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Full text of "Atti della Societ Italiana di Scienze Naturali e del Museo Civico di Storia Naturale in Milano"

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ATTI 


DELLA 

SOCIETÀ  ITALIANA 

DI  SCIENZE  NATURALI 

E  DEL 

MUSEO  CIVICO 

DI  STORIA  NATURALE  DI  MILANO 


VOLUME  CVII 
Fascicolo  II 


Pubblicato  con  il  contributo  del  C.N.E. 


MILANO 


15  Giugno  1968 


SOCIETÀ’  ITALIANA  DI  SCIENZE  NATURALI 


CONSIGLIO  DIRETTIVO  PER  IL  1967 


Presidente  : 
Vice-Presidenti  : 

Segretario  : 
Vice-Segretario  : 
Cassiere  : 

Consiglieri  : 
(1968-69) 

Bibliotecario  : 


Nangeroni  Prof.  Giuseppe  (1968-69) 

Viola  Dr.  Severino  (1968-69) 

Conci  Prof.  Cesare  (1967-1968) 

De  Michele  Dr.  Vincenzo  (1968-69) 

Rui  Sig.  Luigi  (1967-1968) 

Turchi  Rag.  Giuseppe  (1967-1968) 

Magistretti  Dr.  Mario 
Marchioli  Ing.  Giorgio 
Moltoni  Dr.  Edgardo 
Ramazzotti  Ing.  Prof.  Giuseppe 
SCHIAVINATO  Prof.  GIUSEPPE 

Taccani  Avv.  Carlo  - 
ScHiAvoNE  Sig.  Mario 


MUSEO  CIVICO  DI  STORIA  NATURALE  DI  MILANO 


PERSONALE  SCIENTIFICO 


Conci  Prof.  Cesare 
Torchio  Dr.  Menico 

Cagnolaro  Dr.  Luigi 
De  Michele  Dr.  Vincenzo 
Pinna  Dr.  Giovanni 
Leonardi  Dr.  Carlo 


-  Direttore  (Entomologia) 

-  Vice-Direttore  (Ittilogia  e  Teutologia), 
Dirigente  dell’Acquario 

-  Conservatore  (Teriologia  ed  Ornitologia) 

-  Conservatore  (Mineralogia  e  Petrografia) 

-  Conservatore  (Paleontologia  e  Geologia) 

-  Conservatore  (Entomologia) 


PERSONALE  TECNICO 

Lucerni  Sig.  Giuliano  -  Capo  Preparatore 
Bucciarelli  Sig..  Italo  -  Preparatore  (Insetti) 

Giuliano  Sig.  Giangaleazzo  -  Preparatore  (Vertebrati) 
Bolondi  Sig.  Lauro  -  Preparatore 


EDITRICE  SUCC.  FUSI  -  PAVIA 


MUSEO  CIVICO  DI  STORIA  NATURALE  DI  MILANO 


Giovanni  Pinna 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA 
A  CROSTACEI  DECAPODI  DI  OSTENO  IN  LOMBARDIA  (0 


Premessa. 

Il  presente  lavoro  si  prefigge  la  descrizione  e  l’ illustrazione 
dei  crostacei  decapodi  della  Tribù  Eryonidea  (“)  de  Haan,  1850 
della  fauna  sinemuriana  di  Osteno  in  Lombardia,  di  recente 
scoperta. 

In  una  mia  nota  preliminare  (^),  presentata  nel  Luglio  1967 
al  2®  Colloquio  Internazionale  sul  Giurassico  tenutosi  a  Lussem¬ 
burgo,  diedi  notizia  del  rinvenimento  di  una  fauna  a  crostacei  nel 
Sinemuriano  inferiore  lombardo,  in  una  cava  posta  sulla  sponda 
orientale  del  Lago  di  Lugano  (Lago  Ceresio),  in  territorio  italiano, 
poco  a  sud-ovest  delFabitato  di  Osteno. 

La  presenza  della  fauna  in  esame  in  una  cava  di  pietrisco  mi 
fu  segnalata  in  tutta  segretezza,  negli  utimi  mesi  del  1964,  dal 
noto  collezionista  di  Desio  (Milano)  Sig.  Pio  Mariani,  il  quale 
cedette  nel  1965  al  Museo  Civico  di  Storia  Naturale  di  Milano 
gli  esemplari  da  lui  raccolti  o  acquistati  dal  padrone  della  cava, 
e  con  il  quale,  nello  stesso  anno  e  nel  seguente,  feci  alcune  escur¬ 
sioni  sul  terreno  raccogliendo  nuovo  ed  interessante  materiale. 
Neirestate  1966,  infine,  la  cava  fu  chiusa  perchè  ritenuta  perico- 


(9  Lavoro  e  ricerche  eseguiti  con  il  contributo  finanziario  del  Consi¬ 
glio  Nazionale  delle  Ricerche,  Comitato  per  le  Scienze  Geologiche  e  Minerarie. 

(9  Tribù  viene  qui  utilizzato  come  raggruppamento  di  famiglie  nel  senso 
attribuitogli  da  Secretan  (1964)  e  Forster  (1967). 

(9  Pinna  G.,  1967  -  Découverte  d’une  nouvelle  faune  à  crustacés  du 
Sinémurien  inférieur  dans  la  région  du  Lac  Ceresio  (Lombardie,  Italie).  Atti 
Soc.  It.  Se.  Nat.  Miis.  St.  Nat.  Milano,  Milano,  106,  3,  pp.  183-185.. 


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G.  PINNA 


Iosa  a  causa  di  possibili  franamenti  ed  il  rinvenire  nuovo  mate¬ 
riale  è  diventato  così  quasi  impossibile. 

Desidero  qui  ringraziare  il  Prof.  M.  F.  Glaessner,  dell’Uni¬ 
versità  di  Adelaide  (Australia),  per  aver  voluto  rassicurarmi  sul- 
l’esattezza  delle  determinazioni  generiche  e  per  essersi  così  in¬ 
teressato  al  lavoro,  la  gentile  Signora  Sylvie  Secretan,  del  La¬ 
boratorio  di  Paleontologia  del  Museo  di  Storia  Naturale  di  Parigi, 
per  i  preziosi  consigli,  it  Dr.  P.  Barnard,  dell’Università  di  Read- 
ing  (Inghilterra),  per  le  determinazioni  dei  vegetali  rinvenuti  as¬ 
sieme  ai  crostacei,  il  prof.  G.  C.  Parea,  dell’  Istituto  di  Paleonto¬ 
logia  deirUniversità  di  Modena,  per  avermi  dato  utilissime  indi¬ 
cazioni  sedimentologiche,  ed  il  Sig.  Pio  Mariani  per  avermi  dato 
notizia  del  rinvenimento,  aver  ceduto  gran  parte  del  materiale, 
avermi  concesso  in  prestito  alcuni  esemplari  della  sua  collezione 
privata  ed  avermi  accompagnato  sul  giacimento.  Porgo  infine  un 
ringraziamento  particolare  al  Prof.  C.  Conci,  Direttore  del  Museo 
Civico  di  Storia  Naturale  di  Milano,  per  avermi  incoraggiato  nel 
lavoro,  averlo  accettato  su  questa  rivista  e  per  avermi  dato  pre¬ 
ziosi  consigli  nella  composizione  delle  tavole,  ed  al  Dr.  M.  Tor¬ 
chio,  Vice  Direttore  del  nostro  Museo  e  Dirigente  deH’Acquario 
Civico  di  Milano,  per  aver  discusso  con  me  alcuni  problemi  riguar¬ 
danti  i  rappresentanti  attuali  del  gruppo  e  per  avermi  aperto  le 
porte  della  collezione  di  studio  deirAcquario. 


Geologia  del  giacimento. 

Il  ricco  giacimento  fossilifero  affiora  in  una  cava  sulla  sponda 
orientale  del  Lago  di  Lugano,  a  sud-ovest  del  villaggio  di  Osteno 
in  provincia  di  Como  (figg.  1,  2).  La  cava  si  apre  nei  calcari  grigi 
stratificati  del  Lias  inferiore,  interessati  da  un  sistema  di  nume¬ 
rose  faglie  a  debole  rigetto  verticale,  ciò  che  rende  la  ricerca  dei 
fossili  piuttosto  difficile.  Non  è  raro  infatti  rinvenire  esemplari 
incompleti  senza  possibilità  di  scoprire  i  pezzi  mancanti  a  causa 
della  tettonica  fine  e  complicata.  I  numerosi  vegetali,  crostacei  e 
pesci  del  giacimento  provengono  da  un  livello  di  circa  150  cm  di 
potenza,  posto  a  20  metri  di  altezza  dalla  base  della  cava  stessa  ; 
livello  che  può  essere  seguito  dal  margine  sinistro  fino  al  centro 
della  cava  ove  viene  spostato  da  una  faglia  a  più  forte  rigetto 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC. 


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verticale  in  modo  che  non  è  possibile  rinvenirlo  ad  un  livello  più 
alto  0  più  basso.  Questa  tettonica  secondaria  deriva  da  un  si¬ 
stema  più  generale  a  pieghe  ed  a  faglie  che  ha  interessato  tutta 
la  formazione  a  calcari  grigi  del  Lias  inferiore  («  Lombardischer 
Kieselkalk  »  degli  Autori  svizzeri,  Bernoulli  1964,  tav.  II,  profili 
1,  2,  3). 


Fig.  1.  —  Localizzazione  del  giacimento.  Il  rettangolo  in  alto  a 
destra  rappresenta  la  parte  ingrandita  nella  fig.  2. 


Dal  punto  di  vista  petrografico  la  formazione  in  cui  fu  rin¬ 
venuta  la  fauna  di  Osteno  è  costituita  da  calcilutiti  selcifere 
scure  (^),  leggermente  bituminose,  spongolitiche,  che  nella  loro  to- 


(9  L’analisi  petrografica  della  roccia,  eseguita  nel  Laboratorio  di  Mi¬ 
neralogia  e  Petrografia  del  Museo  di  Storia  Naturale  di  Milano  dal  Dr.  V.  DE 
Michele,  è  riportata  nella  citata  nota  preliminare. 


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G.  PINNA 


talità  rappresentano  i  piani  dall’  Hettangiano  al  Pliensbachiano 
inferiore.  Questa  formazione  si  depositò  nella  zona  del  Bacino  del 
Monte  Generoso,  raggiungendo  nella  sua  parte  centrale  la  potenza 
di  3000-4000  metri,  che  segna  la  fase  parossistica  della  subsidenza 
del  bacino  stesso  (Bernoulli  1964). 


0  1 


4  5 


Fig’.  2.  —  Carta  geologica  della  parte  settentrionale  del  Lago  Ce- 
resio  (da  Bernoulli,  1964).  La  freccia  indica  la  posizione  del 

giacimento. 


Il  Bacino  del  Monte  Generoso  cominciò  a  prendere  forma  du¬ 
rante  il  Nerico  con  la  formazione  della  soglia  di  Lugano  dovuta 
ad  una  serie  di  faglie  che  abbassarono  parte  della  Dolomia  Prin¬ 
cipale.  In  questo  punto  cominciarono  dunque  a  depositarsi  gli  strati 
retici  e  superiormente  quelli  del  Lias  inferiore  mentre  continuava 
il  movimento  di  abbassamento  del  bacino.  Qui  si  aveva  dunque  una 
sedimentazione  continua  e  regolare.  Bernoulli  dimostra  tuttavia 
la  presenza  di  deformazioni  sinsedimentarie  dovute  a  fenomeni  di 
slumping  ed  a  correnti  di  torbidità  di  fondo  in  cui  egli  rinvenne 
tutti  i  fossili,  prevalentemente  di  acque  neritiche,  che  non  sareb¬ 
bero  però  indicativi  di  mare  poco  profondo  ma  piuttosto  di  una 
risedimentazione  alla  base  del  pendio  sottomarino. 

A  questo  punto  si  apre  il  problema  della  fauna  di  Osteno,  da 
un  lato  caratterizzata  da  elementi  di  acque  poco  profonde,  quali  i 
crostacei  erionidei  qui  illustrati,  o  addirittura  da  vegetali  subaerei 
indicanti  la  vicinanza  di  una  terra  emersa,  daH’altro  rinvenuta  in 
rocce  ritenute  di  facies  profonda.  Una  decisione  a  questo  riguardo 
non  è  qui  certamente  possibile  essendo  questo  compito  specifico 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC. 


della  sedimentologia  e  non  di  un  lavoro  sistematico  quale  vuole 
essere  il  mio. 


Composizione  della  fauna  e  della  flora. 

La  fauna  e  la  flora  di  Osteno  comprendono  in  totale,  con  i 
recenti  ritrovamenti,  58  es.,  fra  i  quali  due  resti  di  vegetali  sub¬ 
aerei  determinati  dal  Dr.  P.  Barnard,  deH’Università  di  Reading, 
Fimo  come  una  pteridosperma  {Pachypteris?),  l’altro  come  una 
conifera  {Brachyphyllum  o  Pagiopìiyllum),  15  impronte  proble¬ 
matiche  che  ad  un  più  accurato  esame  mi  paiono  appartenere  a 
cefalopcdi,  11  pesci  fra  esemplari  completi  e  frammenti  nonché 
30  crostacei  ;  un  buon  numero  quindi  se  si  pensa  che  la  formazione 
in  cui  furono  rinvenuti  risulta  in  generale  assai  povera  di  fossili. 


Datazione  della  fauna. 

La  datazione  della  fauna  al  Sinemuriano  inferiore  si  basa 
principalmente  sul  rinvenimento,  ad  un  livello  5  metri  più  alto  di 
quello  a  vegetali,  cefalopodi,  crostacei  e  pesci,  di  un’  impronta  di 
ammonite  che,  sebbene  frammentaria,  mi  ha  permesso  la  sua  at¬ 
tribuzione  alla  specie  Coroniceras  bisulcatum  (Brug.)  (Tav.  IT, 
fig.  2),  già  rinvenuta  da  V.  Vialli  al  Monte  Albenza  (1959  - 
pag.  175,  tav.  15,  figg.  7,  7a;  t.n.t.,  figg.  22,  23)  e  da  G.  Sacchi 
Vialli  e  G.  M.  Cantaluppi  a  Saltrio  (1961  -  pag.  13,  tav.  2, 
fig.  2a  b  c).  Essa  indica  come  età  il  Sinemuriano  inferiore,  pro¬ 
babile  «zona  a  bucMandi». 

L’attribuzione  stratigrafica  viene  poi  confermata  da  questo 
studio  sugli  erionidei  che  ha  mostrato  la  presenza  di  una  specie  già 
nota  nel  Sinemuriano  di  Lyme  Regis  in  Inghilterra,  ed  in  parte 
dalla  presenza  di  vegetali  subaerei  di  due  generi  già  noti  nel  Lias, 
sebbene  caratterizzati  da  una  ampia  distribuzione  stratigrafica. 


Stato  di  conservazione  e  metodi  di  studio. 

Tutti  i  rappresentanti  della  fauna  di  Osteno,  ed  in  particolare 
gli  erionidei  qui  descritti,  si  presentano  parzialmente  deformati, 
spesso  frammentari  e  sempre  fortemente  compressi,  così  da  essere 
ridotti  ad  uno  spessore  di  pochi  millimetri.  Molto  spesso  le  strut¬ 
ture  più  delicate  sono  rimaste  impresse  nella  roccia  sotto  forma 
di  una  sottile  pellicola  mineralizzata.  A  causa  di  questi  fenomeni 


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G.  PINNA 


di  compressione  il  cefalotorace  è  il  più  delle  volte  fratturato,  di¬ 
storto  ed  incompleto  cosicché  i  suoi  margini  laterali  e  quello  fron¬ 
tale,  così  utile  nella  classificazione,  sono  stati  a  volte  interpretati. 
L’ornamentazione  ed  i  solchi  sono  inoltre  spariti  o,  il  più  delle 
volte,  si  configurano  evanescenti.  L’addome  è  solitamente  molto 
confuso  mentre  gli  uropodi  sono  generalmente  richiusi  ed  è  quindi 
quasi  sempre  impossibile  stabilire  la  presenza  di  una  dieresi  al- 
l’esopodite.  Diversi  esemplari  si  presentano  poi  con  l’addome  ri¬ 
piegato.  Le  appendici  cefaliche  sono  di  solito  ben  conservate,  come 
anche  il  primo  paio  di  periopodi,  le  altre  appendici  sono  per  lo 
più  allo  stato  frammentario. 

Lo  studio  della  fauna  è  stato  effettuato  completamente  al  mi¬ 
croscopio  binoculare  con  ingrandimenti  da  10  X  a  30  X,  con  il 
fossile  coperto  da  una  sottile  pellicola  d’acqua  che  ha  permesso  di 
far  risaltare  i  dettagli  della  struttura.  In  egual  modo  sono  state 
da  me  eseguite  le  fotografie  riprodotte  nel  lavoro.  Dal  Dr.  M.  Man- 
DRIER  del  CCR  Euratom-Metallurgia  (Ispra)  sono  stati  eseguiti 
tentativi  di  studio  ai  raggi  X,  purtroppo  senza  alcun  risultato  poi¬ 
ché  la  compattezza  del  calcare  e  l’esiguo  spessore  del  fossile  non 
permettono  differenze  di  peimieabilità  ai  raggi.  Io  stesso  ho  ef¬ 
fettuato  nel  Laboratorio  del  Museo  tentativi  di  studio  mediante 
fotografie  a  raggi  infrarossi  con  pellicola  da  7.200  A  ;  anche  in 
questo  caso  però  non  si  sono  ottenuti  risultati  apprezzabili  :  le  fo¬ 
tografie  mostrano  infatti  zone  più  scure  in  corrispondenza  della 
«  materia  organica  »,  senza  permettere  di  risolvere  le  complicate 
strutture  dell’esoscheletro. 


Note  paleontologiche. 


La  maggior  parte  dei  crostacei  della  rarissima  fauna  di 
Osteno  é  rappresentata  da  esemplari  appartenenti  alla  Tribù 
Eryonidea  de  Haan  1850,  già  conosciuta  nel  Trias,  che  assume 
grande  sviluppo  nel  Giurassico  e  che  conta  ancora  un  certo  nu¬ 
mero  di  rappresentanti  viventi. 

Premetto  che  il  rinvenimento  di  crostacei  fossili  é  cosa  assai 
rara,  soprattutto  se  trattasi  di  esemplari  completi,  a  causa  della 
fragile  struttura  del  carapace,  in  particolare  delle  appendici,  e 
deH’addome.  Concentrazioni  di  crostacei  fossili  sono  state  perciò 
rinvenute,  in  terreni  giurassici,  in  quei  tipi  di  roccia  che  più 
hanno  favorito  la  conservazione  di  delicate  strutture.  E’  questo 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC. 


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il  caso  dei  giacimenti  a  crostacei  più  classici,  quelli  che  ci  hanno 
fornito  il  maggior  numero  di  esemplari  completi  :  Lyme  Regis  nel 
Lias  inferiore  inglese,  Solnhofen  ed  Holzmaden  rispettivamente 
nel  Portlandiano  e  Toarciano  tedesco. 

Da  quanto  detto  le  nostre  conoscenze  sulla  filogenesi  risultano 
chiaramente  frammentarie  non  essendo  possibile  alcuno  studio  det¬ 
tagliato  in  serie,  sia  per  la  povertà  dei  reperti  (non  rari  sono  i 
generi  monotipici),  sia  per  le  concentrazioni  cui  abbiamo  accennato. 

La  Tribù  Eryoniclea  viene  attualmente  suddivisa  in  quattro 
famiglie  di  importanza  ineguale:  Coleiidae  Van  Straelen,  1924, 
Eryonidae  Dana,  1852,  Polychelidae  Wood  Mason,  1877  e  Tetra- 
chelidae  Beurlen,  1930.  Solo  la  prima  sarà  qui  considerata  perchè 
rappresentata  nella  fauna  di  Osteno. 

Gli  Eryonidea  in  linea  generale  presentano  un  carapace  de¬ 
presso  con  margini  laterali  subparalleli,  portanti  spine,  divisi 
dalle  incisioni  cervicale  e  branchiale  in  tre  regioni:  anteriore  - 
media  -  posteriore.  I  solchi  cervicale  e  branchiale  sono  a  volte 
uniti.  Sul  cefalotorace  è  presente  una  carena  longitudinale  me¬ 
diana  e,  spesso,  fra  questa  ed  il  margine  laterale,  si  inserisce 
su  ambo  i  lati  una  carena  medio-laterale.  La  superficie  del  cara¬ 
pace  è  ricoperta  da  tubercoli  e  spine  con  una  ornamentazione 
che  varia  secondo  le  specie.  L’antenna  esterna  porta  uno  scafo- 
cerite  caratteristico.  Il  primo  segmento  non  è  fuso  con  l’epistoma. 
Tutti  i  pereiopodi,  eccettuato  a  volte  il  quinto  paio,  portano  chele. 
Il  primo  paio  è  molto  più  sviluppato,  il  dito  mobile  è  airesterno. 
Il  telson  è  appuntito.  La  dieresi  airesopodite  degli  uropodi  può 
essere  presente  o  mancare. 

La  sistematica  del  gruppo  ebbe  durante  lunghi  anni  notevoli 
vicissitudini  :  numerosi  cambiamenti  vennero  apportati,  furono 
creati  nuovi  generi  e  nuove  famiglie.  Voglio  qui  brevemente  ri¬ 
cordare  solo  i  più  recenti  autori  che  si  occuparono  in  ampi  lavori 
deir  intero  gruppo. 

Nel  1924  Van  Straelen  suddivise  la  tribù  Eryonidea  de  Haan, 
1850  nelle  due  famiglie  Eryonidae  e  Coleiidae.  Ad  Eryonidae  l’au¬ 
tore  attribuì  i  generi  Eryon  Desmarest,  1822,  Knehelia  Van  Strae¬ 
len,  1922,  Palaeopentacheles  Von  Knebel,  1907,  Palaeopolycheles 
Von  Knebel,  1907,  Tropifer  Gould,  1857,  Willem  o  e  sio  caris  Van 
Straelen,  1923,  Stenochirus  Oppel,  1861.  Alla  famiglia  Coleiidae 
egli  attribuì  invece  i  generi  Coleia  Broderip,  1835  ed  HeUerocaris 
Van  Straelen,  1924. 


100 


G.  PINNA 


Van  Straelen  si  basò  per  questa  sua  suddivisione  delle  due 
famiglie  soprattutto  sulla  dieresi  deiresopodite  deiruropode.  Tale 
dieresi  sarebbe  mancante  in  Eryonidae  e  presente  invece  in 
Coleiidae:  così  Eryon,  Knebelia,  Palaeopentacheles  e  Palaeopoly- 
cheles  non  presenterebbero  dieresi,  Coleia  ed  Heller ocaris  ne  sa¬ 
rebbero  provvisti,  mentre  in  Tropifer  e  Willemoesiocaris  gli  uro¬ 
podi  non  sono  conosciuti. 

Nel  1925  WOODS  riunì  tutti  i  generi  nella  sola  famiglia 
Eryonidae. 

Nel  1928  Beurlen  suddivise  la  famiglia  Eryonidae  in  due 
gruppi:  il  primo  con  dieresi,  cui  assegnò  il  genere  Coleia,  il  se¬ 
condo,  privo  di  dieresi,  cui  ascrisse  il  suo  nuovo  genere  Proeryon. 
Questo  secondo  gruppo  fu  inoltre  suddiviso  in  due  sottogruppi 
comprendenti  gli  Angustiformes  (Palaeopentacheles,  Palaeopoly- 
cheles,  Knebelia)  ed  i  Latiformes  con  gli  Eryon  s.  str. 

Nel  1930  lo  stesso'  Autore  istituì  la  famiglia  Tetrachelidae 
per  il  genere  Tetrachela  Reuss,  alla  famiglia  Coleiidae  attribuì 
i  generi  Coleia,  Hellerocaris,  Tropifer;  alla  famiglia  Eryonidae 
attribuì  Proeryon,  Eryon,  Knebelia  ed  il  nuovo  genere  Cyclocaris ; 
e  riunì  i  generi  Palaeopolycheles,  Palaeopentacheles  e  Willemoe¬ 
siocaris  nella  famiglia  Polychelidae  che  descrisse  come  nuova  non 
tenendo  conto  che  essa  era  già  stata  istituita  da  WooD  Mason  fin 
dal  1877. 

Nel  1931  Beurlen  e  Glaessner  proposero  per  i  crostacei 
decapodi  la  loro  famosa  nuova  sistematica.  Per  quanto  riguarda 
il  gruppo  in  esame  essi  conservarono  per  la  tribù  Eryoìiidea  la 
suddivisione  nelle  tre  famiglie  Coleiidae,  Eryonidae  e  Polyche¬ 
lidae,  non  considerando*,  inspiegabilmente,  la  famiglia  Tetrache¬ 
lidae  istituita  Tanno  prima  dallo  stesso  Beurlen.  La  prima,  se¬ 
condo  gli  Autori,  ha  come  caratteristica  un  carapace  sub-rettan¬ 
golare  a  margini  smussati  ed  una  dieresi  :  ad  essa  attribuirono 
i  generi  Tetrachela,  Coleia,  Hellerocaris.  I  rappresentanti  della 
famiglia  Eryonidae  possiedono  invece  un  carapace  più  largo, 
quasi  quadrato  o  a  forma  di  cuore  mentre  sono  privi  di  dieresi, 
a  questa  famiglia  attribuirono  i  generi  Proeryon,  Eryon  e  Cyclo¬ 
caris.  Genere  quesPultimo  che  fu  stabilito*  sul  gruppo  àeWEryon 
propinquus  Schlot.,  considerato  antecedentemente  da  Van  Strae¬ 
len  come  appartenente  al  genere  Coleia.  Alla  famiglia  Polyche¬ 
lidae  gli  Autori  attribuirono  infine  i  generi  Palaeopentacheles , 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC. 


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Palaeopolycheles ,  Willemoesiocaris  ed  i  due  generi  attuali  Poly- 
cheles  e  Willemoesia.  Tutti  questi  presenterebbero  come  caratte¬ 
ristica  un  carapace  sub-rettangolare,  lungo  e  stretto,  bordo  ro¬ 
strale  concavo,  strette  incisioni  oculari,  margini  interni  del  dacti- 
lopodite  dentellati,  telson  stretto  ed  appuntito,  uropodi  privi  di 
dieresi. 

Nel  1936  Van  Straelen  istituì  il  nuovo  genere  Platypleon 
con  la  specie  Platypleon  nevadensis  Van  Straelen,  1936,  che  ora 
viene  assegnato  alla  famiglia  Tetrachelidae. 

Nel  1953  infine  J.  Roger  (in  Piveteau,  voi.  Ili,  pag.  339) 
modificò  tale  posizione.  Egli  attribuì  alla  famiglia  Coleiidae  ì 
generi  Tetrachela,  Tropifer,  Coleia,  Hellerocaris;  agli  Eryonidae 
i  generi  Proeryon,  Eryon,  Knebelia  ed  il  genere  attuale  Eryoneicits 
(attualmente  non  più  valido);  alla  famiglia  Polychelidae  infine 
attribuì  i  generi  Palaeopolycheles ,  Palaeopentacheles  e  Willemoe¬ 
siocaris.  Questo  autore  ammette  la  presenza  di  dieresi  negli 
Eryonidae. 

Riporto  qui,  a  scopo  esplicativo,  lo  schema  sistematico  se¬ 
condo  i  diversi  Autori,  a  livello  dei  generi  : 


Famiglie 

Van  Straelen 
1924 

Beurlen  1930 

Beurlen  e 
Glaessner  1931 

Roger  1953 

Tetrachelidae 

Tetrachela 

Coleiidae 

Coleia 

Hellerocaris 

Coleia 

Hellerocaris 

Tropifer 

Tetrachela 

Coleia 

Hellerocaris 

Tetrachela 

Tropifer 

Coleia 

Hellerocaris 

Eryoyiidae 

Eryon 

Knebelia 

Palaeopentacheles 

Palaeopolycheles 

Tropifer 

Willemoesiocaris 

Stenochimis 

Proeryon 

Eryon 

Knebelia 

Cyclocaris 

Proeryon 

Eryon 

Cyclocaris 

Proeryon 

Eryon 

Knebelia 

Eryoneicits 

Polychelidae 

Palaeopentacheles 

Palaeopolycheles 

Willemoesiocaris 

Palaeopentacheles 

Palaeopolycheles 

Willemoesiocaris 

Polycheles 

Willemoesia 

Palaeopolycheles 

Palaeopentacheles 

Willemoesiocaris 

102 


G.  PINNA 


Per  quanto  riguarda  la  classificazione  seguita  in  questo 
lavoro  riporto  il  seguente  schema: 


Famiglie 

Generi 

Tetrachelidae 

T  etrachela 

Platypleon 

Col  eia 

Colenda  e 

Hellerocaris 

Cyclocaris 

Eryon 

Eryonidae 

Proeryon 

Knehelia  {°) 

Palaeopolycheles 

Palaeopentacheles 

Polychelidae  Willemoesiocaris 

Polycheles 

Willemoesia 


La  suddivisione  della  tribù  Eryonidea  nelle  quattro  famiglie 
citate  si  basa  soprattutto  sulla  forma  del  cefalotorace,  sulla  forma 
del  suo  margine  anteriore,  sulla  posizione  delle  incisioni  oculari, 
sul  numero  e  disposizione  delle  incisioni  laterali  e  sulla  presenza 
0  assenza  di  dieresi  alFesopodite  degli  uropodi. 

Tetrachelidae  :  (fig.  3,  A)  cefalotorace  fortemente  allargato', 
sub-rettangolare.  Margine  anteriore  largo  e  diritto  con  incisioni 
oculari  laterali  ed  occhi  ben  sviluppati  rivolti  in  avanti.  Due  inci¬ 
sioni  laterali  poco  profonde.  Carene  assenti.  Telson  arrotondato 
e  largo.  Dieresi  presente. 

Coleiido.e  :  (fig.  3,  B)  cefalotorace  largo,  da  sub-rettangolare 
a  sub-ovale,  allungato.  Margine  anteriore  largo  con  un’  incavatura 
centrale  concava,  lateralmente  incisioni  oculari.  Due  incisioni  late¬ 
rali  abbastanza  profonde.  Tre  carene  longitudinali.  Telson  trian¬ 
golare  ed  appuntito.  Dieresi  presente. 


(°)  Ricordo  che  il  nome  Munsi  evia,  dato  al  genere  in  questione  da  VoN 
Knebel  nel  1907,  risultò  già  usato  nel  1836  per  un  g'enere  di  fucoidi  fossili. 
Van  Straelen  propose  quindi  nel  1924  il  nome  Knehelia. 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC. 


103 


Eryonidae  :  (fig.  3,  C)  cefalotorace  largo,  da  sub-ovale  a  for¬ 
temente  arrotondato.  Occhi  rivolti  lateralmente.  Margine  ante¬ 
riore  ristretto  e  leggermente  concavo.  Margine  laterale  profonda¬ 
mente  inciso.  Telson  triangolare.  Dieresi  assente. 

Polychelidae  :  (fig  3,  D)  cefalotorace  subrettangolare  allun¬ 
gato.  Margine  anteriore  concavo  con  profonde  incisioni  oculari 
rivolte  in  avanti.  Margini  laterali  con  due  piccole  incisioni.  Telson 
triangolare  appuntito.  Dieresi  assente. 


Fig.  3.  —  Forma  del  cefalotorace  e  posizione  degli  occhi  in  :  A  -  Te- 
trachela  raihliana  Reuss,  B  -  Coìeia  antiqua  Broderip,  C  -  Eì^yon 
arctiformis  Schloth.,  D  -  Polycheles  typhlops  Heller. 


Aggiungo  qui  anche  qualche  nota  chiarificatrice  su  partico¬ 
lari  generi  e  sulla  loro  posizione  sistematica: 

Willemoesiocaris  :  pur  non  essendo  conosciuto  il  suo  uropode, 
è  ascrivibile  a  Polychelidae  per  i  numerosi  caratteri  affini  a  quelli 
dei  due  altri  generi  della  famiglia. 

Il  genere  Stenochirus ,  attribuito  da  Van  Straelen  alla  fami¬ 
glia  Eryonidae,  presenta  tuttavia  il  dactylus  interno,  per  esso  fu 
creata  da  Beurlen  e  Glaessner  nel  1931  la  famiglia  Stenochi- 
ridae  a  grande  affinità  con  Erymaidae. 

Cyclocaris  Beurlen,  1930  fu  istituito  sul  gruppo  della  Coleia 
propinqua  (Schlotheim).  Al  genere  devono  attribuirsi  inoltre  le 
specie  un  tempo  classificate  come  Coleia  orbicidata,  Coleia  elon- 
gata,  Coleia  gigantea,  Coleia  spinimana  e,  con  tutta  probabilità, 
Coleia  armata.  L’attribuzione  del  nuovo  genere  alla  famiglia 
Coleiidae  non  è  però  certa.  Beurlen  e  Glaessner  nel  1931  am¬ 
mettono  infatti  nella  diagnosi  la  mancanza  di  una  dieresi  cosa 
che  li  indurrebbe  a  classificare  il  genere  negli  Eryonidae.  Tut¬ 
tavia,  delle  specie  citate  secondo  Van  Straelen,  Cyclocaris  pro- 
pinquus  e  Cyclocaris  giganteus  sarebbero  provviste  di  una  leg- 


104 


G.  PINNA 


gera  dieresi  ;  Cyclocaris  orbiculatus  e  Cyclocaris  elongatus  ne 
sarebbero  invece  sprovviste. 

Il  genere  Proeryon  Beurlen,  1928  fu  stabilito  sul  gruppo  del- 
r  Eryoìi  ìiartmanni  Meyer,  specie  rinvenuta  nel  Toarciano  di 
Holzmaden.  L’Autore  ascrive  al  genere  quattro  specie  :  oltre  quella 
citata,  Proeryon  macrophtahnus  (Krause),  già  nota  come  Coleia 
macrophtalma,  e  le  due  nuove  Proeryon  longipes  e  Proeryon  lati- 
caudatns.  Al  genere  viene  attribuita  la  specie  Eryon  nioorei 
Woodward,  1886,  già  considerata  da  WOODS  nel  genere  Coleia. 

Le  specie  Coleia  richardsoni  e  Coleia  stoddarti  possono  essere 
avvicinate  al  genere  Proeryon  per  la  forma  subcircolare  del  cefa¬ 
lotorace  e  per  il  margine  anteriore  che  appare  ampio  e  concavo, 
molto  simile  a  quello  di  Proeryon  macrophtahnus . 


Osservazioni  stratigrafiche  suila  tribù. 

I  primi  rappresentanti  della  tribù  Eryonidea  apparvero  du¬ 
rante  il  Trias  superiore.  Si  tratta  di  tre  generi  datati  al  Retico: 
Tropifer  Gould,  1857  con  la  specie  Tropifer  laevis  Gould,  1857, 
basata  su  un  esemplare  rinvenuto  ad  Aust  Cliff  nel  Gloucester- 
shire,  Tetrachela  Reuss,  1858  con  la  specie  Tetrachela  raibliana 
(Bronn,  1858),  basata  su  rinvenimenti  nelle  Alpi  Orientali  e  Pla- 
typleon  Van  Straelen,  1936  con  la  specie  Platypleon  nevadensis 
Van  Straelen,  1936  del  Trias  superiore  delle  Pilot  Mountains  nel 
Nevada.  Dei  tre  generi,  Tropifer  ha  una  posizione  sistematica 
incerta  essendo  da  alcuni  classificato  negli  Eryonidae,  da  altri 
in  Coleiidae,  in  esso  infatti  ITiropode  non  è  conosciuto  e  non  è 
così  possibile  stabilire  la  presenza  o  l’assenza  della  dieresi.  Tetra¬ 
chela  e  Platypleon  vengono  invece  classificati  nella  famiglia  Tetra- 
chelidae  che  risulta  così  la  più  antica  delle  tribù.  Nessuna  specie 
è  stata  fino  ad  ora  rinvenuta  nel  Giurassico. 

Per  quanto  riguarda  la  famiglia  Coleiidae,  il  genere  Coleia 
apparve  all’  inizio  del  Lias,  già  molto  abbondante  durante  1’  Het- 
tangiano  ed  il  Sinemuriano.  Nel  Charmutiano  non  si  conoscono 
rappresentanti  fossili  mentre  nel  Toarciano  sono  conosciute  due 
specie.  Il  genere  sembra  poi  sparire.  Nel  Calloviano  si  rinviene 
l’unica  specie  del  genere  Hellerocaris.  I  primi  rappresentanti  del 
genere  Cyclocaris  si  rinvengono  nel  Calloviano,  mentre  il  genere 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC. 


105 


diviene  molto  abbondante  nel  Portlandiano.  Alla  fine  del  periodo 
Giurassico  la  famiglia  pare  estinguersi  completamente. 

La  famiglia  Eryonidae  sembra  svilupparsi  quasi  parallela- 
mente  alla  precedente.  I  primi  rappresentanti  appartengono  al 
genere  Proeryon,  di  cui  si  conoscono  una  specie  nelF  Hettangiano 
inglese  e  quattro  nel  Toarciano  tedesco,  mentre  il  massimo  svi¬ 
luppo  della  famiglia  si  ebbe  nel  Portlandiano  con  i  generi  Eryon 
e  Kìiebelia. 

La  famiglia  Polychelidae  apparve  invece  nel  Calloviano  con 
il  genere  Willemoesiocaris  e  raggiunse  grande  sviluppo  nel  Port¬ 
landiano  con  i  due  generi  Palaeopentacheles  e  Palaeopolycheles. 

Alla  fine  del  periodo  Giurassico  queste  due  ultime  famiglie 
sembrano  perdere  di  importanza,  senza  tuttavia  estinguersi,  anche 
in  concomitanza  di  uno  spostamento  verso  un  habitat  di  mare  più 


Distribuzione 

stratigrafica 

dei 

generi 

Retico 

Hettangiano 

Sinemuriano 

Charmutiano 

Toarciano 

Aaleniano 

Caiociano 

Batoniano 

Calloviano 

Oxfordiano 

Lusitaniano 

Kimmeridgiano 

Portlandiano 

Cretacico 

Terziario  e 

1 

Quaternario 

Attuale 

Tetrachela 

B 

Platypleon 

B 

Coleia 

B 

B 

B 

B 

Hellerocaris 

B 

Cyclocaris 

B 

B 

B 

B 

B 

Proeryon 

B 

B 

B 

B 

Eryon 

B 

B? 

? 

■ 

Knebelia 

B 

Palaeopoìycheles 

B 

Palaeopentacheles 

B 

Willemoesiocaris 

B 

Polycheles 

BB 

Willemoesia 

BB 

106 


G.  PINNA 


profondo.  Pare  infatti  che  le  specie  terziarie  vivessero  a  medie 
profondità  come  i  rappresentanti  attuali  del  gruppo.  Un  Eryon 
neocomiensis  Woodward  è  citato  nel  Cretacico  inferiore  della 
Silesia  (Montana,  U.S.A.),  mentre  frammenti  di  erionidei  sono 
stati  rinvenuti  da  Rathbun,  e  descritti  nel  1919,  nel  Miocene  infe¬ 
riore  di  San  Domingo  nelle  Indie  Occidentali. 


Erionidei  attuali. 

Mi  pare  qui  doveroso  aggiungere  poche  parole  sui  rappre¬ 
sentanti  attuali  della  tribù  Eryonidea. 

Gli  erionidei  sono  rappresentati  attualmente  da  due  generi 
batifili,  classificati  dagli  zoologi,  che  non  considerano  probabil¬ 
mente  le  forme  fossili,  nella  famiglia  Eryonidae  e  non  Polyche- 
lidae  :  Willemoesia  Grote,  1873,  a  margine  frontale  quasi  diritto 
privo  di  incisioni  oculari,  e  Polycheles  Heller,  1862,  a  margine 
provvisto  di  due  profonde  incisioni. 

Il  genere  Eryoneicus  Spence  Bate,  1882  risulta  nulFaltro  che 
uno  stadio  di  sviluppo  pelagico  di  Polycheles,  mentre  Pentacheles 
Milne  Edwards,  1880  è  sinonimo  di  Polycheles. 

La  scoperta  in  Mediterraneo  degli  erionidei  fu  effettuata  da 
Heller  nel  1862  che  segnalò  e  descrisse  la  specie  Polycheles 
typhlops  nelle  acque  della  Sicilia.  In  seguito  esemplari  furono 
segnalati  a  notevole  profondità  a  Nord  Ovest  dell’ Asinara  (Sar¬ 
degna  settentrionale),  tra  Messina  e  Stromboli,  nelle  acque  di 
Palermo,  Capri,  Creta,  Asia  Minore,  Cannes,  Monaco,  del  Golfo 
di  Genova,  di  Taranto,  dell’Algeria,  della  Spagna  ed  in  Adriatico. 

Sebbene  la  specie  risulti  batifila,  vivendo  su  fondi  fangosi 
fin  oltre  i  2000  metri,  ma  più  frequente  fra  i  700  ed  i  1000,  dal 
lavoro  fondamentale  di  Santucci  (1932)  che  riporta  i  dati  di 
numerosi  campioni  raccolti  nel  Mar  Ligure  fra  i  250  ed  i  300 
metri  di  profondità,  si  crede  a  ragione  che  la  specie  possa  supe¬ 
rare  la  scarpata  continentale  durante  migrazioni  riproduttive: 
sarebbe  quindi  schiettamente  euribata. 

Due  sono  le  specie  di  Polycheles  attualmente  note  in  Mediter¬ 
raneo:  Polycheles  typhlops,  già  citata,  e  Polycheles  scidptus 
Smith. 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC. 


107 


Descrizione  paleontologica. 

/ 

Genere  Coleia  Broderip,  1835 

Il  genere  fu  istituito  nel  1835  da  Broderip  su  due  esemplari 
provenienti  dagli  strati  liassici  di  Lyme  Regis,  che  egli  classificò 
nella  nuova  specie  Coleia  antiqua  che  diviene  perciò  tipo  del 
genere  Coleia, 

Il  genere  è  caratterizzato  da  cefalotorace  depressiforme,  per 
lo  più  quadrangolare,  con  larghezza  generalmente  uguale  alla  lun¬ 
ghezza,  esso  è  interessato  da  tre  coppie  di  incisore:  incisioni  ocu¬ 
lari  subcircolari  poste  sul  margine  frontale,  spesso  molto  ampie, 
limitate  da  una  spina  sul  vertice  esterno  {spvìia  suprantenTmlis). 
Incisioni  cervicali  poste  sui  margini  laterali  in  corrispondenza  del 
punto  di  incontro  del  solco  cervicale  con  detti  margini  del  cefa¬ 
lotorace.  Incisioni  branchiali  decorrenti  posteriormente  alle  prece¬ 
denti,  nel  punto  di  incontro  del  solco  branchiale  col  margine  late¬ 
rale  da  ambo  i  lati. 

Il  margine  anteriore  o  frontale  è  ampio,  privo  di  rostro  e 
concavo  nel  suo  insieme. 

Il  cefalotorace  è  interessato  da  due  solchi  principali  :  solco 
cervicale,  sempre  piuttosto  marcato,  e  solco  branchiale,  a  volte 
evanescente,  che  spesso  può  congiungersi  dorsalmente  al  primo. 

Sul  cefalotorace  è  sempre  presente  una  carena  sviluppata  dal 
margine  posteriore  al  solco  cervicale,  evanescente  o  mancante  fra 
questo  ed  il  margine  frontale.  A  volte  sono  presenti  due  carene 
medio-laterali  fra  i  margini  laterali  e  la  carena  medio-dorsale. 

Le  appendici  dei  rappresentanti  del  genere  non  sono  cono¬ 
sciute  perfettamente  nella  loro  totalità.  Le  antennule  e  le  antenne 
sono  spesso  discernibili,  queste  ultime  portano  uno  scafocerite  di 
forma  ovale  caratteristica.  Delle  cinque  paia  di  pereiopodi,  le 
prime  quattro  portano  chele  ed  il  primo  paio  è  molto  più  svilup¬ 
pato  degli  altri.  Il  dactylus  è  esterno.  Il  Telson  è  appuntito.  L’eso- 
podite  degli  uropodi  porta  sempre  una  dieresi  arcuata  con  con¬ 
vessità  verso  la  parte  anteriore. 

Tutto  il  carapace  è  interessato  da  una  fine  ornamentazione 
a  piccoli  tubercoli  mentre  i  margini  del  cefalotorace  portano  spine 
di  lunghezza  variabile.  Tubercoli  e  spine  sono  a  volte  presenti 
sui  pereiopodi. 


los 


G.  PINNA 


Del  genere  sono  conosciute  11  specie,  così  ripartite  strati- 
graficamente  : 


Toarciano  Coleia  eclwardsi  (Moriére,  1864) 

Coleia  sinuato,  Beurlen,  1928 


Sinemuriano  Coleia  hredoìiensis  Woods,  1925 

Coleia  antiqua  Broderip,  1835 
Coleia  crassichelis  (Woodward,  1866) 
Coleia  hrodiei  (Woodward,  1866) 
Coleia  tenuichelis  Woods,  1925 


Hettangiano 


Coleia  morierei  (Renault,  1889) 

Coleia  harrovensis  (Mac  Coy,  1849) 
Coleia  ivilmcoteìisis  (Woodward,  1866) 
Coleia  escher  i  (Oppel,  1862) 


Coleia  calvadoisi  (Morière,  1883)  risulta  sinonimo  di  Coleia 
edivardsi  (Moriére,  1864).  Archaestacus  willemoesii  (Spence  Bate, 
1884)  è  invece  sinonimo  di  Coleia  crassichelis  (Woodward,  1866). 

Il  genere  Archaeastacus  fu  istituito  da  Spence-Bate  nel  1884 
appunto  per  la  specie  A.  ivilleìnoesii  (Spence  Bate,  1884):  Tautore 
diede  per  il  nuovo  genere  le  medesime  caratteristiche  del  genere 
Coleia  di  Broderip  istituito  in  precedenza,  ad  esclusione  della  man¬ 
canza  di  dieresi  che  tuttavia  esiste  con  sicurezza  nella  specie.  La 
dimenticanza  di  dieresi  nel  disegno  originale  fu  messa  in  luce  da 
Woodward  che  ammise  in  seguito  (1888,  pag.  434)  la  sua  presenza, 
rendendosi  altresì  conto  dell’  identità  di  ivillemoesii  e  crassichelis, 
che  classificò  ambedue  nel  genere  Eryon,  pur  ammettendo  che  po¬ 
teva  sussistere  una  certa  differenza  a  livello  generico  fra  questo  e 
la  specie  suddetta.  Il  genere  Archaeastacus  cade  così  in  sinonimia 
di  Coleia  come  rilevato  più  tardi  da  Van  Straelen  (1924,  pag.  139). 


Coleia  (?)  n.  sp.  (?) 

(Fig-.  4;  tav.  Ili,  figg.  2,  3) 

Un  piccolo  esemplare  pressoché  completo,  di  cui  posseggo 
impronta  e  controimpronta,  è  conservato  nella  Collezione  del 
Museo  Civico  di  Storia  Naturale  di  Milano  con  il  numero  T  50 
del  Catalogo  Tipi. 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC. 


101) 


L’esemplare  si  presenta  molto  compresso;  il  cefalotorace  è 
totalmente  conservato  permettendo  così  una  accurata  ricostru¬ 
zione  dei  margini  ;  raddome  è  completo  e  sulla  controimpronta  è 
possibile  osservare  la  forma  dei  semiti;  Turopode  è  ben  visibile, 
aperto,  con  buona  conservazione  degli  esopoditi.  Sul  margine  ante¬ 
riore  si  notano  tracce  delle  antenne  con  scafocerite  e  gli  occhi, 
tuttavia  non  ben  definiti.  Dei  pereiopodi  è  conservato  solo  il 
primo  paio,  e  frammenti  sul  lato  destro  del  III,  IV  e  V  paio. 


Dimensioni  : 


lunghezza  totale 
lunghezza  cefalotorace 
larghezza  cefalotorace 
lunghezza  addome 
larghezza  telson 


mm  30,0 
mm  16,0 
mm  12,3 
mm  14,0 
mm  5,0 


I  pereiopode 

sinistro 

destro 

lunghezza  meropodite 

mm 

5,0 

mm 

5,0 

lunghezza  carpopodite 

mm 

2,2 

mm 

2,1 

lunghezza  propodite 

mm 

9,1 

mm 

9,1 

lunghezza  dactylus 

mm 

4,0 

mm 

4,2 

Descrizione.  -  Cefalotorace  compresso,  ovale,  con  lunghezza 
maggiore  della  larghezza  e  rapporto  semi  larghezza  lunghezza  = 
=  0,48.  Margine  anteriore  ristretto  con  due  profonde  incisioni  ocu¬ 
lari  semicircolari,  limitate  esternamente  da  una  spina  acuta.  Il 
tratto  fra  le  due  incisioni  è  profondamente  concavo.  Le  due  in¬ 
cisioni  oculari  sono  spostate  verso  la  parte  mediana.  Margini  la¬ 
terali  decisamente  convessi,  interessati  circa  al  terzo  anteriore  da 
una  piccola  incisione  cervicale  poco  profonda  ed  arrotondata  nel 
suo  insieme.  Non  è  stato  possibile  osservare  l’ incisione  branchiale 
che  sembra  mancare  assolutamente.  Margine  posteriore  concavo. 
Sul  cefalotorace  non  appaiono  i  solchi,  forse  a  causa  della  non 
buona  conservazione  delFesemplare,  sulla  controimpronta  è  visi¬ 
bile  a  mala  pena  una  traccia  della  carena  mediodorsale.  Addome 
leggermente  più  lungo  del  cefalotorace,  composto  da  6  segmenti 
decrescenti  in  larghezza  verso  la  parte  posteriore.  Telson  triango¬ 
lare,  appuntito,  percorso  da  due  carene  di  forma  triangolare  con- 


110 


G.  PINNA 


vergenti  verso  Tapice.  NeH’uropode  aperto  si  osservano  il  proto- 
podite  sviluppato,  Tendopodite  e  l’esopodite  arrotondati,  quest’ul¬ 
timo  porta  una  leggera  dieresi  arcuata. 


Fig’.  4.  —  Ricostruzione  di  Coleia  (?)  n.  sp.  (?).  (X  2). 

Presso  il  margine  frontale  sono  conservati,  seppur  male  os¬ 
servabili,  gli  occhi  posti  al  fondo  delle  incisioni  oculari,  e  fram¬ 
menti  attribuiti  alle  antenne  esterne  con  traccia  dello  scafocerite. 
Primo  paio  di  pereiopodi  estremamente  sviluppato  con  rapporto 
carpopodite/propodite  =  0,23,  propodite  molto  largo  a  forti  chele 
a  dactyliis  esterno  allungato  e  leggermente  ricurvo  airestremità, 
esso  presenta  sul  margine  esterno  numerose  piccole  spine  (tav.  Ili, 
fig.  3).  Carpopodite  corto  e  largo,  meropodite  allungato  e  legger¬ 
mente  ricurvo  ;  sull’  impronta  sono  a  mala  pena  visibili  1’  ischio- 
podite  ed  il  corto  basipodite  con  contorni  non  ben  definiti.  Sul 
margine  sinistro  sono  presenti  tracce  presumibilmente  del  III,  IV 
e  V  paio  di  pereiopodi. 

Ornamentazione  costituita  da  una  fine  granulazione  uniforme, 
estesa  sul  propodite  del  primo  paio  di  pereiopodi,  sul  cefalotorace, 
ove  è  ben  osservabile  in  prossimità  dei  margini  laterali,  sui  seg¬ 
menti  dell’addome  e  sul  telson. 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC.  ]  ]  ] 

Osservazioni.  -  La  presenza  di  una  dieresi  alFesopodite  del- 
Turopode,  la  forma  del  margine  anteriore  concavo  fra  le  due  in¬ 
cisioni  oculari,  randamento  del  margine  laterale  della  regione  an¬ 
teriore  espanso  lateralmente,  la  presenza  di  una  spina  sul  margine 
esterno  delle  incisioni  oculari,  la  presenza  di  scafocerite  nelle  an¬ 
tenne  e  la  forma  generale  del  cefalotorace  mi  inducono  ad  avvi¬ 
cinare  questo  esemplare  al  genere  Coleia.  La  presenza  della  die¬ 
resi  e  la  forma  del  margine  anteriore  escludono  trattarsi  di 
Proeryon.  Faccio  tuttavia  qui  notare  che  per  la  particolare  posi¬ 
zione  della  dieresi  airesopodite  molto  ricurva,  che  è  stata  osser¬ 
vata  esclusivamente  sulla  metà  interna  deiresopodite,  per  la  forma 
del  cefalotorace,  per  la  presunta  assenza  delle  incisioni  branchiali 
e  per  la  forma  particolare  del  I  paio  di  pereiopodi,  non  posso 
escludere  che  si  tratti  di  forma  giovane  di  specie  già  nota  o,  al 
contrario,  di  nuovo  genere  che  la  mancanza  di  materiale  più  ab¬ 
bondante  mi  impedisca  di  definire. 

Confronto  tuttavia  resemplare  con  alcune  specie  del  genere 
Coleia.  Da  Coleia  antiqua  Broderip,  1835  si  differenzia  per  il  ce¬ 
falotorace  ovale,  il  telson  triangolare  più  stretto,  gli  uropodi  molto 
arrotondati  e  le  chele  a  propodite  largo,  carpopodite  e  meropodite 
corti  in  rapporto  al  pereiopode  completo  che  si  presenta  nel  suo 
insieme  meno  allungato  rispetto  V  intero  animale. 

Da  Coleia  harrovensis  (Mac  Coy,  1849)  si  distingue  per  il  ce¬ 
falotorace  meno  allargato,  Tassenza  di  spine  ai  margini  laterali, 
gli  uropodi  più  allungati. 

Da  Coleia  crassichelis  (Woodward,  1866),  specie  alla  quale 
maggiormente  si  avvicina,  si  distingue  per  il  cefalotorace  meno 
allargato  posteriormente  e  per  Fassenza  delle  spine  sul  margine 
posteriore.  Una  certa  analogia  riscontro  nel  primo  paio  di  pereio¬ 
podi,  sebbene  in  Coleia  crassichelis  il  meropodite  sembri  meno 
lungo  e  sensibilmente  più  largo,  e  nella  forma  delle  incisioni 
cervicali. 

Da  Coleia  tenuichelis  Woods,  1925  si  differenzia  per  la  forma 
del  cefalotorace,  le  chele  meno  sottili  e  Faddome  più  ristretto. 

Da  Coleia  brodiei  (Woodward,  1866)  infine  si  differenzia  per 
il  cefalotorace  più  allungato  e  di  forma  ovale,  per  le  incisioni 
cervicali  meno  profonde  e  la  regione  anteriore  meno  espansa  la¬ 
teralmente. 


112 


G.  PINNA 


Coleia  viallii  n.  sp.  (®) 


(Fig-g.  5,  6,  7,  8;  tav.  Ili,  fig..  1;  tavv.  IV,  V,  VI,  VII,  Vili,  IX,  X,  XI,  XII) 


Ascrivo  alla  nuova  specie  6  esemplari.  Essi  vengono  conser¬ 
vati  nella  Collezione  del  ¥luseo  Civico  di  Storia  Naturale  di  Mi¬ 
lano,  ove  sono  schedati  con  i  seguenti  numeri  di  catalogo: 


Cat.  tipi  n"^  T  51  impronta  e 
Cat.  tipi  n®  T  52  impronta 
Cat.  tipi  n"^  T  53  im.pronta 
Cat.  tipi  m  T  54  impronta 
Cat.  tipi  n®  T  55  impronta 
Cat.  tipi  m  T  57  impronta 


controimpronta  Olotipo 

Paratipo  1 
Par  atipo  2 
Paratipo  3 
Paratipo  4 
Paratipo  5 


Come  tutti  i  rappresentanti  fossili  della  fauna  di  Osteno  gli 
esemplari  attribuiti  a  questa  specie  si  presentano  fortemente 
schiacciati,  a  volte  deformati  e  spesso  frammentari.  Tuttavia 
Fosservazione  comparata  di  tutti  gli  esemplari,  che  risultano  nel 
complesso  della  fauna  molto  abbondanti,  ha  permesso  la  ricostru¬ 
zione  e  lo  studio  di  buona  parte  delFanimale,  ad  eccezione  dei  seg¬ 
menti  delFaddome. 


Fig.  5.  —  Cefalotorace  di  Coleia  viallii  n.  sp.:  A-paratipo  2,  es. 
n°  T  53.  B-paratipo  1,  es.  n°  T  52.  C-olotipo,  es.  n°  T  51. 


(®)  La  specie  è  dedicata  al  Prof.  Vittorio  Vialli,  già  Paleontologo  e 
Vice  Direttore  del  Museo  Civico  di  Storia  Naturale  di  Milano  ed  ora  Ordi¬ 
nario  di  Paleontologia  all’Università  di  Bologna. 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC. 


1  1.3 

Lo  studio  della  forma  del  cefalotorace  è  stata  effettuata  sugli 
esemplari  T  51,  T  52,  T  53  i  cui  margini  si  presentano  però  fram¬ 
mentari  in  quanto  i  fossili  sono  ridotti  ad  uno  spessore  minimo. 
Sono  state  ricavate  tuttavia  le  ricostruzioni  riportate  in  fig.  5  ; 
le  piccole  variazioni  morfologiche  sono  dovute,  almeno  in  parte, 
allo  schiacciamento  subito  durante  la  fossilizzazione  e  non  possono 
quindi  essere  considerate  probanti  per  una  ulteriore  suddivisione 
della  specie,  la  forma  generale  del  cefalotorace  si  presenta  infatti 
in  tutti  gli  esemplari  piuttosto  uniforme. 

SulFesemplare  T  54,  che  si  presenta  meno  compresso  se  pur 
molto  frammentario,  è  stato  possibile  effettuare  lo  studio  dei  sol¬ 
chi,  delle  carene  e  deirornamentazione.  Lo  studio  e  la  ricostruzione 
delle  appendici  cefaliche  è  basata  sugli  esemplari  T  51,  T  52,  T  53 
(tav.  IV,  figg.  1,  2;  tav.  V,  fig.  2;  tav.  Ili,  fig.  1).  Il  primo  paio 
di  pereiopodi  è  visibile  in  tutti  gli  esemplari  mentre  gli  altri  sono 
generalmente  molto  frammentari. 


Fig.  6.  —  Ricostruzione  del  cefalotorace,  delle  appendici  cefaliche 
e  del  primo  paio  di  pereiopodi  di  Coleia  viallii  n.  sp.  (  X  1,5). 
crpct  carpocerite,  crppd  carpopodite,  dctl  dactylus,  /  flagello,  iìidx 
index,  mpd  massillipede,  mrct  merocerite,  mrpd  meropodite,  o  occhio, 

propd  propodite,  s  scafocerite. 


114 


G.  PINNA 


Per  quanto  riguarda  Taddome,  gli  esemplari  T  52  e  T  54  ne 
sono  completamente  privi,  T  51,  T  53  e  T  57  si  presentano  ripie¬ 
gati.  Nel  primo  di  questi  il  telson  è  celato  sotto  Tesemplare,  mo¬ 
strando  questo  la  parte  dorsale,  nel  secondo  il  telson  ricopre  in 
parte  il  cefalotorace  ed  è  ben  visibile..  L’esemplare  T  55  è  runico  a 
presentare  Turopode  aperto,  in  questo  si  vede  una  leggera  dieresi 
alFesopodite. 


Descrizione  Olotipo  (Cat.  tipi  n«  T  51)  (Fig.  5C;  tav.  IV,  figg.  1, 
2  ;  tav.  Vili  ;  tav.  IX). 


lunghezza  cefalotorace 
larghezza  cefalotorace 
lunghezza  telson 
larghezza  telson  alla  base 


mm  39,0 
mm  29,0 
mm  13,0 
mm  10,1 


l  pereiopode 

lunghezza  meropodite 
lunghezza  carpopodite 
lunghezza  propodite 
lunghezza  dactyliis 
larghezza  meropodite 
larghezza  carpopodite 
larghezza  propodite 
larghezza  dactylus 


sinistro  destro 


mm 

26,0 

mm 

25,0 

mm 

8,0 

mm 

10,4 

mm 

43,0 

mm 

50,0 

mm 

18,0 

mm 

19,0 

mm 

6,0 

mm 

6,0 

mm 

5,0 

mm 

4,2 

mm 

7,2 

mm 

7,2 

mm 

1,2 

mm 

— 

Cefalotorace  moderatamente  convesso,  meno  appiattito  che 
nelle  altre  specie  del  genere  Coleia,  subrettangolare  con  larghezza 
massima,  misurata  in  corrispondenza  della  regione  mediana  com¬ 
presa  fra  le  incisioni  cervicali  e  branchiali,  minore  della  lunghezza 
antero-posteriore.  Rapporto  semi  larghezza/lunghezza  del  cefalo- 
torace  =  0,36.  Il  cefalotorace  tende  a  restringersi  progressiva¬ 
mente  verso  il  margine  posteriore.  Margine  anteriore  concavo,  in¬ 
teressato  da  due  ampie  incisioni  oculari  semicircolari  limitate  sul 
lato  esterno  dalla  spina  snprantennalis.  Margini  laterali  debol¬ 
mente  convessi,  interessati  dalle  incisioni  cervicale  e  branchiale: 
ampia  ed  aperta  la  prima,  ristretta  ed  acuta  la  seconda.  Margine 
posteriore  concavo.  Non  vi  è  traccia  sull’  impronta  e  sulla  contro- 
impronta  dei  solchi  cervicale  e  branchiale  e  delle  carene  a  causa 
della  non  perfetta  conservazione  deH’esemplare.  L’addome  si  pre- 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC. 


115 


senta  ripiegato  e  la  sua  lunghezza  è  stata  calcolata  a  mm  41  telson 
compreso,  cioè  di  poco  maggiore  della  lunghezza  del  cefalotorace. 
Il  telson  è  ben  visibile:  triangolare  a  base  larga,  presenta  due 
acute  carene  convergenti  verso  Tapice.  L’uropode  non  è  riscon¬ 
trabile. 

La  regione  cefalica  è  molto  ben  conservata,  si  osservano 
gli  occhi  piuttosto  grandi  all’  interno  delle  incisioni  oculari 
della  controimpronta,  il  flagello  biramato  delle  antennule,  le  an¬ 
tenne  nelle  quali  è  discernibile  il  lungo  flagello  segmentato,  il  car- 
pocerite  ed  il  merocerite  arrotondati,  Tesopodite  ovale  e  molto 
ampio  (scafocerite)  e  parte  del  basicerite.  Al  centro,  fra  le  due 
antenne,  sono  a  mala  pena  discernibili  le  estremità  del  terzo  mas- 
sillipede,  costituite  da  due  segmenti  terminali.  Primo  paio  di  pe- 
reiopodi  molto  sviluppato  con  rapporto  carpopodite  propodite  = 
=  0,18  ;  propodite  molto  allungato  con  forti  chele  a  dactylus 
esterno,  dactylus  ed  index  sottili,  allungati  e  ricurvi  ad  uncino 
all’estremità;  carpopodite  triangolare  e  molto  corto,  meropodite 
lungo  più  della  metà  del  propodite.  Sulla  controimpronta  si  notano 
tracce  del  basi-ischiopodite  e  del  coxopodite.  Secondo,  terzo  e 
quarto  paio  di  pereiopodi  estremamente  sottili,  nel  complesso  mal 
conservati,  terminati  da  piccole  chele.  Il  quinto  paio  non  è  con¬ 
servato  affatto. 

Ornamentazione  del  carapace  molto  attenuata,  costituita  da 
una  fine  granulazione  di  cui  si  notano  le  tracce  sui  pereiopodi,  sul 
cefalotorace,  sul  telson  e  sui  segmenti  dell’addome. 

Descrizione  Paratifo  1  (Cat.  tipi  n«  T  52)  (Fig.  5B;  tav.  Ili, 

fig.  1  ;  tav.  X). 

Larghezza  cefalotorace  mm  — 


l  pereiopode 

lunghezza  meropodite 
lunghezza  carpopodite 
lunghezza  propodite 
lunghezza  dactylus 

larghezza  meropodite 
larghezza  carpopodite 
larghezza  propodite 
larghezza  dactylus 


sinistro 

destro 

mm 

23,6 

mm 

20,0 

mm 

6,0 

mm 

7,0 

mm 

39,3 

mm 

40,3 

mm 

17,7 

mm 

19,0 

mm 

6,0 

mm 

6,0 

mm 

4,1 

mm 

4,4 

mm 

7,4 

mm 

6,2 

mm 

1,5 

mm 

1,3 

11(1 


G.  PINNA 


Il  cefalotorace  si  presenta  incompleto  e  molto  schiacciato,  la 
ricostruzione  data  in  fig.  5B  è  stata  infatti  per  buona  parte  in¬ 
terpretata,  su  di  essa  è  stato  misurato  il  rapporto  semi  larghezza/ 
lunghezza  =  0,37.  Margine  anteriore  concavo,  interessato  da  due 
ampie  incisioni  oculari  semicircolari  limitate  esternamente  da 
ambo  i  lati  da  una  forte  spina  suprantennalis.  Margine  laterale 
debolmente  convesso,  interessato  dalle  incisioni  cervicali  più  ri¬ 
strette  che  nelFolotipo  e  dalle  incisioni  branchiali  estremamente 
acute.  Nell’esemplare  in  esame  la  regione  anteriore  risulta  più  al¬ 
lungata  di  quanto  è  stato  osservato  nell’olotipo  a  causa  forse  di 
deformazioni  subite  durante  la  fossilizzazione.  Sul  cefalotorace  non 
vi  è  traccia  dei  solchi  e  delle  carene.  L’addome  non  è  conservato. 

Le  appendici  cefaliche  sono  ben  conservate  e  del  tutto  simili 
a  quelle  osservate  nell’olotipo.  Si  possono  notare  tracce  delle  an¬ 
tennule  biflagellate,  le  antenne  nelle  quali  è  discernibile  il  fla¬ 
gello  segmentato,  il  carpocerite  ed  il  merocerite  arrotondati,  l’eso- 
podite  molto  ampio  ed  ovale  (scafocerite),  parte  del  basicerite  e 
dell’  ischiocerite.  Sono  presenti  al  centro  i  due  segmenti  terminali 
del  terzo  massillipede.  Primo  paio  di  periopodi  molto  simili  a 
quelli  osservati  nell’olotipo  con  rapporto  carpopodite/propodite  = 
=  0,15  ;  propodite  esternamente  allungato,  carpopodite  corto  e 
triangolare,  meropodite  lungo  più  della  metà  del  propodite  che 
presenta  dactylus  esterno,  dactylus  ed  index  allungati,  ristretti 
e  curvi  ad  uncino  all’estremità. 

Ornamentazione  identica  a  quella  dell’olotipo:  di  essa  restano 
poche  tracce  sul  primo  paio  di  pereiopodi  e  nella  regione  laterale 
del  cefalotorace. 

Descrizione  Paratifo  2  (Cat.  tipi  n^-*  T  53)  (Tav.  5A;  tav.  V, 
fig.  2  ;  tav.  XI  ;  tav.  XII). 

lunghezza  cefalotorace  mm  39,5 
larghezza  cefalotorace  mm  25,0 


I  pereiopode 

lunghezza  meropodite 
lunghezza  carpopodite 
lunghezza  propodite 
lunghezza  dactylus 


sinistro 

mm  22,0 
mm  7,3 
mm  36,0 
mm  18,0 


destro 

mm  23,0 
mm  7,0 
mm  — 
mm  — 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC. 


1  1  7 


larghezza  meropodite 
larghezza  carpopodite 
larghezza  propodite 
larghezza  dactylus 


mm 

5,2 

mm 

5,7 

mm 

4,4 

mm 

— 

mm 

6,0 

mm 

— 

mm 

— 

mm 

— 

Cefalotorace  più  allungato  che  nei  tipi  precedenti,  a  margine 
anteriore  non  discernibile,  con  rapporto  semi  larghezza/lun¬ 
ghezza  =  0,32.  Margini  laterali  moderatamente  convessi,  inte¬ 
ressati  dalla  incisione  cervicale  di  forma  analoga  a  quella  osser¬ 
vata  nelFolotipo  e  dalla  incisione  branchiale  moderatamente  meno 
acuta  e  profonda.  Il  margine  laterale  su  ambo  i  lati  della  regione 
anteriore  porta  diverse  spine.  Margine  posteriore  concavo.  Anche 
in  questo  esemplare  lo  schiacciamento  subito  non  permette  di  os¬ 
servare  la  presenza  dei  solchi  e  delle  carene  sul  cefalotorace.  L’ad¬ 
dome  è  ripiegato  ma  frammentario  ed  in  esso  non  sono  conser¬ 
vati  gli  uropodi. 

Sono  presenti  gli  occhi  di  forma  non  identificabile  ma  piut¬ 
tosto  grandi.  L’ esemplare  mostra  inoltre  la  migliore  conserva¬ 
zione  delle  appendici  cefaliche.  Le  antennule,  molto  ben  con¬ 
servate,  sono  composte  dal  doppio  flagello  segmentato  e  dal  primo 
segmento.  Le  antenne  mostrano  il  flagello  segmentato,  il  carpo- 
cerite  ed  il  merocerite  arrotondati,  parte  dell’  ischiocerite,  l’esopo- 
dite  ovale  e  molto  allargato  (scafocerite)  e  parte  del  basicerite.  Al 
centro  sono  presenti  due  segmenti  terminali  del  terzo  paio  di  mas- 
sillipedi.  Il  primo  paio  di  pereiopodi  corrisponde  bene  a  quello  os¬ 
servato  nell’olotipo  con  un  rapporto  carpopodite /propodite  =  0,15; 
propodite  molto  allungato  a  dactylus  esterno,  carpopodite  trian¬ 
golare  molto  corto  e  meropodite  allungato  ed  appena  leggermente 
ricurvo.  Sul  lato  sinistro  sono  presenti  frammenti  del  secondo, 
terzo,  quarto  e  quinto  paio  di  pereiopodi  ;  sul  lato  destro  si  hanno 
frammenti  del  secondo,  terzo  e  quarto. 

Tracce  dell’ornamentazione,  del  tutto  analoga  a  quella  pre¬ 
sente  nei  due  tipi  precedenti,  si  notano  ai  margini  del  cefalotorace. 

Descrizione  Paratifo  3  (Cat.  tipi  n^"  T  54)  (Tav.  V,  fig.  1). 

Lunghezza  cefalotorace  mm  37 


I  pereiopode  sinistro  destro 

lunghezza  meropodite  mm  22,0  mm  21,0 

lunghezza  carpopodite  mm  8,0  mm  7,3 


118 


G.  PINNA 


lunghezza  propodite 

mm 

— 

mm 

— 

lunghezza  dactylus 

mm 

— 

mm 

— 

larghezza  meropodite 

mm 

6,0 

mm 

6,0 

larghezza  carpopodite 

mm 

4,3 

mm 

4,4 

larghezza  propodite 

mm 

6,1 

mm 

— 

larghezza  dactylus 

mm 

— 

mm 

— 

Il  paratipo  in  esame  si  presenta,  sebbene  frammentario,  in 
migliori  condizioni  di  conservazione:  su  di  esso  è  possibile  lo 
studio  dei  solchi  e  delle  carene  del  cefalotorace  la  cui  forma  non 
è  tuttavia  ricostruibile. 

E’  presente  suiresemplare  un  solco  cervicale  ampio  e  profondo 
le  cui  estremità  sembrano  curvare  all’  indietro  in  prossimità  dei 
margini  laterali,  esso  si  inflette  leggermente  in  prossimità  della 
linea  mediana  del  cefalotorace  prima  di  formare  un  ampio  angolo 
ottuso.  I  due  semi-solchi  branchiali,  più  attenuati,  sono  paralleli 
al  primo  nel  tratto  fra  il  margine  e  le  carene  laterali  ove  curvano 
all’  indietro  divenendo  evanescenti  fino  a  sparire. 

Carena  mediana  sottile,  ben  rilevata  nel  tratto  fra  il  margine 
posteriore  ed  il  solco  cervicale,  ornata  da  una  serie  di  tubercoli. 
Carene  medio-laterali  convergenti  verso  la  mediana  nel  tratto  fra 
il  margine  posteriore  ed  il  solco  cervicale.  Esse  sembrano  prose¬ 
guire  sul  cefalon  fin  quasi  a  raggiungere  il  margine  delle  inci¬ 
sioni  oculari  (cerene  gastro-orbitali  di  Van  Straelen). 

L’ornamentazione  molto  attenuata  ed  uniforme  corrisponde 
a  quella  riscontrata  sui  tipi  precedenti  :  essa  è  costituita  da  una 
fine  granulazione  omogeneamente  diffusa  su  tutta  la  superficie 
del  cefalotorace,  sul  primo  paio  di  pereiopodi  e  sul  frammento  di 
addome  presente. 

L’esemplare  conserva  ancora  gli  occhi  nella  posizione  origi¬ 
nale,  due  segmenti  terminali  delle  antennule  con  traccia  dei  fla¬ 
gelli  e  gli  scafoceriti  delle  antenne.  I  primi  pereiopodi  sono  fram¬ 
mentari;  il  sinistro  presenta  parte  del  dactylus  ed  index  aspor¬ 
tati  ma  conserva  la  forma  tipica  del  propodite.  Su  ambedue  sono 
conservati  il  corto  e  triangolare  carpopodite  ed  il  meropodite  che 
sul  pereiopode  destro  porta  numerose  piccole  spine  marginali. 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC. 


Ili) 


Descrizione  Paratifo  4  (Cat.  tipi  T  55)  (Fig.  7;  tav.  VII, 
figg.  1,  2). 

lunghezza  cefalotorace  mm  35,3 

lunghezza  addome  (esci,  telson)  mm  29,0 


I  pereiopode 


sinistro 


destro 


lunghezza  meropodite 
lunghezza  carpopodite 
lunghezza  propodite 
lunghezza  clactylus 

larghezza  meropodite 
larghezza  carpopodite 
larghezza  propodite 
larghezza  dactyhis 


mm 

22,0 

mm 

— 

mm 

6,3 

mm 

— 

mm 

— 

mm 

37,0 

mm 

— 

mm 

16,2 

mm 

5,0 

mm 

5,0 

mm 

4,5 

mm 

— 

mm 

5,2 

mm 

— 

mm 

— 

mm 

1,5 

Il  tipo  si  presenta  in  cattivo  stato  di  conservazione.  Il  cefalo- 
torace  è  molto  incompleto  e  schiacciato,  i  margini  non  sono  defi¬ 
nibili.  Su  di  esso  si  possono  notare  abbastanza  chiaramente  il  solco 
cervicale  profondo  e  la  carena  mediana  acuta  e  rilevata.  L’addome 
è  completamente  asportato,  si  conserva  solo  la  sua  impronta,  su 


Fig.  7.  —  Coleia  viallii  n.  sp.,  uropode  del  paratipo  4,  es.  n°  T  55. 
dier  dieresi,  end  endopodite,  es  esopodite,  pt  protopodite,  te  telson. 


120 


G.  PINNA 


cui  è  stata  effettuata  la  misurazione,  e  Turopode  sinistro  aperto 
parzialmente,  resopodite  porta  una  leggera  dieresi  (fig.  7  ;  tav.  VII, 
fig.  2). 

Il  primo  pereiopode  presenta  rapporto  carpopodite/propo- 
dite  =  0,16,  propodite  allungato  a  dactylus  esterno,  dactylm  ed 
index  sottili,  allungati  e  ricurvi  ad  uncino  airestremità,  carpopo- 
dite  corto  e  triangolare,  meropodite  lungo  più  della  metà  del  pro¬ 
podite. 

Ho  classificato  Tesemplare  nella  nuova  specie  in  base  alFunico 
carattere  del  primo  paio  di  pereiopodi  del  tutto  simili  a  quelli  del- 
rolotipo  e  dei  paratipi  descritti  in  precedenza.  La  nuova  specie  ri¬ 
sulta  quindi,  in  base  a  questo  esemplare,  possedere  una  dieresi  che 
mi  permette  la  sua  attribuzione  al  genere  Coleia. 

Descrizione  Paratifo  5  (Cat.  tipi  n*^  T  57)  (Tav.  VI). 

lunghezza  cefalotorace  mm  42,3 
larghezza  cefalotorace  mm  30,4 


I  pereiopode 


sinistro 


destro 


lunghezza  meropodite 
lunghezza  carpopodite 
lunghezza  propodite 
lunghezza  dactylus 

larghezza  meropodite 
larghezza  carpopodite 
larghezza  propodite 
larghezza  dactylus 


mm 

37,0 

mm 

38,0 

mm 

— 

mm 

10,0 

mm 

— 

mm 

55,3 

mm 

— 

mm 

23,2 

mm 

6,0 

mm 

5,4 

mm 

— 

mm 

5,0 

mm 

— 

mm 

5,0 

mm 

— 

mm 

2,0 

Il  paratipo  presenta  caratteristiche  analoghe  ai  tipi  s.  1.  prece¬ 
denti:  medesimo  rapporto  semi  larghezza/lunghezza  =  0,36  del 
cefalotorace,  medesima  disposizione  e  forma  degli  occhi  e  delle 
appendici  cefaliche.  Il  prim.o  paio  di  pereiopodi  si  presenta  allun¬ 
gato  con  un  rapporto  carpopodite /propodite  =  0,14  e  meropodite 
lungo  più  della  metà  del  propodite  ;  è  visibile  anche  parte  del- 
V  ischiopodite.  Il  telson  è  ripiegato. 

Osservazioni.  -  La  nuova  specie,  di  cui  è  data  una  ricostru¬ 
zione  a  fig.  8  effettuata  sui  sei  esemplari  descritti  in  precedenza. 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC.  ]‘_|1 

presenta  come  caratteristiche  principali  il  cefalotorace  più  allun¬ 
gato  in  senso  antero-posteriore  delle  altre  specie  del  genere  Coleia. 
Come  si  può  osservare  infatti  dalla  tabella  riportata  il  rapporto 


Fi^.  8.  —  Ricostruzione  parziale  di  Coleia  viallii  n,  sp. 

(Disegno  di  A,  Fedini) 


semi-larghezza/lunghezza  del  cefalotorace  oscilla  da  un  massimo 
di  0,36  ad  un  minimo  di  0,32,  mentre  i  valori  offerti  dalle  altre 
specie  risultano  sensibilmente  più  alti.  Altro  carattere  distintivo 
risulta  la  forma  del  primo  paio  di  pereiopodi  estremamente  allun¬ 
gati  con  un  carpopodite  molto  ridotto.  Il  rapporto  carpopodite/ 
propodite  risulta  infatti  oscillare  da  0,15  a  0,18  mentre  nelle  altre 
specie  del  genere  Coleia  risulta  non  inferiore  a  0,22. 


122 


G.  PINNA 


Sulla  tabella  sono  perciò  riportati  per  confronto  i  rapporti 
misurati  sugli  olotipi  di  altre  specie  liassiche. 


Specie  0  esemplare 

semi-larghezza/lunghezza 

carpopodite/propodite 

Olotipo  (n°  T  51) 

0,36 

0,18 

Paratipo  1  (n°  T  52) 

0,37 

0,15 

Paratico  2  (n°  T  53) 

0,32 

0,15 

Paratipo  4  (n°  T  55) 

— 

0,16 

C.  tenuichelis 

0,55 

0,25 

C.  antiqua 

0,44-0,48 

0,22-0,25 

C.  brodiei 

0,46 

0,30 

C.  crassichelis 

0,43 

0,28 

Gli  occhi  sono  conservati  in  quasi  tutti  gli  esemplari  presen¬ 
tandosi  di  dimensioni  maggiori  di  quelli  figurati  da  WOODS  in 
Coleia  antiqua  (tav.  2,  fig.  4  e  tav.  3,  fig.  4).  Per  quanto  riguarda 
le  appendici  cefaliche  (fig.  6),  le  antenne  sono  sempre  conservate 
e  presentano  il  flagello  segmentato  per  lo  più  incompleto  così  che 
è  difficile  stabilirne  la  lunghezza,  che  doveva  tuttavia  essere  no¬ 
tevole.  Il  carpocerite  ed  il  merocerite  sono  arrotondati  ed  analo¬ 
ghi  a  quelli  figurati  da  WoODS  a  tav.  3,  fig.  2b  sempre  per  Coleia 
antiqua,  sebbene  il  carpocerite  dei  miei  esemplari  presenti  una 
protuberanza  anteriore  sul  lato  sinistro.  Lo  scafocerite  appare 
nella  mia  specie  analogo  per  forma  e  dimensioni  a  quello  di  Coleia 
antiqua  (WoODS  tav.  2,  fig.  3  e  tav.  3,  figg.  2,  3,  4)  e  su  di  esso  è 
possibile  osservare  una  leggera  carena  mediana.  Sia  le  antenne  sia 
le  antennule  non  sembrano  essere  state  spostate  durante  la  fos¬ 
silizzazione.  Negli  esemplari  sono  quasi  sempre  visibili  i  doppi  fla¬ 
gelli  delle  antennule  e  solo  in  un  caso  i  primi  segmenti.  Del  terzo 
paio  di  massillipedi  sono  visibili  solo  due  segmenti  terminali,  an- 
ch’essi  assai  simili  a  quelli  riportati  da  WooDS  in  Coleia  antiqua 
(tav.  3,  fig.  4). 

La  specie  è  dunque  molto  simile,  per  quanto  riguarda  le  ap¬ 
pendici  cefaliche,  a  Coleia  antiqua  Broderip,  1835  dalla  quale  però 
si  distingue  soprattutto  per  il  cefalotorace  più  allungato  con  i 
margini  laterali  della  regione  anteriore  meno  espansi  in  senso  tra¬ 
sversale,  la  diversa  forma  dei  pereiopodi  e  l’addome  più  ristretto. 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC. 


Coleia  mediterranea  n.  sp. 

(Figg.  9,  10;  tav.  XIII,  tav.  XIV,  tav.  XV,  tav.  XVI) 

Ascrivo  alla  nuova  specie  un  solo  esemplare  schiacciato  e 
deformato,  del  quale  posseggo  impronta  e  controimpronta.  L’ im¬ 
pronta  viene  conservata  nella  Collezione  del  Museo  Civico  di  Storia 
Naturale  di  Milano  (Cat.  tipi  m  T  56),  la  controimpronta  fa  in¬ 
vece  parte  della  collezione  privata  del  Sig.  Pio  Mariani. 

L’esemplare  si  presenta  molto  schiacciato  e  deformato  e  non 
è  quindi  possibile  osservarne  l’ intera  struttura.  Il  cefalotorace 
è  conservato  nella  quasi  totalità  permettendo  un’accurata  ricostru¬ 
zione  dei  margini  laterali  e  del  posteriore,  delle  incisioni  cervicale 


doti 


propd 


Fig..  9.  —  Ricostruzione  dell’addome  e  dei  pereiopodi  di  Coleia  medi- 
terranea  n.  sp.  (  X  lj5).  Le  parti  tratteggiate  sono  state  interpretate. 
crppd  carpopodite,  dctl  dactylus,  òidx  index,  mrpd  meropodite,  o  oc¬ 
chio,  propd  propodite,  sh  solco  branchiale,  se  solco  cervicale. 


G.  PINNA 


e  branchiale,  dei  solchi  e  delle  carene.  Il  margine  anteriore  non  è 
ben  definibile.  Il  cefalofi,  piuttosto  compresso,  mostra  sulla  con¬ 
tro-impronta  la  posizione  degli  occhi  ancora  ben  conservati  e  la 
forma  delle  incisioni  oculari  mentre  le  appendici  cefaliche  sono 
completamente  distrutte  ad  eccezione  degli  esopoditi  delle  antenne. 
Su  ambo  i  lati  sono  presenti,  quasi  complete,  le  cinque  paia  di  pe- 
reiopodi,  dei  quali  è  possibile  ricostruire  la  struttura.  Il  primo 
pereiopode  destro  risulta  staccato  dal  corpo. 

L’addome  è  nell’  insieme  mal  conservato,  i  segmenti  dell’ad¬ 
dome  non  sono  ben  definiti  ed  in  parte  incompleti,  gli  uropodi 
non  sono  osservabili. 


Dimensioni  : 

lunghezza  totale 
lunghezza  cefalotorace 
lunghezza  addome 
lunghezza  telson 
larghezza  cefalotorace 


mm  72,0 
mm  35,0 
mm  23,0 
mm  14,0 
mm  35,0 


I  pereiopode 

lunghezza  meropodite 
lunghezza  carpopodite 
lunghezza  propodite 
lunghezza  dactylus 

larghezza  meropodite 
larghezza  carpopodite 
larghezza  propodite 
larghezza  dactylus 


sinistro  destro 


mm 

— 

mm 

26,0 

mm 

14,0 

mm 

14,0 

mm 

35,0 

mm 

35,0 

mm 

12,0 

mm 

— 

mm 

— ^ 

mm 

4,0 

mm 

3,0 

mm 

4,0 

mm 

4,0 

mm 

4,0 

mm 

1,0 

mm 

— 

II  pereiopode 


destro 


lunghezza  carpopodite 

mm 

6,0 

lunghezza  propodite 

mm 

12,0 

lunghezza  dactylus 

mm 

4,0 

larghezza  carpopodite 

mm 

2,0 

larghezza  propodite 

mm 

2,0 

larghezza  dactylus 

mm 

— 

PINNA  G 


Atti  Soc.It.Sc.Nat.  e  Museo  Civ.St.Nat.Milano,  Voi.  CVII, 


Tav.  II 


Fig.  1.  —  Pacìiypteris  sp. 


Fig.  2 


Coroniceras  bisulcatiun  (Brug’.).  Calco  dell’impronta  (grandezza  naturale) 


PINNA  G 


Atti  Soc.It.Sc.Nat.  e  Museo  Civ.St. Nat. Milano,  Voi.  CVII, 


Tav.  I 


Fig-.  1  (a  sinistra).  —  Coleia  viallii 
n.  sp.  Paratipo  1,  es.  n°  T  52  (  X  1,5). 

Fig.  2  (sotto,  a  sinistra).  ■ —  Coleia 
(  ?)  n.  sp.  (?),  es.  n°  T  50,  impronta 
(X  3). 

Fig.  3  (sotto,  a  destra).  —  Coleia  {‘ì) 
n.  sp.  (?),  es.  n°  T  50,  controimpronta 
(X  3). 


INNA  G 


Atti  Soc. It. Se. Nat.  e  Museo  Civ.St. Nat. Milano,  Voi.  CVII,  Tav.  IV 


Fig.  1.  —  C  oleici  viali  a 
n.  sp  Olotipo,  es.  n°  T  51, 
impronta  (X  1,5). 


Fig.  2.  —  Coleia  viallii 
n.  sp.  Olotipo,  es.  n°  T  51, 
2ontroimpronta  (  X  1,5). 


PINNA  G 


Atti  Soc.It.ScoNat.  e  Museo  Civ.St. Nat. Milano,  Voi.  CVII,  Tav 


Fig*.  1.  —  Coleia  viallii  n.  sp.  Para- 
tipo  3,  es.  n°  T  54  (X  1). 


Fig.  2.  —  Coleia  vial- 
ìii  n.  sp.  Paratipo  2, 
es.  n°  T  53  (X  1,5). 


NNA  G. 


Atti  Soc. It. Se. Nat.  e  Museo  Civ.St. Nat. Milano,  Voi.  CVII,  Tav.  VI 


Fig-.  1. 


Coleia  viciUii  n.  sp.  Paratipo  5,  es.  n°  T  57 


(X  1). 


PINNA  G. 


Atti  Soc.It.ScoNat.  e  Museo  Civ.St. Nat. Milano,  Voi.  CVII,  Tav.  VI 


Fig’.  1.  —  Coleia  viciUii  n.  sp.  Parati- 
po  4,  es.  n°  T  55  (  X  1,5). 


Fig.  2.  —  Coleia  vialìii  n.  sp.  Parati- 
po  4,  es.  n°  T  55.  Particolare  dell’uro- 
pode  con  dieresi  alPesopodite  parzial¬ 
mente  visibile  (  X  3,5). 


INNA  G. 


Atti  Soc. It. Se, Nat.  e  Museo  Civ.St. Nat. Milano,  Voi.  CVII, 


Tav.  viti 


Figg.  1,  2.  —  Coleia  vial- 
lii  n.  sp.  Olotipo,  es. 
11°  T  51,  controimpronta 
(  X  5).  Particolare  del 
margine  anteriore  con 
appendici  cefaliche,  ant 
antenna,  antll  antennula, 
has  basipodite,  erpet  car- 
pocerite,  /  flagello,  mret 
nierocerite.  III  mpd  terzo 
massillipede,  o  occhio,  s 
scafocerite. 


PINNA  G 


Atti  Soc.It.Sc.Nat.  e  Museo  Civ.St.Nat. Milano,  Voi.  CVII,  Tav.  IX 


crpct 
mrct 


bas 


Fig.  1,  2.  —  Coleia  vialìii 
n.  sp.  Olotipo,  es.  n°  T  51, 
impronta  (  X  5).  Partico¬ 
lare  del  margine  anterio¬ 
re  con  appendici  cefali¬ 
che.  Per  i  simboli  vedi 
tav.  Vili. 


■'INNA  G. 

I 


Fig.  1,  2.  —  Coleia  vial- 
\  Hi  n.  sp.  Paratipo  1,  es. 
n°  T  52  (X  4,5).  Partico¬ 
lare  del  margine  ante¬ 
riore  con  appendici  cefa¬ 
liche.  Per  i  simboli  vedi 
tav.  Vili. 


Atti  Soc. It. Se, Nat.  e  Museo  Civ.St. Nat. Milano,  Voi.  CVII,  Tav.  X 


PINNA  G. 


Atti  Soc.It.Sc.Nat.  e  Museo  Civ.St. Nat. Milano,  Voi.  CYII,  Tav.  XI 


Fig.  1.  —  Coleia  vialìii  n.  sp.  Paratipo  2,  es.  n°  T  53  (  X  4,5).  Par¬ 
ticolare  del  margine  anteriore  con  appendici  cefaliche. 


>INNA  G. 


Atti  Soc.lt.Sc.Nat.  e  Museo  Civ.St. Nat. Milano,  Voi.  CVII,  Tav.  XII 


Fig.  1.  —  Coleia  viallii  n.  sp.  Paratipo  2,  es.  n°  T  53  (  X  4,5).  Di¬ 
segno  delle  appendici  cefaliche..  Per  i  simboli  vedi  tav.  Vili. 


PINNA  G 


Atti  Soc. It. Se. Nat.  e  Museo  Civ.St. Nat. Milano,  Voi.  CVII,  Tav.  XIII 


Fig’.  1.  —  Coleia  mediterranea  n.  sp.  Olotipo,  es.  n" 

Particolare  del  cefalon. 


T  56,  impronta  (  X  3,5). 


Fig.  2 


Coleia  mediterranea  n.  sp.  Olotipo,  collezione  Pio  Mariani,  contro 
impronta  (  X  3,5).  Particolare  del  cefalon. 


nNNA  G. 


Atti  Soc. It.Sc.Nat.  e  Museo  Civ.St. Nat. Milano,  Voi.  CVII,  Tav.  XIV 


Fig’.  1.  —  Coleia  mcdife'ì'ranca 
n.  sp.  Olotipo,  es  n°  T  56,  im¬ 
pronta  (  X  4).  Particolare  del 
margine  laterale  destro  con  il 
II  pereiopode. 


Fig.  2.  —  Coleia  medi¬ 
terranea  n.  sp.  Olotipo, 
collezione  Pio  Mariani, 
controimpronta  (  X  4). 
Particolare  della  parte 
terminale  dell’addome  su 
cui  è  conservato  il  fram¬ 
mento  di  uno  dei  pleo- 
podi  (plt). 


PINNA  G. 


Atti  Soc. It. Se. Nat.  e  Museo  Civ.St.Nat.Milano,  Voi,  CVII,  Tav.  XV 


Fig’.  1.  —  Coìeia  mediterranea  n,  sp.  Olotipo,  es.  n°  T  56,  impronta 

(X  1,5). 


PINNA  G 


Atti  Soc. It. Se  Nat.  e  Museo  Civ.St. Nat. Milano,  Voi.  CVII,  Tav.  XVI 


Fig.  1 


Coleia  mediterì'anea  n.  sp. 

controimpronta 


Olotipo,  collezione  Pio  Mariani 
(X  1,5). 


? 


1 


PINNA  G. 


Atti  Soc. It. Se. Nat.  e  Museo  Civ.St. Nat. Milano,  Voi.  CVII, 


Tav.  XVI 


Fio-.  1.  — 
Es.  n°  I  91, 


Coleia  ef.  antiqua 
impronta  (  X  1,5). 


Broderip. 


Fig’.  2.  —  Coleia  cf.  antiqua. 
Es.  n°  I  91,  controimpronta  (  X 


Broderip. 

1,5). 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC.  11>5 

Descrizione.  -  Cefalotorace  compresso,  subquadrangolare  con 
larghezza  massima  uguale  alla  lunghezza.  Margine  anteriore  non 
perfettamente  discernibile  a  causa  dello  schiacciamento  subito  du¬ 
rante  la  fossilizzazione  :  si  notano  sulla  controimpronta  (Tav.  XVI, 
fig.  1)  le  due  incisioni  oculari  parzialmente  conservate  con  gli 
occhi  ancora  in  posto.  Margini  laterali  convessi,  interessati  dalle 
profonde  incisioni  cervicale  e  branchiale  che  dividono  il  cefalo- 
torace  in  tre  regioni.  L’ incisione  cervicale  (fig.  9)  è  lunga,  pro¬ 
fonda  ed  acuta,  V  incisione  branchiale,  posta  posteriormente  alla 
prima,  risulta  più  ampia  ed  arrotondata.  Tutto  il  margine  late¬ 
rale  è  interessato  da  spine  rivolte  verso  la  parte  anteriore  del- 
Fanimale  :  ne  sono  state  osservate  tre  principali  fra  V  incisione 
oculare  e  la  cervicale,  visibili  solo  sul  margine  sinistro  della  con¬ 
troimpronta  ;  altre  tre  sono  visibili  fra  l’ incisione  cervicale  e 
branchiale  su  ambo  i  lati;  numerose  altre  interessano  la  regione 
posteriore  dei  margini  laterali.  Margine  posteriore  del  cefaloto¬ 
race  largo  e  debolmente  concavo  nella  sua  paide  mediana,  arro¬ 
tondato  ai  margini  ove  sono  ben  sviluppate  numerose  spine. 

Solchi  cervicale  e  branchiale  poco  marcati.  Il  solco  cervicale 
è  poco  profondo,  sviluppato  tra  le  incisioni  cervicali  del  cefalo- 
torace  da  ambo  i  lati,  convesso  e  nel  suo  insieme  formante  un 
angolo  ottuso  nella  regione  mediana.  Il  solco  branchiale  è  ancor 
più  attenuato,  unico,  non  unito  al  cervicale.  Una  carena  mediana 
è  presente  fra  il  margine  posteriore  del  cefalotorace  ed  il  solco 
cervicale,  essa  sembra  continuare  sul  cefalon  ove  è  appena  accen¬ 
nata  ;  le  carene  medio-laterali  sembrano  assolutamente  mancare. 
Sulle  regioni  laterali  del  cefalotorace,  da  ambo  i  lati,  sono  pre¬ 
senti  due  sottili  incisioni  rettilinee,  sviluppate  dal  solco  branchiale 
al  margine  posteriore  del  cefalotorace  (non  riportate  nella  rico¬ 
struzione). 

Tutto  il  cefalotorace  è  interessato  da  una  fine  ornamenta¬ 
zione  costituita  da  una  fitta  granulazione,  costante  su  tutta  la 
superficie,  sulla  quale  si  inseriscono  radi  tubercoli,  sviluppati 
principalmente  sulle  regioni  laterali. 

Addome  formato  da  sei  segmenti  lunghi  e  stretti,  ornamen¬ 
tati  ciascuno  da  due  fossette  laterali.  Telson  appuntito,  a  base 
larga,  sul  quale  si  osserva  un  leggero  rigonfiamento  mediano. 
Uropodi  non  visibili. 


9 


126 


G.  PINNA 


Appendici  cefaliche  quasi  completamente  asportate  :  è  pos¬ 
sibile  osservare  sull’  impronta  il  carpocerite  ed  il  merocerite  del¬ 
l’antenna  sinistra  (molto  problematico)  e  la  presenza  dello  scafo- 
cerite,  ampio  ed  ovale,  caratteristico.  Il  flagello  delle  antenne  ed 
antennule  non  è  visibile. 

Gli  occhi,  perfettamente  conservati  sulla  controimpronta, 
sono  spostati  lateralmente  ed  alloggiati  nelle  incisioni  oculari  che 
hanno  forma  arrotondata. 

Prime  quattro  paia  di  pereiopodi  provviste  di  chele,  quinto 
paio  probabilmente  a  dattilopodite  terminale. 

Primo  pereiopode  sottile,  più  lungo  dell’  intero  animale,  rag¬ 
giunge  la  lunghezza  (meropodite-carpopodite-propodite)  di  mm  75  : 
propodite  molto  sviluppato,  lungo  e  stretto,  terminato  da  forti 
chele  a  dactylus  esterno,  dactylus  ed  index  lunghi  e  leggermente 
ricurvi  aH’estremità.  Carpopodite  allungato  in  modo  caratteristico 
con  massimo  spessore  all’articolazione  con  il  propodite.  Meropo- 
dite  molto  lungo  e  leggermente  ricurvo. 

Secondo  pereiopode  (Tav.  XIV,  fig.  1)  con  propodite  netta¬ 
mente  ricurvo  e  forte  chela  a  dactylus  esterno,  più  corto  ed  in¬ 
grossato  di  quello  del  primo  periopode. 

Tutti  i  periopodi  sono  coperti  da  una  fine  granulazione,  sui 
margini  sono  spesso  presenti  piccole  spine. 

Sulla  controimpronta  sono  conservate  scarse  tracce  dei  pleo- 
podi  (Tav.  XIV,  fig.  2). 

Osservazioni.  -  La  nuova  specie  presenta  come  caratteri¬ 
stiche  principali  di  differenziazione  rispetto  ai  tipi  già  noti  la 
forma  del  cefalotorace  di  lunghezza  uguale  alla  larghezza,  il  solco 
branchiale  unico  e  non  unito  al  solco  cervicale,  la  presenza  di  una 
debole  carena  mediana  e  l’assenza  delle  carene  laterali.  Queste 
ultime  infatti  sembrano  totalmente  mancare  sia  nel  tratto  fra  il 
margine  posteriore  ed  il  solco  cervicale,  sia  sul  cefaloìi  ove  sono 
invece  presenti  su  altre  specie  quali  Coleia  hrodiei  e  Coleia  an¬ 
tiqua,  ove  sono  meno  accentuate.  Non  è  tuttavia  da  escludere  che 
esistesse  almeno  un  accenno  di  tali  carene  laterali,  considerate 
caratteristiche  del  genere  Coleia,  che  potrebbero  essere  del  tutto 
scomparse  per  lo  schiacciamento  subito.  Nel  dubbio  esse  non  sono 
state  riportate  sulla  ricostruzione.  Caratteristico  della  nuova  spe- 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC. 


\21 


de  è  inoltre  lo  sviluppo  del  primo  paio  di  pereiopodi,  estrema- 
mente  sottili  ed  allungati  con  carpopodite  molto  più  lungo  che 
nelle  altre  specie  note. 


Fig.  10.  —  Ricostruzione  parziale  di  Coleia  mediterranea  n.  sp. 

(Disegno  di  A,  Pedini) 


Coleia  mediterranea  è  stata  ascritta  a  questo  genere,  sebbene 
non  sia  possibile  osservare  la  presenza  di  una  dieresi,  in  base  alla 
forma  del  cefalotorace,  la  presenza  e  la  forma  delle  incisioni 
laterali  e  dei  solchi  cervicale  e  branchiale,  la  forma  dei  pereiopodi 
e  la  presenza  di  scafoceriti  caratteristici. 


128 


G.  PINNA 


Essa  si  differenzia  da  Coleia  antiqua,  che  risulta  la  specie 
più  vicina,  per  la  forma  meno  allungata  del  cefalotorace,  per  la 
presunta  assenza  delle  carene  laterali,  per  la  presenza  di  un  solco 
branchiale  unico  e  per  la  forma  del  primo  pereiopode  a  carpo- 
podite  molto  allungato. 


Coleia  cf.  antiqua  Broderip,  1835 
(Tav.  XVII,  figg.  1,  2) 


1835  -  Coleia  antiqua.  Broderip,  p.  201. 

1837  -  Coleia  antiqua  Broderip,  p.  172,  t.  12,  f.  1,  2. 

1862  -  Eryon  antiquus  Eroder.,  sp.  Oppel,  p.  11. 

1866  -  Eryon  antiquus  Broderip.  Woodward,  p.  495. 

1877  -  Eryon  {Coleia)  antiquus?  Broderip.  Woodward,  p.  10. 

1888  -  Eryon  antiquus  Broderip,  sp.  Woodward,  p.  433,  t.  12. 

1924  -  Coleia  antiqua  Broderip,  1835.  Van  Straelen,  p.  138. 

1925  -  Coleia  antiqua  Broderip.  Woods,  p.  13,  t.  2,  f.  3,  4;  t.  3,  f.  2,  3,  4. 

Confronto  con  la  specie  di  Broderip  un  solo  esemplare,  di  cui 
posseggo  impronta  e  controimpronta,  conservato  al  Museo  Civico 
di  Storia  Naturale  di  Milano  con  il  numero  di  Catalogo  I  91. 

Si  tratta  di  un  esemplare  in  pessimo  stato  di  conservazione  : 
il  cefalotorace  è  estremamente  schiacciato  a  margini  laterali  con¬ 
fusi  e  margine  anteriore  completamente  obliterato.  L’addom.e  è  in 
buono  stato  di  conservazione.  Delle  appendici  sono  visibili  gli  sca- 
foceriti  delle  antenne,  il  primo  paio  di  pereiopodi  e  scarse  tracce 
indistinte  degli  altri. 

Dimensioni  : 


lunghezza  cefalotorace  mm  40,0 

larghezza  cefalotorace  mm  33,0 

lunghezza  addome  mm  39,0 


I  pereiopode 


sinistro 


destro 


lunghezza  meropodite  mm  — 

lunghezza  carpopodite  mm  — 

lunghezza  propodite  mm  — 

lunghezza  dactylus  mm  13,0 


mm  13,0 
mm  8,0 
mm  27,0 
mm  12,2 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC. 


129 


Ho  confrontato  l’esemplare  con  Coleia  antiqua  in  base  alla 
forma  del  cefalotorace  che  presenta  un  rapporto  semi-larghezza/ 
lunghezza  =  0,44  che  rientra  nei  limiti  di  variabilità  della  specie 
di  Broderip,  nella  quale  tale  rapporto  varia  da  0,44  a  0,48.  Il  cefa¬ 
lotorace  appare  grossolanamente  sub-rettangolare  mentre  non  è 
possibile  osservare  le  incisioni  laterali,  i  solchi  e  le  carene. 

Addome  composto  da  sei  segmenti  di  larghezza  decrescente 
verso  la  parte  posteriore,  interessati  nella  loro  parte  mediana  da 
un  solco  trasversale  che  li  incide  da  un  margine  all’altro  con  anda¬ 
mento  convesso  verso  la  parte  anteriore.  Telson  triangolare  allun¬ 
gato.  Uropodi  non  visibili. 

Ad  un  forte  ingrandimento  è  possibile  osservare  sul  margine 
anteriore  gli  scafoceriti  ornamentati  da  una  fine  granulazione, 
e  ben  sviluppati.  Primo  paio  di  pereiopodi  con  propodite  allun¬ 
gato  a  dactylus  esterno,  ricurvo  ad  uncino  all’estremità,  e  più 
lungo  dell’  index  che  si  presenta  con  una  curvatura  meno  accen¬ 
tuata  e  più  appuntito  ;  carpopodite  di  media  lunghezza  e  meropo- 
dite  piuttosto  corto.  Il  rapporto  carpopodite/propodite  =  0,29  è 
leggermente  superiore  a  quello  di  C.  antiqua  che  oscilla  fra  0,22 
e  0,25. 

Ornamentazione,  visibile  solo  sui  segmenti  dell’addome,  costi¬ 
tuita  da  una  fine  granulazione. 

La  specie  fu  istituita  nel  1835  da  Broderip  su  due  esemplari 
provenienti  dagli  strati  del  Lias  inferiore  (Sinemuriano)  di  L\Tne 
Regis  in  Inghilterra.  Per  la  sua  nuova  specie  l’autore  istituì  il 
genere  Coleia  di  cui  Coleia  antiqua  divine  così  tipo.  Nel  1862 
Oppel,  non  stimando  necessaria  una  differenziazione  fra  il  genere 
Eryon  ed  il  nuovo  genere  di  Broderie,  attribuì  i  due  esemplari 
al  primo  di  questi,  considerando  inoltre  di  valore  specifico  le  dif¬ 
ferenze  riscontrate  sul  primo  paio  di  pereiopodi  dei  due  esem¬ 
plari.  Nel  1888  WOODWARD  figurò  un  terzo  esemplare  proveniente 
dalla  medesima  località  che  pure  attribuì  al  genere  Eryon.  Egli 
tuttavia  discusse  la  possibilità  di  una  differenziazione  a  livello 
generico  in  base  alla  presenza  di  dieresi  all’esopodite  degli  uro¬ 
podi  (WoODWARD  1888,  pag.  436),  dieresi  del  tutto  assente  negli 
Eryon  del  Giurassico  superiore.  Nel  1924  Van  Straelen,  in  una 
breve  discussione  sulla  specie,  sostenne  a  ragione  che  i  due  esem¬ 
plari  di  Broderie  non  differivano  specificamente,  ma  che  le  dif¬ 
ferenze  osservate  da  Oppel  sulla  lunghezza  del  primo  pereiopode 


130 


G.  PINNA 


erano  da  riportarsi  piuttosto  ad  un  diverso  grado  di  sviluppo 
degli  individui  o  ad  una  differenza  di  ordine  sessuale.  Di  identico 
parere  è  WOODS  che  nel  1925  figurò  tutti  gli  esemplari  fino  ad 
allora  noti  della  specie.  Essi  sono  cinque  in  totale,  provenienti 
tutti  dal  Sinemuriano  «  zona  a  hucklandi  »  di  Lyme  Regis.  Il  tipo 
è  conservato  al  Museum  of  Practical  Geology  con  il  numero  di 
catalogo  4125,  gli  altri  sono  al  British  Museum  con  i  numeri 
59418,  20678,  3214,  45092. 


Conclusioni. 

Gli  erionidei  qui  descritti  e  figurati  sono  gli  unici  crostacei 
decapodi  segnalati  fino  ad  ora  in  terreni  Massici  italiani,  se  si 
esclude  l’esemplare  frammentario  classificato  da  Golosi  nel  1921 
nella  nuova  specie  Heteroglyphaea  paronae  del  Charmutiano  di 
La  Spezia,  ora  attribuita  al  genere  Pseiidoglyphaea. 

I  crostacei  di  Osteno  risultano  quindi  i  più  antichi  decapodi 
fino  ad  ora  segnalati  in  Italia  e  fra  i  più  antichi  d’Europa.  La 
fauna  da  me  rinvenuta  risulta  infatti  coeva  della  famosa  fauna  a 
crostacei  di  Lyme  Regis  in  Inghilterra,  nella  quale  furono  descritte 
fra  l’altro  numerose  specie  del  genere  Coleia  del  Sinemuriano. 

Sono  stati  qui  presi  in  considerazione  9  esemplari  e  sono 
state  istituite  le  specie  nuove  Coleia  mediterranea,  basata  su  un 
solo  esemplare  e  Coleia  viallii,  basata  invece  su  6  esemplari.  La 
specie  Coleia  (?)  n.  sp.  (?)  è  incerta.  Un  solo  esemplare  è  stato  con¬ 
frontato  con  la  specie  Coleia  antiqua  Broderip,  1835,  già  nota  nel 
Sinemuriano  di  Lyme  Regis.  Le  specie  nuove  presentano  caratteri 
di  forma  e  struttura  molto  vicini  alle  specie  già  note  del  Lias  in¬ 
glese,  indicando  una  certa  uniformità  nei  caratteri  ed  un’ampia 
distribuzione  geografica  del  genere. 

I  confronti  con  i  tipi  inglesi  non  sono  tuttavia  sempre  age¬ 
voli  per  le  differenti  modalità  di  fossilizzazione  che  ci  hanno  tra¬ 
mandato  esemplari  sempre  fortemente  schiacciati  ed  almeno  in 
parte  deformati. 

Dal  punto  di  vista  ecologico  infine  possiamo  dire  che  la  pre¬ 
senza  nel  giacimento  di  erionidei,  fra  i  crostacei,  e  di  vegetali 
subaerei  starebbe  ad  indicare  deposizione  in  mare  poco  profondo 
in  prossimità  di  una  linea  di  costa,  aprendo  così  il  problema  cui 
si  è  accennato  nell’  introduzione  geologica  al  lavoro. 


GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC. 


131 


Riassunto 

Vengono  qui  descritti  ed  illustrati  gli  erionidei  del  genere  Coleia  della 
nuova  ed  abbondante  fauna  a  crostacei  decapodi  di  Osteno  in  Lombardia. 
Lo  studio,  basato  su  9  esemplari,  ha  permesso  di  stabilire  la  presenza  di 
due  specie  nuove:  Coleia  viallii  e  Coleia  mediterranea.  Sembra  essere 
inoltre  presente  la  specie  Coleia  antiqua  Broderip  1835,  già  nota  nel  Sine- 
muriano  di  Lyme  Regis.  La  specie  Coleia  (?)  n.  sp.  (?),  basata  su  un  solo 
esemplare,  è  incerta. 

La  datazione  del  giacimento  è  stata  effettuata  in  base  ad  un  raro 
esemplare  di  ammonite  attribuito  alla  specie  Coroniceras  hisiilcatiim  (Brug.) 
che,  rinvenuto  poco  più  in  alto  nella  serie  rispetto  al  giacimento  a  crostacei, 
indica  per  questo  un’età  attribuibile  al  Sinemuriano  inferiore. 

Gli  erionidei  qui  descritti  rappresentano  dunque  i  più  antichi  crostacei 
decapodi  fino  ad  ora  rinvenuti  in  Italia  e  fra  i  più  antichi  d’Europa.  La 
presenza  nel  gacimento  di  resti  di  vegetali  terrestri  starebbe  inoltre  ad  in¬ 
dicare  deposizione  in  mare  poco  profondo  in  prossimità  di  una  linea  di  costa. 


Summary 

The  Author  describes  and  illustrates  thè  Eryonidea  of  thè  Genus  Coleia 
of  thè  new  Crustaceous  Decapods  fauna  of  Osteno,  Lombardy.  The  study, 
based  on  9  specimens,  permitted  to  establish  thè  presence  of  two  new 
species:  Coleia  viallii  and  Coleia  mediterranea.  Also  Coleia  antiqua  Bro¬ 
derip,  1835,  already  known  in  thè  Sinemurian  of  Lyme  Regis  seems  to  be 
present. 

The  date  of  thè  Fauna  was'  made  through  a  rare  specimen  of  Ammo¬ 
nite  ascribed  to  thè  species  Coroniceras  hisulcatum  (Brug.)  which  was  found 
a  little  higher  than  thè  crustacean  strata  and  indicative  of  thè  Lower 
Sinemurian  age. 

The  Eryonidea  here  described  represent  thè  oldest  Crustaceous  Decapods 
found  in  Italy  and  are  among  thè  oldest  in  Europe.  The  presence  of  land 
plants  indicates  a  deposit  in  shallow  waters  near  a  coastline. 

Résumé 

L’auteur  décrit  et  illustre  les  Eryonidea  du  genre  Coleia  qui  appar- 
tiennent  à  la  nouvelle  et  nombreuse  faune  à  crustacés  décapodes  de  Osteno 
en  Lombardie.  L’étude,  qui  se  base  sur  9  exemplaires  a  permis  de  déterminer 
la  présence  de  deux  nouvelles  espèces  :  Coleia  viallii  et  Coleia  mediterranea. 
La  présence  de  l’espèce  Coleia  antiqua  Broderip,  1835,  déjà  connue  dans  le 
Sinémurien  de  Lyme  Regis  est  en  outre  possible. 

La  datation  du  gisement  a  été  effectuée  gràce  à  un  rare  exemplaire 
d’ammonite  attribué  à  l’espèce  Coroniceras  bisulcatum  (Brug.)  que  l’on  a 


132 


G.  PINNA 


trouvé  un  peu  plus  haut  dans  la  sèrie  du  gisement  de  crustacés  et  qui  in- 
dique  ainsi  un  àge  attribuable  au  Sinémurien  inférieur. 

Les  Eryonidea  décrits  représentent  donc  les  plus  anciens  crustacés  déca- 
podes  découverts  jusqu’ici  en  Italie  et  parmi  les  plus  anciens  en  Europe.  La 
présence  dans  le  gisement  de  restes  de  végétaux  terrestres  indiquerait  en 
outre  une  déposition  dans  une  eau  peu  profonde  en  proximité  de  la  còte. 


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GLI  ERIONIDEI  DELLA  NUOVA  FAUNA  SINEMURIANA  ECC. 


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MUSEO  CIVICO  DI  STORIA  NATURALE  DI  MILANO 


Matteo  Boscardin  &  Vincenzo  de  Michele 


BRUCITE,  IDROMAGNESITE  ED  ARTINITE 
DELLA  VAL  DRASTICO  (VICENZA)  (^) 


Considerazioni  preliminari. 

Nel  corso  di  molteplici  e  prolungate  visite  effettuate  da 
M.  Boscardin  prima  e  da  entrambi  gli  scriventi  poi  nei  territori 
dei  comuni  S.  Pietro  Valdastico,  Cogollo  del  Cengio  e  Arsiero  in 
provincia  di  Vicenza,  furono  rinvenuti,  nelle  cave  di  pietrisco 
per  granulati  e  conglomerati  artificiali,  abbondanti  campioni  di 
brucite,  idromagneste  e  artinite,  dei  quali  già  fornimmo  notizia 
preliminare  (Boscardin  e  de  Michele  1965).  In  seguito  venne  iden¬ 
tificato  un  minerale  della  serie  piroaurite-sjogrenite,  di  cui  verrà 
evntualmente  data  notizia  in  altra  sede. 

Le  cave  in  cui  fino  ad  oggi  è  stata  riscontrata  la  presenza  di 
questi  tre  minerali  sono  numerose  soprattutto  nella  provincia  di 
Vicenza,  secondariamente  in  quella  di  Verona  e  di  Trento,  nella 
quale  è  già  stata  descritta  un’analoga  mineralizzazione  (Morandi 
1966).  La  cartina  mostra  la  distribuzione  dei  giacimenti  visitati 
dagli  scriventi.  In  tutti  i  casi  esaminati  i  minerali  sono  stati 
portati  alla  luce  da  lavori  di  estrazione  effettuati  in  cave  aperte 
nell’arco  degli  ultimi  dieci-quindici  anni. 

Dal  punto  di  vista  geologico,  si  nota  che  la  Val  d’Astico  è  in¬ 
cisa  nelle  dolomie  bianche,  grigio-chiare  o  giallastre  appartenenti 
al  Trias  superiore  (Nerico  in  gran  parte)  e  formanti  potenti 
bancate  suborizzontali  ;  esse  sono  poi  sovrastate  in  concordanza 


("9  Lavoro  pubblicato  col  contributo  del  C.N.R.,  Comitato  Nazionale  per 
le  Scienze  Geologiche  e  Minerarie. 


13(3 


M.  BOSCARDIN  e  V.  DE  MICHELE 


da  terreni  sedimentari  giurassici  e  cretacei.  Età  terziaria  viene 
invece  attribuita  ai  numerosi  filoni  basici  e  ultrabasici  che  at¬ 
traversano  le  formazioni  sopra  ricordate  in  tutta  la  regione  degli 
altopiani  e  che  per  quello  di  Tonezza  sono  stati  oggetto  di  studi 
recenti  (De  Vecchi  1966).  Nella  zona  considerata,  tali  filoni 
hanno  giacitura  nettamente  discordante,  con  corpi  colonnari  per 
lo  più  verticali,  assai  ricchi  di  apofisi  iniettate  nei  giunti  di  in- 
terstrato  delle  formazioni  sedimentarie.  La  loro  ascesa  ha  provo- 


Fig.  1.  —  Posizione  delle  cave  della  Val  d’Astico  citate  nel  testo. 
1)  Cava  del  M.  Campomolon  ;  2)  Cava  al  Km  6  della  strada  Tonezza- 
Folgarìa;  3)  Cava  di  Val  del  Corvo;  4)  Cava  a  nord  di  Pedescala; 

5)  Cava  Menegolli. 


BRUCITE,  IDROMAGNESITE  ED  ARTINITE  ECC. 


cato  un  diffuso  fenomeno  di  termometamorfismo  soprattutto  nelle 
dolomie  noriche  incassanti  che  si  sono  così  trasformate  in  maryyii 
a  hrucite  di  colore  variabile  dal  candido  al  grigio  con  chiazze 
maggiormente  pigmentate  in  nero,  rosso,  verde.  Tali  prodotti  e 
la  loro  relazione  con  le  manifestazioni  eruttive  sono  chiaramente 
visibili  nella  Cava  Menegolli,  poco  a  sud  di  Pedescala,  dove  il  fi¬ 
lone  basico,  assai  ricco  di  appendici  orizzontali,  è  anche  interes¬ 
sato  da  una  piccola  faglia  verticale  (fig.  2). 


Fìg.  2.  —  Cava  Menegolli.  Il  filone  principale,  discordante  e  fagliato, 
con  le  apofisi  d’ interstrato,  è  nettamente  visibile  sullo  sfondo  chiaro 
della  dolomia  a  stratificazione  orizzontale.  La  parte  abbattuta  del 
filone  aveva  un  andamento  più  prossimo  alla  verticale.  La  fotografia 
riproduce  la  situazione  del  marzo  1966. 


M.  BOSCARDIN  e  V.  DE  MICHELE 


i;^8 


In  accordo  con  quanto  già  osservato  da  Morandi  per  analo¬ 
ghi  giacimenti  nella  zona  di  Ala,  al  microscopio  non  si  nota  pe- 
riclasio  nel  marmo  a  brucite  che,  nella  facies  candida,  mostra 
struttura  granoblastica  assai  uniforme  con  calcite  prevalente  e 
brucite  subordinata;  nella  tabella  1  è  riportata  l’analisi  di  tale 
roccia,  prelevata  nella  Cava  Menegolli  a  non  molta  distanza  dal  fi¬ 
lone.  La  dolomia  non  metamorfosata  ha  la  seguente  composizione  : 

CaCOs  =  60,997r  ;  Mg-CO.,  =  38,067r  ;  SiO.  +  AhO-,  +  Fe^Os  =  0,94%. 

Tabella  i. 

Marmo  a  brucite  di  Cava  Menegolli  (anal.  E.  Pezzoli). 


SiO, 

2,05 

ALOa  +  FeoOs 

2,69 

MnO, 

tr. 

MgO 

10,73 

CaO 

42,51 

CO. 

36,94 

HoO- 

0,25 

H.O^ 

4,81 

99,98 


Minerali. 

Numerosi  sono  ormai  i  minerali  identificati  nelle  aree  di 
contatto  0  all’  interno  dei  filoni  e  descritti  da  diversi  autori  in 
questi  ultimi  anni  :  brucite,  idromagnesite,  thomsonite,  artinite, 
calcite,  aragonite,  serpentino,  barite,  nella  cava  di  Tonezza 
(SCAINI,  Passaglia,  Capedri  1967;  Boscardin  1967);  brucite, 
idromagnesite,  piroaurite,  calcite,  aragonite,  dolomite,  magnetite, 
serpentno,  in  diverse  cave  presso  Ala  (Morandi  1966);  idroma¬ 
gnesite,  brucite,  artinite,  aragonite,  calcite,  dolomite,  natrolite, 
marcasite  (Boscardin  e  de  Michele  1965),  cui  si  può  aggiun¬ 
gere  ora  un  termine  non  meglio  identificato  della  serie  piroaurite- 
sjogrenite,  serpentino,  magnetite  in  cristallini  ettaedrici  e  li- 
monite  pseudomorfa  di  pirite  cubica,  in  varie  cave  della  Val 
d’Astico. 


BRUCITE,  IDROMAGNESITE  ED  ARTINITE  ECO.  1 

Dato  però  che  quest’ultimo  ritrovamento  costituisce  anche  la 
prima  segnalazione  dell’artinite  in  rocce  sedimentarie  metamor¬ 
fosate  per  contatto,  ci  è  sembrato  utile  presentare  alcuni  carat¬ 
teri  di  questo  minerale  e  di  alcuni  altri  che  lo  accompagnano,  de¬ 
scrivendoli  secondo  l’ordine  paragenetico. 

Briicite. 

E’  abbastanza  comune  soprattutto  nella  cava  Menegolli  ed  in 
quella  del  M.  Campomolon,  dove  si  possono  osservare  vene  di  spes¬ 
sore  variabile,  talora  anche  di  6-7  cm,  costituite  essenzialmente 
da  brucite  compatta,  lamellare  per  la  presenza  di  facce  di  sfal¬ 
datura  (0001),  con  prevalente  colore  azzurro  intenso  a  toni  ver¬ 
dastri,  oppure  incolore,  bianco-perlacea,  giallo-olio;  talora  traspa¬ 
rente  quando  si  presenta  in  cristalli,  è  per  lo  più  translucida.  I 
cristalli,  discretamente  frequenti  e  sempre  a  contorno  esagonale, 
possono  essere  tabulari  o  prismatici  con  dimensioni  anche  cospi¬ 
cue  (3-4  cm  di  spigolo). 

Come  accennato  sopra,  la  brucite  forma  il  riempimento  di 
vene  irregolarmente  e  abbastanza  uniformemente  distribuite  nella 
massa  dolomitica  metamorfosata.  Nei  casi  più  semplici  la  vena  è 
completamente  riempita  da  brucite,  i  cui  piani  (0001)  non  sono 
quasi  mai  paralleli  alle  salbande,  ed  in  cui  talora  grandi  cristalli 
azzurri,  tabulari,  sono  immersi  in  brucite  bianca  perlacea;  più 
frequentemente  si  riscontra  che  la  brucite  azzurra  sfuma  gra¬ 
dualmente  in  quella  bianca.  Ricerche  spettrografiche  eseguite  da 
Morandi  hanno  messo  in  luce  la  presenza  di  tracce  di  Cu,  cui  po¬ 
trebbe  essere  imputata  la  colorazione. 

In  alcuni  casi  è  possibile  osservare  una  sequenza  paragene¬ 
tica  abbastanza  chiara:  alle  salbande  la  prima  a  formarsi  è  stata 
la  calcite  bianca,  limpida,  di  abito  scalenoedrico,  spesso  in  geo¬ 
dine;  al  di  sopra,  la  brucite  lamellare  colma  lo  spazio  tra  le  pa¬ 
reti  di  calcite  e  nel  suo  spessore  talora  ospita  geodi  di  brucite  in 
cristalli  prismatici,  mentre  sottilissimi  cristalli  tabulari  si  rin¬ 
vengono  nelle  geodi  calcitiche  ;  contemporanea  alla  brucite  sem¬ 
bra  essere  il  minerale  rosso-bruno  di  tipo  piroauritico  che  si 
forma  in  piccoli  aggregati  annidati  tra  gli  scalenoedri  di  calcite  ; 
sulla  brucite,  infine,  non  è  raro  notare  globuletti  bianchi  o  spal¬ 
mature  interlamellari  di  idromagnesite. 


140 


M.  BOSCARDIN  e  V.  DE  MICHELE 


Su  un  campione  di  brucile  bianca  semitrasparente  si  è  ese¬ 
guita  la  seguente  analisi  chimica  (anal.  E.  Pezzoli): 

Tabella  2. 


SÌ02 

0,07 

F62O3  AI2O3 

0,25 

CaO 

tr. 

MgO 

69,08 

MnOa 

0,12 

H2O 

0,04 

HoO 

30,64 

100,20 


Nella  figura  3  è  riprodotto  lo  spettro  infrarosso  della  bru¬ 
cile  eseguito  con  uno  spettrofotometro  Perkin  Elmer  mod.  257, 
utilizzando  pastiglie  di  KBr.  L’assorbimento  a  3700  cm“b  con  17 
caratteristiche  bande  non  visibili  nel  disegno,  è  imputabile  per  al¬ 
cuni  (Boutin  e  Bassett  1963)  alla  vicinanza  reciproca  degli  ossi¬ 
drili  negli  strati  OH“. 

Icbomagnesite. 

Da  quando  nel  1903  Brugnatelli  segnalò  l’ idromagnesite 
ad  Emarese,  prima  località  italiana,  questo  minerale  è  stato  più 
volte  ritrovato  in  diversi  giacimenti  alpini  e  appenninici,  ed  in 
questi  ultimi  anni  il  numero  dei  rinvenimenti,  taluni  ancora  ine¬ 
diti,  si  è  maggiormente  accresciuto.  La  genesi  è  quasi  sempre 
legata  a  rocce  serpentinose  da  una  parte  (Piemonte,  Val  Ma- 
lenco),  e  a  dolomie  termometamorfosate  dall’altra  (Vesuvio,  La¬ 
zio);  in  quest’ultimo  gruppo  rientra,  come  si  è  visto,  1’  idroma¬ 
gnesite  della  Val  d’Astico. 

Essa  si  presenta  in  raggruppamenti  di  globuli  fibroso-rag- 
giati,  spesso  fittamente  addensati,  a  superficie  esterna  compatta, 
ciascuno  dei  quali  può  raggiungere  un  diametro  di  3-4  mm;  op¬ 
pure  in  distinti  cristallini  aciculari  con  lucentezza  vitrea  brillante 
raccolti  in  forme  sferoidali  ;  oppure  ancora  in  croste  concrezionate 
di  ampia  superficie  con  aspetto  terroso  opaco  microcristallino.  Il 
colore  è  sempre  bianco  candido. 


BRUCITE,  IDROMAGNESITE  ED  ARTlNlTE  ECC. 


141 


Fig.  3.  —  Spettri  di  assorbimento  infrarosso:  brucite  di  Cava 
Menegolli  (1),  idromagnesite  di  Cava  Menegolli  (2)  e  di  Ciappanico 
in  Val  Malenco  (3),  artinite  di  Cava  Menegolli  (4)  e  di  Ciappanico 
in  Val  Malenco  (5).  (Spettrofotometro  Perkin-Elmer  mod.  257). 


10 


142 


M.  BOSCARDIN  e  V.  DE  MICHELE 


L’ idromagnesite  è  presente,  talora  in  notevole  quantità,  in 
tutte  le  cave  da  noi  visitate.  Essa  si  forma  per  la  massima  parte 
sopra  la  brucite  lamellare,  secondariamente  a  diretto  contatto  con 
la  roccia  sedimentaria  o  con  quella  basaltica,  infine  sopra  una 
calcite  giallo-bruna  incrostante  ;  il  caso  più  comune  è  rappresen¬ 
tato  da  idromagnesite  su  marmo.  L’ idromagnesite  su  basalto,  os¬ 
servabile  nella  cava  a  nord  di  Pedescala,  induce  a  ritenere  che 
la  sua  temperatura  di  formazione  sia  stata  sensibilmente  bassa, 
come  potrebbe  anche  testimoniare  la  presenza  della  calcite  con- 
crezionata  che  tappezza  le  fessure  postmetamorfiche  dei  marmi,  in 
seguito  ricoperta  da  idromagnesite. 

'  Data  Tabbondanza  e  la  purezza  del  materiale  disponibile, 
abbiamo  ritenuto  opportuno  eseguire  una  analisi  chimica,  i  cui 
risultati,  media  di  due  analisi  praticamente  concordanti,  sono 
esposti  nella  seguente  tabella  (anal.  G.  Romano): 

Tabella  3. 


R203 

0,11 

NaoO 

0,08 

K2O 

0,03 

CaO 

0,56 

MgO 

42,40 

COo 

36,90 

HoO 

19,72 

Res.  ins. 

0,10 

99,91 


Tolte  le  impurezze  e  ricalcolati  i  valori  percentuali  portando 
a  100  la  somma,  si  ottengono  i  dati  (V),  qui  confrontati  con  le 
altre  analisi  di  idromagnesiti  italiane  : 

Tabella  4, 


I 

II 

III 

IV 

MgO 

44,02 

43,16 

43,18 

43,92 

us,oi 

CO2 

35,85 

37,10 

37,42 

35,94 

36,98 

HoO 

19,99 

19,65 

19,30 

20,09 

20,00 

99,86 

99,91 

99,90 

99,95 

99,99 

I)  Viù,  Fenoglio  1927;  II)  Emarese,  Fenoglio  1936;  III)  Su  Marmori,  Bal¬ 
coni  e  Giuseppetti  1959;  IV)  P.  Iolanda,  Minutti  1964;  V)  Val  cV Astica. 


BRUCITE,  IDROMAGNESITE  ED  ARTINITE  ECC. 


143 


La  composizione  dell’ idromagnesite  di  Val  d’Astico  è  più  vi¬ 
cina  alla  formula  teorica  4MgO  •  3CO2  •  4H2O,  come  lo  sono  quelle 
di  Viù  e  P.  Iolanda,  piuttosto  che  all’altra  5MgO  •  4CO2  •  5H2O 
cui  si  avvicinano  i  dati  di  Emarese  e  Su  Marmori. 

Nella  figura  3  abbiamo  riportato  lo  spettro  infrarosso  del- 
r  idromagnesite  di  Cava  Menegolli,  in  cui  la  posizione  delle  bande 
concorda  con  quello  riportato  da  Mumpton,  Jaffe  e  Thompson 
(1965). 

Artinite. 

E’  stata  osservata  su  numerosi  campioni  di  idromagnesite 
rinvenuti  nelle  diverse  cave  della  Val  d’Astico,  particolarmente 
nella  Cava  Menegolli,  ed  identificata  grazie  ad  uno  spettro  di 
polvere.  Si  presenta  in  aggregati  di  cristalli  aciculari  bianchi, 
con  lucentezza  sericea  in  massa,  riuniti  in  forme  globulari  0  ada¬ 
giati  sull’ idromagnesite  che  tappezza  le  pareti  di  piccole  litoclasi 
aperte  nel  marmo;  i  singoli  cristallini  degli  aggregati  raggiun¬ 
gono  la  lunghezza  massima  di  rum  7-8  e  sono  così  sottili  che  a 
stento  vi  si  individuano  con  la  lente  le  facce  del  prisma. 

Su  materiale  accuratamente  scelto,  proveniente  dalla  Cava 
Menegolli,  si  è  eseguita  l’analisi  chimica  (ad  opera  di  G.  Romano) 
di  cui  riportiamo  i  risultati  : 

Tabella  5. 


0,13 
0,14 
0,84 
40,72 
22,69 

0,26  determinata  a  60°C 
35,00 

99,78 

Dedotte  le  impurezze  e  riportati  i  valori  a  100,  si  ottengono 
i  dati  (Vili)  esposti  nella  seguente  tabella  insieme  con  altre  ana¬ 
lisi  note  in  letteratura: 


SiO. 

R2O3 

CaO 

MgO 

CO2 

H2O- 

HoO- 


144 


M.  BOSCARDIN  e  V.  DE  MICHELE 


Tabella  6. 


I 

II 

III 

IV 

V 

VI 

VII 

Vili 

MgO 

41,34 

41,19 

41,12 

40,93 

41,04 

41,81 

40,55 

Al, 37 

CO, 

22,37 

24,23 

22,16 

22,34 

22,21 

22,82 

22,58 

23,00 

H2O 

36,29 

34,26 

36,54 

36,61 

36,64 

35,46 

37,09 

35,56 

Rim. 

0,32 

0,38 

100,00 

100,00 

99,82 

99,88 

99,89 

100,09 

100,60 

99,93 

I)  V.  Lanterna,  Brugnatelli  1903;  II)  Fobé  I,  Grill  1921;  III)  Viù,  Feno- 
GLio  1927;  IV)  M.  Ramazzo,  Lincio  1930;  V)  Cogne,  Fenoglio  1936;  VI) 
Luning,  Hurlbut  1946;  VII)  Caucaso,  Jachontova  1952;  Vili)  Val  d’Astico. 
Nella  II  il  rimanente  è  CaO;  nella  VII  è:  HoO  0,14;  CaO  0,15;  insolubile  0,09. 


Nella  figura  3  abbiamo  riportato  lo  spettro  infrarosso  della 
artinite  di  Cava  Menegolli  confrontato  con  quello  deirartinite  di 
Rocca  Castellaccio  sopra  Torre  S.  Maria  in  Val  Malenco. 

Nei  giacimenti  noti  fino  ad  ora,  tutti  in  rocce  serpentinose, 
Tartinite  si  presenta  nelle  litoclasi  sempre  accompagnata  da  idro¬ 
magnesite,  alla  cui  formazione  è  posteriore.  Numerose  sono  ormai 
le  località  di  questo  tipo  note  in  Italia  e  all’estero  :  Val  Malenco, 
Emarese,  Cogne,  Viù,  M.  Ramazzo,  St.  Vincent  (Ratto  e  Gra- 
MACCIOLI  1967),  Kraubath  in  Stiria,  Luning  e  Hoboken  negli  USA, 
Siberia  Centrale,  Armenia,  Caucaso.  Dato  però  che  l’ idromagne¬ 
site  si  forma  anche  su  rocce  sedimentarie  ricche  in  Mg,  che  hanno 
subito  processi  termometamorfici,  e  dati  i  rapporti  paragenetici 
intercorrenti  tra  idromagnesite  e  artinite,  era  relativamente  pre¬ 
vedibile  che  i  due  minerali  fossero  associati  anche  in  qualche 
gacimento  di  questo  tipo,  ma  anteriormente  alle  nostre  osserva¬ 
zioni  sulla  Val  d’Astico  non  si  erano  mai  avute  segnalazioni  in 
tal  senso.  Qualcosa  di  analogo  è  stato  citato  in  Transcarpazia 
(Slawskaja  1955),  dove  intrusioni  terziarie  di  microgranito  e 
microgranodiorite  hanno  metamorfosato  livelli  arenaceo-argillosi 
del  Paleogene,  con  formazione  di  microscopici  aggregati  di  arti¬ 
nite  nel  microgranito  e  nei  sedimenti,  attribuita  a  metasomatosi 
magnesiaca. 


BRUCITE,  IDROMAGNESITE  ED  ARTINITE  ECC. 


145 


Il  rinvenimento  in  Val  d’Astico,  nelle  condizioni  di  giacitura 
prima  esposte,  di  artinite  ben  sviluppata  in  discreta  quantità, 
conferma  da  una  parte  il  già  noto  rapporto  idromagnesite-artinite 
osservato  nei  giacimenti  delle  serpentine,  dall’altra  amplia  le  cono¬ 
scenze  sull’ambiente  litologico  favorevole  alla  genesi  di  questo 
carbonato  basico  di  magnesio. 

Desideriamo  ringraziare  vivamente  gli  amici  E.  Pezzoli  e  G.  Romano  per 
le  analisi  effettuate,  e  la  Soc.  SIMES  per  le  curve  di  assorbimento  infrarosso. 


Riassunto 

In  alcune  cave  della  Val  d’Astico  (Vicenza),  aperte  nelle  dolomie  nori- 
che  metamorfosate  in  marmi  a  brucite  per  azione  di  filoni  basici,  sono  stati 
rinvenute  brucite,  idromagnesite  e  artinite  ;  la  presenza  di  artinite  in  que¬ 
sto  tipo  di  giacitura  viene  qui  segnalata  per  la  prima  volta.  Dei  minerali  ci¬ 
tati  si  danno  l’analisi  chimica  e  lo  spettro  di  assorbimento  infrarosso. 


Abstract 

In  some  quarries  of  Astice  Valley  near  Vicenza,  which  were  open  in  thè 
dolomitic  rock  metamorphosed  into  brucite-marbles  by  thè  action  of  a  basic 
dyke,  brucite,  hydromagnesite  and  artinite  were  found.  The  presence  of  arti¬ 
nite  in  this  type  of  occurrence  is  published  here  for  thè  first  time.  The  che- 
mica!  analysis  and  thè  infrared  absorption  spectra  of  thè  minerals  mentioned 
are  given. 


AUTORI  CITATI 

Balconi  M.,  Giuseppetti  G.,  1959  -  Sull’  idromagnesite  della  Grotta  de  Su 
Marmori  (Sardegna).  Studi  e  Ricerche  Ist.  Min.  Petr.  Univ.  Pavia, 
Pavia,  I,  1-24, 

Boscardin  M.,  1967  -  Baritina  di  Tonezza  del  Cimone  (Vicenza).  Natura,  Mi¬ 
lano,  LVIII,  245-246. 

Boscardin  M.,  de  Michele  V.,  1965  -  Itinerari  mineralogici.  Comune  di  Val- 
dastico.  Comune  di  Cogollo  del  Cengio  (Vicenza).  Natura,  Milano,  LVI, 
170-175. 

Boutin  H.,  Bassett  W.,  1963  -  A  comparison  of  OH“  motions  in  brucite  and 
micas.  Am.  Miner.,  XLVIII,  659-663. 

Brugnatelli  L.,  1903  -  Idromagnesite  ed  artinite  di  Emarese  (Valle  d’Ao¬ 
sta),  Pend.  P.  Ist.  Lomh.  Se.  Leti.,  Milano,  XXXVI,  824-828, 

De  Vecchi  G.,  1966  -  I  filoni  basici  e  ultrabasici  dell’Altipiano  di  Tonezza 
(Alto  Vicentino).  Memorie  Ist.  Geol.  Minerai.  Univ.  Padova,  Padova, 
XXV,  pp.  58. 


M.  BOSCARDIN  e  V.  DE  MICHELE 


14(i 

Fenoglio  M.,  1927  -  Sopra  alcuni  minerali  di  Viù  in  Val  di  Lanzo.  Boll.  Soc. 
Geol.  It.,  Roma,  XLVI,  13-23. 

Fenoglio  M,.,  1936  -  Ricerche  sull’artinite  delle  miniere  di  Cogne  in  Val  d’Ao¬ 
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Grill  E.,  1921  -  Sui  giacimenti  di  amianto  delle  Alpi  Piemontesi.  Atti  Soc. 

Nat.  Museo  Civ.  St.  Nat.  Milano,  Milano,  XL,  287-314. 

Hurlbut  C.  S.,  1946  -  Artinite  troni  Luning,  Nevada.  Am.  Miner.,  XXXI, 
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Jachontova  L.  K.,  1952  -  Ueber  wasserhaltige  Karbonate  des  Serpentinmassivs 
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(Riass.  tedesco  in  Centr.  Min.). 

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DEPARTMENT  OF  ZOOLOGY,  THE  UNIVERSITY  OF  PARMA 


Danilo  Mainardi  and  Antonio  Pasquali 


CULTURAL  TRANSMISSION  IN  THE  HOUSE  MOUSE  (0 


Aside  from  thè  genetic  process  of  heredity,  another  System 
of  transmission  is  at  work  in  man  :  that  named  ‘‘  cultural  ”  or 
exomatic”.  According  to  Mather,  this  is  to  be  understood  as 
thè  non-organic  transmission  of  information  and  ideas  between 
individuals  not  necessarily  related,  and,  of  course,  it  implies  thè 
ability  to  learn  from  observation  and  experience.  This  process 
is  mainly  responsible  for  thè  extremely  rapid  behavioural  evo- 
lution  of  Olir  species,  and,  interacting  with  genetic  transmission, 
it  may  also  influence  our  organic  evolution  (Etkin  ;  Mather). 
Because  of  thè  new  inventions  and  of  thè  continuous  improve- 
ments  in  human  Communications  media  (from  language  and  wri- 
ting  to  thè  actual  artificial  satellites),  cultural  evolution  is  beca- 
ming  more  and  more  rapid  and  important,  and  certainly  it  is  a 
predominant  characteristics  of  modem  man.  Nevertheless,  this 
kind  of  transmission  is  not  unique  of  our  species.  Inferences 
drawn  from  fossils  suggest  that,  beginning  from  Autralopithe- 
cines,  cultural  transmission  had  an  important  evolutionary  role 
in  thè  process  of  hominization  (Campbell).  Several  examples  are 
found  in  Birds  (Dawson  &  Foss;  Fisher  &  Hinde;  Pettersson) 
and  Mammals  (Goodall;  Hayes  &  Hayes  ;  Herbert  &  Harsch; 
Tsumori;  Marden,  Field  &  Koch).  Studies  of  this  sort  (vario- 
Lisly  classified  as  observational  learning,  imitation,  vicarious 
learning,  modeling,  etc.)  ha  ve  relevance  to  behaviour  theory  and 
bave  been  discussed  in  thè  theoretical  literature  (e.  g.  Bandura  ; 
Miller  &  Dollaro;  Mo\vrer). 


(h  Supported  by  a  grani  of  thè  Italian  National  Research  Council 
(C.N.R.). 


148 


D.  MAINARDI  -  A.  PASQUALI 


We  bave  carried  out  an  experiment  to  seek  thè  e  ventilai 
existence  of  some  primitive  form  of  cultural  transmission  in  thè 
house  mouse  {Mus  miiscidus),  a  non-specialized  and  higly  social 
species,  particularly  suitable  for  genetic  and  population  studies. 

We  bave  compared  thè  ability  of  solving  a  rather  simple 
problem  in  two  groups  of  mice  differing  only  in  that  those  of 
one  group  (pupils)  were  able  to  observe  another  mouse  (teacher) 
solving  thè  problem,  whereas  thè  mice  of  thè  other  group  (Con¬ 
trols)  did  not  receive  this  “  lesson”.  The  problem  consisted  in 
passing  through  a  circular  hole  which  had  to  be  opened  by  remo- 
ving  a  dangling  door  by  hands  and  muzzle.  We  prepared  several 
“  schools”  (fig.  1  A)  where  four  mice  could  contemporaneously 
and  separately  observe,  through  a  net,  an  experienced  mouse  (thè 


Fig.  1.  —  A)  A  school  (cm  10x20x40);  B)  a  control-room,  identical  to  thè 
school  but  lacking  thè  centrai  wall  with  thè  hole  and  thè  dangling  door; 
C)  an  opened  box  used  to  test  thè  mice  (cm  10x10x20);  D)  a  view  of  thè 
apparatus,  consisting  of  ten  test-boxes  connected  with  thè  time-recorders. 


CULTURAL  TRANSMISSION  IN  THE  HOUSE  MOUSE 


149 


teacher)  passing  many  times  through  thè  hole.  The  teachers  were 
compelled  to  pass  through  thè  hole  frequently  because  they  could 
find  pellets  of  dry  food  only  in  one  room,  and  water  only  in  thè 
other  one.  The  pupils  spent  24  hours  in  a  school  before  being 
tested,  while  thè  Controls  spent  thè  same  time  in  schools  without 
thè  centrai  wall  with  thè  hole  and  thè  dangling  door  (fig.  1  B).  Im- 
mediately  after  their  permanence  in  thè  schools  or  in  thè  control 
rooms,  thè  mice  were  tested  for  their  ability  in  passing  through 
thè  hole.  Every  mouse  was  placed  in  a  box  subdivided  in  two 
rooms  by  a  wall  equipped  with  a  hole  and  a  dangling  door  iden¬ 
tica!  to  that  of  thè  school  (fig.  1  C  and  D).  At  thè  beginning  of 
thè  test,  when  thè  mouse  was  in  thè  first  room,  thè  floor  of  thè 
box  was  in  contact  with  a  time-recorder  :  when  thè  mouse  passed 
in  thè  second  room  (that  is  when  it  had  solved  thè  problem)  a 
small  movement  of  thè  box,  which  was  balanced  on  a  centrai 
pivot,  detached  thè  contact.  So  an  accurate  measure  of  thè  time 
necessary  to  every  mouse  to  solve  thè  problem  could  be  attained. 

Both  these  boxes  and  thè  schools  were  made  of  plastic  ma¬ 
terial  ;  thè  floors  were  covered  with  sawdust,  and  in  thè  second 
rooms  of  thè  boxes  we  always  placed  a  pellet  of  food  and  a  slice 
of  carrot.  Every  test  was  performed  under  naturai  light,  begin¬ 
ning  at  9  a.  m.  and  lasting  24  hours. 

Three  hundred  and  sixty-eight  random-bred  male  Swiss  mice 
three  months  old  were  used.  They  were  randomized  in  two  groups  : 
184  pupils  and  184  Controls. 

Latency  data  are  reported  in  thè  diagram  (fig.  2).  As  may 
be  seen  (table  1),  in  thè  whole  24  hours  thè  pupils  solved  thè 
problem  in  greater  percentage  than  thè  Controls,  but  thè  greatest 
difference  appears  in  thè  first  three  hours.  In  this  period  60.3% 
of  pupils  passed  through  thè  hole,  while  only  44%  of  Controls 
did  so.  The  difference  is  highly  significant  (/-  =  9.1  ;  P  <  .01). 
In  thè  other  21  hours  more  Controls  than  pupils  passed  through 
thè  hole. 

In  brief,  this  means  that  thè  pupils  solved  thè  problem  more 
quickly  than  thè  Controls  :  that  is,  they  were  able  to  make  use 
of  thè  experience  they  acquired  as  witnesses. 

In  our  opinion,  thè  way  of  overcoming  obstacles  by  learning 
from  a  more  experienced  or  cleverer  member  of  thè  group  (which 
had  solved  thè  problem  directly  or  had  learned  thè  solution  pre- 


D.  ÌVIAINARDI  -  A,  PASQUALI 


150 


150i 

lL  140 

> 

<  130 

_ 1 

i  120 
y  110 

S  '00- 

g  90 
cr 

^  80- 
UJ 
X 


70 

S  60- 


c  50 

co 

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i 

{ 

i 

1/ 

li 

1/ 


X 


30 


y 


10-| 


.  PUPiLS 
.  CONTROLS 


1  2  3  4  5  6  7  6  9  10  11  12  13  14  15  16  17  18  19  20  21  22  23  24 

H0UR5 

Fig.  2.  —  Latency  data  for  thè  145  pupi!  and  thè  132  control  mice 

which  solved  thè  problem. 


Table  1. 

Comparison  of  thè  problem  solving  ability  between  pupil  and  control  mice. 


Mice  which  solved  thè  problem 

Mice  which  did  noi 

Tested  mice 

in  thè  first  in  thè  other 

3  hours  21  hours  totals 

solve  thè  problem 

Controls  184 

111  (GO.SOr)  34  (18.597)  145  (78.897) 

39  (21.297) 

Pupils  184 

81  (44.097)  51  (27.7^/f)  132  (71.797) 

52  (28.397) 

CULTURAL  TRANSMISSION  IN  THE  HOUSE  MOUSE 


lól 


viously)  rather  than  responding  to  new  stimuli  with  rigidly  fixed 
and  phylogenetically  acquired  behaviours  is  an  alternative  which 
may  be  particularly  advantageous  to  those  animals  not  specia- 
lized  for  a  well  defined  way  of  life,  but  which  very  frequently 
bave  to  face  new  and  unexpected  situations.  This  is  ready  thè 
case  of  thè  house  mouse,  which,  having  been  able  to  colonize  thè 
most  different  types  of  environments,  is  actually  cosmopolitan. 
The  mouse  produces  a  very  large  number  of  offsprings  and  has 
a  kind  of  sexual  selection  which  favours  thè  rising  of  individuai 
variability  (Mainardi),  and,  besides,  it  is  highly  social  (Crow- 
CROFT;  Mainardi).  Quite  probably,  these  are  important  bases  for 
thè  starting  of  any  kind  of  cultural  transmission.  In  return,  thè 
advantages  of  cultural  transmJssion  will  selectively  reinforce 
these  bases. 


Riassunto 

Due  gruppi  di  topi  sono  stati  sottoposti  ad  una  prova  consistente  nel 
-duscire  ad  aprire  un  apposito  sportello  e  passare  così  da  una  cameretta  ad 
un’altra  contigua.  I  topi  di  un  gruppo  (scolari)  avevano  assistito  alla  solu¬ 
zione  del  problema  da  parte  di  topi  già  esperti  (maestri).  I  topi  dell’altro 
gruppo  (controlli)  differivano  da  quelli  del  primo  esclusivamente  per  non 
essere  stati  testimoni  alla  soluzione  del  problema.  E’  risultato  che  gli  scolari 
hanno  risolto  il  problema  più  velocemente  ed  in  ma.ggior  numero  che  i  con¬ 
trolli.  Ciò  dimostra  Resistenza  in  questa  specie  di  una  forma  di  apprendi¬ 
mento  osservazionale  e  la  conseguente  possibilità  di  trasmissione  culturale 
di  un’abitudine  nuova. 


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152 


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ISTITUTO  DI  PALEONTOLOGIA  DELL’UNIVERSITÀ  DI  PAVIA 
Direttore:  Prof.  Giulia  Sacchi  Yialli 


Giammario  Cantaluppi 


IL  LIMITE  PALEONTOLOGICO  DOMERIANO-TOARCIANO 
A  MOLVINA  (EST  DI  BRESCIA) 


Allo  scopo  di  rendere  note,  sia  pur  in  forma  succinta,  alcune 
osservazioni  emerse  dalFesame  di  ammoniti  da  me  raccolte  nel 
Lias  bresciano  a  scopo  di  confronto  con  altre  provenienti  dalle 
Prealpi  lombarde  (in  corso  di  studio  presso  V  Istituto  di  Paleon¬ 
tologia  deirUniversità  di  Pavia),  ho  compilato  questa  breve  nota 
riguardante  la  sola  località  di  Molvina.  In  essa  non  figurerà,  per 
ora,  alcuna  giustificazione  delle  determinazioni  paleontologiche,  in 
quanto  mi  ripropongo  di  riservare  questa  documentazione  più 
strettamente  sistematica  per  un  altro  lavoro  di  più  vaste  pro¬ 
porzioni. 

Ho  anche  inteso  con  ciò  completare  la  conoscenza  paleontolo¬ 
gica  di  una  serie  che  è  già  stata  oggetto  di  una  mia  recente  pub¬ 
blicazione,  ma  limitatamente  a  fossili  raccolti  in  quella  parte  di 
essa  litologicamente  riferibile  al  «  Corso  bianco  »  degli  Autori 
(v.  Cantaluppi  1966)  :  rattuale  sviluppo  della  ricerca,  reso  pos¬ 
sibile  dai  recenti  reperti,  deve  sempre  e  tuttavia  ritenersi  limi¬ 
tato  a  quella  facies  particolare  definita  più  in  generale  «  Corso  » 
(malgrado  la  presenza,  talora,  di  livelli  «  medoloidi  »)  come  verrà 
più  ampiamente  espresso  in  un  lavoro  monografico  di  Cassinis  G. 
(«  Stratigrafia  e  tettonica  dei  terreni  mesozoici  compresi  fra  Bre¬ 
scia  e  Serie  »)  in  corso  di  stampa  sugli  Atti  dell’  Istituto  Geologico (*) 


(*)  Lavoro  eseguito  e  stampato  col  contributo  concesso  dal  Comitato 
per  le  Scienze  Geologiche  e  Minerarie  del  Consiglio  Nazionale  delle  Ricer¬ 
che:  Gruppo  di  Ricerca  per  la  Paleontologia,  sezione  di  Pavia. 


G.  CANTALUPPI 


iru 


deirUniversità  di  Pavia,  e  in  cui  verrà  ampiamente  illustrata  an¬ 
che  la  successione  litologica  presente  a  Molvina,  che  io  quindi  in¬ 
dico  ora  solo  molto  parzialmente  e  succintamente. 


Fig.  1.  —  Schizzo  panoramico  delFribicazione  degli  strati  fossiliferi 

descritti  nel  testo. 


Come  risulta  dalla  Fig.  1,  ho  denominato  con  una  lettera  maiu¬ 
scola  i  livelli  fossiliferi  (ordinati  dalTantico  al  recente),  segnan¬ 
done  Tubicazione  in  uno  schizzo  panoramico,  in  cui  indico  anche 
le  quote  topografiche.  Le  mulattiere  indicate  sono  quelle  che  da 
Gazzolo  salgono  al  M.  Fratta  (o  alle  «cave  delle  Paine»):  di 
esse,  superato  il  bivio  (per  Molvina)  di  quota  370  m,  quella  infe¬ 
riore  —  di  recente  costruzione  —  si  ricollega  aH’altra  più  alta 
dopo  la  curva  situata  alla  quota  390  m. 


La  serie  -  Nel  livello  A  ho  raccolto  i  fossili  studiati  nel  pre¬ 
cedente  lavoro  (CANTALUPPI  1966)  e  riferiti  al  Domeriano  infe¬ 
riore  (potenza  di  questo  livello  fossilifero  da  2  a  3  m). 

—  Circa  7  m  sopra  questo  affiorano,  poco  sotto  la  curva  della  mu¬ 
lattiera  più  alta,  calcari  prevalentemente  miarnosi  grigio-noc¬ 
ciola  con  selci  varicolori,  ben  stratificati,  a  sottili  giunti  mar- 


IL  LIMITE  PALEONTOLOGICO  DOMERIANO-TOARCIANO 


1  ~)T) 

nosi,  potenti  complessivamente  poco  più  di  4  m:  alla  base  di 
essi  ho  rinvenuto  (livello  B)  pochi  Arieticeras,  tra  cui  Arieti- 
ceras  hertrandi  (Kil.);  alla  sommità  (livello  C)  solo  Jiiraphyl- 
lites  libertus  (Gemm.). 

—  Sovrastano  immediatamente  C  metri  1,50  circa  di  calcari  mar¬ 
nosi  nocciola,  con  screziature  rosso-ruggine  ed  a  superficie  di 
strato  bernoccolute  (livelli  D-E):  in  essi  ho  raccolto  molti  Dac- 
tylioceras,  Lioceratoides  e  un  solo  usurato  Calliphylloceras  ;  ho 
riconosciuto  in  particolare:  alla  base  (livello  D)  Dactylioceras 
polymorphum  Fuc.  (assai  abbondante)  e  Lioceratoides  ìiof- 
fmaìini  (Gemm.)  (ben  rappresentato)  -  alla  sommità  (livello  E) 
Lioceratoides  schopeni  (Gemm.)  (altrettanto  ben  rappresen¬ 
tato). 

—  Qualche  metro  (non  ben  valutabile  a  causa  della  copertura 
stradale)  sopra  E,  in  altri  calcari  nocciola-verdastri  che  diven¬ 
gono  sempre  più  marnosi,  ho  raccolto  (livello  F)  Hildoceras 
suhlevisoni  Fuc.  e  Geyeroceras  aff.  cylindricum  (Sow.)  e  circa 
4  m  sopra  questi  (livello  G)  Mercaticeras  cf.  schroederi  (Mitz.). 


Discussione  dei  dati  paleontologici  -  Così  come  A  anche  i 
livelli  B  e  C  risultano  ascrivibili  al  Domeriano  :  infatti  la  pre¬ 
senza  degli  Arieticeras  e  di  Juraphyllites  libertus  (Gemm.),  generi 
e  specie  che  non  oltrepassano  con  sicurezza  questo  sottopiano  (si 
vedano,  ad  es.  e  tra  gli  innumerevoli  dati,  quelli  di  MooRE  1957, 
Dubar  1954,  Durar  e  Mouterde  1961,  Cantaluppi  1966  e  1967), 
comprovano  questa  affermazione.  Ricordo  ancora  che  la  posizione 
nella  serie  di  Molvina  di  Arieticeras  bertrandi  (Kil.)  corrisponde 
assai  bene  a  quella,  abbastanza  elevata  in  seno  al  Domeriano,  os¬ 
servata  in  Val  Ceppelline  (Cantaluppi  1967)  ed  a  Gozzano  (Sac- 
CHi  ViALLi  e  Cantaluppi  1967). 

I  livelli  F  e  G  competono  invece  sicuramente  al  Toarciano: 
infatti  Mercaticeras  scìiroederi  (Mitz.)  è  stato  riconosciuto  nel 
Toarciano  deH’Alpe  Turati  (Venzo  1952)  e  nella  zona  a  bifrons 
del  Toarciano  della  Val  Varea  (Mitzopoulos  1930);  Hildoceras 
sublevisoni  Fuc.  è  addirittura  V  indice  della  sottozona  più  bassa 
della  stessa  zona  a  bifrons  (Gabilly  1961);  Geyeroceras  cylindri¬ 
cum  (Sow.)  è  specie  soprattutto  del  Lias  inferiore  e  medio:  essa  è 


156 


G.  CANTALUPPI 


tuttavia  segnalata  da  Venzo  1952  nel  Toarciano  dell’Alpe  Turati 
e  da  Zanzucchi  1963  nel  «  livello  inferiore  »  del  Toarciano  di  En- 
tratico:  è  appunto  facendo  riferimento  alFesemplare  figurato  da 
questo  Autore  ed  a  quello  in  mio  possesso  che  ho  preferito  la  di¬ 
zione  «  aff.  cylindricum  Sow.  »,  essendo  essi  caratterizzati  da  se¬ 
zione  meno  tozza  di  quanto  non  si  riscontri  nella  specie  di  So- 
werby  nella  sua  espressione  tipica,  differenziata  appunto  da  quella 
in  questione  anche  nel  tempo. 


I  livelli  D  ed  E,  invece,  caratterizzati  daH’abbondanza  dei  Dac- 
tylioceras,  competerebbero  alla  zona  a  Dactylioceras  tenuicostatum 
(Y.  e  B.)  del  Toarciano  basale  (secondo  i  dati  per  es.  di  Dubar 
1954,  Dubar  e  Mouterde  1961,  Maubeuge  1961  e  Ferretti 
1967):  quest’ultimo  Autore,  in  particolare,  cita  per  il  Toarciano 
basale  del  M.  Domare  la  stessa  specie  riconosciuta  a  Molvina,  Dac¬ 
tylioceras  polyìnorphuìn  Fuc.,  osservando  (op.  cit.  p.  749)  che 
questa  entità,  riferita  da  Fucini  1935  al  Domeriano  «  è  attribuita 
attualmente  alla  zona  a  D.  teyiidcostatum  del  Toarciano  inferiore  ». 
In  realtà  a  Molvina,  nei  livelli  D-E  (senza  che  lo  stato  degli  esem¬ 
plari  0  il  tipo  litologico  facciano  pensare  a  un  rimaneggiamento  di 
secondo  ciclo)  sono  presenti  anche  abbondanti  fossili  del  Dome¬ 
riano,  i  Lioceratoides  (v.  Moore  1957,  Dubar  1954,  Dubar  e  Mou¬ 
terde  1961):  in  particolare  Lioceratoides  hoffmanni  (Gemm.)  è 
segnalato  nel  Domeriano  di  Taormina  (Fucini  1923-28)  e  del¬ 
l’Alpe  Turati  (Venzo  1952),  Lioceratoides  (=  Miirleyiceras  in 
questo  caso)  schopeni  (Gemm.)  oltre  che  nel  Domeriano  di  Taor¬ 
mina  (Fucini  1923-28)  anche  nel  Domeriano  superiore  dell’Alto 
Atlante  marocchino  (Dubar  1954). 


Conclusioni  -  In  questo  stato  di  cose  sarei  per  ora  propenso 
a  ritenere  rappresentato  nei  livelli  D-E  di  Molvina  il  passaggio 
Domeriano-Toarciano,  anche  se,  per  le  ragioni  suesposte,  per  essi 
risulterebbe  meglio  dimostrabile  una  età  domeriana. 

Mi  adeguo  in  questo  senso  al  pensiero  di  Dubar  e  Mouterde 
1961  i  quali  appunto  (p.  240)  considerano  appartenenti  al  «  Domé- 
rien  terminal  et  Toarcien  inférieur  »  i  «  Murleyiceras  à  larges 
còtes  sinueuses  ou  falciformes  »  (=  Lioceratoides  di  tipo  evo¬ 
luto,  come  schopeni  Gemm.,  hoffmanni  Gemm.,  n.d.a.). 


IL  LIMITE  PALEONTOLOGICO  DOMERIANO-TOARCIANO  ] 

Non  intendo  tuttavia  con  ciò  discutere  minimamente  la  va¬ 
lidità  della  zona  a  temiicostatum  del  Toarciano,  anche  se  non  mi 
consta  che  essa  sia  stata  da  noi  documentata  con  sicurezza  almeno 
neiritalia  settentrionale.  E’  ovvio  che  ciò  non  potrà  essere  verifi¬ 
cato  che  dopo  Tesarne  di  associazioni  più  ricche,  raccolte  con  stretto 
criterio  stratigrafico  e  di  significato  non  esclusivamente  locale. 

Dal  canto  mio  anticipo  fin  d’ora  di  essere  invece  in  grado  di 
documentare,  mediante  associazioni  del  tutto  corrispondenti  per 
composizione  a  quella  dei  livelli  D-E  di  Molvina,  e  caratterizzate 
da  un  maggior  numero  di  esemplari  e  di  specie  (che  saranno  og¬ 
getto  di  un  lavoro  di  prossima  pubblicazione  su  questi  stessi  Atti), 
questo  mio  modo  di  vedere. 


OPERE  CITATE 

Cantaluppi  G.,  1966  -  Fossili  sinemuriani  e  domeriani  nel  «Corso  bianco» 
ad  Est  di  Brescia.  Atti  Ist.  Geol.  Univ.  Pavia,  voi.  XVII,  pp.  103-120, 
2  tt. 

Cantaluppi  G.,  1967  -  Le  ammoniti  domeriane  della  Val  Ceppelline  (Suello- 
Prealpi  lombarde).  Atti  let.  Geol.  Univ.  Pavia,  voi.  XVIII,  pp.  3-50, 
5  tt.,  1  f. 

Durar  G.,  1954  -  Succession  des  fannes  d’Ammonites  de  types  italiens  au 
Lias  moyen  et  inférieur  dans  le  Haut  Atlas  marocain.  Comptes  R. 
19e  Congr.  Géol.  Intern.,  Sect.  XVIII-III  (1952),  fase.  15,  pp.  23-27. 

Durar  G.,  Mouterde  R.,  1961  -  Les  fannes  d’ammonites  du  Lias  moyen  et 
supérieur.  Vue  d’ensemble  et  bibliographie.  In  «  Colloque  sur  le  Lias 
frangais  ».  Mém.  Pur.  Redi.  Géol.  et  Min.,  n.  4,  pp.  236-244. 

Ferretti  A.,  1967  -  Il  limite  Domeriano-Toarciano  alla  Colma  di  Domaro 
(Brescia)  stratotipo  del  Domeriano.  Riv.  It.  Paleont.,  voi.  73,  n.  3, 
pp.  741-756,  1  t. 

Fucini  A.,  1920-1935  -  Fossili  domeriani  dei  dintorni  di  Taormina.  Palaeont. 
hai.,  voi.  XXIX-XXX  (1923-28),  37  pp.,  12  tt.;  voi.  XXXV  (1935),  15  pp., 
4  tt. 

Garilly  J.,  1961  -  Le  Toarcien  de  Thouars.  A:  Etude  stratig’raphique  du 
Stratotype.  In  «  Colloque  sur  le  Lias  frangais  ».  Mém.  Pur.  Redi. 
Géol.  et  Min.,  n.  4,  pp.  345-356. 

Maureuge  P.  L.,  1961  -  Le  Toarcien  et  le  sommet  du  Pliensbachien  dans  la 
région  de  Langres  (Haute-Marne)  et  quelques  comparaisons  avec  la 
Lorraine  centrale.  In  «  Colloque  sur  le  Lias  frangais  ».  Mém.  Pur.  Redi. 
Géol.  et  Min.,  n.  4,  pp.  563-576. 


Il 


158 


G.  CANTALUPPI 


Mitzopoulos  M.  K.,  1930  -  Beitràge  zur  Cephalopodenfauna  des  oberen  Lias 
der  Alta  Brianza.  Fragmat.  Ak.  Atiiion,  voi,  B,  n.  2,  pp.  1-114,  8  tt. 

Moore  R.  C.,  1957  -  Treatise  on  Invertebrate  Paleontology,  p.  L:  Mollusca 
4.  Geol.  Soc.  Amer.  e  Un.  Kansas  Press,  490  pp. 

Sacchi  Vialli  G.,  Cantaluppi  G.,  1967  -  I  nuovi  fossili  di  Gozzano  (Prealpi 
Piemontesi)  -  Meni.  Soc.  Ital.  Se.  Nat.  Mas.  Civ.  St.  Nat.  Milano, 
voi.  16,  n.  2,  pp.  63-127,  30  ff.,  8  tt. 

Venzo  S.,  1952  -  Nuove  faune  ad  ammoniti  del  Domeriano-Aleniano  del¬ 
l’Alpe  Turati  e  dintorni  (Alta  Brianza).  La  successione  stratigrafica. 
Atti  Soc.  Ital.  Se.  Nat.,  voi.  XCI,  pp.  95-123,  2  tt. 

Zanzucchi  G.,  1963  -  Le  ammoniti  del  Lias  superiore  (Toarciano)  di  Entra- 
tico  in  Val  Cavallina  (Bergamasco  orientale).  Meni.  Soc.  Ital.  Se.  Nat. 
Mas.  Civ.  St.  Nat.  Milano,  voi.  13,  n.  3,  pp  101-146,  8  tt. 


Delfa  Guiglia 


MISSIONE  1965  DEL  PROF.  GIUSEPPE  SCORTECCI 
NELLO  YEMEN  (ARABIA  MERIDIONALE) 

HYMENOPTERA:  TlPHIIDAE,  VESPIDAE,  POMPILIDAE, 

SPHECIDAE,  APIDAE 


Il  Prof.  Giuseppe  Scortecci,  Direttore  dell’  Istituto  di  Zoo¬ 
logia  deir  Università  di  Genova,  ha  compiuto  nel  1962  una  prima 
missione  di  ricerche  biologiche  nella  parte  meridionale  della  peni¬ 
sola  arabica  e  più  precisamente  nella  zona  dei  due  sultanati, 
Qu’aiti  e  Katiri,  compresa  presso  a  poco  tra  i  meridiani  di  47°  30' 
e  49"  30'  est  di  Greenwich  (0-  Gli  Imenotteri  da  me  allora  trat¬ 
tati  (1964)  furono  raccolti  nella  valle  dello  Hadramaut  che  decorre 
grosso  modo  a  cavallo  del  parallelo  di  16°  e  tra  i  meridiani  di 
48°  30'  e  49°. 

Nel  1965  lo  stesso  Prof.  Scortecci  percorse  ed  esplorò  una 
seconda  volta  il  Sud  Arabia  recandosi  nello  Yemen,  terra  che, 
come  altre  visitate  da  questo  valoroso  ed  infaticabile  esploratore, 
risulta  essere  quasi  sconosciuta  dal  lato  biologico,  non  solo  ma 
anche  incompiutamente  nota  dal  punto  di  vista  geografico  man¬ 
cando,  come  asserisce  lo  Scortecci  nella  sua  bella  relazione  del 
viaggio  (“),  di  «  carte  precise,  dettagliate,  sicure  ». 

Ringrazio  la  Direzione  del  Museo  Civico  di  Storia  Naturale 
di  Milano  per  aver  voluto  affidarmi  lo  studio  dell’  interessante 


(h  Giuseppe  Scortecci:  Viaggio  nelV Arabia  meridionale,  Boll.  Soc. 
Geogr.  Ital.,  1963,  n.  11-12,  pp.  549-578. 

(“)  G.  Scortecci:  Relazione  di  un  viaggio  di  esplorazione  biologica  nello 
Yemen.  Boll.  Mus.  e  Ist.  Biologici  dell’ Università  di  Genova,  XXXIV,  1966, 
N.  206,  pp.  5-106. 


160 


DELFA  GUIGLIA 


materiale  trattato  nella  presente  nota  ed  attualmente  conservato 
nelle  collezioni  del  Museo  stesso. 

Fam.  Tiphiidae 
Subfam.  Myzinmae 

Meria  scorteccii  n.  sp. 

(Figg\  1,  2,  3) 

S.  -  Nero  e  giallo.  Sono  gialle  le  seguenti  parti:  le  mandi- 
bole,  eccettuato  l’apice  che  è  bruno  rossastro,  il  clipeo,  parte 
della  prominenza  frontale,  una  fascia  al  margine  posteriore  del 
pronoto,  le  tegule,  una  macchietta  mediana  sul  postcutello,  una 
fascia,  più  0  meno  espansa  ai  lati,  al  margine  posteriore  degli 
urotergiti  I  -  VI,  una  piccola  macchia  laterale  sul  II  -  VI  uroster- 
niti,  i  tarsi  di  tutte  le  paia  di  zampe  (Tultimo  articolo  è  più  o 
meno  infoscato),  parte  dei  femori  (specialmente  del  I  paio)  e  delle 
tibie.  Antenne  con  la  faccia  inferiore  del  funicolo  rossastra.  Ali 
ialine  a  riflessi  madreperlacei,  nervature  e  stigma  testacei. 

Capo:  clipeo  con  pochissimi  punti  sparsi,  fronte  a  punti 
densi,  regolari  e  profondi,  che  vanno  notevolmente  diradandosi 
sul  vertice.  Prominenza  frontale  sporgente  in  senso  orizzontale. 
Antenne  (fig.  1)  con  il  funicolo  ad  articoli  regolari  che  vanno  ap¬ 
pena  leggermente  ingrossandosi  verso  l’apice,  i  mediani  sono  il 
doppio  circa  più  lunghi  che  larghi. 

Torace:  pronoto  a  margine  anteriore  acuto  e  lati  un  poco 
convergenti  in  alto,  superficie  a  punti  grossolani,  numerosi  e  pro¬ 
fondamente  impressi.  Mesonoto  lucido  a  punti  simili  a  quelli  del 
pronoto,  scarsi  al  centro  un  poco  più  numerosi  ai  lati.  Scutello 
lucido  punteggiato  come  il  mesonoto.  Epinoto  a  punti  densi  e 
strie  irregolari.  Mesopleure  grossolanamente  punteggiate  con  in¬ 
tervalli  fra  i  punti  anche  maggiori  del  diametro  dei  punti. 

Addome:  a  segmenti  strozzati.  Urotergite  I  a  punti  fini  e 
radi,  urotergiti  IL  -  VI.  a  punteggiatura  gradatamente  un  poco 
più  densa  e  meno  fina,  urotergite  VII  (fig.  2)  più  grossolanamente 
ed  irregolarmente  punteggiato  con  incisione  larga  e  lobi  a  lati  in¬ 
terni  divergenti  ed  apice  subarrotondato. 

Pubescenza  :  bianca  argentea  particolarmente  abbondante  sul 
capo  e  torace,  sull’addome  i  peli  sono  più  radi  e  soprattutto  ad- 


MISSIONE  1965  DEL  PROF.  GIUSEPPE  SCORTECCI  NELLO  YEMEN  ECC.  IBI 


densati  al  margine  posteriore  dei  segmenti,  in  special  modo  degli 
apicali. 

Ali:  terzo  segmento  del  radio  maggiore  (di  un  terzo  circa) 
del  secondo. 

Armatura  genitale  come  nella  fig.  3. 

Lungh.:  10  mm. 

Arabia  meridionale:  Yemen,  Dhamar  E1  Beida,  m  2200, 
16-IX-1965. 


Meria  scorteccii  n.  sp.  $. 

Fig.  1:  antenna  -  Fig.  2:  urotergite  VII  -  Fig.  3:  armatura  genitale. 


161' 


DELFA  GUIGLIA 


Holotypiis,  leg.  G.  Scortecci,  1  Syntypus,  leg.  G.  Scortecci, 
Holotypus  in  Coll.  Museo  Civico  di  Storia  Naturale  di  Milano, 
Syntypus  in  Coll.  Museo  Civico  di  Storia  Naturale  di  Genova. 

Questa  specie  si  avvicina  come  aspetto  di  insieme  alla  M.  fa- 
sciculata  Saunders  descritta  di  Biskra  (Algeria)  (Guiglia,  1959, 


pp.  7,  24,  fig.  13),  dalla  quale 
seguenti  caratteri  : 

M.  scorteccii  n.  sp. 

Funicolo  delle  antenne  con  gli  arti¬ 
coli  mediani  e  l’articolo  apicale  presso 
a  poco  il  doppio  più  lunghi  che 
larghi. 

Capo  con  prominenza  frontale  spor¬ 
gente  in  senso  orizzontale. 

Pronoto  a  lati  convergenti  anterior¬ 
mente  ed  a  margine  anteriore  ele¬ 
vato. 

Armatura  genitale  come  nella  fig.  3. 


si  differenzia  soprattutto  per  i 


M.  fasciculata  Saunders 

Funicolo  delle  antenne  con  gli  arti¬ 
coli  mediani  e  l’articolo  apicale  più 
del  doppio  più  lunghi  che  larghi. 

Capo  senza  prominenza  frontale. 

Pronoto  a  lati  subparalleli  ed  a  mar¬ 
gine  anteriore  non  elevato  con  sola¬ 
mente  tracce  di  lamella  ai  lati. 

Armatura  genitale  come  nella  fig.  13 
(in  Guiglia,  1959,  p.  23). 


Aggiungo  che  nella  M.  scorteccii  la  punteggiatura  del  torace 
è  più  grossolana  rispetto  alla  M.  fasciculata. 

La  M.  ps  eliclo  fasciculata  (Guiggia,  1963,  p.  235,  figg.  1,  2) 
si  differenzia  dalla  M.  scortecci  soprattutto  per  il  funicolo  delle 
antenne  rosso  e  ad  articoli  visibilmente  ingrossati  verso  l’apice 
(Guiggia,  1.  c.,  fig.  1),  per  il  pronoto  a  lati  subparalleli  e  margine 
anteriore  con  lamella  bene  distinta  ed  inoltre  per  la  conforma¬ 
zione  deirarmatura  genitale  (Guiggia,  1.  c.,  fig.  2). 


Fam.  Vespidae 
Subfam.  Eumeniclinae 
Eumenes  (Delta)  maxillosus  De  Geer 

Eumenes  {Delta)  maxillosus  Bequaert,  1926,  pp.  492,  559,  564;  fig.  13.  - 
Guiggia,  1959,  p.  313. 

Harrastein,  m  1550,  29-VIII-1965 :  1  $ . 

Distrib.  :  Specie  largamente  diffusa  in  tutta  la  regione 
etiopica. 


MISSIONE  1965  DEL  PROF.  GIUSEPPE  SCORTECCI  NELLO  YEMEN  ECC.  163 


Subfam.  Polybiinae 

Belonogaster  griseus  var. 

Hamman  Ali,  m  1600,  8-IX-1965 :  7  $  $ . 

Questi  esemplari  sono  simili  a  quelli  dello  Yemen  meridio¬ 
nale  che  Gribodo  (1884,  p.  384)  riferisce  al  Belonogaster  Menelikii 
Gribodo  descritto  dello  Scioa  (1879,  p.  342):  «Due  femmine  rac¬ 
colte  in  Gennaio  a  Tes  neirYemen  da  R.  Manzoni  sono  identiche 
agli  esemplari  tipici  di  Scioa:  il  loro  colorito  è  assai  chiaro», 
specie  questa  che  Gribodo  (1881,  p.  239)  dice  essere  «  assai  vicina 
al  B.  cinereits  ...»  aggiungendo  in  seguito  (1884,  p.  288)  che  po¬ 
trebbe  forse  essere  una  «  varietà  spiccatissima  del  jimceus  ».  Du 
Buysson  (1909,  p.  250)  e  Bequaert  (1918,  p.  332)  ascrivono  il 
B.  Menelikii  Gribodo  alle  varietà  del  Belonogaster  griseus  Fabr., 
specie  notevolmente  variabile  e  con  sinonimia  complicata  per  cui 
non  è  improbabile  che  come  «  varietà  »  sia  designata  forse  più 
di  una  specie,  questione  questa  che  potrà  essere  risolta  solo  attra¬ 
verso  una  completa  revisione  del  gruppo  fatta  in  base  ad  abbon¬ 
dante  materiale  di  località  diverse. 


Subfam.  Vespinae 

Vespa  orientalis  var.  somalica  Giordani  Soika 

Vespa  orientalis  var.  somalica  Giordani  Soika,  1934,  p.  184.  -  Guiglia, 

1948,  p.  37.  -  Guiglia,  1956,  pp.  306-307.  -  Guiglia,  1959,  p.  311. 

Sokna  (Tihama),  m  200,  20-VIII-1Ó65 :  3  ^  ^  . 

U.  E1  Kasaba,  m  550,  26-VIII-1965 :  1  ^. 

U.  Ezone,  m  1450,  27-VIII-1965 :  16  5^  g  . 

Taiz,  m  1350,  30-VII-1965 :  1  ^. 

Questa  varietà  è  così  caratterizzata  dalFAutore  :  «  ^  .  Affine 
alla  var.  Zavattarii  Guiglia  e  Capra,  ma  di  colore  molto  più  scuro 
e  di  una  tonalità  più  fredda  ;  bruno  nerastro  sul  capo  e  torace, 
quasi  nero  neH’addome.  Il  I  tergite  è  sprovvisto  di  fascia  apicale  ; 
i  tergiti  III  e  IV  sono  di  colore  giallo  pallido  con  le  macchie  late¬ 
rali  piccole  ed  isolate.  Il  III  sternite  è  bruno  nero  nel  terzo  me¬ 
diano  e  questo  colore  invade  irregolarmente  le  macchie  gialle 
laterali.  Le  ali  sono  molto  oscurite,  di  colore  bruno  uniforme  » 
(Giordani  Soika,  1.  c.). 


164 


DELFA  GUIGLIA 


Nei  sopra  citati  esemplari  il  III  urosternite  può  presentare 
una  fascia  gialla  più  o  meno  medialmente  interrotta  o  regolar¬ 
mente  continua  o  con  leggera  smarginatura  posteriore.  Il  colore 
delTaddome  si  mantiene  in  tutti  gli  esemplari  molto  scuro  come 
nella  forma  tipica. 

Distrib.  :  Questa  varietà  è  stata  descritta  su  alcune  operaie 
della  Somalia  orientale  (Carim  e  Bender  Cassim)  e  ritrovata  poi 
in  Migiurtinia  (Bogha  Aled  e  Toh)  (Guiglia,  1956);  Hagarù,  Ara 
Garin  e  E1  Gubete,  U.  Hago,  Gok,  Gardo  (Guiglia,  1959)  e  quindi 
neir Arabia  meridionale  (E1  Gorfa,  E1  Uassak,  Oasi  Dek  Dik) 
(Guiggia,  1964). 


Fam.  POMPILIDAE 
Subfam.  Macromerinae 

Ctenagenia  vespiformis  Klug 

Poìnpiliiis  vespiformis  Klug,  Symb.  Phys.  Dee.  4,  1834,  Insect.  ;  T.  XXXVIII, 
fig'.  3.  2.  -  Ctenagenia  vespiformis  Haupt,  1926-1927,  p.  129,  n.  1.  - 
Guiggia,  1964,  p.  308. 

Harrastein,  m  1550,  29-VIII-1965 :  1  2. 

In  questa  femmina  il  colore  «  fusco  ferrugineus  »  del  torace 
(Klug,  1.  c.)  è  più  0  meno  evidente  sullo  scutello,  postscutello  ed 
epinoto. 

Distrib.:  Siria  (loc.  tip.).  Isole  della  Grecia;  Cufra  (Es 
Zurgh);  Egitto;  Sudan  orientale  (Kor  Gerzabb);  Scioa  (Mahal- 
Uonz);  Harar;  Dancalia  (senza  località  precisata);  Migiurtinia 
(Bogha  Aled)  ;  Aden  ;  Assab  ;  Madagascar. 

Fam.  Sphecidae 
Subfam.  Sphecinae 

Sphex  (Harpactopus)  aegyptius  Kohl 
Sphex  {Harpactopus)  aegyptius  Kohl,  1890,  p.  351,  n.  48. 

Taiz,  m  1350,  30-VII-1935  :  1  2  . 

Distrib.:  Egitto  (loc.  tip.).  Siria  (Beirut);  Arabia  (Aden); 
Cipro;  Rodi;  Nubia  (Chartum);  Abissinia;  Isola  Maurizio;  Nord 
India  (Kohl,  1.  c.).  Somalia  (Villaggio  Duca  degli  Abruzzi).  Eri¬ 
trea  (Cheren). 


MISSIONE  1965  DEL  PROF.  GIUSEPPE  SCORTECCI  NELLO  YEMEN  ECC.  K),-) 


Fam.  Apidae 

Siibfam.  Xìjlocoqnnae 

Xylocopa  (Koptortosoma)  pubescens  Spinola 

Xylocopa  (Koptortosma)  pubescens  Lieftinck,  1964,  pp.  140-148;  fig’g*.  1-5 
e  Tav.  17,  fig’g.  7,  8.  8  9.-  Guiglia,  1964,  p.  309. 

Medinet  E1  Abid,  m  1350,  lO-IX-1965 :  1  9 . 

U.  Ezone,  m  1450,  27-VI1I-1965 :  1  8  . 

La  posizione  sistematica  della  X.  pubescens  Spinola,  citata 
dalla  mag'g’ioranza  degli  Autori  come  X.  aestuaìis  L.,  è  stata  chia¬ 
ramente  definita  da  Lieftinck  (1.  c.). 

Distrib.  :  Egitto  (loc.  tip.).  Arabia  meridionale.  Oasi  Dek- 
Dik  (Guiglia,  Le.);  Siria;  Palestina;  Egitto;  Nubia  e  Sudan; 
Marocco;  Camerun;  Asia  occidentale;  India.  (Per  una  dettagliata 
distribuzione  geografica  v.  Lieftinck,  1.  c.). 


Subfam.  Apinae 

Apis  (Apis)  adansonìi  Latreille 

Apis  {Apis)  aelansonii  Ma.4,  1953,  pp.  588,  618;  figg.  33,  59,  92,  124,  132, 
143,  150.  -  Guiglia,  1964,  p.  310. 

E1  Haurat  m  1550,  30-IX-1965 :  5  5- 

Distrib.:  Senegai  (loc.  tip.).  Arabia  meridionale,  E1  Gorfa, 
E1  Haregia  (Guiggia,  1.  c.).  «  All  over  Continental  Africa,  south 
to  about  15'^  N.  Lat.  »  (Maa,  1.  c.,  p.  589). 


Summary 

The  species  of  Hymenoptera  (Fam.  Tiphiidae,  Vespiclae,  Pouipilidae, 
Sphecidae,  Apidae)  collected  in  South  Arabia  (Yemen)  by  Prof.  G.  Scortecci 
(1965)  are  listed.  The  description  of  a  new  species  of  thè  genus  Meria  has 
been  done. 


Museo  Civico  di  Storia  Naturale,  Genova,  17  Aprile  1968. 


106 


DELFA  GUIGLIA 


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MISSIONE  1965  DEL  PROF.  GIUSEPPE  SCORTECCI  NELLO  YEMEN  ECC.  167 


Haupt  H.,  1926-1927  -  Monographie  des  Psammocharidae  {Fompilidae)  Mittel, 
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ISTITUTO  DI  ZOOLOGIA,  IDROBIOLOGIA  E  PESCICOLTURA  DELL’UNIVERSITÀ  DI  PERUGIA 

(DIRETTORE:  PROF.  G.  P.  MORETTI) 


Giampaolo  Moretti,  Francesco  Saverio  Gianotti, 
Carla  Dottorine  Antonia  Calisti  &  Maddalena  Melis 


COMPOSIZIONE  E  AVVICENDAMENTO 
DI  UNA  POPOLAZIONE  TRICOTTEROLOGICA 
PRIMAVERILE-ESTIVA 
IN  UNA  CAVERNA  DELLA  TOSCANA 

(GROTTA  0  «  TOMBA  »  LATTAIA  -  SIENA) 


Nel  proseguire  V  inchiesta  dei  tricotteri  cavernicoli,  ci  si  è 
imbattuti  in  una  grotta,  il  cui  popolamento,  pur  essendo  costi¬ 
tuito  dal  consueto  complesso  Stenofilacinico,  rivela  una  compo¬ 
sizione  peculiare  per  quanto  concerne  le  rappresentanze  dei  vari 
esponenti.  Anche  la  rotazione,  che  i  sopraluoghi  fino  ad  ora  con¬ 
dotti  hanno  lasciato  discernere,  presenta  qualche  nota  di  diver¬ 
genza  rispetto  allo  schema  individuato  per  altre  sedi  ipogee. 

La  Grotta  alla  quale  ci  si  riferisce  è  situata  in  Toscana 
presso  Tabitato  di  Cotona  (m.  385  s.l.m.),  alle  falde  del  monte 
omonimo  (m.  1148  s.l.m.),  in  provincia  di  Siena.  La  Grotta  Lat¬ 
taia  detta  anche  «  Tomba  Lattaia  »  si  apre  con  ampio  ingresso 
rivolto  a  NE  a  quota  m.  540  circa  in  località  Beiverde  al  voca¬ 
bolo  Valle  d’Oro  U  (Fig.  1). 

La  Grotta  o  «  Tomba  »  Lattaia  fa  parte  di  un  sistema  ipogeo 
di  interesse  preistorico.  Lo  studio  di  questa  caverna  ha  costituito 
parte  della  tesi  di  laurea  svolta  da  uno  di  noi  (Dottorini)  sotto 
il  profilo  geologico. 

Lo  stralcio  che  qui  viene  presentato  dei  reperti  relativi  alla 
grotta  estratti  dal  catalogo  generale  dei  Tricotteri  cavernicoli  è 
motivato  dair  interesse  della  colonizzazione  che,  come  è  stato  pre¬ 
cedentemente  detto,  presenta  una  fisionomia  sensibilmente  di¬ 
versa  da  quella  illustrata  per  alcune  cavità  del  sottosuolo  poste 
neir Appennino  a  quota  più  elevata  e  in  territorio  differente. 


COMPOSIZIONE  E  AVVICENDAMENTO  DI  UNA  POPOLAZIONE  ECC. 


TTJ 


Fig.  1.  —  La  località  ove  è  situata  la  grotta  o  «  Tomba  Lattaia  »  : 
Sarteano  -  P.gio  Biancheto  (prov.  Siena).  Fogl.  129  I  NE  carta 
(T  Italia  deir  I.G.M.  -  «  Dai  tipi  dell’  Istituto  Geografico  Militare 
(autorizzazione  n°  278  in  data  30  Novembre  1967)  ». 


1  7 0  G.  P.  MORETTI,  F.  S.  GIANOTTI,  C.  DOTTORINI,  A.  CALISTI  e  M.  MELIS 

Secondo  il  rilievo  eseguito  da  S.  Del  Vita  e  G.  C.  Viviani  del 
G.S.  C.A.I.  di  Perugia  (Fig.  2)  il  6. VI. 1965  risulta  che  la  «  Lat¬ 
taia  »  è  una  cavità  caratterizzata  da  ampio  ingresso  di  circa 
m.  10  di  larghezza  che  si  apre  a  levante  e  che  immette  in  un  esteso 
camerone,  nel  quale  sfociano  alcuni  cunicoli  ancora  non  esatta¬ 
mente  rilevati.  Dalla  prossimità  dell’  ingresso  si  orienta  a  SE  una 
galleria,  che  deve  essere  percorsa  quasi  carponi  e  che  termina  a 
cui  di  sacco,  sempre  molto  regolarmente  frequentata  dagli  espo¬ 
nenti  del  complesso  parietale  tricotterologico.  Con  ampie  volte  di 
una  trentina  di  metri  di  altezza  la  cavità  si  apre  nel  travertino 
e  si  incontrano  attualmente  grossi  massi  rocciosi  caduti  dalle 
volte  e  dalle  pareti  in  seguito  a  demolizione  provocata  dall’uomo. 


Fig’.  2.  —  Grotta  o  Tomba  Lattaia  (Beiverde  di  Cetona,  Siena). 

E’  in  corso  un  campionamento  metodico  della  popolazione 
acquatica  di  Tricotteri  negli  immediati  dintorni  della  grotta  per 
poter  dedurre  qualche  informazione  sulla  equivalenza  o  meno  delle 
due  rappresentanze  ipogea  ed  epigea. 

Sono  stati  effettuati  8  sopraluoghi  condensati  nei  mesi  pri¬ 
maverili  ed  estivi  dal  6. VI. 1965  al  12. VII. 1967. 


COMPOSIZIONE  E  AVVICENDAMENTO  DI  UNA  POPOLAZIONE  ECC. 


ITI 


La  diagnosi  delle  specie  che  sostengono  la  colonizzazione  sot¬ 
terranea  è  indicata  nella  Tabella  I  dalla  quale  emerge  con  chia¬ 
rezza  che  due  sono  le  specie  nettamente  predominanti  :  Steno- 
phylax  mucroìiatiis  Me.  L.  (+  crossotus  Me.  L.)  e  Micropterna 
seqiiax  Me.  L.  Il  primo  rappresentante  ha  fornito  ben  175  esem¬ 
plari  e  il  secondo  116  sul  totale  di  324  individui  componenti  Y  in¬ 
tero  bottino  tricotterologico.  L’esame  della  Tabella  I  indica  che, 
tra  le  sette  specie  riconosciute  presenti,  Stenophylax  permishis 
Me.  L.,  Stenophylax  mitis  Me.  L.,  Micropterna  fissa  Me.  L.,  Mi- 
cropterna  testacea  Gmel.,  Mesopìiylax  adspersus  Ramb.  non  for¬ 
mano  invece  che  una  esigua  rappresentanza  di  significato  secon¬ 
dario.  Se  si  volesse  infatti  definire  le  caratteristiche  della  grotta 
Lattaia  in  base  ai  rappresentanti  più  tipici,  come  è  stato  fatto 
nei  precedenti  lavori,  questa  potrebbe  essere  denominata  una 
grotta  a  St.  mucroìiatns  (4-  crossotus)  e  a  M.  sequax,  così  come 
la  Grotta  delle  Tassare  era  risultata  essere  a  M.  nyeterohia  e 
quella  del  Monte  Cucco  a  M.  testacea. 

Il  rapporto  numerico  tra  maschi  e  femmine  è  ancora  una 
volta  a  favore  dei  maschi,  confermandosi  così  esatte  le  informa¬ 
zioni  fina  ad  ora  acquisite  per  i  Tricotteri  delle  caverne. 

Come  si  spiega  ora  la  facies  peculiare  del  cenobio  tricottero¬ 
logico  della  «Lattaia»?  Perchè  St.  mucronatus  (-f  crossotus)  e 
M.  seqiiax  sovrastano  così  nettamente  tutto  il  resto  della  popo¬ 
lazione  primaverile-estiva?  I  fattori  determinanti  che  possono  es¬ 
sere  chiamati  in  causa  sono  nell’ordine:  la  struttura  della  popo¬ 
lazione  tricotterologica,  la  distribuzione  geografica,  la  ripartizione 
altimetrica,  l’epoca  dello  sfarfallamento.  St.  mucronatus  (-f  cros¬ 
sotus)  è  ampiamente  rappresentato  nella  penisola  italiana,  dalle 
Alpi  in  giù. 

Molto  resta  ancora  da  chiarire  sull’areale  di  questo  tricottero, 
ma  è  certo  che,  perlomeno  nella  regione  appenninica,  l’ insetto 
non  è  acrofilo  per  cui  è  più  frequentemente  reperibile  a  quote  col¬ 
linari.  Nelle  caverne  poste  al  di  sopra  dei  1000  metri  delle  stesse 
regioni  questo  stenofilacino  costituisce  un  incontro  infrequente. 
Inoltre,  la  Toscana  e  1’  Umbria  custodiscono  una  popolazione  di 
St.  mucronatus  (-f-  crossotus)  particolarmente  ricca  rispetto  alle 
altre  regioni  della  penisola.  In  caverna  questo  tricottero  penetra 
soprattutto  in  primavera  (metà  maggio,  primi  di  giugno)  dimi¬ 
nuendo  poi  di  numero  man  mano  che  ci  si  inoltra  nell’estate.  Si 


17  li  G.  P.  MORETTI,  F.  S.  GIANOTTI,  C.  DOTTORINI,  A.  CAPISTI  e  M.  MELIS 

deve  dedurre  che  St.  mucronatus  (+  crossotus)  occupa  una  posi¬ 
zione  importante  nel  popolamento  del  mondo  sub-lotico  epigeo 
delle  predette  regioni. 

Differente  è  la  situazione  di  M.  seqiiax,  la  cui  area  di  distri¬ 
buzione  è  estesissima  nella  regione  europea,  ma  in  Italia  risulte¬ 
rebbe  esservi  un  addensamento  notevole  in  alcuni  territori  tosco¬ 
umbri.  M.  sequax  è  presente  dalF  inizio  del  giugno  alF  inizio  del 
settembre,  manca  o  scarseggia  in  maggio,  raggiunge  il  massimo 
di  densità  di  popolazione  in  luglio.  La  successione  delle  due  pre¬ 
dette  specie  è  quindi  contraddistinta  dalla  precoce  colonizzazione 
sostenuta  da  St.  mucronatus  (4-  crossotus)  e  dal  successivo  af¬ 
flusso  di  M.  sequax. 

Si  sarebbero  così  potuti  individuare  tre  modelli  di  rotazione 
ipogea  primaverile-estiva  (maggio-settembre)  qualificati  dalle 
specie  numericamente  preponderanti  in  questo  periodo  delFanno  : 

I  St.  mitis-M.  nycterobia  («  Grotta  delle  Tassare  »  9  Ma. /PS, 
quota  m  1300,  M.  Nerone  -  Pesaro). 

II  M.  fissa-M.  testacea  («Grotta  di  Monte  Cucco»  17  U/PG, 
quota  m.  1390,  M.  Cucco  -  Perugia). 

Ili  St.  mucronatus  (-f  crossotus)-M .  sequax  («  Grotta  o  Tomba 
Lattaia  »,  quota  m.  540  circa,  M.  Cetona  -  Siena). 

Si  è  ritenuto  opportuno  mettere  in  luce  i  tipi  di  avvicenda¬ 
mento  cavernicolo  dei  Tricotteri  fino  ad  ora  individuati  nel  corso 
della  bella  stagione  (maggio-settembre)  per  le  caverne  più  dili¬ 
gentemente  inquisite,  non  già  perchè  queste  sequenze  debbano 
essere  ritenute  definitivamente  accertate  e  ad  andamento  co¬ 
stante,  ma  perchè  attraverso  questi  schema  si  possono  intrave¬ 
dere  le  epoche  di  sfarfallamento  delle  singole  specie  e  la  compo¬ 
sizione  del  complesso'  stenofilacinico  della  popolazione  epigea, 
assai  difficili  da  dedurre  attraverso  V  inchiesta  diretta  lungo  i 
corsi  d’acqua. 

La  caverna,  in  altri  termini,  fungerebbe  da  trappola  spia 
delle  strutture,  della  distribuzione  delle  specie  e  dei  loro  cicli  di 
sviluppo. 

Si  ring'raziano  il  Dott.  Q.  Pirisino  e  il  Sig.  G.  C.  Viviani,  del  G.  S.  del 
C.A.L  di  Perugia,  che  hanno  validamente  collaborato  in  questa  ricerca. 


Tabella  I.  —  Tricot feì-i  della  «  Grotta  Lattaia  »  (Siena). 
Specie,  date,  sex-ratio  e  numero  totale  degli  individui  reperiti  (^). 


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det.  G.  P.  Moretti 

(^)  La  cifra  araba  scritta  in  piccolo  e  seguita  dalla  lettera  c  indica  il  numero  delle  coppie. 


174 


G.  P.  MORETTI,  F.  S.  GIANOTTI,  C.  DOTTORINI,  A.  CALISTI  e  M.  MELIS 


Riassunto 

E’  illustrata  e  discussa  la  composizione  primaverile-estiva  della  entomo- 
fauna  tricotterologica  della  Grotta  o  Tomba  «  Lattaia  »  (m.  540  s.l.m.  Siena) 
scavata  nel  travertino.  In  otto  sopraluog'hi,  effettuati  dal  6/VI/1965  al 
12/VII/1967,  sono  stati  catturati  n.  324  alati  suddivisi  nelle  seguenti  specie: 
Stenophylax  permistiis  Me.  L.,  Si.  miicronatus  Me.  L.  (  -f  crossotus  Me.  L.), 
St.  mitis  Me.  L.,  Micropterna  sequax  Me.  L.,  M.  fissa  Me.  L.,  M.  testacea 
Gmel.,  Mesophylax  adspei'sus  Ramb.  Prevalgono  numericamente  Stenophylax 
mucronatus  Me.  L.  (+  crossotus  Me.  L.)  (n.  175  es.)  e  Micropterna  sequax 
Me.  L.  (n.  116  es.).  Detto  binomio  è  caratteristico  di  questa  caverna.  Anche 
nel  citato  ambiente  ipogeo  i  maschi  sono  più  numerosi  delle  femmine. 


Summary 

The  spring-summer  composition  of  thè  trychopterologic  entomofauna  in 
thè  «Lattaia»  Cave  or  Tomb  (m.  540  above  sea-level:  Siena)  in  travertine 
stone  was  illustrated  and  discussed.  In  eight  overlookings  done  from  lune 
6th,  1965  to  July  12th,  1967  bave  been  caught  n.  324  winged  inseets 
subdivided  in  thè  following  species  :  Steìiophylax  permistus  Me.  L.,  St.  mu¬ 
cronatus  Me.  L.  (+  crossotus  Me.  L.),  St.  mitis  Me.  L.,  Micropterna  sequax 
Me.  L.,  M.  fissa  Me.  L.,  M.  testacea  Gmel.,  Mesophylax  adspersus  Ramb. 

Stenophylax  mucronatus  Me.  L.  {-{-crossotus  Me.  L.)  (n,  175  ex.)  and 
Micropterna  sequax  Me.  L.  <,n.  116  ex.)  prevailed  numerically.  And  this 
binomial  is  characteristic  of  this  cave.  Also  in  this  underground  location 
thè  males  are  more  numerous  than  thè  females. 


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Moretti  G.  P.,  Gianotti  F.  S.,  Dottorini  C.,  Viviani  G.  C.  -  La  distribuzione 
e  Tavvicendamento  stagionale  dei  tricotteri  nella  Grotta  di  Monte 
Cucco  17  U./PG.  Atti  ZZZy  Congr.  U.Z.I.,  Boll.  Zool.,  33,  215-216, 
1966. 

Moretti  G.  P.,  Gianotti  F.  S.  -  Quello  che  si  sa  dei  tricotteri  cavernicoli  ita¬ 
liani.  Mem.  Soc.  Entom.  Ital.,  46,  73-125,  1967. 

Moretti  G.  P.,  Gianotti  F.  S.,  Dottorini  C.,  Viviani  G.  C.  -  La  colonizza¬ 
zione  tricotterologica  della  Grotta  di  Monte  Cucco  (17  U./PG.):  avvi¬ 
cendamento,  ripartizione,  sex  ratio  e  valutazione  delle  spoglie.  (In 
corso  di  stampa). 


Alulah  M.  Taibel 


CONSIDERAZIONI  CRITICHE  SU  UN  «PRESUNTO»  IBRIDO 
COTURNIX  COTURNIX  JAPONICA  MASCHIO 
E  GALLUS  GALLUS  FEMMINA 


Premessa. 

Grazietti  Gino  e  Grazietti  Ubaldo  hanno  dato  notizia  (1967) 
di  alcune  loro  «  prove  di  ibridazione  tra  la  Quaglia  giapponese 
maschio  e  la  Gallina  ».  La  tecnica  seguita  dai  due  sperimentatori 
consisteva  nell’  impiegare  «  sperma  di  una  quaglia  giapponese  ma¬ 
schio  raccolto  dalla  cloaca  di  una  quaglia  femmina,  subito  dopo 
raccoppiamento  »  (0  e  portarlo  —  con  il  procedimento  della  inse¬ 
minazione  artificiale  —  in  un  rilevante  numero  di  galline  alle¬ 
vate  in  clausura  (-).  Le  uova  —  una  quarantina  —  deposte  da 
queste  a  partire  dal  terzo  giorno  dopo  l’ inseminazione,  furono 
poste  sotto  alcune  chiocce:  solo  tre  risultarono  fecondate  e  due 
—  dopo  un  periodo  embriogenetico  di  22  giorni  —  giunsero  alla 
schiusa  in  quanto  una  delle  tre  uova  fecondate  conteneva  un  em¬ 
brione  deceduto  verso  la  fine  della  seconda  settimana  di  incu¬ 
bazione. 

Dei  due  pulcini  schiusi,  uno  morì  poche  ore  dopo  la  nascita 
mentre  l’altro,  rivelatosi  completamente  vitale,  ha  raggiunto  lo 
stadio  adulto,  risultando  femmina.  La  gallina  madre  —  secondo 
gli  A. A.  —  di  questo  ibrido  femminile,  era  di  origine  meticcia 
non  identificabile  :  comunque  il  suo  piumaggio  era  nero.  Gli  A. A. 


(h  Questa  tecnica,  alquanto  grossolana,  non  sembra  ovviamente  la  più 
indicata  e  la  più  felice  :  il  metodo  che  deve  essere  seguito  perchè  ha  sempre 
dato  indubbi  risultati  è  quello  indicato  da  BuRROWS  e  Quinn  (1937a,  1937b). 

(^)  Non  viene  tuttavia  indicato  —  rilievo  importante  —  da  quanto  tempo 
era  iniziata  la  clausura. 


176 


A.  M.  TAIBEL 


danno  poi  una  descrizione  somatica,  completata  da  dati  fisiolo¬ 
gici,  del  loro  ibrido.  Rilevando  solo  le  caratteristiche  essenziali, 
come  si  possono  benissimo  osservare  dalla  fotografia  che  gli  A. A. 
annettono  e  che  qui  si  riproduce  (fig.  1),  si  può  dire  che  «  la  testa, 
rispetto  al  resto  del  corpo,  è  piccola  e  di  forma  ovoidale,  prov¬ 
vista  di  cresta  semplice  dentellata  di  colore  rosso,  ...  di  bargigli 
pure  di  colore  rosso  vivo  .  .  .  coda  corta  e  portata  pressoché  ver¬ 
ticalmente  ...  ».  Di  piumaggio  completamente  bianco,  essa  rag¬ 
giunse  il  peso  di  gr.  2200  all’età  di  sei  mesi  e  mezzo,  quando 
iniziò  la  deposizione  che  si  prolungò  per  quasi  10  mesi,  dando  un 
numero  complessivo  di  196  uova  del  peso  medio  di  gr.  68. 


Fig.  1.  —  Riprodotta  da  «  Ibridazione  tra  la  specie  Coturnix  japo- 
ìiica  e  la  specie  Gallus  galliis  »  di  Grazietti  G.  e  Grazietti  U.,  1967. 


Risultati  vani  i  tentativi  di  inseminare  artificialmente  questo 
esemplare  con  sperma  di  quaglia  giapponese,  si  provvide  ad  ac¬ 
coppiarlo  ad  un  gallo  meticcio,  con  caratteri  di  Wyandotte.  Dalle 
35  uova  messe  in  incubazione  a  partire  dal  terzo  giorno  a  quello 
successivo  aH’accoppiamento,  si  ottennero  31  pulcini,  tutti  soprav¬ 
vissuti  e  regolarmente  sviluppati,  18  maschi  e  13  femmine,  tutti 
con  «  bene  evidenti  i  caratteri  somatici  del  pollo  »  (come  del  resto 
mostrano  le  fotografie  annesse).  Sotto  il  punto  di  vista  morfo¬ 
logico  e  fisiologico,  gli  A. A.  mettono  in  rilievo  che  essi  non  appa- 


CONSIDERAZIONI  CRITICHE  SU  UN  «  PRESUNTO  »  IBRIDO  ECC. 


177 


iono  completamente  uniformi,  soprattutto  riguardo  alla  mole  cor¬ 
porea,  al  colore  del  piumaggio  e  al  sopraggiungere  della  matu¬ 
rità  sessuale,  e  ciò  in  misura  più  evidente  nei  soggetti  maschili 
che  in  quelli  femminili  (^). 

Da  tutto  quanto  sopra  esposto,  gli  AA.  pensano  di  poter  giun¬ 
gere  ad  alcune  conclusioni,  la  più  importante  delle  quali  è  la 
prima,  ossia  : 

«  che  fecondando  galline  con  lo  sperma  di  quaglia  giapponese  è 
possibile  ottenere,  anche  se  in  bassa  percentuale,  dei  discendenti  ». 


Obiezioni. 

Innanzi  tutto  Mitsumoto  e  Nishida  (1958),  due  sperimenta¬ 
tori  giapponesi,  che  10  anni  or  sono  hanno  pubblicato  i  risultati 
delle  loro  prove  tendenti  ad  ottenere,  mediante  inseminazione  ar¬ 
tificiale,  gli  ibridi  diretti  e  quelli  reciproci  tra  Quaglia  giapponese 
e  Gallo  domestico,  hanno  potuto  stabilire  che  mentre  con  l’ incro¬ 
cio  Gallo  X  Quaglia  femmina,  si  è  ottenuto  qualche  risultato  posi¬ 
tivo  (5,4%  di  fertilità,  anche  se  con  zero  schiudibilità),  con  l’incro- 
cio  reciproco.  Quaglia  maschio  X  Gallina,  non  si  poteva  avere  al¬ 
cuna  fertilità.  In  altre  parole,  se  è  possibile  ottenere  ibridi  dalla 
costituzione  Gallo  X  Quaglia  femmina  (e  vedremo  in  seguito,  come 
sperimentatori  americani  vi  siano  riusciti),  non  altrettanto  pos¬ 
sibile  è  ottenere  gli  ibridi  reciproci.  Quaglia  maschio  X  Gallina. 
Io  non  ho  potuto  prendere  visione  del  lavoro  dei  due  giapponesi 
e  non  posso  dire  quindi  se  questi  hanno  prospettata  una  ragione 
per  giustificare  questa  differenza,  ma  io  penso  che  essa  debba 
risiedere  principalmente  in  una  azione  puramente  meccanica  :  gli 
spermi  della  Quaglia,  per  fecondare  Tuovo  della  Gallina  dovreb¬ 
bero  percorrere,  neirovidutto  di  questa  per  giungere  al  padiglione, 
un  tragitto  molto  più  lungo  (almeno  5-6  volte)  di  quello  che  in 
condizioni  normali,  ossia  nelFovidutto  della  Quaglia,  viene  loro 
richiesto.  E’  quindi  assai  probabile  che  essi,  durante  questa  pro- 


(®)  Questa  mancanza  di  uniformità  trova  la  sua  facile  spiegazione  data 
heterozigosi,  prima  della  gallina  meticcia  nera  che  ha  servito  per  la  prova 
sperimentale,  poi  del  gallo  meticcio  e  con  caratteri  di  Wyandotte  che  è 
stato  successivamente  accoppiato  con  l’esemplare  femminile  ritenuto  ibrido 
quaglia  X  gallina. 


178 


A.  M.  TAIBEL 


limgatlssima  marcia,  perdano  in  parte  o  in  tutto  la  loro  vitalità 
e  anche  se  giungono  al  padiglione  non  siano  più  in  grado  di 
fecondare. 

Con  questo  precedente  si  potrebbero  già  sollevare  gravi  dubbi 
sulla  autenticità  dell’  ibrido  dei  due  sperimentatori  italiani,  ap¬ 
punto  perchè  della  costituzione  Quaglia  maschio  X  Gallina. 

Ma  a  parte  questa  considerazione  (forse  con  una  tecnica  più 
appropriata  potrebbero  essere  superate  le  difficoltà  che  oggi  si 
presentano),  ne  rimangono  due  altre  di  valore  capitale  tali  da  ne¬ 
gare  la  natura  ibrida  dell’esemplare  illustrato  dai  due  Grazietti: 

a)  dalla  descrizione  somatica  e  dalla  fotografia  fornita 
(fig.  1),  risulta  in  modo  inequivocabile  che  il  supposto  ibrido  Qua¬ 
glia  maschio  X  Gallina  non  è  che  una  autentica  gallina  (^); 

b)  dai  ragguagli  fisiologici  enumerati  appare  come  la  sua 
fenuninilità  abbia  potuto  bene  esplicarsi,  come  la  maturità  ses¬ 
suale  sia  sorta  a  tempo  giusto  e  come  la  deposizione  delle  uova 
(abbondante  e  regolare)  sia  proceduta  normalmente:  si  sia  com¬ 
portata  quindi  non  come  un  ibrido  interspecifico  condannato  alla 
sterilità,  ma  come  una  noimale  gallina. 

Infatti,  tutti  gli  ibridi  interspecifici  nell’ordine  dei  Galli- 
foiTui  più  comunemente  noti,  come  quelli  che  hanno  luogo  —  seb¬ 
bene  molto  raramente  —  anche  spontaneameìite  nelle  comuni  aie 
coloniche  o  in  voliere,  fra  Gallo  e  Faraona,  Gallo  e  Fagiano,  Pa¬ 
vone  e  Faraona,  oppure  in  laboratorio,  mediante  un  processo  di  in- 
semiinazione  artificiale,  come  quello  tra  Fagiano  e  Tacchino  (As- 
MUNDSON  e  Lorenz,  1955,  1957)  e  Tacchino  e  Gallo  (Olsen,  1960), 
tradiscono  sempre,  nelle  loro  principali  caratteristiche  morfologi¬ 
che,  la  più  o  meno  palese  impronta  di  entrambe  le  forme  parentali. 
Non  è  possibile  immaginare,  almeno  in  via  teorica,  che  l’ ibrido  di 
due  specie  di  due  differenti  sottofamiglie  o  anche  di  due  generi 
differenti  (in  cui  numerosissime  possono  immaginarsi  le  coppie  di 
caratteri  allelomorfi)  abbia  potuto  ereditare  solo  ed  esclusivamente 
le  caratteristiche  di  una  sola  delle  due  specie  parentali,  come  ap- 


(9  Se  la  gallina  madre  era  da  molto  tempo  in  clausura  —  almeno  da 
5  settimane  —  quindi  senza  contatto  con  il  gallo  si  deve  pensare  che  la 
schiusa  di  un  pulcino  da  un  suo  uovo,  sia  l’effetto  di  un  fenomeno  —  tut¬ 
tavia  estremamente  raro  —  di  partenogenesi  .  .  . 


CONSIDERAZIONI  CRITICHE  SU  UN  «  PRESUNTO  »  IBRIDO  ECC. 


170 


punto  nel  caso  del  presunto  ibrido  Quaglia  maschio  X  Gallina.  In 
altre  parole,  non  è  logico  ammettere  che  soltanto  i  caratteri  della 
specie  Gallus  gallus  si  siano  palesati  mendelianamente  dominanti 
su  quelli  corrispondenti  di  Cotiirnix  cotiirnix,  quando,  per  contro, 
si  osserva  che  in  tutti  gli  altri  ibridi  accertati  più  sopra  menzio¬ 
nati,  nella  maggior  parte  dei  casi  si  ha  una  serie  di  caratteri, 
grosso  modo,  intermedi,  quando  non  ve  ne  siano  di  sicuramente 
dominanti  (come,  per  es.  il  «  piumaggio  bianco  »  della  Livornese 
bianca)  o  di  sicuramente  recessivi  (come  tutte  le  appendici  del 
capo:  cresta,  bargigli,  caruncole  carnose  del  Gallo  e  del  Tacchino, 
il  casco  corneo  della  Faraona  o  il  lunghissimo  strascico  costituito 
dalle  penne  del  groppone  del  Pavone).  D’altra  parte  è  anche  pro¬ 
vato  che,  salvo  lievi  differenze,  non  sempre  apprezzabili,  gli  ibridi 
diretti  sono  uguali  agli  ibridi  reciproci  G);  ebbene  gli  ibridi  ac- 


Fig.  2.  —  Riprodotta  da  « Chicken-Quail  Hybrids»  di  Wilcox  F.  H. 

e  Elmer  Clark  C.,  1961. 


certati  Gallo  X  Quaglia  femmina  ottenuti  da  Wilcox  e  Elmer 
Clark  (1961)  hanno  un  aspetto  morfologico  veramente  interme¬ 
dio  e  comunque  non  presentano  traccia  di  appendici  cefaliche, 
proprie  del  gallo.  Mentre  il  presunto  ibrido  Quaglia  maschio 
X  Gallina  degli  sperimentatori  Grazietti  mostra  una  bene  evi¬ 
dente  cresta  rossa  e  dentellata  e  bargigli  del  medesimo  colore. 


(h  Talvolta  vi  possono  essere  alcune  lievi  differenze;  nei  Mammiferi,  è 
noto  come  il  Mulo  —  derivato  Asino  X  Cavalla  —  sia  leggermente  diverso 
dal  Bardotto  —  derivato  Cavallo  X  Asina  —  ma  le  caratteristiche  generali 
sono  in  entrambi  rispettate. 


180 


A.  M.  TAIBEL 


Ma  ciò  che  toglie  ogni  sospetto  sulla  natura  ibrida  delFesem- 
plare  in  oggetto  è,  come  si  è  accennato,  la  sua  completa  fertilità. 
Almeno  nel  campo  ornitologico,  solo  gli  ibridi  fra  due  razze  o  due 
sottospecie  della  medesima  specie,  possono  dimostrarsi  fecondi  in 
entrambi  i  sessi:  gli  ibridi  interspecifici  già  sono  sterili  o  almeno 
gonomonarrenici  ;  quelli  di  due  generi  della  stessa  sottofamiglia 
(come  nel  caso  attuale:  Gallus  e  Coturnix,  della  stessa  sottofami¬ 
glia  Phasianinae)  sono  senz’altro  sterili  in  entrambi  i  sessi  presen¬ 
tando  turbe  assai  profonde  aH’apparato  genitale. 

Coìicludendo,  penso  che  non  vi  sia  una  sola  prova  per  soste¬ 
nere  una  costituzione  ibrida  all’esemplare  ottenuto  dagli  speri¬ 
mentatori  Grazietti  e  che  pertanto  esso  debba  essere  conside¬ 
rato  una  autentica  gallina. 

Pisa  -15  maggio  1968. 


BIBLIOGRAFIA 

Asmundson  V.  S.  e  Lorenz  F,  W.,  1955  -  Pheasant-Turkey  Hybrids.  Science; 
voi.  121,  n.  3139:  307-308. 

Asmundson  V.  S.  e  Lorenz  F.  W.,  1957  -  Hybrids  of  Ring-necked  Pheasant, 
Turkey  and  domestic  fowl.  Pouìtry  Science,  voi.  XXXVI,  n.  6. 

Burrows  W.  H.  e  Quinn  J.  P.,  1937a  -  A  method  of  obtaining  spermatozoa 
from  thè  domestic  fowl.  Pouìtry  Science,  14:  253-354. 

Burrows  W.  H.  e  Quinn  J.  P.,  1937b  -  The  collection  of  spermatozoa  from 
thè  domestic  fowl  and  turkey.  Pouìtry  Science,  16:  19-24. 

Grazietti  G.  e  Grazietti  U.,  1967  -  Ibridazione  tra  la  specie  Coturnix  japo- 
nica  e  la  specie  Gaììus  gaììus.  Nota  Prima:  Risultati  dell’accoppia¬ 
mento  tra  la  quaglia  giapponese  maschio  e  la  gallina.  Zootecnica  agri- 
coìa  veterinaria,  n.  11 :  1-6. 

Mitsumoto  K.  e  Nishida  S.,  1958  -  Trials  of  production  of  thè  hybrid  bet- 
ween  quails  and  chickens.  Journ.  Jap.  Zoothec.  Sci.,  29,  10. 

Olsen  M.  W.,  1960  -  Turkey-Chicken  Hybrids.  Journ.  Heredity,  Voi.  LI,  n.  2. 

WiLCOX  F.  H.  e  Elmer  Clark  C.,  1961  -  Chicken-Quail  Hybrids.  Journ.  He¬ 
redity,  voi.  LII,  n.  4. 


Lamberto  Laureti 


GEOMORFOLOGIA 

DELLE  COLLINE  DELLA  VALDINIEVOLE  (D 

(TOSCANA) 


Al  piede  deirAppennino  Toscano,  compreso  tra  il  medio  corso 
del  F.  Sérchio  e  l’alta  valle  del  F.  Niévole,  si  stende  una  serie  di 
dolci  e  ben  ondulate  colline  costituenti  un  graduale  raccordo  con 
la  sottostante  pianura. 

Meno  appariscenti  verso  oriente,  dove  invece  fanno  spicco  i 
nuclei  calcarei  mesozoici  di  Montecatini  e  Monsummano,  esse  pre¬ 
sentano  maggiore  estensione  nella  zona  centro-occidentale,  in  cui 
sfiorano  finanche  i  200  metri  di  altitudine  (M.  Chiari,  m  189), 
tanto  da  costringere  la  ferrovia  proveniente  da  Péscia  e  diretta 
a  Lucca  a  compiere  un’ampia  deviazione  verso  sud. 

Il  territorio  considerato  è  rappresentato  in  particolare  dalle 
colline  di  Buggiano  e  Péscia,  limitate  dal  corso  del  T.  Borra,  che 
scende  subito  ad  ovest  di  Montecatini  Terme,  e  del  T.  Péscia  di 
Collodi,  e  infine  dalle  colline  di  Montecarlo,  che  si  protendono  a 
sud,  quasi  in  diretta  prosecuzione  del  rilievo  appenninico  delle 
Pizzorne,  fino  a  sovrastare  i  dintorni  di  Altopàscio. 

L’ interesse  geologico  e  morfologico  per  queste  colline  fu  di¬ 
mostrato  da  vari  Autori  fin  dallo  scorso  secolo,  tanto  che  la  let¬ 
teratura  sull’argomento  risulta  abbastanza  copiosa. 

Tuttavia,  dopo  la  classica  sintesi  del  Dainelli,  che  risale  a 
quarant’anni  fa,  quasi  nulla  fu  più  scritto  in  proposito  (^).  Re- (*) 


(*)  Il  presente  lavoro  è  frutto  di  una  serie  di  ricerche  iniziate  nel  1963, 
quando  l’Autore  era  ospite,  come  borsista  del  Consiglio  Nazionale  delle  Ri¬ 
cerche,  dell’  Istituto  di  Geografia  della  Facoltà  di  Lettere  dell’Università  di 
Firenze,  e  successivamente  proseguite  saltuariamente,  con  lo  scopo  di  chia¬ 
rire  alcuni  aspetti  geomorfologici  dell’Appennino  di  Lucca  e  Pistoia  relati¬ 
vamente  ai  bacini  della  Valdinievole  e  delle  Valli  Pesciatine. 

C)  Solo  da  pochi  anni  i  geologi  pisani  hanno  ripreso  gli  studi  su  questo 
territorio,  particolarmente  ad  opera  di  F.  Saggini,  P.  Squarci,  L.  Taffi  e 
altri  (v.  bibliogr.). 


L.  LAURETI 


l<S!j 

centemente,  TAutore  di  questa  nota,  nel  corso  di  una  serie  di  ri¬ 
cerche  geomorfologiche  iniziate  alcuni  anni  fa  nelle  montagne  pi¬ 
stoiesi  e  in  particolare  nei  bacini  della  Valdinievole,  ha  rivolto 
la  sua  attenzione  a  queste  colline  al  fine  di  valutare  adeguata- 
mente  la  natura  e  Torigine  dei  sedimenti  che  le  costituiscono,  cor¬ 
relativi  al  modellamento  delle  aree  appenniniche  della  Valdinie¬ 
vole  stessa. 


Fig.  1.  —  Carta  geologica  generale  del  territorio  della  bassa  Valdi¬ 
nievole  (i  riquadri  corrispondono  alle  zone  esaminate  in  dettaglio). 
Legenda;  ])  <-;  Verrucano  s.\.  »  (scisti  sericitici  e  arenacei);  serie 
toscana:  2)  calcari  mesozoici,  3-4)  macigno  oligogenico;  5)  «  Ligu- 
ridi  s.L  »  (argille  scagliose);  formazioni  neoautoctone:  6)  argille, 
sabbie  e  ghiaie  plioquaternarie,  7)  ciottoli  provenienti  dal  M.  Pisano; 
8)  depositi  argillosi  e  torbosi  di  ambiente  palustre;  9)  alluvioni 

fluviali  recenti. 


GEOMORFOLOGIA  DELLE  COLLINE  DELLA  VALDINIEVOLE 


183 


Delle  numerose  fenomenologie  (terrazzi,  ripiani,  ecc.)  rico¬ 
nosciute  in  queste  ultime  verrà  dato  ampio  resoconto  in  un  pros¬ 
simo  lavoro  includente  una  dettagliata  carta  geomorfologica. 

Al  fine  di  facilitare  la  comprensione  dei  vari  problemi  re¬ 
lativi  alla  morfologia  ed  albevoluzione  delle  valli  pistoiesi  è  stato 
eseguito  un  esame  particolareggiato  delle  formazioni  geologiche 
che  costituiscono  Tossatura  di  questa  fascia  di  raccordo  tra  mon¬ 
tagna  e  pianura. 

^  ^ 

Nel  territorio  di  Montecarlo,  limitato  a  nord  dalla  carrozza- 
bile  Péscia-Lucca,  ad  ovest  dalla  pianura  lucchese  da  cui  emerge 
improvvisamente  il  ripido  cocuzzolo  di  Pòrcari  (m  107),  ad  est 
dal  T.  Péscia  di  Collodi  e  a  sud  dalla  ferrovia  Péscia-Lucca,  è 
stata  riconosciuta  la  seguente  successione  litologica  (-),  dal  basso 
in  alto: 

a)  argille,  sabbie,  ghiaie  in  alternanza,  con  prevalenza  dei 
primi  due  termini.  Il  deposito  di  questi  sedimenti  avvenne  pro¬ 
babilmente  in  ambiente  marino  epicontinentale  durante  il  Plio¬ 
cene.  Il  principale  affioramento  argilloso  si  osserva  alla  base  della 
collina  di  Pòrcari,  con  accentuate  inclinazioni  verso  nord-ovest. 

h)  argille  e  ghiaie  in  alternanza,  separate  da  orizzonti  li- 
monitizzati  cementati  (^).  L’ambiente  di  sedimentazione  sembre¬ 
rebbe  di  tipo  fluvio-lacustre.  I  depositi  affiorano  in  prevalenza  a 
sud-ovest  di  Montecarlo,  lungo  la  parte  alta  del  Rio  San  Gallo  (■^). 
Il  Dainelli  attribuisce  questi  orizzonti  al  Pliocene  miarino; 

c)  ghiaie  e  sabbie  di  aspetto  continentale  :  si  tratta  con 
tutta  probabilità  di  alluvioni  fluviali  e  torrentizie.  Affiorano  dap¬ 
pertutto  e  costituiscono  in  un  certo  senso  l’ossatura  di  questi  ri¬ 
lievi.  La  natura  delle  ghiaie  appare  chiaramente  poligenica,  con- 


(^)  La  successione  non  va  intesa  rigorosamente,  riscontrandosi  una  varia¬ 
zione  molto  graduale  da  un  termine  all’altro,  derivante  del  resto  anche  dalle 
frequenti  e  mutue  intercalazioni. 

(^)  Molto  belle  sono  le  alternanze  che  si  possono  osservare  alla  Fornace 
Sainati  e  che  hanno  dato  luogo  ad  interessanti  fenomeni  di  erosione  diffe¬ 
renziale. 

(h  L’analisi  granulometrica  di  un  campione  raccolto  alla  Fornace  Sai¬ 
nati  di  Montecarlo  ha  rivelato  la  seguente  composizione;  70%  limo,  24%  ar¬ 
gilla,  6%  sabbia.  Carbonio  e  sostanza  organica  presenti  per  il  0,07%  e  per 
il  0,36%  rispettivamente. 


184 


L.  LAURETI 


trariamente  a  quanto  riscontrato  a  suo  tempo  dai  vecchi  Autori  e, 
per  molto  tempo,  dallo  stesso  De  Stefani  (•^).  Notevole,  come  si 
vedrà,  è  il  loro  significato  morfologico.  Gli  affioramenti  più  ti¬ 
pici  si  osservano  alla  collina  di  Pòrcari  e  a  nord  di  Montecarlo,  al 
M.  Chiari  In  base  alla  posizione  stratigrafica,  la  loro  età  si 


(^)  Il  De  Stefani  scriveva,  infatti  (1875,77)  che  «lungo  TAppennino  prin¬ 
cipale,  a  Montecarlo,  ad  Altopascio,  a  Porcari,  etc.,  le  ghiaie  sono  formate  dal 
macigno  eocenico,  il  quale  forma  pure  le  pendici  sovrastanti  »,  mentre  «lungo 
le  Alpi  Apuane  (M.  S.  Quirico)  e  presso  il  Monte  Pisano  (Montecchio,  Monte- 
calvoli),  vi  sono  g’hiaie  di  rocce  antiche»,  cioè  le  ghiaie  poligeniche,  «sic¬ 
come  di  rocce  antiche  della  stessa  natura  sono  fornite  le  pendici  soprastanti  e 
le  valli  che  ne  discendono,  fra  cui  maggiore  di  tutte  è  la  valle  del  Serchio  ». 
In  particolare  il  De  Stefani  stabiliva,  per  gli  elementi  delle  ghiaie,  la  se¬ 
guente  provenienza: 

a)  Monte  Pisano  (quarzo  grasso  con  ripidolite  e  oligisto,  anagenite  del 
Verrucano)  ; 

ò)  Valle  del  Serchio  (selce  nera,  rosea  o  gialla,  diaspro  rosso,  calcare 
grigio  chiaro  quasi  ceroide,  calcare  grigio  con  selce,  calcare  nummulitico)  ; 

c)  Appenino  tra  Lucca  e  Pistoia  (arenaria  macigno). 

Sempre  secondo  il  De  Stefani  gli  elementi  delle  ghiaie  si  presentavano 
generalmente  in  «  forma  ellissoidale,  stratificati,  alternanti  con  strati  argil¬ 
losi  e  sabbiosi  e  con  tenui  sedimenti  vegetali  »  (come  si  può  osservare  alla 
Fornace  Sainati  di  Montecarlo).  In  base  a  ciò,  per  lo  stesso  Autore  era  «  fuori 
di  dubbio  che  la  loro  accumulazione  avvenne  quieta  e  regolare  nel  golfo  ma¬ 
rino  che  si  riempì  durante  il  pliocene  ».  Solo  più  tardi  (1919),  e  dopo  i  rilievi 
del  Lotti,  il  De  Stefani  accennò  alla  presenza  di  ghiaie  poligeniche  nei  din¬ 
torni  di  Montecarlo,  Essa  è  stata,  comunque,  confermata  recentemente  dal 
Saggini  per  il  quale  i  rilievi  di  Montecarlo  presenterebbero  la  seguente  suc¬ 
cessione,  dal  basso  in  alto  :  argille  grigio-azzurre  ;  livelli  a  ciottoli  di  verru¬ 
cano,  di  macigno  e  di  scaglia. 

(®)  La  natura  poligenica  delle  ghiaie  è  chiaramente  osservabile  lungo  la 
collina  di  Pòrcari  dove,  in  mezzo  al  detrito  di  superficie,  si  notano  con  buona 
evidenza  ciottoli  anagenitici,  calcarei,  quarzitici  oltre  che,  più  abbondante¬ 
mente,  arenacei.  Ghiaie  poligeniche  affiorano,  del  resto,  anche  nella  stessa 
collina  di  Montecarlo,  come  sul  versante  orientale,  dove  appaiono  con  gra¬ 
nulometria  media  e  frammiste  ad  una  pasta  generalmente  sabbiosa.  La  loro 
disposizione  non  è  molto  ben  gradata,  tuttavia  si  può  denotare  una  tendenza 
all’orizzontalità  da  parte  dei  ciottoli  più  appiattiti.  Anche  nella  parte  set¬ 
tentrionale  delle  stesse  colline,  nei  pressi  di  Villa  Benedetti,  ad  esempio,  è 
possibile  osservare,  in  una  recente  trincea  stradale,  un  bellissimo  affioramento 
di  ghiaie  poligeniche,  con  gli  elementi  ben  appiattiti  e  spiccata  immersione 
verso  est.  Anche  i  letti  sabbiosi,  che  appaiono  in  alternanza  con  le  g’hiaie 
lungo  tutto  il  margine  nord-occidentale  delle  colline  di  Montecarlo,  hanno 
la  stessa  immersione  verso  est  ed  appaiono  sovente  troncate  da  un  livello  pe- 
dogenizzato,  quando  le  stesse  formazioni  non  siano  fortemente  ferrettizzate. 


GEOMORFOLOGIA  DELLE  COLLINE  DELLA  VALDINIEVOLE 


1  <S5 


Fig.  2. 


Cartina  geo-litologica 
Valdinievole).  Per 


delle  colline 
le  sezioni  v. 


di  Montecarlo 
fig.  8. 


(bassa 


potrebbe  far  risalire  allo  scorcio  del  Pliocene  o  tutPal  più  agli 
inizi  del  Quaternario  (Villafranchiano)  {'); 

d)  sabbie  in  apparenza  marine,  testimoni  forse  di  un  an¬ 
tico  piccolo  golfo  marino.  Affiorano  con  sicura  evidenza  a  nord 
di  Monte  Chiari,  in  località  San  Martino  in  Colle.  Il  De  Stefani 
vi  rinvenne  resti  di  Ostreidi  (^). 


(’)  Il  De  Stefani  osservava  che  «  le  ghiaie  sono  regolarmente  stratificate 
e  non  derivano  perciò  da  tumultuosa  accumulazione  alluvionale  o  glaciale  » 
sembrando  in  tal  modo  propendere  per  una  loro  tranquilla  deposizione  in  am¬ 
biente  marino,  «durante  il  pliocene  fino  al  pliocene  superiore». 

(ù  Si  tratta  di  «  Ostrea  cochlear  Poli  »  e  «  Ostrea  edulis  L.  ».  La  se¬ 
conda  specie  è  diffusa  dal  Pliocene  superiore  in  tutto  il  Mediterraneo  con 


180 


L.  LAURETI 


Complessivamente,  considerando  le  deboli  inclinazioni,  con 
immersione  generale  verso  est,  delle  formazioni  su  elencate,  non¬ 
ché  il  dislivello  topografico  dei  rilievi  da  esse  costituiti,  V  intera 
serie  non  dovrebbe  superare  i  200  metri  di  spessore. 

^  ^ 

La  successione  litologica,  pur  se  interessata  da  analoghe  for¬ 
mazioni,  è  tuttavia  ben  diversa  nelle  colline  di  Baggiano,  rial¬ 
lacciandosi  alla  serie  tipica  che  si  rinviene  anche  negli  altri  ri¬ 
lievi  più  a  sud  (Colline  di  Cerreto  Guidi,  tra  Empoli  e  il  Monte 
Albano),  caratterizzata,  secondo  le  conclusioni  del  Dainelli,  nella 
sua  classica  sintesi  sul  mare  pliocenico  della  Toscana  settentrio¬ 
nale,  da  una  «  successione  regolare,  dal  basso  in  alto,  di  argille, 
sabbie  e  ciottoli  »  di  sicura  età  pliocenica. 

Queste  colline  sono  rappresentate  da  debolissimi  rilievi,  che 
si  elevano  raramente  di  poco  al  di  sopra  dei  50  metri  (altitudine 
media  di  tutta  la  pianura  circostante  :  15-20  metri),  messi  in  evi¬ 
denza  da  rigagnoli  e  torrentelli  che  scorrono  in  senso  meridiano, 
provenienti  dairarea  appenninica  e  diretti  verso  la  pianura. 

Stratigraficamete,  la  serie  di  Baggiano  è  rappresentata,  dal 
basso  in  alto,  dalle  seguenti  formazioni: 

a)  argille  grigio-azzurrine,  a  volte  assai  compatte  e  dure 
con  non  rari  livelli  marnosi.  Il  loro  basamento  sembra  trovarsi 
a  notevole  profondità,  e  le  stesse  sono  disposte  con  giacitura  ge¬ 
neralmente  suborizzontale.  Tuttavia  non  mancano  i  casi  in  cui 
sono  evidenti  inclinazioni  anche  piuttosto  forti  verso  est,  come 
alle  cave  di  Santa  Lucia.  Frequenti  gli  episodi  di  caolinizzazione, 
specialmente  nei  dintorni  di  Altopàscio; 

b)  al  di  sopra  vengono  sabbie  gialle,  ferrettizzate,  con  in¬ 
tercalazioni  ghiaiose  a  granulometria  minuta,  con  uno  spessore 
variabile  dai  5  ai  10  metri.  Sia  le  sabbie  che  le  argille  sembrano 
testimoniare  un  ambiente  di  sedimentazione  costiero,  risultato  di 
un  mare  in  via  di  colmamento.  Molto  scarsi  i  resti  fossiliferi,  e 
ciò  forse  a  causa  delFazione  di  correnti  continentali  piuttosto  ac- 


giacimenti  enormi  sulla  costa  orientale  della  Corsica  ed  il  suo  habitat  è  es¬ 
senzialmente  litorale.  La  prima  invece  non  si  trova  che  a  partire  dai  100 
metri  di  profondità  potendo  arrivare  anche  ai  1000. 


GEOMORFOLOGIA  DELLE  COLLINE  DELLA  VALDINIEVOLE 


187 


Fig’.  3.  —  La  Cava  Teglia  ad  Ovest  di  Borgo  a  Baggiano  (vista  da 
ovest).  Al  di  sotto  delle  ghiaie  (si  tratta  più  che  altro  di  un  conglo¬ 
merato  di  grossi  blocchi  di  macigno  più  o  meno  arrotondati),  il  cui 
spessore  è  qui  di  circa  5  m,  affiorano  sabbie  e  argille.  Questo  piccolo 
poggio  oggi  non  esiste  più  (la  foto  risale  al  1963). 


centuate,  provenienti  dai  soprastanti  rilievi,  già  emersi  durante 
questa  fase  marina  della  pianura  (^)  ; 

c)  la  serie  culmina  con  grosse  bancate  di  ghiaie,  per  uno 
spessore  di  una  decina  di  metri,  costituite  da  elementi  piuttosto 
grossolani  misti  ad  altri  più  minuti  e  ad  enormi  blocchi  di  ma¬ 
cigno  (^'^)  (figg.  3-4).  Arenacei  sono  pure  tutti  gli  altri  elementi 
delle  ghiaie.  Sembra  proprio  che  queste  ghiaie  si  trovino  in  vici- 


(®)  L’analisi  di  due  campioni  prelevati  nella  trincea  del  laghetto  di  for¬ 
nace  in  località  Terrarossa  (Borgo  a  Buggiano),  ha  rivelato  per  il  primo  la 
seguente  composizione;  859t  sabbia,  99c  limo,  69f  argilla,  e  per  il  secondo 
campione:  4697  argilla,  38%  sabbia,  16%  limo,  carbonio  0,04%  e  sostanza 
organica  0,21%. 

(^Q  Secondo  il  Meneghini  (citato  in  D’Achiardi)  «  i  grossi  massi  di  Borgo 
a  Buggiano  sembra  rappresentino  un  deposito  torrenziale  contemporaneo  alle 


ISS 


L.  LAURETI 


Fig’.  4.  —  Cava  Teglia  (Borgo  a  Baggiano).  Ciottolami  e  blocchi 
di  macigno  estratti  dalla  cava.  Si  notino,  in  confronto  alle  automo¬ 
bili,  le  loro  notevoli  dimensioni.  In  primo  piano  affiorano  le  argille 

di  base. 

nanza  deirantica  piattaforma  di  abrasione  marina,  sovrastata  dai 
terrazzi  con  cui  iniziano  i  rilievi  appenninici  (resti  forse  di  una 
vecchia  costa  a  falesia?)  (^^).  Non  sarebbe  da  escludere,  tuttavia. 


sabbie  e  ghiaie  »  che  si  rinvengono  «  più  a  sud  ».  Da  parte  sua  il  D’Achiardi 
scriveva  che  si  doveva  attribuire  alTabbassamento  delle  Alpi  Apuane  e  del 
Monte  Pisano  ed  al  «  conseguente  avvicinarsi  del  mare  alla  foce  dei  fiumi 
Taver  questi  riescavati  i  propri  letti,  sulle  cui  sponde  attuali  si  osservano  per 
ciò  a  grande  altezza  i  depositi  ciottolosi  ».  Personalmente,  ci  sembra,  invece, 
che  la  «facies»  delle  formazioni  ghiaiose  ed  in  particolare  dei  grossi  massi  di 
macigno  si  possa  avvicinare  a  quella  caratteristica  della  gonfolite,  la  quale, 
come  è  noto,  è  anch’essa  diffusa  lungo  una  fascia  pedemontana,  ai  margini 
di  una  pianura,  in  una  posizione  geografica  non  molto  dissimile,  del  resto, 
da  quella  che  si  sta  esaminando  in  questa  sede. 

(^)  Significativo  è  quanto  il  De  Stefani  scriveva  in  proposito,  rilevando 
come  «  le  gradinate  delle  pendici  littorali  plioceniche  delTAppennino,  mostrano 
che  tanto  il  littorale  come  i  colli  isolati  della  Toscana  erano  coperti  dal  mare. 
Via  via  che  il  sollevamento  li  innalzava,  quello  diveniva  terrazzato,  e  questi 
si  alzavano  insieme  coi  sedimenti  a  loro  sovrapposti  ». 


GEOMORFOLOGIA  DELLE  COLLINE  DELLA  VALDINIEVOLE 


180 


__  -  9 

_  IO 


ni" 


Fig’.  5.  —  Cartina  geo-litologica  delle  colline  di  Buggiano  (bassa 
Valdinievole).  Legenda:  1)  alluvioni  recenti,  2)  falda  detritica  con 
elementi  arenacei  ed  argdlloscistosi,  misti  a  ghiaie,  3)  ghiaie  gros¬ 
solane  e  blocchi  di  macigno,  4)  sabbie  miste  a  lenti  ghiaiose,  so¬ 
vente  ferrettizzate,  5)  argille  azzurrine,  con  banchi  marnosi  e  in¬ 
clusioni  di  caolino,  6)  macigno  oligocenico  con  inclusioni  argillosci- 
stose,  7)  inclinazione  degli  strati,  8)  margine  dei  terrazzi,  9)  frat¬ 
ture,  10)  traccia  delle  sezioni  (v.  fig.  8  in  basso),  11)  cave  di  argilla.. 

Scala  della  carta  1:30.000  ca. 


per  queste  ghiaie  un’origine  più  propriamente  continentale,  do¬ 
vuta  a  forti  correnti  torrentizie  che  agivano  in  ambiente  perigla¬ 
ciale  (^2),  oppure  per  «  escarpement  de  faille  »  (^^). 


(^)  Può  essere  interessante  notare  come,  nella  parte  appenninica  del  ba¬ 
cino  del  T.  Cessana,  le  cui  acque  hanno  fortemente  inciso  le  colline  a  grossi 
blocchi  di  macigno  di  Borgo  a  Buggdano,  si  rinvengano  animassi  di  blocchi 
arenacei  dello  stesso  tipo  e  delle  stesse  dimensioni,  tanto  sul  fondovalle  che 
alla  base  di  alcuni  versanti.  Tali  blocchi  come  gli  altri,  sono  pur’essi  note¬ 
volmente  ferrettizzati. 

(^®)  In  effetti,  tutto  il  margine  dei  rilievi  appenninici  che  si  affacciano 
sulla  pianura  tra  il  Serchio  e  la  Niévole  sembrerebbe  interessato  da  una  tron- 


190 


L.  LAURETI 


Fig\  6.  —  Colline  di  Montecarlo:  detrito  superficiale  costituito  da 
elementi  poligenici.  I  ciottoli  anagenitici  (provenienti  dal  verrucano 
di  M.  Pisano)  spiccano  notevolmente,  con  il  loro  colore  violaceo,  nel 

terreno  intensamente  ferrettizzato. 


^  ^  ^ 

Se  da  un  punto  di  vista  stratigrafico  non  sembrano  sussistere 
profonde  differenze  tra  la  serie  di  Montecarlo  e  quella  di  Bag¬ 
giano,  tuttavia,  è  da  rilevare  il  fatto  che,  mentre  le  ghiaie  di 
Baggiano  sono  costituite  da  elementi  essenzialmente  arenacei  o 


catura  tettonica,  al  limite  di  una  vera  e  propria  «  fossa  ».  La  stessa  indica¬ 
zione  è  del  resto  fornita  dalPosservazione  stereoscopica  delle  fotografie  aeree 
della  zona. 


GEOMORFOLOGIA  DELLE  COLLINE  DELLA  VALDINIEVOLE 


v,n 


Fig.  7.  —  Colline  di  Montecarlo:  sezione  di  suolo  ferrettizzato  (parte 
superiore  più  scura)  formatosi  a  spese  della  formazione  ghiaiosa. 


argillosi,  quelle  di  Montecarlo  sono  di  natura  prevalentemente  po¬ 
ligenica,  cosa  non  sempre  riconosciuta  dai  vecchi  Autori.  Esse  ap¬ 
paiono  costituite,  come  si  è  detto,  da  calcari,  arenarie,  scisti  vari¬ 
colori,  verrucano  (anagenite),  calcari  metamorfici,  ecc.,  tutti  no¬ 
tevolmente  usurati  e  testimonianti  una  provenienza  assai  diversa  : 
Alpi  Apuane,  alta  valle  del  Serchio  e  della  Lima,  M.  Pisano  (^^). 
Su  questo  problema,  delForigine  delle  formazioni  ghiaiose  della 


Un  significato  diverso,  invece,  a  nostro  avviso,  assumono  i  grossi 
blocchi  di  macigno,  più  avanti  ricordati  (v.  nota  10),  che  si  rinvengono  alle 


L.  LAURETI 


1<)2 


Fig’.  8.  In  alto:  profili  attraverso  le  colline  di  Montecarlo  (v. 
fig".  2).  Le  g’hiaie  sono  rappresentate  da  tondini,  le  sabbie  da  pun¬ 
tini.  Tutte  le  formazioni  presentano  una  spiccata  inclinazione  verso 
est.  Al  centro:  sezione  attraverso  la  collina  di  Pòrcari  (v.  fig-.  2).  Si 
noti  il  notevole  spessore  delle  g’hiaie  (indicate  dai  tondini)  e  P  incli¬ 
nazione  generale  delle  formazioni  verso  ovest,  cioè  contraria  a  quella 
che  si  osserva  nei  dintorni  di  Montecarlo.,  In  basso:  profili  attra¬ 
verso  la  fascia  pedemontana  e  le  colline  di  Buggiano  (v.  fig.  5). 
Si  noti  Tesig'uo  spessore  delle  ghiaie  e  delle  sabbie  nonché  la  scarsa 
profondità  a  cui  affiorano  le  argille  (Fornace  di  Buggiano). 


GEOMORFOLOGIA  DELLE  COLLINE  DELLA  VALDINIEVOLE 


108 


Fig.  9.  —  Cava  Teglia  (Borgo  a  Buggiano).  Particolare  della  for¬ 
mazione  a  grossi  ciottoli  di  macigno  al  contatto  con  le  sabbie  sot¬ 
tostanti. 


pianura  lucchese,  comprese  quelle  che  formano  le  colline  delle  Cer- 
baie,  le  opinioni  furono  in  passato,  come  si  è  visto,  molto  con¬ 
troverse  (^^).  Da  parte  dei  geologi  pisani  si  pone,  attualmente,  in 
evidenza  il  carattere  fluvio-lacustre  della  facies  dei  terreni  costi- 


colline  di  Borgo  a  Buggiano,  sia  perchè  mancano  completamente  in  quelle  di 
Montecarlo,  sia  per  la  loro  posizione  estremamente  localizzata  e  sommitale 
(nella  parte  più  alta  delle  colline,  cioè)  che  li  collegherebbe  piuttosto  a  vicende 
che  hanno  interessato  il  vicino  retroterra  appenninico. 

(^°)  Le  ultime  osservazioni  sulla  paleogeografia  della  pianura  compresa 
tra  il  Monte  Pisano  e  il  Monte  Albano  risalgono  praticamente  ad  una  vec¬ 
chia  pregevole  nota  del  Sestini.  Le  recenti  esplorazioni  geofisiche  del  sotto¬ 
suolo  di  questa  pianura  forniranno  indubbiamente  preziose  informazioni  al 
riguardo,  specialmente  per  quanto  concerne  la  profondità  delTantico  braccio 
di  mare  e  lo  spessore  dei  sedimenti  che  vi  si  depositarono.  Si  veda  al  riguardo 
la  recentissima  ricostruzione  suggerita  da  Ghelardoni,  Giannini  e  Nardi 
(v.  bibl.)  e  la  cui  memoria  è  uscita  mentre  si  stavano  correggendo  le  bozze 
di  questo  lavoro. 


194 


L.  LAURETI 


tuenti  Tossatura  delle  colline  di  Montecarlo,  la  cui  età  è  attribuita 
al  Pliocene  Superiore  (Villafranchino)  e  tutPal  più  al  Calabriano 
relativamente  alla  parte  alta,  prevalentemente  ciottolosa. 


Fig.  10.  —  Cava  Teglia  (Borgo  a  Baggiano).  Grosso  blocco  di  ma¬ 
cigno  (55  X  110  cm)  rottosi  in  corrispondenza  di  una  frattura  riem¬ 
pita  da  depositi  limonitici. 


❖  ❖  ❖ 

La  morfologia  delle  colline  di  Montecarlo  e  Buggiano,  pur 
ricollegandosi  ai  tipi  propri  delle  formazioni  incoerenti,  presenta, 
nel  nostro  caso,  un  aspetto  piuttosto  evoluto,  con  tendenza  allo 
spianamento  nelle  aree  prive  della  copertura  ghiaiosa.  Infatti,  là 
dove  questa  manca.  Fazione  delle  acque  incanalate  ha  avuto  fa¬ 
cile  gioco  ad  asportare  gli  orizzonti  sabbioso-argillosi  e  a  model¬ 
lare  un  rilievo  dolce  e  ben  ondulato,  che  si  raccorda  gradualmente 
e  senza  brusche  interruzioni  alla  pianura.  I  profili  geomorfologici 
che  si  allegano  sono  alquanto  significativi  (fig.  8). 

Dove  invece  è  presente,  l’orizzonte  ghiaioso  contribuisce  a 
rendere  più  vario  ed  accidentato  il  rilievo:  le  sue  articolazioni 


GEOMORFOLOGIA  DELLE  COLLINE  DELLA  VALDINIEVOLE 


195 


tendono  infatti  a  mantenersi  e  ad  esaltarsi.  Il  paesaggio  che  ne 
deriva  è  pertanto  caratterizzato  da  incisioni  profonde,  con  i  ver¬ 
santi  alquanto  ripidi,  specialmente  in  corrispondenza  degli  affio- 


Fig.  11.  —  Cava  la  Palazzaccia  (Santa  Lucia).  Il  fronte  di  cava, 
tutto  nella  formazione  ghiaiosa,  misura  lo  m  di  dislivello. 


ramenti  delle  assise  ghiaiose,  la  cui  stabilità  è  accentuata  dal¬ 
l’essere  le  stesse  interessate  da  intensi  processi  di  ferrettizzazione 
e  limonitizzazione.  Molto  frequentemente,  a  tale  riguardo,  si  rin¬ 
vengono  croste  di  alterazione  limonitica,  specialmente  al  contatto 
tra  ghiaie  e  argille  (in  particolare  ad  ovest  di  Montecarlo,  alla 
Fornace  Sainati,  ma  anche  nei  pressi  di  Borgo  a  Buggiano). 

Nelle  colline  di  Buggiano,  a  differenza  di  quelle  di  Monte¬ 
carlo,  la  natura  arenacea  delle  ghiaie  e  dei  conglomerati  ne  orienta 
il  comportamento  al  modo  delle  sabbie  o  dello  stesso  macigno, 
dando  luogo  a  forme  addolcite  e  dai  profili  più  arrotondati.  Da 
rilevare,  anche  per  la  formazione  di  Buggiano,  l’estremo  stato  di 
alterazione  dei  ciottoli  di  macigno,  intensamente  ferrettizzati  e 


L.  LAURETI 


19H 


con  i  granuli  non  più  tenuti  insieme  dal  cemento  (figg.  9-10).  Essi, 
infatti,  alla  pur  leggera  pressione  delle  mani,  si  sfaldano  e  si  ri- 


Fig.  12.  —  Cava  la  Palazzaccia  (Santa  Lucia).  Conglomerato  ad 
elementi  di  macigno,  disciolto  e  ferrettizzato.  I  ciottoli,  di  cui  si 
nota  l’aureola  di  alterazione,  si  disfanno  alla  pressione  delle  dita  e 

si  riducono  in  sabbia. 


ducono  in  sabbia  (cave  sotto  il  Torricchio  e  a  Santa  Lucia)  (fi¬ 
gure  11-12). 

E’  interessante  notare,  poi,  quello  che  avviene  sul  fianco  di 
alcune  di  queste  colline,  specialmente  là  dove  poteva  convenire 
lo  sfruttamento  dei  sottostanti  livelli  argillosi,  Tapertura  di  nu¬ 
merose  cave,  con  fronte  anche  abbastanza  esteso,  ha  compieta- 
mente  mutato  rossatura  del  rilievo  e  la  fisionomia  dei  luoghi,  cau¬ 
sando  una  ripresa  delFerosione  che  appare  procedere  con  ritmo 
alquanto  accelerato  (Cave  di  Santa  Lucia,  del  Torricchio;  ed  an¬ 
che  in  corrispondenza  di  alcuni  recenti  tagli  stradali).  La  stessa 
vegetazione  ne  ha  risentito,  favorita  dal  formarsi  di  numerosi  la- 


GEOMORFOLOGIA  DELLE  COLLINE  DELLA  VALDINIEVOLE 


11)7 


ghetti  per  affioramento  della  falda  freatica  (generalmente  a  tetto 
delle  argille) 


Fig.  13.  —  Collina  di  Pòrcari.  Banconi  di  sabbie  e  ghiaie  soprastanti 
le  argille.  Al  contatto,  l’erosione  assume  caratteri  selettivi,  special¬ 
mente  a  spese  delle  argille  che  vengono  profondamente  incise. 


^  ^  ^ 

Per  quanto  riguarda  i  rapporti  tra  tettonica  e  morfologia, 
si  è  già  detto  che  le  formazioni  dianzi  descritte  presentano  sovente 
delle  leggere  inclinazioni  verso  est,  quando,  per  il  resto,  non  siano 
in  giacitura  suborizzontale.  Non  mancano  tuttavia  altri  fatti  tet¬ 
tonici  di  un  certo  interesse,  come  si  può  osservare  dalle  cartine 
che  si  allegano  (figg.  2-5). 


(“)  A  causa  delle  frequenti  intercalazioni  argillose,  anche  negli  orizzonti 
sabbiosi  e  ghiaiosi,  la  profondità  a  cui  affiora  la  falda  libera  è  piuttosto  va¬ 
riabile. 


198 


L.  LAURETI 


Così,  gli  affioramenti  di  Baggiano  appaiono  leggermente  di¬ 
slocati  a  causa  di  una  faglia  che  corre  in  direzione  meridiana  e 
sulla  quale  si  è  tra  l’altro  impostato  il  corso  del  T.  Cessana.  Ad 
ovest  di  questo,  invece,  nel  tratto  tra  Santa  Lucia  e  Baggiano, 


Fig.  14.  —  Terrazzo  sulla  sinistra  del  Torrente  Cessana,  subito  a  sud 
di  Borgo  a  Baggiano.  Sullo  sfondo,  a  destra,  il  poggio  di  Villa 
Bellavista  (con  un  esile  affioramento  di  ghiaie). 


non  è  da  escludere  la  presenza  di  fenomeni  di  erosione  differen¬ 
ziale  per  il  contatto  del  macigno  con  le  sabbie  ed  i  conglomerati. 
In  tal  caso  sarebbe  da  imputarsi  ad  essa  la  formazione  della  grossa 
scarpata  che  separa  le  basse  colline  dal  rilievo  appenninico  so¬ 
prastante  (fig.  8). 

Infine,  le  argille,  che  non  compaiono  quasi  mai  in  superficie, 
vengono  invece  a  giorno  solo  là  (Montecarlo)  dove  sono  state 
aperte  delle  cave  per  il  loro  sfruttamento  e  dove  appaiono  pe¬ 
raltro  chiaramente  dislocate  (Pòrcari,  Santa  Lucia)  (fig.  4). 


GEOMORFOLOGIA  DELLE  COLLINE  DELLA  VALDINIEVOLE  1 

Nelle  colline  di  Montecarlo  le  dislocazioni  non  appaiono  in¬ 
vece  così  evidenti,  anche  se  V  indagine  fotogeologica  le  ha  comun¬ 
que  rivelate  (^^).  Qui,  infatti,  la  morfologia  appare  legata  alla 
struttura  prevalentemente  attraverso  la  natura  litologica  delle 
varie  formazioni  :  più  compatte  e  resistenti  le  ghiaie,  meno  le 
sabbie  e  le  argille  (fig.  13). 

Tuttavia,  considerato  il  forte  dislivello  che  separa  gli  oriz¬ 
zonti  ghiaiosi  nei  due  gruppi  collinari  (massima  elevazione  a  Mon¬ 
tecarlo,  con  i  189  metri  del  M.  Chiari,  e  a  Borgo  a  Baggiano 
con  i  56  metri  del  Torricchio),  non  sembra  impossibile  arguire  che 
tutte  le  colline  che  si  trovano  ad  ovest  del  tratto  ferroviario 
Péscia-Altopàscio  e  cioè  lambite  dalle  acque  del  T.  Péscia  di  Col¬ 
lodi,  siano  state  tutte  interessate  in  blocco  da  una  dislocazione  che 
non  sempre  è  stata  prevalentemente  verticale  :  la  netta  inclina¬ 
zione  verso  ovest  delle  formazioni  di  Pòrcari  e  verso  est  di  quelle 
di  Montecarlo,  limitate  da  linee  di  frattura  con  discreto  rigetto 
(vengono  a  giorno  anche  le  argille  sottostanti)  farebbe  pensare  al¬ 
l’esistenza  di  una  anticlinale  diretta  N-S  la  cui  cerniera,  succes¬ 
sivamente  fagliata,  sia  stata  incisa  ed  asportata  dall’azione  delle 
acque  del  Rio  Leccio,  con  conseguente  isolamento  della  collina  di 
Pòrcari.  Si  tratterebbe  anche  in  questo  caso  di  un  episodio  da  ri¬ 
collegarsi  alle  fasi  orogenetiche  post-plioceniche  (^^).  Lo  dimostre- 


(^9  La  cartina  geoniorfolog’ica  allegata  è  stata  redatta  anche  in  base  alle 
osservazioni  fotogeologiche  la  cui  utilità,  in  lavori  di  geomorfologia,  è  ormai 
fuor  di  dubbio..  Dei  risultati  dell’  indagine  fotogeologica  (lo  studio  fotogeo¬ 
logico  della  zona  in  esame  fu  possibile  per  la  cortese  ospitalità  del  Labora¬ 
torio  di  Fotointerpretazione  dell’AGIP  Mineraria  di  S.  Donato  Milanese) 
estesa  a  tutto  il  settore  appenninico  fino  alla  Val  di  Lima,  si  tratterà  con 
maggiore  ampiezza  in  altra  sede. 

(^®)  Se  si  imputano  (ed  al  momento  non  ci  sentiamo  di  poterlo  affermare 
con  sicurezza)  ad  una  tettonica  quaternaria  le  dislocazioni  da  cui  le  forma¬ 
zioni  esaminate  appaiono  chiaramente  interessate,  si  deve  necessariamente 
concordare  con  l’età  pliocenica  di  queste  ultime,  come  ritneva  lo  stesso  De 
Stefani,  secondo  il  quale  a  partire  dal  Pliocene  superiore  «  il  sollevamento 
prodottosi  in  quell’area  prima  occupata  da  un  seno  di  mare  alzò  i  terreni,  e 
le  valli  che  scendevano  dai  monti  circostanti  si  prolungarono  entro  a  questi 
e  li  solcarono  sì  come  ora  vediamo,  lasciando  nelle  depressioni  formate  dalle 
stesse  acque  correnti  sedimenti  alluvionali,  lacustri  e  fluviali  più  recenti  ». 
Maggiori  chiarimenti,  tuttavia,  sulla  datazione  di  queste  formazioni,  si  po- 


200 


L.  LAURETI 


rebbe,  del  resto,  in  tal  caso,  il  carattere  non  ancora  completa¬ 
mente  evoluto  delle  colline  di  Montecarlo,  rispetto  a  quelli  delle 
colline  di  Buggiano,  ormai  prossime  ad  una  peneplanazione  (ac¬ 
celerata  purtroppo  dairopera  stessa  dell’uomo). 

❖  ❖  ❖ 

In  una  regione  come  questa,  morfologicamente  abbastanza 
evoluta,  e  con  una  idrografia  notevolmente  gerarchizzata,  non 
potevano  mancare  forme  terrazzate,  ed  infatti  ce  ne  sono  in 
numero  notevole,  e  con  diversa  origine  (fluviale,  marina,  oro¬ 
grafica)  (^^). 


irebbero  avere,  a  nostro  parere,  solo  attraverso  le  analisi  polliniche  dei  resti 
vegetali  intercalati  nelle  argille  e  nei  limi  di  Montecarlo  e  datando  infine 
con  assoluta  certezza  le  sabbie  di  San  Martino  in  Colle  che  appaiono  essere 
(almeno  per  le  colline  di  Montecarlo)  certam.ente  il  termine  più  recente. 

Molto  spesso,  nella  letteratura,  quando  ci  si  riferisce  a  morfologie 
terrazzate,  si  fa  una  certa  confusione  sul  termine  «terrazzo».  Considerato 
che  rattributo  di  «  marino  »  e  «  fluviale  »  non  debba  dar  adito  a  particolari 
dubbi,  per  quanto  riguarda  quello  di  «  orografico  »  personalmente  intendiamo 
ciò  che  alcuni  Autori  chiamano  il  terrazzo  in  roccia,  dovuto  a  variazioni  (ab¬ 
bassamenti)  regionali  del  livello  di  base  (per  cause  epirogenetiche  o  anche 
per  semplice  isostasia).  E’  chiaro,  infatti,  che  anche  semplici  oscillazioni  ver¬ 
ticali  di  tutta  una  intera  regione  provocano  una  deformazione  del  profilo  delle 
valli  il  cui  processo  evolutivo  può  essere  accelerato  o  ritardato,  se  non  addi¬ 
rittura  regredito.  Nel  caso  di  un  sollevamento  si  avrà  pertanto  un  appro¬ 
fondimento  delle  valli  con  un  aumento  della  pendenza  dei  versanti,  la  quale, 
una  volta  terminato  il  sollevamento,  si  evolverà  verso  valori  più  bassi.  Se  poi 
il  sollevamento  riprende,  con  un  ulteriore  approfondimento  della  valle,  au¬ 
menterà  nuovamente  la  pendenza  del  versante.  Una  serie  di  sollevamenti,  sca¬ 
glionati  nel  tempo,  provocherà  quindi  altrettante  variazioni  del  profilo  delle 
valli  che  pertanto  risulteranno  «  terrazzate  »  pur  non  presentando  necessa¬ 
riamente  lungo  i  terrazzi  testimonianze  alluvionali  che  invece  dovranno  for¬ 
marsi  se  la  regione  subisce  un  abbassamento  (il  che  è  evidente).  Sulla  base 
di  queste  considerazioni  si  può  dedurre  che  simili  variazioni  di  profilo  (cioè 
di  pendenza)  si  possano  verificare  anche  su  versanti  marini.  Per  non  dar  luogo 
a  confusoni  con  i  terrazzi  marini  veri  e  propri  (dovuti  a  variazioni  del  li¬ 
vello  marino  indipendentemente  dalle  oscillazioni  epirogenetiche),  sarebbe  pre¬ 
feribile  sostituire  alPattributo  «  orografico  »  quello  di  «  tettonico  »  o  «  strut¬ 
turale  ».  In  tal  modo  potrebbero  definirsi  «fluviali»  i  soli  terrazzi  causati 
da  variazioni  del  livello  di  base  di  un  corso  d’acqua  indipendentemente  da 
oscillazioni  tettoniche  regionali.  Tali  variazioni  sarebbero  da  ascriversi  a  mu- 


GEOMORFOLOGIA  DELLE  COLLINE  DELLA  VALDINIEVOLE 


LM)1 

Terrazzi  fluviali  ce  ne  sono  dappertutto  e  in  corrispondenza 
delle  valli  principali  percorse  dal  T.  Cessana  (fig.  14),  dalle  due 
Péscie,  da  fossi  e  rivi  che  scolano  dalle  colline  di  Montecarlo. 
Grande  rilievo  tuttavia  non  l’hanno,  perché  l’azione  dei  corsi  di 
acqua  risente  molto,  qui,  della  natura  incoerente  delle  formazioni. 
Più  evidenti  e  significativi,  invece,  i  terrazzamenti  appaiono  nelle 
parti  alte  delle  vallate,  cioè  nel  retroterra  appenninico  dove  è 
possibile  seguirli  per  lungo  tratto.  Per  la  localizzazione  dei  ter¬ 
razzi  in  pianura  o  alle  falde  delle  colline  si  rimanda,  comunque, 
alla  cartina  geomorfologica  allegata. 

Non  sarebbe  da  escludere,  poi,  la  natura  marina  di  certi  ter¬ 
razzi  che  sovrastano  la  pianura,  modellati  nella  scarpata  appen¬ 
ninica  tra  Péscia  e  Montecatini.  Se  ne  può  osservare,  ad  esempio, 
uno,  ben  delineato,  lungo  la  fascia  da  Santa  Lucia  a  Baggiano, 
in  corrispondenza  della  vecchia  piattaforma  d’abrasione,  dianzi 
ipotizzata  (v.  nota  11).  Purtroppo  mancano  resti  di  depositi  re¬ 
lativi  e  la  roccia  stessa  (il  macigno)  risulta  profondamente  de¬ 
gradata  impedendo  utili  osservazioni. 

Più  sviluppati  sui  rilievi  appenninici  che  sulle  colline  sono, 
invece,  i  terrazzi  orografici.  Su  queste  ultime  il  terrazzamento  è 
in  genere  dovuto  all’alternarsi  (per  cause  sia  tettoniche  che  cli¬ 
matiche)  delle  diverse  fasi  dell’attività  dei  corsi  d’acqua  attuali. 
Per  i  primi  si  può  per  ora  rilevare  che,  in  passato,  il  reticolo 
idrografico  presentava  una  ben  diversa  struttura,  successivamente 
mutata  come  già  fu  rilevato  da  vari  Autori. 

Milano,  Istituto  di  Geografia  delV Università  Cattolica. 


tamenti  di  clima  (piovosità),  del  regime  fluviale  o  ad  altre  cause  (modifi¬ 
cazioni  artificiali  del  corso,  deviazioni  per  catture,  ecc.).  Pertanto  sarebbe  da 
abbandonare  il  termine  di  terrazzo  «  alluvionale  »  che  attualmente  può  dar 
adito  a  confusioni,  anche  perchè  alluvionale  può  risultare  un  terrazzo  for¬ 
matosi  sia  per  cause  climatiche  che  tettoniche.  Tale  precisazione  vuole,  co¬ 
munque,  costituire  unicamente  un  suggerimento  a  considerare  con  una  certa 
attenzione  un  problema  che  non  è  solamente  terminologico. 


202 


L.  LAURETI 


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Pavia  —  Editrice  Succ.  Fusi  —  15  Giuguo  ]968 


Direttore  responsabile:  PROF.  CESARE  CONCI 

Registrato  al  Tribunale  di  Milano  al  N.  6574 


SUNTO  DEL  REGOLAMENTO  DELLA  SOCIETÀ 

(Data  di  fondazione:  15  Gennaio  1856) 


Scopo  della  Società  è  di  promuovere  in  Italia  il  progresso  degli  studi  relativi 
alle  Scienze  Naturali. 

I  Soci  possono  essere  in  numero  illimitato. 

I  Soci  annuali  pagano  una  quota  d’ammissione  di  L.  500  e  L.  3.000  all’anno, 
nel  primo  bimestre  dell’anno,  e  sono  vincolati  per  un  triennio.  Sono  invitati  alle 
sedute,  vi  presentano  le  loro  Comunicazioni,  e  ricevono  gratuitamente  gli  Atti  e 
la  Rivista  Natura. 

Si  dichiarano  Soci  benemeriti  coloro  che  mediante  cospicue  elargizioni  hanno 
contribuito  alla  costituzione  del  capitale  sociale  o  reso  segnalati  servizi/ 

La  proposta  per  l’ammissione  d’un  nuovo  Socio  deve  essere  fatta  e  firmata  da 
due  soci  mediante  lettera  diretta  al  Consiglio  Direttivo. 

La  corrispondenza  va  indirizzata  alla  «  Società  Italiana  di  Scienze  Naturali, 
presso  Museo  Civico  di  Storia  Naturale,  Corso  Venezia  55,  20121  Milano  ». 


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Le  citazioni  bibliografiche  siano  fatte  possibilmente  secondo  i  seguenti  esempi: 
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Milano,  Milano,  CI,  fase.  II,  pp.  112-116,  1  fig.,  1  tav. 

Cioè:  Cognome,  iniziale  del  Nome,  Anno  -  Titolo  -  Casa  Editrice,  Città,  pp., 
figg.,  tavv.,  carte;  o  se  si  tratta  di  un  lavoro  su  un  periodico:  Cognome,  iniziale  del 
Nome,  Anno  -  Titolo  -  Periodico,  Città,  voi.,  fase.,  pp.,  figg-,  tavv.,  carte. 


(segue  in  quarta  pagina  di  copertina) 


INDICE  DEL  FASCICOLO  II 


Pinna  G.  -  Gli  erionidei  della  nuova  fauna  sinemuriana  a  crostacei  de¬ 
capodi  di  Osteno  in  Lombardia  ........  Pag. 

Boscardin  M.  &  DE  Michele  V.  -  Brucite^  idromagnesite  ed  artinite 

della  Val  d’Astico  (Vicenza)  ......... 

Mainaedi  D.  and  Pasquali  A.  -  Cultural  Transmission  in  thè  House 

Mouse  . » 

Oantaluppi  G.  -  Il  limite  paleontologico  Domeriano-Toarciano  a  Mol- 

vina  (Est  di  Brescia)  ........... 

Guiglia  D.  -  Missione  1965  del  Prof.  Giuseppe  Scortecci  nello  Yemen 
(Arabia  Meridionale)  ■  Sy meno pierà-.  Tipliiidae,  Vespidae,  Pompili- 
dae,  Spliecidae,  Apidae  .......... 

Moretti  G.  P.,  Gianotti  F.  S.,  Dottorini  C.,  Calisti  A.  &  Melis  M.  - 
Composizione  e  avvicendamento  di  una  popolazione  tricotterologica 
primaverile-estiva  in  una  caverna  della  Toscana  (Grotta  o  «  Tomba  » 
Lattaia  -  Siena)  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  » 

Taibel  a.  M.  (Pisa)  -  Considerazioni  critiche  su  un  «  presunto  »  ibrido 

Coturnix  coturnix  japonica  maschio  e  Gallus  gallus  femmina  .  .  » 

Laureti  L.  -  Geomorfologia  delle  colline  della  Valdinievole  (Toscana)  » 


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{continua  dalla  terza  pagina  di  copertina) 

La  Società  concede  agli  Autori  50  estratti  gratuiti  con  copertina  stampata. 
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»  12: 

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