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DELLA
SOCIETÀ ITALIANA
DI SCIENZE NATURALI
E DEL
MUSEO CIVICO
DI STORIA NATURALE DI MILANO
VOLUME CVII
Fascicolo II
Pubblicato con il contributo del C.N.E.
MILANO
15 Giugno 1968
SOCIETÀ’ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI
CONSIGLIO DIRETTIVO PER IL 1967
Presidente :
Vice-Presidenti :
Segretario :
Vice-Segretario :
Cassiere :
Consiglieri :
(1968-69)
Bibliotecario :
Nangeroni Prof. Giuseppe (1968-69)
Viola Dr. Severino (1968-69)
Conci Prof. Cesare (1967-1968)
De Michele Dr. Vincenzo (1968-69)
Rui Sig. Luigi (1967-1968)
Turchi Rag. Giuseppe (1967-1968)
Magistretti Dr. Mario
Marchioli Ing. Giorgio
Moltoni Dr. Edgardo
Ramazzotti Ing. Prof. Giuseppe
SCHIAVINATO Prof. GIUSEPPE
Taccani Avv. Carlo -
ScHiAvoNE Sig. Mario
MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE DI MILANO
PERSONALE SCIENTIFICO
Conci Prof. Cesare
Torchio Dr. Menico
Cagnolaro Dr. Luigi
De Michele Dr. Vincenzo
Pinna Dr. Giovanni
Leonardi Dr. Carlo
- Direttore (Entomologia)
- Vice-Direttore (Ittilogia e Teutologia),
Dirigente dell’Acquario
- Conservatore (Teriologia ed Ornitologia)
- Conservatore (Mineralogia e Petrografia)
- Conservatore (Paleontologia e Geologia)
- Conservatore (Entomologia)
PERSONALE TECNICO
Lucerni Sig. Giuliano - Capo Preparatore
Bucciarelli Sig.. Italo - Preparatore (Insetti)
Giuliano Sig. Giangaleazzo - Preparatore (Vertebrati)
Bolondi Sig. Lauro - Preparatore
EDITRICE SUCC. FUSI - PAVIA
MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE DI MILANO
Giovanni Pinna
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA
A CROSTACEI DECAPODI DI OSTENO IN LOMBARDIA (0
Premessa.
Il presente lavoro si prefigge la descrizione e l’ illustrazione
dei crostacei decapodi della Tribù Eryonidea (“) de Haan, 1850
della fauna sinemuriana di Osteno in Lombardia, di recente
scoperta.
In una mia nota preliminare (^), presentata nel Luglio 1967
al 2® Colloquio Internazionale sul Giurassico tenutosi a Lussem¬
burgo, diedi notizia del rinvenimento di una fauna a crostacei nel
Sinemuriano inferiore lombardo, in una cava posta sulla sponda
orientale del Lago di Lugano (Lago Ceresio), in territorio italiano,
poco a sud-ovest delFabitato di Osteno.
La presenza della fauna in esame in una cava di pietrisco mi
fu segnalata in tutta segretezza, negli utimi mesi del 1964, dal
noto collezionista di Desio (Milano) Sig. Pio Mariani, il quale
cedette nel 1965 al Museo Civico di Storia Naturale di Milano
gli esemplari da lui raccolti o acquistati dal padrone della cava,
e con il quale, nello stesso anno e nel seguente, feci alcune escur¬
sioni sul terreno raccogliendo nuovo ed interessante materiale.
Neirestate 1966, infine, la cava fu chiusa perchè ritenuta perico-
(9 Lavoro e ricerche eseguiti con il contributo finanziario del Consi¬
glio Nazionale delle Ricerche, Comitato per le Scienze Geologiche e Minerarie.
(9 Tribù viene qui utilizzato come raggruppamento di famiglie nel senso
attribuitogli da Secretan (1964) e Forster (1967).
(9 Pinna G., 1967 - Découverte d’une nouvelle faune à crustacés du
Sinémurien inférieur dans la région du Lac Ceresio (Lombardie, Italie). Atti
Soc. It. Se. Nat. Miis. St. Nat. Milano, Milano, 106, 3, pp. 183-185..
94
G. PINNA
Iosa a causa di possibili franamenti ed il rinvenire nuovo mate¬
riale è diventato così quasi impossibile.
Desidero qui ringraziare il Prof. M. F. Glaessner, dell’Uni¬
versità di Adelaide (Australia), per aver voluto rassicurarmi sul-
l’esattezza delle determinazioni generiche e per essersi così in¬
teressato al lavoro, la gentile Signora Sylvie Secretan, del La¬
boratorio di Paleontologia del Museo di Storia Naturale di Parigi,
per i preziosi consigli, it Dr. P. Barnard, dell’Università di Read-
ing (Inghilterra), per le determinazioni dei vegetali rinvenuti as¬
sieme ai crostacei, il prof. G. C. Parea, dell’ Istituto di Paleonto¬
logia deirUniversità di Modena, per avermi dato utilissime indi¬
cazioni sedimentologiche, ed il Sig. Pio Mariani per avermi dato
notizia del rinvenimento, aver ceduto gran parte del materiale,
avermi concesso in prestito alcuni esemplari della sua collezione
privata ed avermi accompagnato sul giacimento. Porgo infine un
ringraziamento particolare al Prof. C. Conci, Direttore del Museo
Civico di Storia Naturale di Milano, per avermi incoraggiato nel
lavoro, averlo accettato su questa rivista e per avermi dato pre¬
ziosi consigli nella composizione delle tavole, ed al Dr. M. Tor¬
chio, Vice Direttore del nostro Museo e Dirigente deH’Acquario
Civico di Milano, per aver discusso con me alcuni problemi riguar¬
danti i rappresentanti attuali del gruppo e per avermi aperto le
porte della collezione di studio deirAcquario.
Geologia del giacimento.
Il ricco giacimento fossilifero affiora in una cava sulla sponda
orientale del Lago di Lugano, a sud-ovest del villaggio di Osteno
in provincia di Como (figg. 1, 2). La cava si apre nei calcari grigi
stratificati del Lias inferiore, interessati da un sistema di nume¬
rose faglie a debole rigetto verticale, ciò che rende la ricerca dei
fossili piuttosto difficile. Non è raro infatti rinvenire esemplari
incompleti senza possibilità di scoprire i pezzi mancanti a causa
della tettonica fine e complicata. I numerosi vegetali, crostacei e
pesci del giacimento provengono da un livello di circa 150 cm di
potenza, posto a 20 metri di altezza dalla base della cava stessa ;
livello che può essere seguito dal margine sinistro fino al centro
della cava ove viene spostato da una faglia a più forte rigetto
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC.
95
verticale in modo che non è possibile rinvenirlo ad un livello più
alto 0 più basso. Questa tettonica secondaria deriva da un si¬
stema più generale a pieghe ed a faglie che ha interessato tutta
la formazione a calcari grigi del Lias inferiore (« Lombardischer
Kieselkalk » degli Autori svizzeri, Bernoulli 1964, tav. II, profili
1, 2, 3).
Fig. 1. — Localizzazione del giacimento. Il rettangolo in alto a
destra rappresenta la parte ingrandita nella fig. 2.
Dal punto di vista petrografico la formazione in cui fu rin¬
venuta la fauna di Osteno è costituita da calcilutiti selcifere
scure (^), leggermente bituminose, spongolitiche, che nella loro to-
(9 L’analisi petrografica della roccia, eseguita nel Laboratorio di Mi¬
neralogia e Petrografia del Museo di Storia Naturale di Milano dal Dr. V. DE
Michele, è riportata nella citata nota preliminare.
96
G. PINNA
talità rappresentano i piani dall’ Hettangiano al Pliensbachiano
inferiore. Questa formazione si depositò nella zona del Bacino del
Monte Generoso, raggiungendo nella sua parte centrale la potenza
di 3000-4000 metri, che segna la fase parossistica della subsidenza
del bacino stesso (Bernoulli 1964).
0 1
4 5
Fig’. 2. — Carta geologica della parte settentrionale del Lago Ce-
resio (da Bernoulli, 1964). La freccia indica la posizione del
giacimento.
Il Bacino del Monte Generoso cominciò a prendere forma du¬
rante il Nerico con la formazione della soglia di Lugano dovuta
ad una serie di faglie che abbassarono parte della Dolomia Prin¬
cipale. In questo punto cominciarono dunque a depositarsi gli strati
retici e superiormente quelli del Lias inferiore mentre continuava
il movimento di abbassamento del bacino. Qui si aveva dunque una
sedimentazione continua e regolare. Bernoulli dimostra tuttavia
la presenza di deformazioni sinsedimentarie dovute a fenomeni di
slumping ed a correnti di torbidità di fondo in cui egli rinvenne
tutti i fossili, prevalentemente di acque neritiche, che non sareb¬
bero però indicativi di mare poco profondo ma piuttosto di una
risedimentazione alla base del pendio sottomarino.
A questo punto si apre il problema della fauna di Osteno, da
un lato caratterizzata da elementi di acque poco profonde, quali i
crostacei erionidei qui illustrati, o addirittura da vegetali subaerei
indicanti la vicinanza di una terra emersa, daH’altro rinvenuta in
rocce ritenute di facies profonda. Una decisione a questo riguardo
non è qui certamente possibile essendo questo compito specifico
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC.
della sedimentologia e non di un lavoro sistematico quale vuole
essere il mio.
Composizione della fauna e della flora.
La fauna e la flora di Osteno comprendono in totale, con i
recenti ritrovamenti, 58 es., fra i quali due resti di vegetali sub¬
aerei determinati dal Dr. P. Barnard, deH’Università di Reading,
Fimo come una pteridosperma {Pachypteris?), l’altro come una
conifera {Brachyphyllum o Pagiopìiyllum), 15 impronte proble¬
matiche che ad un più accurato esame mi paiono appartenere a
cefalopcdi, 11 pesci fra esemplari completi e frammenti nonché
30 crostacei ; un buon numero quindi se si pensa che la formazione
in cui furono rinvenuti risulta in generale assai povera di fossili.
Datazione della fauna.
La datazione della fauna al Sinemuriano inferiore si basa
principalmente sul rinvenimento, ad un livello 5 metri più alto di
quello a vegetali, cefalopodi, crostacei e pesci, di un’ impronta di
ammonite che, sebbene frammentaria, mi ha permesso la sua at¬
tribuzione alla specie Coroniceras bisulcatum (Brug.) (Tav. IT,
fig. 2), già rinvenuta da V. Vialli al Monte Albenza (1959 -
pag. 175, tav. 15, figg. 7, 7a; t.n.t., figg. 22, 23) e da G. Sacchi
Vialli e G. M. Cantaluppi a Saltrio (1961 - pag. 13, tav. 2,
fig. 2a b c). Essa indica come età il Sinemuriano inferiore, pro¬
babile «zona a bucMandi».
L’attribuzione stratigrafica viene poi confermata da questo
studio sugli erionidei che ha mostrato la presenza di una specie già
nota nel Sinemuriano di Lyme Regis in Inghilterra, ed in parte
dalla presenza di vegetali subaerei di due generi già noti nel Lias,
sebbene caratterizzati da una ampia distribuzione stratigrafica.
Stato di conservazione e metodi di studio.
Tutti i rappresentanti della fauna di Osteno, ed in particolare
gli erionidei qui descritti, si presentano parzialmente deformati,
spesso frammentari e sempre fortemente compressi, così da essere
ridotti ad uno spessore di pochi millimetri. Molto spesso le strut¬
ture più delicate sono rimaste impresse nella roccia sotto forma
di una sottile pellicola mineralizzata. A causa di questi fenomeni
98
G. PINNA
di compressione il cefalotorace è il più delle volte fratturato, di¬
storto ed incompleto cosicché i suoi margini laterali e quello fron¬
tale, così utile nella classificazione, sono stati a volte interpretati.
L’ornamentazione ed i solchi sono inoltre spariti o, il più delle
volte, si configurano evanescenti. L’addome è solitamente molto
confuso mentre gli uropodi sono generalmente richiusi ed è quindi
quasi sempre impossibile stabilire la presenza di una dieresi al-
l’esopodite. Diversi esemplari si presentano poi con l’addome ri¬
piegato. Le appendici cefaliche sono di solito ben conservate, come
anche il primo paio di periopodi, le altre appendici sono per lo
più allo stato frammentario.
Lo studio della fauna è stato effettuato completamente al mi¬
croscopio binoculare con ingrandimenti da 10 X a 30 X, con il
fossile coperto da una sottile pellicola d’acqua che ha permesso di
far risaltare i dettagli della struttura. In egual modo sono state
da me eseguite le fotografie riprodotte nel lavoro. Dal Dr. M. Man-
DRIER del CCR Euratom-Metallurgia (Ispra) sono stati eseguiti
tentativi di studio ai raggi X, purtroppo senza alcun risultato poi¬
ché la compattezza del calcare e l’esiguo spessore del fossile non
permettono differenze di peimieabilità ai raggi. Io stesso ho ef¬
fettuato nel Laboratorio del Museo tentativi di studio mediante
fotografie a raggi infrarossi con pellicola da 7.200 A ; anche in
questo caso però non si sono ottenuti risultati apprezzabili : le fo¬
tografie mostrano infatti zone più scure in corrispondenza della
« materia organica », senza permettere di risolvere le complicate
strutture dell’esoscheletro.
Note paleontologiche.
La maggior parte dei crostacei della rarissima fauna di
Osteno é rappresentata da esemplari appartenenti alla Tribù
Eryonidea de Haan 1850, già conosciuta nel Trias, che assume
grande sviluppo nel Giurassico e che conta ancora un certo nu¬
mero di rappresentanti viventi.
Premetto che il rinvenimento di crostacei fossili é cosa assai
rara, soprattutto se trattasi di esemplari completi, a causa della
fragile struttura del carapace, in particolare delle appendici, e
deH’addome. Concentrazioni di crostacei fossili sono state perciò
rinvenute, in terreni giurassici, in quei tipi di roccia che più
hanno favorito la conservazione di delicate strutture. E’ questo
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC.
99
il caso dei giacimenti a crostacei più classici, quelli che ci hanno
fornito il maggior numero di esemplari completi : Lyme Regis nel
Lias inferiore inglese, Solnhofen ed Holzmaden rispettivamente
nel Portlandiano e Toarciano tedesco.
Da quanto detto le nostre conoscenze sulla filogenesi risultano
chiaramente frammentarie non essendo possibile alcuno studio det¬
tagliato in serie, sia per la povertà dei reperti (non rari sono i
generi monotipici), sia per le concentrazioni cui abbiamo accennato.
La Tribù Eryoniclea viene attualmente suddivisa in quattro
famiglie di importanza ineguale: Coleiidae Van Straelen, 1924,
Eryonidae Dana, 1852, Polychelidae Wood Mason, 1877 e Tetra-
chelidae Beurlen, 1930. Solo la prima sarà qui considerata perchè
rappresentata nella fauna di Osteno.
Gli Eryonidea in linea generale presentano un carapace de¬
presso con margini laterali subparalleli, portanti spine, divisi
dalle incisioni cervicale e branchiale in tre regioni: anteriore -
media - posteriore. I solchi cervicale e branchiale sono a volte
uniti. Sul cefalotorace è presente una carena longitudinale me¬
diana e, spesso, fra questa ed il margine laterale, si inserisce
su ambo i lati una carena medio-laterale. La superficie del cara¬
pace è ricoperta da tubercoli e spine con una ornamentazione
che varia secondo le specie. L’antenna esterna porta uno scafo-
cerite caratteristico. Il primo segmento non è fuso con l’epistoma.
Tutti i pereiopodi, eccettuato a volte il quinto paio, portano chele.
Il primo paio è molto più sviluppato, il dito mobile è airesterno.
Il telson è appuntito. La dieresi airesopodite degli uropodi può
essere presente o mancare.
La sistematica del gruppo ebbe durante lunghi anni notevoli
vicissitudini : numerosi cambiamenti vennero apportati, furono
creati nuovi generi e nuove famiglie. Voglio qui brevemente ri¬
cordare solo i più recenti autori che si occuparono in ampi lavori
deir intero gruppo.
Nel 1924 Van Straelen suddivise la tribù Eryonidea de Haan,
1850 nelle due famiglie Eryonidae e Coleiidae. Ad Eryonidae l’au¬
tore attribuì i generi Eryon Desmarest, 1822, Knehelia Van Strae¬
len, 1922, Palaeopentacheles Von Knebel, 1907, Palaeopolycheles
Von Knebel, 1907, Tropifer Gould, 1857, Willem o e sio caris Van
Straelen, 1923, Stenochirus Oppel, 1861. Alla famiglia Coleiidae
egli attribuì invece i generi Coleia Broderip, 1835 ed HeUerocaris
Van Straelen, 1924.
100
G. PINNA
Van Straelen si basò per questa sua suddivisione delle due
famiglie soprattutto sulla dieresi deiresopodite deiruropode. Tale
dieresi sarebbe mancante in Eryonidae e presente invece in
Coleiidae: così Eryon, Knebelia, Palaeopentacheles e Palaeopoly-
cheles non presenterebbero dieresi, Coleia ed Heller ocaris ne sa¬
rebbero provvisti, mentre in Tropifer e Willemoesiocaris gli uro¬
podi non sono conosciuti.
Nel 1925 WOODS riunì tutti i generi nella sola famiglia
Eryonidae.
Nel 1928 Beurlen suddivise la famiglia Eryonidae in due
gruppi: il primo con dieresi, cui assegnò il genere Coleia, il se¬
condo, privo di dieresi, cui ascrisse il suo nuovo genere Proeryon.
Questo secondo gruppo fu inoltre suddiviso in due sottogruppi
comprendenti gli Angustiformes (Palaeopentacheles, Palaeopoly-
cheles, Knebelia) ed i Latiformes con gli Eryon s. str.
Nel 1930 lo stesso' Autore istituì la famiglia Tetrachelidae
per il genere Tetrachela Reuss, alla famiglia Coleiidae attribuì
i generi Coleia, Hellerocaris, Tropifer; alla famiglia Eryonidae
attribuì Proeryon, Eryon, Knebelia ed il nuovo genere Cyclocaris ;
e riunì i generi Palaeopolycheles, Palaeopentacheles e Willemoe¬
siocaris nella famiglia Polychelidae che descrisse come nuova non
tenendo conto che essa era già stata istituita da WooD Mason fin
dal 1877.
Nel 1931 Beurlen e Glaessner proposero per i crostacei
decapodi la loro famosa nuova sistematica. Per quanto riguarda
il gruppo in esame essi conservarono per la tribù Eryoìiidea la
suddivisione nelle tre famiglie Coleiidae, Eryonidae e Polyche¬
lidae, non considerando*, inspiegabilmente, la famiglia Tetrache¬
lidae istituita Tanno prima dallo stesso Beurlen. La prima, se¬
condo gli Autori, ha come caratteristica un carapace sub-rettan¬
golare a margini smussati ed una dieresi : ad essa attribuirono
i generi Tetrachela, Coleia, Hellerocaris. I rappresentanti della
famiglia Eryonidae possiedono invece un carapace più largo,
quasi quadrato o a forma di cuore mentre sono privi di dieresi,
a questa famiglia attribuirono i generi Proeryon, Eryon e Cyclo¬
caris. Genere quesPultimo che fu stabilito* sul gruppo àeWEryon
propinquus Schlot., considerato antecedentemente da Van Strae¬
len come appartenente al genere Coleia. Alla famiglia Polyche¬
lidae gli Autori attribuirono infine i generi Palaeopentacheles ,
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC.
101
Palaeopolycheles , Willemoesiocaris ed i due generi attuali Poly-
cheles e Willemoesia. Tutti questi presenterebbero come caratte¬
ristica un carapace sub-rettangolare, lungo e stretto, bordo ro¬
strale concavo, strette incisioni oculari, margini interni del dacti-
lopodite dentellati, telson stretto ed appuntito, uropodi privi di
dieresi.
Nel 1936 Van Straelen istituì il nuovo genere Platypleon
con la specie Platypleon nevadensis Van Straelen, 1936, che ora
viene assegnato alla famiglia Tetrachelidae.
Nel 1953 infine J. Roger (in Piveteau, voi. Ili, pag. 339)
modificò tale posizione. Egli attribuì alla famiglia Coleiidae ì
generi Tetrachela, Tropifer, Coleia, Hellerocaris; agli Eryonidae
i generi Proeryon, Eryon, Knebelia ed il genere attuale Eryoneicits
(attualmente non più valido); alla famiglia Polychelidae infine
attribuì i generi Palaeopolycheles , Palaeopentacheles e Willemoe¬
siocaris. Questo autore ammette la presenza di dieresi negli
Eryonidae.
Riporto qui, a scopo esplicativo, lo schema sistematico se¬
condo i diversi Autori, a livello dei generi :
Famiglie
Van Straelen
1924
Beurlen 1930
Beurlen e
Glaessner 1931
Roger 1953
Tetrachelidae
Tetrachela
Coleiidae
Coleia
Hellerocaris
Coleia
Hellerocaris
Tropifer
Tetrachela
Coleia
Hellerocaris
Tetrachela
Tropifer
Coleia
Hellerocaris
Eryoyiidae
Eryon
Knebelia
Palaeopentacheles
Palaeopolycheles
Tropifer
Willemoesiocaris
Stenochimis
Proeryon
Eryon
Knebelia
Cyclocaris
Proeryon
Eryon
Cyclocaris
Proeryon
Eryon
Knebelia
Eryoneicits
Polychelidae
Palaeopentacheles
Palaeopolycheles
Willemoesiocaris
Palaeopentacheles
Palaeopolycheles
Willemoesiocaris
Polycheles
Willemoesia
Palaeopolycheles
Palaeopentacheles
Willemoesiocaris
102
G. PINNA
Per quanto riguarda la classificazione seguita in questo
lavoro riporto il seguente schema:
Famiglie
Generi
Tetrachelidae
T etrachela
Platypleon
Col eia
Colenda e
Hellerocaris
Cyclocaris
Eryon
Eryonidae
Proeryon
Knehelia {°)
Palaeopolycheles
Palaeopentacheles
Polychelidae Willemoesiocaris
Polycheles
Willemoesia
La suddivisione della tribù Eryonidea nelle quattro famiglie
citate si basa soprattutto sulla forma del cefalotorace, sulla forma
del suo margine anteriore, sulla posizione delle incisioni oculari,
sul numero e disposizione delle incisioni laterali e sulla presenza
0 assenza di dieresi alFesopodite degli uropodi.
Tetrachelidae : (fig. 3, A) cefalotorace fortemente allargato',
sub-rettangolare. Margine anteriore largo e diritto con incisioni
oculari laterali ed occhi ben sviluppati rivolti in avanti. Due inci¬
sioni laterali poco profonde. Carene assenti. Telson arrotondato
e largo. Dieresi presente.
Coleiido.e : (fig. 3, B) cefalotorace largo, da sub-rettangolare
a sub-ovale, allungato. Margine anteriore largo con un’ incavatura
centrale concava, lateralmente incisioni oculari. Due incisioni late¬
rali abbastanza profonde. Tre carene longitudinali. Telson trian¬
golare ed appuntito. Dieresi presente.
(°) Ricordo che il nome Munsi evia, dato al genere in questione da VoN
Knebel nel 1907, risultò già usato nel 1836 per un g'enere di fucoidi fossili.
Van Straelen propose quindi nel 1924 il nome Knehelia.
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC.
103
Eryonidae : (fig. 3, C) cefalotorace largo, da sub-ovale a for¬
temente arrotondato. Occhi rivolti lateralmente. Margine ante¬
riore ristretto e leggermente concavo. Margine laterale profonda¬
mente inciso. Telson triangolare. Dieresi assente.
Polychelidae : (fig 3, D) cefalotorace subrettangolare allun¬
gato. Margine anteriore concavo con profonde incisioni oculari
rivolte in avanti. Margini laterali con due piccole incisioni. Telson
triangolare appuntito. Dieresi assente.
Fig. 3. — Forma del cefalotorace e posizione degli occhi in : A - Te-
trachela raihliana Reuss, B - Coìeia antiqua Broderip, C - Eì^yon
arctiformis Schloth., D - Polycheles typhlops Heller.
Aggiungo qui anche qualche nota chiarificatrice su partico¬
lari generi e sulla loro posizione sistematica:
Willemoesiocaris : pur non essendo conosciuto il suo uropode,
è ascrivibile a Polychelidae per i numerosi caratteri affini a quelli
dei due altri generi della famiglia.
Il genere Stenochirus , attribuito da Van Straelen alla fami¬
glia Eryonidae, presenta tuttavia il dactylus interno, per esso fu
creata da Beurlen e Glaessner nel 1931 la famiglia Stenochi-
ridae a grande affinità con Erymaidae.
Cyclocaris Beurlen, 1930 fu istituito sul gruppo della Coleia
propinqua (Schlotheim). Al genere devono attribuirsi inoltre le
specie un tempo classificate come Coleia orbicidata, Coleia elon-
gata, Coleia gigantea, Coleia spinimana e, con tutta probabilità,
Coleia armata. L’attribuzione del nuovo genere alla famiglia
Coleiidae non è però certa. Beurlen e Glaessner nel 1931 am¬
mettono infatti nella diagnosi la mancanza di una dieresi cosa
che li indurrebbe a classificare il genere negli Eryonidae. Tut¬
tavia, delle specie citate secondo Van Straelen, Cyclocaris pro-
pinquus e Cyclocaris giganteus sarebbero provviste di una leg-
104
G. PINNA
gera dieresi ; Cyclocaris orbiculatus e Cyclocaris elongatus ne
sarebbero invece sprovviste.
Il genere Proeryon Beurlen, 1928 fu stabilito sul gruppo del-
r Eryoìi ìiartmanni Meyer, specie rinvenuta nel Toarciano di
Holzmaden. L’Autore ascrive al genere quattro specie : oltre quella
citata, Proeryon macrophtahnus (Krause), già nota come Coleia
macrophtalma, e le due nuove Proeryon longipes e Proeryon lati-
caudatns. Al genere viene attribuita la specie Eryon nioorei
Woodward, 1886, già considerata da WOODS nel genere Coleia.
Le specie Coleia richardsoni e Coleia stoddarti possono essere
avvicinate al genere Proeryon per la forma subcircolare del cefa¬
lotorace e per il margine anteriore che appare ampio e concavo,
molto simile a quello di Proeryon macrophtahnus .
Osservazioni stratigrafiche suila tribù.
I primi rappresentanti della tribù Eryonidea apparvero du¬
rante il Trias superiore. Si tratta di tre generi datati al Retico:
Tropifer Gould, 1857 con la specie Tropifer laevis Gould, 1857,
basata su un esemplare rinvenuto ad Aust Cliff nel Gloucester-
shire, Tetrachela Reuss, 1858 con la specie Tetrachela raibliana
(Bronn, 1858), basata su rinvenimenti nelle Alpi Orientali e Pla-
typleon Van Straelen, 1936 con la specie Platypleon nevadensis
Van Straelen, 1936 del Trias superiore delle Pilot Mountains nel
Nevada. Dei tre generi, Tropifer ha una posizione sistematica
incerta essendo da alcuni classificato negli Eryonidae, da altri
in Coleiidae, in esso infatti ITiropode non è conosciuto e non è
così possibile stabilire la presenza o l’assenza della dieresi. Tetra¬
chela e Platypleon vengono invece classificati nella famiglia Tetra-
chelidae che risulta così la più antica delle tribù. Nessuna specie
è stata fino ad ora rinvenuta nel Giurassico.
Per quanto riguarda la famiglia Coleiidae, il genere Coleia
apparve all’ inizio del Lias, già molto abbondante durante 1’ Het-
tangiano ed il Sinemuriano. Nel Charmutiano non si conoscono
rappresentanti fossili mentre nel Toarciano sono conosciute due
specie. Il genere sembra poi sparire. Nel Calloviano si rinviene
l’unica specie del genere Hellerocaris. I primi rappresentanti del
genere Cyclocaris si rinvengono nel Calloviano, mentre il genere
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC.
105
diviene molto abbondante nel Portlandiano. Alla fine del periodo
Giurassico la famiglia pare estinguersi completamente.
La famiglia Eryonidae sembra svilupparsi quasi parallela-
mente alla precedente. I primi rappresentanti appartengono al
genere Proeryon, di cui si conoscono una specie nelF Hettangiano
inglese e quattro nel Toarciano tedesco, mentre il massimo svi¬
luppo della famiglia si ebbe nel Portlandiano con i generi Eryon
e Kìiebelia.
La famiglia Polychelidae apparve invece nel Calloviano con
il genere Willemoesiocaris e raggiunse grande sviluppo nel Port¬
landiano con i due generi Palaeopentacheles e Palaeopolycheles.
Alla fine del periodo Giurassico queste due ultime famiglie
sembrano perdere di importanza, senza tuttavia estinguersi, anche
in concomitanza di uno spostamento verso un habitat di mare più
Distribuzione
stratigrafica
dei
generi
Retico
Hettangiano
Sinemuriano
Charmutiano
Toarciano
Aaleniano
Caiociano
Batoniano
Calloviano
Oxfordiano
Lusitaniano
Kimmeridgiano
Portlandiano
Cretacico
Terziario e
1
Quaternario
Attuale
Tetrachela
B
Platypleon
B
Coleia
B
B
B
B
Hellerocaris
B
Cyclocaris
B
B
B
B
B
Proeryon
B
B
B
B
Eryon
B
B?
?
■
Knebelia
B
Palaeopoìycheles
B
Palaeopentacheles
B
Willemoesiocaris
B
Polycheles
BB
Willemoesia
BB
106
G. PINNA
profondo. Pare infatti che le specie terziarie vivessero a medie
profondità come i rappresentanti attuali del gruppo. Un Eryon
neocomiensis Woodward è citato nel Cretacico inferiore della
Silesia (Montana, U.S.A.), mentre frammenti di erionidei sono
stati rinvenuti da Rathbun, e descritti nel 1919, nel Miocene infe¬
riore di San Domingo nelle Indie Occidentali.
Erionidei attuali.
Mi pare qui doveroso aggiungere poche parole sui rappre¬
sentanti attuali della tribù Eryonidea.
Gli erionidei sono rappresentati attualmente da due generi
batifili, classificati dagli zoologi, che non considerano probabil¬
mente le forme fossili, nella famiglia Eryonidae e non Polyche-
lidae : Willemoesia Grote, 1873, a margine frontale quasi diritto
privo di incisioni oculari, e Polycheles Heller, 1862, a margine
provvisto di due profonde incisioni.
Il genere Eryoneicus Spence Bate, 1882 risulta nulFaltro che
uno stadio di sviluppo pelagico di Polycheles, mentre Pentacheles
Milne Edwards, 1880 è sinonimo di Polycheles.
La scoperta in Mediterraneo degli erionidei fu effettuata da
Heller nel 1862 che segnalò e descrisse la specie Polycheles
typhlops nelle acque della Sicilia. In seguito esemplari furono
segnalati a notevole profondità a Nord Ovest dell’ Asinara (Sar¬
degna settentrionale), tra Messina e Stromboli, nelle acque di
Palermo, Capri, Creta, Asia Minore, Cannes, Monaco, del Golfo
di Genova, di Taranto, dell’Algeria, della Spagna ed in Adriatico.
Sebbene la specie risulti batifila, vivendo su fondi fangosi
fin oltre i 2000 metri, ma più frequente fra i 700 ed i 1000, dal
lavoro fondamentale di Santucci (1932) che riporta i dati di
numerosi campioni raccolti nel Mar Ligure fra i 250 ed i 300
metri di profondità, si crede a ragione che la specie possa supe¬
rare la scarpata continentale durante migrazioni riproduttive:
sarebbe quindi schiettamente euribata.
Due sono le specie di Polycheles attualmente note in Mediter¬
raneo: Polycheles typhlops, già citata, e Polycheles scidptus
Smith.
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC.
107
Descrizione paleontologica.
/
Genere Coleia Broderip, 1835
Il genere fu istituito nel 1835 da Broderip su due esemplari
provenienti dagli strati liassici di Lyme Regis, che egli classificò
nella nuova specie Coleia antiqua che diviene perciò tipo del
genere Coleia,
Il genere è caratterizzato da cefalotorace depressiforme, per
lo più quadrangolare, con larghezza generalmente uguale alla lun¬
ghezza, esso è interessato da tre coppie di incisore: incisioni ocu¬
lari subcircolari poste sul margine frontale, spesso molto ampie,
limitate da una spina sul vertice esterno {spvìia suprantenTmlis).
Incisioni cervicali poste sui margini laterali in corrispondenza del
punto di incontro del solco cervicale con detti margini del cefa¬
lotorace. Incisioni branchiali decorrenti posteriormente alle prece¬
denti, nel punto di incontro del solco branchiale col margine late¬
rale da ambo i lati.
Il margine anteriore o frontale è ampio, privo di rostro e
concavo nel suo insieme.
Il cefalotorace è interessato da due solchi principali : solco
cervicale, sempre piuttosto marcato, e solco branchiale, a volte
evanescente, che spesso può congiungersi dorsalmente al primo.
Sul cefalotorace è sempre presente una carena sviluppata dal
margine posteriore al solco cervicale, evanescente o mancante fra
questo ed il margine frontale. A volte sono presenti due carene
medio-laterali fra i margini laterali e la carena medio-dorsale.
Le appendici dei rappresentanti del genere non sono cono¬
sciute perfettamente nella loro totalità. Le antennule e le antenne
sono spesso discernibili, queste ultime portano uno scafocerite di
forma ovale caratteristica. Delle cinque paia di pereiopodi, le
prime quattro portano chele ed il primo paio è molto più svilup¬
pato degli altri. Il dactylus è esterno. Il Telson è appuntito. L’eso-
podite degli uropodi porta sempre una dieresi arcuata con con¬
vessità verso la parte anteriore.
Tutto il carapace è interessato da una fine ornamentazione
a piccoli tubercoli mentre i margini del cefalotorace portano spine
di lunghezza variabile. Tubercoli e spine sono a volte presenti
sui pereiopodi.
los
G. PINNA
Del genere sono conosciute 11 specie, così ripartite strati-
graficamente :
Toarciano Coleia eclwardsi (Moriére, 1864)
Coleia sinuato, Beurlen, 1928
Sinemuriano Coleia hredoìiensis Woods, 1925
Coleia antiqua Broderip, 1835
Coleia crassichelis (Woodward, 1866)
Coleia hrodiei (Woodward, 1866)
Coleia tenuichelis Woods, 1925
Hettangiano
Coleia morierei (Renault, 1889)
Coleia harrovensis (Mac Coy, 1849)
Coleia ivilmcoteìisis (Woodward, 1866)
Coleia escher i (Oppel, 1862)
Coleia calvadoisi (Morière, 1883) risulta sinonimo di Coleia
edivardsi (Moriére, 1864). Archaestacus willemoesii (Spence Bate,
1884) è invece sinonimo di Coleia crassichelis (Woodward, 1866).
Il genere Archaeastacus fu istituito da Spence-Bate nel 1884
appunto per la specie A. ivilleìnoesii (Spence Bate, 1884): Tautore
diede per il nuovo genere le medesime caratteristiche del genere
Coleia di Broderip istituito in precedenza, ad esclusione della man¬
canza di dieresi che tuttavia esiste con sicurezza nella specie. La
dimenticanza di dieresi nel disegno originale fu messa in luce da
Woodward che ammise in seguito (1888, pag. 434) la sua presenza,
rendendosi altresì conto dell’ identità di ivillemoesii e crassichelis,
che classificò ambedue nel genere Eryon, pur ammettendo che po¬
teva sussistere una certa differenza a livello generico fra questo e
la specie suddetta. Il genere Archaeastacus cade così in sinonimia
di Coleia come rilevato più tardi da Van Straelen (1924, pag. 139).
Coleia (?) n. sp. (?)
(Fig-. 4; tav. Ili, figg. 2, 3)
Un piccolo esemplare pressoché completo, di cui posseggo
impronta e controimpronta, è conservato nella Collezione del
Museo Civico di Storia Naturale di Milano con il numero T 50
del Catalogo Tipi.
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC.
101)
L’esemplare si presenta molto compresso; il cefalotorace è
totalmente conservato permettendo così una accurata ricostru¬
zione dei margini ; raddome è completo e sulla controimpronta è
possibile osservare la forma dei semiti; Turopode è ben visibile,
aperto, con buona conservazione degli esopoditi. Sul margine ante¬
riore si notano tracce delle antenne con scafocerite e gli occhi,
tuttavia non ben definiti. Dei pereiopodi è conservato solo il
primo paio, e frammenti sul lato destro del III, IV e V paio.
Dimensioni :
lunghezza totale
lunghezza cefalotorace
larghezza cefalotorace
lunghezza addome
larghezza telson
mm 30,0
mm 16,0
mm 12,3
mm 14,0
mm 5,0
I pereiopode
sinistro
destro
lunghezza meropodite
mm
5,0
mm
5,0
lunghezza carpopodite
mm
2,2
mm
2,1
lunghezza propodite
mm
9,1
mm
9,1
lunghezza dactylus
mm
4,0
mm
4,2
Descrizione. - Cefalotorace compresso, ovale, con lunghezza
maggiore della larghezza e rapporto semi larghezza lunghezza =
= 0,48. Margine anteriore ristretto con due profonde incisioni ocu¬
lari semicircolari, limitate esternamente da una spina acuta. Il
tratto fra le due incisioni è profondamente concavo. Le due in¬
cisioni oculari sono spostate verso la parte mediana. Margini la¬
terali decisamente convessi, interessati circa al terzo anteriore da
una piccola incisione cervicale poco profonda ed arrotondata nel
suo insieme. Non è stato possibile osservare l’ incisione branchiale
che sembra mancare assolutamente. Margine posteriore concavo.
Sul cefalotorace non appaiono i solchi, forse a causa della non
buona conservazione delFesemplare, sulla controimpronta è visi¬
bile a mala pena una traccia della carena mediodorsale. Addome
leggermente più lungo del cefalotorace, composto da 6 segmenti
decrescenti in larghezza verso la parte posteriore. Telson triango¬
lare, appuntito, percorso da due carene di forma triangolare con-
110
G. PINNA
vergenti verso Tapice. NeH’uropode aperto si osservano il proto-
podite sviluppato, Tendopodite e l’esopodite arrotondati, quest’ul¬
timo porta una leggera dieresi arcuata.
Fig’. 4. — Ricostruzione di Coleia (?) n. sp. (?). (X 2).
Presso il margine frontale sono conservati, seppur male os¬
servabili, gli occhi posti al fondo delle incisioni oculari, e fram¬
menti attribuiti alle antenne esterne con traccia dello scafocerite.
Primo paio di pereiopodi estremamente sviluppato con rapporto
carpopodite/propodite = 0,23, propodite molto largo a forti chele
a dactyliis esterno allungato e leggermente ricurvo airestremità,
esso presenta sul margine esterno numerose piccole spine (tav. Ili,
fig. 3). Carpopodite corto e largo, meropodite allungato e legger¬
mente ricurvo ; sull’ impronta sono a mala pena visibili 1’ ischio-
podite ed il corto basipodite con contorni non ben definiti. Sul
margine sinistro sono presenti tracce presumibilmente del III, IV
e V paio di pereiopodi.
Ornamentazione costituita da una fine granulazione uniforme,
estesa sul propodite del primo paio di pereiopodi, sul cefalotorace,
ove è ben osservabile in prossimità dei margini laterali, sui seg¬
menti dell’addome e sul telson.
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC. ] ] ]
Osservazioni. - La presenza di una dieresi alFesopodite del-
Turopode, la forma del margine anteriore concavo fra le due in¬
cisioni oculari, randamento del margine laterale della regione an¬
teriore espanso lateralmente, la presenza di una spina sul margine
esterno delle incisioni oculari, la presenza di scafocerite nelle an¬
tenne e la forma generale del cefalotorace mi inducono ad avvi¬
cinare questo esemplare al genere Coleia. La presenza della die¬
resi e la forma del margine anteriore escludono trattarsi di
Proeryon. Faccio tuttavia qui notare che per la particolare posi¬
zione della dieresi airesopodite molto ricurva, che è stata osser¬
vata esclusivamente sulla metà interna deiresopodite, per la forma
del cefalotorace, per la presunta assenza delle incisioni branchiali
e per la forma particolare del I paio di pereiopodi, non posso
escludere che si tratti di forma giovane di specie già nota o, al
contrario, di nuovo genere che la mancanza di materiale più ab¬
bondante mi impedisca di definire.
Confronto tuttavia resemplare con alcune specie del genere
Coleia. Da Coleia antiqua Broderip, 1835 si differenzia per il ce¬
falotorace ovale, il telson triangolare più stretto, gli uropodi molto
arrotondati e le chele a propodite largo, carpopodite e meropodite
corti in rapporto al pereiopode completo che si presenta nel suo
insieme meno allungato rispetto V intero animale.
Da Coleia harrovensis (Mac Coy, 1849) si distingue per il ce¬
falotorace meno allargato, Tassenza di spine ai margini laterali,
gli uropodi più allungati.
Da Coleia crassichelis (Woodward, 1866), specie alla quale
maggiormente si avvicina, si distingue per il cefalotorace meno
allargato posteriormente e per Fassenza delle spine sul margine
posteriore. Una certa analogia riscontro nel primo paio di pereio¬
podi, sebbene in Coleia crassichelis il meropodite sembri meno
lungo e sensibilmente più largo, e nella forma delle incisioni
cervicali.
Da Coleia tenuichelis Woods, 1925 si differenzia per la forma
del cefalotorace, le chele meno sottili e Faddome più ristretto.
Da Coleia brodiei (Woodward, 1866) infine si differenzia per
il cefalotorace più allungato e di forma ovale, per le incisioni
cervicali meno profonde e la regione anteriore meno espansa la¬
teralmente.
112
G. PINNA
Coleia viallii n. sp. (®)
(Fig-g. 5, 6, 7, 8; tav. Ili, fig.. 1; tavv. IV, V, VI, VII, Vili, IX, X, XI, XII)
Ascrivo alla nuova specie 6 esemplari. Essi vengono conser¬
vati nella Collezione del ¥luseo Civico di Storia Naturale di Mi¬
lano, ove sono schedati con i seguenti numeri di catalogo:
Cat. tipi n"^ T 51 impronta e
Cat. tipi n® T 52 impronta
Cat. tipi n"^ T 53 im.pronta
Cat. tipi m T 54 impronta
Cat. tipi n® T 55 impronta
Cat. tipi m T 57 impronta
controimpronta Olotipo
Paratipo 1
Par atipo 2
Paratipo 3
Paratipo 4
Paratipo 5
Come tutti i rappresentanti fossili della fauna di Osteno gli
esemplari attribuiti a questa specie si presentano fortemente
schiacciati, a volte deformati e spesso frammentari. Tuttavia
Fosservazione comparata di tutti gli esemplari, che risultano nel
complesso della fauna molto abbondanti, ha permesso la ricostru¬
zione e lo studio di buona parte delFanimale, ad eccezione dei seg¬
menti delFaddome.
Fig. 5. — Cefalotorace di Coleia viallii n. sp.: A-paratipo 2, es.
n° T 53. B-paratipo 1, es. n° T 52. C-olotipo, es. n° T 51.
(®) La specie è dedicata al Prof. Vittorio Vialli, già Paleontologo e
Vice Direttore del Museo Civico di Storia Naturale di Milano ed ora Ordi¬
nario di Paleontologia all’Università di Bologna.
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC.
1 1.3
Lo studio della forma del cefalotorace è stata effettuata sugli
esemplari T 51, T 52, T 53 i cui margini si presentano però fram¬
mentari in quanto i fossili sono ridotti ad uno spessore minimo.
Sono state ricavate tuttavia le ricostruzioni riportate in fig. 5 ;
le piccole variazioni morfologiche sono dovute, almeno in parte,
allo schiacciamento subito durante la fossilizzazione e non possono
quindi essere considerate probanti per una ulteriore suddivisione
della specie, la forma generale del cefalotorace si presenta infatti
in tutti gli esemplari piuttosto uniforme.
SulFesemplare T 54, che si presenta meno compresso se pur
molto frammentario, è stato possibile effettuare lo studio dei sol¬
chi, delle carene e deirornamentazione. Lo studio e la ricostruzione
delle appendici cefaliche è basata sugli esemplari T 51, T 52, T 53
(tav. IV, figg. 1, 2; tav. V, fig. 2; tav. Ili, fig. 1). Il primo paio
di pereiopodi è visibile in tutti gli esemplari mentre gli altri sono
generalmente molto frammentari.
Fig. 6. — Ricostruzione del cefalotorace, delle appendici cefaliche
e del primo paio di pereiopodi di Coleia viallii n. sp. ( X 1,5).
crpct carpocerite, crppd carpopodite, dctl dactylus, / flagello, iìidx
index, mpd massillipede, mrct merocerite, mrpd meropodite, o occhio,
propd propodite, s scafocerite.
114
G. PINNA
Per quanto riguarda Taddome, gli esemplari T 52 e T 54 ne
sono completamente privi, T 51, T 53 e T 57 si presentano ripie¬
gati. Nel primo di questi il telson è celato sotto Tesemplare, mo¬
strando questo la parte dorsale, nel secondo il telson ricopre in
parte il cefalotorace ed è ben visibile.. L’esemplare T 55 è runico a
presentare Turopode aperto, in questo si vede una leggera dieresi
alFesopodite.
Descrizione Olotipo (Cat. tipi n« T 51) (Fig. 5C; tav. IV, figg. 1,
2 ; tav. Vili ; tav. IX).
lunghezza cefalotorace
larghezza cefalotorace
lunghezza telson
larghezza telson alla base
mm 39,0
mm 29,0
mm 13,0
mm 10,1
l pereiopode
lunghezza meropodite
lunghezza carpopodite
lunghezza propodite
lunghezza dactyliis
larghezza meropodite
larghezza carpopodite
larghezza propodite
larghezza dactylus
sinistro destro
mm
26,0
mm
25,0
mm
8,0
mm
10,4
mm
43,0
mm
50,0
mm
18,0
mm
19,0
mm
6,0
mm
6,0
mm
5,0
mm
4,2
mm
7,2
mm
7,2
mm
1,2
mm
—
Cefalotorace moderatamente convesso, meno appiattito che
nelle altre specie del genere Coleia, subrettangolare con larghezza
massima, misurata in corrispondenza della regione mediana com¬
presa fra le incisioni cervicali e branchiali, minore della lunghezza
antero-posteriore. Rapporto semi larghezza/lunghezza del cefalo-
torace = 0,36. Il cefalotorace tende a restringersi progressiva¬
mente verso il margine posteriore. Margine anteriore concavo, in¬
teressato da due ampie incisioni oculari semicircolari limitate sul
lato esterno dalla spina snprantennalis. Margini laterali debol¬
mente convessi, interessati dalle incisioni cervicale e branchiale:
ampia ed aperta la prima, ristretta ed acuta la seconda. Margine
posteriore concavo. Non vi è traccia sull’ impronta e sulla contro-
impronta dei solchi cervicale e branchiale e delle carene a causa
della non perfetta conservazione deH’esemplare. L’addome si pre-
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC.
115
senta ripiegato e la sua lunghezza è stata calcolata a mm 41 telson
compreso, cioè di poco maggiore della lunghezza del cefalotorace.
Il telson è ben visibile: triangolare a base larga, presenta due
acute carene convergenti verso Tapice. L’uropode non è riscon¬
trabile.
La regione cefalica è molto ben conservata, si osservano
gli occhi piuttosto grandi all’ interno delle incisioni oculari
della controimpronta, il flagello biramato delle antennule, le an¬
tenne nelle quali è discernibile il lungo flagello segmentato, il car-
pocerite ed il merocerite arrotondati, Tesopodite ovale e molto
ampio (scafocerite) e parte del basicerite. Al centro, fra le due
antenne, sono a mala pena discernibili le estremità del terzo mas-
sillipede, costituite da due segmenti terminali. Primo paio di pe-
reiopodi molto sviluppato con rapporto carpopodite propodite =
= 0,18 ; propodite molto allungato con forti chele a dactylus
esterno, dactylus ed index sottili, allungati e ricurvi ad uncino
all’estremità; carpopodite triangolare e molto corto, meropodite
lungo più della metà del propodite. Sulla controimpronta si notano
tracce del basi-ischiopodite e del coxopodite. Secondo, terzo e
quarto paio di pereiopodi estremamente sottili, nel complesso mal
conservati, terminati da piccole chele. Il quinto paio non è con¬
servato affatto.
Ornamentazione del carapace molto attenuata, costituita da
una fine granulazione di cui si notano le tracce sui pereiopodi, sul
cefalotorace, sul telson e sui segmenti dell’addome.
Descrizione Paratifo 1 (Cat. tipi n« T 52) (Fig. 5B; tav. Ili,
fig. 1 ; tav. X).
Larghezza cefalotorace mm —
l pereiopode
lunghezza meropodite
lunghezza carpopodite
lunghezza propodite
lunghezza dactylus
larghezza meropodite
larghezza carpopodite
larghezza propodite
larghezza dactylus
sinistro
destro
mm
23,6
mm
20,0
mm
6,0
mm
7,0
mm
39,3
mm
40,3
mm
17,7
mm
19,0
mm
6,0
mm
6,0
mm
4,1
mm
4,4
mm
7,4
mm
6,2
mm
1,5
mm
1,3
11(1
G. PINNA
Il cefalotorace si presenta incompleto e molto schiacciato, la
ricostruzione data in fig. 5B è stata infatti per buona parte in¬
terpretata, su di essa è stato misurato il rapporto semi larghezza/
lunghezza = 0,37. Margine anteriore concavo, interessato da due
ampie incisioni oculari semicircolari limitate esternamente da
ambo i lati da una forte spina suprantennalis. Margine laterale
debolmente convesso, interessato dalle incisioni cervicali più ri¬
strette che nelFolotipo e dalle incisioni branchiali estremamente
acute. Nell’esemplare in esame la regione anteriore risulta più al¬
lungata di quanto è stato osservato nell’olotipo a causa forse di
deformazioni subite durante la fossilizzazione. Sul cefalotorace non
vi è traccia dei solchi e delle carene. L’addome non è conservato.
Le appendici cefaliche sono ben conservate e del tutto simili
a quelle osservate nell’olotipo. Si possono notare tracce delle an¬
tennule biflagellate, le antenne nelle quali è discernibile il fla¬
gello segmentato, il carpocerite ed il merocerite arrotondati, l’eso-
podite molto ampio ed ovale (scafocerite), parte del basicerite e
dell’ ischiocerite. Sono presenti al centro i due segmenti terminali
del terzo massillipede. Primo paio di periopodi molto simili a
quelli osservati nell’olotipo con rapporto carpopodite/propodite =
= 0,15 ; propodite esternamente allungato, carpopodite corto e
triangolare, meropodite lungo più della metà del propodite che
presenta dactylus esterno, dactylus ed index allungati, ristretti
e curvi ad uncino all’estremità.
Ornamentazione identica a quella dell’olotipo: di essa restano
poche tracce sul primo paio di pereiopodi e nella regione laterale
del cefalotorace.
Descrizione Paratifo 2 (Cat. tipi n^-* T 53) (Tav. 5A; tav. V,
fig. 2 ; tav. XI ; tav. XII).
lunghezza cefalotorace mm 39,5
larghezza cefalotorace mm 25,0
I pereiopode
lunghezza meropodite
lunghezza carpopodite
lunghezza propodite
lunghezza dactylus
sinistro
mm 22,0
mm 7,3
mm 36,0
mm 18,0
destro
mm 23,0
mm 7,0
mm —
mm —
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC.
1 1 7
larghezza meropodite
larghezza carpopodite
larghezza propodite
larghezza dactylus
mm
5,2
mm
5,7
mm
4,4
mm
—
mm
6,0
mm
—
mm
—
mm
—
Cefalotorace più allungato che nei tipi precedenti, a margine
anteriore non discernibile, con rapporto semi larghezza/lun¬
ghezza = 0,32. Margini laterali moderatamente convessi, inte¬
ressati dalla incisione cervicale di forma analoga a quella osser¬
vata nelFolotipo e dalla incisione branchiale moderatamente meno
acuta e profonda. Il margine laterale su ambo i lati della regione
anteriore porta diverse spine. Margine posteriore concavo. Anche
in questo esemplare lo schiacciamento subito non permette di os¬
servare la presenza dei solchi e delle carene sul cefalotorace. L’ad¬
dome è ripiegato ma frammentario ed in esso non sono conser¬
vati gli uropodi.
Sono presenti gli occhi di forma non identificabile ma piut¬
tosto grandi. L’ esemplare mostra inoltre la migliore conserva¬
zione delle appendici cefaliche. Le antennule, molto ben con¬
servate, sono composte dal doppio flagello segmentato e dal primo
segmento. Le antenne mostrano il flagello segmentato, il carpo-
cerite ed il merocerite arrotondati, parte dell’ ischiocerite, l’esopo-
dite ovale e molto allargato (scafocerite) e parte del basicerite. Al
centro sono presenti due segmenti terminali del terzo paio di mas-
sillipedi. Il primo paio di pereiopodi corrisponde bene a quello os¬
servato nell’olotipo con un rapporto carpopodite /propodite = 0,15;
propodite molto allungato a dactylus esterno, carpopodite trian¬
golare molto corto e meropodite allungato ed appena leggermente
ricurvo. Sul lato sinistro sono presenti frammenti del secondo,
terzo, quarto e quinto paio di pereiopodi ; sul lato destro si hanno
frammenti del secondo, terzo e quarto.
Tracce dell’ornamentazione, del tutto analoga a quella pre¬
sente nei due tipi precedenti, si notano ai margini del cefalotorace.
Descrizione Paratifo 3 (Cat. tipi n^" T 54) (Tav. V, fig. 1).
Lunghezza cefalotorace mm 37
I pereiopode sinistro destro
lunghezza meropodite mm 22,0 mm 21,0
lunghezza carpopodite mm 8,0 mm 7,3
118
G. PINNA
lunghezza propodite
mm
—
mm
—
lunghezza dactylus
mm
—
mm
—
larghezza meropodite
mm
6,0
mm
6,0
larghezza carpopodite
mm
4,3
mm
4,4
larghezza propodite
mm
6,1
mm
—
larghezza dactylus
mm
—
mm
—
Il paratipo in esame si presenta, sebbene frammentario, in
migliori condizioni di conservazione: su di esso è possibile lo
studio dei solchi e delle carene del cefalotorace la cui forma non
è tuttavia ricostruibile.
E’ presente suiresemplare un solco cervicale ampio e profondo
le cui estremità sembrano curvare all’ indietro in prossimità dei
margini laterali, esso si inflette leggermente in prossimità della
linea mediana del cefalotorace prima di formare un ampio angolo
ottuso. I due semi-solchi branchiali, più attenuati, sono paralleli
al primo nel tratto fra il margine e le carene laterali ove curvano
all’ indietro divenendo evanescenti fino a sparire.
Carena mediana sottile, ben rilevata nel tratto fra il margine
posteriore ed il solco cervicale, ornata da una serie di tubercoli.
Carene medio-laterali convergenti verso la mediana nel tratto fra
il margine posteriore ed il solco cervicale. Esse sembrano prose¬
guire sul cefalon fin quasi a raggiungere il margine delle inci¬
sioni oculari (cerene gastro-orbitali di Van Straelen).
L’ornamentazione molto attenuata ed uniforme corrisponde
a quella riscontrata sui tipi precedenti : essa è costituita da una
fine granulazione omogeneamente diffusa su tutta la superficie
del cefalotorace, sul primo paio di pereiopodi e sul frammento di
addome presente.
L’esemplare conserva ancora gli occhi nella posizione origi¬
nale, due segmenti terminali delle antennule con traccia dei fla¬
gelli e gli scafoceriti delle antenne. I primi pereiopodi sono fram¬
mentari; il sinistro presenta parte del dactylus ed index aspor¬
tati ma conserva la forma tipica del propodite. Su ambedue sono
conservati il corto e triangolare carpopodite ed il meropodite che
sul pereiopode destro porta numerose piccole spine marginali.
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC.
Ili)
Descrizione Paratifo 4 (Cat. tipi T 55) (Fig. 7; tav. VII,
figg. 1, 2).
lunghezza cefalotorace mm 35,3
lunghezza addome (esci, telson) mm 29,0
I pereiopode
sinistro
destro
lunghezza meropodite
lunghezza carpopodite
lunghezza propodite
lunghezza clactylus
larghezza meropodite
larghezza carpopodite
larghezza propodite
larghezza dactyhis
mm
22,0
mm
—
mm
6,3
mm
—
mm
—
mm
37,0
mm
—
mm
16,2
mm
5,0
mm
5,0
mm
4,5
mm
—
mm
5,2
mm
—
mm
—
mm
1,5
Il tipo si presenta in cattivo stato di conservazione. Il cefalo-
torace è molto incompleto e schiacciato, i margini non sono defi¬
nibili. Su di esso si possono notare abbastanza chiaramente il solco
cervicale profondo e la carena mediana acuta e rilevata. L’addome
è completamente asportato, si conserva solo la sua impronta, su
Fig. 7. — Coleia viallii n. sp., uropode del paratipo 4, es. n° T 55.
dier dieresi, end endopodite, es esopodite, pt protopodite, te telson.
120
G. PINNA
cui è stata effettuata la misurazione, e Turopode sinistro aperto
parzialmente, resopodite porta una leggera dieresi (fig. 7 ; tav. VII,
fig. 2).
Il primo pereiopode presenta rapporto carpopodite/propo-
dite = 0,16, propodite allungato a dactylus esterno, dactylm ed
index sottili, allungati e ricurvi ad uncino airestremità, carpopo-
dite corto e triangolare, meropodite lungo più della metà del pro¬
podite.
Ho classificato Tesemplare nella nuova specie in base alFunico
carattere del primo paio di pereiopodi del tutto simili a quelli del-
rolotipo e dei paratipi descritti in precedenza. La nuova specie ri¬
sulta quindi, in base a questo esemplare, possedere una dieresi che
mi permette la sua attribuzione al genere Coleia.
Descrizione Paratifo 5 (Cat. tipi n*^ T 57) (Tav. VI).
lunghezza cefalotorace mm 42,3
larghezza cefalotorace mm 30,4
I pereiopode
sinistro
destro
lunghezza meropodite
lunghezza carpopodite
lunghezza propodite
lunghezza dactylus
larghezza meropodite
larghezza carpopodite
larghezza propodite
larghezza dactylus
mm
37,0
mm
38,0
mm
—
mm
10,0
mm
—
mm
55,3
mm
—
mm
23,2
mm
6,0
mm
5,4
mm
—
mm
5,0
mm
—
mm
5,0
mm
—
mm
2,0
Il paratipo presenta caratteristiche analoghe ai tipi s. 1. prece¬
denti: medesimo rapporto semi larghezza/lunghezza = 0,36 del
cefalotorace, medesima disposizione e forma degli occhi e delle
appendici cefaliche. Il prim.o paio di pereiopodi si presenta allun¬
gato con un rapporto carpopodite /propodite = 0,14 e meropodite
lungo più della metà del propodite ; è visibile anche parte del-
V ischiopodite. Il telson è ripiegato.
Osservazioni. - La nuova specie, di cui è data una ricostru¬
zione a fig. 8 effettuata sui sei esemplari descritti in precedenza.
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC. ]‘_|1
presenta come caratteristiche principali il cefalotorace più allun¬
gato in senso antero-posteriore delle altre specie del genere Coleia.
Come si può osservare infatti dalla tabella riportata il rapporto
Fi^. 8. — Ricostruzione parziale di Coleia viallii n, sp.
(Disegno di A, Fedini)
semi-larghezza/lunghezza del cefalotorace oscilla da un massimo
di 0,36 ad un minimo di 0,32, mentre i valori offerti dalle altre
specie risultano sensibilmente più alti. Altro carattere distintivo
risulta la forma del primo paio di pereiopodi estremamente allun¬
gati con un carpopodite molto ridotto. Il rapporto carpopodite/
propodite risulta infatti oscillare da 0,15 a 0,18 mentre nelle altre
specie del genere Coleia risulta non inferiore a 0,22.
122
G. PINNA
Sulla tabella sono perciò riportati per confronto i rapporti
misurati sugli olotipi di altre specie liassiche.
Specie 0 esemplare
semi-larghezza/lunghezza
carpopodite/propodite
Olotipo (n° T 51)
0,36
0,18
Paratipo 1 (n° T 52)
0,37
0,15
Paratico 2 (n° T 53)
0,32
0,15
Paratipo 4 (n° T 55)
—
0,16
C. tenuichelis
0,55
0,25
C. antiqua
0,44-0,48
0,22-0,25
C. brodiei
0,46
0,30
C. crassichelis
0,43
0,28
Gli occhi sono conservati in quasi tutti gli esemplari presen¬
tandosi di dimensioni maggiori di quelli figurati da WOODS in
Coleia antiqua (tav. 2, fig. 4 e tav. 3, fig. 4). Per quanto riguarda
le appendici cefaliche (fig. 6), le antenne sono sempre conservate
e presentano il flagello segmentato per lo più incompleto così che
è difficile stabilirne la lunghezza, che doveva tuttavia essere no¬
tevole. Il carpocerite ed il merocerite sono arrotondati ed analo¬
ghi a quelli figurati da WoODS a tav. 3, fig. 2b sempre per Coleia
antiqua, sebbene il carpocerite dei miei esemplari presenti una
protuberanza anteriore sul lato sinistro. Lo scafocerite appare
nella mia specie analogo per forma e dimensioni a quello di Coleia
antiqua (WoODS tav. 2, fig. 3 e tav. 3, figg. 2, 3, 4) e su di esso è
possibile osservare una leggera carena mediana. Sia le antenne sia
le antennule non sembrano essere state spostate durante la fos¬
silizzazione. Negli esemplari sono quasi sempre visibili i doppi fla¬
gelli delle antennule e solo in un caso i primi segmenti. Del terzo
paio di massillipedi sono visibili solo due segmenti terminali, an-
ch’essi assai simili a quelli riportati da WooDS in Coleia antiqua
(tav. 3, fig. 4).
La specie è dunque molto simile, per quanto riguarda le ap¬
pendici cefaliche, a Coleia antiqua Broderip, 1835 dalla quale però
si distingue soprattutto per il cefalotorace più allungato con i
margini laterali della regione anteriore meno espansi in senso tra¬
sversale, la diversa forma dei pereiopodi e l’addome più ristretto.
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC.
Coleia mediterranea n. sp.
(Figg. 9, 10; tav. XIII, tav. XIV, tav. XV, tav. XVI)
Ascrivo alla nuova specie un solo esemplare schiacciato e
deformato, del quale posseggo impronta e controimpronta. L’ im¬
pronta viene conservata nella Collezione del Museo Civico di Storia
Naturale di Milano (Cat. tipi m T 56), la controimpronta fa in¬
vece parte della collezione privata del Sig. Pio Mariani.
L’esemplare si presenta molto schiacciato e deformato e non
è quindi possibile osservarne l’ intera struttura. Il cefalotorace
è conservato nella quasi totalità permettendo un’accurata ricostru¬
zione dei margini laterali e del posteriore, delle incisioni cervicale
doti
propd
Fig.. 9. — Ricostruzione dell’addome e dei pereiopodi di Coleia medi-
terranea n. sp. ( X lj5). Le parti tratteggiate sono state interpretate.
crppd carpopodite, dctl dactylus, òidx index, mrpd meropodite, o oc¬
chio, propd propodite, sh solco branchiale, se solco cervicale.
G. PINNA
e branchiale, dei solchi e delle carene. Il margine anteriore non è
ben definibile. Il cefalofi, piuttosto compresso, mostra sulla con¬
tro-impronta la posizione degli occhi ancora ben conservati e la
forma delle incisioni oculari mentre le appendici cefaliche sono
completamente distrutte ad eccezione degli esopoditi delle antenne.
Su ambo i lati sono presenti, quasi complete, le cinque paia di pe-
reiopodi, dei quali è possibile ricostruire la struttura. Il primo
pereiopode destro risulta staccato dal corpo.
L’addome è nell’ insieme mal conservato, i segmenti dell’ad¬
dome non sono ben definiti ed in parte incompleti, gli uropodi
non sono osservabili.
Dimensioni :
lunghezza totale
lunghezza cefalotorace
lunghezza addome
lunghezza telson
larghezza cefalotorace
mm 72,0
mm 35,0
mm 23,0
mm 14,0
mm 35,0
I pereiopode
lunghezza meropodite
lunghezza carpopodite
lunghezza propodite
lunghezza dactylus
larghezza meropodite
larghezza carpopodite
larghezza propodite
larghezza dactylus
sinistro destro
mm
—
mm
26,0
mm
14,0
mm
14,0
mm
35,0
mm
35,0
mm
12,0
mm
—
mm
— ^
mm
4,0
mm
3,0
mm
4,0
mm
4,0
mm
4,0
mm
1,0
mm
—
II pereiopode
destro
lunghezza carpopodite
mm
6,0
lunghezza propodite
mm
12,0
lunghezza dactylus
mm
4,0
larghezza carpopodite
mm
2,0
larghezza propodite
mm
2,0
larghezza dactylus
mm
—
PINNA G
Atti Soc.It.Sc.Nat. e Museo Civ.St.Nat.Milano, Voi. CVII,
Tav. II
Fig. 1. — Pacìiypteris sp.
Fig. 2
Coroniceras bisulcatiun (Brug’.). Calco dell’impronta (grandezza naturale)
PINNA G
Atti Soc.It.Sc.Nat. e Museo Civ.St. Nat. Milano, Voi. CVII,
Tav. I
Fig-. 1 (a sinistra). — Coleia viallii
n. sp. Paratipo 1, es. n° T 52 ( X 1,5).
Fig. 2 (sotto, a sinistra). ■ — Coleia
( ?) n. sp. (?), es. n° T 50, impronta
(X 3).
Fig. 3 (sotto, a destra). — Coleia {‘ì)
n. sp. (?), es. n° T 50, controimpronta
(X 3).
INNA G
Atti Soc. It. Se. Nat. e Museo Civ.St. Nat. Milano, Voi. CVII, Tav. IV
Fig. 1. — C oleici viali a
n. sp Olotipo, es. n° T 51,
impronta (X 1,5).
Fig. 2. — Coleia viallii
n. sp. Olotipo, es. n° T 51,
2ontroimpronta ( X 1,5).
PINNA G
Atti Soc.It.ScoNat. e Museo Civ.St. Nat. Milano, Voi. CVII, Tav
Fig*. 1. — Coleia viallii n. sp. Para-
tipo 3, es. n° T 54 (X 1).
Fig. 2. — Coleia vial-
ìii n. sp. Paratipo 2,
es. n° T 53 (X 1,5).
NNA G.
Atti Soc. It. Se. Nat. e Museo Civ.St. Nat. Milano, Voi. CVII, Tav. VI
Fig-. 1.
Coleia viciUii n. sp. Paratipo 5, es. n° T 57
(X 1).
PINNA G.
Atti Soc.It.ScoNat. e Museo Civ.St. Nat. Milano, Voi. CVII, Tav. VI
Fig’. 1. — Coleia viciUii n. sp. Parati-
po 4, es. n° T 55 ( X 1,5).
Fig. 2. — Coleia vialìii n. sp. Parati-
po 4, es. n° T 55. Particolare dell’uro-
pode con dieresi alPesopodite parzial¬
mente visibile ( X 3,5).
INNA G.
Atti Soc. It. Se, Nat. e Museo Civ.St. Nat. Milano, Voi. CVII,
Tav. viti
Figg. 1, 2. — Coleia vial-
lii n. sp. Olotipo, es.
11° T 51, controimpronta
( X 5). Particolare del
margine anteriore con
appendici cefaliche, ant
antenna, antll antennula,
has basipodite, erpet car-
pocerite, / flagello, mret
nierocerite. III mpd terzo
massillipede, o occhio, s
scafocerite.
PINNA G
Atti Soc.It.Sc.Nat. e Museo Civ.St.Nat. Milano, Voi. CVII, Tav. IX
crpct
mrct
bas
Fig. 1, 2. — Coleia vialìii
n. sp. Olotipo, es. n° T 51,
impronta ( X 5). Partico¬
lare del margine anterio¬
re con appendici cefali¬
che. Per i simboli vedi
tav. Vili.
■'INNA G.
I
Fig. 1, 2. — Coleia vial-
\ Hi n. sp. Paratipo 1, es.
n° T 52 (X 4,5). Partico¬
lare del margine ante¬
riore con appendici cefa¬
liche. Per i simboli vedi
tav. Vili.
Atti Soc. It. Se, Nat. e Museo Civ.St. Nat. Milano, Voi. CVII, Tav. X
PINNA G.
Atti Soc.It.Sc.Nat. e Museo Civ.St. Nat. Milano, Voi. CYII, Tav. XI
Fig. 1. — Coleia vialìii n. sp. Paratipo 2, es. n° T 53 ( X 4,5). Par¬
ticolare del margine anteriore con appendici cefaliche.
>INNA G.
Atti Soc.lt.Sc.Nat. e Museo Civ.St. Nat. Milano, Voi. CVII, Tav. XII
Fig. 1. — Coleia viallii n. sp. Paratipo 2, es. n° T 53 ( X 4,5). Di¬
segno delle appendici cefaliche.. Per i simboli vedi tav. Vili.
PINNA G
Atti Soc. It. Se. Nat. e Museo Civ.St. Nat. Milano, Voi. CVII, Tav. XIII
Fig’. 1. — Coleia mediterranea n. sp. Olotipo, es. n"
Particolare del cefalon.
T 56, impronta ( X 3,5).
Fig. 2
Coleia mediterranea n. sp. Olotipo, collezione Pio Mariani, contro
impronta ( X 3,5). Particolare del cefalon.
nNNA G.
Atti Soc. It.Sc.Nat. e Museo Civ.St. Nat. Milano, Voi. CVII, Tav. XIV
Fig’. 1. — Coleia mcdife'ì'ranca
n. sp. Olotipo, es n° T 56, im¬
pronta ( X 4). Particolare del
margine laterale destro con il
II pereiopode.
Fig. 2. — Coleia medi¬
terranea n. sp. Olotipo,
collezione Pio Mariani,
controimpronta ( X 4).
Particolare della parte
terminale dell’addome su
cui è conservato il fram¬
mento di uno dei pleo-
podi (plt).
PINNA G.
Atti Soc. It. Se. Nat. e Museo Civ.St.Nat.Milano, Voi, CVII, Tav. XV
Fig’. 1. — Coìeia mediterranea n, sp. Olotipo, es. n° T 56, impronta
(X 1,5).
PINNA G
Atti Soc. It. Se Nat. e Museo Civ.St. Nat. Milano, Voi. CVII, Tav. XVI
Fig. 1
Coleia mediterì'anea n. sp.
controimpronta
Olotipo, collezione Pio Mariani
(X 1,5).
?
1
PINNA G.
Atti Soc. It. Se. Nat. e Museo Civ.St. Nat. Milano, Voi. CVII,
Tav. XVI
Fio-. 1. —
Es. n° I 91,
Coleia ef. antiqua
impronta ( X 1,5).
Broderip.
Fig’. 2. — Coleia cf. antiqua.
Es. n° I 91, controimpronta ( X
Broderip.
1,5).
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC. 11>5
Descrizione. - Cefalotorace compresso, subquadrangolare con
larghezza massima uguale alla lunghezza. Margine anteriore non
perfettamente discernibile a causa dello schiacciamento subito du¬
rante la fossilizzazione : si notano sulla controimpronta (Tav. XVI,
fig. 1) le due incisioni oculari parzialmente conservate con gli
occhi ancora in posto. Margini laterali convessi, interessati dalle
profonde incisioni cervicale e branchiale che dividono il cefalo-
torace in tre regioni. L’ incisione cervicale (fig. 9) è lunga, pro¬
fonda ed acuta, V incisione branchiale, posta posteriormente alla
prima, risulta più ampia ed arrotondata. Tutto il margine late¬
rale è interessato da spine rivolte verso la parte anteriore del-
Fanimale : ne sono state osservate tre principali fra V incisione
oculare e la cervicale, visibili solo sul margine sinistro della con¬
troimpronta ; altre tre sono visibili fra l’ incisione cervicale e
branchiale su ambo i lati; numerose altre interessano la regione
posteriore dei margini laterali. Margine posteriore del cefaloto¬
race largo e debolmente concavo nella sua paide mediana, arro¬
tondato ai margini ove sono ben sviluppate numerose spine.
Solchi cervicale e branchiale poco marcati. Il solco cervicale
è poco profondo, sviluppato tra le incisioni cervicali del cefalo-
torace da ambo i lati, convesso e nel suo insieme formante un
angolo ottuso nella regione mediana. Il solco branchiale è ancor
più attenuato, unico, non unito al cervicale. Una carena mediana
è presente fra il margine posteriore del cefalotorace ed il solco
cervicale, essa sembra continuare sul cefalon ove è appena accen¬
nata ; le carene medio-laterali sembrano assolutamente mancare.
Sulle regioni laterali del cefalotorace, da ambo i lati, sono pre¬
senti due sottili incisioni rettilinee, sviluppate dal solco branchiale
al margine posteriore del cefalotorace (non riportate nella rico¬
struzione).
Tutto il cefalotorace è interessato da una fine ornamenta¬
zione costituita da una fitta granulazione, costante su tutta la
superficie, sulla quale si inseriscono radi tubercoli, sviluppati
principalmente sulle regioni laterali.
Addome formato da sei segmenti lunghi e stretti, ornamen¬
tati ciascuno da due fossette laterali. Telson appuntito, a base
larga, sul quale si osserva un leggero rigonfiamento mediano.
Uropodi non visibili.
9
126
G. PINNA
Appendici cefaliche quasi completamente asportate : è pos¬
sibile osservare sull’ impronta il carpocerite ed il merocerite del¬
l’antenna sinistra (molto problematico) e la presenza dello scafo-
cerite, ampio ed ovale, caratteristico. Il flagello delle antenne ed
antennule non è visibile.
Gli occhi, perfettamente conservati sulla controimpronta,
sono spostati lateralmente ed alloggiati nelle incisioni oculari che
hanno forma arrotondata.
Prime quattro paia di pereiopodi provviste di chele, quinto
paio probabilmente a dattilopodite terminale.
Primo pereiopode sottile, più lungo dell’ intero animale, rag¬
giunge la lunghezza (meropodite-carpopodite-propodite) di mm 75 :
propodite molto sviluppato, lungo e stretto, terminato da forti
chele a dactylus esterno, dactylus ed index lunghi e leggermente
ricurvi aH’estremità. Carpopodite allungato in modo caratteristico
con massimo spessore all’articolazione con il propodite. Meropo-
dite molto lungo e leggermente ricurvo.
Secondo pereiopode (Tav. XIV, fig. 1) con propodite netta¬
mente ricurvo e forte chela a dactylus esterno, più corto ed in¬
grossato di quello del primo periopode.
Tutti i periopodi sono coperti da una fine granulazione, sui
margini sono spesso presenti piccole spine.
Sulla controimpronta sono conservate scarse tracce dei pleo-
podi (Tav. XIV, fig. 2).
Osservazioni. - La nuova specie presenta come caratteri¬
stiche principali di differenziazione rispetto ai tipi già noti la
forma del cefalotorace di lunghezza uguale alla larghezza, il solco
branchiale unico e non unito al solco cervicale, la presenza di una
debole carena mediana e l’assenza delle carene laterali. Queste
ultime infatti sembrano totalmente mancare sia nel tratto fra il
margine posteriore ed il solco cervicale, sia sul cefaloìi ove sono
invece presenti su altre specie quali Coleia hrodiei e Coleia an¬
tiqua, ove sono meno accentuate. Non è tuttavia da escludere che
esistesse almeno un accenno di tali carene laterali, considerate
caratteristiche del genere Coleia, che potrebbero essere del tutto
scomparse per lo schiacciamento subito. Nel dubbio esse non sono
state riportate sulla ricostruzione. Caratteristico della nuova spe-
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC.
\21
de è inoltre lo sviluppo del primo paio di pereiopodi, estrema-
mente sottili ed allungati con carpopodite molto più lungo che
nelle altre specie note.
Fig. 10. — Ricostruzione parziale di Coleia mediterranea n. sp.
(Disegno di A, Pedini)
Coleia mediterranea è stata ascritta a questo genere, sebbene
non sia possibile osservare la presenza di una dieresi, in base alla
forma del cefalotorace, la presenza e la forma delle incisioni
laterali e dei solchi cervicale e branchiale, la forma dei pereiopodi
e la presenza di scafoceriti caratteristici.
128
G. PINNA
Essa si differenzia da Coleia antiqua, che risulta la specie
più vicina, per la forma meno allungata del cefalotorace, per la
presunta assenza delle carene laterali, per la presenza di un solco
branchiale unico e per la forma del primo pereiopode a carpo-
podite molto allungato.
Coleia cf. antiqua Broderip, 1835
(Tav. XVII, figg. 1, 2)
1835 - Coleia antiqua. Broderip, p. 201.
1837 - Coleia antiqua Broderip, p. 172, t. 12, f. 1, 2.
1862 - Eryon antiquus Eroder., sp. Oppel, p. 11.
1866 - Eryon antiquus Broderip. Woodward, p. 495.
1877 - Eryon {Coleia) antiquus? Broderip. Woodward, p. 10.
1888 - Eryon antiquus Broderip, sp. Woodward, p. 433, t. 12.
1924 - Coleia antiqua Broderip, 1835. Van Straelen, p. 138.
1925 - Coleia antiqua Broderip. Woods, p. 13, t. 2, f. 3, 4; t. 3, f. 2, 3, 4.
Confronto con la specie di Broderip un solo esemplare, di cui
posseggo impronta e controimpronta, conservato al Museo Civico
di Storia Naturale di Milano con il numero di Catalogo I 91.
Si tratta di un esemplare in pessimo stato di conservazione :
il cefalotorace è estremamente schiacciato a margini laterali con¬
fusi e margine anteriore completamente obliterato. L’addom.e è in
buono stato di conservazione. Delle appendici sono visibili gli sca-
foceriti delle antenne, il primo paio di pereiopodi e scarse tracce
indistinte degli altri.
Dimensioni :
lunghezza cefalotorace mm 40,0
larghezza cefalotorace mm 33,0
lunghezza addome mm 39,0
I pereiopode
sinistro
destro
lunghezza meropodite mm —
lunghezza carpopodite mm —
lunghezza propodite mm —
lunghezza dactylus mm 13,0
mm 13,0
mm 8,0
mm 27,0
mm 12,2
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC.
129
Ho confrontato l’esemplare con Coleia antiqua in base alla
forma del cefalotorace che presenta un rapporto semi-larghezza/
lunghezza = 0,44 che rientra nei limiti di variabilità della specie
di Broderip, nella quale tale rapporto varia da 0,44 a 0,48. Il cefa¬
lotorace appare grossolanamente sub-rettangolare mentre non è
possibile osservare le incisioni laterali, i solchi e le carene.
Addome composto da sei segmenti di larghezza decrescente
verso la parte posteriore, interessati nella loro parte mediana da
un solco trasversale che li incide da un margine all’altro con anda¬
mento convesso verso la parte anteriore. Telson triangolare allun¬
gato. Uropodi non visibili.
Ad un forte ingrandimento è possibile osservare sul margine
anteriore gli scafoceriti ornamentati da una fine granulazione,
e ben sviluppati. Primo paio di pereiopodi con propodite allun¬
gato a dactylus esterno, ricurvo ad uncino all’estremità, e più
lungo dell’ index che si presenta con una curvatura meno accen¬
tuata e più appuntito ; carpopodite di media lunghezza e meropo-
dite piuttosto corto. Il rapporto carpopodite/propodite = 0,29 è
leggermente superiore a quello di C. antiqua che oscilla fra 0,22
e 0,25.
Ornamentazione, visibile solo sui segmenti dell’addome, costi¬
tuita da una fine granulazione.
La specie fu istituita nel 1835 da Broderip su due esemplari
provenienti dagli strati del Lias inferiore (Sinemuriano) di L\Tne
Regis in Inghilterra. Per la sua nuova specie l’autore istituì il
genere Coleia di cui Coleia antiqua divine così tipo. Nel 1862
Oppel, non stimando necessaria una differenziazione fra il genere
Eryon ed il nuovo genere di Broderie, attribuì i due esemplari
al primo di questi, considerando inoltre di valore specifico le dif¬
ferenze riscontrate sul primo paio di pereiopodi dei due esem¬
plari. Nel 1888 WOODWARD figurò un terzo esemplare proveniente
dalla medesima località che pure attribuì al genere Eryon. Egli
tuttavia discusse la possibilità di una differenziazione a livello
generico in base alla presenza di dieresi all’esopodite degli uro¬
podi (WoODWARD 1888, pag. 436), dieresi del tutto assente negli
Eryon del Giurassico superiore. Nel 1924 Van Straelen, in una
breve discussione sulla specie, sostenne a ragione che i due esem¬
plari di Broderie non differivano specificamente, ma che le dif¬
ferenze osservate da Oppel sulla lunghezza del primo pereiopode
130
G. PINNA
erano da riportarsi piuttosto ad un diverso grado di sviluppo
degli individui o ad una differenza di ordine sessuale. Di identico
parere è WOODS che nel 1925 figurò tutti gli esemplari fino ad
allora noti della specie. Essi sono cinque in totale, provenienti
tutti dal Sinemuriano « zona a hucklandi » di Lyme Regis. Il tipo
è conservato al Museum of Practical Geology con il numero di
catalogo 4125, gli altri sono al British Museum con i numeri
59418, 20678, 3214, 45092.
Conclusioni.
Gli erionidei qui descritti e figurati sono gli unici crostacei
decapodi segnalati fino ad ora in terreni Massici italiani, se si
esclude l’esemplare frammentario classificato da Golosi nel 1921
nella nuova specie Heteroglyphaea paronae del Charmutiano di
La Spezia, ora attribuita al genere Pseiidoglyphaea.
I crostacei di Osteno risultano quindi i più antichi decapodi
fino ad ora segnalati in Italia e fra i più antichi d’Europa. La
fauna da me rinvenuta risulta infatti coeva della famosa fauna a
crostacei di Lyme Regis in Inghilterra, nella quale furono descritte
fra l’altro numerose specie del genere Coleia del Sinemuriano.
Sono stati qui presi in considerazione 9 esemplari e sono
state istituite le specie nuove Coleia mediterranea, basata su un
solo esemplare e Coleia viallii, basata invece su 6 esemplari. La
specie Coleia (?) n. sp. (?) è incerta. Un solo esemplare è stato con¬
frontato con la specie Coleia antiqua Broderip, 1835, già nota nel
Sinemuriano di Lyme Regis. Le specie nuove presentano caratteri
di forma e struttura molto vicini alle specie già note del Lias in¬
glese, indicando una certa uniformità nei caratteri ed un’ampia
distribuzione geografica del genere.
I confronti con i tipi inglesi non sono tuttavia sempre age¬
voli per le differenti modalità di fossilizzazione che ci hanno tra¬
mandato esemplari sempre fortemente schiacciati ed almeno in
parte deformati.
Dal punto di vista ecologico infine possiamo dire che la pre¬
senza nel giacimento di erionidei, fra i crostacei, e di vegetali
subaerei starebbe ad indicare deposizione in mare poco profondo
in prossimità di una linea di costa, aprendo così il problema cui
si è accennato nell’ introduzione geologica al lavoro.
GLI ERIONIDEI DELLA NUOVA FAUNA SINEMURIANA ECC.
131
Riassunto
Vengono qui descritti ed illustrati gli erionidei del genere Coleia della
nuova ed abbondante fauna a crostacei decapodi di Osteno in Lombardia.
Lo studio, basato su 9 esemplari, ha permesso di stabilire la presenza di
due specie nuove: Coleia viallii e Coleia mediterranea. Sembra essere
inoltre presente la specie Coleia antiqua Broderip 1835, già nota nel Sine-
muriano di Lyme Regis. La specie Coleia (?) n. sp. (?), basata su un solo
esemplare, è incerta.
La datazione del giacimento è stata effettuata in base ad un raro
esemplare di ammonite attribuito alla specie Coroniceras hisiilcatiim (Brug.)
che, rinvenuto poco più in alto nella serie rispetto al giacimento a crostacei,
indica per questo un’età attribuibile al Sinemuriano inferiore.
Gli erionidei qui descritti rappresentano dunque i più antichi crostacei
decapodi fino ad ora rinvenuti in Italia e fra i più antichi d’Europa. La
presenza nel gacimento di resti di vegetali terrestri starebbe inoltre ad in¬
dicare deposizione in mare poco profondo in prossimità di una linea di costa.
Summary
The Author describes and illustrates thè Eryonidea of thè Genus Coleia
of thè new Crustaceous Decapods fauna of Osteno, Lombardy. The study,
based on 9 specimens, permitted to establish thè presence of two new
species: Coleia viallii and Coleia mediterranea. Also Coleia antiqua Bro¬
derip, 1835, already known in thè Sinemurian of Lyme Regis seems to be
present.
The date of thè Fauna was' made through a rare specimen of Ammo¬
nite ascribed to thè species Coroniceras hisulcatum (Brug.) which was found
a little higher than thè crustacean strata and indicative of thè Lower
Sinemurian age.
The Eryonidea here described represent thè oldest Crustaceous Decapods
found in Italy and are among thè oldest in Europe. The presence of land
plants indicates a deposit in shallow waters near a coastline.
Résumé
L’auteur décrit et illustre les Eryonidea du genre Coleia qui appar-
tiennent à la nouvelle et nombreuse faune à crustacés décapodes de Osteno
en Lombardie. L’étude, qui se base sur 9 exemplaires a permis de déterminer
la présence de deux nouvelles espèces : Coleia viallii et Coleia mediterranea.
La présence de l’espèce Coleia antiqua Broderip, 1835, déjà connue dans le
Sinémurien de Lyme Regis est en outre possible.
La datation du gisement a été effectuée gràce à un rare exemplaire
d’ammonite attribué à l’espèce Coroniceras bisulcatum (Brug.) que l’on a
132
G. PINNA
trouvé un peu plus haut dans la sèrie du gisement de crustacés et qui in-
dique ainsi un àge attribuable au Sinémurien inférieur.
Les Eryonidea décrits représentent donc les plus anciens crustacés déca-
podes découverts jusqu’ici en Italie et parmi les plus anciens en Europe. La
présence dans le gisement de restes de végétaux terrestres indiquerait en
outre une déposition dans une eau peu profonde en proximité de la còte.
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MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE DI MILANO
Matteo Boscardin & Vincenzo de Michele
BRUCITE, IDROMAGNESITE ED ARTINITE
DELLA VAL DRASTICO (VICENZA) (^)
Considerazioni preliminari.
Nel corso di molteplici e prolungate visite effettuate da
M. Boscardin prima e da entrambi gli scriventi poi nei territori
dei comuni S. Pietro Valdastico, Cogollo del Cengio e Arsiero in
provincia di Vicenza, furono rinvenuti, nelle cave di pietrisco
per granulati e conglomerati artificiali, abbondanti campioni di
brucite, idromagneste e artinite, dei quali già fornimmo notizia
preliminare (Boscardin e de Michele 1965). In seguito venne iden¬
tificato un minerale della serie piroaurite-sjogrenite, di cui verrà
evntualmente data notizia in altra sede.
Le cave in cui fino ad oggi è stata riscontrata la presenza di
questi tre minerali sono numerose soprattutto nella provincia di
Vicenza, secondariamente in quella di Verona e di Trento, nella
quale è già stata descritta un’analoga mineralizzazione (Morandi
1966). La cartina mostra la distribuzione dei giacimenti visitati
dagli scriventi. In tutti i casi esaminati i minerali sono stati
portati alla luce da lavori di estrazione effettuati in cave aperte
nell’arco degli ultimi dieci-quindici anni.
Dal punto di vista geologico, si nota che la Val d’Astico è in¬
cisa nelle dolomie bianche, grigio-chiare o giallastre appartenenti
al Trias superiore (Nerico in gran parte) e formanti potenti
bancate suborizzontali ; esse sono poi sovrastate in concordanza
("9 Lavoro pubblicato col contributo del C.N.R., Comitato Nazionale per
le Scienze Geologiche e Minerarie.
13(3
M. BOSCARDIN e V. DE MICHELE
da terreni sedimentari giurassici e cretacei. Età terziaria viene
invece attribuita ai numerosi filoni basici e ultrabasici che at¬
traversano le formazioni sopra ricordate in tutta la regione degli
altopiani e che per quello di Tonezza sono stati oggetto di studi
recenti (De Vecchi 1966). Nella zona considerata, tali filoni
hanno giacitura nettamente discordante, con corpi colonnari per
lo più verticali, assai ricchi di apofisi iniettate nei giunti di in-
terstrato delle formazioni sedimentarie. La loro ascesa ha provo-
Fig. 1. — Posizione delle cave della Val d’Astico citate nel testo.
1) Cava del M. Campomolon ; 2) Cava al Km 6 della strada Tonezza-
Folgarìa; 3) Cava di Val del Corvo; 4) Cava a nord di Pedescala;
5) Cava Menegolli.
BRUCITE, IDROMAGNESITE ED ARTINITE ECC.
cato un diffuso fenomeno di termometamorfismo soprattutto nelle
dolomie noriche incassanti che si sono così trasformate in maryyii
a hrucite di colore variabile dal candido al grigio con chiazze
maggiormente pigmentate in nero, rosso, verde. Tali prodotti e
la loro relazione con le manifestazioni eruttive sono chiaramente
visibili nella Cava Menegolli, poco a sud di Pedescala, dove il fi¬
lone basico, assai ricco di appendici orizzontali, è anche interes¬
sato da una piccola faglia verticale (fig. 2).
Fìg. 2. — Cava Menegolli. Il filone principale, discordante e fagliato,
con le apofisi d’ interstrato, è nettamente visibile sullo sfondo chiaro
della dolomia a stratificazione orizzontale. La parte abbattuta del
filone aveva un andamento più prossimo alla verticale. La fotografia
riproduce la situazione del marzo 1966.
M. BOSCARDIN e V. DE MICHELE
i;^8
In accordo con quanto già osservato da Morandi per analo¬
ghi giacimenti nella zona di Ala, al microscopio non si nota pe-
riclasio nel marmo a brucite che, nella facies candida, mostra
struttura granoblastica assai uniforme con calcite prevalente e
brucite subordinata; nella tabella 1 è riportata l’analisi di tale
roccia, prelevata nella Cava Menegolli a non molta distanza dal fi¬
lone. La dolomia non metamorfosata ha la seguente composizione :
CaCOs = 60,997r ; Mg-CO., = 38,067r ; SiO. + AhO-, + Fe^Os = 0,94%.
Tabella i.
Marmo a brucite di Cava Menegolli (anal. E. Pezzoli).
SiO,
2,05
ALOa + FeoOs
2,69
MnO,
tr.
MgO
10,73
CaO
42,51
CO.
36,94
HoO-
0,25
H.O^
4,81
99,98
Minerali.
Numerosi sono ormai i minerali identificati nelle aree di
contatto 0 all’ interno dei filoni e descritti da diversi autori in
questi ultimi anni : brucite, idromagnesite, thomsonite, artinite,
calcite, aragonite, serpentino, barite, nella cava di Tonezza
(SCAINI, Passaglia, Capedri 1967; Boscardin 1967); brucite,
idromagnesite, piroaurite, calcite, aragonite, dolomite, magnetite,
serpentno, in diverse cave presso Ala (Morandi 1966); idroma¬
gnesite, brucite, artinite, aragonite, calcite, dolomite, natrolite,
marcasite (Boscardin e de Michele 1965), cui si può aggiun¬
gere ora un termine non meglio identificato della serie piroaurite-
sjogrenite, serpentino, magnetite in cristallini ettaedrici e li-
monite pseudomorfa di pirite cubica, in varie cave della Val
d’Astico.
BRUCITE, IDROMAGNESITE ED ARTINITE ECO. 1
Dato però che quest’ultimo ritrovamento costituisce anche la
prima segnalazione dell’artinite in rocce sedimentarie metamor¬
fosate per contatto, ci è sembrato utile presentare alcuni carat¬
teri di questo minerale e di alcuni altri che lo accompagnano, de¬
scrivendoli secondo l’ordine paragenetico.
Briicite.
E’ abbastanza comune soprattutto nella cava Menegolli ed in
quella del M. Campomolon, dove si possono osservare vene di spes¬
sore variabile, talora anche di 6-7 cm, costituite essenzialmente
da brucite compatta, lamellare per la presenza di facce di sfal¬
datura (0001), con prevalente colore azzurro intenso a toni ver¬
dastri, oppure incolore, bianco-perlacea, giallo-olio; talora traspa¬
rente quando si presenta in cristalli, è per lo più translucida. I
cristalli, discretamente frequenti e sempre a contorno esagonale,
possono essere tabulari o prismatici con dimensioni anche cospi¬
cue (3-4 cm di spigolo).
Come accennato sopra, la brucite forma il riempimento di
vene irregolarmente e abbastanza uniformemente distribuite nella
massa dolomitica metamorfosata. Nei casi più semplici la vena è
completamente riempita da brucite, i cui piani (0001) non sono
quasi mai paralleli alle salbande, ed in cui talora grandi cristalli
azzurri, tabulari, sono immersi in brucite bianca perlacea; più
frequentemente si riscontra che la brucite azzurra sfuma gra¬
dualmente in quella bianca. Ricerche spettrografiche eseguite da
Morandi hanno messo in luce la presenza di tracce di Cu, cui po¬
trebbe essere imputata la colorazione.
In alcuni casi è possibile osservare una sequenza paragene¬
tica abbastanza chiara: alle salbande la prima a formarsi è stata
la calcite bianca, limpida, di abito scalenoedrico, spesso in geo¬
dine; al di sopra, la brucite lamellare colma lo spazio tra le pa¬
reti di calcite e nel suo spessore talora ospita geodi di brucite in
cristalli prismatici, mentre sottilissimi cristalli tabulari si rin¬
vengono nelle geodi calcitiche ; contemporanea alla brucite sem¬
bra essere il minerale rosso-bruno di tipo piroauritico che si
forma in piccoli aggregati annidati tra gli scalenoedri di calcite ;
sulla brucite, infine, non è raro notare globuletti bianchi o spal¬
mature interlamellari di idromagnesite.
140
M. BOSCARDIN e V. DE MICHELE
Su un campione di brucile bianca semitrasparente si è ese¬
guita la seguente analisi chimica (anal. E. Pezzoli):
Tabella 2.
SÌ02
0,07
F62O3 AI2O3
0,25
CaO
tr.
MgO
69,08
MnOa
0,12
H2O
0,04
HoO
30,64
100,20
Nella figura 3 è riprodotto lo spettro infrarosso della bru¬
cile eseguito con uno spettrofotometro Perkin Elmer mod. 257,
utilizzando pastiglie di KBr. L’assorbimento a 3700 cm“b con 17
caratteristiche bande non visibili nel disegno, è imputabile per al¬
cuni (Boutin e Bassett 1963) alla vicinanza reciproca degli ossi¬
drili negli strati OH“.
Icbomagnesite.
Da quando nel 1903 Brugnatelli segnalò l’ idromagnesite
ad Emarese, prima località italiana, questo minerale è stato più
volte ritrovato in diversi giacimenti alpini e appenninici, ed in
questi ultimi anni il numero dei rinvenimenti, taluni ancora ine¬
diti, si è maggiormente accresciuto. La genesi è quasi sempre
legata a rocce serpentinose da una parte (Piemonte, Val Ma-
lenco), e a dolomie termometamorfosate dall’altra (Vesuvio, La¬
zio); in quest’ultimo gruppo rientra, come si è visto, 1’ idroma¬
gnesite della Val d’Astico.
Essa si presenta in raggruppamenti di globuli fibroso-rag-
giati, spesso fittamente addensati, a superficie esterna compatta,
ciascuno dei quali può raggiungere un diametro di 3-4 mm; op¬
pure in distinti cristallini aciculari con lucentezza vitrea brillante
raccolti in forme sferoidali ; oppure ancora in croste concrezionate
di ampia superficie con aspetto terroso opaco microcristallino. Il
colore è sempre bianco candido.
BRUCITE, IDROMAGNESITE ED ARTlNlTE ECC.
141
Fig. 3. — Spettri di assorbimento infrarosso: brucite di Cava
Menegolli (1), idromagnesite di Cava Menegolli (2) e di Ciappanico
in Val Malenco (3), artinite di Cava Menegolli (4) e di Ciappanico
in Val Malenco (5). (Spettrofotometro Perkin-Elmer mod. 257).
10
142
M. BOSCARDIN e V. DE MICHELE
L’ idromagnesite è presente, talora in notevole quantità, in
tutte le cave da noi visitate. Essa si forma per la massima parte
sopra la brucite lamellare, secondariamente a diretto contatto con
la roccia sedimentaria o con quella basaltica, infine sopra una
calcite giallo-bruna incrostante ; il caso più comune è rappresen¬
tato da idromagnesite su marmo. L’ idromagnesite su basalto, os¬
servabile nella cava a nord di Pedescala, induce a ritenere che
la sua temperatura di formazione sia stata sensibilmente bassa,
come potrebbe anche testimoniare la presenza della calcite con-
crezionata che tappezza le fessure postmetamorfiche dei marmi, in
seguito ricoperta da idromagnesite.
' Data Tabbondanza e la purezza del materiale disponibile,
abbiamo ritenuto opportuno eseguire una analisi chimica, i cui
risultati, media di due analisi praticamente concordanti, sono
esposti nella seguente tabella (anal. G. Romano):
Tabella 3.
R203
0,11
NaoO
0,08
K2O
0,03
CaO
0,56
MgO
42,40
COo
36,90
HoO
19,72
Res. ins.
0,10
99,91
Tolte le impurezze e ricalcolati i valori percentuali portando
a 100 la somma, si ottengono i dati (V), qui confrontati con le
altre analisi di idromagnesiti italiane :
Tabella 4,
I
II
III
IV
MgO
44,02
43,16
43,18
43,92
us,oi
CO2
35,85
37,10
37,42
35,94
36,98
HoO
19,99
19,65
19,30
20,09
20,00
99,86
99,91
99,90
99,95
99,99
I) Viù, Fenoglio 1927; II) Emarese, Fenoglio 1936; III) Su Marmori, Bal¬
coni e Giuseppetti 1959; IV) P. Iolanda, Minutti 1964; V) Val cV Astica.
BRUCITE, IDROMAGNESITE ED ARTINITE ECC.
143
La composizione dell’ idromagnesite di Val d’Astico è più vi¬
cina alla formula teorica 4MgO • 3CO2 • 4H2O, come lo sono quelle
di Viù e P. Iolanda, piuttosto che all’altra 5MgO • 4CO2 • 5H2O
cui si avvicinano i dati di Emarese e Su Marmori.
Nella figura 3 abbiamo riportato lo spettro infrarosso del-
r idromagnesite di Cava Menegolli, in cui la posizione delle bande
concorda con quello riportato da Mumpton, Jaffe e Thompson
(1965).
Artinite.
E’ stata osservata su numerosi campioni di idromagnesite
rinvenuti nelle diverse cave della Val d’Astico, particolarmente
nella Cava Menegolli, ed identificata grazie ad uno spettro di
polvere. Si presenta in aggregati di cristalli aciculari bianchi,
con lucentezza sericea in massa, riuniti in forme globulari 0 ada¬
giati sull’ idromagnesite che tappezza le pareti di piccole litoclasi
aperte nel marmo; i singoli cristallini degli aggregati raggiun¬
gono la lunghezza massima di rum 7-8 e sono così sottili che a
stento vi si individuano con la lente le facce del prisma.
Su materiale accuratamente scelto, proveniente dalla Cava
Menegolli, si è eseguita l’analisi chimica (ad opera di G. Romano)
di cui riportiamo i risultati :
Tabella 5.
0,13
0,14
0,84
40,72
22,69
0,26 determinata a 60°C
35,00
99,78
Dedotte le impurezze e riportati i valori a 100, si ottengono
i dati (Vili) esposti nella seguente tabella insieme con altre ana¬
lisi note in letteratura:
SiO.
R2O3
CaO
MgO
CO2
H2O-
HoO-
144
M. BOSCARDIN e V. DE MICHELE
Tabella 6.
I
II
III
IV
V
VI
VII
Vili
MgO
41,34
41,19
41,12
40,93
41,04
41,81
40,55
Al, 37
CO,
22,37
24,23
22,16
22,34
22,21
22,82
22,58
23,00
H2O
36,29
34,26
36,54
36,61
36,64
35,46
37,09
35,56
Rim.
0,32
0,38
100,00
100,00
99,82
99,88
99,89
100,09
100,60
99,93
I) V. Lanterna, Brugnatelli 1903; II) Fobé I, Grill 1921; III) Viù, Feno-
GLio 1927; IV) M. Ramazzo, Lincio 1930; V) Cogne, Fenoglio 1936; VI)
Luning, Hurlbut 1946; VII) Caucaso, Jachontova 1952; Vili) Val d’Astico.
Nella II il rimanente è CaO; nella VII è: HoO 0,14; CaO 0,15; insolubile 0,09.
Nella figura 3 abbiamo riportato lo spettro infrarosso della
artinite di Cava Menegolli confrontato con quello deirartinite di
Rocca Castellaccio sopra Torre S. Maria in Val Malenco.
Nei giacimenti noti fino ad ora, tutti in rocce serpentinose,
Tartinite si presenta nelle litoclasi sempre accompagnata da idro¬
magnesite, alla cui formazione è posteriore. Numerose sono ormai
le località di questo tipo note in Italia e all’estero : Val Malenco,
Emarese, Cogne, Viù, M. Ramazzo, St. Vincent (Ratto e Gra-
MACCIOLI 1967), Kraubath in Stiria, Luning e Hoboken negli USA,
Siberia Centrale, Armenia, Caucaso. Dato però che l’ idromagne¬
site si forma anche su rocce sedimentarie ricche in Mg, che hanno
subito processi termometamorfici, e dati i rapporti paragenetici
intercorrenti tra idromagnesite e artinite, era relativamente pre¬
vedibile che i due minerali fossero associati anche in qualche
gacimento di questo tipo, ma anteriormente alle nostre osserva¬
zioni sulla Val d’Astico non si erano mai avute segnalazioni in
tal senso. Qualcosa di analogo è stato citato in Transcarpazia
(Slawskaja 1955), dove intrusioni terziarie di microgranito e
microgranodiorite hanno metamorfosato livelli arenaceo-argillosi
del Paleogene, con formazione di microscopici aggregati di arti¬
nite nel microgranito e nei sedimenti, attribuita a metasomatosi
magnesiaca.
BRUCITE, IDROMAGNESITE ED ARTINITE ECC.
145
Il rinvenimento in Val d’Astico, nelle condizioni di giacitura
prima esposte, di artinite ben sviluppata in discreta quantità,
conferma da una parte il già noto rapporto idromagnesite-artinite
osservato nei giacimenti delle serpentine, dall’altra amplia le cono¬
scenze sull’ambiente litologico favorevole alla genesi di questo
carbonato basico di magnesio.
Desideriamo ringraziare vivamente gli amici E. Pezzoli e G. Romano per
le analisi effettuate, e la Soc. SIMES per le curve di assorbimento infrarosso.
Riassunto
In alcune cave della Val d’Astico (Vicenza), aperte nelle dolomie nori-
che metamorfosate in marmi a brucite per azione di filoni basici, sono stati
rinvenute brucite, idromagnesite e artinite ; la presenza di artinite in que¬
sto tipo di giacitura viene qui segnalata per la prima volta. Dei minerali ci¬
tati si danno l’analisi chimica e lo spettro di assorbimento infrarosso.
Abstract
In some quarries of Astice Valley near Vicenza, which were open in thè
dolomitic rock metamorphosed into brucite-marbles by thè action of a basic
dyke, brucite, hydromagnesite and artinite were found. The presence of arti¬
nite in this type of occurrence is published here for thè first time. The che-
mica! analysis and thè infrared absorption spectra of thè minerals mentioned
are given.
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DEPARTMENT OF ZOOLOGY, THE UNIVERSITY OF PARMA
Danilo Mainardi and Antonio Pasquali
CULTURAL TRANSMISSION IN THE HOUSE MOUSE (0
Aside from thè genetic process of heredity, another System
of transmission is at work in man : that named ‘‘ cultural ” or
exomatic”. According to Mather, this is to be understood as
thè non-organic transmission of information and ideas between
individuals not necessarily related, and, of course, it implies thè
ability to learn from observation and experience. This process
is mainly responsible for thè extremely rapid behavioural evo-
lution of Olir species, and, interacting with genetic transmission,
it may also influence our organic evolution (Etkin ; Mather).
Because of thè new inventions and of thè continuous improve-
ments in human Communications media (from language and wri-
ting to thè actual artificial satellites), cultural evolution is beca-
ming more and more rapid and important, and certainly it is a
predominant characteristics of modem man. Nevertheless, this
kind of transmission is not unique of our species. Inferences
drawn from fossils suggest that, beginning from Autralopithe-
cines, cultural transmission had an important evolutionary role
in thè process of hominization (Campbell). Several examples are
found in Birds (Dawson & Foss; Fisher & Hinde; Pettersson)
and Mammals (Goodall; Hayes & Hayes ; Herbert & Harsch;
Tsumori; Marden, Field & Koch). Studies of this sort (vario-
Lisly classified as observational learning, imitation, vicarious
learning, modeling, etc.) ha ve relevance to behaviour theory and
bave been discussed in thè theoretical literature (e. g. Bandura ;
Miller & Dollaro; Mo\vrer).
(h Supported by a grani of thè Italian National Research Council
(C.N.R.).
148
D. MAINARDI - A. PASQUALI
We bave carried out an experiment to seek thè e ventilai
existence of some primitive form of cultural transmission in thè
house mouse {Mus miiscidus), a non-specialized and higly social
species, particularly suitable for genetic and population studies.
We bave compared thè ability of solving a rather simple
problem in two groups of mice differing only in that those of
one group (pupils) were able to observe another mouse (teacher)
solving thè problem, whereas thè mice of thè other group (Con¬
trols) did not receive this “ lesson”. The problem consisted in
passing through a circular hole which had to be opened by remo-
ving a dangling door by hands and muzzle. We prepared several
“ schools” (fig. 1 A) where four mice could contemporaneously
and separately observe, through a net, an experienced mouse (thè
Fig. 1. — A) A school (cm 10x20x40); B) a control-room, identical to thè
school but lacking thè centrai wall with thè hole and thè dangling door;
C) an opened box used to test thè mice (cm 10x10x20); D) a view of thè
apparatus, consisting of ten test-boxes connected with thè time-recorders.
CULTURAL TRANSMISSION IN THE HOUSE MOUSE
149
teacher) passing many times through thè hole. The teachers were
compelled to pass through thè hole frequently because they could
find pellets of dry food only in one room, and water only in thè
other one. The pupils spent 24 hours in a school before being
tested, while thè Controls spent thè same time in schools without
thè centrai wall with thè hole and thè dangling door (fig. 1 B). Im-
mediately after their permanence in thè schools or in thè control
rooms, thè mice were tested for their ability in passing through
thè hole. Every mouse was placed in a box subdivided in two
rooms by a wall equipped with a hole and a dangling door iden¬
tica! to that of thè school (fig. 1 C and D). At thè beginning of
thè test, when thè mouse was in thè first room, thè floor of thè
box was in contact with a time-recorder : when thè mouse passed
in thè second room (that is when it had solved thè problem) a
small movement of thè box, which was balanced on a centrai
pivot, detached thè contact. So an accurate measure of thè time
necessary to every mouse to solve thè problem could be attained.
Both these boxes and thè schools were made of plastic ma¬
terial ; thè floors were covered with sawdust, and in thè second
rooms of thè boxes we always placed a pellet of food and a slice
of carrot. Every test was performed under naturai light, begin¬
ning at 9 a. m. and lasting 24 hours.
Three hundred and sixty-eight random-bred male Swiss mice
three months old were used. They were randomized in two groups :
184 pupils and 184 Controls.
Latency data are reported in thè diagram (fig. 2). As may
be seen (table 1), in thè whole 24 hours thè pupils solved thè
problem in greater percentage than thè Controls, but thè greatest
difference appears in thè first three hours. In this period 60.3%
of pupils passed through thè hole, while only 44% of Controls
did so. The difference is highly significant (/- = 9.1 ; P < .01).
In thè other 21 hours more Controls than pupils passed through
thè hole.
In brief, this means that thè pupils solved thè problem more
quickly than thè Controls : that is, they were able to make use
of thè experience they acquired as witnesses.
In our opinion, thè way of overcoming obstacles by learning
from a more experienced or cleverer member of thè group (which
had solved thè problem directly or had learned thè solution pre-
D. ÌVIAINARDI - A, PASQUALI
150
150i
lL 140
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10-|
. PUPiLS
. CONTROLS
1 2 3 4 5 6 7 6 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24
H0UR5
Fig. 2. — Latency data for thè 145 pupi! and thè 132 control mice
which solved thè problem.
Table 1.
Comparison of thè problem solving ability between pupil and control mice.
Mice which solved thè problem
Mice which did noi
Tested mice
in thè first in thè other
3 hours 21 hours totals
solve thè problem
Controls 184
111 (GO.SOr) 34 (18.597) 145 (78.897)
39 (21.297)
Pupils 184
81 (44.097) 51 (27.7^/f) 132 (71.797)
52 (28.397)
CULTURAL TRANSMISSION IN THE HOUSE MOUSE
lól
viously) rather than responding to new stimuli with rigidly fixed
and phylogenetically acquired behaviours is an alternative which
may be particularly advantageous to those animals not specia-
lized for a well defined way of life, but which very frequently
bave to face new and unexpected situations. This is ready thè
case of thè house mouse, which, having been able to colonize thè
most different types of environments, is actually cosmopolitan.
The mouse produces a very large number of offsprings and has
a kind of sexual selection which favours thè rising of individuai
variability (Mainardi), and, besides, it is highly social (Crow-
CROFT; Mainardi). Quite probably, these are important bases for
thè starting of any kind of cultural transmission. In return, thè
advantages of cultural transmJssion will selectively reinforce
these bases.
Riassunto
Due gruppi di topi sono stati sottoposti ad una prova consistente nel
-duscire ad aprire un apposito sportello e passare così da una cameretta ad
un’altra contigua. I topi di un gruppo (scolari) avevano assistito alla solu¬
zione del problema da parte di topi già esperti (maestri). I topi dell’altro
gruppo (controlli) differivano da quelli del primo esclusivamente per non
essere stati testimoni alla soluzione del problema. E’ risultato che gli scolari
hanno risolto il problema più velocemente ed in ma.ggior numero che i con¬
trolli. Ciò dimostra Resistenza in questa specie di una forma di apprendi¬
mento osservazionale e la conseguente possibilità di trasmissione culturale
di un’abitudine nuova.
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ISTITUTO DI PALEONTOLOGIA DELL’UNIVERSITÀ DI PAVIA
Direttore: Prof. Giulia Sacchi Yialli
Giammario Cantaluppi
IL LIMITE PALEONTOLOGICO DOMERIANO-TOARCIANO
A MOLVINA (EST DI BRESCIA)
Allo scopo di rendere note, sia pur in forma succinta, alcune
osservazioni emerse dalFesame di ammoniti da me raccolte nel
Lias bresciano a scopo di confronto con altre provenienti dalle
Prealpi lombarde (in corso di studio presso V Istituto di Paleon¬
tologia deirUniversità di Pavia), ho compilato questa breve nota
riguardante la sola località di Molvina. In essa non figurerà, per
ora, alcuna giustificazione delle determinazioni paleontologiche, in
quanto mi ripropongo di riservare questa documentazione più
strettamente sistematica per un altro lavoro di più vaste pro¬
porzioni.
Ho anche inteso con ciò completare la conoscenza paleontolo¬
gica di una serie che è già stata oggetto di una mia recente pub¬
blicazione, ma limitatamente a fossili raccolti in quella parte di
essa litologicamente riferibile al « Corso bianco » degli Autori
(v. Cantaluppi 1966) : rattuale sviluppo della ricerca, reso pos¬
sibile dai recenti reperti, deve sempre e tuttavia ritenersi limi¬
tato a quella facies particolare definita più in generale « Corso »
(malgrado la presenza, talora, di livelli « medoloidi ») come verrà
più ampiamente espresso in un lavoro monografico di Cassinis G.
(« Stratigrafia e tettonica dei terreni mesozoici compresi fra Bre¬
scia e Serie ») in corso di stampa sugli Atti dell’ Istituto Geologico (*)
(*) Lavoro eseguito e stampato col contributo concesso dal Comitato
per le Scienze Geologiche e Minerarie del Consiglio Nazionale delle Ricer¬
che: Gruppo di Ricerca per la Paleontologia, sezione di Pavia.
G. CANTALUPPI
iru
deirUniversità di Pavia, e in cui verrà ampiamente illustrata an¬
che la successione litologica presente a Molvina, che io quindi in¬
dico ora solo molto parzialmente e succintamente.
Fig. 1. — Schizzo panoramico delFribicazione degli strati fossiliferi
descritti nel testo.
Come risulta dalla Fig. 1, ho denominato con una lettera maiu¬
scola i livelli fossiliferi (ordinati dalTantico al recente), segnan¬
done Tubicazione in uno schizzo panoramico, in cui indico anche
le quote topografiche. Le mulattiere indicate sono quelle che da
Gazzolo salgono al M. Fratta (o alle «cave delle Paine»): di
esse, superato il bivio (per Molvina) di quota 370 m, quella infe¬
riore — di recente costruzione — si ricollega aH’altra più alta
dopo la curva situata alla quota 390 m.
La serie - Nel livello A ho raccolto i fossili studiati nel pre¬
cedente lavoro (CANTALUPPI 1966) e riferiti al Domeriano infe¬
riore (potenza di questo livello fossilifero da 2 a 3 m).
— Circa 7 m sopra questo affiorano, poco sotto la curva della mu¬
lattiera più alta, calcari prevalentemente miarnosi grigio-noc¬
ciola con selci varicolori, ben stratificati, a sottili giunti mar-
IL LIMITE PALEONTOLOGICO DOMERIANO-TOARCIANO
1 ~)T)
nosi, potenti complessivamente poco più di 4 m: alla base di
essi ho rinvenuto (livello B) pochi Arieticeras, tra cui Arieti-
ceras hertrandi (Kil.); alla sommità (livello C) solo Jiiraphyl-
lites libertus (Gemm.).
— Sovrastano immediatamente C metri 1,50 circa di calcari mar¬
nosi nocciola, con screziature rosso-ruggine ed a superficie di
strato bernoccolute (livelli D-E): in essi ho raccolto molti Dac-
tylioceras, Lioceratoides e un solo usurato Calliphylloceras ; ho
riconosciuto in particolare: alla base (livello D) Dactylioceras
polymorphum Fuc. (assai abbondante) e Lioceratoides ìiof-
fmaìini (Gemm.) (ben rappresentato) - alla sommità (livello E)
Lioceratoides schopeni (Gemm.) (altrettanto ben rappresen¬
tato).
— Qualche metro (non ben valutabile a causa della copertura
stradale) sopra E, in altri calcari nocciola-verdastri che diven¬
gono sempre più marnosi, ho raccolto (livello F) Hildoceras
suhlevisoni Fuc. e Geyeroceras aff. cylindricum (Sow.) e circa
4 m sopra questi (livello G) Mercaticeras cf. schroederi (Mitz.).
Discussione dei dati paleontologici - Così come A anche i
livelli B e C risultano ascrivibili al Domeriano : infatti la pre¬
senza degli Arieticeras e di Juraphyllites libertus (Gemm.), generi
e specie che non oltrepassano con sicurezza questo sottopiano (si
vedano, ad es. e tra gli innumerevoli dati, quelli di MooRE 1957,
Dubar 1954, Durar e Mouterde 1961, Cantaluppi 1966 e 1967),
comprovano questa affermazione. Ricordo ancora che la posizione
nella serie di Molvina di Arieticeras bertrandi (Kil.) corrisponde
assai bene a quella, abbastanza elevata in seno al Domeriano, os¬
servata in Val Ceppelline (Cantaluppi 1967) ed a Gozzano (Sac-
CHi ViALLi e Cantaluppi 1967).
I livelli F e G competono invece sicuramente al Toarciano:
infatti Mercaticeras scìiroederi (Mitz.) è stato riconosciuto nel
Toarciano deH’Alpe Turati (Venzo 1952) e nella zona a bifrons
del Toarciano della Val Varea (Mitzopoulos 1930); Hildoceras
sublevisoni Fuc. è addirittura V indice della sottozona più bassa
della stessa zona a bifrons (Gabilly 1961); Geyeroceras cylindri¬
cum (Sow.) è specie soprattutto del Lias inferiore e medio: essa è
156
G. CANTALUPPI
tuttavia segnalata da Venzo 1952 nel Toarciano dell’Alpe Turati
e da Zanzucchi 1963 nel « livello inferiore » del Toarciano di En-
tratico: è appunto facendo riferimento alFesemplare figurato da
questo Autore ed a quello in mio possesso che ho preferito la di¬
zione « aff. cylindricum Sow. », essendo essi caratterizzati da se¬
zione meno tozza di quanto non si riscontri nella specie di So-
werby nella sua espressione tipica, differenziata appunto da quella
in questione anche nel tempo.
I livelli D ed E, invece, caratterizzati daH’abbondanza dei Dac-
tylioceras, competerebbero alla zona a Dactylioceras tenuicostatum
(Y. e B.) del Toarciano basale (secondo i dati per es. di Dubar
1954, Dubar e Mouterde 1961, Maubeuge 1961 e Ferretti
1967): quest’ultimo Autore, in particolare, cita per il Toarciano
basale del M. Domare la stessa specie riconosciuta a Molvina, Dac¬
tylioceras polyìnorphuìn Fuc., osservando (op. cit. p. 749) che
questa entità, riferita da Fucini 1935 al Domeriano « è attribuita
attualmente alla zona a D. teyiidcostatum del Toarciano inferiore ».
In realtà a Molvina, nei livelli D-E (senza che lo stato degli esem¬
plari 0 il tipo litologico facciano pensare a un rimaneggiamento di
secondo ciclo) sono presenti anche abbondanti fossili del Dome¬
riano, i Lioceratoides (v. Moore 1957, Dubar 1954, Dubar e Mou¬
terde 1961): in particolare Lioceratoides hoffmanni (Gemm.) è
segnalato nel Domeriano di Taormina (Fucini 1923-28) e del¬
l’Alpe Turati (Venzo 1952), Lioceratoides (= Miirleyiceras in
questo caso) schopeni (Gemm.) oltre che nel Domeriano di Taor¬
mina (Fucini 1923-28) anche nel Domeriano superiore dell’Alto
Atlante marocchino (Dubar 1954).
Conclusioni - In questo stato di cose sarei per ora propenso
a ritenere rappresentato nei livelli D-E di Molvina il passaggio
Domeriano-Toarciano, anche se, per le ragioni suesposte, per essi
risulterebbe meglio dimostrabile una età domeriana.
Mi adeguo in questo senso al pensiero di Dubar e Mouterde
1961 i quali appunto (p. 240) considerano appartenenti al « Domé-
rien terminal et Toarcien inférieur » i « Murleyiceras à larges
còtes sinueuses ou falciformes » (= Lioceratoides di tipo evo¬
luto, come schopeni Gemm., hoffmanni Gemm., n.d.a.).
IL LIMITE PALEONTOLOGICO DOMERIANO-TOARCIANO ]
Non intendo tuttavia con ciò discutere minimamente la va¬
lidità della zona a temiicostatum del Toarciano, anche se non mi
consta che essa sia stata da noi documentata con sicurezza almeno
neiritalia settentrionale. E’ ovvio che ciò non potrà essere verifi¬
cato che dopo Tesarne di associazioni più ricche, raccolte con stretto
criterio stratigrafico e di significato non esclusivamente locale.
Dal canto mio anticipo fin d’ora di essere invece in grado di
documentare, mediante associazioni del tutto corrispondenti per
composizione a quella dei livelli D-E di Molvina, e caratterizzate
da un maggior numero di esemplari e di specie (che saranno og¬
getto di un lavoro di prossima pubblicazione su questi stessi Atti),
questo mio modo di vedere.
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NELLO YEMEN (ARABIA MERIDIONALE)
HYMENOPTERA: TlPHIIDAE, VESPIDAE, POMPILIDAE,
SPHECIDAE, APIDAE
Il Prof. Giuseppe Scortecci, Direttore dell’ Istituto di Zoo¬
logia deir Università di Genova, ha compiuto nel 1962 una prima
missione di ricerche biologiche nella parte meridionale della peni¬
sola arabica e più precisamente nella zona dei due sultanati,
Qu’aiti e Katiri, compresa presso a poco tra i meridiani di 47° 30'
e 49" 30' est di Greenwich (0- Gli Imenotteri da me allora trat¬
tati (1964) furono raccolti nella valle dello Hadramaut che decorre
grosso modo a cavallo del parallelo di 16° e tra i meridiani di
48° 30' e 49°.
Nel 1965 lo stesso Prof. Scortecci percorse ed esplorò una
seconda volta il Sud Arabia recandosi nello Yemen, terra che,
come altre visitate da questo valoroso ed infaticabile esploratore,
risulta essere quasi sconosciuta dal lato biologico, non solo ma
anche incompiutamente nota dal punto di vista geografico man¬
cando, come asserisce lo Scortecci nella sua bella relazione del
viaggio (“), di « carte precise, dettagliate, sicure ».
Ringrazio la Direzione del Museo Civico di Storia Naturale
di Milano per aver voluto affidarmi lo studio dell’ interessante
(h Giuseppe Scortecci: Viaggio nelV Arabia meridionale, Boll. Soc.
Geogr. Ital., 1963, n. 11-12, pp. 549-578.
(“) G. Scortecci: Relazione di un viaggio di esplorazione biologica nello
Yemen. Boll. Mus. e Ist. Biologici dell’ Università di Genova, XXXIV, 1966,
N. 206, pp. 5-106.
160
DELFA GUIGLIA
materiale trattato nella presente nota ed attualmente conservato
nelle collezioni del Museo stesso.
Fam. Tiphiidae
Subfam. Myzinmae
Meria scorteccii n. sp.
(Figg\ 1, 2, 3)
S. - Nero e giallo. Sono gialle le seguenti parti: le mandi-
bole, eccettuato l’apice che è bruno rossastro, il clipeo, parte
della prominenza frontale, una fascia al margine posteriore del
pronoto, le tegule, una macchietta mediana sul postcutello, una
fascia, più 0 meno espansa ai lati, al margine posteriore degli
urotergiti I - VI, una piccola macchia laterale sul II - VI uroster-
niti, i tarsi di tutte le paia di zampe (Tultimo articolo è più o
meno infoscato), parte dei femori (specialmente del I paio) e delle
tibie. Antenne con la faccia inferiore del funicolo rossastra. Ali
ialine a riflessi madreperlacei, nervature e stigma testacei.
Capo: clipeo con pochissimi punti sparsi, fronte a punti
densi, regolari e profondi, che vanno notevolmente diradandosi
sul vertice. Prominenza frontale sporgente in senso orizzontale.
Antenne (fig. 1) con il funicolo ad articoli regolari che vanno ap¬
pena leggermente ingrossandosi verso l’apice, i mediani sono il
doppio circa più lunghi che larghi.
Torace: pronoto a margine anteriore acuto e lati un poco
convergenti in alto, superficie a punti grossolani, numerosi e pro¬
fondamente impressi. Mesonoto lucido a punti simili a quelli del
pronoto, scarsi al centro un poco più numerosi ai lati. Scutello
lucido punteggiato come il mesonoto. Epinoto a punti densi e
strie irregolari. Mesopleure grossolanamente punteggiate con in¬
tervalli fra i punti anche maggiori del diametro dei punti.
Addome: a segmenti strozzati. Urotergite I a punti fini e
radi, urotergiti IL - VI. a punteggiatura gradatamente un poco
più densa e meno fina, urotergite VII (fig. 2) più grossolanamente
ed irregolarmente punteggiato con incisione larga e lobi a lati in¬
terni divergenti ed apice subarrotondato.
Pubescenza : bianca argentea particolarmente abbondante sul
capo e torace, sull’addome i peli sono più radi e soprattutto ad-
MISSIONE 1965 DEL PROF. GIUSEPPE SCORTECCI NELLO YEMEN ECC. IBI
densati al margine posteriore dei segmenti, in special modo degli
apicali.
Ali: terzo segmento del radio maggiore (di un terzo circa)
del secondo.
Armatura genitale come nella fig. 3.
Lungh.: 10 mm.
Arabia meridionale: Yemen, Dhamar E1 Beida, m 2200,
16-IX-1965.
Meria scorteccii n. sp. $.
Fig. 1: antenna - Fig. 2: urotergite VII - Fig. 3: armatura genitale.
161'
DELFA GUIGLIA
Holotypiis, leg. G. Scortecci, 1 Syntypus, leg. G. Scortecci,
Holotypus in Coll. Museo Civico di Storia Naturale di Milano,
Syntypus in Coll. Museo Civico di Storia Naturale di Genova.
Questa specie si avvicina come aspetto di insieme alla M. fa-
sciculata Saunders descritta di Biskra (Algeria) (Guiglia, 1959,
pp. 7, 24, fig. 13), dalla quale
seguenti caratteri :
M. scorteccii n. sp.
Funicolo delle antenne con gli arti¬
coli mediani e l’articolo apicale presso
a poco il doppio più lunghi che
larghi.
Capo con prominenza frontale spor¬
gente in senso orizzontale.
Pronoto a lati convergenti anterior¬
mente ed a margine anteriore ele¬
vato.
Armatura genitale come nella fig. 3.
si differenzia soprattutto per i
M. fasciculata Saunders
Funicolo delle antenne con gli arti¬
coli mediani e l’articolo apicale più
del doppio più lunghi che larghi.
Capo senza prominenza frontale.
Pronoto a lati subparalleli ed a mar¬
gine anteriore non elevato con sola¬
mente tracce di lamella ai lati.
Armatura genitale come nella fig. 13
(in Guiglia, 1959, p. 23).
Aggiungo che nella M. scorteccii la punteggiatura del torace
è più grossolana rispetto alla M. fasciculata.
La M. ps eliclo fasciculata (Guiggia, 1963, p. 235, figg. 1, 2)
si differenzia dalla M. scortecci soprattutto per il funicolo delle
antenne rosso e ad articoli visibilmente ingrossati verso l’apice
(Guiggia, 1. c., fig. 1), per il pronoto a lati subparalleli e margine
anteriore con lamella bene distinta ed inoltre per la conforma¬
zione deirarmatura genitale (Guiggia, 1. c., fig. 2).
Fam. Vespidae
Subfam. Eumeniclinae
Eumenes (Delta) maxillosus De Geer
Eumenes {Delta) maxillosus Bequaert, 1926, pp. 492, 559, 564; fig. 13. -
Guiggia, 1959, p. 313.
Harrastein, m 1550, 29-VIII-1965 : 1 $ .
Distrib. : Specie largamente diffusa in tutta la regione
etiopica.
MISSIONE 1965 DEL PROF. GIUSEPPE SCORTECCI NELLO YEMEN ECC. 163
Subfam. Polybiinae
Belonogaster griseus var.
Hamman Ali, m 1600, 8-IX-1965 : 7 $ $ .
Questi esemplari sono simili a quelli dello Yemen meridio¬
nale che Gribodo (1884, p. 384) riferisce al Belonogaster Menelikii
Gribodo descritto dello Scioa (1879, p. 342): «Due femmine rac¬
colte in Gennaio a Tes neirYemen da R. Manzoni sono identiche
agli esemplari tipici di Scioa: il loro colorito è assai chiaro»,
specie questa che Gribodo (1881, p. 239) dice essere « assai vicina
al B. cinereits ...» aggiungendo in seguito (1884, p. 288) che po¬
trebbe forse essere una « varietà spiccatissima del jimceus ». Du
Buysson (1909, p. 250) e Bequaert (1918, p. 332) ascrivono il
B. Menelikii Gribodo alle varietà del Belonogaster griseus Fabr.,
specie notevolmente variabile e con sinonimia complicata per cui
non è improbabile che come « varietà » sia designata forse più
di una specie, questione questa che potrà essere risolta solo attra¬
verso una completa revisione del gruppo fatta in base ad abbon¬
dante materiale di località diverse.
Subfam. Vespinae
Vespa orientalis var. somalica Giordani Soika
Vespa orientalis var. somalica Giordani Soika, 1934, p. 184. - Guiglia,
1948, p. 37. - Guiglia, 1956, pp. 306-307. - Guiglia, 1959, p. 311.
Sokna (Tihama), m 200, 20-VIII-1Ó65 : 3 ^ ^ .
U. E1 Kasaba, m 550, 26-VIII-1965 : 1 ^.
U. Ezone, m 1450, 27-VIII-1965 : 16 5^ g .
Taiz, m 1350, 30-VII-1965 : 1 ^.
Questa varietà è così caratterizzata dalFAutore : « ^ . Affine
alla var. Zavattarii Guiglia e Capra, ma di colore molto più scuro
e di una tonalità più fredda ; bruno nerastro sul capo e torace,
quasi nero neH’addome. Il I tergite è sprovvisto di fascia apicale ;
i tergiti III e IV sono di colore giallo pallido con le macchie late¬
rali piccole ed isolate. Il III sternite è bruno nero nel terzo me¬
diano e questo colore invade irregolarmente le macchie gialle
laterali. Le ali sono molto oscurite, di colore bruno uniforme »
(Giordani Soika, 1. c.).
164
DELFA GUIGLIA
Nei sopra citati esemplari il III urosternite può presentare
una fascia gialla più o meno medialmente interrotta o regolar¬
mente continua o con leggera smarginatura posteriore. Il colore
delTaddome si mantiene in tutti gli esemplari molto scuro come
nella forma tipica.
Distrib. : Questa varietà è stata descritta su alcune operaie
della Somalia orientale (Carim e Bender Cassim) e ritrovata poi
in Migiurtinia (Bogha Aled e Toh) (Guiglia, 1956); Hagarù, Ara
Garin e E1 Gubete, U. Hago, Gok, Gardo (Guiglia, 1959) e quindi
neir Arabia meridionale (E1 Gorfa, E1 Uassak, Oasi Dek Dik)
(Guiggia, 1964).
Fam. POMPILIDAE
Subfam. Macromerinae
Ctenagenia vespiformis Klug
Poìnpiliiis vespiformis Klug, Symb. Phys. Dee. 4, 1834, Insect. ; T. XXXVIII,
fig'. 3. 2. - Ctenagenia vespiformis Haupt, 1926-1927, p. 129, n. 1. -
Guiggia, 1964, p. 308.
Harrastein, m 1550, 29-VIII-1965 : 1 2.
In questa femmina il colore « fusco ferrugineus » del torace
(Klug, 1. c.) è più 0 meno evidente sullo scutello, postscutello ed
epinoto.
Distrib.: Siria (loc. tip.). Isole della Grecia; Cufra (Es
Zurgh); Egitto; Sudan orientale (Kor Gerzabb); Scioa (Mahal-
Uonz); Harar; Dancalia (senza località precisata); Migiurtinia
(Bogha Aled) ; Aden ; Assab ; Madagascar.
Fam. Sphecidae
Subfam. Sphecinae
Sphex (Harpactopus) aegyptius Kohl
Sphex {Harpactopus) aegyptius Kohl, 1890, p. 351, n. 48.
Taiz, m 1350, 30-VII-1935 : 1 2 .
Distrib.: Egitto (loc. tip.). Siria (Beirut); Arabia (Aden);
Cipro; Rodi; Nubia (Chartum); Abissinia; Isola Maurizio; Nord
India (Kohl, 1. c.). Somalia (Villaggio Duca degli Abruzzi). Eri¬
trea (Cheren).
MISSIONE 1965 DEL PROF. GIUSEPPE SCORTECCI NELLO YEMEN ECC. K),-)
Fam. Apidae
Siibfam. Xìjlocoqnnae
Xylocopa (Koptortosoma) pubescens Spinola
Xylocopa (Koptortosma) pubescens Lieftinck, 1964, pp. 140-148; fig’g*. 1-5
e Tav. 17, fig’g. 7, 8. 8 9.- Guiglia, 1964, p. 309.
Medinet E1 Abid, m 1350, lO-IX-1965 : 1 9 .
U. Ezone, m 1450, 27-VI1I-1965 : 1 8 .
La posizione sistematica della X. pubescens Spinola, citata
dalla mag'g’ioranza degli Autori come X. aestuaìis L., è stata chia¬
ramente definita da Lieftinck (1. c.).
Distrib. : Egitto (loc. tip.). Arabia meridionale. Oasi Dek-
Dik (Guiglia, Le.); Siria; Palestina; Egitto; Nubia e Sudan;
Marocco; Camerun; Asia occidentale; India. (Per una dettagliata
distribuzione geografica v. Lieftinck, 1. c.).
Subfam. Apinae
Apis (Apis) adansonìi Latreille
Apis {Apis) aelansonii Ma.4, 1953, pp. 588, 618; figg. 33, 59, 92, 124, 132,
143, 150. - Guiglia, 1964, p. 310.
E1 Haurat m 1550, 30-IX-1965 : 5 5-
Distrib.: Senegai (loc. tip.). Arabia meridionale, E1 Gorfa,
E1 Haregia (Guiggia, 1. c.). « All over Continental Africa, south
to about 15'^ N. Lat. » (Maa, 1. c., p. 589).
Summary
The species of Hymenoptera (Fam. Tiphiidae, Vespiclae, Pouipilidae,
Sphecidae, Apidae) collected in South Arabia (Yemen) by Prof. G. Scortecci
(1965) are listed. The description of a new species of thè genus Meria has
been done.
Museo Civico di Storia Naturale, Genova, 17 Aprile 1968.
106
DELFA GUIGLIA
LAVORI CITATI
Bequaert J., 1918 - A revision of thè Vespidae of thè Belgian Congo based
on thè collection of thè American Museum Congo expedition, with a
list of thè Ethiopian Diplopterous Wasps. Bull. Americ. Mus. Nat.
Hist., XXXIX, 384 pp.
Bequaert J., 1926 - The Genus Eumenes, Latreille, in South Africa, with
a revision of thè Ethiopian species {Myrneu opterà). Ann. South Afric.
IVhrs. XXIII, Part 3, pp. 483-577.
Buysson (R. du), 1909 - Monographie des Vespides du Genre Belonogaster.
Ann. Soc. ent. France, LXXVIII, pp. 199-270.
Giordani Soika A., 1934 - Due nuovi Vespidi della Somalia Italiana. Boll.
Soc. Ent. Ital., LXVI, pp. 183-184.
Gribodo G., 1879 - Diagnosi precursorie di alcune specie nuove d’ Imenotteri
raccolte nel Regno di Scioa. - Anìi. Mus. Civ. St. Nat. Genova, XIV,
pp. 342-347.
Gribodo G., 1881 - Spedizione Italiana nell’Africa Equatoriale. Risultati
zoologici. Imenotteri. Ann. Mus. Civ. St. Nat. Genova, XVI, pp. 226-269.
Gribodo G., 1883-1884 - Viaggio ad Assab nel Mar Rosso, dei signori G. Doria
ed 0. Beccari, con il R. Avviso « Esploratore » dal 16 Novembre 1879
al 26 Febbraio 1880. III. Imenotteri. Ann. Mus. Civ. St. Nat. Genova,
XX, pp. 381-392.
Gribodo G., 1884 - Spedizione Italiana nelTAfrica Equatoriale. Risultati zoo¬
logici. Imenotteri. Memoria seconda. Ann. Mus. Civ. St. Nat. Genova,
XXI, pp. 277-325.
Guiggia D., 1948 - Le Vespe d’ Italia. Mem. Soc. Ent. Ital., XXVII, Fase.
Supph, 83 pp.
Guiggia D., 1956 - Missione del Prof, Giuseppe Scortecci in Migiurtinia. HI.
Hymenoptera. Aiin. Mus. Civ. St. Nat. Genova, LXVIII, pp. 306-311.
Ggtiggia D., 1959 - Missione del Prof. Giuseppe Scortecci in Migiurtinia (So¬
malia Sett.). Hy7nenoptera : Vespidae, Pompilidae, Sphecidae, Apidae.
Atti Soc. Ital. Se. Nat. Milano, XCVIII, pp. 310-319.
Guiggia D., 1959 - Contributo alla conoscenza delle Myzinmae del Nord Africa
{Hymenoptera: Tiphiidae). Aiin. Mus. Civ. St. Nat. Genova, LXXI,
pp. 1-26.
Guiggia D., 1963 - Contributo alla conoscenza delle Myzminae paleartiche
(Hym.). Myzininae della Palestina. Mitt. Schweiz. Ent. Ges., XXXV,
Heft 3-4, pp. 233-244.
Guiggia D., 1964 - Missione 1962 del Prof. Giuseppe Scortecci nell’Arabia me¬
ridionale. Hyìuenoptera : Tiphiidae, Vespidae, Emnenidae, Pompilidae,
Sphecidae, Apidae. Atti Soc. Ital. Se. Nat. Milano, CHI, pp. 305-310
MISSIONE 1965 DEL PROF. GIUSEPPE SCORTECCI NELLO YEMEN ECC. 167
Haupt H., 1926-1927 - Monographie des Psammocharidae {Fompilidae) Mittel,
Nord und Osteuropas. Beihefte der Deiitsch. Entom. Zeitscìir., 367 pp
Kohl F. F., 1890 - Die Hymenopterengruppe der Sphecinen. I. Monographie
der natùrlichen Gattung Sphex Linné (sens. lat.) Ann. K. K. Naturhist
Hofmiis., V, pp. 77-194.
Lieftinck M. a., 1964 - The identity of Apis aestuans Linné, 1758, and related
Old World carpente!’. Bees (Xylocopa Latr.). Tijdscr. v. Entom., 107,
Afl. 3, pp. 137-158.
Maa Tsing Chao, 1953 - An inquiry into thè systematics of thè Tribus
Apidini. Treubia, 21, pp. 526-640.
ISTITUTO DI ZOOLOGIA, IDROBIOLOGIA E PESCICOLTURA DELL’UNIVERSITÀ DI PERUGIA
(DIRETTORE: PROF. G. P. MORETTI)
Giampaolo Moretti, Francesco Saverio Gianotti,
Carla Dottorine Antonia Calisti & Maddalena Melis
COMPOSIZIONE E AVVICENDAMENTO
DI UNA POPOLAZIONE TRICOTTEROLOGICA
PRIMAVERILE-ESTIVA
IN UNA CAVERNA DELLA TOSCANA
(GROTTA 0 « TOMBA » LATTAIA - SIENA)
Nel proseguire V inchiesta dei tricotteri cavernicoli, ci si è
imbattuti in una grotta, il cui popolamento, pur essendo costi¬
tuito dal consueto complesso Stenofilacinico, rivela una compo¬
sizione peculiare per quanto concerne le rappresentanze dei vari
esponenti. Anche la rotazione, che i sopraluoghi fino ad ora con¬
dotti hanno lasciato discernere, presenta qualche nota di diver¬
genza rispetto allo schema individuato per altre sedi ipogee.
La Grotta alla quale ci si riferisce è situata in Toscana
presso Tabitato di Cotona (m. 385 s.l.m.), alle falde del monte
omonimo (m. 1148 s.l.m.), in provincia di Siena. La Grotta Lat¬
taia detta anche « Tomba Lattaia » si apre con ampio ingresso
rivolto a NE a quota m. 540 circa in località Beiverde al voca¬
bolo Valle d’Oro U (Fig. 1).
La Grotta o « Tomba » Lattaia fa parte di un sistema ipogeo
di interesse preistorico. Lo studio di questa caverna ha costituito
parte della tesi di laurea svolta da uno di noi (Dottorini) sotto
il profilo geologico.
Lo stralcio che qui viene presentato dei reperti relativi alla
grotta estratti dal catalogo generale dei Tricotteri cavernicoli è
motivato dair interesse della colonizzazione che, come è stato pre¬
cedentemente detto, presenta una fisionomia sensibilmente di¬
versa da quella illustrata per alcune cavità del sottosuolo poste
neir Appennino a quota più elevata e in territorio differente.
COMPOSIZIONE E AVVICENDAMENTO DI UNA POPOLAZIONE ECC.
TTJ
Fig. 1. — La località ove è situata la grotta o « Tomba Lattaia » :
Sarteano - P.gio Biancheto (prov. Siena). Fogl. 129 I NE carta
(T Italia deir I.G.M. - « Dai tipi dell’ Istituto Geografico Militare
(autorizzazione n° 278 in data 30 Novembre 1967) ».
1 7 0 G. P. MORETTI, F. S. GIANOTTI, C. DOTTORINI, A. CALISTI e M. MELIS
Secondo il rilievo eseguito da S. Del Vita e G. C. Viviani del
G.S. C.A.I. di Perugia (Fig. 2) il 6. VI. 1965 risulta che la « Lat¬
taia » è una cavità caratterizzata da ampio ingresso di circa
m. 10 di larghezza che si apre a levante e che immette in un esteso
camerone, nel quale sfociano alcuni cunicoli ancora non esatta¬
mente rilevati. Dalla prossimità dell’ ingresso si orienta a SE una
galleria, che deve essere percorsa quasi carponi e che termina a
cui di sacco, sempre molto regolarmente frequentata dagli espo¬
nenti del complesso parietale tricotterologico. Con ampie volte di
una trentina di metri di altezza la cavità si apre nel travertino
e si incontrano attualmente grossi massi rocciosi caduti dalle
volte e dalle pareti in seguito a demolizione provocata dall’uomo.
Fig’. 2. — Grotta o Tomba Lattaia (Beiverde di Cetona, Siena).
E’ in corso un campionamento metodico della popolazione
acquatica di Tricotteri negli immediati dintorni della grotta per
poter dedurre qualche informazione sulla equivalenza o meno delle
due rappresentanze ipogea ed epigea.
Sono stati effettuati 8 sopraluoghi condensati nei mesi pri¬
maverili ed estivi dal 6. VI. 1965 al 12. VII. 1967.
COMPOSIZIONE E AVVICENDAMENTO DI UNA POPOLAZIONE ECC.
ITI
La diagnosi delle specie che sostengono la colonizzazione sot¬
terranea è indicata nella Tabella I dalla quale emerge con chia¬
rezza che due sono le specie nettamente predominanti : Steno-
phylax mucroìiatiis Me. L. (+ crossotus Me. L.) e Micropterna
seqiiax Me. L. Il primo rappresentante ha fornito ben 175 esem¬
plari e il secondo 116 sul totale di 324 individui componenti Y in¬
tero bottino tricotterologico. L’esame della Tabella I indica che,
tra le sette specie riconosciute presenti, Stenophylax permishis
Me. L., Stenophylax mitis Me. L., Micropterna fissa Me. L., Mi-
cropterna testacea Gmel., Mesopìiylax adspersus Ramb. non for¬
mano invece che una esigua rappresentanza di significato secon¬
dario. Se si volesse infatti definire le caratteristiche della grotta
Lattaia in base ai rappresentanti più tipici, come è stato fatto
nei precedenti lavori, questa potrebbe essere denominata una
grotta a St. mucroìiatns (4- crossotus) e a M. sequax, così come
la Grotta delle Tassare era risultata essere a M. nyeterohia e
quella del Monte Cucco a M. testacea.
Il rapporto numerico tra maschi e femmine è ancora una
volta a favore dei maschi, confermandosi così esatte le informa¬
zioni fina ad ora acquisite per i Tricotteri delle caverne.
Come si spiega ora la facies peculiare del cenobio tricottero¬
logico della «Lattaia»? Perchè St. mucronatus (-f crossotus) e
M. seqiiax sovrastano così nettamente tutto il resto della popo¬
lazione primaverile-estiva? I fattori determinanti che possono es¬
sere chiamati in causa sono nell’ordine: la struttura della popo¬
lazione tricotterologica, la distribuzione geografica, la ripartizione
altimetrica, l’epoca dello sfarfallamento. St. mucronatus (-f cros¬
sotus) è ampiamente rappresentato nella penisola italiana, dalle
Alpi in giù.
Molto resta ancora da chiarire sull’areale di questo tricottero,
ma è certo che, perlomeno nella regione appenninica, l’ insetto
non è acrofilo per cui è più frequentemente reperibile a quote col¬
linari. Nelle caverne poste al di sopra dei 1000 metri delle stesse
regioni questo stenofilacino costituisce un incontro infrequente.
Inoltre, la Toscana e 1’ Umbria custodiscono una popolazione di
St. mucronatus (-f- crossotus) particolarmente ricca rispetto alle
altre regioni della penisola. In caverna questo tricottero penetra
soprattutto in primavera (metà maggio, primi di giugno) dimi¬
nuendo poi di numero man mano che ci si inoltra nell’estate. Si
17 li G. P. MORETTI, F. S. GIANOTTI, C. DOTTORINI, A. CAPISTI e M. MELIS
deve dedurre che St. mucronatus (+ crossotus) occupa una posi¬
zione importante nel popolamento del mondo sub-lotico epigeo
delle predette regioni.
Differente è la situazione di M. seqiiax, la cui area di distri¬
buzione è estesissima nella regione europea, ma in Italia risulte¬
rebbe esservi un addensamento notevole in alcuni territori tosco¬
umbri. M. sequax è presente dalF inizio del giugno alF inizio del
settembre, manca o scarseggia in maggio, raggiunge il massimo
di densità di popolazione in luglio. La successione delle due pre¬
dette specie è quindi contraddistinta dalla precoce colonizzazione
sostenuta da St. mucronatus (4- crossotus) e dal successivo af¬
flusso di M. sequax.
Si sarebbero così potuti individuare tre modelli di rotazione
ipogea primaverile-estiva (maggio-settembre) qualificati dalle
specie numericamente preponderanti in questo periodo delFanno :
I St. mitis-M. nycterobia (« Grotta delle Tassare » 9 Ma. /PS,
quota m 1300, M. Nerone - Pesaro).
II M. fissa-M. testacea («Grotta di Monte Cucco» 17 U/PG,
quota m. 1390, M. Cucco - Perugia).
Ili St. mucronatus (-f crossotus)-M . sequax (« Grotta o Tomba
Lattaia », quota m. 540 circa, M. Cetona - Siena).
Si è ritenuto opportuno mettere in luce i tipi di avvicenda¬
mento cavernicolo dei Tricotteri fino ad ora individuati nel corso
della bella stagione (maggio-settembre) per le caverne più dili¬
gentemente inquisite, non già perchè queste sequenze debbano
essere ritenute definitivamente accertate e ad andamento co¬
stante, ma perchè attraverso questi schema si possono intrave¬
dere le epoche di sfarfallamento delle singole specie e la compo¬
sizione del complesso' stenofilacinico della popolazione epigea,
assai difficili da dedurre attraverso V inchiesta diretta lungo i
corsi d’acqua.
La caverna, in altri termini, fungerebbe da trappola spia
delle strutture, della distribuzione delle specie e dei loro cicli di
sviluppo.
Si ring'raziano il Dott. Q. Pirisino e il Sig. G. C. Viviani, del G. S. del
C.A.L di Perugia, che hanno validamente collaborato in questa ricerca.
Tabella I. — Tricot feì-i della « Grotta Lattaia » (Siena).
Specie, date, sex-ratio e numero totale degli individui reperiti (^).
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det. G. P. Moretti
(^) La cifra araba scritta in piccolo e seguita dalla lettera c indica il numero delle coppie.
174
G. P. MORETTI, F. S. GIANOTTI, C. DOTTORINI, A. CALISTI e M. MELIS
Riassunto
E’ illustrata e discussa la composizione primaverile-estiva della entomo-
fauna tricotterologica della Grotta o Tomba « Lattaia » (m. 540 s.l.m. Siena)
scavata nel travertino. In otto sopraluog'hi, effettuati dal 6/VI/1965 al
12/VII/1967, sono stati catturati n. 324 alati suddivisi nelle seguenti specie:
Stenophylax permistiis Me. L., Si. miicronatus Me. L. ( -f crossotus Me. L.),
St. mitis Me. L., Micropterna sequax Me. L., M. fissa Me. L., M. testacea
Gmel., Mesophylax adspei'sus Ramb. Prevalgono numericamente Stenophylax
mucronatus Me. L. (+ crossotus Me. L.) (n. 175 es.) e Micropterna sequax
Me. L. (n. 116 es.). Detto binomio è caratteristico di questa caverna. Anche
nel citato ambiente ipogeo i maschi sono più numerosi delle femmine.
Summary
The spring-summer composition of thè trychopterologic entomofauna in
thè «Lattaia» Cave or Tomb (m. 540 above sea-level: Siena) in travertine
stone was illustrated and discussed. In eight overlookings done from lune
6th, 1965 to July 12th, 1967 bave been caught n. 324 winged inseets
subdivided in thè following species : Steìiophylax permistus Me. L., St. mu¬
cronatus Me. L. (+ crossotus Me. L.), St. mitis Me. L., Micropterna sequax
Me. L., M. fissa Me. L., M. testacea Gmel., Mesophylax adspersus Ramb.
Stenophylax mucronatus Me. L. {-{-crossotus Me. L.) (n, 175 ex.) and
Micropterna sequax Me. L. <,n. 116 ex.) prevailed numerically. And this
binomial is characteristic of this cave. Also in this underground location
thè males are more numerous than thè females.
BIBLIOGRAFIA
Moretti G. P., Gianotti F. S. - La distribuzione e Tavvicendamento stagio¬
nale dei tricotteri nella «Grotta delle Tassare» (M. Nerone, Pesaro).
Atti VII Congr. Naz. Spcleol. Mem. Ili Rass. Speleol. Ital., 236-296,
1956.
Moretti G. P., Gianotti F. S., Dottorini C., Viviani G. C. - I tricotteri della
Grotta di Monte Cucco (Umbria, Perugia). Riv. di Idrobiol., 3, 1-7,
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Moretti G. P., Gianotti F. S., Dottorini C., Viviani G. C. - La distribuzione
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Cucco 17 U./PG. Atti ZZZy Congr. U.Z.I., Boll. Zool., 33, 215-216,
1966.
Moretti G. P., Gianotti F. S. - Quello che si sa dei tricotteri cavernicoli ita¬
liani. Mem. Soc. Entom. Ital., 46, 73-125, 1967.
Moretti G. P., Gianotti F. S., Dottorini C., Viviani G. C. - La colonizza¬
zione tricotterologica della Grotta di Monte Cucco (17 U./PG.): avvi¬
cendamento, ripartizione, sex ratio e valutazione delle spoglie. (In
corso di stampa).
Alulah M. Taibel
CONSIDERAZIONI CRITICHE SU UN «PRESUNTO» IBRIDO
COTURNIX COTURNIX JAPONICA MASCHIO
E GALLUS GALLUS FEMMINA
Premessa.
Grazietti Gino e Grazietti Ubaldo hanno dato notizia (1967)
di alcune loro « prove di ibridazione tra la Quaglia giapponese
maschio e la Gallina ». La tecnica seguita dai due sperimentatori
consisteva nell’ impiegare « sperma di una quaglia giapponese ma¬
schio raccolto dalla cloaca di una quaglia femmina, subito dopo
raccoppiamento » (0 e portarlo — con il procedimento della inse¬
minazione artificiale — in un rilevante numero di galline alle¬
vate in clausura (-). Le uova — una quarantina — deposte da
queste a partire dal terzo giorno dopo l’ inseminazione, furono
poste sotto alcune chiocce: solo tre risultarono fecondate e due
— dopo un periodo embriogenetico di 22 giorni — giunsero alla
schiusa in quanto una delle tre uova fecondate conteneva un em¬
brione deceduto verso la fine della seconda settimana di incu¬
bazione.
Dei due pulcini schiusi, uno morì poche ore dopo la nascita
mentre l’altro, rivelatosi completamente vitale, ha raggiunto lo
stadio adulto, risultando femmina. La gallina madre — secondo
gli A. A. — di questo ibrido femminile, era di origine meticcia
non identificabile : comunque il suo piumaggio era nero. Gli A. A.
(h Questa tecnica, alquanto grossolana, non sembra ovviamente la più
indicata e la più felice : il metodo che deve essere seguito perchè ha sempre
dato indubbi risultati è quello indicato da BuRROWS e Quinn (1937a, 1937b).
(^) Non viene tuttavia indicato — rilievo importante — da quanto tempo
era iniziata la clausura.
176
A. M. TAIBEL
danno poi una descrizione somatica, completata da dati fisiolo¬
gici, del loro ibrido. Rilevando solo le caratteristiche essenziali,
come si possono benissimo osservare dalla fotografia che gli A. A.
annettono e che qui si riproduce (fig. 1), si può dire che « la testa,
rispetto al resto del corpo, è piccola e di forma ovoidale, prov¬
vista di cresta semplice dentellata di colore rosso, ... di bargigli
pure di colore rosso vivo . . . coda corta e portata pressoché ver¬
ticalmente ... ». Di piumaggio completamente bianco, essa rag¬
giunse il peso di gr. 2200 all’età di sei mesi e mezzo, quando
iniziò la deposizione che si prolungò per quasi 10 mesi, dando un
numero complessivo di 196 uova del peso medio di gr. 68.
Fig. 1. — Riprodotta da « Ibridazione tra la specie Coturnix japo-
ìiica e la specie Gallus galliis » di Grazietti G. e Grazietti U., 1967.
Risultati vani i tentativi di inseminare artificialmente questo
esemplare con sperma di quaglia giapponese, si provvide ad ac¬
coppiarlo ad un gallo meticcio, con caratteri di Wyandotte. Dalle
35 uova messe in incubazione a partire dal terzo giorno a quello
successivo aH’accoppiamento, si ottennero 31 pulcini, tutti soprav¬
vissuti e regolarmente sviluppati, 18 maschi e 13 femmine, tutti
con « bene evidenti i caratteri somatici del pollo » (come del resto
mostrano le fotografie annesse). Sotto il punto di vista morfo¬
logico e fisiologico, gli A. A. mettono in rilievo che essi non appa-
CONSIDERAZIONI CRITICHE SU UN « PRESUNTO » IBRIDO ECC.
177
iono completamente uniformi, soprattutto riguardo alla mole cor¬
porea, al colore del piumaggio e al sopraggiungere della matu¬
rità sessuale, e ciò in misura più evidente nei soggetti maschili
che in quelli femminili (^).
Da tutto quanto sopra esposto, gli AA. pensano di poter giun¬
gere ad alcune conclusioni, la più importante delle quali è la
prima, ossia :
« che fecondando galline con lo sperma di quaglia giapponese è
possibile ottenere, anche se in bassa percentuale, dei discendenti ».
Obiezioni.
Innanzi tutto Mitsumoto e Nishida (1958), due sperimenta¬
tori giapponesi, che 10 anni or sono hanno pubblicato i risultati
delle loro prove tendenti ad ottenere, mediante inseminazione ar¬
tificiale, gli ibridi diretti e quelli reciproci tra Quaglia giapponese
e Gallo domestico, hanno potuto stabilire che mentre con l’ incro¬
cio Gallo X Quaglia femmina, si è ottenuto qualche risultato posi¬
tivo (5,4% di fertilità, anche se con zero schiudibilità), con l’incro-
cio reciproco. Quaglia maschio X Gallina, non si poteva avere al¬
cuna fertilità. In altre parole, se è possibile ottenere ibridi dalla
costituzione Gallo X Quaglia femmina (e vedremo in seguito, come
sperimentatori americani vi siano riusciti), non altrettanto pos¬
sibile è ottenere gli ibridi reciproci. Quaglia maschio X Gallina.
Io non ho potuto prendere visione del lavoro dei due giapponesi
e non posso dire quindi se questi hanno prospettata una ragione
per giustificare questa differenza, ma io penso che essa debba
risiedere principalmente in una azione puramente meccanica : gli
spermi della Quaglia, per fecondare Tuovo della Gallina dovreb¬
bero percorrere, neirovidutto di questa per giungere al padiglione,
un tragitto molto più lungo (almeno 5-6 volte) di quello che in
condizioni normali, ossia nelFovidutto della Quaglia, viene loro
richiesto. E’ quindi assai probabile che essi, durante questa pro-
(®) Questa mancanza di uniformità trova la sua facile spiegazione data
heterozigosi, prima della gallina meticcia nera che ha servito per la prova
sperimentale, poi del gallo meticcio e con caratteri di Wyandotte che è
stato successivamente accoppiato con l’esemplare femminile ritenuto ibrido
quaglia X gallina.
178
A. M. TAIBEL
limgatlssima marcia, perdano in parte o in tutto la loro vitalità
e anche se giungono al padiglione non siano più in grado di
fecondare.
Con questo precedente si potrebbero già sollevare gravi dubbi
sulla autenticità dell’ ibrido dei due sperimentatori italiani, ap¬
punto perchè della costituzione Quaglia maschio X Gallina.
Ma a parte questa considerazione (forse con una tecnica più
appropriata potrebbero essere superate le difficoltà che oggi si
presentano), ne rimangono due altre di valore capitale tali da ne¬
gare la natura ibrida dell’esemplare illustrato dai due Grazietti:
a) dalla descrizione somatica e dalla fotografia fornita
(fig. 1), risulta in modo inequivocabile che il supposto ibrido Qua¬
glia maschio X Gallina non è che una autentica gallina (^);
b) dai ragguagli fisiologici enumerati appare come la sua
fenuninilità abbia potuto bene esplicarsi, come la maturità ses¬
suale sia sorta a tempo giusto e come la deposizione delle uova
(abbondante e regolare) sia proceduta normalmente: si sia com¬
portata quindi non come un ibrido interspecifico condannato alla
sterilità, ma come una noimale gallina.
Infatti, tutti gli ibridi interspecifici nell’ordine dei Galli-
foiTui più comunemente noti, come quelli che hanno luogo — seb¬
bene molto raramente — anche spontaneameìite nelle comuni aie
coloniche o in voliere, fra Gallo e Faraona, Gallo e Fagiano, Pa¬
vone e Faraona, oppure in laboratorio, mediante un processo di in-
semiinazione artificiale, come quello tra Fagiano e Tacchino (As-
MUNDSON e Lorenz, 1955, 1957) e Tacchino e Gallo (Olsen, 1960),
tradiscono sempre, nelle loro principali caratteristiche morfologi¬
che, la più o meno palese impronta di entrambe le forme parentali.
Non è possibile immaginare, almeno in via teorica, che l’ ibrido di
due specie di due differenti sottofamiglie o anche di due generi
differenti (in cui numerosissime possono immaginarsi le coppie di
caratteri allelomorfi) abbia potuto ereditare solo ed esclusivamente
le caratteristiche di una sola delle due specie parentali, come ap-
(9 Se la gallina madre era da molto tempo in clausura — almeno da
5 settimane — quindi senza contatto con il gallo si deve pensare che la
schiusa di un pulcino da un suo uovo, sia l’effetto di un fenomeno — tut¬
tavia estremamente raro — di partenogenesi . . .
CONSIDERAZIONI CRITICHE SU UN « PRESUNTO » IBRIDO ECC.
170
punto nel caso del presunto ibrido Quaglia maschio X Gallina. In
altre parole, non è logico ammettere che soltanto i caratteri della
specie Gallus gallus si siano palesati mendelianamente dominanti
su quelli corrispondenti di Cotiirnix cotiirnix, quando, per contro,
si osserva che in tutti gli altri ibridi accertati più sopra menzio¬
nati, nella maggior parte dei casi si ha una serie di caratteri,
grosso modo, intermedi, quando non ve ne siano di sicuramente
dominanti (come, per es. il « piumaggio bianco » della Livornese
bianca) o di sicuramente recessivi (come tutte le appendici del
capo: cresta, bargigli, caruncole carnose del Gallo e del Tacchino,
il casco corneo della Faraona o il lunghissimo strascico costituito
dalle penne del groppone del Pavone). D’altra parte è anche pro¬
vato che, salvo lievi differenze, non sempre apprezzabili, gli ibridi
diretti sono uguali agli ibridi reciproci G); ebbene gli ibridi ac-
Fig. 2. — Riprodotta da « Chicken-Quail Hybrids» di Wilcox F. H.
e Elmer Clark C., 1961.
certati Gallo X Quaglia femmina ottenuti da Wilcox e Elmer
Clark (1961) hanno un aspetto morfologico veramente interme¬
dio e comunque non presentano traccia di appendici cefaliche,
proprie del gallo. Mentre il presunto ibrido Quaglia maschio
X Gallina degli sperimentatori Grazietti mostra una bene evi¬
dente cresta rossa e dentellata e bargigli del medesimo colore.
(h Talvolta vi possono essere alcune lievi differenze; nei Mammiferi, è
noto come il Mulo — derivato Asino X Cavalla — sia leggermente diverso
dal Bardotto — derivato Cavallo X Asina — ma le caratteristiche generali
sono in entrambi rispettate.
180
A. M. TAIBEL
Ma ciò che toglie ogni sospetto sulla natura ibrida delFesem-
plare in oggetto è, come si è accennato, la sua completa fertilità.
Almeno nel campo ornitologico, solo gli ibridi fra due razze o due
sottospecie della medesima specie, possono dimostrarsi fecondi in
entrambi i sessi: gli ibridi interspecifici già sono sterili o almeno
gonomonarrenici ; quelli di due generi della stessa sottofamiglia
(come nel caso attuale: Gallus e Coturnix, della stessa sottofami¬
glia Phasianinae) sono senz’altro sterili in entrambi i sessi presen¬
tando turbe assai profonde aH’apparato genitale.
Coìicludendo, penso che non vi sia una sola prova per soste¬
nere una costituzione ibrida all’esemplare ottenuto dagli speri¬
mentatori Grazietti e che pertanto esso debba essere conside¬
rato una autentica gallina.
Pisa -15 maggio 1968.
BIBLIOGRAFIA
Asmundson V. S. e Lorenz F, W., 1955 - Pheasant-Turkey Hybrids. Science;
voi. 121, n. 3139: 307-308.
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Turkey and domestic fowl. Pouìtry Science, voi. XXXVI, n. 6.
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Burrows W. H. e Quinn J. P., 1937b - The collection of spermatozoa from
thè domestic fowl and turkey. Pouìtry Science, 16: 19-24.
Grazietti G. e Grazietti U., 1967 - Ibridazione tra la specie Coturnix japo-
nica e la specie Gaììus gaììus. Nota Prima: Risultati dell’accoppia¬
mento tra la quaglia giapponese maschio e la gallina. Zootecnica agri-
coìa veterinaria, n. 11 : 1-6.
Mitsumoto K. e Nishida S., 1958 - Trials of production of thè hybrid bet-
ween quails and chickens. Journ. Jap. Zoothec. Sci., 29, 10.
Olsen M. W., 1960 - Turkey-Chicken Hybrids. Journ. Heredity, Voi. LI, n. 2.
WiLCOX F. H. e Elmer Clark C., 1961 - Chicken-Quail Hybrids. Journ. He¬
redity, voi. LII, n. 4.
Lamberto Laureti
GEOMORFOLOGIA
DELLE COLLINE DELLA VALDINIEVOLE (D
(TOSCANA)
Al piede deirAppennino Toscano, compreso tra il medio corso
del F. Sérchio e l’alta valle del F. Niévole, si stende una serie di
dolci e ben ondulate colline costituenti un graduale raccordo con
la sottostante pianura.
Meno appariscenti verso oriente, dove invece fanno spicco i
nuclei calcarei mesozoici di Montecatini e Monsummano, esse pre¬
sentano maggiore estensione nella zona centro-occidentale, in cui
sfiorano finanche i 200 metri di altitudine (M. Chiari, m 189),
tanto da costringere la ferrovia proveniente da Péscia e diretta
a Lucca a compiere un’ampia deviazione verso sud.
Il territorio considerato è rappresentato in particolare dalle
colline di Buggiano e Péscia, limitate dal corso del T. Borra, che
scende subito ad ovest di Montecatini Terme, e del T. Péscia di
Collodi, e infine dalle colline di Montecarlo, che si protendono a
sud, quasi in diretta prosecuzione del rilievo appenninico delle
Pizzorne, fino a sovrastare i dintorni di Altopàscio.
L’ interesse geologico e morfologico per queste colline fu di¬
mostrato da vari Autori fin dallo scorso secolo, tanto che la let¬
teratura sull’argomento risulta abbastanza copiosa.
Tuttavia, dopo la classica sintesi del Dainelli, che risale a
quarant’anni fa, quasi nulla fu più scritto in proposito (^). Re- (*)
(*) Il presente lavoro è frutto di una serie di ricerche iniziate nel 1963,
quando l’Autore era ospite, come borsista del Consiglio Nazionale delle Ri¬
cerche, dell’ Istituto di Geografia della Facoltà di Lettere dell’Università di
Firenze, e successivamente proseguite saltuariamente, con lo scopo di chia¬
rire alcuni aspetti geomorfologici dell’Appennino di Lucca e Pistoia relati¬
vamente ai bacini della Valdinievole e delle Valli Pesciatine.
C) Solo da pochi anni i geologi pisani hanno ripreso gli studi su questo
territorio, particolarmente ad opera di F. Saggini, P. Squarci, L. Taffi e
altri (v. bibliogr.).
L. LAURETI
l<S!j
centemente, TAutore di questa nota, nel corso di una serie di ri¬
cerche geomorfologiche iniziate alcuni anni fa nelle montagne pi¬
stoiesi e in particolare nei bacini della Valdinievole, ha rivolto
la sua attenzione a queste colline al fine di valutare adeguata-
mente la natura e Torigine dei sedimenti che le costituiscono, cor¬
relativi al modellamento delle aree appenniniche della Valdinie¬
vole stessa.
Fig. 1. — Carta geologica generale del territorio della bassa Valdi¬
nievole (i riquadri corrispondono alle zone esaminate in dettaglio).
Legenda; ]) <-; Verrucano s.\. » (scisti sericitici e arenacei); serie
toscana: 2) calcari mesozoici, 3-4) macigno oligogenico; 5) « Ligu-
ridi s.L » (argille scagliose); formazioni neoautoctone: 6) argille,
sabbie e ghiaie plioquaternarie, 7) ciottoli provenienti dal M. Pisano;
8) depositi argillosi e torbosi di ambiente palustre; 9) alluvioni
fluviali recenti.
GEOMORFOLOGIA DELLE COLLINE DELLA VALDINIEVOLE
183
Delle numerose fenomenologie (terrazzi, ripiani, ecc.) rico¬
nosciute in queste ultime verrà dato ampio resoconto in un pros¬
simo lavoro includente una dettagliata carta geomorfologica.
Al fine di facilitare la comprensione dei vari problemi re¬
lativi alla morfologia ed albevoluzione delle valli pistoiesi è stato
eseguito un esame particolareggiato delle formazioni geologiche
che costituiscono Tossatura di questa fascia di raccordo tra mon¬
tagna e pianura.
^ ^
Nel territorio di Montecarlo, limitato a nord dalla carrozza-
bile Péscia-Lucca, ad ovest dalla pianura lucchese da cui emerge
improvvisamente il ripido cocuzzolo di Pòrcari (m 107), ad est
dal T. Péscia di Collodi e a sud dalla ferrovia Péscia-Lucca, è
stata riconosciuta la seguente successione litologica (-), dal basso
in alto:
a) argille, sabbie, ghiaie in alternanza, con prevalenza dei
primi due termini. Il deposito di questi sedimenti avvenne pro¬
babilmente in ambiente marino epicontinentale durante il Plio¬
cene. Il principale affioramento argilloso si osserva alla base della
collina di Pòrcari, con accentuate inclinazioni verso nord-ovest.
h) argille e ghiaie in alternanza, separate da orizzonti li-
monitizzati cementati (^). L’ambiente di sedimentazione sembre¬
rebbe di tipo fluvio-lacustre. I depositi affiorano in prevalenza a
sud-ovest di Montecarlo, lungo la parte alta del Rio San Gallo (■^).
Il Dainelli attribuisce questi orizzonti al Pliocene miarino;
c) ghiaie e sabbie di aspetto continentale : si tratta con
tutta probabilità di alluvioni fluviali e torrentizie. Affiorano dap¬
pertutto e costituiscono in un certo senso l’ossatura di questi ri¬
lievi. La natura delle ghiaie appare chiaramente poligenica, con-
(^) La successione non va intesa rigorosamente, riscontrandosi una varia¬
zione molto graduale da un termine all’altro, derivante del resto anche dalle
frequenti e mutue intercalazioni.
(^) Molto belle sono le alternanze che si possono osservare alla Fornace
Sainati e che hanno dato luogo ad interessanti fenomeni di erosione diffe¬
renziale.
(h L’analisi granulometrica di un campione raccolto alla Fornace Sai¬
nati di Montecarlo ha rivelato la seguente composizione; 70% limo, 24% ar¬
gilla, 6% sabbia. Carbonio e sostanza organica presenti per il 0,07% e per
il 0,36% rispettivamente.
184
L. LAURETI
trariamente a quanto riscontrato a suo tempo dai vecchi Autori e,
per molto tempo, dallo stesso De Stefani (•^). Notevole, come si
vedrà, è il loro significato morfologico. Gli affioramenti più ti¬
pici si osservano alla collina di Pòrcari e a nord di Montecarlo, al
M. Chiari In base alla posizione stratigrafica, la loro età si
(^) Il De Stefani scriveva, infatti (1875,77) che «lungo TAppennino prin¬
cipale, a Montecarlo, ad Altopascio, a Porcari, etc., le ghiaie sono formate dal
macigno eocenico, il quale forma pure le pendici sovrastanti », mentre «lungo
le Alpi Apuane (M. S. Quirico) e presso il Monte Pisano (Montecchio, Monte-
calvoli), vi sono g’hiaie di rocce antiche», cioè le ghiaie poligeniche, «sic¬
come di rocce antiche della stessa natura sono fornite le pendici soprastanti e
le valli che ne discendono, fra cui maggiore di tutte è la valle del Serchio ».
In particolare il De Stefani stabiliva, per gli elementi delle ghiaie, la se¬
guente provenienza:
a) Monte Pisano (quarzo grasso con ripidolite e oligisto, anagenite del
Verrucano) ;
ò) Valle del Serchio (selce nera, rosea o gialla, diaspro rosso, calcare
grigio chiaro quasi ceroide, calcare grigio con selce, calcare nummulitico) ;
c) Appenino tra Lucca e Pistoia (arenaria macigno).
Sempre secondo il De Stefani gli elementi delle ghiaie si presentavano
generalmente in « forma ellissoidale, stratificati, alternanti con strati argil¬
losi e sabbiosi e con tenui sedimenti vegetali » (come si può osservare alla
Fornace Sainati di Montecarlo). In base a ciò, per lo stesso Autore era « fuori
di dubbio che la loro accumulazione avvenne quieta e regolare nel golfo ma¬
rino che si riempì durante il pliocene ». Solo più tardi (1919), e dopo i rilievi
del Lotti, il De Stefani accennò alla presenza di ghiaie poligeniche nei din¬
torni di Montecarlo, Essa è stata, comunque, confermata recentemente dal
Saggini per il quale i rilievi di Montecarlo presenterebbero la seguente suc¬
cessione, dal basso in alto : argille grigio-azzurre ; livelli a ciottoli di verru¬
cano, di macigno e di scaglia.
(®) La natura poligenica delle ghiaie è chiaramente osservabile lungo la
collina di Pòrcari dove, in mezzo al detrito di superficie, si notano con buona
evidenza ciottoli anagenitici, calcarei, quarzitici oltre che, più abbondante¬
mente, arenacei. Ghiaie poligeniche affiorano, del resto, anche nella stessa
collina di Montecarlo, come sul versante orientale, dove appaiono con gra¬
nulometria media e frammiste ad una pasta generalmente sabbiosa. La loro
disposizione non è molto ben gradata, tuttavia si può denotare una tendenza
all’orizzontalità da parte dei ciottoli più appiattiti. Anche nella parte set¬
tentrionale delle stesse colline, nei pressi di Villa Benedetti, ad esempio, è
possibile osservare, in una recente trincea stradale, un bellissimo affioramento
di ghiaie poligeniche, con gli elementi ben appiattiti e spiccata immersione
verso est. Anche i letti sabbiosi, che appaiono in alternanza con le g’hiaie
lungo tutto il margine nord-occidentale delle colline di Montecarlo, hanno
la stessa immersione verso est ed appaiono sovente troncate da un livello pe-
dogenizzato, quando le stesse formazioni non siano fortemente ferrettizzate.
GEOMORFOLOGIA DELLE COLLINE DELLA VALDINIEVOLE
1 <S5
Fig. 2.
Cartina geo-litologica
Valdinievole). Per
delle colline
le sezioni v.
di Montecarlo
fig. 8.
(bassa
potrebbe far risalire allo scorcio del Pliocene o tutPal più agli
inizi del Quaternario (Villafranchiano) {');
d) sabbie in apparenza marine, testimoni forse di un an¬
tico piccolo golfo marino. Affiorano con sicura evidenza a nord
di Monte Chiari, in località San Martino in Colle. Il De Stefani
vi rinvenne resti di Ostreidi (^).
(’) Il De Stefani osservava che « le ghiaie sono regolarmente stratificate
e non derivano perciò da tumultuosa accumulazione alluvionale o glaciale »
sembrando in tal modo propendere per una loro tranquilla deposizione in am¬
biente marino, «durante il pliocene fino al pliocene superiore».
(ù Si tratta di « Ostrea cochlear Poli » e « Ostrea edulis L. ». La se¬
conda specie è diffusa dal Pliocene superiore in tutto il Mediterraneo con
180
L. LAURETI
Complessivamente, considerando le deboli inclinazioni, con
immersione generale verso est, delle formazioni su elencate, non¬
ché il dislivello topografico dei rilievi da esse costituiti, V intera
serie non dovrebbe superare i 200 metri di spessore.
^ ^
La successione litologica, pur se interessata da analoghe for¬
mazioni, è tuttavia ben diversa nelle colline di Baggiano, rial¬
lacciandosi alla serie tipica che si rinviene anche negli altri ri¬
lievi più a sud (Colline di Cerreto Guidi, tra Empoli e il Monte
Albano), caratterizzata, secondo le conclusioni del Dainelli, nella
sua classica sintesi sul mare pliocenico della Toscana settentrio¬
nale, da una « successione regolare, dal basso in alto, di argille,
sabbie e ciottoli » di sicura età pliocenica.
Queste colline sono rappresentate da debolissimi rilievi, che
si elevano raramente di poco al di sopra dei 50 metri (altitudine
media di tutta la pianura circostante : 15-20 metri), messi in evi¬
denza da rigagnoli e torrentelli che scorrono in senso meridiano,
provenienti dairarea appenninica e diretti verso la pianura.
Stratigraficamete, la serie di Baggiano è rappresentata, dal
basso in alto, dalle seguenti formazioni:
a) argille grigio-azzurrine, a volte assai compatte e dure
con non rari livelli marnosi. Il loro basamento sembra trovarsi
a notevole profondità, e le stesse sono disposte con giacitura ge¬
neralmente suborizzontale. Tuttavia non mancano i casi in cui
sono evidenti inclinazioni anche piuttosto forti verso est, come
alle cave di Santa Lucia. Frequenti gli episodi di caolinizzazione,
specialmente nei dintorni di Altopàscio;
b) al di sopra vengono sabbie gialle, ferrettizzate, con in¬
tercalazioni ghiaiose a granulometria minuta, con uno spessore
variabile dai 5 ai 10 metri. Sia le sabbie che le argille sembrano
testimoniare un ambiente di sedimentazione costiero, risultato di
un mare in via di colmamento. Molto scarsi i resti fossiliferi, e
ciò forse a causa delFazione di correnti continentali piuttosto ac-
giacimenti enormi sulla costa orientale della Corsica ed il suo habitat è es¬
senzialmente litorale. La prima invece non si trova che a partire dai 100
metri di profondità potendo arrivare anche ai 1000.
GEOMORFOLOGIA DELLE COLLINE DELLA VALDINIEVOLE
187
Fig’. 3. — La Cava Teglia ad Ovest di Borgo a Baggiano (vista da
ovest). Al di sotto delle ghiaie (si tratta più che altro di un conglo¬
merato di grossi blocchi di macigno più o meno arrotondati), il cui
spessore è qui di circa 5 m, affiorano sabbie e argille. Questo piccolo
poggio oggi non esiste più (la foto risale al 1963).
centuate, provenienti dai soprastanti rilievi, già emersi durante
questa fase marina della pianura (^) ;
c) la serie culmina con grosse bancate di ghiaie, per uno
spessore di una decina di metri, costituite da elementi piuttosto
grossolani misti ad altri più minuti e ad enormi blocchi di ma¬
cigno (^'^) (figg. 3-4). Arenacei sono pure tutti gli altri elementi
delle ghiaie. Sembra proprio che queste ghiaie si trovino in vici-
(®) L’analisi di due campioni prelevati nella trincea del laghetto di for¬
nace in località Terrarossa (Borgo a Buggiano), ha rivelato per il primo la
seguente composizione; 859t sabbia, 99c limo, 69f argilla, e per il secondo
campione: 4697 argilla, 38% sabbia, 16% limo, carbonio 0,04% e sostanza
organica 0,21%.
(^Q Secondo il Meneghini (citato in D’Achiardi) « i grossi massi di Borgo
a Buggiano sembra rappresentino un deposito torrenziale contemporaneo alle
ISS
L. LAURETI
Fig’. 4. — Cava Teglia (Borgo a Baggiano). Ciottolami e blocchi
di macigno estratti dalla cava. Si notino, in confronto alle automo¬
bili, le loro notevoli dimensioni. In primo piano affiorano le argille
di base.
nanza deirantica piattaforma di abrasione marina, sovrastata dai
terrazzi con cui iniziano i rilievi appenninici (resti forse di una
vecchia costa a falesia?) (^^). Non sarebbe da escludere, tuttavia.
sabbie e ghiaie » che si rinvengono « più a sud ». Da parte sua il D’Achiardi
scriveva che si doveva attribuire alTabbassamento delle Alpi Apuane e del
Monte Pisano ed al « conseguente avvicinarsi del mare alla foce dei fiumi
Taver questi riescavati i propri letti, sulle cui sponde attuali si osservano per
ciò a grande altezza i depositi ciottolosi ». Personalmente, ci sembra, invece,
che la «facies» delle formazioni ghiaiose ed in particolare dei grossi massi di
macigno si possa avvicinare a quella caratteristica della gonfolite, la quale,
come è noto, è anch’essa diffusa lungo una fascia pedemontana, ai margini
di una pianura, in una posizione geografica non molto dissimile, del resto,
da quella che si sta esaminando in questa sede.
(^) Significativo è quanto il De Stefani scriveva in proposito, rilevando
come « le gradinate delle pendici littorali plioceniche delTAppennino, mostrano
che tanto il littorale come i colli isolati della Toscana erano coperti dal mare.
Via via che il sollevamento li innalzava, quello diveniva terrazzato, e questi
si alzavano insieme coi sedimenti a loro sovrapposti ».
GEOMORFOLOGIA DELLE COLLINE DELLA VALDINIEVOLE
180
__ - 9
_ IO
ni"
Fig’. 5. — Cartina geo-litologica delle colline di Buggiano (bassa
Valdinievole). Legenda: 1) alluvioni recenti, 2) falda detritica con
elementi arenacei ed argdlloscistosi, misti a ghiaie, 3) ghiaie gros¬
solane e blocchi di macigno, 4) sabbie miste a lenti ghiaiose, so¬
vente ferrettizzate, 5) argille azzurrine, con banchi marnosi e in¬
clusioni di caolino, 6) macigno oligocenico con inclusioni argillosci-
stose, 7) inclinazione degli strati, 8) margine dei terrazzi, 9) frat¬
ture, 10) traccia delle sezioni (v. fig. 8 in basso), 11) cave di argilla..
Scala della carta 1:30.000 ca.
per queste ghiaie un’origine più propriamente continentale, do¬
vuta a forti correnti torrentizie che agivano in ambiente perigla¬
ciale (^2), oppure per « escarpement de faille » (^^).
(^) Può essere interessante notare come, nella parte appenninica del ba¬
cino del T. Cessana, le cui acque hanno fortemente inciso le colline a grossi
blocchi di macigno di Borgo a Buggdano, si rinvengano animassi di blocchi
arenacei dello stesso tipo e delle stesse dimensioni, tanto sul fondovalle che
alla base di alcuni versanti. Tali blocchi come gli altri, sono pur’essi note¬
volmente ferrettizzati.
(^®) In effetti, tutto il margine dei rilievi appenninici che si affacciano
sulla pianura tra il Serchio e la Niévole sembrerebbe interessato da una tron-
190
L. LAURETI
Fig\ 6. — Colline di Montecarlo: detrito superficiale costituito da
elementi poligenici. I ciottoli anagenitici (provenienti dal verrucano
di M. Pisano) spiccano notevolmente, con il loro colore violaceo, nel
terreno intensamente ferrettizzato.
^ ^ ^
Se da un punto di vista stratigrafico non sembrano sussistere
profonde differenze tra la serie di Montecarlo e quella di Bag¬
giano, tuttavia, è da rilevare il fatto che, mentre le ghiaie di
Baggiano sono costituite da elementi essenzialmente arenacei o
catura tettonica, al limite di una vera e propria « fossa ». La stessa indica¬
zione è del resto fornita dalPosservazione stereoscopica delle fotografie aeree
della zona.
GEOMORFOLOGIA DELLE COLLINE DELLA VALDINIEVOLE
v,n
Fig. 7. — Colline di Montecarlo: sezione di suolo ferrettizzato (parte
superiore più scura) formatosi a spese della formazione ghiaiosa.
argillosi, quelle di Montecarlo sono di natura prevalentemente po¬
ligenica, cosa non sempre riconosciuta dai vecchi Autori. Esse ap¬
paiono costituite, come si è detto, da calcari, arenarie, scisti vari¬
colori, verrucano (anagenite), calcari metamorfici, ecc., tutti no¬
tevolmente usurati e testimonianti una provenienza assai diversa :
Alpi Apuane, alta valle del Serchio e della Lima, M. Pisano (^^).
Su questo problema, delForigine delle formazioni ghiaiose della
Un significato diverso, invece, a nostro avviso, assumono i grossi
blocchi di macigno, più avanti ricordati (v. nota 10), che si rinvengono alle
L. LAURETI
1<)2
Fig’. 8. In alto: profili attraverso le colline di Montecarlo (v.
fig". 2). Le g’hiaie sono rappresentate da tondini, le sabbie da pun¬
tini. Tutte le formazioni presentano una spiccata inclinazione verso
est. Al centro: sezione attraverso la collina di Pòrcari (v. fig-. 2). Si
noti il notevole spessore delle g’hiaie (indicate dai tondini) e P incli¬
nazione generale delle formazioni verso ovest, cioè contraria a quella
che si osserva nei dintorni di Montecarlo., In basso: profili attra¬
verso la fascia pedemontana e le colline di Buggiano (v. fig. 5).
Si noti Tesig'uo spessore delle ghiaie e delle sabbie nonché la scarsa
profondità a cui affiorano le argille (Fornace di Buggiano).
GEOMORFOLOGIA DELLE COLLINE DELLA VALDINIEVOLE
108
Fig. 9. — Cava Teglia (Borgo a Buggiano). Particolare della for¬
mazione a grossi ciottoli di macigno al contatto con le sabbie sot¬
tostanti.
pianura lucchese, comprese quelle che formano le colline delle Cer-
baie, le opinioni furono in passato, come si è visto, molto con¬
troverse (^^). Da parte dei geologi pisani si pone, attualmente, in
evidenza il carattere fluvio-lacustre della facies dei terreni costi-
colline di Borgo a Buggiano, sia perchè mancano completamente in quelle di
Montecarlo, sia per la loro posizione estremamente localizzata e sommitale
(nella parte più alta delle colline, cioè) che li collegherebbe piuttosto a vicende
che hanno interessato il vicino retroterra appenninico.
(^°) Le ultime osservazioni sulla paleogeografia della pianura compresa
tra il Monte Pisano e il Monte Albano risalgono praticamente ad una vec¬
chia pregevole nota del Sestini. Le recenti esplorazioni geofisiche del sotto¬
suolo di questa pianura forniranno indubbiamente preziose informazioni al
riguardo, specialmente per quanto concerne la profondità delTantico braccio
di mare e lo spessore dei sedimenti che vi si depositarono. Si veda al riguardo
la recentissima ricostruzione suggerita da Ghelardoni, Giannini e Nardi
(v. bibl.) e la cui memoria è uscita mentre si stavano correggendo le bozze
di questo lavoro.
194
L. LAURETI
tuenti Tossatura delle colline di Montecarlo, la cui età è attribuita
al Pliocene Superiore (Villafranchino) e tutPal più al Calabriano
relativamente alla parte alta, prevalentemente ciottolosa.
Fig. 10. — Cava Teglia (Borgo a Baggiano). Grosso blocco di ma¬
cigno (55 X 110 cm) rottosi in corrispondenza di una frattura riem¬
pita da depositi limonitici.
❖ ❖ ❖
La morfologia delle colline di Montecarlo e Buggiano, pur
ricollegandosi ai tipi propri delle formazioni incoerenti, presenta,
nel nostro caso, un aspetto piuttosto evoluto, con tendenza allo
spianamento nelle aree prive della copertura ghiaiosa. Infatti, là
dove questa manca. Fazione delle acque incanalate ha avuto fa¬
cile gioco ad asportare gli orizzonti sabbioso-argillosi e a model¬
lare un rilievo dolce e ben ondulato, che si raccorda gradualmente
e senza brusche interruzioni alla pianura. I profili geomorfologici
che si allegano sono alquanto significativi (fig. 8).
Dove invece è presente, l’orizzonte ghiaioso contribuisce a
rendere più vario ed accidentato il rilievo: le sue articolazioni
GEOMORFOLOGIA DELLE COLLINE DELLA VALDINIEVOLE
195
tendono infatti a mantenersi e ad esaltarsi. Il paesaggio che ne
deriva è pertanto caratterizzato da incisioni profonde, con i ver¬
santi alquanto ripidi, specialmente in corrispondenza degli affio-
Fig. 11. — Cava la Palazzaccia (Santa Lucia). Il fronte di cava,
tutto nella formazione ghiaiosa, misura lo m di dislivello.
ramenti delle assise ghiaiose, la cui stabilità è accentuata dal¬
l’essere le stesse interessate da intensi processi di ferrettizzazione
e limonitizzazione. Molto frequentemente, a tale riguardo, si rin¬
vengono croste di alterazione limonitica, specialmente al contatto
tra ghiaie e argille (in particolare ad ovest di Montecarlo, alla
Fornace Sainati, ma anche nei pressi di Borgo a Buggiano).
Nelle colline di Buggiano, a differenza di quelle di Monte¬
carlo, la natura arenacea delle ghiaie e dei conglomerati ne orienta
il comportamento al modo delle sabbie o dello stesso macigno,
dando luogo a forme addolcite e dai profili più arrotondati. Da
rilevare, anche per la formazione di Buggiano, l’estremo stato di
alterazione dei ciottoli di macigno, intensamente ferrettizzati e
L. LAURETI
19H
con i granuli non più tenuti insieme dal cemento (figg. 9-10). Essi,
infatti, alla pur leggera pressione delle mani, si sfaldano e si ri-
Fig. 12. — Cava la Palazzaccia (Santa Lucia). Conglomerato ad
elementi di macigno, disciolto e ferrettizzato. I ciottoli, di cui si
nota l’aureola di alterazione, si disfanno alla pressione delle dita e
si riducono in sabbia.
ducono in sabbia (cave sotto il Torricchio e a Santa Lucia) (fi¬
gure 11-12).
E’ interessante notare, poi, quello che avviene sul fianco di
alcune di queste colline, specialmente là dove poteva convenire
lo sfruttamento dei sottostanti livelli argillosi, Tapertura di nu¬
merose cave, con fronte anche abbastanza esteso, ha compieta-
mente mutato rossatura del rilievo e la fisionomia dei luoghi, cau¬
sando una ripresa delFerosione che appare procedere con ritmo
alquanto accelerato (Cave di Santa Lucia, del Torricchio; ed an¬
che in corrispondenza di alcuni recenti tagli stradali). La stessa
vegetazione ne ha risentito, favorita dal formarsi di numerosi la-
GEOMORFOLOGIA DELLE COLLINE DELLA VALDINIEVOLE
11)7
ghetti per affioramento della falda freatica (generalmente a tetto
delle argille)
Fig. 13. — Collina di Pòrcari. Banconi di sabbie e ghiaie soprastanti
le argille. Al contatto, l’erosione assume caratteri selettivi, special¬
mente a spese delle argille che vengono profondamente incise.
^ ^ ^
Per quanto riguarda i rapporti tra tettonica e morfologia,
si è già detto che le formazioni dianzi descritte presentano sovente
delle leggere inclinazioni verso est, quando, per il resto, non siano
in giacitura suborizzontale. Non mancano tuttavia altri fatti tet¬
tonici di un certo interesse, come si può osservare dalle cartine
che si allegano (figg. 2-5).
(“) A causa delle frequenti intercalazioni argillose, anche negli orizzonti
sabbiosi e ghiaiosi, la profondità a cui affiora la falda libera è piuttosto va¬
riabile.
198
L. LAURETI
Così, gli affioramenti di Baggiano appaiono leggermente di¬
slocati a causa di una faglia che corre in direzione meridiana e
sulla quale si è tra l’altro impostato il corso del T. Cessana. Ad
ovest di questo, invece, nel tratto tra Santa Lucia e Baggiano,
Fig. 14. — Terrazzo sulla sinistra del Torrente Cessana, subito a sud
di Borgo a Baggiano. Sullo sfondo, a destra, il poggio di Villa
Bellavista (con un esile affioramento di ghiaie).
non è da escludere la presenza di fenomeni di erosione differen¬
ziale per il contatto del macigno con le sabbie ed i conglomerati.
In tal caso sarebbe da imputarsi ad essa la formazione della grossa
scarpata che separa le basse colline dal rilievo appenninico so¬
prastante (fig. 8).
Infine, le argille, che non compaiono quasi mai in superficie,
vengono invece a giorno solo là (Montecarlo) dove sono state
aperte delle cave per il loro sfruttamento e dove appaiono pe¬
raltro chiaramente dislocate (Pòrcari, Santa Lucia) (fig. 4).
GEOMORFOLOGIA DELLE COLLINE DELLA VALDINIEVOLE 1
Nelle colline di Montecarlo le dislocazioni non appaiono in¬
vece così evidenti, anche se V indagine fotogeologica le ha comun¬
que rivelate (^^). Qui, infatti, la morfologia appare legata alla
struttura prevalentemente attraverso la natura litologica delle
varie formazioni : più compatte e resistenti le ghiaie, meno le
sabbie e le argille (fig. 13).
Tuttavia, considerato il forte dislivello che separa gli oriz¬
zonti ghiaiosi nei due gruppi collinari (massima elevazione a Mon¬
tecarlo, con i 189 metri del M. Chiari, e a Borgo a Baggiano
con i 56 metri del Torricchio), non sembra impossibile arguire che
tutte le colline che si trovano ad ovest del tratto ferroviario
Péscia-Altopàscio e cioè lambite dalle acque del T. Péscia di Col¬
lodi, siano state tutte interessate in blocco da una dislocazione che
non sempre è stata prevalentemente verticale : la netta inclina¬
zione verso ovest delle formazioni di Pòrcari e verso est di quelle
di Montecarlo, limitate da linee di frattura con discreto rigetto
(vengono a giorno anche le argille sottostanti) farebbe pensare al¬
l’esistenza di una anticlinale diretta N-S la cui cerniera, succes¬
sivamente fagliata, sia stata incisa ed asportata dall’azione delle
acque del Rio Leccio, con conseguente isolamento della collina di
Pòrcari. Si tratterebbe anche in questo caso di un episodio da ri¬
collegarsi alle fasi orogenetiche post-plioceniche (^^). Lo dimostre-
(^9 La cartina geoniorfolog’ica allegata è stata redatta anche in base alle
osservazioni fotogeologiche la cui utilità, in lavori di geomorfologia, è ormai
fuor di dubbio.. Dei risultati dell’ indagine fotogeologica (lo studio fotogeo¬
logico della zona in esame fu possibile per la cortese ospitalità del Labora¬
torio di Fotointerpretazione dell’AGIP Mineraria di S. Donato Milanese)
estesa a tutto il settore appenninico fino alla Val di Lima, si tratterà con
maggiore ampiezza in altra sede.
(^®) Se si imputano (ed al momento non ci sentiamo di poterlo affermare
con sicurezza) ad una tettonica quaternaria le dislocazioni da cui le forma¬
zioni esaminate appaiono chiaramente interessate, si deve necessariamente
concordare con l’età pliocenica di queste ultime, come ritneva lo stesso De
Stefani, secondo il quale a partire dal Pliocene superiore « il sollevamento
prodottosi in quell’area prima occupata da un seno di mare alzò i terreni, e
le valli che scendevano dai monti circostanti si prolungarono entro a questi
e li solcarono sì come ora vediamo, lasciando nelle depressioni formate dalle
stesse acque correnti sedimenti alluvionali, lacustri e fluviali più recenti ».
Maggiori chiarimenti, tuttavia, sulla datazione di queste formazioni, si po-
200
L. LAURETI
rebbe, del resto, in tal caso, il carattere non ancora completa¬
mente evoluto delle colline di Montecarlo, rispetto a quelli delle
colline di Buggiano, ormai prossime ad una peneplanazione (ac¬
celerata purtroppo dairopera stessa dell’uomo).
❖ ❖ ❖
In una regione come questa, morfologicamente abbastanza
evoluta, e con una idrografia notevolmente gerarchizzata, non
potevano mancare forme terrazzate, ed infatti ce ne sono in
numero notevole, e con diversa origine (fluviale, marina, oro¬
grafica) (^^).
irebbero avere, a nostro parere, solo attraverso le analisi polliniche dei resti
vegetali intercalati nelle argille e nei limi di Montecarlo e datando infine
con assoluta certezza le sabbie di San Martino in Colle che appaiono essere
(almeno per le colline di Montecarlo) certam.ente il termine più recente.
Molto spesso, nella letteratura, quando ci si riferisce a morfologie
terrazzate, si fa una certa confusione sul termine «terrazzo». Considerato
che rattributo di « marino » e « fluviale » non debba dar adito a particolari
dubbi, per quanto riguarda quello di « orografico » personalmente intendiamo
ciò che alcuni Autori chiamano il terrazzo in roccia, dovuto a variazioni (ab¬
bassamenti) regionali del livello di base (per cause epirogenetiche o anche
per semplice isostasia). E’ chiaro, infatti, che anche semplici oscillazioni ver¬
ticali di tutta una intera regione provocano una deformazione del profilo delle
valli il cui processo evolutivo può essere accelerato o ritardato, se non addi¬
rittura regredito. Nel caso di un sollevamento si avrà pertanto un appro¬
fondimento delle valli con un aumento della pendenza dei versanti, la quale,
una volta terminato il sollevamento, si evolverà verso valori più bassi. Se poi
il sollevamento riprende, con un ulteriore approfondimento della valle, au¬
menterà nuovamente la pendenza del versante. Una serie di sollevamenti, sca¬
glionati nel tempo, provocherà quindi altrettante variazioni del profilo delle
valli che pertanto risulteranno « terrazzate » pur non presentando necessa¬
riamente lungo i terrazzi testimonianze alluvionali che invece dovranno for¬
marsi se la regione subisce un abbassamento (il che è evidente). Sulla base
di queste considerazioni si può dedurre che simili variazioni di profilo (cioè
di pendenza) si possano verificare anche su versanti marini. Per non dar luogo
a confusoni con i terrazzi marini veri e propri (dovuti a variazioni del li¬
vello marino indipendentemente dalle oscillazioni epirogenetiche), sarebbe pre¬
feribile sostituire alPattributo « orografico » quello di « tettonico » o « strut¬
turale ». In tal modo potrebbero definirsi «fluviali» i soli terrazzi causati
da variazioni del livello di base di un corso d’acqua indipendentemente da
oscillazioni tettoniche regionali. Tali variazioni sarebbero da ascriversi a mu-
GEOMORFOLOGIA DELLE COLLINE DELLA VALDINIEVOLE
LM)1
Terrazzi fluviali ce ne sono dappertutto e in corrispondenza
delle valli principali percorse dal T. Cessana (fig. 14), dalle due
Péscie, da fossi e rivi che scolano dalle colline di Montecarlo.
Grande rilievo tuttavia non l’hanno, perché l’azione dei corsi di
acqua risente molto, qui, della natura incoerente delle formazioni.
Più evidenti e significativi, invece, i terrazzamenti appaiono nelle
parti alte delle vallate, cioè nel retroterra appenninico dove è
possibile seguirli per lungo tratto. Per la localizzazione dei ter¬
razzi in pianura o alle falde delle colline si rimanda, comunque,
alla cartina geomorfologica allegata.
Non sarebbe da escludere, poi, la natura marina di certi ter¬
razzi che sovrastano la pianura, modellati nella scarpata appen¬
ninica tra Péscia e Montecatini. Se ne può osservare, ad esempio,
uno, ben delineato, lungo la fascia da Santa Lucia a Baggiano,
in corrispondenza della vecchia piattaforma d’abrasione, dianzi
ipotizzata (v. nota 11). Purtroppo mancano resti di depositi re¬
lativi e la roccia stessa (il macigno) risulta profondamente de¬
gradata impedendo utili osservazioni.
Più sviluppati sui rilievi appenninici che sulle colline sono,
invece, i terrazzi orografici. Su queste ultime il terrazzamento è
in genere dovuto all’alternarsi (per cause sia tettoniche che cli¬
matiche) delle diverse fasi dell’attività dei corsi d’acqua attuali.
Per i primi si può per ora rilevare che, in passato, il reticolo
idrografico presentava una ben diversa struttura, successivamente
mutata come già fu rilevato da vari Autori.
Milano, Istituto di Geografia delV Università Cattolica.
tamenti di clima (piovosità), del regime fluviale o ad altre cause (modifi¬
cazioni artificiali del corso, deviazioni per catture, ecc.). Pertanto sarebbe da
abbandonare il termine di terrazzo « alluvionale » che attualmente può dar
adito a confusioni, anche perchè alluvionale può risultare un terrazzo for¬
matosi sia per cause climatiche che tettoniche. Tale precisazione vuole, co¬
munque, costituire unicamente un suggerimento a considerare con una certa
attenzione un problema che non è solamente terminologico.
202
L. LAURETI
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Soc. Geogr. Ital., LXVI, 5, Roma.
Sestini A. (1931) - Il mare pliocenico della Toscana meridionale. Mem. Geol.
Geogr. di G. Dainelli, II, Firenze.
Sestini A. (1933) - Lo sviluppo della rete idrografica nell’ Antiappennino
Toscano. Atti Soc. Tose. Se. Nat., PP.VV., XLI, 2, Pisa.
Sestini A. (1936) - Stratigrafia dei terreni fluviolacustri del Valdarno Su¬
periore. Atti Soc. Tose. Se. Nat., PP.VV., XLV, 5, Pisa..
204
L. LAURETI
Bestini A. (1939) - Osservazioni geomorfologiche sull’ Appennino Tosco-Emi¬
liano tra il Reno e il Bisenzio. Meni. Soc. Tose. Se. Nat., XLVI, Pisa.
Bestini A. (1954) - Problemi geomorfologici dell’ Appennino Settentrionale.
Atti XVI CongT. Geogr. Ital.
Struffi G., Sommi M. (1960) - Il limite Pliocene-Quaternario lungo il mar¬
gine settentrionale delle colline livornesi. Boll. Soc. Geol. It., LXXIX,
Pisa.
Taramelli T. (1887) - Condizioni geologiche del F. Pescia. Fusi, Pavia..
Tricart J. (1965) - Principes et méthodes de la Géomorphologie. Masson,
Paris.
Zaccagna D. (1882) - I terreni della Val di Nievole fra Monsummano e Mon¬
tecatini. Boll. R. Comit. Geol. Ital., XIII, Roma.
Pavia — Editrice Succ. Fusi — 15 Giuguo ]968
Direttore responsabile: PROF. CESARE CONCI
Registrato al Tribunale di Milano al N. 6574
SUNTO DEL REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ
(Data di fondazione: 15 Gennaio 1856)
Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi relativi
alle Scienze Naturali.
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nel primo bimestre dell’anno, e sono vincolati per un triennio. Sono invitati alle
sedute, vi presentano le loro Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli Atti e
la Rivista Natura.
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contribuito alla costituzione del capitale sociale o reso segnalati servizi/
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due soci mediante lettera diretta al Consiglio Direttivo.
La corrispondenza va indirizzata alla « Società Italiana di Scienze Naturali,
presso Museo Civico di Storia Naturale, Corso Venezia 55, 20121 Milano ».
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Gli originali dei lavori da pubblicare vanno dattiloscritti a righe distanziate,
su un solo lato del foglio, e nella loro redazione completa e definitiva, compresa
la punteggiatura. Le eventuali spese per correzioni rese necessarie da aggiunte o
modifiche al testo originario saranno interamente a carico degli Autori. Il testo va
seguito da un breve riassunto in italiano e in inglese.
Gli Autori devono attenersi alle seguenti norme di sottolineatura:
- per parole in corsivo (normalmente nomi in latino)
. per parole in carattere distanziato
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: — — per parole in neretto (normalmente nomi generici e specifici nuovi o
titolini).
Le illustrazioni devono essere inviate col dattiloscritto, corredate dalle relative
diciture dattiloscritte su foglio a parte, e indicando la riduzione desiderata. Tener
presente quale riduzione dovranno subire i disegni, nel calcolare le dimensioni delle
eventuali scritte che vi compaiano. Gli zinchi sono a carico degli Autori, come pure
le tavole fuori testo.
Le citazioni bibliografiche siano fatte possibilmente secondo i seguenti esempi:
Grill E., 1963 - Minerali industriali e minerali delle- rocce - RoepZi, Milano, 874 pp.,
434 figg., 1 tav. f. t.
Torchio M., 1962 - Descrizione di una nuova specie di Scorpaenidae del Mediter¬
raneo: Scorpenodes arenai - Atti Soc. It. Se. Nat. e Museo Civ. St. Nat.
Milano, Milano, CI, fase. II, pp. 112-116, 1 fig., 1 tav.
Cioè: Cognome, iniziale del Nome, Anno - Titolo - Casa Editrice, Città, pp.,
figg., tavv., carte; o se si tratta di un lavoro su un periodico: Cognome, iniziale del
Nome, Anno - Titolo - Periodico, Città, voi., fase., pp., figg-, tavv., carte.
(segue in quarta pagina di copertina)
INDICE DEL FASCICOLO II
Pinna G. - Gli erionidei della nuova fauna sinemuriana a crostacei de¬
capodi di Osteno in Lombardia ........ Pag.
Boscardin M. & DE Michele V. - Brucite^ idromagnesite ed artinite
della Val d’Astico (Vicenza) .........
Mainaedi D. and Pasquali A. - Cultural Transmission in thè House
Mouse . »
Oantaluppi G. - Il limite paleontologico Domeriano-Toarciano a Mol-
vina (Est di Brescia) ...........
Guiglia D. - Missione 1965 del Prof. Giuseppe Scortecci nello Yemen
(Arabia Meridionale) ■ Sy meno pierà-. Tipliiidae, Vespidae, Pompili-
dae, Spliecidae, Apidae ..........
Moretti G. P., Gianotti F. S., Dottorini C., Calisti A. & Melis M. -
Composizione e avvicendamento di una popolazione tricotterologica
primaverile-estiva in una caverna della Toscana (Grotta o « Tomba »
Lattaia - Siena) . . . . . . . . . . »
Taibel a. M. (Pisa) - Considerazioni critiche su un « presunto » ibrido
Coturnix coturnix japonica maschio e Gallus gallus femmina . . »
Laureti L. - Geomorfologia delle colline della Valdinievole (Toscana) »
93
135
147
153
159
168
175
181
{continua dalla terza pagina di copertina)
La Società concede agli Autori 50 estratti gratuiti con copertina stampata.
Chi ne desiderasse un numero maggiore è tenuto a farne richiesta sul dattiloscritto
0 sulle prime bozze. I prezzi sono i seguenti:
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2750
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3000
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4000
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5000
» 8:
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2800
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3100
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3400
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3700
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5000
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» 12:
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3400
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3750
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4100
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4450
»
6000
»
7500
» 16:
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4000
»
4400
»
4800
»
5200
»
7000
»
8500
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quelle del testo, e pertanto il suo prezzo è calcolato a parte.
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20121 Milano ».
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