisti che seguivano le orme di
Mohs,
Però il Dana raggiunse il suo scopo col riconoscere che il
progresso delle scienze ausiliarie della mineralogia doveva influire
sul cambiamento d’indirizzo dello studio dei minerali; ed egli
stesso che colla prima edizione ammetteva ancora in parte il
sistema di Mohs, riconobbe più tardi che esso non era soddis-
facente. Perciò l’ abbandonava in base ad un principio fonda-
mentale per lo sviluppo di ogni scienza, e che egli esprimeva
nella edizione del 1850 con queste parole: “ Il mutare ha sempre
l'apparenza d’incostanza. Ma il non mutare col progresso della
scienza è peggio, è una persistenza nell’errore ,.
Oltre alla indicata classica opera, la mineralogia deve al
Dana una serie di lavori e brevi studii, i quali, se provano
l’alto valore del mineralogo, dimostrano eziandio come egli vo-
lesse disporre del tempo anche per gli altri studii naturali ai
quali si era pure dedicato.
La zoologia infatti deve annoverare il Dana fra i suoi cul-
tori per una serie di scritti, fra i quali sono dai zoologi ritenute
classiche e dotate di originalità l’opera sui crostacei e quella
sui zoofiti.
Mà se il numero delle pubblicazioni in un dato ramo scien-
tifico può esprimere il maggiore amore che uno scienziato abbia
'
24 GIORGIO SPEZIA — COMMEMORAZIONE DI JAMES DWIGHT DANA
per una scienza, si deve conchiudere che la geologia fu quella
che attirò la maggior simpatia del Dana.
D'altronde chi da giovane era chimico e che poi passò ad
essere eminente nelle scienze mineralogiche e zoologiche, non
poteva a meno di possedere tutte le condizioni scientifiche ne-
cessarie per trattare argomenti geologici di qualsivoglia natura
e con quella sintesi scientifica alla quale difficilmente arriva uno .
specialista assoluto. Per un intelletto poi come quello del Dana,
in cui lo studio delle dette scienze aveva stimolato il pensiero
filosofico delle origini delle cose, era ovvio che la geologia do-
vesse apparirgli come il campo più attraente per l’applicazione
della sua grande sagacia nell’osservare e nel dedurre, massime
che il suo paese presentava ancora moltissimi problemi geologici
degni del suo studio.
Anche per la geologia il Dana credette utile di scrivere un
Manual of geology il quale, se fra i trattati di geologia forse
uon ha il primato che possiede il System of mineralogy fra quelli
di mineralogia, attesta tuttavia come l’autore fosse in magistrale
possesso della scienza. Di speciale importanza sono poi le opere
che hanno per titolo: Corals and coral Island, Characteristies of
volcanoes e The four rocks of the New Haven region.
Oltre tali opere il Dana fornì la geologia di un numero
grandissimo, e molto maggiore di quello degli scritti di mine-
ralogia e zoologia, di studii ed osservazioni, dalle quali risulta
evidente come gli fossero famigliari gli argomenti di stratigrafia,
di paleontologia, dell'origine delle montagne, dei fenomeni gla-
ciali, di oceanografia e del vulcanismo.
Rispetto a quest’ultimo è degno di nota un breve scritto
che porta il titolo di: On the condition of Vesuvius in July 1834.
È un lavoro essenzialmente descrittivo, ma nel quale appare
già il carattere filosofico, di coordinare gli effetti colle cause,
al quale il Dana informò generalmente i suoi lavori geologici;
inoltre ha il pregio, per la geologia italiana, di essere stato il
primo pubblicato in quella numerosa serie di svariati scritti
che onorarono la vita scientifica del grande naturalista ame-
ricano.
TULLIO LEVI-CIVITA —— SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI, ECC. 25
Sull’inversione degli integrali definiti nel campo reale;
Nota di TULLIO LEVI-CIVITA.
In alcune ricerche di analisi pura e in moltissimi problemi
di fisica e di meccanica fa d’uopo invertire qualche integrale
definito. Si può anzi affermare che non v'è ramo della fisica
matematica, in cui non si incontrino difficoltà di questa natura.
Con tutto ciò, per quanto almeno è a mia cognizione, non fu
ancora dedicata a siffatto problema alcuna indagine sistematica;
se ne considerarono soltanto, in causa del frequente loro appa-
rire, alcuni casi particolari, per la cui trattazione furono da
varii autori proposti disparati artifizii.
A tacere di alcune formule di Cauchy, che pur rientrano
in quest'ordine di studii, Abel, per il primo, da taluna ricerca
sul moto brachistocrono venne condotto ad un teorema di in-
versione, che porta il suo nome e che, come mise in chiara
luce il Prof. Beltrami (1), è suscettibile di forme svariatissime,
tanto che ad esso (finchè si resta nel campo reale (2)) quasi
unicamente possono riportarsi i casi di inversione, che gli altri
autori hanno ritrovato.
Molti di questi tuttavia presentano grande interesse per
la questione, che ne vien risolta e basterà ricordare tra i più
notevoli il teorema di Schlomilch (sugli sviluppi in serie pro-
cedenti per funzioni cilindriche di argomenti multipli) e le mol-
teplici applicazioni dello stesso Prof. Beltrami.
Se io non mi inganno, eccedono il teorema di.Abel soltanto
una generalizzazione di esso riportata da Sonine nelle sue “ Re-
(1) “ Intorno ad un teorema di Abel , (Rend. dell'Istituto Lombardo,
ser. II, vol. XIII). — “ Sulla teoria della attrazione degli ellissoidi , (Mem.
dell'Acc. di Bologna, ser. IV, tom. 1).
(2) Nel campo complesso la questione fu già discussa sotto aspetto più
generale da Abel e da Riemann; venne poi recentemente ripresa dal
Prof. Pincherle, dal sig. Hj. Mellin e da me stesso.
26 TULLIO LEVI-CIVITA
cherches sur les fonctions cylindriques , (1) e una breve, ma _
importantissima nota del Prof. Volterra (2), la quale costituisce
forse il primo ed unico esempio di un criterio generale di in-
versione; il risultato è di ricondurre la questione ad altra più
semplice della stessa natura, sì che talora anche riesce di rag-
giungere lo scopo definitivo.
Ciò accade del pari nel presente scritto; esso si informa
(salvo le necessarie modificazioni, dovute alla maggior genera- .
lità delle funzioni, con cui si opera) allo stesso concetto fon-
damentale, che esposi già nella nota “I gruppi di operazioni
funzionali e l'inversione degli integrali definiti , (8).
Il primo $ è destinato a dare il profilo generale di un
metodo, che può condurre alla determinazione di v(y) dalla
formula:
b(2)
u (1) = |f(.y) e) dy,
0(x)
dove u(x) e v(y) si intendono funzioni integrabili e 7(x,y) sod-
disfa ad una equazione lineare a variabili separate del tipo:
quer ( qm_s 7
Vip. Sins Val Sie = 0,
che chiamo equazione caratteristica; i $$ seguenti sono dedicati
alle applicazioni. Io ho considerato esclusivamente il caso che
la equazione caratteristica in f sia del primo ordine, nella quale
ipotesi si può ridursi senza difficoltà alla forma canonica:
b(x)
ufe) = [fl — y) v (y) dy.
a(x)
Il procedimento accennato riesce completamente per due
casi particolari molto interessanti, cioè:
(1) Math. Annalen, B. XVI.
(2) “ Sopra un problema di elettrostatica , (Ace. dei Lincei, Transunti,
Ser. 3°, vol. VIII).
(3) Rend. dell’Ist. Lombardo, ser. II, vol. XXVIII.
SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 27
= (fly) v(Yy) dy e u(x) = [f(a—y) 0) dy (a e db costanti).
Per la prima di queste relazioni, ammessa press’a poco
_ soltanto l’integrabilità della v e della f, immaginando data «(x)
in un intervallo qualunque (ad), assegno una espressione ana-
. litica (cioè formata cogli ordinarii simboli di calcolo) atta a rap-
presentare v(y) nello stesso intervallo; come casi particolari
ritrovo il teorema di Abel e la generalizzazione indicata da
Sonine. Per la seconda formula invece, giungo ad un risultato
utile, soltanto quando la (x) è nota ed integrabile in tutto
l’intervallo (— 00 00).
Quanto alle equazioni caratteristiche d’ordine superiore al
primo, debbo rimetterne lo studio ad altra comunicazione, per
non oltrepassare i giusti limiti della presente.
Spero che nel frattempo mi si offra anche occasione di ap-
plicare lo stesso metodo a qualche problema di fisica.
1. — Data l'equazione:
be)
(1) u(1) = (f(2,y) v(y) dy,
a(x)
dove a(x), b(), f(x, 4), u(x) si suppongono funzioni conosciute
(le prime tre finite, continue e derivabili quanto occorre e la
u(x) integrabile in un intervallo pur dato), il problema di in-
versione consiste nel determinare una funzione v(y) atta all’in-
tegrazione, per cui la (1) riesca identicamente soddisfatta.
Ogni qualvolta la funzione f(x,y), che si può chiamare ca-
ratteristica, soddisfaccia ad una equazione caratteristica a deri-
vate parziali e variabili separate del tipo:
©) AM + 0M}f=0
(40 f= d, », (2) TL , 0m= Va () Lose essendo forme
0
differenziali lineari qualunque in «, y dell’ordine rispettivo n, m :
28 TULLIO LEVI-CIVITA
si può seguire per l’inversione della (1) un criterio direttivo,
che permette in qualche caso di andare in fondo.
Gioverà premettere alcune brevi osservazioni.
Formiamo l’equazione:
(3) {AT — x(1)} u@) = 0,
dove A" è la forma aggiunta a A? e y(t) è una funzione, che
si può scegliere a piacere, di un parametro t; e poniamo:
(0)
(4) ve(y) = |{(2,y) u-(2) de,
2(Y)
essendo ur(x) una soluzione determinata della (3). Sarà:
B(4)
0 + veM=f 19 + x (7,9). ur (0) de + termini
(9)
provenienti dalla derivazione dei limiti.
Ma, in causa della (2): 0!”f(x,y) = — A?°f(x,4), e, per
la definizione stessa di forma aggiunta:
BI) (3(9)
— | A f(,y) . ur (2) da = + | f(x,y) - A'! pu. (x). de + termini
a(4) (4)
ai limiti.
Chiamando complessivamente 9(y,t) i termini fuori dell’in-
tegrale, che sono perfettamente conosciuti, e avendo riguardo
alla (3), si conclude che le funzioni v-(y) definite dalla (4) sod-
disfanno, qualunque sia il valore di t, ad una equazione diffe-
renziale del tipo:
(5) 10 + xMiv= (43,
la quale le individua completamente, purchè le costanti di in-
tegrazione si determinino attribuendo ad y nella (4) valori
particolari.
Ciò posto, riprendiamo l’equazione (1) e integriamo rispetto
ad x fra certi limiti c e d, dopo aver moltiplicato ambo i membri
per una funzione F da determinarsi, dipendente da x e, ove
convenga, da altre variabili ausiliarie 2,tf, ecc.
Lu
e I iii ia
e
4
*
È;
«
E
x
bb
Sd
Si
*
SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 29
Avremo:
d d b(2)
SF.u(de = | Fada . SF) 0) dy.
e a(x)
Supponendo di poter in qualche modo invertire le due in-
tegrazioni rispetto ad x e ad y, la relazione precedente assu-
merà l’aspetto:
d d 8)
(6) SF. u(de= f v(y) dy 1) Fdx.
c 7 a(Y)
Si tratta ora (e a ciò s1 trova ricondotta tutta la difficoltà
della questione) di operare in modo che il secondo membro
della (6) divenga una rappresentazione integrale della funzione
©(y); in tale ipotesi infatti, il primo membro, che potrà riguar-
darsi conosciuto, fornirà l'inversione richiesta.
In generale è noto (1) che:
00 di
fai fYity—2i v(y) dy = v(2) (r<2<d),
o >
essendo v(y) generalmente finita e continua, ed integrabile nel-
l'intervallo (rd) e Y funzione /luttuante.
Se dunque si giunge a conoscere una funzione Y (x, 2, t)
tale che:
B(Y)
{f(x,y) F(x,2,t) dae = Y(t(y—-2)),
4(4)
(1) Hamiron, “ On fluctuating function , (Transaction of the Royal
Irish Academy, vol. XIX, 1848. — Du Bors-Revmonp, “ Ueber die allge-
meinen Figenschaften der Klasse von Doppelintegralen, zu welcher das
Fourier'sche Doppelintegral gehért , (Crelle's Journal, B. LIX, 1868). —
C. Neumann, “ Ueber die nach Kreis-Kugel- und Cylinder-Funktionen fort-
schreitenden Entwickelungen ,, Leipzig, 1881; veggasi in particolare,
cap. 3, $ 6. — Kronrcxer, “ Vorlesungen iber Mathematik ,, Erster Band,
Leipzig, 1894, pag. 77.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 5
30 TULLIO LEVI-CIVITA
basta poi integrare il primo membro della (6) fra 0 e co per
avere una rappresentazione analitica della funzione v.
Ciò vale qualunque sia la funzione caratteristica f(x,9);
l'ipotesi restrittiva da noi introdotta, che essa soddisfaccia ad
una equazione del tipo (2), permette di fare un passo più avanti
e di riportare la questione, che ci occupa, ad altra, se non ri-
soluta, certo più studiata e in qualche caso già nota.
Infatti, dato il sistema di funzioni vr(y) (t=1,2,...,00)
definite dalla (5), dico essere sufficiente per lo scopo nostro che
si sappia sviluppare una funzione assegnata @(y) in serie pro-
cedente per funzioni vr (y) del sistema (6), si possa cioè, per
quanto con restrizioni sulla natura di @(y), porre:
em=Y cv.)
colle C- indipendenti da y.
Per provare questo asserto, si scelga una qualunque fun-
zione fluttuante, che soddisfaccia alle volute restrizioni (ve ne
ha certamente, perchè anzi le forme più note sono addirittura
funzioni analitiche) e si avrà per Y (t(y—2)), risguardata come
funzione della sola y coi due parametri # e 2, una identità
del tipo:
(7) Vity—a)}=Y} Ch) ve).
T
Se quindi si pone nella (6):
(0)
F(a, <, t) Ti le (t, 2) Ur (2),
I
tenendo presente la (4) e la (7), si ha:
_£(0)
JP) fy)da = Y}ty—-d},
aly)
e per conseguenza, in base a quanto si è osservato a proposito
della (6) stessa:
SULL’INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 81
y e
(8). (2) = f dt J >. Cr (t,2) ur (2). u(e) de (1<2<d).
0 e
| Le condizioni di effettiva validità per il procedimento for-
[ male qui indicato sono manifestamente pochissimo restrittive;
Pil discuterle partitamente ci porterebbe molto in lungo con
È scarso profitto, essendo assai più semplice riconoscerle nei casi
: singoli.
Mi pare degna di nota la seguente circostanza: Ogniqual-
. volta i coefficienti dell’equazione differenziale (5) sono analitici
— (il che per es. accade certamente, quando lo sieno le 9.(y),0 (4),
| B(), f(<,y), il problema di invertire la (1) si riduce ad una
questione concreta nel campo analitico, alla sviluppabilità di
una data funzione in serie procedente per funzioni del si-
stema (5) (1).
lodi. init
e 2. — Passiamo ora a considerare con qualche dettaglio
| il caso che l'equazione caratteristica in f sia del primo ordine.
Avremo:
(2)
(9) i UE j f(2,y) v(y4) da
ax)
con:
(10) }A! + OP {f(2,) = po) + ++ Mf=0,
alle quali, ove si ponga:
"ad ° fr Pi(®) 7 da + (al NI) 7
# ; Pol) moi
n= [x day Sal vi (0) » fi(01,1)= f(2,4).e 0405 Yo Io(Y
o)
x pile)
(1) ni s (2, )= aa u(a) . , Seo) E
Y NI) 3
Yo qoly) È
, vi) =). I
(1) Veggansi a tale proposito alcune considerazioni generali utili in
32 TULLIO LEVI-CIVITA
si attribuisce la forma canonica (1):
bi(%1)
u, (23) = ff (211 Y1) v1 (41) dn
A(£1)
Bfosotrodia i
da, si 194
Scrivendo nuovamente , y,....., al posto di x,, Y1;....., ed
osservando che l’integrale generale di Ù + ui = 0 è f(a—y),
le due precedenti equazioni si possono sostituire con:
b(x)
(12) ups Sf — y)v(y) dy,
a(x)
dove f è simbolo di funzione arbitraria.
Finchè i limiti di integrazione a(«) e 5(x) rimangono inde-
terminati, il criterio generale di inversione, indicato nel prece- —
dente $, non si lascia applicare alla (12) in modo da raggiungere
un risultato definitivo; sì possono però trattare esaurientemente —
due casi notevoli (a=cost, 5(x)=x; a,6=cost), che molto spesso 1
si incontrano nell’analisi applicata.
A questi due casi limiteremo il nostro studio, occupandoci
successivamente di determinare (y) dalla equazione;
x
(18) (= ff@—y) v(4) dy,
a
ovvero dalla:
b
(14) ua) = |fle—y) v(v) dy.
a
molti casi, contenute nella memoria del Prof. Pincherle: “ Sopra alcuni —
sviluppi in serie per funzioni analitiche , (Mem. dell’Acc. di Bologna, |
ser. IV, tom. IIL
(1) Con ovvie modificazioni delle (11) si perviene a questo stesso risul-
tato, anche quando py(2) 0 go(y) sieno nulli. è
È SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 33
. La ricerca consterà di due parti: 1° Ammessa l’esistenza
fiera funzione v(y), determinarne una espressione analitica.
2° assegnare per questa espressione le condizioni di effettiva
i validità.
8. — Riferendosi alla (183) (1), suppongasi u(x) atta all’in-
| tegrazione dell'intervallo (a 00), si moltiplichino ambo i membri
della (13) per cos tt (r—e) de e si integri fra a ed 00. Verrà:
feos mi (a—2).u(x) de alora ti (r—-2) da {f(a—y) v(Y) dy,
i od anche, invertendo le integrazioni colla regola di Dirichlet:
f cos tt (r—e). u(a) de = fo (4) dy j ie N) cos mi (e—-2) de.
a a Y
Se nell’integrale interno del secondo membro si assume,
—\A=<x —y come variabile di integrazione e si pone:
(15) Be= fo) cos tt) . di
(16) LEO = (fa) sen tà). d\,
si ha immediatamente:
ei
{cos mi(e—e) u(a) da =
(0 0)
h(t) fcos nt(y—2) v(y) dy — k(0) fsen né (y—2) 07) dy.
(6)
x
(1) Nella (13) si è scritto 5 supponendo, tanto per fissare le idee, a<x;
i risultati, che stabiliremo in appresso si dovranno senz'altro ritenere estesi
anche agli integrali del tipo î (e<b). Basterà infatti scambiare x in —,
yin —y, bin —a, f() in PRI ecc., per essere ricondotti al primo caso.
hi
34 TULLIO LEVI-CIVITA
In modo analogo:
ce ‘
fsen té (e—2) u(x) de =
k(1) fcosmi (y—a) e() dy +10 fsen mt y—a) (1) dy,
da cui, purchè /(#) e X(#) non si annullino contemporaneamente:
514 (eo)
Jcos né (y—e) c() dy = |) = ero aa coi N dr
Integrando ambo i membri rispetto a # fra 0 e 00, qualora
v(y) sia funzione generalmente finita e continua, atta all’ inte-
grazione fra 0 e co e dotata soltanto di un numero finito di
massimi e minimi, o più generalmente tale che le si possa ap-
plicare la rappresentazione integrale di Fourier (1), si riconosce
‘che dovrà aversi generalmente (ciò che basta per il nostro scopo):
See ee
(17) |dt fu (e) 20 SORT
0
(ea ) PRO. a —g)
hO + k(i
dg — (2) EA
h(t) cos tt(r—-2) + K(t) sen né(e—e)
18 di — dei = nc
SE J s 4 ‘e ) n° + k(0° CEE (e0)
‘0 a
Per stabilire queste due formule noi ci siamo appoggiati
alle relazioni:
Mesi
Î f (cy) cosnt(e-2) de =h(t) cosnt(y—2) — k(t) sen nt(y—2),
Y
00
| f(e—y) sen nt(e—2) de =: k(t) cos nt(y—2) + h(t) sen nt(y—2),
yY
(1) D'ora innanzi chiamerò brevemente funzioni di Fourier quelle, che
si possono generalmente rappresentare mediante il noto integral doppio
scoperto da questo autore. Veggasi in proposito: Du Bors-Rermownp, * Die
Theorie der Fourier'schen Integrale und Formeln , (Math. Annalen, B. IV).
+
SULL’INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 35
che si giustificano un semplice cambiamento della variabile di
integrazione; non è tuttavia fuor di luogo il notare come esse
si ritrovino, seguendo il concetto direttivo esposto a $ 1. Ab-
biamo infatti, applicando le notazioni di allora al caso presente
sii A; ur dv ian
ed assumendo x(t) = int: 7 — intu = 0 e dl + intv=0,
ossia v,(y) = g(t)e'7%, la costante g(?) potendosi determinare
00
col fare y = 0 nella: vr(y) = Î f(c—y) (x) de, ciò, che, pren-
Y
Mendo pu,(x) = e'””, dà: g() = (fl) e'?tdx. Ora, se si pone:
‘0
g(t) = At) + ik(t), le funzioni X(t), X(t) coincidono con quelle
0
definite dalle (15), (16) e, scindendo la v, (y) = {f(r—y) Wu (@) de
Y
nelle sue parti reale ed immaginaria, si ottengono le identità:
(0°)
f f(a—y) cos ata. de = h(t) costty — k(t) sen nty
Ù
00
| f(e—y) senta. de = k(t) cos tty +-Hh(t) sen mty,
y
donde agevolmente le due riferite sopra. L’artificio, usato pre-
cedentemente nel dedurle, presenta il vantaggio di non esigere
la derivabilità della funzione f (x — y), che si presuppone invece
nel metodo generale.
Ritenuto ciò, converrà riprendere l’espressione trovata sopra
per v(y) e verificarla mediante diretta sostituzione nella (13).
Finora infatti noi abbiamo stabilito che:
— Se esiste una funzione di Fourier v(y) atta all’integra-
zione fra « e 00, che rende ;f (c—y) v(y) dy = u(2), essendo
«(x) pure integrabile nell’intervallo (@ 00); se la f, risguardata
«come funzione di un argomento ), è generalmente finita e con-
tinua e integrabile in ogni intervallo finito, e se di più hanno
00
significato i due integrali: 4()) = |f cos tE\dX, k(t) =
00 0
1) f(A) sen riXdX e non si annullano contemporaneamente per
()
\ ile
a Dà ì
36 TULLIO LEVI-CIVITA
alcun valore di # compreso fra 0 e 0, — sussiste la duplice
relazione (17), (18), ossia, più comodamente, cambiando «x in 2
e2iny:
17! v h(t) cos tt(-—y) + £(t) senmt(e—y) rar
(7) J fato O ernia) iene a — o) >a)
00 00
} : h(t) cosnt(e—y) + k(9) pa mi(e—-y)
18 dt de =0 -
(181) fat fu teen :=0 y<a)
Reciprocamente importa di ricercare se, per una f, che
soddisfaccia alle condizioni sopra dichiarate, data ad arbitrio
una funzione integrabile « (e ci converrà qui aggiungere di
Fourier) il primo membro della (17') (di cui prescindendo dal-
l'ipotesi preventiva dell’esistenza di v, nulla potrebbe dirsi),
sostituito al posto di nella (13), la renda identicamente ve-
rificata.
Sarà per questo necessario, in conformità a quanto si è
detto sopra, che la (17') definisca una funzione di Fourier e che
sussista la (18'). D'altra parte però, come ora vedremo, queste
condizioni sono anche sufficienti.
Avremo infatti dalle (17’) e (18'). moltiplicandone ambo i
membri per f(x —y) ed integrando, rispetto ad y fra —00 ed x:
h(t) cost (e-y) + K(6) seni (2-1)
fr yy pay=fr e-Maufat fut no + 10 da
Mec) n (1) (fa—y) cos Tt(e—y)dy + (6) Jey) sen Té(et—y) dy
= | t fu (2) = da;
“0 “a h(t)° “E ko
ponendo nei due integrali interni x —y=", e ricordando le
(15) e (16) si ha immediatamente:
{f@—-y) cos tt(e—y) dy = h(t) cos mnt(e—x) — k(t) sen nt (e-2)
= 90
SJf@e-v sen tt(e—y) dy = k(t) costt(e—x) + ht) sen nt(e—2),
SULL’INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 87
— donde segue:
ff@—y) v(y) dy = fat fcos mi(-—2) u(2) de,
0 a
ossia, applicando alla « il teorema di Fourier:
(13) u() = ffl—y) v(y) dy.
In questa dimostrazione, è bene notarlo, non sarebbe ne-
cessaria per v(y) la restrizione d’essere funzione di Fourier, ma
basterebbe la integrabilità; tuttavia noi abbiamo aggiunto, come
faremo anche in seguito, tale restrizione, perchè, ricordando
quanto si è visto al principio di questo $, siamo così in grado
di asserire che quando esiste una soluzione della (13), essa è
necessariamente esprimibile per mezzo della (17) e quindi unica.
L’inversione della (13) offerta dalla (17’) è suscettibile di
una modificazione assai notevole, la quale permette di asse-
gnare la incognita funzione v(y) per valori di y compresi in un
intervallo prefissato (ab), mediante la sola conoscenza dei valori
di u(x) relativi allo stesso intervallo.
Suppongasi infatti data «(x) fra « e 5; si può immaginarne
una estensione fittizia oltre 3, ponendo per es. u(x) = 0, x>d.
La funzione «(x) riesce così determinata in tutto l’intervallo
. (a 00) e vi soddisfa alle condizioni di Fourier: quindi, ogniqual-
x
volta esista una funzione v(y), per cui: {fle—y) v(Y) dy = (x),
(4)
(a<x<0), è fre y)dy =0, (cr > d), sappiamo già che
. dovrà essere:
00 00
fat fu(2) h(t) cos tt(2—y) + K(é) sen mt (-—y) de = v(Y) (y>a)
e, he) + k(0°
) cos mH(e—y) an k(t) sen né(e—-y)
++ =. È d: =0
fas Ù TL I NO (y<a)
‘a
38 TULLIO LEVI-CIVITA
cioè, nel caso nostro:
(e 0)
È h(t) cos tt(e—y) + Klt) sen mét(e-—y)
19 dt de = v >a
(19) | fu Srgmio G>9
co d
> > 0 cos Tt(e—y) + (6) di TE(e—-y) IAC
(20) {dt fule) 10 1 10° de = 0; (y<a)
inversamente poi si prova come sopra che, qualora la (20) sia
soddisfatta e la (19) definisca una funzione di Fourier v(y), essa
e(y), per x compreso fra a e b, verifica la (13).
Noi abbiamo così stabilite le condizioni necessarie e suffi-
cienti affinchè sia invertibile la (13) per una determinata fun-
rione u nota fra a e b e supposta nulla oltre d. Tuttavia può
ancora accadere che, per qualche funzione « data fra @ e 5,
la (19), la quale presuppone l’accennata estensione oltre 6, non
abbia alcun significato, mentre invece esista una ©(y), che rende
soddisfatta la (13). Di ciò daremo un effettivo esempio. nel $
seguente.
Sotto le solite ipotesi vi hanno altresì (e queste presentano
il maggior interesse) funzioni caratteristiche f, per cui la (13)
è invertibile, comunque si assegni la funzione u nell'intervallo
(409): Vediamo in qual modo si possa riconoscere codesta in-
signe proprietà.
Si osservi che, se vu può essere fissato a piacere, dovrà
sussistere la (20), anche prendendo «(2)=0 (a<e<c), u2)=1
(c<2< d), u(2) = 0 (2>d), qualunque sieno c e d. Cid dà:
È 0 cos Ti na + Kk(4) sen ni(e—y)
21 de 0 ,
(21) {de f Steno 2=0 (y<0)
‘0
o se si vuole, eseguendo l'integrazione rispetto a = e tenendo
presente la (19):
O) } sen mi(A—y) — sen mi(c—#}{ — K(£) | costi(A—y)—cos mesi n
mei hO + E°
(4<0).
=
SULL’INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 39
Reciprocamente però, come ora vedremo, la (20) si trova
soddisfatta per ogni funzione « di Fourier, qualora sia verifi-
cata la (21) per una qualunque coppia di numeri c e d maggiori
di a: Sarà questo pertanto il criterio cercato.
Noi ci limiteremo per brevità a considerare nella dimo-
strazione il caso che « sia generalmente finita e continua, in-
tegrabile e senza infiniti massimi o minimi; il risultato si in-
tenderà senz'altro esteso a qualunque funzione di Fourier mediante
il metodo seguito dal Du Bois-Reymond (1).
In primo luogo sia « finita in tutto l'intervallo (08); aven-
dosi ammesso che essa è generalmente continua e dotata di un
numero infinito di massimi e minimi, si potrà scindere l’inter-
vallo (ab) in un numero finito di segmenti tali che entro cia-
scuno di essi sia (=) continua e mai crescente o decrescente.
Dicasi generalmente (Yò) uno di questi segmenti; potremo
scrivere:
fa fue) h(t) cos TH(eT—y) - CRAL sen né (e—-y) d
ht) iv ke ( DI
ni
i
Y (di fut AO care RA sal,
‘0 9 n + k(6)}
In ciascun intervallo (Td), essendo «(2) finita e mai cre-
scente o decrescente e l’altro fattore (trigonometrico) integra-
bile, è lecito applicare il secondo teorema della media, dal che
si trae:
d
Vu È) h(t) cos mt (e a + k(6) a ni(eT—-y) d
vee
. + 0°
;
° h(t) cos né leg) + x(t) sen té(e—-y) i
x (n) J n(tÈ + K( (dì iù
ww
_- G
u(d) RC cos me(e—y) + E() sen ni(e—+)
n° + k(0°
4 \(LZST
A (1) Loco citato.
40 "TULLIO LEVI-CIVITA
e quindi:
{Ge fue) cone E on a), —
0 n° + k(
DS
a
Yut (af n(0 cos neu) + (0 senni(@—3) 7, r°
(0)
y no + (0°
Vu) fasi <F0 ) COS pile + 4(#) sen nt(e—y) di
ho + RO si
dove il secondo membro è nullo in causa della (21), come si
era asserito. Allo stesso risultato si giunge poi anche se la fun-
zione vu, pur mantenendosi integrabile, diviene infinita in qual-
che punto a dell'intervallo (« 8) : infatti, escludendo questi punti a
mediante piccoli intorni (a'a') si può fare in modo che la por-
zione di integrale (20), relativa al complesso di tali intorni, sia
in valore assoluto minore di una quantità e prefissata arbitra-
riamente piccola; dividendo poi l'intervallo totale («8), esclusi
gli intorni (0'a’), in segmenti (rd), si trova, ragionando come
sopra, che i relativi integrali si annullano, quindi il primo mem-
bro della (20) può rendersi in valore assoluto minore di €, per
quanto si scelga piccolo e. Ciò basta per potere, anche nel caso
presente, concludere giusta l’enunciato.
Sarà opportuno riassumere quanto si è trovato finora nel
seguente:
Teorema. — Sia f(M) funzione dell'argomento X finita e
continua in tutto l'intervallo (0 00), integrabile in ogni intervallo
finito e tale che riescano convergenti i due integrali h(t) =
(0.0) 00
(FM cos TEHXdN, k(t) = fo) sen TEX\d\ e non si annullino
‘o ‘0
contemporaneamente per alcun valore finito di t; sia u(x) funzione
di Fourier nell'intervallo (ab); è necessario e basta affinchè, ponendo:
(t) cos ttt ey) + k(t) senmt (e
n} si x (8)
(19) c() = fa fu" ) de (a<y<3),
0
riesca soddisfatta la (13), che:
\ SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 4l
1° Il secondo membro della (19) rappresenti nell'intervallo
(ab) una funzione di Fourier.
2° Sì abbia, per y<a:
(0 0)
b
(20) Sas x (2) h(t) cos TH(e— TEO ZIA ia soa di
hi) + k (0°
La (20) sì trova verificata identicamente, qualunque sia la
funzione di Fourier u(2), le quante volte, per ogni coppia c, d com-
presa fra a e b e per y<a, sussista la relazione:
(21) (a f 10 cos TE (e—-y) + £( = sui mt(e—y) + UTI
% O + kl
Tenuto conto delle ipotesi restrittive da noi introdotte, si ha
ancora, per b=c0 (pag. 15), oppure, per b qualunque, quando sia
soddisfatta la (21): Se esiste una funzione v(y), che soddisfaccia
alla (13), essa è unica e rappresentabile sotto la forma (19).
In sostanza, prescindendo dalla continuità, integrabilità ecc.,
la (20) può risguardarsi come la condizione necessaria e suffi-
ciente per l’invertibilità della (13), qualunque sia .
In modo del tutto analogo (veggasi la nota al principio di
questo $) si stabilisce che, per soddisfare all’equazione:
ul) = {f@—y) 0) dy, (A <#<0),
basta porre:
0
hh {fM) cos THXd\,
[e
— D
(0)
ke (t) = {f) sen T#\d},
00 U)
v(y) = IA Î ne) cos miley) PE Iena) u(e) de,
no) + LO
0 a
purchè si abbia per y > d:
b
(a L ha vi (t) cos dicon + x(t) sen né(e—y) dei 'di-a0ei
no + k(0°
"0 Fa
42 TULLIO LEVI-CIVITA
Come caso particolare si potrà poi fare in queste formule
o nelle precedenti a= 00, o 85= — 00, o insieme a==00, b= —o.
Giova osservare altresì che (quando l'intervallo (ad) è finito)
entrano nella (13) valori della funzione f relativi esclusivamente
all'intervallo (0,8 —a) e che quindi la f stessa potrà essere o
risguardarsi data soltanto in questo intervallo; per la applica-
zione del nostro teorema, basterà poi poterne assegnare una
qualunque estensione fittizia, che ottemperi alle condizioni sopra
enumerate.
4. — Comincio con un esempio, che, se presenta per sè
scarso o punto interesse, mi sembra nondimeno utile illustra-
zione delle cose dette.
Sia f(M) = e> e quindi:
00
E n 1A 1
(15,) h(t) a e cos THXd\ = 1taia:
290 t
DN T
(16,) k(t) #4 CT sen UTANCAN = 1+ ni!
0
le quali non si annullano contemporaneamente per alcun valore
finito di t.
Secondo il precedente $, posto:
1)
00
(19) (9) = (dt fu (2) { cosné(e—y) + né sen nt(e—y)! de,
0 a
(Aa<y< d),
si dovrà constatare in primo luogo se v(y) è funzione di Fourier;
dopo ciò, se si avrà:
SERIO
(20,) (di [u(a) } cosnt(e—y) + misenmi(e—y){ de=0, (y<a),
0 a
la v(y) soddisferà all’equazione:
(13)) ufo) = felMo(y)dy, (a<e<).
a
Perchè le volute condizioni sieno effettivamente verificate,
SULL’INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 43
converrà nel caso presente aggiungere l'ipotesi che la funzione
u(x) si annulli per #=a e per x2=b, sia in tutto l'intervallo
(25) finita e continua e ammetta in ogni punto derivata prima
soddisfacente alle condizioni di Fourier. Avremo allora:
leo) b
| dt J u'() cos nt(e—y)de = u'(Y), (a<y< 5),
0 4
CO) 4
| dt \u') cos mi(e—-y) de = 0, (y<a).
0 a
Integrando per parti rispetto a 2 ed osservando che i ter-
mini ai limiti svaniscono, verrà:
nel 9
j di fu (e). mt. sen mt(e—-y) de = u'(Y)), (a<y< bB),
(0) a
- DANINE
(at u(2).mt.sen ri(e—y)de = 0, (y< a).
0
(e)
Questi valori, portati nella (20,), ove si abbia ancora ri-
guardo al teorema di Fourier, la verificano identicamente, di
più la (19,) diviene:
(19',) o(Y) = u(M) +
e sotto questa forma è manifesto che v(y) sarà funzione di
Fourier.
Alla (19’,) si poteva arrivare più semplicemente in modo
diretto, partendo dalla (13,). Infatti, moltiplicando per e” e de-
rivando, si ottiene: i
d(eu(a)
PERS Mel
da = v(x),
ossia precisamente e(x) = (x) + (x), la quale, come si ve-
rifica subito, purchè sia «(a) = 0, soddisfa alla (13,). È inte-
ressante osservare che in questo modo non occorre affatto
supporre v (5) = 0, mentre prescindendo da tale ipotesi, la
soluzione espressa dalla (19,) perde ogni significato. Ove infatti
il secondo membro della (19,) rappresentasse una funzione ge-
neralmente finita, essendo
ei
44 TULLIO LEVI-CIVITA
b
v(y) = u(y) + p di fu (2). mt. sen né(e—y). de,
a
lo stesso dovrebbe accadere per l’integrale doppio
fa dt fue u(2).mt. sen ti(e—y) de
e, siccome si ha:
00 0)
SA (A fat t fu '(2) cos né(e—y) de,
‘0 a
si dedurrebbe, integrando come sopra per parti, la convergenza di
ee,
u (0) j cos mt ((—y) dt,
0
ciò che è assurdo.
Si ha con ciò un esempio della possibile esistenza di una
funzione di Fourier v(y), che soddisfa alla (13) in un intervallo
finito (1) (ab) e non è rappresentabile mediante l’espressione (20).
Questa circostanza può presentarsi, come risulta dal precedente $,
soltanto per quelle funzioni caratteristiche 7, che non soddis-
fanno alla (21). Qui infatti il primo membro non soltanto non
si annulla, ma non ha nemmeno un senso determinato; segue
in particolare che non si può risolvere la (13;) per una fun-
zione «(x), che sia 1 in un certo segmento (cd) e nulla al
di fuori.
5. — Poniamo, come seconda applicazione, nella (13),
(die L. p essendo compreso fra 0 e 1.
La funzione È è integrabile in ogni intervallo positivo
finito, finita e continua ovunque, eccettuato soltanto il punto 0;
00 \ (0.0) \
cos TÉ sen Ti
AP dh, f AP
di più i due integrali ( di sono convergenti
0
(1) Per un intervallo infinito (400), sappiamo invece che ciò non può
accadere.
SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 45
e non si annullano contemporaneamente per alcun valore finito
di t, poichè si ha, come è ben noto:
0 Di
(15,) ara,
AP mi TA Sn
T
SIERRA I
\P La p°? tp
MS 0
Cia
n
D
DI
E |
-
>
Du
>
’ t>0,
T essendo, al solito, simbolo della funzione euleriana di seconda
specie.
In questo caso, a differenza dell'esempio precedente, la (21)
è soddisfatta.
Il primo membro infatti, svolta la integrazione interna,
assume qui l’aspetto:
mp m entt(d—y) — sen tt(c—y)
rip) sep | me Jr
T Soa mt(d—y) — cos tt(c—y)
COSP 3. fe n dt
0
e, siccome
. ti
f Sen mtld—y| dip E bidet
i tP eten | re
0
00 ca
( cos tt | d—y | fica Falle) | ARA SA
4)
t ri O e Li i
dovendo essere y<a<c<4d, così le relazioni precedenti val-
gono anche togliendo il segno di valore assoluto e quindi effet-
tivamente:
8 6d
(219) Ta; | dt fel sen p «È cos tt (e--y) +
0 c
COS p = sen tt (ey) i de=0, (y<a).
Ne viene che, ponendo:
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 6
46 TULLIO LEVI-CIVITA
6
(195) v(y) = == ST dp fa Sua) {tr sen p 5 A cos ni(2-—y) Ei
cos p + sen tt (e—y) de
purchè sia v(y) funzione di Fourier, necessariamente soddisfa
alla:
(13) u(2) nf dy, (a<x<01).
Per riconoscere in v(y) le dette proprietà e per attribuirle
una forma praticamente più utile, giova aggiungere l'ipotesi
che u(x) ammetta nell'intervallo (ad) derivata integrabile.
Partendoci dalle identità:
00 n
f cos né | :e—-y | a n I
7 t ola eg
0
Tr
f ‘sen mi le—y | de r(i1—-p). 082 7
t e e
‘0
avremo:
00
lp di #( Li i. si
rap) fas (2) COS P3 cos né(e—y) — sen p > Sen it ly) =
(2)
ne peo (e < 9)
0, (@>y)
sen pr
da cui, integrando rispetto a 2 fra @ e 5 ed osservando che nel
primo membro si possono invertire le integrazioni:
- —p i cos p Ò cos T#(2—y) — sen p = sen Tt (e—y)
AN ee
sen pn f 5 aa de, (a<y<D).
Pn
-
SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 47
In quest’ultima formula è ancora lecita (a sinistra) una
integrazione per parti rispetto a 2, ciò, che porge:
nl-P u(0) ( È) cos p î cos té (b—y) — sen p È sen Tt (b—y)
F(1-p) 4 7)
nl? ca (4) a cos p da cos TH(a—-y) — sen p T sen té (a—y)
r(1—p) tP
+00 ò
nl-p
(ip) vi) dt {u(2) La sen p cos tt(e—-y) +
cos p 5 sen té (e—-y) de = sen pr f sl de.
D'altra parte, per essere 5 > y, il coefficiente di (2) è
nullo, mentre il coefficiente di v(a), essendo @ < y, si riduce
sen pr
(ya) 2)
immediatamente a — quindi :
0 db
CALI va ® E i
reo] ? 3 sen p 9 cos Té (e-y) +
a
cos p a sen mt(e—-y) de = sen pr MOLE fa i pu de Ì.
(ya
Confrontando colla (20,) si ricava:
(20) og = RPTI e L tar “e del, (a<y<2),
(ya)? (ya)?
o finalmente, come si può stabilire con un facile passaggio al
limite:
sen pt d
vy) = i Ure da, (a<y<b).
La (20',) costituisce una generalizzazione, del resto già
48 TULLIO LEVI-CIVITA
nota, di un celebre teorema di Abel. Il Sonine (1) le attribuisce
l'aspetto, solo apparentemente diverso, di una rappresentazione
integrale della funzione «; per ricavarla, basta sostituire la
precedente espressione di v(y) nella (13), ciò, che dà:
x x
_senpt,, sen pt (© dy ° u(a)
vela afatiat . EA guar
a
x
dy
a
(2 —-y)P (y— a)?
ci l’integrale | diviene
‘a
Ponendo *—£
Fas
1 1
I = = s?_!1(1—s)!-?-! ds, cioè, per definizione B(p,1—p),
B designando la funzione euleriana di prima specie; ma, per
una nota ARI di queste trascendenti, B(p,1—p) =
sen pt ( di -«
u() — u(a) = all E,
a
che è la forma, cui si alludeva sopra e che immediatamente si
potrebbe ridurre a quella assegnata da Sonine.
Come caso particolare, per p = +. si hanno le due re-
lazioni equivalenti:
cioè il teorema di Abel.
(1) Loco citato; art. 48.
SULL’INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE 49
Per stabilirlo, sì ricorre ordinariamente ad artifici, sem-
plici, finchè si vuole ed eleganti, ma inadatti, per quanto mi
pare, a metterne in luce la vera natura; a ciò risponde forse
il nostro procedimento, che permette di presentarlo quale co-
rollario di una formula generale di inversione, dovuta ad un
criterio direttivo bene determinato.
6. — Veniamo ora al secondo problema, di cui a $ 2, pro-
poniamoci cioè di invertire l'equazione:
b
(14) ul) = ff(e—y) v(y) dy.
a
Il metodoӏ sostanzialmente identico a quello tenuto pre-
cedentemente, quindi mi limiterò ad un rapido cenno, tanto più
che la maggior copia dei dati richiesti lo rendono meno van-
taggioso.
Sieno f (1) ed « funzioni integrabili in tutto l'intervallo
(— 09,00) e si sappia che esiste una funzione di Fourier v(y),
la quale soddisfa alla (14).
Avremo, in seguito a simile ipotesi:
fina ti(e—e)u(a)da = 00) dy fre cos né (a—2) da,
— 90 a — 00
fsen mi(e—2) u(e) de = (0) dy ras sen tt(r—2) de,
— 00 a — 90
donde, ponendo:
(22) Bali (FO) cos TEX\dX
(23) k() = {f() sen nda,
(1) Più propriamente basta rispetto ad f l'ipotesi che sia integrabile
in ogni intervallo finito e che renda convergenti i due integrali A (t) e Xi (t).
50 TULLIO LEVI-CIVITA
e operando come a $ 3, collo scambio di x in 2 e di 2 in y,
senza difficoltà si deduce:
MP a 1(#) cos tt(e—y) + Xi(t) sen nt(e—-y) TOR
(24) no fa" “SIGISTS gal sprgnog ninni de =0;ik (at
h,(t) cos asi) )+ Zi(6) sen nét(e—--y) RATE b
(25) I, fe) ci 2=0(y), (a<y<b)
t) cos nt(e— MA een srt eg SE 5
(26) fa fto TO, de=0, (y>d.
Dunque, se esiste una funzione di Fourier, atta a verificare
la (14), essa è necessariamente rappresentabile sotto la forma
(25); oltre a ciò debbono valere le due relazioni identiche (24)
e (26). Inversamente, se queste relazioni sono soddisfatte e se
la (25) definisce una funzione di Fourier, portandola nella (14),
con riduzioni analoghe a quelle indicate per la (13), si ripro-
duce effettivamente la funzione u(x).
In questo modo non soltanto si è risoluta l’equazione fun-
zionale (14), ma si è anche trovato un criterio per decidere
della sua possibilità.
Il procedimento presenta però il gravissimo inconveniente
di esigere la conoscenza e l’integrabilità della funzione «(x) in
tutto l'intervallo (— 00,00), mentre nelle applicazioni accade il
più delle volte di conoscere la funzione u(x) unicamente nel-
l’intervallo di integrazione (@8).
Si potrebbe bensì ricondursi a questo caso, con una con-
dizione addizionale, come si è fatto nell’altro problema (for-
mula (21)), ma la pratica applicabilità di questo espediente sa-
rebbe ora pressochè nulla. Giova dunque, rispetto alle questioni
di analisi applicata, riservare il metodo per il caso che l’ in-
tervallo di integrazione sia (— 00,00), nella quale ipotesi la
funzione «(x) viene ad essere conosciuta, come è per noi ne-
cessario, in tutto il campo reale; di più le due condizioni (24)
e (26) relative alla possibilità del problema vengono a mancare
e la v(y), definita dalla (25), purchè dotata delle volute pro-
prietà, soddisfa certamente alla (14).
SULL'INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI NEL CAMPO REALE Bl
Quantunque esca dall'ordine di idee, in cui ci siamo posti,
stimo necessario di accennare ancora ad un importante risultato
stabilito dal Prof. Volterra (loco citato) relativamente alla de-
terminazione di v(y) da relazioni del tipo:
(27) u(e) = (f(2,y) v(y)dy, (a<2<),
a
dove i limiti si suppongono costanti e f(x,2) è funzione simme-
trica rispetto alle due variabili x ed y. Il metodo del Prof. Vol-
terra non inceppa nell’inconveniente ora lamentato della necessità
di conoscere «(x) fuori dell’intervallo (a 6), e consiste nel ricon-
durre tutti gli infiniti problemi di inversione, che, al variare
di «(x), risultano dalla (29), ad una questione unica, alla ri-
cerca cioè di una funzione \(x,2) tale che, per a<y<2<5,
{M(y,2) f(€,y) dy riesca indipendente da 2.
Il vantaggio di una tale riduzione si palesa specialmente
in molte questioni elettrostatiche, dove si può a priorì asserire
(in virtù del principio di Dirichlet) l’esistenza della funzione A
e in alcuni casi anche determinarla effettivamente.
Non sarà da ultimo fuor di luogo il notare come, fin dal
primo $, si è qui pure indicato un mezzo per rendere i pro-
blemi di inversione indipendenti dalla natura della funzione «,
supposta nota soltanto nell’intervallo (a6). Basta a tal uopo
trovare una funzione / (x,2,t) tale che, per una conveniente
B
scelta di a,B (a<a<B<5d), [F(,e, t) f(x,y) dx riesca eguale
a Y(t(y—z)) con Y funzione fluttuante.
52 ADOLFO CAMPETTI
Sulla compressibilità dell'ossigeno a basse pressioni;
Nota del Dott. ADOLFO CAMPETTI.
1. — La legge con cui varia il volume di una data massa
gassosa ad una temperatura costante col variare della pressione
(legge di Boyle-Mariotte) è stata oggetto di molti e noti lavori
di Regnault, Amagat etc. ed i risultati sperimentali si presen-
tano come sicuri sino a che la pressione non è molto bassa.
Ma per pressioni assai inferiori a quella di un'atmosfera, le di-
vergenze fra i risultati dei varii sperimentatori sono molto no-
tevoli, di guisa che niente si può affermare con certezza su questo
punto assai importante per la teoria dei gas.
Per dare un cenno storico relativo a quest’ argomento, ri-
corderò che per il primo Siljestròm (*) esaminò il comportamento
dell’aria (tra la pressione di un’atmosfera e quella di 7 milli-
metri), dell'ossigeno, dell'idrogeno e dell’anidride carbonica (tra
un’atmosfera e 18 millimetri), rispetto alla legge di Boyle. Egli
faceva uso di un apparecchio composto di due recipienti metal-
lici comunicanti tra loro mediante un tubo munito di robinetto.
Dopo aver riempiuti i due recipienti di uno stesso gas e misu-
rata la pressione si chiudeva il robinetto, si produceva in uno
dei due recipienti una data rarefazione, poi si apriva di nuovo
il robinetto e si misurava la pressione risultante. Dai dati ot-
tenuti Siljestròm conchiude come probabile (specie per l’aria) che
al disotto di un'atmosfera la compressibilità è maggiore di quello
che porti la legge di Boyle.
I risultati di Siljestròom furono messi in dubbio da Mende-
lejeff (**) che, in seguito a numerose esperienze eseguite in col-
(*) SiusestròM, Pogg. Ann., 151.
(**) MenpeLEJEFF, Comptes Rendus, LXKXXII. — MenpeLEJere et KirpisT-
scHorr, MenpeLEJEFF et Hemirian, Ann. de Chimie et de Physique, 1876.
SULLA COMPRESSIBILITÀ DELL'OSSIGENO A BASSE PRESSIONI 53
laborazione con Kirpitschoff ed Hemilian giunse a conclusioni
perfettamente opposte a quelle di Siljestròm.
L'apparato di Mendelejeff consisteva principalmente di un
recipiente ovoidale contenente il gas, munito inferiormente di
un tubo per il quale si poteva introdurre o togliere del mer-
curio dal recipiente e comunicante con un manometro che ser-
viva a leggere la pressione: il volume si determinava dal peso
del mercurio uscito.
Le esperienze del Mendelejeff però, come anche quelle del
Siljestròom, lasciano luogo a molti dubbi, come osservò l'Amagat (#),
specialmente per quel che riguarda la misura delle pressioni:
sembra infatti impossibile misurare, come si richiede per la va-
lidità dei risultati del Mendelejeff, delle pressioni molto basse
con un errore inferiore a 1/10000 del loro valore, per cui l’Ama-
gat conclude che i risultati così ottenuti debbano considerarsi
come illusori.
Egli poi, adoperando la massima cura nella costruzione del
suo apparecchio (del tipo di quello di Siljestròm) e specialmente
del manometro e di uno speciale catetometro per la lettura del
manometro, arriva alla conclusione che per basse pressioni,
l’aria, l'idrogeno e l’anidride carbonica non si allontanano dalla
legge di Boyle od almeno le deviazioni sono di ordine inferiore
a quello degli errori sperimentali. Le sue esperienze vanno per
l’aria sino a una pressione di 2/10 di millimetro, per l’anidride
carbonica e l'idrogeno solo fino a 2 e 3 millimetri rispettivamente.
Posteriormente Krajewitsch (**) esaminò pure l'elasticità del-
l’aria a pressioni molto basse, cioè fino a circa 3/10 di milli-
metro con un metodo diverso consistente nel leggere con due
manometri la differenza di pressione all'estremità superiore e
inferiore di un lunghissimo tubo verticale contenente il gas ra-
refatto. Egli arriva ad una conclusione perfettamente diversa
da quella di Amagat: e cioè che “ a basse pressioni l’elasticità
“ di un gas si abbassa molto più rapidamente della sua densità ,,
(*) Amagat, C. R., LXXXII. — Ann. de Chimie et de Physique, VIII, 1876.
— C. R., XCV, 1882.
(**) Krasewirsca, J. russ. chem.-phys., XIII e XIV, 1882. — Fortschritte
der Physil, 1882.
54 ADOLFO CAMPETTI
di guisa che il prodotto p. v. della pressione per il volume di-
minuisce rapidamente colla pressione.
Per contro Fuchs (*) con una serie di esperienze molto ac-
curate, trova che l’idrogeno segue sensibilmente le leggi di
Boyle: l’aria e l’anidride carbonica se ne discostano legger-
mente: la minima pressione alla quale egli è arrivato è però
di 250 millimetri.
Nel 1889 Van der Ven (**) cominciò una lunga serie di
esperienze relative alla compressibilità dell’aria a bassa pres-
sione: ed alla fine delle sue ricerche concluse nel senso di
Amagat, vale a dire nel senso che, entro i limiti di precisione
compatibili colle condizioni sperimentali, per l’aria a bassa pres-
sione vale sensibilmente la legge di Mariotte.
Molto interessanti sono le esperienze di Bohr (***) relative
all’ossigeno, eseguite con un apparecchio consistente in due
campanelle graduate rovesciate sopra due vaschette comunicanti
piene di mercurio e delle quali una conteneva il gas da studiare,
l’altra serviva da canna barometrica. Egli arriva alla conclu-
sione che verso la pressione di mill. 0,70 il prodotto della pres-
sione per il volume subisce un rapido cambiamento, quasi un
salto (come se nel gas accadesse un qualche fenomeno moleco-
lare) ed assume un valore minore di quello che aveva prima.
A questi lavori si collegano quelli diretti a determinare il
coefficiente di dilatazione termica dei gas a basse pressioni.
Melander (****) trova che i coefficienti di dilatazione del-
l’aria, dell'anidride carbonica e dell’idrogeno, tra 0° e 100° de-
terminati a bassa pressione variano un poco con questa: il senso
della variazione però non è lo stesso per tutti i gas studiati.
Infine Ramsay e Baly (*****) in un lavoro apparso di recente
si sono occupati pure della determinazione dei coefficienti di dila-
tazione a basse pressioni, e cioè fino a circa un decimo di mil-
limetro, per l'idrogeno, l'ossigeno, l’azoto e l'anidride carbonica.
Essi troverebbero differenze nel coefficiente di dilatazione, sia
(*) Fucas, Wied. Ann., 1888, 3-35.
(#*) Van per Ven, Archiv Musée Teyler, 1890-1891-1892.
(***) Bonr, Wied. Ann., 1886, 1-27.
(****) MeLanpER, Wied. Ann., 1892, XLVII.
(##**) Bary e Ramsay, Philosophical Magazine, 1894, vol. 38.
SULLA COMPRESSIBILITÀ DELL'OSSIGENO A BASSE PRESSIONI 5Ò
tra gas e gas, sia variando la pressione: in particolare il coef-
ficiente di dilatazione dell’ ossigeno mostrerebbe irregolarità
verso 0,70 mill. di pressione.
Riassumendo, si può dire che le esperienze più numerose,
che sono relative all’aria, conducono a conclusioni molto diverse:
tenuto conto però delle condizioni in cui le esperienze sono state
eseguite sembra, almeno per l’aria e per l'idrogeno, che debba
accordarsi maggior fiducia alle conclusioni dell’Amagat e del
Van der Ven secondo i quali, se divergenze vi sono dalla legge
di Mariotte, queste sono dell’ordine di grandezza degli errori di
osservazione.
Mancano invece esperienze per l’anidride carbonica e l’os-
sigeno (se si eccettuino quelle di Bohr) e però mi è sembrato
opportuno di occuparmi di tale questione, anche nell’ intento di
verificare se l'anomalia osservata dal Bohr venisse confermata.
In questo lavoro mi limito alle esperienze relative all’os-
sigeno: se ne avrò opportunità mi occuperò in altro lavoro della
compressibilità dell'anidride carbonica.
2. — A causa delle difficoltà che presentano le esperienze
di questo genere, specialmente per la misura delle pressioni, mi
sono limitato a confrontare il comportarsi dell’ossigeno, con
quello dell'idrogeno facendo uso di due apparecchi gemelli prossi-
mamente uguali, giacché in tal modo molte cause d’errore possono
essere eliminate.
L'apparato adoperato consisteva principalmente di due re-
cipienti di vetro (Vedi Figura) A, A, di forma cilindrica ter-
minati inferiormente in un tubo lungo circa 5 centimetri e su-
periormente da un tubo ripiegato due volte ad angolo retto e
di diametro interno molto piccolo: la capacità di ciascun reci-
piente era di circa 200 cent. cubi.
Ciascuno di questi recipienti era fissato solidamente con
mastice a perfetta tenuta sopra un tubo di ferro B lungo circa
80 centimetri e munito alla parte inferiore di un robinetto C.
I due apparecchi venivano fissati parallelamente sul piatto me-
tallico DD sostenuto da una mensola ben solida: e per evitare
ogni scossa i tubi B erano pure fissati ad un’altra mensola più
bassa. Al disotto dei robinetti C i tubi potevano essere riuniti
alla parte inferiore G dell’apparecchio, stringendo con due morse
56 ADOLFO CAMPETTI
(non indicate nella figura) i piccoli piatti a, è l’uno contro l’altro:
i due tubi E, E comunicano fra loro mediante il tubo infe-
riore F e questo alla sua volta mediante un tubo di gomma
con il recipiente cilindrico H, al quale si poteva fare eseguire
una corsa verticale di più di un metro. Sui tubi di vetro in m
ed » erano tracciati varii segni orizzontali per poter misurare
il volume dell’apparecchio. Per avere una temperatura il più
possibile costante, i due recipienti A, A erano immersi nell'acqua
contenuta in un grosso recipiente di vetro e i tubi B fasciati
con una lista di piombo che andava dall’uno all’altro e difesi dal-
l’irradiazione con una camicia di cartone: del resto la tempe-
ratura nell'ambiente variava lentamente e di pochissimo. Il vo-
lume dei tubi m ed n si determinò calibrandoli con una colon-
netta di mercurio: per il volume dei recipienti A si è proce-
duto così: Riunite le due parti dell'apparecchio, si versava una
quantità sufficiente di mercurio in H e alzando convenientemente
il corsoio che sostiene H si riempivano i vasi A di mercurio
sino ad un dato segno tracciato sul tubo m: poi si chiudevano
1 robinetti C, si staccava la parte inferiore dell’apparecchio. e,
se si aveva avuto cura di non lasciare bolle d’aria, si avevano
così i due apparati pieni di mercurio. Allora con un catetometro
sì prendeva di mira il segno superiore di un recipiente: poi,
dopo aver lasciata effluire una certa quantità di mercurio, si
mirava il menisco del mercurio nel recipiente A e si leggeva
al catetometro la differenza di altezza: ripetendo molte volte
questa operazione e pesando il mercurio raccolto ogni volta, si
aveva una tavola che dava per ciascun apparecchio il volume
interno in funzione della distanza del menisco del mercurio dal
segno superiore. La lettura corrispondente al menisco del mer-
curio si faceva con grande esattezza disponendo dietro il vaso
uno schermo nero superiormente e bianco inferiormente e facendo
in modo che la linea di separazione (orizzontale) delle due parti
bianca e nera superasse di poco l’altezza del menisco. Facendo
in questo modo e ripetendo più volte le esperienze si ebbero
risultati molto bene concordanti, poichè si aveva cura di tenere
il catetometro nella stessa posizione rispetto ai due recipienti.
Questi erano immersi nell'acqua contenuta nel grosso vaso ci-
lindrico e due termometri confrontati con un campione servivano
a indicare la temperatura ed a render sicuri che essa fosse uni-
SULLA COMPRESSIBILITÀ DELL'OSSIGENO A BASSE PRESSIONI 57
forme in tutto il recipiente. Le letture dei volumi si facevano
col mercurio in presenza dell’aria: ora è possibile che la forma
del menisco sia diversa a seconda che il mercurio sì trova in
presenza dell’aria alla pressione ordinaria o dell’aria o di altro
‘ gas molto rarefatto: ma si deve osservare nelle esperienze ese-
guite, che, primo, il diametro dei recipienti cilindrici essendo
molto grande, la forma del menisco ha poca influenza, e in se-
condo luogo i due recipienti contenevano gas rarefatti circa alla
medesima pressione: l'errore dipendente dalla forma del menisco
sarebbe dunque circa uguale in ambedue e non influirebbe sen-
sibilmente sui risultati finali.
Quando i due recipienti contenevano gas rarefatti, la pres-
sione esterna doveva produrre una diminuzione nel volume loro:
di questa diminuzione si tenne conto in questo modo. Si riempì
il recipiente di mercurio sino ad uno dei segni praticati sul
tubo m, poi chiuso il robinetto C si produsse una rarefazione
sopra il mercurio: questo saliva allora nel tubetto e siccome
esso è calibrato, si aveva la diminuzione di volume.
Si ebbe così per uno dei recipienti che chiamerò primo:
Diminuzione di volume per 10 centimetri di pressione esterna
cent. cubi 0,0159 — e per il secondo recipiente 0,0169.
Quanto ai gas da introdurre nei recipienti si preparavano
così. L’idrogeno si otteneva colla solita reazione dell’acido sol-
forico puro su zinco granulato commercialmente puro: il gas
veniva lavato con idrato sodico, poi attraversava due tubi con
pietra pomice imbevuta di nitrato d’argento e di potassa cau-
stica: dopo di che veniva raccolto in una bottiglia sopra acqua
disareata coll’ebollizione: l'ossigeno si preparava dal clorato di
potassa e dopo ripetuto lavaggio attraverso soluzione di idrato
potassico, era raccolto, come l’idrogeno, in una grossa bottiglia.
Il gas, prima di essere introdotto nei recipienti dell’appa-
recchio, attraversava una boccia con acido solforico, poi un tubo
essiccante pure ad acido solforico ed infine entrava in una boccia
ad anidride fosforica, in contatto della quale il gas si teneva
sempre un certo tempo prima di essere adoperato.
Naturalmente si adoperarono tutte le precauzioni necessarie
perchè il gas fosse puro, e perchè i recipienti fossero, come il
gas, perfettamente secchi: a tale scopo si introduceva ripetuta-
mente in ciascuno di essi una piccola quantità del gas secco,
58 ADOLFO CAMPETTI
se ne riduceva con una macchina pneumatica la pressione a
pochi millimetri, poi chiuso il tubo in n si abbassava il livello
del mercurio nel recipiente, ottenendosi così una grande rare-
fazione: questa precauzione è indispensabile anche per distac-
care dalle pareti tutti i gas che possono restare aderenti sino a
basse pressioni. Dopo aver tenuto per più di un giorno il reci-
piente in queste condizioni, si faceva salire di nuovo il mercurio
sino alla parte superiore e allora soltanto si poteva mettere il
recipiente in comunicazione coll’esterno.
Ciò posto, le esperienze si eseguivano così. Introdotta in
uno degli apparecchi una quantità di gas che occupasse solo
un piccolo volume, se ne riduceva convenientemente la pressione,
mettendo in comunicazione la parte inferiore del tubo x con una
macchina pneumatica mediante un tubo di gomma che passava
attraverso il fondo di un bicchierino pieno di mercurio: quando
si giudicava che la rarefazione fosse sufficiente, si abbassava
lentamente il bicchierino; allora si staccava il tubo di gomma
dalla estremità del tubo », la quale perciò restava immersa nel
mercurio, che saliva così per una certa altezza nel tubo stesso.
Si aveva così nell’apparecchio rinchiusa una certa massa gassosa
in contatto di solo mercurio: lo stesso si faceva per l’altro re-
cipiente.
Allora si abbassava il recipiente H fino a che nei vasi A
il gas avesse un volume dai 20 ai 30 cent. cubi: e siccome si
tratta qui solo di confrontare l'andamento dell’ossigeno rispetto
all'idrogeno e non è quindi necessario di avere il valore asso-
luto della pressione con una grandissima esattezza, così si leg-
geva la differenza di livello tra il mercurio nel recipiente con-
tenente l'idrogeno e il vaso H e da questo dato e dalla pressione
esterna si aveva con sufficiente esattezza la pressione a cui si
trovava l’idrogeno.
Leggendo allora la differenza di altezza del mercurio nei
due vasi A ed abbassando successivamente il livello del mercurio,
si può avere, conoscendo il volume, la pressione dell'idrogeno
considerato come normale, da questa dedurre la pressione del-
l'ossigeno e calcolare per esso i prodotti pv.
Nella maggior parte delle esperienze si procedeva in senso
inverso, vale a dire, si abbassava prima il mercurio sino alla
parte più bassa dei recipienti e poi alzando successivamente il
SULLA COMPRESSIBILITÀ DELL'OSSIGENO A BASSE PRESSIONI 59
vaso H si tornava a far salire, eseguendo il numero di osser-
vazioni opportune.
La lettura della differenza di livello del mercurio nei reci-
pienti A poteva essere falsata dalle irregolarità del vetro frap-
posto; a tale scopo si fece una lunga serie di osservazioni,
lasciando aperti i tubi in m ed x e quindi il mercurio alla stessa
pressione, e leggendo il livello nei due recipienti; si costruì così
una tavola di correzione per le letture delle altezze del mer-
curio nei due recipienti; lo stesso si fece per la correzione
delle differenze di livello lette tra il mercurio in H e nei vasi A.
Le esperienze eseguite sono divise in tre serie: le prime
tra 20 e 5 millimetri circa, le seconde tra 5 millimetri e 1 mil-
limetro circa, le ultime fino a qualche decimo di millimetro. In
ciascuna serie, una parte delle esperienze era eseguita ponendo
nell’un vaso l’idrogeno, nell’altro l'ossigeno, un’altra parte in-
vertendo la disposizione.
Quanto all’esattezza e al valore che si può attribuire ai
risultati, osserviamo anzitutto che gli errori che potrebbero
provenire da poca precisa determinazione dei volumi e delle
temperature sono trascurabili di fronte a quelli che provengono
dalle osservazioni della pressione. Che infatti un catetometro
permetta di leggere il millesimo di millimetro, nessuna diffi-
coltà, ma che effettivamente si possa con questo strumento avere
una pressione con un errore minore di 1/1000 di millimetro,
questo non appare probabile; difatti l’Amagat, ponendosi nelle
migliori condizioni, crede di aver ottenuto un’esattezza sino a
1/200 di millimetro; per conseguenza un accordo tra le cifre
ottenute che vada più in là dell’errore di osservazione, a meno
che si tratti di medie di molte esperienze, può indicare piuttosto
che un errore costante ricopre le oscillazioni dovute agli errori
accidentali.
Nelle esperienze seguenti, come si rilevava dalla concor-
danza dei dati numerici, si poteva ritenere certamente che le
differenze di pressione tra i due recipienti fossero misurate a
meno di un centesimo di millimetro; per conseguenza, in ogni
singola esperienza, sarebbe inutile tener conto di un numero
troppo grande di cifre.
I. Serie. — Riporto per intero i dati della prima esperienza :
la prima tabella contiene nella prima colonna il volume del-
60 ADOLFO CAMPETTI
l’ idrogeno nel secondo recipiente, la seconda le pressioni cal-
colate dalla prima, considerando l'idrogeno come normale, la
terza colonna i volumi occupati dall’ossigeno nel primo reci-
piente e la quarta le pressioni cui è sottoposto dedotte dalla
differenza di livello del mercurio nei due recipienti letta col
catetometro, la quinta la temperatura, la sesta i prodotti p ©,
la settima la media dei valori trovati per pv:
Slice ff recipiente ossigeno — 2° recipiente idrogeno.
|
v p V | P t PV | (PV)
20,892 | 23,30 | 26,247| 22,71| 20,7 | 596,0 | 596,0
36,454 | 13,355 | 44,500| 13,39| 20,7 | 595,8 noe
37,329 | 13,040 | 45,550| 13,08 | 20,6 | 595,9 i
| cha |
58,026 | 9,180) 63,116| 9,44| 20,5 | 595,9 Mira
58,972 | 9,020| 64,199| 9,28| 21,0 | 595,8 1
85,355 | 5,705 | 99,109| 6,02 | 20,8 | 5965| 060
87,330 | 5,575 | 101,113| 5,869) 20,8 | 595,5 i
102,160 | 4,760 | 117,874| 5,08| 20,8 | 596,2 sa
104,165 | 4,670 | 119,606| 4,98| 20,8 | 595,6 i
116,928 | 4,160 | 133,882] 4,45 | 20,7 | 5958 | _560
118,478 | 4,110 | 135,584|. 4,40) 20,7 | 596,5 |
Per le altre esperienze, per brevità, trascrivo solo la pres-
sione P e il volume V dell’ossigeno, la temperatura t, i pro-
dotti P V e le medie (PV). I valori di PV sono riferiti alla
prima temperatura dell’ esperienza e le temperature sono qui
SULLA COMPRESSIBILITÀ DELL'OSSIGENO A BASSE PRESSIONI
indicate solo per mostrarne la piccola variazione; osservando
che quand’anche a queste pressioni i coefficienti di dilatazione
dell'idrogeno e dell’ossigeno fossero assai differenti tra loro e
del valore noto 1/273, i nostri risultati numerici non verrebbero
a cambiare, poichè le variazioni di temperatura durante l’espe-
rienza sono soltanto di pochi decimi di grado.
II. — 1° Recipiente O. — 2° Recipiente H.
V P 7 PV (PV)
41,181 14,72 20,0 606,3
605,9
42,140 14,37 19,9 605,5
60,130 10,00 20,0 604,9
605,6
61,186 9,91 20,0 606,3
78,879 7,68 19,9 605,8 e
605,7
80, ,020 (RG) 19,9 605,6
97,665 6,20 | 19,9 605,5
605,5
98,765 6,13 19,7 605,5
116,124 5,22 19,6 605,5
i 606,1
117,124 5,18 19,6 606,6
133,906 4,589 19,4 606,6
605,9
134,806 4,49 19,4 605,3
140,426 4,31 19,9 605,
606,0
141,507 4,29 19,3 607,
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. ti;
62
ADOLFO CAMPETTI
Nelle due esperienze che seguono, l'ossigeno era nel secondo
e l'idrogeno nel primo recipiente:
IM.
Dogi il azar e IRA a toto I
Vv | P | 8 | PV | (PV)
21,850 | 93.76 20,7 | 519,2 | 519,2
34,785 14,94 20,7 519,8 du
36,230 1433 20,7 5192 i
50,714 10,25 20,7 519,7 Ri
52980 981 20,7 519,7
68,218 7,62 20,6 519,8 a
69595 7.46 20.6 5192 i
85,125 6,10 20,6 519,2 49%
85,936 6,04 206 519,0
102,220 5,08 20,6 519,3 suli
103,185 5,03 20.6 5190 i
—i————————————————————————m————————— ——
IV.
v | P T | PV | (PW)
29,893 28,72 20,6 657,4 | 657,4
34,692 18,93 20,5 656,7 ced
35.990 18:30 20,5 658.7
51,780 19,72 20,4 658,6 fi.
59952 12/54 20 4 655,2 i
85,630 7,67 20,4 656,8 Ae
86,612 7,60 20,3 658.2
101,111 6,51 20,3 658,
102,285 6,44 203 658,7 i
114,784 5,73 20,2 657,7 LIRE
118/420 5/56 202 658.4
SULLA COMPRESSIBILITÀ DELL'OSSIGENO A BASSE PRESSIONI 63
II. Serie. — Esperienze al disotto di 5 millimetri.
Le prime due esperienze sono eseguite ponendo l’ossigeno
‘ nel primo recipiente e l'idrogeno nel secondo:
E: LE,
ul pl eee eni vel pi pubew
26,755) 4,57 | 24,9) 122,3) 122,3| 26,880| 24,8) 4,50 |121,0| 121,0
35,155] 3,48 | 24,8| 122,3 34,665) 24,8/3,50 | 121,4
122,5 121,6
36,302|3,88 | , |122,6 36,041| 24,7) 3,88 | 121,8
44,364) 2,77 | 24,7| 122,9 dute 42,459| 24,7| 2,855] 121,2 tas
45,981| 2,68 | , |122,1 || 44,837] 24,6| 2,705) 121,3 xiv
61,058| 2,00 | 24,6) 122,1 62,604) 24,5) 1,940) 121,4
122,2 121,5
62,998| 1,94 | 24,5 122,2 64,114| 24,4| 1,895| 121,5
I |
80,779) 1,515) 24,4| 122,4 80,217|24,3| 1,510| 121,1
122,4 121,1
81,879/1,495] , |122,4 81,767| 24,8| 1,480| 121,0
99,502| 1,230| 24,3| 122,4 99,318|24,2| 1,220| 121,2
129,71 121,2
100,716| 1,220| 24,2) 122,9 100,588] 24,2] 1,205/ 121,2} ©’
117,816| 1,035 4a 122,6 117,688| 24,2] 1,030) 121,2!
' 122,4 121,2
118,524| 1,030| 24,1| 122,1 118,704| 24,1) 1,020| 121,1
64 ADOLFO CAMPETTI
Nelle due esperienze seguenti l'ossigeno si trova invece nel
secondo recipiente e l’idrogeno nel primo:
II. EVE
V Ero PV |PV)| V cri PV |(PV)
25,4| 94,78) 94,78| 21,028] 5,64 |25,2| 118,6] 118,6
28,130|4,22 |25,1
118,7
29,330| 4,05 | 25,0
118,5
118,2
36,232) 2,61 | 25,2] 94,56 36,093| 3,29 | 24,9| 118,7
94,70 118,6
37,336/2,54 | , |94,84 37,216/3,18| , |118,4
52,904| 1,79 | 25,1] 94,69 51,853/2,81 | , |119,7 |
4 94,74 119,3
54,165|1,75| , |94,79 52,835|2,25 |, |118,9
86,124) 1,000) 25,0) 94,74 Sui 86,540 1,38 |24,7| 119,4 1194
87,340| 1,085] 24,9 94,761 ’ || 87,325|1,37 |24,6|119,3 i
102,897 0,925] 24,9) 95,18], jg|102:194| 1,16 | 24,5) 118,6) 18%
103,440] 0,920| 24,8| 95,12/ °°” “|103,880|1,14 | , |118,4| 7°
III. Serie. — In queste esperienze la pressione discende fino
a qualche decimo di millimetro; per conseguenza nei numeri che
dànno il prodotto pv non si può aspettare un andamento così rego-
lare come nelle esperienze precedenti; tuttavia è manifesto che
verso la pressione di 0,70 millimetri il prodotto p v presenta
un salto: nelle tabelle che seguono i valori di p v che presen-
tano questa discontinuità sono sottolineati:
pn
SULLA COMPRESSIBILITÀ DELL'OSSIGENO A BASSE’ PRESSIONI
I. — 1° recipiente ossigeno.
65
II. — 2° recipiente idrogeno.
viPe|t|Pv]om
21,22 | 1,67 | 25,0 35,44| 35,44
28,03 | 1,27 |24,8
28/94 (1,23 | 24/6
35,60
35,60 35,60
35,90 | 1,02 | 24,6] 36,62
37.08 | 0,99 | 24/6] 36,66| 30:04
52,79 | 0,725) 24,5] 38,27
54.15 | 0,710 24/4| 38 44| 33:96
85,84 |0,420| 24,1 36,05
36,73 | 0,410 24,0, 35,54 dali
ui si
26,88 | 1,52
35,79
44,04
45,07
EV
40,86
(PV)
40,86
1,15
0,935
0,915
41,15
41,18
41,25
41,15
61,70
63,64
80,85
82,35
0,630
0,620|2
0,475
0,470) 23,
38,89
9 39,46
38,40
38,72
9| 35,59
,8| 34,89
102,87 | 0,345 2 35,24
103,85 | 0,335):
I
99,70
100,82
0,395
0,390
39,18
39,91
39,25
Nelle quattro esperienze seguenti l'idrogeno sta invece nel
primo recipiente e l'ossigeno di conseguenza nel secondo:
III.
Vv Egli PV | (PW)
Tasti
22,7| 39,00] 39,00
28,00 | 0,95
39,38
36,89
30,48
0,75
0,78
46,38
45,64
63,92
62,59
82,46
81,08
ì po | 66 ADOLFO CAMPETTI
Li Vol pila lp lento vp J
27,51|1,85 |24,3/87,14|37,14| 44,67|1,025|23,3|45,79/45,86 I
48,08 |1,065| , |45,87|/777T
v 43,50 | 0,835) 24,2) 36,16 60,57 | 0,700] 22,2) 42,40
45,06 0,830), |36,50/35:33| 61/950 /685|22/1|42/49|42-t2
68/06 [01590] + |37,80,S282 g110 (0520) 7 | 4012 #199
SURI Dt PAVIA QUA CIO
100,06 [0,860/ — | 8651 9529 /118.27 (01330) 1098) a
Dall’esame delle tabelle precedenti risulta:
1° Tra 25 millimetri di pressione l'ossigeno si comporta
come l'idrogeno rispetto alla legge di Boyle od almeno le diver-
genze sono di ordine inferiore a quello degli errori sperimentali.
2° Al disotto di un millimetro e precisamente ad una
pressione non molto lontana da 0,70 millimetri il prodotto della
pressione per il volume presenta un cambiamento rapido: l’an-
damento appare analogo a quello trovato dal Bohr, da cui ri-
porto una delle esperienze che meglio pongono in luce il fenomeno:
Pressronetett. = 182
1795 179 | 0.8 | 070 | 070 | 062 | 0,48
|
= 36.11 34,029
fe R
pv rr B0 840
30,088 so su sm 85,323
In tutte le esperienze da me eseguite si presenta un cam-
biamento rapido nel valore del prodotto p v: si confronti per
esempio questa tabella del Bohr colla esperienza V: siccome le
5, a
5)
#
dI
È, E
(‘?]
dad
tei
Hi,
(HI
SG
aa
SULLA COMPRESSIBILITÀ DELL'OSSIGENO A BASSE PRESSIONI 67
osservazioni della pressione sono fatte ad intervalli di qualche
decimo di millimetro non in tutte appare completamente l’an-
damento del fenomeno: però in tutte si presenta un anomalia
verso 0,70. E tenendo conto delle esperienze del Bohr e anche
di quelle del Ramsay (1. c.) che, alla stessa pressione trovò
irregolare il coefficiente di dilatazione dell'ossigeno, sembra
molto probabile che questa anomalia debba piuttosto attribuirsi
all’ossigeno che all'idrogeno. Se poi questa specie di disconti-
nuità dipenda da un cambiamento nella costituzione molecolare
del gas, oppure dalla presenza del mercurio e del vetro del
recipiente, le esperienze finora eseguite non sono in grado di
decidere, per quanto la prima ipotesi appaia molto più probabile.
È mia intenzione di confrontare in avvenire, qualora ne
abbia opportunità, l'andamento dell’idrogeno con quello del-
l’azoto e dell’anidride carbonica; giacchè, per il primo le espe-
rienze mancano, per la seconda se ne hanno alcune dell’Amagat,
ma poco numerose ed entro limiti di pressione molti ristretti.
Intanto rendo grazie al ch. Prof. Andrea Naccari che mi
fornì mezzi e consigli opportuni a compiere queste esperienze.
Sulla trasmissione della elettricità da un conduttore all'aria
nel caso di piccola differenza di potenziale ;
Nota del Socio ANDREA NACCARI.
1. Per spiegare la trasmissione della elettricità da un con-
duttore che sia a basso potenziale all’aria circostante si suol
ricorrere principalmente a due ipotesi, che hanno l’una e l’altra
molta verosimiglianza. Secondo una di queste ipotesi servirebbero
alla trasmissione le minutissime particelle solide natanti nel-
l’aria: secondo l’altra, che fu sostenuta specialmente dal Giese (1),
gli atomi dissociati che stanno nel gas, da cui è circondato il
conduttore, hanno parte principale nella scarica del conduttore.
(1) Grese, Wied. Ann., XVII, 1, 236, 519; XXXVIII, 403.
68 ANDREA NACCARI
Finalmente v'è chi ammette che anche le molecole del gas
possano elettrizzarsi. L’esperienze, che descrivo, vennero eseguite
con l'intento di contribuire alla ricerca della vera causa del
fenomeno.
2. Molte indagini vennero fatte sulla dispersione della elet-
tricità. Il Coulomb dedusse dalle sue esperienze che se d è la
densità elettrica superficiale di un conduttore sferico al tempo #,
la quantità
È. dò
7
rimane costante coll’andare del tempo, purchè non mutino le
condizioni igrometriche e la temperatura dell’aria.
Se ne deduce la legge
lo) — do presi
dove è, è la densità superficiale all'origine del tempo. Il coef-
ficiente m di dispersione non dipenderebbe, secondo il Coulomb,
nè dalla natura del conduttore, nè dalla forma, nè dalla grandezza.
Da un giorno all’altro il valore di m fu trovato dal Cou-
lomb molto diverso, il che fu da lui attribuito ad ignoti ele-
menti che esisterebbero nell’aria e sarebbero diversamente atti
a trasmettere la elettricità. Sperimentarono sull’argomento il
Matteucci, il Riess, il Warburg ed altri. Sono particolarmente
notevoli l’esperienze del Warburg (1).
Egli dimostrò che non si possono ottenere risultati con-
cordanti, se non si ha cura che i fili di sospensione, i sostegni
e in generale tutti gli isolanti che sono a contatto con i con-
duttori, sui quali si sperimenta, siano mantenuti a lungo in
comunicazione con corpi elettrizzati in modo che si saturino di
quella stessa elettricità di cui son carichi quei conduttori. Il
Warburg verificò l'esattezza della legge del Coulomb, l’egua-
glianza della dispersione delle due elettricità e il fatto che la
(1) Warsure, Pogg. Ann., CXLV, 578 (1872).
SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 69
dispersione diminuisce quando diminuisce la pressione. Egli
osservò che l’umidità non esercita influenza e che ne esercita
la natura del gas. Nell’idrogeno la dispersione è più lenta che
non nell’aria e nell’acido carbonico.
8. Apparecchi adoperati. — Per avere qualche indicazione
intorno alla causa della dispersione, stimai opportuno verificare
anzi tutto la legge del Coulomb e poi esaminare come la forma,
la grandezza e la natura del conduttore e le condizioni speciali,
in cui esso si trova, influiscono sul valore del coefficiente nume-
rico contenuto nella formula che rappresenta il fenomeno. Nelle
esperienze citate dianzi il conduttore elettrizzato, del quale si
esaminava la perdita di elettricità, era la palla mobile o disco
mobile di una bilancia di torsione. Gli spostamenti dell’asta mobile
della bilancia indicavano le variazioni di stato elettrico. Anzichè
seguir questo metodo tenni sempre distinto il conduttore elet-
trizzato dall’elettrometro e ciò per poter meglio variare la forma,
la grandezza e la capacità del conduttore, per poter avere mag-
giore sensibilità in certi casi e in generale misure più esatte.
Anche altri sperimentatori seguirono questo sistema, ma, du-
rante la trasmissione della elettricità dal conduttore all’aria,
non staccarono l’elettrometro dal conduttore, il che mi parve
necessario per il fine che io m’avevo proposto.
Il potenziale del conduttore veniva misurato con un elet-
trometro a quadranti del modello del Mascart costruito dal Car-
pentier. La pila applicata all’elettrometro era una pila a colonna
del Volta con dischi di carta asciutti in luogo dei panni ba-
gnati. Dopo lunghi tentativi preferii questa pila ad ogni altra,
e ne fui sempre soddisfatto nel corso dell’esperienze. Essa è di
facile costruzione, occupa pochissimo spazio, dura inalterata per
mesi e mesi e si presta anche bene, quando sia opportunamente
costruita, per poter prendere un numero diverso di coppie a
seconda del grado di sensibilità che si vuole.
Per verificare se le deviazionî dell’elettrometro fossero pro-
porzionali alle differenze di potenziale e per caricare i conduttori
mi servii di una pila Daniell di 200 coppie. Ciascuna coppia di
questa era composta di due piccole bottiglie congiunte con un
sifone di vetro molto sottile. Quando gli orli delle bottiglie sieno
rivestiti con paraffina e si aggiunga di tratto in tratto del-
spie
Pi 4 U Ù 5A
70 ANDREA NACCARI
l’acqua nelle bottiglie dove sta lo zinco, la pila si mantiene a
lungo nelle stesse condizioni.
4. Precauzioni relative ai sostegni. — I conduttori adoperati
furono sfere e dischi di ottone: in qualche caso usai un cilindro
di latta. Il solo modo opportuno di sostenere i conduttori mi
parve l’uso di fili di seta quanto più sottili e meno numerosi
era possibile. Verificai che anche con questa disposizione la per-
dita di elettricità per i sostegni non era affatto soppressa. Ad
ottener ciò non trovai altro partito veramente efficace se non
quello che ora descriverò.
Il capo superiore del filo di sospensione venne attaccato
mediante un uncino di rame ad un sostegno di vetro verniciato.
Valendomi d’un’apposita pila io mantenni prima di ogni espe-
rienza e nel corso di questa il detto uncino ad un potenziale,
il cui valore era prossimamente il medio aritmetico fra il po-
tenziale iniziale e il finale del conduttore sospeso. Parecchie
ore prima di cominciare l’esperienze io sospendevo il conduttore
e lo ponevo e mantenevo al potenziale medio sopra indicato,
il cui valore veniva determinato con qualche speciale esperienza
per approssimazioni successive.
Essendo nulla la media differenza di potenziale fra i due
capi del filo nel corso di un’ esperienza, essendo pessimo con-
duttore il filo stesso, e per di più essendo rimasto a lungo prima
dell'esperienza anche il capo inferiore al medio potenziale che
aveva il conduttore durante la esperienza stessa, si può esser
sicuri di eliminare così la perdita di elettricità attraverso il
filo, che è la precipua causa di errore in tali esperienze.
5. Modo di osservare la dispersione. — Il conduttore, su cui
sì sperimentava, veniva portato prima dell’esperienza ad un
potenziale V,. Essendo esso congiunto con l’elettrometro me-
diante un filo metallico isolato, che se ne poteva allontanare
col far girare un sostegno, osservavo quel potenziale, indi sepa-
ravo dall’elettrometro il conduttore e cominciavo da quell’istante
a contare il tempo. Alla fine dell’esperienza osservavo l’elettro-
metro per conoscere il potenziale di questo, poi stabilivo la co-
municazione fra l’elettrometro e il conduttore e osservavo dopo
il contatto il potenziale comune. Conoscendo il rapporto fra la
SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 71
capacità dell’elettrometro e quella del conduttore avevo quanto
occorreva per calcolare il potenziale del conduttore prima del
contatto. La perdita di elettricità avvenuta durante l’esperienza
va interamente attribuita alla trasmissione all'aria, perchè la
perdita attraverso il filo si può ritenere affatto soppressa.
6. Esperienze sulla legge del Coulomb. — Feci molte espe-
rienze per verificare questa legge. Tengo conto soltanto delle
ultime fatte con una sfera collocata entro una campana di vetro
tutta rivestita di stagnola nell’interno. La campana aveva alla
sua sommità un foro del diametro di 5 cm., attraverso al quale
passava un grosso filo di ottone ripiegato ad uncino con una
pallina d’ottone all'estremità. Questa era sostenuta da un filo
di seta. Esaminai in tre serie d’esperienze a qual potenziale si
riducesse il conduttore elettrizzato inizialmente al potenziale
di 43,7 Volta, dopo 30 minuti, dopo 60 e dopo 90. Nelle tabelle
che seguono sono indicati quei potenziali con P39, Peo, Poo-
Po medio Peo medio Poo medio
32,0 23,3 17,9
32,2 23,9 17,5
32,1 23,8 17,6
32,9 24,3 17,9
32,0 23,8 18,5
I rapporti fra i valori Po, Pso Peo, Poo presi ordinatamente
a due a due, dovrebbero per la legge del Coulomb essere eguali
fra loro. Dalle esperienze si hanno per i tre rapporti questi
valori :
1,361 1,345 1,358
Possiamo dunque dire che la legge si verifica con sufficiente
approssimazione almeno per deboli potenziali, come quelli usati
in queste esperienze.
Per potenziali molto più alti (250 Volta circa), mi parve
che i risultati si scostassero alquanto dalla legge nel senso che
le variazioni di potenziale fossero meno rapide di quel che la
legge richiederebbe, ma le difficoltà di misure precise in quelle
condizioni erano tali che non posso asserire la cosa con sicurezza.
o ANDREA NACCARI
Per un dato conduttore possiamo scrivere la legge del Cou-
lomb così:
V = Vo pre
dove V, è il potenziale iniziale e V il potenziale al tempo #.
Se si vuol estendere la formula ad un conduttore qualunque,
il coefficiente a dovrà essere diverso a seconda della capacità
del conduttore e della grandezza della superficie.
Nell’equazione
IN, UAN AL,
da cui la precedente è dedotta, la variazione di potenziale dovrà
essere, a parità di tutte l’altre condizioni, in ragione inversa
della capacità e dipenderà dalla grandezza della superficie poichè
la perdita di elettricità non avviene per altra via. Potranno
influire la forma, lo stato della superficie, la diversa distribu-
zione della elettricità per l’induzione dei corpi vicini ed altre
condizioni ancora, ma potremo assumere come formula da veri-
ficarsi la seguente
dV=— k-g Vdt,
dove % dovrebbe essere un coefficiente costante qualora sul feno-
meno non si esercitasse alcuna delle secondarie influenze testè
accennate, ed S e C sono la superficie esterna e la capacità del
conduttore.
Y. Determinazioni del coefficiente di dispersione per diversi
valori della capacità e della superficie. -- Se si fanno l’esperienze
tenendo il conduttore elettrizzato nell’aria libera, benchè nelle
varie esperienze le condizioni sembrino le stesse, si hanno spesso
dei risultati molto discordanti.
Ecco quelli di alcune esperienze fatte in sei giorni succes-
sivi con una sfera d’ottone del raggio di 10 cm. In ciascuna
esperienza il potenziale iniziale fu 44,7 Volta. Dopo una mezz'ora
il potenziale aveva il valore indicato qui sotto :
-Proe-r "c—go- —m
SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 73
27 Giugno 29,5 29 Giugno 25,3 31 Giugno 25,8
vi Li 27,6 1 5 31,0 7 È 28,9
i, ; 31,2 3 > 23,8 i n 31,4
n È 32,0 3 Ù 24,0 F , 31,8
28 A 30,4 30 da 26,3 1 Luglio 27,6
3 } 81,9 P — 26,2 à È 25,9
È ; 32,4 5 L 27,2 , " 24,0
I 3 34,3 È di 25,8 A £ 28,2
Quando il conduttore stia in un recipiente chiuso o almeno
comunicante con l’aria per una piccola apertura, le discordanze
si attenuano.
L’esperienze delle quali do più innanzi i risultati, vennero
fatte quasi tutte con l’una o con l’altra delle due disposizioni
seguenti :
1° Un cilindro di latta alte 20 cm. circa e del diametro
di 25 cm., posto in comunicazione col suolo, conteneva il con-
duttore da studiarsi. Il cilindro veniva chiuso superiormente con
un coperchio, nel quale erano un foro circolare ed un taglio nel
piano verticale di un raggio del coperchio stesso che permetteva
di applicare il coperchio anche quando il conduttore stava dentro
il cilindro sostenuto dal filo di seta.
2° Una campana di vetro quasi cilindrica con un foro di
5 cm. di diametro alla sommità, del diametro interno di 19 cm.
nella parte cilindrica inferiore, tutta rivestita di stagnola inter-
namente, veniva appoggiata sopra una lastra metallica posta
in comunicazione col suolo. Nello spazio interno doveva collo-
carsi il conduttore attaccato ad un grosso filo metallico, che
| passava attraverso il foro della campana ed era sostenuto da
un filo di seta. Per difendere con maggior sicurezza il condut-
tore dall’influenza della elettrizzazione del vetro, posi entro la
campana un cilindro di ottone del diametro di 17 cm. e del-
l'altezza di 29 cm. aperto superiormente e chiuso al disotto.
Nelle tabelle che seguono indico con C la capacità del condut-
tore entro l’inviluppo, con $ la superficie esterna del conduttore,
con V, il potenziale finale d’ogni esperienza, vale a dire dopo
14 ANDREA NACCARI
trenta minuti dacchè il conduttore fu isolato. Il potenziale ini-
ziale V, fu sempre di 47,0 Volta. Il valore di % venne sempre
calcolato dai dati dell’esperienze con la formula
C logV, — log Vi
80 S log C ;
I valori di C sono espressi in unità elettrostatiche, quelli dei
potenziali in Volta, quelli di S in cm?.
Per ogni determinazione di & riferisco i valori di Vj, dei
quali s’introdusse il medio aritmetico nella formula. Le prime
undici esperienze furono fatte ponendo i conduttori entro il
cilindro di latta testè descritto al n. 1: le altre con la cam-
pana di vetro.
I. 29 V 1893. Disco A di zinco: diam. 21 em.; grossezza 1 cm.;
orlo arrotondato; manico cilindrico metallico del diametro
di 1 cm., lungo 17,5:
C= 17,56 S=825 V,= 36,0; 37,1;38,0 %&=170.1075
II. 30 V. Disco A, sospeso a lungo, filo di rame:
C.19,16,1,9=842, V,. 96,2;85,b5; 99, = 2000008
III. 31 V. Disco A, senza filo di rame:
C= 17,25 S=825 Vi= 35,7; 94,4; 35,5 X=197.107°
IV. 31 V. Disco A più prossimo al fondo:
C.—23% S.= 825 Vi,.= 988,5;..98,8 k= 190207
V. 1 VI. Disco A ancor più prossimo al fondo:
290,4 Si=825:, Va 4325 49,5:/435. | ke 103400
VI. 2 VI. Disco B di zinco; diam. 11,7; altezza 02; manico
lungo 30,5; diam. 0,3:
C= 11,06 S=251 V,= 37,3; 39,1;37,7:39,7 %X=293.1075
VII. 2 VI. Disco di rame €, eguale per dimensioni a B:
C= 10,93 S=251 Vi=37,7; 38,8; 38,6; 39,3. X=283.10-°
SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 75
VII. 3 VI. Due dischi di rame eguali a C infilati sullo stesso
asse, a 1 cm. di distanza:
O— 10,26 S=466: V,=34,8;35,1;87,0;36,2 X=—197.107
IX. 2 VI. Gli stessi dischi a contatto:
i=10,;92 __S=258 .V,==37,5:89,0: 40,0;.39.6. 4—261.107°
X. 5 VI. Disco d’ottone, eguale per dimensioni ad A:
2 920 Via 40/91 09,0: 40,4. kE 10:10"
XI. 5 VI. Disco A, novamente pulito e levigato:
280825 Ve 47049) 049,9 42.074,00 E 19510
XII. 14 VI. Due dischi di rame eguali a €, a contatto, infilati
sullo stesso asse:
C=10,31 S=258 V, = 39,7; 39,5;39,7 k= 22410
XII. 14 VI. Gli stessi dischi alla distanza di 6,5 cent.:
Gi 13/900S SSAUGHOVi=40/£43 38% 40740 "pi 15210?
XIV. 15 VI. Gli stessi dischi a 3 cm. di distanza:
Ge 11,8 S== 4661 Vj:=139;1;/40,43139,8, | L—013h40078
XV. 15 VI. Gli stessi dischi a 1 cm. di distanza:
C= 10,2 S=466 V, = 388,6; 38,6; 38,8. X= 145.107
XVI. 16 VI. Gli stessi dischi alla distanza di 3 mill.:
SANA
XVII. 19 VI. Gli stessi dischi a contatto:
U=12,0 S=258. V;=35,5; 38,6; 37,1; 38,0; 37,9 &=297.107°
XVIII. 22 VI. Disco B:
U*=210,59° S ==" 201" VI ='99,97 198,07 48,0% E = 265.107
XIX. 24 VI. Palla A di ottone; raggio 5 cm.:
U=12,2 S=914" V,=43,5; 40,4; 43,9; 42,0" k =IST.10-
XX. 24 VI. Due palle eguali alla A:
©21 S=638/ 007, 40,64 41/77 41/7" 00p—-149:109
76 ANDREA NACCARI
XXI. 24 VI. Palla d’ottone B; raggio 4,3:
C=11,1 S=252,5 V,=22:438;4330 #W= 438940000
XXII. 28 VI. Cilindro di latta, diam. 6,3, altezza 18:
C—=19,59 S=569 V,=42,2; 41,5; 40,8; 42,0. &=138.107°
Esaminando questi risultati si vede che sono particolar-
mente grandi i valori di 4 dati dalle esperienze VI, VII, IX,
XII, XVII e XVIII. In esse si adoperarono dei dischi che non
avevano gli orli arrotondati ed aveano piccola grossezza. Forse
è dovuto a ciò il maggior valore di %, che si ebbe tanto con
l’inviluppo di latta quanto con la campana.
È vero che quei dischi furono adoperati anche in altre
esperienze che diedero valori di X non molto alti, ma è da
osservarsi che in queste altre esperienze i due dischi non erano
a contatto e che nell'intervallo fra questi lo scarso movimento
dell’aria e forse anche l'andamento delle superficie equipoten-
ziali dovevano contribuire a diminuire la dispersione e a com-
pensare almeno in parte l'influenza degli orli.
Anche il grande valore di % trovato nella II esperienza
può spiegarsi con l’înfluenza del filo di rame usato per la so-
spensione. Fra gli altri risultati merita attenzione quello della V
esperienza ottenuta con un disco di zinco vicinissimo al fondo.
Pare che la difficoltà a rinnovarsi che incontra l’aria tra la
superficie inferiore del disco ed il fondo spieghi questo risultato,
che fu confermato da molte altre esperienze che non ho riferite.
I valori rimanenti di % variano da 115 a 197.10-% e certamente
questa differenza dei limiti è molto grande, ma se si tien conto
della natura del fenomeno e delle varietà delle condizioni, quella
differenza apparirà forse più piccola di quanto si poteva pre-
vedere.
La formula può dirsi verificata entro i limiti di queste espe-
rienze, benchè applicata a conduttori di diversa capacità e su-
perficie.
8. Effetto del pulviscolo dell’aria. — Feci parecchie esperienze
comparative determinando nel modo descritto il valore del coef-
ficiente X con un conduttore circondato da aria libera, ora nelle
condizioni ordinarie, ora mentre dei corpi polverosi venivano
SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 77
derit e battuti in vicinanza. Non osservai alcuna influenza che
si potesse attribuire alla polvere.
Cercai di liberare l’aria dalla polvere per esaminare se poi
avveniva egualmente la perdita di elettricità. Il conduttore stava
dentro un cilindro di lamina d’ottone e sotto la campana di
vetro già menzionata. Spalmai con glicerina secondo il sugge-
rimento del Tyndall le pareti ed il fondo del cilindro perchè la
polvere precipitandosi lentamente vi rimanesse attaccata. Posi
l’uncino di rame, a cui il capo superiore del filo di seta, che
sosteneva il conduttore, era appeso ad un potenziale costante
eguale al potenziale iniziale del conduttore. Così per la via dei
sostegni poteva forse venire qualche minima quantità di elet-
tricità al conduttore, ma questo non poteva perderne. Tenendo
a lungo l’apparecchio nelle condizioni descritte io non mi avvidi
mai che col tempo la dispersione si rallentasse. Parrebbe quindi
che si potesse concludere che il pulviscolo atmosferico non ha
gran parte nella trasmissione della elettricità.
9. Influenza della temperatura del conduttore — Preso un
cilindro di latta con coperchio, lo empii di acqua calda, lo so-
spesi con fili di seta e determinai successivamente il valor di
& con parecchie esperienze alternate quando l’ acqua aveva la
media temperatura di 90° e quando aveva la temperatura ordi-
naria. Non riscontrai differenza sensibile, il che è conforme a
quanto trovarono il Narr (1) e il Giese (2).
10. Influenza dei prodotti della combustione. — Questi, come è
noto, affrettano molto la perdita di elettricità. La sola fiamma
dell’elettrometro produce grandissimo effetto, quando si opera
con un conduttore posto nell’aria libera. Così mentre in tre
esperienze fatte senza alcuna fiamma il potenziale di una palla
sospesa nell’ aria libera da 47,9 Volta scese in 30" a 35,4,
quando invece la fiamma dell’elettrometro rimase accesa, scese
‘in pari tempo a 14,5.
Non si può avere regolarità nell’ esperienze fatte con la
(1) Narr, Wied. Ann., XLIV, 133.
(2) Grese, Wied. Ann., XVII, 529.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 8
1
2
78 ANDREA NACCARI
fiamma accesa, perchè l’azione dei prodotti varia con le correnti.
d’aria che li trasportano a contatto del conduttore.
Ancorchè raffreddati i prodotti agiscono egualmente, purchè
non sia trascorso troppo tempo dacchè la combustione è avve-
nuta. Se si pone una fiamma al di sotto della bocca inferiore
di un serpentino circondato da acqua fredda e si fa che l’estre-
mità superiore stia sotto il conduttore elettrizzato, la perdita di
elettricità viene fortemente accelerata, ancorchè il serpentino
abbia la lunghezza di 2 m. e i prodotti escano affatto raffred-
dati. Ma se si raccolgono in una campana i prodotti della com-
bustione di una fiamma e poi si mandano contro il conduttore,
non si ha effetto alcuno. L’ attitudine ad accelerare la disper-
sione è dunque temporanea e pare legata allo stato particolare
delle molecole e degli atomi, che accompagna la combustione o
le tiene dietro. L'anidride carbonica, appositamente sviluppata,
non produce effetto alcuno; del vapore acqueo si dirà poi.
Fu notato da R. Helmholtz che mentre i prodotti della
combustione agiscono in generale sopra un getto di vapore con-
densandolo e facendone mutare l’aspetto e togliendone la tras-
parenza, una fiamma d’alcool puro, non luminosa, non, produce
tale effetto. Io esaminai se alcun che di simile si verificasse
rispetto alla dispersione della elettricità, ma ebbi un forte au-
mento di questa anche con la fiamma d’alcool, puro non. lu-
minosa.
Esaminai se qualche altro fenomeno chimico producesse un
effetto simile a quello della combustione. Non ne ebbi alcuno
da un getto di ozono e da uno di gaz ammoniaco, che s’incon-
travano un po’ al di sotto del conduttore elettrizzato. Nessun
effetto produce l'ozono solo, nè l'idrogeno appena sviluppato.
Dell’azione del fosforo dissi già prima d’ora (1).
11. Influenza delle punte. -— Una punta metallica applicata
a un conduttore nelle condizioni delle descritte esperienze non
accelera la dispersione.
12. Influenza del movimento dell’aria — Una corrente d’aria,
che vada a batter contro il conduttore, non accelera la disper-
(1) Atti dell’Accademia di Torino, XXIV, 195; XXV, 884.
\
SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 79
sione; anzi talvolta produce un aumento di carica. Che però un.
movimento d’aria. continua e lento agisca accelerando la disper-
sione, è cosa. che risulta. manifesto da un gran numerò delle
mie esperienze, e specialmente da. quelle ch’eseguii nel modo
seguente.
Il disco A già menzionato sopra era sospeso entro un ci-
lindro di latta. Le due basi di questo avevano un foro centrale,
quello di sopra rimaneva sempre aperto, l’altro veniva ora te-
nuto aperto ora chiuso con una lamina di latta. In ciaschedun
caso il valore di V, è dedotto da quattro esperienze fatte nelle
‘stesse condizioni e alternate con quelle fatte nell'altra.
Foro aperto C= 36,9 Vi = 37,7 k =3B2L107
s Chiuso 40,4 42,2 Eg100°
Foro aperto 2228) 2,006V 90) 1 pe SERIO
s Chiuso I 40,3 168.107°
Porofanperio £ —,35,1° Vi. 97,6, ka 9200.107°
s Chiuso ° 4259 LAL1:0;3°
Quest’esperienze dimostrano come il coefficiente di disper-
sione fosse notevolmente più grande nei casi in cui, essendo
aperto il foro del fondo del cilindro, l’aria che toccava la .su-
perficie inferiore del disco, poteva più facilmente moversi e rin-
novarsi.
13. Influenza dei vapori — In una serie di esperienze in-
torno all’influenza delle piccole scintille sulla dispersione (1) io
avevo osservato che i vapori di trementina, di etere e di alcool
attenuavano grandemente l’effetto delle scintille. Esaminai se i
vapori attenuassero anche l’effetto dei prodotti della combustione
e riscontrai che avviene così. Descrivo qui alcune fra l’ espe-
rienze eseguite.
Una piccola fiamma a gas stava al di sotto d’ un imbuto
metallico capovolto, al quale era applicato un tubo verticale di
80 cm. circa. All'estremità superiore di questo era applicato me-
diante un tappo un altro tubo ripiegato orizzontalmente che
(1) Atti dell’Accademia di Torino, XXV, 1890.
80 { ANDREA NACCARI
conduceva i prodotti della combustione ad una piccola bottiglia.
In questa si poneva la sostanza liquida, con i vapori della
quale si voleva che i prodotti della combustione si mescolassero.
Il liquido occupava una piccola parte della bottiglia. Il tubo, di
cui si è detto, entrava, attraversando il tappo, nella bottiglia,
ma non s'immergeva nel liquido. Un altro tubo attraversava il
tappo, diritto, verticale, aperto ai due capi; non s’immergeva
nemmeno esso nel liquido. I prodotti della combustione mesco-
lati con i vapori salivano per esso ed entravano nello spazio
dove stava il conduttore, la cui perdita di elettricità si studiava.
Quando sì voleva che i prodotti giungessero a quello spazio ‘
e non si mescolassero con vapori, si sostituiva a quella bottiglia
un’ altra eguale che invece del liquido volatile conteneva un
egual volume di mercurio e ciò perchè tutte le altre condizioni
dell’esperienze che si confrontavano, fossero eguali.
L’esperienze vennero fatte con una sfera di ottone di 10
cm. di diametro, sospesa mediante un filo di seta lungo 80 cm.
ad un sostegno di vetro e congiunta stabilmente all’elettrometro.
La sfera stava entro un cilindro metallico col fondo forato. Una
campana di vetro rivestita internamente di stagnola circondava
il cilindro. Essa aveva un foro alla sommità, per la quale pas-
sava il filo di seta e il filo di rame che congiungeva la sfera
all’elettrometro. Si portava il potenziale della sfera ad un va-
lore corrispondente a circa 350 divisioni, poi lo si faceva di-
scendere fino a 225, il che nelle condizioni in cui si trovava
allora l’elettrometro corrispondeva a circa 32 Volta. Si comin-
ciava a contare il tempo e dopo 15 minuti si osservava la po-
sizione della striscia luminosa sulla scala dell’elettrometro. Nelle
due figure son posti nella stessa colonna verticale, e nell’inter-
vallo tra due linee orizzontali i numeri spettanti all’esperienze
che si possono comparare direttamente fra loro. Quei numeri
rappresentano il medio spostamento della striscia luminosa per
un minuto. Nell'ultima colonna verticale stanno i valori medi.
La lettera P indica i prodotti della combustione. Così ad esempio
nella prima esperienza con i prodotti soli s'ebbe uno sposta-
mento medio di 3, 4 parti, nell'esperienza successiva fatta con
i prodotti misti a vapori d’alcool 2, 7: la terza fu fatta con i
soli prodotti e diede 3,05, la quarta con Dod misti a vapori
d'alcool diede 2,55:
SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC.
P 3,40
3,05
P + Ale. 2,70
2,55
P 4,00
3,70
P + Etere 3,70
3,50
P 4,81
4,59
P+ Aq. 4,26
4,26
P
P + Clorof.
P
P + Ammon.*
3,90
4,29
3,10
2,90
4,26
3,60
4,46
3,45
3,47
2,95
3,25
2,85
81
medio
3,10 4,01
4,00 Suobi
2,70 4,00 9.99
medio
3,39 3,60 AI ILA
3,33 2,87 3,20 3,45
2,93
2,70 2,60 2,38
2,83 2,40 2,46 2,87
3 medio
5:91 5,27 Iotti
5,76 5,14
5,60 4,98 r
5,31 4,87
| medio
4,47
440 4,26
Si 3,30
medio
5,46
5:53 5,09
Ea:
4,74
4,40 4,44
5,00
È da notarsi che l’acqua usata nell’esperienze aveva la
temperatura di 50° circa. Con l’acqua alla temperatura ordinaria
non si notò alcun effetto. Se si dispongono i medii risultati ot-
tenuti in ordine decrescente, si trova che la massima attenua-
zione dell’ attitudine che hanno i prodotti della combustione
82 ANDREA NACCARI
d’accelerare la dispersione fu prodotta dall’etere, poi vengono
il cloroformio, l'alcool, l’ammoniaca e l’acqua. Ho anche esa-
minato se nell’aria imista ai vapori medesimi ‘(la dispersione
avvenisse più lentamente che non nell'aria atmosferica ordi-
naria. Ho determinato il valore del coefficiente '‘% alternativa-
mente nelle due condizioni, ma non son riuscito a riconoscere
alcun ceffetto costante e sicuro dei vapori.
14. Esperienze nell'aria rarefatta. — Tentai di studiare la
dispersione nell’aria rarefatta. La necessità di chiudere lo spazio
in cui sta il conduttore, rendeva molto difficile l’ottener preci-
sione. Circondai il filo che doveva servire a congiungere il con-
duttore con l’elettrometro e passava attraverso le pareti dello
spazio chiuso, con una sostanza coibente ‘e poi con una guaina
metallica che mediante una apposita pila cercavo di tenere allo
stesso potenziale del conduttore. Speravo così di sopprimere le
perdite di elettricità che non avvenissero per l’aria, ma la so-
stanza coibente posta a contatto di quel conduttore si carica di
elettricità e si comporta in modo da togliere ogni precisione.
Studiai invece qual fosse nell’aria rarefatta l'influenza delle
scintille elettriche. In un tubo di vetro di circa 5 cm. di dia-
metro introdussi due elettrodi di ottone che terminavano in due
dischi piani affacciati l’uno all’altro. Le aste che portavano i
dischi passavano attraverso due tappi di sovero applicati agli
estremi del tubo. Attraverso uno di questi passavano pure due
elettrodi, le cui estremità nell'interno del tubo stavano alla di-
stanza di pochi mill. Dei primi due elettrodi l’uno era destinato
ad essere congiunto con l’elettrometro, l’altro con un polo d'una
pila, l’altro polo della quale era in comunicazione col suolo.
Gli altri due dovevano congiungersi ai poli d’ un piccolo roc-
chetto d’induzione. Un tubo di vetro attraversava pure uno dei
tappi e metteva alla macchina pneumatica. Mediante ceralacca
si chiuse ogni altra comunicazione fra l'interno e l’esterno. Un
disco di rete metallica congiunto al suolo stava fra i secondi
elettrodi e i primi in modo da difendere questi da ogni azione
elettrostatica quando le scintille scorrevano fra gli altri due.
La pila che era in comunicazione con uno dei dischi era atta
a produrre una deviazione di 240 parti circa. Se non scoccavano
scintille, la elettricità non passava da un disco all’altro, se le
SULLA TRASMISSIONE DELLA ELETTRICITÀ, ECC. 83
scintille scoccavano e l’aria era rarefatta, il passaggio avve-
niva, tanto nel caso in cui il disco congiunto alla pila era
positivo, quanto nel caso opposto.
Con la distanza di 1 cm. fra i dischi occorreva ridurre la
pressione a meno di 20 cm. per aver effetti considerevoli. S'aveva
un massimo effetto alla pressione di circa 1 mm.; a pressioni
inferiori l’effetto diminuiva.
Quando vennero posti nel tubo due dischi di cartone che
stessero fra le scintille e i dischi, e fossero alla distanza di 1
cem. circa l’ uno dall’ altro, il passaggio della elettricità fra i
dischi nell’aria rarefatta venne grandemente attenuato, ma anche
in queste condizioni l'influenza delle scintille sulla dispersione
della elettricità tanto positiva quanto negativa apparve manifesta.
15. — Se esaminiamo i risultati delle esperienze descritte
per trarne qualche conclusione in favore dell’ una o dell’ altra
ipotesi, vediamo che in favore di quella che attribuisce la di-
spersione della elettricità agli atomi dissociati sta il fatto che
l’aria resa ad arte polverosa non produce effetto maggiore. Lo
stesso va detto dell’altro fatto che spalmando le pareti con gli-
cerina, e lasciando tranquilla l’aria non si osserva che la di-
spersione si rallenti.
L'azione dei prodotti della combustione, del fosforo, delle
scintille elettriche e dei corpi incandescenti può spiegarsi nei
due modi perchè secondo l’Aitken in tutti questi casi si pro-
duce una gran quantità di pulviscolo e d’altra parte è probabile
che nei casi stessi le molecole dei gas possano venir dissociati.
I vapori attenuano la dispersione prodotta dalle scintille
elettriche e dai prodotti della combustione. Questo fatto mi pare
favorevole all'ipotesi che la dispersione sia dovuta agli atomi
liberi anzichè al pulviscolo, essendo più probabile che la pre-
senza dei vapori diminuisca il numero di questi atomi o li renda
inattivi, anzichè faccia un consimile effetto sopra il pulviscolo.
Dall’insieme di queste esperienze risulta adunque che l'ipotesi
del pulviscolo ha minore verosimiglianza dell'altra.
L’Accademico Segretario
ANDREA NACCARI.
84
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 24 Novembre 1895.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL ACCADEMIA
Sono presenti i Socii: CLarEeTtTA, Direttore della Classe,
Peyron, Rossi, BoLLati DI SAIN-PreERRE, NANI, CrpoLLa, BRUSA,
PerrERO, ALLiEvo e FERRERO Segretario.
Il Presidente commemora il defunto Socio Basso, ricordan-
done i servigii resi alla scienza ed all'insegnamento e le parti-
colari benemerenze verso l'Accademia, della cui Classe di scienze
fisiche, matematiche e naturali fu Segretario. Ricorda le perdite
di Socii fatte dalla Classe durante le ferie accademiche, cioè
del Socio Straniero Enrico Rodolfo GweIsT, dei Socii Corrispon-
denti Enrico von SyBrr, Filippo Linati. Accenna all'opera
scientifica di essi ed annuncia che per suo incarico, il Socio
CrpoLLa nell'adunanza stessa commemorerà il Socio Corrispon-
dente SyBEL, ed affida rispettivamente ai Socii BrusA e CLARETTA
l’incarico di commemorare i Socii Gwersr e Limati in prossime
adunanze. Da ultimo annuncia alla Classe la morte del Socio
Corrispondente Ruggero BoneHI, avvenuta il 22 ottobre scorso,
e nell’impossibilità di rieordarne anche solo in parte gli scritti
e le opere, si limita a commemorare con brevi parole la vasta
85
e mirabile operosità di lui dimostrata negli studii storici, poli-
tici, filologici e filosofici, che di esso ha fatto una delle figure
più spiccate e più geniali nella storia politica e letteraria del
nostro risorgimento.
Fra le pubblicazioni pervenute alla Classe durante le ferie
il Socio FERRERO segnala le seguenti: “ Francesco Bacone alla
Corte d'Inghilterra ,, del Socio Giuseppe ALLievo (Torino, 1896);
“ La moneta ed il rapporto dell'oro all’argento ,, del Socio Cor-
rispondente Cornelio DestmonI (Roma, 1895); “ Friedrich Diez ,,
del Socio Corrispondente Wendelin ForRrstER (Berlin, 1895);
“ La passione în Canavese ,, pubblicata e commentata dal Socio
Corrispondente Costantino NierA in unione col sig. Delfino Orsi
(Torino, 1895); “ Vocabulaire francais-malgache ,, del Socio
Corrispondente Aristide MarRE (Paris, 1895); “ Historia e civi-
lisacao ,, del Socio Corrispondente Antonio pe SERPA PIMENTEL
(Lisbona, 1895); “ Pope's Universal Prayer ,, del Socio Corri-
spondente Sourindro Monun Tasore (Calcutta, 1894).
Il Presidente, a nome dell’autore, prof. Giuseppe ZUccAnTE,
offre le opere: “ Saggi filosofici , (Torino, 1892); “ La dottrina
della coscienza morale nello Spencer , (Lonigo, 1895).
Il Direttore della Classe CLARETTA presenta in omaggio il
volume VI degli “ Atti della Società di archeologia e belle arti -
per la provincia di Torino ,.
Il Socio Segretario presenta una fotografia, donata dal
Prefetto della biblioteca nazionale di Torino, del busto di Gaspare
GoRRESIO, riprodotto in marmo dall'originale posseduto dall’Ac-
cademia e collocato in una delle sale di studio della biblioteca,
riservata, fra altre persone, ai membri dell’Accademia.
Presenta poi l’opera postuma di Enrico BrancH®erTI: “ /
sepolereti di Ornavasso , (Torino, 1895), di cui fa dono la vedova
dell’autore signora Clara BIANCHETTI-SELLA.
Il Socio Segretario informa che l'Accademia è stata rap-
presentata dal Socio BoseLLi al VI Congresso storico italiano,
86
riunitosi in Roma nel passato settembre, e presenta gli ordini
del giorno approvati dal Congresso e mandati dalla Presidenza
di esso. Comunica pure l’invito diretto all'Accademia di farsi
rappresentare all'XI Congresso degli americanisti a Messico.
Il Socio CreoLLa legge una commemorazione del Socio non
residente Cesare Cantù e del Socio Corrispondente Enrico von
SyBEL, che è pubblicata negli Attì accademici.
È presentato un lavoro manoscritto inviato per la stampa
dal signor Giovanni FrIGERI ed intitolato : “ La filosofia di Gio-
vanni Pico della Mirandola ,. A riferire intorno ad esso in una
prossima adunanza sono delegati dal Presidente i Socii PeyRoN,
Brusa ed ALtLievo.
Il Socio Segretario legge una nota del Socio Corrispondente
prof. Elia LamttES: “ Il vino di Naxos in un'iscrizione preromana
dei Leponzii in Val d’Ossola ,, ed un’altra del prof. Carlo PascaL:
«“ L'iscrizione sabellica di Castignano ,. Queste note sono inse-
rite negli Atti.
Il Socio CipoLLa presenta un lavoro manoscritto del Dot-
tore Luigi ScHIAPARELLI: “ Le origini del comune di Biella ,,
di cui l’autore desidera la pubblicazione nelle Memorie acca-
demiche.
Il Presidente delega il Socio presentante ed i Socii BoLLATI
pI Saint-Pierre e PerRERO a riferire intorno a questo lavoro.
—————C—_TC_“—— ((TT---_-
CARLO CIPOLLA — CENNI COMMEMORATIVI, ECC. 87
LETTURE
CESARE CANTÙ ed ENRICO von SYBEL
Cenni commemorativi del Socio CARLO CIPOLLA.
La morte ci tolse nell'ultimo anno accademico e nelle ferie
testè trascorse due dei nostri soci più illustri, Cesare Cantù ed
Enrico von Sybel. Morì il primo, addì 11 marzo 1895 a Milano.
Tl 1° d'agosto mancò ai vivi il secondo. L’uno e l’altro furono
scrittori fecondissimi, ma solo delle principali loro pubblicazioni
mi sarà dato di far cenno, commemorando oggi brevemente la
memoria venerata dei due grandi storici.
Il Cantù morì vecchissimo. Nato addì 8 dicembre 1804 a
Brivio, nella provincia di Como, aveva celebrato pochi mesi
prima di morire, il suo novantesimo anniversario; in quel dì di
festa era contornato non solo dai suoi ammiratori, ma da uno
stuolo di fanciulli, suoi piccoli amici. Il Cantù amò sempre la
compagnia ingenua dei fanciulli, quantunque nel suo spirito ci
fosse qualche cosa di sdegnoso; ma il suo sguardo si rassere-
nava, quando egli lo posava sui fanciulli o sui fiori.
Festeggiavasi l’ultimo suo anniversario, quando la N. An-
tologia pubblicò un articolo del Cantù sul viaggio del Montes-
quieu in Italia. Quel vecchio vigoroso volle morire colla penna
in mano, volle eseguire fino all’ ultimo il programma di lavoro
ch'egli stesso si era tracciato nel 1874, commemorando nell’ Ar-
chivio Storico Lombardo il Guizot. Egli vi lodò il grande storico
francese per molti rispetti, ma un encomio speciale gli tributò
per la tenacità nel lavoro, continuato senza riposo sino all’ul-
tima vecchiaia. E additò ai giovani nel Guizot un alto esempio
da imitare. Non minore esempio lasciò a noi il Cantù in sè
medesimo.
Il Cantù dovette tutto a se stesso. Rimasto orfano in gio-
vanissima età, assunse l’educazione dei fratelli, tra’ quali Ignazio
levò di sè bella fama, come scrittore. Cesare Cantù insegnò
dapprima a Sondrio, poi a Como, poi a Milano. Lasciò quindi
88 CARLO CIPOLLA
i pubblici officîù per dedicarsi tutt’intero alla storia, e per con-
servare integra la libertà della parola. Ai primi suoi anni risale
il poemetto Algiso e la Lega Lombarda, che poi ristampò nel-
l'età più tarda (1880). In quel poema, abbellì la storia colla
veste della poesia, e quale letterato si schierò tra .i romantici.
Non fu nemico alle rime anche nell’età inoltrata, quantunque
questo non fosse il suo campo: scrisse un inno alla Croce, che
recitò pur sul letto di morte.
La sua vera strada la trovò peraltro assai presto e nel 1829
pubblicò il primo volume della Storia di Como, di cui il secondo
vide la luce nel 1831. Con questa monografia, il Cantù tentò
un metodo nuovo, svincolandosi dal legame annalistico al quale
avevano obbedito gli imitatori dell’incomparabile Muratori. La
tela su cui si svolge la storia, lo si capisce, è sempre la cro-
nologia; nè è possibile fare diversamente, che seguirla con di-
ligenza. Ma non per questo è in tutti i casi necessario di ri-
durre la storia ad annali. Il Cantù raggruppa i fatti della
storia Comasca secondo l’ordine logico, e alla narrazione delle
battaglie e delle vicende politiche, annoda la esposizione di
quello che riguarda il costume, la letteratura, le arti, il com-
mercio, l'industria, la legislazione. Di tutto ciò egli si giova
per costituire un complesso saggiamente ordinato, e per com-
porre un libro vivo, scritto con efficacia e calore. Nella prefa-
zione al secondo volume, dice che egli si era deciso a dedicarsi alla
storia quando giunsero a lui le memorande parole del Foscolo:
“0 Italiani, io vi esorto alla storia. , Se trasse l'ispirazione
dal brano di Foscolo, che comincia con queste parole, si com-
prende come per lui la storia non potesse essere una fredda
narrazione di ciò che è avvenuto, ma dovesse essere uno studio
psicologico e politico dell’uomo in genere, e in particolare del-
l'italiano. I tempi nei quali il Cantù viveva, non chiedevano di
meno. Nella Storia di Como il Cantù manifestò i più bei pregi
della sua mente. Egli vi espose le vicende della sua città sopra
lo sfondo della storia italiana, e questo sfondo è tutto origi-
nale, e dimostra nell’autore, ancora così giovane, una erudizione
incredibilmente vasta. A lui non isfuggono le più disparate
questioni, ed è bello il vedere (vol. I, p. 167) com’egli additi
lo studio delle lingue, quale una disciplina promettitrice di larghi
risultati scientifici. Eppure correva il 1829 e Federico Diez non
CESARE CANTU’ ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 89
aveva allora che 16 anni! Il Cantù si rivolge al popolo, e nega
che la Storia debba ridursi a celebrare la gloria di chi comanda,
ma vuole che essa cerchi “ quanto fossero felici i popoli, quanto
ai godimenti ed alle speranze del cittadino giovasse la gloria
dei capi , (vol. I, p. 18). Dichiara (I, 19): “ L’imparzialità, la
verità poi furono sempre la mia mira ,. Sdegna le opinioni cor-
renti, quando le trova destituite di prove; lo dice e lo fa,
siccome avviene, p. e., dove (I, 296-7) combatte il Sismondi nello
assegnare le cause dell'origine dei Comuni. In materia così grave,
il Cantù, sottrattosi completamente alle influenze della scuola,
precorre, con felice intuizione, alcune moderne ricerche, e al-
l'iniziativa popolare attribuisce direttamente l’origine dei nostri
Comuni.
Quantunque appena pochi anni fossero passati dal trattato
di Vienna, già romoreggiava la burrasca, che poneva in peri-
colo il governo Austriaco in Lombardia. Il Cantù agognava
l'indipendenza, e il governo Austriaco non s’ingannò del tutto
sospettando di lui. Nella Storia di Como (I, p. 292) avea ac-
cennato alla “ libertà d'Italia ,; i suoi scritti, che si segui-
vano con foga incredibile in quegli anni, accrescevano fama alla
persona e autorità alle sue parole. Il Cantù poteva essere pe-
ricoloso al governo, e quindi fu chiuso in carcere, dove restò
dal novembre del 1833 all’ottobre dell’anno seguente. I carce-
rieri gli sottraevano i mezzi di scrivere, ma egli — si narra —
usando di uno stuzzicadenti per penna, e del fumo per inchio-
| stro, compose in prigione il suo celebre romanzo storico (mo-
dellato quanto alla materia storica sul Marco Visconti, quanto
alla individualizzazione dei caratteri, sui Promessi Sposi) Marghe-
rita Pusterla. Egli si rivolgeva dunque ancora una volta al po-
polo, nè a far ciò aveva uno scopo puramente letterario.
Stigmatizzando le crudeli azioni dei Visconti, velatamente par-
lava dello stato delle cose nei tempi suoi (1). Liberato dal car-
(1) Mio fratello Francesco richiamava di questi giorni la mia atten-
zione su questo passo della Conclusione. Il Cantù dopo avere accennato
l’alternarsi delle dominazioni passate sopra Milano, scrive così: “ Nessuno
ignora le vicende che da quel punto (da quando cioè l’imperatore donò
Milano ai Visconti) corse il ducato, ora preda degl’ingordi, or rapina dei
prepotenti, ora trastullo degli scaltriti, ora dote di donne, come i mobili
90 CARLO. CIPOLLA
cere, si sottopose ad un lavoro così immane da spaventare ogni.
cuore meno gagliardo del suo. Il Pomba, che allora dava. vita.
a Torino. ad una potente propaganda letteraria, a mezzo della.
tipografia da lui fondata, offerse al giovane Cantù l’incarico di
scrivere una Storia Universale. Oggidì questo nome di. Storia
Universale non giunge a fare sopra di noi quella impressione,
che doveva produrre sessant'anni or sono. Di Storie di tal fatta
abbondiamo, fatte più o meno bene. Ma allora la. preparazione
era scarsa.
La Storia Universale del Bianchini fu una intuizione. ge-
niale, ma non fu quello che il titolo poteva far. supporre. La
Storia universale scritta da una compagnia di letterati inglesi
ebbe diffusione anche in Italia, mercè la versione, che se ne
cominciò a Venezia sino dal 1765. È un’opera colossale, abbon-
dante di erudizione, straricca di notizie. Ma è inorganica. (Gli
autori cercarono piuttosto di accontentare la curiosità del lettore,
che di nutrirlo di cibo sostanzioso. Troppa parte vi si dà alla
storia malsicura di certi periodi vetustissimi, e di nazioni lontane.
Il medioevo e il rinascimento sono periodi quasi affatto tras-
curati. Nella storia moderna, predominano quelle parti che
hanno interesse diretto per l'Inghilterra. Bisognava adunque che
il Cantù si formasse egli un concetto nuovo, e che lo colorisse.
Era un'impresa da spaventare chiunque. Eppure ‘egli non. esitò,
e la pubblicazione principiata nel 1838 ebbe il suo compimento
nel 1846. La Storia Universale, in prima edizione, consta di 35
volumi.
In un’opera di così immensa comprensione sarebbe ingiu-
stizia l’andar discutendo sopra alcuni particolari. Bisogna consi
derarla nel suo insieme grandioso. Infinite questioni egli propone
e discute; non tutte le scioglie. Egli nè voleva, nè poteva pro-
nunciare l’ultima parola su tutte le questioni storiche. Ma volle
e potè scrivere un’opera immensa, che diede una potente scossa
al pensiero italiano; fu tradotta nelle lingue più dotte, e non una
volta soltanto, e così lasciò profonda traccia di sè anche presso gli
stranieri. Il Cantù non si limitò in questo libro alla nuda nar-
e le mandre, finchè traverso a lunghi e indecorosi dolori, potè arrivare a
quel riposo e a quella felicità che ciascuno vede ,. Comincia col rimpro-
vero, termina coll’ironia.
CESARE CANTU’ ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 91
razione dei fatti vincolati l’uno all’altro dalla sola ragione cro-
nologica. Egli si propose di scrivere la storia dell'umanità,
considerata nella sua unità e come una sola famiglia. Nè ri-
guardò la storia coll’occhio di Democrito, che il mondo a caso pose,
ma la considerò siccome la realizzazione del pensiero divino.
Così tale Storia assunse un carattere tutto suo proprio, e risultò
un’opera filosofica e letteraria ad un tempo. Quelle non furono
pagine morte, pregevoli solamente per l'abbondanza dell’erudi-
zione. Sono invece pagine animate sempre da un pensiero supe-
riore, che mantiene sollevata in alto la mente di chi legge, e che
di continuo ne conforta l’animo. Non è il nulla, ma è per contro
un santo ideale, lo scopo a raggiungere il quale l'umanità lavora,
e per il quale patisce. Di qui il valore morale di. quest'opera, di
qui eziandio la ragione precipua della efficacia che essa esercitò.
Dissi ragione precipua, non unica; perchè la Storia Universale,
considerata anche soltanto sotto il rispetto dell’erudizione, ebbe
una grande azione sull'indirizzo intellettuale italiano, e ridestò
tra noi l’amore agli studi storici. Una sintesi, così larga, così
potente, destava il desiderio di nuove analisi, apriva nuovi oriz-
zonti agli studi, svelava i punti più interessanti e fino allora
meno chiariti.
Il Cantù associò la storia politica alla religiosa, alla lette-
raria, alla scientifica, anzi non solo avvicinò queste materie tra
loro, ma in certa guisa le fuse assieme, coll’intento di mostrare
come una agisca sull’altra. Colla prova del fatto, egli dimostrò
ingannarsi coloro i quali intendevano la storia nel puro e sem-
plice significato politico o militare. Mantenne pertanto anche
in questo lavoro quel sistema che aveva adottato per la Storia
di Como. A ciò fare lo induceva un concetto, che gli fu diret-
tivo in ogni suo libro storico, e che egli ripete di sovente con
vera compiacenza. Per lui la storia non si riduce alla biografia
dei grandi, ma deve tener conto anche del popolo. Educato,
com’ egli scrive, ad una scuola che disprezzava, per opinione
preconcetta, l’età media, egli “ si svincolò delle false opinioni
che aveva imbevute nella sua giovinezza ,, poichè dinanzi al
duomo di Milano, a S. Marco, a S. Maria del Fiore, comprese
che degna di studio e di rispetto era stata l'epoca delle “ munici-
pali libertà ,. Restituì il medioevo all’onore dovutogli, ma peraltro
senza costituirlo come un punto, verso il quale l’umanità debba
92 CARLO CIPOLLA
retrocedere. Anzi egli disse: “ il nostro non sarà mai un culto
d’idoli quatriduani ,. L'effetto che egli si propose, l’ottenne con
maggior efficacia introducendo a grandi intervalli alcuni discorsi
nei quali scolpisce il carattere della storia dell'umanità in ge-
nerale o quello di alcuni dei suoi periodi. Il discorso sul medioevo
mi sembra il migliore, per densità di pensiero, per varietà di
argomenti trattati, per schiettezza di forma.
Il Cantù non abbandonò il massimo prodotto del suo in-
gegno, ma andò ritoccandolo mano mano che di esso si rendevano
necessarie nuove edizioni. Nel 1884 ne imprese l’ultima, alla
quale attese, con giovanile perseveranza, nell’ultimo decennio
della sua vita, e potè godere il compiacimento di vederla finita.
Dopo di lui, Giorgio Weber pubblicò la sua Storia del mondo
il cui primo volume uscì nel 1857, e l’ultimo nel 1880. La co-
ordinazione della materia, non dico nei particolari, ma nel su-.
premo principio direttivo, è abbastanza simile a quella del
Cantù. Naturalmente il Weber fa poca parte alla storia italiana.
Leopoldo Ranke ebbe un pensiero affatto diverso, e non mantenne
la dovuta proporzione tra le diverse parti dell'immensa sua
opera. Non posso paragonare alla Storia del Cantù le enciclo-
pedie storiche di Onken, e di altri: sono monografie avvicinate
l’une alle altre, non sono la storia dell’umanità.
Attorno alla Storia Universale si aggirano e con essa si
connettono molti fra gli altri: scritti del Cantù. La Storia dei
cent'anni, e Gli ultimi trent'anni, sono da annoverarsi in questo
gruppo, e così pure le storie di alcune letterature, sia dell'età
antica, che della moderna. Tra il 1892 e il 1894 rifuse la sua
Storia della letteratura italiana (Firenze, 1865), componendone due
volumi, che aggiunse come appendice alla Storia Universale, e
che intitolò Della letteratura ituliana esempi e giudizi. Nessuno
dirà che tutti questi scritti siano egualmente studiati e appro-
fonditi; eppure in tutti più o meno si fa palese la straordinaria
potenza sintetica del loro autore.
Ben maggiore importanza ha la Storia degli italiani, in
quattro volumi, ch'egli forse aveva meditato prima ancora di
accingersi alla Storia Universale. Infatti nella prefazione egli
dice che sino da giovinetto conobbe la necessità di una storia
siffatta, che fosse “ un preparare alla nazione un altro pegno
d’unità e di fiducia ,. Si propone di chiarire nelle sue varie
CESARE CANTU ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 93
manifestazioni il “ progresso cristiano ,, e dichiara (vol. II,
p. 153, dell’ed. II): “ noi veneriamo la libertà dovunque un
lampo ce n’appaia ,. Scrisse questa Storia quando vide che
il Balbo, dopo avervi posto mano, se ne ritrasse sfiduciato
per l’incuria del pubblico. L’epoca più recente dal 1795 al
1870, più ampiamente narrò in un’opera separata, col titolo
Cronistoria dell’ indipendenza italiana, che uscì in tre grossi
volumi dal 1872 al 1877. Narrando la storia nostra dalla prima
spedizione italica di Bonaparte alla unione di Roma al regno
d'Italia, entra nelle questioni più agitate e più scottanti dei
nostri giorni. A lui non era certo abituale una forma condita
col miele. Non è a meravigliare quindi che l’opera abbia susci-
tato polemiche.
Scrisse di cose attinenti alla politica, ma alla vita politica
della nazione egli partecipò pochissimo ne’ suoi anni maturi. Fu
per una legislatura deputato, quando il parlamento sedeva a
Torino, e in quel breve tempo vi prese parte attiva alle discus-
sioni. Poscia, volente o nolente, si ritrasse sull’Aventino. Ma
l’inazione come uomo pubblico, pareggiò la sua azione quale
scrittore. Visse gli ultimi vent'anni di sua vita nell’archivio di
stato di Milano, romitaggio tranquillo, che lo sottraeva alla vista
del mondo, e gli facilitava i suoi studi.
Quantunque il suo genio sintetico lo chiamasse ai lavori
d’insieme, non isfuggì anche le monografie, alcune delle quali per
altro riuscirono così vaste, che quasi si possono annoverare tra i
lavori sintetici, piuttosto che fra gli analitici. Tra le maggiori
monografie annovero la Storia di Venezia e quella di Milano, che
egli scrisse per la Grande illustrazione del Lombardo-Veneto. Sotto
questo titolo si pubblicarono a Milano negli anni 1857 e se-
guenti, le monografie delle provincie componenti il così detto
regno Lombardo-Veneto. Il suo sentimento religioso e popolare
egli scolpisce nella storia di Venezia, lè dove scrive: “ un comune
e un santo; ecco gli elementi di cui gli Italiani componevano
la loro libertà ,. Discorrendo della difesa dell’ultima repubblica
veneziana nel 1848, egli osserva che “ diciassette mesi di resi-
stenza ben redensero l’obbrobrio dell’altra caduta senza ostacolo ,.
Di minore importanza è la storia compendiata della Brianza.
Sta tra il lavoro storico ed il romanzo la monografia “ Eze-
lino da Romano, storia d'un ghibellino esumata da un guelfo ,,
che fu stampata per la prima volta a Milano nel 1854.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 9
94 CARLO CIPOLLA
Contemporaneamente all’ Ezelino comparve La Lombardia
nel secolo XVII, commento storico ai Promessi Sposi. Non è un
libro saldamente organato, ma è una preziosa raccolta di studì,
condotti su documenti nuovi, intorno ad argomenti toccati dal
Manzoni. Sugli untori al tempo della peste, sui costumi, sul go-
verno spagnuolo, debole e spavaldo ad un tempo, il Cantù fornisce
notizie larghe, precise, documentate. Più profittevoli ancora sono
le contribuzioni date dal Cantù alla storia della Lombardia durante
il secolo scorso nelle due monografie, che tolgono il titolo dal
Beccaria e dall’abate Parini. Nel Beccaria studiò il Cantù la
società lombarda nei primi decenni della dominazione austriaca,
mentre di mezzo ad essa si desta lo spirito delle riforme, non
senza che vi avessero azione le teorie degli enciclopedisti fran-
cesi. Il Beccaria fu tra coloro, che, pur tenendo lo sguardo fisso
a Parigi, seppero guardarsi da certe esagerazioni giacobine, che
potevano compromettere anche le riforme più razionali e più
oneste. Il Cantù sviluppa a lungo le teorie economiche e filoso-
fiche del Beccaria, e, senza tutto encomiare, assegna all’illustre
statista il posto che gli spetta nella storia lombarda. D'’ altra
indole è il libro sul Parini, nel quale la parte biografica è po-
vera di fatti posta in confronto colla descrizione minuta e pe-
netrante della società tra cui visse il poeta. Lo sfondo su cui
si stacca, forse non sempre rigidamente modellata, la figura del
poeta, è colorito con vera potenza di erudizione e di stile. Nel
carattere del Parini, pare che il Cantù voglia disegnare il proprio
ideale; poichè ce lo mette innanzi sdegnoso, inflessibile; un sor-
riso, fieramente sarcastico, sfiora talvolta le sue labbra. Egli è
un “ austero contradditore ,, “ tenace amatore del bene pub-
blico ,, odiato dalla “ bordaglia tumultuante ,, dagli “ ambi-
ziosi colleghi ,, dai “ despoti mascherati ,. Al libro sul Beccaria
serve di appendice l'edizione critica dell’opuscolo Dei delitti e
deile pene; l'edizione critica del Giorno chiude lo studio sul-
l’abate Parini.
Può considerarsi quale un seguito a questi due scritti, il
libro sopra Vincenzo Monti e l'età che fu sua. La vita del prota-
gonista si intreccia col racconto dei fatti politici e letterari,
ch’ebbero luogo al tempo della Rivoluzione, del dominio Napo-
leonico, della Restaurazione. Anche qui la storia della Lombardia
è trattata più largamente, che la vita del protagonista. Nel vo-
CESARE CANTU’ ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 95
lume Il Conciliatore ed i carbonari la storia della Lombardia è
ricercata nei tentativi rivoluzionari, al tempo del primo periodo
austriaco, dopo il trattato di Vienna. Anche questo libro è più
che altro un complesso di quadri, non dico indipendenti l’ uno
dall’ altro, ma pur tali che potrebbero in qualche modo stare
da sè. Commovente è la descrizione dei casi di Federico e di
Teresa Confalonieri.
In quasi tutte queste monografie storiche, e in ispecie in
quelle sul Monti e sul Conciliatore, che furono compilate quando
gli archivi non erano più ermeticamente chiusi, il Cantù fece
largo uso di fonti inedite. Non voglio significare con ciò,
che egli esaurisse i sussidì archivistici; anzi debbo dire che
non era questo il suo intento. Specie di codice diplomatico per
lo studio dell’età francese, è il libro della Corrispondenza di
diplomatici della Repubblica e del Regno d' Italia 1796-1814 (Milano,
Agnelli, 1884). Ma il pubblico non favorì la pubblicazione.
All’età susseguente spetta lo scritto sull’arciduca Massimiliano.
Visitando nel 1856 e nel 1860 i grandi archivi di Venezia e
di Firenze, notò in ambidue — in quelli di Venezia specialmente
— alcune serie di documenti, che servivano per l’illustrazione
della storia lombarda. Pubblicò i suoi risultati in un volume
dal titolo Scorsa di un lombardo negli archivi di Venezia (Mi-
lano-Verona, 1856), e in una nota, Notizie sopra Milano spigolate
negli archivi di Firenze, letta il 12 luglio 1860 all’Istituto Lom-
bardo. Sono appunti di viaggio, presi in fretta, ma con sagacia.
Un numeroso gruppo di lavori dedicò il Cantù alla storia
religiosa. Fermo nelle credenze cattoliche, volle nella esposizione
di questa storia, per natura sua delicatissima, mantenersi equa-
nime verso tutti, amici e nemici. La sua Storia degli eretici d’I-
talia (3 vol., Torino, 1865), è fra noi il primo, e finora il solo
lavoro di tal genere. Non è un libro di polemica, poichè l’au-
tore mira all'esposizione oggettiva dei fatti. Ma i fatti non sono
naturalmente messi innanzi così che il lettore possa sospettare
nello storico l'indifferenza propria soltanto di chi non comprende
la gravità degli argomenti che tratta. Comincia il racconto colle
età più antiche, ma per esse è magro assai. La narrazione si
allarga col secolo XIII e col seguente, quando comprende il
nascere e lo scomparire dei Patareni, dei Fraticelli, ecc. Assume
proporzioni maggiori, appena si tocca l’età della Riforma pro-
Pi
96 CARLO CIPOLLA
testante e della Controriforma cattolica. Il Cantù vi discorre
non solo della religione in senso stretto, ma anche di ogni mo-
vimento intellettuale, che abbia attinenza colla religione e colla
morale: sicchè la sua opera dà assai più che non prometta.
Prepararono e contornarono quest'opera, varie monografie: Erasmo
e la Riforma in Italia, Il card. Giovanni Morone, La Guglielmina
Boema e su Pietro Tamburini. Questi tre titoli denotano altret-
tante comunicazioni fatte, in diversi tempi, all'Istituto Lombardo.
Ai primi anni del suo lavoro intellettuale appartiene l’opuscolo
Rivoluzione della Valtellina nel sec. XVII (Como, 1831), nel quale
si sviluppano alcuni punti diggià toccati nel II volume della
Storia di Como e a lungo si discorre delle fiere lotte religiose,
che in quella piccola valle vennero allora combattute tra cat-
tolici e protestanti.
Alla storia letteraria contemporanea il Cantù dedicò due
volumi di Reminiscenze manzoniane, che non parvero scevri di
inesattezze, ma che pur furono giudicati utili ai biografi del
Manzoni.
Assai stimata dai filologi è la dissertazione Sull’origine della
lingua italiana, colla quale il Cantù rispose ad un quesito pro-
posto dall'Accademia Pontaniana di Napoli. La dissertazione fu
approvata dall'Accademia, ed uscì per la stampa a Napoli nel
1865. Il Cantù, che nei giovani anni aveva fermata la sua atten-
zione al problema linguistico, non ne allontanò lo sguardo nell’età
provetta; e in questo libro, piccolo di mole, ma importante per
condensata sostanza, egli dà un lunghissimo spoglio (pp. 79 segg.)
delle forme volgari, che si incontrano in documenti italiani ante-
riori al Mille, studia lo sfasciarsi del latino, il costituirsi della
nuova lingua, negando che sopra di questa, pur nelle sue ori-
gini, abbiano avuta gagliarda azione le parlate tedesche.
Fu sdegnoso verso i potenti, fossero signori o demagoghi,
e mai scevro di sospetto verso di essi, quasi sempre temesse
che essi abusassero di loro forza. Quindi alle opinioni correnti
si opponeva volontieri e bruscamente. Tale era il suo carat-
tere. Invece si compiaceva di parlare benevolo al popolo e
alla gioventù. Questa nota caratteristica della sua mente si
fa palese in tutte, per così dire, le sue opere; ma non in
tutte si manifesta ad un modo, nè il popolo al quale parlava
il Cantù era sempre il medesimo. Talvolta è il popolo colto,
Rn ee e
CESARE CANTU ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 97
talvolta è il popolo che, senza esser colto, desidera di dive-
nirlo. Ma anche per l'operaio egli scrive, e una lunga serie
di scritti educativi egli ci ha lasciato: “ Il giovinetto drizzato
alla bontà, al sapere, all'industria ,, “ Carlambrogio di Monte-
vecchio ,, “ Il galantuomo, libro di morale popolare ,, “ Il
buon fanciullo, racconto ,, “ Buon senso e buon cuore, confe-
renze popolari ,, “ Portafoglio d’un operaio ,. Questi libri si
ristamparono più e più volte, e ciò dimostra che lo scopo
prefissosi dal Cantù era stato raggiunto. Egli sapeva parlare il
linguaggio del cuore.
Diverso fu il carattere, diverse le convinzioni religiose,
non identiche le opinioni politiche, differente la vita di Enrico
von Sybel. Nato il 2 dicembre 1817, morì il 1° agosto 1895,
nell’età di 78 anni; era adunque di dodici anni meno vecchio
del Cantù. Il Sybel visse lungamente fra le lotte politiche, e
per molti anni frequentò le sale delle assemblee legislative.
Sin da giovane desiderò la sua Germania rinnovata, unificata
e potente; uomo provetto, vide con compiacenza realizzato il
suo ideale. Nell’ultimo periodo di sua vita si trovò accanto agli
uomini di Stato, che ressero il nuovo impero germanico.
Siccome nei suoi libri poco si occupò dell’Italia, così di lui
dirò brevemente, accontentandomi di notare quanto egli abbia
contribuito, coll’opera costante di tutta la vita, a fortificare in
Germania l’ardore per gli studi storici, ardore destatosi subito
dopo l'espulsione dei francesi, quando si volle rialzare lo spirito
nazionale dei tedeschi, ad essi ricordando il loro glorioso passato.
Il giovane Sybel si recò a Berlino, dove sotto la disciplina
del Ranke studiò le materie storiche fra il 1834 e il 1838.
Leopoldo Ranke viene meritamente riguardato come il maestro
dei moderni storici tedeschi, poichè i numerosi e valentissimi
allievi, che uscirono dalla sua scuola, in ogni parte della Ger-
mania portarono, insieme col nome del maestro, anche il suo
severo metodo di indagine critica. Il Sybel ricopiò il Ranke
anche in ciò che egli preferì l'esposizione spigliata e distesa,
alla raccolta dei documenti. Nei suoi ultimi anni egli fu chia-
mato a far parte della direzione dei Monumenta Germaniae Histo-
rica. Meritamente senza dubbio, quantunque forse non armoniz-
zasse colle disposizioni della sua mente il noioso compito della
restituzione dei testi antichi, e la lenta e fredda compilazione
dei codici diplomatici medioevali.
98 CARLO CIPOLLA
Il Sybel si presentò ai dotti nel 1841 con un lavoro di
importanza capitale, la Storia della prima crociata (2 ediz. 1881);
vi dimostrò sicurezza di giudizio e ardimento, poichè non dubitò
di andar contro all’opinione diffusa, diminuendo l’importanza sto-
rica di Pier l’Eremita, e ponendo sotto nuova e meno splendente
luce Guglielmo di Buglione. Fece invece risaltare l’opera di Rai-
mondo da Taranto. Nel 1844 si recò all’università di Bonna, e vi
cominciò il suo insegnamento: subito dopo (1845) pubblicò l’altra
sua opera Formazione della monarchia tedesca (2% ediz., 1881),
capolavoro di finissima analisi, dove non dimostrò minore sagacia
critica, o erudizione men vasta. L'argomento interessa lontana-
mente anche l’Italia, poichè la nostra storia si congiunge con
vincoli strettissimi a quella delle antiche schiatte germaniche.
Secondo il Sybel, l'origine della monarchia germanica va cercata
non nella intimità dello spirito germanico, ma nell’ influenza
romana, quantunque sia vero che i germani nel loro dux pos-
sedevano in qualche modo un embrione del monarca. Questa è
l'opinione del Sybel, cui si contrappone quella di altri dotti, se-
condo i quali la monarchia fu anche presso i germani una isti-
tuzione di origine indigena. Infatti Giorgio Waitz gli si oppose,
ma il Sybel non mutò opinione. Tuttavia trattò con singolare
cortesia di modi il suo contradditore, al quale dedicò la seconda
edizione del suo libro, con una lettera squisitamente gentile.
Teodoro Mommsen, non è molto, parlando di questo libro del
Sybel, con una frase incisiva disse che esso è un'oasi nell’arso
deserto delle pubblicazioni su tale argomento. Di qui apparisce
quale distanza egli ponga tra il Sybel e gli altri critici che
tentarono l’ardua questione.
Da Bonna il Sybel passò poi (1845) professore a Marburgo.
Ma ben presto mescolò le cure della scuola e dello studio, alle
preoccupazioni politiche, ed entrò nella vita pubblica. Il nuovo
indirizzo che egli diede alla sua vita, si rispecchia anche nella
qualità degli studi, cui dedicossi in allora. Rivolto lo sguardo
dal medioevo e dall'antichità, lo fissò sulla storia della Rivo-
luzione di Francia, cioè sull’avvenimento da cui deriva, per
non piccola parte, l'atteggiamento assunto dai popoli Europei
nel secolo nostro. Il Sybel visitò gli archivi di Parigi, di Ber-
lino, di Vienna, di Londra, di Monaco, dell’Aja, di Bruxelles, di
Napoli, e nella sua Storia dell’ epoca rivoluzionaria 1789-1800
CESARE CANTU’ ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 99
considerò la Rivoluzione nelle sue cagioni profonde, nelle con-
dizioni economiche e sociali del popolo, piuttosto che nelle este-
riori apparenze. Mirò a disfare la leggenda rivoluzionaria, e
richiamò l’attenzione del lettore sulla storia delle altre nazioni
e sopratutto della germanica. Poichè al racconto dei fatti della
Rivoluzione connesse la esposizione di quanto avveniva negli altri
Stati; anzi a questa egli pose attenzione maggiore, così che per
lui la nazione francese ebbe, a così dire, importanza secondaria.
Il Thiers aveva fatto l'opposto, poichè egli aveva lumeggiata
assai la storia della Francia, ed aveva curato molto la parte
drammatica delle lotte parlamentari, non a sufficienza studiando
le ragioni profonde della Rivoluzione. Oltre a questo aveva
lasciato in penombra la storia degli altri Stati europei. A com-
plemento della Storia di cui parliamo, il Sybel pubblicò anche
una monografia speciale col titolo Austria e Germania nella
querra della Rivoluzione; uscì a Diisseldorf nel 1868. Il Sybel
precedette quindi le ricerche del Taine e del Sorel, che negli
ultimi anni, come ognuno sa, approfondirono cotali questioni,
con largo sussidio di documenti nuovi. Il Sybel cominciò la pub-
blicazione di questa sua opera nel 1853. Tre anni dopo egli era
a Monaco, dove lo aveva chiamato Massimiliano II, re protettore
delle lettere e delle arti.
A Monaco il Sybel attese con raddoppiato calore all’inse-
gnamento, e vi fondò il primo seminario storico, che fu poi
imitato nelle altre università tedesche ed austriache. Vi ebbe
parte viva nella Commissione storica promossa da Massimiliano II.
Ma dopo alcuni anni, nel 1861, lasciò quella città per ritornare
a Bonna. Egli era divenuto un uomo politico di battaglia, e
nella capitale della Baviera questo non poteva piacere. È ben
vero che a Monaco si usava molta larghezza per tutte le opi-
nioni, e al Giesebrecht, p. e., nessuno recava molestia, anzi
professavano tutti stima e rispetto. Ma il Sybel era uomo di
pensiero insieme e d’azione, e perciò finì per lasciare la Germania
meridionale. Della sua dimora a Monaco rimane, durevole ri-
cordo, la Historische Zeitschrift, che egli fondò nel 1856, con
intenti scientifici ad un tempo e politici.
Così adunque si trovò di nuovo ingolfato nella vita politica,
anzi vi si dedicò allora di maniera da lasciare per qualche mo-
mento diminuita la sua attività scientifica. All’assemblea della
_ ” tal "dl ” A TAO D) né* PASTA
She - Ara É - AVE T Sl DI
100 CARLO CIPOLLA
Confederazione Germanica, nel 1867, combattè nelle file del par-
tito denominato dei liberali-nazionali. L'unione della Germania
era stato il suo voto, fino dagli anni giovanili; tant'è che ne
trattò nell’opuscolo £ partiti politici nella regione Renana pubbli-
cato nel 1847. Salutò con giubilo nel 1871 la realizzazione del
suo ideale. Anzi dopo d’allora seguì così dappresso la politica del
nuovo impero, che in certo modo ne divenne lo scrittore aulico.
Fra gli uomini di lettere che circondarono il governo impe-
riale, il Sybel fu senza dubbio uno dei più dotti. D’allora in
poi egli mira sopra tutto a difendere coi suoi scritti la gloria
della Prussia, rendendo grandi servigi al governo.
Nel 1875 Ottone di Bismarck affidò a lui, siccome ad amico
fedele e sicuro, la direzione dell'Archivio Regio di Prussia.
Proprio intorno a quel tempo l'Accademia di Berlino, che alcuni
decenni prima aveva curata la splendida edizione delle opere
letterarie di Federico II il Grande, determinò di metterne in
luce i dispacci e gli altri documenti di natura strettamente
politica e militare. Del nuovo lavoro affidò la direzione a
G. G. Droysen, a M. Duncker e al Sybel. Il primo volume della
nuova opera comparve nel 1879, e comincia con una lettera del
re, datata dal 3 giugno 1740. Finora uscirono venti volumi di
questa raccolta, con oltre 13 mila documenti, che abbracciano
un periodo di più che vent’anni.
Il Sybel diresse anche un’altra collezione, della quale, sotto
il titolo Pubblicazioni del r. Archivio di Stato Prussiano, uscirono
ormai numerosi volumi, contenenti ciascuno una serie di docu-
menti sopra un oggetto o un periodo attinente alla storia Prus-
siana. Più che il Medioevo e la Rinascenza, sono naturalmente
gli ultimi secoli quelli che ricevono lume da queste collezioni
di documenti. i
Sotto il titolo Kleine historische Schriften raccolse parecchi
brevi articoli, alcuni dei quali hanno riferimento alla storia
d’Italia, come sono quelli in cui si tratta di Eugenio di Savoia,
di Giuseppe De Maistre, di Napoleone IH. La sua estesa biografia
di Guglielmo I, considerato come fondatore del nuovo impero
germanico, non ha per noi interesse diretto. A proposito di
questo lavoro narrasi un aneddoto, che non è senza significato.
Il principe di Bismarck gli permise l’uso delle carte più segrete
della recente storia prussiana, perchè egli potesse compilare
Mer e) y Tx
CESARE CANTU’ ED ENRICO VON SYBEL — CENNI COMMEMORATIVI 101
quest'opera; ma dopo i primi volumi non trovando che essa
corrispondesse pienamente a tutte le sue viste politiche, gli tolse
il permesso concessogli. Tuttavia l’opera non si interruppe.
L'indirizzo nuovo che Sybel diede ai suoi studi, non lo distolse
peraltro interamente dalle sue indagini sulla storia medioevale,
colle quali egli si era aperta la via della gloria. Nel 1880
(Histor. Zeitschrift, vol. XLIV) e di nuovo nel 1893, in occasione
di un articolo da Paolo Kehr inserto nella Historische Zeitschrift
egli si occupò delle donazioni Carolingiche ai papi, e più di una
volta discorse della storiografia Carolingica (Histor. Zeitschrift,
vol. XLII, XLII).
Quale direttore degli archivi, diresse insieme con Teodoro
von Sickel la monumentale pubblicazione Kuiserurkunden in
Abbildungen, la quale in numerosissime tavole, eseguite con
una meravigliosa diligenza, riproduce una serie completa di
diplomi imperiali, in servizio della storia, della paleografia,
e della diplomatica. È un’opera arditamente concepita, e con-
dotta a termine in modo ammirabile, mercè l’aiuto di dottis-
simi collaboratori. In quest'opera gigantesca, ogni imperatore
tedesco viene rappresentato da parecchi dei suoi diplomi o delle
sue lettere, con diffuse e profonde spiegazioni paleografiche.
Vuolsi avvertire che vi si pubblicano soltanto documenti usciti
dalla cancelleria germanica di ciascuno di quegli antichi mo-
narchi; questi ebbero, è vero, anche la loro cancelleria italiana,
ma delle carte pubblicate da quest’ultima il Sybel e il Sickel
non credettero di occuparsi nell'opera di cui parliamo. In ogni
modo, questa riesce oltremodo utile anche per i cultori della
storia italiana, giacchè tra le cancellerie non c’è distacco as-
soluto.
Enrico von Sybel forse era ormai l’unico superstite della
scuola gloriosa del Ranke, cui la Germania deve gratitudine
veramente grande per il progresso degli studi storici. Se parteci-
pando vivamente alla vita politica egli non imitò il suo maestro,
se pur nei suoi libri lasciò trasparire la forma assunta dal suo
animo e dal suo pensiero, nel metodo storico egli fu illustre
seguace del suo grande maestro, e in molte cose riuscì anche
ad essere originale.
La fisonomia del Cantù, come storico, si disegna diversa-
mente; egli non appartiene a una scuola. Fu sotto ogni riguardo
102 ELIA LATTES
figlio di sè medesimo. Non uscì da una scuola, non fondò una.
scuola. Alla vita politica di rado partecipò. Preferì vivere a
sè medesimo, sdegnoso di amicizie potenti, quasi facesse suo il
verso foscoliano: “ avverso al mondo, avversi a me gli eventi ,.
Il ‘vino di Naxos’ in un'iscrizione preromana
dei Leponzii in Val d’Ossola;
Nota del Socio Corrispondente ELIA LATTES.
La splendida pubblicazione dei ‘sepolereti di Ornavasso ° (1),
dovuta in molta parte, causa la morte immatura del tanto bene-
merito scopritore e descrittore Enrico Bianchetti, alla diligenza
erudita del collega Ferrero, torna di non piccolo interesse anche
per l’epigrafia e le parlate dell’Italia superiore preromana, come
quella che ci fa conoscere alquante nuove epigrafi, diverse nella
scrittura e nella lingua dalle latine. La più lunga fra esse, graf-
fita da destra a sinistra in un vaso a trottola del sepolereto
(tomba n. 84) di S. Bernardo (n. 7), — vaso nel corpo del quale in
tre diversi luoghi leggonsi anche altre parole staccate (n. 16) —,
suona (p. 69):
MOXAM i MOMIV: 2U1AXV$AA2 i IVGAMAVXAN
latumarui : sapsutaipe i uinom : nas'om
La lettura non fa difficoltà e non ne fece già al Bianchetti,
salvo quanto all’elemento fra A e 0, da lui trascritto, qui ed
altrove (n. 16), con lieve inesattezza (2), S anzichè S'. Non valse
però probabilmente per l’autore dell’epigrafe a puntino nè s,
(1) Alla esimia gentildonna sig. Clara Sella ved. Bianchetti, che con in-
signe liberalità la regalò agli studiosi delle antichità paleoitaliche, sia lecito
quia me, per la mia parte, rinnovare l’espressione della mia gratitudine.
(2) Trattasi dell'elemento | o X e sue varietà, pel M, ossia s, dei
testi euganeo-veneti, dei reto-etruschi, degli etruschi e dei campano-etruschi:
elemento caratteristico (cfr. n. 5 con n. 8) di quello stesso alfabeto nord-
IL ‘ VINO DI NAXOS” IN UN'ISCRIZIONE PREROMANA, ECC. 103
nè s': giacchè, se in winom riconosceremo, come senz'esitazione
parmi doversi, il lat. vinum (3), subito forse per nas'om penseremo
all’isola di Nasso (4), famosissima, come ognun sa, pel suo vino,
e all’etnico Ndz10g -ov, bene rappresentato dal gall. Nas'om per
Naxom, come lo sas'- di Sas'adis nell’isc. di Voltino (Fab. 13) (5)
etrusco, al quale mancò il V, in esso rappresentato dall’U, come appunto
accade nei cimelii letterati di Ornavasso. Fra’ documenti di quel segno,
raccolti diligentemente dal PauLi (Venet. 157-160), ricordo la voce Kos,
circa il quale gli sfuggì, come già nelle Iscr. paleol. 111 si fosse proposto
di riconoscervi l’ebr. Xos' © bicchiere ”.
(3) Per Y s'ha costantemente U, come nei cimelii testè detti (n. 2) di
Ornavasso, così in tutti quelli dell’alfabeto nord-etrusco di Sondrio e di
Lugano (cfr. n. 5), oltrecchè poi nelle iscrizioni falische; a quello spettano
così le epigrafi preromane di Milano e Novara, come le leggende mone-
tali anteromane della Provenza e della Svizzera. V. Pauri, Die Inschr.
nordetr. Alphabets p. 56-59; e cfr. il Ualaunal della posteriore iscrizione
di Mesocco (Boll. Stor. della Svizz. ital. XV 1893 p. 106-108), di base non
diversa dal nome del re bretone Cussi-velaunus e della fortezza Vellauno-
dunum.
(4) V.itesti allegati dal Bursran (Geogr. II 489, n. 5), dal BLiimner (Griech.
Privatalt. 231 n. 1) e dal Marquarpr (Réòm. Privatl. II 488). Fu anzi Nasso
sede principale del culto di Dionysos; ed ivi anzi di solito costui, catturato
da’ pirati Etruschi-Enotri, ossia dai Tirreno-Pelasgi (Due iser. prer. 117 sg.),
desiderò essere condotto (MiirLer-Dercke, Etr. I 73). — Se a Nasom non
precedesse uin0m, il pensiero prima che a Ndzog, trattandosi d’epigrafe,
come si vedrà, gallica, si volgerebbe forse a Nasium (Naix) di Lorena, città
dei Leuci, nota per copiosi trovamenti monetali appunto gallici (V. Duan
e Ferrero, Mon. gall. 43 sg.).
(5) Questa bilingue, ancora parzialmente indecifrata sia presso il PauLI
(Nordetr. 15. 30 e 86-90), sia presso lo Srokrs (Bezzenberger’s Beitr. XI
118-120), deve leggersi (Due iscr. prer. 90 n. 51): Tetumus Seati, Du-
giava Sas'adis, S'romezeclai (cfr. etr. Oufldicla Laiscla), Obalzana (cfr.
etr. Caialzna e Uqalesa), S'ina (cfr. Saggi e App. isc. d. Mumm. 218-241 etr.
Zina Tina, insieme col Mars Toutatis Sinatis della n. 11, Due iscr. prer. p. 75 sg.
Pitiave Rupinu Velganu, e Iscr. di Narce, Riv. di filol. XXIV 1895-96, p. 83 n. 77
con Rendic. Ist. Lomb. 1894 p. 642 n. 20). Risulta quindi sempre più mani-
festo, che a torto il Pauri (Nordetr. 56-58), da me non meno a torto altrove
seguito (Due iscr. prer. 10), omise nell’alfabeto di Sondrio il segno |[q, e
lo riservò a quello di Lugano: esso trovasi infatti non solo nella parte
latino-gallica dell’epigrafe (il che già basterebbe perchè si dovesse asse-
gnare all'alfabeto di questa), ma sì occorre due volte punteggiato nella
parte gallica, epicoria. Sola differenza fra l’alfabeto di Sondrio e quello di
Lugano resta adunque la forma del L (S. V, L. A); e così si conferma che
i quattro alfabeti dell’Italia superiore preromana, anzichè di provenienza
104 - ELIA LATTES
ridanno le isc. latino-galliche ora con sax-, ora con saxs-, ora
con sass-, ora con sas-, in Saro Saxsio Sassius Sasius (6).
Nessun dubbio pertanto che codesto nas'om sia, se mai,
quanto alla base, d'origine greca, e nuovo documento de’ commerci
italo-ellenici; ma di certo non è greco il suo -m, nè quello di vi20m,
nè anzi questo per intero. Tutto ciò per contro bene sta, qualora
si porti nel quadro delle parlate galliche, secondo che ci con-
sigliano le tradizioni istoriche del luogo di origine, confortate
per giunta da ciò che in esso, e precisamente nello stesso sepol-
creto di S. Bernardo, ed anzi nella medesima tomba (p. 145),
si rinvennero monete galliche, quali s'incontrano « anche presso
Berna, Basilea, Soleure e al Gran S. Bernardo », e più raramente
nell’alta Italia (7).
In effetto a winom Nas'om fa riscontro per l’uscita wuseilom
o usellom (8) della bilingue incisa sopra uno dei tre altari gallo-
diversa, sono mere varietà locali, comunque originate, dell’unico alfabeto
greco-etrusco (Due iscr. prer. 70-72 n. 48). Il segno di cui sì tratta occorre
una volta anche nei testi veneti (Pa. 1. cfr. p. 182), simultaneamente con
M= s; e sarà caso analogo a quello dei due S° o dei due © delle tavole
di Gubbio, o dei due © nell’Hur9u0iv d’un’iser. umbro-etrusca d’Ameria
(cfr. Panta, Gr. d. osk. umbr. Dial. I 47): de’ due S" umbri, uno occorre in
parola (s'eritu) ivi seritta ben 81 volte con S puro e semplice. — In una
fra le epigrafi d'Ornavasso (Branca. 69-19 Ues'ama, cfr. n. 15 qui appresso),
la figura <q mostra le asticine laterali prolungate inferiormente; siechè sì
conferma l’antica conghiettura (Corss. I 12), prima approvata, poi combat-
tuta dal Pavri (Ven. 154), che il M-s' fu mera variazione grafica di quella.
(6) Pauri, Ven. 158, cfr. 179, Corsinus Cossus, Dora Dosso, Trexa Tresus,
Azxillus Assenio ecc., e cfr. sopratutto Alixie nell’is. di Bourges per Alistia
in quella di Alise; s'ha persino (Brcgzer in Kuhn e Schl. Beitr. II, 211)
Alanux Atimetux all. ad Alanus Atimetus.
(7) Brancaerti 84 con 108. 129. 145 (cfr. 217. 228), e v. Von Duax e
Ferrero, Mon. Galliche, p. 84. — Il sepolereto di S. Bernardo sta « alla
distanza di poco più di un chilometro dalle ultime case di Ornavasso
(all'estremità meridionale della Valle dell’Ossola, nell’Alto Novarese), presso
la ferrovia Novara-Domodossola » (BrancHETtI, p. 1 e 3). Siamo adunque
fra” Leponzii; circa i quali, e nel Ticino e nell’Ossola, cfr. D'ArBors DE
JusArmviLLe, Revue Celtique XI 1890, p. 163, con Pauri, Nordetr. 75, 90-95;
e v. in generale De Vir, la prov. rom. dell’Ossola (Firenze, 1892).
(8) Sroxrs, Bezzenberger’s Beitr. XI 138, probabilmente *uzrelom ‘ altare ”
uzellos © alto °. Cfr. anche urdum nell’is. di Todi, secondo Strokes ib. 113 sg.,
dove però il Pauri, Nordetr. 84 legge sepulcrum; e cfr. altresì Pauri, Ven.
153 as'oum.
L ‘ VINO DI NAXOS IN UNISCRIZIONE PREROMANA, ECC. 105
romani di Notre Dame dai © nautae Parisiaci ° in onore di Tiberio
Cesare Augusto: o come poi « irl. fell ° horse ° points to a
protoceltic villos » e irl. faith a protoc. vati-s 1. vates, così irl.
fin finn ‘ vino’ (9) ci riporta a wvinom, quale appunto offre il
nostro cimelio. Qualsiasi esitanza toglie poi la prima delle due
precedenti parole, cioè Latumarui, come quella che quasi com-
bacia col Aitovuapeos di St-Remy (Nîmes) (10); e ci richiama
al Viridomarus di Cesare e a’ cento e cento nnpr. gallici com-
posti con -maro © grande ° (11): fra’ quali ricordo l’epiteto di
Giove Ottimo Massimo Bus.su-maro, in un’epigrafe dalmata
(C. 1. L. III 1033), perchè così esso, come, non molto lontano, la
Saplia Belatumara del Norico (ib. 5589), giovano forse a chiarire
il seguente Sapsutaipe. Come Latumarui, sarà cioè pur questo
sicuramente npr. di persona, foggiato appunto al modo del pre-
detto Bus-su-maro (cfr. Bussu Busu Bussulus) e del Catu-su-alis,
letto sopra terracotta olandese, trovata a Voorburg, presso la
Haye (12).
Ma quale si stimerà la relazione sintattica delle due prime
voci colle due ultime, da cui vedonsi divise, come inciso a sè,
mediante quattro punti in colonna (n. 14), laddove fra le due
parole di ciascun inciso stanno tre soli punti? Sono cioè quelle
(9) Sroges ib. 74. 123 e Zruss-Eser 58.
(10) Sroxes ib. 127. 10; cfr. C. I. L. III 4724 Lutumarus con Lutarius
duce dei Galati in Liv. XXXVIII 16 (non però XXII 6, insieme da altri al-
legato, perchè ivi ora si legge Ducario), ecc. (n. 16).
(11) D’Arsors pe JusarnviLLE, Les noms Gaulois dans César, p. 24. 188.
Quanto a Latu-, primo membro del composto, gl’indici del C. Inss. Latin.
ci offrono Lattius e Latto nella Gallia Narbonese, e Laztio (fem.) con una dea
Lati nella Britannia, dove occorre menzione altresì di un Mars Toutatis, che
nel Norico più compiutamente si addimanda ‘ Mars Latobius Harmogius
Toutatis Sinatis Mogennius’, mentre poi la Dalmazia dà nuovamente una
dea Latra.
(12) D'Arsors pe JusArnviLLE, Op. cit. p. 25 ‘ dans le combàt - bien-
agréable *. — Per Sap- ricordo anche sapo Saponius, Sapidius Sapalo Sapula
Sappo; per -taipe, non so pensare se non a Ta(m)pios Tampius, Tappius
Tapponius. Cfr. del resto le raccolte onomastiche latino-galliche del CreuLY
e del Taépewar nei vol. III, VIII, XII-XIV della Revue Celtique, dove però
mancano Lutumarus (n. 10) e Lati (n. 11), si cita inesattamente (XIII 316)
un Litumarus che non trovo, e forse per errore di stampa s'ha L. Tioutati
per (n. 11) L. Toutati, quale risulta dal confronto del C. I. L. III 5320
con VII 84.
+3
106 ELIA LATTES
in caso nominativo o genitivo o dativo, i tre soli cui permette
pensare l’interpretazione qui sopra documentata di vinom Nas'om?
Risposta sodisfacente mi pare suggerita dal confronto della
nostra epigrafe colle seguenti, tutte scritte, com’essa, coll’alfa-
beto di Lugano:
Pivonei : Tekialui: lala (Pa. 14 Sorengo-Lugano);
Tisiui: Pivotialui : pala (Pa 11° ib);
Slaniaii Verkalai: pala (Pa 11° Davesco-Lugano);
pit ia CEDE [St]aniui : pala] ) HORO: I
cai [Ma ]tionei : pala] $ (Pa. 13° Arano-Lugano);
nelle quali le voci in -wi (13) -@ì -ei si reputano genitivi, da
nominativi in -0s -es (14). Conghietturo quindi in Sapsutaipe (15)
aversi -e per -ei; e interpreto:
Latumarui Sapsutaipe uinom Nas'om
con
Latumari Sapsutapii vinum Naxium.
Resta ancora il quesito, che cosa al postutto siasi voluto
dire con una siffatta epigrafe (16).
(13) PauLi, Nordetr. p. 70. 73. Cfr. ib. p. 5, 7. anche Kusi/oi (su moneta
d’oro di Port Valais, lago di Ginevra) e 6,9 Pirakoi (su monete d'argento
dei Grigioni, Burwein); cfr. inoltre il mucoî ‘ nepotis ° (?) di tre iscrizioni
ogamiche (Sroges 146. 6, 149. 13. 14).
(14) Pauri, Nordetr. 70-73, in parte conforme a Corssen, Etr. I 947;
quanto a pala, verisimilmente ‘ sepolcro °, v. ib. 74 sg. — I quattro punti
dell’isc. di Ornavasso trovano riscontro, anche rispetto all’ufficio, due volte
in una delle isc. di Narce (Riv. di filol. XXIII 508 sg. con 493 = estr. 66 sg.
con 51); disposti come qui a colonna, occorrono nel titoletto F. 2614 quat.
di Moncalieri e altrove; a due a due in quadrato, s’hanno essi quattro punti
in Pa. 27 = F.!12 (Tresivio-Sondrio).
(15) Forse torna lecito ricordare per esso anche l’ant. irl. tuaithe © po-
puli’ dal nom. tuath.
(16) Nessuna precisa risposta a tale quesito sembrami potersi sperare,
dalle parole staccate che in tre diversi luoghi dello stesso vaso s’incon-
trano (BrancaeTTI p. 69 sg.):
tuni * inovea luto: iu
Salvo l’ultima, iu, che s'ha forse anche nella già citata iscrizione di Me-
IL ‘VINO DI NAXOS” IN UN'ISCRIZIONE PREROMANA, ECC. 107
Ora, ben sapendosi che gli antichi usarono libare col vino
ai defunti (17), e, almeno in Italia, agli dei inferi (18), sembra
probabile che una cotale libazione contenne il vaso di Ornavasso
e che a ricordo di essa le riferite parole vennero in quello
graffite; allo stesso modo che, a parer mio, per simili cause,
socco (Bollett. stor. della Svizzera italiana, XV 1893 p. 108, iocui utono-iu :
ris adi), e per la quale oso io ricordare etr. îue iui diu-laBi eu-lat eu-s' cu (Saggi
e App. 114. 126 con C. I. Etr. 144, Due iscr. prer. 44-47, Oss. crit. Rendic. Ist.
Lomb. 1894 p. 640-642 e Isc. di Narce p. 85), non so vedervi che dei nomi
propri, forse delle persone che posero il vaso e parentarono con esso il defunto,
o forse meglio di dei (cfr. le triadi registrate nelle Oss. crit. 1. cit. n. 20
e nella Riv. di filol. XXIII 1895 p. 525. 527 e sup. n. 5 quanto a Voltino e
alla Rezia). Per tuni, cfr. lat. Tunnius, etr. Tuna Tunial, tuna Quna (lat. duonus)
con Oupl0a (la dea © Doppietta” o Cemna lat. Gemna gemina); per Inovea,
cfr. gall. Anarevis eos Condilleos dugeonteo Villoneos Iliukeos (però ErwaUL®,
Revue Celt., VII, 106 -aXos) Litumareos Senoneus (Sroges 123. 182 con
Becker 187) e lat. Inuus; per lutou, cfr. prikou (su mon. aurea di Colombey
nel cantone di Vaud, che forse c’insegna a leggere il AIKOA di parecchie
mon. gall. di bronzo [v. Duan e Ferrero p. 12. 54])) e lat. gall. Lutumarus
Luttius Lut[t]o Luttacus Lutarius (n.10) Lutonia Lutevus, insieme con etr.
lut pl. lultler. — Quanto alle altre epigrafi preromane di Ornavasso, noto:
Branca. 69. 17 Uasamus e 19 (cfr. sup. n. 5) Uesama (non Vesama), che ri-
chiamano gall. Vitamu (F. 24= Pa. 36, Vadena-Bolzano) Aramo Trigisamo
(Pa. Nordetr. 107) Cunatami Cunotami Uddami (Sroxes 145. 146), e, men
da vicino, il Tetumus di Voltino; inoltre 69. 18 Uasekia, 69. 9 Fia (cfr. Iscr.
pal. 92 prenest. Cio), 68. 12 po (cfr. sup. prikou), 68. 10 Xri (cfr. Iscr. pal. 92
n. 124 etr. cri, corretto però dal C. I. Etr. 1564 in crei per Creicial). —
V. del resto, in generale, circa i documenti epigrafici etruschi delle rela-
zioni fra gli Etruschi e i Galli, la mia dichiarazione dell’isc. etrusco-gal-
lica incisa sopra un semisse romano di Arezzo (Riv. Ital. di Numism. V,
1892, p. 42-44): Criuepene *Areuizies.
(17) Marquarpr, rim. Sacralalt. tr. fr. II 374: Srencet, griech. Sakralalt.
101 ecc. — Io penso pur sempre che inferium vinum, malgrado di solito
con buon fondamento si rannodi a ferre, siasi in origine denominato così
dagl'inferi: nè credo poi destituita senz'altro di ragione la etimologia di
Pa. Fest. 113 M. = 80 Th. ‘quod in sacrificando infra labrum ponebatur ?.
Perchè non ammetteremmo anche in questo caso, secondo i tempi, concetti
diversi e diverse interpretazioni, popolarmente compenetrate nello stesso
vocabolo?
(18) Cfr. Saggi e App. 88-92 (Maris ossia “ Marte ’), 109 num. 160 (dea
Vesia fiesolana); ib. 154 con 63 n. 91 (Zilî Mlax); Isc. di Narce perda
Riv. di filol. 1895 XXIII p. 504 (dea Oanra); St. ital. di filol. IV p. 323 (Ava);
Due isc. prer. 87 sg. con Isc. Narce 33 = Riv. cit. 475 (‘ dea salutare Retia ’,
cfr. qui n. 20). In tutt’i quali testi insieme col nome della deità occorre rena-s
i
108 ELIA LATTES — IL ‘© VINO DI NAXOS”, ECC.
sopra cimelii etruschi si scrissero epigrafi in cui occorrono le
parole vin ven vena vena-s vene-s mul-vene-ke (19) (‘ melle et vino
fecit’) mul-ven-i (letter. © mellivinia ’); così pure in due veneti, veno
e vino] (20).
(( vini ’) o mulu-vani-ke o mul-vanni-ce 0 mul-ven-i o mulu (n. 19); ed altri
parecchi si potrebbero aggiungere, offerti dalla Mummia, dove nomi di
deità occorrono associati a vinum, etnam, vinum trinum (cfr. etr. ret. vinu-
talina trinaxe), lena ecc. — Per la Grecia, nega le libazioni vinarie quanto
agli dei inferi, lo Srencer (Festschrift per L. Friedlinder, p. 419) con fatti
e argomenti di molto riguardo, ma forse non decisivi per tutt’i luoghi e
tempi, secondochè del resto risulta dalla sua stessa conclusione (p. 482)
della originaria identità fra il culto degli dei inferi e quello dei defunti.
(19) Cfr. Saggi e App. 34. 52. 63 n. 91 e È Vinum’ 4-10 = Atti Ace. di
Torino XXVIII 1892-93 p. 244-250. Vuolsi però correggere quanto negli Atti
cit. notai intorno a mul-ven-e-ke e sue varianti, riguardo agli oggetti sui
quali esse voci leggono: i quali sono (cfr. già PauLi, Etr. St. III 58-61, e
prima Dercke, Bezzenb. Beitr. I 102-104 e MiiLLer-Deecke Il 425) di due
maniere, cioè vasi cinerarii e patere e tazze libatorie; alla prima classe
spetta, oltre alle già classificate, la nuova iscrizione delle Not. 1895 p. 26
(muluvanike); alla seconda, quella (mul) pubblicata e commentata dal Pocei
(Mus. It. I 363) e quella del vasetto di Vetulonia (Saggi 126). — La parola
vin in lettere etrusche leggesi in mezzo ad una tazza trovata a Talamone
(Gam. 68); la parola ver sta scritta da sola per tutto epitafio in F. 2000, come
per tutto epitafio abbiamo altrove (Saggi 51 n. 71) an far0r(a) e an farOnaxye
‘en parentavit ’, sottinteso il nome della persona defunta e, se mai, del pa-
rentatore, abbastanza indicati dal luogo del sepolcro e dalla sua normale
destinazione gentilizia; così (Saggi 127) nax ‘ denicalis ’ e si0v ‘ situs ’ da
soli e per tutto epitafio. Quanto a vera, sta esso in fine dell’epitafio F. 830
Ar(n8) Eip(ine) vena (cfr. F.} 119 E:ipine e Pavri, Nordetr. 103 Ipianus).
Naturalmente, chi preferisca, può vedere in vin e vena dei nomi propri, e
mandare vin con Vinal e ven con Veni (Gam. 758).
(20) Due isc. prer. 87 sg. Batte altra strada il Torp, Indog. Forsch. V 206
(ven. veno e messap. veinan È suo ’, cfr. got. meina " mio ° ecc., base ve-Fe); ma nè
tocca egli dei testi etruschi, nè meno ancora naturalmente dell’ornavassese,
venuto d'improvviso a rincalzarne l’interpretazione: anche per mess. veinar,
penserei io oggi piuttosto ‘a lat. vinea. Accetto invece la bella spiegazione
del Thorp circa ven. op voltiio © libenter ’ (base vel-), premesso in ambo i testi
a veno vi[no]; e mi rallegro che anch’egli consenta con G. Meyer e con me
circa il valore metrico dell’% veneto, valore su cui poggia la dichiarazione di
ven. s'ahnateh Rehtiiah con ° sanatis Retiae ’ (n. 18). — Torna infine assai no-
tevole a proposito di etr. vena ven. vero ecc. anche il venavtun di un epitafio
frigio, se, come il Pauri (Altit. Forsch. II 2 [Isc. tirr. di Lemn.] 64) interpreta,
significa ‘ rallegrare (il defunto) con libazioni vinarie ‘.
— nn T_T
CARLO PASCAL — L'ISCRIZIONE SABELLICA DI CASTIGNANO 109
L'iscrizione sabellica di Castignano;
2
Nota di CARLO PASCAL.
Il fac-simile della iscrizione di Castignano fu pubblicato la
prima volta dal chiaro Cav. G. Gabrielli, nelle Notizie degli
Scavi di antichità, 1890, p. 183. Ma il primo che cominciò a
disvelarne il mistero fu il Comm. Elia Lattes, che da tanti anni
tenta la Sfinge etrusca, e le strappa a quando a quando qualche
segreto. Egli pubblicò sulla nostra iscrizione sabellica, una dotta
memoria nei Rendiconti dell'Istituto Lombardo, 1891, p. 155 segg.
Il Lattes ha il merito di aver fissato la lettura dell’iscrizione ;
ma i risultati ermeneutici furono sfortunatamente bene scarsi,
come può vedersi dalla conclusione sua, che qui riportiamo (p. 182):
“ Nulla adunque di certo so io dire quanto al concetto della
iscrizione di Castignano ; nè, per quel che m’è dato vedere, pos-
siamo, per ora, intenderne gran fatto più, che delle altre sabel-
liche; pure, volendo e dovendo tuttavia sommare in una sola
le precedenti incertezze, oserei conghietturare che essa contenga
una prescrizione religiosa gentilizia dei Pomponii, conforme alla
quale chi certa cosa facesse o dicesse o disdicesse all’ara do-
mestica con le proprie mani, doveva esser poi di cert’altra cosa
o persona, come della madre o del padre.
Vale a dire, letteralmente, all’incirca :
Pomponiorum sacra haec —
ad aram suis manibus
esto —ris — — — ut
matris patris — — ,.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 10
110 CARLO PASCAL
Diamo ora il testo dell’epigrafe, secondo la lettura nostra,
che è identica a quella del Lattes, quasi in tutto :
Piupuinum i esi : k : apaiis :
ads : asih : suas's : manus :
meitimim
s'tid : haps'rs'h : ars'tih : s'mih : pus'h
materesh : pateresh i h. 1
Al rigo 3° il Lattes legge meilimum. Il che oltre all’accop-
piamento strano dei tre i, parmi non confermato dalla scrittura.
Noi interpretiamo come t il segno 7, e come i il segno $. Il
Lattes stesso del resto interpreta come t il primo segno leg-
gendo al quarto rigo s'tud.
Col Lattes poi, e per le buone ragioni da lui addotte (p. 163)
interpretiamo come % il segno W, cui si dette vario valore (A,
E, 0). L’A e lE sono rappresentati nella nostra epigrafe dai
soliti segni; l’o sarebbe appunto l'equivalente del nostro %.
È noto che l’osco ha per l’u due segni V ed V, che convenzio-
nalmente si indicano v ed 4; ed è ormai ammesso che il se-
condo segno sia l’equivalente dell’o, o almeno indichi una pro-
nunzia che si dilarghi dall’u verso l’o. Mi pare ovvio che il
segno osco V debba ritenersi una riduzione del sabellico YV. —
L'assegnazione del valore di e ebbe origine dal paragone di due
parole. Infatti, accanto all’esmen delle epigrafi di Bellante e di
Grecchio, abbiamo esmWn di Cupra Marittima (secondo il Deecke
esmus'). Ma, anche fermandoci all’esmun, non sappiamo come
questo sia escluso dall’esmen ; il paragone anzi tra hkom-in-(is)
ed hom-0n-, dovrà condurci ad altro avviso. — Interpretiamo
poi come È il segno [ ], che occorre anche nell’epigrafe di
S. Oméro presso Nereto, e ciò conformemente all’idea del
Deecke e del Lattes (p. 172). — Secondo la lettura sopra esposta
poi, la nostra epigrafe presenta doppia forma di s; e cioè IX e €,
che indichiamo con s' e s. La differenza fonica tra i due s non
L'ISCRIZIONE SABELLICA DI CASTIGNANO b: 491
è ben chiara. Nelle tavole eugubine accanto al segno è (s') com-
pare due volte (II a 18, Il a 28) il segno detto sàdé, M. Così
il frammento minore di Novilara ha nelle tre parole di cui si
compone (lupes' m. reseert) tutti e due gli s, e cioè 2 (s) ed M (s')
(cfr. Lattes, Due iscrizioni preromane, p. 5). Nelle iscrizioni
venete il sàdé è rarissimo (Pauli, Ven. 170 seg.); ma è frequente
nelle etrusche, ove si trova anche accoppiato in gruppo con l’s
comune: Fabr. 1558 VelQunas'sl, 1488 S'sedu, ecc. (come nella
nostra epigrafe suas's). Nella lapide di Castignano il segno è
propriamente |<. Ma il valore di tal segno ci è assicurato dal-
l'alfabeto etrusco campano (Fabr. XLIX 2766), dov'è tra il P e
lR e cioè al posto del sadé. Le altre iscrizioni tutte dove il
segno occorre, vedi bellamente notate in Lattes, Rend. Ist. Lomb.
1891, p. 171. — Notiamo intanto che dal trovare in un unico
gruppo i due s (s's), mal si argomenta (Rend. cit. p. 180) alla
parità fonetica tra essi. Sarebbe, ad esempio, illecita tale indu-
zione per Zampw e Bdkyog e “At@ig, ecc. Se il segno [| dell’e-
pigrafe di Bellante è anche equivalente al sàdé, e se ben ve-
demmo, supponendo che quando si abbandonarono gli antichi
alfabeti locali, e si adottò l'alfabeto latino, quel segno [XX fu
sostituito da C' nell’epigrafe sulmonese delle Notizie Scavi, 1895,
p. 253, si potrà supporre che il valore fonico di s’ sia stato di
un s che iotizzandosi, molto dappresso si sia avvicinato ad un €
assibilato. Per dare una idea di questo trapasso fonico, ram-
menteremo nella serie neolatina il passaggio dasium, tosc. dascio,
ital. bacio. Il bascio tosc. sarà stato immediatamente preceduto
da un *bassjo, con l’s jotizzato ; indi la pronunzia col e assibi-
lato bascio, e di là lo schietto c palatale dacio.
Venendo ora alla interpretazione, diremo che per le due
prime parole non abbiamo se non a confermare quella del Lattes:
.
Pipiunum : esiti
‘ Pomponiorum sacrum ”.
ENTI
Pai,
112 CARLO PASCAL
Per Pipunum sono opportuni i suoi raffronti sia col Pupun
di S. Oméro, sia colle forme fal. Puponio (Deecke Fal. 33),
etrusca Pupuni, veneta Puponeh (Pauli Ven. IV-13), sia infine
colle Poponiae delle epigrafi meridionali. Quanto alla desinenza
dei genitivi plurali maschili, essa è la normale in -um, cfr. osco
Nuvkirinum © Nucerinorum ’, Abellanum ° Abellanorum ’ ecc. —
Per esi il Lattes giustamente richiama la nota famiglia : osco
ao- ‘ sacrum È, umbro eesono ‘ sacrificium ’, eesona ° divinas ’,
marruc. aisos ‘ dis ’, volsco esaristrom ° sacrificium ’; famiglia che
ha pure larghe propaggini nell’etrusco, ov'è documentato da passi
di scrittori antichi. Il nostro esi sta ad aiso- (eso-) come ‘Eotia
sta a Vesta. Circa la forma, crediamo si tratti di un neutro
singolare, e rammentiamo fal. sacru, osco cakopo = sacrum.
Segue % : apaivis :. Il Lattes interpreta % = eko. A noi
pare possa aversi qui regolarmente un prenome con un nome
proprio : C. Apaius. Ci spiegheremmo allora il nominativo apaits,
per quel che innanzi abbiamo detto di % = 0 (*apaio-). Nelle
epigrafi latine troviamo Appaeus ; cfr. ad es. C. I. L. V, 798 as,
2564, 2565, 2566. Circa il doppio p si confronti Appulejus (Mon.
Ancyr. 2, 9) di fronte ad Apulejus (C. I. L. I 1539).
Secondo rigo : ads. Ben raffrontato dal Lattes con latino ad,
osco az. Il Prellwitz, Bezz. Beitraege, 15, p. 159, osservò come
sia l’ao- del greco do-maZouar (cfr. éu-maZopar) sia l’osco ae ri-
salgano ad ads, della cui esistenza il nostro monumento ci offre.
dunque la riprova storica. Ads è ad + s. Il semplice ad com-
parisce, oltrechè nel latino, nel got. at, nell’ant. alto ted. ae,
nel lit. at, nello sl. otà. Sopra l’-s, vedi Bechtel, Bezz. Beitr.
X, 287 e Prellwitz stesso, Got. gel. anz. 1887, 440 seg.
as'ih. Già raffrontato dal Lattes (p. 179) con l’asum del
bronzo di Rapino (Zvet. 1. I. J. 8) e con l’aso delle Tavole
Eugubine (VI, B, 50). Aggiungerò l’asif volsco ‘© incendens, ado-
lens flammis ’, e il germ. Asche ‘ cenere °. Il Corssen (K. Z. XI,
p. 149) fè di asum l'equivalente di ara, osco qasa. Si può stare
col Bréal (Tab. Eug. 168) e col Lattes (p. 179) al significato
di ‘ foculus ”. Quanto all’% finale, si può col Lattes richiamare
quella di osco suluh e puh; ma è pur certo che anche in queste
due parole addotte il valore fonico e morfologico dell’h non è
>
Pal
L'ISCRIZIONE SABELLICA DI CASTIGNANO 113
ben chiaro ; e che nell’as'44 neppur mi è chiara la designazione
del caso. Vedi del resto sull’ Lattes, Rend. Ist. Lomb. 1871,
p. 762, Mem. Ist. Lomb. 1872-73, p. 10.
suas's manus. ‘suis manibus ’. L’interpretazione ‘ suas
manus ° è impossibile per il doppio s's di sas's. Abbiamo qui
l'esempio del dittongo lungo a = di. Cfr. le mie Tre questioni
di fonologia, p. 7. — Vedi peligno Anaceta Ceria per Anacetai
Ceriai, e i dativi delle iscrizioni pisauriche Feronia, Marica, ecc.,
e il Vesta pocolom di un poculo votivo (Notizie Scavi 1895, p. 45)
e forse anche il devas Corniscas lat. arc. = divis Corniscis. —
Manus è poi per manuis; giusto il raffronto del Lattes : umbro
berus = beruis ° verubus °.
meitimim. È ben documentato nel volsco, nell'umbro e
nel peligno un fenomeno, e che cioè il gruppo -ct- perda la sua
gutturale, e si riduca allo scempio t. Il medix aticus di un’epi-
grafe peligna (Zv. I. I. I. 33) fu dal Deecke ricondotto ad
*qgcticus (Rh. Mus. 41, 200), quasi ‘ magister ludiarius °. Il volsco
atahus- corrisponde ad una formazione latina quale *actaverit.
Dell’umbro petenata generalmente si ammette la rispondenza al
latino ‘ pectinatam ’, e così di umbro speture, speturie al latino
‘ spectori’ (Huschke, Iguv. Taf. 346 segg., Buecheler, Umbrica,
123, 125. V. anche Lattes, Rend. Ist. Lomb. 1891, p. 359). Del
pari si ha umbro fato = ‘ factum °, umbro satam, sate = ‘© sanct-” e
così pel. sato (Rend. Accad. Napoli, 1894, 20 Marzo). V'ha ancora
di più. Appunto in corrispondenza con tale fenomeno, vi ha
quello di un « radicale che si oscuri in e, per affinità elettiva
con un è che le faccia seguito. L'esempio tipico è dell’impera-
tivo umbro feitu, fetu, feetu, corrispondente al latino facito, ar-
caico facitud. Da facitu la prima tappa del cammino verso feitu
sarà faitu, tappa documentata nell’umbro stesso da aitu ‘* agito ’;
indi feitu per influenza dell’; processo fonico riprodottosi in
tempi moderni sul suolo francese, come ci mostra la grafia del
participio fait rispetto alla sua pronunzia (fè). Or dunque non
v'ha bisogno di ricercare al feitu umbro altra radice (idg. dhe,
Planta, Gramm. d. osk.-umbr. Spr. p. 359). — Poste le due os-
servazioni foniche, che abbiamo fatto precedere, non parrà strano
che il nostro meitim4m riserbi nella parte tematica il mact-
114 CARLO PASCAL
(mac(i)t-; cfr. mac-ellum) di macte,mactare, ecc. — Circa la de-
sinenza, crediamo vi si abbia il suffisso imperativo medio del-
l’umbro. Abbiamo ivi:
persni-mu, persnihmu, persnihimu ‘ precator °
etudstamu, eheturstahamu ‘ exterminato ’.
(Buecheler, Umbrica, p. 94 e 1883)
spahmu, spahamu ° graditor ‘.
Porremo quindi meitimim = ° mactato ’.
s'tud. — Secondo una buona intuizione del Lattes (p. 180),
vi si potrà vedere il latino estod ; e l’aferesi dell'e secondo lo
stesso, si potrà mettere a riscontro con quella di smil, che di
poco gli segue, se è lecito raffrontare quest’ultima parola al-
l’esmen di due altre iscrizioni sabelliche (Deecke, Rh. Mus. XLI,
p. 191 e segg.). Cfr. del resto lat. ed osco sum = esum, lat. e
fal. sunt = esunt; osco set, umbro sent = sunt (esunt), tutti dal
medesimo tema es- * esse °.
haps'rs'h. In questo che il Lattes giustamente chiamò
“ strano cumulo di consonanti ,, noi vediamo all’incirca un la-
tino *hapsarius, fatta ragione della mancanza delle lettere me-
diane, secondo il modo di scrittura etrusco ed anche sabellico
(vedi, ad esempio, Zvet. I. I. I. 10 Atrno = Aterno, Buecheler,
presso Zvet. I. I. M. p. 14 o = A(M)(e)rno, Amiterno, Deecke,
Rh. M. 41, p. 197). Hapsarius intendiamo come un sostantivo
derivato di hapsum, della qual parola apportiamo le testimo-
nianze seguenti :
Gloss. Scal. (Corp. Gloss. Lat. ed. Goetz, V): hapsum
vellus lanae.
Cod. Vat. 1468 (ibid.): habsum vellus lanae.
Gloss. Abavus (ibid.): apsum vellus lanae.
De verb. dubiis: hapsum vellera lanae, non hapsus.
Gloss. Isid. hapsum vellus lanae.
Cels. 4, 6. Circumdare oportet latus hapso lanae sul-
phuratae.
Cels. 7, 26. Inducendus hapsus lanae mollis.
L'ISCRIZIONE SABELLICA DI CASTIGNANO 115.
*Hapsarius, e cioè il nostro haps'rs'%h interpretiamo : ‘ vel-
lere lanae indutus’, ed intendiamo ‘coperto della lana sacrifi-
cale’, e cioè della pelle dell'animale sagrificato. Prezioso riscontro
italico con festività latine, quale, ad esempio, quella dei Lu-
percali. I Luperci, e cioè gli adoratori del Dis Lupercus e della
Dea Lupa o Luperca, coppia infera di divinità originariamente
etrusche (cfr. Le divinità infere e i Lupercali, Rend. Lincei, 1895)
erano caprina pelle induti, e perciò Varrone li chiamò ‘umane
greggi’ (L. L. VI, 34 ‘oppidum Palatinum gregibus humanis
cinctum °). Hapsarius sarà dunque il sagrificante che si copre
dell’hapsum dell'animale sagrificato, e cioè si copre della lana
sagrificale. Sarà qui forse anche opportuno il richiamo al vilatos'
di Novilara, e al capite velato del rituale latino.
ars'tih. Nulla anche qui saprei dire sul valore fonetico e
morfologico dell’% finale. Se in haps'rs'h, che pur termina in %,
vedemmo un nominativo, non è escluso che possa esserlo anche
ars'tih; nella qual parola noi vediamo una formazione col suf-
fisso -t7 = lat. -tio-, di parecchi nomi proprii e comuni. Circa
la parte radicale, ne torna ovvio il riscontro con l’etrusco arse
verse, che in Festo, p. 18 M. viene spiegato come ‘ignem ver-
tito’. Festo veramente spiega arse quale ‘vertito ? e verse quale
‘ignem’, ma lo scambio evidente dei due vocaboli fu già rico-
nosciuto da lunghi anni (cfr. gli autori citati in Fabretti, Gloss.
Ital. s. voce). Comunque sia, torna qui opportuno anche il ram-
mentare l’arsier gen. singolare ‘sancti’ delle Tavole Eugubine
(VI. b. 27; VI. a. 24); e dal raffronto delle due parole etrusca
ed umbra, par che si legittimi al nostro ars'tit un significato
quale di sacerdos, e cioè di colui che sta ad foculum a compiervi
i sacra.
smih. È la parola per noi più oscura. Pur non sapremmo
rinunziare allo spiraglio apertone dal Lattes, quando sospettò
(p. 180) che lo smi stesse al noto esmen come lo s't0d al-
l’estod. Sol dovremmo porre scritta abbreviatamente la parola
e taciutane la desinenza. Non per ipotesi dunque, ma a guisa
di semplice interrogazione, chiederemo se convenga allo smi il
significato che il Deecke (Rh. Mus. 41, p. 192) dette all’es-mex,
di ‘ sacellum, sepulerum ’, e cioè, al locativo, ‘in sacello”.
. 116 CARLO PASCAL — L'ISCRIZIONE SABELLICA DI CASTIGNANO
pus'h. Umbro puze, puse, pusei, pusi; Oosco povs, puus,
puz; = ut.
materes'h : pateres'h : ‘matris patris’, vedi Lattes,
p. 181. O © matres patres’?
H. L. Che sia formola rituale ci mostra l’epigrafe di Crecchio,
che pur finisce %. r. 2. Sol per additare uno dei significati pos-
sibili, porremo che vi si celi un senso quale ‘ossa luantur ? o
‘ corpora luantur°, pur confessando che le rispondenze delle
parole locali ci sono, anche ponendo tal senso, ignote. Ma un.
senso a un dipresso simile a quello detto, ci verrebbe consigliato
dal contesto dell’epigrafe intera; nè all’! puntato disconverrebbe
vedervi l’inizio della parola corrispondente al latino luantur.
Potrebbe forse anche nell’h. vedersi l’inizio di fal. e lat. hara
‘exta’ (cfr. harispex). Bisognerebbe allora vedere in materes'% :
pateres'h due nominativi plurali, e tradurre: ‘ ut matres patres
extis lustrentur°; vedendovi la lustrazione di tutti gli antenati.
Riassumendo le cose discorse, direbbe l’epigrafe nostra :
Pomponiorum sacrum. C. Appaeus
ad foculum suis manibus
mactato
esto *hapsarius sacerdos . . . .. ut
matres patres h. 1. (extis lustrentur ?).
Si tratterebbe cioè di una prescrizione rituale ad uno della
famiglia Pomponia, chiamato ad essere egli stesso il sacerdote
familiare e a compiere i sacra domestica. Ciò ne conduce a un
altro punto importante del diritto sacrale romano, a quello cioè
dei culti domestici ereditari nelle famiglie, e dei quali ciascun
paterfamilias doveva essere il sacerdote (v. il mio Culto di Apollo
a Roma, p. 8 segg.).
L’ Accademico Segretario
Ermanno FERRERO.
117
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA
Dal 1° Luglio al 17 Novembre 1895.
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali
NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio;
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono.
** Abhandlungen der k. Preussischen geologischen Landesanstalt. N. F.,
Heft 16, Atlas. Berlin, 1895; 8° e 4°.
* Abhandlangen (Wissenschaftliche) der physikalisch-technischen Reichs-
anstalt. Berlin, 1895; 4°.
* Abhandlangeu der k. Akademie der Wissenschaften zu Berlin, 1894; 4°.
* Abhandlungen herausg. von der Senckenbergischen Naturforschenden
Gesellschaft. Bd. XIX, Heft. I. Frankfurt a. M., 1895; 4°.
* Abhandiungen der Naturhistorischen Gesellschaft zu Niirnberg. X Bd.,
III Heft. 1895; 8°.
* Aceta Societatis scientiarum Fennicae. T. XX. Helsingforsiae, 1895; 4°.
* American Journal of Science. Editors James D. and Edward S. Dana.
Vol. L, n. 295-299. New-Haven, 1895; 8°.
* Analele Institutului Meteorologic al Romaniei. Tomul IX, Anul 1893.
Bucuresci, 1895; 4°.
* Amales de la Sociedad Cientifica Argentina. Entrega I-VI, t. XXXIX; I,
III, t. XL. Buenos Aires, 1895; 8°.
Anales del Museo Nacional de Montevideo, III. 1895; 4°.
* Annales de la Société géologique de Belgique. T. XX, 3° livr.; XXI,
8° livr.; XXII, l'e livr. Liège, 1892-1895; 8°.
* Annales de la Société belge de Microscopie. T. XVII, 2° fasc.; XIX,
le fasc. Bruxelles, 1894-95; 8°.
* Annales des Mines. 9"© série, t. VII, livr. 4°-6°. Paris, 1895.
* Annals of the New York Academy of Science late Lyceum of Natural
history. Vol. VII (Index); VIII, 5. New York, 1885; 8°.
* Archives du Musée Teyler, serie II, vol. IV, fasc. 3, 4. Haarlem, 1894-95; 8°.
* Archives Néerlandaises des sciences exactes et naturelles publiées par
la Société hollandaise des sciences è Harlem; tome XXIX, livr. 2, 3.
Harlem, 1895; 8°.
Archives (Nouvelles) du Muséum d'’histoire naturelle. III° sér., t. 6° et 7°.
Paris, 1894, 1895; 4°.
118 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
Astronomische Beobachtungen und Vergleichung der astronomischen und
geoditischen Resultate. (Publication der Norwegischen Commission der
Europiischen Gradmessung). Christiania, 1895; 8°.
* Atti della fondazione scientifica Cagnola dalla sua istituzione in poi.
Vol. 12°, 13°. Milano, 1894; 8° (dal R. Istituto Lombardo).
Atti della Società Italiana di Scienze naturali. Vol. XXXV, fasc. 1°-2°.
Milano, 1895; 8°.
Atti della R. Accademia economico-agraria dei Georgofili di Firenze.
4* serie, vol. XVIII, disp. 2*, 1895; 8°.
Atti della Reale Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli.
Serie II, vol. VII. Napoli, 1895; 4°.
Atti della R. Accademia medico-chirurgica di Napoli. Anno XLIX,
N. s., n. II, HILL Napoli, 1895; 8%
Atti del Collegio degli ingegneri e degli architetti in Palermo. Anno XVII,
1894, settembre-dicembre. 1894; 8°.
* Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Anno XLVII, sess. V-VII;
XLVIII, sess. I-VI. Roma, 1894; 4°.
* Atti della R. Accademia dei Lincei, serie IV. Memorie della Classe di
Scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. VII. Roma, 1894; 49.
* Atti della R. Accademia dei Fisiocritici in Siena. Serie IV, vol. VII, fasc. 4-6.
1895; 8°.
* Atti del Museo Civico di Storia natur. di Trieste. Vol. IX. Trieste, 1895; 8°.
* Atti del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. T. LIII, disp. 74-9*.
Venezia, 1895; 8°.
Australian Museum. Report of Trustees for the year 1894. Sydney, 1895; 4°.
Beobachtungen der Temperatur des Erdbodens im Tiflisser physikalischen
Observatorium in den Jahren 1888 und 1889. Tiflis, 1895; 8°.
Beobachtungeu des Tiflisser physikalischen Observatoriums im Jahre 18983.
Tiflis, 1895; 4°.
Bericht iber die Ergebnisse der Beobachtungen an den Regenstationen
der Kais. livlandischen gemeinniitzigen und ékonomischen Societàt fir
das Jahr 1884. Dorpat; 4°.
* Bericht iber die Senckenbergische naturforschende Gesellschaft in
Frankfurt am Mein, 1895; 8°.
# Berichte iber die Verhandlungen der k. stess Gesellschaft der
Wissenschaften zu Leipzig. Mathem.-Physische Classe, 1895, IL-IV.
Leipzig, 1895; 8°.
* Bidrag till Kinnedom af Finlands Natur och Folck. Utgifina Finska
Vetenskaps- Societeten, n. 54-56. Helsingfors, 1894-95; 8°.
Boletin de la Academia Nacional de Ciencias en Cordoba. T. XIV, Entr. 28.
Buenos-Aires, 1894; 8°.
Boletin de la Comision Geolégica de México. N. 1. Mexico, 1895; 4°.
Boletin del Observatorio Astronémico Nacional de Tacubaya. Tom. I,
n. 22. Mexico, 1895; 4°.
Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia comparata della R. Univer-
sità di Genova. N. 27-30. Genova, 1894; 8°.
*
*
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 119
* Bollettino della Società di naturalisti in Napoli. Ser. I, vol. IX, fasc. I,
1895; 8°.
* Bollettino del R. Comitato Geolog. d’Italia. Anno1895, n.2. Roma, 1895; 8°.
* Bollettino della Società generale dei Viticoltori italiani. Anno X, n. 11-21.
Roma, 1895; 8°.
Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia comparata della R. Università
di Torino, n.i 192-207. Torino, 1894-95; 8°.
* Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2°, v. XV,
n. 1-8. Torino, 1895.
* Bollettino del Club Alpino italiano per l’anno 1893. Vol. XXVIII, n. 61.
Torino, 1895; 8°.
* Buletinul Observatiunilor Meteorologice din Romania. Anul III, 1894.
Bucuresti, 1895; 4° (dall’Istituto Meteorologico).
* Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico-
chirurgica, ecc. Serie VII, vol. VI, fasc. 5-9. Bologna, 1895; 8°.
* Bulletin de la Société belge de microscopie. XXI" année, 1894-95,
n. VII-IX. Bruxelles, 1895; 8°.
* Bulletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College.
Vol. XXVI, 1; XXVII, 2-5; XXVIII, 1. Cambridge, 1895; 8°.
* Bulletin of the Scientific Laboratories of Denison University. Vol. VIII,
1, 2. Granville, Ohio, 1893-94; 8°.
* Bulletin de la Société impériale des Naturalistes de Moscou. Ann. 1829,
n. 4-11; 1880, n. 2; 1832, n. 1-3; 1894, n. 2, 3. Moscou, 1894; 8°.
Balletin des séances de la Société des sciences de Nancy. N. 1-3, 6° année,
1894; 8°.
Bulletin de la Société des sciences de Nancy. Ser. II, t. XII, fasc. XXIX,
1894. Nancy, 1895; 8°.
Bulletin of the Agricultural Experiment Station of Nebraska. N. 6 e
vol. VIII; 8°.
* Bulletin du Muséum d'’histoire naturelle. An. 1895, n. 4, 6. Paris, 1895; 8°.
* Bulletin de la Société géologique de France. 3° série, t. XXII, n. 9
(1894); t. XXIII, n. 1-3 (1895). Paris, 1895; 8°.
Balletin de la Société Philomatique de Paris, 1894-95, n. 1, 2; 8°.
* Bulletin de la Société des Sciences naturelles de l’Quest de la France. T. V,
1° trimestre 1895. Paris; 8°.
* Bulletin de l’Académie Imp. des Sciences de St-Pétersbourg. V° sér., T. II,
n. 3, 4. 1895; 4°.
Bulletin N° 34. Washington, 1895; 8° (dall’United States Coast and Geodetie
Surver).
* Bulletins du Comité Géologique de St-Pétersbourg, 1893, t. XII, n. 8-9;
1894, XIII, n. 1-3, 189; 8°.
* Catalogue of the Fishes in the British Museum. Second edition. Vol.
First. London, 1895; 8° (dal British Museum).
Clinica Dermosifilopatica della R. Università di Roma. Prof. R. Cam-
PANA, Direttore. Anno 1895, fasc. II, III. Roma, 1895; 8°.
Colorado College Studies, Fifth annual publication Colorado Springs. 1894; 8°.
120 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
* Compte-Rendu des Travaux présentés è la 77% session de la Société
Helvétique des sciences naturelles réunie à Schaffhouse. Genève, 1894; 8°.
* Compte-Rendu sommaire des séances de la Société Philomatique de
Paris, 22 juin, 13 et 27 juillet, 26 oct. 1895. Paris; 8°.
* Comptes-rendus des séances de l’Académie des Sciences de Cracovie.
Juin-juillet 1895; 8°.
* Descriptive Catalogue of the Spiders of Burma based upon the Collection
made by Eugene W. Oates and preserved in the British Museum.
London, 1895; 8° (dal British Museum).
** Erliaterungen zur geologischen Specialkarte von Preussen und den
Thiringischen Staaten. LX, LXXII Liefer. Gradabth. 70; n. 88, 39,
44-48, 52. Berlin, 1894; 8°.
** Fortschritte der Physik im Jahre 1893, Bd. XLIX, II, III Abt. Braun-
schweig, 1895; 8°.
* Geological Survey of Canada; Report 1887-88; N. S., vol. 2-3. Maps.
Ottawa, 1895; fol.
Giornale Scientifico di Palermo. A. II, n. 6-9. Palermo, 1895; 4°.
* Giornale del Genio civile. Anno XXXIII, fasc. 5°-6°. Roma, 1895.
* Giornale della R. Accademia di medicina. A. LVIII, n.5-10. Torino, 1895; 8°.
Institute of Chemistry of Great Britain and Ireland Regulations for ad-
mission to Membership and Register, 1895-1896; 8°.
* Jahrbueh iber die Fortschritte der Mathematik. Bd. XXIV, Heft 2-3.
Berlin, 1895; 89.
* Jahrbuch der k. k. geologischen Reichsanstalt zu Wien. Jahrg. 1895.
XLV Bd., 1 Heft. Wien; 8°.
* Jahreshefte des Vereins fiir vaterlindische Naturkunde in Wiirttemberg.
I-XXX, 51 Jahrgang. Stuttgart, 1894; 8°.
* Jenaische Zeitschrift fiir Medicin und Naturwissenschaft, herausg. von
der medicinisch-naturwissenschaftlichen Gesellschaft zu Jena. N. F.,
Bd. XXII, Heft III u. IV. Leipzig, 1895; 8°.
* Journal of the Asiatie Society of Bengal. Vol. LXIII, Title page and
Index. Vol. LXIV, part II, Natural Science, n. 2. Calcutta, 1895; 8°.
* Journal of Comparative Neurology; Vol. V, pp. 71-138, XXVII-XLII.
Cincinnati, Granville, Ohio, 1895; 8°.
* Journal of Linnean Society. Botany, vol. XXX, n. 209-210. Zoology,
vol. XXV, n. 158-160. London, 1894-95; 8°.
* Journal of the R. Microscopical Society, 1895, part 3-5. London, 1895; 8°.
* Jowrnal of the Academy of Natural sciences of Philadelphia. Second series,
vol. IX, p. 4. Philadelphia, 1895; 4°.
* Journal and Proceedings of the R. Society ofNew South Wales.Vol. XXVIII,
1894. Sydney, 1895; 8°.
* Journal of the College of Science Imperial University Japan. Vol. VII,
part V. Tokio, 1895; 4°.
* Kongliga-Srenska Vetenskaps-Akademiens. Handlingar Ny Fòljd. Bd. 26.
Stockholm, 1894-95; 4°.
* List of Linnean Society of London, 1894-95. London, 1895; 8°.
PU) BLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 121
* Mémoires de la Société de Physique et d’Histoire naturelle de (Genève.
Tom. XXXII, 1° partie, 1894-95; 4°.
* Mémoires de la Société Impériale des naturalistes de Moscou. T. I, 2° éd.
1811; III, IV 1812-1813, V 1817; et Nouveaux Mémoires, t. I, 1829,
XV, livr. 5, 1888. Moscou, 1811-1888; 4°.
* Mémoires du Comité Géologique de Russie. T. VIII, n. 2, 3; IX, n. 3.
St-Pétersbourg, 1894; 4°.
* Memorias y Revista de la Sociedad Cientifica © Antonio Alzate ,. T. VII,
(1894-95). N. 3 y 4. Mexico, 1895; 8°.
* Memorie della R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna.
Serie V, tomo III. 1892; 4°.
* Memorie del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Classe di scienze
matematiche e naturali. Vol. XVII, fasc. 5. Milano, 1895; 4°.
* Memorie della Pontificia Accad. dei Nuovi Lincei. Vol. X. Roma, 1894; 4°.
* Memorie descrittive della carta geologica d’Italia. Vol. IX. Descrizione
geologica della Calabria. Roma, 1895; 8° (dal R. Ufficio Geologico).
Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXIV, disp. 6, 7.
Roma, 1895; 4°.
* Mitteilungen der Naturforschenden Gesellschaft in Bern aus dem
Jahre 1894, n. 1385-1372.
* Mitteilungen des Vereins fiir Erdkunde zu Leipzig,:1894. Leipzig, 1895; 8°.
* Mittheilungen aus der Zoologischen Station zu Neapel. 12 Bd., 1 Heft.
Berlin, 1895; 8°.
* Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LV, n. 7-9.
London, 1895; 8°.
*«* Morphologische Arbeiten. Herausg. von D" G. Schwalbe. 5 Bd., 2 Heft.
Jena, 1895; 8°.
* Nachrichten von der Kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen.
Mathematisch-physik. Klasse, 1895, n. 2. Gòttingen; 8°.
# Nieuwe Opgaven. (Deel VII, n. 1-25); 8°.
North American Fauna. N° 8. Monographie revision of the Pocket Gophers.
Family Geomyidae, by Dr. C. H. Merriam. Washington, 1895 (dal! U. S.
Department of Agriculture).
* Notizie sui terremoti avvenuti in Italia durante l’anno 1895. Roma,
1895; 8° (dal R. Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica).
* Nouveaux Mémoires de la Société Helvétique des Sciences naturelles.
Vol. XXXIV. Genève, 1895; 4°.
* Nova Acta Regiae Societatis Scientiarum Upsaliensis. Seriei tertiae,
vol. XV, fas. II. 1895; 4°.
* Observations made at the Magnetical and meteorological Observatory
at Batavia. Vol. XVI, 1893. Batavia, 1894; f°.
* Qbseryations météorologiques publiées par l’Institut météorologique central
de la Société des Sciences de Finlande, 1889-90. Knopio, 1895.
* Observations publiées par l’Institut météorologique central de la Société
des Sciences de Finlande, vol. douzième, 1° livr. Observ. météorologiques
faites è Helsingfors en 1893. Helsingfors, 1894; 4°.
122 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
* Ofversigt af Finska Vetenskaps-Societetens Forhandlingar, XXXVI, 1893-
1894. Helsingfors, 1894; 8°.
* Ofversigt of Kongl. Vetenskaps Akademiens Fòrhandlingar. Vol. 51, 1894.
Stockholm, 1895; 8°.
* Proceedings of the Asiatic Society of Bengal. N°IV-VI, 1895. Calcutta; 8°.
* Proceedings of the Royal Society. Vol. LVII, n. 346; LVIII, n. 847-351.
London, 1894; 8°.
* Proceedings of the Linnean Society of London. From November 1893
to June 1894. London, 1895; 8°.
* Proceedings of the Zoological Society of London for the year 1895.
Part II. London; 8°.
* Proceedings and Transactions of the Royal Society of Canada for the
year 1894. Vol. XII. Ottawa, 1895; 4°.
* Proceedings of the Academy. of Natural history of Thiladelphia, 1394.
Part III. Philadelphia, 1894; 8°.
* Proceedings of the American Philosophical Society held at Philadelphia.
Vol. XXXII, 143; XXXIII, n. 146. Philadelphia, 1893-1894; 8°.
* Procès-Verbaux des séances de la Société Malacologique de Belgique.
Tom. I-VII, t. XXI, pp. LXVII et suiv.; t. XXII et XXIII: 1872-1877;
1893-1894. Bruxelles; 8°.
* Processi verbali delle adunanze. Anno accademico 204, n. 5 (Asian dei
Fisiocritici). Siena, 1895; 8°.
* Publications de l’Institut R. Grand-Ducal de Luxembourg (Sect. des
sciences naturelles et mathématiques). Tome III, XIV, XXI et AE
Luxembourg, 1855-1894; 8°.
* Quarterly Journal of Geolog. Society. Vol. LI, n. 208-204. London, 1895; 8°.
* Records of the Geological Survey of India. Vol. XXVIII, part 3. Calcutta,
1895; 8°.
* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXVIII,
fasc. XIV, XVI. Milano, 1895; 8°.
* Rendiconti del Circolo matematico di Palermo. Tom. IX, fasc. II-V.
Palermo, 1895; 8°.
* Rendiconto delle Sessioni della R. Accademia delle Scienze dell’Istituto
di Bologna. Anno Accademico 1892-93 e 1893-94. 1894; 8°.
* Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche. Ser. 3*,
vol. I, fasc. 5°-7°. Napoli, 1895; 8°.
* Rendiconto dell’Ufficio d’igiene della Città di Torino per l’anno 1895; 4°.
Report of the sixty-third Meeting of the Britsh Association for the advan-
cement of Science held at Oxford in august 1894. London, 1895; 8°.
Report for the Year 1894-95, presented by the Board of Managers of the
Observatory ofYale Univers.to the President and Fellows. New-Hawen; 8°.
* Report (Eleventh; Twelfth Annual) of the Bureau of Ethnology to the
Secretary of the Smithsonian Institution 1889-90; 1890-°91. Washington,
1895; 8°.
Résultats des Campagnes scientifiques accomplies sur son yacht par Al-
bert I, Prince de Monaco; fasc. VIII et IX. Monaco, 1895; 4° (dono di
S. A. Me il Principe Alberto I di Monaco).
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 423
* Rivista mensile del Club alpino italiano. Vol. XIV, n. 6-10. Torino, 1895; 8°.
* Sehriften der Physikalisch-Oekonomischen Gesellschaft zu Kénigsberg in
Pr., XXXV Jahrg., 1894. Kònigsberg, 1895; 4°.
* Sitzungsberichte der Kéòn. Preuss. Akademie der Wissenschaften zu
Berlin (10 Januar) I- (25 Juli 1895) XXXVIII. Berlin, 1895; 8°.
* Sitzungsberichte der physikalisch-medicinischen Societàt in Erlangen;
26 Heft, 1894. Erlangen, 1895; 8°.
* Sitzungsberichte der mathematisch-physikalischen Classe der k. b. Aka-
demie der Wissenschaften zu Miinchen. 1895, Heft II. Miinchen, 1895; 8°.
* Smithsonian Miscellaneoas Collections; N° 854, 969, 970. Washington,
1894; 8° (dalla Smithsonian Institution).
* Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXVII, fasc. 5-6, XXVIII,
fasc. 6-9. Modena, 1895; 8°.
* Studi e ricerche istituite nel laboratorio di chimica agraria della R. Uni-
versità di Pisa. Fasc. 12°, anni 1893 e 1894. Pisa, 1895; 8°.
Sveriges Zoologiska hafsstation Kristineberg af hjalmar théel. Stockholm,
1895; 8°.
* Thiitigkeit der Physikalisch-Technischen Reichsanstalt in der Zeit vom
1 Mirz 1894 bis 1 April 1895. Berlin, 1895; 4° (dall’Istituto Fisico-
Tecnico in Charlottenburg).
* Transactions of the Royal Society of South Australia. Vol. XIX, Part L
Adelaide, 1895; 8°.
* Transactions of the Linnean Society of London. Botany, vol. IV, p. 2;
vol. V, p. 1. — Zoology, vol. VI, p. 8. London, 1895; 4°.
* Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXIII, p. vi-1x.
Transacetions of the Connecticut Academy of Arts and Sciences. Vol. IX,
part 2. New-Haven, 1895; 8°.
* Travaux & Mémoires des Facultés de Lille. T. III, n. 10-14. Lille, 1893-94; 8°.
#* Verhandlungen der physikalischen Gesellschaft zu Berlin. Jahrg. 14,
ni2: 1895; 8°.
* Verhandlungen der Schweizerischen Naturforschenden Gesellschaft bei
ihrer Versammlung zu Schaffhausen 1894. 77 Jahresversammlung; 8°.
* Verhaudlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Sitzung. N. 8-9,
1895. Wien; 8°.
Viskundige Opgaven met de Oplossingen, door de leden van het Wiskundig
Genootschap, Zesde Deel. 6%e stuk. Amsterdam, 1895; 8°.
* Zoologischer Anzeiger, herausg. von Prof. J. Vicror Carus in Leipzig, etc.;
XVIII Jahrgang, n. 478-488. 1895.
* KRypHaxp pyccraro ®0NI81r0o-xmMugeckaro O6mecrBa npu Hmmeparoperonb
C. MIerep6ypreroms VYangepenterb; t. XXVII, n. 4-6. 1895.
*
* Dall Università di Basilea :
Bachmann (J.). Einfluss der iiusseren Bedingungen auf die Sporenbildung
von Thamnidium elegans Link. Leipzig, 1895; 4°.
Boecking (0.). Zur Kenntnis des B-Diazo-Naphtalins. Zirick, 1894; 8°.
124 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
Bòhm (E.). Beitràge zur Kenntnis der komplexen anorganischen Skiuren.
Basel, 1895; 8°.
Bòhm (G.). Ueber Derivate des Anilacetessigesters. Miinchen, 1894; 8°.
Braunschweig (E.). I. Ueber das Einwirkungsproduckt von Alkali auf
substituirte Hydrazine der aromatischen Reihe. II. Ueber die Bildung
von Diphenylderivaten bei Einwirkung von Kupferchlortir auf o-Nitro-
diazobenzolparasulfosiure. Basel, 1895; 8°.
Biihler (K.). Ueber die Finwirkung von Kaliumsulfidlésung u. Schwefel-
kohlenstoff auf Resorcin und a- Naphtol bei Wasserbadwarme, sowie
ùber die Benzoylierung des Schall- u. Dralle’schen Oxydations—produktes
des Brasilins C° H?(0H)(0H)(C3*0?H)..... Farth, 1895; 8°.
Burckhardt (0.). Beitrag zur Lehre von den Grenztumoren von Conjunctiva
und Cornea. Basel, 1894; 8°.
Capeder (Ch. J.). Zur Casuistik der Diplacusis Binauralis. Basel, 1895; 8°.
Clairmont (W. C.). Zum Studium der Ketone. Basel, 1894; 8°.
Dinesmann (M.). Ueber die Ortho-Derivate des Mono- und Dialkylanilins.
Karlsruhe, 1894; 8°.
Gassmann (Ch.). Recherches sur la Diphényléthylènediamine et ses dérivés
et sur quelques dérivés de l’Amidocamphre. Strasbourg, 1895; 8°.
Gloor (A.). Pathologisch-anatomischer Beitrag zur Kentniss der Orbital-
phlegmone. Jena, 1895; 8°.
Goebbels (W.). Zur Kenntnis der Bleidoppelsalze mit organische Basen.
Aachen, 1895; 8°.
Goldbeck (P.). Die Nematoden in den Respirationsorganen und dem Schlunde
des Schafes. Miilhausen i. E., 1894; 8°.
Graber (Th.). Die Arten der Gattung “ Sarcina ,. Emmendingen, 1895; 8°,
Hegglin (C.). Experimentelle Untersuchungen iiber die Wirkung der Douche.
Solothurn, 1894; 8°.
Hey (F.). Ueber Driisen, Papillen, Epithel und Blutgefaàsse der Harnblase.
Tibingen, 1894; 8°.
Hoffmann (B.). Zur Geschichte des Furfurylamins Neue Amidinsynthese.
Berlin, 1895; 8°.
Hiisler (F.). Ueber die Regelmiissigkeit des Pulsrhythmus bei gesunden
und kranken Menschen. Leipzig, 1895; 8°.
Jelkmann (F.). Ueber den feineren Bau von Strongylus pulmonalis apri
Ebel. Leipzig, 1895; 8°.
Kampmann (K.). Ueber das Vorkommen von Klappenapparaten in den
Excretionsorganen der Trematoden. Genf, 1894; 8°.
Kiermayer (J.). Ueber ein Furfurolderivate aus Làvulose. Miinchen, 1895; 8°
Kohn (K.). Untersuchungen iber Zersetzungsprodukte Ortho-nitrirter Ben-
zoldiazimide. Zirich, 1895; 8°.
Kiindig (A.). Ueber die Wirkung des Ferratin bei der Behandlung der
Blutarmuth. Leipzig, 1894; 8°.
Kiister (W. von). Die Oelkòrper der Lebermoose und ihr Verhiltnis zu den
Elaioplasten. Basel, 1894; 8°.
Leent (F. H. van). Einige Untersuchungen iber Milchzucker, Galactose und
Maltose und ihre Ammoniakverbindungen. Haag, 1894; 8°.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 125
Lendle (A.). Zur Kenntnis der Thiazone. Basel, 1895; 8°.
Mangold (G. A.). Ueber die Infection der Ovarialkystome. Basel, 1895; 8°.
Marti (A.), Ueber subconjunctivale Kochsalzinjectionen und ihre thera-
peutische Wirkung bei destructiven Hornhautprocessen. Basel, 1894; 8°.
Meyer (Ad. A.). Contribution è la connaissance des: 1. Dérivés homologues
du Benzène; 2. Naphtylamines nitrées; 3. Diazonaphtaléneimides. Ge-
nève, 1894; 8°.
Meyer (C. A.). Contribution è la connaissance: I. “ Des Dérivés oxyazoiques ,;
IT. “ De la Transposition de l’Hydrazobenzène ,; III “ Des Oxycétones
aromatiques ,. Strassburg, 1895; 8°.
Meyer (H.). Beitràge zur Frage des rheumatisch-infectiésen Ursprungs der
Chorea minor. Leipzig, 1894; 8°.
Minassian (M.). Untersuchungen iber den Einfluss der Kérperlage auf die
Herzthitigkeit. Basel, 1895; 8°.
Niebergall (E.). Ueber den Einfluss lingerer Chloroformnarcose auf Blut
und Harn. Basel, 1894; 8°.
Plòtze (H.). Beitrige zur Kenntnis der chronischen Bleivergiftung. Basel,
1895; 8°.
Rikli (M.). Beitrige zur vergleichenden Anatomie der Cyperaceen mit be-
sonderer Beriicksichtigung der inneren Parenchymscheide. Berlin,
1895; 8°.
Rosenzweig (J.). Ueber die Finwirkung des Glyoxalnatriumbisulfits auf
aromatische und aliphatische Aminbasen. Berlin, 1894; 8°.
Sehlein (L.). Ueber das Verhalten des a-Diazo-Naphtalins gegen Alkalische
Ferrid-Cyankalium-Lòsung. Leipzig, 1894; 8°.
Schmidt (C.). Ueber das Phenyl-Butin-Acetophenon und das Phenyl-Butin-
a-Acetopyridon. Karlsruhe, 1895; 8°.
Serra (F.). Zur Kenntniss einiger Diphenylnaphtylmethanderivate. Basel,
1895; 8°.
Strobel (C.). Ueber Halogenderivate des Pseudocumols. Leipzig, 1894; 8°.
Suter (F.).. Ueber Schwefelhaltige abkòmmlinge der Eiweisskòrper. Strass-
burg, 1895; 8°.
Thumm (K.). Beitrige zur Biologie der fluorescierenden Bakterien. Emmen-
dingen, 1895; 8°.
Wilensky (L.). Beitrige zur Kenntnis des 1, 2, 4-Triamidonaphtalins und
seiner Abkémmlinge. Berlin, 1894; 8°.
Wirkner von Torda (C. G.). Studien iber Dampfspannkraftsmessungen am
Benzol, an Derivaten des Benzols und am Aethylalkohol. Basel, 1894; 8°.
Wormser (S.). Ueber einige Condensationsprodukte von Paratoluidin mit
Acet- und Propionaldehyd. Munchen, 1895; 8°.
Wurgaft (J.). Condensation von Aldehyden mit a-Naphtohydrochinon.
Dresden, 1895; 8°.
Zakrzewski (S. von). Ueber 2, 3 Naphtalinderivate. Posen, 1894; 8°.
Zeitlin (M.). Ueber die Zersetzung einiger substituirter Diazobenzolimide.
Karlsruhe, 1894; 8°.
Atti della R. A ecodenia IVO LPAZINITI 11
126 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
* Tesi dottorati dell’ Università di Erlangen
(dono della Società Fisico-Medica):
Apetz (H.). Ueber die Einwirkung der Salpetersiure auf Aldehyde und
Ketone, insbesondere auf Dimethylketon. Leipzig, 1894; 8°.
Arai (Kobo). Ein Beitrag zur Kenntnis der Chorea gravidarum. Erlangen,
1895; 8°.
Arens (C.). Ueber das Verhalten der Choleraspirillen im Wasser bei An-
wesenheit fiulnisfàhiger Stoffe und hòherer Temperatur (37°). Erlangen,
1895; 8°.
Ascherl (W.). Zwei Falle von recidivierender Augenmuskellàhmung bei
Tabes dorsalis. Erlangen, 1895; 8°.
Baaden (Ph. H.). Ein Fall von Paramyoclonus multiplex. Erlangen, 1895; 8°.
Bade (E.). Klinische und pathologisch-anatomische Beitràge zur Kenntnis
von mit Ulcus kompliziertem Magencarcinom. Erlangen, 1894; 8°.
Baur (K.). Fin Beitrag zur Casuistik der Coxa Vara. Freiburg I. B., 1895; 8°.
Becker (C.). Beitrag zur vergleichenden Anatomie der Portulacaceen.
Miinchen, 1895; 8°.
Behm (M.). Beitrige zur anatomischen Characteristik der Santalaceen. Cassel,
1895; 8°.
Berlin (0.). Ueber die Finwirkung von Benzoin und Cuminoîn auf einige
Diamine. Erlangen, 1895; 8°.
Beyer (G.). Die Operationen zur Freilegung der oberen Rectumteile. Augs-
burg, 1894; 8°.
Boehm (A.). Ueber die Resorption des Jodkalium im normalen menschlichen
Magen unter verschiedenen Einflussen. Erlangen, 1895; 8°.
Breunlin (H.). Einwirkung von Phenylisocyanat auf Stickstoff-Benzylani-
saldoxim. Erlangen, 1894; 8°.
Butters (W.). Ueber einen Fall von Uterus bicornis rudimentarius mit
rudimentàrer Scheide. Dirkheim a H. & Kaiserslautern; 8°.
Caro (L.). Ueber die pathogenen Figenschaften des Proteus Hauser. Berlin,
1893; 8°.
Coester (C.). Ueber die anatomischen Charaktere der Mimoseen. Miinchen,
1894; 8°.
Daniel (K.). Ueber eine Anwendung des Baryumbicarbonats als Fallungs-
und Trennungsreagens in der chemischen Analyse. Miinchen, 1894; 8°.
Deleré (V.). Beitràge zur Kenntnis des Proterobas. Erlangen, 1895; 8°.
Denckmaun (F.). Zur Kenntnis der Rosinduline. Erlangen, 1895; 8°.
Diepolder (E.). Zur Kenntnis einiger, Nitrosamine und Nitrosobasen. Augs-
burg, 1895; 8°.
Dingfelder (J.). Beitrag zur Lehre von der Sehsphàre. Wiirzburg, 1895; 8°.
Drescher (0.). Ueber p-Amido-o-Nitro-a-Naphtol. Erlangen, 1894; 8°.
Diitschke (R.). Zur Kenntnis der Umlagerung von Stickstoffithern der
Aldoxime. Erlangen, 1894; 8°.
Ehrlich (W.). Ein Fall von kompleter Lateralluxation beider Vorderarm-
knochen nach aussen. Prenzlau, 1895; 8°.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 127
Elfert (W.). Morphologie und Anatomie der Limosella aquatica. Berlin, 8°.
Fewson (N. v.). Zur Aetiologie der Myome des Uterus. Erlangen, 1895; 8°.
_Fraas (E.). Ueber Elasticitàt von Gelatine-Lòsungen. Leipzig, 1894; 8°.
Francis (F. E.). Ueber 0-Amidobenzyl-o-Toluidin, 0-Amidobenzyl-m-Chlora-
nilin und ihre Derivate. Erlangen, 1895; 8°.
Fuchs (G.). Bestimmungen latenter Verdampfungswîrmen beziehungsweise
molekularer Siedepunktserhòhungen aus Aenderungen des Druckes und
der Siedetemperatur. Erlangen, 1894; 8°.
Ganz (0.). Ein Fiitterungsversuch mit C. Paal’schem Glutinpepton. Erlangen,
1894; 8°.
Girtner (C.). Beobachtungen iber die physiologische Wirkung eines neuen
Pfeilgiftes, dessen sich die Negritos auf der Insel Luzon (Philippen)
bedienen. Erlangen, 1895; 8°. n
Gatermann (H.). Kritische Studien iber den Nachweis und die Bestimmung
der Borsiure. Miinster, 1892; 8°.
Giebe (P.). Uebersicht der Mineralien des Fichtelgebirgs und der angren-
zenden frinkischen Gebiete. Cassel, 1895; 8°.
Gissler (M.). Ueber Geburt compliziert mit Cervixcarcinom. Pforzheim,
1895; 8°.
‘Glasser (H.). Ueber die Pridisposition des Alters fiir Krebs im Anschluss
an einen Fall von Mastdarmearcinom bei einem 23 jihr. Mann. Erlangen,
1895; 8°.
Goetze (B.). Untersuchung von Oximstickstoffithern und deren Umlagerung.
Erlangen, 1894; 8°.
Grassmiiller (L.). Ueber die Petrefacten Nordbayerns vom Cambrium bis
zum Keuper in der geologischen Sammlung der Universitàt Erlangen.
Erlangen, 1894; 8°.
Gross (R.). Ueber die nach Influenza beobachteten Lihmungserscheinungen.
Erlangen, 1894; 8°.
Gundlach (J.). Ueber die Verwendung von Hihnereiweiss zu Nahrbòden
fiir bacteriologische Untersuchungen. Erlangen, 1894; 8°.
Haberkant (H.). Die Erfolge der Resectio pylori. Berlin, 1895; 8°.
Hartleb (R.). Versuche iber Ernihrung griiner Pflanzen mit Methylalkohol,
Weinsiure, Aepfelsàure und Citronensàure. Miinchen, 1895; 8°.
Hasenmayer (M.). Ein Fall von Papillom der Harnblase mit einseitiger
Hydronephrose. Pforzheim, 1895; 8°.
Heinze (H.). Beitrag zur Kenntniss der Dextrine. Erlangen, 1895; 8°.
Hering (F.). Drei Fille von Atrophie und ein Fall von Atrophie verbynden
mit Entwicklungshemmung einer Extremitit nach Trauma. Wiirzburg,
1895; 8°.
Hetzel (K.). Ein Fall von Melanosarcom der Leber. Erlangen, 1894; 8°.
Hintze (G.). Klinische Beitrige zur Kenntnis der tonischen Krampfformen.
Erlangen, 1894; 8°.
Hof (H.). Beitrige zur Beurtheilung von Moleculargewichts-Bestimmungen
in Lòsungen. Erlangen, 1895; 8°.
Hofmann (J.). Beitràge zur Kenntnis der Eisen- und Mangansaccharate
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Pa
128 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
sowie zur Charakteristik der Verbindungen mit alkoholischen Hydroxyle.
Erlangen, 1894; 8°.
Kalle (W.). Ueber die Umwandlung von Naphtalinderivaten in 0-Oxy-0-To-
luylsiure und in p-Oxy-o-Toluylstiure und tiber einige Derivate dieser
Saàauren. Erlangen, 1895; 8°. i
Kasparbauer (A.). Ueber Arthritis urica und Schrumpfniere im Zusammen-
hang mit chronischer Bleiintoxication. Viechtach, 1893; 8°.
Kerler (A.). Molekulargewichtsbestimmungen von Salzen in Methyl- und
Aethylalkohol nach der Siedemethode neben Bestimmungen der moleku-
laren Leitfàhigkeit derselben Salze in obigen Lòsungsmitteln und in
Wasser. Erlangen, 1894; 8°.
Kipp (H.). Die Basalte des Reichsforst. Erlangen, 1895; 8°.
Kirchner (G.). Der Schîdele des Hylobates concolor, sein Variationskreis
und Zahnbau. Berlin, 1895; 8°.
Koch (E.). Ueber die systematische Bedeutung der anatomischen Charaktere
der Scrophulariaceen. Frankenthal, 1895; 8°.
Kéòhler (R.). Zwei Fille von Cysticercus cellulosae im IV Ventrikel. Erlangen,
1893; 8°.
Kretschmer (F.). I Zur Kenntnis der untersalpetrigen Siure. II Ueber
einige Derivate der Amidosulfonsiiure. Erlangen, 1895; 8°.
Kiihns (C.). Untersuchungen tber die chemische Zusammensetzung der harten
Zahnsubstanzen des Menschen in verschiedenen Altersstufen. Leipzig,
1895; 8°.
Kiimnemann (0.). Ueber die Morphologie des Kleinhirnes bei Siugetieren.
Berlin; 8°.
Lihr (M. FE.) Ein Fall seltener Missbildung. Neuwied, 1895; 8°.
Lakemeyer (W.). Zur Kenntnis der substituierten Oxime des Benzils und
der Phenylsulfoderivate der Benziloxime. Erlangen, 1894; 8°.
Lauterwein (C.). Beitrag zur Kenntnis der Hydroxylaminderivate des
a-Naphtylphenylketons. Erlangen, 1895; 8°. a
Lax (E.). Ein Beitrag zur Lehre von der Haematomyelie unter spezieller
Berticksichtigung eines von mir im Jahre 1894/95 beobachteten Krank-
heitsfalles. Zirndorf, 1895; 8°.
Lewinski (L.). Ueber den Zuckergehalt der vorwiegend zur Brodfabrikation
verwendeten Mehle sowie der aus ihnen dargestellten Backwaren mit
besonderer Beriicksichtigung derselben fir ihre Auswahl beim Diabetes
mellitus. Erlangen, 1895; 8°.
_ Lichter (Ph.). Beitrag zur Statistik der Chloroform-Narcosen. Berlin, 1894; 8°.
Lindner (M.). Ueber die Einwirkung von Chlor auf Dimethylkohlensàureester
und Untersuchung von vier Chlorsubstitutionsproducten desselben.
Heidelberg, 1894; 8°.
Lissack (A.). Die geognostischen VerhAltnisse der Umgegend von Kalchreuth
und Eschenau bei Erlangen. Berlin, 1894; 8°.
Maerz (A.). Décollement traumatique de la peau et des couches sous-jacentes.
Erlangen, 1894; 8°.
Maal (R.). Ueber Sclerotinienbildang in Alnus-Friichten. Dresden, 1894; 8°.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 129
Mayer (H.). Ueber die Einwirkung des Alkohols auf das Blut beim lebenden
Organismus. Wiirzburg, 1895; 8°.
Meister (F.). Ueber die Monoxime des Anisils. Erlangen, 1895; 8°.
Melzer (A.). Ueber die Wirksamkeit des diastatischen und tryptischen
Fermentes unter verschiedenen Einfliissen. Berlin, 1895; 8°.
Moch (J.). Ueber den Einfluss von Fisenpriparaten auf die Magenverdauung.
Niirnberg; 8°.
Mozdzynski (G.). Ueber das einfache und bimoleculare Aethyliden-as-m-
Xylidin iiber die Condensationsproducte von zwei Molekel Acetaldehyd
mit einem Molekel m-Xylidin. Minchen, 1895; 8°.
Miiller (C.). Ueber den plastischen Ersatz der Schleimhaut durch zussere
Haut. Schotten, 1895; 8°.
Naumann (0.). Ueber den Gerbstoff der Pilze. Dresden, 1895; 8°.
Nemnich (H.). Ueber den anatomischen Bau der Achse und die Entwick-
lungsgeschichte der Gefàssbiindel bei den Amarantaceen. Erlangen,
1894; 8°. i
Neumaier (H.). Zur Kenntnis des Zwergwuchses nebst Beschreibung eines
neuen Falles von Zwergwuchs beim Menschen. Erlangen, 1894; 8°.
Neumaun (R.). Ueber die Entwickelungsgeschichte der Aecidien und Sper-
mogonien der Uredineen. Dresden, 1894; 8°.
Niirmberger (F.). Ein Fall von beiderseitiger Làhmung der Schulterblatt-
muskeln im Anschluss an acute Gonorrhée. Erlangen, 1894; 8°.
Philipp (G.). Ueber die Desinfektion von Wohnràumen durch Formaldehyd.
Erlangen, 1895; 8°.
Poller (H.). Ueber a. p-Amidophenyldihydrochinazolin. b. Einige Derivate
des Bis-o-nitrobenzylhydroxylamins. Zirndorf, 1894; 8°.
Prosinger (A.). Klinische Beitràge zur Pathologie der Polyarthritis rheu-
matica acuta und der verwandten Affektionen. Erlangen, 1895; 8°.
Rabus (H.). Zur Kenntnis der sogenannten Seelenblindheit. Erlangen, 1895; 8°.
Rauch (F.). Beitrag zur Keimung von Uredineen- und Erysipheen-Sporen
in verschiedenen Nihrmedien. Gottingen, 1895; 8°.
Reckleben (H.). Ueber das Allylanilin und einige Derivate desselben und
Beitrige zur Kenntnis der Azoverbindungen und ibrer Umlagerungs-
produkte bei der Reduktion. Erlangen, 1893; 8°.
Roegglen (H.). Ueber Derivate des Benzyl-0-amidobenzylanilins. Hannover,
1894; 8°.
Réòss (G.). Beitrige zur Bestimmung von Molekulargròssen. Erlangen, 1894; 8°.
Roth (J. H.).. Ueber einen Fall von Chondrodystrophia fitalis. Bamberg,
1894; 8°.
Ròottger (H.). Zur Kenntnis der Neubildungen an der Dura mater spinalis.
Erlangen, 1895; 8°.
Sandel (C.). Ueber Umlagerung des a-Benzilmonoxims. Fiirth, 1894; 8°.
Sandmann (0.). Ueber Stickstoff-Benzylcuminaldoxim und Stickstoff-Cumi-
nylbenzaldoxim. Erlangen, 1894; 8°.
Saulmann (W.). Ueber Athyliden und Propylidenamidoazobenzol und einige
Abkimmlinge desselben. Miinchen, 1895; 8°.
130 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
Schifer (G.). Einige interessante Mineral-Vorkommen in Braunkohlen-
gruben der Provinz Sachsen. Saarbriicken, 1895; 8°.
Scheja (S.). Ueber eine Hernia duodeno-jejunalis. Jena, 1895; 8°.
Schenek (R.). Botanisch-pharmacognostische Untersuchungen der Qumacaî
cipòd. Erlangen, 1894; 8°.
Sehlitt (L.). Ueber Herpes Zoster. Cassel, 1895; 8°.
Schmid (0.). Statistik der Totalexstirpationen per vag. bei Uteruscarcinom.
(1887-1893). Erlangen, 1894; 8°.
Schmidt (A.). Beobachtungen iiber das Vorkommen von Gesteinen und
Mineralien in der Centralgruppe des Fichtelgebirges nebst einem Ver-
zeichnisse der dort auftretenden Mineralien und deren Fundstàtten.
Nirnberg, 1895; 8°.
Schmidt (H.). Beitrige zur Kenntnis des o-Amidodiphenylmethans. Erlangen,
1895; 8°.
Schònbrod (K.). Ueber den gegenw?irtigen Stand der Beurteilung der eosi-
nophilen Zellen im Blute und im Sputum. Miinchen, 1895; 8°.
Schreiber (W.). Ueber einige Derivate des Anthranils. Karlsruhe, 1895; 8°.
Schaulze (C.). Ueber den anatomischen Bau des Blattes und der Achse in
der Familie der Phytolaccaceen und deren Bedeutung fur die Systematik.
Danzig, 1895; 8°.
Schwalm (J.). Ueber Derivate des Fenchons. Gòttingen, 1895; 8°.
Schwarzhaupt (0.). Ueber einige synthetische Versuche mit 0-Amidobenzyl-
alkohol. Erlangen, 1894; 8°.
Sechwiesau (F.). Beitrag zur Einwirkung von Phenylisocyanat auf substi-
tuierte Stickstoffàther. Erlangen, 1894; 8°.
Senninger (H.). Ueber Derivate des o-Amidobenzylalkohols und o-Oxyben-
zylalkohols. Erlangen, 1894; 8°.
Sonntag (G.). Ueber einige neue Morphinderivate. Gottingen, 1895; 8°.
Spicker (L.). Ein Beitrag zur Aetiologie und Therapie der Haematocele
retro-uterina. Elbing, 1894; 8°.
Springer (H.). Beitrag zur den Reaktionen der Saurechloride. Erlangen,
1894; 8°.
Staa (E. von). Ueber ein in die Scheide eingewachsenes Pessar und ein in
die Scheide geborenes und mit derselben verlòthetes Uterusmyom.'
Rubrort, 1895; 8°.
Steffens (P.). Die Amputation bei Extremitàtentuberkulose. Freiburg I. B.,
1894; 8°.
Thiesing (H.). Zur Kenntnis des Methylendibenzamids und seiner Homologen.
Augsburg, 1894; 8°.
Trilling (H.). Beitràge zur Praxis der Siedepunktsmethode Bestimmungen
in Amylalkohol, sowie Versuche zur Abschitzung des Kohlensàurege-
haltes der Luft. Erlangen, 1895; 8°.
Vanvolxem (L.). Ueber Isomerieverhiltnisse in der Chinazolinreihe. Ér-
langen, 1895; 8°.
Vogtherr (M.). Ueber die Friichte der Randia dumetorum Lam. Berlin, 1894; 8°.
Wacker (C.). Einwirkung von Phtalylchlorid und Phtalsàureanhydrid auf
Basen. Erlangen, 1894; 8°.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA” 131
Walte (H.). Ist bei Perityphlitis die Abtragung des processus vermiformis
nithig oder nicht ? Erlangen, 1895; 8°.
Weinschenk (P.). Beitrige zur Kenntnis der Amidine. Erlangen, 1894; 8°.
Wezler (W.). Zur Statistik und Klinik des Erysipelas faciei. Erlangen,
1895; 8°.
Winheim (L.). Umlagerung von Stickstoff-Benzylithern der Aldoxime. Er-
langen, 1894; 8°.
Wintermantel (0.). Zwei Faelle von primaerem Gehirnsarkom. Viirzburg,
1894; 8°.
Wunderlich (J.). Beitrige zur anatomischen Charakteristik der Cirsium-
Bastarde. Altenburg, 1895; 8°.
Ziingerle (A.). Ueber Induline und Safranine. Kempten, 1894; 8°.
* Dall’ Università di Giessen:
Bayer (J.). Zur Casuistik der Defecte im Septum ventriculorum bei scheinbar
weiter Lungenarterienbahn und compensatorischer Hypertrophie der
Lungenarterieniiste. Giessen, 1895; 8°.
Breslauer (M.). Ueber die Frage der sogenannten dynamischen Hysteresis.
Berlin, 1895; 8°.
Bruchhîuser (J. F.).. Ueber Pneumonie im Puerperium. Giessen, 1894; 8°.
Clasen (F.). Ein Fall von Pneumopericardium nebst einem Beitrag zur
Pathogenese der Pericarditis. Giessen, 1895; 8°.
Ebel (L.). Zur Kenntnis amidierter Benzenyl-amido-phenole. Giessen, 1895; 8°.
Emrich (E.). Ein Fall von tidtlicher Haemoglobinurie bei einem Neuge-
borenen. Giessen, 1894; 8°,
Flatten (W.). Untersuchung tber die Haut des Schweines. Berlin, 1894; 8°.
Florschiitz (H.). Kritik der Versuche, durch eine bestimmte Diîit der Mutter
die Gefahren der Beckenenge zu umgehen. Wiesbaden, 1895.
Garth (W.). Zwei Falle von Hermaphroditismus verus bei Schweinen. Beitrag
zur Lehre von der Zwitterbildung bei Siìugethieren. Giessen, 1894; 8°.
Gengnagel (F.). Beitrag zu den Schussverletzungen des Auges. Giessen,
1894; 8°.
Groskurth (E.). Ueber die Embolie der Arteria Meseraica superior. Giessen,
1895; 8°.
Haag (G.). Ueber den Finfluss von subconjunctivalen Sublimatinjectionen
auf Erkrankungen des Auges. Giessen, 1894; 8°.
Heubel (H.). Ueber ein mit dent Ductus wirsungianus communicirendes
Tractionsdivertikel des Magens. Leipzig, 1895; 8°.
Hof (J.). Mikroscopische Untersuchung einiger Eruptivgesteine von den
canarischen Inseln. Giessen, 1894; 8°.
Hofmann (A.). Sechs Fille von wiederholter Laparatomie bei derselben
Person. Giessen, 1894; 8°.
Hiinten (J.). Die operative Behandlung der gynaekologischen Beckenexsu-
date. Saargemiind, 1891.
132 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
Ilig (W.). Die Myome des Oesophagus. Giessen, 1894; 8°.
Kayser (J... Ueber die Beziehungen der Thymus zum plotzlichen Tod.
Giessen, 1895; 8°.
Kissner (A.). Ueber die Strictur der Pulmonalarterieniiste. Giessen, 1895; 8°.
Klett (R.). Beitràge zur Morphologie des Milzbrandbacillus. Karlsruhe, 1894; 8°.
Krug (A.). Ueber die Einwirkung des Phosgens aus monoacgylierte primire
Amine. Berlin, 1894; 8°.
Lahr (F.). Ueber den Blutsturz nach der Tracheotomie. Giessen, 1894; 8°.
Lungershausen (H.). Ueber Hypotrichosis localis cystica. Leipzig, 1894; 8°.
Marks (P.). Untersuchung iber die Entwicklung der Haut insbesondere
der Haar- und Driisenanlagen bei den Haussiiugetieren. Berlin, 1895; 8°.
Meyerhoff (J.).. Ueber Krebs und Tuberculose der Speisershre. Giessen,
1894; 8°.
Noll (K.). Thermoelectricitàt chemisch reiner Metalle. Leipzig, 1894; 8°.
Oss (S. L. van). Die Bewegungsgruppen der Regelmissigen Gebilde von
vier Dimensionen. Utrecht, 1894; 8°.
Pfannmiiller (F.). Beitrag zu den Colobomen des Auges. Giessen, 1894; 8°.
Pfeiffer (0.). Untersuchungen iiber die Lage, Ausdehnung und Figenschaften
des cerebralen regulatorischen Herznervencentrums. Darmstadt, 1894; 8°,
Raiser (K. Ph. Th.). Beitràge zur Kenntniss der Darmbewegungen. Worms
a. Rh.; 1895; 8°.
Reinewald (Th.). Zur Casuistik der Blitzschlagverletzungen des Auges.
Giessen, 1895; 8°.
Rosenbaum (E.). Zur Casuistik der angeborenen Halskiemenfisteln des
Menschen. Giessen, 1895; 8°.
Rumpf (H.). Ueber die Zuckergussleber. Leipzig, 1895; 8°.
Schiffer (F.). Ein Fall von Sarkom der Thriînendriise. Giessen, 1895; 8°...
Schaub (P.). Ueber das primire Extremititencarcinom. Giessen, 1894; 8°.
Scheibel (A.). Der Bau der Tinia magna Abildgaard (Tinia plicata Zeder.).
Frankfurt a. M., 1895; 8°.
Schmidt (E.). Ueber die Verletzungen des Auges mit besonderer Beriick-
sichtigung der Kuhhornverletzungen. Giessen, 1895; 8°.
Schénberg (A.). Ueber elektrolytische Zersetzung quaternirer Ammonium- :
jodide. Berlin, 1895; 8°.
Schònherr (0.). Studien iber die Bildung von Ueberschwefelsiure. Halle a. $.,
1895; 8°.
Schulz (K.). Das elastische Gewebe des Periosts und der Knochen. Wies-
baden, 1895; 8°.
Seipp (L.). Das elastische Gewebe des Herzens. Wiesbaden, 1895; 8°.
Sell (F.). Ein Fall von jauchig-eitriger Pleuritis nach Perforation eines
Tractionsdivertikels des Oesophagus. Giessen, 1895; 8°.
Textor (C.). Ein Fall von Lungengangrin im Anschluss an ein Tractions-
divertikel der Speiserohre. Giessen, 1894; 8°.
Walther (H.). Beitrige zur Kenntnis des trichterformig engen Beckens.
Giessen, 1894; 8°.
Wentzel (E.). Ueber die Bildung von Azokòrpern vermittelst der drei iso-
meren Diazobenzoésiuren. Berlin, 1895; 8°.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 133
Wetzel (H.). Zur Casuistik der Teratome des Halses. Wetzlar, 1895; 8°.
Wickmann (H.). Die Entstehung der Farbung der Vogeleier. Miinster,
1893; 8°.
Wieber (G.). Zur Casuistik der Darmdivertikel und persistirenden Dotter-
gefiisse als Ursache von Darmincarcerationen. Giessen, 1894; 8°.
* Dall Università di Heidelberg :
Barthels (Ph.). Beitrag zur Histologie des Oesophagus der Vigel. Leipzig,
1895; 8°.
Beger (C.). Anwendung der Friedel-Crafts’schen Reaktion auf Triophenol-
îther. Heidelberg, 1895; 8°.
Benfey (H.). Ueber die Esterbildung aromatischer Siuren. Heidelberg,
1895; 8°.
Best (F.). Korektopie. Leipzig, 1894; 8°.
Bettmann (S.).. Ueber die Beeinflussung einfacher psychischer Vorgiinge
durch kérperliche und geistige Arbeit. Leipzig, 1894; 8°.
Biedermann (R.). Zur Kenntnis der m-Diketo-hexamethylene. Heidelberg,
1895; 8°.
Braden (P.). Bromithyl- und Bromòthyl-Aethernarkosen. Jena, 1894; 8°.
Bredt (T. V.). I. Beitrîge zur Kenntnis der Ketopentamethylendicarbon-
sure und der bciden stereoisomeren Butantetracarbonsàuren. II. Ueber
isomere Dithienyle. Heidelberg, 1895; 8°.
Clayton (G. C.). Ueber die Synthese der Dihydroglyoxaline. Heidelberg, .
1894; 8°.
Friedrichs (F.). Beitrige zur electrolytischen Reduction aromatischer Ni-
trokòrper. Heidelberg, 1895; 8°.
Goldsehmidt (F.). Ueber die Einwirkung aromatischer Sulfochloride auf
Kohlenwasserstoffe und Phenolaether. Berlin, 1894; 8°.
Grahl (A.). Ueber jodierte und jodosierte Isophtalsiiuren und p-Jod-m-To-
luylsiure. Berlin, 1894; 8°.
Grohmann (C. J.).. Ueber Deglutitionshindernisse bei hochgradiger Kypho-
scoliose. Heidelberg, 1895; 8°.
Gross (0.). Ueber die Trepanation des sg bei traumatischer Epilepsie.
Frankfurt a. M., 1895; 8°.
Grosse(R.). Ueber Reduktionsprodukte des p-Brom- und p-Methyl-Azobenzols.
Heidelberg, 1895; 8°.
Haller (B.). Betrachtungen iiber die Nieren von Oncidium celticum, Cuvier.
Heidelberg, 1894; 8°.
Harris (W.). I. Ueber den Molekularzustand des Calomeldampfes. II. Ueber
die Dampfdichte des Quecksilberchlorides und des Phosphortrichlorides
bei Temperaturen iiber 1000° C. Heidelberg, 1894; 8°.
Haymann (K.). Ueber das Verhalten der Natriumsalze von Phenolen gegen
Mono- und Dichloressigester. Heidelberg, 1895; 8°.
Heddaeus (A.). Beitrige zur Pathologie und Chirurgie der Gallenblasen-
Geschwiilste. Tiibingen, 1894; 8°.
134 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
Hedderich (L.). Ueber Leberatrophie bei acuter Phosphorvergiftung. Miin-
chen, 1895; 8°.
Heeren (F.). Beitràge zur Kenntnis der 1, 5-Diketone. Hannover, 1894; 8°.
Heidenreich (A.). Ueber Indoxazene. Breslau, 1895; 8°.
Heidrich (H.). Beitràge zur Kenntnis der 1-5-Diketone. Heidelberg, 1895; 8°.
Helbing (Ed.). Ueber das Rhinhàmatom. Heidelberg, 1895; 8°.
Heyder (F.). Ueber die elektrolytische Reduktion aromatischer Nitrokéòrper.
Heidelberg, 1895; 8°.
Heyl (G.). Ueber die elektrolytische Reduktion von Nitrokòrpern der Chi-
nolinreihe. Heidelberg, 1894; 8°.
Hugershoff (A.). Ueber die Einwirkung von Schwefelkohlenstoff auf einige
Hydrazoverbindungen, sowie iber einige Schwefelkohlenstoff-Derivate
des p-Phenetidins. Hannover, 1894; 8°.
Jacob (A.). Ueber zwei stereochemisch isomere Butantetracarbonsiuren
und Derivate derselben. Heidelberg, 1894; 8°.
Imhiaser (A.). I. Beitrige zur Kenntnis aliphatischer Stiuren. II. Ueber
einige Synthesen von Polycarbonsiuren. Heidelberg, 1895; 8°.
Kimmel (A.). Zur Aetiologie des Scheiden-Gebàrmuttervorfalls. Heidelberg,
1895; 8°.
Kinscherf (F.). Farbungsversuche an Sporen mit Hilfe der Maceration.
Heidelberg, 1894; 8°.
Kirpal (A.). I Zur Kenntnis der ersten Reductionsproducte von Nitrokòrpern
durch Zinnchloriir. II. Ueber die Fliichtigkeit von Metallsalzen. Zurich,
1894; 8°.
Lamb (T. Ch.). Die Schmelzpunkte anorganischer Salze. Heidelberg, 1895; 8°.
Lilienthal (W.). Bedeutung des Hackfruchtbaus namentlich des Zuckerrii-
benbaus fiir die Steigerung der Getreide- und Viehproduktion in
Deutschland. Jena, 1895; 8°.
Linck (L.). Beitriìge zur Kenntniss der 1, 5-Diketone. Berlin, 1895; 8°.
Lobstein (E.). Zur Casuistik des Gallenstein-Ileus.Tibingen, 1895; 8°.
Lyons (R. Ed.). Ueber die Phenylverbindungen von Schwefel, Selen und
Tellur. Heidelberg, 1894; 8°.
Meyer (F.). Untersuchungen iiber Aether der Dioxyazobenzole, nebst einigen
Versuchen iber die Schwefelkohlenstoffderivate der drei isomeren Phe-
netidine. Heidelberg, 1895; 8°.
Mohr (W.). Ein Beitrag zur Casuistik der Rhinitis crouposa. Zweibriicken,
1895; 8°.
Neufeld (F.). Beitrige zur Kasuistik der angeborenen Schidelgeschwiilste.
Tiibingen, 1895; 8°.
Neuhaus (E.). Ueber intranasale Synechien. Heidelberg, 1894; 8°,
Neurath (F.). Synthese campherartiger Verbindungen. Berlin, 1895; 8°.
Ortmann (A.). Beitrige zur Kenntnis der 1:5-Diketone. Heidelberg, 1895; 8°
Paweck (H.). Ueber Condensationen von Malonsiureester mit Aldehyden.
Heidelberg, 1895; 8°.
Piepenbrink (P.). I. Beitrag zur Kenntnis der Behenoxyl]siure. II. Ueber
die Reduktion von meta-Toluolazo-p-Kresetol und para-Toluolazo-p-kre-
setol. Heidelberg, 1895; 8°.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 135
Raum (W.). I. Ueber die andauernde Einwirkurg mîissiger Erhitzung auf
Knallgas. II. Ueber eine neue Klasse cyklischer Jodverbindungen der
Jodosogruppe aus Jodphenylessigsiure. Heidelberg, 1895; 8°.
Recklinghausen (M. von). I. Ueber das neue Quecksilberthermometer fiir
Temperaturen bis 550° C. — II. Methoden und Apparate zur Verfol-
gung von Gasreaktionen bei gewòhnlicher Temperatur durch Beobach-
tung der Voluminderungen. Heidelberg, 1895; 8°.
Riddle (W.). Ueber die Schmelzpunkte anorganischer Salze. Heidelberg,
1895; 8°.
Roemheld (L.). Ueber Ursachen und Behandlung der habituellen Friih- und
Fehlgeburten. Mainz, 1895; 8°.
Riidt (H.). Ueber die Kondensation aromatischer Alkohole mit Nitrokoh-
lenwasserstoffen. Heidelberg, 1895; 8°.
Schmidt (H.). Beitràge zur Kenntnis der 1, 5-Diketone. Hannover, 1894; 8°.
Sehwalbe (E.). Ueber die Varietiten der menschlichen Arteria mediana in
ihrer atavistichen Bedeutung. Heidelberg, 1895; 8°.
Schwan (W.). Ovariotomie bei Graviditàt. Heidelberg, 1895; 8°.
Stoffregen (0.). Ueber einige Derivate des Phenylindoxazens. Ueber die
Halogen-Entziehung aromatischer Substanzen. Braunschweig, 1894; 8°.
Strabe (G.). Ueber congenitale Lage- und Bildungsanomalien der Nieren.
Berlin, 1894; 8°. ;
Thiele (P.). Die Klimakreise Deutschlands vom landwirtschaftlichen Gesichts-
punkte. Leipzig, 1895; 8°.
Veis (J.). Aneurysma der Carotis interna ohne das Symptom des pulsie-
renden Exophthalmus. Frankfurt a. M., 1895.
Weil (M.). Ein Fall von Tabes incipiens. Berlin, 1894; 8°.
Weiler (M.). I. Ueber das Isodurol. II. Ueber die bei der Darstellung des
Isodurols entstehenden Nebenprodukte. Heidelberg, 1895; 8°.
Weinlig (C.). I. Zur Kenntnis der Siliciumverbindungen. II. Elektrolytische
Reduktion aromatischer Nitrokòrper. Heidelberg, 1894; 8°.
Werner (R.). Beitrige zur Kenntnis der 1-5-Diketone. Heidelberg, 1894; 8°.
Wohulich (W.). Ueber das Empyema antri Highmori mit besonderer Be-
riicksichtigung der bis zum Jahre 1895 in der ambulatorischen Klinik
fiir Nasen, Rachen- und Kehlkopfkranke des Herrn Prof. Dr. Jurasz in
Heidelberg beobachteten Fille. Jena, 1895; 8°.
Dall’ Istituto Tecnico di Karlsruhe:
Goldstein (J.). Ueber die Darstellung, das Verhalfen und die Constitution
einiger Amido-, Nitro- und Oxyazofarbstoffe. Mannheim, 1893; 8°.
Haid (M.). Ueber Gestalt und Bewegung der Erde. Festrede bei dem feier-
lichen Akte des Direktorats-Wechsels an der Grossh. Badischen Tech-
nischen Hochschule zu Karlsruhe. 1894; 8°.
Halperin (J.). Zur Kenntniss der Thrane- und des Walrathòles. Karlsruhe,
1895; 8°.
136 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
Lektionsplan der Technischen Hochschule zu Karlsruhe fir das Winterse-
mester 1895/96; fol.°.
Programm der Grossh. Badischen Technischen Hochschule zu Karlsruhe fiir
das Studienjahr 1895/96. Karlsruhe, 1895; 8°.
Spielvogel(M.). Ueber einige Nitronaphtonitrile, -Amide und -Siuren, sowie
tiber die Darstellungen und Nitrirungen von einigen Naphtylaminde-
rivaten. Karlsruhe, 1895; 8°.
Zakrzewski (S. von). Ueber 2. 3 Naphtalinderivate. Posen, 1894; 8°.
* Dall’ Università di Strasburgo:
Althausse (0.). Ueber erworbene Trachealfisteln. Strassburg, 1893; 8°.
Beckmann (W.). Ueber die typhusihnlichen Bacterien des Strassburger
Wasserleitungswassers aus dem Laboratorium der medizinischen Klinik.
Strassburg, 1894; 8°.
Belin (C.). Vergleichende Beurtheilung der verschiedenen Schnittmethoden
und Nachbehandlung bei der Sectio alta. Strassburg i. Els., 1894; 8°.
Benedikt (M.). Ueber Fremdkérper im Ohr. Strassburg i. E., 1894; 8°.
Boettcher (H.). Ueber die prognostische Bedeutung der Grosse des Infil-
trates bei der crupòsen Pneumonie mit besonderer Bertcksichtigung
des Infiltrationsmaximums. Stuttgart, 1893; 8°.
Boller (W.). Untersuchungen iber die Bodentemperaturen an den forst-
lich-meteorologischen Stationen in Elsass-Lothringen. Stuttgart, 1894; 8°.
Brinkmann (H.). Ueber Nierenentziindung bei Schwangeren. Strassburg i. E.,
1894; 8°. 3
Bronnert (E.). Ueber die Condensation von ]sovaleraldehyd mit Glutarsàure.
Strassburg, 1894; 8°.
Brooke (A.). Ueber Phenyl-Itaconsiure, -Citraconsiure, -Mesaconsàure und
-Aticonsàure. Strassburg, 1894; 8°.
Buchheister (A.). Geschichte der Aetiologie der Spondylolisthesis. Strass-
burg i. E., 1894; 8°.
Buhecker (A.). Ein Beitrag zur Pathologie und Physiologie der HypophySis
cerebri. Strassburg i. E., 1893; 8°.
Cohn (H.). Ueber Cacao als Nahrungsmittel. Strassburg, 1894; 8°.
Dannenberg (A.). Studien an Finschliissen in den vulcanischen Gesteinen
des Siebengebirges. Wien, 1894; 8°.
Day (A. W.). Zur Constitution imidierter Abkòmmlinge der o-Phtalsàure.
Strassburg, 1895; 8°.
Dreyfus (R.). Ueber die Schwankungen in der Virulenz des Bacterium coli
commune. Gebweiler, 1894; 8°,
Dreyfuss (J.). Ueber das vorkommen von Cellulose in Bacillen, Schimmel-
und anderen Pilzen. Strassburg, 1893; 8°.
Ehret (H.). Ueber die Localisationen der Diphtherie im Anschluss an einen
Fall von diphtherischer Laryngo-tracheitis. Strassburg i. E., 1894; 8°.
Erichson (G. A.). Beitrag zur Pathologie der Hernia funicularis congenita.
Strassburg, 1893; 8°.
Msn
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 19°
Extermann (E.). Ueber Castration bei Myomen. Strassburg i. E., 1893; 8°.
Fiehter (F.). Ueber Propyl-Itaconsiure, -Citraconsiiure und -Mesaconsiure.
Strassburg, 1894; 8°.
Fischer (Ch.). Ueber die quantitative Bestimmung des Glycocolls in den
Zersetzungsproducten der Gelatine. Strassburg, 1894; 8°.
Frank (Th.). Ueber syphilitische Tumoren der Nase. Strassburg i. E., 1894; 8°.
Frantz (E.). Beitrag zur Lehre von der Dermatitis herpetiformis. Bisch-
weiler, 1894; 8°.
Friedenheim (B.). Ueber eine Geburt bei fotal-rachitischem Zwerghecken.
Strassburg i. E., 1894; 8°.
Fuchs (0.). Beitrag zur Technik und Indicationsstellung der Freund’schen
Totalexstirpation des Uterus. Breslau, 1894; 8°.
Georgii (H.). Die Wechselbeziehungen der ceroupisen Pneumonie zu den
Generationsvorgingen. Tibingen, 1893; 8°.
Gimurto (N. J.). Ueber Ver:inderungen des Augenhintergrundes bei kranken
Wéochnerinnen. Strassburg i. E., 1893; 8°.
Gross (F.). Ueber isolierte, nicht complicierte Luxation des Talus. Landau,
1894; 8°.
Gross (H.). Ein Fall von Anus praeternaturalis vaginalis. Strassburg i. E.,
1894; 8°.
Gugenheim (J.).. Ueber puerperale Eklampsie. Strassburg i. E., 1894; 8°.
Haerter (F. F.). Ueber einseitige Vaginalatresie bei doppietta dept
Genitalkanal. Strassburg i. E., 1894; 8°.
Hausmann (F.). Ueber Genu varum adolescentium im Anschluss an einen
infolge von Rachitis tarda entstandenen Fall. Strassburg i. E., 1893; 8°.
Hensler (0. H.). Die heutigen Dammschutzverfahren im Anschluss an die
aetiologischen Momente der Dammrisse. Strassburg i. E., 1894; 8°.
Hoeffken (W. D.). Ueber die Darstellung und das Verhalten der Hexgylita-
Citra- und -Mesaconsiure. Strassburg, 1893; 8°.
Holtzmann (H.). Die Entstehung der congenitalen Luxationen der Hiifte
und des Knies und die Umbildung der luxirten Gelenktheile. Berlin,
1895; 8°.
Jaup (Ad.).. Ein Beitrag zur Casuistik und Prognose der perforierenden
Skleralwunden. Freiburg i. B., 1893; 8°.
Jebens (R.). Ueber papillomatise Tumoren in den ableitenden Harnwegen.
Berlin, 1894; 8°.
Jouck (P.). Ueber die verschiedenen Methoden der Schieloperation. Strass-
burg i. E., 1894; 8°.
Kliihn (G.). Hydrographische Studien im Sundgauer Hiigellande. Strassburg,
1893; 8°,
Kleefeld (M.). Ueber die bei Punktion, Operation und Section der Gallen-
blase constatirten pathologischen Veriinderungen des Inhalts derselben
und die daraus resultirenden diagnostischen Momente. Strassburg i. E.,
1894; 8°.
Klingenberg (W.). Ueber die klinische Bedeutung des Digitalinum verum.
Strassburg i. E., 1893; 8°.
138 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
Knox (W. F.). Ueber das Leitungs-Vermògen wiissriger Loòsungen der
Kohlensiure. Strassburg i. E., 1894; 8°.
Krall (W.). Ueber einen Fall von myxomatésen Hypertrophieen der Decidua.
Strassburg i. E., 1895; 8°.
Kriiutle (R.). Ueber Augenerkrankungen bei tabes dorsalis. Strassburg i. E.,
1894; 8°.
Kuhlmann (C.). Hysterie und Frauenkrankheiten. Strassburg, 1894; 8°.
Laas (R.). Ueber den Einfluss der Fette auf die Ausniitzung der Eiweissstoffe.
Strassburg, 1894; 8°.
Lehmann (M.). Beitrag zur Pathologie des Processus vermiformis. Strass-
burg i. E., 1895; 8°.
Levinger (F.). Ueber Dickdarmperforation im Typhus Abdominalis unter
Mitteilung eines in der med. Klinik des Herrn Prof. Dr. Naunyn zu
Strassburg beobachteten Falles. Strassburg i. E., 1893; 8°.
Levy (H.). Ueber die Verbiegungen der Nasenscheidewand. Zabern, 1894; 8°.
Levy (M.). Chemische Untersuchungen iiber osteomalacische Knochen.
Strassburg, 1894; 8°.
Levy (M.). Ueber rechtsseitige Stimmbandlihmung bei Aortenaneurysmen.
Strassburg i. E., 1895; 8°.
Lindegger (G.). Ein Fall von Nephrectomie einer multiloculiren Cysten-
niere. Strassburg i. E., 1894; 8°.
Lobstein (K.). Ueber multiple Eitermetastasen in den Muskeln bei puer-
peraler Pyàmie. Strassburg i. E., 1894; 8°.
Lilbbesmeyer (A.). Ueber Therapie und Prognose bei Parametritis chro-
nica atrophicans. Strassburg i. E., 1893; 8°.
Lucas (H.), Ueber epileptische Anfàlle bei Arteriosklerose. Strassburg i. E.,
1894; 8°.
Luce (H.). Ueber die fiir die operative Behandlung der Pyosalpinx maass-
gebenden Gesichtspunkte nebst casuistischen Beitrigen. Strassburg 1. E.,
1893; 8°.
Luxenburger (H.). Ein Fall von Hernia inguino-properitonealis mit rechts-
seitigem Kryptorchismus. Strassburg i. E., 1893; 8°.
Mac Gregory (A. C.). Beobachtungen iiber die elektrische Leitfàhigkeit
von Salzen. Strassburg, 1893; 8°.
Mackenzie (J. Ed.) Ueber die aR- und fy-Pentensàure. Strassburg i. E.,
1894; 8°.
Marzolf (G.). Ueber Kieferklemme. Strassburg i. E., 1894; 8°.
Maurer (H.). Graphische Tafeln fir meteorologische und physikalische
Zwecke. Theorie und Anwendungen. Altona, 1894; 4°
Meer (A. von). Ueber die Beziehungen von Augenerkrankungen zu Affec-
tionen der weiblichen Genitalien. Strassburg i. E., 1895; 8°.
Mettenheimer (H.). Ein Beitrag zur topographischen Anatomie der Brust-,
Bauch- und Beckenhòhle des neugeborenen Kindes. Jena, 1893; 8°.
Mischlich (Ph.). Ueber Thrombose des Sinus transversus nach Mittelohrei-
terungen und ihre chirurgische Behandlung. Strassburg i. E., 1894; 8°.
Moch (H.). Die Nasenrachenpolypen und ihre operative Behandlung. Strass-
burg, 1893; 8°.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 139
Myers (J. E.). Ueber das Silber-Voltameter und ueber das Faraday'sche
Gesetz bei Stròmen von Reibungselectricitàt. Strassburg i. E., 1895; 8°.
Nahm (J.). Aetiologie und Genese der Ruptura perinei centralis. Strass-
burg i. E., 1895; 8°.
Nenffer (F.). Ueber den Einfluss der Hereditiàt und der Consanguinitàt der
Eltern in der Aetiologie der Retinitis pigmentosa. Strassburg i. E.,
1893; 8°.
Neumark (A.). Ueber Misch- und Sekundirinfektionen bei Typhus abdomi-
nalis. Strassburg i. E., 1894; 8°.
Néòldeke (B.). Die Metamorphose des Sisswasserschwammes. Jena, 1894; 8°.
Oppenheimer (R.). Zur Lehre von der “physiol. Bedeutung der Querstrei-
fung des Muskelgewebes. Mannheim, 1894; 8°.
Ott (E.). Ueber Metastasenbildung und maligne Degeneration bei Ovarial-
kystomen. Strassburg i. E., 1894; 8°.
Perrin (H.). Ueber Gebromte Phenylvaleriansàuren. Rixheim, 1894; 8°.
Picard (H.). Die Lumbalpunction des Duralsackes. Strassburg i. E., 1895; 8°.
Régnier (L. H.). Operative Behandlung der Myome des Uterus durch die
Laparotomie. Strassburg i. E., 1894; 8°.
Resch (F.). Die Verinderungen der Kérperschleimhaut bei Carcinom der
Portio und der Cervix. Strassburg i. E., 1894; 8°.
Rohmer (B.). Untersuchungen iber die Wirkung des Trionals. Strassburg
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Roos (J.). Ueber Kochsalzinfusion bei acuter Anfmie. Strassburg i. E.,
1894; 8°.
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Diphtherie. Leipzig, 1894; 8°.
Sawall (0.). Ein Beitrag zur Laparatomie bei acuter diffuser Peritonitis.
Strassburg i. E., 1894; 8°.
Schlesinger (E.).. Ueber die Nachbehandlung der Amputationen. Strass-
burg i. E., 1893; 8°.
Schloemann (R.). Beitrag zur Lehre von der Pityriasis rubra pilaris De-
vergie. Strassburg i. E., 1895; 8°.
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sarkomatòser Degeneration. Jena, 1894; 8°.
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tungswege des Gebirmutterkrebses. Strassburg i. E., 1894; 8°,
Servé (M.). Die Ptosis und ihre chirurgische Behandlung. Strassburg i. E.,
1894; 8°.
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klinischen Symptome. Strassburg i. E., 1893; 8°,
Silberstein (A.). Ueber die Oxydation der BY- und der aB- Isoheptensinre
mit Kaliumpermanganat. Strassburg, 1894; 8°.
Socin (C. A.). Wie verhalten sich Diabetiker Liivulose und Milchzuckerzu-
fuhr gegentber? Strassburg i. E., 1894; 8°.
Spenzer (J. G.). Ueber das Verhalten der Allylmalonsiure, Allylessigsiure
und Aethylidenpropionsiure beim Kochen mit Natronlauge. Beitri,ge
zur Kenntniss der Propylidenessigsiure. Strassburg i. E., 1893; 8°.
140 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
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wasserigen Lòsungen. Leipzig, 1894; 8°.
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Strassburg i. E., 1894; 8°.
Strauss (L.). Ein Beitrag zur Kenntnis der Fettresorption im Diabetes
mellitus. Strassburg, 1893; 8°.
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besonderer Beriicksichtigung der Lagerung der Kreissenden. Strassburg
i. E., 1894; 8°.
Timerding (E.). Ueber die Kugeln welche eine cubische Raumcurve Mehr-
fach oder Mehrpunktig berihrten. Strassburg, 1894; 8°.
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Vilmar (P.). Ueber Carcinoma corporis uteri. Cassel, 1894; 8°.
Wellstein (J.). Ueber das Lindemannsche Uebertragungsprincip. Strassburg
i. E., 1894; 8°.
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im speziellen der idiopatischen. Strassburg i. E., 1893; 8°.
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durch einseitige Struma congenita. Strassburg i. E., 1894; 8°.
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Noether (M.). Arthur Cayley. Leipzig, 1895; 8° (Zd.).
Oudemans (J. A. C.). Die Triangulation von Java ausgefiihrt von Personal
des geographischen Dienstes in Niederlandisch Ost-Indien; 4° Abth.
Haag, 1895; 4° (dal Governo Olandese).
Philippi (R. A.). Plantas nuevas Chilenas. Santiago de Chile, 1893-95; 8°
(dall’A.).
Pomba (C.). L’aspect physique de l’Italie, relief è surface convexe. Turin,
1895; 8° (Id.).
Riccò (A.). Il Sole. Discorso. Catania, 1895; 8° (Jd.).
— Fotografie della grande nebulosa di Orione e della minore presso la
Stella 42 Orionis. Roma, 1895; 8° (Id.).
— Eclisse di luna del 14-15 settembre 1894, osservato nel R. Osservatorio
di Catania. Palermo, 1895; 4° (I4d.).
Rosenbusch (H.). Mikroskopische Physiographie der Mineralien und Gesteine.
Bd. II. Stuttgart, 1895; 8° (Zd.).
Schiétz (0. E.). Resultate der im Sommer 1894 in dem siidlichsten Theile
Norwegens ausgefiihrten Pendelbeobachtungen. Kristiania, 1895 (Die
norwegische Commission der Europiischen Gradmessung).
Schiaparelli (G.). Sopra alcune nuove apparenze nel pianeta Venere. Mi-
lano, 1895; 8° (dall’A.).
Usiglio (G.). Sui Tumori della Tiroide e loro cura. Trieste, 1895; 8° (I4.).
** Vinei (Leonardo da). Il Codice Atlantico; fasc. VI. Milano, 1895; f.°.
Whiteaves (J. F.). Palaeozoic fossils. Vol. III, part II; 8° (dal Geological
Survey of Canada).
Zona (T.). Osservazioni sulla latitudine di Catania. Catania, 1895; 8° (dall'A.).
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 143
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche.
Dal 1° Luglio al 24 Novembre 1895.
* Abhandlungen der philologisch.-historischen Classe d. k. Sachsischen
Gesellschaft der Wissenschaft. Bd. XV, n. 3. Leipzig, 1895; 8°.
* Abhandlungen der historischen Classe der k. bayerischen Akademie der
Wissenschaften. Bd. XXI, 1 Abth. Miinchen, 1895; 4°.
* Accessions-Katalog. 9. Stockholm, 1895; 8° (dall’Accad. R. delle Scienze),
** Allgemeine Deutsche Biographie. Lief. 193-196. Leipzig, 1895; 8°.
* Anales de la Universidad (Republica Oriental del Uruguay). Tomo VI,
Entr. 6*; VII, Entr. 12-3*. Montevideo, 1895; 8°.
* Annales de la Société d’Archéologie de Bruxelles. T. IX, liv. I-II.
Bruxelles, 1895; 8°.
* Annali dell’Università di Perugia. Pubblicazioni periodiche della Facoltà
di Giurisprudenza. N. s., vol. V, fasc. 1. Perugia, 1895; 8°.
Annali di Statistica. — Statistica industriale. Fasc. LVII. Notizie sulle
condizioni industriali della provincia di Siracusa. Roma, 1895; 8° (dal
Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio).
Anno (L’) Accademico 1894-95 nella R. Università di Padova — Relazione.
Padova, 1895; 8° (dalla R. Università).
* Anuuaire de la Société d’Archéologie de Bruxelles, 1895, tome sixième.
Bruxelles, 1895; 8°.
Anuario Estadistico de la ciudad de Buenos-Aires. Aîio IV, 1894. Buenos-
Aires, 1895; 8°.
* Archivio storico pugliese. Vol. I, fasc. 1, 2. Bari, 1894-95; 8°.
* Ateneo Veneto. — Rivista mensile di scienze, lettere ed arti. Serie XIX,
vol. I, fasc. 4-6. Venezia, 1895; 8°.
Atti e Rendiconti dell’Accademia di Scienze, Lettere e Arti dei Zelanti di
Acireale. Nuova serie, vol. VI. Acireale, 1895; 8°.
* Atti della R. Accademia Lucchese di scienze, lettere ed arti. Tomo XXVIII.
Lucca, 1895; 8°.
* Atti della Reale Accademia di Scienze morali e politiche. Reale Società
di Napoli; vol. 27°, 1894-95. Napoli, 1895; 8°.
144 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
* Atti della R. Accademia dei Lincei. Serie V. Classe di Scienze morali,
storiche e filologiche; vol. I: Memorie. Roma, 1893; 4°.
* Atti della R. Accademia dei Lincei. Notizie degli scavi: aprile-agosto
1895. Roma, 1895; 4°.
* Atti della R. Accademia dei Lincei. Rendiconto dell’Adunanza solenne
del 9 giugno 1895; 4°.
* Berichte iber die Verhandlungen der k. Sachsischen Gesellschaft der
Wissenschaften zu Leipzig (Philolog.-hist. Classe), 1895, I-II. Leipzig,
1895; 8°.
* Bibliotheca Indica: A Collection of Oriental Works published by the
Asiatic Society of Bengal. New series. Index of the Maàsir-ul-Umara;
vol. III, fasc. XI, XII; n. 850-859. Calcutta, 1895; 8°.
** Bibliotheca philologica classica. 1895. Zweites Quartal. Berlin; 8°.
* Boletin de la Real Academia de la historia; t. XXVII, cuad. I-IV. Madrid,
1895; 8°.
* Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa;
n. 228-237, 1895; 8° (dalla Biblioteca Nazionale centrale di Firenze).
Bollettino della Società Umbra di Storia Patria. Vol. I, fasc. III. Perugia,
1895; 8° (dalla Società).
Bollettino di notizie sul credito e la previdenza. Anno XIII, n. 3-7. Roma,
1895; 8° (Ministero di Agric., Indus. e Comm.).
Bollettino di Legislazione e Statistica doganale e commerciale. Anno XII
aprile-giugno 1895. Roma, 1895; 8° (Ministero delle Finanze).
Bulletin de la Société de Géographie Commerciale de Bordeaux, 1894,
n. i13-22; 8°.
Balletin Mensuel de Statistique Municipale de la ville de Buenos-Aires.
Année IX° (1895), n. 5-8.
* Bulletin de la Société d’Études des Hautes-Alpes. II° série, n. 13, 14,
1895. Gap, 1895; 8°.
* Bulletin de l’Institut national Genevois. Travaux des cinq sections,
t. XXXIII. Genève, 1895; 8°.
* Bulletin de la Société de Géographie. 7° série, 1°-3° trimestre 1895.
1895; 8°.
Bulletin de l’Institut International de Statistique. Tom. VIII; IX, 1"° lîvr.
Rome, 1895; 8°.
Bulletin de la Société pour la conservation des monuments historiques
d’Alsace. II sér., t. XVII. Strassburg, 1895; 8°.
* Bullettino dell'Istituto di Diritto Romano. Anno VIII, fasc. I-III. Roma,
1895; 8°.
* Catalogo metodico degli scritti contenuti nelle pubblicazioni periodiche
italiane e straniere della Biblioteca della Camera dei Deputati. Par. I.
Scritti biografici e critici, III Suppl. Roma, 1895; 8°.
* Comercio exterior y movimento de navegacion de la Republica Oriental
del Uruguay y varios otros datos correspondientes al aîio 1894 com-
parado con 1893. Montevideo, -1895; 8° (dal Governo della ‘Repubblica
dell'Uruguay).
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 145
* Comptes-rendus de l’Athénée Louisianais, 5"° série. Tom. 2°, livr. 4®©
et 5°, Nouvelle-Orléans, 1895; 8°.
* Comptes-rendus des séances de la Société de Géographie ; n. 11-12. Paris,
1895; 8°.
Contributions to North American Ethnology. Vol. IX. Dakota Grammar,
Texts, and Ethnography by S. R. Riggs. Washington, 1893; 4° (dal
Department of the Interior; U. S. Geographical and Geological Survey).
* Cosmos. Vol. XII, n. 2. Torino, 1895; 8°.
* Giornale della Società di letture e conversazioni scientifiche di Genova.
Anno XVII, fase. III. Genova, 1895; 8°. |
* Historiae patriae Monumenta. Serie II, t. XXI. Codex Diplomaticus Cre-
monae. Aug. Taurinorum, 1895; 8° (dalla R. Deputazione sovra gli Studi
di Storia patria).
* Indices chronologici ad Antiquit. Ital. M. /. et ad opera minora Lud.
Ant. Muratorii; fasc. VI. Aug. Taurinorum, 1895; 4° (dalla R. Deputa-
zione sovra gli Studi di Storia patria).
Informe presentado al sefior Secretario de Estado en el despacho de Fo-
mento. San José, 1895; 8° (dal Museo Nazionale di Costa Rica).
Inventaire sommaire des Archives Départementales.
Ariège: Archives Civiles, t. I, sér. B.
Hautes-Alpes: t. 8%, Clergé séculier; Évèchés de Gap.
Pas de Calais: Archives Ecclésiastjques, sér. G, t. 1°.
Charente-Inférieure: Archives Communales; Ville de Saint-Jean d’Angély.
Nord: Archives Communales; Ville de Saint-Aimand.
Dròme: Archives Hospitalières; Ville de Verdun.
Meuse: n 5) Ville de Romans; 4° (Dono del Governo
francese).
** Inventarii dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, vol. V, pp. 97-144.
Forlì, 1895; 8°.
Istituto di Scienze sociali “ Cesare Alfieri , in Firenze. Anno XXI, 1895-96; 8°.
* Johns Hopkins University Circulars. Vol. XIV, n. 119-120. Baltimore,
1895; 4°.
* Journal of the Asiatic Society of Bengal. Vol. LXIV, Part I, History
Literature, n. 1. Calcutta, 1895; 8°.
Languages an International Journal for Linguists, Philologers, Students, etc.
July, October 1895. London; 4° (dall’Editore).
* Mémoires de l’Académie des Sciences, Belles-Lettres et Arts de Savoie.
4° série, t. V. Chambéry, 1895; 8°.
* Mémoires de l’Acad, Roy. des Sciences et des Lettres de Danemark,
Copenhague. 6° sér., sect. des Lettres, t. VII, n. 10. Copenhague, 1894; 4°.
Mémoires publiés par les Membres de la Mission Archéologique frangaise
au Caire. T. IV, 2ème fase.; XVII, 19 fase. Paris, 1895; 4° (dal Ministero
dell'Istruzione Pubblica e di Belle Arti di Francia).
* Memorie del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Classe di lettere
e scienze storiche e morali. Vol. XX, XI della ser. III, fase. 1°. Milano,
1895; 4°,
146 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
“i VOTE
UA
* Memorie dell’Accademia d'Agricoltura, Arti e Commercio di Verona.
Serie III, vol. LXX, fasc. unico. Verona, 1893; 8°.
* Memorie dell’Accademia di Verona. Vol. LXXI, serie III, fasc. 1. 1895; 8°.
* Miscellanea di Storia italiana, terza serie, t. I e II. Torino, 1895; 8°
(dalla R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria).
** Mittheilungen der k. k. geographischen Gesellschaft in Wien. 1894.
XXXVII Bd.; 8°.
** Monumenta Germaniae historica. Auetorum antiquissimorum tomus XIII,
pars II. Chronica minora saec. IV, V, VI, VII. Berolini, 1895; 4°.
Movimento della navigazione nei porti del Regno nell’anno 1894. Roma, _
1895; 4° (dal Ministero delle Finanze, Direz. gener. delle Gabelle).
Movimento commerciale del Regno d’Italia nell’anno 1894. Roma, 1895; 4°
(dal Ministero delle Finanze, Direzione generale delle Gabelle).
* Nachrichten von der kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gottingen,
Philologisch-historische Klasse. 1895, n.3. Gòottingen; 8°.
* Nederlandsch-Indisch Plakaatboek, Deel XIII, 1800-1803. Batavia, 1895; 8°.
* Notulen van de Algemeene en Bestuurs vergaderingen van het Bataviaasch
Genootschap van Kunsten en Wetenschappen. Deel XXXII, Afl. 4;
XXXIII, 1. Batavia, 1895; 8°.
* Qpera Academiae Scientiarum et Artium Slavorum Meridionalium.
Ljetopis... Godina 1894; Djela... knjiga XIII, XIV; Monumenta Storico-
Turidica Slavorum Meridionalium, vol. V. Monumenta spectantia histo-
riam Slav. Merid., vol. XXVI. Rad, knjiga CXVIII, CXIX, CXXI.
Zagubu, 1894-95; 8°.
Peabody Institute, of the city of Baltimore. Twenty-Seventh Annual
Report. June 1, 1895. Baltimore, 1895; 8°.
** Petermanns Mitteilungen aus Justus Perthes' Geographischer Anstalt.
Ergaànzungsheft N" 115. Gotha, 1895; 8°. i
Popolazione. Movimento dello Stato civile. Anno 1893. Roma, 1895; 8°
(dal Ministero di Agric., Ind. e Comm.).
Prospectus of elective Studies. Michigan Mining School. Houghton Mi-
chigan, 1895; 8°.
** Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia. 1895,
dal fol. 1-76; 8°.
Resoconto della Cassa di Risparmio di Torino per l’Esercizio 1894. Torino,
1895; 4°.
* Revue de l’histoire des religions. XV° année, t. XXX, n. 3; XVI° année,
t. XXXI, n, 1, 2. Paris, 1894-95; 8°.
Rosario (I1) e la Nuova Pompei. Anno XII, quad. IV-X. Valle di Pompei,
1895; 8°.
Sanskrit Critical Journal of the Oriental Nobility Institute, Woking;
England, n. 5-8, 1895; 8°.
* Sitzungsberichte der philosophisch-philologischen und der historischen
Classe der k. b. Akademie der Wissens. zu Miinchen. 1895, Heft II.
Mtiinchen, 1895; 8°.
Statistica del Commercio speciale di importazione e di esportazione dal
luglio al 30 settembre 1895. Roma, 1895; 8°(dal Ministero delle Finanze).
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 147
' Statistica giudiziaria civile e commerciale per l’anno 1893. Roma, 1895;
8° (dal Ministero delle Finanze). il
* Studi e Documenti di storia e diritto. Anno XVI, fasc. 2°-3°, Roma, 1895; 4°
(dall'Accademia di Conferenze Storico-giuridiche).
* Tijdsehrift voor Indische Taal-, Land- en Volkenkunde, uitgegeven door
het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen etc.;
Deel XXXVIII, 4. Batavia, 1895; 8°.
Transactions of the American Philological Association, 1894. Vol. XXV.
Boston, Mass.; 8°.
Valle di Pompei; An. V, n. 3-7. 1895; fol.
* Verhandelingen van Teyler godeleerd Genootschap. N. S. Vijftiende Deel.
Haarlem, 1895; 8°.
* Verhandelingen van Teylers tweede Genootschap. Nieuwe Reeks. Vijfde
Deel, 1° Stuck. Haarlem, 1895; 8° fol.
Verhandelingen uitgegeven door Teyler's Tweede Genootschap. N. R. Eerste
Deel. Haarlem, 1873; 8°.
* Verhandelingen van het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Weten-
schappen. Deel XLVIII, 2 Stuck. Batavia, 1894; 8°.
* Vocabolario degli Accademici della Crusca. 5* impressione. Vol. VIII,
fase. 2°. Firenze, 1895; 4°.
Vorlese-Ordnung an der k. k. Leopold-Franzens-Universitàt zu Innsbruck
im Winter-Semester 1895/96. Innsbruck, 1895; 4° (dall’Università di
Innsbruck).
* Dall Università di Basilea:
Bruckner (W.). Studien zur Geschichte der langobardischen Sprache. Strass-
burg, 1895; 8°.
Huber (A.). Geschichte Hiiningens von 1679-1698. Basel, 1894; 8°.
Personal-Verzeichnis der Universitàt Basel fiir das Wintersemester 1894/5;
1895; 8°.
Verzeichnis der Vorlesungen an der Universitit Basel im Winter-Semester
u. Sommer-Semester 1895/96. Basel, 1895; 4°.
Weisengriin (P.). Die socialwissenschaftlichen Ideen Saint-Simon’s. Basel,
1895; 8°.
* Dall’ Università di Erlangen:
Alken (C.). Kann der juristiche Besitzer einer unbeweglichen Sache den
Inhaber aus dem Besitz vertreiben ? Wiesbaden, 1895; 8°.
"ArmootoX6rovAog (M.). Mevavdpoc TTpotéktwp. Ev ’A@nvaîs, 1894.
Bechmann (A.). Die Haftung des Beneficialerben fiir die Schulden der
Erbschaft nach rémischem und gemeinen Recht. Niirnberg, 1895; 8°.
Bintz (H.). Das Vergehen gegen $ 288 R.-Str. G.-B. (Vereitelung der Zwangs-
vollstreckung) dargestellt in Vergleichung mit den Vergehen gegen
die $$ 289, 263, 137 R.-Str.-G.-B. Hamburg, 1895; 8°.
148 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
Bruek (W.). Die Verteilung des periculum bei partiellem Untergang einer
Quantitit, von der ein nach Maass, Zahl oder Gewicht bestimmter
Teil verkauft, aber noch nicht ausgeschieden war. Berlin, 1895; 8°.
Christl (F.). Die rechtliche Natur der Dotationen der Bischòfe und Dom-
kapitel nach bayerischem Reclit. Regensburg, 1895; 8°.
Cohen (A.). Die Vorbereitung von strafbaren Handlungen nach den Straf-
gesetzen des deutschen lieichs. Kòln, 1894; 8°.
Collard (E.). Die Staatsangehòrigkeit der Ehefrau nach deutschem Staats-
recht. Erlangen, 1895; 8°.
Conze (E.). Bedarf es zum Erwerb des Vermichtnisses der Annahme? Bonn,
1895; 8°.
AdvimA (A.). ’Iwdvvov Tod Xpuodotopov 1) fevua) 8. "Ev Bapwn, 1894.
Eissenléffel (L.). Franz Kolb ein Reformator Wertheims, Niirnbergs und
.Berns. Sein Leben und Wirken. Zell; 8°.
Fischer (P.). Die Religionsphilosophie des John Locke aus seinen simmtli-
chen Werken im Zusammenhang dargestellt. Berlin, 1893; 8°.
Fritz (0.). Der Check nach dem Entwurfe des Bundesrates vom Jahre 1892.
Erlangen, 1894; 8°.
Gutmann (A.). Interpretation des Art. 306 H. G. B. Erlangen, 1894; 8°.
Hifner (E.). Ueber die Sprache der lateinischen Hexametriker. I. Teil.
Mtiinchen, 1895; 8°.
Heeren (A. v.). Die Durchstreichung des Accepts. Minchen, 1895; 8°,
Hofmann (F.). Kritische Untersuchungen zu Lucian. Nirnberg, 1894; 8°.
Hofmann (H.). Die Erbfolge in das Vermògen fiir tot erklirter Personen.
Passau, 1894; 8°.
Holz (F.). Zur Lehre von der Bigamie. Mannheim; 8°.
Jerschke (K.). Der Liquidator der offenen Handelsgesellschaft. Strassburg,
1895; 8°.
Iwanowitsck (G.). Opiniones Homeri et tragicorum graecorum de inferis
per comparationem excussae. Berolini, 1894; 8°.
Krapf (Fr.). Die rechtliche Stellung der Notare nach bayerischem Staats-
recht. Lindau i. B., 1894; 8°.
Krieghoff (H.). Die Ministerverantwortlichkeit in Theorie und Praxis.
Gotha; 8°.
Kiihlewein (H.). Entstehung von Bundesstaat und Aktiengesellschaft in
rechtlichen Vergleich. Nirnberg, 1894; 8°.
Langheinrich (C.). Allgemeine Giitergemeinschaft nach Bayreuther Recht.
Bayreuth, 1894; 8°.
Leiden (R.). Voraussetzungen und Wirkung der Schuldhinterlegung. Leipzig,
1895; 8°.
Aeovdpdog (B. 1.) Kpitikè kaì épunveutixà eîc TÒòv TThouTdpyou Èpwrixév,
’Aonvno 1894.
Lewin (M.). Aramaische Sprichwòrter und Volksspriiche. Berlin, 1895; 8°.
Lipstein (L.). Ueber das Pfandrecht an Forderungen, die in einen kauf-
minnischen Kontokorrent eingetragen sind. Kénigsberg in Pr., 1895; 8°.
Mathieu (C.). In welchen Fallen und in welcher Weise ist die Not civil-
rechtlich von Bedeutung ? Saarlouis, 1894; 8°.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 149)
Mayer (A. F. A.). Die Professio religiosa im kanonischen, gemeinen und
geltenden deutschen Reichsrechte. Minchen, 1895; 3°.
Mayr (W.). Die Falle der Naturalobligation und ihre rechtliche Natur nach
neuestem gemeinen Recht. Regensburg, 1895; 8°.
Meents (E.). Die Majestitsbeleidigung in geschichtlicher und dogmatischer
Beziehung. Berlin, 1894; 8°.
Meiners (H.). Ist die Zahlung einer Geldstrafe fiir den Verurteilten als
Begiinstigung strafbar? Erlangen, 1895; 8°.
Meyer (R.). Bedeutung und Charakter der Kompensationserklirung. Wies-
baden, 1895; 8°.
Miiller (G.). Das Causalitàtsproblem im Strafrecht. Miinchen, 1894; 8°.
Miiller (0.). Wesen, Geschichte und pidagogischer Wert der erotematischen
Lehrform. Berlin, 1895; 8°.
Nîeklas (R.). Die Geltendmachung des Placet gegentiber der Kirche nach
bayerischem Verfassungsrecht. Freiburg I. B., 1895; 8°.
Pedretti (C.). Zur Lehre von der Amortisation der Inhaberpapiere. Amberg,
1895; 8°.
Putsck (W.). Ueber die Zulissigkeit der einseitigen Abiinderung gemein-
schaftlicher Testamente. Leipzig, 1895; 8°.
Reach (J.). Die Sebirin der Massoreten von Tiberias. Breslau, 1895; 8°.
Schlesinger (M.). Vermigensschàdigung bei Betrug. Miinchen, 1894; 8°.
Schneider (F.). Beitrag zur Lehre von der Prokura. Erlangen, 1895; 8°.
Sehréòder (L.). Die grosse Havarie. Berlin, 1894; 8°.
Schultze (H.). Die Gelegenheitsgesellschaft. Berlin, 1895; 8°.
Silberstein (H.). Die Stellung der Gesellschafter im Prozesse der offenen
Handelsgesellschaft. Wirzburg, 1894; 8°.
Sochaczewer (L.). Zur Lehre von der Transportfunetion des Wechselindos-
saments. Berlin, 1894; 8°.
Speidel (R.). Der Heimatvorbehalt nach bayerischem Recht. Ansbach, 1895; 8°.
Stettner (E.). Das Recht des Aufenthalts und der Niederlassung. Erlangen,
1894; 8°.
Stoelzle (G.). Verfassungsînderung wiahrend der Regentschaft nach bayeri-
schem Staatsrechte unter Beriicksichtigung des in den ibrigen deut-
schen Staaten geltenden Rechts. Freiburg I. B., 1894; 8°.
Strobl (Ch.). Das Etablissement. Miinchen, 1894.
Then (J. B.). Die Wechselfihigkeit der Minderjiihrigen. Wiirzburg, 1895; 8°.
Uebersicht des Personal-Standes bei der K. Bayerischen Friedrich-Alexan-
ders-Universitàt Erlangen nebst dem Verzeichnisse der Studierunden
im Winter-Semester 1894-95; Sommer-Semester 1895; 8°.
Varnhagen (H.). Poéma italicam de Lautreco Marescallo et de Bello in
Italia Superiori A. D. 1522 gesto. Erlangen, 1894; 8°.
Verzeichnis der Vorlesungen, welche an der K. Bayerischen Friedrich-
Alexanders-Universitàt Erlangen im Winter-Semester 1894/95; Sommer-
Semester 1895; 8°,
Vogel (G.). Die Oekonomik des Xenophon. Erlangen, 1895; 8°.
Wartensleben (C. v.). Die Veriiusserung der Hausgiiter des Hohen Adels.
Berlin, 1895; 8°.
150 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
Westermayer (H.). Die Brandenburgisch-Niirnbergische Kirchenvisitation
1528. Erlangen, 1894; 8°.
Wiesenthal (M.). Quaestiones de nominibus propriis quae graecis hominibus
in proverbio fuerunt. Barmen, 1895; 8°.
Zahn (Th.). Der Stoiker Epiktet und sein Verhiltnis zum Christentum.
Erlangen, 1894; 4°.
Zingerle (0.). Die Rechtsverhiltnisse der Standesherren in Bayern. Kempten,
1895; 8°.
* Dall’ Università di Giessen:
Eberkard (W.). Ludwig II Kurfiirst von der Pfalz und das Reich 1410-1427.
I Teil: 1410-1414. Giessen, 1895; 8°.
Ferber (0.). Der philosophische Streit zwischen I. Kant und Johann Aug.
Eberhard. Berlin, 1894; 8°.
Glaser (0.). De ratione quae intercedit inter Sermonem Polybii et eum,
qui in titulis saeculi III, II I apparet. Gissae, 1894; 8°.
Gugenheimer (R.). Die Scholien des Gregorius Abulfaragius Bar Hebraeus
zum Buche FEzechiel nach vier Handschriften des Horreum mysteriorum
mit Einleitung und Anmerkungen herausgegeben. Berlin, 1894; 8°.
Koehler (W.). Hessische Kirchenverfassung im Zeitalter der Reformation.
Giessen, 1894; 8°.
Kranzbiihler (E.). Die Aftermiete. Worms, 1894; 8°.
Krug (L.). Die Urheberbenennung (nominatio auctoris) eine historisch-dog-
matische Studie. Berlin, 1894; 8°.
Lehr (J.).. An welchen Sachen kann kein gemeiner Diebstahl begangen
werden? Heppenheim a. d. B., 1894; 8°.
Lohr (E. E.). Die Vorgeschichte zur Schleswig-holsteinischen Frage bis zum
Jahre 1810. Leipzig, 1894; 8°.
Personal-Bestand der Grossherzoglich Hessischen Ludwigs-Universitàt zu
Giessen. Winterhalbjahr 1894-95; Sommerhalbjahr 1895; 8°.
Preuschen (E.). Die Bedeutung von M72W 200 im Alten Testamente. Fine
Alte Controverse. Giessen, 1894; 80,
Programm Sr. kònig. Hoheit dem Grossherzoge von Hessen und bei Rhein
Ernst Ludwig zum 25 August 1894 gewidmet von Rector und Senat
des Landesuniversitàt. Giessen, 1894; 4°.
Rosenmann (M.). Studien zum Buche Tobit. Berlin, 1894; 8°.
Sommerlad (F.). Darstellung und Kritik der sthetischen Grundanschauungen
Schopenhauers. Offenbach a. M., 1895; 8°.
Valckenberg (J.). Die Denuntiation bei der Cession der Forderungsrechte.
Mainz, 1895; 8°.
Vorlesungsverzeichniss der Grossherzoglich Hessischen Ludwigs-Universitàt
zu Giessen. Sommerhalbjahr 1895; Winterhalbjahr 1895-96; 8°.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 151
* Dal Università di Heidelberg :
Anzeige der Vorlesungen welche im Sommer und Winter Halbjahr 1895;
1895/96 auf der Grossh. Badischen Ruprecht-Karls Universitàt zu Hei-
delberg. 1895; 8°.
Barlovac(C.R.). Das serbische Parlament (Skupschtina). Heidelberg, 1895; 8°.
Braun (E.). Ein Trierer Sacramentar vom Ende des X. Jahrhunderts. Trier,
1895; 8°.
Corwin (R. N.). Entwicklung und Vergleichung der Erziehungslehren von
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5.1, AATO
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PRO 1
. 1896
\uly--12 Sopt
N.,Y.AcadeRy
Of Sciences
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 1° Dicembre 1895.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci: Cossa, Vice-Presidente, D’OvipIo,
Direttore di Classe, Bizzozero, FERRARIS, SPEZIA, GIACOMINI,
CAMERANO, SEGRE, PrANO, JADANZA, Foà e NaAccari Segretario.
Viene letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza pre-
cedente.
Il Socio D’Ovipro fa omaggio all'Accademia di una Com-
memorazione stampata scritta da lui medesimo del compianto
Socio nazionale Giuseppe BATTAGLINI.
Il Socio Segretario segnala fra le pubblicazioni pervenute
in dono all'Accademia: “ La Rivista di Topografia e Catasto ,,
diretta dal Socio JApANZA, Vol. VIII, fasc. I-IV, e gli “ Atti
della Società Piemontese d’Igiene ,, fasc. I.
Vengono poscia accolti per essere inserti negli Atti i se-
guenti scritti:
“ Trasformazioni lineari dei vettori di un piano ,, nota
del Socio PEANO;
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 13
156
“ Diaspri permiani a radiolarie di Montenotte ,, nota del
Prof. PARONA e del Dott. RoveRETO, presentata dal Socio SPEZIA;
«“ Sette lettere inedite di Lagrange ,, nota del Prof. Antonio
Favaro, presentata dal Socio NACCARI;
« Sulle variazioni di densità di un liquido presso alla
superficie ,, nota del Dott. V. Monti, presentata dal Socio NaAccarI.
Dietro relazione favorevole delle apposite commissioni ven-
gono accolti nei volumi delle Memorie gli scritti seguenti:
« Sintesi di composti piridinici dagli eteri chetonici coll’etere
cianacetico în presenza dell'ammoniaca e delle amine ,, memoria
del Prof. Icilio GUARESCHI;
“ Sull’equazione di 5° grado ,, memoria del Prof. F. GIUDICE.
GIUSEPPE PEANO — TRASFORMAZIONI LINEARI, ECC. Told
LETTURE
Trasformazioni lineari dei vettori di un piano;
Nota del Socio GIUSEPPE PEANO.
Le trasformazioni lineari dei vettori compaiono in più rami
della matematica; sono studiate in geometria proiettiva come
omografie dei punti all'infinito, ma dal solo punto di vista del
loro prodotto. In geometria infinitesimale rappresentano le de-
formazioni delle figure infinitesime; in fisica matematica deter-
minano le forze prodotte da queste deformazioni, ecc.
Nella presente nota si espongono alcune formule sulle tra-
sformazioni dei vettori contenuti in un piano fisso. Dapprima
sono rapidamente richiamate alcune definizioni, onde ben fissare
la nomenclatura di cui ci serviremo, essendo essa ancora un
po’ varia nei diversi autori. Per uno sviluppo più ampio di
queste definizioni rimando al cap. IX del mio libro Calcolo geo-
metrico. Il lettore può pure utilmente consultare lo scritto del
sig. CarvaLLo, Sur les systèmes linétaires, le caleul des symboles
différentiels et leur application à la physique mathématique (Mo-
natshefte fiir Mathematik und Physik, 1891, pag. 1, 225, 311).
Queste formule presentano analogia con quelle dei quater-
nioni, da cui differiscono per qualche segno.
$ 1. — Sistemi lineari e loro trasformazioni.
Un sistema di enti dicesi lineare, se gli enti di esso si pos-
sono sommare, e moltiplicare per numeri reali, e se la somma
e questa moltiplicazione conservano le ordinarie proprietà. Quindi
Se di, 49, ..., 4, sono enti del sistema, e #}, ..., 7, sono numeri
reali, anche mj0, + my, + ... + m,a, rappresenta un ente
del sistema.
Gli enti 4,45 ... @, diconsi (linearmente) indipendenti, se fra
essi non passa alcuna equazione lineare. Il sistema dicesi ad n
158 GIUSEPPE PEANO
dimensioni, se sonvi » enti indipendenti, e non ve ne sono n+- 1.
Se il sistema è ad » dimensioni, e 4}; ... @, sono » enti indi-
pendenti, ogni ente del sistema si può ridurre alla forma
mia, + ... + Man, OVE My mg ... Mm, sono numeri reali.
Una corrispondenza fra gli enti di due sistemi lineari di-
cesì una trasformazione lineare, od operazione distributiva, se,
essendo ax l’ente corrispondente all'ente x del sistema dato,
si ha a(e-+4+y) = 0€+ 0y, qualunque siano gli enti x e y del
sistema dato; e a(mx) = max, qualunque si sia il numero
reale m.
$ 2. — Vettori.
Useremo la lettera V invece della frase “ vettore contenuto
in un piano dato ,. Essendo a, è due V, è definita la loro somma,
che è pure un vettore, ed essa ha la proprietà commutativa e
associativa:
L a beV.h.a+beV.a+b0=5b+a.
2. a,b,ceV.g.at+(0+e=(a+3) +c=a+db+%4e.
Essendo a un V, ed un m numero reale (q), ma rappresenta.
pure un vettore:
3. aeV.meq.9.maevV.
4. a,beV.m,neq.9.m(a+0)= ma + mb .(m4t+na=
ma + na . m(na) = (mn) a = mna.
Fisseremo ad arbitrio un vettore î, la cui lunghezza assu-
meremo come unità di misura; e chiameremo j un vettore eguale
in lunghezza ad i, e normale ad i; l’angolo retto (î,j) si dirà
positivo. Allora ogni vettore « del piano si può ridurre alla
forma xi +4 yj, e ciò in un sol modo. Ne risulta che V è un
sistema lineare a due dimensioni.
Qualche volta useremo il prodotto esterno dei due vettori
a e b, indicato con ad. Potremo in questa nota intendere con ab
il numero che misura l’area del parallelogrammo costrutto sui
TRASFORMAZIONI LINEARI DEI VETTORI DI UN PIANO 159
due vettori « e 5, essendo l’unità di misura in grandezza e
in verso il quadrato ij. Si ha quindi:
5. a, beV.).abeq.
6. a,b,ceV.g.ab= — ba. (a4d)c =ac+ de.
4 - a,b,ceV.9.(b)a +- (ca) db + (ad)e=0.
8. cyeyeq.9.(it+yj)(c'i ty) = ay — cy.
La condizione di parallelismo dei due vettori a e 3 è ab=0.
$ 3. — Sostituzioni.
Una trasformazione lineare dei V in V dicesi una sostitu-
zione. Useremo la lettera S invece della parola sostituzione.
Le S sono quindi definite dalle seguenti proprietà:
"i aeS.aeV.gQ.aaeV.
2. aeS.a,beV.5.0(a +8) — 0a + ad.
3. aeS.aeV.meq.g.oama =maa.
Ne risulta che:
4. aeb.ai=i.aj=].x,yeg.9.a(xi + yj) = + y).
Quindi per conoscere la sostituzione a, basta conoscere i
vettori i' e j' corrispondenti ad i e ad j. Indicheremo con ({'%
la sostituzione che ad i e ad j fa corrispondere è’ e j'. Invece
di dare i vettori #' e j', possiamo darne le coordinate i' = pi + g/,
Î = pi + gj; indicheremo con [ p, g; p',9] la sostituzione
(2% P*#4). 1 numeri p, g, p', g! diconsi i coefficienti della
sostituzione.
160 GIUSEPPE PEANO
$ 4. — Operazioni sulle sostituzioni.
Se a, BeS.aeV, si scrive (a+ B)a invece di aa + Ba.
L'operazione a + f è pure una sostituzione:
I a,BeS.g.a + BeS.
su nr
Dt RL 04 i Le Ga
3. P%P'9P1%P'191€9-09 -[2,9;P':91+ [pn 012191]
=p+ Pr 14 P4+D1hdV 44
Nelle stesse ipotesi Baa sta per indicare B(aa); l'operazione
Ba è pure una sostituzione:
4. a, BeS.9.. Baes.
O veglia a a (14) na e i Di
La moltiplicazione delle sostituzioni ha la proprietà asso-
ciativa, e la distributiva rispetto all’addizione; ma non è in
generale commutativa. Quindi, p. e., si avrà ancora:
(a + 8) = a? | ap + Ba +- B°,
ma il secondo e terzo termine non si possono più ridurre fra
loro.
La moltiplicazione d’un vettore per un numero reale m è
una sostituzione:
m= (#7) = [m,0; 0, m].
Quindi, se a, 8, ... sono sostituzioni, m, »,... sono numeri
reali, ma + n + ... rappresenta pure una sostituzione. Essendo
D, 9, p',q" delle q, si ha:
[og p,1=pG +0 C+ CA +9 69.
TRASFORMAZIONI LINEARI DEI VETTORI DI UN PIANO 161
Ne risulta che le S formano un sistema lineare a quattro
dimensioni.
Senza difficoltà si definiscono le altre operazioni sulle S;
ci limiteremo alla definizione dell’esponenziale :
6. aes ipa l'Pa to +e + LAT
La dimostrazione della convergenza di questa serie, qua-
lunque si sia la sostituzione a (anche in sistemi lineari a più
dimensioni), trovasi, p. e., nel mio articolo Intégration par séries
des équations différentielles linéaires (“ Mathematische Ann. ,,
XXIII, p. 450).
$ 5. — Forma canonica delle S.
Essendo « un vettore, con ‘x intenderemo ciò che diventa «,
dopo aver rotato dell'angolo retto positivo. Sicchè:
L i=j.j=— i =.= L
Quindi la sostituzione 1 ha la proprietà caratteristica del-
l’unità immaginaria. Se x, yeq, allora € + w rappresenta una
sostituzione ; e questa interpretazione degli immaginarii, alquanto
diversa da quella comune di Gauss, è affatto elementare, e si
può introdurre nell’insegnamento, utilizzando così in ricerche di
geometria, la teoria algebrica dei numeri immaginarii.
Essendo x un vettore, con ku intenderemo il simmetrico
(o coniugato) di « rispetto al vettore è. Quindi:
2. dra Lg
Mediante le due sostituzioni 1 e k si possono esprimere
tutte le sostituzioni; e precisamente ogni sostituzione a si può
ridurre alla forma :
a=m + z1+ yk + 21,
162 GIUSEPPE PEANO
ove m, x, y, 2 sono numeri determinati. Questa forma cui sì
possono ridurre le S si dirà loro forma canonica. Si ha:
3 [nap9al=5(P+M+4@-ph+
+5 0-Mx +5 @+2)x
4. mt+a+yr+teax=[m+y, x+2e;a—-a,m—- y]
Data una seconda sostituzione:
o'= mm +ao14 y'x + sk,
ove m', x', y', 2' sono q, si avrà:
5. a+o'=(m+m)+(r+2)1+(y4+#)x + (+ 21).
Per moltiplicare due sostituzioni date sotto forma canonica,
basta osservare le regole:
ves ckbe=1a=— x,
donde
Kw = — K, KK=— 1, kKK= 1.
Quindi:
6. a'a=(mm' — x2' + yy +22) + (m'a+e'm —y'e+ yi
(m'yt+ym—-a'z+2'e)x + (me + me' + 2'y — y'a)ax.
Come caso particolare:
da o = mî — e + y° + e? + 2mar + 2myx + 2maxx.
Si deduce l'identità:
8. a? — 2ma + (mM + a — y — 2) =0,
che permette di esprimere il quadrato di a, e quindi le sue
successive potenze, mediante a.
TRASFORMAZIONI LINEARI DEI VETTORI DI UN PIANO 163
Sono ancora a notarsi le formule:
9. 5 (a + 10) = (m+ z1)1
10. + (a — 10) = (y+ 21)x
E MR RE
1 ' Er , Cn)
di. 9 (aa a a'a) = L Y © |
| BAM
$ 6. — Invariante e determinante d’una sostituzione.
Sia a una S. Presi ad arbitrio due vettori è e }, il rapporto
dell’area (ai) (aj) all’area ij è indipendente dalla scelta dei
vettori è e j. A questo rapporto daremo il nome di determinante
di a, e lo indicheremo con det a. Si ha:
pit: aeS.i,jeV.9. (ai) (0) = ij det a.
2. det [p, g; 2, 9] = pa — pd.
3. det (m + 21 + yx + eu) = mM 4a — $ — 2°.
4. det (aa') = det a X det a”.
Mettendo a ed a' sotto forma canonica, e applicando le
formule 3 e 4 si ottiene l’identità:
m? + a — y° — 2°) (m'° + a? — y°? — 22) =
( y Y
= (mm' — xx 4 yy' + 2ee'YP+ (ma + om — ye + 2")? —
— (n'y+t+ym—&'2 + 2'a? — (Mm + me' + 2'y — ya)?
analoga a quella di Eulero, e che si può anche dedurre da quella
di Lagrange. Un numero m rappresenta una sostituzione parti-
colare, e si ha:
164 GIUSEPPE PEANO
5. meq.d).detm = m?.
6. det 1 = 1, detx =— 1.
Se a è una $S, e # un numero, a + # è una $, ed il suo
determinante si può sviluppare sotto la forma det (a 4- t) =
A + 2Bt + #, ove A e B sono dei numeri. A vale evidente-
mente det a; il coefficiente B di 2? lo diremo l’invariante di a,
e lo indicheremo con inv a. Si ha pertanto:
7. aeS.teq.9.det(a+1) = deta + 2t inva + #?.
L’invariante, espresso mediante i coefficienti della sostitu-
zione, vale:
. r 1 ,
8. inv [pg p,d]=5 +9).
Se la sostituzione è data sotto forma canonica, si ha:
9. inv (m+ 14 gx + 21K) = m.
Se la sostituzione è data mediante le coppie i, j, è, j", di
vettori corrispondenti, si ha:
10. inv (29) = NITRATI)
TE) 2ij
IL. inv (a + o') = inva + inv a.
12. aes.meq.9.inv(m0a) = minva.
13. a, a'eS.g.inv (ca) = inv (aa).
14. ces. dee.
15. aeS.g.0=inva— 1inv (wa) + x inv ke + 1x inv (1a).
La formula (8) del $ 5, tenendo conto delle (3) e (9), si
può leggere:
16. a? — 2(invo) a + deta= 0.
TRASFORMAZIONI LINEARI DEI VETTORI DI UN PIANO 165
$ 7. — Sostituzioni particolari.
Fra le sostituzioni alcune meritano menzione speciale.
1. Involuzione. — Si chiamano involuzioni le sostituzioni
il cui invariante è nullo. Ogni involuzione è della forma x1 +4
yx + ex. La somma di due involuzioni è un’involuzione. Le
involuzioni formano quindi un sistema lineare a tre dimensioni.
Ogni sostituzione è la somma d’un numero reale mm, suo inva-
riante, e d’una involuzione.
2. Rotazione. — Essendo « un V e t una q, eu rappre-
senta il vettore che si ottiene facendo rotare « dell’angolo #.
Quindi et = cost + 1sent rappresenta la rotazione dell’an-
golo #. Il prodotto di due rotazioni è una rotazione.
x
3. Una similitudine diretta è rappresentata dal prodotto di
un numero r per una rotazione et, quindi è della forma rett;
essa si può pure ridurre alla forma m + 1. Esse corrispondono
ai numeri complessi dell’algebra; formano quindi un sistema
lineare a due dimensioni.
4. Simmetria. — Il vettore simmetrico di « rispetto al vet-
tore fisso è fu indicato con x; quindi x rappresenta una sim-
metria rispetto al vettore i. Per avere il simmetrico di v rispetto
ad un asse che faccia con è l’angolo #, basta far rotare « del-
l'angolo —t, e si ha e—ttw, poi se ne fa il simmetrico rispetto
ad è, e si ha ke-tw, e infine lo si fa rotare di nuovo dell’an-
golo #, e si ha etge—i x. Dunque la simmetria rispetto all’asse
che fa l'angolo # con 1 è rappresentata da et xe—w = extk = ke?U,
Dunque ogni simmetria è il prodotto d’una rotazione per la
simmetria particolare x.
5. Similitudine inversa. — Essa è il prodotto d’una sim-
metria per un numero r; quindi ha la forma re tx; si può pure
rappresentare con yk + 21x. Ogni sostituzione m + 21 + yk + au
è la somma di una similitudine diretta m + z1 e d’una inversa
yx + 21x.
6. Dilatazione. — Chiamasi dilatazione ogni sostituzione
au bu
riduttibile alla forma (© È"
vo ove « è un vettore e « e d sono
166 GIUSEPPE PEANO — TRASFORMAZIONI LINEARI, ECC.
numeri reali. Esso fa corrispondere ai due vettori ortogonali
u e w altri due vettori aventi le stesse direzioni di essi. Questa
a-blu_—-w
2 U lu
il primo termine è un numero ed il secondo è una similitudine
inversa. Perciò ogni dilatazione è riduttibile alla forma:
dilatazione si può trasformare in E + } in cui
m + yx + z1x, ovvero m + re2tx.
Se a è una involuzione, 1a è una dilatazione, e se a è una
dilatazione, 1a è una involuzione. Dire che a è una dilatazione
equivale a dire che inv (1a) = 0.
7. Ogni sostituzione è il prodotto d’una rotazione per una
dilatazione. Infatti, ridotta la sostituzione alla forma ret + r'ew' x
essa sì può pure scrivere:
et(r 4 r'elt'—t)k),
ovvero
(r + r'erlt+1) x) att,
e quindi è decomposta nel prodotto d’una rotazione per una
dilatazione, ovvero d’una dilatazione e d’una rotazione.
8. Sono ancora a notarsi le sostituzioni il cui determinante
è nullo.
Si hanno le formule: 7, r", t, t#'eq.9.
det at —= 1, inv et = cosf, inv etr1 = — sent,
det rat — r?, inv ret = r così
det r'et'x = — #2, inv r et'x= 0.
det (ret + r'et'g) = 7° — #02,
C. F. PARONA E 6. ROVERETO — DIASPRI PERMIANI, ECC. 167
Diaspri permiani a radiolarie di Montenotte
(Liguria Occidentale);
Nota di C. F. PARONA e di G. ROVERETO.
Nel mezzo del massiccio arcaico ligure, lungo la storica
valle di Montenotte, trovasi una zona di roccie diasprigne col-
legata a quarziti, ad anageniti, a scisti sericitici di aspetto per-
miano. Per avere trovato radiolarie nei diaspri, e perchè il
giacimento collegasi ad altri non meno notevoli delle Alpi,
abbiamo atteso alla compilazione di questa nota.
Bibliografia. — La valle di Montenotte è parecchie volte
ricordata dagli autori, che hanno trattato di geologia ligure.
Ricordiamo precipuamente che il Taramelli (1) ha osservato,
percorrendo la strada fra le due frazioni di Montenotte, scisti
talcosi di colore vinato e alternati con eufotide a minuti ele-
menti. L’Issel (2) cita eufotide fra Montenotte inferiore e supe-
riore, a M. S. Giorgio, a M. Greppino, a M. Negino. Al Passo
del Bonomo ancora l’Issel ricorda vene di calcedonio.
Nella carta geologica del d’Halloy (3) è segnato nei dintorni
di Montenotte il terreno emilisiano (paleozoico); in quella del
Pareto (4) il verrucano. Il Sismonda (5) nota invece nella sua
carta, a cominciare dal M. S. Giorgio, scisti del giura-metamorfico,
e distingue in modo assai esatto il massiccio gneissico. Nelle
carte più recenti. l’Issel, il Mazzuoli e lo Zaccagna (6) hanno
(1) Taramerri T., Osservazioni geologiche fatte nel raccogliere alcuni cam-
pioni di serpentini (Boll. Soc. Geol. Ital, pag. 123, 1882).
(2) IsseL A., Liguria geologica, ecc., vol. I, pag. 428. Genova, 1872.
(3) D'OxmaLius D’HarLoy, Carte Géognostique de la France et des quelques
contrées voisines. Paris, 1839.
(4) Parero L., Carta geologica della Liguria Marittima. Genova, 1846.
(5) Sismonpa A., Carta geologica di Savoia, Piemonte e Liguria. Torino,
1862.
(6) Mazzuori L., Isser A., Zaccagna D., Carta geologica delle Riviere
Liguri e delle Alpi Marittime. Genova, 1887.
168 C. F. PARONA E G. ROVERETO
riferito tutta la formazione arcaica al trias; il Taramelli (1) al
permiano; nuovamente l’Issel con lo Squinabol (2), pubblicando
maggiori dettagli di rilievo, l’hanno lasciata incerta in quanto
all’età. In ultimo uno di noi (3), in una carta pubblicata dopo
la scoperta dei diaspri, fra estese zone di arcaico e di miocene,
ha segnato un piccolo lembo di permiano.
Serie dei terreni dai gneiss ai diaspri. — Per la strada che
dal Santuario di Savona sale a Cà di Ferrè, scende a Monte-
notte e segue il rio omonimo sino presso Pontinvrea, dove il
rivo si immette nell’Erro, si attraversa quasi normalmente la
serie arcaica, col passaggio dalla parte inferiore, rappresentata
da gneiss con intercalazioni di anfiboliti e di micascisti, alla
superiore, costituita da scisti lucidi, da “calcescisti, da eufotide,
da serpentina, con una notevole massa di granito, prossima a
levante e intrusa fra le due serie.
Fra tutte queste roccie sono a darsi alcuni ragguagli di
quelle, che si collegano alla formazione diasprigna.
Sui gneiss scistosi, quando non sia interposto il granito,
che, oltre essere in grande massa, presenta affioramenti di apofisi
filoniane di contorno, riposano degli scisti sericitici o lucidi
di cui alcuni di colore violaceo già notati dal Chabrol (4).
In questi scisti cominciansi a trovare, al disopra di Palazzo
Doria, ammassi di eufotide, facilmente riconoscibili perchè bene
caratterizzati e a grossi elementi. Quivi, collegate alle eufotidi,
sono anfiboliti con elemento bianco albitico-quarzoso, attinoto,
calcite, magnetite, con l'aggregazione delle anfiboliti della serie
superiore; ossia con i cristalli bacillari che tendono a definirsi
nettamente, e la pasta bianca che non presenta orientamento
molto evidente.
Salendo ancora, si presenta un calcare cristallino bigio-
(1) Taramerri T. e G. MarcaLti, Il terremoto ligure del 23 febbr. 1887
(Ann. Uff. Centr. di Met. e Geodin., VIII, 1880).
(2) IsseL A., Squinasor S., Carta geologica della Liguria e dei territori
confinanti. Genova, 1890.
(3) Rovereto G., Rilievo geologico del Massiccio arcaico ligure (Boll. Soc.
Geol. Ital., tav. V, 1895).
(4) CaasroL DE Vorvic, Statistigque des provinces de Savone, ecc., vol. I,
pag. 33, 1824.
è
DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 169
ceruleo, con lettini di scisti argillosi, in banchi regolari, a frat-
ture normali e angolari, che dividono la roccia in parallelepipedi.
Dopo il calcare si ripetono gli scisti argillosi e lenti di eu-
fotide, sino prima di giungere a C. Naso di Gatto. Sopra di
questa riposa sugli scisti, con trasgressione non bene evidente,
l'isola di calcare dolomitico triassico di M. Pra.
Oltre Naso di Gatto, nei dintorni di Cà di Ferrè e di C. Le
Meuje, i conglomerati miocenici tongriani coprono la serie arcaica.
Dove terminano, presso €. Sorie, si ritrovano gli scisti fissili,
continuantisi con nulla di notevole sino a Cravone, di poco a
mezzogiorno di Montenotte superiore. Qui di nuovo la cotica
miocenica impedisce osservazioni sullo svolgimento seriale del-
l’arcaico, sino che al rivo prima della C. delle Isole, scendente
dalla quota m. 814 della carta topografica militare, compare una
grossa zona di eufotide e poi, alla C. delle Isole, la formazione
diasprigna, con i seguenti rapporti in dettaglio:
Zona diasprigna di C. delle Isole. — La roccia diasprigna,
sita immediatamente a settentrione della cascina citata, è costi-
tuita da letti diasproidi, alternanti con letti ftanitici e quarzosi;
si estende orizzontalmente per oltre 150 m., sino a che viene
ricoperta dal miocene.
Nello sporgere come amigdala di roccia dura dalla cotica
terrosa è rivestita dietro la C. delle Isole da una fascia di
marmo bianco; succedono, apparentemente sottostanti, quarziti
e anageniti (1), quindi, potente a 100 m., un calcare cristallino
ceruleo, con scisti sericitici plumbei, identico a quello ricordato
sopra a S. Bartolomeo. Gli scisti sericitici plumbei sono eguali
a quelli, che si osservano alla Piazza d’Armi di Savona e alla
Madonna del Monte di Zinola, alla base del verrucano e diret-
tamente posanti sui gneiss.
La direzione di questo calcare è la E.-O., ossia è quella
della serie arcaica, come pure della serie arcaica è la sua im-
mersione a N. con la forte inclinazione di 60°.
(1) L’Havy disse anagenite una roccia conglomeratica a base di frammenti
feldispatici; per noi, come per gli altri geologi italiani, il vocabolo ha però
un significato affatto diverso, perchè si riferisce al livello conglomeratico,
in gran parte quarzoso, che sta tra i calcari del trias medio e la serie del
verrucano.
170 C. F. PARONA E G. ROVERETO
Dove i calcari terminano succede, con rapporti non bene
visibili, un ammasso di eufotide, potente oltre 250 m. Non in
posto, ma con ogni probabilità collegati a queste roccie dia-
sprigne, sonvi delle anfiboliti (prasiniti) in grandi massi, a lettini
bianchi di quarzo granoso e di albite, con clorite e epidoto. In
massi sparsi trovasi pure altra roccia verde a chiazze nere, che
risulta al microscopio uno scisto glaucofanitico di contatto del-
l’eufotide.
Il motivo tettonico di questo complesso è una pila di strati,
con l'inclinazione ricordata, che posa sull’eufotide e sorregge la
roccia diasprigna. Questa non asseconda intieramente l’inclina-
zione di 60°; ma tende a ripiegarsi, quasi fosse compresa in un
sinclinale piuttosto ampio; sinclinale del quale mancherebbe una
gamba, perchè coperta dal miocene (vedi fig.).
1. Conglomerato miocenico; 2. Roccia diasprigna ; 3. Quarzite; 4. Anagenite;
5. Calcare ceruleo con scisti plumbei; 6. Eufotide,
Proseguendo verso Montenotte inferiore, dovunque il mio-
cene è squarciato, appare l’eufotide; sicchè questa roccia anche
da questo altro lato è presumibilmente a contatto della zona
diasprigna.
Zona diasprigna di Montenotte inferiore. — Lungo la salita
da Montenotte inferiore alla C. Crocetta e Bric del Bonomo,
esiste un altro giacimento di roccie ftanitico-diasprigne, di cui
ha già fatto cenno uno di noi, ritenendolo in rapporto con
l'eruzione granitica. Si osservano, senza poterne stabilire i col-
legamenti, ammassi di anfibolite e di eufotide, come quelli
descritti; poi, e precisamente in una piccola trincea della strada,
due sottili banchi di anfibolite, che è costituita in grande parte
da attinoto, il resto è alterato atmosfericamente. Fra essi è
interposto uno strato di ftanite frammentaria, che è più tenera e
meno silicifera delle roccie diasproidi osservate a C. delle Isole.
Un vero diaspro si trova invece più in alto; ma la sua
massa è isolata completamente dalla cotica terrosa e dal miocene.
Le roccie più vicine sono: calcescisti e anfiboliti, decisamente
DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. Pel
arcaiche, del Rio Balbi; eufotide, granito e scisti di aspetto
dubbio delle falde di Cima la Biscia.
Petrografia dei diaspri. — Alla C. delle Isole la roccia, più
che un diaspro, nei lettini che hanno tale l’aspetto, è una quar-
zite a quarzo interamente rifatto in microcristalli fittamente
associati, senza radiolarie e con rara sostanza pigmentare fer-
ruginosa. Nella salita alla C. Crocetta si hanno invece dei veri
diaspri, con quarzo di origine organica e con minerali accessori
e strutture piuttosto interessanti.
Nella struttura normale sul fondo ematitico di colore da
rosso-vinato a rosso-bruno spiccano, salvate in gran parte dalla
invasione pigmentare, le radiolarie, irregolarmente sparse, qua
e là più copiose, quasi raccolte in nidi; quelle a loro volta
colorate risaltano sempre sul fondo per offrire una maggiore
opacità.
Nei campioni con la struttura laminata i vacuoli sempre
rotondeggianti delle radiolarie restano allungati ellitticamente
tutti in un senso, e passano col loro guscio siliceo a quarzo
rigenerato di aspetto fresco, microcristallino, alcuna volta quasi
calcedonioso, e che dalle radiolarie, quasi in mesostasi, si parte
ad attraversare, in minute vene reticolate, tutto il campo di
sezione; gli elementi coloranti rimangono addensati tra le ra-
diolarie.
Abbiamo potuto anche osservare la struttura zonata, in cui
secondo i livelli si ha maggiore o minore pigmentazione, e zone
di quarzo rigenerato con sfeno in granuli allungati.
In complesso però, a paragone dei diaspri di altre località,
questi si sono mostrati poveri di minerali. Oltre lo sfeno non
si sono potuti riscontrare che magnetite, oligisto e clorite. Note-
voli alcune sbavature collegate alla magnetite, di un azzurro
intenso a luce naturale, senza pleocroismo, estinte alla polariz-
zazione, che rappresentano una particolare alterazione della ma-
gnetite è con ogni probabilità vivianite amorfa; se si trattasse
di una roccia vulcanica il minerale sarebbe di certo stato de-
terminato per hauyna. L’oligisto in lamelle cristalline fu riscon-
trato in un solo caso in aureola attorno ad una radiolaria; la
clorite, questa pure rara, fu osservata in aureole o nell’interno
dei fossili, che ne guadagnarono per la loro conservazione.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 14
172 C. F. PARONA E G. ROVERETO
Tra le altre osservazioni generali ricorderemo, che la poro-
sità della silice dei fossili favorisce l’inquinazione delle aureole
sino, come in altri casi, alla completa sostituzione molecolare (1).
La rigenerazione quarzosa, che avviene per cause ancora ignote,
si agglutina attorno alle radiolarie dando loro, come quando il
quarzo diventa calcedonioso, un aspetto straordinario di robu-
stezza, finora diversamente spiegato. In fine, comunque fissino
le radiolarie la silice, è certo che la grande quantità di silice
endogena favorisce lo sviluppo degli organismi silicei.
Studio paleontologico. — Le radiolarie sono nella massima
parte indeterminabili per incertezza nei contorni e per insuffi-
cienza di caratteri ornamentali; però numerose sezioni ci occor-
sero per raccogliere le forme riprodotte nella unita tavola, le
quali pure in gran numero non sono conservate quanto sarebbe
necessario per procedere con sicurezza alla determinazione ge-
nerica e specifica. Probabilmente fu per questo stato di imper-
fetta conservazione, che di rado ci fu possibile di intravedere,
ma in nessun caso di distinguere con sicurezza, qualche rappre-
sentante di buon numero di famiglie (Cubosphaerida, Callosphaerida,
Cyphinida, Panartida, Phacodiscida, Coccodiscida, Spongodiscida,
Pylonida, Lithelida, Phorticida, Coronida, Tympanida, Phaeno-
calpida, Tripocyrtida, Podocyrtida) sebbene già note, anche con
ricchezza di forme, allo stato fossile ed i cui generi, in gran
parte se non tutti, sono caratterizzati dalla particolare scoltura
anzichè dal contorno. Per lo stesso motivo, solo per eccezione
abbiamo creduto di poter riferire con certezza le forme riscon-
trate a specie già note: nella maggior parte dei casi abbiamo
dovuto limitarci a confronti ed avvicinamenti.
I generi riconosciuti sono 88, dei quali soltanto 3 non furono
prima d’ora riconosciuti in terreni più antichi del Giura. Le
forme riferibili a questi generi sono 57: di esse 20 all’incirca
si prestano a confronti più o meno vicini con specie triasiche
(1) Il Riist (Palaeontographica, vol. 388, pag. 123) e il Cayeux (Bull. Soc.
Géol. de France, 1894, pag. 215) hanno segnalato scheletri di radiolarie
cambiati in prodotti carboniosi; così l’Hinde (Ann. and Magaz. Natur. Hist.,
1890, pag. 40) in particelle ferruginose e in calcite. La conversione in opale
e in calcedonio è nota per il Cayeux (l. cit.) e per il Traverso (Boll. Soc.
Geol. Ital., 1893, pag. 38).
DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 173
o paleozoiche, 10 con specie del Giura e della Creta, 9 si pos-
sono ritenere nuove e le altre sono genericamente o specifica-
mente di dubbia determinazione. I confronti più numerosi si
hanno con radiolarie carbonifere e triasiche. Ora, pur tenendo
calcolo delle difficoltà di una rigorosa determinazione per radio-
larie fossili studiate in sezioni sottili di roccie silicee e della
scarsa importanza che, per riguardo alla stratigrafia, hanno le
numerose forme, che ricompaiono in tutti i depositi a radiolarie
dai più antichi ai più recenti, è tuttavia significante il fatto
dei rapporti, che riscontriamo fra la nostra fauna a radiolarie
e quelle triasiche e carbonifere. La mancanza di rapporto con
quella del permiano si spiega agevolmente colla circostanza che,
secondo le monografie del dott. Riist, finora si conoscono solo
2 specie permiane.
È interessante anche il confronto colle faune a radiolarie
del Monte Cruzeau, fatto in base ai risultati dello studio pub-
blicato da uno di noi e più ancora in base a ricerche sopra
saggi più compatti di diaspri raccolti più tardi sul posto. Ne
risulta una spiccata comunanza di forme a conferma del paral-
lelismo, che noi siamo indotti ad ammettere fra le due forma-
zioni diasproidi di Montenotte e di Cesana. Questa comunanza
è ancora più evidente se il confronto si stabilisce colla fauna
dei diaspri di Baldissero e di altre località del Canavese, perchè
quivi trovansi facilmente delle varietà di diaspri, nei quali i
rizopodi si presentano meglio conservati. Degno di nota è pure
il carattere di affinità che, per parecchie forme, la nostra fauna
offre con quella a radiolarie (coralli, brachiopodi e trilobiti) del
culm nel Devonshire e regioni attigue, recentemente illustrata
dal dott. Hinde (1).
Ciò premesso, ecco l’elenco delle forme riscontrate (2).
(1) G. J. Hixpe a. Howarp Fox, On a Well-Marked Horizon of Radiol.
Rocks in the Lower Culm Measures of Devon, Cornwall, and West Somerset
(Quart. Journ. of the Geol. Society, nov. 1895).
(2) Ci siamo limitati all’ingrandimento di 100 d., quando un ingran-
dimento maggiore riusciva inutile e, cioè, nel maggior numero dei casi;
nei cenni descrittivi sono avvertiti i casi di ingrandimenti superiori ai 100.
Le figure, ottenute colla camera lucida, sono ridotte nella tavola a poco
più della metà della grandezza originaria. — Le opere consultate, non ci-
174 C. F. PARONA E G. ROVERETO
SpHaEROZOUM, fig. 1, spicole molto comuni. — SpPmaEROzouw (?) (X 305),
fig. 2.
CenospHAaERA GREGARIA Riist, forma comune, che si ripete dal paleozoico
alla creta (Riist, 1885, 1888, 1892. Parona, 1890, 1892). — C. PAcHYDERMA
Riist, comune come la precedente (Rist, 1885, 1892. Parona, 1890, 1892),
la fig. 3 rappresenta un esemplare di grandi dimensioni — diam. 0,200,
spess. del guscio 0.030. — C. f. n., fig. 4, affine alla precedente ma picco-
lissima — diam. 0.065. — C. minura Pant., fig. 5, forma finora conosciuta
soltanto nella creta e nell’eocene (Pantanelli (Ethmosphaera), 1880, Riist,
1888) — diam. 0.090. ì j
CarpospHaera cfr. JesUNA Rist (1892, pag. 136, Taf. VII, fig. 1), fig. 6
(X 305); differisce dalla specie carbonifera solo per le minori dimensioni —
diam. 0.122, diam. della sfera interna 0.025.
Raoposp®aERA (?), fig. 7 — diam. 0.146, sfera int. 0.048, spess. del
guscio 0.010; presenta affinità colla specie triasica e carbonifera È. idonea
Riist (1892, pag. 137, Taf. VII, fig. 9).
CaryosPHAERA (?), fig. 8 — diam. 0.160, spess. del ciclo esterno 0.015;
è affine alla C. groddeckii Riist (1892, pag. 139, T. IX, fig. 1) del devoniano.
XipHosryLus (?), fig. 9 — diam. 0.160 (?), lungh. della spina 0.304.
SrAuROSPHAERA, fig. 10 — diam. 0.075; è affine alla S. quadrangularis
Riist (1892, pag. 143, Taf. X, fig. 5) del siluriano, ma più piccola. — $. f. n.,
fig. 11, diam. 0.224. —‘
SraurostyLUSs f. n., fig. 12 — diam. 0.134, diam. dei fori 0.016; affine
allo S. tenuispinus Riist (1892, pag. 143, Taf. XI, fig. 2) del carbonifero. —
S. crisrum n. f., fig. 18 (X 220), diam. del corpo e della spina 0.120.
SrauroLoncHIDIUM (?) sp., fig. 14 — diam. 0.154, 0.117, spess. del guscio
0.012.
tate nei lavori sulle radiolarie fossili già pubblicati da uno di noi (0. F.
Parona, Rad. nei nod. sele. d. cale. giur. di Cittiglio, Boll. Soc. geol. ital.,
IX, 1890; Scist. silic. di Cesana, 1892) sono: RoranpLETz, Radiolarien, Dia-
tomaceen und Sphirosomatiten im Silurischen Kieselschiefer von Langenstriegis
in Sachsen, Zeischr. d. Deut. geol. Gesellsch., 1880. — T. WiswIowsKI, Beitrag
zur Kenntn. d. Mikrofauna aus den oberjurass. Feuersteinknollen der Umgeg.
von Krakau, Jahrb. d. k. k. geol. Reichs., 1888. — G. J. Hinpe, Notes an
Radiol. from the Lower Palaeozoie Rochs (Llandeilo-Caradoc) of the South
of Scotland, Ann. and Mag. of Nat. Hist., 1890. — J. PernER, 0 radiolariich
2 Ceského ditvaru kridového, Zitzungsb. d. Kònigl. bihm. Gesell. d. Wiss. 1891.
— Riisr, Beitr. 2. Kennt. d. foss. Radiol. a. Gest. d. Trias und d. palaeozoisch.
Schichten, Palaeontograph., Bd. 38, 1892. — Rist, Contributions to Canadian
micropalaeontology, Geol. a. Nat.-Hist. Survey of Canada, 1892. — G J. HIDE,
Note on a Radiolarian Rock from Fanny Bay, Port Darwin, Australia, Quart.
Journ. Geol. Soc. 1893. — Hinpe, Note on the Radiol. in the Mullion Island
Chert, ibid., 1893. — L. Caveuvx, Première note sur les Radiolaires précam-
briens, Bull. d, 1. Soc. géol. d. France, XXII, 1894.
STI
DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 175
Doryprcrrux f. n., fig. 15 — diam. della sfera 0.134, lunghezza dell’ap-
pendice 0.160; differisce, per la maggior robustezza della spina, del D.
simplex, tipo del nuovo genere di Hinde (1890, pag. 54, PI. III, fig. 7).
CeneLLIPsis cfr. saspipeA Rist, fig. 16 — diam. 0.197-0,134, spess. del
guscio 0.015; differisce dalla forma tipica (Rist, 1885, pag. 16, Taf. 27,
fig. 5. Parona, 1892, fig. 7) perchè più piccola. Le figg. 17, 18 probabil-
mente rappresentano altre sezioni, della stessa forma, diversamente dirette.
— C. armata n. f., figg. 19, 20, diam. dell'esemplare più grande 0.287-
0.224, spess. del guscio 0.018. — C. f. n., fig. 21, diam. minore 0.224, spes-
sore del guscio 0.030; per i caratteri del margine ricorda talune C. sp.
figurate da Hinde (1893, Mullion Island, PI. 4, fig. 4, 5, 6). — C. cfr. rETI-
cucosa Riist, fig. 22, largh. 0.197, lungh. 0.340 (?); differisce dal tipo (Riist.,
1892, pag. 152, Taf. 16, fig. 2) del carbonifero per le maggiori dimensioni.
ELLipsosryLus cfr. osLiquus Riist, fig. 23 — diam. 0.144-0.074, lungh.
delle spine 0.090, largh. 0.030; differisce per le minori dimensioni e per
minore sviluppo della spina dal tipo triasico (Rist, 1892, pag. 153, Taf. XVI,
fig. 11).
Lirmapium (?) f. ind., fig. 24 — diam. mass., compresa l’appendice, 0.290,
diam. min. 0.106, figg. 25 e 26, diam. del corpo 0.100 (?).
LirmarRActUS f. ind., figg. 27 e 28; la forma 27 è assai vicina al L.
perforatus Riist (1892, pag. 158, Taf. 18, fig. 8) del Trias.
SryLatractus PRAECURSOR n. f., fig. 29 (X 305) — diam. 0.134-0.096
fig. 30 (X 305) — diam. 0.106, 0.080. Le altre specie di questo genere,
finora note, non sono più antiche della creta.
Spoxcurus FusirorMIs n. f., fig. 31 — diam. 0.275-0.134.
. Zoxopiscus f. ind., fig. 32 — diam. 0.195, spess. del guscio 0.015; af-
fine allo Z. macrozona Riist (1892, pag. 162, Taf. 19, fig. 12) del cardonifero.
Taropiscus f., ind., fig. 33 — diam. 0.150; affine al T%. converus Riist
(1892, pag. 163, Taf. 20, fig. 3) del carbonifero. — Tra. (vel Triactiscus)
cinctus n. f., fig. 34, diam. 0.155, spess. del guscio 0.018, lungh. della spina
0.134. — Ta. (?) f. ind., fig. 35 (X 305).
Poropiscus f. ind., fig. 36 (X 305) — diam. 0.096; forma intermedia
fra il P. lawus Riist (1888, pag. 198, Taf. 24, fig. 9) della creta ed il P.
Paronae Riist (1892, pag. 167, Taf. 23, fig. 2) del trias, ma assai più pic-
colo di ambedue. — P. f. ind., fig. 37, diam. 0.190-0,160. — Poropiscus
f. ind., fig. 88, diam. 0.122; ha caratteri di affinità col P. glauconitarum
Perner (1891, pag. 269, Tab. X, fig. 11) della creta e col P. clathratus Hinde
(1895, pag. 640, PI. 27, fig. 12) del culm.
Xipwoprerya f. ind., fig. 39 — diam. del corpo 0.213-0.120, lungh. della
spina 0.180; ha qualche affinità colla X. acuta Riist del giura (1885, pag. 25,
Taf. 6, fig. 11). Questo genere finora non si conosceva per piani più antichi
del giura.
SryrLopicryAa ARANEA n. f., fig. 40 (X 220) — diam. 0.290-0.160.
Rmaopmorastrum: i rappresentanti di questo genere sono abbastanza
176 C. F. PARONA E G. ROVERETO
comuni, ma sempre male conservati ed incompleti; essi si possono riferire
alle forme già riconosciute nei diaspri di Cesana (Parona, 1892) ed anche
a quelle riscontrate da Hinde (1895, pag. 641, PI. 27) nel culm.
HacrastroM AvuM n. f., fig. 41, lungh. massima delle braccia 0.224,
diam. delle capocchie 0.109; appartiene al tipo del H. egregium Riist (1885,
pag. 29, Taf. 9, fig. 5) del giura, ma se ne distingue per dimensioni diverse
delle varie parti e per la minor grandezza. — H. f. ind., fig. 42. — Questo
genere finora non fu riscontrato in terreni più antichi dei giuresi, sono
del resto comuni i suoi rappresentanti anche nei diaspri di Cesana.
SraurALASTRUM cfr. AcuLEATUM Riist, fig. 43, lungh. del braccio 0.275, sua.
largh. 0.042; differisce dal tipo triasico (Riist, 1892, pag. 171, Taf. 24, fig. 7)
per la minor grandezza.
ZxGocircus simpLicissimus Riist (1892, pag. 176, Taf. X, fig. 7), fig. 44,
diam. 0.090, spess. medio del cerchio 0.012.
CannoBoTRYs sTRrUMOSA n. f., fig. 45 — diam. 0144-0.190; è affine, ma
assai più piccola, alla C. (Lithobotrys) uva Riist (1885, pag. 31, Taf. X, fig. 2)
del giura. Questo genere per la prima volta viene citato per terreni più
antichi del giura.
TripiLIDIVM f. ind., fig. 46, diam. mass. 0.096. — Tripopiscium (?) f. ind.,
fig. 47, diam. mass. 0.122.
ArcHicapsa f. ind., fig. 48 — diam. 0.160-0.117; affine, ma assai più
piccola, alla A. rotundata Riist (1885, pag. 34, Taf. XI, fig. 2) del giura.
SerHocaPsE MIcROPORA n. f., fig. 49 — diam. 0.294-0.180. — S.(?) f. ind.,
fig. 50, diam. 0.290, 0.186. — S. (?) f. ind., fig. 51, diam. 0.197-0.186.
CryProcarsa (?) f. ind., fig. 52 — diam. 0.074-0.053. ,
CecryPe. rum (?) f, ind., fig. 53 — diam. 0.144-0.134.
TarosyrincioM Hinper n. f., fig. 54 — diam. 0.661-0.290, affine al TA.
precox Riist (1892, pag. 184, Taf. 28, fig. 1) del zrias, ne differisce special-
mente perchè assai più stretto. — Tn. f. ind., fig. 55, diam. 0.350-0.138;
per la forma somiglia al 7%. proboscideum Riist (1885, pag. 39, Taf. 12,
fig. 12) del giura, ma ne è più piccolo. — T4. f. ind., fig.56 — diam. 0.290-
0.144; ripete la forma del T%. Amaliae Pantan. (Rist, 1885, pag. 39, Taf. 12,
fig. 13) comune nel giura, nella creta e nell’eocene, ma le dimensioni sue
sono assai minori.
TricoLocaPsa PHIALA n. f., figg. 57, 58 — diam. 0.290-0.140. — Tx.
ArEoLATA, n. f., fig. 59 (X 220) — diam. 0.149-0.085; nei. caratteri della
forma e del margine è affine alla Tr. abdominalis Riist (1892, pag. 186,
Taf. 28, fig, 4) del trias. — Tr. f. ind., fig. 60 — diam. 0.076-0.053. —
Tr. cfr. osesA Riist, fig. 61 — diam. trasv. 0.144, spess. del guscio 0.030;
Rist riscontrò questo tipo nel devoniano, nel titonico e nel neocomiano
(1885, pag. 310 (Theocapsa), Taf. 37, fig. 17 — 1892, pag. 185, Taf. 28, fig. 2).
— Tr. f. ind., fig. 62 — diam. 0.094-0.042.
Dicrromitra: traccie indeterminabili.
Lirnocampe f. ind., fig. 63 — diam. 0.238-0.144; forma affine alla
DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 177
L. exaltata Rist (1885, pag. 45, Taf. VI, fig. 1) del giura. — Lirx. f. ind.,
fio. 64 — diam. 0.144, 0.050. — Lirx. cf. orensurGENSIS Riist (1892, pag. 188,
Taf. 29, fig. 5), fig. 65 — diam. 0.240-0.070, fig. 66, diam. 0.195-0.088; il
è devoniano.
SricHocapsa f. ind., fig. 67 (X 305) — diam. 0.134 (?)-0.090; affine,
ma assai più piccola, alla St. citriformis Rist del trias (1892, pag. 191,
Taf. 30, fig. 8). — Sr. f. ind., fig. 68 — diam. 0.088-0.050.
tipo
Considerazioni. — È il caso di esporre alcuni dubbi che
sorgono dallo studio complessivo della regione. Innanzi tutto ci
siamo chiesti parecchie volte se i diaspri non avessero rapporto
coll’eruzione granitica (1); il granito è superficialmente distante
poco più di 1350 m., poichè presso Cima la Biscia vi ha l’af-
fioramento di una apofisi filoniana. Ma se non mancano gli indizi,
mancano le prove, e non ci arrischiamo ad una conclusione,
da uno di noi forse prematuramente già data (2), che, fissando
l’età di eruzione del granito, sarebbe di non poco interesse.
Per chi volesse continuare lo studio della regione aggiungeremo,
che fanno corona al granito, certo per un qualche movente tet-
tonico, numerose isole di calcare dolomitico (3), e che alcune
vengono quasi a suo contatto. È interposto fra questi, come
alla C. Giberto, uno scisto violaceo rossastro, visto anche dal
Franchi (4), da ritenersi del verrucano, e molto somigliante a
quello osservato a Palazzo Doria. Alla Madonna degli Angeli
presso Savona si osserva, in mezzo al verrucano, una roccia
molto alterata, che ha aspetto di granito.
CRT i deli prib.
(1) Se ciò fosse, si avrebbe un nuovo esempio della resistenza dei gusci
delle radiolarie a cause di metamorfismo molto pronunciate. Di certo però
non mancano le eccezioni. I diaspri a radiolarie dell’orizzonte di Arenig
in Scozia, studiati da Peach, e che sono, secondo Horne, prodotto di meta-
morfismo del granito, non presentano fossili riconoscibili se non a due
miglia dalla roccia eruttiva. (Cfr. DoLrus in Ann. Géolog. Univ., pag. 931,
1892). .
(2) Rovereto G., Arcaico e Paleozoico nel Savonese (Boll. Soc. Geol. Ital.,
pag. 55, 1895).
(3) Il Chabrol accenna probabilmente a questo trias quando ricorda
che ad est del Santuario, a M. Tremo (?) e a M. Cutre (?) esistono lembi
di calcare compatto (1. cit., vol. I, pag. 35).
(4) Francni S., Formazione gneissica e roccie granitiche del massiccio
cristallino ligure (Boll. R. Comit. Geol., pag. 43, 1893).
178 C. F. PARONA E G. ROVERETO
Altra roccia eruttiva, collegata ai diaspri ovunque ne sono
giacimenti, è la eufotide; una eufotide di aspetto eocenico, e di
deciso comportamento eruttivo, come d’altra parte lo sono le
rimanenti della serie arcaica. Solo differenzierebbe per essere
intrusa negli scisti e nei calcari di aspetto permo-triassico e non
nelle serpentine, per includere frammenti di eufotide laminata, per
alcuni sviluppi epigenici verso il contatto (contorno qglaucofanitico
ai cristalli di diallagio, conversione in epidoto della labradorite
e riproduzione ortosica) (1).
Le anfiboliti che vi si collegano è ben vero che hanno
caratteri arcaici; ma si notino gli stretti rapporti osservati fra
queste e i diaspri alla salita da Montenotte inferiore alla Cl.
Crocetta.
Gli scisti, che con i calcari formano come lo sfondo della
regione, furono da uno di noi già posti nel trias inferiore, ulti-
mamente poi lasciati nell’arcaico; perchè aventi la direzione e
l'immersione della serie arcaica, come d’altra parte l'hanno i
diaspri; perchè nelle Alpi è già stata segnalata fra le due serie
arcaiche una zona di calcari e di scisti di aspetto più recente.
Però alcuni stacchi tettonici dall’ arcaico esisterebbero. A
Bossarino i calcari e gli scisti di aspetto recente sono, con ogni
probabilità, troncati normalmente alla loro direzione; poichè
sulla costa soprastante di M. Priocco non esistono che gneiss.
Il confine poi fra gneiss e scisti sarebbe nella valle del Letimbro
portato molto più a sud che non in quella della Bormida; è
frapposto un esteso lembo di miocene che impedisce altre osser-
vazioni. A Traversine lo scisto con aspetto permiano forma una
piccola piega con direzione N. 40° E.
All’intorno di questa zona, che contornia il granito a po-
(1) Uno di noi fu il primo a segnalare la conversione in glaucofane
del diallaggio anche per le eufotidi arcaiche (Roverero, La serie degli
scisti, ecc., II, pag. 28 e tav. IV, fig. 5). L’ortose in plaghe microgranulari
è certamente riprodotto e non protogenitico; quindi è apparente il legame
che potrebbe intravvedersi fra questa roccia e le sieniti. Non può sussistere
il dubbio, avanzato da D’Achiardi (Guida al Corso, ecc., pag. 338) per altri
casi, che non si tratti di eufotide; ma è una nuova accidentalità di meta-
morfosi, essenzialmente acida ed alcalina, da aggiungere a quelle segnalate
da uno di noi (l. cit.) e recentemente dal Franchi (Notizie sopra alcune
metamorfosi, ecc. Boll. R. Comit. Geol., pag. 181, 1895).
DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 179
nente, a settentrione ed alquanto a levante, con un’ estensione
laterale di più di due chilometri, comparisce la serie arcaica
nei suoi tipici caratteri; e già ad ovest lungo la strada da Bric
Castlàs alla collina di Dego, a settentrione, lungo il rio Balbi,
esistono micascisti arcaici. A levante del contatto granitico si
ha la zona di eufotide di Corona, identica litologicamente a
quella di Montenotte; da un lato viene a diretto contatto con
il granito, dagli altri con l’arcaico. Su di questa posano i cal-
cari del trias (Bric del Giogo), ed a Contrada, alla C. Figiu de
Peu, esistono gessi triassici stranamente collegati a serpentina.
Anche la massa granitica, di ragguardevole potenza, che trovasi
tra le C. Vascellotta e Cercera, sul versante di ponente del
Bric Ormè, e notata sulla carta geologica pubblicata da uno di
noi, è accompagnata da eufotide.
Se non ad altro, queste incertezze, valgono a far compren-
dere come siano possibili tante discussioni sull’ordinamento da
darsi a roccie simili a queste nostre; roccie che esistono nelle
Alpi sul bordo occidentale dell’arcaico. Se seguissimo il Lory
che, come è noto, voleva triassica gran parte della zona delle
pietre verdi nelle Alpi Occidentali, noi avremmo di certo tanto
di che da potere risolvere la questione nel senso di considerare
triassiche o permiane tutte le roccie eruttive e gli scisti ri-
cordati.
Pare invece che esistano solo dei piccoli lembi permo-trias-
sici, con roccie eruttive, in mezzo all’arcaico. Infatti lo Zac-
cagna (1), che dal Lory ha preso ben poco, ha però osservato,
presso M. Salza, pietre verdi con ftaniti di aspetto recente, e
giustamente inclina a ritenerle tali; benchè i caratteri che
ricorda dell’eufotide, compresa fra queste pietre verdi, di pre-
sentarsi in masse ovoidali, di avere croste variolitiche e di essere
collegata ad una serpentina con aspetto eocenico, si verifichino
in Liguria anche per le roccie corrispondenti decisamente antiche.
Fa più al caso nostro ciò che hanno segnalato l’Issel e il
Traverso (2) a Baldissero; dove con rapporti di liquazione si
(1) Zaccagna D., Sulla geologia delle Alpi Occidentali (Boll. Comit. Geol.,
pag. 387, 1887).
(2) IsseL A., Appunti geologici sui colli di Baldissero, con Appendice
Petrogr. di S. "Traverso (Boll. Soc. Geol. Ital., pag. 255, 1893).
180 C. F. PARONA E G. ROVERETO
hanno peridotite, granito e tufo porfirico, a prodotto di contatto
i diaspri; dove, a determinare l’ età dell’eruzione, più che le
radiolarie dei diaspri, vale, a vece dell’anagenite, una arenaria
con la facies del Fothliegende.
A Cesana uno di noi (1) segnalava il collegamento fra i
diaspri a radiolarie e zone di serpentina e di scisti verdi,
e notava come non potessero considerarsi più recenti del trias
inferiore (2).
Degli argilloscisti rossi, sottostanti al trias, affatto simili
a quelli che a Rivara Canavese fanno graduato passaggio ai
diaspri , si incontrano anche nelle Alpi Marittime, a giudicare
dai saggi dei dintorni di Mondovì (avuti dal prof. Bruno); della
valle Vermegnana, presso il ponte sotto Vernante (collez. Sis-
monda nel Museo Geologico di Torino); e della valle Gordolasca
(comunicati dall’ing. Franchi).
Pare quindi evidente, che gli scisti silicei a radiolarie di
Baldissero, di Cesana, di Montenotte, si colleghino cronologicamente
e sieno un particolare livello o una facies del permiano alpino.
Così sembra che a Baldissero e a Cesana, oltre le già da tempo
note eruzioni porfiriche del permiano, altre se ne siano avute di
granito, di peridotite, di eufotide, di diabase.
Se vi fossero riserve da esporre intorno all’età permiana
di questi diaspri, ciò sarebbe per le considerazioni già da uno
di noi fatte (3), relativamente alle difficoltà di ammettere Ja
(1) Parona C. F., Sugli schisti silicei a radiolarie di Cesana (Atti R. Acc.
d. Scienze di Torino, vol. XXVII, 1892).
(2) L'ing. Zaccagna non accettò questo riferimento delle roccie dia-
sprigne con radiolarie del M. Cruzeau e le ritenne invece arcaiche (Riass.
di Osservaz. geolog. fatte sul versante occident. delle Alpi Graie (Boll. R. Comit.
Geolog., 1893, pag. 19). Nuove ricerche fatte sul posto riconfermarono il
Parona nelle sue idee, confortate anche dall'opinione dell’ing. Mattirolo,
che più recentemente scrisse: “ Le ftaniti credute arcaiche che sono al
M. Cruzeau a S. E. di Cesana..... credo appartengano ancora alle roccie
ritenute permiane, impigliate qui nella serpentina , (Sui lavori eseguiti
durante la campagna geologica del 1893 nelle Alpi Occidentali (Boll. d. R.
Comit. Geolog., 1894, pag. 214). — M. Bertrand poi accennò a questa sco-
perta come a nuovo argomento in sostegno delle sue idee sulla età triasica
degli scisti lucidi (Éf. d. les Alpes frang., Bull. Soc. Géol., T. 22, pag. 153,
1894).
(3) Parona, Nota cit., 1892, pag. 12.
(CI
UA
de Mi PS
DIASPRI PERMIANI A RADIOLARIE DI MONTENOTTE, ECC. 181
formazione contemporanea, sopra una stessa area, di queste roccie
con radiolarie e quindi schiettamente marine, e di quelle cla-
stiche littorali (anageniti, arenarie rosse, ecc.), che costituiscono
in prevalenza il membro della nostra serie alpina riferita al
permiano. D'altra parte dobbiamo notare, che fanno parte dello
stesso membro anche le quarziti, e non è improbabile, che si
arrivi a scoprirvi traccie di radiolarie, analogamente a quanto
avvenne per gli scisti quarzitici triassici di Lagonegro (1).
CONCLUSIONI,
1° È accertato che nei dintorni di Montenotte esistono
in mezzo all’arcaico delle roccie diasprigne a radiolarie, accom-
pagnate da anageniti permiane.
2° La fauna a radiolarie dei diaspri di Montenotte è quella
stessa, che si riscontra nelle roccie simili di Cesana e di Bal-
dissero e presenta rapporti specialmente colle faune del carbo-
nifero e del trias.
3° È dubbio se siano permiane la eufotide e le anfiboliti
prossime alle roccie diasprigne; se il granito, il quale di certo
non è arcaico, abbia con le eufotidi contribuito metamorficamente
alla genesi di tali roccie silicee. Questi dubbi non mancano di
un certo fondamento, e nel caso si riuscisse a risolverli in modo
positivo, una zona alquanto estesa di permiano, data da scisti
sericitici, da calcari e dalle roccie eruttive citate, vorrebbe essere
segnata sulle carte geologiche lungo la valle del rio Montenotte
e sul versante della valle del Letimbro, dietro il Santuario.
(1) Lorenzo (DE) G., Le montagne mesozoiche di Lagonegro (Mem. R. Acc.
di Napoli, 1894, pag. 25).
182 ANTONIO FAVARO
Sette lettere inedite di Giuseppe Luigi Lagrange
al P. Paolo Frisi
tratte dagli autografi nella Biblioteca Ambrosiana di Milano
e pubblicate per cura di Antonio Favaro.
Con così assidua e diligente cura sì sono venuti in questi
ultimi tempi raccogliendo e pubblicando anche i minimi docu-
menti relativi alla corrispondenza epistolare del Lagrange (1),
che io reputo doveroso da parte mia il mettere alla luce alcune
sue lettere fin qui rimaste inedite e che ho avuta la ventura
di rinvenire fra le carte del P. Paolo Frisi, presentemente pos-
sedute dalla Biblioteca Ambrosiana di Milano (2). E questo io
sono indotto a fare tanto più volentieri, perchè con la presente
pubblicazione vengono ad aversi quattro nuove lettere del La-
grange stese in lingua italiana, e nuove affermazioni della sua
italianità vengono ad aggiungersi al cumulo di prove contenute
negli altri documenti del suo carteggio (3) ed a quelle già rac-
colte da Geminiano Riccardi e da Angelo Genocchi (4), dalle
(1) Tutti gli editi documenti del carteggio del LacrancE trovansi rac-
colti nei tomi XIII e XIV delle “ @uvres de Lacrance publiées par les
soins de M. J. A. SerRET, sous les auspices de M. le Ministre de l’Instruction
Publique; Paris, Gauthier-Villars, imprimeur-libraire, MDCCCLXXXII-
MDCCCXCII ,. — Ma forse non è a cognizione di tutti gli studiosi che
il compianto Principe D. BaLpassarre Boncompagni ne aveva raccolte in
gran numero, sia autografe, sia facsimilate, sia in copia, e che egli di-
visava di pubblicarle; e certamente si troveranno in bozze di stampa
della sua privata tipografia; quando, definite le questioni relative alla sua
biblioteca, il materiale scientifico da lui abbandonato sarà reso accessibile
agli studiosi.
(2) Cod. Y. 154. Par. Sup., car. 38-50.
(3) Euvres de Lacrance, ecc. Tome quatorzième et dernier. Paris,
Gauthier-Villars et fils, MDCCCXCII, pp. 256, 260, 264, 271, 282.
(4) Continuazione delle Memorie di religione, di morale e di letteratura.
Tomo XV. Modena, pp. 160-162. — “ Memorie della Reale Accademia di
SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, Ecc. 183
quali risulta come, non solo egli sia italiano, cosa questa che,
non ostante gli sforzi dell’ Arago (1), non può entrare in discus-
sione, ma come ancora egli amasse l’Italia e la ritenesse sua
patria, ripetutamente affermandola come tale e dimostrando in
parecchie congiunture il suo attaccamento per essa.
Sarebbe stato mio desiderio di completare tale pubbli-
cazione mediante le lettere del Frisi al Lagrange; ma, fattane
ricerca appresso il sig. Lodovico Lalanne, il bibliotecario del-
l’Istituto che aveva curata l'edizione del carteggio del Lagrange,
n’'ebbi in risposta che “ nessuna lettera del Frisi si trova fra
le carte del Lagrange, il quale del resto faceva così poco conto
di questo suo corrispondente da doversi credere che non avesse
stimato di conservarne le lettere ,. Questo così severo giudizio,
il quale, è pur mestieri confessarlo, si troverebbe giustificato
dalle opinioni manifestate sul conto del Frisi nel carteggio fra
il D’Alembert ed il Lagrange, si troverà singolarmente contrad-
detto dalle lettere che noi ora qui pubblichiamo. E se la cosa
non ci sorprende da parte del D’Alembert, distributore di
“ billets de grand homme ,, come lo qualificava Federico II (2),
e bene spesso soverchiamente aspro nei giudizii intorno ai cul-
tori delle discipline nelle quali con così grande fortuna egli
stesso sì esercitava, ci reca non poca maraviglia da parte del
Lagrange, costantemente tanto equanime e sempre rifuggente
dalle opinioni estreme.
Che se la posterità non confermò pienamente il giudizio
che intorno al Frisi avevano dato i contemporanei, è certo ad
ogni modo ch'egli fu uomo di valore altissimo e meritevole del-
scienze, lettere ed arti di Modena ,. Tomo I, parte III e IV, pp. xvim-x1x.
— “ Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, ecc. ,. Vol. IX, 1873-74,
pp. 752-753. — Cfr. anche: Sopra una lettera inedita di Giuseppe Luigi
Lagrange pubblicata da D. B. Boncompagni. Comunicazione letta alla R. Ac-
cademia di scienze, lettere ed arti in Padova nell’adun. del 20 luglio 1879
dal prof. Anronio Favaro. Padova, tip. G. B. Randi, 1879, pp. 10-12.
(1) Chambre des Deputés, séance du 16 mai 1842. Rapport fait au nom
de la Commission chargée d’eraminer le projet de loi tendant à ouvrir au
Ministre de l’Instruction Publique un credit de 40,000 frs. pour la réimpression
des euvres de mathématiques de Laplace; par M. Araco, ecc. Paris, 1852, p. 19.
(2) Quvres de Frépéric II, t. XXIV, p. 568.
184 ANTONIO FAVARO
l'amicizia e della stima di quanti al suo tempo andavano per -
la maggiore nell’arringo matematico.
Di famiglia alsaziana, stabilita in Italia da due generazioni,
nacque Paolo Frisi in Milano addì 13 aprile 1728: quindicenne
appena entrò nella Congregazione dei Chierici Regolari di
San Paolo, o sia dei Barnabiti, ed allo studio delle matema-
tiche veniva avviato dal P. Rampinelli, Olivetano, lo stesso che
era stato maestro alla Agnesi. Il suo primo lavoro, intitolato:
“ Disquisitio mathematica in causam physicam figurae et magni-
tudinis telluris nostrae , dato alla luce nel 1751 gli valeva poco
dopo, cioè quando egli aveva appena raggiunto il venticinquesimo
anno di età, la nomina a socio corrispondente dell’Accademia
delle Scienze di Parigi e lo faceva entrare in relazione con i
più dotti uomini del suo tempo.
All’ineominciare della sua corrispondenza col Lagrange,
dalle scuole di S. Alessandro in Milano egli era stato chiamato
alla cattedra universitaria di Pisa, ed in questo stesso anno 1756
una sua dissertazione sul moto annuo della terra veniva pre-
miata dall'Accademia delle Scienze di Berlino; ed il non aver
osservate le discipline d’un concorso aperto dall'Accademia di
Pietroburgo tolse ad un suo lavoro sull’elettricità di conseguire
un altro premio: quell’insigne corpo scientifico ne lo rimeritava
tuttavia aggregandolo fra i suoi corrispondenti. Un altro premio
veniva nel 1758 conferito dall'Accademia delle scienze di Parigi
ad un lavoro del Frisi sull’atmosfera dei corpi celesti, ed intorno
al medesimo tempo veniva pur compreso fra i soci corrispon-
denti dell’Accademia di Berlino; e, poichè già per lo innanzi
egli era stato aggregato alla Società Reale di Londra, può dirsi
che a trent'anni il suo nome fosse ormai inscritto nell’albo delle
più illustri Accademie d'Europa.
Questo abbiamo voluto ricordare, per temperare alquanto
l'impressione che, dalla lettura dei giudizii privatamente espressi
sul conto del Frisi nel carteggio fra il Lagrange ed il D'Alem-
bert (1), potrebbe ritrarre chi non abbia cognizione dei rapporti
che intorno ai lavori del Frisi medesimo pronunziava pubblica-
(1) @uvres de Lacrance, ecc. Tome treizième. Paris, Gauthier-Villars,
MDCCCLXXXII, pp. 66, 152, 239, 242, 246, 252, 291, 293, 296.
SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, Ecc. 185
mente il D’'Alembert stesso e che trovansi consegnati in rela-
zioni che si hanno alle stampe.
L'ultimo lavoro del Frisi, da lui compiuto in mezzo a soffe-
renze fisiche atrocissime, fu appunto l'elogio del D’Alembert.
Ciò premesso, ecco senz'altro le lettere del Lagrange, nella
riproduzione delle quali ci siamo scrupolosamente attenuti al-
l’autografo, senza permetterci da parte nostra correzioni di sorte
alcuna.
E
Molto Reverendo Padre, Padron mio Colendissimo.
Ho ricevuto appunto questa mattina il prezioso regallo che
V. R. sè degnata di farmi delle due opere contenenti, una la
celebre dissertazione sopra il moto della Terra che le apportò
il premio dell’Academia di Berlino (1), e l’altra le tre disser-
tazioni sull’Eletricismo inviate all’Academia di S. Pietroburgo (2).
Non mancherò di leggerle con tutta la più possibile attenzione,
sia per la nobiltà ed eccelenza delle materie che ivi si trattano,
sia anche principalmente perchè sono parto di un sì sublime
ingegno, quale è quel di V. KR. , come ne hanno già fatto fede
le altre Opere da lei con tanto applauso publicate. Io posso
assicurare V. R. che il maggior piacere che io provi ne’ miei
piccoli studi si è il trovare ed il leggere delle materie interes-
santi per sè medesime e trattate con quella certa finezza e
precizione, che è propria veramente delle Matematiche, ma che,
per non so qual disgrazia, da pochi Autori si trova praticata.
Ringrazio adunque V. R. di questo dono col più vivo cuore
ch'io posso e la prego a voler accetar in contraccambio il buon
desiderio che io tengo tuttavia di potermi in qualche maniera
impiegare nel di lei servizio.
(1) De motu diurno terrae dissertatio, quae a regia Berolinensi scien-
tiarum Academia praemium philosophis ac mathematicis, primum anno 1754,
tum rursus anno 1756, propositum, obtinuit. Pisis, ex typ. Jo. Paulli Giova-
nelli, MDCCLVI.
(2) Dissertationes selectae lo. ALserti Eureri, PauLLI Frisim et LAURENTII
Beraup, quae ad imperialem scientiarum Petropolitanam Academiam an. 1755
missae sunt, cum Electricitatis caussa et theoria, praemio proposito quaereretur.
Petropoli et Lucae, apud Vincentium Junctinum, MDCLVII.
186 ANTONIO FAVARO
Il Sig” De Maupertuis (1) nell’ultima lettera che mi scrissi
mi fece sapere che si sarebbero negl’atti della Academia di
Berlino stampate alcune piccole cose da me inviatele sopra il
principio della minima quantità d’azione: può essere che siano
in quelli di quest'anno, ma io non li ho ancor potuto vedere:
egli è già dopo l’anno passato che non ho più avuta alcuna
lettera dal Sig. Euler (2) col quale io avea qualche commercio
di lettere; ma non lo attribuisco ad altro che alla presente
guerra, che può aver impediti i passaggi (3).
Se non fossi stato s'în ora occupato in lavorare alcuni scritti
di Mecanica per il mio impiego (4), avrei forze stampate già
due dissertazioni che ho quasi del tutto in ordine: una sopra
il metodo dei massimi e minimi applicato alle curve, sopra di
cui vi è un bellissimo trattato dato fuori dal Sig. Euler, nel
quale egli risolve il problema per via di un metodo quasi geo-
metrico ed assai intricato, laddove io ho ridutto tutto a pura
Analisi; l’altra poi consiste nell’applicazione del Principio Mau-
pertuisiano a tutti i casi più complicati della dinamiqua ed
Idrodinamica, ricavando da esso delle formole generalissime per
cui dato un sistema qualunque di corpi, colle leggi delle forze
sollecitanti si vengono a dirittura e con facilità grandissima a
ritrovare tutte le equazioni necessarie per la determinazion del
moto di ciascun corpo. Tosto che queste mie coserelle vedranno
la luce non mancherò di adempiere il mio obbligo con V. R.
Intanto mi rallegro sempre più con lei che sia di tanto onore
alla nostra Italia, la quale pare quasi comunemente che in
codeste scienze sia inferiore ad alcune altre Nazioni.
È passato qui a Torino due giorni fa il dottissimo P. Wal-
mesley (5) col quale ho avuto piacere di parlar spesso di V. R.
(1) PrerLuiei Moreau pe MavpeRTUIS, Presidente dell’Accad. di Berlino.
(2) Nel carteggio fra l’Eurer ed il Lagrange vi è infatti una lacuna
che va dal 6 settembre 1755 al 24 aprile 1756.
(3) In questi tempi appunto incominciava la guerra dei sette anni.
(4) Allude qui al suo ufficio di professore alla Scuola d'artiglieria di
Torino. A questi suoi Eléments de Mécanique, accenna ancora il Lacrance
in una sua lettera all’Eurer sotto il dì 24 novembre 1759. Cfr. Euvres, ecc.
Tome quartorzième, ecc., p. 173.
(5) Era questi un vescovo inglese al quale il Frisi dedicò il 2° volume
della sua Cosmographia.
SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, Ecc. 187
e de’ suoi rarissimi pregi. Ma egli s'è appena fermato due dì,
onde non ho avuto tempo di goder: più a lungo la conversazione
di un sì celebre Matematico, come avrei desiderato.
Mi conservi intanto ella la sua buona grazia e si accerti
che io vivo
Di V. R.
Torino, li 4 Maggio 1756.
Devotissimo ed Obbligatissimo servitore
LuIci DE LA GRANGE.
P. S. Non ho mancato di inviare a Berlino la lettera di
V. R. per M. Formei (1).
II.
IMustrissimo Signor Padron Colendissimo,
Il Segretario della Real Academia di Berlino M. Formei,
nell’inviarmi il diploma di associazione da essa li 2 del mese
passato speditomi, mi notificò eziandio che la dissertazione (2)
che riportò il premio di quest'anno fu quella di V. S. Ill.®® e
mi soggiunse insieme che le avrei fatto piacer sommo a farne
consapevole V. S. Ill. con pregarla a volerli mandare il più
presto che fosse possibile una ricevuta della medaglia d’esso
premio ed indicarle anche una via sicura per cui esso possa a
lei farla speditamente tenere, dicendo sè non aver mai avuto
alcun riscontro della lettera che già da qualche tempo a
V. S. Ill.» scrisse.
Io provo un piacer sommo nell’ aver questa così bella
occasione di poter trattare e dedicare la mia servitù ad una
persona di così gran merito qual'è quella di V. S. Ill.®® e che
per tale è stata conosciuta e distinta da una sì celebre Academia;
(1) Grovanni Enrico SamueLe Former, figlio di un esule francese, nato
a Berlino il 81 maggio 1711 e mortovi l’8 maggio 1797. Fin dal 1748 fu
segretario dell’Accademia di Berlino.
(2) È questa la dissertazione De motu terrae, il titolo della quale ab-
biamo superiormente riprodotto.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 15
188 ANTONIO FAVARO
e massimamente ora che ho avuto l’onore di entrar ancor io ad
esserne parte, sono in obbligo di congratularmi con lei del più
vivo ‘cuore che io possa, pregandola a non volermi risparmiare
in cosa alcuna in cui, sia in qualità di Membro di essa, sia in
qualità di suo devotissimo servitore ed amico vero, potessi esserle
di qualunque utilità. Mi onori adunque V. S. Ill." de’ suoi coman-
damenti, e si accerti che io avrò sempre non ordinaria ambi-
zione di potermele mostrare con l’opere quale ora mi protesto
DEE
Torino, li 4 8.bre 1756.
Devotissimo ed Obbligatissimo servitore
Luier DE LA GRANGE TOURNIER
Proff. nella scuola d’Artiglieria di Torino.
A Monsieur
Monsieur PauL FRISIUS
Professeur dans l’Université
de
Pise.
II.
Molto Reverendo Padre, Padron Colendissimo,
Con grandissima soddisfazione ho ricevuta la lettera di V. R.
insieme coll’Operetta sul rotamento de’ corpi che le è piaciuto
d’inviarmi (1). lo le rendo vive grazie primieramente per la
buona memoria che ella mantiene di me, e in secondo luogo
perchè mi ha dato occasione di conoscere e di ammirare le
sublimi e ingegnose produzioni di cotesto Sig. Cavaliere, a cui
io prego la sua gentilezza a voler presentare i miei ossequio-
sissimi ringraziamenti. Egli non è impossibile che io possa ancora
(1) Autore di quest'opera dal titolo: Discorso matematico sopra il rota-
mento momentaneo dei corpi ecc. e data alla luce in Napoli nel 1768 coi
tipi di Donato Campo, fu il cavaliere Giuro Mozzi, patrizio fiorentino, che
la dedicò al Frisr.
te dhe
«ur _—_ ©“, >
Pe
SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, ECC. 189
aver l’onore di riverirla in persona prima del fine di quest’au-
tunno e di profittare per qualche giorno della sua dottissima
compagnia. Intanto la supplico a conservarmi nella sua buona
grazia, e sono con infinita stima e rispetto
Div BD
Torino, 14 settembre 1763.
Umilissimo, Devotissimo, Obligatissimo servitore
LUIGI DE LA GRANGE.
EX:
à Berlin, ce 3 Avril 1767.
Monsieur,
Jai été bien faché de n’avoir pu avoir l’honneur de vous
voir dans mon voyage (1), comme je m’en étois flatté. J'ai
beaucoup entendu parler de vous è Paris et è Londres, et J'ai
eu le plaisir d’étre témoin de la justice que l’on vous y rend.
Comme vous étes membre de notre Académie, elle recevra tou-
jours avec beaucoup de satisfaction les mémoires que vous
voudrez bien lui envoyer; vous n’avez qu’'è les adresser è
M. Formey qui en qualité de secrétaire regoit tous les paquets
francs de port. Vous aurez peut-étre vu è Paris le 3.%° volume
de la Société de Turin; n’ayant pas eu le plaisir de vous en
presenter un exemplaire, je vous prie de vouloir bien vous en
faire remettre un de ma part de M. Rabbi libraire de l’impri-
merie Royale è Turin, et vous pouvez pour plus de sureté vous
adresser pour cela a mon ami, M. le Médecin Cigna (2), è qui
jen écrirai deux mots au premier jour. Vous me ferez un sen-
sible plaisir de me continuer votre correspondance: jJen sens
x
d’autant plus le prix qu'elle me mettra à portée d’étre instruit
(1) Intorno a questo viaggio contemporaneo del Lagrange e del Frisr,
cfr. Euvres de Lagrange, ecc. Tome treizième, ecc., pp. 65, 85, 90, 92.
(2) Granrrancesco Crema, anatomico, nato a Mondovì li 2 luglio 1734,
morto a Torino nel 1790. Fu segretario della Società, che divenne poi la
R. Accademia delle Scienze di Torino, e diresse la pubblicazione dei 4 volumi
delle memorie di essa.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 154
190 ANTONIO FAVARO
des travaux de mes anciens compatriotes parmi lesquels vous
tenez le premier rang. Si je vous suis bon à quelque chose dans
ce pais, vous pouvez compter sur moi; je regarderai toujours
comme une marque flatteuse d’amitié de votre part de me pro-
curer des occasions de vous servir. Permettez moi de vous prier
d’assurer M. le Comte de Coconat (1) de mon estime et du
regret que j'ai d’avoir quitté l’Italie sans avoir eu l’honneur de
le connoitre. J'ai celui d’étre avec la plus parfaite consideration
Monsieur,
Votre très humble et très obeissant serviteur
DE LA GRANGE.
Monsieur,
J'ai été bien charmé de regevoir une marque de votre
precieux souvenir par la lettre dont vous m'avez honoré. J'ai
recu l’Essai sur la théorie de la Lune (2) que M. d’Alembert m'a
fait parvenir de votre part; je vous en remercie de tout mon
coeur ainsi que du traité sur les canaux navigables (3) et de
l’ouvrage sur l’Économie pubblique que j'ai recus depuis peu par
la voie du Ministre de Vienne. Je voudrois bien pouvoir vous
offrir quelque chose de mon coté, pour répondre en quelque fagon
aux temoignages d’estime et d’amitié que vous voulez bien me
donner et auxquels je suis très sensible, mais je ne suis pas
(1) Il conte Rapicari DI Coconaro, matematico, lo stesso la cui ami-
cizia col Frisi fu causa a quest’ultimo di gravissimi dissapori coi frati del
suo ordine.
(2) Non ci è ben chiaro se sì intenda qui d’accennare alla Memoria:
De inaequalitatibus motus terrae et lunae circa axem ex astronomorum hypo-
thesibus, inserita nella parte II del tomo V dei Commentarii dell’Accademia
delle scienze di Bologna, oppure alla pubblicazione intitolata: DaAnreLIS
MeLanpri et Pavrri Frismu alterius ad alterum de theoria lunae commentarii.
Parmae, ex typ. regia, 1769.
(3) Del modo di regolare î fiumi e i torrenti, principalmente del Bolognese
e della Romagna, libri tre, ecc. Edizione terza accresciuta, aggiuntovi il
trattato dei canali navigabili. In Firenze, per Gaetano Cambiagi, MDCCLXX.
SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, Ecc. 191
assez riche pour cela, n’ayant jusqu'è present rien publié que
ce que j'ai donné dans les Mémoires de Turin et de Berlin. Il
est vrai que l’on doit imprimer à Lion une traduction de l’Al-
gèbre allemande d’Euler (1), è laquelle j'ai fait des additions
considérables, mais comme ces additions ne regardent que la
théorie des problèmes indéterminés, je doute fort qu’elles puis-
sent vous intéresser: quoiqu’il en soit, je tàcherai de vous en
faire parvenir un exemplaire dès que l’ouvrage paroitra, et je
vous prie d’avance de l’accepter au moins comme une faible
marque du desir que j'ai de mériter les sentiments dont vous
m'’honorez.
Un de nos confrères, l’Abbé Pernetti (2), a refuté fort. au
long les Recherches sur les Américains (3) dont vous me parlez:
si vous ne connoissez pas cette refutation, et que vous ayez
quelque envie de la lire, je pourrai vous la faire parvenir par
la première occasion qui pourra se trouver.
En général je vous offre mes services dans ce pais, si vous
croyez que je puisse vous étre bon à quelque chose. Je suis
sùr que si vous veniez faire un tour ici, vous n’auriez pas regret
à votre voyage; vous seriez regu tant à la Cour qu’à la ville
d'une manière convenable à votre mérite ; et pour mon parti-
culier vous jugez bien que je ne négligerois rien pour vous
donner les plus fortes preuves de la haute estime et du parfait
dévouement avec lesquels j'ai l’honneur d’étre
Monsieur,
A Berlin, ce I Septembre 1771.
Votre très-humble et très obéissant serviteur
DE LA GRANGE.
Au P. FriIsi.
(1) Dev'essere questa l'edizione di Lione, 1774, che il Riccarpi (Biblio-
teca matematica italiana, ecc., parte prima, vol. II. Modena, MDCCCLXXIII-
MDCCCLXXVI, col. 2) scrive d'aver trovata citata.
(2) Anronio Gruserre Pernery, nato il 18 febbraio 1716 a Roanne,
morto a Valence nel 1801.
(3) Ne abbiamo sott'occhio una edizione alla quale va unita la disser-
tazione del Pernerty: è in tre volumi ed ha il titolo seguente: Recherches
philosophiques sur les américains ou mémoires intéressants pour servir è
l’istoire de l’espèce humaine, par M. de P.***, Avec une dissertation sur
192 ANTONIO FAVARO
VL
à Berlin, ce I Jenvier 1774.
Monsieur,
Je suis charmé que le libraire Bruiset se soit acquitté de
la commission que je lui avois donnée de vous faire parvenir
de ma part un exemplaire de la traduction de l’Algèbre d’Euler,
et je suis infiniment sensible è la manière dont vous avez bien
voulu regevoir cette legère marque de mon amitié et de mon
estime pour vous.
J'ai presenté àè l’Académie le prospectus de votre nouvel
ouvrage sur la théorie des mouvemens celestes ; elle applaudit
à vos travaux et vous regarde comme un des membres qui lui
font le plus d’honneur. Je vous remercie de tout mon coeur de
la bonté que vous avez de me promettre un exemplaire de cet
ouvrage ; Je l’attends avec beaucoup d’impatience, persuadé qu'il
sera également digne de son auteur et de la matière dont il
traite. Lorsque je regevrai le 6° tome de Bologne je ne man-
querai pas de lire les solutions (1) dont vous me parlez, et
dont j'ai d’avance une grande idée.
M*s Formey et Bernoulli (2) me chargent de vous faire
agréer leurs compliments: différentes raisons empéchent ce
dernier de continuer son recueil pour les Astronomes (3), mais
l’Académie lui a permis d’employer les matériaux qu'il y des-
tinoit è enrichir les ephémérides qu'elle veut faire paroitre
annuellement et dont le premier volume contenant l’année 1776
vient d’étre publié.
lAmérique et les Américains, par Don Pernety. A Londres, MDCC.LXX. —
L’autore pe Paw, attaccato dal Pernery, gli rispose, dando motivo ad una
replica.
(1) Probabilissimamente allude alle due note: De rotatione corporum e
De aequatione quadam differentiali, a pp. 45-74 dei De bononiensi scientiarum
et artium instituto atque academia Commentarii. Tomus sextus. Bononiae,
ex typographia Laelii a Vulpe, MDCCLXXXIII.
(2) Grovanni BerNoULLI.
(3) Il terzo tomo porta tuttavia la data dell’anno 1776.
SETTE LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE, Ecc. 193
Je ne crois pas que les circonstances me permettent si tòt
d’aller en Italie, mais un des principaux motifs qui pourroient
m’engager è en faire naître l’occasion seroit certainement le
desir de lier une connoissance plus intime avec différentes per-
sonnes de mérite que ce pais-là possède, et à la téte desquelles
vous étes depuis longtems.
Jai l’honneur d’étre avec la plus forte estime et la con-
sidération la plus distinguée,
Monsieur,
Votre très-humble et très-obéissant serviteur
DE LA GRANGE.
Au Révérend
Révérend Père FrISI,
Professeur de Mathématiques à Milan,
des Académies de Berlin, Peters-
bourg, Londres, ete., etc., etc. à
(fr. Augsburg (?) Milan.
VII.
Signore ed Amico stimatissimo,
Io le sono da lungo tempo debitore di una risposta e in-
sieme di molti ringraziamenti per il regalo da lei fattomi del
suo bel Elogio di Newton accompagnato dalla erudita prefazione
della sua Algebra. Desiderando renderlene in qualche parte il
cambio, ho dovuto aspettare prima che uscisse dalla stampa
l’opusculo qui annesso, di poi che si presentasse una buona con-
giuntura per poterglielo trasmettere. Questa mi viene offerta
ora dal Sig. Bernulli, ed io l'abbraccio tanto più volontieri quanto
che credo potermi lusingare che queste mie ricerche sieno per
meritar l’attenzione di un Geometra par suo, trattandosi in essa
di un punto della teoria lunare (1), il quale non era stato ancora
(1) Assai probabilmente la: TAéorie de la libration de la lune.
194 VIRGILIO MONTI
bastantemente sviluppato. Vorrei che questo debol testimonio
che le invio della mia stima e riconoscenza verso di lei servisse
a conservar viva nella sua memoria la servitù che le professo,
e a procurarmi la continuazione de’ suoi favori di cui sono am-
biziosissimo.
E supplicandola dell'onore de’ suoi comandi, pieno d’obli-
gazioni e d’ossequio mi protesto
Berlino, 25 Luglio 1782.
Suo Devotissimo ed Obbligatissimo servitore ed amico
DE LA (RANGE.
Sulla variazione di densità di un liquido
presso alla superficie;
Nota del Dott. VIRGILIO MONTI.
È noto come la superficie di un liquido si trovi in uno
stato particolare di tensione. In virtù di questa alcune costanti
fisiche possono mutare di valore, quando, invece di considerare
la massa del liquido, si limitino le considerazioni ad uno strato
superficiale il cui spessore è uguale al raggio di attività mo-
lecolare.
La misura di queste costanti, per quanto riguarda lo strato
superficiale, è sottoposta a difficoltà enormi, forse insormonta-
bili: il che spiega come le nostre cognizioni in questa parte
della fisica siano così poco avanzate.
Se però non siamo in grado di misurare una di queste
costanti nella pellicola superficiale di un liquido, possiamo
qualche volta e con una certa approssimazione, certamente gros-
solana, farci un criterio del modo con cui quella costante varia
dall'interno del liquido alla pellicola superficiale.
SULLA VARIAZIONE DI DENSITÀ DI UN LIQUIDO, ECC. 195
Io citerò come uno dei tentativi più felici, in quest'ordine
di idee, il bel lavoro di Reynolds e Riicker (Proc. of the Roy.
Soc., 1893), dal quale si può congetturare che la conducibilità
elettrolitica prova delle variazioni presso allo strato superficiale.
Anche la densità nello strato superficiale è stata oggetto
di congetture e di studii sperimentali dall’epoca dei lavori di
Poisson sulla capillarità fino ai giorni nostri.
To non farò che citare di passata gli studii di Wilhelmy,
di Rontgen e di Schleiermacher che lasciarono la questione in-
soluta.
Intanto è certamente molto probabile che al forte cambia-
mento di pressione che si ha nel liquido presso allo strato su-
perficiale corrisponda un cambiamento nella densità ; ed alcuni
fenomeni, come la condensazione dei gas contro la superficie di
un solido o di un liquido, hanno indotto alcuni fisici a credere
che questo cambiamento di densità abbia luogo effettivamente.
Chi serive ha pensato che, invece di ricercare questo cam-
biamento di densità nello strato di separazione fra un liquido
e un solido di densità poco diverse, come si è fatto general-
mente finora e senza frutto, converrebbe meglio accoppiare due
corpi di densità molto diverse, come olio e mercurio.
Non è assurdo supporre che, presso alla superficie di divi-
sione fra olio e mercurio, la densità di quest’ultimo vada sce-
mando gradatamente, in modo da accostarsi più o meno a quella
dell’olio: cosicchè, aumentando l’estensione della superficie divi-
dente, debba crescere il volume del mercurio.
Posto che la densità media del mercurio nello strato super-
ficiale abbia un valore intermedio tra quella normale del liquido
stesso, e quella normale dell'olio; e partendo dal valore che,
per il raggio dell’attività molecolare, forniscono le esperienze
di Plateau e di Quincke, si trova, con un calcolo grossolano,
che, se si scompongono due centimetri cubici di mercurio in
sferule del diametro di un decimo di millimetro, si dovrebbe
avere un aumento di volume sensibile.
Con olio e mercurio contenuti in un recipiente chiuso è
possibile fare un’emulsione, in cui si vede un pulviscolo mercu-
rico grigio, formato di globuli estremamente piccoli. E questa
emulsione si mantiene per un tempo sufficiente a compiere delle
misure.
196 VIRGILIO MONTI
L'effetto della diminuzione di volume presso alla superficie
del mercurio è probabilmente contrariato da un effetto opposto
relativo all'olio; e spetta all’esperienza decidere se i due effetti
opposti si controbilancino, o se prevalga uno di essi, in modo
che ciò che ne risulta possa, non dico essere misurato, ma per-
cepito in qualche modo.
È però necessario che l’atto dell’emulsione non sia accom-
pagnato da cambiamenti di temperatura.
Guidato dalle considerazioni esposte, ho cercato di realiz-
zare, nel miglior modo possibile, questa mescolanza d’olio e
mercurio. Dall’apparecchio che descriverò ho ottenuto qualche
risultato positivo.
A è un tubo di vetro della sezione di circa un centimetro
quadrato, lungo venti centimetri. A metà della sua altezza è
saldato un tubo di vetro capillare, finissimo e graduato (il can-
nello d’un termometro rotto). La lunghezza di ciascuna divisione
del capillare è di 3 mm. circa. La sua sezione è di mm? 0,02 circa.
Si versa mercurio nel tubo A
fino in a, e poi olio fino ind. Si
aspira, colla macchina pneumatica,
l’olio nel capillare fino a una certa
divisione d. Quindi si chiude l’estre-
mità del capillare con una goccia di
ceralacca fusa, e poi si versa pa-
raffina fusa sulla superficie dell’olio
in 5. Quando la paraffina è solidifi-
cata, l'apparecchio è perfettamente
chiuso.
Il tubo A si sospende allora
per la parte capillare ad un so-
stegno, e vien disposto orizzontalmente in un bagno d’acqua;
mentre l'estremità del capillare ne emerge verticalmente ; si
lascia immobile nel bagno per un tempo variabile da un’ora
a tre.
Il bagno è di forma particolare. È identico a quello usato
da Louguinine e Khanikoff nel loro studio sull’assorbimento dei
gas da parte dei liquidi. È una vasca parallelepipeda metallica
capace di circa 120 litri. È attraversato nella parte centrale
da un asse metallico girevole, munito di due grandi alette di
SULLA VARIAZIONE DI DENSITÀ DI UN LIQUIDO, ECC. 197
ferro: la rotazione dell'asse si ha mediante una manovella
esterna alla vasca. Così l’acqua può agitarsi molto bene.
Durante il periodo in cui il tubo resta, come si è detto,
immobile, si agita regolarmente l’acqua del bagno; e in fine
di questo periodo, quando l’altezza dell’olio nel capillare è co-
stante da molto tempo, si rileva tale altezza con un cannocchiale.
Esperienze apposite mi hanno mostrato che il moto delle
alette non modifica minimamente la temperatura del bagno.
Letta l’altezza dell'olio nel capillare, si introduce il tubo A
in un tappo di sughero fissato all’asse che porta le alette : senza
che in questa operazione vi sia bisogno di toccare, colle mani
sott'acqua, altro che la parte capillare. In questa nuova posi-
zione il tubo partecipa al movimento di rotazione dell’asse, senza
mai uscire dal bagno. L’olio e il mercurio formano in capo a
un certo tempo (un quarto d’ora all’incirca) un’emulsione fina-
mente divisa.
Si ritira allora il tubo dal tappo, colle precauzioni con cui
vi si è introdotto ; si rimette nella posizione primitiva e si ri-
legge l'altezza dell'olio nel capillare.
Si trova sempre, in tutti i casiì, che essa è superiore all’al-
tezza primitiva di due o tre decimi di divisione.
Al formarsi dell’emulsione corrisponde dunque un aumento
leggerissimo di volume.
Ritengo che, col metodo dell’emulsionare il mercurio nel-
l’olio, si possa giungere ad altri risultati interessanti sulle pro-
prietà superficiali dei liquidi; e mi riservo di proseguire un
tale studio.
Chiudo ringraziando il chiarissimo Professor A. Naccari, da
cui ebbi a disposizione i mezzi per condurre a termine questo
lavoro.
198
Relazione sulla Memoria del Prof. Iciio GuarEscHI,
presentata nell'adunanza del 17 novembre 1895,
e che ha per titolo:
“ Sintesi di composti piridinici dagli eteri chetomici coll’etere
cianacetico in presenza dell’ammoniaca e delle ammine ,.
L’egregio professore Guareschi, con precedenti lavori pub-
blicati negli Atti di questa Accademia, ha dimostrato che l’etere
cianacetico, agendo sopra le ammine chetoniche e gli ammidi
chetonici, produce dei composti idropiridinici ed idrochinoleici.
Nella Memoria ora presentata l’autore, proseguendo in tali
ricerche, studia l’azione che l’etere cianacetico esercita anche
sugli eteri chetonici quando sono in presenza di ammoniaca o
di ammine alchiliche. — Così la reazione precedentemente sco-
perta acquista un carattere di maggiore generalità, ottenendosi
con essa una serie numerosa di nuove combinazioni che hanno
uno stretto rapporto coi composti citrazinici.
L’indole stessa del lavoro del prof. Guareschi non ci con-
sente di darne un riassunto anche compendioso. Infatti questo
lavoro consta della descrizione dei modi di preparazione, delle
proprietà fisiche e chimiche e della discussione della costituzione
chimica probabile delle sostanze ottenute colla reazione sovra-
indicata.
Il principio sul quale si fondano le ricerche accuratamente
descritte dal prof. Guareschi è nuovo ed è molto importante per
il carattere di grande generalità che esso può assumere.
Pertanto i sottoscritti propongono che il lavoro del
prof. Guareschi sia ammesso alla lettura e venga poi accolto
per la pubblicazione nei volumi delle Memorie della nostra
Accademia.
G. SPEZIA.
A. Cossa, Relatore.
199
Relazione sulla Memoria del Prof. Francesco GIUDICE,
intitolata: “ Sull’equazione del 5° grado ,.
L'Autore in questa Memoria, che in certo modo fa seguito
ad un altro suo lavoro precedente, studia i varii metodi di ri-
soluzione delle equazioni del 5° grado.
Premette una rappresentazione geometrica dell’equazione
generale, che, con semplici considerazioni, permette di ridurla
alla forma (di Bring a. 1786)
(32) y + 5ay+-B=0.
In seguito si occupa delle equazioni risolubili algebrica-
mente; dandone prima l’espressione generale (35'), poi casi par-
ticolari, fra cui la (39), che si riferisce alla forma di Bring.
Sviluppa i molti calcoli occorrenti per la risoluzione, e
mette sotto varie forme l’irrazionalità trascendente (così la
chiama l’A.) che, aggiunta, permette di risolvere ogni equazione
di 5° grado.
Questa irrazionalità è espressa dapprima mediante un’equa-
zione algebrica fra due sole variabili (formula 51), poi cogli
integrali ellittici, ed in seguito con un’equazione differenziale
lineare del 2° ordine.
L’A. ritrova alcuni risultati già noti (e che trovansi in gran
parte nelle “ Vorlesungen iiber das Ikosaeder , del Klein), sotto
forma più facile e piana; ed altri ne aggiunge relativamente
all'importante argomento. È nostro avviso che questo lavoro
del prof. Giudice possa essere ammesso alla lettura innanzi alla
Classe di Scienze matematiche.
Torino, 28 novembre 1895.
E. D’'OvIpro.
G. PrANO, Lelatore.
L’ Accademico Segretario
AnpRrEA NACcARrI.
200
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza dell’8 Dicembre 1895.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Socii: CLarEetTA, Direttore della Classe,
Peyron, VALLAURI, BoLLATI DI SAINT-PIERRE, SCHIAPARELLI,
Pezzi, NANI, Ciporra, Brusa, PerrRERO, ALLIEvo e FERRERO
Segretario.
Il Presidente annuncia la morte del Socio Corrispondente
Giuseppe De Leva, Professore nell’Università di Padova ed
affida al Socio CrpoLra l’incarico di commemorarlo in una pros-
sima adunanza.
Il Socio Segretario presenta, a nome degli autori, le seguenti
pubblicazioni» “ Notice sur la vie et les travaux du commandeur
Jean-Baptiste De Rossi ,, del Socio Corrispondente H. WaALLON,
Segretario perpetuo dell’Accademia delle iscrizioni e belle lettere
dell'Istituto di Francia (Paris, 1895); “ Delle scoperte di antichità
nel lago di Nemi ,, Relazione a S. E. il Ministro della Pubblica
Istruzione, del Socio Corrispondente Felice BernABFI. Brevemente
egli ragguaglia la Classe sopra queste importanti scoperte
archeologiche.
L’ Accademico Segretario
Ermanno FERRERO.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA
Dal 17 Novembre al 1° Dicembre 1895.
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio ;
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono,
* Anales de la Sociedad Cientifica Argentina. Entregas IV, tom. XL.
Buenos Aires, 1895; 8°.
Astronomische Arbeiten der ésterreichischen Gradmessungs-Commission.
Bestimmung der Polhihe und Azimutes auf den Stationen: Spieglitzer
Schneeberg, Hoher Schneeberg und Vétrnik. Wien, 1895; 4°.
Atti della Società Piemontese d'Igiene; Anno I, fasc. 1. Torino, 1895; 8°.
* Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2*, v. XV,
n. 9-10. Torino, 1895.
* Bulletin de l’Académie impériale des Sciences de St-Pétersbourg. V° Sér.,
RI 7 1895; 40,
* Compte-Rendu sommaire de la séance de la Société philomatique de
Paris. N. 2, 9 novembre 1895. Paris, 1895; 8°.
* Foldtani Kòzliny kiadja a Magyarhoni Fòldtani Tarsulat. Vol. XXV,
n. 1-5. Budapest, 1895; 8°.
* Jenaische Zeitschrift fir Medicin und Naturwissenschaft, herausg. von
der medicinisch-naturwissenschaftlichen Gesellschaft zu Jena. N. F.,
Bd. XXIII, Heft I. Leipzig, 1895; 8°.
* Johns Hopkins Univ. Circulars. Vol. XV, n. 121. Baltimore, 1895; 4°.
Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXIV, disp. 8.
Roma, 1895; 4°.
* Mittheilungen aus dem Jahrbuche der kòn. ungar. geologischen Anstalt.
Bd. IX, n. 7. Budapest, 1895; 8°.
* Philosophical Transactions of the Royal Society of London, 1894. Vol. 185,
A, part 1* e 2*; B, part 1* e 2*. London, 1895; 4°.
* Proceedings of the Cambridge philosophical Society; vol. VI, p. 5°, 1895.
* Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli.
Serie 3%, vol. I, fasc. 8 a 10. Napoli, 1895; 8°.
Rivista di Topografia e Catasto pubblicata per cura di N. Jadanza. Vol. VIII,
n. 1-4. Torino, 1895-96 (dono del socio Jadanza).
* Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXVIII, fasc. 10. Modena,
1895; 8°.
* The Royal Society. 30th. November 1894; 4° (Elenco dei Soci).
202 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
* Zoologischer Anzeiger, herausg. von Prof. J. Vicror Carus in Leipzig, ete.;
XVIII Jahrgang, n. 489. 1895.
* 3KypHaxp pyccraro +187r0-xmMNtecgaro O6mecrBa ipa MMmnepaTopcrRoMe
C. IIerep6ypreroms YHusepenrerb; t. XXVII, n. 7. 1895.
Barrows (W. B.) and Schwarz (E. A.). The Common Crow of the United
States. Washington, 1895; 8°.
#* Lehmann (0.). Molekularphysik mit besonderer Beriicksichtigung mikro-
skopischer Untersuchungen und Anleitung zu solchen sowie einem
Anhang iber mikroskopische Analyse. Leipzig, 1888-89; 8°.
Mullins (G. L.). Notes on Phthisis in New South Wales and other austra-
lasian colonies. Sydney, 1895; 8°.
Rajna (M.). Sull’apparato esaminatore di livelle costruito dal sig. Leo-
nardo Milani nel 1889 per il R. Osservatorio Astronomico di Milano.
Milano, 1895; 8°.
Sandrucci (A.). Le teorie su l’efflusso del Gas e gli esperimenti di G. A.
Hirn. Firenze, 1895; 8° (dall’A.).
Valentini (C.). Sulle acque del sottosuolo a nod-est di Milano. Milano,
1895; 8° (dall'A.
** Vinci (Leonardo da). Il Codice Atlantico; fasc. VII. Milano, 1895; fe.
*#* Westwood (J. O.). Catalogue of Orthopterous insects in the collection
of the British Museum. Part I. Phasmidae. London, 1859; 4°.
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologicne.
Dal 24 Novembre all’8 Dicembre 1895.
* Atti della R. Accademia dei Lincei. Serie V. Classe di Sc. mor., stor. e
filol., vol. III, p. 2*. Notizie degli Scavi. Settembre 1895. Roma, 1895; 4°.
* Boletin de la R. Acad. de la historia. T. XXVII, cuad. V. Madrid, 1895; 8°.
* Bollettino delle Pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa;
1895, n. 238; 8° (Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze).
Bollettino di Legislazione e Statistica doganale e commerciale. Anno XII,
Luglio, Agosto e Settembre 1895. Roma, 1895; 8° (Minist. delle Finanze).
Bollettino di notizie sul credito e la previdenza. Anno XII, n. 8. Roma,
1895; 8° (Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio).
Bulletin de la Société de Géographie Commerciale de Bordeaux, 1895,
n. 22;((8°.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 203
* Comptes-rendas des séances de la Société de Géographie; n. 13. Paris,
1895; 8°.
Institut International de bibliographie. Bulletin, 1895, n. 1. Bruxelles, 3°.
* Publications de l’École des Lettres d’Alger. XV: Étude sur la Zenatia
de l’Ouarsenis et du Maghreb Central par René Basset. Paris, 1895; 8°.
** Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia. Vol. II;
pp. 1217-2016; 8°.
* Sitzungsberichte der philosophisch-philologischen und der historischen
Classe der k. b. Akad. der Wissenschaften zu Miinchen, 1895, Heft III; 8°.
Statistica del commercio speciale di importazione e di esportazione dal
1° gennaio al 31 ottobre. Roma, 1895; 8° (dal Ministero delle Finanze).
Desimoni (C.). La moneta e il rapporto dell’oro all’argento. Roma, 1895; 4°
(dall’A.).
Foerster (W.). Friedrich Diez. Berlin, 1895; 8° (Id.).
Gerini (G. B.). I principali episodi della “ Gerusalemme liberata ,. Torino,
1896; 8° (Id.).
Laura (G. B.). Giovanni Flechia. Commemorazione. Ivrea, 1895; 4° (dono
del Socio D. Pezzi).
Marre (A.), Vocabulaire frangais-malgache. Paris, 1895; 4° (dall’A.).
Mohun Tagore (S.). List of Titles, Distinetions and Works of Raja
sir Sourindro Mohun Tagore, Kt. Calcutta, 1895; 16° (Id.).
— Pope’s “ Universal Prayer ,. Calcutta, 1894; 4° (Id.).
Nigra (C.) e Orsi (D.). La Passione in Canavese. Torino, 1895; 8° (Id.).
Schuchardt (H.). Sind unsere Personennamen ibersetzbar? Graz, 1895; 8° (Id.).
Serpa Pimentel (A. de). Historia e Civilisacào-Napoleào III, ecc. Lisboa,
1895; 8° (Id.).
Weber (A.). Vedische Beitrige. Berlin, 1895; 8° (Id.).
Zaccante (G.). Saggi filosofici. Torino, 1892; 8° (Id.).
— La dottrina della coscienza morale nello Spencer. Torino, 1895; 8° (Z4.).
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Torino — Vincenzo BoxaA, Tipografo di S. M. e de' RR. Principi.
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CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 15 Dicembre 1895.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
—_ _ —°
Sono presenti i Socii: D'Ovipro, Direttore della Classe,
BerrutTI, FERRARIS, Mosso, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE, VOLTERRA,
JADANZA, Foà e Naccari Segretario.
Viene letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza pre-
cedente.
Vengono accolti per l'inserzione negli Atti gli scritti seguenti:
a) “ Sul metodo di falsa posizione pel calcolo degli archi
elastici ,; nota dell’ingegnere Elia Ovazza, presentata dal Socio
JADANZA;
5) “ Di alcuni corallari pliocenici del Piemonte e della
Liguria ,; nota della signora Elodia Osasco, presentata dal
Socio CAMERANO.
Il Socio VoLterRAa presenta una Memoria del Professore
Giuseppe LauriceLLa: “ Sull'equazione delle vibrazioni delle
placche elastiche incastrate ,. Ne viene affidato l'esame ad ap-
posita commissione.
MSN
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI, 16
206 ELIA OVAZZA
LETTURE
Sul metodo di falsa posizione pel calcolo degli archi elastici;
Nota dell'Ing. ELIA OVAZZA.
1. Il metodo ideato dall’Eddy e perfezionato dal prof. Guidi
pel calcolo degli archi elastici e delle volte considerate come
archi elastici (1), metodo che può dirsi di falsa posizione, è
suscettibile di più ampia applicazione al calcolo degli archi ela-
stici in generale, qualunque sieno le condizioni di posa e di ca-
rico. Di questa applicazione più ampia vogliamo qui occuparci,
valendoci dei più recenti progressi della teoria delle travature
elastiche.
2. Premettiamo un teorema di cinematica, di cui faremo
uso sovente in seguito, e che già abbiamo dimostrato in una
precedente nota (2).
Più sistemi piani invariabili 0}, @9,... 0;,... a, muovansi nel
loro piano comune t ruotando di quantità piccolissime attorno
a, punti del piano m. A ciascun centro di rotazione (a, 0; 1) pel
moto relativo di due successivi o; ed 0;,, di quei sistemi in-
variabili si applichi, in data direzione X qualunque, nel piano.tr
una forza ideale misurata dall’ampiezza w;;,, della rotazione
di 0;+3 rispetto ad a;, e queste forze ideali si colleghino con
un poligono funicolare i cui lati sieno rispettivamente l, 1, la,...
(1) Cfr. Eppy H. T., Researches in graphical statics. New-York, Van No-
strand, 1878. — C. Guipi, Lezioni di scienza delle Costruzioni — Teoria dei
Ponti. Torino, Lit. Salussolia, 1894. — Sugli archi elastici (Memorie della
R. Accademia delle Scienze di Torino, Anno 1884). — Sulla curva delle
pressioni negli archi e nelle volte (Memorie della R. Accademia delle Scienze
di Torino, Anno 1886).
(2) Cfr. Ovazza, Il poligono funicolare in cinematica (Atti della R. Accad.
delle Scienze di Torino, Anno 1890). — R. Lanp, Kinematische Theorie der
statisch bestimmten Tréiger (Zeits. des dsterr Ing.-und Arch. Vereins, 1888).
SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 207
l;,... I, Lo spostamento che nella direzione ) soffre un punto
qualunque P di uno dei sistemi, a,, nel suo moto relativo ad
un altro sistema, a,, (cioè la proiezione ortogonale nella dire-
zione \ dello spostamento del punto P), è proporzionale, astra-
endo da quantità piccolissime di ordine superiore al primo, al
segmento intercetto sulla retta condotta per P in direzione X
fra i lati /; ed 7, del poligono funicolare. Come caso speciale il
segmento intercetto sulla retta condotta per P nella direzione
fra i lati / ed /; misura lo spostamento di P nel suo moto re-
lativo al piano m, sostegno dei sistemi mobili a. Quindi con due
poligoni funicolari, colleganti quelle forze ideali applicate in di-
verse direzioni, si ottengono gli spostamenti effettivi dei punti
P in grandezza e direzione.
8. Ciò posto cominciamo dallo studiare la deformazione
delle travi ad arco cariche da forze nel piano (che supporremo
verticale e di simmetria) del loro asse se a parete piena, e da
forze nel piano (che pur supporremo in seguito verticale e di
simmetria) degli assi delle aste che lo costituiscono, se reti-
colare.
Archi a parete piena.
4. Riferiremo l’asse dell’arco AB all’orizzontale ed alla ver-
ticale per l’estremo A di sinistra come assi delle x e delle y.
Di un punto qualunque O dell’asse, alle coordinate x ed y, di-
remo s la distanza da A misurata lungo l’asse dell’arco; di-
remo ® l’angolo che la tangente in O all’asse dell’arco fa con
la direzione positiva dell’asse x, contato positivamente a partire
da x nel senso opposto al moto delle lancette dell’orologio.
Diremo E il modulo di elasticità, F l’area, I il momento di
inerzia della sezione trasversale S condotta per O rispetto al-
l’asse baricentrico orizzontale di questa sezione.
Trascurando la deformazione dovuta allo sforzo di taglio
e la curvatura dell'elemento di trave (come con sufficiente
approssimazione per la pratica si può per archi da ponti o
da tettoie), considerate due sezioni S, ed $S, infinitamente
prossime, i cui baricentri 0, ed O, distano di ds, ed i cui
208 ELIA OVAZZA
piani fanno angolo — d@, per l’azione complessa dello sforzo
normale N e del momento flettente M, la sezione S, si muo-
verà rispetto alla Sj come se ruotasse attorno all’asse x, anti-
polare del centro X di sollecitazione, per la sezione S media
del tratto di trave S,S,, rispetto all’ellisse centrale di questa
sezione medesima.
5. Detta e l’eccentricità XO dello sforzo normale, assunta
positiva quando N abbia momento positivo rispetto ad O (nel
verso del moto delle lancette dell’orologio), e detto p il raggio
d’inerzia della sezione S rispetto al proprio asse di flessione
(asse baricentrico orizzontale), si ha
2
(1) 0a, = »
e l'ampiezza della rotazione di S, rispetto ad S, vale
"Meet Neg
(2) dda = pptesonigp.
6. Come verifica, si secomponga lo sforzo normale N ap-
plicato in X nella forza equipollente N applicata in O e nella
coppia flettente di momento M= Ne.
Lo sforzo normale baricentrico provoca una traslazione
ITIANas
(3) fsde:i= EF
di S, rispetto ad $S, nella direzione 0;0,; la coppia M produce
una rotazione Ad@ = Me attorno all'asse di flessione della
sezione media S. I due movimenti elementari insieme equival-
gono ad una unica rotazione Adp attorno all'asse giacente nel
piano della sezione S, parallelo a quello di flessione e da esso
distante di i
(4) Ads : Ado = p°:e = Oz;
7. Presi sull’asse di sollecitazione s della sezione S due
punti U, ed U, equidistanti dal baricentro O di una quantità
SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 209
arbitraria è, e condotte per U, ed U, le parallele v, ed wu, al-
l’asse di flessione, scomponiamo la rotazione Adg attorno ad x,
in due rotazioni Ad@; e Adg, attorno ad wu; ed ws.
Sarà
SI aggio: (6 Nda;) Alogt
(5) Ado, = Ad i (è si
ed analogamente
ai e ao i 0 ARR
(6) Ado, = Ado 7° = Sul (è +).
Detti V, e V, gli antipoli di «, ed w, rispetto all’ellisse
centrale della sezione S, potremo pure scrivere
a Mads
ll; Mds
(7) Ado, sa 2EI?
Ad®s = Sri
indicando con M, ed M, i momenti della sollecitazione esterna
della sezione S rispetto ai punti V, e V, rispettivamente.
8. Come caso speciale scelti i punti U, ed U, agli estremi
del diametro del nocciolo centrale disteso sull’asse di sollecita-
zione (supposta la sezione simmetrica rispetto all’asse di fles-
sione), i punti V, e V, coincidono con gli estremi ? ed e all’in-
tradosso ed all’estradosso della sezione S.
9. Se invece i punti U, ed U, scelgonsi, come faremo
sempre in seguito, agli estremi del diametro dell’ellisse cen-
trale della sezione ch'è disteso sull’asse di sollecitazione, i punti
V, e V; coincidono con U, ed U, rispettivamente, onde sarà
__ Mds _—_ ads
(8) Ado, 251° Ad®y TRNconI
indicando con pu, e yy i momenti della sollecitazione esterna per
la sezione S rispetto agli assi u, ed vw, attorno a cui suppon-
gonsi le due rotazioni componenti.
10. La deformazione della trave si può quindi concepire
come il complesso degli spostamenti delle singole sezioni rispetto
210 ELIA OVAZZA
alle infinitamente prossime rotando attorno ‘agli assi x, corri-
spondenti e per le corrispondenti ampiezze Ad@; ovvero anche
come il complesso degli spostamenti delle singole sezioni rispetto
alle infinitamente prossime ruotando contemporaneamente at-
torno agli assi u, ed «, per le ampiezze corrispondenti Adg;
e Ads.
Se quindi ai punti X, tracce degli assi x,, nel piano del-
l’asse dell’arco, applicansi in data direzione \ forze ideali mi-
surate dalle corrispondenti quantità angolari Adg, e si colle-
gano queste forze ordinatamente con un poligono funicolare
avente per distanza polare l’unità di lunghezza, ovvero ai punti
U, ed U, nel piano dell’asse dell’arco applicansi in direzione X
forze ideali misurate dalle corrispondenti quantità angolari Ad,
e Ad®;, e si collegano ordinatamente con poligono funicolare
avente distanza polare eguale all'unità di lunghezza, le ordinate
del poligono funicolare, lette da opportuna retta fondamentale
sulle rette condotte in direzione \ dai punti S dell’asse dell’arco,
misurano gli spostamenti di questi stessi punti nella direzione A,
cioè le proiezioni ortogonali sulla direzione X degli effettivi spo-
stamenti di detti punti nel piano dell’asse.
11. Dette ed n le coordinate di X,, x ed y quelle del
baricentro 0, di S., per la rotazione elementare Ad attorno
ad x, le coordinate x ed y varieranno di
(y— n). Adg e (E — 2). Adp,
e queste variazioni coincidono con le variazioni delle proiezioni
dx e dy dell'elemento ds di asse dell'arco sugli assi coordinati
x ed y; onde potrà porsi
(9) Ade = (y— n).Ade = (y— n) n
(10) Ady.= (E — 2). Ado.=—(e- Ate
12. Analogamente se con xu,, Yu, e con Xu, ed yu, indicansi le
coordinate di U, ed U,, tenendo conto d’ambo le rotazioni Adg;
e Ad, sarà
SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 211
(11) Ade = (Yy — Yu) Ad®, + (4 — Yu) Adog =y . Ado —
M2Yu + Mi Yu
sa 2EI ds
(12) Ady=— (— tu) Ad®; — (Y — Yu) Ad, = — cAdo +
NO Ma sati Mi Lug ds.
E se i punti U, ed U, scelgonsi sull’ellisse centrale della
corrispondente sezione trasversale
(11’) Ada = y.Adp — MMM bye gg,
(12°) Ady =— x.4d9 + ble pote de
13. Integrando le precedenti, si hanno le equazioni degli
spostamenti sotto le forme seguenti, che meglio si prestano ai
calcoli pratici degli archi elastici:
|
(13) Ax = y.A49 — CE OR (ES UAN Que ds
Md d
Ap = 400 + |A (A9= Am + [dî
FISTDETOLO | Ar=— 89 + | bf ds
nelle quali s’indica con Ag, la variazione, dovuta alle forze
esterne, dell'angolo @ = © all'origine A dell'arco, e gl’integrali
contenenti i momenti u s'intendono estesi simultaneamente ai
punti U, ed U, di tutte le sezioni dell'arco AS.
14. Diviso l’asse dell'arco in tratti ds abbastanza piccoli
perchè si possa ritenere caduno di essi di sezione costante e
costante per ogni loro sezione la sollecitazione ed eguale a
quella relativa alla corrispondente sezione media, detto I, un
momento d’inerzia qualunque scelto come termine di paragone,
e posto genericamente
212 ELIA OVAZZA
dre eg LG
le equazioni degli spostamenti per la sezione distante dall’ori-
gine A di x tronchi ès si riducono alle seguenti:
n M n
Aq = Ao, + 2K,35 Ap = Ap + K3 è
(15)) Ax = yAg — 2K= gn (16))/Ar = yAp — KE -$W
Ay=— cAp+2K3 Ay=—xAp+K,3 sa
15. Le equazioni (13) e (15) riescono più comode pel cal-
colo delle deformazioni di archi staticamente determinati, od
almeno, nel caso opposto, già determinati precedentemente
per riguardo alle sollecitazioni esterne delle singole sezioni;
poichè in tali casi sono determinabili i punti X,. Per il calcolo
delle sollecitazioni esterne per archi staticamente indeterminati,
i punti X, e le relative coordinate £ ed n non sono noti a priori,
chè dipendono dalle sollecitazioni medesime; tornano in tale
calcolo più comode le equazioni (14) e (16).
Queste medesime equazioni (14), le quali permettono di
tener conto in modo semplice della deformazione dell’arco do-
vuto allo sforzo normale insieme con quella prodotta dal mo-
mento flettente, furono per altra via ottenute dal sig. M. Ber-
trand de Fontviolant (1).
Come vedremo, la considerazione dei punti U fa rientrare
la teoria degli archi a parete piena in quella degli archi reti-
colari, con che sintetizzando si semplifica notevolmente la teoria
degli archi elastici.
Archi reticolari.
16. Supporremo gli archi costituiti da sbarre rettilinee fra
loro articolate agli estremi — nodi — in modo che i loro assì
(1) Cfr. Bertrannp DE FonrvioLAnT, Mémoire sur la statique graphyque
des arcs élastiques, 1890. — C. Guipi, 7. c., Lezioni, ecc.
SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 213
#
giacciano in uno stesso piano e formino tanti successivi trian-
goli, ciascuno dei quali abbia comune col precedente e col se-
guente una sola sbarra — sbarra di parete — costituendo la
terza asta del triangolo parte del contorno dell’arco.
Supporremo inoltre le forze esterne, carichi e reazioni di
appoggio, applicate a nodi ed agenti nel piano degli assi delle
sbarre, e faremo astrazione dalle deformazioni, trascurabili pra-
ticamente, dovute alle variazioni di lunghezza delle aste di
parete, ciò che può considerarsi corrisponda al trascurare la
deformazione prodotta dallo sforzo di taglio per le travi a pa-
rete piena.
Indicheremo in generale con I° un nodo del contorno supe-
riore, con I” un nodo del contorno inferiore, e con I uno qua-
lunque dei nodi, con /’, /”, 2 rispettivamente l’asta di contorno
inferiore opposta ad I’, quella di contorno superiore opposta ad
I” e quella di contorno opposta al nodo I.
17. Fatta una sezione S' secante un’asta / e due aste con-
correnti in I, che diremo polo di /', in modo da dividere in
due parti distinte la trave ad arco, sia u' il momento rispetto
U
- lo
L=
ad I° della sollecitazione esterna per la sezione S'. Sarà
sforzo di tensione nell’asta 7 dovuto a quella sollecitazione, se
indicasi con r' la distanza di I’ da /'"; onde l'allungamento A/'
della lunghezza /' sarà
(17) INA
indicando con l' la lunghezza, F' l’area della sezione trasversale
ed E' il modulo di elasticità per la sbarra /.
Per l'aumento Al della lunghezza l', la parte di trave a
sinistra di S' ruota attorno ad I°, nel senso opposto a quello
del moto delle lancette dell’orologio, della quantità (1)
(1) Invero se « e è sono le lunghezze (qui supposte invariabili) delle
aste di parete formanti triangolo con /’, si ha 7? = a? + 5° — 2ab cos a,
LA . , Al'
se a= ad; onde ZA = ab senaAa= /r'Aa, e perciò Ap = Aa = Pa
214 ELIA OVAZZA
7 Al (i
(18) Ag=+5= + arr
DO
18. Analogamente se M" è il momento rispetto al nodo I”
della sollecitazione esterna per la sezione S"” segante /" e due
sbarre concorrenti in I", in modo da dividere in due parti la
travatura, detta 7” la distanza di I” da ?" in valore assoluto,
l'allungamento di /" sarà
(19) IN EESA
adottando notazioni analoghe a quelle di cui a numero prece-
dente.
Onde una rotazione attorno ad I" della parte di trave ch'è
a destra di S"”, ancora nel senso opposto a quello del moto
delle lancette dell’orologio,
Te ul
(20) Aqui Ap
19. Le due formole (18) e (20) si possono rappresentare
colla sola
LETT.
(21) Ap ara r: EF?
toltine gli accenti ed estendendola alla rotazione attorno ad un
nodo qualunque I di contorno dell’arco.
20. Adunque la deformazione d’un arco reticolare può con-
cepirsi come il complesso di rotazioni Ag delle aste di parete,
qui ritenute di lunghezza invariabile, attorno ai corrispondenti
nodi di contorno I. Se quindi ai punti I applicansi in data di-
rezione ) forze ideali misurate dalle corrispondenti quantità
angolari Ag, e queste forze ideali collegansi con un poligono
funicolare di distanza polare l’unità di lunghezza, le ordinate
intercette sulle rette condotte in direzione \ pei punti I fra
detto poligono funicolare ed una fondamentale rettilinea, da
determinarsi, misurano gli spostamenti di detti nodi nella dire-
SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 215
zione ), cioè le proiezioni ortogonali dei loro effettivi sposta-
menti su tale direzione.
Con due poligoni funicolari colleganti dette forze ideali
applicate in direzione di due assi coordinati x ed y, per es.
orizzontale e verticale, deduconsi gli spostamenti effettivi dei
singoli nodi, onde la deformazione di tutta la travatura.
21. Dette x ed y le coordinate d’un punto qualunque ap-
partenente ad un’asta di parete, £ ed n le coordinate di un
punto qualunque I, per la rotazione Ag attorno ad I, le varia-
zioni delle coordinate x ed y saranno:
(22) Aar=—(y—n) 49, Ay=(x— È) Ap.
Onde pel complesso della deformazione, detta Ag la varia-
zione che subisce l'angolo @ che con l’asse x fa l’asse dell’asta
di parete considerata, contato positivamente da x nel senso
opposto a quello del moto delle lancette dell’orologio, sarà
1 pl
Aq = Ag 1 3 GFP
n a
(23) Ax = yA9Q — =n TE
La ul
Ay = — shop ar 25 73 EF
estendendo la sommatoria a partire dalla 1* asta (che conside-
rasi di parete) che passa per l’estremo sinistro A.
Dette %, ro Eo Fo valori fissi di 7, r, E, F, e posto
lo o.
9) Polito 0
e fatto genericamente
l I
è —— = 3
(25) r EF ro Eo Fo
le trovate equazioni degli spostamenti assumono la forma
216 ELIA OVAZZA
Aq = 49 + K2 7
(26) Ax = y4qg — K= Lan
Ay=—exApg+K=3
0
«|
n
22. L’analogia fra le equazioni (16) e queste (26) or trovate
permette appunto di trattare gli archi a parete piena a quel
modo in cui trattansi gli archi reticolari, bastando sostituire i
punti U, ed U, ai nodi I’ ed I”.
23. Ciò posto, passiamo al compito impostoci al principio
di questa nota.
Archi a cerniere d'imposta.
Archi a parete piena.
24. Supporremo anzitutto di livello i centri A e B delle
cerniere d’imposta, ed assumeremo il centro A d’appoggio si-
nistro come origine delle coordinate, l’asse x e l’asse y coinci-
denti con la orizzontale e con la verticale per A.
Applicati all’arco carichi (verticali) P, il poligono funico-
lare che li collega, e che ha per lati estremi le reazioni delle
cerniere d’imposta, costituisce il così detto poligono delle pres-
sioni e, riferito all'asse dell’arco, funziona da diagramma dei
momenti flettenti per le singole sezioni dell'arco quando assu-
masi a base di riduzione la componente orizzontale comune H
delle reazioni di appoggio — spinta orizzontale dell’arco — e
si misurino le ordinate del diagramma verticalmente. Con suf-
ficiente approssimazione nei casi pratici si potrà quindi POR
per uno dei punti U qualunque,
(27) hb_ = HZ
essendo Z la distanza verticale di U dal poligono delle pres-
sioni, contata positiva per punti situati al disotto di tale po-
ligono.
| SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 217
25. Se l’ordinata Z considerasi qual differenza fra l’ordinata
Z' del poligono delle pressioni e l’ordinata Z” del punto U a
partire dall’asse x, sarà
(28) u=H(@—-72")
e la equazione che dà Ax, applicata al centro B della cerniera
destra, di cui supponesi un cedimento A2/ sull’orizzontale (va-
riazione della lunghezza 2/ della corda AB dell’arco) diventa
9) Lenna TOSI RL
1
essendo » il numero totale dei tronchi ds in cui si divise l’arco.
Se ora pei centri A e B di appoggio si fa passare il po-
ligono funicolare collegante i carichi P_ed avente distanza po-
lare arbitraria H,, cioè si disegna il diagramma dei momenti
flettenti, con base di riduzione H,, per una trave rettilinea ap-
poggiata semplicemente in A e B e gravata dai medesimi ca-
richi P, le ordinate Z', di questo diagramma contate dall’asse x
soddisfano alla relazione
(30) Hj 40 —_- ee
Onde la (29) diventa
nz n |
GI) 40--K[Hh3%y Hi y
e fornisce la vera spinta orizzontale
ni 421
(82) poli sth his
= ni
> S Yu
1
26. Le sommatorie che compariscono in questa formola
possono calcolarsi come momenti statici rispetto all'asse x delle
forze ideali na e a applicate orizzontalmente ai rispettivi centri U.
218 ELIA OVAZZA
Collegate le forze ideali = applicate orizzontalmente ai punti U
con un poligono funicolare p', di distanza polare ), ed analo-
gamente le forze ideali — con poligono funicolare p'' di uguale
distanza polare, detti m', ed m'" i segmenti intercetti sull'asse x
dai lati estremi dei poligoni p', e p', sarà
(33) 3 gum, = yum".
Quindi la formola che dà H riducesi ad
4 AB
Hi Ma + XK,
,
m
(34) H=
27. Per appoggi perfetti, A2Z = 0, onde
(34') Rae:
28. Rifatto il poligono funicolare collegante i carichi P, e
passante pei centri d’appoggio A e B, con distanza polare H,
Hi
H'
l'effettivo poligono delle pressioni, in base al quale calcolasi la
stabilità dell’arco.
ovvero moltiplicate le ordinate Z',, pel rapporto sì ottiene
29. Una variazione di temperatura di +4#°, eguale per tutto
l’arco, supposto eguale per tutto l’arco il coefficiente a di dila-
tazione termica, ha lo stesso effetto d’un aumento 42! = at. 20
negativo o positivo della corda 2) dell’arco.
30. Supponiamo ora il caso più generale in cui gli appoggi
non sieno di livello, e sia c l’ordinata del centro B della cer-
niera destra. Supponiamo cedevole, per generalità, il punto B
di A2! orizzontalmente verso le x positive e di —Ac vertical-
mente verso l’alto (y positive).
Detta Ag; la rotazione della tangente in B all’asse del-
l'arco, le equazioni degli spostamenti applicate al punto B
dànno :
SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 219
(35) A2I = cAg, — Ki z L Va
(36) —A=— 2149, + K; =} Du.
Eliminando la rotazione Ag, che non ci occorre, ottiensi
la equazione
(87) 21.422—c.Ac=K,; |e=pa-3Ew]
81. Colleghiamo i carichi P_ con un poligono funicolare p'
passante pei centri d'appoggio A, B, e sia H, la distanza del
polo P, corrispondente dalla retta dei carichi P, letta nella
direzione della corda AB dell’arco. L’effettivo poligono delle
pressioni sarà poligono funicolare dei carichi P con polo un
punto P da determinarsi sulla parallela per P, alla AB, di cui
diremo H la distanza in direzione AB dalla retta dei carichi.
Se indicansi con a l'angolo della AB con l’asse della x, con Z
l’ordinata verticale compresa fra un punto U ed il poligono
delle pressioni, con Z' e Z" le ordinate sulla verticale di U a
partire dalla AB del poligono delle pressioni e del punto U, e
finalmente con 2’, l’ordinata sulla verticale di U del poligono
funicolare p' a partire dalla retta AB, sarà
(38) u=:H cosa .(7 — 2")
ed HZ' — H,Z',. Onde la (37) diventa
__ 2 .A21 — che
K, cos a
(39) H=
sN
n Do n
e dà perciò il polo P del vero poligono delle pressioni, onde
questo poligono da prendersi a base del calcolo della stabilità
dell'arco.
220 ELIA OVAZZA
È LRETÀ DOSCA I i
82. Le sommatorie 3 "I Pa © T 3 Tu calcolansi come mo-
1 ha
x 3 Td î 5 é c
menti delle forze ideali = e a applicate verticalmente ai cor-.
rispondenti punti U, rispetto alla verticale dell'appoggio A.
Collegati questi carichi con 2 poligoni funicolari g', e g' di
distanza polare \ e detti n', ed n" i segmenti intercetti dai loro
lati estremi sulla verticale A, sarà
(40) =-oa=M, =i n="
lo plat
e ricordando quanto fu detto a n° 26, la formola che dà H
riducesi alla
21.A21 — che
KA cosa
en' — dm
Hj (cn'i — 2imi) —
(41) ui
38. Per appoggi perfetti, 42 = Ac = 0. Onde
sata eni 2lm'i *
($2) H oa en' — 2Im"
e perc=0
(34') Hiie=Bk HA; come a n° 27.
Archi reticolari.
34. Stanno per questi le cose dette per gli archi a parete
piena, sostituendo ai punti U, ed U, i nodi I’ ed I” di con-
torno. Ed anzi per gli archi reticolari stanno esattamente,
mentre per archi a parete piena stanno per approssimazione,
tanto maggiore quanto minore è la lunghezza ds dei tronchi in
cui dividesi l’arco.
Archi incastrati agli estremi.
Archi a parete piena.
35. Anche qui cominceremo dal supporre di livello i bari-
centri A e B delle sezioni d’incastro, ed assumeremo come assi
1
SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 221
delle x e delle y l’orizzontale e Ja verticale pel centro A della
sezione d’incastro sinistra.
Supposte invariabili le direzioni delle sezioni d’incastro ed
il livello dei loro baricentri, ammettiamo un cedimento A2/
orizzontale del centro B rispetto al centro A d’appoggio.
Analogamente a quanto fu detto a n. 26 per gli archi ad
estremità girevoli, detta H la spinta orizzontale dell’arco, e Z
la distanza verticale di uno dei punti U dal poligono delle
pressioni (contata positiva per punti al disotto di tale poligono),
il momento pw relativo al punto U può, con sufficiente appros-
simazione, porsi
(43) u==Hî
e le equazioni alla superficie, che tengono conto della natura
degli appoggi, coincidenti con le equazioni degli spostamenti
applicate al punto B dell’asse dell’arco, riduconsi alle:
(4) 3 =0 2jn=0, 4/=-— G3Hi
36. Sieno Z” e Z' le ordinate verticali del punto U e del
punto del poligono delle pressioni giacente sulla verticale di U,
a partire da una retta % da determinarsi.
Poichè si ha
t=V' e, URI
se la retta % tracciasi per modo che sia
(45) TL Poeta i
RU»
dovrà essere
uo) =t=o0, =-A=0, e AN=KEHT5® Yu
37. Collegati i carichi P_con un poligono funicolare p', di
distanza polare arbitraria H,, poligono che risulterà affine alla
linea delle pressioni, vi si tracci su tale retta £', che sia
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 17
222 ELIA OVAZZA
Zi
3 da= 0
-M=
ri A
(47) = e
indicando con Z', l’ordinata verticale per un punto U qualunque
compresa fra la %', e la funicolare p',. Ridotta la funicolare p',
nel rapporto di affinità Ti e trasportatane la fondamentale #',
sulla retta % già determinata, il nuovo poligono funicolare sarà
la linea delle pressioni cercata. Il rapporto H, : H è dato dalla
3» delle (44), la quale, per essere H,Z', = HZ', trasformasi nella
seguente:
(48) 4X=—K|Hh=t%n-H35%]
. a 1
già trovata a n° 25, e con le notazioni di cui a n° 26 dà
A
Him, + DE
(49) ppuetplii ci Su
m
38. Valgono anche pel caso qui considerato le osservazioni
a numeri 27 e 29.
39. Supporremo ora il caso più generale in cuii centri di
appoggio non sieno di livello, ed indicheremo ancora con e l’or-
dinata del centro B di appoggio destro. Supporremo, per gene-
ralità, il punto B cedevole orizzontalmente di A2/ nel verso
delle x positive, e di —Ac nel verso delle y positive. Ammet-
teremo rotazioni piccolissime note Ag, e Ag; delle tangenti
all'asse dell’arco in A e B.
40. Conservate le denominazioni di cui ai numeri 35, 36
e 37, le equazioni degli spostamenti applicate alla sezione B,
che funzionano da equazioni alla superficie o di elasticità, trac-
ciata tale retta % che sia
n ra n
(50) SARE NAT
riduconsi alle seguenti:
SUL METODO DI FALSA POSIZIONE PEL CALCOLO, ECC. 223
" Z, rigido Aq = Ap ba Lo: ciba Ae + 2149,
(51) Da us a K,H; , 2 3 Lu o ia H, , e
n n La
(52) 22.422 —c.Ac=K | ci l'a UTD Yu) —
41. Tracciata quindi sul poligono funicolare p', di distanza
polare H; arbitraria, collegante i carichi P, tal retta #', che
soddisfi alle (51), il valore della vera spinta H e perciò il rap-
porto di affinità Di fra l'effettivo poligono delle pressioni e la p',
viene dato dalla (52). Le sommatorie che in quest’equazione
compariscono si calcoleranno secondo che fu detto a n° 32.
42. Per la determinazione delle rette %” e %', soddisfa-
centi alle condizioni imposte si può procedere come ora indi-
cheremo.
Vogliasi tracciare la retta £', per cui si abbia
__ _A4c+ 21A4q
E. Hi ni
Sieno 8, 8} e B le ordinate della 7’, dall'asse « in corri-
spondenza dei centri d'appoggio A e B e di uno qualunque dei
punti U; ed indichisi genericamente con y', l’ordinata sulla
verticale di U compresa fra l’asse x e la funicolare p',. Avremo
(69) = Be =bR+Sota
Onde le (51) trasformansi nelle seguenti, da cui ricavansi
le ordinate Bo e B} determinanti la #',:
biz —2 )—R pra ro
l 1 DI) 1 3
menta. 85 E K,H
(54)
Ra Tu le _AcT- 249, et
Matera) Spi nai pa
224 ELIA OVAZZA — SUL METODO DI FALSA POSIZIONE, ECC.
Le sommatorie possono calcolarsi graficamente come mo-
menti statici rispetto alla verticale A dei pesi ideali = ed LI
applicati ai punti U corrispondenti.
43. In modo analogo determinasi la %"" soddisfacente alle
condizioni imposte a n° 49, ovvero la &', soddisfacente alle
condizioni di cui a n° 37.
Archi reticolari.
44. Sta quanto fu esposto per gli archi a parete piena,
sostituendo ai punti U, ed U, i nodi di contorno I' ed I”, ed
anzi a tale proposito va ripetuto quanto fu detto a numero 34.
45. Vuolsi osservare che l’incastro di un arco reticolare
consiste nel vincolo imposto ad un nodo A di rimanere fisso
ovvero di cedere di quantità dipendenti dal sistema di appoggio,
insieme col vincolo imposto ad una sbarra d’estremità di pas-
sare costantemente per un punto A, che si mantiene a distanza
costante da A, potendosi del resto muovere attorno a questo
dipendentemente dalla cedevolezza dell'appoggio. Converrà perciò
immaginare aggiunta alla travatura un'asta invariabile A A,,
la cui rotazione per l’azione dei carichi e dipendente dalla im-
perfezione di appoggio corrisponde alla quantità Ag, delle for-
mule precedenti. Analogamente dicasi per l’altro appoggio B
e per la quantità angolare Ag, che comparisce nelle precedenti
formule.
Atti RAccad.delle Sc.di Torino -VoLXIX/
E.OVAZZA-Sul metodo di falsa posizione pel calcolo degli archi elastici.
Lit_Salussolia - Torino
ELODIA OSASCO — DI ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI, ECC. 225
Di alcuni Corallari pliocenici del Piemonte e della Liguria;
Nota di ELODIA OSASCO.
Nel riordinare i Coralli fossili terziari del Museo geologico
della R. Università di Torino ebbi campo di fare alcune osser-
vazioni sopra i Coralli pliocenici del Piemonte e della Liguria,
che credo non inutile di pubblicare.
Alcune delle forme studiate sono nuove per la scienza; per
molte altre viene ad essere notevolmente allargata l’area della
loro distribuzione geografica.
Risulta da questo studio anche un qualche contributo alla
conoscenza del rapporto numerico delle specie plioceniche con
quelle del periodo tortoniano e con quelle del mare Mediter-
raneo.
Cercai di distinguere colla maggior cura possibile le va-
rietà propriamente dette dalle anomalie, procedendo molto cau-
tamente nell’introdurre nuovi nomi specifici.
Nella tavola unita a questo lavoro riprodussi colla foto-
grafia alcuni esemplari di specie diverse dimostranti casi ano-
mali di gemmazione calicinale e di fissiparità, perchè sempre
più confermano ciò che il D’Achiardi indicò: “ Potersi incon-
trare le diverse forme di riproduzione in tutte le specie di
coralli, salvo a predominare l’una o l’altra in gruppi distinti ,.
Eupsammia porosissima, n. sp. (fig. 3).
“ Poliparium magnum, laeviter compressum et curvatum ad
maiorem axem, theca subtili, laxe porosa, multis costis ver-
micularibus, porosis, incerte granulatis; septis granulatis in
“ quinque cyclis, quatuor aequalibus, quinto ad quartum coa-
“ lescente: viginti quatuor apparentia systemata. Columella
“ magna, laxe porosa, fere rhomboidalis.
“ Altitudo exemplaris imperfecti 40 mm., axis maior ca-
“ licis 20 mm. ,.
“
“
226 ELODIA OSASCO
Astiano. — Astigiano (rara).
Osserv.— Questa specie s’avvicina all’ E. contorta De Ang. (1),
ma quest’ultima, come posso arguire dagli esemplari da me
esaminati, presenta quattro cicli di setti con dodici apparenti
sistemi, mentre la mia specie presenta cinque cicli con 24 si-
stemi apparenti.
Balanophyllia italica (MicHm.).
1840-47. — Michelin, Iconog. zooph., pag. 46, tav. 9, fig. 15.
(Caryophyllia).
B. italica (Micun.) Var. gigantea, n. (fig. 2).
Distinguunt hane varietatem a specie typica so qU
notae: i
“ Polyparium magnum, epitheca reductissima, columella
“ reducta fere ut lamina spongiosa.
“ Altitudo exemplaris imperfecti 30 mm., axis maior calicis
“20 mm., minor 15 mm. ,.
Astiano. — Astigiano (rara).
Osserv. — Le maggiori dimensioni del polipieride non alte-
rano il rapporto fra i varì diametri. Il calice appare molto com-
presso, ma ciò in parte dipende dal grande sviluppo dei setti
che comprimono la columella. L’epiteca è ridotta a leggero
strato bianchiccio sopra alcuni punti presso la base. Alcune
coste si ramificano a diversa altezza irregolarmente.
Dendrophyllia digitalis BLarnv.
1840-47. — Michelin, Iconog. zooph., pag. 52, tav. 10, fig. 10.
D. digitalis. Var. crassa, n. (fig. 27).
Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes
notae:
“ Polyparium crassum, magnis polypieridibus in tribus or-
«“ dinibus, axis maior calicis 20 mm., minor 15 mm.
Piacenziano. — Albenga (rara).
Astiano. — Valle Andona, Pavone (Alessandria) (rara).
Ossero. — I grossi polipieridi sono disposti, come nella
Dendrophyllia digitalis, su linee spirali brevi, non continue, ma
in soli tre ordini verticali.
(1) De Aneenis, Corallari terz. Ital. sett., 1894, pag. 33, tav. 1, fig. 10.
ac cdi dele
ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 227
Dendrophyllia ramea (Linw.) (fig. 1).
1860. — Milne Edwards, Hist. nat. Corall., t. III, pag. 115.
Atlas du regne animal de Cuvier (Zoophites), pl. 83, fig. 12, 1°.
Piacenziano. — Zinola (non rara).
Osservo. — Questa specie, vivente nel Mediterraneo, non fu
ancora rinvenuta fossile. Berkeley Cotter (1), tra i fossili ter-
ziarî dell'arcipelago di Madera, nomina la Dendrophyllia ramea
BLAINv., ma riporta come tale la fig. del Michelin (2), la quale
deve riferirsi alla D. taurinensis E. H. (3).
. Trochocyathus arenulatus Ponzi (fig. 14).
1876. — Ponzi, / fossili del monte Vaticano, pag. 28,
tav. 3*, fig. 14 a, bd.
Piacenziano. — Zinola (raro).
Il De Angelis (Boll. Soc. geolog. it., 1893, tom. XII, pag. 5)
non accettò questa specie e la riunì al 7. mitratus (GoLDpr.) (4),
ma gli esemplari da me studiati non lasciano dubbio sulla bontà
della specie del Ponzi, e lo stesso De Angelis, in seguito allo
esame degli esemplari da me comunicatigli, giudicò la specie
ben caratterizzata. In vero, il mio esemplare differisce da quello
del Ponzi per avere il peduncolo più fragile, e tutte le coste
prolungate sino alla base; ma tali differenze probabilmente di-
pendono dalla difettosa esecuzione dei disegni e dal grado di
conservazione del fossile. Differisce questo polipieride dal 7. mi-
tratus (GoLDe.) per i seguenti caratteri: calice quasi circolare;
peduncolo gracile con cicatrice, piegato verso il piano del grande
asse; coste disuguali, carenate, che si elevano in punta al di-
sopra del calice; granuli più evidenti sulla teca; teca, setti e
paluli molto più sottili, questi ultimi però alquanto più larghi,
con margine superiore retto e non arcato, granuli dei setti e
dei paluli più grossi, senza regolare disposizione. Le ora indi-
cate differenze scompaiono in parte nelle forme di passaggio,
(1) Comm. da comm. dos trab. geolog. du Portug., Tom. II, fase. II,
pag. 234, 1892.
(2) MicrELIN, Iconog. zooph., pag. 52, tav. 10, fig. 8, 1840-47.
(3) Mrirne Epwarps et J. Hare, Ann. Sc. Nat., ser. 3*, tom. 10, pag. 99.
(4) GoLpruss, Petref. German., pag. 52, pl. XV, fig. 5, 1826 (Z’urbinolia
mitrata).
228 ELODIA OSASCO
e quindi, pur tenendo separate le due specie, credo poter con-
chiudere col De Angelis essere il 7. arenulatus Ponzi ùn derivato
evolutivo del 7. mitratus (GoLpr.) o del 7. crassus (Micamt.) (1).
Il 7. arenulatus Ponzi si avvicina al 7. affinis Reuss (2),
ma se ne distingue per il peduncolo curvato verso il piano del
grande asse e per la columella serialare; per questo carattere,
e per avere il quarto ciclo di setti completo si distingue pure
dal 7. Sismondae E. H. (3).
Trochocyathus arenulatus Ponzi Var. turbinata, n.
(fig. 15).
Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes
notae:
“ Polyparium turbinatum, costis maioribus minus promi-
nentibus, atque minus elatis super calicem, ad calicem fortiter
crispatis, quinto cyclo imperfecto, granulis septorum et palu-
lorum maioribus.
“ Altitudo 12 mm., axis maior calicis 17 mm., minor
15 mm. ,.
K
“
“
Piacenziano. — Zinola (rara).
Trochocyatus arenulatus Ponzi Var. laevis, n. (fig. 16).
Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes
notae:
“ Polyparium nonnullis costis dilatis usque ad basem valde
granulatam.
“ Altitudo 11 mm., axis maior calicis 12 mm., minor
S 1bammnioa:
“
Piacenziano. — Zinola (rara).
Paracyathus pedemontanus (Micam).
1840-47. — Michelin, /conog. zooph., pag. 47, t. IX, fig. 16
(Turbinolia).
(1) MicazLotTI, Specim. zonph. diluv., pag. 69, t. III, fig. 1 (Turbinolia
plicata).
(2) Reuss, Korallen Miocins (Akad. zu Wien, XXXI, 1872, tav. II,
fio. 12, 13).
(3) Mine Epwarps et J. Hare, Annales des Se. Nat., 3* ser., tom. 9°,
pag. 307, pl. 10, fig. 4.
ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 229
Par. pedemontanus (Mican.) Var. alternicostata, n.
(fig. 12).
Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes
notae:
“ Polyparium costis conspicuis alternis aequalibus.
“ Altitudo 6-16 mm. ,.
Piacenziano. — Viale (rara).
Astiano. — Astigiano (non rara).
Par. pedemontanus (Mican.) Var. Michelottii, n. (fig. 13).
1838. — Michelotti, Specim. 2ooph., t. III, fig. 3 (Turbdi-
nolia cyathus).
Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes
notae:
_ « Polyparium costis conspicuis ad marginem calicis; costae
“ad basem substituuntur a granis ,.
Astiano. — Astigiano (non rara).
Oss. — Questa varietà corrisponde alla figura del Miche-
lotti attribuita con dubbio al Paracyathus pedemontanus (Micun.)
da M. Edwards e J. Haime. i
Ceratotrochus duodecimcostatus (GoLpr.) (fig. 4).
1826. — Goldfuss, Petref. Germ., pag. 52, t. XV, fig. 6°
(Turbinolia). |
Piacenziano. — Castelnuovo d’Asti, Rocca d’Arazzo, Cor-
tanzone, Viale; T. Torsero (Ceriale), Zinola, Albenga (abbon-
dante).
Astiano. — Astigiano (non raro).
Osserv. — Molti autori diedero la figura di esemplari di questa
specie e li descrissero; ma la sola figura 6° del Goldfuss si
deve ritenere tipica, mentre la 6°, ed in generale tutti gli esem-
plari di cui i vari autori diedero la figura, formano, se non una
nuova specie, almeno una buona varietà (forma tipica fig. 4
della mia tavola; var. producta fig. 5 della stessa tavola).
Gli esemplari veramente tipici sono tutti piacenziani; tutti
astiani quelli ben caratterizzati della var. producta.
Gli esemplari astiani che ho riferiti al tipo, ed i piacen-
ziani che ho riferiti alla var. producta, sono forme di passaggio.
Tale passaggio è meravigliosamente illustrato da due esemplari
di Valenza, che dapprima si svilupparono tipicamente, e, dopo
230 ELODIA OSASCO
un arresto di sviluppo, assunsero la forma della varietà; i gio-
vani adunque, si direbbe per atavismo, riprodussero la forma
tipica dalla quale deviarono col successivo sviluppo, assumendo
i caratteri della varietà.
Questo fatto può spiegare come certi autori abbiano potuto
considerare la forma tipica come forma giovane. Che l'esemplare
di cui do la figura sia adulto, è provato dall'aver il quinto
ciclo di setti completo, con rudimenti del sesto; mentre tutti
gli esemplari della varietà hanno solo il quinto ciclo completo.
C. duodecimcostatus (GoLpr.) Var. producta n. (fig. 5).
1826. — Goldfuss, Petref. Germ., t. XV, fig. 6°.
1841. - Michelin, Iconog. zooph., t. IX, fig. 7.
Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes
notae:
“ Polyparium productum, costis non cristatis, raris et
“ laevibus asperitatibus ornatis; septis laxe sed incerte granu-
“ latis; calice compresso.
«“ Altitudo 45-60 mm., axis maior calicis 25 mm., minor
pali 6 10 110 AGO
Piacenziano. — Viale, Valenza, Rivarone (Aless.) (non rara).
Astiano. — Astigiano (abbondante), Chieri (non rara).
Osserv. — Degno di nota è l'esemplare (fig. 6) con gemma
calicinale. L'individuo gemmante è normalmente sviluppato,
mentre la gemma, che per metà oblitera il calice del primo,
presenta forma quasi cilindrica, calice circolare, sviluppo in-
completo.
I due polipieridi però non sono individualizzati che da un
lato.
C. duodecimcostatus (GoLpr.) Var. floriformis n. (fig. 7-8).
Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes
notae:
“ Polyparium parvum, floriforme, saepe rectum, peduncu-
“ latum, vulnere basilari, calice rotundo vel tenuiter compresso,
“ laevissime expanso; septis ornatis granis prominentissimis
“ sine lege dispositis, septis minoribus faciem dentatam prae-
“ bentibus.
«“ Altitudo 11-12 mm., axis maior calicis 4 mm., minor
*.12 mm. ;
ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 231
Piacenziano. — Zinola, Albenga (non rara).
Osservo. — Uno degli esemplari (fig. 8) ha sole nove coste
principali e corrispondentemente nove setti più sviluppati. Però
si possono rinvenire le tre coste ed i tre setti che si sono ar-
restati nello sviluppo; essi dividono i mezzi sistemi di setti in
due parti disuguali, l’una tipicamente sviluppata, l’altra con
solo tre setti e tre coste. Il passaggio dalla specie alla varietà
è graduale.
C. duodecimcostatus (GoLpr.) Var. expansa, n. (fig. 9).
Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes
notae:
“ Polyparium parvum, pedunculatum, vulnere basilari; co-
“ stis subaequalibus, non cristatis, valde conspicuis ad marginem
“ calicis, paullum ad basem; calice expanso.
« Altitudo 10-15 mm., axis maior calicis 14 mm., minor
"Pb amm. ;.
Piacenziano. — Viale, Rivarone (Alessandria) (non rara).
Osservo. — La piaga basilare, la grandezza e la disposizione
dei granuli sui setti avvicinano questa varietà alla varietà /lor?-
formis, ma le coste subeguali ne la distinguono. Queste coste,
che verso il calice formano un collare frastagliato, distinguono
la varietà dal C. anceps. MrceETT. (1).
Ceratotrochus multispina (MicatT.).
1838. — Michelotti, Spec. zooph. dil., pag. 71, t. II, fig. 6
(Turbinolia multispina).
C. multispina (Micamt.) Var. laevis, n. (fig. 10).
Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes
notae:
“ Polyparium costis aliquantum rugosis non spinosis.
“ Altitudo 10-11 mm., axis 7-8 mm. ,.
Piacenziano. — Zinola (non rara).
Osserv. — Questa varietà differisce dal C. typus (Sec.) (2) per
(1) Siswonpa, Mat. paleont., Mem. R. Acc. delle Sc. di Torino, 1871,
Serie II, tom. XXV, pag. 343, tav. VII, fig. 20-21.
(2) 1864. Secuenza, Disquisiz. paleont., pag. 85, t. X, fig. 1, a, db, c, d.
232 ELODIA OSASCO
aver le coste rilevate e disuguali (tra 2 maggiori alternano
3 minori), per aver sei setti maggiormente elevati sul bordo del
calice, piaga basilare minore e non concava.
Ceratotrochus multiserialis (Micam.).
1838. — Michelotti, Spec. zooph. dil., pag. 70, t. II, fig. 7
(Turbinolia).
C. multiserialis (MrcamT.) Var. miopliocenica n. (fig. 11).
Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes
notae:
“ Polyparium costis paullum undulatis, non tuberosis ,.
Piacenziano. — Bussana (rara).
Osserv. — Si distingue dal C. typus (SEc.) per avere le coste
più rilevate ed alternate una piccola con una grande.
Si distingue poi dal C. multispina (MrcntT.) Var. laevis Osc.
per avere le coste alternativamente uguali, ed i setti maggiori ‘
non elevati sul calice.
Flabellum Peolae n. sp. (fig. 23 a-b, 24).
“ Polyparium pedunculatum, compressum; lateribus com-
“ pressionis inaequalibus, altero latere instar semicycli, convexo,
altero multum minore, concavo; rugis transversis, costis nu-
“ merosis, nodosis atque elatioribus in tribus cyclis prioribus,
“ aliquantum in quarto ; exterioribus dispositis ad angulum 160°;
“ fossula valde compressa, arcuata; septis subtilibus, auctis in
“ interna parte, paullum granulatis, malthatis; sex cyclis, se-
ptimo rudimentali, septis trium cyclorum priorum aequalibus,
vigintis quatuor systematibus apparentibus; sine columella
vel columella rudimentali ,.
PS
[ai
ES
Piacenziano. — Monte Castello (Alessandria) (non raro).
Osserv. — Distinguono questo Flabellum dal F. vaticani Ponzi
(1891, De Angelis, Boll. Soc. geolog. ital., vol. XII, pag. 8) la
minor concavità della faccia minore, la convessità della grande
faccia di compressione, il numero minore delle coste principali,
la diversa direzione delle coste esterne, i setti del 4° ciclo
minori, la maggior compressione, la minor ampiezza dell’arco
formato dal margine del calice.
ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 233
Flabellum avicula (MricamT.).
1838. — Michelotti, Spec. zooph. dil., pag. 58, tav. III, fig. 2
(Turbinolia).
Fl. avicula (MicamT.) Var. ornata n. (fig. 19-20).
Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes
notae:
“ Polyparium costis planis, numerosissimis, paullum appa-
“ rentibus, nonnullis maioribus; costis exterioribus cristatis,
“ nullis ad calicem, formantibus angulum 70°-90°; epithecio
“ multum striato; calice compressiore.
“ Altitudo exemplaris imperfecti 27 mm., axis maior ca-
“ licis 34 mm., minor 14 mm. ,.
Piacenziano. — Albenga (non rara).
Astiano. — Astigiano (rara).
Osservo. — Differisce dal Fl. Hohei E. H. (1) per forma ed
ornamentazione delle coste, per l’angolo formato dalle coste
esterne. Si potrebbe forse identificare col Fl. australe Mosel. (2),
ma non potendo osservare individui di detta specie, mi trattengo
dal riferire la forma fossile alla vivente, e tendo a credere sia
forma di passaggio tra l’avicula e l’australe.
Fl. avicula (MicHmT.) Var. erecta n. (fig. 24).
Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae :
“ Polyparium elatum, costis lateralibus una crista ornatis
iuxta basem, formantibus angulum 70°; calice restricto, extre-
“ mitatibus axis maioris rotundatis.
“ Altitudo 30 mm., axis maior calicis 30 mm., minor
SNO NIN...
“K
Piacenziano. — Torrente Pogliola (Mondovì) (rara).
Osservo. — Differisce dalla var. ornata (fig. 19-20) per essere
più allungata e ristretta, per aver le coste meno numerose, più
spiccate e non pianeggianti, per aver le coste laterali ornate
da una sola cresta verso la base. La specie e le due varietà
nello stato giovanile si distinguono difficilmente.
(1) 1826. GoLpruss, Petref. Germ., t. 37, fig. 17 (Turbinolia).
(2) 1881. CnaLrenaer, Zoology, vol. II, part. VII; Coral., Moseley, pag. 173,
pl. VII, fig. 4-5.
234 ELODIA OSASCO
Flabellum avicula (Micamt.) Var. subroissyana n. (fig. 22).
Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes
notae :
“ Polyparium elatum, restrictum, paullum compressum ad
calicem, duodecim costis tuberculatis, externis tuberculatis
non alatis, extremitatibus axis maioris rotundis; fossula magna
profunda, columella rudimentali.
“ Altitudo 30-35 mm., axis maior calicis 35 mm., minor
20 IATA. ga
Piacenziano. — Monte Castello (Alessandria), Rivarone
(Alessandria) (non rara).
Osserv. — Distinguono questo Fladellum dalla var. erecta
la minore compressione del calice, le coste più spiccatamente
tubercolate, e quelle esterne tubercolate e non alate.
Lo distinguono dal Fladellum roissyanum E. H. (1) la mi-
nore compressione, gli estremi del grande asse arrotondati, la
columella rudimentale.
Malgrado questo Flabellum sia più vicino al Y. roissyanum
E.H. che all’avicula (MicatT.) e malgrado sia forse identico al-
l'esemplare dal Reuss riferito al Y. roissyanum E. H. (2), persisto
a considerarlo come varietà di Y. avicula (MrcHTT), perchè tendo a
credere che il f. roissyanum E. H. non sia esso stesso che una
varietà di F.avicula; ciò arguisco dal confronto di queste due
specie (3), dalle quali risulta non trovarsi fra esse altro carat-
tere distintivo che quello della ornamentazione delle coste, ca-
rattere che è ben lungi dall'essere in esse costante. Però la
pessima conservazione degli esemplari di /. roîssyanum E. H.
che m'è dato osservare, non mi permettono di definire la que-
stione.
Flabellum trapezoidale n. sp. (fig. 25 a-d).
“ Polyparium pedunculatum, specie trapetii, paullum com-
“ pressum, epithecio laxe plicato, nonnullis rugis elatioribus;
(1) Mrcne Epwarps et J. Hare, An. S. Nat., 3* ser., tom. 9, pag. 268.
(2) Reuss, Koral. Miocdns, tav. IV, fig. 11 (Akad. zu Wien, XXXI, 1872).
(8) Micne Epwarps et J. Hare, Ann. S. Nat., 1848-49, 3° serie, t. 9,
pag. 263 e 268.
| ALCUNI CORALLARI PI.IOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 235
“ costis numerosis, teriuibus, planis, exornatis; exterioribus ad
“ basem cristatis; calice elissoidali, axe maiore paullum subter
“ minorem, extremis rotundis; fossula magna, profunda; septis
“in quinque cyclis perfectis et rudimentis sexti, tenuibus, ela-
“ tioribus et spinosis in media parte, exornatis seriebus gra-
“ nulorum parallelis lateri libero; viginti quatuor systematibus
“ apparentibus; columella exigua.
“ Altitudo 36 mm., axis maior calicis 50 mm., minor
ESS Nin, ,.
Piacenziano. — Monte Capriolo (raro).
Osservo. — Gl’individui giovani, come si può argomentare
dalla base del polipaio, devono aver forma d’un ventaglio con
l'apertura eguale a mezza circonferenza, mentre l’arco formato
dal margine libero del calice, non misura che un terzo di cir-
conferenza.
Fl. trapezoidale Osc. Var. semiovoidalis n. (fig. 26).
Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes
notae:
“ Polyparium semi-ovoidale, costis lateralibus tuberculatis,
“ fossula magna, expansa, paullum profunda; septis validis,
elatis in media parte supra calicem, seriebus granulorum con-
“ fusis, quinto cyclo imperfecto.
“ Altitudo 36 mm., axis maior calicis 45 mm., minor
Ji nm.,.
Piacenziano. — Monte Capriolo (rara).
236
DD TWD
. Dendrophyllia ramea (Linn)
] Cladocora Michelottii E. H.
. Ulangia foecunda Michtt. . .
. Astrocoenia ornata (Michtt.) (2)
. Caryophyllia clavus Scacch.
. Coenocyathus affinis De Ang. (3).
. Trochocyathus crassus (Michtt.) to”
. T. arenulatus Ponzi,
Rel 7, nucopia (Michtt.)
. T. obesus (Michtt.).
. Stephanocyathus elegans Segu.?
. Paracyathus pedemontanus (Michn.)
. P. pedemontanus ( Michn.),
. Ceratotrochus
ELODIA OSASCO
ELENCO
DEI
CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE
E DELLA LIGURIA
. Corallium rubrum Costa
. Eupsammia contorta De Ang. .
porosissima Osc.
: Balanophyllia italica (Michn.).
E » Var. gigantea Osc.
. Stephanophyllia imperialis Michn.
5 elegans Michn (1)
. Dendrophyllia cent Blainv. var.
crassa Osc.
È Michelini Michtt. .
3 cornigera (Esper.)
amica (Michtt.).
5 granulosa (Goldf.)
È prevostana E. H.
, calix Michtt. .
a cilindricus E. H.
bi arenulatus Ponzi .
» n
var. turbinata Osc. ea,
var. laevis
Ose.
var. al-
ter sicostatia Osc. 0) ter
var.
Michelottii Osc. . h 3]
INTE
(Goldf.)..cartk
(Re: duodecimeostatus (Goldf. ), var:
producta Osc.
?
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ii
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Tortoniano
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+
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. C. duodecimcostatus (Goldf. ) var.
floriformis Osc.. i,
PIACENZIANO
Viale, Zinola
Zinola
Viale, T. Tor-
sero, Zinola
\ Castelnuovo,
;Zinola, Savona,
Albenga
Albenga,
Zinola,
Valle Andona
Zinola
Zinola, Savona
Zinola
Zinola
Zinola, Savona
Zinola ?
Zinola?
Zinola
\ Zinola, Alben-
! ga, R. Torsero
( Chieri, Zinola,
. R. Torsero,
Albenga
Zinola
Zinola
Viale, Bussana
Zinola
Zinola
Zinola
Bussana
Bussana
Montecastello,
Zinola.
Zinola
}
Viale
+ ‘abbondante
ovunque
{ Viale, Valenza,
it Rivarone
Zinola, Albenga
ASTIANO
Astigiana
n
»
n
»
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Pavone (Aless.)
Astigiana
n
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Astig., Chieri
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FE
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ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 237
Ù (©)
ELENCO a El
DEI da a
CORALLARI PLIOCENICI DEL PIEMONTE 8 PrAcENZIANO AstIANO 53,
È »
E DELLA LIGURIA i E
35. C. duodecimcostatus (Goldf.), var.
expansa Ose. . . . + | |Viale, Rivarone |
Rocca d’Arazzo,
36. Ceratotrochus anceps Michtt. . i giince Cornaré (Astig.)
. Torsero
37. È multispina (Michtt.)+-| Zinola, Savona
38. L s var.laevis Osc.| + Zinola
39. Ceratotrochus multiserialis(Micht.)|4 Bussana
40. = ; var. mioplio-
Lonica O86, EST TT, .|+ Bussana
41. Ceratotrochus typus (Seg.) . .I+ Zinola
42. Desmophyllum elatum De Ang. . Zinola |
43. Flabellum pavonium Lesson.?. . Montecastello
44, > vaticani Ponzi? e Montecastello
45. di Peolae Osc. PES. Montecastello
46. 3 extensum Michn. var.
distincta B.H. . . . . ; R.Arazzo, Zinola Astigiana
47. ‘ intermedium E. H. .-+| Viale, Zinola +
O,
48. È avicula (Micht.) .|-+|/Viale, Albenga, n
Bussana
49. n s var ornata Osc.| + Albenga n
50. bi È , erecta Osc. .| |Torr.t® Pogliola
51. » È » Subroissyana a
n A, ivarone
52. Flabellum Hohei E. H. . .|+| Viale, Albenga
Rivarone,
58. È roissyanum E. H. .|t gna
ontecastello
Zinola, Pigna
li ; majus E. H. d’Andora,
| Albenga
55. £ trapezoidale Osc. Monte Capriolo
56. È È var. |
semiovoidalis Osc. . Monte Capriolo
Castelnuovo
57. Flabellum Woodii E. E. deg ViliAmiio; Vial,
| Zinola
58. 3 siciliense E. H. ; Rivarone Aa [cachi
i A acutum E. H. . .+| Mov
60. È. Michelini E. H. . Viale, Zinola
(1) Alcuni esemplari raggiungono un diametro di 20 mm., la teca si
presenta talora piatta od anche concava, e piccole costicine appaiono tal-
volta sui setti. Onde la S. elegans Michn. qualche volta difficilmente si
distingue dalla S. imperialis Michn.
(2) Gli esemplari che ho esaminati hanno i setti maggiori in numero
di 10. Il M. Edwards e J. Haime ed il De Angelis notano nell’A. ornata
Atti dela R. Accademia — Vol. XXXI. 18
238
ELODIA OSASCO — ALCUNI CORALLARI PLIOCENICI, ECC.
(Micht.) soli 8 setti principali, ma essi riportano nella specie la fig. del
Michn. ed in questa, come in quelle del Sismonda e del Reuss i setti
principali appaiono in numero di 10.
(3) In generale gli esemplari da me esaminati hanno le coste meno
evidenti e le pieghe dell’epiteca più pronunciate che non quelli dei quali
il De Angelis dà la figura.
Do new
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
IN.
18.
19.
20.
21.
22.
23 a.
23 d.
24.
DIE)
25 db.
26.
27.
4 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
. Dendrophyllia ramea (L.).
. Balanophyllia italica (Michn.) var. gigantea Osc.
Eupsammia porosissima Osc.
. Ceratotrochus duodecimcostatus (Goldf.).
* i I ù var. producta Osc.
”» ” ” ”» ” ” n (esemplare
con gemmazione calicinale).
. Ceratotrochus duodecimcostatus (Goldf.), var. floriformis Osc. XK 2.
A n 4 = » (calice) X2.
d 3 Brranais Ose. X 2.
RATA (Micht. là var. laevis Osc. X 2.
4 multiserialis (Micht.), var. miopliocenica Osc. XK 2.
Paracyathus pedemontanus (Michn.), var. alterni-costata Osc. XK 2.
x var. Michelottii Osc. (esemplare con
n
gemma calicinale) X 2.
Trococyathus arenulatus Ponzi (calice) X 2.
È n var. turbinata Osc. X 2.
s var. laevis Osc. XK 2.
Cargophillia sia Scacchi (esemplare con gemmazione calicinale) X 2.
Desmophyllum elatum De Ang. (esemplare con scissione) X 2.
Flabellum avicula (Micht.), var. ornata Osc.
n
È A ; a z » (esemplare giovane).
A } 4 » erecta (Osc.).
Ò x » subroissyana Osc.
Pelo Osc. (lato maggiore convesso).
”»
A A s (interno).
2 è »s (giovane mostrante il lato minore concavo).
= trapezoidale Osc.
Ù A s (calice).
S n var. semiovoidale Osc.
Dendrophyllia digitalis Blainv., var. crassa Osc.
L’ Accademico Segretario
ANDREA NACCARI.
MI
OSASCO ELODIA z LZ 44 , o, 7 i Qui della R. Ace: delle Scienze, di Gorino. Vol XXXI.
E.FORMA- FOT. CHA aotaiAsarizAiano
239
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 22 Dicembre 1895.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Socii: CLarETTA, Direttore della Classe,
Preyron, Rossi, BoLLati pi Sarnt-PIERRE, Prezzi, NANI, GRAF,
CrpoLLa, Brusa, PeRRERO, ALLIEvo e FerRERO Segretario.
Il Socio Segretario presenta, da parte degli autori, i se-
guenti opuscoli: “ Malais et Siamois: De l’esclavage dans la
presqu'île malaise au XIX° siècle , (Paris, 1874); “ Madjapaht
et Tchampa , (Paris, 1895) del Socio Corrispondente Prof. Ari-
stide MarRE; “ Vittoria Colonna in Orvieto durante la guerra
del Sale ,, del sig. Domenico ToRpi.
Il Socio CreoLra legge un suo lavoro intitolato: “ Brevi
appunti di storia movaliciense ,, di cui la Classe approva la
stampa nelle Memorie accademiche.
240
LETTURE
._—_——
Sunto della Memoria:
Brevi appunti di storia novaliciense;
del Socio CARLO CIPOLLA.
Sotto questo titolo raccolgonsi dieci paragrafi, di piccola
estensione, destinati a completare in qualche modo le quattro
Memorie pubblicate dall’autore nel vol. XLIV delle Memorie sul-
l’antica storia letteraria dell'abbazia della Novalesa. Nel primo
paragrafo, mentre si appongono le regioni per le quali i Franchi
cooperarono ad accrescere la potenza dell'abbazia, si parla pure
degli ultimi giorni di, essa. Della visita fatta alla medesima dal
Mabillon è parola nel $ II. Nel III, che è il più lungo, si discorre
del frammento Novaliciense di un diffuso Commento alla Regula
monachorum di S. Benedetto, e lo si pone in correlazione con
quello compilato nel sec. VIII da Paolo Diacono, e con quello
di Ildemaro, monaco del IX secolo. Di quest’ultimo Commento
esiste una edizione preparata dal P. Ruperto Mittelmiiller nel
1880 sopra vari codici tedeschi. Qui si prende in esame parti-
colarmente il codice Parigino, già usufruito in parte dal Mabillon
e dal Martène. L'Autore giunge alla conclusione che il frammento
Novaliciense non si può identificare nè col Commento Paolino,
nè coll’Ildemariano, ma appartiene ad un Commento, che non
è rappresentato da nessun codice finora conosciuto.
Nel $ IV si ricorda che parecchie istituzioni ecclesiastiche
ebbero in uso di tenere un libro de computo, quale ebbe anche la
Novalesa. Si discorre nel $ V di un inventario di documenti Nova-
liciensi, compilato sul cadere del secolo scorso dall’abate Sineo.
Nel $ VI si fa cenno di due nuovi inventari di reliquie. Fassi pa-
rola nel VII di due iscrizioni dipinte nella cappella di S. Eldrado
alla Novalesa. Sotto il $ VIII si raccolgono varie notizie di
241
storia Novaliciense, e particolarmente si espongono le varie
opinioni emesse sulla patria di S. Eldrado. Degli studi fatti
sull’abazia dall'abate Fabrizio Malaspina, al principio del secolo
attuale, vien fatto breve ricordo nel $ IX. Nel $ X vengono raccolti
i regesti di parecchi documenti, appartenenti all'antico archivio
dei Provana di Leynì, in servizio degli studi per determinare
la cronologia degli abati della Novalesa. Detto archivio trovasi
attualmente in Pianezza, ed è proprietà dei signori Fontana, i
quali, con squisita gentilezza, permisero che le carte di quel-
l'archivio venissero compulsate in vantaggio degli studi.
L’ Accademico Segretario
Ermanno FERRERO.
—__ ——————>»—>——_>Nnh\
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA
Dal 1° al 15 Dicembre 1895.
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali
NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio;
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono.
* Abhandlungen der mathem.-physischen Classe der k. S&chsischen Gesell-
schaft der Wissenschaften. Bd. XXII, n.° 2, 3. Leipzig, 1895; 8°.
* Annales des Mines. 9° série, t. VIII, livr. 8-9. Paris, 1895.
* Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. T. LIII, disp. 108.
Venezia, 1894-95; 8°.
Bollettino della Società generale dei Viticoltori italiani. Anno X, n. 22, 23.
Roma, 1895; 8°.
* Comptes-Rendus sommaires des séances de la Société philomatique de
Paris, 23 novembre 1893, n. 3. Paris; 8°.
** Erlinterungen zur geologischen Specialkarte von Preussen und den
Thiiringischen Staaten. 59, 65 Liefer. Gradabth. 31, 33; n. 1-3, 7-9,
13-15; 11, 12, 17, 18. Berlin, 1895; 8° e fo.
* Johns Hopkins University Circulars. Vol. XV, n. 122. Baltimore, 1895; 4°.
* Memorie del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Vol. XXV, n. 4.
Venezia, 1894; 4°.
* Observations faites à l’observatoire météorologique de l’Université Impé-
riale de Moscou; janvier 1894-mars 1895; 8°.
* Proceedings of the Asiatic Society of Bengal. N. VII, VIII, July, August
1895. Calcutta, 1895; 8°.
* Proceedings of the Royal Society. Vol. LVIII, n. 352. London, 1895; 8°.
* Rendiconti del Circolo matematico di Palermo. Tom. IX, fasc. VI. Pa-
lermo, 1895; 8°.
* Rivista mensile del Club alpino italiano. Vol. XIV, n. 11. Torino, 1895; 8°.
* Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXVIII, fasc. 11. Modena,
1895; 8°.
* Verhandlungen Physikalisch-Medicinischen Gesellschaft zu Wiirzburg, 1895,
N. F., XXIX Bd., n. 2-5.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 243
* Dall’ Università di California in Berkeley:
Fairbanks (H. W.). On Analcite Diabase from San Louis Obispo Co., Ca-
lifornia. Berkeley, 1895; 8°.
Hesse (F. G.). Hydraulic Step. Berkeley, 1887; 8°.
— An address on industrial mechanics. Berkeley, 1875; 8°.
— Results of Tests for tensile strength, etc., of crucible basic, and gal-
vanized basic Steel Wire Ropes, ecc.; 8°.
Hilgard (E. W.). Lecture of the phylloxera or grape vine louse. S. Fran-
cisco, 1875; 8°.
— Alkali Lands, irrigation and drainage in their mutual relations. Sacra-
mento, 1892; 8°.
Holden (E.). A brief account of the Lick Observatory of the University
of California (2 edit.). Sacramento, 1895; 8°.
Jackson (A. W.). On the building Stones of California. Berkeley, 1888; 8°.
Lawson (A. C.). The Geomorphogeny of the Coast of Northern California.
Berkeley, 1894; 8°.
Report of the Viticultural Work during the seasons 1887-89, with data
regarding the vintage of 1890. Part I. Red-Wine Grapes. Sacramento,
1892; 8°.
Report of Work of the agricultural experiment Stations of the University
of California, for the year 1892-93 and part of 1894. Sacramento,
1894; 8°.
Shinn (M. W.). Notes on the Development of a Child. Part II. Berkeley,
1894; 8°.
Stringham (J.). Class-Room notes on uniplanar kinematics; 8°,
Galilei (Galileo). Le opere. Ediz. naz.!*, vol. V. Firenze, 1895 (Dono del
Ministero dell’Istr. Pubb.).
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche.
Dall’8 al 22 Dicembre 1895.
_ * Bulletin de la Société de Géographie Commerciale de Bordeaux, 1895,
n. 23; 8°.
* Boletin de la Real Academia de la historia; t. XXVII, cuad. VI. Madrid,
1895; 8°.
* Bollettino delle Pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa
(Bibl. Naz. Centr. di Firenze); 1895, n. 239; 8°.
* Calendar (The) 2554-5 (1894-95). Tokyo, 2555 (1895); 8° (dall’Imperiale
Università di Tokio).
244 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
* Journal of the Asiatic Society of Bengal. Vol. LXIII. Part I, History
Literature, n. 2. Calcutta, 1895; 8°.
* Nachrichten von der K. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòottingen.
Philologisch-historische Klasse, 1895, Heft 4; Geschiftliche Mitthei-
lungen, 1895, Heft 2; 8°.
* Notulen van de Algemeene en Bestuurs-Vergaderingen van het Bataviaasch
Genootschap van Kunsten en Wetenschappen. Deel XXXIII, Afelv. 2,
1895. Batavia; 8°.
* Rendiconto delle Tornate e dei Lavori dell’Accademia di Archeologia,
Lettere e Belle Arti della Società Reale di Napoli. N. S., Anno IX,
Aprile a Giugno 1895. Napoli, 1895; 8°.
* Tijdschrift voor Indische Taal-, Land- en Volkenkunde, uitgegeven door
het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen, etc.;
Deel XXXVIII, Afelv. 6. Batavia, 1895; 8°.
* Verhandelingen van het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Weten-
schappen. Deel L, 1 Stuck. Batavia, 1895; 8°.
* Dall’ Università di California in Berkeley:
Academic Senate of the University of California — Memorial of professor
J. Le Conte. Berkeley, 1892; 4°.
Addresses Commencement Day. May 17, 1893. Berkeley; 8°.
Blue (The) and Gold hand book of the University of California. San Fran-
cisco, 1886; 8°.
Bulletin (Library) N° 9, 12. Berkeley, 1887, 1394; 8°.
Library of the University of California. Contents-Index. Vol. I. Berkeley,
1889-90; 8°.
Register of the University of California. Berkeley, 1893-94; 8°.
Report (Annual) of the Secretary to the Board of Regents of the Univer-
sity of California, for the year ending june 30, 1894. Sacramento,
1894; 8°.
Report (Biennal) of the President of the University on behalf of the board
of Regents, to his Excelleney the Governor of the State, 1893. Sacra-
mento, 1894; 8°.
Allievo (G.). Lo Stato educatore ed il Ministro Boselli. Torino, 1889; 8°
(dall’A.).
— Un educato anonimo. Torino, 1890; 8° (Id.).
— Il Ministro Boselli e la legge. Torino, 1890; 8° (Zd.).
Barnabei (F.). Delle scoperte di antichità nel lago di Nemi; Relazione.
Roma, 1895; 4° (Id.).
Meerens (Ch.). A propos de la Mélopée antique dans le chant de l’Église
latine par F. A. Gevaert; Commentaires. Bruxelles, 1896; 8° (Id).
Wallon (H.). Notice sur la vie et les travaux du commandeur Jean Bap-
tiste De Rossi. Paris, 1895; 4° (Id.).
Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi.
Rec°d.28 Ju:y--12 Sapt. 1896
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 29 Dicembre 1895.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA
VICE-PRESIDENTE DELL ACCADEMIA
Sono presenti i Soci: D’Ovipio, Direttore della Classe,
Bizzozero, FERRARIS, Mosso, GIBELLI, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE,
VoLteRRA, JADANZA, Foà e Naccari Segretario.
Viene letto ed approvato l'Atto Verbale dell’Adunanza
precedente.
Il Socio Mosso, anche a nome del Socio Bizzozero, legge
la Relazione sulla Memoria del Dott. Alberico BENEDICENTI
“ Sulla tonicità dei muscoli studiata nell’uomo ,. Approvata
questa Relazione, che è favorevole, si ammette alla lettura e
si accoglie nei volumi delle Memorie lo scritto anzidetto.
Parimenti viene accolto nei volumi delle Memorie in seguito
a Relazione favorevole letta dal Socio GrBELLI, anche a nome
del Socio CamerANO, la Memoria del Conte Ugolino MARTELLI:
«“ Flora della Sardegna in continuazione di quella del Moris
(Orchidee) ,.
Le note seguenti vengono poi accolte per l'inserzione negli
Atti :
1° “ La pressione nell'azione dell’acqua sul quarzo ,; nota
del Socio SPezIA, presentata dal Socio CAMERANO;
2° “« Sull’origine dei corpi grassi negli Anfibi ,; nota del
Dott. E. GiaLio-Tos, presentata dal Socio CAMERANO.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 19
246 GIORGIO SPEZIA
LETTURE
La pressione nell’azione dell’acqua sul quarzo;
Nota del Socio GIORGIO SPEZIA.
L’osservazione se la solubilità del quarzo nell’acqua sia
dipendente più dalla temperatura o più dalla pressione non può
a meno d’interessare la geologia per la grande diffusione in
natura e per l’importanza litologica del detto minerale. Perciò
ho intrapreso alcune esperienze in proposito; ma essendo ne-
cessario parecchio tempo per ultimarle, credo utile di porgere
con questa prima nota i risultati di quelle esperienze, le quali
‘ si riferiscono all’influenza della pressione nella soluzione del
quarzo a temperatura ordinaria.
Da quanto mi consta, per ricerche bibliografiche, l’unica
esperienza eseguita, sull’influenza della pressione nella solubilità
del quarzo a temperatura ordinaria, fu quella di Pfaff (1), il
quale avrebbe trovato che, alla temperatura di 18°, colla pres-
sione di 290 atm. e col tempo di 4 giorni, 1 parte di quarzo
si scioglierebbe in 4700 parti d’acqua.
Ora detta solubilità alla sola temperatura di 18° è troppo
grande in confronto della silice disciolta in molte acque mine-
rali. Infatti per detta solubilità un’acqua dovrebbe contenere
su 1000 parti 0,213 di Si O?, la quale quantità sarebbe di molto
maggiore ‘a quella che le analisi assegnano alle acque minerali,
anche termali assolute, sia solforose, sia ricche di carbonati
alcalini o ricche di acido solforico e cloridrico liberi. Soltanto
le acque prettamente geiseriane, che sono anche le più calde,
conterrebbero maggior quantità di silice di quella fornita dal-
l’esperienza di Pfaff.
Per tale considerazione bisognerebbe conchiudere che le
acque minerali, con minore quantità di silice di quella indicata
(1) Allgemeine Geologie als eracte Wissenschaft, 1873, pag. 311.
e e
LA PRESSIONE NELL'AZIONE DELL'ACQUA SUL QUARZO 247
dall'esperienza di Pfaff, l'avessero perduta prima di giungere
alla scaturigine per la diminuzione e scomparsa della forte
pressione la quale, secondo l’esperienza, era causa della solu-
bilità della silice.
Ma tale conclusione renderebbe difficile lo spiegare come
le acque geiseriane contengano maggiore quantità di silice di
quella trovata nell’esperienza, sebbene anch’esse abbiano perduto
alla loro scaturigine la pressione che dovrebbe essere necessaria
per la solubilità della silice.
D'altronde per altre mie esperienze, p. es. quelle pubblicate
a riguardo dell’Apofillite, dalle quali risultava che la solubilità
dipendeva essenzialmente dalla temperatura e non dalla pres-
sione, io era indotto a credere che anche per la solubilità del
quarzo dovesse accadere lo stesso, considerando che in natura
le acque minerali più ricche di silice sono quelle che hanno
maggior temperatura.
Per le anzidette ragioni mi venne un dubbio sul valore
dell'esperienza di Pfaff, e la descrizione del modo con cui fu
eseguita l’esperienza mi persuase, che il risultato di essa po-
tesse essere erroneo per cause dipendenti dal processo speri-
mentale.
Pfaff per la sua esperienza ridusse in polvere grossolana
il quarzo, quindi pose 140 milligrammi di essa in un piccolis-
simo imbuto di carta da filtro il quale fu legato e mantenuto
chiuso con filo di rame inargentato. Detto imbuto fu messo
nella cavità di un cilindro di ferro, contenente 20 grammi
d’acqua, sospendendolo con un sottile filo appena sotto alla
superficie dell’acqua. La cavità del cilindro, contenente l’acqua
e l’imbuto colla polvere, fu chiusa con una lastra di ferro so-
praccaricata di un peso corrispondente alla pressione di 290
atmosfere; poi l'apparecchio così combinato fu riscaldato in
modo che la temperatura sua salisse da 8° che aveva, a 18°.
Quindi Pfaff calcolò la pressione dovuta all'aumento di volume
dell’acqua per i 10° di maggior temperatura, tenendo conto
anche dell'aumento di volume del ferro; la quale pressione aveva
naturalmente per limite il peso che serviva alla chiusura del
cilindro.
L’autore nel descrivere il modo di esperienza non indica i
dettagli relativi alla pesatura dell’imbuto di carta. Ad ogni modo
248 GIORGIO SPEZIA
mi parve che il procedimento dell'esperienza non fosse scevro
di cause di errore, massime perchè si trattava di sostanza ri-
dotta in polvere e di carta da filtro la quale rimanendo per
4 giorni, che tale fu la durata dell’esperienza, sotto forte pres-
sione poteva per sola azione fisica spappolarsi leggermente ed
anche diventare porosa in modo da perdere qualche grano di
| polvere. i
Perciò io credetti opportuno di ripetere l’esperienza, sulla
solubilità del quarzo nell'acqua con grande pressione e con
temperatura ordinaria, adottando un altro procedimento che
escludesse le supposte cause di errore.
Invece di adoperare il quarzo ridotto in polvere ho fatto
uso di una lamina di quarzo; perchè se un corpo è insolubile,
, la riduzione in polvere non può renderlo solubile; se per contro
è solubile, la polverizzazione serve soltanto per aumentare la
velocità di soluzione; ossia, aumentando la superficie di contatto
del corpo col liquido solvente, la soluzione si farà in minor
tempo, sempre inteso che il liquido sia in quantità tale che
non venga, per saturazione, impedita la continua azione solvente.
Perciò gli effetti finali di soluzione che si ottengono col trattare
il corpo ridotto in polvere, si debbono anche ottenere con una
lamina a larga superficie ed impiegando maggior tempo.
Con tale criterio feci due esperienze, impiegando materiale
tolto da un cristallo di quarzo, del Delfinato, perfettamente
limpido.
Nella prima esperienza la lastra di forma rettangolare fu
lavorata in modo, che le superfici non fossero levigate ma ru-
gose mediante una fina smerigliatura; ciò feci per rendere più
facile il contatto dell’acqua col quarzo.
La lastra così preparata aveva il peso di grammi 11,6641
e la superficie complessiva di 2206 millimetri quadrati; essa
fu posta in un tubo d’argento contenente l’acqua distillata e
con lo stesso modo di sospensione e cogli stessi apparecchi di
pressione già descritti nell'esperienza sulla solubilità dell’Apo-
fillite (1).
La lastra fu mantenuta alla pressione di 1750 atmosfere
dall’11 luglio al 14 dicembre 1894, ossia per 5 mesi e 3 giorni
(1) Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXX, pag. 455.
LA PRESSIONE NELL’AZIONE DELL'ACQUA SUL QUARZO 249
e la temperatura massima, che era quella dell'ambiente, fu
di 25°.
Terminata l’esperienza e pesata nuovamente la lastra di
«quarzo, non trovai assolutamente alcuna differenza di peso,
questo fu ancora di gr. 11,6641. Oltre a ciò, per questa prima
esperienza versai l’acqua, contenuta nel tubo d’argento e la
cui quantità era di 45 grammi, in una capsula di platino pre-
_viamente pesata; feci evaporare l’acqua e non ebbi residuo
alcuno.
Perciò da questa prima esperienza mi risultò che alla tem-
peratura di 25°, alla pressione di 1750 atmosfere ed in 5 mesi
e 3 giorni di tempo il quarzo rimase perfettamente insolubile
nell’acqua.
Una seconda analoga esperienza fu da me eseguita non più
con una lastra a superfici rugose, ma perfettamente levigate;
onde approfittare della proprietà che hanno i corpi, sotto l’a-
zione di solventi, di presentare figure di corrosione, le quali
anche minime dovevano, osservate al microscopio, palesarmi
qualunque piccolissima traccia di soluzione. A ciò fui indotto
dal fatto di avere osservato, facendo alcune esperienze prelimi-
nari sulla solubilità del quarzo con alta temperatura, che le
lastre, oltre alla perdita in peso presentavano distinte figure di
corrosione. La figura annessa allo scritto rappresenta appunto,
ingrandita, l'apparenza di una lastra di quarzo, la quale, previa-
mente levigata, fu tenuta nell’acqua per 15 giorni alla tempe-
ratura da 230° a 240° e soltanto colla pressione corrispondente
alla tensione del vapore acqueo per detta temperatura. La su-
perficie della lastra rappresentata è parallela all’asse principale
e la maggior lunghezza delle singole figure di corrosione è
normale ad esso.
La lastra della seconda esperienza era parimenti tagliata
parallelamente all'asse principale ed a superfici, come ho detto,
levigate; essa aveva il peso di grammi 1,5545 con una super-
ficie totale di 994 mill. q. La lastra fu mantenuta nell’acqua
sotto la pressione di 1850 atmosfere dal 10 luglio al 14 di-
cembre 1895, ossia per 5 mesi e 4 giorni e la temperatura
dell'ambiente non superò i 27°.
Noto poi che ebbi l'avvertenza di rendere le superfici della
lastra tali, che l’acqua vi aderisse perfettamente. Perchè si sa
f
250 GIORGIO SPEZIA — LA PRESSIONE NELL’AZIONE, ECC.
che sovente sopra le superfici levigate l’acqua si comporta come
se la superficie fosse ‘unta, ossia si contrae e non aderisce.
Anche in questa seconda esperienza trovai che la lastra
nè aveva perduto di peso, nè l'osservazione microscopica accen-
nava menomamente a traccie di figure di corrosione. La man-
canza di queste costituendo già un controllo della pesatura mi
indusse a tralasciare in questa esperienza di fare evaporare
l’acqua per vedere se essa lasciasse residui.
Nelle mie esperienze, in paragone di quella di Pfaff, io
aumentai d’intensità la causa, supponendo che la pressione fosse
la causa della solubilità del quarzo nell'acqua, e procurai di
raccogliere un effetto più grande colla più lunga durata del-
l’esperienza, per la funzione che ha il tempo di accumulare
maggiore quantità di effetto in modo, che un effetto stabile, se
realmente è prodotto da una causa continua, diventa, per mi-
nimo che esso sia, visibile e ponderabile per la sua quantità
accumulata. Non pertanto le mie esperienze diedero un risultato
contrario a quella di Pfaff; ma ritengo che il diverso risultato
ottenuto da Pfaff debba attribuirsi al modo tenuto nell’espe-
rienza, il quale, massime per l’impiego della carta, poteva dare
luogo ad errori, che furono invece evitati col procedimento da
me usato.
Nè credo si possa addurre come causa di differenza di ri-
sultato, fra l’esperienza di Pfaff e le mie due, il fatto d’avere
io sperimentato sul quarzo in lastra invece di ridurlo in polvere.
È vero che i granuli, costituenti la polvere di quarzo del peso
di 140 milligrammi impiegata da Pfaff, potevano, supponendoli
del volume di un cubo di 0,1 di millimetro di lato, rappresen- |
tare la superficie di 3170 millimetri quadrati e perciò maggiore
di quella delle lastre per le quali le superfici totali erano nelle
due esperienze rispettivamente di 2206 e 994 mm.g. Ma è pure
evidente, che detta minore superficie di contatto del quarzo
coll’acqua fu largamente compensata col maggior tempo e colla
maggior pressione, che io usai nelle mie esperienze.
Del resto sono convinto, che colle altre esperienze in corso
potrò confermare il risultato di quelle ora descritte, che cioè:
anche per la solubilità del quarzo nell'acqua, la causa essenziale
non deve essere la pressione, ma la temperatura.
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ERMANNO GIGLIO-TOS — SULL'ORIGINE DEI CORPI, ECC. 25]
Sull’origine dei corpi grassi negli Anfibi;
Nota del Dott. ERMANNO GIGLIO-TOS.
In un precedente lavoro sui corpi grassi degli Anfibi — ,
che ebbe l’onore di essere stampato negli Atti di questa Acca-
demia (1) — io trattai puramente della struttura istologica di
essi e della loro probabile funzione fisiologica, riservandomi di
esporre in seguito le mie ricerche sulla loro origine. I risultamenti
di queste mi propongo ora di render qui noti.
Sebbene sieno solamente quattro gli anatomi che si occupa-
rono di questo argomento; cioè von Wirrica, GrLes, BLES e
MaRsHALL, a cui è forse da aggiungere RATHKE, che, assai prima
di questi, ma affatto incidentalmente, toccò la presente que-
stione, tuttavia le loro opinioni in proposito sono due e ambedue
ben disparate.
La prima fu emessa da WirTIcH e sostenuta più recente-
mente da BLes e MARSHALL. Secondo questa i corpi grassi de-
rivano dallo estremo anteriore delle creste genitali per degene-
razione grassa di un certo numero di cellule germinative.
La seconda invece, emessa e sostenuta dal solo GrLEs,
ammette che i corpi grassi non sieno altro che derivati da tra-
sformazione del pronefros o rene cefalico per degenerazione
grassa delle sue cellule.
Il primo che trattò questo argomento in modo speciale fu
dunque il von Wrrtica. Questi, in un suo lavoro sullo sviluppo
degli organi urogenitali degli Anfibi (2), dedica a questo soggetto
una parte di un capitolo. Egli dice dunque chiaramente che,
assai precocemente, quando le creste genitali appena si sono
(1) Vol. XXX, 1895.
(2) von Wirrica, Beitràge zur morpholog. und histolog. Entwickelung der
Harn- und Geschlechtswerkzeuge der nakten Amphibien, in: Zeitschr. fur wis-
sensch. Zool., IV Bd., 1853, p. 148.
252 ERMANNO GIGLIO-TOS
formate, la parte anteriore di queste dà origine ai corpi grassi,
mentre la parte posteriore si sviluppa nei veri organi genitali.
Nota intanto, — cosa che anch'io ho potuto quasi in ogni caso
confermare, — che lo sviluppo del corpo grasso sinistro si fa più
presto del destro, così che quello presenta già le sue appendici
digitiformi, quando questo appare appena. Descrive quindi il
modo con cui avviene la deposizione del grasso nelle singole
cellule, che presentasi d’altronde affatto identica a quella che
sì osserva in qualsiasi cellula grassa.
Più tardi assai, Gres (1) ritornò su questo argomento, so--
stenendo che si può seguire nei girini di rana la graduale
trasformazione delle cellule che formano i glomeruli ed i tu-
betti del rene cefalico e la loro degenerazione grassa. I margini
di esse, dapprima ben definiti si fanno confusi, i nuclei diven-
tano meno distinti, ed i granuli di grasso incominciano ad ap-
parire nelle cellule, finchè queste vengono quasi totalmente
occupate dal grasso.
La degenerazione grassa è già quasi totalmente avvenuta,
quando ancora i due pronefros, così modificati, rimangono ade-
renti al rene definitivo o mesonefros nella sua parte anteriore.
A poco a poco poi si stabilisce una relazione tra i corpi grassi
già formati e l'estremità anteriore degli organi genitali. Così
che vi sarebbe un breve periodo nella metamorfosi di questi
girini, in cui il corpo grasso è aderente ai reni ed agli organi
genitali. Più tardi poi, il corpo grasso si distacca dai reni per
rimanere aderente solo agli organi genitali, secondo la disposi-
zione che si osserva nelle rane adulte.
L’anno successivo ripresero la questione MarsHALL e BLES(2),
i quali ritennero giusta ed anzi confermarono l’opinione espressa
già prima dal von WITTICH.
Io non mi fermerò a discutere qui il parere del GrLes. Dal
(1) Grces A. E., Development of the Fat-bodies in “ Rana temporaria ,.
Contribution to the History of the Pronephros, in: Quarterly Journ. of Microse.
Sc., vol. XXIX, new series. London, 1889, p. 133.
(2) Marsmarr A. e BLes E., The development of the Kidneys and Fat-
bodies in the Frog, in: Studies from the Biolog. Laboratories of the Owens
College, vol. II. Manchester, 1890.
4
b
|
;
Ki A TITO
SULL'ORIGINE DEI CORPI GRASSI NEGLI ANFIBI 253
suo lavoro sopra citato appare troppo evidente che egli cadde
in errore sulla posizione che egli attribuisce al rene cefalico.
Come gli stessi MarsHALL e BLEs credono, tale errore fu cau-
sato probabilmente dall'avere egli nelle manipolazioni spostato
e forse asportato i reni cefalici e dall’avere scambiato con essi
la parte anteriore del condotto di Wolff. È facile d’altronde
vedere, come i reni cefalici, nel girino, abbiano una posizione più
laterale e assai più in avanti nel corpo, di quella dell’estremità
anteriore dei corpi di Wolff o reni persistenti negli Anfibi; per
cui, se anche fosse vera la loro degenerazione grassa, non do-
vrebbero ad ogni modo presentare, nè la posizione, nè la rela-
zione coi reni che ad essi attribuisce il Gres e che figura anche
nei suoi disegni.
Ma se è facile spiegare, mediante un errore materiale di
osservazione, l'opinione del GrLes, non è più così, quando si
voglia ricercare, in qual modo abbia potuto vedere quello che
egli chiaramente rappresenta nella figura 7 della tavola unita
al suo lavoro: l’unione cioè dei corpi grassi coi reni e cogli
organi genitali contemporaneamente. Dirò più avanti come pre-
sumibilmente ciò abbia potuto avvenire.
Il GrLes porta in appoggio della sua opinione altri fatti
consimili di degenerazione dei reni cefalici osservati in altri
animali, come nei Ganoidi e nei Teleostei. Anzitutto tali fatti
non furono ancora assolutamente dimostrati veri, ma sono al
contrario molto discutibili; in secondo luogo per varie ragioni
non può avere importanza in questo caso un ragionamento per
analogia.
Messa così fuor di questione l’ipotesi del GrLes, non rimane
che quella del von Wirrric®a, di BLes e MARSHALL, che ora
discuterò.
Le due ipotesi hanno questo di comune: che ambedue am-
mettono come fatto fondamentale dell’origine di questi corpi la
degenerazione grassa: l’una dei reni cefalici; l’altra della parte
anteriore degli organi genitali primitivi.
Ed è qui dove io non sono d’accordo con questi autori. La
degenerazione grassa di una cellula è sempre un fenomeno pa-
tologico: nei due casi si verrebbe dunque ad ammettere, che un
fenomeno patologico abbia potuto dar origine ad un corpo, che
ha certamente una funzione fisiologica, per quanto questa possa
254 ERMANNO GIGLIO-TOS
essere di poca importanza. Ora questo io non posso ammettere,
nè so che vi sieno altri fatti certi che lo provino indubbiamente.
La degenerazione grassa è sempre un fenomeno patologico
perchè, come nella parola stessa è espresso, è sempre dovuta
alla perdita di funzione di una cellula, a cagione del trasfor-
marsi del suo protoplasma in grasso. E se ne hanno molti
esempi. Ma si sa che non tutti gli ammassi di grasso sono
dovuti a degenerazione. Chè anzi la maggior parte delle cellule
grasse sono cellule, in cui la vitalità si estrinseca appunto nella
deposizione grassa; ed ho espresso anche nel mio precedente
lavoro l’opinione, che questa formazione grassa sia dovuta ad
una proprietà metabolica del protoplasma stesso delle cellule
grasse, che è d'altronde anche l’opinione prevalente di quei
biologi che in questi ultimi tempi si occuparono di questo ar-
gomento.
Che non si tratti di degenerazione grassa lo dimostra pure
il fatto che il grasso viene assorbito da queste cellule per la
nutrizione degli organi genitali e che, dopo l’assorbimento; di
nuovo le cellule medesime ne possono produrre dell’altro.
Se a questo poi ancora aggiungiamo la struttura di queste
cellule, identica a quella delle cellule grasse fisiologiche e per
nulla a quella delle cellule in degenerazione grassa patologica,
abbiamo prove sufficienti per credere, già a priori, non trat-
tarsi qui, come sostengono gli anatomi suddetti, di degenera-
zione grassa, sì bene di una vera produzione di grasso.
È un fatto, che nella ricerca dell’origine di questi corpi si
può facilmente credere a tutta prima, che essi derivino dagli
organi genitali, perchè la unione con questi si fa, appena inco-
mincia la loro formazione. Ma questo non è che una apparenza.
In realtà, come ho potuto vedere, le cellule germinative delle
creste genitali primitive non hanno nessuna parte nella formazione
dei corpi grassi.
L’origine di questi corpi negli Anfibi non è assolutamente
diversa da quella degli ammassi di grasso che si osservano
negli altri animali in diverse parti del corpo. La loro forma-
zione avviene nel seguente modo.
Appena incominciata la formazione degli organi genitali, il
connettivo si insinua tra le cellule germinative formando lo
stroma di quegli organi. È facile vedere in sezioni trasverse
x SULL'ORIGINE DEI CORPI GRASSI NEGLI ANFIBI 255
come il connettivo fibrillare, che penetra in tal modo tra le
cellule germinative, sia quel medesimo che costituisce l’avven-
tizia della vena cava posteriore, dalla quale la cresta genitale
rimane in diretta dipendenza e nella quale sbocca la sua rela-
tiva vena.
Quasi contemporaneamente, il medesimo connettivo della
avventizia della vena cava posteriore, presso all'estremità an-
teriore della cresta genitale, mentre per una parte si infiltra
tra le sue cellule, prolifera anche all’esterno di essa, formando
una specie di piccolo tubercolo. Questo è il primo rudimento
del futuro corpo grasso, ed esso pertanto è già, fin dalla sua
prima origine, in connessione colla vena cava e colla cresta
germinativa.
Ecco il perchè gli anatomi suddetti, ingannati da questa
strettissima e precoce relazione, credettero che si trattasse di
una degenerazione grassa dell’estremità anteriore degli organi
genitali. È da notarsi pure che, se fosse vera questa ipotesi, la
posizione dei corpi grassi dovrebbe essere quella medesima delle
creste genitali, e non dovrebbe avvenire di trovare in una me-
desima sezione trasversa gli organi genitali ed i corpi grassi.
Ora così non è: di fatto in ogni sezione trasversa il corpo
grasso si può vedere contemporaneamente all’organo genitale,
ed ha sempre una posizione laterale esterna, intermedia tra
questo ed il rene. Inoltre la connessione tra la vena ed il corpo
grasso alla sua base è totale, anche nell’adulto, mentre quella
tra il corpo grasso e l’ovario od il testicolo non si ha che per
quel breve tratto di superficie, per cui si fece dal primo mo-
mento della sua origine.
Mentre per migrazione di cellule connettivali va aumen-
tando lo stroma delle creste genitali, aumenta pure nello stesso
modo il connettivo del primitivo rudimento del corpo grasso,
ed il tubercolo va crescendo di volume. Intanto, questa prolife-
razione di connettivo e la formazione di altri tubercoli consi-
mili si va estendendo lungo la vena ed intorno ad essa, così
che, quando questi hanno raggiunto una certa lunghezza, attor-
niano la vena nella sua parte latero-ventrale esterna, compresa
tra le creste genitali ed i reni. Avviene allora, specialmente in
sezioni longitudinali, che anche i reni appaiano in connessione
con questi corpi grassi; ed in questo modo forse si possono
256 ERMANNO GIGLIO-TOS
spiegare le figure date dal GrLes nel suo citato lavoro, dove è
rappresentata chiaramente la connessione contemporanea dei
corpi grassi coi reni e cogli organi genitali.
In sul principio della sua formazione il tubercolo non è
formato che di solo connettivo fibrillare e il primitivo corpo
grasso non ha nè vasi, nè cellule grasse. Ben presto però delle
cellule migrano dal connettivo dell’avventizia e si vanno accu-
mulando in quello del tubercolo. Sono queste le future cellule
grasse.
Come il von WirTIcH aveva giustamente notato, la com-
parsa e lo sviluppo del corpo grasso sinistro precede quasi
sempre quello del destro.
Io sono d'accordo col ToLpr e col BorpEN (1) nel ritenere
che tali cellule non sieno cellule comuni de] connettivo, le quali
assumano la proprietà di produrre grasso; bensì speciali cel-
lule con questa funzione metabolica loro propria. Per quanto
abbia tentato di riconoscere in esse dei caratteri che servissero
a distinguerle, in verità non potei riuscirvi. Ma mi parve di
notare che, prima della produzione del grasso, il nucleo sia
prevalentemente globoso .ed assai grande, colla cromatina sparsa
in granulazioni minori ed accentrata anche in una massa al-
quanto maggiore che quasi sempre sta nel mezzo del nucleo,
e che avrei facilmente creduta un nucleolo, se non avessi sempre
notato una certa irregolarità nel contorno ed un collegamento
costante colle altre minori granulazioni di cromatina. Per contro
i nuclei delle cellule connettivali sono prevalentemente alquanto
più piccoli e più o meno deformati per allungamento e com-
pressione. Il protoplasma delle cellule grasse appare anche re-
lativamente più denso e più abbondante. Io non riuscii a di-
stinguere in queste cellule una vera membrana prima che esse
abbiano incominciato a produrre del grasso; mentre essa poi
risulta ben evidente, quando la cavità cellulare contiene grasso,
o quando le cellule, già avendone prodotto, lo hanno perduto.
Nel mio citato lavoro rappresentai appunto in un disegno (fig. 3)
l'aspetto e la struttura di alcune cellule simili, in cui il grasso
è stato assorbito. Queste mie osservazioni confermano d'altronde
(1) Borpen W. C., The fat Cell.: Its origin. development, and Histological
Position, in: New York Medical Journal, 1894.
|
SULL'ORIGINE DEI CORPI GRASSI NEGLI ANFIBI 257
le opinioni espresse già da tempo da ToLpr intorno a questo
argomento.
L'aumento in numero delle cellule grasse non avviene, se-
condo me, per moltiplicazione di queste, perchè non ho mai
potuto trovarne alcuna, in cui il nucleo fosse in via di segmen-
tazione amitotica o mitotica; bensì per vera migrazione di
queste cellule, le quali probabilmente provengono da uno spe-
ciale centro di formazione che sta forse nell’avventizia stessa
della vena.
La produzione di grasso non incomincia in tutte contem-
poraneamente: le cellule più interne sono già discretamente
ricche di grasso, mentre quelle più periferiche e più presso al-
l'apice non ne presentano ancora traccia. L'inizio del processo
metabolico della cellula, non si ha che al comparire della cir-
colazione; prima di questa non avviene alcuna formazione di
grasso. Questo spiega perchè il tessuto adiposo sia costante-
mente caratterizzato da una rete di vasi sua propria.
La formazione dei capillari sanguigni e linfatici fra le cellule
grasse non incomincia che quando queste sono già numerose
ed il tubercolo grasso ha già poco più di un mezzo millimetro
di lunghezza.
Non oserei asserirlo recisamente, ma parmi di avere notato
come la formazione di un sistema circolatorio arterioso non sia
che secondario, mentre primo a formarsi è invece il venoso.
La prima comparsa di vasi sanguigni nel corpo grasso si ha
di fatto quando la vena cava posteriore, sulla quale il corpo
grasso giace, emette un piccolo ramo che si insinua tra il con-
nettivo e le cellule grasse e, dapprima capillare, va ingran-
dendosi ed allungandosi, mentre le sue pareti si differenziano
sempre più e diventano quelle di una vera vena, della vena
assile del corpo grasso. Ai lati di questa, nello stesso modo,
hanno poi origine a poco a poco gli altri capillari. Un po’ più
tardi, formasi poi l'arteria assile del corpo grasso, i cui capil-
lari si anastomosano con quelli venosi.
Negli anfibi anuri, dove questi corpi grassi hanno forma di-
gitata o frangiata, il tratto loro di connessione colla vena cava
è assai breve: negli urodeli invece, dove hanno forma di lamine,
è assai lungo e qualche volta si estende per una buona parte
della vena stessa. Il che prova ancora una volta che l’origine
258 ERMANNO GIGLIO-TOS
loro non è dagli organi genitali ma dalle pareti della vena cava
posteriore.
I corpi grassi negli Anfibi vengono dunque ricondotti ad
avere un'origine analoga a quella degli ammassi di grasso nel
corpo degli altri vertebrati, come analoga è d’altronde anche
la loro struttura.
L'origine dal mesoderma, che si attribuiva per necessaria
conseguenza a questi corpi grassi, sia coll’ipotesi del Grurs, sia
con quella del von WIrtIca, BLes e MARSHALL, — origine abba-
stanza strana, data la loro natura istologica, — cade pertanto e
colle mie osservazioni viene ricondotta puramente al connettivo
del mesoderna, cioè al mesenchima.
Riassumendo pertanto concludo:
1° I corpi grassi negli anfibi non derivano da degenera-
zione grassa, nè del pronefros, nè della parte anteriore delle
creste germinative.
2° Essi derivano invece da proliferazione del connettivo
dell’avventizia della vena cava posteriore, in connessione colla
parte anteriore delle creste genitali.
3° Le cellule grasse non sono dovute a degenerazione di
altre cellule, ma sono invece cellule colla speciale funzione
metabolica di produrre grasso.
4° L'aumento in volume del corpo grasso non proviene
da moltiplicazione diretta o indiretta di cellule primitive, ma
da migrazione di queste cellule da uno speciale centro di
produzione.
5° L'origine di questi corpi negli anfibi è analoga a quella
degli altri vertebrati.
6° L'origine dei corpi grassi è interamente mesenchimatica.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
Fig. 1°. — Sezione trasversa del corpo grasso e dell’ovario primitivo di
Rana esculenta, nella regione in cui il corpo grasso è solo unito alla
vena cava. Vi si vede il connettivo dell’avventizia (@v) proliferare ed i
corpuscoli del connettivo e le cellule grasse (cm) migrare promiscua-
mente dall'avventizia verso il corpo grasso (cgr).
l'origine dei corpi grassi negli anfibi. Atti RAccad.delle Sc.di Torino -To/ XY
Lit. Salussolia, Torino
SULL'ORIGINE DEI CORPI GRASSI NEGLI ANFIBI 259
Fig. 2°. — Id. id. nella regione in cui il corpo grasso è contemporanea-
mente unito alla vena cava ed all’ovario primitivo, per mostrare il
passaggio del connettivo dal corpo grasso nell’ovario primitivo per
formarne lo stroma (st).
Fig. 3°. — Sezione longitudinale nella regione in cui il corpo grasso è
unito alla vena ed all’ovario, in un rospo comune (Bufo vulgaris). Vi
si scorge bene quello che è indicato nella sezione trasversale in fig. 2.
Fig. 4*. — Sezione trasversale del corpo grasso di Rana esculenta nel punto
in cuì la vena assile del corpo grasso sbocca nella vena cava po-
steriore.
Tutte queste figure sono ingrandite 250 volte, disegnate alla camera
lucida di Abbe: oculare 2, obbiet. C. Zeiss.
av: avventizia — cg: cellule grasse — cgr: corpo grasso — cm: cellule
ulgranti del connettivo e cellule grasse — gs: corpuscoli rossi del sangue
— in: intima della vena cava — m: tunica media — o: uova primitive
— st: stroma ovarico — ve: lume della vena cava posteriore.
Relazione sulla Memoria del Dott. Alberico BENEDICENTI,
presentata nell'adunanza del 17 novembre 1895,
che ha per titolo:
“ Sulla tonicità dei muscoli studiata nell'uomo. ,.
I sottoscritti G. Bizzozero e A. Mosso incaficati dall’ Ac-
cademia delle Scienze di esaminare la Memoria del Dott. BEeNE-
DICENTI “ Sulla tonicità dei muscoli studiata nell'uomo , si pregiano
di riferire all'Accademia stessa che il loro voto è favorevole.
Le ricerche fatte dal Dott. BeNEDICENTI intorno alla tonicità
dei muscoli nell'uomo sono importanti perchè trattano di un
argomento il quale fino ad ora era stato pochissimo studiato.
La Memoria è corredata di figure, ed i sottoscritti propon-
gono che essa venga stampata nei volumi delle Memorie secondo
le prescrizioni del regolamento.
G. BizzozERo.
A. Mosso.
260
Monocotyledones Sardoe
Joseph Hyacinthi Moris “ Flore Sardo@ ,
per H. MARTELLI
Continuatio.
Relazione dei Socii Gruseppe GiseLLi e LorENZO CAMERANO.
Come è noto l’illustre Prof. Moris non ha potuto condurre
a termine la sua classica opera, stampata nelle Memorie di
questa R. Accademia sulla Flora della Sardegna. Di essa le
Dicotiledoni soltanto, costituenti circa tre quarti del lavoro,
furono pubblicate tra il 1837 ed il 1859.
Delle Monocotiledoni il Moris aveva però già raccolto ab-
bondantissimo materiale, e pubblicato il catalogo; di più lasciava
anche molte note staccate e diagnosi abbozzate.
Dopo la morte del Moris parecchi botanici esplorarono la
Sardegna, raccolsero messe più o meno abbondanti di specie
nuove per il paese, e vi fecero osservazioni importanti. Citiamo
Lisa e Masala, che già avevano raccolto per conto del Moris
stesso, Ascherson, Forsita-Mayor, Arcangeli, Macchiati, Lovisato,
Nicotra ed altri.
Con questi materiali nuovi W. Barbey pubblicava nel 1884
un catalogo ragionato (1) delle specie vascolari spontanee del-
l'Isola, già di molto arricchito in confronto di quello del Moris.
Di recente il prof. 0. Mattirolo, rovistando nell’erbario Moris,
trovò trenta specie, che non erano state per anco registrate
nelle precedenti pubblicazioni, e alcune di queste nuove per la
flora italiana, che egli illustrò in una nota (2) letta al Congresso
internazionale tenuto in Genova nel settembre 1892.
(1) Florae Sardoe compendium. Lausanne, 1884.
(2) O. MarrIRroLo, Reliquie Morisiane (Atti del Congresso botanico
internazionale). Genova, 1893, p. 374.
caseina n ninni nti rit rree = . cesti
AL} ve
apt
26£
In questi ultimi anni il conte Ugolino Martelli di Firenze,
appassionato cultore della Botanica geografica e sistematica, sez
dotto dall’abbondante copia di materiali da lui raccolti nell'Isola,
venne nella determinazione di completare l’opera lasciata dp
sospeso dal Moris. ai
A tale scopo egli erasi già preparato con lunghe e parecchie
escursioni, principalmente in località poco note dell'Isola, e con
speciale riguardo alle Monocotiledoni, scopo principale del-
l’opera sua.
Primo frutto de’ suoi studii è la monografia descrittiva delle
Orchidee di Sardegna, che fu affidata al nostro esame.
Nello studio di questo interessantissimo gruppo l'A. si è
giovato dell’Erbario e delle note del Moris innanzi tutto; poi
del grande Erbario centrale di Firenze, delle proprie raccolte
speciali, di quelle degli erbarii di Cagliari e di Sassari, dei
materiali avuti in comunicazione dal Gennari, dal Nicotra, dal
Macchiati, dal Sommier, dal Biondi, dal Forsitz-Mayor, dal Barbey,
dai Bornemann, ecc.
L'A. inoltre ha tenuto conto di tutti gli studii sistematici
dei più recenti autori intorno alle Orchidee europee, seguendo
in generale i criterii tassinomici adoperati dal Reichendach, che
era il più dotto conoscitore della materia; ma apprezzando anche
quelli fatti valere dal Purlatore nella Flora italiana.
L'A. consultò inoltre le opere floristiche più moderne delle
regioni circummediterranee: BARLA, Iconographie des Orchidées;
Bossier, Flora orientalis; WiLLkomm et LANGE, Flora hispa-
nica; BALL, Spicilegium florae Maroccanae, non che tutte le piccole
flore locali dell’Italia continentale ed insulare del Tirreno e delle
Baleari.
Senza mantenersi pedissequo di nessuno l'A. mediante nuove
osservazioni e comparazioni ha saputo pesare il valore dei cri-
terii sistematici di ciascun trattatista, ed applicarli con sana
critica al gruppo di piante da lui studiate e descritte nella
presente memoria.
Le specie e varietà che l’A. ha trovato nuove per la Flora
Sarda sono le seguenti: Orchis insularis; O. mascula var. Olliensis;
Ophrys apifera; O. aranifera var. Morisii. Ne ha escluse invece
l’Orchis ustulata, lO. sambucina, VO. pseudo-sambucina, V Ophrys
lunulata, VO. muscifera e 1l°O. Bertolonii, da lui riconosciute er-
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 20
262
rate negli esemplari forniti dagli Autori stessi, che le raccolsero
e le avevano registrate come indigene dell’Isola.
L’A. accompagna la sua Memoria con tre tavole, nelle
quali sono illustrate le seguenti specie: Gennaria diphylla, Orchis
saccata, O. lactea, O. tridentata, O. mascula var. Olliensis, O. in-
sularis, Loroglossum longibracteatum, Epipactis microphylla.
Di queste specie qualcuna (Orchis insularis) non è mai stata
prima figurata, le altre lo furono male o in opere costosissime.
Tutte le parti del lavoro sono distribuite coll’economia
adottata dal Moris. Le descrizioni sono accurate ed arricchite
da copiosa bibliografia.
Noi crediamo quindi che questa Memoria costituisca un
buon principio al compimento da lungo tempo desiderato del-
l’opera dell’illustre Moris, e però ve ne proponiamo l'inserzione
nelle Memorie della nostra Accademia.
La Commissione
L. CAMERANO.
G. GrseLLI, Relatore.
L’ Accademico Segretario
ANDREA NACCcARI.
263
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 5 Gennaio 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Socii: CLarETTA, Direttore della Classe,
Peyvron, VaLLAURI, Rossi, Manno, BoLLatI DI SAINT-PIERRE,
SCHIAPARELLI, Pezzi, NANI, CoeneTtI DE MARTIS, GRAF, CIPOLLA,
Brusa, PerRrERO, ALLIEVO e FeRRERO Segretario.
Il Socio Segretario, fra i libri pervenuti in dono alla Classe,
segnala due opuscoli del Socio Corrispondente Marchese pi NA-
DAILLAC: “ Foi et science; Un diplomate francais au début du
siècle , (Paris, 1895).
Il Socio Manno offre “ Le dict des jardiniers. Farce morale
du XVI siècle ,, pubblicata ed annotata dal signor: Francesco
Mugnier (Paris, 1896), che ne fa omaggio alla Classe.
Il Socio CrpoLLa legge un lavoro del Prof. Giuseppe CALLI-
cARIS: “ San Gregorio Magno e le paure del prossimo finimondo
nel medio evo ,, che è pubblicato negli Atti accademici.
Il Socio ALtievo legge un suo lavoro: “ Studii psicofisio-
logici ,, di cui la Classe approva la stampa nei volumi delle
Memorie.
264 GIUSEPPE CALLIGARIS
LETTURE
A
San Gregorio Magno e le paure del prossimo finimondo
nel Medio-Evo ;
Nota del Prof. GIUSEPPE CALLIGARIS.
È oramai notissimo che dalle pretese paure dell’anno mille (1)
bisogna distinguere i terrori del finimondo, che per tutto il
medio evo, e più tardi ancora, si paventava siccome evento
vicino.
*Non fu ancora tentata la storia di questi terrori e delle
fantasie con cui l'immaginazione dei popoli volle interpretare la
solenne profezia di Cristo sulla fine del mondo. È anzi difficile
il dire fino a qual punto la paura del prossimo finimondo abbia
avuta influenza sulla storia dell'umanità. L'argomento è grave
e importante. Tentiamone la trattazione, almeno in piccola parte.
È fuori di dubbio che su queste paure poterono assai gli
‘avvenimenti storici: esse, anzi, il più delle volte, non sono che
l’eco di quelli. In tempi di profondo avvilimento materiale e
intellettuale, gli uomini dovettero provare uno sconforto doloroso
nel ripensare ad altri tempi, che si presentavano alla loro imma-
ginazione come belli e felici, e certamente fu loro un sollievo
lo sperare che una simile condizione di cose non sarebbe du-
rata a lungo. Le offese degli uomini e della natura apparivano
come segni dell’ira divina, come indizio del prossimo sfacelo
del mondo (2).
(1) Cfr. il dotto lavoro del prof. Pietro Orsi, L’anno mille (Riv. st. ital.,
IV, 1887, fasc. 1, e spec. p. 78). Vedi pure: Studi storici, I, 1892, fasc. IV,
535, dove sono citate altre opere di argomento consimile.
(2) Abbiamo parecchi saggi di questi studi: cfr. G. Borssier, La fin du
paganisme (Paris, Hachette, 1891, II, 448 e sg.) là dove studia la impres-
sione che sui cristiani produceva il dissolversi dell’antico impero; Ges®marm E.,
L’état d’àme d’un moine de l’an 1000 (in Revue des deux mondes, CVII, 606 sg.),
e, a proposito della Città di Dio di S. Agostino, G. Borssier, Études d’histoire
religieuse — le christianisme et l’invasion des barbares — (in Revue des deux
ali
b
F
SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 265
Mi limiterò ai tempi in cui visse il pontefice Gregorio I,
i quali egli illuminò col suo genio e colla sua santità, illustrò
coi suoi scritti; anzi col mezzo di questi raccoglieremo le im-
pressioni che le turbinose vicende alle quali dovette assistere,
hanno prodotto sul suo animo.
A me non tocca riassumere qui le vicende della vita di
S. Gregorio e prima del suo pontificato e dopo che fu innalzato
a quella dignità (1). Mi basta il dire che di queste vicende
nelle opere di S. Gregorio si risente una eco profonda, e che
il terrore del prossimo finimondo, che lo occupa, risponde alle
dolorose vicende dei suoi tempi. Però nelle espressioni che egli
adopera non manca una certa qual tinta indecisa, che ci lascia
qualche volta esitanti nel darne l’interpretazione. Poichè talvolta
.Il finimondo sembra che gli apparisse prossimo, talvolta rimane
alquanto lontano, nell’oscurità in cui lo aveva lasciato la
profezia evangelica. Cercheremo con questo studio di risolvere
la difficoltà.
E ben gravi furono i tempi in cui visse Gregorio. — In
tutto l'Occidente erano sorti regni barbarici nelle antiche pro-
vincie romane e i nuovi conquistatori avevano ovunque fatto
sentire il peso delle loro vittorie, malgrado il rispetto che
il nome romano imponeva loro. La loro fierezza, le loro lotte,
i loro delitti atrocissimi atterrivano il molle romano, quasi
sempre combattuto anche nella sua fede. Il Cattolicismo romano
non era sempre vittorioso contro l’Arianesimo nazionale e ger-
manico, ed anche là dove il Cattolicismo si era affermato, non
poteva essere compreso nella sua alta significazione morale.
In Italia la gens Gothorum che aveva brillato con Teoderico,
mondes, 15 gennaio 1890, 345-72 e specialmente pp. 346 e 349); CreoLra C.,
Appunti storici tratti dalle epistole di S. Pier Damiani (in Atti della R. Acca-
demia delle Scienze di Torino, vol. XXVII, nel cap. “ la paura del finimondo ,),
dove si afferma che anche in Italia (nel sec. XI) era vivo questo terrore.
(1) Per tutto ciò mi limito a rimandare il lettore al recente e dotto
studio biografico del Grisar, Il pontificato di Gregorio Magno nella storia
della civiltà cristiana, Roma, tip. Befani, 1894, V-X (la prima ediz. uscì
nel periodico “ Civiltà Cattolica ,, serie XIV, vol. V, e ser. XV, vol. I-V).
Per quel che riguarda le relazioni politiche fra Gregorio e i Longobardi,
efr. CriveLLucci, Chiesa ed impero al tempo di Pelagio 1I e di Gregorio I
nella politica verso î Longobardi in Studi storici, I, fasc. II e III,
266 GIUSEPPE CALLIGARIS
era caduta quando l’impero con Giustiniano aveva cercato di
riaffermare sull’Occidente l'antica supremazia, e l’Italia, solo
dopo una guerra lunga di circa venti anni, era ritornata provincia
dell'impero Orientale. Ma nuovi e più fieri travagli l’avevano
colpita quando una gente germanica, non più a nome dell’impero
romano, ma come libera conquistatrice l'aveva occupata, lot-
tando a lungo contro il padrone di prima (1).
L'antico mondo romano pareva giunto all'estrema vec-
chiezza, anzi alla morte, e la nuova gente che si sedeva come
vincitrice su quelle gloriose ruine, credevasi ribelle ad ogni
legge divina ed umana. La gloria di Roma era caduta, i suoi
(1) Le opere di Gregorio ci parlano spesso delle tristissime condizioni ,
di quei tempi. Lo ScauPrer (Delle istituzioni politiche longobardiche, Firenze,
Le Monnier, 1863, p. 47) ha, da vari luoghi di Gregorio, messa insieme
questa descrizione paurosa: “ Razza inumana codesta de’ Longobardi! La-
sciati i covi natali, ci piombò addosso e le popolazioni che crescevano qui
a modo di spesse biade, furono recise ed arse. Le città sono oggimai
spopolate, rovesciati i castelli, bruciate le chiese, distrutti i cenobi di
maschi e di femmine, vedovata di uomini la campagna, non più abbellita
di nessun sorriso di coltura, nè trovi possessore che voglia abitarvi: i luoghi
già lieti per una moltitudine di popolo, or fatti pascolo di armenti (Dial.,
II, 38; Ep., III, 29; V, 8; Hom,, VI, lib. II in Ezech.). Il barbaro non
cerca di tener alta la spada (Hom., 10, lib. II in Ezech.); tutto è sangue,
incendio, ruina, acerbissimo duolo (Hom., 6, lib. II in Ezech.). Poi nella
ruina di tutte le cose, credeva vicino il dì del supremo giudizio , (Ep.,
II, 29). — Vedi pure: MarrattI B., Imperatori e papi ai tempi della Signoria
dei Franchi in Italia, Milano, Hoepli, 1876, I, 262 sg.; Tamassra G., Lango-
bardi, Franchi e Chiesa Romana fino ai tempi di Re Liutprando, Bologna,
Zanichelli, 1888, p. 37 e sg., e in generale i capitoli II, III, IV. — In un
suo recentissimo articolo il CriveLLucci vorrebbe attenuare le tradizionali
crudeltà langobarde, in specie per quel che riguarda la religione dei vinti,
e, a proposito delle terribili descrizioni che Gregorio fa del suo tempo,
scrive: © certi lamenti, certi sfoghi, siano pure sinceri, di animi esulcerati
ed offesi nel loro patriottismo e nella loro religione e nei loro interessi,
hanno molto valore per conoscere la condizione degli animi di chi li fa, ne
hanno poco o nessuno per determinare la verità storica e obiettiva dei
fatti, (CriveLLuccI, Le chiese cattoliche e i longobardi ariani in Italia in Studi
storici, vol. IV, fasc. III, 1895). Si pensi su ciò nell’una o nell’altra maniera
(chè questo non è il luogo opportuno alla discussione di tale argomento)
vedesi che lo stesso Crivellucci ammette che le parole di Gregorio rispec-
chiano esattamente la condizione degli animi in quei tempi, e perciò sono
per noi preziose.
SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 267
tempi floridi erano omai lontani, e la mente che non cessava
di vagheggiarli, li rimpiangeva perchè i più prosperi nel mondo,
e a quella ruina annetteva la morte del mondo stesso.
Si direbbe (come bene fu osservato) che S. Gregorio non
prevedesse, e non lo poteva, che dalle rovine di quel mondo
sarebbero sorti nuovi popoli e nuove civiltà, che quei terribili
invasori delle terre romane non avrebbero tutto distrutto, ma
avrebbero preparati nuovi tempi e nuove condizioni di cose,
e che quella Chiesa, alla quale stava a capo, era chiamata a
nuovi destini e a gloriose vittorie.
Egli non vagheggiava che l’antica civiltà romana rappre-
sentata dall’ Impero, perciò i suoi sguardi non cessavano dal
rivolgersi a Costantinopoli, senza sospettare che l'Oriente e
l'Occidente, i quali per l'avvenire non si sarebbero più confusi,
si avviavano oramai a nuovi e diversi destini (1).
(1) La preoccupazione per la prossima fine di ogni cosa fu già notata
molte volte in S. Gregorio, dagli antichi biografi sino a noi, e le furono
assegnate varie ragioni. Giovanni Diacono, antico biografo, avvertiva che
“ in omnibus suis dictis vel operibus, Gregorius imminentem futurae retri-
butionis diem ultimum perpendebat, tantoque cautius cuneta cunctorum
negotia perpendebat, quanto propinquius finem mundi insistere, rwinis
eius crebrescentibus, advertebat. (nelle Opere di Gregorio, ediz. PP. MavuRINI,
IV, 162). Lo stesso notavano i Padri Maurini editori delle opere gregoriane:
“ S. Gregorii sententia de die iudicii, quem proximum praenuntiavit,
nunc expendenda. Sane communis fuit veterum christianorum persuasio,
mundi finem imminere ,. E ricordate qui le testimonianze di Tertulliano,
di Sulpizio Severo, di S. Leone, che concordano con S. Gregorio, le parole
dei quali non furono che la eco della voce degli Apostoli, così spiegano
questa concorde opinione: “ Fortasse ita loquentes viri sancti, et illud at-
tendebat: Mille anni ante oculos tuos tamquam dies hesterna quae praeteriit
(Ps., 89, 4). — Si vero, ut docet S. Gregorius (Dia?., III, 35): videnti crea-
torem, qui immensitate gaudet, angusta est omnis creatura, unde non
mirum orbem universum in uno solis radio S. Benedicti oculis ‘subiectum
fuisse, cur non eadem ratione dicamus, contemplantibus Dei aeternitatem,
breve esse omne tempus etsi multa etiam annorum millia complectantur?
(Opera Gregorii, ediz. Maur., I, XIII, nella praefatio generalis). Il qual ra-
gionamento, disgiungendo i terrori del finimondo dalle circostanze che li
producevano, non arreca nessuna luce alla questione. — Venendo a tempi
a noi più vicini, vediamo il GreGorovius (Sf. della città di Roma nel M. E.,
trad. it., Venezia, Antonelli, 1872, II, 46) contentarsi di accennare allo stato
degli animi nel VI secolo “ nel buio profondo di quell’età, in cui Roma andava
368 GIUSEPPE CALLIGARIS
*
* *
Emilio Gebhart nel descrivere, in uno studio su Hédolta
precipitando alla sua fine , e di ricordare che mentre il mondo chiudeva
insè “ tanti germi di vita nuova, l'umanità altro non vedeva che i ruderi
accumulati dell'impero ,. Il Ges®mart (L’Italie Mystique, Paris, Hachette,
1890) accenna pure al triste periodo nel quale si svolse il pontificato di
S. Gregorio, aggiungendo che egli “ pressentait que l’Église, jetée dans la
mélée du siècle, s’éloignerait bientòt de sa mission primitive , (p. 3). —
Il che mi pare non esatto. Gregorio si doleva bene spesso che uomini re-
ligiosi dovessero occuparsi in negozi secolareschi, e attribuiva questa ne-
cessità dolorosa a tristizia di tempi; si lagnava bene che il sacerdozio di
allora non fosse più quello dei tempi primitivi, ma in ciò egli vedeva solo
uno dei segni della vecchiezza del mondo. Se ai venturi profetizza tempi
peggiori dei suoi, è perchè tutti i mali si aggraveranno quanto saranno più
vicini a compiersi gli ultimi destini del mondo.
Questa costante e forte preoccupazione di S. Gregorio per il. prossimo
fine delle cose fu studiata, e assai più largamente, quantunque non in
modo completo, dal GrisAr, nella sua citata monografia. Egli nota dapprima
che oltre la peste famosa che spopolò Roma al fine del papato di Pelagio II,
e i pericoli della guerra “ molti castighi di Dio si riversarono in quei tempi
sopra l’Italia e gli altri paesi dell'Impero ,, una eco dei quali flagelli è
quel senso di tristezza che occupava allora l’anino di tutti. Gli spiriti più
eletti si distaccavano sempre più dal mondo “ molto più che la ferma idea
della prossima fine di ogni cosa si faceva sempre più largo e guadagnava
certezza ,.É qui aggiunge in breve un cenno su quelle calamità che desola-
vano quei tempi, parla della famosa inondazione dell'Adige descritta da Paolo
Diacono, ricorda la nota profezia di S. Benedetto su Roma, la quale, non
sarebbe stata distrutta dalle genti, ma si sarebbe sfasciata “ affievolita e stanca,
dalle tempeste e saette, dai turbini e terremoti, profezia che Gregorio
credeva stesse per avverarsi ai suoi tempi. Ma specialmente si vale della
1* Omelia sugli Evangeli per illustrare il suo concetto, nella quale Gregorio
“ conformemente all’errata opinione dei suoi contemporanei, designa senza più
le calamità di quegli anni come annunzio della prossima venuta di Cristo ,
(p. 552). Ma, oltre che nella citata Omelia, il © pensiero della fine non
lontana del mondo preoccupa la mente di Gregorio durante tutto il suo
pontificato , (p. 553-4), ed il Grisar ne adduce a prova tutti gli scritti del
pontefice. Ricorda che una simile idea appare di quando in quando nella
storia, al succedersi di calamità straordinarie o particolari commovimenti
di popoli, che l’aspettazione di una prossima fine del mondo si fè sentire
con maggior forza nel periodo dal quinto al settimo secolo “ e ciò perchè,
stimandosi comunemente per opinione tradizionale che l’impero romano
dovesse durare sino alla fine dei secoli, e vacillando questo sotto i colpi
a
/
SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, Ecc. 269
Glabro, la condizione dello spirito di un monaco verso il Mille (1),
osserva che sebbene quegli non avesse letto la Città di Dio di
S. Agostino, pure glie ne era arrivata una eco, colla divisione
della storia del mondo in sei epoche, a cominciar da Adamo, colle
sei giornate di lavoro della storia, mentre la settima, quella
del riposo eterno, sarebbe venuta quando fosse piaciuto a Dio.
“ La notion des sept époques symboliques était restée dans la
tradition du moyen àge ,.
Ora noi troviamo pure in S. Gregorio frequenti tentativi di
dividere con simile criterio la storia dell'umanità. “ Omne prae-
sentis vitae tempus septem diebus evolvitur, et ideo aeterna dies
quae, expleta horum dierum vicissitudine, futura est, octava
vocatur (2) ,, e più chiaramente poco dopo (loc. cit. 467) “ vel,
delle immigrazioni, anzi oramai rovinando in Occidente, si teneva fermo
che anche la fine del mondo fosse veramente vicina ,. Ma Gregorio non
vide che “ un nuovo ordine di cose, che nessun occhio umano avrebbe
potuto prevedere, andava sorgendo fra le angosce e le sventure del genere
umano, quasi fossero altrettanti dolori di un nuovo parto ,.
Il nostro studio ha per iscopo l'esame più minuto di questo lato del
pensiero gregoriano. — Noi potremo così raccogliere le impressioni che
in un animo romano, come quello del discendente di nobile famiglia del-
l'impero, producevano i gravi avvenimenti del sesto secolo, noi potremo
studiare quello che il vecchio elemento romano provava all'urto dei nuovi
popoli, che con sè portavano una nuova vita, in quel mondo cadente.
Siamo nel periodo più vivo della lotta fra romanesimo e germanesimo,
e assistiamo come al grido disperato di quella vecchia civiltà che vede
tutto sfasciarsi attorno a sè, senza accorgersi che essa, quando si crede
più conculcata,è più viva che mai e destinata a risorgere, ma rinnovellata.
È questa condizione di cose che ci spiega quel sentimento pauroso di
angoscia il quale si traduce nel terrore del finimondo; ma nè Gregorio nè
altri del sesto secolo potevano pensare alla caduta di quella istituzione
divina che era l’impero, florido e potente in Costantinopoli. — La divisione
fra occidente ed oriente che par ora così netta agli occhi nostri, non ba-
lenava allora neppure alla mente di quegli uomini, gli sguardi dei quali
erano rivolti tutti alla nuova Roma del Bosforo, e il passaggio dei barbari
sulle terre di occidente non era che una sventura, di cui neppur potevano
immaginare l’importanza.
(1) Gesnart E., L’état d’àame d'un moine de Van 1000 in Revue des deux
mondes, CVII, 1891, pp. 600 e sg.
(2) Exposit. in VII Psalmos poenitentiales; proemium in primum psalmum
poenitentialem, vol. III, parte 2*,467. L'edizione delle opere di Gregorio che
citeremo sempre è la seguente: “ Sancti Gregorii papae I cognomento Magni,
270 GIUSEPPE CALLIGARIS
secundum quosdam, octava dicitur quia sequitur sex aetates in
hoc saeculo viventium, et septimam dormientium iustorum (1) ,.
Nel concetto Gregoriano sono dunque sei le età storiche in cui
sì svolgono i destini del mondo, “ sex enim diebus mundus
conditus est, sex aetatibus consummatur (2) ,, la settima è
quella del riposo della morte, a cui segue l’ottava cioè la ri-
surrezione ed il giudizio (3).
Parlando poi della parabola del padre di famiglia che invita
gli operai a lavorare alla sua vigna a diverse ore del giorno,
paragona le parti in cui il giorno si divide alle seguenti grandi
divisioni storiche: “ Mane etenim mundi fuit ab Adam usque
ad Noe. Hora vero tertia a Noe usque ad Abraham. Sexta
quoque ab Abraham usque ad Moysen. Nona vero a Moyse
usque ad adventum Domini. Undecima vero (e perciò l’ultima)
ab adventu Domini usque ad finem mundi (4) ,. — Noi ci tro-
viamo quindi nell’ultima delle età storiche, in quella che è co-
minciata dalla venuta di Cristo e che finirà col mondo stesso, la
cui durata è incerta, della quale ci e noto il solo principio, ma
ignoto il fine (5).
Opera omnia... Studio et labore Monachorum ordinis Sancti Benedicti e
congregatione Saneti Mauri. Venetiis, 1744 (in 4 volumi).
(1) Nell’OmiZia, VIII, lib. II, super Ezechielem, I, 1392-83, si ripete: “ Per
octavum vero numerum et dies aeterni iudicii et carnis resurrectio desi-
gnatur... in quo videlicet die, omne hoc tempus finitur, quod septem
diebus evolvitur ,.
(2) Lib. IV, c. IV in Primum Regum, III, p. 2*, 201 B-C.
(3) A proposito del giorno ottavo, come simbolo della risurrezione, nota
nell’Omal., IV, lib. II, sup. Ezechielem (I, 1341-2): “ praesens... vita nobis
adhuc sexta est feria quia in doloribus ducitur et in angustiis cruciatur.
Sed sabbato quasi in sepulchro quiescimus, quia requiem animae post corpus
invenimus. Dominico vero die, videlicet a passione tertio, a conditione
(del mondo) ut diximus octavo, iam corpore a morte resurgemus, et in
gloria animae etiam cum carne gaudebimus ,. La nostra vita è come la
sesta feria, il giorno della morte di Cristo, il sabbato rappresenta la quiete
del sepolcro, l’ottavo giorno, la domenica, la risurrezione.
(4) Omil. XIX, lib. I, in Evangelia, I, 1510.
(5) La storia del popolo eletto e quella del cristiano era per S. Gregorio
come il centro di tutta la storia dell'umanità, e l’unico criterio di par-
tizione storica. Con questo criterio, troviamo nelle opere gregoriane
nuova divisione storica, nella quale i Profeti, gli Apostoli, i Martiri, i
- Rel E
SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 271
E che siamo nell’ultima delle età del mondo Gregorio lo
attesta più volte; anzi in lui ci appare spesso evidente la pre-
occupazione, che anche quest’ultima volga oramai al tramonto.
Spiegando la parabola evangelica dell’uomo, che aveva invitati
molti a cena egli osserva con molta tristezza: “ Che cosa è
mai l’ora della cena, se non la fine del mondo? Alla quale
oramai noi siam giunti, secondo attesta l’apostolo Paolo: noi
siam quelli i quali furono sopraggiunti dalla fine dei secoli.
« Idcirco autem hoc convivium Dei non prandium sed coena
vocatur, quia post prandium coena extat, post coenam vero
convivium nullum restat (1) ,.
Questo tristo ed angoscioso pensiero predomina in tutte le
opere di Gregorio, e produce nel lettore un senso profondo di
dolore e scoramento, che assai bene ci fa comprendere lo stato
d’animo di un romano di quei tempi. L'uomo ha naufragato del
tutto nell'’immenso mare dell’eternità, e guarda con timore quel
mondo che oramai gli sfugge (2).
Noi scorgiamo il cielo fosco del VI secolo, non rallegrato
da luce alcuna, su cui l’alba non doveva più spuntare, e neppur
la speranza faceva balenare i suoi fugaci bagliori.
Vescovi e Dottori, porgono i tratti caratteristici di quattro grandi pe-
riodi storici. Nel lib. IV, c. IV, in primum Regum (III, p. 2°, 206-7) a
proposito del passo: “ ecce inventa est în manu mea quarta pars stateris
argenti ,, ecc., così Gregorio commenta: “ Quarta vero pars stateris argenti
dicitur pro qualitate temporis. Nam ut alias partes huius stateris videamus,
Prophetae, Apostoli, Martyres intuendi sunt. Quia enim pro qualitate tem-
poris, singulis ordinibus distributa est sonoritas praedicationis, velut sin-
guli quartam partem stateris habuere. Quartam ergo partem stateris illi
(i Profeti) exhibuerunt cum Synagogae adventum Redemptoris promitterent.
Apostoli partem suam dederunt eum Iudaeis, Eum qui promissus fuerat,
iam venisse praedicarent. Martyres vero etiam partem suam tribuerunt
cum infideles ad filem Redemptoris adducerent. Quarta vero pars stateris
remansisse cognoscitur, quia per episcopos et doctores sanctae ecclesiae
verbum fidei usque ad mundi finem electis fidelibus exhibetur ,.
(1) Omil. XXXVI, in Evang., lib. II, I, 1619-20.
(2) Così lo stesso Gregorio esprime questo sentimento: “ Mens humana...
quia malorum tantorum in se remedium non invenit, tristitiae intolerabilis
pondere praegravata tabescit, et tanto se durius in cogitatione dilaniat,
quanto terribilius esse, quod imminet, iudicium pensat , (Expos. in tertium
psalmum poenit., III, parte II, 484).
272 GIUSEPPE CALLIGARIS
“ Quanto più si avvicina al fine il presente secolo altrettanto
il secolo futuro “ ipsa iam quasi propinquitate tangitur et signis
manifestioribus aperitur ,. Siamo come in quel punto nel quale
sta per ispuntare il giorno, e la luce e le tenebre sono quasi
mescolate fra loro. “ Quemadmodum cum nox finiri et dies in-
cipit oriri, ante solis ortum simul aliquo modo tenebrae cum
luce commixtae sunt, quousque discedentis noctis reliquiae in
luce diei subsequentis perfectae vertantur, ita hutus mundi
finis iam cum futuri seculi exordio permiscetur, atque ipsae re-
liquiarum eius tenebrae quadam iam rerum spiritualium per-
mixtione translucent (1) ,.
Il concetto che qui abbiamo raccolto, non solo ci appare
nelle meditazioni preparate per i. fedeli, o nei devoti con-
versari fra Gregorio e il diacono Pietro, ma tiene un posto
notevole in documenti non privati e della più alta importanza,
e diviene uno dei più validi argomenti con cui il pontefice in-
calza il suo avversario.
Questo conferma che per Gregorio il terrore del finimondo
non era un timore retorico, che prestasse argomento a un bel
ragionare, ma era invece il soggetto della meditazione di ogni
giorno, verità su cui non poteva per lui cader dubbio, e do-
veva essere accettata da tutti senza discussione.
L'imperatore Maurizio aveva proibito ai soldati ed ai cu-
riali di entrare nei monasteri, spinto dalle gravi condizioni
politiche del momento. San Gregorio, sebbene in massima non
rigettasse tutto il pensiero imperiale a questo riguardo, si ma-
raviglia e si addolora che allora appunto si proibisse ad alcuno
di abbandonare il mondo “ quo (tempore) appropinquavit finis
ipse seculorum ,. Ecco che non v'è più indugio e ardendo il.
cielo e la terra, fra il corruscare degli elementi, il giudice tre-
mendo sta per apparire cogli angeli ed arcangeli, coi troni e
le dominazioni, coi principati e le potestà (2).
(1) Dial., IV, 41 (II, 445).
(2) Jarrè, 1266 (903), aug. 593, ind. 11, Reg., III, 61.
SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 273
Ed in altre gravi e solenni circostanze il pontefice ricorse
pure a questo argomento. Sono ben note le lotte che Gregorio
ebbe a sostenere coi patriarchi di Costantinopoli Giovanni e
Ciriaco per il titolo di vescovo universale, al quale questi pre-
tendevano. A noi, che non abbiamo il dovere di riassumerle,
basterà rimandare a quanto ne ha detto il Grisar nella mono-
grafia tante volte citata, dove egli sviluppa questo argomento
con molta larghezza.
Gregorio si opponeva a tutt'uomo a quelle pretese, diceva
ravvisare in quella “ superbia , “ propinqua iam Antichristi
esse tempora (1) , e scrivendo nel 597 al vescovo Ciriaco, suc-
cesso a Giovanni anche nelle pretese a vescovo universale, lo
esortava a deporre quel titolo poichè, fra le altre cose, essendo
vicino già l’Anticristo, egli desiderava che questi nulla trovasse di
sua appartenenza non solo nei costumi, ma neppur nelle parole
riferentisi ai sacerdoti: “ Quia hostis omnipotentis Dei Antichri-
stus iuxta est, studiose cupio ne proprium quid inveniat non
solum in moribus, sed etiam nec in vocabulo sacerdotum (2) ,.
Due anni più tardi, nel 599, era ancora questa riflessione
che ripeteva a parecchi vescovi dell’Oriente, invitati ad una
sinodo da radunarsi in Costantinopoli, esortandoli a non conce-
dere in niun modo il titolo di vescovo universale a Ciriaco (3).
E questo ripetersi dello stesso argomento, con tanta insi-
stenza, e assegnandogli tanta importanza, in lettere scritte col-
l’intervallo di anni, a personaggi altissimi, e con carattere
ufficiale, ci conferma quanto abbiam detto più sopra, che il
ricordo del finimondo è per Gregorio l’espressione di un senti-
mento profondamente sentito.
E che tale fosse basterebbe a provarlo il fatto anda è questo
(1) Jarrè, 1352 (973), iun. 1, 595, ind. 13, Reg. V, 39. È in questa
lettera scritta all’'imperatrice Costantina che Gregorio esprime il suo pro-
fondo cordoglio per i lunghi 27 anni da cui in Roma si viveva fra le spade
dei langobardi.
(2) Jarrè, 1474 (1109), iun. 597, ind. 15, Reg., VII, 28.
(3) Jarrè, 1683 (1222), mai. 599, ind. 2*, Reg., IX, 156. “ Sed quia hoe
iam, ut vidimus, mundi huius termine propinquante, in praecursione sua
apparuit humani generis inimicus, ut ipsos qui ei contradicere bene atque
humiliter vivendo debuerunt, per hoc superbiae vocabulum praecursores
habeat sacerdotes ,.
274 GIUSEPPE CALLIGARIS
sempre l'argomento a cui Gregorio ricorre nei casi che gli oc-
corrono: con questo salutare pensiero scuote l’indifferenza del
peccatore, richiama al suo dovere il magistrato, distacca dalle
cose del mondo quelli che vi hanno affetto, eccita gli ostinati
a penitenza. Colle quali considerazioni vogliamo solo provare
che il pensiero del finimondo è continuo in S. Gregorio: a suo
luogo vedremo di lumeggiar meglio il pensiero gregoriano a
questo proposito.
Un Andrea desidera che Gregorio gli ottenga una carica
dall'imperatore, ma il santo pontefice si adopera tutto per di-
stoglierlo da simile pensiero e indurlo a consacrarsi alla salute
dell'anima. “ Cur.... magnifice fili, non consideras quia mundus
in fine est? Omnia urgentur quotidie, ad reddendas rationes
aeterno et tremendo iudici ducimur ,. A che dunque dobbiamo
pensare, se non alla venuta di Lui? Poi, con magnifica simili-
tudine, descrive il rapido fuggir della vita, senza che possiamo
arrestarlo. “ La vita nostra, egli dice, si può paragonare a colui
che naviga. Infatti costui, o stia in piedi, o segga, o giaccia,
cammina sempre, trasportato dall’impeto della nave. Così siam
noi; o siam desti, o dormenti, tacciamo, o parliamo, o cammi-
niamo, vogliamo o non vogliamo, continuamente, ogni giorno
veniamo trascinati al fine ,. Il terribile pensiero, profonda-
mente mesto, non poteva essere espresso con maggior forza (1).
La patrizia Rusticiana è ritornata troppo presto a Costan-
tinopoli dal suo viaggio al monte Sina. Ciò spiace a Gregorio,
che in questa fretta scorge soverchio amore ai proprii agi, e
ne fa alla nobil donna aspro rimprovero, esortandola a distac-
carsi dal mondo, le cose del quale sono caduche e ‘fuggitive
«“ quia, dum haec loquimur, et tempus currit, et iudex super-
venit et mundum quem sponte nolumus, esse iam prope est ut
inviti relinquamus (2) ,.
E se altri volesse trovare in queste parole un’allusione alla
morte, che ci distacca, anche contro voglia, dalle cose del
mondo, legga quelle ben più chiare che rivolse ad Eusebia pa-
trizia esortandola a distogliere l’anima dal tumulto della regia
città e a considerare la vanità del tutto. “ Excellentia vestra....
(1) Jarrè, 1472 (1107), iun. 597, ind. 15, Reg., VII, 26.
(2) Jarrè, 1316 (951), aug. 594, ind. 12, Reg., IV, 44.
SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 275
venturi iudicis examen tremendum cum metu et lacrymis quo-
tidie sine cessatione consideret, illumque diem, in quo pertur-
banda sunt omnia, cum timore ad animum reducat, ut iram
iudicis in ipso iam die non timeat (1) ,.
Col ricordare il giudizio supremo egli esorta il pretore della
Sicilia Giustino a concordia, giustizia e onestà (2), ammonisce
Venanzio cancelliere d’Italia, ex-monacho (8), richiama al do-
vere il diacono Pietro (4), dà saggi consigli al vescovo Gio-
vanni della Chiesa Scillacina (5), e scrivendo a tutti i vescovi
Numidi di essere solleciti dell'anima dei loro prossimi, consiglia
loro a valersi di questo fortissimo argomento “ ad fidem, quos
valetis, praedicatione charitatis praetenso terrore futuri iudicii
suadete (6) ,.
*
* *
Ma è possibile stabilire, dalle opere di S. Gregorio, quando
avverrà questa dissoluzione di ogni cosa ?
Sebbene fosse venuta l’ultima età del mondo, Gregorio
sperava che la sua generazione non avrebbe assistito all’ultimo
giorno delle cose.
I mali, che travagliavano l'umanità, dovevano aggravarsi
ancora, e allora solo il mondo, sotto sì grave peso, si sarebbe
sfasciato.
Questa la fosca previsione che uno dei maggiori fra i
Romani traeva dagli avvenimenti dei suoi tempi.
Nella 1% Omelia (lib. II) su Ezechiele, egli paragona la
Chiesa ad un edifizio che si va lentamente costruendo nei secoli,
il quale sarà finito solo alla consumazione di questi, e i fedeli
(1) Jarrè, 1900 (1517), iun. 603, ind. 6, Reg. XIII, 35.
(2) Jarrè, 1068 (705), sept. 590, ind. 9, Reg., I, 2.
(3) Jarrè, 1103 (737), mart. 591, ind. 9, Reg., I, 33.
(4) Jarrè, 1112 (748), mai. 591, ind. 9, Reg., I, 42.
(5) Jarrè, 1191 (826), iul. 592, ind. 10, Reg., II, 37.
(6) Jarrè, 1144 (781), aug. 591, ind. 11, Reg., I, 75. Sarebbe del resto
troppo lungo e di scarso profitto il riferire tutti i passi nei quali Gregorio
attesta l'avvicinarsi del giudizio. È un concetto che appare spessissimo,
come già avvertimmo, e dal saggio dato si può comprendere qual parte
abbia nelle opere di Gregorio.
276 GIUSEPPE CALLIGARIS (
che fan parte della Chiesa sono le pietre che lo compongono.
Ora negli edifizi noi vediamo che le pietre si sostengono l’una
coll’altra, salvo quelle poste all'estremità dell’edifizio stesso,
che son portate da altre, senza che esse altre ne sostengano.
Traendo a significazione allegorica e morale questo concetto
osserva che anche nell’edifizio della chiesa “ vicissim se pro-
ximi tolerant, ut per eos aedificium charitatis surgat...; si vos
portare negligo in moribus vestris, et vos me tolerare contem-
nitis in moribus meis, charitatis aedificium inter nos unde
surget?.... ,. Dunque in questo mistico edifizio “ lapis qui portat,
portatur ,.
Ma come le pietre che si pongono sulla sommità dell’edi-
fizio son portate ma non portano, così “ hi qui in fine Ecclesiae,
id est in extremitate mundi nascituri sunt, tolerantur quidem
a maioribus.... sed cum non eos sequuntur qui per illos per-
ficiant, nullos super se fideles fabricae lapides portant ,
Ciò sarà alla fine dell’edifizio, ma ora “ altri sono portati
da noi, e noi siamo portati da altri ,.
Ora dunque l’edifizio è ancora incompiuto, nè si son poste
ad esso le ultime pietre (1).
Ma, anche fuori di figura, S. Gregorio attesta che non è
per anco giunto il colmo dei mali, e che i dolori ben maggiori
aspettano quelli che verranno.
Il vescovo di Salona, Massimo, si era leoni con lui di
quanto soffriva per le invasioni degli Slavi nell’Istria, e il
pontefice, travagliato da mali corporali assai gravi, oppresso
dalle calamità che vedeva aggravarsi sulla terra, non sa dargli
altra parola di conforto se non predirgli che sarebbero venuti
tempi ben peggiori. “ Ubique video quia nobis peccata nostra
respondeant, ut et foris a gentibus et intus a iudicibus (greci)
conturbemur. Sed nolite de talibus omnino contristari, quia qui
post nos vixerint, deteriora tempora videbunt, ita ut in com-
paratione sui temporis, felices nos aestiment dies habuisse (2) ,
Questo stesso argomento di consolazione egli porgeva ad
uno dei re degli Angli venuto alla luce della fede, Etelberto,
al quale, come sprone per procedere nella via intrapresa, ri-
(1) Omal., I, lib. II, in Ezech., I, 1311-13.
(2) Jarrè, 1784 (1320), iul. 600, ind. 3, Reg., X, 15.
SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 277
cordava il terribile giudizio. “ Vogliamo che la gloria vostra
sappia che il fine di questo mondo è vicino.... e sta per venire
il regno dei santi che non avrà mai fine ,. Avvicinandosi questo
fine del mondo, stanno per sopraggiungere molte cose che prima
non accadevano cioè “ immutationes aeris, terroresque de coelo,
et contra ordinem temporum tempestates, bella, fames, pesti-
lentiae, terrae motus per loca. Quae tamen non omnia nostris
diebus ventura sunt, sed post nostros dies omnia subsequentur ,.
Voi dunque, se vedete nel vostro paese accadere alcun che
di questo, non dovete turbarvi, perchè questi segni della fine
del mondo sono mandati avanti per farci solleciti delle anime
nostre, attenti sull’incertezza dell’ora della morte, e pronti, con
buone azioni, al giudice che sta per venire (1) ,.
Dalle quali parole noi apprendiamo che cosa significhino i
segni del giudizio, secondo il concetto di Gregorio. Essi sono’
una prova della bontà di Dio, il quale con questo mezzo avvisa
gli uomini a prepararsi ad un passo così grave. Questi terribili
araldi appaiono molto prima di quel tempo nel quale comparirà
lo stesso tremendo giudice, affinchè l’uomo rientri in sè stesso,
e si volga tutto a Dio, lasciata ogni altra cosa; essi saranno
degna punizione al malvagio che, ostinandosi nel mal fare, non
solo si fa degno di queste sventure, ma di altre ben peggiori
che l’attendono. Su questo concetto avremo ancora occasione
di ritornare.
*
* *
È dunque certo per S. Gregorio Magno che i segni del
giudizio sono già cominciati ad apparire: non è per anco la
morte, ma già vi sono i segni spaventevoli che la annunziano.
Questa impressione terribile di un mondo che cammina
fatalmente verso una morte prossima, è prodotta su Gregorio
dalle calamità del suo tempo, diremo meglio, dall’ intera storia
del suo tempo, che addolorava profondamente quell’anima di
Romano. Le ingiurie del cielo, dell’aria, della terra, quelle degli
uomini, sono da lui confuse insieme; per lui hanno lo stesso
significato il terremoto che scuote la città, il fiume che la inonda,
(1) Jarrè, 1827 (1416), iun. 22, 601, ind. 4, Reg. XI, 37.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 21
278 GIUSEPPE CALLIGARIS
la bufera che la desola, ed il barbaro che la scorre e la sac-
cheggia: son tutti segni di prossimi avvenimenti più terribili
ancora, dei quali Dio pietoso ci avvisa; lo stesso fatto delle
invasioni barbariche, per lui non rappresenta che uno dei segni
dell’ira divina. .
Nell'Omelia I e nella XXXV sopra gli Evangeli, parlasi
dei segni che precederanno il giudizio, a proposito delle parole
evangeliche che qui riferisco per maggior chiarezza: “ Cum....
audieritis praelia, et seditiones nolite terreri: oportet primum
haec fieri, sed nondum statim finis.... Surget gens contra
gentem, et regnum adversus regnum. Et terrae motus magni
erunt per loca, et pestilentiae, et fames, terroresque de caelo,
et signa magna erunt.... Et erunt signa in sole, et luna, et
stellis, et in terris pressura gentium prae confusione sonitus
maris, et fluctuum.... Videte ficulneam, et omnes arbores: cum
producunt iam ex se fructum, scitis quoniam prope est aestas.
Ita et vos cum videritis haec ferri, scitote quoniam prope est
regnum Dei ,. (Luc. XXI, 9, 10, 11, 25, 29, 30, 31).
S. Gregorio comincia dallo spiegarci la ragione per cui era
bene che Iddio ci avvisasse di questi mali, prima che accades-
sero. “ Dominus ac Redemtor noster perituri mundi praecur-
rentia mala denuntiat, ut eo minus perturbent venientia, quo
fuerint praescita , (1), ed ancora perchè “ paratos nos invenire
desiderans, senescentem mundum quae mala sequantur denuntiat;
ut nos ab elus amore compescat ,, così che “ si Deum metuere
in tranquillitate non volumus, vicinum eius judicium vel percus-
sionibus attriti timeamus (2).
Passa quindi in rassegna questi varìî segni “ Bella..... ad
hostes pertinent, seditiones ad cives ,, così che noi saremo fla-
gellati e dai nemici e dai fratelli. Ma dopo le guerre o le sedi-
zioni non vi sarà tosto la fine; altri segni avverranno e noi
soffriremo “ alia e celo, alia e terra, alia ab elementis, alia ab
hominibus ,. La frase surget gens contra gentem indica le per-
turbazioni degli uomini, erunt terrae motus magni per loca, l'ira
superiore; erunt pestilentiae, l’ineguaglianza dei corpi; erit fames,
la sterilità della terra; terroresque de caelo et tempestates (lezione
(1) Hom., XXXV, lib. II, in Evang., I, 1612.
(2) Hom., I, lib. I, in Evang., I, 1436.
SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 279
che Gregorio qui accetta invece della su riferita), l’ineguaglianza
dell’aria (1). Ma di questi segni alcuni sono già apparsi, altri
temiamo che in breve abbiano a comparire. “ Che gente sorga
contro gente, e che del loro peso gravino la terra, vediamo nei
nostri tempi più di quello che leggiamo nei libri. Sapete con
quanta frequenza ci giunga notizia da altre parti del mondo che
il terremoto sconvolge innumerevoli città, e noi soffriamo senza
riposo la pestilenza. — Finora non sono per anco apparsi segni
nel sole, nella luna, nelle stelle, ma dalla stessa mutazione
dell’aere possiamo supporre che non sono lontani. Sebbene ab-
biamo veduto in cielo delle ignee schiere, e corruscar quel sangue
che poi fu sparso, prima che l’Italia fosse abbandonata “ gentili
gladio ferienda ,, cioè ai Langobardi. — Neppur è sorta nuova
confusione del mare e dei flutti, ma, essendosi già compiute
molte delle cose annunziate, non v'è dubbio che seguiranno anche
quelle poche che restano; giacchè le prime ce ne fanno fede (2).
Appare quindi evidente che Gregorio considerava le cala-
mità del suo tempo come segni della prossima fine delle cose:
su questo concetto egli insiste assai frequentemente, e credo
che non sarà inutile che noi pure ci fermiamo alquanto. Redento,
vescovo Ferentino (3), parlava talora a Gregorio, ancora nel
monastero, della fine del mondo e gli narrava una visione da
lui avuta nella chiesa del martire Eutichio, presso la tomba
del quale aveva voluto riposare la notte. Mentre il vescovo stava
fra il sonno e la veglia, gli si era fermato avanti il martire
stesso che per tre volte gli aveva detto: “ Finis venit universae
carnis , e poi era sparito.
E ben presto erano apparsi i segni che provavano vere le
parole udite da Redento, e questi segni che Gregorio riferisce
(1) Hom., XXXV, lib. II, in Evang., I, 1612.
(2) Hom., I, lib. I, in Evang,, I, 1436. Si potrebbe aggiungere che nel-
l’Om. XXXV (loc. cit., I, 1613), parlando delle tempestates, osserva doversi
intendere di quelle solo che avvengono contro l'ordine dei tempi. “ Quod
nos quoque nuper experti sumus, quia aestivum tempus omne conversum în
pluvias hyemales vidimus ,. Ecco adempiuto altro dei segni. Nell'Om., II,
lib. I, sup. Ezech., Gregorio ricorda pure i segni del giudizio colle parole
di MartEo, XXIV, 29.
(3) Dial., III, 38 (t. II).
280 GIUSEPPE CALLIGARIS
al diacono Pietro, non sono che una paurosa descrizione di quei
tempi.
Tosto, egli dice, apparvero in cielo quei segni terribili (forse
allora nella memoria di tutti) di aste e di schiere ignee viste
dalla parte di Aquilone. Tosto la feroce gente dei Langobardi,
uscita dalla vagina delle sue stanze, colpì le nostre cervici e la
popolazione che prima qui abbondava come messe, giacque recisa
ed inaridita. Furono saccheggiate le città, distrutti i castelli,
bruciate le chiese, abbattuti i monasteri di uomini e di donne,
abbandonati i campi, dove prima eranvi i cultori ora è deserto,
e dove prima abbondava la moltitudine degli uomini, ora è copia
di fiere. — Che cosa si faccia nelle altre parti del mondo, non
lo so, ma qui dove noi siamo, il mondo non solo annunzia, ma
mostra che è giunta la sua fine.
La quale frase ci toglierebbe ogni dubbio se ancora fossimo
incerti su quanto dicevamo: le calamità dei suoi tempi sono per
Gregorio prova sicura che il mondo è ai suoi ultimi giorni, e
che i mali che lo affliggono, sono i segni precursori della ruina
totale.
Questo stesso concetto è ripetuto tante volte che noi cor-
reremo rischio di spendere parole inutili se volessimo riferire
tutti i passi che trattano di questo argomento.
Ne riporto alcuni più importanti.
“ Ecco già rovinate tutte le cose di questo mondo, che noi
avevamo sentito dalle sacre carte dover perire, scrive egli ai
preti, diaconi e clero della chiesa Milanese. Distrutte le città,
abbattuti i castelli, rovinate le chiese, spopolata la nostra terra.
In noi stessi rimasti così pochi, coi flagelli del cielo, incrudelisce
senza tregua la spada degli uomini. Ecco che noi vediamo già
i mali del mondo, che sentivamo dover accadere; le piaghe che
hanno colpite le terre son fatte per noi quasi pagine di libro.
Pensiamo quindi, nel morire di tutte le cose, che è nulla ciò
che amammo; considerate l'avvicinarsi del giorno dell’ eterno
giudice, e col pentirvi, prevenitene il terrore..... (1). Che i destini
umani stiano per compirsi, e che sotto gli occhi spaventati
degli uomini d’allora si avveri quanto predivano le sacre carte,
Gregorio lo ricorda pure al patriarca di Costantinopoli: “ omnia
(1) Jarrè, 1233 (869), apr. 593, ind. 11, Reg., III, 29.
SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 281
quae praedicta sunt, fiunt. Rex superbiae (l’Anticristo) prope
est... La pestilenza e la spada che incrudeliscono per il mondo,
le genti che insorgono contro le genti, il mondo scosso dai ter-
remoti, la terra che perisce coi suoi abitatori, ne sono i segni
funesti , (1).
Le quali parole meglio serviranno a manifestarci l’animo di
chi scriveva, se ricorderemo che poco dopo aggiungeva: “ sub
tantis tribulationibus circumfusus barbarorum gladiis premor,
ut non dico multa tractare, sed mihi respirare vix liceat ,.
Queste sventure non sono però inaspettate per il cristiano, il
quale vede in esse l’avverarsi della divina parola. “ Abbiamo
sentito, scrive al vescovo di Cartagine, con qual violenza la
peste sia scoppiata nella parte dell’Africa, e perchè neppur
l’Italia è libera da tale flagello, si raddoppiano in noi i gemiti
di dolore. Ma fra questi mali e altre calamità innumerabili, il
cuor nostro verrebbe meno per disperato dolore, se la voce del
Signore non avesse rafforzata la nostra fragilità, col predire questi
mali che doveano accadere all’avvicinarsi della fine del mondo.
Non dobbiamo dunque dolerci di ciò che soffriamo, come di cose
giunte all’improvviso. Il modo della morte è spesso di conso-
lazione nel pensare alla morte di alcuno! ,. Ed egli, volgendo
(1) Jarrè, 1357 (970), 1 iun. 595, ind. 13, Reg., V, 44. Le parole colle
quali si descrivono le calamità del mondo sono ad un di presso quelle
della lezione evangelica su citata, e le calamità stesse sono raggruppate
in modo che rispondano a quelle. Perciò a questo riguardo nelle lettere
gregoriane vi sono molte ripetizioni. Nella lettera all'imperatore Maurizio,
contrapponendo alla desolante condizione dell'Europa il brutto esempio
della superbia sacerdotale (e ciò sempre a proposito delle contese col pa-
triarca di Costantinopoli), scrive: “ Ecce cuncta in Europae partibus Bar-
barorum iuri sunt tradita ,. Questi sono i ministri dell’ira divina, poichè
aggiunge: “ destructae urbes, eversa castra, depopulatae provinciae, nullus
terram cultor inhabitat: saeviunt et dominantur quotidie in necem fidelium
cultores idolorum, et tamen sacerdotes, qui in pavimento et cinere flentes
iacere debuerunt, vanitatis sibi nomina expetunt , (JArrè, 1360 (972), iun.
595, ind. 13, Reg., V, 37). — Rimproverando i nobiles e i possessores della
Sardegna perchè lasciavano vivere nel paganesimo i rustici delle loro
possessioni, rammenta loro la prossima fine del mondo, annunziata dai so-
liti segni: “ Quam vicinus finis urget (il mondo) aspicitis, quod modo hu-
manus in nos, modo divinus saeviat gladius videtis ,, eppur voi “ a com-
missis vobis lapides adorari conspicitis et tacetis , (JArrè, 1295 (930), mai.
594, ind. 12, Reg., IV, 23).
282 GIUSEPPE CALLIGARIS
attorno lo sguardo, vedeva che spesso la morte era il solo rimedio
a tanti mali, e la vita un tormento (1).
Queste stesse riflessioni mette avanti nel consolare Italica
e Venanzio per i loro mali privati. Nelle calamità che desolano
il mondo come tristo annunzio di futuro danno, si spiegano i
dolori particolari.
“ Son già undici mesi che assai di rado posso sorgere dal
letto; sono afflitto da sì gravi dolori di podagra e da tanti altri
incomodi, che la vita mi è un supplizio gravissimo. Ogni giorno
vengo meno nel dolore, e sospiro la morte come un rimedio.
Nel clero e nel popolo di questa città (Roma) irruppero sì gravi
languori di febbri, che nessuno rimase capace a far qualcosa.
Dalle vicine città mi si annunziano ogni giorno stragi e morti.
Voi che siete più vicini (in Sicilia), sapete meglio di me quali
stragi semini morte in Africa, e cose più gravi annunziano quelli
che vengono dall’Oriente. — Voi perciò non dovete troppo acco-
rarvi delle vostre molestie, fra tutti questi mali, perchè vedete
che il flagello è per tutti, avvicinandosi la fine del mondo. Ma
come saggi volgete tutto il cuor vostro alla salute dell’anima,
e più temete lo stesso giudizio, quanto più è vicino , (2).
Alla desolazione del mondo, si deve aggiungere quella di
Roma, le cui miserande condizioni si rilevano tristamente dalle
pagine di Gregorio. “ Noi vediamo quale sia rimasta Roma, che
una volta pareva signora del mondo, per i suoi immensi dolori,
per la desolazione dei cittadini, per gli assalti dei nemici, per
la frequenza dei pericoli... essa ha perduto i potenti del secolo;
e dove è ora il suo popolo, dove il Senato? e noi, pochi super-
stiti, le spade e le tribolazioni opprimono..... Roma brucia
vuota..... , (3).
Le quali parole tristamente lugubri, recitate avanti agli
atterriti Romani, mentre la bufera langobarda minacciava la
città (4), compiono il tristo quadro delle infelicità del mondo. —
(1) Jarrè, 1789 (1326), aug. 600, ind. 3, Reg., X, 20.
(2) Jarrè, 1759 (1280), aug. 599, ind. 2, Reg., IX, 232.
(3) Hom., VI, lib. II, in Ezech., I, 1374-5.
(4) È noto che la recita di queste Omelie fu interrotta nel 593 a ca-
gione dell’assedio di Roma al tempo di Agilulfo. Otto anni più tardi il papa
le fè raccogliere e spedire all’arcivescovo di Ravenna, Mariniano. Siccome di
ciò parla il GrIsar, così non mi soffermo a discorrerne più largamente.
SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 283
E a conclusione di quanto dicemmo, si potrebbero riferire pa-
recchi passi nei quali son riassunte quelle serie infinite di sven-
ture (1): noi ci contenteremo di ricordarli in nota, e di osser-
vare con Gregorio che il mondo stesso pieno di piaghe ora
rivolgeva gli uomini a Dio (2) mentre un giorno era stato virtù
il disprezzarlo quando era fiorente, quando “ erat vita longa,
salus continua, opulentia in rebus, foecunditas in propagine,
tranquillitas in diuturna pace ,.
Il mondo ebbe esso pure i suoi giorni splendidi, la sua gio-
vinezza, e la vita allora era men dura: e il Romano pensava
con rammarico a quei tempi lontani, egli obbligato a vivere nella
vecchiezza del mondo stesso.
“ Come nella gioventù è vigoroso il corpo, forte ed incolume
il petto, torosa la cervice, piene e salde le braccia, e negli anni
senili si curva la statura, si piega la cervice, il petto è affan-
noso, vien meno la forza, e l’anelito impedisce la parola, giacchè,
anche non vi sia languore, ai vecchi è malattia la stessa salute;
così il mondo, negli anni passati, ebbe quasi il vigore della gio-
ventù, robusto per propagare la stirpe umana, florido per salute
di corpi, ricco per opulenza di beni. Ora lo abbatte la sua
(1) Cfr. Hom., VI, lib. II, super. Ezech., I, 1376; Hom., IV, lib. I, in
Evang., I, 1448, dove scrive: “ Hoc (la fine delle cose)... etiam si Evangelium
taceat, mundus clamat. Ruinae namque illius voces eius sunt... ,. Cadde
dalla sua gloria... ed è amaro a quelli stessi da cui era amato. È facile,
ora che vediamo la rovina di ogni cosa, allontanare il nostro cuore dal-
l’amore del mondo; era invece difficile allora quando “ longe lateque omnes
cernerent florere regna terrarum ,. Ciò era al tempo della predicazione
apostolica e nei primi tempi della chiesa “ unde adiuneta sunt praedica-
toribus sanctis miracula , (I, 1450); “ quando si appicca il fuoco ad una casa,
il padrone prende ciò che ha più caro e fugge; ora ecco che le fiamme
delle tribolazioni bruciano il mondo, e che la prossima fine, come fuoco,
guasta tutto ciò che in esso sembrava bello ,. Consiglia quindi, in senso
spirituale di imitare, nel fuggire, il padrone della casa incendiata. Ricordo
per ultimo che fra i segnali della fine del mondo, Gregorio pone la con-
versione delle genti, che si era già compiuta: “ in coelo iam sedet qui
de conversione nos admonet: iam iugo fidei colla gentium subdidit, iam
mundi gloriam stravit, iam, ruinis eius crebrescentibus, districti sui iudicii
diem propinquantem denunciat , (Hom., V, lib. I, in Evang., I, 1450), nel
quale passo, oltre all’accenno delle solite sventure e ruine del mondo, è
indicato un segno che finora hon avevamo visto ricordato.
(2) Hom., XXVIII, lib. II, in Evang., I, 1569.
294 GIUSEPPE CALLIGARIS
stessa vecchiezza ed è spinto a morte non lontana da molestie
che sempre si accrescono , (1).
Alle ruine materiali del mondo è da aggiungere lo sfacelo
morale. Gregorio, mentre scorgeva i dolori che sopportavano gli
uomini del suo tempo, doveva pure attristarsi per la visibile
decadenza della loro fede e dei loro costumi: segnale ancor
questo dei terribili avvenimenti che si aspettavano.
“ Prima i cuori degli uomini si sconvolgono e poi gli ele-
menti (2); nella fine dei secoli lo spirito maligno col freddo del
suo torpore occuperà più gravemente le menti degli uomini , (3).
Abbondano i malvagi perchè giustamente siano oppressi dalle
ruine del mondo (4), e già l’apostolo Paolo prediceva che “ in
novissimis temporibus instabunt tempora periculosa, et erunt,
homines se ipsos amantes, cupidi, elati , e Gregorio ben lo sapeva
egli che, per non affliggere altrui, taceva quello che soffriva per
(1) Hom. I, lib. I, in Evang., I, 1438-39. Cfr. pure: Hom. XXVIII, lib. II,
in Evang., I, 1568-69. Mi sia lecito ricordare ancora un luogo assai noto
dei Dialoghi (IV, 35), che può interessarci. Si parla quivi della condizione
dell'anima che, mentre sta per uscire dal corpo, conosce quelli coi quali
dovrà avere comune il premio o il castigo. A conferma di ciò si parla di Eu-
morfio che, morente, aveva mandato il suo servo ad un conoscente, che pure
era per morire, dicendogli che era giunta la nave per traghettarli in Sicilia.
Il diacono Pietro chiede a Gregorio perchè a quel moribondo fosse apparsa
una nave e perchè avesse predetto di dover essere trasportato in Sicilia.
Gregorio, risposto alla prima delle due domande, osserva, rispetto alla seconda,
che “ in eius terrae insulis eructante igne, tormentorum ollae patuerunt ,.
“Quae, ut solent narrare qui noverunt, laxatis quotidie sinibus, excrescunt,
ut, mundi termino appropinquante, quanto certum est illuc amplius exu-
rendos collegi, tanto et eadem tormentorum loca amplius videntur aperiri ,,
Il che Dio permise si mostrasse in questo mondo a correzione dei viventi,
affinchè le menti degl’infedeli, che non credono ai tormenti dell’inferno
vedano î luoghi dei tormenti, essi che non vogliono credere a ciò che hanno
udito. Cfr., su questa leggenda, Grar, Miti, leggende e superstizioni del M. E.
II, 316; e II, 86 (Torino, Loescher, 1898).
(2) Hom. XXXV, lib. II, in Evang., I, 1613.
(3) Hom. II, lib. I, in Ezech., I, 1187-A.
(4) Hom. XXXV, lib. II, in Evang., I, 1614.
SAN GREGORIO MAGNO E LE PAURE DEL PROSSIMO FINIMONDO, ECC. 285
le spade dei barbari, e per la perversità dei giudici (1). E quasi
a togliere ogni consolazione quaggiù, sparivano dal mondo gli
uomini migliori (2) perchè non vedessero i mali di questa terra,
e si compisse con essi l’edifizio celeste, all'avvicinarsi della fine
del mondo (8).
La fede stessa scadeva nel cuore degli uomini: “ ora è
scarsezza di uomini perfetti e mentre vediamo come la religione
fiorisse negli antichi tempi, ora ne piangiamo la mancanza.
Addolorati dalla miseria del tempo presente, sospiriamo che siasi
sfrondato il fiore del tempo che passò, colla bellezza della san-
tità. Gli stessi pastori delle anime si sono corrotti e guastati;
essi pure attendono alle cose della terra, cercano le cose fug-
| gitive, non mostrano neppure gli indizi della vita spirituale, nè
spargono luce alcuna su di noi (4) ,.
Anche il clero è giunto alla sua vecchiezza; la vecchiezza
e la giovinezza di Samuele, indicano per Gregorio la vecchiezza
e la giovinezza del sacerdozio. Era giovane Samuele quando il
‘sacerdozio, nulla curando la terra, solo aspirava alle cose celesti,
per poter più efficacemente predicarle; perciò e colle parole e
cogli esempi accendeva gli animi dei sudditi all'amore di quelle.
Forte e raggiante di bellezza giovanile, nello splendore della
santa conversazione mostrava la forza della celeste parola, e
colla sua vita confermava quanto predicava..... Ma è già gran
tempo che Samuele invecchiò. È già gran tempo che molti se-
guono l’amore del secolo, di quelli che colla loro virtù avreb-
bero dovuto allontanare le gioie del mondo dal cuore degli
altri , (5). Pur troppo, “ vespere... pastores lupi fiunt , poichè
nell’oscurarsi e nel mancare di questo mondo, non si peritano
di rapire i doni dei loro soggetti, cosichè, agognando alle cose
temporali, all’alba dell'ultimo dei giorni, si privano di quei premi
che loro sarebbero toccati (6).
(1) Jarrè, 1489 (1124), sept. 597, ind. I, Reg., VIII, 2.
(2) Jarrè, 1078 (713), dec. 590, ind. IX, Reg., I, 11.
(3) Dial., III, 37.
(4) Lib. IV, c. IV, in Primum Regum, III, pars 2°, 207-8.
(5) Lib. IV, c. IV, in Primum Regum, II, pars 2°, 190.
(6) Lib. I, c. I, in Primum Regum, III, pars 2°, 17 C. — Hom. XXXV,
in Evang.
286 GIUSEPPE CALLIGARIS — SAN GREGORIO MAGNO, ECC.
Volendo riassumere quanto abbiamo detto fin qui, noi pos-
siamo concludere: è evidente nelle opere di Gregorio una vera
preoccupazione incessante per la prossima fine del mondo, che sta
sospesa sugli uomini come una minaccia. — Forse la genera-
zione di S. Gregorio Magno non l’avrebbe veduta, ma il terribile
avvenimento non poteva tardare a compiersi, perchè troppi segni
lo annunziavano vicino, quei segni stessi che, secondo le sacre
carte, precederanno l’ultimo dei giorni.
Questi segni, araldi dell'ultima sventura, che Gregorio re-
gistra con dolore, altro non sono che le calamità che allora
affliggevano il mondo romano, quello sfacelo materiale e morale
a cui ogni animo romano assisteva con dolore. S. Gregorio è
Romano, e coll’occhio del romano considera tutte le cose. Egli ha
sempre presenti i tempi floridi del mondo, che son quelli della
gloria di Roma; la decadenza di questa gloria, lo squallore di
quella città, una volta regina, il periodo tumultuoso successo a un
periodo così profondamente pacifico, indicano per lui la fine delle
cose, ed i gravi avvenimenti che in quei secoli si compivano;
l’urto fra il Romanesimo ed il Germanesimo non potevano da
lui considerarsi che come una sventura, un segno dell’ira divina.
Ma che tramonti quell’antico ordine di cose infino a tanto
che durerà il mondo, egli non crede: l'impero è saldo e forte
in Costantinopoli e le aggressioni barbariche sono un accidente
e nulla più. Non è la civiltà romana che crolla; è il mondo
stesso che si sfascia. Egli non avrebbe mai potuto prevedere
da quel disordine un nuovo ordine di cose.
Perchè poi S. Gregorio credesse quelle sventure così gravi
e non passeggere, perchè non mantenesse intatta la fede sul
trionfo definitivo di Roma, ce lo dice in parte almeno l’opi-
nione allora diffusa, che si vivesse nell’ultima delle età del
mondo, e con simili convinzioni uno sconvolgimento così grave
come quello a cui si assisteva nel secolo VI, non poteva che parere
un segnale del termine di ogni cosa.
287
“
Sunto della Memoria: “ Studi psicofisiologici , ;
del Socio GIUSEPPE ALLIEVO.
Nello sviluppo storico dell'umano pensiero la scienza della
natura fisica esteriore ha preceduto la scienza dell’uomo, e lo
spirito speculativo trapassò dall’una all'altra di queste due
scienze mosso sia dalle contraddizioni delle primitive dottrine
filosofiche intorno l’origine e la natura del cosmo, sia dal bisogno
di rispondere al problema riguardante l'origine, la natura, il fine
supremo dell’uomo, problema che s'impone da sè alla mente
del filosofo.
L’antropologia, malgrado la sua pressochè sterminata am-
piezza, si distingue da tutte e singole le scienze particolari della
natura, essendochè l’uomo possiede una natura specifica sua
propria, per cui non va confuso con le specie di esseri corporei
ed irragionevoli del cosmo esteriore. Essa va altresì distinta
da quelle altre scienze affini, che contemplano l’uomo soltanto
sotto tale o tal’altra delle sue manifestazioni particolari (quali
sono ad esempio la morale, la politica, la pedagogia, la socio-
logia), mentre essa medita la natura umana in tutta la sua
integrità ed ampiezza.
L’antropologia si trova di fronte a due sistemi, che la
snaturano trascorrendo a due estremi opposti, lo scetticismo ed
il razionalismo assoluto. Secondo lo scetticismo, niente si sa di
vero intorno l’uomo, tutto è incerto e controverso; secondo il
razionalismo assoluto tutto si può comprendere in riguardo al-
l'essere umano, niente vi ha di inaccessibile alla ragione spe-
culativa. Ma lo scetticismo contraddice a sè medesimo, perchè
adopera la ragione per combattere la ragione, e non avverte
che tra il conoscere tutto ed il conoscere nulla ci sta di mezzo
quella parte di conoscenza, che si addice all’intelligenza umana.
Il razionalismo assoluto poi si chiarisce insussistente sia dalla
limitazione delle singole ragioni umane individuali, sia dai mi-
288
steri indicifrabili, in cui ci sì presenta una parte dell’essere
umano. L’antropologia possiede il vero frammisto coll’incerto
e coll’ignoto, epperò riposa sicura tra i due estremi-dello scet-
ticismo e del razionalismo assoluto. i
Tra il mondo esteriore della natura ed il mondo interiore
dell'anima corrono analogie e corrispondenze molteplici e di-
verse. Fuori di noi si riscontrano sostanze corporee coi loro
fenomeni fisici e colle forze, che li producono, dentro di noi una.
sostanza spirituale, l’anima, colle sue potenze, da cui derivano
i fenomeni psichici. Fra i punti speciali di analogia tra il cosmo
e lo spirito sono notevoli i seguenti. I primi vocaboli formati
dall'uomo esprimevano l’esistenza delle sostanze corporee, le loro
qualità ed azioni, poi furono adoperati metaforicamente ad espri-
mere la natura e le operazioni dell'anima, e ciò appunto in
virtù dell’analogia intima e profonda, che corre fra i due mondi.
Similmente nel mondo animato e vivente della natura troviamo:
1° che la vita è dapprima tutta inviluppata in una unità ger-
minale omogenea ed indistinta, dalla quale si svolge poi una
moltiplicità di elementi, di tessuti, di organi, di funzioni;
2° che l’individuo vivente possiede una forza organogenetica o
potere formatore, che plasma l'organismo, ed una virtù assimi-
latrice, che lo conserva mediante il nutrimento. L’Io umano
presenta sotto questo riguardo una perfetta analogia (non però
identità) cogli organismi viventi della natura. Anche nell'anima
del neonato la vita spirituale è originariamente chiusa in una
semplicissima unità, anch'essa è fornita di un potere formatore,
per cui dal suo stato rudimentale semplicissimo ed uno procede
ad una moltiplicità di potenze e di operazioni, e di una virtù
assimilatrice, per cui conforma al proprio stampo individuale
il nutrimento proprio dello spirito.
Tra l’anima ed il corpo dell’uomo corrono analogie e cor-
rispondenze assai più intime e naturali, che non quelle, che
abbiamo riscontrate tra il mondo corporeo esterno ed il mondo
psicologico interno. Un primo e notevole punto di corrispon-
denza sta nel parallelismo di sviluppo della mente e dell’orga-
nismo traverso le successive età della vita; parallelismo però,
che non è nè assoluto, nè continuato, tanto meno poi una iden-
tità. Altra corrispondenza è quella che intercede tra la mente
sana ed il corpo sano, tra le malattie dell'anima e le malattie
289
del corpo; il che ci porta a distinguere una duplice specie di
igiene, di patologia e di terapeutica, corrispondenti alle due
sostanze componenti l’essere umano. Anche i due stati della
veglia e del sonno si corrispondono fra di loro, essendochè in
ciascuno di essi le potenze dell'anima e le funzioni dell’orga-
nismo si mostrano sotto forme speciali ed analoghe. Infine lo
spirito ed il corpo in tutto il corso ascensivo del loro perfe-
zionamento si prestano vicendevoli uffici, essendochè lo spirito
deve ai sensi esterni le prime conoscenze del mondo sensibile
corporeo, alla parola lo sviluppo del suo pensiero, alla mano
lo strumento della sua attività artistica e morale, ed alla sua
volta ricambia il corpo de’ ricevuti servizi, conferendogli virtù
ed attitudini superiori alla sua costitutiva essenza.
L’anima ed il corpo nei loro fenomeni presentano una cor-
rispondenza, la quale per la sua grande ampiezza e somma
importanza dà luogo a gravissime e serie considerazioni e for-
nisce argomento di una scienza speciale, la psicofisiologia.
A’ tempi nostri troviamo traccie di questa scienza nel Saggio
sui principi ed i limiti della scienza dei rapporti del fisico e del
morale del Cerise, e più ancora nei Principi generali di psico-
logia fisiologica di Ermanno Lotze.
Ricercare il supremo principio generatore di tutti i feno-
meni della vita umana, tale è il problema fondamentale della
scienza psicofisiologica. Il problema può ricevere due prin-
cipali soluzioni, secondochè si ripone il principio generatore di
tutti i fenomeni in una sostanza, o nei fenomeni stessi. Nella
prima supposizione abbiamo il sistema del dinamismo, nella se-
conda il fenomenismo. Ciascuna di queste due grandi categorie
di sistemi psicofisiologici ha le sue suddivisioni, che sono riguardo
alla prima il monodinamismo da un lato, il duodinamismo dall’altro.
Il monodinamismo riconduce tutti i fenomeni umani ad una sola
sostanza, come a loro principio generatore, la quale potendo essere
o l’anima od il corpo, bipartisce il monodinamismo in animismo
ed in materialismo. Il duodinamismo pone una essenziale diffe-
renza tra i due ordini di fenomeni, mentali e fisiologici, e quindi
fa derivare gli uni dalla sostanza spirituale, che è l’anima ra-
zionale, gli altri dalla forza vitale intrinseca all'organismo. Il
fenomenismo sta diametralmente opposto al dinamismo, e si
bipartisce in dualistico ed evoluzionistico, secondochè riconosce
290
una linea di distinzione tra i due ordini di fenomeni, oppure
sostiene che si trasformano gli uni negli altri. Secondo il si-
stema del fenomenismo, i fenomeni hanno in sè medesimi la
loro ragione spiegativa, essendochè sono tra loro congiunti dal
doppio vincolo di successione e di causalità per guisa che av-
vengono gli uni dopo gli altri, ed i precedenti sono causa dei
susseguenti. Nel corso ascensivo della loro serie essi si mo-
strano da prima più o meno semplici, e diventano sempre più
composti. a mano a mano che vanno intrecciandosi e compli-
candosi.
L'autore della Memoria chiama ad esame critico queste
diverse classi di sistemi psicofisiologici considerati nei loro
rappresentanti più noti, fermandosi segnatamente sull’animismo
di Stahl, di Francesco Bouillier, di Francesco Bonucci e di
Antonio Rosmini. Venendo allo scioglimento del problema, vuolsi
distinguere il duodinamismo esclusivo dal duodinamismo coor-
dinato. Il duodinamismo esclusivo non risolve il problema, perchè
separa l’uno dall’altro i due principî costitutivi dell’uomo. In-
vece il duodinamismo coordinato è conciliabile coll’ unità dell’ Io
umano, poichè l’anima razionale non essendo uno spirito puro,
è essa che informa ed avviva il corpo. Così il principio organico
corporeo produce i fenomeni della vita fisica ed animale, ma
in grazia della forza vitale ricevuta dall’anima, la quale perciò
produce direttamente e per sè stessa i fenomeni della vita men-
tale, ed indirettamente ossia per mezzo del corpo i fenomeni
della vita corporea.
L’ Accademico Segretario
Ermanno FERRERO.
291
CLASSI UNITE
Adunanza del 29 Dicembre 1895.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA
VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Il Socio Naccari, Segretario della Giunta per l’aggiudica-
zione del nono premio Bressa, legge la seguente relazione:
La prima Giunta per il nono premio Bressa presentò alle
Classi unite dell’Accademia nella seduta del 31 marzo 1895 la
relazione degli studi da essa fatti per scegliere fra le opere
inviate dai concorrenti o proposte dai Soci, quelle che meritas-
sero d’essere prese in considerazione per il premio.
Fra le opere di 42 autori, che vennero esaminate dalla
prima Giunta, vennero scelte le seguenti, che qui nomino in
ordine alfabetico:
1. Maurizio Cantor, Storia delle matematiche.
2. Teodoro Curtius, Studi sui composti idrogenati dell'azoto.
3. Adolfo Imbeaux, Studio idraulico sulla Durance.
4. Sophus Lie, Teoria dei gruppi di trasformazione ed altri
scritti matematici.
5. Alessandro Macfarlane, Memorie di fisica matematica.
6. W. Ostwald, Trattato di Chimica generale e memorie di
Fisico-chimica.
7. Lord Rayleigh e W. Ramsay, Scoperta dell’argon.
Per proposte fatte da Soci nella detta seduta s’aggiunsero
le opere seguenti:
1. T. Behring, Scoperta del siero antidifterico.
2. R. Caverni, Storia del metodo sperimentale in Italia.
3. H. C. Vogel, Lavori di astronomia fisica.
292
La seconda Giunta, prese in esame tutte queste opere, stimò
che ciascuna di esse avesse pregi tali da renderla degna del
premio. Tenuto conto però del numero notevole delle opere
proposte, decise di dividerle in tre gruppi. La Giunta giudicò
che le opere del primo gruppo abbiano qualche grado di pre-
minenza sopra quelle degli altri due, e così quelle del secondo
gruppo sopra quelle del terzo.
Nel primo gruppo vennero poste le opere
1° di SopHus LIE;
2° di lord RayLeItcH e W. RAMSAY;
38° di Ermanno CaRrLO VOGEL;
4° del D" BrgRING.
Rispetto a quest’ultimo va notato che la Giunta non fu
così concorde come per gli altri tre autori nell’assegnargli un
posto nel primo gruppo.
1. L’opera del Lie intitolata: “ Theorie der Transformations-
gruppen , contiene una delle teorie più vaste e feconde della
matematica moderna. Il Lie le diede completo sviluppo e ne
fece importantissime applicazioni.
Non tutti i volumi dell’opera del Lie vennero pubblicati
nel quadriennio 1891-1894, ma a questo appartiene il terzo ed
ultimo volume pubblicato nel 1893, che è il più ampio ed im-
portante dell’opera.
S'aggiunga che altre opere e memorie di molto valore fu-
rono pubblicate in questo quadriennio dal Lie.
2. La scoperta dell’argon fatta da lord Rayleigh e da W.
Ramsay, pubblicata nell'autunno del 1894, è forse il più impor-
tante avvenimento scientifico degli ultimi tempi. Generalmente
credevasi che la composizione dell’aria fosse perfettamente co-
nosciuta, sicchè la scoperta di un nuovo gas contenuto in essa
eccitò lo stupore generale. A merito singolare degli scopritori,
e specialmente di lord Rayleigh, va notato che la scoperta non
fu accidentale, come avvenne per la massima parte delle sostanze
elementari. Lord Rayleigh avendo osservato delle minime ma
costanti differenze di densità fra l’azoto tratto dall’aria e quello
tennisti ni ii sint iti
293
e
ottenuto da composti azotati pensò che ciò potea provenire
dall'esistenza di una sostanza ancora ignota nell’aria e diresse
i suoi studi a chiarire la cosa, prendendo a suo collaboratore
il Ramsay, che per le indagini chimiche aveva competenza
speciale. L’ottenere l’argon libero e puro richiese una lunga
serie di svariate e minuziose operazioni. Gli autori accompa-
gnarono la pubblicazione della loro scoperta con tutte quelle
determinazioni di costanti fisiche, che nello stato presente della
scienza valgono a definire un gas.
Quanto alla scoperta dell’argon potendo venir fatta l’obbie-
zione che questo premio non può assegnarsi a due persone, la
Giunta è di parere che la votazione debba farsi sul nome del
solo Lord Rayleigh, il quale nella scoperta ebbe il merito
maggiore ed è uno scienziato di valore grandissimo.
3. È merito di H. C. Vogel l'aver dato un grande impulso
agli studi di astronomia fisica e l’aver creato intorno a sè in
Potsdam una scuola dedicata a quella scienza. In particolare
è suo vanto l’aver ottenuto delle misure di precisione della
velocità degli astri nel senso della visuale con l’applicazione
della fotografia allo spettroscopio e l’aver tratto da tali osser-
vazioni delle conclusioni di somma importanza.
È noto che quando un corpo celeste si avvicina a noi le
linee del suo spettro si spostano verso l’estremo più rifrangi-
bile, che il fatto contrario avviene nel caso opposto e che gli
spostamenti sono proporzionali alla velocità con cui l’astro si
avvicina o si allontana. Da questo principio conosciuto sotto il
nome di principio del Doppler venne un metodo di misurare la
velocità degli astri nella direzione della visuale, metodo che fu
applicato a molti astri dall’Huggins e da altri. Spetta al Vogel
il merito di aver introdotto e perfezionato il sistema di misu-
rare i minimi spostamenti delle linee spettrali, anzichè diretta-
mente, sulle fotografie degli spettri stessi. Egli così ottenne
un grado di precisione che prima non si credeva possibile.
Se un astro lontanissimo si move in un’orbita chiusa, può
darsi che a cagione della grandissima distanza nessuno sposta-
mento di quell’astro sulla volta celeste venga avvertito. Ma lo
spettroscopio usato nel modo ora detto ci dice che l’astro ora
sì va avvicinando a noi, ora allontanando da noi, salvo il caso
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 22
294
(|
che l'orbita giaccia in un piano perpendicolare alla visuale. Il
Vogel osservò questo fatto nella stella variabile Algol e riuscì
a porre fuori di dubbio ciò che prima era ipotesi, cioè che in-
vece di un’unica stella Algol è un sistema di due astri, l’uno
luminoso, l’altro oscuro, che si aggirano intorno al comune centro
di gravità. Discutendo abilissimamente le osservazioni il Vogel
riuscì a determinare i diametri, le masse, la distanza e la ve-
locità di rotazione di questi astri, che non fu mai possibile
distinguere con l'osservazione diretta.
Per dare una prova decisiva del grado di precisione del
suo metodo il Vogel osservò Venere in diverse fasi del suo moto
rispetto alla terra e mostrò come le velocità calcolate col suo
metodo si accordino bene con quelle date dalle tavole astro-
nomiche.
La memoria relativa ad Algol fu pubblicata nel 1890,
quindi fuori del quadriennio, ma nella memoria intitolata:
Untersuchung iiber die Eigenbewegung der Sterne im Visionsradius
auf spektroscopischem Wege, pubblicata nel 1892 sono raccolte,
oltre alle conclusioni definitive sul sistema di Algol altre con-
simili su a Virginis, 8 Aurigae, £ Ursae minoris, 8 Orionis, ecc.
Così il Vogel rivelò l’esistenza di una nuova classe di stelle
doppie costituite ciascuna da due astri così vicini che i telescopi
di più forte ingrandimento non ci dànno nessun indizio che la
luce ci venga da due astri anzichè da un solo, o da un astro
luminoso congiunto in sistema con uno oscuro.
4. Il D. Behring fu tra i primi che notarono l’azione eser-
citata dal sangue nei processi d’immunizzazione acquisita. Nel
1891 egli dimostrò per primo la virtù preventiva e curativa
del siero di sangue di animali resi immuni da infezioni, che
originariamente erano atti a ricevere. Egli suggerì dei metodi,
che vengono tuttora seguìti da tutti coloro che si dànno a tali
studi.
Posta fuori di dubbio con prove sperimentali la sua sco-
perta, il D.r Behring si adoperò per vari anni a perfezionarla
in modo da renderla applicabile all’uomo, e vi riuscì per l’infe-
zione difterica, la quale, come è noto, si combatte oggidì vit-
toriosamente, seguendo appunto gli ammaestramenti del D." Beh-
ring, col siero di animali resi immuni da quella infezione.
295
Nel secondo gruppo la Giunta pose le opere degli autori
seguenti:
1° M. CANTOR;
2° R. CAVERNI;
8° T. CurtIUSs;
4° W. OstwALD.
1. L’opera del Cantor intitolata: Vorlesungen iiber Geschichte
der Mathematik, è frutto di lunghi e pazienti studi, ed è ricca
di nuovi fatti. È un’opera storica di grandissimo valore.
Non tutte le parti dell’opera furono pubblicate entro il
quadriennio, ma il secondo volume pubblicato nel 1892 ed il
terzo pubblicato nel 1894, vale a dire entro il quadriennio,
abbracciano un periodo importantissimo per la storia della
matematica, che va dal 1200 al 1699.
2. L’opera del Caverni intitolata: Storia del metodo speri-
mentale in Italia, ebbe il premio dall'Istituto Veneto nel con-
corso indetto per il lascito Tomasoni. Dell’opera, che si com-
porrà di sette volumi, vennero pubblicati finora tre volumi. Il
primo, pubblicato nel 1891, è occupato per metà da un di-
scorso preliminare. Nel resto del volume si narra l’invenzione
dei principali strumenti fisici. Il secondo volume pubblicato
nel 1892 comprende le applicazioni del metodo sperimentale
all’ottica geometrica e fisica, all’acustica, all’elettricità, al ma-
gnetismo, alla meteorologia, alla geografia ed all’astronomia.
Nel terzo volume pubblicato nel 1893 si ha la storia del metodo
sperimentale applicato all’anatomia, alla meccanica dei moti
animali, allo studio degli organi dei sensi, alla fisiologia vege-
tale, alla medicina ed alla geologia.
Il valore dell’opera fu stimato grandissimo e dai giudici del
concorso dell'Istituto Veneto e da altri scienziati, fra i quali
basti citare lo Schiaparelli. La varietà delle materie, l'ampiezza
della orditura dell’opera richiesero un ricchissimo corredo di
cognizioni e un enorme lavoro. V’è raccolto il frutto di molte
pazienti letture di libri mal noti e dimenticati, e quello di ri-
cerche diligentissime sui manoscritti e negli archivî.
296
3. Il prof. Curtius dell’Università di Kiel compì recente-
mente degli studi di grande importanza sui composti d’azoto e
d’idrogeno. Egli riuscì prima ad ottenere una nuova combina-
zione d’azoto e d’idrogeno, la diammide o idrazina e poi l’acido
azotidrico, composto che ha proprietà molto singolari. Le sco-
perte del Curtius sono tra le più importanti che si sien fatte
in Chimica negli ultimi anni. Esse, oltre all’aver arricchito di
due nuovi termini la serie delle combinazioni dell’idrogeno col-
l’azoto, esercitarono un'influenza grandissima sullo sviluppo di
varie parti della Chimica organica. Recentemente il Curtius
studiando le combinazioni dell’idrazina con le aldeidi e con
gli acetoni riuscì a compire la serie dei derivati idrogenati del
pirazolo con la scoperta della pirazolidina.
La prima notizia delle scoperte del Curtius è anteriore al
1891, ma nel quadriennio 1891-94 l’autore pubblicò continuamente
memorie, che ampliano e completano quelle scoperte prima
appena accennate. Queste memorie del Curtius furono pubblicate
nel Journal fiir praktische Chemie del 1891 e 1892 e nei Berichte
der deutschen chemischen Gesellschaft degli anni successivi.
4. Il prof. Ostwald dell’Università di Lipsia è uno dei più
illustri cultori della Fisico-Chimica. La pubblicazione del suo
trattato di Chimica generale contribuì in modo eminente allo
sviluppo di questo nuovo ramo delle scienze fisiche, perchè l’au-
tore vi coordinò per primo e ridusse come a corpo di dottrina
le varie teorie sorte in questi ultimi anni, le quali costituiscono
il fondamento della Fisico-Chimica. Fra i molti suoi lavori ori-
ginali, tutti pregevoli, hanno un gran valore quelli intitolati:
“ Considerazioni sull’ energetica; la termochimica degli ioni; la
dissociazione dell’acqua; la colorazione degli ioni ,, ecc.
Le ingegnose teorie dell’autore che si appoggiano sopra
numerose e faticose indagini sperimentali, hanno promosso
molti lavori di capitale importanza.
A questi meriti dell’Ostwald s’aggiunge quello d’aver creato
nel suo laboratorio una scuola, dove si compiono svariati e
numerosi studì sperimentali di Fisico-Chimica.
La Giunta pose nel terzo gruppo le opere dei seguenti
autori:
297
1° Ing. ApoLro IMBEAUX;
2° Prof. ALess. MACFARLANE.
1. L’opera dell'ing. Imbeaux è intitolata: “ La Durance,
régime, crues et inondations », fu pubblicata negli Ammales des
mines del 1892. È un pregevole studio della idrologia del bacino
della Durance dedotto da sette anni d’osservazioni. Il problema
complicatissimo del corso di questo fiume, che reca con le sue
piene gravissimi danni, fu studiato con largo corredo di cogni-
zioni scientifiche.
2. Le memorie del Macfarlane, pubblicate nel quadriennio
1891-94, riguardano specialmente l'applicazione del calcolo geo-
metrico alla Fisica matematica. In questo campo di studî le
memorie del dotto professore americano hanno una notevole
importanza.
Dopo aver sommariamente indicato i pregi delle opere che
la Giunta stimò meritevoli del premio e che essa vi pone innanzi
affinchè scegliate tra esse quella che credete più degna, ripeterò
i nomi degli autori divisi, come ho detto, in tre gruppi.
Primo gruppo:
1° Lig;
2° RAYLEIGH;
3° VOGEL;
4° BEHRING.
Secondo:
1° CANTOR;
2° CAVERNI;
3° CURTIUS;
4° OsTWALD.
Terzo:
1° IMBEAUX;
2° MACFARLANE.
298
Benchè la Giunta abbia creduto opportuno di fare una tale
distinzione fra le opere proposte, essa stima che qualunque sia
tra gli autori indicati quello che raccoglierà la maggioranza
dei vostri voti, il vostro giudizio varrà ad onorare le fatiche
ed i meriti d’un valoroso scienziato.
Nella stessa adunanza il ff. di Presidente annunciò che con
Decreto 15 settembre 1895 S. M. rr Re ha approvato il disegno
di Statuto organico per la fondazione Gautieri, deliberato dal-
l'Accademia nell'adunanza delle Classi Unite del 31 marzo 1895,
nella quale essa approvò pure il regolamento interno per il
conferimento di detto premio.
UMBERTO I
PER GRAZIA DI Dro E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE
RE D'ITALIA
Veduto il R. Decreto 9 giugno 1892, col quale il Ministero
della Pubblica Istruzione fu autorizzato ad accettare il legato
di L. 4000 di rendita italiana disposto a suo favore dal
cavaliere avvocato Cesare Gautieri, con testamento olografo del
31 luglio 1888, cogli oneri ivi stabiliti;
Veduta la deliberazione in data 18 novembre 1894, colla
quale la R. Accademia delle Scienze di Torino si dichiarò disposta
ad accettare l’amministrazione del legato offertale dal Ministero ;
Veduta la domanda di erezione in ente morale del legato e
il relativo progetto di statuto organico presentato dall’ Accademia;
Sentito il Consiglio di Stato;
Sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per
la Pubblica Istruzione;
Abbiamo decretato e decretiamo:
299
Articolo unico.
La fondazione istituita dal cav. avv. Cesare Gautieri, con
testamento olografo del 31 luglio 1888, è eretta in ente morale,
e sarà amministrata dalla Regia Accademia delle Scienze di
Torino.
È approvato lo Statuto organico di detta fondazione an-
nesso al presente decreto e firmato, d’ordine Nostro, dal Ministro
Segretario di Stato per la pubblica Istruzione.
Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello
Stato, sia inserto nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei de-
creti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osser-
varlo e di farlo osservare.
Dato a Monza, addì 15 settembre 1895.
UMBERTO
G. BACCELLI.
Visto, IZ Guardasigilli: V. CaLeNDA DI TAVANI.
STATUTO ORGANICO DELLA FONDAZIONE GAUTIERI
AP Ea
È eretta in ente morale presso la Reale Accademia delle
Scienze di Torino, col nome di Fondazione Gautieri, la rendita.
legata dall’avv. cav. Cesare Gautieri al Ministero della Pubblica
Istruzione in vantaggio dell’istruzione.
Ark;
Questa rendita sarà convertita in titoli del Consolidato ita-
liano intestati alla Fondazione Gautieri amministrata dall’ Acca-
demia delle Scienze di Torino.
Art.9;
Tre quarti di questa rendita, dedotte le tasse e le spese
d’amministrazione, sono destinati a premiare la migliore pub-
blicazione in filosofia, storia e letteratura.
300
Art. 4.
Un quarto della rendita, depurata come sopra, sarà tenuto
a disposizione del Ministero della Pubblica Istruzione per com-
pensi a professori, docenti od anche a studenti; e sarà, a cura
dell’Accademia, erogato in conformità delle indicazioni che dallo
stesso Ministero le verranno fornite.
Al termine però d’ogni triennio, risultando un qualche re-
siduo attivo sulle somme stanziate a tale scopo, quello sarà
devoluto al fondo dei premii, e verrà ripartito nel modo indi-
cato all'art. 8.
Art.
Il premio sarà conferito ogni anno dall'Accademia Reale
delle Scienze di Torino, la quale nell’assegnarlo, seguirà in ogni
triennio, il seguente ordine:
1° anno: filosofia, inclusa la storia della filosofia;
2° anno: storia politica e civile in senso lato;
3° anno: letteratura, storia letteraria, critica letteraria.
Art. 6.
Il premio sarà dato a soli autori italiani e per opere scritte
in italiano, Sono esclusi i Membri Nazionali residenti e non re-
sidenti dell’Accademia.
ATDyUe
Le opere, che la Commissione proporrà per il premio, de-
vono essere state stampate nei tre anni antecedenti a quello,
in cui il premio si conferisce.
Art. 8.
Nel caso in cui il premio non sia conferito, perchè niuna
opera ne è stata giudicata degna, la somma destinata al premio
andrà in parti uguali ad aumento dei tre premii successivi.
301
Disposizione transitoria.
Per i premii che si conferiranno nel primo trennio si pren-
deranno in considerazione le opere pubblicate dal 1° gennaio 1891.
Visto, d'ordine di S. M.
Il Ministro della Pubblica Istruzione
G. BACCELLI.
REGOLAMENTO INTERNO
PER IL CONFERIMENTO DEL PREMIO GAUTIERI
Approvato dall’ Accademia Reale delle Scienze
nell'adunanza del 31 marzo 1895.
Art. IL
Nel primo semestre d’ogni triennio la Classe di Scienze
morali, storiche e filologiche nomina una Commissione di sei
membri con l’incarico di ricercare ed esaminare le pubblicazioni
da proporre per l’aggiudicazione del premio Gautieri. Questa
Commissione sarà composta di Accademici nazionali residenti,
e sarà presieduta dal Presidente dell’Accademia o da chi ne
farà le veci.
Art:!93:
La Commissione dura in ufficio sino a che non sia stato
deliberato sul terzo premio del triennio. Per ciascun premio
elegge, nel suo seno, un segretario relatore.
Art. 8.
Nel primo semestre dopo ciascun anno essa riferirà al-
l'Accademia, in un’adunanza delle Classi unite, intorno all’ag-
302
giudicazione del premio, seguendo nei tre anni l’ordine enunciato
nell'art. 5 dello Statuto.
Ab:
I Soci nazionali residenti e non residenti hanno facoltà di
fare proposte di lavori da esaminare alla Commissione. Al prin-
cipio d'ogni anno la Commissione li inviterà a presentare, entro
il termine di un mese, proposte di opere per il premio da con-
ferirsi nell’anno.
Art.5.
La relazione della Commissione all'Accademia potrà conte-
nere la proposta di una sola pubblicazione da premiarsi ovvero
presentare la proposta di più pubblicazioni, fra cui l'Accademia
dovrà scegliere quella, a cui assegnare il premio.
Art. 6.
La Commissione, ove riconosca in due pubblicazioni merito
uguale, potrà proporre che il premio sia diviso fra esse per
metà. Qualora la proposta non sia accettata l'Accademia voterà
sull’aggiudicazione del premio fra le due opere proposte.
ATTI,
L'Accademia non restituirà le opere, state inviate dagli
Autori per richiamare su di esse l’attenzione della Commissione.
Gli Accademici Segretarii Il Presidente
FERRERO. G.. CARLE.
A. NACCARI.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA
Dal 15 al 29 Dicembre 1895.
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali
NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio;
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono.
** Abhandlungen der k. Preussischen geologischen Landesanstalt. N. F.,
Heft 19. Berlin, 1895; 8°.
* American Journal of Science. Editors James D. and Edward S. Dana.
Vol. L, n. 300. New-Haven, 1895; 8°.
* Atti e Rendiconti dell’Acc. Medico-chir. di Perugia; vol. VII, f. 2-3. 1895.
Atti della Società Piemontese d’Igiene; Anno I, fase. 2. Torino, 1895; 8°.
Atti del terzo Congresso Nazionale di bacologia e sericoltura. Torino, 1895.
* Bollettino del R. Comitato Geolog. d’Italia. Anno 1895, n.3. Roma, 1895; 8°.
* Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2°, vol. XV,
n. 11. Torino, 1894. :
Bulletin de la Société Philomatique de Paris, 1894-95, n. 3; 8°.
* Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico-
chirurgica ecc. Serie VII, vol. VII, fasc. 10. Bologna, 1895; 8°.
* Catalogo della biblioteca dell'Ufficio Geologico del R. Corpo delle Mi-
niere, 1° gennaio 1894. Roma, 1895; 8°.
* Comptes-Rendas de l’Académie des Sciences de Cracovie. Octobre-No-
vembre. Cracovie, 1895; 8°.
Compte-Rendu sommaire de la séance de la Société Philomatique de
Paris, n. 4; 14 décembre 1895. Paris; 8°.
** Erliuterungen zur geologischen Specialkarte von Preussen und den
Thiiringischen Staaten. 71 Liefer. Gradabth. 55; n. 11, 16, 17, 22 e 23.
Berlin, 1895; 8° e f°. ;
** Fortschritte der Physik. Bd. XLV,3 Abt.; Bd. L, 1 Abt. Braunschweig,
1895; 8°.
* Giornale del Genio Civile. Anno XXXIII, fasc. 8-9. Roma, 1895; 8°.
* Giornale della R. Accademia di medicina. A. LVIII, n. 11. Torino, 1895; 8°.
* John Hopkins Hospital Report. Report in Pathology, IV; vol. IV, 9.
Baltimore, 1895; 8°.
Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXIV, disp. 9, 10.
Roma, 1895; 4°.
304 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
* Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVI, n. 1.
London, 1895; 8°.
* Nachrichten von der Kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen.
Mathematisch-physik. Klasse, 1895, n. 3. Gòttingen, 1895; 8°.
** Petermanns Mitteilungen aus Justus Perthes’ Geographischer Anstalt.
Ergànzungsheft N. 116. Gotha, 1895; 8°.
* Records of the Geological Survey of India. Vol. XXVIII, p. 4. Calcutta,
1895; 8°. ;
* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXVIII,
fasc. XVII. Milano, 1895; 8°.
* Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli.
Serie 3*, vol. I, fasc. 11. Napoli, 1895; 8°.
* Transactions of the Texas Academy of Science. Vol. I, n. 4, 1895. Austin,
1895; 8°.
* Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXIV, n. 1-1,
1895; 8°.
* Verhandlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Sitzung. N. 10-13,
1895. Wien, 1895; 8°.
* Zoologischer Anzeiger, herausg. von Prof. J. Vicror Carus in Leipzig.
1895, n. 491; 8°.
* }RypHaxb pyCcKaro sI8HK0o-xuMMtecgaro O6mecrsa pa HmrepaToperome
C. IIerep6yprerome VamBepenters; t. XXVII, n. 8. 1895.
* Dall Università di Upsala :
Borge (0.). Ueber die Rhizoidenbildung bei einigen fadenfòrmigen Chloro-
phyceen. Upsala, 1894; 8°.
Borgstròm (E.). Ueber Echinorhynchus turbinella, brevicollis und porrigens.
Stockholm, 1895; 8°.
Brun (F. de). Bidrag till Weierstrass' teori for algebraiska funktioner.
Upsala, 1895; 4°.
Carlgren (0.). Studien iiber nordische Actinien. I. Stockholm, 1894; 4°.
Cassel (G.). Kritiska studier éfver teorin for de automorfa funktionerna
jamte deras anvindning fér integration af linjàra differentialegvationer.
Upsala, 1894; 4°.
Elfstrand (M.). Studier éfver alkaloidernas lokalisation, foretràdesvis inom
familjen Loganiacee. Upsala, 1895; 8°.
Forsling (S. E.), Om sulfonering af R-naftylamin. Upsala, 1895; 8°.
Fredrikson (T.). Anatomiskt-systematiska studier òfver lòkstammiga Oxa-
lisarter. Upsala, 1895; 8°.
Fries (Th. M.). Bidrag till en lefnadsteckning éfver Carl von Linné. II
Upsala, 1894; 8°.
— Naturalhistorien i Sverige intill medlet af 1600-talet. Upsala, 1894; 8°.
Hallgren (E.). Om beraàkningen af Abelska integralers omvindning. Gote»
borg, 1894; 8°.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 305
Nordenmark (N. V. E.). Sur le moyen mouvement dans l’anneau des asté-
roîdes. Upsala, 1894; 4°.
Palmer (K. V.). Om Iridiums ammoniakaliska fòreningar. Upsala, 1895; 8°.
Sernander (R.). Studier éfver den Gotlindska vegetationens utvecklingshi-
storia. Upsala, 1894; 8°.
Cocco-Licciardello (F.).. Elementi di Geogenia. Catania, 1896; 8° (da47 A.).
#* Dippel (L.). Das Mikroskop und seine Anwendung. Zweiter Theil. Erste
Abtheilung. Braunschweig, 1896; 8°.
Valenti (G.). Sopra alcune generalità che riguardano la evoluzione della
cellula. Perugia, 1895; 8° (dall’A.).
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche
Dal 22 Dicembre 1895 al 5 Gennaio 1896.
* Abhandlungen der philologisch.-historischen Classe d. k. Stchsischen
Gesellschaft der Wissenschaft. Bd. XV, n. 4. Leipzig, 1894; 8°.
** Allgemeine Deutsche Biographie. Bd. XL, Lfg. 197-198. Leipzig, 1895; 8°.
** Archivio storico italiano fondato da G. P. Virussevx e continuato a cura
della R. Deputazione di Storia patria per le provincie della Toscana
e dell'Umbria. Firenze, 1895.
* Archivio storico pugliese. Periodico trimestrale della Società di studi
storici pugliesi. An. II, vol. I, fasc. III-IV, 1895. Bari; 8°.
* Archivio storico lombardo. Milano, 1895.
** Berliner philologische Wochenschrift. 1895.
** Bibliothèque de l’École des Chartes; Revue d’érudition consacrée spé-
cialement è l’étude du moyen àge, etc. Paris, 1895.
** Bollettino ufficiale del Ministero dell’Istr. pubbl. Roma, 1895.
_ * Bulletin de l’Académie Imp. des Sciences de St-Pétersbourg. V° sér., T. III,
n. l. 1895; 4°.
* Bullettiuo di Archeologia e Storia dalmata. Spalato, 1895.
* Consiglio Comunale di Torino; Sess. straordinaria 1895, n. XVI; Sess.
ordinaria di autunno, 1895, n. XVII-XXIV.
* Controversia. Vol. XVIII. Madrid, 1895; 8°.
** ’Eeuepìg dpxaroXoyix}. “Ev A0nvaîc, 1895.
* Foòrelisningar och éfningar. hi. t. 1894 och v. t. 1895. Upsala, 1894-95; 8°.
Gazzetta delle Campagne, ecc. Direttore Enrico Bassero. Torino, 1895.
#* Giornale di Erudizione; Corrispondenza letteraria, ecc., raccolta da
F. Orranpo. Firenze, 1895.
306 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
Giornale scientifico di Palermo. Anno II, 1895, n. 11, 12. Palermo; 4°.
** Giornale storico della Letteratura italiana, diretto e redatto da F. NovatI
e R. Renier. Torino, 1895.
** Heidelberger Jahrbiicher (Neue). Heidelberg, 1895.
** Historische Zeitschrift. Miinchen, 1895.
* Indices Chronologici ad Antiquit. Ital. M. &. et ad Opera minora Lud.
Ant. Muratorii. Fasc. VII-VIII. Aug. Taurinorum, 1896; 4°.
*#* Journal Asiatique, ou Recueil de Mémoires, d’Extraits et de Notices
relatifs è l’histoire, è la philosophie, aux langues et à la littérature
des peuples orientaux. Paris, 1895.
** Journal des Savants. Paris, 1895.
** Le Moyeu Age; Bulletin mensuel d’histoire et de philologie. Paris, 1895.
** Nuova Antologia; Rivista di Scienze, Lettere ed Arti. Roma, 1895.
** Nord und Sud; eine deutsche Monatschrift. Breslau, 1895.
** Petermanns Mitteilungen aus Justus Perthes' Geographischer Anstalt.
Erginzungsheft N" 117. Gotha, 1895; 8°.
* Rendiconti della R. Accademia dei Lincei — Classe di Scienze morali,
storiche e filologiche. Serie V, vol. IV. Roma, 1895.
** Revue archéologique, publiée sous la direction de MM. A. BertRANp et
G. Perror. Paris, 1895.
** Revue de Linguistique et de Philologie comparée. Paris, 1895.
#* Revue des deux Mondes. Paris, 1895.
* Revue géographique internationale. Paris, 1895; 4°.
** Revue numismatique. Paris, 1895.
* Rivista di Sociologia. Anno II, 1895. Roma; 8°.
* Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie. Anno II,
vol. VII-IX. Roma, 1895; 8°.
** Rivista storica italiana; pubblicazione trimestrale diretta dal Prof. C.
RinAupo. Torino, 1895.
Rosario (Il) e la Nuova Pompei. Anno XII, quad. XI-XII. Valle di Pompei,
1895; 8°.
#* Séances et Travaux de l’Académie des Sciences morales et politiques.
Compte rendu. Paris, 1895.
Statistica dei Brefotrofi. Anni 1893 e 1894. Roma, 1895; 8° (dal Ministero
di Agricolt., Ind. e Comm...
* Upsala Universitets Arsskrift for 1894. Upsala, 1894; 8°.
* Dall Università di Upsala :
Ahlenius (K.). Olaus Magnus och hans framstallning af Nordens geografi.
Studier i geografiens historia. Upsala, 1895; 8°.
Almquist (J. A.). Riksdagen i Gefle 1792. Upsala, 1895; 8°.
Beckman (N.). Bidrag till kinnedomen om 1700-talets svenska, huvudsa-
kligen efter Sven Hofs arbeten. Lund, 1895; 8°.
Blomgren (L.), Th. Mommsens teori om romerska principatet granskad i
dess visentliga punkter. Upsala, 1895; 8°.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 307
Carlson (J. S.). Om filosofien i Amerika. Upsala, 1895; 8°.
Clason (S.). Till reduktionens féòrhistoria. Gods- och rinteafsòndringarna
och de férbudna orterna. Stockholm, 1895; 8°.
Florén (J.). Jesu lira om Guds rike enligt de synoptiska evangelierna fràn
bibelteologisk synpunkt. Goteborg, 1895; 8°.
Jacobsson (A. J.). In Necyiam Virgilianam studia nonnulla. Upsala, 1895; 8°.
Fries (S. A.). Den israelitiska kultens centralisation. Upsala, 1895; 8°.
Nordin (H.). De ecklesiastika deputationerna under Fredrik I:s regering.
Strengn., 1895; 8°.
Nylander (K. U.). Inledning till Psaltaren. Isagogiskt-exegetisk afhanddling.
Upsala, 1894; 8°.
Wicksell (K.). Zur Lehre von der Steuerincidenz. Jena, 1895; 8°.
Zetterstéen (K. V.) Ur Jahjà bin ‘Abd-el-Mu'ti ez-Zawàwî's dikt Ed-Durra
el-Alfije fì ‘Ilm el-'Arabîje. Leipzig, 1895; 8°.
Marre (A.). Malais et Siamois. De l’esclavage dans la presqu’'île Malaise
au XIX® siècle. Paris, 1894; 8° (dall’A.).
— Madjapahit & Tchampa. Louvain, 1895; 8° (Id.).
*#* Sanuto (M.). I Diari. Tomo XLIV, fasc. 191, 192. Venezia, 1895; 4°.
Tordi (D.). Vittoria Colonna in Orvieto durante la guerra del Sale. Perugia,
1895; 8° (dallA.).
** Wilkinson (J. G.). The manners and customs of the ancient Egyptians.
London, 1878, 3 vol.; 8°.
Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi.
spedito | (odbto0tE at ord
a4Ì a milaggsva saliente db dpiloa sota abs
inca LA i GORI ci
Tita CAR
stabiaginni
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 12 Gennaio 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci: Cossa, Vice-Presidente, D’OvipIo,
Direttore di Classe, BerruTI, Bizzozero, FERRARIS, Mosso, SPEZIA,
GracoMINnI, CAMERANO, SEGRE, VoLTERRA, JADANZA e NACCARI
2 Sapt. 1896
ei Segretario.
Si legge e si approva l’atto verbale dell’adunanza pre-
cedente.
Il Segretario presenta una memoria stampata del Profes-
sore Pietro GamBERA intitolata: “ Delle proprietà dei miscugli
N di gaz perfetti ,, e una fotografia %el ritratto dell’illustre bota-
o nico Arzioni, inviata in dono all'Accademia dal signor BURNAT
© di Vevey.
È Viene accolta nei volumi accademici una memoria del Socio
8 July--
Mosso intitolata: “ Descrizione di un miotonometro per studiare
la tonicità dei muscoli dell’uomo ,.
Viene pure approvata l’inserzione nei volumi accademici
della memoria del Prof. LauRIcELLA: “ Sull’equazione delle vibra-
zioni delle placche elastiche incastrate ,, in seguito a relazione
favorevole della commissione esaminatrice.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 23
310
Viene accolta per l'inserzione negli Atti una nota del Socio
VoLterRA: “ Sull’inversione degli integrali definiti ,.
Viene affidato ad apposita Commissione l'esame d’una me-
moria del Prof. BertAZZI, presentata dal Socio D'Ovipro e inti-
tolata: “ Fondamenti per una teoria generale dei gruppi ,.
In seduta privata la Classe elegge, salvo l’approvazione
Sovrana, a Socio residente il Prof. Icilio GuaArEscHI, a Soci
Nazionali non residenti i Signori Emanuele FeRGoLA e Riccardo
FeLici, a Soci Stranieri i Signori Giacomo Giuseppe SYyLVESTER
e Giuseppe Luigi BERTRAND.
Elegge pure a Soci Corrispondenti nella Sezione di Mate-
matiche pure i Signori Camillo JorpAN e Gustavo MirtAG-LEFFLER;
nella Sezione di Matematiche applicate i Signori Giovanni Ce-
LorIA e F. Roberto HeLMmERT; nella Sezione di Fisica i Signori
Giuseppe Giovanni THomson e Luigi BOLTZMANN.
VITO VOLTERRA — SULLA INVERSIONE, ECC. 811
LETTURE
Sulla inversione degli integrali definiti;
Nota I del Prof. VITO VOLTERRA.
1. Sebbene spesso accada nelle applicazioni di esser con-
dotti a delle inversioni di integrali definiti nel campo reale,
pure, che io sappia, non si ha alcun mezzo sistematico per ef-
fettuare tali inversioni (che si sanno eseguire solo in casi par-
ticolari) e nemmeno si ha un indizio per riconoscere in generale
quando questioni di tale natura sono suscettibili di soluzione,
e, allorchè questo avviene, se ve ne è una sola o se ve ne
sono più. Sotto questo aspetto la questione appare molto meno
avanzata di altre di analisi in cui esistono criterì ben definiti
per giudicare sulla esistenza e sulla univocità delle soluzioni (*).
In ciò che segue mi propongo di portare un piccolo con-
tributo allo studio suddetto, comunicando alcuni risultati di
cui sono in possesso già da qualche tempo, e limitandomi a
considerare per ora il caso più semplice in cui può rispondersi
in modo completo a tutte le parti sopra ricordate della questione.
Sulla forma delle funzioni che compariscono nel problema
non pongo alcuna restrizione: alcune condizioni pongo relative
all’esser esse finite ed alla loro continuità e derivabilità. Una
condizione però si aggiunge relativa al non annullarsi di certi
valori, che è essenziale, e sulla discussione della quale mi trat-
tengo alquanto mostrandone la ragione d’essere e l’intima sua
connessione con notissime teorie elementari.
(*) Il Dott. Levi-Crvirà in una Nota letta in questa Accademia nella
seduta del 17 novembre u. s., prendendo occasione dalla risoluzione di al-
cuni casi interessanti, lamenta egli pure la mancanza di uno studio siste-
matico sulla questione. I lavori a mia cognizione sull’argomento, oltre
questo ora citato, sono i seguenti:
Aset, Solution de quelques problèmes à l’aide d’intégrales définies (Euvres, p.11).
— Résolution d'un problème de mécanique (Ruvres, p. 97).
BeLrrAMmI, Intorno ad un teorema d' Abel (Rend. Ist. Lombardo, S. II, vol. XIII).
312 VITO VOLTERRA
2. Per maggior chiarezza riassumo i risultati nel seguente
TroREMA. — Se si ha (nel campo reale) la equazione fun-
zionale
(1) fi) — fa) = [lo Hr, y) da
in cui £(y) e f' (y) si mantengono finite e continue per y compreso
fra a e a + A; e H(x,y) e a = Hy (x,y), sono pure finite
e continue per tutti i valori di x e y compresi entro i limiti a e
a + A, mentre è maggiore di zero il limite inferiore dei valori
assoluti di h(y)=H (y,y) per y compreso nello stesso intervallo,
esisterà una ed una sola funzione finita e continua ® che soddisfa
l'equazione funzionale per y compreso fra a e a + A, la quale
sarà data da
©) oM= To. (PES (0,9) de
in cui
S; (e, 9) = f/80€,9) Sa (0,5) &&
(3) ty
So (€, y) = tO .
DimosTRAZIONE. — 1° Cominciamo dal dimostrare che la serie
00
(4) Zi S; (7,9)
è convergente in egual grado per tutti i valori di x, y compresi
fra aea + A.
— Sulla teoria dell’attrazione degli ellissoidi (Mem. Acc. di Bologna,
S. IV, T. I) — Sulle funzioni associate e specialmente su quelle della
calotta sferica (Ibid., S. IV, T. IV).
Dini, Sulla rappresentazione analitica delle funzioni di una variabile reale date
arbitrariamente în certi intervalli (Cap. VII. Annali delle Università
Toscane, T. XVII).
Sonine, Sur la généralisation d'une formule d’ Abel (Acta Mathematica, T. IV).
— Recherches sur les fonctions cylindriques (Math. Ann., Bd. XVI).
VoLrerra, Sopra un problema di elettrostatica (Transunti Acc. Lincei. S. III,
vol. VIII).
Nel campo complesso cito fra gli altri i lavori del Prof. Pincherle.
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 313
Se M, è il limite superiore dei valori assoluti di H) (x, y)
per x, y compresi fra a e a + A, e m il limite inferiore dei
valori assoluti di /(y), dico che
© 1SIs(e) L(1y—el)s(P)ULIAI.
m
Abbiamo infatti
e se la (5) è soddisfatta per un valore è, lo sarà anche per î + 1.
La serie è dunque convergente in egual grado.
2° Proviamo che ® (y) dato dalla (2) verifica l’equazione
funzionale (1).
Infatti dalla (2) segue
fio Hey) de = (EA H (6,9) de —
SEG AC] L de {È P@)ZS.(0,8) da
e, applicando il principio di Dirichlet, avremo
LA da d i È |
(1) ,/P@MH (2,9) dx = ((f (2) fico
vH (&y) 2
nn h (£) > È; (@ ME) do AT:
Si consideri ora la funzione
H (2,9) Page (9) $ 2 S, (1,8) de = G(2,7)
h (2) x h (E)
avremo
dG __Ha(2,9) _£q __ ((Y Hal,y)
ly "ko 2 $; (0,9) TNA n È S;(0,8) de =
= 8, (0,9) — ÈS. (0,9) + JETS (0,6) &
e a cagione della convergenza in egual grado della serie (4)
314 VITO VOLTERRA
= 8) — ES (2,9) + È. iS (£,9) S: (0,3) de = 0.
Ma se in G noi facciamo y= 2, otteniamo l’unità, quindi
possiamo concludere che si avrà sempre
=
e perciò ritornando alla equazione (1’), otterremo
1”) fo@Hey)d=|[f@=fM-f@.
La @(y) ricavata dalla (2) soddisfa dunque la (1).
3° Dimostriamo finalmente che non vi può essere che una
sola funzione finita e continua @ che soddisfi l’equazione fun-
zionale.
Ammettiamo che ne esistano due @, e ®y, ciascuna delie
quali sia in valore assoluto inferiore a P.
Posto
y (2) = 91 (2) — 92 (2)
avremo
0= f.v()H (7,9) da
e derivando rapporto a y
0=w(4) (9) + (24 (2) Ho(,9) da
onde
(6) vO=- ig JV © H(,9) de
e per conseguenza
H3 (
v0= GS det dx. {"4(2) Hs (20) da,
H € H 1
— — n fa nia dx ci Sa) ni; f ld Ei a)
e così di seguito si potrà procedere indefinitamente sostituendo
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 315
successivamente per w la espressione che resulta dalla (6). Ora
Iu@)|< 2P,
quindi dalle equazioni precedenti si deduce
lu@|< ap(ta)” {de fran. [fe =2p(l (1A |)
m
in cui n può prendersi tanto grande quanto si vuole. Ne segue
che | w(y) | è inferiore ad ogni valore assegnabile, perciò deve
essere
w(e) =0
e quindi
P1 (2) = Ps(2)
il che dimostra la univocità della soluzione.
Il teorema resta così dimostrato.
3. Il resultato a cui siamo giunti è molto semplice ed ot-
tenuto senza artifici di calcolo. Possiamo facilmente compren-
derne la ragione. Se si prescinde infatti dalle condizioni di con-
tinuità e derivabilità poste per le funzioni e da quella di esser
finite, si trova come condizione essenziale che H (y,y) = 4(y4)
non si annulli per y compreso nell'intervallo a, a + A. Ora
questa condizione può paragonarsi facilmente a quella che un
determinante, i cui elementi a destra della diagonale sono nulli,
è diverso da zero, allorchè i termini in diagonale sono tutti
diversi da zero. Infatti si consideri il sistema di equazioni
di = 4%
db = @,9%, + 499.49
bg = @dj3 %, + daga + 43343
bn = dint, + Gon%o + Gan t®g +... + dun %ns
316 VITO VOLTERRA
il concetto di integrale ci porta facilmente a riguardare la que-
stione di analisi funzionale rappresentata dalla (1) come un
caso limite della risoluzione di un sistema d’equazioni analogo
al precedente. In esso le a; e le a,, sarebbero le analoghe delle
H(x,y) e delle H(y,7) = 4h(y).
Ora il determinante dei coefficienti nelle precedenti equa-
zioni ha nulli tutti gli elementi situati alla destra della diago-
nale ed è quindi diverso da zero quando nessuna delle a,; si
annulla, e quando ciò si verifica la soluzione del sistema è
possibile ed univoca.
L’analogia però si arresta qui, perchè mentre la condizione
che le a; siano tutte diverse da zero non solo è sufficiente, ma
è anche necessaria per la risolubilità e la univocità delle solu-
zioni, lo stesso non può dirsi del non annullarsi di % (y). Si
osservi infatti, per esempio, che, ammesso %(y) = 0 per tutti
i valori di y compresi fra a e a + A, la equazione funzionale (1)
può scriversi mediante una integrazione per parti
fn) — f(a) = ("0 H; (7,9) de
in cui
20; ce __dH
O) =— f 9(09de, H=
Quindi se H,(x,y) avrà le stesse proprietà che prima ave-
vamo posto per H(x,y), e sarà f' (ad = 0, si potrà determinare
univocamente la ®(x) e quindi con una derivazione successiva
®(x) quando questa derivazione può effettuarsi.
4.I termini della serie (4) godono di una notevole pro-
prietà che può esprimersi col teorema seguente:
Comunque si scelga j compreso fra 1 e i, avremo:
(7) Si = f Si (8) S;1 E, y) de.
Questa proprietà è evidente per i = 1. Mostriamo che se
è vera per è vale anche per è + 1. Infatti
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 317
Sia = 780 (£,4) S; (2,7) dé =
={S (£,4) dé fi (e, E) Si (E, E) di, ==
= f,84; (e, E) di dba So (E, Y) Si (E, E) dE ==
= (8; (0,5) SE) &
il teorema è quindi dimostrato.
Ne possiamo concludere:
La formula di inversione della
f) — f (a) = fo H(2,9) de
pi) =D i ff" (2) K 9) da
in cui
I hg) =H(y,7)
%
K (e, y) _= 2 Ò, (x, y)
(8) |
So (2,9) = ka dy
S; (2, 9) = {Si (, 8) Sn E y) de
5. Come esempio consideriamo il caso in cui si abbia
H (2,9) = FA@)_—-A(M))
e supponiamo F (0) = 1, al qual caso si ridurrà sempre quello
in cui F (0) ha un valore finito diverso da zero.
318 VITO VOLTERRA
Poniamo
so (2) = F' (2)
s = fu — 4) sa (0) du
avremo
Si (2,9) = (DT s (M@) — AM). N (4.
Infatti questa relazione è vera per î = 0; se è vera per è,
sarà
Sa (0,9) = (1° ("ME — MM NYA MN de.
Pongasi
(x) — ME) = «,
avremo
»(Y)
8,1 (9) = (DNV) fl) — VM — 1) sd
= (-1'sul@@a) — MM)) N.
Perciò se
0 () = Z(-1's.(@)
otterremo
K (2,9) = — 0M@M_-A(M) N)
da cui segue:
La formula di inversione della
9) f@=f(@= flo FAM — AY))de, E0=1
10) eM=fM+NVYff @ 0A) — My) de
in cui
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 319
(o) °
0 (2) = Z(-1)'s. (2)
0
so (e) = F'(2)
8 (2) = fis; (e — ) s;-1 (u) du.
6. Le (7) ci forniscono una espressione notevole del resto
della serie K (x, y). Abbiamo infatti
n 00 x
K (x,y) = 2;8; (2,9) +2: (/8. (2,8) 8.E,y) E —
n
=, 82,9) +2. f” S, (£, 7) S; (2, 3) de,
I
onde a cagione della convergenza in egual grado
(11) Ko) =3S(y)+fSGIKLE)K=
= x S. (2,9) + SR. (E, y) K (2,8) de.
Perciò il resto della serie sarà
(12). B.=[ mC (2,8) K (£,9) de +8 (£,9) K (2, È) de.
7. La formula di inversione della (1) può mettersi anche
sotto un’altra forma diversa dalla (2), e precisamente può scri-
versi
__ 4D(y)
in cui
(14) pg = TSO L fifa © £8,6,1) de
320 VITO VOLTERRA
<= SS" (£,9) S'_1 (2,8) de
dH
DES
Si dimostra facilmente che se H, (x,y) si conserva finita e
continua per x,y comprese fra a e a + A, la serie
essendo H, =
(15) x 8". (0,9)
è al pari della serie (4) convergente in egual grado per tutti
1 valori di x, y compresi fra gli stessi limiti, e perciò ®(y) ha
un significato. Se ammettiamo poi che anche Hg = Na sia
finita e continua per x,y compresi fra gli stessi limiti, anche
S';
dy
grado, e perciò, supposto f' (x) finita e continua per x compresa
fra a e a+ A, tale resulterà © (y) data dalla (13). Dimostriamo
ora che questa funzione verifica la (1). Infatti dalle (13) e (14)
segue, mediante una integrazione per parti
(e ©)
la serie delle derivate X sarà pure convergente in egual
0
Sio@) Hey) de =fM) —f@+ JA) —fZ8S: (ey) de
‘v f(x) — f(a) — f(0) H; (£, ) 34 00 ;
E ole. 9) g 1(c,y) da — a To de | \fA-AZS' (eda
e applicando il principio di Dirichlet, avremo
fo H(w,9) de = fl) — FA + (2}f) — F(X S' (0, 9) da
— fifa — ft + (PS METE de | de.
Ora per la convergenza in egual grado della serie (15)
abbiamo
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 321
#2 B ,9) Sila, 8) gr _ E (VEGAS) e __ Lg
SE ne dn de = E 81 (9)
quindi
fed =fY) — fd + [1 f — fa {ES dr
H
— fair re ( + Fosa] 10 - rl
Come dovevasi dimostrare.
Anche i termini S'; della serie (15) godono di una proprietà
analoga alla (7) per le S;, cioè, qualunque sia j, compreso fra
1 ei, si ha
se fis (2,8) S';-1 (€, 7) de
‘e perciò: La formula di inversione della
fy) — f(a) = f"o(2) H (1,9) da
può scriversi
(e) = TT 4A [0/09 de |
in cui
h(y) = H(4,9)
K'(z,9) = 8 (0,9)
(16)
Hog
x
È ib. Jtan r
S'. (7,9) = f'8. 9) SE) de
Anche il resto della serie K'(x,y) può mettersi sotto una
forma analoga a quello della (4) e cioè
R=/MCILE)= (SENECA
322 v VITO VOLTERRA
8. Applicando le formule (14’) e (16) alla inversione della
(9) si ottiene
oM=i|fM+f1}/@M-/@{00 MM) N © de |
ed è facile riconoscere che essa coincide colla (10).
9. Per la esistenza della funzione ® da cui poi dipende
la @, basta che f sia finita e continua e sia finita e continua
la H, (x, y), mentre il limite inferiore dei valori assoluti di 4.(y)
sia maggiore di zero.
Proviamo che queste condizioni sono pure sufficienti per
riconoscere la univocità di ©. Infatti se esistono due funzioni
finite e continue ®, e ®, che verificano la (1), posto
vl) = (1) — dl), 0 = ff (da
con una integrazione per parti si ha
0—= n° (€) H (2,4) de = Ù H(x,y) de =
— 0(M) 7) — f"0 (2) Hi (0,9) do
onde
N)
0) = 7 JL0 ©) Hi (2,9) de.
Con un ragionamento analogo a quello contenuto nella
3* parte del $ 2 si ricava da questa formula che 0 (y) è infe-
riore a qualsiasi quantità assegnabile, quindi è nulla e per
conseguenza @] = Po.
10. Passando dal campo reale a quello complesso facciamo
per ultimo osservare che se f(x) è una funzione olomorfa per
tutti i valori della variabile complessa x tali che | x — a | <A,
e H(x,y) è pure olomorfa per tutti i valori delle variabili com-
plesse x,y per cu |x — a|<A,]|y_-a|< A, mentre
h(y) = H(y, y) non ha nessuno zero per valori di y tali che
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 323
|y—-@|< A, le formule di inversione trovate (2) e (14') conti-
nuano a sussistere e definiscono una funzione olomorfa ® (y) per
tutti i valori di y per cui |y — a |< A. I diversi integrali che
vengono a comparire nelle formule non dipendono che dagli
estremi, sono cioè indipendenti dai cammini d’integrazione,
purchè li supponiamo tali che lungo essi le variabili di inte-
grazione differiscano da a di valori il cui modulo è inferiore
ad A.
In una prossima Nota svolgerò il caso in cui H (x,y) possa
divenire infinita.
Relazione sulla Memoria del Prof. LAURICELLA :
Sull’equazione delle vibrazioni delle placche elastiche
incastrate.
La Memoria del Prof. Lauricella è divisa in due parti,
nella prima delle quali tratta della integrazione della equazione
differenziale (1) A?(A°v) = f(,y), e nella seconda della inte-
grazione dell'equazione (2) A°(A2u) = ku. Nella prima V’A.,
dopo avere stabilito una formula analoga a quella di Green, ed
avere dimostrato che per determinare una funzione che soddisfa
alla equazione differenziale (1) basta dare al contorno i suoi
valori e quelli della sua derivata normale, passa a mostrare
come la costruzione dell’integrale che verifica alle date condi-
zioni al contorno possa farsi dipendere da quelle di una funzione
analoga alla funzione di Green, che egli come esempio determina
effettivamente nel caso in cui il contorno sia costituito da una
retta indefinita, applicando perciò un procedimento analogo a
quello ben noto delle immagini.
Sarebbe stato desiderabile che l’A. avesse svolto la que-
stione relativa all'essere o meno caratteristici gli elementi dati
al contorno, ma questo punto che forse in generale, e certa-
mente nel caso particolare trattato dall'A. non deve essere
324
difficile ad esaminare, è sperabile ch'egli riesca ad approfondire,
completando la trattazione della prima parte della Memoria.
Nella seconda parte l’A. si vale dei risultati conseguiti
nella prima, e di un procedimento analogo a quello che egli
stesso ha impiegato in un’altra memoria, sul moto dei corpi
elastici che venne stampato nello scorso anno accademico nei
volumi delle Memorie di questa Accademia,
Egli si fonda sulla determinazione di una serie indefinita
di soluzioni eccezionali corrispondenti ai valori eccezionali del
parametro % che comparisce nelle equazioni (2).
La commissione ritiene che i resultati ottenuti dal Profes-
sore Lauricella nella sua Memoria siano meritevoli di conside-
razione tanto che propone la lettura della Memoria stessa e la
sua inserzione negli Affi accademici.
G. FERRARIS.
V. VoLTERRA, Relatore.
L’ Accademico Segretario
AnpRrEA NACCARI.
325
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 19 Gennaio 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Socii: CLarETTA, Direttore della Classe,
Peyron, Manno, Nani, Coenertti pe MartIS, CipoLLa, BRUSA,
PerRrERO, ALLIEVO e. FERRERO Segretario.
Il Presidente annunzia alla Classe la morte del Socio
Corrispondente Senatore Carlo NeeRronI. Ricorda le benemerenze
dell’estinto, ed affida al Socio Manno l’incarico di commemo-
rarlo in una prossima adunanza della Classe.
Il Socio Segretario a nome dell’autore il Socio Corrispon-
dente Aristide MarRE presenta il “ Vocabulaire des principales
racines malaises et javanaises de la langue malgache , (Paris, 1896).
Il Presidente presenta un opuscolo intitolato: “ Di un pre-
cursore sconosciuto di Antonio Rosmini , (Napoli, 1895), di cui
l’autore, Prof. Vincenzo LirLa, fa omaggio.
È comunicata una lettera di Lord J. W. StrUTT RAYLFIGH,
che ringrazia l'Accademia per avergli conferito il nono premio
Bressa.
Il Socio Brusa legge la seconda parte di un suo lavoro:
« Di una sanzione penale alla convenzione ginevrina per i feriti
in guerra ,.
Il Socio Coenetti DE Martis legge un lavoro del Dott.
Leonardo Coenerti pe MartuSs: “ Glinfortunii del lavoro ,.
Questi due lavori sono pubblicati negli Atti accademici.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 24
326 i EMILIO BRUSA
LETTURE
Di una sanzione penale alla convenzione ginevrina
per i feriti in guerra;
Nota del Socio EMILIO BRUSA.
Fra le innumerevoli testimonianze dell'umano incivilimento,
niuna più sublime della mitezza del costume e delle ingegnose
discipline volte ad accrescerne e perpetuarne i benefizi immensi.
Questa verità spicca manifestissima, specialmente in quelle
regole e quei freni, che l’opera della ragione calma e serena
riesce, incessantemente lottando contro le passioni irrompenti,
a imporre alla furia delle armi nelle singolari tenzoni e negli
spaventevoli combattimenti dei popoli o degli stati.
Alla cavalleria, e alle virtù virili e nobili cui essa ha edu-
cato, non piccola è la parte che di cotanto progresso va attri-
buita nell'odierno diritto della guerra. Le leggi e i costumi bel-
lici dei dì nostri trovarono nelle norme della cavalleria duellare,
esempio e stimolo efficace alla moderazione e alla pietà.
Quell’immane procedimento, nel quale le nazioni fra di loro
nemiche gettano le proprie sorti esponendo ogni bene alla mag-
giore rovina e se medesime ai tormenti e pericoli della vendetta
e della gelosia, che il trattato di pace lascia poi sussistere o
anzi inasprisce, di tutti i mali ond’è afflitta la povera umanità,
è il male più indomabile, il male, che tutt'al più può alquanto
ritardarsi o prevenirsi, quando la tregua all’impeto delle pas-
sioni vien generata dal calcolo delle conseguenze inseparabili
anche dalle più splendide vittorie. Onde, pur riconoscendo il fine
buono cui tendono certe dottrine, tolleranti persino gli eccessi
nella infondata lusinga di rendere meno tollerabile la guerra,
sommamente lodato va qualunque tentativo serio di mitigarne
i flagelli.
In quest'ordine di fatti prende un posto eminente la con-
venzione stipulata il 22 agosto 1864 a Ginevra per proteggere
i feriti e malati in guerra senza distinzione di parti combat-
DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 327
tenti. Come il rifiutare quartiere ai prigionieri di guerra sarebbe
un'infrazione del diritto delle genti, così, e a più forte ragione,
a quegl’infelici dovevano accordarsi le immunità maggiori, che
la misera loro condizione richiedeva. Belligeranti, in senso pro-
prio, sono gli stati, e non gl’individui; e oltrechè la qualità di
belligerante non dura più di quanto bisogna per giungere alla
pace, fiaccando la volontà dell'avversario, gl’individui cessano
di essere stromenti nella contesa dal momento medesimo che
lo stato di loro salute li rende innocui. Una differenza vi ha
pure tra gli uni e gli altri in questo, che il dovere di umanità
estende la protezione dei feriti e malati nel campo stesso ne-
mico, in cui essi fossero, anche prima che siansi arresi come
prigionieri. È in questo senso, che la citata convenzione obbliga
i belligeranti a rispettare e proteggere egualmente e tutto
il materiale e i convogli sanitari con le persone addette ai loro
servizi, e le ambulanze e gli ospedali militari, fino a che vi
siano malati e feriti e che manchi la custodia di una forza
militare (art. 1, 2, 3, 5).
La convenzione ginevrina, figlia di quei sentimenti e di
quel moto, che condussero in breve alla fondazione della società
della Croce rossa e de’ suoi comitati, internazionale sedente a
Ginevra, nazionali nei singoli stati inciviliti, per quanto sotto
vari riguardi tuttora imperfetta, rappresenta pur sempre uno
dei maggiori, forse il più grande sforzo per diminuire gli orrori
della guerra. L’inviolabilità attribuita ai malati e feriti e a ogni
ogni persona o cosa legittimamente destinata al loro servizio
sanitario, sembra fare il paio con le regole generose della ca-
valleria nelle tenzoni singolari. Or chi non vorrebbe augurare
alla famiglia delle nazioni, che, come a prevenire i duelli sono
giustamente reputati efficacissimi i tribunali d’onore, ancorchè
poi alla legge penale non appartenga di prescriverne il giudizio,
così parimenti, svolgendosi la salutare influenza della procedura
cavalleresca nei conflitti delle nazioni, abbiano quest’ultimi a
subordinarsi, in ogni caso e sempre, al previo assentimento di
un arbitrato? Sarà questo il progresso più ardito e magnifico,
che onorerà l’umana schiatta. Intanto però giova rattenere le
pericolose impazienze e figgere addentro lo sguardo in una più
modesta cerchia. Senza disperare di un futuro di tanto migliore
del presente, oppure fidare troppo nella virtù del timore davanti
328 EMILIO BRUSA
al cataclisma in cui verrebbe inevitabilmente travolta la società
moderna, fanno opera savia frattanto coloro, che intendono a
chiarire e fissare le leggi direttive e limitatrici della condotta
della guerra, e a colmare le lacune dei costumi e delle leggi o
convenzioni esistenti, correggendole dove occorra.
Sotto l’ispirazione di questi e somiglianti pensieri, vennero
alla luce, da alcuni anni in qua, studi, discussioni, proposte e
opere importanti. Tra essi meritano particolare menzione, oltre
le “ Istruzioni americane per il governo delle armate federali
in campagna ,, che di un solo anno precedettero la convenzione
ginevrina, il progetto di una “ convenzione internazionale con-
‘cernente le leggi e i costumi della guerra , elaborato per ordine
dello czar Alessandro II e che, approvato con modificazioni dalla
conferenza di Bruxelles nel 1874, disgraziatamente non venne
in seguito ratificato dalle potenze, nonchè l’opera pur col-
lettiva, ma privata del “ Manuale delle leggi della guerra ter-
restre ,, compilato nel seno dell'Istituto di diritto internazionale,
che lo votò nella sua riunione di Oxford nel 1880. Al quale
novero sia lecito aggiungere il saggio di un regolamento com-
pleto, con ammirabile concisione e chiarezza raccolto in 93 ar-
ticoli da Geffcken, e pubblicato nel tomo XXVI, p. 586-604
della Revue de droit international di Bruxelles del 1894. Il pru-
dentissimo editore del celebre trattato di Heffter vi ha a bella
posta intralasciate le regole desiderabili per garantire l’immu-
nità della proprietà privata nemica in mare, ben persuaso
com’egli è, che nelle presenti circostanze non avrebbero molta
probabilità di essere accettate.
Poco innanzi che quest’ultimo scritto venisse fuori, un altro
valoroso, il filantropo, che, presidente del comitato internazio-
nale della Croce rossa, a buon titolo può dirsene il padre, Gu-
stavo Moynier di Ginevra, aveva concepito il divisamento di
provocare un accordo fra gli stati soscrittori e aderenti alla
convenzione ginevrina del 1864, per dare alla medesima una
sanzione penale intesa a garantire l'esecuzione deplorevolmente
negletta de’ suoi provvedimenti per la protezione dei feriti e
malati in guerra.
L'esame di questo notevole tentativo e dell’esito che ottenne
presso i dotti dell'Istituto di diritto internazionale congregati a
Cambridge nell'agosto del 1895, è grandemente atto a istruire.
DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 329
Il patto ginevrino del 1864, e le società di soccorso costi-
tuitesi col simbolo eccelso della croce rossa in campo bianco,
traggono la loro origine dal sentimento di commiserazione sa-
lito in grande autorità nell’evo nostro. Figlio a sua volta di
tante e tante cause, onde si è venuto a ingentilire il costume,
questo sentimento si ricongiunge in precipua misura a quel
domma cristiano dell'uguaglianza e fratellanza morale, che con-
sacrato insiem con quello della legalità primamente come di//s
of rights nella costituzione dello stato di Virginia del 12 giugno
1776, e indi in sei altre americane tutte anteriori alla francese
déclaration des droits de l'homme et du citoyen, passò in quest’ul-
tima il 26 agosto 1789 per propagarsi più tardi nella maggior
parte delle costituzioni dell'Europa continentale. Il diritto di
natura e delle genti erasi, per tale maniera, rinnovellato secondo
lo spirito classico arditamente generalizzatore e semplificatore.
Or vengano pure i metodi positivi a chiarirne la insufficienza
o anche la inconsistenza teorica e pratica. Nei grandi come nei
piccoli particolari, le varietà indefinite della coltura e dei bi-
sogni individuali e sociali presso i diversi popoli, non si rile-
vano dall’indistinto piano in cui più o meno da lunge si scor-
gono, se non col mezzo d’indagini pazienti, indefesse e ognora
suscettibili di emendamenti. L’essenziale è oramai divenuto un
patrimonio non meno della scienza che della morale applicata,
ed egli è la coscienza di diritti e doveri, che sussistono nono-
stante l’imperversare della tempesta bellica, nonostante il furore
della mischia quando più semina le sue stragi.
Se non che la coscienza dei doveri umanitari, ancorchè
molto diffusa, non sempre basta da sola a imprimere ai fatti
quel moto, dal quale soltanto essa potrebbe ricevere piena so-
disfazione. Solleciti bensì a manifestare la propria simpatia per
la causa degl’infelici che la violenza dell’armi ha ridotto innocui,
gli stati legati alla convenzione di Ginevra parvero poi trascu-
rati, indolenti, quanto al provvedere affinchè non rimanesse
sterile sentimento. Impegno d’onore o giuridico che sia, essi lo
hanno volontariamente e con vero slancio assunto, e serio do-
vevano averlo reputato, come seria ha sempre da essere ogni
promessa di tal natura per parte degli stati.
Per verità, ben difficile, a quanti vi avessero riflettuto,
bisognava che apparisse un’azione corrispondente al rapido, ge-
330 EMILIO BRUSA
neroso, straordinario commuoversi della pubblica opinione in
favore dei feriti e malati in guerra. Dei governi impegnati,
pochi si diedero qualche cura nei propri ordinamenti militari,
i più nessuna o giù di lì. Naturalmente, ne vennero errori molti
sui propri diritti e doveri, ne vennero anche accuse reciproche
intorno alla condotta respettiva, mentre la stessa deficienza o
imperfezione dei provvedimenti fa pur mancare il modo di ac-
certare errori e torti, dove ce ne fossero.
Giustamente geloso dei meriti e benefizi altissimi, onde va
tanto esaltato il patto di Ginevra, l’ottimo Moynier si è addo-
lorato dinanzi all’inatteso spettacolo di una trascuranza così
grande e rattristante davvero. Il patto non è certamente per-
fetto. Le immunità ch’esso accorda ai feriti e malati in guerra,
le qualifica inesattamente di neutralità; anzi, le stabilisce solo
per la guerra terrestre, onde il 28 ottobre 1868 furono proposti,
pure a Ginevra, articoli addizionali per estenderle anche a quella
marittima, nonchè per chiarire il senso di alcune disposizioni
del patto medesimo, articoli, peraltro, rimasti tuttora allo stato
di semplice progetto. Ma lacuna ancora più deplorevole, che
viemeglio rende manifesta e urgente la necessità di rivedere il
patto, esso non ha neppur saputo prevedere l’importanza, cui
d’un tratto doveva salire la istituzione, già nata nel 1863, della
Croce rossa; le cui libere associazioni si sono propagate con
ammirabile emulazione nei paesi inciviliti, sotto ordinamenti e
con mezzi tali da promettere, esse da sole, quel sicuro, pronto
e delicato servizio di soccorsi, che il numero ingente dei feriti
nelle guerre odierne richiede in grado sempre maggiore. Per
buona sorte, i governi non ebbero bisogno di attendere impulso
e norma da un patto internazionale. Tanto di per sè grande e
meravigliosa era ed è l’opera della Croce rossa, che il loro zelo
non poteva mancare; ed essi l’hanno raccomandata e sostenuta
infatti con la loro autorità, con la loro materiale assistenza,
facendovi per conto proprio un assegnamento ben naturale, che
li dispensa dal prendere, in via diretta, altri provvedimenti.
Intanto le imperfezioni sussistono in quel documento diplo-
matico, e una revisione che vi ripari, rimane tuttora un desi-
derio. Ora a codeste si è venuta aggiungendo quell'altra,
donde trarrebbe origine l’incuria, come sopra lamentata, di por
mano alle disposizioni della convenzione ginevrina per assicurarle
DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 331
effettiva esecuzione. Nel periodo di tempo corso dalla data della
sua stipulazione nulla o quasi nulla essendosi a tal fine prov-
veduto dai singoli sottoscrittori, fa mestieri ormai che questi
vengano eccitati a compiere il dover loro. Gustavo Moynier,
incoraggiato da uomini eminenti, ha preso sopra di sè questo
ufficio, invocando alla propria iniziativa il patrocinio dell’Isti-
tuto di diritto internazionale, di cui egli è un grande ornamento.
Di tanti difetti, il maggiore o il meno tollerabile è, a suo av-
viso, la mancanza di una garanzia esecutiva per i casi di vio-
lazione della convenzione. Il perchè, attese le difficoltà e len-
tezze, che in pratica aumenterebbero di certo ove si riunisse
questo provvedimento agli altri in una revisione generale, ha
risoluto di spingerlo innanzi senz'altro da solo, come provve-
dimento che non ammette ulteriori indugi.
La proposta di Moynier si riassume in un disegno di con-
venzione complementare, preceduto dai motivi e formulato in
otto articoli, sotto il titolo di “ Considérations sur la sanction
pénale è donner àè la convention de Genève , (Lausanne, 1893,
pp. 33).
Si tratta dunque di un provvedimento di carattere penale.
Perchè non altresì di altra natura, per esempio, amministrativo
militare o anche civile? In fondo, oltrechè già quando si di-
scuteva la convenzione, se di una sanzione penale non vi si è
fatto cenno, l’omissione erasi voluta solo perchè il cenno riu-
sciva almeno superfluo al cospetto di quell’atto spontaneo e no-
bilissimo, la inclinazione ai dì nostri prevalente nella scelta
degli istituti giuridici e politici portava a preferire quelli propri
del magistero punitivo. Il che segnatamente accade allora, che
trovisi in bisogno, non tanto un diritto positivo e storicamente
fondato, quanto piuttosto un principio, principio morale e ra-
zionale, sia pure d’incomparabile grandezza, com'è, nel presente
caso, quello dell'umanità. D'altronde, poichè le solenni dichia-
razioni di Ginevra obbligano, se non direttamenle gl’individui,
gli stati di certo, così questi, ove non l'abbiano peranco fatto,
debbono affrettarsi a emanare leggi, che obblighino costoro,
onde, avvenendo che alle medesime contravvengano, i contrav-
ventori cadano inesorabilmente sotto le penalità incorse.
Partendo da questi concetti, il disegno di Moynier com-
prende, anzitutto l’obbligo per gli stati stipulanti di emanare
332 EMILIO BRUSA
una legge punitiva estesa a tutte quante le possibili infrazioni
alla convenzione del 1864, nonchè l'obbligo di notificare le leggi
e loro modificazioni all’ufficio internazionale di pubblicità da
crearsi per i trattati internazionali, e anzi, secondo la formula
definitiva del progetto presentato all'Istituto, e da questo adot-
tata su tal punto nella sessione di Cambdridge, al consiglio fe-
derale svizzero, che dalla convenzione ginevrina è già incari-
cato di ricevere le accessioni alla medesima. In secondo luogo,
affine di ottenere ogni garanzia d’imparzialità nel giudizio degli
imputati, il disegno, poco e quasi punto fiducioso nell’ abnega-
zione degli stati allorquando debba giudicarsi della condotta
dei propri funzionari e di loro medesimi, s’inalza nientemeno
che al concetto di un tribunale arbitrale. Così, non solamente
si costringerebbero gli stati per via internazionale a introdurre
le sanzioni penali; ma li si assoggetterebbero a una giurisdi-
zione, per la condotta de’ propri sudditi e per la propria non
meno, la cui origine consensuale niente varrebbe a toglierle il
carattere supernazionale, che inevitabilmente inchiudesi in ogni
parte di sovranità riguardata in atto di fronte al consorzio
degli stati.
Tale il sistema ideato dal valentuomo, e accolto pure da
Kngelhardt secondo relatore per la proposta dinanzi all'Istituto.
Del medesimo si è da taluno creduto di trovare un indizio pre-
cursore nell’art. 84 del su citato “ Manuale delle leggi della
guerra ,, ma a torto. In quella disposizione è prescritto, infatti,
che i violatori di queste leggi vadano soggetti ai castighi mi-
nacciati; ma non è poi detto che la minaccia debba stabilirsi
in leggi o con sanzioni internazionali, sibbene vi si parla sol-
tanto di “ chaàtiments spécifiés dans la loi pénale ,. Eviden-
temente vi s'intende la legge nazionale, come risulta esplicita-
mente chiarito, sia dal carattere del “ Manuale , stesso, di
offrirsi semplicemente quale “ base per una legislazione nazio-
nale ,, e non già come “ un trattato internazionale ,, sia ancora
dalla dichiarazione più speciale al citato art. 84, secondo cui i
colpevoli “ doivent étre punis, après jugement contradictoire,
par celui des belligérants au pouvoir duquel ils se trouvent ,
(Annuaire de l’Institut de droit international, 1881-82, Bruxelles
1882, p. 158 e p. 174). Il principio della sovranità, territoriale
o nazionale che dir si voglia, non poteva essere più aperta-
- DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 333
mente conservato intatto rispetto alla potestà legislativa. Na-
turalmente, « fortiori esso rimane inviolato e intero parimenti
quanto alla potestà giudiziaria, l’esercizio della quale presup-
porrebbe del resto, se di giustizia internazionale fosse caso, una
legge o convenzione pure internazionale.
Or dunque un precedente non si potrebbe scorgere in co-
desto documento. Si cercherebbe forse, con migliore fortuna, in
altre proposte serie di pubblicisti singoli o anche collettive?
Non par probabile, e quindi ancor meno è da sperare che si
trovi in alcun atto diplomatico. Sinora la sovranità è una no-
zione di puro diritto interno, e altrimenti non è possibile che
sia mai per divenire. Il diritto positivo si ricollega indissolu-
bilmente allo stato. Un diritto umanitario non sarebbe tuttavia,
per ciò solo, una semplice chimera, un assurdo; ma appunto,
se ed in quanto sì costituisse, esso distruggerebbe addirittura
‘la sovranità degli stati. Resta il concetto di federazione, che
è il solo applicabile a una famiglia di stati sovrani, i quali
per il comun bene si spogliassero di una parte della propria
sovranità creandone una federale a tutti superiore. Più in là
non è possibile di giungere in un ordinamento giuridico; e la
impossibilità deriva da ciò, che gli stati, a differenza degli in-
dividui, o sono sovrani, o non appartengono più al novero delle
personalità del diritto delle genti. Per gl’ individui, la qualità
di sudditi non è incompatibile con quella di persone capaci di
diritto; per gli stati, la qualità di sudditi è contradittoria in-
trinsecamente. Quanto al caso di una costituzione federativa, è
chiaro che la sovranità o il solo suo esercizio non vi sono che
delegati.
La proposta Moynier non si direbbe concepita in base a
una retta distinzione. La sovranità degli stati nei vari riguardi,
e nel diritto penale in ispecie, è bene una dottrina, ma al pub-
blicista ginevrino non par fondata in una verità inconcussa, su
di un assioma giuridico. Niente impedisce quindi, che, maturati
com'ei li crede ora i tempi, altra cosa possa sostituirla, senza
che per ciò il meccanismo sociale abbia a correre pericolo.
Tanti cangiamenti sono accaduti e accadono nel mondo, come
mai resterebbe inflessibile quella sola dottrina? E, a dir vero,
non differente sembra che sia stato il punto di vista, dal quale
si sono collocati in generale coloro, che a Cambridge presero
394 EMILIO BRUSA
parte alle discussioni della di lui proposta nel seno dell’Istituto
di diritto internazionale. A qual titolo mai si dovrebbe, allora,
rinunciare a dar sanzione penale a impegni divenuti legge per
la volontà stessa delle nazioni contraenti? All’infuori dei prin-
cipii, non vi sono che semplici considerazioni di opportunità e
«li prudenza pratica; sempre è necessario infatti di procedere
soltanto per gradi. La convenzione ginevrina è un testo di legge
precisa e formalmente accettata; difficilmente il progresso po-
trebbe giungere oltre; non più semplici costumanze, tradizioni
od usi più o meno vaghi e contestabili; il terreno sicuro e ben
determinato ne’ suoi confini, quale abbisogna per la costituzione
di un tribunale internazionale, non manca più.
A questo modo di ragionare, non una parola di opposizione
o di dubbio per parte dei dotti congregati di Cambridge; le
loro divergenze si sono limitate a questioni d’ordine puramente
pratico. Ed è stato un effetto di ciò, se nel risolvere le mede-
sime l’Istituto fu poi tratto a conclusioni per avventura savia-
mente moderate, come si conviene infatti a un tale punto di
vista. Comunque sia, della proposta primitiva di una legge inter-
nazionale e di un tribunale egualmente internazionale più nulla
vi è in fine rimasto.
Or senza entrare qui in una troppo lunga discussione, è
lecito dubitare assai se, trattandosi di un principio umanitario 0
di pietà, possano gli stati, senza perdere in tutto o in parte la
propria sovranità, provocare una dichiarazione d’ incapacità ad
esercitare da sè il proprio ufficio repressivo, e delegarlo quindi
a un'autorità federativa di origine convenzionale? Già da sola
l'ipotesi della incapacità implica il difetto di una condizione
essenziale alla personalità giuridico-politica dello stato: vi è
dunque contradictio in adiecto. Un unico argomento potrebbe
addursi a sostegno di codesta delegazione, ed è questo: che di
fronte a un diritto, il quale avvince gli stati in un vincolo
comune a tutti loro, manca necessariamente in essi l’attitudine
a esercitare la sovranità, sia giudiziaria soltanto, o anche legis-
lativa, perchè gli atti loro nei rapporti giuridici internazionali
sono o possono essere sospetti di parzialità. Tale appunto è
l'argomento fatto valere da Gustavo Moynier, ma esso non regge
all'esame.
Di quanti mai usi, costumi, patti e diritti interni degli
DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 335
stati in tema di relazioni giuridiche internazionali, apparten-
gano esse, queste relazioni, al diritto privato o al pubblico,
all’amministrativo o al penale, non pure i legislatori, ma i giu-
dici stessi, non sono legislatori, non sono giudici nazionali? Per
lo stesso giudizio delle prede marittime ancora non esistono
quelli internazionali. E tuttavia se, come anche l’Istituto di
diritto internazionale ha proposto per il giudizio medesimo,
riusciremo qui ad avere arbitri d’origine neutrale, o almeno
mista con preponderanza neutrale, codesta non sarà una dele-
gazione fondata in una presunzione arbitraria d’incapacità e di
parzialità, ma sibbene giustificata dalla natura stessa della re-
lazione donde nasce la controversia da risolversi. Nel giudizio
delle prede belliche si contende per un interesse giuridico tra il
privato e il belligerante, il quale ultimo avendo operato la cat-
tura, deve, quale giudice necessariamente sospetto, ritenersi in-
compatibile. Affermare, invece, che siansi commesse infrazioni alla
convenzione ginevrina o a un altro patto d’indole umanitaria
consimile, e che l'imputato ne sia colpevole, infliggendogli poi,
in caso affermativo, la pena dovuta, questo giudizio non implica
un preciso interesse giuridico dello stato, da parte dei sudditi
del quale, siano pur questi suoi funzionari, e anzi d’ordine ele-
vato, sarebbesi perpetrata la violazione. L'interesse della com-
miserazione per i feriti e i malati, a qualunque delle parti
belligeranti appartengano, è un interesse umanitario, e perciò
troppo superiore a quelli determinabili nella cerchia positiva
del diritto, perchè le norme stesse del diritto possano davvero
convenirgli.
Allorquando le autorità militari, che già per la natura dei
propri gelosi uffici sono tutt'altro che inchinevoli ad adattarsi
alle incomode prescrizioni del patto ginevrino, durante il com-
battimento procedono verso di queste senza sufficienti riguardi
e cautele, la mala fede appare un'ipotesi inammessibile, la tra-
scuranza un'ipotesi, se avvalorata da indizi, difficilissima da
provarsi. Ma, ritenuto pure che fosse dimostrata la colpa di
quelle autorità, il diritto di farne il rimprovero a titolo di de-
litto positivo, e di fondarvi l’applicazione di una pena, resta
ancora da dimostrarsi, perocchè non basta allegare l'obbligo
convenzionale degli stati per esimersi questi dal debito di giu-
stificare quel preteso diritto. Una convenzione fra stati, che
336 EMILIO BRUSA
obblighi direttamente i sudditi, sarebbe una singolarità. Ognora-
chè gli stati abbiano impartiti ai propri funzionari o sudditi in
generale gli ordini e le istruzioni opportune, e, ove questi ven-
gano trasgrediti, abbiano provveduto a richiamare costoro al-
l'adempimento de’ loro doveri e abbiano loro applicato le sanzioni
penali incorse, niente più rimane da pretendersi in nome del
patto che a tutto ciò obbligasse gli stati contraenti. Estendere
il patto a maggiori obbligazioni trarrebbe di necessità alla
creazione di un rapporto federativo, che implicherebbe, come
s'è visto, la presunzione d’incapacità o parzialità nell’esercizio
di funzioni proprie della sovranità e inalienabili, presunzione
contradittoria per ciò, se già non fosse gratuita e insostenibile,
quante volte lo stato non giudichi veramente della causa propria,
ma di quella piuttosto dell'umanità, com’è nel caso presente.
La preda bellica è un diritto o un abuso di potere, e ri-
cade sempre a danno di un terzo, al quale, se vi fu abuso,
spetta un positivo diritto alla riparazione del torto recatogli :
di questo torto non può evidentemente essere giudice lo stato
catturante. Basta, invece, e sarebbe in verità strano che non
avesse a bastare, la sovranità giudiziaria dello stato nelle cui
acque territoriali fu sorpresa la nave negriera, o anche di un
altro stato diverso, per giudicare e punire i colpevoli del delitto
di tratta, come pure, nei casi di pirateria, per perseguitare e
punire i pirati. E se pur a tanto sono reputati sufficienti i
poteri sovrani degli stati, non si vede perchè mai debba, a
riguardo delle infrazioni alla convenzione sui feriti e ma-
lati in guerra, richiedersi altrimenti la delegazione del potere
giudiziario a un tribunale inter- 0, meglio, supernazionale. La
pirateria e la tratta, oltrechè offendere diritti nazionali, in-
teressano pure, per i bisogni speciali della repressione, il di-
ritto delle genti, l'umanità. Ma qui l'umanità vien posta in
causa senza necessità di una lotta di due belligeranti, e non-
dimeno quel tribunale estranazionale non s'è mai richiesto per
la punizione. Trattandosi poi della umanità verso .i feriti nella
lotta fra due belligeranti, manca anche più manifestamente il
fatto arbitrario e principale di un solo; la lesione che si pre-
duce, avverasi quindi per mode incidente o conseguenziale sol-
tanto; onde la cura di perseguitarne e punirne l’autore rientra
tutta quanta nella sovranità principale o nazionale.
DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 337
Gli è delle delegazioni convenzionali della sovranità, in
un certo senso, come dei plebisciti. Quelle, come questi, espri-
mono un sentimento: sentimento rispettabile, anzi, se vuolsi,
generalmente molto nobile ed elevato, qual è appunto quello
della fratellanza, della carità o della commiserazione per gl’in-
felici feriti e malati nelle battaglie; ma non esprimono altresì
necessariamente un diritto. Il plebiscito, che applicato al giure
internazionale implicherebbe l’assurdo di un diritto, anzi del
massimo diritto di sovranità, cioè quello di modificare i com-
ponenti dello stato, che sono il territorio e il popolo, diritto
accordato alle frazioni dello stato, e può invece unicamente
spettare all'intero, il plebiscito ben può tuttavia acquistare nella
politica nazionale, e forse nella stessa politica internazionale,
un carattere simpatico, che può rendervelo accetto. Anche le
delegazioni di sovranità, assurde sempre che vi faccia difetto
quell’unico motivo giustificatore, che è l'insufficienza, incapacità
o parzialità degli stati a compiere da sè il proprio ufficio; al-
lorchè invece tale motivo esista, ben si comprendono e coone-
stano nel diritto internazionale. Qui il disporre di sè è, o non
è, diritto secondo che la natura del rapporto inchiuda, o no,
la necessità di rimediare a tale difetto; là il voto popolare va
pregiato soltanto se contenuto nella cerchia della politica, na-
zionale o internazionale.
Conchiudendo insomma, alla insufficienza degli stati singoli
in argomento di vero diritto supplisca pure un anfizionato a
base consensuale; ma questa base non varrebbe più a reggere
un sindacato giuridico, dove l’interesse, per quanto sia umani-
tario, giuridico di sua natura non è, nè mai la nozione di so-
vranità tollererebbe che fosse. Il caso della convenzione di
Ginevra appartiene a questa seconda ipotesi. Per essa i sotto-
scrittori hanno assunto l'impegno di provvedere, in una ragio-
nevole misura, s'intende, a rendere immuni nella guerra i feriti
e malati, le persone e le cose addette al loro servizio sanitario.
Ma tale impegno non implica affatto una sanzione penale inter-
nazionale, che in questo tema contradirebbe alla nozione di
sovranità. L'umanità, il sentimento umanitario, è un principio
astratto, non mai un cessionario possibile, a favore del quale
gli stati abbiano modo di rinunziare o delegare una parte della
propria sovranità. Il patto ginevrino estende gli obblighi della
338 EMILIO BRUSA
sovranità nazionale, non diminuisce, per una pretesa ingerenza
legislativa e giudiziaria superiore, questa medesima sovranità.
Le trascuranze da parte degli stati a dar opera efficace per
adempiere il’ patto, provochino pure le doglianze degli uomini
di cuore, e queste trascinino pure con sè la pubblica opinione:
ciò è quanto di meglio può desiderarsi e, avverato che sia, non
vi sarà più da temere che quelle si ripeteranno in avvenire.
Tutt’al più, i pubblicisti e i filantropi, come sono riusciti a creare
quell’ammirabile istituzione della Croce rossa, che dovunque
risponde sempre a un tipo comune, pur svolgendosi diversa-
mente a norma delle circostanze diverse nei vari paesi, pro-
muovano e favoriscano quanto meglio potranno la formazione
di una legge tipica, per servire di guida, possibilmente uniforme,
nei provvedimenti nazionali da prendersi. Sarà molto, e nondi-
meno poco ancora, perchè l’azione legislativa sta notevolmente
al disotto di quella amministrativa e preventiva.
In ultima analisi, una giurisdizione internazionale presume
l’indegnità degli stati, li presume capaci di venir meno a un
dovere semplicemente umanitario, benchè da loro medesimi con-
tratto spontaneamente, come suolsi in condizioni di pace e
amicizia. Presunzione odiosa, per quanto sia resa seria dai pre-
cedenti, mentre che quello che importa davvero, sarebbe di
spingere gli obbligati a fare in modo, da non essere colti mai
alla sprovvista dallo scoppio di una guerra, affinchè dell'impegno
da essi assunto non abbia a dirsi poi, come da taluno fu so-
stenuto, che si riduce a una semplice manifestazione di plauso
ai sentimenti umanitari, di cui fa prova la convenzione di
Ginevra. Sono ordini, istruzioni da impartire, mezzi da mettere
a disposizione delle autorità militari, sono minacce di sanzioni
per ottenere l’esecuzione: questo e altro richiede tempo, richiede
una certa stabilità di discipline, che soltanto una certa educa-
zione potrebbe dare, e che durante la guerra, o poco prima,
non si potrebbe.
Codeste e somiglianti considerazioni bene indussero l’ Isti-
tuto di diritto internazionale al maggiore riserbo, com'è, del
resto, suv costume e suo speciale vanto. Ammessa l’idea della
convenzione complementare recante l'obbligo per i sottoscrittori
di “ elaborare una legge penale comprensiva di tutte le infrazioni
possibili , a quella di Ginevra (art. 1), e di notificare entro tre
DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 339
anni, per via diplomatica, al consiglio federale svizzero, tali
leggi e le successive modificazioni (art. 2), l’Istituto ha deli-
berato di accordare allo stato belligerante che si lagni di qualche
violazione della convenzione ginevrina per opera di appartenenti
dell’altro stato belligerante, “ il diritto di domandare, con l’in-
terposizione di uno stato neutro, che sia fatta una inchiesta.
Lo stato chiamato in giudizio è obbligato di fare l’inchiesta
col mezzo delle proprie autorità, di parteciparne l’esito allo
stato neutro, che ha servito come intermediario, e di provocare,
ove occorra, la punizione dei colpevoli in conformità delle leggi
penali , (art. 3). Questa la sostanza della convenzione comple-
mentare votata a Cambridge, e davvero sembra assai: perchè
impegni maggiori non solo sarebbero stati inopportuni prati-
camente, ma inoltre eccessivi sotto l’aspetto dei principii ra-
zionali che governano la sovranità. In garanzia della inviolabilità
stessa dei diplomatici una obbligazione convenzionale fra gli
stati per prevenirne le violazioni, non fu mai creduta neces-
saria, rimettendosene piuttosto ai costumi, e questi hanno ba-
stato e bastano tuttora insieme con le leggi e i giudici nazionali,
che pur bastano nella tanto gelosa materia della estradizione,
in materia di delitti commessi all’estero contro la sicurezza
dello stato o contro altri importanti beni giuridici aventi atti-
nenza con lo stato, e via dicendo, nonchè, come s'è già ricor-
dato, in tema di pirateria e di tratta.
Tutti gli esempi che potrebbero dunque invocarsi, insegnano
a rispettare la legislazione e la giustizia nazionale, nessuno a
introdurre un nuovo diritto, che sarebbe veramente eccezionale
in odio agli stati. E veggasi: tanta è la forza delle cose, che
anche la proposta Moynier offriva già alcuni punti pieni di cir-
cospezione, punti che fanno presentire il senso della prudenza
e moderazione nel proponente. Ma ei sono sforzi vani, perchè
spesi in argomenti secondari, dove invece il concetto fonda-
mentale vi era sbagliato. Giova tuttavia il ricordarli. Presentasi
dapprima la libertà lasciata agli stati stipulanti di designare
le istituzioni giudiziarie neutre superiori, cui dovrà competere,
al rompersi di una guerra, l’ufficio di arbitri inappellabili nelle
proprie controversie concernenti le infrazioni alla convenzione
di Ginevra. Segue poi la distinzione fra i prigionieri di guerra
e gli altri imputati, perocchè la giurisdizione neutrale è, per i
340. EMILIO BRUSA
primi, ammessa soltanto come seconda istanza, e anche allora
sol dietro richiesta del governo interessato, mentre in primo
grado i giudici nazionali del belligerante rimangono. La pro-
posta circoscrive, in fine, ogni giudizio arbitrale o neutro ai
soli verdetti di colpabilità, chiamando di nuovo in ufficio il
tribunale nazionale, quante volte, affermata la colpabilità, si
tratti di applicare la pena, e persino rinunziando addirittura
ad applicarla nei casi, in cui la responsabilità risalga a un fun-
zionario d’ordine superiore e, perciò, non sia da attendersene
un utile rinvio dinanzi al suo giudice nazionale; in tali casi la
condanna rimarrebbe efficace per la sola eloquenza della giu-
stizia del suo verdetto, come designazione del colpevole all’ob-
brobrio pubblico.
Senza discutere tutti questi temperamenti, non sarà tuttavia
superfluo rilevare il ripetuto, benchè diverso, dualismo della
giurisdizione, e particolarmente quello che più stride per la
differenza di trattamento fra i semplici privati o° anche fun-
zionari bassi, e d’altro canto i funzionari superiori. La confes-
sione d’impotenza del sistema giudiziario proposto non potrebbe
essere più manifesta e più significativa. A chi ci rifletta al-
quanto per ricollegarne la spiegazione con le cause efficienti,
apparirà chiaro, come il sistema stesso fallisca per tal modo
là dove la sua virtù meglio dovrebbe dimostrarsi, cioè di fronte
precisamente a codesti governi trascurati, nella cui condotta
riprovevole sta infatti riposta l’origine stessa del progetto
Moynier. E se quel pubblico marchio di vitupero tiene luogo
di pena, se anzi è la sola pena che agli alti funzionari si ad-
dica, non v'è egli da inferirne appunto, che qui veramente sì
sostituirebbe a un atto di vera giurisdizione un semplice giu-
dizio morale, pari in tutto a quello che può pronunciare e pro-
nuncia la pubblica opinione, sicchè del giudice morale medesimo
ragion voglia che ci teniamo paghi senza domandare altro?
In ogni cosa nuova, anche buona, moderare lo zelo costituisce
sempre una difficoltà. La linea, ideale o positiva che si voglia,
col mezzo della quale debbano tenersi separati gli sforzi diretti
a incivilire la guerra senza impugnare di questa il principio,
somiglia al taglio netto fra la verità e l’errore, e non si trova;
ciò che troviamo è una linea in qualche grado approssimativa,
e nulla più. Il divieto, stipulato a Pietroburgo nel 1868, di
DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, Ecc. 841
usare proiettili esplosivi di un peso inferiore ai 400 grammi,
a parecchi è parso già passare il segno, e non tutti costoro
sono neppure di quelli che invocano la barbarie della guerra
per rendere la guerra più presto intollerabile per le genti pro-
gredite.
L’ esperienza insegna a misurare egualmente la propria
fiducia, tanto agli uomini rapiti nella contemplazione dell’ideale,
quanto a quelli che non sollevano da terra i propri occhi. Si
è in tal senso, che deve recar meraviglia a un modo stesso,
sia l'aspirazione a tradur oggi in atto un'umanità giuridica
consacrata dalla legislazione e dalla giustizia inter- o superna-
zionali, sia la repugnanza ai mezzi modesti, e pur potenti, della
carità e della pietà, cui già sin d’ora il diritto odierno non
nega un posto capace di sodisfare alti sentimenti. In questo
senso operasi più e meglio per il fine stesso, quanto più e me-
glio si usufruiscano i mezzi e gl’istituti esistenti, e, nel presente
caso della convenzione di Ginevra, si usufruisca l’influenza he-
nefica della Croce rossa, oltre quella pur molto importante, che
possono esercitare le autorità militari. L'uno e l’altro concetto
ebbero valenti fautori nel seno dell’Istituto riunito a Cambridge,
e sono entrambi savi e prudenti concetti. Di essi, però, un solo
riuscì a farsi accogliere, e neppure nel contesto della conven-
zione complementare come sopra adottata dall’Istituto, ma so-
lamente in qualità di voto dal medesimo emesso. Il voto, pro-
posto dal valente professore F. de Martens di Pietroburgo, fu
da lui medesimo così formulato:
“ Afin de donner à l’État belligérant dont les ressortissants
“ sont accusés d’avoir violé la convention de Genève, tous les
“ moyens de prouver son impartialité et la non-culpabilité des
“ accusés, l’Institut de droit international émet le vou que
“les puissances signataires de la convention de Genève re-
“ connaissent l’existence et l’autorité d’un comité international
“ de la Croix-Rouge, dont les membres pourraient, sur la de-
«“ mande de l’Etat belligérant accusé, étre délégués par celui-ci
“ afin de prendre part à une enquéte sur le théatre de la guerre,
“ sous les auspices des autorités nationales compétentes ,.
Quanta riservatezza anche in questo voto, quale accurato
studio di scansare del pari i disegni ambiziosi e le confessioni
d’impotenza! L'intervento della benemeritissima istituzione di
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 25
342 EMILIO BRUSA
beneficenza per contribuire dal canto proprio al conseguimento
di un giudizio sereno e imparziale, è naturalmente subordinato
alla richiesta dello stato accusato, il cui onore è posto qui in
gioco, appunto perchè servirebbe a tal fine di potente stimolo.
Ma una volta ch’esso risolvasi alla richiesta, è giusto che spetti
a lui medesimo la facoltà di delegare i membri del comitato
internazionale della Croce rossa per fare l'istruttoria del pro-
cesso. L'istruttoria poi sarà fatta col concorso delle autorità
nazionali, perchè vane risulterebbero altrimenti le investiga-
zioni, che le autorità medesime volessero impedire. Nè va di-
menticato mai, che se è facile esporsi a un’inchiesta, della quale
l'esito tornar debba evidentemente a discolpa dell’accusato che
la provoca, assai scarsa fiducia può, nel caso contrario, aversi
in un'istruttoria ben condotta. Presso le autorità militari, donde
pure può tutto o quasi tutto dipendere in tali contingenze, noi
lo vedemmo, la Croce rossa non gode molte simpatie, perocchè
l'intervento di questa menoma a quelle la libertà e crea anzi
impacci. Comunque sia, il merito maggiore del voto, di che si
parla, sta nell'avere saputo resistere alla tentazione, che era
nata sotto forma di proposta, di addossare al detto comitato
internazionale le funzioni di giudice, funzioni, che cumulate con
le sue proprie d’istituto di beneficenza, ne avrebbero alterato
la natura. È già molto che i suoi membri possano dall’accusato
essere delegati all'inchiesta imparziale; ma a pericoli seri ver-
rebbe indubbiamente esposta l’umanitaria istituzione, se a ca-
gione dei verdetti di condanna, ancorchè giustamente da lei
pronunciati, il suo credito e prestigio dovessero offuscarsi e
declinare.
Resta a ricordare come non abbia trovato grazia nell’ Isti-
tuto la proposta di L. von Bar, dottissimo professore di Got-
tinga, secondo la quale, ritenuta la necessità di non urtare le
suscettibilità nazionali e militari dello stato accusato e, in ge-
nerale, di escludere intromissioni intollerabili per le potenze, i
governi avrebbero dovuto obbligarsi “ a istituire, in caso di
guerra, autorità militari speciali con incarico di vegliare all’os-
servanza della convenzione di Ginevra ,. Il motivo è semplice:
bastare a tal fine le autorità militari ordinarie; che se il fine
fosse di fare senz'altro inchieste sul modo col quale viene ap-
plicata dalle proprie truppe la convenzione di Ginevra, le spe-
DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 343
ciali funzioni inquirenti implicherebbero già @ priori per il bel-
ligerante il sospetto di trasgressioni per parte delle truppe
medesime, donde in quelle il difetto di senso pratico. Veramente
i comandanti han già cure molte e difficili, le quali da sole
assorbono tutta quanta la loro attenzione e operosità, e quindi
non riescirebbe del tutto superflua, almeno sembra, la creazione
di un’autorità speciale, quasi pubblico ministero, com’ ebbe a
qualificarla G. Rolin-Jaequemyns, quell’eminente pubblicista e
uomo di stato cui l’Istituto deve la sua fondazione. L’ unico
obietto di qualche valore, si potrebbe forse desumere dal timore
. di introdurre un organo ingombrante per l’azione militare, azione
cui non soverchiano mai i mezzi e le disposizioni per la propria
rapidità ed energia. Questo è bene che venga qui osservato,
perchè altri nella discussione di Cambridge si è lasciato trat-
tenere dalla difficoltà di costituire la commissione allo scoppiare
della guerra, mentre, se difficoltà vi sia da temersi, questa sor-
gerebbe piuttosto durante il fervore delle battaglie e non prima
o nell’imminenza della guerra. Ma la perfezione non è degli
uomini o delle cose loro, e in questo genere di provvedimenti
nuovi l’esperienza sola potrà dimostrare la convenienza di questo
o quell’istituto. Intanto però i governi darebbero prova della
loro buona volontà, sulla quale in definitiva si deve pur sempre
contare perchè la verità possa venire in luce.
Così i governi volessero por mano fin d’ora, ove già non
l'avessero fatto, almeno a quelle disposizioni, che nel duplice
intento, disciplinare e penale, valgano a garantire, in via nor-
male e nella previsione di ogni guerra futura, l'esecuzione dei
patti ginevrini! L'Italia nostra non è certo seconda in ciò a
nessuna potenza, tanto col determinare chiaramente nel suo
Regolamento del 26 novembre 1881 per il servizio dell’esercito
in guerra, i doveri derivanti da quei patti, quanto col predi-
sporre nel progetto del .1893 del nuovo codice penale militare
le sanzioni per i casi di che nei patti medesimi. È pregio del-
l’opera fare menzione di quest’ ultime, non solo come chiusa
opportuna alla presente relazione, ma altresì quale saggio di
ciò che uno stato può fare da sè antivenendo in tale punto
ogni patto internazionale.
Nel terzo libro del progetto, che tratta del tempo di guerra
e nel suo titolo secondo sui delitti in ispecie, un capitolo ap-
344 EMILIO BRUSA
posito, il quinto, in cinque distinti articoli contempla e punisce
ogni violazione di doveri verso persone inferme, ferite o morte
sul campo di battaglia, e cioè: l’omessa assistenza ad infermi
o feriti durante e dopo il combattimento ; l’uso delle armi contro
ambulanze, ospedali, convogli o navi-ospedali o contro il per-
sonale addettovi; lo spoglio d’infermi o feriti e la sottrazione
di danari od oggetti di dosso alle loro persone, aggravando
proporzionatamente la pena secondo che il fatto sia commesso
con violenza, o il colpevole sia incaricato del trasporto dell’in-
fermo o ferito, o ambedue queste circostanze concorrano insieme;
l'arresto o la violenza contro persone addette al servizio sani-
tario; la violazione di cadaveri umani mutilandoli o commet-
tendo sopra di essi atti di vilipendio, ovvero sottraendoli per
intero o in parte; lo spoglio dei morti sul campo di battaglia.
A codesto novero s'aggiunge una disposizione del quarto capo,
che tratta dell'abuso delle armi negli strattagemmi di guerra
e nelle prede belliche, la quale prevede e punisce il fatto del
militare, che, fuori del caso di necessità, omette di provvedere
ai modi necessari per tutelare dal bombardamento gli ospedali
e 1 luoghi in cui siano riuniti infermi o feriti, quando essi non
siano adoperati contemporaneamente a scopi militari, e siano
distinti mediante segni visibili indicati all’assediante. Anche
questa testuale disposizione risponde al voto della convenzione
ginevrina, in quanto proclama quella immunità, ch’essa, e con
lei il progetto, a torto denominano neutralità delle ambulanze
e degli ospedali militari non guardati da forza militare. Di co-
desta protezione potendosi però abusare, una disposizione suc-
cessiva minaccia adeguata pena a chiunque falsamente usa dei
segni, che in occasione di bombardamento distinguono gli ospe-
dali e i luoghi dove sono ricoverati infermi o feriti, oppure
della bandiera parlamentare, o dei distintivi internazionali detti,
come sopra, di neutralità.
Tutto il secondo titolo del terzo libro è degno veramente
di grande encomio per la molta cura adoperatavi nel definire
e punire i vari delitti commessi nello stato di guerra e le cir-
costanze modificative della loro gravità. Oltre i capitoli IV e V
citati, esso ne. comprende pure uno sulla resistenza e la vio-
lenza all’autorità (I), un altro sulla busca e saccheggio (II),
un terzo sull’abuso nelle requisizioni, contribuzioni e prestazioni
DI UNA SANZIONE PENALE ALLA CONVENZIONE GINEVRINA, ECC. 345
forzate (III), un altro intorno ai delitti dei prigionieri di
guerra (VI), e un ultimo concernente i delitti verso i prigio-
nieri di guerra (VII), che sono la violenza, il vilipendo, lo spoglio,
l'evasione procurata.
Giunto al termine delle sue considerazioni su questo titolo
dei delitti speciali nello stato di guerra, ha avuto bene ragione
il relatore senator Costa sul progetto di codice militare, di
compiacersi di cotali disposizioni sue e di sentirsene tratto
“a far voti perchè il codice penale militare italiano, abbia il
vanto della priorità nel comprendere queste disposizioni che
fanno solenne testimonianza dell’alto grado della sua civiltà ,.
Gli infortuni del lavoro 1)
(Appunti d’Igiene sociale);
Nota del Dott. LEONARDO COGNETTI DE MARTIIS.
L'infortunio del lavoro, tolto nel suo significato più ampio,
è elemento biologico dell’esistenza, come del resto la morte
stessa: è coefficiente della lotta per la vita. Quindi comparsa
dell'infortunio fin dalle prime origini dell'umanità, e poscia il
moltiplicarsi del fenomeno per l’uomo, troppo spesso vinto nella
lotta combattente per strappare alla terra la materia ed ela-
borarsela a seconda dei suoi bisogni.
Riesce vertiginoso immaginare quale ammasso di vittime
l'umanità ha dovuto sacrificare alle opere ciclopiche, onde essa
ha nelle varie epoche affermata la propria grandezza. E non il
solo sudore della fatica, ma anche il sangue delle vittime ce-
menta i macigni soprapposti nelle mura dell’antichità remota o
nelle piramidi d'Egitto, e stringe le spranghe dei ponti colossali
attraversanti i fiumi e le lamiere delle corazzate poderose sol-
canti i mari: detriti di ossa umane commiste alla terra ratten-
gono le sponde del canale di Suez, e pavimentano le gallerie
squarciate dalla vaporiera trionfante.
Nella storia degli infortunii del lavoro, i quali sono tanta
parte delle sciagure umane, si possono considerare tre periodi
distinti.
(1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Economia Politica della Uni-
versità di Torino.
346 LEONARDO COGNETTI DE MARTIIS
Il primo è quello della barbarie. Abbraccia tutto il passato
fin quasi a mezzo il secolo volgente. Sul campo di battaglia del
lavoro cadevano senza numero morti e feriti; ma l'umanità per-
maneva inconscia spettatrice del lugubre dramma.
Il secondo periodo è della statistica. È sorto da poco più
di mezzo secolo. Venivano raccolti i casi d’infortunio, e dalle
cifre spaventosamente crescenti esplodeva il grido d’allarme.
Il terzo è il periodo della previdenza, tutto contemporaneo,
perchè non per anco decennale. Schiude la via alla terapeutica
sociale del lavoro.
Al secolo morente non i soli progressi della scienza, ma le
associazioni di mutuo soccorso, le casse di risparmio, le assi-
curazioni contro gli infortunii, i congressi per gli accidenti del
lavoro, mezzi tutti atti a dare base solida alla previdenza, ri-
medii non fallaci alle sventure della fatica. Al secolo morente
il merito grandissimo di aver levato alto il vessillo della pre-
videnza, dietro cui ora l’umanità si accalca sulla via aprica del
benessere sociale.
Alla 2* Sessione del Congresso Internazionale degli acci-
denti del lavoro, tenutasi a Berna, dal 21 al 26 settembre 1891,
l'ingegnere capo delle miniere francesi Sig. Ottavio KeLLER, in
un rapporto sulle condizioni di una statistica razionale degli
accidenti del lavoro, ebbe accuratamente a notare come la sta-
tistica degli accidenti comprenda tre ordini di idee:
1°. 1cfattie
2° le loro cause;
3° le loro conseguenze.
E aggiunse: “ La statistica, che noi diciamo generale, dà
il quadro dei fatti: la statistica tecnica e la statistica morale
ricercano quali ne sono le cause nell'ordine materiale e in quello
del pensiero; la statistica medica e la statistica di assicurazione
esaminano le loro conseguenze, fisiche o finanziarie, dal punto
di vista delle vittime , (1).
Tra irisultati ottenuti con le diverse indagini statistiche sugli
infortunii del lavoro ve ne sono che interessano l’igienista ed il
demografo. Ho cercato raccoglierli in brevi appunti d’igiene sociale.
E primieramente è da considerare l’intensità del fenomeno
infortunio del lavoro. Le cifre più copiose al riguardo si hanno
(1) Congrès international des accidents du travail. Berne, 1891, p. 195.
GLI INFORTUNII DEL LAVORO 347
per l'Inghilterra, esposte nei rapporti degli ispettori capi delle
fabbriche e officine (1). Avendo fatto lo spoglio di tale interessante
pubblicazione per il quarantacinquennio 1849-1894, ho raccolto
807.373 infortunii, con 11.212 morti. In media 6.830.51 infor-
tunii l’anno, e 249 morti.
In Germania durante il settennio 1886-1892 furono denun-
ziati 1.174.531 infortunii, dei quali 226.372 con diritto ad in-
dennità, e 22.985 morti. In media 32.358 infortunii gravi l’anno,
e 4.602 morti (2).
In Austria durante il triennio 1890-92 vennero registrati
62.103 infortunii, dei quali 23.823 con diritto ad indennità, e 1.616
morti. In media 8.315 infortunii gravi l’anno, e 562 morti (83).
Per gli altri Stati i dati raccolti finora sono puramente
frammentarii. Così per l’Italia nel triennio 1879-1881 si ebbe
una media annuale di 8.800 infortunii con 700 morti e 350
inabilitati al lavoro (4).
Anche di alcune grandi città del Regno si hanno dati raccolti.
Così a Milano nel 1884 si ebbero a causa di infortunii del la-
voro 1267 operai invalidi temporaneamente, 80 invalidi perma-
nenti, 43 morti (5). Per Torino si ha la seguente tabella:
VITTIME DEGLI INFORTUNII DEL LAVORO
Anni morti feriti
1884 5 102
1885 10 112
1886 14 175
1887 20 304
1888 32 205 (6)
(1) Report of the chief inspector of factories and workshops. London,
1849..... 1894.
(2) Etude sur les derniers résultats des assurances sociales en Allemagne
et en Autriche. Paris, M DCCC XCIV, p. 10, 23, 28.
(3) Idem, p. 81.
(4) Moisè SinigagLia, La responsabilità civile dei padroni per gli infor-
tunii del lavoro. Torino, 1885.
(5) Gli infortunii del lavoro nel 1883-84 e la responsabilità degli impren-
ditori. Milano, 1885.
(6) Relazione sull'opera del patronato di soccorso per gli operai colpiti
da infortunio sul lavoro nell’anno 1888. Torino, 1889.
348 LEONARDO COGNETTI DE MARTIIS
Prendendo di mira la mortalità causata dagli infortunii in
diversi anni ed in varii Stati si ha la seguente tabella:
Proporzione dei morti negli accidenti del lavoro per 1000 assicurati
1886 | 1887 | 1888 | 1889 | 1890 | 1891 | 1892
Germania .| 0.71] 0.77] 0.68] 0.71] 0.73] 0.71) 0.65) (1)
Austria . . 0.67| 0.66| 0.64| (2)
Italia. ...... 1.35 | 0.76| 0.98| 0.97| 0.75 (8)
Meglio però vale fermarsi sui dati inglesi, dai quali sì ri-
cava il diagramma della mortalità indicata per il lungo periodo
1850-1894. Si ha così l'andamento del fenomeno per circa mezzo
secolo. Risulta da tale diagramma che nel 1867 la mortalità
cominciò ad elevarsi, raggiungendo finora due massimi, nel 1877
e nel 1890.
Mentre la espressione infortunio escluderebbe qualsiasi re-
golarità nella produzione del fenomeno, pure le indagini stati-
stiche fatte finora, sebbene incomplete, lasciano trasparire la
costanza di alcune influenze.
Così la distribuzione degli infortunii nelle varie ore della
giornata di lavoro non è retta dal solo caso. L'Ufficio imperiale
delle Assicurazioni in Germania ha potuto compilare al riguardo
la seguente tabella (4):
(1) Étude sur les derniers résultats des assurances sociales en Allemagne
et en Autriche. Paris, M DCCC XCIV, p. 12.
(2) Idem, p. 83.
(3) Etude statistique des accidents du travail d’après les rapports officiels
sur l’assurance obligatoire en Allemagne et en Autriche. Paris, M DCCC XCII,
p. 120.
(4) Etude sur les derniers résultats des assurances sociales en Allemagne
et en Autriche. Paris, M DCCC XCIV, p. 148.
GLI INFORTUNII DEL LAVORO
349
Ore in cui avvennero gli infortunii
Dalle 24
Dalle 3
Dalle 6
Dalle 9
Dalle 12
Dalle 15
Dalle 18
Dalle 21
alle
alle
alle
alle
alle
alle
alle
alle
12
15
18
21
24
Proporzione
p. 100
0.2
2.4
12.7
26.2
16.6
29.4
11.3
1.2
Il massimo degli infortunii risultante da tale tabella tra
le ore 15 e le 18 di sera, quando cioè la giornata di lavoro è
sul finire, indica che la stanchezza dell’operaio è coefficiente
d’infortunio. E siffatta deduzione è confermata dalla distribu-
zione degli accidenti nei giorni della settimana, tra i quali il
sabato coincide con la cifra massima proporzionale, come dalla
seguente tabella, stata compilata dallo stesso Ufficio imperiale
delle Assicurazioni in Germania (1):
Giorni in cui avvennero gli infortunii
Domenica .
Lunedì .
Martedì
Mercoledì .
Giovedì
Venerdì
Sabato
Proporzione
p. 100
3.9
16.6
16.5
15.6
15.5
15.4
16.7
(1) Etude sur les derniers résultats des assurances sociales en Allemagne
et en Autriche. Paris, M DCCC XCIV, p. 147.
350 7 LEONARDO COGNETTI DE MARTIIS
Altro coefficiente agli infortunii è dato dalle stagioni. Os-
servazioni, fatte al riguardo in Germania, farebbero assegnare
il massimo degli infortunii al mese di dicembre ed il minimo
a quello di maggio, come dalla seguente tabella (1):
Mesi néi quali avvennero gli infortuni ua
RIE ici DARA O PRI A CARTE CE LE 8.9
Webb 0 o e VELE Di
LTT 2 SMR CEERESRI (ROSSA NICO PERO de TA 7.9
Arles 6.5
Migicizio> Bisviory di Son OTInmrp, @iae 10, SI 6.3
His lisi -riemenisoo: è onvissbel adluile 7.8
A TE Gal I, SIRO Abin SOUL RA LO 19903
iieggo OI9ft) Opasta Quan piauCHiog BISIa 9.6
SOrEora bi e i 9.4
UkLobre oa. re) tot cip porta ro en) Pal
Noypembreskemiataza 1a ee aa 7.9
VETTA RE AE 10.0
Ma i dati raccolti in Italia a Milano per gli infortunii oc-
corsi durante l’anno 1884 nella capitale lombarda, fanno coin-
cidere il massimo in giugno e il minimo in febbraio, come dalla
seguente tabella (2):
(1) EÉtude sur les derniers résultats des assurances sociales en AUlemagne
et en Autriche. Paris, M DCCC XCIV, p. 147.
(2) Gli infortunii del lavoro nel 1883-1884. Milano, 1885, p. VII.
GLI INFORTUNII DEL LAVORO 851
too, vi : Numero
Mesi in cui avvennero gli infortunii del 1884 a Milano
degl’infortunii
2 L10710 E 65
enalotto rin iù ole ione 41
rivi A e NAS E 99
RO AO (DUI SIOE LO VIZEIIO 104
MpO CE n padiszeno re db sipospovziab 165
07 Tren eee PARI 145
Ip een ee dti ec 146
BERO IR pi Ponte 122
a TRA RO ARBEIT i rideod 149
L'Area Ta» rsa 142
uno ene 126
mirare ndono Mogli. Lara ca 86
Tale disparità di risultati accenna ad altre influenze ancora
ignote controbilancianti o superanti quella delle stagioni: forse
topografiche, forse etniche.
Anche l’età ed il sesso operano il loro influsso sulla pro-
duzione degli infortunii.
Circa l’età è interessante il crescere della mortalità negli
infortunii parallelamente all'aumento degli anni delle vittime,
come provano le cifre dedotte dalle mentovate relazioni degli
ispettori capi delle fabbriche e officine in Inghilterra dal 1849
al 1894.
852 LEONARDO COGNETTI DE MARTIIS
Periodo statistico 1849-94 | Adulti | Giovani Fanciulli
intorno Poi eta 171010 1 AA 21.289
Morti . 8.607 2.216 389
Morti su 100 infortunii. . | 5.01 | 1.93 | 1.82
Ma tralasciando la mortalità, cui certo è più esposto l’adulto,
poichè a lui incombe lavoro più faticoso, e prendendo in esame
il fenomeno infortunio nel suo complesso, si osserva il fatto
che il crescere degli anni fa diminuire il rischio dell’infortunio,
come traspare dai seguenti dati proporzionali su 1390 infortunii
stati raccolti in Italia a Milano durante l’anno 1884 (1):
Età in cui avvennero gli infortunii È “o. on
Basa 10 ani e IAT 1.79
li I BI RE RE RA e Ve I o 15.92
STRO ATI) a LITTA St AO 17.91
PATRIA RIEN SMP SAMI E 12.66
ZO SRI e, TRO I TI 10.64
Dal Baia e TUT
da SO RAEE AMIR DÈ 7.05
SRI: RCA STAR RE I ARI PENE E de 8.20
ME 4.74
alza ztza: eiahAa sands dibblantt 3.88
VIS SG 0A atlioù rbrdelnià li a 3.66
ela n at SA 2.08
via cri ii e ristoro cada it Li 0.57
rape iii dia, 0.50
si iaia nni ti alianti è. RO
Bue 160 Sine da icrrinita atasntalo! 0.07
(1) Gli infortunii del lavoro nel 1883-1884. Milano, 1885, p. VIII e IX.
GLI INFORTUNII DEL LAVORO dog
Si ha una progressione crescente dai 5 ai 20 anni, e poi
una progressione costantemente decrescente, interrotta solo da
una lieve sosta con debole rialzo tra i 41 e 45 anni. Onde
segue non potersi disconoscere nel carattere inerente ad ogni
età l’esistenza di un elemento modificatore degli infortunii, nel
senso che con il crescere dell’età in genere oltre la gioventù
diminuisce la probabilità del disgraziato accidente sul lavoro.
Circa l'influenza esercitata dal sesso, preziosi dati si pos-
sono raccogliere nelle relazioni più volte mentovate degli ispet-
tori capi delle fabbriche e officine in Inghilterra durante il
quarantacinquennio statistico 1849-1894.
Su 230.094 infortunii occorsi nei maschi si ebbero 10.420
morti, cioè 4.52 °/, e sopra 76.165 infortunii nelle femmine si
deplorarono 792 morti, cioè 1.03 °/. In Germania è stata tro-
vata la seguente proporzione: su 100 vittime d’infortunii 78.3
uomini, 21.7 donne (1).
Ne segue più intensa la mortalità per il sesso maschile,
adoperato in lavori di maggior forza e pericolo.
Costanza anche si verifica nei danni degli infortunii, nel
senso che le regioni del corpo umano soggette ai maltratta-
menti dei traumi serbano proporzioni quasi invariabili. La se-
guente tabella è improntata ai dati raccolti in Austria durante
il triennio 1890-92 (2):
Natura degli accidenti e proporzione ANNI
centesimale delle lesioni 1890 | 1891 | 1892
Ferite. Testa e faccia. . . . 9.0 3.9 3.7
> WICCA ee get n CA 4.5 4.4 4.5
; Braccia e mani . . . 17.3 179 EF
i Dita. St a 18191 32.7 30.8 SL:
" Gambe e piedi 4 SOS 22.3 23.0 23.0
Altre parti del SREDA «Lil ASL 14.4 13.8
Lesioni interne È 3 4.1 2.9 2.9
LR Ae 0.4 0.4 0.5
Annegamento . DOA 0.4 0.4 0.2
Ferite diverse 1.2 2.5 2.3
(1) Etude sur les derniers résultats des assurances sociales en Allemagne
et en Autriche. Paris, M DCCC XCIV, p. 149.
(2) Idem, p. 90.
354 LEONARDO COGNETTI DE MARTIIS
L'esame comparativo del trienno mostra una regolarità
quasi matematica nel ripetersi delle lesioni traumatiche per gli
infortunii del lavoro. Le dita delle mani pagano il maggior
tributo; seguono poi le gambe e i piedi, le braccia e le mani,
le altre parti del corpo, gli occhi, la testa e la faccia.
Preziose indagini sul complesso delle cause produttrici degli
infortunii sono state fatte principalmente in Germania, poten-
dosi con i dati raccolti compilare la seguente tabella (1):
Colpa | Colpa WI Colpa | Gaso Altre | Cause
RA dei | dell’ [padronel di | forza
Età delle vittime | ANSA T . | ma cause | deter
padroni|operaio elio terzi | giore minate
°lo °lo °lo °lo °/o °lo °lo
Meno di 16 anni) 34.4 | 25.9 | 14.6 | 3.8 | 15 | 174 | 2.4
Da 16 a 20 anni) 25.8 | 27.0 | 16.3 | 3.7. | 2.1 | 23.8 | 18
Più di 20 anni] 16.7 | 24.1 | 20.8 | 2.6 | 2.2 | 314] 2.3
Totali . .| 76.4 517 PTOSP98.8° P720600) 5
Medie . | es 25.6 | 17.2 | 3.3 | 19 | 242 | 2.1
Ne segue che in genere gli infortunii avvengono prima-
mente per colpa dell’operaio, e poi, in proporzione decrescente,
per colpa del padrone e dell’operaio, per colpa di terzi, per
cause non determinate, e in ultimo per caso e forza maggiore.
Interessanti anche sono le deduzioni che si ricavano dalla
stessa tabella circa l’età delle vittime. Sotto i 16 anni il mas-
simo degli infortunii è prodotto dalla colpa dei padroni, il mi-
nimo dal caso e forza maggiore. Dai 16 ai 20 anni massimo
per colpa dell’operaio, minimo per cause non determinate. Oltre
(1) Etude sur les derniers résultats des assurances sociales en Allemagne
et en Autriche. Paris, M DCCC XCIV, p. 148.
GLI INFORTUNII DEL LAVORO 355
il 200° anno massimo da altre cause, minimo dal caso e forza
maggiore. Dal che risulta evidente nella produzione degli in-
fortunii la presenza del fattore psichico, cioè l'inesperienza del
fanciullo, l’avventatezza del giovine, la distrazione dell’adulto.
E si noti soprattutto come per le cause produttrici degli infor-
tunii il caso e la forza maggiore occupino gli infimi gradini
della scala.
Quali deduzioni possono ricavarsi dai dati statistici finora
raccolti sugli infortunii del lavoro, specialmente dal punto di
vista dell'igiene sociale? Benchè essi dati permangano ancora
frammentarii, pure ci fanno intravvedere l’esistenza di leggi
regolatrici imperanti sul fenomeno doloroso; e fra le importanti
deduzioni ricavate da KEeLLER (1) nel suo pregevole rapporto
sulla statistica degli accidenti, presentato al 1° congresso inter-
nazionale sugli accidenti del lavoro, ricordiamo le seguenti:
1° Dato un gran numero di operai dedicati allo stesso
lavoro, vi ha costante regolarità annuale negli accidenti e nelle
vittime (morti e feriti), ond’ è che alla parola caso bisogna dare
il significato di leggi misteriose.
2° Tali leggi si lasciano modificare dai mezzi che si ado-
perano per prevenire gli accidenti e proteggere i lavoranti.
3° Molte professioni non hanno rischi speciali; ma lo
spostamento di masse numerose, e la lotta contro le forze ener-
giche e gli elementi ribelli della natura, espongono a ferite ed
anche alla morte.
4° Il maggior numero delle industrie ha un rischio d’ac-
cidente professionale.
5° Il danno degli accidenti varia secondo l’industria, per
frequenza di accidenti, per gravità, o per entrambe le condi-
zioni riunite, come nei mestieri più pericolosi.
6° Donne e fanciulli dànno morti e feriti in proporzione
minore che gli uomini, essendo addetti a lavori meno faticosi.
7° La probabilità di scampare alla morte od alla inca-
pacità permanente aumenta con l’età delle vittime.
8° Le cause degli accidenti sono imputabili agli operai,
ai padroni e loro impiegati, al così detto caso fortuito.
(1) Congrès international des accidents du travail. Tome premier, Paris,
1889, p. 189 et suiv.
356 LEONARDO COGNETTI DE MARTIIS
Ma quando la statistica internazionale degli accidenti sarà
divenuta adulta, quando ogni fattore ancora ignoto avrà la sua
cifra comparata, quando infine l’analisi dei fatti permetterà di
assurgere senza trepidazione alla sintesi scientifica, allora sarà
squarciato il velo misterioso che ancora avvolge le leggi degli
infortunti, allora si affermerà vitale la scienza degli infortunii,
cui KeLLER porse lieto augurio nel 2° congresso internazionale
degli accidenti del lavoro.
Alle vittime del lavoro mano pietosa porge l'igiene sociale,
specialmente con i soccorsi d’urgenza. Le istituzioni filantropiche
dei soccorsi immediati, sorte nel secolo primieramente per i
bisogni della guerra, sonsi poi estese ai danneggiati dagli in-
fortunii; e le città manifatturiere o specialmente industriali
vantano oggi le compagnie di assistenza pubblica, come i grandi
opifici del lavoro contano nel loro personale anche il medico,
pronto a soccorrere i feriti. Oggi più che mai è veramente
giusto il paragone che si fa del campo di lavoro con il campo
di battaglia; ma sventuratamente i soldati del lavoro devono
affrontare nemici invincibili, quali sono le forze poderose della
natura.
Tale il presente. Quale l'avvenire? Si è già accennato al
sorgere della scienza degli infortunii, e bisogna aver fede in
questa branca novella della sociologia, perchè, come osserva
acutamente KeLLER (1), “ i fenomeni più capricciosi in appa-
renza nelle loro prime manifestazioni presentano al contrario
una regolarità notevole, come han mostrato i matematici più
eminenti, quando hanno reiterate le loro osservazioni per un
tempo prolungato. Le cause perturbatrici sono alternativamente
favorevoli e contrarie al cammino regolare degli avvenimenti;
ond’è che i loro effetti si distruggono mutualmente nell'insieme
di un gran numero di prove, e questo grande numero permette
alle vere leggi dei fenomeni di manifestarsi chiaramente ,.
Disperato ma vero il grido dell’illustre fisiologo torinese,
affermante che noi non conosceremo mai la cornice che inquadra
l'universo; ma anche la psiche umana è sconfinata, e il mate-
(1) Congrès international des accidents du travail. 2° session. Berne,
1891, p. 212. i
GLI INFORTUNII DEL LAVORO 357
matico non si arresta ad aggiungere cifre ai suoi logaritmi per
approssimarsi sempre più a quel vero, che pur sa di non poter
raggiungere.
E la chiave degli infortunii è nella statistica, “ scienza che
illumina il mondo, che contribuirà viemmaggiormente a sta-
bilire una precisione ammirabile, dove non credevasi scorgere
che l’effetto del caso , (1).
(1) A. QuereLET, Fisica Sociale nella Biblioteca dell’Economista. Serie 82,
vol. 2°. Torino, 1878, p. 317.
L’ Accademico Segretario
Ermanno FERRERO.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 26
358
CLASSI UNITE
Adunanza del 12 Gennaio 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
In questa adunanza fu conferito il nono Premio Bressa a
Lord Joann WiLLiam StrUTT RaAyYLEIGH, Segretario della Società
Reale di Londra.
Gli Accademici Segretari
AnpREA NAccari.
ErmANnNO FERRERO.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA
Dal 29 Dicembre 1895 al 12 Gennaio 1896.
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali
NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio;
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono.
* Abhandlungen der mathem.-physischen Classe der k. Sichsischen Gesell-
schaft der Wissenschaften. Bd. XXII, n° 4, 5. Leipzig, 1895; 8°.
* Anales de la Sociedad Cientifica Argentina. Entregas V, t. XL. Buenos Aires,
1895; 8°.
** Annalen der Physik und Chemie. Leipzig, 1895.
** Annales de Chimie et de Physique. Paris, 1895.
* Annals and Magazine of Natural History. London, 1895.
** Annals of Mathematics. Charlottesville, 1895.
** Annuaire pour l’an 1896, publié par le Bureau des Longitudes. Paris; 12°.
Annuario del Observatorio astronémico nacional de Tacubaya para el aîio
de 1896. Mexico, 1895; 8°.
** Archiv fiir Entwickelungsmechanik der Organismen. Leipzig, 1895.
** Archives des Sciences physiques et naturelles, etc. Genève, 1895.
** Archives italiennes de Biologie... sous la direction de A. Mosso. Turin,
1895.
** Archivio per le Scienze mediche, diretto da G. Bizzozero. Torino, 1895.
* Atti dell’Accademia Gioenia di scienze naturali in Catania. Ser. 4°,
vol. VIII, 1895; 4°.
Atti della R. Accademia Peloritana; anno X, 1895-96. Messina, 1895; 8°.
* Atti della R. Accademia medico-chirurgica di Napoli. Anno XLIX,
N. s., n. IV. Napoli, 1895; 8°.
** Beiblitter zu den Annalen der Physik und Chemie. Leipzig, 1895.
** Bibliotheca mathematica; Zeitschrift fir Geschichte der Mathematik
herausg. von G. Enesrròm. Stockholm, 1895.
* Balletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College.
Vol. XXVII, n. 6. Cambridge U. S. A., 1895; 8°.
* Bulletin de l’Académie Royale des sciences et des lettres de Danemark.
Copenhague, 1895, n. 2. Copenhague, 1895; 8°.
360. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
** Bulletin de la Société anatomique de Paris, etc. Paris, 1895.
# Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico-
chirurgica ecc. Serie VII, vol. VI, fasc. 11. Bologna, 1895; 8°.
* Cimento (Il nuovo). Pisa, 1895.
* Comptes-rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences.
Paris, 1895.
* Éclairage (L’) électrique. Revue hebdomadaire. Paris, 1895.
* Électricien (L’). Revue internationale de l’électricité. Paris, 1895.
* Elettricista (L’). Rivista mensile di elettrotecnica. Roma, 1895.
** Fortschritte der Physik im Jahre 1889, Bd. XLV, 2 Abt. Braunschweig,
1895; 8°.
* Gazzetta chimica italiana. Roma, 1895.
* Giornale della R. Accademia di medicina. A. LVIII, n. 12. Torino, 1895; 8°.
* Jornal de sciencias Mathematicas e Astronomicas. Publicado pelo Dr. F.
Gomes Teixeira. Vol. XII, n. 2-3. Coimbra, 1894; 8°.
** Journal de Mathématiques pures et appliquées. Paris, 1895.
** Journal fiir die reine u. angewandte Mathematik. Berlin, 1895.
* Journal of the R. Microscopical Society, 1895, part 6. London, 1895; 8°.
* Mémoires de l’Académie des Sciences et Lettres de Danemark. 6° série,
section des sciences, t. VIII, n. 1. Copenhague, 1895; 4°.
* Monatshefte fiir Mathematik und Physik. Wien, 1895.
* Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVI, n. 2.
London, 1895; 8°.
Morphologisches Jahrbuch. Herausg. v. C. GecensAUr. Leipzig, 1895.
** Nature, a Weekly illustrated Journal of Science. Loridon, 1895.
** Neues Jahrbuch fiir Mineralogie, Geologie und Palaeontologie, etc.
Jahrg. 1895. Stuttgart.
** Philosophische Studien. Leipzig, 1895.
* Physical (The) Review. A Journal of experimental and theorical physics.
Vol. III, n. 3. New-York, 1895; 8°.
* Quarterly Journal of pure and applied Mathematics. London, 1895.
* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXVIII,
fasc. XVIII, XIX. Milano, 1895; 8°.
* Rendiconti della R. Accademia dei Lincei — Classe di Scienze fisiche, ecc.
Roma, 1895.
** Revue générale des sciences pures et appliquées. Paris, 1895.
* Revue sémestrielle des publications mathématiques. Amsterdam, 1895.
Ritratto di Carlo Allioni. Fotografia da un dipinto (dono del sig. Emilio
Burnat).
* Rivista di Artiglieria e Genio. Anno 1895. Roma.
Rivista di Matematica edita da G. Peano, vol. V, fasc. 1-2, Gennaio-Febbraio
1895; 8°.
Rivista di Topografia e Catasto pubblicata per cura di N. Jadanza. Vol. VIII,
n. 5-6. Torino, 1895-96 (dono del socio Jadanza).
* Transactions of the Royal Scottish Society of Arts. Vol. XIV, p. 1*.
Edinburgh, 1895; 8°.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 361
* Zeitschrift fir mathematischen und naturwissenschaftl. Unterricht.
Leipzig, 1895.
** Caverni (R.). Storia del metodo sperimentale in Italia. Tomo I-III.
Firenze, 1891-93; 8°.
** Kirchner (0.) u. Blochmann (F.). Die Mikroskopische Pflanzen- und
Thierwelt des Siisswassers. 2 Theil: 1 Abth. Hamburg, 1895; 4°.
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche
Dai 5 al 19 Gennaio 1896.
* Annales de la Société d’Archéologie de Bruxelles. T. IX, liv. IIIL
Bruxelles, 1895; 8°.
* Annali dell’Università di Perugia. Pubblicazioni periodiche della Facoltà
di Giurisprudenza. N. S. Vol. V, fasc. 2°. Perugia, 1895; 8".
* Annuaire de l’Académie des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de
Belgique 1894, 1895. Bruxelles, 1894-95; 8°.
* Annuario estadistico de la Repriblica Oriental del Uruguay, Aîio 1894.
Montevideo, 1895; 8°.
* Ateneo Veneto. — Rivista mensile di scienze, lettere ed arti. Serie XX,
vol. II, fasc. 7-10. Venezia, 1895; 8°.
* Atti della R. Accademia della Crusca. Adunanza pubblica del 24 di no-
vembre 1895. Firenze, 1895; 8°.
* Atti della R. Accademia dei Lincei. Serie V. Classe di Scienze morali,
storiche e filologiche; vol. III, p. 2*. Notizie degli Scavi. Ottobre 1895.
Roma, 1895; 4°.
* Biographie Nationale publiée par l’Académie Royale des Sciences, des
. Lettres et des Beaux-Arts de Belgique. T. XII, fasc. 2; XIII, 1° fasc.
Bruxelles, 1892-94; 8°.
* Bulletins de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-
Arts de Belgique. 3° série, t. XXVI à XXIX. Bruxelles, 1893-95; 8°.
* Documents & Rapports de la Société Paléontologique et Archéologique
de l’Arrondissement judiciaire de Charleroi. T. XX. Maline, 1894; 8°.
* Mémoires de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts
de Belgique. T. L, fasc. II, LI et LII. Bruxelles, 1893-95; 4°.
* Mémoires Couronnés et mémoires des savants étrangers publiés par
l’Académie Royale des Sciences, des. Lettres et des Beaux-Arts de
Belgique. T. LIII. Bruxelles, 1894; 4°.
362 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
* Mémoires Couronnés et autres mémoires publiés par l’Académie Royale
des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique. Collection in-8°,
t. XLVII, L. Lettres, vol. I, LI, LII. Bruxelles, 1892-1895; 8°.
# Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et des Lettres de Danemark.
6° sér. Section des Lettres, t. IV, n. 2. Copenhague, 1895; 4°.
Sanskrit Critical Journal of the Oriental Nobility Institute, Woking;
England, vol. XXV, n. 9-11, 1895; 8°.
* Boas (F.). Chinook Texts. Washington, 1894; 8° (dalla Smithsonian Insti-
tution — Bureau of Ethnology; J. W. Powell Director).
* Fowke (G.). Archeologic Investigations in James and Potomac Valleys.
Washington, 1894; 8° (Id.).
* Mooney (J.). The Siouan Tribes of the East. Washington, 1894; 8° (I4.).
Mugnier (F.). Le dict des Jardiniers. Paris, 1896; 8° (dall’A.).
Nadaillac (de). Foi et science. Paris, 1895; 8° (Id.).
— Un diplomate anglais au début de siècle. Paris, 1895; 8° (Zd.).
** Sanuto (M.). I Diarii, t. XLV, fasc. 193. Venezia, 1895; 4°.
Stasi (P.). Introduzione alle mie Linee di Protosofia. Lecce, 1895; 8° (dall’A.).
Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi.
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S2a 1851 Pea EE:
DIAGRAMMA RAPPRESENTANTE LA MORTALITÀ DEGLI INFORTUNI! NELLE FABBRICHE E OFFICINE INGLESI DURANTE IL PERIODO STATISTICO 1850-1894
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Sane; Morti.
N° 490
» 480
470
Rec’d.£8 July--12 Sapt. 1896
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 26 Gennaio 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Socii: Cossa, Vice-Presidente, D’OvIpro,
Direttore della Classe, BerRUTI, FERRARIS, SPEZIA, GIBELLI,
Gracomini, CamerANO, SEGRE, PEANO, VOLTERRA, JADANZA e
Naccarr Segretario.
Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza pre-
cedente.
Il Segretario comunica le lettere di ringraziamento di
Lord RAyLEIGH, cui l'Accademia assegnò il premio Bressa, e
dei Signori JorpAN, CeLoRIA, HELMERT, BoLTZMANN e TuHomson
recentemente nominati Soci Corrispondenti.
Il Segretario legge quindi una lettera dei Segretarii della
Società Reale di Londra con cui invitasi l'Accademia a pregare
il governo italiano di nominare i proprii rappresentanti per
una conferenza internazionale che stabilisca le norme per la
pubblicazione di un catalogo universale di bibliografia scientifica.
Il governo fu già invitato alla conferenza dal governo inglese
dietro sollecitazioni della Società Reale di Londra. La Classe
delibera di pregare S. E. il Ministro della Pubblica Istruzione
di prendere in seria considerazione quell’invito.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 27
364
Il Socio GrseLLI presenta in omaggio all'Accademia, a
nome dell’autore Dott. Luigi BuscALIonI, una memoria stampata
intitolata: “ Studi sui cristalli di ossalato di calcio ,.
Fra le pubblicazioni inviate in dono il Segretario segnala
una memoria del Socio Corrispondente J. KLrin intitolata:
“ Universaldrehapparat zur Untersuchung von Diinnschliffen in
Fliissigkeiten ,.
Vengono accolti per l'inserzione negli Atti i seguenti scritti:
1° “ Sullo sviluppo della Stropharia (Agaricus) merdaria.
FrIes ,; nota del Dott. Pietro VoaLino, presentata dal Socio
GIBELLI;
20 “« Influenza dell'errore di verticalità della stadia nella
misura delle distanze e delle altezze ,; nota del Socio JADANZA;
3° “ Sui principî che reggono la geometria di posizione ;
seconda nota del Prof. Mario Preri, presentata dal Socio PEANO;
4° “ Sull’inversione degli integrali definiti ,; seconda nota
del Socio VOLTERRA.
PIETRO VOGLINO — SULLO SVILUPPO, ECC. 365
LETTURE
Sullo sviluppo della “ Stropharia merdaria , Frs;
Ricerche del Dott. PIETRO VOGLINO.
Mentre facevo fin dal 1889 alcune prove intorno alla colti-
vazione artificiale dell’ Agaricus campester, notavo, sopra un
mucchio di letame equino frammisto a paglia di grano (che te-
nevo a mia disposizione per poter gradatamente trasportare nei
letti caldi), molto abbondante la Stropharia merdaria Fries,
nonchè (sulla paglia), dei filamenti bianchicci, con numerosi
ciuffi bianchi che, esaminati al microscopio, riscontrai formati
da numerosi organi di riproduzione o conidii di forma ellittica,
lunghi 8-9u, larghi 7 pu, incolori e disposti a catenella, ch'io
ritenni dapprima come una forma del genere Oospora.
La presenza di questi due miceti, mi decise allo studio del
loro sviluppo per sorprendere quelle relazioni che potessero esi-
stere fra di essi.
artificiali colle spore della Stropharia e coi conidii dell’ifomicete,
le ripetei ad intervalli nel periodo di 5 anni ed i tentativi fu-
rono coronati in questi ultimi tempi da lieto successo. Potei non
solo stabilire il nesso genetico fra le due forme ma anche ri-
produrre individui completi di Stropharia merdaria Fries.
Tentai le coltivazioni nell'acqua ed in parecchi liquidi, quali
decozioni di fimo equino, di erba, di paglia, di uva, in parecchie
gelatine ed anche in mezzi solidi, come terra vegetale ricchis-
sima di sostanze nutritizie e pezzi di fimo equino. I risul-
tati migliori li ottenni colla decozione di fimo e coi pezzi di
sterco equino e sopratutto quando mantenni l’ambiente delle
colture molto umido e con una temperatura di 18° a 20° C.
Preparai le colture col metodo di frazionamento, cioè col
ridurre le spore in numero di 2, 3 o 4 al più per ciascuna pre-
parazione.
Molte furono le colture che fui costretto ad abbandonare e
366 i PIETRO VOGLINO
ciò specialmente per l’infiltrazione di muffe; solo quando curai
di sterilizzare con tutti i metodi possibili e con sterilizzatrici a
secco ed a vapore e con lavature in sublimato corrosivo, i de-
cotti, i mezzi solidi ed i diversi utensili adoperati, potei avere
risultati ottimi. Per le colture con decotti usai le camere umide
a goccia pendente e per quelle sopra mezzi solidi le camere
umide formate da due vetrini copri-oggetti esilissimi, molto av-
vicinati fra loro e chiusi da tre lati con lastrine di vetro e nel
quarto con uno strato di bombage (1).
La forma conidiale negli Agaricini è certo ormai che debba
presentarsi per quasi tutti gli individui. Gli studi specialmente
del Brefeld, del De-Seynes, ecc., la misero in evidenza per nu-
merose specie del gen. Coprinus, Panaeolus, ecc., per la Stro-
pharia semiglobata, S. stercoraria, S. melanosperma ed io stesso
potei già riscontrarla nello studio dello sviluppo del Tricholoma
terreum Schaeffer (2).
Per nessuna delle specie studiate fin ora era però ricordata
una forma conidiale che si fosse manifestata anche senza le col-
tivazioni artificiali e così abbondante come riscontrai sulla paglia
di alcuni letamai. Questo nuovo fatto serve così a dimostrare
sempre più come molte forme imperfette classificate nel gruppo
degli /fomiceti dovranno essere ritenute come stadîì di sviluppo
oltrechè degli Ascomiceti anche di alcuni Basidiomiceti e spe-
cialmente Agaricini.
Descrizione del fungo perfetto.
La Stropharia merdaria Fries (fig. 37 e 38) ha un micelio
formato da filamenti esilissimi, bianchicci, che si intrecciano in
vario modo, formano dei cordoni e sono dotati di numerosi organi
succhiatori che si attaccano alle particelle di sterco.
DS
Lo stipite è cilindrico, tenace, formato di minutissimi fili
(1) Queste camere umide già da me adoperate per la coltura di altri
Agaricini, offrono il grande vantaggio che lo sviluppo del fungillo può
essere seguito da tutti i lati senza quasi mai asportare e quindi smuovere
gli organi in germinazione.
(2) Morfologia e sviluppo di un fungo Agaricino (Nuovo giornale bota-
nico, vol. II, n. 3, 1895).
SULLO SVILUPPO DELLA « STROPHARIA MERDARIA » FRIES 367
bianchicci o di color giallo-grigiastro, leggermente cavo inter-
namente e flessuoso, lungo da 2 a 3 cm. e largo 5-6 mm.; verso
la parte superiore è coperto da un velo leggerissimo che forma
un anello però molto fugace e bianchiccio.
Il pileo è convesso-piano, ottuso, glabro, leggermente vi-
schioso quando è umido, striato al margine, e di color ocraceo
quando è secco, cervino quando è bagnato, largo da 3 a 5 cm.:
ha la polpa interna bianchiccia, e porta inferiormente un imenio
formato da lamelle adnate o decorrenti per un sottilissimo
dente, orizzontali, molli, piuttosto larghe, dapprima gialliccie
poi bruno-porporine e munite nella parte inferiore di una esi-
lissima frangia bianchiccia.
Sulle lamelle si notano basidii cilindrico-clavati, legger-
mente ristretti alla base e nella parte mediana, lunghi 24-28 p.,
larghi 8p (fig. 34 e 36) con 4 sterigmi, dai quali hanno ori-
gine spore violacee, ellittiche o amigdaliformi, lunghe in media
10. e larghe 6u. (fig. 1 a, 5, ce). L'orlo bianchiccio delle lamelle
risulta costituito da un gran numero di cistidiî fusoidei, legger-
mente ristretti e tondeggianti verso la parte superiore, incolori,
lunghi 22-24-26, larghi nella parte mediana 5 o 6 y (fig. 35).
La Stropharia merdaria Fries cresce comunemente sullo sterco
equino specialmente nei letamai e nella stagione estiva, io l’ho
trovata in diverse regioni del Piemonte, del Veneto e delle
Marche.
Sulla paglia, in vicinanza di questo fungillo, si trovano fre-
quentemente dei filamenti bianchicci che dànno origine a ce-
spuglietti di conidii catenulati, incolori, ellittici, lunghi 8-9. e
larghi 7 u. che potrebbero essere riferiti ad una forma di Oospora.
La Stropharia merdaria è già stata figurata da varii autori,
le figure che più corrispondono però agli esemplari da me ri-
scontrati sono quelle date dal Cooke, Illustration of british fungi,
tav. 597.
Sviluppo del fungo.
Forma conidiale.
Se si prendono le spore mature della Stropharia merdaria
e si collocano col metodo di frazionamento in numero di 2 0 3
in una goccia di decotto di sterco equino, piuttosto concentrato,
368 PIETRO VOGLINO
ed opportunamente sterilizzato, si noterà nello spazio di qualche
ora che le spore si gonfiano leggermente. Dopo un periodo di
tempo, che può variare dalle 6 alle 12 ore (1), se le spore
provengono da esemplari freschi e fino alle 26 o 30 ore se gli
esemplari adoperati sono già essiccati (2), si nota ad una estre-
mità della spora stessa, un forellino nell’episporio. Da questo
ne esce in breve una piccola protuberanza incolore (fig. 1 d),
la quale o si allunga direttamente formando il primo filamento
del promicelio, largo da 3 a 4y., oppure, nel maggior numero
dei casi, si rigonfia, ed alcune volte tanto da formare un organo
ellissoidale, rifrangente, della stessa od anche di grandezza su-
periore a quella della spora (fig. 1 f e 4 a). Quest'organo,
nello spazio di poche ore, o si allunga direttamente in un
filamento con diametro di 3, 5 a 4, 5 p., il quale può scor-
rere in senso rettilineo (fig. 2) ed anche ripiegarsi ad arco
(fig. 1 d), oppure dà origine ai lati o nella parte superiore
a filamenti larghi circa 2 pu. (fig. 4) che si accrescono in lun-
ghezza e larghezza fino a raggiungere un diametro di 3 a 4, Sp.
e formano così i primi filamenti del promicelio (fig. 5). Questo
sviluppo avviene abbastanza rapidamente. Si può calcolare
che ogni ora si ha un accrescimento in lunghezza di circa 10
a 15 pu. Citerò ad esempio la germinazione che ho verificato
in una spora (fig. 4) che raggiunse lo sviluppo dato dalla
fig. 5 dopo nove ore. Dalla spora escono anche direttamente
(1) Ho potuto tenere un calcolo esatto delle ore perchè feci le osser-
vazioni, nelle diverse prove, e specialmente nei primi giorni anche di notte,
alle 10 di sera, alle 12, alle 5 ed alle 6 del mattino. Inoltre le medie sono
dedotte dal diario di 5 tentativi, riusciti felicemente e sempre con 10 ca-
mere.umide per seminagione. Avverto però che di 10 camere umide potei
riuscire, la prima volta, a tenerne libera dalle muffe una sola fino a com-
pleto sviluppo e nelle successive sempre due. L'ambiente nel quale tenevo
le camere umide aveva una temperatura media di 20° C. Nel termostato
a 18° C. ottenni buonissimi risultati.
(2) Fra le diverse coltivazioni fatte nelle prime prove (giugno-luglio
1889) adoperai, in 4 camere umide, spore di esemplari da me raccolti nei
dintorni di Massa nell'agosto 1887 ed osservai, dopo 30 ore, un aumento
di volume in due spore e quindi la produzione del tubo germinativo. Del
resto adoperai sempre o esemplari freschi oppure essiccati da quindici
giorni a 2 mesi al più.
SULLO SVILUPPO DELLA <« STROPHARIA MERDARIA » FRIES 369
due o tre (fig. 3), raramente quattro filamenti che si ingrossano
alle estremità e da tali ingrossamenti hanno origine nuovi fili
variamente ramificati.
In alcune spore che avevano prodotto dapprima un rigon-
fiamento molto marcato, lo sviluppo del primo ramo si mani-
festò per alcuni giorni specialmente in grossezza, in modo da
dare origine dopo 5 o 6 giorni ad una massa allungata con
diametro da 12 a 14p. (fig. 8-9), che ad intervalli di 12 a 14
ore formava rami con disposizione quasi raggiata (fig. 8) e con
diametro da 8 a 10 u. Solo dopo una diecina di giorni si era
costituito una specie di promicelio (fig. 8) che misurava dal
lato più lungo 500 p. circa e dal lato più breve 120 a 130.
Questo stadio di quiescenza dura in media undici o dodici
giorni, in seguito i rami si allungano in filamenti con diam.
di 2,5 a 3 p., i quali si ramificano in vario modo e formano un
vero promicelio.
In altre colture invece notai dopo 22 ore (1) un filamento
lungo circa 200. e con alcune ramificazioni laterali (fig. 7).
La media di una ventina di colture mi diede dopo 24 ore
un filamento lungo da 40-60-90 e 100pu. e con 2 o 3 ramifi-
cazioni laterali, con un accrescimento successivo di 10-20-30 y.
ogni 24 ore, nel ramo principale e di 4-6-10 u. nei rami secon-
darii. I filamenti contengono minute granulazioni e vacuoli ma
nessuna traccia di setti, e presentano in generale lo stesso dia-
metro nello sviluppo, solo raramente si rigonfiano in alcuni
punti (fig. 6 @) e da questi rigonfiamenti emettono nuovi rami.
Dalla spora adunque sia per mezzo del rigonfiamento ini-
ziale che può o protendersi direttamente in filamenti ristretti (fig.
1 e 2) o dare origine ad un ramo molto ingrossato con rami-
ficazioni raggiate (fig. 8-9), oppure anche formare, o all’estre-
mità od ai lati parecchi rami del promicelio, sia infine per pro-
duzione diretta di uno (fig. 7) o più filamenti (fig. 3), si formano
in uno spazio di tempo che può variare da 5-10 a 15 giorni
dei filamenti con diametro di 2 a 3u, e variamente ramificati
ma privi di setti.
I filamenti mantengono per qualche tempo lo stesso dia-
(1) Sempre calcolando dal principio dello sviluppo.
370 PIETRO VOGLINO
metro nello sviluppo, solo in alcuni punti presentano degli in-
grossamenti (fig. 6 a) dai quali partono nuove ramificazioni
con alcune anastomosi (fig. 6 c); quando poi hanno rag-
giunto quasi il massimo del loro sviluppo in lunghezza, e ciò
in generale succede dopo 15 o 20 giorni, allora diminuisce
di molto lo sviluppo in quel senso ed i rami incominciano ad
ingrossarsi verso la periferia, tanto da misurare 6 o 7u. di
diametro. Quindi si dividono per mezzo di setti trasversali in
varie cellule, quasi tutte con nuclei ben distinti di forma ellit-
tica ed addossati alle pareti (fig. 10, 11, 12, 14, 15), presen-
tano ramificazioni laterali in vario modo e frequenti anastomosi
fra cellule contigue dello stesso ramo (fig. 13).
Nei punti ove avviene la formazione dei setti i rami pre-
sentano generalmente degli ingrossamenti (fig. 10 @), dai quali
poi hanno origine altri rami (fig. 10 5), che alla lor volta si
ramificano ancora (fig. 10 c). In molti rami sopra e sotto al
setto si osserva un piccolo nucleo (fig. 15 a, 3), il che lasce-
rebbe dubitare che la formazione delle cellule sia dovuta alla
divisione dei nuclei.
Il promicelio ha così raggiunto il suo completo sviluppo,
tanto in lunghezza che in larghezza.
Da tale momento i rami terminali e laterali si portano
perpendicolari alla superficie di coltura, l’apice di questi rami
in 10 o 12 ore si ingrossa e presenta un primo segmento
(fig. 16 @) che separa la parte ingrossata. Dopo qualche ora la
parte sottostante si ingrossa ancora e presenta un nuovo setto
che va gradatamente restringendosi verso la parte interna in
modo da dividere la porzione apicale in varii segmenti. Nello
spazio di 20 a 30 ore al più si formano all'apice dei rami da 4
a 6 setti, i quali dividono i filamenti in altrettante porzioni
(fig. 17, 18, 19, 21) o conidii, di forma ellittica che dopo una
ventina di ore si staccano (fig. 20) e cadono sul substrato.
Tali conidii misurano da 8 a 9 pu. di lunghezza per 7 p.
di larghezza, sono incolori. Giunti a completa maturità presen-
tano nell'interno alcune goccioline di natura oleosa e sono ri-
vestiti da una esilissima membrana. Alcune volte nel mezzo
dei filamenti conidiali si notano delle porzioni maggiormente
allungate (fig. 21 a). Per tali caratteri, questi conidii, devono
essere ritenuti come una forma riferita dal De-Bary per altri
iii pi “cdi. imc n nn
SULLO SVILUPPO DELLA « STROPHARIA MERDARIA » FRIES 371
funghi al genere Oidium, ma che siccome si sviluppa anche
sulle sostanze in via di decomposizione parmi sarebbe meglio
riferirla al gen. Oospora.
I conidii sono capaci di germinare e coltivati in camere
umide con decotto di fimo emettono dopo poche ore, da un
lato, un filamento (fig. 22) che in breve si ramifica e produce
una forma di promicelio con rami muniti d’organi succhiatori
(fig. 24 a e 8). Feci numerose colture ma non potei mai otte-
nere un ulteriore sviluppo. Quando invece collocai i conidii
in una goccia d’acqua con detriti di humus e pezzetti di
paglia di letamaio, notai uno sviluppo di gran lunga supe-
riore, cioè la formazione lungo i rami di organi succhiatori e
dopo alcuni giorni la produzione di abbondanti conidii. Ottenni
lo stesso risultato sostituendo i conidii ricavati direttamente
dalla forma che aveva trovato nella paglia.
I conidii si sviluppano prontamente, quando sieno collocati
in liquidi nutritizi con particelle solide, in ambienti molto umidi
e con 20° C. circa di temperatura, perdono però anche molto
presto la facoltà germinativa.
To potei ottenere tre generazioni di conidii, tutti della stessa
forma: feci anche le coltivazioni di conidii ottenuti dalle col-
ture artificiali entro a vasi contenenti terra, sterco di cavallo
e paglia opportunamente sterilizzati e collocati sotto campane
circondate di carta bibula inbevuta d’acqua: potei dopo varii
tentativi riuscire ad avere i pezzetti di paglia coperti da ab-
bondante promicelio con conidii della stessa forma e grandezza
di quelli seminati. Sulle patate e sulle carote questi conidii
dànno uno sviluppo incompleto.
Formazione del micelio.
La produzione dei conidii, nelle coltivazioni delle spore,
dura 2 o 3 giorni, cessata questa, sui rami del promicelio e
. specialmente in quelli che si avvicinano al margine della goccia
di coltura si mostrano degli ingrossamenti dai quali nascono
nuovi filamenti a raggi (fig. 25), che per quanto abbia tentato
372 PIETRO VOGLINO
nei mezzi di coltura liquidi non potei farli ulteriormente svi-
luppare.
Asportai allora, colle dovute cautele, dette colture sopra
piccole porzioni di letame equino sterilizzato e collocato nelle
camere umide formate dai due vetrini copri-oggetti. Feci nu-
merose prove e controprove perchè le muffe cercavano sempre
di far capolino, alfine potei isolarne una diecina. Sopra queste
osservai che in alcuni filamenti del promicelio si erano svilup-
pati parecchi rami (fig. 25), i quali in breve si ramificavano
in modo straordinario formando un vero micelio con rami fra
loro riuniti in modo da costituire dei cordoni e frequenti ana-
stomosi (fig. 27) con numerosi setti, nuclei (fig. 26) ed organi
succhiatori (1) (fig. 28, a, b, c).
Anche i conidii germinanti dopo due o tre generazioni di
organi di riproduzione, dànno origine a rami maggiormente in-
grossati, che si avvicinano in vario modo fra loro in modo da
formare dei veri cordoni miceliari.
I filamenti ed i cordoni sia nell’un caso che nell’altro sono
perfettamente simili a quelli del micelio che si nota alla base
di un esemplare di Stropharia merdaria. Presentano le medesime
forme di anastomosi, lo stesso diametro di 4 o 5 p. e sopra-
tutto organi succhiatori formati da rami ingrossati all’apice e
finamente dentellati (fig. 28, a, 5, c).
Servendomi dei vapori di acido osmico e quindi del piero
carminio notai anche dei filamenti con alcuni nuclei in cario-
cinesi della stessa forma di quelli già osservati nei filamenti
della Clitocybe odora.
Formazione dell'apparecchio sporifero.
Continuando l’osservazione sopra le colture provenienti o
dalle spore primitive o dalla germinazione dei conidii, notai
che alcuni rami si ingrossavano in certi punti molto più degli
(1) Questi diversi stadî potei osservarli dapprima direttamente nelle
camere umide, ma poscia fui costretto a smuoverne la parte interna di
modo che non potevano più essere adoperate.
SULLO SVILUPPO DELLA « STROPHARIA MERDARIA » FRIES 373
altri e da questi ingrossamenti avevano poi origine i primi ru-
dimenti dell'apparecchio sporifero della Stropharia.
È difficilissimo il poter seguire lo sviluppo di quest’organo,
il mezzo stesso in cui si deve fare l’osservazione, costituisce
uno dei fattori per cui la ricerca riesce così faticosa.
Bisogna disporre di un gran numero di colture per soppri-
merle a tempo oppurtuno. La formazione dei filamenti dell’ap-
parecchio sporifero avviene in modo quasi analogo a quello già
descritto per altre specie e generi affini, per cui non ripetendo
più fatti già noti e troppo ben descritti, mi limiterò ad accen-
nare quanto ho potuto osservare sommariamente.
L'apparecchio sporifero è formato dapprima da rami esi-
lissimi che presentano anche anastomosi (fig. 29). Sono per-
pendicolari al filamento dal quale hanno origine, ingrossati
all’apice, ricchissimi di granuli protoplasmatici ed estremamente
teneri o gelatinosi nella parte superiore, per cui ho dovuto per
metalli bene in evidenza ricorrere ai metodi diversi di colora-
zione, fra i quali mi diede sempre ottimi risultati l’alcool e la
soluzione acquosa di eosina.
I rami esilissimi si allungano, si ramificano e si dispongono
parallelamente fra loro presentando sempre, all’apice, un in-
grossamento (fig. 30). Verso la parte superiore tali filamenti
si ripiegano ad arco, in modo da formare, contorcendosi, un
reticolato molto irregolare (fig. 33), che, per mezzo di uno o
due esilissimi strati ‘orizzontali di cellule ellittiche (fig. 31 a),
resta gradatamente separato dalla parte inferiore. Hanno così
origine lo stipite (fig. 31 2) ed il pileo (fig. 31c).
Le cellule orizzontali dopo aver segnato il limite fra sti-
pite e pileo, si protendono anche verso l'esterno, si allungano,
si ramificano e formano l’anello molto fugace, che si nota nella
parte superiore dello stipite.
La massa del pileo va poi gradatamente dividendosi in
parecchie parti, cioè in un pigmento colorato esterno, in una
polpa interna e verso la parte inferiore si protende in filamenti
perpendicolari alla superficie, i quali costituiscono lo strato
imeniale che si divide poscia in linee radiali (fig. 32) dando
origine alle lamelle sulle quali lo strato esterno dei filamenti
si raccorcia e forma i basidii e le spore; lo strato inferiore
si protende nei cistidii.
PARTITA LR È n° PLATE E
374 PIETRO VOGLINO
Tanto i filamenti del pileo che dello stipite si colorano
verso la parte esterna, al primo loro formarsi, in giallo-bruno.
Riassumendo abbiamo nel ciclo di sviluppo della Stropharia
merdaria le forme seguenti :
I. Le spore germinando producono promicelio con conidii
(Oospora) ;
II. I conidii possono germinare prontamente e produrre
nuove generazioni di conidii ed infine anche rami miceliari con
organi di fruttificazione della Stropharia ;
III. Cessata la produzione dei conidii, da alcuni rami del
promicelio partono parecchie ramificazioni, le quali si allungano
in modo straordinario, vivono solo su mezzi solidi, formano
austori, si riuniscono in gruppi e costituiscono quindi un vero
micelio ;
IV. Da alcuni rami di questo micelio hanno origine gli
organi di fruttificazione con spore della Stropharia merdaria ;
V. I conidii dell’Oospora che vive sulla paglia dei le-
tamai germinando possono produrre nuovi conidii e micelio di
Stropharia merdaria con organi di fruttificazione.
Siccome ho in generale osservato che la formazione del-
l’organo di fruttificazione non ha luogo che dopo molto tempo
e d’altra parte si nota sempre sotto agli esemplari di Stropharia
abbondante micelio, così io credo che valga a diffondere il fungo
da una all’altra annata ed il micelio ed anche le spore che pos-
sono germinare dopo alcuni mesi.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
Fig. 1, a, db, c, spore di Stropharia merdaria (Microscopio Koristka, oc. 4,
ob. 9*), d, spora in germinazione, e, tubo di germinazione ripiegato
ad arco, f, rigonfiamento iniziale (oc. 3, ob. 9%).
» 2. Tubo di germinazione formatosi in senso rettilineo (oc. 3, ob. 9*).
» 3. Spora che germinando produce tre filamenti ingrossati all'apice
(oc. 3, ob. 9*).
» ‘4 Spora con rigonfiamento (a) che forma rami laterali (oc. 4, ob. 9%).
4
l
|
|
DI
sviluppo
‘Atti RAccad. delle Sc. di Torino - VOLI
della Stropharia merdaria.
Lit.Salussolia-Torino
dt pd
: SULLO SVILUPPO DELLA <« STROPHARIA MERDARIA » FRIES 375
Fig. 5. Spora coi primi filamenti del promicelio formatisi dal rigonfia-
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1.99.
mento iniziale (oc. 3, ob. 9*).
Spora (a) con filamenti ramificati sui quali si notano anastomosi (e)
e rigonfiamenti (0) (oc. 3, ob. 7).
. Spora che forma i primi filamenti del promicelio senza alcun rigon-
fimmento iniziale (oc. 3, ob. 9*).
. Spora (a) che dà origine ad un filamento molto ingrossato dal quale
partono rami con disposizione raggiata (oc. 3, ob. 5).
. Promicelio a rami molto ingrossati che in a e d si protendono in
filamenti molto più ristretti (oc. 3, ob. 5).
. Filamento del promicelio diviso da setti in varie cellule, con in-
grossamenti (a) nei punti ove avviene la formazione dei setti e
col principio di un ramo (5) (oc. 3, ob. 9*).
. Porzioni di filamento con nucleo e setto (2) col principio di una
ramificazione (a) (oc. 3, ob. 9*).
Filamento del promicelio con setto e ramificazioni (oc. 4, ob. 9*).
L con anastomosi fra cellule contigue (ce) (oc. 4, ob. 9*).
u con ramificazione e nucleo (a) (oc. 4, ob. 9*).
% con due ramificazioni e nuclei a e d in vicinanze del
setto.
Apice di un filamento con un primo setto « (oc. 3, ob. 7).
Rami terminali con anastomosi e setti trasversali che formano i
conidii (oc. 3, ob. 7).
Rami terminali con setti che dànno origine a conidii (oc. 3, ob. 7).
Porzione di ramo apicale con 3 conidii in via di formazione (oc. 4,
ob. 9*).
Ramo apicale con conidii che si staccano (oc. 3, ob. 7).
Porzione di ramo apicale con 7 conidii dei quali quello centrale (a)
molto più sviluppato in lunghezza.
Conidio in via di germinazione (oc. 3, ob. 9*).
È con filamento maggiormente sviluppato (oc. 3, ob. 9*).
s germinante con filamento ramificato e munito di organi
succhiatori (a e 5) (oc. 3, ob. 9).
. Filamento del promicelio che dà origine a filamenti miceliari
(oc. 3, ob. 9*).
Filamento del micelio ramificato e con nucleo (a) (oc. 3, ob. 9%).
5 pi con anastomosi (oc. 8, ob. ha
si con organi succhiatori (a, d, c) (oc. 3, ob. 9*).
Bani che dànno origine ad un apparecchio sporifero (oc. 3, ob. 9*).
Filamenti che si dispongono parallellamente e formano poi lo sti-
pite ed il pileo (oc. 3, ob. 9*).
. Sezione longitudinale d’un giovane organo sporifero; d, stipite;
a, cellule divisionali; c, pileo (oc. 3, ob. 9*).
. Filamenti di pileo che tendono verso il basso e dànno origine
all’imenio (oc. 3, ob. 9*).
Tessuto interno del pileo (oc. 3, ob. 9*).
376 NICODEMO JADANZA
Fig. 34. Filamenti dell’imenio che si restringono e formano i basidii (oc. 3,
ob. 9*).
TB, = È & s z i cistidii (oc. 3,
ob. 9*).
» 86. 2 basidii isolati (oc. 3, ob. 9*).
» 87. Esemplari di Stropharia merdaria (grandezza naturale).
» 88. Sezione longitudinale di un frutto di Stropharia.
Influenza dell'errore di verticalità della stadia
sulla misura delle distanze e sulle altezze ©;
Nota del Socio NICODEMO JADANZA.
x Sia da misurarsi la distanza orizzontale tra i punti A e B.
Il punto da cui si contano le distanze sia o sulla verticale
di A ed onn', occ', omm' sieno le visuali che passano pei tre
fili del reticolo dei quali il medio divida in due parti eguali il
segmento che unisce i punti d’intersezione degli altri due col
z 5 tileno - 1
filo verticale, sicchè si abbia noc = com = 3 Wi W essendo
l'angolo diastimometrico.
|
Sia Bmn la posizione della stadia quando essa è situata
verticalmente in B e Bm'n' quella che essa occupa quando devia
dalla verticale di un angolo yw. Nel primo caso la parte com-
presa tra i fili estremi del reticolo è mn = S, e nel secondo
caso è m'n' = S'. Se a è l’angolo di altezza dell’asse ottico occ',
gli angoli onB, omB sono rispettivamente eguali a
(*) Questo scritto è come un complemento dell'altro pubblicato nel
volume XXIII (1888) col medesimo titolo.
INFLUENZA DELL'ERRORE DI VERTICALITÀ DELLA STADIA 377
90° — (a ++ w); 90° — (a- +4 w)
e gli angoli 0n'B, om'B sono eguali a:
90° — (a + + w) — y; 90° — (a mi w)— y.
Dai due triangoli Bnn' e Bmm' si ottiene:
Ma cos (a + ->- ») e 1
157. cos (a+ W+v) | cosw— senytg(a +-+ w)
Bm _ cos (a — > w) ari 1
Bm cos (a —-2w+y) cos y — senytg(a — + è)
donde si deduce:
Bn' cosy — Bn = Bw'.senytg. (a Lt 5 w)
Bm' cosy — Bm = Bwm'.senytg. (a — + w).
Sottraendo membro a membro le due eguaglianze prece-
denti, ed osservando che è Bn' = Bm' + S' si ha:
S'cosyp— S= S'senytg (a++ w) A
+ Bm' sen y | tg (a +3 v) — tg (a - + w) |,
ovvero
S' cosy — S=S'senytg(a +4 w) +
2to — w
uo Waldo, qa grata Jirvto inlz.i soa. gens)
378 NICODEMO JADANZA
Gli angoli y ed w sono angoli piccolissimi, trascurando le
terze potenze di essi negli sviluppi in serie di cos y, sen y,
1
tg > “ ece., avremo:
ar , 1 S' 1 ’
S—_ S=uy.StgaLw.y. + Wes
così a
+ wy Dee: re)
così. a
nella quale w e yw s'intendono espressi in parti del raggio.
La formola precedente esprime l'errore che si commette
in causa dell’inclinazione w della stadia.
Se si moltiplica il primo membro della (2) per il rapporto
diastimometrico, che può ritenersi eguale ad —, e per il fattore
cos?. a, si otterrà l'errore commesso nella misura della distanza
tra A e B.
Indicando con è D tale errore, sarà:
oD= "= cost.a= 148) sen a cos a + — 94 4 Br +
2 g'
Sa CORR
Il caso più sfavorevole è quando la visuale 0nn' passa per
l'estremo superiore della stadia; allora Bm' diventa L — S',
essendo L la lunghezza della stadia. In tal caso la (3) diventa:
S'
È Wug #4 2a
dD:== .8' sena cosa + yL—- FS + 7-5 008°. @
w
Come vedesi, l'errore nella distanza cresce coll’angolo di
altezza a ed è quasi sempre trascurabile per a = 0. È quindi
conveniente nella pratica evitare le misure di distanza colla
stadia quando il cannocchiale è molto inclinato all’orizzonte.
L’errore nella distanza cambia segno al cambiare del segno
di y e di a; ciò spiega il fatto accertato da molti operatori
che, cioè, si ottengono risultamenti differenti sulla misura di
una distanza nei terreni a forti pendenze a seconda che l’istru-
mento si trova nel basso o pure in alto rispetto alla stadia, e
INFLUENZA DELL'’ERRORE DI VERTICALITÀ DELLA STADIA 379
ciò anche per distanze tali per le quali una tale differenza non
può attribuirsi alla rifrazione.
A verificare il fatto ora accennato abbiamo fatto delle espe-
rienze su due punti A e B la cui distanza D = 64",60 e la
cui differenza di livello è di circa 11 metri. In ciascuno di essi
si è prima posta la stadia in posizione verticale, indi inclinata
alla verticale di un angolo y = "6 = 0,0175 (in parte del
raggio). Il tacheometro adoperato è di Traugton e Simms avente
il reticolo composto di 5 fili orizzontali, con due rapporti dia-
stimometrici di valore 50 (coppia dei fili estremi) e 100 (secondo
e quarto). Ecco i risultamenti ottenuti:
1° Tacheometro nel punto più basso A — Stadia nel
punto più alto B.
Letture fatte ai 5 fili del reticolo:
Stadia verticale Stadia inclinata alla verticale
di y= 0,0175
3,896 Sn, 844
3 ,500 Angolo di elevazione 3 ,506
9,105 ASSE 8,168
2 ,830 2 ,832
2,497 2,498 —= Bw'
I due valori di S' sono 1”,346 e 0,674. Calcolando i di-
versi termini della (3) si ottiene per valore di èD
èD = 0%,23 + 02,01 +4 02,04
ossia
05 02.28.
Calcolando la distanza colle due serie di osservazioni si
ottiene
D = 64,60 D'Es=t042:97
essendo D' la distanza ottenuta colle letture fatte sulla stadia
inclinata.
2° Tacheometro nel punto più alto B — Stadia nel punto
più basso A.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 28
380 NICODEMO JADANZA — INFLUENZA DELL’ERRORE, ECC.
Letture fatte ai 5 fili del reticolo:
Stadia verticale Stadia inclinata alla verticale
di y = 0,0175
Sn, 882 3,876
3 ,552 Angolo di depressione 3 ,548
3,223 a'i=9912 3,220
2,892 2,889
2,962 D5600, = Ba
I due valori di S' sono 12,316 e 0,659. Calcolando i di-
versi termini della (3) col valore più grande di S' si ottiene
è9D = — 09,16 + 02,012 + 02,045
ossia
De AMET:
Calcolando direttamente la distanza si ha:
D'=%4565; DI — bd
I due valori di D' mostrano ad evidenza quali differenze
si possono ottenere quando non si bada molto alla verticalità
della stadia. Si è ottenuta una differenza di 0”,46 su di una
distanza di circa 65 metri con angoli d’inclinazione di 12° e 9°!
È facile vedere quali differenze si otterranno su distanze più
grandi e con angoli d’inclinazione maggiori.
Moltiplicando dèD per tg a si ha l'errore commesso nella
differenza di livello tra il punto e' ed il punto o. Indicando
con èH tale errore si ottiene:
oH= -®.S' sen? a | ->- . S' tga + y.Bmw' .tga+
W
+. È sena cosa A
e questa nel caso di èD = 0,28 dà èH = 02,05.
Le formole (3) e (4) indicano da sè le precauzioni che bi-
sogna avere nella pratica dei rilevamenti di precisione. Esse
si riducono in sostanza ad evitare, per quanto è possibile, le
forti pendenze e a provvedere affinchè la stadia sia mantenuta
in posizione verticale.
È sempre conveniente fare in modo che uno dei fili estremi
del reticolo si proietti sulla stadia in vicinanza del suolo.
MARIO PIERI — SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO, ECC. 881
Sui principî che reggono la Geometria di Posizione;
Nota 2* di MARIO PIERI.
La presente Nota e quella che le fa seguito versano in-
torno alcune conseguenze dei principî logico-geometrici, proposti
ed analizzati assai distesamente in altro lavoro pubblicato al-
cuni mesi addietro sotto lo stesso titolo (*) — conseguenze
molto importanti agli scopi della Geometria Projettiva. Gli ar-
gomenti trattati in queste due Note pajono sufficienti a mo-
strare come dai nostri Postulati circa gli enti primitivi punto,
retta e segmento (projettivi) sia possibile svolgere tutta quanta
la pura Geometria di Posizione, e quindi anche le Geometrie
metriche astratte che ne derivano.
Si è stimato opportuno di riprender la numerazione dei $$
al punto ove si arresta la Nota precedente. Tanto più che i
risultati di quella non si potrebber riassumere in breve: sicchè
non è possibil supporre che chi vorrà leggere o consultar la
presente non abbia anche quella sott'occhio.
Triangoli projettivi.
$ 11. — Tra i vantaggi, che il segmento projettivo ($ 7)
palesa come idea primitiva, va segnalato anche questo: che nel
passaggio a forme di maggior dimensione il segmento projettivo
(individuato dagli estremi ed un punto) conduce naturalmente
al triangolo projettivo e al tetraedro (individuati mediante i
vertici e un punto), per via non dissimile a quella, con cui
dalla retta si giunge al piano e allo spazio. Ad una estensione
consimile mal si presterebbe l’idea di successione ordinata.
(*) © Sui principî che reggono la Geometria di Posizione ,: Nota di
M. Pieri, negli “ Atti d. R. Acc. d. Sc. di Torino ,; vol. XXX (maggio 1895).
382 MARIO PIERI
La considerazione di queste figure “ triangolo e tetraedro pro-
Jjettivo , riesce utilissima in molte questioni, eziandio elementari,
di Geometria projettiva; però che in esse s’imperniano i più
semplici fatti inerenti alla connessione del piano e dello spazio
ordinario. G. C. von SrAupT le introdusse e ne usò (v.i p. e. i
nn. 172-75 e 188-91 della G. d. L.) mettendone in vista alcune
proprietà, derivanti (principalmente) dai suoi postulati circa le
superficie coniche d’ordine pari e d’ordine dispari; ma non sap-
piamo che altri abbia trattato quest’argomento con più diffu-
sione e maggior semplicità di premesse. — In questo $ e nel
susseguente, previa dimostrazione di alcuni fatti che occorrono
assai di frequente, si studia appunto il triangolo, quale porzione
di piano atta a projettarsi in un’altra della stessa natura; mo-
strandosi come le sue proprietà maggiormente intuitive e più
spesso invocate discendano senz'altro dai Postulati I-VII, XI-
XVII e XIX (*)
P.1. a,b,ce[0].(a,d,c) -eCl.a'ebe-1b>10.b'eca-ic-ia:9:
: aa', bb'eKabc n [1] - de —1ca — 1ab . aa' — = db.
.[ua' n bb']e[0]n abc > bce > ca ab (**) Teor.
| @ Hp . P8,5$3.P9,3852.P3$4:p:a-=b.b-=ce.
‘ea lab -=bce.be-=cq.ca--ab.a., 0 e
igima di da, be [1]
(8) Hp.(a).P482.P58$3:9:a0' —=bdc. bb'-=ca
(*) Si osservi che, mentre i $$ 7-10 (eccezion fatta di P8 $10) corrono
al tutto indipendenti dai $$ 1-6 (tanto che nell’ipotesi di ogni proposizione
dei $$ 7-10 è permesso di leggere reK invece di re[1]), nelle proposizioni
dei $$ 11, 12 si collegano i principî relativi a tutti e tre gli enti non
definiti. — Circa alle nostre dimostrazioni simboliche è da avvertire che
d’ordinario (qui, come addietro) nel corso di una singola deduzione o ca-
tena di deduzioni non si cita più d’una volta una stessa proposizione,
quantunque usata più volte. E col citare una catena di deduzioni si vuole
soltanto allegare quella proposizione che nasce guardando al primo e al-
l’ultimo membro di essa, e astraendo dagli altri.
(*#*) Qui ed appresso la scrittura [un 0], dove v e ® siano classi, sta
in vece di î(um è); cioè la classe um» si concepisce come l'insieme degli
individui eguali ad [un v]).
(to)
(0)
(£)
(n)
(1)
(1)
(v)
SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE | 383
Hp. (Gr agriatansa ra. P782: 09 secca PLIL$2 #0
ica=c0.P582:910ca =do 519 000 Ca
Mps tane di PR SIIT 706. 5.82:
sii" 0 Bilbao val
pole 000 IS) | ded PLL SZ,
con Ud) Aa a db
Hp .(a).P583.P485:n:a,a'ca(be). 6, d'eb(ca).
.P14;15 85:94, 0,06,bd'eabe .P22,2185.P38219:
‘aan bb'—-= N. aa', bbd'eKabe
Hp.(a).P382..9-.2,ye00 n bb'ix-=y. P1582:ey:
taa=bb': (E). ir ya dd ey MM 0
. [aa' n 55']e[0] n ade
Ep (0) EAT). n = di PI den.
BEER! gian (0) VOTA = a
(0). (2) 0.09 .. [aa' o B8']ead .(M).P582:9:
REITe. gg P1182:9.a0=0':(MIe0)(0).
.P6$2..09.[aa' n b9']- ad
DSS O DOOR (9 ISTAT VERBA N77 Io CITATA CT API 9 OI ZIA RSI O
.be=b[aa' n bb] = bd: (CIT). P682..0
. [aa' n bb']- e de
- (4). (8). (7). (0). (£).(M).(0).(4).M). GICDMO : 0 - Th |
a,b,ce[0].(a,b,c) -eCl:9:[0]nade-bce>-ca-ab.-=N
Teor.
| Hp .Pl:i:d::ra'ede—1d-1c0.d'ecanicnia:—=agh 7.9:
: [aa' n bb'|e[0] n ade — de — ca- ab. > =agN.°
.P1082::0. Th ]
384 MARIO PIERI
P.3. a,b,ce[0].(a,d,c) »eCl.deabe>-be-ca-ab:9:de[0].
.iavibuicoideRKadennum 4.148 1ed vide viado
vica-15deK[1]n KKade n num 6 Teor.
In altri termini “ essendo a, è, c tre punti non collineari e d
un punto del piano abc non giacente in alcuna delle rette
be, ca, ab (ipotesi non assurda in virtù della prop.° prec.°) sa-
ranno a, bd, c,d quattro punti distinti, e ab, cd, be, ad, ca, bd sei
rette distinte, del piano abc ,.
| (@) Hp. P8$8.P2,1465. P4$2:9:a-=b.b-=c.
.c-=a.de|0]-1d8-1c-10
(B)° ip 0) - P5$3,,P1485. P7 8250, CEDE
(Y) Hp.(a).P583.P982:9:ab-=bdc.be-=ca.ca-=ad.
.bc>-=cd.ca-=ad.ab-=bd
(0) Hp.(a).P12$82:09:d3e-=bdd.ca-=cd.ab-=ad
(£) Hp.(a).P14$2:9:c-edd.a-ecd.b-ead.P9$2:9:
:bd-=dc.cda-=da.ad-=4db
n)... Hp. (o)... ab ='d P782:9)degb Pi5 Soa
abe=cd'ibe-‘ad.ca-= hd
() Hp(e).(8)-P3°84.P21/85.P3 82:09. ad, cd 000
ca, bde [1] n Kade
Hp . (0). (8). .(0).@).P6$2.(m.@:0.Th|
P. 4. HpP3.9.[bden ad], [can dd], [adoned]e[0]n abe-1a+
- 18-16-14 Teor.
Cioè “ nelle stesse ipotesi della P3, le rette de e ad hanno a
comune un punto ed uno solo, il quale è diverso da ciascuno
dei punti a, d, c, d: e il simile è da dire circa le coppie di rette
ca e bd, ab e cd.
| Hp.P8.P8$2..0-.a,yedenad.P1582:0,,.0=y:
:P22,21$5..09:denad -=N.[bdenad]e[0]n ade
(8)
(1)
(è)
SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 385
Hp . P3. P14,1382.P5$83:09:5,c -—ead.a,d—ebe.
.P3$2:09.[benad]- ea vwWvievid
Hp . (0). (8) .P1585:0. Th |
HpP3.a'= [den ad].5' = [canbdd] . c'=[aboed]:9:
sg-=b'. bd =. c'-=a' [adr ad], [de n d'e' |, [can
nc'a']e[0]n ade - 1a > 16-16-14. (*) Teor.
Hp .P4,3,1.P3,582:9:aa0'-=ca.ca=abd'.P882:0-
AA
Hp. P4,3.(a)..0.tab=a'8.P482:9:0' cad. P1182:9.
na PELI) ga 40 ao.
.P15$2..9:adna'8 —-=A.[abdea'd']e[0]o ade
Hp Pars Map. [dna] =. PS92: pad.
Pia nego P ELIA: 90 a 0 Pod:
.aa'=ca:P1.P6$2.P15$5..09.[adbna'd']-era vid
Hp.P5$3:9:cd-eab.P3$2:9.[adbna'8']- 16014
Hp . (0). (8)-().@).P1585:0 . Th |
Questi teoremi posson servire d’introduzione allo studio del
quadrangolo completo (o rete del Mòsrus) e delle forme armoniche.
Nella proposizione che segue è già rilevato il separarsi delle
coppie armoniche.
Po6.
HpP5.09.[adn a'd']e[0] > (ac'8) > 1a — 18 Teor.
|@ Hp .P3.P488:0:(0,0,d) - 01. P15,18$5.P583.
(*) Essendo A un aggregato di simboli avente senso già noto, ed «
un segno, o gruppo di segni, scriveremo x = A per denotare che x è per
sostituirsi ad A; ossia che A è la definizione (nominale) di x: come è si-
gnificato in
{x=A.=.x=A Def! ‘Def
386 MARIO PIERI
b,c,d,a,c',a'
. P14,1382:9:aeded- dbe-cd > db. (eta) P5 19:
:bd'-=a'.[cdobd'a']e[0]-1c-1d
(8) Hp.(a).P3,4.P3,782.P8,9,28,2,4$8:09:cd= (eleda
nb'a']d)-1e-1d-1c.-=A
(1), Hp.zecd -1c.P3,4.P3,11,5$2:9:. ze[0]- 10° — 18"
(ò) Hp. zecd= 10 — ad. P3,4,1.P 6,83. P18, 1585.
.P5,11,6,382:9.:(0,c,9')-—eCl.2ebeb'- bo cb'- bb.
(a) P4:09.. [ben d'a]e[0] > 10-10
(E) Hp.eecd-1d=10".P3,4,1.P3$3.P3,5,11$2.P18$5:0::
: (a,b,0')- €01. ceabb'— ab — bb'-—b'a.(CAPA.M.
. P4,6$2:09.:[ab on d'a]e[0] ia 18-10"
(n) Hp.cecd-ic-1d> 10. (7770) (E). P6 82. P15 85.
.P3:9::[cana'z]e[0])-1c-10. [adoa'2]e[0] 1a +
18-10
(2) Hp.zecd-(c[cd n d'a'|]d)-1c-1d-10".(0) . (1).(0).(2).(n).
.P8,4. P7,882.P2,7$3.P8 $10:09.:[be n d'e]=
-e(ca'b5) . [cana'z] — e(cd'a) . P3$10:09.:[abod'z]=-
-e(c'[abna'z]d).[abna'z]-— e(c'[adb o d'a]a).P1,7,19,
3,5,16 $8:0.:[abBna':]-=[@bnBd'z]. a,be([aba
nb'al[aboa'z]c'). P27$8:9:.c'e(a[lad o d'2]5)
(A) Hp.zecd-(c[cdod'a']d)-1c-1d-—1c'.(a). P3.P7,3$2.
.P1888: 9.: [ed n d'a']-e(c2d). P4,5. (1). P2,783.
.P3 $10:9::[ad n d'a'|-e(a[ad n d'a]5) . (2). (£).P14$8:
:9:. [ad e d'a']- e(ac'd)
Hp . (A). (6).P5.P6$2:0.Th]
Questo teorema è, in fondo, una relazione tra i quattro
punti a, 5, c, d che si deduce da altre relazioni inerenti alla
figura dei cinque punti a, è, c, d, 2 mediante eliminazione di 2.
%
Tale è il principio che informa l’ingegnosa dimostrazione do-
vuta all’EnrIques (*), da noi qui parzialmente imitata.
Il simbolo (abcd) leggasi “ triangolo projettivo abed ,.
SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 387
P. 7. a,b,ce[0].(a,d,c) — Cl. deabe—bc>ca-ab:9 .(abed)=
= [0] -1a-1d n ze) [benax]e(d[benad]c) . [can
nbae]e(e[ca n bd]a)} Def.
P. 8. HpP7.09.(aded)=a(b[denad]e)nb(c[canbd]a) Teor.
Le P7,8 voglion dire in sostanza. che “ essendo a, bd, c tre
punti non allineati e d un punto del piano ade non apparte-
nente a nessuna delle rette dc, ca, ad, se con da’, d' indichiamo
le projezioni del punto d dai punti «a, 6 sulle rette bc, ca, la
figura (adcd) sarà l'insieme dei punti x, diversi da a e 5, che
projettati come il punto d mandano le loro imagini dentro i
segmenti projettivi (da'c), (cd'a) — ovvero, che è lo stesso,
(*) Loc. cit., $ 8: la quale si può forse imputare di poca simmetria
nelle parti e dell'uso non necessario d’una proposizione (il teor.* sui triang.!
omologici) dipendente da postulati spaziali. Con le modificazioni da noi
portate essa è ridotta, in sostanza, al ragionamento che segue. Sia @'d'ed
un quadrangolo costruttore del gruppo armonico «dec; e per a passino
i lati db'e e ad, perdilati a'c e dd, per c'ecirisp.ilati cd e a d. Detto
c' il punto comune alle linee cd e ad, prendasi nella cd un punto 2 di-
verso da c' e separato da c' per mezzo dei punti c e d. Allora le coppie
c, b ed a', x, projezioni delle coppie e, d e ec’, 2 dal punto d' sulla retta be,
dovranno eziandio separarsi a vicenda; e similmente le coppie c, a e 2, y’,
projezioni dal punto @' sulla retta ca. Ne viene che anche le coppie c,b e
y, x, projezioni delle c, è e a’, dal punto 2 sulla retta da, si separano;
e nello stesso modo le coppie c',a e x, y, projezioni delle c, a e d',y". Da
ciò segue che il punto e giace dentro il segmento axd. Ma le coppie se-
parate c, d e a', x' dànno, per projezione da d su ad, le coppie a, d e ci, x:
quindi il punto cy non appartiene al segmento axd. Dunque i punti c' e c1
son separati dai punti a e d. Con ciò resta altresì dimostrato che i punti
c' e ci non posson coincidere. — La dimostrazione che si suol dare a questo
teorema (V. p. e., Reyer, Pasca, SANNIA) è per ciò appunto in difetto, che
presuppone distinti l’uno dall’altro quei punti e’ e ci. Veramente il Pasca
(loc. cit., pag. 83) afferma che essi sono diversi; per altro senza addurne
ragioni.
388 MARIO PIERI
(P8=PY7) l'insieme dei punti comuni alle visuali di questi
segmenti prese dai centri a e d, (*).
Pat9: HpP7.09.(abced)g abc—bce-ca-— ab Teor.
[Hp:: 9 :2e(abed). P8,3,4.P7,3 $2. P1,2,4$8.P5$3.
A SPILSTI DELANO. bee nlie=aa Pa
— dai barale Th |
P.510. HpP7.09.de(aded) Teor.
[P7,9024 2P7,9 828 ‘PA, 788: P109
ECT. HpP7.9.(ad[bdenad]) 9 (adced) Teor.
| @) Hp. se(ad[bc n ad]) . P3,4.P7,3 $2. P1,288:0::
:read-ra0.P11,4$2.P5$3:9,:readbc-1b.be—-=ca.
.P22 $5.P15$2:9.: ce[0]n ad -1a-18.[ca n bx]e[0]
(BP) Hp. xe(ad[bcenad]). (a). P8,4. P7,3 82. P7,2 83.
.P3$10.P3$8:9:.. [candx]e(c[ca n dd] a)
(r) Hp.xe(ad[benad]).(a).P3.P1182:0,.[benex]=
= [den ad|].P4.P7,3$2.P7$8:9..[denax]e(b[ben
nad]c)
Hp . (0). (8). (1). P7:0. Th |
P.12. HpP7.xe[0]-1a4-15.[ben ax]e(d[benad]c).[ca n
nbrje(e[ca n bd]a):9.:e-=c.[abncex]e(a[ad n cd]b)
Teor.
| (0) Hp . P3,4. P3,7$2 . P5$3.P1,2,4$8:0.. [ben az],
[can be]e[0] > 10-18-10
(8) Hp.(a).P3,4.P3,1182..09.:a[benax]= ax. blcan
nbdj= bd. (9 “5"P1..0.:[arnbd]e[0]o
(*) Cfr. SrAupr, loc. cit., n. 175.
SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 989
nabe-be<-ca — ab. P482.(€7 "PA. 0.0.0, =
=[axnbd].9:2,e[0] 10. ax, =ax. [benax]>=2;.
. [ad n cai]e [0] > 10 — 18
(r) Hp.(a). P3,11$2:0::a[denar].=ax.blcan ba] =bda.
ty IPO PTER O ae 100-180,
. [ax n bx]e[0] n ade — be — ca- ad. [ax n ba] =.
.()P3,4:09.:are[1] -10a-10b.x -=c.[adncx]e[0]
(9) Hp.x,=[axnbdd]. (a). (8). P3,4.P7,3862.P7,283.
.P3.$10 : 95: z;e(0d[ca n dd]) . P3 $10: px :[adn
ncexi]e(0[ad n cd]a) . P14,3°$88: 0... (b[aboca,]a) =
= (a|ab o cd]d)
(E) Hp.x,=[axnbd].(0).(8). (1). P3,4. P7,382. P2,7 83.
.P3$10:0x5: re([de n ax] a; a) . P3 $10 :0:: [ado
nex]e(b[ad o cx;]a). (0) : 9: . [ad ex]e(a[ad n cd]b)
Hp (o(ED.(1) ®)npa Th |
Per la prop.° ora dimostrata, che è fra le principali intorno
al triangolo, si potrebbe sostituire alla definiz.® contenuta in P7
quest'altra (da aversi qui come teorema):
P.13. HpP7.9.(aded)=[0]-1a-18-10n ce} [ben ar]e(b[de e
nad]c).[canbx]e(e[ca n dd]a). [ad n ca]e(a[ad n cd]d)}
la quale, tuttochè sovrabbondante, ha il pregio d’una maggior
simmetria. Essa viene a dire in sostanza che “ essendo a, b, c, d
come sopra (P3,7;...), se con a', d', c' indichiamo ordinatam® le
projezioni del punto d dai punti «a, d, c sulle rette de, ca, ad, il
triangolo (abcd) sarà l'insieme dei punti, che projettati da «,
b, c mandano le loro immagini dentro i segmenti (da'c), (c d'a),
(ac'5) ,. La P12 afferma che se le due prime immagini cadono
sopra i segmenti (da'c), (cda), l’ultima cadrà per forza nel
segmento (ac'8). — Conseguenza immediata della P13 è:
390... MARIO PIERI
P.14. HpP7.9.(abed)= (bcad) = (cabd) = (chbad) = (acbd) =
= (dacd) Teor.
[P.13,3,;4. P.6;7,982. R165:S85, RIOLO
Onde saranno vere altresì le propos.i che nascono dalle P7,8
permutando nei secondi membri soltanto le lettere a, 5, c fra
loro; p. e.:
P.15. HpP7.0.(abed) = b(e[ca o Bd]a vc e(a[abo cd] è) =
= c(a[aboced]b)na(b[benad]e) = a(b[benad]c)n
nbl(e[ca n bd|]a)n c(a[abdncd]d) Teor.
[PS SEL]
Chiamando vertici del triangolo i punti a, d, c e lati i seg-
menti (da'c), (cd'a), ac'b), la P15, insieme con la P8, dice che
“ ogni punto, nel quale si taglino i raggi che projettan due
punti comunque presi in due lati dai vertici opposti ai mede-
simi, sta sempre in un raggio projettante dal terzo vertice un
punto del terzo lato — ed appartiene al triangolo ,. Si chiamerà
poi contorno del triangolo (abcd) la figura (da'e) v(ed'a) v(ac'b) ù
viauiduice, somma logica dei lati e dei vertici. Il segmento
(P1989) ad- (ac'89) — 14-15 sarà il complemento del lato (ac'3).
— I punti del contorno sono esclusi dal triangolo in virtù di
P9; cioè:
P.16. HpP7.xe(aded):9,.. e -e(b[benad]e)v(e[can bd]a)v
v(alabocd]b) vira viduie Teor.
[FRO(S, 4 By.3:82PTR6 0-16,
Pitt, HpP7 . d'e(adcd) : da . (abed) = (abed') Teor.
| (a) Hp.P9:9#.d'eabe>-be>-ca> ab
(8) Hp.P7:94z:[benad']e(b[benad]c) . [can bdd']el(e[can
n bd|ja). P3,4.P7,3$2.P14$8:09#:(0[ben ad]e)=
= (b[de n ad']c).(c[canbd]a) = (e[canbdd']a)
Hp . (0). (8). (@)P7:02. Th |
SUI PRINCIPÌ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 891
Pertanto “ all'oggetto di determinare un triangolo projettivo
(abcd) si può sempre sostituire il punto d con altro punto
qualsivoglia della stessa figura ,. Come corollario si ha:
P.18. a,b,ce[0]. (a,db,c) — 01. d,d'eabc—bc-ca-ab :9 ..
. (abed) n (abed').-=N:9.(abed)= (abed') Teor.
| Hp 2.0 +. pe(abed) a (abed') -P.17 : 0; . (abed) = (abep) =
= (abed') .-.0 . Th |
ossia “ due triangoli projettivi coincidono, se hanno gli stessi
vertici e un punto a comune ,,.
bio: HpP7.zeadb: i... 2 e(alabrncd|b) viavib. =:
: [ben dz]e(b[de n ad]c) . [can dz]e(e[ca n dd]a) Teor.
IC Hp . P3.. P3,4,15 82. P2285:9.:2ze[0]-1d . [de n de],
[ca n da]e[0]
Hp .. P3,4.. P7,3 82 Li dia 2 e(a[abocd]b) ora vw .
.P13 $8:=:2ze([ad o cd]ba) n (ba[adb n cd]). (0).
.P2,783.P3810:=:[candez]e(c|can dd]a) . [den
n dz]e([de n ade) «. 0... Th |
Atteso che il triangolo (adced) non muta per lo scambio dei
vertici (P14), nè se al posto del punto d si metta un altro
punto qualsivoglia del triangolo stesso (P17), la P19 potrà es-
sere enunciata in questa forma: “ Se una retta contenente un
punto interno al triangolo incontra il complemento di un lato,
dovrà incontrare gli altri due lati — e viceversa ,.
P.20. HpP7.a'=[benad].d'=[canbd].c'=[abncd].x,yeabde.
.0-=y .dexy. a, b,c-€%Y: Iggy. [do axy]=-
= e(ac'b). = :[denay]e(da'c) . [canxy]e(cd'a) Teor.
| Hp .P8.P3,7,1582.P2285:09,y:[adoay]ead=ra-
215 .dlabney)=%y.(*7)P19%:rg: Th |
392 MARIO PIERI
P.21. HpP20.9xy.. [ben ay]e(da'c). [ca n zy]e(cd'a) [ad n xy]
-elac'b8):v:[benxy|e(ba'c) . [can ay] <e(cd'a) . [aba
naey]e(ac'd): v:[benxy] — e(da'c) . [canay]e(cd'a) .
. [ab n ay]e(ac'd) Teor.
|@ Hp . [ad o xy]e(ac'd8) . P20 .. Day. [benaxy]-e(ba'c). è.
.v. [ca ny] e(cd'a) : P20 .. Dxy [ben ay] — e(ba'c).
. [canay]e(cd'a).[ab n xy]e(ac'd): v:[canay]-e(cd'a).
. [ab n ay]e(ac'd) . [be mn xy]e(da'c)
(8) Hp.[ado ay] e(ac'8) . P20:9xy: [ad n xy] — e(ac'8) .
. [ben ay] e(da'c) . [ca n xy]e(cd'a)
Hiba: 09 «ABI da Th |
La P21 (dacchè ogni punto di (adcd) può tener luogo del
punto d) viene a dire in sostanza che “ ogni retta giacente nel
piano abc, la quale contenga un punto, ma non un vertice, del
triangolo projettivo (adcd), taglia necessariamente due lati del
triangolo stesso e non incontra il rimanente ,. D'altra parte
ogni retta (P12), la quale unisca un punto interno al triangolo
con uno dei vertici, taglia sempre il lato opposto al medesimo.
P.22. HpP7.zeab > (a[abned]b)>- 1a -10:9::([ben de]d[ca n
o dz])o (abcd).([be n de] [can dz]) n (abcd)=A Teor.
|@ Hp.P.3,4,19 .P3,7,15 82. P3$4.P21,22 85. P2,488:0.:
:26[0] n abe-1d.dze|1] o Kabe-1abB=1ca . [de n da]e[0]>
-id-idb-r0-12.[ca n de]e[0]-1d — 1ec1a 12. [bem
nde]-= [ca n de]
(8) Hp.(a).P3,4.P3,7$82.P7,2$3.P3$810:0.:2-e([can
nde)d[be n de]).P21$8:0..([cand:]d[ben de]) 9
I([ca n de] de)
(7). Hp te([bcn del'alcandz]) (0) PS :P3;,,15$ 2000008
.P2285.P1$88:09,:te[0] n denabe-tre-10. [ben
, SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE . 393
nat], [ad n ct] e[0] . (B). P4.P3$8.P7,2$3.P3$10:
‘Ig te[0]ic-1a>.|bdenat]e(d[de n ad]e).[ad n ct]e
e(a[ab o cd]b5) . P7,14:9.:. te(aded)
(5) Hp.te([bcn de]a[can de]). (0a). P3 . P3,7,1582.P5$3.
.P22 85. P1$8:09,::t6[0] o denade-1c.[ab a ct]e[0].
. P7,2$3. P3$10:9.::[ad aci] e(d2a) .P4.P28,3 $8:
‘Oz: [adoct]- e(a[ad n cd]b) . P13 : 9. .t- e(aded)
Hp. (1). (0):0.. Th |
La P22, se si tien conto delle precedenti, dice che “ ogni
retta non passante per alcun vertice del triangolo, ma conte-
nente un punto interno al medesimo, resta divisa dai punti ove
essa taglia il contorno in due parti, una interna e l’altra esterna
al triangolo ,. Che lo stesso fatto succeda, se quella retta ap-
partiene ad un vertice, s'è già parzialmente affermato in P11:
il resto al lettore.
$ 12. — Nel presente $ noteremo alcune proprietà del
triangolo, per la dimostrazione delle quali ci occorre general-
mente la P6 del preced.° $, di cui finora non s'è fatto alcun uso.
P.1. a,5,ce[0].(a,b,c) —eCl. deabe — be- ca— ab . re(b[be n
nad]e).ye(e[canbd]a) : Iay. [eb xy] e[0] > (a[ado
ned|b)-1a-— 15 Teor.
| @ Hp .P3$11.P7,3$2.P5$8. P1,2,4$8.(£H)P1811:
‘Fay: re[0]nde- 18 -ic-10.ye[0]nca-1c-1a > 18.
.[ax n by] e[0|]nabe>bc-ca > ab
(8) Hp.t=[axn8y].(0).P3,4811.P3,782.P5$3. P11$4.
.P1$88:9xy: fea(b[de nm ad]e) n b(e[ca e bd]a) . P8$11:
:Oxy te(aded) . P7,12$11:9,y:[adoct]e(a[ad o cd]d).
. P14$8 :9xy: (a[ad n cd]B) = (a[ado ct]3). te(abded)
(Y) Hp.t=[axndy]. (a). P3,4,1432 : Day: reat. yebt.
394 MARIO PIERI
MMP£SIT:D,, 1 [bena)= 2 can] =yP.8928
(Ga #)P6$11:0xy:[a0n2y]e[0] = (a[ado ct] B) > ia
15. (8) : Day - [dd 2y]e[0] = (a[ado cd]b) — 1a — 18
HPA 9 Th |
La P1 esprime che “ la retta congiungente due punti presi a
piacere sopra due lati del triangolo non incontra mai il terzo
lato ,. Nell’opera di StAUDT ciò risulta immediatamente da certi
principî generali di analysis situs circa le superficie coniche (*):
ond’è che la (nostra) P6$11, conseguenza immediata della pre-
sente, vi si dimostra (**) in modo tanto più semplice. Ma non
è men notevole il fatto, che i fondamenti della Geometria Pro-
jettiva siano resi indipendenti da quei postulati di StAuDT sulla
connessione del piano (stella).
La prop.® prec.° si può a questo modo invertire: “ Se una
retta incontra il complemento d’un lato ed uno qualsiasi degli
altri due lati, dovrà tagliare eziandio il rimanente ,. Ciò è.
significato dalla :
P.2. a,b,ce[0]. (a,d,c) - 01. deabce — be -—ca- ab . zeab—
- (alada cd]b) -1a-10. ce(b[bc n ad]c): ds. [canzx]e
e(c[ca n dd]a) Teor.
| @) Hp . P3,4 $11. P3,7,1582 . P22 $5. P1,2,488:0%:
: 2,c6[0]n ade. cede - 18-10-12. [canex]e[0] n ca +
-le-ia
(8) Hp.y=[canez].(0).(2WM)P1$811:9,5- [arnby]e[0]o
nabe be -ca— ab
(r) Hp.y=[can2zx].t=[axnby]. (a). (8). P3,7,14 82.
.P583:9,,: seat. yedbt.. (4) P4,5,6 SL1.PS9S20008
: [Ben at] = x. [canbt]= y.[aboci]e[0] 1a 18.
.x-=yY.[abnxy|e[0] = (a|adoct]5) — 1a — 18
(*) Loc. cit., nn. 15,16, 17, 18, 20.
(**) Ibidem, n. 93.
» de
SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 395
(9) Hp.y=[canex].t={[axnby]. (0). (1). P3,13 82 :0:s:
zexy .[aboxy] = 2.ze[0] > (a[adbaci]06) > 1a — 18.
.P3,4$11.P782.P18$8:9.: [ad cd], [ad eci]eab-
> (1205) 1a — 18. P1889:9,5:(a[ad n cd]5) = (a[ado
n ct]6). P7 $8: 0.5: [adoci]e(a[ad n ed]3). P7,14 $11:
Oa: te(aded) .P13 $ 11:95. [ca nbdi]e(e[ca n dd]a)
Hp . (5). (r)-(B):0- Th |
Dalla P2 deriva subito quest’altra: “ Ogni retta, la quale
unisca due punti situati nei complementi di due dei tre lati,
taglia ancora il complemento del terzo ,; vale a dire:
P.3. @a,b,ce[0].(a,b,c)-el.deabe > be-ca—ab.zeab-
- (a[abocd]b) 1a — 16. rebe-(b[be n ad]c)>1b-1c:
: Oz - [can 2x]e[0]- (e[ca n bBd]a) rc 1a Teor.
E dall’insieme delle P1,2,3 si raccoglie che “ una retta gia-
cente nel piano del triangolo, ma non contenente alcun ver-
tice, o non incontra affatto il contorno, o lo taglia [in due
punti ,, cioè:
P.4. a,b,ce[0]. (a,b,c) >eCl. deabe — bc -ca-—ab . a' = [ben
nad|.b'=[canbd].c'=[abncd].uveabe.u-=v.
. a,b, c > EUO : Fu." . [ben uvn]e(da'c) . [can uv]e(cd'a) .
. [abn uv] — e(ac'b): v:[de n w]e(da'c). [ca nu]-
-e(cd'a).[abnuv]e(ac'd) :v:[bBenuv]- e(ba'c) . [can
nuv]e(cd'a) . [abnuv]e(ac'b) :v:[denuv]- e(ba'c).
. [can uv] -e(cd'a).[abn uv] = e(ac'd) Teor.
La dimostrazione simbolica di queste ultime due propos. è
rimessa al lettore.
P. 5. HpP1.9xy. [cdnxy]e (aded) Teor.
| @ Hp . P3,4811 . P8,5,7,11 82. P3 84. P1,2,3,4,14 88 :0xy:
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 29
396 MARIO PIERI
:rebe-1b>1c.yeca-ra-12.xrye[1]-10b-1bc-10d.
. (ced) = (c[de n ad]d)
(8) (Hp (a) P83'$11..P3;7,1582° P2285 .Pl:0a: 040
nxy]e[0] > 1a . [odo xy]e[0] — (a[ad o cd]b) > 1a 18 +
10-17
©) Hp.(p).P3,4811.P7,382. P18,5,388:0xy:[abned]e
e(ab[abnxy]. (a). P2,7$3.P3$10:9xy. [ed nay]e
e (y: [ad © ay) “0
(0) Hp.t=[cd 0 xy].(8). P3 $11. P3,7,15 $2 . P5 83.
.P22 85: 0xy: [den at]e[0]. (1). (a). P£$11.P2,783.
.P3 $10: pay: [den at]e(c[bcn ad] B) . P3 $10: Qay
.[ed n xy]e(cd[ad o cd])
Hp . (è). (28%)P11811. P15$5.P14811:0s- Th |
Così resta provato che “ la retta congiungente due punti,
presi a piacere sopra due lati, penetra dentro il triangolo ,; e
di qui tosto risulta, grazie alle P22,17$11, che “ i segmenti in
cui la retta è divisa da que’ due punti sono l’uno interno e
l’altro esterno al triangolo , — ossia che:
P.6. HpPl.9x,y:(e[cd o ey] y)p(abced).(e[ad o xy]y) o (abced)=A
Teor.
Più generalmente si può anche concludere che “ penetra
nel triangolo (adced) qualsivoglia retta del piano abc, la quale
tagli uno dei lati ,; però che essa, in virtù di P4, dovrà ta-
gliare eziandio un altro lato, o passar per un vertice: onde si
ritorna alla P5, od alla P11$11.
P.7. a,b,ce[0]. (a,5,c) -e01. deabe-be-ca-ab.ee[0]+
-(abed)=bc-1a.[bc n ae]e(b[de n ad]c):9:[ca o deJe[0]>
= (c[ca n bBd|]a) — 16 — 1a. [abace]e [0] — (a [ad n cd]9) —
-1a-1d Teor.
SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 397
Cioè “ se la retta che unisce un punto esterno al triangolo
con uno dei vertici taglia il lato opposto al medesimo, le rette
che uniscon quel punto con gli altri due vertici taglieranno i
complementi degli altri due lati ,. Deriva immediatamente dalla
definizione di triangolo (P7 $11).
P.8. a,b,ce[0].(a,b,c) —eC1. deabe > be-ca— ab .ee[0]- de-
1a. [ben ae]e(b[de n ad]e).[ca n de] -e(e[ca n dd]a):9.
. [ade ce]e[0] = (a[ad n cd]6) — 1a — 18 Teor.
[Hp .P7$11:09:e-e(aded).P7:09.Th]
P.9. a,b,ce[0].(a,5,c) -eCl.dieeabe-be-ca—ab.[bcn ae] >
- e(b[de n ad]c). [can de]-e(c[ca n dd]a):9.[abece]e
e(a[ab n cd]d) Teor.
[| @ Hp.x=[bcnae].y=|[cande].2= [adoce]. (9P3,4,
6$11.P3$2:9:2eab-14-10.[adnxy]ead > (azb)—
-—1a —15.P7$2.P18$8:9:2645- (a[ado xy]9) > 1a
-—18.[adnxy]eab>-1a —18
(8) Hp (a). (;)P3,4$11.P3$82:09:%rebe-1d-1c.yeca—
-ie> ia .(27024)P3 . P15$5:0:[abdon2y]ead - (a[ado
ncd]b) - 1a —1.P3,4$811.P782.P18$8:9:[adn
ned]jeab > (a[abn xy]9) — 1a — 18. (a) . PI8 $9. P7 $8:
:9.ze(a[adeced]d)
Hp . (8). (a):0 . Th | !
Da queste due P8,9 e dalla P12$11 si raccoglie:
P.10. a,b,ce[0].(a,b,c) e Cl. dieeabe-bc>-ca—ab.a'=|bcn
o ad).b'=|[canbd].c' =[abned|. a'= [benae].
.b'=|[canbe].c'=|[abnce]:9.. ae(da'c). d'e(cd'a).
.c'elac'b) : via'e(ba'e). d'-e(cd'a). c''-el(ac'8) : L:
sv:ra'-e(ba'c). dD'eleb'a).c''-elac'by:v:a''- e(ba'c).
. bd'-e(cb'a).c''e(ac'd) Teor.
398 MARIO PIERI
Vale a dire, in somma “ Se un punto e del piano abc, non
giacente in alcuna delle rette dc, ca, ab, sia projettato dai punti
a, b, c su queste rette, le imagini cadranno tutte e tre sul con-
torno del triangolo abed, oppure una sola di esse cadrà sul
contorno (e ciò secondo che il punto è interno od esterno al
triangolo) ,.
P.11. a,b,ce[0].(a,b,c) —eCl. d,e,f,geabc— bc-ca— ad . e,f,g>-
-e(abed).[be n ae]e(d|be n ad]c).[ca n bf]e(c[ca n bd]a).
.[abeceg]le(a|ab o cd]b):p9 .abe=bcvcavabo(abed)v
v(abee) (abef) + (abeg) Teor.
|@ Hp.9:0'=[benad].d'=[canbd].c' =|[abocd|. a"=
= [ben ae]. bd'=|[canbde|.c'= [aboce|.a'""=[bcn
naf].0"=[canbf).c'=|[abocf}.a"= [ben ag].
.b"=|[can bg]. c"=[abocg]
(8) Hp.(a).P7.P3,14$811.P1585:5: 0”, 0" elcb'a) el
c'''=e(ac'b) . a'',a"= e(ba'c)
(r) Hp.peabce-be-ca-—ab.(a).P10..9,.. [den ap]e(ba'c) .
[can bp|e(cb'a) .[abancep]e(ac'd): v:[benap|e(ba'c).
.[canbp|- e(cb'a) . [abncp] — e(ac'd) :v:[benap| —
-— e(da'c). [can bp|e(cd'a). [abocep|]-e(ac'b):v: [ben
nap|-e(ba'c).[can bp|-e(cd'a). [ab cp|e(ac'd) : (8).
-P3,4811.P7,3 $2.P7,14$8.P1889 0, . [be n aple
e(ba'c) .[canbp]e(edb'a). [abncep]e(ac'db): v:[benap]e
e(ba'c).[canbp]|e(eb'a).[abocep|e(ac"d):v:|[ben
naple(da"'c).[canbp]e(cd'"'a).[abocep]e(ac'"b):v:
:v:[dbenap]e(ba"c). [can bp]e(cb'a).[abo cp|le(ac'"b):
:P13$11..09,:pe(adbed) .L. pe(abcee).v. pe(abef).L.
.v. pe(abeg)
SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 399
(5) Hp.P9,3$11:09.(abed) v(abce) v (abef) v(abeg) v be vea
vabi ade
Hp. (n.@):0. Th |
Pertanto: “ Le rette ad, dc, ca spezzano il piano adc nei
quattro triangoli (aded), (adce), (adef), (abeg) per modo che,
tolte esse rette, il piano è la somma logica dei quattro trian-
goli ,. Due qualunque dei quali non hanno punti comuni:
P.12. HpPl1.9.(abced)o}(abcg) v(abef) v(abeg))} =A Teor.
| Hp n.9 (abed) n} (abce) è (abef) è (abeg)t "=. P18 811:
:9:(aded)= (abcee).v.(abed) = (abef).v.(abed) =
= (abeg) : PIOSI1 N: eelabedf. Lv. felabed) .L.
.v.gelabed) . 9. Th |
Nè sarà superfluo il mostrare come “ sotto le stesse ipo-
tesi, una retta arbitraria » del piano abc, sempre che non passi
per alcuno dei punti a, 5, c, penetra sempre in tre dei quattro
triangoli (adcd), (adce), (abcf), (abcg), anzi in tre solamente ,.
Invero, preso un punto p sulla r, il quale non appartenga a
nessuna delle ad, dc, ca (come è lecito per le P7,8$8); questo,
per la P11, giacerà in uno dei quattro triangoli, p. e. in (adcd).
Allora, in forza di P21$11, la r dovrà tagliare due volte il con-
torno di (adcd): p. e. nei punti «, v situati rispettiv.° sui lati
(5a'e), (cd'a). Quindi (P1) il punto w=rnad giacerà fuori del
segmento (ac'd), al pari dei punti c'’ e e" (P7); vale a dire
(P19$9) starà nei segmenti (ac'’d) o (ac'’'8) che non differiscon
tra loro. Ma neppure differiscon tra loro (P14$8) i segmenti
(ba'c), (ba''c), o i segmenti (cda), (cda): cosicchè la retta 7
taglia eziandio doppiamente il contorno di ognuno dei triangoli
(abce), (abcf), ossia (P5) penetra in essi. Infine, poichè nessuno
dei punti «, v, w appartiene al contorno (da!Ve) v (cda) v (ac!‘d) è
viaviduie del rimanente triangolo [dal momento (P14 $8) che
(ac'b) = (ac!‘b), laddove (P28 $8) i segmenti (da'c) e (da!Ve),
come pure (cd'a) e (cB!Va), non hanno punti comuni], la r sarà
tutta esterna (P21$11) al triangolo (abcg).
400 VITO VOLTERRA
Sulla inversione degli integrali definiti ;
Nota II del Socio VITO VOLTERRA.
1. In una Nota presentata nella scorsa seduta esposi un
teorema sulla inversione degli integrali definiti per la cui vali-
dità basta soltanto che le funzioni che compariscono nel pro-
blema siano continue, derivabili e finite. È da osservare ora
che in alcuni casi importanti che si presentano effettivamente
in pratica quest’ultima condizione non è soddisfatta. |
Si ricordi l’importanza che riconoscemmo avere quella fun-
zione che nella nota precedente chiamammo % (y) e che fu sup-
posta finita e diversa da zero. È appunto questa quantità che
nei casi a cui ora abbiamo accennato diviene infinita.
Mi propongo quindi di svolgerli (come già annunziai nella
nota citata) togliendo così una limitazione alle funzioni date
nel problema.
2. Supponiamo perciò che nella formula da invertire
(1) f(y) — f(0) = f"® (2) H (2, y) de
H (x, y) divenga infinita per x = y di ordine inferiore all’unità,
in modo che si possa porre
Ge, y)
@) E (o,g) = pet
in cui \< 1. Questa ipotesi corrisponde evidentemente a quella
in cui si abbia
ha) =
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 401
Ammettiamo f(y) e f' (y) finite e continue per y compreso
fra dea PFA(A>0); G(2,9), Go(0,9) = do pure finite e
continue per tutti i valori di x,y compresi fra a e a + A, e
si supponga maggiore di zero il limite inferiore dei valori as-
soluti di G (x, 2).
Cerchiamo di ricondurre questo caso a quello trattato nella
Nota precedente.
3. A tal fine supponiamo che la funzione finita e continua
® (x) soddisfi la (1).
Moltiplicando ambo i membri di questa equazione per
dy
nni
si otterrà
fifa -f@r*a=f tp fe EL a
x)x
in cua +- A> 2>a e integrando fra i limiti a e 2,
onde applicando il principio di Dirichlet
© fifa fall ie
(y—2)
Poniamo
(4) SIf+-f@ai n=
(8) APART
allora l'equazione precedente diverrà
(6) v(e) = f/9(1) L(a, è) de.
Possiamo dunque concludere che, se la funzione finita e
continua ® (x) soddisfa la (1), verificherà la (6).
. 4. Dalla (4) segue, mediante una integrazione per parti,
va =i JIfMe—y dy
402 VITO VOLTERRA
quindi derivando
r pe d
(7) va=ff ge
Ne segue che y'(2) si mantiene finita e continua per i va-
lori di 2 compresi fra a e a + A. Inoltre dalla (4) si deduce
y (a) = 0.
Si ponga nella (5)
y=(-oguta
allora si avrà
#
1 d
6 eda Lain
perciò indicando con 2, un valore compreso fra x e 2 resulterà
(5) L (€; oy= sl, (x, 2) fo na ='G (€, zi) —— cà ma,
Se ne conchiude che L (x,) è una funzione sempre finita
pei valori di x, 2 compresi fra'a e a + A. Avremo poi
L'e,3) =.= \06G2)
sen RT
onde, posto
G (2,2) = 9(2)
si otterrà
(5) TOSO)
Dalla (5) resulta pure la continuità di L (x,). Derivando
a (5') rapporto a 2 si ha
dL 1 1
© LGa= 22 (Ge guta(7i) =
CL: dy
2z—- x
= fi G, (€, 4) (=
e
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 403
È Ne segue che
T(IAIT-A)
sen ÀT
@) La(c,2) = Gs (0,2) f. (4) =)
in cui 2, è un valore compreso fra x e 2.
Possiamo dunque concludere che L, (x, 2) è finita per x e 2
compresi fra a e a + A; oltre a ciò essa è anche continua.
5. La questione dunque di invertire la formula (6) rientra
nella classe di problemi esaminati nella precedente Nota e si
potrà concludere che vi è una ed una sola funzione finita e con-
tinua ®© (x) che soddisfa la (6) la quale sarà data da
nio ee
eM= TI — 7) J9 W8: (0,9) de
in cui
mA Si (x, £) S;1 (E, y) de.
Applicando dunque le (5'), (7), otterremo
ant A io done
tg (e)
sen XT_ (0 "Y or dr Da
ZIONE Pr diri 2: 5; (Y, 2) dy
ovvero, mediante il principio di Dirichlet,
sen La 82 Sly.)
p (2) = DI MAO) ti dra fi dazi y— a)_* dy ( dx
e finalmente, a cagione della convergenza in egual grado della
serie,
(9) o() = I ar paio +
my (2)
+ = =:S"G ei dy { dx.
404 VITO VOLTERRA
6. Bisognerà ora provare che questa funzione verifica l'e-
quazione data (1).
A tal fine basterà dimostrare inversamente a quanto si è
fatto nel $ 3 che, se la funzione finita e continua ® (z) soddisfa
la (6) essa verificherà la (1).
Infatti osserviamo che se è verificata la (6), ossia la (8)
derivando rapporto a 2 ambo i membri avremo (tenendo pre-
sente la (7))
NS ba —= = (fo (a) de {* ri dy
e moltiplicando ambo i membri per in cuua+-A>v>@
de
(o_-a)a
e integrando fra a e ®, si otterrà
u de °E pl dy “”
(10) f (— 2) "a (4) TEEN TRS Pag
ATO agi G (2,9) CL
pente .90def ptc =
G (x, y)
pl (0-2 “i do 9 (2) de vo Di (y— 2) dy.
Ora per il principio di Dirichlet
Sefalir® 2ga=/f0v fra
if) — f(0)f;
"sen Dr
"ue Age £ “e G (2, y) a
E O— 2) S0 (0) da f, già ya
pu: v v de 5 G (2, 9) il
fd; So) da f (o — 2) n (ay) (ya dy li
= (ode ° G(2,y) dy (° de
y_ a Sy = =
= fio: (TESI g
sen Mm. y— x)
|
x
|
Y
n
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 405
Quindi la (10) diventerà
if@)—f()t= = — Li lol) da o Fond =
sen
pr
© sen TR fi
G (2, 0)
PA pg
e per la (2)
FO — f(a) = f9 (2) H (2,0) da
come volevasi dimostrare.
#7. Avremo dunque il teorema seguente:
Se si ha la equazione funzionale
A f@-f@= fe el de A<1
in cui £(y) e f'(y) si mantengono finite e continue per y compreso
fraaea +-A (A> 0); e G(x,y) e da = Go (x,y) sono pure
finite e continue per tutti è valori di x, y compresi entro i limiti
ae a-| A, mentre è maggiore di zero il limite inferiore dei va-
lori assoluti dì g (y) = G(y,y) per y compreso nello stesso in-
tervallo, esisterà una ed una sola funzione finita e continua ® che
soddisfa l'equazione funzionale per y compreso fra a e a 4- A,
la quale sarà data da
\ 1 Pi (co)
Bi c@a= plz id
in cui
Mm 1 SS
sa famo (EE
O Te=—
Ti(o, ep= SS0 (E, 2) Ti. (e, E) de.
406 VITO VOLTERRA
Infatti dalla (9) segue
“e Si1(y, %
Tila = SPS y=( AYA Ty
quindi
T; (2,2) = {To (1,9) dy fe =
== Se (E, 2) d& 1° : To (2, 4) Sia (4, 8) dy I
e per conseguenza
T;(0,3)= Ja (E, 2) Ti; (2, © de
onde facendo j = 1
Ti (e, 2) = ("81 (€,4) Ti 8) de.
8. Possiamo facilmente vedere in quale relazione sta questo
risultato con la nota formula di Abel.
Questa formula risolve il caso in cui si supponga costante
ed eguale ad 1 la funzione G (x, y). Allora le T; (i > 0) della (B)
divengono zero e la quantità sotto il segno d’integrazione si
riduce al suo primo termine. Dunque la formula data da Abel
corrisponde al primo termine dello sviluppo col quale abbiamo
dato la soluzione del problema nel caso generale.
9. Esaminiamo il caso particolare in cui sia G(x,9) =F(y—2),
e F(0) = 1. Avremo allora
ùe (eg
T z—_ E PR
a E u 1-A
= n [Po ( ) du
onde, posto
so(0) = SAI SE (u) | u = du,
qm Vee,
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 407
sarà
So (4,2) = sole — 9).
Si ponga
1
tb) ==
dI 7)
t:(0) = So80 (0 — u) ti (0) du
avremo
Tie, a) =(-1'tile—2)
Infatti per i = 0 questa formula è vera. Supponiamola vera
per i, allora
Tu=(-1' (oi -da=
= (1) ff _-a—- ut()du=
ss i(1)f! [se —tkt_- ut(Mdu=(-1)"ttu(—- 3.
Si ponga
O) =Z(-1)t()
ne seguirà
00
2 T, (4, 2) = Q(e— 2)
e per conseguenza
La formula di inversione della relazione funzionale
“q F pre
‘9 (2) TESS, de (A <1, F(0) = 1)
fy) — f(a = |
p (2) = sii [faQe—-d da
T (S
in cui
408 VITO VOLTERRA — SULLA INVERSIONE, ECC.
e cor fr (4) | - ne du
Tv vVv_-U
1
tb) =
t; ().= g. —80 (o — u) ti, (0) du
di > (1) t; (0).
Questo resultato è evidentemente più generale di quello
di Sonine (*), giacchè lo si ottiene senza ricorrere allo sviluppo
di F in serie del Taylor.
(*) Acta Mathematica, T. 4, page 171.
L’Accademico Segretario
ANDREA NACCARI.
E E e TE I
better
409
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 2 Febbraio 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Socii: CLARETTA, Direttore della Classe,
Peyron, Rossi, Pezzi, NANI, CrpoLLa, Brusa, PERRERO, ALLIEVO
e FerRrERO Segretario.
Egli annuncia alla Classe la morte del Socio Corrispondente
il Senatore Giuseppe FroreLLI, ed affida al Socio Segretario
l’incarico di commemorarlo in una prossima adunanza.
Presenta poi, a nome dell'Autore, il Prof. LAnpo LAnpUCCI
dell’ Università di Padova, la parte 1? del vol. I dell’opera:
“ Storia del diritto romano dalle origini fino alla morte di Giu-
stiniano , (Padova, 1895), e brevemente ne discorre.
‘ Il Direttore della Classe offre un opuscolo: “ Le navire de
bonheur de l’avocat Bernardi, publié par Lfon-G. PéLISSIER ,
(Toulouse, 1896), di cui l’editore fa omaggio a tale pubblicazione.
Il Socio ALLievo legge la relazione della Commissione, di
cui ha fatto parte coi Socii PevrRon e Brusa per esaminare il
lavoro manoscritto presentato per l'inserzione nelle pubblica-
zioni accademiche dal Dottore Francesco FrieERI ed intitolato:
410
“ La filosofia e Pico della Mirandola ,. La relazione è contraria
all’ammessione del lavoro alla lettura.
La Classe approva la conclusione della relazione.
Il Socio CrpoLLa, delegato coi Socii BOLLATI DI SAINT-PIERRE
e PerRERO ad esaminare il lavoro del Dott. Luigi SCHIAPARELLI:
“ Origini del Comune di Biella ,, presentato per l’inserzione
nelle Memorie accademiche, legge una relazione conchiudente
per la lettura del lavoro. La Classe approva tale conclusione,
e dopo lettura del lavoro, ne approva la stampa nelle Memorie.
Il Socio PerrERo legge un suo lavoro: “ I regali di pro-
dotti nazionali invalsi nella diplomazia piemontese dei secoli XVII
e XVIII ,, che è pubblicato negli Atti.
nn
DOMENICO PERRERO — I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 411
LETTURE
I regali di prodotti nazionali invalsi nella diplomazia
piemontese dei secoli XVII e XVII;
Nota del Socio DOMENICO PERRERO.
Chi si faccia a svolgere le corrispondenze de’nostri ministri,
residenti all’estero, dei due ultimi secoli, non può non arrestare
la sua attenzione sopra certi spedienti, che faranno non poco
sorridere i diplomatici del nostro tempo, ma che pure, a quei
giorni, erano dai nostri generalmente adottati come agevolanti
il disimpegno delle commissioni loro affidate, non già perchè
avessero alcunchè di comune cogli affari, ma perchè, in date
circostanze, avevano per effetto di disporre favorevolmente gli
animi di coloro, che avevano a trattarli, a quel modo, press’a
poco, che, ne meccanismi, le sostanze oleose, pur non communi-
cando ai roteggi il movimento, lo accelerano e lo accrescono,
diminuendone gli attriti.
Fra questi spedienti, atti a scemare gli attriti nelle rela-
zioni internazionali, ed anche a prevenirli, all’uopo, fu dai vecchi
nostri ministri ritenuto come il più acconcio, e quindi più spesso
usitato, quello de’regali, proclamati dal Poeta gli ammansatori
universali: “ Munera, crede mihi, placant hominesque Deosque ,,.
Un po’ di storia a tale riguardo non mi parve fuor di proposito,
non tanto per chiarire, in sul fatto, la parte, in addietro, dai
nostri uomini di Stato assegnata a questo seducente interme-
diario politico, quanto per rinfrescare la memoria di alcuni spe-
ciali prodotti naturali e industriali, che già furono vanto e de-
lizia de’nostri antenati, e che non saranno forse fuori di posto
nella storia economica del Piemonte, quando piacerà a qualche
benemerito studioso delle cose patrie di darcene una.
I regali, di cui qui si tratta, nulla hanno di comune colla
sfacciata corruzione che, colla borsa alla mano, assalta le per-
sone, che si vogliono guadagnare, patteggiandone l’opera ad un
determinato fine, ed il prezzo a cosa compiuta, secondo la for-
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 30
412 DOMENICO PERRERO
mola usitata, corruzione, che i Latini molto acconciamente desi-
gnavano colla frase appunto: “ aggredi aliquem donis ,. Di essa
non mancano, certo, anche nella nostra storia diplomatica, gli
esempi, specialmente sotto i regni di Carlo Emanuele I e di
Vittorio Amedeo II, ma, per l'onore de’corrotti non meno de’cor-
ruttori, il tacerne è bello. Il mio argomento si restringe a quei
piccoli regali, i quali, giusta il noto adagio francese, mirano e
servono a conservare le amicizie e, qualche volta, anche a crearle,
disponendo gli animi alla simpatia e alla confidenza, senza punto:
inquietare le coscienze. E di tal fatta appunto erano quelli,
che, più generalmente, i nostri principi, a suggerimento de’loro
ambasciatori, spedivano ad ora ad ora alle principali corti d’Eu-
ropa, per esservi distribuiti ai ministri ed ai personaggi alto-
locati, e talora anche offerti ai Sovrani medesimi; regali con-
sistenti in alcuni prodotti speciali del suolo e della industria
piemontese, che, in quegli esteri paesi, o difettavano, o non si
trovavano che di qualità inferiore. Felice usanza era questa, sic-
come quella, che, oltre all’ottenere, il più delle volte, lo scopo
diretto, a cui come sopra mirava, produceva ancora indiretta-
mente un altro non men benefico effetto, qual era quello di far
conoscere ed apprezzare le nostre produzioni nelle primarie corti
d'Europa, vale a dire là dove il gusto e la moda avevano il
principale loro seggio, e dettavano le autorevoli loro leggi.
Nè si creda, che siffatti regali si avessero in conto di troppo
volgari, e che, come tali, venissero freddamente ricevuti; il fatto
si è che avveniva precisamente tutto il contrario, come bentosto
verrà dimostrato, e come già, d'altra parte, avvertiva un nostro
ambasciatore a questo proposito appunto: “ Quelquefois (scriveva
il marchese di Dogliani da Parigi al San Tomaso nel 1688)
une bagatelle donnée de bonne grace, fait plus d’effet qu’un
présent considerable n’en ferait... ces choses là l’on les regoit et
dix mille écus on le refuse... Si V. E. sgavait le bruit qu'’a fait
un peu de vin de Piémont, qui était excellent, Elle en serait
étonnée: il m'a fait avoir la plus noble compagnie du monde è
diner avec moi, et bien de personnes, que je ne puis nommer,
m’en ont demandé et fait demander... (1687) ,. Quei regali, per-
tanto, non solo ricevevano le più liete accoglienze, ma venivano
anche arditamente domandati quando non giungevano così pronti
e frequenti, come il gusto impaziente de’regalati avrebbe desi-
i I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 4153
derato. Ond’era continuo il reclamare, non pure del Dogliani,
ma anche degli altri ambasciatori generalmente, perchè da To-
rino si spesseggiassero le relative spedizioni: “ Je profitterai
(rescriveva quegli al San Tomaso) de tous les bons avis qu'Elle
me donne, mais la supplierais de vouloir en donner un bon à
S. A. R. de se resoudre à envoyer du vin et du rosoly, qu’assu-
rément il ne sgait pas la bréche qu'il fait..... Je ferai des amis
et des amies avec du rosoly et du vin claret du Piémont... et
Elle n'y perdra rien et sera très bien employé... Ces sortes de
générosité produisent quelquefois de si bons effets qu'on peut
aisément par leur moyen faire des ouvertures qui ne sont pas
inutiles (1687) , (1).
Tal era l’attrattiva, che il vino e il rosolio del Piemonte
esercitavano alla corte di Francia; tali gl’innocenti seduttori,
che i nostri ministri, per agevolarsi il felice esito delle loro
missioni, vi mettevano in opera. E lo stesso re Luigi XIV non
isfuggì a quell’attrattiva, come dirò a suo tempo ritornando
sulla sua corte, dopo aver messo in chiaro, che il nostro vino
in ispecie aveva già prima ottenuto il medesimo favore anche
nella corte d'Inghilterra, e presso il re Stuardo Carlo IL
Nel 1675, il marchese di San Maurizio, figlio, era stato da
Mad? Reale Gioanna Battista di Nemours inviato a Londra per
significare a quel re la morte del duca Carlo Emanuele II. Lo
Stuardo, alle condoglianze espresse per la perdita del duca,
trovò modo ed ebbe il coraggio di frammettere un rimprovero
alla memoria del defunto, perchè avesse, negli ultimi anni, al-
quanto negletta la solita spedizione de’vini, e, ad un tempo, un
eccitamento alla duchessa vedova di ripigliare l'antica buona
usanza, come esso inviato le scriveva l’11 di settembre del detto
anno: “... Jai encore vu le roi d’Angleterre. Il m’avait déjà dit
plusieurs fois de lui faire envoyer du vin de Piémont, mais il
m’en chargea encore très particulierement, me disant que feu
S. A. R. avait perdu la coutume de lui en envoyer ,.
Non occorre nemmeno soggiungere, che la duchessa, tutta
intenta a disporre le cose per ottenere in quel regno il trat-
tamento regio, non fu lenta a riparare alla passata negligenza,
(1) Queste e le seguenti citazioni tutte sono estratte dall'Archivio di
Stato in Torino, Categ. Lettere Ministri.
414 DOMENICO PERRERO
riprendendo le solite spedizioni del vino; ed anzi, a modo di
onorevole ammenda, vi aggiunse anche il rosolio, vanto speciale
della città di Torino. Per amore di brevità, mi restringo a quelle
fatte in dicembre del 1679 e nel gennaio successivo, come quelle,
che abbracciano anche le spedizioni contemporaneamente fatte
al re di Francia, agli Svizzeri ed al Governatore di Milano,
riferendone, in termini precisi, la relativa menzione fattane nei
conti camerali, dove si legge: “ Sotto li 21 dicembre 1679, e
sotto li 24 gennajo 1680, si sono fatti partire, per comando di
Madama Reale, li due regali di vini e rosolio mandati alle due
corone di Francia e d'Inghilterra, insieme a quelli de’ Svizzeri
al sig. marchese di Gresy (ambasciatore ducale ivi) e a Milano
al sig. conte Porro (Agente ducale) per le spese de’ quali... si è
pagata la somma di lire 15 mila ,.
Si comprende da ciò quale estensione andassero pigliando
siffatte spedizioni, e quale voga acquistando ovunque i nostri
vini e rosolj. Alla corte di Francia in ispecie questa voga pi-
gliava piede ogni giorno più, grazie sopratutto alle relazioni
nella più alta società a grande studio coltivate dal marchese
di San Maurizio, padre, ambasciatore ducale a Parigi, come pure
grazie all’insistenza, colla quale ne sollecitava le spedizioni da
Torino: “ Si V. A. R. (scriveva egli al duca il 5 ottobre 1668)
envoyait quelques cantines de vin de Piémont, dont ils sont ici
fort friands, aussi bien que du rosoly, pourvu qu'il ne sente pas
l’anis, cela ferait un bon effet, particulierment auprès de M. de
Lionne: on pourrait lui en donner un couple de charges, comme
aussi aux autres ministres ,. E che non s’ingannasse nel giu-
dicare del gusto de’signori francesi, ben lo provò l’assalto, che
questi, poco tempo dopo, gli diedero riguardo al vino appunto:
“Je dinai hier avec M. de Lionne chez M. de Bellefond (rescri-
veva egli)... Quoiqu'il y eùt grande compagnie, M. de Beaufort,
D. Francisco de Mello, M. de Pomponne, le duc de Chaulne, le
comte de S'-Alban, M. de Laon et le marquis de Coeuvres, ils
m'y donnerent bien des attaques pour du vin de Piémont ,.
Arriva, alfine, il sospirato nettare, e l'imbarazzo dell’amba-
sciatore, importunato da tante domande, tutte rispettabili, cresce
a dismisura, trovandosi alle prese coll’arduo problema di dover
contentare molti con poco. Pure, non si perdette d'animo, e
procedè arditamente alla distribuzione, da lui specificata in let-
x
I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 415
. tera dell’11 febbraio 1669, e abbastanza caratteristica, perchè
meriti di venir qui riprodotta, tanto più che vi figura un nuovo
prodotto della Savoia, che in seguito ritornerà spesso. La distri-
buzione comincia, come di ragione, dal gran Colbert: “ Je lui ai
envoyé (ivi si legge) six barils de vin de Piémont, une caisse
de fromage (i rinomati wacherins savoiardi) et une caisse de
rosoly; il fit quelque difficulté de l’accepter ,, ma finì coll’ac-
cettare. “ J'ai fait un pareil présent (continua il San Maurizio)
à MM. de Lionne, Le Tellier et Bellefond, à mesdames de Chev-
reuse et d’Arquien, à MM. les maréchaux d’Estrées et Duplessis,
et è MM. de Laon et marquis de Coeuvres; tout ensemble j'ai
fait aussi remettre les essences è madame de Laon. — Quand
les barils ont été remplis, il ne s’en est trouvé que 51; j'en ai
déjà fait distribuer 38: j'en ai encore 13 que je donnerai dans
des bouteilles aux Nonce et ambassadeur de Venise, au Grand
Prieur, au maréchal de Grancé, au marquis de Pienne, au duc
de Navaille, au sieur de Bonceuil ,; e chi più ne ha, più ne
metta; “ parceque (egli conchiude) j'ai toujours besoin d’eux. ,
Argomento non dubbio della già sperimentata virtù di que’re-
gali nelle occorrenze del suo ministero.
Il fatto si è che il successo e il gradimento, per parte dei
regalati, non potevano essere maggiori, e non è a dire quanto
l'ambasciatore se ne compiacesse: “ J'ai quasi fait tous les pré-
sents (egli scriveva): on ne parle d’autre chose: le roi a bu du
vin et mangé du fromage; il a trouvé excellents l’un et l’autre. ,
Figurarsi l'entusiasmo eccitato da quella straordinaria degna-
zione per parte del Re — Sole! Il male si era, che i regali non
crescessero all’avvenante delle mani, che, da tutte le parti, gli
si stendevano per ottenerne: “ Il faudrait (soggiungeva) bien
avoir ici de ce vin: tout le monde en demande effrontément;
le chevalier de Lorraine en a envoyé prendre: monsieur le Duc,
au nom de sa maîtresse, la belle vene du comte de Marey et
jusqu’aux filles de la Reine: il a fallu leur donner du fromage (!). ,
Qual mortificazione pel povero ambasciatore nel dover rimandare
tante sì belle ed influenti dame con qualche prosaica forma di
cacio! Fortuna, che gli fu poi dato di meglio trattarle nelle
successive distribuzioni, che continuarono di mano in mano du-
rante la sua lunga ambasciata.
L'esempio dato dal marchese di San Maurizio era stato
416 | —DOMENICO PERRERO
tale, che doveva animare i suoi successori nella legazione di
Parigi a non lasciarlo cadere; ed, infatti, le spedizioni di quei
regali furono da essi continuate sin verso lo scorcio di quel se-
colo, vale a dire sino alla rottura delle relazioni fra Luigi XIV
ed il duca Vittorio Amedeo II. Ancora negli anni 1687-88,
quando le corrispondenze fra i due paesi cominciavano già ad
inasprirsi, la confidenza del marchese di Dogliani nell’efficacia
dei regali in discorso, come più innanzi si è detto, perseverava
viva più che mai. Infatti, il marchese di Louvois (nome uggioso
al Piemonte) essendosi, col nostro ambasciatore, lasciate sfug-
gire minacce tali, le quali potevano far presentire, che qualche
cosa di grave si stava disponendo a danno del Piemonte, e di-
ventando indi urgente di penetrarne i disegni, — mentre il Duca
non vedeva altro mezzo da ciò, che il guadagnare col denaro
qualche influente personaggio della corte, il Dogliani invece,, pur
non osando scartare siffatto spediente, cercava, come meno ar-
rischiato, e tuttavia non meno efficace, di farvi concorrere l’an-
tico sistema de’ piccoli regali, come appunto spiegavasi nel suo -
dispaccio del 27 settembre 1688: “ Pour découvrir (ivi si legge)
les desseins que le roi pourrait avoir... il est bien certain,
comme V. A. R. le remarque, que l’argent en est un bon moyen...
Mais il faudrait pour cela qu'il y eùt ici un fond entre les mains
de M. Planque (Agente ducale a Parigi) cu de quelque autre
personne, comme d’un banquier, du quel je pusse disposer sans
étre obligé d’en rendre compte qu’à V. A. R. — Quelque pré-
sents aussi de bouteilles de vin ou de resoly de Piémont à des
certaines personnes qui aiment fort ces bagatelles, serviraient
beaucoup è les gagner, et V. A. R. ne saurait croire combien
je me suis fait d’amis par ce moyen. ,
Ma le cose precipitarono, e ne susseguì bentosto la guerra,
che obbligò le due corti a pensare a tutt’altro che a regali; e
così le vecchie tradizioni a tale riguardo restarono interrotte,
non sì però, che non venissero poi riprese nel secolo seguente,
sebbene col mezzo di altri prodotti, come vedremo.
Nel fratempo, la stessa usanza era anche passata, facendovi
ottime prove, nella nostra ambasciata di Roma, dove pure mi
propongo di tenerle dietro. Se non che, trovandomi, sul cam-
mino, la città di Firenze, vi farò una breve sosta per prender
atto dell’autorevole testimonianza dal Gran Duca, Ferdinando II,
I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 417
fino conoscitore quant’altri mai, renduta alla bontà del nostro
rosolio. Venutogli a notizia, che Luigi XIV faceva frequente uso
di questo liquore, fu preso dal desiderio di assaggiarlo, e, per
mezzo della contessa Fabroni, intrinseca colle due corti, ne fece
richiesta a Mad® Reale Cristina di Francia, con lettera del 2
aprile 1654: “ J'ai recue (ivi diceva la contessa) une petite com-
mission de Madame la Grande Duchesse ... LL. AA. voulurent
savoir de moi si j'avais sgu, du tems que j'ai eu l’honneur de
voir V. A. R., qu'elle envoyàt au roi son neveu, une chose ap-
pelée Rosolie, de la quelle, on a dit au Gran Duc que le roi boit
au lieu de vin... Le Grand Duc me parla aussi de certaines
eaux de vie que l’on fait en Piémont, et aurait curiosité d’avoir
un peu de l’un et de l’autre... , i
In quegli anni le relazioni tra le due corti erano, ben più
che in altri tempi, amichevoli e quasi cordiali, giacchè qualche
mezza trattativa di matrimonio erasi iniziata e si andava col-
tivando per mezzo appunto della Fabroni. Onde Madama Reale
non fu lenta ad appagare il Gran Duca facendogli pervenire
tutte le varie specie di rosolio in voga; nè Ferdinando fu meno
sollecito a fargli giungere, in un co’suoi ringraziamenti, il risul-
tato, al tutto soddisfacente, del fattone assaggio: “ M. le Grand
Duc (rescriveva la contessa il 30 stesso aprile)... a trouvé le ro-
solie excellent; il en boit quelquefois les après-dînée avec de
l’eau glacée; je crois que ce n'est pas la fagon que l’on le boit
en Piémont. Le Grand Duc, dans ces choses-là, invente tous les
jours quelque chose de nouveau... Je ne saurais dire è V. A. R.
laquelle sorte de ces rosolis a été trouvée la meilleur... je sais
seulement qu’elles ont été trouvées très bonnes. ,
A questa autorevole sanzione data ai nostri rosolj da un
giudice così competente, vedremo ora far coro l’applauso del-
l’alta società Romana, che pur era, di lunga mano, assuefatta a
ben altri regali e di ben altro pregio. A differenza però di
quanto aveva luogo a Parigi, a Roma, il rosolio veniva sovente
accompagnato colle confetture del Mondovì; perciocchè, egli è
da sapere, che l’arte di manipolare lo zucchero e di candire
abilmente i frutti, vantava i suoi più celebri maestri, non già
nella capitale del Piemonte, ma sì bene a Mondovì, dove la
stessa famiglia reale era obbligata di mandare ad istruirsi e
a praticarsi le persone, che, in qualità di confettieri, chiamava
418 DOMENICO PERRERO
al servizio della corte, come appunto avvenne nel 1682, a pro-
posito di un giovane colà mandato a perfezionarsi in quell’arte
da Madama Reale Giovanna Battista, e sul conto del quale così
scriveva, il 2 ottobre, il marchese della Chiesa di Cinzano, go-
vernatore del Mondovì: “ Oggi è qui giunto il giovane, che
V. A. R. desidera che impari a far le confetture bianche, e da |
V.A.R. mi viene imposto collocarlo con uno de’ più periti di
quest'arte. Il che ho subito eseguito e con il confettiere di
questa città, che è riputato il più intendente di tutti gli altri
che vi siano ,.
Si comprende, quindi, che trattandosi d’inviare regali di con-
fetture a personaggi cospicui, quelle di Mondovì dovessero ot-
tenere il posto d’onore, come, tra altre volte, ebbe luogo nel
1676, in occasione della solenne offerta fatta allo stesso ponte-
fice Innocenzo XI, nelle seguenti circostanze: Madama Reale, il
23 dicembre, scriveva al conte Orazio Provana, suo ambascia-
tore a Roma, come infra: “ Sono giunte dal Mondovì le confet-
ture e s’invieranno costì... Voi ne farete quel miglior uso con
cotesti signori cardinali e prelati, che si conviene al fine, che
si ha, di dare un’annuale ricognizione a qualche numero di car-
dinali e di prelati, che si procurerà da voi di rendere ben pro-
pensi, per tutte le occorrenze di questa rea] Casa. , — Il 23
febbraio 1677, il Provana rispondeva, che le confetture erangli
giunte ben condizionate, e che il primo regalo di esse e di ro-
solio l’aveva fatto al Card. Pio; indi soggiungeva: “ Stavo pen-
sando se dovevo mandarne altrettanto ad ognuno dei tre mi-
nistri di palazzo, ma dubitai che forse potrebbero essere ricusati. ,
Chi mai avrebbe creduto, che quegli, il quale tanto dubitava
dell’accettazione dei ministri, quegli stesso osasse poi ripromet-
tersela dal Pontefice? Eppure così fu; ed il fondamento di tale
sua presunzione stava tutto nello Scalco del papa, piemontese,
che il conte Provana diceva molto suo amico. Sull’assicurazione
da questo avuta, che il regalo avrebbe incontrato il gradimento
del suo padrone, il Provana diede l’incarico all’Agente ducale,
Paolo Negri, di farne la presentazione, che ebbe effettivamente
luogo nel mattino del 23 detto febbraio, nel modo, che esso
Agente ebbe a riferire il giorno stesso ne’ seguenti termini :
“ Questa mattina, sono stato da S. Santità con dodici bacili di
confetture, e due casse di rosolio, le quali monsignor Scalco
w rà É LÌ
+ ide è
I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 419
i (che è suddito di S. A. R.) ha fatto porre sopra di una gran
. tavola nella stanza dove il papa doveva mangiare, le quali per
la quantità facevano una superbissima comparsa. In questo re-
galo la Santità S. ci ha fatto un grandissimo onore, mentre si
è partito dalle proprie stanze dell’udienza, per venire a ricevere
il regalo suddetto. E stando io nella detta camera, è venuto il
papa, al quale ho fatto il complimento: la Santità Sua è rimasta
attonita in rimirare così gran numero di bacili carichi di con-
fetture e le due casse de’ rosolj, e mi ha domandato di che
luoghi erano, e volsutele vedere, mi ha ordinato di aprirne e,
scopertene di molte, ha S. Santità gustato un poco di agresto
col fiore di melangolo dentro. Mi ha poi detto che il signor
Residente gli aveva mandata una bottega intiera, e che era
troppo generoso. Rivoltosi verso le casse de’ rosolj, mi ha chiesto
a che serviva quel liquore, ed io le ho risposto, che conferisce
molto alla sanità, la quale tutto il mondo cristiano desidera
infinitamente alla Santità Sua, che supplicavo, in nome del signor
Residente, di dargli la consolazione, che lo potessi assicurare,
che S* Santità gli perdonava l’ardire, che aveva preso in man-
darle queste bagattelle. Mi replicò, ch’era un superbissimo re-
galo, e che ringraziava molto il signor Residente. , — E per
non lasciar dubbio sulla sincerità di quel gradimento, soggiunse,
in ultimo, avergli poi lo Scalco detto, che il papa ne aveva di-
scorso un pezzo a tavola.
Il 3 marzo seguente lo stesso Negri scriveva al marchese
di San Tomaso, che si era quindi fatta la distribuzione delle
confetture e de’rosolj ai cardinali e prelati specificati in una nota
annessa, nella quale si leggono inscritti i cardinali Pio, Carlo
Barberino, Altieri, Azzolino, Massimi, Spada, Litta, Vidone, Al-
bizi, Vuard, D’Estrées, ambasciatore di Francia, monsignor Alto-
viti, segretario della Congregazione dell’immunità ed altri, vale
a dire quanto di più cospicuo noverava il Sacro Collegio e la
prelatura romana.
Ben poteva quindi dirsi, avere il Provana condotta a buon
fine un’ardua impresa; onde, immaginandosi d’averne acquistato
un titolo di benemerenza verso la Casa reale, stava attenden-
done i complimenti per parte della duchessa. Quale pertanto fu
il suo disinganno nel ricevere la lettera del ministro, nella
quale, invece di rallegrarsene, faceva intendere, essere stata la
420 DOMENICO PERRERO
duchessa poco meno che mortificata dello sfarzo con cui erasi
fatta la presentazione al papa di un regalo in sè stesso di un
pregio così poco proporzionato alla dignità del donatario, non
meno che alla propria. — “ Non vedo (scriveva il desolato am-
basciatore, difendendosi alla meglio), che costì si sia fatto un
gran applauso all’onore, che mi fece S* Santità, di ricevere il
regalo, che presi l’ardire di mandargli, anzi mi pare, che sia
convenuto all’E. V. di scusare quest’atto. Eppure, è stato uno
de’ maggiori vantaggi, che abbia ricevuto il mio carattere, perchè
il papa non ammette alla sua presenza, se non i presenti degli
ambasciatori regj e delle principesse di prima riga, ricevendosi
gli altri dal maggiordomo o dallo Scalco. Onde, essendo S* San-
tità partita dalla sua camera dell'udienza, e venuta in altra
stanza a ricevere il regalo, ed avendolo eziandio assaggiato alla
presenza del mio mastro di camera, non poteva farmi un onore
più singolare. ,
Che il povero ambasciatore abbia o non convinto Madama
Reale della convenienza del suo operato, poco importa al mio
soggetto, bastandomi di aver chiarito, che i nostri confetti e ro-
solj erano dai cardinali e prelati romani gustati ed apprezzati
per modo da essere ritenuti come “ buon mezzo per renderli
propensi a tutte le occorrenze della real Casa , giusta l’espres-
sione, con cui la duchessa ne accompagnava la spedizione al
Provana.
E questo favore, riguardo al rosolio in ispecie, perdurò lun-
gamente, come ne fanno fede le ulteriori spedizioni ogni poco
fattesene. Mi arresterò ad una sola di esse, che ebbe luogo 50
anni dopo, notabile specialmente per la persona dell’ambascia-
tore, che se ne servì; intendo parlare del marchese Ferrero
d’Ormea. — È noto, che egli, nel 1725, risiedeva in Roma, in-.
viatovi da Vittorio Amedeo II per l’aggiustamento delle intri-
cate controversie ecclesiastiche da più anni vertenti fra la corte
di Torino e la Santa Sede; come pure sono note le acri oppo-
sizioni, che molti membri del sacro Collegio sollevavano contro
le buone intenzioni verso il re, del pontefice Benedetto XIII.
L’Ormea sapeva benissimo quanti e quali erano i suoi av-
versari, ma sapeva pure, ad un tempo, quanta fosse, in quel
paese in ispecie, la potenza dell’auri sacra fames, e perciò, prima
di avviarvisi si era ampiamente fornito di tutto l'occorrente per
I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 421
espugnare certe fortezze, che, per arrendersi, altro non aspet-
tavano, che di venire attaccate. Fedele al mio proposito di non
addentrarmi nei misteri delle corruzioni diplomatiche propria-
mente dette, malgrado la tentazione, che il personaggio me ne
offre, mi restringerò a dire, che, pur avendo a sue mani i grossi
regali, a cui lo abilitavano le ragguardevoli somme lasciate a
piena sua disposizione, non credette tuttavia di poter dispen-
sarsi dal mettere in opera anche i piccoli regali soliti distribuirsi
dai suoi predecessori, giacchè questi, nel suo concetto, dovevano
servire come di tasto e di avviamento per quelli. Si è con questo
intendimento, che egli ne faceva espressa domanda al re Vittorio
con sua lettera del 14 aprile, nel modo che segue: “ Crederei
opportuno, che S. M. mi facesse avere una mezza dozzina di
casse di rosolio, con due di tabacco, per farne alcuni regali a
misura che anderò prevedendone il buon uso; e già, sino da
ieri, il signor cardinale Alessandro Albani dimostrò di gustare
il tabacco di Piemonte, ed, il giorno avanti, il Merlini, e con
essi feci divisione di quello, che mi ero portato meco ,.
La voga del rosolio, come si vede, continuava tuttora, ed
intanto un’altra cominciava a farsi strada a favore del tabacco
del Piemonte, e vuolsi intendere del tabacco in polvere da an-
nasare. Vittorio Amedeo II, vista la consumazione straordinaria,
invalsa e sempre più crescente di detto tabacco sì in Piemonte,
come negli altri paesi finitimi e massime in Francia, pensò di
crearsene una rendita per le sue Finanze, rendendone indigene
la produzione. e la fabbricazione. Fece, a tal effetto, a cura e
per conto del governo, mettere in punto, giusta le migliori
regole, diverse estese piantagioni di tabacco nei territorj di
Stupinigi, di Mirafiori, della Crocetta, della Venaria ed in altri
dello Stato, e chiamati da riputate fabbriche estere, i più esperti
dell’arte, pervenne, mediante il segreto di squisite concie, con
grandi artifizi e dispendi procuratosi, a far manipolare la pre-
giata foglia in modo da incontrare il genio de’ buongustai. Se
non che le guerre, che desolarono il Piemonte durante una buona
parte della metà del secolo scorso, interruppero sgraziatamente
in sul più bello questa industria, che prometteva non pochi nè
lievi vantaggi al nostro paese.
Ho accennato all’uso smodato, nel tempo, di cui si tratta,
invalso del tabacco da fiuto; aggiungo ora (cosa appena credi-
422 DOMENICO PERRERO
bile), che le grandi dame erano quelle, che specialmente si se-
gnalavano in questa moda, venutaci dalla grande legislatrice
delle mode, la Francia. La duchessa d’Orleans (la palatina) n’era
indegnata: “ C'est une chose affreuse “ (scriveva essa, nel 1713,
in termini che ben improntano il suo naturale); “ C'est une chose
affreuse que.ce tabac... Cela me met hors de moi de voir ar-
river toutes les femmes d’ici (scriveva da Parigi) avec leur nez
sale, comme si elles l’avaient, sauf votre respect, frotté dans
la boue, et fourrer leurs doigts dans les tabatières des hommes;
il faut que je crache de dégout , (1).
Questa moda non poteva a meno di passare anche in Pie-
monte, ed a farvela signoreggiare bastava l’esempio di una
dama, che della moda ben poteva dirsi regina nel nostro paese,
voglio dire la celebre contessa di Verrua. A costo di sfrondare
di qualche raggio l’aureola di questa seduttrice Sirena, devo
produrre alcune cifre estratte dai conti de’ Tesorieri ducali, le
quali fanno fede della sfrenata manìa di lei per la polvere Ni-
coziana. Nel volume del Controllo Camerale, 1697-98, fra le molte
svariate spese, inscritte a servizio della medesima, si legge
anche la seguente, che trascrivo letteralmente: “ Tabacs expédiés
l'année courante 1697 pour service de madame la comtesse de
Verrua, livres 5822 , (!); e nell’annessavi nota, sottoscritta dalla
Verrua, si portano in una sola volta, sotto il 20 9bre, livres 400
tabac supérieur à la fleur d’orange; e queste eran libbre di peso,
che importarono, in un solo mese, una somma di L. 2400 in
denaro. Ben so, che tutto ciò non era a solo uso della Verrua,
ma anche de’ suoi amici, a cui ne faceva regalo, ma ciò, oltre
alla quantità de’ suoi amici, prova pure un andazzo straordi-
nario di stabaccare nella più alta e più gentile parte della so-
cietà d’allora. Non è quindi a stupire se, nell'inventario del-
l'eredità della Contessa si trovino registrati nientemeno che 60
vasi da tabacco, e 228 tabacchiere d’ogni forma e d’ogni ma-
teria.
Si comprende benissimo, ciò stante, come un regalo di ta-
bacco del Piemonte, offerto da un regio ambasciatore, potesse
venire gradito, come una dimostrazione di stima e di preferenza,
(1) Corresp. de Mad. duchesse d'Orléans, par E. Jacglé, 1880, vol. II,
p. 131.
pr ET 7, PS n: Set
LA
STIA EVA I I TI One
I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 423
da cardinali e prelati, e come l’Ormea, pur disponendo di altri
mezzi d'influenza ben più potenti, abbia stimato di dover gio-
varsi anche di questo.
In quel mentre, un altro nostro prodotto andava acqui-
stando, nelle corti straniere, riputazione e favore, minacciando
di cacciare ogni altro di nido; ed era il tartufo. Questo vege-
tale, quasi trascurato in addietro, aveva, verso il principio del
secolo scorso, cominciato ad attirare, in particolar modo, l’at-
tenzione e le cure degli agronomi e de’ gastronomi. Il Piemonte,
a tale riguardo, specialmente dalla natura favorito, anzichè at-
tendere dagli altri paesi l'impulso e l’esempio per trarre da
questo favore di natura, tutti i vantaggi possibili, era in obbligo
di precederli e di farsi loro duce e maestro, ed invero non fallì
punto a tale suo obbligo.
Un nostro latinista e poeta di vaglia, Bernardo Vigo, nel
1776, stampò in Torino, ad onore de’ tartufi, un poemetto in-
titolato: Tubera terre, il quale, anche oggi, può leggersi con
gusto dagli amatori delle elegartze virgiliane e dei tartufi. Nella
prefazione, in buona prosa latina premessavi, l’A., rendendo ra-
gione del prescelto argomento, dice, aver, con esso, inteso d’illu-
strare una gloria ed una fonte di ricchezza specialmente propria
di alcune regioni subalpine, singolarmente privilegiate di siffatta
produzione. “ Ed a comprovare siffatto privilegio (egli soggiunge)
ciò solo basta, che essendosi sovente, presso parecchie nazioni,
eccitato il desiderio di farne ricerca nelle proprie terre, tornò
sempre vana ogni diligenza usatavi dagli indigeni, vana ogni
opera. Ma che dico: dagli indigeni? Mandati dai re Vittorio
Amedeo II e Carlo Emanuele III andarono altre volte in Ger-
mania, in Francia ed in Inghilterra, coi più eletti cani, i nostri
più esperti cacciatori... e, sebbene allettati con grandi premi,
e dallo stesso loro amor proprio vivamente stimolati, nulla omet-
tessero d’industria nè di fatica, tuttavia non ispuntarono mai
di far paghi que’ principi forestieri (che, dicesi, avessero più
d’una volta spettatori e quasi cooperatori nelle loro ricerche)
nel giustissimo desiderio, pel quale erano stati ad essi mandati...
non essendo mai riusciti a scoprirne di tali, che e pel colore e
per la squisitezza del profumo e del sapore, non fossero di gran
lunga inferiori ai nostrani ,.
Non credasi, che il Vigo, trascinato dall’entusiasmo poetico,
424 DOMENICO PERRERO
o dall’ambizione di accrescere importanza al proprio soggetto,
abbia inventati i fatti da lui accennati, od esageratili, coloran-
doli più del dovere colla sua immaginazione. Il poeta ha, in
questa parte, rigorosamente adempiti i doveri di storico, inspi-
randosi alla pura realtà delle cose, confermata dai più espliciti
documenti. — La Francia si vanta de’ suoi tartufi del Périgord:
non discuto siffatto vanto, perchè ne sarei giudice affatto in-
competente, e quindi mi attengo unicamente alla questione di
fatto, ed è che i loro Sovrani, nel secolo scorso, e ancora nel
principio di questo, hanno, sempre quando l'occasione se ne pre-
sentava, data la preferenza ai tartufi del Piemonte, come ben
mostrano le spedizioni, che di questi si andavan facendo alla
corte di Francia dai nostri principi, alle volte spontaneamente e
spesso anche in conseguenza delle richieste della corte stessa,
trasmesse dai nostri ministri colà residenti.
Per non dilungarmi di soverchio in citazioni, toccherò di
una sola, che le varie precedenti, in certo modo, riassume e
comprova.
Correva il mese di dicembre del 1814, e perciò erano ap-
pena trascorsi pochi mesi dacchè il re Luigi XVIII aveva fatto
il suo ingresso in Parigi dopo restaurata la monarchia. Egli è
quindi facile immaginarsi da quali e quante cure dovesse tro-
varsi assediato in que’ primordj di un regno ancora vacillante.
Eppure (chi lo crederebbe?), in mezzo a tante e sì gravi cure,
e dopo 25 anni di rivoluzione e d’esiglio, la memoria dei tar-
tufi piemontesi sotto l’antica monarchia assaporati, trovò modo
di farsi strada nel suo animo e di farglieli sospirare per modo,
che il conte di Jaucourt, suo ministro, dovette ricorrere al mar-
chese Alfieri, ambasciatore nostro a Parigi, perchè glie ne pro-
curasse al più presto una spedizione, come questi appunto fece
scrivendo il seguente dispaccio al conte di Vallesa: “ Le comte
de Jaucourt m’avait dit, il y a quelques jours, que S. M. lui
avait parlé de son désir de réavoir des truffes de Piémont,
comme avant la révolution, et qu'il allait en écrire au marquis
d’Osmond (ambasciatore francese a Torino). Je lui ai répondu
que j'en attendai un envoi qui était en route, et que s’il voulait
se charger d’offrir celles-ci, en attendant, à S. M., je me croyais
trop heureux de pouvoir lui en faire hommage. Il m’a dit que,
certes, il s'en ferait un plaisir et qu’elles seraient fort agrées.
I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 425
Mais, malheureusement, grace au tems syrocal, et celui qu’elles
restent en route, je les ai regues toutes pourries. Jugez, Monsieur
le Comte, comme cela m’a contrarié, d’autant plus qu’elles vont
finir... autrefois la cour en faisait d’envois considérables ici... ,.
Questo desiderio di Luigi XVIII, che si rinnovassero le antiche
spedizioni dei nostri tartufi alla sua corte, mentre aveva a sua
disposizione quelli indigeni del Perigord, non prova certo la
precellenza di questi sopra quelli, massime trattandosi di un
giudice di quella competenza ch'era il re.
Nè minore era il gradimento, che a Vienna incontrava il
prezioso nostro vegetale. Malgrado la pace del 1736, le rela-
zioni fra la nostra corte e quella di Vienna erano fredde an-
zichè non: Maria Teresa era non poco amareggiata dalle cessioni,
a cui aveva dovuto acconsentire a favore della Casa di Savoia;
il che fastidiva non poco il conte di Canale, che doveva andarvi
ambasciatore. Si fu allora, che il marchese di Breglio, il quale
molto onorevolmente l’aveva preceduto in quell’ambasciata, gli
suggerì, che, lasciata alquanto sbollire quella irritazione, avesse
ricorso al solito rimedio de’ piccoli regali, da lui stesso già spe-
rimentata efficace. Il fatto giustificò il suggerimento, chè, grazie,
un poco, all'influenza del rimedio, e, molto, all’abilità di chi
ebbe ad applicarlo, dopo qualche anno, le relazioni tra le due
corti si fecero più cordiali, e la stessa Maria Teresa prese a ri-
cambiare con prelibato vino di tokai, i regali dai nostri principi,
per mezzo dell’ambasciatore, offertile.
Fra questi regali, al tartufo veniva sempre attribuito il
posto d’onore, velunt inter ignes — Luna minores. Qualche estratto
della corrispondenza diplomatica metterà meglio sott’occhio la
cosa. — “ L’Intendant de la maison du Roi (scriveva al Canale
il Segretario Cav. Raiberti) vous expedie par la Poste deux
caisses è votre adresse, dont l’une contient net 42 livres de
truffes, et l’autre six vacherins, que S. M. fait envoyer à
LL. MM. Impériales , (20 xbre 1766). Il conte di Canale accu-
sando la ricevuta della spedizione, scriveva: “ S. M. l’impéra-
trice de mème que l’Empereur ont été sensibles è cette attention.
Les truffes étaient fort bien conservées, quoique gélées, et pourvu
qu’on les garde dans une chambre froide jusqu'au moment qu'on
les sert, elles ne perdent rien de leur bonté , (1° del 1767).
— Ed infatti il Canale rescriveva pochi giorni dopo: “ L’Im-
426 DOMENICO PERRERO
pératrice reine fait bien des remercimens è S. M. pour les
truffes et les vacherins, dont elle a fait garder trois parts pour
sa table ,. Il che prova, meglio delle parole, il reale suo gra-
dimento.
Il Canale, che aveva suggerito di aggiungere ai futuri re-
gali, anche le pernici rosse denominate in Piemonte bdertavele,
con lettera del 14 xbre 1769, così facevasi ad acquetare gli
scrupoli del Raiberti, a cui erasi supposto, che le dette pernici
fossero comuni anche a Vienna: “ J'ai regu (scrivevagli) la cas-
sette avec les truffes et les 18 perdrix rouges, qui ont été pré-
sentées à LL. MM. Impériales par M. le Comte de St. Julien
Grand-Maitre de cuisine... Tout est arrivé bien conditionné et
a été fort agrée, LL. MM. m’ayant fait recommander de beau-
coup remercier le Roi de son souvenir et de son obligeante
attention... Je vous assure qu'on a ici un soin particulier des
truffes, qu'on les pèse è la cour et que l’impératrice en fait la
distribution. — Pour ce qui est des perdrix rouges, je ne sgais
pas comment on peut dire qu’elles sont communes à Vienne;
il en vient très rarement du Tyrol et elles sont d’une espèce
différente et très inferieures aux dertavelles. Feu le marquis de
Breil, qui le sgavait bien, m’en donna douze pour le chancelier
de Zinzendorf, très entendu en bonne chère, lorsque je vins à
Vienne pour la première fois: le chancelier en fit grand bruit,
comme d’un régal. Ainsi, ce fut là un trait d’erudition que
jappris dans les premiers instants de mon séjour è Vienne ,.
Si è poco dianzi accennato ai regali di vino Tokai soliti
farsi dalla corte di Vienna alla nostra. Di questi regali, che,
molto frequenti fin da principio, finirono col diventare quasi
annuali (1). Non farò menzione che di uno solo, perchè si con-
nette con un avvenimento, il quale, a que’ giorni, menò gran
rumore e avrebbe forse potuto dar luogo ad importanti conse-
guenze, se coi desideri di Maria Teresa e colle speranze di
Carlo Emanuele III, avesse potuto andar d’accordo il genio del-
(1) Il conte di Scarnafigi, succeduto al Canale nell’ambasciata di Vienna,
il 3 dicembre 1774, scriveva al suo ministro a Torino: “ M. le comte de
St-Julien m’a "annoncé ces jours passés, qu'il avait déjà regu les ordres
pour me remettre le vin de Tokai que l’impératrice est dans l’usage d'envoyer
à S. M. TOUS LES ANS ,.
I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECO. 427
l’imperatore Giuseppe Il; intendo parlare della visita, che questi
fece. nel 1769, alla nostra corte, visita, alla quale si annetteva
generalmente il disegno di matrimonio con una delle principesse
reali, nè senza fondamento. E a tale visita appunto alludeva
il conte di Canale nel suo dispaccio del 9 9bre del detto anno,
nell'occasione dell’invio, per parte dell’imperatore di due fusti
di Tokai: “...Le comte de St. Julien, qui en avait la commission,
m'a dit que c’était l’empereur et non l’impératrice, qui avait
destiné le vin pour le Roi... L’Empereur (aggiungeva l’ambascia-
tore) m’ayant fait l’honneur hier de m’adresser la parole m'a
encore parlé beaucoup de Turin, se servant des termes les plus
expressifs pour marquer le plaisir qu'il avait eu de s’entretenir
avec S. M. et la famille royale, et combien il desirerait d’étre
à portée de se procurer cette satisfaction et apprendre du Roi
l’art de gouverner , (1).
Quale assegnamento era da farsi sulla sincerità di siffatta
dichiarazione? Nulla osando affermare, ritorno ai nostri tartufi,
riguardo ai quali almeno si può essere certi della sincerità sì
dell’imperatore come della imperatrice nella espressione del loro
gradimento, autenticata, com'era, dal fatto. Perciocchè, mentre
altre volte, come si è veduto, degl’inviati tuberi riservate tre
parti per la famiglia imperiale, la residua quarta parte veniva
da essi distribuita ai ministri e principali personaggi della corte,
ultimamente, omessa ogni distribuzione, tutti se li riservavano
per la sola famiglia imperiale. Ciò non metteva conto al nuovo
ambasciatore conte di Scarnafigi, succeduto in quel mentre al
conte di Canale, perchè avendo sempre bisogno di que’ ministri
e personaggi, avrebbe voluto vederli gratificati almeno di quel
poco, come per l’innanzi. Ond’è che, con dispaccio 3 8bre 1774,
ricordando a Torino la solita spedizione de’ tartufi, soggiungeva:
“ Si dans la susdite expédition, V. E. trouve à propos d’en faire
ajouter une petite quantité pour distribuer à deux ou trois des
principales personnes de cette ville, Elle me mettra è meme de
continuer une attention pratiquée par le feu comte de Canal,
et pour laquelle on lui ètait très reconnaissant ,.
(1) Sull’eccellenza di quel Tokai così scriveva il Canale: “ Il faut que
le Roi conserve ce vin pour sa bouche et sa famille, car, pour de l’argent,
je ne pourrai pas en trouver de semblable , (25 ottobre 1764).
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 31
428 DOMENICO PERRERO
L’avvertenza fu riconosciuta giusta, e allora e poi sempre
la piccola aggiunta mai non mancò a simili spedizioni, e l’esito
fu quale era previsto, come lo stesso Scarnafigi, soddisfatto, si-
gnificava anche l’anno successivo 1755: “ Samedi, 23 de ce mois
(décembre), j'ai recu par une estafette, quatre caisses, savoir:
deux de truffes, une de vacherins, et l’autre de dertavelles. Le
tout étant arrivé dans le meilleur ètat possible, je me suis em-
pressé de le faire remettre tout de suite à S. M. l’imperatrice.
Jai gardé è ma disposition la plus petite des caisses, conte-
nant des truffes pour les distribuer aux principaux ministres de
cette cour qui m’en sgavent un gré infini ,.
In questo stato di cose, era naturale, che i principi delle
corti estere, i quali avevano mostrato di gustare ed apprezzare,
come si è veduto, i tartufi del Piemonte, sentissero il desiderio
d’indagare se ne’ propri Stati allignasse l’ambito vegetale. Giusta
il metodo primitivo, più generalmente allora praticato, la cerca
o caccia se ne faceva col concorso di un ausiliario dall’odorato
infallibile, è vero, ma dal grugnito inamabile. Gli Inglesi, in
ispecie, così esigenti in fatto di pulizia, ne rifuggivano assolu-
tamente, preferendo di abbandonare alla terra il prezioso suo
tesoro, al doverlo all’abilità di un siffatto collaboratore. Ed essi
infatti, furono a giorni nostri i creatori della miglior razza di
cani per la caccia de’ tartufi. — Nel tempo, però, del quale si
tratta, questo vanto spettava al Piemonte. Presso di noi, era
di buon’ora invalso l’uso di tale caccia per mezzo de’ cani;
ond’è che i ragguardevoli esteri viaggiatori, che, nelle loro pe-
regrinazioni per l’Italia, facevano qui, d’ordinario, una prima
sosta, vi pigliavano, volentieri, parte, come ad un passatempo
nuovo per essi, il quale alle emozioni della caccia della selvag-
gina, univa il vantaggio, prezioso agli amici degli animali, di
non costare pure una goccia di sangue. Il perchè, rimpatriati,
tanto que’ gentiluomini si lodavano e del vegetale e del modo
di cacciarlo, che fecero più d’una volta sorgere in qualche estera
corte amica la vaghezza di avere dai nostri principi e uomini
e cani abili e addestrati a tale caccia per poter goderne ed ac-
certarsi, ad un tempo, della esistenza o non, ne’ loro paesi, del
pregiato vegetale.
Due di siffatte richieste vennero a mia notizia e credo bene
di qui ricordare. La prima rimonta al 1723, e venne dalla
| LT O RE TA LTT
a
I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 429
Francia per parte del giovane re Luigi XV, come il conte An-
nibale Maffei, ambasciatore Sardo a Parigi, ne informava il
marchese Delborgo, ministro sopra gli affari esteri, con dispaccio
del 27 7bre: “ M. le Comte Merville (ministro sopra gli affari
esteri francese) m’a fait entendre que le Roi souhaitait d’avoir
trois ou quatre bons chiens élevés è la chasse des truffes avec
un homme entendu è celà et propre à les diriger et à les
nourrir... n’osant pas les demander au Roi, son grand père (Vit-
torio Amedeo Il) ,.
Da Torino fu bensì, d'ordine di Vittorio Amedeo, spedito.
l’uomo con quattro cani al nipote (piccato forse nei rimproveri,
che spesso ne riceveva per la vita troppo molle ed oziosa che
menava), ma dell’esito di quella spedizione tace la corrispon-
denza del Maffei.
Molto più complete e specifiche sono le notizie lasciateci
sull’altra consimile spedizione fattasi ventotto anni dappoi sotto
Carlo Emanuele II, in occasione di altra richiesta pervenu-
tagli, per mezzo della legazione britannica in Torino, da parte
del vincitore di Culloden, il duca Guglielmo di Cumberland, se-
condo genito del re Giorgio II d'Inghilterra. Piacque al nostro
re, in quella occasione, non solo di soddisfare il duca, ma di
dare anche a tale soddisfazione una specie di solennità, affine
di fare spiccare agli occhi del pubblico, non meno che della
corte stessa di Londra il suo studio di coltivare l’antica ami-
cizia tra la sua dinastia ed il governo britannico. Gli è in
questo senso che il Cav. Ossorio, ministro sopra gli affari esteri,
così scriveva, con dispaccio del 4 7mbre 1751, al conte di Per-
rone, nostro ambasciatore a Londra:
“ Le Roi ayant su que M. le duc de Cumberland souhaite
d’avoir des chiens dressés è la chasse des truffes, et un homme
entendu à les mener et à en dresser d'autres en Angleterre,
S. M. a saisi avec plaisir cette occasion de satisfaire le désir
de S. A. R., et en conséquence des ordres qui avaient été donnés
pour trouver ces chiens, l’on en a fait partir huit, ces jours
passés, sous la conduite de deux chasseurs entendus è cette
sorte de chasse; lesquels sont adressés è M. le marquis de St.
Germain (ambasciatore sardo a Parigi), qui est chargé de
donner les dispositions pour la continuation de leur voyage
Jusqu'à Londres, et pour l’envoi d’une caisse àè votre adresse,
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 31*
430 DOMENICO PERRERO
contenant l’habillement dont le bureau de la maison du Roi les
a fait pourvoir. — Vous les présenterez avec les chiens à S.A R
en lui témoignant le plaisir que S. M. se fait de les lui pro-
curer. Le nom des deux chasseurs est Vachina frères, et quant
aux chiens, àges et marques se trouvent détaillés dans la note
ci-jointe. — Il faudra que vous preniez le soin de faire pourvoir
les deux hommes d’un chapeau bordé à l’anglaise ou d’un bonnet
à l’anglaise, selon que vous jugerez plus à propos. Je suis bien-
aise de vous ajouter, au sujet des susdits chasseurs, que celui
qui est marié, ne doit point se laisser engager à demeurer en
Angleterre; pour l’autre, qui est gargon, il y peut demeurer y
trouvant ses convenances ,.
Tutto andò a seconda de’ presi concerti; ad eccezione di
un cane perdutosi in cammino, tutti, uomini e bestie, giunsero
alla loro destinazione, ed il conte di Perrone potè, al giorno ap-
puntato, che fu il 26 di ottobre, farne la solenne presentazione
a Windsor, coll’esito, che, due giorni dopo, significava al re
stesso ne’ seguenti termini: “ J'ai été avant hier è Windsor, et
jai'eu l’honneur de présenter è Monseigneur le duc de Cum-
berland les chiens qu’Elle lui a envoyés. Il en a été extréme-
ment content, et m’a très fort recommandé d’en témoigner sa
vive reconnaissance à V. M. et de l’assurer que l’on ne saurait
étre plus sensible qu'il l’est, de la facon dont Elle a cherché
à lui faire plaisir dans cette occasion. Il a voulu aller tout de
suite è la chasse des truffes; j'ai eu l’honneur de l’accompagner,
mais il n'a pas été possible d’en trouver, et j'ai grande peur
qu'il n'y en aye aucune dans les environs. — Quoiqu'il en soit,
il est certain que ce présent lui a été très agréable, surtout
parce qu'il vient de la part de V. M., ce qu'il n'a cessé de
me répéter ,. Ed in lettera a parte all’Ossorio, aggiugneva:
“ Le tout ensemble avait bonne mine, et Monseigneur en a été
extrémement content ,.
Il duca però non si lasciò scoraggiare da quel primo vano
tentativo, e la sua perseveranza venne ben presto coronata da
felice successo, che il Perrone sollecito notificava a Torino, colla
soddisfazione, quasi, con cui avrebbe annunziata una vittoria
diplomatica: “ Hier, enfin (scriveva li 11 9bre) les chasseurs ont
trouvé, prés de Windsor, les truffes qui ont la méme odeur que
les notres. Le duc de Cumberland en a été enchanté ,. — Che
I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC. 431
ne fu del cacciatore scapolo, che aveva la licenza di rimanere
al servizio del Duca? Riuscì egli a fondare quella scuola di am-
maestramento dei cani indigeni, per cui sopratutto era stato
chiamato? E la prima trovata del vegetale fu ella una ecce-
zione, od il principio di un raccolto continuato? Fu realtà o
non piuttosto mera compiacenza pel duca l’allegata somiglianza,
quanto all’odore, del tubero allora trovato, col nostrano? Le
carte tacciono affatto a tale riguardo, ma la tradizione contem-
poranea, trasmessa dal Vigo, affermava, come vedemmo, che i
tartufi, allora trovati “ e pel colore e per la squisitezza del-
l'odore e del sapore, erano di gran lunga inferiori ai nostri ,
a detta dei cacciatori reduci dall'Inghilterra.
Quanto ai cacciatori, tutto induce a credere, che quegli dei
due fratelli, il quale era autorizzato a starsene in Inghilterra,
vi sia realmente rimasto più o meno lungamente sino a com-
piuto raggiugnimento dello scopo, per cui eravi stato chiamato,
tanto più che il primo sperimento felicemente riuscito dovette
incoraggiare sempre più il duca nel suo proposito. Questo è
certo, in ogni modo, che deve aversi in conto di una mera leg-
genda ed anzi di favola, il racconto, che un giornale francese
| spaccia a questo riguardo, riportandolo però da una Rivista in-
glese, in questi termini: “ Par un curieux caprice de l’ histoire,
c'est un Espagnol, qui a enseigné aux Anglais l’art de chercher
les truffes... Etait-ce un matelot echappé au désastre de l’Ar-
mada, qui au lieu de poursuivre une légitime vengeance, appor-
tait un immense bienfait aux ennemis de sa patrie? Est-ce un
aventurier? Un vagabond? Ce problème historique n'est pas en-
core élucidé, mais il n’en est pas moins hors de doute que
l’Angleterre doit è un Espagnol le seul progrés sérieux qu'elle
ait réalisé depuis trois cent ans dans l’art culinaire , (1).
Lasciando, senz’altro, agl’Inglesi, quando così stimino, la
cura di difendersi dalla taccia di essere in ritardo di qualche
secolo nel progresso dell’arte culinaria, ritengo, che il problema
storico sopra accennato debba oramai dirsi risolto, e risolto a
favore del Piemonte, a fronte dei documenti dianzi prodotti,
dai quali risulta, che, prima del 1751, in Inghilterra non era
(1) Figaro, Supplém., Longmans Magazine, 1895.
432 DOMENICO PERRERO — I REGALI DI PRODOTTI NAZIONALI, ECC.
ancora accertata l’esistenza dei tartufi, come prodotto indigeno,
e tanto meno n’era in uso la caccia, giacchè in quell’anno ap-
punto, risulta, aver avuto luogo, come spettacolo straordinario
e nuovo, il primo esperimento di siffatta caccia, e questo per
mezzo d’uomini e di cani fatti, a tale scopo appunto, venire
dal Piemonte. Infino a che, pertanto, con documenti di eguale
chiarezza ed autorità di quelli sopra addotti, non si verrà a
provare, che un altro anteriore consimile esperimento siasi fatto
o dal supposto marinaio Spagnuolo, o dal preteso avventuriere
e vagabondo o da chiechessia altro, si può e si deve senza più
affermare, che tutte le ipotesi come sopra affastellate dallo scrit-
tore francese, non sono che “ sogni d’infermi e fole di romanzi ,
ed i piemontesi sono in diritto di rivendicare per sè l’ onore
d'essere stati i primi scopritori del prezioso tubero in Inghil-
terra, ed i maestri agl'Inglesi del modo di farne la caccia e di
addestrarvi i cani. Ho detto: l’onore; qualcuno osserverà: Dove
mai l’onore va a cacciarsi! Per rispondere a questo scrupoloso
mi affido ai gastronomi, che sanno apprezzare al suo giusto va-
lore questa perla del regno vegetale, e alla estensione ed im-
portanza, che la sua coltivazione e il suo commercio vanno di
giorno in giorno acquistando.
Relazione sul lavoro del Dott. Lurei ScaraParELLI, intitolato:
“ Origini del Comune di Biella ,.
I sottoscritti presero in esame il lavoro del D' Luigi
Schiaparelli, che si intitola: Origini del Comune di Biella.
Ecco, in riassunto, gli argomenti trattati in questo lavoro.
Principia l'Autore dal raccogliere le notizie riflettenti l’età
classica, quando il territorio biellese faceva parte dell’ager Ver-
cellensis. Le notizie per quest'epoca sono assai poche, sicchè l’A.,
dopo brevi pagine, entra nell’età media e discute il diploma di
Lodovico il Pio dell’anno 826, nel quale per la prima volta si
ricorda espressamente la villa detta Bugella. La discussione
RESO CT e n A CE 1 O
E e
MITI, È Lea ———__— CITE: TO
433
intorno a questo diploma offre campo ad indagini sulla persona
di Bosone, che in esso è menzionato, sulla geografia del sito in
relazione a Biella e ad Ivrea (del cui celebre marchesato l'A.
parla con qualche larghezza), e sopra questioni secondarie.
Partendo dai risultati storico-geografici ottenuti dall'esame
del diploma dell’anno 826, l'A. si inoltra a considerare le carte
posteriori, fra le quali abbondano relativamente i diplomi impe-
riali, venendo sino all’età di Federico I Barbarossa, e giunge a
stabilire con piena certezza che cosa era il territorio Biellese,
ossia — secondo la terminologia antica — il “ totum Bugellense ,.
Fino dal secolo IX cadente i vescovi di Vercelli esercita-
rono, per quanto pare, giurisdizione civile sul territorio di Biella;
questo fatto che trova la sua lontana radice nella condizione
territoriale dell’età romana, viene accuratamente studiato dall’A.,
dopo esaurita la parte geografica. Confrontando tra loro i non
pochi documenti che direttamente o indirettamente riguardano
questo argomento, siano essi diplomi o carte pagensi, lA. riesce
a' determinare l’estensione giuridica dei diritti episcopali ver-
cellesi, e neltempo stesso incontra i primi indizi della vita popo-
lare e comunale. Questi primi indizi egli li trova anzitutto stu-
diando la condizione della proprietà, la quale era o ecclesiastica,
o della pars publica, o dei consortes, o dei vicini, o dei privati.
Naturalmente per l’A. ha sopratutto importanza la proprietà
dei vicini. Così la questione riflettente l’autorità episcopale si
collega alla questione economica, e questa si coordina alle ri-
cerche sull'origine del comune. È quasi inutile avvertire che
anche per Biella, come per tante altre località, la eliminazione
degli ordini pubblici carolingici, a mezzo dell’autorità episco-
pale, servì indirettamente, ma efficacemente allo sviluppo del
comune. Per Biella poi ci fu da parte dei vescovi vercellesi
anche una prossima cooperazione alla mutazione avvenuta negli
ordini antichi.
Dovendo l’A. determinare esattamente le relazioni dei ve-
scovi di Vercelli con Biella, espone con minutissimi particolari,
in gran parte basandosi su documenti inediti, l’amministrazione
della Chiesa di Biella, i diritti dei canonici e del loro prepo-
sito, ecc., e studia la supremazia della Chiesa di Vercelli, spie-
gandone con molta precisione i diritti e i doveri.
Pare che l’assestamento definitivo dei Biellesi in forma di
434
associazione comunale si debba ad alcune concessioni fatte loro
dal vescovo Uguccione, che visse ai tempi di Federico I. L'A.
chiarisce questo punto per quanto gli è possibile; tuttavia, per
mancanza di documenti, forse non riesce a metterlo in tutta
quella luce, che la nostra curiosità desidererebbe. Ma egli fa
quanto gli è possibile, senza omettere di illuminare anche le
questioni di contorno, tra le quali ricordo la discussione sui
boni homines; a Biella si principia a incontrarli appunto a questo
tempo, ed essi accennano agli ordinamenti comunali ormai in-
trodotti o prossimo ad attuarsi. I consoli compariscono soltanto
più tardi.
Non trascura l’A. la ricerca etnografica, basandosi sulle pro-
fessioni di legge. Egli non ignora le obbiezioni che in qualche
caso si possono fare sul significato di una professione di legge,
ma pur sa che, nella considerazione di molte professioni, gli
errori mutuamente si elidono, così che per questa via si può pur
sperare di giungere ad un buon risultato. I documenti che egli
esamina, sono abbastanza numerosi e vanno dal 988 al 1197,
ed essi provano che l'elemento etnografico preponderante era il
romano, ma erano abbastanza forti anche gli elementi longo-
bardo e salico. Assai per tempo si trovano nelle carte alcune
parole che accennano al volgare, che si andava costituendo e
svolgendo.
Così termina il nucleo del lavoro. Fa seguito una lunga
nota dedicata a ricerche diplomatiche sulla composizione delle
carte pagensi a Biella. Sono queste indagini importanti, in
ispecie per la soluzione dei gravi quesiti che possono sorgere
sull’autenticità dei documenti.
Viene poi una scelta di documenti inediti (dal secolo XI
alla fine del XIII), tolti e trascritti con cura dalle pergamene
esistenti negli Archivi di Biella.
A tutto questo segue un’Appendice, nella quale l'Autore
tratta alcune questioni riflettenti i Vittimuli, la storia dei quali
si collega intimamente colle origini di Biella. Quest’appendice
si divide in vari paragrafi. Nel primo l’A. riassume in breve la
discussione fatta intorno al passo di Strabone, dove è parola
della aurifodina Vittimulense. Più importanti sono i paragrafi
II, III e IV, nei quali l’A., seguendo il filo raccolto nel $ I, e
facendo uso di fonti edite e inedite, nonchè dei risultati della
PETE e E e —__ Co —r———m————m——————m——@—@—@
rr —_—
435
ispezione locale da lui stesso fatta, e mettendo fra loro a riscontro
notizie archeologiche e diplomatiche, rifà la storia del pago e
del castello dei Vittimuli tra l’età classica e l’età medioevale.
A parere dei sottoscritti il lavoro del D." Schiaparelli reca
veramente nuova luce sulle origini del Comune Biellese, sia per
i documenti inediti da lui studiati, sia per il metodo scientifico
con cui esaminò gli atti già conosciuti. Essi ritengono quindi
che il lavoro del D" Schiaparelli possa venir letto alla Classe.
Torino, 2 febbraio 1896.
BoLLaTI DI ST-PIERRE
DomENICO PERRERO
C. CrpoLLa, Relatore.
L’ Accademico Segretario
Ermanno FERRERO.
_AVINA__—
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA
Dal 12 al 26 Gennaio 1896.
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio;
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono.
** Abhandlungen der k. Preussischen geologischen Landesanstalt. N. F.,
Heft 17, Atlas. Berlin, 1895; 8° e 4°.
* Abhandlungen herausg. von der Senckenbergischen Naturforschenden
Gesellschaft. Bd. XIX, Heft. II. Frankfurt a. M., 1895; 4°.
* Almanach der k. Akademie der Wissenschaften. 1894. Wien, 1894; 8°.
* American Journal of Science. Editors James D. and Edward S. Dana.
4* ser., Vol. I, n. 1. New-Haven, 1896; 8°.
* Anales de la Universidad (Republica Oriental del Uruguay). Tomo VII,
Entr. 4%. Montevideo, 1895; 8°.
* Annales de la Société Royale Malacologique de Belgique. T. XXVII,
Ann. 1892. Bruxelles; 8°.
Annuario publicado pelo Observatorio do Rio de Janeiro para o anno de
1895. Rio de Janeiro, 1894; 8°.
* Atti della Società toscana di Scienze naturali residente in Pisa. Memorie,
vol. XIV, 1895; Processi verbali, vol. IX, pp. 243-310.
* Berichte der Naturforschenden Gesellschaft zu Freiburg I. B., IX Bd.,
1894-95; 8°.
* Bulletin de la Société impériale des Naturalistes de Moscou. Ann. 1894,
n. 4. Moscou, 1895; 8°.
* Bulletin du Muséum d'’histoire naturelle, année 1895, n. 7. Paris, 1895; 8°.
Bulletin of the United States Geological Survey, n. 118-122. Washington,
1894; 8° (dal dipartimento dell'Interno, U. S. geological survey).
* Bulletins du Comité Géologique de St-Pétersbourg, 1894, t. XII, n. 4-6;
suppl. au T. XI Bibliothèque Géologique de la Russie, 1893. St-Péters-
bourg, 1894; 8°.
Calendario del Santuario di Pompei per l’anno 1896. Valle di Pompei; 16°.
* Denkschriften der k. Akademie der Wissenschaften. Mathem.-natur-
wissenschaftliche Classe. Bd. 61. Wien, 1894; 4°.
Geologic Atlas of the United States. Fol. 1-6, 8-12. Washington, 1894; f°
(dono del Governo degli Stati Uniti d’ America).
* Journal of Comparative Neurology; Vol. VI, pp. 139-214 + XLIII-CII.
Cincinnati, Granville, Ohio, 1895; 8°.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 437
* List of the Members of the R. Irish Academy, 1895. Dublin; 8°.
* Mémoires de l’Académie Imp. des Sciences de St.-Pétersbourg. Classe
physico-mathématique. 7° série, t. XLII, n. 7-12; 8° série, t. I, n. 1-8.
St.-Petersbourg, 1894; 4°.
* Mémoires du Comité Géologique de Russie. T. XIV, n. 1. St-Pétersbourg,
1895; 4°.
* Memoirs of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College.
Vol. XVIII. Cambridge U. S. A., 1895; 4°.
* Memoirs of the California Academy of Sciences. Vol. II, n. 4. San Fran-
cisco, 1895; 4°.
Monographs of the United States geological Survey, vol. XXIII, XXIV.
Washington, 1894; 4° (Department of Interior).
* Proceedings of the Royal Irish Academy. Third series, vol. III, n° 4.
Dublin, 1895; 8°.
* Proceedings of the Royal Society. Vol. LIX, n. 353. London, 1896; 8°.
* Proceedings of the Zoological Society of London for the year 1395.
Part III. London; 8°.
* Proceedings of the Academy of natural Science of Philadelphia. Part ],
1895; 8°.
* Proceedings of the American Philosophical Society held at Philadelphia.
Vol. XXXIV, n. 147. Philadelphia, 1895; 8°.
* Proceedings of the California Academy of Sciences. 29 Ser., vol. IV,
part 2. San Francisco, 1895; 8°.
* Procès-Verbaux des séances de la Société Malacologique de Belgique.
T. XXIV, 1895, pp. I-LXXXIV. Bruxelles; 8°.
Report (14 Annual) of the United States Geological Survey 1892-93.
Washington, 1893-94, 2 vol. in-4°.
Scuola di Agricoltura presso la R. Università di Torino. A. II, 1395-96; 8°
(dal Comizio Agrario di Torino).
* Sitzungsberichte der K. Akademie der Wissenschaften. Mathem.-natur-
wissenschaftliche Classe. CITI Bd., Abth. I, n. 4-10; II a, 6-10; II b, 4-10,
III, 5-10. Wien, 1894; 8°.
* Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXVIII, fasc. 12. Modena.
1895; 8°.
* Transactions of the R. Irish Acad. Vol. XXX, part XV-XVII. Dublin,
1895; 4°.
* Transactions of the Zoological Society of London. Vol. XII, par. 11. 1895; 4°.
* Transactions ofthe American Philosophical Society, held at Philadelphia.
Vol. XVIII, N. 5, Part. II, 1895; 4°.
* Transactions of the Wagner Free Institute of Science of Philadelphia.
Vol. 3, p. III. 1895; 4°.
* Transactions of the Academy of Science of St-Louis. Vol. VI, n. 18;
VII, n. 1-3. 1895; 8°.
Gambera (P.). Delle proprietà dei miscugli dei gas perfetti. Salerno, 1895
(dall’A.).
438 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologicne.
Dal 19 Gennaio al 2 Febbraio 1896
* Abhandlungen der philologisch.-historischen Classe d. k. Sàchsischen
Gesellschaft der Wissenschaft. Bd. XVII, n. 1. Leipzig, 1895; 8°.
* Annuario della R. Accademia dei Lincei, 1896. Roma; 16°.
Annuario della R. Università degli studi di Torino per l’anno accademico
1895-96. Torino, 1896; 8°.
* Archiv fir òsterreichische Geschichte. Herausg. von der zur Pflege vater-
lindischer Geschichte aufgestellten Commission der k. Akad. der Wis-
senschaften, B. 81, 2 Halfte. Wien, 1895; 8°.
Atti dell’Accademia Pontaniana. Vol. XXV. Annuario pel 1896. Napoli,
1895; 4° e 16°.
* Atti del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. T. LIII, Appendice.
Venezia, 1895; 8°.
* Bibliotheca Indica: A Collection of Oriental Works published by the
Asiatic Society of Bengal. New series, n. 860-865, 867; Catalogue of
the Persian Books and Manuscripts. Fasc. III. Calcutta, 1895; 8° e 4°.
* Boletin de la Real Academia de la Historia; t. XXVII, cuad. I. Madrid, —
1896; 8°.
* Foutes rerum aastriacarum. Esterreichische Geschichts-Quellen. Herausg.
von der Historischen Commission der k. Akad. der Wissenschaften in
Wien. XLVII Bd., 2 Halfte 1894; 8°.
Monumenta Conciliorum generalium seculi decimi quinti. Concilium Basi-
leense. Scriptorum, t. III, pars III. Vindobonae, 1895; 4°.
* Sitzungsherichte der k. Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-
Historische Classe. CXXXI Bd., Jahr. 1894. Register zu den Banden
121 bis 130. Wien, 1894; 8°.
* Studi e Documenti di storia e diritto. Anno XVI, fasc. 4°. Roma, 1895; 4°
(dall’ Accademia di Conferenze Storico-giuridiche).
Lilla (V.). Di un precursore sconosciuto di Antonio Rosmini. Napoli, 1895; 4°.
Marre (A.). Vocabulaire des principales racines Malaises et Javanaises de
la langue Malgache. Paris, 1896; 3°.
Piette (Ed.). Hiatus & lacune. Vestiges de la période de transition dans
la grotte du Mas-d’Azil. Beaugency, 1895; 8° (dall’A.).
Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi.
Rec’d.£8 July--12 Sapt. 1896
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 9 Febbraio 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’OVIDIO
DIRETTORE DELLA CLASSE
Sono presenti i Soci: Berruti, FeRRARIS, Mosso, SPEZIA,
Giacomini, Segre, VoLtERRA, JADANZA e NaccarI Segretario.
Viene letto ed approvato il verbale della precedente adu-
nanza.
Il Segretario comunica la lettera di ringraziamento inviata
dal Prof. MrrrA6-LEFFLER recentemente eletto Socio Corrispon-
dente.
Il Socio D’Ovipio presenta una nota del Socio nazionale
non residente BrroscHI intitolata: “ Il risultante di due forme
binarie biquadratiche e la relazione fra gli invarianti simultanei
di esse ,, e ne parla. La nota ha forma di lettera diretta al
Socio D’OvipIo; sarà inserita negli Atti.
Il Socio SeGrE, membro della Commissione incaricata di
esaminare una memoria del Prof. Rodolfo BerTAZZI intitolata:
“ Fondamenti per una teoria generale dei gruppi ,, annunzia che
l’autore ha ritirato quella memoria. Lo stesso Socio presenta
quindi una nota del medesimo autore la quale porta il titolo:
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 32
440
«“ Sulla catena di un ente in un gruppo ,, ed è estratta dalla
memoria anzidetta.
Sarà inserta negli Atti.
Vengono pure accolti per l'inserzione negli Atti le note
seguenti:
“ Sui principî che reggono la geometria di posizione »,
nota del Prof. Mario Pieri, presentata dal Socio NAccARI a
nome del Socio Peano.
“ Osservazioni meteorologiche fatte durante l’anno 1895
all'Osservatorio della R. Università di Torino , calcolate dal
Dott. G. B. Rizzo, presentate dal Socio NaAccarI.
FRANCESCO BRIOSCHI — IL RISULTANTE DI DUE FORME, ECC. 441
LETTURE
IMrisultante di due forme binarie biquadratiche e la relazione
fra gl’invarianti simultanei di esse.
(Lettera di F. BRIOSCHI ad E. D’OVIDIO) (*).
Preg."° Collega,
Il prof. Bertini nel 1877, Ella nel 1880, si occuparono del
sistema simultaneo di due forme binarie biquadratiche, e delle
relazioni o sigizie esistenti fra gli invarianti ed i covarianti
simultanei delle forme stesse. Nel volume XV degli Atti di
codesta Accademia, Ella ha fatto conoscere la relazione esi-
stente fra gli otto invarianti simultanei delle due forme, rela-
zione di sesto grado rispetto ai coefficienti dell’una e dell'altra
forma. Il Bertini, iniziatore di queste ricerche, aveva già dimo-
strato che una sola relazione poteva esistere fra quegli inva-
rianti; ma, rispetto al grado di essa, i risultati non coincidevano,
mentre pel Bertini saliva al dodicesimo, per Lei, come già dissi
{#) Mi tengo onorato di comunicare all'Accademia, da parte dell’autore,
la seguente lettera direttami dal socio Sen. F. Brioschi, nella quale l’illustre
scienziato, applicando un suo recente ed importante teorema, perviene con
rapidità ed eleganza a trovare simultaneamente il risultante di due forme
binarie biquadratiche, espresse mediante i loro invarianti fondamentali e la
relazione esistente fra gl’'invarianti medesimi. Altre notizie circa quest’ul-
tima relazione, oltre quelle accennate dall’autore, si trovano nella mia nota
“ Sopra alcune classi di sigizie binarie , (Atti Acc. Torino, v. 28). Ivi os-
servai che la relazione, nella forma datale dall’egregio sig. B"° v. Gall, cer-
tamente conteneva un fattore superfluo, e sospettai che questo fosse D (se-
condo la notazione, da lui e da me adottata); e così credette poscia anche
il v. Gall. Ma qui il Prof. Brioschi trova che il fattore superfluo è D I
(secondo la mia notazione), ossia D — È AA (secondo la notazione del v. Gal).
E. D'0.
442 FRANCESCO BRIOSCHI
al sesto, e più tardi, cioè nel 1888 (“ Mathematische Annalen ,,
Bd. XXXIV, pag. 335) il sig. v. Gall la dichiarava dell’ ottavo
grado.
, Un teorema che ho di recente comunicato alla Società
Scientifica di Erlangen, sulle soluzioni comuni a due equazioni,
potendo trovare opportuna applicazione anche a ricerche di
questa specie, mi indusse a ritornare sull'argomento, nello scopo
altresì di chiarire con un esempio il nuovo metodo.
Come si vedrà più avanti questo metodo conduce diretta-
mente all’unica relazione esistente fra gli otto invarianti simul-
tanei, e questa relazione è del sesto grado. Ma prima parmi
opportuno dimostrare che la relazione del sig. v. Gall non è
che apparentemente del grado ottavo, ma che essa riducesi al
sesto, e precisamente a quella già da Lei calcolata (*).
Sieno g, w le due forme binarie biquadratiche, ed a, c i
due covarianti di esse:
1 1
a= (99 _e=3 (Yy:
Definisco gli otto invarianti simultanei come segue:
1 1
A= > (pp), C= 9 (yy), E= (yi, K= (ac),
D= (pe), A=(ya,, G=(ga,, H= (yo);
e pongo:
6KT—-.AC= P, E° — 4AC=Q
2HA—D)=U DA—GH=V 2(6D—A)=W
inoltre:
1=P_1Q m=—DE+CA+AH, n=4E—AD_—06
1 Ng > DX
x=—10P+U, u=xEP+V, v=—gAP+W.
(*) Con analoga calcolazione, ma più complicata, può ottenersi il me-
desimo risultato per la relazione del prof. Bertini.
IL RISULTANTE DI DUE FORME BINARIE BIQUADRATICHE, Ecc. 443
Indico infine con L e con M i due determinanti:
ACHE O
VER LATE EV
IST,
Ome, 1
MO # mi w
ee
ed osservo che:
= 1
ma 9 mn
Ro
2 m DA
n VW
eguale cioè al determinante M nel quale siasi posto P= 0.
Ora la espressione denominata R nella citata memoria del
sig. v. Gall, è la seguente:
risulta quindi che nella sua relazione:
2R° —M=0
i termini indipendenti da P spariscono, e la relazione stessa
divisa per P diviene del sesto grado. Essa prende così la sem-
plice forma:
8P° — 3QP° — 3.4(3P — QQL'— 3°.4.(UW — V°) —
— 3.4(Am° + Emn + On°)= 0.
,
A A questa relazione si giunge direttamente nel seguente
444 FRANCESCO BRIOSCHI
modo. Supponiamo che le equazioni p(x)= 0, y(a)=0 am-
mettano una soluzione comune y, e sia:
pla=((e-ya), ya =e—- NB.
Pel teorema che ho sopra citato un invariante simultaneo
delle forme ®, w, invariante (p, 9, 0) si esprime in funzione di
invarianti e covarianti simultanei delle forme a, $, funzione
(2,9% Pt 9.
Infatti, fra le 26 forme le quali costituiscono il sistema
completo di due simultanee forme cubiche, considerando le undici:
1
a,B, h= 3 (ac), g= (a, k= (B8:, 5=(08)
t=2(ch), t=2(B%), «== 2(0%), ve=2(B4), J= (08)
cioè dieci covarianti ed un invariante: trovasi che i valori degli
otto invarianti simultanei delle forme biquadratiche ®, yw, sono:
5)
1 1
D= E (IR8_-34), A=— <&(Jd +30)
3 b) 1 3 (c
nei quali covarianti, alla x intendesi sostituita la soluzione co-
mune y.
Ora il sig. v. Gall ha dimostrato (“ Mathem. Annalen ,,
Bd. XXXI, pag. 438) che fra quelle undici forme sussistono le
quattro relazioni:
tB- va — 2h3=0 ta —- uB+ 2ks=0
st= ga — ka° — hp°, ua — oB=JaB — g3
e non altre.
Sostituendo nelle medesime pei sette covarianti È, g, £,
u, v, t,t, i valori dedotti dalle equazioni superiori si deducono
@
Mai" dele
IL RISULTANTE DI DUE FORME BINARIE BIQUADRATICHE, ECC. 445
quattro relazioni fra gli otto invarianti A, E, C..... ele Ja, JB;
e quindi dalla eliminazione di queste ultime, due relazioni fra
gli otto invarianti. L’una di esse è del quarto grado (4, 4, 0),
ed è il valore del risultante delle due forme @, w, da Lei pub-
blicate negli Atti di codesta Accademia nel gennaio del 1880,
risultante che nel caso attuale deve annullarsi. L'altra è la
relazione (6, 6, 0) fra gli otto invarianti simultanei, della quale
già dissi sopra.
Posto:
Ja=4p, Jg=54g, /T=pP.Q
nell'ultima delle quali le P, Q, hanno i valori indicati sopra, le
quattro relazioni sono:
p+ 4A4p—4Gg=AT
g—4Dq+4Hp=CT
3 9 il
Cp° — Epg + Ag=- T°, pag = ET + 4(A4g—Dp).
Sostituendo nella terza i valori di p°, pg, 9° dati dalle
altre tre si ottiene la:
mp + nq = — 5 TBT+ 8Q)
e dalla eliminazione delle pa, p9° le altre due relazioni lineari
ITm=|£U+ ro]p+[e#.v_-t TE ]q
ITn=|£V-1 TE |p so) [#w+TA] q
Moltiplicando la prima di queste per p, la seconda per 9,
osservando essere:
Up' + 2Vpg + Wg*== TL
446 RODOLFO BETTAZZI
si giunge per la precedente alla:
3T?-+ 4TQ+ 2.4L= 0
o sostituendo il valore di T, alla:
5 1 3_
P Ae A sie e + 6L=0
risultante delle due forme ©®, y.
La eliminazione delle p, g, riconduce alla relazione (6, 6, 0),
quando si tenga conto della precedente.
Aggradisca, caro Collega, i miei affettuosi saluti.
Sulla catena di un ente in un gruppo;
Nota di RODOLFO BETTAZZI.
Per la brevità e chiarezza del linguaggio premettiamo alcuni
schiarimenti e definizioni.
a) In tutto quello che segue la parola gruppo indicherà
un gruppo di enti di natura qualunque.
Useremo in generale pei gruppi le denominazioni proposte
dal Dedekind nel suo opuscolo: “ Was sind und was sollen die
Zahlen ,; dove dovremo aggiungerne o modificarne qualcuna,
sarà detto esplicitamente.
5) Diremo legame di più gruppi (Gemeinheit del Dede-
kind (1)) il gruppo di tutti e soli gli enti ad essi comuni.
c) Diremo che due gruppi G, e G, sono in corrispondenza,
quando sia data una rappresentazione simile (2) di G, su una
parte, propria o no, di G,, o di G, su una parte di G,. In tale
rappresentazione un ente e la sua immagine si diranno corri-
(1) DepekInp, Was sind und was sollen die Zahlen (Braunschweig, 1888),
N. 17:
(2) DepEKIND, /. c., N. 21, 26.
| ; SULLA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO 447
‘spondenti: gli enti di un gruppo che non hanno corrispondenti,
si diranno isolati.
Î d) Se in una corrispondenza di un gruppo G con sè stesso
l’immagine di una parte G' di G (che può constare anche di un
‘solo ente) è lo stesso G', diremo che in tale corrispondenza G' è
un ciclo, che sarà parziale se G' è parte propria di G.
Se nessuna parte propria di un ciclo è ciclo essa stessa,
| diremo semplice il ciclo.
e) Diremo sviluppabile il gruppo che il Dedekind dice in-
finito (unendlich (1)), cioè quello che è simile ad una sua parte
propria.
1. — Sia una parte G, di un gruppo G simile ad un’altra
G, dello stesso gruppo (distinta o no da essa) in una corrispon-
denza a di G (o di una sua parte) con sè stesso. Se a è un
ente di G,, si indichi con ca il suo corrispondente in G,, e se d
è di G,, sia td il suo corrispondente in G,. Possono esistere in
G enti privi di ente 0, o di ente , o di entrambi.
Si indichi con (@)c ogni gruppo parte di G, che contenga un
ente a di G, e che, se contiene un ente di G, contenga anche il
suo ente 0 (quando questo esiste).
Def. 1°. — Diremo catena di a in G rispetto al criterio 0
il legame di tutti i gruppi (a)c (2).
La catena di un ente a esiste sempre, e si riduce ad «
quando non esiste ca. — Essa pure è un gruppo (a)c, e nessun
altro gruppo (a)c è sua parte propria.
Definizione analoga può darsi rispetto al criterio q.
Def. 22. — Diremo opposti i due criteri 0 e , ed opposte le
due catene di un medesimo ente rispetto a due criteri opposti.
2. Trorema. — Se bh è un ente della catena di a fatta in G
rispetto al criterio 0, la catena di b pure rispetto a 0 è parte di
quella di a.
(1) DepegINp, 2. c., N. 64. La ragione di questo cambiamento di nome
sta in ciò, che, come conto di mostrare in un’altra nota, è da modificare,
ampliandola, la definizione che il Dedekind dà del gruppo infinito.
(2) Il Depexinp (!. c., N. 44) parla di catene anche nelle corrispondenze
non simili; ma si restringe a quelle che diremo illimitate (cfr. $ 3 di questa
Nota).
448 RODOLFO BETTAZZI
. Altrimenti il gruppo legame delle due catene sarebbe un
gruppo (0) che non conterrebbe come parte l’intera catena di 5.
3. TEOREMA. — In una catena può esistere al più un ente,
del quale non vi sia in essa lente 0, ed al più uno privo in
essa di ente ©.
1° Se T è catena di « rispetto al criterio 0, e d è di
e non è a, qualora in T non esistesse tb, sopprimendo è in
resterebbe un gruppo (a)c di cui l non sarebbe parte ($ 1).
Dunque il solo ente @ può esser privo di ente rm.
2° Se b è un ente che in l è privo di ente o, si costruisca
la catena l' di è in l rispetto al criterio m. Essa, se contiene
un ente di F ne contiene il m, e quindi se non contiene un ente
non ne contiene il 0: perciò, se non contenesse a, non conter-
rebbe intera la catena f di a, e in conseguenza neppure d.
Dunque l’ contiene a. Ma per la 1% parte già dimostrata nel-
l’attuale teorema un solo ente di [" può esser privo di o (es-
sendo t il criterio di M) e questo è 5, dunque l’ contiene «
e il o di ogni ente che contiene, quando esiste, e in conseguenza
($ 1) contiene l, con cui dovrà perciò coincidere. È dunque vero
per T ciò che si è detto ora per l, ossia che il solo ente privo
di ente 0 è 5.
Osservazione. — In una catena di « rispetto al criterio 0,
il solo ente che può esser privo di t è a: nella catena rispetto
a t, a è il solo ente che può essere privo di o.
Def. — Una catena fatta rispetto al criterio o si dirà limi-
tata od illimitata, secondochè esiste in essa o no un ente privo
di ente 0; aperta o chiusa secondochè esiste in essa o no un
ente privo di ente T.
CoroLLaRIO. — Una catena aperta illimitata è un gruppo
sviluppabile (e).
4. Trorema. — Se la catena F di un ente a presa in G ri-
spetto al criterio 0 non consta di un solo ente ed è chiusa, è ca-
tena chiusa anche rispetto al criterio mi, ed in entrambi gli aspetti
è illimitata. |
Essendo F chiusa ($ 3, Def.), essa contiene l’ente mt di ogni
proprio ente. Costruendo in G la catena l” di a rispetto al criterio
t, essa dovrà dunque far parte di T.
ieri A dint
rr e
SULLA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO 449
Inversamente deve T essere parte di MT". Ed invero [” con-
tiene a. Inoltre contiene l’ente o di ogni ente, eccetto al più a
($ 3. Teor.), essendo fatta rispetto al criterio t; ma contiene
anche ca, altrimenti se mancasse in essa ca, mancherebbe l’ente
o di 0a (di cui ca è ente T) ed in generale mancherebbe il 0
di ogni ente che in essa manca, e quindi mancherebbe tutta la
catena T, eccetto a, il che è assurdo, poichè ma che è di T (es-
sendo F chiusa e non constando di un solo ente a), è anche
di [". Si conclude che F' contiene a e l’ente o di ogni ente che
contiene, e quindi tutto T.
I gruppi el’ sono ciascuno parte dell’altro, e quindi sono
identici, come si doveva provare.
Inoltre F', e quindi anche T, contiene l’ente o di ogni suo
ente: così [, e quindi [', contiene l’ente t di ogni suo ente;
perciò T el’ sono entrambi illimitate, c. d. d.
Cor. 1°. — Ogni catena chiusa non di un solo ente coincide
colla propria opposta.
Cor. 2°. — Ogni catena limitata è aperta.
Cor. 3°. — Una catena chiusa è un ciclo (d) nella corrispon-
denza da cui essa nasce.
5. TroREMA. — Nella corrispondenza da cui nasce una catena,
nessuna parte propria della catena è un ciclo.
Invero, se T è catena di a ed è T' un suo ciclo, l” non deve
contenere a, altrimenti conterrebbe l’intero T, di cui invece è
parte propria. Inoltre F' non può contenere l’ente o di nessuno
degli enti che esso non contiene, cioè non contiene nessun ente
di T, mentre al contrario dev’essere costituito con enti di T.
Un tale ciclo dunque non esiste.
Cor. 1°. — Ogni catena chiusa è un ciclo semplice nella cor-
rispondenza che l’ha prodotta ($ 4, Cor. 3°).
Cor. 2°. — Il gruppo composto di due catene opposte di un
medesimo ente a ($ 1. Def. 2?), che siano entrambe illimitate, è un
ciclo semplice nella corrispondenza da cui nascono le catene.
6. Trorema. — Una catena chiusa T di un ente a in un
gruppo G è in esso catena di uno qualunque dei propri enti rispetto
allo stesso criterio ed all'opposto.
450 RODOLFO BETTAZZI
Infatti, se è catena di a rispetto al criterio o e d è ente
di F, si ha che l contiene la catena T' di 5 rispetto a o ($ 2.
Teor.). Ma se l’ contiene un ente, contiene il suo ente 0, e quindi
se manca di un ente, manca anche del suo ente t, dato anche
che questo esista; e siccome se non contenesse a, dovrebbe per
tal ragione mancare di tutta la catena di a rispetto a m, che
è T stessa ($ 4. Teor.), e quindi anche di 5, il che è assurdo,
così si conclude che contiene l’ente @ e quindi ($ 2. Teor.) la
catena [ di a. Dunque T e l' si contengono a vicenda, cioè
coincidono c. d. d.
Così dicasi della catena di d rispetto a m.
7. Trorema. — Se in una corrispondenza priva di ciclì un
gruppo G ha per immagine una sua parte propria, esso si può
spezzare in un gruppo di catene aperte ed illimitate di enti di G.
Sia G' la parte propria di G, sua immagine nella corrispon-
denza a, e G, il gruppo degli enti di G, che non sono enti di G”.
Diciamo o di un ente di G la sua immagine: ogni ente di G
ammette l’ente 0, ogni ente di G' l’ente t, gli enti di G, sono
privi di n.
Si costruisca la catena, rispetto a 0, di ciascuno degli enti
di Gy: tali catene sono chiaramente aperte ed illimitate. Allora
1° “Due catene F, e T, di due enti distinti a e è di Gy
non possono avere enti comuni ,.
Altrimenti 5 non essendo di F, nè « di T,, giacchè a e d
non hanno ente ($ 3. Oss.), il legame di F, e T, se esistesse,
sarebbe composto di enti aventi ciascuno l’ente t e l’ente 0, e
quindi costituirebbe un ciclo nella corrispondenza contro l’ipotesi.
2° “ Ogni ente di G deve trovarsi in qualcuna delle ca-
tene ora costruite ,.
Infatti gli enti di G, vi si trovano per costruzione. Gli altri
sono quelli che ammettono in G il proprio o ed il proprio n:
talchè se un ente mancasse in tutte quelle catene, mancherebbe
pure il suo 0 ed il suo m. Il gruppo degli enti mancanti in tutte
quelle catene, se esistesse, costituirebbe un ciclo nella corrispon-
denza, contro l'ipotesi, e quindi non esiste.
Cor. 1°. — Se p è un ente di G, e G ha per immagine il
gruppo degli enti di G distinti da p in una corrispondenza priva
di cicli, sarà G catena aperta illimitata di p in tale corrispondenza.
n POI I I n TO
SULLA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO 451
Cor. 2°. — Se in una corrispondenza un gruppo ha per im-
magine una sua parte propria, esso, rispetto a quella corrispon-
denza, si spezza în un gruppo di catene aperte illimitate e di cieli.
8. TrorEMA. — Se in una corrispondenza a un gruppo G è
un ciclo semplice (d), esso in questa corrispondenza 0 è una catena
chiusa, 0 sì spezza in due catene aperte illimitate di criteri opposti.
L'immagine di un ente di G si dica suo ente 0; di ogni
ente di G esisterà allora l’ente o e l’ente m. Si costruisca la
catena l rispetto al criterio o di un ente qualunque a di G. Se
essa è chiusa, dev'essere identica all’intero gruppo G, altrimenti
($ 4. Cor. 3°) sarebbe un ciclo parziale nella corrispondenza, che
non esiste per ipotesi, essendo G un ciclo semplice. Il teorema
allora è provato.
Se l è aperta, è anche illimitata, non essendovi ente privo
di o. Essa allora non è identica a G, mancando almeno di ta
($ 3. Def.). In essa manca l’ente mr di ogni ente che vi manca,
perchè se un ente vi comparisce, vi comparisce anche il suo o:
dunque fra gli enti di G, che mancano in esso, vi è ta ed il t
di ogni ente che manca, talchè il gruppo l’ degli enti di G man-
canti in l è un gruppo (ma)z ($ 1). ET è precisamente catena
di ta rispetto al criterio t, giacchè altrimenti una tale catena
sarebbe illimitata e parte propria di [", ed il gruppo composto
di essa e di l costituirebbe un ciclo parziale, contro l’ipotesi.
Dunque l’intero gruppo è composto di T e di l', catene
illimitate rispetto a criteri opposti c. d. d.
Cor. — Se rispetto ad una corrispondenza in cui è ciclo sem-
plice, un gruppo non è catena chiusa di nessun suo ente, il gruppo
è sviluppabile ($ 3. Cor.).
Passiamo ora ad occuparci della ordinabilità delle catene.
f) Per le definizioni relative ai gruppi ordinati e bene
ordinati prenderemo quelle del Cantor, rese complete dal
prof. Burali-Forti, nella sua Nota: “ Sulle classi ordinate ed i
numeri transfiniti , (1) colle leggiere modificazioni che accen-
neremo.
(1) Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, tomo VIII.
452 RODOLFO BETTAZZI
g) In un gruppo ordinato ammetteremo che possano
esistere un ente senza precedenti ed uno senza seguenti. Cre-
diamo conveniente adottare quindi la seguente distinzione:
Diremo limitati i gruppi ordinati, in cui esiste un ente senza
precedenti ed uno senza seguenti: illimitati gli altri.
h) Per i gruppi bene ordinati renderemo un poco più
generale la definizione del prof. Burali-Forti, e così:
Un gruppo si dirà dene ordinato rispetto a 0 (0 a T) quando
sia ordinato, e di ogni ente, che ammette seguenti, esista l’im-
mediatamente seguente (o di ogni ente, che ammette precedenti,
esista l’immediatamente precedente).
i) I gruppi bene ordinati illimitati, in cui esiste un ente
privo di precedenti, e quindi (9) nessuno privo di seguenti, ed
ogni ente abbia l’immediatamente seguente, — e analogamente
quelli in cui esiste un ente privo di seguenti e non ve n’è nes-
suno privo di immediatamente precedente, si diranno ad un
senso (risp.: rispetto a 0 od a q).
Quelli in cui non vi sono enti privi di precedenti, nè enti
privi di seguenti, e, perchè bene ordinati, ammettono l’immedia-
tamente seguente o l’immediatamente precedente di ogni ente,
si diranno @ due sensi (risp.: rispetto a 6 od a n).
j) Nei gruppi bene ordinati, in cui ogni ente, tranne al
più uno, ha l’immediatamente seguente, diremo (quando esi-
stono) originario l’ente senza precedenti, finale quello senza
seguenti: in quelli in cui al più uno è privo di immediatamente
precedente, diremo invece inversamente originario l'ente senza
seguenti e finale quello senza precedenti, quando esistono.
9. Lemma 1°. — Dato un gruppo G, di cui p è un ente, se
G ha per immagine G-p (gruppo degli enti di G distinti da p)
in una corrispondenza a priva di cieli, esso è bene ordinabile e può
dare origine ad un gruppo bene ordinato illimitato ad un senso (1).
Se a è un ente di G, si indichi con 0 a il suo corrispondente
a' in G-p, ed allora a si indichi con ta’. Esisterà il o di ogni
ente di G, ed il tr di ogni ente di G, eccetto di p.
(1) Di questo lemma e del seguente non si riporta per disteso la lunga
ma non difficile dimostrazione, che si troverà completa in una nostra ulte-
riore pubblicazione: Fondamenti per una teoria generale dei gruppi.
SULLA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO 458
Si definisca allora il gruppo dei seguenti di un ente qua-
lunque a di G come il gruppo composto di tutti i gruppi pos-
sibili, formati con enti di G,in modo che:
1° non contengano da;
2° contengano 0 4;
3° se contengono un ente di G, contengano anche il suo
ente 0 (quando esiste).
Si vede senza difficoltà che tali gruppi esistono, e che obbe-
discono a quelle condizioni che sono richieste nel concetto di se-
guente affinchè il gruppo si dica ordinato; inoltre che di ogni ente
esiste l’immediatamente seguente e di p non esistono precedenti.
Il gruppo apparisce quindi bene ordinato, illimitato ad un senso.
Lemma 2°. — Dato un gruppo G, che sia ciclo semplice in una
corrispondenza @, esso è bene ordinabile e dà origine sempre ad un
gruppo bene ordinato limitato, ed in alcuni casi anche ad un gruppo
bene ordinato, illimitato a due sensi.
Sia p un ente di G e 9g l’ente di cui p è immagine, che è
distinto da p in causa della mancanza di cicli parziali. Essendo
G immagine di sè stesso nella corrispondenza a, per ipotesi, G-q
avrà per immagine G-p.
Indico, come nel caso precedente, con ca l'immagine d' di
un ente di G-g, e con ta' l'ente a. Esisterà il 0 di ogni ente
di G tranne di g, e il n di ogni ente di & tranne p.
Il gruppo dei seguenti di un ente si definisca come nel
lemma precedente: il gruppo sarà così ordinato. Inoltre, di ogni
ente diverso da g esiste l’immediatamente seguente, e di ogni
ente che non è p l’immediatamente precedente: il gruppo dato
sarà così bene ordinato e limitato, con p ente originario e 9
ente finale.
Si costruisca la catena G, di p rispetto al criterio o. Se
essa non è identica all’intero gruppo, il gruppo G, degli enti
restanti è catena di gq rispetto al criterio m. Dicendo tutti gli
enti di G, seguenti a tutti quelli di G,, il gruppo resta ancora
bene ordinato, ma illimitato ed a due sensi, tanto rispetto al
criterio 0, quanto rispetto a T.
Osservazione. — I casi dei due lemmi precedenti non si esclu-
dono a vicenda necessariamente.
454 — RODOLFO BETTAZZI
10. TroreMmA 1°. — Una catena chiusa è bene ordinabile e dà
un gruppo limitato.
Infatti una catena chiusa è un ciclo semplice nella corri-
spondenza che l’ha prodotta ($ 5. Cor. 1°): quindi potrà ordi-
narsi producendo un gruppo bene ordinato, limitato, avente per
originario un ente qualunque di essa, e per finale l’ente m di
tale ente ($ 9. Lemma 29).
Osservazione 1°. — Non è possibile il secondo ordinamento
in gruppo illimitato, a cui si accenna nel Lemma 2° del $ 7,
giacchè la catena di un ente qualunque di una catena chiusa è di
nuovo la catena stessa ($ 6. Teor.) e quindi non ne è parte propria.
TroreMA 2°. — Una catena aperta limitata è bene ordinabile
e dà origine ad un gruppo limitato.
CS
Infatti se « è l’ente di cui T è catena rispetto al criterio 0
e 5 quello privo di ente 0, dicendo a immagine di 5, si ottiene
una corrispondenza in cui T è immagine di sè stesso, che non
ammette cicli parziali, non esistendo tali cicli in M rispetto alla
corrispondenza che produce la catena ($ 5. Teor.). Allora in tale
corrispondenza è un ciclo semplice, e quindi ($ 9. Lemma 2%)
è bene ordinabile in un gruppo limitato, avente per originario @
e per finale d, o per originario un altro ente qualunque diverso
da a e per finale l’ente tra.
Osservazione 2°. — È facile vedere come neppure in questo
caso è possibile l'ordinamento in gruppo illimitato, di cui parla
il Lemma 2° del $ 9.
TroreMA 3°. — Una catena aperta illimitata è bene ordinabile
e dà un gruppo illimitato ad un senso.
Infatti se T è la catena in questione ed è catena di a ri-
spetto p. es.: al criterio 0, di ogni ente esiste l’ente o e l’ente
, eccetto per a, che è privo di t; fra e F-a vi è quindi una
corrispondenza, nella quale T-a è l’immagine di T. Tale corri-
spondenza è quella che produce la catena, e quindi è priva di
cicli ($ 5. Teor.). Dunque ($ 9. Lemma 1°) la catena è ordina-
bile e produce un gruppo illimitato e ad un senso, avente per
originario a.
Osservazione 32. — Non si esclude la possibilità di altri
ordinamenti in questo caso.
OTO e e
vati ii ite rità entro iii vi i
SULLA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO 455
11. — Dato un gruppo G bene ordinato rispetto a o (cioè
tale che in esso ogni ente ammette l’immediatamente seguente
tranne al più uno, il finale 8), e se il o di un ente si dice sua
immagine, chiaramente si stabilisce una corrispondenza fra G e
sè stesso, nella quale l’immagine di G o di G-5 è quella parte
propria, che è costituita dagli enti di G, i quali ammettono un
ente immediatamente precedente.
Rispetto a tale corrispondenza si può costruire la catena
di un ente a. Le catene di cui si parlerà nei teoremi seguenti
s'intenderanno prese rispetto alla corrispondenza citata.
Trorema 1°. — La catena di un ente a în un gruppo bene
ordinato rispetto a 0 contiene soltanto enti seguenti di a.
Infatti il gruppo degli enti non precedenti di a, che sono
in T, contiene a, e, se contiene un ente, contiene anche i suo
immediatamente seguente, e quindi l’intera catena.
Cor. 1° — La catena di un ente a in un gruppo bene ordi-
nato è aperta.
Trorema 2°. — Se nella catena di un ente a in un gruppo
bene ordinato manca un ente b seguente di a, mancano tutti i
seguenti di b.
Infatti, se nella catena l vi fossero anche enti seguenti di 5,
sopprimendoli, resterebbe un gruppo contenente a, l’ente 0 di
ogni ente che contiene (giacchè 5, unico ente immediatamente
precedente a qualcuno degli enti soppressi che non sia fra essi,
non esiste in l) e quindi un gruppo contenente intera la catena
di a, il che è assurdo.
Cor. 2°. — Se la catena di a in un gruppo bene ordinato
contiene un ente c, che dev essere seguente di a ($ 11. Teor. 19)
contiene tutti gli enti compresi fra a e c (seguenti di a e prece-
denti di c).
Cor. 3°. — Se la catena dell'ente originario di un gruppo bene
ordinato limitato contiene lente finale del gruppo, essa coincide col
gruppo; e quindi se essa non coincide col gruppo intero, non
contiene l'ente finale, ed è quindi illimitata.
12. Trorema 1°. — In un gruppo G bene ordinato rispetto
a 0, se si dimostra una proprietà per un suo ente a, e si prova
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 33
456 RODOLFO BETTAZZI — SULA CATENA DI UN ENTE IN UN GRUPPO
che se essa è vera per un ente, lo è anche per il suo ente 6, tale
proprietà resta provata per tutti gli enti della catena di a.
Ed invero il gruppo degli enti di g che godono la data
proprietà contiene a ed il o di ogni ente che contiene, e quindi
contiene tutta la catena di a.
Cor. 1° — Se un gruppo bene ordinato illimitato ad un senso
o limitato è catena del suo ente originario, una proprietà dimo-
strata per l’ente originario e che, supposta vera per un ente, si
dimostri vera per il suo ente 0, è provata per qualunque ente del
gruppo.
Osservazione. — Il fatto indicato nel Corollario precedente
non è che il principio d’induzione matematica (1).
E vero il reciproco del Corollario precedente, cioè:
TrorEMA 2°. — Se in un gruppo bene ordinato, limitato od
illimitato ad un senso (rispetto a 0), vale il principio d’induzione,
esso è catena del suo ente originario rispetto a 0.
Infatti se un gruppo contiene l’originario a del gruppo in
questione & e l’ente o di ogni ente di G che contiene, per il
principio d’induzione supposto conterrà tutto G, e quindi G sarà
comune a tutti i gruppi (a)c dei quali sarà il legame, e sarà
perciò ($ 1. Def. 1?) catena di a.
Cor. 2°. — La condizione necessaria e sufficiente che deve
verificarsi in un gruppo bene ordinato avente un ente originario,
affinchè valga in esso il principio d’induzione, è che esso sia ca-
tena del proprio ente originario.
(1) DepeKIND, /. c., N: 59, 60.
MARIO PIERI — SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO, ECC. 457
Sui principî che reggono la Geometria di Posizione;
Nota 3* di MARIO PIERI.
Trasformazioni segmentarie (*).
$ 13. Essendo r,r' due rette projettive, col simbolo T,,w
— da leggersi “ trasformazione segmentaria di r in r', — si rap-
presenta ogni trasformazione Simile di r in r', la quale muti i
punti d'un segmento in punti d’un segmento; conforme alla
seguente definizione:
P.1. r,r'e[1].9.T.r=(r"fm)Simote} a,b,cer.a-=D.
.b-=c.c-=a.de(abc): Dazga. TdE (TATb TC) | (**).
Alle trasformazioni segmentarie si collegano da una parte le
affinità del PrANo (***), e da un’altra le corrispondenze ordi-
nate di F. EnRrIQUES (****).
(*#) Ved. le Note 1% e 2* già pubblicate in questi Atti (voli XXX e
XXXI) con lo stesso titolo, e contenenti i $$ 1, 2,... 12.
(#*) Il simbolo #'fr denota “ rappresentazione univoca di r su + ,.
Simile è detta ogni trasformazione o rappresentazione “ che conserva i
diversi ,, cioè che non può subordinare due individui fra loro eguali
in r' a due fra loro diversi in 7:
uveK.tevfu:dD::TeSim.=..z,yeu.a-=%:Igy.TE£-=Ty Def.
(Ved. Prano, Not. de Log. Math., $ 26). Una relazione siffatta è alquanto più
generale di quella che suol chiamarsi corrispondenza bdi-univoca, univoca
în ambi i sensi, univoca e reciproca, cioè :
uveK.09..telofu)Rec.=:Tevfu.Teufo Def.
(Ved. Formul. de Math., I, $5P 22, dove è usato il segno “ sim , in vece
del nostro “ Rec ,).
(#**) “ Sui fondamenti della Geometria , nella “ Rivista di Matematica ,,
vol. IV, pag. 77.
(****) Loc. cit., $ 10.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. S8r
458 MARIO PIERI
P.2 rirell).tel,e a;bjcer.ia= =, be =
.der- (abc) ra —16:9.Tder'-(tatbIc)-11a 176 Teor.
| Hp .P10$8:9:de(bea)o(cab).P1:9:tde(tbteTA) n
n (teta td) . P1188:9. Th |
P. Bi r,vt'el1).telpecceTa,zip.- 10,6T,5o Teor.
ossia “ Il prodotto di due trasformazioni segmentarie è una
trasformazione segmentaria ,.
P/4 rePip. tel, l'a;sbicer a - ==» =, 3A
=ta.b'=tb.c'=te.(a'd'e')uvra' vic'O(abe).c'elaca'):
:p:h=(abc)nxe}a'=tr.e'e(aca) .. cie(abe).
. ce (az). x) =T%:Ia, 1 e(acx,)} . K=(abc)-h Def.
In altri termini “ Essendo r una retta projettiva, t una tras-
formazione segmentaria di » in sè stessa, a,d,c tre punti di-
stinti su r e a',b',c' i loro trasformati per t; e supposto inoltre
che il segmento (a'd'c') stia con ambo gli estremi nel segmento
(abc), e il punto c' nel segmento (aca'’): allora con h indiche-
remo l’insieme di tutti i punti x di (a dc) soddisfacenti a queste
condizioni: 1° che l’omologo ' di x giaccia sempre in (ac);
2° che se x, è un punto di (abc) tale che « giaccia in (aczi;),
sempre il suo trasformato x," appartenga ad (acx;): di poi rap-
presenteremo con k l'insieme di tutti quegli (abc) che non
sono h,.
Da questa definizione (e dai principî svolti nei $$ 8, 9, 10)
trarremo alcune conseguenze, che fanno da introduzione allo
studio dei gruppi armonici e delle omografie.
Ps. HpP4:py;:h-=Adk>=A Teor.
| © Hp PIP1,2,489::0,0,cer ‘al = iS
.cl-=a'.a',c'elabe) 1a 10
(B) Hp.xer-(aca')-1a.a'=tx.(a).P5$8:09.: ce(ca'a).
O O n
SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 459
.-P3,14$8:09,:re(abce).P1:09,:2'e(a'd'e’). P14$8:
:Iri(a'c'e') o (abe).(2°%)P1389:09,:2'e(aca'). x,x'e (ade)
(1), Hp.xer-(aca')-10'. (a). P6,3$8:0:ce(caa’). P25$8:
‘9x5. 2'e(aca)
(©) Hp.xer-(aca')-1a-10'. (a) . (8). (M.(77)P989:0.
. c'e (aca)
(2) Hp(d). 2, =T2;. zie(abe). we(acz:) . (8). (1) .P1,2,4$8.
. (00) P9 89: Mercia nic. d'e(aca:). (a).
« (C9)P2 8910 ere (aca’) ra nno. (0) è Daa -
. ee (acxi)
(n) Hp.(B).(è).(z).P4:9:r-(aca')-1a —1u'9h.(0). PS $8:
Fa LT
(2) Hp.yer= (ca) ie nio. y'=ry. (ELET) )(0) . (a) . P3,
95 $8:0,:y,y'e(cba) . y'e(cay) .(Ct4)P2 $9 . P1,2,4$8:
:diy = e(cay).y'er ciccia. (74) P22 88:09:49 =
-— e(acy).P4:9,.ye(abe)— h
(A) Hp.(2).P4:9:r-(cac')-1c-1c'ok.(a).P8$8:9.Kk-=A
Hp .(n.(1):09. Th |
In secondo luogo si proverà che “ sotto le stesse ipotesi
della P4, un punto « di h e un punto y di k, comecchè presi
ad arbitrio, soddisfano la relazione ye (ac) ,; ossia che:
Pb HpP4.09..xeh.yek:09,y.ye(aca) Teor.
|(@) Hp.x,,23e(abc).z,](acxo).ce(acx,) .PI SI: Or,znz - CE(ACV9)
(B) Hp.<eh::0;::x,e(abe). re(acx;) x =tr,.P4::9n::
ss elace,) . 26 (abc) e, e(acx,) . 2, ="Tt%,.(0) . (PA:
‘On 2 e (acco). (EA) 1: 2, eh
460 MARIO PIERI
(r) Hp.xeh..0x..yelabe). ce(acy) . (6): 9, vel... 0,
.yek.P4:9,.e-e(acy)
Hp ..9.:xeh.yek.(Y).P4:09xy:%,ye(abe) a -=y.
z-<e(acy) : PI0S9 -.9. Th |
Pertanto le due figure h e k definite in P4 verificano tutte
le condizioni domandate nell’ipotesi del Postulato XVIII (P1$10);
quindi è:
P.7. ‘HpP4.9.{ze(abc) .-. ue(abe) . se(acu): 97. vet.
‘. ve(abe) . ve(acz) : 0, .vekt-=.A Teor.
[Hp . P4,5,6. PP18S10:0. Th].
Infine proveremo che un punto 2, qual'è quello di cui si
afferma l’esistenza in P7, è necessariamente unito (tautologo)
per la trasformazione data t; laddove ogni altro punto « di
(abc), tale che 2 appartenga al segmento (ac), non può essere
unito. Con ciò verremo in somma alla conseguenza che più ci
interessa; per altro giova spezzare il lavoro in più propo-
sizioni.
P.8. HpP4.09:zelabe). e'=t2.2-=2'..ue(abc). ze(acu):
:0u. veh ::9..4-€e(acz') Teor.
|) Hp .ze(abc).2'=t2.ze(acz').P1.P1,248$8:9,-. cero
- (eaz') > 12-12". (23)P12$9.(#7)P16$9:0;:e(abe).
.re(acz') . ze(aca)
(B) Hp(a). (a). PL. P1,2,48$8:0..°. cer -(zaz’) 12-12.
.e=t%.(FP2$9:0,:rzer- (ace) >1a-18.P2:9a:
:2'er-(a'c'a')-12.(0)P5.(©)P17$9:09,:2'er-(acz')-
e. (£#)P10S9:0,:2'7(acr'). (£-7:)P9 SI: I: Ze(aca').
.- (#7)P2 89 :09,:2'—e(acx). P4 :9..2-eh
AO 1 TO _—_———— —'——_@ eni
SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 461
(r) Hp(a).. ue(abe) . ze(acu): p,. eh ::9:. ver (202) —
12-12. (0) :0-. ceh
(9) Hp.ze(abc). e =t2:9...rer- (02) >>. xeh.(p):
:9,.8-€(acz')
(£) Hp(d).'. ve(abde) . ze(acu) : 9, .veh::9... cer (202) —
-izoiz.e-eh.(1):9,:-4-€e(ac2')
Sommando membro a membro le deduzioni (è) e (£) dopo aver
moltiplicato a sinistra l'una per la proposizione (condizionale
ine)ae-=2'..ue(abc). ze(acu): 9. veh, e l’altra pere-=2/;
si ottiene:
(n) Hp(d).2-=2"..wve(abc).ze(acu): pu. veh 19... ger-
= (2az') = 1-12". (d) (E): 0.2 -E(ace').
D'altra parte:
(2) Hp(d).2-=2". P1. P1,2,88$8 : 0.: qer-(zaz’) -182-
-iz'.-=,A
Onde si può eliminare x dalla (n):
(N) Hp(d).e-=2"..ue(abc) . ze(acu): 9, .vueh..(n).(2)::
::9:.4- €(acz)
Hp.().(6):0.Th]
P.9. HpP4.p9:ze(abe) .2'=t2.2-=2'..ue(abc). ze(acu) :
: Ou. veh..velabe) . ve(lace) : Dv. veL ::9:. 8 — e(ace)
Teor.
| (0) Hp .ze(abe).e'=t2.2'e(acz) . PD1:09..'.yer-(e'az)—
mad ae. (CEE (MPE: 0: yelabe) . ye (acz) . £'e (acy)
(8) Hp(a). (a). PI. P1,2,4$8:9..°. yer (e'az-1z or.
.y'=ty:d,iy'e(a'e'2') (a) P5.(E4)P17 $9:0,:y'e(ac2) .
- (Et)P9 SI : py . Y'e(acy)
462 MARIO PIERI
(r) Hp. ze(abe) : 9: ye (abe). GHPIO SI: 9,9 =2.0.
.v. Ye(ace) . L. ze (AcY)
(6) Hp.a'=t4. #'e(ace): 0. .y=7.Y1=TYP1:9%-
-Y1 (9041)
(&)* Hp) ; RI P172,488908/ yer= (az) -izciz. yo
v.ye(abe) . ye(acy,).yie(acz) YI =TY:90n: Ye (08).
« (0)P5. GY )P17 89: 0n i e(ac2). (0). CEL)PI SI:
‘Om : Y1 € (009) . (4)P9 89 : On - Y1'€(00Y,)
(n) Hp..wue(abe).zelacu):9,.veh::9...ye(ade) .ze(acyi):
= Own È y,eh . vi = TY] . P4 "i On . Yy e(acy,).
Dall’insieme delle propos.i (), (è), (E), (n) si raccoglie:
(Z) Hp(a).". ue(ade) . zelacu) : o, .veh . (MM. (0). (A). (me:
sO. iiyero (az) -12'-12.9y.0.ye(abe) . ye(acyi) .
Yi = TY: On - Y'E(00Y1).
Pertanto:
(N) Hp(a)..ve(abe) . ze(acu) :9,.veh .. (a) . (8). (2). P4::
sp iyero (az) -128-18.0,.yeh
(u) Hp(a).'. ve(ade). ve(aca): 9, .vek::9..0. yer (d'az)-
-12'<12. (0) :9y:yek.P4:09,.y-eh
(v) Hp.zel(abc).2'=t2.. ue(abe). ze(acu) : 9, .vueh :: dx.
‘yer- (az =-128'-12.y-eh.()):9y.2"-e(ace)
(p) Hp.ze(ade). e =tT2.. ve(abe) . velace) : Do. vek ::92
v.yer=(z'azj-az>;aiz.yeh. (4) :9y. 4 e(ace).
Infine, moltiplicando rispettiv.° le ipotesi di (v), (p) per le
proposiz.i (condizionali in 2): 2z- = 2'.°. ve(abdc). velace) :
:D.veh, e e-= 2". ue(abc) . ze(acu) : 9. veb; indi som-
mando membro a membro;
SUI PRINCIPÎ CHE REGGONU LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 463
(0) Hp.zelabe) 8 =t28.2-=2'.0.ue(adc) . ze(acu) : du.
.ueh .. ve(adbe) ve(acz): 9, . vek::9... yer- (2'az)—
12-12. (Vv). (P): 9. 2 — (ace).
Il teorema proposto risulta di qui mediante eliminazione di y:
Hp . (c).P1.P1,2,888:0. Th ]
P.10. HpP4.9.}ze(a'd'e). a'=t2.2=2 .ue(ade). ze(acu).
UE=TU: 9 U-=W{-=.A Teor.
Ossia “ Nelle predette ipotesi, vi sarà sempre nel segmento
(a'b'c') un punto 2 mutato in sè stesso da Tt, e di più tale che
ogni punto « di (adc) soddisfacente alla condizione 2 € (ac)
(vale a dire ($ 10) precedente 2 nell'ordine naturale abc) non
può essere unito ,.
|@ Hp. ze(abe) . 2'=t2 .°. ue(abe). ze(acu) : O, .vueh .°.
. ve(abe) . ve(acz) : 9, . ver. P8,9 ::9... a - (ac).
.8e'-e(ace):v:2-— e(ac').a=d 10:24 -elac).ae =
A porse PI (E)PI0SIi 0 Bo
0.1 2e(a'd'e).a= è.
La prima delle tre deduzioni rispetto a = proviene dal molti-
plicare insieme le due P8 e P9 dopo avere in ognuna di esse
trasferito il fattore 2--=2' dall'ipotesi nella tesi, conforme alla
regola :P.Q:09.R.°.09.0.P.0:R.v.-Q.D'altra parte si ha:
(B) Hp..ue(adbc). zelacu): 9,. ueh . P£:: 9... velade).
.ze(acu).u'= tu: 9): v'e(acu). P1,2,488: 9, U-=.
Ora moltiplicando fra loro (a) e (B):
(1r), Hp.ze(abe).2'=t2.(0).(B)..ve(abe). ze(acu): Qu. ueh..
464 MARIO PIERI
.. velabe) velace) : 0 vek::p.i: ela) .e=e
. ue(abe) . zelacu) .u'=TU:QL.U-=U
Hp. (r).P7:0. Th |
Accanto a questo teorema è da mettersi l’altro:
P.11. re[i].teT, .ab.,cer.a-=b.h-_0.6- 060
=ta.b'=tb.e'=tc.(a'd'e')uvira' vie'9 (ade). a'e(acc'):
:9.|ze(a'de).e'=t2.2=2' 0. ue(abc).ze(acu). u=
=TIU: UU =, Teor.
che si potrebbe dimostrar similmente: ma, in ciò che segue,
non ci bisogna adoperarlo.
Quanto al contenuto essenziale, le P10,11 sono modificazioni
d’un teorema sulle corrispondenze ordinate dovuto all’EnrIQUES (*).
Corrispondenze armoniche e teorema di Staudt.
$ 14. — Il soggetto di questo $ sarà sviscerato altrove:
qui si vuol solamente indicare una via per dedurre il teorema
fondamentale di SrtAUDT da ciò che precede; onde si espongono
appena i fatti più rilevanti senza dimostrazioni simboliche.
P.l... re[1]...a,b,cer.a-=b.b-=t.c-=0:9. Armes
—roqge}u,ve[0]-r.u-=v.(cuo)eC1. ([aua do],
[av o du], Je Cl: —=u0 | Def.
Il simbolo “ Arm, € , si può leggere “ armonico di e rispetto
ad a,b ,; esso denota una certa classe, non illusoria, di punti
esterni al segmento (acb) (P6 $ 11), vale a dire:
Pas HpP1.09.Arm,,ceKr-(acb)- a-1b-N Teor.
(*) Loc. cit., $ 10.
dentali
atriale incntinna
PA » PA %
ATI LTT
SUI PRINCIPÎÌ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 465
Dalla P1 seguono immediatamente queste altre due:
PES, HpPl.o.Arm,;c = Arm;,c Teor.
Pi. HpP1.deArm,,€:9. ceArm,;d Teor.
Che poi la figura Arm,;c consti di un unico punto, ossia
che:
Pro HpP1.09.num Arm,;e= 1 Teor.
si dimostra al modo ordinario per via di triangoli omologici (*),
la qual cosa implica l’uso del IX° Postulato (P5 $ 6); al con-
trario dei fatti studiati ai precedenti $$ 7,8,...13, che sono
indipendenti dall’esistenza di punti fuori del piano. — Dopo ciò
si può altresì dimostrare che:
P.6. HpPl.u,ve[0]-r.u-=%v.(c,u,0)€C2: 9». (au n do],
[av e bu], Arm,,c) e 07 Teor.
d'onde la permutabilità delle coppie armoniche, ossia:
i. HpP1.d=Arm,,6:94.0= Arm,;a Teor.
Gioverà introdurre anche la definizione seguente:
. P.8. a,be[0].a-=bdb:9:Arm;;a=a. Arm,,b=b Def.
e così accanto alla P3 si potrà scrivere:
Pig a,be[0].a-=d:9. Arm, a= Arm, @ Teor.
ecc., ecc. Con ciò il simbolo Arm,,« risulta definito per qual-
sivoglia punto « della r (purchè a e d siano distinti) e rappre-
senta un certo punto di r variabile con x. Il segno “ Arm,, ,
per sè solo ha dunque il valore di trasformazione della retta r
in sè stessa — anzi, per ciò che precede, di trasformazione reci-
(*) Ved. p. e. SraupT, loc. cit., n° 93.
466 MARIO PIERI
proca, segmentaria e involutoria; qualmente è espresso dalle due
proposizioni seguenti:
P.10. re[1].a,ber.a-=b:09.Arm,;e(rfr)RecnT,, Teor.
P..11.. HpPlO.zer:),: Arm,; Arm, =«. Arméa
ATE Teor.
La biunivocità involutoria segue specialmente dalle P5, 4,8;
dalle P3 $ 10, P1,3 $ 13 e PI risulta poi che la trasforma-
zione è segmentaria. Essa può costruirsi notoriamente così.
Preso un punto « fuori di r e un punto a' sulla du diverso
da de da «, si projetti un punto variabile x della r dal centro
u sopra la aa', e dicasi v l’immagine; poi il punto v si projetti
da d in d' sopra la au, e il punto d' da a' sopra la r in a':
sarà x' il trasformato di x (e viceversa). — Una proprietà note-
vole si è che due coppie di punti corrispondenti non possono
mai separarsi; e cioè che:
P.12. HpPl0.x,yer-1a-1b.x-=y.0' = Arm,t.y'=
= Arm,,Y:9xy-YE(242') Teor.
Invero, dal fatto che i punti a, d, €, y, x,y" sono tutti di-
stinti (P4, 5) e dall'ipotesi (P2, 5) x'- e(axd) si deduce (P24
$8) b-e (xax'); onde (P19$8 9) il dilemma ye (xaz').v.ye
(xbx'). Ora (P8, 10) la trasformazione segmentaria Arm, cangia
ordinatamente i punti a, d, €, x,y nei punti a, d, x’, €, y'; quindi
da ye (rax') si deduce y'e (2'a x) (P1813), e p. c. (P3, 1488)
y'e(xya'): e il medesimo si trae dalla supposizione y € (rd 2°).
P.13. re[1].a,b,cera-=b.b-=ce.c-=a.de(acb) ic:
Mede. ATA, ATA, ;.X —Mo=- N Teor.
o, in termini comuni, “ Se due coppie di punti distinti a, d e c, d
non si separano, esiste almeno una coppia di punti che le
separa entrambe armonicamente ,. Per ciò si osservi dapprima,
che il prodotto Arm, Arm,; è una trasformazione segmentaria
della r in sè stessa (P3$13 e P10); e che supposto:
SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 467
a"= Arm, Arm,, a, 0"= Arm, Arm,; 6, c= Arm,c, c'=
= Arm, e’, e quindi (P8):
a'= Arm.,;a, 0"= Arm.;b, c'= Arm,; Arm,;c,
i punti a, d, c,d, a", 6", c'',c' saranno tutti distinti fra loro. Se
proveremo che il segmento (a"e"d') giace con ambo gli estremi
nel segmento (acb) e che di più d''e (ada"), allora il teorema
predetto sarà vero in virtù di P10$13. Che d''e (aba”) si ha
subito dalla proposizione precedente; perocchè 5,0” ed a, a"
separano armonicamente la coppia c,d. Ora, da ciò che (P2)
a'-e (cad) si deduce (P11$9) a”e(acd), e nello stesso modo
b''e(acb). E da a''e(acb), prendendo gli armonici rispetto a
c, d, si deduce (P1 $ 13, P4, 8, 10) ae (ac d'): per conseguenza
(P14$8) sarà (a”cd”)= (aa d'). Similmente da c'- e (ac d) si
deduce (P2$13) c'e (ac bd”); per la qual cosa c'e (a''a 8").
Di qui si trae (P 12, 1689) c'’e(acd), c'e (ada), d''e (abc"), e
però anche (P1489) (ac d")0 (acb). —
Essendo r,r' due rette arbitrarie diremo “ trasformazione
armonica di r in r' , — e indicheremo con'TT,,\, — ogni tra-
sformazione univoca e reciproca di r in r', che a quattro punti
armonici sempre coordini quattro punti armonici:
P.14. r,re[1].0.T,m = (fr) Reca teta,b,cer .a-=d:
:Oaze - (Arm, 0) = Arm, TC} Def.
L'inversa di ogni trasformazione armonica TT,,y è una trasfor-
mazione di »' in r della stessa natura, cioè:
Piib. r,relllitell.w 1097 Tellé; Teor.
Inoltre:
È; 16. r,r'e|1] . 0 . TT, a Tre — A Teor.
vale a dire “ Ogni trasformazione armonica è altresì segmen-
taria ,. Invero, essendo a, d,c tre diversi punti in r, dalla ipotesi
de(abce)-16 si deduce (P13) l’esistenza di almeno due punti x,y
468 MARIO PIERI
conjugati armonici rispetto ad entrambe le coppie a,c e d,d.
Ora, se fosse Td-e (ta tb tc), non potrebbero esistere (P12)
due punti armonici tanto rispetto a ta, tc, quanto a td, td. Ma
due punti sì fatti esistono al certo, e sono (P14) i trasformati
di x, y: quindi è forza concludere td e (ta Td tc).
P.17. #reldl. tele. 0.96.03. =0 47
elsvelf fi) = Tg: Peer vid) PNT
cioè: “ Ogni trasformazione armonica la quale ammetta tre
punti uniti distinti è l'identità ,. Questo il teorema di STAUDT.
Invero siano a, a' due punti distinti, ed a'= ta: mostreremo
che da ciò si deduce l’assurdo. I punti e, f, 9, a, a' saranno di-
stinti fra loro, e gli ultimi due non potranno esser separati dai
rimanenti (P16). Sarà lecito supporre a-—e (egf), e per conseg.*
a'-e(egf) ed (caf)=(ea'f)(P18 $9).
Ciò posto siano c e e' gli armonici di a ed a' rispetto
ad e,f: onde (P14) c'= tc. I punti c e c' saranno diversi fra
loro e dai precedenti: inoltre (P2, 12) si avrà c > e(eaf), c'>
-elea'f), c'elaa'c); e delle ipotesi (P19$ 9) a'e(aec), a'e(afe)
basterà considerarne una sola, p. e. la prima, dacchè l’altra si
deduce da questa con lo scambio delle lettere e, f tra loro, che
non ha influenza di sorta nè sulle ipotesi, nè sui risultati. Ora
da a'e(aec) e c'e (aa'c) si deduce (P1488) (aec) = (aa'c), c'e
e(aec) e p. c. (P2588) cel(eac'): e di qui, poichè c, c'— e (eaf),
si deduce (P4$9) c'- e (eac), quindi (P5$8) c'e(ace). Simil-
mente, poichè da a'e(aec) si deduce (P25,3$8) ae(eca'), e
d'altra parte a, a'-e (ecf); ne inferiamo altresì che a'-e (eca),
quindi che a'e(cae), vale a dire che ee(aca'). Da tutto ciò
segue (P14$ 9) (a'ec')via' vie'9 (aec), oltre che (P9 $ 9) c'e
e(aca'). Sono dunque verificate le ipotesi della P10 $ 13 in ordine
alla trasformazione t ed ai punti a, e, c,a', e' (= e), c'; e pertanto
sarà:
zela'ec').a=Tt2..ue(aec) . ze(acu) : O, u-=tU::>=;N.
Insomma esisterà nel segmento (a'ec') un punto unito 2 sì fatto,
che se uer-(ac2)-t1a-12 [quindi we (cea), ve (aec), ed inoltre
(P19$ 8) ze (acu)] il punto u non è unito.
SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO LA GEOMETRIA DI POSIZIONE 469
Si osservi ancora che dalle relazioni c-e (eaf), c'> e (ea'f),
(a'ec') 9 (aec) segue (P2488, P19$9) (afe) viaviepl(a' fe);
sicchè la stessa P10$13 si può anche invocare per la trasfor-
mazione 7 inversa di t (P 15) e pei punti a’, f,c',a,f(=f),c:
dunque esisterà nel segmento (afc) un punto unito y sì fatto,
che se uer> (a'c'7 tl des il punto « non è unito. E poichè
da (afc) O (a'fce'), c'e (ac a') ; ye (afc) si deduce [(n)P 17 $ 9]
che da u-e€ (acy) segue u- e (a'c'y), a fortiori non potrà essere
unito alcun punto della figura r> (acy)-1ta'> 17. Questo fatto,
e il somigliante già trovato per 2, ove si guardi che niuno dei
punti a, a' è, per ipotesi, unito, permettono di asserire qualmente:
uer> (ace) —1z.u.uer> (ay) > 1Y Qu. UE TU
Non è detto che debba essere 2 diverso da e, o y daf: mai punti
y, 2 sono per certo distinti fra loro e dai punti a, c, a', c'; nè può
essere 2 = f, o y==e (P2888). Ora da ze(aec) si deduce
zer-(afc), e d’altra parte ye (fc); dunque sarà 2 €r> (ayC),
vale a dire cer-(ya2z), e p.c. ce (azy), (azy) = (acy), come
pure ce(ay2), (ay2)=(ac2). Ma si sa (P11, 2,488) che:
ue(yaz) . Qui uer= (ay) —wy.v.uer-(2ya)— 12;
pertanto: u e(yaz) CA UU =TU.
Infine dall’essere 2—e(a c e) (chè se no risulterebbe e —= te);
mentre y € (a fc), quindi y>e (a ec), ye (eca), (eca)=(ey a); si
deduce 2-—e(eya), per conseguenza (P23 $ 8) e-e (ya), e quindi
(P21$8) (ya2 9 (yae), 0(yaz)=(yae), secondochè «== e, 0
z=e. Similmente dall’essere y-e (a'c'f) (chè se no risulterebbe
f-=="tf) e però anche (P16) y-e (acf); mentre c- e (eaf), quindi
ce(aef), (aef) = (acf); si deduce y-€ (a ef), per conseguenza
f-e(eay) ed (eayp(caf), 0 (eay)= (eaf), secondo che y>-=f,
o y=f. Ne viene che il segmento (yaz) è contenuto nel seg-
mento (ea f); sicchè dall'ipotesi a—e (e gf), ossia g— € (caf), am-
messa fin dal principio, si deduce g—€(ya2)viyviz, e p. c.
Arm,.ge(yaz) (P2). Tale è l’assurdo a cui si perviene; che,
mentre si è visto come niun punto del segmento (ya) possa es-
sere unito, qui trovasi invece che l’armonico di 9 rispetto ad
y, 2, il quale (P14, 5) è per certo tautologo, giace in detto
segmento.
470 MARIO PIERI — SUI PRINCIPÎ CHE REGGONO, ECC.
ERRATA CORRIGE
$ 1 (Nota 1°), pag. 3, linea 9 Che poi... Se poi...
$4 n » 12 , 4(dalbasso) I,$5, prop.8 I1,$5 P3e V,$1P10
x : 0° aL PRRATO) alk=1a) v'alk>10)
$ 5 % Bit PRI I È yede v fg yede n fg
$ 6 + it E tg Si apponga a diritta il segno: Def.
$ 8 è spe o 2 be (acb) b-e(acb)
$9 3 6 RS 1) y'er yer
a " BR N 1a la
SA La » 84 , 5(dalbasso) (Kr)fr (Kr)fr
È 5 72800 A 0° 130 19 Si apponga a destra il segno: Def.
Li g è lb silice 26 Lo la
L’ Accademico Segretario
ANDREA NACccARI.
471
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 16 Febbraio 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO BARONE GAUDENZIO CLARETTA
DIRETTORE DELLA CLASSE
Sono presenti i Socii: PryRon, Rossi, BOLLATI DI SAINT-
Prèrre, Pezzi, Brusa, PerRERO e FERRERO Segretario.
Il Direttore della Classe annuncia la morte del Socio na-
zionale non residente, già Socio residente, Marchese Matteo
Ricci, ed affida al Socio PeyRron l’incarico di commemorarlo
in una prossima adunanza.
L’ Accademico Segretario
Ermanno FERRERO.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA
Dal 26 Gennaio al 9 Febbraio 1896.
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali
NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio;
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono.
* Annuario per l’anno scolastico 1895-96 della R. Scuola d’Applicazione
per gli Ingegneri di Torino. Torino, 1896; 8°.
Atti del Collegio degli Architetti ed Ingegneri in Firenzo Anno XX, fasc. 1°.
Firenze, 1895; 8°.
Atti della Società Piemontese d’Igiene; Anno I, fasc. 3. Torino, 1895; 8°.
* Bihang till Kongl. Svenska- Vetenskaps- Akademiens Handlingar. Bd. 20.
Afdelning I, II, II, IV. Stockholm, 1895; 8°.
* Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2°, v. XV,
n. 12. Torino, 1895.
* Bollettino medico-statistico dell'Ufficio d’igiene della città di Torino.
Anno XXIV, n. 16-36 e Rendiconto del mese di maggio a novembre
1895, n. 5-12.
* Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico-
chirurgica, ecc. Serie VII, vol. VI, fasc. 12. Bologna, 1895; 8°.
** Fortschritte der Physik im Jahre 1894, Bd. L, III Abt. Braunschweig,
1895; 8°.
* Giornale del Genio civile. Anno XXXIII, fasc. 10-11. Roma, 1895; 8°.
* Memoirs of the Royal Astronomical Society. Vol. LI, 1892-95. London,
1895; 4°.
Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXIV, disp. 11, 12.
Roma, 1895; 4°.
* Memorie del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Vol. XXV, n. 5.
Venezia, 1895; 4°.
* Mitteilungen aus der medicinischen Facultàt der Kaiser.-Japanischen Univ.
Bd. III, n. 2. Tokyo, Japan, 1895; 4°.
* Proceedings of the American Academy of Arts and Sciences. New Series,
vol. I e II. Boston, 1848-1852; 8°.
* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Vol. XXVIII,
fasc. XX. Milano, 1895; 8°.
{
n
i
|
.
FRI
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 473
* Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli.
Serie 8, vol. I, fasc. 12. Napoli, 1895; 8°.
* Sitzungsberichte der physikalisch-medicinischen Gesellschaft zu Wiirzburg,
1895, n. 3-6; 8°.
Spelunca. Bulletin de la Société de Spéléologie. 1"° année, n. 1 à 8. Paris,
1895; 8°.
* Transactions of the Royal Society of South Australia. Vol. XIX, Part II
Adelaide, 1895; 8°.
Transaetions of the Edinburgh Geological Society. Vol. VII, pt. II. Edin-
burgh, 1895; 8°.
* Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXIV, p. 1n-1v.
1895.
- Verhandlungen der ésterreichischen Gradmessungs-Commission. Protokoll
tiber die am 9 April u. 18 Juni 1895 abgehaltenen Sitzungen. Wien,
1894 (Dono della Commissione).
* Verhandlungen physikalisch-medicinischen Gesellschaft zu Wiirzburg, 1895,
DUE XXIX Bd nnp6; 7,8
Buscalioni (L.). Studi sui cristalli di ossalato di calcio. Genova, 1895; 8°
(dall A.).
#* Cayley (A.). The collected Mathematical Papers. Vol. IX. Cambridge,
1896; 4°.
Klein (C.). Ein Universaldrehapparat zur Untersuchung von Diinnschliften
in Fliissigkeiten, Berlin, 1895; 8° (dall’A.).
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche
Dal 2 al 16 Febbraio 1896.
* American Journal of Philology. Vol. XV, 2-4; XVI, 1. Baltimore, 1894-95; 8°
(dall’ Università John Hopkins di Baltimora).
* Annales de l’Université de Lyon:
Histoire de la compensation en droit romain par C. ApPLETON.
La République des Provinces-Unies, la France & les Pays-Bas Espagnols
de 1630 è 1650 par A. Wappineron. T. 1° (1630-42).
Phonétique historique et comparée du Sanscrit et du Zend par P. RegnauD.
Saint Ambroise et la Morale Chrétienne au IV° siècle... par R. Tram.
Paris, 1895; 4 vol. 8°.
Athenaeum (L’). Rivista per l'Istruzione Superiore Catanese. Vol. II, fasc. I.
Catania, 1896; 8° (Omaggio della Direzione).
474 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
* Atti della R. Accademia dei Lincei. Notizie si Scavi: novembre 1895.
Roma, 1895; 4°.
* Atti e Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova.
Anno CCXCVI, 1894-95, N. S., vol. XI. Padova, 1895; 8°.
* Consiglio Comunale di Torino; Sessione straordinaria, 1896. N. I-IV.
* Johns Hopkins University Studies in Historical and Political Science.
12* Serie, VIII-XII; 13* Serie, I-VIII. Baltimora, 1894-95; 8°.
* Dall Università Cattolica ai Louvain:
Anmuaire; 1896.
Halleux (J.). Les principes du positivisme contemporain. Dissertation pour |
doctorat en Philosophie selon Saint Thomas. Louvain, 1895; 89.
Knoch (A.). De Libertate in societate civili. Dissertatio. Lovanio, 1895; 8°.
Marlière (H.). Études sur l’hérédité. Dissertation pour le doctorat en Phi-
losophie selon St-Thomas. Louvain, 1895; 8°.
Programme des cours de l’année académique 1895-96.
Thèses de la Faculté de Théologie: 671-688.
Casanova (E.). Bandi piemontesi acquistati dalla Biblioteca Nazionale
Centrale di Firenze. Firenze, 1895; 8° (dall’A.).
Frigeri (F.). Giovanni Pico della Mirandola. IV*® Centenario MDCCCXCIV.
Mirandola, 1894; 8° (Zd.).
Landueci (L.). Storia del Diritto Romano dalle origini fino alla morte di
Giustiniano. 2* ediz., vol. I, p. I. Padova, 1895; 8° (Zd.).
Pélissier (L. G.). Le navire .de bonheur de l’avocat Bernardi. Toulouse,
1896; 8° (Zd.).
Pico (G.). Introduzione dell’Apologia tradotta da un notaro mirandolese.
Mirandola. 1894; 8° (dono del Dott. F. Frigerì).
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Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi.
Cn n
Rec’d.£8 vuiy STO Sapt. 1896
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 23 Febbraio 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA
VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci: D’Ovipio, Direttore della Classe,
Berruti, FERRARIS, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE, VOLTERRA,
JADANZA, Foà e Naccari Segretario.
Viene letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza pre-
cedente.
Il Presidente dà notizia che il Sig. U. MARTELLI, autore
di una memoria che venne approvata per la stampa nella se-
duta del 29 dicembre 1895, ritirò poi la memoria stessa.
Vengono accolte per l'inserzione negli Atti le seguenti note:
1° “ Sulle curve piane che in due dati fasci hanno un
semplice o doppio contatto oppure sì osculano ,; nota del Profes-
sore Luigi BerzoLARI, presentata dal Socio SEGRE;
2° “ Intorno ad un carattere delle superficie e delle varietà
superiori algebriche ,; nota del Socio SEGRE;
3° “ Sulle singolarità della jacobiana di quattro superficie ,;
nota del Dott. Alberto Levi, presentata dal Socio SEGRE;
4° “ Gruppi finiti ed infiniti di enti ,; nota del Profes-
sore Rodolfo BerTAZZI, presentata dal Socio SEGRE;
50 “« Nuove ricerche intorno ai Salamandridi normalmente
apneumoni e intorno alla respirazione degli anfibi urodeli ,; nota
del Socio CAMERANO.
ASI
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI, 34
476 LUIGI BERZOLARI
LETTURE
Sulle curve piane che in due dati fasci hanno un semplice
o un doppio contatto, oppure sî osculano;
Nota di LUIGI BERZOLARI.
Verso la fine dell'importante lavoro che ha per titolo
Allgemeine Eigenschaften der algebraischen Curven (*) lo STEINER
ha enunciato, senza dimostrazione, che il luogo dei punti in
cui si toccano due curve appartenenti a due dati fasci di or-
dini m ed m' è dell'ordine
(1) 2m + 2m' — 8,
e che il numero dei punti in cui due curve di tali fasci si
osculano è
(2) 3[(m4 m') (m + m' — 6) + 2mm' + 5).
La prima di queste formole è stata in seguito dimostrata
(ed anche notevolmente estesa) in più modi da vari autori (**),
mentre, per quanto so, non si ha ancora una dimostrazione
della seconda.
In questa Nota faccio vedere come si possa pervenire a
quei due teoremi, per via puramente geometrica, ricorrendo &
semplici considerazioni di geometria dello spazio; collo stesso
metodo trovo anche il numero (che non credo noto) delle coppie
di curve che, appartenendo ai fasci proposti, hanno fra loro un
(*) Giornale di CreLLe, Bd. XLVII, pag. 6; questo lavoro era stato già
presentato sei anni prima (nell'agosto del 1848) all'Accademia delle Scienze
di Berlino.
(**) V., ad es., Scausert, Kalkiil der abzihlenden Geometrie, $ 14; e
Sarmon, Courbes planes, Paris, 1884, pag. 500, dove, in nota, è riportato
anche il secondo enunciato dello STEINER.
Le, ope er -
i ine nt i ici tinte
SULLE CURVE PIANE CHE IN DUE DATI FASCI, ECC. 477
doppio contatto, ed assegno inoltre i rimanenti caratteri pliic-
keriani del luogo sopra nominato, e quelli del luogo dei punti
in cui si tagliano le curve fra loro tangenti dei due fasci.
1. — Siano ® e ®' i due dati fasci degli ordini m ed m',
e per semplicità supponiamo che essi siano generali e non ab-
biano punti base comuni (*); per fissar le idee, sia m > m.
Nel piano TT, in cui giacciono i fasci, scelgasi in modo del tutto
arbitrario una curva R' di ordine m — m', e si indichi con D' R'
il fascio d’ordine wm che si ottiene da ®' aggiungendo ad ogni
sua curva la curva R'. Allora i due fasci ® e ®' R' individuano
un sistema lineare tre volte infinito (9) di curve @ d’ordine m,
che, com'è noto (**), si possono considerare come le imagini
(su TT) delle sezioni piane di una superficie algebrica F. Le
curve del fascio ® sono le imagini delle curve che s’ottengono
tagliando F coi piani di un determinato fascio avente per asse
una retta generica L dello spazio. La superficie F è dell’ordine
m?, e possiede una retta multipla R, che è rappresentata in TT
dalla curva R': le sezioni residue di F coi piani passanti per R
hanno per imagini le curve del fascio ®', sicchè la multiplicità
di R per F è m° — mm', cioè m(m—m').
Gli m? punti base di ® sono le imagini dei punti in cui L
incontra F; gli m'? punti base di ®' sono le imagini di altret-
tanti punti, in cui R incontra una [m (m — m')+1]"? falda di F,
oltre a quelle che passano per la R stessa: in questo senso
tali punti, in quanto appartengono ad F, sono da considerarsi
come non situati sopra RK.
2. — Ciò posto, per risolvere le questioni indicate in prin-
cipio, occorre conoscere i caratteri plickeriani della residua
intersezione di F con un piano generico passante per R, e
quelli del cono residuo (come inviluppo di piani) £ circoscritto
ad F da un punto generico 0 della stessa R.
(#) Il metodo che indicherò si applica del resto anche ai casi che
qui voglio escludere, per attenermi agli enunciati di SreINER.
(**) Veggasi, ad es., CaPoraLI, Sopra i sistemi lineari triplamente infiniti
di curve algebriche piane (Collectanea Math. in mem. D. CaeLIni), $ 2.
478 LUIGI BERZOLARI
I primi si trovano senz'altro colle formole di PLiicKER,
poichè di quella sezione si conoscono l’ordine, che è m m', il
genere, che è quello di una curva generica del fascio ®', cioè
3 (n — 1) (Mm — 2), e il numero delle cuspidi, che è zero. Si
trova così che la classe è
(3) m'(2m + m' — 3),
che i flessi sono in numero di
(4) 3m' (mm — 3),
e che le tangenti doppie sono in numero di
(5) 3 m'?(m'? — 1) + 2mm'3 + 2m?m'? — 6mm'?
— 3m'3 — 6mm' 4- 15m'.
E si noti che la sezione considerata non è certamente tan-
gente ad R, poichè una curva generica di ®' non è tangente
ad R'.
Per ciò che riguarda il cono ®, osserviamo che la linea
di contatto del cono totale circoscritto da 0 ad F ha per ima-
gine la jacobiana della rete di curve @ imagini delle sezioni
fatte in F dai piani passanti per 0 (*). Ora, se chiamiamo A
una curva generica del sistema (@), e B', C' due curve gene-
riche di ®', la rete precedente può ritenersi individuata dalle
tre curve A, B' R', C'R'’, e si riconosce facilmente che la sua
jacobiana si spezza nella curva R' ed in una curva Y' di ordine
3(m_-1) — M_—m')= 22m + m — 3,
priva di punti multipli, e passante per tutti i punti comuni
ad A ed R'. La curva Y di F che ha per imagine Y, ossia la
curva di contatto di F col cono residuo £, è dunque dell’ordine
m (2 m +m' — 3). Per vedere quale sia la sua multiplicità in 0,
(*) Caporati, Z. c., n. 18.
SULLE CURVE PIANE CHE IN DUE DATI FASCI, ECC. 479
basta cercare le sue ulteriori intersezioni con un piano generico
passante per 0, ad es. con quello la cui sezione con F ha per
imagine la curva A, cioè basta cercare le intersezioni di YW' e
di A non appartenenti ad R', e queste sono in numero di
m(2m + m' — 3) — m(m — m').
Si conclude che Y ha in 0 la multiplicità m (m — m'); il
cono £ è quindi dell’ordine
(6) m(m + 2m' — 3).
In virtù della (3), un piano qualunque per R contiene, oltre
ad R, m' (2m+m' — 3) generatrici di questo cono, epperò R
è multipla per £ secondo
m(m — 3) — m'(m' — 3).
Il genere di 2 uguaglia quello di Y', ossia è
3 @m+m_- dm mi 5).
Infine la classe di 2 equivale al numero dei punti doppi
di un fascio di curve, che sia determinato da una © generica
e da una @ del fascio ®' R'. Un tal fascio contiene 3 (m — 1)?
curve dotate di punto doppio; ma di questi punti m'(m — m')
cadono su R', quindi la classe di £ risulta
3(m —- 1° — m'(m— m).
Dalle formole di PriùcgeR si trae allora che le generatrici
stazionarie di Q sono in numero di
(7) 3 (m? + 3mm' — 6m — 3m' 4- 5),
e che le sue generatrici doppie (esclusa la R, contata tante
volte quante risultano come conseguenza della sua multiplicità
per £) sono in numero di
480 LUIGI BERZOLARI 3
(8) 3m?m'? — n m' (m'? — 1) + 2m3m' — 9m®m' — 3mm'?
+ 3m'3 — 6m? — 6m'? — 5mm' + 30m +4 15m' — 24.
3. — La deduzione dei teoremi di cui si è parlato non
presenta ormai nessuna difficoltà. In primo luogo, la curva l”,
luogo dei punti in cui si toccano due curve dei fasci ® e ®',
è l’imagine della curva T, luogo dei punti di contatto delle
tangenti di F appoggiate alle rette L, R. Per avere l’ordine di
T, si osservi anzitutto che essa incontra L negli m? punti che
questa ha in comune con F: basta quindi cercare le ulteriori
intersezioni di T con un piano generico o passante per L, e
queste sono tante, quante le tangenti condotte dal punto o KR
alla sezione di F con o, cioè, per la (6), sono in numero di
mm (m + 2m' — 8). La curva F è dunque dell’ordine
m(m + 2m' — 3) + m° =m(2m + 2m' — 3),
epperò l'ordine di l' è appunto quello dato dall'espressione (1).
In secondo luogo, i punti in cui si osculano due curve di
© e ®' sono le imagini dei punti di contatto delle tangenti
principali di F appoggiate ad L ed R: pertanto il loro numero
è la somma delle espressioni (4) e (7), cioè quello dato dalla (2).
Infine le coppie di curve di ® e ®' che hanno fra loro un
doppio contatto sono tante, quante le tangenti doppie di F
appoggiate ad L ed R, cioè tante quant'è espresso dalla somma
delle (5) e (8): il loro numero è dunque
(9) mm' [2 (m + m')} + mm' — 9(m+4+m')+ 1]
— 6(m+m' —1) M+m — 4).
4. — Considerando ancora Ja curva [’, si potrebbe ritenere
come evidente che essa non possiede punti multipli: ma si può
giungere a questa stessa conclusione determinando direttamente
il genere della curva, che uguaglia quello della curva obbiettiva [.
A tal fine si consideri la corrispondenza [1, m' (2.m + m' — 3)]
che, per la (3), viene stabilita fra i punti di L e di l' dalle
tangenti di F appoggiate alle rette L ed R. I punti di L, tali
E TTT RSI
it rn pnt
het isso dei Dini sn
rea pren. pre per
SULLE CURVE PIANE CHE IN DUE DATI FASCI, ECC. 481
che due dei loro corrispondenti coincidano, sono .di tre specie:
1) i punti d’incontro di L colle tangenti principali di F
che tagliano anche R, ed il loro numero è espresso dalla (2);
2) le m? intersezioni di L con F;
3) i punti nei quali L viene incontrata dai piani pas-
santi per R e tangenti ad F in un punto non situato sopra R:
questi punti sono tanti, quante le curve del fascio ®' dotate
di punto doppio, cioè 3 (m' — 1)?.
Se dunque diciamo p il genere di (M cioè di) [”, la nota
formola di ZreuTHEN (*) dà:
2(p—1)+ 2m'(2m+m' —3)=3[(m4m')(m+m' — 6)
+ 2mm' +5] + m+3(m—- 1),
da cui
p=(m+m —2)[2(m+m)_- Sl
Dalle formole di PLiicgzer si deduce allora che T' non ha
punti multipli, il che permette di assegnare gli altri caratteri
pluckeriani della curva.
5. — La rigata T, che ha per generatrici le tangenti di F
appoggiate ad L ed R, ha in queste rette le multiplicità
_m' (2m+m' —3) ed m(m+2m'— 3) risp., ed è di grado
m' (2m + m' — 3) + m(m + 2m' — 3)
= (m+tm') + 2mm' — 3(m+ m').
Essa tocca F lungo F, e la taglia, ulteriormente ed all’in-
fuori di R, in una curva X di ordine
m|3mm'(m + m') — 6mm' — 4(m+ m') + 6].
Questa ha per imagine la curva 2’, luogo dei punti dove
(*) Nouvelle démonstration de théorèmes sur des séries de points corres-
pondants sur deux courbes (Math. Ann., Bd. III, pag. 150).
482 LUIGI BERZOLARI
si tagliano le curve fra loro tangenti dei fasci ®© e ®': l'ordine
di Z' è dunque
Smm'(m + m') — 6mm' — 4(m+m') + 6.
Le curve [ e X passano entrambe per ciascuna delle m?
intersezioni di F con L, e per ciascuno degli m'? punti di cui
si è detto alla fine del n. 1: la passa semplicemente per
tutti i punti nominati, mentre X, per le (3) e (6), ha in ognuno
dei primi la multiplicità wm'(2.m + m' — 3) — 2, ed in ognuno
degli altri la multiplicità m (m +2wm'— 3) — 2. Pertanto
passa semplicemente per tutti i punti base dei fasci ® e D', mentre
Z' ha in essi risp. le multiplicità ora indicate (*).
Per la rigata T, le tangenti doppie e le tangenti princi-
pali di F appoggiate ad L ed R sono generatrici risp. doppie
e stazionarie: oltre ad esse ed alle rette L, R, la rigata non
possiede altre linee multiple, com'è facile riconoscere uguagliando
il genere di una sezione piana generica di T a quello della
stessa T, il quale, manifestamente, è uguale a quello della
curva T, che si è determinato nel n. precedente.
Ne segue, passando senz'altro al piano TT, che la curva X'
ha un nodo in ogni punto di secamento di due curve dei fasci
dati che abbiano fra loro un doppio contatto, ed ha una cuspide
in ogni punto di secamento di due curve fra loro osculatrici dei
fasci stessi. — Inoltre le curve V' e X' si tagliano, oltre che nei
punti base dei due fasci, nei punti in cui si toccano due curve di
tali fasci che abbiano fra loro un doppio contatto, e sì toccano în
ciascuno dei punti in cui si osculano due curve dei fasci stessi.
Si può dimostrare rigorosamente che Z' non ha, all’infuori
di quelli ora enumerati, altri punti multipli, con metodo ana-
logo a quello del n. precedente: basta per questo considerare
la corrispondenza [1,m'(2m + wm' — 3) (m m' — 2)] che, per
la (3), viene stabilita fra i punti di L e di X dalle tangenti
(*) Tutto questo si può vedere anche colla considerazione diretta dei
fasci ® e ®', ricorrendo al noto teorema, che una curva d’ordine p è toc-
cata da p(p+ 29 — 3) curve di un fascio d’ordine g (v. STEINER, l. c.,
pag. 6, e gli altri autori citati in principio).
oe
——_ oe <_re . "
SULLE. CURVE PIANE CHE IN DUE DATI FASCI, ECC. 483
di F appoggiate a L ed R, cioè dalle generatrici di T. I punti
di L, tali che due dei loro corrispondenti coincidano, sono:
1) i punti d’incontro di L colle tangenti doppie di F
appoggiate ad L ed R: il loro numero è espresso dalla (9), e
| ciascuno di essi deve contarsi due volte;
2) i punti d'incontro di L colle tangenti principali di F
appoggiate ad L ed R, ciascuno contato mm’ — 2 volte;
3) le m? intersezioni di L con F, ciascuna contata
mm' — 2 volte;
4)i3(m' —1) punti d'incontro di L coi piani passanti
per R e tangenti ad F in un punto esterno ad R, ciascuno con-
tato m m' —2 volte.
Chiamando quindi p; il genere di (X cioè di) 2’, la formola
già usata di ZeuTHEN dà:
2(p, — 1) + 2w' (m' + 2m — 3) (mm' — 2)
= 2{mm' [2(m+4+m') — 9m+ m') + mm' + 1]
— 6(m+m —1)(m+m — 4)}
+ 3 [(m + 10°) (o + n° — 6) + 2o + 5] (n — 2)
+ m?(mm' — 2) + 3(m' — 1)° (mm' — 2),
da cui si deduce:
Pi 2(m + m' — 4){(m + m') (2mm' — 5) — mm' 14}
+ mm' (mm' + 2) — 9,
come appunto si ricava dalle formole di PLiicgzeR quando si
attribuiscano alla curva 2’, come luogo, i soli caratteri sopra
indicati.
6. — Non è senza interesse riavvicinare i nostri risultati
a quelli stabiliti in generale dallo ZEUTHEN (*) per una qualunque
(*) Recherche des singularités qui ont rapport à une droite multiple d’une
surface (Math. Ann., Bd. IV, pag. 1). — V. anche le osservazioni dello
stesso A. nella Note sur la théorie de surfaces réciproques, a pag. 633 dello
stesso volume dei Math. Ann.
484 LUIGI BERZOLARI — SULLE CURVE PIANE, ‘ECC.
superficie algebrica dotata di una retta multipla. Si trova senza
difficoltà (in parte direttamente, come implicitamente si è fatto
nel corso di questa Nota, ed in parte adoperando le relazioni
che trovansi a pag. 16 di quel lavoro) che i simboli di ZEUTHEN
hanno, per la nostra superficie F, i seguenti valori:
i=0,
a=3m(m — 1),
b=Im(m—1)(m°+m—3), B=3(m— 1) (m— 2) Gm
— 3m — 11),
cb, c=12(m_-1)(m—2),
n=, n'=83(m 1),
n=m(m—-m'), n=m' (mm),
x=3(m —-1)(4m— 5), x'—= 3m(2m — 3),
o= (m_—1) [(m_1) (83m? d'=3m[(m_2) (0m?13) +4],
20) POT
B=0, P=m(m — 3) — m'(m' — 3),
j=3m(m—-1) + m'(m' $=0,
— 4m +3),
tam", =3(m — 1),
f=(m—-m')[mm' (m—m') — 3 (mt+m_-1)-mt+ 1].
Introducendo queste espressioni nelle formole date dallo
ZeuTtHEN a pag. 15 del Il. c., si possono avere conferme di al-
cune delle proprietà precedenti.
CORRADO SEGRE — INTORNO AD UN CARATTERE, ECC. 485
Intorno ad un carattere delle superficie e delle varietà
superiori algebriche ;
Nota del Socio CORRADO SEGRE.
1. Fra le definizioni note del genere di una curva algebrica
ve n'è una, di speciale importanza, che qui conviene ricordare (*).
Sia y la curva (irriducibile), e su essa consideriamo le serie
lineari (co') di gruppi di punti, chiamando così ogni serie di
gruppi di punti variabili che possa esser segata su y da un fascio
di superficie algebriche (se si è nello spazio ordinario; se no,
da un fascio di M,_, in S,). Per una tal serie diciamo n l’or-
dine, cioè il numero dei punti di un gruppo generico, e v il nu-
mero dei punti doppi, cioè delle coincidenze di due punti di uno
stesso gruppo (in un sol elemento o punto dell'ente algebrico
rappresentato da Y). Diciamo »' e v' i caratteri analoghi per
un’altra serie lineare. Si dimostra allora (applicando il principio
di corrispondenza a quella corrispondenza fra i gruppi di una
stessa serie, in cui si corrispondono due gruppi, quando conten-
gono rispettivamente due punti di uno stesso gruppo dell’altra
serie; e poi scrivendo l’equazione analoga, e confrontando) che
VIRALI
Il numero
v
glia pr;
che così risulta indipendente dalla serie lineare a cui si riferisce,
(*) Cfr., per l'ordine d’idee a cui essa si riferisce e per alcure appli-
cazioni a cui essa si presta facilmente la mia Introduzione alla Geometria
sopra un ente algebrico semplicemente infinito (Annali di matematica (2) 22,
1894).
486 CORRADO SEGRE
può definirsi come genere della curva y. Chiamandolo p si avrà
v= 2n+2p—- 2
pel numero dei punti doppi di una serie lineare qualunque, il
cui ordine sia 7, sulla Y.
Ricordiamo pure che se un punto di y è s—plo per un
gruppo di una serie lineare (s>2), esso va considerato come
equivalente ad s—1 punti doppi.
2. Sopra una superficie algebrica F consideriamo un fascio
di curve (irriducibili), cioè l'insieme delle curve Y intersezioni
variabili di F con un fascio di superficie algebriche (o di M,_,
se si è in S,). Diciamo p il genere del fascio, cioè di una Y ge-
nerica; c il numero dei punti dase (a tangenti variabili (*)) del
fascio; è il numero dei punti doppi di curve del fascio che cadono
fuori dei punti base e fuori dei luoghi (eventuali) di punti mul-
tipli delle curve generiche del fascio (**). Ci proponiamo di cer-
care una funzione di p, 0, è, che non muti al mutare del fascio
y su F, cioè che non muti sostituendo a quei tre numeri gli
analoghi p', o', è’ relativi ad un altro fascio di curve, 1', della
stessa superficie. A tal fine è chiaro che, per semplificare, si può
supporre che i due fasci y, y' siano indipendenti fra loro, e quindi
senza punti base comuni, ecc. Inoltre si può supporre che le y
e le Y' si taglino in un numero di punti m=2. Si potrà quindi
considerare la curva T luogo dei punti di contatto delle y con
le y. Noi determineremo il genere t di T ricorrendo alle due
(*) Si vedrà dal seguito fino a qual punto questa restrizione e quella
dell’irriducibilità delle curve, non che altre che supporremo relative alle
superficie e varietà da considerare, sian necessarie.
Non sarà forse inutile avvertire che le cose contenute in questa Nota
hanno un’origine didattica (mentre d'altra parte si collegano alla mia ci-
tata Introduzione): esse datano dal 1893, e furono esposte, per quel che
riguarda le superficie e tolto solo qualche particolare secondario, nelle
mie Lezioni del 1893-94, con speciali applicazioni alle superficie razionali
ed ai sistemi lineari di curve piane.
(**) È un luogo sì fatto la linea multipla di F, se il fascio di superficie
che stacca le Y non l’ha per linea base. Il numero è si riferisce a punti
situati fuori di quella linea (almeno in generale; cfr. il seguito).
|| TESO PT, SL nnn__— oo = Io ET SALTO
DOD
TIT TT enon pa
ur e PI
INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 487
serie lineari che su T sono staccate dai due fasci , {; e con-
frontando le due determinazioni otterremo la relazione cercata.
Su una y generica il fascio Y' sega una serie lineare d’or-
dine m, che avrà (n. 1)
N=2m + 2p—2
punti doppi: tanti saranno dunque i punti variabili del luogo
T, che stanno sulla Y generica. Al variare della Y quel gruppo
di punti descriverà su T una serie lineare, che indicherò con g,
d'ordine N. Similmente su una y' generica si hanno
N = 2m + 2p"— 2
punti variabili di T: e ne deriva su questa curva una seconda
serie lineare, che dirò g', il cui ordine sarà N'. — Cerchiamo i
punti doppi di queste serie, ad esempio della g.
8. Anzitutto se su una y coincidono due degli N punti
suddetti in un punto che non sia nè singolare per la Y, nè punto
base per le y', nel punto stesso dovrà (v. la fine del n. 1) es-
servi un contatto tripunto della Y con una y'. Diciamo t il nu-
mero dei punti di F, in cui vi è contatto tripunto fra una y ed
una Y': essi daranno altrettanti punti doppi della 9. Si vede
che se una Y ha un contatto s— punto con una Yy', coincidono
s—1 suoi punti d'incontro con T, e quindi coincidono s — 2
punti doppi della g: il contatto s — punto influirà per s — 2
unità nel numero t dei contatti tripunti.
In secondo luogo se una Y ha un punto doppio A, che non sia
nè in un punto base, nè su un luogo di punti doppi del fascio,
vale a dire se la r ha uno dei è punti doppi su nominati, il
suo genere si ridurrà a p— 1; e quindi pel n. 1 le Y' propria-
mente tangenti alla y si ridurranno a sole N — 2, cioè la Y'
che passa per A assorbirà due delle N y' tangenti a v. Segue
che i è punti doppi di curve y sono punti doppi per la serie
lineare g di T. — Si osservi però che se A fosse in particolare
una cuspide (ordinaria) per la y; allora la y' per A sarebbe da
contare fra le dette N — 2 curve y' tangenti alla 1; e quindi A
sarebbe non solo doppio, ma triplo per la serie 9g di T, ossia
488 CORRADO SEGRE
influirebbe per 2 unità nel numero dè. — Se poi A è per la y un
punto s — plo ordinario, che diminuisce il genere p di Pare 1)
unità, segue ancora dal n. 1 che fuori di A cadono N — s (s— 1)
punti variabili del luogo T, sicchè A equivale ad s(s — 1) in-
tersezioni della y e di T. Ora poichè la y ha s rami distinti
passanti per A, si può concludere che A sarà (s —1)— plo per
T e con tangenti diverse da quelle della 1. Ammesso poi che
i rami completi di T passanti per quel punto sian tutti distinti,
essi saranno s—1 e su ognuno di essi la y sega A come punto
s— plo della serie lineare g. Onde in A cadono s— 1 punti
s— pli di questa serie, il che equivale ad (s—1)? punti doppi.
Il punto A influisce dunque per (s—1)? unità sul numero è.
In terzo luogo consideriamo un punto B' che sia punto base
s'—plo (s'=1) pel fascio y'. Sulla Y che passa per esso la serie
staccata dalle y' avrà solo più m —s' punti variabili, e quindi
fuori di B' avrà solo N — 2s' punti doppi: in B' cadranno 25"
intersezioni della Y col luogo T. Per determinare la multipli-
cità di B' per questo luogo, osserviamo che nel fascio Y' vi sono
in generale 2s"— 2 curve, per le quali coincidono due delle s'
tangenti in B', ossia per le quali B' diventa un punto di dira-
mazione (su un ciclo o ramo completo di 2° ordine). Se su una
di queste particolari y' si considera la serie segata dal fascio Y,
sì vede che essa avrà B' per punto doppio; sicchè quando una
y' generica viene a cadere in quella, delle N’ sue intersezioni
variabili con T una viene in B'. Dunque ognuna delle 2s'— 2
curve y' nominate è tangente in B' a T. L’unica curva ulteriore
del fascio y' che riesca tangente a T in B' si vede similmente
esser quella che tocca in B' la y passante per questo punto.
Siccome poi, come dicemmo, questa Y ha con T un incontro
(2s') — punto in B', così concludiamo che B' è multiplo secondo
258' — 1 per T, e che dei 2s5'— 1 rami completi di questa curva
i quali passano per B' uno solo è tangente (semplicemente) alla Y.
Dunque in B' cade un solo punto doppio della serie 9g segata su T
dal fascio y(*#). — Da questo ragionamento risulta pure che,
(*) Ciò non varrebbe più se il fascio y' avesse in B' tutte le s' tangenti
fisse, cioè se nel detto fascio vi fosse una yY' che avesse in B' multiplicità
s + 1. Allora facendo le necessarie modificazioni al ragionamento prece-
ne n i
INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 489
mentre i o’ punti base del fascio y' dànno altrettanti punti
doppi della serie g su T, i punti base del fascio Y mon sono
punti doppi di questa serie.
4. Applicando ora la formola del n. 1 ai punti doppi che
abbiamo enumerati della serie 9g d'ordine N, sulla curva T di
genere t, abbiamo
tdi N + 1275-13;
ossia
(1) tt+tò+o=4m+2n+4+4p_- 6.
Similmente dalla serie g' d’ordine N' si avrà:
(2) t+d+o—=4m+2n44p— 6.
Sottraendo membro a membro queste due formole si ha
(3) dò - 0 — 4p=d' — — 4p,
che è la relazione cercata. Essa dice che su una data superficie
il numero dei punti doppi staccati di curve di un fascio diminuito
del numero dei punti base di questo fascio e di 4 volte il genere
di questo dà un numero che non muta se si cambia il fascio di
curve, e costituisce quindi un carattere proprio della superficie (*).
dente si vede che T verrebbe ad avere in generale in B' multiplicità 2 s'
senza alcun contatto (proprio od improprio) con la Y passante per quel
punto: sicchè B' non sarebbe più punto doppio per la serie 9 di T.
(*) La proposizione si estende anche a casi che non abbiamo conside-
rati. Così se il fascio Y ammette un punto base semplice B' con la tangente
fissa, questo dovrebb’essere sottratto dal numero complessivo 0' nella re-
lazione (1): v. la nota preced°. D'altra parte tenendo conto che B' viene
ad essere punto doppio per una Y ed anche per T, si scorge tosto che
esso dovrebb’esser tolto dal numero dei punti doppi della serie g' di T
cioè dal 1° membro della (2), ossia da d'. Segue, passando alla (3), che
questa rimane valida tal quale, purchè il punto B' non si computi nè nel
numero 0' dei punti base, nè nel numero è’ dei punti doppi del fascio Y,
oppure purchè si conti una volta in ciascuno di quei due numeri (od anche
per 2 unità in entrambi i numeri, come da ragioni di limite si sarebbe
indotti a fare).
490 CORRADO SEGRE
Chiamando P questo carattere della superficie, potremo dire
che un fascio di curve tracciato su questa, del genere p, con 0
punti base, ha un numero di punti doppi staccati espresso da
(4) d=0+4p+P:
in altre parole questo sarà il numero delle superficie tangenti
alla superficie data, in un fascio di superficie la cui intersezione
variabile con questa abbia il genere p ed abbia 0 punti fissi (sem-
plici o multipli).
Dal precedente n. 3 risulta pure che un punto il quale sia
s—plo (staccato) per una curva del fascio va contato come
equivalente ad (s—1)? punti doppi. — Se la superficie F ha un
punto s—plo staccato A e si applicano le cose esposte nei ni
2,3 a due fasci di curve y, y' ottenuti con fasci di superficie
non passanti per À, questo punto sarà s— plo tanto per una Y
quanto per una y': e l’influenza che esso avrà sui numeri è, è’
delle relazioni (1), (2) scomparirà nella sottrazione, cioè nel pas-
saggio alla relazione (3). Si può quindi fissarla, in questo caso,
anche diversa da (s—1)?. Conviene assumere (*) che nella de-
finizione del carattere P di una superficie un punto s — plo
staccato ordinario di questa conti come s—1 punti di contatto
ordinario con le superficie di un fascio, del quale il punto
stesso non sia punto base.
5. Se della superficie F_si chiamano » l’ordine, v la classe,
p il genere delle sue sezioni piane, e si applica la definizione
del carattere P ad un fascio generico di sezioni piane, si ha
(5) Pa=v_-n—- 4p.
Se si chiama r il rango della superficie, e c l'ordine della sua
linea cuspidale, sicchè r+c=2n+2p — 2, si avrà, elimi-
nando p:
(6) Pa=vT_- 2r + 3a — 2e — 4.
Tanto in questa formola, quanto nella (5), secondo la conven-
(*) Cfr., ad esempio, la nota seguente.
INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 491
zione fatta, si aggiungerà (s—1) al 2° membro per ogni punto
s—plo staccato ordinario che la superficie avesse (*).
Nella (6) si riconosce un’espressione già incontrata dal
signor ZeutHEN nella ricerca fondamentale di caratteri della
superficie invariabili per trasformazioni birazionali (**). La stessa
espressione fu poi considerata di nuovo dal signor NoETHER (***);
indicando con p e p‘ rispettivamente quei numeri che egli
chiama Flichengeschlecht e Curvengeschlecht della superficie F,
quest’ultimo scienziato trova che l’espressione (6) di P equi-
vale a
12p — PUT9,
almeno se si fanno opportune riserve relativamente alle singo-
larità di F. Su ciò, e su qualche raffronto che si potrebbe fare
tra il ragionamento che ci ha condotti al carattere P ed i ra-
gionamenti di quei due illustri scienziati, per brevità non mi
trattengo.
Osserverò invece come dalla (5) risulti che per una super-
ficie generale d’ordine n è
P=(n_-2)(e_-2n+2);
per una rigata sghemba di qualunque ordine e di genere p è
Lai lo
(*) Qui si può già vedere l’opportunità della detta convenzione in ciò
che essa permette di applicare la definizione del carattere P anche ricor-
rendo ad un fascio di curve di cui quel punto s—plo sia punto base.
Consideriamo in fatti un fascio di sezioni piane passanti per questo: il suo
; s(s_1l) . 4 z È b
genere sarà p — © , il numero dei suoi punti base n — s + 1, il numero
dei suoi punti doppi fuori di questi v—2s(s—1); per conseguenza l’e-
spressione è — 0 —4p del n° preced.° diventa pel fascio attuale v—n—4p
+ (s-1)
(**) V. ad esempio il n. 24 delle Etudes géométriques de quelques-unes
des propriétés de deux surfaces dont les points se correspondent un-à-un. Math.
Annalen, t. IV (1871).
(***) Zur Theorie des eindeutigen Entsprechens algebraischer Gebilde
(2° Aufsatz). Math. Ann., t. VIII (1874).
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 35
492 CORRADO SEGRE
ecc., ecc. — Applicando questi risultati al problema dei con-
tatti della superficie data con superficie di un fascio si ha ad
esempio: in un fascio di superficie d'ordine u vi sono in generale
nu° + 4(t — p) superficie tangenti ad una data rigata sghemba
d’ordine n e genere p, se © è il genere della curva d’intersezione
della superficie generica del fascio con la rigata; ecc., ecc.
Nel caso che la superficie data sia un piano, si vede che
il suo carattere sarà P=—1. Si ritrova così la nota proposi»
zione: in un fascio di curve piane di genere p, con 0 punti base,
vi sono în generale
o-|4p— l
curve dotate di punti doppi fuori dei punti base (*).
6. Quando di una superficie si sia calcolato il carattere P,
introducendolo mediante la formola (4) del n. 4 nella (1), questa
diventa
(7) t_-2n=4m — ((+0) —6—- PD.
Questa relazione permette di calcolare t, cioè il numero delle
coppie di curve dei due fasci con contatto tripunto, quando si
sappia determinare il genere m della curva T. — Ad esempio,
se si è nel piano, e se si conoscono anche gli ordini n, n' dei
due fasci di curve Y e 1", t si può avere subito. Dal ragionamento
(*) Il sig. Cremona nello scritto Sopra alcune questioni nella teoria delle
curve piane (Annali di mat., t. VI, 1864) determinò il numero dei punti
doppi di un fascio di curve piane, fuori dei punti base, in molti casi; tra
cui quello nel quale i punti base siano di multiplicità qualunque, con le
tangenti variabili. Introducendo nella formola del Cremona il genere, il
Caporari la mise nella forma sopra scritta: v. il n. 13 della Memoria
Sopra i sistemi lineari triplamente infiniti di curve algebriche piane (Collect.
mathem. in mem. Caeuini, 1881). — Il sig. Guccra ha poi trattato la stessa
questione nelle sue Lezioni di Geometria superiore (litogr., Palermo, 1890),
e per singolarità superiori del fascio di curve piane nel $ 8 delle sue
Ricerche sui sistemi lineari di curve algebriche piane, dotati di singolarità
ordinarie, Mem. II (Rendiconti del Circolo mat.° di Palermo, t. IX, 1895).
«” ani
I RR PT, On
iter ect
INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 493
del n. 3 segue infatti che le sole multiplicità di T si hanno in
generale nei punti base dei due fasci, e precisamente in un
punto base s — plo la multiplicità 2s — 1: contando gl’incontri
di T con una curva generica di un fascio si trae che l’ ordine
di Tè 2n + 2x'—3; e poi basandosi su questo e sulle dette
multiplicità di T si calcola subito:
mq = 4nn + 6(p+tp)—- (040) — 2.
Sostituendo nella (7) in cui si ponga P= —1 ed m= nw', si ha
t= 12(nn' +p+p)— 3(0+0)— 9
come numero dei contatti tripunti tra curve di ordini n, n' e ge-
neri p, p di due fasci di curve piane con 0, 0' punti base or-
dinari (*).
Si può aggiungere a queste formole un’altra relativa al
numero d delle coppie di curve dei due fasci che hanno fra loro doppio
contatto. Una coppia di punti di contatto fra una Y ed una v'
costituisce sulla curva ausiliaria T una coppia comune alle due
serie lineari d’ ordini N, N' considerate al n. 2. Però fra le
coppie comuni a queste due serie vi sono anche quelle costituite
da due punti coincidenti, provenienti dalle coppie di curve v, y'
aventi contatto tripunto. Quindi, applicando la nota formola (#*)
relativa alle coppie comuni a due serie lineari (co!) sopra un
ente di genere t, avremo
d+T1=(N-1)(N-1)— n,
ossia
(*) Nel caso di due fasci generali degli ordini n, x quella formola si
riduce ad una data da Sremer alla fine della sua Nota AWgemeine Eigen-
schaften der algebraischen Curven (Berliner Berichte 1848; Werke II p. 495).
Cfr. anche la Nota del sig. BerzoLari Sulle curve piane che in due dati fasci
hanno un semplice o un doppio contatto, oppure si osculano: Nota che pre-
sento all'Accademia con questa mia, e che mi ha eccitato a riprendere,
per pubblicarle, le cose qui esposte, e preparate, come dissi (v. nota al
n. 2), alcuni anni addietro.
(**) Cfr., ad esempio, la mia citata Introduzione, n. 85.
494 CORRADO SEGRE
8) dtbrit+qa=(2m+2p—3) Qm4 2p — 3).
Questa formola si può unire con la (7); e si può, ad esempio,
eliminare da esse t oppure t. — Se si è nel piano si può sen-
z'altro porre nella (8) per m e per t i valori dianzi calcolati,
e così si ottiene pel numero dei doppi contatti tra curve di or-
dini n, n' e generi p, p' di due fasci di curve piane con 0, 0' punti
base ordinari l’espressione (*)
d=4[n?n° | (nn — 6)(p+p)+ pp'— Inn +0+0' +5].
7. Nel n. 5 abbiamo citato le ricerche dei sigi NoETHER e
ZeurHEN relative a caratteri di una superficie invariabili per
trasformazioni birazionali di questa. Considerando il carattere P
da questo punto di vista facciamo alcune brevi osservazioni (**).
Se fra i punti di due superficie algebriche ha luogo una
corrispondenza birazionale priva di punti fondamentali su en-
trambe le superficie, cioè di punti a cui corrispondano linee,
allora ad un fascio di curve dell’una corrisponderà sull’altra un
fascio di curve, dello stesso genere, con lo stesso numero di
punti base, con lo stesso numero di punti doppi staccati. Quindi
le due superficie avranno lo stesso carattere P. — Si sa che il
CLeBscH (***) ha proposto di distinguere le superficie algebriche
in tipi, chiamando “ di uno stesso tipo , flue superficie quando
si possono riferire tra loro biunivocamente nel modo detto.
Adottando quella distinzione potremo dire che: per le superficie
di uno stesso tipo il carattere P_ha lo stesso valore.
Abbiasi ora, più in generale, una corrispondenza birazio-
(*) V. pel caso di due fasci generali di ordini n, »' la citata Nota del
sig. BERZOLARI.
(**) Per maggior semplicità considero superficie che non abbiano punti
multipli staccati: sebbene l’esistenza di tali punti non produrrebbe difficoltà
essenziali; ed inoltre, applicando le osservazioni che faremo a superficie
dotate di punti multipli staccati si avrebbe una nuova prova dell’opportu-
nità della convenzione fatta su quei punti alla fine del n. 4.
(***) Ueber die geradlinigen Fliichen vom Geschlechte p= 0 (Math. Ann.,
t. V). V.il 88.
INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 495
nale tra due superficie F, F,, tale che su queste vi siano ri-
spettivamente è, î, punti fondamentali; sicchè su F,, F_ avremo
rispettivamente i, î, linee fondamentali corrispondenti a quei
punti. Consideriamo in F un fascio di curve, staccato mediante
un fascio di superficie in posizione generale rispetto ai punti
e linee fondamentali di F: sia p il suo genere, o il numero dei
suoi punti base, è il numero dei suoi punti doppi (staccati) fuori
di questi. Gli corrisponderà su F, un fascio di curve dello stesso
genere p, del quale dirò 0, il numero dei punti base e è; il nu-
mero dei punti doppi staccati. Al fatto che le linee del 1° fascio
incontrano ogni linea fondamentale di F corrisponderà il passare
di tutte le linee del 2° fascio per ciascun punto fondamentale di
F,; onde 0:=0-+i,. Quanto ai è, punti doppi del 2° fascio, parte
corrisponderanno ai è punti doppi del 1° fascio; e gli altri agli è
punti fondamentali di F, giacchè una curva del 1° fascio che
passi per uno di questi punti fondamentali ha per corrispondente
su F, una curva che contiene come parte la linea fondamentale
omologa, e precisamente in modo che l’altra componente incontra
questa linea fondamentale, fuori dei punti fondamentali, in un sol
punto, corrispondente ad una direzione uscente dal punto fonda-
mentale di F (*). Si ha dunque: è, =ò + i. Chiamando ora P
e P, i caratteri di F, F,, e calcolandoli (n. 4) rispettivamente
coi due fasci considerati, abbiamo
Li
(9) PP, Be=sio=lHix
Dunque: quando tra due superficie algebriche ha luogo una cor-
rispondenza birazionale con soli punti fondamentali ordinari, la
differenza fra il numero dei punti fondamentali che stanno sulle
due superficie è uguale e opposta alla differenza tra i caratteri di
queste. In particolare se la corrispondenza ha luogo tra i punti
di due superficie coincidenti, il numero dei punti fondamentali sarà
lo stesso per entrambe (**).
(*) È facile vedere che l’esistenza, in questo caso, di curve riducibili
non toglie di applicare le cose esposte prima, sebbene le curve siffatte
fossero escluse.
(*#*) Merita di esser ricordato che questa proposizione, pel caso di due
496 CORRADO SEGRE
Possiamo enunciare queste proposizioni anche in altro modo,
riferendole ai sistemi lineari di curve che sull’una superficie cor-
rispondono alle sezioni piane (od iperpiane) dell’altra. Avremo:
un sistema lineare di curve tracciato su una superficie F e rap-
presentativo di un’altra superficie F, dà come eccesso del numero
dei suoi punti fondamentali (supposti ordinari) sul numero delle
sue linee fondamentali la differenza P, — P tra i caratteri delle .
due superficie. Per conseguenza se la superficie F si trasforma
birazionalmente in se stessa, verrà trasformato il sistema lineare
di curve in un altro sistema, il quale potrà avere altri numeri
di punti e di linee fondamentali, ma conserverà invariato l’ec-
cesso dell’un numero sull’ altro, giacchè non muteranno i due
caratteri P, P,. In particolare se si tratta di un sistema lineare
di curve piane, vediamo che il detto eccesso è invariabile per
trasformazioni birazionali del piano e ne troviamo una spiega-
zione nel fatto che esso diminuito di 1 dà il carattere P, della
superficie che è rappresentata da quel sistema lineare. —
Le cose ora esposte si potevano anche derivare dalle Mem®
citate, e più specialmente da quella del sig. NoeTHER (cfr. ad
es° il $ 6 della detta Mem?). Si osservi, a questo riguardo, che
il numero P+i, somma del carattere della superficie F col
numero dei suoi punti fondamentali, è uguale al numero analogo
relativo alla superficie F,. E si noti pure che l’esistenza su Fi,
ad esempio, di punti fondamentali non sarà possibile se su F
non esistono di quelle linee che il sig. NoETtHER medesimo ha
chiamato “ ausgezeichnete ,. — D’ altra parte è ben noto che
dell’ eccesso su nominato, per un sistema lineare qualunque di
curve piane, si occupò molto estesamente, specialmente per la
sua invariantività, il sig. June nei suoi lavori sui sistemi lineari
di curve piane (*).
piani, fu dimostrata dal Cremona appunto con la considerazione del numero
dei punti doppi delle curve del fascio che sopra l’un piano corrisponde ad
un fascio di rette dell’altro (Sulle trasformazioni geometriche delle figure
piane, Mem. 2*, $ 5: Mem. Accad. Bologna (2) V, 1865).
(*) Ricerche sui sistemi lineari di curve piane algebriche, ecc. (Annali di
mat. (2), 15 e 16 (1888, 1889)). — Sull'eccesso degli elementi fondamentali
di un sistema lineare (Rend. Ist. Lomb. (2), 21 (1888)). — V. anche: Sul
numero delle curve degeneri contenute in un fascio (ibid.).
arr nte —e +
| a
INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 497
8. Passiamo ora a fare, brevemente, in modo pienamente
analogo a quello tenuto ai ni 1, 2, ecc. pei caratteri p e P delle
curve e superficie, la ricerca di un analogo carattere relativo
alle varietà algebriche a tre dimensioni.
Sopra una M, abbiansi due fasci (tra loro indipendenti) di
superficie F, F'. Diciamo P e P' i caratteri delle superficie ge-
neriche dei due fasci; p il genere della curva d’ intersezione;
p e p' i generi delle curve y e y' basi dei due fasci (semplici
o multiple); c e 0' i numeri dei punti d’intersezione di y' con
una F, e di y con una F". Consideriamo poi la curva T, di genere r,
luogo dei punti di contatto delle F con le F'. Su una F gene-
rica le superficie F' segano un fascio di curve di genere p,
con o punti base: il numero dei punti doppi che vi saranno
fuori di questi, cioè il numero N dei punti d’incontro variabili
della F col luogo T sarà (n. 4)
N=0+4p+P.
Ciò per altro esige modificazioni, se fra i punti di y vi sono
dei punti eccezionali, che influiscano in un modo speciale sul
valore di P. Ci limiteremo, fra questi casi, a quello in cui Y sia
una curva base semplice del fascio F, nella quale però vi sian
punti base multipli ordinari. Se uno di questi punti è s — plo pel
fascio F, la determinazione assunta per P è tale (v. la fine del
n. 4) che il numero delle F' propriamente tangenti ad una F
non è più 6 + 4p + P, ma questo numero diminuito di s — 1.
Estendendo la cosa a tutti i punti base multipli del fascio F,
avremo in questo caso pel numero N il valore:
N=0+4p+P_ E(s-1)
Così il fascio F sega su T una serie lineare semplicemente in-
finita 9g il cui ordine N, a seconda dei casi detti, sarà dato
dalla 1? o dalla 2* espressione. Similmente il fascio F' sega su T
una serie lineare g' il cui ordine N’ sarà dato da
N=0 +40 + P'
in generale, cioè se sulla curva y' non vi sono punti eccezionali;
498 CORRADO SEGRE
nel caso che il fascio F' abbia la curva base y' semplice, ma
abbia pure su y' dei punti base multipli ordinari, la cui multi-
plicità in genere indichiamo con s', sarà invece:
N=o0 +4p+P_ (8-1).
Cerchiamo ora i punti doppi delle due serie lineari, ad
esempio di g.
Anche qui, le coincidenze di due degli N punti doppi del
fascio di curve che abbiam considerato sulla F potranno GONO
mente avvenire in tre modi diversi.
1° Senza abbassamento del carattere P o del numero dei
punti base del detto fascio, pel fatto che in questo vi è una
curva dotata di cuspide, fuori dei punti base (veggasi nel n. 3
l'osservazione relativa alle cuspidi). Diremo t il numero dei con-
tatti stazionari tra superficie Fed F', cioè dei punti (non base)
che sono cuspidi per curve comuni ad F ed F'.
2° Perchè la superficie F ha carattere minore di quello P
delle F generiche. Noi ammettiamo che ciò avvenga solo per
l'acquisto che la F faccia di un punto doppio. Allora su F il
fascio di curve considerato ammetterà solo N — 2 punti doppi
(staccati) fuori di quello: cioè in quello vi sarà una coincidenza
di due degli N punti considerati su una F generica. Diremo è
il numero dei punti doppi di superficie del fascio F (staccati,
cioè all'infuori dei punti base multipli e all’infuori dei luoghi di
punti multipli della M;).
3° Perchè s’abbassa il numero dei punti base del fascio
di curve della F. In generale ciò accadrà per quelle F che son
tangenti alla curva y' base del fascio F': il loro numero è (n. 1)
20 + 2p' — 2. Se Y' non ha punti multipli — sia poi essa curva
base semplice oppure multipla pel fascio F', — questo caso non
potrà accadere in altro modo. Ma se y' ha punti multipli, anche
le superficie F che passano per questi dovranno esser conside-
rate. Non stiamo ad esaminare completamente la cosa: limitia-
moci al caso di cui già abbiam tenuto conto precedentemente
che le F' abbiano una linea base semplice e, su questa, dei
punti base multipli; e consideriamo uno, B', di questi punti e
sia s' la sua multiplicità per le F', sicchè i coni tangenti in
esso a queste superficie formino un fascio generale d’ordine s'.
ATA TEO
INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 499
Si vede allora (analogamente al ragionamento fatto al n. 3,
pel 8° caso) che la curva ‘T passa in generale per B' con
8(s'— 1)? rami tangenti alle generatrici doppie di coni del detto
fascio e con altri 2s' — 2 rami tangenti alle generatrici di con-
tatto di coni del fascio medesimo col piano tangente in B' alla F
che vi passa. D'altronde su questa F, pel fascio di curve d’in-
tersezione con le F', il numero o dei punti base sarà diminuito
s(s'— 1)
2
contro variabili di T con la F il punto B' ne assorbirà (s'? — 1) +
di s'? — 1 ed il genere p di ; sicchè degli N punti d’in-
+ 28'(s' — 1) ossia 3(s" — 1)? + 2 (2s' — 2). Segue che i rami
nominati di T sono tutti lineari, e che gli ultimi 2s' — 2 sono
semplicemente toccati in B' da quella F: sicchè in B' cadranno
2s' — 2 punti doppi della serie g di T.
9. Applicando ora alla curva T di genere q, ed alla sua serie
lineare 9g, della quale abbiamo enumerato i punti doppi, la for-
mola del n. 1, avremo, nel detto caso speciale
t+òd+ (20429 — 2) +4 22/(s — 1)=2N+2n-2,
formola che rimarrà valida anche nel caso generale, se vi si
sopprime il simbolo sommatorio che vi compare. — Con questa
convenzione, e ponendovi per N il corrispondente valore, essa
diventa
(10) t—-2n—-8p+òd —2P+2p'+2Z2(s—1) + 22'(s'—1)=0.
Analogamente sarà:
(11) t—2m—8p+d'—2P'+2p +22'(s—1)+2Z(s—1)=0.
p
Sottraendo membro a membro avremo, tanto nel caso ge-
nerale, quanto nel detto caso speciale:
(12) d — 2p—2P=d — 29 — 2P.
Ossia: su una data varietà a tre dimensioni il numero dei punti
doppi staccati di superficie di un fascio, diminuito del doppio ge-
nere della curva base (semplice o multipla) e del doppio carattere
500 CORRADO SEGRE
delle superficie generiche dà un numero che non muta se si cambia
il fascio di superficie, e costituisce quindi un carattere proprio della
varietà a tre dimensioni (*).
Indicando con TT il carattere della M; che così abbiamo de-
finito, sarà poi
(13) d=2p+2P+T;
questa formola determinerà il numero delle superficie dotate dî
punti doppî staccati, in un fascio dato della Mz, quando si conosca
il genere p della curva base ed il carattere P della superficie
generica del fascio.
10. Ad esempio, per lo spazio ordinario possiamo determi-
nare il carattere TT mediante un fascio di piani: si ha così TT=2.
Ne segue che nello spazio ordinario un fascio di superficie, di
carattere P, con la curva base del genere p, ha in generale, fuori
di questa curva
(14) 2P+p+1)
punti doppi. — La curva base può esser semplice o multipla; e
se è semplice può aver dei nodi, ed anche contenere dei punti
base multipli pel fascio. — Se si tratta di un fascio generale
di superficie d’ordine x, sicchè (n. 5) P=(n— 2)(n° — 2n+-2),
e p=n?— 2n2+1, viene come numero di punti doppi 4 (n—1)?:
com'è ben noto. Se il fascio di superficie d'ordine n ha un punto
base s— plo, questo abbassa il valore di P ora scritto di
(*) Oltre che nei casi esposti, questo teorema vale anche se la curva
base del fascio di superficie è semplice ma possiede (oltre ai punti base mul-
tipli già considerati del fascio di superficie) dei nodi suoi proprî, purchè però
in tal caso si escludano dal computo dei punti doppi di superficie del fascio
quelli precisamente che cadono in quei nodi della linea base. Invero se nel
ragionamento fatto (n. 8) si ammette che Y e Y' possano avere punti doppi,
indicando con B' un punto doppio di y', sulla F che lo contiene si avrà
una coincidenza di due delle N curve con punto doppio, in quella che è
intersezione di F con la F' avente punto doppio in B'. Ne viene poi che
nella formola (10) si dovrà aggiungere al 1° membro il numero dei nodi
di Y': e così nella (11) il numero dei nodi di y. Quindi passando alla (12)
questa rimarrà vera, purchè è e è' si diminuiscano rispettivamente dei
punti doppi di y e Y.
” TERE arri ”
ee Ve nno. ng
INTORNO AD UN CARATTERE DELLE SUPERFICIE, ECC. 501
s(s — 1)? — (s— 1), e quello di p di s*(s — 1) (*); quindi l’espres-
sione (14) ci fa vedere che l'abbassamento nel numero 4(n — 1)8
dei punti doppi del fascio sarà di 2(s — 1)? (2s + 1): risultato
pure noto (**).
11. Si può domandare quale sia per una varietà qualunque
M, il carattere analogo a quelli che abbiamo introdotto per le
superficie e per le varietà M;. Chiameremo TT, questo carattere:
e lo supporremo definito per indici minori di ». Allora si con-
sideri sulla M, un fascio di varietà M,_,, il cui carattere indi-
chiamo con TT,_,, e sia TT,_s il carattere della M,_, base e è il
numero dei punti doppi staccati di varietà del fascio: sarà,
indipendentemente dal fascio considerato:
(15) FIS = d — ANI == LI pira
Conviene porre TT, uguale al numero dei punti a cui esso si ri-
ferisce, diminuito di 1; poi TT, uguale al doppio del genere della
curva (ossia porre TT_ ,=0). Dopo ciò risulta dalla (15) TT,
uguale al carattere P della superficie aumentato di 1; e TT, uguale
al carattere che avevamo chiamato TT della M, diminuito di 2.
La determinazione così scelta è tale che, qualunque sia r, il
carattere TT, s'annulla per la M, lineare, cioè per uno spazio S.. —
Accenniamo ancora, terminando, che sarebbe utile in questo
argomento considerare anche le varietà riducibdili. Per quel che
riguarda le curve si sa già come la nozione del genere si possa
applicare alle curve riducibili: e non vi è difficoltà a determi-
nare quali modificazioni occorrano in tutte le cose esposte
quando per le curve che abbiamo incontrato si tolga la restri-
zione di essere irriducibili. Converrà fare la stessa determina-
zione per le superficie, ecc.
(*) Cremona, Grundziige einer allgem. Theorie der Oberfliichen, n. 119.
(**) Preri, Sopra alcuni problemi riguardanti i fasci di curve e di super-
ficie algebriche (Giornale di matem., t. 24 (1884)). — Cfr. anche, per questo
e per un risultato più generale : Guccra, Sur les points doubles d’un faisceau
de surfaces algébriques (Comptes rendus, avril 1895).
502 ALBERTO LEVI
Sulle singolarità della jacobiana di quattro superficie;
Nota del Dott. ALBERTO LEVI.
Il prof. GerBALDI in un suo lavoro (1) ha risolto la que-
stione di determinare quando la jacobiana di tre curve piane
abbia in un punto dato una multiplicità maggiore di una o due
unità di quella generale. Nella mia dissertazione di laurea
(luglio 1895), che sarà pubblicata per esteso altrove, mi sono
proposto il problema analogo per la jacobiana di quattro super-
ficie, cioè, date quattro superficie F, Fo F3 Fi, è cui ordini siano
n, Ny N3 Ny, e le cui multiplicità in un punto 0 siano ri rg rg Fry
determinare in quali casi la jacobiana invece di avere in 0 la mul-
tiplicità generale r=r1 4 ra» +r83 +r, — 3 ha ivi la multiplicità
r+1odr+2(2).
Rendo qui noti i principali risultati da me trovati in questa
ricerca.
Suppongo che si abbia
Mir ia Sta LA
Ty I ra r3 pri r4
e considero i numeri
My = Mr — MT,
P1=YaT3T4, Po =Y173T4, P9=V1T9T4, Pa=TT9Y3.
(1) Sulle singolarità della jacobiana di tre curve piane. (Rendiconti del
Circolo matematico di Palermo, 1894).
(2) La questione fu già in parte trattata, nel caso di una curva comune,
dal De Paotis in un lavoro non pubblicato. I risultati, esatti, ma, a quanto
pare, ottenuti con metodo non troppo sicuro, furono pubblicati dal Pro-
fessore Secre nei Rendiconti Lincei, 1894, t. III, fasc. 7.
SULLE SINGOLARITÀ DELLA JACOBIANA DI QUATTRO SUPERFICIE 503
Occorre distinguere poi varîì casi: se m,9 > 0 considero le
superficie dello stesso ordine ed aventi in 0 la stessa multi-
plicità: ,
M, i, Fu, M, —_ Fam Egr, My = Fas FMoms (1);
se #9 = 0, ma mg4 > 0 considero invece le superficie
N; = Fama, No — Frasu Fo msemu, Ns MN pit, FMsma,;
Se mg = Mg4y = 0, considero le superficie
P,= Faro, Po= FF, Po = FRF?
infine se le m,, sono tutte nulle, considero le superficie
pa BioSaia LSp=Re/e
Ciò posto la jacobiana delle superficie F, F, Fs F4 avrà in 0
la multiplicità "+ 1 nei seguenti casi:
1° Se le multiplicità di 0 per le quattro superficie sono
proporzionali ai loro ordini;
2° Se per 0 passano solo due delle quattro superficie ;
3° Se mig > 0, 0d m34 > 0, 0 myg=Mmg4=0, edil jaco-
biano dei tre coni tangenti alle superficie M, M, M;, od N, No Ng,
o P, PP, secondo i casi, è identicamente nullo.
Il problema è quindi ridotto in questo caso a determinare
quando si annulla identicamente il jacobiano di tre coni dello
stesso ordine. Ora, valendosi di un noto teorema del prof. BERTINI
sui sistemi lineari di varietà riduttibili, si dimostra che, perchè
ciò avvenga, è necessario e sufficiente che i tre coni si compon-
gano di una parte comune (che può anche mancare) e di coni di
un fascio.
Quindi nel 3° caso la condizione affinchè 0 sia (r + 1) — plo
per la jacobiana potrà esprimersi più geometricamente, dicendo
che i coni tangenti alle superficie M, od alle superficie N, od
(1) Indico con F" la superficie F contata m volte,
504 ALBERTO LEVI
alle P, secondo i casi, devono risultare di una parte comune e
di coni di un fascio. Questo avverrà in particolare se i coni
tangenti alle superficie F, F, F3 F, sono composti mediante coni
di un fascio, ed infine anche nel caso che questo fascio sia un
fascio di piani. Questo, per esempio, è il caso che 0 sia un
punto generico di una curva comune alle quattro superficie;
poichè allora i coni tangenti a queste si spezzano in piani pas-
santi tutti per la tangente in 0 alla curva: sicchè la multiplicità
di ogni punto di questa curva per la jacobiana, come già aveva
trovato il De Paolis, sarà r+-1=r1+ rag. +rg + rs 2.
Supposta soddisfatta una delle precedenti condizioni, vi sa-
rebbe luogo a determinare quando la multiplicità di 0 per la
jacobiana sia almeno r +2.
Ho risolto la questione in due casi:
a) Quando i coni tangenti alle superficie F, F, F; F, si
spezzino in piani di un fascio (caso di una curva comune). In
questo caso la multiplicità di 0 per la jacobiana è in generale
r+1: se mm, > 0 sarà r+2 nei seguenti casi.
1° I gruppi di piani tangenti alla superficie M, M, M,
coincidono.
2° Questi gruppi di piani fanno parte di un’involuzione
semplicemente infinita, e quella superficie della rete M, M, Mg,
che ha in 0 punto almeno (R+1)— plo (R essendo la mul-
tiplicità comune in 0 delle M, M, M;) ha in 0 un punto
(R+ 2) — plo, oppure ha in 0 un punto (R+4-1)— plo, tale
che il cono tangente ad essa si spezza esso pure in piani del
fascio, a cui appartengono i coni tangenti alle quattro super-
ficie date.
3° I gruppi di piani tangenti alle superficie della rete
M, My M; determinano un’involuzione doppiamente infinita, e
l'insieme di tutte le rette passanti per 0, che incontrino in 0
almeno R + 2 volte una superficie della rete ed appartengano
ad un piano doppio per il gruppo di piani tangente a questa,
o diventa indeterminato, o si riduce a 3R —1 piani passanti
per l’asse del fascio dei piani tangenti.
Se si avesse mj> = 0, ma #34 > 0, oppure m39 = #34 = 0,
basterebbe in quanto si è detto sostituire alle superficie M, M, My
le superficie N, Ns N3 nel primo caso e le superficie P, Ps P3 nel
secondo.
e E, CET TTT OE
SULLE SINGOLARITÀ DELLA JACOBIANA DI QUATTRO SUPERFICIE 505
Nel caso poi che per 0 passino solo due delle superficie,
ad es. F; ed F,, perchè la multiplicità di 0 per la jacobiana
sia r42=r3 +r4— 1, dovrà essere soddisfatta una di queste
due condizioni.
1° La retta intersezione dei piani polari di 0 rispetto alle
superficie F, ed F, incontra la retta asse dei gruppi di piani
tangenti in 0 alle superficie F; ed F,.
2° I gruppi di piani tangenti alle superficie F3"' ed Fs
coincidono.
5) Quando le multiplicità di 0 per le quattro superficie sono
proporzionali agli ordini. In questo caso pure (che comprende
sotto di sè il caso che si tratti del comportarsi della jacobiana
di un sistema lineare 003 di superficie in un punto base), la
multiplicità di 0 per la jacobiana è in generale r + 1; sarà r +2
nei seguenti casi.
1° Quando i coni tangenti alle superficie S, Ss S3 Sy sono
composti di una parte comune e di coni di un fascio (e quindi
o appartengono ad un fascio o determinano un sistema lineare
di coni riduttibili): questo avviene in particolare se si tratta
di una curva comune alle quattro superficie; sicchè si ha questo
teorema: Una curva base s — pla di un sistema lineare 00° di
superficie ha almeno la multiplicità 4s — 1 per la jacobiana.
2° Quando i coni tangenti alle superficie S, Sa S3 Sy de-
terminano una rete di coni che non si spezzano in parti varia-
bili, e quella superficie del sistema lineare 003 determinato da
S, Sa Sg S4, che ha in 0 punto più che s — plo, ha in 0 un punto
almeno s 4-2 — plo.
In particolare, in un punto base semplice di un sistema
lineare 0035 di superficie, in cui i piani tangenti non formano
fascio, essi determinano una rete, e quindi il punto sarà triplo
per la jacobiana del dato sistema solo quando in questo esiste
una superficie che abbia in 0 punto triplo.
3° Quando i coni tangenti alle superficie S, Sa S3 Sy de-
terminano un sistema 00° di coni che non si spezzino in parti
variabili, ed ogni superficie del sistema, il cui cono tangente
in 0 ammette una retta doppia, è incontrata da questa retta
almeno s +2 volte.
Da questi risultati si possono facilmente dedurre tutti i casi
in cui la jacobiana di un sistema lineare ha punto doppio o
506 Î RODOLFO BETTAZZI
© punto triplo, senza che occorra determinare in generale quando
la multiplicità di 0 per la jacobiana sia r + 2, valendosi solo
dei casi (a) e (2) da me considerati.
Gruppi finiti ed infiniti di enti® ;
Nota di RODOLFO BETTAZZI.
Dell’argomento di questa Nota (1) già altri, anche recente-
mente, sì sono occupati.
Il Cantor ne parla nel suo opuscolo “ Zur Lehre von Trans-
finiten , (Halle 1890), dove, nelle annotazioni apposte alla pag. 60,
definisce il gruppo finito sostanzialmente come da noi verrà
fatto al $ 1, ma non forse con tutta precisione, e dimenti-
cando di richiedere la proprietà espressa dal principio d’indu-
zione, sebbene poi la usi nelle dimostrazioni.
Il Veronese (“ Fondamenti di Geometria , Padova 1891 —
Introduzione, N. 35) nella sua serie limitata di 1° specie definisce
appunto un gruppo finito simile al nostro: solo ci sembra che
il concetto di ordine, al quale si appoggia, sia alquanto ristretto,
fondandosi sull’idea di tempo (inclusa nel pensare gli enti prima
o poi), o almeno su quella di successione di pensieri, che in ge-
nerale non ci sembrano necessarie. L'ordinamento, che da noi
si suppone nel nostro gruppo, è invece tutt’affatto generale ed
è quello del quale si parla nella N. C., $ 9.
Il Dedekind nel suo opuscolo “ Was sind und was sollen
die Zahlen , (Braunschweig, 1888) dopo aver parlato dei gruppi
infiniti, studia esso pure quelli finiti, indicando egli con tal
nome i gruppi non infiniti; ma a causa di un’obiezione, che
ci sembra potersi fare ad una sua dimostrazione (Cfr. più oltre,
$ 10), resta il dubbio che veramente i suoi gruppi finiti si pos-
sano tutti ricondurre a quel tipo di gruppo ordinato, nel quale
in sostanza ordinariamente (ed anche nel grossolano uso comune)
si suol vedere il gruppo finito.
(1) Questa Nota dipende dall'altra da noi pubblicata in questi stessi
“ Atti, (1896) col titolo: Su/la catena di un ente in un gruppo. Si citerà
questa ultima Nota scrivendo semplicemente N. C. (cioè Nota sulla Catena).
GRUPPI FINITI ED INFINITI DI ENTI 507
Nella presente Nota si darà la definizione del gruppo finito
basata sul suo ordinamento, e alcune proprietà fondamentali di
esso.
1. Definizione. — Diremo finito un gruppo che possa rendersi
bene ordinato limitato, e catena del suo ente originario (N. C.,
f), 9), j), SD.
Un gruppo finito che sia effettivamente bene ordinato li-
mitato, e catena del proprio ente originario, si dirà per brevità
semplicemente ordinato.
CoroLLaRrIo 1°. — Un gruppo finito semplicemente ordinato
soddisfa al principio d’induzione.
Cor. 2°. — Un gruppo simile ad un gruppo finito è finito
esso pure.
2. Def. — In un gruppo finito semplicemente ordinato
chiameremo parte Z (1) un gruppo composto di un ente del
gruppo e dei precedenti di quell’ente, il quale si dirà finale della
Z: indicheremo con Za la Z che ha per finale a.
Cor. 1°. — Se in una Z comparisce un ente, vi comparisce
anche il suo immediatamente seguente (suo ente 0), tranne per il finale.
Cor. 2°. — Se b è un ente non finale di Z., la Z; è parte
propria di La.
Cor. 3°. — Di due distinte Z di un medesimo gruppo, l'una
è parte propria dell’altra.
Cor. 4°. — Ogni Z è catena del proprio ente originario nella
corrispondenza che fa corrispondere ad ogni ente il proprio 6
(N. C., $ 1).
Cor. 5°. — Ogni Z è un gruppo finito.
3. — Il gruppo di tutte le Z di un gruppo finito sempli-
cemente ordinato è simile al gruppo stesso, e ne è immagine
facendo corrispondere, p. es., ad ogni Z il proprio ente finale.
Def. — Diremo gruppo ordinato delle Z il gruppo di esse,
(1) La notazione è presa dal DepEKIND, che l’usa peri numeri (V. Was
sind und was sollen die Zahlen, N. 98).
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 36
508 RODOLFO BETTAZZI
quando di due Z qualunque si dice seguente quella il cui ente
finale è seguente dell’ente finale dell’altra.
Cor. — Il gruppo ordinato delle Z di un gruppo finito è un
gruppo finito semplicemente ordinato.
4. TroreMma. — In un gruppo finito nessuna parte propria
può essere simile all'intero gruppo (1).
Sia G un gruppo finito, e si consideri il gruppo ordinato
delle Z, prese in G quando esso è semplicemente ordinato. Il teo-
rema è vero per l'ente originario di un tale gruppo, il quale è
una Z che consta di un ente solo. — Se è vero per una Z, lo è
per la immediatamente seguente; giacchè se fosse possibile che in
una Z una parte fosse simile all’intero gruppo, potremmo, sop-
primendo un ente in Z e nella sua parte, avere un'analoga
corrispondenza per la Z immediatamente precedente, per la quale
invece è supposto ciò impossibile. Dunque, per il principio di
induzione, il teorema è vero anche per la Z finale, che è il gruppo
stesso G.
Cor. 1°. — Un gruppo sviluppabile (N. C., e)) non è finito.
Cor. 2°. — Nessuna parte di un gruppo finito può essere svi-
luppabile (Cor. 1°).
Cor. 3°. — Non può un gruppo finito essere in una corrispon-
denza l’immagine di un gruppo, ed in un’altra l’immagine 0 di una
parte propria dello stesso, o di un gruppo di cui questo è parte
propria.
Cor. 4°. — Per giudicare la relazione di potenza che lega un
gruppo finito ad un altro gruppo qualunque, basta esaminare che
cosa accada in una sola corrispondenza stabilita fra i due gruppi
(Cor. 3°).
Cor. 5°. — Le parti proprie di un gruppo finito sono di po-
tenza minore a quella del gruppo (Cor. 4°).
Cor. 6°. — Di due distinte Z di un medesimo gruppo finito
semplicemente ordinato, una è di potenza minore dell’ altra (S 2,
Cor. 3° e Cor. 5° — $ 4, Cor. 5°).
(1) Cfr. CantoR, /. cit., pag. 61. — Veronese, /. c. Introd., N. 48, f).
det a
GRUPPI FINITI ED INFINITI DI ENTI 509
5. Teorema. — Un gruppo finito è necessariamente di po-
tenza 0 maggiore, 0 uguale, 0 minore a quella di un dato gruppo
qualunque.
Infatti noi possiamo associare all'ente originario di un
gruppo G finito e semplicemente ordinato uno arbitrario del
gruppo dato K, all'ente o dell’originario di G uno qualunque
di quelli restanti in K, e, in generale, se ad un ente d di G
si è associato un ente di K, si può associare all’ente cd di G
un ente qualunque del gruppo K', che si ottiene da K soppri-
mendovi gli enti di esso già associati ai precedenti di 6 ed a b,
se un tal gruppo K' esiste. Questa associazione, per il principio
d’induzione valido in G, è una corrispondenza fra G e K, nella
quale o G ha per immagine una parte propria di K, o K stesso,
oppure una parte propria di G ha per immagine K. Lo stesso
accadrà quindi in qualunque altra corrispondenza possibile fra
G e K ($ 4, Cor. 3°) e sarà perciò G necessariamente di po-
tenza maggiore, o uguale, o minore a quella di K.
Cor. — Di due gruppi finiti qualunque che non abbiano po-
tenza uguale, uno ha necessariamente potenza maggiore dell'altro (1).
Osservazione. — Dalla dimostrazione del Teorema precedente
si deduce che ogni gruppo di potenza minore di quella di un
gruppo finito è di potenza uguale a quella di una sua conve-
niente parte Z.
6. TrorEeMA. — Le parti proprie di un gruppo finito sono
finite (2).
Infatti essendo esse ($ 4, Cor. 5°) di potenza minore a quella
del gruppo, e quindi ($ 5, Osservazione) simili ad una parte Z
del gruppo, la quale ($ 2, Cor. 5°) è finita, sono finite esse pure
($ 1, Cor. 2°).
(1) Di qui discendono pei gruppi finiti le seguenti proprietà che il
Cantor nella sua Nota 1%: Beitrége zur Begriindung der transfiniten Menge
(Math. Ann., Bd. 46) enuncia pei gruppi qualunque, sebbene nè egli ivi le
dimostri, nè appariscano evidenti:
— Se dei gruppi M ed N il gruppo N non è equivalente nè ad M, nè ad
una sua parte propria, dovrà una parte propria di N essere equivalente ad M.
— Se M ed N non sono equivalenti, ed una parte propria di N è equi-
valente ad M, nessuna parte propria di M sarà equivalente ad N.
(2) Cfr. VERONESE, /. c., Introd., N. 39, e).
510 RODOLFO BETTAZZI
7. TEOREMA. — Ogni gruppo che non sia di potenza maggiore
a tutte quelle di qualunque gruppo finito, è finito esso pure.
Ed infatti ($ 5) se il gruppo K non è di potenza maggiore
a quella di un conveniente gruppo finito G, dovrà essere o di
potenza uguale ad esso, o di potenza minore di esso e quindi di
potenza uguale ad una sua parte propria, e perciò in ogni caso
simile ad un gruppo finito ($ 6) e finito esso pure.
Cor. 1°. — Un gruppo 0 è finito, 0 è di potenza maggiore a
quelle di tutti è gruppi finiti.
Cor. 2°. — Ogni gruppo finito è di potenza minore a quella
di un gruppo sviluppabile qualunque (S 4, Cor. 1° — $ 7, Cor. 1°).
8. TrorEMA 1°. — In qualunque modo si renda bene ordinato
un gruppo finito, esso dovrà sempre essere semplicemente ordi-
nato ($ 1).
Ed infatti, se fosse illimitato, la catena di un suo ente qua-
lunque sarebbe aperta e illimitata, e quindi costituirebbe un
gruppo sviluppabile (N. C., $ 3, Cor.), ed il gruppo di cui essa
è parte non sarebbe finito. Se poi il gruppo non coincidesse
colla catena del proprio ente originario, tale catena sarebbe
anche allora illimitata, e il gruppo dato sarebbe ancora svilup-
pabile.
TroreMA 2°. — Un gruppo finito, se è ordinato, è sempre bene
ordinato.
Sia infatti il gruppo finito G, e si renda bene ordinato, il
che è sempre possibile, per lo meno in quel modo per il quale
si definisce finito ($ 1). Si consideri il gruppo ordinato delle
sue Z: esso ($ 3, Cor., e $ 1, Cor. 1°) soddisfa al principio d’in-
duzione, e di esso fa parte G come ente finale.
Il teorema che ci si propone di dimostrare, è vero per l’ente
Z originario di tale gruppo, che consta di un ente solo. Se si
suppone vero per una delle Z, è vero, come facilmente si vede,
anche per la Z immediatamente seguente. Dunque, per il prin-
cipio d’induzione, è vero per tutti gli enti Z, e perciò anche per
il finale, che è G.
Cor. 1°. — Un gruppo finito, comunque sia ordinato, è sempre
semplicemente ordinato.
Cor. 2°. — Un gruppo finito semplicemente ordinato resta tale
re Ape
GRUPPI FINITI ED INFINITI DI ENTI 5I1
anche scambiando in esso le parole precedente e seguente, e quelle
finale ed originario; 0, brevemente, rovesciando il gruppo (1).
Cor. 3°. — Un gruppo ordinato, nel quale qualche ente non
abbia l’immediatamente seguente (fatta eccezione per il finale), non
è finito.
9. TroreMa. — La condizione necessaria e sufficiente, affinchè
un gruppo non sviluppabile sia finito, è che possa stabilirsi una
corrispondenza priva di cicli parziali (N. C. d)), nella quale il
gruppo sia immagine di sè stesso.
Se in una corrispondenza priva di cicli parziali il gruppo G
è immagine di sè stesso, si può rendere G bene ordinato (N. C.,
$ 9, Lemma 2°) dando origine ad un gruppo limitato. Se G non
è sviluppabile, dev'essere esso la catena del suo ente originario,
altrimenti tale catena sarebbe illimitata e perciò sviluppabile,
e tale quindi sarebbe G.
Reciprocamente se un gruppo è finito e si rende sempli-
cemente ordinato, prendendo per immagine di ogni ente non
finale il suo ente o e del finale l’originario, sì ottiene una cor-
rispondenza nella quale il gruppo è immagine di sè stesso,
che è priva di cicli (Cfr. N. C., $ 5, Teor.).
10. Def. — Diremo infinito ogni gruppo che non sia finito (2).
Cor. 1°. — Sono infiniti tutti e soli ($ 7, Teor.) è gruppi di
potenza maggiore a quella di qualunque gruppo finito.
Cor. 2°. — Ogni gruppo sviluppabile è infinito ($ 7, Cor. 2°).
(1) Cfr. Veronese, /. c., Introd., N. 39, c).
(2) Il DepEKINnD che si occupa (!. c., N. 64) dei gruppi infiniti, dà questo
nome ai gruppi che noi (N. C., e)) abbiamo detto sviluppabili. Tali gruppi
sono infiniti anche nel nostro attuale concetto; ma (v. Osserv. al Cor. 2°
di questo paragrafo) la reciproca non essendo stata provata, si è creduto
bene di distinguere le due qualità dei gruppi con diverso nome. E si è
cambiato quello già usato dal Dedekind, parendoci che il nome di infinito
meglio si adattasse ai gruppi più generali (o almeno non certamente più
speciali) da noi detti così, anche secondo il concetto grossolano che ci si
fa, nell'uso volgare, del gruppo infinito. Il Canror, sebbene non lo defi-
nisca esplicitamente, tuttavia ci pare che nel suo citato opuscolo (Zur
Lehre, ecc.) mostri accostarsi al concetto di infinito qui da noi dato.
512 LORENZO CAMERANO .
Osservazione. — Non è provata vera la reciproca del Co-
rollario 2° (1) e quindi non si può asserire che in ogni gruppo
infinito debba una parte propria essere simile all’intero gruppo.
(1) Il DepekiInp (!. c., N. 159) tenta di dimostrare questa reciproca. La
sua dimostrazione esige che si stabiliscano corrispondenze fra tutte le pos-
sibili Z di un gruppo qualunque finito ed il gruppo X proposto (di potenza
maggiore di qualunque gruppo finito) e che si costruisca un gruppo pren-
dendo una corrispondenza fra ogni Z e XZ. Ma siccome di tali corrispon-
denze ve n'è più di una fra ogni Z e Z, e il Dedekind non determina una
speciale fra esse, così devesene prendere una qualunque ad arbitrio, e ciò
fare per ciascun gruppo di corrispondenze fra ogni Z e X, cioè si deve
scegliere ad arbitrio un ente (corrispondenza) in ciascuno di infiniti gruppi,
il che non pare rigoroso; a meno che non si voglia ammettere per postu-
lato che tale scelta possa farsi, la qual cosa peraltro ci sembrerebbe inop-
portuna.
Nuove ricerche intorno ai Salamandridi
normalmente apneumoni
e intorno alla respirazione negli Anfibì Urodeli;
Nota del Socio LORENZO CAMERANO.
In un lavoro che ebbe l’onore di essere stampato negli Atti
di questa Accademia per l’anno 1894 (1) io dimostravo che,
analogamente a quanto aveva poco prima osservato il Wilder (2)
per alcune specie di Plethodontinae e di Desmognathinae dell'Ame-
rica settentrionale, lo Spelerpes fuscus, specie italiana, è privo
totalmente di polmoni, di trachea, di laringe e di aditus ad
laringem e che la Salamandrina perspicillata, specie pure carat-
(1) Ricerche anatomo-fisiologiche intorno ai Salumandridi normalmente
apneumoni, vol. XXIX.
(2) Anatomischer Anzeiger, vol. IX, n. 7, 1894.
tnenite _S
Pia
i «een
NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 513
teristica della fauna erpetologica italiana, ha l'apparato polmo-
nare e tracheo laringeo al tutto rudimentale e non funzionante.
Nello stesso lavoro io rendeva conto delle esperienze fatte
sopra animali vivi delle due sopradette specie per determinare
in che modo venisse sostituita la funzione respiratoria dei pol-
moni assenti. La conclusione a cui giunsi fu: che la respirazione
polmonare viene sostituita dalla respirazione della cavità bocco-fa-
ringea, risultando essere di assai scarso aiuto la respirazione
cutanea.
Io non credetti di fare allora nessuna ipotesi intorno alla
causa che può aver determinato l’atrofia dell'apparato polmonare
o la sua totale scomparsa. Nuove ricerche fatte in proposito,
che verrò ora esponendo, mi concedono di ritornare sull’argo-
mento e mi inducono a fare alcune considerazioni sul fenomeno
in questione.
Recentemente al tutto (1) il dott. Einar Lònnberg di Upsala
ha osservato pure la mancanza o la riduzione notevolissima
dell'apparato polmonare nelle seguenti specie:
Desmognathus auriculatus Cope. di Savannah (Georgia) e della
Florida.
Plethodon qglutinosus (Green) Id. Id.
Manculus quadridigitatus (Holbrook) della Florida.
Amblystoma opacum (Gravenh.) di Savannah (Georgia).
A queste specie io posso oggi aggiungere lo Spelerpes va-
riegatus (Gray) (Oedipus variegatus Gray). Questa specie, di cui
ho esaminato due esemplari provenienti dal Messico, è total-
mente priva di polmoni, di trachea e di aditus ad laringem.
Gli Anfibi Urodeli quindi, nei quali venne fino ad ora os-
servato o la mancanza totale dell'apparato tracheo-polmonare
o la riduzione di esso allo stato rudimentale, sono i seguenti
disposti secondo il catalogo del Boulanger (2).
(1) Notes on tailed Batrachians without lungs (Zoologischer Anzeiger,
vol. XIX, n. 494 — Gennaio 1896).
(2) Catal. of Batrac. Graden. British Museum. Londra, 1882.
514
Subfam.
Subfam.
Subfam.
Subfam.
'
LORENZO CAMERANO
Fam. I. — Salamandridae.
Apparato
tracheo-polmonare
Salamandrinae
Salamandrina perspicillata Savi — Rudimentale (Came-
rano)
Amblystomatinae
Amblystoma opacum Gravh. — —Rudimentale (Lénn-
berg)
Plethodontinae ‘
Plethodon glutinosus Green — Manca (Loònnberg)
Plethodon erythronotus Green — Manca (Wilder)
Batrachoseps attenuatus Eschsch. — Manca(?) (Esch-
scholtz-Camerano) (1)
Spelerpes porphyriticus Green — Manca (Wilder)
Spelerpes fuscus Bp. — Manca (Camerano)
Spelerpes variegatus Gray — Manca (Camerano)
Manculus quadridigitatus Holbr. — Mancano i polmoni:
vi è un rudimento di aditus ad laringem —
(Lonnberg)
Desmognathinae
Desmognatus ochrophoeus Cope — Manca (Wilder)
Desmognatus fuscus Raf. — Manca (Wilder)
Desmognatus fuscus var. auriculatus Cope — Manca
(Lonnberg)
Risulta da questo specchietto che tutte quattro le sotto-
famiglie in cui si divide la famiglia dei Salamandridi (che com-
prende la quasi totalità delle specie di Batraci Urodeli, vale a
dire un centinaio circa, poichè le altre famiglie, Anfisbenidi,
Proteidi, Sirenidi ne comprendono fra tutte solo otto) presen-
tano il fatto della mancanza completa dell'apparato polmonare
o della sua riduzione ad organo rudimentale non funzionante.
(1) Atti Acc. Se., XXIX, 1894.
NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 515
Dallo specchietto sopra riferito si può pure arguire che molto
probabilmente il fatto in questione è generale per le specie
delle sottofamiglie, Plethodontinae e Desmognathinae, vale a dire
per la metà circa di tutte le specie fino ad oggi conosciute
dell’intiera famiglia dei Salamandridi.
Di fronte a questo risultato nasce spontanea la supposizione
che negli Anfibi Urodeli la respirazione polmonare non assuma
quella importanza funzionale che ha negli altri gruppi di Ver-
tebrati respiranti per polmoni, e che per ciò essa possa venir
facilmente sostituita in massima parte dalla respirazione hbocco-
faringea (1) e forse in piccola parte dalla respirazione cutanea.
Per chiarire ciò è necessario anzitutto studiare compara-
tivamente lo sviluppo dell’ apparato polmonare in tutti gli
Anfibi Urodeli, la qual cosa non è agevole per la difficoltà
di procurarsi non poche delle specie di questo gruppo di
Anfibi.
Valendomi delle collezioni del Museo Zoologico di Torino,
ho potuto fare questo studio in un certo numero di specie ap-
partenenti a generi diversi e precisamente ai seguenti: Sala-
mandra, Chioglossa, Molge, Tylototriton, Amblystoma che appar-
tengono alla serie di quei Salamandridi che sono provvisti di
polmoni. Colle precedenti osservazioni e con queste vengono ad
essere esaminati tutti i generi della sottofamiglia Salamandrinae
(salvo il genere Pachytriton che comprende una specie assai rara
della China) e il genere più ricco di specie della sottofamiglia
Amblystomatinae.
Non potendosi pensare pel meccanismo stesso col quale si
compie la respirazione polmonare in questi animali, come age-
volmente si comprende, ad una misura diretta della capacità
polmonare e dovendosi, d’ altra parte, operare per la maggior
parte delle specie su materiale conservato in alcool, è bene, per
avere dati comparabili, servirsi di materiale conservato nel-
l’aleool comune da collezione per tutte le specie.
La forma generale dei polmoni degli A. Urodeli è riduci-
bile all’ ingrosso a due sacchi cilindrici per un certo tratto e
più o meno bruscamente appuntiti verso la loro estremità in-
feriore. Essi variano notevolmente in lunghezza da specie a
(1) CameRANO, 0p. cit.
516 LORENZO CAMERANO
specie: mentre il loro diametro trasversale varia in un rapporto
quasi costante col diametro longitudinale, il che facilmente si
comprende tenendo conto della forma generale del corpo che
negli A. Urodeli tende ad allungarsi anzi che ad allargarsi.
Nella Salamandra maculosa in cui il corpo è proporzionata-
mente più largo i polmoni sono anche in proporzione della
loro lunghezza un po’ più larghi che non nelle altre specie di
A. Urodeli.
Per la questione che ci occupa basta tener conto del solo
diametro longitudinale del polmone poichè da esso si può arguire
in modo sufficientemente approssimativo lo sviluppo generale del
polmone stesso e i risultati riescono quindi comparabili fra loro.
Ho misurato in tutte le specie studiate la lunghezza dei
polmoni a cominciare dall’aditus ad laringem. Nei Salamandridi
per lo più i due polmoni sono lunghi egualmente o la differenza
fra essi è piccola.
Ho misurato poi l’animale dall’estremità del muso all’a-
pertura cloacale e da questa all'estremità della coda. Trattan-
dosi di animali dal corpo generalmente allungato e molto simile
nelle varie forme, le rispettive lunghezze del tronco e della
coda possono bastare per indicare lo sviluppo generale dell’a-
nimale senza ricorrere ai diametri trasversali i quali variano
troppo facilmente per le condizioni temporanee in cui possono
trovarsi i diversi individui (canal digerente pieno o vuoto, svi-
luppo variabile degli ovarii e dei testicoli ecc.).
Per le stesse ragioni non ho considerato il peso degli ani-
mali poichè sopra di esso oltre alle cause sopra dette influisce
pure il tempo più o meno lungo da che gli individui sono usciti
dal letargo, tempo che nella maggior parte dei casi non è de-
terminabile con certezza.
Ho fatto in seguito il rapporto della lunghezza del polmone
con quella del capo e del tronco riuniti insieme ed il rapporto
della lunghezza del polmone colla lunghezza totale dell'animale.
Per maggior comodità ho riferito le due serie di valori
così ottenuti ad una lunghezza unica di 100 millimetri in modo
da avere per ciascuna specie il rapporto centesimale fra la lun-
ghezza dei polmoni e la lunghezza del capo e del tronco riuniti
insieme e fra la lunghezza dei polmoni e la lunghezza totale
dell'animale.
NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC.
RISULTATI OTTENUTI
disposti secondo l'ordine tassonomico delle specie esaminate.
517
Fam. SALAMANDRINAE
Salamandra maculosa Laur.
. atra Laur. .
Chioglossa lusitanica Boc.
Molge cristata Laur. s. sp. Karelinii
s marmorata Latr.
s @pestris Laur.:
Forma A — branchiata .
s B— abranchiata .
Molge vulgaris Linn. .
s torosa Eschsch.
n viridescens Raf.
s Rusconii Gené .
ss aspera Dugès
s Hagenmiilleri Lataste
s Waltlii Michah.
Tylototriton verrucosus Anders.
Fam. AMBLYSTOMATIDAE
Amblystoma tigrinum Green.:
a) indiv. provenienti direttamente
dal Messico . "SIR DI
b) indiv. nati negli acquari dei
Musei d'Europa e conservati
a lungo vivi nel Museo di
Torino .
del capo e del
tronco = 100,
la lunghezza del
polmone è egua-
le al valore me-
dio approssima-
tivo di:
30
100
45
100
31
100
67
100
71
100
93
100
50
100
55
100
n
100
6
100
bi
100
30
100
50
100
52
100
28
100
43
100
58
100
Fatta la lunghezza |Fatta la lunghezza
totale dell’ ani-
male = 100, la
lunghezza del
polmone è eguale
al valore medio
(RnS
L:
15
100
23
100
Tin
100
88
100
35.
100
23
100
23
100
28
100
28
100
28
100
14
100
16
100
18
100
26
100
15
100
sor
100
se
100
518
LORENZO CAMERANO
Nella Salamandra perspicillata Savi i polmoni sono al tutto
rudimentali e non misurano che 120 micromillimetri circa (1).
Le specie studiate si possono disporre ne’ gruppi seguenti
tenendo conto della lunghezza dei polmoni paragonata:
Alla lunghezza del capo e del tronco fatta = 100
Alla lunghezza totale dell'animale fatta = 100
1 Molge torosa . . . .{T71
sn marmorata . .Y100
2 “istat na
sn cristata 100
ua 62
3 sn viridescens 100
; DÒ
4 sn vulgaris 100
s @lpestris branch. È
ò ) Amblystoma tigrinum . n
individui nati in Europa
92
6 Mol 7altlii =
olge Waltlii 100
alpestris abranch.) 50
L » Hagenmilleri . (100
, 45
8 Sal dra atr ===
alamandra atra 100
9 Amblystoma tigrinum. 43
individ. prov. dal Messico 100
( Chioglossa lusitanica
481
( Molge Rusconii .
100
12 Tylototriton verrucosus —-
301
100(
-@Gfaspera. bar.
Salamandra maculosa.
_
DD
(©)
S|
I polmoni misurano la metà od oltre alla metà della
della lunghezza del capo e del
I polmoni misurano meno di 1/
tronco presi insieme
lunghezza del capo e del tronco presi insieme
38 E
1 Molge cristata . —_| #55 0
100, FREE
de da
2 s marmorata. 35| saez
100 E Ficje
» viridescens . . \
5) toro CA
Î a rosa 100
sn vulgaris .
4 Amblystoma tigrinum 27
individui nati in Europa 100
x 26
5 Molge Waltlii . 100,
Salamandra atra .
Molge alpestris brane.
e abranch.
Amblystoma tigrinum
6
1 polmoni misurano poco meno o poco più
di un quarto della lunghezza dell'animale
individui prov. dal
Messico.
n'a idea; VI 535°
nmiilleri. A E8 38
olge Hagenmii 100 RE
16 (852
8 aspera —|3 gf"
( Salamandra maculosa 15
( Tylototriton verrucosus 100
10 Molge Rusconii 16
e Rusconii ==
Molg sc 100
NERE
11[FAS8
11 Chioglossa lusitanica. 1001 È SICA
Eiacp>
af ee
Si possano riunire i gruppi ora indicati nei diagrammi
seguenti in guisa che a colpo d’occhio si possa scorgere il va-
(1) CamerANO, 0p. cit.
NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 519
riare dello sviluppo dei polmoni in rapporto colla lunghezza del
capo e del tronco, presi insieme, e colla lunghezza totale del-
l’animale.
1208
r
LI
100 |
Ì
Ja ——_+---- nt
1
“arno
n_umn--- —__———--
i
iui ee
A — Diagramma che fa vedere il variare dello sviluppo dei polmoni negli Anfibî Urodeli delle sotto-
famiglie Salamandrinae e Amblystomatinae riferito alla lunghezza del capo e del tronco, presi
insieme, fatta eguale a 100 mill. — La parte nera indica il polmone.
N. 1. Molge torosa, M. marmorati. — N, 2. M. cristata. — N. 3. M. viridescens. — N. 4. M.
vulgaris. — N. 5. Amblystoma tigrinum, individui nati in Europa — M. alpestris branchiata.
N. 6. Molge Wultlii. — N. 7. MU. alpestris abranchiata — M. Hagennvilleri. — N. 8. Sala-
mandra atra. — N. 9. Amblystoma tigrinum, indiv. prov. dal Messico. — N. 10. Chioglossa
lusitanica — Molge Rusconii. — N. 11. Molge aspera — Salamundra maculosa. — N. 12.
Tylototriton verrucosus — A, valore medio per l'Amblystoma tigrinum.
B — Diagramma che fa vedere il variare dello sviluppo dei polmoni ecc. come in A ma riferito alla
lunghezza totale dell'animale fatta eguale a 100 mill. — La parte nera indica il polmone,
N. 1. Molge cristata. — N. 2. MH. marmorata. — N. 3, M. viridescens, M. torosa, M. vulgaris.
N. 4, Amb. tigrin,, indiv. nati in Europa. — N. 5. M. Waltllii, — N. 6. Salamandra atra,
Amb. tigr., indiv. prov. dal Messico — Molge alpestris branch. e abranch. — N. 7. M. Hagen-
milleri. — N. 8. M. aspera. — N. 9. Salamandra maculosa, Tylototriton verrucosus. —
N. 10. M. Rusconii. — N, 11. Chioglossa lusitanica.
520 LORENZO CAMERANO
Dai diagrammi precedenti risulta:
1° che nella famiglia dei Salamandridi lo sviluppo dei
polmoni è molto variabile, da un terzo cioè ad un decimo circa
della lunghezza dell'animale. Da questo grado di sviluppo si
passa bruscamente ai rudimenti di polmoni, come nella Sala-
drina perspicillata ;
2° che tenendo conto del genere di vita delle specie si
osserva, in generale, uno sviluppo maggiore dei polmoni in quelle
nelle quali è prevalente la vita acquatica anzichè in quelle nelle
quali prevale la vita terragnola;
3° che presumibilmente nelle specie (ad es.: Molge Ha-
genmiilleri, aspera, Tylototriton verrucosus, ecc.) in cui i polmoni
sono meno lunghi della quinta parte dell’intero animale, il fe-
nomeno di regressione nello sviluppo di questo organo si deve
ritenere come già inoltrato e che a più forte ragione ciò si
deve dire per quelle specie (esemp.: Molge Rusconii, Chioglossa
lusitanica) in cui i polmoni giungono a misurare poco più della
decima parte di tutto l’animale. In queste specie la respirazione
bocco-faringea ha certamente assunto di già importanza notevole,
importanza che raggiunge il suo massimo grado nella Salaman-
drina perspicillata e nelle altre specie di A. Urodeli prive di
polmoni (Pletodontini, Desmognatini).
Esaminando ora tutto il gruppo degli Anfibi Urodeli per ciò
che riguarda la mancanza, e lo sviluppo vario dei polmoni si
giunge ai risultati seguenti:
A — Anfibi Urodeli con branchie esterne ben sviluppate e nor-
malmente persistenti nello stato adulto — Proteidi —
Sirenidi — Vita esclusivamente acquatica — Polmoni re-
lativamente lunghi.
B — Anfibi Urodeli con branchie esterne ben sviluppate nello
stato adulto in seguito a fenomeni di mneotenia che in
certe località agiscono sopra numerose serie di individui
dando luogo ad un vero dismorfismo nella specie (esemp.
Amblystoma tigrinum, Molge alpestris ecc.) — Vita esclu-
sivamente acquatica — Polmoni relativamente lunghi e
ben sviluppati.
C — Anfibi Urodeli senza branchie esterne nello stato adulto
e dra pre
NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 521
con o senza spiraculum — Anfiumidi — Vita acquatica —
Polmonari sviluppati.
D — Anfibi Urodeli senza branchie allo stato adulto — A. Vita
prevalentemente acquatica (1) (esemp.: Molge cristata,
marmorata, vulgaris, alpestris abranch., Waltlii, ecc.) —
Polmoni relativamente ben sviluppati — B. Vita preva-
lentemente terragnola (esemp.: Molge Hagenmiilleri, aspera,
Rusconti, Chioglossa lusitanica, ecc.) — Polmoni relativa-
mente poco sviluppati o al tutto rudimentali come nella
Salamandrina perspicillata.
E — Anfibi Urodeli senza branchie allo stato adulto con vita
più o meno terragnola od acquatica con prevalenza tut-
tavia della vita terragnola — Pletodontini, Desmognatini
— I polmoni mancano.
Ciò premesso, è ora necessario vedere in quale misura i
polmoni concorrano nei varî gruppi di Anfibi Urodeli alla fun-
zione generale della respirazione che in questi animali si può
compiere nei modi principali seguenti:
1. Respirazione cutanea;
2. Respirazione branchiale;
3. Respirazione polmonare;
4. Respirazione bocco-faringea.
Lascio in disparte qui la respirazione cutanea la quale cer-
tamente si compie in tutti gli A. Urodeli ma, secondo le ultime
ricerche, in misura non sufficiente a sostituire nessuna delle altre
maniere di respirazione.
Nel primo gruppo (A — Proteidi, Sirenidi) tenuto conto
della struttura stessa dei polmoni e delle esperienze fatte già
dal Configliacchi e dal Rusconi e stampate nella loro celebre
“ Monografia del Proteo anguino , (2) si può credere che la
respirazione polmonare sia nulla.
I due autori ora citati dicono (pag. 28): “ Il Proteo anguino
non campa quando sia cavato fuori dell’acqua..... Ma se il Proteo
sì muore quando è in secco, nell'acqua per lo contrario vive
(1) Cfr. CamerANO, 0p. cit.
(2) Pavia, 1819.
522 LORENZO CAMERANO
meglio dei pesci, poichè, coeteris paribus, non ha tanto bisogno
del rinnovamento dell’acqua quanto ne hanno i pesci; noi ci
siamo assicurati di queste verità per mezzo di varì sperimenti,
l’esito dei quali verremo qui brevemente esponendo. In un vaso
pieno d’acqua della tenuta di tre pinte alla temperatura di 14
gradi, il Proteo ha di bisogno non altrimenti che un pesce di
venire a quando a quando alla superficie per prendere in bocca
dell’aria; le rane e le salamandre fanno pure lo stesso, ma
queste quando pigliano fiato, tengono la bocca chiusa, e con un
loro particolare artificio, che ci fu descritto molto bene dal
sig. Towson, dal sig. Cuvier, e da altri, attraggono l’aria per
le narici, e poscia fanno sì che l’aria medesima si insinui entro
i polmoni; il Proteo per lo contrario spalanca quanto più può
la sua bocca e rigetta l’aria subito subito per i fori branchiali...
“ Il suo bisogno di prendere a tempo a tempo qualche
boccata d’aria è più o meno grande, secondo che l’acqua in cui
si trova è più o meno stantìa ed è in ragione diretta della sua
temperatura, nonchè in ragione inversa della sua quantità; se
è tratto all’asciutto, questo bisogno è in lui grandissimo, quindi
poco dopo d’essere stato cavato fuori dell’acqua, vedesi pren-
dere in bocca dell’aria, e spesseggiare questa operazione, poscia
questo suo prender fiato si rallenta, e finalmente in capo a due
o tre ore cessa affatto affatto, indi il Proteo si muore. Ma se
l’acqua del vaso alla temperatura come abbiamo detto di 14
gradi od anche più venga di frequente rinnovata, come sarebbe
ogni mezz'ora od anche ogn’ora, il Proteo in questo caso, con-
forme è stato osservato anche nei pesci, non ha punto bisogno di
venire a tempo a tempo alla superficie, molto meno poi se desso
trovasi in un’acqua che sia in gran copia, ovvero che corra
dolcemente; noi abbiamo rinchiuso un Proteo in un’ampia sca-
tola tutta traforata, ed abbiamo di poi tenuta la scatola mede-
sima per lo spazio di tre mesi e mezzo sotto la superficie
dell’acqua di un vasto lago; passato questo tempo, andando a
riconoscere la scatola, trovammo che l’animale era vivissimo, e
tanto vispo da farci comprendere chiaramente, che l’esser stato
per sì gran tempo sott’acqua, non fu cosa che avesse recato il
menomo danno alla sua azienda vitale ,.
Il Rusconi ammette pure che nella Siren lacertina i polmoni
non funzionino: come organi respiratorii.
ne _ —x ©
NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 523
Nei Proteidi e nei Sirenidi la respirazione è essenzialmente
branchiale con un accenno tuttavia alla respirazione bocco-fa-
ringea. I polmoni non hanno qui probabilmente che la funzione
di organi idrostatici.
Il Rusconi stesso (1) paragona i polmoni dei protei alle
doppie vesciche natatorie di certi pesci. Parlando poi della
Siren lacertina dice espressamente (2): “ Au reste quelle que soit
la cause, qui empéche la sirène de se métamorphoser, ses pou-
mons doivent lui étre fort utiles; car, selon moi, ils doivent
servir è balancer la ‘partie postérieure de son corps, la tenir
presque suspendue, et donner ainsi à l’animal la facilité de
marcher sur la vase, sans étre obligé de faire usage, dans sa
progression, d'un double mécanisme, de celui, qui est propre des
animaux bipèdes, et de celui des serpents ,.
Nel secondo gruppo di Anfibi Urodeli (B. forme branchiate
neoteniche), la respirazione è in massima parte branchiale: ma
sussidiata in un certo periodo della vita dalla respirazione
bocco-faringea e polmonare (3). Anche in questi A. Urodeli la
funzione dei polmoni come organi idrostatici è certamente no-
tevole.
Configliacchi e Rusconi (4) parlando del modo col quale si
muovono nell'acqua le Salamandre, dicono: “ Questi rettili in
notando, sono meno agili dei protei, e noi pensiamo che ciò
nasca da varie cause, ma particolarmente dalla forma della loro
coda, la quale essendo men larga di quella dei protei è perciò
meno opportuna al nuotare; anche le larve delle Salamandre
sono nel nuoto meno agili de’ protei, esse però, in questo stato
di larva, nuotano con maggiore facilità, che quando sono finite
di crescere; e noi siamo di parere che ciò dipenda dall’essere
la loro coda, data la proporzione, più larga e più estesa che
non è quella delle Salamandre di già ridotte alla perfezione, ed
anche dall'essere la loro gravità specifica molto minore di quella
(1) Observations anatomiques sur la sirène, etc., pag. 32. Pavia, 1837.
(2) Op. cit., pag. 31.
(3) Confr. a questo proposito: L. Camerano, Nuove osservazioni intorno
alla Neotenia ed allo sviluppo degli Anfibì (Atti Acc. Sc. di Torino, vol. XX,
1884).
(4) Op. cit., pag. 54.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI, 37
524 LORENZO CAMERANO
che è propria delle Salamandre adulte, quando non siano di
fresco uscite dal loro torpore jemale. — Noi argomentiamo che
siano specificamente men gravi, da ciò che le larve hanno i pol-
moni, quantunque inattivi, sempre gonfi d’aria e più lunghi
della cavità addominale: che elleno siano di fatto meno pesanti
delle Salamandre perfette, ne fa prova non dubbia il vedere,
che possono reggersi nell'acqua a quell’altezza che ad esse piace
e tenersi sospese, e diremo quasi librate sopra le quattro zampe
a guisa di un uccello librato su l’ale, e poscia percuotere ad
un tratto l’acqua all'indietro, e così con questa semplice opera-
zione e qualche lieve movimento della coda trasferirsi da un
luogo all’altro ,.
La respirazione polmonare va facendosi più intensa ed im-
portante nel gruppo D. degli Anfibi Urodeli in cui i polmoni
raggiungono il loro maggior sviluppo.
Si è probabilmente nelle specie schiettamente acquaiuole
del genere Molge che i polmoni hanno la maggior attività re-
spiratoria. In queste specie è tuttavia spiccatissima la funzione
di organo idrostatico dei polmoni è chiunque abbia osservato
i movimenti dei comuni nostri tritoni (Molge cristata, M. vul-
garis, ecc.), non potrà a meno di ritenere come esattamente
applicabili a queste specie le osservazioni sopra riferite del
Configliacchi e del Rusconi.
Anche nelle forme acquaiole di questo gruppo è tuttavia
spiccata la respirazione bocco-faringea.
Nelle forme schiettamente terragnole si direbbe che il di-
ventare meno importante la funzione dei polmoni come organi
idrostatici induca una progressiva riduzione di sviluppo dei pol-
moni stessi: mentre contemporaneamente va crescendo d’impor-
tanza la respirazione bocco-faringea.
È d’uopo tener conto tuttavia per parecchie specie con
polmoni rudimentali o mancanti del loro genere di vita che è
caratteristico; queste specie, vale a dire, vivono quasi sempre
fuori dell’azione della luce viva, in ambienti umidi e a tem-
peratura relativamente costante. È d’uopo pure tener conto
della lentezza dei loro movimenti e in generale della loro scarsa
vita di relazione.
Tutto ciò tende evidentemente a rendere meno attivo ed
ampio il ricambio respiratorio, e fa sì che la respirazione bocco-
NUOVE RICERCHE INTORNO AI SALAMANDRIDI, ECC. 925
faringea, aiutata in piccola misura dalla respirazione cutanea,
diviene sufficiente per l’animale.
L’allungarsi del tronco e il restringersi della cavità del
corpo, unitamente allo: sviluppo talvolta notevole degli or-
gani riproduttori interni concorrono pure certamente insieme
colle cause sopra dette a favorire la riduzione progressiva dei
polmoni.
Nell'ultimo gruppo E. in cui i polmoni mancano, la respi-
razione bocco-faringea assume importanza massima.
Il fatto citato dal Lònnberg (1) che lo Spelerpes porphyriticus,
privo di polmoni, ha vita precipuamente acquaiola, si può spie-
gare come un adattamento secondario o cenogenetico di una
forma derivata da altra a costumi prevalentemente terragnoli
(come sono in genere le specie dello stesso genere Spelerpes) e
priva di polmoni.
D'altra parte, la mancanza di un organo idrostatico nelle
forme acquatiche può essere compensata per gli effetti della
locomozione da una leggera modificazione nella forma del corpo
e in particolar modo della coda e delle estremità posteriori e
dallo spostamento del centro di gravità dell'animale stesso.
D'altra parte pure, la cavità bocca-faringea degli Spelerpes
che nell’evoluzione delle forme schiettamente terragnole è andata
assumendo uno speciale sviluppo, tanto da essersi notevolmente
estesa allo indietro, può in una specie di questo genere che
ritorni a fare vita prevalentemente acquaiola, quando l’animale
la riempie d’aria, sostituire in parte anche i polmoni nella loro
funzione di organi idrostatici.
Risulta da quanto precede che in nessun altro gruppo di
vertebrati il ricambio respiratorio può essere ottenuto con organi
così diversi come negli Anfibi Urodeli nei quali si può ritenere che
esso si compia nelle principali maniere seguenti allo stato adulto.
1° Il ricambio respiratorio si ottiene mediante:
Pose la respirazione branchiale, la respirazione
bocco-faringea, la respirazione cutanea.
I polmoni funzionano da organi idrosta-
tici — (Esemp.: gen. Proteus Siren).
526
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3 Ha:
4° Id.
5° Id.
LORENZO CAMERANO — NUOVE RICERCHE, ECC.
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la respirazione branchiale, la respirazione
bocco-faringea, la respirazione polmonare, la re-
spirazione cutanea.
I polmoni funzionano pure da organi idrosta-
tici — (Esemp.: Amblystoma tigrinum branch.,
Molge alpestris branch., ecc.).
la respirazione polmonare, la respirazione
bocco-faringea, la respirazione cutanea.
I polmoni funzionano attivamente anche da
organi idrostatici — (Esemp.: Molge cristata,
vulgaris, ecc.).
la respirazione bocco-faringea, la respirazione
polmonare, la respirazione cutanea.
I polmoni perdono in gran parte la loro
importanza come organi respiratori e come
organi idrostatici — (Esemp.: Chioglossa lusi-
tanica, ecc.).
la respirazione bocco-faringea, la respirazione
cutanea.
I polmoni mancano intieramente — Esemp.
gen.: Spelerpes, Desmognathus, ecc.).
La cavità bocco-faringea può funzionare da
organo idrostatico in qualche specie a costumi
acquaiuoli.
L’ Accademico Segretario
ANDREA NACCARI.
ATTI E no
927
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 1° Marzo 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Socii: CLaRETTA, Direttore della Classe,
Pryron, Rossi, NANI, CrpoLra, PeRRERO, Brusa, ALLIEVO e
FerRERO Segretario.
Il Presidente annuncia alla Classe la morte del Socio
Corrispondente Barone Cristoforo NEGRI, e notifica di aver dato
incarico al Socio Corrispondente il Prof. Giovanni MARINELLI
di dettarne una breve commemorazione da leggersi in una
prossima adunanza della Classe.
Il Socio Segretario presenta alla Classe una serie di 39 vo-
lumi contenenti la collezione del Tripitaka o libri sacri dei
Buddisti meridionali in lingua pali, trascritti in caratteri sia-
mesi, pubblicata, in occasione del 25° anniversario della sua
venuta al trono, per ordine di S. M. in RE DEL Sraw, che ne fa
dono all'Accademia.
Presenta inoltre la “ Vita Za-Mîk@ él ’Aragàui , (Roma,
1896), testo etiopico pubblicato dal Socio Corrispondente Pro-
fessore Ignazio Gurpi, e la “ Relazione statistica dei lavori com-
piuti nel distretto della Corte d’ Appello di Torino nell’anno 1895 ,
528
(Torino, 1896), di cui fa dono l’autore, il Comm. Tullio PINELLI,
procuratore generale presso la detta Corte d’Appello.
Il Socio ALLievo offre da parte dell’autore, Prof. Romualdo
BoBBA, preside della Facoltà di lettere e filosofia della R. Uni-
versità di Torino, l’opera: “ La dottrina dell'intelletto in Aristotile
e nei suoi più illustri interpreti , (Torino, 1896).
Il Socio Peyron legge una commemorazione del Socio
Nazionale non residente, già Socio residente, Marchese Matteo
Riccr.
Il Socio NANI legge una commemorazione del Socio Corri-
spondente Antonio PERTILE.
Il Socio CipoLLa legge una nota del Dott. Luigi ScHIAPA-
RELLI sopra un “ Diploma inedito di Berengario I (a. 888) in
favore del monastero di Bobbio ,.
Questa nota e le dette commemorazioni sono pubblicate
negli Atti accademici.
B. PEYRON — COMMEMORAZIONE DI MATTEO RICCI 529
LETTURE
MATTEO RICCI
Commemorazione del Socio BERNARDINO PEYRON.
Quel tributo di lodi e di rimpianto, che Matteo Ricci con
nobili e affettuose parole ha reso ad insigni Colleghi di questa
Classe particolarmente suoi amici, se io debbo oggi, come saprò’
meglio, rendere a lui, il farò ricordando io pure le nostre rela-
zioni giovanili in comunanza di studî, e le prove di stima, che
mi diede poi sempre, talchè parrà a me pure di adempiere non
meno un pietoso incarico della Classe, che un debito mio par-
ticolare per antica conoscenza.
Nacque a Macerata il dì 6 dicembre 1826 da Domenico e
da Graziani Elisa; il suo titolo gentilizio fu Ricci Petrocchini
marchese di Campobasso.
Perduta in tenera età la madre, andò a convivere con l’ava
ed uno zio paterno, direttore dell’Accademia di Belle Arti in
Bologna. Ivi fece gli studî nel Collegio di San Luigi.
Venne a Torino col padre, poco più che ventenne, nell’anno
memorabile delle Riforme e delle aspirazioni italiane 1847. Il
motivo della venuta era continuare liberamente gli studî in
Lettere ed in Leggi nella Università nostra. Ma poichè egli era
portato specialmente agli studì ellenici, e poichè a quei tempi
mancavano nelle pubbliche scuole quei validi sussidì a cosifatti
studî, che oggidì si hanno, il più forte motivo era di perfezio-
narsi nel greco sotto la direzione dell'abate Amedeo Peyron. È
ben poteva essere certo del suo favore, però che non è a dire,
quanto quell’insigne fosse inclinato a proteggere, aiutare i gio-
vani, che mostrassero volontà di studì serii. Fu allora, che potei
conoscere il Ricci, non ricusando egli di farsi qualche volta mio
condiscepolo.
D’ingegno svegliatissimo, di modi amabili, parlatore facile
530 BERNARDINO PEYRON
e modesto, colto più che l’età sua potesse far credere, il giovane
letterato, come era accetto al suo maestro, così era desidera-
tissimo in quelle sale, che la sera a privilegiati convegni apri-
vano e Federico Sclopis, e Cesare Alfieri, e Cesare Balbo, e i
Promis, e i D'Azeglio. Anzi fu il Balbo, che nell’inverno del 1851
in una di quelle serate prese il giovane a parte, e lo consigliò
e lo persuase a tradurre la Politica di Aristotele, mostrandosi
offeso, che mentre egli stava leggendo quell’opera con tanta sua
soddisfazione nella traduzione di Barthélemy-Saint-Hilaire man-
casse agli studiosi italiani una recente traduzione italiana. Col
Ricotti poi confessò il Ricci d’avere contratto intima amicizia
dalla prima volta, che lo vide, d’avere conosciuto Carlo Promis,
e d’averlo amato come fratello; e così il Vesme.
Kra allora presidente del Consiglio dei ministri Massimo
D'Azeglio. Egli aveva sposato in prime nozze Luisa di Ales-
sandro Manzoni, e n’ebbe una figlia, che dal nome del nonno
si chiamò Alessandrina. A lei diede il Ricci la mano di sposo
nel 1852, e ne ebbe due figlie.
La Politica d’ Aristotele da lui tradotta con note e discorso
preliminare uscì l’anno 1853, l’anno stesso, in cui mancava al
Piemonte ed all’Italia chi l’aveva consigliata, Cesare Balbo; ma
uscì portando in fronte il nome di Alessandro Manzoni; al qual
nome fu glorioso (e si comprende) il traduttore di dedicarlo per
la sua nuova parentela, potendo inscrivere: Caro Signore, e se-
gnarsi Devotissimo nipote.
Per decreto del Commissario Regio straordinario Gioachino
Valerio, il Ricci fu nominato Professore di filosofia del diritto
nell'Università di Macerata sua patria; e per un anno ne fu
anche il Rettore. Il che avveniva, quando egli era eletto a rap-
presentare il Collegio di Tolentino nella Camera dei Deputati.
Tale elezione fu annullata per l’impiego che il Ricci aveva nel-
l'insegnamento governativo. Ma, tolto l’impedimento, fu rieletto
dallo stesso Collegio e sedette in Parlamento nell’ottava le-
gislatura.
Fu nominato socio nazionale residente dell’Accademia delle
Scienze di Torino nella seduta dell’8 gennaio 1865. E ben puossi
dire, che egli entrava in famiglia; chè in ogni collega trovava
o un suo amico, o una conoscenza. Intraprese allora una serie
di dotte letture, che stanno raccolte nei nostri Atti, e sono
Ar — en
COMMEMORAZIONE DI MATTEO RICCI 531
illustrazioni ad alcuni paragrafi delle Storie di Erodoto, al cui
volgarizzamento stava allora lavorando. Egli trattò in più sedute
delle Origini Elleniche; e quelle sue memorie formano oggi la
prefazione al suo Erodoto. Le altre son note illustrative dei
passi più difficili e controversi del primo e secondo libro di
quelle istorie, e anch'esse furono inserte nell'edizione.
Ma quell’anno della sua nomina fu per lui anche lutto do-
mestico, e fu lutto nazionale; la morte di Massimo D'Azeglio!
Si sa, che negli ultimi suoi giorni il D'Azeglio diede espresso
incarico alla sua figlia di pubblicare lo scritto, che intitolò
I miei ricordi, quello, che tanto è letto da tutti gl’'Italiani e
prescritto persino negli studî delle scuole elementari, e rimarrà
insigne monumento nella letteratura nostra. Adempì la figlia
il mandato e I miei ricordi uscirono nel 1867. Ma il nome di
Matteo Ricci non poteva disgiungersi dal nome della sua sposa
in quella patria edizione. Chè egli vi aggiunse una nota bio-
grafica, e una preziosa particola di testamento politico e reli-
gioso, che aveva tratto da una carta autografa dell’illustre suo-
cero. Poscia il Ricci fece argomento di una sua memoria: Gli
scritti postumi del D’ Azeglio.
Nel dicembre del 1873 il nostro socio passò nella categoria
dei non residenti, avendo egli deciso di trasportare la sua sta-
bile dimora a Firenze. Ma non potè dipartirsi dall'antica capi-
tale senza pagare un mesto tributo ad un suo caro collega,
caro a lui e non meno a noi. Carlo Promis mancava il 20
maggio di quell’anno. La bella commemorazione fu stampata
coi tipi del Favale. Non passò un anno, Domenico Promis se-
guiva il fratello, e due lutti accademici dopo lui successero a
breve intervallo: Carlo Baudi di Vesme, e il venerato presidente
Federico Sclopis. Della loro perdita il Rieci, lontano, prese la
viva parte che noi tutti prendemmo, e li commemorò onorandoli
come li aveva sempre onorati (v. Archivio storico), ed è mio
dovere aggiungere, che all’animo suo riconoscente non mai si
offerse occasione, che ei non cogliesse per ricordare o a voce 0
cogli scritti l'abate Amedeo Peyron, che soleva chiamare suo
caro maestro.
Intanto col tomo III, dai tipi del Bona, essendo editore il
Loescher, era uscita nel 1881, la intiera opera: Delle Istorie di
Erodoto, volgarizzamento con note di Matteo Ricci, che con la
532 BERNARDINO PEYRON
x
Politica di Aristotele è l’altra delle sue due principali opere e
la più importante.
Quanto alla Politica i pregi stanno nelle ragioni stesse,
per cui il Balbo gliel’aveva suggerita. Chè dal cinquecento in
poi, come osserva lo stesso traduttore, non ha l’Italia traduzione
nè buona nè cattiva; e quelle fatte dai cinquecentisti sono po-
verissime di sana critica, e spesse volte inintelligibili, laddove
la Francia e l'Inghilterra ne possedono di ottime e recentissime.
Ora l'Italia ha la sua.
Bensì l’Italia ha traduzioni piuttosto recenti dell’ Erodoto;
tuttavia tra loro è degna di ottenere un bel posto quella del
Ricci per molte ragioni. Anzitutto facile e disinvolto lo stile,
fiorentina la lingua, e quanto al merito della traduzione fu, se
non altro, troppo severo il giudicio di qualche critico. La fedeltà
non poteva venir meno al dotto Ellenista, diligentissimo nel
consultare i varii testi, e i precedenti lavori e commenti, come
ne fanno fede le note apposte a ciascun libro. Certo non è sempre
facile assunto il mettere d’accordo alcune affermazioni dello
storico greco con le deduzioni critiche della scienza moderna;
il che cerca egli di far sempre. Ora venendo egli l’ultimo potè
introdurre elementi nuovi, ignoti ai precedenti autori, e dare in
realtà nuovo valore alla sua traduzione. Comunque è opera di
lunga lena, a cui il Ricci può sperare di avere raccomandato
il suo nome.
Non è dunque meraviglia, se il Circolo Filologico di Firenze,
appena l’esimio letterato vi si stabilì, siasi affrettato ad eleg-
gerlo suo Presidente. Ei diede nuova vita a quell’ Istituto; vi
introdusse le letture e le conferenze, porgendo egli il primo
l'esempio di una grande operosità. Non passò anno, in cui egli
non abbia o letto una Memoria o tenuta una conferenza. Le
Memorie stanno nella Rassegna Nazionale, che esce dall’ufficio
di quel Circolo.
L'Accademia della Crusca lo nominò suo socio residente nel
gennaio del 1883, ed egli l’anno dopo esordì le sue letture in
una solenne adunanza recitando l’Elogio di Giovanni Prati.
Fu operaio, come dicesi, del Conservatorio femminile di Ri-
poli, e segretario della Società di educazione liberale, che fondò
la scuola di scienze sociali.
All’anno 1891 eragli serbata un’altra nomina, che doveva
COMMEMORAZIONE DI MATTEO RICCI 533
coronare splendidamente le precedenti, quella di Senatore del
Regno. Se ne rallegrò per l'onore di sedere accanto ad illustri
conoscenti, fra cui illustre e cara gli era la conoscenza del mar-
chese Carlo Alfieri. Nè però egli desistette mai dal lavoro, ed
ancora l’anno scorso scrisse l’intima vita di Enrico Heine secondo
nuovi documenti; e seppi, che sul principio dello scorso feb-
braio ei rivedeva le bozze della sua traduzione di un libro di
Tucidide.
Tra le molte sue monografie non è da passare sotto silenzio
il Saggio sugli ordini politici dell'antica Roma paragonati colle
libere istituzioni moderne (Firenze, Le Monnier, in-8°); nè la Rac-
colta di ritratti politici e letterarii con una Collezione d’iscrizioni
edite ed inedite (Firenze, 1888, in-8°); nè Gino Capponi, impres-
sioni e ricordi di due anni di consuetudine (Firenze, 1876, in-8°);
nè per delicati pensieri il Discorso su Caterina Franceschi
Ferucci; nè la Commemorazione della marchesa Alfieri di Sostegno
nata Benso di Cavour, notevole per affetto ed alta venerazione.
Ma il Ricci era così; era buono, era vero gentiluomo; colti-
vava così gli studî, come le amicizie, e di queste serbava indelebile
memoria. Aveva una vera inclinazione, e, convien dire, un'abilità
singolare a ritrarre il carattere morale delle persone. Per lui
l'architetto, l'archeologo, il filosofo, il poeta erano sempre l’uomo,
e cercava di farli conoscere ed amare, più che dalle loro opere,
nelle intime scene di lor vita, negli aneddoti, di cui per ciò sono
piene le sue biografie, drammatizzandole spesso con brevi dia-
loghi, talchè se le molte Vite da lui narrate si riunissero in un
volume, formerebbero, credo, una raccolta originale per il modo
tutto suo di rappresentare. Qualunque poi fosse il soggetto, egli
seriveva signorilmente, con sprazzi d’ingegno e d’acume, che fan
sempre dilettevole la lettura delle opere sue.
Fra le intime amicizie era oggidì intimissima quella di
Ernesto Masi, letterato e filosofo, provveditore agli studi in
Firenze, il quale ad istanza e per mezzo d’una gentile e nobile
signora si compiacque fornirmi di alcune notizie. Han queste il
pregio adunque di essere state attinte ad ottima fonte. Alcune
debbo alla cortesia del Segretario del Consiglio direttivo della
Scuola di scienze sociali, egregio signor Atto Corsi.
Ora, essendo collocate in matrimonio le due sue figliuole,
il Ricci viveva solo in Firenze nel villino Altoviti, e per l’ami-
534 CESARE NANI
cizia, che lo legava al marchese Alfieri, frequentava le sale, ove
attorno a questo illustre Piemontese sogliono convenire perso-
naggi illustri per scienza, politica, casato. Questo poi hassi a
notare, che sin dal 1852 teneva un Diario di tutto quanto gli
avvenisse di memorabile, diario non mai interrotto neppur un
giorno solo finchè gli durò la vita. Fu interrotto la prima volta
e per sempre il dì 10 dello scorso febbraio. Niun l’avrebbe detto
in quel dì. Pareva in ottima salute; sentì un istante bisogno
di riposo, e adagiatosi sul suo seggiolone spirò.
A tanto uomo non mancheranno dotte biografie. Questi
pochi miei cenni intanto, se non abbiano la vivezza del suo stile,
mi basterà, che ritraggano un pensiero: Onorare la virtù ope-
rosa, che è bella in tutti, ed è cara in quelli, che hanno avuto
con noi società d’opera e d’intendimenti.
ANTONIO PERTILE
Cenno necrologico del Socio CESARE NANI.
Chi scrive la biografia di Antonio Pertile non molti fatti
degni di nota ha da narrare, perchè la sua esistenza trascorse
semplice e modesta, schiva d'ogni mondan rumore.
Nacque in Agordo (Provincia di Belluno) il 10 novembre
del 1830, di famiglia però originaria di Gallio vicentino. Fre-
quentò i corsi di diritto nelle Università di Gratz, di Vienna e
di Padova e qui conseguì nel 1855 la laurea dottorale. A Vienna
coprì per breve tempo l’uffizio di aggiunto di concetto presso il
Ministero del culto e della pubblica istruzione; ma già nel 1857,
essendo stata fondata nell'Università di Padova la cattedra di
Storia del Diritto, il Pertile venne chiamato ad occuparla in
qualità di professore straordinario e pochi anni dopo, nel 1861,
era promosso ad ordinario. In questo modo si avviò all’insegna-
mento ed alla scienza, a cui volle dedicate tutte le energie del
volere e dell'ingegno. Non sì però che una parte della propria
operosità non spendesse volentieri anche in pubblico servigio,
giacchè fu sindaco per qualche tempo di Strà (dove soleva vil-
leggiare), consigliere comunale in cinque comuni contempora-
| "TIT ea
ANTONIO PERTILE, CENNO NECROLOGICO 535
neamente, fondatore e presidente onorario di una cassa rurale.
Questi parranno a molti troppo umili ufficii; ma egli non mirò
più in alto, nè forse glielo avrebbero consentito le sue tendenze
spiccatamente conservative che egli non dissimulò mai, neppure,
quando se ne presentò l'occasione, nei suoi scritti. Di sè stesso
egli scrisse: “ io sono contento del modesto mio ufficio , e
scrisse il vero perchè egli fu sopratutto insegnante e scienziato.
Insegnante tenne, infino quasi all'ultimo giorno della sua
vita, la cattedra di Storia del diritto italiano ed un corso libero
di Esegesi delle fonti del diritto medievale, oltre all’incarico di
Enciclopedia giuridica, mutato poi nell’altro di Introduzione en-
ciclopedica ed Istituzioni di Diritto civile che abbandonò in ultimo
per quello di Diritto canonico. Non per l’arte del dire, nè pei
lenocinii della forma rifulse il suo insegnamento; bensì attinse
efficacia dalla profonda conoscenza della materia, giusta l’ora-
ziano:
Là cui lecta potenter erit res
nec facundia deseret hunc, nec lucidus ordo ,.
Scrittore, pubblicò varie monografie, riguardanti tutte la
Storia del diritto e più o meno ampie. La maggior parte com-
parvero negli Atti del I. Istituto veneto; altre negli Atti della
R. Accademia di Padova, nell'Archivio veneto e nell’ Archivio giu-
ridico. Nel Digesto italiano ne vide la luce una, intitolata “ Gli
Statuti municipali e la loro influenza sul diritto privato ,, ed è
particolarmente da ricordare il discorso “ Degli ordini politici
ed amministrativi della città di Padova nel sec. XIII , pronun-
ciato nel 1882, in occasione della solenne riapertura degli studi
in quella Università.
Ma l’opera a cui principalmente è raccomandata la fama
del Pertile è la sua Storia del Diritto italiano. Incominciò a rac-
coglierne, con assidua cura, i materiali fin dal giorno in cui
prese ad insegnare questa disciplina, cioè dal ‘57, come si è
veduto, e ne pubblicò “ non senza molta difficoltà e trepida-
zione , come egli diceva nella prefazione, il 1° volume nel ‘73;
la seconda parte dell'ultimo volume non uscì che nell’87. L’o-
pera, composta di sei poderosi volumi, gli era dunque costata
trent'anni di non interrotte fatiche. Di questo lavoro furono dati,
536 CESARE NANI
mentre ancora era in corso di pubblicazione, giudizii, come so-
vente accade, assai disparati. Ebbe lodi, maggiori forse fuori
che in patria, ma non gli furono risparmiate nè critiche, nè
acerbe censure che il Pertile respinse con linguaggio insolita-
mente concitato e sdegnoso. Sarebbe ozioso il soffermarsi su
queste polemiche ora che perfino l’eco se n’è dileguato, e per
comune consentimento nella Storia del Diritto italiuno si ravvisa,
insieme con alcuni difetti, il pregio di un altro valore scien-
tifico. E per verità quei difetti sono dovuti parte alla difficoltà
somma dell’impresa, parte al temperamento stesso dell’ingegno
del suo autore.
Lo scrivere infatti una storia completa del nostro diritto
era, quando il Pertile vi si accinse (ed è tuttora, sebbene in
grado minore), tale assunto da sgomentare anche i più valenti
edi più audaci. Ben poco, in confronto d’altre, era stato fatto in
tempo più antico per questa scienza che rimase poi, per lunghi
anni, quasi del tutto negletta, dopo che l'influenza del diritto
francese ebbe spezzato il filo delle nostre tradizioni giuridiche.
Appena erano valse a ravvivarle alquanto le opere, benchè in
diversa misura, ragguardevoli dello Sclopis e del Forti, incom-
plete però, sotto l’uno o l’altro aspetto, amendue. Mancava
quindi quel serio lavoro di preparazione senza cui niuna opera
generale è possibile, lavoro che ha da essere necessariamente
il risultato degli sforzi di molti e proseguito per un non breve
periodo di tempo; troppo imperfetta era la nozione dei varii
diritti, per quanto ciascuno d’essi aveva di particolare, che, nei
diversi Stati in cui si divideva l’Italia, erano stati in vigore;
delle stesse fonti solo una parte era stata pubblicata, nè sempre
con tutti i sussidii della critica, l’altra, certo non esigua, celata
ancora negli archivii, occultavasi alle indagini degli studiosi.
Queste le difficoltà principali che contrastavano ogni tentativo
di ricostruire per intiero la storia del nostro diritto. Nè d’altra
parte aveva la natura conceduto all’ingegno del Pertile la ge-
nialità dell'artista che riesce a colorire e dare vita e rilievo
all'esposizione anche là dove la materia pare che sia più sorda
al magistero dell’arte; nè tanta potenza di sintesi da saper
sempre condensare con brevità efficace i risultati del lavoro lento
e diffuso dell’analisi, e scolpire con pochi tratti vigorosi la figura
di ogni istituto giuridico.
ANTONIO PERTILE, CENNO NECROLOGICO 037
Insigni, per contro, furono in lui le doti di ricercatore eru-
dito, accurato, indefesso, non timido nell’affrontare gli ostacoli
che si affacciavano sul suo cammino; vasta la dottrina congiunta
a sobrietà e temperanza somma di giudizio. Con queste qualità
non brillanti ma solide egli potè scrivere un’opera che è, mal-
grado ogni sua menda, per più rispetti ammirabile; un’opera di
cui poche migliori può vantare, fra le congeneri, la Germania,
niuna la Francia; un’opera che ha schiuso la via all’elaborazione
progressiva della nostra storia giuridica.
Ben a ragione nell’accingersi alla seconda edizione della
sua Storia egli poteva dire: “ ho compito con molto studio e
con molte fatiche, non senza la divina assistenza, l'assunto che
mi era proposto, di formare il disegno e di porre le basi della
storia del diritto italiano ,. E, se più altamente avesse sentito
di se stesso, avrebbe potuto aggiungere, applicando a se mede-
simo le parole di Goethe: “ A noi vecchi il perdono degli errori
“ poichè non trovammo la via già bella e tracciata; ma da chi
più tardi è venuto al mondo si pretende di più, già che egli
non ha più da ricercare e da errare, ma deve giovarsi del
consiglio dei vecchi e sollecitamente incamminarsi per la
diritta via ,.
Quella seconda edizione riveduta a cui il Pertile già aveva
posto mano nel ’91, egli non ebbe la ventura di poter condurre
a termine. Glielo impedì lo stato della sua salute, fatta ogni
giorno più cagionevole, e la morte lo colse allorquando tre volumi
e parte del quarto erano stati pubblicati. Si spense serenamente
in Padova il dì 4 marzo del ‘95, nell’anno sessagesimoquinto
dell’età sua, confortato dall’affetto e dalle cure della gentildonna
che gli fu consorte e dei figli, confortato dalle supreme speranze
di quella fede che mai l’aveva abbandonato. La dipartita del-
l’uomo modesto quanto valente, insigne per la illibatezza della
vita e la integrità del carattere, fu luttuosa ai discepoli, ai
colleghi, agli amici, a noi che ci onorammo di averlo a socio
corrispondente di quest’Accademia, a quanti coltivano la scienza
dove egli stampò un’orma profonda. Questi sapranno serbare
degnamente il prezioso retaggio d’opere e d’esempi che il Maestro
loro ha lasciato!
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538 LUIGI SCHIAPARELLI
Diploma inedito di Berengario I (a. 888)
in favore del monastero di Bobbio
pubblicato dal Dott. LUIGI SCHIAPARELLI.
Pubblico un precetto di Berengario I in favore di S. Colom-
bano di Bobbio. Questo documento se a rigore non può dirsi
del tutto sconosciuto, è ad ogni modo inedito, e rimase dimen-
ticato dopo un brevissimo cenno fattone dal Muratori.
a. 888 (agosto?), Cortalta (Verona).
| perenniter et im[mutabiliter] ///////// conseruandum (?) fieri
1I11/////}///////]] et secundum augmentum dignissime re-
cordationis domni Karoli im|peratoris senioris et consobrini
nostra regali auctoritate sancimus ut in quibuslibet pagis uel
territoriis de rebus supradicti cenobii aliqua orta fuerit | con-
tentio (1) cui uero (sic) sit inquisitio necessaria ex nostra fiat aucto-
ritate per idoneos homines quorum testimonium probabiles (sîc)
sit ne aliqua interueniente in|curia uel occasione eadem ecclesia
de facultatibus suis aliquid cogatur amittere quod ei iuste com-
petit habere. Omnia quoque que inferius notantur inrefra|gabi-
liter absque cuiusquam inquietudine seu immutatione concedimus
habenda et ordinanda per abbatem qui pro tempore fuerit nostra
largitione et eorum | electione ipsi sancto loco substitutus se-
cundum dei uoluntatem eorumque in omnibus competentem uti-
litatem. Id est monasterium cum cellulis infra uallem in qua
situm est consistentibus . | turrem . boco . salonianam . montana
et maritima cum cellulis carice et turio . carelio . comorga et
castellione . ranci cum casasco . et caniano atque brioni ac | uico-
pontio uirdim cum ecclesia sancti pauli in niza et sancti albani
in candubrio montem longum cum memoriola et omnibus appen-
ditiis suis. touatiam cum ecclesia | sancti pauli in sartoriano .
prato siluano cum ecclesia sancti antonini et sancti seueri peco-
(1) La “o, è ricalcata su rasura.
DIPLOMA INEDITO DI BERENGARIO I 539
rari cum palantas et proprio guntelmi et paderno . trauano cum
alfiano et anca|riano et ecclesia sancti saluatoris in clauzano.
rouaclas et ecclesia in honore sancte resurrectionis cum his
que ad eam pertinent . aulianum cum proprio defulcario | et
teutrude cassianum ac casellas sorlascum luliatica. garda cum
adarbassio . fraxinetum et portum mantuanum propriumque quod
sabatinus ueneticus in | quomaclo sancto columbano tradidit .
proprium quoque quod teudaldus et teupaldus episcopi ipsi
monasterio tradiderunt .scenodochium aetiam in papia cum ad
eum pertinentibus | perledum medei farinariam cerucem atque
genuam. Omnia igitur hec superius que inserta sunt sicut ad
eundem sanctum et uenerabilem locum delegata et tradita
noscuntur ita cum omni | integritate cum omnibus ad eum per-
tinentibus cum massariciis uel familiis seu cunctis adiacentiis
sub omni integritate absque ulla diminutione subtrac|tione . et
queque deinceps ipsi sana industria uel quorumlibet christia-
norum legitima collatione acquirere potuerint in conuulsa et
perpetua sta|bilitate concedimus haberi. possideri et ad uotum
ipsorum religiose rationabiliter et deo placite ordinari . sed et
priuilegia apostolica auctoritate eidem | saneto loco largita per
hoc pragmaticum confirmamus et ut nullus episcoporum uel ex
quolibet ecclesiastico ordinare (sic) uiolare uel irrumpere at-
tentet omnino | interdicimus. Igitur quia pro summa reipublice
necessitate pacisque tranquillitate quandam diuisionem de rebus
iam fati cenobii ad oram. fieri permisimus iubemus | atque
omnimodis statuimus ut de illa parte quam in usus monachorum
delegauimus interim dum domino auxiliante ad pristinum reuo-
cetur statum nullus (1) iudex | publicus nullus missus discurrens
aliquam sepe fatis monachis eorumque familiis uiolentiam uel
inquietudinem inferre presumat . quos cum omnibus rebus et |
familiis sub nostra nos constat recipisse emunitate et munde-
burdo. Si quis uero hominum ipsius monasterii utilitatis famu-
lantium ingenuus commendatus siue seruus | aliquid commiserit
unde fiscus noster quippiam sperare possit totum hoc parti
ipsius loci sancti concedimus et ne a quoquam exigatur penitus
abnegamus. Quicumque uero ali|quid horum uiolare presum-
pserit sciat se pene persoluendarum Lx libras auri optimi eidem
(1) Correzione di prima mano per “ nullum ,.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 38
540 LUIGI SCHIAPARELLI
loco esse multandum et insuper nostram offensionem plecten-
dum. Nullas quoque | redibitiones aut publicas excubias nullas
paradas uel angarias facere siue persoluere cogantur. nullas
pontium nouas uel ueteres structiones seu re|structiones agere
uel renouare conpellantur que nos uniuersa idcirco concessimus
et perdonauimus ut omnipotenti domino pro nostra totiusque
regni nostri augmento et stabi|limento deuotius placidius ac
delectabilius omnia exclusa necessitatis occasione ualeant sup-
plicare. Ut autem hec nostre cessionis perceptio rata ac stabilis
per futura | tempora maneat manum nostra (1) subter firmauimus
et anulo subter iussimus sigillari.
Signum (M. F.) domni Berengarii gloriosissimi regis :
AAKK
ARR RAR
Petrus notarius iussione regis recognoui .. i
Data /////1///111///}{/}/}|/ Lxxxvix Anno uero domni
berengarii gloriosissimi regis .1. Indictione . vi. Actum
c[ur]te alta curte regia
Rinvenni questo diploma nei mazzi da ordinare dell’ Abbazia
di S. Colombano di Bobbio, conservati nell'Archivio di Stato in
Torino: venne in seguito collocato nel mazzo 1 di detta Abbazia (2).
La pergamena è mal conservata: recisa superiormente, cor-
rosa in altri punti, guasta nell’estremità inferiore.
Misura: altezza massima 0,465, minima 0,417, largh. 0,50.
Le righe furono tracciate con punta a secco nella faccia verso:
le distanze furono misurate col compasso, di cui scorgonsi a si-
nistra le impressioni delle punte; tuttavia lo scritto non segue
sempre la rigatura, e si trova ora al disopra ora al disotto.
Mancano della rigatura le ultime tre linee del testo e quelle
dell’escatocollo.
Il diploma è originale e inedito. L’Ughelli non ne fa ac-
cenno, e neppure il Mabillon, che pure nel giugno del 1686 fu a
visitare il monastero di Bobbio e ne descrisse, nel suo Iter ita-
(1) Il ms. ha: “ manu nra,, che potrebbe anche sciogliersi: “ manum
nostram ,. Comunque sia, l’amanuense volea dire: “ manu nostra ,.
(2) Sono assai grato al ch. Barone E. Bollati di St-Pierre, direttore
dell'Archivio di Stato, e al Cav. D’Agliano, archivista, per aver gentilmente
favorito le mie ricerche.
DIPLOMA INEDITO DI BERENGARIO I 541
licum, i codici e le pergamene (1). Un breve ricordo ci viene
dato invece nel II Scriptores del Muratori al capitolo: “ Palatini
Socii. In Synodum Ticinensem ab Episcopis Regnique proce-
ribus celebratam pro electione, seu confirmatione Widonis in
Regem Italiae ,, dove leggiamo: “ Alterum Autographum
(sottintendi: vidi in Bobiensi Tabulario), quo confirmantur omnia
priuilegia Monasterii Bobiensis, sed mutilum in principio, et circa
finem, in eo tamen sequentia clare leguntur. “ Anno uero Domini
Berengarii Gloriosissimi Regis I Indictione VI. Actum ..... alia,
Curte Regia ,. Indictio itaque VI, quae in cursu erat anno Do-
mini pcccLxxxvmi copulatur cum anno primo Regni, prout in
praedictis , (2). Il Rossetti (3) non ebbe cognizione di questo
diploma, che Diimmler confuse con quello del 19 ott. 903.
Manca affatto il protocollo: del testo mancano l’inscriptio 0
salutatio, l’arenga o proemium. L’atto incomincia colle parole:
« perenniter et im[mutabiliter]..... ,, che, pare, chiudono l’expo-
sitio; a ciò fa seguito intera la dispositio colle rimanenti parti del
testo. Vi è infine l’escatocollo, che però ha la datazione mutila.
Destinatario fu l'abate Aginulfo, come ci fa sapere il breve
regesto scritto sul erso, in minuscolo perfezionato, da mano
del sec. XII: “ domni Berengarii regis aginulfo abbati nostro ,;
probabilmente, allora la pergamena era ancora intatta.
Berengario fa una donazione al monastero di Bobbio “ se-
cundum augmentum dignissime recordationis domini Karoli impe-
ratoris senioris et consobrini ,; non è il solito accenno alla sua
parentela (4) coll’imperatore Carlo Magno, ricordata in varii
diplomi colla frase consueta consobrinus noster, ma un ricordo,
una dichiarazione, che, considerata la data del diploma, la con-
dizione politica di Berengario, la “ renovatio Regni Fran-
corum , (5) del rivale Guido, acquista speciale importanza
storica.
Di Berengario I conoscevamo finora due soli diplomi concessi
(1) MasiLLon, Museum Italicum (Lutetiae Parisiorum, 1724), I, p. 217.
(2) Muratori, ,SS., II, pars I, 416 (III). Cfr. Indices Muratoriani, Aug.
Taurinor. 1885, p. 36, n. 1160.
(3) RossertI, Bobbio illustrato. Torino, 1795.
(4) Dimmer, Gesta Berengarii imperatoris, Halle, 1871, pag. 13.
(5) Dimmuer, Geschichte des ost. Reiches, 2 Aufl., III, pag. 370.
542 LUIGI SCHIAPARELLI
al monastero di Bobbio. Uno di essi, colla data 11 sett. 903 (1),
è la conferma fatta, dietro intercessione della moglie Bertila,
all'abate Teodelasio delle donazioni dei re Longobardi, di Carlo
Magno, di Lodovico il Pio, di Lotario, di Lodovico II e di
Arnolfo. Le terre confermate corrispondono, fatte poche ecce-
zioni, a quelle ricordate nel presente diploma, del quale peraltro
ivi non vien fatto cenno alcuno. Il secondo, del 19 ottobre 903 (2),
è una riconferma dei diritti spettanti a Bobbio sulle terre pre-
cedentemente donate. Si ricorda in modo esplicito il diploma
dell’11 settembre: “ Confirmamus etiam mundeburdium sicut a
nobis iam alia uice ipso uenerabili abbati (cioè Teodelasio)
suisque fratribus seu sancto coenobio per preceptum pro mer-
cedem animae nostrae concessum habemus ,.
All’abate Aginulfo (3), destinatario del nostro diploma,
furono concesse due donazioni di re italiani, una di Guido (4),
di Lamberto (5) l’altra. Guido, ricordate genericamente le do-
nazioni “ felicium decessorum nostrorum augustorum ,, aggiunge:
“ Et quia minus quedam in eisdem preceptionibus habentur
quae fratribus praescripti sancti coenobii con[sist]ere noscun-
ture. s. Le terre confermate e le formule corrispondono, salvo .
poche varianti puramente di forma, a quelle del diploma di
Berengario dell’888, diploma che Guido non ricorda, ma che
certo dovette servirgli di modello (6). Solo motivi politici pos-
(1) Copia sec. XI. Archivio di Stato in Torino (Abbazia di S. Colombano
di Bobbio, mazzo I); Bònmer, Reg., 1320; Dimmer, Reg., 35.
(2) Originale. Archivio di Stato in Torino (Museo storico, sala I); Re-
gesti: B., 1321; D., 86.
Le seguenti citazioni di passi dei diplomi dei Re d’Italia sono fatte
secondo il testo originale o la copia più antica dell’Archivio di Stato in
Torino.
(8) Cfr. UezELLI, Italia sacra, ed. Coleti, IV, 964; RossertI, Op. cit., III, 62.
(4) Orig., Archivio di Stato in Torino (Museo storico, sala I), Regesti: B.,
1280; D., 17.
(5) Orig., Arch. cit., Regesto: D., 6.
(6) A maggiore prova trascrivo una parte del testo di questo diploma: -
TARE Omnia quoque quae inferius adnotantur inrefragabiliter absque cuius-
quam inquietudine seu immotatione concedimus | habenda riordinanda per
abbatem qui pro tempore fuerit nostra largitione & eorum electione ipsi
sancto loco substitutus secundum dei uoluntatem eorumque in omnibus
com[peten]tem utilitatem. Id est monasterium cum cellulis infra uallem |
in qua situm est consistentibus turrem. bocco. salonianum. montana. et
DIPLOMA INEDITO DI BERENGARIO I 543
sono spiegarci le parole ora citate di Guido e il suo silenzio
sulla donazione del rivale Berengario. Lo stesso silenzio nel
diploma di Lamberto: “ iuxta felicium predecessorum nostrorum
augustorum lotharii scilicet ac ludouici Karlomanni et fratris
eius Karoli nec non et domni uidonis diue memorie genitoris
nostri innouare sanciremus ,.
Alcune osservazioni diplomatiche. Anzi tutto, si distin-
guono due caratteri, quello del testo, il ben conosciuto carattere
librario del secolo IX, e quello dell’escatocollo, che, tanto nel
carattere allungato della segnatura e della ricognizione, quanto
nelle aste prolungate della datazione, presenta sicuri segni
distintivi della scrittura bollatica. Pare che la pergamena sia
stata scritta da un solo ingrossator; è però estremamente dif-
ficile emettere un giudizio preciso per l’escatocollo, corroso assai,
e che ha caratteri paleografici diversi. La datazione presenta
lettere più piccole, meno rotondeggianti, più unite; ma se si
ricorda che ordinariamente essa veniva scritta dopo le altre parti
del diploma, e in tempo diverso, non si può dare gran peso a
queste varietà tenui di scrittura; d’altra parte l’inchiostro ado-
perato pare il medesimo che per il testo.
maritima cum cellulis. carice cum turio. et carelio. comorga. & castellione.
rancicum casasco & caniano atque brioni ac uicopontio. uirdim cum ec-
clesia | sancti pauli in niza & sanceti albtani (sic) in candubrio. monte longum.
cum memoriola et omnibus appendiciis suis. Touacia cum ecclesia sancti
pauli in sarturiano. prato siluano cum ecclesia sancti antonini & sancti
seueri. pecorari cum palantas. & proprio guntelmi | Et paderno. trauano
cum alfiano. & ancuriano. et ecclesia sancti saluatoris in clauzano. rouaclas.
et ecclesia in honore sanctae resurrectionis cum his que adeam pertinent.
auliano cum proprio defultario & teudrude. perlascum romariascu proprio
de al | biniano. sorlascum. luliaticam. garda cum adarbassio. fraxenetum. &
portum mantuanum. propriumque quod sabatinus ueneticus in comaclo
sancto columb[ano] tradidit. propriumque quoque quod teodaldus & teut-
baldus ipsi monasterio tradiderunt | cum insula teplense. Xenodochium cum
ecclesia in papia cum om[ni a]d eam pertinentibus perledum. farinariam
crucem atque genuam. Omnia igitur [qua]e superius inserta sunt sicut
ad eundem sanctum et uenerabilem locum | delegata et tradita noscuntur.
Ita cum omni integritate cum [omni]bus ad se pertinentibus cum massa-
ritiis uel familiis seu cunctis adiacenciis sub om[ni inte]gritate absque
ulla diminutione seu substratione ,, ecc. ecc.: le rimanenti parti del testo
corrispondono perfettamente al diploma di Berengario dell’888. Lo stesso
dicasi del citato diploma di Lamberto.
544 LUIGI SCHIAPARELLI
Il monogramma è firmato. Sembra infatti che si possa at-
tribuire a Berengario il tratto che unisce l’asta diagonale
della N all’asta verticale di sinistra: l’intiero monogramma fu
seritto in diverso tempo ed anche, come pare, con inchiostro diffe-
rente dalla segnatura. La base non è in linea colle altre parti
della medesima riga, si appoggia a destra lasciando a sinistra
un notevole spazio; ciò, parmi, significherebbe essere stato
tracciato dopo la segnatura nello spazio voluto tra Signum e
domni. Il foro della pergamena, in alto a destra di Signum,
impedì di eseguire il monogramma nel centro dello spazio de-
terminato; l’ingrossator fu costretto avvicinarlo più a destra
presso domni; se al contrario quello fosse stato tracciato ante-
riormente, non si spiegherebbe come mai la parola Signum sia
stato scritta così distante dal monogramma, mentre il foro della
pergamena non presentava impedimento.
La ricognizione è del notaio Pietro: “ Petrus notarius ius-
sione regis recognoui ,.
Pietro fu cancellario dall’888 all’890; arcicancelliere dal-
1’896 all’899 (1). Nei diplomi dell’anno 888 (Bònmer, Reg., 1289;
DimmLER, Reg., 1, 2, 8) si firma: “ Petrus cancellarius ad vicem
Adollardi episcopi et archicancellarii ,, così in altro del
12 maggio 890 (B. 1294; D., 8). Dal 29 luglio 896 (B., 1302;
D., 15) all’11 marzo 899 (B., 1313; D., 27) funziona da arci-
cancelliere; solo in due diplomi dell’896 (B., 1303, 1304; D., 16,17)
troviamo: “ Vitalis cancellarius iussu regis ,; in uno dell’898
(B., 1306, D., 20) lo stesso arcicancelliere Pietro si firma:
“ Petrus cancellarius iussu regis ,. Questa formula è comune
nella cancelleria di Berengario I. Troviamo; “ Restaldus no-
tarius iussione regia ad vicem Adelardi episcopi et archican-
cellarii , (B., 1295, 1296, 1298; D., 9, 10, 12), “ Petrus notarius
iussione regia , (B., 1318; D., 33), “ Petrus cancellarius iussu
regis , (B., 1339; D., 54), “ Johannes notarius iussu regis ,
(B., 1343-1346; D., 62-65), “ Johannes notarius iussu regio ,
(B., 1348; D., 67), “ Hermenfredus domini imperatoris capellani
ipsius imperiali iussione , (B., 1358, 1359; D., 86, 87, 90),
“ Johannes episcopus et archicancellarius imperiali iussione ,
(1) DimmrER, op. cit., pag. 56, nota 1.
DIPLOMA INEDITO DI BERENGARIO I 545
(B., 1370; D., 104), “ Hermenfridus cancellarius imperiali ius-
sione , (B., 1371; D., 105) (1).
Ne risulta che le formule iussu regis, iussu regio, imperiali
iussione, iussione regia erano adoperate da un mnotarius, da un
cancellarius e da un archicancellarius come da un capellanus
domni imperatoris; insomma da tutti gli ufficiali della cancelleria.
Notevole è il fatto, che cancellieri come Pietro e Giovanni (2)
si firmano semplicemente col titolo di motarius. Pietro, essendo
archicancelliere, si sottoscrive anche cancellarius (B., 1306;
D., 20). Però in questi casi, sia che il cancelliere preferisca
chiamarsi notarius, sia l’arcicancelliere cancellarius, la loro rico-
gnizione non viene mai fatta ad vicem di altri ufficiali della
cancelleria.
Simile esempio ci offre la cancelleria di Lodovico IL:
Dructemiro si firma archinotarius, archicancellarius, ed una volta
semplicemente notarius (3). Dopo l’a. 865, nota il Bresslau, la
cancelleria di Lodovico II è in pieno disfacimento: non è più ricor-
dato un cancelliere capo, i diplomi vengono firmati da persone
ecclesiastiche, per lo più ministri di Cappella, che si sottoscri-
vono anche notai (per es. presbyter et notarius), dichiarando però
sempre che la loro ricognizione avviene dietro comando del-
l’imperatore. “ Diese Berufung ersetzt die frither iibliche Angabe
“ des Verbretungsverhiltnisses , (4). Evidentemente la cancel-
leria di Berengario I si appoggia a quella dei Carolingi italiani;
il fatto ha importanza e dal lato diplomatico e dal lato storico.
Nei diplomi di Berengario la formula iussu regis è usata
estesamente da tutti gli ufficiali della cancelleria, i quali non
sempre si chiamano col loro proprio titolo e preferiscono talora
quello di notarivs. Sarà questo conseguenza di una maggiore
libertà o minore fissità dell'uso cancelleresco? segnerà questo
un passo indietro nello sviluppo della cancelleria, come disse il
Bresslau (5) a proposito di quella dei figli. di Lotario? Allo
(1) Cfr. MinLsacner, Un diplòme faux de Saint-Martin de Tours (nel-
l’opera miscellanea: Mélanges Julien Havet. Paris, 1895, pag. 137, nota 2).
(2) Cancelliere dal 24 aprile 908, dal 28 luglio 922 arcicancelliere;
cfr. DimmLER, op. cit., pag. 56, nota 1.
(3) Bressrau, Handbuch der Urkundenlehre. Leipzig, 1889,I, pag.290, nota 4.
(4) BressLAU, op. cit., pag. 291.
(5) Op. cit., pag. 294.
546 LUIGI SCHIAPARELLI
stato attuale degli studi sulla cancelleria del primo re d’Italia
è impossibile rispondere a questi e ad altri quesiti; si noti solo
l’importanza di tali ricerche e il vantaggio che ne ricaverebbe
la storia.
La datazione ha una parte recisa, corrosa l’altra. Si legge:
Data....., scorgesi in alto un breve tratto di abbreviazione, pro-
babilmente di nonas (nòn), più a destra un altro tratto corri-
spondente al posto del nome del mese (agosto?); rimane parte
dell’estremità superiore dell’asta di destra della A di ammo,
parte dell’asta della d di dominicae, un lungo tratto della è di
Incarnationis.
L’anno può ricostruirsi con sicurezza: è visibile una parte
del numero L, l’estremità superiore dei tre xxx, della v,
indi 1 (DoccLxxxvm). Il rimanente: “ Anno uer[o] domi beren-
garii gloriosissimi regis .1. Indic. vi. Actum c[ur]te alta curte
regia ,. L’anno primo di regno e l’indizione sesta corrispondono
appunto all’a. 888. È l’unico diploma, finora conosciuto, di Beren-
gario I datato da Curte alta curte regia.
La pergamena non presenta, a destra della segnatura e
della ricognizione, il solito taglio, fatto a croce, e la traccia
lasciata dal sigillo cereo; d’altra parte la formula di corrobo-
razione et anulo nostro subter iussimus sigillari, parla evidente-
mente di un sigillo. Questo può far nascere il dubbio della
esistenza di un sigillo pendente (1). Sappiamo che i verbi sigil-
lare e bullare, come le espressioni dullae nostrae impressione e
de anulo nostro subter sigillari furono adoperate confusamente,
senza riguardo alla composizione del sigillo. Si scrisse sigillum
plumbeum od aureum e bulla cerea (2). Si potrebbe forse dire,
(O)b° £3g In praeceptis enim magnorum imperatorum Caroli, Lodoyci,
Pipini, Carlomanni, Lodoyci, Ugonis Lotharii, Berengarii, Alberti, trium
Ottonum, quinque Henricorum ac Conradi sic invenitur “ Statuimus, ut
monachi ad sacramentum non compellantur ,. Et haec dicens, praecepta
supradictorum imperatorum cera, plumbo, aureisque sigillis signata quae
Casinensi Monasterio fecerant, imperatori caeterisque omnibus demonstravit ,.
Chron. Mon. Casinensis, Lib. III, auctore Petro (Mon. Germ. hist. SS., VII,
pag. 823, ed. in f°). — L'uso dei sigilli di piombo è sorto in Italia sotto
Lodovico II e continuò nella cancelleria dei Re d’Italia (BressLaAU, op. cit.,
pag. 936).
(2) Stumpr, Die Reichskanzler, pp. 94-95; Ficger, Beitrige zur Urkun-
denlehre, Innsbruck, 1878, II, n. 302; BressLau, op. cit., I, 939-940.
DIPLOMA INEDITO DI BERENGARIO I 547
che, essendo la pergamena recisa nella sua parte inferiore, è
impossibile scorgere il luogo d’applicazione; di certo un piccolo
tratto, risparmiato nel taglio, ci fa conoscere che la perga-
mena si prolungava sotto alla datazione. Ma in fin dei conti
all'ipotesi di un sigillo pendente non voglio attribuire importanza,
e non saprei che cosa opporre a chi dubitasse che il sigillo
mancasse, nonostante la formola ora citata. Peraltro non posso
tralasciare di avvertire, che, siccome tosto vedremo, Ugo e
Lotario nel 940 concessero a Bobbio un diploma col sigillo
aureo pendente.
Sul verso della pergamena sta scritto in minuscolo carolino
del XII-XHI secolo: “ alibi est cum bulla ,; qui forse dulla
usasi in significato opposto a sigillum, e lo scrivano ha voluto
notare, che altrove vi è un diploma con sigillo pendente. È
logico ammettere che lo scrivano fosse un monaco di Bobbio,
ed alludesse, colle parole citate, a documenti conservati nel-
l'Archivio dell'Abbazia. Abbiamo visto che due sono i diplomi
di Berengario concessi a Bobbio ed esistenti un tempo in quel-
l'archivio: l’uno, quello originale, presenta il solito taglio della
pergamena e conserva traccia del sigillo cereo; dell’altro, la
copia che conosciamo nota a destra della signatura e della
ricognizione il luogo del sigillo.
Possediamo un diploma di Ugo e Lotario del 20 marzo 940
(B., 1403), concesso a Bobbio, che, secondo la copia autenticata
del XIV secolo, sarebbe stato munito di sigillo aureo. La for-
mula di corroborazione dice: “ et maiestatis nostrae sigillo
aureo iussimus communiri , (1). Non sarebbe possibile che
(1) StumPF, op. cit., pag. 96, nota 158.
Riporto il passo dell’autenticazione in cui viene descritto il sigillo:
“ Anno dominice incarnationis millesimo centesimo septuagesimo se-
cundo die sabbati quardecimo kl. decembr. Indicione sexta in ciuitate
placentia in palatio episcopi in presencia...... Venerabilis pater et dominus
dominus Manfredus dei gratia saneti georgii ad uelum aureum diaconus
cardinalis apostolice sedis legatus uidit et una cum dictis episcopo et eius
Vicario diligenter inspecxit. Vnum priuilegium dominorum hugonis et lo-
tharii romanorum regum cuius exemplum superius continetur et dixit idem
dominus legatus et pronunciauit ipsum priuilegium autenticum et originale
esse sine ulla reprehensione carte bulle uel littere non uiciatum nec can-
zellatum in aliqua sui parte cum uera bulla cesarea aurea pendente ad
ipsum que bulla exprimit ex una parte duas ymagines ipsorum regum in
548 LUIGI SCHIAPARELLI
colle parole alidî e ca bulla il monaco di Bobbio alludesse &
questo precetto, e notasse sul verso del diploma di Berengario,
munito, o no, di un qualsiasi sigillo, l’esistenza, nell'Archivio
dell'Abbazia, di un altro diploma cum dulla? Ad ogni modo di
qui non si può dedurre nulla, per la soluzione del quesito
sulla apparente contraddizione che riguardo al sigillo presenta
il nostro diploma, che dovrebbe avere il sigillo e non ne pre-
senta traccia (1).
Passiamo ad alcune osservazioni paleografiche.
Il testo del diploma non presenta alcun carattere della scrit-
tura detta dollatica o diplomatica: è invece un esempio molto
bello della scrittura libraria del sec. IX, della minuscola carolina
primitiva (2). È semplice, elegante, ma senza ricercatezza, e ad
un tempo severa; le lettere rotondeggianti e proporzionate in
altezza e larghezza; le parole quasi sempre separate, le lettere
avvicinate senza i legami del periodo anteriore; una “ sempli-
cità che rasenta la rusticità , (3). Alla ricercatezza, allo studio
nel presentare una scrittura elegante, chiara, proporzionata,
tanto proporzionata che può parere alle volte alquanto rigida,
va unita un’influenza corsiva che si palesa nelle lettere a aperte,
nella 9 aperta, nella r, nella #, e nel nesso di ct (in auctoritate).
La a chiusa derivata dalla onciale è predominante: tut-
tavia si hanno parecchi esempi della @ corsiva od aperta.
La a di “ ecclesia , è sempre, eccettuato un solo caso, corsiva.
La e ha il tratto mediano che si prolunga a destra a
guisa di un apice e le dà l'apparenza di una e visigota.
trono sedentium facie ad faciem et uterque ipsorum regum tenet in manu
ramum lilii sine sceptrum regale et ex altera parte ipsius bulle legebatur
in litteris. hugo et lotharius gratia dei piissimi reges aug. quod exemplum
per me leonem infrascriptum notarium, etc..... , (Copia sec. XIV, Archivio
di Stato in Torino).
(1) Che il sigillo non di rado manchi nei diplomi lo avvertì il Fic€ER,
op. cit., n. 301.
(2) Per le distinzioni e per i caratteri del minuscolo uscito dalla scuola
di Tours, cfr. C. Ciporra, L'antica biblioteca Novaliciense. Torino, 1894,
pp. 16-17. Estr. dalle Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino,
serie II, tom. XLIV.
(3) PaoLi, Programma scolastico di paleografia latina e di diplomatica.
Firenze, 1888, I, pag. 23.
DIPLOMA INEDITO DI BERENGARIO I 549
La r non si prolunga mai inferiormente: la s e la f qualche
volta accennano ad un leggiero prolungamento.
L’ultima asta della m e della n è piegata a sinistra: in
alto fa un arco abbastanza pronunciato come nella scrittura
onciale, alla base ha un apice verso destra, ma quasi sempre
parallelo alla riga. Quest’apice si ritrova alla base delle aste
di altre lettere, e prende l’aspetto di un tratto d’unione.
La g sempre aperta e con un apice all’estremità superiore
di destra.
La sigla corsiva esprimente et (£) non è affatto rappre-
sentata.
Le aste delle lettere 5, d, 4, 2, terminano con un ingrossa-
mento limitato da un tratto verticale inclinante a sinistra.
Tra le maiuscole noto la N e la U di forma onciale.
Per l’ortografia è da notarsi: il dittongo @ una sola volta
rappresentato dalle due lettere distinte in aetiam; tre volte in-
dicato colla e cediliata (e); nel rimanente dei casi la semplice e.
La segnatura e la ricognizione terminano colla puntuazione
detta periodus dai dictatores. La lineetta verticale sulla è di
fuerit (lin. 2?) è di mano posteriore.
Le abbreviature sono abbastanza numerose. Per tronca-
mento: è (= est); mon (= monasterio); s (= sunt); sic (= sicut);
uen (= uenerabilem); tradider (= tradiderunt).
Per contrazione: nra (= nostra); ul (= uel); ecda (= ec-
clesia); oma (= omnia); sco (= sancto); scdm (= secundum);
di (= dei); omib. (= omnibus); mons (= monasterium); qd
(= quod); do (= deo); epoy (= episcoporum); dno (= domino);
comedat’ (= commendatus); nr(= noster); mos (= monasterium).
Il solito tratto orizzontale per la m, i segni’ per us
e y per rum: il punto che rappresenta la us: q.= que: il
tratto - per l’ultima lettera dei verbi al passivo e degli av-
verbi per tur e ter: le sillabe per, pro colla conosciuta lineetta
che taglia la p. Il tratto orizzontale termina spesso con una
lineetta che sale a destra.
L’unico segno di interpunzione qui adoperato è il punto,
che talvolta trovasi allineato alla base delle lettere, talvolta è
550 LUIGI SCHIAPARELLI — DIPLOMA INEDITO, ECC.
in alto, talvolta a metà. Nella stampa, il punto ‘si collocò
sempre all'uso moderno.
Il carattere paleografico del testo di questo diploma trova
perfetto riscontro con quello dei codici del sec. IX; ma non
è questo un esempio unico del suo uso nei diplomi. Mi piace
ricordare in particolar modo un documento uscito dalla cancel-
leria di Lodovico II, il mandato dell’a. 853, con cui l’imperatore
ordina ai vescovi, ai conti, ed a tutti i pubblici ufficiali di
procurare la restituzione dei beni usurpati al monastero del
monte Amiata (1). Non avendo il documento importanza grande
come quella di un diploma, non ha la solennità di questo nè
nelle formule nè nel carattere. Il mandato è scritto in carat-
tere librario, in bel minuscolo carolingico. Ora questo mandato
ha col precetto di Berengario dell’888 una rassomiglianza paleo-
grafica che colpisce: il confronto dei due documenti usciti da
cancellerie diverse, ma unite da un legame di continuità, è
appropriato ed espressivo (2).
Al ch. Prof. Carlo CrpoLLA, che mi indirizzò in questi studi
e mi sorresse con suggerimenti e consigli, attesto profonda
riconoscenza e sincero affetto di discepolo.
(1) Diplomi imperiali e reali delle cancellerie d’Italia pubblicati in fac-
simile dalla R. Società Romana di Storia patria. Roma, 1892, I, col. 22,
tavola n. XI.
(2) La tavola riproduce le ultime linee del testo e l’escatocollo del
diploma. La fotografia è dovuta alla gentilezza e perizia del ch. Cav. Luigi
Cantù: glie ne sono grato assai.
L’ Accademico Segretario
Ermanno FERRERO.
L., SCHIAPARIPL RR Accdelle Îcienze, di Oorino. Vol. XXXI.
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L., SCHIAPARELLI- Lplon RA VA ZZANA Atti della R. Accidello Scienze; di Gorino, Vol.XXXI
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È se -
ada eleotarie Arzerin Milano
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA
Dal 9 al 23 Febbraio 1896.
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio;
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono.
* American Chemical Journal. Vol. XVI, n. 7-8; XVII, n. 1-7. Baltimore,
1894-95; 8° (dall'Università John Hopkins di Baltimora).
* American Journal of Mathem. Vol. XVI, n. 4; XVII, n. 1-3. Baltimore,
1894-95; 4° (Id.). i
* American Journal of Science. Editors James D. and Edward S. Dana.
4* ser., vol. I, n. 2. New-Haven, 1896; 8°.
* Annales de l’Université de Lyon:
Essai critique sur l’hypothèse des atomes dans la science contemporaine
par A. HANNEQUIN.
Étude sur le Bilharzia Haematobia et la Bilharziose par Lorter et
VIALLETON.
Recherches sur quelques dérivés surchlorés du phénol et du benzène
par E. Barrar.
Sur la représentation des courbes gauches algébriques... par L. AuroNNE.
Paris, 1895-96; 4 vol. 8°.
* Annual Report of the Curator of the Museum of Comparative Zoòlogy
at Harvard College,... for 1894-95. Cambridge, 1895; 8°.
* Archives Néerlandaises des sciences exactes et naturelles publiées par
la Société hollandaise des sciences è Harlem, tome XXVIII, livr. 4, 5.
Harlem, 1896; 8°.
* Atti della R. Accad. dei Fisiocritici in Siena. Serie IV, v. VIII, fasc. 9-10;
Processi verbali delle adunanze, n. 6. Siena, 1896; 8°.
* Atti della Società Veneto-Trentina di scienze naturali. Ser. II, vol. II,
fasc. 2°. Padova, 1896; 8°.
* Bergens Museums Aarbog for 1894-95 Afhandlinger og Aarsberetning
udgivne af Bergens Museum. Bergen, 1896; 8°.
* Bulletin de la Société belge de Microscopie. XXI®® année, 1894-95,
n. X. Bruxelles, 1895; 8°.
* Bulletin de la Société Physico-Mathématique de Kasan; tome V, n. 1-2,
1895; 8°.
552 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
* Balletin de la Société impériale des Naturalistes de Moscou. Ann. 1895,
n. 1-2. Moscou, 1895; 8°.
* Bulletin du Muséum d’histoire naturelle. An. 1895, n. 1, 8. Paris, 1895; 8°.
* Bulletins du Comité Géologique de St-Pétersbourg, 1894; t. XIII, n. 8-9;
XIV, n. 1-5. St-Pétersbourg, 1895; 8°.
Catalogue of Scientific Papers (1874-1883). Compiled by R. Soc. of London.
Vol. XI. London, 1896; 4°.
* Comptes-rendus des séances de l’Académie des Sciences de Cracovie.
Décembre 1895; 8°.
* Contributions to Canadian Palaeontology. Vol. II, Part. I. Ottawa, 1895; 8°
(dal Geological Survey of Canada).
* Katalog der Bibliothek der k. Leopoldinisch-Carolinischen Deutschen
Akad. der Naturforscher. Bd. II, 6. Halle, 1895; 8°.
* Memoirs of the Museum of Comparative Zoology at Harward College.
Vol. XIX, n. 1. Cambridge U. S. A., 1895; 4°.
* Mémoires du Comité Géologique de Russie. T. IX, n. 4; X, n. 8; XIV,
n. 3. St-Pétersbourg, 1896; 4°.
* Memorie del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Vol, XXV, n. 6.
Venezia, 1895; 4°.
* Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVI, n. 3.
London, 1896; 8°.
* Natuurkundig Tijdschrift voor Nederlandsch-Indié Uitgegeven door de
konin. Natuurkundige Vereeniging in Nederlandsch-Indié. Deel LIV
(Negende Serie, Deel III). Batavia, 1895; 8°.
* Nova Acta Academiae Caesareae Leopoldino-Carolinae Germanicae Na-
turae curiosorum. Tomus LXIII, LXIV. Halle, 1895; 4°.
* Physical Review; A journal of experimental and theoretical Physics.
Vol. I, II, III, n. 1-4. Ithaca N. Y., 1893-95; 8°.
Proceedings of the Portland Society of Natural history. Vol. II, P. 3.
Portland, Maine, U. S. A., 1895; 8°.
* Quarterly Journal of Geolog. Society. Vol. LII, n. 205; Geological literature
added to the Geological Society's Library during the Year ended De-
cember 31st. 1895. London, 1895; 8°.
* Rivista mensile del Club alpino italiano. Vol. XIV, n. 12. Torino, 1895; 8°.
* Smithsonian Contributions to Knowledge; vol. XXIX, n. 980. Wa-
shington, 1895; 4°.
* Smithsonian Miscellaneous Collections; N° 971, 972. Washington,
1894-95; 8° (dalla Smithsonian Institution).
Cruls (L.). Le climat de Rio de Janeiro. Rio de Janeiro, 1892; 4° (dono
dell’ A.).
— Determinagio das Posicdes Geographicas de Rodeio, Entre-Rios, Juiz
de Féra, Joùo Gomes e Barbacena. Rio de Janeiro, 1894; 4° (Id.).
— Méthode graphique pour la détermination des heures approchées des
éclipses du soleil et des occultations. Rio de Janeiro, 1894; 8° (I4.).
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 553
Lussana (S.). Contributo allo studio della resistenza elettrica delle solu-
zioni considerata come funzione della pressione e della temperatura.
Pisa, 1895; 8° (dall’A.).
— Influenza della pressione sulla temperatura del massimo di densità
dell’acqua e delle soluzioni acquose. Pisa, 1895; 8° (Zd.).
** Mez (C.). Monographiae Phanerogamarum Prodromi nunc continuatio
nunc revisio editore et pro parte auctore C. de Candolle. Vol. IX,
Bromeliaceae. Parisiis, 1896; 8°.
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche.
Dal 16 Febbraio al 1° Marzo 1896.
* Abhandlungen der kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen,
Historisch.-Philologische Klasse, XL. Gòottingen, 1895; 4°.
* Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. T. LIV, disp. 1*
e 2*. Venezia, 1895-96; 8°.
* Berichte iber die Verhandlungen der k. Sàchsischen Gesellschaft, etc.,
philolog.-hist. Classe, 1895, III, IV. Leipzig, 1896; 8°.
* Boletin de la Real Academia de la historia; t. XXVIII, cuad. II. Madrid,
1896; 8°.
* Bollettino della Società Umbra di Storia Patria. Vol. II, fasc. I. Perugia,
1896; 8°.
* Institut de France:
Annuaire pour 1893-1895. 3 vol. 16°.
Notices et Extraits des manuscrits de la Bibliothèque nationale et
autres bibliothèques... Académie des Inscriptions et Belles-Lettres,
t. 30°, I° partie ; 34°, II° partie; 4°.
Mémoires présentés par divers savants è l’Académie des Inscriptions
et Belles-Lettres, t. X, 1"° partie. Paris, 1893-95; 4°.
** Inventarii dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, vol. V, pp. 145-297.
Forlì, 1895; 8°.
** Monumenta Germaniae historica. Scriptorum qui vernacula lingua usi
sunt T. I, Pars IL Hannoverae, 1895; 4°.
* Publications de l’École des Lettres d’Alger. Légendes et Contes merveil-
leux de la Grande Kabylie recueillis par A. Mouliéras. Texte Kabyle,
8° fasc. Paris, 1895; 8°.
* Rendiconto delle Tornate e dei Lavori dell’Accademia di Scienze morali
e politiche della Società R. di Napoli. Anno 34°. Napoli, 1895; 8°.
Statistica delle Società Cooperative. Società cooperative di lavoro fra
braccianti, muratori ed affini al 31 dicembre 1894. Roma, 1895; 8°
(dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio).
554 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
Yorlese-Ordnung an der k. k. Leopold-Franzens-Universitàt zu Innsbruck
im Sommer-Semester 1896; 8°.
Croabbon (A.). La science du point d’honneur. Commentaire raisonné
Paris, 1894; 8° (dall’A.).
** Sanuto (M.). I Diarii, t. XLV, fasc. 194. Venezia, 1896; 4°.
oseso
rutto ci urca lit i ce
Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi.
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza dell’8 Marzo 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Socii: Cossa, Vice-Presidente, D’OviIpIo,
Direttore della Classe, Berruti, FERRARIS, Mosso, SPEZIA,
Giacomini, CamerANO, PrANO, VoLreRRA, Foà, GUARESCHI e
)
| © NaccaRI Segretario.
,
; Viene letto ed approvato il verbale della seduta precedente.
= Il Presidente dà il benvenuto a nome di tutti i Colleghi
tar) al Socio GuarEscHI, che per la prima volta interviene alle
00 sedute. Il Socio GuaRESscHI risponde ringraziando.
* Il Socio SeerE presenta, a nome della famiglia del de-
funto Socio Basso, una memoria stampata dell’astronomo russo
3 DE GLASENAPP, intitolata: “ Mesures micrométriques d’étoiles
a doubles ,. La memoria era stata recentemente inviata dall’autore
al Socio Basso.
Il Segretario presenta, a nome dei direttori, i numeri 208-228
del “ Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia comparata della
R. Università di Torino ,.
Il Segretario comunica le lettere con cui il Socio residente
GuarescHI ed il Socio nazionale non residente E. FeRGOLA rin-
graziano per la loro nomina. Legge quindi una lettera, con cui
9
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 39
596
S. E. il Ministro della Pubblica Istruzione partecipa di avere
proposto al suo collega degli Affari Esteri la nomina del Gene-
rale Annibale FerRERO nostro Ambasciatore a Londra, a rap-
presentante del Governo italiano nella Conferenza che devesi
tenere in Londra nel luglio di quest'anno per stabilire le norme
relative alla pubblicazione di un catalogo universale di biblio-
grafia scientifica.
Vengono accolte per l’inserzione negli Atti le seguenti note:
1° “ Sulla inversione degli integrali definiti ,; nota del
Socio VOLTERRA;
2° “ Sulle equazioni a derivate parziali del secondo ordine ,;
nota del Prof. Mineo CHINI presentata dal Socio PEANO.
Vengono affidate all'esame di speciali commissioni le memorie
seguenti:
1. “ Sulle varietà algebriche con un gruppo continuo non
integrabile di trasformazioni proiettive in sè ,; memoria del
Dott. Gino Fano, presentata dal Socio SEGRE;
2.“ 1 Linfociti degli Oligocheti, ricerche istologiche ,;
memoria del Dott. Daniele Rosa, presentata dal Socio CAMERANO.
È)
V. VOLTERRA — SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 557
LETTURE
Sulla inversione degli integrali definiti ;
Nota III del Socio VITO VOLTERRA.
1. In due Note precedenti (*) ebbi l’onore di comunicare
all'Accademia alcune ricerche sulla inversione degli integrali
definiti nelle quali supponevo che una funzione denotata con
h(y) non si annullasse entro i limiti dell’intervallo di integra-
zione (a, a + A). La discussione dei casi nei quali la detta
condizione non sia verificata costituisce una parte molto delicata
della ricerca, giacchè quando /(y) si annulla il problema del-
l'inversione può in taluni casi riescire determinato, in altri no.
La discriminazione di essi può in generale farsi dipendere dal-
l'esame di una certa equazione algebrica. Nella presente Nota
però mi limito a trattare il caso più semplice nel quale la di-
stinzione dei casi si eseguisce in maniera diretta. In questo
studio mi riferirò ad alcuni risultati che ho presentati recente-
mente all'Accademia dei Lincei (**) che possono prendersi anche
a fondamento delle due Note precedentemente citate.
2. La questione da risolversi sia quella di determinare @ (x)
dalla relazione funzionale
FO) — f(0) = ['o(MH(ry)de B>y>a
e supponiamo che nell’intervallo (a, 8) l'equazione
h()=Hy)=0
abbia un numero finito di radici a,, @; ... 0,
(*) Sedute del 12 e del 26 gennaio 1896.
(**) Seduta del 1° marzo 1896.
558 VITO VOLTERRA
La determinazione di @(x) per a, > «= rientra nella
classe di problemi che ho precedentemente risoluti. La difficoltà
incomincia dal determinare @ (x) per valori a partire dalla
prima radice a,. Possiamo quindi procedere ad esaminare la
questione seguente :
Invertire l’integrale
Yy
fo) = fo@MH@,g)de a>y>0
in cui } (y) = H(y,y) si annulla per y=0 e non per altri
valori di y compresi fra 0 ed a. Noi tratteremo qui il caso
semplice in cui H (x,y) possa svilupparsi secondo la formula
del Taylor abbreviata, in modo che possa scriversi
H (2,9) = ax + By + 3 (22Hy; (2,9) + 2c0y Ho (1,9) + 2 Hop (1,4)
in cui le H,, sono funzioni finite e continue per x,y compresi
fra 0 e a, e a e BP non sono ambedue nulli. In tale ipotesi f (y)
dovrà essere infinitesima del 2° ordine per y = 0.
8. I resultati che in questo caso si hanno possono riassu-
mersi nel seguente teorema:
Abbiasi la equazione funzionale
(A) a fo H{(#,y) ut, a>y >
in cui £(y)= y°f;(y), e
Il
H(,9) — 0° sia BY nn 2 (x°2H,1 (4,9) iù 2y% H9 (2,9) +y°Hos(x,9)) =
= ax + 84 + H'(2,9).
Se f,(y), Hi e le loro derivate rapporto ad y sono finite e
continue per x, y comprese fra 0 ed a, mentre h(y) = H (y,y)
si annulla solo per y = 0, esisterà una ed una sola funzione finita
e continua ® che soddisfa l'equazione funzionale (A) quando
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 559
(1) esi oppure $ < — 2 (2)
la quale si otterrà risolvendo la equazione funzionale
a+ 28
Seiya Jef (en de= Lp) +
‘y 1 dH di 4426 (Urp; ansa
sie] p(a)ft Si — AL pl a! Y +68 fin (2,5) E «18 de {dx
mentre se —1> È > — 2 il problema funzionale (A) non sarà
determinato.
1° Cominciamo dal provare che allorquando è soddisfatta
la (1) o la (2) la questione funzionale (A) rientra nella classe
di questioni esaminate nella mia Nota dell’Accademia dei Lincei
precedentemente citata. A tal fine basterà osservare che, per y
compreso fra 0 ed a, il primo membro della (B) è finito e con-
h (9)
y
tinuo, mentre sì conserva finita, continua e diversa da zero
e finalmente
(3) CI rei anali. E° aa
+28
— ti
y Melina
fn@en: a &
è una funzione continua avente il limite superiore dei suoi
valori assoluti finito per tutti i valori di x, y che verificano le
condizioni
I USO:
Se ne conclude che vi è una ed una sola funzione finita
e continua @(x) che verifica la (B) per a> x=>0.
2° Dimostriamo che se la funzione finita e continua (x)
soddisfa la (A), essa verifica la (B).
Infatti derivando la (A) e scrivendo H) (€, y) =
terremo
dH (ey) 5a
dy
560
(A')
e perciò
(4) "2 og + fre
+ fo (| Gy) —
VITO VOLTERRA
f'() = 10) + fo) Hx(7,y) de
(2) G(e,9) do = 12 +
na e.4) y) a
Ora, ponendo
si ha
(5)
quindi
(6) G(e,9) —
ImaP 6 4}
— (+7
—_L_H'(ra)y-
= — pa
af
ei
at-B
|
2 dy
Hp (©) =B+ H', (2,9)
Ha (2,4) 8) B B
y y
3428 Ù 2
8 |H'GDE aci
d+26 SE
ai
+28 Rogi. 3°
Ya H' E eda
Le, e ARA s +28 4
GA A! NT See a-LR H (x, 2) Y 448% 44BT
da+28
EB 1 (B + H'3 (2,5) ET “o & =
8 2 hi | ae
Y +8 X a+ h(x) = atp == gh “H s (5 E) sal d&.
Per conseguenza tenendo presente la (A')
H, (x; 4+26
Pale eni ye +
2428 a_ CE
+ yo ste | sea (Po He de —
— pf (est di |
Pr e “e
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 561
Ma pel principio di Dirichlet, osservando che E <2
1) Si |amzia (fo © 2,2) de —
— (2) f/Hs (0,8) Esta de | da 20
onde
y H ) ) Ber 4+28 (cy VA CIE
fio | Glen hay Jola da
da cui finalmente segue, in virtù della (4),
"0 (+ fol Ge) de = PO _
+28
°Y a
ina eil price da
come volevasi dimostrare.
8° Proviamo ora inversamente che, se la funzione finita e
continua @(x) soddisfa la (B), essa verifica la (A), o ciò che è
lo stesso la (A’).
Infatti dalla (B) segue, a cagione della (3)
o) + fo Hey) de = Pf () —
— fiala vena + 90) 409) — Holz,y)]} de
Perciò valendosi delle identità (6)
è) = 911) + fo Bag) de — PM) =
= ira fiero) +
+ ge) (Hola, 8) Em zia de — e staf (2) } da
562 VITO VOLTERRA
e applicando la (7)
em= rr fe) 0) +
+fe0LEMa-Mfdae= "i a SO ezia da,
vale a dire
O) ye — a fe de = 0;
e derivando rapporto ad y
L'{g=3}08
Ma pery=0 ® si annulla, dunque si avrà sempre d(y) = 0
e per conseguenza
P(Y)h) + (TP) Hp (7,9) de = f"(M)
come volevasi dimostrare.
4° Per provare finalmente che se —1> 4 > —2 il
B
problema funzionale è indeterminato, osserviamo dapprima che
in questo caso sì ha — Ne > 0, onde la equazione funzionale
SASSO B_H(7,2) e)
@ 1=*L 0g) + fre {EE (2) RE
x
B __2+26
anno E,
(e Ea de i dir;
in cui 0(x) è la funzione incognita, si risolve applicando i me-
todi dati nella mia citata Nota dell’Accademia dei Lincei.
Si verifica poi che, presa
(9) o.() = 0) ya,
T.-1 re up gr
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 563
| questa soddisfa la relazione funzionale
0= | 9: (1)H(7,9) de
ovvero l’altra equivalente
(10) 0 = (9) h(y) + | ‘91 (1) Ha (7,9) de.
Infatti, posto
+26 28 ?
(11) L(ey)= Da leg) (2)- HB i ersal, H's(c,8)E- 203 de,
dalle (8) e (9) si ricava
AR H'(y,4)
(a + 8) 91 (4) =" re a
d+28
cr Yi +6. ( o) ar: 0(x) dx
e quindi
(a+ 8) y01 (4) + 801 (0) do = — H'(y,9) 019) —
È -138 "y 8 He,
yi cpe+ Liay)| 0a
B ‘v[ H'(2,2) __ 2428 (ce B Hl(Z,5)
Feto, fee P1 (0) + a axg ue a4f ® Hi
+ L(E,2) | 0(8) de | da
Ma, applicando il principio di Dirichlet, abbiamo
P,(2) de +
B_ (y H'(x, H'
o=-y oa fia ET ode E fee
+28 ped
+ (ia) Sa +8 da E:
564 VITO VOLTERRA
perciò il secondo membro della formula precedente si sempli-
cizza e diventa
= — H'(4,9) 91 (4) — y7 ata {! L(0,9) 0(0) de —
È sei TL(E,2) 0(£) de,
ovvero, sostituendo per L (x,y) la espressione (11),
= N'Yy) 0) — fo H',(0,9) do +
+A raf o@fH@8) d —
= CAN — ®1 (2) de +
"y Aa+23 “x ” o
vi ni dai da {@1€) de ({H', (En) n7 45 an |
Ma pel principio di Dirichlet
B Ge an "® Ri, NIE
Faso (ele da P1(£) de | H 2 (E,m)nTa+a dn =
(ea "I ’ BO (yo 2428
= af dn | P1(£) H'> (En) de pa ANO +8 da =
B x Cc “y
= — ya Jona dn f, 91 (A Ha (Em) de +
6 “» ©, (£) H'3 (E,
age ff dn { i (€) = n) de.
Perciò nella formula precedente tutti i termini che seguono
i primi due si annullano e quindi avremo
(a +8) y901() + (BO: (de = — H'(4,9) (4) —
— {791 (2) H'3 (7,7) da,
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 565
cioè
“Y
h (4) ®1 (4) + | 1 (0) Ha (7,9) = 0
che è appunto la (10) che si trattava di dimostrare.
di
B
zione ® (x) soddisfa la (A), anche la funzione
Si avrà dunque, quando 1 — > + > — 2, che se la fun-
P(2) + Co: (2)
in cui C è una costante arbitraria, la verificherà pure, il che
prova che la questione è indeterminata.
4. Per dimostrare la equivalenza delle due equazioni fun-
zionali (A) e (B), allorchè è soddisfatta la (1) oppure la (2), si
può procedere nel seguente modo, anzichè ricorrere alla verifica
diretta come abbiamo fatto nel paragrafo precedente.
Moltiplichiamo ambo i membri della (A') per va dy.
Osservando che, così la (1) come la (2) provano che
(04
pei Top
potremo integrare fra 0 e 2, e avremo, applicando il principio
di Dirichlet,
Sy dy= {/®(y) 1 (y)y- are + fi, (y,E)E- 3a dé È
Moltiplicando ambo i membri per emata sì trova
ve C. BR ve a fp
ST Myra ea dy = a +
"5 e 6
+ SH ET #48 2 #8 de | dy,
ovvero, ponendo
566 VITO VOLTERRA
BAER rei °y dato dl
M{x,y)= Ale) <=-s8y 34 Ha (2,7) E 2+4 y “+8 di,
si ha
ic) »
19) fraz yz de = foP (2) My) de.
Questa equazione resulta così equivalente alla (A).
Abbiamo ora
h
(18) My) =
e poichè
h(x) = (1+ 8) x + H' (2,2),
Hy (1,8) = BE + H'.(e, Sh
sarà
, 101go8 lol an
M (2,9) = 0+B +H'(,9) x axay a +
“y LO sei s'EPR
+ |.H'2 (0,5) È z+6 y #+A de,
onde, con una integrazione per parti,
M (eg) =o ++ OD 4 ay JE e de
da cui segue
dM dla
dy
(14) Ms (2,9) = —0e y).
Si derivi la (12) rispetto ad y tenendo presenti le (13) e
(14), si troverà
aaa 1°Y ary Si h
PO i ya faz de = gp (4) +
+ f 01) G(7,9) de
—y E È n rc —_ e ee en nn e_N
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITì 567
cioè si otterrà la (B). Resta così dimostrata la equivalenza delle
equazioni (A) e (B).
Potremo anche enunciare, in virtù delle precedenti consi-
derazioni, il teorema seguente:
(0)
ppi 1, la equazione funzionale
Se x > — 1, oppure
I
(A) fW = fio H(0,9) de
è equivalente all’altra
. Ci 8 se ; n 8
(0) fera ya do = So} hem yzaxa +
"y RARA. 610
+ {Ha (0,8) Z 48 Y +8 di j da,
la quale può risolversi con i metodi esposti nella Nota I.
L'analisi svolta vale, come abbiamo veduto, quando sia
soddisfatta una delle condizioni
a
B’
(04
B
ma se si ha
(04
>—1, -1>j
> — 2, -25>
(0)
esa 1, oppure 3 = — 2,
allora essa non è più applicabile, e sì riconosce facilmente che
non bastano più le condizioni che abbiamo supposto conosciute
per esaminare la questione in questi casi.
568 MINEO CHINI
Sulle equazioni a derivate parziali del 2° ordine.
Nota di MINEO CHINI.
$1
Consideriamo l’equazione a derivate parziali:
dZ Pak d?Z
(1) forio + b de Ud dr dy ,
essendo a, 5, c funzioni assegnate di x e y, fra le quali non
passi la relazione: ab — cè =0. Allora è noto che se a(x,y) e
8(x,y) sono due integrali distinti (cioè tali che non risulti:
da... da.) niogR mid
de “© dy — dae dy
(2) a(@\'+35($)= Do su
dell'equazione:
assumendoli come nuove variabili, la (1) si trasforma nell’altra:
fidi dZ CLARA
(3) è ner Pro niro
con
1 da dB da dB | dB da Ja dB
a ee en
ata 0a d? a da stia "08 d?B dB
Beda 0g 0 gi 06 207
E la (1) si ridurrà alla (83) soltanto quando a e 8 soddisfano
la (2) (*).
Ciò posto, cominciamo col determinare a quali condizioni
debbono soddisfare i coefficienti a, 5, c affinchè risulti nullo
(*) Veggasi, p. es., JorpAn, Cours d’Analyse, parte III, pag. 352.
SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI DEL 2° orDINE 569
B o C. Intanto è chiaro che B si annullerà solamente quando a
sia soluzione comune all’equazione (1) ed all’altra:
dZ__ c+Ve—-ab. dZ
dr a dy ”
prendendo il radicale col segno superiore oppure coll’inferiore.
In modo analogo, sarà nullo C quando B soddisfi nel medesimo
tempo la (1) e la precedente.
Occupiamoci quindi di vedere in quali casi le due equazioni:
d?Z DZ =la) IZ
\ Te
ammettono una soluzione comune.
; x | NOA - 93% d?Z d°Z
Ricavando dalla seconda di esse i valori di —;, =—-, {3}
dx dx dy ” dy
e sostituendoli nella prima, otterremo:
d?7 dI b dI dA \ az __
na nr
db Òd*Z
Semplificando, col tener presente il valore di \ e quello
d° 7
di dx dy
tratto dalla seconda delle (4), rimarrà:
SERI ARS
(ada \ dy ani
Segue facilmente che affinchè le (4) abbiano una soluzione
comune (diversa da una costante) dovranno i coefficienti a, d, e
soddisfare alla condizione:
5) ae a)
de a a dy a
dove il radicale deve esser preso coi segni superiori o cogli
inferiori, secondo che in ) esso è preceduto dal + oppure dal —.
Reciprocamente, se questa condizione è verificata, ogni so-
luzione della seconda delle (4) soddisfarà pure la prima.
570 MINEO CHINI
Possiamo perciò concludere che l'equazione (1) sarà tras-
formabile in una della forma:
dz sh
À dad + B DE a
oppure dell'altra:
dz Da
A da dh |+ € sa =.)
soltanto nei casi in cui risulti verificata la (5). Se ciò avviene,
per ridurla ad una di tali forme, basterà determinare gli inte-
grali generali f(x, 4) = cost. @(x, y) = cost. delle due equazioni
differenziali del primo ordine:
a sù ici = Ut CE La
ed assumere poi come nuove variabili a, Rf le funzioni f(x, y) e
© («, y). Allora l'integrale generale della (1) sarà:
z, = F(8) + [ie 0 (a)da,
oppure:
ss i da
Z=F(o) + Je . D(B) dB
indicando F e ®© delle funzioni arbitrarie.
È interessante di vedere per quali forme di coefficienti 4,
SI = 0, cioè in quali casi
il suo integrale generale sia Z = F(a) + ®(f).
Questo accadrà soltanto quando la (5) rimane verificata sia
che si prendano pel radicale i segni superiori, come anche gli
inferiori; cioè quando si abbia contemporaneamente:
b, c la (1) possa ridursi all'altra:
| ò (otra __ ce-l-ab d (cale
da a a dy a
Î ò fs _ c+V®—-ab è fre
dx a a dy a
SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI DEL 2° ORDINE 5II
Tali condizioni equivalgono alle altre:
d(e) Hellog a 24 n)
CDA O NS RE ET RATTO a dy a
Î LA ei MESERO (za) Ve — ab 2 (4)
dx a Cale add) a A a dy\al
La prima di queste ci dà subito:
reirà
mentre la seconda può scriversi:
a a,
de f a ale dela dy.t ca a a a dy SIE
e sviluppando le derivate, essa viene ridotta all’altra:
\ D)
|< è TER \ (ec opatistarà ecu) fauads(D) imc od (d);
Tenendo conto della prima uguaglianza, concludiamo che
dovrà risultare contemporaneamente :
Dr, asd I
\ idol pb)
(4) ia sd (46)
De i
Reciprocamente, se queste due condizioni sono soddisfatte,
la (5) sussisterà prendendo i segni superiori del radicale, ed
anche gli inferiori.
Dunque, la condizione necessaria e sufficiente affinchè la (1)
ammetta l'integrale generale:
Z = F(a) + (8)
co
ene —
(6)
e
glo
è che siano verificate le (6); cioè che = risulti un fattore in-
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 40
572 MINEO CHINI
tegrante dell’espressione differenziale: bdx + 2cdy, e da lo
sia dell'altra: 2cdx + ady.
$2. .
Un'equazione molto notevole della forma (1) si ha nel caso
in cui a, db, c sono le derivate parziali del 2° ordine di una
stessa funzione 2 = 0(x, y), e precisamente quando sia:
de PA LIBIA Mer gi
(42 dy? ’ de? ’ Tal dx dy S ’
con s° — rt==0.
Allora la (1) diviene:
d?Z dlzale d? 7
(7) È de? i r dy? Ger D) dx dy ’
e si sa che ogni soluzione di questa equazione è la coordinata Z
(cioè la distanza dal piano xy) espressa in funzione di x e y,
dei punti (X, Y, Z) di una superficie che corrisponde alla data
2 = @(, y) con ortogonalità degli elementi lineari. Le altre
coordinate X, Y dei punti corrispondenti si deducono poi dal
valore di Z con sole quadrature (*).
Ora è evidente che nel caso dell'equazione (7) le nuove
variabili a e B non sono altro che i parametri delle linee assin-
totiche della superficie 2 = 0(%, y); e poichè le proiezioni di
queste sopra un piano qualunque è noto che debbono formare
un sistema coniugato ad invarianti uguali (**), si deduce che le
coordinate x,y dei punti di qualsivoglia superficie, quando siano
espresse in funzione dei parametri delle assintotiche, dovranno
soddisfare ad un'equazione di LapLAcE cogli invarianti uguali.
Ma la (1) ammette evidentemente x,y come soluzioni partico-
(*) DarBoux, Legons sur la Théorie générale des Surfaces, parte IV, p. 10.
(**) KoenIes, Sur les réseaux plans à invariants égaua et les lignes asym-
ptotiques, “ Comptes rendus des séances de l’Académie des Sciences ,,
t. CXIV, p. 55, 1892.
= 20
diet
RO SE nn
SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI DEL 2° ORDINE 573
lari, e perciò la (3) ammetterà come integrali le espressioni di
tali coordinate in funzione di a e 8. Allora è facile dedurre
che nel caso dell'equazione (7), la (3), in cui essa viene a tras-
formarsi, è necessariamente ad invarianti uguali; cioè risulta:
aunzrrlagle
Ne segue che, in questo caso, se la (3) si riduce alla
forma:
d°Z
A 3a |> csi — 0 od all'altra: ipa d + pe =
sarà na funzione della sola a e A della sola 8; e perciò l’in-
tegrale generale della (7) risulterà della forma:
(8) Z = u[F(a) + ®(8)]
-( 0 da È (ae
essendo u = e oppure u= e 3
Applicando i resultati ottenuti nel $ 1, possiamo concludere
che l'integrale generale della (7) avrà quest’ultima forma sol-
tanto quando la funzione 2 = @(x,y) soddisfi alla equazione:
(9) ci s-Vs=rt dò fee
da t t dy t
oppure all’altra:
(10) — = d i
de t RE t
È molto facile interpretare geometricamente questa condi-
zione. Infatti la (9) p. e. ci dice che dovrà risultare:
EAT = vB),
essendo B = cost. l’integrale generale dell'equazione:
574 MINEO CHINI
dy rt it pid
dx LE t set
Ora se a = cost. è quello dell'equazione:
dy s+ Vert Pa
Sin
indicando con t l’angolo che forma coll’asse delle x la tangente
alla proiezione sul piano xy dell’assintotica a = cost., avremo:
ve st Vert
tangt = — epr nd
Dunque la (9) equivale all’altra:
tangt = — (8);
e sotto questa forma essa ci dice che lungo ogni assintotica
8 = cost. le tangenti a tutte le a = cost. debbono risultare
parallele ad uno stesso piano, che varierà a seconda della
che si considera, ma che passerà costantemente per una retta
fissa (scelta come asse delle 2).
Concludiamo che le superficie 2 = 6(x,y) per le quali l’in-
tegrale generale della (7) è della forma (8) coincidono con
quelle su cui esiste un sistema di assintotiche tali che lungo
ciascuna assintotica dell’altro sistema, le prime hanno le tan-
genti parallele ad uno stesso piano, che passa costantemente
per una retta fissa. E se per una qualunque di tali superficie
si saprà integrare l'equazione complessiva delle assintotiche:
rdao° + 2sdaxdy + tdj =0,
la determinazione della superficie più generale, che corrisponde
alla data con ortogonalità degli elementi lineari, dipenderà da
sole quadrature.
Una classe di superficie di siffatta specie è data evidente-
mente dalle rigate a piano direttore. Scegliendo l’asse delle @
su detto piano, la loro equazione è della forma:
SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI DEL 2° ORDINE 575
(11) z=f(ax + by) + (cr + 9) 9p(ax + by),
essendo a, d, c,, c° delle costanti arbitrarie, ma tali che non
risulti ac, = de, altrimenti queste superficie sarebbero delle
sviluppabili; cioè si avrebbe s° — rt = 0, perchè:
V— rt = (be, — ac) (ax + 89).
Ora posto: ax + 5y = t, c1x + cy = , l'equazione com-
plessiva delle assintotiche si riduce, nel caso attuale, all'altra:
[fdt + uo" ()dt + 29'0)adu]dt = 0,
la quale si spezza in due:
t= cost. fdt +2V9'd(uVo)=0,
e quest’ultima ha per integrale generale:
2uVp' + | wi dt = cost.
Dunque i parametri delle assintotiche sono attualmente:
da.
a=ax + by, p=2(02 + cy) Ve) + [Fa
Inoltre per le superficie (11) risulta:
Lan 0 a 7
bal. 7 99
e quindi l’integrale generale della (7) sarà in questo caso:
)+ ®(9)].
Passiamo ora a vedere per quali forme della funzione
z = (x, y) l'integrale generale della (7) è:
(12) Z=F(o)+®(8).
576 MINEO CHINI
Affinchè questo accada sarà necessario e sufficiente che
risultino verificate contemporaneamente le equazioni (9) e (10);
o ciò che è lo stesso, che si abbia:
ia
Dalla prima di queste condizioni si deduce che dovrà essere:
s°— rt = X, con X funzione della sola x; e dalla seconda:
s—rt= Y, con Y funzione della sola y. Quindi bisognerà che
risulti: s° — rt = cost.
Reciprocamente, se 2 = 0(x,y) soddisfa a quest’ ultima
equazione, risulteranno verificate le due condizioni precedenti;
e perciò possiamo concludere che l’integrale generale della (7)
sarà della forma (12) soltanto quando la funzione = soddisfa
all’equazione:
(13) sac
con % costante arbitraria diversa da zero. E per le superficie
che risultano integrali di questa equazione i parametri delle
assintotiche sono:
Appartengono evidentemente alla suddetta classe le rigate a
piano direttore:
az=(axr +by+0(r + cy) + f(ar + by),
giacchè per tali superficie si ha: Vs — rt = ber — ac, Fra
queste vi è anche il paraboloide iperbolico.
Le superficie integrali della (13) sono caratterizzate dalla
proprietà che lungo ciascuna assintotica, dell'uno o dell'altro
sistema, le tangenti a tutte quelle del sistema rimanente risul-
tano parallele ad uno stesso piano, che passa costantemente
SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI DEL 2° ORDINE 577
per una retta fissa. Ora il DArBoux ha determinato le espres-
sioni delle coordinate x, y, 2 dei punti di una classe completa
di superficie (che può dimostrarsi essere la più generale possi-
bile) le cui assintotiche a = cost., B = cost. godono della pro-
prietà che lungo ogni a = cost. le tangenti a tutte le R = cost.
risultano parallele ad uno stesso piano, la cui normale ha i
coseni di direzione proporzionali alle derivate f'(a), ®'(a), y'(a)
di tre funzioni qualunque di a; e che inoltre, lungo ogni B= cost.
le tangenti a tutte le a = cost. sono parallele al piano la cui
normale ha i coseni di direzione proporzionali alle derivate
f:(8), ®':(8), w'(8) di tre funzioni arbitrarie di B. Tali espres-
sioni sono:
4kex=(Qy — yo) + {@dy — y.d9.) — {(pdy — ydo9)
4ky=(Wf — fw) + {idf — fidy) — {(waf — fay)
bke = (fo — of) + {(fido — vidf) — [(fdo — 9df)
essendo % una costante qualunque (*).
Quindi se vogliamo che quei piani, nelle loro varie po-
sizioni, passino costantemente per la medesima retta fissa, che
sceglieremo come asse delle 2, dovremo prendere y(a) = w,
y,.(8) =, essendo w, » costanti arbitrarie. Dunque le equazioni:
x = 01(0) + 0 (8)
(14) | y = 0x(a) + 0:(8)
pi = (030, — 010%) — {(e.d0,—9,40;) + {(0:d0, — 0140,)
con 03, 03, 0,, 0, funzioni arbitrarie, ci dànno le coordinate dei
punti di tutte le superficie che sono integrali della (13).
Se le funzioni (01, 02), (0, 6,) in luogo d’essere indipendenti,
sono legate dalle relazioni:
0î (a) + o;(a) = N — W
6?(8) + 05(B) = 8" — 4"
(*) DarBoux, Op. cit., parte 3*, pag. 368.
578 MINEO CHINI — SULLE EQUAZIONI A DERIVATE PARZIALI ECC.
con h', h'", h'"' costanti qualunque, ogni superficie (14) costituirà
una falda dell’evoluta di una superficie W di WEINGARTEN,
avente i raggi principali di curvatura legati dalla relazione:
2(R — R')= sen2(R + R'),
quando però ’' sia diversa da zero. Mentre se 4%" = 0, si avrà
una falda dell’evoluta di una superficie ad area minima.
L’ Accademico Segretario
AnpREA NACccARI.
CLASSE
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 15 Marzo 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Socii: CLarettA, Direttore della Classe,
Rossi, BorLati pi SAINT-PrerRE, Pezzi, NANI, CrpoLLA, BRUSA,
Perrero, ALLIEvo e FeRRERO Segretario.
Il Presidente presenta, a nome dell’autore, Prof. Emilio
Cosra dell’Università di Bologna, l’opera: “ Papiniano, Studio
di Storia interna del diritto romano , (Bologna, 1896, 3 volumi)
e brevemente ragguaglia la Classe intorno ad essa.
Il Socio Segretario presenta un opuscolo del Direttore della
Classe: “ Il deposito delle reliquie di S. Agostino a Pavia e il
Re di Sardegna Carlo Emanuele III ,.
La Classe procede alla nomina di sette Soci Corrispondenti.
Riescono eletti i signori Giacomo Bryce (Londra), Prof. Fede-
rico PateTtA dell’Università di Siena, Prof. Antonio PinLocHE
dell’ Università di Lilla, Avvocato Giuseppe GATTI (Roma),
Prof. Felice Tocco dell’Istituto di Studii superiori di Firenze,
Prof. Carlo CantoNI dell’Università di Pavia, Prof. Alessandro
CarappeLLI dell'Università di Napoli.
L’ Accademico Segretario
Ermanno FERRERO.
980
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA
Dal 28 Febbraio all’8 Marzo 1896.
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio ;
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono,
* Abhandlungen der Kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen,
Mathematisch-Physikalische Klasse, XL, 1. Gottingen, 1895; 4°.
* Account (An) of the Smithsonian Institution: its origin, history, objects
and Achievements. City of Washington, 1895; 8°.
Boletin de la Comision Geolégica de México. N. 2. Mexico, 1895; 4°.
* Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia comparata della R. Univer-
sità di Genova. N. 16, 34-39. Genova, 1895; 8°.
*# Comptes-Rendas de l’Académie des Sciences de Cracovie. Janvier 1896; 8°.
* Giornale della R. Accademia di medicina. A. LIX, n. 1. Torino, 1896; 8°.
* Journal of the College of Science Imperial University Japan. Vol. VIII,
p.. HI; “LX, p. L. Tokio, 1895;,.4°.
* Mémoires présentés par divers savants è l’Académie des Sciences de
l’Institut de France; t. XXXI°, 2° série. Paris, 1894; 4°.
* Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVI, n. 4.
London, 1896; 8°.
* Nachrichten von der Kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen.
Mathematisch-physik. Klasse, 1895, n. 4. Gòttingen, 1895; 8°.
* Proceedings of the Cambridge philosophical Society; vol. IX, p.1*, 1895.
* Proceedings of the R. Society. Vol. LIX, n. 854. London, 1896; 8°.
* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXIX,
fasc. 1-4. Milano, 1896; 8°.
* Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche. Ser. 3,
vol. II, fasc. 1°. Napoli, 1896; 8°.
Report of the sixty-fifth Meeting of the Britsh Association for the advan-
cement of Science held at Ipswich in september 1895. London, 1895; 8°.
oo. , (E reo =
| NT, n
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 581
Report of the Superintendent of the U. S. Coast and Geodetic Survey for
the fiscal year ending, June 30, 1893; Part II. Washington, 1895; 8°.
Spelunca. Bulletin de la Société de Spéléologie. 1"° année, n. 4. Paris,
1895; 8°.
* Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXIX, fasc. 1°. Modena,
1896; 8°.
* }RypHalb pyCcKaro ®I8HK0-xMMNJecKaro O6mecrBa npu IMnepaTopcromb
C. Ierep6yprerows VYauBepenterb; t. XXVII, n. 9. 1895.
Bardelli (G.). Sull’uso delle coordinate obliquangole nella meccanica ra-
zionale. Milano, 1896; 8° (dall’A.).
Espiro (E. F.). Memoria presentada è S. E. el sefior Presidente de la Re-
publica don Juan Idiarte Borda. Montevideo, 1895; 8° (dal Governo
della Repubblica dell’ Uruguay).
Marini (A.). Annotazioni riassuntive sulla campagna serica italiana nel 1895.
Torino, 1895; 8° (dall’A.).
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche.
Dal 1° al 15 Marzo 1896.
* Acta Borussica: Die Getreidehandelspolitit der Europiischen Staaten
vom 13. bis zum 18. Jahrhundert. Berlin, 1896; 8°.
Annuario Accademico 1895-96. Siena, 1896; 8° (dalla R. Università degli
Studi di Siena).
Annuario statistico italiano 1895. Roma, 1896; 8° (dono del Ministero di
Agricoltura, Industria e Commercio).
* Bulletin de l’Académie Royale des sciences et des lettres de Danemark.
Copenhague, 1895, n. 3, 4. Copenhague, 1895; 8°.
* Commentari dell'Ateneo di Brescia per l’anno 1895. Brescia, 1895; 8°.
* Dictionarul limbei istorice si poporane a Romînilor lucrat dupà dorinta
si cu cheltuiéla M. S. Regelui Carol I sub auspiciele Academiei romane.
Tom. III, Fasc. III, Baz-Bal. Bucuresci, 1896; 4°.
* Giornale della Società di letture e conversazioni scientifiche di Genova.
Anno XVII, fasc. IV. Genova, 1895; 8°.
** Jahresberichte der Geschichtswissenschaft. XVII Jahrg. 1894. Berlin,
1896; 8°.
* Mémoires et Documents publiés par la Société Savoisienne d’Histoire
et d’Archéologie, t. XXXIV. Chambéry, 1895; 8°.
582 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
* Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et des Lettres de Danemark.
6° sér. Section des Lettres, t. III, n. 4. Copenhague, 1895; 4°.
** Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia. 1895,
fol. 127-226; 8°.
* Rozprawy Akademii Umiejetnosci wydziat Historyczno-Filozoficzny. Ser. II,
t. VI. Krakowie, 1895; 8°.
Tabella. indicante i valori delle merci nell’anno 1895 per le statistiche
commerciali. Roma, 1896; 8° (dal Ministero delle Finanze).
Pinelli (T.). Relazione statistica dei lavori compiuti nel distretto della
Corte d'Appello di Torino nell’anno 1895. Torino, 1896; 8° (dall'A.).
Guidi (I... Vita Za-Mîkà'él ’Aragàwî. Romae, 1896; 12°.
Magnier (F.). Rapport présenté au Congrès d'Aiguebelle le 6 aoùt 1894.
Chambéry, 1895; 8° (dall’A.).
Bobba (R.). La dottrina dell'intelletto in Aristotele e nei suoi più illustri
interpreti. Torino, 1896; 8° (Zd.).
Strada (E.) e Martinetti (M.). Piazza d'Armi o Valentino ? Considerazioni
sulla scelta della sede dell’Esposizione del 1898. Torino, 1896; 8°
(dagli A.).
) 583
CLASSE
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 22 Marzo 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci: D’Ovipio, Direttore della Classe,
Berruti, Bizzozero, FERRARIS, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE,
Prano, JADANZA, GuarEscHI e NaAccaRI Segretario.
Viene letto ed approvato il verbale della seduta precedente.
Il Segretario segnala, fra le pubblicazioni inviate in dono,
alcuni opuscoli spediti dal Socio corrispondente WALDEYER.
Il Segretario comunica la lettera di ringraziamento del
Prof. FeLIcI eletto recentemente Socio Nazionale e quelle dei
Prof. BertrAND e SyLvester eletti Soci Stranieri. Comunica
inoltre una lettera, con cui l’Università e il Municipio di
Glasgow invitano l'Accademia ad eleggere un proprio rappre-
sentante per le feste che si celebreranno il 15 e 16 giugno
prossimo venturo in onore di Lord Kelvin, che nel prossimo
autunno compie il cinquantesimo anno di insegnamento. La
Classe delibera di pregare il Socio corrispondente Prof. J. J.
Thomson professore a Cambridge di rappresentarla in quella
solennità.
Il Segretario dà notizia che sono giunti dal Ministero i
decreti di nomina del Socio Nazionale residente Prof. Icilio Gua-
RESCHI, dei Soci Nazionali non residenti Professori Emanuele FeR-
Goa e Riccardo FeLIci e dei Soci Stranieri Professori Giuseppe
Luigi BertRAND e Giacomo Giuseppe SyLvESTER.
Il Socio CAMERANO anche a nome del Socio SALVADORI legge
la relazione sulla memoria del Dott. Daniele Rosa intitolata:
“I Linfociti degli Oligocheti ,. Conforme alle conclusioni del
relatore la Classe ne approva la lettura e quindi l’inserzione
nei volumi accademici.
984 È
Relazione intorno alla Memoria del Dott. Daniele Rosa,
intitolata :
“ I Linfociti deglu Oligocheti — icerche istologiche ,.
Il Dott. D. Rosa nelle sue ricerche intorno ai linfociti degli
Invertebrati, oggetto della Memoria affidata al nostro esame,
ha molto opportunamente scelto come materiale di studio quelle
forme animali in cui il sistema circolatorio è chiuso e in cui
perciò gli elementi morfologici proprii della linfa non si trovano
frammisti con quelli proprii del sangue come avviene nella
massima parte degli invertebrati che vennero fino ad ora stu-
diati dal punto di vista dei linfociti stessi. Egli ha studiato gli
Anellidi Oligocheti e più specialmente i lombrici i quali hanno
la proprietà, in questo caso assai preziosa, di emettere dai pori
dorsali il liquido celomico senza che per ottenerlo sia necessario
incidere l’animale.
L’A. ha osservato quattro differenti sorta di linfociti nei
Lombrichi: gli uni ameboidi e gli altri non ameboidi e di tutti
ha descritto la forma normale fino ad ora al tutto ignorata e
le modificazioni che essa presenta quando i linfociti sono portati
fuori dell'organismo.
Il Dott. D. Rosa ha fatto uno studio minuto e diligente
di tutte le singole forme di linfociti descrivendo la struttura
della sostanza cellulare, del nucleo, delle centrospere, ecc.
Il lavoro del Dott. Rosa è pertanto un contributo assai
importante per la conoscenza non solo dei linfociti delle specie
di Oligocheti particolarmente studiate, ma in genere per la
conoscenza dei linfociti degli Invertebrati e per la biologia
cellulare.
I vostri commissari sono lieti quindi di proporre che il
lavoro del Dott. D. Rosa venga ammesso alla lettura e venga
stampato nelle Memorie accademiche.
Torino, 18 marzo 1896.
T. SALVADORI.
L. CAMERANO, Relatore.
L’ Accademico Segretario
ANDREA NACCARI.
i
:
|
|
d
|
985
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 29 Marzo 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO BARONE GAUDENZIO CLARETTA
DIRETTORE DELLA CLASSE
Sono presenti i Socii: PeyRon, CrpoLLa, Brusa, PERRERO,
ArLievo e-FERRERO Segretario.
Il Socio Segretario fra le pubblicazioni pervenute in dono
alla Classe, segnala un nuovo opuscolo di “ Vedische Beitrége ,
(Berlino, 1896) del Socio Corrispondente prof. Alberto WEBER,
ed il volume in memoria di CesARE CANTÙ, pubblicato per cura
della famiglia dell’illustre scrittore in occasione del primo anni-
versario della sua morte.
Offre poi, a nome dell'Autore, il professore Emilio TEZA,
un opuscolo: “ I Tipitakam dei Buddiani stampato nel Siam ,
(Venezia, 1896), concernente la collezione di volumi stampati
per ordine di S. M. il Re del Siam, che ne donò un esemplare
all'Accademia (presentato nell'adunanza del 1° marzo) e ad altri
Istituti scientifici del Regno.
Sono comunicate le lettere, con cui i professori Tocco,
GarTI, CANTONI e PatETTA ringraziano per la loro nomina a
Soci Corrispondenti.
Il Socio ALLievo legge un suo lavoro intitolato: “ Federico
Herbart e la sua dottrina pedagogica ,, di cui la Classe approva
la stampa nelle Memorie accademiche.
Lo stesso Socio legge una sua nota: “ La divisione del la-
voro applicato nelle Università ,, che è pubblicata negli Atti.
Il Socio PeRRERO dà lettura di un suo lavoro: “ Un segreto
episodio della vita ministeriale del marchese d’Ormea e del cava-
liere Ossorio (1740-1750) ,, parimente stampata negli Atti.
NILE n
586 GIUSEPPE ALLIEVO
LETTURE
La divisione del lavoro applicato alle Università;
Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO.
L'Università è la grande Scuola, dove s’insegnano le scienze
umane tutte quante in tutto il loro progressivo sviluppo, e dove
si formano i cultori delle professioni liberali. Quindi essa riu-
nisce in sè un duplice carattere, scientifico cioè e professionale;
e la Laurea, che conferisce, fu sempre Laurea di dottore e di
professionista ad un tempo. Questo duplice carattere si mani-
festa nell'organismo medesimo dell’Università. Infatti essa si
compone di poche Facoltà, ciascuna delle quali comprende un
gruppo di scienze omogenee; ecco il carattere scientifico : queste
scienze poi sono coltivate da giovani avviati all'esercizio delle
professioni liberali (l’Imgegneria, la Medicina, l'Avvocatura, il
Magistero educativo ecc.), ecco il carattere professionale. Questo
organismo delle Facoltà incominciato coll’origine stessa della
Università si mantenne attraverso i secoli, ma da qualche tempo
va via via scompaginandosi in mezzo alla lotta, che ferve tra
il culto puro e disinteressato della scienza e l’esercizio utili-
tario della professione. Volgiamo un rapido sguardo alle vicende
storiche, per cui è passata l’Università attraverso i secoli, a
fine di rinvenire la cagione della lotta, che di presente la tra-
vaglia.
Ne’ secoli scorsi le discipline, che formavano l’oggetto del-
l'insegnamento universitario, erano poche di numero, e ciascuna
poco sviluppata, come pure ciascuna professione liberale era
semplice nel suo organismo. Quindi ne avveniva, che la scienza
poteva essere studiata tutta quanta nella sua idealità specula-
4
;
I
LA DIVISIONE DEL LAVORO APPLICATO ALLE UNIVERSITÀ 587
| tiva senza venire sacrificata in veruna sua parte, e la specu-
lazione teorica poteva mantenersi in perfetta armonia coll’indi-
rizzo pratico ed interessato della professione liberale. L'Università
conservava l’unità de’ suoi due caratteri, scientifico e professio-
nale. Ma da due secoli in qua lo scibile umano prese uno svi-
luppo ed un incremento straordinario. Certi punti di studio, che
prima erano compresi dentro una determinata scienza siccome
parti nel loro tutto, vennero studiati in se stessi, staccati dalla
disciplina, a cui appartenevano, e crebbero a poco a poco sino
a pigliare forma e corpo di scienza speciale, come ce ne porge
esempio la scienza filologica, la quale venne diramandosi in
moltissime altre. Similmente quella, che da prima era una pro-
fessione unica, si disvolse in una varietà di professioni speciali,
ciascuna delle quali viene esercitata da cultori suoi proprii.
Così la Medicina conta oggidì pressochè tanti rami distinti,
quante sono le malattie particolari dell'umano organismo: l’In-
gegneria si è bipartita in industriale e civile, e l’industriale si
suddivide in Ingegneria delle miniere, delle macchine ferroviarie,
delle manifatture, dei ponti e delle strade e va discorrendo.
Il moltiplicarsi delle scienze e delle professioni liberali fu
cagione, per cui i giovani inscritti ad una Facoltà più non po-
tendo abbracciare colla loro mente le tante e nuove discipline
appartenenti alla medesima, consacrarono i loro studi ad una
o poche soltanto di esse, e diventarono specialisti, aspirando
ad una laurea dottorale speciale: ma intanto ristringendo esclu-
sivamente la loro meditazione ad un solo ramo del sapere per
meglio approfondirlo, perdettero di vista l’unità della scienza.
Similmente un giovane aspirante ad una professione liberale,
non venendogli fatto di impratichirsi per bene in tutti i rami
speciali della medesima ed esercitarli con felice successo, di-
ventò specialista anch'esso; ma raccogliendo tutte le forze del
suo ingegno intorno al culto di un ramo speciale professionale,
diede a’ suoi studi un indirizzo esclusivamente pratico ed uti-
litaristico, attingendo dalla scienza solo quel tanto, e non più,
che potesse giovargli all'esercizio della sua professione speciale,
ed abbandonando come inutile tutto ciò, che sa di pura teoria,
di mera speculazione. Così sorsero le scuole speciali superiori
fuori dell’Università, anzi contro l’Università, nelle quali la
scienza non si coltiva più per se stessa, per puro e disinteres-
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 41
588 GIUSEPPE ALLIEVO
sato amore della verità, ma nelle sue applicazioni pratiche ed
utili alla vita (1).
Di tal modo siamo giunti a La che dicesi con nuovo
vocabolo Specialisno degli studi e delle professioni, ossia alla
divisione del lavora applicata all’Università. Per lo passato nel
seno dell’Università il culto della scienza speculativa ed il ti-
rocinio dell’arte professionale facevano una cosa sola, ed i gio-
vani passavano senza più dagli studi teorici alla pratica della
professione. Ora la gioventù studiosa si è diviso il lavoro men-
tale: da un lato i dotti col loro amore della scienza puro e di-
sintéressato, dall'altro i professionisti col sapere praticamente
applicato alla loro arte: ai primi rimase l’Università, pei se-
condi sorsero le scuole superiori speciali isolate.
Così l'antico organismo universitario venne a sfasciarsi. La
grande Scuola dell’Enciclopedia universale, spostata dal suo
centro di gravità, sì è sperperata in una minutaglia di scuole
speciali da essa disgiunte.
Noi assistiamo ad un duplice antagonismo. L'Università è
in lotta con se stessa, dacchè vede la sua unità ideale cader
in frantumi sotto i colpi di uno specialismo, che non riconosce
più limiti nel suo processo. Essa è altresì in lotta colle scuole
superiori, che disdegnando la scienza pura si chiudono ciascuna
nell’idolatria della propria arte. Nel campo del pensiero il lavoro
analitico ha diviso e suddiviso lo scibile in minutissime disci-
pline, tantochè chi si consacra di proposito allo studio esclusivo
di una sola, perde di vista i vincoli, che la consertano con tutte
le altre in una potente unità ideale. Nel campo dell’azione le
professioni liberali si specializzano anch'esse a dismisura, ed i
loro giovani cultori trattando la scienza come la semplice an-
cella della loro arte attingono dallo studio di essa quel po’ di
sapere teorico, che torna assolutamente necessario al culto della
loro professione e non guardano più in là. Quindi da una parte
la meditazione de’ dotti si rimpicciolisce in vedute ristrette ed
(1) Tale fu l'origine della nostra scuola del Valentino per gli allievi
ingegneri, i quali muovon lamento, che nei due anni, che loro tocca di
frequentare l’Università per essere poi licenziati a quella scuola, sono
tenuti a frequentare il corso di Meccanica razionale, reputando tale inse-
gnamento come affatto teorico ed inutile all'esercizio della loro professione.
LA DIVISIONE DEL LAVORO APPLICATO ALLE UNIVERSITÀ 589
esclusive, e vengono a mancare quelle larghe intuizioni, quelle
sintetiche comprensioni del pensiero, che scopre nuovi orizzonti
nel mondo ideale; dall’altra la pratica dei professionisti non
illuminata da una compiuta teorica, non animata dallo spirito
dell’idea, degenera in mestierume e travia in empirismo.
È questo uno stato di cose gravissimo, che minaccia le
sorti dell’alta coltura sociale e richiama a sè l’attenzione di
quanti hanno a cuore l'interesse de’ pubblici studi per avvisare
al modo di venire al riparo di conseguenze tanto deplorabili.
Meditando intorno al gravissimo argomento, occorre anzi tutto
convenire su questi tre punti: 1° Dividere il lavoro universi-
tario specializzando le discipline scientifiche e le scuole supe-
riori è una necessità richiesta dal crescente sviluppo dello scibile
e dal progresso delle arti. 2° È altresì giuocoforza conservare
all’Università l’unità del suo organismo ideale, sicchè essa ri-
manga per gli alunni la Scuola universale dello scibile umano
preso nella sua armonica e sintetica integrità. 3° È pur neces-
sario mantenere la conveniente armonia tra gli studi speculativi
e le applicazioni pratiche, tra la scienza e l’arte, sicchè l’amore
disinteressato e puro della verità non sia soffocato dall’utilita-
rismo della vita. Tutti e tre questi punti vanno posti fuori di
ogni discussione. Ma qui appunto sorge il duplice problema.
Come conciliare la necessità della divisione del lavoro coll’unità
dell'organismo ideale universitario? Come mantenere la dovuta
armonia tra la scienza pura e l’arte professionale nelle scuole
speciali superiori?
In riguardo alla prima parte di questo problema giova ri-
cordare, che l’Università è il tempio della scienza universale,
la Scuola dell’Enciclopedia umana, ossia delle discipline tutte
quante, composte insieme a sistematica unità. Questo concetto
ci porta logicamente a proporre due insegnamenti, a cui an-
drebbero tenuti tutti gli alunni a qualunque facoltà apparten-
gano. Il primo di essi avrebbe per oggetto la classificazione
delle scienze condotta in guisa che il giovane studioso possa
scorgere le intime colleganze, per cui tutte armonizzano ad
unità, il posto, che spetta a ciascuna, e segnatamente alla sua,
in mezzo a tutte le altre. Così egli non perderebbe di vista
l'organismo ideale del sapere, pur mentre tiene raccolto il pen-
siero sulla propria disciplina. Un bellissimo saggio di classi-
590 GIUSEPPE ALLIEVO
ficazione enciclopedica porse Andrea Maria Ampère nel suo
Essai sur la philosophie des sciences, dove tutto lo scibile umano
viene distribuito in due grandi branche, l’una cosmologica ri-
guardante le cose corporee, l’altra noologica relativa alle cose
incorporee. Il secondo dei due proposti insegnamenti avrebbe
per oggetto suo proprio la protologia, ossia lo studio dei su-
premi ed universali principii di tutte le scienze. Ciascuna di
esse, mentre possiede un principio suo peculiare, per cui si di-
stingue da ogni altra, ha tuttavia comuni con tutte le altre
alcuni principii universali, il cui studio solleva la mente del
giovane al concetto del sintesismo dello scibile.
Venendo alla seconda parte del problema, guidato dallo
stesso concetto universitario io proporrei due altri insegnamenti,
obbligatorii per gli alunni di ciascuna scuola speciale. Come vi
ha la filosofia universale, che spazia per tutte le regioni del
pensiero, così evvi per ciascun gruppo di scienze particolari una
filosofia speciale, che le conserta e le solleva alla loro più alta
idealità, ricercando le ragioni supreme del loro comune oggetto
e scrutando quei problemi più elevati, a cui non s’innalza cia-
scuna di esse. Così evvi la filosofia delle matematiche, la filosofia
della giurisprudenza, la filosofia della medicina, delle scienze
naturali, della storia e via via. Ciò posto, verrebbe opportuna
la instituzione di una cattedra di filosofia speciale propria di
quel gruppo di discipline, che avvia il giovane nell’esercizio di
una professione liberale. Con questo provvedimento verrebbe a
conciliarsi il culto speculativo della scienza coll’indirizzo pratico
. professionale. A questo io aggiungerei un secondo insegnamento,
cioè una cattedra di Logica, considerata come scienza sovrana
legislatrice del pensiero, il quale, così avvalorato, contribuisce
al culto medesimo dell’arte.
Queste proposte, mentre intendono a riparare le funeste con-
seguenze generate da uno smodato specialismo, non urtano per
nulla col progresso continuo dell’umano sapere, il quale non ri-
conosce confini, a cui debba arrestarsi. Poichè occorre far di-
stinzione tra l'insegnamento della scienza universale e lo svi-
luppo continuo della medesima. L'insegnamento ha la sede sua
propria nell'Università, dove viene impartito entro i limiti con-
sentiti da giovanili intelligenze; ma il suo crescente sviluppo
varca di assai la cerchia delle aule universitarie. La scienza si
E N È ST UO E e.
LA DIVISIONE DEL LAVORO APPLICATO ALLE UNIVERSITÀ 591
arricchisce del lavoro di tutte le intelligenze, che siansi con-
sacrate alla ricerca della verità: non circoscrive le sue conquiste
ideali ad un tempo e luogo determinato, ma le estende da per
tutto, dovunque incontra una dotta accademia, che discuta
qualche grave problema, od un pensatore solitario, che mediti
nel silenzio della sua camera. Essa non vede limite di tempo e
di spazio, che la arresti nel suo trionfale cammino, e sempre
avanza per le regioni dell’infinito. I limiti invece sono segnati
intorno la cattedra dell'insegnante: gli è qui che lo specialismo
si arresta nel suo processo.
Io riconosco adunque la necessità di specializzare gli studi
con tale criterio, che i giovani alunni, pur mentre raccolgono
tutta l’attività del loro pensiero sopra quel determinato ramo
del sapere, a cui si sentono per natura chiamati, non perdano
di vista l’unità della scienza, nè sacrifichino l’amore della ve-
rità pura all’utilità della loro professione. Questo bisogno di
dividere il lavoro mentale è universalmente sentito, e da per
tutto si tenta di appagarlo con opportune riforme scolastiche,
segnatamente negli Stati Uniti d'America, dove lo specialismo
universitario è promosso con grande ardore. Ma qui in Italia
si tira avanti sulla vecchia pésta come se il nostro mondo sco-
lastico fosse il migliore de’ mondi possibili. Da parecchi anni
in qua (nessuno il nega) non poche cattedre vennero aggiunte
alle antiche anche nelle nostre Università, e specialmente in
questa facoltà di filosofia e lettere: sebbene, a dire il vero, fra
i nuovi insegnamenti se ne siano intrusi anche degli inutili od
inopportuni, dettati più da secondi fini, che dai veri bisogni
della scienza. Questo aumento di cattedre doveva ragionevol-
mente portare ad una corrispondente divisione nelle materie di
studio; ma così non fu. I giovani aspiranti ad una professione
liberale, a conseguire la loro laurea dottorale sono pur sempre
tenuti a frequentare tutte le discipline, e antiche e recenti che
appartengono alla loro facoltà, salvo poche eccezioni, sicchè esse
vennero ad aggravare e rendere pressochè insopportabile il far-
dello dei loro studi. E bene sel sanno i giovani laureandi in
lettere, forzati a frequentare dodici insegnamenti diversi, pas-
sando senza posa da una lezione all’altra a farvi incetta di
svariato sapere, il quale mal potendo penetrare sino al cervello,
se ne rimane per lo più affastellato dentro i quaderni, ricor-
5992 DOMENICO PERRERO
dando i doctores chartacei del medio evo. Il fardello riesce an-
cora più incomportabile, quando si consideri che in mezzo a
tale caterva di materie alcune sono affatto eterogenee nel gruppo
delle discipline letterarie, quali la filosofia teoretica e la storia
della filosofia. Io non dico, che queste due materie filosofiche,
quando siano insegnate per bene, non abbiano la loro propria
importanza; bensì intendo di sostenere, che a giovani laureandi
in lettere, già sopraccarichi di materie loro proprie, non tornano
del tutto necessarie, tenendo io per fermo, che il tempo im-
piegato nel frequentarle assai meglio verrebbe adoperato ad
approfondirsi nelle altre, che appartengono al ramo letterario.
Quindi si fa manifesta la necessità di una riforma, che in-
troduca negli studi della Facoltà di filosofia e lettere un nuovo
ordinamento conforme alle giuste esigenze della moderna coltura.
Applicando a tale intento la divisione del lavoro, pare a me,
che tutti gli insegnamenti di essa facoltà abbiano a dividersi
in quattro gruppi distinti, i quali mettano capo a quattro lauree
speciali, e sono il filosofico, il letterario classico, il filologico,
lo storico geografico.
Un segreto episodio della vita ministeriale
del Marchese D’Ormea e del Cav. Ossorio (1740-1750);
Nota del Socio DOMENICO PERRERO.
È sentenza comunemente invalsa presso i patrii storici,
adottata e sostenuta dall’illustre autore della Diplomazia della
Corte di Savoia, che il marchese d’Ormea fosse per modo geloso
del suo ministero sopra gli affari esteri, che mai non si sarebbe
volontariamente indotto ad abbandonarlo se non colla propria
vita. E, per verità, a favore di siffatta sentenza parrebbe stare,
come effettivamente si mette innanzi, il fatto dello avere il
marchese voluto morire in possesso della carica, anzichè chie-
VT n
UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 593
dere la sospensione d’applicazione agli affari amichevolmente
consigliatagli dal pontefice Benedetto XIV (1).
i; Non è a stupire, dico, che questo fatto, in se stesso uni-
| camente considerato, abbia prodotto una certa impressione sui
nostri storiografi e trattili a conseguenze poco favorevoli al carat-
tere del nostro grande statista. Vuolsi però notare, che a questo un
‘ altro fatto essenzialissimo già aveva preceduto, e fu che l’Ormea,
nientemeno che cinque anni prima della sua morte, aveva già
data la sua dimissione da ministro al re Carlo Emanuele III,
e che questi, accettatala, aveva già persino designato il mini-
stro chiamato a succedergli, come senza dubbio sarebbegli suc-
ceduto, se, mentre se ne attendeva il consenso, per una specie
di fatalità, una imprevista circostanza, sorvenuta ad un tratto,
non avesse sconcertato gli adottati segreti accordi, protraendone
la effettiva esecuzione a dieci anni dappoi.
(1) Nella Storia della Diplomazia della Corte di Savoia, a proposito della
morte del marchese Ferrero d’Ormea, occorsa il 24 maggio 1745, si legge:
“ La malattia recavagli fiere doglie, l'animo aveva perturbato dal sopram-
montare degli emuli; pure fuggiva il riposo, che gli era necessario ,. Bene-
detto XIV gli scriveva: “ Abbiamo sempre creduto che il riposo del corpo
e la quiete dell’animo dovessero essere l’unico e vero rimedio pel suo male...
Una sospensione d’applicazione, accordata dal Sovrano per il ristabilimento
del suo principale ministro, a prima vista, può sembrare un buon mezzo
termine per vedere in appresso che cosa debba farsi; si apre il campo a
ritornare alla testa degli affari; se poi non siegue, è d’uopo conformarsi
alla volontà di Dio, e prendere un tenore di vita lontano dallo strepito,
e dato agli affari domestici e, quello che più importa, ai pensieri dell’e-
ternità.
“ Il buon papa (nota qui l’illustre storico) conosceva il male e additava
il rimedio; ma il farmaco era ostico all’infermo più del morbo istesso; chè
volea quello “ strepito , delle faccende, e la “ sospensione d’applicazione ,
che il re gli dava in effetto, non era da lui richiesta, e non l'avrebbe ri-
chiesta mai. Onde rispondeva: “ Sono persuasissimo che il consiglio che,
V. Santità si degna darmi di non applicare, mi è necessario... La costitu-
zione di questo governo (conchiudeva l’Ormea) vuole che io sacrifichi quel
poco di vita che mi rimane, per far tacere gli emuli della mia carica, che
non sono pochi, e per fare che nello spirito del Sovrano non nascano certe
impressioni, alle quali cercherebbero poi di dar pascolo ,.
Debbo però io pure qui notare, che tre soli giorni prima della surri-
ferita risposta dell’Ormea, e così il 3 febbraio 1745, egli stesso già un’altra
ne aveva spedita al papa, nella quale, meglio spiegando il suo concetto,
594 DOMENICO PERRERO
Gli è questo episodio, rimasto sinora inavvertito, che mi
propongo di trarre alla luce mediante i relativi documenti,
troppo importanti perchè debbano più oltre lasciarsi nell’oblio,
in cui giacciono da oltre un secolo e mezzo (1).
Quando l’Ormea, il 3 febbraio 1745, scriveva a Bene-
detto XIV: “ È già da qualche tempo che vo seriamente pen-
sando all’eternità ,, diceva del miglior senno ed enunciava un
fatto, che, per quanto enigmaticamente espresso, non lasciava
di essere una verità. — Verso il 1740, dopo percorsa una lunga
carriera, non meno luminosa che agitata e faticosa, il marchese,
uomo essenzialmente religioso, non potendo dissimularsi, che la
sua salute andava declinando, sentiva il bisogno d’interporre
fra i pensieri di Stato, e l’eternità, che si approssimava, un
intervallo di riposo e di raccoglimento. Tanto più che, a fronte
della pace di Vienna del 1738, che accresceva il regno di due
così gli scriveva: “ È già da qualche tempo che vo seriamente pensando
all’eternità... Pocurerò dunque di andar trattenendomi alla meglio che potrò
nella presente dura mia situazione, sino a che mi veda ridotto al segno
di non poter più assolutamente applicare, o che qualche fondata speranza
di prossima pace mi dia plausibile motivo di ritirarmi dagli affari... ,.
Questa prima risposta, trascurata dallo storico, restringe ciò che di
troppo ampio e generico parevano accennare le espressioni della seconda,
isolatamente presa, in quantochè, in quella, l’Ormea prestabiliva un ter-
mine, entro il quale prendeva verso il papa l’impegno di ritirarsi dagli
affari, e sarebbe stato quando la pace coi Franco-ispani gli avesse pòrto
un plausibile motivo di ritirarsi onoratamente a fronte de’ suoi emuli. —
Nè questa era già una mera scappatoia campata in aria; giacchè, verso
quei giorni appunto, qualche segreto passo per una trattativa di pace,
erasi indirettamente fatto per parte del marchese d’Argenson, ministro
sopra gli affari esteri di Francia. Onde non è a stupire se l’Ormea pro-
vasse una estrema ripugnanza ad abbandonare la direzione degli affari,
per lasciar forse a’ suoi rivali i frutti e la gloria di una pace, divenuta
ormai probabile, e dovuta principalmente al senno e all’opera sua, e se,
quindi, sino all’ultimo, tanto cercasse di illudersi sul vero stato della sua
salute.
Si alterano, adunque, scindendole, le dichiarazioni fatte dall’Ormea a
Benedetto XIV, dando un senso assoluto al diniego di chiedere la sospen-
sione d’applicazione agli affari, che era soltanto relativo alle circostanze,
in cui il marchese versava e quindi condizionale, come già lo aveva pro-
vato col fatto, secondochè viene esposto nel testo.
CaruTI, vol. 4, p. 231. — Curiosità e Ricerche, vol. 3, p. 535.
(1) Archivi di Stato, Lettere ministri, Inghilterra.
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A E a TI
UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 595
province; della fine delle controversie ecclesiastiche per mezzo
dei concordati di Benedetto XIV; e dal ristabilimento delle
relazioni diplomatiche con Venezia, ben poteva, senza troppo
orgoglio, dire a se stesso di avere oramai abbastanza faticato
‘per la sua gloria e per il bene del paese.
Se non che, lo teneva tuttavia irresoluto il pensiero di
aprire, col suo ritirarsi dagli affari, l’adito agli emuli di sot-
tentrargli nella carica, e di procurar loro, così, facile il mezzo
di denigrarlo, con insidiose insinuazioni, presso il principe e
farlo fors'anche cadere in disgrazia. Si avvisò quindi di ricor-
rere ad un ripiego, e fu di far gradire al re, in anticipazione,
un successore nel ministero, di sua scelta e confidenza, da no-
minarsi nell’atto stesso, in cui verrebbe accettata la sua dimis-
sione, per modo che i di lui emuli, venendo in cognizione di
questa, trovassero, nel tempo stesso, l'ambito suo posto già
irrevocabilmente preoccupato.
Ho parlato di emuli in numero plurale, come faceva l’Ormea;
ma sono d’avviso, che, in sostanza, la persona da lui presa di
mira, se non unicamente, certo principalmente, era senza dubbio
il marchese Leopoldo del Carretto di Gorzegno, come quegli,
in cui concorrevano maggiori titoli per aspirare a quel mini-
stero, e contro il quale più vivi e più antichi covavano nel
marchese i rancori.
Egli, infatti, come primo uffiziale della segreteria degli
affari esteri fin dal 1732, si trovava il più prossimo, e quindi
il più naturalmente chiamato al posto vacante, egli, inoltre, in
detta qualità, possedeva già da lunga mano, non solo la neces-
saria notizia dei più importanti affari dello Stato, ma ancora
la pratica esperienza nel maneggio loro, come quegli, che già
da tempo, per causa della lunga malattia dell’Ormea, riceveva
le istruzioni direttamente dal re, e presentava i dispacci alla
firma reale, egli, infine, posto, pel suo uffizio, a fianchi del re,
e quindi in condizione di potere, meglio di ogni altro, far sor-
gere ed alimentare nello spirito del Sovrano quelle insidiose
impressioni tanto dall’Ormea paventate.
Nè i motivi di reciproci rancori personali mancavano.
L’Ormea era, notoriamente, altiero e duro ne’ suoi portamenti
co’ subalterni; d’altra parte, il Gorzegno e per nascita e pel
lungo servizio e per carattere, non era un subalterno ordinario
596 DOMENICO PERRERO
da subire facilmente le opinioni altrui, e men che meno da tol-
lerare umiliazioni. Indi ne’ consigli e ne’ maneggi degli affari
del loro dicastero, non infrequenti fra essi gli urti, indi le ge-
losie e le esacerbazioni tanto più ostinate, quanto più profonde.
Come mai dubitarne quando si vede il Gorzegno, poco dopo la
morte dell’Ormea, accusarlo a dirittura, presso il conte di Rivera,
nostro ambasciatore a Roma, d’avere carpita l'eredità del cardi-
nale Ferrero, suo congiunto, per mezzo dell’abate Giussano? (1).
Un torto soprattutto aveva il Gorzegno agli occhi del
marchese d’Ormea, ed era quello di essere stato da una voce
pubblica, allora corsa, ritenuto quale autore del famoso patto
provvisionale sottoscrittosi fra la Sardegna e l’Austria il 1° feb-
braio 1742, patto considerato a quei giorni e anche dappoi,
come un capolavoro di sagacità politica. Era quindi naturale,
che l’Ormea, il quale tutta se ne attribuiva la gloria (e a buon
diritto, come è generale opinione) riguardasse il suo emulo,
innocente forse di quella voce, come invidioso usurpatore dei
suoi meriti. Della detta voce fa fede una nota apposta all’ Elogio
storico di Carlo Emanuele ITI, del conte Orsini, nella quale si
dichiara alla recisa il marchese di Gorzegno, autore del patto
anzidetto (2).
Del resto, se incerto e discutibile è rimasto il nome del-
l’emulo, contro il quale l’Ormea credette doversi premunire nel
modo sopra indicato, tutt'altro è da dirsi di quello del succes-
sore oppostogli, nome chiaro nella storia della nostra diplomazia
quant'altro mai; intendo parlare del cav. Ossorio, in quel tempo,
vale a dire nel 1740, da più anni ambasciatore a Londra, e sul
quale appunto, come sull’uomo fatto secondo il cuor suo, cadde
la scelta dell’Ormea.
(1) Questo Abate, intimo del marchese d’Ormea, che l’aveva posto al
fianco del cardinale Ferrero, specialmente nel Conclave, come l’angelo suo
custode, conforme allora dicevasi, — avendo brigato a Roma, presso il
conte di Rivera, per qualche benefizio, diede occasione al Gorzegno, succe-
duto all’Ormea nel ministero, di farne il seguente, poco lusinghiero, ritratto,
in lettera del 10 maggio 1747: “ Si l’abbé Giussan a été si protégé par
feu le marquis d’Ormea, il n'y a pas de quoi s’étonner, puisque c’était
celui è qui il avait confiée la garde du cardinal Ferré, et qui lui a fait
faire le testament en faveur de ce ministre. Mais ne croyez pas que le roi
soit entéèté d’un si mauvais sujet ,.
(2) Torino, 1793, Fea, p. 17.
Pelia e iii _._élo@mi ib li tti e trae
UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 597
Questa scelta, in se stessa, non poteva a meno di dirsi
utile per lo Stato e soprattutto opportuna per l’Ormea, che
l'aveva fatta. In lui il Governo acquistava un ministro abile e
probo, uno statista versatissimo in tutti i rami del diritto pub-
blico e un politico formatosi di lunga mano alla scuola dei
migliori centri diplomatici d'Europa. L’Ormea poi lasciava dietro
di sè un successore, che, vissuto quasi sempre lontano dal Pie-
monte, e senza attinenze di sorta alcuna, era al tutto estraneo
ai partiti ed agli intrighi della corte e dell’alta società della
capitale: un successore, inoltre, che da lui riconoscendo la sua
elevazione, doveva credersi, che e per gratitudine e per lo stesso
suo interesse, non avrebbe mai fatto causa comune coi di lui
avversari.
Come il re siasi prestato a questo giuoco dell’Ormea non
è facile spiegare, salvochè vogliasi supporre, non senza buon
fondamento, che esso, stanco omai del sopravvento presogli
dal troppo imperante ministro, abbia colto il destro, che se gli
offeriva, qualunque esso fosse, di liberarsene.
Cheechè ne sia, certo è che il re vi diede il suo assenso;
e l’Ormea con lettera segreta delli 8 ottobre 1740, ne dava
l’inatteso annunzio al cav. Ossorio a Londra nei seguenti ter-
mini: “ Sa Majesté, se trouvant dans le cas de devoir faire
quelque variation dans sa secrétairerie, s'est proposé à vous des-
tiner è celle d’État pour les affaires étrangères en qualité de
ministre et premier secrétaire d’État, ainsi qu'elle m’a ordonné
de vous instruire par la présente qui vous sera rendue par le
correspondant de M. Moris. Ce ne sera pourtant qu’après que
Jaurai recue votre réponse, que S. M. publiera votre destina-
tion, parce que com’elle compte de se servir de vous dans le
dit emploi pendant longtems, elle souhaite que vous me mar-
quiez auparavant, avec toute la franchise et toute l’ingénuité
dont vous avez toujours fait profession, si vous croyez que
votre santé soit dans un état è pouvoir fournir aux fatigues
de l’emploi, dont il s'agit, et si vous ne vous sentez pas quelque
répugnance à une certaine géne qu’y est attachée, laquelle n'est
pourtant pas extraordinaire; en quoi je m’'attens que vous me
direz naturellement ce que vous en pensez; d’autant que, si
vous eussiez quelque raison pour ne pas l’accepter, il ne man-
querait point è S. M., comme vous n’en devez pas douter,
598 DOMENICU PERRERO
d’autre moyen pour recompenser le zèle avec lequel vous la
servez si utilement depuis un assez longtems.
“ Si vous vous déterminez è l’accepter, il faudra que vous
n'en disiez ni fassiez encor rien connaître, et que vous attendiez
qu'on l’ait publié ici après qu'on aura eu votre réponse, mais,
en attendant, vous pourriez commencer à faire dans votre maison
les arrangemens que vous jugeriez convenables, pour vous mettre
en état de partir au premier avis qu'on vous en ferait parvenir.
«“ Kn exécutant ces ordres du roi, je ne puis me refuser
de vous assurer, monsieur, que c'est du meilleur de mon coeur
que je désire que vous y trouviez vos satisfactions et vos
avantages auxquels je prens et prendrai toujours un intérét
distingué. Je vous prie de vouloir en étre bien persuadé et de
croire qu'on ne peut rien ajouter au très partait attachement
avec lequel j'ai l’honneur d’étre votre très humble, très obéis-
sant serviteur, etc. ,.
Stando a questa lettera, il cambiamento nel ministero po-
teva oramai dirsi vicino a diventare un fatto compiuto. L'ordine,
a tale riguardo, del sovrano, era positivo e preciso; il consenso,
anzi il gradimento, del ministro uscente era esso pure, non solo
positivo, ma anche espresso in termini tali di benevolenza e
persino di una specie di cordialità, che, certo, non era solita
nell’Ormea co’ suoi subalterni e rara ben anche co’ suoi stessi
amici. Cosicchè null'altro più mancava al perfezionamento della
cosa, se non il consenso dell’Ossorio, il quale, del resto, veniva
già senz'altro presupposto, dappoichè lo s’invitava già a fare
nella sua casa gli apprestamenti convenienti alla nuova sua
posizione. i
È facile immaginarsi l'impressione dalla lettera dell’Ormea
prodotta nell'animo dell’Ossorio. La seguente sua risposta al-
l’Ormea del 24 ottobre 1740, colla quale gli significava la sua
accettazione, ben meglio di tutti ritratti tracciatine dagli sto-
rici, ci rappresenta, a mio avviso, la figura ed il carattere di
questo quanto insigne altrettanto modesto ministro: “ V. E.
peut aisément se figurer l’effet qu'a produit en moi, la lettre
qu'elle m’a fait l’honneur de m'écrire le 8 de ce mois et de
m’adresser par la voie du correspondant de M. Moris, pour
m’apprendre que S. M. a daigné porter sa clémence à mon
égard jusqu’au point de se proposer de me destiner à un emploi
i
;
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sità a
UN SEGRETO EPISODIO DELLA VILA MINISTERIALE, ECC. 599
aussi délicat et aussi important que celui dont V. E. m'a fait
mention: c'est une gràce si fort au-dessus de toutes les paroles
que j'en chercherais envain pour exprimer ma reconnaissance;
je sens que quoique je puisse dire, ce ne serait pas seulement
la moité de ce que je penserais.
“ Mais, si, par cette nouvelle gràce aussi bien que par
toutes celles que S. M. m’a déjà faites, j'ai la consolation de
ne pouvoir pas douter qu'elle ne rende justice è mes sentimens,
n’ai-je pas tout lieu de craindre en revanche que ma trop
longue absence du pays pourrait m’avoir été trop favorable
pour y laisser concevoir une idée plus avantageuse que je ne
mérite par rapport è mes talens? Bien des défauts se rendent
imperceptibles è une certaine distance; le zèle que je sens que
Jai, et qui est véritablement infini pour ce qui regarde le par-
faite accomplissement de mon devoir, autant qu’il est en moi,
parce que j’ose dire hardiment qu'il va méme jusqu’au scrupule, —
peut, è ce que j'ai sujet d’appréhender, avoir contribuer à faire
juger plus prompts et plus à la main que je ne les ai, les
talens qu'il faut pour le mettre en ceuvre; dans le loisir que
Jai toujours eu jusqu'ici, de n’avoir, pour ainsi dire, qu’un seul
et unique ordre à exécuter, mon zèle peut avoir eu toute la
facilité et tout le tems de suppléer au manque de promptitude
dans les talens, mais peut-étre que plus d’ordres et plus d’af-
faires découvriront mon insuffisance. Je supplie V. E. d'étre
persuadée que ce n’est pas pour montrer de la modestie que
je parle de la sorte, comme croieraient devoir faire, en pareil cas,
bien des gens, qui n’auraient ou ne penseraient pas d’avoir
tant de sujet que moi, de se méfier d’eux-mémes, — mais parce
que réellement je sens ce que je dis ,.
Dopo questo preambolo, passando senz'altro, alla sostanza
delle domande indirizzategli, così proseguiva: “ Ayant exposé
naturellement toute la crainte dont je suis saisi è l’égard de
ma capacité, jaurai l’honneur de répondre à présent aux deux
questions de la lettre de V. E. touchant l’état de ma santé et
touchant l’assujettisment è une certaine géne.
«“ Ma santé qui était dans un très mauvais état il y a
deux ans, s'est un peu remise depuis ce tems-là, mais elle en
est restée là et n'a pu encore se rétablir entièrement; un voyage,
un changement d’air pourraient me faire un grand bien et il
600 DOMENICO PERRERO
pourrait aussi en arriver autrement: dans l’état où je suis
maintenant, il n'y a que des abattemens de tems en tems qui
m’incommodent le plus. — Quant è la répugnance pour un as-
sujettisment, je n’en sens aucune; je me suis proposé, dès le
premier jour que j'ai été assez heureux pour étre admis au
service du roi, d’y consumer le restant de mes jours, et tant
que mes forces me le permetteront et que l'on me jugerait
capable d’etre employé, de ne vouloir jamais étre un serviteur
inutile.
“ Après avoir rendu compte avec toute la franchise et toute
l’ingénuité que je dois et dont je ne me départirai jamais, de
tout ce que je puis dire et penser sur mon sujet, il ne me reste
qu'à attendre, avec un coeur tranquille, que S. M. daigne décider
ce qu'elle jugera plus convenable è son royal service, prét è
exécuter ses ordres quels qu’ils puissent étre non seulement avec
toute la soummission et promptitude requises, mais aussi avec
la joye la plus parfaite, ne me sentant d’autre volonté que
celle d’obéir è ce qu'il lui plaira ordonner, et de lui montrer,
toute ma vie, mon zèle, ma reconnaissance et l’amour avec
lequelle j'ai l’honneur de la servir.
“ Dans l’incertitude de la résolution que S. M. prendrà,
je ne fais nul arrangement pour le départ; je ne pourrais d'ail-
leurs en faire presque aucun de considérable qu'il ne donnàt
d’abord occasion è bien de bruits et è m'’entendre faire mille
questions, cette grande ville ayant, sur certaines choses de
cette nature, le méme défaut que les plus petites; mais, de
quelque manière que S. M. daigne disposer de moi, cela ne
saurait apporter beaucoup de retardement à l’exécution de ses
ordres ,.
Se non che, anche all’Ossorio accadeva, malgrado tutta la
sua modestia e delicatezza, ciò che a tutti generalmente i nostri
ambasciatori residenti nelle principali capitali europee, d’aver
ad incontrare più o meno debiti, per cagione soprattutto della
grande sproporzione tra le spese d’ogni genere, a cui la loro
qualità li obbligava, e le provvigioni loro dal governo assegnate,
e, spesse volte, anche del ritardo nel farle loro pervenire. La
possibilità di una improvvisa partenza da Londra doveva non
poco impensierire e mettere alle strette il povero ambasciatore
nella necessità, in cui era, per conservare il debito decoro al-
e e -_
UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 601
l’alto posto, a cui era chiamato, di liberarsi onorevolmente dagli
impegni incontrativi; ed a questo appunto mirava coll’ultima
parte della sua risposta: “ Je supplie V. E. (ivi diceva), en cas
qu'il s’agisse d’effectuer mon départ, de vouloir me faire la
gràce de se rappeler le long séjour que j'ai fait ici, et les
humbles rémontrances que j'ai pris la liberté de lui faire en
plusieurs occasions, sur les dépenses auxquelles j'ai été obligé
et qui ont excédé les moyens que j'ai eu d’y fournir: la bonté
et la clémence de S. M. me donnent tout lieu de me flatter
que jaurai sur ce sujet la consolation que je désire tant pour
mon repos que pour ma réputation.
“ Je ne saurais assez témoigner à V. E. combien je suis
sensible et reconnaissant è la bonté avec laquelle Elle veut
bien prendre intérét è ce qui me regarde; j'ambitionne rien
tant que d’en mériter la continuation, ayant l’honneur d’étre
avec une reconnaissance infinie et la plus parfaite vénération,
Monsieur, de V. E. très humble, obéissant et très devoué ser-
viteur, etc. ,.
In quella che la pratica, sì bene avviata, ne faceva sperare
omai prossima la definitiva conclusione, un grave avvenimento,
inopinatamente sorvenuto nel breve intervallo corso fra la let-
tera del marchese d’Ormea e la risposta dell’Ossorio, gettando
lo scompiglio fra le principali potenze d'Europa, sconcertò, ad
un tratto, le prese intelligenze e ne rimandò l’esecuzione a
tempo indeterminato; voglio dire la morte, occorsa il 20 8bre
1740, dell’imperatore Carlo VI d’Austria, autore della famosa
prammatica Sanzione, per mezzo della quale erasi ripromesso
di conservare nella sua interezza la monarchia e farla passare
sul capo a Maria Teresa, sposa a Francesco di Lorena. A que-
st'opera buona parte della sua vita egli aveva dedicato, trava-
gliandosi, con tutte le più fine arti della diplomazia imperiale,
presso le varie corti d'Europa, per ispuntare, che da esse ve-
nisse accettato e guarentito l’ordine di successione da lui sta-
bilito. Ed ottenne, infatti, che quasi tutte vi prestassero il loro
consentimento; ma quanta e quale ne fosse la sincerità, il fatto
ben lo rese manifesto. Perciocchè, non appena egli mancò di
vita, 1 pretendenti alla successione austriaca sorsero da ogni
parte, e fra essi era ben naturale, che dovesse altresì figurare,
per le sue ragioni sul ducato di Milano, in ispecie, Carlo Ema-
602 DOMENICO PERRERO
nuele, e tanto più naturale, quantochè egli era forse il solo fra
tutti que’ concorrenti, che si era sempre recisamente dichiarato
contrario alla prammatica sanzione.
In questo stato di cose, era inevitabile una grande pertur-
bazione negl’interessi e nelle relazioni delle diverse potenze
europee, e quindi anche un cambiamento più o meno radicale
nelle reciproche loro alleanze. Gli è nelle previsioni di questo
nuovo ordine di cose, e sotto l'impressione degl’importanti av-
venimenti, che dovevano bentosto tenergli dietro, che il mar-
chese d’Ormea, il 19 9bre seguente, rescriveva quest'altra let-
tera, in replica a quella surriferita del cav. Ossorio:
«“ Monsieur, j'ai regu par l’estaffette, qui arriva ici, il y a
eu hier huit jours, votre lettre du 24 du mois passé, et, en
ayant rendu compte au roi, Jai une véritable satisfaction de
vous apprendre, Monsieur, que S. M. a vu avec tout l’agrément
que vous sauriez vous imaginer, les sentiments pleins de zèle
et l’attachement que vous avez témoigné sur ce que je vous
écrivis de sa part le 8 du susdit mois. S. M. ne peut attribuer
qu'à un effet de votre modestie la crainte que vous laissez
entrevoir de n’avoir point les qualités requises pour l’emploi
en question, et elle y envisage méme avec plaisir une nouvelle
preuve de votre capacité et de votre mérite, qui la confirme de
plus en plus dans sa fagon de penser à votre égard. Pour ce qui
est de votre santé, S. M. est aussi persuadé que le voyage ou
le changement d’air seraient tout è fait propres è la rétablir
entièrement; ainsi Elle ne peut qu’avoir lieu de persister dans
la résolution dont vous étes instruit, comptant toujours en effet
de vous faire remplir l’emploi auquel vous a destiné.
“ Cependant (soggiungeva l’Ormea), depuis le grand évène-
ment qui est arrivé, S. M. croit de devoir suspendre, pour quelque
tems, ses déterminations, voulant voir auparavant la nouvelle
face qu'il semble que les affaires d'Europe vont prendre, et cela
d’autant plus qu'il se pourrait que l’on se trouvàt dans des
conjonctures que votre personne lui devint encore plus néces-
saire dans le pays où vous étes: en attendant, il faudra que
vous continuiez è garder le plus grand secret sur cette affaire,
et si vous aurez encore quelque chose è me répliquer, vous
pourrez le faire en mettant sur votre lettre l’inscription à
M. Raiberti.
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UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 603
“ Il me reste (conchiudeva in ultimo) è vous ajouter que
le roi ayant pris en considération les représentations, que vous
m’avez insinué de lui faire dans cette conjoneture, s'est déter-
minée de vous accorder une gratification de quattre mille livres,
ainsi que je vous en donne avis aujourdhui par la voie accou-
tumée.
«“ Je vous prie d’étre bien persuadé, Monsieur, que rien ne
saurait égaler l’estime et la considération distinguées, avec
lesquelles je serai toute ma vie, Monsieur, votre très humble, etc. ,,.
Per tal modo, il povero Ossorio, scaduto, tutto ad un tratto,
dall’eminente carica su cui stava per essere elevato, si trovò
inopinatamente ridotto a dover starsene contento ad una magra
gratificazione di lire quattro mila e ad una speranza a meta
indefinita (e che doveva prolungarsi per oltre a dieci anni) di
ottenere quello che gli si era per un momento fatto intravedere.
La lettera dell’Ormea non esigeva, essenzialmente, una re-
plica per parte dell’Ossorio, giacchè la risoluzione annunziatagli
era in se stessa definitiva, e quindi all’ambasciatore non era
lasciata altra parte, che quella di rassegnarvisi, e su questa
rassegnazione il carattere e i precedenti del personaggio non
permettevano il benchè menomo dubbio. E che così infatti in-
tendesse la cosa anche lo stesso marchese, ben si vede dalla
particella condizionale, con cui, prevedendo la possibilità di una
replica, gli tracciava la via di fargliela pervenire, scrivendogli
come sopra: “ Si vous avez encore quelque chose à me repli-
quer, etc. ,.
L’Ossorio, usando della libertà, a tale riguardo lasciatagli,
stimò di potersi dispensare da una risposta, immaginandosi,
come il segretario Raiberti ben osservava all’Ormea, che un
rispettoso silenzio dal suo canto fosse ciò che meglio gli si
addicesse in quella condizione di cose. Ma il marchese, che
ovunque vedeva intrighi e pericoli, non si arrendeva a questa
ragione, sospettando che, sotto quel silenzio non covasse per
avventura qualche germe di malcontento e di dispetto, che,
penetrato e abilmente coltivato da’ suoi emuli, potesse, col
tempo, voltargli contro il solo ministro, sul quale faceva asse-
gnamento per colorire i suoi disegni a danno del marchese di
Gorzegno. Ond’era continuo ad instare presso il cav. Raiberti
(unico consapevole di quella sotterranea evoluzione ministeriale),
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 42
604 DOMENICO PERRERO
perchè eccitasse l’Ossorio a rispondergli, come appunto egli fece
con lettera del 21 gennaio 1741, nella quale, dopo esposta la
penosa impressione prodotta da quel silenzio sull’animo del
marchese, così conchiudeva: “ M’étant donc apergu de l’incer-
titude où M. le marquis d’Ormea se trouve là-dessus, j'ai cru
que je pouvais prendre la liberté de vous en avertir et de vous
prier, Monsieur, de vouloir me mettre en état de le tranquil-
liser, si vous n’aimez mieux, comme il serait plus naturel, écrire
à lui-méme ce qui en est dans une lettre à part ,.
A tranquillare il marchese d’Ormea, giunse finalmente la
risposta dell’Ossorio, poco tranquillo esso stesso, nella sua mo-
destia, sul vero significato, che dovesse attribuire a quel repen-
tino cambiamento. A farglielo quindi portare in pace, il cav.
Raiberti stimò bene, con altra sua lettera cifrata del febbraio
seguente, di rassicurarlo, che la persona di lui vi era assolu-
tamente estranea: “ Il est certain (così diceva in essa) que les
dispositions que l’on vous a signifiées, subsistent toujours, et
que ce n'est que la mort de l’empereur qui est cause qu'on ne
les a pas exécutées d’abord, le marquis d’Ormea ayant consi-
déré que son honneur et son zèle qu'il a par le service du roi,
ne lui permettaient point de laisser les affaires étrangères dans
un tems où elles devenaient fort sérieuses et ayant cru d’étre
obligé de continuer è les diriger jusqu'à ce que l’on voye un
peu plus clair dans celles de l'Europe; de sorte que je ne doute
point du tout que d’ici è quelque tems l’on n’y revienne. Il n°y
a que moi jusqu'à présent dans la secrétairerie qui soit instruit
de votre destination, et je ne crois pas qu’aucun autre en ait
connaissance, quoique le public auquel votre mérite est fort
bien connu, lorsqu’on parle de promotions, vous destine toujours
à la direction des affaires étrangères.
«“ Je sens que je ne vous devrais point écrire tout ceci...
mais l’intérét que je prends à tout ce qui vous concerne, et les
sentimens de considération et d’amitié que j'ai pour vous, l’em-
portent sur toutes autres raisons pour me déterminer à vous
donner les éclaircissemens que je sais, sur une chose qui ne
peut naturellement que vous avoir fait faire bien des réflexions,
eloigné comme vous étes de connaître l’intérieur de ce pays ,.
Tutto ciò era esattamente vero: ad ogni modo poi, era
chiaro, che, nella previsione delle prossime e gravi conseguenze,
UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 605
che l'apertura della successione austriaca doveva trarre con sè
rispetto al nostro paese, il marchese d’Ormea e per patriottismo,
e per riguardo al suo passato e pel decoro proprio, non poteva
assolutamente abbandonare ad altri, non, certo, più di lui ca-
paci, il suo posto per ridursi a condizione di semplice spetta-
tore degli avvenimenti. D'altra parte, il re sarebbe stato ben
lontano dall’acconsentirvi, troppo apprezzando il vantaggio di
conservarsi, in quelle difficili circostanze, alla testa del ministero
un uomo della sua capacità ed esperienza diplomatica, che, da
oltre dieci anni erane investito, colla riputazione già di lunga
mano stabilita, presso i principali gabinetti d'Europa, di poli-
tico e d'uomo di stato d’incontestabile merito.
Non fu, ciò stante, difficile il persuadere l’Ossorio, che non
già un cambiamento qualsiasi verso la sua persona, ma sì bene
la sola necessità delle cose, vale a dire le più ovvie ragioni
del ben pubblico rettamente inteso, erano causa, che, sospesa
temporariamente la nuova sua destinazione, sì egli, come il
marchese d’Ormea dovessero intanto continuare nelle rispettive
loro cariche, come quelle che, nella condizione di cose allora
esistente, da nessun altro ministro potevano venir disimpegnate,
non che con maggiore, con eguale vantaggio dello Stato. E il
fatto giustificò appieno la saviezza dell’adottate deliberazioni,
essendo notori per le storie i molti eminenti servigi, che amendue
hanno reso alla monarchia non meno che al paese nelle difficili
circostanze che susseguirono. L’Ossorio, sopravvissuto, per molti
anni, all’Ormea, ebbe la fortuna di veder coronati di felice suc-
cesso i comuni loro sforzi, e di conseguire in ultimo (non però
senza una nuova sosta ancora di più anni) l’alta destinazione,
a cui, fin dal 1740, era stato chiamato per la dimissione dal
suo ministero spontaneamente offerta dal marchese. Se non che,
il rigoroso silenzio altamente convenuto fra le parti intinte nel-
l’affare, avendo impedito al pubblico di penetrare ciò che avve-
niva dietro le scene, l'opinione generale. invalse, che l’Ormea
fosse indissolubilmente attaccato al suo ‘ministero, in modo da
non risolversi mai ad abbandonarlo se non per forza.
Giusta il concertato, d’ordine del re, fra il marchese d’Ormea
ed il cav. Ossorio, al più tardi, la pace colla Francia e colla
Spagna doveva segnare la fine del ministero del primo, ed il
principio di quello del secondo, predestinatogli a successore.
606 DOMENICO PERRERO
L’Ormea mancò ai vivi il 24 maggio del 1745, quando la
pace era ancora ben lontana, e tuttavia l’Ossorio, che, senza la
morte dell’imperatore Carlo VI, avrebbe già ben prima dovuto
succedergli, non succedettegli neanche alla morte di lui. La
stessa necessità delle cose, che già aveva mandato a monte
i primi concerti, attraversò anche insuperabilmente i secondi,
in modo da dover subire, nel suo cammino verso il ministero,
una nuova sosta di cinque anni circa, durante i quali, ebbe a
sottostare a quel ministro appunto, per escludere il quale l’Ormea
aveva rinunziato al suo posto a favore dell’Ossorio stesso.
Questa necessità veniva dal re medesimo Carlo Emanuele
spiegata e inculcata al cav. Ossorio, con apposito dispaccio
particolare e segreto del 30 giugno 1745, tutto rivolto a ren-
derlo capace delle ragioni, per cui stimava di dovere, una volta
ancora, protrarre l'adempimento della fattagli promessa, a tempo
indeterminato:
“ La perte (scriveva il re all’Ossorio) que nous avons faite
du marquis d’Orméa, nous mettant dans le cas de devoir lui
nommer un successeur dans la charge, qu'il avait, de notre
premier secrétaire d’État pour les affaires étrangères, sans que
nous puissions, comme vous le jugez assez, différer longtems
cette nomination, nous nous sommes rappelé les dispositions que
nous avons eiles et que nous vous avons fait connaître avant
la présente guerre par le feu marquis d’Orméa. — Si nous
eussions tant seulement considéré qu'il ne vous manque aucune
des qualités nécessaires pour bien remplir la dite charge, et que
vous la méritez, qui plus est, par le sincère attachement que
nous vous connaissons pour notre personne, de méme, que pour
le zèle dont nous vous savons animé pour l’avancement de nos
intéréts, auxquels vous avez de tout tems contribué beaucoup, —
nous vous aurions fait venir dès à présent et nous vous l’aurions
conféré; mais nous avons dù faire attention que si la continua-
tion de votre séjour è la cour d’Angleterre a jamais été très
importante pour notre service, c'est dans les circonstances sé-
rieuses et critiques où l’on est aujourd’hui d’une guerre fort
avancée, que nous avons principalement entreprise sur l’assu-
rance d’étre soutenus et secourus de toute fagon par l’Angle-
terre, et d'une grande apparence qu'on peut connaître, que les
puissances belligérantes et sur tout les puissances maritimes,
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Ù)
lA std
UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 607
jouissent, ne peut tarder à se préter è des arrangemens pour
la pacification générale. La confiance particulière que vous vous
étes attirée, du roi d’Angleterre et de tous ses ministres, de
méme que les connaissances et les liaisons que vous avez squ
vous ménager auprès des personnes les plus accréditées de toute
la nation anglaise, vous mettent dans une situation è pouvoir
nous rendre des services qui ne nous seraient point rendus par
quoi que se soit d’autres que nous enverrions pour vous rem-
placer ,.
La necessità, in cui era, di mantenere al suo posto in Londra
l’Ossorio, malgrado i precedenti impegni, non poteva venir espressa
in termini più onorifici e persuasivi, e, devesi anche aggiungere,
più meritati, come i fatti ben posero in chiaro, avendo, durante
i tre anni, che colà ancora risiedette, e in mezzo alle più sca-
brose circostanze in cui mai siasi trovato il Piemonte, massime
nell'occasione delle trattative segrete col ministro francese
Champeaux, saputo mantener salda, efficace ed operosa l’ami-
cizia del re e del gabinetto britannico a sostegno del nostro
paese.
Questa necessità ne traeva seco un’altra, ed era quella di
costituire anche di diritto capo del ministero sopra gli affari
esteri quello, che, da qualche anno, tale poteva già dirsi di
fatto per la lunga malattia dell’Ormea, vale a dire il marchese
di Gorzegno. Gli è a questa necessità, che il re Carlo Emanuele
alludeva, continuando, nel suo dispaccio segreto, a scrivere al-
l’Ossorio ne’ seguenti termini:
“ D’autre part, nous avons réfléchi que les dites circons-
tances fort délicates exigent que la charge de premier secré-
taire d'Etat soit occupée présentement par quelqu'un qu'à la
parfaite connaissance des affaires principales, joigne aussi celle
de plusieurs autres particulières lesquelles ne sont pas moins
essentielles pour notre service, s'agissant, entr’autres, des affaires
relatives aux opérations de la campagne, qui vont commencer
d’un jour è l’autre; de sorte que, comme le marquis de Gor-
zegno est précisément celui qui se trouve avoir aujourd’hui
cette double connaissance par le long tems depuis lequel il
travaille aux affaires étrangères, qu'il a méme eu occasion de
diriger pendant la longue maladie du marquis d’Ormea, nous
avons cru qu'il convenait essentiellement è notre service de le
608 DOMENICO PERRERO
nommer à la dite charge, ainsi que nous venons de faire (1),
évitant ainsi de nous mettre dans l’embarras où nous ne pour-
rions que nous trouver, si outre de la conférer è un auquel,
non obstant sa grande capacité et toute l’étendue de ses lu-
mières, il faudrait un tems pour prendre le fil et la routine de
toutes les affaires courantes, nous dussions envoyer un nouveau
ministre è la cour où vous étes, dans les conjonctures où il n’y
a que vous qui puissiez conduire nos intéréts à notre plus grand
avantage, et d’une manière propre è remplir notre attente.
“ Cependant (soggiungeva il re), comme cette nécessité où
nous sommes de vous préférer aujourd’hui le marquis de Gor-
zegne dans un emploi que nous n’aurions point hésité à vous
conférer dans d’autres circonstances, n'est produite principale-
ment que par le plus grand bien qui doit résulter à notre ser-
vice de la continuation de votre séjour à la cour d’Angleterre,
où nous sommes persuadés que vous ne cesserez point de prouver
votre zèle pour nos intéréts avec le méme empressement et le
méme succès que vous avez fait jusqu'ici, — nous sommes bien
aises de vous dire que les bonnes dispositions où nous avons
toujours été à votre égard, et la sincère envie que nous avons
de vous en faire ressentir les effets, n'en deviennent que beau-
coup plus fortes, ayant pour cela à vous prévenir que dès aus-
sitot que les affaires plus essentielles que vous avez par les
mains, seront terminées ou auront prise une tournure un peu
solide, nous comptons de vous faire venir d’Angleterre et de
vous donner auprès de nous une destination dans laquelle vous
trouverez vos convenances tant pour ce qui est de l'utile qu'à
l’égard de l’honorifique, et qui en répondant è l’entière con-
fiance que nous avons dans votre fidélité et vos lumières, vous
mettra aussi à portée de continuer è nous donner des preuves
du zèle empressé que vous avez toujours eu pour notre service ,.
Lo stile troppo diffuso, contorto e un po’ pesante di questo
dispaccio, accusa chiaramente, non solo la penna tuttora titu-
bante del nuovo primo uffiziale, il Raiberti (2), ma ancora, e
soprattutto, l'imbarazzo di chi si trova nella incresciosa neces-
(1) La patente di nomina del marchese di Gorzegno, concepita in ter-
mini molto per lui onorifici, porta la data del 2 luglio 1745.
(2) Nominato con patente del 3 luglio 1745.
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UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 609
sità di ritirarsi da un impegno contratto e di dover quindi
coonestare agli occhi della persona verso cui si era preso, la
disdetta, e di rendergliela al più possibile tollerabile. Di qui
quel troppo frequente ritornare sui meriti e sui passati servigi
dell’Ossorio, che vi fa per poco la figura di una vittima, che
s'incorona per essere sacrificata; di qui pure quel soverchio
insistere nella fiducia espressa, che egli non avrebbe cessato
dal mostrarsi sempre egualmente zelante e premuroso pel regio
servizio, ecc.; insistenza, che poteva far arguire nell'animo del
re un dubbio a tale riguardo, che non esisteva punto. — Quello
però che preoccupava soprattutto, e a buon diritto, il re, si
era, che il segreto su tutta questa pratica, fosse col maggiore
scrupolo possibile mantenuto per molti rispetti e massime per
un delicato riguardo, che naturalmente s’imponeva, verso il
marchese di Gorzegno. Quindi è che il re così conchiudeva il
suo dispaccio :
“ Nous avons jugé à propos de vous faire confidemment
cette dépèéche pour pouvoir vous marquer à coeur ouvert nos
sentimens, et quoique nous ‘ayons lieu de nous promettre de
votre prudence et de votre sagesse, que vous les garderez pour
vous seul et ne les laisserez jamais transpirer, nous ne laissons
point de vous le recommander, ayant plusieurs raisons que vous
pouvez aisément vous imaginer, pour souhaiter qu’ils n’en soient
connus par qui que se soit d’autres. Nous vous assurons vo-
lontiers, à cette occasion, de l’estime particulière que nous faisons
de votre personne, aussi bien que du plaisir que nous nous
ferons toujours, de vous accorder notre protection la plus spé-
ciale. Sur quoi nous prions Dieu qu'il vous ait en sa sainte
garde. A Turin, le 30 juin 1745. OC. EMANUEL ,.
Difficilmente negli annali del principato assoluto si troverà
un altro esempio di un principe, che, come qui Carlo Emanuele,
siasi degnato, mettendosi, per così dire, al pari con un suo
suddito, di giustificare presso di lui l’elezione fatta di un fun-
zionario, e di scusarsi quasi di averglielo preferito. Il certo si
è che la cosa non può non tornare a grande onore del re, che
non temette d’abbassarsi rendendo omaggio al merito e alla
data parola, e del ministro, che. nè invanito di quella insolita
dimostrazione di stima, nè irritato pel subìto disinganno, seppe
mantenersi uguale e consentaneo a se stesso con una semplicità
610 DOMENICO PERRERO
tutta propria del suo carattere, della quale visibilmente s’im-
pronta ogni linea della seguente risposta del 21 luglio 1745,
ch'egli da Londra fece al dispaccio reale anzidetto:
“ Sire, ce serait envain que je chercherais des termes pour
exprimer tout ce que j'ai senti à la vue d’une si grande bonté
et clémence que V. M. n'a pas dédaigné de me montrer par
la dépéche secrète qu’Elle m’a fait la grace de m’écrire du
80 du passé, e dont je n’aurai garde de ne laisser jamais trans-
pirer une seule sillabe. Il ne me reste donc d’autre parti è
prendre, en me donnant l’honneur de répondre sur le contenu
d'une si gracieuse dépéche, que d’avouer naturellement toute
la confusion où je suis de ce que je ne pourrai jamais étre
capable, ni par mes paroles ni par mes actions, de témoigner
suffisamment tout le zèle et tout l'amour que j'ai et que jJ'aurai
toute ma vie pour le service de V. M. Comme je n'ai que cet
objet qui me tienne au coeur, l'amour propre ne m’a point
aveuglé, et j'ai toujours pensé, Sire, à l’égard de l’emploi pour
lequel V. M. avait bien une fois voulu jeter les yeux sur moi,
tout comme je pris la liberté de le protester lorsqu'on m'’en
informa par son ordre; de sorte que la disposition que V. M.
en a fait en faveur du digne ministre qui l’exerce présentement,
m'a causé la joie la plus pure. :
“ Toute mon ambition, tous mes voeux sont remplis, Sire,
si je puis mériter que V. M. daigne continuer è agréer avec
la méme clémence, qu’Elle a eu jusqu’ici, l’ardent désir que
Jai, de bien faire et de lui prouver, par toutes les actions
de ma vie, autant que mes faibles forces et mon peu de lumières
le permetteront, que l’on ne saurait étre avec plus de zèle ni
avec plus de passion que je le suis, Sire, de V. S. et R. M.
très humble et très obéissant, etc. ,.
Ed in conformità appunto dello stabilito in questo dispaccio,
susseguirono gli effetti. Il marchese di Gorzegno ebbe il mini-
stero degli affari esteri, e vi si comportò in modo, in mezzo
alle più scabrose circostanze, nei cinque anni circa del suo
esercizio, che ben si può dire, essere stato l'avvenuto scambio
appena avvertito. E il cav. Ossorio continuò a risiedere a Londra,
coadiuvando il ministro nel disbrigo degli ardui affari a lui
commessi, con lo stesso zelo e la stessa attività, che per l’ad-
dietro, sin dopo la sottoscrizione del trattato di pace d’ Aquisgrana;
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e —_ _-——_— Vv. —_—_v un
e inni cà iis ditte
UN SEGRETO EPISODIO DELLA VITA MINISTERIALE, ECC. 611
nel qual tempo, cioè nel 1749, essendosi stabilito il matrimonio
del duca di Savoia, principe ereditario, coll’infanta Maria Anto-
nietta di Spagna, sorella del re Ferdinando VI, il cav. Ossorio
fu mandato ambasciatore straordinario a Madrid per chiederne
la mano ed accompagnare la sposa alla volta del Piemonte.
Il 30 maggio 1750, avendo il re conferito al marchese di
Gorzegno la carica di gran Ciambellano, quattro giorni dopo,
nominava a suo successore in quella di primo segretario di Stato
per gli affari esteri il cav. Ossorio, il quale, per tal modo, ot-
tenne finalmente, dopo dieci anni d’aspettativa, il posto promes-
sogli, un po’ tardi, è vero, ma colla coscienza almeno di non
aver concorso, anche solo involontariamente, ad una ingiustizia
e ad una vendetta, che avrebbero poco felicemente inaugurato
il suo ministero.
Il Gorzegno poco godette della nuova sua carica, essendo
mancato ai vivi appena 25 giorni dopo ottenutala, e mancato
povero al segno, che le quattro sue figlie ebbero per grazia di
ricevere dal re una dote di lire sei mila caduna!
612
Sunto della Memoria:
Federico Herbart e la sua dottrina pedagogica;
del Socio GIUSEPPE ALLIEVO.
L’autore esordisce con brevi cenni intorno la vita, le opere,
le idee filosofiche di Federico Herbart, poi passa a delineare il
disegno generale della pedagogia herbartiana, con alcune con-
siderazioni preliminari riguardanti la scienza e l’arte dell’edu-
care, l’unità scientifica della pedagogia ed il fine dell'educazione,
l’individualità dell'alunno e la coltura molteplice ed egualmente
distribuita.
La Pedagogia generale di Herbart viene divisa in tre parti,
che riguardano successivamente il governo dei fanciulli, l’istru-
zione e la coltura morale.
Il governo dei fanciulli apparisce necessario a fine di pre-
venire il male, che conseguirebbe dalla intemperanza dei loro
desiderii ed impedire lo stato di conflitto e di collisione nei
rapporti sociali. La minaccia e la sorveglianza, l'autorità e l’a-
more, la corrispondenza degli animi dell’educatore e dell’alunno
sono i precipui mezzi, coi quali vuolsi procedere nel governo
dei fanciulli.
La teorica dell’istruzione tiene un gran campo nella peda-
gogia herbartiana, tantochè sopra di essa ha il suo fondamento
la stessa coltura morale. Il filosofo tedesco ripone il supremo
principio direttivo dell'istruzione nell’interesse didattico: qui sta
la nota originale della sua teorica. Essa non va ideata e distesa
sulle facoltà dell'anima, che secondo lui non esistono punto,
nè sulle scienze, le quali sono semplici materiali bisognevoli di
essere trasformati secondo l’occorrenza, bensì sulle diverse guise
di interessi, che si vogliono svegliare nell’alunno ammaestran-
dolo; ma la sua dottrina su questo punto non regge, sia perchè
li le
613
importerebbe l’esistenza delle potenze umane da lui negata, sia
perchè l’interesse non è nè la sola, nè la suprema dote della
istruzione.
Discendendo dall’ istruzione in generale a’ suoi particolari,
si passa ad esaminare l’insegnamento nella sua materia ossia
negli oggetti di studio, nel suo processo metodico, nel suo ordi-
namento scolastico, nel suo risultato finale. Riguardo all’ inse-
gnamento religioso in particolare, il pedagogista tedesco opina
- che “ la filosofia, come tale, non è nè ortodossa, nè eterodossa
, bi , ,
come la fede non è, nè può essere con ragione la filosofia ,;
ma egli non ha avvertito che la filosofia può diventare orto-
dossa od eterodossa secondochè propugna principii, che svolti
nelle loro conseguenze riescono ad avvalorare od infirmare le
credenze religiose, quali lo spiritualismo ed il teismo da una
parte, il naturalismo, il materialismo, lo scetticismo dall’altra.
L'istruzione è mezzo, che ha per fine la coltura morale, la
quale viene riposta “ nell'azione immediata esercitata sull’anima
del fanciullo collo scopo di formarla ,. Definizione, che non tiene
conto della corrispondente attività dell'alunno e che per la sua
troppa estensione porta a confondere la coltura morale con
l'educazione umana tutta quanta. Formare il carattere del fan-
ciullo mediante l'istruzione, tale è il còmpito della coltura mo-
rale. La teorica di Herbart intorno questa rilevantissima parte
dell'educazione umana non regge alla critica ed è colpita da
una intrinseca contraddizione. Egli ripone il carattere morale
nella volontà, che si risolve tra due cose opposte, scegliendo
l’una, l’altra rigettando. Ora il carattere morale veramente in-
teso importa che la risoluzione della volontà sia fatta con li-
bertà, con coscienza di sè, con forza ed energia, con costanza e
fermezza ed abbia per oggetto l'adempimento del giusto e del-
l’onesto; e tutti questi elementi mancano nella proposta defi-
nizione. Poichè Herbart avendo posto per principio psicologico
che l’anima umana non ha nè attitudine, nè facoltà di ricevere
o produrre alcunchè, non può più logicamente ammettere la
volontà siccome facoltà attiva, per cui l’anima si risolve sce-
gliendo e rigettando. Oltre di che egli esagerando l’efficacia
dell'istruzione sull'educazione morale ha riposto la forza mo-
trice e determinante dell'anima non già nella volontà, ma nei
gruppi delle idee dominanti.
614
Alla esposizione critica della pedagogia generale di Herbart
succede un esame delle sue idee intorno l'educazione propria
delle differenti età ed il diverso còmpito della famiglia e dello
Stato rispetto alla medesima.
La Memoria si chiude ricercando se nella pedagogia her-
bartiana il concetto dell’individualità personale dell’alunno tenga
quel posto eminente che gli spetta nell’àmbito della scienza
pedagogica. La libera attività personale dell’educando è rico-
nosciuta dal pedagogista tedesco, ma non è conciliabile nè colla
sua definizione della coltura morale, nè col suo concetto psico-
logico, che considera l'io non come una causa realmente e so-
stanzialmente sussistente, bensì come un effetto, cioè come il
punto di riunione delle molteplici rappresentazioni, sicchè l’il-
lusione di un io indipendente origina da che le leggi del com-
posto non coincidono con le leggi delle forze componenti.
Federico Herbart concepì il problema pedagogico sotto un
aspetto affatto nuovo, come ha tentato una trasformazione ra-
dicale della psicologia; ma la stessa sua teoria psicologica nocque
non poco alla sua dottrina pedagogica.
L’ Accademico Segretario
Ermanno FERRERO.
615
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA
Dall’8 al 22 Marzo 1896.
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali
NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio;
uelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono.
,
* Abhandlungen der mathem.-physischen Classe der k. Sichsischen Gesell-
schaft der Wissenschaften. Bd. XXIII, n. 1. Leipzig, 1896; 8°.
+ Anales de la Sociedad Cientifica Argentina. Entrega VI, tom. XL;
I-II, tom. XLI. Buenos Aires, 1895-6; 8°.
* Annales des Mines. 9° série, t. VIII, livr. 10-11. Paris, 1895.
Atti della Società Italiana di Scienze naturali. Vol. XXXV, fasc. 3°-4°,
Milano, 1896; 8°.
* Atti del Reale Istituto d’Incoragg. di Napoli. 4* serie, vol. VIII. 1895; 4°.
* Atti e Rendiconti dell’Acce. Medico-chir. di Perugia; vol. VII, f. 4. 1895.
Atti della Società Piemontese d’Igiene; Anno II, fase. 1°. Torino, 1896; 8°.
* Bollettino del R. Comitato Geolog. d’Italia. Anno 1895, n.4. Roma, 1895; 8°.
Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia comparata della R. Università
di Torino, n.i 208-220 del vol. X; Indice decennale; n. 221-228 del
vol. XI. Torino, 1894-95; 8°.
* Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2*, v. XVI,
n. 1. Torino, 1896.
* Bulletin de la Société belge de microscopie. XXII° année, 1895-96, n. I-IV.
Bruxelles, 1896; 8°.
* Bulletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College.
Vol. XXVII, n. 7. Cambridge U. S. A., 1896; 8°.
* Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico-
chirurgica ecc. Serie VII, vol. VII, fasc. 1-2. Bologna, 1896; 8°.
Clinica Dermosifilopatica della R. Università di Roma. Prof. R. Cam-
PANA, Direttore. Anno 1896, fasc. I. Roma; 8°.
* Giornale della R. Accademia di medicina. A. LIX, n. 2. Torino, 1896; 8°.
* Journal of the R. Microscopical Society, 1896, part 1. London; 8°.
* Memorie dell’Accademia di Verona. Vol. LXXI, serie III, fasc. 2. 1895; 8°.
** Morphologische Arbeiten. Herausg. von D" G. Schwalbe. 5 Bd., 3 Heft.
Jena, 1896; 8°.
* Observations publiées par l’Institut météorologique central de la Société
des Sciences de Finlande, vol. treizième, 1" livr. Observ. météorologiques
faites è Helsingfors en 1894. Helsingfors, 1895; 4°.
*
616 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
* Osservazioni meteorologiche eseguite nell’anno 1895 (dal R. Osservo. Astron.
di Brera in Milano).
* Pamietnik Akademii Umiejetno$ci w Krakowie. Wydziat matematyezno-
przyrodniczy. T. XVIII, 3. Krakowie, 1894; 4°.
* Proceedings of the Royal Physical Society. Session 1894-95. Edinburgh,
1895; 8°.
* Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, Tom. X, fasc. I-II, e
Annuario per l’anno 1896. Palermo, 1896; 8°.
* Sitzungsberichte der Kén. Preuss. Akademie der Wissenschaften zu
Berlin. Jahrgang 1895; n. XXXIX (17 Oct.)-LIII (19 Dec. 1895). Berlin; 8°.
* Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXIX, 2. Modena; 1896; 8°.
Arcidiacono (S.). Sul terremoto del 13 aprile 1895 avvenuto in provincia
di Siracusa. Roma, 1895; 4° (dall’A.).
Die XXVI. allgemeine Versammlung der deutschen Gesellschaft fir An-
thropologie, Ethnologie und Urgeschichte in Cassel, 1895. Miinchen; 4°
(dal sig. Waldeyer). f)
Gerota(D.). Die Lymphgefàsse des Rectums und des Anus. Berlin, 1895; 8° (Z4.).
Glasenapp (S. de). Mesures micrométriques d’étoiles doubles faites è
St-Pétersbourg et è Domkino. St-Pétersbourg, 1895; 4° (dalla famiglia
Basso).
Mascari (A.). Sulla frequenza delle macchie solari osservate nel Regio
Osservatorio di Catania durante l’anno 1893, 1894.
— Protuberanze solari osservate nel Regio Osservatorio di Catania nel-
l’anno 1893, 1894. Roma, 1894-95; 4° (dall’A.).
-— Osservazioni del pianeta Venere fatte negli anni 1892-93-94-95 all’Os-
servatorio di Catania e sull'Etna. Leipzig, 1896; 4° (Zd.).
Riccò (A.). All’Osservatorio Etneo. Catania, 1895; 8° (I4.).
— Photograph of the nebula near 42 Orionis, made at the Astrophysical
Observatory of Catania. Catania, 1895; 8° (Id.).
— e Mascari (A.). Eclisse di Luna del 5 settembre 1895 osservata all’Os-
servatorio Etneo ed in quello di Catania. Roma, 1895; 4° (Id.).
Waldeyer (W.). Ueber Bindegewebszellen, insbesondere iber Plasmazellen.
Berlin, 1895; 8° (Zd.).
— Bemerkungen zur Anatomie der Art. obturatoria. Jena, 1895; 8° (Z4.).
— Die neueren Ansichten iber den Bau und das Wesen der Zelle. Leipzig,
1895; 8° (Zd.).
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche
Dal 15 al 29 Marzo 1896.
** Allgemeine Deutsche Biographie. Lief. 199-200. Leipzig, 1896; 8°.
* Annali dell’Università di Perugia. Pubblicazioni periodiche della Facoltà
i Giurisprudenza. N. S. Vol. V, fasc. 8° e 4°. Perugia, 1896; 8".
|
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PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 617
.* Annuario della R. Università di Pisa per l’anno accademico 1895-96.
Pisa, 1896; 8°.
| * Atti della Società Ligure di Storia patria, Vol. XXVII. Genova, 1895; 8°.
* Bulletin de la Société d’Études des Hautes-Alpes. II° série, n. 15, 1895.
Gap, 1895; 8°.
Cause di morte. Statistica degli anni 1893 e 1894. Roma, 1896; 8° (dal
Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio).
* Cosmos. Vol. XII, n. 3. Torino, 1896; 8°.
* Die Kongelige. Norske Frederiks Universitets Aarsberetning for Aaret
1871-1873, 1875, 1878, 1883/84-1893/94. Christiania, 1872-1895; 16 vol. 8°.
Inventaire sommaire des Archives Départementales antérieures à 1790.
Doubs: Archives civiles. Sér. B. Chambre des Comptes de Franche-
Comté, n° 1711-3228, t. III.
Nord: Archives civiles. Sér. B. Chambre des Comptes de Lille, n°* 3390
à 3665, t. VIII.
Seine-et-Oise: Archives Ecclésiastiques. Sér. G. Clergé séculier.
Alpes-Maritimes: Inventaire sommaire des Archives Hospitalières, anté-
rieures à 1792. Série H. Supplément.
Ardenne: Inventaire sommaire des Archives historiques de Charleville
(Ville & Hospice).
Bésangon, Lille, Versailles, Nice, Charleville, 1394-95 (dal Governo francese).
* Mémoires de l’Académie de Stanislas. 5ème série, t. XII. Nancy, 1895; 8°.
Mémoires publiés par les Membres de la Mission Archéologique frangaise
au Caire. T. X, 3ème fasc. Paris, 1895; 4° (dal Ministero dell’Istruzione
Pubblica e di Belle Arti di Francia).
* Mensaje del Presidente de la Repiblica al abrir las sesiones de la hono-
rable Asamblea en el tercer periodo de la XVIII legislatura. Febrero
15 de 1896. Montevideo; 8° (dal Governo della Repubblica dell’ Uruguay).
* Revue de l’histoire des religions. XVI° année, t. XXXI, n. 3; XXXII, n. 1.
Paris, 1895; 8°.
Rosario (11) e la Nuova Pompei. Anno XII, quad. I-1II. Valle di Pompei,
1896; 8°.
Sanskrit Critical Journal of the Oriental Nobility Institute. Woking,
England, vol. XXV, n. 12, 1895; 8°.
Claretta (G.). Il deposito delle reliquie di S. Agostino a Pavia e il re di
Sardegna Carlo Emanuele II. Pavia, 1894; 8° (dall’A.).
Costa (E.). Papiniano. Studio di storia interna del diritto romano. Bologna,
1894-96; 3 vol. 8° (Id.).
*#* Sanuto (M.). Diari. Fasc. 195. Venezia, 1896; 4°.
Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi.
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CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 12 Aprile 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO
DIRETTORE DELLA CLASSE
Sono presenti i Socii: Brzzozero, Mosso, Spezia, Graco-
MINI, CAMERANO, SEGRE, VoLTERRA, JADANZA, Foà, GUARESCHI
e Naccari Segretario.
Viene letto ed approvato l’atto verbale della seduta pre-
cedente.
Il Presidente scusa l’assenza del Socio Cossa.
Il Segretario comunica alla Classe una lettera del Socio
corrispondente J. J. THowson colla quale questi accetta, ringra-
ziando, l’incarico di rappresentare l'Accademia nelle feste che
si faranno nel prossimo giugno a ‘Glasgow in onore di Lord
Kelvin.
Il Socio CAMERANO presenta una memoria del Dott. Ermanno
GiLro-Tos intitolata: “ Sulle cellule del sangue della Lampreda ,,.
Sarà esaminata da speciale commissione.
In seguito a relazione favorevole della commissione inca-
ricata dell'esame della memoria del Dott. Gino Fano intitolata:
“ Sulle varietà algebriche con un gruppo continuo non integrabile
di trasformazioni projettive in sè ,, si approva la lettura e quindi
la stampa della memoria stessa.
Il Socio NaccarI a nome del Socio FERRARIS presenta una
nota dell’Ing. Riccardo Arnò intitolata: “ La radiazione Rontgen
con tubi di Hittorf ad idrogeno rarefatto ,. Sarà inserita negli Atti.
Lo stesso Socio NAccARI presenta una memoria del Profes-
sore Antonio GaARrBASSO: “ Sopra alcuni fenomeni luminosi pre-
sentati dalle scaglie di certi insetti ,, la quale verrà esaminata
da apposita commissione.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 43
620 RICCARDO ARNÒ
LETTURE
La radiazione di Rointgen con tubi di Hittorf
ad idrogeno rarefatto (1) ;
Nota di RICCARDO ARNÒ.
È noto che l'intensità della radiazione di Réntgen emanante
da un tubo di Hittorf varia col variare delle condizioni in cui
si produce la radiazione catodica nell'interno del tubo; ed è pure
noto che le condizioni più favorevoli vengono raggiunte dopo
parecchie ore di funzionamento del tubo stesso.
Partendo dall'ipotesi, emessa da vari sperimentatori, che la
causa di tale fatto abbia ad essere attribuita ad un assorbimento
del gas rinchiuso nel tubo, per parte degli elettrodi metallici,
durante la scarica, mi sono proposto di sperimentare sopra un
tubo di Hittorf ad elettrodi di platino, stato riempito di gas
idrogeno prima di venire sottoposto alle operazioni di rarefa-
zione e di essiccazione (2). Essendo in tale tubo, per la natura
del gas ivi contenuto, reso massimo l'assorbimento di questo per
parte del metallo onde sono costituiti gli elettrodi, dovrà acca-
dere, se effettivamente l'intensità della radiazione di Ròntgen è |
funzione della rarefazione del gas, che le condizioni più favo-
revoli potranno essere raggiunte in un tempo assai breve, rela-
tivamente a quello che occorre per l’attivazione dei tubi ordinari.
(1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Elettrotecnica del R. Museo indu-
striale italiano.
(2) Il tubo ha la forma a pera ed una distanza fra gli elettrodi di circa
7 cm. Le operazioni di rarefazione e di essiccazione del gas idrogeno sono
state eseguite dalla Società Italiana di Elettricità sistema Cruto, con un
suo metodo speciale.
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LA RADIAZIONE DI RONTGEN CON TUBI DI HITTORF ECC. 621
Per attivazione intendo l’acquistare che fa il tubo, mediante l’uso,
la proprietà di produrre con la massima intensità gli effetti di
Rontgen.
L'esperienza ha confermato tale previsione. Con una cor-
rente dell’intensità di 5 ampère nella spirale primaria del roc-
chetto di induzione e dopo pochi minuti di funzionamento del
tubo ad idrogeno rarefatto, questo incominciava a rendere fluo-
rescente uno schermo al platinocianuro di bario ed a impres-
sionare delle lastre fotografiche. Dopo circa mezz’ora di attiva-
zione ho ricavato sopra una lastra fotografica, alla distanza
di 30 cm. dal tubo, coll’interposizione di una lastra di piombo
dello spessore di 0,2 mm. e con la posa di trenta minuti, l’ombra
delle ossa della mia mano. Dopo circa un'ora di attivazione ho
ottenuto sopra un’altra lastra, alla distanza di cinque metri dal
tubo e con la posa di sessanta minuti, l'ombra di una croce di
piombo applicata sulla scatola di cartone nero in cui era rac-
chiusa la lastra.
Per contro però i tubi ad idrogeno rarefatto hanno, a pa-
rità delle altre condizioni, una vita notevolmente più breve di
quella dei tubi ordinari: in essi, con l’uso prolungato, la rare-
fazione e quindi la resistenza del gas diviene troppo grande
perchè possa ancora aver luogo, con l’ordinaria corrente nella
spirale primaria del rocchetto, la scarica attraverso al gas rin-
chiuso nel tubo.
Ho inoltre sperimentato sopra tubi ad idrogeno rarefatto
di maggiori dimensioni ed ho verificato che, col crescere delle
dimensioni del tubo, aumenta in proporzione tanto il tempo ne-
cessario alla sua attivazione, quanto la vita del tubo stesso.
Finalmente ho sottoposto ad esperimento un tubo ad idro-
geno rarefatto con elettrodi di carbone. In tal caso non ho po-
tuto constatare, anche dopo parecchie ore di eccitazione, nè la
generazione di raggi catodici nell'interno, nè la conseguente
produzione degli effetti di Ròntgen all’esterno del tubo.
Ammessa la teoria del Crookes, secondo la quale la radia-
« zione catodica è una proiezione di materia elettrizzata, lanciata
dal catodo sulla parete del tubo, risulta che l’intensità della
radiazione di Rintgen dipende, oltre che dal grado di rarefa-
zione, anche dalla natura del gas rinchiuso nel tubo.
Il Lodge, prendendo a considerare un atomo di massa m
622 RICCARDO ARNÒ
carico di una quantità di elettricità 9g ed attraversante con una
velocità v un campo magnetico di intensità H, ha dimostrato (1)
che la curvatura magnetica p della traiettoria è espressa dalla
relazione
ci
Rim iance È
Ma il fattore n è, per una data sostanza, una costante, poichè
esso rappresenta il reciproco dell’equivalente elettrochimico della
sostanza medesima: onde la curvatura p della traiettoria è in-
versamente proporzionale alla velocità v, con cui l'atomo con-
siderato attraversa il campo magnetico di intensità H.
Ritenendo dunque vera l’ipotesi del Crookes, ne consegue
che la velocità dei raggi catodici nell’interno del tubo è tanto
maggiore quanto minore è la loro deviazione sotto l’azione di
un campo magnetico di intensità data. Ora Lenard, sperimen-
tando all’esterno di un tubo di Hittorf sui raggi catodici fatti
uscire dal vuoto all’aria libera attraverso ad un diaframma di
alluminio, ha trovato che un aumento della rarefazione del gas
rinchiuso nel tubo apporta come conseguenza una diminuzione
della deviazione impressa a quei raggi da un campo magnetico
di intensità data. Potremo quindi dire che la velocità dei raggi
catodici aumenta col grado di rarefazione del gas nell’interno
del tubo. E poichè dal grado di rarefazione del gas dipende
l'intensità con cui sono prodotti gli effetti di Rontgen, ne segue
ancora che questa cresce col crescere della velocità dei raggi
catodici, che di quegli effetti sono indirettamente la causa.
Ma, continuando a basare il nostro ragionamento sull’ipo-
tesi del Crookes e sulle considerazioni del Lodge, possiamo os-
servare che la velocità dei raggi catodici è, per un dato grado
di rarefazione del gas contenuto nel tubo generatore, inversa-
mente proporzionale all’equivalente elettrochimico del gas me-
desimo. Dunque sperimentando con un gas rarefatto, il cui equi-
valente elettrochimico sia minore di quello dell’aria, per esempio
con gas idrogeno, ne dovrebbe conseguire una velocità dei raggi
(1) On the rays of Lenard amd Rbòntgen (* The Electrician ,, 31 gen-
naio 1896).
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no rr = ee", ra ©
ee oi e leo ill è dei cc
R. ARNÒ — LA RADIAZIONE DI RONTGEN CON TUBI DI HITTORF ECC. 623
catodici, e quindi un’intensità della radiazione di Rontgen, mag-
giore che per l’aria; e ciò in corrispondenza del medesimo grado
di rarefazione.
Ora se gli effetti di Rontgen fossero dovuti ad un movi-
mento periodico dell’etere, generato da uno stato vibratorio della
parete del tubo sottoposta agli urti degli atomi carichi, la fre-
quenza della vibrazione dovrebbe dipendere dalla velocità dei
raggi catodici, che producono, incontrando il vetro, la vibrazione
stessa. La massima intensità della radiazione di Roòntgen sa-
rebbe allora la conseguenza di quella frequenza del movimento
periodico, che corrisponde alla massima velocità dei raggi ca-
todici; e tale frequenza si dovrebbe poter raggiungere o por-
tando il gas ad un alto grado di rarefazione, o sperimentando
con un gas, per cui sia relativamente piccolo l’equivalente elettro-
chimico.
Relazione sulla Memoria del Dott. Gino Fawxo, intitolata:
“ Sulle varietà algebriche con un gruppo continuo
non integrabile di trasformazioni protettive in sè ,.
La determinazione di tutti i possibili gruppi continui di
trasformazioni projettive e delle varietà che son trasformate in
sè da tali gruppi è un problema di somma importanza, non solo
per se stesso e per l'immediata applicazione geometrica ed ana-
litica, ma anche ad esempio per la moderna teoria delle equa-
zioni differenziali lineari, nella quale è ben noto come sia fon-
damentale la considerazione dei gruppi di sostituzioni lineari.
L’illustre autore della teoria generale dei gruppi di trasforma-
zioni, il nostro Corrispondente Prof. Lie, ha risolto quel problema
pei primi casi che si presentano, facendo vedere come i suoi
metodi si possano applicare ai gruppi projettivi di qualunque
spazio superiore. Però se quei metodi, che già per lo spazio
ordinario hanno richiesto dal Lie una ricerca un po’ minuta, si
dovessero applicare agli spazi di quattro o più dimensioni, essi
porterebbero a calcoli di una lunghezza eccessiva. Opportune
considerazioni geometriche possono abbreviare la ricerca ed anche
624
illuminarla meglio. A questo concetto s’ispirano alcuni recenti
lavori di giovani geometri italiani, e in particolare la Memoria
attuale del D" Fano.
Basandosi su un teorema del sig. EncEL secondo cui un
gruppo continuo non integrabile è caratterizzato dal contenere
un sottogruppo semplice 005, la determinazione delle varietà con
gruppi continui non integrabili di trasformazioni projettive si
riduce al caso che il gruppo sia 008. Ora i gruppi projettivi 00°
di uno spazio qualunque S, sono suscettibili di semplici defini-
zioni geometriche. Invero essi trasformano sempre in sè delle
curve razionali normali di spazi subordinati, i quali sono fra
loro indipendenti e formano una figura che appartiene all'S,. Ne
deriva che non solo riesce facile enumerare tutti quei gruppi
per un dato valore di r, ma anche si presenta in modo assai
notevole la questione di determinare le varietà invariabili per
quei gruppi. Se cioè sulle dette curve razionali normali si rap-
presentano in modo acconcio delle forme binarie dei loro rispet-
tivi ordini, ogni varietà algebrica M,_, di S, che ammetta il
gruppo considerato di trasformazioni projettive sarà rappresen-
tata analiticamente da un invariante simultaneo delle dette forme
binarie. Applicando queste considerazioni allo spazio ordinario
si ritrovano per questo le note curve e superficie con gruppi
projettivi non integrabili di trasformazioni in sè. Applicandole
invece all’S, si trovano le diverse curve, superficie e varietà My
con gruppi siffatti di trasformazioni. A vero dire, di varietà
nuove se ne incontrano poche: ma anche per le varietà note si
ha così un nuovo punto di vista, da cui esse posson essere util-
mente considerate.
Tale è, in brevi tratti, il contenuto della Memoria del D' Faro.
A nostro avviso, essa merita pienamente di esser letta e di venir
pubblicata nei volumi accademici.
E. D’OvrIpro.
V. VOLTERRA.
C. SEGRE, relatore.
L’ Accademico Segretario
ANDREA NACCARI.
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625
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 19 Aprile 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Socii: CLarettA, Direttore della Classe,
Peyron, BoLLati DI Sarnt-Prerre, Pezzi, NANI, COGNETTI DE
Martns, CrporLa, Brusa, ALLIEvo e FERRERO Segretario.
Il Socio Segretario offre, a nome del Socio Corrispondente
Prof. Felice BArnABEI, la relazione da questo pubblicata in
unione col Conte A. Cozza: “ Di un antico tempio scoperto presso
le Ferriere, nella tenuta di Conca, ove si pone la sede dell'antica
città di Satricum , (Roma, 1896), e a nome pure dell’autore,
avv. Giovanni MiwoeLio, un opuscolo: “ Brevi cenni storici sulla
chiesa di S. Domenico in Casale Monferrato , (Torino, 1896).
Il Socio CrpoLLa, a nome dell'Autore, Ing. Agostino AGo-
STINI, presenta l’opera: “ Castiglione delle Stiviere dalle sue ori-
gini sino ai giorni nostri , (Castiglione-Stiviere, 1892; Brescia,
1895, 2 fascicoli).
Sono comunicate le lettere, con cui i signori Augusto
PinLocÒe, Giacomo Bryce ed Alessandro CHIAPPELLI ringraziano
per la loro nomina a Socii Corrispondenti dell’Accademia.
626
Il Direttore della Classe legge una sua Commemorazione
del Socio Corrispondente conte Filippo LINATI.
Il Socio ALLievo legge una sua nota: “ La libera attività del-
l’educando secondo Enrico Pestalozzi e Gian Giacomo Rousseau ,.
Il Socio Crrorra legge una nota del Dott. Giovanni Mercati:
“ Di un palimpsesto Ambrosiano contenente i Salmi esapli e di
un'antica versione latina del Commentario perduto di Teodoro di
Mopsuestia ,, ed una nota del Dott. Serafino Rrccer: “ Di una
stele con iscrizione trilingue rinvenuta a File in Egitto ,.
La commemorazione e le note anzidette sono pubblicate
negli Atti.
Il Socio CrpoLLa presenta pure un lavoro manoscritto del
Prof. Carlo MERKEL: “ Nicolò Scillacio e le relazioni intorno al
secondo viaggio di Cristoforo Colombo in America ,, di cui l’au-
tore desidera l’inserzione nelle Memorie.
Ad esaminarlo ed a riferirne in una prossima adunanza il
Presidente delega il Direttore della Classe CLARETTA, il Socio
Segretario FerRERO ed il Socio presentante.
G. CLARETTA — FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 627
LETTURE
FILIPPO LINATI
Commemorazione del socio GAUDENZIO CLARETTA.
Se i casi speciali della sua vita non hanno troppo di note-
vole, il complesso di essa è pur tale da non dover rimanere
involto in quella ingiusta obblivione che colpisce talora molti
che sarebbero invece degni di essere ricordati, e per le doti
loro intellettuali, e per quell’operosità di studii serbata mode-
stamente in mezzo al raccoglimento sino all’ultimo. Tanto più
sono poi meritevoli di elogio coloro che seppero durarla negli
studii lottando contro i seducenti svagamenti della vita signo-
rile, virtù che ben di rado s'incontra in quanti non nacquero
sotto l’austera disciplina del bisogno. Imperocchè costoro il più
delle volte, dopo aver menato vita scioperata ed inerte, godente
in bruta indifferenza, col crescer degli anni divenuti campioni
emeriti dell’ozio, cadono facilmente in invettive derisorie contro
ogni cosa che rimproveri la loro spenta esistenza, e specialmente
contro il vivere disciplinato e lo studio assiduo di quanti sep-
pero uscire dalle schiere del volgo titolato.
lo qui non mi farò a ricordar troppo le glorie avite dei
Linati: questo còmpito già fu raggiunto dal giornale che in-
tende specialmente a tal fatta d’indagini (1). Anzi chi avesse
vaghezza di saperne qualche cosa, ivi troverebbe una breve
scrittura postuma dello stesso conte Filippo che s°’intertiene
delle particolarità della gente sua.
Ne basterà qui ricordare che la famiglia Linati o Lunati
originaria di Genova, ove sul finir del secolo XV attendeva alla
mercatura, stabilivasi a Parma sul principio del seguente. Alla
(1) V. il N. 9 del “ Giornale araldico-genealogico diplomatico dell’Ac-
cademia araldica italiana ,. Bari, 1895.
628 GAUDENZIO CLARETTA
corte dei Farnesi essa non tardò a rendersi ragguardevole, co-
sicchè, già nell’iniziarsi del secolo XVII, Giovanni diveniva ve-
scovo di Borgo S. Donnino, poi di Piacenza, e suo fratello
Orazio segretario del duca Ranuccio.
Ma omettendo reminiscenze che non si possono ascrivere a
merito alcuno dell’estinto, ne basta conchiudere che l’avo del
conte Linati, anche Filippo di nome, seguìta la fortuna napo-
leonica, fu nel 1808 deputato del dipartimento del Taro al corpo
legislativo di Francia, poi nel 1831, alla partenza di Maria
Luigia, fuggita di Parma per la rivoluzione ivi scoppiata, pre-
sidente di quel Governo provvisorio; quindi al ristorarsi del
Governo legittimo, coi due capi Barbarini e Melegari, processato,
ma più tardi assolto.
Claudio suo figlio trovossi avvolto in tutti i commovimenti
politici che agitarono l’età sua. Fu ascritto ai carbonari, ben
sapendosi come coloro che in quei tempi volevano partecipare
all’azione politica passavano per le sètte. Ed i carbonari appunto,
precursori della Giovine Italia, furon quelli che produssero i
moti del 1821 in Piemonte ed in Napoli. Aiutò l'insurrezione
spagnuola ; diè appoggio ai moti insurrezionali or citati del 1821
nel Piemonte, ed in premio ebbe per qualche tempo la relega-
zione nel noto carcere di Santa Margherita di Milano; favorì
una seconda volta l'insurrezione di Spagna, migrò poscia in
Francia, nel Belgio e nel Messico e morì a Tampico nel 1832.
Il nostro Filippo che raccolse il retaggio di questi due suoi
ascendenti, i quali avevano favoreggiata la causa liberale, nacque
a Barcellona, il nove gennaio del 1816, dal matrimonio dell’or
nominato Claudio con Isabella dei Bacardi. Egli iniziò la sua
vita sul calle dell’esiglio e temperò l'animo suo alle durezze ed
ai disagi, sofferti dall’avo e dal padre. Non poteva egli essere
insensibile alle nuove forme di governo che sorsero in Italia nei
rivolgimenti degli anni 1847 e 1848, ed in questi ultimi appunto
visitò il Piemonte. E da quell’epoca sino al fine egli serbò il
più schietto affetto al nostro paese in cui veniva spesso, facen-
dovi lunghe mansioni. Io il conobbi appunto un trent'anni fa
incirca, in mezzo a quel geniale ritrovo della più eletta società
torinese e straniera, che sapevano così bene, seguendo l’usanza
paterna, accogliere nelle ore vespertine di ciascun giorno del-
l’anno Federigo Sclopis e la sua degna compagna (la quale aveva
FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 629
—ammirabil tatto per metter tutti in buona luce e toccar quei
tasti che specialmente rispondessero alla capacità ed alle ten-
denze dei conversanti), che solevano in seno ad amici provati
rinfrancare le forze dello spirito dai lavori giornalieri; ed ai
quali convegni per essere ammessi non si teneva conto dei
quarti del blasone, sibbene dei pregi personali (1). E qui mi si
conceda una parentesi per ricordare lo Sclopis, il cui nome io
commosso ho il bene di pronunziare in quest'aula che fu per
mezzo secolo testimone della sua dottrina profonda, delle rette
e virtuose sue aspirazioni, de’ suoi ammaestramenti e degli auto-
revoli consigli che uscirono dal suo labbro, facondo sempre, sino
al giorno in cui, confortato dalla fede benefica che lo sostenne
in tutto il lungo e laborioso cammino percorso, discese nella
tomba gloriosa, sulla quale questa fortuita occasione mi con-
sente di deporre un modesto fiorellino oggi, dopo sedici anni
dalla sua dipartita.
Ma per ritornar al Linati, l’opera sua palese in favore
della redenzione della sua patria comincia nel 1859, in cui dal
nuovo governatore degli Stati parmensi, il piemontese Diodato
Pallieri, consigliere di Stato, fu eletto podestà di Parma. Fu
allora ch’egli si offrì di recarsi a Parigi per presentare a Na-
poleone III un indirizzo cittadino, in cui veniva espresso il voto
della decadenza della dinastia Borbonica, e l’offerta della sovra-
nità al re Vittorio Emanuele II.
Ne basti questo cenno senza venire a particolari che ci
(1) Il Bersezio nel suo Regno di V. Emanuele II, lib. 6, p. 8, scrisse
che ‘“..... l’ospitale accoglienza di uomini illustri in conversazione abituale
era in uso nella casa Sclopis fin dai tempi della gioventù e anzi dell’in-
fanzia del conte Federico ..... così che era un attestato di merito, deside-
rato e ricercato come un premio, il venire ammesso nelle conversazioni di
casa Sclopis ..... s: Ed invero ben si può oggi rimpiangere siffatta mancanza
di convegni così scelti fra noi, non potendosi tentar paragoni della Torino
d'oggi a quella del 1852 al 1865, alla quale faceva capo tutta la vita pubblica
italiana. Cadute le barriere che tenevano prima disgiunte le classi varie dei
cittadini, i salotti dei Balbo, degli Alfieri e degli Sclopis, come prima
quello più riservato della marchesa di Barolo, fornivano il più eletto ri-
trovo di alcuni degli ambasciatori residenti presso la Corte, de’ ministri e
de’ profughi più scelti e riservati che col gomito toccavano lo scrittore e
l'artista, le cui opere avevano ben meritato presso il pubblico, amalgaman-
dosi così a poco a poco vari e disparati elementi ben disgregati per l’innanzi.
630 GAUDENZIO CLARETTA
farebbero uscire dai limiti che deve avere la presente notizia
sommaria. Ma invece è pregio dell’opera di sapere, come il
27 luglio dello stesso anno il Cantelli, a nome del governatore,
accogliesse la domanda che il Linati, in un con Leonzio Arme-
longhi, Carlo Nandini, Angelo Garbarini, Enrico Pontoli, Salva-
tore Riva e Clemente Asperti, aveva sporta per poter pubbli-
care in Parma un giornale che si avesse a denominare la Gazzetta
dell’elettore.
Nel successivo agosto il Linati fece parte del primo ufficio
provvisorio dell’Assemblea Costituente. Il nove.settembre veniva
da questa, essendo dittatore degli Stati parmensi Luigi Farini,
convalidata l'elezione di fra Filippo Linati a deputato dei col-
legi V e VI di Parma e del collegio di Colorno. Nè faccia specie
ai meno pratici l’appellazione di fra data al neo deputato, poichè
egli apparteneva in qualità di cavalier professo di giustizia al-
l'Ordine di Malta sino dal 1840. Ma non devesi celare che ap-
punto in considerazione di questa qualità nasceva nel seno di
quell’assemblea una controversia abbastanza vivace. Alcuni non
intendevano di convalidare quella nomina, notando che il Linati,
come cavaliere di Malta, era tenuto ai voti frateschi di povertà,
di castità e di obbedienza. Dei due primi si teneva poco conto,
sapendosi ch’erano sempre stati illusorii ed un mero sottinteso,
come lo dimostravano i fasti dell'Ordine, e com'era facile d’al-
tronde il supporre in gentiluomini che vivevano fra l’eletta della
società europea in mezzo alle corti e con abito militare al ser-
vizio dei principi. Ma in quanto al terzo voto, si temeva in forza
di esso una certa dipendenza dal superior diretto, che fosse ca-
pace a far vacillare la fede del deputato. Era dunque nato un
dibattito abbastanza vivo in mezzo all’assembiea : si misero in
campo gli statuti dell'Ordine del 1676, ed il suono loro non era
favorevole ; si scartabellò il noto dizionario di erudizione eccle-
siastica del Moroni, e il responso non quietava troppo. Si volle
consultare persino l’Andrée nel suo Cours aiphabétique et métho-
dique de droit canon, ed ivi si trovò, i cavalieri di Malta non
essere religiosi se non in largo modo, perchè les v@eux des uns
et des autres ne sont pas entièrement semblables. Nemmeno questa
definizione si tenne appagante: ma tolse le dubbiezze e tagliò
il nodo lo stesso interessato fra Filippo con questa dichiarazione:
“ Io dichiaro sull’onor mio che i voti che mi legano all’Or-
MI
FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 631
dine Gerosolimitano non m’impediscono punto di emettere un
voto libero e coscienzioso nell'assemblea nazionale al pari di
qualunque altro deputato ,.
Fra Firippo LINATI.
A fronte di questa dichiarazione, e considerando che pa-
recchi di quei cavalieri tenevano impieghi civili e militari presso
varii potentati d'Europa, e tenendo conto delle esimie qualità
personali del Linati, il terzo ufficio rimuovevasi dalla rigorosa
decisione, e convalidava la triplice elezione di lui. Ma egli optava
poi pel collegio di Colorno, siccome quello che primo avevagli
offerto la deputazione. Nè quella dichiarazione punto ebbe a
nuocergli nei rapporti coll’Ordine, poichè il suo nome continuò
a comparire nell’albo di quei cavalieri, e, meglio ancora, egli
sempre fruì dei redditi della commenda che aveva ottenuta. Ma
che un vincolo l’avesse, sebbene non nocevole al fatto che
aveva sollevato quella controversia, il vedremo sul finire di
questa commemorazione.
Il Farini offrì pure al Linati l'ufficio di provveditore degli
studii di Parma, ufficio delicato, se vuoi, ma ricusato da lui.
Meritamente però egli fu compreso poco dopo, nella prima ele-
zione dei membri della Camera vitalizia seguìta nell’ Emilia
agli 8 di marzo del 1860. D’indi in poi egli prese qualche parte
alla politica militante, ma sol nella misura consentitagli dalla
sua salute e dalle cure alle quali era intento (1).
Del resto, a proposito della parte avuta dal Linati alle
discussioni politiche, addurrò le parole stesse pronunziate da
lui in Senato in un discorso del quale parleremo fra breve...
«“ Di rado, egli nota, di rado io prendo la parola in quest’aula
perchè ebbi sempre la coscienza che nelle ordinarie questioni
amministrative e finanziarie la debole mia voce poco potesse
aggiungere al vostro senno ed alla vostra prudenza... ,.
(1) Vi fu un momento credo, tra il 1868 e il 1870, che il Linati ebbe
qualche maggiore relazione col governo e forse può essere allora, come
scrisse il suo amico ch.®° prof. Michelangelo Billia (° Gazzetta di Torino ,
del 28 settembre 1895), che il Linati fu una volta designato ministro della
pubblica istruzione; ma non ho dati positivi che mi consentano, nè di affer-
marlo, nè di negarlo.
632 GAUDENZIO CLARETTA
E giacchè percorriamo quest’arringo non indugiamo, a saggio
della parte presa da lui nella vita parlamentare, accennare ad
una delle più importanti discussioni, nelle quali egli stimò di
manifestare il suo modo di pensare. Ma per aver conoscenza
esatta dell’uomo, della sua fede e de’ suoi principii non ineresca
di avvertire prima, come il Linati, tuttochè non avesse dottrine
profonde in un ramo piuttosto che in un altro del sapere, si
dimostrò non digiuno degli studii storico-filosofici, letterarii e
sociali, coltivati negli anni giovanili. Fondato sull'esperienza che
potè avere dell'avviamento della cosa pubblica, e consentaneo
con quanti stimano non potersi far a meno della morale e del
presidio religioso, s'astenne sempre dal blandire il secolo, a cui
non lasciò risparmiare gli insegnamenti che andavano contro la
corrente, capace qual era del resto di resistere alle turbe, civium
prava iubentium.
Le sue credenze furono rigidamente cattoliche, e fermati i
dubbii del pensiero in una formula di fede liberamente accet-
tata, questa pose al di sopra di ogni convenienza transitoria
di fatto, senz'abbassare nè impicciolire il suo ingegno.
Il suo amor del vero non era come in parecchi un plato-
nismo annacquato che si tien pago di fiacche affermazioni. Egli
non rifuggiva dalla controversia, e difendeva la sua tesi con
quella insistente fermezza che poggia sul profondo convinci-
mento ; e ben dissimile da quei tali che cercano in ogni nobile
atto il tarlo dei secondi fini. Di codesti principii diè prova in
tutta la sua vita, e negli scritti, e nelle parole e nel tentativo
fatto di promuovere una fazione conservatrice. E nel Nuovo
Risorgimento, pubblicazione letterario-filosofica sorta nel 1890
grazie alle cure del memorato professore Billia, inserì pure il
Linati un suo programma pei conservatori italiani. Ma è bene
avvertire che i canoni fondamentali del suo programma non
erano punto basati su principii retrivi ed intransigenti, dichia-
rando apertamente che... “ conservare non vuol dire dietreggiare
e rifare il passato, non vuol dire scemare la libertà, volere la
uguaglianza col dispotismo e col privilegio. Conservare vuol dire
nè più nè meno ciò che suona la parola, propugnando l'integrità
della nazione, della monarchia, dello statuto, ossequio al diritto
naturale, alla religione, la protezione dei veri e legittimi inte-
ressi della popolazione. Io non escludo gli acquisti coloniali, ma
tenia.
UR a Teor veg e o
FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 633
penso che prima di attendere ai medesimi convenga colonizzare
la parte abbandonata del nostro territorio... ,.
Dello stesso stampo sono altri suoi opuscoli e sui conser-
vatori e le elezioni, e sugli astensionisti ; e come la conciliazione
sia possibile, ecc.
Ed ecco ora il discorso sovraccennato, pronunziato da lui
in Senato nel 1876, sul quale credo bene d’intrattenermi a prova
di queste mie preliminari asserzioni.
Come nissuno ignora, il ministro di grazia e giustizia
Pasquale Stanislao Mancini aveva in quell’ anno presentato
alla Camera il disegno di legge sovra gli abusi dei ministri
dei culti nell'esercizio del loro ministero, approvato dalla
Camera il 24 gennaio con 150 voti favorevoli su ben cento
contrari.
Presentato quel disegno al Senato nella tornata del 5 feb-
braio, essendone presidente Sebastiano Tecchio, la discussione
cominciata il ventotto aprile veniva chiusa il quattro maggio.
Fra i vari oratori che salirono la tribuna per impugnare
la legge uno fu, come dicemmo, il nostro Linati, che fece sen-
tire le sue osservazioni a quel Consesso nella tornata del primo
maggio. Consentaneo ai suoi principii, egli combattè quel disegno
di legge, giudicato da lui pernicioso, siccome quello che si allon-
tanava da quei principii di giustizia, di moderazione, di prudenza
e di ordine che deve professare un governo al quale stiano a
cuore i retti intendimenti di equità e di imparzialità verso ogni
classe di cittadini. Nè sia discaro ai leggitori che io riferisca
qui alcuni brevi periodi del suo discorso, siccome quelli che
meglio ci fanno conoscere com’egli la pensasse :
“ Io accolsi con plauso , egli esordiva “ il programma del-
l’attuale gabinetto, perchè ci vidi la promessa di un'éra di
eguaglianza e libertà vera per tutti, ma appunto perchè accolsi
quel programma sento il debito di essere ministeriale contro lo
stesso ministero e di difendere contro la presente legge i larghi
e generosi principi in quel programma racchiusi... ,. Egli oppu-
gnava quella legge come eccezionale; “... e le leggi eccezionali
sono sempre ingiuste, perchè puniscono in un individuo ciò che
tollerano in un altro; sono sempre immorali, perchè affermano
in principio che sia proibito ad un individuo, ad un ceto di fare
quello che è lecito ad un altro; sono sempre impolitiche, perchè
694 GAUDENZIO CLARETTA
tolgono alla giustizia quel prestigio d’imparzialità che solo può
renderla autorevole e rispettata ,.
Siccome talune delle colpe che s’intendevano punire con
quella legge già erano represse dalla legge comune, così ne sa-
rebbe venuto che essa si riduceva a colpire i fatti o positivi o
negativi, e che, e nell’uno e nell’altro caso, la legge diveniva
ineseguibile ed odiosa (1).
Questo discorso fruttava all’autore un bravo e un bene, de’
quali echeggiò l’aula del Senato. Ma quel che qui può essere
ancora avvertito si è che altro de’ nostri colleghi, Carlo Bon-
compagni, prendeva egualmente la parola per sostenere, ma con
ben maggior fondo ed apparato di dottrina e di erudizione, la
tesi propugnata dal Linati.
Nè ciò basta ancora: senza che allora se lo sapesse, si
associava tacitamente a questi due nostri colleghi il già sovra
memorato conte Sclopis, il quale, fautore sincero di libertà, es-
(1) “I preti nascono in Italia e checchè si faccia, dovranno tardi o tosto
diventare italiani, se noi con improvvide leggi non impediremo loro di
sentirsi cittadini, di partecipare ai benefici della libertà. Ma se ciò non
dovesse avvenire, che potete voi temere dal clero? Il clero ebbe per lunghi
secoli il privilegio esclusivo di dare alla società il morale ed intellettuale
indirizzo, e ciò non valse a ritardare di mezz’ ora il trionfo delle idee
nuove. Noi tutti siamo nati quando il clero era arbitro delle scuole e della
stampa, e non perciò riuscì a spegnere e ad indebolire le nostre aspirazioni
verso l'indipendenza e la libertà nazionale. E vorreste temerlo oggi che è
povero, inerme, perseguitato? Ciò sarebbe un porre in dubbio la santità e
la giustizia e la forza irresistibile del nostro provvidenziale risorgimento.
I preti non diverranno temibili che il giorno in cui li abbiate trasformati
in martiri, il giorno in cui abbiate cambiata l'indifferenza dei più in com-
passione ed interessamento ... ,.
Egli conchiudeva così: “ Io deploro quanto voi che una parte del clero
disconosca quanto vi ha di bello e di grande nel nostro nazionale risorgi-
mento, ma siccome cattolico non voglio che la religione sia posta a ser-
vigio delle passioni politiche, come liberale non voglio che i beneficii della
libertà siano posti a servigio delle passioni settarie. Se vorremo un’egua-
glianza solo a vantaggio dei vincitori dell’oggi; se vorremo la giustizia solo .
a profitto dei nostri interessi; se vorremo la tolleranza solo per le nostre
opinioni, noi scalzeremo la base del vivere libero, perchè daremo con i
fatti una smentita a quanto proclamiamo in principio, perchè insegneremo
al mondo una volta di più, che oggi, come sempre, chi vince, opprime, sia
‘dai gradini di un trono, sia dall’albero della libertà ,.
© |A O n
FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 635
sendo devotissimo alla dinastia, ma amatore del progresso ret-
tamente inteso e graduato, se non prese parte a quella discus-
sione, tenne da Torino commercio epistolare col suo illustre
collega il senatore Fedele Lampertico, al quale scrisse alcune
lettere, che questi dava poi alla luce nella Rassegna Nazionale
col titolo: Le leggi sugli abusi dei ministri dei culti e il conte
Sclopis.
Siccome è noto, quella legge veniva poi dal Senato repulsa
nella tornata del sette maggio di quell’anno con voti contrari
105 su 92 favorevoli.
Anche per un’altra controversia scottante volle il Linati
rompere una lancia, voglio dire pel divorzio nell’occasione che
il ministro Villa avevane riproposta la legge al Parlamento
nel 1881. E così egli accrebbe la lunga schiera di oppugnatori
che col Passaglia (1), col domenicano Didon (2) noverava il San-
tini ed il Cenni, i quali, nella stessa rassegna Nazionale del 1881,
nella quale il Linati aveva pubblicato il suo scritto, manifesta-
rono nello stesso senso, ma con maggior copia di dottrina, le loro
idee, e ciò con buona venia del biografo del Linati che scrisse
essere stata la sua memoria la più succosa comparsa (3).
Certo però è che impegnatosi in quell’argomento, ne trattò
altra volta, scrivendo nel citato Nuovo Risorgimento una protesta
ed inneggiando all’iniziativa presa dal professor Gabba a difesa
dell’indissolubilità delle nozze.
Del resto, ogniqualvolta o proponevansi disegni di leggi
un poco eccezionali, o l'opinione pubblica manifestava colla
stampa teorie non comuni, egli non lasciava di dichiarare il suo
modo di pensare. Quindi sin dal 1848 aveva pubblicato a To-
rino, coi tipi del Pomba, una nuova teoria sul sistema rappre-
sentativo, propugnando il principio che i municipii avessero ad
essere costituiti per una metà di possidenti e per l’altra di lavo-
ratori, classe questa che, secondo lui, doveva comprendere gli
avvocati e i professori di arti liberali, in un cogli artigiani, coi
contadini, ecc. Nel 1865 dava alla luce in Napoli un opuscolo
sul diritto di associazione in Italia, minacciato dalla legge Vacca,
(1) Conferenza dell’aprile 1880.
(2) Conférences de S. Philippe du Roule. Paris, Dentu, 1880.
(3) Il sovracitato prof. M. Billia.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. Al
636 GAUDENZIO CLARETTA
e nel 1867 un’operetta di 97 pagine sul razionalismo e sulla
religione, confutando i nuovi favoreggiatori della Dea Ragione.
Ma omettendo di accennare a varii suoi opuscoli, ad arti-
coletti sui giornali, compilati in fretta, e, come è della sorte
loro, destinati a vivere breve vita, alla guisa degli apparati di
una festa che il giorno dopo si buttan via, non bisogna negare
ch'egli erasi applicato a varii generi di studii ; fatto non istraor-
dinario, poichè nei varii rami dello scibile avvi un’affinità, un
vincolo che collega le scienze figlie, dirò così, della stessa fa-
miglia letteraria, rampolli dello stesso tronco. Ma è anco vero,
che a pochissimi riesce di poter esser versati in più di una di
esse. Comunque ne sia, il Linati prese a trattare soggetti di
storia, di filosofia, di economia sociale e di politica, che se non
riuscirono tutti accetti, non si può negare che alcuni di essi
non sieno privi di qualche valore, per quanto alcuni non abbiano
potuto sopravvivere al loro autore. Sin dagli anni giovanili fu
il Linati discepolo delle Muse : ed i suoi versi, la maggior parte
come dicesi di occasione, senz’avere singolarità seducente di si-
militudini e di imaginose descrizioni, non si possono nemmeno
dir privi di certo brio e snellezza.
E poichè cade in acconcio vuolsi notare che non tutti gli
autori dei versi di occasione devono essere posti in fascio con
quei volgari facitori di versi che un secolo fa rigogliosamente
nutriva l’Arcadia nei suoi poveri orti, e che nemmen oggi sono
pienamente scomparsi, tuttochè siane cangiata la natura. Impe-
rocchè se scarsi sono ai tempi che corrono i festaioli che v'im-
pongano il balzello di un sonetto pel loro santo, o gli amici o
i congiunti che vogliano la poesia per le sacre loro vestali, bru-
licano invece i feroci tormentatori che pretendono il verso od
il brindisi per l’amico o pel superiore in ufficio od in amministra-
zione, neo-decorati. E sì che parecchie volte costoro sono, anche
nelle città e d’ordinario ne’ villaggi, null’altro che grottesche
figure di sindaci o speziali o mercantuzzi, fedeli, e talor esecu-
tori inconscii di mandati che lasciano ben poca edificazione nei
retti pensatori, o che non ebbero altro scopo che l’utile dei loro
protettori. Ecco il perchè conviene talora vedere premiati in
ogni grado persino omiciattoli, non solo privi del menomo va-
lore, ma macchiati pur di atti che in tempi normali ed in paesi
diversamente retti sarebbero puniti coll’ergastolo.
FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 637
Ma passiamo oltre, poichè queste miserie non tangono il
Linati, che non fu mai blanditore di simili turpi sconcezze,
e facciamoci invece senz'altro a considerare una monografia sto-
rica pubblicata da lui negli “ Atti della R. Deputazione di Storia
patria per le province dell’Emilia ,, nel 1879.
Essa versa intorno al parmigiano Claudio Cogorani, inge-
gnere, ch'era fiorito nel secolo XVII. Questa dissertazione, sulla
quale egli manifestò divergenza d’opinioni da un illustre nostro
collega, serve anco a provare quanto il Linati possedesse una
intelligenza storica, se forse non molto larga, sicura al certo.
Egli non apparteneva a coloro, che dal condannar tutto il pas-
sato vorrebbero trarre argomento della necessità di rifare a
nuovo il mondo, od a quegli altri che vorrebbero trovare nel
passato il solo esemplare su cui rifondere la società. E se il
Linati, nè conviene dimenticarlo, si fosse applicato a minor nu-
mero di materie, talora disparate, forse i suoi lavori storici
avrebbero potuto avere lettori, più di coloro le cui opere mol-
teplici e voluminose rimarranno piuttosto patrimonio esclusivo
degli eruditi e dei dotti. Ciò premesso, vuolsi avvertire che
l'ingegnere Cogorani, di cui s'intrattenne il Linati, aveva ser-
vito molti padroni, l’imperatore Rodolfo II, gli Estensi, i gran-
duchi di Toscana, ecc., fatto per nulla straordinario, e che va
ed andrà/sempre rinovellandosi in qualunque professore di arti
liberali. Nel 1614 poi aveva avuto dal marchese Incisa, gover-
natore di Milano per la Spagna, mentre ferveva la guerra col
duca di Savoia Carlo Emanuele I per la nota successione di
quella potenza, l’incarico di costrurre in riva della Sesia il forte
chiamato poi di Sandoval, demolito nel 1638 allorchè il mar-
chese di Leganes ebbe ad impadronirsi di Vercelli.
In quell'occasione l'ingegnere Muzio Oddi, visto il forte co-
strutto dal Cogorani, aveva scritto a Pier Mattia ed al colonnello
Giordani, in una lettera che si conserva nell’Oliveriana di Parma,
queste parole: “ Il Cogorano sa di architettura quanto le mie
scarpe : è stato aiutato et portato avanti dal signor Duca di
Parma suo padrone e benchè si vedano e si conoscano da tutti
manifestamente i suoi errori, l'autorità nondimeno di chi lo porta
può tanto che si battezzano per cosa considerevolissima e fatta
con somma prudenza... ,. Questo brano di lettera dell’emulo del
Cogorani veniva riportato dal Promis nella sua importante ed
638 GAUDENZIO CLARETTA
erudita biografia di ingegneri militari italiani dal secolo XV alla
metà del XVIII, edita dal suo nipote avvocato Vincenzo (1), ma
col rincarir la dose degli appunti del Muzio Oddi. Infatti egli
avendo potuto ritrovare un autografo del Cogorani, pieno zeppo
di solecismi e di madornali errori d’ortografia, volle con questo
mezzo distruggere affatto la fama di quell’ingegnere, e spal-
leggiare invece l’emulo nelle sue poco benevoli insinuazioni.
Notisi poi ancora che il Promis faceva un appunto ancor più
grave al Cogorano, come quello che veniva a ledere il suo ca-
rattere, osservando essere stati insomma ingegneri italiani che
ebbero a costrurre un fortilizio destinato a ribadire il servizio
della patria.
Il Linati adunque non seppe menar buone al Promis queste
osservazioni, oppugnate da lui quali inopportune e premature ;
non quella sull’incapacità poggiata sulla scorrettezza sola di una
sua lettera, ben sapendosi quanto a quei giorni pochissimi fa-
cevano studii letterari, e non si credevano nemmeno in debito
di farli. A ragione si meraviglia il Linati che il Promis, a fronte
di parecchie altre testimonianze, accettasse come buona moneta
il giudizio dell’Oddi, ingegnere anco lui e che poteva aver ge-
losia di altro pari suo chiamato di fuori, e per soprappiù giunto
ad essersi procacciato credito nell’esercito (2).
(1) “ Miscellanea di storia italiana ,, XIV.
(2) Del resto è bene sapere che il Promis stesso non mantenne in mas-
sima sempre lo stesso sentimento. Per convincersene basta leggere il suo
carteggio col cavaliere Amadio Ronchini, di cui ora pure parleremo. Ivi sin dal
1864, a proposito dell’architetto Gerolamo Genga, egli aveva scritto : “...Delle
mie noterelle accidentali sulla ignoranza degli artisti ed ingegneri nel XVI
secolo, ne faccia ella quanto vuole. Chi avesse tempo a ciò le potrebbe
aggrandire di molto, essendo allora il saper leggere e scrivere, da avvocati,
medici, negozianti, insomma da chi ne traeva speciale vantaggio. Il Cellini
che scrive così meravigliosamente bene, non lo sa, e va dal Varchi a farsi
correggere. Ora gli artisti sanno leggere e scrivere, ma non sono mica più dotti
di quanto lo fossero allora... ,. Memorie e lettere di Carlo Promis ecc., raccolte
dal dott. Gracomo Lumsroso, Torino, 1877, pag. 247. E pochi giorni prima
lo stesso Promis aveva scritto anche al Ronchini: “ Non mi fa specie che il
Marchi a 32 anni non sapesse scrivere; era questo il caso di non pochi tra i suoi
coetanei. Così il capitano Frate da Modena (del quale ella conosce la bella
vita scritta dal marchese Campori), quantunque di nobil casato ed autore di
un trattato, in età di quasi 80 anni affermava in pubblico atto di non saper
nè poter scrivere. Il valente biografo cerca di coonestare la cosa, ma le pa-
FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 639
In quanto poi all’aver voluto il Promis far carico al Cogo-
rani di aver prestato servizio ai dominatori d’Italia, così il
Linati prende a confutarlo, cominciando ad osservare che era
questo un voler dimenticare affatto le idee, i costumi e il diritto
pubblico del tempo nel quale egli era vissuto: “ ...Ci sono voluti
secoli di oppressioni e di servitù, trasformazioni politiche straor-
dinarie, slancio unanime di filosofi e di poeti, congiure fallite e
soffocate nel sangue, perchè i sentimenti di un'Italia libera ed
indipendente entrassero nel cuore di ogni classe di cittadini. Sul
principio di questo secolo gli uomini più cospicui avevano a
gloria ed a fortuna il seguire il vessillo straniero che Napoleone I
spingeva sui campi della vittoria. Ed il signor Promis vorrebbe
far colpa al Cogorani di non aver di tre secoli precorso i suoi
tempi! Via, è uno spingere troppo oltre i blandimenti verso
il nostro ,. Credo che nessuno dissentirà dal retto e spregiu-
dicato ragionare del Linati, poichè ad ogni modo si potrebbe
sempre dire che gli errori dei padri deggiono far rinsavire i
figli, e costoro devono valersi della saviezza loro per migliorare
se stessi e il loro tempo, e non per maledire i padri e rappre-
sentarli anche più colpevoli di quel che furono. Nella stessa
raccolta delle memorie succitate il Linati pubblicò altresì la
commemorazione del socio effettivo di quella Deputazione di
storia or citata, Amadio Ronchini, autore di varie pregevoli me-
morie storiche e direttore dell'Archivio di Stato parmense dal
1840 al 1890, cioè per un. mezzo secolo, e che era succeduto
a sua volta all’illustre Angelo Pezzana, corrispondente pure di
quest’Accademia, e Nestore ai suoi dì dei letterati e dei biblio-
grafi italiani.
Queste notizie sommarie sembrami che saranno sufficienti
per lo scopo di questa nota necrologica. Per amor del vero ci
role sono troppo formali. Il grande Bramante, che era poeta e dirigeva fab-
briche importantissime non meno per numero che per qualità, Bramante
non sapeva scrivere per attestato di Sabba Castiglione che lo doveva sa-
pere vivendo a Milano alla stessa età. Non so più dove abbia letto che il
duca Cosimo, principe di svegliatissimo ingegno, aveva bisogno di veder
modelli di fortezze, perchè le piante non le intendeva: chi dice questo è
un contemporaneo, e non ne fa caso alcuno come di cosa frequente... ni
Ib., pag. 246. Ho addotto questi periodi perchè convalidano l'opinione del
Linati; forse il Promis non credeva di contraddirsi di tal guisa quando
scrisse quegli accenti sul conto dell'ingegnere Cogorani.
640 GAUDENZIO CLARETTA
si permetta soltanto di aggiungere, che se non tutti gli scritti
del Linati potranno essere accettati dalla scienza severa, come la
fisiologia trascendentale e il pensiero sulla generazione, lavori che
dimostrano come molti studii furono sciupati per errore di me-
todo, egli è fuori dubbio che l’operosità sua fu più che comune.
Infatti ei lavorò sino all’ultimo, e cadde sull'opera sua come il
lavoratore instancabile al cader del sole. Pochi giorni prima della
sua morte egli pubblicò ancora nel Nuovo Risorgimento una lettera
aperta sul socialismo, e un’operetta, La famiglia e lo Stato, conden-
sando in un centinaio di pagine una dottrina vasta e collegata
nelle sue parti, più che non appaia al considerarla superficialmente.
Abbiam accennato nell’esordio all’affetto e alla predilezione
che sulle altre parti d’Italia egli ebbe inverso il Piemonte. Ed
allorquando scioltosi dai legami che lo tenevano vincolato all’Or-
dine di Malta (1), si unì in matrimonio seguendo gli impulsi del
cuore, che sebben talor inganni non ingannò lui, dal Piemonte
tolse quella che doveva essergli compagna nel resto dei suoi
giorni (2). E l’unigenito Pier Maria Claudio, natogli a Genova
nel 1867, volle affidare al principale istituto educativo che sotto
gli auspicii del magnanimo re Carlo Alberto fiorisce da mezzo
secolo in una amena cittadella a poche leghe da Torino. E com-
piuti egli i suoi studii, laureavasi in leggi a Genova nel 1892,
sostenendo per tesi di laurea l'argomento Matrimonio e Divorzio,
che pietosamente volle dedicato a sua madre, allor defunta,
come nesso che congiugnesse l’estinta ai superstiti e desolati
padre e figlio.
Ma i giorni propizii della sua vita erano numerati; e la
perdita della consorte ed i malanni inseparabili dalla vecchiaia
davano da qualche tempo in lui segni di deperimento, cosichè
il 17 del settembre scorso egli cedeva al comun fato nella sua
patria, dove i suoi funerali ebbero numeroso concorso di amici
e di estimatori.
(1) Io aveva in quei tempi udito raccontare l’aneddoto, del quale non
mi assumo però alcuna mallevaria, ed è che portatosi il Linati a Roma per
ottenere dal sommo pontefice Pio IX l’esenzione dal voto di castità, e come
losco d’occhi egli essendo, incespicò; il che fece dire a quel papa, inclinato
ad arguzia di motti: “ Andate, andate pure; vedo che una compagnia vi è
proprio necessaria ,.
(2) Angela Chiaudano da Vercelli, colta insegnante.
G. CLARETTA — FILIPPO LINATI — COMMEMORAZIONE 641
Non mancarono al Linati e dal governo e dal pubblico molti
attestati di stima (1) ed onorifiche distinzioni, e senz’occuparci
troppo di queste per esserne da lunga età scemato il valore a
cagione della sventata profusione e della partigianeria che il più
delle volte ne regola le elargizioni, diremo ch’egli appartenne
alla nostra Accademia come socio corrispondente dal 26 no-
vembre del 1857: e fu aggregato agli Atenei di Venezia e di
Milano, alla Società ligure di Storia; e parecchi anni tenne la
presidenza della Deputazione parmense di storia patria.
Tale pertanto fu la vita di questo patriota che militò sempre
nel campo della moderazione ; vita piena di pensiero, di azione
e di studii, e che voglio lusingarmi di aver rappresentato senza
sforzar nulla, nè col disegno, nè coi colori. È vero che la mode-
razione, per quanto essa sia già una virtù dell’animo, oggi pare
venuta in uggia; ed in grazia delle ire di parte tanto degli uni
quanto degli altri militanti ne’ campi diversi, anzi opposti, ed
in grazia dell’audacia delle fazioni spalleggiate dai sofismi dei
giornali, la si vuol confondere colla codardia o con un freddo
sentimento di patriottismo. Ma forse, e ciò affermiamo senz’es-
sere vincolati da idee di un pessimismo partigiano, non sarà
troppo lontana l’epoca in cui si potrà vedere dove ci avranno
fatto giungere certe avventatezze, e che cosa avrà giovato esserci
scostati dalla temperanza, e che cosa saranno per partorire gli
eccessi.
Intanto non dubitiamo di proporre ad esempio la modera-
zione e la operosità del conte Linati: e sarebbe al certo ad
augurarsi che in quanto a queste doti il patriziato italiano
producesse uomini frequenti della sua stampa: e che molti dei
moderni Sardanapali, i quali si adagiano in molli ed infingardi
ozi, invece di predicar agli altri lavorate, dicessero invece una
buona volta lavoriamo, e concorriamo ad apportar materiali per
ricostituire su basi ben più morali l'odierno edifizio sociale. É
non vi par fors’egli che in questi momenti, al retorico excelsior
debba invece sostituirsi il men poetico, ma praticamente più
utile laboremus ?
(1) Il Sarmi, nel suo Parlamento subalpino e nazionale, lo disse Consi-
gliere di Stato; ma è un errore; il Linati non appartenne mai a quel-
l’illustre Consesso.
642 GIUSEPPE ALLIEVO
La libera attività dell’educando
secondo Enrico Pestalozzi e Gian Giacomo Rousseau;
Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO.
L'interiore attività dello spirito e la dignità personale della
natura umana, è questo, a mio avviso, il sommo principio di
tutta la scienza ed arte dell’educare. Questo principio parmi di
ravvisare tratteggiato sia nella persona, sia nella dottrina pe-
dagogica di Enrico Pestalozzi. Il suo carattere franco, onesto,
incrollabile, la sua vivace e brillante immaginazione, il suo sen-
timento profondamente religioso, il suo cuore ardente di gene-
roso amore verso i fanciulli ed i poveri abbandonati, la sua
instancabile operosità illuminata da una splendida intelligenza,
ed in mezzo a tutte queste magnifiche doti la rara modestia
del suo animo fanno di lui una di quelle nature elette e pri-
vilegiate, che hanno pochi pari nella storia dell'educazione. Egli
concepiva il nobilissimo proposito di rigenerare le classi popo-
lari mercè di una educazione elementare, che le elevasse al sen-
timento della dignità umana, e vi lavorò intorno tutta la vita
come chi sente la santità del magistero educativo, attingendo
la forza necessaria a tanta opera dagli intimi penetrali della
coscienza e dalla interiore potenza del suo spirito. Il suo ideale
era certamente troppo sublime, perchè la vita di un uomo an-
che fornito di validi sussidii potesse giungere fin là; ed egli
stesso nella modestia e lealtà dell'animo suo ebbe a confessare
candidamente, che nel corso delle sue esperienze incorse in
isbagli gravi e non pochi, nè i risultati sempre risposero al suo
concetto. Coll’agonia in cuore vide cadere l’un dopo l’altro gli
istituti educativi da lui fondati, a cui aveva consacrato gli averi,
l'ingegno, le forze, la vita, e per giunta fu colpito dalle atroci
calunnie de’ suoi medesimi amici, che lavoravano a’suoi fianchi
entro il medesimo recinto scolastico; ma sempre si mantenne
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LA LIBERA ATTIVITÀ DELL'EDUCANDO ECC. 643
calmo, rassegnato, fidente in Dio e nel trionfo finale della sua
idea. Tale fu la persona di Enrico Pestalozzi.
Alla persona fa bella corrispondenza la dottrina pedagogica.
Egli esordì nel suo magistero educativo con un atto di protesta
contro il meccanismo scolastico dominante, che soffocava lo svi-
luppo spontaneo della mente, e che gli suggerì l’idea di fondare
l'educazione elementare sull’attività interiore dello spirito e sulla
dignità della persona umana. “ L’ Europa col suo sistema d’in-
segnamento popolare doveva per necessità piombare nell’errore,
o piuttosto nel traviamento, che la perde..... In Europa la col-
tura del popolo è riuscita ad un vano cianciume, funesto del
pari alla vera fede ed al vero sapere; una specie d'istruzione
di mere parole... È cosa incontestabile, che la manìa delle pa-
role e de’libri, la quale ha tutto assorbito nella nostra educa-
zione popolare, ci ha condotti a tale punto, che riesce impossi-
bile rimanere più a lungo quali siamo di presente , (1). “ Da per
tutto un processo contrario a quello della natura, da per tutto
la predominanza della carne sullo spirito, e l'elemento divino
relegato nell'ombra; l'egoismo e le passioni prese per moventi;
abitudini macchinali invece di una spontaneità intelligente , (2).
Così il Pestalozzi nel primo esordire della sua carriera aveva
riconosciuto che l’educazione elementare era viziata da un pro-
cesso artificiato, epperò compressivo, e che occorreva sostituire
il processo della natura, siccome quello, che si fonda sulla libera
e spontanea attività dello spirito. Ma qual è il processo pro-
prio della natura? Ecco il problema, che egli propose alla sua
meditazione. È cosa per sè manifesta, che a scoprire la legge,
che governa la natura nel suo procedimento, occorre prima co-
noscere in che consista essenzialmente essa natura umana. Ve-
diamo come l’autore abbia derivato dal concetto psicologico della
natura umana la legge universale del suo sviluppo, e come su
questa legge abbia fondato il suo concetto pedagogico.
Il Pestalozzi non ci ha lasciato un sistema di filosofia psi-
cologica, elaborato nelle sue parti ed armonicamente composto
a scientifica unità, ma il suo concetto dell’uomo traspare quale
(1) Come Geltrude istruisce i suoi fanciulli, lettera X.
(2) IZ Canto del Cigno, V.
614 GIUSEPPE ALLIEVO
là siccome una splendida intuizione sia da alcune pagine de’ suoi
scritti, sia dal tutt'insieme della sua opera educativa. L'uomo,
quanto alla sua origine, non è figlio del cieco caso, nè una trasfor-
mazione della materia bruta, bensì una creatura di Dio fornita
delle virtù necessarie per compiere la sublime destinazione, a
cui lo chiama il suo Creatore. Riguardato poi nella sua essenza,
è un organismo vivente: gli organi, che lo compongono, sono le
tre distinte forze, fisiche, intellettuali e morali, di cui è per na-
tura fornito. Queste forze da principio preesistono in lui invi-
luppate sotto forma di germe, ma in quel germe giace una
energia, una attività radicale, che lo trae ad uno sviluppo spon-
taneo, attività, che vi fu posta da natura e come tale è indi-
pendente dalle circostanze esteriori. “ Osservate un albero pian-
tato in riva delle acque correnti. Donde mai è uscito colle sue
radici, col suo tronco, colle sue branche, co’ suoi rami, co’ suoi
frutti? Vedete! Voi deponete nella terra un piccolo nocciolo.
In esso evvi lo spirito dell’albero, l'essenza dell’albero: esso è
il grano dell’albero: Dio è il padre, il creatore del nocciolo e
della terra feconda; Dio è grande nel nocciolo dell’albero...
Come io vedo crescere l’albero, così vedo crescere l’uomo. Prima
ancora che il bimbo sia nato, sonvi in lui i germi invisibili delle
disposizioni, che la sua vita trarrà allo sviluppo. Le forze di-
verse del suo essere e della sua vita si formano, come nell’al-
bero, restando unite, ma distinte, durante tutto il corso della
sua esistenza..... Tutte le facoltà del sapere, del potere e del
volere, distinte ma unite dallo spirito invisibile dell'organismo
umano, lavorano nell’armonia divina della fede e dell’amore,
concorrono tutte insieme a formare l’essere interiore, distinte
dalla carne e dal sangue, l’essere eterno di giustizia e di santità,
l’uomo creato all'immagine di Dio, per divenire perfetto, come
il suo Padre celeste è perfetto , (1).
L'uomo è un vivente organismo fornito di potere operativo,
di cuore e di intelligenza, ecco il concetto psicologico di Pesta-
lozzi. L'organismo umano si svolge dal proprio germe e si va
perfezionando in virtù di una energia intrinseca al germe stesso,
ecco la legge suprema, che governa il processo naturale dello
(1) Discorso pronunciato il 12 gennaio 1818.
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LA LIBERA ATTIVITÀ DELL’EDUCANDO ECC. 645
spirito umano, e che può essere appellata legge di organismo.
Su questa legge posa il principio fondamentale di tutta Ia sua
pedagogia. Il significato di questa legge applicata alla educa-
zione ci porta a riconoscere, che: 1° lo sviluppo educativo non
deve comporsi di elementi meccanicamente sovrapposti dal di
fuori alla persona del fanciullo, bensì deve sgorgare dall’attività
interiore del suo spirito secondata dall'opera dell’educatore;
2° che ciascuna delle tre forze supreme costitutive dell’essere
umano avendo natura sua propria, che dalle altre la distingue,
va educata con mezzi speciali e secondo leggi particolari con-
formi alla sua natura; 3° che siccome tutte e tre stanno insieme
unite tanto da formare un organismo concorde e vivente, così
vanno educate l’una congiuntamente con l’altra in un perfetto
ed armonico equilibrio.
Così il nostro autore ha fondato sul concetto dell'organismo
tutta la natura dell'essere umano e la sua educazione ed ha
idoleggiato la sua idea sotto l’immagine dell’organismo, quale
si osserva nelle piante e negli animali. Per certo vuolsi ricono-
scere, che dovunque vi è organismo, si manifesta la vita, e che
la vita importa un principio di attività insito nell'essere stesso
vivente, il quale perciò ci porta ad ammettere anche nel fan-
ciullo una energia interiore, suscettiva di uno sviluppo spon-
taneo e libero; ma a scansare ogni equivoco fa d’uopo porre
mente, che tra l'organismo fisiologico proprio delle piante e degli
animali e l’organismo mentale proprio dello spirito umano vi
corre non già identità di natura, ma una mera analogia, come
ho cercato di chiarire nel mio opuscolo Studi psicofisiologici,
pag. 13. Vero è, che egli riconosce, che l'organismo umano dif-
ferisce dall'organismo vegetale e dall’organismo animale, perchè
esso va fornito di libertà e coscienza; pur tuttavia io porto
ferma opinione, che più razionalmente e più agevolmente si riu-
scirebbe a stabilire la libera attività dello spirito, se invece di
prendere le mosse dal concetto dell'organismo, si muovesse dal
concetto di persona, la quale è per se stessa fornita di coscienza
e di libera attività volontaria, concetto, su cui io ho posato tutta
la mia dottrina antropologica e pedagogica.
È la vita, che educa (Canto del cigno, V). Con questa frase
felicissima e veramente scultoria il Pestalozzi formolò il con-
cetto supremo, che domina ed informa tutta la sua dottrina. È
646 GIUSEPPE ALLIEVO
veramente, osservo io, che è mai la vita, se non un principio
intimo, un centro di attività, da cui fluisce spontaneo tutto lo
sviluppo di un essere? Perchè adunque la vita sia educatrice,
occorre che l’intelligenza ed il cuore del fanciullo siano com-
penetrati dallo spirito della vita, e che di là questo spirito vi-
tale si espanda in tutte le azioni esterne di lui, ed allora sol-
tanto queste azioni saranno educative.
Scoperta la legge. dell'organismo direttiva dello sviluppo
naturale dello spirito umano, e quindi riposto il principio fon-
damentale dell’educazione nell'attività propria del fanciullo, l’au-
tore fonda su questo concetto tutto il disegno della educazione
elementare. “ La mia idea dell’educazione elementare risiede
nello sviluppare, secondo la legge naturale, le diverse forze del
fanciullo, morali, intellettuali e fisiche, colla subordinazione ne-
cessaria al loro vero equilibrio (Canto, ecc., V) ,. Ora tutte e tre
queste forze, il cuore, l'intelligenza, l’arte si sviluppano mediante
l’uso, la pratica, l'esercizio; e siccome questo esercizio deve pro-
venire ed essere accompagnato dallo spirito interiore, così è
sempre la vita, che educa il fanciullo sotto i tre grandi aspetti
della natura umana. “ Ciascuna delle nostre forze, morali, intel-
lettuali, industriose, non può trovare che in se stessa, e non già
nelle influenze esteriori artificiali, la ragione ed il mezzo del
suo aumento. Fa di mestieri, che la fede (del cuore) proceda
dalla fede, e non dalla conoscenza e dalla intelligenza di ciò,
che vuol essere creduto. Bisogna che il pensiero proceda dal
pensiero, e non dalla conoscenza e dalla intelligenza di ciò,
che vuol essere pensato o dalle leggi del pensiero. Fa d’uopo,
che l’amore proceda dall'amore, e non dalla conoscenza e dal-
l'intelligenza di ciò, che è l’amore, e di ciò, che merita di essere
amato. Occorre che l’arte anch’essa proceda dall'arte, dal saper
fare, e non da discorsi interminabili intorno l’arte ed il saper
fare (Discorso del 12 gennajo 1818) ,. Queste considerazioni
dell'autore sono fondate in verità, quando siano intese a chia-
rire, che ciascuna delle nostre fondamentali potenze ha natura
siffattamente propria e sua, che non può pigliare il suo punto
di mossa dall’altra, e che da prima si crede, si ama, si pensa,
si opera senza conoscenza di sorta, poi si conosce quel, che si
crede, si ama, si pensa e si opera. Il credere e l’amare non
origina dal conoscere, ma dalla stessa virtù del cuore.
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LA LIBERA ATTIVITÀ DELL’EDUCANDO ECC. 647
Discendendo ai particolari, vediamo come ciascuna parte
dell'educazione sia compenetrata ed avvivata dallo spirito in-
teriore dell'alunno. Per coltivare il cuore ed informarlo alla
moralità vuolsi fare assegnamento non tanto sui discorsi e
sulle esortazioni al bene operare, quanto sulle azioni stesse
trasformate a poco a poco in buone abitudini. Occorre avvez-
zare sin dai primi anni il fanciullo alla pratica delle virtù mo-
rali e cristiane cominciando da menome cose anche le più in-
significanti, per guisa che egli si assimili colla sua attività, e
non già col solo mezzo delle parole la moralità del costume.
Rispetto all'educazione intellettuale, il maestro deve proporsi
più di formare e fortificare il pensiero, che non di fornirlo di
cognizioni, più di far preparare il vaso, che di riempierlo, sicchè
il discente sia egli l'artefice del suo sapere ed acquisti il gusto
e la facilità di imparare da sè. Quindi il fanciullo imparando
sia sempre attivo; impari cioè col mezzo delle proprie impres-
sioni intuendo ed osservando co’proprii sensi, e non già col
mezzo delle parole. Le parole devono bensì venir compagne
delle idee per fissarle e renderle stabili dentro il pensiero, ma
non le dànno; e le parole senza le idee, che esse rappresen-
tano, valgono un bel niente. “ L'idea dell'educazione elementare
si applica altresì all'arte, come al cuore ed all'intelligenza: essa
rende il fanciullo attivo sin dal cominciamento, lo abilita a pro-
durre colle sue proprie forze dei risultati, che sono veramente
per lui, e gli dà ad un tempo il potere e la volontà di innal-
zarsi più su senza copiare servilmente gli altri. Gli è nelle con-
dizioni e ne’ bisogni della vita reale, nel recinto della sua fa-
miglia, che egli deve cominciare ad apprendere l’impiego ed il
perfezionamento delle sue forze sotto il rapporto dell’arte e
dell'industria (I! canto del cigno, V) ,.
Che se il Pestalozzi tiene in altissimo pregio la libera in-
dividualità dell'alunno e la vuole rispettata dall’educatore come
cosa sacra, sarebbe un frantendere il suo pensiero il credere
che egli propugni con ciò una indipendenza assoluta, sfrenata,
fuor d’ogni modo e misura. Anzi tutto egli voleva la libera
attività del fanciullo conciliata colla dignità propria della na-
tura umana, subordinando la coltura della vita fisica e l’impero
de’ sensi alla legge morale e spirituale. L'uomo non acquista
il libero dominio di sè per altra via se non mediante la vita
648 GIUSEPPE ALLIEVO
interiore dello spirito, che sente la sublimità della sua desti-
nazione; epperò l'istruzione e l’arte non erano l’unico e supremo
scopo, a cui egli intendeva, ma e l’una e l’altra voleva rivolte
all'educazione morale, coltivando il cuore, e nel cuore la fede,
l’amore, la giustizia. Nè si fermava a questo punto di una mo-
rale esclusivamente umana, o come oggidì la chiamano, indi-
pendente. Egli riconosceva l’esistenza originale del male nel
cuore dell’uomo, e quindi la sua naturale fiacchezza e la neces-
sità della grazia divina, che lo sorregga nel raggiungimento del
suo ideale. Quindi è che egli additava la religiosità siccome la
corona ed il compimento dell’opera educativa. “ Se l'elemento
religioso non penetra l’educazione tutta quanta, esso ben poco
influisce sulla vita, ma rimane isolato o ridotto a mera forma.
La religione non è un effetto dell’opera dell’uomo, bensì ele-
mento divino, che è nell'uomo, e della grazia di Dio. L’educa-
zione elementare sviluppando tutte le forze poste da natura
nell'uomo, sviluppa altresì e fin dalle prime l'elemento religioso
secondo la sua vera natura: e per ciò stesso l'educazione ele-
mentare è perfettamente conforme collo stato del Cristianesimo
(op. cit.);;-
Raffrontando fra di loro il Pestalozzi ed il Rousseau sia
in riguardo alla loro individualità personale, sia rispetto alle
loro dottrine pedagogiche, vi si scorgono vaghe e remote con-
sonanze in mezzo a profondi e spiccati contrasti. Ancor giovane,
il pedagogista di Zurigo lesse l’Emilio di Gian Giacomo, e quella
lettura lo scosse nelle più intime fibre dell’anima. Lo spirito
di libertà, che anima le pagine di quel libro, la straordinaria
potenza dell’immaginazione, che colorisce e ritrae al vivo le
idee, le attrattive incantevoli dello stile, la nobiltà e l'eccellenza
dell'educazione, trovano un’eco nel suo cuore e rispondono ai
sentimenti proprii dell'animo suo. Per qualche tempo egli rimase
soggiogato dall'autore dell’Emilio; ma quando il sacro dovere
di padre lo chiamò ad educare il proprio bimbo, allora sentì
svegliarsi in lui la coscienza della sua individualità personale,
e fatto accorto dalla propria esperienza, corresse gli errori
enormi, che si nascondono in quell’incantevole libro, e circo-
scrisse entro i confini della ragione i principii esorbitanti, che
rasentano il paradosso.
L'educazione debb’essere una libera espansione dello spirito
LA LIBERA ATTIVITÀ DELL’EDUCANDO ECC. 649
dell'alunno e non già un costringimento, una compressione, una
servitù: ecco un solenne principio pedagogico profondamente vero,
intorno al quale convengono i nostri due pensatori. Ma la libertà
dell’educando ha essa dei limiti, che la circoscrivano? Ecco il
punto, in cui stanno fra di loro in profondo dissidio. Rousseau
concepisce la natura umana siccome essenzialmente libera ed
assolutamente indipendente da ogni vincolo esteriore e sociale ;
concepisce la società .siccome oppressione e schiavitù. La natura
ci ha creati per la libertà; la società è la tiranna della natura,
ci disumana: obbedire ai doveri sociali è un rinnegare la libertà,
a cui abbiam diritto per natura. Per conseguente il fanciullo
non può essere ad un tempo educato in parte per sè, in parte
per la convivenza sociale, essendochè natura e società sono in-
conciliabili, ma va educato tutto per sè, nient'altro che per sè,
nella più assoluta indipendenza di se medesimo. Ecco in breve
il concetto di Rousseau intorno la libertà dell’educando. Ben
altrimenti la pensa il Pestalozzi. “ Maestro (egli scrive nel suo
giornale, 19 febbraio 1774)! Sii persuaso dell’eccellenza della
libertà!! Non ti lasciar punto trascinare dalla vanità ad otte-
nere a forza delle tue cure frutti prematuri; che il tuo fanciullo
sia libero quanto lo può essere. Tutto, assolutamente tutto ciò,
che puoi insegnargli, mediante gli effetti della natura medesima
delle cose, non glie lo insegnare colle parole! Lascia che egli
stesso veda, intenda, trovi, cada, si rialzi e si inganni. Ciò, che
può fare da sè, lo faccia! Che sia sempre occupato, sempre at-
tivo. Ma quando vedrai la necessità di abituarlo all’obbedienza,
preparalo con la massima cura a questo dovere difficile da
adempiere in una educazione libera... Senza obbedienza non v'è
educazione possibile. Sonvi casi urgenti, in cui la libertà del
fanciullo farebbe la sua perdita... La libertà è un bene; l’oh-
bedienza lo è del pari. Noi dobbiam riunire ciò, che Rousseau
ha separato: colpito dai vizi di un pazzo costringimento diso-
norevole per l'umanità, non ha trovato limiti alla libertà ,.
Entrambi prendono le mosse dal concetto della natura
umana, la quale pone il fondamento della vita e dell'educazione ;
ma quanto diversamente è interpretata dall'uno e dall'altro!
Rousseau non solo concepisce la natura siccome essenzialmente
libera e la società siccome assolutamente oppressiva e tiranna,
ma la ripone nelle ingenite tendenze a tutto ciò, che è piacevole,
650 GIUSEPPE ALLIEVO
a tutto ciò, che ci torna utile, a tutto ciò, che è ragionevole ed
onesto, e proclama che tutte e tre queste tendenze costitutive
della natura umana sono buone per se stesse, tutte pure da
qualsiasi pervertimento primordiale, sicchè non avvi punto per-
versità originale nel cuore umano. Il fanciullo esce di mano
della natura buono, integro, incorrotto; l’arte e la società lo
corrompono. Da questo concetto della natura egli ne inferiva,
che il fanciullo va educato dalla natura stessa, e non dall'uomo,
il quale appartenendo ad una società corrotta, non può non cor-
romperlo, che cioè l'educazione di lui debb'essere negativa per
parte nostra, positiva per parte sua. “ Non date al vostro alunno
veruna guisa di lezione verbale; egli non ne deve ricevere che
dall'esperienza. Non infliggetegli veruna specie di castigo, perchè
egli non sa quel, che significa essere in colpa. Non fategli
giammai dimandare perdono, perchè non saprebbe offendervi.
Sprovveduto di ogni moralità nelle sue azioni, non può far nulla,
che sia moralmente male e meriti castigo o riprensione (Emilio,
t. I, pag. 136, ediz. Parigi, 1831) ,. Il Pestalozzi muove anch'egli
dal concetto della natura umana, che emerge da forze fisiche,
intellettuali e morali insieme riunite, ma la riconosce origina-
riamente infetta da un germe di male, e per conseguente egli
giustamente ne argomenta, che il fanciullo abbisogna dell’opera
positiva di chi corregga le sue malnate tendenze educandolo al
bene, e della forza sovrannaturale divina, che rinfranchi la sua
fiacchezza e gli rassicuri il trionfo nella lotta contro le passioni.
L'educazione non è soltanto opera dell’intelligenza e del
pensiero, ma altresì del cuore, ed il cuore sarà sempre per l’e-
ducatore un saggio e sicuro consigliere segnatamente in certi
casi ardui, gravissimi e singolari, in cui vien meno la parola
medesima della scienza. Sotto questo riguardo l’Emilio ci porge
sott'occhio pagine ben poco confortanti. Il cuore di Rousseau
ha le sue simpatie e le sue antipatie verso gli alunni e sceglie
tra i suoi eletti ed i reprobi. “ Io non mi incaricherò punto
(scrive l’autore dell’Emilio) di un fanciullo malaticcio e tisicuzzo,
dovesse egli pur vivere ottant'anni. Non voglio un alunno sempre
inutile a sè ed agli altri, tutto quanto intento alla propria con-
servazione, ed il cui corpo nuoce all'educazione dell'anima... Il
povero non abbisogna di educazione... Scegliamo dunque un ricco;
così siam sicuri di aver fatto un uomo di più ,. Il pedagogista
han lodi a ione dida
tt ag A
LA LIBERA ATTIVITÀ DELL'EDUCANDO ECC. 651
ginevrino non solo non aveva cuore educatore per tutti i fan-
ciulli, ma nemmeno per i figli, a cui egli stesso aveva data la
vita, essendochè i cinque bimbi, che ebbe dalla sua concubina,
l’un dopo l’altro appena nati li espose alla cieca ventura disper-
dendoli fra i trovatelli. Chi non ha cuore di padre, non può
aver cuore di educatore. Il Pestalozzi invece fu ad un tempo
una potente intelligenza, ed un grande e nobile cuore, che fece
di lui un vero apostolo dell'educazione popolare. Egli raccolse
intorno la sua persona uno stuolo di piccoli mendicanti, che
giacevano vittima dell’indigenza e dell'ignoranza, e con essi iniziò
la sua carriera educativa, aprendo una scuola ed un convito,
dove prese a nutrirli col pane del corpo e dello spirito, e tutta
la sua vita fu un generoso sacrificio intento ad educare con
intelletto d'amore le classi popolari.
Scomparso Gian Giacomo Rousseau, rimase il suo Emilio,
il quale contò pur sempre buon numero di lettori entusiasti e
di critici più o meno profondi, ma non giunse a creare intorno a sè
una schiera di intelligenti interpreti e seguaci, che lavorassero
concordi nell’intendimento di elaborarne le idee, arricchirne la
scienza pedagogica, incarnarle nella privata e pubblica edu-
cazione, In nessuna parte d’ Europa sorse un istituto scolastico,
che portasse l'impronta del sistema educativo dell’autore; e la
scienza dell’istruire e dell’educare non ne uscì rigenerata in
veruna sua parte. E se ne intende agevolmente il perchè. Molte
e splendide verità, nè tutte nuove ed originali, giacciono qua e
là disseminate nel suo libro, ma il principio supremo, che tutto
lo domina, è una enorme contraddizione, una stranissima utopia;
e le contraddizioni, le utopie non discenderanno mai nel campo
dei fatti. Egli volle ritrarci nel suo Emilio l’ideale tipico del-
l’educando, mentre non ci porse che una figura tutta fantastica,
la quale non piglierà mai corpo e vita nel mondo della realtà.
Se l’idea originale di lui giungesse a dominare la pubblica edu-
cazione, la società cadrebbe disfatta e l'umanità sarebbe cacciata
a vivere dispersa fra le selve.
Il Compayrè nella sua Histoire critique des doctrines de
l’éducation en France trasmoda fuor di ragione nel giudicare
l’influenza esercitata dall’ autore dell’Emilio nel dominio della
scienza pedagogica. Basti il dire che egli scorge le traccie di
questa influenza in tutti quegli scrittori di educazione, che ci-
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI, 45
652 GIUSEPPE ALLIEVO
tano in qualche modo una sentenza qualsiasi di Rousseau, e
giunge perfino ad annoverare fra i suoi discepoli Emanuele Kant.
Che il filosofo di Koenisberg abbia letto l’Emilio con avidità ed
interesse, come già lo aveva letto con certo qual entusiasmo il
Pestalozzi, s'intende da sè, segnatamente se si ha riguardo al-
l’attrattiva irresistibile dello stile, con cui è dettato; ma che
quella lettura abbia fatto di lui un discepolo di Rousseau, è
questa una asserzione insussistente, che il Compayrè invano si
argomenta di confermare adducendo alcuni passi del trattatello
di Pedagogia del filosofo tedesco. Se egli avesse davvero dimo-
strato, che Kant ha seguito la dottrina pedagogica dello serit-
tore ginevrino almeno ne’ suoi principii sostanziali, allora avrebbe
avuto ragione di proclamarlo discepolo di Rousseau; ma la cosa
corre ben altrimenti. Infatti insegna l’autore dell’ Emilio, che il
fanciullo va educato per se stesso, e non per la società, la quale
è contro natura; che va cresciuto in una libertà assoluta, sciolta
da ogni vincolo di obbedienza; che si tenga in un’assoluta igno-
ranza intorno a Dio ed alla religione insino a che sia uscito
di puerizia: questi sono i punti sostanziali ed originali della .
sua dottrina. Per lo contrario Kant insegna, che bisogna for-
mare i fanciulli anche per la società, e biasima Rousseau, che
proclama ed esalta la nativa rozzezza delle nazioni; che l'alunno
va cresciuto libero ed obbediente ad un tempo, sicchè al carat-
tere di lui appartiene sopratutto l'obbedienza; che assai per
tempo e sino dagli anni primi vanno date alcune nozioni di
religione, e che “ il fanciullo deve imparare a sentire una ve-
nerazione davanti a Dio come davanti il Signore della vita e
di tutto il mondo ,. Quanto ai pensieri, in cui ambidue conven-
gono fra di loro, essi non sono originali e siffattamente proprii
di Rousseau, che gli possano valere il titolo di maestro, bensì
trattasi generalmente di sentenze, che o furono già professate
da altri scrittori, o discendono a filo di logica dal sistema filo-
sofico di Kant.
Ben altra fu l’influenza esercitata da Enrico Pestalozzi nel
campo dell'educazione e della sua scienza. Poichè a lui sopra-
visse la sua idea pedagogica e passò ad informare di se mede-
sima innumerevoli scuole, che sorsero in Svizzera, in Germania,
in Francia, attestando la sua fecondità e potenza. La dottrina
di lui conta numerosi e chiari ingegni, che la discussero, la in-
LA LIBERA ATTIVITÀ DELL'EDUCANDO ECC. 653
terpretarono, la propagarono con ardore ed illuminato intendi-
mento, ed è memorabile la discussione fatta sul suo metodo
intuitivo all’ Esposizione universale di Parigi del 1878. A dire
il vero, il Pestalozzi aveva bensì intuito il supremo principio
pedagogico, lo andava sempre meditando e ne aveva coscienza;
ma quel principio rimase ne’ numerosi suoi scritti vago, indefinito
e pressochè allo stato informe di germe. Occorreva una mente,
che esplicandone il contenuto lo traducesse in forma di un si-
stema rigoroso e logico, ne cercasse il fondamento razionale e
ne mostrasse l’intrinseca fecondità applicandolo a tutte le parti
dell'educazione umana. Questo còmpito venne maestrevolmente
adempiuto dal suo più illustre discepolo ed ammiratore il ba-
rone Roggero de Guimps, che dall'età di sei anni prese a fre-
quentare l’istituto pestalozziano di Yverdun, e seguendo passo”
passo col pensiero il successivo esplicarsi dell’idea pedagogica
del suo maestro, ne pubblicava or son pochi anni la storia. Già
nel 1860 usciva alla luce a Parigi la sua opera: La philosophie
et la pratique de l’éducation, nella quale egli ricerca il principio
fondamentale dell’educazione in quella legge suprema, che pre-
siede allo sviluppo naturale dell’uomo; ma mentre questa legge
naturale era stata pel Pestalozzi una vaga e mera intuizione,
egli si studiò di dimostrarne la verità deducendola da una pa-
ziente ed esatta osservazione de’fatti. Lo studio del successivo
sviluppo fisico, intellettuale e morale dell’uomo lo condusse a
riporre la legge suprema e quindi il principio fondamentale del-
l'educazione nell’organismo de’ tre poteri, che costituiscono la
natura umana, cioè il corpo, lo spirito od intelligenza, il cuore,
poteri differenti l’uno dall’altro nella loro natura e nelle loro
manifestazioni, ma armonicamente congiunti in un solo tutto
organico. Nella prima parte della sua opera egli dimostra, che
lo sviluppo dell’uomo fisico, intellettuale e morale è governato
dalla legge dell'organismo; nella seconda parte applica questa
legge, principio fondamentale pedagogico, a tutte le parti del-
l'educazione umana, formolandola in questi termini:
1. L'organismo si appropria quel tanto e non più, che
gli è stato assimilato mediante un lavoro de’ suoi organi.
2. L'organo si accresce e si fortifica mediante l'esercizio
ed in ragione della sua attività, scema e si affievolisce nella
inazione.
654 G. ALLIEVO — LA LIBERA ATTIVITÀ DELL’EDUCANDO ECC.
8. L'azione di un organo contribuisce più o meno al pro-
gresso degli altri organi ed allo sviluppo dell’intiero organismo.
4. Ogni progresso compiuto dall'organismo divien causa
e mezzo di un nuovo progresso.
5. Questi progressi formano un intreccio continuato, i
cui gradi sono insensibili, e che non comporta nè salto, nè lacuna.
6. Lo sviluppo dell'organismo non si arresta mai del
tutto ad un tempo determinato; dove non evvi più progresso,
là vi ha decadenza.
I diversi articoli di questa legge costituiscono i principii
universali ed immutabili più essenziali della scienza pedagogica,
e sono applicabili sia all'educazione in generale, sia alle singole
sue parti.
| Io convengo coll’autore nel riguardare l’educazione siccome
essenzialmente organica nel senso, che lo sviluppo educativo del
fanciullo deve germogliare da quel principio attivo, che sta dentro
di lui e che per virtù sua si espande al di fuori continuo, pro-
gressivo, distinto nelle sue parti, armonico ed uno nel suo in-
sieme. Ma, se io ben veggo, parmi che il concetto di organismo
sia troppo astratto e generico tanto da abbracciare non l’uomo
soltanto, ma tutti i viventi anche irragionevoli, e che superiore
ad esso avvene un altro più elevato e più comprensivo ad un
tempo, il quale esprime tutta e sola la natura umana, voglio
dire il concetto di persona. Poichè chi dice organismo senza più,
afferma bensì un vivente, che si svolge per sua virtù interiore,
ma non distingue ancora se il suo sviluppo sia cieco o consa-
pevole, fatale o libero. Per contro la persona umana possiede
e comprende nell’unità del suo Io un corpo, che si muove ed
opera, uno spirito, che pensa e conosce, un cuore, che sente e
vuole, e tutti e tre li sviluppa scientemente e liberamente e
concepisce Dio, siccome essere personale infinito, e quindi sic-
come l’eterno ideale, dove va a mettere capo lo sviluppo inde-
finito di tutta la sua vita.
j
N | I o o N N N a Aaa i
© G. MERCATI — UN PALIMPSESTO AMBROSIANO ECC. 655
D'un palimpsesto Ambrosiano contenente i Salmi esapli e
di un’antica versione latina del commentario perduto
di Teodoro di Mopsuestia al Salterio.
Nota del sac. GIOVANNI MERCATI
Dottore della Biblioteca Ambrosiana.
Tra le innumerevoli opere di Origene la più laboriosa, la
più solida, la più opportuna ed utile fu senza dubbio la colle-
zione del testo originale e delle antiche versioni greche del
Vecchio Testamento conosciuta sotto il nome di Esaple. Essa
rispondeva ad un bisogno reale dei dotti cristiani, che si tro-
vavano nella disagiata condizione di avere la massima parte
dei loro libri sacri originariamente scritta in una lingua igno-
rata da quasi tutti. La versione attribuita ai LXX, di sommo
valore critico senza dubbio, ma insieme non immune da difetti
d’interpretazione nè pochi nè lievi, e riproduzione d’un testo
alquanto diverso dall'ebraico allora corrente, non era in grado
di soddisfare pienamente a tutti i bisogni dell’esegesi e della
polemica specialmente contro i Giudei, i quali più d’una volta,
eccependo contro i passi recati o come non esistenti nell’origi-
nale o come malamente tradotti, mettevano in serio imbarazzo
chi non poteva di per sè verificare in fonte ed era ridotto o
ad una risposta evasiva o a sospettare alterati di proposito i
testi ebraici, là dove realmente non lo erano.
Origene ben vide l'inconveniente, e, per ripararvi e fornire
a se stesso ed a tutti una base sicura ed un aiuto potente d’in-
terpretazione, concepì ed eseguì uno dei più grandiosi ed allora
specialmente difficili disegni, che non aveva precedenti nell’an-
tichità. Anzi tutto per rendere accessibile alla comune il testo
originale del V. T., che tra i cristiani doveva allora essere raro
656 GIOVANNI MERCATI
anzi che no, lo inserì al primo luogo nella sua collezione, e
ne divise e distribuì quasi in altrettante linee le sue parole,
facilitando i riscontri, di cui diremo tosto, ed anche la lettura
scabrosa ai meno pratici per la continuità della scrittura. Im-
mediatamente appresso trascrisse le stesse parole ebraiche in
lettere greche, insegnando agli antichi la lettura dell’ebraico ed
ai moderni la pronuncia usata dai Giudei d’allora, alquanto di-
versa dall'attuale. Affinchè poi potessero tutti agevolmente co-
noscere il vero valore tanto delle singole parole quanto dell’intero
costrutto, e rilevare a colpo d’occhio le aggiunte e le lacune e le
inversioni del testo usitato nella Chiesa rispetto all’Ebraico,
egli dispose di fronte alle singole parole ebraiche le diverse
versioni in greco fattene da uomini delle più diverse confessioni
religiose e pratici del testo originale.
Dell’intera Bibbia ebraica quattro versioni esistevano, l’Ales-
sandrina, quella d’Aquila, di Simmaco e di Teodozione: per al-
cuni libri inoltre una quinta, una sesta e perfino una settima,
anonime, di cui due furono scoperte da Origene stesso. Figu-
rarsi la mole di queste Esaple, in cui il V. T. era costantemente
ripetuto 6 volte almeno, e talvolta 7, 8 e sino 9 volte!
Aggiungasi, che Origene l’aveva arricchita di prolegomeni
e di scolii, per non dire degli obeli e degli asterischi, coi quali
s'ingegnò di rendere anche più visibili le singole parole e par-
ticelle crescenti o mancanti nei LXX rispetto all’Ebraico, se
pure questa operazione non fu ristretta alle Tetraple od al testo
dei LXX estratto dall'una delle due collezioni mentovate, se-
condo che altri ha voluto (1).
La complessa e sterminata opera, così ingegnosamente ar-
chitettata e pazientemente ed abilmente eseguita, per la somma
(1) E veramente distribuito il testo, come lo è nel palimpsesto Ambro-
siano delle Esaple, non rimane più tanto necessaria questa aggiunta d’obeli
e di asterischi. — Per quanto riguarda l’Esaple, cfr. i prolegomeni del Fietp,
Origenis Hexapla quae supersunt, I (1875), 1v-ct, che sono ancora quanto di
meglio è stato scritto in proposito. Avvertiamo solo, che il primo racco-
glitore dei frammenti esaplari non è stato P. Morin (ib., p. iv), ma il
famoso Giovanni Driesca 0 Drusius belga, in Psalmos Davidis vett. Inter-
pretum Quae extant fragmenta. Antuerpiae ex officina Christophori Plantini,
x
M.D.LXXXI., di cui è copia nella biblioteca Ambrosiana.
UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 657
utilità, anzi indispensabilità sua rimasta unica nel genere (1),
e per l'immunità dagli errori, che resero odiate altre opere di
Origene, avrebbe dovuto secondo ogni apparenza essere l’ultima
a perire: ma purtroppo non fu così.
Accolte a braccia aperte ed usitatissime perfino nel centro
più ostile ad Origene, Antiochia, le Esaple erano destinate a
| perire per la loro stessa mole. Si fanno salire a 50 i volumi,
in cui quest'opera doveva essere distribuita, e si dubita eziandio,
se sia stata ricopiata per intero anche una sola volta (2). Ori-
gene stesso (o prima o poi, questo non c’interessa al presente)
ne diede il meglio in una collezione più accessibile — le Tetraple,
ora anch’esse perdute —, dove furono riprodotte solo le 4 ver-
sioni celebri. Indi si fu paghi d’estrarre dalle Esaple o dalle
Tetraple il solo testo dei LXX, detto per ciò esaplare, cogli
asterischi e cogli obeli (a poco a poco naturalmente spostatisi),
e di aggiungere in margine lezioni scelte dagli altri interpreti;
infine si arrivò a fare altrettanto sopra testi punto esaplari
come quello del Marchaliano, secondo che dimostrò il Ceriani.
Così i compendii a poco a poco soppiantarono l’opera, e
questa per vicende ignote finì miseramente per perdersi, e in-
sieme con essa perirono 6 o 7 versioni greche anteriori al sec. III
di tutto o parte del V. T., una copia di un codice ebraico del
sec. III almeno, ed un vivo testimonio della pronuncia dell’ebraico
in quel torno. È escluso, s'intende, il Daniele di Teodozione.
Quando ciò avvenisse, non è definito. Recentemente si as-
serì, che l’Esaple fino dalla metà del sec. IV erano perite colla
(1) È significantissimo il passo di Leonzio Nrap., Vit. S. Symeonis, c. 40,
Patrol. Gr., XCIII, 1720 A, dove riferisce di due monaci emeseni del pari
convinti dell’eresia d’Origene, che disputavano, se questi avesse o no colle
sole forze naturali potuto comporre tanti bei scritti, specialmente
l’Esaple, accettate fino ad oggi (quindi alla 2* metà del sec. VI al-
meno) come necessarie dalla Chiesa cattolica .....t0d dé ma
Gvmtéfovtog, GTI où duvaTtai TIg AaXfoar èk Puoikod mieovexrtmuatog AdYoug,
og ézéBero, udiIO TA TOÙG TUÙv ‘Efamribv aùtod © diò Kai puéxpt
onuepov déxeTar aùTtà Wwg davarkaîa 7 xa@o0Aikm ’EkkAnoia. Il
passo è da aggiungere all’Ueberlieferungsgesch. ete., p. 342, che siamo per
citare.
(2) FreLDp, p. xcix.
653 GIOVANNI MERCATI
biblioteca di Origene e di Pamfilo (1): nè si ritrattò questo er-
rore, quando si ammise poi come verisimile, che la biblioteca
danneggiata alla metà del IV durasse ancora al VI secolo (2).
L’asserzione avrebbe meritato una severa disamina, in quanto
che veniva a ridurre a testimonii di seconda e terza mano per
i frammenti esaplari tutti i commentatori e compilatori di ca-
tene da Eusebio in poi, compreso Girolamo, che pure formal-
mente attesta d’averle adoperate e copiate: in altre parole,
veniva a presentare quali residui esaplari tutto e solo quanto
ne citò Eusebio o ne apposero Pamfilo e lo stesso Eusebio al
margine di qualche mss. dei LXX uscito dall’officina libraria di
Cesarea.
Felicemente però nel frattempo a risparmiare il penoso e
lungo esame si presentavano i salmi Esapli. La biblioteca Am-
brosiana, dai cui tesori negli ultimi decenni il Ceriani oltre
molte altre rarità traeva per i nostri studii la Siro-Esaplare, e
donde non ha guari C. Ferrini esumava non poche parti perdute
dei Basilici, ora ci ridona in un palimpsesto l’unica serie con-
tinua del testo delle Esaple nell'ordine e nello stato originale.
Finora tutto quanto restava di esse era frammentario e disgre-
gato, pigliato dal margine di qualche codice o catena biblica,
oppure dal testo di qualche commentatore, che di quando in
quando credette bene valersene, e nell’uno e nell’altro caso di-
sposti nell'ordine e nella forma sembrata più comoda e concisa,
quale certo non era l'originaria. Negli stessi più lunghi fram-
menti del codice Barberiniano, che in certa maniera conserva
le colonne, le lezioni comuni sono date una sola volta sotto le
sigle dei singoli traduttori e non già ripetute nella rispettiva
colonna, come certamente fu nell’originale (3). Nè è a soffermarsi
agli esempi, che si sogliono dare delle Esaple, essendo essi una
riproduzione del Barberino ovvero una restituzione più o meno
(1) Harnacx-PreuscHEN, Geschichte d. altchristl. Litteratur bis Eusebius,
I, 340. A
(2) Harnacx, Zur Ueberlieferungsgesch. d. altchristl. Litter., p. 17 in Texte
u. Untersuch., XII, 1. Sulle sorti della Biblioteca aveva già prima nel 1891
accuratamente trattato l’EnrnarDT nel Rimische Quartalschrift, V, 221-43.
(3) Cfr. il facsimile d’Osea, XI, 2 in BrancHuIni, Euangeliarium Quadruplex,
I, 2, p. pxxx1, tab. 1, num. 3.
tica inni è
e led dee lecite
PE AT e e.
UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 659
felice degli editori. Onde i raccoglitori di queste sparse membra,
disperati di restituire l'ordine primitivo, si videro costretti a
distribuirle in un altro, che è sembrato loro più conveniente ed
utile (1).
Del palimpsesto Ambrosiano e del suo contenuto diamo per
ora solamente una notizia sommaria, riserbando il resto all’edi-
zione, che colla penosa lentezza di simili lavori si va preparando.
II.
Il codice Ambrosiano 0,39, membranaceo 0,19 X 0,15, di
fogli 110, sec. XIII-XIV, contiene nella superiore scrittura “ Zo-
annis Damasceni versus in ecclesiis graecorum pro temporum va-
rietate cantari solitos ,, come faceva notare a principio l’Olgiati.
Il codice era già in biblioteca nel 1603: donde vi fosse portato,
è ignoto.
Sotto la nera e grossolana scrittura dell’Octoéehos, che con-
servato in moltissimi manoscritti non ha per noi grande inte-
resse, biondeggia ovunque sebbene più o meno diluita un'elegante
minuscola del sec. X: è quella delle Esaple. Il volume primitivo,
sciupato per dar luogo ad una delle più comuni collezioni di
poesia sacra bizantina, doveva essere a dirittura splendido, come
lo sono parecchi altri del sec. X. Di ciascun foglio d’esso si fe-
cero quattro del nuovo manoscritto, ritagliando margini e linee
di maniera, che le sue dimensioni non potevano essere inferiori
di 0,38 X 0,28. I centodieci fogli pertanto dell’Octoéchos ci sal-
vano appena ventisette fogli e mezzo del 1° manoscritto natu-
ralmente più danneggiati, più dispersi e confusi tra loro, che
negli altri palimpsesti sfuggiti a simile sezione.
Dal contenuto dei pochi fogli rimasti appare, che il codice
primitivo doveva essere voluminoso assai, se anche conteneva
metà soltanto del Salterio, come si sa di alcune catene sui salmi
divise in due tomi. A principio senza dubbio erano gl’'imman-
cabili prolegomeni verisimilmente proporzionati al resto del-
l’opera (2). Nel corpo poi al primo luogo davasi in altrettante
(1) Frelp, p. 11.
(2) Cfr. sotto $ III.
660 GIOVANNI MERCATI
colonnette il testo ebraico in lettere greche, e le versioni di
Aquila, Simmaco, dei LXX, e di Teodozione colle varianti delle
due ultime tra le linee od al margine. Separato da un piccolo
ed elegante fregio a penna seguiva ripetuto in tutta la lun-
ghezza della linea il salmo intero nel testo dei LXX, secondo
quale recensione non ho ancora determinato: i singoli ver-
setti sono separati e distinti da uno spazio alquanto mag-
giore, che non tra parola e parola. Dopo un nuovo fregio ve-
niva un'abbondante catena di passi dei Padri a commento dei
singoli versetti o parti di versetti ripetuti una terza volta in
rosso e però svaniti più facilmente del resto. Tra i PP. sono
recati più di frequente Origene, Eusebio, Didimo e Teodoreto, e
poi s. Basilio, s. Giovanni Grisostomo e s. Cirillo.
La mancanza del testo ebraico in lettere ebraiche nelle
Esaple, dovuta certamente alla difficoltà somma di trovare uno
scriba greco pratico dell’ebraico e all’impossibilità d’una lun-
ghissima trascrizione per chi l’ignorava affatto, potrebbe far
dubitare ad alcuno, che noi avessimo di fronte non l’Esaple, sì
bene per così dire le Pentaple o un TTevtacéMidov, come è pro-
priamente detto un codice simile al nostro dallo scoliaste del
Marchaliano ad Esa. III, 24 (1). Ma fortunatamente tra le re-
liquie altrove conservate abbiamo tanto nel conosciutissimo Bar-
beriniano, quanto in altro codice Ambrosiano, di cui più avanti,
frammenti di sole cinque colonne tutt’affatto come nel palim-
psesto: eppure sono detti espressamente tolti dall’Esaple: èx T@èv
‘Ezam\bv (2). E naturalmente la cosa doveva finire così. La col-
lezione continuò ad essere chiamata col titolo primitivo anche,
quando uno dei sei elementi necessarii per verificarlo fu dovuto
lasciare da canto; e fu ben tosto, come appare dal Marchaliano.
Nè so se debbasi lamentare molto la mancanza della prima co-
lonna, sia perchè è supplita sufficientemente dalla seconda, che
per la sua facilità relativa di trascrizione era molto più sicura
dagli abbagli dei copisti, sia perchè nella copia in caratteri
(1) Pag. 182 della fototipia. La lezione del codice èv t® TTevtaceridòw
è chiarissima, nè è a dubitare col Field della sua giustezza. Si vede benis-
simo, che lo scoliaste aveva in Esaia un codice esaplare perfettamente
come il nostro dei Salmi.
(2) Fretp, t. II, pp. 957-8; I, p. x1, n. 2: cfr. più avanti, p. 665.
UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 661
‘ebraici fatta da uno, che li ignorava affatto, avremmo avuto un
rompicapo di gran lunga maggiore, che nelle trascrizioni o piut-
tosto sfiguramenti di lettere latine fatti da scribi greci igno-
ranti di latino, e viceversa.
Il palimpsesto non presenta alcun obelo ed asterisco, che
tanto abbondano nel Salterio così detto Gallicano di s. Girolamo,
riveduto poi da Floro (1). Ma, senza inculcare l'opinione ricordata
di sopra ed il fatto, che la disposizione stessa dei testi li rende
meno che necessarii, è da notare, che nel Salterio la stessa Siro-
Esaplare li pone con troppa parsimonia, a dire del Field che ve li
attendeva in maggior copia, e che s. Girolamo ha in questo
abbondato di troppo, più che non fece a quanto sembra Ori-
gene (2).
I frammenti esaplari dei Salmi restituiti dall’Ambrosiano
sono: Salm. XVII (secondo i LXX), 26-48; XXVII, 6-9; XXVIII,
1-3; XXIX intiero; XXX, 1-10, 20-25 (fine); XXXI, 6-11 (fine);
XXXIV, 1-2, 13-28 (fine); XXXV, 1-5; XLV intiero; XLVII,
1-6, 11-15; LXXXVIII, 26-53 (fine). — Se quest’ultimo salmo
facesse parte dello stesso tomo che i precedenti, non so dire,
non avendo finora ritrovata alcuna traccia della numerazione
dei quaderni.
I frammenti, benchè pochi relativamente al testo perduto,
sono d’un valore incalcolabile fornendoci la pietra di paragone
per tutti gli espilatori delle Esaple, ai quali unicamente dove-
vamo finora affidarci. Là dove avevamo appena qualche inciso,
ora si hanno dei tratti continui: e si sa quanto infinitamente
(1) V. la sua lettera a S. Eldrado abbate della Novalesa in Mar, Script.
Vett. Nova Coll., t. III, 2, pp. 252-5, da non perdere mai di vista nella storia
del Salterio Gallicano. I versi, che colla lettera accompagnavano il salterio
riveduto, nel nostro correttissimo esemplare Ambrosiano F, 36 sup., sec. XV,
sfuggito all’ultimo editore, MG., Poetae Latini Medii Aevi, t. II, pp. 549-50,
sono detti essere scripti in fine antiquissimi Psalterii Taurini in ecclesia
s. Andreae, £.° ult. r. Sarebbe questo Salterio di S. Andrea stato della
Novalesa pur esso? e lo stesso inviato da Floro ovvero una copia? Dove è
ora? Speriamo, che lo rintracci l’infaticabile ricercatore di tutte le cose
novaliciensi, il chiar.®° Cipolla. — La corrispondenza di Floro ed Eldrado
era pure nella parte perduta del Chronicon Novaliciense, 1. IV, capp. 4-6:
cfr. l'indice in MG., Scriptores, t. VII, p. 407.
(2) FieLp, p. Lxn.
662 GIOVANNI MERCATI
più facili sono le corruzioni in frammenti staccati, che frammisti
ad elementi eterogenei ci ha per molteplici rigiri portato il lan-
guido corso di una tradizione indiretta. Ancora abbiamo fortu-
natamente questi lunghi tratti dei singoli interpreti ben distinti
tra loro in alcuni salmi, per i quali il Crisostomo ci forniva
abbondanti lezioni senza sigle d’interpreti in quasi tutti i codici,
oppure colle sigle (del resto facilmente alterabili) al margine,
senza che risultasse chiaramente a quale delle varie lezioni si
riferivano (1). Coi nuovi passi si tolgono questi dubbi nelle parti
comuni, e s'impara a risolverli anche nelle parti non ‘comuni.
E siamo lieti di poter assicurare fin d’ora, che la tradizione
indiretta del Salterio esaplare è di gran lunga migliore, che
non si credeva. Meravigliosa è l'esattezza del codice più abbon-
dante di frammenti, ossia il 264 d’Holmes-Parsons, l’Ottobo-
niano 398 del sec. X. Inoltre, assicurata omai la conservazione
del testo fino al sec. XII almeno, a cui tutt'al più risale la
seconda scrittura dell’Octoéchos, diventa probabile, che anche
i più tardivi ma diligenti commentatori della S. Scrittura, come
ad esempio Teofilatto ed Eutimio Zigabeno, siano testimonii di
prima mano, almeno relativamente alla parte delle Esaple senza
dubbio conservata ancora al loro tempo.
Oramai s'impone la ricerca dell’attendibilità dei singoli te-
stimonii delle lezioni esaplari, ricerca che necessariamente do-
veva premettersi dagli editori delle Esaple, eppure non fu mai
nemmeno cominciata sul serio. Forse che ci possono acquietare
farraginose e confuse citazioni di manoscritti in minima parte
e superficialmente spogliati, quando non se ne conosce non che
le famiglie, nemmeno il contenuto ? in altri termini, quando
signora, se gli scolii contenenti lezioni esaplari e quasi mai
riprodotti nelle stampe siano o no estratti d’autori conosciuti,
uniti ai quali contano per uno; e s’ignora, se questi stessi
autori da ultimo si riducano direttamente all’ Esaple o solo
mediante le citazioni d’Eusebio o d’Origene ?
I punti oscuri non si potranno forse dilucidare tutti, nem-
meno coll’aiuto dei nuovi frammenti e coll’inevitabile studio
(1) Di questi codici, di cui abbiamo intrapresa una speciale ricerca,
parleremo a suo tempo.
UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 663
comparativo di tutte le famiglie delle catene superstiti; ma mol-
tissimo senza dubbio si otterrà. E durante la ricerca, come
sì presenteranno con sorpresa certi fatti finora non sospettati,
— ad esempio, che certe lezioni attribuite alla quinta ed alla sesta
edizione paiono dal nostro palimpsesto essere nient'altro, che
lezioni di Teodozione occupanti in un TTevtacé\idov la 5* colonna
o le varianti marginali (6* colonna) o interlineari dei LXX e di
Teodozione —; così chi sa che non possano ritrovarsi, usando
maggiore attenzione ai palimpsesti, novelle parti del codice per-
duto o di altri consimili, che vedremo esistiti dopo il sec. X_?
La speranza arride sempre, ma nel caso nostro non senza mo-
tivo. Ancora al sec. XVI troviamo segnalati nella biblioteca di
Costantino Varino a Costantinopoli i due codici certo non pa-
limpsesti :
SymmacHI HeBrari Interpretatio in Psalterium David.
Eruspem Interpretatio in omnia volumina Veteris divinae
| Scripturae (1).
Forse il compilatore qui pigliava un grave abbaglio, ma forse
anche leggeva e registrava giusto. Oh Dio lo volesse e ci ren-
desse i preziosi manoscritti!
II.
Già prima che nel cod. O, 39, avevo trovato nel cod. Am-
brosiano B, 106 superiore, dell’a. 966-967 (2), una testimonianza
abbastanza sicura dell’esistenza di un Salterio esaplare colle
5 colonne almeno, come nel palimpsesto. La riferiamo qui, perchè
prima di tutto è certo, che essa si riporta a codice esaplare
formalmente detto antichissimo ùrepoarav àpyaiw, e però prezio-
sissimo e diverso dal nostro; poi perchè vi si conserva il titolo
perduto del Salterio esaplare, e perchè dimostra che parti proe-
miali tuttora correnti hanno appartenuto ai prolegomeni delle
Esaple; ed infine perchè attestano formalmente, quale larghissimo
(1) Cod. Ambros. 0, 245, f. 6. M’è inaccessibile l'edizione dei cataloghi
delle biblioteche constantinopolitane curata dal Fòrster.
(2) V. A. Cerrani nella Palaeographical Society, t. I, plat. 52.
664 GIOVANNI MERCATI
uso, per non dire plagio, siasi fatto da tutti dell’opera monumen-
tale d’Origene.
Le note sono d’una scrittura posteriore, fitta, compendio-
sissima ed irregolare quanto mai, d’un dotto senza dubbio. È
difficile determinarne più d’appresso l’età, ma oltre il sec. XII
non può discendere. Una tavola pasquale, che si restringe tra
gli spazii lasciati vuoti dalle note per rispettarle, e che è d'una
scrittura manifestamente assai posteriore rispetto a quella d'esse,
è dell'a. 1223-4 (f. 7).
Il primo estratto è così introdotto: Eùpov èv BIBMw
éxovti tà ‘EzamX& Qpirévoug eig toÙg YaXluoùg Tade
Kato Méziv *’Eyù puèv dunv — ’Iwoiag Ovopa aùtd. È nel t. II,
p.514-5 dell'edizione Maurina e nella Patrologia greca t. XII,
col. 1056 B-1057. — Segue immediatamente (f. 7) il passo im-
portantissimo intorno al dibyalua con simile introduzione, dove
di più è per fortuna indicata la somma antichità del codice
adoperato dall’anonimo: [po(getar) kai toÙTO ÈK TO btepdrav(1)
àpy(aiov BI)BMIov ToÒ ‘Ezamiod imò ’LQpir(évovo Ne)Y6-
uevov * TToMdkig Zntm(cag) — emomoeg= Opp. t. II, p. 515-6;
P. Gr. t. XII, coll. 1057 C-1060 C. Qui, come poi, suppliamo le
lettere tagliate col margine oppure rose colla pergamena.
Al f. 7' succede uno scolio, più grossolanamente scritto, ma
della stessa mano, sembra, divenuta più pesante e meno sicura,
si direbbe d’un vecchio (2). ’Iotéov, ws (è)v ToîÎg èmò ’Qpi
(1) Parola di lettura difficilissima. ùrep è nella nota tachigrafica del
cod. Regio 1886, del sec. X, riprodotta dal Montfaucon e dal Lehmann, Die
tachygraph. Abkirzungen d. griech. Handschriften, p. 88, e Taf.9, $ 48, n. 1.
dy(av) a prima vista sembrerebbe un UuY o un a: ma a quella lettura si
oppone la forma abituale del u, mentre l’a superiormente aperto ricorre
altrove, ed a questa la brevità dell’asta orizzontale, che comincia esatta-
mente sul prolungamento superiore della verticale (M = MM). La lettura quindi
è certa, e mi si perdonerà, se per l’importanza somma della lezione e per
la rarità dell’abbreviazione ho dovuto soffermarmi su di essa. Con ciò resta
escluso per apx il supplemento etùmov (dapyetùtou), al quale aveva prima
pensato, e diventa necessaria la lezione dpxaiov. — Nell’ edizione daremo
una fotografia di questa pagina del codice.
(2) Precede una croce, dal cui centro pende un cerchio, che viene ad
essere attraversato per diametro dal piede d’essa. Probabilissimamente non
è che una semplice croce, colla quale si trova cominciare molti atti: non
e e pe CT a 1 à.
UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 665
TÉvOUO (é)ktederuevors ‘EzZa(m)\oîg oùtwSg ebpo(u)ev kai
éuddopev (é)myrerpapoar TV (BIBXOV) TUvV yaludv éBpai(otì)
GeEMPp, Orep ÉoTì Rip\og * dvtì dè TOÒ waludòyv Èkelto Kai été
parto d0eXXiu. oUTWw dÈ ÈTÉTAKTO Î) fpagùà TÙV Nerouévwy'
(1) cepp —* BiBNog © BiBNog * BIBNOg * BIBX0g (2)
adeMiu © woaluòv * yoaluòyv © yarXuod (3) © yaludv *
TOUTEOTIV OTI oi EZEMINV(IO)AvTEG TÒò CÉpp* d0eMMu (4), mavteg
oUtwS fMpunvevo(avto).....kov (5), BIBX0g waruwùv, kai oUTE TOÒ
Aaveid oùTe TO Aavetò.
L'anonimo parla proprio de visu, e riferendo il titolo pre-
ciso dei salmi secondo tutti gli interpreti dice formalmente, che
così si trovava ed era disposto nelle Esaple, e certo lo riferisce,
quale appare doveva essere nel palimpsesto Ambrosiano. In
quelle due linee si può avere una mostra della disposizione delle
Esaple (6).
È rilevante l’ultima osservazione, che nel titolo non era il
nome di Davidde: la fa anche Origene in un frammento pub-
blicato dal Pitra, /. c.: 6voua dè (Aaueid) èv tf èmirpagfì Toù Bi-
BMiou où Keîta1 ÈvtadAa.
AI f. 18' ricompare la stessa mano per dichiarare, che un
passo intorno al èi&ya)pa dato nel testo sotto il nome d’Eusebio
non è che un frammento dei prolegomeni di Origene all’Esaple
(quale lo è diffatti: moMNdkig Znmimoao — étazav TÒ didyarpa,
ripugnerebbe però, che fosse anche una sigla del nome d’Origene, benchè,
a dir vero, nei manoscritti non ne abbia finora trovato un’eguale.
(1) Questi punti sarebbero mai stati posti in vece delle lettere ebraiche
non sapute trascrivere ?
(2) 1 supplito sopra la linea.
(3) Così secondo il compendio di scrittura: ma forse il segno dell’wv fu
omesso per isbaglio dal copista.
(4) Prrra, Analecta Sacra, t.II, p. 428, legge ceppà dereiu.
(5) xov(x°) è certo: sembra preceda immediatamente un 1 e prima an-
cora un u. La pergamena, già rinforzata con una striscia di pergamena
incollatavi sopra, è lacera. La parola scomparsa, che sembra terminasse
în uuxòv, doveva significare a un dipresso, propriamente, concordemente, 0
semplicemente. Non oso proporre una congettura, non parendomi correre
yvwwikòv, vouikòv e simili. Ù
(6) Più ampio esempio v.in Cerrani, “ Rendiconti dell'Istituto Lom-
bardo ,, serie II, t. XXIX, pp. 406-8.
666 GIOVANNI MERCATI
P. Gr. t. XII, col. 1057 C D), già dall’anonimo stesso copiato al
f. 7. La nota risponde alla verità, ora da tutti riconosciuta fino
al punto da accusare Eusebio di plagio (1), che Origene fu la gran
miniera di quasi tutti i commentatori venuti dopo. L’anonimo,
che aveva in mano non dei soli frammenti come noi, se ne potè
accorgere meglio di noi. Ecco il passo: Tà évtadda, Us mapà Tod
Eùcefiov Nerdueva, où Ttoò EùceRiov eioìv dii ’Lpirévouo, où
Toîg currpaupaoiv émueréotata mpocéoyev EùoéBIOg TE Kai oi tpò
EùceRiov kai per” Eùcépiov PoXbror Te Kai tepì TÙùg driag Pa@dg
qudrtovor, kai fueîg edpovteg év TÙ ‘SEZaTtiù TO eig TOÙG
Yaiuoùg metovnuéevw TÙò kai ’Adauavtiw NMeyouévw
°Qpiréver pererpiyauev tg ‘Qprrévous Tod TO6° (2) oùTwWw Kai ZnTi-
Gavtog Kai eitovtog Kai Ypadwavtog TOÙ ZyTnAévtog TV eUpeonv.
Questo anonimo pur troppo termina i suoi estratti con
quei pochi, che egli fornisce al salmo XXXX, senza indicare
donde gli ha presi, in buona parte inediti, e che qui si dànno
occasionalmente, affinchè si confermi ciò, di cui, tutto conside-
rato, non ci pare esser dubbio; che cioè le note date sopra
non sono una trascrizione di note apposte ad altro codice, ma
estratti direttamente fatti dal dotto anonimo sopra un codice,
antichissimo a suo dire, del Salterio esaplo. Del resto, se per
improbabile questo anche non fosse, perirebbe una testimonianza
or non più necessaria dell’esistenza del Salterio esaplare dopo
il sec. X, ma tutto il rimanente conserva il suo sommo pregio
intrinseco, che non fa d’uopo nè qui è tempo di rilevare d’av-
vantaggio.
f. 78 ’Qpirévoug eis TÒ ‘uakdipiog Ò GuviWww. Ò Guyviv
èTTì mTIWwYXÒY Kai mévnta (3) TAvTWwO TÙùYV OXÎw1v TOÙ TTIWXOÒ Kai
tévntog ijtor mV a(Ùtod ?) (4) teviav kai miwyeiav mepì tà Biw-
TIKÀ. Î) Ti)V copiao kai Yyvwoewg kai dperfig kai Toò d\NBodg
drago) évvowyv kai kata\auRavwyv ÈM(E0g?). uaxdpiotog ÉoTIv oÙX
Ò mIWYÒg udvov TV Kovmyv TTWXEIAV (5) Èv TI TOMMd Ypagf] kai
TO Cert edayteriw, kai dAlàd kai 6 è aù(tòv) Cuviv Kai dià
(1) Prrra, Anal. S., III, 365 sgg.
(2) Così ci pare vada letto. La scrittura però non è del tutto chiara.
(3) Psalm., XL, 2.
(4) Supplemento incertissimo: pare segua un f, onde si potrebbe pen-
sare ad dppwotiav. i
(5) Cfr. Patrol. Graec., XII, 1412, D, dove c'è appena qualche parola.
—_ cm
UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 667
TÒ Cuvieîv éiewy aùtòv kai katà duvauw Wpe\bv. tig è’ dv ein
uGiov uaxdpios î 6 miWy(d0) di... T... 0... w... Kai ar(?)...
va... OUO... TÀ EG (TTW)XOÙS Koi m(évnTAG) nivé(ueva) (1).
9 pirévovo (2) ‘“ év Nuépa movnpà , Tron wo ma Muépa oUon
TOVNPA din TÀ TOÙ EVECTÒTOG aidvos n tà (3) Ts xpioews. EOTÌ
Tàp aùtn OKOTOG (4) kai où gwg kata TÒv TPOPNTNV. kai è ’Atò-
« oToNdg gno: “Ti ai nuépar tovnpai eio1”* kai év Ti) tpòg Ta-
fg ————— ————r_r"ro—— eo
.
li È saint mitica di rt e’ "Ln SO I
\dTag (5)° * OTWwO éEenTal nudg ÈKk TOÙ EVECTÙTOS aiùvoc Tovnpoù É
kai law uikpoi Kai TOVNpPai ai nuépor Hou tì Tg YO. (6).
Eis*tò ‘kai uarxapicar aùtòv Èv Ti) 1° gnoiv ’LQprrévng: Tò
éTI OvTO Èv Ti) Capkì uaxapiZesdan tapdadozov xo uéfra, Otep Cvu-
Baiver Toîs SUVIODOLV ÈTTÀ TTTWYXÒV Kai TEVNTA.
Eis TÒ “EoTpepe Èv Ti appwotig aùtod ” Wo TAvTWwOo Èv (Ti?)
dppwoTIA TOTÈ YEVOPEVOU TOÙ vùv uaxapiZopévou, TadTar \éfetar *
mtavTw6g (7) Tàp Èv Kkaxia moté eiouv.
Lo scolio a f° 99’, sul salm. LVII, 8, pure attribuito ad
Origene nè ricorrente a detto luogo nell'edizione, ci sembra di
mano affatto diversa. Per ogni riguardo lo diamo anch’ esso,
come brevissimo :
Lpirévovo. Ttò Beîov Yàp TÙP DITTIÙ]V éxov Tv duvapiv pu-
TLOTIKTV TE Kai KAUOTIKTV, wo nov uèv KATÀ TÒ QUWTIOTIKÒV OÙK
Ervwpioay, òg TÙPp dÉ KaTÀ TÒ KauoTIKOY.
IV.
I nuovi frammenti esaplari necessariamente ci riportarono
ai commenti patristici del Salterio contenenti lezioni esaplari,
e specialmente a quelli usciti alla luce dopo l'edizione ultima
del Field. Accenno ai Commentarioli di s. Girolamo editi non ha
guari dal chiarissimo d. Morin (8) ed al commentario contenuto
(1) Essendo stato tagliato il margine, molte lettere sono scomparse.
(2) fjtor wo ud — movnpoò anche il Mione, ib. colle varianti seguenti.
(3) om. M.
(4) toîg duaptw\oîg aggiunge M.
(5) (&v — Fa.) mah M. Cfr. Amos, V, 18, 20: Ephes., V, 16: Gal., I, 4.
(6) Genes., XLVII, 9, con parecchie omissioni notate altrove da Holmes,
meno l’aggiunta èrì tig yÎg, che ivi non è attestata da alcuno.
(7) Così nel codice: corr. màvtes?
(8) Anecdota Maredsolana, INI, 1 (1895).
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 46
668 GIOVANNI MERCATI
nel celebre codice Irlandese C, 301 inf. dell’Ambrosiana edito
dall’Ascoli colla cura e competenza d’un maestro consummato (1).
Se il confronto dei due commenti, che per essere corsi en-
trambi sotto il nome di Girolamo doveva premettersi ad una
franca attribuzione dei Commentarioli al Santo, esclude qualunque
communione e competizione tra di loro; l’esame interno del
lungo commentario ambrosiano mostra affatto erroneo il titolo
Hyeronimi presbiteri expositio super Psalterium etc. prefisso sola-
mente nel sec. XV da'colui, che numerò il codice e ne in-
dicò il contenuto (2), e manifestamente ne svela il vero autore.
In una parola: il commentario di Teodoro Mopsuesteno ai Salmi,
di cui finora erano noti soltanto pochi frammenti greci (3) e
siriaci, ci sta dinanzi per buona parte in un’eccellente versione
latina del sec. V.
Che il commentario edito dall’Ascoli non fosse punto una
catena od una compilazione volgare, ma bensì l’opera originale
di un autore unico e singolarissimo, di sentimenti assai liberi,
anzi eterodossi, acuto ed accuratissimo nella esposizione storica
e letterale del testo, aborrente non solo dall’allegorismo degli
Alessandrini, ma anche da parecchie interpretazioni communi
nella Chiesa, bastava a mostrarlo una semplice lettura. — Che
poi questo commentatore sia Teodoro di Mospuestia, evidente-
mente lo mostrano (pur tacendo dei frequenti raffronti fra i testi
biblici, siro, ebraico e greco, che non tutti ricorrono nella
grande miniera dei Latini, Girolamo) la dottrina ivi aperta-
mente professata a) sulla persona del Cristo, 5) sulla messianità
di soli pochi salmi [4], c) sui salmi Maccabaici (4) ed altrettali
(1) “ Archivio Glottolog. ital. ,, t. V, pp. xvi, 649, ed anche a parte,
Torino, 1878-1889.
(2) Uguale al n. 89 del Catalogo dell’a. 1461 in Perron, M. 7. Cicer.
Oration. (1824), pp. 26, 188-90: RerrrerscHEm, Biblioth. Lat. PP. Ital., II, 43.
(3) L’errore dell’Allacci, che in un codice vaticano esistesse l’intero com-
mentario greco di Teodoro, fu già corretto dal Mar, Script. Vett. Nova
Collect., t.I (1* ediz.), p. xx. Nè certo esistevano se non dei frammenti
all’Escuriale, come appare dall’eccellente catalogo del Colvill, invano cer-
cato dal Graux, e finalmente ritrovato dal Ceriani. Ne parleremo altra volta.
(4) Cfr. BarrHacen, Siebenzehn Makkabiische Psalmen, in “ Zeitschr. f.
Alttest. Wiss. ,, t. VI, 261-88; VII, 1-60. I salmi sono il 43, 46, 54-59, 61,
68, 73, 78, 79, 82, 107, 108. Solo il 144 nel compendio latino, p. 599, par-
ssi be
UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 669
opinioni notorie di Teodoro sopra i sensi dei salmi, ma più che
tutto d) il riscontrarvisi alla lettera gli stessissimi passi di lui
condannati nel Costituto di Vigilio ce. 20, 23, 24, 25, e nel
V Concilio ecumenico, ed altri frammenti sparsi nelle più dispa-
rate catene greche usate dal Barbaro (1), dal Corderio e dal
Mai, ed il fondo degli estratti siriaci pubblicati dal Bathgen (2).
Diamone qualche esempio tolto anzitutto dal Costituto e dal
Concilio V ecumenico, di cui citiamo la versione antica latina,
"e ee
perchè il confronto sia più istruttivo, e premettiamo il passo
greco salvatoci da Leonzio di Bizanzio (3):
rebbe riferito al ritorno dalla cattività di Babilonia, anzichè alla vittoria
dei Maccabei. Sulle dottrine di Teodoro e sopra il suo sistema d’interpre-
tare la Scrittura Sacra, cfr. Kiran, Theodor von Mops. u. Junilius Africanus,
pp. 61-197, e Swere, Theodori ep. Mopsuest. in Epistolas b. Pauli Commen-
tarii, t.I, Introduction, p. LXV-LXXI, LXXVI-LXXXVII.
(1) Non mai adoperato per Teodoro di M.
(2) Der Psalmencommentar d. Theodor von Mopsuestia in Syrischer Bear-
beitung in “ Zeitschr. f. alttestam. Wissensch. ,, V (1895), 53-101. Questo
commentario, benchè porti il nome di Teodoro, contiene solo parti di lui
frammiste a molti elementi eterogenei, come bene dimostra il Bathgen
p. 56-60.
(3) Contra Nestor. et Eutych., 1. III, in GaLranpi, XII, 696 (omesso in
Mar, Spicil. Rom., X, 2, 87, e Patrol. Graec., LKXXVI, 1, 1385). Il testo
greco fu dato dal Mai (traendolo dall'opera citata di Leonzio) in Script.
Vett. Nova Coll., VI, 311-2, donde passò affatto fuori di posto in Micmg,
LXVI, 1004 C.
GIOVANNI MERCATI
670
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UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 671
Sospendo le citazioni, perchè i due passi se ne vanno così di
conserva sino alla fine (1).
Mansi, IX, 78 D, 213 A. AscoLI, 347.
Eiusdem (Theod.) de interpre- sicut in diebus letitiae cibus et
tatione sexagesimi octavi psalmi potus de tempore quodammodo
(tit. om. Vig.). trachunt saporem, sie ad omnem
Quoniam cibi et potus suaves amaritudinem convertitur quic-
quidem fiunt in tempore gaudii, quid animus tristis acciperit.
insuavia autem et amara in tri-
stitia etc.
Qui vien meno il commentario epitomato (come bene avvertì
l'Ascoli) (2) del codice Irlandese, che poi riporta una chiusa troppo
concisamente riferita, ma prettamente mopsuestina e dello stesso
tono, che il passo condannato nel Concilio V: probatur ergo
magis similibus aptata esse negotiis quam propria singulorum
le parole Dederunt in escam meam fel ete. del salmo LXVIII, 21,
applicate dall’evangelista a Cristo. Cfr. il passo intero in Mansi
78 E, 213 B: et certe diversis constitutis rebus, non quasi psalmo
modo quidem pro his dicto, iterum autem de illo, et iterum de
alio, etc.
Or diasi un altro esempio molto istruttivo dalla parte di
commentario non provvista di chiose irlandesi nel codice Am-
brosiano, e però pretermessa dall’Ascoli come non attenentesi
al suo scopo (f. 4-13). Anch’essa è di Teodoro, e non so se sia
un supplemento o un previo estratto, e fortunatamente eziandio
ricorre dove più piena e dove no e molto più corretta nel codice
Bobbiese dell’Università di Torino F. IV, 1, n. 5-6 (8). In essa
(1) È inesatta adunque l’asserzione di Kihn, p. 54 nota 3, e Bathgen,
p. 77, che questi passi siano non già del Commentario ai Salmi, come indica
il titolo, ma da quello sui Profeti minori.
(2) P. XI, nota 1. L'intero commentario, secondo il catalogo delle opere
di Teodoro datoci da Esepyesu, sarebbe stato compreso in 5 volumi; cfr.
Kiax, ib.
(3) Cfr. Perrox, op. c., pp. 191-2: ReirrerscHEm, Biblioth. Patrum Ital.,
II, 122-3: OrrIno, I Codici Bobb. nella Bibliot. Naz. di Torino, p. 23. La
doppia serie dell'’Ambrosiano è sufficientemente segnalata dall’indice citato
672 GIOVANNI MERCATI
sono conservate parecchie cose compromettenti, sostituite con
altre innocue e non genuine nel corpo del Commentario edito,
come ad es. nel Sal. 21, dove nell’ed. p. 154-8 ricorrono spie-
gazioni contrarie a quelle di Teodoro e frammiste ad altre ge-
nuine e talvolta communi tanto all’edito che all’inedito.
Mansi, IX, 78 A, 212 C-D.
Eiusdem in psalmo vigesimo primo
(de memorato vigesimo primo psal -
mo Vig.).
‘ Foderunt manus measet pedes”:
et omnia perscrutabantur et quae
agebam et quae conabar. Nam
foderunt ex translatione dixit (di-
cit V.) eorum, qui per effossionem
(fossionem V.) scrutari quae in
profundo sunt tentant.
‘Dinumeraverunt omnia ossa mea”:
totius meae fortitudinis et totius
meae substantiae detentores facti
sunt.....
Et evangelista quidem in Domino
verba ex rebus assumens eis usus
est(om. Conc.), sicut (ut sic Conc.)
et in aliis diximus. Nam quod non
pertineat ad Dominum psalmus, in
superioribus evidenter ostendimus.
Cod. Ambros. f. 5 c: Torin. f. 8 db.
‘ Foderunt manus meas ’ re-
liqua. Omnia scrutati sunt opera
mea, et quibus rebus confiderem
vel inniterer, sollicite quaesierunt
(= Ascoli 159, 2-4). Foderunt au-
tem (ergo foderunt aut. A) dixit a
similitudine eorum, qui fodiendo
ea, quae sunt in abdito vel de-
praesso (dipraehenso A) terrae loco,
conantur eruere.
AscoLi, p. 159.
‘ Denumeraverunt omnia’ usque
‘mea’. Pro divitiis, quae firmitates
sunt possedenti, ossa possuit, qui-
bus corpus solidatum est.....
Euangelista autem in Deo pro
rerum similitudine hoc testimonio
usus est, sicut et in aliis (idest
psalmis chiosa) ostendimus.
E di fatto nel commento inedito al v. 2, per 24 linee intere
vi si combatte l’opinione che il salmo sia messianico.
Ometto di indicare i riscontri coi frammenti greci solo in
del sec. XV: Expositio... non tamen a primo psalmo prius, sed quosdam alios
indirecte prius exponere videtur; deinde ad psalmorum ordinem idest a primo
incipiens et demum subsequenter procedens usque ad finem psalterii.
UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 673
parte raccolti nella Patrologia Greca, e per i salmi Maccabaici
più compitamente dal Bithgen : essi sono numerosi, e ognuno
può persuadersene di per sè con un facile confronto. Amo
piuttosto di recare un chiaro esempio dal nostro codice Ambro-
siano H, 257 inf., del sec. XIII, contenente a principio un trat-
tatello mutilo sul destino, dove di Teodoro Eracleota (così per
facile e forse volontario scambio) è citata l’esposizione del
salmo XXXVIII, 6.
Cod. H, 257 inf., f. 4.
Oeodwpouv ‘HpakXewrou
eig TÒ iIdOÙ TaXoa1otàg é00u
TÀàg Nuépag uou.
Toùto érer oÙx We TAVTWS
TOÙ Oeod uetpoùvtog TÒv Xpovov
Tg Zwifg ÉxdoTov, Us TIVEG
kakùg Uro\auBavouoi, GAN we
EIDOTOG Ti) TPOYVWOEI ÒV ÉKAOTOG
ZMoerar. dep, PNnoiv, citò pa-
deîv: étioTaNal YÀP, GTI 0ÙK Eig
GiIdIOV ue Zwimv KaTeoKevacag ,
GN WOTEP uéTpors TIOÌÙV UTE-
Baréc uouv tTÒv fiov. ei Tàp Kai
ÉEKGOTW TÙV GvOpwrmwv oÙk Èpé-
Tpnoe TiV Zunv, dAN° oùv Ye
Kovwùo kai xadoMikùòg EueTpnoe
Toîg dvApwrtoIg, oiov Eiteîv OÙK
émiTpemwy dvapwrw ùrtepRaiverv
éTn pv’, ws Èv Ti) Yeved Kka@° fv
TaUTta Aauìd épeérreto, kàv TÒv
uèv érrì mieîoy TÒV dè è ÈNaTTOV
Tv cvupaivn. xté.
Cod. Ambros. f. 12 d: Torin. 14 a.
Hoc dicit non quo omni modo
Deus tempora vivendi singulis sit
dimensus, sed quia virtute prae-
scientiae suae novit quantum sit
hominum quisque victurus. ...Scire
desidero, inquit, quantum mihi tem-
poris deest: siquidem novi quo-
niam non me inmortalem feceris,
sed vitam meam quasi quibusdam
mensuris incluseris..... Nam etsi
(et A) singulis viventibus non sit
velut (uelud A) ad mensuram prae-
finitum vitae spatium, tamen in
commune omnibus certum est vi-
vendi tempus impositum ; ut puta
quantum ad illam generationem
pertinebat, in qua haec beatus
David loquebatur, non permisit
ulli c (1) annos vivendo transcen-
dere, etiamsi eveniret ut alius ab
alio plus minusve viveret. etc.
Non può adunque restare dubbio, che il Commentario ascritto
falsamente a Girolamo e sospettato essere di Colombano (2), ap-
partenga realmente a Teodoro di Mopsuestia. Benchè composto
(1) Centum B: forse cl?
(2) VaLcarsi, HereLe (Kirchenlex., III, 2% ed., 682), Zeuss e Nicra.
L'argomento dell’ultimo, tratto dal Catalogo di Bobbio del sec. X (“ Revue
celtique ,, I, 59-61) non prova punto, essendo incerto se il codice di Torino
674 GIOVANNI MERCATI
in età giovanile e però anche più intaccato dai difetti e dalle
audacie, onde Teodoro stesso ebbe a dolersi (1), pure è note-
volissimo sempre per i solidi pregi esegetici, ond’è adorno, e per
l’aiuto che presta nella critica delle lezioni esaplari, di cui pa-
recchie solo da lui ci sono conservate.
Il Commentario latino non è completo; mentre nella prima
cinquantina dei Salmi è piuttosto abbondante, indi in poi gli
estratti sono assai più compendiosi e talvolta divengono sem-
plici scolii. Questo è chiaramente dimostrato dal contesto, ed
inoltre dal confronto con taluni dei frammenti greci meglio con-
servati e coi passi sopra il salmo 44 riportati da Facondo d’Ér-
miana. Ciò non ostante, se ne può dire conservata assai bene l’in-
tera trama colle vere parole di Teodoro; ed inoltre in non pochi
salmi, combinando insieme i 2 ordini d’estratti dati dall’Am-
brosiano e il terzo del codice Torinese, il testo si può ristabilire
per intero. Questa triplice serie deriva direttamente da un co-
dice unico integro. Una ricerca accurata delle biblioteche ne potrà
forse fruttare il sussidio di qualche altro manoscritto, che ve-
ramente occorrerebbe a sanare le piaghe e a colmare le lacune
dell’Ambrosiano.
Ora una parola sulla versione latina. Quando e da chi sia
stata eseguita, non è facile divinare. Se si confronta colla ver-
sione latina antica degli atti del Concilio V ecumenico fatta,
sembra, in quel tempo e già usata da Pelagio II (2), e che con-
e l’Ambrosiano siano indicati ai nn. 216-7 anzichè ai nn. 57, 283-8, ecc. del
catalogo in G. Becker, Catalogi biblioth. antiqui, p. 67 sgg. — La somiglianza
di stile notata dal Vallarsi tra il Commentario e le opere di S. Colombano,
è da mettere a paio con quella notata dal Peyron tra esso e i due fogli del
commentario originario latino su S. Marco, pubblicato dal Nicra, Glossae
hibern. vett., pp. 2-16 e xxv, che gratuitamente si attribuisce a Girolamo.
La somiglianza del testo biblico, se mai esiste, proverebbe solo un adatta-
mento naturale, ed inconscio forse, al testo, che lo scriba irlandese sapeva
a memoria, parendomi inverisimile, che la versione di Teodoro sia stata
fatta in Irlanda nei sec. V-VI.
(1) Appresso Facondo d’Ermiana, Pro defens. III Capitt., 1.3, c. 6, e
1. 10, c. 5, Patrol. Lat., LXVII, 602, 786.
(2) In Mansi, IX, 433 sgg. cfr. Baruze, ib., 164 A-B. Altra versione è
quella dei passi citati da Innocenzo di Maronia nell’opuscolo De his qui
unum ex Trinitate ecc., tradotto nella Nova Collectio attribuita a Dionigi
”
UN PALIMPSESTO AMBROSIANO DEI SALMI ESAPLI 675
corda con quella del Costituto di Vigilio, non v’ha dubbio, che
la nostra è meno servile e d’una latinità di gran lunga migliore,
tanto che forse per essa non si subodorò, che avevasi per mano
una versione anzichè un originale latino. Onde credo non si
vada lungi dal vero congetturando, che essa piuttosto che al
tempo della lotta dei Tre Capitoli, a cui si assegna la versione
del commento delle lettere di s. Paolo pubblicato dallo Swete (1),
risalga al sec. V e debbasi a qualcuno di quei Pelagiani, che
per affinità vera o presunta di dottrine si diedero a tradurre
in latino opere di scrittori greci della scuola Antiochena spe-
cialmente: come Aniano, che tradusse con assai eleganza l’ Elo-
gium Pauli di s. Giovanni Grisostomo. Ma non è bene antici-
pare conclusioni, che possono essere modificate. A quanto finora
si sapeva (2), in certe parti almeno dell’Occidente gli scritti
di Teodoro prima della lotta dei Tre Capitoli erano poco o
punto conosciuti.
Altra ricerca da fare è, come quel commentario sia trasmi-
grato in Irlanda ed ivi sia stato replicatamente trascritto, non
ostanti le eresie che esso conteneva(3), ed inoltre se e quali traccie
ne siano rimase appresso ai commentatori e compilatori latini
di catene.
L’Ascoli, che colle sue vastissime cognizioni linguistiche ha
dilucidate le difficoltà delle chiose irlandesi, terminava il suo
lavoro dicendo: ‘ Avrei ancora voluto ristudiare le chiose am-
brosiane alla luce delle antiche fonti di esegesi biblica, le quali
concorsero di certo alla loro formazione, persuaso come io era
che da tal confronto dovesse riuscire agevolata di non poco, o
il Piccolo: Spicilegium Casinense, I, 148-156: qui però non v'è nulla del
Commento ai Salmi. Del resto tutti questi passi latini non suppongono
già una seconda versione latina preesistente, ma furono estratti e tradotti
direttamente dal testo greco. Cfr. HereELE, Conciliengesch., II, 2* ed., 855 sgg.,
870 sgg., 882.
(1) I, pp. vi-Lvu.
(2) Cfr. Swere, l. c.
(3) Anche per il commentario di Teodoro s’avvera ciò, che in altro senso
esagerando asseriva il Traube delle parole greche nei latini scrittori : ‘ Wo
Graeca in lateinischen Schriftstellern sich erhalten haben, dies auf irischen
Einfluss zuriickzufiihren ist’: O Roma nobilis, c. VII, $ 3, in ‘ Abhandl. d.
philos.-philol. Classe d. k. Bayer. Akad. d. Wissensch.', t. XIX, p. 365.
676 G. MERCATI — UN PALIMPSESTO AMBROSIANO ECC.
rassodata, la interpretazione di un certo numero di esse chiose.
Ma questo studio non mi ha la sorte conceduto di farlo, e altri
forse lo tenterà’ (p. 613). Io certo non ho la temerità di
raccogliere il suggerimento nel senso indicato: ma mi sarà per-
donato, se costretto a studiare per se stesso il Commentario in
tutte le sue reliquie greche, latine e siriache, oserò ripigliarlo
per ciò che riguarda la Bibbia e la storia letteraria cristiana e
dei dogmi. Anzi tutto sarà necessario prepararne per la com-
mune un testo meno difficile a leggersi e ad intendersi, che non
uno diplomaticamente riprodotto con tutti gli spostamenti ed
errori del codice, come si dovette per necessità fare nell’edizione
principe. ‘Quanto al testo latino, il proposito di ottenere una
lezione comunque castigata avrebbe importata una rimutazione
continua dî quello che il codice offriva’: così giustamente l'Ascoli
p. x: e il codice di Torino mi ha fatto toccare con mano le
gravi corruzioni dell’Ambrosiano.
La futura edizione arrecherà inoltre le 1400 linee inedite
dei codici Ambrosiano e Torinese, che dànno una chiara dimo-
strazione della maniera, con cui fu compendiato il testo: ed in-
sieme presenterà riuniti di fronte ai passi latini i passi siriaci e
greci editi ed anche inediti già riconosciuti.
d
S. RICCI — DI UNA STELE CON ISCRIZIONE TRILINGUE ECC. 677
Di una stele con iscrizione trilinque rinvenuta
a File in Egitto;
Nota del Dott. SERAFINO RICCI.
-
Il ch. prof. Ernesto Schiaparelli ebbe privata informazione
che il capitano Lyons, incaricato dal Governo Egiziano di una
ricognizione archeologica nell’isola di File, aveva rinvenuta una
stele di sienite, divisa in due lastre, che serviva di pavimento
ad un altare del tempio di Augusto in File, dalla parte di Nord-
Est, e che recava scolpita un'iscrizione trilingue (geroglifica,
greca, latina) di non comune importanza storica ed appartenente
all’età romana.
Mandò il Lyons una riproduzione fotografica della stele e una
copia fatta a mano dell'iscrizione latina (1). Data la piccolezza
dei caratteri delle altre due iscrizioni ed il cattivo stato di con-
servazione della stele, la fotografia non riuscì tale da permet-
tere la decifrazione delle iscrizioni geroglifica e greca, e, d’altra
parte, della stele medesima sarà fatta pubblicazione completa;
cosicchè io mi limito per ora, col gentile consenso del predetto
prof. Schiaparelli, cui ringrazio pubblicamente, a dare breve no-
tizia della parte latina.
L’iscrizione manca di una sezione centrale, segata via dalla
grande stele, che riuscì così divisa, come ho accennato, in due
parti, quasi eguali fra loro e nel senso verticale. Ecco il testo
dell’iscrizione, quale risulta dall’accurato esame della riprodu-
zione fotografica:
(1) La copia fu fatta su luogo l’11 febbraio scorso, la notizia fu data
con lettera del 25 febbraio da File. Un breve cenno sul rinvenimento fu
inserito nell’Akademy del 7 marzo scorso (n. 1244, p. 206) e da me nella
Rassegna Nazionale di Firenze dell’aprile scorso (1896, p. 829-830). — Per
altre iscrizioni in latino rinvenute recentemente ad Assuan, e pubblicate
dal prof. Sayce, vedi Proceed. of the Soc. of bibl. Archaeology, XVIII (1896),
n. 3, p. 107-109.
SERAFINO RICCI
678
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|
DI UNA STELE CON ISCRIZIONE TRILINGUE ECC. 679
Risulta dunque che l’epigrafe fu scolpita in onore di C. (1)
Cornelio Gallo (2), primo governatore generale dell’Egitto (3),
in memoria delle gesta militari e politiche da lui compiute
durante la sua prefettura sotto Augusto.
L’epigrafe fu composta certo non prima del 29 a. C., quando
fu ridotto l'Egitto a provincia romana (4), e certo non dopo
del 27: a. C., non avendo qui Cesare Ottaviano il titolo di Au-
gusto.
(1) Il prenome C(aius) finora dubbio (v. Becker-GòLL: Gallus, ediz. del
1882, I, p. 19, not. 1), viene ora per la prima volta accertato dalla nostra
epigrafe, che è la prima conosciuta intorno a Cornelio Gallo.
(2) Cornelio Gallo è di grado equestre (eques romanus), come era pre-
scritto pel praefectus Aegypti, che non poteva essere senatore, nè di Roma,
nè di Egitto (Tacir., Ann. III, 60; Histor. I, 11; Dione Cassro, LIII, 13;
Arrran., Anab. III, 5, 10).
(3) Il titolo della carica di praefectus Alexandriae et Aegypti non è costante
sulle epigrafi e negli scrittori latini, trovandosi anche soltanto quello di
praefectus Aegypti, e in tempi seriori, com’è noto, di praefectus Augusti od
Augustalis Aegypti. Come ufficiale della domus augusta, di cui l'Egitto, pur
essendo provincia dei Romani, ritenevasi una specie di res privata come
la Gallia e la Siria, Gallo era un procurator, un Eritportog "AXezavdpeiac
kai Tic XUpac, come scrivon gli autori greci (vedi C. I. G., III, p. 309; cfr.
MarquarpT, Staatsverfassung, trad. francese, IX vol., p. 406, not. 1). Era
stata necessaria una legge imperiale, perchè egli avesse quei poteri, che,
come cavaliere, non avrebbe potuto avere (cfr. Momwmsen, Rim. Gesch., V,
554; De Rveerero, Le provincie, p. b44).
Sulla nomina di Gallo dopo le calende del sestile nel 30 av. Cr., v.
S. Gerolamo nel Chronicon d’ Eusebio, ediz. Schoene, Berlino, 1866, p. 141
(Syne. 569); cfr. Res Gestae, ediz. 2° (1883), p. 10; cfr. pp. 106-107.
(4) Vedi Drone Cassro, LI, 4; cfr. 17, 19; Sveron., Aug., c. 66; Zonara,
X, 31; Res Gestae, ediz. 2*, V, 24, p. 109 (Aegyptum imperio populi romani
adiecit); cfr. le monete d'Augusto, dal 29 av. Cr. in poi, con la leggenda
Aegypto capta (ved. Conn, I°, pp. 62-63, nn. 1-3). — Sulla costituzione spe-
ciale dell'Egitto sotto i Romani, cfr. MarquaRDI, Staatsverwaltung, 1°, p. 438
e segg.; cfr. trad. francese, op. cit., cap. XI, p. 399 e segg.; Mommsen, Rim.
Gesch., V*, p. 553 e segg. = trad. franc., l. c., pp. 158-250; Staatsrecht,
III, I, pp. 751-754 = trad. frane., vol. VI, p. 891 e segg. — Cfr. Kunx,
Verfassung des ròm. Reichs, II, p. 80 e segg., 454 e segg.; Momwmsen-De Rue-
GIERO, Op. cit. nella trad. ital., p. 555 e segg. — Wira. Wircxken, Observa-
tiones ad historiam Aegypti prov. rom. depromptae e papyris graecis beroli-
nensibus ineditis. Berlin, Haack, 1885, in-8°; A. Stmarra, Essai sur la province
romaine d’Egypte. Paris, Thorin, 1892.
680 SERAFINO RICCI
L’epigrafe anzi deve essere stata composta probabilmente sul
principio del 27 a. C., cioè sul finire del reggimento di Gallo,
che terminò appunto nel 27 av. C. (1). Dione Cassio, p. es. (LIII,
23), stabilisce un confronto fra Agrippa e Gallo, mentre questi
era prefetto d’Egitto ed Agrippa all’apogeo della gloria e collega
di consolato con Ottaviano, e ci rappresenta Agrippa il braccio
destro dell’imperatore, il donus militia e victoriae socius d’Au-
gusto, come dice Tacito (Ann., I, 3), Gallo invece superbo e
smodato nella lingua, fors’anco per abuso del vino, come sap-
piamo da varia fonte (Drone Cassro, LIMI, 23; Ovipio, Tristium,
II, 445), il quale, od ingratum et malevolum animum, come ag-
giunge Svetonio (A4ug., 66), incorse nell’ira dell’imperatore. Ora,
siccome si sa che Agrippa fu inalzato geminatis consulatibus
(Tac., 1. c.) negli anni 28 e 27 av. C., per lo meno alla fine
del 28, o in principio del 27, dobbiamo riferire il confronto di
Dione, cioè al periodo medesimo o immediatamente precedente
a quello della composizione dell’epigrafe nostra onoraria.
Le gesta militari e politiche di Cornelio Gallo furono, come
risulta dall’epigrafe, la repressione in quindici giorni della ri-
bellione della Tebaide con l’espugnazione di cinque città. Di
queste sono note Coptos e Diospolis (verosimilmente Magna piut-
tosto che Parva, quantunque non sia espresso quale delle due). —
Di Ceramices vi sarebbe indizio in un nome egizio di un papiro
greco-egiziano, la cui trascrizione greca darebbe il nome Kepdpera
come un quartiere di Tebe d’Egitto (2). Nell’epigrafe ne è data
la traduzione latina con la forma Ceramice, es. Le iniziali delle
altre due città non offrono identificazione con nomi noti di quella
regione.
Per una ho supplito Bore|os] secondo la forma Diospoleos,
vista l’esiguità della lacuna; ma non vi faccio assegnamento,
come nulla concludo per l'iniziale Meg, poichè, esclusa l’ipotesi
dell'errore per M[a]gr[ae], riferibile a Diospoleos (chè in tal caso
mancherebbe il nome della quinta città), non trovo altro luogo
(1) Momxsen, Res Gestae, ediz. 2*, pp. 106-107.
(2) Hernr. Brueasca, Die Geographie des alten Aegyptus nach den altà-
gyptischen Denkmiiler. Leipzig, 1857, vol. I, p. 190. Per l’etimologia e il
confronto coi monti testacci d'Alessandria, vedi LumBroso, L'Egitto dei Greci
e dei Romani. Roma, Loescher, 1895, ediz. 2*, vedi cap. XXI, pp. 216-224.
E A TO TI n LE
DI UNA STELE CON ISCRIZIONE TRILINGUE ECC. 681
noto che vi possa corrispondere, eccetto Megatichos, o gran
muro, tra Siene e File, di cui si vedono ancora le vestigia (1).
Ma questo gran muro non può essere considerato centro abitato,
essendovi colà, dove il muro ha origine, la sola Siene, che non
mutò mai il suo nome (2).
Un altro fatto rilevato dall’epigrafe è l’avanzarsi di Cor-
nelio Gallo con l’esercito oltre una cateratta del Nilo, ma è
lacunosa la parte che dovrebbe determinarla. Io ho supplito
_minorem (quella di Assuan), poichè è inverosimile che il prefetto
«non solo sia giunto alla maggiore (quella di Hannek e di
— Caibar(3)), ma l'abbia anche oltrepassata. Il quartier generale
delle sue truppe era Siene, ove di solito stavano tre delle nove
| coorti ausiliarie, e parte delle tre alae, e Cornelio Gallo vi sarà
venuto con parte della legione stanziata ad Alessandria e forse
delle altre due nell’interno della provincia (4).
Ora l’epigrafe ricorda un ingrandimento di territorio (v. 6:
prolata Thebaide) con una specie di sottomissione dei varî reguli
finitimi (v. 6-7: communi omn|i]||um regum formidine subacta)
. ed un trattato di pace stipulato col re degli Etiopi, con la clau-
sola dell’accettazione del protettorato imperiale e del bando ai
confini del suo regno etiopico, — se però i supplementi non risul-
teranno errati col confronto dell’epigrafe geroglifica e greca
(v. 7-8: coque|| rege in tutelam recepto tyran[ni atque reda]cto
[in fi]|nes Aethiopiae) —; per la qual cosa si sarebbe indotti a
credere che il prefetto si sia inoltrato nella Nubia e spinto
da Siene oltre File, per lo meno a Talmis o a Pselsis, o in altro
luogo più interno. In ogni modo Gallo spostò innanzitutto il suo
quartier militare da Siene a File, ove udì, a quanto pare, l’am-
basceria nemica (v. 7: leg|atisque re|gis Aethiopum ad Philas
(1) Vedi Lancrer in Panckovore, Description de V'Égypte, I, 1, p.4 e segg.
(2) Seguo in ciò il giudizio autorevolissimo del ch. prof. Schiaparelli.
(3) Sulle varie cataratte vedi GorrBERG, Des Cataractes du Nil. Paris,
Ragon, 1867. La Cutaracta major è la quarta di Hannek e di Caibar, oltre
quella di Uadi-Alfa, per chi considera separatamente dopo Assuan quella
di Calabscheh, come mi fa notare il prelodato prof. Schiaparelli; chi invece
pone la major a Uadi-Alfa comprende sotto tal nome il tratto delle tre ca-
taratte Uadi-Alfa, Caibar ed Hannek.
(4) Intorno l'ordinamento militare, vedi De Ruaerero, Die. epigr. alla
voce Aegyptus, p.277; cfr. MarquaRDT, op. cit. in francese, p. 406, nota 5.
682 SERAFINO RICCI
auditis), poi dal quartiere di File si sarebbe spinto nell’interno
in un luogo non ben determinabile, ma certamente oltre i con-
fini fino allora assegnati alla provincia imperiale d’ Egitto (1).
Si vede pertanto che l’importanza della spedizione di Gallo
sta più nella precedenza storica del fatto che non nell’estensione
del territorio occupato. Chè, se Gallo intende di riferire la frase
in quem locum neque populo romano neque regibus Aegypti p|ro-
gredi licu]it (vers. 6), come mi pare si possa supplire, ad Augusto
e ai precedenti reges a Caesare devictos (v. 2), ha ragione di cre-
dersi il primo che oltrepassi File ; se invece intende di alludere
anche ai predecessori Tolomei, egli cade in errore storico grave,
poichè già al tempo dei Tolomei erano state compiute spedizioni
in Etiopia da Siene per lo meno sino a Meroe, come citano Aga-
tarchide e Marciano Capella (2).
È degno di nota il titolo di rex Aethiopum citato nell’epi-
grafe (v. 7), mentre finora non avevamo notizia che di regine
etiopiche, ricordate col nome frequente di Candake sotto Augusto,
sotto Nerone e sotto Adriano (3).
A giudicar dalla forma, l’epigrafe, che non manca di pre-
sentare difficoltà ed incertezza d’interpretazione (4), si direbbe
inalzata per ordine dello stesso C. Cornelio Gallo, la qual cosa
confermerebbe la notizia data da Dione Cassio (LIII, 23), che
ce lo presenta tanto pieno di sè che eik6vag éautod èv 6h, ug
eiteîv, tf) Aîrumtw EoTnoe Kai tà Epra boa Emeromzer Èg TÙùg mu-
pauidag ECErpawe.
Perciò sono stato cauto nel giudicare delle operazioni mi-
(1) Vedi Marquarpr, op. cit., pp. 401-402.
(2) Vedi LumBroso, op. cit., 2* ediz., pp. 50-5Ì.
(3) Vedi WiLken in Hermes, XXVIII, p. 154; cfr. Mommsen-De RueGIeRO,
op. cit. sulle Provincie romane, pp. 580-581. L'Etiopia in guerra coi Romani
e sottomessa non figura nella storia dell'Impero romano che sotto il pre-
fetto C. o P. Petronio, dal quale fu vinta la regina Candake. Lo Schwartz
nel suo lavoro sull’Etiopia non cita nemmeno Cornelio Gallo (v. Rhein. Mus.,
N.F., XLIX, pp. 358-361). — Circa il titolo di rex barbaro fu contestato fino
ad ieri anche per tempi seriori quello di rex Thebaceorum, come principe
etiopico-meroitico della Tebaide (vedi Lumroso, op. cit., p. 50).
(4) La restituzione delle linee 8 e 9 dell’epigrafe è molto dubbia e la
presento con tutto il riserbo, astenendomi dal farvi assegnamento fin dopo
i confronti col testo geroglifico e greco.
È
Cona ——_ er
re,
DI UNA STELE CON ISCRIZIONE TRILINGUE ECC. 683
litari di Gallo, poichè le notizie sfavorevoli dateci dagli scrit-
tori intorno a lui fanno rilevare la temerità usata in faccia ad
Augusto, di cui l’epigrafe sarebbe un’altra prova, nel semplice
titolo di signore dato all'imperatore (ver. 8: in tutelam recepto
tyranni), se pure si può legger così, nonchè nella pomposa enun-
ciazione delle sue imprese guerresche e politiche. Non nego che
quel suo operare era favorito dalla condizione eccezionale in cui
lo stesso imperatore l'aveva posto (1), poichè in sè era un vi-
cerè, rivestito del potere giudiziario con legge speciale dell’im-
peratore, avente cioè un imperium ad similitudinem proconsulis,
cioè coi pieni poteri d’un governatore capo di provincia, senza
però le insegne esteriori del grado e senza i fasci. La sua ca-
rica di praefectus Aegypti era superiore a tutte le altre, e solo
in tempo più tardo fu inferiore a quella del praefectus praetorii ;
inoltre Cornelio Gallo, aiutato dai prefetti di campo per la parte
militare (2) e dall’idiologus ad Aegyptum per quella finanziaria,
aveva giurisdizione tanto ampia da riunire in sè troppe respon-
sabilità e attirarsi gli odì di molti, specie per la esazione dei
tributi in tutta la regione conquistata (3).
Cornelio Gallo (4) era nato a Forum Julii (Fréjus, fra To-
(1) Vedi De Rueeiero, Dizionario epigraf., voce Aegyptus, p. 277; cfr.
Taciro, Annali, XII, 60; cfr. Digesto, I, 17, 1; cfr. note a p. 679; MarquaRDr,
op. cit., p. 406.
(2) Il prof. Sayce, a proposito delle iscrizioni latine precitate, rinvenute
ad Assuan (vedi p. 677, nota 1) e contenenti nomi in parte finora ignoti di
prefetti militari, rileva il fatto che questi fossero tre sotto Augusto, uno
per ogni legione, e da Tiberio in poi, tolta una legione, rimanesse uno solo
per le altre due, col titolo di praefectus castrorum.
(3) La riscossione dei tributi era il fine più diretto di simili spedizioni
nel territorio egiziano, e Cornelio Gallo, per ordine d'Augusto, aveva reso
tributaria tutta la regione sottomessa (Drone Cassio, LI, 17: ék dé ToùTov
tiv te Alfumtov ùmoteN émoinoe). Per il che ebbero luogo defezioni prima
represse (Srras., XVII, 53, OTdOv TE fevnoeîcav Èv Ti) Onfaidi did TOÙC PHpouvg
èv Bpaxeî xatérvoe. — Eusesio, Chron. FdXXog KopwhMoc, dc Tèv dTooTAvTWwY
Aîrumtiwv Kkageîle tdg TOXIC, ediz. Schoene (1866), p. 140), poi rinnovatesi
con tale audacia sotto C. Petronio, che Augusto si rifiutò di rendere tribu-
tarî i vinti, anzi, rinunziò una volta per sempre all'occupazione delle re-
gioni dell'Alto Nilo, limitandosi al protettorato da Siene a Hiera Sicaminos
(vedi Mowwsex-De RueGreRro, op. cit., p. 581).
(4) Vedi per Cornelio Gallo gli autori Srrasone, XVII, 53; PLurarco,
Anton., LXXIX, 1; Sveron., Aug., c. 66; Drone Cassro, LI, 17, 1; Zonara,
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 47
684 SERAFINO RICCI
lone e Nizza) nel 69 av. C.; è identificato da Ammiano Marcel-
lino e da S. Girolamo con il noto poeta lirico, amico di Properzio
ed intimo di Vergilio, che lo cantò nelle Bucoliche (Egl. VI e X)
e nella prima edizione delle Georgiche (lib. IV; 29/28 a.C.) (1).
Combattè contro Sesto Pompeo; secondo Strabone, fece una
spedizione contro Heroonpolis e Tebe, anteriormente alla spedi-
zione ricordata dalla nostra epigrafe.
Pare che la condotta di Gallo con l’imperatore e con le
città soggette abbia dato ad Augusto occasione di biasimo (2) ;
il collega Valerio Largo, già suo amico, lo accusò di estorsione (8).
Caduto in disgrazia d'Augusto e allontanato dall’ufficio,
Cornelio Gallo fu colpito dalla sentenza del Senato, che in questo
sostituì con tanto zelo l’imperatore nella parte di giudice e di
accusatore da dispiacere allo stesso Augusto (4).
Cornelio Gallo fu esiliato e i suoi beni, confiscati, ingros-
sarono il fisco imperiale. Egli si uccise; aveva soli quarantatre
anni d’età (5).
Ed ora, ritornando all’epigrafe, essa è il primo e il solo
documento epigrafico contenente intorno al primo governatore
X, 31; Eusesio, Chronicon, ediz. Schoene (1866), II, p. 140; S. GrroLamo, ib.,
p. 141; Awmrano Marcettino, XVII, 4, 5; EurroPro, VII, 7. — Confronta i
lavori moderni di VoòLker, De C. Cornelii Galli vita et scriptis, I, Bonn,
1840; parte II, Elberfeld, 1844. — Wira. Becker, Gallus, 1882 (nevarbeitet
von Herm. GéoLL.), I vol., p. 19, nota 11.
(1) Caduto Gallo in disgrazia d'Augusto, Vergilio nella seconda edizione
delle Georgiche (26 a. C.) sostituì alle lodi dell'amico l'episodio del pastore
Aristeo. — Il prof. Chatelaine impugnò in un suo scritto (Revue de philologie,
1880, pp. 69-79) l'autenticità dei carmi attribuiti a Cornelio Gallo nella
Anthologia latina, edita dal Riese, dei quali non parrebbe genuino che il
breve frammento presso Vibius Sequester (vedi Becker, op. cit., III, p. 548).
(2) Drone Cassro, LIII, 23. Già Augusto si era risentito della condotta
di Cornelio Gallo col dotto QQ. Cecilio Epirota (Sveron., Gr. #4., 16; cfr.
Becker, I, p. 22), e finì coll’interdirgli l’accesso alla Corte e nelle sue pro-
vincie (domo et provinciis suis interdixit; Sveron., Aug., 66).
(3) Awmran. MarceLtino, XVII, 4. Si dice che avesse impiegata parte
dei capitali nell'industria della carta che porta il suo nome, la Corneliana
(Istnoro, VI, 7; cfr. BeckER, op. cit., I, 21).
(4) Vedi Sveronro, Aug., l. cit.
(5) La data della morte vien fissata nel 26 av. Cr. dal seguente passo
di S. Gerolamo (1. c.): XLIII aetatis suae anno propria se manu interfecit.
nre a
DI UNA STELE CON ISCRIZIONE TRILINGUE ECC. 685
imperiale in Egitto fatti particolari, che lumeggiano le poche
notizie finora date dagli storici. Queste nuove cognizioni richia-
meranno l’attenzione sopra le imprese di Gallo, finora rimaste
offuscate dai fatti più clamorosi dei suoi successori, C. Petronio
ed Elio Gallo, che sono i soli registrati dai dotti odierni prima
delle tarde imprese in Egitto di Pescennio Nigro e di Diocle-
ziano (1).
(1) Vedi Vivien Saint MartIN, Le Nord de l’Afrique. Paris, 1883, p. 111
e segg., 160 e segg.; E. ScHIAPARELLI, La catena orientale dell'Egitto. To-
rino, 1890 (Studî sull’antico Egitto, vol. I), p. 124 e segg.; G. LumBroso,
L’Egitto dei Greci e dei Romani. Torino, 1895 (2* ediz.), p.50 e segg.
L’ Accademico Segretario
Ermanno FERRERO.
686
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA
Dal 22 Marzo al 12 Aprile 1896.
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio;
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono,
* Abhandlungen herausg. von der Senckenbergischen Naturforschenden
Gesellschaft. Bd. XIX, Heft. III-IV. Frankfurt a. M., 1896; 4°.
* Annales de la Faculté des sciences de Marseille. T. IV, fasc. 4%; T. V,
fasc. 1-3. Marseille, 1895; 4°.
* Annales des Mines. 9° série, t. VIII, livr. 7”. Paris, 1895.
Atti del Collegio degli ingegneri e degli architetti in Palermo. Anno XVIII,
1895, gennaio-aprile; 8°.
* Atti della R. Accademia dei Fisiocritici in Siena. Serie IV, suppl. al fasc. X
del vol. VI; vol. VII, fasc. 7-8; vol. VIII, fasc. 1. 1895; 8°.
* Berichte iiber die Verhandlungen der k. Sachsischen Gesellschaft der
Wissenschaften zu Leipzig (Mathem.-Phys. Classe), 1895, V-VI. Leipzig; 8°.
* Bollettino della Società di naturalisti in Napoli. Ser. I, vol. IX, fasc. IL,
1896; 8°.
* British-Museum (Natural History) of London:
Catalogue of Birds, vol. XXV, XXVII.
Catalogue of Fossil Fishes, Part III
Catalogue of Mesozoic Plants, Part II.
Guide to the British Mycetozoa.
Introduction to the Study of Rocks. — London, 1895-96; 8°.
* Bulletin de l’Académie Royale des sciences et des lettres de Danemark,
1896, n. 1. Copenhague, 1896; 8°.
Bulletin de la Société géologique de France. 3° série, t. XXII, n. 10;
t. XXIII, n. 4-7. Paris, 1894-95; 8°.
* Bulletin de la Société des Sciences naturelles de l’Ouest de la France. T.V,
2° et 3° trimestre 1895. Nantes; 8°.
* Bulletin du Muséum d'’histoire naturelle. An. 1896, n. 1. Paris, 1896; 8°.
* Communicacoes da Direcgao dos Trabalhos geologicos de Portugal.
T. III, fasc. I. Lisboa, 1895-96; 8°.
*
il
I ©
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 687
* Compte-Rendu des séances de la Société géologique de France. 3° série,
t. XXIII. Lille, 1895; 8°.
* Foldtani Kozlòny kiadja a Magyarhoni Foldtani Tarsulat. Vol. XXV,
n. 6-12. Budapest, 1895; 8°.
* Jahrbuch des Norwegischen Meteorologischen Instituts fir 1892. Christiania,
1894; f° (dalla R. Università di Norvegia).
* Jahresbericht der Kgl. Ung. geologischen Anstalt fiir 1893. Budapest,
1895; 8°.
* Johns Hopkins Univ. Circulars. Vol. XIV, n. 123. Baltimore, 1895; 4°.
* Mémoires de la Société des sciences physiques et naturelles de Bordeaux.
4° série, t. V. Bordeaux, 1895; 8°.
* Mémoires de la Société nationale des sciences naturelles et mathéma-
tiques de Cherbourg, t. XXIX. 1892-1895; 8°.
Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXV, disp. 1° e 2*.
Roma, 1896; 4°.
* Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVI, n. 5.
London, 1896; 8°.
* Observations pluviométriques et thermométriques faites dans le Départ.
de la Gironde de Juin 1893 è Mai 1894. Bordeaux, 1894; 8° (Acad. des
sciences phys. et naturelles de Bordeaux).
* Proceedings of the Royal Society. Vol. LIX, n. 355. London, 1896; 8°.
* Processi verbali delle adunanze. Anno accademico 205, n. 1 (Accad. dei
Fisiocritici). Siena, 1895; 8°.
* Records of the Geological Survey of India. Vol. XXIX, part 1. Calcutta,
1896; 8°.
Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Vol. XXIX,
fasc. V. Milano, 1896; 8°.
* Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli.
Serie 3*, vol. II, fasc. 2°. Napoli, 1896; 8°.
* Sitzungsberichte der mathematisch-physikalischen Classe der k. b. Aka-
demie der Wissenschaften zu Miinchen. 1895, Heft III. Miinchen, 1896; 8°.
Travaux et Mémoires du Bureau International des Poids et Mesures. T. XI.
Paris, 1895; 4° (dono del Governo Francese).
* Verhaudlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Jahrgang 1895.
Wien; 8°.
* 7KypHalp pyCcgaro 8 mro-xnMNTeckaro O6mectsa ipu MMmepaTopcroMme
C. IIerep6ypreronxs Vangepenterb; t. XXVIII, n. 1. 1896.
*
Albert Ie, Prince de Monaco. Sur la deuxième campagne scientifique de
la “ Princesse Alice ,. Paris, 1896; 4° (dall’A.).
Cauchy (A.). Fuvres complètes. Publiées sous la direction scientifique de
l’Académie des sciences et sous les auspices de M. le Ministre de
l’Instruction Publique. II sér., t. X. Paris, 1895; 8° (dono del Governo
francese).
688 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
Deniker (J.). Bibliographie des travaux scientifiques (sciences mathéma-
tiques, physiques et naturelles) publiés par les Sociétés savantes de la
France dressée sous les auspices du Ministère de l’Instruction publique.
Paris, 1895; 4° (Id.).
Graf (H.). Ludwig Schlàfli (1814 bis 1895). Bern, 1896; 8°.
** Reichenbach (L.) et (H. G.). Icones Florae Germanicae et Helveticae
simul terrarum adjacentium ergo Mediae Europae, t. XXIII, Decus I.
Lipsiae, 1896; 4°.
Ruffini (F. P.). Delle accelerazioni che nel moto di un sistema rigido con
un punto fisso sono dirette ad uno stesso punto qualsivoglia dato.
Bologna, 1896; 8° (dall’A.).
Vecchi (S.). Per la diffusione dei disegni axonometrici. Parma, 1893; 8° (74.).
** Vinci (L.). Codice atlantico, Fasc. VIII Milano; fol°.
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche
Dal 29 Marzo al 19 Aprile 1896.
*
Abhandlungen der philosophisch-philologischen Classe der k. bayerischen
Akademie der Wissenschaften. XX Bd., II Abth. Miinchen, 1895; 4°.
Abhandlungen der k. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen.
Philologisch-historische Klasse. Neue Folge, Bd. 1, N° 1, 2. Berlin,
1896; 4°.
* Anales de la Universidad (Republica Oriental del Uruguay). Tomo VII,
Entr. V. Montevideo, 1895; 8°.
* Annales du Musée Guimet, Bibliothèque d’études, t. V®©. Paris, 1895; 8°.
Atti del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Ser. VII*, T. VII,
disp. II e III. Venezia, 1895-96; 8°.
** Bibliotheca philologica classica. 1895. Viertes Quartal. Berlin; 8°.
* Boletin de la Real Academia de la Historia; t. XXVIII, cuad. III. Madrid,
1896; 8°.
* Comptes-rendus de l’Athénée Louisianais. 5® série. Tom. 83°, livr. 2me,
Nouvelle-Orléans, 1895; 8°.
** Mittheilungen der k. k. geographischen (Gesellschaft in Wien. 1895.
XXXVII Bd.; 8°,
** Monumenta Germaniae historica. Epistolaram t. IV. Karolini aevi II
Berolini, 1895; 4°.
*
*
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 689
Sanskrit Critical Journal of the Oriental Nobility Institute, Woking;
England, vol. XXVI, n. 1, 2. 1896; 8°.
* Sitzungsberichte der philosophisch-philologischen und der historischen
Classe der k. b. Akademie der Wissens. zu Miinchen. 1895, Heft IV.
Miinchen, 1896; 8°.
* Viestnik hrvatskoga Arheoloskoga Drustva. Nove Serije Godina I. 1895.
Zagrebu, 1895-1896; 4°.
* Bahr (J. von) och Th. Brandberg. Upsal Universitets Matrikel. Upsala,
1896; 8° (dall Università).
Colombo (G.). Il testamento di maestro Syon Dottore in Grammatica, ver-
cellese. Torino, 1896; 8° (dall’A.).
** Hodgkin (T.). Italy and her Invaders. Vol. III and IV; Second edition.
2 vol. Oxford, 1896; 8°.
In morte di Cesare Cantù. Milano, 1896; 8° (dalla famiglia).
Ricciotti (G.). La chiesa e la confraternita denominata “ La Donna , isti-
tuita nell’anno 1450. Notizie storiche. Alatri, 1894; 8° (dall’A.).
Teza (E.). Il Tipitaram dei Buddiani. Venezia, 1896; 8° (Zd.).
Tipitakam (Collezione dei libri sacri dei Buddisti meridionali in lingua
pali trascritti in caratteri siamesi). Bangkok, 1894, 39 vol.; 8° (dono di
S. M. il Re del Siam).
Weber (von A.). Vedische Beitrige. Berlin, 1896; 8° (dall’A.).
ms — Di
Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi.
t
nh
ui Lia î siro rit PE TI ‘tag doeh
bia frt | tin Sdrzia fanta "tati Varta Li
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i 9
CLASSE
DI
°. SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 26 Aprile 1896£ »
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA” Pi
S
n°)
e]
(da)
CV
3 VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci: D’Ovipro, Direttore della Classe,
Berruti, Bizzozero, FERRARIS, Mosso, SPEZIA, GracomINnI, Ca-
MERANO, SEGRE, VoLTERRA, JADANZA, Foà, GuaAREscHI e Nac-
carI Segretario.
Viene letto ed approvato l’atto verbale della seduta pre-
cedente.
Il Socio D’OvipIo fa omaggio all’ Accademia, a nome dell’Au-
tore, di tre opere pubblicate dal Prof. Fr. CALDARERA intitolate:
«“ Primi fondamenti della geometria del piano ,, “ Introduzione
allo studio della geometria superiore ,, “ Trattato di trigonometria
rettilinea e sferica ,. Il Socio D’Ovipro parla di queste opere
| esponendo i caratteri che le distinguono da altre che trattano
gli stessi argomenti.
Il Segretario segnala fra le opere inviate in dono quelle
dei Soci corrispondenti CAaruEL, RIGHI e VILLARI.
Vengono accolte per l’inserzione negli Atti le note seguenti:
1° “ Sull’inversione degli integrali definiti , , nota del Socio
VOLTERRA;
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 48
692
2° “ Sulle congruenze di rette del terzo ordine prive di linea
singolare ,, nota del Dott. Gino Fano, presentata dal Socio SEGRE;
8° “ Ricerche sui pesci fossili del Paranà ,, nota del Pro-
fessore Giulio De ALEssANDRI presentata dal Socio CAMERANO.
Vengono accolti nei volumi delle Memorie dietro favorevole
giudizio delle rispettive commissioni esaminatrici gli scritti
seguenti:
1° “ Sulle cellule del sangue della Lampreda ,, memoria
del Dott. Ermanno GieLio-Tos;
2° “ Sopra alcuni fenomeni luminosi presentati dalle scaglie
di certi insetti ,, memoria del Prof. Antonio GARBASSO.
_—<T€<TTyT_FPPt—
V. VOLTERRA — SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 693
LETTURE
Sulla inversione degli integrali definiti ;
Nota IV del Socio VITO VOLTERRA.
1. Mi permetto di presentare la continuazione di alcuni
studii sulla inversione degli integrali definiti, recentemente co-
municati all'Accademia. Nell'ultima Nota (*) ho esaminato il
caso in cui, avendosi l'equazione funzionale
fi) = ig) H(a,y) de,
la espressione di H(x,y) sviluppata secondo la formula di
Maclaurin cominciasse dai termini di primo grado nelle varia-
bili; darò ora alcuni teoremi fondamentali relativi al caso in
cui la detta espressione cominci dai termini di grado w.
Il primo di essi stabilisce una condizione sufficiente perchè
il problema dell’inversione sia determinato, la quale si verifica
allorchè le parti reali delle radici di una equazione algebrica
di grado » a coefficienti reali sono tutte positive.
Ora la questione di riconoscere se le parti reali delle ra-
dici di una equazione algebrica a coefficienti reali hanno tutte
lo stesso segno è stata recentemente trattata e risoluta in
maniera completa ed elegante dal Prof. Hurwitz (**). Applicando
il criterio di Hurwitz al nostro caso si può giudicare a priori
che la questione d’inversione è determinata, eseguendo solo ope-
razioni razionali sui coefficienti dei termini di grado » dello
sviluppo di H (x,y).
(*) Seduta dell'8 marzo 1896.
(*#*) Ueber die Bedingungen, unter welchen eine Gleichung nur Wurzeln
mit negativen reellen Theilen besitzt von A. Hurwrrz, “ Math. Annalen ,,
Bd. 46, S. 273.
694 VITO VOLTERRA
I teoremi 2° e 3° danno la effettiva risoluzione del pro-
blema dell’inversione allorchè è ‘soddisfatta la condizione di cui
ora si è parlato. Essi stabiliscono che l’equazione funzionale
primitiva è equivalente ad un’altra avente la stessa forma,
ma tale che la corrispondente funzione H(y;y) non si annulla
più nell'intervallo d’integrazione, e che perciò è suscettibile di
risolversi col metodo che ho dato fino dal principio delle at-
tuali ricerche. i
Finalmente i teoremi 4° e 5° provano che la questione
funzionale non è determinata se le radici della equazione alge-
brica a cui si riferisce la detta condizione, anzichè avere le
parti reali positive, sono tali che una o più di esse hanno le
parti reali negative, giacchè allora se esiste una soluzione ve
ne sono infinite.
2. TroreMA I. — Abbdiasi la equazione funzionale
(A) fg) = fo@HW,y) de va:
in cui
fly) = fi)
H(x,y) = Zaia y* 190 9)
n+1 : I
H' (e.g) agg Llay)
0
essendo le a, quantità costanti.
Se f.(y) e L;(x,y) e le loro derivate rapporto ad y sono finite
e continue per y compreso fra 0 ed a, mentre in questo intervallo
h(y) = H(4,9)
non si. annulla che per y = 0, esisterà una ed una sola funzione
finita e continua ® che soddisfa la (A) quando tutte le radici del-
l’equazione algebrica di grado n
(B) aa sesso cr
essendo finite e differenti fra loro, avranno le parti reali positive.
Divideremo la dimostrazione di questo teorema in due parti.
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 695
3. Supponiamo dapprima che la funzione © (x) soddisfi la (A).
Derivando questa equazione rapporto ad y otterremo
(A) f@=oMh() + frP)H(2, 9) da
; In cui
1 r1@=Zay + #4)
dò H } ù 2) VP. eni Seni '
© Hey = EE day + Hl0,9)
essendo
ld ’ ò 4 ’
Wy=H yy), Bilo) = Ser.
Sia ora \, una radice dell’equazione (B).
Moltiplicando ambo i membri della (A') per y*—"-! avremo
PP = PM + 91 (1) (0,9) de.
Poichè la parte reale di \, deve essere positiva, così ambo
i membri della precedente equazione saranno finiti o al più,
per y= 0, diverranno infiniti d’ordine inferiore ad un numero
minore dell’unità. Quindi sarà. lecito integrare fra 0 e 2 e si
otterrà:
a fr@eerdy= filoni +
+ pet [lp (2) (c,)de i dy
e, applicando il principio di Dirichlet
frog = Si) e +
T SEay, sata! da P(Y) dy.
696 VITO VOLTERRA
Abbiamo ora, in virtù della (2),
da Hs(y,2)* str-lda i Si 34; a: PO id i CÈ
0 s
aa ii ur atea
ne: 2; pie el diY 8 JEYaa dx
0
e, mediante una integrazione per parti applicata all’ultimo in-
tegrale,
"x n | .
[ Ha (y, 2) at de = S dope fi a; giersi- TR
. Yy —
0 vs
n
px - ti af + H'(y,e)n1 — N (yy —
— (A, —n— 1) if H'(y;a)a\tt7? da.
Ne segue, tenendo conto della (1),
hg + f Hyde =
«/ y
ya 2 4; (1 ra i) — h' (gle! AL n i
+ H'(y,e)a*1_ WN'(y)y3-A—n—-1) [H'Yy,madere da.
»' y
Ma siccome 4), è radice della (B), così
zolle eu
onde il secondo membro della precedente equazione diverrà
mi perio) —
0 ds — i
— (—-na—-1) pa H'(Ya)g\ent? dx.
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 697
In conseguenza la (3) si scriverà
J Agati [a ester Qi +
o 0
+ HYS An 1) (MY, MA} PAy
e moltiplicando ambo i membri per 27>*!,
= fsi tini,
=. gl ET
) ia Pu dy = [
de CELS 3 (n 12! SH dot da | ® (4) dy.
Y,
x
Si ponga ora
_ (—-m0—-n+1)...(A: — 2) LA
k, n (A5—M) (Asa)... (Ad) (s "DA 19 2, see n)
in cui il denominatore contiene tutte le differenze ), — ),
per h=s.
Per noti teoremi algebrici (*) avremo
>. K, = 1
2 K sa, ni; nZigi
Di ds M dg see din > Ai
o +1
1 IE ORE aio (i De
TS, RESA ARERIRREY(] UE TT FRASE DEL UAIOR n e
# Mr ane dd
2: =g = 0) (0 =<2, 3... n).
(n—1)! pag
y n K,y
Vita I Mtb). (i Ma)
(*) Vedi Jacosi, Disquisitiones analyticae de fractionibus simplicibus. Dis-
sertatio inauguralis. Berolini 1825 (“ Ges. Werke ,, Bd. III).
698 VITO VOLTERRA
Moltiplichiamo ambo i membri della (4) per K, e som-
miamo per tutti i valori dell'indice s da 1 ad ». Si avrà
=, K, Ot (Py yy =
î n—l n
i H' ,
- [{E0 sas >. au ste = z. K,
0
— 3, K.(A,—n—1)2 | H'(Y,0)m da | 9(y) dy
at: |
1
ossia, in virtù delle (5),
(6) 4 K, et | P(M)ypady =
n ni di
in cui sì è posto
(An —-1)(A — n)... (Xx — 2)
(As — AM) (As — Aa)... (As — In)
E. a
Si scriva per semplicità
©) Ke Py Ad = ve)
@ zati 2 Ed) H'yaastd= Ga)
la (6) allora assumerà la forma
(0) ve)= f GP:
ossia potremo concludere che se (y) soddisfa la (A) dovrà ve-
rificare la equazione precedente.
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 699
Abbiamo ora
1° y(2) è una funzione finita e continua in tutto l’inter-
vallo (0 a), e per 2==0 si annulla.
w'() è una funzione finita e continua nello stesso inter-
vallo, e
"n K n(n+1) Zi qa
lim A = +03 = + f0.
3=0 1 s x; Mi
o i+1
d G(Y, 2) Bet È
2° G(y,2) e Gr(y,2) = —;7-- sono funzioni continue
ed i limiti superiori dei loro valori assoluti sono finiti per tutti
i valori di x,y che verificano le condizioni
(RO a le SNA
8° La funzione
GGA=Za + FO
è finita continua e diversa da zero per tutti i valori di 2 com-
presi fra 0 ed a.
La questione funzionale (C) rientra dunque in quella classe,
che ho esaminata in Note precedenti, la quale non ammette
che una sola soluzione @(%).
Dunque non può esservi più di una funzione che soddisfi
la (A).
4. Mostriamo ora che ogni funzione finita e continua @(y) che
verifica la (C) deve soddisfare la (A') e per conseguenza la (A).
Supponiamo infatti che @(y) soddisfi la (C); in tal caso,
posto
Oy) =f"Y) — PMLY) — f MH, y) de,
questa funzione resulterà finita e continua per a >y>= 0 e di-
verrà infinitesima d'ordine n per y="0.
700 VITO VOLTERRA
Seguendo l’analisi che ci ha condotti alla (C), si riconosce
facilmente che questa equazione potrà scriversi
(0) SK f'OM)yi tag = 0.
250
Moltiplichiamo ambo i membri della precedente equazione
per 2?*de; avremo
3, K.etlde. ( Oy) dy = 0.
1 DIA!)
Ammettendo di dare a 9g uno dei valori 2,...n, potremo
integrare fra 0 ed u (A >> 0), e applicando il principio di
Dirichlet si otterrà:
HA n w NAS, nU EE SI
o== K, { ®(y)y dy. f 2 de
ca n u adi ulds yI*s lea
=2.K | My da a =x]=
Ks
q_ ds
K;
q_ds
ud: ( dp ya ey
A cagione della penultima delle (5), l’ultimo termine della
espressione precedente si annullerà, onde avremo
n K wu
© yî>» ul gy —
Ze | PM dy=0
o anche
: K; —stl n \sen—1 = ==
3. den Ri Soy dy=0 (g=2,3...n.
Poniamo
Kt fO()y*1dy=v;
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 701
le equazioni precedenti unitamente alla (0’) potranno scriversi
vtwot... + o,=0
iratyzi et + =0
Pa an È Vi i oa +... + se Lo VU, = 0)
e poichè il determinante
1, np igni 2 1
1 1 1
DIA, J95prL N03 RES
1 1 1
UATET di de da (4) vana dn
così avremo
Va, ==)0
da cui segue
® (4) =
che non è altro che la (A’). Abbiamo quindi provato che dalla (0)
segue la (A'’) e perciò la (A).
Osserviamo ora che la questione funzionale (C) ammette
sempre una soluzione, quindi se saranno verificate le condizioni
poste nell’enunciato del teorema 1° esisterà sempre una funzione
@ (x) che verifica l'equazione (A) e perciò il teorema stesso re
sulterà dimostrato.
5. La identità riscontrata nel corso della precedente dimo-
strazione fra i due problemi funzionali (A) e (C) conduce al
TEOREMA 2°. — Quando sono verificate le condizioni poste
nel teorema 1°, per risolvere la questione funzionale
702 VITO VOLTERRA
(A) fa =fo@H,y)dr (>y>0)
basterà trovare la funzione @(x) che soddisfa l'equazione
(o) 3 Ke (pd =
-| Sa; - SL 1 AD | H'(y,a)a*»-"-? da \o(y) dy
0 1
0 Yy
la quale potrà ottenersi coì metodi esposti nella Nota I.
Infatti le proprietà trovate per il primo membro della (0)
e per la funzione che moltiplica @(y) nel secondo membro di
essa (Cfr. le proprietà. 1°, 2*, 3° trovate nel $ 3) lo provano,
quando si tenga conto dei resultati che ho stabiliti nei $$ 3, 4
della mia Nota dell’Accademia dei Lincei, Sulla inversione degli
integrali definiti (*).
6. Il teorema del $ precedente mostra che la (A) si potrà
risolvere determinando le radici dell'equazione algebrica (B),
quindi ricorrendo ai procedimenti della suddetta Nota.
Ma possiamo trasformare la (C) in modo che non vi com-
pariscano più esplicitamente le radici \,. Essa potrà scriversi
infatti
(0) LI te ia Cora
e | (Za 4 EL _ | rg d (e) atea
0 y
Avremo ora se 1=>u> 00
se
3.K, we=3K, FEEL = 3.K, \.(A-1)...(A,-m-1
iti
>. K'u-—3K(1+u-1) ini 31). Om E
(*) Seduta del 15 Marzo 1896.
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 703
Tenendo conto che ’
KA. — ari ne SI (fi)
1
sono funzioni razionali simmetriche delle radici della (B), esse
potranno esprimersi razionalmente mediante @, @ ... 4», e quindi
n (esi U —
Rue — Xn dz Aido, Ga. an) = Y(A0 0... dn |)
0
1 m!
(u — 1)T
ml!
e = È Aliagal a = VW (Gad da 0)
in cui A_, e A',, denotano funzioni razionali di 4, @,... n:
Mediante queste formule la (C,) si trasformerà in modo che
le \, resulteranno eliminate, ed avremo:
TEOREMA 3°. — Quando sono soddisfatte le condizioni poste
nel teorema 1° la equazione funzionale
(A) fa)= fo@He,y)de (a>y>0)
è equivalente all’altra
(C')) f ÙA0 (4) get Y(@, A, +00 Un | L dy =
-| Za; + È H'(y, a LL (0,1... 2 )dw{ p()dy.
i
Y
7. Esaminiamo ora il caso in cui alcune radici dell’equa-
zione (B) abbiano la parte reale negativa. Sia \ quella o una
di quelle per cui la detta parte reale è minima, e poniamo
\= — 4; quindi si consideri l'equazione funzionale
3
) 1="0 ey) + fem SEEL (ele (a>y>0)
in cui G(x,y) è data dalla espressione (8).
704 VITO VOLTERRA
E facile riconoscere che, applicando il procedimento esposto
nella mia Nota dell’Accademia dei Lincei, Sulla inversione degli
integrali definiti, precedentemente citata, si può trovare la fun-
zione finita e continua 9 che soddisfa la precedente equazione.
(4)
DA È h Si . 5 5E
Perciò basta verificare che i finita e non si annulla nell’in-
tervallo (0, a), e il limite superiore del modulo di
(9) lE Y) (£)°
è finito per
«> ya
Si osservi che se u è un numero complesso, la (9) resulta
una funzione complessa degli argomenti reali x,y; ma il pro-
cedimento a cui ci siamo riferiti è evidentemente estensibile
senz'altro al caso in cui si tratti di funzioni complesse di va-
riabili reali, purchè le condizioni relative ai valori assoluti si
trasportino ai moduli.
Ciò premesso si ponga
(E) Pix) = 0(2)24,
avremo
} “y G È
ye=10 pm + fo) SEEL wa
e osservando che
h (4)
y"
G(y, y) Te ?
sarà
LARE
ye=3; J, POE: 7) da;
onde integrando
"STE vo = nora pyt= | LOC,
da cui segue
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 705
n SI] n SZ gen
& . 121
e" Z;a; Ei iaz” ‘| y
0 n
CESELÌ Vera Biagio Me
Tad ns i ve 7 Ta mi comi P° il % ;
= 2 Za, J P(2)G(2,2)da Zia? Ju JPG, ya.
Ora, eseguendo le integrazioni, il primo membro diviene
1 3 n_A Ae ia m_X41) —
10) IA (a ROME "a
ot di
ire O
e, applicando al secondo membro il principio di Dirichlet, esso
si trasforma in
o (2) o Za;G(a, 2) — Zia,z"' fa (x,y) y' dy dx
#0 | LU) Lat.
quindi, ponendo
blia;o) = za; (1,2) = Zia; {Ga y)yTdy,
otterremo l’equazione
(11) l'o()L(0,2)dx = 0.
Con facili calcoli si ha dalla (8)
n Yy )
G(x,4) = z, (ET gala i f H;(x,z) "1 dé + H(x, 2) an
quindi L(x,z) si potrà decomporre in due parti, e scrivere
L(x,2)=M4+N
ove
n - ci
M=H(%,2) 2, K,a% #12, (agata — iz f yi»
1 0 : c
N=ZK. 3, (at [He Per de —
0 Jr
— 1a;e"T' Sag dy {E (2, E) Dig 1g -
706 VITO VOLTERRA
Semplicizzando come nella formula (10) si trova, tenendo
conto delle (5),
Col n n iaintiarti Ha
M=:‘H(x,) 2; K, I ATI, cs
K;
n n
= H(x,2)Zjia;e"'a ix, ———
( , E 1 mi i-\s+1
e mediante il principio di Dirichlet
N= z, K, | e (0, E) en de z, (a; gho>t1 — iq; tf ati dy) =
n z n i di m_iz-nti
if Ha ET
1 v/ 2 0
i-N-FI
= ("H (2,E) Zia,g-iE-HX na
dia 2\4%3 Fr; î di i -K-F1 ==
nate; Fi ke H;(x, a) de=Z,a, (H (2,2) H(0,9) )
onde
L(x,2)=M4+N= Z a;H (4,2).
0
Perciò l'equazione (11) diverrà
(12) fo (x) H(x,e)de =0
quando si ammetta che tutte le radici della equazione (B) di
n
grado n siano finite, e per conseguenza sia Za; 210)
8. Se u fosse un numero complesso e @(x) ottenuto dalla (E)
resultasse complesso ed eguale a @, + î@», allora separando la
parte reale @, dalla immaginaria si otterrebbero due funzioni
reali diverse da zero ®; e ®, che ambedue verificherebbero la (12).
SULLA INVERSIONE DEGLI INTEGRALI DEFINITI 707
Si avrà dunque:
Trorema 4°. — Se l'equazione
(B) i I a |
di grado n ha le radici finite e diverse fra loro, e una 0 più di
esse hanno la parte reale negativa, allora l'equazione funzionale
fo (2) H(x,g)de = 0
sarà soddisfatta da funzioni reali e diverse da zero.
Se le condizioni di questo teorema sono soddisfatte, si avrà
dunque che l’equazione (A), allorchè ammette una soluzione ne
ammetterà infinite che si otterranno dalla prima aggiungendovi
una soluzione della (12) moltiplicata per una costante arbitraria.
Quindi
Trorema VI. — Il problema di dedurre ® (x) dalla equazione
funzionale
(A) f(@) = | 9 (MH (7,9) da
non è determinato quando la equazione
(B) eee LEI)
di grado n ha le radici finite diverse fra loro e una 0 più di esse
hanno la parte reale negativa.
9. Se supponiamo n= 1, e chiamiamo
Udo > B, a,=
allora l’equazione (B) diverrà
B (ig ARANCE
pipi t MESS mb
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 49
708 GINO FANO
d’onde
ge a+ 28
a+ B
quindi \ sarà finito e positivo se
rai oppure Wire è
e sarà finito e negativo se
(04
i Voir
> — 2;
quindi i teoremi della Nota precedente si potranno ottenere
subito come casi particolari di quelli ora stabiliti.
Aggiunta alla Nota:
Sulle congruenze di rette del terzo ordine
prive di linea singolare;
di GINO FANO.
1. Nella mia Nota: Sulle congruenze di rette del terzo
ordine prive di linea singolare (“ Atti della R. Accademia di
Torino ,, vol. XXIX; adunanza del 1° aprile 1894) avevo lasciato
ancora in dubbio se potesse o no esistere una certa congruenza
di 3° ordine, 7? classe e genere 6 (l. c., n° 7, p. 16); come pure,
nel caso in cui questa congruenza esistesse effettivamente, se
fosse possibile o meno di rappresentarla biunivocamente sul
piano. — Poichè le congruenze di rette dello spazio ordinario si
possono considerare come particolari rappresentazioni sensibili
delle superficie contenute in una quadrica (Mî) non degenere
dello spazio a cinque dimensioni, così la questione si può ricon-
durre a quella dell’esistenza, e, eventualmente, della razionalità,
à dint Dec ela
SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL TERZO ORDINE ECC. 709
di una superficie di ordine 3 -+7=10 dello spazio S;, conte-
nuta sempre in una Mj non degenere, e soddisfacente alle par-
ticolari condizioni in cui si traducono le proprietà di quella
certa congruenza (3, 7), supposta esistente, che già si trovano
enunciate nella mia Nota citata. I nuovi risultati acquisiti in
questi due anni alla teoria delle superficie algebriche, per opera
specialmente dei signori CasreLNUOvo e Enriques ('), mi per-
mettono di rispondere ora completamente a quella questione, e
precisamente di mostrare che non esistono congruenze di rette
(3,7) di genere 6 (?).
2. Ricordiamo anzitutto che la congruenza (3, 7) di genere 6,
supposta esistente, non deve contenere raggi multipli, nè fasci
di rette (1. c., n° 7, p. 15); ma deve invece contenere venti comi
cubici di genere uno, i cui vertici sono punti singolari di essa,
e tali ancora che ogni raggio di essa uscente da uno di questi
punti appartiene sempre al cono corrispondente. La congruenza
non ammette altri punti singolari, ed è affatto priva di piani sin-
golari. Le terne di generatrici secondo cui quei vari coni cubici
sono segati dai piani passanti pei rispettivi vertici sono le sole
terne di rette della congruenza che appartengono ad un mede-
simo fascio (n° 4, p. 8, 9).
(!) CasreLnuovo, Alcuni risultati sui sistemi lineari di curve appartenenti
a una superficie algebrica; Sulle superficie di genere zero; Enriques, Intro-
duzione alla geometria sopra le superficie algebriche; “ Mem. della Soc. Ital.
delle Scienze (detta dei XL) ,, ser. III, t. X, 1896. In questa Nota dovrò
valermi soprattutto dei risultati ottenuti dal sig. CAsreLNUOovo nella seconda
delle sue Mem. cit.
(*) Più particolarmente, faremo vedere che da alcune proprietà della
superficie immagine F'° di $;, supposta esistente, segue che questa non po-
trebbe essere razionale, e che, dal non esser questa razionale, segue poi
l’esistenza su di essa di alcune rette che invece non vi sono contenute;
da ciò l’assurdo, e quindi l'impossibilità dell’esistenza effettiva di quella
superficie, nonchè della congruenza (3, 7) di cui essa sarebbe immagine.
Questa via è alquanto indiretta, e non è certo escludibile che allo stesso
risultato si possa anche giungere in modo più semplice; ma, poichè alcuni
caratteri della superficie F'°, che qui si ammettono per ipotesi, sono stati
dedotti soltanto da equazioni indeterminate, di cui si sono trovate, e resta-
vano in parte a discutersi, le soluzioni intere e positive, potrebbe anche darsi
che vi sia effettivamente implicita una contraddizione, ma soltanto remota.
710 GINO FANO
Questa congruenza (3, 7) si potrà rappresentare con una
superficie F!° dello spazio S;, contenuta in una (sola) quadrica (M})
non degenere, che indicheremo con Q; le sezioni (iper)piane di
questa superficie saranno curve non speciali (cfr. la nota ultima
al n° 4, p. 9, del mio lav. cit.) di genere 6, appartenenti a spazi
S,, e quindi normali; sicchè sarà normale anche la superficie P!0,
Essa sarà priva di punti multipli; non conterrà rette, ma, cor-
rispondentemente ai venti coni cubici della congruenza, conterrà
un egual numero di curve piane di 3° ordine, poste in piani a
due a due incidenti (perchè tutti appartenenti alla quadrica Q, e
precisamente allo stesso sistema di piani sopra questa), benchè
le curve stesse possano a due a due non incontrarsi ('). Saranno
questi i soli piani della quadrica Q che contengono infiniti punti
(ossia tutta una curva) della superficie F!°. L’intersezione ulte-
riore di questa superficie con un S, generico passante per uno
di quei 20 piani sarà una curva normale di 7° ordine e genere 3,
che avrà comuni tre punti con questo piano (ossia colla rela-
tiva cubica).
8. Proiettiamo la superficie F!° su di uno spazio S3 (da una
sua trisecante, e quindi) da una retta generica r del piano a di
una sua cubica y?. (Si può dunque supporre in particolare che
r non incontri i piani delle rimanenti cubiche). Avremo una
superficie F° di S,, con un punto triplo A immagine della cu-
bica y8; e con una curva doppia di 9° ordine, perchè le sezioni
piane della stessa F° devono essere curve di genere 6. Questa
curva doppia non passerà tuttavia per A, perchè le sezioni piane
per questo punto devono essere di genere 3, e quindi appunto di
genere inferiore di tre unità a quello della sezione generica. —
Per la retta » passerà anche un secondo piano 8 della quadrica Q,
che incontrerà la superficie F!° in sette punti; di questi, tre
stanno già sulla curva yY? (ossia sopra r); gli altri quattro da-
ranno in proiezione un unico punto B, quadruplo per la super-
ficie F° (col cono tangente spezzato in quattro piani) e sestuplo
(') Si può dimostrare che ciascuna di queste cubiche dovrebbe incon-
trare tutte le altre, meno una (cfr. la nota (*) a p. 711, n° 3); ma ciò non
ha per noi alcuna importanza.
SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL TERZO ORDINE ECC. 711
per la curva doppia C° (le sei tangenti a questa essendo date
dalle intersezioni di quei quattro piani a due a due). La retta
A B non appartiene però alla superficie F° (e non l’incontra
quindi che nei due punti A e B, triplo il primo e quadruplo il
secondo), perchè lo spazio Sz che la proietta da r ha la sua
intersezione con F!° completamente ripartita fra i due piani a
e B, dei quali A e B sono appunto le traccie sopra F°. Simil-
mente si vede che quest’ultima superficie non contiene nemmeno
altre rette uscenti da uno qualunque dei punti A e B. Infatti
una tal retta, ove esistesse, dovrebbe esser proiettata da r se-
condo un S, contenente uno dei due piani a e f, e incontrante
perciò ancora Q in un secondo piano, che avrebbe certo un
punto a comune con r; sicchè quella stessa retta non potrebbe
esser proiezione che di una curva di F!° contenuta in quest’ul-
timo piano, che (come si è detto) si appoggia ad r. E noi abbiamo
già visto che le sole curve della superficie F!° che sono conte-
nute in piani della quadrica Q sono le 20 cubiche, i cui piani
(a escluso) si sono invece già supposti non incidenti alla retta ».
La curva doppia (0°) della superficie F?, avendo in B un
punto sestuplo, ne è proiettata secondo un cono cubico. Questo
cono sarà privo di generatrici doppie, perchè da un lato la curva (0°
non può avere punti doppi apparenti (se no si avrebbero
raggi proiettanti uscenti da B e incontranti la superficie F° in
otto punti, dunque contenuti in questa), e dall’altro ogni punto
multiplo effettivo della stessa curva C° non potrebbe che esser
proiezione di tre o più punti distinti di F!°; sicchè questi ultimi
punti dovrebbero stare in un piano per r, e non sopra una retta (');
dunque in un piano di Q, e diverso da a e f, il che non è pos-
sibile. La curva C°, e il cono che la proietta da B, saranno
dunque di genere uno. Questo cono incontrerà ancora la super-
ficie F° secondo una curva di 3° ordine d8, avente un punto a
comune con ogni sua generatrice; quindi anche di genere uno,
e perciò piana. Sarà questa la proiezione di un’altra delle 20
cubiche della superficie F!° (*).
(') Ricordiamo che la superficie F!° non ammette altre trisecanti, all’in-
fuori di quelle contenute nei piani delle sue cubiche.
(*) Questa curva non passerà per A, perchè non vi°passa il cono cubico
712 GINO FANO
4. Si può verificare ora facilmente che per la superficie F°,
ovvero (il che fa lo stesso) per la F!° di cui essa è proiezione,
sono nulli tanto il genere geometrico, quanto il genere numerico.
— Il genere geometrico infatti è certamente nullo, perchè la su-
perficie F!° di S; ha le sezioni non speciali (e su di essa non
esistono quindi curve canoniche) (Exnriques: Mem. cit., n° 88,
p. 64-65). — D'altra parte, ogni superficie aggiunta alla F° deve
contenere la curva C°, e ha quindi in B un punto (almeno) triplo
(perchè le sei tangenti a quella curva in B stesso non stanno su
di un cono di ordine inferiore al terzo (')). Inoltre, perchè una.
superficie di ordine n avente già in B un punto triplo contenga
tutta la curva C°(che è di genere uno) occorrono (al più) altre
9n — 18 condizioni (tante appunto essendo le intersezioni residue,
fuori di B, di questa curva con una F" avente in B un punto
triplo). A queste aggiungendo le 10 del punto triplo, e quella
del passaggio per A (che è punto triplo isolato di F°), si trova
che le F” aggiunte a F° e linearmente indipendenti sono in nu-
mero di ("3") — 9n + 7. E poichè quest’espressione sì annulla
per n=3 (ossia =7 — 4), si conclude che è nullo anche il ge-
nere numerico di F°.
5. Sulla superficie F!° di S,, di genere (geom. = num.) zero,
il sistema lineare 005 ( | C | ) delle sezioni iperpiane è irreducibile,
semplice (*), privo di curve fondamentali proprie (8), e @ serie carat-
teristica non speciale (CasteLNUOvo: Mem. cit., Sulle superficie di
genere zero; n° 1, p. 8). E poichè la curva generica di questo
sistema | C | non è iperellittica, e (come si vede facilmente) in
i C|] stesso non è nemmeno contenuto un sistema lineare 00* dî
che la proietta da B; e perciò la cubica di F'° di cui è° è proiezione non
incontrerà Y?. Di qui segue appunto che î 20 coni cubici della congruenza
(3, 7), supposta esistente, non dovrebbero avere, a coppie, nessuna genera-
trice comune.
(') Esse sono infatti le intersezioni di quattro piani di una stella a due
a due; e, se la retta 7 è stata presa in modo generale, questi piani sono
tutti distinti, e tre qualunque di essi non passano per una stessa retta.
(2) Tale cioè che le curve di esso passanti per un punto generico della
superficie non hanno a comune altri punti variabili col primo.
(*) Perchè la superficie F!° non ha punti multipli.
dn n Vi nn alt
SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL TERZO ORDINE ECC. 7183
curve iperellittiche, così quelle stesse proprietà sopra enunciate
spetteranno tutte anche al sistema |C"| aggiunto di | C]
(CasreLnuovo: Mem. cit., n° 7, p. 183); sistema che avrà la stessa
dimensione 5, perchè | C | è di genere 6 (= 5 + 1), e si com-
porrà di curve di ordine 2 (6 — 1) = 10. Sulla superficie proie-
zione F° il sistema | C' | verrà segato dalle aggiunte di 4° or-
dine, che sono appunto in numero di 00°; di queste, 00? si
spezzeranno nel cono cubico che da B proietta la curva doppia
di F° e in un piano variabile per A. Per avere il grado di
questo sistema, basterà cercare in quanti punti una curva ge-
nerica (0"°) di esso incontra una delle curve spezzate nella
cubica è? e in una sezione piana passante per A. Ora, la cu-
bica d° è incontrata da una F* aggiunta generica in 12 punti,
dei quali però 9 stanno sulla curva doppia di F°; ne rimangono
quindi tre sulla €'° intersezione residua delle due superficie. E
una sezione piana di F° passante per A incontra una tale 0"°
in 10 punti, dei quali però 3 cadono sempre in A stesso (dove
ogni C2° ha un punto triplo) e vanno quindi esclusi; ne riman-
gono sette, che, aggiunti alle tre intersezioni con è?, dànno ancora
dieci. Il sistema | C' | è dunque anch’esso di grado 10, e quindi
— dovendo avere la serie caratteristica completa (') e non spe-
ciale — di genere 6 (°); esso ha perciò gli stessi caratteri (ge-
nere, grado, dimensione) del sistema primitivo | C | (*). Segue da
ciò che non solo | C' | segherà sulla curva generica di | C | la
serie canonica 9, ma, viceversa, anche | C | segherà sulla curva
generica di | C' | la relativa serie canonica, che è pure una gi.
Infatti questa serie segata sopra una C' generica dal sistema
lineare | C | (ossia dagli iperpiani di S,) ha ancora l’ordine 10 e la
dimensione 5; e di serie così fatte sopra una curva di genere 6
non vi è appunto che la sola serie canonica. Il sistema | C | deve
(') Perchè si tratta di sistema normale, sopra una superficie avente il
genere geometrico eguale al genere numerico (CasteLnuOvo, Alcuni risul-
tati..., n° 7, p. 18).
(*) D'altronde 6 è pure il genere della curva riducibile d° + Cl” testè
considerata.
(*) Sulla superficie F!° di S; la curva C' generica sarebbe dunque una
curva canonica di genere 6 (CI° di S;).
714 GINO FANO
dunque coincidere col sistema | C' | aggiunto a | C' | (CasrELNUOVO:
Mem. cit., nota (') a p. 9; cfr. anche p. 18) ('), e perciò' la serie
dei successivi aggiunti di | C | risulta illimitata (coincidendo
questi sistemi alternativamente con | C' | e con | © | stesso). La
superficie di cui si tratta non può dunque essere razionale
(CasteLNUOvo: Mem. cit., n° 7, p. 14), e avrebbe anzi precisamente
il bigenere P= 1.
Più generalmente, per asserire che una superficie non è
razionale, basta il fatto che un sistema lineare | C | avente le
proprietà di cui sopra e il suo (primo) aggiunto | C’ | hanno la
stessa dimensione »=r' e lo stesso genere p =p'. Si osservi
infatti che ciò è possibile soltanto per r= p — 1 (come è appunto
nel nostro caso); e allora il sistema | C” | aggiunto a | C' | , qua-
lunque esso sia, ha ancora la stessa dimensione p—1l=r=r;
sicchè le tre dimensioni r, »', r", essendo eguali fra loro, non
soddisfanno a nessuna delle due diseguaglianze:
r
PR < r
,
vg — ip
una almeno delle quali deve verificarsi sopra ogni superficie
razionale (CAstTELNUOVO: 1. c., n° 12, p. 18).
6. Non essendo dunque razionale la superficie F!°, e quindi
la F° sua proiezione in $,, quest’ultima dovrà necessariamente
ammettere almeno una superficie diaggiunta di ordine (2 jan — 4|
per n= 7, ossia) sei; se no appunto, avendo già il genere (geom.
= num.) zero, essa sarebbe razionale (CASTELNUOVO: l. c., n° 14,
p. 20). Ora, una superficie biaggiunta a F° (1. c., n° 11, p. 17)
deve contenere la curva doppia C° anche come curva doppia, e
avere ancora in A un punto doppio. E poichè l’intersezione .
(!) Infatti, se | C"| non coincidesse con | C |, vi sarebbero, fuori di [C|
stesso, altre curve subaggiunte (di rango zero) a | C'|, seganti cioè gruppi
canonici sopra una C' generica (Enrrques, Mem. cit., n° 19, p. 34). Il sistema
subaggiunto a | C'| sarebbe dunque almeno 00° (più ampio cioè del sistema
aggiunto), e non potrebbe perciò segare sopra una C' generica una serie
solo 00° senza contenere questa C', il che non può avvenire, avendo il
sistema |C'| la serie caratteristica non speciale.
SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL TERZO ORDINE ECC. 715
complessiva di una F° e di una F$ deve essere una curva di
42° ordine, così, all'infuori della €? che è doppia per entrambe
e non passa per À, non vi potrà essere che una curva di 6°
ordine avente in A un punto sestuplo, e che dovrà perciò spez-
zarsi in sei rette uscenti da A stesso. Ma abbiamo detto fin
da principio (n° 3) che F° non può contenere rette passanti per A;
vi è dunque incompatibilità fra i vari caratteri che abbiamo
attribuiti alla nostra superficie F!° di S;, ossia fra le proprietà
di cui avevamo trovato che una congruenza (3, 7) di genere 6,
supposta esistente, avrebbe dovuto godere. Non esisteranno
dunque congruenze così fatte, come appunto si voleva dimostrare.
Concludiamo perciò: Tutte le congruenze di rette del terzo
ordine prive di linea singolare e non contenute in un complesso
lineare (') sono rappresentabili sul piano; e, ad eccezione di una
sola congruenza (3, 6) di genere 5, il genere di esse (ossia delle
sezioni delle superficie immagini) è = 4.
Ricerche sui Pesci Fossili di Paranà
(Repubblica Argentina);
Nota del Dottor GIULIO DE ALESSANDRI.
Capitale della Provincia di Entre-Rios nell’alta Argentina,
la città di Paranà è posta sul fiume omonimo quasi in faccia
al suo confluente col Rio-Salado. Si trova nella parte inferiore
del grande bacino paranense in mezzo alla vasta pianura limi-
tata dalla Sierra del Mare e del Brasile ad Oriente e dalle
ande di Bolivia a Ponente.
La natura geologica dei dintorni della città è uniforme; al
(') Rimane dunque esclusa la congruenza (3, 3) intersezione di un com-
plesso lineare con un complesso di 3° grado (Cfr. anche la nota (?) a p. 9
del mio lavoro citato).
716 GIULIO DE ALESSANDRI
disopra per tutto l'immenso piano si riscontrano le alluvioni
recenti, formate in gran parte da una sabbia rossa, e solo le
grandi erosioni dei fiumi, mettono in qualche posto in evidenza
gli strati sottostanti più antichi. Essi sono formati da una
sabbia finissima, talora leggermente cementata da calcare, di
colorazione bianca, raramente gialliccia per la presenza di so-
stanze organiche decomposte, la quale nelle vicinanze della città
è sostituita da una marna arenacea di color verdognolo.
Gli studii paleontologici e stratigrafici su questo bacino
cominciarono verso la metà di questo secolo e furono quasi
sempre estesi ai terreni della Repubblica Argentina.
Alcide D’Orbigny nell’anno 1842 (Paléontologie du Voyage
dans Vl Amérique méridionale, Paris), dallo studio dei numerosi
fossili rinvenuti considerò i terreni dell’ Argentina come spettanti
al periodo Terziario e Quaternario; egli riassunse questi strati
in quattro formazioni.
Guaranitica. — Formazione priva di fossili. — EKocene su-
periore.
Patagonica. — Formazione a molluschi marini. — Eocene
sup. ed Oligocene.
Pampeana. — Formazione continentale a mammiferi ter-
restri. — Terziario sup.
Diluviana. — Formazione recente. — Quaternario.
Successivamente Carlo Darwin nel suo memorabile viaggio
attorno al mondo, avendo avuto occasione di visitare le coste
dell'Argentina, si occupò della geologia del Paranà e nella sua
Memoria: Geological observation on south America, tom. III,
pag. 89-133, publicata in Londra nel 1891, riferì la formazione
Patagonica al piano Eocenico.
Nel 1859, Augusto Bravard, direttore del Museo Nazionale
di Cordova, in una sua Monografia: Terrenos marinos Tercianos
de las Cercanias del Paranà, trattò a lungo la posizione geolo-
gica degli strati paranensi. Egli, premessi alcuni cenni storici
riguardanti gli studi geologici dell'Argentina, esaminata la costi-
tuzione stratigrafica del paese, e studiati i fossili raccolti nel
Museo Nazionale, stabili due formazioni: una più antica con
resti di Anoploterion e Paleoterion e rieca di fossili, fra cui
quattro specie di mammiferi, tre di rettili, dieci di pesci e cinque
di molluschi, che corrisponderebbe al periodo Éocerico del Lyell,
RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ 717
l’altra più recente con resti di Balaena corrisponderebbe al pe-
riodo Miocenico del Lyell.
Pochi anni dopo il Dott. Burmeister (Description physique
de la République Argentine. Paris, 1876) illustrò i mammiferi
dell'Argentina, considerando però erroneamente la formazione
Patagonica come Pliocenica, e più tardi Fiorentino Ameghino
(Formazione Pampeana. Paris y Buenos-Ayres, 1881), occupan-
dosi incidentalmente della formazione Patagonica, conchiuse do-
versi essa ritenere almeno come Miocenica.
Fu solo verso l’anno 1884 che la geologia di quel paese
veniva largamente illustrata per opera del Dott. A. Doering.
Egli nella sua importante Memoria: Informe oficial de la Comision
cientifica al Rio Negro (Patagonia) (Newes Jahrbuch fiir Min.
Geol. und Pal. Jahrg., 1884, Stuttgart), così divise i terreni
Argentini.
Formazioni Eogene.
18 Formazione:
Geni A NI) OMOIOS IQ (PIL 1 pt, UICretaeno tape
Piano Paranense (Ostrea Ferrarisi) . Eocene sup.
2* Formazione: s Mesopotamico (Megamys Ano- )
PATAGONICA plotherium) Oligocene
» Patagonico (Ostrea patagonica) \
Formazioni Neogene.
1* Formazione:
ARAUCANA RIA LE di IE I TRITO 1e'TMHoehe
Piano Pampeano inf. (7’ypotherium)
2% Formazione: » Eolitino (Equus) PIA
PAMPEANA » Pampeano lacustre (Palude
strina Ameghinii)
3* Formazione:
TEHUELCHE dini nia) nile nie rie Glaciale
4% Formazione:
QUERANDINA D e indetti o anbrieditilareni - Ran aid) azioni
5* Formazione:
ARIANA im obnevà dtvoiet) ib mond 60. Alluivam
718 GIULIO DE ALESSANDRI
Un anno dopo, il Dott. Alfredo Stelner (Beitrige zur Geol.
der Argentinischen Republick auf Anordnung der Argent Nat.
Regierung herausgegeben. Cassel et Berlin, 1886), in uno studio
stratigrafico dei terreni della Republica, divise il terziario in
due orizzonti; uno inferiore (Guaranitico D’Orb.) comprendente
sedimenti detritici, che nelle Cordigliere sono direttamente so-
vrapposti agli schisti cristallini, paleozoici; l’altro superiore
(Patagonico D’Orb.), comprendente formazioni recenti con avanzi
di animali terrestri, corrispondente al Miocene e Pliocene. Più
tardi il sig. Larrazet (Des pièces de la peau de quelques Sélaciens
fossiles. “ Bull. Soc. Géol. de France ,. Serie III, Vol. XIV,
pag. 255. Paris, 1886), descrisse fra altre tre specie di Raijdae
raccolte lungo il Paranà presso Villa Unquiza, riferendo gene-
ricamente al terziario i terreni in cui vennero raccolte.
Recentemente in una sua importante monografia sui Mam-
miferi fossili della Repubblica Argentina (“ Actas de la Aca-
demia Nacional de Cencias de la Republica Argentina in Còr-
doba ,, Tom. VI, 1889), Fiorentino Ameghino, riprendendo lo
studio geologico e paleontologico di alcuni anni prima, divide
la formazione Cenezoica in tre periodi: Eogeno con resti di mol-
luschi estinti; Neogeno con resti di molluschi estinti ed altri
viventi; Plionogeno con avanzi di molluschi tuttora viventi.
L’Eogeno comprende il Paleoceno, l’Eoceno e l’Oligoceno; il
Piano Paranense spetterebbe precisamente all’ Eoceno superiore.
L’opera pregevole dell’ Ameghino mentre illustra minuta-
mente i mammiferi fossili del paese, porge pure sicuri contributi
alla sua conoscenza stratigrafica, ed è quanto di più completo
può vantare la geologia della Republica.
I vertebrati inferiori però e tutti gli invertebrati del paese
furono finora assai negletti, non potendo considerarsi come
scientificamente importante, il catalogo dei fossili del Museo
Nazionale del Paranà, compilato dal Bravard molti anni or
sono e senza l’aiuto delle più interessanti memorie fin allora
publicate.
Una ricca collezione di fossili paranensi determinata in
parte dal Bravard e composta di resti di Mammiferi, Pesci, Cro-
stacei, Gasteropodi, Lamellibranchi, Echini e Stelleredi, conser-
vasi nel R. Museo Geologico di Torino, al quale fu donata nel
1861 dal sig. De Luchi di Genova. Avendo ultimamente avuto
RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANA 719
occasione di esaminarla, gli avanzi di Pesci pel loro numero e
pel buon stato di conservazione, m’invogliarono a farne studio
speciale.
Frutto di esso sono le considerazioni che qui presento.
Questi Pesci appartengono a tre sotto classi: Elasmobranchi,
Ganoidi, Teleostei; rappresentati, i primi da cinque generi e
sette specie; i secondi da un genere ed una specie; i terzi da
tre generi -e tre specie. Questa ittiofauna pare Eocenica; infatti
l’Odontaspis elegans raccolta finora solo nell’eocene è una delle
specie più caratteristiche delle formazioni terziarie; di più il
Carcharias (Aprionodon) gibbesiù è pure una specie essenzial-
mente eocenica; il genere Lepidosteus fu finora raccolto sola-
mente nelle formazioni eoceniche di acqua dolce del Messico
e l’Od. Hopei è specie comparsa nell’eocene e che persistette
anche nel miocene.
Restano i due generi Acrodus e Corax, dalla maggior
parte degli ittiologi considerati come spettanti al secondario
superiore. Tuttavia per lo speciale modo di fossilizzazione (1) essi
evidentemente appartengono allo stesso giacimento degli altri
fossili paranensi quì descritti e sarebbero così parte dei raris-
simi esemplari raccolti finora nel terziario.
Lo studio di questi avanzi fossili di Pesci, sembra quindi
confermare il concetto del D’Orbigny, del Bravard, del Doering
e dell’Ameghino, secondo il quale, il piano Paranense (ad Ostrea
Ferrarisi) facente parte della formazione Patagonica d’Orb. cor-
risponderebbe al nostro Eocene.
(1) I fossili di Paranà sono completamente silicizzati e per la colora-
zione e consistenza loro, rassomigliano agli avanzi della Foresta di marmo
dell’Egitto.
720 GIULIO DE ALESSANDRI
Sottoc.. ELASMOBRANCHI.
Ord. SELACHII.
Sottord. Asterospondyfli.
Fam. LAMNIDAE.
Gen. Odontaspis Agassiz.
Odontaspis elegans Agass. sp.
Tav. I, fig. 1, 1b.
1843. Lamna elegans. — Acassiz L., Poiss. foss., vol. III, pag. 289, tav. 35,
fig. 1-5, tav. 37a, fig. 59. — 1849. Gisses R. W., A Monog. foss.
Squal. U. S., pag. 196, tav. 25, fig. 98-102. — 1858. Bravarp A.,
Monog. terr. mar. terc. Paranà, pag. 52.
1891. Odontaspis elegans (e sinonimia). — Woopwarn, Catal. of foss. fish. in
the Brit. Mus., pag. 36.
L’Od. elegans per la forma slanciata dei suoi denti colla
radice rigonfia e le branche sviluppatissime, colle strie sulla
superficie interna del cono dentario, diritte non estese oltre la
metà di esso è una delle specie più facilmente e nettamente
riconoscibili.
Gli esemplari raccolti a Paranà non sono molto numerosi,
presentano però sempre la forma caratteristica colle strie evi-
dentissime.
In Europa questa specie fu riscontrata nell’ eocene della
Francia, del Belgio, della Germania, d'Inghilterra e d’Italia; in
America, il Gibbes la raccolse nell’eocene dell’Alabama e della
Carolina del Sud.
Odontaspis Hopei Agass. sp.
Tav.il;ffio. 2,2 d:
1843. Lamna (Odontaspis) Hopei. — Aeassiz L., Poiss. foss., vol. III, pag. 2983,
tav. 37 a, fig. 27-30. |
1858. Lamna amplibasidens. — Bravarp A., Momog. terr. mar. tere. Paranà,
pag. 53.
1858. Lamna unicuspidens. — Bravarp A., Op. cit., pag. 52.
1871. Lamna (0d.) Hopei. — Le-Hox H., Prélim. Mém. Poiss. Tert. Belg., p. 12.
1885. Odontaspis Hopei. — NoerLine F., Die Fauna des Sanslinds. Tert.,
vol. VI, pag. 71, tav. V, fig. 1,3.
RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ Ti
Tuttora discordi sono i pareri dei palittiologi riguardo al-
lOd. Hopei. L’Agassiz, il Le Hon, il Sauvage (1) ed il Bassani (2),
ritengono essere l’Od. Hopei specie ben distinta dall’Od. cuspi-
data mentre il Woodward (3) e dapprima anche il Bassani (4)
non credevano potersi considerare distinte le due specie.
Numerosi sono gli esemplari di Od. Hopei provenienti da
Paranà i quali per la corona sottile e slanciata, in quelli ante-
riori ricurva verso la parte esterna, colla radice rigonfia e le
branche lunghe profondamente divaricate, coi conetti laterali,
sporgenti ed acuti, talora con tubercoli e denticini secondarii,
corrispondono per bene a quelli figurati dall’ Agassiz e dal
Noetling. A questa specie vanno riferite la Lamna unicuspidens
e la Lamna amplibasidens del Bravard, quest’ultima fu distinta
dalle altre specie per la base alquanto sviluppata che talora
raggiunge un terzo dell’intiera lunghezza del dente.
In Europa questa specie fu rinvenuta nelle argille di Londra
e nelle Bernsteinformation (Prussia) e nel miocene del Belgio;
in America il Gibbes la cita erroneamente nell’ eocene della
Carolina del Sud.
Fam. CARCHARIDAE
Gen. Carcharias Cuvier.
Sottogen. Aprionodon Gill.
Carcharias (Aprionodon) gibbesii Wood.
Tav. I, fig. 3-3 a.
1849. Galeocerdo minor. — Gisses R. W. (non Agassiz), Monog. of the foss.
Squal. of U.S., pag. 192, tav. 25, fig. 63-65.
1849. Oxyrhina minuta. — Gigses R. W. (non Agassiz), Op. cit., pag. 202,
tav. 27, fig. 164.
1858. Lamna serridens. — Bravarp A., Monog. terr. mar. tere. Paranà, p. 53.
1889. Carcharias (Aprionodon) gibbesi. — Woopwarp A. S., Catal. of foss.
fish. in Brit. Mus., pag. 437, 446, 452.
Il Carcharias (Aprionodon) gibbesiù è una delle specie più
numerose dell’ittiofauna paranense.
(1) Sauvage H. E., Etude sur les poissons des faluns de Bretagne, pag. 13.
(2) Bassani F., /ttioliti miocenici della Sardegna, pag. 36.
(3) Woonwarp A. S., Catalog of foss. fish. Brit. Mus., pag. 368.
(4) Bassani F., Ricerche sui Pesci foss. del Gahard (Miocene medio), p. 57.
722 GIULIO DE ALESSANDRI
Gli esemplari raccolti hanno generalmente le piccole dimen-
sioni di quelli tipici del Gibbes, la forma della loro corona è
conica depressa colla superficie interna curva e quella esterna
quasi piana; la radice è robusta, ha le due branche sviluppate
poste quasi in linea retta fra di loro e separate da una larga
scanalatura in mezzo della quale trovasi il foro del canale nu-
tritivo; internamente i denti sono cavi.
Questa specie ha grande analogia col Carch. (Aprionodon)
basisulcatus del Sismonda (1) e coll’ Aprionodon frequens del
Dames (2); si distingue però da essi per la radice più robusta
e per la corona più tozza. Il Carch. (Aprionoden) gibbesii venne
dal Gibbes raccolto nell’eocene della Carolina e dell’ Alabama.
Gen. Corax Agassiz.
Corax aff. falcatus Agass.
Tav. I, fig. 4-4a.
Io riferisco a Corax aff. falcatus una cinquantina di denti
di perfetta conservazione i quali per la forma triangolare schiac-
ciata, per la mancanza di cavità interna, per la corona larga
appiattita a margini finamente seghettati, colla superficie in-
terna alquanto convessa, e quella esterna piana con piccole
pieghe alla base dello smalto, per la radice larga e piatta colle
branche poco sviluppate e separate dalla parte interna da una
larga scanalatura, corrispondono abbastanza alle descrizioni del
C. falcatus dell’Agassiz (Poîss. foss., vol. III, pag. 226, tav. 26%,
fig. 14, tav. 26?, fig. 1-15) del Sauvage (“ Bibl. École Hautes
Etudes ,, vol. V, pag. 40, tav. 11, fig. 84-85); ne differiscono
per le dimensioni minori e per la radice relativamente meno
sviluppata.
Il Bravard nella sua Monografia cita questa specie sotto
il nome di Squalus obliquidens; in Europa il C. falcatus si trova
in tutta la serie cretacea e fu raccolto in Inghilterra, in Francia,
in Germania ed in Russia; nell'America del Nord il Roemer (3)
(1) Sismonpa E., Pesci fossili del Piemonte, “ Mem. della R. Acc. delle
Scienze di Torino ,, serie 2*, vol. X, 1846, pag. 45.
(2) Dames W., Ueber eine tertiùire Wirbelth. v. d. westlichen insel. des
Birked-el-Qurun (Aegypten), © Sitzungsb. k. preuss. Akad. Wiss.,, 1883, p. 143.
(3) Roemer F., Kreidebildungen von Texas, 1852, pag. 36.
RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANA 723
sotto il nome di Corax heteroton lo cita fra i fossili cretacei del
Texas ed il Leidy (1) sotto il nome di Galeocerdo falcatus lo
descrive fra i fossili pure cretacei del Kansas, del Mississipi e
del Texas.
Fam. GESTRACIONIDAE.
Gen. Acrodus Agassiz.
Acrodus paranense n. sp.
Tav. I, fig. 5, dc.
Il genere Acrodus viene dalla maggior parte degli ittiologi
considerato come unicamente secondario; lo Schafhiutl (K. E.) (2)
però raccolse nell’eocene superiore di Baviera, alcuni esemplari
che distinse col nome di A. fleruosus; Oronzio Gabriele Costa (3)
cita fra i fossili del calcare eocenico di Gassino (Piemonte) un
Acrodus (A. Gastaldi) che il prof. Bassani dalla descrizione e
dalla figura crede non spettante assolutamente a tale genere,
infine il prof. Emmons (4) descrive un Acrodus raccolto sul
Miocene della Carolina del Nord, che il Leidy (5) dubitativa-
mente distingue col nome di A. Emmonsi.
Quantunque da quanto ho esposto, ancora molto dubbiosi
siano gli esemplari di questo genere raccolti nel terziario, ad
ogni modo, quelli provenienti dall’eocene di Paranà vanno senza
dubbio riferiti ad Acrodus, e per la facies speciale, che i fossili
di detta località presentano, vanno ritenuti come certamente
raccolti cogli altri avanzi, descritti in questa nota.
Alcuni di questi denti appartenenti alla parte centrale della
mascella hanno la forma romboidale ricurva alle due estremità,
colla superficie triturante rigonfia nella parte centrale e per-
corsa in tutta la sua lunghezza da una costola mediana, la
quale è intersecata da numerose e ben distinte strie trasversali.
La parte corrispondente alla corona, ha lo spessore di circa un
(1) Lemy J., Contrib. Ext. Vert. fauna West. Terr., © Report of U. S.
Geol. Survey of the terr. ,, 1873, vol. I, pag. 301 e 351.
(2) Scnarnaurt K. E., Stid-Bayerns Leth. Geog., 1863, pag. 224, t. 64, fig. 2.
(3) Cosra 0. G., Sopra alcuni foss. di Gassino in Piemonte, © Ann. Ace.
Asp. Nat. Napoli, vol. III, 1864, pag. 30, tav. V, fig. 1.
(4) Emmons, North Carolina Geol. Sur., 1858, pag. 244, fig. 97.
(5) Lemy J., “ Proc. Ac. Nat. Sc. ,, 1872, pag. 163. — Id., Contrid. to
the eat. Vert. Fauna, 1873, pag. 801.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 50
724 GIULIO DE ALESSANDRI
millimetro e mezzo, è alquanto più sviluppata nella parte cen-
trale ed alle due estremità; essa ha colorazione rossiccia, la
superficie radicale è quasi piana con una leggera prominenza
verso la metà della sua lunghezza.
| Altri esemplari più piccoli appartenenti alla parte poste-
riore della mascella sono meno accuminati e meno ricurvi alle
due estremità, hanno però sempre la superficie triturante per-
corsa longitudinalmente da una grossa costola e trasversalmente
sono solcati da numerosissime strie le quali sono più distinte
nella parte mediana.
Le dimensioni dei grossi pena sono:
lungh. millim. 14; largh. millim. 5
quella dei piccoli esemplari è:
lungh. millim. 10; largh. millim. 4.
Per le piccole dimensioni l'A. paranense ha qualche ana-
Togia coll’A. acutus Agassiz delle arenarie di Tubingen (Wur-
temberg), per la forma e l’ornamentazione della superficie tri-
‘turante si approssima all’ A. rugosus Agassiz della Creta di
Maestricht.
Sottord. Tectospondyli.
Fam. MYLIOBATIDAFE.
Gen. Myliobates Cuvier,
Myliobates americanus Brav.
Tav. I, fig. 6,6.
1858. Myliobates americanus. — Bravarp A., Monog. terr. mar. tere. del
Paranà, pag. 53. — 1877. IsseL A., Cenni sui Myliobates terz.
ital., pag. 5. — 1889. Woonwarp A. S., Catal. of foss. fish. în
the Brit. Mus., pag. 121.
Il Bravard nella sua monografia sul Paranà cita senza.
descrivere una ventina e più di piastre dentali di questa specie,
che si trovano nel Museo Nazionale della Confederazione Ar-
gentina, credo quindi utile di darne ora la descrizione.
Gli avanzi di M. americanus, che si conservano nel Museo
geologico di Torino, sono numerosissimi, le piastre dentali sono
generalmente sempre disgiunte le une dalle altre, con dimen-
sioni variabilissime, solo una placca presenta i suoi elementi al
loro posto.
RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ 725
Consta essa di quattro denti mediani e di quattro denti
laterali per parte, ha una lunghezza di 21 millim., una larghezza
di 26 millim., ed uno spessore di 4 millim.; la superficie tritu-
rante è alquanto convessa nella parte posteriore, è pianeggiante
in quella anteriore; la superficie radicale è concava nel senso
della lunghezza.
La superficie triturante ha una colorazione bruno-cupa, in
alcuni denti distaccati essa appare tutta coperta da numerosis-
sime macchie bianche, generalmente è striata nel senso della
lunghezza da grosse fenditure irregolari.
La forma degli scaglioni centrali è esagonale, colla lar-
ghezza circa quattro volte maggiore della lunghezza, la quale
in tutti è di circa 6 millim.; essi combaciano fra loro esatta-
mente, dimodochè a tuttaprima si può scorgere le suture, le
quali sono alquanto curve verso la parte posteriore.
I denti laterali hanno la forma irregolarmente romboidale,
con una lunghezza di circa 5 millim. ed una larghezza di 3
millimetri.
La faccia radicale è irta di rilievi longitudinali equidistanti,
i quali misurano circa 3 millim. di lunghezza e circa 0,5 millim.
di larghezza, su ciascun scaglione mediano se ne contano circa
22, in quelli laterali generalmente 3.
La corona dei denti posteriori è sviluppata, essa ha la forma
di un segmento sferico, la saetta del quale ha circa 3 millim.
di lunghezza, quella dei denti posti nella parte anteriore si
assottiglia considerevolmente con uno spessore non mai mag-
giore di 1 millim. i
Il M. americanus presenta grandissima analogia col M. Di-
roni dell'’Agassiz (che è identico a quello da lui figurato, vol. III,
tav. 47, fig. 6-7 sotto il nome di M. heteropleurus), dell’eocene di
Francia e d'Inghilterra; infatti le dimensioni della placca, quelle
dei denti mediani e laterali, la loro forma, e quella dei rilievi
della parte radicale della piastra sono identici. Il numero di
questi ultimi nella placca, che io ho disegnato, è alquanto mag-
giore, noto però che in parecchi scaglioni disgiunti i rilievi
sono meno numerosi e colle stesse dimensioni della specie del-
l’Agassiz.
Nella raccolta dei fossili di Paranà vi sono pure moltissime
spine di Myliobates, talune delle quali corrispondono lontana-
726 GIULIO DE ALESSANDRI
mente a quelle raccolte dal Leidy (1) nel Miocene della Virginia,
le quali per essere raccolte assieme al M. americanus, e per
presentare quella stessa facies tipica di questa specie, forse de-
vono ad essa riferirsi.
Myliobates sp. ind.
Tav.I, fig. 7,70.
Riferisco a Myliobates alcune grosse spine, raccolte esse
pure nelle sabbie di Paranà, le quali per loro dimensioni, per
la forma loro, tozza e schiacciata, corrispondono alquanto alle
figure di Ptychacanthus dell’Agassiz (Poiss. foss., vol. III, pag. 67,
tav. 45, fig. 1-23) ed a quelle di Myliobates sp. (GERVAIS P.,
Zoolog. et Paleont. frane., 1852, pag. 519, tav. 80, fig. 5); ne dif-
feriscono però per l’ornamentazione alquanto più fina per la
forma dei denti laterali e per la sezione, la quale negli esem-
plari di Paranà ha i due lati maggiori quasi retti ed un largo
foro, ovale nel centro. Altri esemplari piu piccoli presentano
la stessa forma ed ornamentazione; i denti laterali però sono
più rari, più accuminati e disposti irregolarmente gli uni rispetto
agli altri; essi presentano grande analogia col vivente M. no-
ctula del Bonaparte. |
SottocL. GANOIDI.
Ord. LEPIDOSTEIDAE.
Fam. GINGLYMODI.
Gen. Lepidosteus Lacepède.
Lepidosteus sp. ind.
Tav.I, fig.8,8 a.
Riferisco dubitativamente a questo genere un piccolo dente,
il quale, ove si eccettui le dimensioni un po’ minori, per la forma
e per l’ornamentazione, corrisponde perfettamente a quelli delle
ligniti eoceniche di Soissons, descritti e figurati dal Gervais (2).
Altri esemplari di denti assai prossimi a quello di Paranà
furono raccolti, con avanzi di vertebre e di squame, durante la
(1) Lerpy J., Contributions to the extinct vertebrate fauna of the West.
Terr., pag. 354. Washington, 1893.
(2) Gervars P.. Zool. et Pal. frang., Paris, 1859, pag. 517, tav. 58, fig. 3-5.
RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ 727
spedizione del prof. Hayden nei depositi eocenici di acqua dolce
del Wyoming e del Nuovo Messico e furono dal Leidy (1) de-
scritti e figurati sotto il nome di Lepidosteus, più tardi però il
Cope (2) riferì questi stessi esemplari al nuovo genere Clastes.
La lunghezza del dente è di circa 11 millimetri, la sua
larghezza presso la base è di 5 millimetri; la corona è nera
lucente, di forma conica, alquanto curva presso l’apice, essa è
lunga pressapoco i tre quarti dell’intiera lunghezza del dente.
Inferiormente essa è solcata da grosse scanalature longitudinali,
larghe circa 1 millimetro, separate fra loro da rilievi tondeg-
gianti che dalla base della corona si estendono lungo il cono
dentario fino ai due terzi della sua lunghezza.
La radice è breve, cilindrica, tronca nella sua parte inferiore.
SottocL. TELEOSTEI.
Ord. ACANTHOPTERI.
Fam. SPARIDAE.
Gen. Chrysophrys Cuvier.
Chrysophrys sp.
Tavrt fp.9, 9e
Riferisco al genere Chrysophrys alcuni denti laterali interni
ed altri posteriori, i quali raggiungono le medie dimensioni di
quelle del continente europeo.
La corona dei denti laterali interni è semisferica con un
diametro di circa 9 millimetri, in quelli posteriori è irregolar-
mente ovale con i due diametri rispettivamente di 8 e 6 mil-
limetri; tutti hanno una colorazione bruno-rossiccia, colla radice
conica, pochissimo sviluppata, percorsa da numerose strie pa-
rallele alla base.
Il Gibbes, il Leydy ed il Bravard non annoverano questo
genere fra i fossili del continente americano; in Europa è ab-
bondante ovunque con numerose specie.
(1) Ley J., Contrib. of the extinct. Vert. Fauna West. Terr., Washington,
1873, pag. 189.
(2) Cope Epw., © Proced. Amer. Phil. Soc. ,, 1877-1883.
728 GIULIO DE ALESSANDRI
Fam. SPARIDAE?
Gen. ind.
Tav. I, fig. 10, 10 n.
Due frammenti di mascella, e molti denti da essi distaccati,
appartengono senza dubbio alla famiglia degli Sparidi, quan-
tunque a nessuno dei generi più conosciuti (Chrysophrys, Sargus,
Pagrus e Pagellus) si possa riferire.
La fig. 8 rappresenta parte di una mascella, che pare la
superiore; in essa i denti sono disposti irregolarmente su più
fila, quelli posteriori sono depressi, arrotondati nella parte su-
periore, poligonali nella parte radicale, cavi all’interno, la corona
ha colorazione olivastra, la radice è bruno-pallida, quelli ante-
riori sono piccoli cilindrici a sezione ovale, inferiormente rigonfi
con un piccolo foro nutritivo centrale.
Le dimensioni dei grossi denti posteriori sono:
diametro! in. seo PIO millimietr®* ==
altezza della corona . . . ; 0,8
altezza della radice . . . ; =
Quelle dei denti posteriori sono:
diametro maggiore . . . . millimetri 8, —
" imnore 99 AAlse e 1,8
altezza della corona. . . , Da
È na iadi@e:ign ino 3 1,
Nell’altra mascella, forse inferiore, i denti anteriori sono
più sviluppati, hanno sezione poligonale cogli angoli smussati;
in entrambe si osservano (come nel famoso esemplare di Chry-
sophrys del Pliocene di Volterra (LAawLEY R., Osservazioni sopra
ad una mascella fossile del genere Sphaerodus, Pisa, 1875, pag. 9)
alcuni denti in via di accrescimento nell’interno dell’osso man-
dibolare, i quali sono destinati col crescere a spingere fuori i
denti vecchi ed a sostituirli.
Confrontando questi resti con quelli dei generi affini, ne
consegue che le dimensioni di questi Sparidi dovevano essere
rilevanti, certo pressapoco uguali a quelli delle Chrysophrys.
RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ 729
Fam. LABRIDAE.
Gen. Protautoga Leidy.
Protautoga longidens n. sp.
Tavo, fe 110.
Il genere Protautoga fu fondato nel 1873 dal Leidy (1) sopra
alcuni esemplari poco prima (2) riferiti al genere Tautoga, i
quali per molti caratteri si avvicinavano alla vivente Tautoga
americana. Di esso finora si conosce una sola specie il P. conidens,
delle quali il Leidy raccolse due frammenti di mascelle e molti
denti, in alcuni strati a diatomee da lui riferiti al Terziario
Superiore, presso la città di Richmond (Virginia).
Alcuni denti riferibili a questo genere fanno parte dei fos-
sili di Paranà, i quali per avere una forma più esile, più slan-
ciata e più irregolare di quelli del P. coridens, io ho creduto
doversi ritenere come nuova specie.
La corona dei denti incisivi è circa un terzo dell’intiera
lunghezza del dente, ha la forma ovalare alquanto più acumi-
nata verso l'estremità libera, la sua superficie esterna è assai
ricurva, quella interna leggermente concava, la sua colorazione
è bruno-rossiccia; essa è separata dalla radice da una larga
strozzatura.
La radice è sviluppata, ha il margine esterno curvo, e
quello interno, come la corona, alquanto concavo; inferiormente
essa è divisa in due punte ugualmente sviluppate.
I denti laterali hanno una forma più tozza, la corona è più
sviluppata e più turgida, la radice è assai più ristretta della
corona, ed ha la forma regolarmente tronco-conica, essa ha una
lunghezza pressapoco uguale alla metà dell’intiera lunghezza del
dente, inferiormente non presenta prominenze.
(1) Lerpy J., Contrib. to the ext. Verteb. fauna, pag. 346, tav. 32, fig. 56-57.
(2) Lemy J., “ Proc. Ac. Nat. Se. ,, 1878, pag. 15. — Id., “ Ann. Journ.
Sciences ,, 1873, pag. 312.
730
Meil.La, lb
Dia, 20.
8,9.
4,4a.
9,94, 9b, dc.
6, 6a, 60.
6c.
T,T7a,Tb.
8, 8a.
9,9a, 95, 9c.
10, 10 a.
105, 106, 10d.
10, 109, 101.
10m, 10n.
11, 11 a, 115.
G. DE ALESSANDRI — RICERCHE SUI PESCI FOSSILI DI PARANÀ
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
Odontaspis elegans Agass. — Grandezza naturale.
Id. Hopei Agass. — Id. id.
Carcharias (Aprionodon) gibbesiiù Wood. — (Grandezza
doppia del vero).
Corax aff. falcatus Agass. — Grandezza naturale.
Acrodus paranense De Al. — Id. id.
Myliobates americanus Brav. — Id. id.
Spina (Myliobates americanus ?). — Id. id.
Myliobates sp.? — Id. id.
Lepidosteus sp.? — Id. id. :
Chrysophrys sp.? — Id. id.
Sparidae? gen. ind. Frammenti di mascella. — Id. id.
Id. Dente posteriore. — Id. id.
Id. Dente mediano. — Id. id.
Id. Dente anteriore (capovolto). — Id. id.
Protautoga longidens De Al. — Id. id.
Atti RAccad. delle Sc. di Torio -VoL XA
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Ma iRet__
731
Relazione intorno alla Memoria
del Dott. Ermanno GieLio-Tos intitolata:
«“ Sulle cellule del sangue della Lampreda ,.
Mentre lo studio degli elementi cellulari del sangue è stato
oggetto di numerosi lavori per ciò che riguarda i mammiferi,
gli uccelli e gli anfibi, i pesci invece, e in particolar modo le
forme più basse, vennero quasi totalmente lasciati in disparte.
Così intorno alla struttura delle cellule del sangue dei Ciclostomi
la scienza non possiede che le ricerche relativamente antiche del
Miller, del Gulliver, del Wagner, del Renaut e del Thompson
d’Arcy, ecc., ricerche poco estese, poco minute e sopratutto non
condotte con tecnica istologica sufficientemente delicata.
L’Autore ha ripreso lo studio della struttura delle cellule
del sangue della Lampreda mettendo in opera i migliori metodi
di ricerca. I risultati ottenuti costituiscono indubbiamente un
notevole progresso per la conoscenza degli elementi cellulari
del sangue dei Ciclostomi e forniscono pure dati importanti per
spiegare la struttura di quelli che si trovano nel sangue dei
Vertebrati più elevati.
I vostri commissarii quindi propongono che la memoria del
dottor E. Giglio-Tos venga ammessa alla lettura e venga stam-
pata nei volumi delle Memorie accademiche.
T. SALVADORI.
L. CAMERANO, relatore.
Relazione sulla Memoria del Prof. A. Garsasso intitolata:
“ Sopra alcuni fenomeni luminosi
presentati dalle scaglie di certi insetti ,.
Le farfalle ed alcuni coleotteri presentano sulla loro super-
ficie dei fenomeni luminosi degni di studio. Le indagini fatte
su questo argomento erano scarsissime fino a poco tempo fa e
il Prof. Garbasso ne aveva iniziato lo studio, quando una recente
opera del signor B. Walter, che tratta diffusamente tali questioni,
l’indusse a ristringere le sue ricerche alle scaglie di alcuni
Curculionidi e in particolare a quelle dell’Entimus imperialis.
La struttura di queste scaglie è diversa da quella delle farfalle
ed anche la causa che produce i colori è diversa nei due casi.
Premessa la descrizione delle scaglie osservate col micro-
scopio, l'Autore fa notare come i colori osservati con luce riflessa
o con luce trasmessa sieno complementari. A seconda dell’in-
clinazione della squama ne varia il colore. Il carattere dei fe-
nomeni è tale che i colori vanno attribuiti ad interferenze. Le
scaglie devono aver la struttura d’un diaframma piano, formato
da due pellicole sottili, trasparenti, parallele e vicinissime, le
quali racchiudono uno strato d’aria. L’esperienze dell'A. confer-
mano tale ipotesi.
Infine l’A. riferisce le osservazioni fatte col disporre le sca-
glie fra due Nicol incrociati. La luce dopo avere oltrepassato il
primo Nicol cessa d’essere polarizzata in causa delle minute
irregolarità della superficie delle scaglie e si osservano in tali
condizioni certi fenomeni ottici che vengono studiati e spiegati
dall’ Autore.
A nostro parere la memoria del D" Garbasso merita d’es-
sere ammessa alla lettura ed inserita nei volumi accademici.
L. CAMERANO.
A. NACCARI.
L’ Accademico Segretario
AnpREA NACCARI.
739
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 3 Maggio 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO BARONE GAUDENZIO CLARETTA
DIRETTORE DELLA CLASSE
Sono presenti i Socii: Pevron, Rossi, BOLLATI DI SAINT-
Pierre, Pezzi, NANI, CrporLa, Brusa, PERRERO, ALLIEVO e
FERRERO Segretario.
Il Socio CrroLLa legge una commemorazione del Socio cor-
rispondente Giuseppe De Leva.
Lo stesso Socio dà lettura di un suo lavoro intitolato:
“ Nuovi appunti di storia novaliciense ,.
Il Socio segretario FeRRERO legge una sua nota sopra “ Un
ripostiglio di monete della repubblica romana scoperto a Roma-
gnano Sesia ,.
Il Direttore della Classe legge una sua nota: “ Lo stato
di alcuni archivi comunali della provincia di Susa ai tempi di
Re Vittorio Amedeo III ,.
I detti lavori sono pubblicati negli Atti.
Il Socio CrpoLLa condeputato coi Socii CLARETTA e FERRERO
ad esaminare il lavoro manoscritto presentato dal prof. Carlo
734
MeRKEL ed intitolato: “ Niccolò Scillacio e le relazioni intorno al
secondo viaggio di Cristoforo Colombo in America , legge la Re-
lazione della Commissione conchiudente per l’ammessione del
lavoro alla lettura.
Udita lettura del lavoro, la Classe procede alla votazione
intorno ad esso, nella quale si hanno otto voti favorevoli e tre
contrarii. Il lavoro, non avendo ottenuto i tre quarti dei voti,
richiesti dallo Statuto accademico, non è approvato.
PE O Ce 7
LETTURE
GIUSEPPE DE LEVA
Commemorazione del Socio CARLO CIPOLLA.
Invitato dalla nostra Presidenza a ricordare in quest’aula
il nome di Colui verso del quale ebbi e sempre conserverò il
più rispettoso affetto, quasi di figliuolo a padre, mi sento rin-
novarsi oggi quella stretta al cuore, che provai acutissima,
allorchè mi giunse inattesa la notizia della sua morte.
La veneranda e soave figura del mio Maestro mi ritompa-
risce adesso dinanzi alla mente, quale la vidi l’ultima volta,
che con lui m'incontrai pochi giorni prima che Iddio ce lo to-
gliesse, quando ebbi da Lui l’ultimo bacio, che io ora considero
come il sigillo e il compendio dei lunghi anni, nei quali, con
affetto paterno, egli curò in varie guise la mia educazione scien-
tifica. Pensando a tutto questo, le lagrime ritornano ai miei
occhi, e non è certo per amore di vana retorica, che applico
adesso a me medesimo il verso del poeta: “ farò come colui,
che piange e dice ,,.
Dalla ricordanza personale, ritorno alla nostra Accademia,
la quale nell'ultimo anno vide mancarsi parecchi tra i suoi più
illustri e più benemeriti degli studi.
Commemorai il 25 novembre p. p. Cesare Cantù e Enrico
von Sybel. Nè mentre parlava di loro, pensava che un’altra
dolorosa perdita stava per avere il nostro sodalizio e con esso
la letteratura storica italiana nella morte di Giuseppe De Leva.
L'avevo veduto appena tre settimane innanzi, e l’avevo tro-
vato stanco assai, e anzi quasi consunto. Ma non avrei creduto
che le sue forze dovessero estinguersi in sì poco tempo.
736 CARLO CIPOLLA
Nel prof. De Leva l’Italia perdette uno dei suoi figli più
degni di rispetto e di onore; chè quanti l’hanno conosciuto
dappresso, quanti hanno potuto sapere quale uomo egli era,
comprendono che con lui non è scomparso solamente uno sto-
rico insigne, ma un professore impareggiabile, ma un uomo
ricco di virtù veramente solide e rare.
Quanti gli fummo discepoli, ammiriamo in lui il Maestro
più ancora che lo Scienziato. L’ansia affettuosa che egli aveva
per i suoi discepoli, non era l’ultima delle sue preziose qualità
didattiche. A noi, ogni particolarità del suo insegnamento sembra
degna di nota.
Sulla cattedra, a seconda delle circostanze, a seconda del
pubblico cui rivolgeva la sua parola, egli era eloquente e vi-
brato nel dire, ovvero freddo, apparentemente senz'anima e senza
vita. Quando voleva, a noi suoi discepoli, insegnare la critica
storica, ogni ombra di facondia sfuggiva dal suo labbro. Egli
passava in esame i passi degli antichi scrittori, le testimonianze
dei documenti, senza che nè la parola, nè l’intonazione della
voce accennasse ad altro, che alla sua preoccupazione di rag-
giungere il vero. In quei corsi (1) invece nei quali parlava ad
un numero grande di ascoltatori e non più solamente a coloro
che si dedicano allo studio delle lettere, egli rialzava la nota
del suo ragionare; e, con parola immaginosa e calda, faceva
sentire anche ai profani quante bellezze racchiude in sè la
narrazione storica. In quelle lezioni, come pur anco nei discorsi
che spesso e volentieri tenne dinanzi a diverse radunanze scien-
tifiche, egli cercava di accattivarsi i suoi uditori, non trascu-
rando nè i lenocinii della forma letteraria, nè la modulazione
della voce.
Non egli di certo limitava il suo insegnamento alla scuola.
Quasi vorrei dire che la parte più viva della sua azione didat-
tica egli la esercitava fuori della scuola; poichè egli era sempre
pronto a dar consigli e incoraggiamenti. Egli era tutto per i
suoi scolari, e i suoi scolari erano tutti per lui. Noi sentivamo
di avere in lui un amico, veramente sincero, disinteressato e
(1) Per molti anni, sia sotto il governo austriaco, sia sotto il governo
nazionale, il prof. De Leva tenne un corso agli studenti di legge, ed era
un corso frequentatissimo.
COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA Ma
leale, cui potevamo aprire con franchezza l’animo nostro. Nè
questo legame si spezzava terminando il corso universitario,
poichè il De Leva non perdeva mai d’occhio i suoi discepoli.
Nei corsi destinati a noi, allievi della facoltà filosofica, egli
era un erudito, ponderava ogni frase, usava il linguaggio della
scienza. Ma in quei discorsi, nei quali, come dicemmo, aspirava
ad apparire oratore eloquente, egli di sovente riusciva ad entu-
siasmare l’uditorio, perchè si lasciava entusiasmare egli stesso
dal proprio argomento. Tuttavia il suo valore di scienziato risplen-
deva precipuamente nelle lezioni dirette al circolo ristretto dei
suoi allievi consueti.
Cresceva efficacia alle sue lezioni la sua tenace memoria,
per la quale gli era dato di parlare senza l’aiuto di note scritte.
Egli ci schierava innanzi nomi e date; egli riferiva testualmente
lunghe citazioni, e tutto questo a memoria.
Parte integrante del suo insegnamento era l’esame dei la-
vori che i giovani facevano per suo consiglio e sotto la sua
direzione.
Singolare poi era la sua abilità, così nelle lodi concesse per
dar coraggio ai giovani studiosi, come nell’ammonizione, fatta
con dolcezza di forme, e con piena rettitudine di intenzione.
Nulla di severo c’era nella sua scuola, ma l’amabilità sua
conservava integra la disciplina, basata sul rispetto affettuoso
che egli sapeva destare in noi. Di qui avveniva che quanti
fummo discepoli del De Leva, sia pure a lunga distanza di anni,
trovammo e troviamo in questa consuetudine scolastica un for-
tissimo vincolo di fraternità. Dovunque uno scolaro del De Leva
s'incontra con un suo condiscepolo, gli sia pure ignoto anche di
nome, sente in un lui un amico; quasi a dire un membro di sua
famiglia.
La fisionomia del Maestro sta impressa nell’animo di quanti
ebbero l’onore di essere suoi discepoli. Noi lo vediamo sempre
vivo dinanzi a noi, e sempre ci ritorna alle orecchie la cara
sua voce.
Il prof. De Leva ebbe molto spaziosa la fronte, l'occhio
mobile e vivace, dolce lo sguardo, la bocca spesso disposta al
sorriso. L'aspetto era quello di uomo pensoso, cui l’abitudine
della meditazione non tolse la piacevolezza del ragionare, nè
diminuì l’affabilità del tratto.
738 CARLO CIPOLLA
Aveva grave l’incesso, e specialmente nei suoi ultimi anni
traspariva da tutta la sua persona una certa aura di bontà e
di serenità, che chiedeva affetto e incuteva venerazione.
Quanto volentieri ritorno oggi col pensiero agli anni della
mia giovinezza! Quanto volentieri richiamo alla mia memoria
quegli uomini, che mi furono maestri dotti, amorosi, indulgenti,
nella compagnia dei quali così rapidamente e così dolcemente
fuggirono gli anni accademici! Di quella schiera, parecchi ri-
mangono ancora, e ricordo in segno di onore e in testimonianza
di gratitudine, i nomi di Francesco Bonatelli, di Giuseppe Dalla
Vedova, di Eugenio Ferrai, di Andrea Gloria. Tra i morti, non
tacerò i nomi di Pietro Canal e di Giacomo Zanella.
II.
Giuseppe De Leva, di nobile famiglia, nacque a Zara da
Cesare e da Angela Nachich-Woinowich il 18 aprile 1821.
Morì a Padova il 29 novembre 1895. S’egli nacque in Dal-
mazia, la sua famiglia proveniva peraltro da Padova; da lungi,
discendeva da quella di Antonio de Leyva, grande di Spagna,
e famoso condottiero di Carlo V. Questa lontana parentela
suggerì poscia al giovane De Leva il concetto di quell’opera,
alla quale dedicò la sua vita tutt’intera.
Frequentò le università di Padova e di Vienna. Adottorato
dapprima in filosofia, ottenne la laurea in leggi nel 1850 (1).
Le sue prime pubblicazioni furono di argomento filosofico (2),
e il primo quesito che assaggiò su questo campo, fu uno dei più
gravi che presenti la filosofia, cioè la questione della conoscenza
umana (2). Parlando dei fondamenti della nostra conoscenza,
(1) Tesi di dottorato in leggi. Padova, 1850. Molti dei suoi opuscoli,
difficili ormai a trovarsi, conservansi presso la famiglia dell’estinto, ed io
debbo essere gratissimo alla Vedova ed alla Figlia, che con squisita cor-
tesia mi misero sott'occhio tutte quelle sue pubblicazioni che esse possie-
dono. Da esse, e dal gentilissimo prof. E. Callegari ebbi parecchie notizie
biografiche, che mi mancavano.
(2) Primo studio filosofico. Padova, 1848: © Sulla questione principale
della filosofia ,.
COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 739
egli combatte un’opinione allora molto diffusa, particolarmente
in Francia; nelle quistioni filosofico-religiose non è possibile,
dicevasi, la certezza individuale. A questo primo lavoro un
altro (1) ne fece presto seguire, nel quale condannò il panteismo,
da cui vedeva annientata non solo la morale cristiana, ma la
stessa morale naturale. Dalla filosofia in generale, passò presto
allo studio speciale della filosofia della storia. E in un opuscolo (2)
pubblicato intorno a quegli anni, cercò il legame che congiunge
“ l’istoria dell'Umanità coll’istoria della Provvidenza ,, e questo
legame egli trova nel vincolo che unisce “ la libertà umana ,
colla “ legge suprema del perfezionamento ,. Talvolta si fermò
a considerare la geografia, chiedendole aiuto alla soluzione di
qualche quesito appartenente alla filosofia della storia (1855),
o indagando quali effetti abbiano avuto le scoperte geografiche
sui progressi della civiltà (1858).
Negli anni successivi, voltosi decisamente alla storia, non
abbandonò tuttavia l'abitudine del filosofare; e il tesoro di cogni-
zioni che gli studi della sua giovinezza aveva deposto nel fondo del
suo animo, impresse alle sue pubblicazioni storiche un carattere
speciale. In parte almeno, dobbiamo a questi studi dei suoi anni
fiorenti, se nella maturità della vita egli seppe poi sempre te-
nersi lontano da quella falsa scuola, che fa della erudizione il
fine, non il mezzo del nostro lavoro scientifico. Questo non
significa che egli amasse spaziare, senza timone e senza vela,
nel campo, non dirò delle meditazioni filosofiche, ma delle fan-
tastiche imaginazioni, come accade a molti tra coloro che ca-
dono in un eccesso, per fuggire dall’altro, per fuggire cioè dal
gelo di una erudizione, senza ideali e senza scopo. Non mai;
egli non amava filosofare sopra i fatti, senza che questi avesse
prima assodato e studiato a dovere. Ma ben comprendeva come
non ha proprio alcuna ragione di esistere quella erudizione, la
quale si accontenta di studiare i fatti, senza che da questi si
possa sperare alcuna conseguenza di ordine più elevato. Egli,
con ragione, non sapeva che farne dell’erudizione per l’erudi-
zione. Com'egli la pensasse su tale argomento, lo si può vedere
(1) Il Panteismo e la Morale, senza data.
(2) Idee sulla filosofia della storia. Padova, 1852,
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 51
740 CARLO CIPOLLA
in qualche modo da lui stesso esposto nel discorso che ora sto
per citare.
Il 9 dicembre 1867 inaugurando l’anno accademico presso
l’Università di Padova, egli (1) parlò della critica storica, e ne
rivendicò l'origine all'Italia, piuttosto che alla Germania, affer-
mando che dal Muratori e dal Vico discende la scuola storica,
la quale è nient'altro che la scuola “ de’ fatti sincerati nella
indagine e nello esame de’ documenti ,. Quindi assorgendo a
serutare che cosa debba essere la storia d’Italia, egli molto giu-
stamente osservò che essa non può essere il complesso delle
storie municipali; essa è piuttosto ciò che in tutte le storie
municipali trovasi fornito di carattere universale.
Per affinità di argomento, collego questo discorso con un
altro che egli tenne nel 1874 dinanzi all'Istituto Veneto (2). In
questo discute Sulle leggi del sapere storico e sulle leggi che go-
vernano la storia. Ne traggo qualche linea. “ Comparar detti e
fatti, uomini e tempi; far parlare oltre ai testimoni pronti e
facondi, i reticenti e restii; cercare l’occulto; decifrare ciò che
a prima giunta sembra inintelligibile; mettere in luce e a suo
posto lo svisato; arguire dall’avvenuto ciò che non appare, ma
senza darlo per vero, finchè riscontri inaspettati, che pur non
mancano, non vengano a confermarlo: ecco l’arte, e da questa
la somiglianza dell’indagine storica col processo chimico ,. Belle
parole sono queste, le quali contengono, dichiarato in modo
chiaro e insieme conciso, uno dei canoni più sicuri della critica
storica. Sotto altro rispetto, ma non meno di questo brano, è
degna di nota la parte che nello scritto, di cui parliamo, viene
dedicata a combattere quella scuola che pronuncia l’ostracismo
contro ogni elevato sentimento nello studio dell’uomo. Egli
(1) Degli uffici e degli intendimenti della storia d’Italia. Padova, 1867.
Questo scritto, senza dubbio, a lungo pensato, io non vidi mai mentr’egli era
in vita, e solo n’ebbi contezza il 81 dic. 1895, quando la Famiglia dell’il-
lustre estinto pose a mia disposizione i libri stampati che di lui essa con-
serva. Se l’avessi letto antecedentemente, non avrei tralasciato di ricordarlo
nel mio discorso: Del metodo e dei fini nella esposizione della storia italiana.
Torino, 1883 (riprodotto nel volume Per la Storia d’Italia, Bologna, Zani-
chelli, 1895).
(2) Serie IV, vol. 3.
COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 741
scrive: “ Nella legge dell’Umile Figliuolo del legnaiuolo di Na-
zaret, nella legge che ricrea il cuore in novità di vita, è tutta
una pioggia di affetti, che versò dall’alto sulle menti a incivilire
il mondo ,.
Non è questo il più bello fra i risultati cui possa giun-
gere la filosofia della storia?
II.
Nutrita la mente di studi filosofici, egli volle spendere la
sua vita intorno ad un lavoro nel quale potesse trarre van-
taggio dall’impressione che sopra di lui avevano lasciato le oc-
cupazioni della sua giovinezza. Carlo V e i grandi avvenimenti
del suo tempo, ecco un bel tema per lui. Senza dubbio, la sua
lontana parentela con Antonio de Leyva deve essergli stata di
stimolo nella scelta; ma la ragione precipua di questa, vuolsi
trovare nella congruenza tra le sue disposizioni intellettuali, e
la natura stessa dell'argomento.
Come dicemmo, egli era assai giovane ancora quando formò
il proposito di narrare la storia di Carlo V, considerandola
specialmente in correlazione all’Italia.
Dapprima raccolse i materiali che gli potevano offrire le fonti
stampate, e ben presto diede alla luce qualche saggio dei suoi
studi (1). Erano studi molto eruditi, che dimostravano in lui lo
(1) Raccolgo qui insieme varî dei primi saggi, che sono brevi studi sopra
di questo campo. Uno si intitola: L'assedio di Firenze, per le nozze Braida-
Plattis, Padova, 1857; pubblicando questa monografia, egli dice che essa
fa parte dei materiali per la vita di Carlo V, alla quale stava lavorando
da molto tempo. Per le faustissime nozze Plattis-Cavriani, Padova, 1859,
stampò una lettera, 1° ottobre 1529, di Carlo V ai suoi ambasciatori in
Roma. Il saccheggio di Roma del 1527, è il titolo di un altro breve scritto
(Nozze Salvadego-Plattis, Padova, 1857), nel quale egli, pur lodando per varî
rispetti Carlo V, dice che la sua politica era machiavellica, ed osserva che
il “ machiavellismo , è anteriore all’ “ autore, ond’ebbe il nome ,, e da cui
fu elevato a “ teoria ,. Intorno a questo tempo il De Leva pubblicò anche
il suo Saggio critico sulle ragioni della quarta guerra tra Carlo V e Fran-
cesco I, uscito senza note tipografiche; qui fa uso di alcuni documenti da
lui trovati nell'Archivio di Corte a Vienna; loda Carlo V e accusa Fran-
cesco I di avere nutrito aspirazioni alla monarchia universale.
142 CARLO CIPOLLA
storico futuro. Ma erano ancora splendide promesse, piuttosto
. che frutti maturi. Egli comprese che senza lunghe ricerche negli
archivi non avrebbe potuto fare opera veramente nuova, im-
portante e duratura. Nel 1854 e nel 1855 fu a Vienna, per
istudiare in quell’Archivio di Corte. Verso l’anno 1857 egli pe-
regrinò a Parigi, a Madrid e a Simancas, e negli archivi di
queste città raccolse a dovizia nuovi documenti sull’argomento,
se altro mai vasto e intricato, che egli avevasi proposto ad
oggetto dei suoi nobili studi. Dobbiamo risalire col pensiero a
quegli anni, e pensare a quante difficoltà andavano allora in-
contro gli studiosi. Il De Leva non era in condizione da darsi,
neppure riguardo agli studi, gli agi, di cui possono essere pro-
dighi verso se stessi gli uomini doviziosi. Debolissima poi era
la sua fibbra. Mi ricordo di avere udito dalla sua bocca che,
mentre studiava a Simancas, egli si trovava così male in sa-
lute, che non potè cibarsi mai che di uva. Ma forte era in lui
la volontà, invincibile il proposito di far qualche cosa di buono.
Ritornato in Italia, attese ad ordinare il materiale raccolto,
e a completarlo con quanto gli potevano fornire le opere a
stampa che andavansi pubblicando di continuo in Europa, e
sopratutto in Germania, sulla storia della Riforma in generale
e di Carlo V in particolare. Nè attese a questo soltanto, ma
anche all’insegnamento. Anzi, la esecuzione dei suoi doveri pro-
fessionali costituiva il massimo dei suoi impegni scientifici.
Abbiamo già visto con quanto studio, con quanta coscienza di
scienziato, egli disimpegnasse il suo officio di professore.
LV;
Il 26 aprile 1848 egli era stato nominato assistente di
Baldassare Poli, che allora professava filosofia all’Università di
Padova. Durò in quel posto per tre anni. Più tardi, quando la
sua attenzione si diresse particolarmente alla storia, egli divenne
assistente dell'abate Lodovico Menin, che insegnava storia uni-
versale e storia austriaca in quella università. Il De Leva as-
sunse quell’officio sul cadere del 1852. Nell'ottobre del 1853
fu nominato professore al ginnasio-liceale di Padova. Ritornò
all'università nell'ottobre del 1855, quale professore ordinario
e
COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 743
di storia universale. Succeduto al governo austriaco il governo
nazionale, egli divenne ordinario di storia moderna, ed incari-
cato di storia antica. Non abbandonò più la cattedra, di cui
egli fu onore sino alla morte; invitato a recarsi in altre uni-
versità, egli preferì la sua sede antica, dove era circondato
dall’affetto e dalla reverenza dei colleghi, dei concittadini e
degli studenti. Laddove aveva cominciata la sua carriera, quivi
la terminò. L'ultimo suo pensiero, quello che lo preoccupava pei
giorni nei quali le forze gli venivano mancando, era quello di
prepararsi alle lezioni per il corrente anno scolastico. Poichè
egli, indubitatamente uno dei più dotti storici de’ nostri tempi,
egli fornito di memoria meravigliosamente pronta e tenace,
dopo oltre a quarant’ anni d’ insegnamento universitario, sen-
tiva il bisogno di prepararsi lezione per lezione, quasi fosse un
professore novello.
Più volte tenne il delicato officio di rettore magnifico, e lo
tenne in momenti difficili. Ne patì. La sua salute, scossa già dagli
studi, si risentì vivamente dal contrasto tra la forza dello spirito
e la debolezza dell’organismo.
Dalla fiducia ben meritata dei colleghi fu per lunghissimi
anni invitato a presiedere la Facoltà cui apparteneva.
In ogni officio recò il tesoro della sua coscienza sicura,
del suo animo buono e mite, e del suo ingegno penetrante.
V.
Dalla preparazione remota alla storia di Carlo V, passò ben
presto il De Leva alla preparazione prossima.
Fra le pubblicazioni di questo periodo tiene senza dubbio uno
dei primi posti, la monografia intitolata Delle trattative tra Carlo V
e Clemente VII per la convocazione di un concilio ecumenico (1)
nella quale diede bella prova delle fatiche da lui impiegate a
scovare nuovi documenti dagli archivi di Simancas, di Parigi e
di Vienna. Un lavoro di simil genere, basato su ricerche di
(1) Padova, 1859 (Nozze Pupafava-Cittadella). Riguarda questo lavoro il
periodo 1529-39.
144 "CARLO CIPOLLA
tanta vastità, faceva comprendere che l’Italia acquistava in luî
uno storico.
Può a questo scritto accompagnarsi un discorso da lui tenuto
all'Accademia di Padova, che tratta Della vita e delle opere del
card. Gaspare Contarini (1). Il Contarini divenne l’ideale del
De Leva; egli non fu soltanto l’oggetto della sua costante venera-
zione, ma quasi a dire il simbolo del suo pensiero in ordine alle con-
troversie religiose nel sec. XVI. Ammirava in lui l’uomo integro,
di ingegno acuto e solido, temperato nei modi, mite nelle azioni,
ricco di dottrina classica, patristica e scolastica, disdegnoso di
tutto quanto fosse depravazione o slealtà. Il De Leva pensa che
niuno meglio di lui avrebbe potuto impedire, se ciò fosse stato
possibile, che il “ grande movimento religioso ,, il quale si deter-
minava allora nella Cristianità, fosse “ falsato e condotto a mal
termine da Lutero ,, poichè il Contarini voleva bensì la riforma
della Chiesa, ma una riforma che la consolidasse, non che la
disfacesse.
Non voglio asserire che in ogni giudizio politico-religioso il
De Leva siasi sempre realmente incontrato coi concetti del Con-
tarini. Questo voglio significare che del cardinale veneziano, il
nostro storico faceva altissima stima, che lo tolse a sua guida,
e che lungamente e amorosamente ne studiò i libri.
Nel 1863, quando credette di esservisi abbastanza prepa-
rato, pubblicò in Padova il primo volume della sua Storia do-
cumentata di Carlo V in correlazione all’Italia. Il V volume fu
stampato a Bologna dai Zanichelli, nel 1894, e con esso rimane
tronca l’opera. Precede al I volume una introduzione, nella quale
tratteggia i caratteri dell’età media e della nuova, le quali si
incontrano, e tra loro cozzano al tempo di Carlo V. Il volume
narra una gran parte della storia d’Italia all’esordire dell’età
nuova, poichè abbracciando esso il lungo periodo che va dalla ca-
lata di Carlo VIII fino alla elezione di Carlo V ad imperatore, com-
prende in sè la prima spedizione francese, la guerra di Cambray,
le invasioni di Luigi XII. Il De Leva per prepararsi a narrare
le origini della riforma luterana, discorre delle condizioni mo-
rali della Chiesa, parla dei pontificati di Sisto IV e di Ales-
(1) Padova, 1860.
COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 745
sandro VI, delle prediche del Savonarola, dei filosofi del Rina-
scimento. Molta era l’erudizione di cui il De Leva dava prova
in questo primo volume, che rimase per altro alquanto inferiore
ai successivi, in ciascuno dei quali agevolmente si scorge la
sempre crescente maturità di pensiero; lo stile stesso migliora
di volume in volume.
Il secondo volume, uscito non molto dopo, conduce il lettore
alla coronazione di Bologna, e comprende, tra l’altro, la narrazione
del sacco di Roma e della impresa napoletana del Lannoy. Già
in questo volume gli avvenimenti politici, sebbene trattafi con
sufficiente ampiezza, abbandonano in qualche modo il campo ai
fatti dello spirito. Im maggiori proporzioni, questo si verifica
nel terzo volume, il quale si arresta al trattato di Crespy. Qui
ormai la questione religiosa la vince, nell’animo dello storico,
sulle preoccupazioni della politica. Il De Leva non parteggiò
mai per la riforma protestante; poichè egli giudicò sempre che
se una riforma ecclesiastica, nell'epoca del Rinascimento, era
necessaria, questa dovea essere interna, non esterna alla Chiesa.
Meno che mai fece suo, il pensiero dei nostri filosofi, e dei
nostri politici d'allora. Anzi nel terzo volume della sua opera
vediamo com’egli giudica dello scetticismo teorico del Pomponazzi
e dello scetticismo pratico del Machiavalli e del Guicciardini. Il
vizio che il De Leva sopra tutto combatte in costoro è la man-
canza di Fede religiosa, il “ vuoto della coscienza ,. Minore
relazione hanno colla storia d’Italia il volume IV e il V, dedi-
cati alla narrazione delle trattative corse tra Carlo V e il Pa-
pato, per l'apertura del Concilio e per la riforma della Chiesa.
Il volume IV si ferma alla promulgazione dell’interim religioso
in Germania, ed il V prende le mosse dalle incertezze sulla sua
interpretazione e più ancora dalle difficoltà cui si andava in-
contro nel dare esecuzione al medesimo. Quest’ ultimo volume
adunque, dalla contestazione di Passau, conduce la narrazione fin
quasi alla fine dell’impero di Carlo V. Ancora un volume ci voleva
perchè l’opera fosse completa, e a scriverlo egli intendeva di
consacrare gli anni della sua vecchiaia. E così pure desiderava
di riscrivere i primi volumi, apportando alla materia in discorso
la dovizia dei documenti ultimamente pubblicati, o da lui stesso
scoperti, e la luce del suo giudizio storico meglio maturato.
Ma gli anni della vecchiaia non gli furono conceduti.
746 CARLO CIPOLLA
Anche la forma si era raffinata; e se forse nei primi volumi
sì poteva sentire alcun che di artificiale e di men che limpido,
negli ultimi volumi invece, colla larghezza degli studi, prese
maggior evidenza anche lo stile, fattosi eziandio, più freddo
forse, ma più pacato e più persuasivo. Bene spesso avviene dello
stile storico, che quanto esso perde di calore; spesso acquista
in lucidità.
Egli avrebbe forse condotto innanzi con maggior celerità
la sua opera, se di anno in anno non fosse cresciuta in lui la
coscienza dell’altissima responsabilità dello storico. A provare
quanto questa coscienza fosse viva e ben radicata nel suo animo,
giovi notare che egli aveva già composto, e pronto quasi alla
pubblicazione il V volume della sua opera, quando l’attuale pon-
tefice volle rendersi altamente benemerito degli studiosi, loro
dischiudendo gli Archivi Vaticani. Il De Leva ritornò sopra i
suoi passi, annullò quanto aveva scritto, rifece completamente
il suo lavoro, giovandosi delle nuove e preziose fonti, alle quali
largamente attinse.
La Storia di Carlo V sotto la sua penna cambia adunque
di volume in volume carattere, e assume a poco a poco quasi
l'aspetto di una storia ecclesiastica, per chiarire l’origine della
riforma luterana e dilucidare le vicissitudini del concilio triden-
tino. Colui che ha coscienza della importanza somma delle qui-
stioni religiose, delle difficoltà intricatissime che esse includono,
chiunque vede i molteplici aspetti che esse assumono, e i rife-
rimenti che tengono con tutte le manifestazioni della vita di
un popolo, quegli può apprezzare convenientemente l’opera del
De Leva, la quale dovrebbe essere stimolo potente a nuove in-
dagini da parte degli eruditi, a nuove meditazioni da parte dei
pensatori.
Il De Leva non iscrisse una storia teologica, e quindi non
era còmpito suo lo addentrarsi nel profondo delle questioni,
considerate in se stesse. Preferì invece di esaminarle sopratutto
nelle loro relazioni colla vita civile e letteraria. A_ questo deve
pensare chi legge i suoi libri, se vuol intenderne il significato.
Se scrutiamo nella loro sostanza le sue opinioni su questo
campo, può dirsi che egli, nel ritrarre le controversie d'allora,
e nel farsi narratore delle trattazioni diplomatiche, si studiasse
di seguire la via per la quale, a suo giudizio, procedettero il
ser pe»
COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 747
card. Contarini, il card. Polo e quanti altri si erano studiati di
impedire una rottura finale, favorendo, nel modo che per cia-
scuno riusciva più proprio, la riforma dei costumi nel seno stesso
della Chiesa, colla speranza, che, preparato per tal modo il ter-
reno, fosse possibile anche nelle controversie dommatiche esco-
gitare mezzi adatti ad indurre i Protestanti al ritorno verso
l’unità religiosa. Il tentativo di conciliazione fatto a Ratisbona
dal Contarini, che si recò in quella città quale legato pontificio,
negli anni precedenti al Concilio, attirò la particolare attenzione
e la viva simpatia del De Leva, il quale poi guarda con dolore
tutto quello che nell’uno e nell'altro campo accenna a precisare
di più in più la delimitazione vicendevole, e quindi a segnare
con maggiore rigidezza la divisione. L’animo del De Leva si
trova sempre più angustiato, di mano in mano che col processo
degli avvenimenti egli vede sfumare ogni possibilità di accordo
tra Cattolici e Protestanti, e scorge che la scissura diventa irre-
conciliabile. Quando dalle sessioni del Concilio di Trento uscì
meglio precisato il dogma, ma nel tempo stesso la spezzata
unità apparve ormai senza rimedio, il De Leva non si duole
certamente che nuova luce siasi portata alle questioni teolo-
giche, allora dibattute, ma si rattrista guardando alla effettiva
divisione della Cristianità.
Ben egli può avere esposto il pensiero, narrando le origini
della rivoluzione luterana, che da parte dei Cattolici, per impe-
dire quella divisione, non siasi allora fatto tutto quello che sa-
rebbe stato del caso; ben egli può aver addebitato in larga
misura anche ai Cattolici, se la conciliazione religiosa non si
effettuò. Questo egli disse bensì, ma ben si astenne dal par-
teggiare menomamente per gli autori dello scisma. Questo è il
pensiero intimo, che, se ben veggo, domina sempre nel pensiero
del De Leva, e che si rivela dovunque chiaro a chi scruta ben
addentro qualsiasi tra i suoi libri.
Per la morte del De Leva rimase troncata l’opera, così che
ci vien tolto il compiacimento di poter assistere all'ultima età
dell'impero di Carlo V. Egli morì mentre con vivo ardore rac-
coglieva e vagliava il materiale, che doveva trovar posto nel-
l’ultimo volume della sua opera.
La salute malferma, che lo costringeva a proceder nel la-
voro con relativa lentezza, e la vita troncata quando egli poteva
748 Ì CARLO CIPOLLA
ancora attendersi parecchi anni di fecondo lavoro, gli contesero
questa suprema aspirazione della sua età canuta. Egli non potè
dar l’ultima mano all'opera cui aveva dedicata la vita.
La r. Accademia dei Lincei decretò a quest'opera il mas-
simo onore di cui può disporre, il premio reale.
Auguro all’opera del De Leva un premio ancora più grande,
e da lui ancora più vivamente desiderato. Possa sorgere fra
noi una scuola storica, che, assumendo la sua eredità, e allar-
gando sempre più il campo amplissimo delle ricerche erudite,
dia perfezione e compimento all'opera del grande Maestro, e
innalzi alla storia complessa della vita religiosa in Italia du-
rante il secolo XVI, un monumento degno di essa, e del nome
di colui, che presentò ai suoi connazionali un argomento troppo
trascurato, eppure di tanta gravità e di tanta eccellenza.
Niuno certo fu più del De Leva meritevole di tanto onore.
IV.
Il De Leva ebbe ingegno sintetico piuttosto che analitico;
mirò alle ardue questioni che travagliavano l'umanità, e ne chiese
la soluzione alla storia; studiò negli antichi tempi le cause delle
nostre presenti convulsioni morali e intellettuali. Dei fatti par-
ticolari, che formano oggetto alle monografie, egli di solito non
sì preoccupò, se non in quanto immediatamente legansi ai
grandi avvenimenti, che stavano di continuo davanti alla sua
mente, e che formavano lo scopo supremo della sua vita scien-
tifica.
Quindi egli non disperse quasi mai le sue forze, locchè di
ben pochi storici può ripetersi. Non chiese alle circostanze l’oc-
casione ai propri lavori, ma dominò le circostanze coordinan-
dole a un fine prestabilito. Tuttavia non si astenne totalmente
dallo scrivere anche brevi saggi ed articoli. Ed amò di quando
in quando trattare a parte alcuni punti riflettenti il suo argomento
principale; spesso poi avveniva che queste speciali dissertazioni
fossero poi da lui rifuse ed inserte nell’opera principale. Lo ve-
demmo in parte parlando delle sue pubblicazioni giovanili.
Come aveva fatto avanti di pubblicare il primo volume del
Carlo V, così pure usò far precedere a ciascuno dei volumi suc-
nie Dn i nnt citi n è
COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 749
cessivi qualche monografia riflettente il campo che poi doveva
percorrere.
Nell’articolo sopra La concordia religiosa di Ratisbona (1),
ebbe opportunità di encomiare il Contarini, lodandone i tenta-
tivi fatti l’anno 1541 nel convegno di Ratisbona, per giungere
ad una conciliazione tra Cattolici e Protestanti, prima che il
dissidio divenisse formale e, a così dire, irreconciliabile. Preziosi
documenti per la storia della introduzione della riforma lute-
rana in Italia egli pubblicò nel suo libro Degli eretici di Citta-
della (2), mettendo in chiaro che la piccola terra di Cittadella,
situata tra Padova e Treviso, era un centro infetto di eresia
luterana. Egli discoprì le teorie degli eretici di Cittadella, e
mostrò quanto avessero di comune, e quanto di diverso, in con-
fronto sia alle dottrine luterane, sia a quelle professate in Italia
da quelle pie e dotte persone, che mentre parlavano della giu-
stificazione della Fede, non intendevano tuttavia di disgiungere
questa dalla obbligatorietà delle Opere. Processato per eresia fu
anche Giulio da Milano, della cui vita e della cui dottrina parlò
il De Leva in separato lavoro (8). In altre monografie (4) diede
alla luce alcuni documenti inediti concernenti il patriarca Gio-
vanni Grimani, nelle sue relazioni coi Protestanti e col concilio
Tridentino.
In due Memorie presentate all'Istituto Veneto (5), nel 1877
l’una, e l’altra nel 1878, affrontò l’arduo problema della storia
del concilio Tridentino, di cui poscia più largamente si occupò
negli ultimi volumi della sua Storia. Rientrano pure nel ciclo
dei lavori preparatori ai volumi della Storia due monografie sulla
guerra Smalcaldica, pubblicate in occasioni nuziali (6). A questa
(1) Archivio Veneto, IV, parte 1%; a. 1872.
(2) Atti dell’Istit. Veneto, serie IV, vol. 2°, p. 679, a. 1873.
(3) Giulio da Romano, appendice alla storia del movimento religioso in
Italia nel sec. XVI, nell’ “ Arch. Veneto ,, VII, parte I.
(4) Giovanni Grimani, patriarca d’ Aquileja, in “ Atti Ist. Ven. ,, serie V,
vol. 7°, p.407, a. 1881: Su due lettere del Card. di Trani al patriarca di Aquileja
Giovanni Grimani, ivi, serie V, vol. 7°, p. 647, a. 1881. — Qui ricordo ancora
un articolo dal De Leva inserto nella “ Rivista storica italiana , sulla politica
pontificia nella controversia sull’ “ interim , di Augusta (vol. V, fasc. 2, a. 1882).
(5) Le prime sessioni del Concilio Tridentino, nelle “ Memorie dell’Isti-
tuto Veneto ,, XX, 227 sgg., e 367 sgg.
(6) I primi fatti della guerra Smalcaldica, Padova, 1879 (nozze Trieste-
750 CARLO CIPOLLA
serie di lavori può forse associarsi anche un discorso tenuto da
lui nel 1880 dinanzi all'Accademia di Padova, quando egli la
intrattenne sulle opere moderne che rivendicano a Michele Ser-
veto la scoperta della circolazione del sangue nei polmoni (1);
spiegando pure il legame che tale argomento aveva colle contro-
versie teologiche del XVI secolo.
né
Il De Leva scrisse pochi lavori di critica storica, che ri-
manessero estranei al suo tema (2). Tra questi due mi sembrano
di maggior rilievo. Nell’eloquente discorso sopra il movimento
intellettuale d’Italia nei primi secoli del medio evo (3), tenuto in
Padova, in una solenne adunanza della r. Deputazione Veneta
di storia patria, egli studia la persistenza della tradizione clas-
sica durante il medioevo; di questa tradizione egli mette in
evidenza i meriti, e lo fa con tinte senza dubbio molto vivaci;
ma pur restando lontanissimo dal misconoscere le cattive con-
seguenze, che si manifestarono nella decadenza dei costumi pa-
ganeggianti. Anzi, il precipuo pregio della presente disserta-
zione consiste appunto in questo, che egli volle collegare lo
svolgimento intellettuale col miglioramento o col deterioramento
dei costumi. Guardando addentro nel pensiero del De Leva, si
vede che egli coordinava il primo al progresso del principio
cristiano, e il secondo al trionfo, sia pure momentaneo, del
principio pagano. i
Treves); La prigionia del langravio Filippo d'Assia, Padova, 1881 (nozze
Treves-Del Valle).
(1) Sopra Michele Serveto, nella © Rivista periodica dei lavori della
R. Accad. di Padova ,, XXX, 78 sgg.; anno 1880.
(2) Nel breve articolo La chiesa abaziale di Scardona (nella “ Miscel-
lanea di prose e poesie dedicata a Giovanni Zaffron vescovo di Sebenico ,,,
pp. 107-110, Zara, 1868) diede alcuni cenni commemorativi sopra Nicolò De
Leva, arciprete-parroco di Scardona; visse ai tempi Napoleonici, e fu amante
dello studio, e tutto infocato di carità. Pubblicò per le nobiliss. nozze del
conte Carlo D’Ayla con la contess. P. Giusti (Padova, 1887) alcuni documenti,
1462-83, sulla regolazione del Mincio e sulle fortificazioni di Mantova, la-
vori eseguiti da Giovanni da Padova, insigne architetto del sec. XV.
(3) Atti della R. Deputaz. Veneta di Storia patria, anno II, Venezia, 1877.
COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 751
Se teniamo fisso la nostra mente sopra questo punto, che
costituisce davvero uno dei pernii intorno a cui specialmente si
aggira il discorso del prof. De Leva, possiamo comprenderne il
valore, poichè a questo non mirò di certo il Giesebrecht, che,
precedendo il De Leva, aperse questa strada agli studi. Il
Dresdner più tardi collegò insieme la storia del costume colla
storia delle lettere, ma egli non riassunse le notizie in un quadro
così vivo e così colorito come il De Leva. Il Grupp, in questi
ultimi anni, riuscì poco efficace e dilavato, quantunque egli co-
nosca ampiamente la materia, e la tratti da un punto di vista
elevatissimo. Nelle questioni particolari, in alcuni fatti e in
alcune loro interpretazioni, si potrà trovare nel Dresdner e nel
Grupp maggiore precisione di profili e maggiore sicurezza di
coloritura; nel Giesebrecht — fatta ragione del tempo in cui
comparve il suo opuscolo De litterarum studiis apud Italos —
vedrà taluno una copia larga di fatti nuovi, che pescati a dovizia
nei documenti inediti, vengono pòrti agli studiosi. Ma l'opuscolo
del De Leva, considerato nel suo insieme, e specialmente sotto il
riguardo predetto, va considerato come ben altro che un sem-
plice discorso d’occasione. i
È la sola monografia di qualche estensione che il De Leva
abbia dedicato alla storia medioevale, e doveva quindi venire
da me riguardata con speciale attenzione. Il De Leva pensò anche
a scrivere una vita di S. Francesco, attratto dal grande valore
morale sociale del Poveretto di Assisi; ma non so se abbia,
neppure in piccola parte, realizzato questo suo disegno.
Molte cose nuove e veramente di peso egli espose nella
dissertazione, cui diede occasione la raccolta dei dispacci della
legazione romana (1592-5, 1598) di Paolo Paruta, e che ad essa
va anzi preposta (1). Con questi dispacci il nostro pensiero
viene portato alla fine del secolo XVI. Il De Leva, giovandosi
non solo dei dispacci e degli altri documenti stampati nella
(1) I tre volumi comprendenti l’edizione di questi dispacci comparvero
a Venezia nel 1887, col titolo: Paolo Paruta e la sua legazione a Roma, e
a spese della R. Deputaz. Veneta di storia patria. I dispacci furono per la
massima parte trascritti e annotati dall’ab. prof. RinaLno Furin. Siccome
il Fulin fu colpito da morte precoce, poco prima che desse termine al suo
lavoro, questo venne terminato dal comm. FepeRICO STEFANI.
152 CARLO CIPOLLA
raccolta, ma ancora di altre carte da lui trovate a Firenze ed
a Roma, illustra le principali questioni di politica internazio-
nale trattate dal Paruta durante la sua legazione, e sopratutto
mette in sodo quante abbia fatto quel famoso diplomatico e
letterato veneziano per isventare i disegni di Filippo II sopra
l’Italia. Anzi è in quest’ultimo punto, che consiste sopratutto
il pregio del presente lavoro.
Se facciamo astrazione dalla Storia, parmi che questo sia
il lavoro più pensato, più solido, più ricco di novità storiche,
che sia uscito dalla penna del De Leva.
Favorì la pubblicazione dei Diarî di Marin Sanudo (1), e
ammirò la incredibile attività di quest'uomo, il quale raccolse
nei cinquanta volumi che costituiscono la sua opera principale,
tanta ricchezza di materiali da restarne illustrata non solo la
storia di Venezia, ma quella ancora d’Italia, anzi, a dir meglio,
la storia di Europa per il mezzo secolo, che segue alla calata
di Carlo VIII.
Non voglio passare sotto silenzio due dotti compendî sto-
rici, indirizzati alla scuola (2). Li scrisse al principio della sua
carriera, e se badiamo al materiale scientifico in essi contenuto,
potranno sembrare invecchiati. Ma se consideriamo in essi il
pensiero dominante, e il lucidus ordo che li caratterizza, dob-
biamo riconoscere che essi hanno pregi che non si perdono.
VI.
Alla memoria degli amici, tributò spesso il De Leva l’o-
maggio di una commemorazione, dotta non meno che affettuosa.
In queste sue commemorazioni riconosciamo, per l’acuta inda-
gine psicologica, l’antico filosofo, e per la cura posta a mettere
in bella vista il valore morale degli elogiati, l’uomo informato
ad elette virtù.
(1) Marin Sanudo il Giovine e le opere sue, Venezia, 1888.
(2) Sommario della Storia antica, Padova, 1852; Sommario della Storia
di popoli antichi, Padova, 1356.
iii
COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA fi
Con profondo rispetto parlò di Samuel David Luzzato (1),
dottissimo rabbino di Padova, che validamente promosse tra i
suoi correligionari, e non fra essi soltanto, gli studi sul Vecchio
Testamento. Addì 3 giugno 1874 nella grande aula dell’univer-
sità di Padova parlò di Niccolò Tommaseo (2). Il Tommaseo era
nato a Sebenico, e il De Leva, che sempre amò la Dalmazia,
gode di dirsi suo “ compatriota ,, e “ per antica affettuosa ri-
verenza quasi figlio ,. Riassume ciò che il Tommaseo fece nel
1848 per l’indipendenza della nazione, ne pone in luce i meriti
come letterato, e come educatore, e ne encomia le virtù re-
ligiose, morali e civili. Altro suo intimo amico fu l’abate Giuseppe
Valentinelli, prefetto della biblioteca Marciana: le parole (8) che
egli dedicò alla memoria di quell’esimio bibliografo, sono la
manifestazione del suo cuore, sanguinante per una perdita irre-
parabile. Discorrendo di Francesco Miniscalchi (4) non si ricorda
soltanto dei suoi meriti come orientalista, ma anche dei suoi
pregi morali, tra i quali non vuole dimenticata la cura affettuosa
che il Mimiscalchi aveva avuto verso il suo “ vecchio padre ,.
Quando Padova dedicò una lapide ad Andrea Cittadella, egli
encomiò in lui quegli, che sotto il dominio straniero aveva spe-
rato giorni migliori (5). Nel 1878 (6) dinanzi all’Istituto Veneto
commemorò in Vittorio Emanuele II il restauratore della na-
zione. Ricordò Lodovico Menin (7) all'Accademia di Padova, con
parole ispirate a reverenza. Il Menin era stato suo professore
di storia, ed egli ritrae al vivo il suo “ illustre e benemerito
maestro ,, e ne delinea il metodo didattico. Le lezioni del Menin
erano eloquenti, piuttosto che profonde. Il De Leva dichiara di
(1) Della vita e delle opere del prof. S. D. Luzzato, Padova, 1856.
(2) In morte di Niccolò Tommaseo, in “ Arch. Veneto ,, VII, parte 2*, 1874.
(3) Arch. Veneto, X, parte 2°, 1875.
(4) Della vita e delle opere del conte Francesco Miniscalchi Erizzo, negli
‘ Atti dell'Istituto Veneto ,, serie V, vol. 2°, p. 645 sgg., a. 1876.
(5) Ricordo del VI anniversario dalla morte dell’illustre conte Andrea
Cittadella Vigodarzere, Padova, 1876. A questo benemerito patrizio pado-
vano, il De Leva aveva intitolato nel 1863 la sua Storia di Carlo V.
(6) Negli Atti dell’Istit. Veneto, serie V, vol. 4°, p. 335 sgg.
(7) Commemorazione del socio L. Menin, segretario dell’ Accademia, Pa-
dova, 1875. Il Menin morì nel 1874.
754 CARLO CIPOLLA
preferire il metodo “ a freddo ,, ma riconosce che, secondo le
esigenze didattiche di quei tempi, in cui dovevasi nel volger di
un anno esporre tutta la storia universale, il Menin non poteva
fare diversamente.
In Rinaldo Fulin (1) ritrae l’uomo, cui “ il lungo studio e
le intense meditazioni , hanno logorata anzi tempo la vita.
Loda in lui il critico acuto, che aperse nuove vie nella storia
inesauribile di Venezia, ma più ancora lo segna a modello per
le rarissime qualità del suo animo. Il Fulin, osserva il De Leva,
fu “ largo sempre , coi suoi discepoli “ di consigli e di aiuti ,,
e quindi strinse con molti tra essi “ amicizie piene, forti, dure-
voli per tutta la vita ,. Amico affezionato e rispettoso a Gio-
vanni Cittadella, lo storico della dinastia Carrarese, il De Leva (2)
apprezzò in lui il valore nella erudizione, e l’amore alla patria.
Ma anche questa volta non dimenticò le virtù private: “ e quanta
la bontà dell'animo suo! Figlio devoto, marito amoroso, tenero
padre, fece della sua casa un tempio per sè, un modello, per gli
altri, d’ogni virtù ,.
Nel commemorare Giacomo Zanella (3), istituì un esame
psicologico delle sue poesie, e le pose a riscontro colla sua vita,
per dimostrare che in lui il pensiero si conformava all’azione.
Pose in bella vista quanto il poeta vicentino sentisse gli affetti
più delicati e sapesse squisitamente esprimerli. Esaminandone le
versioni poetiche, mostrò quanto abile fosse lo Zanella nello
assimilarsi il pensiero altrui. La vita dello Zanella, piena di
Fede e di Carità, dà occasione al De Leva di accennare ad ar-
gomenti religiosi. Egli trova che nell'animo dello Zanella con-
ciliavansi la Chiesa e la Patria, la Fede e la Scienza. Bellis-
sime poi sono le parole che chiudono la commemorazione:
“ Auguriamo alla patria nostra ch’egli rimanga l’ideale della
gioventù che sorge, a persuaderla che solo il perfetto accordo
(1) Della vita e delle opere del prof. ab. Rinaldo Fulin, in È Atti dell’Ist.
Veneto ,, serie VI, vol. 5°, p. 71 seg., a. 1886.
(2) Della vita e delle opere del co. Giov. Cittadella, Padova, 1887 (Estr.
dagli “ Atti dell’Accademia di Padova ,).
(3) Commemorazione di Giacomo Zanella, negli “ Atti dell’Istit. Veneto ,,
serie VI, vol. 7°, p. 1235 sgg., a. 1889.
COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE DE LEVA 755
fra l’uomo e lo scrittore crea le opere veramente insigni e la
vera e durevole grandezza , (1).
Insistetti forse più a lungo che non si potesse credere
necessario sopra gli elogi funebri del De Leva, ma lo feci per
questo, ch’essi ritraggono al vivo le sue elette qualità morali.
E così, dopo aver percorso, sia pure molto rapidamente,
tutte le vicende della sua carriera scientifica, ritorniamo a con-
siderare in lui l’uomo, ricco di virtù religiose, civili e dome-
stiche, fedele nelle amicizie fino al sacrificio di sè medesimo,
modesto, affabile, generosissimo. Le traversie della vita, che per
lui furono gravi e dolorose, egli le sopportò con animo cri-
stianamente rassegnato.
Come abbiamo veduto, nelle sue commemorazioni funebri
più volte ricorda gli affetti domestici delle persone, che egli
(1) Cito qui alcune delle più importanti sue relazioni bibliografiche,
le quali giovano a conoscere sia la vastità delle sue cognizioni, sia l’inte-
resse, che egli, delicato negli affetti, portava alle opere degli amici. Del
libro di Benrara su Bernardino Ochino, fece cenno nell’ È Arch. Veneto ,,
vol. X, parte 2°. Lodò Il primo Rinascimento di Grusepre Guerzoni (Padova,
1878), perchè egli non pose alcun vero distacco tra il Medioevo e il Rina-
scimento ; l’unico distacco sta fra l’Antichità e il Medioevo, ed è segnato
dalla “ trasmigrazione dei popoli ,, e del Cristianesimo. Dell’opera di C. Gropa
sul Guicciardini, parlò nell’ Arch. Veneto, vol. XX, parte 2* (1880); del lavori
storici di B. Morsotin, negli Atti dell’Istit. Veneto, V, vol. 5°, p. 161, a. 1879;
dei meriti della Storia del diritto italiano di A. PermiLE, nell'Arch. Veneto, XXI,
parte 1°, 1881; della cronologia greca antichissima di E. BerrANzA, negli Atti
Istit. Veneto, V, vol. 6°, p. 607, a. 1880; della dissertazione del DéLLINGER sopra
Dante considerato qual profeta, ivi. VI, vol. 6, 1888; della Geschichte Karls V
di H. Baumearten, nella Riv. st. ital., vol. VI, fase. 4, 1889; del Diario del-
l’Infessura, pubblicato da O. Tommasini, negli Atti dell’ Istit. Veneto, VII,
vol. 2; del libro di M. Biipracer, sui casi di Don Carlos, negli Atti del-
l'Accademia dei Lincei, ottobre e nov. 1892. Negli Atti dell’Istit. Veneto (VII,
vol. 4, 1893) giudicò che il volume di F. Nirri sulla politica di Leone X
è “ un’opera di singolare valore ,, ma avanzò alcuni dubbi sulle opinioni
dell’autore rispetto all’atteggiamento assunto da quel pontefice di fronte a
Carlo V. Questo discorso riapparve, in forma di recensione, nella Riv. stor.
ital., 1893, p. 448 sgg. — Ricordo di avere udito dalla bocca del prof. De
Leva che nella sua giovinezza egli aveva scritto, in lingua inglese, e per
un periodico inglese, alcune relazioni sopra i libri di materia storica, che
| di mano in mano si pubblicavano fra noi. Sopra di ciò, null'altro mi fu
dato conoscere. — Aveva piena conoscenza della lingua tedesca.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI.
Ur
DO
756 CARLO CIPOLLA
loda. Non parrà indiscrezione se chiudo i cenni presenti, ricon-
ducendomi col pensiero alla Vedova e alla Figlia, che egli tanto
amò e dalle quali tanto fu riamato; e se, risalendo di molti
anni addietro, evoco nella mia mente il ricordo dell’ affetto
grande che egli ebbe verso la vecchia sua Madre.
L'ho sempre dinanzi agli occhi la vecchia madre del De Leva.
Stava seduta, lavorando, accanto al tavolo su cui il figlio scri-
veva i dotti volumi, intorno ai quali ci siamo intrattenuti. La
madre non poteva staccarsi dal figlio, il figlio non abbandonava
la madre, se non per recarsi dove i suoi doveri lo chiamassero.
Ma non la lasciava mai, senza darle un bacio e riceverne un
bacio.
Noi suoi discepoli, frequentando la sua casa ospitale, tro-
vavamo in quella famiglia una scuola di alte e delicate virtù.
Nuovi appunti di storia Novaliciense ;
del Socio CARLO CIPOLLA.
Un Codice Novaliciense
posseduto dalla biblioteca Ambrosiana.
Nuove spigolature Novaliciensi aggiungo alle comunicazioni
fatte oramai più volte a questa Accademia. Venga in primo
posto un codice, che secondo ogni verisimiglianza fece parte
della biblioteca di quella Abbazia fino al principio del sec. XVII.
Ne debbo la conoscenza alla cortesia del Collegio dei dottori
della biblioteca Ambrosiana, e specialmente al sac. dott. Gio-
vanni Mercati, e volentieri colgo questa occasione per dimo-
strare la mia gratitudine per le molte gentilezze che sempre ho
trovato, quando mi recai a studiare in quella celebre biblioteca.
Nella biblioteca Ambrosiana, colla segnatura A. 49. Inf.
Ml. ie pen
i Pia
a
NUOVI APPUNTI DI STORIA NOVALICIENSE Vi]
trovasi un ben manoscritto pergamenaceo, legato in epoca rela-
tivamente moderna. Sul verso della copertura, di mano del se-
colo XVII, si legge il contenuto del libro :
“ Hec in isto codice continentur:
“ Alcuinus, de virtutibus. Nota Alcuinum, quem —
“ D. Prosperi Aquitanici de uita actiua et contemplatiua libri
tres, qui sunt impressi. Nota hunc Prosperum fuisse —
«“ Felicibus auspiciis ill. card. Federici Borrhomaei Mediol.
Archiep., Olgiatus scripsit anno 1605 ,.
Segue d’altra mano, presso a poco contemporanea, questa
dichiarazione :
“ Hunc codicem praepositus Platea Mediolanum Taurino trans-
misit, eumque extraxit ex quodam coenobio, quod est
Oscelae, vulgo dicitur Susa di Savoia ,.
Questa notizia forse avrebbe trovato la sua spiegazione in
un’altra, che, dalla prima mano, venne apposta al margine in-
feriore della pagina. Pur troppo ne andò stracciata la fine. Ecco
quel poco che se ne può rilevare :
“ Questo codice è stato mandato d..... DN
Che cosa siasi voluto significare con Oscela non è del tutto
chiaro, quantunque con fondata congettura vi possiamo vedere
una allusione alla Novalesa. Nel sec. XVII l’ab. Luigi Rochex (1),
istoriografo della Novalesa, identifica Ocelum dell’antichità clas-
sica colla Novalesa. Non importa qui vedere se tale identifica-
zione sia giusta, ma basta avvertire che essa si faceva, e pre-
cisamente nel secolo stesso al quale appartiene la notizia, che
stiamo considerando.
Della vera posizione di Ocelum discorre colla consueta sua
dottrina il prof. E. Ferrero (2), il quale lo colloca a mezza via
incirca tra Susa e Torino.
(1) La gloire de l’abbaye et vallée de la Novalèse. Chambéry, 1670, libro I,
cap. 3, p. 1-2.
(2) La strada romana da Torino al Monginevro, in “È Mem. Accad. d.
Scienze di Torino ,, XXXVIII, Scienze morali, p. 427. Veggasi pure la carta
geografica annessa a questa Memoria. — CarLo Prom1s, Storia dell’antico To-
rino. Torino, 1869, pp. 56, 129, 288, tratta della posizione dell’antica Ocelum,
ma non si occupa della storia di questa quistione. Monsignor Francesco
Agostino DeLLa CHiesa, che nella Descrizione del Piemonte, vol. IV, p. 473
758 CARLO CIPOLLA
Interpretando alla lettera le parole surriferite, dovrebbesi
credere che Ocelum fosse nient'altro che Susa. Ma non essendo
probabile che egli sia caduto in tanto errore, resta adito a du-
bitare che abbia fatta sua quella opinione, che più tardi venne,
come certa, difesa dal Rochex.
Potremmo pensare ad Oulx, ma ivi non c’è un cenobio, sib-
hene una prepositura di canonici regolari. Saranno, se vuolsi, due
istituzioni simili; ma pur l’una non è l’altra. Quindi, fino a
prova contraria, puossi ritenere che il nostro codice provenga
dalla Novalesa.
Accresce la probabilità in favore della Novalesa, la consi-
derazione che la terra di Oulx rimase unita al Delfinato fino al
1713. Sembra quindi supposizione poco probabile, che al prin-
cipio del sec. XVII si confondesse una prevostura del Delfinato
con un cenobio di Susa.
Il ms. è apertamente di due mani. Alla prima appartiene
l’opera di Alcuino, e ad essa mancano i primi fogli. Alla se-
conda mano dobbiamo l’opera attribuita a Prospero.
Il fol. 1r comincia: “ sicut |nihil proficiunt] opera bona
sine [fide recta] unde & — ,, parole che spettano al cap. II
dell’opera Alcuiniana (cf. Miene, Patrol. latina, vol. CI, col. 615,
dove in luogo di “ sicut , leggesi “ ita ,). Termina l’opera al
f.15v: “ — perpetua coronabitur gloria. | Gratias Deo agentes
per omnia secula. amen. | Explicit liber alcuini ,.
Le didascalie sono in rosso, e in rosso sono anche le grandi
iniziali dei capitoli, grandi così da abbracciare lo spazio di
due righi. Qualcuna fra queste iniziali grandi è illuminata in
verde. i I
Il carattere con cui fu scritto il testo dell’opera di Alcuino
è il semionciale, bello, elegante, regolare, ma con alcune par-
ticolarità che denotano un’epoca non molto antica. Le lettere
5, d, h, l sono cuneate. La g ha l’occhiello chiuso, ma la coda
è aperta. Chiusa è la a. La ripiegatura dell’asta ultima a destra,
(ms. in copia nella Biblioteca di Sua Maestà in Torino), non parla di
Ocelum a proposito della Novalesa, nella Corona reale di Savoia (Cuneo,
1655, p. 372) dice che “ alcuni , identificano Ocelum con Exilles. Ma questa ,
identificazione non è applicabile al caso nostro, in forza del cenobio men-
zionato dalla annotazione, che stiamo considerando.
ill en Pip ati ni iuza
}
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|
i
NUOVI APPUNTI DI STORIA NOVALICIENSE 759
x
nella m e nella n, se non è perfettamente carolina, denota
tuttavia ancora un’età abbastanza antica. L’asta orizzontale
della # non è mai oltrepassata dall’asta verticale. L’illustre
abate Antonio Ceriani, prefetto della biblioteca Ambrosiana,
il quale, come ognuno sa, è maestro dottissimo in questi studi,
mi suggerì di attribuire al X secolo questo manoscritto.
Al fol. 9 7 leggesi una postilla. di mano franco-piemontese
del sec. XIV, che dice: “ nota contra auaros ,.
Di altra e più tarda mano segue l’opera attribuita a San
Prospero.
Fol. 16 v. Didascalia, in rosso : “ Incipiunt capitula de uita
actiua et contemplatiua reliosi (sic) Prosperi libri tertius (sic). |
Quid inter vitam contemplatiuam & actiuam distat — ,.
L’opuscolo termina al fol. 75 v in questa maniera :
explicit liber tertius feliciter cum gratia . pax . fides. ca-
ritas precium non habent . deum time & mandata eius cu-
stodies (1).
Alla voce “ tertius , un richiamo introduce nella dizione
le parole, aggiunte in fine, ma non dalla stessa mano : RELIGIOSI
PROSPERI. Queste parole sembrano posteriori di parecchi anni
al resto.
L’opuscolo, che qui viene attribuito a S. Prospero, più co-
munemente corre sotto il nome di Giuliano Pomerio, prete, che
insegnò ad Arles e contò tra i suoi discepoli S. Cesario (2).
I suoi libri de vita contemplativa furono dal Migne inseriti nel
vol. LIX della sua Patrologia latina.
L’opuscolo di Prospero, o di Pomerio, che voglia dirsi, fu
scritto da mano alquanto posteriore a quella cui si deve l’ope-
retta di Alcuino. Il testo è in minuscolo postcarolino, a carat-
tere alquanto angoloso, in cui si sente l’influenza straniera. Il
Piemonte potrebbe essere benissimo la patria di questo libro,
scritto in un tempo in cui il distacco tra la scrittura italiana
e l’oltremontana cominciava appena a delinearsi.
Il carattere è abbastanza regolare, ma non è molto ele-
gante. Ogni residuo del corsivo, che spesso si mescola nell’an-
(1) Im “ explicit ,,, le dune I sono rispettivamente incluse nella L e
nella C. La I di “ liber , è chiusa nella L, e così la prima I di “ feliciter ,.
(2) BarpennewER, Patrologie. Freiburg i/B, 1894, p. 570.
760 CARLO CIPOLLA
tico minuscolo, qui si può dire scomparso. L'ultima asta della m e
della n» ricorda ancora il carattere carolino, sebbene preannunci
oramai il minuscolo dell'ultima maniera. L'asta verticale della #
non sorpassa mai l'asta orizzontale. Rarissime sono le traccie
di cuneazione nelle solite lettere, che nel sec. X presentano
questa forma particolare ; tuttavia queste traccie totalmente non
mancano.
Le iniziali minori, interposte nel testo, sono in nero, con
illuminazione in rosso.
Le didascalie sono in lettere grandi, di color nero, con
illuminazione in rosso. Le lettere delle didascalie sono di varie
specie : alcune sono vere maiuscole, mentre altre sono soltanto
lettere minuscole ingrandite. Qualche lettera è di forma capitale;
alcune altre lettere sono onciali. Queste particolarità paleogra-
fiche sono comuni nelle didascalie degli antichi manoscritti, ma
pur non si dovevano qui passare sotto silenzio.
Le iniziali maggiori, al principio dei capitoli, sono in nero,
internamente colorite in rosso. Quanto alla loro forma, alcune
sono in capitale ed altre in onciale. Di alcune lettere figurano
qui le due forme. Così, p. e., avviene della D. Nel Messale No-
valiciense del XII secolo (cf. Ricerche, tavola a p. 97) incon-
triamo la Q maiuscola con due rientri laterali interni, tali, che
ciascuno dà origine ad una forma somigliante ad un triangolo.
Anche questa forma della Q trovasi nel Codice Ambrosiano,
colla differenza per altro, che la Q del ms. Ambrosiano è chiusa,
ed è aperta per contro la Q del Messale, che si vede riprodotta
nel mio facsimile.
Sono numerosi e di prima mano i segni di interpunzione,
dei quali compariscono qui tre specie, vale a dire il punto fermo,
il punto e virgola, e il punto interrogativo: / ?
La g ha chiuso l’occhio, e aperta la coda. La a è sempre
chiusa.
Non è facile segnare l’epoca di questo ms. Non c’ingan-
niamo tuttavia di molto assegnandolo alla fine del secolo X,
ovvero al principio del seguente. Forse lo assegneremmo con
maggiore franchezza al principio del sec. XI, se alcune notazioni
o prove di penna che si leggono in fine all’opera attribuita a
Prospero, non presentassero alcuni caratteri arcaici, nella forma
di qualche lettera.
NUOVI APPUNTI DI STORIA NOVALICIENSE 761
Vengono anzitutto due notazioni, di cui la prima passa
sopra la seconda, nascondendone le ultime parole; esse sono di
argomento sacro.
“ Beatissimus Petrus chathenis in carcere ti /////
Deus ///{/ centies £///[I/ ».
La terza notazione sta da sè, e dice così :
“ celitus ennormen michael euerberat ostem ,.
In queste tre notazioni la forma della m e della » richiama
molto dappresso il carattere carolino. Anzi una delle m della
terza notazione ha la terza asta a destra, priva affatto di apice,
e l’asta stessa è concava internamente e convessa all’ esterno,
così che ha proprio l’aspetto di una lettera m della età carolina.
A titolo di saggio, riporto qui le varianti che trovai raf-
frontando un capitolo di Alcuino, e un breve brano di Prospero,
nel codice Ambrosiano, coi rispettivi testi, secondo la edizione
del Migne.
Per Alcuino scelsi il capitolo VI “ de pace , (fol. 2 7).
Ms. Ambrosiano : relinquo nobis (Mrene: dimitto vobis) — iam
me cepit (M.: iam coepit vocari) — pacem esse noluerit (M.: pacem
noluerit) — contempnit (M.: contemnit) — pervenit (M.. pervenit,
ma colla var.: ducit) — viciis (M.: vitiis) — habendum est (M.:
habenda est) — mali sint (M.: mali sunt) — in bonis (M.: in
nobis, colla variante : in bonis) — caritatem (M.: charitatem) —
Pax sanctum (voce aggiunta nell’interlinea da mano del sec. X)
spiritum specialius (M.: Pax spiritum Dei specialiter) — de qua
dominus per (M.: de qua Deus per) — plebis (M.: plebis est) —
leticia (M.: letitia) — manet (M.: Dei manet) — ammonere (M.
admonere) — faciat, colla prima a di correzione e le lettere ci
aggiunte interlinearmente da un correttore del sec. X (M.: fiat).
Quanto a Prospero (o a Pomerio) mi accontentai di un brano
del cap. V (fol. 34 v) che nel ms., come pure nella edizione del
Migne (LIX, 447) si intitola: “ Obiectio quam sacerdotes sancti
quorum cura est perdite uiventes arguere. simulatores religionis
equanimiter ferant ,. Solo è ad avvertire che nel Migne costi-
tuisce il capo IV.
Qui le varianti sono assai poche, e di poco conto. Ms. re-
citare (Mrene: recitari) — quid, corr. da quare (M.: et quid) —
abitiunt (M.: abjiciunt) — melioris, colla s finale raschiata (M.:
melioris).
Giunsi col raffronto sino a: “ — pro virtute suscipiunt ,.
762 CARLO CIPOLLA
II.
Nuove pagine della trascrizione del codice Phillips.
Nelle mie Ricerche (p. 63) sull’antica biblioteca della Nova-
lesa ebbi occasione di parlare di alcuni fogli, scritti da un
amanuense del XVIII secolo, i quali si trovano nella biblioteca
nazionale-universitaria di Torino, busta LXXI. Essi ci danno
la trascrizione di una buona parte di un codice Novaliciense,
miscellaneo, già studiato sul cadere del secolo scorso da Eu-
genio De Levis, ed ora esistente nella biblioteca Phillips in
Inghilterra, alla quale pervenne non si sa per qual via.
Ora nella biblioteca di Sua Maestà in Torino (Miscellanea
patria, vol. CIX, fasc. 2) riconobbi alcuni altri fogli di quella
medesima trascrizione. Ne do qui la tavola:
a) Fol. 1 r. De translatione S. Benedicti abbatis, ex cod. ms. mo-
nasterii Novaliciensis incerti authoris, caractere antiquis-
simo in pergam. exarato.
Cum diu gens Longobardorum infedelitatis suae — |cfr.
Ricerche, p. 69, n° 23].
6) Fol. 5 v. De Ceroma. Brevis incerti authoris dissertatio, ex
ms. Mon. Noval. Questiunculam mihi datam — [cfr. Ri-
cerche, p. 66, n° 9].
c) Fol. 6 v. Acta S. Catherinae V. et M., ex ms. Novaliciensi
authore Petro monacho eiusdem, ut creditur, coenobii, qui
circa annum 1400 eiusdem asceterii prior claustralis erat
ex urbe Cherii et ex nobili familia. —Regnante Maxentio
Cesare Maximiani Augusti filio cum Diocletiano moltos —
|efr. Ricerche, p. 69, n° 21. Si noti che qui, per isvista, sì
danno come iniziali dell’opuscolo alcune parole, che, a ri-
gore, De Levis riferisce solamente a dimostrare che autore
del libro originale greco era “ Athanasius ,, essendone
Pietro il traduttore].
Vuolsi osservare, che se il nostro amanuense avesse ra-
gione, si dovrebbe credere che questa vita di S. Caterina sia
e I rà, —_e—
NUOVI APPUNTI DI STORIA NOVALICIENSE 763
stata aggiunta in età molto tarda al volume (1). Ma di ciò è
lecito dubitare, chè l'avrebbe avvertito lo Schenkl, Bibl. patr.
latin, V, p. 22 (Wiener S. B., CXXVII..
d) Fol. 13 v. Aliud ms. incerti authoris de Hungris Galliam de-
vastantibus ad episcopum Virdunensem. Domino beatissimo
et vere apostolico —. L’opuscolo rimane tronco alle parole:
“ — quae cum eis venturae dicuntur ,, mancando nel nostro
ms. le pagine seguenti |cfr. Ric., p. 65, n° 4].
Colle parole aliud ms. qui non si vuol accennare ad un altro
codice, diverso da quello contenente gli aneddoti sopra ricordati.
Ciò sarebbe in contraddizione col vero. Intendansi adunque quelle
parole nel senso, che l’ ppi de Hungris è altra cosa da
quanto precede.
LIE
Fabrizio Malaspina.
Ebbi occasione (2) di parlare dell’abate Fabrizio Malaspima
e dei suoi studi eruditi, e ricordai che nel ms. Prospetto d’al-
cuni lavori letterari di F. M. (biblioteca di Sua Maestà a Torino,
Miscell. patria, vol. CXLVIII) si ricordano le sue Memorie sto-
riche delli monasteri di S. Pietro della Novalesa e di S. Pietro di
Breme, ece., donde fu estratta la breve Dissertazione sulla patria
e sulla età del Cronografo Novaliciense (Tortona, 1816).
Della sorte toccata a questo ms. nulla potei conoscere. Invece
il dottor Eugenio Casanova (3), dell'Archivio di Stato di Firenze.
mi avvertì gentilmente del destino avuto dai volumi che il Ma-
laspina aveva scritto intorno alla storia di sua famiglia; negli
ultimi anni pervennero all'Archivio di Stato di Firenze, per la-
scito fatto dall'ultimo marchese Malaspina di Fordinovo. Quel
ms. si compone oggidì di 4 volumi; il volume quinto, che do-
(1) Il f. 8 è bianco al reeto ed al verso.
(2) Nuovi appunti, p. 27 (@ Mem. dell’Accad. ,, XLV, Scienze morali,
p. 173).
(3) Cfr. Arch. st. ital., V serie, vol. XVII, 232 (anno 1896).
764 CARLO CIPOLLA
veva contenere il codice diplomatico, o non fu mai terminato,
o almeno non fece parte dell’eredità abbandonata dal predetto
marchese. Insieme con questi volumi l'Archivio di Firenze ebbe
anche un migliaio di pergamene incirca, riguardanti la storia
dei Malaspina e della regione Lunense, fino al 1799. Nulla vi
si trova che abbia attinenza colla Novalesa o con Breme.
Non sarà estraneo al nostro scopo far seguire qui qualche
notizia biografica sull’abate Fabrizio Malaspina, che deduco da
una lettera indirizzata da Edoardo Odetti all’ab. G. B. Adriani, .
in data 12 aprile 1863. L'originale di questa lettera viene tut-
tora custodito dall’Adriani, il quale con gentilezza squisita me lo
prestò, affinchè potessi servirmene. Rendo al ch. comm. Adriani
le dovute grazie.
La lettera dell’Odetti non serve soltanto a chiarire, con
qualche dato di fatto, la vita semplicissima del Malaspina, ma
ci dà qualche utile schiarimento sulla fine dell'abbazia Bremense.
Tanto più volentieri la riassumo quindi in questo luogo.
Nacque il march. Fabrizio Malaspina il 19 genn. 1772 in
Varzì, circondario di Bobbio, nella provincia di Pavia. Il 21 gen-
naio 1787 entrò nella Congregazione Olivetana di S. Benedetto,
vestendone l’abito in S. Michele in Bosco di Bologna ; professò
il 13 luglio 1788 nel monastero di S. Maria delle Grazie in
Novara. Fu ordinato sacerdote il 20 dicembre 1794. Dal 1794
al 1798 insegnò logica e metafisica nel monastero di Monte
Morcino di Perugia. Ma in quest'anno dovette allontanarsi da
quella città, poichè il governo francese emanò un ordine, che
ne escludeva i forestieri. Allora si ritirò nel monastero di
S. Maria delle Grazie di Novara, del quale fu superiore dal
settembre 1802 all’aprile 1803, allorchè fu dalla congregazione
eletto abate.
Il monastero delle Grazie presso Novara era succeduto a
quello di Breme, ed è per questo motivo che il Malaspina
prese amore allo studio delle antichità Novaliciensi.
Riferisce poscia l’Odetti nella citata sua lettera, che nel
giugno 1803, in causa dell’incameramento dei beni monastici
ordinato da Napoleone per il regno d’Italia, il Malaspina, insieme
coi suoi monaci, dovette trasferirsi a Milano. Venne intanto la
legge del 1810, che sopprimeva gli Ordini religiosi. Il Malaspina
ne restò colpito, tanto più che, in Lombardia essendo conside-
NUOVI APPUNTI DI STORIA NOYALICIENSE 765
rato quale forestiere, non gli si volle dapprima neppur concedere
la tenue pensione, stabilita dalla legge di soppressione. Ebbe
più tardi una meschina pensione, e si recò a stabilirsi a Varzì,
sua terra nativa. Nel 1816 pubblicò la sua dissertazione sul
Cronografo Novaliciense, in fine alla quale aggiunse tre docu-
menti (1), dei quali possedeva gli originali. Poco appresso il
prefetto di Tortona lo avvertì per lettera che quei tre docu-
menti erano desiderati dalla direzione degli “ Archivi di Corte ,,
di Torino. Il Malaspina annuì ; anzi si recò egli stesso a Torino,
e consegnò le tre pergamene al conte Galeani Napione, presi-
dente capo dei predetti Archivi (2). Il Napione usò al Malaspina
ogni maniera di cortesie; anzi nel 1825 al donatore fu asse-
gnato, sulla cassa del R. Economato, l’annuo reddito di lire 250,
fino a che egli avesse ottenuto qualche impiego. Nel 1827 il
Malaspina fu nominato membro del Magistrato della Riforma.
Nel 1833 fu chiamato a far parte della R. Deputazione di Storia
patria, poco prima fondata da re Carlo Alberto. Stante la sua
tarda età, nel dicembre 1844 venne esonerato dall’officio di
Riformatore. Sopravvisse ancora lunghissimi anni, e morì in
Torino il 2 aprile 1863, nell’età di oltre 91 anno.
Il comm. Adriani, nella sua preziosa biblioteca, che egli
tiene in Cherasco, possiede ms. il “ Catalogo delle opere, opu-
scoli e documenti da’ quali in unione a moltissimi istromenti
d’archivi pubblici e privati sono state estratte le memorie sto-
riche diplomatiche per servire alla storia della famiglia Mala-
spina raccolte d(all’) a(bate) d(on) F(abrizio) d(ei) m(archesi)
M(alaspina) d(i) V(arzi) 1844 ,.
(1) Bolla di Giovanni XIII, a. 972; diploma di Ottone I, 972; diploma
di Ottone III, 998. Questi tre documenti riguardano tutti l’abbazia di Breme,
e indubitatamente appartennero all'Archivio della medesima.
(2) Si conservano anche oggidì nell'Archivio di Stato di Torino, che,
mutato nome, non è altro che l’antico Archivio di Corte.
766 ERMANNO FERRERO
LI,
Il codice delle Omelie di S. Cesario.
Il dotto benedetto p. GERMAIN Morin (L’homéliaire du Burchard
de Wiirzburg, in: “ Revue bénédictine ,, (Abbaye de Maredsous,
1896, n° 3 (marzo), p. 102, nota) identificò il frammento di
Omelia, che pubblicai nelle Ricerche, p. 13-4, nota. L’omelia è
veramente di S. Cesario di Arles e appartiene al numero XI
della raccolta delle XI/Z Admonitiones. Il Morin mi rinvia, per
questo riguardo, anche al volume di C. F. ArnoLp, Caesarius
von Arelate und die gallische Kirche seiner Zeit, Lipsia, 1894,
pp. 485-90. Ringrazio il ch. p. Morin di questo utile comple-
mento, che egli si compiacque di dare alle mie ricerche.
Un ripostiglio di monete della repubblica romana
scoperto a Romagnano Sesia;
Nota del Socio ERMANNO FERRERO.
Da qualche tempo io era informato della scoperta, av-
venuta nello scorso anno presso Romagnano Sesia (1), di un
(1) A circa mezzo chilometro a sud partendo dalla piazza di Romagnano
e ad un centinaio di metri dal cimitero, nella regione Figàro; alla profondità
di mezzo metro, nel ripiantare una vigna (informazione del dott. Donetti,
medico a Romagnano, procuratami dalla cortesia del dott. G. Carbonelli)-
Basta il nome ad indicare l’antica origine di Romagnano (fundus Roma-
nianusì, che trovavasi, come pare, nel pago Agaminus, i cui abitanti (pagani
Agamini) sono ricordati da lapide di Sizzano (C. I. L., V, n. 6587), ed il cui
nome sopravvisse nella moderna Ghemme. Si osservano presso Romagnano
‘ ruderi di un ponte sopra l’antico letto della Sesia; da Romagnano furono
UN RIPOSTIGLIO DI MONETE DELLA REPUBBLICA ROMANA 767
tesoretto di monete di argento della repubblica romana, portate
poi a Torino per essere vendute. Ultimamente ho veduto anch'io
queste monete: trecento denarii, non uno di più, non uno di
meno. Ignoro se ve ne fosse maggior numero; so che ben di
rado i ripostigli monetarii giungono intatti all’illustratore. Ho
veduto pure i frantumi del vaso, che conteneva il tesoretto; rozza
urnetta di terra grossolana con una rete di graffiti tracciati
sul ventre: potevano starvi dentro ancora altre monete oltre
alle trecento, non però molte.
Do l'elenco di queste monete, riferendomi all'opera del
Babelon (1) e al primo catalogo della serie repubblicana del
medagliere torinese compiuto dal Fabretti (2), che tenne conto
di ogni più leggera differenza, non solo di simboli e di cifre,
ma anche di forme grafiche: noto le varietà, che mancano a
questo catalogo, e indico quelle monete, che sono nuove di
zecca o quasi, osservando che anche le altre in generale sono
in buono stato di conservazione.
portate a Novara le iscrizioni C. I. L., V, n. 6592 e Suppl. It., I, n. 886. Le
memorie storiche di Romagnano sono state raccolte dal ch. Carlo Dionisotti,
La Vallesesia ed il comune di Romagnano (Torino, 1871).
(1) Descr. hist. et chron. des monn. de la rép. romaine, Paris, 1885-86, 2 vol.
(2) Raccolta numismatica del R. Museo di antichità di Torino — Monete
consolari, Torino, 1876. L'ho preferito, come più in mano degli studiosi, al
catalogo della stessa raccolta, accresciuto dai nuovi acquisti, inserito nel
vol. IV (Monete consolari e imperiali, 1881) della descrizione del museo tori-
nese, che fa parte del Catalogo generale dei musei di antichità e degli oggetti
d’arte raccolti nelle gallerie e biblioteche del Regno.
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UN RIPOSTIGLIO DI MONETE DELLA REPUBBLICA ROMANA
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UN RIPOSTIGLIO DI MONETE DELLA REPUBBLICA ROMANA
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14 ERMANNO FERRERO
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(1) Sono i denarii di M. Vargunteius, da ascrivere pure a qualcuno
degli ultimi anni precedenti.
UN RIPOSTIGLIO DI MONETE DELLA REPUBBLICA ROMANA 775
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La moneta più recente è adunque dell’82 av. Cr.: nuovi
o quasi sono i nummi degli ultimi anni; il ripostiglio ha do-
vuto essere sotterrato nell’82 o ben poco dopo (1).
Lo stato di alcuni archivi comunali
della provincia di Susa ai tempi di Re Vittorio Amedeo III;
Nota del socio GAUDENZIO CLARETTA.
Il progresso singolare raggiunto oggi giorno dagli studii
storici, e la cura lodevole nei loro cultori di rivolgersi alle
fonti originali, affine di poter meglio appurare il vero dal falso,
ed essere così a poco a poco in grado di costituire su basi in-
crollabili l’edifizio della nostra storia nazionale, hanno fatto sì
che si sentisse ognor più il bisogno di vedere agevolati i mezzi
di poter procurarsi i necessari materiali. Quindi non è a far le
meraviglie, se alcuni, animati da spiriti generosi e d’imparzia-
lità, abbiano in questi ultimi anni cooperato a tale scopo e
(1) AI dott. S. Ricci, che diede un cenno di questo ripostiglio nella
Rivista di numismatica italiana, 1895, p. 494, annunciando più ampia rela-
zione per le Notizie degli scavi, fa mostrato un gran bronzo logoro, che gli
fu detto essere stato trovato con le monete di argento, e che “ quantunque
“ indecifrabile, non presenta alcuno dei caratteri degli assi repubblicani ,:
onde egli pensò che il nascondimento potrebbe discendere anche al principio
dell'impero. Io non ho più potuto vedere questa moneta, che mi sì disse
andò perduta. Ammesso che non fosse un asse repubblicano, come si può
spiegare nel ripostiglio la mancanza assoluta di monete dopo il principio
del secolo I av. C. sino al principio dell'impero cioè per almeno sessanta anni,
e l’ottima conservazione dei denarii più recenti, che hanno dovuto circolare
ben poco prima di essere sepolti? Più volte mi furono fatti vedere nummi
od altri oggetti antichi, che mi si assicurava essere stati trovati insieme;
solo dopo paziente interrogatorio giungeva a sapere che insieme voleva
dire palmi di distanza.
776 GAUDENZIO CLARETTA
rotta, allorchè lo ravvisarono necessario, una lancia in favore
della causa degli studiosi.
Altri poi tuttochè limitatisi agli archivi dei comuni concor-
sero pure nella stessa opera, procurando di additare alcune delle
fonti, a cui potessero i ricercatori ricorrere con successo. E fra
costoro vuol essere annoverato il professore Demetrio Marzi, che
man mano venne pubblicando nell’archivio storico italiano suc-
cose e particolareggiate monografie specialmente sugli archivi
comunali della Toscana e della Romagna Toscana.
Nel VI congresso storico italiano poi, tenutosi nello scorso
autunno a Roma, veniva ampiamente discusso il tema della
necessità di agevolare ognor più l’accesso agli studiosi in pa-
recchi archivi di speciali associazioni e di provvedere ad un
riordinamento generale degli archivi dei comuni dello Stato. E
per sola informazione di coloro che non coltivando questa ra-
gione di studii fossero per ignorarlo, basterà qui avvertire che
questo tema proposto dalla torinese società di archeologia e
belle arti trovava un’eco profonda nella società storica della
Val d’Elsa, e mercè il valido concorso dell’erudito suo rappre-
sentante, il professore Guido Bacci riceveva ampio svolgimento
in seno a quel dotto Consesso. E frutto di quelle discussioni fu
la manifestazione di un voto, che per l'avvenire, e gli archivi
dei comuni, e quelli di confrerie e di altri enti morali doves-
sero essere resi più accessibili agli studiosi; e con ordini severi
e d’ordine dovesse venir meglio tutelato il patrimonio scienti-
fico ch'essi contengono.
Auguriamoci che per pubblico beneficio l’espressione di così
giusti desiderii non abbia, come pel passato avvenne di altres
consimili manifestazioni, non abbia, dico, a rimanere un solo voto
sterile ed infecondo.
Intanto non torna disacconcio il dichiarare, come in riguardo
appunto di un tema che ricevette testè ampio svolgimento e
che viene così ad avere un carattere di opportunità del giorno,
io mi fo lecito d’intrattenermene in queste pagine, facendo co-
noscere alcune prescrizioni nostre in fatto appunto di archivi
comunali. Il che mi fu fornito dall’ aver dovuto fortuitamente
consultare un documento che mi pone altresì in grado di ricor-
dare con elogio i principi di Savoia. Infatti essi, nelle tenui
proporzioni loro consentite (e se non al certo nello scopo di fa-
LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. TU
vorire gli studii storici e studiosi, de’quali i primi erano fra noi
nell’ infanzia; e i secondi scarsi, isolati e negletti vivevano in
perfetto obblio, nè mai avrebbero osato innalzare tant’ alto le
loro aspirazioni), pur concorsero indirettamente a conservare
intatti sino a certo punto i monumenti, di cui dovevano valersi
poi coloro che la sorte benigna loro consentiva di vivere in
età più propizia.
Come a preludio del documento che somministrò materia a
questa monografia, mi sia consentito di ricordare almeno som-
mariamente (per non far troppo lunga ripetizione di cose note
ai cultori delle storiche discipline fra noi) le cure ch’ebbero i
nostri principi per la tutela dei documenti dei comuni. Per non
ricordare età troppo remote basterà avvertire che sin dal 1584
sotto Carlo Emanuele I, fra gli ordini impartiti ai delegati per
l’amministrazione del comune di Bene, o Bene-Vagienna, eravi
quello che si dovesse compilare un inventario dei documenti
esistenti in quell’archivio, il quale doveva essere chiuso a tre
chiavi, da ritenersi dai sindaci e dal cancelliere (1). Nel 1621
il consigliere di Stato Prospero Galeani, delegato alla generale
revisione dei conti pubblici, deliberava, che in quanto al comune
di Lagnasco quei sindaci infra il termine di tre mesi dovessero
far compilare dal segretario un libro legato in cartapecora con-
tenente l’inventario di tutti 1 documenti che esistessero dentro
e fuori del cosidetto cofano pubblico (2).
Anche le note regie costituzioni provvedevano alla regolare
amministrazione comunale. E Carlo Emanuele III nel 1767 dava
pur norme certe per la tutela delle carte dei comuni.
E vuolsi anco notare che all'esempio del Governo parecchie
amministrazioni municipali provvidero allo stesso oggetto. Ma
sarebbe un divagar di troppo ed eccedere i limiti di questa
memoria il voler annoverare qui le varie disposizioni statutarie
a tale proposito; e ne basti, a cagion d’onore, additare la città
di Cuneo, che ne’ suoi statuti del 1555 aveva un capitolo inti-
tolato De archivio communis.
Chi fra noi in tempi recenti ebbe cura d’informarci dello
stato degli archivi comunali e del loro contenuto sia nei tempi
(1) Dusorn, Raccolta leggi, editt. e manifesti ecc.
@) Ib.
778 GAUDENZIO CLARETTA
antichi che nei moderni, conformemente ben inteso alle notizie
trasmessegli, fu il commendatore Nicomede Bianchi, il quale sin
dal 1881 pubblicava nell’utile suo libro Le carte degli archivii
piemontesi una notevole parte concernente i detti archivi, la
quale dalla pagina 106 a quella 480 contiene un sommario delle
categorie dei documenti conservatisi in essi sino ai tempi odierni.
Ma nella prefazione egli comincia a dolersi che i registri con-
tenenti le inchieste su quegli archivi ai tempi di Vittorio
Amedeo II e di Carlo Emanuele III sieno andati smarriti in
gran parte, e persino quelli delle più recenti avvenute ed ordi-
nate dal Re Carlo Alberto (1). Sembra poi anco che il Bianchi
oltre ciò non abbia avuto conoscenza del documento che qui
pubblicheremo, e che somministrandoci lo stato degli archivi di
parecchi comuni della Val di Susa, serve altresì a fornirci una
idea dell’ampio ed utile lavoro che il governo aveva ordinato
per tutto lo Stato. Imperocchè con tutta verosimiglianza puossi
ritenere che, oltre alla relazione capitatami casualmente alle
mani, altre consimili dovevano essersi compilate per le altre
province, e che sembra fossero state affidate agli intendenti di
queste.
La relazione è dell’anno 1777; e per comprendere qual
motivo abbia dato occasione alla missione di uno speciale uffi-
ciale che visitò i comuni in essa ricordati, bisogna che ci rife-
riamo a tre anni antecedenti ad essa.
È saputo, come salito nel 1773 al trono Vittorio Amedeo III,
aveva egli sul principio lasciato presagire assai bene della sua
amministrazione; ed infatti avevano contribuito a creargli una
aureola di gloria fra le altre, le cure poste poco dopo a met-
tere in assetto le comunali amministrazioni.
Frutto delle veglie e delle profonde cognizioni amministra-
tive che vi dedicarono per ordine suo ragguardevoli magistrati
e personaggi esperti nelle cose di finanza, si fu il celebrato
editto e regolamento detto de’ pubblici, vocabolo invalso per de-
signare le comunità, uscito il sei di giugno dell’anno 1775. Non
devesi peraltro dissimulare ch’esso abbiasi a ritenere piuttosto
il risultamento finale degli studii che il D’ Ormea e il conte
(1) Opera citata, pag. 36 della prefazione.
LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 779
Bogino avevano fatto sotto il regno precedente sul rimaneg-
giamento generale delle amministrazioni comunali dello Stato.
Comunque ne sia, e prendendo le cose pel loro verso, in omaggio
al noto verso del poeta Sic vos non vobis, ecc., avvertiremo che
con quell’editto erano tracciati i principii del riorganamento del-
l’amministrazione dei comuni, e veniva studiato il modo di prov-
vedere al più esatto ed imparziale ripartimento dei pesi, ed av-
viare il pubblico al miglior sostenimento dei tributi, conciliato
col minor aggravio possibile. Avendo quella legge per iscopo
di promuovere coi migliori mezzi la pubblica e privata felicità
dello Stato, essa insinuavasi minuziosamente nelle competenze,
nelle prerogative e negli uffici delle amministrazioni comunali.
Quindi venivano stabilite le regole concernenti le elezioni, i
requisiti per conseguire l’uffizio di consigliere, l’esercizio della
carica di segretario. E noterò che i segretari, oltre alla probità
conosciuta, non dovevano essere avvinti ai privati ed ai corpi
morali per causa di liti, rendimento di conti, ecc., e faceva
d’uopo ch’avessero il grado di notaio.
I consiglieri “ dovevano tutti possedere un competente re-
gistro: essere di conosciuta probità e buon giudizio, zelanti del
pubblico bene, non minori di anni 23, non aventi contabilità o
lite col comune, o verso gli spedali e le congregazioni di carità
locali, ecc. ». Ne veniva quindi che il capo, il quale doveva pre-
siedere a quelle congreghe, essendo scelto fra persone fornite
di quei requisiti, non poteva di meno, di regola generale, che
presentare quella garanzia morale e materiale, delle quali con
tutto l'apparato delle assicurazioni delle leggi odierne, fanno
difetto oggi molti di essi, a danno del pubblico ed a disdoro del
governo stesso, che per ragioni partigiane talora li favorisce.
‘Ottimo provvedimento era pur quello di chiedere il con-
corso de’ cosidetti maggiori registranti per illuminare il Con-
siglio col loro voto interessato, allorchè trattavasi di affari della
massima rilevanza e spettanti ad imposizione di maggiori gra-
vezze, che invano ebbero a desiderare nei tempi odierni quanti
sui loro omeri sostengono la soma principale dei pesi comunali.
Ma ne bastino queste osservazioni, non dovendo qui fare
l’apologia di questa legge, nè scendere ad inutili geremiadi.
Chiunque peraltro sia fornito di una certa dose di buon senso
pratico, nè vincolato a passioni di parte, non potrà tacciare di
780 GAUDENZIO CLARETTA
eccessivi laudatores temporis acti quanti spregiudicatamente vo-
lessero ammettere, essere alquanto da rimpiangersi che i prin-
cipii, sui quali poggia la società odierna, più non possano con-
sentire che si abbiano a far risuscitare non tutti al certo, ma
anche qualcuno dei provvedimenti, coi quali era regolata l’an-
tica amministrazione nostra comunale, praticamente più utile
all’avviamento della cosa pubblica tuttochè parto di un governo
assoluto. E limitandoci a quanto si riferisce al nostro tema,
convien sapere, che il capo quarto delle lettere patenti in di-
scorso provvedeva appunto agli archivi dei comuni ed alla cu-
stodia delle scritture loro. Esso adunque prescriveva che “ ogni
città e comunità terrà riposte, ordinate e custodite le proprie
scritture, non meno che quelle dei tenimenti aggregati nell’ar-
chivio, già dalle costituzioni generali prescritto tenersi nella
casa del comune quando vi sia, altrimenti in luogo sicuro, e
potendosi in una camera a volta e rimota da pericolo di fuoco,
con avvertenza di riporre le seconde separatamente per Hotenre
all'uopo avere più facile e pronto ricorso ,.
Parimente si prescriveva il modo, col quale le carte dove-
vano essere disposte; come se ne, dovesse fare il catalogo, non
generico, nella guisa che viene talora compilato dagli inesperti
o dai fuggi-fatica, ma particolareggiato e razionale; e che una
copia dovesse esserne trasmessa al segretario civile del Senato.
Gli archivi comunali dovevano essere custoditi con doppia
chiave, e l’una differente dall’altra, le quali si sarebbero tenute
dal segretario o dall’archivista e dal sindaco. Si provvedeva
anche alle cautele da osservarsi nei casi ne’ quali si dovessero
comunicare altrui i documenti, il che poteva avvenire per ra-
gioni di contestazioni, non al certo poi per istudio, ma comunque,
si provvedeva a non lasciare disperdere quei documenti. In-
somma l’ingegno dei compilatori di quelle leggi erasi aguzzato
quanto era possibile per riparare i temuti inconvenienti della
perdita delle carte, patrimonio dei comuni. Senonchè ancor fra
noi devesi deplorare che le leggi son, ma chi pon mano ad esse;
quindi, anche ad onta del buon volere del governo e dei prov-
vedimenti suoi, non tutti i comuni si dimostrarono solleciti a
compiere le prescrizioni determinate. E il sunto stesso che del
contenuto di molte di esse, anche di città notevoli, ci ha dato
il Bianchi nell’indicato lavoro, denota quanto asseriamo.
LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 781
Sequela della legge dei pubblici fu la creazione d’ispezioni
di visita, non affidate a giunte (che avrebbero, come d’ordinario
avviene, e si vede giornalmente fra noi, complicato il lavoro,
protrattone il compimento ad epoca indefinita, e creato un
dispendio che in quei tempi si aveva scrupolo di evitare), ma
ad ufficiali capaci, di buon volere e coscienziosi, neanco allet-
tati dagli elogi di una stampa, manifestazione dell’opinione pub-
blica che non esisteva, paghi di compiere nel silenzio al loro
dovere. E prova di questo ce la fornisce appunto l’inedita re-
lazione dell’intendente di Susa Alessandro Rossi, che verrà così
resa di pubblica ragione, se non integralmente affatto, salve
alcune eccezioni, nella parte più specialmente concernente gli
archivi comunali.
La relazione non limitata alle notizie sui soli archivi co-
munati è ricca di ragguagli relativi alla statistica, e poteva
avere allora considerevole utilità. E sarebbe ad augurarsi che,
senza ciaramellare cotanto qua e là, vi fossero oggi uffiziali
simili all’intendente di Susa del 1777, volenterosi e capaci, ed
usando la parsimonia in tutto, com’egli fece, ma certo maggior
correttezza nello scrivere (sola parte in cui non deve essere
imitato), proseguissero pure l’opera sua, che non sarebbe men
necessaria di quel che essa era stata cento e vent'anni or sono.
Il lieve còmpito che mi sono proposto, sarebbe già raggiunto,
ma prima di tòr congedo dai benigni lettori non potrà essere
tenuto inopportuno l’osservare fatti che devono ritenersi una
vera anomalia, considerando i tempi in cui avvennero, e sotto
l’impero dei principii in essi professati, nè molto remoti da quelli
di cui ci siamo or intrattenuti.
Se adunque ai tempi del dominio assoluto dei reali di Sa-
voia, per quanto, come dicemmo, non guari propensi a favorire
gli studii storici e le lettere, da Vittorio Amedeo II in qua, gli
archivi, sia di Stato che dei comuni, furono serbati incolumi, e
sla pure in parte, in considerazione della gelosa avversione
che si aveva di aprirli agli studiosi, ma anco, grazie alla
coscienziosa sorveglianza di coloro, alla cui custodia erano
preposti, non così avvenne in tempi retti con altre idee. E par
proprio strano, che, come gli archivi di stato ebbero a soffrire
il maggior detrimento all’aurora dei tempi che si vantavano
propensi ai principii liberali, cioè all’apparire della rivoluzione
782 GAUDENZIO CLARETTA
francese (1); così anche quei dei comuni abbiano dovuto su per
giù ricevere non poche jatture ed essere tenuti nella massima
(1) Quantunque, e nell’opera del BrancHI, Storia della Monarchia piemon-
tese, III, pag. 134, e qua e là in altri libri si trovi qualche cenno dell’inva-
sione popolare negli archivi di Corte avvenuta la sera del 15 dicembre
1798, nondimeno non sarà inutile qualche maggiore schiarimento ed aggiunta
che servirà anco a ricordare nomi di ufficiali di quell’archivio che meritano
un elogio per la prontezza con cui seppero eludere la turba famelica che
pretendeva l’immediata distruzione degli infami titoli aristocratici.
In una relazione manoscritta di quei fatti, avuta anni sono alle mani,
si legge che la Segreteria di Stato per gli interni il 17 dicembre dell’anno
citato aveva trasmesso ordine al presidente capo degli archivi che era il
letterato conte Gian Francesco Galleani Napione, di separare prontamente
le carte risguardanti la nobiltà, cioè diplomi, stemmi, infeudazioni, inve-
stiture, patenti di nobiltà e rimetterle infra il termine perentorio di 24
ore al Comitato di sicurezza pubblica per abbruciarle senza riguardo ai
piedi dell’albero di libertà. Ma per fortuna che il collegio degli archivisti
sentendo pietà per un parto, direi così, delle proprie viscere, seppe elu-
dere l’insana richiesta col mezzo di questo spediente...: lasciare a parte
e ritenere li suddetti già separati documenti e surrogarvi in cambio molte
altre scritture state sempre considerate di poca o nessuna conseguenza,
anzi inutili, per essere le medesime minute di lettere oppure consegne di
bocche umane e di granaglie, fattesi dal 1500 al 1600 nel ducato di Monfer-
rato, cosicchè di questa qualità di scritture insieme ad alcune carte di affi-
gliazioni agli ordini religiosi e di stemmi gentilizi spiegati e varie altre
scritture in pergamena risguardanti solamente interessi fra particolari e
per conseguenza non risguardanti il regio servizio se ne sono riempiute
casse numero 25 le quali essendosi fra il prescritto termine di 24 ore tras-
messe al Comitato di sicurezza pubblica sono state quindi nel 21 gennaio
1799 abbruciate ai piedi dell’albero della libertà... ,.
I nomi degli archivisti di quei giorni, degni di essere rammentati con
elogio agli studiosi odierni, sono, oltre al presidente capo come chiamavasi,
conte Napione, Francesco Masino, archivista regio, Carlo Francesco Franchi,
sotto archivista, ed avvocato Vincenzo Grella primo segretario.
Anche nella notte del 22 dicembre (1798) alcuni, creduti sul principio
democratici, col mezzo di pali di ferro avevano potuto scassinare la porta
prospiciente lo scalone a levante degli archivi, e rompere alcuni armadii,
ma lasciati intatti i documenti, per loro innocui, eransi contentati di ap-
propriarsi arredi di poco valore. Si suppose che gli autori del furto fos-
sero stati granatieri francesi stanzionati presso la paggeria e l'accademia
militare. Ma l’avvocato Grella suddetto avendone recata la notizia al go-
verno provvisorio, questo, colta la palla al balzo, diè ordine che per mag-
giore sicurezza si dovessero presentare tutti i documenti muniti o di sigillo
d’oro o di custodia d’argento o di argento dorato. Il presidente degli ar-
LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 783
noncuranza sotto i governi che si vantano di professare idee
più larghe. Ben è noto, come e nelle città e nei nostri comuni
chivi credette di non potervisi rifiutare; e non senza rammarico, nella
susseguente sera i suddetti archivisti Franchi e Grella consegnarono al
Governo provvisorio cento e tre documenti muniti di suggelli d'oro e di
argento, e che contenevano diplomi imperiali, bolle pontificie, ratificanze
di trattati con potenze estere, contratti di matrimoni, ecc. Il governo prov-
visorio dopo avere alleggerito quei documenti del loro peso inutile, cioè
dei suggelli, restituilli, in numero però solamente di ottantadue, il 16 gen-
naio; e i ventun documenti ritenuti consegnò al rogo presso l’albero della
libertà in piazza castello a breve distanza della sede di quei poveri docu-
menti rapiti, annuenti coloro che paventavano le ire civium prava iubentium.
Il governo provvisorio era composto, per chi nol sapesse, dei seguenti:
barone Francesco Favrat, Felice Clemente Fasella di Giaveno intendente
generale delle gabelle, Gian Battista Bertolotti senatore, Giuseppe Fava
intendente dell’ufficio del Controllo, Pier Gaetano Galli della Loggia (l’au-
tore monarchico delle Cariche del Piemonte) reggente la Camera dei conti,
Francesco Braida avvocato dei poveri, Stefano Giovanni Rocci segretario
degli interni, Vincenzo Bottone di Castellamonte giureconsulto, Giuseppe
Cavalli già magistrato, Innocenzo Baudisson, Agostino Bono professori al-
l’Università, il primo di istituzioni canoniche, il secondo di diritto canonico,
Giuseppe Sartoris chimico, Luigi Colla avvocato, Carlo Bossi conte di
S. Agata, ambasciatore. A costoro che non avevano contentato molto i
patrioti nelle loro aspirazioni erano stati poc'anzi dal generale Joubert
aggiunti, Gian Battista Balbis medico, Pietro Avogadro di Valdengo, Carlo
Botta, Guglielmo Cerise, Alessio Antonio Simian, Filippo Benedetto Bunico
giureconsulti, Antoni Bellini grecista, Pietro Geymet valdese, moderatore
delle Valli, Secondo Enrico Chiabrera, sostituito avvocato fiscale generale
e Domenico Capriata, intendente generale di guerra. Sono nomi che con-
viene rinfrescare quando ne viene l’opportunità, poichè ogni età può pre-
sentare casi consimili; erano dunque nove nobili, tre medici, tre sacerdoti,
un valdese, quattro rivestiti di uffizi sotto il governo regio, diciassette av-
vocati, numero esorbitante.
Ma non basta: per depredare l'archivio, ai Piemontesi si univano i Fran-
cesi : il controllore delle entrate e delle spese della così detta commissione
civile in Piemonte Pampaloni, il 80 dicembre antecedente, chiamato a sè
l’archivista Franchi rimettevagli ordine del direttorio esecutivo di conse-
gnargli subito il manoscritto originale del noto napoletano Pirro Ligorio,
consistente in trenta volumi che trattano materia d’archeologia ed adorni
di molti disegni; e che avevano costato a Carlo Emanuele I una somma
che corrisponderebbe oggi ad un 393.660 lire. — Vedi Vayra, IZ Museo sto-
rico della Casa di Savoia nelle curiosità e ricerche di storia subalpina, passim.
— Questa collezione, che fa onore alla Casa di Savoia, la quale in mezzo
ad angustie di ogni specie fu abbastanza larga protettrice delle scienze e
784 GAUDENZIO CLARETTA
in quei primi giorni del mutato governo molti, per fini d’in-
teresse tutto particolare e talora per soddisfare soltanto a mera
delle arti, fatta rispettare dalla reggente Cristina di Francia, che aveva
saputo eludere le avide mire di averla, nientemeno che del Richelieu, e
fu negata con belle scuse alla famosa regina Cristina di Svezia, questa col-
lezione, per la cui conservazione i nostri principi avevano persino chiesto le
bolle papali di scomunica contro coloro che avessero voluto toglierla dall'ar-
chivio (a), dovette essere invece consegnata ai Francesi che comandavano in
quel momento a casa nostra. Peraltro, sebbene l’archivio fosse stato precet-
tato di consegnare quell’Opera pel giorno seguente dopo il mezzogiorno al
Commissario civile Eymar, nondimeno il presidente Bertolotti volle prima
comunicare ogni cosa al governo provvisorio. Senonchè questo con lettera
firmata dal presidente Bottone e dal segretario generale Gambini ordinò
agli ufficiali dell'Archivio di rimettere senz'altro il Pirro Ligorio al con-
trollore Pampaloni. E così il quattro gennaio l’archivista Franchi lo con-
segnava al commissario Eymar. È quasi ciò non fosse sufficiente ancora,
l’inesorabile Eymar il ventisette gennaio chiedeva pure il manoscritto
del Gioffredo contenente la storia delle Alpi marittime, la corografia di
quelle alpi, compilata dallo stesso, e un codice del Lattanzio già spettante
all'abbazia di Bobbio.
Devesi peraltro avvertire che il governo provvisorio il 15 febbraio faceva
rimettere all'Archivio quarantanove volumi di cerimoniali della Corte, parte
originali e parte copie, compresa la chiave del feretro contenente le ceneri
del maresciallo Di Villars, dal 1784 giacente nei sotterranei della cattedrale!
Che se trascorsa quell’infausta bufera, i manoscritti del Pirro Ligorio e del
Gioffredo ripigliavano la primitiva sede, non era ancora quasi insediato grazie
all’armi russe l’antico governo, che già il noto conte Cerruti, reggente la
segreteria di Stato per gli interni gongolava di gioia, nell’autorizzare da
parte del marchese Thaon di S' Andrea luogotenente generale regio, il pre-
sidente capo degli archivi a far rimettere la collezione dei cerimoniali al
corte Salmatoris, mastro in secondo delle cerimonie, che abbiam detto
testè rimessa all'Archivio di Corte dal governo provvisorio.
La stessa premura si ebbe di riconsegnare al padre Vincenzo Maria Carras
vicario del Sant'Ufficio a Torino tutto l’incartamento relativo all’inquisi-
zione, che era stato depositato la notte del quattro febbraio 1799 all’An
chivio e messo alla rinfusa in varie sacca; e che fra le altre carte conte-
neva i processi dell’Inquisizione di Torino dal 1300 al 1799 e tutto il
carteggio con Roma e cogli altri inquisitori del Piemonte. Ma lascio altre
(a) Ad onta di questo, Teodoro Mommsen potè esaminarne 18 volumi a
Berlino ove li tenne non poco tempo presso di sè. Varra, p. 110, v. IV,
Curiosità ecc.
teatri
LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 785
curiosità, ebbero mezzo di appropriarsi molti dei documenti -ivi
conservati; e si fu da quell’epoca che da molti archivi comu-
nali furono sottratti non pochi volumi degli ordinati delle am-
ministrazioni municipali, che non più furono restituiti, e levati
cimelii d’arte in qualche codice miniato posseduto, trovandosene
ancor vestigia nelle iniziali che contenevano ornamenti, e peggio
poi se la figura rappresentava stemmi gentilizi.
Ma senza ricorrere ai tempi della libertà regalata ai nostri
avoli dai Francesi, e senza voler rivelare molti e molti aned-
doti abbastanza curiosi di anni non troppo remoti, ben inteso
anche senza voler uscire dalla cerchia degli archivi comunali, non
sappiamo noi forse che archivi di comuni, e persino di città, si
trovano a questi giorni in uno stato disordinatissimo, servendo
in alcuni la camera, ove stanno accatastati i documenti dei se-
coli passati, di deposito di legna, ove accedono i famigli di qual-
cuno degli ufficiali del comune per il servizio giornaliero, con
pericolo continuo d'incendio; che in altri (se pur di ‘archivi
possono aver nome i ripostigli ove si trovano accumulati i do-
cumenti) i telai delle finestre sono senza vetri per dar libero
passaggio a lodole, pipistrelli, ecc., a nidificare pacificamente fra
le cartelle logore dei documenti, ed affinchè l’intemperie possa
meglio compiere l’opera distruggitrice, che nessuno si cura d’im-
pedire? In un archivio comunale, che possiede una collezione
di pergamene dei secoli XIV e XV, già spettanza dei suoi an-
tichi feudatari estinti, queste furono riposte in casse e confinate
nella stanza del messo comunale a disposizione di sua famiglia.
E che cosa dire di archivi, ne’ quali un giorno si alleva-
vano allegramente i filugelli; e da quanto è palese di alcuni
di essi, qual giudizio si potrà fare di quel che è ignorato? E se
non. bastasse ancora: qual fatto più eloquente a conferma di
questo lusinghiero quadro, di quello che fu strombazzato su
pei giornali di ogni colore, ed in quella stessa Roma, dove due
particolarità, perchè il darle ci farebbe uscir dal confine entro cui deve
trattenersi questo scrittarello.
Questi fatti avvennero all'Archivio di Corte che aveva sede ove oggi l’ha
l'Archivio di Stato. Ma anche all'Archivio detto della Camera dei Conti, e
che conteneva, come oggi, la serie delle investiture feudali, i conti della
Casa reale e dello Stato, ecc. i demagogi fecero la loro apparizione.
786 GAUDENZIO CLARETTA
mesi prima solamente erasi rotta più di una lancia per tute-
lare i documenti degli archivi dei comuni!
Coloro adunque che hanno interesse per queste cose, non
si dimenticheranno di aver letto che nel novembre scorso ad una
parte dell’archivio comunale di Roma era capitata una triste
sorte... “ Un cumulo di carte che rappresentano la storia di
Roma e del suo stato per un periodo di otto o nove secoli, è
stato messo entro grandi cassoni: cacciato nelle cantine sotto-
stanti all'archivio notarile di via del Campidoglio... Un forte
acquazzone fu la causa felice di por riparo a quello sconcio,
poichè chi sovrintende a quell’archivio, recatosi a visitare quel
deposito di carte e ritrovate le casse che le contenevano at-
torniate da 25 centimetri d’acqua, diè le disposizioni opportune,
perchè fossero di là rimosse ,,.
Non evochiamo per carità lo spirito del Gregorovius, che
attorno a quegli archivi aveva cotanto faticato, e quelle carte
cosperso de’ nobili suoi sudori!
E con questi aneddoti pongo termine a questa breve mo-
nografia, la quale se non avrà altro resultamento all’infuori di
quello di aver segnalate e deplorate cose poco lodevoli, anche
senza la menoma speranza di vederle a cessare, servirà almeno
ad aggiungere su questa parte una pagina di elogio al governo
del Re di Sardegna Vittorio Amedeo III, facendo dimenticare
un momento errori che possono venirgli ascritti relativamente
a parecchi altri fatti del travaglioso e non lungo suo regno,
povero di vita pubblica e privo di quelle felici ispirazioni che
sarebbero state necessarie in quei tempi procellosi.
LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 787
Relazione di quanto si è osservato nelle terre della Pro-
vincia di Susa, dove si è dato il causato sovra il
luogo in ordine al prodotto dei terreni, censuario,
diritti di vassalli e parrochi, o pedagio, con alcune
provvidenze particolari, date in tale occasione (1).
Archivio di Stato — Provincia di Susa — Mazzo IL.
Almese. — Essendosi osservato che l’archivio, tuttochè for-
mato non è gran tempo ed assai proprio per la conservazione
delle scritture, manca però del necessario inventario, essendo
tutte le scritture in confuso, se ne è ordinata la formazione
sotto le cautele da prescriversi sulla presentazione che seguirà
dell'atto consolare, con essersi anche ordinate delle indispensa-
bili riparazioni attorno la camera delle congreghe, il di cui so-
laro è interamente marcio.....
Avigliana. — Questa comunità trovandosi sprovvista di casa
per le congreghe, dimodochè era in obbligo di congregarsi a
casa del signor segretaro! e così pure di tenere l’archivio colla
guardarobba in una stanza o sia bottega al pian terreno, dove
l’umido guasta non solo la detta guardarobba, ma anche le
scritture! si è ora provveduta di una casa di comunità, che ha
acquistata mediante la somma di L. 1500, in attiguità all’altra
che inserve per la scuola e che già era propria della medesima
comunità, con quale acquisto non solo resta in caso di avere
una stanza comoda per le congreghe ed altra attigua con volto
per l'archivio al primo piano, ma viene anche in caso di tirar
partito dall’affittamento di tre botteghe al pian terreno esistenti
sulla piazza, cosichè verrà a percevere l’interesse del suo de-
naro oltre ai membri che abbisognano per l’uso della comunità...
Buttigliera. — Questa comunità essendo sprovvista d’archivio
colle guardarobe e scritture mal in ordine e senza inventario,
vi si è opportunamente provveduto, onde abilitarla con ben poca
(1) Pel limite dello spazio, in alcuni Comuni si intralasciano alcune
delle descrizioni fatte dall’autore del documento.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 54
788 GAUDENZIO CLARETTA n
spesa a riaddatare la casa comunitativa e procedere alla for-
mazione dell’inventario.
Bruino. — Questa comunità ha il suo archivio in disordine
mancante d’inventaro, ed in cattivo stato si è pure la camera
che inserve alle congreghe, all’archivio ed alle scuole, epperò
si è ordinato la formazione dell’inventaro ed il raccomodo della
guardaroba, sintantochè la comunità possa abilitarsi di una ca-
mera a vuolto per l’archivio.....
Coazze. — Questa comunità aveva un corpo di fabbrica stato
formato per suo uso e per la scuola. Ma essendosi lasciato im-
perfetto, in una parte diveniva il ricovero delle immondizie,
essendo intanto priva d’archivio, onde si è indilatamente prov-
veduto per l’espurgazione e compimento nell’interno di essa fab-
brica per ridurla come ora si trova in buono stato con poca
spesa. Si è mandato rettificarsi l'inventario vecchio ed imper-
fetto, che si trovava, col raggiustamento e divisione delle guar-
darobbe colle sue caselle (1), e col raggiustamento di detta casa
si è anche venuto a risparmiare l’annuo fitto di L. 12, che si
pagava per l’abitazione del serviente. Essendosi anni sono fatta
dalla comunità costrurre una nuova casa per comodo del signor
prevosto, si è osservato che la casa vecchia, che si trova tra-
mediante la strada, resta ora affatto inutile e rovinosa con ag-
gravio della comunità per la spesa, quando si volesse la me-
desima riparare, onde si è mandato procurarsene la vendita 0
tirarsene quell’altro profitto che sarà possibile in altra guisa.
Questo territorio nulla fornisce di vino, bensì quantità di
fieno, quasi nulla di grano, e molta segala, avena, castagne e.
barbariato, e non si coltivano moroni.
Il commercio consiste in carbone e frutta, che si conduce
settimanalmente alla città di Torino singolarmente nell’inverno.
Vi è un battitore da canapa proprio del signor conte Trotti,
e si contano fino a ducento cinquanta li telari per la fabbrica
delle tele ordinarie tessute di filo di rista (2), che si vendono
(1) Nell'opera del Brancni, Le carte degli Archivi Piemontesi, p. 208 si
legge non essersi mai fatto il catalogo, ed essere i documenti in massima
parte rosì dai topi.
(2) Ciocchetta di canapa.
O I E O PRO 97
LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 789
settimanalmente sul mercato di Giaveno, calcolandosene il nu-
mero a cinquanta pezze per ogni mercato in tempo d’inverno,
e quando li terrieri non sono distratti dai lavori della campagna.
La giurisdizione di questo luogo spetta per sei punti al
signor conte e comm. D. Vittorio Amedeo Trotti e degli altri
due punti ne spetta uno all’abbazia di S. Michele della Chiusa
e l’altro al signor vassallo Feyditi, corrispondendosi dalla co-
munità a favore del primo lire settecento sessanta per le de-
cime così convenute, avuto però riguardo al maggiore o minore
valore delle vettovaglie in ogni anno. All’abbazia di S. Michele
lire centosei annue per la quarta parte del reddito dei molini,
ed al signor vassallo Feyditi di lire due annue per la decima
di un capretto.......
Giaveno. — Questa comurità ha la sua casa ed archivio
in buon ordine, non mancandovi altro che la formazione dell’in-
ventario, a cui si sta attualmente travagliando dal figlio del
signor segretaro sulle direzioni e cautelle che si sono stabilite
all’occasione del causato (1). E siccome si sta avanzando la mi-
sura generale del territorio che si spera riuscirà assai bene, si
è mandato che all’occasione seguirà la misura dei siti comuni,
si abbia l’occhio ad osservare se convenga variare i loti (2) per
il nuovo affittamento da farseli in luglio dell’anno venturo e
si sono date le altre provvidenze interinali per accertamento
del registro sino compita la misura.
Si è mandato unirsi l’imposizione disgiunta dai servienti
e campari, e devenirsi con essi a capitolazione con le due qua-
lità unita e con obbligo di presentare ogni trimestre al consi-
glio la nota delle accuse, acciò si possa poi presentare a que-
st uffizio all’occasione dei causati e si sono date moltissime altre
provvidenze relative al disposto del regolamento che sarebbe
troppo lungo l’enumerarle, in sostanza però si è una delle co-
munità della provincia, la di cui amministrazione si possa più
lodare (3).
(1) Nell'opera del BrancHIi Le carte degli Archivi Piemontesi, pag. 119, è
invece detto che manca l'inventario generale.
(2) Porzione di terreno, dal francese /ot.
(3) Cfr. la mia Cronistoria del Municipio di Giaveno, ecc., passim.
790 GAUDENZIO CLARETTA
La raccolta principale consiste in fieno, castagne e frutta,
essendo assai mediocre quella del fromento, barbariato e segala,
e molto più della meliga, contandosi a nulla i marzaschi (1).
E sebbene si facciano circa mille rubi di cocchetti (2), la foglia
però si leva per la maggior parte dai vicini luoghi di Avigliana,
S. Ambrogio, Buttigliera, Sangano, Bruino, Orbassano e Piossasco,
essendo troppo ristretto il piano del territorio e freddo per le
montagne che lo circondano.
Il principale commercio si fa colla città di Torino, e con-
siste in ferro, corami, carbone e tele; vi sono nove affaitarie (3)
per l’acconcia dei corami, dieci martinetti o sia fucine, nelle quali
si fonde il ferro che si porta da Torino in ghisa e rottame e
si riduce in lastre di ferro purgato per uso delle ruote dei
carri, barre e bacchette per ringhiere di ferro, ferrate, chiavi
da fabbrica ed in utili di campagna ed utensili di cucina. Vi
sono poi anche altre manifatture di scarpe, tele e bindelli (4),
opere da falegname e da serragliere, fornaci per mattoni, coppi e
vasi di creta, fabriche di capelli! e simili, non però di partico-
lare riguardo.
Corami se ne acconciano da 25 in 28 mila, che a L. 6,5 il
rubo fanno rilevare la negoziazione di questo genere a L. 155/m.,
e per tale acconciamento si richiedono per l’ordinario rubi due
milla di rusca (5) per ogni mille rubi di corami, del valore detta
rusca di lire quaranta ogni cento rubi, cosichè: supposti rubi
25/m di pelli di corami da acconciarsi, si richieggono rubi 50
mila di rusca, e così alle L. 155/m devono aggiungersi altre
L. 20/m per essa e la spesa di L. 5, per cadun cento rubi di
battitura, ossia riduzione in polvere di detta rusca, che si fila
in quattordici edificii a ciò destinati, e detta rusca ossia scorza
di rovere proviene la maggior parte da Piossasco, Sangano,
(1) Marzatico, marzaiuolo chiamansi presso di noi le civaie o i legumi
che si sogliono seminare generalmente in marzo, e non come dice il S. Ar-
sino nel suo Dizionario Piemontese-Italiano, qualunque grano che si semina
o che nasce in marzo.
(2) Bozzoli.
(3) Conce delle pelli.
(4) Nastri.
(5) Corteccia di quercia o cerro, macinata ad uso della concia.
Pe A
lin
LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 791
Bruino, Trana, Avigliana, Valgioie e dai boschi del territorio di
Giaveno.
Nelle dieci fucine da ferro si lavorano, fatta una comune,
rubi 160/m ferro in ghisa, che si compra in L. 1,10 per rubo
dai mercanti di Torino e porta nel corso dell’anno la negozia-
zione di L. 240/m oltre L. 60/m per compra carbone di castagno
che si consuma in dette fucine e che si provvede parte sul
luogo medesimo, e parte da Cumiana, Avigliana, Trana, Valgioie
e S. Ambrogio, Chiusa, Vayes e S. Antonino.
Vi sono altresì otto edificii o sieno piste da canapa, sia
per quella che si consuma e lavora nel luogo, che negli altri
di Coazze, Valgioie, Trana e parte di Cumiana. Per la pista della
canapa si paga soldi quattro il rubo, cosichè appena sia li pro-
prietari di questi edifizi, come anche quelli della macina della
rusca per le affaiterie ricavano li loro giornali.
Tuttochè non si raccolga canapa su questo territorio, sul
mercato però si fa uno smercio di sei in sette mila rubi di detto
genere infra l’anno tra li negozianti del luogo e quattro o cinque
di Carignano, che settimanalmente da colà, da Carmagnola e da
altre terre del Piemonte la conducono su questo mercato, e la
negoziazione in questo genere rileva alla somma di L. 25 in 30/m.
Ben vero però che non si smaltisce più del terzo ai locali, ed
il sovrapiù ai particolari delle vicine terre, la maggior parte
però a quelli di Coazze.
La canapa ridotta in tela si vende nuovamente sul mer-
cato di questo luogo ai negozianti di tal genere, dedotta quella
quantità che può essere necessaria per i particolari del luogo
ed altri delle vicine terre. Il numero delle spese che se ne ven-
dono rileva a otto mila circa infra l’anno e si fabrica la mag-
gior parte e fila in Coazze, dove specialmente d’inverno anche
dagli uomini si fila e fabbrica detta tela, non essendovi nel ter-
ritorio di Giaveno che cento circa telari, li quali non travagliano
continuamente, ed alcuni solo per proprio uso, e questo com-
mercio di tele può rilevare a L. 30/m circa.
Vi sono anche otto filature tra tutte di cento sessanta-
cinque forneletti giranti, tenute in affitto da alcuni negozianti
di Torino, e si calcola la negoziazione ragguagliata a cinquanta
doppie per ogni fornelletto a L. 130/m, provvedendosi però li
cochetti da Cumiana, Piossasco, Piscina, Airasca, Scalenghe,
Vigone ed altre terre della provincia di Torino e Pinerolo.
792 GAUDENZIO CLARETTA
Vi sono anche tre negozianti in granaglie nel luogo che
comprano e vendono settimanalmente, e si calcola il loro com-
mercio a sacchi 400 circa caduno tra grano, segala, meliga, e
ciò oltre le granaglie che si conducono sul mercato dalle terre
della provincia di Pinerolo e Torino dai cavallanti.
Venticinque sono i negozianti in carbone, la cui negozia-
zione può rilevare tra tutti a L. 30/m. Questi lo cumulano ed
accomprano d’estate dai particolari del luogo e da quelli di
Perosa, Cumiana, Trana, Coazze ed Avigliana, e settimanalmente
poi ne conducono a Torino, giacchè poco o nulla di questa
qualità se ne consuma nel luogo.
Li negozianti in calce sono sei e ne smaltiscono in comune
rubi 50/m, che tirano per lo più da Valgioie e dai confini di
Avigliana, calcolandosi questa negoziazione unita a quella dei
mattoni e coppi a L. 15/m, che si vende detta calce e materiali
nella vicina terra della provincia di Pinerolo.
La negoziazione in bestie bovine, che si comprano sulle
fiere di Susa, Bussoleno ed Avigliana, rileva a L. 15/m e si
rivendono per lo più a credito ai particolari di Coazze, Volvera,
Scalenghe, Piscina ed altre.....
Vi sono in questo luogo due mercati in ogni settimana,
uno il martedì e l’altro il sabato, essendo però questo di mag-
gior concorso; vi sono inoltre due fiere, una li vent’otto aprile
e l’altra li 30 settembre. Questo luogo è feudo dell'abbazia di
S. Michele della Chiusa, che oltre al diritto di nomina degli
uffiziali di giustizia ha quattro ruote da molino giranti, spet-
tando la quinta al Capitolo, ma non ha la ragione di annualità.
Vi è uno spedale, in cui si mantengono venticinque poveri
orfani, figli e figlie, col reddito di lire mille ducento, dedotti i
pesi. Le figlie si applicano a filare, ed i figlioli ad imparare le
arti. Vi sono inoltre due lascite, una del reddito di L. 92, soldi
2, danari 8, l’altra di L. 100, che si convertono nel pagamento
di doti a povere figlie a misura del fondo.....
Reano. — L'archivio di questa comunità e sala è in pes-
simo stato e pare propriamente una crotta, tenendosi le scritture
in un armario nella cucina ed a canto del fornello (1) della cucina
(1) Qui voleva alludere al camino, così chiamato in vernacolo, anzichè
al fornello.
LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 793
del maestro senz’alcun inventario! Epperò si è ordinata la ripa-
razione ed alzamento del sternito (1) della camera delle congreghe,
riforma delle finestre e provvista di una guardaroba da collo-
carsi con successiva formazione dell’inventaro onde riparare me-
glio senza grave spesa al pericolo in cui sono le scritture ed
al disordine delle cose.
La chiesa parrocchiale pare poco meno che una stalla! e
minaccia rovina da tutte le parti e se il signor prevosto fosse
stato meno restio a secondare le intenzioni di S. E. il signor
Principe della Cisterna (2) feudatario di detto luogo, si sarebbe
potuto avere dalla comunità un considerevole sollievo nelle spese
che si va rendendo indispensabile, dacchè era detto signor Prin-
cipe disposto di accordare un sito in vicinanza dell’abitato, in-
vece che ora si trova la chiesa molto discosta e di concorrere
nella somministranza de’ materiali, ma il signor Parroco ama di
starsene in libertà più lontano, e così rimane il progetto arenato.
Rivera. — L'archivio di comunità è in un colombaro! dove
si ascende per una scala di bosco (3) da una brutta camera sita
al pian terreno, dove si lascia per cucina ad un misuratore che
si è colà stabilito! E siccome ha per altra parte la stessa co-
munità una casa piuttosto civile che tutta si occupa per la scuola
e per l'abitazione del maestro, si è pensato che quivi più sicu-
ramente e convenientemente si potesse stabilire detto archivio
e destinare la camera delle congreghe con ridurre il pian ter-
reno di detta casa che ora serve a niun uso che per magaz-
zeno da boscami, adattata a tenervi la scuola; come si è ordi-
nato di far eseguire per poscia a suo tempo far trasportare nel
luogo destinato l'archivio attiguo alla nuova camera delle con-
greghe con poca spesa.
Rosta. — Il catasto de’libri di mutazioni et altri di questa
(1) Pavimento.
(2) Giuseppe Alfonso Dalpozzo, principe della Cisterna, ece., marito 1°
di Beatrice Barbiano di Belgioioso, 2° di Teodora Carlotta Bertone-Balbis di
Sambuy; ma quel che non potè fare quel principe, lo compiè largamente
il principe Carlo Emanuele suo figlio, padre della rimpianta duchessa
d'Aosta Maria Vittoria, il quale innalzò senz’altro una nuova chiesa di stile
normanno.
(3) Legno.
794 GAUDENZIO CLARETTA
comunità si ritenevano presso il segretario di questa comunità
in Rivoli, onde si è opportunamente provvisto e fatto riporre
ogni cosa nell’archivio o sia in un piccol camerino a vòlta, at-
tiguo alla camera delle congreghe, con essersi provvisto per
riparare la finestra e porta; si è ordinata la formazione di una
guardaroba e successivamente quella dell’inventario.
Rubiana. — La casa di comunità che inserve alle congreghe
è molto umida per causa d’un terrapieno che si trova al di dietro,
sì è ciò nonostante formato un camerino a volto assai compe-
tente per la custodia delle scritture, ma resta necessaria la ri-
forma e prosecuzione del vecchio inventario come si è ordinato (1).
S. Ambrogio. — L’archivio trovandosi per l’addietro in una
camera al disotto del campanile assai oscura (dunque in una
cantina o sotterraneo!), il signor segretario era costretto di te-
nere le scritture disperse e parte anche in sua casa, non avendo
il comodo di poterle mettere in ordine ed applicare in un luogo
fisso ai lavori di comunità; e dice aver fatto riadattare due
camere e assegnatane una a volta ben sicura per l’archivio.
Sangano. — Nella casa di comunità lateralmente alla ca-
mera che inserve alle scuole ed alle congreghe vi sono le mu-
raglie rustiche di una camera che potrebbe servire per formarsi
l'archivio, il quale siccome si trova senza inventario in una cat-
tivissima guardaroba, si è disposto per farlo seguire onde cau-
telare la custodia delle scritture, sulla notizia avuta che dopo
seguita la misura del territorio anni sono, non fosse stata pub-
blicata la mappa, e che molti particolari si lamentassero di errori
corsi, si è mandato verificarsi e supplire ad un così necessario
incombente.
Trana (2). — L'archivio di comunità consiste in una camera
al disotto delle stanze del maestro di scuola collo sternito molto
umido ed inserve anco alle congreghe; epperò si sono date le
necessarie provvidenze per rendere la camera più ariosa e sa-
lubre ed atta alla conservazione delle scritture, delle quali si è
ordinata la formazione dell'inventario.
(1) Mi venne assicurato possedere questo Comune una quantità di do-
cumenti del basso Medioevo, de’ quali parecchi in pergamena.
(2) Il BrancHI, op. cit., pag. 216, dice non averne avuto notizia alcuna.
LO STATU DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC. 795
Valgioie (1). — L'archivio di questa comunità consiste in
un’angusta vecchia guardaroba posta nella camera del maestro
di scuola, senza che vi sia alcun inventaro, ed il signor segre-
tario di comunità riteneva presso di sè in Giaveno il catasto,
libri di mutazioni e le altre carte, delle quali gli occorre di
far uso, epperò si è provvisto, affinchè tutte le suddette scrit-
ture e libri si restituissero all’archivio, come prescrive il rego-
lamento, con essersi ad un tal fine provveduto per la costruzione
d'una più ampia guardaroba e coll’acquisto d’una camera attigua;
affinchè debba servire per le congreghe e per la custodia delle
scritture nel miglior modo possibile.....
. Questo territorio molto alpestre abbonda specialmente di
fieno e di castagne, facendosi anche un competente raccolto di
segala ed avena, e pochissimo del resto; anzi quasi nulla di vino
e cochetti, non essendo il territorio proprio per il piantamento
dei moroni. L'unico commercio che si fa da questi abitanti, si
è di calce, che da essi si conduce a vendere nei luoghi di Rivoli,
Beinasco, Grugliasco, Orbassano, Piossasco, Volvera, Avigliana,
Almese e S. Ambrogio, e l’altro ramo consiste nel carbone di
fago (2) e rovere, che si conduce a Torino, e quello di castagno
alle fucine di Giaveno. i
La giurisdizione si è del signor abbate di S. Michele della
Chiusa, da cui si esige la decima del pane e vino divisibile col
signor parroco d’esso luogo, che fatta una comune rileva per il
grano ad emine ottanta e per il vino a carre una, essendo anche
tutto il territorio soggetto verso l’abbazia ai laudemi e terze
vendite, pei quali si paga lire otto, soldi sei, denari 5 per 100.
Il parrocho esigge dalla comunità L. 120 per supplemento
di compera in seguito ad istromento di transazione delli 22
febbraio 1733 e L. 130 per la manutenzione dell’oglio come por-
tato da instromento 26 ottobre 1775. Esigge inoltre li soliti
diritti di sepoltura ragguagliati per li capi di casa a L. 12 e
per gli altri a L. 10 e per li cadaveri di stola bianca L. 3.
Fa inoltre la colletta del butiro e tome (3) ed uova all’oc-
(1) Lo stesso fa qui uguale ripetizione, ib., ib.
(2) Faggio.
(3) Cacio fresco, disposto in forma circolare.
796 @. CLARETTA — LO STATO DI ALCUNI ARCHIVI COMUNALI ECC.
casione che porta l’acqua benedetta e raccoglie i biglietti della
Pasqua, e così pure la colletta delle castagne per la benedizione
del tempo e finalmente esigge come sovra la metà della decima
del pane e vino col peso della manutenzione delle supelletili
per la chiesa.
Villar Almese (1). — L’archivio è in stato passabile mediante
l'apertura della finestra con chiasile (2) che si è ordinata, come
pure la formazione di una guardaroba, per essere l’attuale fuori
di uso, e senza inventaro, a che si è pure provvisto convenien-
temente.
Villar di Basse. — Questa comunità dopo di aver impiegato
anni sono riguardevole somma nella costruzione di una casa per
servire alle congreghe e per l’archivio con volto lasciava tut-
tora le sue scritture e catastro in un armario sopra di un
solaro morto (3), che esiste sopra la scuola, e lasciava abitare
il maestro di essa nella casa costrutta per la comunità ed ar-
chivio, e quindi immediatamente provvisto per la translazione
delle scritture e formazione del necessario inventaro nel sito
per esso destinato, e così pure per la formazione di una guar-
daroba, con essersi destinata altrove l'abitazione del maestro.....
Susa li 26 febbraio 1777.
Rossi.
(1) Ora Villar Dora, ribattezzato così parecchi anni sono per mero ca-
priccio, mentre più logica era la sua denominazione originaria, essendo
quel villaggio intersecato dal torrente Messa, donde tolse il suo nome, lad-
dove la Dora Riparia scorre a notevole distanza. Il BrancHI, op. cit., p. 217,
scrisse anche qui non averne notizia alcuna.
(2) Invetriata.
(3) Il noto solaio morto così in uso presso i nostri vecchi notari per in-
dicare l’ultimo palco immediatamente sotto il tetto.
797
Relazione sul lavoro del prof. Carlo MEerkeL:
“ Niccolò Scillacio e le relazioni sul secondo viaggio
di Cristoforo Colombo in America ,.
Fra le fonti che possono servire alla storia del quarto
viaggio colombiano, non era stata finora sufficientemente apprez-
zata la breve scrittura di Nicolò Scillacio, professore a Pavia,
la quale porta per titolo “ de insulis nuper inventis ,. Essa
non era stata accolta negli splendidi volumi della Raccolta Co-
lombiana.
A questo opuscolo, di cui si conoscono soltanto pochi esem-
plari, volse la sua attenzione l’autore della presente Memoria,
il quale giunse a dimostrare, che esso è d’assai più importante
di quello che sembri a prima vista. Lo Scillacio, dedicando a
Lodovico il Moro, duca di Milano, il suo lavoro, cade nel
grosso errore di supporre che Colombo, dirigendosi verso l’ignoto
Occidente, abbia fatta la circumnavigazione dell’Africa. Questo
ed altri errori, che deturpano sia la predetta lettera dedicatoria,
sia la scrittura medesima, non devono tuttavia farci credere che
lo Scillacio non abbia fatto altro che accatastare errori sopra
errori.
Il Merkel sottopose a minutissimo e diligentissimo esame lo
scritto dello Scillacio, paragonandolo colle numerose relazioni
che si hanno intorno al medesimo viaggio Colombiano, e che
vennero comprese nella Raccolta. Così che il suo scritto, quan-
tunque rivolto particolarmente allo studio di una fonte sola,
abbraccia tuttavia tutte le fonti, che ci sono pervenute intorno
a quel viaggio.
798
Egli giunse a queste conseguenze: il fondo del raccolto
dello Scillacio consiste in una Relazione, di carattere officiale
od officioso, scritta in America, e di là inviata in Spagna. Era
scritta in lingua spagnuola, e rappresentava gli avvenimenti
sotto il punto di vista dal quale essi erano guardati dalla Corte
di Madrid. In quella Relazione si parlava assai più degli spa-
gnuoli, che non di Colombo; tuttavia neppure può dirsi che Co-
lombo vi fosse giudicato sfavorevolmente.
Alcuni punti della Relazione originaria sono di grande im-
portanza, e tra essi annoverasi la storia delle spedizioni di esplo-
razione fatta dallo Hojeda e dal Gorvolan.
L’autore della Relazione spagnuola non era uomo colto, ma,
trascurando la parte scientifica, si dilettava sopratutto di aned-
doti. E qui il Merkel osserva come questo carattere anedottico
sia quello pure di tutte le relazioni sulle scoperte americane,
fatta eccezione solamente per i Giornali di bordo del grande Li-
gure, e per le scritture che da esso più o meno direttamente
dipendono. Dalla quale considerazione si può trarre un nuovo
motivo di elogio in favore di Colombo, egli solo essendo stato
capace, fra i suoi contemporanei, di raccontare ciò che aveva
veduto, in modo adeguato alla sua importanza.
Oltre al fondo della sua narrazione, che Scillacio desunse
da questa Relazione spagnuola, egli forse usufruì ancora di
qualche comunicazione proveniente da altra fonte.
Ma lo Scillacio era un umanista, e non poteva acconten-
tarsi di una relazione, sia pùre immaginosa, ma ispirata a
concetti affatto alieni dall’antichità classica. Egli quindi volle
adornare il racconto dell’ignoto viaggiatore spagnuolo, interse-
cando in esso, qui molte fioriture retoriche, colà alcuni passi di
Plinio, che potevano accordarsi più o meno colla Relazione, che
gli stava dinanzi.
Così l’opera originaria, ricca di molti pregi, ma coi difetti
provenienti dalla scarsa coltura del suo autore, perdette alquanto
della sua importanza, per le alterazioni introdottevi dall’uma-
nista calabro, professore nello studio pavese. Tuttavia, anche
nello stato attuale, questa Relazione che risorge inaspettata sotto
a frasi manierate, ha molta importanza, e per alcune partico-
larità del quarto viaggio Colombiano va collocata adirittura tra
le fonti di maggiore entità.
:
799
La critica delle fonti della storia Colombiana, a parere dei
sottoscritti, si avvantaggiò per la approfondita ricerca del Merkel.
Essi credono quindi che la sua monografia possa venir letta alla
Classe.
Torino, 29 aprile 1896.
G. CLARETTA.
E. FERRERO.
CARLO CIPOLLA, relatore.
L’ Accademico Segretario
Ermanno FERRERO.
800
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA
Dal 12 al 26 Aprile 1896.
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio;
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono.
»
* Anales del Museo Publico de Buenos Aires,... Tomo IV (Ser. 22, t. I).
Buenos Aires, 1895; 4°.
* Auales de la Sociedad Cientifica Argentina. Entrega III, t. XLI. Buenos
Aires, 1896; 8°.
* Annalen des Physikalischen Central-Observatoriums, herausg. von der
k. Akad. der Wissenschaften. Jahrgang 1894, Theil I, II. St-Petersburg,
1895; 4°.
* Annales des Mines. 9"® série, t. VIII, livr. 12%, t.IX, liv. 1re-2®e, Paris,
1895-96; 8°.
* Annuario per l’anno scolastico 1895-96 del Regio Museo Industriale ita-
liano di Torino. Torino, 1896; 8°.
Astronomische Arbeiten des k. k. Gradmessungs-Bureaù. VII Bd. L'ngen-
bestimmungen. Wien, 1895; 4°.
* Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Anno XLIX, sess. I-II.
Roma, 1896; 4°.
* Bulletin de l’Académie Royale des sciences et des lettres de Danemark,
Copenhague, 1896, n. 2; 8°.
* Bulletin mensuel de l’Observatoire météorologique de l’Université d'Upsal.
Vol. XXVII, anno 1895. Upsal, 1895-96; 4°.
Ballettino della Associazione scientifica ligure di Porto Maurizio: Anno I
(1895); 8°.
* Giornale del Genio Civile. Anno XXXIII, fasc. 12; XXXIV, fasc. 1. Roma,
1895; 8°.
* Giornale della R. Accademia di medicina. A. LIX, n. 3. Torino, 1896; 8°.
Memorie della R. Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna; t. II,
III; 5* Serie, 1890-92; 4°.-
* Memorie del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Vol. XXV, n. 7.
Venezia, 1895-96; 4°.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 801
Relazione sull’Amministrazione delle Gabelle per l’ esercizio 1895-96.
Roma, 1896; 4° (dal Ministero delle Finanze).
* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXIX,
fasc. VI-VII. Milano, 1896; 8°.
* Rendiconti del Circolo matematico di Palermo. Tom. X, fasc. III. 1896; 8°.
* Rendiconto dell’Accademia di Scienze fisiche e matematiche. Serie 3°,
vol. II, fase. 3°. Napoli, 1896; 8°.
Report (Annual) of the Director of the Michigan Mining School, August
16th., 1895. Houghton, Mich.; 8°.
* Revue de l’Université de Bruxelles. 1" Année, 1895-1896, n. 1-4; 8°.
* Sitzungsberichte der physikalisch-medicinischen Gesellschaft zu Wiirzburg,
n. 7-9, 1895; 8°,
* Sperimentale (Lo), giornale medico, organo dell’Accademia medico-fisica
fiorentina. An. XLIX. Firenze, 1895; 8°.
Società Anonima Canavese per la strada ferrata Torino-Ciriè-Lanzo. As-
semblea generale ordinaria 1896. Torino, 1896; 8°.
Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXIX, fasc. III. Modena, 1896; 8°.
U. S. Department of Agriculture, Division of Ornithology and Mammology.
Bulletin No 8. Washington, 1896; 8°.
* Verhandlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Sitzung. N. 1-3,
1896. Wien, 1896; 8°.
Caruel (T.). Indice generale dei dieci volumi della Flora Italiana. Firenze,
1896; 8° (Dall'A.).
Righi (A.). Sull’influenza della pressione e natura del gas ambiente nella
dispersione elettrica prodotta dai raggi di Rintgen. Bologna, 1896; 4°(I4.).
Villari (E.). Di una bussola a torsione a sensibilità variabile e nuove mi-
sure fatte con la medesima. Bologna, 1895; 4° (Id.).
— Sui raggi Rontgen, ricerche. Napoli, 1896; 8° (I4.).
— Intorno ad alcune modificazioni dell’elettrometro a quadrante del Thomson.
Napoli, 1892; 4° (Id.).
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche
Dal 19 Aprile al 3 Maggio 1896.
* Abhandlungen der philologisch.-historischen Classe d. k. Sàchsischen
Gesellschaft der Wissenschaft. Bd. XVII, n. 2, 8. Leipzig, 1896; 8°.
* Ateneo Veneto. — Rivista mensile di scienze, lettere ed arti. Serie XX,
vol. II, fasc. 11-12. Venezia, 1895; 8°.
802 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
* Boletin de la Real Academia de la historia; t. XXVIII, cuad. IV. Madrid,
1896; 8°.
* Giornale della Società di letture e conversazioni scientifiche di Genova.
Anno XVIII, fasc. I. Genova, 1896; 8°.
* Journal of the Asiatie Society of Bengal. Vol. LXIV. Part I, History
Literature, n. 3. Calcutta, 1895; 8°.
** Monumenta Germaniae historica: Epistolarum T. II Pars II, Gregorii I
Registri L. X-XIV. Berolini, 1895; 4°.
** Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia. Vol. IV,
pp. 8617-4416; 8°.
Agostini (A.). Storia di Castiglione delle Stiviere. Castiglione delle Sti-
viere, Brescia, 1892, 1895; 8° (Dall A.).
Barnabei (F.) e Cozza (A.). Di un antico tempio scoperto presso le Fer-
riere nella tenuta di Conca dove si pone la sede della città di Pabvsnnne
Roma, 1896; 4° (Id.).
Isola (I. G.). Commemorazione di Cesare Cantù nel primo anniversario della
sua morte, con un’Appendice d’alcune sue lettere. Firenze, 1896; 8° (Id.).
Minoglio (G.). Brevi cenni storici sulla chiesa di S. Domenico in Casale
Monferrato. Torino, 1896; 8° (Id.).
** Sanuto (M.). Diari. Fasc. 196. Venezia, 1896; 4°.
Sylvester (J.J.). Nullus honor sine cruce. London, 1894; 4° (Dal/’A.).
Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi.
CLASSE ib! 04
Tito FA
dl —" e e
DI » FEHIE: regate
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
D+
D3 La
Adunanza del 10 Maggio 1896. Ò
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci: Cossa Vice presidente dell’Accademia,
D’Ovipio Direttore della Classe, Mosso, SPEZIA, GIACOMINI,
CAMERANO, SEGRE, PeANO, VoLTERRA, JADANZA, Foà, GUARESCHI
e Naccari Segretario.
Viene letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza pre-
cedente.
Il Socio D’Ovipro presenta una nota del Dott. Gerolamo
Corpone intitolata: “ Intorno ad un gruppo di sostituzioni razio-
nali e lineari ,.
Il Socio VoLTERRA presenta una nota del Prof. Tullio Levi-
Crvira: “ Sugli integrali algebrici delle equazioni dinamiche ,.
Le due note verranno inserite negli Atti.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 55
804 3 GIROLAMO CORDONE
LETTURE
Intorno al gruppo di sostituzioni razionali e lineari;
Nota di GIROLAMO CORDONE.
$ 1
1. È noto che la serie di composizione del gruppo G di
grado p+1 e d'ordine (p 4 1) p (p — 1) formato dalle sosti-
tuzioni .
\202|=|2 de), | (mod. p) |p primo > 83],
è costituita dal gruppo G' dell'equazione modulare per p, e dal-
(Pt 1)p(p_-1)
2
Non sappiamo se sia stato osservato che non esiste alcun
gruppo H di p+4-1 elementi più generale di G e permutabile
alle sue sostituzioni. Ad ogni modo nelle linee che seguono
se ne darà una dimostrazione fondata su considerazioni affatto
semplici ed elementari; vi si troveranno dimostrate inoltre
alcune nuove proprietà del gruppo in parola.
l’unità; quindi i suoi fattori di composizione sono 2 e
2. Una sostituzione qualunque 082 di G equivale (*) al pro-
dotto di tre determinate potenze di 3 sostituzioni lineari, di cui
due, 0,2 e 0,-12, non ispostino uno stesso indice e siano d’or-
dine p e p—1 rispettivamente, e la terza, 0, sia d’ordine p + 1.
Si potrebbero assumere come sostituzioni generatrici del
gruppo G le sostituzioni 0,2, 0,_12, 0,4.2 più semplici possibili,
cioè le sostituzioni
02-21 1g dae =:
(*#) Serret, Algèbre Supérieure, vol. II, Cap. IV, n. 481 e seg.
INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 805
[le quali non ispostano l’indice 00, i essendo una radice primi-
tiva della congruenza |
7 =1 (mod. p)];
(+1
lett
i
+1
zt ce
Opue =
[dove i indica una radice primitiva della congruenza
+ = 1 (mod. p)
e t#? un non residuo quadratico mod. pl].
Ma poichè la nostra ricerca non ne diventa punto più dif-
ficile, e d’altronde ciò ci permetterà di svolgere alcune altre
considerazioni, prenderemo le sostituzioni generatrici del gruppo
sotto la loro forma più generale.
8. Trovare tutte le sostituzioni permutabili col gruppo G,
equivale a trovare tutte le sostituzioni la cui espressione ana-
litica (2) soddisfa alla congruenza
PI = 0" (mod. p),
0/= essendo una sostituzione di & simile alla sostituzione @ 2.
Quest'ultimo problema può ridursi a sua volta a trovare le fun-
zioni @(2) che soddisfano contemporaneamente alle 3 relazioni:
(1)
| pope = 0,2
| POP" 2 = Upi
PI, po = 81
dove 0,2, 0,12, 0,42 rappresentano sostituzioni simili a 0,2,
0,-12, 0,41? rispettivamente.
Sia 9,2 una sostituzione il cui ordine r sia uno dei numeri
p,p—-1,p + 1; 0,2 una sostituzione dello stesso ordine r. Si
faccia successivamente
n= 01, — lar a, 0a
806 GIROLAMO CORDONE
(a essendo una costante arbitraria reale, distinta dalle radici
della congruenza 0,2 = 2); nella relazione:
909,2 = 8,92.
Si avrà:
po,a = 8a
po a = 0,p0,a = diga
(a)
pora = 0a
L’ordine r di 0,2 essendo uno dei numeri p, p — 1,p+1,
facendo variare n tra 0 e r — 1, 07a assume tutti i valori pos-
sibili.
Si può dunque porre
(3) ta=%
e determinare x in modo che la (3) sia identicamente soddisfatta.
Se si ha
n= n(2) (mod. p),
l’ultima delle (2) può scriversi
P(2) = 8 pa;
la costante g(a) = a non essendo assoggettata ad altra condi-
zione che quella di dare per ©(2) una forma analitica atta a
rappresentare effettivamente una sostituzione.
Vediamo qual sia questa condizione.
Se la 0,”a rappresenta effettivamente una sostituzione, la
congruenza in 2
ora = 2
deve ammettere una ed una sola radice.
Ora conviene distinguere due casi, secondochè a sia o no
radice reale della congruenza
0,2 = 2.
INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 807
Nel 1° caso si ha qualunque sia p:
oa .=@
e quindi la funzione 0,"a non può rappresentare una sostitu-
zione.
Nel 2° caso invece, se r è l’ordine di 0,2, i termini della
serie
ap'050; diag.... da @
sono tutti distinti e rappresentano i valori di cui è suscettibile
l’indice 2. Se dunque è p; quello dei numeri 0,1,..... rl,
che fa assumere a 0fa il valore 2 = 2;, la congruenza
n(2) = Pi
dovrà ammettere una ed una sola radice.
Se ne conclude:
“ Affinchè @(2) = 60," rappresenti effettivamente una so-
stituzione, è necessario e sufficiente che a sia una costante reale
distinta dalle radici della congruenza
0,6 = 2.
e n(2) rappresenti essa stessa una sostituzione , (*).
4. Indichiamo generalmente con 20, 21; 20; 21; le radici
delle congruenze 0,2 = 2, 0,2 = 2 rispettivamente, o, se si vuole,
gli indici che queste sostituzioni lasciano immobili.
a) Ciò posto consideriamo dapprima le sostituzioni intere
d’ord. p.
Allora
(*) Si osserverà che le considerazioni precedenti, con leggiere modifi-
cazioni, sono applicabili a molti altri gruppi, le cui sostituzioni siano defi-
nite analiticamente.
808 " GIROLAMO CORDONE
Se si ha
0o2z=2+8 0e=<+7
si trova
P(e) = 0/a = 0% a = get onpit + a;
(a =#=.00; a = 00)
sostituzione riducibile alla forma
p() =f+ 92.
È questo un risultato ben noto.
3) 0,2 sostituzione intera d'ordine p; 0,2 sostituzione fra-
zionaria d’ordine p.
— Qui si trova che le sostituzioni che soddisfano alla con-
gruenza
PO = 09
sono riducibili alla forma
e=f+
Nel caso precedente si è ricaduti nelle sostituzioni razionali
intere; in questo nelle sostituzioni razionali frazionarie; dunque
si può concludere che:
“Il gruppo costituito dalle sostituzioni permutabili col
gruppo G delle sostituzioni razionali e lineari, è il gruppo G
stesso ,.
5. Non sarà tuttavia senza interesse applicare le conside-
razioni di cui all’art. 3 per determinare i gruppi costituiti dalle
sostituzioni © (2) soddisfacenti alla condizione 1
POp = 0°,
0: essendo una sostituzione d’ordine r = p + 1; ed e un nu-
mero primo con r.
Sia dapprima
r=p_1 02=iz+B;
INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 809
i essendo una radice primitiva della congruenza
? = 1 (mod. p).
Ne segue
, e-1
0°2 ask Barca
donde
zs+ 8
e ind; Lin
OS I
(0) er e
(Ra
.@ e a essendo costanti arbitrarie, rimànendo però esclusi i va-
iride e DP_.
i—1
Dunque: “ Le sostituzioni soddisfacenti alla relazione
POP ni 05-12
(0,1 = îe + P)
sono della forma
(4) o2=v[e+ sg fe i
(T'= 192015! SV)
e costituiscono quindi un gruppo semplicemente transitivo di
grado p — 1 e d’ordine (p—1)g(p—1) , (*).
Diciamo di grado p — 1; infatti è evidente che tutte le
sostituzioni del gruppo lasciano inalterato l’indice
(*) Qui il simbolo @ (t) indica generalmente, come in Aritmetica, il nu-
mero degli interi minori di # e primi con t.
810 GIROLAMO CORDONE
6. Esaminiamo un po’ più minutamente le sostituzioni (4).
Affinchè la sostituzione (4') pe =Y (2 + aa i) —_ i 1
lasci un elemento inalterato si deve avere:
r(2+ = P. + (mod. p);
Ù
congruenza che può scriversi:
a+ (+) —1|=0 (mod. p).
Dunque essa non ammette che la radice
catitrbi
i-1
se
peo
vr #1 (mod. p),
d essendo il massimo comun divisore tra p— 1 ed e— 1;
ammette invece altre d radici se
p-l
d
T° =1 (mod. p).
Adunque la sostituzione (4') sposta \ = p — 1 elementi nel
1° caso; A\=p—1—d nel2°.
D'altra parte si trova facilmente
e-1 e”
a pura e B 10. B
da cui si deduce che l'ordine di @2 è il più piccolo numero #
tale che sia
e" = 1 (mod. p).
n è dunque un divisore di p(p — 1) e la sostituzione p2 è com-
posta di > cicli di n elementi ciascuno.
INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 81
Da questi risultati emerge pure che i gruppi corrispondenti
ai p valori di f sono tutti simili fra loro.
Invero la sostituzione
1
e (Bi fo B»)
=
ye = 2+
trasforma la sostituzione
nell’altra
/
@,2 = Y (2+ _Ba MOSELLA
qualunque siano e e Y.
7. Se la sostituzione 02 d'ordine p — 1 è frazionaria, se
cioè
(rt+9):+#-9
{1
Go = —'
+1
i TESI b=-:@
(i essendo radice primitiva della #7! = 1 (mod. p), t uno dei nu-
meri 1,2,...273, g uno dei numeri 0,1,... p — 1); alle so-
stituzioni @2 si può dare la forma
z+bi—g
9 Mede paio dn dt
Piziopa, 0 ce li e TT
ERE IVA
(ati Zonp 7 1)
Se, infine, 92 è d’ordine p + 1, le sostituzioni che soddis-
fano alla congruenza
PI = 0°
hanno la stessa forma di (5); dove per i si prenda una radice
primitiva della congruenza
#11 = 1 (mod. p),
812 GIROLAMO CORDONE
. p_l ROTTO :
per t? uno dei vi non residui, per e un numero primo con
p + 1; infine y essendo suscettibile dei valori 0,1 ...p —1,00.
8. Si può domandare qual sia l’ordine del gruppo minimo,
derivato dalle sostituzioni
az + b
da Geuggo x(2) = 2°; (e primo con p— 1),
gruppo che contiene le sostituzioni da noi considerate prece-
dentemente.
Il suo ordine è (p + 1)!; cioè coincide col gruppo simme-
trico di p+ 1 elementi. Invero esso è almeno tre volte transi-
tivo; inoltre contiene una trasposizione
1
lai] PESO [E (0189)
dunque, ecc. (*).
82.
Sulle sostituzioni d’un gruppo
che soddisfano alla equazione X" = 1.
9. Siano s,, s9,....5. le sostituzioni d’un gruppo che sod-
disfano all’equazione
DE — di
n essendo un divisore dell’ordine del gruppo.
Affinchè il prodotto t = s} s$ di due qualunque di esse
(*) E. Nerro, Teoria delle Sostituzioni. Trad. di G. Battaglini, pag. 74.
INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 813
faccia parte della serie, basta evidentemente che s, e s, siano
permutabili. Questa condizione non è tuttavia necessaria che
son = 2.
Separiamo dalla serie sj, 83, S3; ... st quelle sostituzioni
(53) 83... 5», che sono permutabili con una qualunque delle so-
stituzioni della serie, ad es. sj; dall’insieme sg, 53, ... sr,, le
sostituzioni s3, 84, ... Sr, permutabili con una qualunque dell’in-
sieme, ss; e così di seguito. Ripetiamo la stessa operazione par-
tendo da tutte le altre sostituzioni sg, s3,...s, della 1° serie
successivamente. Otterremo così un certo numero di gruppi
composti di sostituzioni permutabili e aventi la proprietà di
essere tutte radici dell'equazione X" = 1.
È facile d’altronde riconoscere che prendendo per » suc-
cessivamente tutti i divisori dell'ordine del gruppo dato, si ot-
tengono nel modo suindicato tutti i sottogruppi di sostituzioni
permutabili del gruppo stesso.
Infatti in ogni gruppo di sostituzioni permutabili si può
determinare un sistema di sostituzioni generatrici s1, 83, $3...
degli ordini t,, to, tz3,... rispettivamente e tali che il prodotto
SON pia elica (Or È; seat
rappresenta tutte le sostituzioni del gruppo.
Inoltre ciascuno dei numeri t;, ta, t3,... è divisibile pel.
seguente; il numero t, è il minimo comune multiplo delle sosti-
tuzioni del gruppo; e l’ordine del gruppo è t="t1 ta #3... (*).
Adunque tutte le sostituzioni del gruppo soddisfano alla
equazione
NETTI NE
dunque, ecc.
10. Consideriamo in particolare il gruppo G.
Due sostituzioni permutabili che non sono potenze di una
stessa sostituzione, sono, com'è noto, di 2° ordine.
(*) Netto, Op. citata, n. 133.
814 GIROLAMO CORDONE
Le sostituzioni dei gruppi di sostituzioni permutabili con-
tenuti in G sono dunque tutte radici dell'equazione
=.
Sia 02 una sostituzione qualunque di 2° ordine. Se si pon-
gono in evidenza gli indici reali o imaginarii, 2), 2;, ch’essa
lascia immobili, avrà la forma
— e(20t-2) +22
—2z+zat% ;
04.
Tutte le sostituzioni permutabili con 62 si avranno dalla
formola
6, (e, )) = Na — Mzo + 21) + 20%
IIZIN
attribuendo a \ i valori 0,1,...p — 1, 00; esclusi tuttavia i
valori 20, 21, se questi sono reali.
Si riconosce poi facilmente che esiste una ed una sola so-
stituzione permutabile con 02 e 0,2, cioè la sostituzione
0, (2, )) pds Sla al Tan i
per ogni dato valore di \.
Le sostituzioni (92, 9, (2, Xo); 92(£, Xx), 1) costituiscono dunque
un gruppo K di 4° ordine, composto di sostituzioni permutabili.
5 LI i gruppi di-
Bisogna tuttavia osservare che sono soltanto
stinti corrispondenti ai varii valori di \; perchè sono identici i
gruppi corrispondenti ai valori ), e 0(A,) di X.
p£EI
2
Partendo da un’altra sostituzione 0'= appartenente ai
PESI
2
dine, K', di cui uno però coincide con quello dei gruppi prece-
denti, che contiene 0'2.
gruppi già considerati, si avranno altri gruppi di 4° or-
-<3
3
4
È
4
ì
INTORNO AL GRUPPO DI SOSTITUZIONI RAZIONALI ECC. 815
Ciascuna delle sostituzioni appartenenti ai gruppi K' darà
luogo a sua volta a due — 1 gruppi K” distinti dai gruppi K
e K'; e così di seguito, finchè non si siano esaurite tutte le p?
sostituzioni di 2° ordine del gruppo di sostituzioni razionali e
lineari.
Riepilogando:
“I sottogruppi di sostituzioni permutabili (*) del gruppo
di sostituzioni razionali e lineari, si ottengono dalle sostituzioni,
due a due permutabili, che soddisfano all’equazione
Ni i,
Ogni tal gruppo K è di 4° ordine, e contiene le sostituzioni
pus È 2(20 + 21) — 22021 i 0,(2, \) a Me-Mzo + 2) + 204 7
2a —zo— 21 ICSÀ
0, (2, \) ssa 0(A) ne POR z4) + 202 1
02 essendo una sostituzione qualunque di 2° ordine. Ogni gruppo
K' si ottiene dal precedente K, cercando tutte le sostituzioni
permutabili con una delle sostituzioni 0, (2,1), 03 (2,)) ,.
(*) Occorre appena avvertire che si sottintende sostituzioni permuta-
bili non potenze d’una stessa sostituzione.
816 TULLIO LEVI-CIVITA
aa
LI
ot }
= ig = -«-“-- ai -&r“fÉ{{{{““”{É{i“
Sugli integrali algebrici delle equazioni dinamiche;
Nota di TULLIO LEVI-CIVITA.
1.— Alcuni anni or sono il signor Koenigs ha dimostrato (*)
che, se un sistema materiale, soggetto a forze derivanti da un
potenziale, ammette un integrale algebrico (rispetto alle velocità),
esso ammette altresì almeno un integrale razionale.
La bella nota del signor Koenigs mi ha suggerito alcune
osservazioni assai semplici, che volli raccolte nel presente scritto,
quantunque non abbiano carattere di novità, per potermene (del-
l’ultima in particolar modo) valere con maggior sicurezza in un
prossimo lavoro sulle trasformazioni delle equazioni dinamiche.
Io mi propongo di mostrare in primo luogo:
a) che la proposizione del signor Koenigs vale anche se
le forze non provengono da un potenziale.
3) che, per un sistema materiale a legami indipendenti
dal tempo e non soggetto a forze, se esiste un integrale razio-
nale indipendente dal tempo, esiste anche almeno un integrale
omogeneo.
c) che, qualora un sistema materiale a legami indipen-
denti dal tempo, ammetta, per un sistema di forze indipendenti
dalle velocità, un integrale = cost, razionale rispetto alle ve-
locità, il sistema materiale stesso, libero da forze, ammette come
integrale - = cost; (designando A' e B' il complesso dei ter-
mini di grado massimo nei polinomii A e B rispettivamente).
Fatta avvertenza che le osservazioni 5) e c) discendono
(*) Sur les intégrales algébriques des problèmes de la dynamique, “© Comptes
Rendus ,, agosto 1886.
9
rt delicati 6. L.
SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI DELLE EQUAZIONI DINAMICHE 817
come caso particolare da un notevole teorema del sig. Painlévé (*),
rilevo che esse servono, insieme ad a), a riportare la classifica-
zione dei problemi dinamici, dal punto di vista degli integrali
| algebrici, che essi posseggono, al solo caso, in cui non agiscono
forze esterne e pel solo tipo degli integrali omogenei. Il campo
di ricerca si trova così naturalmente ristretto; io prescinderò
tuttavia anche dagli integrali fratti, limitandomi ad esporre,
nell’ultimo paragrafo, sotto forma invariantiva, la condizione ne-
cessaria e sufficiente, affinchè un sistema materiale a legami
indipendenti dal tempo e non soggetto a forze ammetta un in-
tegrale intero, omogeneo rispetto alle velocità. La forma di co-
desta condizione, che mi apparve assai importante per lo studio
delle trasformazioni in meccanica, generalizza ovviamente quella
assegnata dal Prof. Ricci (**), affinchè esistano integrali primi
omogenei delle linee geodetiche in una varietà a due dimen-
sioni: Per il caso particolare degli integrali di primo grado,
essa riproduce, salvo la diversità dei simboli, un risultato sta-
bilito, collo stesso nostro procedimento, dal Prof. Cerruti (***) e
da lui interpretato geometricamente in modo assai elegante.
2. — Sia T la forza viva di un sistema materiale S e si
ponga in coordinate lagrangiane:
IS 3 Vea qs na Vu: ata te
le 4,;,@, e T essendo in generale funzioni delle 9 e del tempo.
Le equazioni del moto, se si dica @, (che supporremo di-
pendere dalle coordinate e dal tempo in modo qualunque, e
razionalmente dalle velocità) la componente della forza secondo
la coordinata q,, saranno:
OT
d
dg'h OT
gere g OE PANTIO
(*) Sur les intégrales de la dynamique, “ Comptes Rendus ,, maggio 1892.
(*#*) Sulla teoria delle linee geodetiche, ecc. “ Atti del R. Ist. Veneto ,, 1894.
(#**) Sopra una proprietà degli integrali di un problema di meccanica, che
sono lineari rispetto alle componenti della velocità, È Rendiconti dei Lincei ,,1895.
818 TULLIO LEVI-CIVITA
ovvero, con note riduzioni, ponendo al solito:
1 darh dans dars i al) ca ò loga
Ars == — LAT
da 2 d4 dgr dgr dan
Rq29 (#4) er! (ne) $ dan dar __ dar
Ars dai Urshy Ur da di n dgr dan È”
Of= =- da ak) Qi tt = = DI (hk) E Poe: Soa $
dgn
n»
= U
O g,=V+#- Vas Yao, @=1,2,,0)
L i
Se F= cost è un integrale primo delle (1), si avrà È =0
cioè:
ò n
A pote LE q'r the siria) d'}=0,
dti da
nella quale, sostituendo, al posto delle 9g", le espressioni (1),
siccome i valori iniziali delle 9 e delle g' sono affatto arbi-
trarii, il primo membro dovrà annullarsi identicamente. Ponendo
pertanto:
O =g+ Zitti Lane
abbiamo che il primo membro F di ogni integrale delle (1),
risguardato come funzione dei 2n + 1 argomenti %, 9" e t, sod-
disfa all’equazione a derivate parziali lineare ed omogenea
dd.
O, VET CR AI O OTTONE LI n ___—, o
SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI DELLE EQUAZIONI DINAMICHE 819
Ritenuto ciò, si supponga F funzione algebrica delle 9’ e
quindi definibile mediante un’equazione del tipo:
(3) ese La 0,
a coefficienti razionali interi nelle g' stesse. La (3) si può sempre
considerare irriducibile nel campo di razionalità delle g'. Ap-
plicando ad essa l’operazione 9, siccome QF = 0, verrà:
E VER RAT O i i 0 A IRR o RA
e, per l’irreducibilità della (3), siccome, avuto riguardo alla forma
di 9, per le ipotesi ammesse circa le @,, i coefficienti della (4)
sono ancora razionali nelle 9g’, seguirà necessariamente:
Q So Q SI Q Sm
So Sq Sm
e quindi per esempio so. 2s, — s..L2s= 0, od anche
So» Ls, TRONO Lso
== 0
8% 2
. . . Sq Sa Sm
da cui apparisce che ciascun rapporto Bilbo: Gasovdnioz pan9YE
0 20 0
non si riduca ad una pura costante, è integrale primo delle (1).
In generale questi integrali potranno non essere tutti di-
stinti, nè si può escludere che alcuno sia di per sè una costante;
uno almeno deve però contenere effettivamente le g' e sarà
l'integrale razionale, di cui volevamo stabilire l’esistenza (*).
Se mai la (4) si riduce ad una identità, il sistema possiede al-
meno un integrale razionale intero.
8. — Quando i legami imposti al sistema materiale S sono
(*) Come già il sig. Koenigs, pel caso di forze provenienti da un po-
tenziale, notiamo che, anche nel caso generale, l’esistenza di un integrale F,
algebrico rispetto ad alcune soltanto delle g' trae necessariamente l’esistenza
di almeno un integrale razionale rispetto alle stesse quantità. La dimostra-
zione sarebbe identica a quella sopra accennata.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 56
820 TULLIO LEVI-CIVITA
indipendenti dal tempo e non agiscono forze, le equazioni (1) si
riducono a:
(1’) bere argine (£=1,2,..., n)
l
la condizione perchè F = cost (con F indipendente dal tempo)
sia un integrale, è data da:
\ èF IF |,
DU IR — de — ad Ego =
(2°) Q'EF= ) pura PA nd q |
Suppongasi che F sia razionale nelle g'; si potrà porre F= Sa
A e B essendo funzioni intere, di cui chiameremo A' e B' l’in-
sieme dei termini di grado più elevato. Applicando ad F l’ope-
razione Q', avremo:
B.9'A-A.Q B
oc'Pe =
Si vede immediatamente che la <', applicata ad un poli-
nomio omogeneo nelle 9’, dà per risultato ancora un polinomio
omogeneo col grado aumentato di una unità: Perciò nel prodotto
B.Q'A, itermini di grado più elevato si avranno moltiplicando
B' per N'A' e analogamente A”. £'B' sarà il gruppo di termini,
aventi lo stesso massimo grado in A .Q'B, talchè l’identico an-
nullarsi della differenza B.Q'A —A.Q'B esigerà che sia:
BOCA" eil. LB
A È a ae
p= cost è un integrale omogeneo delle equazioni (1').
cioè
4. — Si supponga che un sistema $ a legami indipendenti
dal tempo ammetta, per date forze (, indipendenti dalle velocità,
un integrale razionale (indipendente dal tempo) È = cost. La
condizione (2) diviene nel caso presente:
nile. -,
SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI DELLE EQUAZIONI DINAMICHE 821
n
nr " —z 1a”. %; k ’ Li prat
(2) Q ARIE +22 (0 Lts:s.){=
-2r+), dE = 0,
ed avremo Q" È IL
Se, come poc'anzi, si designano con A' e B'i termini di
grado più elevato in A e in B, si riconosce senza difficoltà che,
nella differenza B.Q'"A — A. Q"B, l'insieme dei termini di grado
massimo è dato da B'. Q'A'— A'. Q'B'; dunque:
B'. Q'A'— A'. Q'B'= 0,
| : RI | A
il che dimostra come da ogni integrale razionale E = cost,re-
lativo a un sistema S e a forze Q, comunque date, purchè in-
dipendenti dalle velocità, si deduce un integrale razionale ed
omogeneo per lo stesso sistema libero da forze.
Come caso particolare, supponendo nulle le Q,, si ritrova
il contenuto del precedente $.
5..— Proponiamoci da ultimo di assegnare esplicitamente
le condizioni, affinchè un polinomio del tipo:
pe Vin PARC PRO RTRT 4h
Ul USTEZLETT
sia integrale primo per un sistema S a legami indipendenti
dal tempo e non soggetto a forze. Essendo T =), Uni Polls
ni rs
la forza viva del sistema, pongasi ds°=2T dt = DE ds dg, dg,
1 rs
e si consideri la varietà g a » dimensioni, di cui ds° rappre-
senta il quadrato dell’elemento lineare:
Ricordo che, dato un sistema di funzioni (delle variabili
822. TULLIO LEVI-CIVITA
indipendenti g;) d’ ordine m, cioè del tipo A,,r,...r, (17.
fm =1,2,..,), simmetrico o no rispetto ai suoi m indici, se-
condo una denominazione introdotta nella scienza dal Prof. Ricci,
il sistema d’ordine m + 1, definito da:
m
(6) P.° Sed, lì) Ariro..tm 5 p A
tira: Tmfm41 TT dd'm4i STE Na sMejrzipi TqT]_” Tam)
1
chiamasi derivato covariante del proposto rispetto alla forma
fondamentale ©.
La proprietà essenziale delle derivazioni covarianti risiede
nel loro carattere invariantivo, per cui, ogniqualvolta, passando
dalle variabili 9g a certe nuove variabili (9), il sistema (A) tras-
formato delle A,.,,,... ,,, si esprima secondo la legge: |
n
dqs dqgss dISm
DO (Armee) = Y'Aeno t e.
( ) ( Us U) tm) Lo” d(qr) d(gqrs) AUgrm) o)
sia cioè covariante al primitivo, lo stesso accade dei rispettivi
derivati. In particolare, siccome evidentemente i coefficienti di
un integrale primo costituiscono un sistema covariante, sarà
pure covariante il sistema derivato.
Ciò posto, se A = cost è integrale delle (1°), la Q'A=0,
scrivendo rn. al posto di %, porge nel caso presente:
n
D) Ariatm r ' r
dgr Lridra Irma
1 m+l
1 Ta.e-TmYm+1
Ed taet 17741" mA1 ik
od anche, ove si scambino nel secondo termine gli indici r ed
Tmy1; SÌ scriva r, al posto di s e poi si riuniscano le due som-
matorie:
r ’ r , PIE SETA
4 ) } Big) m41"41""m CAS le AR ERA ; rs dr ae 0,
Re e I
tt Latini
SUGLI INTEGRALI ALGEBRICI DELLE EQUAZIONI DINAMICHE 8293
Ò Arira.. Tm
PASS. Ù ,
Va rad ra Drm@ Tm41 dda
ddrira..taf'mi1
m
n
È
== ) 2 A... a uil
ta TI mar ta "1 Tm
1
In virtù delle (6), si ha:
, ’ ‘ LU ==
A rsrs..ata mt q ri4 ra Yrm q ei 0 L
1 Tata. TnYmt1
la quale, avuto riguardo alla simmetria del sistema A,,,,... +,
che si conserva pei primi m indici delle A,,,,...wmrm+1, esige
che il sistema A,,r3.rmrnti SIA, come si dice, emisimmetrico,
‘che cioè sieno nulle le somme degli elementi, che si ottengono
da ogni generico coefficiente À,,,,... rmrn41; eseguendo sopra i
suoi indici m + 1 potenze consecutive della sostituzione circo-
lare (1172... Tn Tm):
Concludiamo pertanto:
n
Affinchè S Arrs.rmQridrs Lr =" COS sia integrale primo
n Tala. Tm
per un sistema S, su cui non agiscono forze, 0, ciò che è lo stesso,
per le equazioni delle linee geodetiche in una varietà ® di ele-
mento lineare ds = V2T4t?, è necessario e basta che il sistema
A sia emisimmetrico.
U5 UCTO Tm m41
Esprimendo così le condizioni per l’esistenza di un inte-
grale omogeneo di grado m, si mette in evidenza colla massima
semplicità il loro carattere invariantivo di fronte ad ogni pos-
sibile trasformazione di coordinate.
L’ Accademico Segretario
ANDREA NACCARI.
824
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 17 Maggio 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Socii: CLareTTA, Direttore della Classe,
Peyron, Rossi, BoLLAaTI Di SAINT-PriERRE, Pezzi, NANI, COGNETTI
pe Martus, Brusa, PerRERO, ALLiEvo e FERRERO Segretario.
Il Socio segretario fra le pubblicazioni pervenute in dono
alla Classe segnala il vol. VIII della 1° serie delle: “ Campagne
del Principe Eugenio di Savoia ,, e gli Allegati grafici dei vo-
lumi VII e VIII di detta opera inviati per ordine di S. M. 1L Re.
Offre poi a nome dell'Autore, il Socio corrispondente marchese
di Nadaillac, un opuscolo: “ Expéditions polaires , (Parigi, 1896).
Il Presidente, a nome dell’autore, il prof. Lando LANDUCCI,
offre un opuscolo: “ La pubblicazione delle leggi nell'antica Roma ,
(Padova, 1896).
Il Socio ArLievo legge due suoi lavori intitolati: “ Studio
storico critico di pedagogia femminile , e “ Dell’educazione della
donna secondo i pensatori francesi del secolo XVIII ,.
Essi sono pubblicati negli Atti Accademici.
_—_—_____—__n__——_rtnooo*°_
LETTURE
Studio storico critico di pedagogia femminile;
Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO.
Che l'educazione della donna sia necessaria siccome uno
degli elementi integrali di quella civiltà perfetta, che è l’aspi-
razione incessante dell’umana società, è cosa universalmente sen-
tita e concordemente ammessa. Ne fanno fede le scuole fem-
minili di ogni guisa, che nel nostro secolo vanno moltiplicandosi
in tutte le parti della colta Europa. Educhiamo la donna! fu il
grido, che or fa un mezzo secolo proruppe unanime da ogni punto
della terra subalpina, ed a quel grido sorsero a centinaia le
scuole elementari femminili per concorde operosità di privati
cittadini e di municipî. Nè qui si arrestò quel potente impulso,
ma suscitò l’istituzione di scuole superiori di perfezionamento
e di istituti normali femminili; ed ora la coltura della donna
non solo ha preso un incremento ancora più ampio, ma va ra-
dicalmente trasformandosi in un ordine di idee affatto insolito.
Noi assistiamo ad una vera rivoluzione pedagogica. Oggidì fan-
ciulle di civil condizione dànno opera agli studi non più per
portare in seno della famiglia una più ricca e svariata coltura,
o per consacrarsi al magistero educativo, bensì per secondare
nuove aspirazioni sociali e correre il pubblico arringo. Noi le
vediamo disertare le scuole superiori di perfezionamento e pic-
chiare alle porte dei ginnasii, dei licei, delle università per do-
mandarvi quel tanto di scienza, che occorre all’esercizio di una
pubblica professione liberale. Da prima le giovani studiose,
che facevano timida mostra di sè in mezzo alla falange di gio-
826 GIUSEPPE ALLIEVO
vani alunni, sì contavano sulle dita; ora quelle poche stanno
diventando legioni. Chiuderemo noi loro in faccia le porte degli
istituti scolastici consacrati all’istruzione maschile? Ricacciare
entro le scaturigini della terra un'ampia fiumana, che prorompe
impetuosa da ogni lato, è dissennata impresa; arginarne le rive
ed inalveare la corrente sì che scorra a fecondare i campi, non
a devastarli, e salutare provvedimento. Ormai non evvi più ra-
gione di ripetere il grido: Educhiamo la donna. Educhiamola
bene: questo è di presente il gran pensiero, che occupa quanti
hanno a cuore le prospere sorti della famiglia, della patria, della
società; è il nuovo problema, che s'impone alla mente dei pe-
dagogisti e degli educatori di buon volere e di retto intendi-
mento.
La storia della rinascenza letteraria ricorda i gloriosi nomi
di donne letterate e colte, quali ad esempio : Laura Ceretti di
Brescia, che nel 1487 sostenne pubbliche tesi e professò filosofia
per sette anni; Paola Malatesta, allieva di Vittorino da Feltre,
versatissima nel latino, nella filosofia, nella rettorica e nella
musica; Modesta di Pozzo Zorzi nobile veneziana, che scriveva
egualmente bene nelle tre lingue di Omero, di Virgilio, di Dante,
sia in verso, sia in prosa; Olimpia Fulvia Morata (1526-1555),
che a quattordici anni scriveva in latino un elogio di Cicerone,
in greco un elogio di Muzio Scevola, teneva pubbliche confe-
renze, a sedici anni componeva poesie in greco, morta nella gio-
vane età di ventinove anni. Ma tutta quella vaghissima fioritura
di sapienza femminile faceva uno spiccato contrasto colla igno-
ranza pressochè universale della donna di que’tempi, e quel, che
è più, si coltivavan le lettere e le scienze siccome gentile or-
namento dell'animo e per certo qual amor della gloria, mentre
a’ giorni nostri le giovani studiose frequentano in folla gli isti-
tuti scolastici ed aspirano all’esercizio delle professioni liberali.
In faccia a questa condizione di cose affatto nuova e rilevante
il problema dell’educazion femminile ci si presenta sotto un
aspetto nuovo e grave assai. Che l'educazione della donna debba
essere diffusa il più ed il meglio, che si può, non è più que-
stione controversa, ma dogma indiscutibile. Però si ricerca, se .
essa educazione abbia natura tutta sua propria, che la distingua
da quella dell’uomo, e quindi un fine speciale, a cui sia rivolta,
limiti determinati, che la circoscrivano, uno spirito peculiare,
PE TO e
STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 827
che la informi. In una parola, il tipo ideale, su cui va esemplata
l'educazione femminile, è esso essenzialmente identico con quello
dell'educazione maschile, o diverso? Ecco il punto del problema,
che richiama a sè la meditazione de’ pensatori e costituisce un
oggetto di gravissima discussione. Per poco che si rifletta, ben
tosto si scorge, che questo problema pedagogico presuppone già
risolto un problema psicologico, da cui logicamente dipende; se
cioè la donna abbia dalla natura sortito la stessa tempra di
corpo e di mente, le stesse attitudini, la stessa vigoria di pen-
siero e di volontà dell’uomo (1); giacchè solo in tal caso essa
sarebbe chiamata alla stessa missione sociale; epperciò l’edu-
cazione femminile dovrebbe procedere in tutto e per tutto iden-
tica con la maschile.
Noi ci troviamo adunque di fronte a due problemi, uno
psicologico, l’altro pedagogico, logicamente subordinati in guisa,
che quello contiene in sè la ragione e la spiegazione di questo.
Quale rapporto intercede tra la natura propria della donna e
quella dell’uomo? Ecco il problema psicologico. In che rapporto
stanno fra di loro l'educazione femminile e la maschile? Ecco
il problema pedagogico. Questo duplice problema venne intra-
veduto ed a più riprese discusso vagamente e con criterii non
bene definiti nei passati secoli da Platone sino ai tempi nostri;
ma oggidì acquista un significato del tutto speciale per cagione
del profondo mutamento avvenuto nello stato sociale. Torna
quindi assai conveniente uno studio storico critico intorno ai
diversi pensamenti di coloro, che meditarono sul presente argo-
mento: e qui ci restringiamo alle principali dottrine francesi
dei secoli XVII e XVIII.
Durante il periodo della rinascenza letteraria vediamo di-
segnarsi due contrarie correnti. Lo spagnuolo Vives (1492-1540)
(1) Cosa singolare! Nel concilio tenutosi a Màcon nel sesto secolo, sì
agitò per più settimane ed assai vivamente la questione, se la donna pos-
segga un’anima tale, che le valga il titolo di creatura umana. Questo fatto ci
ricorda per la ragion de’ contrarii l'omaggio decretato nel 1551 a voti una-
nimi dall'Accademia dei Dubbiosi di Venezia a Giovanna d'Aragona e quindi
il volume pubblicato in quella città nel 1555 da Pietro Pietrasanta col titolo:
“ Tempio alla divina Signora Giovanna d'Aragona fabbricato da tutti i più
gentili spiriti e in tutte le lingue principali del mondo ,.
828 GIUSEPPE ALLIEVO
e l'olandese Erasmo (1467-1536) caldeggiavano entrambi l’istru-
zione della donna ampliando oltre ogni limite i suoi studi e
giudicandola adatta quanto l’uomo alla conoscenza del greco e
del latino; mentre il Rabelais (1483-1568) teneva in poco conto
la sua coltura, e più tardi il Montaigne ed il suo amico Charron
la giudicarono inferiore all'uomo. Il tedesco Enrico Cornelio
Agrippa (1486-1535) pubblicava nel 1529 la sua Declamazione
sulla nobiltà e precellenza del sesso femminile, dove sostiene che
le donne sortirono da natura doti migliori di quelle dell’uomo (1),
sicchè anche ignoranti vedono sovente assai più in là degli
astrologi, dei filosofi e dei matematici.
Poullain de la Barre.
Venendo al secolo decimosettimo, la de Gournay (1556-1645),
figlia adottiva di Montaigne, sostenne l'eguaglianza degli uomini
e delle donne. La Bruyère (1646-1696) reputa la donna supe-
riore all'uomo nel genere epistolare, ed avvisa che ad essa manca
non già l’attitudine all’istruzione, ma piuttosto il buon volere.
Ma nessuno finqui aveva portato la questione sul terreno della
scienza, siccome fece Poullain de la Barre. La sua opera De
l’égalité des deux sexes (2) pubblicata nel 1673 non è un lavoro
d’indole meramente letteraria, ma porta l'impronta della medi-
tazione filosofica, sebbene la critica abbia da riconoscere, che
in mezzo al vero vi giace frammisto l’erroneo e l’esagerato.
Egli muove dal fatto, che le donne non appartengono al mondo
dei dotti, e che esse stesse credono che per natura non vi deb-
bano appartenere, mentre il' vero si è che i due sessi sono as-
solutamente eguali. Il ragionamento, con cui egli cercò di dimo-
(1) Questo concetto fu svolto da Girolamo Ruscelli nella sua opera
stampata a Venezia nel 1552, e dalla illustre veneziana Modesta di Pozzo
Zorzi (1555—1592), la quale pubblicava nel 1593 la sua opera in difesa
della superiorità della donna.
(2) L'autore pubblicò un altro opuscolo inscritto: Dell’eccellenza degli
uomini contro l'eguaglianza de’ sessi, col solo scopo di proporre e confutare
le obbiezioni contrarie all’eguaglianza de’ sessi.
inn nile
STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 829
strare la sua tesi, posa tutto quanto su questo concetto, che il
cervello, organo essenziale delle funzioni dello spirito, è affatto
simile nell'uomo e nella donna. “ La più esatta anatomia non
rileva differenza di sorta in questa parte: il cervello delle donne
è del tutto simile al nostro, le impressioni dei sensi vi sono
ricevute e raccolte ad un modo, e vi si conservano altresì per
l'immaginazione e la memoria... Chi adunque le impedirà di
applicarsi a considerare se stesse, ad esaminare in che dimori
la natura dello spirito, quante guise vi siano di pensieri e come
vengano eccitati all’occasione di certi movimenti corporei, ad
avvertire dopo ciò le idee naturali, che hanno di Dio, e muo-
vendo dalle cose spirituali disporre con ordine i loro pensieri e
costrursi la scienza, che appellasi metafisica? Dacchè hanno
anch'esse occhi e mani, perchè non potranno fare esse stesse, o
veder fare da altri, la dissezione di un corpo umano, conside-
rarne la simmetria e la struttura, notare la diversità, la diffe-
renza, il rapporto delle sue parti, le loro figure, i movimenti, le
funzioni, le alterazioni e di là inferire il mezzo di conservarli
ben disposti e di ristabilirvi il turbato ordine? Basterebbe a
tal uopo conoscere la natura de’ corpi esterni, che hanno rap-
porto col nostro, scoprirne le proprietà e quanto li rende capaci
di produrre impressioni buone o cattive. Ciò si conosce col mi-
nistero de’sensi e le varie esperienze; e le donne essendo del
pari idonee all'una ed all’altra cosa, possono apprendere quanto
noi la fisica e la medicina (pag. 116 e seg.) ,. Osservate le
scienze sia in se stesse, sia nell’organo, con cui si acquistano e
vedrete che i due sessi vi sono egualmente disposti, essendochè
un solo è il metodo e la via per insinuare la verità nello spirito,
epperò le donne hanno attitudine a tutte le scienze, alla logica,
alla meccanica, all’astronomia, alla letteratura, all’eloquenza, nella
quale fanno miglior prova degli uomini, alla morale, alla giurispru-
denza, alla politica, alla storia ed alla geografia. Che più? Ei
vorrebbe vedere la donna insegnare dalla cattedra l’eloquenza o la
medicina, arringare davanti ai giudici, rendere giustizia dal tribu-
nale, condurre un’ armata, aprire battaglia, parlamentare nelle
ambasciate, pontificare nelle chiese. Dall’altezza del suo ideale
pedagogico egli rivolge lo sguardo sul mondo della realtà e de-
plora l'educazione, che universalmente si dà alla donna, educa-
zione frivola ed indegna di persone ragionevoli, tutta intesa a
830 GIUSEPPE ALLIEVO
deprimere il loro coraggio, ad oscurare il loro spirito, a spegnervi
ogni germe di verità e di virtù, a soffocare ogni aspirazione alle
grandi cose; ma se tale è di fatto la loro educazione, tale non
deve essere, tale non la vuole natura.
L'autore ha dato alla proposta questione un indirizzo ve-
ramente scientifico, poichè ha saputo vedere, che a fine di risol-
vere il problema dell’educazione della donna e della sua mis-
sione sociale occorre risalire allo studio psicologico della natura
propria di essa, e quindi ha interrogato la scienza anatomica
su questo punto. Però se il suo procedimento è logico e razio-
nale, vuolsi tuttavia riconoscere che è affatto incompiuto, par-
ziale ed esclusivo. Poichè la scienza anatomica ci saprà bensì
dire, se vi corra differenza tra l'organismo corporeo dell’uomo
e quello della donna, ma non già tra la mente e lo spirito del-
l'uno e dell'altra: su questo secondo punto vuolsi interrogare
la scienza psicologica strettamente presa. Colla sola scorta del-
l'anatomia e della fisiologia non si giungerà mai, come egli pre-
tende, a capire nè la natura dello spirito, nè le differenti specie
di idee, nè la natura di Dio ed il mondo soprasensibile, che è
oggetto della metafisica. Per altra parte non basta, come asse-
risce l’autore, possedere occhi, e mani, e sensi fisici per inferirne
che la donna può nella stessa misura dell’uomo raggiungere e
professare la fisica e la medicina, e per sostenere che possa con
ragione essere educata alla faticosa ed agitata vita della milizia,
del foro o della tribuna parlamentare. Il concetto dell'anatomia
confusa colla psicologia, da cui egli prese le mosse, lo condusse
a quell’assoluta eguaglianza di uffici sociali e di educazione
dell’uomo e della donna, che già aveva ideato e propugnato
Platone nel suo dialogo La repubblica.
Nicola Malebranche (1637-1715).
Nell'anno medesimo 1673, in cui il Poullain faceva di pub-
blica ragione la sua opera, usciva alla luce in Parigi la Ricerca
della verità del padre Nicola Malebranche (1637-1715). Sebbene
egli non abbia discusso il problema pedagogico dell’educazione
femminile, è tuttavia meritevole di considerazione il suo raffronto
Udi Da citi
STUDIO SIORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 831
psicologico tra l’intelligenza della donna e quella dell’uomo. È
dottrina professata da questo illustre filosofo, che il cervello è
sempre segnato da alcune traccie, e che queste stanno sempre
in rapporto colle idee, ossia colle cose, che noi pensiamo, sicchè
ad ogni nuova idea ricevuta dall’anima s'imprime nel cervello
una nuova traccia, e ad ogni nuova traccia prodotta dagli 0g-
getti l’anima riceve una nuova idea, e quanto più profonde e
durevoli sono le traccie, più strettamente si legano con esse le
idee (Lib. 2°, parte 1%, cap. V). Ciò posto, egli pronuncia che
nella donna le fibre cerebrali sono assai più delicate e molli
che nell'uomo, epperò assai più mobili e cedevoli alle impres-
sioni sensibili, e di qui argomenta, che generalmente parlando
le donne posseggono più che gli uomini scienza, abilità, finezza,
discernimento in tutto ciò, che colpisce i sensi e riguarda il
buon gusto; ma per lo contrario la tanta mobilità delle loro
fibre cerebrali le rende impotenti a cogliere quel, che sa di
astratto, a penetrare le verità un po’ difficili a scoprirsi, a scio-
gliere questioni alquanto intricate, sicchè rimangono sempre alla
superficie delle cose senza mai penetrarne il fondo. Ma l’autore
quasi si fosse accorto di essere trascorso troppo oltre, si affretta
a temperare la severità del suo giudizio avvertendo che così
non incontra generalmente in tutte le donne. “ La forza dello
spirito dimora in un certo temperamento della grossezza e del-
l’agitazione degli spiriti animali con le fibre del cervello, ed alle
donne non manca talvolta questo giusto temperamento. Sonvi
donne forti e costanti, e uomini deboli ed iIncostanti; donne
dotte, coraggiose, capaci di tutto, e uomini molli, effeminati, inetti
a penetrare ed eseguire alcunchè... Uomini, donne, fanciulli dif-
feriscono soltanto fra di loro nel più e nel meno riguardo alla
delicatezza delle loro fibre cerebrali (Lib. 2°, parte 2°, cap. 4) ,.
Quest'ultima proposizione formolata in modo assoluto attenua
di molto la gran differenza, che l’autore aveva interposto tra
l’intelligenza femminile e la maschile, essendochè ci porta a
riconoscere, che anche la donna possiede la virtù della scienza,
sebbene in grado minore dell’uomo. Ma quello, che più importa
di avvertire, si è, che tutto questo ragionamento dell’ autore
muove da un principio da lui supposto vero, ma punto dimo-
strato, che cioè il cervello è improntato di traccie, le quali stanno
in rapporto colle idee, che si acquistano, e che le sue fibre sono
832 GIUSEPPE ALLIEVO
agitate e percorse differentemente da spiriti animali. Queste
traccie cerebrali vincolate colle idee nessuno le ha vedute, e
l’esistenza degli spiriti animali è tuttora una ipotesi, che attende
la sua conferma dalla ragione. Malebranche e Poullain partirono
entrambi dal concetto fisiologico del cervello, eppure riuscirono
a conclusioni opposte.
Claudio Fleury (1640-1723).
In questo medesimo secolo decimosettimo intorno l’educa-
zione femminile raffrontata colla maschile scrisse poche, ma pen-
sate pagine l’abate Carlo Fleury nel capitolo XXXVII, parte 1?,
delsuo Trattato della scelta e del metodo degli studi pubblicato nel
1686. Censurando la frivola e scarsa educazione, che comune-
mente si dà alla donna, egli avverte che anche ad essa conven-
gono gli studi, essendochè ha un'anima specificamente identica
con quella dell’uomo, e quindi una ragione da seguire, una vo-
lontà da regolare, passioni da combattere, beni da amministrare.
Così egli riconosce che l’uomo e la donna sono eguali, in quanto
appartengono alla medesima specie umana, ma poi nota che
differiscono l’uno dall’altra in ciò, che le donne hanno meno
applicatezza e pazienza per un ragionare continuato, meno co-
raggio e fermezza degli uomini, ma in compenso li sorpassano
per vivacità di spirito e di penetrazione, per soavità e modestia,
e non essendo chiamate alle grandi cariche. sociali dell’uomo,
possono consacrare allo studio il tempo di libero svago.
Guidato da questo concetto psicologico, egli si fa a segnare
la cerchia degli studi, che si confanno all’indole della donna. Si
educhi il cuore delle fanciulle mediante un insegnamento reli-
gioso, sodo e preservativo da superstizione, dogmatico, ma non
teologico, e mercè la pratica delle virtù femminili, quali la dol-
cezza, la modestia, la sommessione, l’umiltà, armonizzate con
l'energia, la fermezza, la pazienza. Se ne coltivi l’intelligenza,
addestrandole ad un pensare continuato, a ragionar sodamente
intorno argomenti alla loro portata ed ammaestrandole intorno
i precetti più essenziali ed elementari della logica. Se ne rinvi-
gorisca l'organismo mediante esercizi fisici convenienti, accom-
STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 833
pagnati dalla conoscenza de’ più facili rimedii ai mali più or-
dinarii. Quanto all’istruzione propriamente detta, di grammatica,
di aritmetica, di economia domestica ne sappiano quel tanto e
non più, che occorre per il buon reggimento della casa e per
le esigenze della vita di famiglia. Bando agli studi del latino,
delle lingue, della poesia, della storia, della matematica e di
altrettali curiosità, che fomentano la vanità femminile. Invece
di questi studi assai meglio è che apprendano le massime fon-
damentali della giurisprudenza, perchè sappiano poi prender con-
siglio nella trattazione degli affari, che le riguardano. In verità
che il nostro autore ristringe a proporzioni ben meschine la col-
tura della donna fino a passarsene della storia e della poesia,
egli che da principio voleva rialzati i suoi studi, perchè ha
un'anima ragionevole al pari dell’uomo.
Fénélon (1651-1715).
Il concetto scientifico dell'educazione della donna possiam
dire che fece la sua prima mostra di sè nel trattatello Dell'e-
ducazione delle figlie di Fénélon. Anima soavissima e generosa
ad un tempo, intelligenza grande ed elevata, pensatore serio e
vivace, Fénélon è una delle figure più splendide e simpatiche,
che campeggino nella storia della Francia letteraria del secolo
decimosettimo. Fu alla corte di Luigi XIV precettore del duca
di Borgogna nipote del re, scrisse egregiamente di filosofia e di
teologia, di morale e di politica, di storia e di letteratura, ed
è l’autore immortale del classico e popolare poema Le avventure
di Telemaco. Una mente così eletta e tanto studiosa della na-
tura umana sentivasi per natura portata a meditare intorno la
grand’opera dell’educare, e ben giunse l’occasione a darle l’im-
pulso. Egli era stato chiamato a dirigere l’Istituto delle Nuove
cattoliche, e fu là, in mezzo a quel suo oscuro ministero sacer-
dotale, che prese a meditare e scrivere intorno l'educazione delle
figlie. Con questo titolo egli fece poi di pubblica ragione a Pa-
rigi nel 1687 il suo trattato. Fu quello il primo de’ tanti suoi
lavori, che uscirono dalla sua penna, e mostra come la nobiltà
894 GIUSEPPE ALLIEVU
e la delicatezza del sentire andassero in lui di pari passo colla
serietà e saviezza del ragionare.
“ Non havvi cosa tanto negletta quanto l’educazione delle
fanciulle ,: con queste parole l’autore esordisce ed avverte che
mentre all'educazione maschile si consacrano cure di ogni sorta
e si provvede in tutte guise, si va dicendo che le fanciulle non
è bene siano sapienti, e che la curiosità del sapere le trae a
vanità e superbia. E qui egli non istituisce un raffronto tra
l’uomo e la donna rispetto alla loro diversa potenza mentale,
ma si sta pago di osservare, che non bisogna fare delle scien-
ziate ridicole, che le donne hanno d’ordinario lo spirito ancor
più debole e più curioso degli uomini, e che non essendo chia-
mate a reggere lo stato, a fare la guerra, ad amministrare le
cose sacre, per ciò stesso non vi è ragione che si applichino
alla scienza politica, all’arte militare, alla. filosofia ed alla teo-
logia. Pur tuttavia egli propugna con calore e fermezza la col-
tura scientifica della donna; ed a metterne in chiaro la somma
importanza egli non muove dalla fisiologia e dalla psicologia
comparata, bensì dal concetto fondamentale della famiglia. Il
mondo sociale posa tutto quanto sulla famiglia: in essa si rac-
coglie tutta la sua realtà, da essa pendono le sue sorti; e sic-
come le sorti della famiglia stanno in gran parte in mano della
donna, quindi consegue la necessità della sua coltura scientifica,
morale e religiosa, feconda di ogni bene per tutta la convivenza
sociale. Tale è in sostanza il suo ragionamento. Se la fanciulla
non è seriamente educata e nutrita di sodo sapere, crescerà
leggiera, molle, sregolata, amante dell’ozio, e cercherà di riem-
piere con frivoli divertimenti e sciupati romanzi quel vuoto, che
sente in fondo al cuore.
L'autore mostra una soda e fina conoscenza, sia dell’età
infantile, sia dell'anima della donna, e sopra di essa fonda tutta
la sua pedagogica dottrina; ma questa conoscenza non è deri-
vata per mezzo di una serie di logici ragionamenti da un prin-
cipio proprio della scienza fisiologica e psicologica, bensì è frutto
di una schietta osservazione della realtà. Egli non parte, come
Poullain e Malebranche, da una teoria fisiologica del cervello
per inferirne l'eguaglianza o la differenza delle attitudini men-
tali dell’uomo e della donna, ma ha contemplata la natura in-
fantile e la femminile quali si mostrano in realtà coi loro pregi
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STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 835
e difetti, e nei dieci anni che resse l'istituto delle Nuove Cat-
toliche ha potuto contemplare con occhio sicuro ed intelligente
i penetrali di quelle anime giovanili.
Le pagine, che egli ha scritto intorno l'educazione degli
anni primi, sono ammirabili per delicatezza e ragione, ed egual-
mente convengono ai fanciulli ed alle fanciulle, che nel periodo
dell'infanzia non mostrano ancora gran fatto la differenza della
loro indole. Le prime impressioni sono le più profonde (1) e de-
terminano in gran parte il carattere del nostro essere per tutta
la vita; dunque (egli ne argomenta) gli è fin dalla prima età,
che vuolsi cominciare l'educazione delle fanciulle: L'infanzia os-
serva molto e parla poco; non avvezziamola adunque a parlar
molto, a dire tutto ciò, che si presenta alla mente, creando così
l'abitudine di giudicare con precipitazione e parlar di cose non
bene intese: osservazione assennata è questa dell’autore, essen-
dochè il pensare ed il parlare devono mantenersi fra di loro in
armonica corrispondenza. I fanciulli sono naturalmente ed oltre
modo curiosi: facciamo tesoro di questa innata curiosità, foriera
dell’istruzione, per ammaestrarli, secondochè se ne presenta l’oc-
casione, intorno a cose, che importano a sapersi. Sono assai
corrivi ad imitare le azioni altrui; facciamo adunque in guisa
che abbiano presenti buoni esempi, e siccome torna impossibile
impedire che anche il male cada sotto i loro occhi, adoperia-
moci di premunirli contro le tristi conseguenze con opportune
e caute osservazioni.
Si va disputando tra i pedagogisti, se lo studio intrapreso
dai fanciulli voglia piuttosto essere un diletto o qualche cosa
di serio. Il nostro autore consiglia di unire l'utile col dolce, di
attemperare l'istruzione col sollazzo, di non istancare lo spirito
con una esattezza indiscreta, con una regolarità troppo spinta.
la quale fallisce al suo scopo, di rendere gradevole lo studio
(1) Fénélon avvisa che le prime imagini sono le più profonde, perchè
il cervello de’ fanciulli, in cui vengono stampate, è ancora molle, e riguardi
il cervello stesso siccome il serbatoio delle immagini. Questa opinione, che
pure era ancora comunissima a’ suoi tempi, non regge alla critica, sin
perchè le innumerevoli immagini non possono capire nel piccolo spazio cr
rebrale senza distruggersi successivamente, sia perchè le immagini delle
cose visibili si formano e si imprimono nell’occhio e non nel cervello.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. DIÙ
LI
t=1310) GIUSEPPE ALLIEVO
sotto l'apparenza della libertà e del piacere, lasciando le lezioni
cattedratiche, quando si possono dare ammaestramenti in forma
di piacevoli conversazioni e sopportando che qualche volta in-
terrompansi le lezioni con brevi motti piacevoli.
Filosofo e pensatore quale egli è, Fénélon intende che nel-
l’ammaestrare i fanciulli si rispetti in essi la ragione, a mano
a mano che la loro intelligenza progredisce. Checchè loro in-
segnate, mostratene l'utilità e l’uso relativamente alla vita pra-
tica e sociale. Rendete ad essi ragione di tutto ciò, in cui li
istruite: ed additate loro uno scopo vero e gradevole, che li
sorregga nelle fatiche dello studio: ragionate con essi sui bi-
sogni della loro educazione (1). Insieme colla ragione rispettate
anche la libertà dei fanciulli. Non chiudete loro il cuore con
un’ autorità rigida, austera, inflessibile; ma fatevi amare, e
siano liberi con voi sicchè lascino scorgere senza timore i loro
difetti. Non aggravateli di correzioni e di minaccie : esse vi to-
glierebbero la loro sincerità e confidenza, che sono la prima
guarentigia di una efficace educazione. Punite leggermente, il
men che si può, e di tal guisa, che il fanciullo provi il senti-
mento della vergogna e del rimorso e soffra paziente il castigo;
e quanto ai piaceri proprii di questa età fanciullesca, siano sem-
plici sì, che generino una gioia moderata, eguale e durevole,
non già tali da far scattare la molla delle passioni.
Le indoli infantili sono svariatissime e disparate. Sonvi
nature vivaci e sensitive, e sonvene delle indolenti, apatiche,
fredde e pressochè insensibili: quelle possono lasciarsi trascinare
a deplorabili traviamenti, ma corrette a tempo, rinsaviscono,
queste rimangono pressochè indifferenti e nulle all’opera edu-
cativa. Similmente si dànno indoli, che nella prima età appa-
riscono esteriormente graziose, amabili, promettenti, mentre lo
spirito interiore è destituito di forza e di energia ed abbisogna
perciò di essere eccitato ed educato con molta cautela ed ac-
corgimento. Il nostro autore crede alla corruzione originaria
della natura umana, ed avverte esservi fanciulli, che nascono
(1) Cosa singolare! Fénélon teologo e credente sostiene doversi ai fan-
ciulli render ragione di ciò, che loro s’insegna; Rousseau libero pensatore
e miscredente sentenzia che con essi non vuolsi ragionare.
lee ai nea di dn
Birre aio 2
STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 837
infinti, chiusi in se stessi, indifferenti a tutto tranne al loro
proprio tornaconto, verso i parenti fingono un amore, che non
hanno, e con una simulata arrendevolezza ai loro voleri fanno
credere di avere un animo mite e buono. Contro quest’indole
dissimulatrice ed infinta l'educazione ha ben ardua prova da so-
stenere. Il meglio si è lasciarle una grande libertà di manife-
starsi, e non imprendere di correggerla se prima non è cono-
sciuta a fondo.
Un altro notevole tratto dell’indole infantile è il suo amore
appassionato pei racconti ameni ed attraenti. Facciamo tesoro
di questa tendenza narrando favolette istruttive e dilettevoli,
avventure immaginarie e reali, in modo vivo ed animato sì da
tenere sempre desta la curiosità dei fanciulli, ed avvezziamoli
a raccontare essi stessi così che imparino il miglior modo di
fare una narrazione. L'autore addita nella storia sacra la fonte
più pura, più ampia e più svariata, da cui vanno attinti i rac-
conti per la puerizia segnatamente in servizio dell'istruzione re-
ligiosa, essendochè l'origine e lo sviluppo della religione giudaica
e cristiana hanno il loro fondamento nei fatti storici.
Venendo all’istruzione della mente, l’autore esordisce dal-
l’istruzione religiosa ed afferma doversi volgere con dolcezza il
primo uso della ragione infantile a conoscere Dio. Trattando
questo argomento, egli si mostra ad un tempo filosofo e cre-
dente, affermando che questo insegnamento deve abbracciare ad
un tempo ed in bell’armonia la conoscenza di Dio e la cono-
scenza dell'anima umana. È questo un concetto nuovo ed origi-
nale, come ha originalità e novità il metodo da lui proposto per
tale ammaestramento. Come è manifesto, è una specie di studio
psicologico quello, che qui si consiglia: però non si tratta punto
di una psicologia scientifica ed astratta. “ Nulla di peggio, che
il lanciare una fanciulla nelle sottigliezze della filosofia: bisogna
ristringersi a rendere chiaro e sensibile ciò, che ella prova e
dice tutti i giorni ,. Una certa qual vaga intuizione della di-
stinzione che corre tra l’anima ed il corpo ella già la possiede
per natura e senza sforzo di mente: si tratta di chiarire questa
confusa intuizione, di convertirla in una vera persuasione, av-
vezzando la fanciulla ad attribuire al corpo quello, che gli ap-
partiene, all'anima quello, che le è proprio, e giovandosi a tal
uopo di imagini sensibili, di osservazioni e di raffronti fra cose
838 GIUSEPPE ALLIEVO
notissime, di conversazioni semplici e piane, senza ombra di sot-
tigliezze. Così essa a poco a poco giungerà a conoscere, che
l’anima è assai più nobile e preziosa del corpo, in cui alberga,
già find’ora intravedendo che non può finire come finisce la ma-
teria, e dall'anima umana, che è spirito, s'innalzerà ad un giusto
concetto di Dio, che è spirito infinito. A me sembra giustissimo
questo pensiero di Fénélon, che vuole insieme accoppiata la co-
noscenza di Dio colla conoscenza dell’anima umana, essendochè
la religione essenzialmente dimora in un rapporto di intelligenza
e di amore tra l’anima e Dio. Quindi si renderebbe alla scienza
ed all'arte dell’educare un segnalato servigio, se, seguendo il
concetto dell'autore, si studiasse in tutti i suoi particolari il
metodo conveniente a tale scopo.
In che va riposta la coltura scientifica. propria della donna?
S'intende da sè, che essa va istruita corrispondentemente alla
missione, che deve adempiere secondo l’intendimento della na-
tura, giusta l’antico adagio: Non scholae, sed vitae discendum.
Quindi l’autore scrive, che “ la scienza delle donne, come quella
degli uomini, deve ristringersi a renderle istrutte di quanto
richiedono i loro doveri: la differenza delle loro occupazioni deve
essere pur quella del loro studi , (cap. 11). Ciò posto, egli ri-
pone i doveri e la missione della donna, nell’educazione de’ suoi
figli, nel governo dei domestici, nel reggimento economico della
casa e nella buona amministrazione degli affari domestici: per
conseguente la cerchia de’ suoi studi deve abbracciare tutte
quelle conoscenze, che sono richieste all'adempimento di quel
suo triplice compito. La donna è fatta per la famiglia, non per
la vita pubblica; sappia adunque quanto occorre per rispondere
all’ideale della famiglia.
L'educazione de’ proprii figli importa, che la madre studii
e conosca per bene l’indole e l'ingegno di ciascuno de’ suoi
bimbi, le inclinazioni, le attitudini per prevenire e reprimere le
passioncelle nascenti ed informarli al retto ed all’onesto. Stu-
diare i proprii fanciulli è, per Fénélon e per ogni assennato
pedagogista, sacro dovere di madre. Per me, lo studio della na-
tura infantile mi è sempre parso bello, attraente, fecondo di
considerazioni sempre nuove ed interessanti. Il bimbo desta in
chi attentamente lo contempla una folla di care impressioni
frammiste a gravi pensieri. La sna innocenza, l’amabilità, la
PL POE E
E II VE PE CO
STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 839
grazia, l’ingenuità, il sorriso ci commuovono soavemente, mentre
non possiamo reprimere un certo qual sentimento di pena e di
mestizia osservando in esso certi scatti di gelosia e di iracondia,
certe passioncelle, che mostrano come in fondo alla sua anima
innocente stia appiattato un germe corrompitore. Nel bimbo ci
sì presentano le prime traccie di una vita umana, che va via
via dispiegandosi e che forse col tempo stamperà nella storia
una gloriosa impronta; ma quella vita si mostra velata da una
certa quale ombra di mistero. Poichè egli è ignaro della sua
destinazione, inconsapevole delle miserie della vita; e quando
passerà un giorno dalle angustie delle pareti domestiche nel gran
mondo sociale, che ne sarà di lui? Noi non lo sappiamo; noi
ignoriamo quanto lui il suo avvenire, e chi sa che la sua esi-
stenza venga troncata nel suo sbocciare !
Anche nella conoscenza dell’economia domestica vuol essere
ammaestrata la fanciulla, la quale assai per tempo debbe impa-
rare ad essere buona massaia senza trascorrere sino all’avarizia,
a mantenere la pulitezza, il buon gusto, l’ordine nell’interno della
casa, a preferire la conveniente semplicità alla ricercatezza ed
agli ornamenti superflui. Giova pur anco che sappia alcunchè
delle principali disposizioni del codice per condurre a buon esito
e secondo legalità l’amministrazione de’ proprii interessi. Quanto
alle altre materie di studio, la fanciulla impari a leggere e scri-
vere correttamente, conosca l’ortografia e la grammatica, ap-
prenda praticamente e senza regole la lingua patria, sappia le
quattro regole dell’aritmetica e le loro pratiche applicazioni.
A questo punto l’autore ferma la coltura mentale essen-
senzialmente necessaria alla donna. Forza è riconoscere che è
ben poco, è oltre modo modesto il sapere scientifico, che egli
esige -da una fanciulla educata a dovere. Sono all'incirca gli
stessi confini segnati dal Fleury agli studi delle donne. Però vi
corre tra i due pedagogisti un notevole divario sotto un altro
punto di vista. Il Fleury ha tracciato al sapere della fanciulla
un cerchio inflessibile, e non vuole che si spinga più in là: egli
imperiosamente bandisce siccome vana curiosità, siccome stru-
mento di superbia gli studi della letteratura e della poesia, del
latino, della storia e geografia. Fénélon invece, mentre è irre-
movibile nell’esigere siccome assolutamente necessario alla donna
senza eccezione le poche materie di studio testè divisate, ab-
840 GIUSEPPE ALLIEVO
bandona poi alla libera scelta ed al genio delle giovani, che
si sentono da ciò, gli studi della letteratura, della poesia, della
storia, del latino, della musica e della pittura. Però egli si af-
fretta ad avvertire, che in ciò vuolsi procedere con sommo ac-
corgimento e cautela. Fénélon era grande scrittore, innamorato
del bello letterario, fervido cultore dell’antico classicismo, ep-
però non poteva non fare buon viso al culto della letteratura
e dell’arte anche per l'educazione della donna; ma ad un tempo
era zelante ministro del Cristianesimo e la sua pura coscienza
di sacerdote sentiva aleggiare in quell’ambiente certo qual spi-
rito di profana mondanità, che offende l’anima delicata di una
fanciulla, e cerca di scongiurarne i pericoli. Concede la lettura
di libri profani, ma di quelli soltanto, che non hanno alcunchè
di nocivo per le passioni. La storia della Grecia, di Roma, della
Francia eleva l’anima a concetti sublimi, purchè si scansi la
vanità e l’affettazione. Si impari il latino, perchè è lingua della
Chiesa e schiude il senso delle parole dell’ufficio divino, a cui
si assiste; ma bando allo studio dell’italiano e dello spagnuolo :
“ queste due lingue non servono che a leggere libri pericolosi
e capaci di accrescere i difetti delle donne , (cap. 12). Libri di
eloquenza se ne leggano, ma con sobrietà, e tali che non per-
vertano il sentimento dell'amore. Si coltivi la poesia e la mu-
sica, se così piace; ma sia musica e poesia cristiana. Così da
per tutto egli scorge un pericolo, e ne addita il provvedimento.
Ad ogni modo è lodevole il suo intendimento, il quale mira a
tutelare il sentimento morale e religioso, che egli pone in cima
ad ogni coltura. Ed è pure giustissima ed assennata la distin-
zione, che egli ha fatto, tra gli studi necessarii ed assoluta-
mente essenziali alla coltura della donna, e gli studi liberi e
geniali, rispondenti alle attitudini particolari delle fanciulle.
Sempre rispettando la libertà personale, egli consiglia che la
educazione di una giovinetta risponda alla sua condizione so-
ciale, ai luoghi, dove le toccherà passare la vita, alla professione,
che abbraccierà probabilmente, ed espone assennate riflessioni
secondochè essa sarà col tempo o madre di famiglia, o religiosa,
giacchè pur troppo a’ suoi tempi non era riservata alla fanciulla
altra scelta, che o il matrimonio od il convento.
L’autore consacra due capitoli, il nono ed il decimo, a met-
tere in rilievo i molti difetti consueti al sesso femminile, quali
STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 841
sono la timidità e la mollezza, le piccole gelosie e le troppo te-
nere amicizie, le adulazioni e la loquacità, l’astuzia e la scaltrezza,
la vanità della bellezza, degli ornamenti e delle acconciature
alla moda. Egli spiega una finissima osservazione nel descriverli
e molto accorgimento nel proporne i rimedii, ponendo in chiaro
segnatamente le tristi conseguenze; ma si può muover que-
stione, se tali difetti siano per necessità di natura insiti nel
sesso femminile; poichè in tal caso ogni provvedimento rivolto.
a distruggerli tornerebbe vano, e solo si dovrebbe dar opera
nel rivolgerli a buon fine. Egli stesso per correggere la vanità
degli ornamenti consiglia un rimedio, che rivela il suo grande
amore per la classica antichità, ma che potrebbe riuscire ad uno
scopo affatto opposto. “ Vorrei far conoscere alle giovinette la
nobile semplicità, che scorgesi nelle statue e nelle altre imagini,
che ci rimangono delle donne greche e romane. Vedrebbero come
i capelli annodati semplicemente dietro la fronte e i panneg-
giamenti ondeggianti a lunghe pieghe riescano belli e maestosi ,
(cap. 10). Una semplicità descritta e contemplata con tanta com-
piacenza diventa molto pericolosa e può fomentare quel senti-
mento di vanità, che si vorrebbe comprimere.
L'autore chiude il suo libro muovendo a se medesimo la
dimanda se il sistema educativo da lui proposto possa essere
praticato dalle madri di famiglia e dalle istitutrici private, o
non sia forse un ideale impossibile ad essere tradotto in atto;
e giudicando egli medesimo il suo libro risponde, che la via da
lui tracciata, per lunga che appaia, è la più breve, perchè con-
duce diritto ove si vuole andare, e che le sue proposte non
esigono un discernimento ed un ingegno straordinario per ese-
guirle. Ed ha perfettamente ragione. Il suo libro non è invi-
luppato in sottili astrattezze e disquisizioni scientifiche, ma porta
l'impronta di una profonda saggezza naturale, di una osserva-
zione verace, di una schietta naturalezza, di un ragionare serio
e misurato, e quel che è più, è concepito e dettato con una
squisita bontà di animo, la quale ben risponde al cuore della
donna. I fatti vennero a confermare col suggello dell’esperienza
il suo giudizio. La illustre educatrice Maintenon modellava sulla
pedagogia di Fénélon l'istituto femminile di Saint-Cyr da essa
fondato, ed il felice successo mostrò di avere scelta la giusta
via; ed un’altra celebre pedagogista di quel secolo, la marchesa di
842 GIUSEPPE ALLIEVO
Lambert, scriveva a Fénélon: “ Io ho trovato in Telemaco i pre-
cetti, che ho dati a mio figlio; e nell’Educazione delle figlie i con-
sigli, che ho dati alla mia , (Opere morali, Parigi, 1843, pag. 311).
Fénélon scrisse il suo libro segnatamente in servigio delle
famiglie più o meno facoltose ed agiate, giacchè in riguardo
alla educazione delle figlie egli preferiva la famiglia agli istituti
ed ai collegi; ma deplorava la grande difficoltà di trovare buone
'istitutrici e la trascuratezza dei parenti nell'adempimento di un
compito sacrosanto. Nella maggior parte delle case egli non
vede che confusione, cangiamenti, madri che trascorrono la vita
in divertimenti e disdicevoli conversazioni, parenti, che fanno
assaporare ai loro fanciulli il piacere delle passioni sinchè tor-
nino insipidi quelli dell'innocenza. “ Quale formidabile scuola per
la tenera età! ,. L'autore parlava della società de’ suoi tempi;
ma oggidì, io dimando, la donna è essa universalmente e sag-
giamente educata in guisa, che apparisca la vera educatrice e
maestra delle sue figlie?
L’opuscolo dell'autore non contiene certamente dell’educa-
zione femminile una teoria ampliata e compiuta in ogni sua
parte, ma egli ne sbozzò con mano maestra il disegno generale;
e sebbene in alcune pagine si riscontri un colorito locale do-
vuto alle condizioni sociali del suo tempo, tuttavia mostra la
salda impronta della scienza, siccome quella, che posa su cono-
scenze psicologiche, le quali hanno un carattere universale. Ber-
nardino di Saint-Pierre lo teneva in tanta estimazione, che di-
chiarò “ di avere commesso uno sbaglio nello imprendere a
serivere sull'educazione della donna, dopochè Fénélon aveva
dettato un buonissimo libro intorno l’educazione delle figlie ,.
Degna appendice dell’opuscolo di Fénélon sono i suoi “ Avver-
timenti ad una ragguardevole donna (la duchessa di Beauvilliers)
per l'educazione di sua figlia ,. Essi sono informati dai mede-
simi concetti e ripieni di saggi consigli. “ Non la impaurite (la
figlia) della pietà mostrandola a torto troppo severa. Lasciatele
una libertà onesta ed una gioia innocente: avvezzatela a star
lieta eccetto che nella colpa, ed a riporre il piacere lungi dai
divertimenti pericolosi. Procurate farle amar Dio. — Fatele
vedere quanto sia dolce, quanto accondiscenda ai nostri bisogni,
quanta pietà egli abbia delle debolezze nostre, e addimesticatela
a lui siccome a Padre tenero e compassionevole ,. Di proposito
STUDIO STORICO CRITICO DI PEDAGOGIA FEMMINILE 843
ho riferito questo passo di Fénélon per dimostrare quanto sia
falso su questo punto il concetto dell’autore dell’ Emilio intorno
il Cristianesimo. “ A forza di spingere all'eccesso tutti i doveri,
il Cristianesimo li rende impraticabili e vani; a forza di vietare
alle donne il canto, la danza e tutti i trastulli del mondo, le
rende sgarbate, brontolone, insopportabili nelle loro case , (1).
(1) Rousseau, Émile, Paris, 1881, tom. IV, pag. 45.
L’ Accademico Segretario
ErmanNoO FERRERO.
844
CLASSI UNITE
Adunanza del 17 Maggio 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL ACCADEMIA
Il Presidente annuncia la morte del prof. Luigi Cossa, Socio
corrispondente della Classe di scienze morali, storiche e filolo-
giche, colle seguenti parole:
Egregi Colleghi,
Debbo annunziarvi la perdita gravissima fatta dalla Classe
di scienze morali, storiche e filologiche per la morte del nostro
Corrispondente comm. nobile Lurei Cossa, professore di Eco-
nomia politica nella R. Università di Pavia.
Questa volta il dolore per la perdita dell’uomo di scienza
viene da noi ad essere anche più vivamente sentito, in quanto
che esso trovasi associato al dolore ed al lutto di famiglia del
nostro Vice-Presidente Alfonso Cossa, il quale ha perduto nel
Lursi il suo fratello primogenito e lo ha perduto in modo pres-
sochè improvviso, senza aver neppure la possibilità di dargli
l’ultimo saluto.
Il collega CoexnertI, che fu stretto al Lurer Cossa da vin-
coli di amicizia e da comunanza di studii, dirà a suo tempo
della vita e delle opere di lui.
Io mi limiterò unicamente a ricordare che il Cossa fu
senza alcun dubbio uno dei più illustri cultori degli studii eco-
nomici e sociali in Italia e uno dei più benemeriti per il pro-
gresso e la diffusione dei medesimi. Egli visse unicamente per
la scienza e per l'insegnamento e non si lasciò distrarre da cure
845
politiche ed amministrative. Egli accoppiò due qualità, che di
rado si incontrano insieme riunite. Da una parte conobbe tutta
la letteratura antica e contemporanea negli studi economici e
sociali ed ebbe una larghissima erudizione, come lo comprova
la sua “ Introduzione allo studio dell'Economia politica ,, in cui
si dimostra informato di tutti gli autori, che scrissero di cose
economiche dal tempo in cui si iniziò quella scienza fino a
questi ultimi anni. Dall’altra egli riuscì a sintetizzare e a coor-
dinare in brevi volumi, mirabili per ordine, chiarezza, conci-
sione ed esattezza, i principii fondamentali dell’ Economia po-
litica e sociale e della scienza della finanza.
L'importanza e il merito dei suoi lavori è dimostrato dal
numero delle edizioni che se ne fecero, dalla traduzione di al-
cuni di essi in pressochè tutte le lingue di Europa, e dall'alta
fama a cui egli pervenne, in Italia ed all’ estero, come lo di-
mostra il fatto che fu ascritto a un numero grande di Acca-
demie nazionali ed estere.
Egli poi non si limitò a diffondere cogli scritti la scienza
da lui professata, ma ne aiutò il progresso colla istituzione di
premi, ed attese con grande amore a formare e ad educare
degli allievi e dei discepoli, che concorrevano per perfezionarsi
negli studi economici e sociali alla Università di Pavia, dove
trovavano presso il prof. Lurer Cossa il sussidio di una ricchis-
sima biblioteca, e potevano da lui apprendere quel metodo ri-
gorosamente scientifico, a cui egli sempre si attenne nelle pro-
prie investigazioni. Infatti buon numero di professori di Economia
politica delle nostre Università si considerano come allievi di
Lui; ed egli ebbe anche il conforto per Lui grandissimo di la-
sciare avviato allo stesso ordine di studii il suo figlio Emilio,
il quale già ebbe occasione di dare buon saggio di sè e di dimo-
strare attitudine a seguire e a continuare le tradizioni e l'esempio
del padre.
Il prof. Lurer Cossa fu nominato Socio corrispondente del-
l’Accademia per la Classe di scienze morali, storiche e filolo-
giche il 14 Marzo 1886 e decedette in Pavia il 10 Maggio 1896
nell'età di anni 65.
La Presidenza ha pregato il prof. GoLeI, nostro Corrispon-
dente, Rettore della R. Università di Pavia, di presentare a
nome dell’Accademia le condoglianze alla famiglia di lui, ed ora,
846
in occasione di questa Adunanza dell’Accademia a Classi unite,
propone di inviare il seguente telegramma alla famiglia Cossa:
“ L'Accademia delle Scienze di Torino, riunita oggi in
seduta plenaria, commemorando il Socio corrispondente nobile
Lurer Cossa, mentre deplora la gravissima perdita fatta dalla
scienza e dall’insegnamento, associasi al dolore ed al lutto del
suo Vice-Presidente e di tutta la famiglia Cossa ,,.
L'Accademia approva.
Gli Accademici Segretari
ANDREA NACCARI.
Ermanno FERRERO.
847
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA
Dal 26 Aprile al 10 Maggio 1896.
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio;
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono.
* Atti della R. Accademia medico-chirurgica di Napoli. Anno XLIX,
N. s., n. V. Napoli, 1895; 8°.
* Atti della R. Accademia dei Lincei, serie V. Memorie della Classe di
Scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. Roma, 1896; 4°.
* Beitrige zur geologischen Karte der Schweiz. N. F. 5 Lief. Bern, 1896; 4°
(dalla Commiss. Geologica Svizzera).
Bollettino della R. Scuola Superiore d’Agricoltura in Portici; N.1, 3-8,
10-12, 15, 17, 21, 24-27.
* Bulletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College.
Vol. XXIX, 1. Cambridge, 1896; 8°.
* Comptes-rendus des séances de l’Académie des Sciences de Cracovie.
Février, Mars, 1896; 8°.
* Jahrbuch iiber die Fortschritte der Mathematik. Bd. XXV, Heft 1.
Berlin, 1896; 8°.
* Journal of the Asiatie Society of Bengal. Vol. LIV, Part II, Natural
Science, n. 5. Calcutta, 1896; 8°.
* Proceedings of the Royal Society. Vol. LIX, n. 356. London, 1896; 8°.
* Proceedings of the Zoological Society of London for the year 1895.
Part IV. London, 1896; 8°.
* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Vol. XXIX,
fasc. VIII. Milano, 1896; 8°.
Resoconto della Cassa di Risparmio di Torino per l’Esercizio 1895. Torino,
1896; 4°.
* Transactions of the Zoological Society of London. Vol. XIV, par. 1. 1896;4°.
* Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXIV, p. v-vir.
1896.
* #ypHaJb pyCckaro sI8mro-xnuMMuecgaro 060mecrBa npu ImmepaTopcroMB
C. Ilerep6ypreroms VanBepenterb; t. XXVIII, n. 2. 1896.
848 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
Caldarera (F.). Primi fondamenti della geometria del piano. Palermo-
Torino, 1891; 8° (dall’A.).
— Introduzione allo studio della geometria superiore. Palermo, 1892; 8° (Id.).
— Trattato di trigonometria rettilinea e sferica. Palermo, 1896; 8° (Id.).
Folgheraiter (G.) e Keller (F.). Frammenti concernenti la (Geofisica dei
pressi di Roma, 1895-96, ni 1-3; 8° (Id.).
Staggemeier (A.). Le millionième de la surface terrestre représenté comme
unité convenable pour l’estimation des étendues géographiques. Co-
penhague, 1896; 8° (/4.).
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche
Dal 3 al 17 Maggio 1896.
* Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. T. LIV, disp. 5*.
Venezia, 1895-96: 8°.
* Atti della R. Accademia economico-agraria dei (Georgofili. 4* serie;
vol. XVIII, disp. 3-4; XIX, 1. Firenze, 1895-96; 8°.
* Bibliotheca Indica: A Collection of Oriental Works published by the
Asiatic Society of Bengal. New series, n. 866, 868-871. Calcutta, 1896; 8°.
** Biograplfie (Allgemeine deutsche). Lfg. 201. Leipzig, 1896; 8°.
* Ceské Akademie Cisare Frantiska Josefa pro védy, Slovesnost a Uméni.
Almanach. Rotnik VI.
Historicky Archiv. Cislo 7.
Rozpravy. Trida I (Pro védy filosofické, pravni a historické). Rotnik IV.
— Trida III (Filologickà). Rocnik IV. n
Sbirka Pramentiv ku Ponznani literirniho Zivota v Céchach, na Mo-
rave a v Slezku. e È -
, Skupina I. Rada 2, Cislo 2; Skupina Druhà, Cislo 2; Skupina Treti
Cislo 1.
Vestnik. Roénik IV. Cislo 4-9.
Celakovsky (J.). Privilegia krilovskych Mést Venkovskych z let
WS O: die
Winter (Z.). Zivot Cirkevni v Céchich. Kulturné-historicky obraz z
XV a XVI. Stoleti svajek prvni. Praze, 1895; 8°.
* Eranos. Acta philologica suecana. Vol. I, fasc. 1. Upsaliae, 1896; 8° (Dat-
V Università d' Upsala). i
* Nederlandsch-Indisch Plakaatboek, Deel XIV,1804-1808. Batavia, 1895; 8°.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 849
* Preisschriften gekrònt und her. von der fiirstlich Jablonowskischen Ge-
sellschaft. XXX. Leipzig, 1895; 8°.
** Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia. Vol. IV;
pp. 4417-4859. Parte suppl. vol. I; 8°.
* Tijdschrift voor Indische Taal-, Land- en Volkenkunde, uitgegeven door
het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen, ete.;
Deel XXXVIII, 6; XXXIX, 1. Batavia, 1895; 8°.
* Chroust (A.). Abraham von Dohna. Minchen, 1896; 8° (dall’Accad. delle
scienze).
Cipolla (C.). Verona e la guerra contro Federico Barbarossa. Venezia, 1895; 8°.
— Frammento di un codice perduto degli Armmnales veronenses di Parisio da
Cerea. Verona, 1896; 8°.
* Dagh-Register gehouden int Casteel-Batavia vant passerende daer ter
plaetse als over geheel Nederlandts-India. Anno 1666-67. Batavia, 1895;
8° (dalla Società di Arti e Scienze di Batavia).
* Lege statute regulamente si decisiuni ale Academiei romane. Bucuresci,
1896; 16°.
Nota (A.). Giuseppe Mazzini e il risorgimento italiano. Sanremo, 1896; 16°.
* Petricelcu-Hasdeu (B.). Dictionarul limbei istorice si poporane a Ro-
manilor. T. III, fasc. IV. Bucuresci, 1896 (dall’Accademia Rumena).
* Pirkheimers (W.). Schweizerkrieg. Miinchen, 1895; 8° (dall’Accademia di
Monaco).
** Sanuto (M.). I Diarii, t. XLVI, fasc. 197. Venezia, 1896; 4°.
Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi.
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CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
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Sono presenti i Soci: Cossa, Vice-Presidente dell’Accademia,
D’Ovipro, Direttore della Classe, Brzzozero, FERRARIS, SPEZIA,
GrBeLLI, Giacomini, CAMERANO, SEGRE, VoLTERRA, JADANZA, Foà,
GuarescHI e Naccari Segretario.
Il Presidente partecipata alla Classe la morte del Socio Na-
zionale non residente Luigi Federico MeNABREA marchese di
Val Dora, pronuncia le seguenti parole:
Nato a Chambéry il 4 settembre 1809, Luigi Federico
MrexABREA marchese di Val Dora fu eletto Socio nazionale re-
sidente di questa Accademia, per la Classe di scienze fisiche,
matematiche e naturali, il 17 febbraio 1839, prima ancora di
aver compiuto i trent'anni. Alla fine del 1867 chiamato fuori da
Torino dalla sua carriera politica e diplomatica, passò nella ca-
tegoria dei Socii non residenti e continuò sempre ad essere
tale. Morì nella sua città nativa di Chambéry in età di anni 87,
il 25 corrente maggio.
Della vita e delle opere di lui parlerà con competenza il
collega Volterra. A me basterà il ricordare che il nome del
marchese Luigi Federico Menabrea ebbe una parte importante
nella storia delle varie fasi del Risorgimento nazionale: che
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 58
852
egli ebbe la fiducia di tre sovrani, cioè di Carlo Alberto, Vittorio
Emanuele II e Umberto I; che egli continuò a servire la patria
sua fino a questi ultimi anni, e la servì come scienziato, come
uomo di guerra, come uomo di stato e come diplomatico. Egli
fu una di quelle tempre eccezionali, a cui può esser dato di es-
sere uomini di scienza e di azione ad un tempo, e che conser-
vano fino all’ultimo il vigore del corpo e la lucidezza della mente.
L'Accademia deve chiamarsi onorata di averlo avuto a suo
Socio fin dai suoi giovani anni, e vuolsi anche aggiungere che
egli si ricordò sempre con riconoscenza di questa Accademia, che
accogliendolo giovane ancora nel suo seno contribuì a rendere
celebre il suo nome. In questi ultimi anni, allorchè cominciò
a sentire bisogno di riposo, egli si recò più volte alla nostra
Accademia, si informò e si interessò dello stato presente di
essa, e mandò perfino un manoscritto del compianto suo fratello
Leone, acciò se ne iniziasse la pubblicazione dall’altra Classe,
incaricandosi egli stesso di premettervi una prefazione.
La Presidenza incaricò il Presidente dell’Accademia delle
Scienze di Chambéry di rappresentare l'Accademia ai funerali,
ed ora si riserva di esprimere a nome della Classe i sensi della
più profonda condoglianza alla vedova S. E. marchesa Menabrea
e alla famiglia.
Fra le pubblicazioni inviate in dono il Segretario segnala
una Memoria del Socio Corrispondente J. HoPKINson scritta in
collaborazione col sig. E. WiLson, “ Sulle macchine dinamo-elet-
triche a correnti alternate ,.
Il Segretario legge la lettera diretta dal Vice-presidente
Cossa, per ringraziare la Classe delle condoglianze fattegli in
occasione della morte del fratello suo Lureir Socio Corrispon-
dente dell’altra Classe, e il Presidente delle parole di commemo-
razione dette nella seduta delle Classi Unite del 17 maggio 1896.
Vengono accolte per gli Atti le seguenti Note:
1° “ Alcune osservazioni sulla difenilurea e sulle ditolil-
uree »s, nota del Socio Icilio GUARESCHI.
2° “« Intorno alla determinazione teorica della gravità alla
superficie terrestre ,, nota del Prof. Paolo Pizzetti, presentata
dal Socio D’Ovipro.
853
3° “ Sulla rigenerazione dell’ epitelio muciparo del tubo
gastro-enterico degli anfibi ,, nota del Dott. Cesare SAcERDOTTI
presentata dal Socio Brzzozero.
?
4° “ Sull’integrazione dell'equazione differenziale A*A*= 0 ,,
nota dell'Ing. Emilio ArLmansI, presentata. dal Socio VoLTERRA.
Viene accolta per l’inserzione nei volumi accademici la
memoria del Socio Nicodemo JADANZA intitolata: “ Per la storia
del cannocchiale ,.
Vengono affidate all’ esame di speciali commissioni le
Memorie seguenti:
1° “ Endoderma e periciclo nel genere T'rifolium in rap-
porto colla teoria della Stelia di V. Thieghem e Douliot ,, memoria
del Dott. Saverio BeLLI, presentata dal Socio GIBELLI.
2° “ Ricerche batometriche e fisiche sul lago d’Orta ,, me-
moria del Dott. Giovanni De Agostini, presentata dal Socio
SPEZIA,
3° “ Osservazioni di stelle variabili eseguite a Torino e a
Soperga », memoria del Prof. Francesco Porro, presentata dal
Socio NAccARI.
Radunatasi in seduta privata, la Classe elegge a Soci re-
sidenti, salvo l'approvazione sovrana, i professori Camillo GuipI
e Michele FiLETI.
—P ATER
854 ICILIO GUARESCHI
LETTURE
Alcune osservazioni sulla difenilurea e sulle ditoliluree;
Nota del Socio ICILIO GUARESCHI.
In una nota pubblicata nei “ Comptes rendus , (1) i signori
Cazeneuve e Moreau descrivono la difenilurea, la diparatolilurea
e la diortotolilurea, che ottengono dal cosidetto carbonato di
6TT4 3
guajacolo co p0ri ORE per l’azione, rispettivamente, dell’a-
nilina, paratoluidina ed ortotoluidina.
Questo metodo non è nuovo perchè, ad esempio, Ecken-
roth (2) ottenne la difenilurea, la diorto e diparatolilurea e la
dinaftilurea per l’azione rispettiva dell’anilina, delle toluidine e
della naftilamina sul carbonato di fenile CO(0C*H?).
Ma ciò, in fondo, poco importa, è sempre una reazione che
se ben studiata può avere qualche interesse. Ciò che invece io
credo utile far notare si è che alcuni dati sulle proprietà di
questi tre corpi descritti dai signori Cazeneuve e Moreau, non
sono esatti.
Ma vi ha di più; reca meraviglia l’asserzione esplicita che
leggesi in un’ altra nota del Sig. Cazeneuve (3) secondo la quale
le uree aromatiche simmetriche che egli, insieme col Sig. Moreau,
ottiene colla para ed ortotoluidina, cioè la dipara e la diorto-
tolilurea, siano composti nuovi, non mai descritti da nessun chi-
mico. Egli invero così si esprime: Le carbonate de gaiacol m'a
(1) © Comptes rendus ,, 1896, t. 122, pag. 1130.
(2) “ Berichte d. deut. chem. Gesell. ,, t. XVIII, pag. 516 e “ Bull. Soc.
Chim. de Paris ,, (2) 1886, T. 45, pag. 618.
(3) “ Comptes rendus ,, t. 122, pag. 999; “ Journ. de Pharm. et de
Chim. ,, 1896 (6), t. III, pag. 482; e “ Bull. Soc. Chim. ,, (3) 1896, t. XV, pag. 714
(fasc. del 5 giugno).
ALCUNE OSSERVAZIONI SULLA DIFENILUREA, ECC. 855
permis de préparer très facilement la diphénylurée, en le chauffant
avec l’aniline, puis des urées aromatiques symétriques non décrites,
dérivées de l’orthotoluidine et de la paratoluidine. Da quanto rife-
rirò più innanzi si vedrà invece che sono composti, conosciuti da
oltre trenta anni e furono ottenuti e studiati da molti chimici.
Questi tre corpi: difenilurea, diortotolilurea e diparatolil-
urea si formano in un gran numero di reazioni, capitano spesso
per le mani dei chimici ed è bene che le loro proprietà siano
descritte con esattezza.
Essendochè anch'io, come molti altri chimici, ho avuto
occasione di avere sotto mano queste sostanze, credo utile ret-
| tificare alcuni dati di fatto che trovansi nel lavoro sovraccen-
nato dei due chimici francesi.
Di tutti i numerosi lavori riguardanti queste tre sostanze,
io non accennerò qui che quelli che hanno importanza pel mio
scopo.
La diorto e la diparatolilurea, insieme alla difenilurea, sono
descritte anche nella “ Enciclopedia di Chimica , di Selmi, 1877,
Nol, pp. 755.
Difenilurea. — I signori Cazeneuve e Moreau trovano che
la difenilurea pura fonde a 234°—235° ed a questo riguardo
fanno specialmente notare che il punto di fusione da essi tro-
vato è esatto e che l'antico di Hofmann, 205°, e l’altro 225°
di Wilm e Wischin: Sont absolument erronées; elles doivent s'ap-
pliquer à un corps impur. E a questo scopo citano il Wurtz,
“ Dictionnaire ,, t. II, pp. 880, quasi che non si conoscesse
sulla difenilurea altri lavori all'infuori di quelli citati in que-
st'opera. Avrebbero, parmi, dovuto ricordare che già Buff (1) e
Weith (2) (nel 1869 e 1874) avevano da lungo tempo trovato
il punto di fusione esatto, 285°; punto di fusione confermato da
(1) L. Burr, © Berichte d. deut. hem. Gesell. ,, 1869, t. 2, pag. 499 e
“ Bulletin de la Soc. chim. de Paris ,, 1870, t. XIII, pag. 246. In questo
lavoro Buff fa notare che il punto di fusione 205° dato da Hofmann può
essere dovuto ad errore di stampa. i
(2) W. Weiru, “ Berichte ,, 1874, t. VII, pag. 14; e inoltre ivi, t. IX,
pag. 821.
856 ICILIO GUARESCHI
tutti i chimici che hanno avuto per le mani questo composto,
ed anch'io nelle mie ricerche sulle yidantoine sostituite trovai
sempre 235° (1). Rotermund (2) che ottenne nel 1875 la difenil-
urea dall’acido di benzidrossamico e trovò che fonde a 232°—2339,
fece notare appunto che i prodotti ottenuti da Hofmann (8),
e da Wilm e Wischin (4), dovevano essere impuri e cita Buff e
Weith come quelli che trovarono un punto di fusione vicino
a quello ch'egli aveva trovato: Nietzki nel 1877 (5) trovò 233°.
Michler (6) che preparò la difenilurea non simmetrica fusibile
189° e la confrontò colla difenilurea simmetrica, osservò anche
egli, per questa, 235°.
Hentschel (7) trovò il punto di fusione 235°; questo lavoro
di Hentschel è anch’esso riassunto in un giornale francese (8)
ove è dato precisamente il punto di fusione 235°. In alcuni Trat-
tati è assegnato 260° come punto di fusione dato da Hentschel,
mentre invece 260° è il punto di ebollizione.
A. Barr (9) confermò anch'egli il punto di fusione 235°;
così pure molto prima anche G. Bender (10) che preparò la di-
fenilurea dall’etere ortocarbonico coll’anilina.
Nell’ “ Enciclopedia Chimica , di Selmi 1877, vol. X, p. 734,
sono riportati i punti di fusione 205°, 225°, 235° e 233° e Pietro
Spica viste queste numerose differenze volle anch'egli determi-
nare il punto di fusione della difenilurea e trovò 233°—234°.
Infine, senza volere sovrabbondare in citazioni bibliografiche,
dirò che tutti i migliori trattatisti, anche elementari, quali il
Richter, l’Erlenmeyer e le tre edizioni del Beilstein, dànno il
punto di fusione 235°.
(1) R. Accademia di Medicina di Torino, luglio 1891; “ Chem. Centralbl. ,,
1891, II e “ Berichte d. deut. chem. Gesell. ,, 1892, Ref., pag. 327.
(2) “ Ann. d. Chem. ,, 1875, t. 175, pag. 261.
(3) “ Ann. d. Chem. ,, t. 70, pag. 188.
(4) “ Ann. d. Chem. ,, t. 147, pag. 161.
(5) “ Berichte ,, X, pag. 274 e “ Bull. Soc. chim. ,, 1877, t. 28, pag. 396.
(6) Mrcarer, “ Berichte ,, 1876, t.IX, pag. 396 e “ Bull. Soc. chim. ,,
1876, t. 26, pag. 455.
(7) “ Journ. f. prakt. Chem. ,, 1883, t. 27, pag. 498.
(8) “ Bull. Soc. chim. de Paris ,, 1884, t. 41, pag. 41.
(9) “ Berichte ,, 1886, pag. 1766.
(10) “ Berichte ,, 1880, pag. 699.
ALCUNE OSSERVAZIONI SULLA DIFENILUREA, ECC. 857
Diortotolilurea. — La diortotolilurea fu scoperta nel 1873
da G. Girard (1) che l’ottenne dalla ortotoluidina (allora deno-
minata anche pseudotoluidina) per l’ azione dell’ossicloruro di
. carbonio e per fusione con urea.
I signori Cazeneuve e Moreau (2) dànno il punto di fusione
219°—220° e eredono di avere essi scoperta la dtiortotolilurea.
Ma tutti i chimici che hanno studiato questa sostanza dopo il
1873, trovareno un punto di fusione più elevato. G. Lach-
mann (3) trovò 250°; Berger (4) confermò 250° e Neville e
Winther (5) trovarono 243°; poi A. Barr (6) 256°; E. Quenda (7),
che nel mio laboratorio ottenne la diortotolilurea come pro-
dotto secondario nella reazione fra la glicocolla e la ortotolilurea
fusibile a 185°, trovò sempre il punto di fusione 250°.
Si può notare che i lavori di Lachmann, Neville, Winther
e Berger, sono riassunti anche nel “ Wurtz, Dictionnaire ,,
1e° Suppl., pag. 1632, ove appunto per la diortotolilurea (od
ortodicresilurea) si dà il punto di fusione 250° e pel composto
meta (o metadicresilurea) 217°.
Diparatolilurea. — La diparatolilurea fu scoperta nel
1863 (8) da E. Sell che l’ottenne in due modi: dissolforando la
diparatoliltiourea coll’ ossido di mercurio oppure scaldando la
monoparatolilurea.
I signori Cazeneuve e Moreau (9) trovarono il punto di
fusione 244°—245° e considerano il loro composto come nuovo.
(1) “ Berichte ,, 1873, t. VI, pag. 444.
(2) Loc. cit.
(3) “£ Berichte ,, 1879, XII, pag. 1350.
(4) “ Berichte ,, 1879, XII, pag. 1859.
(5) “ Berichte ,, 1879, XII, pag. 2325 e “ Bull. Soc. Chim. ,, 1880,
t. 34, pag. 588.
(6) “ Berichte ,, 1886, XIX, pag. 1766 e “ Bull. Soc. chim. ,, 1887, t. 47,
pag. 331.
(7) E. Quenpa, Su alcune idantoine Y sostituite, “ Giorn. della R. Acc. di
Medicina di Torino ,, 1891.
(8) Eva. Ser, “ Ann. d. Chem. ,, t. 126, pag. 153 e “ Bull. Soc. chim. ,.
1863, pag. 416.
(9) Loc. cit.
858 I. GUARESCHI — OSSERVAZIONI SULLA DIFENILUREA, ECC.
Michler (1) già nel 1876 trovò il punto di fusione 256° e
Weith. (2) 255°.
Il lavoro di Michler oltrechè riassunto nel “ Bull. Soc.
chim. , è anche riassunto nel “ Dictionnaire , di Wurtz, t. III,
pag. 569 e 571.
Maly (3) avrebbe trovato un punto di fusione più ele-
vato, 263°. Ma i migliori trattatisti ammettono 255°—256° come
punto di fusione più esatto. Anche nel mio laboratorio, ove
Quenda ottenne questa sostanza come prodotto secondario nella
reazione tra la glicocolla e la monoparatolilurea, si trovò sempre
il punto di fusione 255°—256° oppure 255°—257°. La monopa-
ratolilurea da cui si partì fondeva a 180°.
Mi sembra quindi più che probabile che il prodotto descritto
da Cazeneuve e Moreau, fosse impuro. Come mi pare non meno
probabile che il composto fusibile a 219°—220°, e da essi de-
scritto come diortotolilurea, non sia che, o un corpo impuro 0
la dimetatolilurea fusibile, pare, a 217°. Dico pare, perchè se-
condo Guttermann e Cantzler (4) la m. ditolilurea fonde a 203°.
Io ho fiducia che i signori Cazeneuve e Moreau vorranno
ritenere giuste queste mie osservazioni fatte in omaggio alla
verità e con tutti i riguardi che si debbono a colleghi, e che
ripetendo essi le esperienze riguardo la diortotolilurea e la di-
paratolilurea, troveranno proprietà concordanti con quelîie am-
messe da tutti i chimici sino ad ora. Tra le proprietà fisiche
di queste sostanze il punto di fusione è il più importante. Vor-
ranno pure riconoscere che le sostanze da essi descritte come
nuove, sono invece conosciute da lungo tempo dai chimici.
Torino, Laboratorio di Chimica farm. e tossicologica della
R. Università, 28 maggio 1896.
(1) “ Berichte ,, IX, pag. 710 e “ Bull. Soc. chim. ,, 1877, t. 27, pag. 18.
(2) “ Berichte ,, IX, pag. 821 e “ Jahresb. f. Chem. ,, 1876, pag. 754.
(3) “ Jahresb. f. Chem. ,, 1869, p. 638. i
(4) “ Berichte ,, t. 25, pag. 1089.
PAOLO PIZZETTI — INTORNO ALLA DETERMINAZIONE, ECC. 859
Intorno alla determinazione teorica della gravità
alla superficie terrestre;
Nota del Prof. PAOLO PIZZETTI.
Le formole approssimate che si riferiscono al modo di va-
riare della gravità alla superficie del Geoide, supposto poco dif-
ferente da una sfera, vengono di solito dimostrate, ammettendo
che la funzione potenziale dell’attrazione terrestre sopra un
punto qualsiasi fuori o sopra la superficie d’equilibrio che si
studia, sia esprimibile con uno sviluppo procedente secondo le
potenze negative del raggio vettore. Ora, la superficie non es-
sendo esattamente sferica, l’uso di un tale sviluppo non è giu-
stificato, epperò la legittimità delle formule che se ne deducono
è soggetta a qualche dubbio.
Vogliamo qui indicare come, senza ricorrere a quello svi-
luppo, ma valendosi invece di una nota formola che si deduce
da quella di Green, si possano dimostrare le formole sopra men-
zionate.
.1. — Sia S una superficie d’equilibrio, ossia una superficie
la cui normale in ogni punto segni la direzione della gravità pel
punto stesso; supporremo la S esteriore alla massa attraente e
chiameremo V la funzione potenziale dell’attrazione di questa
massa sopra un punto P, e D la distanza di questo punto dal-
l’asse di rotazione diurna. Avremo, sulla S:
(1) fV+ 3 ui D° = costante = w,
indicando, al solito con f la costante dell’attrazione, e con w
la velocità angolare.
Sia poi S, una sfera di raggio @ avente il centro C sul-
l’asse, e ammettiamo, come d’uso, che le distanze dei punti
860 PAOLO PIZZETTI
della S, dalla S siano tanto piccole che si possano trascurare
i termini contenenti i quadrati di queste distanze, ovvero i pro-
dotti di esse per w°. Poniamo:
(2) V= + al,
dove M è la massa totale terrestre, R la distanza del punto
potenziato dal centro C; U è una funzione potenziale di spazio
che fuori della S soddisfa alla
ed a è una costante piccolissima.
Sia dn un elemento di normale interna alla S, 4S un ele-
mento superficiale. Derivando la (2) rispetto ad x, moltipli-
cando per 4 $, ed integrando sopra tutta la S, avremo:
d0 R
Tasti dS +a [ils
E poichè, per noti teoremi
Ia
far asma, I s dS = 4n
n
sarà
> dU
(4) Ca dS$= 0.
SI
Il valore della gravità g nel punto Q della S sarà
(5) g=— ft cos(Rm) + a fog erre i
Ra Î dn
dove per semplicità è indicata con @ l’espressione a DE
Sia ora
(6) += (1-0
INTORNO ALLA DETERMINAZIONE TEORICA DELLA GRAVITÀ, ECC. 861
l'equazione della superficie S in coordinate polari: # è una fun-
zione della latitudine e della longitudine geocentriche di Q.
Le (1) (2) (6) dànno allora, per ogni punto della $:
() fa cm_fagt+ofUto=0.
Se la superficie S è conosciuta, questa relazione determina i
valori superficiali della funzione U a meno di una costante 2
E poichè la U deve soddisfare alla (4) e, fuori della $, alla
A.V=0, e a distanza infinita deve godere della nota proprietà
delle funzioni potenziali, sarebbe facilissimo dimostrare che il
valore della U è perfettamente determinato per ogni punto fuori
e sopra la S. Così il valore della gravità resta perfettamente
determinato fuori e sopra una superficie d’equilibrio, appena
questa superficie sia conosciuta e purchè si conosca la massa
totale (teorema dovuto a Stokes).
2. — Cerchiamo di dedurre dalle formole (5) e (7) una re-
lazione approssimata fra la forma della superficie d’equilibrio e
il modo di variare della gravità. Per una nota formola, che si
deduce da quella di Green, il valore della funzione U nel punto
Q della S può esprimersi così:
1
; dee
bi baro da Ivi Palaia
2r dar dn 2T
dove i primi due integrali sono estesi alla superficie S, l’ultimo
allo spazio 0 esteriore ad S; » è la distanza del punto @ dal
centro dell'elemento 48, do risp.*; con un accento sono indicati
i valori delle funzioni U, COR A4,U nei centri dei rispettivi
elementi di integrazione. L'ultimo integrale è nullo in virtù
della (3).
Ora, poichè le espressioni di U e dl figurano nelle (5) (7)
moltiplicate pel fattore a, è chiaro che, nel nostro ordine di ap-
prossimazione, volendo dalla (8) dedurre una relazione fra U
e Cui , potremo ivi supporre la superficie S confusa colla sfera $,.
862 PAOLO PIZZETTI
Avremo allora:
dre 1
FDL 01 OLA 4
rt CA ET SA
dove 42 è un elemento angolare di spazio attorno al centro C,
e quindi la (8) diverrà
0) pl enpar (d'a.
(Vedremo di dimostrare, con precisione, al termine di questa
Nota, come effettivamente, le quantità trascurate nel 2° membro
della (8) con questo procedimento, siano piccole dell'ordine di
a ew).
dU
Ò n
di funzioni sferiche delle latit®. e long*. geocentriche, ponendo
Esprimiamo i valori superficiali di U e mediante serie
(10) Um sort
0 n 0
Osservando che
- — 1 P,,
r CHAT
dove i P, sono i soliti coefficienti di Laplace, la (9) dà, ese-
guendo le integrazioni mediante note formule:
bi Na
fia 20Z II LC deb
Raccogliendo ed eguagliando le funzioni sferiche di egual
grado, si ha:
(RETI, = Zi
La (4) dimostra che Z, dev'essere nulla; e quindi tale sarà
pure Y, sicchè le (10) potranno scriversi:
dU Le
U=zkh ds = 7IMTt1L
INTORNO ALLA DETERMINAZIONE TEORICA DELLA GRAVITÀ, ECC. 863
3. — Sostituiamo queste espressioni nelle (5) (7), dove, nel
nostro ordine d’approssimazione, possiamo anche porre, indicando
con 9 la colatitudine geocentrica del punto Q:
pg= — w. a. sen'0, 3, TV a. sen 8, cos(Ra) = —1
v|—
1
R® =* a (1 — 20t).
Avremo:
pi (1 — 2at) + af (n + 1)Y, — w°a°sen'?0 — ag = 0
Li
(11)
ri (1 — at) +afXY,+ + w°a° sen 0 — w = 0.
1
Sviluppiamo anche # e g in serie di funzioni sferiche ponendo
(12) BEE Tir gel (WEA)
dove G, è una costante (gravità media alla superficie). Osser-
2 = 1 x . . .
vando che l’espressione ale sen°8 è funzione sferica di 2° grado,
sarà facile in ciascuna delle (11) uguagliare a zero la somma
delle fi. sfe. di egual grado. Si otterranno così, per ogni valore
di n, due equazioni fra G,, Y,, T, fra le quali eliminando Y, si
ottiene, per valori di » diversi da zero e da 2:
(13) Ga Di
Per n= 2 si ha invece:
(14) aGH, = af MT, + 3 ud (4 == sen'0 ).
Per n= 0 la prima della (11) dà poi:
(15) G=fA (1-2aT) — + ua.
864 PAOLO PIZZETTI
Posto:
la (14) può anche scriversi, nel nostro ordine d’approssimazione
Ho at, +-> clk sen*0).
(Se, in particolare, la superficie S è un ellissoide di rivo-
luzione si può, colla nostra approssimazione, porre
T,=-< sen?0
(0)
dove e è lo schiacciamento, e T,=0 per n>2. Allora si ha (*):
g= Go(1 + aB)=051+gc—(70—e)sen'0)
e da queste relazioni si deduce tosto il notissimo teorema di
Clairaut).
Sostituendo nella seconda delle (12) le espressioni trovate
per le H abbiamo
g= | 1 +7 0(1—8sen°0) | +of1Z@_1)T,;
e dalle (15), colla stessa approssimazione:
(16) G=f7 (1-20).
Ora dalla prima delle (12) pei noti teoremi sulle fi. sf°.,
TI SEC [eli
(*) Nel caso in cui la superficie d’equilibrio sia un ellissoide si conosce,
del resto, anche l’espressione esatta di g. Vedi “ Rendiconti R. Accademia
dei Lincei ,, fasc. 4° e 5° del 1° semestre 1894.
INTORNO ALLA DETERMINAZIONE TEORICA DELLA GRAVITÀ, ECc. 865
Quindi
MES 5 \
g=f-<|1 ALTI i
;
dea fe(E@n+D@—1.P,) d9
formola la quale esprime il valore della gravità, in funzione dei
valori di #.
4. — Più interessante è la operazione inversa; determi-
nare cioè # data che sia 9 in ogni punto della superficie. Os-
serviamo prima di tutto che nella espressione di t = T, pos-
1
siamo sempre supporre T,=0. Questo esige che sia Y, = 0, e
sarebbe facile dimostrare che il porre Y\=0 equivale a far
coincidere il centro della sfera S, col centro di gravità della
massa.
Avremo allora, tenendo conto delle (13) (14)
Ri igeni BUI a 2 <
9 w'a|3 — sen 0) +a GE
M M n
(17) afzt=afzT,— _
1
n
e dalla seconda delle (12):
2 Leto
eGiHio== sone J gP,dQ.
Il valore T, si deduce dalla (15). Si ha colla solita appros-
simazione
(18) of=5 (1-7 f902) so
866 PAOLO PIZZETTI
Questa formola risolve il problema di determinare la su-
perficie di livello, dati i valori della gravità sulla superficie
stessa.
5. — Si consideri ora una superficie S' prossima alla S
e sia
1
D_sIE
+ =<+(1_-at—@.A))
l'equazione di essa; A? è una nuova funzione delle coordinate
geocentriche. La distanza normale delle due superficie $, S' in
un punto qualsiasi sarà, nel nostro ordine d’approssimazione:
(19) n= a.a.At
(positiva laddove la S' è esterna alla S). Se la superficie S' si
considera come novella superficie d’equilibrio, e, in questa ipo-
tesi, si chiama g + Ag il valore della gravità in un punto qua-
lunque della S', la relazione (18) sarà ancora verificata, ove si
mutino g et in g+ Ag e t+4+- At. Sottraendo si avrà pertanto,
tenuto conto della (19),
ny |-1fa9.004 [a(Eartte,] 20},
od anche colla stessa approssimazione :.
BI a Ì a 241 p |
C0)'N= 74 |Ag.90+ 77 fAG(x mE Tp, ) dQ.
Ora si ha:
? 2Qn+1 aa Pn
(21) ni p=2P, +31.
Chiamiamo d la distanza di un punto A situato sopra una
sfera di raggio 1 da un punto B intorno alla sfera alla distanza
x dal centro, e diciamo Y l'angolo fra i raggi che vanno ai punti
A e B. Avremo:
INTORNO ALLA DETERMINAZIONE TEORICA DELLA GRAVITÀ, ECC. 867
d=V1+x° — 2xcost, D=1+zcost+®s"P,
a Î 1 da ala vo gel
ug (ip —1— ecosv) E figli ip lt
e ponendo a = 1:
9d0
i era hi —1— cost
2 2sen5-
CS Tita bce f 1 \ da
z “eriinga) | (a —1_-xecosy) E°
Eseguita l'integrazione a destra e tenuto conto della (21)
si ha
5 2n+1
2 n_-1
P, = cosec 3 +1-5cost — 6cos 2 a
\
— log [sent Ren al.
DI
\ 2
Sostituendo nella (20), si ha la formola di Stokes per cal-
colare le deviazioni lineari N del Geoide rispetto ad una super-
ficie nota di riferimento (S), quando siano conosciute le anomalie
(A 9g) che la gravità osservata alla superficie del Geoide presenta
rispetto ai valori teorici (9) che competono alla S. Stokes dedusse
la detta formola nell'ipotesi che il valore medio delle anomalie Ag
fosse nullo; per modo che manca, nel risultato dato da lui, il
primo termine del 2° membro della (20). Egli suppone che la su-
perficie S di riferimento sia un ellissoide e fa uso dello sviluppo
della funzione potenziale per potenze negative del raggio vettore.
6. Al n° 3 abbiamo, in via d’approssimazione, trasformata
la relazione (8) che lega la funzione U alla sua derivata nor-
male, sostituendo alla vera espressione della distanza r di due
punti della superficie S, quella della distanza di due punti della
sfera di raggio a. È bene dimostrare che effettivamente, come
abbiamo affermato, le quantità così trascurate sono piccole del-
l'ordine di a e w°.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 59
868 PAOLO PIZZETTI
Osserviamo innanzi tutto che, il raggio a essendo arbitrario,
possiamo supporlo tale che i valori della # siano tutti negativi,
vale a dire che la sfera $, sia tutta esterna alla S. Indichiamo
con Q' il punto qualunque della S, intorno al quale è preso
l'elemento dS nella formola (8) e siano 9, g' i punti in cui la $,
è incontrata dai raggi CQ, CQ' prolungati e chiamiamo U,, ni
nie U4 ; valori della U e della sua derivata secondo il raggio
ly dR
vettore, nei punti 9g, 9g' rispettivamente. Indicando con r, la di-
stanza gg’ ed applicando la formola (8) alla superficie S, avremo
esattamente:
Se gt U
(22) vu=- Jo t 3) d2
poichè per la sfera si ha È = — NOI ed esternamente A, U=0.
Di più, U essendo il valore della funzione nel punto Q e
la distanza Qg essendo = — a at, abbiamo
c dU
(23) U=U, + cai (3).
dove (TT). è il valore che assume la derivata ha in un
punto compreso fra Q e 9g. D'altra parte, colle notazioni ora adot-
tate, il 2° membro della (9) va scritto così:
LALA
Naet 21 òn 2a ,
Quindi, tenuto conto delle (22) (23), l'errore commesso col
sostituire il 2° membro della (9) a quello della (18) è
(24) U— U*= vai (SE). da
a’ 1 dU, dU' U,—U'
sm ip ge gg )42.
Si ha poi, indicando con #' il valore della # punto nel Q':
E Ù
INTORNO ALLA DETERMINAZIONE TEORICA DELLA GRAVITÀ, ECC
869
U=U+aot (7),
La lai dE dU' |
1 LÀ .
| DET dB + aat (S|
e se dp, do sono due elementi lineari ortogonali tracciati sulla
S pel punto qualunque Q, si ha
(26) de = = cos (Rn) + d cos (Rp) + Mu cos(R0).
In particolare supponendo, il che è sempre lecito, che l’ele-
mento do sia ortogonale al raggio R
cos(Ro)=0 cos (Rp) = + sen(Rn).
Ora derivando rispetto a p le (6) e (7) abbiamo:
VENA
cos(Rp) = Ba ana
M ò )
fa a +9 3 + WD cos(Dp)=0
quindi posto
(Rn) = 180 — e
(27)
dove e è una quantità piccola dell'ordine di a, data da
2
sene= + a È dé
dic di
2
Tenuto conto che le derivate VENTO
dU di:
)R aRI? de e quindi
870 CESARE SACERDOTTI
anche la 3 hanno dovunque valori finiti, le formole (25) e (27)
dimostrano che la quantità dentro parentesi sotto il segno in-
tegrale del 2° membro della (24) è in ogni caso minore, in va-
lore assoluto, di una quantità esprimibile con
aoH + w°K,
dove H e K sono quantità finite indipendenti da a e da w°.
Quindi la (24) ci dà
(U—-U*|<2aaH+2u?aK+aa, e( dl
il che dimostra quanto volevamo provare.
Sulla rigenerazione dell'epitelio muciparo
del tubo gastro-enterico degli anfibi;
Nota del Dott. CESARE SACERDOTTI.
In un mio lavoro pubblicato nel 1894 (1) ho studiato lo
sviluppo delle cellule mucipare del tubo gastro-enterico dei mam-
miferi durante la vita endouterina. Ho eseguito tali ricerche
nei feti di bue ed ho potuto dimostrare che la differenziazione
delle cellule mucipare nella vita embrionaria ha luogo molto
presto (già nel feto di bue lungo cm. 3,5 si ha un primo ac-
cenno alla produzione di muco) ed inoltre ho verificato che, come
Bizzozero (2) aveva dimostrato per gli animali adulti, anche nel
(1) C. SacerporTI, Ueber die Entwickelung der Schleimzellen des Magen-
darmkanales; “ Int. Monatschrift f. Anat. u. Phys. ,, 1894, Bd. XI, Heft 12
e “ Archives italiennes de Biologie ,, tome XXIII, f. I-II.
(2) G. Bizzozero, Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico.....
Note 1 a 7. “ Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, 1888,
1892 e 1893, vol. XXIV, XXVII e XXVIII e “ Arch. f. Mikr. Anat. ,,
Bd. XXXIII, XL, XLII.
incatenato
SULLA RIGENERAZIONE DELL'EPITELIO MUCIPARO, ECC. 871
feto, gli elementi mucipari si presentano in via di scissione
cariocinetica quando già contengono muco. Era questo un altro
contributo da aggiungersi ai numerosi di Bizzozero tendenti a
dimostrare la specificità delle cellule mucipare del tubo gastro-
enterico.
Ma appunto nelle ricerche di Bizzozero è fatto cenno ad
una questione ancora non risolta, se, cioè, negli anfibî le cel-
lule mucipare derivino da elementi già specificati o da cellule
indifferenti. Infatti, nella descrizione che Bizzozero dà dell’ in-
testino del tritone si esprime così: “ non mi venne fatto di de-
“ terminare se esistessero due specie di mitosi, l'una per l’epi-
“ telio protoplasmatico, l’altra per le cellule mucose. Su questo
« punto, però, non mi sono gran fatto soffermato ,, (1). — Scopo
delle ricerche di cui qui espongo i risultati era appunto di col-
mare questa lacuna.
Anche in questo lavoro, come nell’altro suaccennato, quale
metodo di ricerca, mi servî della fissazione dei pezzi freschis-
simi in liquido di Hermann e della colorazione con ematossi-
lina e safranina, seguita da lavatura in alcool acidulato con
acido cloridrico. Con questo metodo si mettono in piena evi-
denza le mitosi, colorate in rosso dalla safranina e si ha co-
stantemente ed esclusivamente colorata in violetto-azzurro, dalla
ematossilina, la sostanza mucosa. I preparati che in tal modo si
ottengono sono così chiari e dimostrativi da rendere perfetta-
mente inutile il ricorrere ad altri espedienti, i quali, special-
mente in questi ultimi tempi, numerosi furono suggeriti per la
colorazione specifica del muco.
Eseguî questo mio studio sull’esofago e sullo stomaco della
rana e sull’intestino posteriore del tritone.
Esofago e stomaco della rana.
Nella rana la faringe conduce, senza linea di demarcazione
apprezzabile, nell’esofago, che è molto breve; nè demarcazione
(1) G. Brzzozero, Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico... Nota 3*,
pag. 25. “ Atti della R. Acc. delle scienze di Torino ,, 1892, vol. XXVII.
872 CESARE SACERDOTTI
netta esiste tra questo e il sacco stomacale. Accenna al prin-
cipio dello stomaco un leggero strozzamento e una inflessione
del tubo sul lato sinistro. All'esame microscopico si vede che
limiti recisi tra esofago e stomaco non esistono nemmeno per
quanto riguarda la disposizione ed i rapporti dei singoli elementi.
È noto che nella mucosa dell’esofago esistono numerose e
grosse ghiandole acinose che per struttura sono simili alle sa-
livali dei vertebrati superiori. Queste ghiandole sono costituite
da elementi di varia natura, cioè, in parte da cellule a proto-
plasma granuloso, nel quale tra delicati granuli ne esistono di
grossi che si colorano in nero con l’acido osmico, in parte da
cellule che hanno un contenuto chiaro che si colora leggermente
in azzurro-Violetto nei pezzi fissati in liquido di Hermann e co-
lorati con ematossilina, che hanno, cioè, un contenuto mucoso.
Non è mio compito addentrarmi nelle particolarità di struttura
e di funzione di tali ghiandole, ho dovuto solo farne cenno
perchè le cellule mucipare che contengono, come si vedrà, non
sono da confondersi con gli elementi mucipari dell’ epitelio di
rivestimento, dei quali ora specialmente devo interessarmi.
L’epitelio di rivestimento dell’esofago appartiene alla classe
degli epitelî cilindrici ed è noto che consta di due specie di
cellule, le une a ciglia vibratili, le altre mucipare caliciformi;:
queste ultime hanno, di regola, il prodotto di secrezione che
occupa quasi tutto il corpo cellulare, di guisa che il nucleo
resta schiacciato alla base dell’elemento sotto forma di ciotola
o di cono.
Man mano che procediamo verso lo stomaco vediamo in-
tervenire graduali modificazioni tanto nelle ghiandole quanto
nell’epitelio di rivestimento. Le ghiandole si fanno più numerose
e contemporaneamente più piccole, pur conservando sempre le
due specie di epitelio, quello muciparo occupa sempre la por-
zione più vicina allo sbocco della ghiandola. Queste ghiandole,
ridotte a pochi tubuli confluenti in una specie di dotto escre-
tore, sono così numerose da costituire, nel limite tra stomaco
ed esofago, uno strato continuo. In questa regione l’epitelio di
rivestimento consta tuttavia di elementi vibratili e mucipari,
ma questi ultimi, in generale, hanno aspetto differente da quello
delle cellule della porzione anteriore dell'esofago, il loro secreto
non distende la teca in modo da schiacciare il nucleo alla base
CO
- n r__— To
SULLA RIGENERAZIONE DELL'EPITELIO MUCIPARO, ECC. 873
della cellula, per cui il nucleo in questi elementi appare ovale
e queste cellule sono di tal modo simili a quelle dell’ epitelio
muciparo dell'intestino delle rane e dei tritoni, ne differiscono
solo perchè, di norma, tra la teca e il nucleo manca quel tratto
di corpo cellulare che non contiene muco e che Bizzozero (1)
chiama tratto intercalare (fig. 1a). L’epitelio di rivestimento
non costituisce più uno strato così continuo come nella regione
anteriore, perchè rimane interrotto molto di frequente dagli
sbocchi delle ghiandole, col cui epitelio insensibilmente si
continua.
Procedendo ancora verso lo stomaco, vediamo che le ghian-
dole si sono fatte ancora più piccole e semplici in modo da
costituire dei tubuli la cui porzione profonda consta di cellule
granulose e quella vicina allo sbocco di cellule mucipare. Con-
temporaneamente nell’ epitelio di rivestimento è andato man
mano diminuendo il numero degli elementi a ciglia vibratili,
che restano rappresentati da qualche rara cellula sparsa qua e
là; l’epitelio muciparo ha pure mutato aspetto e la configura-
zione d'insieme di una sezione di mucosa è pure modificata in
relazione alla modificazione che hanno subìto le ghiandole.
Se si studiano porzioni successive, si vede, in fine, che le
ghiandole diventano schiettamente tubulari semplici, di queste solo
qualcuna ha, verso le sbocco, epitelio muciparo, e nell’epitelio di
rivestimento non si trovano più assolutamente cellule vibratili,
ma esclusivamente cellule mucipare, che costituiscono un unico
strato molto regolare che riveste la superficie libera della ca-
vità gastrica e le fossette entro le quali sboccano, o isolate o
a gruppi di due o tre, le ghiandole.
Questa disposizione, poi, si continua per tutta la cavità
gastrica fino al piloro. A
Veniamo ora alla descrizione della rigenerazione degli ele-
menti, incominciando da quello dell’esofago.
Per l’epitelio di rivestimento dell’esofago ho potuto stabi-
lire che nell’animale a perfetto sviluppo, per quanto non adulto,
la rigenerazione deve essere molto lenta, perchè in questa re-
+
(1) G. Bizzozero, Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico... Nota 38
e 4*. “ Atti della R. Ace. delle Scienze di Torino ,, 1892, vol. XXVII.
874 CESARE SACERDOTTI
gione vidi poche cellule in scissione cariocinetica anche in esem-
plari che presentavano numerosissime mitosi in altre regioni
del tubo gastro-enterico. Tuttavia ho potuto vedere che la rin-
novazione degli elementi avviene per scissione di cellule che
stanno tra elementi adulti e che non raggiungono, in generale,
colla loro estremità la superficie libera; in oltre, e questo è
quanto maggiormente interessa per l'argomento che mi ero pre-
fisso di studiare, ho veduto che esistono due classi di mitosi, una
di cellule chiare, dalle quali si svolgeranno le cellule a ciglia vi-
bratili ed una di cellule contenenti muco che si svilupperanno in
elementi caliciformi. A questo riguardo riuscirono specialmente
interessanti dei preparati allestiti dal punto intermedio tra eso-
fago e stomaco propriamente detto, nei quali rimase perfetta-
mente conservata la struttura granulare del muco e i granuli
di muco di qualche elemento in mitosi apparvero intimamente
frammisti ai fili cromatici, come si vede nella fig. 1 d.
Quanto allo stomaco, l’epitelio delle fossette e quello che
con questo si continua e riveste la superficie libera assomiglia
molto all’epitelio cilindrico muciparo che riveste la superficie
libera dello stomaco dei mammiferi; la sostanza mucosa che
contiene si colora intensamente con l’ematossilina nei pezzi fis-
sati dal liquido di Hermann e non ha quell’aspetto spiccata-
mente granuloso del muco delle cellule della porzione più vicina
all’esofago. Le cellule in discorso hanno forma diversa a se-
conda che si considerano al fondo della fossetta o sulla super-
ficie libera, ma è facile persuadersi che queste modificazioni
sono essenzialmente da riferirsi ad un adattamento topografico.
Infatti, nel fondo delle fossette hanno forma di piramidi tronche
con la base rivolta verso il connettivo, un po’ più in alto assu-
mono aspetto prismatico, sulla superficie libera, infine, hanno
forma di piramide con l’apice rivolto al connettivo e procedendo
dal fondo della fossetta questi elementi vanno man mano facen-
dosi più lunghi; per tutti gli altri caratteri devono considerarsi
cellule affatto simili tra loro. Queste cellule contengono un nucleo
ovale che occupa circa il centro della cellula, il corpo cellulare,
poi, presenta la porzione che sta tra il nucleo e il connettivo
della mucosa costituita da un protoplasma omogeneo, la por-
zione che sta tra il nucleo e la superficie libera occupato dal
blocco di muco di cui ho già tenuto parola; la teca che con-
SULLA RIGENERAZIONE DELL'EPITELIO MUCIPARO, ECC. 875
tiene il muco ha forma molto regolare, presso a poco semisfe-
rica ed il muco sembra faccia alquanto procidenza verso l’esterno
tanto che in sezione, come appare dalla fig. 2, il profilo della
serie di cellule assume aspetto regolarmente a dentello.
Relativamente alla rigenerazione di questi elementi sono
due i quesiti che si presentano: le cellule di ricambio sono cel-
lule indifferenti o sono già funzionanti? dove si trovano le forme
di sviluppo? — In risposta al primo quesito ho verificato che
le cellule nuove derivano sempre da scissione cariocinetica di cel-
lule che già contengono muco. Queste cellule in mitosi, in qualche
esemplare si trovano numerosissime, come, per esempio, in
quello del quale allestii il preparato che è fedelmente copiato
nella fig. 2a. In questi casi, nei quali è possibile in un campo
microscopico a medio ingrandimento vedere 6—7 e più cellule
epiteliali cilindriche in mitosi, non mi avvenne mai di vedere
una di tali cellule in cui non esistesse muco. — In risposta al
secondo quesito, che riguarda la posizione di queste forme di
sviluppo, ho potuto persuadermi, come appare già dall’ esame
della fig. 2, che anche nella rana, come nel cane ha descritto
Bizzozero (1), il numero maggiore di mitosi dell'epitelio cilin-
drico si trova veramente nel fondo delle fossette. Per altro, spe-
cialmente in quegli animali, nei quali la rigenerazione appare
molto attiva, non è del tutto raro trovare elementi mucipari in
via di scissione anche tra l’epitelio superficiale. Questi elementi
si presentano globosi ed innicchiati tra due cellule adulte. Si
deve quindi ammettere che tra l’epitelio adulto esistano anche
degli elementi giovani, delle vere cellule di ricambio, che tuttavia
contengono sempre muco.
Nell’esemplare di rana che mi fornì i preparati più ricchi
di mitosi mucipare, esistevano pure, per quanto molto più scarse,
mitosi nell’epitelio granuloso delle ghiandole gastriche (fig. 2 c).
Queste mitosi apparivano, di norma, verso il fondo della ghian-
dola, ma alcune anche più in alto, non posso quindi dire se
nella ghiandola stessa esista una posizione fissa quale centro
formativo, tanto più considerando che certe ghiandole non con-
(1) G. Bizzozero, Sulle ghiandole tubulari... Nota 3*. “ Atti della R. Ace.
delle Scienze di Torino ,, 1895, vol. XXVII.
876 CESARE SACERDOTTI
stano che di pochi elementi. Nè io mi sono poi molto soffer-
mato a studiare se nell’animale adulto gli elementi ghiandolari
continuino a riprodursi, giacchè questo mi avrebbe trascinato
in un altro campo di ricerche. Comunque ho creduto opportuno
di riferire questo reperto, non essendo privo d'interesse dimo-
strare come, a lato di elementi mucipari in via di scissione,
esistano pure elementi non mucipari che stanno moltiplicandosi.
Nella rapida descrizione che ho fatto dell’ epitelio delle
ghiandole esofagee e gastriche ho accennato alla presenza di
cellule contenenti una secrezione che, per la caratteristica co-
lorazione che assume dalla ematossilina, previa fissazione in li-
quido di Hermann, si appalesa di natura mucosa; mi preme ora
far notare che credo di poter escludere che esista alcun rap-
porto genetico tra questi elementi e quelli, pure mucipari, che
rivestono le fossette gastriche e la superficie libera, rapporto
che si potrebbe sospettare per la posizione reciproca che questi
elementi hanno tra di loro. Le ragioni che mi inducono a questa
esclusione sono parecchie: innanzi tutto il volume delle cellule
mucipare ghiandolari è maggiore di quello delle cellule cilin-
driche più superficiali e mal si comprenderebbe che forme gio-
vani di sviluppo fossero più voluminose di forme adulte; inoltre,
nell’epitelio ghiandolare il prodotto di secrezione occupa tutta
la cellula, e nell’epitelio di rivestimento, invece, la sostanza
mucosa è ridotta al solo terzo esterno del corpo cellulare; dif-
feriscono ancora notevolmente tra loro per la natura di questo
prodotto di secrezione, giacchè, il muco dell’epitelio di rivesti-
mento assume intensamente il colore dell’ematossilina, coloran-
dosi in una tinta violaceo-grigia, quello delle ghiandole, invece,
assume, trattato con l'ematossilina una tinta violetta molto
chiara (1). In fine mi sembra argomento decisivo il fatto che
nelle cellule mucipare delle ghiandole non vidi mai mitosi e
che invece trovai numerosissime le mitosi nelle cellule del fondo
delle fossette, che, per la forma e per la natura del prodotto
di secrezione, mi apparvero affatto simili alle cellule rivestenti
la superficie libera.
SULLA RIGENERAZIONE DELL'EPITELIO MUCIPARO, ECC. 877
Intestino del tritone.
Per estendere le mie ricerche anche al tritone, ho dato la
preferenza all’intestino, e più specialmente alla porzione poste-
riore vicina alla cloaca, perchè nell'intestino di questo anfibio
i rapporti tra le diverse specie di epitelio furono con speciale
cura descritti da Bizzozero (1). Per questo motivo, appunto, io
sarò molto breve nella descrizione de’ miei reperti.
Ho potuto pienamente confermare le particolarità di forma
e di disposizione dell’ epitelio protoplasmatico e del muciparo
descritte da Bizzozero ed ho visto che precisamente nei ger-
mogli di cellule epiteliali che si spingono nel connettivo della
mucosa intestinale si trovano frequentissime le scissioni cario-
cinetiche, così come quelle forme cellulari che, contenendo un
piccolo blocco di sostanza mucosa, erano state giustamente in-
terpretate da Bizzozero come forme mucipare giovani. Scopo
precipuo delle mie ricerche era appunto di stabilire se questi
elementi giovani si fornivano di muco dopo aver perduta la at-
tività produttiva o pure se continuavano a riprodursi anche
quando erano diventati elementi funzionanti. Quindi fissai la
mia attenzione specialmente in questi germogli e vidi che ef-
fettivamente è frequente trovare delle bellissime forme cariocine-
tiche di cellule già contenenti dei granuli di muco, specialmente
se si studia l'intestino di un animale giovane e che sia appena
stato raccolto, di primavera. In queste condizioni le scissioni
nucleari sono molto abbondanti tanto nelle cellule protoplasma-
tiche come nelle mucipare. Il muco delle cellule intestinali del
tritone ha struttura spiccatamente granulosa, come già descrisse
Bizzozero, e in modo molto evidente nelle forme di sviluppo
che si trovano nei germogli di cui è qui parola, or bene, questa
struttura granulare, che si conserva molto chiara anche nei pezzi
fissati in liquido di Hermann, è molto utile per assicurarsi che
la cellula in scissione è realmente mucipara, potendosi in via
(1) È noto che col nome di muco si descrivono delle sostanze non ben
definite chimicamente e che hanno solo certi caratteri tra loro comuni.
878 CESARE SACERDOTTI
assoluta escludere che il blocco di muco appartenga ad altra
cellula, per ciò che, come ho già descritto anche nell’ epitelio
gastro-esofageo della rana, anche qui si veggono i granuli di
muco frammisti alle anse cromatiniche del nucleo (fig. 3 a).
Ma dallo studio di Bizzozero sull’intestino del tritone ri-
sulta che non tutte le forme di sviluppo delle cellule epiteliali
si trovano raggruppate negli speciali nidi cellulari su accennati.
In molte regioni dell’intestino, nei fornici che stanno tra le
pliche che fa la mucosa, l’epitelio è stratificato, in modo che
tra le estremità profonde delle cellule cilindriche che coll’altra
estremità raggiungono la superficie libera, stanno innicchiate
altre cellule che sono veri elementi di ricambio, elementi ta-
lora così numerosi da costituire un vero strato continuo. Tra
questi elementi Bizzozero descrive delle cellule che contengono
un piccolo blocchetto di muco, che quindi sono mucipare in via
di sviluppo, e descrive pure numerose le mitosi in cellule pro-
toplasmatiche. Or bene, io ho riscontrato anche tra questi ele-
menti parecchie figure cariocinetiche contenenti muco. La cel-
lula che ho disegnato nella fig. 4a appartiene ad un preparato
nel quale, avendo io fatto delle sezioni seriate dello spessore
di circa 5—7 u, ho potuto seguire in tre sezioni l’elemento in
scissione ed ho visto che in tutte tre le sezioni, vicino al nucleo,
stava il blocchetto di muco; quindi, anche in questo caso, si
aveva la certezza che il muco apparteneva alla cellula in esame.
Adunque, il modo normale di sviluppo degli elementi mu-
cipariì. dell’intestino del tritone è da moltiplicazione di elementi
giovani che già secernono muco e che si trovano 0 tra le cellule
di ricambio dello strato profondo dell'epitelio 0 in speciali germogli
epiteliali che sì spingono nel connettivo della mucosa. Ma, in via
eccezionale gli elementi mucipari possono avere origine anche
da cellule che hanno già raggiunto l’aspetto di elementi adulti
e che si sono già spostate verso il lume intestinale. Nella fig. 5
ho disegnato appunto un elemento, nel quale il nucleo si trova
in mitosi e immerso in un grosso blocco di muco. Ho detto che
questa è però una cosa affatto eccezionale, infatti, nei miei nu-
merosissimi preparati, nei quali erano assai frequenti le cario-
cinesi mucipare nei germogli e negli strati profondi dell'epitelio,
una sola volta trovai mitosi mucipara dell'epitelio superficiale, ap-
punto in quella cellula che ho fedelmente riprodotta. Questa, che
SULLA RIGENERAZIONE DELL EPITELIO MUCIPARO, ECC. 879
potremo dire, anomalia, si spiega, a mio credere, col fatto che,
trattandosi di un animale in cui l’attività proliferativa dell’epi-
telio intestinale era grandissima, avessero già raggiunto la su-
perficie, perchè spinte dalle altre cellule formatesi nei germogli,
delle cellule che, pure avendo uno sviluppo individuale rag-
guardevole, non avevano perduta ancora l’attività rigenerativa.
Questa eccezione, del resto, trova riscontro nelle rare mitosi
‘di cellule superficiali protoplasmatiche descritte, pure nel tritone,
da Bizzozero.
Mi sembra che le ricerche di cui ho qui esposto brevemente
il risultato dimostrino che anche negli anfibî, almeno nelle parti
studiate (esofago e stomaco della rana, intestino del tritone),
le cellule mucipare del tubo gastro-enterico si riproducono da
elementi che già hanno acquistata la funzione secretoria del
muco, e che il loro centro di formazione, come per l’epitelio
non muciparo, è negli strati profondi, dai quali poi gli elementi
neoformati subiscono uno spostamento verso la superficie libera,
spostamento dovuto, da un lato, alla desquamazione dell’epitelio
superficiale vecchio, dall’altro, alla spinta che agli elementi gio-
vani dànno quelli ancor più giovani che man mano si produ-
cono al di sotto di essi.
Queste mie ricerche, adunque, sono una nuova conferma
dei due principî fondamentali di Bizzozero, da me già ricono-
sciuti esatti nel succitato mio lavoro sull’intestino dell'embrione,
che le cellule mucipare del tubo gastro-enterico sono elementi ve-
ramente specifici e che gli epitelî intestinali non si riproducono, di
norma, nel luogo dove noi li troviamo quando sono a sviluppo
perfetto.
880
CESARE SACERDOTTI — SULLA RIGENERAZIONE, ECC.
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
(I disegni furono eseguiti con la camera lucida di Abbe. Microscopio di Zeiss).
Fig.
Fig.
Fig.
Fig.
1. Epitelio di rivestimento di porzione intermedia tra esofago e sto-
maco di rana — a, cellule mucipare adulte — , cellula mucipara in
mitosi — c, cellula chiara il cui nucleo si presenta molto ricco in cro-
matina (primo stadio di mitosi) — ob. E, oc. II, ingr. 390 diam.
2. Mucosa dello stomaco di rana molto lontano dall’esofago — a, mitosi
in cellule dell’epitelio cilindrico muciparo — d, mitosi in cellula gra-
nulosa di ghiandola — ob. D, oc. II, ingr. 240 diam.
3. Mucosa di intestino posteriore di tritone — a, mitosi in cellula
mucipara di un germoglio epiteliale — d, cellula mucipara adulta
— ob. D, oc. II, ingr. 240 diam.
.-4. Mucosa di intestino posteriore di tritone — @, mitosi in cellula
mucipara degli strati profondi dell’epitelio — d, cellule mucipare
adulte — ob. D, oc. II, ingr, 240 diam.
ò. Mucosa di intestino posteriore di tritone — a, mitosi in cellula
mucipara dell'epitelio superficiale — d, germoglio epiteliale — c, mitosi
in cellula chiara del germoglio — ob. D, oc. II, ingr. 240 diam.
IC ERDOTTI DESARE- Sul rigenerazione dell'epitelio
€ — muciparo del tubo gastro-enterico degli anfibi.
A
tl
Mili RAccad. delle Sc. di Torino - 6% XXX7
C. Sacerdotti dis Lit.Salussolia-Torino
E. ALMANSI — SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE ECC. 881
Sull'integrazione dell'equazione differenziale A° A° = 0).
Nota dell'Ing. EMILIO ALMANSI.
1. — Una funzione uniforme delle variabili x, y, che debba
soddisfare all’equazione:
(1) A = 0,
ossia:
d? d?
dae ce dl #0,
è determinata in tutti i punti di un’area piana quando ne sia
dato il valore nei punti del contorno.
Una funzione uniforme che debba soddisfare all’equazione:
(2) AA? = 0,
è invece determinata in un’area piana quando, in tutti i punti
del contorno, sieno dati i valori della funzione stessa, e della
sua derivata rispetto alla normale (*).
Ora si può, in diversi modi, come vedremo, esprimere una
(4) Il prof. G. Lauricella, nel suo lavoro “ Sull’equazione delle vibrazioni
delle placche elastiche incastrate ,, pubblicato quest'anno nelle Memorie
della R. Accademia delle Scienze di Torino (s. II, vol. XLVI), risolve la que-
stione nel caso di un contorno rettilineo, valendosi di una formula ana-
loga a quella di Green per l'equazione di Laplace.
Il Picard, nell’ “ Intermédiaire des Mathématiciens , (Febbraio 1894),
propone di studiare la questione per il rettangolo. Il Mathieu (“ Journal
de Mathématiques ,, s. II, t. XIV, 1869) la risolve per il cerchio, rappre-
sentando però la funzione mediante una serie.
882 EMILIO ALMANSI
funzione TT», che soddisfi alla equazione (2), mediante due fun-
zioni @, w,, che soddisfino all’equazione (1). E, per alcuni con-
torni particolari, sui quali sieno dati i valori della funzione
uniforme TT,, e della sua derivata rispetto alla normale, la de-
terminazione della funzione TT,, così espressa, si riduce a cal-
colare successivamente le due funzioni @,, w, conoscendosene i
valori al contorno.
2. — Supponiamo da prima che l’area piana o in cui deve
determinarsi TT, sia racchiusa da una circonferenza, rappresen-
tata dall’equazione:
CRE E SONO NI 1
sulla quale si abbia:
TT, = Gi;
dtt
"dn A H,
essendo G, H, funzioni note in tutti i punti della circonferenza
stessa. Con n si è denotata la normale a questa linea diretta
verso l’interno di 0.
Poniamo:
(3) T,= (£° sà y° pre R?) Wi + Pi
essendo ®,, w, due funzioni uniformi che nell’area o soddisfano
all’equazione (1).
L'equazione (2) è soddisfatta. Si ha infatti:
A°T, — 44, +4 X de + y DI.
e quindi:
A° AT —_ 0.
SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE DIFFERENZIALE, ECC. 883
Nei punti del contorno sarà:
T.= gp.
Per conseguenza dovrà essere
p = G;
e questa condizione, insieme all’equazione (1), a cui la @, ab-
biamo supposto che soddisfi, determina la funzione @, in tutti
i punti del cerchio 0.
Si ha poi al contorno, quando esiste Ra
OTla _ d(e2+y°—R?) O
Opi an War,
Essendo la direzione positiva della normale, quella che va
ò (a°-+y° — R?) ni
n
dall’esterno all’interno, sarà: —2 R: quindi ri-
caveremo:
(4) var (A).
osì abbiamo, al contorno, anche il valore della funzione w,.
Potremo dunque determinarlo in tutti i punti dell’area o. E so-
stituendo nella formula (3) le funzioni @,, w,, così ottenute,
avremo determinata la funzione TT, che soddisfa a tutte le con-
dizioni richieste.
Vediamo ora come viene effettivamente espressa.
Quanto alla funzione @;,, si ha in un punto qualunque A
interno all’area 0:
DE
a i re (R°— r2)G
(5) bai | R?°+,°— 2Rr cosw du,
0
nella quale » rappresenta la distanza del punto A, dal centro
O del cerchio, w l'angolo AOM, se con M s’indica il punto del
contorno in cui 9, assume il valore G.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 60
884 EMILIO ALMANSI
do
dn”
derivando direttamente sotto il segno. Per ovviare a questo in-
conveniente, consideriamo una funzione À,, che soddisfi all’equa-
zione A? 0. Assunta la retta OA, e la retta OB, ad essa
normale, come assi delle coordinate X, Y, sia:
Da questa formula non può ricavarsi il valore di
h= Gt dey,
indicando con G,, G', due costanti finite, di cui daremo dopo
il valore.
Al contorno si ha:
i, = Go + Gsenw.
In un punto qualunque del piano, sarà:
Ri Da Re cos 15)
27
L= 1 | (R° — r2)(G+ G, sen w)
==
0
e, in particolare, sulla retta OA:
97
G DI di (R? a r3)(Go _ Go senW)
iQ R°?+,2T—2Rrcosw
0
Sottraendo questa identità dall’equazione (5) e portando
G, nel secondo membro, si ottiene la formula:
27
Lot 1 (R? — r3)(G— Go Gosenw)
Pi = Got 2 | R° + ,° — 2Rr cosw du.
0
Se ora deriviamo rispetto ad r, poi poniamo r=R e mu-
tiamo il segno, avremo il valore della derivata di ®, rispetto
alla normale, nel punto P, in cui la retta OA incontra il cerchio,
SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE DIFFERENZIALE, ECc. 885
ogni qual volta potremo assicurarci che la quantità sotto il
segno si mantiene finita. Si ottiene così
. 27
(6) 1 | GT-G— Gosenw da
2rTR 1-—- cosw
0
La quantità sotto il segno d’integrazione potrà diventare
infinita soltanto per w= 0, ossia nel punto P: a meno che ivi
il numeratore, e il denominatore, non diventino infinitesimi dello
stesso ordine. Ora in P si annulla 1 — cosw, e la sua derivata
prima. Lo stesso avverrà per G — G, — G”, senw, se supponiamo
che sia:
n [ÒG Atto
messi, \ dw fd
E per potere stabilire queste equazioni basterà supporre
che la funzione G ammetta una derivata finita e atta all’inte-
grazione. Attribuiti questi valori alle costanti G,, G', la formula
trovata (6) sarà atta a darci il valore di a nel punto P.
In un punto qualunque P' del contorno, il valore di Sui,
se indichiamo con o l'angolo POP', sarà:
27
1 G— G, — Gausen(w— a)
2TR i 1— cos(w— a) dw,
nel
ove s'intende che G. e G'. sono i valori di G e di sa
punto P'.
Sostituendo nella formula (4), otterremo, al contorno:
kt d
sth 1 GT_-G,—Gasen(w—a) 9
MRO (14h | 1— cos(w— a) tu):
e in un punto qualunque dell’area 0:
27
27
R°- 2 1 G-Ga— G'asen(0—2)
A EI 2R a [ 1 — cos(@ — 2) tu) da
"re ga R° | ,°.-2Rr cosa Pa
886 EMILIO ALMANSI
Si aveva poi, indicando ora con a l'angolo che nella for-
mula (5) è indicato con w:
9a
RIRI (R° — r3)G
PT ar | R° 47? — 2Rr cosa Dr
0
Dunque, sostituendo nell'equazione (3), che scriveremo:
T,= (1° EI R°)w, + Pi,
si avrà, per un punto qualunque del piano:
2 27
R3 —r? 1 GT Ga —G'a sen (@— 2)
Rea R? —r? (pesE (14 27R | 1— cos(@ — a) au)+-6
Ta 27 : R° + ,° — 2Rr cosa da.
Il problema, nel caso del cerchio, è dunque risoluto.
3. — Il problema si risolve, con metodo analogo, anche
se l’area piana in cui deve determinarsi TT, è limitata da una
retta. Se
axr+by+e=0,
è la sua equazione, porremo:
T=(axr+0y+09)yw+
in cui ©, e w, verificano l’equazione A° = 0.
Si ricava:
217. DIA dy,
A#TII Sd [GRES
e quindi:
RAMA.
Inoltre, nei punti della retta dovrà essere:
pr = G
ILA gd cp
SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE DIFFERENZIALE, ECC. 887
Se consideriamo come direzione positiva della normale alla
De AE È SaR
retta, quella che ha per coseni di direzione i rapporti = "
essendo r il valore positivo del radicale Va + 8, sarà:
d(art byte)
dn Ge
ùt,
e quindi al contorno:
vet (H-%).
da
Così potremo calcolare prima la funzione ®,, poi la y,, come
nel caso precedente.
4. — Si può risolvere il problema analogo nello spazio,
quando cioè sia dato:
dTT,
T =, Òn
= H_,
in tutti i punti delle superficie di una sfera, entro la quale TT,
soddisfi l'equazione A* A? — 0, essendo A° — = 5 È SR
n la normale diretta verso l’interno. Sia
dg ae Ri 0;
l'equazione della superficie sferica. Basterà porre:
M=(e+y +2 R)y+4t 9
in cui w, e @; verificano l'equazione A* =0 perchè TT., così
espressa, soddisfi alla equazione A* A°= 0. Al contorno dovrà
essere come nel caso precedente:
quindi le due funzioni @; e w, potranno ottenersi facilmente
sotto certe condizioni per i valori dati al contorno.
888 E. ALMANSI — SULL’INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE, ECC.
Finalmente, se il contorno del campo in cui deve deter-
minarsi TT, è il piano:
axr+by+ce+4d=0,
il problema si risolve ponendo analogamente
mM= (ar +04y+ce2+dyvn+,
in cui w;, e ©: soddisfano l'equazione A° = 0.
L’ Accademico Segretario
AnpREA NACCARI.
889
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 14 Giugno 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Socii: CLarETTA, Direttore della Classe,
Pevron, Manno, Pezzi, NANI, PeRRERO e FERRERO Segretario.
Il Socio Segretario, fra le pubblicazioni pervenute in dono
alla Classe, segnala “ Il trattato de vulgari eloquio , di
Dante pubblicato per cura del Socio corrispondente profes-
sore Pio RAJNA (Firenze, 1896) in edizione critica, che fa parte
della raccolta delle opere minori dell’Allighieri, edita dalla
Società Dantesca italiana. Offre pure, a nome del Socio corri-
spondente prof. Wendelin FoeRSsTER, l'edizione da questo curata:
«“ Kristian von Troyes Erec und Enide , (Halle a S., 1896).
Il Socio Manno, a nome dell'autore, prof. Antonio FAvARO
dell’Università di Padova, offre le due pubblicazioni: “ Intorno
alla vita ed ai lavori di Tito Livio Burattini fisico Agordino del
secolo XVII , (Venezia, 1896) e “ Amici e corrispondenti di
Galileo Galilei. II. Ottavio Pisani , (Venezia, 1896), ed a nome
pure dello stesso i fac-simili di lettere di G. L. Lagrange con-
890
servate nel carteggio di Paolo Frisi presso la biblioteca Ambro-
siana di Milano.
Il Socio Segretario legge una nota del Socio Rossi, assente
dall’adunanza: “ Di un coccio copto del museo egizio di Torino
con caratteri crittografici ,, ed una nota del prof. Luigi VALMAGGI:
“ Del luogo della così detta prima battaglia di Bedriaco ,.
Entrambe queste note sono pubblicate negli Atti accademici.
G. ALLIEVO — DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA, ECC. 891
Dell’educazione della donna
secondo i pensatori francesi del secolo AVIII.
Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO (*).
La Marchesa di Lambert (1647—1733).
Nella storia della pedagogia femminile il nome di Fénélon
si riscontra accanto a quello della Marchesa di Lambert, la
quale lo venerò come suo maestro e dal libro di lui -attinse in
gran parte i suoi pensieri sull'educazione della donna. Essa in-
fatti in una delle sue lettere a lui dirette gli scrive: “ Se mai
havvi in me alcunchè di buono, qualche destrezza di spirito,
qualche sentimento in cuore, a voi lo dovrei, a voi, che mi avete
mostrata amabile la virtù e mi avete insegnato ad amarla, pe-
netrata delle vostre bontà e di imitazione per le vostre virtù ,.
E Fénélon in una sua lettera al Sacy parla della Lambert in
questi termini: “ Oggi stesso ho letto con gran piacere il ma-
noscritto di M. Lambert. Tutto in esso mi parve espresso nobil-
mente e con molta delicatezza. Vi si trovano ad un tempo sen-
timento e principii. Io vi scorgo cuor di madre senza debolezza.
L’onore, la probità più pura, la conoscenza del cuor degli uo-
mini dominano in questo discorso ,. Intelligenza elevata, spirito
colto e riflessivo, nobile cuore, la M. di Lambert tiene un posto
luminoso nella storia delle donne letterate francesi del sec. XVII.
Già Fénélon lamentava la decadenza morale delle famiglie dei
tempi suoi e propugnava la necessità dell'educazione della donna.
A questo pensiero si inspirò la Lambert, e vi consacrò l’opera
e la penna. Della sua casa aveva fatto un convegno di sapienza,
dove accoglieva due volte alla settimana accademici, letterati,
personaggi cospicui, e si teneva onorato chi vi pigliava parte.
Colpita dallo spettacolo della vita molle, vana, voluttuosa, che
presentavano in generale le famiglie signorili, ne ricercò le ca-
(*) Letta nell'adunanza del 17 maggio 1896.
892 GIUSEPPE ALLIEVO
gioni e ne propose i rimedii. Le sue Fiflessioni sulla donna sono
uno splendido saggio di critica psicologica e sociale, una viva
e vera pittura della corruttela dominante, una robusta ed elo-
quente difesa dei diritti e della dignità della donna, un nobile
appello ad una educazione femminile soda ed elevata. Gli uo-
mini, essa osserva, hanno sparso il ridicolo sulle donne colte,
dileggiandole col titolo di pedanti, ed il ridicolo è diventato
cotanto formidabile, che se ne ha paura più che dell’onta e del
disonore. Dacchè le donne si videro assalite rispetto agli inno-
centi diletti, che provavano nel culto degli studîì, qual mera-
viglia, se dovendo scegliere fra onta ed onta si sono abbando-
nate alla voluttà ed alla licenza? Le donne hanno cangiato gusto,
ma la società che cosa vi ha guadagnato? Sono opera degli
uomini i costumi del tempo, ed io assalirò gli uomini.
Come sono tiranni gli uomini (essa prosegue nella sua critica)!
Vogliono che noi non facciamo uso del nostro spirito e della
nostra intelligenza. Quasi che loro non bastasse di dominare sul
nostro cuore, si impadroniscono anche della nostra intelligenza.
Qual diritto essi hanno di vietarci lo studio delle scienze e delle
belle arti? Le donne, che vi si sono applicate, forsechè non
hanno fatto buona prova? Da assai tempo si vitupera la con-
dotta delle donne, le quali mai non furono tanto sregolate, come
al presente; ma gli uomini hanno essi tanta purezza di costumi
da acquistare il diritto di censurare quelli delle donne? E qui
prende a difenderle ed a dimostrare che per virtù di mente non
la cedono punto agli uomini, e ricorda la sentenza di Male-
branche, che la natura ha largito ad esse le grazie dell’imma-
ginazione, la quale le rende arbitre assolute del buon gusto; ed
è l'immaginazione che crea i poeti e gli oratori. Ma essa va più
in là di Malebranche, e sostiene che l’attenzione mentale nelle
donne non è punto distratta ed affievolita dal sentimento in
esse dominante, come si pretende comunemente; che anzi sotto
questo riguardo la donna sovrasta all’ uomo. “ L'attenzione fa
spuntare per così dire la luce, avvicina le idee allo spirito e le
pone alla sua portata; ma nelle donne le idee si presentano da
sè e si dispongono in ordine piuttosto per opera del sentimento,
che della riflessione: è la natura, che ragiona per esse e ne
porta il peso. Perciò io non sono di avviso, che il sentimento
nuoccia all’intelletto, ma invece fornisce nuovi spiriti, che illu-
DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 893
minano le idee per guisa che si presentino più vive, più lim-
pide, più sceverate. Alla verità si giunge tanto sicuramente
mediante la forza ed il calore de’ sentimenti, quanto mediante
l'ampiezza e la giustezza de’ ragionamenti: essi più presto che
non le conoscenze ci conducono sempre allo scopo , (op. cit.).
Sono acute e belle queste riflessioni psicologiche della autrice,
e non mancano di valore, siccome quelle, che chiariscono le at-
tinenze tra le due facoltà del sentimento e del pensiero; e pro-
seguendo nell’ argomento essa sostiene che la persuasione, la
quale vien dal cuore, sopravanza quella che vien dallo spirito,
e che la natura ha affidata al cuore e non alla riflessione la
condotta delle nostre azioni. Anche questo punto, se la più si-
cura norma direttiva della nostra vita pratica sia il cuore od
il pensiero, è un grave problema, che spetta alla psicologia di
risolvere (1). Ad ogni modo l’autrice mostra potenza di mente
ed acutezza di spirito nel propugnare i diritti della donna di
fronte all’ uomo, e nobiltà di intendimento nel richiamarla al
sentimento della sua dignità personale.
La M. di Lambert non si tenne paga di difendere l’eguaglianza
della donna e dell’uomo rispetto alla potenza mentale, ma si
adoperò a dar corpo e vita alla sua idea e scrisse il suo opu-
scolo: Avvisi di una madre a sua figlia, che fa degno riscontro
all’altro: iflessioni sulla donna. Questo lavoro è inspirato da
nobilissimi sentimenti, condotto con vigoroso e stringato ragiona-
mento, dettato con energia e limpidezza di linguaggio. Essa
esordisce, come Fénélon nel suo opuscolo, col deplorare la trascu-
ranza della educazione femminile. Si abbandonano le fanciulle
alla mollezza, al mondo, ai pregiudizi ed alle false opinioni, e
non si pensa che le donne fanno la felicità o la sventura degli
uomini, che per esse le famiglie si elevano o si distruggono.
Le destiniamo al piacere senza mai una lezione di virtù e di
forza, ed è una follia il credere che una educazione siffatta non
sì rivolga contro di esse.
Sono veramente improntati da una elevata sapienza morale
e fondati sopra una profonda conoscenza del cuore umano gli
avvertimenti ed i consigli che essa porge per educare il cuore
(1) Vedi il mio opuscolo: Le armonie del soggetto umano, pag. 16 e seg.
894 GIUSEPPE ALLIEVO
di una giovane fanciulla. Ai sentimenti essa attribuisce la virtù
di formare il carattere, di guidare lo spirito, di governare la
volontà, ma addita la sorgente di siffatti sentimenti nella reli-
gione. Il dovere non basta imporlo coll’ autorità del comando,
ma bisogna farlo amare, mostrarne la ragionevolezza ed i mo-
tivi. Le virtù brillanti non sono il retaggio della donna, bensì
le semplici ed amabili: le virtù proprie di lei sono difficili,
poichè la gloria non aiuta a praticarle, sono penose, perchè
oscure. La fanciulla entrerà nel gran mondo: vi porti tutta la
sua religione, sappia sostenerla nel suo spirito per via di rifles-
sione e di letture convenienti; tenga per fermo, che la vera
felicità sta nella pace dell'anima, nella retta ragione, nell’adem-
pimento del dovere; non dimentichi, che vi sono due tribunali
inevitabili, davanti ai quali deve passare, la coscienza ed il
mondo; al mondo potrà sfuggire, alla coscienza non mai.
È un dovere impiegare il tempo; e siccome i primi anni sono
preziosi ed i caratteri si imprimono facilmente (1), così vuolsi
ornare la memoria di cose preziose, non ispegnere il sentimento
della curiosità, ma dargli buon nutrimento, perchè la curiosità
è principio di conoscenza, e più lungi e più presto ci fa avan-
zare nel cammino della verità. E qui l'autrice si fa a proporre
gli studî più convenienti alle fanciulle, ed il suo disegno non
si discosta gran fatto da quello di Fénélon. Poichè riguardo alla
storia ed alle lingue ripete il pensiero di lui quasi colle stesse
parole. Quanto alla poesia, essa va un po’ più in là sino a con-
cedere la lettura delle tragedie di Corneille, sebbene sia di av-
viso, che i lavori poetici anche migliori dànno lezioni di virtù,
ma lasciano le impressioni del vizio. Assai più dannosa reputa
la lettura dei romanzi. Un po’ di filosofia per chi ne è capace,
e sovratutto la nuova, non è biasimevole, meglio ancora la
scienza morale; chè a forza di leggere Cicerone, Plinio ed altri
moralisti si piglia gusto per la virtù. Bando alle scienze su-
blimi e straordinarie. In conclusione la Lambert allarga assai
più del Fleury e di Fénélon la cerchia degli studi femminili.
Proseguendo il corso delle sue riflessioni l’autrice passa ad
altri avvertimenti e consigli, che a mio avviso riguardano non
(1) Questo medesimo pensiero già sì riscontra nell’Educazione delle figlie
di Fénélon, cap. V.
DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 895
più l'educazione propriamente detta della puerizia e dell’ ado-
lescenza, bensì quell’altra specie di educazione, che si continua
per tutto il corso della vita ed appellasi educazione di se stesso.
Sebbene nell’opuscolo non sia segnata nessuna divisione, pare
a me, che di essi gli uni possano essere più propriamente rife-
riti alla coltura del pensiero, gli altri alla coltura del senti-
mento e del cuore.
Quanto al primo di questi due punti, vi si scorge qua e là
lo spirito della nuova filosofia di Cartesio, che allora dominava.
Là dove parla la religione e la fede, siate docile e cedete al-
l'autorità, ma in ogni altro punto serbate indipendente la vostra
ragione e non ristringete le vostre idee dentro a quelle degli
altri; non cedete alla forza dell’opinione, ma giudicate le cose
per quel che valgono in se stesse. La verità anzi tutto: essa
sta al di sopra dei tempi e delle persone. Però non attribuite
alla ragione una potenza illimitata: cercate la verità, ma mi-
surate prima le vostre forze fin dove vi possano condurre e
formatevi un criterio, che determini la vostra persuasione. Là,
dove non vedete chiaro, abbiate il coraggio di dubitare, e se
alcunchè sorpassa la vostra apprensiva, dite francamente: questo
io non lo so. Quando il vostro pensiero presume troppo di sè
e si leva a smodata arditezza, riflettete, che la ragione ed i
sensi, le due supreme sorgenti di tutto il nostro sapere, talvolta
s'ingannano a vicenda.
Più che la memoria, esercitiamo il pensiero. Bisogna av-
vezzarsi a pensare e non riempiere la testa di idee straniere
senza trar nulla dal proprio fondo. Rimpinzare la memoria di
storie e di fatti non è un perfezionare la mente, un avanzare
nella via del sapere. È la vostra ragione, che vi sorreggerà
nelle. gravi strettezze, non la ragione stoica di Seneca e di
Epitteto.
Ognun vede la saggezza di questi avvertimenti della Lam-
bert: sono un giusto omaggio al culto del pensiero senza essere
una idolatria della ragione. Ma fra tutti i suoi consigli uno ve
ne ha, che vale esso solo un tesoro, perchè a mio avviso sor-
regge e rassicura tutta la coltura del nostro spirito. “ La più
grande scienza, essa avverte, sta nel saper essere in sè ,. È
una sentenza veramente aurea; perchè a me è sempre parso,
che chi non sa raccogliersi di quando in quando nella solitu-
896 GIUSEPPE ALLIEVO
dine del suo spirito e rendersi ragione di quello, che pensa. e
di quanto sa od ignora, perde il sentimento della sua indivi-
dualità personale e finisce col naufragare nell’ immenso mare
dell'essere. Quindi giustamente essa consiglia di assicurarsi un
ritiro, un asilo in noi stessi. Nella nostra solitudine il mondo,
da cui ci teniamo appartati, peserà meno sopra di noi e ci sen-
tiremo più liberi dalle impressioni, che fanno sopra di noi gli
oggetti sensibili e dalla tirannia dell’opinione. Però essa avrebbe
potuto con egual sentimento di verità consigliare di non trascor-
rere nell’ estremo opposto, di non rinchiuderci nella solitudine
dell'anima tanto da disconoscere e rinnegare la realtà esterna.
Saper vivere in noi e fuori di noi, questa è, io penso, vera e
somma sapienza.
Il sapere non è tutto. “ L’anima ha ben più di che godere,
che di conoscere ,. Ed anche questo mi pare profondamente
vero, che non è la scienza, che possa darci la felicità. Per vi-
vere felice bisogna pensar sanamente; ma abbiamo lumi proprii
e necessarii al nostro buon essere, senza correre dietro a verità,
che non sono fatte per noi. Gli è dal cuore, che dovete atten-
dere una virtù durevole e sicura; è desso che vi caratterizza.
Perfezionare il cuore ed i suoi sentimenti, ecco quel, che pri-
mamente importa. Quando vi sentirete agitata da qualche viva
e forte passione, domandate una tregua al vostro sentimento.
L’immaginazione può molto nelle donne, ed illude coi fantasmi
del piacere, ma coloro, che non la sottomettono alla verità ed
alla ragione, ben sanno ciò, che essa fa soffrire.
Della Lambert abbiamo un altro lavoro, che fa giusta cor-
rispondenza a quello or ora ricordato, e che è inscritto: Avver-
timenti di una madre a suo figlio. La madre è lei stessa, che dà
consigli al proprio figlio. “ Voi non potete, gli dice, aspirare a
nulla di più degno, nè di più conveniente della gloria. Ogni
uomo, che non aspiri a farsi un gran nome, non opererà mai
grandi cose. Ma di gloria ve ne sono varie specie: ciascuna
professione ha la propria; nella vostra s'intende la gloria, che
vien dal valore, la gloria degli eroi ,. E qui essa ritrae l'ideale
del prode guerriero ed ammaestra suo figlio intorno le virtù e
gli studi che gli occorrono per giungere alla gloria militare.
L’indole della materia, che ci siamo proposti di discorrere, non
ci consente di esaminare le sue idee intorno a questo argomento,
DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 897
che riguarda l’educazione maschile; questo solo mi si consenta
di osservare, che non è buon consiglio pedagogico proporre
all’alunno come ideale l’aspirazione alla gloria, la quale invece
deve venire da sè come spontanea conseguenza di un onesto e
nobile operare, e che la gloria militare non è vera gloria, perchè
macchiata di sangue umano.
Antonio Conti (1677—1748).
La Marchesa di Lambert fiorì tra il secolo decimosettimo ed
il decimottavo; e nel 1721 usciva alla luce in Parigi un breve
lavoro di Antonio Conti intorno il presente argomento del nostro
studio, che merita di essere ricordato. Il Conti (1677—1748)
nobile veneto, fu letterato e pensatore insigne, che illustrò il
Parmenide di Platone e la dottrina filosofica di Cartesio. Nel
lavoro, che qui ricordiamo, diretto in forma di lettera al Signor
Perel (1), egli prende a discutere la questione se le donne sieno
atte così come gli uomini al governo, alle scienze ed alla guerra,
ed avverte che non si trova autore, il quale la abbia ridotta
al suo genuino aspetto e l’abbia trattata partendo da principii,
che il solo Malebranche l’ ha riguardata fisicamente, ma l’ ha
toccata soltanto alla sfuggita. Il Conti pone per principio, che
il governo, le scienze e la guerra sono occupazioni, che dipen-
dono dal vigore dello spirito e del corpo, e che perciò il punto
della questione sta nel paragonare il vigore del corpo e dello
spirito nell'uomo e nella donna. Ciò posto, egli si fa a dimo-
strare, che le donne non hanno lo stesso vigore di corpo degli
uomini, perchè le fibre corporee sono in esse assai meno solide
ed elastiche, e ne inferisce per conseguente, che i legislatori
fecero ottimamente escludendole dalla guerra e dagli altri me-
stieri aspri e penosi: ecco risolta la prima parte della questione;
e finqui la critica non ha di che opporre al suo ragionamento.
Passando alla seconda parte della questione, in cui si cerca se
le donne abbiano lo stesso vigore di spirito degli uomini, parte
dal principio che l’anima ha la sua sede nel centro ovale del
(1) Questa Lettera trovasi nel tomo secondo e postumo delle sue Prose
e Poesie alla pag. LXV.
898 GIUSEPPE ALLIEVO
cervello, dove è l’origine de’ nervi, e ne inferisce che siccome
le fibre degli uomini sono assai solide ed elastiche e quindi
suscettibili di vibrazioni lunghe e veementi, porgono allo spi-
rito ed all’immaginazione occasione di que’ grandi fenomeni, che
si chiamano scienze ed arti. Per contro siccome nelle donne le
fibre del cervello non sono capaci di pulsazioni forti, il loro
spirito viene a mancare degli strumenti necessari per formare,
meditando, idee astratte, analizzarle, precisarle, e quindi per
iscoprire verità speculative, per costruire un sistema di crono-
logia, di critica, di metafisica, di matematica. Per conseguente
le donne non sono atte al governo ed alle scienze. Però se le
vibrazioni delle fibre cerebrali sono nelle donne meno gagliarde,
sono tuttavia più frequenti; quindi ne viene che esse superano
gli uomini nelle grazie dell’immaginazione, nella naturalezza del
discorso, nella facilità e squisitezza, con cui giudicano delle
questioni riguardanti la lingua, lo stile, il buon gusto di ogni
maniera, i gradi più impercettibili di una passione.
L'autore nel giudicare se le donne abbiano la stessa vigoria
del corpo che gli uomini, è partito dall’osservazione delle fibre
dell'organismo corporeo, e bene sta; ma trattandosi di parago-
nare il vigore dello spirito, poteva egli mantenersi egualmente
nel campo della fisiologia e rimanersi alla sola osservazione
delle vibrazioni delle fibre cerebrali? Io non credo che colla
sola scorta della fisiologia si giunga mai a spiegare i fenomeni
proprii dello spirito e rilevarne le differenze nell'uomo e nella
donna. Egli non ha punto dimostrato, che la maggior veemenza
di vibrazione delle fibre cerebrali sia proprio essa la condizione
necessaria allo spirito, perchè possa lavorare le idee astratte
ed elevarsi alla formazione di un sistema scientifico; come pure
gli riuscirebbe impossibile il determinare qual grado di energia
delle vibrazioni delle fibre cerebrali si richiegga per esercitare
la facoltà dell’astrazione e della speculazione scientifica. Eppure
tutto il suo ragionamento presuppone la dimostrazione di questi
due punti (1).
(1) Insieme col Conti va pure ricordato in quello stesso secolo Antonio
Leonardo Thomas dell’Accademia francese (1732—1785), che pubblicò nel
1772 un Saggio sopra il carattere, i costumi e lo spirito delle donne. In so-
stanza anch'egli conviene col Conti nel sostenere, che le donne non sono
DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 899
Gian Giacomo Rousseau (1712—1778).
Il Dio del Genesi disse: “ Non è bene, che l’uomo sia solo:
facciamogli un aiuto simile a lui ,; e diede Eva per compagna
ad Adamo. Rousseau nel quinto libro dell’Emilio così esordisce:
“ Non è bene che l’uomo sia solo (1). Emilio è uomo; noi gli
abbiamo promessa una compagna, conviene dargliela. Questa
compagna è Sofia ,. Per conseguente “ dopo di avere procac-
ciato a formare l’uomo della natura, per non lasciare imperfetta
l’opera nostra, vediamo come vuolsi formare altresì la donna,
che conviene a tal uomo ,.
Giustamente egli piglia le mosse da una disamina compa-
rativa delle conformità e delle differenze de’ due sessi, la quale
riesce a questi pronunciati. In ciò, che hanno di comune, essi
sono eguali, in ciò, che hanno di diverso, non possono parago-
narsi, perchè la perfezione propria dell'uomo è di altra specie
da quella della donna. Tutte le facoltà comuni non sono egual-
mente ripartite; ma nel loro insieme si compensano. In sostanza
questo concetto dell’ autore mi sembra conforme a verità, ma
forse poteva essere enunciato in forma più semplice e chiara
dicendo che l’uomo e la donna sono eguali in quanto apparten-
gono amendue alla specie umana ossia posseggono le facoltà
essenziali costitutive dell’ umanità, sono differenti, in quanto
ciascuno è fornito di un'individualità sua propria, riposta nella
diversa tempra delle facoltà comuni. Intanto teniamo ben fermo,
che secondo l’autore, tra i due sessi non corre un rapporto nè
di inferiorità nè di superiorità, ma di eguaglianza e differenza.
Posto questo principio psicologico, Rousseau ne inferisce,
che l’uomo e la donna non debbono avere la medesima educa-
zione. Questa conseguenza è giusta solo in parte. Egli ha di-
atte così come gli uomini ad una lunga e rigorosa deduzione e ad una
data sublimità di idee; ma il suo lavoro è piuttosto dettato in forma
letteraria, che condotta con rigore scientifico di ragionamento, è piuttosto
una rapida scorsa attraverso la storia de’ diversi secoli, che una serie con-
tinuata di osservazioni e di riflessioni psicologiche.
(1) Rousseau, il banditore della silvestre natura, l’implacabile avver-
sario della società, proclama, che non è bene che l’uomo sia solo!
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 61
900 GIUSEPPE ALLIEVO
menticato, che l’uomo e la donna in quanto hanno facoltà co-
muni, per cui appartengono alla medesima specie, sono eguali,
e quindi sotto questo riguardo l’educazione di entrambi vuol
essere la medesima: la diversità dell'educazione debbe solo ri-
guardare il sesso, ossia l’individualità propria della donna.
Non è intendimento della natura, che la donna sia allevata
nell’ignoranza assoluta di ogni cosa e rinchiusa nelle cure do-
mestiche, bensì che coltivi il suo spirito pensando, giudicando,
conoscendo. Ciò posto, Rousseau deriva la forma della sua edu-
cazione dalla distinzione particolare propria del suo sesso, e qui
ripete il concetto di Fénélon e della Lambert, che le sorti degli
uomini e della società dipendono dalla famiglia, e quindi stanno
in mano della donna, la quale perciò va educata all’ adempi-
mento de’ suoi doveri domestici; ma il suo grave abbaglio sta
in ciò, che ei vuole educata la donna niente per sè, tutta in
servizio dell’uomo e della famiglia e segnatamente per piacere
al marito. Tralascio di notare, che non tutte le fanciulle sono
destinate ad essere spose e madri: questo solo giova avvertire,
che qui l’autore non si mantiene coerente al principio da lui
stabilito intorno al rapporto tra i due sessi. Infatti egli aveva
negato ogni rapporto di inferiorità della donna rispetto all’uomo,
sostenendo che le facoltà comuni ad amendue sono in ciascuno
differentemente distribuite, ma che nel loro insieme si compen-
sano. Ora invece sentenzia che la donna va educata in servigio
dell’uomo. Inoltre egli ha dimenticato l'eguaglianza di natura
ossia la comunanza della specie, per cui la donna essendo anche
essa rivestita della dignità propria della persona umana va edu-
cata anche per sè, e non semplicemente in servigio altrui. Essa
ha doveri da adempiere non solo verso la famiglia, ma anche
verso di se stessa e verso Dio; ha dei diritti alla verità, alla
virtù, che non sono meno sacrosanti di quelli dell’uomo.
“ Sottoposta al giudizio degli uomini, la donna deve meri-
tare la loro stima, e sopratutto ottenere quella del suo sposo...
deve giustificare davanti al pubblico la scelta che egli ha fatto
di lei, e far onorare il marito dell’ onore, che si tributa alla
donna. Or come potrà fare tutto ciò, se essa ignora le nostre
istituzioni, i nostri usi, la sorgente de’ giudizi umani, le pas-
sioni che li determinano? Dacchè essa dipende ad un tempo
dalla sua coscienza e dalle opinioni altrui, occorre che essa im-
DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 901
pari a paragonare queste due norme, a conciliarle e preferire
la prima soltanto allora che sono in opposizione fra di loro...
Niente di tutto ciò può essere fatto a dovere senza coltivare
il suo spirito, la sua ragione (1) ,. Anche qui l’autore disco-
nosce il principio psicologico, da cui aveva pigliato le mosse,
ed invece di collocare l’educazione della donna alla pari con
quella dell’uomo, la subordina alle esigenze di lui, sostenendo
che essa deve coltivare la ragione a fine di conoscere le isti-
tuzioni, i costumi, le passioni dell'uomo e meritarne la stima
e l’onore in faccia alla pubblica opinione ed alla propria co-
scienza. À me non pare che i dettati della coscienza, per essere
autorevoli e veraci, abbisognino di essere ratificati dal tribu-
nale della ragione, come se la ragione fosse essa sola l’infallibil
maestra della verità; io inclinerei anzi verso la proposizione
contraria. Oltre di che questa sentenza di Rousseau, che qui
tanto innalza la ragione, si mostra inconciliabile col sentimen-
talismo, che informa la sua dottrina sull'educazione morale, e
di tutto punto contraddice all’altro suo concetto, che sacrifica
la ragione della figlia e della moglie all’ autorità della madre
e del marito.
Rousseau nega alla donna la virtù speculativa del pensiero,
che ricerca le verità astratte, i principi e gli assiomi delle
scienze, le ricusa la facoltà di generalizzare le idee, di compren-
dere i capolavori del genio, l’attitudine alle scienze fisiche ed
alle scienze esatte, perchè mancano della giustezza e dell’atten-
zione sufficiente all'uopo. Egli le concede una ragione non già
speculativa, ma meramente pratica, alla quale assegna per 0g-
getto lo studio non già dell’uomo preso nella sua astratta ge-
neralità, bensì degli uomini individui e viventi, delle persone
singolari, che la circondano e con cui convive (V. Emilio, t. 4,
pag. 74, 75, ediz. Parigi).
Anzi tutto l’autore ha asserito, ma non ha punto dimo-
strato, che la ragione della donna sia impotente a quelle gene-
ralizzazioni astratte, che costituiscono il sapere scientifico, e non
ha avvertito, che neanco tutti gli uomini sono forniti di tale
attitudine. Il niegarle ogni virtù speculativa del pensiero, è sen-
tenza troppo esclusiva, epperò insussistente. Ma egli è trascorso
(1) Op. cit., t. 4, pag. 65, 66.
902 GIUSEPPE ALLIEVO
più in là: non si tenne pago di concedere alla donna una ra-
gione meramente pratica, ma la volle circoscritta tutta quanta
allo studio degli uomini e della famiglia. Ecco un altro punto
del suo esclusivismo. Non aveva forse stabilito il principio, che
la donna deve pensare, coltivare il suo spirito, e che è da na-
tura chiamata ad una perfezione propria del suo sesso e diversa
da quella dell’uomo? Come adunque potrà essa raggiungere
questa sua propria perfezione, se prima ancora e più ancora
degli uomini non istudierà attentamente e profondamente se
stessa ? Rousseau vuole che la coltura della ragione femminile
abbia per unico oggetto lo studio degli uomini: il vero si è,
che l'educazione della donna deve avere il suo primo e principal
fondamento nello studio e nella conoscenza di se medesima.
Fanciulla, sposa, madre, la donna attingerà sempre dalla osser-
vazione interiore di se medesima un raggio di luce, che la il-
lumini in mezzo alle tortuose vicende della vita, e senza la psi-
cologia femminile una psicologia umana veramente compiuta non
si avrà mai.
Forza è confessare, che Rousseau non vede di buon occhio
la donna istrutta. Non gli basta avere sentenziato che la ma-
tematica, la fisica, il sapere speculativo qualunque esso sia non
sono fatti per lei; ma egli non fa tampoco parola nè di lette-
ratura, nè di lingua, nè di storia, nè di igiene, nè di morale
teorica, come se questi studi fossero disdicevoli a fanciulla ben
educata. Che anzi, non gli saprebbe male, che “ la donna fosse
limitata ai soli lavori del suo sesso e venisse lasciata in una
profonda ignoranza su tutto il resto, quando i pubblici costumi
fossero semplicissimi, integri, o si menasse una vita ritirata ,
(ediz. cit., t. 4, pag. 65). Ma alla fin fine a che più applicarsi
allo studio, meditare sui libri, sentire la parola del maestro ?
“ Lo spirito di Sofia non si è punto formato mediante la let-
tura, bensì soltanto mediante le conversazioni col suo padre,
colla madre, mediante le sue proprie riflessioni e le osservazioni
da essa fatte in quel po’ di mondo, che ha veduto , (ib., pag. 95).
In conclusione, nessun insegnamento scientifico, un sapere ran-
nicchiato dentro la meschina cerchia della vita quotidiana, ecco
la coltura mentale della donna, quale ei la intende.
Mentre Rousseau vuole differita sino all’età dell'adolescenza
l'istruzione religiosa ai fanciulli, per le fanciulle intende che
DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 903
esordisca sin dagli anni primi. “ Se i fanciulli maschi non sono
in condizione di formarsi veruna idea vera di religione, tanto
più essa idea trascende il concepimento delle figlie: gli è perciò,
che io vorrei parlarne a queste assai per tempo; perchè se fosse
giuocoforza attendere, che esse fossero in grado di discutere
metodicamente queste profonde questioni, si correrebbe rischio
di non parlarne loro giammai , (ibid., pag. 52). Ma se, in sen-
tenza dell’autore, la ragione della donna non giunge a quelle
conoscenze ideali ed astratte, a cui s'innalza la ragione del-
l’uomo, vorrebbe la buona logica che l’istruzione religiosa assai
più presto cominciasse per i fanciulli che per le fanciulle; per
contro il nostro autore ragiona tutt’al rovescio. Inoltre insegna
l'esperienza medesima che il pensiero dell’educando progredisce
col progredire dell’età, sicchè va via via comprendendo sempre
meglio quel, che da prima aveva imperfettamente inteso ; invece
l’autore stranamente sentenzia, che se la fanciulla non viene
fin dai primi anni ammaestrata nella religione, la cui idea è
tuttavia superiore alla sua apprensiva, non ne capirà nulla per
tutta la vita. Egli avverte, che invano ci attenderemmo che
essa sia da tanto da discutere metodicamente queste profonde que-
stioni. Ma la sua avvertenza è fuori di proposito, essendochè
l’insegnamento della religione non esige punto che si trascini
l'alunno in mezzo alle ardue ed astratte disquisizioni di scienza
teologica, bensì basta che si espongano piuttosto per via di au-
torità che di ragione le verità religiose; il che è riconosciuto
da Rousseau medesimo, il quale scrive più sotto: “ Poichè l’auto-
rità deve regolare la religione delle donne, non si tratta di
spiegare loro le ragioni, che si hanno di credere, quanto di
esporre ad esse chiaramente ciò, che si crede ,; e prima di lui
la Marchesa di Lambert aveva consigliato che l'insegnamento
religioso sia bensì dogmatico, ma non teologico. Egli ricisamente
afferma, che “ siccome la condotta della donna è sottomessa
alla pubblica opinione, così la sua credenza è assoggettata al-
l'autorità. Ogni figlia debbe avere la religione di sua madre,
ogni donna quella di suo marito... La madre e la figlia non es-
sendo in grado di giudicare da sè, debbono ricevere la decisione
dei padri e de’ mariti come quella della chiesa , (ibid., pag. 53).
Rispettare l’autorità della madre e del marito è bella e santa
cosa; ma l’autorità non deve distruggere il diritto, che ha ogni
904 GIUSEPPE ALLIEVO
anima umana alla verità. Se una figlia od una moglie fossero
venute nell’intimo e sincero convincimento, che esiste una reli-
gione, la quale mostra l'impronta della divinità più viva e più
sicura che non quella da esse professata, dovranno esse rinun-
ciarvi per non venir meno al rispetto verso l’autorità della
madre o del marito ? E se mai o la madre od il marito non
professassero religione di sorta, o calpestassero quella, in cui
sono nati, la figlia o la moglie dovranno seguirne il non auto-
revole esempio ? È cosa davvero singolare, che un libero pen-
satore e riciso razionalista, qual è il Rousseau, sacrifichi la
ragione all’autorità in una questione cotanto delicata, quale è
quella, che riguarda la coscienza religiosa!
Ognuno ben sa qual potente strumento di coltura mentale
sia l’arte del leggere e dello scrivere; ma anche su questo
punto l’autore la pensa in modo tutt’altro che largo e compren-
sivo. “ Se io non voglio che si affretti un figlio ad apprendere
la lettura, per più forte ragione non voglio che vi si costrin-
gano le giovanette prima che loro si faccia ben sentire a che
giova la lettura... Anzi tutto dov'è la necessità che una figlia
sappia leggere e scrivere così presto ? Avrà torse da reggere
così presto le faccende domestiche? Ben poche ve ne sono, che
di questa scienza fatale non facciano più abuso, che uso, e
tutte sono un po’ troppo curiose per non apprenderla senza
costringimento, quando ne avranno agio ed occasione , (id.,
pag. 32). Che l'insegnamento del leggere e dello scrivere debba
essere alquanto ritardato, è questa un'opinione, che si può so-
stenere come la sua opposta, sebbene non si possa convenire
coll’autore, che la giovinetta non ne abbisogni punto per il
disbrigo di faccende domestiche. Ma egli appellando fatale ad-
dirittura questa scienza, pronuncia contro di essa una inesorabil
condanna; tanto varrebbe chiudere senza riguardo le scuole fem-
minili senza sbracciarsi più che tanto a scemare la folla degli
analfabeti. Egli addita Sofia, che “ mai non ha letto verun libro
se non Barrem e Telemaco, che per caso le capitò fra le mani,
(pag. 128); e sentenzia che in generale le fanciulle abusano di
questa scienza, adoperandola forse in corrispondenze amorose
o nella lettura di libri immorali; ma e di che non si può abu-
sare? Anche delle più nobili e sante cose del mondo. L’abuso
non è una ragione, per cui anche l’uso debba essere condannato.
DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, Ecc. 905
Certamente la coltura del pensiero non si fonda tutta quanta
sui libri, ma non può farne senza: si legga bene e si leggano
buone cose, ed il pensiero ne attingerà un sostanzial nutrimento.
Dalle cose sinquì discorse consegue, che Rousseau non sa
fare buon viso alla coltura scientifica della donna, misurando
a dosi omeopatiche il sapere a Sofia. Quali ne sono le ra-
gioni? Anzi tutto egli seguiva l’opinione dominante dei filo-
sofi ed enciclopedisti del suo secolo, i quali avversavano in ge-
nerale l'istruzione della donna, che ne aveva abusato per fare
del bello spirito e calpestare i doveri della famiglia. Poi le figlie
e le madri, segnatamente nelle grandi città, porgevano a’ suoi
tempi il tristo spettacolo di un vivere licenzioso e dissoluto,
ed a riparo di tanto male voleva che l’educazione formasse una
donna onesta e buona massaia e niente più. Infine era uno dei
suoi concetti dominanti questo, che le lettere e le scienze cor-
rompono i costumi e pervertono la natura, sicchè per lui l’uomo,
che pensa, è un animal depravato. Non è quindi da meravigliare,
se non gli andava a genio la coltura scientifica della donna.
Egli era partito dal giusto principio, che la donna avendo
un carattere, un temperamento, una perfezione tutta sua propria,
non debbe avere la medesima educazione dell’uomo. Poi sra-
gionando trasse da quel principio una conseguenza, la quale
rivela nell’educazione della donna l'egoismo dell’uomo. Infatti
è sua teoria questa, che la donna va educata per piacere al-
l’uomo ed adempiere i suoi doveri verso gli uomini, che il suo
spirito va coltivato affinchè conosca le istituzioni, i costumi, i
giudizii degli uomini, che la cerchia de’ suoi studi va ristretta
alla conoscenza degli uomini, con cui convive.
Giunto pressochè a metà del libro, l’autore non ragiona
più intorno l'educazione femminile, ma lavora coll’immaginazione
e scrive un grazioso romanzo. Egli ci ritrae in Sofia l'ideale
della fanciulla perfettamente educata, la quale si stringe in vin-
colo coniugale con Emilio, ed accompagna co’ suoi auguri e coi
suoi consigli quell’imeneo, ma fu un matrimonio infelice. Ep-
pure egli li aveva educati l’uno per l’altra! Decisamente Rous-
sean è un grande scrittore e letterato, ma un ragionatore in-
felicissimo ed un pensatore niente serio, e tale si mostra nel
quinto libro della sua opera. Ad ogni piè sospinto smarrisce il
filo del ragionamento: da una pagina all’altra le idee non che
906 GIUSEPPE ALLIEVO
chiarirsi si intorbidano e si alterano tanto che non si sa più
che cosa egli pensi in modo fermo e sicuro: scambia asserzioni
gratuite per solide dimostrazioni; pone un principio e ne tira
conseguenze contraddittorie. Stabilisce che i due sessi sono
eguali e che le loro facoltà, sebbene diversamente compartite,
sì compensano, e poi vuole la donna fatta segnatamente per
piacere al marito, ed alla autorità di lui sacrifica la ragione
della moglie in fatto di credenze religiose. Scaglia contro le
donne i più spietati vituperi, tacciandole di frivole, incostanti,
civette, grandi fanciulli, caparbie, corrive agli estremi, facili a
soccombere; poi tutte queste magagne scompaiono nella sua
immaginaria Sofia, come se l'educazione potesse distruggere la
natura. Inveisce contro le donne del suo tempo corrotte c cor-
rompitrici delle loro figlie slanciate anzi tempo in mezzo al
gran mondo, poi consiglia di licenziarle nella danza, ai festini,
ai giuochi, al teatro. Meglio esse vedranno questi fragorosi
piaceri, più presto ne saranno disgustate , (op. cit., pag. 76).
Egli ragiona sempre coll’immaginazione: ecco tutto.
Di Rousseau uno scrittore suo contemporaneo ed amico,
Bernardino di Saint-Pierre, pronunciava questo giudizio: “ A” dì
nostri un celebre scrittore pare, che abbia, al pari di Platone,
sperato dall’educazione delle donne una rivoluzione ne’ costumi;
ma avendo trattato nel suo Emilio dell'educazione de’ due sessi
ad un tempo, ben lontano dall'avere rivolto quella della donna
all’utile pubblico, egli ha separato dalla società quella dell’uomo
medesimo, la quale sembra per tanti riguardi dover essere na-
zionale , (1). Nulla di più giusto di questo giudizio, il quale
pone in chiaro il punto erroneo, che tocca l’intima sostanza
della dottrina pedagogica di Rousseau. Egli vuole che Emilio
sia educato qual uomo, che vive nella selvaggia indipendenza
della solitaria natura, non qual cittadino stretto in convivenza
co’ proprii simili; che Sofia sia educata quale una compagna,
che piaccia e convenga a lui. Così dalla sua opera educativa
sorge una famiglia umana chiusa nel proprio egoismo, isolata
dal consorzio sociale.
(1) Discorso sull'educazione delle donne: 1% parte.
CTZ LET
seni
DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 907
Bernardino di Saint-Pierre (1737-1814).
Ben altro è il concetto pedagogico di Bernardino Saint-Pierre.
Nel suo Discorso sull'educazione delle donne da lui dettato nel
1777 per rispondere ad una questione proposta dall’ Accademia
di Besanzone (1), egli pone a principio, che la donna è chiamata
ad esercitare una profonda influenza sui pubblici costumi, ad
adempiere una missione educatrice, la quale dal santuario della
famiglia s'irraggia su tutto il gran mondo sociale, e svolge e
lumeggia questo concetto col mezzo di considerazioni razionali
confortate dalle testimonianze della storia. “ Non vi ha persona,
cui stia più a cuore la riforma degli uomini, quanto le donne.
Dovunque i popoli furono costumati, lèù hanno signoreggiato le
donne; dovunque esse sono piombate nell’imo della corruzione,
esse furono schiave ,. Tratteggiando l'infanzia umana con quella
mano maestra, che aveva scritto Paolo e Virginia, egli rileva
come fin dalla puerizia il fanciullo e la fanciulla si rivelano
ciascuno sotto una forma sua propria: l’uno fa mostra di ardi-
tezza, di forza, l’altra di timidità, di delicatezza; ma le anime
sono eguali. Il carattere attivo proprio dell’uomo ed il carattere
passivo proprio della donna sono entrambi perfetti e compon-
gono la più bella delle armonie, sicchè l’uno non va anteposto
all’altro nella grand’opera della vita; epperciò il confondere
l'educazione de’ due sessi è un disconoscere il loro carattere
distintivo.
L'autore contempla l’educazione femminile, secondochè è
data in casa, nei conventi, in mezzo al mondo. Conviene con
Fénélon, che la fanciulla va educata entro il santuario dome-
stico, dove il suo cuore può liberamente aprirsi all’amore della
famiglia, della patria, dell’ umanità, di Dio, e deplora siccome
una grande sventura domestica e sociale lo strapparla dal seno
della famiglia per tradurla in educatorii, dove “ nessun bacio
paterno, nessuna mano cara asciugherà le sue lacrime, dove
costretta a cercare conforti in un’amicizia straniera, finirà per
(1) La questione era così formolata: “ Come l’educazione delle donne
possa contribuire a migliorare gli uomini ,.
908 GIUSEPPE ALLIEVO
rompere quelle catene naturali, di cul i loro parenti hanno spez-
zato le prime anella ,. Passando poi agli usi del mondo, egli
riguarda la lettura dei libri e la frequenza dei teatri, siccome
fonti di pervertimenti e di corruzione per le fanciulle. Libri,
che loro veramente approdino, in sua sentenza sono ben pochi.
I romanzi, che tratteggiano il vizio, le trascinano giù per la china
delle sbrigliate passioni; quelli, che parlano di virtù, le slanciano
in un mondo immaginario e loro inspirano l’odio per il mondo
reale, in cui sono poste a vivere. Quanto poi ai libri scientifici
e speculativi, offrono un campo di lotta fra seguaci di sistemi
i più disparati ed opposti, dove tante verità sono messe in pro-
blema, tanti paradossi sono scambiati per massime, sicchè la.
loro lettura porta come a risultato finale alla distruzione dei
principii e del carattere. La storia medesima non inspira gran
benevolenza verso gli uomini, siccome quella, che tratteggia i
furori dei popoli. Con questo concetto direttivo davanti al pen-
siero egli passa a tratteggiare l’educazione femminile discor-
rendo delle virtù speciali, a cui vuol essere informato l’animo
della fanciulla e delle arti domestiche, in cui va ammaestrata,
sempre intento all’epigrafe da lui posta in fronte al suo discorso:
“ Per rendere buoni gli uomini, occorre renderli felici ,.
La madre apprenda alla sua figlia la virtù anzi ogni cosa,
e la virtù, egli scrive, è uno sforzo fatto sopra noi stesse per
il bene degli uomini coll’intendimento di piacere a Dio solo, nè
è punto una scienza fondata sopra un principio astratto, essen-
dochè l’esistenza di un Essere supremo è di una splendida ed
universale evidenza. Ma a tal uopo non basta parlare di virtù;
occorre avvezzare la fanciulla alla pratica della medesima, chè
di tal modo essa imparerà a commisurare il volere al potere.
Compagne della virtù debbono venire le arti domestiche dai
Greci appellate piccole virtù, giacchè le occupazioni di casa con-
vengono alla varietà del carattere della donna, la rendono più
felice, più bella, Je conciliano amore, confidenza, rispetto per il
buon ordine ed il prospero assetto, che essa mantiene nella
famiglia. Fra le arti gentili poi “la danza sviluppa le abitudini
del corpo e dà a’ suoi movimenti un’armonia divina; la musica
poi ha un potere sublime, che eleva l’anima ,.
Dotato di squisito sentimento morale, l’autore teme che
l’anima delicata di una fanciulla patisca offesa non solo dalle
DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 909
rappresentazioni teatrali, ma ben anco dalla lettura dei libri.
Io rispetto il nobile intendimento, che gli ha consigliata la sua
opinione, ma non ispingerei i miei riguardi sino a vietare sic-
come pericolosi i romanzi anche migliori, in cui la virtù fa bella
mostra di sè ed inspira vaghezza ed amore di se medesima,
parendo a me, che anche a questa forma della letteratura, quando
risponda al suo fine, non si possa negare un carattere educativo.
L’asserire poi, che la lettura di libri, in cui si agitano i pro-
blemi della scienza, porta alla distruzione de’ principii e del ca-
rattere nell'anima di chi legge, sembrami una sentenza eccessiva,
che mena difilato allo scetticismo.
La Contessa di Genlis (1746-1830).
La Contessa di Genlis lasciò scritto di se medesima nelle
sue Memorie di avere sortito da natura un istinto al magistero
educativo, e si tenne bene avventarata, quando il duca e la
duchessa di Chartres le affidarono l’educazione dei loro figli e
figlie, il maggiore de’ quali salì poi sul trono di Francia col
nome di Luigi Filippo. I principii pedagogici, che la diressero
nell'adempimento di quella missione, stanno esposti nel suo libro
Adele e Teodoro, o Lettere sull’educazione (1782), dove è tratteg-
giata l'educazione qual si conviene ad un principe, all'uomo ed
alla donna.
Adele, intorno a cui si raccolgono tutti i suoi concetti ri-
guardanti l’educazione femminile, non è un’alunna immaginaria,
quale la Sofia di Rousseau, bensì una persona viva, la princi-
pessa Adelaide d’Orléans. Di questa particolarità occorre tener
conto affine di giudicare secondo verità il valore delle sue idee.
Poichè la Genlis consacrò il senno e l’opera sua in servigio esclusivo
di un’alunna affatto singolare,che apparteneva ad una determinata
famiglia principesca, e quindi ebbe ogni agio e modo di formare
intorno ad essa quell'ambiente, che era ne’ suoi desiderii; epperò
gran parte de’ suoi consigli non hanno quel carattere universale,
che si richiede, perchè possano valere per la coltura delle fan-
ciulle in generale. Saggiamente essa avvisa, non doversi trala-
sciare occasione di sorta per insegnare in via indiretta ai fan-
ciulli ciò, che non sorpassa la loro facoltà apprensiva; ma in
910 GIUSEPPE ALLIEVO
Adele le occasioni sono preparate e suscitate a bella posta e
studiatamente coordinate ad un fine prestabilito, sicchè corrono
pericolo di perdere quel carattere di naturalezza, che tien desta
l’attenzione dell'alunno. Similmente essa consiglia, e con ragione,
di non essere troppo corrivi nell'’ammaestrare, ma di acconciare
il tenore ed il grado dell'istruzione all’età del discente; e gui-
data da questo concetto, detta per la sua alunna una serie di
letture scientifiche e letterarie, che vanno via via progredendo
dall'età di sette anni sino oltre il ventennio, ma non tutti gli
autori assegnati a ciascun periodo di età rispondono al suo con-
cetto. A sussidio dell’intelletto, a rinforzo della memoria essa
fece grande assegnamento sulle intuizioni sensibili. A tal uopo
non solo si giovò di libri illustrati, di globi e carte geogra-
fiche, di bassorilievi, di gabinetti di fisica, di collezioni natu-
rali, ma perfino le pareti delle sale volle istoriate di fatti e
personaggi celebri, di figure mitologiche, e da un pittore polacco
fece disegnare una lanterna magica, i cui vetri portavano di-
pinti i fatti della storia sacra, della romana, della chinese e
della giapponese.
Per quel, che riguarda l'educazione morale e la religiosa,
i suoi concetti oscillano mal fermi tra la dottrina pedagogica
di Fénélon e quella di Rousseau: l'autorità e la libertà, il sen-
timento e la ragione ad ogni piè sospinto vi si urtano e si
confondono.
La Genlis fece di pubblica ragione una sterminata serie di
lavori i più svariati, e fu da’suoi critici giudicata con una se-
verità, che potrebbe parere eccessiva, se non fosse che anch'essa
nel giudicare uomini e libri non sempre si contenne entro i
confini della temperanza e della convenienza, forse per cagione
delle aspre vicende, per cui è trascorsa la lunga sua vita di
ottantaquattro anni.
L’educazione della donna e la rivoluzione francese.
Undici anni dacchè Rousseau era morto, scoppiò la rivolu-
zione francese. In mezzo a quella profonda crisi sociale anche
l'educazione della donna fu agitata da due opposte correnti. La
donna rimanga dov'è, nell’ambito della famiglia, dove non oc-
DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, ECC. 911
corre gran fatto l'istruzione, ripetono da un lato Mirabeau,
Danton, Robespierre, Saint-Juste, Talleyrand. La donna corra in-
sieme coll’uomo il pubblico arringo della vita sociale, e sia come
lui, e quanto lui educata, ripetono dall'altro lato Condorcet e
Lepellettier di Saint-Fargeau.
Talleyrand presentava all'Assemblea Costituente un disegno
di legge sulla pubblica istruzione, preceduto da una relazione,
in cui esponeva le sue idee sull’educazione femminile. Egli vuole
la donna istruita in ordine alla sua destinazione, la quale risiede
nella prosperità domestica e nei doveri della vita interiore. A
lui pare incontestabile, che la prosperità di entrambi i sessi e
segnatamente delle donne esige, che esse non aspirino punto
all'esercizio dei diritti e delle funzioni politiche. La loro costi-
tuzione delicata, le pacifiche inclinazioni, i numerosi doveri della
maternità le allontanano costantemente dalle abitudini forti, dai
doveri penosi, e le chiamano ad occupazioni dolci, a cure inte-
riori. “ Non convertite le compagne della vostra vita in vostre
rivali ,.
Condorcet fu il ristauratore delle idee pedagogiche di Poullain
de la Barre ed il precursore dei moderni promotori dell’eman-
cipazione assoluta della donna. Egli proclamò arditamente da-
vanti all'Assemblea francese l'eguaglianza de’ due sessi, ricono-
scendo eguali in essi le attitudini intellettuali, eguali i diritti
ed i doveri, e quindi comune l’istruzione dell’uomo e della donna.
Essendochè l'istruzione sta tutta nell’esporre delle verità e svi-
lupparne le prove, per ciò stesso egli non sapeva scorgere come
la differenza de’'due sessi porti con sè altresì una differenza nella
scelta di queste verità e nella maniera di provarle. Dalla co-
munanza poi dell'istruzione egli ne arguiva che essa debb'essere
data in comune ai fanciulli ed alle fanciulle nelle medesime
scuole, e che le donne non vanno escluse dall’insegnamento.
Torna necessaria alle donne quest’ eguaglianza d’ istruzione:
1° perchè esse hanno i medesimi diritti dell’uomo; 2° perchè
possano sorvegliare l'istruzione dei loro fanciulli in casa; 3° perchè
in seno della famiglia non incorrano in una disuguaglianza con-
traria alla prosperità domestica; 4° perchè così istrutte sono in
grado di conservare agli uomini le cognizioni da essi acquistate
nella loro giovinezza.
Forse accortosi di essere trascorso tropp’ oltre, Condorcet
912 GIUSEPPE ALLIEVO
esce in una riserva. “ Se il compiuto sistema di istruzione co-
mune sembrasse troppo esteso per quelle donne, che non sono
chiamate a veruna funzione pubblica, si può restringere a’ suoi
primi gradi senza però vietare gli altri a quelle, che avranno
disposizioni più felici, ed in cui la loro famiglia vorrà coltivarle.
Se vi ha qualche professione riservata esclusivamente agli uo-
mini, le donne non saranno ammesse all'istruzione particolare
corrispondente, ma sarebbe assurdo escluderle da quella istru-
zione, che ha per oggetto le professioni, che esse devono eser-
citare in concorrenza cogli uomini , (1). Questa non è punto
un'eccezione, che, come suol dirsi, confermi la regola, bensì è una
riserva, che contraddice al principio stabilito. Giacchè il ricono-
scere professioni sociali esclusivamente proprie dell’uomo, val
quanto niegare la presupposta eguaglianza de’sessi e la comu-
nanza d'istruzione, che ne consegue.
Questa teoria di Condorcet pecca di esclusivismo, siccome
quella, che guarda soltanto alle facoltà comuni, per cui l’uomo
e la donna appartengono amendue alla specie umana, eguali in
ciò per natura, e non tiene conto delle doti caratteristiche di esse
facoltà in ciascuno de'due sessi. Egli pronuncia, chehanno amendue
eguali diritti ed eguali doveri, ma non ha avvertita la differenza
grande, che intercede fra i diritti ed i doveri assoluti, i quali
sono comuni all'uomo ed alla donna, perchè fondati sulla natura
umana, ed i diritti e doveri relativi, i quali variano secondo il
sesso, l’età, le condizioni sociali. Similmente dacchè l’istruzione
sta tutta nello esporre verità e svilupparne le prove, erronea-
mente egli ne arguisce che debba essere la medesima pe’ due
sessi malgrado la loro differenza, poichè l'istruzione non va solo
riguardata, come egli fece, oggettivamente, ossia in se stessa,
bensì anche soggettivamente, ossia rispetto agli alunni, a cui
viene amministrata, epperò se sotto il primo aspetto è la me-
desima, sotto il secondo si differenzia.
(1) Euvres de Condorcet, Paris, 1847, tom. 7, pag. 215 e seg.
DELL'EDUCAZIONE DELLA DONNA SECONDO I PENSATORI, Ecc. 913
Classificazione delle dottrine relative
all'educazione femminile.
A conforto di questo breve studio storico critico torna
opportuno un accenno ad una classificazione razionale delle di-
verse dottrine dei pedagogisti intorno l'educazione della donna,
raffrontata con quella dell’uomo. L'uomo e la donna sono due
individualità differenti, che appartengono alla medesima specie:
su questo principio psicologico abbiamo ragione di fondare una
classificazione logica di tutte le dottrine pedagogiche in due
grandi categorie; alla prima appartengono tutte quelle teorie,
che disconoscono il giusto rapporto psicologico tra l’uomo e la
donna; la seconda comprende tutte quelle altre, che più o meno
lo riconoscono. Ma il proposto principio può essere disconosciuto
in due guise opposte, secondochè 1° si ammette l'eguaglianza
assoluta della specie umana sino a negare le differenze indivi-
duali proprie di ciascun sesso, oppure si tiene la sentenza af-
fatto opposta. Di qui le dottrine della prima categoria vengono
a suddividersi in due altre corrispondenti, entrambe estreme ed
opposte, la prima delle quali niega alla donna ogni coltura e
la rinchiude nel recinto domestico quale una schiava, non una
compagna dell’uomo; la seconda la vuole educata come e quanto
l’uomo senza divario di sorta. L'altra categoria abbraccia tutte
le dottrine intermedie fra queste due estreme, e sebbene tutte
concordi nell’ammettere una differenza tra l'educazione maschile
e la femminile, non disgiunta da una ragionevole comunanza,
tuttavia diversano di grado nel segnare i limiti proprii della
coltura della donna. Tenendo l’occhio rivolto a questo prospetto
sinottico, riesce agevole il riscontrarvi le molteplici dottrine pe-
dagogiche registrate nella storia, segnando a ciascuna il posto
suo proprio. Sistemare in ordine logico tutte le teorie riguar-
danti l'educazione della donna non basta; occorre pur anco un
criterio direttivo per giudicarle e trarne una conclusione defi-
nitiva, il quale distinguesi in assoluto od universale, ed in rela-
tivo o particolare. Il criterio assoluto è dato dalla scienza, la
quale stabilisce che ogni teoria pedagogica è vera, se riconosce
914 FRANCESCO ROSSI
tra l’uomo e la donna l'eguaglianza della specie umana, la dif-
ferenza dell’individualità personale; falsa nel caso contrario (1).
Il criterio relativo è ammannito dalla conoscenza storica delle
condizioni sociali de’ tempi e luoghi, in cui versa l’educazione
della donna, tantochè ragion vuole che si riconosca e si apprezzi
convenientemente nelle teorie de’ pedagogisti di ciascun secolo
il colorito rispondente alle condizioni ed alle esigenze sociali
del loro tempo.
Di un coccio copto del Museo Egizio di Torino
con caratteri crittografici ;
Nota del Socio FRANCESCO ROSSI.
Errare humanum est.
Fra 1 cocci copti del Museo egizio di Torino da me pub-
blicati negli Atti della nostra Accademia delle Scienze dello
scorso anno (2), io segnalava specialmente quello, che portava
nel rovescio una breve lettera contenente varii gruppi, che mi
parevano nella forma ricordare le invocazioni dei testi gnostici,
e furono allora per me indecifrabili.
Ma ritornando oggi su questo coccio, mi venne in mente,
che i Copti, come gli antichi Egiziani, possedessero una scrit-
tura enigmatica o crittografica, che adoperassero talvolta nei
loro scritti, e di cui si avrebbe così un esempio nel nostro
coccio. E a confermarmi in questa opinione sta anche il fatto,
che questi gruppi sono nella lettera seguìti dalle parole:
dpi TAUAITIH prreraceere on merupobo (3), fa, di grazia,
ricordo di essi nelle tue preghiere (4). Ora dicendo di far ricordo
(1) Vedi i miei Studi pedagogici, pag. 306-311.
(2) Vol. XXX, pag. 799, con tavola.
(3) upobo, come mostrerò più sotto, non è altro che la forma critto-
grafica della radice UAHA, preces, oratio.
(4) Nella mia prima pubblicazione di questo coccio credetti di dover
correggere la forma (non troppo chiara nell'originale) MTETRLEETE, eorum
recordatio in TIWMAXLEETE, mea recordatio, perchè io non leggeva in questo
testo altro nome che ‘quello di Azaria, l’autore della lettera.
DI UN COCCIO COPTO DEL MUSEO EGIZIO DI TORINO 915
di essi, doveva l’autore naturalmente alludere alle persone, che
egli menzionava nella lettera, ed i cui nomi dovevano natural-
mente in essa trovarsi. Mi parve quindi giusto conchiudere,
che questi gruppi contenessero i nomi di queste persone, che
egli nella sua lettera ricordava al padre in caratteri critto-
grafici.
Un attento esame di tutti questi gruppi mi convinse, che
essi non potevano rappresentare più di quattro nomi espressi
coi seguenti segni:
1° gexofw (1). 2° WweHquaAw. 3° empeoez.
4 RORMAN... YAN.
Ora primo lavoro a fare era di confrontare fra loro tutti
questi gruppi, e segnalare i segni che in essi si ripetevano.
Prendendo perciò ad esame il primo gruppo (zexWbw) com-
posto di sei lettere, ho trovato, che esso ha per prima lettera
un segno (3) che forma la finale del terzo gruppo; la terza
x
lettera è rappresentata da un segno (x) che si trova come
sesta e decima lettera del quarto gruppo; il segno (w), che
forma la quarta e la sesta od ultima lettera del gruppo, rap-
presenta anche la lettera iniziale e la finale del secondo gruppo.
Il secondo e quinto segno infine sono proprii solo a questo
gruppo, e non trovansi negli altri, ma dell’ultimo abbiamo già
fin d’ora il valore in modo irrefragabile nella parola usoho,
con cui termina il testo del coccio, e vedemmo nella sovra
citata nota essere la forma crittografica della radice ugAmA.
Infatti l’autore della lettera aveva cominciato a scrivere i primi
segni. di questo vocabolo con le usuali Jettere dell’alfabeto
copto uA; ma tosto si corresse, e soprappose alla lettera
una o, che ripetuta, com'è, dopo il segno è, dimostra che la
voce ujobo è la trascrizione in caratteri crittografici della ra-
(1) Il segno € del gruppo Zexwbo è nell’originale smozzato della
parte superiore, onde io nella mia prima pubblicazione lo trascrissi per
una dota (1).
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 62
916 FRANCESCO ROSSI
dice uAmA, e perciò il segno è, identico a quello che occupa
il quinto posto del nostro gruppo, deve necessariamente essere
un'eta (KR).
Il secondo gruppo (wWeHnAw) si compone di sette segni,
che si riscontrano tutti negli altri gruppi. Omettendo il segno w
che già notammo nel primo gruppo come rappresentante la
quarta e sesta lettera di quel nome; abbiamo per la seconda e
terza lettera due segni (@ e H), che trovansi anche nel terzo
gruppo, ove la prima (©), che vi è ripetuta tre volte, occupa
il primo, quarto e sesto posto; la seconda invece (H) trovasi
solo nel secondo posto. Gli altri tre segni (emA) cioè il quarto,
il quinto ed il sesto, sono tutti riprodotti nel quarto gruppo,
ove il primo rappresenterebbe l'ottava lettera, il secondo la
quarta, ed il terzo, che vi è due volte riprodotto, la quinta e
nona lettera.
Dei sette segni, che compongono il terzo gruppo (oHpeg ez),
cinque sono già stati notati negli altri gruppi, ed i due, che
ci rimangono ad esaminare, sono proprii solo di questo gruppo,
in cui occupano il terzo e quinto posto, e rappresentano, nella
forma, le due lettere dell’alfabeto copto ro (p) ed hori (9).
Riguardo infine al quarto gruppo debbo innanzi tutto far
osservare, come questo nel nostro coccio sia diviso in due parti;
la prima, con cui termina la sesta linea del testo, porta ben
distinti i seguenti segni: RORMAX. La seconda parte invece,
che formava il principio della settima linea, è ora coperta da
una larga macchia, onde a stento si distinguono le lettere Ax.
Ma prima di queste doveva esservi ancora una lettera, che
nello stato attuale del coccio non è più possibile scoprirne le
traccie. Riunendo quindi queste due parti noi ricomponiamo il
quarto gruppo con dieci segni (R@RMAX :<4AX :), i quali,
ad eccezione del primo e terzo fra loro identici, e del settimo,
che più non si scorge nel coccio, si riscontrano tutti negli
altri gruppi.
Ciò fatto e posto fuori di dubbio, che questi gruppi con-
tengono nomi di persone, mi feci a ricercare fra i nomi copti
quelli, che per numero e disposizione delle lettere meglio si
potessero coi nostri conciliare. In questa ricerca il gruppo, che
DI UN COCCIO COPTO DEL MUSEO EGIZIO DI TORINO 917
più di tutti doveva facilitarmi la via è il terzo, perchè, come
notammo, ha il carattere speciale di ripetere tre volte lo stesso
segno, rappresentando esso la prima, la quarta e la sesta let-
tera del gruppo; e perciò da questo cominciai i confronti. Ora
fra i nomi di persona, che incontransi frequentemente nelle
antiche iscrizioni copte, vi è quello di aftpagaree, che come
il nostro gruppo, si compone di sette segni, ed ha per prima,
quarta e sesta lettera la vocale a. Se di più si aggiunga che
i due segni rappresentanti le lettere ro (p) ed hori (9), che
vedemmo essere proprii solo a questo gruppo, vi occupano lo
stesso posto, che queste due lettere hanno nel nome di
abpaoase, possiamo senza alcuna esitanza affermare, che il
nostro gruppo è la forma crittografica del nome di Abramo.
La presenza poi delle lettere p e o col loro valore reale
in questo gruppo dimostra, che era lecito agli scribi copti di
intercalare nei testi crittografici alcune lettere del loro alfabeto
senza cangiarne il valore.
Dallo studio quindi del terzo gruppo noi veniamo già a
stabilire con certezza il valore dei tre segni crittografici @ = a,
H = f, 3 = ae, ai quali dobbiamo aggiungere il segno è = K,
datoci dalla radice usAXHA, che dimostrammo essere la trascri-
zione del gruppo crittografico usobo. Ora di questi segni così
decifrati, due si trovano nel primo gruppo (zexwWbw), ove
occupano il primo ed il quinto posto, e rappresentano quello
la lettera ee, questo la lettera KH; e siccome quest’ultima è
posta fra due segni perfettamente identici, ne viene, che il
nome a cui ha da corrispondere il nostro gruppo, deve avere
per quarto e sesto segno la stessa lettera.
Ora il nome, che trovasi appunto in. queste condizioni è
quello di Mosè, che nel copto componesi, come questo gruppo
di sei lettere (aewrcHe), nome che comincia colla lettera so,
e termina colla gw rinchiusa fra due c. Epperò, se ci siamo
bene apposti, avremo pel secondo segno del gruppo la vocale w,
pel terzo la vocale +, e pel quarto e sesto la consonante ec,
Ma mentre il segno ec = + trovasi solamente in questo gruppo,
i segni x = © W=c si riscontrano pure negli altri, e se
918 FRANCESCO ROSSI
anche in questi conservano lo stesso valore, noi avremo una
nuova prova per asserire che il primo gruppo è la forma crit-
tografica del nome di Mosè.
Venendo perciò a studiare il secondo gruppo, troviamo,
che questo (WmeHquàw), composto di sette lettere, comincia
e termina con lo stesso segno che identificammo testè colla
lettera e. Conoscendo già dal nome afpaoase che il secondo
e terzo segno rappresentano le lettere a e f, noi dobbiamo
cercare il nome che gli corrisponda fra quelli, che composti di
sette lettere, comincino colla sillaba caf ed abbiano per let-
tera finale una c. Ora mi corse tosto alla mente il nome di
Sabino (cabittoc), menzionato nei miei papiri copti (1) come
autore di una Esegesi sulla nascita del nostro Divin Salvatore,
e vescovo di Schmin, la Panopoli dei Greci. Dall’identificazione
quindi del secondo gruppo con questo nome noi veniamo a ri-
conoscere, che il quinto segno (m) non ha un valore crittogra-
fico, ma rappresenta la semplice lettera dell’alfabeto w, mesco-
lata qui con segni crittografici, fra i quali sono invece a porsi il
quarto ed il sesto, ove il primo sta per la lettera (y) cioè tota,
ed il secondo per la lettera omicron (0), e tutti e tre questi
segni si trovano con lo stesso valore nel quarto gruppo.
In quest’ ultimo gruppo poi (ReRmAXx...j4AXx) abbiamo
veduto che sette dei suoi segni si trovavano nei precedenti
gruppi, onde ne conosciamo adesso il valore; ma per gli altri,
che sono proprii solamente a questo gruppo, esso ci sfugge, e
solo sappiamo che il primo e terzo segno devono rappresentare
la medesima lettera. Ora l’ignoranza del valore del segno, con
cui cominciava il gruppo, avrebbemi resa ben difficile la ricerca
del nome copto che gli corrispondesse, se non mi fosse venuta
in aiuto la bella raccolta dei nomi di persone egiziani fatta dal
Parthey. In questo lavoro avendo io trovato alla pag. 74 il
nome copto nammorte (ò toÙ 0eod) a lato alla forma greca
Ttagvoutiog, ne conchiusi tosto, che il segno, che ora manca
nel coccio, doveva rappresentare la lettera tav (T) e non poter
essere altro che la forma crittografica della lettera pi (m) i
due segni identici, che occupano il primo e terzo posto del
(1) I papiri copti del Museo Egizio di Torino, vol. II, fasc. IV ed ultimo,
pag. 4.
DI UN COCCIO COPTO DEL MUSEO EGIZIO DI TORINO 919
gruppo, cosicchè avremo colla sua trascrizione il nome copto
MATTMOTTIOT.
Raccogliendo quindi insieme tutti i segni crittografici del
testo, noi avremo la seguente tavola di paragone:
Onde il nostro testo dovrà essere così trascritto:
TAAC ALHAIWT YPance oImit agaprac mMeuApe,
seoTcHE, cabitoc, afpaoase, MAIMOTTIO®, Api TAUANH
prrerareere OM MEeRWAHA;
e la sua traduzione letterale sarà: date questo (la lettera) al
padre mio, Frange da parte di Azaria suo figlio. Mosè, Sabino,
Abramo, Papnouzio. Fa, di grazia, ricordo di essi nelle tue
preghiere.
La prima parte di questo nostro testo contiene l’indirizzo
della lettera scritta nel diritto del coccio, e viene in conferma
dell'opinione espressa dal Prof. L. Stern (1) che la parola Taac
fosse usata nelle lettere a segnarne l'indirizzo.
L'autore poi della lettera aggiunse ancora nel suo indirizzo
i nomi, in caratteri crittografici, di quattro persone, amiche
probabilmente del padre, raccomandandole alle sue preghiere.
Il testo infine è chiuso da un segno (JE), che ho più volte
trovato nei miei papiri copti, ora in testa, ora al piede delle
pagine, come segno di benedizione, e che io opino essere la
sigla della voce greca otavpés, formata dalla riunione di tutte
le sue consonanti nel seguente ordine ete.
Ora questa sigla, posta dall’autore in principio del primo
testo, nel diritto del coccio, e ripetuta, nel rovescio, alla fine
del secondo testo, dimostra che essi devono riferirsi ad una
sola e stessa lettera.
(1) V. € Zeitschrift fiirr Aegyptische Sprache und Alterthumskunde ,,
XVI Jahrgang, 1878, Seite 9. Sahidische Inschriften von Ludw. Stern.
——--— sore)
920 LUIGI. VALMAGGI
Del luogo della così detta prima battaglia di Bedriaco;
Nota del prof. LUIGI VALMAGGI.
È ammesso generalmente che la grande battaglia combat-
tuta nell’aprile del 69 tra gli Otoniani e i Vitelliani, ossia quella
che si suol chiamare, benchè non in tutto propriamente, la
prima battaglia di Bedriaco, sia seguìta a sei miglia romane a
occidente di Cremona, sul confluente dell’ Adda col Po, quindi
non lungi dall'attuale Castelnuovo Bocca d’Adda. Ma poi che
nè in Plutarco, nè in Svetonio, nè in alcun’altra parte è accen-
nato il punto preciso in cui avvenne la battaglia, siffatta opi-
nione si fonda esclusivamente sull’ attestazione di Tacito, nel
passo del capitolo 40 del II libro delle Historiae, che nel codice
Mediceo e in tutte le edizioni (prescindendo dalla correzione
Adduae per Aduae provosta dal Puteolano e accolta da parecchi
editori fra i men recenti) suona così: “ Non ut ad pugnam sed
ad bellandum profecti , (lo scrittore parla dell’esercito Oto-
niano) “ confluentes Padi et Aduae fluminum sedecim inde milium
spatio distantes petebant ,. E come con queste parole appunto
è designato da Tacito il teatro del combattimento, così parve
doversene desumere che la battaglia accadde, secondo dicemmo,
sul confluente dei due fiumi. Qualche dubbio tuttavia il passo
citato delle Historiae l’ha sollevato già in addietro (1); e invero
(1) Il ManvneRT ad esempio aveva sostituito Ollii ad Aduae, leggendo Padi
et Ollii, e il Nrererpey espunse addirittura l’inciso, notando che “ flumina
praeter Padum sunt amnis Caneta et rivi complures prope Cremonam Orien-
tem versus in Padum influentes ,. Ma non a torto osservò il Meiser nella
nuova edizione Orelliana non essere probabile “ Tacitum confluentes flumi-
num scripsisse neque nominasse flumina ,. Del resto le incertezze e difficoltà
varie del passo, anche rispetto alla quistione delle distanze di cui noi ci
occuperemo più innanzi, hanno dato luogo già a più discussioni e indagini
erudite, come quelle del Krauss (De vitarum imper. Oth. fide quaestiones,
DEL LUOGO DELLA COSÌ DETTA PRIMA BATTAGLIA DI BEDRIACO 921
che non abbia potuto essere quello il teatro del combattimento
è dimostrato irrefragabilmente da due ordini di ragioni, da ra-
gioni strategiche cioè e ad un tempo da ragioni storiche e filo-
logiche.
Vediamo anzitutto le prime, e cominciamo a ricordare, per
maggior chiarezza e per intenderci, le posizioni rispettivamente
occupate dai due eserciti. Fallito il disegno di chiudere ai Vi-
telliani gli sbocchi delle Alpi (1), Otone ha portato la base
della difesa sulla linea del Po (2), lungo la quale nel mo-
mento che immediatamente precede la battaglia (di altre mosse
e dislocazioni anteriori qui non accade ci occupiamo) il suo eser-
cito si trova scaglionato in una specie di semicerchio, che da
Piacenza, tenuta fortemente da Vestricio Spurinna con un buon
nerbo di truppe (3), si svolge sulla destra del fiume sino a
Brescello (4), per risalire poi sulla sinistra a Bedriaco, ov'è con
Annio Gallo, con Svetonio Paolino e con Mario Celso il grosso
delle forze Otoniane (5), comandate in titolo dal fratello stesso
Zweibriicken, 1880, p. 46 sgg.), del Punt (De Oth. et Vit. imper. quaestiones,
Halle, 1883, p. 16 sgg.), del Lezius (De Plut. in Galba et Othone fontt.,
Dorpat, 1884, p. 138 sgg.), del KuntzE (Beitr. zur Gesch. des Otho-Vitellius-
Krieges, Karlsruhe, 1885, p. 13 sgg.), e principalmente del Momwmsen (Die
zwei Schlachten von Betriacum in I. 69 in Herm., V, 161 sgg.) e del Ger-
STENECKER (Der Krieg des Otho u. Vitellius in Italien im I. 69, Miinchen, 1882,
p. 30 sgg.), senza tuttavia venire a una conchiusione definitiva.
(1) Tac., Hist., II, 11. Non cito, sempre quando non ci sia luogo a
discrepanze che importi avvertire, i passi corrispondenti di Plutarco, poi
che entrambi gli scrittori rappresentano la medesima fonte comune; e
d’altra parte chi voglia i riscontri può trovarli allegati minutamente nel
recente libro del Fasra su Les sources de Tac. dans les Hist. et les Ann.,
Parigi, 1893, pp. 49 sgg.
(2) Tac., Hist., II, 11: cfr. in II, 32 il passo del discorso di Svetonio
Paolino relativo appunto all'importanza strategica della linea del Po:
“ obiacere flumen Padum, tutas viris murisque urbes, e quibus nullam hosti
cessuram Placentiae defensione exploratum ,.
(3) Tac., Hist., II, i8; 86.
(4) Conforme alla decisione presa nel consiglio di guerra che precedette
di poco la battaglia (Tac., Mist., II, 32-33; PLur., Otà., 5 e 8), a Brescello si
ritirò Otone stesso con una “ praetoriarum cohortium et speculatorum equi-
tumque valida manus , affinchè “ dubiis proeliorum exemptus summae
rerum et imperii se ipsum reservaret , (Hist., II, 33).
(5) Tac., Hist., II, 23; 39.
922 LUIGI VALMAGGI
di Otone L. Tiziano (1), di fatto dal prefetto del pretorio Li-
cinio Procolo (2). Ancora sulla destra del Po (importa avver-
tirlo, perchè, come vedremo, è particolare di grande valore per
ricostruire il teatro della battaglia), ancora, dico, sulla destra
del Po, ad oriente di Cremona e a poca distanza da essa (3),
si trovano i 2000 gladiatori Otoniani (4) agli ordini di M. Marcio
Macro (5) e in seguito di T. Flavio Sabino (6). Dei Vitelliani,
il corpo di Cecina, assalita senza frutto Piacenza (7), ha ripas-
sato il Po occupando Cremona (8), dove è stato raggiunto dal
corpo di Valente (9); e l’azione dei due corpi riuniti a Cremona
s'è cominciata a spiegare con la costruzione di un ponte di
barche sul Po “ adversus oppositam gladiatorum manum (10) ,,
accennando a puntare sulla riva destra (11), la quale è, come
dicemmo, la direttrice strategica della difesa Otoniana.
Queste sono le posizioni rispettive degli eserciti nemici, al-
lorchè si inizia per parte degli Otoniani l’azione risolutiva che
mette capo alla battaglia di Bedriaco, o piuttosto, con mag-
giore esattezza, di Cremona. Il corpo Otoniano concentrato a
Bedriaco e costituito (a giudicarne almeno dalle foùze che si
(1) Tac., Hist., II, 23 in fine; 39.
(2) Ib., 39.
(3) Tac., ‘Hist., II, 23; 34; 35.
(4) TacoHist, I, 1
(5), Tao., (Hist.,_ II, 23; 35;._36.
(6) Tac., Hist., II, 36.
(7) Tac., Hist., II, 20-22.
(8) Ib., 22. Come fu avvertito dal TruLemonr (Mist. des emper., I, 621,
n. 4), dal Momwsen (Herm., V, 162) e più recentemente dal Fara (op. cit.,
p. 55, n. 2) non si tratta di una marcia offensiva su Cremona, secondo par-
rebbe dal racconto di Plutarco (Otà., 7), ma bensì di una ritirata, perchè
Cremona era già in potere dei Vitelliani.
(9) Tac., Hist., II, 31.
(10) Tac., Hist., II, 34.
(11) “ Quieti intentique Caecina ac Valens, quando hostis imprudentia
rueret, quod loco sapientiae est, alienam stultitiam opperiebantur, inchoato
ponte transitum Padi simulantes , (Tac., Hist., II, 34). Questa operazione
anzi provocò un combattimento sul Po tra i Vitelliani e i gladiatori, nel
quale i gladiatori ebbero la peggio (MHist., II, 35); ma nè di esso nè dello
scontro di Castoro (Hist., II, 24 sgg.) anteriore alla congiunzione dei due
corpi di Valente e di Cecina a noi non occorre occuparci.
DEL LUOGO DELLA COSÌ DETTA PRIMA BATTAGLIA DI BEDRIACO 923
trovarono al combattimento) dalla legione I Adiutrix, dalla XII
Gemina, da un distaccamento della XIV Gemina Martia Victrix
e da una parte dei pretoriani (1), muove il campo contro il
nemico (2) e per la via Postumia in due tappe (3) viene a dar
battaglia, secondo il racconto tradizionale, a occidente di Cre-
mona sul confluente dell'Adda col Po. Per raggiungere il qual
punto all'esercito Otoniano sarebbe stato mestieri sfilare di fianco
sulla sottile striscia di terra che separa Cremona dal Po; il
che è strategicamente un assurdo. È un assurdo anzitutto, perchè
cacciarsi tra il Po e Cremona, base d’operazione dei Vitelliani,
equivaleva ad esporsi scientemente a un macello disastroso e
irreparabile; è un assurdo ancora perchè in ogni caso con una
mossa siffatta gli Otoniani si sarebbero chiusi da sè le retrovie,
e tagliata la ritirata, che per contro si fece appunto a Be-
driaco (4); è un assurdo infine perchè la stretta tra Cremona
e il Po era occupata già dai Vitelliani (n'è prova a tacer d’altro
la costruzione del ponte sul Po di sopra ricordata) e non si
poteva tentare di oltrepassarla senza dar di cozzo nelle schiere
di Cecina e di Valente, ch'è quanto dire che l’urto doveva ac-
cadere davanti a Cremona e non mai alle sue spalle sul con-
fluente dell'Adda col Po.
Alla stessa conchiusione si giunge considerando la quistione
dal lato puramente storico e filologico. E valga il vero. La di-
stanza tra Bedriaco e Cremona era di 20 miglia romane se-
condo Pompeo Planta (5), di 22 miglia secondo la Tavola Peu-
tingeriana (6). Tra Cremona e il confluente dell’ Adda col Po
(1) Tac.., Hist., II, 43.
(2) È l’espressione di Plutarco, Ot4., 11: Mevouévwyv dè TodTWwY KaÌ Tv èv
BnTtpiak® oTpatiwWTÒWV TOÒ "O0wyvog èk@epouévwyv ueT’ òpyfig ÈTì tùv udyxnv
Tponyayev aùdtoùg 6 TTpok\og ék Tod BnTprakod.
(3) Entrambe sono accennate esplicitamente da Tacrro(Hist., II, 39-40)
e da PLurarco (Otà., 11), benchè, come vedremo or ora, con qualche variante
rispetto alla lunghezza relativa dell’una e dell’altra.
(4) Tao., Hist; IL 44:
(5) Scol. di Grov., 2, 99: “ Horum bellum scripsit Cornelius, scripsit et
Pompeius Planta, qui ait Bebriacum vicum esse a Cremona vicesimo lapide ,.
(6) “ Cremona — M. P. xxrr — Bedriaco — M. P. xL — Hostilia , secondo
la felice emendazione del Momwmsen (Herm., V, 163, n. 3). Plutarco pone
924 LUIGI VALMAGGI
intercedeva a sua volta, come s'è già notato in principio, uno
spazio di altre sei miglia; sicchè da Bedriaco alla foce dell'Adda
gli Otoniani avrebbero dovuto percorrere in tutto 28 o 26 miglia
almeno. Orbene Tacito non ne fa percorrer loro che quattro
nella prima tappa (1), e sedici nella seconda (2), che dànno un
totale di venti miglia: il qual percorso si accorcia ancora di
qualche po’ in Plutarco (3), assegnando egli cinquanta stadi alla
prima tappa e alla seconda cento, e la somma che ne risulta
di cencinquanta stadì non corrisponde che a diciotto miglia ro-
mane. Anche il computo delle distanze conferma adunque che
il teatro della battaglia non potè essere a occidente di Cremona
presso l’Adda, ma sì fu tra Bedriaco e Cremona a qualche di-
stanza da questa città.
A quale distanza più precisamente? Non è difficile deter-
minarlo se si pon mente a un particolare, già avvertito da altri
in proposito (4), pur senza trarne il partito che si poteva. Nel
consiglio dei generali Otoniani che precedette immediatamente
il combattimento Celso e Paolino fanno osservare non essere
opportuno “ militem itinere fessum, sarcinis gravem obicere
hosti non omissuro quo minus expeditus et vix quattuor milia
passuum progressus aut incompositos in agmine aut dispersos
et vallum molientes adgrederetur (5) ,. Gli Otoniani si arrestarono
dunque a quattro miglia da Cremona, e come il combattimento
s'impegnò precisamente in questo punto (ciò risulta da tutto
il contesto della narrazione tanto di Tacito quanto di Plutarco),
semplicemente Bedriaco mAnciov Kpeubvns (0th., 8): del resto intorno alla
precisa ubicazione del luogo, a non parlare delle fantasie dell’Aporti (Mem.
di st. eccles. Cremon., Cremona, 1835, p. 19), di G. B. FerrarI (Bebriaco an-
tico villaggio traspadano restituito alla geografia, Brescia, 1876), di L. Lucca
(Bedriaco illustrato dai suoi scavi archeologici, Casalmaggiore, 1878), e di più
altri men recenti, v. le osservazioni del Momvwsen stesso in CIL. V, p. 411.
(1) Hist., II, 39: “ Promoveri ad quartum a Bedriaco castra placuit ,.
(2) Hist., II, 40: “ confluentes Padi et *Aduae fluminum sedecim inde
milium spatio distantes petebant ,.
(3) Oth., 11: èrrì TÙàv udxnv mponrarev aùtode 6 TTpokXoc èk Tod Bntpia-
Koù, Kai KaTECTpatoTEdevoEv dò TmevitMmKovta oTAadiwv... Tf dÈé dotepaig Bou-
Abuevov Tpodyerv èmì ToÙùs moXeuiouc édòv oùk éidTtova oTadiwv ÉKatòv oi
Tepì tòv TlavXîvov oÙK elwv k. T. À.
(4) Fazia, op. cit., p. 69, n. 1.
(5) Tac., Hist., II, 40.
DEL LUOGO DELLA COSÌ DETTA PRIMA BATTAGLIA DI BEDRIACO 925
così ne segue che il terreno della battaglia fu a quattro miglia
romane a levante di Cremona, le quali sommate con le diciotto
che Plutarco ha fatto percorrere agli Otoniani nella loro marcia
étì Ttoùg moXepioug, dànno il totale di ventidue miglia: quante
n'erano appunto tra Bedriaco e Cremona secondo le indicazioni
della Tavola Peutingeriana.
Ciò posto vediamo se non ci riesce di venire a qualche con-
chiusione definitiva rispetto al passo di Tacito allegato in prin-
cipio, è più particolarmente rispetto alle parole confluentes Padi
et Aduae fluminum... petebant, che sole furono la fonte, come
notammo, di tutti i dubbi e di tutti gli errori relativi alla così
detta prima battaglia di Bedriaco. Indizì e dati sufficienti da
riconoscere e ricostruire il teatro della battaglia non mancano in
Plutarco e soprattutto in Tacito. Da entrambi sappiamo intanto
‘che essa si svolse su un terreno poco propizio all’azione tat-
tica, perchè disuguale e tutto intralciato qua d’alberi e vi-
gneti (1), là di fossi e canali (2), sicchè venne anche a man-
care il necessario contatto tra i varì reparti combattenti (3).
Siffatte condizioni quadrerebbero già per loro stesse assai bene
alla natura del terreno giacente tra il Po e il percorso dell’an-
tica via Postumia; ma che la linea di battaglia siasi precisa-
mente sviluppata tra questi due estremi è detto esplicitamente
da Tacito con l’accennare alle legioni “ inter Padum viamque
patenti campo congressae , (4), e d’altra parte appare mani-
festo da tutti i particolari del combattimento. Importante è in
proposito specialmente la descrizione di Tacito, e più piena e
compiuta che quella di Plutarco (5), seguendo per ordine lo
svolgersi dell’azione dall’estrema destra Otoniana sulla via Po-
stumia sino all'estrema sinistra sul Po (6). Tacito infatti, ap-
(1) Tac., Hist., II, 41; 42: cfr. anche 24 e 25.
(2) Prur., Oth., 12: cfr. Tac., Hist., II, 41 e Fasra, op. cit., p. 71.
(3) Tac., Hist., II, 42: “ Othoniani, quamquam. dispersi... proelium
acriter sumpsere ,; e Prur., Oth., 12: MvarkdaZovto qupdnv kai xatà puépn
mo\\àù cuumtiékeodai Toîc èvavtiore.
(4) Hist., II, 43.
(5) V. il raffronto particolareggiato delle due narrazioni in FABIA, op.
cit., p. 70 sgg.
(6) Questo contraddice alla comune opinione, che pone il centro della
linea di combattimento sulla via Postumia. Ma d’altra parte se tra il Po
926 LUIGI VALMAGGI .
pena finiti di discorrere gli antecedenti immediati della bat-
taglia (1), comincia con esporre in breve le condizioni e vicende
della mischia sulla via Postumia e intorno ad essa (2), poi
passa alle legioni combattenti in campo aperto tra la via e il
Po (inter Padum viamque patenti campo: son le parole testuali
di Tacito, già citate dianzi), cioè di Otone la I Adiutrix che
ha di fronte la XXI Rapax Vitelliana e “ a parte alia , la
XIII Gemina e un distaccamento della XIV Gemina Martia
Victrix Otoniane alle prese con la V Alaudae dei Vitelliani (3);
e infine scende presso al Po, dove i gladiatori Otoniani, che
hanno passato il fiume, sono tagliati a pezzi dai Batavi di Al-
feno Varo e da altre coorti ausiliari (4). Ciascun di questi par-
ticolari è confermato, benchè in breve, dal racconto di Plu-
tarco (5); e tutti mostrano chiaramente che la battaglia non è
avvenuta punto sulla via Postumia, secondo si crede comune-
mente, ma bensì s'è sviluppata sur una linea assai estesa e per
la natura del terreno frastagliata e spezzata da varî intervalli
tra la via e il Po.
Ora la distanza che separa questa linea da Cremona ci è
nota per uno dei suoi estremi: essa è, come vedemmo, di quattro
miglia romane ossia di sei chilometri circa a levante di Cre-
mona sulla via Postumia. Resta perciò a determinare l’estremo
opposto sul Po; e movendo verso il fiume dal punto testè detto
della via Postumia ci veniamo a trovare, secondo si scorge dallo
e la via erano due legioni e il distaccamento d’una terza, cioè il maggior
nerbo delle forze Otoniane, non s'intende quali altre truppe avrebbero do-
vuto formare oltre al supposto centro ancora l’ala destra. Dei pretoriani
la forza effettiva normale era a un dipresso quella di una legione soltanto
(Momxsen-GirArRD, Dr. publ. rom., p. 139), di poco accresciuta nel tempo cui
si riferiscono gli avvenimenti dei quali discorriamo dall’aggiunta di tre
nuove coorti instituite da Claudio o da Caligola (Mowmxsen, Herm., XIV, 34;
Marquarpt-BrissauD, Organ. milit., p. 201, n. 4); e non si dimentichi che di
essi una buona parte si trovava come vedemmo in riserva a Brescello con
Otone.
(1) II, 41-42.
(2) II, 42.
(3) II, 43.
(4) II, 43.
(5) Oth., 12.
DEL LUOGO DELLA COSÌ DETTA PRIMA BATTAGLIA DI BEDRIACO 927
schizzo qui unito, rimpetto alla foce dell’Arda, che è in quel
tratto uno dei principali affluenti di destra del Po (1), sicchè
Cremona
Via Postumia
di 1 a 150000
è lecito conchiudere che uno scrittore il quale avesse voluto
designare il luogo della battaglia rispetto al Po, avrebbe do-
(1) Veramente l’Arda non mette foce da solo nel Po, ma sì nell'ultimo
brevissimo tratto confonde le sue acque con quelle del torrentello Ongina,
come appar dallo schizzo. Sennonchè questo è particolare insignificante; ed
è ovvio anzi che volendo indicare quel punto preciso del Po lo scrittore
adducesse il nome dell’affuente maggiore, non d’un torrentello a tutti sco-
nosciuto. Più grave difficoltà contro le nostre deduzioni potrebb'essere il
dubbio, manifestato da parecchi (vedine l’enumerazione in A. ParazzI, Origini
e vicende di Viadana e suo distretto, Viadana, 1893, p. 10), che il corso an-
tico del Po fosse diverso dal presente, e propriamente più a monte di
questo. Ma è dubbio infondato, come con ragioni idrauliche e storiche ha
provato il Parazzi nell’opera testè citata, dimostrando che se qualche mu-
tamento d’alveo ci fosse potuto essere, esso sarebbe stato in ogni caso
nella direzione opposta a quella che altri hanno creduto, cioè non verso
mezzogiorno ma verso settentrione.
928 LUIGI VALMAGGI
vuto dire ch’'essa accadde sulla riva del fiume dinanzi o presso
al confluente dell’ Arda col Po. Ed è appunto ciò che Tacito
dice nel passo controverso del capitolo quarantesimo del se-
condo libro, quando all’ Aduae del codice Mediceo e delle edi-
zioni, che non ha senso, si sostituisca nel testo il nome Arda (1),
leggendo: confluentes Padi et Ardae fluminum sedecim inde milium
spatio distantes petebant. Appena occorre avvertire che l'affinità
grafica delle parole Arda e Adua è tale da legittimar piena-
mente pur dal lato diplomatico la correzione, 0, meglio, resti-
tuzione. Giacchè escluso (come pare da escludere alla prima per
il troppo grossolano errore che ne deriva) che la confusione dei
due nomi possa risalire a Tacito stesso o, tanto meno, alla sua
fonte, massime se questa è, come sembra, Plinio il vecchio (2),
resta che nel codice Mediceo la falsa lezione è forse nata non
da uno sbaglio materiale del copista, ma dal suo desiderio di
emendare un nome, che nella copia che aveva dinanzi gli riusciva
probabilmente incomprensibile, e di cui potrebb'essere una traccia
la variante Agde (con essa siamo proprio vicinissimi al nostro
Ardae) dell'edizione principe e l’Agele (corretto d’ altra mano
con Adduae) del codice Vaticano allegato da Giusto Lipsio (8).
Checchè sia di ciò, ancora è d’uopo notare che con la nostra
correzione si spiega assai plausibilmente quella divergenza nel
computo delle distanze che sopra abbiamo avvertito fra Tacito
e Plutarco, e che pur per parte sua è stata cagione d’incer-
tezze e controversie non poche (4). . Infatti lo ‘spazio di venti ,
(1) È il nome attuale dell’affluente; e non essendocene altro documento
che il presente di Tacito (l'’Arda dell’Hist. Aug., Heliog. 7 è un fiume della
Tracia), potrebbe sorgere il sospetto, poco ragionevole del resto, che la
forma latina del nome fosse diversa. Certo, ripeto, documenti antichi non
v’hanno; ma in mancanza di questi debbono pure aver qualche. valore i do- ;
cumenti basso-latini e medievali, quali ci sono offerti ad esempio in cronache
Piacentine del sec. XIII, contenenti in più luoghi il nome Arda (Chron.
tria Placent. a I. Codagnello, ab anonymo et a Guerino conscripta, Parma,
1859, pp. 45; 104; 383; 392).
(2) È la tesi appunto sostenuta dal Fabia col corredo di molte e buone
prove nell'opera da noi citata più volte.
(3) Anche il Lipsio s’acconciava alla lezione già divenuta tradizionale
al suo tempo appunto per riuscirgli © Agela ignotum flumen ,, onde gli .
pareva da conchiudere “ vulgatam esse veram ,.
(4) V. principalmente il Momxsen, Herm., V, 166 sgg.; il GERSTENECKER,
SUL LUOGO DELLA COSÌ DETTA PRIMA BATTAGLIA DI BEDRIACO 929
miglia romane (quattro nella prima tappa e sedici nella seconda)
che Tacito fa percorrere agli Otoniani da Bedriaco al campo
di battaglia supera di due miglia quello di diciotto ch'è indi-
cato da Plutarco (sei nella prima tappa e dodici nella seconda),
e che sommato con le quattro miglia intercedenti sulla via Po-
stumia tra Cremona e il luogo dove si fermarono gli Otoniani
concorda esattamente, come s’è veduto, con la distanza posta
tra Bedriaco e Cremona dalla Tavola Peutingeriana. Sulla qual
distanza ancora crescerebbero le due miglia offerte in più da
Tacito. Sennonchè mentre Plutarco accenna semplicemente alla
marcia che si doveva compiere lungo la via Postumia verso
Cremona (1), Tacito per contro dà la misura rispetto al punto
ov'è il confluente dell’Arda col Po (confluentes... fluminum se-
decim inde milium spatio distantes), che dista da Cremona di
circa nove chilometri, ossia di sei miglia romane, ch'è quanto
dire di due miglia più che il punto corrispondente della via
Postumia, al quale si riferisce invece l’indicazione di Plutarco.
Sicchè, prescindendo dalla lieve discrepanza relativa al luogo
della prima tappa, le misure complessive offerte dai due autori
tornano in sostanza ad un medesimo.
- E per ridurre ai loro capisaldi le osservazioni sin qui fatte,
parmi Ie conchiusioni ne debbano essere queste:
1) In Tacito Hist. II, 40 in luogo della lezione Aduae
del cod. Mediceo e delle edd. è d’uopo restituire il nome Ardae.
2) La battaglia di Cremona, o prima . battaglia di Be-
driaco, come comunemente si suol chiamare, seguì non a occi-
dente ma a oriente di Cremona lungo una linea compresa tra
la via Postumia e il Po rimpetto alla foce dell’Arda; la qual
linea distava da Cremona di quattro miglia romane sulla via
Postumia e di sei all'estremo opposto sul Po.
3) Nella fonte comune di Tacito e di Plutarco l’indica-
zione delle varie distanze era verosimilmente più particolareg-
op. cit., p. 80 sgg., e altri allegati dal Fara, l. cit., p. 68, n. 1. Dei com-
mentatori di Tacito nessuno se n’è occupato; neanche il Merser nella nuova
edizione Orelliana [1886], ch'è pure il più ricco d’osservazioni sulle diffi-
coltà di tutto il passo di Tacito, tuttavia non tocca di questo particolare.
(1) Ti dé dotepaia BovAibuevov mpodyerv Èmi ToÙg Toreuioug 6dòv oùk
é\drtova oTadiwv ÉKatòv oi mepì tòv TTauXîvov oùk eiwv k. T. À.
930. L. VALMAGGI — SUL LUOGO DELLA BATTAGLIA DI BEDRIACO
giata e compiuta che in entrambi questi autori, i quali non la
riprodussero che parzialmente desumendone l’uno una misura e
l’altro una misura diversa, se pure non vuol credersi che la
fonte desse esclusivamente la distanza tra Bedriaco e il Po, e
che Plutarco abbia ricavato la sua più breve sottraendo sem-
plicemente lo spazio di quattro miglia accennato nel consiglio
dei generali prima della battaglia da quello totale intercedente
tra Bedriaco e Cremona.
4) Gli Otoniani puntarono sul Po per congiungersi even-
tualmente con le forze della riva destra (1); il che in parte
avvenne col passaggio dei gladiatori che formarono l’estrema
sinistra della linea Otoniana di combattimento.
(1) Cfr. Tac., Hist., II, 39: “ plerique copias trans Padum agentes ac-
ciri postulabant ,.
L’ Accademico Segretario
Ermanno FERRERO.
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA
Dal 10 al 31 Maggio 1896.
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali
NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio;
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono,
* Annales de l’Université de Lyon. La botanique è Lyon avant la révo-
lution..... par M. Gérard. Paris, 1896; 8°.
* Annales des Mines. 9° série, t. IX, livr. 8®©, Paris, 1896.
* Annali della R. Accad. d’Agricoltura di Torino, vol. 38°. Torino, 1896; 8°.
Annual Report of the Trustees of the Association. New York, 1896; 8°.
* Atti della Società Italiana di Scienze naturali. Vol. XXXVI, fasc. 1°.
Milano, 1896; 8°.
* Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Anno XLVIII, sess. VII
del 23 giugno 1895. Roma, 1895; 4°.
Atti della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino. A. XXIX,
1895. Torino, 1895; 4°.
* Atti e Rendiconti dell’Acc. Medico-chir. di Perugia; vol. VIII, f. 1° e 2°.
1896; 8°.
* Berichte iber die Verhandlungen der k. Sachsischen Gesellschaft der
Wissenschaften zu Leipzig. Mathem.-Phys. Classe. 1896, I. Leipzig; 8°.
* Bulletin de la Société belge de microscopie. XXII° année, 1895-96, n. V-VII.
Bruxelles, 1896; 8°.
* Bulletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College.
Vol. XXIX, n. 2. Cambridge, 1896; 8°.
* Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico-
chirurgica ecc. Serie VII, vol. VII, fasc. 4. Bologna, 1896; 8°.
* Ceské Akademie Cisare Frantiska Josefa pro védy, slovesnost a Umòni.
Bulletin international. Résumé des travaux présentés. Classe des sciences
mathématiques et naturelles.
Rozpravy. Trida II (Mathematiko-Prirodnicka). Rotnik IV. Praze, 1895; 8°.
** Fortschritte der Physik im Jahre 1894, Bd. L, 2 Abth. Braunschweig,
1896; 8°.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 63
*
932 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
* Journal of the R. Microscopical Society, 1896, part 2. London, 1896; 8°.
Magnetische und Meteorologische Beobachtungen an der k. k. Sternwarte
zu Prag im Jahre 1895. Prag, 1896; 4°.
* Memorias y Revista de la Sociedad Cientifica “ Antonio Alzate ,. T. IX
(1895-96). N. 1-6. Mexico, 1896; 8°.
* Nachrichten von der Kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen.
Mathematisch-physik. Klasse, 1896, Heft 1. Geschiftliche Mittheilungen,
Heft 1. Gottingen, 1896; 8°.
Observations méridiennes de la planète Mars pendant l’opposition de 1892.
Lisbonne, 1895 (dal R. Osservatorio astronomico di Lisbona).
* Ofversigt of Kongl. Vetenskaps Akademiens Fòrhandlingar. Vol. 52, 1895.
Stockholm, 1896; 8°.
Preisschriften gekrint und herausgegeben von der Fiirstlich Jablonow-
ski’schen Gesellschaft zu Leipzig. Nr. XII der mathematisch-naturwissen-
schaftlichen Section. Leipzig, 1895; 8°.
* Proceedings of the Cambridge philosophical Society; vol. IX, p. 2, 1896.
* Quarterly Journal of Geolog. Society. LII, Part 2, n. 206. London, 1896; 8°.
* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Vol. XXIX,
fasc. IX. Milano, 1896; 8°.
* Rendiconto dell’Accademia di Scienze fisiche e matematiche. Serie 32,
vol. II, fasc. 4°. Napoli, 1896; 8°.
* Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXIX, fasc. IV. Modena,
1896; 8°.
* Verhaudlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Sitzung. N. 4, 5,
1896. Wien, 1896; 8°.
** Carraro (A.). Indice generale dei lavori pubblicati dall’anno accademico
1840-41 di fondazione, al 1893-94 nei volumi del R. Istituto Veneto di
Scienze, lettere ed arti. Venezia, 1896, 2 vol.; 8°.
** Caverni (R.). Storia del metodo sperimentale in Italia. Tomo IV. Firenze,
1895; 8°.
Cinelli (M.). Sopra la diffrazione della luce per aperture praticate sopra
superfici curve. Pisa, 1895; 8° (dall’A.).
— Sul massimo di densità di alcune soluzioni acquose e sull’azione del
corpo disciolto sulle proprietà del solvente. Pisa, 1896; 8° (Id.).
Hopkinson (J.) and Wilson (E.). Alternate current dynamo-electric machines.
London, 1896; 4° (dall’A. sig. Hopkinson).
Lassana (S.). Sul calore specifico dei gas. Pisa, 1896; 8° (dall’A.).
Lussana (S.) e Cinelli (M.). Comunicazione sulla propagazione dei raggi
Réontgen. Siena, 1896; 8° (Id.).
Smith (C. M.). Madras Observatory daily Meteorological Means. Madras,
1896; 4° (Id.).
** Weierstrass (K.). Mathematische Werke. II Bd. Abth. II. Berlin, 1895; 4°.
A _
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 933
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologicne.
Dal 17 Maggio al 14 Giugno 1896.
* Abhandlungen der kònigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gottingen,
Historisch.-Philologische Klasse, N. F. Bd. I, n. 3. Gottingen, 1895; 4°.
* Abhandlungen der philologisch.-historischen Classe d. k. Sàchsischen
Gesellschaft der Wissenschaft. Bd. XVII, n. 4. Leipzig, 1896; 8°.
*"Annales de l’Université de Lyon. XXII. Paris, 1896; 8°.
* Annales de la Société d’Archéologie de Bruxelles. T. IX, liv. IV;
X, liv. I. Bruxelles, 1895; 8°.
Atti del Consiglio Provinciale di Torino. Anno 1895. Torino, 1896; 8°.
* Atti del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. T. LIV, disp. 6.
Venezia, 1895-96; 8°.
* Atti della R. Accademia dei Lincei. Notizie degli scavi: febbraio e
marzo 1896. Roma, 1896; 4°.
* Bibliotheca Nacional do Rio de Janeiro:
A Constituigào do Brazil. Noticia historica, texto, e commentario por
A. A. Milton; 8°.
Annaes da Bibliotheca Nacional. 1891-1892, vol. XVII. 1895; 8°.
Balango Provisorio da receita e despeza da Republica dos Estados
Unidos do Brazil no Exercicio de 1893.
Catalogo da Exposigào de Trabalhos Juridicos realizada pelo Instituto
da ordem dos advogados brazileiros. 1894; 8°.
Direitos de Exportacào e sua Cobranga; 8°.
Orgamento da receita e despeza da Republica dos Estados Unidos do
Brazil para o Exercicio de 1896; 4°.
Recenseamento do Distriecto Federal (Cidade do Rio de Janeiro) em
81 de Dezembre de 1890; 4°.
Relatorio apresentado ao Presidente da Republica dos Estados Unidos
do Brazil pelo Ministro de Estado dos Negocios da Fazenda de
Paula Rodriguez Alves no anno de 1895. Rio de Janeiro, 1891.
2 vol.; 8°.
Relatorio e Synopse dos Trabalhos da Camara dos SRS. Deputados
relativos ao anno de 1894. 2 vol.; 4°.
Relatorio da :Alfandega do Rio de Janeiro apresentado ao Exm. SR.
Ministro da Fazenda pelo Inspector H. A. B. Franco; 8°.
Relatorio do Presidente da Caixa economica e Monte de Soccorso
em 1895; 8°.
934 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
Synopse da receita e despeza da Republica dos Estados Unidos do
Brazil no Exercicio de 1894; 4°.
* Bollettino dell’Istituto di Diritto Romano. Anno VIII, fasc. IV-V. Roma,
1896; 8°.
* Boletin de la Real Academia de la historia; t. XXVIII, cuad. V. Madrid,
1896; 8°.
Commission centrale de bibliographie brésilienne sous la direction de
l’Institut Historique et Géographique Brésilien. 1° année, fasc. 1°.
Rio de Janeiro, 1895 (dal Governo della Repubblica del Brasile).
* Comptes-rendus de l’Athénée Louisianais. 5"° série. Tom. 3®©, livr. 3me,
Nouvelle-Orléans, 1896; 8°.
Field Columbian Museum.
The authentics lettres of Columbus by W. E. Curtis. Vol. I, No 2.
Archeological Studies among the ancient Cities of Mexico by W. H.
Holmes. Anthropological Series. Vol. I, No 1. Chicago, 1895; 8°.
Homenagen do Istituto Historico Geographico Brazileiro à Memoria de
sua Magestade o Senhor D. Pedro II. Rio de Janeiro, 1894; 8°.
* John Hopkins University, Baltimore Meryland:
Annual Report: 1879, 1883-1885, 1887-1894.
Historical and Political Science; 4* serie, n. II-III; 5* ser. I-II; 1886-87.
Essays in the Constitutional history of the United States in the for-
mative period 1775-1789..... edited by J. F. Jameson. 1889.
The Constitution of the Empire of Japan with the speches addressed
to Students of political Science in the Johns Hopkins Univer-
sity, 1889.
Register for 1894-95.
* Memorie del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Vol. XXV, n. 8.
Venezia, 1896; 4°.
* Nachrichten von der kònigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen,
Philologisch-historische Klasse. 1896, Heft 1. Gòttingen; 8°.
Proceedings of the American Philosophical Society held at Philadelphia.
Vol. XXXIV, 148. 1895; 8°.
* Proceedings and Transactious of the Meriden Scientific Association.
Vol. VI. Meriden, Conn., 1895; 8°.
* Publications de l’École des Lettres d’Alger. Légendes et Contes merveil-
leux de la Grande Kabylie recueillis par A. Mouliéras. Texte Kabyle,
4° fasc. Paris, 1896; 8°.
* Revista trimensal do Instituto Historico e Geographico brazileiro. T. LVI,
parte II, LYII, p. I-II. Rio de Janeiro, 1894-95; 8°.
* Rendiconto delle Tornate e dei Lavori dell’Accademia di Archeologia,
Lettere e Belle Arti della Società Reale di Napoli. N. S., Anno IX.
Napoli, 1895; 8°.
* Report of the R. Society of Literature and List of Fellows 1896; 8°.
* Sitzungsberichte der philosophisch-philologischen und der historischen
Classe der k. b. Akademie der Wissens. zu Miinchen. 1896, Heft II.
*
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 935
** Angelucci (A.). Documenti inediti per la storia delle armi da fuoco ita-
liane. Vol. I, p. II. Torino, 1870; 8°.
Campagne del Principe Eugenio di Savoia. Serie I, vol. VIII; Allegati gra-
fici del vol. VII e VIII. Torino, 1895; 8° (dono di S. M. rr Re D'ITALIA).
Cora (G.). Il territorio contestato tra la Venezuela e la Guiana inglese.
Torino, 1896; 8° (dall’A.).
Landucci (L.). La pubblicazione delle leggi nell'antica Roma. Padova,
1896; 8° (Zd.).
Maltese (F.). Il problema morale. Vittoria (Sicilia). 1896; 8° (Id.).
Miscellanea per le nozze Biadego-Bernardinelli. Verona, 1896; 8° (dal
Prof. Biadego).
Nadaillac (M" de). Expéditions polaires. Paris, 1896; 8° (dall’A.).
Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi.
7 vede le
Fi i daga Lee Lug ra tot È ui
tg dn PI idegaliA HEY. or; IL ertod: ITER "1h iicornsgi vii Ioh uri
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CLASSE
DI
S Adunanza del 21 Giugno 189
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x PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO CO
K@) VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
si
Sono presenti i Socii: D’OvIpio, Direttore della Classe,
BerruTI, Bizzozero, FERRARIS, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, GIACcO-
MINI, CAMERANO, SEGRE, PEANO, VoLTERRA, JADANZA, Foà, Gua-
REScHI e NAccaARI Segretario.
Viene letto ed approvato il verbale dell'adunanza. pre-
cedente.
Il Segretario dà notizia della nomina fatta da S. M. il Re
dei prof. Camillo Gurr e Michele FrLeti ad Accademici resi-
denti. Il Presidente dà il benvenuto ai due nuovi Soci che ven-
gono introdotti nella sala delle adunanze.
Il Presidente partecipa la morte del Socio Corrispondente
G. A. DAuBRÉE; s'invieranno condoglianze alla famiglia.
In seguito a voto favorevole delle commissioni esaminatrici,
vengono accolte per l’inserzione nei volumi accademici le se-
guenti memorie:
1° “ Endoderma e pericîclo nel genere Trifolium in rap-
porto colla teoria della Stelia di V. Thieghem e Douliot ,, memoria
del Dott. Saverio BELLI; |
2° “ Osservazioni di stelle variabili eseguite a Torino e a
Soperga », memoria del Prof. Francesco Porro;
3° “ ficerche batometriche e fisiche sul lago d'Orta ,, me-
moria del Dott. Giovanni De AeostinI.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 64
938
Il Socio Cossa presenta dei cristalli dimetrici di cloruro
mercuroso ottenuti mediante l’idrolisi di una soluzione di clo-
ruro mercurico protratta per due mesi lasciando nella soluzione
un pezzo di calcite. Egli annuncia che ha in corso un’esperienza
diretta ad ottenere con metodo simile l’atacamite.
Vengono accolte le seguenti note per l’inserzione negli Atti:
1° “ Sul metamorfismo delle roccie ,, nota del Socio SPEZIA;
2° “ Saggio di calcolo geometrico ,, nota del Socio PEANO;
3° “ Sull a-aminoetilidensuccinimide e sull’ acetilsuccini-
mide ,, nota del Socio GUARESCHI;
4° “ Sulla trasformazione dei chetoni in a-dichetoni ,, nota
del Socio FiLeti e del Dott. Giacomo Ponzio;
5° “ Di una nuova interpretazione dell’architettonica florale
delle crocifere e generi affini ,; nota del prof. Edoardo MARTEL,
presentata dal Socio GIBELLI;
6° “ Osservazioni mineralogiche su alcune sabbie della col-
lina di Torino ,; nota del Dott. Luigi CoLomBa, presentata dal
Socio SPEZIA;
7° « Integrazione dell'equazione A*(A°u)=0 in un campo
di forma circolare ,, nota del Prof. Giuseppe LAURICELLA, pre-
sentata dal Socio VOLTERRA;
8° “« Osservazioni sulla nota precedente del Prof. Lauri-
cella e sopra una nota di analogo argomento dell'Ing. Almansi ,;
nota del Socio VOLTERRA;
9° “ Per la storia della teoria delle superficie geoidiche ,, -
nota dell’Ing. Ottavio Zanorti Bianco, presentata dal Socio
JADANZA;
10° “ Ricerche sperimentali sul lavoro muscolare nell'aria
compressa », nota del, Dott. Costanzo ZENONI, presentata dal
Socio Mosso (*);
11° “ La durata dello splendere del Sole sull’orizzonte di
Torino ,, nota del Dott. Gio. Batt. Rizzo, presentata dal Socio
NACCARI;
12° “ Effemeridi astronomiche calcolate per l’anno 1897 e
per l'orizzonte di Torino , del Dott. Vittorio BALBI e presentate
dallo stesso Socio NACCARI.
(*) Questa Nota verrà pubblicata nel volume XXXII degli Atti.
mn
—_r— ro —_—_—u
G. SPEZIA — SUL METAMORFISMO DELLE ROCCIE 939
LETTURE
Sul metamorfismo delle roccie;
Nota del Socio GIORGIO SPEZIA.
In un mio lavoro (1) io espressi un’ opinione a proposito
del metamorfismo delle roccie, considerando specialmente l’ipo-
tesi di coloro, alludendo fra i recenti scrittori a Milch (2), che
vorrebbero rendere fattore, di qualunque reazione chimica avve-
nuta in uno strato di roccie, la pressione esercitata soltanto
dal peso delle altre roccie le quali, in quiete, soprastanno allo
strato.
Siccome tale pressione non potrebbe, a mio avviso, che
costituire un’energia potenziale, io dovevo per la diversità di
effetto distinguerla dalla pressione, la quale, essendo prodotta
dal peso della roccia associato ad un brusco movimento della
stessa massa rocciosa, darebbe luogo ad un’energia cinetica.
Perciò adoperai per brevità di dizione le due espressioni:
di pressione statica per quella che darebbe luogo ad un’energia
potenziale e di pressione dinamica per quella che produrrebbe
l'energia cinetica la quale si trasformerebbe in calore.
Tale distinzione trovò un avversario nel Viola che in un
suo lavoro (3) pubblicò al mio indirizzo la seguente sentenza:
“ ogni pressione esercitata su corpi, che noi conosciamo, siano
essi roccie, metalli, ecc., ha per effetto una deformazione,
“ quindi è causa di lavoro e calore. E poichè non si conoscono
“ corpi rigidi facenti parte della crosta terrestre, così viene da
«
(1) La pressione nell'azione dell’acqua sull’apofillite e sul vetro, “ Atti
R. Acc. di Torino ,, vol. XXX, pag. 455.
(2) Beitriige zur Lehre von der Regionalmetamorphose, “ Neues Jahr. f.
Min. Geo. Pal. ,, IX Beilage-Band, 1894, pag. 101.
(3) Osservazioni geologiche fatte nella valle del Sacco, “ Boll. R. Com.
geol. d’Italia ,, 1896, pag. 4.
940 GIURGIO SPEZIA
“ sè che in geologia è inutile, ed anzi è dannosa la distinzione
“ tra pressione statica e pressione dinamica ,.
A me pare che le seguenti considerazioni potranno dimo-
strare che il giudizio suespresso poteva essere meno conciso e
più ragionato.
Supponiamo uno strato di roccie sottoposto alla pressione
data semplicemente dal peso di una massa rocciosa in quiete,
ossia con posizione invariabile rispetto allo strato, il quale a
sua volta trovi resistenza al moto in altri strati o masse roc-
ciose.
Io credo che, in tal caso, la pressione pur dando luogo ad
una deformazione molecolare non produrrà lavoro e calore come
ritiene il Viola, ma produrrà invece un lavoro potenziale in
causa dell’elasticità, della quale nessun minerale è privo, pre-
cisamente perchè, come disse il Viola, non si conosce nessun
corpo rigido facente parte della crosta terrestre. Producendosi
tale lavoro potenziale non vi sarà calore libero che possa ser-
vire ad iniziare reazioni chimiche nello strato sottoposto alla
pressione puramente statica.
Ma voglio considerare anche il principio su cui si fonda il
Viola, che cioè ogniqualvolta vi sia deformazione si debba pro-
durre lavoro e calore.
In tal caso il calore sarà dato da una forza viva, nella
quale dovrà entrare come fattore la velocità, alla cui grandezza
sarà corrispondente la rapidità di deformazione.
Nella supposizione fatta è naturale che la pressione data
dalla massa rocciosa avrà dovuto crescere colla stessa lentezza
con cui nel tempo geologico si sovrappongono i materiali mi-
nerali; oltre a ciò la pressione, propagandosi ovunque in causa
dell’elasticità di compressione, dovrà agire in ogni senso in-
torno ai minerali costituenti lo strato; perciò la deformazione
molecolare non potrà essere che lentissima.
Quindi la velocità inerente alla forza viva che dovrebbe
produrre calore sarà piccolissima; e siccome non si conoscono
corpi non conduttori del calore (nel senso assoluto o relativo
dato alla parola rigido dal Viola) facenti parte della crosta ter-
restre, così la piccolissima quantità di calore, corrispondente alla
lentissima deformazione, dovrà diffondersi man mano che si
produce e non giungere mai alla temperatura necessaria ad una
reazione chimica.
SUL METAMORFISMO DELLE ROCCIE 941
Laddove, supponendo che sullo strato agisca la pressione
della massa rocciosa associata con rapido movimento di questa,
il calore prodotto ed inerente a rapida deformazione, sarà tale
da fornire la temperatura necessaria per le reazioni chimiche,
anche ammettendo che una parte si perda per diffusione.
Quindi trovo opportuno per la geologia la distinzione fra
pressione statica e pressione dinamica. Se poi le mie espressioni
sono difettose, accetterò volentieri altre più peculiari che mi
sieno proposte, ma non posso essere del parere del Viola che
non debba farsi e che sia dannosa la distinzione. La distinzione
sarà forse dannosa per coloro i quali non saprebbero più da
quale parte appoggiare quelle loro ipotesi, che si fondano sulla
confusione delle due specie di pressione.
La mia distinzione, che si riferisce alla causa, corrisponde-
rebbe a quella, che si riferisce all’effetto, data da Milch (1) colle
espressioni di metamorfismo di carico (Belastungs- Metamor-
phismus) e metamorfismo di dislocazione (Dislocations - Metamor-
phismus); e la distinzione è necessaria anche per fissare l’argo-
mento di discussione, che sarebbe per me soltanto quello del
metamorfismo di carico causato dalla pressione che io chiamo
statica.
Ora che mi fu data l'occasione di avere ancora per argo-
mento di scritto il metamorfismo, non posso a meno di occu-
parmi a considerare un'ipotesi, colla quale il Viola nel suo
lavoro vorrebbe spiegare la presenza di un plagioclasio secon-
dario trovato in alcune roccie vulcaniche degli Ernici da lui
studiate, nelle quali roccie il plagioclasio è associato con leu-
cite e pirosseno.
Per la formazione di detto plagioclasio, l’autore rifiuta il
concorso di soluzioni mineralizzate, come fu da altri supposto
per casi analoghi, asserendo (2): “ che sarebbe un ripiego ab-
“ bastanza artificioso, poichè non è probabile che acque cir-
“ colino entro roccie fresche e compatte ,. Poi espone il suo
pensiero dicendo: “ Io perciò ritengo che sia semplicemente
< l’azione del pirosseno sulla leucite la causa fondamentale del
(1) Loc. cit., pag. 121.
(2) Loc. cit., pag. 25.
942 GIORGIO SPEZIA
“ fenomeno ,. Infine conchiude che la metamorfosi è prodotta
da lavoro dinamico e che: “ è la pressione la quale è sempre
“ unita ad una diminuzione di volume della roccia sottopostavi
“ che ha determinato questo lavoro ,.
Appare quindi che il Viola sostenga una nuova specie di
metamorfismo, che io sono obbligato pure a distinguere col nome
di metamorfismo di carico per via secca, per differenziarlo da
quello che sostengono altri e nel quale fanno intervenire il con-
corso dell’acqua, che essi suppongono riscaldata e soprariscal-
data dalla pressione statica degli strati, per agevolare il movi-
mento degli elementi chimici.
Esaminerò l’effetto di tale specie di metamorfismo sia nelle
conseguenze della causa, sia nelle conseguenze che derivano dalle
reazioni chimiche stabilite dal Viola.
Bisogna anzitutto ammettere che la leucite ed il pirosseno
non potranno dar luogo a plagioclasio senza reazioni chimiche.
Ora le numerosissime esperienze eseguite da Raoul Pictet
hanno dimostrato come legge, che senza calore non havvi rea-
zione chimica e che questa comincia soltanto ad apparire ad
una temperatura limite, la quale dipende naturalmente dalla
natura dei corpi posti in contatto fra loro.
E basta, per indicare una delle tante interessantissime
esperienze, quella per cui Pictet (1) ponendo dell’acido solforico
concentrato e congelato colla temperatura di —125° a contatto
con della soda caustica ridotta in polvere e parimente avente la
temperatura di —125°, trovò che, anche comprimendo forte-
mente l'acido solforico congelato nella polvere di soda, non
appariva reazione alcuna, la quale invece diventava vivissima
quando lasciando aumentare la temperatura questa arrivava
a —80°.
Quindi per la legge di Pictet affinchè la leucite ed il pi-
rosseno entrino per contatto in mutua reazione chimica per
mezzo della pressione prodotta dagli strati sovrapposti, bisogna
che detta pressione produca un calore tale da raggiungere la
temperatura limite necessaria alla reazione chimica fra i due
minerali.
(1) “ Comp. Rendus Ac. Paris ,, 1892, 2° sem., pag. 814.
SUL METAMORFISMO DELLE ROCCIE 943
Non vi sono esperienze le quali indichino la quantità di
pressione per avere la temperatura limite, alla quale possono
reagire fra loro la leucite ed il pirosseno; ma io credo che si
possa prendere norma da quelle eseguite per studiare se la
pressione abbia diretta azione nelle reazioni chimiche.
A Spring si debbono molte esperienze eseguite per detto
scopo, anzi i sostenitori del metamorfismo di carico credettero di
trovare appoggio in alcune di esse, p. es.: in quelle che si ri-
feriscono alla formazione del biioduro di mercurio e del solfuro
di rame, ottenuta sottoponendo alla pressione di 2000 atm. pel
primo composto e di 5000 atm. pel secondo rispettivamente una
miscela di ioduro potassico e bicloruro di mercurio ed una mi-
scela di solfo e di rame.
Ma io non credo che il risultato di dette esperienze debba
ascriversi alla pressione, bensì al fatto che la temperatura or-
dinaria dell'ambiente, in cui furono eseguite le esperienze, era
già per sè sufficiente ad iniziare la reazione chimica.
In appoggio di tale mia credenza indicherò alcune esperienze
da me fatte in proposito e che ora trovano l’occasione di essere
pubblicate.
Presi due vetrini d’orologio, io posi in uno del ioduro po-
tassico e nell’altro del bicloruro di mercurio; entrambi i sali
erano ridotti in fina polvere. Quindi i due vetrini con le rispet-
tive sostanze vennero messi in uno stesso recipiente di vetro
di piccola profondità e mantenni il tutto alla temperatura di
130° per un’ora, poi chiusi il recipiente col coperchio pure di
vetro che era rimasto alla stessa temperatura, e ponendo il
recipiente in un essiccatore lasciai che si raffreddasse. Detta
operazione fu fatta per escludere ogni traccia di umidità.
Avvenuto il raffreddamento, con un movimento oscillatorio
feci sì che le polveri dei due vetrini escissero da essi e si me-
scolassero nel recipiente senza che questo venisse aperto. Allora
vidi che tosto apparve una leggera tinta rosea ed alcune ore dopo
tutta la massa della polvere aveva il colore rosso del biioduro
di mercurio.
Un'altra esperienza per eguale reazione chimica fu pure da
me eseguita.
Io suddivisi in tre tubi di vetro, chiusi da un capo, del
ioduro potassico ridotto in polvere ed in ognuno di essi posi
944 GIORGIO SPEZIA
un tubetto di vetro contenente bicloruro di mercurio pure in
polvere. I sali erano stati essiccati a 120° prima di porli nei
rispettivi tubi, poi riscaldai nuovamente questi col contenuto,
producendo contemporaneamente una rarefazione d’aria sino alla
pressione di 16 centimetri di mercurio e saldai alla lampada
l’altro capo di ogni tubo.
Dei tre tubi così preparati uno fu lasciato alla tempera-
tura dell'ambiente, che era di 22°, e gli altri due vennero messi
in un refrigerante. Quando la temperatura di questo fu di —7°
capovolsi uno dei due tubi agitandolo in modo che le polveri
dei sali si mescolassero e lo rimisi immediatamente nel refri-
gerante. Parimenti capovolsi l’altro tubo che era alla tempera-
tura a 22° per mescolare le polveri.
L'effetto di dette operazioni fu che la miscela del tubo a
22° divenne leggermente rosea sul principio e poi man mano
prese il colore rosso del biioduro di mercurio, invece la miscela
del tubo del refrigerante rimaneva di color bianco.
Quindi estrassi dal refrigerante detto tubo e poi mescolai
le polveri del secondo tubo che era nel refrigerante, lascian-
dolo in questo.
Il tubo estratto fu posto vicino a quello la cui miscela
aveva già il colore rosso e vidi che, per effetto della tempera-
tura dell'ambiente, anche la sua miscela prese a poco a poco
il colore rosso.
Dopo due ore osservai il terzo tubo che avevo lasciato nel
refrigerante in cui la temperatura era nel frattempo scesa a
—13°; la miscela dei sali era sempre bianca. Tolto tale tubo
dal refrigerante e lasciatolo alla temperatura dell’ ambiente,
dopo venti minuti la sua miscela prese il colore rosso come
negli altri due tubi.
In un’altra esperienza presi della limatura di rame e del
solfo in polvere e dopo avere riscaldato le sostanze e lasciatele
raffreddare in un essiccatore, le versai rapidamente in un tubo
di vetro che saldai alla lampada; quindi movendo il tubo pro-
curai che la limatura di rame si mescolasse colla polvere di
solfo, poi diedi alcune leggere scosse al tubo in direzione della
sua lunghezza affinchè i granuli dei due corpi andassero a
maggior contatto fra loro. Dopo alcune ore mi parve che il
rame, pur mantenendo ancora lo splendore metallico, fosse mu-
SUL METAMORFISMO DELLE ROCCIE 945
tato di colore. Dopo alcuni giorni vidi che i granuli metallici
di rame avevano preso un colore nero. Dopo 15 mesi tagliato
il tubo, ne estrassi un poco di sostanza per esaminare al mi-
croscopio i granuli nerastri. Essi si presentavano con un colore
nero azzurro e con superficie come di concrezione e con aspetto
vellutato. Compressi tali granuli fra due vetri, mi accorsi che si
staccava un involucro lasciando nei granuli più grossi un nucleo
di rame metallico. Detto involucro presentava nella rottura
ancora il colore azzurrognolo, ma con aspetto metallico come la
calcosina e lo spessore dell’involucro era di 18 micromillimetri.
I risultati da me ottenuti possono quindi lasciarmi credere,
che nelle due citate esperienze di Spring la causa essenziale
della reazione chimica non poteva essere la pressione.
La pressione avrà favorito la reazione aumentando il con-
tatto dei corpi che dovevano fra loro reagire; avrà favorito la
reazione se il volume molecolare del composto risultante era
minore della somma dei volumi molecolari delle singole sostanze
separate; avrà infine anche favorita Ja reazione di massa, che
segue la fase chiamata di reazione lenta dal Pictet, per iniziare
la quale è indispensabile la temperatura limite.
Ma non si ha, per le due esperienze, ragione di asserire,
che in esse la pressione abbia fornito calore per raggiungere
la temperatura limite, dal momento che il grado di questa po-
teva già esistere nel calore dell’ apparecchio e dell’ ambiente
dove si eseguiva l’esperienza.
Ed a prova di ciò stanno le altre esperienze pure di Spring
eseguite sopra altre sostanze, la cui mutua reazione chimica
necessitava una temperatura limite di molto maggiore della
temperatura così detta ordinaria.
Per es. Spring trovò che sottoponendo alla pressione di
7000 atm. la polvere pirica, ossia la miscela meccanica di
nitrato potassico, solfo e carbone, non avvenne alcuna reazione
chimica, mentre questa succede ad una temperatura vicina ai
300°. Parimenti la segatura di pioppo asciutta portata alla pres-
sione di 20000 atm., costituiva una massa più coerente e di
maggior densità del pioppo, ma non mutò colore, nè mostrò
traccia alcuna di reazione chimica. E lo stesso Spring (1) per
(1) “ Bull. de la Soc. chim. de Paris ,, 1884, pag. 497.
946 GIORGIO SPEZIA
tali esperienze dichiarò: che non bisogna perdere di vista che
la pressione non è un agente chimico dello stesso titolo che è
il calore.
Mi fermo un momento sui predetti due risultati delle espe-
rienze di Spring per dimostrare meglio la risposta da me data
sul principio di questo scritto alla sentenza del Viola.
La pressione negli esperimenti di Spring era lentamente
trasmessa da una forza applicata ad una vite, perciò è certo
che si era prodotto una forza viva. Ma siccome la velocità, uno
dei fattori della forza viva, era piccolissima, ne avveniva che
la trasformazione della forza viva in energia termica era len-
tissima, e perciò il calore che man mano si produceva si dif-
fondeva attraverso l'apparecchio od in altri termini la forza viva
si disseminava. Mentre se l'apparecchio fosse stato assolutamente
coibente del calore, questo si sarebbe accumulato elevando la
temperatura al grado necessario per la reazione chimica.
Ora io ritengo che per quanto sia stata piccola la velocità
impiegata nell’esperienza di Spring, sarà sempre stata maggiore
di quella che si vuole attribuire alla pressione di una roccia in
quiete in causa del non essere i minerali assolutamente rigidi.
Perciò il calore prodotto dalla massa rocciosa con movimento
così piccolo si disseminerà man mano che si produce, perchè se
i minerali non sono perfettamente rigidi non sono anche per-
fettamente coibenti del calore.
Rimane poi da sè evidente che per coloro i quali, come il
Viola, vogliono porre come causa di reazione chimica, non il
calore, ma la diminuzione di volume molecolare prodotto dalla
pressione, servono di risposta anche le esperienze di Pictet e
di Spring. Perchè le une dimostrano che riducendo il volume
con bassissime temperature la reazione chimica non avviene;
le altre fanno palese che le pressioni di 7000 e di 20000 atmo-
sfere non furono sufficienti a diminuire il volume molecolare
in modo che la reazione chimica avesse luogo fra i componenti
sia della polvere pirica, sia del legno.
Mi pare che ora, in base di dette esperienze, si possa esa-
minare la reazione fra la leucite ed il pirosseno, la quale do-
vrebbe, secondo Viola, succedere per la pressione fornita dagli
strati di roccia in quiete che soprastavano a quello, in cui l’au-
tore trovò il prodotto metamorfico dei due minerali.
SUL METAMORFISMO DELLE ROCCIE 947
Come già dissi non si sa, nè il Viola suppone, quale pres-
sione potrà essere necessaria per la suindicata reazione fra la
leucite ed il pirosseno; ma io credo che, in base delle esperienze
sulla polvere pirica e sul pioppo si possa, trattandosi di due si-
licati, ritenere che la pressione, supponendo possibile l’effetto
chimico di essa, non sarà inferiore alle 9000 atmosfere.
Capisco che mi si potrà rispondere che se la reazione non
avviene a 9000 atm. avverrà a 100000 atm.; ma ad ogni modo
esaminiamo le conseguenze anche col supporre semplicemente
che la reazione fra leucite ed il pirosseno avvenga a 9000 atm.
È evidente che per tale supposizione, ponendo che le leucititi
e leucotefriti degli Ernici abbiano un peso specifico di 3, lo
strato di roccia che doveva, soprastando allo strato della me-
tamorfosi, esercitare semplicemente col suo peso la pressione di
9000 atm., non poteva avere una potenza minore di 30000 m.;
perchè sarebbe ben maggiore se invece di supporre come faccio
io ora, la pressione data alla base da una massa rocciosa li-
bera, si dovesse tener conto dell’ attrito laterale cui sarebbe
soggetta tale massa nella crosta terrestre.
In questo caso a me pare che sarebbe stato di grande in-
teresse geologico, un cenno del Viola sulla scomparsa del ma-
teriale roccioso, vulcanico o non, il quale doveva con una po-
tenza di 30000 metri soprastare allo strato lavico esaminato e
appartenente soltanto all’epoca terziaria. Notando poi che se
‘la supposta pressione di 9000 atm. non fosse sufficiente e bi-
sognasse supporla maggiore, sarebbe naturalmente necessario di
aumentare in proporzione la potenza dello strato di roccia, il
quale, stando in quiete e colla pressione esercitata dal solo
peso ossia dalla sola pressione che io chiamo statica, dovrebbe
fornire la temperatura limite per iniziare la reazione chimica
fra la leucite ed il pirosseno.
Le esperienze, i cui risultati si possono applicare allo studio
degli effetti chimici, che si vogliono attribuire alla semplice
pressione degli strati rocciosi in quiete, pur troppo hanno un
limite di esecuzione. Ma tuttavia tali esperienze hanno il van-
taggio che, se non si ritengono valevoli per risolvere il pro-
blema geologico per oltre il confine cui può giungere l’ espe-
rienza, stabiliscono dei limiti alle ipotesi; perchè la potenza
degli strati, che bisogna supporre per la pressione, dà luogo
948 GIORGIO SPEZIA
ad altro più difficile problema quando si debba spiegare la
scomparsa di essi o la loro relativa posizione nella crosta ter-
restre.
Esaminerò ora altre conseguenze del metamorfismo che io
chiamai per via secca, inerenti al processo chimico indicato dal
Viola per spiegare la formazione del plagioclasio per mezzo della
leucite e del pirosseno.
L'autore (1) per dar ragione della reazione chimica assume,
come egli dichiara, soltanto la molecola di leucite che con-
tiene la soda e soltanto quelle molecole del pirosseno, che si
possono utilizzare per la cessione della calce e dell’allumina e
scrive l'equazione chimica:
z Na AI Si. 0; + y [Ca Fe Si. 06 + Ca Al Si 0;] + y 003 =
lencite pirosseno
— 7 Na AI Si,03-+y Ca AI,Si,03-+y CaC0;+ (y — 2) Si 0-1 yFe0
n 4
plagioclasio calcite quarzo
Non mi permetto di fare osservazioni sulle formole chi-
miche, le quali oggigiorno da alcuni mineralogi si costruiscono
a scopo speculativo e non per rappresentare la composizione
data dall'analisi dei minerali. Nè indagherò p. es. la ragione
per cui il Viola (2) in un’altra equazione costituì una molecola
di pirosseno colla formola Ca Al, Six 0; ossia mancante di due
atomi di ossigeno; forse sarà stato per la soddisfazione di porre
nella stessa equazione la quantità x0..
Ma io credo che quando si premettono condizioni sotto le
quali sia stabilita un'ipotesi, la probabilità di questa scompare
se non viene dimostrato che le conseguenze dell’ipotesi concor-
dano con le condizioni fissate; o in più brevi parole: le con-
traddizioni non sostengono un’ipotesi.
Il Viola pose per condizione della sua ipotesi che le acque
non potevano circolare nelle roccie fresche e compatte, asse-
rendo che l’ammettere la circolazione delle acque fosse un ri-
piego artificioso. In pari tempo a riguardo del quarzo scrive (3):
(1) Loc. cit., pag. 26.
(2) Loc. cit., pag. 24.
(3) Loc. cit., pag. 27.
SUL METAMORFISMO DELLE ROCCIE 949
“in quanto al quarzo secondario che comparisce nella reazione,
“ questo si può osservare nelle fenditure delle lave ,.
Ma in che modo tale quarzo, resto di reazione avvenuta
nell'interno delle roccia fresca e compatta, potè andare nelle
fenditure? Per soluzione non certamente, perchè l’autore ritenne
la roccia permeabile bensì ai gas, come risulta dalla quantità
yCO;: introdotta nell'equazione, ma la suppose invece imper-
meabile all’acqua.
D'altronde se il quarzo avesse potuto per soluzione, e s’in-
tende anche per diffusione nell’acqua così detta di roccia o di
cava, portarsi nelle fenditure, è naturale che l’autore non avrebbe
considerato come ripiego artificioso il fare entrare nella roccia
dalla fenditura, e in modo analogo, anche soluzioni di altri
composti chimici contenenti, p. es., l’allumina e la calce neces-
sarie per il plagioclasio.
Quindi se per la condizione premessa, il quarzo non poteva
andare nelle fenditure per mezzo di soluzioni, rimane, a mio
avviso, assai difficile trovare qualche altro più probabile modo;
perciò l’autore per avvalorare la sua ipotesi doveva dimostrarlo.
Parimenti nel lavoro di Viola sta scritto (1): “ Il piros-
“seno che risulta con l’uscita della calce e del ferro, sarà
“ quindi più ricco di magnesia, e questo pirosseno dà luogo
“ alla formazione della clorite e anche della mica ,.
È bene anzitutto ricordare che l’autore adoperò nell’equa-
zione chimica le molecole di pirosseno che si potevano utiliz-
zare per la cessione della calce e dell’allumina, vale a dire che
l’allumina del pirosseno passò al plagioclasio; allora si com-
prenderà come appaiano ovvie due domande. Prima: dove la
clorite e la mica abbiano preso l’allumina, che è parte costan-
temente integrante ed abbondante della loro composizione. Se-
conda: come ha potuto entrare l’allumina nella roccia per co-
stituire la clorite e la mica in essa esistenti. Per questa seconda
domanda è evidente che l’allumina non poteva penetrare nella
roccia in soluzione per la premessa che la roccia era imper-
meabile all’acqua; d’altronde l’autore stesso avrebbe ritenuto
come ripiego ancora più artificioso di farvi entrare l’allumina
(1) Loc. cit., pag. 26.
950 GIORGIO SPEZIA
soltanto per la clorite e la mica e non anche l’allumina neces-
saria al plagioclasio.
A me pare che le due conseguenze dell'ipotesi, l'uscita del
quarzo e l’entrata dell’allumina dovevano essere in qualche modo
dimostrate dall’autore per sostenere la probabilità dell’ ipotesi
ammessa sotto la condizione che l’acqua non concorresse nel
processo chimico.
A mio avviso, quando si vogliono emettere ipotesi sopra
un processo di metamorfismo chimico avvenuto in una roccia,
è necessario, per dare probabilità all’ ipotesi, che si stabilisca
con analisi chimica la composizione dei minerali, s° intende di
quelli che possono avere variabile composizione, sia preesistenti
nella roccia, sia susseguenti al processo metamorfico. E ciò è
anche indispensabile per arguire se determinati elementi chi-
mici preesistevano nei minerali della roccia, ovvero se vi fu-
rono condotti durante la metamorfosi.
Ogni caso di speciale metamorfismo deve essere studiato
da sè e non si può ammettere senza prova, che i minerali di
una roccia abbiano la stessa composizione di quelli esistenti in
altra roccia di diversa località. Il supporre, p. es., che una leu-
cite sia eccezionalmente sodica, mentre potrebbe avere appena
4 o 5 millesimi di soda, o che un pirosseno sia molto sodico
mentre potrebbe essere privo di soda, sarà comodo per una
dimostrazione grafica dell’ipotesi, ma non può rendere questa
probabile.
I processi chimici inerenti al metamorfismo sono già per
sè così difficili a spiegarsi, che le ipotesi loro possono acqui-
stare probabilità soltanto dai dati positivi forniti dalla chimica
analitica e dalle induzioni autorizzate dalle esperienze, e mai
da una semplice dimostrazione grafica basata sopra ipotetiche
composizioni dei minerali inerenti al caso di metamorfismo che
sì considera.
Confesso che non riesco a comprendere come una reazione
chimica possa avvenire per mezzo soltanto della pressione eser-
citata da strati di roccia in quiete, e che io continuo a chia-
mare, in attesa di altro nome, pressione statica; ma confesso
pure che trovo più incomprensibile, come possano accadere me-
tamorfosi chimiche, con separazione e trasporto di composti
chimici, escludendo il concorso dell’acqua così importante per
l'evoluzione della materia minerale.
SUL METAMORFISMO DELLE ROCCIE 951
L’ammettere come sorgente di calore, necessario alle rea-
zioni chimiche, la pressione statica degli strati di roccia in
quiete è un'ipotesi che abbisogna una conferma dalla fisica;
come pure richiede una conferma dalla chimica l'ipotesi, alla
quale aderisce il Viola, che le sostanze debbano reagire chimi-
camente fra loro senza l'intervento del calore e soltanto dimi-
nuendo il loro volume molecolare mediante la pressione.
La geologia non può essere indipendente dalla fisica e dalla
chimica.
Il volere poi con le suddette ipotesi spiegare le reazioni
chimiche avvenute in una lava, come quella studiata dal Viola,
mi pare perfettamente inutile.
Io credo che se si considerasse meglio quello stadio, che
presenta una lava dal suo efflusso al completo raffreddamento,
si potrebbe trovare una causa prima di metamorfosi e di for-
mazioni secondarie di minerali nel calore della lava stessa.
Questa, quando sia in massa di grande potenza, può, massime
negli strati più profondi, mantenere per tempo sufficiente la
temperatura necessaria a molte reazioni chimiche; le quali tro-
verebbero aiuto per l'evoluzione della materia minerale nel-
l’acqua inchiusa nella lava.
E la pressione statica, dovuta allo spessore della lava, per
quegli effetti che ad essa spettano, p. es.: mantenere liquida
l’acqua soprariscaldata del calore della lava, porgerebbe il suo
concorso pel metamorfismo al calore indispensabile per le rea-
zioni chimiche e già esistente nella lava.
Se nei laboratorii con la temperatura di 150° a 250° e
soltanto 2 mesi di tempo si ottiene la decomposizione del vetro
coll’acqua, non si potranno forse supporre numerose metamor-
fosi in una lava che fosse stata analoga a quella eruttata nel
1759 dal Iorullo, la quale possedeva (1) 21 anni dopo l’eru-
zione ancora la temperatura di accendere un sigaro nelle fen-
diture?
(1) De Lapparent, Traité de Géologie, 1893, I, pag. 390.
952 GIUSEPPE PEANO
Saggio di calcolo geometrico;
Nota del Socio G. PEANO.
v
Il Calcolo geometrico differisce dalla Geometria cartesiana
in ciò che questa opera analiticamente sulle coordinate, mentre
quello opera direttamente sugli enti geometrici.
Un primo tentativo di Calcolo geometrico spetta a LEIBNIZ,
la cui vasta mente aprì varie nuove vie alla Matematica.
L’analisi infinitesimale si sviluppò per la prima, per cura
dei suoi coetanei e discepoli. Il calcolo geometrico, di cui qui ci
occupiamo, si è sviluppato nel corrente secolo, quantunque non
ancora sufficientemente diffuso. La logica matematica, i cui prin-
cipii furono chiaramente esposti dal Leibniz, solo ora va rapi-
damente sviluppandosi, e risolvendo le varie difficoltà che si
presentano sul suo cammino.
Su questi varii punti Leibniz si limitò a scrivere dei cenni.
Del calcolo geometrico parlò con enfasi nella sua lettera a HuyENs
(8 sett. 1769) spiegandone i grandi vantaggi.
Dopo Leibniz, sorvolando sull’ interpretazione geometrica
degli immaginarii di Arcanp, troviamo MéBrus ad occuparsi
assai felicemente della stessa questione col Calcolo daricentrico
(1827), che applicò a più questioni, e di cui fece uso costante
nella sua Meccanica celeste (1842).
Contemporaneamente, e per via affatto indipendente, BeL-
LAvITIS espose il Metodo delle equipollenze (1854), le cui origini
trovansi già in suoi lavori del 1832, facendone numerose ap-
plicazioni.
Nel 1844 H. Grassmann pubblicò l’ Ausdehnungslehre, opera
poco letta e non apprezzata dai suoi contemporanei, trovata
poi ammirabile da numerosi scienziati, e di cui ci occuperemo
specialmente in questo scritto.
E, per finire questi sommarii cenni storici, HAMILTON creò
SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 955
per via affatto indipendente la teoria dei quaternioni, che è un
nuovo metodo di calcolo geometrico; un cenno di questa teoria
fu pubblicato nel 1843: l’esposizione completa fu fatta nel 1853.
L’opera di Hamilton ebbe fortuna presso i contemporanei; for-
tuna dovuta in parte alla chiarezza dell’esposizione, ed alla fe-
lice nomenclatura introdotta. I quaternioni furono usati in molti
lavori e trattati sia di matematica pura che applicata, fra cui
ad esempio il Trattato di elettricità e di magnetismo di Max-
weLL. Ma ai nostri giorni si cerca da molti di semplificare la
teoria dei quaternioni (MAcrARLANE), e da altri di ritornare alle
idee di Grassmann, o di combinare fra loro i varii metodi di
calcolo geometrico. |
Ed invero questi varit metodi di calcolo geometrico non
si contraddicono punto fra loro. Essi sono le varie parti di una
stessa scienza, ovvero i varii modi sotto cui si presenta lo stesso
soggetto a più autori, ciascuno dei quali lo studia indipenden-
temente dagli altri.
Poichè il calcolo geometrico, come ogni altro metodo, non
è già un sistema di convenzioni, ma un sistema di verità. Così
il metodo degli indivisibili (Cavalieri), degli infinitesimi (Leibniz),
delle flussioni (Newton) sono la stessa scienza, più o meno per-
fetta, ed esposta sotto forme diverse.
La teoria di Grassmann è oggigiorno, dai varii autori che
l’hanno riesposta ed applicata, giudicata coi più grandi elogi.
Il lettore può consultare l’Elenco bibliografico sull’ Ausdelnungs-
lehre di H. Grassmann, pubblicato nella Rivista di Matem.,
a. 1895, p. 179; e specialmente il recente ed importantissimo
opuscolo Die Grassmann'sche Ausdehnungslehre di V. Schlegel.
Pure, se tanto tardò quest'opera a farsi conoscere, e se
tanta difficoltà presenta tuttora nel diffondersi, la ragione ci
dev'essere; e, secondo me, essa sta nella forma dell’esposizione,
forma metafisica e nebulosa, lontana dal linguaggio solito dei
matematici, e che fin da principio, invece di attirare i lettori,
li stanca ed allontana. Ed anch'io, nello studio di quest'opera,
rilevai la potenza del nuovo metodo solo nell'esame delle ap-
plicazioni, specialmente quelle pubblicate nel 1845 nell’‘Archiv’
di Grunert (H. Grassmann’s Werke, I, p. 297).
Partendo da queste applicazioni mi fu possibile il rico-
strurne la teoria, e dare le definizioni degli enti introdotti, fa-
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 65
954 GIUSEPPE PEANO
cendo uso della sola geometria elementare. Pubblicai questa
teoria, facendone numerose applicazioni, nel mio “ Calcolo geo-
metrico, secondo l’ Ausdehnungslehre di H. Grassmann, Torino,
1888 ,. Le stesse definizioni furono subito adottate dal signor
Carvallo (Nouvelles Annales de Mathématiques, 1892, p. 8-37)
in uno scritto, La méthode de Grassmann, notevole per chiarezza
e semplicità d'esposizione. In seguito (Lezioni di analisi infini-
tesimale, 1893) espressi coi simboli della logica matematica le
proposizioni di questa teoria. Sicchè, per opera di varii autori,
da una parte si è resa semplicissima l’esposizione del metodo
di Grassmann, dall’altra si sono sempre estese le sue applica-
zioni alle varie parti della matematica.
Le esposizioni complete del calcolo geometrico, in cui si
presuppone nota la sola matematica elementare, sono necessa-
riamente alquanto voluminose. D'altra parte molti procedimenti
di questo calcolo sono affini a processi introdotti, spesso poste-
riormente, in geometria analitico-proiettiva, in analisi, in mecca-
nica, e parecchi teoremi sono noti da queste scienze sotto forma
alquanto diversa. Quindi, indirizzandomi non ad allievi, ma a
colleghi, credo di soddisfare ad un desiderio da più manifestato,
coll’esporre in breve le definizioni e le proprietà fondamentali
degli enti su cui opera il calcolo geometrico, confrontandoli
cogli enti analoghi che sono considerati in varie parti della ma-
tematica.
Saranno qui definiti gli enti introdotti, cioè le forme geo-
metriche di 1°, 2°, 3° e 4° grado, di cui sono casi particolari
i vettori, bivettori e trivettori; la relazione d’eguaglianza, unica
relazione che qui figuri; le operazioni di addizione e moltipli-
cazione, e le due operazioni indicate coi segni w ed | . Questo
sistema completo di operazioni permette di trattare tutte le que-
stioni di geometria. In un insegnamento particolare si possono
considerare solo alcuni di questi enti e di queste operazioni.
$ 1. — Tetraedri.
Essendo A, B, C, D dei punti, ABCD indica il tetraedro
di vertici i punti dati.
ABCD=0 significa che i quattro punti giacciono in un
piano.
SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 955
In un tetraedro non nullo considereremo, seguendo Mébius,
il senso. Il tetraedro ABCD si dice destrorso, se una persona
col capo in A, coi piedi in B e rivolta verso CD ha alla sua
sinistra C e alla sua destra D. Si dirà sinistrorso nel caso
contrario.
Il concetto di senso d’un tetraedro, quantunque assai sem-
plice, riducendosi a quello di destra e sinistra, non trovasi nei
libri di Euclide; lo si deve spiegare immaginando una persona
disposta nel modo indicato. Una volta introdotto il concetto
fisico di senso d’un tetraedro, si potrà definire il senso degli
altri enti che introdurremo.
Due tetraedri diconsi eguali se hanno la stessa grandezza
e lo stesso senso. I tetraedri si possono sommare e moltiplicare
per numeri reali, positivi o negativi, e si ha sempre un te-
traedro. Sicchè, essendo t,,...t, dei tetraedri, x,... x, dei nu-
meri reali, xt +... + xt, è un tetraedro, e questo polinomio
ha tutte le proprietà dei polinomii algebrici; cioè si può inver-
tire l’ordine dei termini; e la moltiplicazione d’un numero per
un tetraedro ha la proprietà distributiva rispetto ad ambi i
fattori.
Il tetraedro ABCD cambia segno se si invertono fra loro
due vertici, cioò (M6bius, Werke, p. 41):
ABCD=— BACD=— ACBD=— ABDC.
Per rapporto si di due tetraedri # ed «, di cui il secondo
non nullo, si intende il numero reale per cui moltiplicando «
si ottiene #. Questo rapporto dicesi anche il numero che misura #
essendo « l’unità di misura. In più questioni invece di tetraedri
si può parlare dei numeri che li misurano.
Il tetraedro ABCD si dirà anche il prodotto dei quattro
punti A, B, C, D, ovvero del punto A pel triangolo BCD, ov-
vero della linea AB per la linea CD, ovvero del triangolo ABC
pel punto D. Questo prodotto non ha la proprietà commutativa,
ma invertendo due vertici si produce un cambiamento di segno,
proprietà che fu detta alternata. Vedremo però delle ragioni che
giustificano il nome di prodotto.
956 GIUSEPPE PEANO
$ 2. — Forme geometriche.
Siano %,, %,... x, numeri reali; e indichiamo con lettere
maiuscole dei punti. Porremo per definizione:
(Ap E po) BEDA ROD Jp,
GiuBiti e a Bed ai Ra i
(2A B, C+... +x,A,B, C.)D = Xi Ai B, C,D +... +x, A, B, G. Di
I primi membri di queste eguaglianze non hanno finora
significato; noi attribuiremo loro il valore rappresentato dai
secondi membri, che sono somme di tetraedri.
Dicesi forma di primo grado ogni espressione della forma:
cA, + PO + x, A,,
cioè l’insieme dei punti A, ... A, coi coefficienti, o masse, 2, ... %;;
dicesi forma di secondo grado ogni espressione della forma:
Xi À, B, -. ceo - Lr À, B,;
dicesi forma di terzo grado ogni espressione della forma:
Xi À; Bi C, t 0° —- Lr A, B, OA
Potremo chiamare forma di quarto grado ogni somma di
tetraedri, la quale è poi riduttibile ad un tetraedro unico.
Moltiplicando adunque una forma di primo grado per tre
punti, o una forma di secondo per due punti, o una forma di
terzo per un punto, si hanno tetraedri.
. ( primo ì 2 . .
Una forma s di $ sendo | grado si dice nulla, e si scrive
erzo
tre punt
s= 0, quando moltiplicandola per } e pati} presi ad arbitrio
n
si ha per prodotto zero.
SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 957
1 3. ( primo Mat } È
Due forme s ed s' di sli grado si dicono eguali, e si
erZzo
: Fota tre 3 alata
scrive s = s’, quando moltiplicandole per due punti arbitrarii,
un
si ottengano prodotti eguali.
Queste definizioni dell’annullarsi d’una forma, e dell’egua-
glianza di due forme, sono fondamentali nella nostra teoria; ad
esse si deve sempre ricorrere quando sorga qualche dubbio sul-
l’interpretazione d’una formula.
Il prodotto d’una forma geometrica di primo grado per un
triangolo BCD è proporzionale, col variare della forma, al mo-
mento di quella forma rispetto al piano del triangolo, cioè alla
somma delle distanze dei punti di quella forma dal piano, mol-
tiplicate per le rispettive masse. Quindi due forme di primo
grado si dicono eguali quando hanno lo stesso momento rispetto
ad ogni piano.
Se una linea AB rappresenta una forza, il prodotto ABCD
è proporzionale a ciò che si chiama momento di quella forza
rispetto all'asse CD; quindi due forme di secondo grado diconsi
eguali quando hanno lo stesso momento rispetto ad ogni asse.
Si vede così l'analogia delle forme di primo grado colla
teoria dei baricentri, e delle forme di secondo colla riduzione
delle forze applicate ad un corpo rigido.
$ 3. — Operazioni sulle forme.
Già dicemmo linea il prodotto AB di due punti, e triangolo
il prodotto ABC di tre punti. Però qui queste parole hanno un
significato affatto speciale, e sono casi particolari di forme di
secondo e terzo grado. Quindi l'eguaglianza ABC = A'B'C' si-
gnifica, per la definizione data, che comunque si prenda il
punto D si ha sempre ABCD = A'B'C'"D' il che equivale a dire
che i due triangoli giacciono in un medesimo piano, hanno la
stessa grandezza e lo stesso senso. Analogamente AB = A' B'
significa che i due segmenti stanno sulla stessa retta, hanno la
stessa grandezza, e lo stesso senso; e ciò non per definizione,
ma come conseguenza immediata della definizione.
Daremo ora della somma e del prodotto di forme geome-
triche le seguenti definizioni intuitive :
958 GIUSEPPE PEANO
Somma di due forme dello stesso grado è la forma che
si ottiene scrivendo dopo i termini della prima quelli della
seconda.
Prodotto d'una forma di grado i per una di grado j, sup-
posto i 4-j < 4, è la somma dei prodotti d’ogni termine della
prima per ogni termine della seconda.
Conseguenza immediata di queste definizioni, si è che il
calcolo geometrico che ne risulta differisce dal calcolo algebrico
in ciò che
1° Possiamo moltiplicare solo due, o tre, o quattro punti:
non si hanno forme di grado superiore al quarto.
2° Si ha AB—=—- BA, e quindi AA=0.
In tutto il resto il calcolo geometrico ha tutte le proprietà
del calcolo algebrico sui polinomi.
L’addizione è commutativa ed associativa, la moltiplicazione
è associativa, e distributiva rispetto ad ambi i fattori. Dovunque
ad una forma possiamo sostituirne una eguale.
Questa coincidenza dei due calcoli costituisce l’ immenso
vantaggio del metodo di Grassmann. Esso permette di operare
e ragionare con un grande risparmio di sforzo e di memoria;
poichè in questo nuovo calcolo si opera come in un calcolo già
conosciuto. Questo metodo risponde quindi al principio del mi-
nimo sforzo, il quale sussiste non solo in meccanica, ma anche
in didattica.
Reciprocamente, attribuendo ad ABCD il significato già detto,
e volendo che sussistano le dette regole algebriche, si ottiene
di necessità il calcolo di Grassmann, che risulta così definito.
Però siffatta definizione sarebbe sovrabbondante; essa equivale
ad un gruppo di proposizioni, alcune delle quali sono vere defi-
nizioni, e le altre ne sono conseguenza.
$ 4. — Vettori.
Fra le forme di primo grado merita menzione speciale la
differenza B—A di due punti, cioè l’insieme di due punti A e B
coi coefficienti —1 e +1. Siffatta differenza dicesi vettore.
Due vettori B—A e B'—A' sono eguali quando, per la de-
finizione data, comunque si prendano i punti PQR, si ha
BPQR—APQR=B'PQR—A'PQR.
SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 959
Ma questa condizione si trasforma facilmente nell’altra: “ i
due vettori sono eguali quando hanno la stessa lunghezza, sono
paralleli, e diretti nello stesso verso ,.
A e B diconsi l'origine e il termine del vettore B—A.
L'origine d’un vettore si può prendere ad arbitrio.
Per sommare un punto A con un vettore I, si determini
il punto B tale che B—A=I. Trasportando si ha B=A-+I.
Per sommare due vettori I ed J, preso ad arbitrio il punto À,
si costruisca il punto A+I, poi il punto A+1+-J; il vettore
(A+1+J)—A vale I+J. Sicchè la somma di due vettori è un
vettore.
Moltiplicando un vettore per un numero reale si ha un vet-
tore parallelo al primo.
Data una forma di primo grado
cAhtb.. +, A,
ed un punto O, si ha l’identità:
vAt+.. + an A+... +e) 0+
+ a (A1- 0) +... + (A, — 0),
cioè “ ogni forma di primo grado è riduttibile ad un punto ar-
bitrario 0 con coefficiente la somma dei coefficienti della forma
data, più un vettore ,.
“ Ogni forma di primo grado, in cui la somma dei coeffi-
cienti sia nulla, è riduttibile ad un vettore ,.
“ Ogni forma di primo grado, in cui la somma dei coef-
ficienti non è nulla, divisa per questa somma stessa, dà un
punto ,.
Questo punto è il daricentro dei punti dati colle rispettive
masse. Così ne vien fuori il calcolo baricentrico; e precisamente
la teoria delle forme di primo grado coincide sia nella sostanza
che nelle notazioni col calcolo di Mòbius.
Però il Mébius si limitò a pochi cenni del caso in cui la
forma si riduce ad un vettore, non rilevando l’importanza gran-
dissima di questo caso.
Il termine vettore fu introdotto dall’ Hamilton; esso corri-
960 GIUSEPPE PEANO
sponde esattamente al segmento di Bellavitis; ma il primo nome,
che esclude ogni equivoco, è quello il cui uso va sempre più
generalizzandosi.
Però questi A. considerarono direttamente il vettore, senza
farlo dipendere dalle forme di primo grado, assumendo come
definizioni dell’eguaglianza e della somma, quelle proprietà che
abbiamo testè esposte. Del resto il concetto dei vettori, e della
loro somma, 0 composizione, è assai più antico, poichè già esso
comparisce nelle velocità e forze; però spetta sempre a questi A.
il merito di aver fatto vedere come, sulla loro composizione, si
possa fondare un calcolo geometrico.
Tanto Bellavitis quanto Hamilton indicano con AB il vet-
tore di origine A e di termine B, e che noi indichiamo, secondo
Grassmann, con B—A. Anche Hamilton notò il vantaggio di
indicarlo con B—A, ma senza poi far uso di questa notazione.
Secondo le nostre notazioni, B—A ed AB sono enti affatto
distinti. Indipendentemente da ciò, le formule di Hamilton
(A, B, C sono punti)
BA=_—- AB, AB+BC+CA=0
esprimono quanto quelle di Grassmann
AT-B=_—(B— A) (B_-A)+ (C-B)+(A-0=0;
e si vede che queste ultime hanno la forma di identità alge-
briche; mentre le prime hanno forma diversa, e bisogna fare
un nuovo sforzo per ricordarle. Si vede così come il calcolo di
Grassmann presenti su quello di Hamilton maggiore economia.
Il Bellavitis introduce un segno per indicare l’equipollenza
di due segmenti; sicchè per i segmenti si ha a considerare l’e-
guaglianza e l’equipollenza. Due segmenti equipollenti si possono
sostituire l’uno all’altro in certe formule, che bisogna ricordare.
Invece, avendo noi un sol segno d’eguaglianza, possiamo sempre
in ogni formula, ad ogni ente, sostituire un suo eguale; regola
questa che non potrebbe essere più semplice.
SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 961
$ 5. — Forme di 2° e 83° grado.
La teoria delle forme di secondo grado coincide colla teoria
dei sistemi di forze applicate ad un corpo rigido; però nella
prima compaiono puri concetti geometrici, e le operazioni si
fanno coll’algoritmo algebrico.
Eccone qualche saggio. Si ha A(B—A)=AB, ossia ogni
linea è il prodotto d’un punto per un vettore; e viceversa. Per
vettore d’una linea AB si intende il vettore B—A. Per vettore
d’una forma di secondo grado si intende la somma dei vettori
dei suoi termini.
Si ha identicamente
AB, + AB:+... + AB,=A[A+(B/— A4)+..+(B,— A)],
cioè la somma di più linee aventi la stessa origine è una linea
avente ancora la stessa origine, e il cui termine è il punto
racchiuso entro parentesi.
Il prodotto di due vettori dicesi divettore. È questa una
forma di secondo grado, che corrisponde alla coppia della mec-
canica. La somma di due bivettori è un bivettore. Ogni forma
di secondo grado è riduttibile in infiniti modi alla somma d’una
linea e d’un bivettore.
Le forme di terzo grado non hanno interpretazione mecca-
nica. Si ha il teorema:
“ Ogni somma di triangoli è riduttibile o ad un triangolo
unico, ovvero al prodotto di tre vettori ,.
Il prodotto di tre vettori dicesi trivettore.
Se sì aggiunge un trivettore ad un triangolo, si trasporta
questo parallelamente a sè stesso.
Un breve esercizio può bastare ad impratichirci di questo
calcolo, che differisce dal calcolo algebrico per ciò solo che la
moltiplicazione è alternata.
Non saranno forse inutili le seguenti osservazioni:
Il vettore B—A è una forma di primo grado; la linea AB
è una forma di secondo grado.
962 GIUSEPPE PEANO
Due vettori B—A e B'—A' sono eguali quando moltipli-
cati per tre punti arbitrarii dànno volumi eguali; due linee AB
e A'B' sono eguali quando moltiplicate per due punti arbitrarii
dànno volumi eguali.
Da AB=A'B' si deduce B—A=B'—A', ma non vi-
ceversa.
Il bivettore {(B—A) (C-A)=BC+CA+AB è una forma
di secondo grado, il triangolo ABC è una forma di terzo grado.
Moltiplicando quel bivettore pel punto A si ha il triangolo ABC.
Due bivettori AB + BC + CA e A'B' + B'0'+ C'A' sono
eguali quando moltiplicati per due punti arbitrarii dànno pro-
dotti eguali; due triangoli ABC e A'B'C' sono eguali se mol-
tiplicati per uno stesso punto arbitrario dànno prodotti eguali.
L’eguaglianza ABC=A'B'C' dice che i due triangoli giacciono
in un medesimo piano, hanno aree eguali, e dello stesso senso.
L’eguaglianza AB+BC+CA = A'B'4+B'C'4-C'A' dice che i
due triangoli giacciono in piani paralleli, hanno aree eguali e
dello stesso senso.
Da ABC=A'B'C' si deduce AB+BC+CA=A'B'+B'C'+C"A',
ma non viceversa.
Un trivettore è riduttibile alla forma (B—A)(C—A)(D-A),
o sviluppando,
BCD — ACD + ABD — ABC,
cioè alla superficie del tetraedro ABCD. Moltiplicando quel tri-
vettore per un punto arbitrario si ha questo tetraedro. Se due
tetraedri sono eguali, sono pure eguali i loro trivettori, e vi-
ceversa.
Abbiasi in un piano fisso una forma di secondo grado, cioè
un sistema di linee
SORIA it
Supposto, ad esempio, che il vettore di questa forma non
sia nullo, essa è riduttibile ad una linea sola CD, sicchè, co-
munque si prenda, nel piano, il punto P, si avrà
PA, B, + PA, B: + .. + PA,B,= PCD.
|
SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 963
La costruzione della linea CD che risulta dalla nostra
teoria è identica alla costruzione della risultante delle forze
AB, + A,B:+..., e della trasformazione d’una somma di trian-
goli in un triangolo, e come caso particolare, della trasforma-
zione d’un poligono in un triangolo, che si insegna in statica
grafica. Però noi abbiamo ammesso il concetto di aree eguali
senza analizzarlo. Ora è facile il vedere che questa trasforma-
zione basa sulla identità fra tre vettori IJK:
CILE =IR+ JK;
che costituisce il teorema di Varignon.
I bivettori, o aree dei due membri, si possono scomporre
in parti sovrapponibili. Quindi il poligono dato si può effetti-
vamente scomporre in parti che diversamente disposte formino
il triangolo che dicemmo suo eguale. Si ha così una via per
risolvere la questione, in questi anni assai dibattuta, che poli-
goni eguali secondo Euclide, si possono scomporre in parti so-
vrapponibili; e questa dimostrazione coincide in sostanza con
quella del sig. L. Gérard, Sur la mesure des polygones (Bull. de
Math. élém., 1896, p. 102).
$ 6. — Coordinate.
Siano A, As Az A; quattro forme di primo grado, il cui
prodotto non sia nullo. Le diremo forme di riferimento. Allora
ogni forma di primo grado si può ridurre alla forma:
cr Ar + wr Ao + o3A3 +24 A,
ove x; ... x sono numeri, detti coordinate di quella forma.
Ogni forma di secondo grado è una funzione lineare dei
sei prodotti a due a due delle forme di riferimento, cioè si può
scrivere:
Yi Ai Ag t Y13 Ai Ag + IE) + Ys4 Az À,.
I sei numeri y,3 ... 34 diconsi le coordinate della forma di
secondo grado.
964 GIUSEPPE PEANO
DS
Ogni forma di terzo grado è una funzione lineare dei pro-
dotti a tre a tre delle forme di riferimento, cioè si può egua-
gliare a:
21 Ag Az Ai — 22 An As AL eg AL AS AL — 24 A As Ag
I quattro numeri 2, ... 2, sono le coordinate della forma.
Le coordinate d’una forma si esprimono facilmente come
rapporti di tetraedri. Invero, pongasi
Sa=mA +e A+ 3A + de.
Si moltiplichi per A. A3 A4; nel secondo membro rimarrà
solo il primo termine, onde, ricavando x,
a SAsA3ÀA,
177 As Aa AzA,
e analogamente si hanno le altre coordinate.
Consideriamo una forma di secondo grado.
ST Ya A, do + Y13 A, Az + "e
Moltiplico per A3 A,, e ricavo:
A ae. sSAz3 Ax
clap Ve PA. ab
Analogamente per le forme di terzo grado.
Sulle cordinate si risolvono con grande semplicità varii pro-
blemi, quali quelli di trovare le coordinate di somme o prodotti
di forme di date coordinate; basta invero eseguire le operazioni
indicate.
Ad esempio, vogliasi calcolare il volume del tetraedro pro-
dotto di quattro forme di prima specie di date coordinate
(21; so ci), (Y/1; ce. Ya), (21; DSG Za); (1, DOG ta).
Le forme date hanno adunque per espressione:
ci Al + e° Ap +23 A3 +4 Aa
YA + yo Ar 4 UA + vd
z: Ar + ee An + 23 43 + Ai
RARI, AIR
SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO l 965
Moltiplichiamo questi polinomii. Il prodotto consterà di
più termini; ora quando si moltiplicano due termini apparte-
nenti alla stessa verticale si ha per prodotto zero. Bisognerà
adunque moltiplicare i termini presi in orizzontali e verticali
diverse. Un termine del prodotto sarà x, y» 23 ti Ai As Ag Au;
ogni altro termine si otterrà da questo permutando gli indici
1, 2, 3, 4; e se vogliamo far comparire fattor comune A, A A; Au,
bisognerà dare al coefficiente il segno + o — secondochè il
numero delle inversioni è pari o dispari. Si ha così per prodotto
Xr X%a %3 Ma
Yi Y. YU Ya
ALA: A3 A; ’
Zi Za 23 2%
HD BITIgUOg,
e ciò per la definizione di determinante.
Si vede qui comparire il concetto di determinante, la cui
teoria si può tutta sviluppare coi metodi generali del Grass-
mann, ma'su cui basti questo cenno, poichè qui intendiamo
parlare delle applicazioni geometriche.
Gli elementi di riferimento A, As A; A4 possono essere qua-
lunque. Merita menzione speciale il caso in cui si prendano per
elementi di riferimento un punto O e tre vettori, non compla-
nari, I, J, K. Il sistema di coordinate si dirà cartesiano. Ogni
forma di primo grado è riduttibile alla forma
mO+axI+yJ+K,
ogni punto alla forma
O+xI+yJ+%K,
ogni vettore alla forma
c1+yJ+ K.
Ogni forma di secondo grado è riduttibile a
L10I+m0J+n0K+pJK+ gKI+ rIJ.
966 GIUSEPPE PEANO
Se la forma rappresenta un sistema di forze, le sei coor-
dinate della forma diconsi in meccanica le caratteristiche del
sistema.
Il prodotto della forma per sè stessa vale
(Cp+ mq + nr) 0IJK;
l’annullarsi di questa quantità è la condizione affinchè la forma
si riduca ad una linea o ad un bivettore.
Ogni bivettore è riduttibile alla forma:
pIKÀ gKI+ rIJ.
Ecc.
$ 7. — Applicazione alla Geometria analitico-proiettiva.
Le forme geometriche finora considerate sono in stretta
relazione con enti noti. Una forma di primo grado, non nulla,
è riduttibile ad un punto con massa, o ad un vettore. Se la si
moltiplica per un numero, non nullo, la posizione del punto, o
la direzione del vettore non viene alterata. Quindi una forma
di primo grado determina un punto o una direzione, cioè de-
termina in ogni caso un punto proiettivo. Le quattro coordi-
nate della forma di primo grado diconsi le coordinate omogenee
di questo punto. Se si moltiplicano le coordinate per uno stesso
numero, la forma risulta moltiplicata per questo numero, ma
il punto proiettivo non varia.
Se gli elementi di riferimento A, A: A3 A, sono quattro forme
qualunque, le coordinate furono dette proiettive; se essi sono
quattro punti, si hanno le coordinate bdaricentriche; se un punto
e tre vettori, le cartesiane.
Una forma di secondo grado, non nulla, ma tale che sia
nullo il prodotto della forma per sè stessa, è riduttibile ad una
linea o ad un bivettore; determina quindi una retta o una gia-
citura; cioè determina in ogni caso una retta al finito o all’in-
finito.
Le sei coordinate della forma diconsi le sei coordinate omo-
genee della retta.
SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 967
Una forma di secondo grado, tale che il prodotto di essa
per sè stessa non sia nullo, determina un complesso lineare.
Una forma di terzo grado non nulla, è riduttibile o ad un
triangolo o ad un trivettore; nel primo caso determina un
piano al finito; il trivettore corrisponde al piano all’ infinito.
Le quattro coordinate della forma sono le coordinate omogenee
del piano (*).
$ 8. — Prodotti regressivi.
Abbiansi due forme di primo grado (o punti) A e B; ed
un triangolo (o piano) t. Vogliamo trovare il punto d’incontro
della retta AB col piano n. Perciò ogni punto della retta avrà
un'espressione della forma xA +gB; e dovendo esso giacere
in t, dovrà essere
(CA + yB)m =" 0,
cioè
cAmt+yBna=0.
Quest’ equazione è soddisfatta se prendo x ed y proporzionali
ai volumi Bt e —Ar. Quindi indicando con [t] il numero che
misura il tetraedro # rispetto ad un tetraedro fisso, la forma:
€ |Br]A — [An]B
giace sulla retta AB e sul piano t; il punto che determina è
l'intersezione di quella retta con questo piano.
Ora si può dimostrare che questa forma, che si presenta
come funzione di A e di B, è in realtà funzione del solo pro-
dotto AB, cioè che essa non varia ponendo al posto di A e B
altre forme A' e B' tali che AB= A'B'. Perciò chiameremo
l’espressione trovata il prodotto di AB per t, e scriveremo
AB.tn=[Br]A — [Ar]B.
(*) Un più ampio sviluppo delle coordinate projettive, dedotte dal
calcolo geometrico, trovasi in C. Burari-Forti, Il metodo del Grassmann
nella Geom. proj. (‘ Rend. circ. Palermo ,, a. 1896, p. 177).
968 GIUSEPPE PEANO
Il prodotto d’una forma di secondo grado per una di terzo
è quindi una forma di primo grado, pienamente determinata.
Il punto che questa determina è l’intersezione della retta e del
piano determinati dalle forme date.
Analogamente si definisce il prodotto di due forme di terzo
grado (piani), che è una forma di grado 3+3—4=2 (una retta);
e il prodotto di tre forme di terzo grado che è una forma di
grado 3+3+3—8.
Questi prodotti, che diconsi regressivi, hanno ancora la
proprietà distributiva rispetto ad ambi i fattori; passano note-
voli relazioni fra questi prodotti ed i prodotti progressivi prima
considerati. Siffatto studio è interessante per la Geometria su-
periore, poichè il metodo di Grassmann permette di indicare in
simboli ogni costruzione ottenuta proiettando e segando, di
poter ragionare sopra queste formule, onde ad es. trasformare
una costruzione in un’altra, e riconoscere il grado d’un luogo
così definito. Molti autori, che trovansi menzionati nel mio Cal-
colo geometrico, proseguirono per questa via, arrivando a note-
voli risultati. Ma, essendo questi prodotti regressivi un po’ meno
semplici delle altre operazioni, basti su loro questo cenno.
$ 9. — Operazione w sulle forme.
Importante è il caso del prodotto regressivo, in cui un
fattore sia un trivettore fisso w, assunto come unità. Ma non
volendo parlare di prodotti regressivi, daremo le definizioni
seguenti:
Se s è una forma di primo grado, con ws ne indichiamo
la massa, cioè la somma dei coefficienti.
Se s è una forma di secondo grado, con ws indichiamo il
vettore di s, cioè la somma dei vettori dei suoi termini: sicchè,
se A e B sono punti, w(AB)=B—+A.
Se s è una forma di terzo grado, con ws indichiamo il bdi-
vettore di s; sicchè, essendo A, B, C dei punti, sarà
w(ABC)=(B—A)(C—A)=BC+CA+AB.
E VR SL EE JE
SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 969
E analogamente w(ABCD) indicherà il trivettore del te-
traedro ABCD, cioè
BCD — ACD+ABD— ABC.
L'operazione w è distributiva, cioè w(s+s')=ws+ws';
vale a dire in tutti i calcoli il segno w si comporta come un
fattore costante. L’operazione w, eseguita su d’un vettore, o
un bivettore, o un trivettore, dà per risultato 0.
$ 10. — Operazione Indice sui vettori e bivettori.
Dicasi metro l’unità di misura delle lunghezze.
Per modulo d’un vettore I si intende la sua lunghezza mi-
surata in metri.
Per modulo d’un bivettore IJ si intende l’area del paralle-
logrammo di lati i vettori I e J, misurata in metri quadrati.
Il modulo d’un vettore, o d’un bivettore, è perciò un nu-
mero positivo o nullo.
Dato un trivettore IJK, oltre alla sua grandezza, cioè al
volume del parallelepipedo costrutto sui tre vettori dati, misu-
rato in metri cubi, si ha pure a considerarne il senso. Il tri-
vettore si dirà positivo, se ad es. il tetraedro 0IJK è destrorso.
Per comodità di scrittura identificheremo un trivettore col
numero che lo misura, preceduto dal segno conveniente.
In altri termini, sia w il trivettore prodotto di tre vettori,
di lunghezza il metro, a due a due ortogonali, e tali che il te-
traedro 0w sia destrorso. Allora nel rapporto dl noi soppri-
meremo (quando non siavi pericolo d’ambiguità) il denominatore,
e scriveremo semplicemente IJK.
Dicesi indice d’un bivettore IJ, e si indica con |(I1J) quel
vettore K che è normale ad IJ, nel verso che rende IJK=KIJ
positivo, e il cui modulo è eguale a quello di IJ.
Se K= |(1J), si dice anche che IJ è l'indice di K, e si
scrive IJ=|K.
Adunque l’ indice d’un bivettore è un vettore, e viceversa.
Se il bivettore rappresenta una coppia di forze, l’ indice
dicesi in Meccanica l’asse momento della coppia.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 66
970 GIUSEPPE PEANO
L'operazione | è distributiva, e nei calcoli questo segno si
comporta come un fattore costante.
L'operazione | determina quella polarità che da alcuni au-
tori chiamasi l'assoluto. Essa permette di studiare le proprietà
metriche delle figure. Eccone alcune conseguenze:
T.| F'=mod1}? (1)
cioè il prodotto d’un vettore per l'indice di sè stesso vale il
quadrato del suo modulo. Grassmann abbrevia I|I in I°. Po-
tremo scrivere senza ambiguità I°, e leggerlo il quadrato di I,
col che si intende I|I e non I=0. Dall’equazione precedente
si può ricavare mod I. Le stesse cose sussistono se invece di I
si legge un bivettore.
ci rappresenta un vettore di lunghezza l’unità, e che ha
la direzione e il verso di I.
Siano I e J due vettori di lunghezza l’unità. IJ è un bi-
vettore, e mod(IJ) è un numero, che dicesi seno dell'angolo dei
due vettori. Se I, J non sono eguali all’unità di misura, prima
li sì ridurranno, e si avrà
mod (1J
sen (I, J) ni oi ,
Il seno dell'angolo di due vettori è un numero sempre com-
preso fra 0 e 1.
Sia I un vettore, j un bivettore, i cui moduli siano l’unità.
Il numero Ij si dirà seno del loro angolo. Se i moduli di I e j
sono qualunque, si avrà
pe TS Ij
sen (1,j) = modI modj ‘
Il seno dell'angolo d’un vettore con un bivettore è un nu-
mero compreso fra —1 e +1.
Per coseno dell’angolo di due vettori I e J si intende il
seno di I e |J, cioè
ife
CP (I, d) modI modJ ‘
SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 971
Il coseno dell’angolo di due vettori è compreso fra —1 e +1.
Questa formula, fatti sparire i denominatori, dice che il
prodotto d’un vettore per l’indice d’un altro vale il PRE
dei moduli pel coseno dell’angolo compreso.
Il prodotto 1|J fu dal Grassmann chiamato prodotto interno
dei due vettori. Egli disse loro prodotto esterno il bivettore IJ.
‘Questo prodotto interno comparisce in Meccanica, poichè è il
lavoro fatto dalla forza I ove il punto d’applicazione abbia ri-
cevuto lo spostamento J; e in più trattati di Meccanica si è
proposto per questo prodotto un segno speciale.
Così le operazioni della matematica elementare: distanza
di due punti, area d’un triangolo, seno, coseno d’un angolo, le
quali operazioni non sono distributive, ma hanno proprietà com-
plesse, si esprimono mediante prodotti esterni ed interni di
Grassmann, sui quali si opera con regole pressochè identiche
alle regole algebriche.
$ 11. — Applicazioni alla Geometria cartesiana.
Siano I, J, K tre vettori, di lunghezza l’unità, a due a due
ortogonali, e tali che IJK=+1. Sarà
I]I=J|J=K|K=1, I|J=I|K=J|K=0,
|(JK)=1, |(KD=J, [KI =K. (1)
Un vettore U di coordinate x, y, 2 ha per espressione
U=«I+4yJ+ eK. (2)
Moltiplico U per | U, cioè ne faccio il quadrato. Esso vale
(mod U)?; nel secondo membro sviluppo il quadrato colle regole
algebriche, tenendo conto delle identità (1), ed ho:
(mod U) = a + + 2. (8)
Se i vettori I, J, K non fossero ortogonali, si presentano
ancora i termini 2xyI|J+...; ove I|J= cos(I, J).
972 GIUSEPPE PEANO
La condizione affinchè il punto
P=0+4z<xI+yJ+%K (4)
giaccia nel piano del triangolo di coordinate 4, d, c, d, cioè
t=a0JK — 50IK + c0IJ — dIJK (5)
è che il loro prodotto Pt = 0; sviluppando e sopprimendo il
fattor comune O0IJK, si ha:
ar + by t+eez+d=0 (6)
equazione del piano di date coordinate.
L’area del triangolo mt è la metà del modulo del suo bi-
vettore wWT
wr = aJK + BKI + cIJ,
onde
pron == 1a Va+e +e (7)
Vogliasi la distanza è del punto P dal piano n.
Si ha Pr=- dj mod (um),
ove per omogeneità s'è scritto il fattore m° (metro cubo).
Osservo che OIJK=- mÈ, onde:
e sostituendo a Pt, wr i loro valori, si ha la formula cercata.
Come ultimo esempio, abbiasi una forma di secondo grado s,
di coordinate !, m, », p, g, 7, cioè
s=10I1+m0J+n0K+ pJK+ qKI+ rIJ.
SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 973
Dice questa formula che s è la somma della linea O(I1+mJ+xK)
di origine il punto O, e il cui vettore ha per coordinate /, m, n,
e del bivettore di coordinate p, 9g, r. Si vuol trasformare s nella
somma d’una linea è e d’un bivettore « fra loro ortogonali
s=itu
Deduco ws = wiî, poichè wu = 0. Quindi v, che deve essere
normale ad wi = ws, sarà della forma u=x|ws, ove x è un
numero (reale).
Deduco s—x|ws=?î; moltiplico questa equazione per sè
stessa, osservando che (|ws) (|ws)=0, e #i=0; ricavo
ss— 2axs|ws=0,
onde
e infine
ss
2s|ws |ws.
Uu =
Si ha così il bivettore «, detto in Meccanica “ il momento
principale del sistema di forze ,, espresso mediante la sola
forma s. Introdotte le coordinate si ricava:
I \
a La neve (IK + mEI+ n1J).
La linea i si può ottenere per differenza: i=s—w.
Questi esempi elementari provano che il metodo di Grass-
mann non esclude punto la Geometria analitica ordinaria; ma
anzi indica vie semplicissime per trovare le formule in ogni si-
stema di coordinate. Inoltre per questa via si ha il significato
geometrico separato del numeratore, del denominatore, di ogni
fattore e di ogni termine delle formule di geometria analitica.
974 GIUSEPPE PEANO
$ 12. — Geometria infinitesimale.
Dicesi che la forma variabile di primo grado $ ha per li-
mite la forma fissa S,, se, comunque si prenda il triangolo PQR,
si ha
lim SPQR=5SPQR.
Analogamente per le forme di grado superiore.
Se una forma S(t) è funzione d’una variabile numerica #,
sì pone
dS(é) __:_ SE+A)- Sd
ra lim SI
h=0
ove, nel secondo membro, tutti i segni introdotti già furono
definiti.
Sussistono per le somme e per i prodotti di forme le re-
gole comuni di derivazione; i simboli w ed | si comportano
come fattori costanti. Si baderà però selo a non invertire l’or-
dine dei fattori.
Le definizioni di derivate successive e di integrali sono qui
applicabili. La formula di Taylor sussiste sotto la forma ad es.
“ Se S(t) è una forma geometrica, funzione di #, avente
per t=t, le derivate prima e seconda, si ha:
S(h+ 4) =S +49) +T 9" +R,
ove R_ è una forma infinitesima con % d'ordine superiore al
secondo ,.
Non si ha bisogno di ammettere p. es. la continuità di
S"(t), come provai nei miei trattati.
L'espressione del resto, sotto forma d’ integrale, sussiste
senza variazione alcuna.
Quella di Lagrange ha bisogno di leggera modificazione:
e siccome nel mio Calcolo geometrico (Cap. VIII) enunciai il ri-
sultato, senza scriverne la dimostrazione, non sarà inutile di
qui esporla:
SAGGIO DI CALCOLO GEOMETRICO 975
DEFINIZIONE: “ Dicesi che una forma geometrica S è media
fra più altre A, B,... dello stesso grado, p. e. del 1° grado, se,
comunque si prendano i punti PQR, si ha che SPQR è medio
fra APQR, BPQR,... ,
Teorema: “ Data la forma S(t) funzione della variabile reale t,
avente le successive derivate fino all’ n°, nell'intervallo da t a
t+h, si ha:
SC+M=SO+IS +. +7 80 +4 K,
ove K è una forma geometrica media fra i valori di S(t+-04),
ove 0 varii fra 0 ed 1,.
Vale a dire, mentre per le funzioni numeriche, K è uno
dei valori della derivata n?, qui per le forme geometriche, K è
solo un valor medio fra quelli che assume la derivata n?.
Infatti, la formula è vera se S(t) è un numero funzione
di #, poichè K è allora uno dei valori assunti dalla derivata n?,
e quindi è medio fra quelli che può assumere. Essa è anche
vera se S(t) è un tetraedro, o forma di quarto grado, poichè i
tetraedri sono misurati da numeri reali.
Se S(t) è una forma di primo grado, si moltiplichi la for-
mula scritta per un triangolo arbitrario. PQR; siamo ridotti a
tetraedri; si deduce che KPQR è medio fra i valori di S®'(t)PQR,
onde K è medio fra i valori di St).
Se P è un punto funzione della variabile reale t, le sue
derivate sono vettori. La tangente alla curva descritta da P
è la retta PP” e il piano osculatore è il piano PP'P" Si sup-
pone che quella linea e questo triangolo non siano nulli; altri-
menti si presentano singolarità studiate ad es. nelle mie Appli-
cazioni geometriche.
Se il punto P è funzione delle due variabili # e v, il piano
pi È è tangente alla superficie descritta da P.
976 ICILIO GUARESCHI
Sull aaminoetilidensuccinimide e sull’acetilsuccinimide;
Nota del Socio ICILIO GUARESCHI.
In seguito allo studio della reazione generale da me tro-
vata, e che ha luogo tra gli eteri chetonici e l’etere cianacetico
in presenza di ammoniaca, sono stato condotto ad esaminare
anche l’azione dell’ammoniaca in soluzione acquosa sull’ etere
acetosuccinico:
CH°CO ; CH . CO... OC°ES
CH°. CO . OC*H°
Conrad ed Epstein (1) per l’azione dell'’ammonica gasosa
sulla soluzione eterea dell’etere acetosuccinico ottennero l'etere
a aminoetilidensuccinico :
CH°.C=C.C0.0C°H5
ist |
NH? CH?. CO . OC°B*
in prismi splendenti fusibili a 72°.
William 0. Emery (2) studiò poi l’azione dell’ ammoniaca
alcolica, satura a 0°, sullo stesso etere acetosuccinico, ed ot-
tenne anche in questo caso l’etere a aminoetilidensuccinico di
Conrad ed Epstein; pel quale però dà il punto di fusione 62°.
L’etere a aminoetilidensuccinico scaldato per qualche tempo a
145°—150° fornisce il lattam:
Slo. C00E
| |
INELCO.è CH?
che cristallizza dall’etere in aghi fusibili a 133°—1340.
(1) “ Berichte d. deut. Chem. Gesell. ,, 1887, XX, pag. 3058.
(2) “ Ann. d. Chem. ,, 1890, t. 260, pag. 137 e “ Berichte ,, 1891,
Ref. pag. 27.
SULL’ O AMINOETILIDENSUCCINIMIDE E SULL'ACETILSUCCINIMIDE 977
Composti analoghi 0. Emery ottenne colla metilamina.
Io ho avuto risultati diversi adoperando l’ammoniaca acquosa
concentrata. Quando si mescola l’etere acetosuccinico con poco
più di tre volte il suo peso d’ammoniaca acquosa, a 0.914, e
si dibatte per poco tempo, tutto l’etere si discioglie e si ottiene
un liquido giallognolo che poi inverdisce per passare ad un co-
lore rossastro stabile.
La soluzione completa alle volte avviene dopo una mezza
ora, alle volte occorrono anche due ore. Poco dopo scioltosi
l’etere acetosuccinico, incomincia a depositarsi dei bei cristalli
che vanno mano a mano aumentando. Dopo circa 6—8 giorni,
ed alle volte anche prima, non si formano più cristalli. Rac-
colti questi su filtro, furono lavati più volte con poca acqua e
poi ricristallizzati dall'acqua bollente. Si possono cristallizzare
anche dall’alcool diluito e bollente.
Il liquido limpido ammoniacale dal quale furono separati
i cristalli accennati, trattato con etere cianacetico, fornisce dei
prodotti che descriverò in altra nota.
In questa breve nota non mi occupo che dei cristalli otte-
nuti nel modo che ho descritto.
Dopo alcune cristallizzazioni si ha il nuovo composto per-
fettamente puro. Questo prodotto si forma piuttosto in piccola
quantità; circa 4—5 p. 100 dell’etere acetosuccinico impiegato.
Questi cristalli diedero all’analisi i risultati seguenti:
I. Gr. 0,1366 di sostanza secca a 100°—105° fornirono 0,2564
di CO* e 0,0711 di H°O.
II. Gr. 0,1345 fornirono 24,7 cm° di N a 189,5 e 742 mm.; vo-
lume corr. = 22 emì.
Da cui la composizione centesimale:
z KR
ri |
Ul
IRINA
00
DO
S al
a
Ul
978 ICILIO GUARESCHI
Numeri che conducono alla formola C°H*N°0® per la quale
si calcola:
51.42
5.71
20.00
I
|
C
H
N
|
Le proprietà ed i derivati, che descriverò, di questo com-
posto dimostrano, mi pare, che esso deve essere considerato
come a aminoetilidensuccinimide:
CH°.C=C . CO
IRE
| |
NH? CH?. C07
H
Poco probabile, mi sembra, possa essere un lattam della
forma:
CH®:G===>s/(200NH”
|
NH— CO —CH?
L’aaminoetilidensuccinimide cristallizza dall’ acqua in bei
prismi aghiformi, incolori, pesanti; fonde a 274°—275° scom-
ponendosi e dando un liquido quasi nero; già a 235°—240°
imbrunisce alquanto. È poco solubile nell'acqua fredda, 1 p. in
circa 195 p. di acqua a 15°, solubile nell’ acqua bollente; poco
solubile nell’alcol, quasi insolubile nell’etere. Solubilissima nella
potassa anche diluita. Per ebollizione prolungata con acqua
sviluppa ammoniaca; sviluppa ammoniaca anche quando si scalda
con potassa. Non sviluppa ammoniaca a freddo coll’ idrato di
magnesio. Nell’ acido cloridrico si scioglie e quasi subito for-
nisce del cloruro di ammonio che precipita col cloruro plati-
nico. La soluzione acquosa si colora in rosso-violetto col clo-
ruro ferrico, ma probabilmente questa colorazione è dovuta ad
un prodotto di decomposizione perchè la soluzione appena trat-
tata col cloruro ferrico si colora pochissimo e la colorazione
aumenta molto lasciando al liquido a sè alcuni minuti; colla
SULL’ AMINOETILIDENSUCCINIMIDE E SULL’ACETILSUCCINIMIDE 979
soluzione di acetato ferrico non si colora; inoltre il liquido pro-
veniente dalla prolungata ebollizione di questo composto o le
acque madri evaporate si colorano subito ed intensamente col
cloruro ferrico.
Col solfato di rame inverdisce ma non precipita. (
La soluzione acquosa ha reazione neutra e precipita col
nitrato d’argento quando si alcalinizza lievemente il liquido con
ammoniaca.
Nè col nitrito potassico nè coll’acqua di bromo fornisce le
reazioni colorate da me indicate pei composti cianpiridinici de-
rivanti dall’etere cianacetico.
Esposta ai vapori rossi che si sviluppano dal nitrito po-
tassico coll’acido solforico diluito si colora in rosso-bruno.
Derivato argentico. Sciogliendo a caldo 0,5 gr. di sostanza
in acqua cui s’aggiunge alcune goccie di ammoniaca si ha un
liquido incoloro che per aggiunta di un lieve eccesso di solu-
zione al 5°/, di nitrato d’argento, dà, a poco a poco, un bel
precipitato bianco cristallino di un composto argentico. Questi
cristalli sono costituiti di lunghe laminette prismatiche, incolore,
setacee, quasi affatto insolubili nell’acqua fredda ed anche nel-
l’acqua bollente; dopo prolungata ebollizione imbruniscono.
All’analisi questo derivato argentico diede i risultati se-
guenti:
I. Gr. 0,4525 di sostanza secca prima nel vuoto e poi a 100°—105°
fornirono 0,1987 di Ag.
II. Gr. 0,1822 di sale disseccato a 180°, proveniente da una
seconda preparazione, e meno bene cristallizzato del pre-
cedente, fornirono 0,0799 di Ag.
III. Gr. 0,1737 di sale secco, fornirono 17,5 cm? di N a 25° e
745 mm! Vol. corr. = 15.1, cm.
Da cui:
trovato calcolato per C°H°AgN"0?
I I III
Ag ‘= 48.88 43.85 _ 43.72
N ese —_ 10.90 11.3
980 ICILIO GUARESCHI
Ho voluto dosare in questo derivato anche l’azoto perchè
per il composto argentico CH° CO CH . CO
Î / NAgsicalcolerebbe
CH?. CO
43.54 °/o di argento.
Per 0,5 gr. di a aminoetilidensuccinimide ho ottenuto
0.9 gr. di derivato argentico che è appunto la quantità teorica.
Azione dell’ acido cloridrico. — Dosamento dell’ ammoniaca
prodotta. — Acetilsuccinimide. Ho già detto che la a aminoetili-
densuccinimide fatta bollire con acqua sviluppa ammoniaca. Col-
l’acido cloridrico la decomposizione è pronta, avviene già a
freddo e si mette in libertà esattamente una molecola di am-
moniaca. Infatti:
I. Gr. 0.3081 di sostanza in sottile polvere furono trattati a
freddo con 10 cm? di acido cloridrico di 1,06 densità; già
a freddo la sostanza si scioglie ed aggiungendo del clo-
ruro di platino in lieve eccesso incomincia subito a deposi-
tarsi del cloroplatinato di ammonio; dopo poco tempo ag-
giungo al liquido una miscela di alcol ed etere e raccolgo
il precipitato. Il cloroplatinato ottenuto pesava 0.4738,
corrispondente a 0.0365 di NH?. Il liquido alcolico-etereo
essendo molto acido lasciò col tempo depositare ancora un
poco di cloroplatinato di ammonio.
II. Gr. 0.3699 di sostanza secca sul cloruro di calcio poi a
110°, sciolti in poco acido cloridrico a 1.06 e dopo mez-
zora trattati con cloruro platinico, dànno un precipitato
giallo di cloroplatinato di ammonio; aggiungo al liquido
4—5 vol. di alcol assoluto e un poco di etere, lascio a sè
per 16 ore poi raccolgo il cloroplatinato che lavo con mi-
scela alcolico-eterea. Il cloroplatinato pesava 0.5844 cor-
rispondente a 0.0450 di NH?,
Da cui:
trovato
I II
NH? % 11.84 12.16
SULLO AMINOETILIDENSUCCINIMIDE FE SULL'ACETILSUCCINIMIDE 981
Per l’eliminazione di una sola molecola di ammoniaca dal
composto:
gu: Gio,
al AH
NH? CH?. CO
si calcola:
di laid an ra
Probabilmente si è formata l’acetilsuccinimide;
CH°. CO. CH. CO
NH
CH?, CO
È noto che anche gli aminoeteri derivanti dagli eteri che-
tonici si decompongono in modo simile coll’acido cloridrico.
Ho trattato la a aminoetilidensuccinimide con la quantità
teorica di acido cloridrico diluito, per trasformare una molecola
di ammoniaca in cloruro di ammonio; evaporai la soluzione nel
vuoto sopra calce viva ed il residuo bianco cristallino fu ripe-
tutamente estratto con etere. Rimase insolubile nell’etere il
cloruro di ammonio, in quantità teorica. La soluzione eterea
filtrata, lasciata evaporare spontaneamente, fornì una sostanza
in bei cristalli incolori, trasparenti, solubili nell'acqua e la cui
soluzione si colora sudito in violetto intenso col cloruro ferrico;
la soluzione acquosa ha reazione acida, non precipita col nitrato
d’argento, ma bensì dopo reso alcalino il liquido con poca am-
moniaca. A caldo riduce il nitrato d’argento ammoniacale.
Il composto così ottenuto fonde a 84°—87°, e diede all’ana-
lisi i risultati seguenti:
I. Gr. 0.1478 di sostanza secca nel vuoto fornirono 14,3 cmî
di N a 27° e 744 mm. Vol. corr. = 12.2.
II. Gr. 0,1177 di sostanza secca nel vuoto fornirono 0.2208 di
CO? e 0.0542 di H°O.
982 ICILIO GUARESCHI
Da cui la composizione centesimale:
I
|
(OL
—
uh
DI
|
C
H
N 10.32 _
Numeri che concordano sufficientemente colla formola del-
l’acetilsuccinimide C°H'NO?, per la quale si calcola:
Cc — 51.06
aa = 4.92
INC E= 9.93
I limiti un po’ larghi nel punto di fusione, mi lasciano il
dubbio che il composto ottenuto non fosse assolutamente puro,
non avendo potuto, stante la piccola quantità, farlo ricristal-
lizzare.
L’acetilsuccinimide si sarebbe formata nel modo seguente:
CH°.C=C— C0\ CH°.CO.CH.C0x\
LT ANH+E°0= | ABTNE.
NH° CH°. CO CH°.CO
Derivato etilico. Il composto argentico dell'a aminoetiliden-
succinimide in presenza di etere e di joduro di etile reagisce
assai lentamente anche scaldando a b. m. in apparecchio a ri-
cadere. Dopo alcuni giorni, a temperatura ordinaria ed ag-
giunto dell’alcol, il precipitato che prima era bianco si fa giallo,
Evaporato l’etere e l’alcol per scacciare anche l'eccesso di joduro
di etile si ha un residuo da cui non mi fu possibile avere un
prodotto analizzabile.
a Acetilaminoetilidensuccinimide. Scaldando l’a aminoetiliden-
succinimide con circa 10 volte il suo peso di anidride acetica,
si scioglie dopo alcuni minuti di ebollizione; dopo raffredda-
mento la massa cristallizza. Riprendendo il tutto con acqua,
rimane un poco di derivato acetilico, bruno, impuro. Il liquido
SULL’ 0 AMINOETILIDENSUCCINIMIDE E SULL’ACETILSUCCINIMIDE 983
acquoso-acetico filtrato lasciato a sè deposita dei bei cristalli
incolori che ricristallizzati dall'acqua si hanno purissimi. All’a-
nalisi diedero il risultato seguente:
Gr. 0.1221 di composto secco fornirono 17.3 cm? di N a 20° e
743 mm.; volume corr. = 15.3 cm'.
Da cui:
calcolato per
CHIC === CO
trovato | | NH
NHC?H?0 CH?.C0
N:% 15.66 15.98
Questo derivato acetilico è pochissimo solubile nell’ acqua
fredda, ma si scioglie bene nell’acqua bollente da cui si ha in
lunghissimi aghi brillanti, pesanti; fonde a 233°—234°, im-
brunendo.
La sua soluzione acquosa non si colora col cloruro ferrico
o solo lievemente e dopo lunghissimo tempo. La soluzione
acquosa calda di questo composto trattata con alcune goccie di
ammoniaca e poi con nitrato d’argento dà un precipitato bianco
di un sale d’argento che fatto bollire con acqua imbrunisce; non
l’ho potuto ottenere puro perchè è sempre mescolato con qualche
cristallo dell’acetilderivato inalterato. In una analisi trovai più
dell’1 °/, in meno di Ag. della quantità calcolata per la formola:
CH C=== €. CO
| | 7NA 8.
NHC°H*0 CH?, C07
Queste esperienze mi pare non lascino alcun dubbio che il
composto ch'io ottengo per l’azione dell’ ammoniaca sull’etere
monoacetosuccinico sia veramente l’a aminoetilidensuccinimide.
La sua formazione si spiega ammettendo che per l’azione del-
l’ammoniaca acquosa sull’ etere monoacetosuccinico si produca
prima l’a aminoetilidensuccinimide, dalla quale poi per elimi-
nazione di ammoniaca trarrebbe origine il mio composto imidico :
CH. CONH° CES eE=03 COL
ei = NH°+ MIRO AT
NH? CH°. CONH° NH? CH°. CO
984 MICHELE FILETI — GIACOMO PONZIO ©
Secondo Weltner (1) per l’azione dell’ ammoniaca alcolica,
in tubi chiusi, sull’etere fenilacetosuccinico si formerebbe diret-
tamente il lattam:
CH ==0- CONE
| |
NH .. GOGH ; PH?
Se nelle esperienze di W. O. Emery è molto probabile si
sia formato il lattam indicato, non è niente affatto provato che
ciò sia pel composto di Weltner; a me anzi sembra molto più
probabile, benchè le condizioni dell'esperienza siano diverse, che
il corpo ottenuto da Weltner sia analogo al mio, cioè debba
considerarsi come a aminoetilidenfenilsuccinimide:
Coi
| AH
NH° CH.Co
cme
Beilstein nel suo Hand. d. org. Chem. Ed. 3*, II, pag. 1965,
descrive il composto C'*H'°N°0°, ma non ne dà la. formola di
costituzione, come invece dà quella del lattam di Emery.
Non avendo però esperienze mie proprie su questo argo-
mento non voglio ora entrare in maggiori particolari.
Sulla trasformazione dei chetoni in a-dichetoni;
Nota del Socio M. FILETI e G. PONZIO.
Continuando le ricerche sulla trasformazione dei chetoni in
a-dichetoni, abbiamo fatto agire l’acido nitrico sopra il dietil-,
dipropil-, etilpropil-, etilisopropil-, etilisobutilchetone e sul pal-
mitone.
(1) “ Berichte ,, t. XVIII, pag. 793.
IT n n —__r ài
O i REIT, TETTE
SULLA TRASFORMAZIONE DEI CHETONI IN Q-DICHETONI - 985
Le nostre precedenti esperienze riguardavano chetoni della
formola generale CH; . CO .CH;.R, contenenti cioè un radicale
metile unito col carbonile; da tali esperienze abbiamo concluso
che si ossida il gruppo metilene legato al carbonile e non il
metile, che si forma quindi un a- dichetone e mai una cheto-
aldeide, e che infine si produce il dinitroderivato del radicale
alcoolico più ricco in carbonio.
Se però col gruppo CO si trovano legati due gruppi me-
tilenici, se si hanno cioè, come nel caso del quale ora ci occu-
piamo, chetoni della formola R . CH, . CO. CH, . R', allora alcune
volte si forma il miscuglio dei due dichetoni R.CO.CO.CH,.R'
e R.CH,.CO.CO.R' e dei dinitroderivati corrispondenti ai
due radicali alcoolici R.CH, e R'. CH,, ma in altri casi non
abbiamo ottenuto che un dichetone ed un dinitroidrocarburo.
Il dietilechetone CH; . CH, . CO. CH; . CH; dà l’acetilpropio-
nile CH;. CO. CO. CH;. CH; e il dinitroetano, nè si può preve-
dere la formazione di altro a-dichetone o di un diverso dini-
troidrocarburo. Egualmente dal dipropilchetone CH... CO . C,H,
si ottengono gli unici prodotti prevedibili, cioè propionilbutirile
CH, . CH, . CO. CO. CH, . CH; . CH; e dinitropropano. Il palmi-
tone non dà nè dichetoni nè dinitroidrocarburi.
Dall’etilpropilchetone CH; . CH.. CO . CH, . CH, . CH, si for-
mano i due dichetoni CH, . CO .CO . CH; . CH; .CH, e CH;.CH,.
CO. CO .CH,. CH;, il dinitroetano e il dinitropropano.
Dall’etilisopropilchetone CH;.CH; .CO.CH( GI» che con-
3
tiene un solo gruppo metilene, non si può prevedere che la for-
mazione di un solo e- dichetone CH; . CO. CO. cu Ha , ep
\CHz
pure noi abbiamo ottenuto, assieme a dinitroetano, un miscuglio
di due a- dichetoni isomeri (allo stato di diossima) senza che
ci sia stato sin’ ora possibile di trovare una spiegazione di
questo fatto.
Finalmente l’etilisobutilechetone CH,.CH,.CO.CH,;. cu? CHs
\CHy
diede dinitroetano ed un a-dichetone la cui diossima si fonde
a 171°—72° come quella dell’ acetilisovalerile CH;.CO.CO.
/CH
CH;. CH CE, 5
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 67
986 M. FILETI E G. PONZIO — SULLA TRASFORMAZIONE DEI CHETONI ECC.
Dai prodotti dell’azione dell'acido nitrico sull’etilisopropil-
chetone abbiamo potuto inoltre separare una sostanza di odore
canforato, fondente a 58° essa ha la formola GsHwoNs0; e per
idratazione si decompone facilmente in dinitroetano ed acido
isobutirrico.
Egualmente dall’etilisobutilchetone si ottiene una sostanza
fusibile a 64°—65° della formola CH, N; 0; che cogli alcali si
decompone analogamente alla prima.
Nella letteratura chimica non abbiamo trovato nessun corpo
che abbia il comportamento di questi ora accennati. Probabil-
mente uno dei cinque atomi di ossigeno in essi contenuti sarà
allo stato di carbonile CO, ed inoltre la facilità colla quale da
queste sostanze si ottengono quelle dette, forse impropriamente,
dinitroidrocarburi e la cui costituzione non è ancora nota, fa
pensare che nelle due serie di composti i due atomi di azoto
e quattro di ossigeno si trovino legati nello stesso modo; anzi,
considerata appunto la netta decomposizione per idratazione in
acidi grassi e dinitroidrocarburi, non crediamo improbabile di
aver per le mani acilderivati di questi ultimi, e siamo ora
occupati colla preparazione sintetica di tali composti.
D'altra parte il D" Ponzio ha cominciato lo studio del-
l’azione dell’ ipoazotide sugli isonitrosochetoni ed ha ottenuto
corpi della stessa natura di quelli sopra accennati, ai quali con
molta probabilità spetteranno formole di struttura come:
R' R'
| |
7N0 na
CCO. NO, i CENSO UNO;
| ovvero |
co CO
| |
R R
ma naturalmente noi non siamo per ora in grado di pronun-
ciarci in favore di una di esse o di altre possibili.
EDOARDO MARTEL — NUOVA INTERPRETAZIONE, ECC. 987
Di una nuova interpretazione
dell’architettonica florale delle Crocifere e generi affini;
Nota del Dott. EDOARDO MARTEL.
Quantunque studì numerosi e serissimi sieno, dai più va-
lenti botanici, stati fatti allo scopo d’indagare le cause che
rendono irregolare la simmetria florale nelle Crocifere e generi
affini, pure la discussione intorno a queste cause è, ancora adesso,
lontana di essere chiusa per la ragione che le varie teorie si-
nora escogitate non possono reggersi se non puntellate da ipo-
tesi più o meno giustificate.
Le lacune che rimangono da colmarsi mi spinsero ad oc-
cuparmi di quella spinosa questione, persuaso che anche i più
umili cultori della scienza possono, coi loro sforzi, contribuire
efficacemente alla ricerca del vero.
L'intenzione mia nel presentare all'Accademia queste poche
linee è quella, semplicemente, di consegnare i risultati finali
sinora ottenuti.
A tempo opportuno presenterò la memoria particolareggiata
delle mie osservazioni.
Rammento che pel massimo numero dei botanici il fiore
delle Crocifere comprende 6 Verticilli con foglie così disposte:
1° verticillo 2 sepali ant. p.
2° ' 2 » trasversi.
3° 4 4 petali diagonali.
40 x 2 stami trasversi.
Bo È 4, diagonali.
6° ne 2 carpelli.
I due carpelli sarebbero finalmente fra loro legati da un
replo ant. posto ai lati dei quali sono inseriti gli ovoli.
La irregolarità, com'è facile vederlo, consiste nell’assenza
di un verticillo di due stami a. p. da alternare cogli stami
trasversi.
Il tema da svolgersi consta non solo nello stabilire un
diagramma razionale per le Crocifere, ma siccome questa fa-
988 EDOARDO MARTEL
miglia è strettamente legata a quella delle Cleomacee e delle
Fumariacee da molti caratteri affini, occorre ancora cercare le
cause delle differenze che separano un gruppo dall’altro.
La questione essendo posta in questi termini, è chiaro che
gli altri quesiti, quali il significato morfologico da darsi al replo
ed alla tetradimia per quello che si riferisce alle Crocifere, il
significato da darsi alle falange tristaminali per quello che sì
riferisce alle Fumariacee, vanno inclusi nella prima.
Nel corso delle mie osservazioni passai in rassegna un gran
numero di generi per le Crocifere, mi fermai specialmente sulla
Cleome spinosa per le Cleomacee e per quanto riguarda le Fuma-
riacee, esaminai pure varì generi ma in special modo, la Dicentra.
spectabilis e l’Hypecoum procumbens.
Vengo senz'altro alla esposizione dei risultati ottenuti:
Crocifere.
1° L’innervazione generale del fiore ha origine da 4
tronchi vascolari di cui due posti nel piano di simmetria a. p.
e due in quello trasverso.
Dai primi ha origine la sola costola principale dei sepali
a. p. e indi i tronchi s'incurvano ambedue verso il centro per
rialzarsi dopo breve tratto e proseguire fra le due valve della
siliqua sino nello stigma. Giunti a questo punto si biforcano e
si ramificano. È al dissopra di questi tronchi e nel tratto di essi,
compreso fra il punto in cui danno origine al sepalo a. p. e quello
in cui si rialzano per disporsi fra le due valve, che spicca ge-
neralmente quella ghiandola alla quale varì autori diedero il
significato di organo abortito.
Dai 2 tronchi vascolari trasversi ha origine l’ armatura
degli altri organi florali e cioè per ciascuno dei due tronchi:
1 sepalo trasverso
petali
stame corto
stami lunghi
carpello.
ai ME N
Questi organi formano in conseguenza due sistemi opposti
di cinque verticilli ognuno, fra loro separati dai sepali a. p. e dai
tronchi vascolari corrispondenti.
NUOVA INTERPRETAZIONE DELL'ARCHITETTONICA FLORALE, ECC. 989
2° Dal fatto verificato in tutti i generi da me esami-
nati, che cioè l'armatura vascolare dei sepali trasversi si porta
all'infuori assai prima di quella dei sepali a. p., concludo, con-
:trariamente all'opinione generale, che i sepali trasversi appar-
tengono ad un verticillo inferiore, a quello di cui fanno parte
i sepali a. p.
3° Il fiore è collocato alla estremità di un ramo nudo
raccorciato, ma però distintissimo in alcuni casi (Sysimbrium
alliaria). Ramo siffatto occupa spessissimo il posto d’un ramo
ordinario, all’ascella di una foglia regolarmente sviluppata.
4° Gli stami lunghi, nella loro parte libera possono fra
loro venire a contatto in seguito ad una incurvatura dei fasci
che le innervano, ma questi nel ricettacolo rimangono netta-
mente separati l’un dall'altro dal tronco vascolare a. p.
5° Le valve sono indipendenti dal replo e ciò facilmente
può mettersi in rilievo per mezzo di sezioni trasversali e lon-
gitudinali. Ciò è spiccatissimo in varî generi, specialmente nel-
l’ Hesperis triste e nel Nasturtium off.
6° Il replo risulta dall’ unione nel piano di simmetria
trasverso di due parti distinte. Ciascuna di queste è regolar-
mente innervata e l’orientazione che assumono i fasci nello
spostarsi, dalla base dell’ ovario all’insù, onde prendere posi-
zione definitiva è quella che si verifica in una gemma in via di
formazione. Da notarsi inoltre che i fasci che concorrono a
questa innervazione sono propriamente quelli del tronco a. p.
7° Il cosidetto becco che si osserva in un gran numero
di Crocifere (Brassica, Sinapis, Eruca Vella, ecc.), si deve al
differenziarsi delle gemme a. p. che formano il replo al dissopra
delle valve.
8° La differenza in lunghezza che si nota generalmente
fra gli stami laterali e quelli diagonali (tetradinamia) è di poca
entità, morfologicamente parlando, e si deve alla presenza di un
apparato ghiandolare sviluppatissimo in questa famiglia.
9° In tutti i rami ordinari la 1° foglia alterna sempre
colla foglia ascellante e ciò induce ancora a credere che la 1
foglia del ramo florale, di posizione analoga a quella del ramo
ordinario, debba presentare disposizione di foglie analoghe. Sic-
come i sepali a. p. sono sovraposti alla foglia ascellante mentre
i sepali trasversi alternano con essa, si deve ammettere che la
990 EDOARDO MARTEL
prima foglia del ramo fiorale, ossia di tutte la più inferiore,
sia rappresentata da un sepalo trasverso.
Dalle osservazioni che precedono e da altre che non è il
caso di presentare in una semplice nota preventiva, del genere
di questa, nonchè dalle analogie indiscutibili che legano i rami
ordinari ai florali, credo di dovere concludere che ogni fiore ha.
nelle Crocifere il significato di ramo ascellare e ch’esso è mu-
nito di 4 foglie (sepali) apparentemente disposte su due verti-
cilli ma teoricamente alterne. Di queste 4 foglie, le due inferiori
o trasverse (alterne colla foglia ascellante) portano alla loro
ascella un ramo le cui foglie sono rappresentate dai varì or-
gani florali (petali, stami, carpelli), mentre le due superiori
(sovrapposte alla foglia ascellante) portano una gemma che si
differenzia nei suoi elementi (2 foglie) solo dopo di avere rag-
giunto il livello superiore delle valve e cioè nel becco o nello
stigma. Come già ebbi a dirlo, le due gemme non ancora dif-
ferenziate e fra loro a contatto, in tutta la lunghezza dell’ovario,
formano il replo.
La teoria del fiore delle Crocifere si troverebbe pel fatto
di queste osservazioni alquanto diversa da quella professata sin
qui. L'architettura del fiore quale l’ho concepita per le Crocifere
differisce singolarmente da quella professata comunemente ,
dapoichè, secondo me, a costituire quel fiore contribuirebbero .
assi di varî ordini, e non più un solo.
Cleoma spinosa.
Benchè il fiore di questa pianta per l'allargamento straor-
dinario del ricettacolo e per la presenza del ginoforo, nei suoi
caratteri superficiali, si allontani da quello delle Crocifere, pure
i legami di struttura fra l’uno e l’altro rimangono strettissimi.
Il piano generale del fiore infatti è esattamente quello
delle Crocifere e aggiungerò anzi che l’ interpretazione che
poc'anzi diedi del replo per le Crocifere, si trova convalidata
dalle osservazioni fatte sulla Cleoma. Le due gemme a. p. es-
sendo in questo genere relativamente enormi, è assai più fa-
cile studiarne la struttura anatomica. Le due parti del replo,
nelle Crocifere rimanendo a contatto in tutta la lunghezza del-
l’ovario, contribuirono a indurre in errore gli autori che riten-
NUOVA INTERPRETAZIONE DELL'ARCHITETTONICA FLORALE, ECC. 991
nero il replo di un pezzo solo, mentre nelle Cleome le due parti
rimangono a contatto per solo un piccolo tratto e indi si se-
parano nettamente. La maggior mole che le due gemme a. p.
acquistano nella Cleome fa sì che maggiore debba essere lo
spazio interposto ai due sistemi trasversi, epperciò maggiore lo
spazio che separa le paia di stami lunghi sul piano di sim-
metria a. p. A quest’allontanamento degli stami lunghi l’un dal-
l’altro si deve la conformazione esagonale che nella sezione
assume il tubo staminifero che avvolge il ginoforo.
Osservo inoltre che se nel maggior numero delle Crocifere
le valve concorrono all’ armatura vascolare dello stigma per
mezzo del prolungamento della costola media delle valve; nel
Cleome, lo stigma è innervato solo dalle biforcazioni vascolari
delle due gemme a. p.
Dicentra spectabilis.
I due tronchi vascolari trasversi assumono tale direzione
obliqua dall’alto in basso e dall’infuori all’indentro da stringere
fortemente fra loro la gemma a. p., la quale perciò non acquista
più lo sviluppo ch’essa raggiunge nelle Crocifere e nella Cleome.
I due petali situati da una stessa parte del piano di simmetria
trasverso in seguito a quella semiattrofizzazione delle gemme
a. p. si avvicinano al punto da saldarsi fra loro nella parte li-
bera. Ciò fa sì che i 4 petali delle Crocifere, nella Dicentra e
nella Fumaria si riducono apparentemente a due, di posizione
a. p. Questi due petali poi nella loro parte superiore, cioè al
dissopra dello stigma, fra loro si saldano così da formare una
specie di volta che ripara sotto di sè, androceo e gineceo. Gli
stami lunghi rimangono ancora fra loro separati come nei due
gruppi precedenti, ma per causa dell’ostacolo che il loro allun-
gamento nel senso verticale incontra nella vòlta che risulta
dalla saldatura di due petali a. p., essi s'incurvano a destra ed
a sinistra e vanno adagiarsi ai lati degli stami trasversi, coi
quali contraggono aderenza parziale. Da questa disposizione
traggono origine le due falange tristaminali delle Fumariacee.
È poi probabile che l’intoppo che gli stami lunghi incon-
trano nel loro sviluppo verticale, contribuisca non poco ad affie-
volirne la robustezza. Ciò spiegherebbe la gracilità della loro
992 EDOARDO MARTEL — NUOVA INTERPRETAZIONE, ECC.
armatura vascolare nonchè la riduzione delle logge anteriche.
Alla stessa causa bisogna poi attribuire lo sviluppo straordi-
nario che il fiore acquista nel senso trasversale e la forma a
cuore che va graduatamente assumendo.
Hypecoum procumbens.
Questo genere ci offre una semplice esagerazione di quanto
abbiamo osservato nel genere precedente.
I due tronchi vascolari trasversi si fanno così obliqui da
trasmettere al ricettacolo fiorale la forma conica. Le due gemme
a. p. abortiscono completamente, epperciò i due sistemi trasversi
di organi florali vengono fra loro a contatto. Per causa di questo
ravvicinamento dei due sistemi, non solo fra loro si saldano a
paia i petali come ciò già si verificò nella Dicentra, ma bensì
ancora gli stami lunghi, cosicchè se i petali si riducono da 4
a 2, gli stami si riducono da 6 a 4; il replo manca comple-
tamente e le due valve della siliqua nella parte superiore si
separano completamente. Il piano del fiore in seguito alle salda-
ture di cui è parola sopra, si trova nel fatto modificato sensibil-
mente ed assume una regolarità apparente assai superiore a
quella che aveva nei gruppi precedenti. Si deve osservare però
che la saldatura fra gli stami è lontana di essere così generale
come quella che si verifica fra i petali e non mancano casi in
cui gli stami lunghi conservano la loro indipendenza come mi fu
dato di constatarlo per un certo numero di esemplari che il
professore Gibelli si compiacque di porre a mia disposizione.
Riassumerò dicendo che il fiore delle Crocifere, delle Cleo-
macee e delle Fumariacee appartiene secondo me ad un tipo unico
che risulta da un ramo munito di 4 gemme ascellari. Di queste,
due si differenziano completamente nelle loro foglie, mentre le
due altre si differenziano incompletamente come nelle Crocifere
e nelle Cleomacee, o si atrofizzano come nelle Fumariacee o
ancora abortiscono completamente come nell’ Hypecoum.
Al vario sviluppo che le gemme a. p. acquistano, vanno,
credo, attribuite le differenze essenziali che si osservano fra i
generi esaminati.
LUIGI COLOMBA — OSSERVAZIONI MINERALOGICHE, ECC. 995
Osservazioni mineralogiche su alcune sabbie
della collina di Torino;
Nota del Dottor LUIGI COLOMBA
(Assistente presso il Museo di Mineralogia dell’Università di Torino).
Un ordine di studì che, per quanto sia finora completamente
o quasi lasciato in disparte dai geologi, tuttavia, a parer mio,
presenta una grande importanza per la geologia stratigrafica è
quello che riguarda i caratteri litologici, mineralogici e strut-
turali dei depositi sedimentarî, in quanto che può sempre, in
modo più o meno completo, concorrere a fornirci delle indica-
zioni sulla origine e sulla provenienza dei varì depositi.
Credo quindi non prive d’interesse le osservazioni da me
fatte su alcune sabbie caratteristiche per la loro composizione
mineralogica e per la loro struttura; tanto più che, provenendo
esse dalla Collina di Torino, appartengono ad un complesso di
formazioni le cui origini sono tutt'ora molto discusse.
Provengono queste sabbie da Marentino e le ebbi dalla
cortesia del signor Lodovico Audenino, dottore in scienze na-
turali. Per quanto riguarda la loro giacitura, la loro posizione
ed i loro caratteri paleontologici, riferisco qui le sue parole:
“I banchi sabbiosi che si hanno sulle colline di Marentino e
“ che si possono osservare fino a Montaldo ad ovest e fino a
“ Moncucco ad est, al contrario di quanto ordinariamente si
“ nota nelle altre formazioni del Tortoniano in cui i fossili
“ sono sempre irregolarmente disposti nella roccia, sono carat-
terizzati da un aspetto zonato derivante dall’ alternarsi di
“ strati fossiliferi e non fossiliferi. I primi, ricchissimi in fos-
“ sili, hanno un’altezza variabile da 5 a 50 centimetri, con
“ inclinazione di 20 o 25 gradi, e si differenziano molto bene
dal resto della formazione che è invece dotata di una tinta
“
“U
994 LUIGI COLOMBA
verdognola uniforme; fra queste sabbie sono intercalati alcuni
strati di un’ arenaria poco compatta, di poco spessore, con
lenti ghiaiose e ciottolose (porzione orientale). Talora in-
vece le dette sabbie affiorano fra le consuete marne cineree.
Presentano una facies litologica che molto si avvicina a
quella Elveziana o di litorale o di deposizione tumultuosa,
caratteristica appunto di quest’orizzonte, mentre il Tortoniano
è essenzialmente costituito da marne che ci indicano un de-
posito di mari più profondi. Al contrario i fossili (d’ordinario
rappresentati da giovani individui di lamellibranchi o di ga-
steropodi) ci dànno in complesso una fauna tortoniana per
l'abbondanza delle Pleurotome, della Turritella vermicularis, del-
l’Ervilia pusilla, della Mactra triangula, della Loeda minuta e
specialmente poi per la presenza del Solen subfragilis, della
Ringiculella auriculata e del Pectunculus nummarius ,.
“ Si possono considerare, al pari delle analoghe formazioni
di Varga Stazzano nel Tortonese, come rappresentanti un pe-
riodo di transizione fra l’Elveziano superiore ed il Tortoniano
inferiore ,.
n
II.
Queste sabbie sono ricchissime in minerali e fra questi ve
ne sono alcuni interessanti per i loro caratteri e perchè la loro
presenza può servire, come cercherò di dimostrare, ad indicarne
la provenienza.
Per quanto riguarda la loro struttura sono queste sabbie
costituite oltre che da una quantità non grande di granuli non
completamente rotolati, da proporzioni variabili di grani poco
o nulla arrotondati e di frammenti a spigoli vivi appartenenti
a determinate specie minerali, essendo abbastanza comuni in
questa porzione e specialmente nella parte più fine delle sabbie,
i cristalli senza traccia di fluitazione; essi talvolta presentano
delle faccie dotate ancora di una vera lucentezza speculare,
spesso sono completi e terminati alle estremità; quando sono
rotti non presentano vere traccie di corrosione ed al mas-
simo si ha sugli spigoli una leggera smussatura che si mani-
festa generalmente in una sola direzione. Altri minerali sono
quasi sempre rotolati; altri infine lo sono talvolta e talvolta no.
OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, ECC. 995
Fra gli strati fossiliferi e quelli non fossiliferi si nota una
sola differenza e si è che gli elementi a spigoli vivi ed i cri-
stalli sono più abbondanti nei secondi che non nei primi. Gli
interstrati di arenaria poi sono a cemento calcareo molto scarso,
si rompono e si disaggregano con la massima facilità; per quanto
riguarda la loro composizione mineralogica non differiscono per
nulla dagli strati sabbiosi.
I minerali contenuti sono i seguenti: quarzo, feldispato,
talco, clorite, serpentino, pirosseno, muscovite, biotite, epidoto, gra-
nato, glaucofane, anfibolo, tormalina, magnetite, pirite, cromite,
spinello, zircone, rutilo, ottaedrite, baritina e menaccanite.
Non tutti questi minerali hanno però, per quanto riguarda
lo scopo del presente studio, uguale interesse poichè se alcuni
(quarzo, feldispati, talco, clorite, serpentino, pirosseno, miche,
epidoto, granato, magnetite) appartengono a specie assai comuni
per modo che la loro presenza in una sabbia non può aver
nulla di notevole, non così avviene per gli altri i quali sono
relativamente più rari.
III.
Il quarzo si presenta in granuli trasparenti o bianchicci,
generalmente a spigoli vivi o poco arrotondati, raramente in
cristalli definiti.
Il feldispato si presenta in grani fusibili, più o meno arro-
tondati; sono solo degni di nota alcuni cristalli di albite in cui
si mantiene ancora parzialmente la forma primitiva, poichè, pur
essendo rotti secondo le direzioni di sfaldatura, per modo da
presentare quasi solo più l’aspetto di frammenti a spigoli vivi,
è ancora in essi visibile talvolta la geminazione secondo la
legge dell’albite e talvolta la geminazione caratteristica dell’al-
bite dei calcari albitiferi.
Il talco, la clorite, il serpentino ed il pirosseno non presen-
tano nessun carattere interessante; il primo è in piccole mas-
serelle verdi o grigiastre, con colori di polarizzazione poco alti
e con estinzione d’aggregato; la clorite è in rare laminette verdi
con pleocroismo poco sensibile e che si comportano come unias-
siche; il serpentino, in granuli gialli o verdognoli, è ricco in
inclusioni di magnetite. Il pirosseno si presenta in granuli più
996 LUIGI COLOMBA
o meno rotolati, appena colorati in verde od in brunastro, con
evidente sfaldatura; essi presentano vivi colori di polarizzazione
ed un elevato angolo di estinzione.
Fra le miche la muscovite è la più comune e si presenta
in laminette incolori o verdognole, sfaldabilissime, biassiche e
poco ricche in inclusioni di rutilo; la biotite è più rara, è in
lamine verdi brune o giallo-brune e si comporta come uniassica.
L'epidoto, da giallo a giallo verdiccio, può essere sia in
cristalli, sia in grani più o meno rotolati; il suo colore è più o
meno intenso a seconda dei casi; ha un pleocroismo debolis-
simo ed i frammenti allungati presentano vivi colori di polariz-
zazione ed estinzione retta.
Il granato poco comune, sebbene non scarso, si presenta per
lo più in cristalli rombododecaedrici che solo talvolta hanno gli
spigoli smussati; anche in granuli più o meno rotolati.
Il suo colore rosso chiaro ed anche un po’ tendente al gial-
liccio mi fa credere che sia da considerarsi come grossularia.
La glaucofane si presenta sempre in frammenti di cristalli
generalmente a spigoli vivi ed eccezionalmente a contorni, meno
che rotolati, appena smussati.
A luce naturale è sempre azzurra; però questa colorazione
può essere più o meno intensa indipendentemente dallo spessore
dei frammenti; mentre in certi frammenti essa si presenta molto
marcata, in altri invece assume una tinta pallidissima.
Ciò mi fa supporre che nelle dette sabbie si trovi della
glaucofane di due provenienze diverse, il che è anche appoggiato
dal fatto che la glaucofane a tinta intensa è sempre in fram-
menti più voluminosi ed in prismi quasi completi, mentre l’altra
si presenta sempre in minute scheggie, come se la separazione
della prima dalle roccie che la contenevano sia stata molto più
facile che non per la seconda.
Mantiene la glaucofane di queste sabbie il suo caratteri-
stico pleocroismo ed esso è più o meno intenso a seconda del
grado della colorazione primitiva; i colori che più comunemente
si osservano sono l’azzurro ed il violetto; potei però anche ve-
dere nettamente in alcuni casi dei frammenti disposti in modo
da presentare i colori verde-giallo ed azzurro e più raramente
delle sezioni grossolanamente rombiche dicroiche sui toni del
verde giallo e del violetto e dotate della caratteristica strut-
tura reticolata proveniente dalle sfaldature secondo le faccie 110.
OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, ECC. 997
In quella a colorazione intensa che, come dissi si presenta
in frammenti di cristalli più voluminosi e più definiti, notai le
faccie del prisma 110, le quali sono sempre striate parallela-
mente all’allungamento; più raramente quelle del pinakoide 010.
Ho pure trovato, sebbene molto di rado, fra i grani delle
sabbie, dei prismetti verdi, spezzati, aventi una forma determi-
nata analoga a quella della glaucofane e costituiti da un finis-
simo intreccio di sostanza cloritosa; riferisco questi aghetti ad
una alterazione della glaucofane analoga a quella notata nei
calcari glaucofanitici della Beaume (1).
La presenza, nelle dette sabbie, di questa glaucofane inal-
terata potrà servire, come cercherò di dimostrare, ad indicare
la provenienza delle sabbie in cui è contenuta, ma ha pure, se-
condo me, un’altra importanza assai grande.
Nel mio già citato lavoro sulla glaucofane della Beaume,
ho notato a proposito di un lavoro di Bundjiro Koto (2) in cui
descriveva una glaucofane secondaria di una instabilità vera-
mente eccezionale, come la sua ipotesi di considerare detta
glaucofane come uno stadio effimero di equilibrio instabile in
un processo di alterazione, difficilmente potesse applicarsi al
solo caso speciale da lui considerato, ma piuttosto venisse ad
infirmare completamente la stabilità chimica e mineralogica
della glaucofane in generale.
E ciò perchè come dissi allora, se si eccettuano alcuni mi-
nerali che sebbene indicati dagli autori che li studiarono col
nome di glaucofane, non hanno chimicamente nulla di comune
con essa (3), in generale la sua composizione mineralogica è
relativamente poco variabile (4) per modo che non è possibile,
a parer mio, dare ad una glaucofane dei caratteri chimici straor-
dinariamente differenti da quelli di un’ altra.
(1) L. Coroma, Sulla glaucofane della Beaume; * Atti Acc. delle Scienze
di Torino ,, vol. XXIX, Seduta 11 marzo 1894.
(2) B. Korò, A note on Glaucophane; “ Journ. of the Coll. of Scien. Imp.
Univ. Japan ,, vol. 1°, parte 1° (1886), pag. 85.
(3) Tali sono i minerali studiati da Barrois ed Offret, da Liversidge e da
Foullon, le cui analisi ho citato nel mio lavoro sulla glaucofane della Beaume.
(4) Ciò risulta dalle analisi di glaucofane riportate dal Dana (The System
of Mineralogy, 1892, pag. 399) e dal Lacrorx (Minéralogie de la France et
de ses colonies; Tome 1", 2° partie, 1895, pag. 699).
998 LUIGI COLOMBA
Avevo pure allora indicato alcune prove dirette ad appog-
giare la stabilità di detta specie mineralogica e ad esse dovevo
pure aggiungere la presenza di glaucofane inalterata negli schisti,
con le linee di schistosità che attraversano i cristalli, il che
mentre per un lato indica che la schistosità deve considerarsi
come un fenomeno posteriore alla formazione del minerale, indica
pure che le azioni a cui i detti schisti debbono la loro struttura,
non ebbero nessuna azione decomponente sulla glaucofane.
Ma fra tutte le prove possibili questa dell’esistenza di glau-
cofane inalterata in una sabbia miocenica, contenente fossili di
mare profondo, è tale che dinota in essa una stabilità assai
grande per modo che riesce difficile il supporre che ve ne sia
di quella che possa alterarsi completamente in poche settimane
come il detto autore asserisce.
Escludendo però che la glaucofane sia da considerarsi come
un minerale poco stabile, non voglio però escludere che in de-
terminate condizioni possa alterarsi; io stesso ho allora segna-
lato varì casi di alterazione ed anche in queste sabbie ho no-
tato dei prodotti di alterazione proveniente da essa; credo solo
sì possa ammettere che la sua stabilità non è inferiore a quella
delle altre specie del gruppo dell’anfibolo.
L'anfibolo, abbondantissimo, si presenta sotto vario aspetto.
Di tremolite è specialmente ricca la parte minuta della sabbia;
si presenta sempre sotto forma di cristalli allungati, incolori ed
intatti, con le faccie lucentissime; in essi si notano le faccie
del prisma 110 e quelle del pinakoide 010 per modo che assu-
mono l'apparenza di prismi esagonali; quando i cristalli sono
un po’ voluminosi, appaiono rotti e spezzati e le faccie del prisma
presentano delle striature parallele all’allungamento, cosa co-
mune nell’anfibolo. Raramente i contorni sono smussati e raris-
simi sono i frammenti aventi gli spigoli un poco arrotondati,
sebbene anche in questo caso si manifesti ancora la forma pri-
mitiva dei cristalli.
L'estinzione misurata sulle faccie 010 dà un angolo di 15°,
corrispondente precisamente a quello della tremolite.
Oltre a questo anfibolo incoloro sonvi pure degli altri cri-
stalli, abbondanti pure nella sabbia minuta, che sono certo di
anfibolo, ma che differiscono dalla sopradescritta tremolite per
il colore un po’ verdognolo; credo debbansi considerare come
OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU AI.CUNE SABBIE, ECC. 999
tremolite ferrifera poichè il loro angolo di estinzione sulle faccie
010 supera di poco i 15° e raramente giunge a 17° o 18°; pre-
sentano un pleocroismo poco sensibile sui toni del verde e del
verde gialliccio.
Meno comune è una terza varietà di anfibolo che differisce
dalle altre due per il colore e per l'angolo di estinzione.
È essa colorata in verde erba od in verde smeraldo e la
colorazione può alle volte assumere una notevole intensità ed
anche avere delle sfumature azzurre avendosi in tale caso una
tinta fra il verde ed il bleu; il suo pleocroismo poco marcato
varia sui toni del verde più o meno intenso e raramente giunge
ad un colore verde bruno. L'angolo di estinzione varia da 18°
a 22° a seconda della intensità della colorazione.
Credo sia da considerarsi come actinolite e si presenta in
frammenti di cristalli un po' voluminosi, striati, ma raramente
arrotondati.
La tormalina, abbondante assai e facilmente separabile dalle
sabbie con altri minerali, per l’azione dell’acido fluoridrico, si
presenta sempre in cristalli od in frammenti di cristalli; quando
essi sono intatti non mancano le faccie terminali e si rende
manifesto il suo caratteristico emimorfismo non solo nelle faccie
dei romboedri ma anche in quelle dei prismi; quando sono rotti
si presentano sotto forma di prismi e solo raramente sotto forma
di scheggie dotate di frattura quasi concoidale.
Questa tormalina si può trovare sotto varì aspetti.
La più comune è una tormalina verdognola a luce natu-
rale e dicroica sui toni del giallo bruno (o giallo rossiccio) e
del bruno schietto con leggere sfumature verso il verde bruno
ed il bruno azzurro.
È sempre in cristalli le cui faccie conservano completa-
mente la loro lucentezza.
Un'altra tormalina, più rara, è in cristalli minutissimi, al-
lungati, costituiti dal prisma esagono e da romboedri terminali;
differisce da quella sopra descritta per il suo colore e per le
sue tinte di dicroismo, poichè a luce naturale è quasi incolora,
con leggere sfumature sul giallo ed il suo dicroismo va dall’in-
coloro al giallo bruno, mantenendosi in questo caso la tinta di
una intensità media.
In parte analoga a questa è una terza varietà che si pre-
1000 LUIGI COLOMBA
senta in cristalli piuttosto grossi, con le faccie del prisma
striate secondo l’asse di allungamento e che differisce perchè
il suo dicroismo va dall’incoloro al verde bruno.
Un ultimo modo di presentarsi della tormalina è in fram-
menti, raramente aventi ancora la forma di cristalli, a frattura
subconcoidale; quest’ultima tormalina è dicroica sui toni del bruno
chiaro un po’ verdognolo e del bruno violetto intenso. È poco
abbondante, e come dissi, raramente conserva la forma prisma-
tica ed in tal caso le faccie sono sempre striate parallelamente
all’asse d’allungamento.
La magnetite si presenta in granuli per lo più a spigoli vivi,
sebbene ve ne siano anche di quelli rotolati; inoltre sono pure
comuni gli ottaedri completi e senza traccia alcuna di fluita-
zione; spesso è inclusa nel serpentino.
Trattata con acido cloridrico concentrato a caldo si scioglie
incompletamente lasciando un residuo bianco quasi gelatinoso
e che diviene pulverulento in seguito a disseccamento. Questo
residuo volatilizza completamente quando viene trattato con
acido fluoridrico; il che indica che è costituito da silice. Credo
che la presenza di questa silice nella magnetite possa spiegarsi
secondo quanto il Cossa disse per la magnetite del serpentino
di Verrayes (1); cioè ammettendo che si tratti di olivina in-
clusa nella magnetite.
La pirite, rarissima, è in piccoli pentagonododecaedri su-
perficialmente alterati in limonite.
La cromite in granuli senza forma determinata, che col
sal di fosforo dànno la perla caratteristica, si può separare me-
diante la calamita, contemporaneamente alla magnetite; e si
distingue facilmente da essa, poichè trattando il complesso dei
grani separati con la calamita con acido cloridrico concentrato
a caldo, rimane completamente inalterata.
Lo spinello è assai comune e si trova in frammenti a spi-
goli vivi leggermente colorati in rosa od in ottaedri piccolissimi,
isotropi e quasi incolori; al pari della cromite e di altri mine-
rali rimane inalterato trattando le sabbie con acido fluoridrico;
così pure fondendo i suoi cristalli con carbonato sodico potas-
(1) Cossa A., Ricerche chimiche e microscopiche su roccie e minerali
d’Italia; Torino, 1881, pag. 114.
OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, Ecc. 1001
sico. È invece facilmente decomposto per fusione con bisolfato
potassico.
Lo zircone è pure comunissimo e si presenta in piccoli
cristalli allungati, incolori od appena colorati in bruno; questi
cristalli sono terminati alle estremità e raramente sono roto-
lati; credo però, visto che lo zircone è molto raro nella sabbia
prima del trattamento con acido fluoridrico, che esso sia per la
. massima parte incluso in qualche altro minerale e che solo in
seguito alla detta azione i cristalli vengano ad essere liberati.
Questo zircone è ricchissimo in inclusioni; alle volte queste
assumono la forma di cristalli negativi disposti sull’asse di al-
lungamento del cristallo includente; alle volte sono globulari e
presentano una colorazione bruno-rossa e sono dicroiche.
Non mancano, sebbene rari, dei cristalli di zircone incolori
i quali hanno nel loro interno una fascia colorata in giallo, pleo-
croica, coincidente perfettamente col loro asse di allungamento.
Il rutilo si presenta per lo più in cristalli bacillari, allun-
gati, fibrosi, colorati in giallo od in giallo rossastro; sono ab-
bondantissimi i geminati e per il complesso dei caratteri questo
rutilo credo si possa riferire alla sagenite, ed anzi credo inte-
ressante il segnalare come nel residuo del trattamento delle
sabbie con acido fluoridrico, abbia trovato alcuni finissimi ag-
gregati di cristallini fibrosi di rutilo poligeminati, perfettamente
paragonabili per l’aspetto agli aggregati di sagenite della Sa-
voia e che io pure ho trovato ad Oulx nell’alta valle della
Dora Riparia.
In generale questi cristallini mancano di traccie di fluita-
zione ed al massimo presentano talvolta una forma affusolata
e delle striature parallele all’allungamento.
Riferisco anche al rutilo dei cristalli e dei frammenti rosso-
scuri, un po’ gialli, che presentano pure tutti i caratteri distin-
tivi di tale minerale.
Nè credo che tutto l’ossido di titanio si presenti nelle dette
sabbie sotto forma di rutilo, poichè ho notato talvolta, sebbene
raramente, dei piccoli frammenti a spigoli vivi, gialli, un po’
grigiastri, tabulari, mancanti completamente dell’aspetto affu-
solato del rutilo e che tuttavia sono costituiti da ossido di ti-
tanio, poichè sono infusibili, inattaccabili dall’acido fluoridrico
e col sal di fosforo dànno la perla caratteristica.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 68
1002 LUIGI COLOMBA
Credo che si possano i detti frammenti considerare come
ottaedrite, sebbene il loro colore non sia quello presentato dal
detto minerale; e ciò perchè ho potuto in alcuni casi consta-
tare la forma dei cristalli e le caratteristiche striature sulle
faccie 111; in quanto al colore esso è identico a quello d’ una
ottaedrite della Valle di Susa che sto attualmente studiando.
Rara è la daritina, sotto forma di minuti frammenti striati,
incolori, ad estinzione retta; essi si presentano nel residuo del
trattamento delle sabbie con acido fluoridrico, sotto forma cor-
rosa ed arrotondata e credo che tale modificazione alla loro
forma (che prima di tale trattamento è a spigoli vivi) dipenda
da una parziale loro soluzione nell’acido solforico concentrato
usato per scomporre i fluoruri provenienti dal sopraindicato trat-
tamento.
Diffatti essi presentano delle superficie ondulate e come
costituite da piccole cavità disposte in serie e parallelamente
alle direzioni di estinzione; fenomeno perfettamente analogo a
quello osservato facendo agire l’acido solforico concentrato su
frammenti di baritina. Stante la rarità del detto minerale, nelle
sabbie, ho dovuto limitarmi a determinare il bario mediante
l’analisi spettrale, decomponendo il residuo, inattaccabile dal-
l’acido fluoridrico, mediante fusione con carbonato sodico po-
tassico.
Alla baritina credo pure si possano riferire delle sottilis-
sime laminette incolori o bianchiccie, ad estinzione retta, che
si trovano nel detto residuo, e che presentano delle caratteri-
stiche figure di erosione, aventi l’aspetto di esagoni a simmetria
rombica e disposti in serie e cogli assi di simmetria paralleli
alle direzioni di estinzione. Queste figure di erosione si avvici-
nano diffatti molto a quelle prima notate nella baritina e solo
ne differiscono perchè sono più marcate e regolari.
La menaccanite è anche piuttosto rara e si presenta in mi-
nuti granuli, senza forma determinata, ma a spigoli vivi, poco
o nulla magnetici. Essi sono in parte solubili nell’acido clori-
drico concentrato a caldo lasciando un residuo bianco che dà
la perla del titanio.
OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, ECC. 1003
LV
Sulla scorta delle precedenti osservazioni credo si possa
indicare con grande probabilità la provenienza di un certo nu-
mero di detti minerali e precisamente di quelli più caratteristici
per la loro struttura e per il loro modo di presentarsi.
E ciò perchè si tratta di un’associazione perfettamente ana-
loga ad una che io ho osservato sulle Alpi, nell’alta valle della
Dora Riparia; questa analogia non esiste solo per quanto ri-
guarda la natura dei minerali che entrano a formare la detta
associazione, ma anche per ciò che si riferisce ai loro caratteri
esterni, il che è necessario perchè realmente si possa stabilire
una corrispondenza fra due giacimenti; diffatti il solo fatto di
trovare in una sabbia determinate specie minerali che pure si
riscontrano, in posto, in qualche località, non è sufficiente per
stabilire che i minerali delle sabbie provengono dal detto gia-
cimento; è necessario anche di stabilire, mediante un accurato
confronto, che i minerali delle due località presentino ugua-
glianza per il complesso dei loro caratteri morfologici e strut-
turali come sarebbero il colore, le dimensioni, l'aspetto, ecc.
Ora questo è appunto il caso dei minerali componenti le
sabbie che formano oggetto del presente studio; i minerali ca-
ratteristici di cui intendo parlare specialmente, sone la glauco-
fane, il rutilo, l’ottaedrite, la menaccanite, la baritina, la tor-
malina ed in parte anche il feldispato; mi sarà facile anche in
seguito di far vedere come altri minerali si prestino pure ad
appoggiare le mie idee sulla provenienza dei materiali compo-
nenti queste sabbie; ed in quanto a quelli di cui non mi occu-
però sono in generale dei minerali non caratteristici e comuni
a qualunque sabbia di qualsiasi provenienza. Tali sono il quarzo,
il feldispato, le miche, la clorite, il talco, il serpentino, il pi-
rosseno, ecc.
Nel già citato mio lavoro sulla glaucofane della Beaume
ho segnalato come caratteristici delle roccie glaucofanitiche di
detta località, la glaucofane, la tormalina, la ematite e l’albite;
di più secondo studîì che ho attualmente in corso e riguardanti
dei minerali contenuti entro ad alcune litoclasi che tagliano la
1004: LUIGI COLOMBA
parete quarzitica della Beaume, ho constatato la presenza di
altre specie interessanti fra cui l’albite, il rutilo (sagenite), l’ot-
taedrite, l’ematite titanifera, la menaccanite, la baritina, la pi-
rite, accompagnati da dolomite, siderite, calcite, rodocrosite e
da alcune zeoliti. Ora è facile il vedere come tutti i minerali
stabili del giacimento della Beaume abbiano i loro corrispon- -
denti nelle sabbie di Marentino; e non solo ciò ma con carat-
teri di somiglianza perfetta.
Difatti nel mio lavoro è detto che la glaucofane dei cal-
cari è intensamente colorata e pure intenso è il suo pleocroismo;
e la stessa cosa avviene per la massima parte della glaucofane
trovata nelle sabbie; ed in quanto a quella poco colorata si
potrebbe anche paragonare a quella che alla Beaume è conte-
nuta negli schisti. Ma non credo che sia necessario questo,
poichè qualunque e per quanto speciale sia stata la causa che
determinò il trasporto dei detti minerali dall’ alta valle della
Dora Riparia alla collina di Torino, non dovette certo agire
solo su una zona tanto ristretta quanto è la parete della Beaume ;
certo fu tale da agire per lo meno su tutta l’alta valle in cui
sono abbondanti le anfiboliti glaucofanitiche e le glaucofaniti
in cui la glaucofane ha un colore poco intenso.
Lo stesso dicasi per la tormalina della Beaume, che risulta
affatto simile a quella più comune delle sabbie in questione;
anch'essa, come dissi quando ebbi occasione di studiarla, è co-
lorata in verdognolo, con sfumature azzurrognole ed è dicroica
sui toni del giallo bruno o rosso bruno e del bruno schietto;
ed anche per le dimensioni dei cristalli e per i varì altri ca-
ratteri esterni, l'analogia, anzi l'uguaglianza è completa.
Ad uguali conclusioni conduce il confronto per quanto ri-
guarda il rutilo (sagenite), l’ottaedrite, la baritina e la menac-
canite; i caratteri che questi minerali presentano alla Beaume
(e di essi mi occuperò quando avrò finito gli studî che attual-
mente ho incominciato) sono perfettamente simili a quelli dei
minerali corrispondenti contenuti nelle sabbie. Il rutilo è colo-
rato in giallo miele od in giallo rosso ed ha struttura fibrosa
tanto in un caso che nell’altro ed i gruppi di cristalli di sage-
nite comuni nel feldispato delle dette litoclasi sono perfettamente
simili a quelli trovati nelle sabbie; l’ottaedrite della Beaume
ha lo stesso colore giallo grigiastro che ha nelle sabbie ed i
OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, ECC. 1005
cristalli hanno pure lo stesso abito appiattito che così bene serve
a distinguerla da quella del Delfinato; la menaccanite nera, a
lucentezza metallica, pochissimo o punto magnetica, conserva
inalterati tali caratteri nelle sabbie; la baritina in lamine striate
è pure simile a quella delle sabbie.
Per quanto riguarda l’albite così comune alla Beaume sia
nei calcari sia nelle litoclasi e così raramente determinabile
nelle sabbie, mi limiterò qui a ricordare i frammenti già segna-
lati che ancora conservano traccie di geminazione; e se questi
si trovano in piccolo numero, ciò dipende, credo, essenzialmente
dalla facile sfaldatura del detto minerale.
Tali fatti sono sufficienti a stabilire, secondo il mio modo
di vedere, una intima corrispondenza fra i minerali delle due
località; corrispondenza che solo si può spiegare ammettendo
che i minerali delle sabbie provengano dal già indicato giaci-
mento della Beaume. Nè la mancanza nelle sabbie degli altri
minerali proprii del detto giacimento può contrastare a quanto
ho detto poichè per lo più si tratta di minerali dotati di poca
stabilità oppure facilmente asportabili; diffatti è difficile che in
una sabbia marina si possano mantenere i carbonati, l’ ematite
(che anche quando è titanifera, da quanto ho visto, ha pure
tendenza a decomporsi dando della limonite), la pirite e le
zeoliti.
Posso però citare ancora fra i minerali dell’alta valle della
Dora Riparia e quelli delle sabbie, altre corrispondenze, le quali
servono pure a confermare quanto dissi ed indicano, fino ad un
certo punto, che il fenomeno fu comune a tutta l'alta zona al-
pina di detta valle.
Piolti ha trovato al Monte Tabor ed alla Téte Pierre Muret
dei calcari che fra gli altri minerali contengono della tormalina
la quale si presenta in cristalli minutissimi, quasi incolori a
luce naturale, e pleocroici dall’incoloro al giallo bruno; un altro
modo di presentarsi della tormalina nei detti calcari è in cri-
stalli più voluminosi e che solo differiscono da quelli piccoli,
oltre che per le dimensioni, per il dicroismo che varia dall’in-
coloro al verde bruno.
Ora basta confrontare queste tormaline con la seconda e
la terza varietà che ho segnalato nelle sabbie di Marentino per
vedere la esatta rassomiglianza. In quanto alla quarta varietà
1006 LUIGI COLOMBA
trovata nelle sabbie per tutti i suoi caratteri corrisponde per-
fettamente alla tormalina di Borgone e Villarfocchiardo.
Parimenti Piolti ha pure trovato al Truc Castelletto,
sopra a Mocchie, un’anfibolite che contiene un anfibolo colorato
in verde smeraldo intenso con sfumature azzurre ed il cui pleo-
croismo, come il colore e gli altri caratteri, sono perfettamente
uguali a quelli dell’anfibolo verde intenso trovato nelle sabbie.
La magnetite è abbondantissima nella zona serpentinosa
della bassa valle e nell’alta valle nei serpentini che da Oulx
vanno al colle di Sestrières, formando la base del Monte Frai-
teve; così pure la cromite che oltre ad essere abbondante nel
distretto del G. Gimont, è pure comune in tutti i serpentini e
le Iherzoliti della valle.
Analogamente la tremolite e l’asbesto sono comunissimi
nell’alta valle, nella già citata zona serpentinosa, dove si pre-
sentano comunemente sotto forma di fibre bianche o verdognole.
Anche il granato è comune specialmente nella bassa valle.
Fra i minerali caratteristici soli rimangono senza che sia
possibile trovare alcuna corrispondenza lo zircone e lo spinello;
ciò non deve far stupire quando si pensi che moltissime fra le
roccie della valle della Dora Riparia sono ancora da studiare.
V.
Se alle osservazioni mineralogiche da me fatte si aggiun-
gono quelle che riguardano i caratteri paleontologici e di posi-
zione delle sabbie studiate, credo che si possa giungere a delle
conclusioni assai interessanti specialmente per quanto riguarda
il loro modo di formazione.
Diffatti mentre per un lato queste sabbie contengono una
fauna di mare profonda, pur presentando una facies di litorale
o di deposizione tumultuosa, per altro lato contengono una
grande quantità di minerali che non presentano quasi traccia
di fluitazione; questi minerali provengono dall’ alta valle della
Dora Riparia per la massima parte e solo si può spiegare la
loro presenza ammettendo che per qualche causa speciale siano
stati sottratti all’ azione erodente delle acque superficiali e
marine.
OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, Ecc. 1007
Ora questi fatti credo siano difficili a spiegarsi mediante
un fenomeno normale di sedimentazione, sia ammettendo che
si tratti di formazioni che già inizialmente fossero allo stato
di sabbie, sia ammettendo che esse provengano da frammenti
disgregatisi in seguito.
Poichè nel primo caso non si potrebbe spiegare la man-
canza di fluitazione negli elementi dell’alta valle i quali invece
dovrebbero essere quelli più rotolati; nel secondo caso non si
potrebbe spiegare la presenza di grossi frammenti in un mare
profondo; e notiamo che sarebbe necessario di ammettere che
la loro disgregazione, con successiva formazione delle sabbie,
sia avvenuta in fondo al mare poichè i fossili sono intimamente
mescolati ad esse senza che si scorgano traccie di rimesco-
lamento.
Al complesso dei caratteri mineralogici, paleontologici e
strutturali osservati in queste sabbie meglio corrisponderebbe
un’origine derivante da un fenomeno glaciale; ammettendo che
all’epoca in cui esse si depositarono, dei ghiacciai occupassero
le valli alpine, giungendo fino al mare, essi dovevano avere
maggior sviluppo in alto che non in basso, per modo che mentre
in basso i materiali disgregatisi per azione della degradazione
meteorica subivano i soliti fenomeni di fluitazione, in alto invece
erano i detti fenomeni molto più limitati perchè i frammenti
ed i detriti appena staccati venivano ad incorporarsi nel ghiac-
ciaio e quindi ad esser per la massima parte sottratti ad ogni
azione erosiva; è naturale quindi che alla base dei detti ghiac-
ciai venissero a trovarsi mescolati materiali rotolati e non ro-
tolati e fra questi ultimi in modo speciale quelli provenienti
dall’alta zona alpina.
E se dalle fronti di questi ghiacciai, sboccanti in mare, si
staccavano, analogamente a quanto ora avviene nei ghiacciai
nordici, delle zattere di ghiaccio, queste, cariche di detriti, ve-
nendo a contatto con delle correnti calde, dovevano fondere
facilmente depositando in posto tutti i materiali che tenevano
sospesi.
Con tale origine concorderebbero pure altri fatti osservati
nelle dette sabbie; così concorderebbe il carattere tumultuoso
della deposizione, proveniente dalla rapida sedimentazione; così
l'alternarsi di strati fossiliferi e non fossiliferi, corrispondenti i
1008 LUIGI COLOMBA
primi a dei periodi di ritiro dei ghiacciai ed i secondi a dei
periodi di avanzata; il che sarebbe anche confermato dalla mi-
nore quantità di elementi a spigoli vivi (cioè di elementi di
origine glaciale) negli strati più ricchi in fossili.
L'ipotesi di un periodo glaciale miocenico e la possibilità
di spiegare con esso varî fatti attinenti alla collina di Torino
fu emessa dal Gastaldi, sostenuta dal Baretti e dal Portis e
combattuta da vari geologi fra cui Sacco e Virgilio (1). È però
degno di nota l’osservare che il Sacco stesso (2) riconosce come
sianvi sulla collina di Torino dei fenomeni che la appoggiano
singolarmente, prestandosi difficilmente ad una spiegazione dif-
ferente.
Tali sono i massi a spigoli vivi sparsi sulla collina e che
da alcuni si vorrebbero considerare come ultimi residui di con-
glomerati erosi e come provenienti dalle piene dei torrenti al-
pini miocenici (3). Tali sono pure a parer mio le sabbie che
ho studiato; e se da sole non possono considerarsi come argo-
mento decisivo, è fuori d'ogni dubbio che per lo meno ci per-
mettono, unitamente agli altri fatti osservati, di stabilire come
nell’Elveziano e nei terreni di transizione fra l’Elveziano ed il
Tortoniano sianvi delle formazioni la cui origine richiede una
causa speciale. E questa a parer mio potrebbe, con grande pro-
babilità dipendere da un fenomeno glaciale; tanto più che gli
(1) Un’accurata e completa bibliografia dei lavori riguardanti l’origine
della collina di Torino è data dal VireiLio nel suo lavoro: La collina di
Torino in rapporto alle Alpi, all’Appennino ed alla pianura del Po,
Torino, 1895.
(2) Sacco, Il bacino terziario del Piemonte, 1889.
(8) Sebbene il SureLr (Etudes sur les torrents des Hautes Alpes, +. II,
1872) ammetta che i torrenti alpini possano trasportare dei grandi massi
senza che essi perdano i loro spigoli vivi, tuttavia è lecito di dubitare che
questo trasporto. possa farsi per un tragitto molto lungo, ed ammessa
anche tale possibilità è dubbio che questi massi non finiscano per arro-
tondarsi. Nè occorre dimenticare che secondo i detti autori questi massi
derivano dalla bassa valle in cui certo era minore l’impeto dei torrenti e
tanto più in quanto che la catena alpina era meno elevata.
Di più, ammessa questa origine per i detti massi, come mai si spie-
gherebbe che le potenti piene dei torrenti pliocenici, i quali hanno con i
loro coni di dejezione determinata la formazione della pianura padana, non
abbiano trasportato uno solo di tali massi?
OSSERVAZIONI MINERALOGICHE SU ALCUNE SABBIE, ECC. 1009
argomenti addotti dal Sacco (1) contro all’ipotesi del Gastaldi,
non sono, secondo me, tali da togliere ogni verosimiglianza
all'ipotesi stessa, poichè mentre per un lato anche attualmente
abbiamo delle prove di immediato contatto fra ghiacciai e terre
a vegetazione tropicale (2), per altra parte solo con accurate
indagini petrografiche e con un esatto studio di confronto si
potrà stabilire se realmente le eufotidi, le anfiboliti ed i ser-
pentini della Collina di Torino siano originarie della parte bassa
della valle, oppure della parte alta dove pure abbondano tali
roccie specialmente nel massiccio diabasico del Gran Gimont.
E quand’anche si potesse provare la prima opinione, nessuna
migliore confutazione potrebbe farsi all’obbiezione di Sacco, di
quella fatta da Virgilio (3), certo non sospetto in tale questione.
Per quanto riguarda l'argomento contrario che l'ipotesi gla-
ciale non serve a spiegare tutti i fatti osservati sulla collina
di Torino, secondo me, esso non prova nulla, poichè dall’ am-
mettere che nel miocene sia esistito un periodo glaciale e che
esso abbia contribuito alle tanto discusse formazioni, ad am-
mettere che esso ne sia stata l’unica causa, passa una note-
vole differenza. E non bisogna scordare che un fenomeno così
complesso come è quello della formazione della collina di To-
rino, solo può dipendere da un complesso di cause, come del
resto deve accadere per tutti i fenomeni geologici, date le cir-
costanze in cui si svolgono e date pure la loro natura e la
loro durata.
(1) Sacco, Les rapports géo-tectoniques entre les Alpes et les Apennins;
“ Bull. de la Soc. Belge de Géol., Paléont. et d'Hydr. ,, t. IX, Bruxelles, 1895.
(2) Il ghiacciaio di Wajau nella Nuova Zelanda scende fino a 212 m.
sul livello del mare, in mezzo ad una vera vegetazione tropicale, da cui
solo è separato da una stretta zona di poche centinaia di metri di lar-
ghezza, occupata da una flora speciale essenzialmente costituita da conifere
(De LapparenT, Traité de Géologie, 1893, pag. 270). Qui, come si vede, si
tratta di un contatto immediato, cosa ben differente dal caso considerato
dall'ipotesi di Gastaldi, in cui invece fra i ghiacciai e le terre a vegetazione
tropicale esisteva un mare la cui funzione regolatrice in fatto di tempe-
rature doveva rendere molto minore il contrasto.
(3) Vireizio, Sulla origine della collina di Torino; “ Boll. Soc. Geol.
Italiana ,, XV (1896), 1°, pag. 49.
1010 GIUSEPPE LAURICELLA
Integrazione dell'equazione A°(A°u)=0 in un campo
di forma circolare;
Nota del Prof. GIUSEPPE LAURICELLA.
Il MarHIEU nella sua Mémoire sur l’équation aua diffé-
rences... (4) ha integrata l'equazione:
(1) A°(A?u) = 0,
nel caso che il campo che si considera fosse circolare e che al
contorno fossero dati i valori della funzione incognita e quelli
della sua derivata normale, esprimendone la soluzione mediante
serie. In questa Nota io risolvo la medesima quistione, appli-
cando il metodo generale che ho indicato nell’art. I della mia
Memoria: Sull’equazione delle vibrazioni delle placche elastiche in-
castrate (*). La soluzione che io trovo è formata di soli integrali
definiti e si presta bene alla verifica delle condizioni che devono
essere soddisfatte nei punti del contorno.
1. Sia 0 un campo piano circolare di raggio R, s il suo
contorno, P = (x, y.) un punto nel suo interno, P' un punto
preso sul prolungamento di OP e tale che, posto:
OP = p, OPu—"p",
sia:
Se indichiamo con 7, r;, p le distanze dei punti P, P', O ad
un altro punto qualsiasi M = (x, y) e se poniamo:
(') “ Journal de Mathématiques pures et appliquées ,, 2° série, t. XIV,
année 1869.
(?) “ Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino ,, serie II,
t. XLVI.
AT E Pen
INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A?(A?2u)=0, Ecc. 1011
fa p T,,
avremo che la funzione:
H = rilogr,
è regolare in tutti i punti M del campo o insieme alle sue de-
rivate dei varii ordini, soddisfa in questi punti all’equazione:
AMATE): =0
e nei punti di s alle altre:
Hi=-#dosr,
dò H dî (0
dn ni + 2logr{ (FP),
dove n indica la direzione positiva della normale nei punti del
contorno s.
Detti 9 e 0' gli angoli che i raggi vettori p e p' fanno
coll’asse x che parte dal centro O, sarà:
TAR LI ZELL ELI D) R' R? r
ri =N0F+9—2pp"eos6—0) = |o°+- — 29-+7 cos (0 — 0),
PIT SEAN e ORFANO DC OA CUD e A Cra,
en Vi al dipen LL 7
pipp'— R°cos(0 — 0)}
PR) li gii) PECORE STRA) 4 PLZIRONE
(ge) —— _p'ip'— Reosto —0){
dn Js : ROL ’
dH _ (1+2logr)}p"—Rp'cos(0—0)l
da TT R .
2. La funzione:
y — (1-+2logrs) (p'° — R3)
tai 2R?
1012 GIUSEPPE LAURICELLA
è regolare in tutti i punti M del campo o e soddisfa all’equa-
zione indefinita:
ACW = De
allora, posto:
K= (R° — p)Y,
si avrà che la funzione K è regolare essa pure in tutto il
campo 0 e soddisfa nei punti di questo campo all’equazione:
A°(A°R) —:0,
nei punti di s alle altre due:
E 0,
= ed {odi (1+2logr) (p'? — R?) i
n R
8. Ciò posto, si consideri l’espressione:
g=+ +6)
Da quanto precede risulta che 9 è una funzione regolare
in tutto il campo 0, che nei punti di questo campo soddisfa
all’equazione:
A°(A°g)=0
e nei punti del contorno s alle altre due:
= sa r°logr,
dg 1 (—(1+2logr)p?—Rp'cos(0—@)}+(1+2logr)(p*?—R9)) __
dì SIA kR j=
1 òd(re° log?)
1 Ù f
= — + (14+2logr)[R— p'costo — )f= <=
Secondo i risultati della mia cit. Mem. la 9 è quella fun-
INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A?(A?w)=0, Ecc. 1013
zione che serve a darci l'integrale dell’equazione (1), corrispon-
dente a dati valori di v e di Se nei punti di s, mediante la
formola:
a, Pf du d logr dA°9 ]
ORTA E n LIL
4. Andiamo ora a verificare se nei punti di s la fun-
zione v' e la sua derivata normale coincidono rispettivamente
coi valori dati di « e di Lo ;
Anzitutto osserviamo che si ha:
Ag=1AH+44 AK=47 (logre +1) — v__xndt_
e pi—R? ni dlogra
paga: + logr: + p onda di - ’
dA°9g __ dlogr. 21) pri ="Rz — + p p°î — R° 0d°logra
dan © da R R? dn?
__ dlogra p? — R? —. p' i. 1
raga on R? + p R? +
1 (R°= p?) )
T pippi 2Rpeos0= 8) — 2RRTp*_2Rp cos).
sicchè nei punti di s sarà:
p?+ R? — R? dlogr
Ng Llogr + PE CL
so. par Ripe Resp dlogre __
madonie grani Rene
R? — p°? a
=14 logr 2R° * R°|p" —2Rp'cosl0—60) ’
d Ag a dlogra i fi pro” dlog ra peo pi +
TAGGIA 7) R? dn DR
p?— R (p'? — RI?
i R}Rî|p? — 2Rpcos0— 9) — 2R*{R}+ p?—2Rpcost0—0)}? —
1014 GIUSEPPE LAURICELLA
MISTE dlogra dlogr MIDI (TI SIOE Oro SE
= —2R8° Po (1428088 + dn — 2R*} R*4-p?— 2Rp'cos (0-0)
i Si (R?— p?}R— p'cos(6—0)|
R°) R*+ p' — 2Rp' cos (0—0){? ;
La (2) diviene allora:
Ferro: | (R? — p'?° du sr
AGIRE, 2R°{R°+-p?—2Rp'cos(0—0){ dn
p)°} R — p'cos(0— all det:
+ — 2 Rp'cos(9 —0') {? u} =
(2°)
R—p? 1 ( du Ri-op?
TREE TA ETRO e I Ca
i; (R°— p')°}R— p'cos(0—9):
+ agli R°}R?+-p?—2Rp'cos(0—0){? d
5. La formola precedente serve a rappresentare nel campo
circolare © un qualunque integrale dell’equazione (1), regolare
insieme alle sue derivate dei primi quattro ordini in tutto 0
ed s, per mezzo dei valori al contorno s di questo integrale e
della sua derivata normale. In particolare la funzione:
u= 1
deve potersi esprimere per mezzo della formola (2'); e poichè
si ha allora:
avremo dalla (2°):
__1 (_(R°p?{R—pcost0—®)
(3) be 2 È R?} R°-+p?—2Rp'cos(0— 6)}? ds
Ciò posto, si indichi con w il valore della funzione data w
in un punto @ del contorno s. La (2') e la (8) ci dànno:
INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A?(A?°u)=0, Ecc. 1015
Wp,
; Rî-p%, 01 f du Rip?
BR 2kc
a s Òn R} R°+p"?—2Rp'cos(0—0){ ds ur
TIME (R*— p'2)°} R— p'cos(0— 0)!
tot i (u— 0) R°}R?{ p?—2Rp'cos@— 0){° ds,
donde, supponendo continua la funzione data u, risulta con con-
siderazioni note:
(4) limu = w.
P—Q
6. Per dimostrare ora che la derivata normale della fun-
È Ae 7 Ta " Ò &
zione v' coincide nei punti di s con la funzione data n sarà
utile trasformare la (2').
Osserviamo anzitutto che, posto:
cos(0 — 0')=#,
risulta:
dt
do= — ——
pig
f (R°— p'2)}R— p'cos(0—0)! PIA fu (R°—p?)(R—p'7) di.
J* RiRt+p3—2Rpcoste—9)® © — JRE 2Rpò | ie!
e quindi, se si fa la sostituzione:
V=-#=A1-da
e si pone:
abbiamo:
de =
} (R?— p'9°}R — p'costo — 0)
3" R}R?+-pî—2Rp'cos(6— 0)
a ° (R°— p?F} R—-p)e®+(R+9) 3.
=—+2Je RIR—pFe+®tpe 3
ser B(R+p") x dae B(R+p") (" da
=_—_2 R fu +? da R fu si ’
1016 GIUSEPPE LAURICELLA
donde, ammesso che esista e sia sempre finita la derivata prima
di u(0), segue:
fu (R°— p'32}R — pcosl—0)! A
R }R°+- p?— 2Rp'cos(9—0') î 2
00 10 ateneo A pasto ®
2u| R aa gg aretang 7) +
(R+p'" di
+ affito). da (7 TE EST) + DR r arctang 7 da +
|
aa et Me4R + ah pg areteng 5) dej=
(___—p'(R?—p’)sen(0—6)
2u ì 2R|R?+p?—2Rp' cos(0—0)| si
(R—p')sen(0—68') Ì
+ arctang | (R+p)(1—cos(0—0')) | Sn
"du —p'(R°— p°)sen(0— @)
+213) è 2R}R?-|p?—2Rp' cos(0—@'){ t
(R—p’)sen(0—0)
+ arctang | (R+p)(1—cos(0—0)) ja.
Da questa formola si trae indicando con w il valore della
funzione u per 0= 0":
de =
27
uu _(R°—PP}R—p'cos(0 9)
R) R°-|-p'? —2Rp'cos(0—0) {?
27
u —p e sen(0—0')
= 2% 1-2 [4 de È 2R} R?-{-p?— 2Rp'cos(0— 0) { $i:
+ arctang (Eh Dn root d , (0 E 0)) {0
e quindi:
INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A?(A2u)= 0, Ecc. 1017
eno l' (du R?— p?
u=ut cai «dn * R{R?+p?— 2Rp'cos(0—0) ds +
27
1 du — p'(R°— p'?)sen(9—0')
n T de 2R}R°-+-p'?—2Rp'cos(0—0'){ vw
0
+ arctang (1 RIp Pcot 1 (0—0))| do (1).
7. La formola ottenuta ci dà:
dui du eopriSt- (Ada R? — p°?
de a i) du R} R°+p?— 2Rp'cos(0—0)} ds +
Re==p® NETTA O 0 Rafsna
ch SR ra ue dn R}Rî4-p? dui; cosl0—0)} ds |
27
2__n2 __ e
ESIR (R°— p°)sen(0 — 0’) de È d0 fo
T : R Ria p'î — 2Rp cos(0—0){
>
1 (R°— p'?)°sen(0— 0") du
e. , BIRI+p?— 2Rp costo—0){" * 40 d0
Ora, se la funzione u(0) ammette anche la derivata seconda
sempre finita, si ha integrando per parti:
° (R°—p?)sen(0—0) du
A J R}R?{-p?_ 2Rp'cos(0—0)} d0 dI +
ee a) du Se
i f R}R°+ — 2Rp'cos(0 — —0)} de ds
— R®_p? ("dlog)R?4p®_2Rp'cost0—0){ du 79
_- p@R? d0 a d9 4 A
1
to (R2— p'3f? d R°+ p'"—2Rp'cos(0—0’) du do =
p R? do ° 40 Ra
(') Questa formola può servire a dedurre un’altra volta la (4).
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 69
1018 VITO VOLTERRA
E -{log]R*+ p'—2Rp'cos(0—0'){ — ra ranti ue
R?|p?— 2Rp'cos(0— 0) | d0
CRE i R°— p°?
Ri )—log}R®{-p"—2Rp cos(6—0'){ + iisi
per cui, ammessa la continuità della avremo:
du
da’
dep R°— p du
da Ra dr li R } R°4- p'?_2Rp'cos(0—0){ * da ds +
n sifii du Rip"?
ua ‘ 2n da PSE ‘ R{R°H-p'"—2Rp'cos(0—0){ ds +
don A f.j_lo }R°+ p''—2Rp'cos(0—0')} +
21 p R? 8Ì p p
Ri pe d°u
FERME a
DO R?*-+ p'"— 2Rp'cos(0 — 0') | de? ds.
Questa ci dà finalmente, supponendo continua la funzione Si
e indicando con | di il valore di questa funzione nel punto Q:
È du __ (du
Lia DIP (3);
Osservazioni sulla Nota precedente del Prof. Lauricella
e sopra una Nota di analogo argomento dell'Ing. Almansi.
Nota del Socio VITO VOLTERRA.
Nella precedente seduta ho presentato una Nota dell’Inge-
gnere Almansi, nella quale è trattato lo stesso problema che
il Prof. Lauricella ora risolve. Questa soluzione è stata otte-
nuta dal Lauricella indipendentemente dall’altra, che a lui era
ignota, ed egli vi giunse applicando il procedimento da lui
esposto nella prima parte della sua Memoria: Sulle vibrazioni
+
d°u
de?
di
OSSERVAZIONI SULLA NOTA PRECEDENTE, ECC. 1019
delle placche elastiche incastrate. La formula definitiva che egli
trova è più simmetrica di quella corrispondente a cui pervenne
l’Almansi e non contiene, come questa, le derivate della fun-
zione G data al contorno. Però si può trasformare quest’ultima
formola riducendola a quella del Lauricella. A tal fine, valendosi
di una doppia integrazione per parti, si può ridurre l’espressione:
27
= Co
1T— cos(u— a)
0
all’altra
dw?
=)
n pa
-2| 2 log sen -5 (VW — a) dw,
quindi invertire la doppia integrazione che comparisce nella
formula definitiva in modo da sostituire a
27 27
da GT Ga — Ga sen (W— a)
R°+,?—2Rr cosa ; 1— cos(W— a)
0
la espressione
27 O)
9 d2G d log sen na (u— a)da
du? e R° + 7° — 2Rr cosa
0 _-27
e trasformarla finalmente con una nuova doppia integrazione
per parti.
Ma si può evitare questo calcolo, e le relative derivazioni
applicate alla funzione G, partendo direttamente dalla for-
mula (4) dell’ing. Almansi.
Essa infatti può scriversi:
o anche
1020 VITO VOLTERRA
Posto
(a) Wi cianabi ciano SUL
questa funzione, per un noto teorema, soddisferà la equazione
A° =0, e poichè
(0) = — 2R'
avremo
27 o
ea: 1 (R° — -)H
ba) 4TR lagicotge dw,
onde, a cagione della (a) e della (5) della Nota dell’Inge-
gnere Almansi,
27
vs 1 (R? — »)H
MI (aftat du —
27 i
da AR Sei 54 Pei Gw
R? 2 ( R°+r°— 2Rrcosw (R?-+ 72 — 2Rrcosw)?
e per conseguenza
27
sea: 2__,2 Mi 1 (R*= r°) H
T=_-® i Tia 4TR [at 2Rrcosw dw+
27
da R°—, da 73 (R°— 79) ba
2r ; R°+,°—2Rrcosw R°(R°?-4+,°—2Rrcosw)
(R°—r*)°r(r—Rcosw) gra
© R3(R24+,*— 2Rr cosw)? i Gatto
27
2r
= Ape lee 1 | R°_r}B—-rc05w)
_ 4mR fr r?—2Rrcosw Hdw+t 2rR det 7°—2 Rr cos w)? Gao
0
che è la elegante formola stabilita dal Prof. Lauricella.
Essa può quindi ottenersi direttamente anche senza ricor-
rere alla seconda funzione di Green. Il ricavarla dallo sviluppo
OSSERVAZIONI SULLA NOTA PRECEDENTE, ECC. 1021
dato da O. Venske, giovandosi delle note formule della serie
di Fourier, avrebbe condotto a calcoli complicati (*).
In modo analogo, valendosi del metodo dato dall’Inge-
gnere Almansi nel $ 4 della sua Nota, si può risolvere il pro-
blema simile nel caso dello spazio limitato da una sfera 0 di
raggio R.
Preso un sistema di coordinate polari coll’origine nel centro
della sfera in modo che sia
XxX =#YSenw cosp, y=#+7 Senw senp, 2 =7 C0SW
e posto
TRR0SI7, dp
Mie align
avremo
1
()r:=R == 3 (0.)-=R = 5 92R H
quindi nel punto A di coordinate r, wo, po, i valori di @; e 0,
saranno
que 1 (R°— #°) Gdo
reef ont 0 tr
4TR Metri
0o,= —
1 (R° — :3)Hdo
8tR° ene
essendo
COST = cosw cosw, + senw senwo cos(p — po),
da cui segue
1 (R° — 7°)?
FT SIE ea ario) PARTPIRE
Li 8rR° RUI di
3
2
me a)2 DI SEGR]
pis Sh fa r®)? (2R°—r salici Gdo,
(R? 4+- »° — 2Rrcosy)?
che può prestarsi ad una verifica diretta, come ha fatto
il Prof. Lauricella nella sua Nota.
(*) Vedi Nachrichten von der K. Ges. der Wiss. zu Gòttingen aus dem
Jahre 1891, S. 27.
1022 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO
Per la storia della teoria delle superficie geordiche ;
Nota dell'Ing. OTTAVIO ZANOTTI BIANCO.
Fino ai tempi di Newton, tranne rare eccezioni, s'insegnava
che la Figura della Terra era quella di una sfera perfetta:
astraendo dalle irregolarità che la superficie fisica del nostro
globo presenta, si assurgeva ad una superficie ideale e questa
si cercava di conoscere e determinare. I lavori di Huygens e
Newton fecero vedere, che la Terra animata come è da un moto
di rotazione sopra se stessa, supposta omogenea e fluida, deve
avere una figura ellissoidica di rivoluzione schiacciata ai poli.
Le ricerche posteriori (Clairant, Laplace) dimostrarono che
la Terra, non essendo nè omogenea, nè interamente fluida, non
poteva avere quella forma, cui conducevano solo approssimati-
vamente certe ipotesi sulla sua costituzione fisica. Si riconobbe
di più che, data la Terra quale è in realtà, non era possibile
ammettere sotto l’azione delle forze naturali, che avesse potuto
assumere in complesso una qualsiasi figura geometrica, e che
quindi non era lecito anche per astrazione, accettare per essa
una superficie geometricamente definita. Fatti di ciò certi, si
pensò a stabilire qual cosa si dovesse intendere per figura della
Terra ed a cercare se, pur non geometricamente, essa fosse
rappresentabile con simboli matematici e come definibile.
Non trovando, per la forza delle cose, modo di valersi della.
geometria per rappresentare matematicamente la figura della
Terra, si ricorse alla meccanica dei fluidi: a ciò indotti dal-
l’essere la Terra in gran parte coperta da liquido, e dalle idee
cosmogoniche che le assegnano una condizione iniziale fluida.
Dalla meccanica dei fluidi si prese ad imprestito la defi-
nizione di superficie di livello di un liquido, e la si applicò al
mare che, per occupare tanta parte dello strato superficiale del
globo terracqueo, si assunse come valevole a rappresentare, con
PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1028
date condizioni, il tutto: seguendo in ciò fare le idee di Gauss (1)
e Bessel (2).
Superficie di livello è quella secondo la quale si dispone un
liquido in equilibrio sotto l’azione di date forze, la cui risul-
tante è in ogni punto poi normale ad essa.
Sul mare agiscono molte forze. Le attrazioni delle parti
componenti tutta la massa terrestre; l’attrazione dei corpi ce-
lesti; la forza centrifuga proveniente dal moto di rotazione
della Terra intorno al proprio asse; poi l’azione dell’atmosfera,
statica e dinamica (pressione, venti). Sulla massa d’acqua ma-
rina opera poi il Sole come fattore termico, cagionando coll’e-
vaporazione, col congelamento e collo squagliamento dei ghiacciai
marini, moti e correnti, e variazioni di salsedine, generanti a
loro volta altre correnti. Perturbano poi in vario modo la sta-
bilità del mare i movimenti del suo fondo e delle sue coste, e
delle isole, le eruzioni dei vulcani sottomarini; i depositi orga-
nici e minerali che pei molluschi e pei fiumi vi si producono,
pur astraendo da quelli irregolari ed a petto degli altri trascu-
rabili, che avvengono per opera dell’ uomo. Tutte queste forze
sono diversamente variabili col tempo: il mare pertanto avrà
esso pure una forma variabile col tempo, e non potrà mai
disporsi secondo una superficie di livello fissa corrispondente a
quelle forze. Pure per arrivare a qualche cosa di concreto si è
di una superficie che si ha bisogno, la quale, pur accostandosi
il più che è possibile alla natura, sia almeno per una prima
approssimazione fissa e determinata. Si esaminò pertanto se
non fosse possibile lo scartare talune delle accennate forze,
come molto piccole rispetto alle altre, e tenendo conto solo
delle preponderanti, tentare di accostarsi alla figura ideale vo-
luta, per poi studiare colla teoria e coll’osservazione le defor-
mazioni che in quella producono le forze da prima messe in
disparte, ed acquistare così qualche cognizione circa la figura
vera del mare.
Si suppose a tal fine nulla l'influenza di tutti i corpi ce-
lesti; così si trascurarono le maree non solo, ma anche quelle
(1) Gauss, Ueder den Breitenunterschied der Sternwarten Gottingen und
Altona, 1828.
(2) Besser und Baryer, Gradmessung in Ost Preussen, 1838.
1024 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO
deformazioni che le masse da esse spostate causano, alterando
nel muoversi le vicendevoli attrazioni delle parti della massa
terrestre; si lasciarono poi anche da parte le azioni dell’atmo-
sfera, quella termica del Sole, e delle forze molecolari. Con ciò
le forze operanti sulla massa terrestre vengono ridotte a due:
la mutua attrazione delle sue parti e la così detta forza cen-
trifuga, originata dal suo moto di rotazione. La risultante di
queste due forze è quella che può chiamarsi gravità teorica, che,
naturalmente, l’uomo non potrà mai determinare coll’esperienza.
La gravità pratica, che sola possiamo misurare col pendolo, e
che perciò può chiamarsi pendolare, quella che si verifica in
realtà, dipende a tutto rigore da tutte le forze attive. sulla
Terra, è quindi variabile con queste d’intensità e direzione;
però queste variazioni nel tempo sono sommamente piccole, e
certo per ora non avvertibili sperimentalmente. Circa le varia-
zioni della gravità in direzione, se ne hanno prove nelle con-
statate oscillazioni di livelli a bolla d’aria, posti in condizioni
opportune (Plantamour, D’Abbadie). Su questo argomento non
debbono essere passate sotto silenzio le ricerche col pendolo
orizzontale di Hengler e von Rebeur-Paschwitz e quelle di Pfaff
con una specie di bilancia a molle: così van ricordati gli appa-
recchi immaginati e gli esperimenti istituiti per lo studio delle
variazioni della gravità da Bohnenberger, Darwin C. H., Gruit-
huisen, Mascart, Perrot, Zollner. La variazione secolare delle
latitudini, se, come si spera, fra una cinquantina d’anni, col-
l'attuazione ora in corso del programma del Prof. Emanuele
Fergola, sarà constatata oppure non; quella a corto periodo
oramai confermata dalle osservazioni, ne additano pure varia-
zioni della direzione della gravità. Esse dimostreranno, quando
saranno ben conosciute, come ed in qual ragione varii la dire-
zione della gravità col tempo. Le deviazioni della verticale fi-
sica, rispetto alla geodetica di un dato ellissoide di riferimento,
dipendono troppo e dalle costanti di esso, e dalle triangolazioni
che ne forniscono la latitudine geodetica, per poter nello stato
attuale della scienza darci mezzo di investigare le variazioni
della direzione della gravità. È però ammissibile che la gravità
reale e la teorica differiscono di poco sia per l’intensità che per
la direzione.
Bessel definisce come segue la figura matematica della Terra:
e PI
PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1025
“ Quella superficie, in cui verrebbe a giacere la superficie del-
l’acqua di una rete di canali comunicanti col mare; cioè una
delle superficie, alle quali è ovunque normale la risultante di
tutte le forze d’attrazione e della forza centrifuga , (1).
Listing (1872) chiamò geoide la figura matematica della
Terra così definita. Taluni chiamano il geoide, forma fisica, e
denotano la naturale coll’ appellativo di forma vera, e dicono
forma matematica quella dedotta colle misure geodetiche.
Come si vede facilmente, il geoîde non è che una delle
superficie di livello della gravità teorica. Di queste, quelle che
passano per punti situati così da essere accessibili all'uomo, si
dicono superficie geoidiche. Bruns (2) ed Helmert (3) hanno stu-
diato le proprietà delle superficie geoidiche.
Poichè la Terra non è un corpo assolutamente rigido, ma
soggetto, nella disposizione e distribuzione delle parti della sua
massa a variazioni lente e rapide, periodiche e non, così a
tutto rigore il geoide è anch'esso variabile col tempo. È ap-
pena necessario avvertire, che le deformazioni del geoide col
tempo possono venir trascurate per lo scopo complessivo della
determinazione geodetica della forma e grandezza della Terra:
esse debbono venir studiate per scopi geologici e geofisici, ed
a completare le nostre cognizioni intorno a quella forma stessa.
Il geoide è quello che fu sempre chiamato il livello del
mare, anche quando questo non era nettamente definito: si sa
ora che il geoide non molto si scosta da un’ellissoide di rivo-
luzione schiacciata ai poli.
In certe operazioni di geodesia (riduzioni delle basi al li-
vello del mare, livellazioni) si era fino a pochi anni or sono
ritenuto che la sfera potesse bastare quale forma del geoide,
servendosi per le altre di un’ellissoide di rivoluzione. Helmert
(1) Gradmessung in Ost Preussen, p. 427.
(2) Ueber einen Sata aus der Potentialtheorie.. BorcnarDr, “ Journal fiir
Mathematik ,, LXXXI, 1876, p. 349 e nella sua classica memoria, Die Figur
der Erde, 1873.
(3) HeLmert, Die mathematischen und physikalischen Theorieen der
Hòheren Geodtisie, vol. II, 1885. — Vedasi anche Zanotti Branco OrTAVIO,
Le livellazioni di precisione ed il livello del mare, nell’ “ Ingegneria civile e
le arti industriali ,, Torino, 1892.
1026 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO
ha introdotto anche nella livellazione i più moderni ed esatti
concetti.
Nello stato attuale della geodesia e delle misure della
gravità, siamo lontani dal conoscere la forma del geoide quale
fu definito, oggidì noi non ne conosciamo che una forma appros-
simata. Per poter imparare qualche cosa di più occorre avere
qualche proprietà che colleghi quella forma approssimata alla
reale, e più che altro importa il conoscere i sollevamenti e le
depressioni che il geoide presenta rispetto a quella forma ap-
prossimata, o sferoide normale (sferoide di livello di egual po-
tenziale del geoide) (1) in causa delle irregolarità della super-
ficie terrestre, delle quali in quella forma approssimata non si
tenne rigorosamente conto.
D'altra parte ancora il geoide essendo deformabile, in di-
pendenza dello spostarsi delle parti della massa terrestre, viene
a rendersi necessaria la ricerca di un metodo per calcolare tali
deformazioni, affine di potere, in qualche modo sia pur gros-
solano, dai fatti naturali che l'osservazione e la natura ci di-
mostrano, procedere verso la figura teorica che ad essi meglio
s’attaglia (2).
Vale a dire occorre imparare a calcolare l’effetto che può
produrre un’alterazione nella disposizione delle parti della massa
terrestre sopra il geoide od una superficie geoidica qualunque
ben individuata, e che per corrispondere ad una data o sup-
posta distribuzione di massa che si assume come regolare, di-
cesì normale (sferoidi di livello, sferoidi normali di Helmert).
Sulla Terra (astraendo dai bolidi e stelle cadenti) non av-
vengono aggiunte di massa. I fenomeni geofisici non dànno
luogo che a trasporti di massa od a cambiamenti di densità
(1) Vedi HeLmert, Op. cit., vol. II, p. 89.
(2) Il geoide cambia di forma anche col variare della velocità di rota-
zione della Terra, velocità che l’attrito delle maree ed il raffreddamento
terrestre vanno lentissimamente, ma sicuramente, alterando: pur non te-
nendo conto dell’aggiunta di massa per la caduta dei meteoriti e dell’azione
del mezzo cosmico (siane qualsivuole la natura e non nulla la resistenza)
nel quale la Terra si muove col sistema solare. Ma di queste cause, d’al-
tronde oggidì ancora mal note, ora non si tien conto, certi che esse ope-
rano in modo estremamente lento e debole.
PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1027
(alluvioni, frane, depositi fluviali, erosione, moto dei ghiacciai
polari ed alpini, depositi organici, congelamento, squagliamento
di nevi e ghiacciai, evaporazioni, fenomeni vulcanici, trasporti
di sabbia, dune, ecc.).
Un cambiamento di densità equivale per l’effetto mecca-
nico all’ aggiunta od alla sottrazione di una certa porzione
di massa.
E poichè lo sferoide normale, il quale quasi intieramente
coincide con una ellissoide di rivoluzione (1), non è che una
superficie geoidica normale, così lo studio dei distacchi del
geoide dallo sferoide normale diviene quello delle deformazioni
che le irregolarità dello strato superficiale terrestre producono
nello sferoide normale; il geoide venendo così ad essere per
queste ricerche considerato come la superficie geoidica dalle
dette irregolarità perturbata rispetto alla sua corrispondente
normale, che è lo sferoide normale.
Pertanto lo studio delle deformazioni delle superficie geoi-
diche normali, e, coll’avvertenza fatta poc’ anzi, quella impor-
tantissima per la geodesia dei distacchi del geoide dallo sferoide
normale, si riduce alla ricerca dell’effetto che vien prodotto da
un’aggiunta od una sottrazione di massa, la combinazione dei
due effetti darà poi la deformazione totale. — Diremo defor-
mata la superficie geoidica che corrisponde alla nuova distri-
buzione di massa. — Per la ricerca della deformazione delle
superficie geoidiche, vale il seguente teorema.
In un dato punto del geoide (superficie geoidica normale),
l'elevazione della superficie deformata si ottiene dividendo il
potenziale della massa perturbante su quel punto per la gravità
alla superficie della Terra (sferoide normale o superficie geoi-
dica normale secondo i casi, gravità normale).
Questo teorema si trova a pag. 20 della memoria di Ex-
rIco Bruns, intitolata Die Figur der Erde, nella quale non so
se più ammirare la profondità dei concetti, o l'eleganza e con-
cisione dell’analisi matematica. Helmert, che chiama il prece-
dente enunciato feorema di Bruns, ne dà un’altra dimostrazione
a pag. 147 del volume secondo del suo magnifico trattato Die
(1) HeLmert, Op. cit., vol. II, p. 244.
1028 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO
Mathematischen und Physikalischen Theorieen der hoheren Geo-
déisie. La dimostrazione di Helmert è riprodotta da H. Hergesell
nel suo lavoro Ueber die Aenderung der Gleichgewichtsflichen der
Erde durch die Bildung polarer Eismassen im die dadurch verur-
sachten Schwankungen des Meeresniveaus (1). Egli dice pure che
Enrico Bruns fu il primo a dare quel teorema: i brani che qui
sotto riportiamo testualmente, ci sembra invece provino, se non
prendiamo abbaglio, che quel teorema sia stato scoperto da
Pratt, e che da questo insigne geodeta inglese debba quindi
prendere il nome. Enrico Bruns ha troppo meritata fama di
matematico ed astronomo valoroso, perchè l’attribuire a Pratt,
come deve farsi, un teorema, del quale egli ha pur dato ele-
gante dimostrazione, possa nuocergli menomamente. D'altronde
Bruns non accenna neppur lontanamente a voler essere lo sco-
pritore dell’ enunciato teorema, del quale per altro non indica
neppure l’autore, che egli sicuramente ignorava, e giunse al
teorema stesso portatovi, per felice intuito del suo ingegno, dal
corso naturale della ricerca.
Il primo lavoro del S" J. H. Pratt, arcidiacono di Calcutta,
trovasi nel volume 149 delle “ Philosophical Transactions of
the Royal Society of London ,, che è per l’anno 1859, e ne
occupa le pagine 779-796. Fu comunicato alla Società Reale
di Londra da Stokes, segretario allora della Società medesima,
nella seduta del 6 gennaio 1859: il teorema del quale si tratta
ne occupa il capo 20, pp. 794-95. Esso serve a Pratt a calco-
lare, come ne dice il titolo del paragrafo 5, del quale il capo 20
fa parte, il Change of the Sea-level produced by the Mountains
and the Ocean, e precisamente la sopraelevazione del mare a
Karachi sopra il livello del mare al Capo Comorin (India in-
glese).
“ 20. The equation to the surface of a fluid mass acted
“ on by forces XYZ at the point xy2 is,
constant = | (Xdx+Ydy+-Zdz).
(1) Beitréige zur Geophysik. Abhandlungen aus dem geographischen Seminar
der Universitit Strassburg. Stuttgart, 1887.
PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1029
“ In the case of the Ocean the forces are the centrifugal
“ force, the attraction of the general mass of the Earth, and
“ these three disturbing forces W, M, and M; which I have
“ been calculating (1).
“ Let w be the angular velocity of the earth round its
“ axis, 0 the latitude of any point of the surface, r its distance
“ from the earth's centre, a the semiaxis major of the mean
“ meridian. Then w?x and w?y is the centrifugal force parallel
“ to x and y, 2 beeing the earth's axis, and + w®acos®0 is the
“ corresponding part of the above equation. Let V be the po-
“ tential for the earth’s mass, supposed a perfect spheroid of
“ equilibrium differing little from a sphere; E the earth’s mass.
“ Then V differs from i only by a small variable quantity
“ depending upon the ellipticity: let it equal Z(1+U). Substi-
“ tuting these and the three disturbing forces the equation of
“ the surface now becomes
const = È (1 (1+ 0) +4 w a” cos 9 +
+ [Wa finds fase ©
-
n
between the several limits, as already explained, or
E Et tot o
const =-—— (14 U) +-+ w°a°cos°o + Lg;
‘. cons=£ (1+U+ i cre 0) LL 9. (8).
%:
(1) Le forze W, M,, My, calcolate in paragrafi precedenti, rappresentano
l’azione del mare, e delle due parti in cui l’autore divide la regione
montuosa.
(2) X ed « sono quantità che valgono a determinare la posizione del
punto considerato.
(3) g è la gravità.
1030 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO
“ But
1 ed (1 — esen*0) = (1—e-+ ecos°0)
PO
“ is the equation to the surface, e being the ellipticity, when
“ there is no disturbing force.
“ Hence the equation in the present case is
1=-=(1— esen'0) + Lf;
Rs
2
a
r=a(1—esen°0) + L, as g=
ti
Let w be the angle through which the normal to the surface
“ is thrown backwards. Now the tangent of the angle between +
“ and the normal
pol Afedenga DE Mr @lplicag Leda
= — = esen20 +7 WET
»
and ds = rd8 = ad@ being an element of the are of the sur-
face, the Elevation of the surface of the sea in passing north-
wards = f yds=L, between the limits \=0 and \X=17 , (1).
Quindi, servendosi di calcoli precedenti, ottiene il valore
numerico di L, e finalmente quello dell’elevazione del livello
del mare a Karachi sopra quello del capo Comorin.
Nel 1860 apparve la prima edizione del libro di Pratt
A treatise on attractions, Laplace’s functions, and the Figure of
the Earth; a pagine 108-109 troviamo il passo seguente, più
generale :
Pai
n
“ Prop. To find the effect of a small disturbing force pa-
“ rallel to the meridian in changing the Level of the Sea.
“ 106. Let U be the disturbing force and du an element
(1) Dipendenti dalle condizioni geografiche del problema.
PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1081
“ of the line « along vhich it acts. Then { Udu must be added
“ to the potential in the equation of fluid equilibrium of Art. 73.
Me CA af ia È dr,
lore bre u°) + {Udu=-const. at the surface (1).
“Putting w =. i and substituting for V from Art. 91;
(A) const =-2 + ( =. (gh Dai DE
ST
“ Now when the small force U is neglected
Uri 2
Hence, neglecting small quantities of the second order and
dividing by E, and multiplying by a,
«“
a 1 @ (*
pe e lE (È -- n) —_ JUd:
ph = = constant. + e p° — i (Udu.
Comparing this with the value of S when U is neglected,
“
we have
—=14 ep — 4 /Udu.
“ Now D2 is the tangent of the angle between r and
“ the normal = tang. yw suppose.
(1) w è la velocità angolare della Terra; U= così, è l'angolo che r
fa coll’asse 2 di rotazione.
1032 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO
“ Hence è w, or the angle through which the normal is
“ thrown back by the force U, being small,
iù tango = dr =
“ Hence the element ds of the undisturbed meridian line
“ on the surface of the sea is elevated, on the side towards
“ which U acts, by the space,
de.by='g UG de=-G Udu= du;
*. whole elevation of the sea-level "> {Ud U,
“ integrated from the point where U begins up to the point
“ in question ,.
Non potei consultare la seconda e la terza edizione del
libro di Pratt, ma nella quarta (1871) il brano precedente è
riprodotto con poca o punta alterazione, ma coll’ aggiunta :
“ This will be true of any small force acting in any di-
“ rection ,, ed anche coll’omissione del fattore: 7? al terzo ter-
mine del secondo membro dell’equazione che abbiamo chiamata(A),
che è comune alle due edizioni.
Nella quarta edizione poi al denominatore del secondo
termine del secondo membro vi è r? invece di r* come sta nella
prima e come deve essere.
Nella medesima quarta edizione a pag. 212 leggesi il brano
seguente:
“ Prop. To prove that the effect of a mass at the earth's
« surface, whether above or below is to make the sea level rise
at any place through a space V/g, vhere V is the potential of
the mass for a point on the disturbed sea level which is in the
“ same vertical line with the place.
“ 200. Suppose a line drawn from the given place to the
“ earth’s centre, and 9 the angle which a radius vector r to
-
ai
-
n
PS
x
PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1033
any point in the curve of the disturbed sea level makes with
that line. Then — + di is the tangent of the angle between
the radius r and the normal to the curve. This angle is the
deflection caused by the horizontal attraction of the mass;
and its tangent equals the ratio of that attraction to gra-
vity = — 2 di V being the potential of the mass for that
point
ciali pi Pod EV
iuebk in desto
% r + cos.
“ Let r=a (1), where V=0 or the horizontal attraction
of the mass first becomes appreciable, and let V be the value
of V at the place in question:
“ .°. rise of sea level =r—a+V:g ,.
Pratt applica quindi il teorema agli Himalaya.
Il passo seguente che trascriviamo da Helmert (l. c.) ci farà
vedere che il precedente risultato di Pratt è precisamente quello
che ivi è chiamato Teorema di Bruns. Per la spiegazione dei
simboli rimandiamo il cortese lettore al libro stesso di Helmert.
“
“ ABSTAND VON NIVEAUSPHAEROID UND NIVEAUFLAECHE GLEI-
CHEN POTENTIALWERTES.
“ Im vorigen Kapitel ist firr einen Niherungsausdruck U:
des Potentials W der Schwerkraft gezeigt worden, wie sich
mit Hilfe von Schweremessungen die Gestalt der zugehérigen
Niveausphéroide ausserhalb der mathematischen Erdoherflziche
bestimmen làisst. Wir denken uns jetzt ganz allgemein unter U
eine Funktion, welche einen Niherungsausdruck von W vor-
stellt. Wir denken uns ferner zu den Gleichungen W=Wo
und U=W,, unter W, eine Konstante verstanden, die zu-
(1) a è il raggio del livello del mare non perturbato.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI, 70
10834 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO
«“ gehòrigen Flichen aufgesucht. Dann gilt es eine Beziehung
“ zu ermitteln fiir den Abstand QP= N, um welchen sich, die
«“ Niveaufliche W=W, iber das Niveausphàroid U=W, in der
My
“ Normalen PQ des letzteren erhebt. Diese Beziehung kann
«“ dann selbstredend auch fir die besonderen Formen von U
“ Anwendung finden, die im vorigen Kapitel firr Niveausphà-
“ roide ausserhalb benutzt worden sind.
“ Im allgemeinen wird nun in einem beliebigen Punkte
“ der Wert der Funktion U von W abweichen um eine Grosse T:
W=U+T. (1)
“ Ist in dem Punkte insbesondere W=U=W,, so hat T den
“ Wert null. Wir sehen also zunzchst, dass Niveaufliche und
“ Niveausphéàroid sich da schneiden, wo T= null ist. Ist T fiùr
“ einen Punkt Q der Niveaufliche W=W, nicht null, so hat U
“ einerseits nach (1) den Wert W,—T. Andrerseits kann mann
“ von P ausgehend U fiir Q nach Taylor's Satz herleiten und
«“ zwar fiir kleine N in erster Anniherung wenn beliebige
“ Hoòhen ilber P_mit % bezeichnet werden:
U=W+(G),N+ R
“ Da aber auch U=W,—T gefunden war, so folgt sufort
“ aus der Gleichsetzung beider Ausdriicke
N=—
PER LA STORIA DELLA TEORIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1035
<« oder mit Festsetzung, dass N nach aussen wie in Fig. I,
«“ gezahlt wird:
N=1 + TORO, 2)
« worin Y die der Funktion U in P entsprechende Beschleuni-
“ gung der Schwere bedeutet.
«“ In den Fallen des vorigen Kapitels bezeichnet y die nor-
“ male Schwerkraft.
“ Die Relation (2) hat H. Bruns in seiner Figur der Erde
« S. 20 angegeben und zwar in der Gestalt A=—T:Ycose.
« Hierbei bedeutet % die Tiefe des Sphiroids U=W, unter der
“ Niveaufliche W=W,, gemessen in der Lotrichtung von Q,
“ wenn in Q die normale Schwerebeschleunigung gleich Y ist
“ und die Lotrichtung, daselbst mit der Richtung der normalen
“ Schwerkraft den Winkel e einschliesst. Praktisch genommen
« laufen beide Formeln, die Brunssche und (2), auf dasselbe-
“ hinaus. Doch ist bei Bruns die Entwiklung eine etwas andere.
“ Da man die Werte von T im Niveau der Meeresfliche,
“ welche einem wie in vorigen Kapitel auf grund der Schwe-
“ remessungen zu bestimmenden Niveausphéroid U entsprechen,
“ nicht kennt, so kann man von der Formel (2) allerdings kei-
“ nen Gebrauch machen, um die Undulationen der Meeresflîiche
“ gegen ein Niveausphéroid gleichen Potentialwertes zu ermit-
“ teln. Nichtsdestoweniger ist die Formel von hoher Bedeutung,
wie aus den zahlreichen Anwendungen derselben in diesem
Kapitel hervorgehen wird.
“ Wir werden sie als das Theorem von Bruns bezeichnen ,.
La magnifica e feconda teoria della condensazione, esposta
in seguito da Helmert, si giova continuamente del teorema di
Pratt-Bruns.
Di questa teoria l’astronomo francese Tisserand ha fatto
una succinta esposizione nel volume secondo del suo grande
trattato di meccanica celeste, nel quale, a pagine 354-355,
espone egli pure il teorema che ci occupa, che anch'egli attri-
buisce a Bruns.
Ed ora ci si consenta di riprodurre la dimostrazione di
Bruns (1. c.): anche qui per la spiegazione dei termini siamo
costretti a rimandare alla memoria originale :
n
[AI
1036 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO
n
R
“ Wir betrachten jetzt die Werthe der Function U als die
eigentlich normalen Werthe und demgemiss die Differenzen
T=W_0 als Stérungen oder Anomalien, welche durch die
Unregelmissigkeiten in der Massenwertheilung der Erde her-
vorgerufen werden. Die Gròssen
9U dU dU dW dW dW dT òdT èdT
dae dy' de de dy de de 0 de
stellen dann in jodem Punkte der Erdrinde die Componenten
der theoretischen Schwere y, der wirklichen Schwere 9 und
der Stòrung dar.
“ Y-g ist die Stòrung der Intensitàt der Schwere; der Win-
kel e zwischen 1 und 9 oder die Lothablenkung ist durch
die gleichung
__ QU dW | dU dIW ) du dW
ALe e ce pe
bestimmt. e ist ebenso wie 9 eine stetige Function des Ortes
oder der Coordinaten; aher die ersten Ableitungen von e în-
dern sich ebenso wie die von g sprungweise, wenn sich die
Dichtigheit sprungweise fndert ,.
Qui seguono alcune considerazioni non necessarie al teo-
rema, la cui dimostrazione si trova nelle linee seguenti a pa-
gina 20:
PSI
“ Die Hebungen und Senkungen eines Geoids relativ gegen
ein Sphàroid ermittelt man am kiirzesten auf folgende Weise.
Es sei P(xy2), auf ein beliebiges Axensystem bezogen, ein
Punkt des Geoids W=U,, die Verticale in P_treffe das Sphé-
roid U=U; inQ, und es sei PQ=}, positiv gerechnet wenn
die Streche von P. nach Q nach aussen gerichtet ist. Die
Coordinaten von Q sind dann,
Hieraus folgt, da U in A gleich U, ist, unter Vernachlis-
sigung der hòheren Potenzen von %
PER LA STORIA DELLA TEURIA DELLE SUPERFICIE GEOIDICHE 1037
u=t_-i($ +7 dW dU dla
gd de cd de de
“ oder da in P
U=W_-T=U0,—- T ist,
(1)
E
Y cose
h=+
“ Der Werth der Function T misst also, abgesehen von den
nahezu constanten Factor Y cos e, unmittelbar die Hebungen
und Senkungen des Geoids, und zwar bezogen auf dasjenige
Sphéroid, welches mit dem Geoids den gleichen Potential-
« verth U, besitzt. Positiven Werthen von T entspricht eine
Hebung, negativen eine Senkung ,.
Colla scorta di questi documenti, giudichi il cortese lettore,
se sia giusta ed accettabile la nostra proposta di denominare
da Pratt, o per lo meno da Pratt e Bruns il teorema la cui
storia forma l'oggetto della presente nota.
Per la deformazione delle superficie geoidiche, di uno sfe-
‘roide di livello o della sferoide normale, sono importanti i la-
vori seguenti :
Sarcev, Petite Physique du globe. Raro e poco noto libretto,
pieno di vedute originali e di idee profonde. In due capitoli di
esso si dànno, senza dimostrazione, formole per calcolare la
sopraelevazione del livello del mare prodotte da masse pertur-
batrici: questi due capitoli sono il CXIX e CXX del volume
secondo (1842), pp. 247 e 252;
Fiscner Puiripp, Untersuchungen iiber die Gestalt der Erde
(1868), che, pur tenendo conto dei giusti appunti di Bruns ed
Helmert, merita ancora oggidì di essere studiato.
StoKEs, On the variation of gravity at the surface of the Earth
(“ Cambridge Philosophical Transactions ,, VIII, 1849, pp. 672-95;
“ Philosophical Magazine ,, XXXV, 1849, p. 228, e “ Mathema-
tical Papers ,, vol. II).
(1) Si vedrà facilmente che l’Uy di Bruns è il W, di Helmert.
1038 0. ZANOTTI BIANCO — PER LA STORIA DELLA TEORIA, ECC.
Su questa memoria di Stokes vedasi HELMERT, T'heorieen
der Hoheren Geodtisie, vol. II, e Bruns, Die Figur der Erde.
Sulla teoria di Stokes, ha pubblicato un lavoro il signor W. HER-
ceseLL. Quel lavoro pubblicato nel 1890 a Buchsweiler in Ger-
mania, come aggiunta ai programmi ginnasiali, come suolsi
fare in quel dotto paese, ha per titolo: Ueder die Formel von
G. G. Stokes zur Berechnung regionaler Abweichungen des Geoids
vom Normalsphdiroid. Ci sembrano, circa questo lavoro, più che
giustificate le osservazioni che vi fa il D'*° Bòrsch in una re-
censione stampata nel “ Jahrbuch iiber die Fortschritte der Ma-
thematik , pel 1890 (Berlin, 1893). Sulla formola di Stokes, ne
piace qui menzionare due pregevoli scritti del chiar.®° profes-
sore Pizzetti: Sulla espressione della gravità alla superficie del
geoide supposto ellissoidico, Note due; “ Rendiconti R. Accademia
dei Lincei ,, 1894; Intorno alla determinazione teorica della gra-
vità alla superficie terrestre; “ Atti dell’Accademia delle Scienze
di Torino ,, 1896.
Hann, Ueber gewisse betrichtliche Unregelmissigkeiten des
Meeres-Niveaus, Gaea, 1876.
THowson and Tarr, Natural Philosophy (1883), vol. II, p. 351
e seguenti.
Il teorema di cui si trattò più sopra è dato anche da Guyx-
THER, a p. 203 del volume primo del suo Lehrbuch der Geophysik
und Physikalischen Geographie; nonchè a p. 444 del suo Hand-
buch der Mathematischen Geographie (1890).
G. B. RIZZO — LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, Ecc. 1039
La durata dello splendere del Sole sull’orizzonte di Torino;
Nota del Dott. GIOVANNI BATTISTA RIZZO
Assistente all’Osservatorio della R. Università di Torino.
La radiazione solare è la prima cagione dei fenomeni me-
teorologici, perciò questi diventano più chiari e se ne possono
più razionalmente studiare le variazioni quando si studiano in
relazione colla radiazione medesima.
Per la conoscenza esatta della quantità di energia che il
sole irradia sopra una regione, in un determinato periodo di
tempo, sarebbe necessario uno strumento che di istante in
istante, senza interruzione, registrasse la quantità di calore
raccolto da una superficie assorbente: tuttavia si possono già
ottenere dei risultati importanti per la spiegazione dei fenomeni
meteorologici più comuni determinando per quanto tempo il
sole risplende sull’orizzonte nelle diverse ore del giorno e nei
varî periodi dell’anno.
Per registrare lo splendere del sole si adopera uno stru-
mento chiamato eliofanometro. Questo è formato da una lente
sferica, dietro la quale si dispone, perpendicolarmente al meri-
diano, una striscia di carta in tale posizione che, cadendovi sopra
l’immagine del sole, la faccia annerire o la bruci nel punto
colpito. Se il sole risplendesse senza interruzione, l’immagine
descriverebbe un arco di circonferenza (trascurando la piccola
variazione del sole in declinazione) con una velocità di 15° al-
l’ora. Resta perciò molto facile determinare per quanto tempo
risplende il sole esaminando la porzione di carta annerita che
corrisponde alle diverse ore della giornata.
I risultati contenuti in questa nota sono dedotti dalle de-
terminazioni fatte dall'anno 1890 al 1895 e sono raccolti nelle
tavole seguenti, che dànno per ogni decade il numero medio dei
minuti in cui il sole risplende nelle diverse ore del giorno e poi
la durata totale A dello splendere del sole nella giornata. A
questi numeri è aggiunto il rapporto fra la durata dello splendere
del sole e quella del tempo B in cui il sole rimane sull’orizzonte.
GIOVANNI BATTISTA RIZZO
(Tempo vero locale)
1040
|
|
|
|
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|
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ld») I = <| = 5 mu; < N o Zi (n
LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE SULL’ORIZZONTE, ECC. 1041
Ì | Ora
-13.|13-14|14-15°%)15-16%|16-175) 17.18. 18-192) 19-20) rela A B $
del Sole
1.3|14.0|14.5| 9.7) 04 162 262/12 18m|gh 59m 0,146
9.8|11.9|10.9| 5.2| 0.2 16 84 (0 54| 9 7|0.097
0.8\23.0 243/174] 5.2 16 45 |2 21 | 9 300.247
4.0 |25.3|25.8|26.7|13.3 16 57 2 47 | 9 540.281
3.8|27.5/30.8|32.8|21.9| 1.7 17 10 |3 43 [10 21|0.359
0.9|20.7|19.2/19.3|17.7| 5.2 17 25 |2 49 {10 51|0.259
5.9 | 38.0|39.0 | 36.3 | 34.1 | 10.8 17 42 |5 21 [11 23|0.470
5.7 |25.8 26.6/25.4|21.2] 8.0 17 57 {3 58 [11 53|0.3383
1.4|40.6/395|38.3/32.8|10.2| 0.1 18 13 |6 9 [12 26/0.501
7.6|41.5|40.0|38.0|27.4| 7.2] O.1 18 29 |5 42 [12 58|0.440
7.8|28.3|31.6|30.6|22.0| 9.6| 0.2 18 45 |4 45 |13 29] 0.352]
18.5 |29.7|27.3|26.3/23.2/14.9| 12 19 00 |4 58 |13 590.355
7.2|25.3|23.8|24.6|/22.2/11.0| 0.5 19 13 |4 8 |14 26|0.286
#7.1|38.8|32.7|33.3|26.3|13.2| 1.0 19 26 |6 9 [14 51|0.414
7.3 25.9|249|24.9|22.7 12.2) 1.2 19 36 |4 40 |15 11|0.307
16.8|28.7|27.1|24.9|24.6|20.0' 4.1 19 43 |5 26 [15 26|0.352
33.0 | 33.8|29.7|31.3|291|27.3| 7.1 19 46 |6 18 [15 3310.405
}7.7|844|31,3|30.2|31.5|26.3| 5.6 19 46 |6 57 |15 83|0.447
59.2 \37.4|33.9|29.7/28.1|25.3| 2.2 19 43 [6 56-|15 270.449
33.0|29.0|29.7|29.2|26.7|23.8| 5.9 19 37 |6 24 |15 14|0.420
9.3|41.0|833.:9|38.6|29.8|24.2| 2.3 19 26 |6 57 [14 53/0.466|
39.5 | 38.5|34.7|85.9|82.5|219| 3.2 19 13 [6 49 [14 28|0.471
L6.3|41.8|40.1|39.7|35.1|23.0| 2.6 18 59 |7 27 14 00.532
5.1 42.1|41.8/39.3|38.2|22.2| 10 18 45 |7 18 [13 30|0.540
13.6 |41.8|89.2|42.7|836.4|16.1 18 28 [6 54 [12 58|0.532
D.0|32.3|29.5|29.1|26.2| 7.8 18 14.|4 48 |12 29|0.390
}7.5|344|30.7|33.2|25.7| 2.2 17 58 |4 45 |11 57|0.397]
D8.5 |26.4|23.8|19.6|17.7| 0.5 17 42 |3 14 11 26|0.282
30.9 |32.6|32.8/32.6|19.1| 0.9 17 26 |4 15 |10 54/0.390|
22.3 |26.2|23.2|18.8| 8.2 17 11 (2 35 [10 23| 0.248
#8.2/20.7|19.9|17.2| 3.7 16 56 /2 4 | 9 540.209]
W4.717.3/15.7/10.8| 1.2 16 43 |1 26 | 9 28/0.151
Mi 147 15.6) 7.705). 16 84 115|9 80.137
20.4|23.9/20.1| 7.6) 0.5 16 26 |2 3 | 8 52/0.231
Mi (22.7 21.1|102 16 22 2 1|8 44|0.281
Me 18.6162" "72! 0.1 16 21 |1 30 | 8 42/0.172
1042 GIOVANNI BATTISTA RIZZO
Di qui si vede primieramente che nel periodo di un anno
le ore di Sole non sono sempre ugualmente distribuite prima
e dopo il mezzogiorno vero. E siccome queste variazioni si col-
legano colle più notevoli proprietà climatologiche di Torino, così,
perchè riescano più evidenti, nella tavola I sono rappresentate
le variazioni giornaliere dello splendere del Sole in alcuni mesi
scelti ad esempio.
Nell'inverno il Sole risplende poco nelle ore mattutine,
sopratutto a cagione della nebbia, e poi il cielo si va rassere-
nando nel pomeriggio. Nell’estate invece il cielo è più sereno
nel mattino e il Sole raggiunge una massima durata di splen-
dore fra le 8° e le 9°, per diminuire un poco in seguito e per
raggiungere poi il massimo fra le 10° e le 11°.
La durata dello splendere del Sole in un giorno dipende
naturalmente dalla stagione, ossia dalla declinazione solare che
determina il tempo in cui il Sole rimane sull’orizzonte (1). Ma le
particolari condizioni meteorologiche di una regione, le quali
mutano in modo molto vario, fanno sì che il cielo sia talora
coperto di nubi e perciò la massima e la minima durata del-
l'effettivo risplendere del sole non coincide con la massima e
con la minima durata del sole medesimo sull’orizzonte. Anzi lo
studio di queste variazioni dello splendere del Sole può servire
a determinare la legge colla quale variano parecchie altre con-
dizioni climatologiche, come sarebbero l'umidità dell’aria, la
nebulosità, ecc.
La tavola seguente riassume quella che precede e indica
per ogni decade dell’anno (a) la media durata del Sole sull’oriz-
zonte di Torino in un giorno; (b) il numero medio delle ore in
cui il Sole risplende, secondo le osservazioni fatte dal 1890
al 1895; (c) questo numero medesimo, quale risulterebbe per
ciascuna decade calcolandolo con la formola periodica di cui dirò
in seguito, e per ultimo (d) il rapporto fra il tempo in cui splende
il Sole in un giorno e la durata di esso sull’orizzonte, rapporto
che si può chiamare durata relativa dello splendere del Sole.
(1) Vi sono delle formole semplici, date dall’Astronomia sferica, che
permettono di calcolare la durata giornaliera del sole sull’orizzonte ad ogni
latitudine e per ogni valore della declinazione solare: i dati contenuti in
questa nota sono estratti dalle Effemeridi calcolate dal Dott. V. Balbi.
ut, rr Ere nr Te
LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE SULL'ORIZZONTE, ECO.
DECADE
Gennaio. . .
Febbraio . .
Marzo. ...
Aprile. . ..
Maggio . . .
Giugno . ..
Luglio
Agosto . . .
Settembre .
via td
Novembre .
Dicembre . .
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Durata del Sole
sull’orizzonte
(a)
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dl
42
00 00 00 DS DO
Ore di Sole
osservate
(8)
19188
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Ore calcolate
(c)
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JP O URA Suo 05209 JO%o SSUT nodi NNO OH o DAT
vuo nat dn d0 do 40 do do 00
1043
Durata relativa
ello
splender del Sole
(d)
0.216
.241
.270
.296
.319
.397
904
.972
.399
.597
.598
.399
.377
874
.365
.362
.368
10004
.405
494
.466
494
.512
515
.500
474
.418
.360
.298
.235
.176
.149
41
144
.161
.187
1044 GIOVANNI BATTISTA RIZZO
I numeri della colonna (2) che esprimono il tempo per cui
splende effettivamente il Sole in un giorno sono dedotti dalle
osservazioni fatte in una breve serie di anni e perciò serbano
le tracce di variazioni dovute a cause puramente accidentali e
non possono esprimere la vera legge colle quali varia la durata
dello splendere del Sole. Tuttavia questi numeri servono a de-
terminare una formola periodica che rappresenta la legge me-
desima con sufficiente esattezza: e si trova così che la durata
S dello splendere del Sole in un giorno determinato dall’arco e,
nel periodo di un anno, si può esprimere con la formola:
S= 42 219,81 — 2% 802,39 cose + 0%, 102,59 sen a
— 0. 24,13co822+ 0. 51,65 sen2e
— 0. 5,94cos32 — 0. 18,84sen32
oppure:
S = 402]m81 + 230,77 sen (274° 01' + 2)
+ 0 57,01sen (334 58 + 22)
+ 0 19,75 sen (107 30 + 32).
Con queste formole sono calcolati i numeri della colonna
(c) nella tavola precedente.
Per rendere più evidenti le variazioni dello splendere del
Sole nel periodo annuo si sono costruiti i diagrammi della
tavola II coi numeri contenuti nella tavola precedente.
La durata totale dello splendere del Sole in un giorno
sull’orizzonte di Torino è minima tra la fine di novembre e il
principio di dicembre, e aumenta rapidamente nei mesi di feb-
braio e di marzo. Sul finire di aprile e nel mese di maggio vi
ha una nuova diminuzione che coincide col nostro periodo prin-
cipale delle pioggie: e cresce poscia rapidamente fino a rag-
giungere il suo massimo annuale nel mese di agosto.
Il minimo della durata relativa dello splendere del Sole
cade anch’esso fra il novembre e il dicembre in coincidenza col
periodo delle maggiori nebbie; in maggio vi ha un altro minimo
notevole e il massimo principale si ha sul finire di agosto.
È utile di confrontare la durata relativa dello splendere
del Sole a Torino con quello di alcune altre città il clima delle
PE E IZ LEO TP TE TOPO
PA OSIEZZRA
EA
G.B.RIZZ0-La durata dello splendere del sole sull’orizzonte di Torino
Andamento giornaliero dello splendere del sole
Febbraio
Ore 4 5 6 7 8 digit. 1a 18 1645161 RISI
| sssssssSàza = ss
|
ore 4 ò 6 7 8 9 I ERO SAS 15-10: 17 MB
! | |
| |
UN ORE
intervallo di
073 SRI NEI PO IDO O E OOO DIS O O N A A
| | | |
i
|
|
in ciascun
sole
di
Minuti
Novembre
ore 4 3) 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15-16 17 18 19 20
Atti R.Accad. delle Sc. di Torino - POLAT
A). Durata del sole sull'orizzonte in un giorno
GENNAIO FEBBRAIO MARZO APRILE MAGGIO GIUGNO LUGLIO AGOSTO SETTEMBRE OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE
PMI | | DUAL | | ide
Ore 16
|
Ei
8 i
B). Media durata dello splendere del sole in un giorno
8 GENNAIO FEBBRAIO MARZO APRILE MAGGIO GIUGNO LUGLIO AGOSTO SETTEMBRE OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE
valori osservati
A valori calcolati
C). Durata relativa dello splendere del sole
GENNAIO FEBBRAIO MARZO APRILE MAGGIO GIUGNO LUGLIO AGOSTO SEITEMBRE OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE
:
Î
Ì
il
|
i
0,70
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0,50
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A n
LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE SULL’ORIZZONTE, ECC. 1045
quali è ben noto; e la tabella seguente contiene questi dati per
Torino, Roma (1), Pietroburgo (2) e Bukarest (3).
Torino Roma Pietroburgo| Bukarest
Gennaio 1001, 0.242 0.40 0.16 0.26
Febbraio. .... 0.317 0.48 0.28 0.31
Marzo... 0.373 0.42 0.36 0:36%+:7)
prio... n 0.396 0.47 0.45 0.45
Maserot: 0 0372 0.52 0.46 0.55
Giuonens 48 4) 0.369 0.63 0:52 0.56
Baalto: ontereo 0.435 0.75 0.49 0.69
MISOSHO 1g 0.507 0.75 0.48 0.72
DSektembre". 0.464 0.61 0.37 0.61
Oktobre-;. 34 0.298 0.52 0.23 0.48
Novembre . ... 0.155 0.46 0.11 0.35
Mirembre + 0.164 0.39 0.10 0.22
j
Di qui si vede che la durata dello splendere del Sole a
Torino è molto breve, specialmente nell’estate, rispetto a quella
che si ha altrove. E questo fatto che è dovuto alle nubi le
quali occupano con grande insistenza la valle superiore del Po,
dimostra quanto sia abbondante il vapor acqueo che quivi si
raccoglie e spiega una delle più notevoli particolarità del clima
di Torino, che è quella di avere la massima temperatura gior-
naliera notevolmente dopo l’ora ordinaria del massimo.
(1) P. TaccHini, “ Rend. della R. Accademia dei Lincei ,, vol. V, fasc. 5°,
pp. 139, 1896.
(2) J. Scnurewrrsca, “ Rep. fiir Meteorologie ,, XVII, 1894.
(3) S*-H. Hepires, “ Meteorologische Zeitschrift ,, XII, pag. 116, 1896.
1046 VITTORIO BALBI
EFFEMERIDI
del Sole e della Luna per l'orizzonte di Torino e per l'anno 1897
calcolate dal Dott. VITTORIO BALBI
Assistente all'Osservatorio della R. Università.
PRINCIPALI ARTICOLI DEL CALENDARIO
PER L'ANNO 1897.
Anno 6610 del periodo Giuliano.
Anno 2650 della fondazione di Roma (secondo Varrone).
Anno 1897 del Calendario Gregoriano stabilito nell’Ottobre 1582;
comincia il Venerdì 1° Gennaio.
Anno 1897 del Calendario Giuliano o Russo; comincia 12 giorni
più tardi, il Mercoledì 13 Gennaio.
Anno 5657 dell'Era degli Ebrei; comincia il Martedì 8 Set-
tembre 1895 e l’anno 5658 comincia il Lunedì
27 Settembre 1897.
Anno 1314 dell’Egira, calendario Turco; comincia il Venerdì
12 Giugno 1896 e l’anno 1315 comincia il Mercoledì
2 Giugno 1897, seguendo l’uso di Costantinopoli.
Computo Ecclesiastico. Quattro Tempora.
Nuamero Dro N GAI Marzo e...» 10, 4260,
PINA 9 IENE e O Graeno-:. 0. 9555
Giclo<Bolare 04 AR Settembre . . 15, 17 e 18
Indizione Romana. . . 10 Dicembre: .. 15,-176368
Lettera Domenicale . . 0
EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA
Settuagesima
Ceneri.
Pasqua
Rogazioni
Ascensione .
Pentecoste
SS. Trinità .
Corpus Domini .
I Domenica dell’ ta
Principio delle Quattro Stagioni.
Primavera .
Estate .
Autunno
Inverno .
Feste Mobili.
14 Febbraio
8 Marzo
18 Aprile
24, 25 e 26 Maggio
27 Maggio
6 Giugno
13 Giugno
17 Giugno
20 Marzo
21
22
21
Giugno
ore
”
Settembre ,
Dicembre
”
28 Novembre
9, min.
5)
19
14
”
”
”
16
23
49
13.
1047
1048 VITTORIO BALBI
Gennaio 1897.
Fasì della Luna.
3 Luna nuova alle 7h 3
10 Primo quarto , 22h 46m
18 Luna piena s 212170
25 Ultimo quarto , 21h 9m
GIORNO TEMPO MEDIO DELL’EUROPA CENTRALE
2 O) S Il SOLE La LUNA
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> DE passa Z passa
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1 1 V |8 10|12 33 12,95 |16 56 6 42 10 44,9 14 47
2 2 S 10 38 41,06 57 745 11 48,1 15. 58
3 5) D 10 33 spo 58 8 26 12 48,8 LISTS
4 4 L 9 84 36,16 59 9 13 13 45,4 18 25
5) 5) M 9 SO LiACO) 9 43 14 36,7 19 40
6 6 M 9 89 29,51 T|l'* 404 6 15 23,4 20 52
7 t G 9 35 55,45 DO 16 6,9 220
8 8 V 9 36 20,87 3 10 45 16 48,1 29 9
909 S 9 86 49,72 4| 11 0 17 28,4 ——
10 | 10 D 8 37. 10,00 6. CLI A 18 9,0 0.9
Jil AioE L 8 dd, 33,67 || 11 896 18 51,0 114
12 |:12 M 7 87 56,71 812 0 19 35,3 2 18
13 | 13 M 7 SSLL9:110 9.227 20 22.5 sò 24
14| 14 G 6 38 40,83 10; || ©2132 21 12,9 4 29
I15ajtlo V 6 SI 1599 12) 13 47 22 6,8 5 80
16 | 16 S 5 39 22,22 13|| 14 41 23 0,7 6 27
I Er ag D 5 39 42,86 14) 15 46 23 55,4 715
18 | 18 L 4 4001077 16) 16 57 = 7 55
19 | 19 M d 40 18,95 17] 18 12 0 48,9 Be21
20.| 20 M 3 40 36,38 18|| 19 28 1 40,2 8 54
210021 G 2 40 58,05 20] 20 43 2 29,4 9 16
22 | 22 V 1 41 8,97 21 ||. 21 59 317,9 9 37
230/23 S 0 41 24,12 22] 22 25 4 4,1 9 57
24 | 24 D |7 59 41 38,50 24 == 4 53,0 10 19
25 | 25 L 58 41 52,11 25 0 33 5 48,2 10 43
26 | 26 M 57 49. 4,93 27 152 6 36,6 11:12
27| 27 M 57 42 16,95 28 3 12 7 33,5 11 50
28 | 28 G 56 42 28,19 29 4 28 8 33,7 120301
29 | 29 V 54 42 38,62 81 5 34 9 35,2 1337
580 | 30 S 58 42 48,24 82 6 28 10 35,5 14 47
sl | 81 D 52 42 57,05 84 TELO 11 32,7 16002
Età della Luna
Il giorno nel mese cresce di 0% 56m
11 La Luna è in Apogeo alle 21%
25
Id.
Perigeo ,
15h
Il Sole entra nel segno Acquario
il giorno 19 alle ore 19 min. 7.
EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 1049
Febbraio 1897.
GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È
Mori 393 dae i E
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| [nasce al = nasce al tramonta | -£
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32 1 Ties 2049t8 1505081735 742 12 25,6 17 18 80
33 2 M 50 AS AZ: 87 SA 13 14,2 18 S1 1
94 3 M 49 43 18,58 98 8 28 15 59,3 19 42 2
35 4 G 47 43. 24,12 39 8 47 14 41,7 20 48 DI
36 5 V 46 43 28,83 41 9 4 1512238 21 54 4
37 6 S 45 43 32,71 42 9 22 16455% 22 58 15)
38 n D 44 43 35,77 44 9 40 16 45,3 e gal 6
99 8 L 42 43 838,03 45 10 1 17 28,5 0 4 7
40 9 M 41 43 39,48 47| 10 27 18 14,3 TS) 8
41 | 10 M 39 43. 40,12 48| 10 58 19 2,8 lo 9
42 | 11 G 98 43 39,98 49| 11 37 19 54,3 sullo 10
450/012 V 87 43 89,06 51 1227 20 47,7 4 15 al
44 | 13 S 35 43‘ 37,36 52] 13 26 21 42,1 5 6 12
45 | 14 D 38 43 34,91 54|| 14 45 22,'36,2 5 49 13
46 | 15 L 32 43 31,73 55 || 15 48 23 28,8 6 25 14
47 | 16 M 80 43 27,81 DI 17 5 008. 6 54 15
48 | 17 M 29 45 23,19 58 || 18 23 0 19,8 719 16
49 | 18 G 27 43 17,86 59] 19 40 1 94 741 17
50 | 19 V 26 43 11,87 |18 1) 20 59 1 58,9 83 18
bl | 20 S 24 43: A AbiOl Zi 2 Zi9 2 47,6 8 24 19
52. 21 D 22 49 57,92 4| 23 40 9 35,6 8 47 20
59.22 L 21 42 50,01 5 dA 432,2 915 Dil
54 | 28 M 19 42 41,49 7 ilgai 5 28,9 9 50 22
55 | 24 M 17 42 32,39 8 ZAl9 6 28,2 10 35 29
56 | 25 G 15 4922,72 10 DIAZ 7 28,9 N50 24
57 | 26 V 14 49° 12,50 11 4 25 8 28,8 12 36 25
58 | 27 S 12 42€ 01/5 12 SM, 9 26,0 13 46 26
59 | 28 D 10 41 50,47 14 5 44 9 19,2 loi Zi
|
Fasi della Luna.
1 Luna nuova alle 21h 18m
9 Primo quarto , 20% 25m
17 Luna piena ps 1b1lm
24 Ultimo quarto , 4h 44m
Il giorno nel mese cresce di 1h 22m
8 La Luna è in Apogeo alle 19%
20 Id. Perigeo , 14h
Il Sole entra nel segno Pesci il
giorno 18 alle ore 9 min. 37.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 71
1050 VITTORIO BALBI
Marzo 1897.
GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È
HH
2 | o È II SOLE La LUNA a
sa passa = passa =
licet a [nasce al s nasce al tramonta| £
3 ro) ND meridiano pa meridiano [cal
hmjhm s hm ice: h m h m
60 1 L |7 9|12 41 38,69 (1815 6 11 11 ;,8:3 16 16 28
Gl 2| M 7 41 26,41 17 6 32 11 53,9 17 26 29
62 3 M 5) 41 15,66 18 6 52 12 36,9 18 34 30
63 4 G 3 41 0,45 19 79 13 18,3 19.39 1
64| 5) V 1 40. 46,79 21 726 13 59,2 20 45 2
65!| +68 |0eS 0 40 32,70 22 745 14 40,6 21 49 3
66 7 D |6 58 40. 18,19 23 85 15 23,8 22 55 4
67 8 L 56 40. 3,29 24 8 29 16 8,0 23 59 5)
68 9: (paM D4 89. 48,01 26 8 58 16 55,2 nu 6
69 | 10 M 52 89. 32,38 27 9 33 17 448 To? 106,
7 11 G 51 39 16,40 28 || 10 18 18 36,7 22 8
pia V 49 9910:09 380| 11 12 19 29,7 2 56 D
Maulvie: as 47 38. 43,50 81 12 15 20 22,8 3 4l 10
73 | 14 D 45 38 26,61 32] 13 24 Qlilo,1 4 20 ll
74 | 15 L 43 38 9,48 354| 14 39 22 6,2 4 52 12
75 | 16 M 41 87 52,10 35 || 15 55 22 56,2 5 18 13
768 0le seiM 39 87 34,52 36] 17 13 | 23 45,7 5 44 14
77048 G 37 37 16,74 38 || 18 33 _— 6 4 15
78 Y49: | 36 36 58,80 59|| 19 54 0 35,8 6 25 16
79|20| S 34 36 40,72 40.21 17 127,5 6 49 17
80 | 21 D 32 86 22,52 41| 22 42 2 21,8 TI1D 18
i 81)|22 L 30 36 4.23 43 —— 3 19,3 7 49 19
82|23| M 29 35 45,87 44 0 4 4 19,9 8 32 20
83 | 24 M 26 35 27,47 45 1 18 5 22,0 9 24 21
84 | 25 G 24 35. 9,05 46 220 6 23,0 10 29 22
85126) V 22 384 50,63 48 OT 9 1 24,9 11 40 23
86 | 27 S 21 384 32,23 49) 8 46 8 16,1 12 54 24
87 | 28 D 19 84 13,87 50] 414 900,9 14 6 29
88 | 29 L 17 83 55,96 52] 4 88 9 51,9 15 16 26
89|30| M 15 33 37,33 53) 4 58 10 35,0 16 23 27
90 | 31 M 13 38 19,18 D4 5 16 11 16,4 17 28 28
Fasi della Luna. Il giorno nel mese cresce di 1h 37m
3 Luna nuova — alle 12h 560 8 La Luna è in Apogeo alle 14h
11 Primo quarto =, 16h 28m 20 Id. Perigeo , 13%
Luna piena n 22% 280 Il Sole entra nel segno Artete il
25 Ultimo quarto , 13% 0m giorno 20 alle ore 9 min. 16.
EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA i 1051
Aprile 1897.
GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È
3
Diu ll SOLE La LUNA 3
E |\S|sf "I n 3
i FL passa È passa bi:
F |a | È (nasce al È nasce al tramonta| £
= S D meridiano E meridiano [cal
h m hm Ss hm him h m h m
91 1 G |6.11|12.33.. 1,13 |/18 55 5 93 11 57,1 18 32 29
92 2 V 9 32. 43,21 97 5. Dl 12 38,0 19 38 1
98 3 S t 32 25,42 58 6 11 13 20,2 20 47 2
94 4 D 6 OZ I aT9 59 6 33 14 4,1 21 48 6)
95 5) L 4 sl. 50,92 [19 0 6 59 14 50,4 22 52 4
96 6 M 2 81. 83,04 2 Mit98 15 39,0 23 52 5)
97 7 M 0 S1 15,94 3 813 16 29,6 = 6
98 8 G |5 58 80. 59,07 4 9 4 17 21,4 0 48 “
99 9 V 56 30. 42,43 6 10 1 18 13,3 1 86 8
100 | 10 S 55 80. 26,04 A GALLO 7 19 4,5 2 16 9
TORO D 93 90. 9/91 Sil BAl20 9 19 54,6 2 49 10
102 | 12 L |) bl 29 54,07 9 13 41 20 43,7 SLY 11
103 | 13 M 49 29. 88,51 11) 14 46 21 32,2 9.158 12
104 | 14 M 47 29 23,27 10) RALBe3 ZQMZIA1 4 4 18
105 | 15 G 46 29% 8996 13. 17023 23/1057 4 25 14
106 | 16 V 44 28. 58,80 14| 18 46 —— 4 48 15
HOT IT: S 42 28 39,61 16) 20 11 015,0 o 13 16
108 | 18 D 4l 28. 25,81 17/2137 1° 82/3 5 44 17
109 | 19 L 39 28 12,41 18.)| 22 59 2095 6 24 18
110 | 20 M 37 27. 59,44 19 = 97,5 14 19
REI «| 21 M 85 27 46,92 21 0 8 4 11,5 8 17 20
Jai2 (022 G 94 27 34,86 22 14 5 13,6 9 28 21
IS |-28 V 92 ZI 2827 23 146 6 10,9 10 45 22
114 | 24 S S1 ALT 24 2 18 713,0 11 57 23
LI | 25 D 29 Trie-4159 26 2 42 7 50,4 13 8 24
116 | 26 L 27 26 51,48 27 8 4 8 34,5 14 16 25
diri | 27 M 26 26 41,90 28 8 22 9) 16,2 15 21 26
118 | 28 M 24 26 32,85 29 9 39 9 56,6 16 26 27
119 | 29 G 25 26 24,33 30 3_D7 TON9732 17 30 28
120 | 30 V 21 26. 16,33 82 dl 11 18;7 18 34 29
Fasi della Luna. Il giorno nel mese cresce di 1h 30m
2 Luna nuova alle 5% 24m 5 La Luna è in Apogeo alle 8h
10 Primo quarto , 9h 27m 17 Id. Perigeo , 22h
17 Luna piena ua Il Sole entra nel segno Toro il
23 Ultimo quarto , 22% 48m giorno 19 alle ore 21 min. 7.
1052 VITTORIO BALBI
Maggio 1897.
GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È
|
e e ll SOLE La LUNA a
[=| n [=| e]
A |Ss3 "N e ——— | 8
Ss | |SL passa = passa ®
= |a | nasce al E | nasce al tramonta| £
Dio) n=] D meridiano £ meridiano [cal
hmjhm Ss hm hem h m h m
121 1 S |5 20|12 26 8,87 [198383 4 38 12 11,9 19 39 30 |
122 95 D 18 26 1,96 84 o 8 12 47,4 20 43 LR
123 3 L 17 25 55,60 35 5 94 13 35,3 21 45 2
124 | 4 M 15 25 49,79 37 6 13 14 25,4 22 42 3 |
125 5) M 14 25 44,54 88 T{eed(0) 15 16,7 23 32 4 |
126 6 G 12 25 39,82 39 750 16 8,2 a d |
127 7 V 11 25 35,67 40 8 57 16 58,9 0 15 6!
128 8 S 10 25 31,97 42 10 5 17 48,8 0 50 Vo
129 9 D 9 25. 29,02 43| 11 15 18 36,2 118 8
130 | 10| L 7 25 26,53 44 12 27 19 23,2 143 9
t51 |-10 M 6 25 24,59 45| 183 41 20 10,1 2.5 10 |
132 | 12| M 6) 25 23,22 46) 14 56 | 20 58,1 2 26 11
133.| 13 G 5) 25 21,98 48| 16 15 21 48,8 2 47 12 |
134 |14| V 2 25 22,12 49| 17 88 22 43,2 8 11 13
135 | 15 S 1 25 22,41 50|| 19 3 | 23 42,3 8 39 14 |
136 | 16| D 0 25 23,26 51| 20 29 ia 4 13 154
137 | 17 L |4 59 25 24,66 52|| 21 46 0 45,8 4 58 16
138 | 18 M 58 25 26,64 53 22 50 1 51,9 5 07 17
139 | 19 M 57 25 29,18 54|| 23 40 2 57,2 106 18
140 | 20 G 56 25 32,28 55 = 8 58,7 8 24 19
141 | 21 V 55) 25 35,93 56 0 16 4 54,9 9 41 20 |
142 | 22 S 54 25 40,13 58 0 45 5 45,6 10 55 21
143 | 23 D 58 25 44,79 59 USL 6 31,7 12 6 22 |
144 | 24| L 52 25 50,18 [20 0 127 714,7 13 13 23 |
145 | 25 M 51 25 55,90 1 145 7 55,9 14 18 24
146 | 26| M 51 26 2,31 2 2 3 8 36,5 15 22 25 |
147 | 27 G 50 26. 9,13 3 2 22 9 17,6 16 26 26 |
148| 28| V 49 26 16,43 3 2 43 10 0,2 17 31 27
149 | 29 S 49 26 24,20 4 SII 10 44,9 18 35 28 |
150 | 30| D 48 26 32,41 b) 8 96 11 32,2 19 38 29 È
151% 81 L 47 26 41,06 6 413 12 21,7 20 37 80 |
Fasi della Luna. Il giorno nel mese cresce di 1° 8m
1 Luna nuova alle 21% 46% 2 La Luna è in Apogeo alle 8h
9 Primo quarto , 22% 37 16 Id. Perigeo , 8
16 Luna piena n, 14 55m 29 Id. Apogeo 12h
23 Ultimo quarto , 10% 35% Il Sole entra nel segno Gemelli il
81 Luna nuova —, 18% 26 giorno 20 ad ore 21 min. 0.
EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA
Giugno 1897.
1053
GIORNO TEMPO MEDIO DELL’EUROPA CENTRALE È
ER aa ai
9 |o È II SOLE La LUNA 8
ds || na ©
s = DEE passa 5 passa | i
Cc Go 3 nasce dini i nasce INR, tramonta £
hm|hm 8 hm h m h m h m
152 1 M |447]|12 26 50,11 20 7 4 57 13 13,0 21 29 1
153 | 2|] M 46 26 59,56 8 5 50 14 4,8 22 14 2
154 | 8| G 46 20 929 9 6 5l 14 55,9 22 ol 3
155 | 4 V 45 27 19,50 9 757 15 45,5 23 21 4
debe bal-:S 45 27 30,04 10 9aL6 16 33,3 23 47 5)
157 | 6| D 44 27 40,84 11] 10 17 17 19,6 —— 6
158| 7| L 44 27 51,92 LI: DE 27 18 5,2 De49 7
159 | 8| M 44 28 3,26 12| 12 40 18 51, 0 30 8
160 | 9 M 43 23 14,84 13|| 13 54 19 38,8 0 49 9
161 | 10| G 43 28 26,64 13] 15 12 | 20 29,7 Log e 10
162 | 11 V 43 23 38,64 14] 16 34 | 21 24,8 1 36 11
163 | 12 S 43 28. 50,82 14 17 58 22 24,9 2 6 12
164 | 13| D 43 29 3,16 15| 19 19 23 29,2 2 46 13
165 | 14| L 483 29 15,63 15) 20 30 —— 8 36 14
166 | 15 | M 43 29 28,25 16 21 28 0 35,4 4 42 15
167 | 16| M 43 29 40,98 16] 22 11 1 40,0 5 57 16
168 | 17 G 43 29 58,80 17) 22 43 2 40,1 a UA 17
169.18) V 43 30 6,68 17 23 9 3 34,8 8 35 18
170 | 19 S 43 30 19,63 17| 23 81 4 24,3 9 49 19
171 | 20 D 43 80 32,61 18] 23 50 5 9,7 10 59 20
172 | 21 L 43 50 45,60 8| —- dò 52,9 12.7 21
173|22| M 44 30 58,57 18 0 8 6 33,9 13 12 22
174|23| M 44 sl 11,51 18 0 27 7 15,2 14 16 23
175|24| G 44 S1 24,39 18 0 47 7 57,9 15 21 24
176/25) V db 81 87,17 18 109 8 41,5 16 26 25
Md 268) 45 51 49,84 18 137 9 28,0 17 30 26
178.| 27x| D 45 322,87 13 211 10 16,9 18 29 27
179 | 28 L 46 32 14,74 18 2 58 1b214,9 19 25 28
180 | 29| M 46 32 26,91 18 3 44 11 59,9 20 12 29
181 |30| M 47 32 38,88 18 443 | 12 51,8 20 52 1
Fasi della Luna. Il giorno nel mese cresce di Ob 12m
8 Primo quarto alle 8h 3m 13 La Luna è in Perigeo alle 170
14 Luna piena n 220 2m 25 Id. Apogeo , 28h
22 Ultimo quarto , Lia Sa Il Sole entra nel segno Cancro il
30 Luna nuova —, 8h 55m giorno 21 ad ore 5 min. 23.
1054
VITTORIO BALBI
Luglio 1897.
Fasi della Luna.
7 Primo quarto alle 14% 32m
14 Luna piena s dì 52m
21 Ultimo quarto , 16h 8m
29 Luna nuova n 162 58m
GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE
° 5 a lf SOLE La LUNA
Ss n =.
S © | g È i "a
ta; = cn passa È passa
a | gd nasce al È | nasce al tramonta
Ue) n=] DN meridiano £ meridiano
hm hm s hm h m h m h m
182 1 G |4 47/12 32 50,59 [2018 5 49 13 42,4 21 24
183 2 V 48 33 2,05 13 6 58 14 31,3 21 52
184 Bb) S 48 33 13,21 IL7 8_ 8 15 18,2 22 17
185 4| D 49 33 24,04 17 9 19 16 3,9 22 35
186 5) L 50 33 34,54 17) 10 30 14 49,2 22 55
187 6 M 50 993 44,66 16] 1144 17 35,4 23 16
188 7 M 51 83 54,42 16| 12 58 18 23,6 23) 197
189 8 G 52 84 3,75 16| 14 16 19 15,8 ==
190 9 V 52 34 12,67 15] 15 36 20 11,4 0 5
191 | 10 S 53 84 21,15 15|| 16 56 | 21 12,2 0 39
192 | 11 D 54 84 29,18 14| 18 11 22 16,0 1 24
193 | 12 L 55 84 36,75 13] 19.13 23 20,5 2 21
194 | 13 | M 56 34 43,85 13:I1-20658 LL 8 91
195 | 14| M 57 84 50,46 12) 20 40 0 22,6 4 49
196 | 15 GA 58 34 58,58 11 21 9 112041 6 9
197 | 16 V 59 35. 2,21 11) 21.33 2 12,7 ZL
198 | 17 S 59 35. 7,84 10| 21 53 3 0,8 8 40
199 | 18 D 50 85 11,95 9 22012 3 45,7 9 49
200 | 19 L 1 35 ‘16,03 8 22 30 4 28,5 10 57
201 | 20 M 2 35 19,58 7) 22 ol 5 10,6 12 4
202 | 21 M 3 35 22,58 fill ‘230È2 5 53,0 13 8
203 | 22 G 4 85 25,04 5 23-98 6 36,6 14 14
204 | 23 V 5) 85 26,95 di ee 7 22,9 15 18
205 | 24 S 6 35 28,29 8 09 8 10,4 16 20
206 | 25 D 8 85 29,06 2 0 48 9 0,6 NON
207 | 26 L 9 35 29,25 1 1 36 9 52,4 18 8
208 | 27 M 10 35 28,85 0 2 32 10 44,7 18 50
209 | 28 M 11 35 27,87 [1959 8 36 11 36,8 19 26
210 | 29 G 12 35 26,29 58 4 45 12 26,5 19 54
211 | 30 V 13 85, 24,10 57 5 56 13 14,8 20 19
212 | 31 S 14 85 21,31 55 48 14 1,6 20 41
Il giorno nel mese diminuisce di
oh 50m,
11 La Luna è in Perigeo alle 19h
DA Id. Apogeo , 168
Il Sole entra nel segno Leone il
giorno 22 alle ore 16 min. 17.
Età della Luna
O 00 1 Dì Ut Ha CO DD
EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA
Agosto 1897.
1055
GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È
HI
E ll SOLE La LUNA E
d n d —
3|5|sî ; sE
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hm h m Ss hm h m h m h m
213 1 D | 515 112 35‘ ‘17,89 |19 54 8 21 14 47,6 21: È 8
214 2 L 16 85 13,86 53 9.383 15 33,9 21 22 4
215 3 M 17 35 9,22 520855 16 21,6 21 44 5
216 4 M 18 OIAN3:96 50|| 12 4 17 11,8 22:19 6
217 6) G 20 54 58,07 49) 13 23 18. 5,6 22 40 7
218 6 V 21 84 51,58 48] 14 42 196805 23 20 8
219 7 S 29 94 44,46 46| 15 57 20 4,5 n 9
220 8 D 23 84 36,74 45 MAETS AT 0 ll 10
221 9 L 25 84 28,43 43|| 17 56 22 8,7 114 del
299 10 M 26 84 19,54 42] 18 87 2306701 2 27 12
923. | IL M 27 84 10,06 40| 19 9 = 3 45 13
294 | 12 G 28 84 0,01 89|| 19 34 QU Da 14
2250 13 V 29 93 49,42 87|| 19 56 0 50,9 6 18 15
226 | 14 S 81 88 38,29 86|| 20 16 137,2 730 16
BOL iò D 82 93° 20069 54| 20 35 2 21,4 8 39 IZ;
228 | 16 L Bh 83 14,46 32| 20 54 di r4;2 9 47 18
229 | 17 M 34 De 79 ol: t2% 15 3 47,0 10 53 19
230 | 18 M 85 92 48,62 29] 21 39 4 30,3 11159 20
231 | 19 G 97 82 34,98 28)| 22 8 5 15,7 13 4 21
292, 1-20 V 38 32 20,87 26) 22 44 62,9 147 22
233 | 21 S 39 92. 6,92 24|| 23 27 6 52,2 15 6 23
254 | 22 D 40 81 51,32 22 I 7 43,2 16 0 24
235 | 28 L 41 S1 35,88 21 019 8 35,0 16 45 Ps)
236 | 24 M 43 31 20,04 19 1 20 9 26,8 (7625 26
297 | 25 M 44 31 3,80 7 DDT 10 17,5 17 55 27
258 | 26 G 45 80 47,17 16 3 38 LIO: 18 21 28
239 | 27 V 46 80 30,16 14 ZII 11 55,0 18 45 29
240 | 28 S 47 80 12,79 12 6 4 12 42,2 TEA 1
241 | 29 D 49 29 55,05 10 7 18 13 29,4 19 27 2
242 | 30 L 50 29 36,97 8 8 34 14 17,5 19 49 Di
245. | el M 51 29 18,57 6 9 51 15 8,0 20 14 4
Fasì della Luna.
5 Primo quarto alle 19% 25m
12 Luna piena ,, 150 28m
20 Ultimo quarto , 9° 29m
28 Luna nuova n, 4 29m
Il giorno nel mese diminuisce di
1h 26m,
7 La Luna è in Perigeo alle 22h
20 Id. Apogeo , 10
Il Sole entra nel segno Vergine il
giorno 22 alle ore 22 min. 54.
1056
VITTORIO BALBI
Settembre 1897.
GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È
=
° DI È Il SOLE La LUNA a
Ss n [=] =’
d (c») E È ” n mi
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244 1 M |5 52|12 28. 59,83 (19 5| 11 Il 16 1,5 20 43 5
245 2 G 58 28. 40,80 Si gd2 91 16 58,4 21 20 6
246 S V BH) 28 21,48 1| 13 47 17 58,6 22 6 “
247 4 S 56 28. 1,88 (1859) 14 55 19 0,2 23 6 8
248 5 D 57 27. 42,03 57| 15 5l 20 .1,0 = 9
249 6 L 58 27 21,94 55 || 16 36 20 59.2 0 15 10
250 7 M 59 ye 1,64 54|| 17.9 21 53,4 130 11
251 8 Mi 60401 26 41,14 52 LT 22 43,7 2 46 12
252 9 G 2 26 20,48 50] 18 0 23 30,5 4,10 13
253 | 10 V 3 Db ro9L6d 48|| 18 20 ai 5 13 14
243 CSO INI S 4 25 33,73 46| 18 39 0 15,0 6 22 15
209 || 12 D 5 25 17,68 44| 18 58 0 58,3 730 16
256 | 13 L 6 24 56,55 42|| 19 18 141,1 8 37 Di
257 | 14 M 8 24 35,42 40| 19 42 2 24,6 9 44 18
258 | 15 M 9 24 14,14 89] 20 9 Si 10 49 19
259 | 16 G 10 23. 52,90 87) 20 42 8 55,9 11 53 20
260 | 17 NV VI 23. 31,67 sb ||. 21 22 4 44,3 12 55 21
261 | 18 S 12 23 10,47 33 || 22 10 5 34,4 13 50 22
262 | 19 D 14 22 49,31 obi a2326 6 25,4 14 38 23
263 | 20 L 15 22 28,23 29 ie 7 16,5 15 18 24
264 | 21 M 16 DO TOSTI2A 27 0 10 8 0 15 58 25
265 | 22 M 17 21 46,36 25 118 8 56,4 16 21 26
266 | 23 G 19 21. 125,60 23 229 9 44,6 16 45 27
267 | 24 V 20 21 5,00 21 3 42 10 32,0 17 MS 28
268 | 25 S 21 20. 44,56 19 4 56 11 19,6 17 130 29
269 | 26 D 22 20. 24,30 18 6 12 IO FRS 17 51 30
270 | 27 L 23 20 4,24 16 7:80 12 58,9 18 15 1
271 | 28 M 25 19 44,38 14 8 52 13 52,7 18 44 2
272 | 29 M 26 19 24,77 12| 10 14 14 50,2 19 19 3
273 || 80 G 27 19 10,41 10) 11 34 15 ol,l 20 4 4
Fasi della Luna.
4 Primo quarto alle 0h 13m
11 Luna piena
19 Ultimo quarto
26 Luna nuova
n
n
n
3h 12m
8h 51m
14h 46m
Il giorno nel mese diminuisce di
1h 32m.
1 La Luna è in Perigeo alle 28%
17 Id. Apogeo , 6h
29 Id. Perigeo , 1h
Il Sole entra nel segno Libra il
giorno 22 alle ore 19 min. 49.
EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 1057
Ottobre 1897.
GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È
[ne |
e a ll SOLE La LUNA -
8E| 2/8 È = ©
È; |a dA passa È passa È
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275 2 S 30 18. 27,46 6 RSAATZ 17 55,6 ZA 6
276 8 D 31 18. 8,93 4| 14 835 18 54,7 23.20) 77
Ml 4 L 932 17. 50,72 2 15 ll 19 49,7 — 8
278 5 M 83 17 32,86 1| 15 40 20 40,4 0 35 9
279 6 M 85 17 15,36 |1759|| 16 4 21 27,4 150 10
280| 7) G| 36] 16 58,25| 57 1625 | 22 119 SO (ST
281 8 V 37 16 41,54 55 || 16 44 22 54,8 4 10 12
282 9 S 38 16 25,26 baile: 3 23 37,2 5 18 13
283 | 10 D 40 16 9,44 52: el29; ni 62 14
284 | 11 L 41 15. 54,09 50] 17 45 0 20,2 1030 15
285 | 12 M 42 15. 39,24 48] 18 11 1. 43 8 36 16
286 | 13 M | 44 15 24,91 46| 18 41 1 50,3 9 41 17
287 | 14 G 45 15 11,12 44| 19 19 2 28,1 10 43 18
288 | 15 V 46 14. 57,89 43] 20 4 327,5 11 40 19
289 | 16 S 47 14 45,24 41 20 57 4 17,9 12 31 20
290 | 17 D 49 14 33,19 39 || 21 56 5. 8,4 13 14 21
291 | 18 L 50 14. 21,77 38|| 23 1 5 58,3 13 50 22
292 | 19 M 52 14. 10,97 86 == 6 47,0 14 20 23
293 | 20 M 58 14. 0,83 94 09 7 34,5 14 46 24
294 | 21 G 54 13 51,36 2 120 8 21,0 15 8 25
295. | 22 V 56 13. 42,57 sl De 9 7,9 15 80 26
296 | 23 S 97 13. 34,48 29 3 45 9 54,9 15 dl 27
297 | 24 D 58 135 2511 27 52 10 44,4 16 14 28
298 | 25 Tu 7040 13. 20,04 26 6 22 11 37,2 16 41 29
299 | 26 M 1 13. 14,53 24 7 46 12 34,3 17 14 1
300 | 27 M 2 13 934 23 9 10 13 35,7 17 56 2
301 | 28 G 4 13. 4,90 21 10 29 14 40,1 18 49 3
302 | 29 Ve lg 9 l3eels20 20) eLlC37 15 44,9 19 55 4
3803 | 30 S 7 12 58,25 18|| 12 30 16 47,1 21 09 5
804 | 31:| D 8 12 56,08 17 13° 12 17 44,8 29023 6
Fasì della Luna.
3 Primo quarto alle 6h 32m
10 Luna piena » 170 49m
18 Ultimo quarto , 22h 9m
26 Luna nuova, 0h 28m
Il giorno nel mese diminuisce di
1h 34m,
14 La Luna è in Apogeo alle 28%
27 Id. Perigeo , 4h
Il Sole entra nel segno Scorpione
il giorno 23 alle ore 4 min. 21.
1058
VITTORIO BALBI
Novembre 1897.
GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE
° Di d Il SOLE La LUNA
[e 7) d ss 3
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306 2 M dig 12 54,06 14° || 19 25,8 ni on
307 3 M 12 19 V5E24 13|| 14 30 20 10,9 0 53
308 4 G 13 12. 55,22 11 14 50 20 53,8 27%
309 5) V 15 12 SSOIZOL 10) Sdo099 21 35,8 3 39
910 6 S 16 12 59,63 Gili SISHZ9 22 VSS 4 24
811 7 D 18 13° 3,06 il 15 50 DIRO 5 20
12 8 L 19 le 92 6 16 14 23 46,6 6 26
313 9 M 20 13° 12,43 5 16 43 e TSI
314 | 10 M 22 13 18,39 417 19 0 33,8 8 34
Lo LE G 23 I3V29,19 Sl SIE 1 22,6 9.39
816 | 12 V 25 13 32,86 1 18 51 2 12,8 10 25
al || 19 S 26 13 41,38 0; 19 49 3 83,2 LABRILT
318 | 14 D 27 13. 50,76 [1659] 20 51 ROL 11 49
319 | 15 L 29 14. 1,00 10%) MRAZ BIZ 4 41,4 12 20
320 | 16 M 80 14 192,10 57 23° 4 5 28,2 12 47
DAI |AIT M el 14 24,06 56 —— 61199 13 10
3822 | 18 G 98 14 36,86 56 0 12 6 58,6 13. 4
323 | 19 V 84 14 50,51 55 123 7 43,8 13 52
324 | 20 S 35 155,00 54 2 36 8 30,1 14 13
d25 | QI D 3 Lo 231 58 8 58 9 20,5 14 38
926 | 22 L 88 15 36,44 52 a 5) 10 14,6 15.7
027 | 29 M 39 15° ‘53,86 52 6 36 11 13,7 15 44
328 | 24 M 41 16- 11,05 51 80 12 17,6 16 BZ
929 | 25 G 42 16 29,52 50 9 16 13 24,3 17 19%
330 | 26 V 43 16 48,72 50| 10 18 14 30,3 18 47
SIL 27 S 44 17. 8,64 49 DST 15 32,5 19 Ra
832 | 28 D 46 d7 29/25 49| 11 48 16 29,3 %1. 25
398 || 129 L 47 17! 50,58 48| 12 11 17 20,9 22,5
334 | 30 M 48 18. 12,48 48] 12 34 18 8,1 2359
Fasì della Luna.
1 Primo quarto alle 15° 37m
9 Luna piena s 10. 50m
17 Ultimo quarto , 15. 2m
24 Luna nuova n 10h 20m
Il giorno nel mese diminuisce di
1h gn.
11 La Luna è in Apogeo alle 11h
24 Id. Perigeo , 16h
Il Sole entra nel segno Sagittario
il giorno 22 ad ore 1 min. 15.
Età della Luna
EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 1059
Dicembre 189".
Fasi della Luna.
1 Primo quarto alle 4h 15m
9 Luna piena ,s, Dì 54m
17 Ultimo quarto , 51 22m
23 Luna nuova s 208 55m
80 Primo quarto , 20h 27m
GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È
TTM ai
SICA ll SOLE La LUNA P
di È 2 È ® —— w0000O e i
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985 1 M |749]|12 18 835,06 [1647] 12 55 18 52,9 ca 8
336 2 G 50 18 58,25 47| 13 15 19 34,9 i basti 9
997 8 V 51 19. 22,03 47| 13 34 20:.17,1 ZANT 10
838 4 S 92 19 46,36 46| 13 54 21 0,0 3,3 11
3889 5) D 58 20 11,25 46| 14 18 21 44,2 4 18 12
840 6 L 99 20. 36,66 46| 14 45 22 30,5 5 23 13
941 7 M 96 ZI 46| 15 18 23 18,8 6 26 14
942 8 M 97 21 28,96 46| 15 59 —- 7 26 15
943 9 G 7 21 55,80 46) 16 47 ORTSN 821 16
944 | 10 V 59 92) 123/06 46| 17 42 0 59,9 CÒ NET,
Sd S 59 22 50,72 46| 18 44 1 49,5 9 49 18
946 | 12 D |8 0 23 18,76 46] 19 48 2 38,5 10 23 19
947, 13 L 1 23. 47,183 46|| 20 50 8 25,6 10 50 20
348 | 14 M 2 24 15,88 46) 22 2 4 11,0 11 14 ZA
849 | 15 M 3 24 44,82 46) 23 10 4. 55,2 11.35 22
350 | 16 G 8 25. 14,05 46 —— 5.89,0 11 56 29
ST V 4 25 43,51 47 0 19 6 23,4 12 15 24
852 | 18 S ò 26 12,16 47 T 31 710,0 12 38 25
958. | 19 D 5 26 42,97 47 2 47 759,9 13 13 26
354 | 20 L 6 27. 12,90 48 4 6 8 54,5 13 35 2
355|21| M 6| 27 4291| 48| 527 | 9544 | 1416 | 28
956 | 22 M 7 28 12,98 49 6 47 10 50,0 15.9 29
357 | 28 G 7 28. 43,05 49 57 12 5,7 16 17 50
358 | 24 V 8 29 13,08 50 BADO 312 17 35 1
359 | 25 S 8 29 43,03 50 9 36 14 12,9 18_ 57 2
60 | 26 D 9 80 12,87 bl 109 15 8,9 20 18 3
861 | 27 L 9 80 42,57 51| 10 35 15 59,5 21 34 4
862 | 28 M 9 Sl 12507 52 10 58 16 46,4 22 46 5)
863 | 2943 M 9 81 31,35 99. ito 17 30,9 23 56 6
864 | 30 G 9 92 10,87 54| 11 38 18 14,1 = 7
865 | 81 V 9 32 38,09 55. 11 59 18 57,9 2 8
Il giorno nel mese diminuisce di
Qh 14m,
8 La Luna è in Apogeo alle 12h
28 Id. Perigeo , 4
Il Sole entra nel segno Capricorno
il giorno 21 alle ore 14 min. 13.
1060 VITTORIO BALBI — EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA
ECCLISSI
1897
(Tempo medio dell'Europa centrale).
Nell’ anno 1897 avverranno due Ecclissi di Sole.
I. Ecclisse anulare di SoLe il 1° Febbraio; invisibile a Torino.
Quest’Ecclisse è visibile nell'America centrale e meridio-
nale, nella parte meridionale del Grand’Oceano e nel Sud-Est
delle coste Australiane.
II. Ecclisse anulare di SoLe il 29 Luglio; invisibile a Torino.
Quest’Ecclisse è visibile nell’Ovest dell’Africa, nell'Oceano
Atlantico, nella parte meridionale del Nord-America, nell’Ame-
rica Centrale e a Nord del Sud-America. i
1061
Relazione intorno alla Memoria del Dott. Saverio BeLti,
intitolata :
“ Sull’Endoderma e Periciclo nel Gen. Trifolium ,.
Questo lavoro è diviso in tre parti: Nella 1° si fa la storia
bibliografica e critica dei lavori antecedenti intorno a questo
argomento. Nella 2° viene esposta la serie delle ricerche origi-
nali dell'A. sui tessuti in quistione. Nella 3? si discute la teoria
sulla Stelia in generale e l'applicazione di essa al Gen. Trifolium.
Dal complesso di questo lavoro emergono principalmente
le seguenti conclusioni generali:
1° Non esiste nel caule delle specie del Gen. Trifolium
un periciclo nel senso di Van Trecuem, DouLior, Moror, ecc.,
cioè una regione caratterizzata istogeneticamente e funzionalmente
come tale.
2° Le produzioni da questi Autori assegnate al periciclo
(sempre nel Gen. 7rifolium) appartengono invece al sistema
libroso.
8° Le radici avventizie nascono nel fusto del 7. repens
dagli archi cambiali interfascicolari e dal tessuto parenchima-
toso esterno ai tubi cribrosi. Manca la così detta saccoccia di-
gerente, che da Van TreneMm e Dourior vien detta originarsi
nell’endoderma. Manca altresì un endoderma caratteristico; esiste
invece una guaina parziale.
4° Nel 7. repens (e in molte altre specie di Trifolium)
il fusto non può ascriversi a nessuna delle tre maniere di strut-
tura, astelica, stelica o polistelica ammesse come definite da VAN
Trecnem. Poichè se si vuole interpretare la guaina, che sta a
ridosso dei fasci vascolari delle foglie, come un Endoderma
(VurLLemx), si andrebbe incontro all’assurdo, che da una strut-
tura astelica possa originarsene un’altra pure astelica, e ciò in
opposizione al dogma prestabilito da VAN TregHEM, che una
struttura astelica procede sempre da una stelia precedente.
5° La cosiddetta zona perimedullare di FLoT, parallela al
periciclo, e che questo A. ascrive a tutte le Dicotiledoni, non è
1062
geneticamente dimostrabile in tutti i fasci vascolari iniziali
delle specie del G. Trifolium.
6° I fasci caulinari interfascicolari sì originano non dal
periciclo, ma dagli archi cambiali interfascicolari.
7° Il fellogeno nel Gen. Trifolium non ha origine, come
vuole VAN TrecHEm, nell’endoderma, bensì nell’epidermide stessa.
8° Nello sviluppo iniziale dei fasci vascolari non si in-
contra nel Gen. Trifolium uno stadio corrispondente al Verdi-
ckungsring di Sanrio, o al Mesistema di Russow (inteso questo
stadio come un supermeristema distinto dal cambio di NAEGELI
= Cordoni procambiali). E cioè, anche allorquando gli inizii dei
fasci vascolari si presentano sotto forma di anello chiuso, si deve
soltanto alla vicinanza delle iniziali dei cordoni stessi, già dif-
ferenziati in cellule allungate nel senso dell’asse, la illusione di
un anello chiuso; mentre in realtà ogni fascio è un centro di
formazione isolato, e non si dà un mesistema di secondo ordine,
continuo, in sè e per sè.
9° I cristalli di ossalato calcico sono localizzati nella
guaina dei fasci, e sono avvolti in una sacca di cellulosi, che ben
presto si inquina di lignina.
10° I cristalli di ossalato calcico si trovano già nella
guaina parziale dei fasci (endoderma di Van TrecHem, Moror, ecc.)
dell’asse ipocotile, cioè al disopra del colletto anatomico esterno.
11° Nel tratto, che corre tra l’apice vegetativo ed il
primo internodio evoluto del caule, non si trovano cristalli. La
zona, corrispondente al cosidetto endoderma parziale degli A.,
contiene amido, ma non in quantità superiore agli altri strati.
12° È impossibile riconoscere una alternanza fra le cel-
lule della così detta zona endodermica, o fleoterma parziale dei
fasci vascolari (guaina parziale dei fasci), e le cellule della prima
fila di cellule sottostanti, appartenenti al tessuto da interpre-
tarsi come periciclo, come vorrebbero gli autori francesi VAN
TrecHeMm, Moro, ecc.
13° A proposito di periciclo nel caule parrebbe ormai
tempo, che si abbandonasse una nomenclatura dogmatica, che
in molti casi non ha per sè nè il suffragio dell’osservazione
diretta, nè la dimostrata funzionalità, che manca insomma del
consensus omnium peritorum.
L. CAMERANO.
G. GiseLLI, Relatore.
testi
1063
Relazione sulla Memoria del Dott. De AcostINi,
avente per titolo :
“ Iicerche batometriche e fisiche sul lago d'Orta ,.
La Memoria presentata dal D" G. De Agostini ha per ti-
tolo: Ricerche batometriche e fisiche sul lago d'Orta.
Alcune ricerche sulla profondità del lago d’Orta erano già
state eseguite dal Prof. Pavesi, il quale nel pubblicarle ne ag-
giunse altre, che erano rimaste inedite, del Conte Morozzo della
Rocca. Mancava tuttavia una conoscenza esatta del fondo del
lago, ed il De Agostini potè ora determinarla con una nume-
rosa serie di scandagli, ed una carta diligentemente eseguita ed
unita alla memoria, rappresenta colle curve di livello la forma
del fondo del lago.
Anche sulla temperatura delle acque del lago il C° Morozzo
aveva nel 1788 rese pubbliche, colle Memorie della nostra Ac-
cademia, alcune osservazioni. Esse tuttavia, specialmente quelle
degli strati profondi, potevano ritenersi difettose, perchè eseguite
semplicemente con un termometro ordinario rivestito di sostanze
isolanti. Il De Agostini invece eseguì molte osservazioni facendo
uso di uno strumento speciale per tali ricerche, quale è il ter-
mometro a rovesciamento di Negretti-Zamba. Alcune tavole ed
un diagramma indicano le varie temperature a seconda delle
profondità osservate in diversi mesi negli anni 1894 e 1895.
Anche la trasparenza e la colorazione delle acque del lago
d'Orta furono oggetto di studio adottando per le ricerche i
metodi più moderni.
In complesso il De Agostini presenta col suo lavoro una
serie di svariate osservazioni, le quali rendono la memoria in-
teressante, sia per lo studio generale dei laghi, come per un
confronto con altri laghi italiani. Perciò noi riteniamo che lo
scritto del De Agostini sia meritevole della pubblicazione nelle
Memorie dell’Accademia.
G. FERRARIS.
Giorgio SPEZIA, Relatore.
1064
Relazione sulla Memoria del Prof. F. Porro, intitolata:
“ Osservazioni di stelle variabili eseguite a Torino
ed a Soperga ,.
Vi è nel cielo una classe di stelle, la cui intensità lumi-
nosa varia gradatamente col tempo. Si chiamano perciò varia-
bili e ve ne ha di' differenti specie.
Lo studio di tali stelle può dirsi del tutto moderno, poichè
fino all'anno 1844 gli astronomi non fecero altro che ammirare
le fasi generali di alcune di esse e notare le loro diverse gran-
dezze nelle diverse epoche.
Dal 1866 in poi lo spettroscopio ha aperto agli astronomi
un campo più vasto di ricerche.
Furono immaginate diverse teorie per poter spiegare la
grande varietà di fenomeni che presentano le stelle variabili,
però finora nulla intorno ad esse si è stabilito con quel rigore
che è proprio delle Osservazioni astronomiche, eccetto che per
le variabili del tipo di Algol. Bisogna continuare le osservazioni
con metodo scientifico seguendo i classici precetti indicati dal-
l’Argelander.
Il Prof. Porro presenta tre serie di osservazioni di stelle
variabili, due fatte all'Osservatorio di Torino, l’ultima fatta a
Soperga in condizioni eccellenti. Esse sono un importante con-
tributo per lo studio delle stelle variabili, ed è utile che sieno
rese di pubblica ragione. I sottoscritti perciò propongono che
la Memoria del Prof. Porro sia ammessa alla lettura e venga
stampata nei volumi delle Memorie Accademiche.
A. NACCARI.
N. JADANZA, Relatore.
L’ Accademico Segretario
ANDREA NACCARI.
1065
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 28 Giugno 1896.
PRESIDENZA DEL SOCIO BARONE GAUDENZIO CLARETTA
DIRETTORE DELLA CLASSE
Sono presenti i Socii: PevRon, BoLLATI DI SAINT-PIERRE,
NANI, Brusa, Aruievo e FERRERO Segretario.
Il Direttore della Classe, a nome dell’autore, sig. Demetrio
Marzi, offre le pubblicazioni: “ Notizie storiche di Monsummano
e Montevettolini , (Firenze, 1896); “ Una questione libraria fra i
Giunti ed Aldo Manuzio il Vecchio , (Milano, 1896).
Il Socio NANI, a nome del Presidente Prof. CARLE, assente
dall’adunanza, presenta la parte 2* del vol. I(2? ediz.) della
Storia del diritto romano (Padova, 1896), di cui fa omaggio
l’autore prof. Lando LANDUCCI.
Il Socio Brusa legge una commemorazione del Socio stra-
niero Adolfo GwEIST.
Il Socio Segretario FerRERO legge parole commemorative
sul Socio corrispondente Giuseppe FIORELLI.
Queste commemorazioni sono pubblicate negli Atti.
_—_ T_T << _’”rY-_
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 72
1066 EMILIO BRUSA
RODOLFO DI GNEIST
Commemorazione del Socio EMILIO BRUSA.
Nato a Berlino il 13 agosto 1816, peregrinò giovanetto
col padre nelle varie sedi cui questo venne trasferito nella sua
qualità di magistrato. Assolse gli studi classici ad Eisleben, la
città di Lutero; quelli giuridici intraprese però a Berlino, quando
nel 1833 vi fu restituito, e donde poi il neo giureconsulto non
si dipartirà più, se non per quei viaggi scientifici, nei quali ha
cercato ritrarre dal vivo la verità genuina, i pregi e difetti del
diritto pubblico straniero.
Ebbe a maestri i più solenni giurisperiti della scuola sto-
rica allora regnante in quelle Università, fra i quali Riidorff,
Dirksen, e lo stesso Savigny che ne era il capo vivente. Di
Gans, unico rappresentante della scuola filosofica, Gneist, pur
tanto avido di sapere, non seguì i corsi. Da due anni appena
Hegel, il fondatore della filosofia politica prussiana, era sceso
nel sepolcro, l’eco della sua fatidica parola vibrava ancora negli
animi giovanili, ma allora Gneist si sentiva poco attratto dalle
pure astrazioni speculative, per quanto capaci di esercitare alla
fine un influsso potente nella pratica.
Dedicatosi con tutta l'energia delle sue facoltà alle scienze
giuridiche, sì grande alacrità egli vi ha adoperato, da meritarsi,
un anno dopo l’altro, due premi accademici, il primo in diritto
romano, il secondo in diritto penale sugli Specchi sassonico e
svevico. Aveva allora appunto vent'anni, e subito dovette pen-
sare a procurarsi un posto nella magistratura. Nelle nuove oc-
cupazioni di ascoltante e di referendario egli non perdette però
di vista nemmeno per poco i suoi amati studi, e si diede a
tutt’ uomo a rifondere il primo di quegli scritti, De recentiore
literarum obligatione, col quale si è poi guadagnato, il 20 no-
COMMEMORAZIONE —- RODOLFO DI GNEIST 1067
vembre 1838, l’onore del dottorato, e l’anno seguente la venia
docendi.
Lunga, operosissima e luminosa è stata la carriera profes-
sorale di Gneist: cominciata nel 1889, essa non si è chiusa che
con la vita. Il 22 luglio 1895 fu l’ultimo giorno dell’eminente
maestro, di questo insigne uomo di bene.
Di ricco materiale, di pensieri profondi fu in ogni parte
intessuto il vasto ordito delle sue lezioni al berlinese Ateneo.
Egli vi ha dettato con eguale perizia diritto privato e diritto
pubblico, e prima il privato prussiano, poscia il diritto e il pro-
cesso penale ad una col processo civile, indi, dacchè nel 1842
Savigny venne assunto al Ministero di giustizia, precipuamente
il romano diritto. Per cotal modo egli si vide anche una volta
ricondotto a quel suo tema diletto dei contratti formali, che
tanto ardore di critica doveva più tardi ispirare ad altri valo-
rosi, ma nel quale nessuno aveva ancor saputo profondere una
così grande dovizia di dottrina, di acume e di originalità. Me-
ritata ricompensa a siffatto lavoro, il quale doveva assicurargli
un nome duraturo fra i pandettisti alemanni, si fu la promo-
zione a straordinario in Berlino e la vocazione al posto di or-
dinario in Kiel: vocazione, questa, che egli, benchè conscio del
lungo periodo di attesa inevitabile per poter salire a uguale
grado nella capitale prussiana, rifiutava per amore del luogo
natio. E quando nel 1858 gli fu alla perfine concesso di toc-
care l’altissima meta, egli vi inaugurava il proprio corso con
una orazione, De causae probatione stipulatoris, in difesa ancora
dei concetti medesimi già sostenuti negli scritti precedenti.
Dopo di allora nessun'altra sua pubblicazione è venuta fuori in
diritto romano, tranne il parallelo sinottico intitolato Institu-
tionum, et reqularum iuris romani syntagma, di cui nel 1880 uscì
alla luce una seconda edizione.
Della rinunzia al posto di Kiel Gneist non ebbe poi a pen-
tirsi. In codesto centro berlinese di studi, allora come adesso
incomparabilmente più frequentato, al giovane professore non
poteva mancare il sorriso della propizia fortuna. Coltura eccel-
lente, inesauribile energia di lavoratore, ve lo avevano egregia-
mente predisposto. Ma, sopratutto, sì grande attrattiva seppe
egli sin dal bel principio infondere alle proprie lezioni, che ben
presto gliene venne alta fama di maestro altrettanto efficace
1068 EMILIO BRUSA
quant’egli era dotto, e nella facoltà giuridica furono quelle d’ora
innanzi le lezioni le più ricercate. Alle medesime accennando,
un eminente biografo, il Loening, ne ricorda la giovanile fre-
schezza e vivacità, l'esposizione ingegnosa, la varietà dei punti
di vista, il tutto animato dallo sforzo incessante di avviare i
discepoli alla pratica, preparando i magistrati e patroni futuri
a ricercare e a dirigersi da sè nel vastissimo campo delle fonti.
Puchta, invece, il sapiente successore di Savigny, ne continuava
il riserbo inverso gli alunni, quel riserbo che a pochi eletti sol-
tanto doveva offrire modo di entrare in prezioso commercio
scientifico col maestro. L’espositore rigorosamente logico e pro-
fondamente acuto dei dommi del giure romano, al calore e alla
vita preferiva le finezze delicate, accessibili ai soli discepoli
maturi.
Si è veramente con Gneist e dietro la sua potente inizia-
tiva, che nelle facoltà germaniche ebbero principio e salirono
in fiore quegli utilissimi esercizi pratici, che ognora più si ri-
conoscono ai dì nostri come il naturale e necessario comple-
mento delle lezioni teoretiche. Nè giuristi soltanto erano coloro
che con la loro affluenza attestavano la virtù espansiva e quasi
incoercibile di quei corsi universitarii. I più vari e importanti
soggetti del diritto pubblico, ch'egli prendeva a trattare nel sa-
gace intento di promuovere e preparare le riforme legislative.
richieste dai tempi nuovi, richiamavano l’attenzione presso ogni
cerchia di persone colte e bramose di scienza praticamente effi-
cace all’attuazione delle medesime. Frutto di meditazioni inde-
fesse sui libri e, più ancora, sui fatti osservati da vicino nelle
sue frequenti visite all’ Inghilterra, alla Francia, al Belgio, al-
l’Italia, le sue lezioni pubbliche sul giurì, sulla procedura pub-
blica e orale, intorno all’ istituto del pubblico accusatore, in-
torno all'ordinamento giudiziario inglese e francese, segnano
al pari, e più forse, di quegli esercizi, un’epoca nuova nell’in-
segnamento superiore prussiano, un’epoca luminosa che fa pen-
sare a quella che in questa ospitale Torino fu inaugurata con
la dotta e convinta parola del Mancini, del Ferrara, dello Scia-
loja e di altri che illustrarono la scienza moderna in Italia.
Lucida e sicura ebbe Gneist la visione della realtà. Il
latente e grave contrasto fra la libertà tedesca e il costituzio-
nalismo francese non era mai stato più nettamente e profon-
Cc _——_——
COMMEMORAZIONE — RODOLFO GNEIST 1069
damente dimostrato prima di lui. Un nesso indissolubile ricol-
lega infatti tra di loro la libera costituzione comunale e il giurì,
la giustizia e l’autoreggimento. Cresciuti uniti, essi debbono
uniti del pari costituire il granitico fondamento dell’edificio co-
stituzionale germanico. Così egli ragionava. E poichè le idee
francesi tenevano il campo a cagione della influenza allora pre-
valente dei giuristi renani, i suoi sforzi furono dapprima rivolti
a combatterle adoperandovi quel vigore che nasce da profondo
e saldo convincimento. La libertà non si può tradurre in atto,
se non in uno Stato forte per elementi monarchici e aristocra-
tici egualmente forti ed elevati su di una base democratica,
costituita mercè l’autoreggimento da ottenersi nell'ordinamento
per circoli e per comuni. Questo il fine, questi i mezzi.
Gneist appartenne alla politica militante, però tenendosi
sempre al disopra dei partiti; onde non gli accadde mai, che,
per la comunanza d'idee avuta con questi, dovesse rinunziare
alla propria indipendenza e libertà di azione. Compagni e av-
versari poterono, così, trovarsi concordi talora nel riscontrare
incoerenze nella sua condotta politica; ma nobili e pure erano
sempre le sue vittorie come le sue sconfitte. Il trionfo finale
de’ suoi alti disegni apparve quindi quel che doveva, il premio
migliore di una incrollabile fede nella verità dei principii pro-
fessati. Convinto che l’autoreggimento inglese altro in sè non
fosse che un prodotto naturale delle tradizioni anglo-sassoni,
un prodotto domestico anzichè straniero alla sua patria, egli
si diede a tutt'uomo a dimostrarlo adatto qual è veramente
alla Germania, a farsene banditore instancabile, come, più tardi,
penetrato che fu nella legislazione prussiana, a prestargli, nel-
l'applicazione, opera efficace e autorevole.
Meravigliosa, benefica opera fu questa davvero; grazie alla
medesima, la Prussia dapprima, gli altri Stati tedeschi di poi,
si assicurarono un ordinamento dello Stato e dell’amministra-
zione pubblica in conformità alle inviolabili norme del diritto,
quell’ordinamento, dal quale esimii uomini di Stato italiani, fra
i. quali primeggia Silvio Spaventa, trassero poi le loro ispira-
zioni per riforme più o meno consimili nel nostro paese, dove
pochi anni or sono queste vennero infatti iniziandosi sulla base
d’un principio distinto, quello della separazione dell’ interesse
dal diritto. Si è in cotale separazione che, com'è noto, il nuovo
1070 EMILIO BRUSA
regno ha cercato la soluzione del problema fondamentale in-
torno alle garanzie della giustizia nell'’amministrazione pubblica.
Non è questo il luogo di indagare le affinità e le divergenze
fra il modello prussiano e il sistema italico, nè tampoco sembra.
che sia suonata l’ora, dopo la breve esperienza fatta, di affer-
mare quale di essi meglio risponda al fine di attuare, tenuto
conto delle diverse condizioni e tradizioni paesane, la giustizia.
nell’esercizio del pubblico potere amministrativo. Solo mi sia
concesso qui esprimere la mia ammirazione per codesto ordi-
namento anglo-germanico: nel quale l’idea della legalità tocca.
l'apice della perfezione pratica, escludendo persino qualsiasi di-
stinzione fra “ diritto , e “ interesse legale ,, e ad ogni inte-
resse protetto dalla legge riconoscendo dignità giuridica; nel
quale non trova posto neppur l'ombra di quel sedicente “ po-
tere politico ,, che, chiamato da noi a correggere la stessa co-
stituzione dei tre poteri pubblici mediante una responsabilità
ministeriale sproporzionata oltre ogni misura ai mezzi, insidia la
garanzia stessa dei rimedi di legge offerti agl’interessi soggettivi
meritevoli di protezione, ne fa mancare l’intervento e le virtù
nei casi più gravi, e genera la sfiducia e il malcontento dei
cittadini verso l’opera dei pubblici amministratori; nel quale
ordinamento anglo-germanico tu trovi, infine, riconosciuta al
diritto soggettivo pubblico quella posizione che veramente gli
spetta in un governo costituzionale, ponendola al coperto dalle
estranee e sinistre ingerenze dei partiti, delle passioni, delle
clientele politiche.
Oltre all’influenza assidua esercitata nella scuola e nei Par-
lamenti prussiano e germanico, Gneist ne spiegò una non mi-
nore con gli scritti numerosi e densi di pensiero e di realtà.
Dagli studi suoi sull’autoreggimento inglese è scaturita quella
sua opera grandiosa sull’odierno diritto costituzionale e ammi-
strativo dell’ Inghilterra, la cui eccellenza è dovunque ricono-
sciuta e celebrata. La dottrina ch'egli erasi formata sullo Stato,
non è una dottrina unilaterale: storica e razionalistica a un
tempo, essa fa capo alle tradizioni per orientarsi praticamente,
ma si muove, si agita e addentra senza posa nei fenomeni so-
ciali che la vivificano, ond’essa ben a ragione ha potuto quali-
ficarsi una dottrina sociale dello Stato. Tratta com’essa è dal
diritto pubblico inglese, si presenta quale un sistema di politica
COMMEMORAZIONE — RODOLFO GNEIST 1071
interna intesa a dirimere, secondo leggi determinate, i conflitti
dei vari interessi sociali fra di loro. È il concetto geniale svolto
dallo Stein nella storia del moto sociale in Francia, e che ap-
plicato da Gneist al proprio soggetto, gli ha permesso di assur-
gere allo studio della missione che spetta allo Stato moderno
di fronte agl’ interessi unilaterali di classe e alla ricerca dei
mezzi per adempierla.
Per cotale guisa Gneist si vide condotto a collocare il suo
autoreggimento sul terreno di uno Stato verso il quale i citta-
dini amministratori, penetrati dal sentimento del proprio dovere
pubblico, si professano obbligati operando nel pubblico interesse.
E quei cittadini dovevano, secondo il suo modo di vedere, ap-
partenere alle classi possidenti, le sole consapevoli dei doveri
civici nelle funzioni onorarie, le sole capaci di formare un nucleo
di governo analogo alla gentry inglese.
Che questa bella concezione umana e previdente dello Stato
abbia superate tutte quante le grandi difficoltà di una conciliazione
degl’interessi politici con gl’interessi sociali, sarebbe soverchio
affermare. Gneist ebbe però l’alta sodisfazione di cooperare al-
l'attuazione dei propri pensamenti e di parteciparvi di poi fino
alla morte mercè l’illuminato suo consiglio nel supremo tribu-
nale amministrativo prussiano, come ebbe quella ancor più in-
tima di vedere, da un canto, sorgere e fiorire sotto i suoi
auspicii quei Congressi giuridici annui, che prepararono e fecon-
darono le riforme legislative della nuova Germania, e, dal-
l’altro canto, le classi operaie, nel sodalizio centrale cui fu
chiamato a presiedere per lunghi anni, avviarsi a quelle graduali
migliorie intellettuali e morali donde più che mai deve dipendere
l’accordo finale delle classi in una comune cooperazione agli
uffici di pubblico interesse.
La memoria di Rodolfo di Gneist rimarrà perennemente
scolpita nelle menti e nei cuori di quanti in Germania e fuori
amano e ameranno, professano e professeranno con alto e no-
bile sentire il culto della giustizia nel diritto privato e pub-
blico, nella vita sociale e individuale, nella scienza, nella le-
gislazione e nella pratica giurisprudenza e amministrazione.
1072 ERMANNO FERRERO
GIUSEPPE FIORELLI
Parole commemorative del Socio ERMANNO FERRERO
Giuseppe FroreLLI, che noi iscrivemmo fra i nostri Socii
corrispondenti il 20 di marzo 1880, fu uno di quegli uomini
fortunati, che hanno legato il proprio nome ad una grande im-
presa della scienza.
Il Fiorelli legò il suo agli scavi di Pompei. Prima che,
caduta la monarchia borbonica, egli fosse assunto alla loro di-
rezione, si poteva dire che in generale la sepolta città era stata
rovistata: con lui principiò ad essere scavata metodicamente,
accuratamente, in modo che niun avanzo scompaia e che non
si perda il più piccolo insegnamento utile per la scienza.
Questo è il titolo principale, che assicura al Fiorelli un
posto onorato nella storia dell’ archeologia in questo secolo:
non è il solo. Insieme con la direzione degli scavi pompeiani
egli ebbe quella del museo di Napoli, da lui riordinato, am-
pliato, dotato di cataloghi per certe collezioni, principali l’epi-
grafica e la numismatica.
Il Fiorelli fu pure esperto conoscitore delle antiche monete,
sulle quali pubblicò negli anni giovanili (1) scritti pregiati (2).
Al tempo della direzione degli scavi di Pompei spettano lavori
(1) Era nato a Napoli 1’8 di giugno 1823. Nel 1846 prese parte al
Congresso degli scienziati italiani a Genova, e vi fu nominato vice-presi-
dente della sezione di geografia e di archeologia.
(2) Osservazioni sopra talune monete rare di città greche, Napoli, 1843;
Monete inedite dell’Italia antica, Napoli, 1845; Annali di numismatica,
Roma, 1846-Napoli, 1851, 2 vol.
COMMEMORAZIONE — GIUSEPPE FIORELLI 1073
sulla storia di questi, una descrizione della morta città (1) e
l'educazione di discepoli, che abilmente lo coadiuvarono, e di
cui quelli, che gli succedettero negli scavi e nel museo, affet-
tuosamente ne ricordarono le benemerenze dinanzi all’ Accademia
napolitana di archeologia (2).
Fin da giovane il Fiorelli nutrì sentimenti liberali, che, nei
tristi tempi succeduti al 48, gli procurarono carcere e poi per-
dita dell’ ufficio, che già allora aveva nelle escavazioni pom-
peiane, e, come conseguenza, anni di povertà e di duro lavoro.
Un membro della famiglia reale, il conte di Siracusa, che mo-
strava amore per gli studii e le ricerche archeologiche, lo pre-
pose all'esplorazione della necropoli di Cuma (3), poscia lo ebbe
suo segretario. Sono celebri le due lettere calde di sentimento
italiano, che nell’agosto del 1860, il conte mandava al nipote
Francesco II ed a Vittorio Emanuele IL È noto che esse furono
scritte dal Fiorelli, il quale allora aveva parte d’intermediario
fra il conte e chi rappresentava a Napoli la politica del Pie-
monte (4). Gl’'imparziali non esitano nell’apprezzare al suo vero
valore l’atto di facile coraggio del principe borbonico: niuno
negherà però al Fiorelli il vanto di non aver atteso, per mostrare
amore per la libertà e per l'indipendenza nazionale, il momento,
in cui il trono dei Borboni si sfasciava, si moltiplicavano da
ogni parte le diserzioni, nelle acque di Napoli erano ancorate
le navi sarde, e dalla Calabria accorreva trionfante il vincitore
di Calatafimi e di Milazzo.
(1) Pompeianarum antiquitatum historia, Neapoli, 1860-62, 2 vol.; Gli
scavi di Pompei dal 1861 al 1872, Napoli, 1873; Descrizione di Pompei,
Napoli, 1873; Guida di Pompei, Roma, 1877. Aveva già pubblicato: Monu-
menta epigraphica Pompeiana, pars prima: Inscriptionum Oscarum apographa,
Neapoli, 1856, ed una grande pianta della città: Tabula coloniae Veneriae
Corneliae Pompeis.
(2) Società reale di Napoli. Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’ Ac-
cademia di archeologia, lettere e belle arti. Nuova serie, anno X, pag. 14-23
(tornata del 4 febbraio 1896), discorsi dei professori Sogliano e De Petra.
(3) Monumenti antichi posseduti da S. A. R. il conte di Siracusa, Napoli,
1353; Notizia dei vasi dipinti rinvenuti a Cuma nel MDCCCLVI, Napoli, 1857.
(4) Cfr. Persano, Diario privato-politico-militare nella campagna navale
degli anni 1860 e 1861, 2* parte, Torino, 1870, pag. 20, 40, 53; Nisco,
Francesco II re, Napoli, 1887, pag. 126-129; Memor, La fine di un regno,
Città di Castello, 1894, p. 423-425.
1074 E. FERRERO — COMMEMORAZIONE GIUSEPPE FIORELLI
Nel 1860 il Fiorelli tornò alla sua Pompei: nel 63 ebbe anche
la direzione del museo napolitano: tenne entrambi gli ufficii
sino al 1875, in cui un ministro dell’istruzione pubblica, suo com-
paesano, Ruggero Bonghi, lo chiamò a presedere al servizio ar-
cheologico ed artistico del regno. Rimase fino al 1892 in tale im-
portantissimo ufficio, del quale opere buone furono l'impulso agli
scavi di Roma e di altri luoghi, l'ordinamento di collezioni, la
creazione di una periodica raccolta d’informazione archeologica,
le Notizie degli scavi. Nè mancò di cercare i mezzi per istabi-
lire vigilanza sui monumenti venerandi del nostro passato e
della nostra arte; problema gravissimo, che diede e darà ancora
molto da studiare (1).
Lasciato nel 92 l’ufficio di direttore generale al Ministero,
sl ritrasse a vita privata: le condizioni cattive della sua salute
peggiorarono ancora: cieco, infermo, trascinò vita miserabile
sino al dì 29 del gennaio di quest'anno. Due giorni dopo, mentre
a Napoli si tributavano solenni onoranze alla sua salma, nel
Foro di Pompei s'inaugurava un busto del Fiorelli, che alle più
lontane generazioni rappresenterà le sembianze dell’archeologo,
la cui memoria non potrà essere mai scompagnata dalla vittima
del Vesuvio.
(1) Per sua cura furono raccolti i Documenti inediti per servire alla
storia dei musei d’Italia, Roma, 1878-80, 4 vol. Aveva stampato prima una
relazione Sulle scoverte archeologiche fatte in Italia dal 1846 al 1866,
Napoli, 1867.
1075
PREMII DI FONDAZIONE GAUTIERI ©
L'Accademia Reale delle Scienze ha stabilito di conferire
nel 1897 due premii per le opere di filosofia e di storia della
filosofia pubblicate negli anni 1891-96; nel 1898 due premii per
le opere di storia politica e civile in senso lato pubblicate negli
anni 1891-97, nel 1899 due premii per le opere di letteratura,
storia letteraria e critica letteraria pubblicate negli anni 1891-98.
I premii saranno di circa L. 3000 caduno, dedotte le tasse
e le spese di amministrazione.
A partire poi dal 1900 si conferirà ogni anno un premio
della somma indicata nel seguente ordine per ciascun triennio:
1° anno Filosofia, 2° anno Storia, 3° anno Letteratura.
(1) Vedi R. decreto 15 settembre 1895 e il regolamento interno pub-
blicati a pag. 298 e segg.
L’ Accademico Segretario
ErmanNO FERRERO.
= ===
—=< i _
1076
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA
Dal 31 Maggio al 21 Giugno.
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio;
quelle notate con “* si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono,
* Analele Institutului Meteorologic al RomAaniei. Tomul X, Anul 1894.
Bucuresci, 1895; 4°.
* Awales dela Sociedad Cientifica Argentina. Entrega IV, V, t. XLI. Buenos
Aires, 1896; 8°.
Anales del Museo Nacional de Montevideo, IV. 1896; 4°.
* Annales de la Société belge de Microscopie. T. XIX. Bruxelles, 1895; 8°.
* Annales de la Société géologique de Belgique. T. XX, 4° livr.; XXII,
2° livr. Liège, 1892-1895; 8°.
* Annals of the New York Academy of Science late Lyceum of Natural
history. VIII, 6-12. New York, 1885; 8°.
* Archives Néerlandaises des sciences exactes et naturelles publiées par
la Société hollandaise des sciences è Harlem; tome XXX, livr. 1.
Harlem, 1896; 8°.
* Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Anno XLIX, sess. III.
Roma, 1896; 4°.
Atti della Società Piemontese d’Igiene; Anno II, fasc. 2-4. Torino, 1896; 8°.
* Atti della Società toscana di Scienze naturali residente in Pisa. Processi
verbali, vol. X, pp. 1-107; 1895-97.
* Berichte der Bayer. Botanischen Gesellsch. Bd. IV. Miinchen, 1896; 8°.
Boletin mensual del Observatorio Meteorolégico Central de Mexico. Enero,
Febrero, 1896; 4°.
Boletin mensual demografico de Montevideo. Aîio II, April 1894, n. 82,
83, 35-40. Montevideo, 1895-96.
Boletin del Observatorio Astronémico Nacional de Tacubaya. Tom. I,
n. 23, 24. Mexico, 1895; 4°.
* Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia comparata della R. Univer-
sità di Genova. N. 40-48. Genova, 1896; 8°.
TT. e— e Cc _—_raeer ee, ——-u
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 1077
* Bollettino del R. Comitato Geolog. d’Italia. Anno 1896, n. 1; e Catalogo
della Biblioteca, 1° Suppl°. Roma, 1896; 8°.
Bollettino della Società generale dei Viticoltori italiani. Anno X, n. 24; XI,
n. 1-12. Roma, 1895-96; 8°.
* Bollettino medico-statistico dell’Ufficio d’igiene della città di Torino.
Anno XXV, n. 1-17 e Rendiconto dei mesi di gennaio, maggio 1896.
* Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2, v. XVI,
n. 2-6. Torino, 1896.
* Buletinul Observatiunilor Meteorologice din Romania. Anul IV, 1895.
Bucuresti, 1896; 4° (dall'Istituto Meteorologico).
Bulletin Mensuel de Statistique Municipale de la ville de Buenos-Aires.
Année IX© (1895), n. 9-12; X° (1896), 1-4.
* Bulletin de la Société impériale des Naturalistes de Moscou. Ann. 1895,
n. 3. Moscou, 1896; 8°.
Bulletin de la Société Philomatique de Paris, 1894-95, n. 4; 8°.
* Bulletins du Comité Géologique de St-Pétersbourg, 1895. Supplément au
T. XIV. St-Pétersbourg, 1895; 8°.
* Bullettino delle Scienze mediche pubblicato per cura della Società medico-
chirurgica ecc. Serie VII, vol. VII, fasc. 3,5. Bologna, 1896; 8°.
* Bullettino delle sedute dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali in
Catania, fasc. XLI-XLIII. Catania, 1896; 8°.
* Bullettino della Società Veneto-Trentina di scienze naturali. T. VI, n. 2.
Padova, 1896; 8°.
* Compte-Rendu sommaire de la séance de la Société philomatique de
Paris. N. 5-16 février 1896. Paris; 8°.
* Comptes-Rendas de l’Académie des Sciences de Cracovie. Avril. Cracovie,
1896; 8°.
Comptes-Rendus des séances de la Commission permanente de l’Association
Géodésique internationale. Berlin, 1895; 4°.
Field Columbian Museum:
Botanical series. Vol. I, n. 1. Geological series. Vol. I, n. 1. Zoolo-
gical series. Vol. I, n. 1-2. Chicago, 1895; 8°.
* Giornale della R. Accademia di medicina. A. LIX, n, 4. Torino, 1896; 8°.
* Johns Hopkins University:
American Chemical Journal. N. 1 del vol. 7.
American Journal of Mathematics. Vol. III, 1880.
Bulletin of the Johns Hopkins Hospital. Vol. VII, n. 58-61.
Circulars. Vol. VI, n. 55; XIII, n. 108; XV, n. 124.
Geological Map of Baltimore and Vicinity.
* Mémoires du Comité Géologique de St-Pétersbourg. Vol. X, n. 4. 1895; 4°.
* Memoirs of the Boston Society of Natural history. Vol. V, n. 1, 2.
Boston, 1895; 4°.
Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXV, disp. 182-152.
Roma, 1896; 4°.
* Mittheilungen aus der Zoologischen Station zu Neapel. 12 Bd. 2 Heft.
Berlin, 1896; 8°.
1078 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
* Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVI, n. 6-8.
London, 1896; 8°.
* Ofversigt af Finska Vetenskaps-Societetens Fòrhandlingar, XXXVII, 1894-
1895. Helsingfors, 1895; 8°.
* Proceedings of the Boston Society of Natural history. Vol. XXVI,
part IV. Boston, 1895; 8°.
* Proceedings of the American Academy of Arts and Sciences. New Series,
vol. XXII. Boston, 1895; 8°.
Proceedings and Transactions of the Nova Scotian Institute of Science.
Session of 1893-94, 2° series, vol. I, part 4. Halifax N. S., 1895; 8°.
Proceedings of the Royal Institution of Great Britain. Vol. XIV, Part III,
n° 89. London, 1896; 8°.
* Proceedings of the Academy of Natural Science of Philadelphia. Parts II,
TIT, 1895; 82,
* Proceedings of the Rochester Academy of Science. Broch. 3, 4, vol. II.
Rochester, N. Y., 1893; 8°.
* Proceedings of the California Academy of Sciences. 29 Ser., vol. V,
part I. San Francisco, 1895; 8°.
* Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXIX,
fasc. X. Milano, 1896; 8°.
* Rivista mensile del Club alpino italiano. Vol. XV, n. 1-5. Torino, 1896; 8°.
Spelunca. Bulletin de la Société de Spéléologie. 17° année, n. 5. Paris,
1896; 8°.
* Smithsonian Institation: The Composition of Expired Air and its Ef-
fects upon Animal Life. By J. S. Billings, S. W. Mitchell, and D. H. Bergey.
Washington, 1895; 4°.
Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXIX, fasc. V. Modena,
1896; 8°,
* Transactions of the Wisconsin Academy of Sciences, arts, and lettres.
Vol. IV, VI, IX, X. Madison, Wis., 1878-1895; 8°.
* Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXIV, Part VIII.
Transactions of the New York Academy of Science. Vol. XIV. New York
1894-95; 8°.
Tufts College Studies. N.1V. Tufts College, Mass., 1895; 8°,
* Verhandlungen des naturhistorisch-medicinischen Vereins zu Heidelberg.
N. F., Bd. V, 4. 1896; 8°.
* }RypHaxp pycckaro ®I87rR0-xMMMTecKaro O6mecrBa ipa IMmneparopecroMme
C. IHerep6yprerome YAamBepenterb; t. XXVIII, n. 8. 1896.
*
*
LI
Rizzardi (U.). Contributo alla fauna tripolitana. Firenze, 1896; 8° (dall’A.).
Weingarteu (J.). Sur la déformation des surfaces. Stockholm, 1896; 4° (Z4.).
| € ORTI, , RI TO" CITTA NI
PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 1079
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologicne.
Dal 14 al 28 Giugno 1896.
Annali di Statistica. — Statistica industriale. Fasc. LVIII-LX. Roma,
1895-96; 8° (dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio).
** Bibliotheca philologica classica. 1896. Erstes Quartal. Berlin; 8°.
* Boletin de la Real Academia de la historia; t. XXVIII, cuad. IV. Madrid,
1896; 8°.
* Bollettino delle Pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa
(Bibl. Naz. Centr. di Firenze); 1896, n. 240-251; 8°.
Bollettino di notizie sul credito e la previdenza. Anno XIII, n. 9-12 e in-
dice; XIV, n. 1-4. Roma, 1895-96; 8° (Ministero di Agricoltura, Industria
e Commercio).
Bollettino di Legislazione e Statistica doganale e commerciale. Anno XII,
ottobre-dicembre 1895 e indice; XIII, gennaio-marzo 1896. Roma,
1895-96; 8° (Ministero delle Finanze).
Bulletin de la Société de Géographie Commerciale de Bordeaux, n. 24,
1895; 1-5, 1896; 8°.
* Bulletin de l’Académie Royale des sciences et des lettres de Danemark.
Copenhague, 1896, n. 3; 8°.
* Comptes-rendus des séances de la Société de Géographie; 1895, n. 14-16;
n. 1-12, 1896. Paris, 1896; 8°.
* Consiglio Comunale di Torino; Sessione ordinaria di primavera 1896,
n° V-XVII.
* Leopoldina. Amtliches Organ der k. Leopoldino-Carolinischen Deutschen
Akad. der Naturforscher. XXXI Heft, 13895. Halle; 4°.
* Monumenta spectantia historiam slavorum meridionalium. Vol. XXVII.
Tom. III. Zagabriae, 1895; 8°.
* Rad Jugoslavenske Akademije Znanosti i Umjetnosti. Knjiga CXXIV.
Zagubu, 1895; 8°.
Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXIX,
fasc. 11-12. Milano, 1896; 8°.
* Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di Archeologia,
Lettere e Belle Arti della Società Reale di Napoli. N. S., An. X. Gen-
naio a Marzo 1896; 8°.
* Rjecnik hrvatskoga ili srpskoga jezika na svijet izdaje Jugoslavenska
Akad. Znanosti i Umjetnosti obraduje P. Budmani. Svezak 15, 3 Cetvr-
toga Dijela Zagrebu, 1895; 8°.
1080 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA
Rosario (Il) e la Nuova Pompei. Anno XIII, quad. IV-V. Valle di Pompei,
1896; 8°.
Sanskrit Critical Journal of the Oriental Nobility Institute. Woking,
England, n. 3-4, 1896; 8°.
* Starine na sviet izdaje Jugoslavenska Akademija Zanosti i Umjenosti.
Knjiga XXVIII. Zagrebu, 1895; 8°.
Statistica del Commercio speciale di importazione e di esportazione dal
1° gennaio-31 dicembre 1895; 1° gennaio-31 maggio 1896, 6 fasc.
Roma, 1895-96; 8° (dal Ministero delle Finanze).
* Studi e Documenti di storia e diritto. Anno XVII, fasc. 1-2°. Roma, 1896; 4°
(dall’Accademia di Conferenze Storico-giuridiche).
Valle di Pompei; An. V, n. 1-3. 1896; fol.
Colombo (G.). Ancora del Maestro Syon. Torino, 1896; 8° (dall’A.).
Dante Allighieri. Il Trattato “ De vulgari eloquentia ,, per cura di Pio
Rayna. Firenze, 1896; 8° (dal Prof. Pio Rajna).
Favaro (A.). Intorno alla vita ed ai lavori di Tito Livio Burattini, fisico
agordino del secolo XVII. Venezia, 1896; 4° (dall’A.).
— Amici e corrispondenti di Galileo Galilei. II. Ottavio Pisani. Venezia,
1896; 8° (Zd.).
Foerster (W.). Kristian von Troyes Erec und Enide. Halle a. S., 1896; 8° (Zd.).
Lagrange (G. L.). Fac-simili di lettere di G. L. Lagrange, le quali si con-
servano nel carteggio di Paolo Frisi posseduto dalla Biblioteca Ambro-
siana di Milano (dal prof. A. Favaro).
Pagani (G.). Mario Nizzoli umanista e filosofo del secolo XVI. Roma, 1893;
8° (dall’A.).
** Sanuto (M.). Diari. Fasc. 198. Venezia, 1896; 4°.
INDICE
DEL VOLUME XXXl
ELenco degli Accademici residenti, Nazionali non residenti, Stranieri
e Corrispondenti ; ‘ ‘ « , x 3 SIFAG: De
Erezioni di Soci della Classe di scienze fisiche, matematiche e na-
turali . ; È i - E 9 5 3 3 n 910, 853.
ELezioni di Soci della Classe di scienze morali, storiche e filologiche , 579
Errata-Corrige . 7 È } 2 , È ; i 7 » 1090
FonDAZIONE GAUTIERI.
Regio Decreto del dì 15 di settembre 1895, col quale S. M. il Re
ha approvato il disegno di Statuto organico . - . n. 496
Statuto organico della Fondazione Gautieri È non 299
Regolamento interno per il conferimento del premio ne, DA III
Premi di fondazione Gautieri ; i , . È J pULOTO
Premio BreEssA.
Relazione sui lavori presentati per il IX premio Bressa . n :291
Conferimento del IX premio Bressa . ; È È * » 358
Sunti degli Atti verbali delle adunanze a Classi Unite . ; x (200,
358, 844.
Sunti degli Atti verbali delle Adunanze della Classe di Scienze fisiche,
matematiche e naturali . È Li
155, 205, 245, 309, 363, 439, 475, 559, 583, 619, 691, 803, 851, 937.
Sunti degli Atti verbali delle Adunanze della Classe di Scienze mo-
rali, storiche e filologiche . ; 84,
200, 239, 263, 325, 409, 471, 527, 579, 585, 625, 733, 894, 889, 1065.
PuesLicazioniI ricevute dalla R. Accademia delle Scienze di Torino
(Classe dì Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali) . } 117,
201, 242, 303, 359, 436, 472, 551, 580, 615, 686, 800, 847, 931, 1076.
Pussiicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze di Torino
(Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche) . ? 143,
202, 243, 305, 361, 438, 473, 553, 581, 616, 688, 801, 848, 933, 1079.
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. 73
1082 INDICE DEL VOL. XXXI
Arzievo (Giuseppe) — Sunto della Memoria: Studi psicofisiologici Pag.
— Peyron (Bernardino) e Brusa (Emilio) — Relazione sul lavoro
manoscritto del Dott. Francesco FrieERI intitolato: La filosofia
e Pico della Mirandola
— La divisione del lavoro applicata alle Università .
n
— Sunto della Memoria: Federico Herbart e la sua dottrina pe-
dagogica : 5 ; ; : s ;
— La libera attività de liicando secondo Enrico Pestalozzi e
Gian Giacomo Rousseau Li
— Studio storico critico di pedagogia femminile >;
— Della educazione della donna secondo i pensatori francesi del
secolo XVIII - : ; : : :
Armansi (Emilio) — Sull’ integrazione dell’ equazione differenziale
AZA3—0) : È ; ; % X
Arnò (Riccardo) — La radiazione di Réòntgen con tubi di Hittorf
ad idrogeno rarefatto
n»
n
Batsi (Vittorio) — Effemeridi astronomiche calcolate per Pai 1897
e per l’orizzonte di Torino z
Basso (Giuseppe) — V. CarLE (Giuseppe), dh (Alfonso), e FERRARIS
(Galileo).
Berrranp (Giuseppe Luigi) — Eletto Socio straniero è
BerzoLarI (Luigi) — Sulle curve piane che in due dati fasci hanno
un semplice o un doppio contatto, oppure si osculano .
»
Berrazzi (Rodolfo) — Sulla catena di un ente in un gruppo . È
— Gruppi finiti ed infiniti di enti
n
Bizzozero (Giulio) — V. Mosso (Angelo) e Bizzozero (Giulio).
BoLLati pi SAINT-PIERRE (Emanuele) — V. Cieorra (Carlo), BoLnati
pi Sarnt-Prerre (Emanuele) e Perrero (Domenico).
BoLrzmann (Luigi) — Eletto Socio Corrispondente
Boncni (Ruggero) — V. Carre (Giuseppe).
BrroscHi (Francesco) — Il risultante di due forme binarie biquadratiche
e la relazione fra gli invarianti simultanei di esse x
Brusa (Emilio) — Di una sanzione penale alla convenzione gine-
vrina per i feriti in guerra . ;
— V.Artrevo (Giuseppe), Peyron (Bernardino) e Brusa (Emilio).
— (Commemorazione del Socio straniero Adolfo GwxeIsT Li
Bryce (Giacomo) — Eletto Socio Corrispondente . 3 È S
CaLLiGARIS (Giuseppe) — San Gregorio Magno e le paure del prossimo
finimondo nel Medio-evo . ; E 5 à i : a
287
410
586
612
642
825
891
881
620
1046
310
476
446
506
310
INDICE DEL VOL. XXXI
Camerano (Lorenzo) — Legge la commemorazione del defunto Pre-
sidente Michele Lessona, che sarà stampata nei volumi delle
Memorie . 2 È 3 i N : , 4 «1 Pag.
— Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro
del Dott. Daniele Rosa, intitolato: I Linfociti degli Oligocheti,
ricerche istologiche . > : . : i i J
— Nuove ricerche intorno ai Salamandridi Tan apneu-
moni e intorno alla respirazione negli Anfibi urodeli . È
— e Sarvapori (Tomaso) — Relazione intorno alla Memoria del
Dott. Daniele Rosa, intitolata: I Linfociti degli Oligocheti,
ricerche istologiche . p x 3 " ? 5 i
— Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un Tavoto
del Dott. Ermanno GiaLio-Tos, intitolato: Sulle cellule del sangue
della Lampreda . $ ° } 3 : Î , : 2
— e Sarvapori (Tomaso) — Relazione intorno alla Memoria del
Dott. Ermanno Gietio-Tos, intitolata: Sulle cellule del sangue
della Lampreda . 3 è , : ; Z . È i
— V.Grseni (Giuseppe) e Camerano (Lorenzo).
— VV. Naccari (Andrea) e Camerano (Lorenzo).
Camperti (Adolfo) — Sulla compressibilità dell’ ossigeno a basse
pressioni . È ì ( : 2 3 3 : 1 a
Cantoni (Carlo) — Eletto Socio Corrispondente . È L 1 È
Cantù (Cesare) — V. Crporra (Carlo).
Carre (Giuseppe) — Annunzia la morte del Socio residente G. Basso,
dei Soci stranieri Enrico Rodolfo GwreIst, dei Soci corrispon-
denti Enrico von SyBet, Filippo Linati e Ruggero BonenI ,
— Annunzia la morte del Socio Corrispondente Giuseppe De Leva ,
— Annunzia la morte del Socio Corrispondente Senatore Carlo
NeGronI . o : c ; ; F È 5 È
— Annunzia la morte del Socio Corrispondente barone Cristoforo
NEGRI . A : A È . 3 S ì " : Li
— Parole di commemorazione del Socio Corrispondente Luigi
Cossa . 7 3 : i : È 3 ; ; : î
— Annunzio della morte del Socio nazionale non residente Luigi
Federico MenARREA, marchese di Val Dora . \ : D
Catalogo Universale di bibliografia scientifica ecc. V. Naccari (Andrea).
CeLorIA (Giovanni) — Eletto Socio Corrispondente . o i L
CriapreLLi (Alessandro) — Eletto Socio Corrispondente . - S
Cain: (Mineo) — Sulle equazioni a derivate parziali del 2° ordine ,
CiroLra (Carlo) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie
un lavoro del Dott. Luigi ScniaparELLI: Le origini del Comune
di Biella . 5 : ; ; } 3 È ; : ì,
1083
512
584
619
731
52
579
84
200
325
527
844
851
310
979
568
Atti della R. Accademia — Vol. XXXI. TRS
1084 INDICE DEL VOL. XXXI
CipoLLa (Carlo) — Cesare Cantù ed Enrico von SyseL; Cenni comme-
morativi . f ; È : 4 ò : ; «SPREA
— Sunto della Memoria: Brevi appunti di Storia Novaliciense , 240
— Borrarti pi Saint-Pierre (Emanuele) e Perrero (Domenico) —
Relazione sul lavoro del Dott. Luigi ScarAPARELLI, intitolato:
Origini del Comune di Biella n 482
— Presenta per l’inserzione nei volumi dote Monia un avan
del Prof. Carlo MerkeEL, intitolato: Nicolò Scillacio e la relazione
intorno al secondo viaggio di Cristoforo Colombo in America , 626
— Giuseppe De Leva. Commemorazione n 735
— Nuovi appunti di storia Novaliciense ‘ 756
— Crarerta (Gaudenzio) e Ferrero (Ermanno) — han sir
lavoro del Prof. Carlo MergeEL: Niccolò Scillacio e le relazioni
sul secondo viaggio di Cristoforo Colombo in America PA)
CLarerta (Gaudenzio) — Annunzia la morte del Socio Nazionale non
residente marchese Matteo Ricci ali Ad
— Filippo Linari. Commemorazione io SISI
— Lo stato di alcuni archivi comunali della provincia di Susa
ai tempi di Re Vittorio Amedeo III : tie
— V. Cirotra (Carlo), CLarerTA (Gaudenzio) e Ferrero (Ermanno).
Coanerti pe Martus (Leonardo) — Gli infortunii sul lavoro, Appunti
d’igiene sociale . n 845
CoLomsa (Luigi) — Osservazioni mineralogiche su alcune sabbie della
collina di Torino n 998
Congresso Storico. V. Ferrero (Ermanno).
Corpone (Girolamo) — Intorno al gruppo di sostituzioni razionali e
lineari : x sn 804
Cossa (Alfonso) — Annunzia la morte del Socio Giuseppe Basso e
di Luigi Pasteur avvenute durante le ferie dell’Accademia , 1
— Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro
del Prof. Icilio GuarescHI, intitolato: Sintesi di composti piri-
dinici degli eteri chetonici coll’etere cianacetico in presenza del-
l’ammoniaca e delle amine . . : 5 3 2
— e Spezia (Giorgio) — Relazione sulla Memoria del Prof. Icilio
GuarescHI, presentata nell'adunanza del 17 Novembre 1895,
intitolata: Sintesi di composti piridinici dagli eteri chetonici
coll’etere cianacetico in presenza dell’ammoniaca e delle amine , 198
— Annunzia la morte del Socio Corrispondente Gabriele Augusto
DAUBREÈE . , È ; - È a È - > è < REI
— Comunicazione . 3 ; £ i : ; ni 998
Cossa (Luigi) — V. CarLE i
Dana (James Dwigt) — V. Spezia (Giorgio).
Dausrée (Gabriele Augusto) — Vedi Cossa (Alfonso).
INDICE DEL VOL. XXXI
De-ArrssanpriI (Giulio) — Ricerche sui pesci fossili del Paranà, £e-
pubblica Argentina . Pag.
De Leva (Giuseppe) — V. Care (Giuseppe); V. TEMA (Carlo).
Derponte (Giovanni Battista) — V. GrseLri (Giuseppe).
D’Ovipio (Enrico) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle
Memorie un lavoro del Prof. Rodolfo BertAzzi, intitolato:
Fondamenti per una teoria generale dei gruppi
Fano (Gino) — Aggiunta alla Nota: “ Sulle congruenze di rette del
terzo ordine prive di linea singolare ,
Favaro (Antonio) — Sette lettere inedite di TOI Luigi Lagrange
al P. Paolo Frisi, tratte dagli autografi nella Biblioteca Ambro-
siana di Milano .
tu)
Fetici (Riccardo) — Eletto Socio Nazionale non residente
»”
FergoLa (Emanuele) — Eletto Socio Nazionale non residente .
Ferraris (Galileo) — Giuseppe Basso. Commemorazione .
— V. Serzia (Giorgio) e FerrarIs (Galileo).
Ferrero (Ermanno) — Presenta una fotografia, donata dal Prefetto
‘della biblioteca Nazionale di Torino, del busto di Gaspare
GorRESIO n
— Informa sulla rappresentanza dell’Accademia al VI Congresso
Storico tenutosi in Roma .
— Presenta un manoscritto inviato per la stampa nelle pubbli-
cazioni accademiche dal sig. Giovanni FricerI, intitolato: La
filosofia di Giovanni Pico della Mirandola 5
— Presenta la collezione del Tripitaka dei Buddisti meridionali,
dono di S. M. il Re del Siam .
— Un ripostiglio di monete della. repubblica romana scoperto
a Romagnano Sesia .
”
— V.Crrorza (Carlo), CLarettA (Gaudenzio) e FerRERO (Ermanno).
— Parole commemorative sul Socio Corrispondente Giuseppe
FIORELLI : ; ; " È ì : È
Frrerr (Michele) — Eletto Socio Nazionale residente . e
— e Ponzio (Giacomo) — Sulla trasformazione dei chetoni in
a-dichetoni . È | A 5
FroreLLi (Giuseppe) — V. Ferrero (Ermanno).
GanrrI (Giuseppe) — Eletto Socio Corrispondente s
GreeLti (Giuseppe) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle
Memorie un lavoro del sig. Ugolino MartELLI, intitolato: Flora
della Sardegna in continuazione di quella del Moris (Orchidee) ,
— G. B. DeLponte. Commemorazione : ”
— e Camrrano (Lorenzo) — Relazione sulla Menna ie signor
Enrico MarreLLI, intitolata: Monocotyledones Sardoa@ Josephi
Hyacinthi Moris “ Florae Sardoe. Continuatio ,
”
1085
715
310
708
527
260
1086 INDICE DEL VOL. XXXI
GiseLLi (Giuseppe) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle
Memorie un lavoro del Dott. Saverio BeLLi, intitolato: Endo-
derma e periciclo nel genere Trifolium in rapporto colla teoria
della Stelia di V. Tieghem e Douliot . x ) ; 3) <a
— e Camerano (Lorenzo) — Relazione sulla Memoria del Dottor
Saverio BeLLi, intitolata: Endoderma e periciclo nel genere
Trifolium in rapporto alla teoria della Stelia di V. Thieghem
e Douliot . , î ; . - 3 } - > “
GieLio-Tos (Ermanno) — Sull’origine dei corpi grassi negli anfibi ,
Gwerst (Enrico Rodolfo) — V. Carre (Giuseppe), e Brusa (Emilio).
GuarescHi (Icilio) — Eletto Socio residente È 4 7 ; A
— Alcune osservazioni sulla difenilurea e sulle ditoliluree . >
— Sull’a-aminoetilidensuccinimide e sull’acetilsuccinimide . i
Gurpi (Camillo) — Eletto Socio Nazionale residente ; È 3
HeLmert (F. Roberto) — Eletto Socio Corrispondente i ; n
JApANZA (Nicodemo) — Influenza dell’errore di verticalità della stadia
sulla misura delle distanze e sulle altezze s ; c a
— Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un suo
lavoro intitolato: Per la storia del cannocchiale . ; È
— e Naccari (Andrea) — Relazione sulla memoria del Prof. Fran-
cesco Porro, intitolata: Osservazioni di stelle variabili eseguite
a Torino e a Soperga . ; : ; ) È - s
Jorpan (Camillo) — Eletto Socio Corrispondente ; 4 : s
Lartes (Elia) — I1 € vino di Naxos , in un'iscrizione preromana dei
Leponzii in Val d’Ossola . ò . . $ : 4 3
LauriceLLA (Giuseppe) — Integrazione dell'equazione A°(A?u)= 0 in
un campo di forma circolare . : . » È : ;
Lessona (Michele) — V. Camerano (Lorenzo).
Levi (Alberto) — Sulle singolarità della jacobiana di quattro superficie ,
Levi-Crvira (Tullio) — Sull’inversione degli integrali definiti nel
campo reale È ; : a ; ; ; 3 : 3
— Sugli integrali algebrici delle equazioni dinamiche . »
Linati (Filippo) — V. Carre (Giuseppe).
MarreL (Edoardo) — Di una nuova interpretazione dell’architettonica
florale delle crocifere e generi affini ‘ i é i ,
MarteLLI (Ugolino) — Ritira la sua Memoria: Monocotyledones Sardo
Josephi Hyacinthi Moris Flora Sardo@ Continuatio È A
— V. Gisetti (Giuseppe).
MenaBreA marchese di Val Dora(Luigi Federico) — V. CArLE(Giuseppe).
858
987
475
INDICE DEL VOL. XXXI
Mercati (Giovanni) — D'un palimpsesto Ambrosiano contenente i
Salmi esapli e di un'antica versione latina del commentario
perduto di Teodoro di Mopsuestia al Salterio . i . Pag.
Mrirrag-LerrLErR (Gustavo) — Eletto Socio Corrispondente P L
Monti (Virgilio) — Sulla variazione di densità di un liquido presso
alla superficie . ; , È ; : ; ; È È
Mosso (Angelo) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie
un lavoro del Dott. A. BenepIcENTI, intitolato: Sulle leggi del
tono muscolare nell'uomo . . : - . i 5 °
e Brzzozero (Giulio) — Relazione sulla Memoria del Dottor
Alberico BenEDICENTI, intitolata: Sulla tonicità dei muscoli stu-
diata nell'uomo . È E î } : , ; ; la
Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un suo la-
voro intitolato: Descrizione di un miotonometro per studiare la
tonicità dei muscoli dell’uomo . £ È ° 3 ) n
Naccari (Andrea) — Sulla trasmissione della elettricità da un con-
duttore all’aria nel caso di piccola differenza di potenziale ,
Relazione sui lavori presentati per il IX premio Bressa b
Comunica una lettera dei Segretarii della Società Reale di
Londra circa la pubblicazione di un catalogo universale di
bibliografia scientifica 3 L 7 7 i A S ù
Presenta per l’inserzione le Osservazioni meteorologiche fatte
durante l’anno 1895 all'Osservatorio della Regia Università di
Torino, calcolate dal Dott. G. B. Rizzo . : 7 i n
Comunica la lettera del Ministero della Pubblica Istruzione
in cui annunzia di aver proposto il delegato italiano alla Con-
ferenza di Londra per un catalogo universale di bibliografia ,
Comunica un invito dell’Università e del Municipio di Glasgow
all'Accademia perchè elegga un suo rappresentante alle feste
che si celebreranno in onore di Lord KeLvin . i A #
Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro
del Prof. Antonio GarBAsso, intitolato: Sopra alcuni fenomeni
luminosi presentati dalle scaglie di certi insetti È > È
e Camerano (Lorenzo) — Relazione sulla Memoria del Profes-
sore Antonio Garbasso intitolata: Sopra alcuni fenomeni lumi-
nosiî presentati dalle scaglie di certi insetti ; È È n
Presenta per l’inserzione nelle Memorie un lavoro del Profes-
sore Francesco Porro, intitolato: Osservazioni di stelle variabili
eseguite a Torino e a Soperga . 3 : 5 7 2 A
V. JapANzA (Nicodemo) e Naccari (Andrea).
Nani (Cesare) — Antonio PerriLE. Cenno necrologico 9 . S
NeerI (Cristoforo) — V. CarLe (Giuseppe).
1087
655
310
194
259
809
67
291
364
440
905
583
619
732
858
534
1088 INDICE DEL VOL. XXXI
Negroni (Carlo) — V. CarLe (Giuseppe).
Osasco (Elodia) — Di alcuni corallari pliocenici del Piemonte e della
Liguria : { I i, : i 5 È i . Pag. 225
Ovazza (Elia) — Sul metodo di falsa posizione pel calcolo degli
archi elastici. 4 x - g } 3 3 È i 206
Parona (Carlo Felice) e RovereETo (6) — Diaspri permiani a radio-
larie di Montenotte, Liguria occidentale . O
Pascar (Carlo) — L'iscrizione sabellica di Castignano . 3 s TOO
Pasteur (Luigi) — V. Cossa (Alfonso).
Parerta (Federico) — Eletto Socio Corrispondente . d 1 1 Cabuo
Priano (Giuseppe) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle
Memorie un lavoro del Prof. Francesco Grupice, intitolato :
Sulle equazioni di quinto grado . y 2
2 I,
— e D’Ovipio (Enrico) — Relazione sulla Memoria del Profes-
sore Francesco Giupice, intitolata: Sull’equazione del 5° grado , 199
n 952
Perrero (Domenico) — I regali di prodotti nazionali invalsi nella
diplomazia piemontese dei secoli XVII e XVIII n —— AI
— Un segreto episodio della vita ministeriale del Marchese
D’Ormea e del Cav. Ossorio (1740-1750) . n CADOG
— V. Crrorza (Carlo), BorLari pr Sarmr-Prerre (Emanuele) e
Perrero (Domenico).
— Trasformazioni lineari dei vettori di un piano
— Saggio di calcolo geometrico
PertILE (Antonio) — V. Nani (Cesare).
Peyron (Bernardino) — Matteo Ricci. Commemorazione . : 5 “000
— V. Arzrevo (Giuseppe), Perron (Bernardino) e Brusa (Emilio).
Preri (Marro) — Sui principii che reggono la geometria di posi-
zione. Nota 2* e 3* . ! 3 È ‘ ; : s 9881, 457
PinLocne (Augusto) — Eletto Socio Corrispondente . 1
Pizzetti (Paolo) — Intorno alla determinazione teorica della gra-
vità alla superficie terrestre . È ; ; ; x 3 BOB
Ponzio (Giacomo) — V. Fireri (Michele) e Ponzio (Giacomo).
RayLeica (Lord J. W. Strutt) — Gli è conferito il IX premio Bressa, 358
Ringrazia ‘ : 11825, 963
Ricci (Matteo) — V. CrLarertAa (Gaudenzio); e V. Perron (Bernardino).
Ricci (Serafino) — Di una stele con iscrizione trilingue rinvenuta
a File in Egitto . : : 7,
Rizzo (Gio. Battista) — La durata dello TERE del Sole sul-
l'orizzonte di Torino . 7 ; 9 y : : x 1039
Rossi (Francesco) — Di un coccio eopto del Museo egizio di Torino
con caratteri crittografici . x . i : i } n 914
INDICE DEL VOL. XXXI
Rovereto (G.) — V. Parona (Carlo Felice) e Rovereto (G.).
Sacerporti (Cesare) — Sulla rigenerazione dell’ epitelio muciparo
del tubo gastro-enterico degli anfibi ; 3 | si Pag:
SaLvapori (Tomaso) — V. CamrrANo (Lorenzo) e SaLvapori (Tomaso).
Scuapareri (Luigi) — Diploma inedito di Berengario I (a. 888)
in favore del monastero di Bobbio .
Secre (Corrado) — Annunzia che il Prof. Rodolfo Berrazzi ha riti-
rata la Memoria intitolata: Fondamenti per una teoria generale
dei gruppi, presentata per essere inserita nei volumi delle
Memorie . TA, 3 . ; : $ , ; E
— Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro
del Dott. Gino Fano, intitolato: Sulle varietà algebriche con un
gruppo continuo non integrabile di trasformazioni protettive in sè ,
— Intorno ad un carattere delle superficie e delle varietà su-
periori algebriche . ; È i: ? : È P E:
— D’Ovipro (Enrico) e Vorrerra (Vito) — Relazione sulla Memoria
del Dott. Gino Fano, intitolata: Sulle varietà algebriche con un
gruppo continuo non integrabile di trasformazioni protettive in sè ,
Spezia (Giorgio) — James Dwraar Dana. Commemorazione .
— La pressione nell’azione dell’acqua sul quarzo È " i
— V. Cossa (Alfonso) e Spezia (Giorgio).
— Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro
del Dott. Giovanni De Agostini, intitolato: Ricerche batome-
triche e fisiche sul lago d'Orta . È 5 . ; 3 2
— Sul metamorfismo delle roccie . 3 È È , ; s
— e Ferraris (Galileo) — Relazione sulla Memoria del Dottor
Giovanni De AcostINI, intitolata: Ricerche batometriche e fisiche
sul lago d’Orta . i | : È ; 3 : : tr
Syrser (Enrico von) — V. Carre (Giuseppe) e CrpoLra (Carlo).
SyrLvesrer (Giacomo Giuseppe) — Eletto Socio straniero . : e
THomsoN (Giuseppe Giovanni) — Eletto Socio Corrispondente . si
Tocco (Felice) — Eletto Socio Corrispondente . ; 3 3 à
Vanmacci (Luigi) — Del luogo della così detta prima battaglia di
Bedriaco . - ; È o A : 4 \ È n
Voeino (Pietro) — Sullo sviluppo della “ Stropharia merdaria ,
Fries . i ; 3 È : ? $ 3 ; 3 7
VoLrerra (Vito) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie
un lavoro del Prof. Giuseppe LauriceLLA, intitolato: Sull’equa-
zione delle vibrazioni delle placche elastiche incastrate . È
1089
870
538
439
556
485
1090 INDICE DEL VOL. XXXI
VoLrerra Viro — Sulla inversione degli integrali definiti; Nota I,
TL gt E RS pra i; ; s : : . Pag. 311, 400, 557, 693
— e Ferraris (Galileo) — Relazione sulla Memoria del Prof. Giu-
seppe LauriceLLA, intitolata: Sul!’ equazione delle vibrazioni
delle placche elastiche incastrate . Mi.)
— Osservazioni sulla Nota precedente del Prof. LauriceLLA e
sopra una nota di analogo argomento dell'Ing. ALmansI n 1018
ZanortI-Branco (Ottavio) — Per la storia della teoria delle super-
ficie geoidiche n 1022
ERRATA-CORRIGE
A pagina 579, invece di Antonio PinLocHE
leggasi Augusto PixLocHE.
Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S, M. e Reali Principi.
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a nell’adunanza del 17 Novembre 1895, e che ba per o
* Sintesi di composti piridinici dagli. ‘eteri chetonici n
Priano — Relazione sulla Memoria del Prof. Gupproe,
& SUCHSPRIORE del 5° grado , . . RE
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Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Buienze: dal 7 No-.
vembre al 1° Dicembre 1895 (Classe di Scienze Fisiche, Mate.
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Artievo — La divisione del lavoro applicato alle Università |. |
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D'Ormea e del Cav. Ossorio (1740- LTS lo Le
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Relazione sulla Memoria. del Dott. Giglio. T'os intitolata: * ho © Sulle
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Relazione sulla Memoria del Prof. A Garbasso intitolata: “ ea
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Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze dal 8 i
17 Maggio 1896 (Classe di Scienze Moruli, Storiche e Filologiche)
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CARLO CLAUSEN
Libraio della R. Accademia delle Scienze
| Classe di Scienze Fisiche, Matematiche x
ADUNANZA del 31 Maggio 1896.
superficie terrestre . 3 : A :
Sacerporri — Sulla rigenerazione litio muciparo |
gastro- o degli anfibi
Classe di Scienze Morali,
- ADUNANZA del 14 Giugno 1896...
AvLievo — Della educazione della Se secondo i rest
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31 Maggio 1896 (Classe di Scienze Fisiche, Matematiche ica
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Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze dal 171 \
Tip: Vincenzo Bona — Torino
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Vor. XXXI, Disr. 15*, 1895-96
CARLO OLAUSEN
Accademia delle Scienze |
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Greettr. — - Relazione intorno alla Memoria intitolata:
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ADUNANZA del 28 Giugno 1896... —.
Brusa — Commemorazione di Rodolfo Gwersr . . i
Ferrero -— Parole commemorative su Giuseppe FroreLti
Premii di Fondazione GaurIERI. . : . ; È i
Pubblicazioni ricevute dalla R. Accademia delle Scienze dal 31 Maggio a
al 21 Giugno 1896 (Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e “Naro
turali) ) : ; ; 5 7 ;
Pubblicazioni ricevute dalla R. ale i delle Scienze dal pre È
28 Giugno 1896 (Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche)
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